Ex scintilla incendium oriri potest

di _Renesmee Cullen_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Distruzione ***
Capitolo 2: *** La vita cambia ***
Capitolo 3: *** Targata a fuoco ***
Capitolo 4: *** Salvataggi ***
Capitolo 5: *** Fatti inaspettati ***
Capitolo 6: *** Confessioni ***
Capitolo 7: *** Una scintilla ***
Capitolo 8: *** Rivelazioni ***
Capitolo 9: *** Terrore ***
Capitolo 10: *** Storie ***
Capitolo 11: *** Ragione e Sentimento ***
Capitolo 12: *** Illusioni ***
Capitolo 13: *** Uno scopo ***
Capitolo 14: *** False speranze ***
Capitolo 15: *** Segreti ***
Capitolo 16: *** Una cura ***
Capitolo 17: *** Morte senza gloria ***
Capitolo 18: *** Due respiri ***
Capitolo 19: *** Una Promessa ***
Capitolo 20: *** Tradimento ***
Capitolo 21: *** Addio ***
Capitolo 22: *** Virtù e coraggio ***
Capitolo 23: *** Realtà diverse ***
Capitolo 24: *** Ritorno ***
Capitolo 25: *** La verità ***
Capitolo 26: *** Lieto fine ***
Capitolo 27: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Distruzione ***


Ex scintilla incendium oriri potest




Antefatto


Essendo Roma impegnata nella Seconda Guerra Punica contro Cartagine (218-202 a.C.), Filippo V re di Macedonia cercò di espandere i suoi possedimenti verso occidente.

Dopo che Filippo venne a sapere che Annibale aveva vinto sui Romani nella battaglia del Lago Trasimeno nel 217 a.C., prestò la sua attenzione ai possedimenti romani in Illiria. Fece così costruire una flotta per combattere i Romani via mare, ma questo non si rivelò efficace perchè Filippo, per mancanza di esperienza, perse alcune semplici battaglie in modo disonorevole.

Dopo aver avuto la notizia della disfatta subita dai Romani nella battaglia di Canne per mano di Annibale (216 a.C.), il re macedone pensò di inviare degli ambasciatori al campo del generale, per negoziare un'alleanza (215 a.C.). Gli inviati macedoni conclusero un trattato: Annibale e Filippo promettevano di difendersi a vicenda e di avere gli stessi alleati e nemici.

Sulla via del ritorno in Macedonia, gli inviati di Filippo furono catturati da un comandante della flotta romana, lungo la costa pugliese e vennero scoperti i termini del loro accordo.

L'alleanza del macedone con Cartagine aumentò l'apprenzione
 


di Roma, posta sotto il violento attacco di Annibale



e che, per mano sua, vedeva diminuire

 


il suo dominio nel sud dell’Italia.

Allo scopo di impedire al macedone di aiutare Cartagine, sia sul territorio italiano che altrove, Roma cominciò a cercare degli alleati in Grecia, che combattessero con essa stessa contro Filippo.

Roma riuscì a stipulare un trattato con la lega Etolica, eterna nemica della Macedonia. Gli Etoli avrebbero condotto le operazioni via terra contro Filippo, Roma quelle via mare; Roma avrebbe potuto ottenere degli schiavi e tutto il bottino di guerra, gli Etoli avrebbero avuto il controllo di tutti i territori conquistati.

Durante la primavera del 210 a.C. i Romani, con l’aiuto degli Etoli, riuscirono a conquistare la città di Anticyra, nella Focide; così Roma ridusse in schiavitù gli abitanti, mentre gli Etoli presero possesso della città.

E’ proprio qui, ad Anticyra, durante l’assedio dei Romani, che si svolge la nostra Storia.


CAPITOLO 1 -  Distruzione


Io, mia madre e le mie sorelle ci avviammo velocemente verso il tempio, che si trovava sull’Acropoli, il punto più alto della città. Entrammo a passo svelto e davanti alla statua della divinità chinammo la testa, ci inginocchiammo e iniziammo a pregare a bassa voce, ma fervidamente.

Nella città era il caos: i Romani erano quasi riusciti a penetrare nelle mura. Il freddo dell’inverno, anche se ormai giunto al termine, mi faceva battere i denti nella mia veste leggera. Quella mattina non avevo avuto nemmeno il tempo di vestirmi in modo adeguato: dopo essere stata svegliata all'improvviso dalla mia ancella, ero andata in fretta al tempio indossando soltanto una tunica.

La mia città, Anticyra, era posta sotto assedio da settimane ormai: i Romani erano implacabili, non si fermavano davanti a nulla. Il nostro esercito, insieme alle truppe che mio zio, Filippo V di Macedonia, aveva inviato come soccorso, non era riuscito a spaventare i Romani, che ogni giorno cercavano instancabilmente di distruggere le mura della città. Certo era che l’aiuto fornito dalla lega Etolica li aveva avvantaggiati molto nell’assedio della città. La regione etolica si trovava proprio sotto quella dove si trovava Anticyra: era incredibile come stessi compatrioti potessero odiarsi a tal punto da intraprendere una guerra civile. I greci non avevano mai sopportato i macedoni e li consideravano barbari. Sebbene io discendessi dai macedoni, ero nata in Grecia, parlavo il greco, avevo ricevuto un’istruzione degna di un’ateniese... tuttavia questo non interessava a nessun cittadino delle Poleis greche.

Nonostante la situazione difficile, inizialmente gli abitanti di Anticyra erano scettici: nessuno, da anni, era mai riuscito a forzare le mura della Polis (nda. Città). Fino a quella mattina almeno. Quando ero uscita dal palazzo, poco più che un quarto d’ora prima, avevo visto la gente correre per le strade urlando “I Romani stanno per entrare, ci uccideranno tutti”. Fino al giorno prima nessuno aveva avuto davvero paura, ma a palazzo si era respirata fin dal primo assalto un’aria pesante e preoccupata. Mia madre conosceva la forza dei Romani, me ne aveva parlato più volte. Io per prima avevo studiato la storia romana e sebbene la disfatta di Canne avesse indotto mio zio a stipulare un accordo con Annibale, il generale cartaginese, io non ero poi tanto sicura che avesse fatto bene. Roma non era così sprovveduta come i nobili avevano fatto credere alla gente.

Secoli di storia avevano dimostrato che, nonostante le dure sconfitte, Roma era sempre riuscita a riprendersi, sia grazie all’efficienza dell’esercito, sia grazie al senso di appartenenza dei cittadini e alla lungimiranza di chi governava.

Sarebbe successa la stessa cosa anche adesso. Ero più che convinta, come mia madre, che i Romani avrebbero presto sconfitto Annibale, come precedentemente era accaduto con i galli e con tutti gli altri popoli che avevano avuto il coraggio di scontrarsi con i Romani, che già si stavano riprendendo, ed insieme alla lega Etolica, cercavano di sconfiggere definitivamente la Macedonia e di conquistare quindi la Grecia. La guerra contro l’Ellade infuriava da cinque anni ormai, da quando i cartaginesi e i macedoni avevano stipulato un patto.

I Romani si trovavano sotto le mura della mia città, ci avevano tagliato i viveri, gli approvvigionamenti non arrivavano da quasi due settimane e se le cose fossero andate avanti così, i cittadini sarebbero morti di fame e con loro l’esercito. Roma sarebbe riuscita a decimarci e ad entrare in città senza sforzi e avrebbe fatto prigionieri me e il mio popolo; sempre che prima non fosse riuscita ad aprirsi una breccia nelle mura, come stava per accadere, a quanto sembrava. L'obiettivo dei romani, oltre ad impossessarsi del fondamentale porto della città e a sottomettere la città per l’importanza che questa aveva nei commerci con tutto il Mediterraneo, era la mia famiglia. Io, mia madre, mio fratello e le mie tre sorelle maggiori eravamo le uniche parenti del re. Mia madre infatti era la sorella di Filippo. I Romani volevano catturarci (o anche ucciderci, dipende dai punti di vista) per due motivi: primo, se Filippo fosse morto, non avrebbe avuto eredi, dato che non aveva nemmeno figli suoi; secondo, con noi in ostaggio avrebbero potuto ricattarlo, per fargli accettare la resa e non solo. Peccato che non sapessero che a mio zio non importava nulla di noi, ne ero sicura. Lui, uomo stolto, ignorante ed incapace, si sopravvalutava a tal punto da credere di essere immortale, ma di certo non era così. A mio zio la nostra famiglia interessava solo perchè aveva il controllo su una città importante. Era stato lui a far sposare mia madre con un aristocratico del luogo, alla morte di mio nonno, così da potersi assicurare la fedeltà della Polis.

Si, di certo distruggendo Anticyra i Romani sarebbero riusciti ad avere un grande vantaggio sulla Macedonia, ma sbagliavano in una cosa: mio zio non sarebbe mai sceso a compromessi per ottenere una nostra eventuale liberazione. Io, per di più, ero quella che gli stava più antipatica delle nipoti. Neanche a me lui piaceva. In me, nella mia intelligenza, nel mio fiuto per la politica e gli affari di stato, vedeva qualcuno che avrebbe potuto usurpargli il trono. Cosa alquanto impossibile dato che avevo un fratello maggiore cui spettava la successione e che ero una donna. Anche se, a dire la verità, mi sarebbe piaciuto vedere la sua faccia a luna piena chinata a terra al mio passaggio. Fantasie inutili ovviamente.

Da cinque giorni stavamo aspettando un aiuto da Tebe, ma i Tebani sembrava se la stessero prendendo comoda. La posizione di quella città era sempre stata ambigua durante il corso della storia e devo dire che i tebani, per quei pochi che avevo conosciuto nei miei quasi diciotto anni di vita, mi erano sembrati tutti molto antipatici ed indisponenti.

Purtroppo però non ci eravamo potuti rivolgere ad altre Poleis: erano tutte provate molto dalla guerra. Anche Anticyra, che era una città molto ricca e sfarzosa, stava attraversando un periodo di crisi economica.

Ad un tratto, mentre stavo declamando la preghiera più accorata che conoscessi verso la dea Artemide, protettrice delle vergini come me e dei raccolti, sentii delle urla e un fragore assordante, seguito subito dopo dal silenzio. Udii il cozzare delle armature e l’urlo di battaglia dei soldati: i Romani avevano invaso la città.

Mia madre alzò la testa e lentamente si rimise in piedi, seguita a ruota da me e dalle mie sorelle. Saremmo riuscite a scappare? Potevamo sempre rinchiuderci nel palazzo, nasconderci da qualche parte…

Alzai i lembi della veste ed iniziai a scendere gli scalini, ma mia madre mi trattene per il braccio.

-Cosa c’è, madre? Dobbiamo scappare, metterci in salvo da qualche…- ma non riuscii a continuare, perchè guardai il suo viso e compresi: non saremmo mai potute fuggire, ci eravamo messe in trappola da sole: chiunque ci avrebbe visto scendere dal tempio, dato che si trovava in un luogo sopraelevato. Non avevamo vie di scampo.

Voltai la testa e vidi le mura del palazzo reale, che si trovava ai piedi dell’Acropoli, che già stavano crollando sotto l’assalto delle catapulte romane: presto sarebbero venuti a cercarci nel tempio. Era cosa assai nota che le donne, nei momenti di crisi e guerra, andassero a pregare gli dei affinché proteggessero la città.

Mi girai lentamente verso mia madre e la vidi prendere una fialetta da una tasca della veste lunga e bianca. Così fecero le mie sorelle, con le lacrime agli occhi. Capii subito casa volessero fare

-Madre, madre cosa fate? Dobbiamo trovare un modo per metterci in salvo, sono sicura che se ci proviamo potremmo riuscirci…- ma mia madre mi zittì con un gesto secco.

-Aurora! Hai paura di morire? I Romani non ci riserveranno di certo un destino migliore di quello che ci si prospetta adesso.- disse con voce dura e risoluta. Era sempre stata così: una donna forte e coraggiosa, forse anche un po’ brusca.

-Madre non possiamo, troveremo il modo…- continuai, con le lacrime agli occhi. Non volevo uccidermi con una fialetta di veleno. Non ce l’avrei mai fatta. Per quanto coraggiosa fossi, non potevo morire così, avevo sempre sognato di avere una morte gloriosa. Io non ero un’eroina coraggiosa come le figure femminili di cui si parlava negli antichissimi poemi Omerici, ero solo una principessa. Una come tante ce ne erano state nella storia eppure, fin da quando ero piccola, avevo sognato che il mio nome fosse ricordato come quello di Ettore o Achille per le mie azioni. Non potevo rinunciare a questo sogno.

-Figlia mia… sei sempre stata ribelle, e mi hai sempre fatto penare, prima che potessi riuscire a farti ubbidire. Ma adesso fallo e basta, salvati anche tu. Non sarà doloroso, fidati.- sussurrò, accarezzandomi il viso con una mano.

Quasi mai, in tutta la mia vita, avevo accettato di fare qualcosa senza protestare o esprimere la mia opinione. Ero uno spirito libero, un’anima ribelle che si era dovuta adeguare alle regole di una società maschilista e spesso ingiusta.

Contemporaneamente mia madre e le mie sorelle, che facevano remissivamente ogni cosa che lei chiedesse loro e che la seguivano in ogni cosa, portarono la fialetta alla bocca.

Io non lo feci. Le mie sorelle non si erano mai ribellate al volere di mia madre, la più grande, Euridice, aveva sposato un uomo molto più anziano di lei senza protestare. Io non ero così.

-Salvati- furono le ultime parole di mia madre per me. Quando vidi che tutte si accasciarono a terra, gridai

-No!- ma ormai era troppo tardi. Cominciai a piangere a dirotto, sopra i cadaveri di coloro che erano state la mia famiglia: non potevo e non volevo credere che fosse successo davvero. Sentii un dolore forte al petto, come se il mio cuore si fosse spezzato e una morsa che mi stringeva la gola e mi impediva di gridare davvero come avrei voluto. Le lacrime invece sgorgavano dai miei occhi senza tregua e mi rigavano le guance che sentivo scottare a causa del pianto.

Distolsi lo sguardo dai cadaveri della mia famiglia e guardai i Romani che avanzavano verso l’Acropoli molto più velocemente di quanto potessi mai pensare.

Romani!

pensai tra me e me

vi odierò per tutta la vita. Non passerà giorno in cui io chieda agli dèi di sterminarvi tutti e di distruggere l’Impero che state creando. Vi odierò per sempre, come giurò mia madre prima di me e come giurò mio padre quando ancora era in vita, prima che morisse in guerra.

Quei pensieri, intrisi di odio, furono formulati dalla mia mente con una rabbia che mai avrei pensato di possedere.

Riluttante e non trovando altra via di uscita, tirai fuori dalla tunica quella fiala, che mia madre mia aveva consegnato fin da quando ero piccola, da usare nei momenti di estrema disperazione. La guardai a lungo e con mani tremanti le tolsi il tappo e me la portai alla bocca. Stavo per bere il contenuto, quando qualcuno me la strappò di mano, facendomi cadere a terra.

I Romani erano arrivati.

Alzai lo sguardo verso colui che mi aveva levato l’ultima speranza di salvezza, con il viso solcato dalla lacrime.

Dritto davanti a me c’era un uomo: alto e con il fisico asciutto ed allenato. Gli occhi neri sembravano due pozzi senza fine e i capelli erano dello stesso colore. Mi guardò dall’alto in basso con sguardo compassionevole e pensieroso. Non avevo bisogno della sua compassione. Mi tirai su da sola, rifiutando la mano che mi aveva porto. Mi guardai intorno: dentro il tempio c’erano almeno dieci soldati romani e non osavo immaginare quanti ce ne fossero fuori. Di certo non avevo vie di fuga. Uno dei dieci soldati si avvicinò a me e mi squadrò da capo a piedi, soffermandosi su ogni parte del mio corpo. La sua occhiata mi lasciò una sensazione viscida ed indefinita addosso, non mi piaceva affatto...

Mi strinsi infine le guance con due dita e ghignò:

-E’ stata davvero una fortuna arrivare qui in tempo… sarebbe stato davvero un peccato perdere un gioiellino come te, vero?- disse, strafottente. Mi liberai con uno strattone dalla sua presa.

-Mh, scontrosa la ragazzina… chi sei tu per osare ribellarti a me?- chiese. Guardai quegli occhi marroni piccoli ed infossati, e poi gli sputai addosso.

Non avevo armi per attaccare, non avevo nessun mezzo per spiegare il mio odio, dato che ancora non riuscivo a parlare, quindi quel gesto era l’unico che avevo potuto fare per far sapere a quei Romani che mi facevano schifo, che li odiavo e che se ne avessi avuta l’opportunità, li avrei uccisi senza distinzione. Per un attimo tutti rimasero immobili ma poi mi arrivò uno schiaffo in pieno viso.

-Ragazzina come ti permetti di fare questo affronto a un nobile romano?- urlò il ragazzo a cui avevo sputato dritto in un occhio.

Non risposi e mi massaggiai la guancia colpita con la mano. Il ragazzo si stava di nuovo avventando su di me quando l’altro, quello che mi aveva levato la fialetta di mano disse:

-Antonio, lascia perdere. Stiamo solo perdendo tempo. Non vedi che è solo una povera ancella spaventata? Non ottieni gloria picchiando una donna indifesa.- la sua voce era calda e leggermente arrochita. Solo adesso notavo sul suo viso i segni della battaglia appena combattuta. Stavo per ribattere: non ero un’ancella, ero la principessa Aurora di Anticyra, non potevo essere scambiata per una serva. Stavo per parlare, ma poi ci ripensai: se i Romani fossero venuti a sapere la verità, chissà quale destino mi avrebbero riservato. Sarei diventata la concubina di qualcuno, mi avrebbero uccisa, frustata…? No, non dovevo dire nulla. Era stata una fortuna che mi avessero scambiato per chi non ero. Mi guardai sul riflesso delle armature dei soldati: con i capelli neri lunghi fino al fondo schiena sciolti e pieni di nodi, gli occhi rossi per il pianto, la veste semplice e leggera, non potevo sembrare altro che un’ancella.

-Che cosa ne facciamo di lei?- chiese qualcuno dei soldati

-Io propongo di lasciarla di notte nell’accampamento con i soldati annoiati…- propose il tale Antonio.

-Fratello, non lasciarti accecare dall’ira, infondo questa ragazza non sapeva ciò che faceva: ha appena perso tutto. E’ meglio portarla con noi e tenerla sotto la nostra protezione, quando arriveremo a Roma da nostro padre potrebbe rivelarci delle informazione utili sui piani di Filippo il Macedone. Sicuramente era un’ancella fedele e di cui le padrone si fidavano, non hai visto come era disperata per la morte delle sue padrone?- disse di nuovo l’uomo con gli occhi neri. Antonio lo fulminò con un’occhiata

-Certo Fabrizio, come al solito ci hai illuminato con la tua saggezza ed hai impedito che io facessi qualcosa di stupido.- disse. Così l’uomo che mi aveva salvatacondannata si chiamava Fabrizio.

Nelle parole di Antonio c’era qualcosa di nascosto, lo percepivo, ma nessuno disse nulla e tutti si limitarono ad annuire dopo ciò che aveva detto Fabrizio, che probabilmente ricopriva una carica importante nell’esercito, visto che tutti lo ascoltavano e gli ubbidivano.

Fabrizio mi prese le mani, me le legò dietro la schiena con una corda e tenne l’altro capo. Decisi che non avrei parlato, neanche sotto tortura, decisi che non avrei fornito nessuna informazione riguardo il mio popolo. Non una parola sarebbe uscita dalle mie labbra. Non tanto per rispetto a quel poco di buono di mio zio, quanto per rispetto a mia madre e alle mie sorelle che erano andate nell'Ade. E mio fratello…? Chissà dove si trovava in questo momento. Forse era sano e salvo, o forse...

Quando scendemmo dall’Acropoli, capii che avrei fatto meglio ad uccidermi come aveva fatto mia madre. Vidi cadaveri e cadaveri lungo la strada, donne che urlavano stringendo neonati al petto, uomini che erano stati legati assieme per essere venduti come schiavi. Nessuno dei defunti avrebbe avuto una degna sepoltura. Cercai mio fratello con gli occhi, soprattutto tra i prigionieri. Non poteva essere morto… lui, che da quando ero piccola mi aveva sempre voluto bene, che pur essendo un uomo aveva accettato i miei consigli e che si confidava con me e soprattutto che mi rispettava nonostante le tradizioni e nonostante la società. Mio fratello, che era l’unica persona che mi avesse veramente capita in tutta la vita.

Voltai lo sguardo su un cadavere lungo la strada: lo riconobbi, era lui.

Trafitto da una lancia, il suo corpo era stato lasciato al bordo della via, come se fosse stato un servo qualunque

-No!- mi ritornò la voce di colpo ed urlai con quanto fiato avessi in gola, in latino. Pur essendo una greca, avevo studiato il latino come una seconda lingua e lo capivo e parlavo come se fossi nata a Roma. Cercai di strattonare i lacci che mi legavano i polsi ma non riuscii a romperli. Mi spinsi con tutto il corpo verso quello di mio fratello, ma Fabrizio mi trattenne.

-Cosa c’è?- chiese Fabrizio, in greco. Capii il mio errore: solo un nobile aveva diritto all’istruzione. Solo i nobili greci parlavano il latino, allo stesso modo solo gli aristocratici romani parlavano il greco. Era come se mi fossi smascherata da sola. Continuai a strattonare i lacci e iniziai a piangere, sperando che, nel trambusto generale, nessuno ci avesse fatto caso. Sentivo purtroppo che non era così.

-Vi prego, quel giovane laggiù è mio fratello- iniziai, questa volta in greco, certa che non l’avrebbero mai riconosciuto come principe dato che non aveva neanche l’elmo con il pennacchio macedone in testa –vi prego, fate almeno in modo che abbia una degna sepoltura, non lasciate che la sua anima vaghi senza meta per tutta l’eternità nel limbo tra questo mondo e l’aldilà, vi scongiuro, vi imploro…- continuai a gridare tra i singhiozzi. Fabrizio mi costrinse a continuare a camminare strattonando fino al mio limite massimo di sopportazione la corda.

-No! Vi supplico- continuai a piangere e ad urlare. In quel momento pensai che forse le mie sorelle e mia madre, essendo morte da regine, avrebbero avuto dei funerali degni. Lui no. Fabrizio esitò e fece per sciogliermi i polsi, ma Antonio, che non aveva distolto lo sguardo da me neanche per un attimo, replicò

-Fabrizio, cosa fai? Che questo sia di monito per tutti coloro che si oppongono ai Romani o che complottano contro il loro nome. Ragazzina, tuo fratello avrà soltanto ciò che si merita solo per il fatto che è stato ostile al nome romano.- disse.

-Spero di fare la sua stessa fine allora, piuttosto che rimanere in vita come vostra schiava!- gli urlai istericamente in faccia. Antonio sogghignò e non rispose. Piansi più forte, ancora e ancora man mano che avanzavamo all’interno della città e che vedevo cadaveri e donne che piangevano. Non mi interessava se i Romani avessero visto il mio dolore: quel pianto non era da vili, ma era lecito e giusto.

Verso l’ora di pranzo, arrivammo finalmente all’accampamento dei Romani. Essendo l'unica “ancella” catturata che aveva un “così stretto rapporto con i reali”, Fabrizio non si fidò a lasciarmi da sola tra i soldati e sotto lo sguardo contrariato di Antonio mi portò con se nella sua tenda personale. Quanto pensava che fossero importanti le informazioni di cui una povera ancella era a conoscenza? Mi fece mettere seduta a terra mentre continuavo a piangere, mi slegò i polsi indolenziti e poi fece per andarsene. Non potevo credere che mi avrebbe lasciato da sola: già stavo macchinando un piano per provare a fuggire quando, come se mi avesse letto nel pensiero, disse

-Non provare a scappare… non ti conviene… aggraveresti soltanto la tua situazione. I fuggitivi non sono visti di buon occhio a Roma.-

E in quel momento seppi di non aver via di scampo: non sarei mai riuscita ad andarmene da quell’accampamento. Io, sciocca ragazzina, non sarei mai riuscita a scappare sotto il naso di un soldato romano. Altrimenti, non avrebbero vinto tutte quelle guerre nel corso dei secoli, e non sarebbero stati conosciuti in tutta l’Asia minore con quella fama di astuzia e forza bellica.

 

Dopo aver aspettato per circa due ore seduta immobile sulla pietra fredda e dopo aver finito di piangere a dirotto, sentii una strana calma dentro. Non riuscivo più a versare lacrime e mi sentivo terribilmente stanca. Durante quella mattinata erano successe troppe cose. Dopo poco Fabrizio tornò nella tenda con il mio pranzo. Mi mise davanti un piatto con del pane nero e delle verdure. Mangiai avidamente, affamata, dato che non avevo fatto nemmeno il primo pasto della giornata. Fabrizio mi guardò in silenzio, poi disse, in latino

-Dobbiamo partire domani, per arrivare il più presto possibile a Roma. Una flotta ci sta aspettando al porto in questo momento. Se il vento sarà a nostro favore, entro pochi giorni costeggeremo l’Italia-

Io continuai a guardarlo, senza far cenno di aver capito. Dovevo rimediare all’errore fatto in precedenza.

Fabrizio alzò un sopracciglio, ma non disse nulla. Si spogliò invece dell’armatura e rimase a petto nudo. Nel fisico allenato risaltavano le braccia muscolose, le spalle larghe e i pettorali. Dopo poco venne verso di me, e si chinò alla mia altezza.

-Senti… facciamo così... io non prendo in giro te e tu non prendi in giro me, d’accordo? Mi sembra un patto vantaggioso per entrambi.- disse, a un soffio dalle mie labbra, nella sua lingua natale. Iniziai a sudare, ma mi obbligai a rispondere, in un perfetto latino.

-D’accordo.- conclusi. Fabrizio si alzò.

-Come mai se sei un’ancella conosci così bene la lingua di Roma?- chiese, andando dritto al punto. Sapevo che se n’era accorto. Oltre che gran guerriero quale sembrava, era anche un astuto politico. Cercai di inventare qualcosa

-Ho soltanto avuto la fortuna di essere al servizio di una padrona colta che mi ha insegnato molte cose.- risposi, con tono ossequioso. Mi dava fastidio il fatto che dovessi rivolgermi a lui con tutto quel riguardo… da quando ero piccola ero stata abituata a ricevere gli ossequi da tutte le persone che erano di rango inferiore al mio... ma dovevo fingere di essere una schiava giusto?

-Come ti chiami?- mi chiese di nuovo Fabrizio, prendendo una bacinella d’acqua da sotto il letto. Esitai, ma poi risposi la verità: non poteva sapere il nome di una principessa.

-Aurora.- risposi. –E… Tu?- controbattei, cercando di non essere inopportuna, rivolgendomi a lui con il più grande ossequio possibile. Fabrizio sorrise ma non rispose.

-Non ti hanno insegnato a non porre domande, quando non sei in una situazione in cui puoi farle?- chiese. Si me lo avevano insegnato, ma non avevo mai dato molto retta a tutte le cose che avevano cercato di inculcarmi in testa. In quel momento me ne pentii.

-Quanti anni hai?- mi chiese ancora. Risposi con più ossequio di prima: era davvero difficile fingere di essere un’ancella

-Tra un mese 18- ed era vero. Non feci domande.

-Sei giovane… non ti avranno ancora insegnato a portare il giusto rispetto ai superiori.- concluse. Strinsi le labbra. Lui non era un mio superiore, semmai lo ero io. Tacqui ed abbassai lo sguardo, come faceva di solito la mia ancella quando la rimproveravo. Cominciai a ricordare la sua gestualità e mi riproposi di prendere esempio da lei.

Fabrizio di sedette sul letto da campo e con un pezzo di stoffa iniziò a pulirsi le braccia e il torace dalle ferite e a rinfrescarsi la pelle scottata dalle ustioni. Io rimasi seduta per terra a guardarlo. Se fossi andata avanti di questo passo, le mie bugie non sarebbero state credibili. Ad un tratto Fabrizio mi guardò

-Bhe? Cosa fai lì impalata?- mi chiese. Io non capii, non ero mica la sua serva. Tuttavia non osai dire una parola dato che non sapevo cosa dire. Avevo paura che qualsiasi cosa avrebbe potuto compromettere la mia situazione. Per fortuna, Fabrizio parlò prima che io potessi dire qualcosa di stupido.

-Il minimo che tu possa fare dopo tutti i privilegi che ti sono stati riservati è quello di aiutarmi a curare le ferite sulla schiena. Da solo non ci arrivo.- disse. Io mi alzai in piedi e, titubante, presi in mano la pezzuola e la bagnai nell’acqua, poi glie la passai sulla schiena delicatamente, come faceva sempre la mia ancella quando mi sbucciavo le ginocchia da piccola.

-Io sono il generale Quinto Fabrizio Galba e sono il figlio del senatore Publio Cornelio Galba.- disse, per rispondere alla mia domanda precedente. Quindi Fabrizio era figlio di un senatore... ecco perchè era un generale. Era un pezzo grosso, allora. Persa nei miei pensieri, non mi accorsi di aver strofinato troppo forte una sua ferita. Sentii un mugolio di dolore da parte sua

-Scusa…- dissi, imbarazzata. Non ero mai stata in compagnia di un uomo da sola. Era così che si sentivano le ancelle quando dovevano fare il bagno ai loro padroni, accudirli o... altro? Ma no, loro non si sarebbero imbarazzate… era il loro mestiere.

-Posso farti una domanda?- chiesi. Di solito le mie ancelle, prima di parlare, chiedevano sempre la parola. Sperai di non aver sbagliato formula anche questa volta.

-Si, ti è concesso.- disse piano. Trattenni uno sbuffo: non mi piaceva quella situazione, ma non potevo fare altro. Tutto questo non sarebbe successo se non fossi stata così codarda. Quanto avrei voluto tornare indietro nel tempo. Non avrei nemmeno sentito dolore… e adesso? Come avrei fatto? Scossi la testa per scacciare quei pensieri e poi formulai la mia domanda:

-Come ti sei fatto queste ferite?- chiesi. Morivo dalla curiosità di saperlo. Avevo sentito più volte le ancelle chiedere queste cose, quindi non avevo pensato che potesse essere qualcosa di sospetto. Fortunatamente avevo ragione

-In una delle tante battaglie che ho combattuto qui ad Anticyra…- disse. Strizzai la pezzuola e glie la ripassai ancora una volta sulla schiena

-E da quanto tempo combatti?- chiesi ancora. Fabrizio rispose di nuovo

-Da quando avevo diciassette anni. Ora ne ho ventiquattro, quindi da sette anni… ma vengo addestrato alla lotta da quasi tutta la vita.- concluse. Restammo in silenzio, fino a quando non andai a gettare fuori dalla tenda l’acqua, ormai inutilizzabile.

-Prendi delle foglie che stanno nel baule che si trova sotto il letto, e mettimele sulle ferite.- ordinò. Io eseguii quanto mi era stato detto, ma al momento di adoperare le erbe, non sapevo cosa farci. Dovevo masticarle? Di certo non potevo mettergliele a crudo sulla pelle. Feci per portarmele alla bocca, quando Fabrizio si girò di scatto e mi si gettò addosso, finimmo a terra mentre mi bloccava le braccia sul pavimento con le sue mani, mentre io ancora impugnavo le erbe in mano.

-Sei impazzita? Non lascerò che ti uccida!- disse, irato. Non riuscii a comprendere cosa intendesse dire

-C-cosa…?- balbettai, incredula e imbarazzata. Che situazione strana e scomoda

-Quelle foglie sono velenose se le mangi, ma sono una buona cura per le ferite, soprattutto per le ustioni. Non venirmi a dire che non lo sapevi!- esclamò, questa volta a voce più alta. Lo guardai e mi si velarono gli occhi di pianto. Ne avevo abbastanza per quel giorno di gente ce mi urlava contro e mi picchiava.

-Io non lo sapevo. Non ho alcuna intensione di uccidermi!.- dissi, insolente, non sapendo fino a che punto questo fosse vero.

-Non mi stupirei se lo facessi.- disse, brusco. Si allontanò da me e io mi rimisi in piedi. Ci fronteggiammo per qualche secondo, poi bagnò le erbe con dell’altra acqua presa da una borraccia e me le porse. In silenzio glie le applicai sulla schiena.

Appena finii, Fabrizio uscì senza dire una parola.

Mi sedetti di nuovo a terra nello stesso punto di prima, a riflettere. Mi avrebbero torturata, una volta giunta a Roma? Dovevo farla finita adesso, come pensava che avrei fatto Fabrizio? Ma come?

In quel momento capii che non avrei mai più avuto il coraggio di porre fine alla mia vita. Per questo avevo esitato nel tempio: non avevo il coraggio di uccidermi. Pensai a ciò che mi aspettava in Italia: l’avrei affrontato e forse sarei riuscita a costruirmi una nuova vita. In fondo, nessuno avrebbe saputo chi fossi in realtà. Forse mi avrebbero lasciata andare, una volta saputo che io non ero a conoscenza di nessun complotto contro i Romani. Relativamente.

Mi ricordai in quell’istante che quella mattina avevo sbraitato contro quell’Antonio, e che questo mi avrebbe portato sicuramente a dei guai. Avevo un brutto presentimento per la vita che mi avrebbe atteso a Roma, ma dato che non avevo alcuna possibilità di scappare, perchè mi avrebbero trovato e perchè l’accampamento era strettamente vigilato, e dato che non avevo voluto e non volevo nemmeno uccidermi, dovevo pagare per la mia codardia.

Portai le ginocchia al petto e mi addormentai su di esse con il pensiero di Fabrizio che mia aveva “salvata”(o condannata) per la seconda volta. Il ricordo del calore del suo corpo sul mio, mi regalò un sonno tranquillo.


 



Note dell'autrice:

Buongiorno a tutti, dopo una lunghissima assenza da EFP ho deciso di iniziare a scrivere una nuova storia. Avevo promesso che avrei postato questa nuova storia molto prima ma il mio computer si è rotto, fino a un mese fa e ho avuto numerosi impegni con la scuola ecc...
Spero che questa storia vi piaccia e che riceva tante recenzioni quanto l'altra. Come sempre, accetto tutto consigli, critiche, mi fa molto piacere sapere i pareri dei lettorilettrici e risponderò ad ogni recenzione. 
L'ambientazione di questa storia è complessa come anche il suo intreccio quindi se avete bisogno di chiarimenti non esitate a chiedere! Spesso metterò degli asterischi per delle cose che non sono molto chiare e troverete la spiegazione a fine pagina.
L'aggiornamento DOVREBBE essere periodico, dovrei aggiornare una volta ogni settimana ogni dieci giorni, comunque non assicuro niente.

Aspetto le vostre recenzioni, un saluto,

_Renesmee Cullen_

p.s. questo è il link della mia prima fan fiction, sempre una romantica, spero ci farete un salto 


http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=690419&i=1

 

 

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Capitolo 2
*** La vita cambia ***


CAPITOLO 2  - La vita cambia



Ci vollero dieci giorni affinché arrivassimo a Roma, a pensarci bene non furono molti, ma per mia sfortuna il vento aveva sempre soffiato a nostro favore. Avevo pregato gli dei in ogni modo di ritardare il mio arrivo in quella città, ma non mi avevano ascoltata. Era stato il viaggio più lungo che avessi mai fatto. Durante il tragitto avevo incontrato Fabrizio pochissime volte: infatti ero stata condotta nella parte della nave riservata alla schiavitù e quindi da quando avevamo lasciato l’accampamento erano state poche le volte in cui ero riuscita ad intravederlo. Non doveva interessarmi cosa stesse facendo, ma non facevo altro che chiedermelo.

Sbarcammo a Sabaudia la mattina dell'undicesimo giorno di navigazione e quando scendemmo finalmente a terra, come a tutti gli altri schiavi, mi fu dato qualcosa da portare in mano, poiché bisognava condurre in città tutti i bottini di guerra ottenuti dai Romani e i viveri per il viaggio. Nel mio caso, mi ritrovai subito tra le mani un’otre piena d’acqua più grande di metà del mio corpo, che pesava tantissimo. Come facevano le altre donne, me la misi sopra la testa ma era una tortura. Presto compresi che il viaggio verso Roma non sarebbe stato breve, ma mentre i Romani avevano dei carri che li trasportavano, noi schiavi eravamo costretti a procedere a piedi, al passo con i cavalli e i carri. Fu un viaggio sfiancante. (1*)

Ogni tanto il mio sguardo finiva su Fabrizio: sembrava perso nei suoi pensieri e al contrario dei suoi commilitoni che si rallegravano in ogni momento per la vittoria e per la città conquistata, se ne stava in silenzio sopra il suo carro, senza proferire parola.

Dopo il primo giorno di cammino ci fermammo per la notte e quando posai l’otre a terra sentii le braccia distrutte: non ce l’avrei fatta a portarla un altro giorno… figuriamoci per tutto il tragitto indeterminato che ci separava da Roma. Cercai di non pensare a questo e quando fu il momento, mi misi a riposare con le altre schiave.



Dormii per qualche ora, ma poi mi svegliai e non riuscii più a prendere sonno. Erano parecchie notti che non dormivo, ormai: non riuscivo a non pensare a quello che era accaduto alla mia famiglia e specialmente a mio fratello, il cui corpo era stato lasciato ai margini di una strada, in balia delle bestie e degli avvoltoi. La cosa più grave era, però, che i quel modo la sua anima era stata condannata a vagare in un limbo che stava tra il mondo dei vivi e quello dei morti, senza una meta.

Non potevo sopportare tutti quei pensieri ancora una volta, così decisi di andare a sgranchirmi le gambe per schiarirmi la mente

In realtà ci era stato detto in maniera molto civile di rimanere sempre e comunque ai nostri giacigli, altrimenti ce l’avrebbero fatta pagare, ma io non ero mai stata brava a dare retta a ciò che mi veniva detto così mi alzai dal giaciglio e scavalcai una a una tutte le donne che dormivano accanto a me e mi avviai silenziosa verso il fiume che si trovava vicino al nostro accampamento.

L’accampamento non era recintato e quindi forse avrei potuto provare a scappare… ma per andare dove? Chi avrebbe accolto una donna Greca senza nessun parente con lei? Chi avrebbe accolto una… schiava, ormai? Iniziai a camminare ma, imprudente, non pensai che le sentinelle avrebbero potuto vedermi. Feci qualche metro verso il fiume, quando sentii che qualcuno mi prendeva per un braccio e mi trascinava verso un sentiero laterale. Mi ritrovai incollata ad un albero, con una mano premuta sulla bocca.

Ecco, adesso ero davvero nei guai. I miei occhi si spalancarono dal terrore: non potevo urlare, non potevo chiedere aiuto. Il destino che mi sarebbe capitato se fossi finita nelle mani di qualche mercenario sarebbe stato forse peggiore di quello che mi aspettava nella mani dei Romani. Non c’è mai fine al peggio.

Il mio assalitore mi illuminò il viso con una torcia e grazie al fuoco riuscii a vederlo in viso... mi rilassai all’istante: era soltanto Fabrizio. Anche se “soltanto” era un parolone, perchè non sapevo fino a che punto fosse meglio che mi avesse trovato lui invece di un mercenario…

Appena capì che mi ero calmata abbassò la fiaccola e mi levò le mani dalla bocca. Si guardò intorno e, tenendomi per un braccio, mi condusse furtivamente in una parte isolata dell’accampamento, tra gli alberi.

-Cosa stavi facendo?- mi chiese, piuttosto irritato, ma non abbastanza furibondo da urlare. D’altronde questo non sarebbe convenuto a nessuno dei due.

-Non riuscivo a dormire e volevo andare a fare due passi.- dissi senza esitare, poichè era la verità.

-Ti era stato detto di non muoverti!- esclamò Fabrizio adirato, come se la cosse fosse ovvia. Abbassai lo sguardo: si, mi era stato detto.

-Tu stavi cercando di scappare.- constatò infine, più calmo di quanto avesse dato a vedere prima.

-NO!- esclamai, a voce più alta. Non stavo mentendo, ed era giusto che lui lo capisse. Fabrizio lasciò andare le mani lungo i fianchi.

-Ti rifaccio la domanda: perchè non stavi dormendo come gli altri schiavi?.- chiese, in tono duro, fissandomi negli occhi. Sostenni il suo sguardo, obbligandomi a rispondere la verità.

-Non riuscivo a dormire e volevo andare a fare una passeggiata al fiume.- ripetei, in modo più convinto. Fabrizio mi guardò ancora intensamente, dato che non avevo ancora risposto alla sua domanda, così aggiunsi, forse troppo francamente:

-Confesso che se fossi potuta scappare l’avrei fatto, ma l’intenzione iniziale era quella di fare una passeggiata per schiarirmi un po’ le idee.- conclusi. Il mio tono era a dir poco impudente e per un attimo ebbi paura che mi arrivasse un ceffone in faccia, ma non successe.

-Chi sei veramente?- chiese piano infine. Abbassai lo sguardo di nuovo: la mia copertura non poteva cedere a causa della mia arroganza.

-Sono solo un’ancella… molto spaventata- capitolai e cercai di sembrarlo veramente. Non che fossi particolarmente tranquilla in quel momento.

-Perchè non riuscivi a dormire? Di solito tutti gli schiavi quando è il momento di andare a dormire crollano per la stanchezza della camminata… e anche tu hai portato un carico non da poco…- constatò, bloccandosi ad un certo punto della frase. Capii da quelle parole che mi aveva osservata durante il viaggio. Perchè? Scossi la testa e risposi con sincerità

-Penso… penso a mio fratello… - e i miei occhi d’improvviso si velarono di lacrime

–Lui... la sua anima non troverà mai pace. Era un bravo ragazzo, combatteva per la sua città, come avrebbe fatto qualsiasi altro nella sua posizione, era leale verso i cittadini, i parenti e la patria, era un vero “cives”, come dite voi a Roma, degno di quel titolo…- e la mia voce si spezzò, ma strinsi i denti. Non avrei pianto di nuovo di fronte a un Romano e meno che mai davanti a Fabrizio.

-La tua doveva essere una famiglia benestante, se tuo fratello poteva permettersi un’armatura per combattere.- disse

Io annuii. Mi venne da ridere, Fabrizio non sapeva che mio fratello, se non fosse stato ucciso brutalmente, sarebbe stato l’erede al trono di Anticyra e molto probabilmente anche quello di tutta la Macedonia.

-Dovevi essere molto affezionata a tuo fratello…- continuò Fabrizio in tono compassionevole e comprensivo, non capii con quale intento

-Non puoi immaginare quanto.- e tacqui perchè stavo per scoppiare a piangere.

Improvvisamente cambiò discorso ed espressione

-Dovrei farti frustare per ciò che hai fatto. Hai disubbidito agli ordini, e hai tentato di scappare… ammettendolo anche spudoratamente…- iniziò. Temetti il peggio

–Ma non lo farò… a patto che tu non cerchi più di fuggire. Te lo dico per il tuo bene: non ce la faresti e se venissi scoperta, faresti una brutta fine... più brutta di quanto immagini. Soprattutto dopo quello che hai detto a mio fratello – concluse con un sogghigno. Non mi andava giù il fatto che si stesse prendendo gioco di me, tuttavia tacqui per non aggravare la mia situazione e tirai un sospiro di sollievo: non potevo credere di essere riuscita a cavarmela così bene. Rimasi perplessa: perchè Fabrizio mi graziava in quel modo? Cosa voleva da me? Perchè mi aiutava, dopo che avevo insultato il suo popolo e non solo? Cosa possedevo in più di un’altra qualsiasi ancella?

-E poi è pericoloso per una ragazza giovane e… bella come te gironzolare per l’accampamento di notte e da sola. Potresti fare incontri spiacevoli.- disse. Rabbrividii e compresi il suo avvertimento. Quella era una cosa a cui non avevo pensato.

-Grazie… io… non proverò più a scappare, lo giuro.- lo dissi, ma solo perchè non avevo altra scelta. In fondo al mio cuore sapevo che se mai avessi avuto una buona occasione, non avrei esitato ad andarmene. Fabrizio mi guardò, con un sorrisetto tra il divertito e il sarcastico:

-Da quando ti abbiamo catturata non fai altro che creare problemi…- disse, scuotendo la testa, rassegnato.

-M-mi dispiace…- mugugnai poco convinta, pensando che fosse la cosa giusta da dire. In realtà, non me ne dispiaceva poi molto… i Romani si meritavano questo ed altro.

-Non avevamo un accordo io e te?- mi chiese, retoricamente, riferendosi al patto che avevamo fatto nella sua tenda: aveva capito che gli stavo mentendo.

-Bhe, non potevo dire “non mi dispiace affatto di creare problemi”- sbottai francamente, in tono forse un po’ troppo confidenziale, mentre la stanchezza iniziava a farsi sentire. Lui non ci fece troppo caso, mi guardò di sottecchi e poi riprese

-Sei… una ragazza particolare. Nascondi qualcosa, me lo sento. E riuscirò a scoprire cosa, stanne più che certa.- disse, fissandomi negli occhi.

Sogghignai, forse in modo troppo palese, perchè mi disse, scontroso,

-Cos’hai da ridere?- Io cercai di sembrare convincente

-E se io non nascondessi niente? Starai cercando qualcosa che non esiste…- constatai, sempre più spavalda. Fabrizio si avvicinò di uno o due passi e me lo ritrovai davanti al viso.

-Vedremo…- disse in un soffio. Sperai di non aver appena ammesso di nascondere qualcosa. Era davvero difficile mentire a Fabrizio: era un uomo astuto e di certo non si faceva prendere in giro facilmente.

Restammo così, finchè lui non si voltò e disse

-Torna a letto, non voglio più vederti in giro di notte per l’accampamento, o non sarò altrettanto clemente.- disse, di nuovo imperioso. Io annuii ma lui non mi vide. Feci per andarmene ma la sua voce mi bloccò

-Ancora un cosa…- ed esitò prima di continuare –Io ho… bhe…- non riuscivo a capirlo... perchè stava balbettando?

-Che cosa?- chiesi, impaziente. Lui giocherellò con l’elsa della spada che portava al fianco e alla fine si decise

-Tuo fratello riposerà in pace.- e con queste parole se ne andò definitivamente, lasciandomi basita e senza voltarsi indietro.


 

Invece di dormire, quando tornai al mio giaciglio, non riuscii a chiudere occhio, rimuginando su quello che mi aveva detto Fabrizio

“Tuo fratello riposerà in pace” che cosa voleva dire? Forse aveva visto che era stato sepolto da qualcuno? Ma da chi? Di certo non da un romano… e i soldati non avrebbero permesso che la gente del posto seppellisse i proprio caduti… e se… no, impossibile. E se fosse stato proprio Fabrizio a dare l’ordine di far seppellire mio fratello? No, non poteva essere, era categoricamente impossibile… Ma cos’altro potevano voler dire le sue parole? Con tutte queste domande mi appisolai, dormendo un sonno agitato e pieno di incubi.


 

Il mattino dopo fui svegliata in modo alquanto sgarbato dalle altre donne. Mi alzai a fatica dal giaciglio: ero davvero molto stanca, dato che quella notte avevo dormito pochissimo. Mi andai a lavare con le altre schiave e quando vidi il mio riflesso sull’acqua quasi mi venne un colpo: avevo delle occhiaie che mi arrivavano fin sotto i piedi e i capelli spettinati sembravano quelli di una mendicante. Mi venne un moto di stizza: i miei capelli, lunghi e sempre lucenti, erano invidiati da tutte le donne della città... e adesso, dopo un lungo viaggio, erano ridotti così…

Distolsi lo sguardo dal mio riflesso e mi guardai l’abito, che era lo stesso che indossavo dal giorno dell’assedio: era strappato in più punti ed era sporco, anzi lurido

-Scusa…- chiesi ad una schiava vicino a me, che doveva avere più o meno la mia stessa età

-Dove si possono trovare degli abiti puliti?- chiesi, il più umilmente possibile. Quella mi guardò come se fossi stata trasparente, ma poi rispose

-Quando arriveremo a Roma ti saranno dati dei vestiti nuovi.- rispose freddamente. Sperai che gli altri schiavi non fossero schivi e truci come quella ragazza.

Al momento di ripartire, scoprii che i carichi che ognuno di noi doveva portare cambiavano di giorno in giorno e quindi non fui sempre costretta a portare oggetti pesantissimi sulle spalle. Vidi spesso Fabrizio che impartiva ordini, che cercava di tenere insieme la carovana e che si teneva in esercizio con la spada.

Camminammo ancora per quattro giorni, finchè arrivammo in prossimità di Roma: mancava soltanto un giorno di cammino. Non vedevo l’ora di concludere quel viaggio. Certo, essere una schiava non sarebbe di certo stato una cosa rilassante o facile, ma pensai che era sempre meglio del camminare con pesi sulle spalle per almeno quattordici ore al giorno, a volte anche di più. Durante quel tragitto, come mi aveva consigliato di fare Fabrizio, cercai di non creare problemi e di attenermi alle regole.

L’ultimo giorno di marcia, però, mi svegliai piuttosto di cattivo umore: avevo bisogno di abiti puliti e di riposare, soprattutto di fare un pasto completo e saziante. Al contrario, ero obbligata a camminare ancora per una giornata portando un peso. Per di più noi schiavi non eravamo nutriti al meglio e anche io, che ero sempre stata una ragazza magra ma florida, iniziavo a dimagrire a vista d’occhio.

Quella mattina per colazione non ci diedero niente da mangiare, le provviste erano quasi finite e quindi per farle bastare tutta la giornata, gli schiavi non avrebbero dovuto mangiare per lasciare tutto ai padroni. Appena seppi questa notizia iniziai ad inquietarmi, ma mi dissi che eravamo schiavi e che tutto ciò era normale. Quando passò un soldato a consegnarmi ciò che dovevo portare quella mattina mi prese un colpo: un baule pieno di monete d’oro, davvero molto pesante. Potevo riconoscerlo, si trovava nel tempietto di pallade Atena, sull'acropoli. Lo presi in mano e lo guardai: non sarei riuscita a trasportarlo nemmeno per un’ora. Fissai il soldato e senza pensare, dissi

-Scusami… ma per me questo è troppo pesante, potrei avere qualcos’altro in cambio?- in quel momento capii che non avevo chiesto la parola e che non mi era concesso fare richieste, vista la mia condizione.

Mi arrivò un schiaffo in pieno viso e mi fece male, davvero tanto, più di quello ricevuto da Antonio. Mi salirono le lacrime agli occhi ma strinsi i denti e per la rabbia gettai, di proposito, il baule a terra. Cadde con un fragore assordante e tutte le monete che c’erano dentro finirono a terra, alcune rotolarono lontano, altre si fermarono ai miei piedi.

-Vorrei vedere voi mentre portate dei pesi ogni giorno per quattordici ore, denutriti, camminando sotto il sole! Portatevelo da soli quel maledetto baule con le sporche monete d’oro!- gridai. Solo dopo aver finito il mio discorso capii cosa avevo appena fatto.

Sono morta, pensai. La guardia si avventò su di me e mi diede un altro schiaffo, più forte del primo. Caddi a terra e mi tenni la mano sulla guancia. Non l’avessi mai fatto, mi arrivarono altre due sberle, mentre gli altri soldati ridevano:

-Ti sta bene, puttana!- dicevano in molti. Mi cadde lo sguardo su Fabrizio, che mi guardò addolorato e scosse la testa. Questi però non aveva colpa: mi aveva avvertito e io sapevo casa mi sarebbe successo se mi fossi ribellata ancora.

-Questa ragazza non la smette mai di disubbidire agli ordini…- disse il fratello di Fabrizio, che durante tutto il viaggio avevo cercato di evitare. Gli altri risero.

-Le daremo una bella lezione allora.- e, proprio lui, che in tutta quella spiacevole storia non c’entrava niente, tirò fuori la frusta e si avventò su di me.


 

Mi svegliai con dolori in tutto il corpo e quando aprii gli occhi non capii dove fossi. Vedevo tutto a pallini, sentivo che mi stavo muovendo, ma non con le mie gambe. Appena la vista si fece più nitida, riuscii a scorgere tutto: ero tra le braccia di Fabrizio, mentre lui mi portava in braccio, a piedi. Cercai di muovere le labbra ma anche questo mi causò un dolore atroce. Ricordavo che dopo le prime quattro o cinque frustate ricevute alla schiena, ero svenuta. Non sapevo cosa ne fosse stato di me poi, sapevo solo che adesso non riuscivo a muovermi. Mi sentivo addosso ancora il cuoio della frusta di Antonio e gli schiaffi del soldato. Volevo piangere, ma mi uscì solo un lamento strozzato dalla gola.

-Shh- disse Fabrizio, -siamo quasi arrivati a Roma.- vidi infatti che era sera. Cominciai a piangere a dirotto ma non uscivano lamenti dalla mia bocca. Era impossibile resistere a quell’impulso, piangevo per tutto: per il dolore e per quello che mi stava succedendo.

-Vedrai che in pochi giorni starai meglio… fidati, io ne ho prese tante di frustate e già tra due giorni potrai camminare senza problemi. Sono solo ferite superficiali, dolorose, ma superficiali.- mi rassicurò. Perchè cercava di consolarmi? Mi avrebbe potuto rinfacciare tutto, perchè lui mi aveva avvertita… ma io come al solito non gli avevo dato retta.

Quando entrammo dentro le possenti mura di Roma mi sentivo peggio di prima: mi facevano male tutte le ossa, il viso e ogni muscolo. In più arrivarono anche i dolori di stomaco, per la fame e non solo. Iniziai a lamentarmi e a piangere più forte

-Shhh… ci siamo quasi…- disse Fabrizio, poi non capii più nulla.


 

Di tutto ciò che accadde dopo ho solo un ricordo confuso: capii di essere entrata in una villa immensa e di essere portata da qualcuno in una stanza, compresi che Fabrizio discuteva con degli uomini su di me. Non afferrai bene le parole, le orecchie mi fischiavano e vedevo tutto sfocato, i suoni delle voci mi arrivavano ovattati.

Tutto iniziò a diventare più nitido non appena mi portarono in una camera molto ben arredata, che era una stanza da bagno. Fabrizio chiamò delle ancelle, mi lasciò alle loro cure e poi sparì.

Per prima cosa mi fecero fare un bagno caldo: fui messa dentro una vasca e cominciarono a lavarmi. Inizialmente urlai per il dolore che mi causavano le ferite a contatto con l’acqua e con i pezzi di stoffa che mi strofinavano addosso per pulirmi, ma le mie grida si fecero più flebili man mano che mi abituavo all’acqua e a tutto il resto. Quando uscii dalla vasca, con molta difficoltà mi trascinarono in un letto. Le ancelle mi medicarono le ferite e mi vestirono con degli abiti freschi e puliti, mi spazzolarono i capelli e me li lasciarono sciolti lungo la schiena, morbidi e lucenti come erano stati prima della mia cattura; dopo di che rimasi da sola. Ebbi appena il tempo di pensare che mi sentivo davvero meglio dopo quel bagno, che mi addormentai, più rilassata ma ancora dolorante in ogni parte del corpo.


 

Quando mi svegliai, mi ritrovai stesa su un letto morbido, in una camera che mi era estranea. La luce calda e rassicurante che entrava dalla finestra mi illuminava il viso e la leggera brezza mattutina, sebbene attutita dalle tendine, mi fece rabbrividire un poco.(2*) Non capivo dove fossi, ma dopo poco, cominciai a ricordare tutti gli avvenimenti. Provai a girarmi su un fianco ma una fitta al costato mi bloccò. Tuttavia, non era nemmeno paragonabile a quello che avevo provato… quando, il giorno prima? Decisi che mi sentivo davvero molto meglio. Vidi che su un mobile vicino al letto c’era un vassoio con del cibo. In effetti, avevo davvero molta fame…

Con molta difficoltà riuscii a prendere il vassoio che era li sopra e mangiai tutto. Dopo aver riempito il mio stomaco e aver quindi placato i morsi della fame, mi guardai intorno: la camera era lussuosa, anche se non come la mia in Grecia... L’arredamento, sebbene magnifico, era ridotto all'essenziale: un letto con il baldacchino, dove ero sdraiata io, una cassapanca dove riporre gli effetti personali, un tavolo, uno sgabello, un armadio e uno specchio. Sicuramente quella doveva essere la stanza di un soldato... che fosse... non riuscii a finire di formulare il pensiero, che Fabrizio entrò piano nella stanza.

Non seppi se fare di nuovo finta di dormire, per evitare di ascoltare ciò che aveva da dirmi... ma in fondo, peggio di così non poteva andare, quindi era meglio affrontare ciò che mi aspettava. Fabrizio tenne gli occhi puntati su di me, senza proferire parola e io abbassai lo sguardo e lo puntai sulle lenzuola di lino bianche. Non sapevo cosa avesse intenzione di dirmi, sinceramente, ma non mi aspettavo certo delle parole di conforto.

-Come ti senti?- mi chiese invece dolcemente continuando a fissarmi. Io rimasi un po’ stupita del fatto che si stesse interessando al mio stato di salute

-Meglio...- dissi piano. Il ragazzo mi guardò ancora, poi con tono diverso, spiccio e pratico, disse

-Ti ho fatto portare qui nella mia stanza- e a quelle parole avvampai –perchè ho pensato che negli alloggi della schiavitù non ti avrebbero curata bene e non saresti guarita... ma appena starai meglio dovrai andare nei tuoi alloggi, anche perchè ci sono alcune procedure da svolgere...- iniziò. Non capii subito ciò che volesse dire

-Posso fare una domanda?- chiesi con un filo di voce. Iniziavo ad adattarmi alle regole, anche se non mi piacevano affatto. Di certo, per un bel po’ non le avrei trasgredite, dopo la lezione che avevo ricevuto...

Fabrizio annuì

-Cosa dovrò fare da adesso in poi? Dove lavorerò?- chiesi più piano di prima. Fabrizio mi guardò

-Lavorerai qui con le altre donne... qui in casa di mio padre.- e con questo uscì.


Note dell'autrice

(1*) La distanza Roma – Sabaudia è di 80 km

(2*) nel periodo romando per finestra si intende un buco nella parete. Non c’erano né persiane ne serrande, ma solo delle tendine che servivano a non far vedere a chi c’era di fuori ciò che si svolgeva all’interno della casa. Quando pioveva infatti, spesso le stanze si allagavano.

Salve a tutti, eccomi qui con un nuovo capitolo!
innanzi tutto ringrazio tutti coloro che hanno recenzito il primo capitolo e anche tutti quelli che hanno messo la storia tra le preferite, mi ha fatto davvero molto piacere. Come al solito, se c'è qualcosa di non chiaro nella storia fatemelo sapere nelle recenzioni e provvederò a rendere tutto più comprensibile. Sto passando un periodo tremendo, quindi perdonatemi se gli aggiornamenti non saranno sempre puntuali, ma questa volta ho mantenuto la promessa!
Recenzite in tanti
bacioni
 

_Renesmee Cullen_


 


 

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Capitolo 3
*** Targata a fuoco ***


CAPITOLO 3 - Targata a fuoco

 

 


Appena la porta della camera sbatté sprofondai tra i cuscini. Strizzai gli occhi due o tre volte, per realizzare ciò che Fabrizio mi aveva appena detto. Da quel momento ero un’ancella e dovevo lavorare nella casa del mio padrone. Se non fossi riuscita a svolgere bene il mio compito, o se loro avessero sospettato qualcosa sul mio conto, mi avrebbero uccisa. E non per finta, perchè questa volta mi trovavo nella tana del lupo. Decisi di godermi quei giorni di riposo, perchè sapevo che da ora in poi avrei dovuto dire addio a tutti gli agi di cui avevo potuto disporre fino a poco tempo prima. La mia vita era cambiata e ne iniziavo una di lavoro, soltanto lavoro.

Avrei dovuto imparare molte cose, non ero quasi buona a fare nulla: non sapevo cucinare, lavare i vestiti... e che altro? Non lo sapevo, e francamente non volevo saperlo. Io ero una principessa greca, il mio compito non era stato quello di apprendere i lavori manuali, ma di studiare e imparare l’etichetta. Inoltre, mia madre, di origine macedone, era convinta che, sebbene la cultura greca fosse superiore alle altre, una principessa doveva conoscere anche le lingue di altri popoli e saperle parlare. Mi misi un braccio davanti agli occhi, che mi si velarono di lacrime ma ad un tratto me le detersi dagli occhi con furia: mi sarei adattata, qualcosa per rimanere in vita l’avrei fatto. Non volevo morire, forse per codardia o forse no, ma ci tenevo alla mia vita e avrei combattuto. Oh, se l’avrei fatto e un giorno sarei riuscita ad avere di nuovo una vita normale. Non sarebbe stato facile, ma non mi sarei mai data per vinta. Magari non da principessa, non immersa nel lusso, ma una vita da persona libera, che ora mi era stata preclusa, l'avrei ottenuta di nuovo


 


 

Nel tardo pomeriggio, chiusa nella stanza di Fabrizio, non riuscivo a non chiedermi il motivo del suo gesto. Mi aveva aiutata senza esitare, io, che ormai ero solo una serva. Mi aveva portata nella sua stanza, invece di farmi andare negli alloggi della servitù, solo per assicurarsi che mi rimettessi in sesto al più presto e al meglio. Mi restava oscura la ragione per la quale lui aveva fatto tutto questo per me, se non il fatto che riteneva davvero importanti le informazioni che possedevo. Ma in realtà, quanto poteva essere importante ciò che sapeva una così detta schiava?

Mi venne un dubbio: forse lui aveva scoperto la mia vera identità? Non poteva essere possibile, a quel punto cosa l’avrebbe trattenuto dal... torturarmi per estorcermi informazioni? O dall’uccidermi? No, Fabrizio non poteva e non doveva conoscere la mia vera identità, altrimenti sarebbe stato un disastro.

Il poco che restava del pomeriggio lo trascorsi ad escogitare piani: ormai che ero nella casa di un Senatore, non avrei più avuto alcuna possibilità di fuga, me lo sentivo. In più mi trovavo a Roma, una delle più grandi città del mondo conosciuto e non sapevo nemmeno come fosse fatta. L’unica soluzione era quella di essere una brava schiava, di servire il mio padrone con devozione e solo allora forse sarei riuscita ad ottenere la libertà. Avrei dovuto mentire fingendomi ignorante, avrei sempre dovuto chinare la testa ed ubbidire agli ordini. Questo era il contrario di come ero: ribelle, combattiva, orgogliosa, intelligente arguta ed istruita.

Non sarebbe stato facile, non con l’indole che avevo...

Non riuscii a concludere il pensiero che Fabrizio entrò nella stanza. Sussultai, perchè non bussò ma aprì la porta all’improvviso, proprio mentre ero assorta nei miei pensieri.

-Buona sera- mi disse, in tono neutro.

Risposi con un sorriso appena accennato. Cosa altro avrei dovuto dire?

-Come ti senti questa sera?- mi chiese, questa volta con un tono più interessato.

Evitai accuratamente il suo sguardo e poi risposi, titubante

-Meglio, grazie...- calò il silenzio e ancora non osai guardarlo negli occhi, anche se sentivo il suo sguardo fisso su di me.

-Ti fanno ancora male le ferite?- chiese di nuovo. Non comprendevo il motivo di tutto quell’interesse, tuttavia risposi

-Mi bruciano solo un po’...- mormorai. In effetti, sentivo ancora un po’ di bruciore, ma era un dolore decisamente sopportabile. Fabrizio si avvicinò alla cassapanca, la aprì e ne tirò fuori un panno con dentro qualcosa di indefinito.

-Fammi vedere le ferite che ti fanno più male- ordinò. Io lo guardai stupita e incredula: perchè mai avrei dovuto farlo? Lui capì il mio imbarazzo e il mio turbamento e si spiegò:

-Durante una delle mie campagne militari nella Gallia Cispadana (1*), avevamo posto l’accampamento romano nella Grande Pianura. Lì ho avuto la fortuna di trovare delle piante mediche molto rare, che sono cresciute grazie all’umidità del terreno. Non sono riuscito a prenderne molte, soprattutto perchè crescono solo in certi periodi dell’anno e quando le trovai io erano già quasi tutte appassite, per questo le conservo con cura, le adopero solo quando è strettamente necessario... siamo in pochi a conoscerle, qui a Roma e sono portentose per le ferite di quel genere...- mi spiegò. Tirai un sospiro di sollievo, ma per un attimo avevo temuto il peggio. Tuttavia ero ancora davvero titubante

-Posso farlo da sola, grazie.- un sorrisino sarcastico gli si dipinse sul volto e non mi fece piacere, tuttavia non rispose in maniera acida

-Per me puoi farlo anche da sola, ma penso che non riuscirai ad applicartela sulla schiena... inoltre queste erbe vanno messe in una maniera particolare. Non credere che non l'avrei fatto fare ad una ancella. Io non mi presto per queste cose.- mi porse il panno di stoffa con dentro l’impacco di erbe e fece per andarsene, quasi offeso.

-Aspetta...- dissi –forse hai ragione tu- perchè in effetti non sarei mai stata capace di mettermi quella crema sulla schiena da sola, individuando i punti feriti.

Fabrizio sorrise appena e si voltò, dandomi le spalle. Titubante mi sfilai la camicia da notte e mi misi prona sul grande letto, coperta dalle coltri solo fino al fondo schiena. Sentivo le gote in fiamme, per questo voltai la testa dal lato in cui Fabrizio non avrebbe potuto vedermi. Ero molto imbarazzata: mai in tutta la mia vita mi ero trovata in camera da letto con un uomo... in quella situazione. Sentii Fabrizio che si avvicinava ed ebbi paura che avesse potuto percepire il mio disagio.

Quando sentii la sua mano calda sulla mia schiena desiderai di poter scappare via per la vergogna e l’imbarazzo, ma lui sembrò non accorgersi di nulla. Trattenni il fiato per tutto il tempo in cui lui mi mise le erbe, che aveva prima masticato, sulla schiena. Il suo tocco delicato insieme al senso di freschezza che davano quelle foglie furono davvero ristoratori per me. Quando ebbe concluso, aspettò alcuni minuti in silenzio che la pelle assorbisse quella sostanza, dopo di che bagnò il tutto con l'acqua e sentii altre cose sopra alla pelle, che non riuscii ad identificare. Aspettò per qualche minuto che la pelle assorbisse meglio l'impacco, mentre io ero immobile e non osavo muovermi di un centimetro. Avrei dato qualsiasi cosa per vedere la faccia di Fabrizio in quel momento, per sapere quale fosse la sua espressione: se anche lui era imbarazzato, se invece per lui tutto ciò era familiare, se era abituato a vedere le donne così nel suo letto... scacciai quei pensieri non molto consoni e aspettai che lui dicesse qualcosa. Dopo un po’, lo fece

-Puoi rivestirti...- disse con una nota stonata nella voce. Sentivo che in quella frase c’era stato qualcosa che non aveva voluto dire, che aveva omesso. Tuttavia, quando lui si voltò, mi rivestii e appoggiai di nuovo la testa sui cuscini.

Fabrizio rimase girato e non sapevo se dirgli che poteva guardarmi ora o se volesse andarsene, ma poi si voltò e si sedette sul letto di fronte a me, con espressione preoccupata:

-Ascoltami bene- e il suo tono serio mi lasciò perplessa –non devi dire a nessuno che... ti ho portata qui e che ti ho aiutata, chiaro? Il figlio del senatore non avrebbe mai dovuto prendersi cura di una serva, non avrebbe mai dovuto mostrare dell'interesse per una salute di una persona di estrazione sociale più bassa della sua, soprattutto per una donna. Mi metteresti nei guai se lo dicessi a qualcuno. Solo le ancelle che ti hanno curato sono a conoscenza della tua permanenza qui e sono tranquillo della loro fedeltà...- non volli immaginare il perchè della loro devozione incondizionata al padrone, ma purtroppo non era difficile da indovinare...

-Questo è un ordine, chiaro?- il suo tono trasudava preoccupazione. Non mi piaceva eseguire gli ordini, ma di certo non potevo esimermi da questo. Mi prese il panico: lui si era messo nei guai per me... cosa avrebbe rischiato se qualcuno avesse saputo che ero nella sua stanza?

-Allora perché hai fatto tutto questo per me?- chiesi, sicura, questa volta guardandolo fisso negli occhi. -Io non sono nulla per te, neanche mi conosci quasi, non hai la più pallida idea di chi io sia- e li mi morsi la lingua, perché rischiavo di svelargli la mia identità e andai avanti per non destare sospetti –Non ti ho arrecato che guai, non ho mai rispettato le regole e non ho fatto altro che insultare il nome di Roma. Cosa ti ha spinto ad aiutarmi, se sapevi i rischi che correvi?- come al mio solito, stavo rovinando tutto: Fabrizio era stato così magnanimo da aiutarmi ed io, invece che ringraziarlo, cosa facevo? Gli rinfacciavo il fatto che mi avesse aiutata disinteressatamente, come se fosse stata una cosa da me sgradita, ma non era affatto così, anzi. In quel momento, nonostante mi avesse condannata ad essere una serva, ero profondamente grata a Fabrizio per ciò che aveva fatto per me, ma ero troppo curiosa di saperne il motivo, sebbene quello non era stato il modo più gentile e ossequioso per chiederlo.

Fabrizio sostenne il mio sguardo per un po’, poi strinse la mascella e abbassò gli occhi.

-Forse perché è vero quello che dicono mio padre e mio fratello minore Antonio: mi sto rammollendo, forse non sono più adatto a svolgere il compito di Generale. Non bisogna essere così magnanimi con i nemici di Roma.- si alzò in piedi con sguardo imperturbabile ed indecifrabile, forse un po’ irato, così cercai di rimediare al danno fatto

-Scusami io non avrei mai voluto…- ma non feci in tempo a concludere la frase che Fabrizio se ne andò sbattendosi la porta alle spalle.


 

La mattina dopo, vennero nella camera alcune ancelle per aiutare a lavarmi e cambiarmi. L’acqua con cui feci il bagno non era particolarmente calda quel giorno, ma dovetti convincermi che di li a poco non avrei più avuto la possibilità neanche di fare un bagno, figuriamoci di uno caldo. Quel giorno riuscii ad alzarmi dal letto da sola e a camminare con l’aiuto delle ancelle. Capii che i tempi erano maturi: tra poco sarei diventata una schiava a tutti gli effetti.

Dopo essere uscita dalla vasca, un’ancella mi fece sedere ed iniziò a pettinarmi i capelli. La ragazza doveva avere più o meno la mia età e doveva essere stata assunta da poco; infatti non aveva lo stesso contegno di rispetto referenziale come avevano invece le altre, indipendentemente dalla persona con cui avessero a che fare, di rango superiore o inferiore. Senza molti preamboli si mise a parlare con me, con un tono di voce gioviale e gentile, a differenza delle altre, che mettevano in tutto ciò che facevano una sorta di discrezione non sincera.

-Ho sentito dire che sei la nuova concubina del Generale- disse tranquillamente e il suo tono non era di domanda. Avvampai, perché giravano quelle voci false sul mio conto?

-Ma no, non è vero!- dissi, decisa ed indignata –Chi te lo ha detto?- chiesi, usando un tono informale, per una ragazza che ormai era al mio stesso livello. Lei fece una faccia delusa e si accigliò

-In verità nessuno… l’ho immaginato da sola… sai, non sarebbe un novità.- disse, questa volta a bassa voce, in tono confidenziale.

-Vuoi dire che Fab… il Generale Fabrizio ha spesso delle… donne nel suo letto?- chiesi, arrossendo senza ragione ed involontariamente

-Cosa pretendi? Il Generale si trova spesso in battaglia e non ha tempo per pensare alle donne, quindi quando torna a casa è lecito pensare che si conceda a questo genere di… piaceri.- constatò. Quella risposta pragmatica non mi piacque affatto e non lasciò presagire nulla di buono. In realtà tutto ciò che aveva detto la ragazzina era vero, soltanto non potevo immaginarmi Fabrizio, così serio e responsabile, con delle concubine. Scossi la testa

-Devi sapere- continuò l’ancella –che qui molte sono innamorate di lui e alcune hanno avuto la fortuna di ricevere le sue attenzioni… è anche per questo che gli siamo tutte molto devote. Si dice che…- continuò a chiacchierare ma io non la stetti più a sentire. Non volevo sapere nient’altro riguardo alla vita notturna di Fabrizio, non erano affari che mi riguardavano.

Ora mi spiegavo il perché della devozione da parte di tutte le sue serve… ma come biasimarle? Fabrizio era un uomo bellissimo, coraggioso ed atletico, come non innamorarsi di un eroe come lui?

Due giorni dopo alla presenza delle ancelle riuscii ad alzarmi dal letto da sola ed a camminare lentamente, da sola. Quello fu l’ultimo giorno che passai nella camera di Fabrizio come ospite. Nel pomeriggio, dopo aver mangiato abbondantemente, una signora alta, in carne e dal viso gioviale venne nella stanza di Fabrizio.

La salutai semplicemente

-Salve- dissi, mentre mi alzavo dal letto.

-Ciao cara.- disse la donna gentilmente –come credo tu sappia, da oggi inizierai il tuo nuovo lavoro…- iniziò, titubante, forse pensando di cogliermi alla sprovvista. Io annuii seria: da quel giorno sarebbe iniziata un’altra vita per me, priva di agi e molto più dura della precedente.

-Penso che tu sia stata già avvertita sul fatto che non devi dire a nessuno della tua permanenza nelle stanze del Generale…- io annuii leggermente –spero che tu sarai abbastanza saggia da attenerti agli ordini, il Generale correrebbe dei grossi guai se tutto ciò ci venisse a sapere… ed anche tu.- concluse. Io annuii di nuovo, questa volta con più decisione: dopo la lezione ricevuta, non avevo affatto voglia di trasgredire le regole che mi venivano imposte. Come mai, mi chiedevo, quella donna era a conoscenza di quella faccenda? Non lo erano solo alcune ancelle? Come se la donna avesse letto la domanda nei miei occhi, disse

-Io sono la governante delle ancelle in questa Villa: devo accertarmi che ogni ancella svolga il suo compito in modo corretto.

-Devi venire con me, ti mostrerò il tuo alloggio, le tue vesti e ti assegnerò un compito. Seguimi.- disse, ed uscì dalla stanza. Le andai dietro, ma prima di chiudermi la porta alle spalle, gettai un’ultima occhiata a quella camera: mi sarebbero mancati gli agi di una vita da principessa.

Camminammo per un lungo corridoio molto bene arredato e procedemmo verso un’altra ala della casa: mano a mano che avanzavamo, i luoghi diventavano via via meno sfarzosi, fino ad arrivare in un posto, dove non c’erano più mobili eleganti, ma aleggiava leggermente un odore di aria consumata e trascuratezza, che tuttavia non era così pesante ed atroce come invece avrei pensato.

-Questa è l’area dedicata al lavoro delle donne- iniziò a spiegare la signora –Qui ci sono le cucine, la sala per la lavorazione del pane e tutto il resto, comprese le stanze delle ancelle. Seguimi e attenta a non perderti, questa Villa è molto grande.- continuò sorridendo e le andai dietro. Mi condusse davanti ad una porta e poi mi fece entrare nella stanza: qui c’erano otto piccoli letti allineati, quattro a destra e quattro a sinistra. Davanti ad ogni letto c’era una cassapanca di legno, l’arredamento era solo quello. Sopra uno degli ultimi letti, c’erano degli abiti. La donna mi condusse in fondo alla stanza

-Questo è il tuo letto, dormirai qui di notte, mentre il resto della giornata lo passerai a lavorare- deglutii e mi tremarono le gambe, ma mi obbligai a non mostrare il mio turbamento –questi sono i tuoi nuovi abiti, dovrai vestirti come tutte le altre ancelle…- era la seconda volta che ripeteva la parola “ancella”… ma io non ero una semplice schiava? Tuttavia rimasi in silenzio, pensando che mi sarebbe stato detto tutto a tempo debito.

-Puoi cambiarti- disse la donna e mi mostrò un paravento che si trovava dietro un angolo che non mi ero accorta ci fosse. Quando indossai la veste, mi resi conto che non era un saio incolore, come quello che indossavano gli schiavi, ma era rosa, arrivava fino ai piedi era tenuta ferma da una cintura, i calzari, sebbene mi stessero appena appena lunghi, erano di cuoio. Sopra all'abito, andava uno scialle di uno stupendo giallo. Tra le vesti trovai anche un nastro per i capelli, che utilizzai subito, acconciandoli sopra la testa come era di costume. Uscii dal paravento e la signora sorrise. Ero vestita proprio come le ancelle che avevo visto spesso in quei giorni…

-Scusami, Signora- dissi, in modo ossequioso

-Oh, non chiamarmi Signora, non sono poi così importante- mi interruppe. Sorrisi e poi proseguì –chiamami pure Iginia- e mi fece cenno di continuare a parlare

-Ma io… quale sarà il mio lavoro d’ora in avanti?-

-Avrai l’onore di essere una delle ancelle addetta alla cura personale di Fabrizio.- disse. Io avvampai: forse non avevo capito bene

-Vuol dire che dovrò fargli il bagno?- chiesi, quasi indignata. Iginia mi guardò sospettosa

-Non eri un’ancella prima di arrivare qui?- chiese, con un sorriso celato. Io abbassai la testa

-Dipende da ciò che ti chiederà lui… comunque non credo che te lo chiederà… ci sono già le ancelle addette a questo.- e di nuovo avvampai, non riuscendo ad immaginare Fabrizio circondato da donne.

-Inizierai con le tue mansioni subito- ricominciò Iginia – ma prima devi indossare questo, non so come funziona da voi in Grecia ma tutti i cittadini non liberi lo indossano.- e mi porse un collare con una targhetta dove si poteva leggere:

Temene fucia et revo cameadomnum et viventium in aracallisti (2*)

-Finchè porterai al collo quella targa sarai inevitabilmente riconosciuta come serva. Non sei autorizzata a levartela senza il consenso del tuo padrone. Ti consiglio di non provare a scappare: non hai dove andare e con quella targa chiunque ti riconoscerebbe come cittadina non libera e ti metteresti in guai più grandi di te.- E mentre diceva questo, Iginia mi mise al collo quella targa, che segnava definitivamente la mia condanna: da quel momento avevo perso ogni diritto.

-La tua prima mansione è quella di andare al fiume Tevere a lavare gli indumenti del Generale e di suo fratello: non possiamo sprecare l’acqua delle piscine della villa, le piogge sono rare in questo periodo dell’anno.

Troverai gli indumenti nella stanza senza finestre che si trova davanti a questa. Poi tornerai qui per metterli sul filo che si trova nel cortile interno per farli asciugare. In seguito dovrai recarti al mercato a comprare il cibo per pranzo, ti darò io i soldi e la lista delle cose da comprare quando tornerai dal fiume. Il Generale mi ha informata sul fatto che tu sai leggere e parlare perfettamente il Latino e fare il conto, quindi sei la persona più indicata per fare ciò. Poche ancelle vantano un’istruzione: di solito sono io a svolgere questo genere di mansioni poichè le altre ragazze sono ignoranti e sono addette ai lavori più umili. Devi ritenerti molto fortunata ad essere una ragazza erudita. Le tue padrone dovevano essere davvero delle donne molto magnanime.- io non dissi nulla, ricordare mi faceva male, così Iginia continuò ad elencarmi i numerosi compiti per quella giornata:

-Prima che il sole arrivi allo zenit dovrai tornare di nuovo qui e aiutare le altre ancelle a preparare il pranzo per i padroni. – concluse tutta la lista ed io spalancai gli occhi: era quasi passata la terza ora dopo il secondo cambio di guardia (3*) e in meno di tre ore avrei dovuto fare tutte quelle cose. Senza contare il fatto che io non sapevo fare assolutamente niente di ciò che mi era stato detto. Iginia mi fece segno di andare così uscii dalla stanza e aprii la porta che mi era davanti.

La stanza era buia, non c’erano finestre, per questo dovetti sforzare la vista per vedere cosa ci fosse dentro: ceste su ceste di paglia pieni di indumenti, accatastati in ogni angolo. L’odore li dentro non era dei migliori e questo era accentuato dall’assenza di finestre per il cambio dell’aria. Quante persone abitavano in quella villa? Mi agitai: non sarei mai riuscita a lavare tutti quei panni da sola entro mezzogiorno. Poi mi accorsi nell’oscurità che sopra ogni cesta c’era una targa con scritto qualcosa sopra. Aprii di più la porta della stanza per far entrare più luce e riuscii a leggere dei nomi. Probabilmente Iginia non mi aveva detto nulla perché, presupponendo che io fossi un’ancella, avrei dovuto sapere come funzionavano questo genere di cose. Peccato che io non lo sapessi, perché non ero una serva, ma una Principessa! Feci un respiro profondo e decisi che non aveva senso sprecare del tempo prezioso con quei pensieri inutili. Trovai un cesto con una targa con scritto sopra “Fabricius et Antonius”, Fabrizio e Antonio. Sollevai la cesta con difficoltà: pesava parecchio e non era facile camminare con quel cesto sulle mani. Non sapevo nemmeno come uscire dalla Villa, quando vidi la ragazza giovane con cui avevo parlato di Fabrizio il giorno prima, che entrava nella stanza degli indumenti, prendeva una cesta e la appoggiava sulla testa tenendola con le mani. La imitai all’istante, realizzando che era decisamente meno faticoso. Appena la ragazza mi vide, sorrise calorosamente.

-Ciao! Ho saputo che sei una di noi!- iniziò subito, alludendo al fatto che io non fossi la concubina di Fabrizio

-Ciao- salutai. Colsi l’occasione per capire di più su ciò che dovevamo fare -anche tu stai andando al fiume per lavare gli indumenti?- chiesi con noncuranza

-Si certo! Anche tu vero? Andiamo insieme allora!- mi anticipò sul tempo la ragazza, che era molto loquace. Sorrisi e la seguii: mi avrebbe portato fuori dall'abitazione e al Tevere, dato che non avevo la minima idea di dove fosse, perché Iginia, forse dimenticandosi che io non ero di Roma, non mi aveva fornito alcuna spiegazione sulla sua ubicazione.

-Io sono Attilia- disse la ragazza sorridendo di nuovo calorosamente. La guardai a mia volta, infilando una porta che indubbiamente non era quella principale. Non era molto larga e conduceva in una via stretta ed angusta.

-Io sono Aurora…- risposi infine.

Attilia si sorprese:

-Non è un nome da ancella- constatò dubbiosa. Camminammo ancora lungo quella via sgradevole, prima di sbucare nella strada principale, ove c’era un grandissimo traffico di persone che camminavano in sensi opposti, di persone a cavallo o in cocchio.

-Aurora è solo un soprannome. Da quando sono piccola mi chiamano tutti così perchè mio fratello diceva che quando sorridevo, era come se stesse per sorgere il sole- risposi la verità esitando dopo aver pensato alla risposta, senza sapere cosa altro dire. Attilia camminò lungo la strada e poi prese una via secondaria. La seguii cercando di memorizzare il percorso: chissà quante volte avrei dovuto rifarlo da solo.

-Tu vieni dalla Grecia?- io annuii –Mi piacerebbe così tanto andare in Grecia, chissà quanto è bella!- esclamò. Attilia era una ragazza davvero loquace e il suo chiacchiericcio mi metteva di buon umore

-Si la Grecia è davvero meravigliosa e mi manca da impazzire…-

I miei occhi si riempirono di lacrime al ricordo della mia patria e pensando alla mia condizione: mi trovavo in una terra straniera ove nessuno parlava la mia lingua, fingendo di essere una serva, mentre in realtà ero una Principessa, ormai unica erede del regno di Macedonia.

A questo si aggiungeva il fatto che se non avessi recitato bene la mia parte sarei stata uccisa in qualsiasi momento. Avevo tanta voglia di piangere, volevo solo tornare a casa, nella mia camera dove potevo sentirmi al sicuro… ma ormai ero li e dovevo essere forte, tra quelle persone estranee. Pensai al giorno in cui, quasi un mese prima, mia madre e le mie sorelle… e se l’avessi fatto anche io? No, stavo facendo tutti quei sacrifici per restare viva, con la speranza che un giorno sarei riuscita a diventare una cittadina libera. Inoltre c’era qualcosa che mi teneva legata alla vita, al mondo, a Roma anche se non sapevo bene che cosa fosse.

Attilia vide il mio turbamento e si zittì, continuando a camminare silenziosamente davanti a me.

-Ehi, Artemide(4*) ti ha mangiato la lingua?- chiesi con un sorriso forzato tirando indietro le lacrime. Attilia mi guardò incerta.

-No… scusa, pensavo di aver detto qualcosa che ti ha fatto dispiacere…- disse con voce piagnucolosa.

-Ma figurati…- poi guardai la posizione del sole – e ora sbrighiamoci, altrimenti non riuscirò mai a concludere tutte le mie mansioni in tempo.- dissi, parlando con leggerezza.

Camminammo di buona lena per poco tempo finchè non giungemmo al Tevere: non avevo mai visto un fiume con un letto così ampio e delle acque così scure: in Grecia i fiumi erano tutti brevi e di scarsa portata.

C’erano molte donne che lavavano gli indumenti nel fiume, mentre le sue acque impetuose scorrevano. Io e Attilia ci avviammo verso un lato del fiume dove si trovava uno spazio libero per lavare i panni. Il brusio di voci che c'era, sovrastava il rumore della corrente. Cosa avevano da dirsi tutti?

-Perchè c'è tutta questa confusione?- chiesi incuriosita ad Attilia

-Bhe, non so come funziona da voi in Grecia ma il fiume (non solo il Tevere), è il punto di ritrovo di comari ed ancelle, in cui ognuno racconta all'altro i fatti della giornata, per distogliere la mente dagli obblighi quotidiani.- sorrisi ed annuii, pensando che era un'usanza davvero particolare. In realtà non sapevo come usasse in Grecia, non ero mai andata al fiume per lavare i panni. Presi il primo indumento che si trovava sulla cima della piramide di vestiti nel cesto che avevo appoggiato per terra.

Guardai ciò che faceva Attilia ed immersi l'indumento, in questo caso una tunica di uso comune, nel fiume. Non sapendo cos'altro fare levai il panno dalle acque, dato che era talmente fredda che mi feriva la pelle e me lo rigirai tra le mani, fissandolo. Attilia ci fece caso e rise:

-Cosa fai? Devi cercare di levare le macchie con la pietra pomice (5*), sono sicura che la conosci. La trovi in fondo al cesto.- misi una mano dentro e infatti ne tirai fuori un pezzo di pietra piccolo e ruvido, mentre Attilia ne aveva già uno in mano.

-Poi devi strofinarla forte finchè non va via la macchia. Appoggiandolo sulla sponda del fiume, l'acqua che scorre ti aiuterà a pulire meglio.-

feci esattamente come mi disse lei ma dopo parecchio tempo mi trovavo nello stesso punto di prima. Attilia mi guardò stupita:

-Non sai lavare i panni?- chiese sbalordita. Mi stizzii

-Mi occupavo soprattutto della biblioteca quando stavo in Grecia.- sbottai, risentita. Attilia represse un sospiro, poi gettò uno sguardo al mio cesto di abiti, ancora tutti luridi, poi si illuminò.

-Io quasi non so leggere e non so fare bene il conto, mentre tu si perchè hai studiato. Ora tu corri alla Villa e prendi la lista delle cose da comprare al Foro, sia quella mia che quella tua. Io intanto ti laverò i panni, ci stai?- chiese. Che trovata splendida!

-Ovvio, non dovevi neanche chiedermelo! Ma come faccio a...- ma lei mi interruppe subito

-Corri alla Villa, ora, altrimenti non farai mai in tempo a comprare tutto per l'ora di pranzo!- esclamò. Così io senza pensare corsi via, ripercorrendo a ritroso la strada che avevamo fatto da poco. Allungando un poco la strada e tornando ogni tanto sui miei passi, riuscii infine ad arrivare a destinazione. Varcai la soglia dell'area riservata alla schiavitù e chiamai a gran voce:

-Iginia, Iginia dove sei?- un'altra ancella mi passò davanti facendomi segno di tacere. La corpulenta Iginia sbucò da una porta alla mia sinistra e disse:

-Chi mi ha chiamato?- poi mi vide senza indumenti in mano e la faccia le diventò bianca in un colpo solo. Pensava forse che me li fossi persi? Cercai di spiegarle tutto il più in fretta che potevo senza lasciarle tempo di fare congetture.

-Iginia, siccome Attilia si sente insicura nel calcolo, ci siamo scambiate le mansioni: lei lava i miei panni, mentre io vado a fare compere sia per me che per lei... potrei avere i soldi e le liste?- chiesi di getto con il fiatone, dopo aver corso per tutta quella strada. Iginia scosse la testa pensierosa:

-Ah, ci mancavano queste idee brillanti, certo scambiamo tutti i compiti, è il tuo primo giorno di lavoro e già mi cambi tutto... i Greci, sempre con le loro idee particolari... mi aveva avvertito Fabrizio che avresti portato problemi..- mugugnò. Non riuscivo a spiegarmi il motivo per il quale Iginia si riferiva a Fabrizio con un tono così confidenziale. Si frugò poi nella tasca e ne estrasse due piccole pergamene e delle monete.

-Vai, e torna il prima possibile, quello che riporterai tu sarà il pranzo di oggi... e vedi di sbrigarti, perchè al Signor Senatore non piace attendere.- uscii di corsa dalla Villa, ma dopo cento passi mi fermai poiché mi ricordai di non aver chiesto a Iginia dove si trovasse il Foro... poco male, l'avrei trovato in qualche modo, era tardi per tornare indietro ormai, il tempo correva.

Fermai una giovane che, al contrario di tutti, non andava molto di fretta e chiesi:

-Buongiorno, scusami per il disturbo ma mi servirebbe un'informazione: come faccio ad arrivare al Foro?- lei mi guardò stupita, vide la targa appesa al mio collo e disse

-Devi prendere la seconda via esattamente dopo il primo angolo a partire da qui.- poi se ne andò senza darmi l'opportunità di ringraziarla. Seguii le sue indicazioni, ma cammina cammina, forse anche a causa della folla, non vedevo nessun angolo dietro a cui svoltare. Camminai ancora per un po' finchè non ne vidi uno, vi andai, trovandomi su un vicolo su cui sboccavano parecchie strade, sia a destra che a sinistra. La ragazza non mi aveva detto quale dovessi prendere, ma optai per la seconda via a destra, dato che nei poemi epici e nei miti avevo letto che la strada giusta andava sempre da quella parte. Ragione abbastanza stupida sulla quale fondare la mia ipotesi, tuttavia non ne avevo altre. Camminai ancora per un po', pensando di trovarmi dopo poco al Foro, quando mi trovai di fronte ad una biforcazione. Di nuovo presi la strada a destra e a forza di camminare mi ritrovai in una strada buia, dove la luce del sole non arrivava. Non c'era nessuno, ma era tardi per tornare indietro, quindi avanzai ancora: magari avevo soltanto imboccato una strada secondaria, e presto mi sarei trovata al Foro. La strada diventava sempre più buia e i palazzi alti oscuravano la luce del sole, non sapevo dove stessi andando e iniziai ad agitarmi: mi ero sicuramente persa. A questo punto decisi che era necessario che tornassi indietro, dato che più o meno riuscivo a ricordare la strada percorsa. Iniziai a tornare sui miei passi quando vidi qualcuno che veniva verso di me. Mi voltai nuovamente, impaurita, continuando a camminare vero una meta indeterminata, senza sapere dove stessi andando.



Note dell'autrice
 

(1*) zona che si trova all’incirca nell’odierna Pianura Padana

(2*) arrestatemi se fuggo e riportatemi alla bella casa del mio padrone

(3*) le nove di mattina

(4*) ho messo Artemide e non Diana, nome romano, perchè Aurora è Greca

(5*) I Romani non conoscevano il sapone e la pietra pomice era quella che utilizzavano per levare le macchie dagli abiti, sebbene non sempre questa fosse efficace.

Buongiorno, buona Domenica a tutti! Eccomi qua puntuale con questo nuovo capitolo!
Qui si può vedere meglio la giornata tipica di un'ancella romana, per questo ho messo molte note, qualsiasi cosa non vi sia chiara, chiedete pure delucidazioni!
Mi dispiace (o forse no perchè sono sadica) di aver troncato il capitolo così, ma se avessi lasciato anche le restanti 4 pagine che ho levato, il capitolo sarebbe venuto troppo lungo rispetto agli altri (tipo 21 pagine); tuttavia avete un bel po' di fatti interessanti anche qui!
Vi anticipo che nel prossimo capitolo capiteranno altre cose molto interessanti, quindi continuate a seguirmi!
Nello scorso capitolo mi è stato matto notareche Fabrizio e Aurora si conoscono poco e quindi Fabrizio non dovrebbe interessarsi così tanto a lei, tuttavia vorrei ricordare che da quando Aurora è stata "rapita" dai Romani è passato quasi un mese e Fabrizio ha avuto tutto il tempo del mondo per osservare Aurora. Quando meno ve lo aspetterete arriverà un eccezionale P.O.V. Fabrizio che chiarirà molte cose!!

Fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo, ringrazio tutte le ragazze che hanno recensito e anche chi legge senza recensire, bacioni

_Renesmee Cullen_


 

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Capitolo 4
*** Salvataggi ***


CAPITOLO 4 –  Salvataggi

 

Affrettai il passo, sentendo i passi alle mie spalle che si facevano sempre più vicini. Iniziai a correre, conscia del fatto che qualcuno mi stava seguendo e che in quella situazione, sola e sperduta, non sarei mai riuscita a far perdere le mie tracce a questo qualcuno. Corsi ancora, ma sentii i passi alle mie spalle che si facevano più concitati, finchè sentii delle mani che mi afferravano da dietro, per la vita. Urlai forte, spaventata e per il terrore chiusi gli occhi, quando la persona mi voltò verso di se e mi scosse le spalle dicendo:

-Aurora, Aurora, sono Fabrizio- nonostante questo, urlai spaventata ancora per qualche istante, poi aprii gli occhi dai quali erano uscite calde lacrime e lo guardai. Fabrizio mi fissò negli occhi azzurri e mi sorrise appena e senza pensare, presa dal terrore, mi gettai tra le sue bracci e mi strinsi forte a lui, come avrei fatto con qualsiasi altra persona che fosse venuta per aiutarmi.

-Oh- mormorò Fabrizio, piuttosto sorpreso dal mio gesto, esitando a ricambiare l'abbraccio. Tuttavia alla fine mi strinse tranquillamente. Quando mi resi conto di ciò che avevo fatto, mi staccai bruscamente da lui, arrossii di colpo e mi voltai, dandogli le spalle.

-I-io... scusami, ero... ero solo molto spaventata- balbettai. Fabrizio scoppiò a ridere a crepapelle, tenendosi la pancia.

-Cosa c'è da ridere?- sbottai, dimenticando le buone maniere. Lui continuò ancora per un po', finchè non gli vennero le lacrime agli occhi.

-Cosa ci fai qui, nel quartiere più sperduto e malfamato della città, riservato ai malati e alle prostitute?- chiese incuriosito. Lo guardai di traverso

-Stavo andando al Foro a fare delle compere per il pranzo... e mi sono persa. Io non conosco Roma.- spiegai.

-Non ti è venuto in mente di chiedere informazioni?- chiese di nuovo, forse pensando che io fossi stupida

-L'ho fatto. Ho chiesto ad una ragazza che mi ha detto di prendere la seconda via dopo il primo angolo... mi trovavo più o meno a 200 metri dalla Villa...- spiegai. Fabrizio si trattenne dal ridere di nuovo:

-Ti sei chiaramente sbagliata. Hai svoltato dopo un altro angolo, forse a causa della folla non te ne sei accorta... siamo dall'altra parte della città rispetto al Foro e manca appena un'ora all'ora di pranzo... non ce la farai mai a fare tutto in tempo!- esclamò sogghignando. Mi irritò oltremodo:

-Beh forse se mi dici dove devo andare invece di portarmi sfortuna in questa maniera, ti sarei molto grata.- dissi tra i denti, senza badare alle buone maniere. Fabrizio alzo un sopracciglio:

-Vieni con me ti mostro io la strada- e mi prese per un polso. Mi stupii e lui vide lo sbalordimento nei miei occhi, così spiegò

-Potresti perderti per quanto sei poco pratica di queste strade. La pianta di Roma è molto complessa, se non lo sapessi.- mi spiegò. Lo sapevo eccome, lo avevo studiato in molti dei miei libri, ma evitai di dirlo. Fabrizio si voltò ed iniziò a camminare a tempo di marcia per le vie di Roma. Sentivo la sua mano che stringeva il mio polso e al solo pensiero arrossivo, ma per fortuna non se ne accorse, o per lo meno non lo diede a vedere. Passando ora per una via affollata ora per una via deserta, arrivammo dopo non molto al Foro.

Il Foro era una immensa piazza, simile all'Agorà Ateniese, dove si trovavano molte bancarelle che vendevano svariati prodotti e dove le persone chiacchieravano in piccoli gruppi. Si sentiva il vociare concitato dei commercianti che cercavano di vendere i loro prodotti al prezzo più alto possibile e le persone erano così tante che non riuscivo a distinguere cosa producesse una bancarella o un'altra. Fabrizio mi guardò e mi chiese:

-Cosa devi comprare?- tirai fuori le liste che mi aveva consegnato Iginia e sbuffai: c'erano moltissime cose da acquistare e il tempo era davvero poco.

-Dammi la metà dei soldi e una delle due liste, ti aiuto io a comprare tutto- propose Fabrizio titubante. Troppo sbalordita per contrastare quella proposta e preoccupata di non riuscire a svolgere i miei doveri, feci come mi aveva ordinato. Ci separammo ed io andai da una parte e lui dall'altra: ci saremmo ritrovati in quel punto, ovvero all'entrata del Foro, dopo aver preso tutte le cose necessarie. Mentre cercavo le bancarelle per acquistare i giusti prodotti mi chiesi come mai Fabrizio mi stesse aiutando. Lui non aveva nessun obbligo nei miei confronti, eppure da quando ero arrivata a Roma e anche prima, non aveva mai esitato ad avvantaggiarmi e rendere la mia vita più facile. Io ormai ero solo una serva eppure lui a modo suo, ogni volta che poteva, mi veniva incontro. Mi chiesi di nuovo il perchè ma non trovai la risposta a queste domande e mi concentrai in ciò che stavo facendo, controllando che i cibi acquistati fossero quelli della lista e che il resto fosse quello giusto. Per fortuna non c'era voluta molta esperienza per comprare le cose al mercato, poichè le istruzioni erano molto chiare: c'era scritto il prezzo approssimativo di ogni prodotto e il resto che doveva risultare da tutta la spesa. Quando ero ancora una Principessa, qualche volta mi ero recata con le mie sorelle al mercato, per vedere come si svolgeva la vita fuori dal palazzo e avevo imparato come bisognasse trattare con le persone riguardo ai prezzi, per acquistare i prodotti migliori al minimo prezzo possibile. Tornai al punto nel quale avrei dovuto incontrarmi con Fabrizio piuttosto soddisfatta. Quel compito era stato davvero adatto a me, dato che, nonostante tutto, ero abbastanza pratica di quel genere di cose. Rimasi ad aspettare Fabrizio per un po', finchè arrivò anche lui abbastanza imbronciato. La sua espressione mi fece venire da ridere, ma non chiesi nulla per non sembrare troppo invadente.

-Hai comprato tutto il necessario?- chiesi, trattenendo una risata. Fabrizio mi guardò storto e mi porse il cesto con le vivande. Controllai ciò che aveva preso e decretai, anche da quanto aveva pagato che aveva comprato dei cibi di scarsa qualità e cari di prezzo, sebbene le istruzioni fossero piuttosto comprensibili.

-Certo che non sei molto portato per questo genere di affari- lo accusai sorridendo. Lui aggrottò le sopracciglia:

-Io sono un Generale, non sono capace di fare la spesa. Io sono vissuto in mezzo ai campi di battaglia e in mezzo alle questioni politiche. Queste sono cose da donne, anzi, da ancelle.- il suo cipiglio mi fece sorridere di nuovo

-E poi tutte le donne prima mi stavo guardando. Era imbarazzante... spero che non mi abbiano scambiato per chi non ero.- e dopo di questo iniziò a camminare verso la Villa. Gli corsi dietro cercando di non ridere, rispettando il suo silenzio. Per lui, un Generale, figlio di un Senatore, doveva essere stata una grande umiliazione recarsi al Foro e proprio per questo da quel giorno iniziai a guardare Fabrizio sotto una luce diversa.


 


 

Dovetti sentire la ramanzina del capocuoco che aveva paura di non riuscire a preparare il pranzo in tempo per colpa mia. Cercai di scusarmi come potevo, tuttavia decise di punirmi: oltre a tutte le mansioni che dovevo svolgere durante la giornata, quel giorno avrei anche dovuto servire a tavola. Cercai di protestare dicendogli che in quelle ore avrei dovuto svolgere altre mansioni, ma quello mi zittì dicendo che avrebbe personalmente parlato con Iginia per farle modificare il mio piano di lavoro per quel giorno.

Sbuffai, tuttavia pensai che se non fosse stato per Fabrizio che mi aveva aiutata sarebbe andata veramente peggio. Mi aveva fatto giurare di non raccontare a nessuno che era venuto al mercato con me e io di certo non avrei aperto bocca. Non avrei mai messo nei guai qualcuno che mi aveva aiutato.

-Non dire a nessuno che questa mattina sono stato al mercato con te, chiaro?- disse accigliato, preoccupato, addirittura.

-Potete fidarvi di me. Non sono quel genere di persona che...- iniziai, ma non mi fece concludere

-Lo so... te lo leggo negli occhi.- e dopo aver detto questo se ne andò di corsa.

Pensai che molte persone mi avevano detto che gli occhi azzurri come ce li avevo io erano indice di purezza interiore, ma non sapevo se crederci o meno.

Vidi Attilia che stava prendendo gli utensili per il pranzo, come dovevo fare anche io, così la aiutai.

-Mi dispiace che tu sia stata punita... avrei dovuto pensare a spiegarti dove sta il Foro. E' orribile perdersi per le strade di Roma, saresti potuta capitare in un quartiere pericoloso...- disse mortificata.

Io sorrisi: ci ero capitata, in un quartiere poco raccomandabile, ma per fortuna non mi era successo niente e di certo non grazie al mio buon senso...

-Attilia, stai tranquilla. Avrei dovuto pensare a chiedertelo io per prima. Va tutto bene, in fondo il capocuoco avrebbe potuto assegnarmi una punizione peggiore di questa.- le mie parole erano sincere.

Quando fu il momento di portare le vivande a tavola, il capocuoco fece mettere in fila tutte le ragazze addette a quel compito, comandando di recarci ordinatamente nella sala da pranzo portando le vivande. Presi in mano un grande vassoio da portata, chiamato lanx, che conteneva della carne profumata... chissà quanto doveva essere saporita... era da tempo che non mangiavo della carne prelibata: durante il viaggio in nave avevamo mangiato sostanzialmente verdure e pane nero.

Attilia mi fece cenno di avvicinarsi di più a lei e disse:

-Non farò lo stesso errore di prima. Tu non sei una Romana, devo avvertirti di alcuni rituali. Non parlare mai se non ti viene richiesto, e non chiedere nemmeno la parola. Alla fine di ogni portata dovrai provvedere a portare una bacinella con acqua profumata a tavola, per far si che i padroni si puliscano le mani. Sappi che gli avanzi del cibo non si lasciano sul piatto, poiché la loro vista è considerata indecorosa, quindi si gettano a terra, ma non raccoglierli finchè tutti i commensali non se ne saranno andati. Se per caso, anche se ne dubito, tu fossi obbligata a parlare, non nominare mai la parola fuoco, poiché per le antiche tradizioni del focolare domestico, le cose sacre non possono essere nominate con leggerezza, soprattutto da una serva e per giunta straniera. Infine, se si sporca la vestis cenatoria (1*), dovrai portare un indumento di ricambio durante il banchetto.-

Durante il discorso di Attilia avevo cercato di recepire ogni informazione che mi sarebbe stata utile per non finire nei guai. Le tradizioni in Grecia erano molto diverse da quelle romane e senza l'aiuto di Attilia avrei potuto combinare di nuovo qualche disastro.

Il capocuoco ci fece segno di tacere e di andare a servire i piatti a tavola, così dopo essere passate in fila indiana attraverso i corridoi della Villa, arrivammo alla sala da pranzo, il triclinio. Mi stupii dello sfarzo con cui la stanza era arredata: l'ambiente, molto grande, era decorato sulle pareti con mosaici ed affreschi. Intorno a tre lati della tavola quadrata si disponevano tre letti imbottiti, i triclini, ciascuno dei quali conteneva tre persone, adagiate sul lato sinistro del corpo una dietro l'altra, mentre il quarto lato restava libero per gli schivi che si occupavano delle vivande e della mensa.

I triclini erano decorati con degli stupendi affreschi che rappresentavano la natura morta e sul pavimento sotto a ciascun letto, c'erano bellissimi mosaici che rappresentavano le scene più svariate.

Intorno ai letti vi era uno spazio abbondante per gli schiavi che con ventagli e ramoscelli scacciavano via le mosche e davano fresco ai convitati.

Iniziammo a servire a tavola e tra i commensali vidi Fabrizio che mi guardava, stupito di trovarmi lì.

Il pranzo iniziò con le uova, cibo obbligatorio dell'inizio, per poi continuare con le carni arrostite, il sanguinaccio, la porchetta ripiena di svariate spezie ed altri cibi di cui ignoravo l'origine.

Guardavo ripetutamente Attilia per controllare se ciò che facevo era giusto e per vedere come si comportava lei di fronte a tutto quello.

Il pranzo durò molto più a lungo di quanto usasse in Grecia, fino alla sera, ma andò tutto bene e, rispettando i consigli di Attilia, riuscii a non creare problemi e a passare inosservata.

Durante il pranzo ebbi il tempo di osservare tutti i romani che sedevano a tavola. Un uomo sedeva leggermente più distante dagli altri, era anziano, calvo e dal fisico massiccio. Pensai che doveva essere il Pater Familias (2*), poiché aveva un cipiglio autoritario e tutti gli si rivolgevano con grande rispetto referenziale.

Durante il pranzo ebbi l'occasione di ascoltare i dialoghi dei commensali: stavano discutendo sul fatto che la cultura greca iniziava ad influenzare sempre di più quella latina. Alcuni erano molto favorevoli all'incontro delle due culture, altri invece credevano che dovessero rimanere separate, per non far correre dei rischi alla Repubblica.

-La cultura di Roma deve essere conservata secondo il costume degli avi, affinchè non ci siano eventuali danni per la Repubblica. Il bene della Repubblica deve venire prima di qualsiasi altra cosa per un cittadino Romano!- affermò deciso un uomo chiamato Marco Porcio Catone (3*) che, a quanto avevo capito, ricopriva la carica di censore. Tutto in lui, il suo aspetto fisico ed il suo tono di voce, faceva pensare che fosse una persona rigida e decorosa, dal suo abbigliamento si poteva notare che non era di certo un uomo a cui piacevano il lusso e gli eccessi: durante il banchetto non aveva bevuto nemmeno un bicchiere di vino, solo acqua.

-Non condivido affatto la tua opinione. Con le guerre che si stanno combattendo tra Roma e la Grecia, un contatto tra culture è sicuramente inevitabile. Chi lo sa, magari da un'unione tra le due , può nascere qualcosa di mai visto prima, sempre tenendo conto degli usi e dei costumi degli avi!- esclamò Fabrizio concitatamente. Per tutto il pranzo non avevo fatto altro che ascoltare ciò che diceva: ero molto curiosa di sapere come la pensava riguardo a quella spinosa questione e soprattutto volevo sapere il modo in cui si relazionava con i suoi parigrado.

Per quanto riguardava me, ero assolutamente d'accordo con lui, ed in oltre era noto a tutti che la letteratura, le arti, gli usi e i costumi greci, erano decisamente superiori a quelli dei romani.

-Assolutamente no! Bisogna tutelare il popolo da cose che non può comprendere. I Greci e le loro idee rivoluzionarie porterebbero soltanto sconvolgimento a Roma e tutto ciò sarebbe un danno per la Repubblica! La cultura greca non porta niente di buono.-

controbatté di nuovo il Catone, certo di avere ragione.

Avrei tanto avuto voglia di controbattere: tutto ciò che diceva quell'uomo erano delle falsità! La cultura greca non porta niente di buono? Tutto ciò che c'era di buono nel mondo veniva dalla Grecia! Li era nata la filosofia, la tragedia... era così difficile da ammettere?

Attilia comprese dalla mia espressione che stavo per fare qualcosa di stupido e mi lanciò un'occhiataccia così mi trattenni, tenendo per me quello che pensavo. Da quel momento in poi, cercai di pensare ad altro, poiché se avessi sentito un'altra parola cattiva riguardo alla cultura greca, non sarei riuscita a trattenermi dal dire qualcosa: il mio senso di appartenenza alla Grecia era fortissimo, sebbene io fossi di origini macedoniche.

Il pranzo si protrasse a lungo, fin quando il sole iniziò a tramontare (4*): fu allora che i commensali se ne andarono chiacchierando animatamente dalla sala da pranzo.

L'ultimo ad andarsene fu Fabrizio, che prima di uscire dalla stanza, mi lanciò un' occhiata furtiva.

Presi alcuni vassoi ancora pieni di cibo che si trovavano su tavolo per riportarle in cucina e allo stesso tempo mi affrettai a seguire Fabrizio, curiosa di sapere se volesse dirmi qualcosa, vista l'occhiata eloquente che mi aveva lanciato.

Affrettai il passo per raggiungerlo ma, quando gli fui alle spalle, accidentalmente inciampai sulla veste lunga, che mi arrivava fino ai piedi. Seppi che sarei caduta a terra insieme ai vassoi che tenevo in mano, mi vidi davanti il volto irato del capocuoco, chissà quale punizione avrebbe tenuto in serbo per me...

ma Fabrizio si voltò in tempo e mi prese per le spalle prima che io potessi cadere a terra. Mi misi dritta e boccheggiai stupita, senza riuscire a dire niente. Quante volte ancora mi avrebbe salvato la pelle?

-Io...- iniziai, una volta trovato il coraggio, ma lui si voltò con fare sbrigativo e se ne andò senza proferire una sola parola. Continuai a camminare, perplessa, questa volta facendo più attenzione a non inciampare con la veste e mi avvia verso la cucina. Passai per caso vicino alla stanza dove si stavano riunendo gli ospiti e capii che il padre di Fabrizio aveva chiamato in disparte il figlio, per poi iniziare a parlargli concitatamente:

-Come ti è venuto in mente di salvare una serva per evitare che cadesse a terra? Tu Fabrizio, tu non avresti nemmeno dovuto accorgerti della sua presenza! Ringrazio gli dèi che nessuno degli invitati si è accorto del tuo gesto deplorevole! Prestare attenzione ad una serva!- iniziò il padre furibondo -E non l'hai nemmeno rimproverata quando ha provato a rivolgerti la parola senza chiedere il permesso!- concluse indignato, il volto rosso e i pugni stretti. Pensai che, senza dubbio, se i due uomini si fossero trovati soli, il senatore avrebbe dato uno schiaffo a Fabrizio.

Quest'ultimo sostenne il suo sguardo poi lo abbassò, guardandosi la punta dei piedi:

-Mi scuso Padre, non accadrà mai più. Non volevo che mi cadesse addosso, il motivo era solo quello. Non avevo alcuna intenzione di riservare delle attenzioni in pubblico per una serva...- cercò di riparare Fabrizio -in quanto al resto, non mi sono accorto che mi avesse rivolto la parola- disse lentamente e a bassa voce.

Il padre lo guardò e annuì, quasi contento della risposta del figlio.

-Bene, ragazzo mio, forse mi sto preoccupando troppo, ma ultimamente il tuo comportamento è strano... c'è qualcosa di cui vuoi parlarmi?- chiese l'uomo a Fabrizio.

-No padre, va tutto come dovrebbe andare- rispose quest'ultimo in tono piatto – ora mi ritiro nella mia camera padre, se non ti dispiace.- concluse.

-Non rimani a conversare con noi? Catone è molto curioso di conoscerti meglio, sebbene tu abbia delle idee contrastanti alle sue...- cercò di proporre il senatore con tono più conciliante di quello che aveva usato precedentemente.

-Ti ringrazio padre, ma inizio ad avere mal di testa.- e detto questo, Fabrizio se ne andò senza voltarsi indietro.


 

Entrai in cucina ed appoggiai gli utensili sopra un mobile, pronti per essere lavati, dopo di che tornai sui miei passi per aiutare le altre ancelle a sparecchiare la tavola e pulire gli avanzi dei cibi, rimasti a terra.

Mentre svolgevo mestamente e attentamente i miei compiti, non potevo fare a meno di riflettere su quello che era successo poco prima: per l'ennesima volta, Fabrizio mi aveva aiutata. Se io fossi caduta a terra, infatti, avrei ricevuto un'altra punizione dal capocuoco, senza contare il fatto che, rovesciando i vassoi ancora piedi di cibo, avrei potuto imbrattare il pavimento e le pareti dello stupendo corridoio che precedeva il triclinio, rovinandole... il padrone di casa si sarebbe adirato oltremodo.

Fabrizio sapeva benissimo che ciò che aveva fatto gli avrebbe causato numerosi problemi, tanto più che il suo gesto era stato, per così dire, pubblico... eppure non aveva esitato ad aiutarmi. Forse, in verità, stavo ragionando troppo su questioni senza senso: il suo gesto sarebbe stato come quello di qualsiasi persona che non avrebbe voluto finire sotto ad un'altra. Non c'era altra spiegazione logica. In quel momento mi ritornò in mente tutto ciò che Fabrizio aveva fatto per me in quell'ultimo mese, senza neanche conoscermi, oserei dire...

continuare a pormi delle domande a cui non potevo dare risposta era inutile, quindi decisi di lasciar perdere: prima o poi la verità sarebbe venuta fuori.

Mi dispiaceva davvero che si fosse preso un rimprovero da parte del padre a causa mia, forse era giusto che glie lo andassi a dire. Tuttavia pensai che probabilmente, andando nella sua stanza, avrei fatto solo peggio. Le migliori intenzioni possono portare ai danni più gravi, per questo bisogna essere saggi e capire quando bisogna agire e quando invece occorre stare fermi diceva ogni volta mia madre, ogni volta che volessi fare qualcosa di avventato o irragionevole, dato che ero una ragazza molto impulsiva.

Finite tutte le mansioni che avevo dovuto svolgere per punizione, ed essendo il capocuoco abbastanza soddisfatto del mio operato, mi congedò, dicendomi di cercare Iginia per sapere che altro dovessi fare per quella sera. A quelle parole mi venen voglia di gettarmi a terra a strillare: ero stanca, non ero abituata a lavorare e pensavo che a quell'ora mi avrebbero lasciato andare a dormire.

Per fortuna, non riuscendo a trovare la governante poiché probabilmente si era recata a svolgere delle commissioni, mi avviai verso la parte della casa in cui si trovava la stanza delle ancelle.

Entrai e mi richiusi la porta alle spalle: per fortuna, ero sola nella camera, così che avrei potuto fare ciò che volevo. Decisi di stendermi sul mio letto, che si trovava in fondo alla stanza, ma rimasi perplessa quando vidi due fogli di papiri appoggiati li sopra.

Mi chiesi se per caso non mi fossi sbagliata e quello fosse il giaciglio di un'altra ragazza, ma poi mi convinsi che la memoria non mi ingannava. Che qualcuno si fosse sbagliato e avesse mandato quei fogli alla persona sbagliata? Per togliermi ogni dubbio, titubante, srotolai la prima pergamena e lessi cosa c'era scritto:

Con l'augurio che la prossima volta che vai a fare compere non svolti all'angolo sbagliato.

Fabrizio

srotolai l'altra pergamena e vidi una cartina di Roma disegnata a mano, nella quale era cerchiata la via dove si trovava la Villa dove mi trovavo e il foro, quasi come una presa in giro. Notai che la strada era molto più semplice e breve di quanto avevo creduto.

Fabrizio aveva avuto un altro pensiero per me: mi aveva procurato una cartina della città, affinchè non mi perdessi più.

Era stato... davvero molto gentile. Non comprendevo le ragioni del suo comportamento, ma non potevo fare altro che essergli grata poiché si preoccupava per me. Prima o poi avrei dovuto ringraziarlo, anche se non sapevo come... la mia mente non riusciva a formulare un pensiero coerente, quel giorno erano successe troppe cose.

Stanca di tutto, mi adagiai sul letto, con l'intenzione di rimanerci solo qualche minuto, invece mi addormentai, l'ultimo pensiero rivolto a Fabrizio.


Note dell'autrice


(1*) La vestis cenatoria era un soprabito e che gli antichi romani indossavano durante i pasti sopra ai propri vestiti, per evitare di ungerli. Se la veste si macchiava, i servi doveva provvedere a portarne un'altra di ricambio

(2*) Il pater familia è il padrone e il capo di casa, che possiede potere di decisione sui figli, sulla moglie e sugli schiavi, tutti devono obbedirgli e portargli rispetto

(3*) Catone il censore, personaggio realmente esistito e vissuto in quegli anni (243-149 a.C.)

(4*) A volte i pranzi romani si protraevano fino a tarda ora soprattutto quando c'erano gli ospiti.

Buona domenica a tutti!!! Eccomi qui puntuale ad aggiornare con questo capitolo in cui accadono un bel po' di cose! Ho voluto scrivere qualche informazione sul pranzo dei romani perchè mi sembravano cose molto interessanti, e soprattutto perchè senza quelle descrizioni non si sarebbe capito nulla!
Mi hanno fatto molto piacere le recensioni ricevute, grazie davvero!
Come ogni volta vi dico: se c'è qualcosa che non capite o altro, ditemelo senza problemi, capisco che l'intreccio della storia è complicato!
Cosa pensate di ciò che ha fatto Fabrizio per Aurora? Qual'è secondo voi il motivo? Come ho già detto prima o poi arriverà un P.O.V. Fabrizio che spiegherà molte cose... non aggiungo altro. Sotto graditissimo consiglio di Sweetgioy (si scrive così? xD) vi lascio la foto di Aurora... credo che questa attrice rispecchi la descrizione fisica della nostra principessa, ho avuto qualche dubbio sull'età, ma credo proprio che questa foto sia quella giusta! Nel prossimo capitolo, che pubblicherò Domenica, metterò la foto di Fabrizio.

Un saluto

_Renesmee Cullen_


Aurora:


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Capitolo 5
*** Fatti inaspettati ***


CAPITOLO 5 - Fatti inaspettati


 

La mattina seguente, dopo aver ascoltato la ramanzina di Iginia poiché la sera prima ero andata a dormire senza chiedere il permesso e dopo aver concluso tutte le faccende che avevo dovuto svolgere, non feci lo stesso errore della notte precedente e cercai la governante per sapere se ci fossero ancora altre mansioni da sbrigare.

La trovai intenta a chiacchierare con Fabrizio lungo uno dei numerosi corridoi della Villa. Stavo per andare da lei quando, notando che i due confabulavano in tono basso e si guardavano spesso intorno on fare circospetto, curiosa come non mai, mi misi ad origliare la loro conversazione da dietro un angolo.

-Non ho altra scelta, Iginia, lo sai. Conosci mio padre... appena è venuto a conoscenza di questo fatto ha voluto saperne di più- la voce di Fabrizio era bassa e il tono era calmo, ma dal suo viso trasparivano più emozioni di quanto volesse realmente. Aveva le sopracciglia aggrottate e ogni tanto storceva la bocca in un'espressione quasi preoccupata.

-Cosa succederà se non dovesse rivelare nulla? Se... lascia perdere Fabrizio, ti prego, non può sapere nulla...- sussurrava Iginia concitatamente.

-Non posso rischiare di perdere delle...- ma non riuscii a sentire Fabrizio che concludeva la sua frase, poiché dietro di me sentii una voce piuttosto familiare e poco piacevole che diceva

-Guarda guarda... Fabrizio, c'è chi origlia le tue conversazioni- mi voltai lentamente e dietro le mie spalle vidi Antonio, gli occhi marroni piccoli e infossati, con un ghigno provocatorio sul viso. Ero allibita: come avevo potuto essere tanto sciocca da non accorgermi della sua presenza?

Mi spinse in avanti e finii nel campo visivo di Iginia e del generale, che mi guardò sconcertato mentre Iginia era sbiancata in volto.

Qual'era l'importante questione di cui stavano parlando, se avevano reagito così dopo aver saputo che stavo origliando?

Fabrizio rimase quasi impassibile, solo un sopracciglio rimase lazato a mostrare il suo disappunto, non so se per quello che avevo fatto io, o per quello che aveva detto suo fratello.

-Antonio, fare la spia è da vili, non credi? Soprattutto quando non c'è nulla da nascondere in un discorso.- disse Fabrizio, cercando di ostentare sicurezza e di non farsi vedere agitato.

Antonio rimase senza parole e mosse la bocca, senza riuscire a dire nulla, soltanto il suo viso diventò rosso porpora, facendo trapelare il suo imbarazzo.

-Mi hai illuminato con la tua lungimiranza, fratello!- sussurrò. Mi sembrava di aver già sentito quella frase... dopo aver detto questo si voltò e andò via. Se fosse stato un animale, avrei potuto pensare che scappasse “con la coda tra le gambe”.

Fabrizio si rivolse a Iginia, riservandole uno sguardo quasi di scuse e disse:

-Iginia, ora vorrei rimanere solo con Aurora, grazie.-

-Ma certo Fabrizio...- e detto questo se ne andò titubante e sparì nei corridoi. Ancora una volta mi stupii della confidenza con la quale Iginia si rivolgeva a Fabrizio. Quest'ultimo mi guardò a lungo negli occhi ed ebbi paura: li stavo spiando, cosa mi sarebbe successo?

Iniziai a tremare involontariamente per il nervosismo e l'agitazione, ma Fabrizio non diede segno di accorgersene, mi scrutò ancora per qualche momento, infine chiese:

-Stavi spiando la nostra conversazione?- e la sua voce era tranquilla. Mi stupii che non fosse adirato con me:

-Io non stavo origliando!- cercai di giustificarmi -stavo cercando Iginia e quando vi ho trovato non sono venuta a chiamarla per non interrompervi.- non potevo cambiare troppo la versione dei fatti: Antonio mi aveva vista.

-Quindi stavi origliando.- affermò ancora Fabrizio, questa volta con un pizzico di ironia.

-Io non la vederei in questo modo- cercai ancora di scusarmi. Avevo paura che Fabrizio avrebbe potuto punirmi, visto quello che stavo facendo. Perchè non facevo altro che finire nei guai? Mi guardò ancora negli occhi, cercando di capire cosa pensassi ma sperai che non ci fosse riuscito.

-Quale parte hai sentito della nostra conversazione?- chiese ancora. Mi domandai ancora cosa si stessero dicendo Iginia e Fabrizio per far si che lui si preoccupasse così tanto se io avessi ascoltato la loro conversazione.

-Io ho sentito solo che tu dicevi che non potevi perdere qualcosa...- mentii, insicura, sperando che se avesse saputo che non avevo capito nulla mia avesse lasciato in pace. Fabrizio alzò di nuovo un sopracciglio:

-Non ci eravamo promessi di non raccontarci bugie, io e te?- domandò in tono eloquente. Rammentai ancora una volta quello che ci eravamo detti nella sua tenda tempo prima e abbassai gli occhi:

-Ho sentito tutto da quando quando tu hai detto “non posso farci niente, Iginia”... ma se può servire, ti assicuro che non ho capito nulla del vostro discorso.- tacqui. Non riuscivo a mentirgli...eppure, ero sempre stata abbastanza brava a dire le bugie... ma non a lui, a quanto sembrava. Solo il fatto di scambiare qualche parola con Fabrizio mi metteva in soggezione e in agitazione. Non sarei mai riuscita a mentirgli se mi faceva quell'effetto.

-Dopo un atteggiamento del genere potrei pensare che tua sia una spia... una spia mandata dal macedone per scoprire i segreti di Roma.- disse. Se credeva questo, non aveva capito nulla. Non vedevo mio zio da mesi ormai e non avrei mai lavorato per lui, in nessun caso.

-Una spia macedone? Solo perchè non volevo interrompere il vostro discorso per cortesia?- chiesi, fingendomi indignata. Non potevo credere che un uomo intelligente come Fabrizio potesse pensare cose del genere. Infondo, però, lui non mi conosceva, non poteva sapere la verità...

-Io non la vedrei in questo modo- iniziò Fabrizio, ripetendo le parole che avevo usato prima per prendermi in giro -un'ancella viene trovata tra i cadaveri delle sue padrone morte e guarda caso, questa ragazza sembra molto più istruita di quello che dovrebbe essere, molto più sfrontata e sicura di se del dovuto... e ora viene scoperta ad origliare la conversazione di un generale romano... i fatti non sono a tuo favore non credi?- concluse.

Io spalancai gli occhi: non ero una spia macedone, questo mai, ma stavo rischiando di far scoprire a Fabrizio la mia vera identità. Quell'uomo era molto più perspicace di quando volesse lasciar credere. Dovevo convincerlo del fatto che non ero una spia... cosa mi sarebbe successo se avessero creduto che quella era la verità? Non doveva succedere. Cercai di ostentare sicurezza mentre parlavo:

-Quindi secondo te io sarei una spia mandata da Filippo il macedone... sola, completamente nella mani del nemico, senza la possibilità di far sapere qualcosa al mio re o altro... se fossi stata davvero una spia non credi che sarei stata più attenta a non farmi notare?- tentai il tutto per tutto, forse in quel modo Fabrizio mi avrebbe creduto.

Sbuffò, in uno scatto d'ira:

-Chi sei veramente, Aurora? Chi sei? Tu nascondi qualcosa e io scoprirò che cosa- il suo era quasi un urlo. Rimasi allibita a fissarlo, non sapendo cosa rispondere.

Fabrizio si mise le mani sul viso e scosse la testa, demoralizzato.

-Forse sto sbagliando tutto... non è di te che dovrei preoccuparmi, ma di quello che sta succedendo a Roma in questo periodo...- disse, quasi con tono disperato, ma non concluse la frase e non seppi cosa voleva dire. Mi dispiaceva vedere Fabrizio così demoralizzato, soprattutto dopo quella che aveva fatto per me, così colsi l'occasione per ringraziarlo:

-Volevo ringraziarti per la piantina di Roma...- iniziai, titubante, non sapendo se fosse quello il momento giusto per dire quelle cose, tuttavia continuai –mi è tornata molto utile oggi, soprattutto mentre mi recavo a fare compere...- Fabrizio sorrise e fece un gesto di noncuranza con la mano. Mi guardò di nuovo e si avvicinò a me:

-Mio padre sa che da poco in casa ci sono nuovi schiavi che vengono dalla Grecia, più precisamente dalla tua città, Anticyra. Appena l'ha saputo, ha voluto subito che io ti venissi a cercare per portarti da lui, vuole sapere se sei a conoscenza dei piani di Filippo... Roma non sta passando un bel periodo, ultimamente... dopo la disfatta di Canne molte cose sono cambiate... il senato e i consoli stanno cercando di fare di tutto per fronteggiare la minaccia cartaginese e quella macedone. Roma non ha più la possibilità di combattere su due fronti e l'alleanza tra Filippo V e Cartagine non ha giovato a Roma...- Fabrizio si bloccò e sbatté le palpebre -non so perchè ti sto dicendo tutto questo, non sono cose che possono interessarti... ora dovrai venire con me, da mio padre.- concluse.

No, non volevo andare dal senatore, per nessuna ragione al mondo! Non volevo farmi interrogare da lui come da nessun altro. Ero a conoscenza dei piani di mio zio ma non avrei aperto bocca per nessuna ragione al mondo! Non avrei mai rivelato ai nemici della mia patria, agli assassini della mia famiglia, i segreti di cui ero a conoscenza, piuttosto mi sarei fatta uccidere. Fabrizio vide il mio sgomento, ma cercai di riprendermi dicendogli:

-Io non so nulla dei piani del re. Ero solo un'ancella in Grecia e di certo le ancelle non vengono a conoscenza dei segreti di stato- affermai convinta.

-Lo so, me lo aspettavo... ma questo non devi dirlo a me. Lui è convinto che forse hai sentito parlare le tue padrone di qualcosa riguardo i piani di Filippo... infondo, eri la serva della sorella del re.- disse, dispiaciuto per me.

-Adesso seguimi, dobbiamo andare da mio padre.- disse, avviandosi per i corridoi della Villa. Dopo un momento di esitazione gli andai dietro, preoccupata. Cosa avrei fatto quando il senatore mi avrebbe interrogato? Cosa avrei potuto dirgli? Avrei dovuto mentire fino alla fine, ma cosa sarebbe successo se Fabrizio o qualcun altro si fosse accorto che stavo mentendo? Fabrizio camminò con passo da militare per tutto il tempo, senza rivolgermi la parola.

Ad un tratto arrivammo di fronte ad una porta e prima di bussare, Fabrizio si voltò verso di me e disse, in tono quasi duro:

-Qualsiasi cosa mio padre ti chieda, rispondi la verità. Si concluderà tutto più in fretta se collaborerai. Lo dico per il tuo bene... intesi?- annuii alla sua domanda, sapendo benissimo che non avrei mai potuto fare come mi aveva detto. Fabrizio bussò energicamente:

-Avanti- rispose una voce cupa dall'interno.

Entrammo insieme nella stanza: dietro un tavolo c'era un uomo calvo, dal fisico massiccio, lo stesso che avevo visto il giorno prima a pranzo: non mi ero sbagliata, quello era il padre di Fabrizio. Non assomigliava per niente al figlio, che era moro con gli occhi neri, ma era un uomo dalla carnagione chiara e gli occhi azzurri. In comune, padre e figlio, non avevano nulla. Con mia grande sorpresa, vicino a lui, seduto su uno sgabello, si trovava Antonio, che mi fissava, irritato. Era naturale che quel ragazzo mi odiasse tanto, dopo che gli avevo sputato in un occhio...

Appena ci vide, ci venne incontro

-Fabrizio- disse in tono caloroso al figlio -hai fatto come ti avevo chiesto- e nelle sue parole c'era qualcosa di nascosto, che però non riuscii a cogliere. Mi guardò a lungo poi disse

-E così tu sei la famosa ancella che è stata trovata nel palazzo di Anticyra... ero molto curioso di sapere chi fossi- disse il senatore, in tono quasi curioso. Io guardai allarmata Fabrizio, non sapendo cosa fare e lui mi fece segno di tacere con un dito. Ricordai che se avessi dovuto parlare, mi sarebbe stato chiesto. Infatti, il padre continuò

-Si, hai tutti i tratti caratteristici di una greca... mi è stato detto che eri una serva fedele della sorella di Filippo V e delle sue figlie... non è così?- chiese. Guardai di nuovo Fabrizio, non sapendo quale fosse la cosa giusta da fare ed egli annuì. Così feci anche io.

-Molto bene...- disse Publio Cornelio Galba, pensieroso, poi continuò

-Sei a conoscenza di qualche segreto del macedone? Perchè se è così e tu collaborerai con me, potrei decidere di affrancarti subito... in caso contrario, rimarrai qui come serva ancora per lungo tempo...- disse. Quell'affermazione suonava molto come una minaccia. Mi fermai a riflettere, prima di fornire una risposta: se avessi rivelato tutto quello che sapevo ai romani, sarei diventata libera. Sarei potuta andarmene da quella casa, avrei potuto smettere di lavorare, cosa che odiavo, avrei avuto di nuovo una vita tutta mia... infondo, cosa mi costava rivelare ciò che sapevo? Non avevo mai nutrito alcuna simpatia per mio zio, che mi odiava, non gli dovevo nulla. Stavo per rivelare tutto, quando qualcosa mi fermò: non avrei mai tradito la mia patria e la mia famiglia defunta. Non potevo fare questo... avevo detto che sarei morta pur di non rivelare tutto ai romani? Ebbene, l'avrei fatto.

-Dunque?- mi incitò Antonio, in tono astioso.

-No.- dissi sicura -Io sono solo un'ancella. In Grecia alle ancelle non si comunicano i segreti di stato.- ripetei con fermezza quello che avevo detto a Fabrizio.

-Ho saputo- continuò il senatore, che fece un cenno involontario verso Antonio –che i tuoi atteggiamenti potrebbero far credere altro...- lasciò la frase in sospeso. Antonio aveva raccontato al padre tutto ciò che io avevo fatto da quando ero arrivata a Roma... aveva fatto la spia! Cercai di dire qualcosa ma dalla mia bocca non uscì alcun suono. Feci un respiro profondo e dissi:

-Non avrei mai voluto fare qualcosa che lasciasse trasparire cose che non sono vere. Io non so nulla dei piani di Filippo il macedone, vi sto dicendo la verità- dissi decisa.

Cornelio mi guardò a lungo per cercare qualche traccia di titubanza nella mia voce, ma non diedi a vedere la mia paura e la mia insicurezza. Sulle sue labbra trasparì un accenno di sorriso:

-Va bene, ti credo. Puoi andare- non riuscivo a credere alle sue parole: ero salva? Guardai Fabrizio che annuì tranquillo, con aria quasi sollevata.

-Grazie- feci un rapido inchino, rilassandomi troppo presto e mi avviai verso la porta. Stavo per aprirla, quando sentii ancora la voce del senatore:

-Stai molto attenta, Aurora, perchè ti terrò d'occhio. Ogni cosa che farai non mi sfuggirà- e detto questo mi fece cenno di andarmene. Mentre uscivo dalla stanza più che sollevata, non ostate la minaccia di Cornelio, vidi Antonio che muoveva le labbra, anche se dalla sua bocca non era uscito alcun suono.

Mi chiusi la porta alle spalle e fatto qualche metro mi accasciai a terra, in ginocchio, mettendomi le mani sul viso.

Non è finita qui

Era questo che aveva voluto farmi capire Antonio: in che situazione ero finita?


 


 

Il pomeriggio passò in fretta, tra lavare i panni e pulire (se si può definire così quello che facevo) mentre la mia testa turbinava di pensieri e di emozioni: paura, rabbia. Paura per quello che mi sarebbe potuto accadere: qualsiasi cosa sospetta avessi fatto avrei potuto rischiare la morte. Rabbia per quello che aveva fatto Antonio: se non fosse stato per lui, io non avrei avuto quei problemi... diciamola tutta, se fossi stata più attenta non avrei avuto tutti quei problemi. Ormai non si poteva tornare indietro nel tempo e dovevo cercare di adattarmi a quella situazione.

Concluse tutte le mansioni e stanca come non mai poiché quel giorno mi ero impegnata tantissimo nelle mie attività, cercai per l'ennesima volta Iginia per chiederle se potessi andare finalmente a dormire.

La trovai nel giardino interno della casa, l'impluvium. La raggiunsi in fretta e le chiesi:

-Iginia... ho finito di svolgere tutte le mie mansioni, posso andare a coricarmi adesso?- non riuscivo a reggermi più in piedi, non sapevo se sarei riuscita ad arrivare alla camera delle ancelle senza crollare per terra.

Iginia mi fissò per un momento, poi disse, in tono confidenziale:

-Non puoi.- all'inizio credetti che stesse scherzando, ma quando continuò, capii che non era affatto così -sei desiderata nella camera del generale Fabrizio- tacque, aspettandosi una mia reazione, che però non arrivò. Rimasi imbambolata con la bocca spalancata e le braccia lungo il corpo.

-P-perchè?- chiesi, balbettando. Non potevo crederci...

-Perchè sei una delle ancelle addette alla sua cura personale. Devi eseguire gli ordini.- il suo tono era molto più tranquillo di quello che avrei avuto io nella sua stessa situazione.

-M-ma io... non posso... non... cosa mi chiederà? Io non...- forse lasciai trapelare troppo la mia incredulità, poiché Iginia sbottò

-Non so cosa ti chiederà! É il tuo padrone, qualsiasi cosa ti domandi di fare la eseguirai e basta. Adesso vai.- e con questo mi fece segno di andarmene. Mi voltai e camminai lentamente verso la camera di Fabrizio, ricordandomi a memoria dove si trovasse. Cosa voleva da me, di notte, a quell'ora? Non volevo nemmeno pensare all'ipotesi più terribile... non avrebbe mai potuto obbligarmi a fare cose che non volevo. Non poteva, non l'avrebbe mai fatto e non glie lo avrei permesso. Io, tuttavia, ero solo una serva e a ogni sua richiesta, in quanto mio padrone, avrei dovuto obbedirgli, senza protestare. Non mi ero mai trovata a letto con un uomo... cosa avrei fatto se me lo avesse chiesto? Molti principi, quando mi trovavo in Grecia, mi avevano chiesto la mano, ma io avevo rifiutato tutti, nonostante le insistenze di mia madre: mi sarei sposata solo con un uomo che amavo davvero. Ugualmente, avrei fatto quel gesto solo con qualcuno che amavo, non avrebbe potuto obbligarmi... e se invece l'avesse fatto? Sapevo come andava a finire, ogni volta che un padrone chiamava un'ancella di notte, ero vissuta a corte per tutta la vita, sapevo come funzionavano questo genere di cose.

Deglutii cercando di calmarmi: forse non sarebbe successo il peggio. Mi ritornarono in mente le parole di Attilia di qualche giorno prima:

Devi sapere che qui molte sono innamorate di lui e alcune hanno avuto la fortuna di ricevere le sue attenzioni… è anche per questo che gli siamo tutte molto devote.

Rabbrividii ricordando quelle parole, ma cercai di farmi coraggio e una volta arrivata davanti alla porta della camera di Fabrizio, bussai timidamente.

Al suo “avanti” aprii piano la porta e me la richiusi dietro. Fabrizio era disteso sul grande letto a baldacchino, intento a leggere delle pergamene. Non riuscii a non pensare a quanto fosse attraente , tuttavia inizia a tremare per la paura: non riuscivo a non pormi quella fatidica domanda: cosa mi avrebbe fatto?

Cercai di placare il mio tremolio ma non ci riuscii, così sperai che non se ne accorgesse.

Il generale mi lanciò appena un'occhiata di sottecchi, poi continuò a leggere le sue pergamene. In quel momento tutta la mia sfrontatezza e la mia sicurezza erano svanite, l'unica emozione che mi animava era la paura.

Con estrema lentezza, Fabrizio si alzò dal letto e ripose le pergamene che stava esaminando dentro la cassapanca ai piedi del letto.

-Ti stavo aspettando- disse tranquillamente, avvicinandosi a me, che ero rimasta con le spalle attaccate alla porta e lo sguardo basso. Non risposi alla sua affermazione e lui continuò:

-Oggi pomeriggio sei stata molto fortunata... mio padre ti ha creduto, per il momento, ma non pensare che ti lascerà stare così facilmente. Quella di oggi è stata soltanto una prova per lui: Antonio gli ha riferito che oggi ti ha visto mentre stavi spiando la conversazione mia e di Iginia, anche se non stavamo dicendo niente di particolare... anzi, stavamo parlando di te. Comunque Antonio non ha esplicitato questo particolare e mio padre ha creduto la stessa cosa che all'inizio ho pensato io: che tu fossi una spia. Ti ho già spiegato come stanno le cose, ti dico questo Aurora: stai molto, molto attenta a come agisci. Qualsiasi cosa farai potrebbe essere presa come un'accusa contro di te e non saresti nelle condizioni più favorevoli per difenderti- concluse. Le sue parole mi entrarono da un orecchio e mi uscirono dall'altro: erano tutte cose che già sapevo benissimo, non potevo credere che mi avesse chiamata nella sua stanza soltanto per dirmi quelle cose!

-Lo so benissimo- dissi -ma io non ho nulla da nascondere... potete pedinarmi quanto volete, io non so nulla- ripetei come un'automa, continuando a tremare. Fabrizio mi guardò sospettoso, ma non disse nulla. Mi fissò per un po' poi si riprese:

-Stai tremando!- la sua non era una domanda, ma una constatazione, corretta per altro.

-Senti freddo?- chiese, interessato. Scossi la testa: era improbabile che stessi tremando per il freddo, visto che in quel periodo dell'anno le temperature si erano alzate.

-Tu hai paura di me...- disse, quasi divertito da questo fatto. Io non lo ero quanto lui. Lo fissai, continuando a tremare e lui, quasi leggendomi nel pensiero, disse

-Stai tranquilla, non devi avere paura di me... non ti farò alcun male- disse e il suo tono sembrava davvero sincero.

-Strano, una come te non dovrebbe avere paura di... certe cose- proseguì, sorpreso. Continuai a fissarlo senza dire niente, ma non potevo restare in silenzio ancora per molto, così mi obbligai a parlare, ma la voce mi uscì strozzata e roca:

-Una come me in che senso? Non sono una meretrice!- cercai di far sembrare la mia esclamazione indignata, come infatti ero, ma la paura mi annebbiava la mente.

Fabrizio rise, divertito:

-Non stavo dicendo questo. Di solito le ancelle sono abituate a quel genere di... richieste... ma tu sei un'ancella diversa, giusto?- mi stava provocando e a quel punto la mia grinta venne fuori da se e prese il posto della paura:

-Solo perchè sono vissuta sempre al servizio di donne e soltanto perchè non mi concedo come le altre non vuol dire che io sia strana. Forse sono le altre a comportarsi nella maniera sbagliata.- la mia affermazione era azzardata, ma era uscita dal cuore. Non sapevo nulla di quale fosse la maniera corretta di comportamento di un'ancella. Di certo non la mia.

Fabrizio rise ancora:

-Stai tranquilla, non ho intensione di fare nulla con te... ma sappi che qualora lo decidessi non potresti tirarti indietro- disse sicuro, come se io fossi una sua proprietà.

-Non lo farete- dissi. Parlando con Fabrizio mi ero accorta che lui era diverso dagli altri romani: in quel momento ero sicura di ciò che avevo detto. Per quel poco che conoscevo Fabrizio, ero sicura che non mi avrebbe mai obbligato a fare qualcosa che non volessi.

-Hai ragione- disse, tranquillamente -nonostante tutto, sono diverso da molti miei commilitoni. E anche tu sei diversa da molte altre ancelle.- concluse. Non sapevo cosa rispondergli, quella situazione era troppo particolare: mai in vita mia mi era capitato di trovarmi in una situazione simile.

Fabrizio si avvicinò a me di qualche passo, finchè non me lo trovai di fronte, a pochi centimetri dal viso.

-Perchè mi hai fatto venire qui? Cosa vuoi in realtà da me?- chiesi in un sussurro, non sapendo cosa aspettarmi da lui. Mi guardò dritto negli occhi, poi rispose lentamente:

-Niente che tu non voglia darmi- e dopo aver detto questo, mi prese all'improvviso la testa tra le mani, avvicinò i nostri volti e posò le sue labbra sulle mie. Sentii subito in bocca il suo sapore, dolce, come le sue labbra che si muovevano all'unisono con le mie. La cosa giusta da fare era staccarsi: dovevo assolutamente cercare di andarmene, ma nonostante tutto, quel bacio mi piaceva più di quanto non volessi ammettere. Persi la cognizione del tempo e dello spazio e mi abbandonai alla dolcezza di quel bacio.


NOTE DELL'AUTRICE

Buonasera a tutti! Non credevate davvero che mi fossi dimenticata di aggiornare, vero? Io mantengo sempre le promesse e sebbene siano le 22:20, è sempre domenica, ho mantenuto la mia promessa!
Mi scuso per qusto piccolo ritardo, avrei doveuto aggiornare oggi pomeriggio, ma visto che ho iniziato a scrivere il capitolo ieri sera ed è venuto molto lungo, ci ho messo più del previsto!
Non ho messo la foto che avevo promesso per fare prima, nel prossimo capitolo metterò quelal di Fabrizio. Mi scuso per eventuali errori ma ho riletto il capitolo una volta solatnto. Cone al solito, grazie mille a tutti per le stupende recensioni, mi fanno davvero tatno piacere!
Sono molto curiosa di sapere cosa ne pensate di questo capitolo, ero molto indecisa sul fatto se far baciare fabrizio e Aurora o meno, spero di aver fatto la scelta giusta... non uccidetemi perhcè ho interrotto il capitolo così, sarebbe venuto troppo lungo!
Ora me ne vado a dormire perchè sono stanchissima, buonanotte a tutti!
Un saluto

_Renesmee Cullen_

 

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Capitolo 6
*** Confessioni ***


CAPITOLO 6 - Confessioni


 

Non seppi mai quanto durò quel bacio, perché persi la cognizione del tempo e dello spazio. Alla fine Fabrizio si staccò lentamente da me, allontanando dolcemente il mio viso dal suo.

In quel momento l'incantesimo si spezzò e non seppi se sarebbe stato meglio scappare da quella stanza o restare per chiedere delle spiegazioni.

Cosa mi avrebbe detto, dopo quello che era successo? Per quale motivo aveva compiuto quel gesto?

Fabrizio rimase difronte a me con un'espressione indecifrabile sul volto, guardandomi negli occhi. Ogni volta che lo faceva, sembrava che stesse cercando di leggermi nel pensiero. Sperai, in quel momento più delle altre volte, che non ci fosse riuscito. Continuammo a guardarci per un altro lungo momento senza proferire parola, finché io non mi feci coraggio e dopo aver deglutito chiesi, in tono incerto:

-P-Perché l'hai fatto?-

Fabrizio non rispose subito ma si prese del tempo, si voltò dandomi le spalle e fece qualche passo, quasi come se fosse agitato, poi rispose l'unica cosa che pensavo non avrebbe mai detto:

-Perché mi andava di fare così- il suo tono era molto più calmo di quello che avrebbe lasciato credere il suo viso. Spalancai involontariamente la bocca per lo stupore e inizialmente credetti di aver capito male.

-Cosa?- chiesi, incredula. In quel momento il generale si voltò di nuovo verso di me, dal suo viso era scomparsa ogni traccia di incertezza e di titubanza.

-Hai capito benissimo ciò che ho detto. Non lo ripeterò una seconda volta- era molto deciso mentre pronunciava quelle parole e questo mi lasciò interdetta.

-Stai dicendo che mi hai baciata solo perché ti andava?- chiesi ancora, più incredula di prima.

Fabrizio mi guardò di nuovo, poi rispose in tono brusco:

-Cosa non ti è chiaro della frase: “Perché mi andava di fare così”?-

Lo guardai per qualche istante ancora, cercando di elaborare una frase che avesse senso compiuto da dire: quel bacio mi aveva sconvolta. Infine una profonda rabbia mi annebbiò la mente e dissi ad alta voce:

-Io non sono una tua proprietà! Non puoi prendermi e baciarmi a tuo piacimento!- mai in vita mia mi ero sentita usata come quella volta. È vero, per Fabrizio ero soltanto una serva ma restavo una principessa e come tale, inevitabilmente, continuavo a ragionare. Se avesse creduto che mi sarei fatta usare remissivamente come le altre, si sbagliava.

-Non sei una mia proprietà, dici? Ti sbagli Aurora, tu lavori qui in casa di mio padre e ogni schiavo è proprietà del padrone- a quel punto del discorso il suo tono sembrava quasi di scherno. Purtroppo aveva ragione... per quanto avessi voluto combattere contro i soprusi ero sempre una serva non libera... avrebbe potuto fare ciò che voleva di me. Nonostante questo, avrei fatto tutto quello che era in mio potere per continuare a mantenere un minimo di dignità personale.

-Io credevo che tu fossi davvero diverso dai tuoi compatrioti... per un attimo mi ero illusa che non tutti i romani fossero come si racconta in Grecia. Invece sei uguale gli altri: sei borioso, ti piace che tutto sia tuo e adori il fatto di poter ottenere tutto ciò che vuoi anche quando una persona non vuole darti nulla. Potrete fare quello che volete, voi romani, conquistare tutto il mondo conosciuto, copiare usi e costumi greci, ma il sangue che vi scorre nelle vene non cambierà mai: nei modi e nei pensieri siete sempre dei barbari.-

Detto questo infilai velocemente la porta e me ne andai, ma non volevo tornare nella stanza delle ancelle, avevo bisogno di restare sola. Non potevo uscire di notte dalla Villa, delle sentinelle controllavano le entrate, sia quella di servizio che quella principale. Era molto tardi ormai e pensai che nessuno mi avrebbe vista se fossi andata a rifugiarmi nel giardino interno dell'abitazione. Arrivata a destinazione quasi di corsa, mi accasciai seduta a terra contro il muro. Chiusi gli occhi e mi toccai le labbra con una mano, cercandomi di convincermi che quello che era successo era vero: era stato il mio primo bacio.


 

Durante la settimana seguente ebbi tutto il tempo di pensare in solitudine al gesto compiuto da Fabrizio. Da quella fatidica sera non mi aveva più mandato a chiamare ed io avevo fatto di tutto per non attirare attenzione su di me: avevo svolto correttamente tutte le mansioni che mi erano state assegnate (non senza il prezioso aiuto di Attilia e le sue dritte) e avevo accettato tranquillamente ogni cosa che mi era stata detta, rimproveri o elogi. Dopo sette giorni passati ad impegnarmi nel mio lavoro, avevo appreso correttamente come si lavassero i panni al fiume e a stenderli sul filo. Tuttavia passavo la maggior parte della giornata fuori dalla Villa a fare compere e a fare scambi.

Iginia si era accorta di poter sfruttare al meglio il mio talento nel saper leggere e scrivere e aveva anche detto che avrebbe proposto al padrone di farmi lavorare nella biblioteca di famiglia (*1), invece che lasciarla custodire a serve che non sapevano nemmeno tenere una pergamena in mano. I miei pensieri, sebbene all'inizio avessi cercato di evitarlo, non facevano altro che tornare a quella fatidica sera. Tante domande mi affollavano la mente e benché non sapessi dare una risposta a ognuna di esse, se avessi cercato di ignorarle la testa mi sarebbe esplosa. I quesiti a cui non riuscivo a dare una risposta certa più degli altri, erano: perchè Fabrizio mi aveva chiamata nella sua stanza? Soprattutto, perchè mi aveva baciata? Nessuno dei due avvenimenti mi era chiaro, tuttavia escludevo a prescindere il fatto che io gli potessi interessare in qualche modo. Io ero solamente una serva che gli aveva portato guai... cosa voleva dimostrare, dunque, baciandomi? Soltanto che ero una sua proprietà? Riflettendoci bene, non ero molto convinta di quella tesi...

Quei giorni non feci altro che pensare ad ogni ipotesi possibile o meno e alla fine decisi di rinunciare a trovare la risposta ai miei quesiti. Ce n'era un altro, inoltre, che mi tormentava e mi impediva di dormire: perchè io avevo lasciato che Fabrizio mi baciasse in quel modo? Anche se mi costava ammetterlo, quel bacio mi era piaciuto molto più del lecito: avrei pagato oro, se ne avessi avuto, per averne un altro. Non potevo mentire a me stessa, la risposta, capii dopo giorni di meditazioni, era molto più facile e più terribile di quanto osassi pensare: Fabrizio mi piaceva. La mia era un'attrazione superficiale, non conoscevo così bene quell'uomo da innamorarmene, ma se avessi lasciato che quel piccolo sentimento crescesse, avrei sofferto molto più di quanto avrei mai potuto immaginare. Fabrizio mi attirava molto non solo perchè era un uomo molto attraente, ma anche perchè aveva un grande senso dell'onore e dell'orgoglio. Possedeva inoltre qualcosa che, nonostante tutto, ai miei occhi lo faceva apparire diverso dagli altri barbari romani: forse per il fatto che fin da subito si era interessato a me e mi aveva aiutata, o forse perchè semplicemente Eros, il dio dell'amore,(*2) aveva deciso che io dovessi provare attrazione proprio per l'ultimo uomo sulla terra che avrei dovuto guardare.

Quella settimana era come se Fabrizio fosse scomparso all'improvviso. Sebbene io stessa avessi cercato di evitarlo, lui non aveva fatto nulla per cercare me e se da una parte ero felice di questo fatto, poiché se non lo avessi visto avrei potuto dimenticarlo più facilmente, dall'altra non riuscivo a capacitarmi che non volesse chiarire nulla. Dovevo tuttavia smettere di ragionare come una principessa, da tempo ormai ero diventata un'ancella, non avevo alcun diritto di scelta. Era giusto che mi rassegnassi al fatto che Fabrizio avrebbe potuto fare di me qualsiasi cosa: non ci sarebbe stato niente e nessuno che avrebbe potuto impedirglielo.


 

Due giorni dopo, fatta colazione, andai a cercare Iginia per sapere cosa avrei dovuto fare quella mattina, ma nonostante l'avessi cercata in ogni angolo della Villa, non riuscii a trovarla. Non sapendo a chi rivolgermi, andai dal capocuoco a chiedere dove potessi trovare la governante.

-Oggi Iginia non c'è- disse semplicemente l'uomo di mezza età, alto e corpulento, congedandomi infine. Non potendo restare con le mani in mano, andai da Attilia, a cui forse serviva un aiuto. La trovai dentro la camera del senatore, intenta a mettere in ordine.

-Salve Attilia!- esclamai. Quel giorno ero particolarmente di buon umore, iniziava ad essere caldo e inoltre adoravo la primavera per i colori meravigliosi che aveva e per ciò che rappresentava: rinascita. Quando ero piccola, in Grecia mia madre organizzava dei banchetti meravigliosi per l'inizio di quella stagione, con cene che duravano fino a notte inoltrata e si danzava al suono del flauto.

-Salve Aurora!- rispose la ragazza, sempre di buon umore.

-Questa mattina non sono riuscita a trovare Iginia, sai per caso dov'è andata?- dissi, ponendo la stessa domanda che avevo fatto poco prima al capocuoco.

-Oggi è un giorno molto importante: il senato si riunisce. Dicono che Roma ha bisogno di un dittatore (*3) e credo dovranno decidere chi sia. Il padrone avrà degli ospiti a pranzo, da quello che ho capito e Iginia insieme ad altre è andata ad acquistare delle cose che servono al padrone.- spiegò. Mi stupii: se i romani avevano deciso di eleggere un dittatore, voleva dire che la situazione era molto più grave di quello che sembrava.

-Ti ha lasciato detto qualcosa sulle mansioni da svolgere oggi?- domandai nuovamente. Attilia ci pensò per qualche momento:

-Ha detto soltanto di controllare la Villa e vedere da sole cosa c'è bisogno di fare... siamo rimaste in poche questa mattina.- rispose, mentre continuava a riordinare la stanza.

-Posso aiutarti in qualche modo?- chiesi di nuovo. Mi guardai intorno: quella era la zona della casa dove si trovava la stanza di Fabrizio: dovevo andarmene il prima possibile da lì. Attilia mi guardò e nei suoi occhi lessi un briciolo di malizia, che subito scomparve.

-Ci sono molte cose da fare: potresti iniziare mettendo in ordine la stanza del generale Fabrizio. Questa mattina è andato via molto presto e la sua camera, da quello che ho potuto vedere, è un disastro!- disse con noncuranza. Alle sue parole quasi spalancai la bocca: non potevo di certo andare nella stanza di Fabrizio! Cosa avrei fatto se fosse tornato improvvisamente e mi avesse trovato lì?

-Ehm... non ci sono altre mansioni più urgenti da svolgere?- domandai a bassa voce ad Attilia: non avrei mai voluto che qualcun altro mi sentisse.

La ragazza mi guardò sospettosa:

-No... non credi sia abbastanza importante tenere in ordine la camera del tuo padrone?- la sua domanda sembrava una presa in giro e mi fece ammutolire. Non avrei mai voluto che qualcuno si fosse accorto che mi ero invaghita di Fabrizio, così per non destare sospetti dissi:

-Si è importantissimo, vado subito!- esclamai. Fabrizio se ne era andato quella mattina presto giusto? Prima sarei andata prima avrei finito...

Attilia rise fragorosamente:

-Guarda che so cosa provi per lui- disse, in tono innocente. Non capivo perchè stesse ridendo: quella situazione non era affatto divertente.

-Io?- chiesi fingendomi stupita.

-Si Aurora, proprio tu! Ogni volta che lo vedi o si parla di lui, le tue guance diventano rosse come la porpora! Io l'ho notato, cosa credi?- esclamò, sempre più divertita. Non sapevo cosa rispondere: ero troppo stupita per parlare. Chi altro si era accorto di quel mio... interesse? Vedendo la preoccupazione dipinta sul mio volto, Attilia cercò di riparare dicendo:

-Stai tranquilla, non credo che qualcuno oltre a me se ne sia accorto...- poi si avvicinò a me e sussurrò –sai, io ho un fiuto particolare per questo genere di cose!- esclamò.

-Ti prego non... dirlo a nessuno...ti prego...- la supplicai, esasperata da quella situazione. Attilia sorrise:

-Aurora noi siamo amiche, vero? Le amiche sanno mantenere i segreti. Se devo dire la verità, comunque, nessuno ti giudicherebbe per questo... come ti ho già detto, molte di noi sono innamorate di Fabrizio, è un uomo così affascinante...- e il suo viso acquistò un'espressione sognante.

Non avevo mai avuto un'amica: a corte ero circondata da servitori e persone che mi dicevano come comportarmi, cosa dovessi studiare e cosa dovessi dire. Le mie sorelle non erano altro che delle bambolei nelle mani di mia madre e l'unica persona che avrei potuto definire come “amico” era mio fratello...

-Grazie mille Attilia... io... non avrei mai voluto che accadesse questo...- Attilia fece un gesto di noncuranza non la mano

-Adesso però vai, si sta facendo tardi davvero, in casa siamo poche e dobbiamo darci da fare! Fabrizio non dovrebbe tornare prima di due ore, dato che è andato ad assistere alla riunione del Senato nella Curia.(4*)- disse, con tono complice. Sorrisi ed uscii dalla stanza, entrando poi in quella di Fabrizio: il senso di ordine che mi aveva dato la prima volta che vi ero stata era completamente sparito. Il letto era completamente sfasciato, i cuscini riempiti con piume di cigno(*5) sparsi a terra assieme ai vestiti. Mi chiesi cosa potesse essere successo a Fabrizio per aver lasciato la camera in quel modo: forse, semplicemente, era dovuto andare via di corsa o forse era molto disordinato, avendo chi metteva in ordine per lui. Sospirai forte, non sapendo dove iniziare a mettere apposto: quella camera era davvero un disastro! Decisi che per prima cosa avrei piegato i suoi abiti e avrei portato a lavare quelli sporchi.

Dopo aver diviso i panni macchiati da quelli puliti e aver piegato questi ultimi, iniziai a rifare il letto, cercando di mettere in pratica tutto quello che Attilia aveva provato a insegnarmi. Ogni volta che ci trovavamo a lavorare insieme, la ragazza si stupiva che io non sapessi fare i lavori domestici, nonostante fossi un’ancella.

Avevo appena iniziato a rifare il letto quando la porta dietro di me si spalancò. Il mio cuore iniziò a battere velocemente e mi voltai molto lentamente, pensando inorridita di trovarmi Fabrizio davanti…

-Aurora, sono venuta per dirti che appena hai finito qui serve una mano in cucina… vedo che stai facendo un buon lavoro, continua così!- esclamò Attilia velocemente e senza lasciarmi il tempo di controbattere, se ne andò all’improvviso com’era venuta.

Tirai un respiro di sollievo, sconvolta, avendo temuto il peggio. Ripresi quello che stavo facendo, quando la porta si spalancò di nuovo. Sicura che fosse Attilia, mi voltai dicendo:

-Ho quasi fatto, adesso arriv…- ma non riuscii a terminare la frase, perché vidi Fabrizio davanti ai miei occhi.

-Aurora…- il suo tono di voce era palesemente stupito: non si aspettava di trovarmi lì in quel momento. Io lo guardai per qualche istante negli occhi poi, senza pensarci, mi avviai a passo svelto verso la porta, senza curarmi di aver lasciato il lavoro a metà. Fabrizio capì le mie intenzioni e prima che potessi andarmene mi prese per un polso e mi fermò.

-E’ da un po’ che non ci vediamo… o meglio, che tu non mi vedi… stai cercando di evitarmi?- il suo viso non lasciava trapelare alcuna emozione. Inizialmente non capii le sue parole: cosa voleva dirmi con “o meglio, che tu non mi vedi”? Voleva farmi capire che mi aveva... spiato, in quei giorni? Troppo spaventata da quella situazione per soffermarmi su ciò che aveva detto, risposi titubante:

-N-no… devo soltanto andare a…- ma non riuscii a terminare la frase perché Fabrizio m’interruppe, sorprendendomi:

-E’ inconsueto in fatto che tu non ti ricordi mai ciò che ci siamo promessi io te… capisco che è successo tempo fa, ma pensavo di essere stato chiaro.- non sapevo cosa rispondere, riuscivo soltanto a guardarlo negli occhi, a pensare che fossi notevolmente nei guai e che lui fosse bellissimo. –Non sai mentire Aurora, o per lo meno, non puoi mentire a me… - quelle parole confermarono soltanto ciò che avevo capito da sola. Fabrizio non si fermò e continuò:

-Ho visto molte più cose di quante tu possa credere e conosciuto così tante persone che ho perso il numero da molto tempo… quindi smetti di raccontarmi bugie, mi fai soltanto adirare.- il suo tono da neutro era diventato quasi brusco –Nella mia vita ho incontrato troppe persone che mentivano, dopo un po’, inizio ad averne abbastanza. – smise di parlare, aspettando una mia reazione, che però non arrivò: ero troppo sconvolta dalle sue parole per riuscire a rispondere. Fabrizio sospirò e mi guardò più intensamente negli occhi:

-So che mi stai evitando Aurora e credo anche di sapere il motivo…- parlò ancora, sperando che dicessi qualcosa. Purtroppo non avevo idea di cosa dovessi dire, così rimasi in silenzio. Non avrei di certo potuto rispondere che lo stavo evitando perché avevo paura che mi baciasse di nuovo perchè non avrei fatto nulla per impedirglielo e nemmeno che avevo paura di innamorarmi di lui.

-Non avrei mai voluto spaventarti in quel modo dicendo quelle cose… tu non devi avere paura di me, tutto volevo meno che questo… mi dispiace di quello che è successo, non accadrà mai più.- se fosse stata un’altra persona, avrei detto che il tono di Fabrizio era addolorato per le parole pronunciate. Non riuscii a impedirmi di dire:

-Mi stai chiedendo scusa per quello che hai fatto?- chiesi, non credendo alle parole che erano appena uscite dalla sua bocca.

-Meglio chiedere il perdono che il permesso, non credi? Comunque no… scusa lo chiedono le persone che si sono pentite di ciò che hanno fatto. Ho detto soltanto che mi dispiace di averti spaventata e di aver fatto qualcosa che tu non volevi… e soprattutto di averti fatto sentire un oggetto... - rispose. Non restai troppo stupita dalle sue parole: era ovvio che se non avesse voluto baciarmi non l’avrebbe fatto. Non mi sarei mai aspettata che un generale romano avesse potuto chiedere scusa a un’ancella e in questo nemmeno Fabrizio faceva eccezione, tuttavia il fatto che che gli dispiacesse quanto aveva detto era di certo un punto a suo favore. Sorrisi involontariamente, ma Fabrizio non diede segno di essersene accorto:

-Sbrigati a finire, ho da fare, non voglio averti ancora tra i piedi-disse improvvisamente, riprendendo il suo cipiglio imperscrutabile, anche se il suo tono non era brusco, piuttosto scherzoso.

Se non mi avessi interrotto a quest’ora, avrei già finito, pensai, ma non lo dissi. Tante cose avrei voluto dire in quel momento a Fabrizio, ma decisi che la cosa migliore era rimanere in silenzio.

Immaginai per un momento cosa sarebbe potuto accadere se lui avesse scoperto che io ero una principessa... avrebbe desiderato sposarmi, forse? Avrei mai potuto conquistare il suo cuore o non sarei stata nulla per lui? Scossi la testa scacciando i pensieri, visto che quei sogni non si sarebbero mai potuti realizzare. Quasi leggendomi nella mente lui chiese:

-Non hai nulla da dire?- io sorrisi nuovamente, pensando che più passava il tempo più né io né Fabrizio ci curavamo delle formalità che un’ancella avrebbe dovuto utilizzare con un padrone e questo fatto in parte mi rendeva felice, in parte mi preoccupava.

-Penso che se mi lasciassi fare invece che trattenermi a chiacchierare, avrei già finito!- esclami, divertita dalla sua espressione che da curiosa diventava sorridente.

-Capisco, me ne vado allora- disse avviandosi verso la porta. Prima di uscire però sussurrò:

-Ci rivedremo presto.- e dopo questa promessa che mi lasciò più felice del lecito, se ne andò.


 

Stavo dormendo tranquillamente nel mio letto, stanca come non mai, quando Attilia mi svegliò all’improvviso gridando come se fosse impazzita improvvisamente:

-La cucina va a fuoco! Dobbiamo uscire dalla Villa Aurora, svegliati, corri!- ancora intontita, mi alzai dal letto, ma quanto nelle mie narici penetrò l’odore acre del fumo, mi svegliai di colpo. La camera delle ancelle si trovava molto vicino alla cucina, sebbene non fosse la stanza attigua e c’era il rischio che, se l’incendio non fosse stato domato, saremmo rimaste ferite anche noi.

Attilia era stata l’unica che aveva pensato a svegliarmi, le altre erano fuggite via senza preoccuparsi di niente e nessuno: ancora una volta dovevo esserle grata per tutto quello che faceva per me. Uscita dalla porta, notai che il fumo era arrivato prima delle fiamme, poiché l'uscio della cucina era stato lasciato aperto e nessuno aveva pensato a chiuderlo.

Attilia ed io, uniche rimaste nella zona della servitù, corremmo per i corridoi che iniziavano a riempirsi di fumo. Uscimmo velocemente dall’entrata di servizio e ci ritrovammo per la strada, dove si trovavano anche gli altri servitori della Villa, il padre di Fabrizio e Antonio, che però non si accorse di me. Tutti stavano correndo a cercare dei secchi e dell’acqua per provare a domare l’incendio che, se non fosse stato fermato, avrebbe distrutto l'intera Villa e anche le case circostanti.(*6)

Qualcuno mi disse di dare manforte e di cercare dei secchi e dell’acqua. Stavo per seguire gli altri servitori, ma un pensiero folgorò la mia mente: dov’era Fabrizio? Lo cercai nervosamente con gli occhi tra la folla che si era radunata davanti alla Villa, senza però trovarlo. Mi chiesi se fosse anche lui andato a cercare dell’acqua ma poi vidi suo padre e suo fratello che si guardavano intorno preoccupati come facevo io e capii che lui era rimasto la dentro. Non ci pensai nemmeno un attimo e corsi all’entrata principale della Villa, poiché in confronto all'entrata di servizio, sembrava che il fumo fosse meno presente lì. Entrai velocemente e di corsa mi avviai verso la camera di Fabrizio. Arrivata a destinazione aprii la porta all'improvviso e senza bussare perchè in quel momento non potevo pensare alle buone maniere. Mi accorsi che il fumo aveva raggiunto troppo presto la camera che, ricordai, si trovava proprio sopra la cucina. Fabrizio giaceva sopra al letto senza nemmeno essersi levato i calzari o essersi messo sotto le coperte. Il suo sonno era pesante, lo sentivo dal suo respiro, probabilmente quella sera aveva bevuto troppo ed era per questo che ora, nel sonno, non riusciva a svegliarsi.

-Fabrizio svegliati! Svegliati!La casa va in fiamme!- iniziai a gridare con la voce arrochita dal fumo, che ormai aveva invaso la stanza. Pensai che se non ce ne fossimo andati via al più presto, il fumo ci avrebbe soffocato. Non riuscivo a svegliare Fabrizio, sebbene lo chiamassi ripetutamente, la mia voce che diventava sempre più flebile. Ad un tratto, con un immenso sforzo, lo spinsi giù dal letto e rotolò a terra, battendo la testa sul pavimento e, quindi, svegliandosi. Intontito si guardò attorno e quando entrai nel suo campo visivo disse, sorpreso:

-Ma che cosa...- poi si accorse del fumo e di tutto il resto, a fatica si alzò, aveva preso una bella botta in testa e di certo quello, insieme agli eccessi della sera precedente non lo aiutavano ad avere la mente lucida.

-La Villla sta andando in fiamme, dobbiamo uscire di qui!- urlai, ma la mia voce era troppo flebile per sembrare un urlo. Fabrizio mi prese un polso e uscì dalla porta, corremmo verso le scale, ma dopo aver sceso il primi scalini, inciampai nella corsa e caddi, battendo la testa. Il dolore mi annebbiò la mente e iniziai a vedere tutto in maniera sfocata.

-Alzati Aurora, alzati!- urlò Fabrizio, imprecando poi perchè non riuscivo a tirarmi su. Mi aiutò ad alzarmi e, appoggiandomi a lui, riuscii a muovere qualche passo. Raggiungemmo la fine delle scale, attraversammo più lentamente di quanto ci potessimo permettere i corridoi, tossendo ripetutamente per il fumo che ormai aveva invaso tutta la casa.

Arrivammo davanti alla porta principale ma ci attendeva una brutta sorpresa: non si apriva. Probabilmente qualcuno, non accorgendosi che c'erano ancora delle persone dentro, per evitare che l'incendio si espandesse maggiormente, aveva chiuso la porta principale.

-Come facciamo ora?- chiesi piano, con la voce arrochita, gli occhi che mi bruciavano e la testa dolorante.

Fabrizio imprecò nuovamente con rabbia, colpendo la porta con un pugno. Questo gesto non cambiò le circostanze e il generale si adirò maggiormente.

-Usciamo dalla porta di servizio!- esclami improvvisamente, non trovando altra via di fuga, sebbene sapessi che quella zona della Villa era invasa dal fumo e, ormai, anche dalle fiamme.

Camminai velocemente verso quell'ala della Villa, con Fabrizio dietro. Non riuscivo più a respirare, sentivo il petto in fiamme; svoltammo un angolo e lo spettacolo che ci si presentò davanti era molto più terribile di quanto potessi credere: le fiamme avevano invaso le mura di altre stanze e il fumo era molto denso.

Io, più lucidamente di quanto mi credessi capace, mi misi a terra e feci cenno a Fabrizio di fare lo stesso, non riuscendo più a parlare. Tutti sapevano che il fumo saliva verso l'alto, in quel modo forse avremo avuto qualche possibilità di uscire vivi da quella casa. Annaspammo per i corridoi a lungo, finchè non vidi la porta di servizio davanti a me, chiusa. Non ebbi la forza di alzarmi in piedi e di vedere se era possibile aprirla perchè tutto si fece nero e svenni.



Note dell'autrice
 

(*1) In alcune Ville a Roma si potevano trovare le Bibliothecae, che erano sostanzialmente delle stanze con degli scaffali dove venivano riposte alcune pergamene che secondo il padrone di casa erano importanti.

(2*) Eros, per i latini Amore. Così chiamato da Aurora perchè lei è di origine greca e continua a chiamare i suoi dei con i nomi originali.

(3*) Nelle situazioni di guerra e disordine sociale, il senato sceglieva un dittatore: uomo che aveva potere assoluto e restava in carica per sei mesi. Il suo compito era quello di ristabilire l'ordine.

(*4) Il senato si riuniva nella curia che si trovava nel foro romano. Quando il senato prendeva decisioni importanti che riguardavano la comunità (spesso) chiunque (ad eccezione dei cittadini non liberi) poteva assistere alle riunioni, senza però poter proferire parola.

Il tempo per i romani: avevano 12 ore per il giorno e 12 per la notte ma ogni ora aveva durata ineguale a seconda della stagioni, che oscillava a un massimo di 75 minuti in estate e un minimo di 44 minuti in inverno. Ci troviamo all'inizio della primavera, ecco spiegato perchè Fabrizio torna prima del previsto a casa

(*5)
cuscino, che per i poveri era riempito di fieno o foglie di canna, per i ricchi di lana o addirittura in piume di cigno.

(*6) A Roma le case erano costruite maggiormente con il legno per questo bastava una scintilla affinchè tutto prendesse fuoco

Buongiorno a tutti e buona Domenica!
Eccomi qui puntale con questo nuovo capitolo, questa volta ho avuto più tempo per scrivere, per fortuna!
Vi anticipo che, purtroppo, non so se la prossima settimana riuscirò ad essere puntuale con l'aggiornamento poichè un componente della mia famiglia è stato ricoverato all'ospedale e questo ha causato molti più problemi di quelli che già ci sono! Mi scuso con voi per questo disagio, tuttavia non è detta l'ultima parola!
Ora passiamo alla storia: in questo capitolo succedono molte cose e ho messo molte note per rendere tutto più chiaro possibile, per qualsiasi chiarimento, io sono qui per voi, non esitate a chiedere, anzi mi fa molto piacere rispondere alle vostre domande!
Ricordo che Aurora è una principessa quindi ragiona come tale, non bisogna stupirsi del suo comportamento. Mi scuso per eventuali errori presenti nel capitolo, presto la massima attenzione quando lo rileggo, spero di aver fatto un buon lavoro!
Spero che avrete notato le parole di Fabrizio... chissà cosa pensa il nostro generale di Aurora?
Ringrazio tutte coloro che hanno recensito e\o inserito la storia nelle preferite o ricordate ecc..., le recensioni mi fanno tanto tanto tanto piacere e spero che le risposte siano state soddisfacenti! Mi dispiace di non riuscire ad aggiornare più volte nella settimana, ma proprio non ci riesco, mi dispiace tantissimo, spero potrete scusarmi!
Vi lascio con la foto del nostro bel generale come promesso, ci vediamo al prossimo capitolo,
un saluto

_Renesmee Cullen_



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Capitolo 7
*** Una scintilla ***


CAPITOLO 7 - Una scintilla


 

P.O.V. Fabrizio


 

Il fumo lambiva tutto quello che si trovava intorno a noi e mi impediva di respirare. Vidi la ragazza davanti a me che arrancava per terra, nella speranza di arrivare il prima possibile alla porta di servizio. Non c'era tempo in quel momento per chiedersi perchè avesse cercato di salvarmi la vita: forse, si sentiva in debito con me per tutto quello che avevo fatto per lei. Arrancammo con il busto a terra fino alla porta, ma nel momento in cui avevamo la salvezza davanti, Aurora si fermò, appoggiò il capo a terra e non si mosse più. Cercai di chiamarla, anche se la mia voce era roca:

-Aurora, Aurora siamo arrivati, alzati!- tuttavia la ragazza sembrò non accorgersi dei miei urli. Allungai una mano per scuoterle un caviglia, ma non si svegliò e a fatica cercai di muovermi e di alzarmi. Non mi sarei fatto piegare da un semplice incendio, nella mia carriera militare avevo affrontato situazioni ben peggiori di quella. I postumi degli eccessi della sera precedente, tuttavia, resero lenti ed impacciati i miei movimenti. Non ero solito abbandonarmi agli eccessi, ma la sera prima avevo bevuto qualcosa particolarmente forte ed ero andato a letto con la mente annebbiata.

Misi un piede dietro all'altro e riuscii a toccare la maniglia della porta, che era chiusa. Con non poco sforzo l'abbassai e l'uscio si spalancò. Subito l'aria fresca della notte mi inondò il viso e il corpo, facendomi rabbrividire per il freddo. Respirai una boccata d'aria pulita e tossii forte, liberando i polmoni dal fumo. Mi voltai e vidi che Aurora era ancora accasciata a terra priva di sensi, così senza pensarci un solo istante la presi in braccio e la portai fuori. Davanti ai miei occhi vidi numerose persone che con dei secchi d'acqua si adoperavano per spegnere l'incendio. Vidi mio padre e Antonio, che di trovavano in mezzo alla strada, dirigersi verso di me non appena mi videro uscire dalla Villa, sporco e dolorante mentre andavo in mezzo alla via:

-Fabrizio! Eri ancora dentro casa? Come hai fatto ad uscire? Cosa significa tutto ciò?- chiese mio padre concitatamente indicando Aurora che era inerte tra le mie braccia.

-È stata lei a venirmi a svegliare... sarei morto se non fosse arrivata da me!- esclamai con la voce ancora arrochita e le lacrime agli occhi a causa del fumo.

-Ne riparleremo Fabrizio, ne riparleremo. Adesso porta questa serva al suo posto e aiutaci a domare l'incendio!- il suo tono di voce non ammetteva repliche e sapevo che la questione non era terminata, per lui. Condussi lentamente Aurora da Iginia, che al mio arrivo mi guardò allibita.

-Fabrizio che cosa..?- mi chiese subito, con fare indagatore più del dovuto

-Non c'è tempo per le spiegazioni adesso, Iginia, se Aurora si sveglia falla rimanere alla larga dall'incendio!- dissi, adagiando la ragazza a terra, non trovando altro luogo più confortevole dove posarla. Feci per andarmene, ma Iginia mi fermò all'improvviso dicendo:

-Questa ragazza ti porterà soltanto guai, Generale! Non devi interessarti a lei in questo modo, lo sto dicendo per il tuo bene!- mi disse, facendomi capire che il suo consiglio fosse l'unica cosa giusta da fare, come se lei avesse potuto soltanto immaginare cosa mi passasse nella testa, come se lei avesse potuto comprendere veramente in che situazione mi trovavo io. Nonostante tutto, ero consapevole che ciò che stava affermando era la completa verità, non potevo negarlo.

-Lo so Iginia, lo so...- dissi, con voce quasi inquieta, poi mi voltai di spalle e me ne andai a passo di marcia.


 


 

Il fuoco era stato domato al sorgere dell'alba, dopo circa due ore e non c'erano stati morti perchè tutti nella Villa, al contrario di me, si erano accorti dell'incendio prima che divampasse.

Dopo averlo estirpato fino all'ultima fiamma, ci eravamo accorti che i danni più gravi erano stati inferti solamente alla cucina, ma erano sembrati più estesi a causa del fumo che, la notte precedente, aveva lambito ogni cosa.

Chiuso nella mia camera, respirando a fatica a causa del fumo che ancora avevo nel corpo, non potevo fare a meno di chiedermi il motivo del gesto della ragazza, perchè avesse rischiato la sua vita per salvare la mia. Non dovevo tuttavia indugiare troppo nel pensiero di lei: se l'avessi pensata troppo, l'affetto che provavo sarebbe degenerato. Era soltanto una serva, mentre io ero un generale romano, i miei sentimenti dovevano rimanere consoni alla situazione. Questo però non era facile per me, non quando accadeva che chiudevo gli occhi e vedevo il suo volto con quei meravigliosi occhi azzurri davanti a me, non quando la sognavo di notte e nemmeno quando mi svegliavo con il pensiero delle sue labbra sulle mie. Quel bacio, che forse avevo desiderato dalla prima volta che l'avevo vista, ora mi sembrava uno dei più grandi errori della mia vita. Non dovevo permettere che quel piccolo sentimento per una serva diventasse più grande, che quel desiderio che sentivo di lei sfociasse infine in amore, poiché avrebbe causato sofferenza ad entrambi: era stato uno sbaglio lasciarmi trasportare dalla passione. Dal primo momento in cui l'avevo vista, sola in quel tempio in Grecia, il suo viso dolce e smarrito e il suo corpo snello e sinuoso, mi avevano catturato. Ero abituato ad avere molte donne nel mio letto, come e quando le desiderassi e inizialmente avevo pensato di poter fare così anche con Aurora, ma piano piano, avevo capito che lei non era come le altre, remissive e ignoranti. Aveva un fortissimo senso dell'orgoglio, era una ragazza erudita e in un certo senso, guardando il suo viso, non sarei riuscito a fare nulla per piegarla al mio volere, non quando mi guardava con quello sguardo disarmante e, nonostante tutto, innocente. Una parte della mia mente, inconsapevolmente, voleva indurre quella ragazza ad interessarsi a me, a farle provare quello stesso desiderio che sentivo io fin dal primo momento in cui l'avevo vista. Era forse per questo che avevo deciso di aiutarla e di salvarla da alcune situazioni scomode fin da quando aveva messo piede in territorio repubblicano e, segretamente, anche prima. Ero stato io a chiedere ad uno dei miei servi di seppellire il cadavere di suo fratello, mentre ci trovavamo ancora ad Anticyra.

Durante il ritorno a Roma, quando aveva avuto l'ardore di gettare a terra il baule con le monete d'oro, l'avevo letteralmente strappata dalle grinfie di quel soldato e di mio fratello, che con quella storia non c'entrava niente, perchè la stavano vessando. Avevo lottato con mio fratello, per aiutarla, ma questa era solo una minima parte di ciò che avevo fatto per Aurora.

Quella fatidica sera in cui i sentimenti avevano prevaricato sulla ragione, la ragazza mi aveva chiesto il motivo del mio gesto. Ebbene, nemmeno io sapevo dare una risposta certa a quel quesito. Sapevo perfettamente che mi ero comportato in maniera disonorevole, dicendole quelle cose, ma avevo pronunciato quelle parole perchè, in quel momento, erano le uniche che mi venivano in mente. L'intensione iniziale per cui l'avevo chiamata nella mia stanza quella sera, era la seguente: fin dal primo momento in cui ci eravamo incontrati, era come se il mio sesto senso, ormai sviluppato dopo anni e anni di battaglie, mi diceva che quell'ancella nascondeva qualcosa, che ciò che aveva raccontato a noi romani non era tutta la verità e io avevo intensione di scoprirla. La sua sfrontatezza, il suo orgoglio, la sua istruzione, non erano tipiche di una donna che era vissuta sempre al servizio in una casa signorile. Forse era anche per quello che cercavo di conoscerla meglio che potevo, perchè il mio spirito ansioso di scoprire cose inaspettate mi spingeva a trovare una riposta a tutto quello che non riuscivo a comprendere.

Quando mi aveva fatto capire, forse involontariamente, che quel bacio per lei era stato orribile e che non l'aveva mai voluto, per me era stato come essere colpito da una spada in un combattimento al centro del petto. Non avrei mai confessato i miei sentimenti, non li avrei mai ammessi a nessuno: ero un Generale dell'esercito romano, non avrei mai voluto disonorarmi ammettendo di provare un'attrazione particolare per una serva. Dovevo riuscire a frenare quello che sentivo per Aurora: sapevo che non era amore, anche se mai avevo provato quel sentimento in vita mia, ma dovevo lasciare che si spegnesse come le scintille dell'incendio domato la sera precedente. Se, come era successo nelle cucine, avessi lasciato che quella piccola scintilla fosse lasciata in libertà, sarebbe potuto scoppiare un incendio.


 

Quel pomeriggio, inaspettatamente, qualcuno bussò all'uscio della mia stanza. Mi alzai lentamente dal letto ed andai ad aprire, trovandomi davanti mio padre, con il viso austero e corrucciato.

-Salve, padre.- dissi, titubante, non capendo perchè non mi avesse mandato a chiamare da un servo ma avesse preferito venire lui stesso da me.

-Salve, Fabrizio.- mi disse in tono freddo, più di quanto facesse di solito.

-A cosa devo la tua visita?- chiesi preoccupato, sapendo che quella non era di certo una bella situazione.

-Sono venuto per chiederti, di nuovo, cosa ti sta succedendo, figlio mio!- esclamò concitatamente. Il suo viso divenne paonazzo, strinse i pugni e sebbene l'età avanzata, fui sicuro che avrebbe avuto la forza necessaria a gettarmi a terra con uno schiaffo o un pungo, se avesse voluto. Mio padre, tuttavia, non era propenso a infliggermi punizioni corporali da quando avevo raggiunto la maggiore età poiché credeva che fossi abbastanza maturo per comprendere i miei errori.

-Padre non so di cosa...- iniziai, ma dissi la cosa sbagliata, poiché il senatore si infuriò:

-Hai il coraggio di chiedermi di cosa sto parlando dopo che ti sei fatto salvare da una serva!? Da una donna! Ti rendi conto del disonore che hai arrecato a te stesso ed alla tua famiglia?- prese fiato, ma il suo viso rimaneva dello stesso colore e il suo tono di voce non scendeva -sarai punito per questo, figlio, sarai severamente punito! Hai anche osato uscire da questa casa, con quella donna tra le braccia! Hai lasciato che il disonore macchiasse il tuo sangue!- non riuscivo a controbattere a quanto mi stava dicendo -Cosa diranno di me in Senato? Cosa penseranno i tuoi commilitoni di te? Un Generale che si fa trarre in salvo da una schiava, da una donna! Hai fatto la figura di un uomo che non sa badare a se stesso, che non riesce a svegliarsi di notte solo perchè ha bevuto un po' troppo, ma ti dico, Quinto Fabrizio Galba, che avrei preferito che tu morissi, anzi, che foste morti entrambi, piuttosto che arrivare a tale situazione!- smise di urlare ed io rimasi in silenzio. Sapevo cosa avrebbe preferito mio padre e, se fossi stato lucido, di certo avrei anche io preferito morire più che farmi salvare da una donna. Avrei comunque avuto una morte indegna, solo nel mio letto, perchè non ero riuscito a svegliarmi. Cercai di porre rimedio a quella situazione vergognosa:

-Padre... se fossi deceduto nel mio giaciglio, avrei avuto una morte ignobile. Ora invece, posso cercare di risanare il danno compiuto e avere ancora una morte gloriosa.- dissi, sicuro. Mio padre non disse nulla e dopo poco continuò, sempre ad alta voce ma non urlando come prima:

-Non è finita qui! Ho anche saputo che tu hai osato introdurre nella tua stanza, quella stessa serva che ti ha miseramente salvato, senza il mio permesso! Come hai potuto? Dopo tutto quello che ho fatto per te, dopo averti levato dalla strada quando eri ancora in fasce, dopo averti cresciuto ed educato come se fossi figlio mio, è così che mi ripaghi? In tutti questi anni non mi hai mai deluso così tanto, ragazzo, mai. Te lo ripeto: sappi che sarai punito per i tuoi errori e non lo faccio perchè voglio il tuo male, ma perchè una volta che io sarò morto, sarai a tu a dover prendere il mio posto in Senato e un uomo che non rispetta il mos maiorum (1*) infanga il nome della sua famiglia, del Senato e quello di Roma!- detto questo, si voltò e senza aggiungere altro, con i pugni ancora stretti, uscì dalla camera sbattendosi la porta alle spalle. Mi gettai sul letto, mettendo le mani sul viso: in qualche modo mio padre era venuto a sapere di quello che gli avevo tenuto nascosto, purtroppo, anche se non sapevo chi avesse potuto dirglielo. Avrei voluto tagliare la lingua a tutta la servitù che si trovava in quella casa, ma ormai il danno era fatto e tutte queste cose mi insegnavano a tenere per me e basta i miei segreti e a non essere più così magnanimo con chi non dovevo. Dentro di me però, dopo ore ed ore di riflessione, avevo capito che sarei stato sempre pronto ad aiutare Aurora e che, nonostante tutto, non volevo nemmeno non vederla più. Era solo l'inizio di tutti i miei problemi.


P.O.V. Aurora


All'alba mi svegliai improvvisamente, tossendo, trovandomi stesa a terra, gli abiti sporchi di polvere come i capelli. Mi guardai intorno, non capendo dove mi trovassi e con la vista annebbiata, così mi misi a sedere. Le persone erano riunite in gruppi ed indaffarate a chiacchierare e a spettegolare, probabilmente sugli ultimi avvenimenti interessanti della giornta. In quel momento, vedendo un rivolo di fumo uscire da una casa, ricordai quello che era successo durante la notte, di quello che avevo fatto e come fossi svenuta ad un passo dalla salvezza.

Vidi una ragazza con due grandi occhi castani da bambina e lo sguardo innocente venire verso di me e riconobbi subito Attilia.

-Aurora, finalmente ti sei svegliata!- mi disse, preoccupata. Tossii, il petto in fiamme e Attilia mi scosse per le spalle.

-Come stai, come ti senti?- chiese di nuovo la ragazzina concitatamente.

-Dammi dell'acqua Attilia, dammi dell'acqua- le dissi con voce rauca. Quella, preoccupata, prese con due mani due secchi d'acqua che si trovavano poco distanti, probabilmente lasciati li se fosse servito spegnere qualche scintilla e me ne porse uno. Immersi le mani nell'acqua ed iniziai a bere a lunghe sorsate, quando Attilia mi versò in testa l'altro secchio, bagnandomi da capo a piedi.

-Attilia! Ma cosa...- iniziai, cominciando a tremare per il freddo della mattina e per il vento ghiacciato che colpiva la mia pelle, ormai bagnata.

-Dai tuoi vestiti uscivano dei fili di fumo!- disse, come se non ne avesse mai visto in vita sua.

-Attilia, è normale... ho rischiato di morire bruciata... non vado a fuoco, tranquilla, piuttosto morirò congelata, se non mi porti una coperta o qualcosa!- sbraitai concitatamente, mentre la giovane ancella si guardava intorno senza sapere dove andare. Stavo davvero congelando e di certo mi sarebbe successo qualcosa se non mi fossi scaldata in qualche modo! Attilia si guardava intorno agitata, senza sapere cosa fare:

-L'alloggio della servitù non è agibile per adesso, non si sa dove dormiremo questa notte, forse nel cortile, ma non so dove siano le coperte....- iniziò. Iginia mi vide stessa a terra bagnata d'acqua ed anche lei venne verso di me, confare accusatorio.

-Che cosa state facendo voi due? Vi sembra il momento adatto per fare il bagno o per mettervi a giocare?- chiese, con uno tono che non era il solito gioviale che utilizzava con me.

Attilia le spiegò cosa fosse successo e che la colpa di tutto ciò non fosse mia.

-Adesso te lo tieni!- mi disse e davvero non capivo perchè Iginia, sempre cortese e gentile con me come con le altre ancelle, si stesse comportando in quel modo.

-Più tardi vedremo cosa fare, ora abbiamo problemi ben più gravi da risolvere!- detto questo ci voltò le spalle e se ne andò.

Guardai Attila con fare accusatorio ma mi intenerii: in fondo quella povera ragazza si preoccupava per me. Espressi la domanda che già da un po' mi rimbombava nella testa:

-Attilia... come ho fatto ad uscire dalla Villa? Ricordo solo di essere svenuta e...- non riuscii ad andare avanti, poiché gli avvenimenti seguenti alla mia perdita di sensi mi erano ignoti.

Attilia si guardò intorno e, mettendosi una mano davanti alla bocca, con fare confidenziale si accostò a me e disse:

-È stato il Generale Fabrizio che tra lo sguardo attonito di tutti ti ha portato in salvo fuori dalla Villa! Stai tranquilla però: tutti sanno che sei stata tu a salvarlo, infatti ti hanno vista entrare nella casa ancora in fiamme! Non si fa altro che parlare di te, sei un'eroina che...- come al solito l'ancella si perse in chiacchiere inutili, che non avevo voglia di ascoltare. In quel momento, nonostante tutto, riuscivo solo a pensare che Fabrizio mi aveva salvata dalla morte ancora una volta.


 

Nel pomeriggio quasi tutto era tornato alla normalità: ci eravamo accorti che soltanto la cucina era rimasta danneggiata dalle fiamme e le pareti dell'alloggio della schiavitù erano annerite e dentro si respirava un odore di chiuso e di bruciato. Dall'alloggio erano state recuperate delle coperte, che erano state riposte in un angolo del cortile interno affinchè la servitù si ritirasse lì per quella notte. Una di quelle l'avevo avvolta intorno al corpo, per scaldarmi, in attesa che i miei abiti e i miei capelli si asciugassero. Durante quelle ore, fui affaccendata per aiutare le altre ancelle a mettere tutto in ordine, visto che la Villa era stata lasciata nel disordine più totale. Alcuni degli abiti che erano da lavare che si trovavano nella piccola stanza attigua alla stanza della servitù, si erano impregnati di un odore intenso di fumo e avevamo dovuto fargli prendere aria prima e lavarli più volte poi. Iniziai a tossire e starnutire poco dopo che i vestiti si furono asciugati definitivamente. Sentivo la gola in fiamme e la testa pensate, tuttavia questo non interessava a nessuno e dovevo tenerlo per me: sentirmi male di certo non mi avrebbe evitato i compiti che mi erano stati assegnati.

Mentre stavo portando una cesta di panni asciutti dentro casa per aiutare Attilia a smistarli, su un piccolo corridoio al lato destro, vidi il Senatore che stava parlando concitatamente con il capo cuoco che lo guardava preoccupato.

-Come può essere successa una cosa simile, Gaio? Come hai fatto a lasciare il fuoco acceso in cucina?- chiese concitatamente l'anziano uomo.

-Padrone, non può essere, io controllo molto attentamente la cucina prima di andarmene, proprio per evitare che accadano fatti del genere.- disse il capocuoco sicuro. Durante il periodo che avevo passato in casa di Fabrizio, avevo potuto notare che quell'uomo svolgeva il suo lavoro in maniera molto efficiente e, si poteva quasi dire, amasse cucinare certe pietanze sostanziose e succulente.

-Gaio, dimmi la verità, sono tanti anni che lavori qui e che esegui in maniera egregia il tuo compito, non succederà nulla se confessi di esserti ubriacato e aver lasciato acceso il fuoco... o di non averlo spento ben...- ma il Senatore non riuscì a finire di parlare che il suo servo lo interruppe:

-No padrone, ieri sera ero sobrio, proprio come sono ora. Siamo stati io e Iginia a controllare che tutto fosse apposto. Agli occhi di una persona alcune cose possono sfuggire, non a quelli di due.- e dopo aver detto questo prese fiato e si accertò che il senatore gli stesse prestando attenzione, così continuò -Inoltre io chiudo sempre a chiave la porta della cucina: non voglio che qualche servo affamato si rechi a rubare le scorte o a insozzare il pavimento con le scarpe sudice o, peggio ancora, a distruggere qualcosa. La chiave della cucina è ancora qui, nella mia tasca, dove l'ho riposta ieri sera.- così dicendo la tirò fuori da una tasca della tunica lisa -la porta ieri notte era aperta, così come l'abbiamo trovata questa stessa mattina. Ci sono schiavi e ancelle che possono testimoniare ciò. L'incendio è stato appiccato da qualcuno, padrone, ne sono sicuro!- disse e nella sua voce c'era una nota di forte preoccupazione -Qualcuno attenta alla tua vita o a quella dei tuoi figli! Da troppo tempo a Roma stanno succedendo fatti a strani a voi Senatori, lo sai meglio di me!- il viso del capocuoco era diventato rosso come la porpora.

-Gaio- disse il Senatore con una nota stonata nella voce -sei un servo fidato, non ho dubbi sulle tue parole. Qualcuno è stato pagato per compiere questo atto. Potrebbe essere stata una ancella, un servo, una guardia, chiunque...- Publio Cornelio Galba si guardò intorno e abbassò il tono della voce -per questo ti chiedo un grandissimo favore, Gaio: tieni d'occhio i servitori di questa casa, dirò di fare lo stesso ad Iginia con le ancelle, io per primo mi occuperò delle guardie. La salute di questa famiglia è anche nelle tue mani Gaio, mi aspetto che qualsiasi cosa sospetta tu noti, anche la più sciocca, mi sia riferita.- disse il Senatore.

-Certo padrone, servo questa casa da anni e farò di tutto per aiutarti!- detto questo i due si separarono.

Continuai a camminare con la cesta tra le mani pensando a ciò che avevo sentito: dunque l'incendio non era scoppiato a causa della noncuranza del capocuoco, ma perchè qualcuno lo aveva progettato: qualcuno voleva uccidere la famiglia del Senatore. Persa nei miei pensieri, non mi accorsi di un'ancella che si trovava di fronte a me e la urtai.

-Scusami!- dissi mortificata -non mi sono accorta che c'eri tu davanti a me!- mi scusai. La ragazza, alta e con i capelli castani corti, sorrise calorosamente:

-Non ti preoccupare, tranquilla! Anche io sono molto sbadata!- dopo aver detto questo, si allontanò da me quasi di corsa e da una tasca della veste le scivolò a terra una piccola moneta d'oro che, senza produrre alcun rumore sul pavimento, rotolò fino ai miei piedi. La raccolsi e senza farmi vedere da nessuno, la misi dentro la scollatura della veste: dovevo avvertire Fabrizio.


 

La sera stessa, dopo aver finito tutti i miei compiti, mi recai da Fabrizio di corsa: dovevo fargli assolutamente sapere quello che avevo scoperto.

Bussai alla porta della sua stanza e non aspettai nemmeno che dicesse avanti, perchè entrai. Lo trovai steso sul letto, a petto nudo, mentre contemplava il soffitto. Arrossii improvvisamente e fissai il mio sguardo a terra.

-Aurora... cosa ci fai qui?- mi chiese curioso, ma tranquillo. Mi guardai intorno cercando di non fissare il suo torace muscoloso che si alzava ed abbassava lentamente.

-I-io ho scoperto delle cose, devo dirti... io...- balbettai, senza dare un senso alla mia frase. Fabrizio alzò un angolo della bocca e disse:

-Calmati, cosa è successo? Vieni a sederti e dimmi tutto- non potendo rifiutare la sua proposta, poiché avevo questioni più spinose da affrontare, mettendo un piede dietro l'altro, arrivai davanti al letto di Fabrizio e molto lentamente mi ci sedetti sopra a gambe incrociate, prestando attenzione che la veste mi coprisse le gambe.

Quella situazione era piuttosto particolare: io e Fabrzio eravamo seduti l'uno di fronte all'altra sopra un letto, come facevamo io e mio fratello quando ci confidavamo i segreti. Non riuscii a non arrossire di nuovo e per evitare il suo sguardo mi misi a fissare le coperte del letto.

-Avanti, sono curioso di sapere cosa hai da dirmi- mi incitò. Sentivo il suo sguardo addosso e proprio per questo non riuscivo a sollevare il mio.

-Poche ore fa, ho saputo che l'incendio è stato appiccato da qualcuno, non è stato un semplice incidente...- iniziai, ma Fabrizio mi fermò

-Se sei venuta per dirmi questo, ti ringrazio, ma arrivi tardi: ho già saputo tutto tempo fa. Me ne ha parlato Antonio...- questa volta lo interruppi io:

-Sono venuta per dirti che ho visto che dalla tasca di una ancella è caduta questa moneta d'oro- dissi e tirai fuori quell'oggetto.

Fabrizio mi guardò pensieroso poi disse:

-Ti è sembrato strano che una ancella avesse in tasca una moneta d'oro?- il suo tono di voce era quasi divertito. Pensava che mi stessi preoccupando per nulla?

-Si, perchè Iginia, quando andiamo a fare compere, ci consegna solo delle monete di bronzo. Ha detto che quelle d'oro sono di immenso valore e non vengono mai lasciate in mano ai servi. Inoltre, solo un uomo importante possiede monete d'oro quindi le possibilità sono due: o ha rubato questa moneta insieme ad altre, o è stata pagata da qualcuno per appiccare l'incendio!- dissi concitatamente e senza volerlo mi ero accostata di più a Fabrizio e il suo volto si trovava ad un soffio dal mio.

-Perspicace deduzione Aurora, ma chi mi dice che l'incendio non l'abbia fatto divampare tu stessa, dopo essere stata pagata? Scusatio non petita, accusatio manifesta (2*)...- disse. Mi stizzii: dopo quello che avevo fatto, aveva anche il coraggio di accusarmi di quelle cose?

-Se avessi voluto appiccare un incendio non credi che il mio scopo sarebbe stato quantomeno quello di uccidere un membro di questa famiglia? Se così fosse ti avrei lasciato bruciare tra le fiamme e non avrei rischiato la mia vita per salvare la tua!- esclamai indignata. A differenza di Fabrizio, che tutte le volte che mi aveva aiutata l'aveva fatto sempre in maniera quasi segreta, senza mai insistere sull'argomento con me, io gli avevo rinfacciato il mio gesto senza pensarci due volte: come poteva credere una cosa simile?

Il Generale abbassò lo sguardo, colpevole e sussurrò:

-Hai perfettamente ragione... non ti ho nemmeno ringraziato per il tuo gesto... le tue informazioni mi sono davvero utili, farò rapporto a mio padre...- il suo tono di voce sembrava triste e mi sentii responsabile per quanto avevo detto.

-Non devi ringraziarmi, è il minimo che io possa fare per sdebitarmi dopo tutto quello che tu hai fatto per me...- ma non riuscii a terminare la frase poiché iniziai a tossire convulsamente

-Aurora, cosa ti sta succedendo?- chiese Fabrizio, quasi preoccupato.

-Mi è stato tirato un secchio d'acqua addosso, è tutto di oggi che lavoro con la veste bagnata, anche se ora si è asciugata e credo che mi abbia fatto male. Anche i capelli erano tutti bagnati, prima- ripresi a tossire, questa volta più forte di prima.

-Credo che tu abbia preso solo una brutta freddura. Fatti dare da Iginia qualche tisana, o puoi comprarla al Foro se riesci- mi disse. Io annuii, la testa pesante. Fabrizio notò la mia espressione e vide che i miei occhi erano lucidi.

-Hai la febbre?- mi chiese. Io scossi la testa, non mi sentivo poi così male, ma Fabrizio si accostò a me e posò le sue labbra sulla mia fronte. Rimase così per un po' mentre io restavo immobile senza spostarmi di un'unghia.

-Credo che tu abbia un po' di febbre, non puoi dormire al freddo sta notte... aspettami qui, torno subito- scese dal letto e se ne andò dalla camera. Con la testa pesante mi stesi un attimo sul giaciglio morbido, ma non appena posai la testa, involontariamente mi addormentai, proprio sul letto di Fabrizio.



Note dell'autrice
 

(1*) Il “mos maiorum”, letteralmente è il “costume degli avi”: un insieme di credenze secondo cui si basavano i comportamenti dei romani degni di essere definiti tali

(2*) “scusatio non petita, accusatio manifesta” detto latino che significa “una scusa non richiesta, esplicita una colpa”

Buonasera a tutti! Buon inizio settimana!
Mi scuso per non aver postato ieri, ma come avevo già anticipato nel capitolo precedente, ho avuto dei problemi in famiglia e non ho potuto aggiornare ieri. Fortunatamente tutto sta migliorando, quindi vi assicuro che Domenica prossima sarò puntuale con il prossimo capitolo! (anche perchè finisce la scuola ed avrò molto tempo per scrivere!)
Passiamo al capitolo: ecco qui il tanto atteso POV di Fabrizio... spero vivamente di non aver deluso nessuno di voi e di aver soddisfatto le vostre aspettatice, chiarendo i vostri dubbi! Se così non fosse, fatemelo sapere, provvederò con piacere a rispondere a tutte le nostre domande e a chiarire ciò che non avete capito! Chi sarà stato ad appiccare l'incendio? Per ora non ci è dato saperlo! Vi lascio con la foto della nostra piccola Attilia
Grazie mille per la pazineza che avete dimostrato, aggiornerò Domenica
un saluto,

_Renesmee Cullen_



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Capitolo 8
*** Rivelazioni ***


CAPITOLO 8 - Rivelazioni



Mi svegliai avvolta da coperte morbide e sopra un materasso altrettanto confortevole. Mi guardai intorno e di nuovo, come era accaduto qualche tempo prima, mi accorsi di non trovarmi nella stanza delle ancelle. Sapevo fin troppo bene dove stessi questa volta e ancora non potei fare a meno di pensare che più cercavo di evitare Fabrizio, più la mia vita si intrecciava alla sua. Non sarei mai riuscita a sfuggire al destino...

Mi girai nel letto, starnutii e mi accorsi che sopra la cassapanca era stato riposto un vassoio su cui erano appoggiati un contenitore con un fluido verde chiaro dentro, qualche fetta di pane nero con del formaggio e una brocca d'acqua. Presi il vassoio e lo appoggiai sulle gambe. Afferrai la ciotola tiepida con le mani e iniziai a sorseggiarne il contenuto, accorgendomi che sotto il contenitore si trovava un piccolo pezzo di pergamena che diceva:


 

Dentro la ciotola c'è una tisana che ti aiuterà a far abbassare la febbre e a curare il mal di testa. Bevi molta acqua e resta al caldo sotto le coperte: ho parlato personalmente con Iginia e oggi tu hai una giornata libera dal lavoro, riposati, ti sentirai molto meglio domani!

Ti auguro una pronta guarigione, a presto

Fabrizio.


 

Sorrisi, pensando che a quell'uomo piaceva particolarmente scrivere biglietti, al fatto che Fabrizio mi avesse lasciato dormire sul suo letto senza svegliarmi e che avesse personalmente chiesto ad Iginia di lasciarmi una giornata libera per farmi guarire... ci doveva per forza essere qualcosa sotto a quegli avvenimenti. Non riuscivo a spiegarmi il motivo del suo interesse costante per me e sebbene non facessi altro che domandarmi la ragione dei suoi gesti, non riuscivo a trovare una risposta logica e che avesse senso, a quei quesiti. Scossi la testa, pensando che quel giorno avrei dovuto soltanto rilassarmi: il fatto di avere una giornata libera, mi tirava parecchio su di morale e non potevo sprecare le mie energie riflettendo su domande alle quali probabilmente mai avrei saputo rispondere


 

Mi rilassai per tutta la giornata e non vidi nessuno fuorchè un'ancella che venne a portarmi il pranzo e la cena. Fu soltanto di notte che qualcuno bussò alla porta della mia stanza.

-Avanti.- dissi, curiosa di sapere chi fosse venuto a trovarmi a quell'ora. L'uscio si aprì e Fabrizio entrò nella stanza: non sembrava rilassato come la sera precedente, anzi le sue sopracciglia erano piegate in un cipiglio preoccupato.

-Salve- dissi, molto più tranquilla di quanto in realtà avrei potuto e dovuto essere, tranquillizzata da un giorno intero di riposo.

-Salve, Aurora...- iniziò Fabrizio, volendo dire qualcos'altro ma rimanendo poi in silenzio. Fece qualche passo avanti e indietro per la stanza per poi decidersi a sedersi al bordo del letto, davanti a me.

-Come ti senti questa sera?- chiese più per cortesia che per reale interesse, a quanto sembrava.

-Molto meglio...- iniziai, esitando ad esprimere la mia gratitudine, ma poi mi feci coraggio -Grazie davvero... per quello che hai fatto ancora una volta per me... avevo davvero bisogno di riposare, oggi.- il mio tono di voce era davvero riconoscente.

-Lo so, è per questo che ho chiesto ad Iginia di lasciarti un giorno libero dal lavoro- questa volta mi sorrise più calorosamente di prima, ma dal suo viso non se ne andò quell'espressione di paura celata mista a preoccupazione. Celata perchè un uomo del rango di Fabrizio non avrebbe mai ammesso di essere terrorizzato da qualcuno o qualcosa. Dubitavo fortemente che la sua visita fosse stata di cortesia (anche se conoscendolo, non si potevano mai prevedere le sue intenzioni) così esplicai tutte le mie domande:

-Cosa sei venuto a dirmi, Fabrizio?- chiesi curiosa. Lui fece un mezzo sorriso alzando solo un angolo della bocca:

-Cosa ti fa pensare che io sia venuto qui per dire qualcosa a te?- disse, enfatizzando quel “te” in maniera alquanto negativa, quasi a voler ribadire che a me non poteva essere raccontato nulla di importante poiché ero solo un'ancella.

-Se non dovevi dirmi nulla non saresti venuto qui, non credi? Potresti dirmi anche qualcosa come “vattene” oppure “sparisci” ma comunque avresti detto qualcosa- affermai, con fare saccente. Fabrizio scoppiò a ridere e il volto per la prima volta quella sera si distese in un'espressione rilassata.

-Il tuo ragionamento non fa un piega, anche se potrei controbattere su qualche punto...- il suo sorriso si spense all'improvviso così come era venuto e lui continuò -ma sono venuto veramente per informarti di una cosa che credo ti interesserebbe sapere-

Mi feci attenta e sollevai la testa dai cuscini, in attesa di sapere cosa avesse da dirmi di così importante da essersi recato personalmente da me.

-Sappi che non è stata l'ancella che hai visto tu ad appiccare il fuoco alla Villa, l'altra sera- disse a bassa voce, quasi con fare circospetto, come se qualcuno avesse potuto udire la nostra conversazione.

-Che cosa vuoi dire? Non capisco- dissi, dubbiosa, non riuscendo a capire come mai Fabrizio fosse tanto sicuro della sua ipotesi.

Il Generale si prese qualche istante per rispondere, guardandomi fisso negli occhi in maniera intensa:

-Questa mattina mi sono svegliato presto- e non potei fare a meno di domandarmi dove avesse dormito, ma non lo dissi ad alta voce e lo lasciai continuare

-Sono andato da Iginia e le ho chiesto chi fosse quella ancella che hai visto tu ieri, e glie l'ho descritta come hai fatto tu con me. Ora però ti chiedo di risponder a questa domanda: l'avevi mai vista prima d'ora?- chiese, interessato. Aggrottai le sopracciglia: non avevo pensato a quella evenienza. In effetti, non avevo mai visto quella ragazza prima di ieri...

-No... sono quasi sicura di non averla mai vista in vita mia...- risposi titubante –per quale motivo me lo chiedi?- ero davvero molto sospettosa dal suo comportamento.

-Perchè proprio ieri una ragazza è stata mandata qui a consegnare dei documenti a mio padre per conto di un suo amico... credo che lui l'abbia pagata ed è per questo che portava con se delle monete d'oro.- disse -Parlerò domani per avere la conferma di questa ipotesi, ma credo sia così...- lasciò la frase in sospeso ed io spalancai gli occhi: dunque le mie ipotesi erano del tutto errate... mi sentii davvero stupida in quel momento.

-Quindi tutto ciò che pensavo si è rivelato una mensogna?- chiesi, quasi con la voce incrinata dal pianto: avevo davvero pensato di essere stata utile a Fabrizio, ma quello che avevo fatto, si poteva quasi dire che l'aveva portato fuori strada. Lui annuì ma poi vedendo la mia faccia si riprese:

-Tuttavia è certo che l'incendio sia stato appiccato da qualcuno che voleva uccidere me e la mia famiglia, qualcuno che abita dentro questa casa.- Il suo tono era tetro: se il giorno prima pensavamo di avere qualche indizio per scovare il colpevole di quella vicenda, ora eravamo da capo.

-C'è anche un'altra cosa che devi sapere- continuò e il suo tono di voce era diventata un sussurro -il vero bersaglio di questo qualcuno ero io- disse. Spalancai ulteriormente gli occhi:

-Come può essere? Come fai a saperlo?- chiesi, incredula.

-Sempre questa mattina, sono passato nelle cucine per controllare se i lavori di restaurazione stessero procedendo per il meglio e mi sono accorto che sul fondo di una brocca che contiene il vino si era depositata una polvere di cui non comprendevo l'origine.- spiegò -quella brocca però era ancora quasi del tutto piena e questo vuol dire che è stata versata da un servitore che serviva al tavolo ad una sola persona. A dimostrazione di questo, tutte le altre brocche che contenevano lo stesso vino sono vuote o quasi.- inizialmente non riuscivo a comprendere il suo ragionamento, ma man mano che parlava, le sue parole diventavano più chiare -Dopo aver preso quella polvere, sono andato da un uomo di fiducia che si intende di queste sostanze: costui mi ha detto che quella polvere era un sonnifero.- Fabrizio si fermò, attendendo che io comprendessi il significato delle sue parole e in quel momento capii molte cose:

-Stai forse dicendo che qualcuno ha versato nel tuo bicchiere del vino, per così dire, avvelenato ed è proprio per questo che tu quella notte non ti sei svegliato e non sono riuscita io stessa a svegliarti?- chiesi, non riuscendo a credere davvero alle sue parole. Fabrizio annuì.

-Quindi basta scoprire chi c'era quella sera a servizio a tavola e il colpevole verrà scoperto...- iniziai, entusiasta, ma Fabrizio non mi lasciò terminare, frenando la mia contentezza:

-Non è così facile, potrebbe essere stato qualcun altro ad introdurre quella polvere... o magari le persona in combutta sono due...- proseguì, sempre più pensieroso. Restammo in silenzio per qualche minuto ancora, poi Fabrizio continuò, questa volta in tono titubante:

-Aurora... io... voglio ringraziarti dell'aiuto che mi hai dato, ma ti chiedo di non indagare più su questa faccenda.- quella frase suonava quasi come un ordine. Mi dispiacquero molto le sue parole: sapevo che lo avevo condotto su una pista sbagliata, ma l'avevo fatto con nobili intenzioni.

-M-mi dispiace- balbettai mortificata -io non avrei mai voluto che le mie informazioni si dimostrassero fasulle...- ma Fabrizio mi interruppe dicendo, con mia grande sorpresa:

-Ti sto dicendo questo perchè se questa persona si dovesse accorgere che tu stai cercando di smascherarla, potrebbe ucciderti... e tu non sai difendere te stessa e non hai nessuno che può farlo. Inoltre sei una ancella, devi occuparti delle cose che riguardano il tuo ambito- disse, abbassando lo sguardo. Si alzò dal letto e fece per andarsene, quasi tristemente, ma io mi sporsi e lo presi per un polso. Si voltò verso di me stupito ed io arrossi per il suo sguardo intenso:

-Aspetta...- dissi e in quel momento avrei voluto rivelargli tante cose: ringraziarlo ancora una volta per ciò che aveva fatto quel giorno per me, dirgli che non mi interessava di rischiare la vita per venire a capo di quella faccenda, ma che se me lo avesse chiesto probabilmente per lui lo avrei fatto. Mi sarebbe tanto piaciuto che fosse rimasto con me a parlare ancora a lungo quella notte poiché quando parlavo con lui mi sentivo felice e capita e inoltre dopo tutti quegli avvenimenti avevo paura di restare da sola in quella camera... tuttavia quello che uscì dalle mie labbra non fu niente di tutto ciò:

-Dove devo dormire sta notte?- chiesi semplicemente. Fabrizio strattonò il suo polso dalla mia presa quasi in modo brusco e rispose:

-Resta qui fino a domani mattina. All'alba però dovrai andartene per riprendere a lavorare.- prima che se ne andasse chiesi di nuovo:

-Dove dormirai tu questa notte?- il mio tono era più premuroso e preoccupato del dovuto.

-Preferisco andare a dormire nella stalla con il mio cavallo piuttosto che in altri posti- disse, in tono stanco, m io non capii a cosa si stesse riferendo.

-Ma potrebbe essere pericoloso, se qualcuno vuole ucciderti potrebbe farlo nel sonno...- iniziai, non sapendo nemmeno io dove volessi arrivare con le mie parole. Fabrizio fece un mezzo sorriso, capendo forse ciò che sfuggiva a me stessa:

-Se questo qualcuno voleva uccidermi dopo avermi addormentato e attraverso un incidente, non avrà di certo il coraggio di venirmi a uccidere nel sonno. Con il mio addestramento militare, tuttavia, quando i miei sensi non sono impediti, posso svegliarmi al minimo rumore... buonanotte- e detto questo dopo avermi guardato ancora per qualche istante, se ne andò sbattendosi la porta alle spalle.

Tirai le coperte fino a sopra i capelli, come facevo quando ero piccola e avevo paura di restare sola chiedendomi cosa sarebbe successo se avessi avuto il coraggio di chiedergli di restare con me. Fortunatamente non lo avevo avuto, anche perchè sarei stata umiliata ulteriormente da un suo rifiuto. Non potevo permettermi di pensare ancora a lui in maniera sbagliata, io ero una serva... e lui un nobile. Dovevo smettere di provare quei sentimenti per lui. Nonostante tutto, mentre mi ripetevo tutte quelle parole sapendo che fossero la verità, mi addormentai immaginando per un solo istante come sarebbe potuto essere dormire abbracciata a Fabrizio.


 

La mattina seguente, dopo essermi svegliata completamente guarita dalla febbre (anche se non dal bruciore di gola) e dopo aver ricevuto la lista delle cose da fare per quella giornata, mi avviai come solito al fiume a lavare gli indumenti. Quella mattina anche Attilia doveva venire con me ma né Iginia né nessun'altra riusciva a trovarla. Alla fine, essendo tutti troppo indaffarati nei propri compiti, lasciarono perdere la ricerca ma io non feci altrettanto. Sapendo che, giovane e innocente come era non poteva essere andata in nessun luogo lontano, mi limitai a cercarla nei dintorni della Villa, mentre mi avviavo verso il fiume. La trovai in un vicolo stretto e angusto, mentre piangeva disperatamente. Posai a terra il cesto con i panni sporchi e corsi subito da lei ad abbracciarla. Appena Attilia si accorse della mia presenza mi guardò, si coprì il volto con le mani e quasi urlò:

-Vattene, vattene di qui. Voglio stare da sola...- ma non la lasciai finire e mi sedetti vicino a lei. Attilia mi guardò con gli occhi rossi e gonfi, segno che era da tempo che stava piangendo.

-Attilia cosa è successo? Perchè piangi in questo modo?- chiesi preoccupata.

-Non importa, non ti deve interessare- e dicendo questo iniziò a piangere più forte. Strinsi il suo piccolo corpicino di bambina quasi, tra le braccia, cercando di confortarla:

-Attilia, a me importa di quello che ti succede, voglio consolarti... è questo che fa un'amica giusto? Me lo hai dimostrato tante volte tu, anche venendo a svegliarmi l'altra notte quando...- ma non lasciò che terminassi la frase che pianse ancora più forte. Non riuscivo a comprendere il motivo del suo comportamento. Forse qualcuno le aveva fatto del male o detto qualcosa di brutto?

-Attilia ti prego, dimmi cosa sta succedendo, non riesco a vederti così disperata- e anche il mio tono di voce diventò avvilito alla vista della ragazzina che si trovava in quello stato.

-Aurora, tu sei la sola amica che ho... posso fidarmi di te? Devo raccontarti un segreto enorme... forse mi odierai dopo che te lo avrò detto ma non devi dirlo a nessuno, giuralo sulla tua testa, su quella di Fabrizio, a cui tieni tanto, e su tutti gli dei dell'Olimpo!- esclamò quasi pregando. Io annuii con vigore:

-Te lo giuro piccina ma coraggio, dimmi cosa è accaduto di così brutto da farti stare così...- Attilia prese fiato ma non riuscì a parlare con voce limpida:

-Sono stata io... sono stata io ad appiccare l'incendio alla Villa, l'altra notte... e a mettere del sonnifero nel vino del tuo Fabrizio... perchè volevo ucciderlo! Se tu non l'avessi salvato lui sarebbe morto!- e detto questo continuò a piangere forte. Inizialmente credetti di non aver capito bene le sue parole ma poi ogni cosa andò al suo posto nel disegno generale: Attilia era un'ancella addetta al servizio del pranzo e della cena ed essendo così giovane ed indifesa nessuno avrebbe mai sospettato di lei.

-Perchè l'hai fatto Attilia? Perchè?- la mia domanda era quasi un grido e lei, piangendo più forte dopo aver compreso la mia disperazione e la mia incredulità, disse :

-Io non volevo! Non avrei mai voluto farlo! Ma mi ha obbligato, quella donna mi ha obbligato, ha detto che mi avrebbe fatto del male mi ha picchiata e io ho avuto paura... ma preferirei morire più che portarmi dentro questa colpa...- tossì forte, non riuscendo più a singhiozzare. La presi per le spalle e la guardai fisso negli occhi, cercando di recuperare io stessa u po' di lucidità.

-Attilia, piccolina, calmati. Spiegami tutto ciò che è successo. Voglio sapere tutto, ogni singola cosa che ti è capitata... me lo devi, non credi?- chiesi, cercando di rimanere calma e di non cadere nel panico.

-Una settimana fa, stavo tornando alla Villa, di notte, dopo aver consegnato delle lettere che Attilia mi aveva dato. Stavo per arrivare a casa quando una figura nera incappucciata mi ha coperto la bocca con le mani, mi ha puntato un coltello alla gola e mi ha obbligato a seguirla. Mi ha portato in un vicolo buio, anche se non saprei tornarci perchè era così scuro che non ricordo nemmeno come è fatto. Mi ha detto che sapeva chi fossi e che voleva che io facessi delle cose per lei. La voce era femminile anche se la figura e i modi di fare sembravano quelli di un uomo.- spiegò. Prese fiato poi continuò il suo triste racconto – dopo avermi spiegato precisamente cosa voleva che io facessi, io ho detto che non avrei fatto nulla di quanto mi aveva chiesto. Allora quella donna mi ha picchiata, ha detto che mi avrebbe torturato atrocemente se non avessi fatto quello che voleva, ha detto che avrebbe mandato ad uccidere la mia povera mamma che è malata e aspetta un altro figlio... sta in una piccola casupola qui vicino... sai io lavoro per cercare i soldi per prendere le medicine per lei. Ha detto che mi avrebbe fatto pentire di essere nata... ed io ho avuto paura. Ho fatto quello che già sai, ma me ne pento! Avrei voluto farmi uccidere ma sono stata troppo codarda... e poi non volevo che mia madre fosse ammazzata a causa mia!- esclamò disperata. A quel punto, dopo aver compreso tutto e dopo aver capito che Attilia era solo la vittima di qualcuno che tramava contro la famiglia del Senatore, la abbracciai forte, cercando di farle coraggio

Lei non smise di parlare:

-La cosa più terribile non è stata dare fuoco alla casa, poiché era quasi scontato che tutti, all'odore acre del fumo, si sarebbero accorti di tutto e sarebbero fuggiti. La cosa peggiore è stata mettere il sonnifero nel vino di Fabrizio e versarglielo nel bicchiere, sapendo che sarebbe morto e sapendo che oltre a compiere un gesto orribile avrei fatto anche del male a te, perchè tieni a lui e tu sei una delle persone a cui voglio più bene in assoluto. Ma ho avuto paura, ho avuto paura...- ribadì automaticamente, ricominciando a piangere. Sentii il cuore stringersi nel petto al solo pensiero di sapere che Fabrizio sarebbe potuto morire veramente quella note, ma deglutii e cercai di calmarmi. La strinsi più forte, pensando ad un modo per aiutarla:

-Non sapresti riconoscere questa donna, Attilia? Magari descriverla...- ma la ragazzina scosse la testa. Lo immaginavo, nessuno sarebbe stato così sciocco da mostrare il proprio volto in quella situazione...

-Io so solo che a quella donna non interessava del Senatore, Aurora! Era il Generale che voleva morto! Mi ha ribadito più volte che dovevo accertarmi che fosse morto e che dovevo fare di tutto per perseguire questo obiettivo!- spiegò. Sentii il cuore perdere di nuovo un battito a quelle parole ma non potevo mostrarmi debole in quel momento.

-Dobbiamo dirlo a Fabrizio, Attilia! Lui saprà sicuramente cosa fare...- ma non mi fece concludere che iniziò a parlare, agitata

-No, no, mi hai giurato che non lo dirai a nessuno, no, no, no! Lui mi farà uccidere, mi odieranno tutti e mi vorranno torturare... ti imploro, non farmi una cosa del genere, ti scongiuro! Se poi anche quella donna lo verrà a sapere non mi darà più pace!- quasi gridò, mettendosi in ginocchio davanti a me e congiungendo le mani. Le scossi le spalle, per farla tornare in sé:

-Va bene, stai tranquilla, non lo dirò a nessuno! Capisci da sola però che se questa persona tornerà da te a chiederti di fare di nuovo una cosa simile tu dovrai dirmelo? Giurami che lo farai Attilia, altrimenti sarò costretta a rivelare tutto a Fabrizio!- quella giurò solennemente. Dopo averla aiutata ad alzarsi, ci avviamo verso il fiume per svolgere i nostri compiti.

Non sapevo se dire comunque tutto a Fabrizio, poiché non riuscivo a prevedere la sua reazione: non potevo permettergli di fare del male ad Attilia... ma allo stesso tempo non potevo accettare che qualcuno facesse del male a lui... chi avrei dovuto aiutare in quel momento? Quale era la vera cosa giusta da fare? rimuginando su quelle questioni spinose, lavai i panni al fiume non accorgendomi che ogni mio gesto era spiato da qualcuno che si trovava alle mie spalle, nell'ombra.



Note dell'autrice


Buonasera a tutti! Anche se sarebbe più appropraito dire buonanotte!
Credevate davvero che non avrei mantenuto la mia promessa? Vi sbagliate, io le mantengo sempre!
Sono le 23:59 quindi è ancora Domenica e ho mantenuto ciò che avevo detto!
Dopo aver passato una giornata impegnata a fare mille cose mi sono seduta alle 21 al pc e non mi sono più mossa fino ad ora quindi spero che mi perdonerete se il capitolo è un po' più breve degli altri e se c'è qulche errore, poichè l'ho riletto solo una volta.
Non mi dilungo a spiegare nulla credo che sia tutto abbastanza chiaro, tuttavia per qualsiasi chiarimento sarò felicissima di rispondere alle vostre domande!
Adesso me ne vado a dormire e mi scuso per il ritardo ma si sono ripresentati dei problemi in famiglia... non tarderò così tanto la prossima settimana, a Domenica prossima,
saluti

_Renesmee Cullen_

 


 

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Capitolo 9
*** Terrore ***


CAPITOLO 9 - Terrore


La fissò con sguardo inespressivo, storse un angolo della bocca e le sue sopracciglia fine si piegarono in un cipiglio dubbioso. Iniziò a camminare avanti e indietro in quell'angusto spazio su cui si ergeva la casupola cadente. All'improvviso scaraventò a terra un tavolino, facendo cadere a terra tutto ciò che si trovava sopra: pergamene, erbe e un bicchiere che cadendo al suolo si infranse in tanti piccoli pezzi. La donna abbassò la testa e strinse i denti: voleva piangere, quella situazione non le piaceva, non era abituata a sentire le lamentele dei suoi clienti, era riuscita sempre a soddisfarli tutti.

-Mi avevi assicurato che avresti fatto ciò per cui ti ho pagata!- esclamò la figura che si trovava davanti a lei con una voce resa ovattata dal mantello che copriva oltre che il corpo, anche tutto il capo e il viso. Filenide non avrebbe mai saputo dire se quella figura fosse di uomo o di donna, esattamente come la voce, di cui ancora non era riuscita ad identificare il timbro. La figura slanciata faceva pensare al corpo di una donna, ma la forza e gli atteggiamenti sembravano propri di un uomo. Filenide decise di non interrogarsi troppo sull'identità di quella persona: meno ne avesse saputo, meglio sarebbe stato. Era la prima volta nella sua carriera che le capitava di entrare in contatto con qualcuno che riusciva ad essere così crudele e di persone spregevoli che si andavano a rivolgere a lei, ne aveva conosciute davvero tante. Di quella figura incappucciata, una cosa la terrorizzava più delle altre: gli occhi piccoli e infossati che per un momento, poco prima, era riuscita ad intravedere. La scrutavano con un odio che metteva i brividi solamente pensandoci. Se avesse saputo prima di che genere fosse quell'essere, di certo non l'avrebbe accettata come cliente.

-Avevo programmato tutto... le cose sarebbero dovute andare come avevamo accordato, è stata quella ragazzina ad impedire che il piano funzionasse...- esclamò la donna per giustificarsi, poichè il suo lavoro era stato decisamente impeccabile: corrompere la servetta e convincerla a fare quanto le veniva chiesto, procurarle del sonnifero e far si che ogni cosa si trovasse al posto giusto, quella sera. Non era riuscita a prevedere, tuttavia, l'intervento di quella servetta che, con le sue azioni da encomiabile eroina, era riuscita a stravolgere tutti i suoi piani. Aveva avuto molta paura quando la figura incappucciata l'aveva mandata a chiamare nuovamente: sapeva che non era di certo un buon segno. In quell'istante aveva avuto davvero paura, sapeva che quella persona avrebbe potuto farla uccidere in qualsiasi momento, se non si fosse sentita soddisfatta.

-Posso ridarti tutti i soldi, se lo desideri- disse di nuovo Filenide, per riparare all'errore commesso. La figura la guardò ancora per qualche lungo istante e poi quasi gridò:

-Non me ne faccio nulla di quei soldi! Tienili, compraci quello che vuoi, puoi anche ingoiarli! Quello che voglio è che tu porti a termine il tuo lavoro! Mi sono rivolto a te perchè mi hanno detto che sei la più indicata a questo genere di situazione e ora esigo che tu rispetti i patti. Non posso permettermi di rivolgermi a qualcun altro: troppe persone verrebbero a conoscenza di questo affare e ciò non deve accadere per nessun motivo! Non mi interessano i mezzi con cui adempierai il tuo compito a condizione che tu non faccia cadere attenzione su di te e quindi, quasi inevitabilmente, su di me! Usa tutto il tempo che vuoi, ti do a disposizione sei mesi di tempo per riuscire a fare tutto quello che ti avevo chiesto. Se non ce la farai rimpiangerai di essere nata.- Filenide voleva scappare ma non poteva: sapeva che quella persona l'avrebbe trovata in ogni angolo della Repubblica, se fosse stato necessario. Annuì leggermente, sentiva le guance in fiamme e le lacrime che minacciavano di rigarle il volto da un momento all'altro. La figura la scansò con uno spintone dall'entrata della casupola e uscì sbattendosi la porta alle spalle.

Filenide teneva troppo alla sua vita, era una donna profondamente egoista ed era per quello che aveva deciso di intraprendere la strada che aveva scelto, quando era ancora giovane, anni prima. Si guardò sul riflesso dell'acqua che si trovava in una brocca: le prime rughe iniziavano a intravedersi sul volto spigoloso e il suo fisico da sempre allenato e simile a quello di un uomo iniziava a diventare flaccido. Avrebbe dovuto tenersi in esercizio ancora più di quanto facesse prima. Scosse la testa e i corti riccioli biondi le ondeggiarono sulla fronte, si mise le mani davanti agli occhi e decise che non avrebbe pianto: aveva sempre combattuto per sopravvivere nella sua vita, di certo non avrebbe permesso che tutto quel lavoro andasse sprecato perchè aveva incontrato una persona folle sul suo cammino.


 

P.O.V. Aurora


 

Per due o tre giorni rimasi indecisa su ciò che bisognava fare: non sapevo se svelare tutto a Fabrizio o rimanere fedele alla promessa fatta ad Attilia. Il mio maestro, quando ancora studiavo ad Anticyra come Principessa, mi aveva insegnato che quando si da la parola d'onore bisogna mantenerla, altrimenti non si rispettano le leggi che da sempre hanno governato gli usi e i costumi dei greci. Una sera, non ero ancora giunta ad una decisione definitiva quando vidi Iginia entrare nella stanza delle ancelle, dove stavo riposando dopo aver concluso tutte le mansioni di quella giornata. Si diresse verso di me e si fermò vicino al mio letto, facendo cenno di volermi dire qualcosa, così mi alzai in piedi e mi trovai di fronte a lei. Mi fissò con sguardo torvo ed espressione quasi corrucciata e disse:

-Ho ottenuto dal padrone il permesso di farti lavorare nella Biblioteca(1*) di famiglia... come ti avevo già accennato ho ritenuto opportuno sfruttare le tue doti nel saper leggere e scrivere per questo compito. Inizierai domani mattina e il tuo lavoro sarà a tempo pieno: a meno che non ti sarà chiesto di svolgere altre mansioni, dovrai curare lo stato delle pergamene presenti nella Biblioteca e catalogarle. Dovrai annotare il nome di ogni persona che prenderà in prestito delle pergamene e accertarti che le riporti... sappi che se succederà qualcosa agli scritti, la colpa di tutto sarà soltanto tua. Te la senti di svolgere questo compito oneroso?- fece una lunga pausa per vedere se avessi capito come veramente stavano le cose.

Sorrisi apertamente, entusiasta:

-Certo Iginia, sono davvero felice di poter svolgere questo compito... puoi fidarti di me, io...- contenta come non mai iniziai a parlare a raffica ma Iginia mi fermò, quasi disturbata dalla mia felicità.

-Sappi che se non svolgerai bene il tuo compito non tarderò a trovare una sostituta. Molte ragazze hanno dovuto controllare la Biblioteca ma nessuna è stata in grado di adempiere questo compito o perché non sapevano leggere e scrivere o perchè non ricordavano bene le pratiche da eseguire...- mi guardò in faccia e vide che ero molto più determinata di quanto si aspettasse.

-Se sei proprio sicura, allora...- estrasse da una tasca della veste una lunga chiave e me la porse, raccomandandosi: -Questa è la chiave della Biblioteca, ogni volta che non sei lì dentro devi chiuderla a chiave poiché li sono contenute delle pergamene importanti, alcune delle quali sono sigillate e racchiudono informazioni segrete di cui è a conoscenza solo il Senatore. Quelle non devi leggerle e non devi permettere a nessuno all'infuori de l Senatore di vederle. Bisogna solo contarle e riporle ordinatamente negli appositi scaffali. Delle altre puoi fare quello che vuoi, purché le conservi in ordine e in buono stato. Mi raccomando, non perdere la chiave!.- dopo quest'ultimo ammonimento si voltò avviandosi verso la porta.

-Iginia! Aspetta... cosa sta succedendo? È da un po' di tempo che vedo che la mia presenza ti disturba, sei fredda con me... ho fatto o detto qualcosa di troppo?- chiesi. In quei giorni Iginia si era dimostrata l'esatto opposto della donna solare e amichevole che si era presentata a me il mio primo giorno di lavoro, tempo prima. Essendo solita combinare molti guai pensai che forse avevo agito in maniera sbagliata ed Iginia si era adirata con me. Quella donna ed Attilia, escluso Fabrizio, erano le uniche due figure su cui potevo appoggiarmi e fare riferimento in quel territorio straniero. Non potevo permettermi di perdere la loro amicizia, così ero decisa a scusarmi per qualsiasi gesto equivoco avessi compiuto.

Iginia fece un gesto d'impazienza con la mano e sbuffò, quasi sorridendo questa volta:

-Ti stai infilando in situazioni che non puoi controllare, che sono più grandi di te! Soffrirai molto più di quanto tu possa immaginare e passerai fin troppi guai... lascia Fabrizio alla sua vita e tu potrai trascorrere la tua in tranquillità. Non rincorrere un sentimento impossibile!- esclamò con fare materno -Io ho patito esattamente quello che potresti soffrire tu... e nonostante tutto mi sto affezionando a te e non vorrei che tu soffrissi... hai già patito tanto, povera cara, non credi?- con quelle parole capii che Iginia aveva compreso quello che provavo per Fabrizio e voleva tutelarmi da quel sentimento che mi avrebbe condotto soltanto verso situazioni sconfortanti.

-C-come...io...- iniziai balbuziente, non riuscendo a spiegarmi come avesse capito anche lei dei sentimenti che provavo per Fabrizio.

-Come so che provi qualcosa nei suoi confronti? Vedo come lo guardi, come hai rischiato la vita per lui... questo affetto ti causerà soltanto danni, Aurora... sei giovane, lascia perdere il Generale.- disse ancora. Non sapevo cosa rispondere, ero a conoscenza del fatto che tutto ciò che diceva era la pura verità.

-Lo so, Iginia, lo so... ma io...- iniziai a dire ma la donna mi interruppe di nuovo:

-Non illuderti che Fabrizio possa provare qualcosa per te: lui è un Generale romano, per lui i sentimenti si trovano all'ultimo posto della scala dei valori, per questo non si è mai sposato e non ha mai voluto creare una famiglia...- disse, come se lo conoscesse meglio di chiunque altro. Quelle parole, sebbene sapessi che fossero vere e prive di malizia, mi lasciarono dell'amaro in bocca: in fondo al mio cuore, da quando Fabrizio mi aveva baciata, avevo sempre nutrito la tacita speranza di interessargli, almeno in minima parte.

Abbassai la testa, non potendo controbattere, inaspettatamente Iginia mi abbracciò forte, poi si staccò da me e si avviò verso la porta, senza aggiungere altro. Prima di uscire dalla stanza, però, sussurrò:

-Fatti coraggio cara e fidati di me...- il suo tono di voce era preoccupato.

Mi gettai nuovamente sul letto e chiusi gli occhi, temendo che Fabrizio sarebbe venuto a visitarmi nei sogni ancora una volta.


 

La mattina seguente entrai in Biblioteca di buon umore e pronta per iniziare con gioia il mio nuovo lavoro. Quello che pensai a primo impatto fu che le biblioteche romane non erano lontanamente paragonabili a quelle greche, sia per estensione che per numero di pergamene. Tuttavia capii che per essere una biblioteca romana, conservava al suo interno numerosi scritti di inestimabile valore. La stanza della Biblioteca era un piccolo ambiente di pianta quadrata con scaffali che erano appoggiati a tre delle pareti, al centro della stanza si trovava un tavolo pieno di carte accatastate senza un ordine e con uno sgabello. Facendo il giro della stanza toccai con le mani molte di quelle pergamene e in quel momento, per la prima volta da quando ero arrivata a Roma, mi sentii veramente a mio agio e a casa. Tra gli scaffali, riposte senza un ordine preciso, trovai delle copie dei poemi omerici, che amavo leggere, delle tragedie di Eschilo Sofocle ed Euripide ma anche molte copie di alcune opere di autori latini, come Livio Andronìco, Nevio e molti altri. Lavorando, avrei potuto passare giornate intere a leggere quelle meravigliose composizioni, ma prima era necessario catalogarle e disporle in maniera ordinata in base all'anno di pubblicazione, all'autore e secondo molti criteri. Mi sedetti davanti alla scrivania e mi disperai vedendo le pergamene accatastate senza assetto: ci avrei messo un'eternità solo per catalogarle, figuriamoci per mettere in ordine...

Presi in mano il primo scritto e poiché non aveva titolo, iniziai a leggerne il contenuto:

Virum mihi, Camena, insece versutum...”(2*) si trattava dell' “Odussia”, la traduzione latina dell'Odissea di Omero, scritta da Livio Andronìco. Sebbene l'interpretazione fosse stata effettuata rispettando sia i canoni della cultura greca che di quella latina, ritenevo che fosse molto più bello leggere le opere in lingua originale piuttosto che in una traduzione...

Fin da quando ero una bambina mi era stata narrata la storia raccontata dai poemi Omerici: l'Iliade, che narrava delle gesta meravigliose compiute dagli eroi nell'antichissima e leggendaria guerra di Troia; l'Odissea, che cantava del ritorno di un eroe, Ulisse, nella sua isola, Itaca, dove lo attendevano la moglie Penelope e il figlio Telemaco. Le storie narrate da quell'autore di cui erano sconosciuti i natali, mi avevano affascinato quando ero ancora una piccola principessa e mi affascinavano tutt'ora: sebbene usi, costumi e credenze descritti nei poemi fossero decaduti, credevo che molti di quelli fossero giusti e sempre praticabili. Avrei voluto essere un'eroe che combatteva durante quel conflitto e che possedeva coraggio e gloria, riuscendo ad ottenere un cospicuo bottino di guerra e facendosi quindi riconoscere forte per questo. Purtroppo non mi sarebbe mai capitato di vivere avventure entusiasmanti come quelle di Ettore, Achille o Ulisse, ma anche io, a modo mio, dovevo combattere nella vita di tutti i giorni e affrontare delle situazioni che, in linguaggio epico, potevano suonare come avventure.

Persa nei miei pensieri, con la mente rivolta alla lettura e alle fantasticherie, non sentii la porta aprirsi e non mi accorsi che qualcuno era entrato nella Biblioteca. Quando sentii dei passi venire verso di me alzai la testa dalla pergamena che stavo leggendo e quello che vidi mi fece gelare il sangue nelle vene: Antonio si trovava di fronte a me e mi guardava dall'alto in basso con sguardo austero e di superiorità. Deglutii: quel ragazzo, che non doveva avere più di due o tre anni più di me, mi faceva veramente paura: sembrava che i suoi modi affettati celassero una rabbia repressa, che se fosse venuta fuori sarebbe stata molto più tremenda di quello che ognuno potrebbe pensare. Mi alzai in piedi e andai di fronte a lui, feci un respiro profondo per calmarmi e chiesi:

-Come posso aiutarti?- dissi, cercando di essere molto ossequiosa. I miei modi garbati, tuttavia, non avrebbero di certo permesso che dimenticasse ciò che gli avevo fatto: l'odio che provava nei miei confronti era palpabile nell'aria che respiravo. L'odio che provavo io per lui era altrettanto forte ma in quella stanza, sola e senza nessuno che avesse potuto aiutarmi, il mio sentimento si trasformava in paura.

Antonio mi guardò per qualche istante dopo di che mi prese i fianchi con le mani e mi accostò a sé.

-Che cosa stai facendo?- chiesi, cercando di divincolarmi inutilmente dalla sua presa che, purtroppo, era troppo forte per me: in confronto a lui, slanciato e muscoloso, sembravo piccola e gracile.

-Io ti ho capita, sai?- disse, stringendo ancora la presa su di me -Tu vuoi che mio fratello cada tra le tue braccia così che tu lo possa manovrare come meglio credi.- la sua voce era crudele, come il suo sguardo.

-Io non ho intenzione di fare ciò che dici! Ti sbagli!- dissi disperata, cercando di fargli capire che quella fosse la verità. In realtà, sembrava che Antonio stesse soltanto cercando una scusa per farmi del male, ma la verità era che voleva dare sfogo al suo odio nei miei confronti in ogni modo possibile.

Vidi che la sua presa su di me non si allentava, anzi il suo volto si faceva più vicino al mio. Non volevo baciarlo, non volevo! Il solo pensiero mi faceva ribrezzo e sapere che ero tra le sue braccia mi causava una nausea terribile, poiché le mani che volevo attorno alla vita, erano soltanto due...

Mi divincolai ancora, senza riuscire ad ottenere risultati, così iniziai a gridare sperando che qualcuno, da fuori riuscisse a sentirmi.

-Aiuto! Aiutatemi!- gridai, ma Antonio mi voltò e mi trovai con la schiena appoggiata al suo petto, una sua mano davanti alla bocca per impedirmi di urlare e un'altra che mi cingeva stretti i fianchi.

-Stai zitta, puttana!- disse con cattiveria e la sua mano mi scostò la veste dalle gambe e ne iniziò a risalire il profilo. Iniziai a divincolarmi ancora, cercando di gridare ma ogni mio tentativo di fare ciò si dimostrò fallimentare. Inoltre, nessuno sarebbe riuscito a sentirmi: la Biblioteca si trovava in un'area isolata della casa e nessuno sarebbe venuto ad aiutarmi. Avrei dovuto subire delle violenze da parte di Antonio e non riuscendo ad accettare quel pensiero, le lacrime iniziarono a sgorgarmi copiose dagli occhi.

-Io posso fare di te ciò che voglio- continuò Antonio crudele, baciandomi il collo con la sua bocca sudicia e accarezzandomi ancora la coscia e risalendo più su, dove non sarebbe mai dovuto arrivare. In quel momento avrei preferito morire, essere torturata, avrei subito qualsiasi male, ma sarebbe stato meglio che sopportare quella situazione. Chiusi gli occhi, pregando gli dei che facessero finire quel martirio il più in fretta possibile, quando, senza aspettarmelo, sentii la porta aprirsi e sentii che Antonio veniva strappato di colpo e con malagrazia via da me. Per il colpo caddi a terra, prona, con gli occhi che continuavano a lacrimare.

Alzai la testa e vidi che l'uomo che era entrato all'improvviso nella stanza era Fabrizio: era stato lui a strapparmi bruscamente dalle grinfie di suo fratello. Prese Antonio per le spalle e lo scrollò con forza:

-Fratello, che cosa stavi facendo?- chiese il Generale, ad alta voce con sguardo adirato. Antonio si guardò a destra e a sinistra, non sapendo che cosa rispondere.

-Tu stavi per fare violenza su una ragazza indifesa? Non ti vergogni, fratello? È così che rispetti i costumi degli avi? Ti stai disonorando!- urlò Fabrizio. Per un attimo sembrò che Antonio volesse reagire, ma non lo fece, probabilmente per paura: il Generale era più alto e muscoloso di lui, avrebbe vinto sicuramente. L'unica cosa che seppe fare Antonio fu abbassare la testa.

-Adesso vattene. Sparisci dalla mia vista o potrei dimenticare che sei mio fratello!- urlò ancora Fabrizio, spingendo Antonio fuori dalla porta. Quest'ultimo se ne andò quasi di corsa, sparendo tra i corridoi della casa. Fabrizio si avvicinò molto lentamente, si mise in ginocchio davanti a me e mi chiese, con voce preoccupata:

-Aurora, Aurora stai bene?- non risposi e continuai a guardarlo in tralice, l'unica cosa che riuscivo a ricordare ancora erano le sudice mani di Antonio su di me: era come se la mia mente fosse bloccata a quell'orribile momento. Le lacrime continuavano a sgorgare dai miei occhi e restai immobile, così Fabrizio mi mise una mano sulla spalla, ma appena sentii il suo tocco, urlai senza ritegno, rivedendo in quella scena quello che era successo poco prima. Capendo cosa avevo pensato, come se mi avesse letto nel pensiero, Fabrizio mi abbracciò, mentre io continuavo ad urlare:

-Aurora sono io, sono Fabrizio... sei al sicuro, nessuno ti farà del male. Aurora, finchè ci sarò io con te nessuno ti potrà più toccare, te lo giuro...- disse stringendomi a sé. Appoggiai la testa sul suo petto e le mie grida, una volta vista in maniera più razionale la situazione, si trasformarono soltanto in forti singhiozzi. Fabrizio mi accarezzò i capelli e aspettò che mi calmassi.

-Ho avuto tanta paura, ho temuto il peggio, ho avuto così paura...- dissi tra un singhiozzo e l'altro.

-Lo so, lo so... ma adesso è finita, non succederà mai più una cosa del genere, te lo giuro.- disse sicuro Fabrizio, ma non riuscivo a credere alle sue parole.

Rimasi stretta a lui ancora per qualche tempo dopo di che si alzò e mi porse una mano per tirarmi su. Titubante la afferrai e mi tirai su in piedi e lo guardai negli occhi, incapace di dire qualsiasi cosa. Avrei voluto ringraziarlo, baciargli le mani per ciò che aveva fatto per me, dirgli ancora una volta che gli sarei stata grata per la vita, ma dalla mia bocca uscì soltanto un rantolo confuso, poiché non riuscivo più a parlare: il trauma era stato troppo forte per me e ora non

potevo articolare un discorso che avesse senso. Fabrizio intuì il mio stato d'animo e alzò un lato della bocca per cercare di sorridermi.

-Aurora... io adesso devo andare via, ho davvero molto da fare...- disse l'uomo, quasi mortificato di dover andarsene.

Non riuscii a pensare di restare da sola... se Antonio fosse tornato a torturarmi? Come avrei potuto reagire? Senza pensare davvero a cosa stessi facendo, mi gettai di nuovo tra le braccia di Fabrizio e iniziai a piangere nuovamente, disperata:

-Ti prego non mi lasciare da sola ti scongiuro, non mi lasciare da sola...- e continuai a singhiozzare senza ritegno. Fabrizio si trovò spaesato ma mi strinse a sé per qualche momento.

-Aurora... io non posso abbandonare i miei impegni...- disse ancora, triste. Mi avvinghiai ancora di più al suo petto e continuai a singhiozzare. Fabrizio mi prese per le spalle, mi guardò fisso negli occhi:

-Torno subito! Aspettami qui- disse, come se avesse avuto un'illuminazione che proveniva da Atena. Annuii impaurita e Fabrizio uscì dalla stanza quasi di corsa. Durante la sua assenza mi guardai attorno ripetutamente, temendo che qualcuno che volesse farmi del male potesse sbucare da qualche angolo della stanza. Tornò dopo poco con Attilia che camminava dietro le sue spalle, ma io non riuscii a comprendere le sue intenzioni, la mente bloccata.

-Aurora, Attilia oggi rimarrà con te... non preoccuparti di niente, resta qui e cerca di svolgere il tuo compito a mente lucida...- disse il Generale, ma in quel momento le sue parole mi arrivarono lontane. Annuii distrattamente, persa ancora nei miei ricordi e non vidi Fabrizio che si avvicinava a me così quando alzai gli occhi me lo ritrovai improvvisamente di fronte e, in presenza di Attilia, mi diede un bacio sulla fronte.

-Non ti succederà nulla... fidati di me- detto questo se ne andò lasciandomi ancora più confusa di come stessi prima.


 

Attilia rimase con me per tutta la giornata senza proferire parola, mentre io ero seduta sullo sgabello dietro la scrivania. Catalogavo molto lentamente tutte le pergamene che si trovavano li sopra e lei stava per terra seduta vicino a me a guardarmi. Le ero immensamente grata per ciò che stava facendo, tuttavia non riuscivo ad esprimere tutto ciò a parole. Era come se la mia lingua fosse stata bloccata.

Come mai non hai lavorato oggi? Cosa ti ha detto prima Fabrizio?

Scrissi su una pergamena bianca, poiché quella era l'unica domanda che avevo in testa da ore. Attilia ci mise parecchio tempo per riuscire a leggere quella piccola frase e non fui certa che avesse ben capito il senso, tuttavia alla fine rispose:

-Mi ha soltanto chiesto di venirti a fare compagnia... per il resto non ha riferito altro. Ha parlato lui stesso con Iginia per farmi dare la giornata di lavoro libera- disse la ragazza. Sapevo perfettamente che stava mentendo e che Fabrizio probabilmente le aveva raccontato tutto quello che mi era accaduto, ma non era il momento più adatto per parlarne. Annuii distrattamente, essendole comunque grata per sopportare il mio silenzio e per non forzarmi a parlare. Ero sicura che Attilia avrebbe voluto sapere ogni minimo particolare di quella vicenda, curiosa e chiacchierona com'era, ad ogni modo però, riusciva a stare in silenzio per non mettermi a disagio: era davvero una ragazza d'oro.

Man mano che il tempo passava e che riacquistavo un po' di lucidità, capivo che, purtroppo, dovevo rivelar tutto ciò che sapevo a Fabrizio. Non solamente per una questione di giustizia, ma per dimostrargli la mia gratitudine per ciò che aveva fatto, anche soltanto non lasciandomi sola ma permettendo che Attilia restasse con me. Se non fosse arrivato lui prima, di certo non mi sarei trovata in buone condizioni adesso.

Mi dispiaceva moltissimo per Attilia: era soltanto una vittima di tutti gli intrighi che si stavano svolgendo, ma non potevo esimermi da quel compito oneroso. Ero convinta, tuttavia, che Fabrizio non le avrebbe mai e poi mai fatto del male, perchè nonostante tutto era un uomo buono e diverso dai suoi compatrioti. Mi dispiaceva aver pianto senza contegno davanti a lui, che sicuramente l'aveva ritenuto un gesto privo di onore, ma in quel frangente non avevo avuto le facoltà mentali per far altrimenti.

Dopo aver catalogato decine di pergamene in maniera ordinata, era ormai giunta la sera ed era ora per entrambe di andare a dormire. Mi alzai dallo sgabello e Attilia fece lo stesso, allarmata. La guardai con sguardo rassicurante per tranquillizzarla e lei tirò un sospiro di sollievo. Povera piccola, si preoccupava per me quasi come fosse mia sorella. Intenerita da suoi gesti d'affetto, la abbracciai, facendola sorprendere per quel gesto. Insieme, ci avviammo verso la stanza delle ancelle, che ormai era stata riparata grossolanamente anche se nell'aria si respirava ancora puzza di fumo, per riposare dopo quella giornata spiacevole ed intensa.


 

Mi girai per l'ennesima volta nel letto, non riuscendo a dormire. Ogni volta che chiudevo gli occhi, vedevo quelli piccoli e infossati di Antonio e sentivo le sue mani sul mio corpo. Era la sensazione più brutta che avessi provato in vita mia. Riuscivo a vedere quel ragazzo ovunque, nell'oscurità: avevo paura che uscisse da sotto il letto, che spalancasse la porta e mi portasse via all'improvviso, che sbucasse dalla finestra. Se fosse accaduto, nessuna delle altre ancelle avrebbe potuto aiutarmi, loro erano solo delle ragazze indifese, non padrone della propria vita.

Avevo provato a dormire, ma gli incubi mi avevano tormentata, così terrificanti come non ne avevo mai fatti. Avevo troppa paura, inoltre, di restare da sola in quella stanza, dove tutti dormivano: dovevo fare qualcosa.

Mi alzai dal letto, decisa a non rimanere più in quel luogo buio, ma altrettanto consapevole del fatto che se avessi incontrato Antonio per i corridoi della casa sarebbe stato davvero molto peggio. Volevo correre questo rischio, tuttavia, pur di andare da Fabrizio.

Uscii di soppiatto dalla stanza senza fare rumore e, quasi di corsa, mi diressi verso la camera del Generale. Bussai ripetutamente, ma nessuno disse avanti. Stavo per abbassare la maniglia della porta, quando sentii qualcuno dietro di me che mi chiamava.

Riconobbi all'istante la sua voce e mi voltai, sollevata. Fabrizio mi guardò interdetto e chiese:

-Cosa ci fai tu qui?- la sua voce suonava quasi divertita. Mi guardai a destra e a sinistra per vedere se ci fosse qualcuno che ci stava guardando o origliava la nostra conversazione. Tuttavia, la mia lingua rimase ferma e ancora una volta non riuscii a parlare. Scossi la testa e sospirai, non riuscivo a dire ciò che pensavo. Fabrizio mi guardò perplesso e strinse i pugni lungo i fianchi, in un gesto che sembrava di rabbia.

-Vieni con me, andiamo in un posto dove non c'è rischio che ci sia nessuno- disse, dopo aver intuito il mio stato d'animo. Si voltò e iniziò a camminare. Titubante, poiché non sapevo dove mi stesse conducendo, ma remissiva a restare da sola, lo seguii. Uscì dalla porta di servizio della Villa e sebbene fosse sorvegliata anch'essa da una guardia, passò senza incontrare ostacoli. Percorse tutto il perimetro della casa, fino ad arrivare sul retro, dove si trovava una stalla, dove riposavano tre cavalli. Non ero mai stata in quel luogo e nonostante l'odore che si respirava non fosse dei più gradevoli, mi sentii davvero al sicuro. Fabrizio si sedette comodamente in mezzo al fieno, con la schiena appoggiata a una parete, mentre io restavo in piedi. Mi fece cenno di sedere accanto a lui e così feci.

-Allora? Perchè stavi per entrare nella mia camera?- chiese ancora, indagando. Io aprii la bocca per cercare di dire qualcosa, ma di nuovo nessuno suono uscì fuori. MI coprii il viso con le mani, non volendo guardare Fabrizio negli occhi per la vergogna che provavo: ero talmente impaurita da non riuscire ad articolare un discorso!

Il Generale mi scostò le mani dal viso e guardandomi negli occhi intensamente disse:

-Aurora, ti prego... parlami. Il tuo silenzio è più terribile di qualsiasi altra cosa.- le sue sopracciglia si piegarono in un'espressione preoccupata. Mi guardai ancora intorno temendo che qualcuno potesse vederci o sentirci.

-Non c'è nessuno qui... fidati di me, non ti accadrà nulla finchè ci sarò io con te.- ribadì ancora l'uomo. Credevo che quelle parole le avesse pronunciate soltanto per rassicurarmi, invece sembrava che ci credesse veramente.

Mi prese le mani tra le sue in un gesto di infinito affetto e mi guardò ancora negli occhi intensamente. Quello sguardo sciolse ogni mia paura come cera al sole così trovai il coraggio di parlare:

-I-io ero venuta a cercarti...- dissi, non spiegando che avevo paura di restare in quella camera da sola... me ne vergognavo troppo. La mia voce suonava bassa e roca a causa di tutte le ore passate in silenzio, ma era sempre meglio di niente.

-Per quale motivo?- chiese inevitabilmente. Abbassai ancora lo sguardo ed esitai prima di rispondere ma poi mi convinsi che la mia paura era giustificata:

-Avevo paura di restare in quella stanza buia da sola...- e non aggiunsi che lo avevo cercato perchè con lui mi sentivo protetta e al sicuro, perchè lui era l'unica persona che volevo al fianco in quei momenti. Fabrizio sorrise:

-Non ti fidi di me vero?- chiese retoricamente -Ti ho assicurato che non ti accadrà nulla finchè i miei piedi calcheranno il suolo di questa abitazione...io mantengo sempre e a qualsiasi costo le promesse che faccio- disse staccando le sue mani dalle mie e mettendole dietro al testa, mettendosi a fissare un cavallo completamente nero che riposava. Non potevo dire che mi fidassi completamente di lui, era pur sempre un romano, ma gli dovevo quanto meno tutta la mia gratitudine.

-Io... non potrò mai ringraziarti abbastanza per ciò che hai fatto e fai per me... io non so cosa mi sarebbe potuto accadere se tu non fossi...- iniziai, ma la mia voce si incrinò e non riuscii a continuare. Il Generale si voltò verso di me:

-Non mi devi ringraziare. Devi solo assicurarmi che ti fidi di me. Né mio fratello né nessun altro ti sfiorerà con un dito...- si interruppe senza continuare la frase.

Mi chiesi ancora perchè stesse facendo tutto ciò per me, ma ricordando cosa fosse successo l'ultima volta che glie lo avevo domandato, non dissi nulla. Non cercai di darmi una motivazione da sola: mi sarei illusa inutilmente e dovevo evitare proprio questo, come mi aveva consigliato di fare Iginia...

-Io mi fido di ciò che mi dici... altrimenti so che non lo diresti... ma devo ringraziarti lo stesso per quello che hai fatto. Ed è per questo che ...- iniziai, ma non riuscii a continuare. Fabrizio mi guardò aspettando che andassi avanti. Feci un respiro profondo e continuai:

-Io so chi è stato ad appiccare l'incendio in questa casa...- dissi incerta, infine.

Fabrizio mi guardò curioso:

-Come fai tu a...?- ma io lo interruppi

-Ma come tu mi hai chiesto di fidarmi di te... io ti chiedo di fidarti di me... solo così ti racconterò ogni cosa.- conclusi, dopo aver avuto un'idea. Fabrizio annuì

-Spero che sia la cosa giusta da fare...- bisbigliò, forse sperando che non lo sentissi.

-Una donna misteriosa ha ordinato a una persona che si trova in questa casa di compiere quell'atto terribile... fatto sta che il vero bersaglio di tutto ciò eri tu.- iniziai -ti prego non chiedermi come faccio a sapere queste cose e chi sia questa persona: sappi solamente che è stata obbligata con la forza a compiere questa azione e che con tutta questa storia non c'entra nulla e voleva uccidersi per il delitto commesso.- continuai -ti ho detto questo per farti sapere che qualcuno cerca di ucciderti davvero e quindi... devi prestare attenzione- conclusi in un sussurro. Non volevo fargli capire in maniera troppo palese che ero preoccupata per lui. Ero molto contenta di avergli rivelato la verità senza fare il nome di Attilia: così avevo mantenuto la promessa fatta ma allo steso tempo avevo salvato, a modo mio, la vita a Fabrizio, a cui dovevo veramente molto.

-Sai Aurora... io non mi fido mai delle persone. A te, però, voglio concedere questo grandissimo onore: non ti farò domande e terrò da conto le tue parole... sappi che se scoprirò che mi hai mentito, non ti perdonerò mai.- disse, quasi in modo brusco.

-Non ti mentirei mai...- ed esitai un momento,perchè in ogni istante, in realtà gli mentivo tenendogli nascosta la verità sulla mia identità -su una cosa del genere. Anche io mi sono fidata di te e credo che a questo punto, nessuno di noi due possa perdere qualcosa... non credi?- chiesi, riacquistando tutta la spavalderia che avevo perso.

Fabrizio sorrise e non rispose. Mi guardò per un po' negli occhi, come se avesse in mente di fare qualcosa, ma alla fine non fece nulla. Stava per alzarsi, quando lo fermai:

-Aspetta... non lasciarmi sola... sta notte.- dissi, senza guardarlo. Mi vergognavo troppo di ciò che avevo appena detto... non avrei mai creduto che sarei stata capace di chiedere a Fabrizio una cosa del genere.

Lui rimase un attimo interdetto ma poi sorrise.

-Bene, dovremo pur passare il tempo in qualche modo non credi? Infondo mancano ancora parecchie ore all'Alba- disse serenamente. Io annuii, ma sbadigliai.

-Ti racconterò una storia- disse, quasi entusiasta e io mi misi ad ascoltarlo.

-Vedi quel cavallo nero che sta dormendo proprio qui davanti a noi?- chiese. Io annuii distrattamente, le palpebre che iniziavano a farsi pesanti

-Me lo regalò mio padre quando compii dieci anni. Si chiama Atlas, perchè è forte come la divinità che sorregge il cielo (3*) Inizialmente non riuscivo a montarlo, poiché era un cavallo che non si faceva domare, ma poi...- Fabrizio continuò a parlare a lungo e io, senza rendermene conto, appoggiai la testa sulla sua spalla e lentamente, mi addormentai tranquilla, in un sonno senza sogni.


 

Note dell'autrice:


(1*) Le prime biblioteche scaturirono dal forte desiderio dei romani di coltivare la cultura, e ciò accadeva già nel III secolo a.C., secolo in cui la nostra storia è ambientata.

(2*) Narrami, oh Camena (Musa) dell'uomo scaltro...

sono i primi versi dell'Odissea tradotti in latino e adatta per usi e costumi latini. La Camena è il corrispettivo latino della Musa greca.

(3*) Atlas per i latini, Atlante per i greci è un titano, figlio della ninfa Climene e Zeus. (Secondo altri, figlio di Climene e Giapeto). Vari sono i miti che propongono la sua storia, la più accreditata enuncia che quando in età adulta Zeus decise di affrontare il padre Crono per spodestarlo e prendere il suo posto come re degli Dei, dovette costringere con la forza il suo predecessore a rigettare tutti i fratelli che, alla nascita erano stati divorati proprio a causa di una profezia della quale Crono stesso era ossessionato e che prevedeva il verificarsi di una tale sventura. Durante tale rappresaglia anche i Titani vi presero parte, ma ebbero la peggio perdendo clamorosamente il sanguinoso scontro. In conseguenza di ciò, Zeus condannò Atlante (quale Titano) a sostenere con la nuca e la sola forza delle braccia tutta la volta celeste.


Buon pomeriggio a tutti!
Eccomi qui, questa volta puntualissima, con questo nuovo capitolo!
Per farmi perdonare dato che l'altra volta il capitolo era cortissimo, ho scritto davvero tanto! Per fortuna ultimamente ho più tempo per scrivere anche se non ho modo di liberarmi delle persone che mi assillano e creano problemi inutilmente...
In questo capitolo vediamo Antonio che tenta di fare del male ad Aurora... ma sarà soltanto odio o c'è qualcosa di più? Come faceva Fabrizio a sapere dove si trovasse esattamente Aurora in quel momento? Per adesso non ci è dato scoprirlo.
Ringrazio tutte coloro che hanno recensito la mia storia o che l'hanno soltanto letta e spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto. Per quanto riguarda l'introduzione (parte in coresetto), vorrei specificare che è raccontata da un narratore esterno e non da Aurora. Spero di avervi incuriosito un po',per qualsiasi chiarimento io sono qui e sono lieta di rispondere a tutte le vostre domande!
Vi lascio con la foto del nostro odioso Antonio, ci vediamo Domenica prossima
un saluto

_Renesmee Cullen_




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Capitolo 10
*** Storie ***


CAPITOLO 10 - Storie


Mi svegliai, seduta a terra con la schiena appoggiata al muro, irrigidita e dolorante in ogni parte del corpo. Di certo dormire per ore appoggiata ad una parete non poteva essere salutare per la mia schiena, già stancata dalle ore di lavoro. Alzai le braccia in alto e mi stirai un poco, solo in quel momento ricordai cosa fosse successo la notte precedente. Arrossii di colpo, al pensiero che avevo passato una notte intera
insieme a Fabrizio. Per la precisione, avevo riposato con la testa appoggiata alla sua spalla: potevo ricordarlo bene soprattutto a causa del leggero dolore che provavo alla guancia sinistra. In quel momento, tuttavia, non c'era traccia ne di lui ne del suo cavallo nero, Atlas, e dedussi che mi aveva lasciata sola poiché doveva svolgere delle commissioni importanti. Pensai che non avrei più potuto guardare in faccia il Generale, dopo ciò che era accaduto... cosa avrebbe detto mia madre, se fosse stata ancora in vita, se avesse saputo che avevo dormito una notte intera con un romano, sebbene non fossimo ancora sposati?

 

Esco dalla mia camera da letto, in punta di piedi. Le ancelle mi hanno lavato e ripulito, i miei capelli splendono di un nero lucente e la mia pelle odora di oli profumati. Stiamo aspettando ospiti e la mamma ha voluto che sia io che le mie sorelle apparissimo belle ed eleganti, come si addice a delle principesse. Chiudo piano piano la porta alle mie spalle e cammino scalza lungo i corridoi dell'immenso palazzo. È passato mezzogiorno e ho molta fame, ma gli ospiti tardano ad arrivare. Sono piccola, nessuno mi vede, così arrivo senza essere fermata alle cucine, dove i cuochi stanno allestendo un pasto ricco e succulento. Carne, pane bianco, frutta e verdura ornano i tavoli di legno delle cucine. Devo infilarmi sotto un tavolo, così che le tovaglie lunghe possano coprire la mia piccola figura, ma la distanza con la porta è quasi incolmabile: mi vedranno tutti mentre attraverso la stanza e mi cacceranno via. Non potrò più placare la mia fame. Ad un tratto passa un'ancella e mi nascondo dietro la sua veste: sono tutti affaccendati e preoccupati di fare bella figura con la regina, che altrimenti li farà frustare, tanto che nessuno si accorge di me. Riesco a rifugiarmi sotto un tavolo e allungo una mano per prendere qualche vivanda e mangiarla tranquillamente: non faccio molto caso a ciò che hanno afferrato le mie piccole mani di bambina e porto tutto sotto il tavolo. Ho preso un grosso, succulento pezzo di carne. Lo finisco in men che non si dica e ne prendo subito un altro, ma non penso che i cuochi se ne possano accorgere. Mi sto leccando le dita molto soddisfatta quando un'ancella alza la tovaglia e urla:

-A ladro! La principessina ha rubato dei pezzi di carne destinati al pranzo!- e mi prende per una gamba trascinandomi in mezzo alla stanza, davanti a tutti. Mi guardo intorno con sguardo colpevole, la bocca, le mani e il vestito pulito, unti

-Chiamate subito la regina! Potrebbe adirarsi con qualcuno di noi se non venisse a conoscenza della verità!- urla di nuovo quella stessa ancella che mi ha visto, in maniera quai isterica, muovendo le braccia in irrazionalmente. Mia madre arriva velocemente e mi guarda in maniera severa, mi prende per un orecchio e mi fa alzare in piedi, trascinandomi.

Inizio a piangere per il dolore, ma riluttante la seguo. Mi porta nei suoi alloggi e appena siamo sole mi da uno schiaffo. Continuo a piangere disperatamente e mia madre si abbassa alla mia altezza e mi scuote le spalle.

-Le principesse non piangono per ogni cosa!- esclama indignata. Mi guarda truce, poi continua -Il decoro, Penelope, deve essere la prima cosa a cui pensi, in ogni istante della tua vita. Prima di compiere qualsiasi azione, devi riflettere su come questa influirà sul giudizio che hanno le persone di te e sulla tua dignità. Per punizione oggi non mangerai per tutto il giorno. Guarda, ti sei anche sporcata il vestito pulito...-

Quella era stata la prima volta che mia madre mi aveva impartito quell'insegnamento e da allora non l'avevo più scordato. Quel giorno si era adirata moltissimo e ciò si notava dal fatto che mi aveva chiamata con il mio vero nome: Penelope. “Aurora” era soltanto un soprannome che mio fratello mi aveva dato poco dopo che fossi nata.

Fin da piccolo, aveva sempre odiato il nome Penelope, poiché gli ricordava l'infelice moglie di Ulisse e dato che non mi augurava di avere un destino triste come il suo, mi aveva soprannominata Aurora. Diceva che ero bella come l'aurora del mattino, con gli occhi azzurri come il cielo e il sorriso sempre stampato sulle labbra. Da allora tutti coloro che mi circondavano si erano quasi scordati il mio nome e mi chiamavano così. L'unica che, quando si inquietava, mi chiamava Penelope, era mia madre. Se mi avesse vista quella sera, appoggiata sulla spalla di Fabrizio, di certo avrebbe gridato “Penelope” almeno una decina di volte.

Scossi la testa e mi dissi che non aveva senso pensare a ciò, tuttavia mi vergognavo profondamente per ciò che era successo e speravo che il mio onore, ormai divenuto superfluo, nelle circostanze in cui mi trovavo, non risentisse delle mie azioni. Pregai che Fabrizio non avesse pensato che fossi una ragazza scostumata e impudica.

Mi alzai in piedi e, notando che il gallo non aveva ancora cantato, pensai che sarei riuscita a intrufolarmi nella stanza delle ancelle senza far notare a nessuno che non avevo passato la notte in camera. Non volevo restare sola in quella stalla e ricordando cosa mi fosse capitato il giorno precedente, rabbrividii. Mi avviai con passo svelto verso la stanza delle ancelle e, di soppiatto, mi misi nel mio letto e chiusi gli occhi, fingendo di dormire. Qualche minuto dopo, il gallo cantò e tutte le altre ragazze si svegliarono. Attilia, che era sempre la prima a svegliarsi, ansiosa di iniziare una nuova giornata di lavoro che, sebbene stancante, a lei piaceva oltremodo, indugiò nel letto. Mi avvicinai a lei:

-Buongiorno Attilia! Cosa ti succede questa mattina?- chiesi, molto più allegra e rilassata del solito, poiché quella notte avevo dormito splendidamente e non avevo fatto incubi. La verità, però, era che, nonostante tutto, ero felice più del lecito per aver dormito accanto a Fabrizio, essendomi sentita protetta e al sicuro. La ragazzina aprì gli occhi e inizialmente non disse nulla, poi però rispose:

-Il caldo mi mette sonno!- dicendo questo si alzò di scatto dal letto, sorprendendomi, mostrando nuovamente la sua gioia di vivere, nonostante le circostanze. Improvvisamente sentii la necessità di raccontare a qualcuno cosa mi fosse successo la notte precedente e dato che l'unica ragazza di cui mi fidavo davvero fosse lei, decisi di condividere i miei segreti.

-Attilia, devo confessarti un segreto... devo raccontarlo a qualcuno.- le sussurrai, mentre entrambe ci lavavamo il viso con l'acqua fredda.

-Cosa è successo Aurora? È qualcosa di grave?- chiese, improvvisamente preoccupata. Io sorrisi e indugiai, non sapendo se raccontarle davvero tutto. Alla fine mi convinsi:

-Tutt'altro... ma giura di non dirlo a nessuno!- esclamai, arrossendo improvvisamente e involontariamente.

-Aurora, non c'è bisogno che ogni volta che mi dici qualcosa io giuri di non dire nulla! Noi siamo amiche, quasi come sorelle e non devi dubitare di me: qualsiasi cosa tu mi dica non uscirà dalla mia bocca ma la conserverò finchè non andrò nell'Ade.- disse, quasi indignata che avessi bisogno che lei giurasse.

-Questa notte... ho dormito assieme a Fabrizio!- esclamai sottovoce, con la voce che diventava più stridula man mano che parlavo. Dapprima Attilia spalancò gli occhi, poi fece un sorriso talmente grande che sembrava partisse da un orecchio e arrivasse all'altro.

Come mi aspettavo, iniziò a parlare velocemente e a porre mille domande, senza ordine:

-Cosa avete fatto? Come è stato? Dove? Come ti senti ora?- disse.

La fermai con un gesto della mano, notando che il suo tono di voce stava diventando tropo alto. Una ragazza che si trovava di fronte a noi, mentre ci avviavamo verso le cucine per mangiare, si voltò e mi guardò curiosa. Io e Attilia facemmo finta di nulla, tacendo.

-Non è come pensi, Attilia! Cosa dici? Io e Fabrizio non abbiamo fatto nulla!- esclamai indignata, prima che potesse fare delle ipotesi sbagliate -Ho solo dormito accanto a lui. Con i vestiti addosso- sottolineai. Attilia si accigliò.

-E questo sarebbe un grande segreto? Chissà cosa mi ero immaginata che avevate fatto... avevo già pensato a te e a lui mentre passavate una notte di fuoco...- iniziò a fantasticare. Io le scossi un braccio, facendola uscire dal mondo dei sogni.

-Ti sarei grata se non ne facessi parola con nessuno!- esclamai, ancora più sconcertata. Attilia annuì incurante e sorrise: quella ragazza non avrebbe mai smesso di stupirmi.


 

Mi sedetti, distrutta, sullo sgabello della Biblioteca. Avevo catalogato decine e decine di libri e la scrivania si stava decisamente svuotando. Mi alzai in piedi e iniziai a camminare lungo il perimetro della stanza, come amavo spesso fare. Sentii qualcuno bussare alla porta e mi irrigidii improvvisamente, temendo che Antonio potesse entrare in quella stanza da un momento all'altro. Invece fecero capolino dall'uscio un paio di luminosi occhi neri e un viso amico. Sospirai di sollievo, vedendo il volto familiare di Fabrizio. Entrò nella Biblioteca e mi salutò con aria gioviale:

-Salve Aurora!- esclamò. Pensai che anche lui quel giorno era molto più allegro del solito. Non volli nemmeno per un istante sperare che fosse per la mia stessa ragione... non potevo illudermi...

-Salve Fabrizio- dissi, con altrettanta enfasi, contenta più del lecito di vederlo.

-Hai passato una buona mattinata?- mi chiese, per far conversazione. Io annuii:

-Certamente e tu?- chiesi di rimando, iniziando a fissare ogni parte della stanza, pur di non rimanere imbambolata a guardare lui.

-Si, soprattutto dopo aver riso per una notte intera... ci sono fatti che mettono di buon umore.- disse, sogghignando. Mi rabbuiai: cosa stava insinuando?

-Cosa vuoi dire...?- chiesi incerta, non capendo se si stesse prendendo gioco di me o se fosse sincero.

-Intendo che mi sono divertito tantissimo, nel vederti dormire.- disse, mettendosi a ridere senza ritegno.

-Cosa vuoi dire?- chiesi, stizzita dal fatto che non riuscissi a comprendere di cosa stesse parlando. Fabrizio si avvicinò a me, prendendomi il viso tra il pollice e l'indice.

-Ciò che ho detto. Forse tu volevi intendere: “cosa ho fatto di così terribile per farti divertire tanto?”- domandò retoricamente.

Scossi la testa e mi divincolai dalla sua presa, facendo un passo indietro: non potevo stare troppo vicina a lui, o la voglia di baciarlo che avevo sarebbe diventata incontrollabile e questo non doveva accadere per nessuna ragione.

-Vuoi dire che tu non hai dormito per tutta la notte solo per guardarmi dormire?- chiesi con voce stridula, molto incredula: cosa avevo fatto durante il sonno, per farlo ridere tanto? Sperai che non fosse nulla di grave...

-Dovresti essermi grata per questo!- esclamò, sempre più divertito. Non riuscivo ancora a comprendere il motivo della sua ilarità -Ho vegliato su di te tutta la notte. Non volevo che ti svegliassi e mi trovassi che dormivo...- iniziò, ma poi si fermò e scosse la testa, non volendo continuare. Non era la prima volta che Fabrizio diceva cose che avrebbe preferito tenere per sé. Chissà cosa sarebbe accaduto se avesse continuato a parlare...

-Hai vegliato su di me per tutta la notte...?- chiesi con un filo di voce, ma lui scosse la testa:

-Dimentica ciò che ho detto... se fossi in te mi preoccuperei di quello che hai fatto sta notte...- disse di nuovo, sogghignando. Aveva cambiato discorso, ma per il bene di entrambi rispettai la sua decisione.

-Dimmi che cosa ho fatto sta notte, Fabrizio, di grazia- lo incitai, stizzita. Non capivo come mai quel giorno il Generale fosse più spavaldo del solito, ma preferii non darmi una risposta da sola.

-Come mai utilizzi questo tono brusco? Di cosa hai timore? Comunque sta tranquilla, non hai fatto nulla di compromettente piccola Aurora, piuttosto, mi sono divertito molto a sentirti parlare.- concluse. Spalancai gli occhi e la bocca, non riuscendo a parlare per lo stupore. Non riuscivo a porre la fatidica domanda con la voce ma mi feci coraggio.

-C-cosa ho detto di preciso?- chiesi timidamente. Temetti il peggio: se avessi rivelato involontariamente il mio segreto, cosa sarebbe successo? Era per quello che Fabrizio si stava comportando in quel modo?

Lui si prese del tempo per rispondere, camminò da un capo all'altro della biblioteca poi tornò di fronte a me e mi guardò negli occhi, illuminati da una strana luce.

-Hai chiamato ripetutamente il mio nome.- disse infine. Spalancai gli occhi, incredula. Sperai con tutto il cuore di non avergli rivelato i miei sentimenti, perchè se lo avessi fatto sarebbe potuta accadere una catastrofe.

-Hai detto che ami, che non puoi vivere senza di me... devo confessare che sono quasi arrossito per la tua dichiarazione di amore.- concluse, ridendo ancora. Io rimasi immobile, ma poi mi scossi e iniziai a parlare velocemente, mettendomi le mani tra i capelli.

-Non può essere vero, io non farei mai una cosa del genere, non è vero, io non ti amo, non può essere, è impossibile...- le mie parole erano senza senso e il panico regnava sulla mia mente. Non poteva essere accaduto ciò: mi ero umiliata in una maniera a dir poco orribile. Gli occhi si velarono di lacrime e mi coprii la bocca con una mano. Fabrizio strinse improvvisamente i pugni e fissò il suo sguardo in basso: la sua espressione da spensierata era diventata cupa.

-Smettila di fare così.- mi intimò -stavo solo scherzando. Non hai detto nulla di tutto questo, hai chiamato solo il mio nome, così ho pensato...- si interruppe, scuotendo ancora la testa -So perfettamente che non mi ami. E deve essere così. Neanche io ti amo, mi stavo solo burlando di te, spero di non averti indotto a falsi pensieri. Ora ho da fare, buon lavoro.- disse brusco Fabrizio. Si voltò e uscì dalla stanza, sbattendosi la porta alle spalle. Solo in quel momento realizzai cosa gli avevo detto: “io non ti amo”. Non riuscivo a capire perchè avesse reagito in quel modo, ero convinta che non provasse nessun sentimento nei miei confronti. Mi accasciai lentamente a terra, consapevole del fatto che Fabrizio fosse adirato con me, per una ragione che ritenevo ignota. Le parole che avevo utilizzato facevano eco nella mia testa: “io non ti amo”... era la verità?


 

Chiusi la porta alle mie spalle, lentamente, poi presi la chiave dalla tasca e mi assicurai che la serratura fosse chiusa correttamente. Camminai verso la stanza delle ancelle, stanca più psicologicamente che mentalmente, per fortuna e sperai di riuscire a mettermi a letto senza incontrare ostacoli sulla mia strada. La mia speranza fu vana perchè Iginia mi aspettava proprio davanti alla porta della camera. Quasi mi caddero le braccia lungo i fianchi: cosa voleva ancora da me?

-Salve, Iginia...- dissi titubante, sperando che la donna non stesse cercando me ma qualcun'altra...

-Salve Aurora, sono venuta qui perchè devo parlare con te.- disse con tono sicuro. Mi scossi: le mie speranze erano state vane, non ero destinata ad avere un po' di tranquillità, nella mia vita.

-Dimmi tutto Iginia...- continuai, trattenendomi dallo sbadigliare: ogni notte, in quel periodo, accadeva qualcosa, sarebbe arrivato il momento in cui sarei riuscita a dormire una notte intera senza dovermi svegliare a causa di incendi o incubi? Non sapevo dare risposta a questo quesito.

-Non qui, vieni con me, dobbiamo trovare un luogo dove nessuno ci ascolti- dicendo questo con tono quasi neutro, Iginia si voltò e si incamminò verso il giardino interno della casa. Arrivata al luogo, si mise seduta su un gradino lentamente, mentre la fissavo.

-Cos'hai da guardare? Sono vecchia, fatico a mettermi a sedere!- esclamò quasi divertita. Iginia non era affatto anziana, solo qualche piccola ruga le solcava il volto che sembrava molto stanco, ma non a causa dell'età, ma per il lavoro svolto ogni giorno con impegno. Pensai che di certo non poteva avere più di quarantacinque anni. Mi sedetti accanto a lei e mi guardò, questa volta in maniera affettuosa.

-Cosa hai fatto ieri sera?- chiese, con fare inquisitorio.

-Non capisco cosa vuoi dire...- dissi, con aria innocente, cercando di imbrogliarla e di farle credere che la notte precedente fossi rimasta nella mia camera.

-Aurora, so benissimo che hai passato la notte con Fabrizio, non provare a mentirmi.- affermò, ma il suo tono non era né di accusa né di rimprovero. Mi chiesi cosa stesse cercando di dirmi.

-Devi sapere che io so molte più cose di quanto sembra...- iniziò -Ho visto che le mie ammonizioni, purtroppo, non sono riuscite a farti cambiare idea, dunque mi vedo costretta a spiegarti in maniera più esplicita perchè non potrà mai esserci una storia d'amore tra te e Fabrizio e soprattutto perchè devi frenare il tuo sentimento nei suoi confronti- disse tranquillamente. Io avvampai: era per quello che voleva parlarmi, allora...

-Non riesco a capire, Iginia...- iniziai, confusa, ma lei mi interruppe:

-Ti prego di lasciarmi parlare, Aurora. Non credere che io sia cattiva e non voglia la tua felicità, ma prima di innamorarti davvero di Fabrizio, voglio che tu sappia alcune cose.- disse, quasi con voce spezzata, anche se i suoi occhi non erano lucidi.

-Iginia, ti prego, spiegami, non sto capendo nulla... il mio sentimento non conta nulla, è solo una sciocca infatuazione di una ragazzina di diciotto anni...- iniziai, convincendomi che quella fosse la verità -e se anche fosse qualcosa di più, ciò che provo per Fabrizio non è ricambiato!- esclamai, quasi sull'orlo delle lacrime, travolta da quell'orribile verità. Iginia mi accarezzò il viso con il dorso della mano:

-Sei così ingenua, piccola Aurora, la vita ti riserva molte sorprese, più di quante tu ne possa immaginare... ma ora è il momento di raccontarti una triste storia.-


 

Mi chiamo Iginia, ho diciotto anni. Sono una serva, lavoro nella casa del mio padrone da tre anni ormai, da quando mia madre si è ammalata e non ha più avuto i soldi per pagarsi il cibo e le cure necessarie alla sua guarigione. Così, a quindici anni, mi sono rimboccata le maniche e ho iniziato a lavorare per un ricco signore di città.

È un uomo malvagio, lo vedo ogni volta che passa per i corridoi della sua Villa: squadra tutti in maniera bruta e sembra che voglia uccidere chiunque si frapponga, nel suo cammino, tra lui e il potere. È un facoltoso commerciante, arricchitosi grazie al suo fiuto per gli affari. Io lo odio, picchia tutti i servitori che non eseguono alla lettera i suoi ordini e anche io, spesso, ho avuto il dispiacere di ricevere delle bastonate da parte sua. Egli, tuttavia, è un uomo assai ricco e lo stipendio, per me, è assicurato: da quando lavoro nella sua casa, riesco a mantenere mia madre che non è più magra ed emaciata ma, sebbene non sia guarita del tutta dalla sua malattia e sia rimasta debole, è florida e le sue guance sono colorate di rosso. Non posso abbandonare quel lavoro, frutta troppo guadagno. Inoltre... non potrei mai andarmene da quella casa: c'è Maurizio, uno dei quattro figli del commerciante. È il più grande e io sono perdutamente innamorata di lui, è alto e atletico, con degli occhi neri penetranti e dei capelli scuri. Ha dieci anni più di me, ma più di una volta mi ha guardata intensamente e si è avvicinato a me, parlandomi. Una volta mi ha anche dato un bacio sulla fronte per augurarmi la buonanotte. Sogno troppo ad occhi aperti, so che un uomo come lui non potrebbe mai desiderare una ragazza come me: non ho nulla di particolare, non sono nè alta né bassa, né grassa né magra, ho degli occhi marroni e dei capelli scuri. La mia pelle è abbronzata a causa del lavoro nei campi, non ho nulla di più o di meno di una ragazza qualunque: sono anonima, o per lo meno, io mi vedo così. Ogni volta che mi vede, mia madre mi dice che sono bella, ma non le credo affatto: lei mi vuole bene, direbbe qualsiasi cosa pur di rendermi felice. Detesta che sia io a mantenerla, ma questo compito non mi pesa affatto. Aspetto con ansia che arrivi la notte: è da qualche tempo che ci diamo appuntamento, a tarda ora, nel boschetto che si trova davanti la Villa. È difficile per me uscire di casa e rientrare, devo eludere la sorveglianza delle guardie, ma non sono troppo attente e di solito, riesco a non farmi notare. Maurizio dice sempre che se ci fosse qualche problema con le guardie, dovrei mandarle da lui ma voglio evitare tutto questo: non voglio immischiarlo in situazioni scomode. Anche quella notte riesco ad uscire dalla Villa senza problemi e ci incontriamo in una radura, in mezzo al boschetto. Maurizio già mi aspetta e quando mi vede mi accoglie con un sorriso: è un uomo solare e sempre allegro, tuttavia credo che, per l'ambiente in cui vive, sia troppo buono e facile da manipolare. Di certo, non ho intensione di fare ciò.

Maurizio mi saluta con un bacio sulla fronte e io arrossisco: non l'ha fatto da molto tempo. Ci sediamo a terra tra l'erba, ma quella sera lui è strano: parla poco e non mi guarda in faccia, ci sono troppi minuti di silenzio tra noi due. Inizio a temere il peggio: forse si è stufato della mia compagnia. Spero che non sia così: mai mi sarei annoiata di stare insieme a lui e di sentirlo parlare, con la sua voce dolce e soave.

Esprimo subito il mio turbamento, odio tenermi i brutti pensieri dentro:

-Cosa c'è che non va, questa sera, Maurizio? Ho forse fatto qualcosa di sconveniente? O forse ti annoia la mia presenza e credi sia il caso che non ci vediamo più?- chiedo diretta. Lui sposta subito il suo sguardo su di me e mi fissa intensamente.

-Iginia, non dire mai più delle sciocchezze del genere, o potrei sentirmi veramente offeso dalla tue parole! Perdonami, oggi sono pensieroso, ma è perchè sto realizzando che vorrei passare ogni istante della mia vita con te, al contrario di come la pensi tu.- conclude. Mi stupisco delle sue parole, non capendo dove volesse arrivare con quel discorso:

-Cosa vuoi dire?- chiedo, non permettendo a me stessa di sperare più del lecito...

-Iginia, voglio dire che credo di essere innamorato di te!- e senza aggiungere altro si avvicina ancora di più a me e posa le sue labbra sulle mie. Sento il suo sapore in bocca e il bacio diventa appassionato, fin troppo. Ci ritroviamo stesi sull'erba, le sue mani avvolte intorno a me, ma un rumore tra i cespugli ci fa fermare: qualsiasi cosa o chiunque sia non deve trovarci li ora. Ci alziamo in piedi e corriamo verso la Villa, entrando entrambi dalla porta principale, senza avere problemi. Maurizio se ne va lasciandomi appena un bacio e promettendomi che la notte seguente ci saremmo rivisti. Lo sogno molto mentre dormo e spero che il momento in cui lo rivedrò arrivi presto, poichè non riesco a pensare ad altro che a lui, il mio cuore è suo.

Il momento dell'incontro arriva, questa volta Maurizio mi saluta con un bacio. Non c'è nessun fruscio tra i cespugli a fermarci, quella notte e, incoscienti, ci spingiamo fino a dove non saremmo mai dovuti arrivare: i vestiti cadono a terra e il resto viene da sé, divento sua completamente e mi sento la ragazza più felice del mondo. Le notti seguenti proseguono così, la gioia che provo nello stare con lui, anche in quel modo, non ha limiti. Mi sembra di vivere una favola ma purtroppo, non ho fatto i conti con la realtà. Per tre settimane vivo una favola meravigliosa, ma poi accade l'inaspettato. Una sera, corro nella radura ma Maurizio non c'è, ma lo aspetto quella notte, quella seguente e quella seguente ancora, ma non arriva mai. Non lo vedo nemmeno nalla Villa e non capisco il motivo. Mi faccio coraggio e vado da suo padre, che probabilmente mi farà frustare perchè mi sono recata da lui a disturbarlo, per chiedergli dove si trova suo figlio.

-Stai cercando Maurizio?- chiede, quasi divertito -in questo momento si trova a Napoli: sta celebrando il matrimonio con la sua promessa sposa.- me ne vado da quella stanza, senza riuscire a crede a quelle parole: non può essere vero, durante le nostre notti di fuoco, Maurizio mi aveva giurato che avrebbe sposato me! Corro da Cornelio, fratello di Maurizio. Ci ho parlato molte volte, è un ragazzo per bene, gentile e a modo, educato secondo i costumi del mos maiorum: sicuramente sa qualcosa che io non so.

Appena mi vede, abbassa lo sguardo e dice che suo fratello ha lasciato una breve lettera per me. La tira fuori da una tasca della veste e me la porge. Aspetta che io la legga, vuole vedere la mia reazione:


 

Cara Iginia,

le notti passate con te sono state molto appaganti, ma quello che non ti ho detto è che io ero già promesso sposo ad un'altra donna e volevo divertirmi con una giovane nel fiore degli anni prima di dovermi ammogliare con una donna della mia età. Mi dispiace, se la nostra storia storia fosse andata avanti, forse mi sarei davvero innamorato di te.

Maurizio.


 

La mia reazione è una soltanto: accartoccio la lettera e la getto a terra, scoppiando a piangere. La verità è che quel vile mi ha sempre presa in giro e si è solo approfittato di me, senza curarsi dei sentimenti che provavo per lui. Capisco di essere stata una sciocca per aver pensato solo per un attimo che un ricco si potesse interessare a me, una povera serva senza dote. Cornelio mi abbraccia e mi dice di farmi coraggio: è un ragazzo cortese e garbato, Maurizio una volta mi ha rivelato che si è preso una cotta per me. Non ascolto le sue parole e, appena sono sola, medito di uccidermi. Sto per farlo davvero, quando scopro di essere incinta: aspetto un bambino da un mostro. Nonostante tutto, non posso ucciderlo, non ho cuore di far cessare anche la sua vita, così decido di partorirlo e poi di uccidermi: forse non sapendo di chi è figlio potrà costruirsi una nuova vita e vivere senza i pregiudizi degli altri. Sono una ragazza sola, arrivata al quarto mese di gestazione, la mia gravidanza inizia a palesarsi: non posso continuare a vivere in quella casa poichè la vergogna mi assalirebbe e tutti si prenderebbero gioco di me. Accade tuttavia un fatto inaspettato: dopo aver dichiarato il suo amore per me, Cornelio è obbligato a sposare una ragazza facoltosa, che sembra dolce e gentile. Il ragazzo intraprende il cursus honorum (1*) e dopo essersi accasato, mi propone di andare a vivere nella sua Villa come unica domestica, poiché può permettersi di pagare solo me: lui e la moglie avrebbero conservato il mio segreto. Dopo nove mesi, con un parto più semplice della norma, nasce un bambino con occhi neri e capelli neri: è la copia del padre, posso riconoscerlo in ogni tratto del suo volto. Gli metto nome Fabrizio, perchè non dovrà mai avere legami con suo padre. Nessuno viene a sapere di questa faccenda: solo il bambino, ad età opportuna, viene messo a corrente dei fatti. La dolce moglie di Cornelio non può avere figli suoi, così i coniugi decidono di prendersi cura di Fabrizio e di educarlo come figlio loro, impedendo che io cada nella vergogna e sia obbligata ad uccidermi. Questa è la fortuna più grande di tutta la sua vita. In seguito Cornelio diventa un bravo senatore e si arricchisce sempre di più, la moglie riesce a partorire un bambino, soprannominato Antonio, ma prostrata dal parto difficile muore. I due bambini crescono come se fossero fratelli naturali e dopo alcuni anni si viene a sapere che Maurizio è morto di Tisi ma non riesco ad essere addolorata per questo. Il resto della storia è noto.

 

Note dell'autrice



(1*) Il cursus honorum era la successione delle magistrature e delle cariche politiche per i cittadini che intraprendevano la vita pubblica e la regolamentazione al loro accesso. In età repubblicana vi era un unico cursus, aperto, teoricamente, a tutti i cittadini.

Buongiorno a tutti! Mi scuso se ho aggiornato ieri notte, so che i miei orari sono improponibili, ma l'ho fatto solo per una questione di puntualità! Detesto i ritardi!
Ho corretto gli eventuali errori presenti nel capitolo e mi dispiace molto per questo piccolo disguido. Questo capitolo è molto complesso, per qualsiasi chiarimento, io sono qui per voi e sono felicissima di ripondere alle vostre recensioni!
Abbiamo visto uno spaccato della vita di Aurora da piccola (ce ne saranno molti altri, spero vi interessino) e Fabrizio che si burla della nostra cara ancella. "Neanche io ti amo" sarà poi tanto vero? Come alcuni mi avevano chiesto, ecco qui la triste storia di Iginia... cosa ne pensate?
Aggiornerò Domenica prossima (spero in un orario più proponibile)
un saluto

_Renesmee Cullen_


 

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Capitolo 11
*** Ragione e Sentimento ***


CAPITOLO 11 - Ragione e Sentimento

 

Guardai Iginia a lungo, restando in silenzio: di fronte a quel racconto non sapevo cosa dire. La donna mi aveva rivelato un'importantissima parte del suo passato, che effettivamente nessuno conosceva e temevo che qualsiasi cosa avessi detto sarebbe stata scortese, fuori posto e priva di tatto, così rimasi in silenzio, senza quasi respirare. Iginia mi guardò a sua volta a lungo, sospirò e poi disse dopo aver meditato per un po':

-Non ti ho narrato tutto questo per turbarti più del necessario, quindi suvvia, sorridi- il suo sguardo era affettuoso e il suo sorriso dolce.

Io cercai di sorridere, ma ero ancora stupita dal suo racconto, così alzai gli angoli della bocca in maniera tutt'altro che sincera.

-Quindi... Fabrizio è tuo figlio?- chiesi, poiché quella domanda mi premeva dentro da quando aveva iniziato a parlare delle sue vicende. Sebbene la donna mi avesse spiegato in maniera molto chiara quale fosse la situazione, mi sembrava talmente sorprendente il suo racconto che dovevo domandarle ancora una volta quale fosse la verità. Pensandoci bene e guardando attentamente Iginia, potevo notare che Fabrizio le assomigliava moltissimo: i colori che caratterizzavano il suo viso e quelli della madre erano gli stessi, come il bel naso dritto e le labbra carnose. La forma degli occhi, invece, era assai diversa: quelli di Fabrizio erano di gradevole grandezza, mentre quelli della madre erano tondi e più sporgenti.

-Si, Fabrizio è figlio mio e del fratello del senatore, che è morto da anni...- disse tranquillamente guardando davanti a sé. Forse, dentro di se sentiva molte più emozioni di quelle che voleva mostrare.

-E quindi lui sa tutto...?- chiesi di nuovo. Iginia annuì nuovamente senza aggiungere altro. Mai avrei potuto pensare che Fabrizio non fosse il figlio naturale del senatore. È vero, pensandoci bene la somiglianza tra i due non era così palese, ma negli occhi dell'uno brillava la stessa luce che si poteva cogliere in quelli dell'altro. Una profonda differenza si poteva invece notare tra i due fratellastri, sia nel carattere che nell'aspetto... Fabrizio era bello, atletico, un uomo legato all'onore e profondamente rispettoso delle leggi. Tutto il contrario dell'altro... chissà come si sentiva il padre sapendo che suo figlio non era all'altezza di suo nipote...

Improvvisamente mi incuriosì un altro aspetto della vita di Iginia, quello sentimentale:

-Il senatore è ancora innamorato di te? E tu lo sei mai stata di lui?- chiesi, indagando. Iginia scoppiò a ridere:

-Tu ragioni proprio come una giovane innamorata, forse più dell'idea dell'amore che di altro... ti brillano gli occhi mentre mi porgi questa domanda.- rispose. Io abbassai gli occhi credendo che non volesse rivelarmi il suo segreto, così non dissi nulla e rispettai il silenzio. Ad un tratto, però, Iginia riprese, inaspettatamente, a parlare.

-Io non sono mai stata innamorata di Cornelio, quando ero giovane... l'ho visto sempre come un uomo d'onore ed encomiabile, ma amavo suo fratello. Quando, con il passare degli anni mi sono accorta che forse sentivo qualcosa per lui, era troppo tardi per tornare indietro e lui non provava più nulla per me, inasprito da tutte le esperienze passate, con il cuore indurito dalla perdita della moglie e per tutti gli intrighi della politica e del servizio militare compiuto.- concluse così il suo discorso e sentii il cuore stringersi nel petto: quanto aveva sofferto e quanto soffriva ancora quella povera donna. La guardai in maniera compassionevole e lei se ne accorse:

-Non devi provare compassione per me, Aurora, ma devi trarre insegnamento dalla mia storia, è per questo che te l'ho raccontata! Mi porto dentro questo segreto da troppi anni ormai, tuttavia ho voluto condividerlo con te perchè so che non lo rivelerai a nessuno e perchè tu possa imparare da quello che è accaduto a me e non ripetere gli stessi errori!- esclamò concitatamente, quasi indispettita dalla mia reazione.

-Quindi, Aurora, giurami che starai lontana da mio figlio!- esclamò quindi, alzando involontariamente il tono della voce ed io mi scossi alle parole “mio figlio”... non si era mai riferita a Fabrizio nominandolo in quel modo, prima di allora. -Giura che lo dimenticherai, ma se non riuscirai a levartelo dalla testa, dovrai sparire! Se necessario ti troverò un posto dove andare, lo dico per il tuo bene e per il suo, non perché non voglio vedervi felici! Pagherei qualsiasi cosa, per vedere mio figlio contento...- le ultime parole le sussurrò, come se volesse che io non ascoltassi. Mi guardai le mani e le portai davanti agli occhi.

-Non posso, Iginia, non posso giurartelo!- quelle parole la fecero sussultare, così come scuotevano me e il mio cuore -Io provo dei sentimenti per Fabrizio... certo, non si sono ancora trasformati in, amore però man mano che passa il tempo, più lo guardo, più capisco che non posso fare a meno di lui, della sua presenza...sapere che è accanto a me, procura una sicurezza indicibile. Soffro ora, perchè so che lui non mi ricambia e credo che il mio cuore si spezzerebbe se mi trovassi lontano da lui... posso prometterti che cercherò di stargli più lontano possibile, me lo dimenticherò in qualche modo, in fondo ho preso solamente una cotta. Non chiedermi, tuttavia, di andarmene, non resisterei un attimo fuori da questa Villa, sia perchè questi luoghi per me sono sconosciuti, sia perchè non posso e non voglio stare lontana da Fabrizio... mi basta guardarlo da lontano, nascosta in un angolo, senza che si accorga della mia presenza...ma sarebbe troppo forte da sopportare per me sapere che non lo rivedrò più.- presi un grande respiro, le lacrime minacciavano di rigare il mio viso, ma strinsi i pugni e non mi mossi: i miei sentimenti non erano il capriccio di una ragazzina, come forse credeva Iginia, ma purtroppo erano qualcosa di più profondo.

-Tu non capisci!- sbottò la donna, i suoi modi quasi irriconoscibili -Tu non vedi! Lui è interessato a te più del dovuto! Non noti tutte le attenzioni che ti riserva? Ne ho parlato con lui, sai? Non vuole rivelarmi la verità, dice che per te non prova nulla, che gli fai solo tenerezza perchè sei giovane. In te vede se stesso alla tua età, dice, e per questo prova un istinto protettivo nei tuoi confronti. Io non ci credo, vedo come ti guarda e come tu guardi lui e posso garantirti che andando avanti di questo passo, vi farete del male a vicenda. Lui ti amerà ma non potrà mai esternarlo e tu lo vedrai sposare un'altra donna, vorrai strapparti i capelli per il dolore, o forse anche ucciderti perchè, fidati, sarebbe meglio stare nell'Ade piuttosto che vedere il tuo amato con un'altra. Tu non sarai mai sua e lui non sarà mai tuo, ecco cosa succederà ad entrambi! Se proverete ad esternare il vostro amore, verrete punti o forse uccisi, è questo che vuoi? Faresti rischiare la vita all'uomo di cui ti stai innamorando solo per passare degli attimi fuggenti con lui, dei quali non ti resterà nulla, se non un ricordo?- gridò. Temetti che qualcuno avesse potuto udirla, ma la Villa rimase silenziosa, non un fruscio di piante o ronzio di insetti si udiva nella notte stellata e, ormai, calda. Per un attimo, pensai che rivelare la mia vera identità, avrebbe messo in ordine tutto: stavo per raccontare tutto a Iginia, quando mi fermai: nulla avrebbe potuto migliorare quella situazione, anzi, forse le mie parole avrebbero solo portato danni a me e a chi si trovava intorno. Abbassai gli occhi e improvvisamente ripensai a quanto era successo quel pomeriggio:

-Non preoccuparti, Iginia, oggi pomeriggio gli ho urlato in faccia che non lo amo e lui, a sua volta, ha affermato di non amarmi. Forse Fabrizio mi piace un po' troppo e forse anche io non sono indifferente a lui, ma non corriamo nessun rischio. Io avrò la mia vita... lui, inevitabilmente, la sua. Ora sono stanca, vado a dormire, buonanotte.- dissi, scoraggiata e triste più che mai.

-Un'ultima cosa, piccola Aurora- disse Iginia, fermandomi -Io ho fatto tutto questo perchè sei una cara ragazza e ti vedo quasi come una seconda figlia... tu mi stai a cuore. Se permetti, però, agisco anche per un altro motivo: non voglio che mio figlio soffra. In questo mondo di guerra e violenza, ha visto parenti ed amici morire davanti ai suoi occhi... è un ragazzo sensibile e ha sofferto molto. Non voglio che abbia altre preoccupazioni...- concluse, omettendo l'ultima parte della frase, che sicuramente era “per una ragazza che non vale niente”. Iginia, tuttavia, era troppo buona per ammetterlo. Sentii che stavo per scoppiare a piangere, ma non l'avrei mia fatto davanti a lei, così mi affrettai a rispondere:

-Capisco perfettamente, Iginia.- dissi, quasi in maniera fredda -chiunque avrebbe reagito come te. Grazie per aver condiviso il tuo passato con me, mi sono sentita molto onorata di questo.- dissi così, mi voltai e me ne andai.

Entrai nella camera delle ancelle e mi gettai sul letto a faccia in giù, le lacrime che rigavano il volto, senza poterle trattenere. Il mio petto era scosso dai singhiozzi ma non un suono usciva dalle mie labbra: non potevo rischiare di svegliare nessuno, poichè sarebbe stata un'umiliazione, per me, piangere davanti a delle altre ancelle.

Piansi a lungo quella notte, perchè, piano piano, sentivo che, inevitabilmente mi stavo innamorando per la prima volta in vita mia...dell'uomo sbagliato però! Mai avrei potuto rivelargli i miei sentimenti, mai ne avrei dovuti provare nei suoi confronti. Sebbene le parole di Iginia mi avessero fatto credere per un momento che lui potesse provare qualcosa per me, i fatti accaduti quel pomeriggio smentivano tutto. Al dolore di non poter amare a pieno Fabrizio, si aggiungeva quello della consapevolezza di non essere ricambiata da lui. Tuttavia, come avevo rivelato impudentemente ad Iginia, mi accontentavo del fatto di vederlo ogni tanto, spendo che avrei potuto contare su di lui per qualsiasi cosa. Ripensai alle parole della donna e mi scossi: non potevo davvero volere il mio male in quel modo... dovevo mettere da parte ogni mio sogno di avere un futuro con Fabrizio. Dato che non sarei mai riuscita a dimenticarlo, vedendolo ogni singolo giorno, l'avrei dovuto evitare... avrei cambiato strada se l'avessi visto e non avrei accettato più i suoi favori, di nessun genere! Nonostante tutto, pensai che non sarei mai riuscita ad andarmene, perchè sebbene avrei provato ad evitarlo, la consapevolezza di sapere che avrei potuto rivederlo, mi avrebbe dato la forza per vivere. Certa che avrei tentato con tutte le mie forze di perseguire quell'obiettivo, mi addormentai, nervosa ed agitata.


 

P.O.V. Fabrizio


 

Non può essere vero, io non farei mai una cosa del genere, non è vero, io non ti amo, non può essere, è impossibile.”

Seduto davanti alla scrivania della mia camera, pensavo ripetutamente a quelle parole, incapace di prestare attenzione alle pergamene che stavo esaminando. Riportavano alcuni importanti avvenimenti militari e se la mia mente non fosse stata tanto impegnata nel riflettere su cose inutili, di certo sarei stato molto interessato a quegli argomenti. In un moto di rabbia, gettai tutte le carte a terra, appoggiando la testa sulla superficie spoglia della scrivania. Nonostante tutto, sarei dovuto essere molto contento delle parole della giovane Aurora... era un bene che non sentisse nulla nei miei confronti, né era lecito che provassi così tanta attrazione per lei. Non potevo fare a meno di ripetermi, tuttavia, che aveva detto di non amarmi e sentire quelle parole con le mie orecchie, mi aveva provocato un grande senso di angoscia e, incredibilmente, di solitudine.

Non mi ama, non mi ama!

Nella mia mente rimbombavano dolorosamente quelle parole da ore ed ore. Strinsi i pugni: non potevo sentirmi abbattuto soltanto perchè una semplice ancella aveva detto di non ricambiare i miei sentimenti per lei... ma quali erano i miei sentimenti per Aurora? Più passava il tempo, più capivo che quello che provavo per lei non era una semplice infatuazione, ma di certo era qualcosa di più. Il mio cuore accelerava i battiti quando la guardavo e solo sentire il suo nome mi faceva brillare gli occhi. Ripensai a quei sentimenti e un'orribile consapevolezza si fece strada nella mia mente: mi stavo innamorando di quella ragazza. Mi piaceva il suo essere, a volte, forse troppo spontanea e il fatto che, inspiegabilmente, spesso riusciva a comprendermi. Quello che più di tutto mi catturava di lei, erano i suoi occhi azzurri, così brillanti e chiari, su cui potevo specchiarmi.

Decisi che, per il mio bene, avrei dovuto dimenticare quella ragazza, che mi aveva portato, con il suo arrivo, tante gioie e, allo stesso tempo, tanti guai. Non avrei più dovuto incontrarla di nascosto di notte né fugacemente di giorno. Questo non voleva dire abbandonarla: non l'avrei mai lasciata sola, in balia di quel mondo per lei sconosciuto, pieno di persone che avrebbero potuto farle del male. Avrei vegliato su di lei come uno spirito: non si sarebbe mai accorta della mia presenza ma non sarebbe mai stata sola.

Improvvisamente qualcuno bussò alla porta della mia camera e senza aspettare che io parlassi, entrò. Solo una persona aveva il diritto e il permesso di comportarsi in quel modo: mia madre. Come mi aspettavo, entrò lentamente nella stanza, ma non alzai la testa dalla scrivania, lei era l'unica con cui potevo esternare i miei veri sentimenti senza dovermene vergognare. Vide le pergamene gettate a terra, ma non disse nulla, soltanto i suoi occhi furono illuminati da una strana luce. Chiuse lentamente l'uscio alle sue spalle e si avvicinò a me, tuttavia non mi mossi ancora da quella posizione. Iginia mi appoggiò una mano sulla spalla e si chinò alla mia altezza, parlandomi con voce dolce e materna:

-Figlio mio, cosa agita il tuo cuore?- alzai il capo, questa volta, guardandola negli occhi: sebbene volessi molto bene a mia madre e le confidassi e chiedessi consiglio per molte questioni, non ero riuscito a rivelarle dei miei sentimenti per Aurora, poiché mi vergognavo di me stesso: io, potente generale romano, non avrei mai dovuto mostrarmi debole davanti agli altri. Nonostante tutto, ero consapevole che si era accorta da sola di ciò, sebbene le avessi detto ripetutamente di non provare nulla per quella ragazza, mentendo in maniera quasi oltraggiosa.

-Troppi pensieri scuotono la mia mente e il mio cuore, madre... non voglio angustiarti con le mie congetture- sollevai un angolo della bocca, mentre mormoravo quelle parole.

-Riguardano forse... quella ancella, Aurora?- mi chiese, centrando perfettamente ciò su cui ragionavo da tempo. Non dissi nulla, né feci cenno di aver compreso a cosa si riferisse e vedendo la mia indifferenza, la donna fu colpita da un moto di stizza: dopo aver lasciato cadere le braccia lungo i fianchi, mi prese per le spalle e le scosse vigorosamente.

-Fabrizio, io ho capito quello che tu senti per quella ragazza! Sono tua madre, non sono una sciocca, maledizione, smettila di nascondermi i tuoi pensieri!- quasi urlò. Non avevo mai sentito mia madre così infuriata, ma sapendo quello che le era accaduto, non potevo di certo biasimarla.

-Si, madre, penso ripetutamente ed incessantemente a lei, la mia mente è annebbiata dall'immagine del suo volto e le orecchie risuonano del suono della sua voce!- sbottai, battendo un pugno sul tavolo e alzandomi in piedi, fronteggiandola.

-Cos'ha lei di speciale, in confronto alle altre ragazze che ti sei portato a letto? Perchè ti interessi a lei, un'ingenua ancella, estranea al mondo dell'amore e al mondo degli uomini?- chiese concitatamente.

Io la guardai a lungo, prima di rispondere, ma ormai mi ero esposto così tanto, da non aver modo di tirarmi indietro.

-È proprio questo, madre che la rende speciale: è una ragazza innocente e nel suo cuore è molto più fragile di quello che vuole mostrare agli altri, glie l'ho letto negli occhi. È spontanea e piena di vita, nonostante tutto... non riesco a togliere dalla mente il suo sorriso e i suoi occhi... oh, quelli mi hanno ammaliato... risplendono come due zaffiri, non potrei mai scordarli.- ammisi, quasi riluttante.

Mia madre restò in silenzio, poi parlò, severa:

-Devi dimenticare quella ragazza, ti farà solo soffrire...- il suo tono di voce era sfinito ed angosciato, come se avesse ripetuto quelle parole mille e mille volte, ma mi dissi che quella era soltanto una mia impressione.

-Lo so madre, ne sono consapevole...- dissi a mia volta e poi, involontariamente, aggiunsi -cosa darei, tuttavia, per sapere cosa pensa di me, quello che prova...basterebbe che sentisse per me soltanto un po' d'affetto...- ma mi bloccai, vergognandomi di aver rivelato quel pensiero. Mio padre aveva ragione, stavo diventando un altro, il mio cuore non era più duro come la pietra, ma addolcito oltre misura, a causa di ciò che stavo passando.

-Mi dispiace, figlio mio, ma devi levarti dalla testa quella ragazza, per due motivi: primo, il tuo è un amore impossibile, per la vostra diversa condizione sociale, secondo... avendo capito che provavi qualcosa, le ho chiesto cosa ne pensasse di te...- sospese la frase, lasciandomi quasi senza fiato, incuriosito come non mai, sapendo che le sue parole avrebbero potuto darmi speranza o disperazione -ti vede esattamente come è consono alla sua situazione: tu sei il suo padrone, lei la tua serva. Non sente niente nei tuoi confronti, ti odia nella stessa maniera in cui odia i romani che l'hanno strappata dalla sua patria.- concluse il suo discorso e non ebbi nessuna reazione, ero troppo stupito per dire qualsiasi cosa.

-Mi dispiace Fabrizio, vedrai che anche questo affare si risolverà.- detto questo, in maniera più fredda del dovuto, se ne andò. Meccanicamente, mi accasciai sullo sgabello della scrivania e mi misi le mani davanti agli occhi. Avevo vissuto con il ricordo del bacio strappato ad Aurora, sebbene all'inizio fosse sembrata riluttante, alla fine aveva ricambiato il bacio... mi ero aggrappato a quella che credevo una certezza, sperando più del dovuto che potesse sentire qualcosa per me. Anche quella convinzione si sgretolò come pietra davanti ai miei occhi e per la prima volta, da quando ero quasi un neonato, desiderai di poter piangere.


 

Dopo molti giorni dall'incontro con l'uomo incappucciato decise che, se voleva aver salva la vita, avrebbe dovuto fare quanto le veniva chiesto. Si diedi da fare, procurandosi tutto il materiale che sarebbe servito per quella missione, rifornendosi attraverso amici fidati. Una notte, decise di perlustrare più attentamente il territorio circostante la Villa, poiché per svolgere il suo compito, quella volta, avrebbe potuto contare solamente sulle sue forze. Si avvicinò lentamente alla casa, l'oscurità le copriva le spalle e si nascose nelle vie attigue la Villa, cercando di non farsi notare dalle guardie poste a sorveglianza sia della porta principale che di quella di servizio. Saltuariamente, due guardie perlustravano tutto il perimetro della Villa. Dopo averli osservati attentamente, annotò su una pergamena gli orari dei turni di guardia, notando che per un brevissimo tempo, una delle due porte restava sguarnita di guardie. Non erano molto intelligenti, questi soldati: non bisognava mai lasciare una porta privare di uomini, soprattutto quando lei, Filenide, si trovava in circolazione.

All'alba, soddisfatta del suo lavoro tornò nella mia piccola capanna, che utilizzava come base, mentre compieva i suoi loschi affari. Non avrebbe mai ricevuto i clienti nella sua maestosa Villa.

La notte seguente, tornò di nuovo all'opera: si appostò davanti alla casa, senza essere vista e nel momento in cui l'oscurità era più fitta e le guardie più insonnolite ed assenti, sgusciò dentro l'abitazione, attraverso la porta di servizio, che era quella meno controllata dalle guardie: sicuramente la parte della Villa dove si trovavano gli uomini importanti era più sorvegliata di questa, della vita dei servi non interessava a nessuno... ma a lei, in quel momento, si!


 


P.O.V. Aurora


Sebbene ci avessi messo molta buona volontà, non ero riuscita a dormire molto: mi ero svegliata ripetutamente, in preda agli incubi e ogni volta che mi svegliavo il dolore che sentivo dentro al petto cresceva, tuttavia ero riuscita a non piangere poiché dovevo essere forte, in quel momento più che mai

La mattina, stanca come poche volte ero stata, mi aggiravo come un'ombra per la stanza della Biblioteca: avevo guardato la scrivania con sopra le pergamene e non avevo neanche avuto il coraggio di avvicinarmici. Decisi che non sarebbe successo nulla se quel giorno non avessi catalogato pergamene ma mi fossi riposata. Dopo aver camminato lentamente lungo il perimetro della Biblioteca, mi sedetti infine sullo sgabello della scrivania, notando qualcosa che precedentemente non avevo visto; in mezzo alle pergamene ce n'era una più scura delle altre, piegata in due. La aprii e lessi ciò che recitava:

Ti aspetto al fiume, sta notte, devo parlarti di una questione spinosa ed urgente.

Fabrizio.


 

Dopo aver letto quella scritta, inizialmente decisi che non mi sarei presentata all'appuntamento con il Generale, per perseguire gli obiettivi che mi ero imposta. Più il tempo passava, però, più la curiosità si faceva strada nella mia mente: non potevo non andare a quell'incontro, quale poteva essere la questione spinosa ed urgente di cui doveva parlarmi Fabrizio?

Aspettai con ansia la notte, mentre una parte di me fantasticava sulle parole dolci ce avrebbe potuto dirmi... cosa sarebbe successo se anche lui avesse provato dei sentimenti per me e avesse voluto dichiararli?

Scossi la testa, pensando che non mi sarei dovuta illudere. Attesi con ansia la notte e quando arrivò, cercai di uscire dalla Villa, come avevo fatto assieme a Fabrizio, tuttavia le guardie mi sbarrarono il passo:

-Alla servitù non è concesso uscire di notte.- disse un uomo corpulento e con tanti capelli.

-È un ordine del generale Fabrizio!- esclamai, quasi indignata, dimenticando che a Roma non ero una principessa e le guardie non si sarebbe inchinate al mio passaggio. I due uomini si guardarono:

-Andremo a chiedere spiegazioni al Generale, allora!- esclamarono, quasi all'unisono, pensando che a quell'affermazione mi sarei spaventata ed avrei cambiato idea.

-Quando lo ritenete più opportuno.- affermai, sfrontata. Il desiderio di rivedere Fabrizio aveva quasi completamente annullato tutti i buoni propositi della notte precedente, anche se non riuscivo a non sentirmi in colpa, nei confronti di Iginia.

Le guardie mi lasciarono passare, forse temendo di ricevere un rimprovero dal Generale, così mi avviai, quasi di corsa, verso il fiume Tevere. Giunsi al luogo prestabilito, il petto che si alzava ed abbassava velocemente, il respiro affannoso, mi guardai intorno ma non vidi nessuno, forse dovevo solo attendere, tuttavia mi sorprendeva il fatto che Fabrizio non fosse ancora arrivato.

La notte era buia, le stelle e la luna erano coperte da delle grandi e nere nubi, questo conferiva al paesaggio un aspetto oscuro e terrificante, più di quanto mi sarei aspettata. Sentii un fruscio tra i cespugli che circondavano il letto del fiume e mi spaventai, temendo che stesse arrivando qualcuno di indesiderato, ma soltanto una piccola volpe uscì fuori dalla vegetazione. Un secondo fruscio scosse le piante e mi aspettai di vedere di nuovo un animale, ma quello che invece scorsi tra i cespugli mi gelò il sangue nelle vene: una figura nera avanzava verso di me e, terribilmente ed inaspettatamente, non era la sagoma di Fabrizio.

-Sei venuta, allora, Aurora- sputò il mio nome come se fosse quello di una prostituta e si avvicinò ancora a me. Sebbene non riuscissi a distinguere le sue fattezze, la voce sembrava femminile.

-Sei caduta dritta nella mia trappola, ora sei come un animale in gabbia- continuò, con voce aspra.

-Chi sei? Cosa vuoi da me?- chiesi e il panico inondò la mia voce e i miei pensieri, incapace di fare nulla non mi mossi da dove mi trovavo.

-Chi sono? Non ti servirà a nulla saperlo, perchè morirai tra poco!- esclamò la sagoma, il suo volto era indistinguibile a causa del cappuccio calato. La donna sembrava quasi dispiaciuta per la mia sorte ma a quelle parole iniziai a tremare vistosamente:

-C-cosa ti ho fatto per meritarmi questo?- chiesi, non capendo il motivo dell'astio nei miei confronti da parte sua.

-Oh, povera, cara Aurora. Non mi hai fatto nulla tu, ma ho bisogno di ucciderti, o il mio piano non riuscirà ad essere effettuato completamente.- la donna rise, sguaiatamente e intravidi dei denti bianchi e perfetti, quasi ferini.

Feci un passo indietro, ma come un fulmine, la sagoma nera arrivò alle mie spalle, appoggiando un pugnale sulla mia gola. Iniziai ad urlare, ma coprì la mia bocca con un braccio.

-Chissà come reagirà il tuo Fabrizio quando saprà che la sua...protetta? (si, posso definirti così), è stata assassinata? Vorrà sicuramente trovare il colpevole e quella sarebbe la fine per lui...- disse di nuovo, spaventandomi come non mai.

Non mi fu difficile ragionare, sebbene mi trovassi in quel frangente: quella era la stessa donna che aveva commissionato ad Attilia l'omicidio di Fabrizio e, non essendo riuscita ad ottenere quanto desiderava, voleva arrivare a lui attraverso di me. Per fare ciò, si era intrufolata nella Villa e aveva scritto un biglietto fingendosi Fabrizio, attirandomi così nella sua trappola. Come faceva, tuttavia, a sapere, questa figura, chi fossi e ciò che condividevo con Fabrizio?

-Se non fosse stato per colpa tua, a quest'ora io sarei libera e potrei godermi il mio denaro... ma tu ti sei voluta immischiare e hai salvato Fabrizio dall'incendio e per questo la pagherai cara!- esclamò di nuovo la donna. Iniziai a comprendere la ragione del suo odio, tuttavia non potevo nè dire nè fare nulla per difendermi. Vedevo la vita scivolare via dalle mie mani senza che io potessi fare nulla per trattenerla, ma non poteva andare in quel modo! Non potevo lasciarmi uccidere da un sicario, dopo tutto ciò che avevo fatto per restare in vita...

-Hai un ultimo desiderio?- chiese la donna, sarcasticamente, poiché io non potevo rispondere, con la bocca bloccata.

-Pare di no... quindi buona discesa nell'Ade- disse, crudele, e detto questo sollevò il pugnale.



Note dell'autrice


Buonasera a tutti! Innanzi tutto mi scuso immensamente per l'orribile ritardo! Detesto i ritardi ma questa volta non ho potuto fare a meno di fare così poichè ho avuto molti problemi e ho dovuto anche affrontare un esame.
La bella notizia è che se riceverò tante recenzioni posterò Domenica!
In questo capitolo vediamo il contrasto tra ciò che i personaggi DOVREBBERO  e quello che invece VORREBBERO fare... chissà come andrà a finire. Chi salverà Aurora? Vi avverto, la mia testolina bacata ha in mente molte vicende che nessuno si aspetta...
grazie a tutti della pazienza, buona cena

_Renesmee Cullen_
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Capitolo 12
*** Illusioni ***


CAPITOLO 12 – Illusioni


 

La donna sollevò il pugnale e lo diresse con decisione contro la mia gola così, rassegnata a morire, iniziai a recitare la preghiera che pronunciano i condannati a morte prima di essere giustiziati, affinchè il dio dei morti accetti la loro anima nel suo mondo.

Oh Ade, glorioso fratello di Zeus, accogli la mia anima nel tuo regno, così che non viaggi senza meta nel limbo tra il nostro mondo e l'Aldilà... (1*)

Sentii la lama ghiacciata del pugnale colpirmi la pelle, seguito da un forte bruciore alla gola, ma prima che potesse essere troppo tardi, la figura lasciò andare, inspiegabilmente, il coltello, che cadde a terra producendo un suono ovattato a causa dell'erba. La donna, tuttavia, non mollò la sua presa su di me per un po', ma sentii che questa diventava più debole. Pensando che il sicario avesse avuto qualche sorta di mancamento o ripensamento, sfruttai l'occasione e sebbene sentissi che stavo perdendo del sangue dalla ferita, fortunatamente, superficiale, mi gettai in avanti, per sfuggire dalle sue grinfie. Appena riuscii a scrollarmi di dosso le sue braccia, tuttavia, mi accorsi che la figura era rimasta immobile, tanto che mi voltai e strabuzzai gli occhi, stupita.

Davanti a me si trovava la sagoma nera della donna incappucciata, che nell'oscurità sembrava quasi un'ombra; il suo ventre era trapassato da parte a parte da una spada, impugnata saldamente da Fabrizio. La figura era accasciata sulla spada e appena il Generale la divelse, la donna crollò con la faccia a terra. Mosse brevemente le dita, nel gesto di cercare qualcosa, forse il suo pugnale, dopo di che non si mosse più. A causa della scena orripilante e della ferita che avevo subito, ebbi un mancamento e caddi a terra, Fabrizio si avvicinò a me, guardandomi dall'alto in basso, severamente e quasi adirato. La mia mente iniziò a fantasticare: credetti che mi avrebbe presa in braccio, forse, e condotto alla Villa, che mi avrebbe fatto sottoporre a delle cure speciali, magari riparata al sicuro nella sua stanza, come aveva fatto altre volte. Immaginai parole di conforto da parte sua...

-Sei stata una stupida ad avventurarti qui, da sola, di notte. Solo una sciocca come te poteva pensare davvero che io potessi invitarti a fare una cosa del genere. Non ci sarò sempre io a farti da balia, non ti andrà così bene la prossima volta. Spero che tutto ciò ti sarà di monito!- detto questo in maniera fredda e scostante, se ne andò, lasciandomi sola sull'erba, dolorante e disperata come non mai.

Non riuscivo a credere alle parole del Generale, così rimasi immobile distesa a terra, senza riuscire a muovermi. Non mi importava cosa sarebbe stato di me, forse con la donna c'era qualcun altro che voleva uccidermi e si trovava proprio accanto a me... non mi interessava. Sarebbe stato meglio morire cento volte più che ascoltare Fabrizio che diceva quelle cose crudeli nei miei confronti. Ero stata troppo ingenua, è vero, ma Fabrizio era solito spedirmi dei bigliettini per avvisarmi su alcuni fatti o dirmi qualcosa... come avrei mai potuto sapere che in realtà qualcuno voleva trarmi in trappola? Improvvisamente, come accadeva troppo spesso in quel periodo, volli piangere a dirotto, ma mi accorsi che non era il momento adatto per farlo.

Mi tirai su lentamente, tenendomi la gola con una mano: il taglio era superficiale ma la ferita andava curata subito, poiché il sangue sgorgava a fiotti. Strappai un lembo della veste e la immersi nel fiume, stando attenta a non cadervi dentro, la strinsi attorno al collo e mi diressi lentamente verso la Villa. Cosa avrei potuto fare, tuttavia, una volta giunta là? Camminai a tentoni per le strade buie e deserte di Roma, finchè non arrivai all'abitazione. La vista si appannò, trovai la porta di servizio aperta, come per magia, senza nessuno che ostacolava il mio cammino. Entrai e vidi davanti a me Iginia, come se mi stesse aspettando e non appena la vidi, le caddi addosso.

 

Mi risvegliai sul mio giaciglio, duro e assai poco confortevole, mentre sentivo il collo che bruciava. Mi voltai a fatica a destra e a sinistra, ma la stanza delle ancelle era vuota. Dopo poco la porta si aprì lentamente e Iginia entrò nella stanza.

Si avvicinò al mio letto molto lentamente, poi disse, con fare gioviale:

-Finalmente ti sei svegliata, dormigliona! Nessuna ancella ha avuto il lusso di dormire due giorni di fila!- esclamò, a voce forse troppo alta per me, che mi ero appena destata da un lungo sonno. Sorrise apertamente e io ricambiai debolmente.

-Mi hai fatto prendere un bello spavento, sai?- mi chiese, con fare più confidenziale.

-Cosa è successo?- sussurrai, desiderosa soltanto di tornare a dormire e fuggire dalla realtà.

-Due sere fa, dormito beatamente nella mia stanza, quando Fabrizio mi ha svegliato di colpo, dicendomi che stavi tornando alla Villa, ferita. Così ti ho aspettato e quando ti ho visto piombarmi addosso... bhe, ho pensato che fossi morta. Per fortuna, appena ti ho controllata ho notato che la tua era una ferita superficiale ma estesa e aveva solo bisogno di essere ricucita.- mentre parlava, era più calma e allegra di quanto sicuramente fosse.

-Vuoi dire che... mi hai cucito il collo?- chiesi, terrorizzata. La donna annuì con fare non curante e non ebbi il coraggio di toccarmi il collo. Sapere che nella mia pelle era stato passato ago e filo, di certo non mi faceva sentire bene mi fece girare la testa.

-Come ha fatto Fabrizio a trovarmi e a sapere che mi trovavo proprio li?- chiesi, curiosa, dato che quella domanda mi rimbombava in testa da tempo.

-Una guardia è andata a chiedere al generale se effettivamente ti aveva detto di uscire... è corso nella stanza delle ancelle e ha trovato sopra al tuo letto quel bigliettino e quando ha capito che eri andata via credendo che te lo avesse chiesto lui, è quasi andato fuori di testa....-rispose, poi si interruppe bruscamente, non volendo continuare oltre.

-Oh Iginia, se solo ti avessi ascoltato... a quest'ora non sarei qui in queste condizioni... se solo non fossi andata in quel luogo, io...- ero mortificata e dispiaciuta, se Iginia avesse voluto rinfacciarmi che non l'avevo ascoltata, avrebbe fatto soltanto bene. La governante, invece, non si riferì al fatto che aveva avuto ragione, ma disse soltanto, con aria bonaria:

-Non tutto il male vien per nuocere, non che io sia contenta di quello che ti sia accaduto, forse certi avvenimenti accadono per un motivo, nulla è lasciato al caso... potrebbe essere la volta buona in cui capisci cosa è giusto fare e cosa no...- fece un lunghissimo sospiro, poi cambiò discorso -tornerò sta sera per curarti la ferita, riposati.- detto questo, infilò velocemente la porta e se ne andò. Appoggiai la testa sul cuscino e mi addormentai, piena di domande e pensieri.


 

Aprii gli occhi e sussultai, colta di sorpresa: davanti a me, appoggiato su uno sgabello, sedeva Fabrizio, pensieroso. Appena vide che avevo aperto gli occhi, fece un cenno con la testa verso di m, che non ricambiai. Perchè si trovava li, in quel momento? Voleva continuare ad insultarmi? Di certo, se mi avesse detto altre parole crudeli, non lo avrei sopportato e sarei scoppiata a piangere.

-Salve, Aurora. Come ti senti?- mi chiese, formalmente, come se non mi conoscesse. Come poteva comportarsi così, dopo tutto quello che era successo?

-Bene, grazie.- risposi, ripagandolo con la stessa moneta, non chiedendo nemmeno come stesse. Lui mi guardò indifferente, come se fossi fatta d'aria, il suo guardò mi trapassò da parte a parte e per quanto era freddo, mi ferì come una lama. Distolsi lo sguardo da lui, sapendo che non sarei riuscita a sopportare quell'occhiata ancora.

-Sono qui perchè, purtroppo, devo farti alcune domande su ciò che è accaduto l'altra sera- iniziò, dal suo tono si intuiva che non sarebbe mai voluto essere li, ma che purtroppo, era obbligato ad esserci.

-Dimmi- ribattei, stanca, chiudendo gli occhi ed accasciandomi con la testa sui cuscini. Non avevo il coraggio e la forza di intraprendere quella conversazione, ma se non fosse stato oggi, sarebbe stato un altro giorno, quindi non aveva senso aspettare.

-So che non sarà piacevole per te ricordare- iniziò il Generale, nella sua voce poteva intuirsi una nota quasi comprensiva, che tuttavia sparì subito -ma devo chiederti: cosa voleva da te, quella donna?-

concluse la sua richiesta e tacque. Aprii gli occhi improvvisamente, con i ricordi che tornavano a galla più violenti di quanto potessi immaginare.

-Ha detto...- iniziai, mentre le gote arrossivano un poco, dovendo riferire a Fabrizio le parole di quella donna -ha detto che voleva uccidermi per arrivare a te.- affermai, ma Fabrizio mi guardò dubbioso, così continuai -mi spiego, il suo obiettivo eri tu. È stata lei la persona che ha commissionato a un abitante di questa casa di appiccare l'incendio, era lei che ti voleva morto. Il suo obiettivo era uccidere me così che tu, adirato, avresti cercato il mio omicida, cadendo nella sua trappola, poiché dopo che l'avessi trovata, ti avrebbe ucciso.- conclusi, senza riferirgli che la donna aveva ipotizzato un interesse del Generale per me, poiché sarebbe stato troppo imbarazzante da dire.

-Non ha detto altro, Aurora? Ne sei sicura? Qualsiasi particolare può essere importante.- mi incitò il ragazzo. Stavo per dire di non ricordare altro, quando mi vennero in mente alcune parole che mi avevano, in effetti, lasciato perplessa.

-Aspetta, non so se questo può servirti, ma ha anche detto “Se non fosse stato per colpa tua, a quest'ora io sarei libera e potrei godermi il mio denaro”...- conclusi. Fabrizio non mi guardava, ma fissava un punto imprecisato nel terreno, pensieroso.

-Mi sembra tutto molto chiaro, allora- disse. Lo guardai confusa anche se un'idea indefinita andava formandosi nella mia mente.

-Cosa vuoi dire...?.- chiesi, interdetta, ancora non riuscendo a stare dietro alla mente geniale di Fabrizio.

-Non è la donna che mi vuole morto: lei è solo uno strumento di qualcun altro.- disse, sicuro. Credetti di non aver capito bene le sue parole e spalancai gli occhi. Il ragazzo vide la mia incredulità e spiegò:

-Qualcuno che vuole rimanere nell'ombra, vuole uccidermi. Evidentemente questa persona può trarre dei vantaggi dalla la mia morte, tuttavia non ha il coraggio di far sapere chi è... non c'è dubbio, qualcuno complotta contro di me, ma ha paura di morire.- concluse Fabrizio, con voce tetra. La sua idea mi fu chiara più che mai e chiusi gli occhi, non riuscendo a immaginare che qualcuno volesse far del male a Fabrizio.

-Bene, mi sei stata di grande aiuto, Aurora...addio– disse il Generale, lanciandomi un'occhiata densa di sotto intesi e quasi disperata; senza aspettare che io rispondessi varcò la porta e se ne andò.

Addio? Cosa voleva dire con la parola “addio” e soprattutto, perchè l'aveva utilizzata? Scossi la testa, pensando che, di certo, non aveva fatto caso a ciò che stesse dicendo. Sperai che non l'avesse detto perchè non voleva vedermi mai più... non sarei mai riuscita a sopravvivere senza vederlo nemmeno una volta. Ripensai al suo tono freddo e distaccato e sebbene mi ripetessi che fosse un bene che il Generale volesse interporre della lecita distanza fra noi, poichè non dovevamo avere nulla in comune, non riuscivo a non essere triste.

Il mio cuore non riusciva a capacitarsi del comportamento del ragazzo e non seppi pensare ad altro che a quello nei tre seguenti giorni in cui rimasi a riposo. Stesa sul letto, riuscivo soltanto a rimuginare sul comportamento di Fabrizio, facevo ipotesi di ogni tipo e non riuscivo a smettere. Forse si era accorto dei miei sentimenti per lui, come tutti del resto, e voleva allontanarsi definitivamente da me perchè non provava nulla nei miei confronti e credeva di illudermi troppo. Infondo, cosa poteva interessare a lui di una povera serva? Non potevo offrirgli niente, nello stato in cui mi trovavo... ah, se l'avessi conosciuto quando ancora ero una principessa... scacciavo dalla testa quel pensiero ripetutamente, convincendomi che quella vita non mi apparteneva più, ma faceva parte del passato.

 

Finalmente, dopo essere rimasta a letto per cinque giorni, riuscii ad alzarmi e tornai a svolgere il mio lavoro: avere la mente occupata mi aiutava molto a non pensare a Fabrizio e ai suoi comportamenti. Dal giorno in cui era venuto nella mia stanza, non l'avevo più visto, era svanito nel nulla, al contrario incontravo spesso Iginia, che veniva a controllarmi ogni tanto in Biblioteca, per sapere come stessi e vedere il mio lavoro. Ero certa che mi stesse così vicino per evitare che incontrassi Fabrizio. Quasi inspiegabilmente, la donna era diventata molto più cordiale di quanto fosse mai stata, non avevo mai dubitato del suo affetto nei miei confronti certo, ma in quei giorni, era così premurosa da destare in me qualche sospetto. Una sera, mentre mi rigiravo nel letto, non riuscendo a dormire, come accadeva spesso in quel periodo, mi venne in mente un'ipotesi alla quale non avevo pensato prima di allora, azzardata molto più di quanto potessi osare.

Magari Fabrizio si stava comportando in quel modo perchè si sentiva, in qualche modo, in colpa...? Sicuramente, Iginia aveva rimproverato il figlio il suo comportamento nei miei confronti e lui, dopo aver visto cosa mi era successo a causa dei miei sentimenti per lui, aveva deciso di agire in quel modo. Erano diversi giorni che avevo il cuore spezzato, non sarei riuscita a vivere così ancora per molto. Mai in vita mia mi ero sentita più scoraggiata e demoralizzata, nemmeno quando avevo visto la mia famiglia morire di fronte a me. Erano giorni che non sorridevo, mentre sentivo un peso nel petto come se il mio cuore fosse stato diviso in due parti. Non potevo rovinarmi la vita in quel modo, in un impeto d'ira e di eccesso di coraggio, volli sapere quali fossero le intenzioni di Fabrizio e cosa spingesse il suo agire, a qualunque costo. Non poteva trattarmi in quel modo senza fornirmi delle spiegazioni appropriate: non ero un suo giocattolo, lo avevo già messo in chiaro altre volte. Accantonai la consapevolezza che lui era il mio padrone e avrebbe potuto decidere di non ricevermi nemmeno nella sua stanza e mi alzai dal letto con solo la sottoveste leggera addosso e mi avviai verso la sua stanza. Di certo, se mi fossi fermata a pensare troppo, avrei cambiato idea e questo non doveva succedere. Arrivata davanti alla porta della sua camera, bussai, più forte di quanto potessi permettermi a quell'ora di notte, senza aspettare che mi desse il permesso di entrare, aprii l'uscio ed entrai nella stanza.

Come se già lo sapessi, non mi stupii quando trovai Fabrizio, insonne, seduto alla scrivania a leggere delle pergamene. Il viso, ornato da un'espressione dura, era solcato da profonde e scure occhiaie, la sua bocca era piegata all'ingiù in maniera quasi innaturale e le mani stringevano quasi spasmodicamente i manoscritti.

Alzò lo sguardo da ciò che stava facendo e quando mi vide, sussultò e si irrigidì improvvisamente, tuttavia cercò di non farlo notare.

-Cosa bussi a fare, se poi non aspetti che ti venga dato il permesso per entrare?- chiese freddo il Generale, con un tono di voce che, di certo, non gli apparteneva.

-Mi dispiace, non volevo essere scortese, ma...- iniziai, ma Fabrizio mi lanciò un'occhiata terribile e il coraggio che avevo acquisito improvvisamente venne meno, così mi fermai, senza riuscire ad aggiungere altro, poiché sentivo la lingua attorcigliata.

-Sei venuta a disturbarmi per poi rimanere in silenzio?- chiese ancora, più brusco di prima. In quel momento, ebbi davvero voglia di piangere, ma non l'avrei fatto davanti a lui. Abbassai la testa e rimasi in silenzio, le lacrime che minacciavano di uscire da un momento all'altro.

Mi voltai e feci per andarmene, disperata come non mai, il coraggio di poco prima era completamente svanito, dentro di me albergava solo un grandissimo timore di fare la cosa sbagliata.

-Hai ragione, sono venuta solo per disturbare, ma me ne vado subito, ti porgo le mie scuse e ti assicuro che non accadrà più.- Stavo per aprire la porta ed andarmene, quando una mano forte e delicata mi trattenne, prendendo la mia. Mi voltai e mi ritrovai con la schiena appoggiata alla porta, Fabrizio si trovava di fronte a me e ancora non lasciava la mia mano.

Non riuscii a trattenermi e qualche lacrima sgorgò dai miei occhi, sentii il naso diventare rosso e la ferita che avevo al collo tirare mentre percepivo che i singhiozzi iniziavano a squassare il mio petto.

Fabrizio spalancò gli occhi, mi prese la testa tra le mani e con i pollici mi asciugò quelle lacrime che, nonostante tutto, non ero riuscita a trattenere.

-No, ti scongiuro, non piangere. Nulla varrebbe le tue lacrime.- sussurrò Fabrizio al mio orecchio, con voce soffice e preoccupata.

-Perchè, Fabrizio? Perchè?- chiesi, mentre tiravo su con il naso e cercavo di trattenere le lacrime che ancora volevano uscire. Sentivo le guance in fiamme e le labbra gonfie.

-Perchè... cosa?- mi chiese interdetto, guardandomi fisso negli occhi, come se realmente non avesse capito di cosa stessi parlando.

-Perchè sei così... così, con me?- chiesi, dopo aver preso un profondo respiro ed essermi fatta coraggio -cosa ti ho fatto di male per meritarmi questo trattamento?- chiesi ancora. Quella situazione mi sembrava così stupida, quando pensavo che io ero solo una semplice ancella... in quale altro modo si sarebbe dovuto comportare un padrone nei confronti della sua serva? Eppure, dopo tutto quello che era accaduto con Fabrizio, non riuscivo a capacitarmi del fatto che mi trattasse in quel modo scostante, quasi come se mi odiasse -se mi odi dimmelo, ti prego, così che non verrò mai più a disturbarti... mi odi, Fabrizio?- chiesi ancora, restando poi in silenzio, aspettando la sua risposta. Lui fu preso da un impeto d'ira, si stacco da me e diede un pugno sul muro, sussultai temendo che si fosse fatto del male:

-Come puoi pensare che io ti odi, Aurora?- chiese, ad alta voce, ma non urlando

-Io mi sento colpevole di quello che ti è successo, ci penso ogni notte, se non fosse stato perchè sei entrata in contatto con me, non saresti mai stata aggredita. La cosa più terribile è pensare che in ogni momento che tu passi con me, la tua vita è sempre più in pericolo e non posso sopportare l'idea che ti accada qualcosa. Non puoi accusarmi di odiarti, Aurora, non puoi!- continuò a dire, concitatamente, ma io ero ammutolita, lo fissavo senza riuscire a dire una parola così lui continuò -Credi che sia facile per me, comportarmi così? In ogni minuto mi chiedo cosa pensi di me, cerco di convincermi che non ti interessa se con te sono freddo o meno ma purtroppo so che non è così! È con la consapevolezza che con il mio agire ti ferisco che non dormo da notti intere e sono rimasto chiuso nella mia stanza perchè sapevo che se fossi uscito, sarei corso da te, per sapere come stavi, cosa facevi. Vorrei vegliare su di te in ogni momento della mia vita, ma non posso, lo capisci?- chiese. Volevo fermarlo, dirgli che non avrei mai voluto che mi evitasse o trattasse male per salvarmi, avrei preferito morire più che sopportare quella situazione.

-Non mi interessa se rischio la vita, posso anche morire, non importa, ma tu non puoi impedirmi di vederti, non puoi- dissi lentamente e avvilita, a voce bassa, sull'orlo delle lacrime, di nuovo.

Lui mi guardò a lungo, poi si avvicinò di uno o due passi a me

-Non devi parlare così... la tua vita è importante...- lasciò in sospeso la frase, non sperai nemmeno per un attimo che potesse aggiungere altro, invece continuò -è importante per me.- A quelle parole non resistetti più:

-Fabrizio io...- ma non mi lasciò finire, che si avvicinò a me velocemente, mi prese la testa tra le mani e, di getto, appoggiò le sue labbra sulle mie. Sentii il cuore battere così velocemente che sarebbe potuto esplodere nel petto e le gambe diventare moli, così mi aggrappai a lui, circondandogli il collo con le braccia, in quel bacio disperato e desiderato da troppo tempo. Sentii il suo dolce sapore in bocca e le sue labbra morbide sulle mie, mi fecero capovolgere lo stomaco. Si staccò lentamente da me e mi guardò negli occhi, intensamente. Credetti che se ne sarebbe andato, lasciandomi sola, invece mi fissò a lungo e, infine, disse:

-Sei così bella...- fui lusingata dalle sue parole, tanto che le lacrime ricominciarono a sgorgare dagli occhi -non piangere, ti prego, mi spezzi il cuore...- disse ancora e iniziò a baciarmi le guance per asciugare le lacrime e poi baciò tutto il mio viso, tanto che ogni bacio era come un marchio che sanciva la mia appartenenza a lui. Poi mi baciò ancora, ancora e ancora, instancabile e stretta tra le sue braccia forti mi sentivo al sicuro e protetta come mai in vita mia. Ci accasciammo accanto al muro, continuando a baciarci disperatamente, desiderando che quel momento non finisse mai. Dopo un tempo che non riuscii a calcolare, Fabrizio mi fece appoggiare la testa sulla sua spalla e restammo in silenzio, al buio, mentre mi abbracciava calorosamente.

-Fabrizio, io ti... io...- cercai di dire,ma il Generale mise un dito sulle mie labbra, zittendomi.

-Non dirlo, Aurora, restiamo così, in silenzio, qualsiasi parola sarebbe di troppo. Non è giusto riempirsi di belle parole, quando ognuno di noi due sa che non potrà mai dimostrare quanto dice all'altro. Ci riempiremmo solo di falsi sogni e caduche illusioni. Sappi solo, che desideravo fare questo da troppo tempo.- concluse il suo discorso con queste parole ed io obbedii, incapace di fare altro. Mi prese il mento con due dita e mi baciò di nuovo, appassionatamente e io risposi al bacio con più fervore di prima.

Forse la bellezza di quel momento sarebbe durata un attimo soltanto, ma ero certa che quel tempo valesse quanto una vita intera.


 

La donna si svegliò, dolorante in ogni parte del corpo e con un bruciore che levava il fiato, sullo stomaco. Non riusciva a muoversi e sentiva in bocca l'amaro sapore dell'erba, poiché era riversa prona, a terra. Riuscì appena a muovere la testa a destra e a sinistra: si trovava lungo le sponde di un fiume. Improvvisamente si ricordò cosa fosse successo e un urlo di rabbia le nacque dentro al petto. Filenide, tuttavia, non aveva fiato per gridare, dovette anzi abbassare la testa per riuscire a respirare un po' di più. Sapeva che, se non si fosse sbrigata, sarebbe morta e non poteva permettersi questo. Avrebbe lottato per vivere, non si sarebbe certo arresa. Sebbene non riuscisse a mettersi in piedi poiché le mancavano le forze anche a causa dell'innumerevole quantità di sangue perso, iniziò a strisciare per terra. Ogni movimento le provocava una fitta lancinante allo stomaco, ma non si arrese e avanzò lentamente. La sua casupola non era lontana, di certo avrebbe trovato il modo per curarsi. Era quasi giorno ormai e le persone iniziavano a scendere in strada: doveva togliersi dalla circolazione al più presto poichè non poteva correre il rischio di essere vista. Improvvisamente, una bambina attraversò il sentiero su cui era riversa Filenide, che sospirò di sollievo.

-Piccola, aspetta un attimo- disse con voce roca mentre la bambina, tranquilla, camminava nel bosco. Questa si fermò e la guardò quasi divertita, inconsapevole che la donna stava, forse, per morire.

-Dimmi Signore- disse, credendo che Filenide fosse un uomo a causa del modo con cui andava vestita.

-Mi serve aiuto, sto molto male: qui vicino si trova una Villa dove abita una ragazza che si chiama Helena, dille di venire qui urgentemente con dei servitori- ansimò, sfinita. -riconoscerai la Villa perchè si trova vicino al Foro ed è di colore rosso. Corri! Ti darò tanta bella frutta se ti sbrighi!- dopo aver detto questo crollò a terra e tossì a lungo.

-Va bene Signore,la mamma sarà contenta di sapere che ho aiutato qualcuno che stava male! Tra poco tornerò!- disse la bambina, sfrecciando via. Filenide sorrise e pensò di essere immortale : l'avrebbe fatta pagare a tutte le persone che erano state la causa della sua sventura.




Note dell'autrice


Buonasera a tutti, innanzi tutto mi scuso per questi piccoli disagi: ogni tanto capiterà che pur di aggiornare, metterò un nuovo capitolo senza averlo riletto nemmeno una volta! Entro 24 h lo correggerò, quindi vi chiedo solo un po' di pazienza se accadono questi piccoli disguidi!
Passando alla storia: non sapevo se far baciare i due piccioncini in questo capitolo, inizialmente pensavo che fosse troppo presto per una palese dichiarazione di Fabrizio così ho cercato di evitare che dicesse cose da pazzo innamorato. Quindi, sebbene non dica nè "ti amo" o "sei la mia vita" o "senza di te morirei", fa capire alla piccola Aurora che, nonostante tutto, ci tiene a lei. Chissà cosa voleva dire la nostra protagonista quando Fabrizio l'ha interrotta... lo scopriremo nel prossimo capitolo. Nelle recensioni mi è stato chiesto come mai Filenide non muore mai: sebbene ora abbia solo una posizione marginale (neanche tanto) all'interno ella storia, rocprirà un ruolo ancora più... spinoso, ma non dico altro.
Infine, ringrazio le 108 persone che hanno messo la mia storia tra le seguite e tutte colore che pazientemente recensiscono la storia. Ogni recensione mi fa sorridere!
Aggiornerò Domenica, se per qualche motivo il capitolo non dovesse essere presente, vuol dire che ho avuto qualche problema, ma non vi farò di certo aspettare troppo!
un saluto a tutti e grazie di cuore


_Renesmee Cullen_

 

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Capitolo 13
*** Uno scopo ***


Capitolo 13 - Uno scopo

 

Il gallò cantò e un raggio di sole che entrava dalla finestra colpì il mio volto così che mi svegliai lentamente, mentre sentivo la schiena ed il collo doloranti e capii che stava albeggiando. Avevo dormito tutta la notte con il busto storto e il collo appoggiato alla spalla di Fabrizio. Tenni gli occhi chiusi ancora per un po', non volendo aprirli, per paura che il Generale se ne fosse andato, e mi avesse lasciato sola: forse non aveva il coraggio di dirmi nulla e credeva che la sera precedente fosse stato tutto un errore. In realtà, nemmeno io avrei saputo cosa dirgli quella mattina, dopo tutto quello che era successo durante la notte, tuttavia non mi avrebbe fatto piacere vedere che mi aveva lasciata in solitudine. Aprii gli occhi, il mio cuore iniziò a battere velocemente quando vidi Fabrizio che si trovava vicino a me e mi guardava negli occhi, premuroso ed affettuoso.

-Buongiorno.- disse con voce dolce, anche se nei suoi occhi c'era un'ombra scura, che non prometteva nulla di buono e che non riuscivo ad identificare.

-Buongiorno.- sussurrai a mia volta e non sapendo che altro fare rimasi zitta. Altrettanto fece lui ma sentivo che il silenzio pesava e sebbene nessuno di noi due avesse detto niente era come se le parole aleggiassero nell'aria circostante e ci riempissero il cuore di tristezza e amarezza.

Non sapendo più cosa fare e capendo che Iginia si sarebbe insospettita se non fossi andata a lavorare puntualmente, mi alzai in piedi e dissi, a bassa voce, temendo di spezzare l'atmosfera che si era creata:

-Allora io... io... devo andare a lavorare.-

 

-Aspetta- mi fermò Fabrizio, dopo essersi alzato, trattenendomi per un braccio. Al tocco della sua mano, il mio cuore iniziò a battere veloce e forte. Lo guardai di nuovo negli occhi con sguardo supplichevole: non sarei mai riuscita a dirgli addio dopo aver scoperto alcuni dei suoi sentimenti per me, quindi avrei sofferto molto meno se non avesse utilizzato delle parole magniloquente per salutarmi. Il Generale sembrò ignorare la mia supplica silenziosa e iniziò a parlare:

-Aurora io... non posso lasciarti andare senza spendere qualche parola riguardo a quello che è successo e succederà tra noi– iniziò. Chiusi gli occhi per un attimo, riaprendoli subito dopo: mi preparai a sentir dire che era stato tutto un errore, che in realtà lui non aveva alcun interesse nei miei confronti. Ancora una volta, invece, mi stupii:

-Sappi che per nessun motivo mi sono pentito di ciò che ho fatto e di ciò che ti ho detto– iniziò. Il mio cuore iniziò a battere ancora più velocemente di prima e sorrisi involontariamente, come se fossi inebetita

-Tuttavia– continuò malinconico dopo aver notato il mio sguardo oltremodo speranzoso –Quello che è successo tra noi due deve rimanere rinchiuso nei nostri cuori... e tra queste mura. Sebbene il mio sentimento per te cresca di giorno in giorno, non dobbiamo più lasciare che il cuore prevalga sulla ragione. Lo dico per il bene di entrambi e per la nostra felicità. Ricorda sempre dentro di te che io provo dei forti sentimenti per te ed io so che tu li provi per me, ma nonostante questo dobbiamo anteporre a tutto ciò il nostro rango e i nostri doveri. Devi provare a dimenticarti di me e così farò anche io. Non è detto che ci riusciremo ma dovremo provarci ad ogni costo.- le sue parole mi spezzavano il cuore, ma sentivo che, purtroppo, erano vere. Respirai profondamente, pensando che non sarei riuscita ad ascoltare altre parole, ancora.

-So che tutto ciò ti fa male e non credere che per me sia facile dirti queste cose. Vedere la disperazione dal tuo sguardo, è ancora più atroce della consapevolezza che tu non sarai mai mia e io mai tuo. Dentro di me, tuttavia, il senso del dovere e il rispetto degli antichi costumi degli avi prevale su tutto, come mi è stato insegnato da quando sono piccolo. - concluse così il suo discorso, aspettando che dicessi qualcosa, ma la mia bocca era chiusa e nemmeno un suono uscì dalle mie labbra. Rimasi a guardarlo negli occhi, per accertarmi se quanto dicesse fosse, purtroppo, la verità e per capire se pensava davvero quelle cose:

- Non so cosa dire... - cominciai, disperata e distrutta

- Non devi dire nulla, Aurora, ho ancora qualcosa da aggiungere- interruppe Fabrizio – Per quanto sia orribile anche solo da pensare, da oggi io e te non saremo altro che un padrone e la sua serva: niente più uscite segrete di notte o confidenze di nessun genere, nessuno andrà a cercare l'altro nella sua stanza, per qualsiasi motivo. Qualsiasi cosa accada ognuno di noi dovrà svolgere le procedure ufficiali per vedere l'altro, ma sarà meglio che tu non mi cerchi, se non in casi di estrema urgenza, anzi ti eviterò e tu farai lo stesso. Stai lontana dai guai anche se io cercherò di tenerti sempre al sicuro: non potrei sopportare l'idea che ti accadesse ancora qualcosa di male- disse sottovoce, accarezzandomi il collo e alludendo all'accaduto di qualche giorno prima.

-Non potremmo...?- iniziai, colta da un istante di coraggio, ma il Generale mi interruppe prontamente.

-Potere cosa? Continuare a vederci fugacemente, passare delle notti insieme segretamente? Per quanto tempo potremo andare avanti senza che ci scoprano? Che vita sarebbe la nostra?- chiese retoricamente e a quelle parole non seppi tacere:

-Non mi importa di essere scoperta e magari uccisa, fustigata, non mi importa di vivere una vita metà: per stare con te farei questo e molto altro!- esclamai convinta, stringendo i pugni.

-Non ti permetterò mai di gettare al vento la tua vita, piccola Aurora- disse concitatamente Fabrizio, stringendo le mie mani tra le sue disperatamente, facendomi arrossire.

-Ma sono io che voglio farlo!- esclamai nuovamente, decisa. Fabrizio si prese la testa con le mani e la scosse:

-Non capisci che il dolore che proveresti nel futuro sarebbe ancora più grande di quello che proveresti ora, separandoti da me?- quasi urlò il Generale, poi si tranquillizzò e mi afferrò per le spalle scuotendole: -ho 24 anni Aurora, sono già quasi vecchio si potrebbe dire, per prendere moglie: sono riuscito a temporeggiare con mio padre riguardo a questo campo, a causa del fatto che mi sono dedicato interamente al servizio militare: ma per quanto durerà questa situazione?- chiese retoricamente –io non voglio che tu mi veda sposare un'altra, Aurora, lo capisci? Il mio cuore si spezzerebbe se vedessi il tuo dolore nel vedere me, di un'altra. Si spezzerebbe più di quanto lo è ora, poiché avrei voluto dirti molte cose, ma non queste parole- concluse.

-Non può andare così!- dissi mettendomi le mani tra i capelli, desiderando strapparli tutti e patire qualsiasi dolore, tranne che quello -deve pur esserci qualcosa da fare- la mia voce era quasi diventata un grido disperato.

-Purtroppo questa volta non possiamo fare nulla- disse Fabrizio abbassando gli occhi. Sentii le lacrime pungermi gli occhi, ma non potevo piangere di nuovo, non in quel momento per lo meno: dovevo essere forte anche se ogni parola di Fabrizio era come una pugnalata nel petto.

-So che non ti aiuterà molto ma...sei stata la prima ragazza dopo tante che è riuscita ad entrarmi nel cuore, l'unica per la quale potrei rischiare la mia vita. Sappi che nonostante tutto non mi dimenticherò mai di quello che abbiamo passato insieme e sebbene io speri di riuscire a non sentire per te quello che sento ora, ricordai che non lo dimenticherò mai: dubito di poter provare di nuovo sentimenti simili per qualcuno- concluse definitivamente.

-Questo non è giusto- sussurrai sentendo ormai il corpo privo di ogni forza.

-La vita non è giusta, piccola mia- rispose a sua volta, poi in un impeto di follia mi prese tra le sue braccia, mi guardò negli occhi e mi baciò appassionatamente, senza trattenersi. Sentii il suo sapore ormai familiare in bocca e le sue labbra morbide che si muovevano disperatamente assieme alle mie. Mi aggrappai alle sue larghe spalle con tutta la forza di cui ero capace, come se fosse l'ultima mia ancora di salvezza. I suoi baci conducevano la mia mente in un luogo meraviglioso, tutto nostro, in cui non c'erano dei ranghi sociali, segreti da mantenere e affari politici a separarci. In quel momento sentii di desiderarlo più di ogni altra persona al mondo, volevo sentire che fosse mio con ogni singola fibra del mio corpo, desideravo ogni parte di lui e quel desiderio mi corrodeva l'animo dall'interno. Fabrizio mi baciò a lungo, stringendomi i fianchi con le mani e lasciandomi comprendere che anche lui mi bramava infinitamente. Quando si staccò da me, mi prese la testa tra le mani e mi guardò a lungo, gli accarezzai una guancia e di getto lo abbracciai e mi strinsi a lui, sperando che quel momento non finisse mai. Notai che era davvero tardi e dovevo andare a lavoro, così mi allontanai da lui, senza voltarmi e uscii dalla porta con un immenso dolore. Da quel giorno, sebbene sentissi nel cuore la gioia di sapere che lui ricambiava i miei sentimenti, dovevo cercare di dimenticarlo, perchè lui avrebbe fatto lo stesso. Un pensiero che mi invadeva la mente, era che lui non aveva ritenuto necessario di poter combattere per avermi e questo voleva dire che non mi riteneva degna di nessun privilegio particolare: se fosse dipeso da me, avrei fatto muovere il mare e le montagne, pur di farlo diventare mio, invece lui aveva deciso di arrendersi alla prima difficoltà... non che quello delle classi sociali fosse un ostacolo da poco, tuttavia se Fabrizio aveva deciso di non combattere per avermi, voleva dire che non ero così importante per lui... avrebbe di certo trovato qualcuna che gli interessava più di me.

 

Chiusa nella Biblioteca, mi assaliva ogni sorta di pensiero terribile e doloroso, nel profondo del mio cuore in realtà, non avevo alcuna voglia di dimenticare Fabrizio perchè nonostante tutto non riuscivo ad accettare che lui non fosse mio, ma che presto o tardi avrebbe dovuto prendere in moglie un'altra. Scrissi lunghi cataloghi di pergamene, le spolverai una a una e le riposi ordinatamente sugli scaffali, allo stesso modo mi immersi nella lettura degli scritti e nel lavoro per non pensare a Fabrizio e a tutto ciò che questo comportava.

 

Quel giorno non vidi più Fabrizio, ne quando uscii per consegnare delle pergamene al Senatore che abitava sulla via attigua alla nostra, ne lungo i corridoi quando andai a mangiare nelle cucine.

La sera, mentre mi preparavo per dormire, volli parlare con Attilia, con la quale non intraprendevo una discussione da lungo tempo. Ultimamente, presa da Fabrizio, avevo trascurato quella povera ragazza che, invece, si preoccupava spesso per me e durante la mia convalescenza aveva spesso chiesto ad Iginia come stessi e cosa facessi.

Quando vidi che tutte le altre ancelle dormivano con certezza, affinchè nessuna sentisse cosa avevamo da dirci e potesse riferirlo, la chiamai:

-Attilia! Attilia, stai dormendo?- chiesi sottovoce, scuotendola appena con la mano, dato che stava riposando accanto al mio letto.

-N-no Aurora, non dormo- mi rispose, con la voce impastata dal sonno, avrei capito che stava mentendo anche se avessi avuto dei tappi alle orecchie.

-Dai Attilia, ti lascio dormire, non è giusto levarti ore di sonno- dissi quasi ridendo, voltandomi dall'altra parte. Sentii Attilia che si sedeva velocemente sul letto, così feci lo stesso, girandomi verso di lei.

-Devo parlarti, Attilia, ho un assoluto bisogno di confidarmi con qualcuno di fidato- dissi, lentamente e sospirando forte.

-Dimmi tutto Aurora, io sono tua amica, sai benissimo che puoi dirmi tutto e fidarti di me- rispose lei, quasi contenta che, avendo un problema, mi fossi rivolta a lei.

Le spiegai per sommi capi cosa fosse successo la scorsa notte e cosa ci fossimo detti io ed il Generale. Dopo aver ascoltato molto attentamente quanto avevo da dire, si schiarì la voce e disse tutto ciò che non mi sarei mai immaginata:

-Il generale Fabrizio ti ha detto quel genere di cose?- congiunse le mani e chiuse gli occhi, mentre un sorriso senza fine si faceva strada sul suo volto, in quel momento radioso.

-Cosa farei per poter avere le attenzioni di quell'uomo meraviglioso, Aurora! Oh se potesse guardare me anche solo in piccola parte, come sarei contenta! Sei riuscita a conquistare uno degli uomini più belli e desiderati di tutta Roma... e ti lamenti?-mi chiese. Mi resi conto che non avrei mai dovuto parlare ad Attilia di quella storia: sebbene fosse sincera, affidabile ed oltremodo onesta, ragionava sempre con la mente di una bambina, quale era per la sua età e non riusciva a capire la gravità di ciò che le avevo narrato. Per lei questi erano sentimenti meravigliosi che, in qualsiasi dei casi, riuscivano a portare il sorriso e gratificavano. Mi sarebbe piaciuto avere la stessa idea di Attilia, purtroppo però la mia situazione non me lo permetteva: il sentimento che sentivo per Fabrizio mi corrodeva dall'interno e mi inibiva la mente, sapere che lui mi ricambiasse ma non volesse combattere per far si che il nostro sogno si realizzasse, mi faceva sentire inutile, indesiderata e indesiderabile. Tutti questi sentimenti tristi sembravano non toccare minimamente l'animo di Attilia, che non faceva altro che congratularsi con me per la notte trascorsa in compagnia del Generale.

-Non vuoi capire, Attilia?- sbottai ad un tratto, sconsolata -io non sarò mai sua e lui non sarà mai mio! Come faccio a vivere sapendo che presto o tardi sarà di un'altra donna soltanto perchè non ha il coraggio di combattere per il nostri sentimenti? È orribile sapere che sebbene provi qualcosa per me, io non gli interessi a tal punto da voler sconfiggere tutto e tutti!- esclamai, sull'orlo delle lacrime, sicura che presto avrei avuto un attacco di isteria.

-Secondo me è proprio il contrario, Aurora.- disse Attilia tranquillamente, più seria che mai, stupendomi oltremodo. -Ci tiene a te a tal punto che vuole lasciarti andare per farti vivere una vita normale e felice. Da quello che ho capito, credo che lui ti volesse dire che sei giovane e riuscirai a dimenticarlo in qualche modo, perchè hai ancora parecchi anni da vivere, anche se questa separazione gli pesa più di quanto tu possa immaginare- disse questo sotto voce e mi sorrise mestamente.

Guardai il muro che si trovava davanti a me e mi stupii: non avevo pensato a quell'evenienza e sapere che forse Fabrizio teneva a me così tanto da lasciarmi andare, mi faceva vedere tutto da una prospettiva diversa. Dunque ero io che non tenevo abbastanza al Generale da lasciarlo andare, poiché ero tropo egoista? Forse non avrei mai trovato una risposta a quella domanda, dato che in quel momento capii che ogni persona aveva un modo diverso di provare sentimenti per un'altra, tuttavia rimanevo della ferma idea che se qualcuno tiene a te non la fa soffrire e non la lascia nemmeno andare per il suo “bene”.

-Ti ringrazio immensamente, Attilia- dissi tranquilla -i tuoi consigli mi sono stati più cari e utili di quanto lo siano stati molti altri nella mia vita- le sorrisi e sbadigliai: era tempo di tornare a dormire, ci aspettava un'intensa giornata di lavoro -ora ti auguro una buonanotte, ricca di bei sogni.- dopo aver detto questo mi coricai e chiusi gli occhi.

-Grazie, altrettanto Aurora... ti voglio bene.- rispose la ragazzina, ma non la sentii distintamente, poiché ero già caduta tra le braccia di Morfeo. (1*)

 

La mattina seguente, dopo aver fatto colazione, mi recai come di consuetudine in Biblioteca ma quando infilai la chiave nel buco della serratura, mi accorsi che questa era già aperta. Cercai di ricordare se qualcuno oltre a me avesse le chiavi della Biblioteca, ma pensai che Iginia non mi avesse informato sull'argomento. Mi preoccupai all'istante, pensando che forse era accaduto qualcosa e qualcuno fosse entrato di nascosto e avesse rubato qualche pergamena di importante valore... così aprii la porta di scatto e mi stupii. Nella stanza non c'erano stati furti, tutto era perfettamente in ordine solo, al centro della Biblioteca, ritta in piedi davanti alla porta, si trovava Iginia.

-Buongiorno Iginia- dissi, appena la vidi, curiosa di conoscere il motiva della sua visita. Lo sguardo della donna, tuttavia, non prometteva nulla di buono, era come se i suoi occhi fossero stati inondati dal panico e quando entrai nella stanza, quasi mi corse in contro. Mi spaventai ma restai immobile: conoscevo Iginia e di certo non mi avrebbe mai fatto del male, mi prese invece le spalle e le scosse con veemenza:

-Che cosa hai fatto a mio figlio? Cosa hai fatto a mio figlio?- gridò, rossa in viso, con gli occhi che le uscivano quasi fuori dalle orbite. Le presi le braccia con la forza e le staccai dalle mie spalle, non capendo cosa stesse dicendo.

-Non ho fatto nulla, Iginia, cosa stai dicendo? È successo qualcosa a Fab... al Generale?- chiesi, sapendo di non potermi permettere quella confidenza, dopo quello che ci eravamo detti.

-Che cosa gli hai fatto, tu, maledetta ancella!- esclamò di nuovo, gesticolando come impazzita.

-Niente, Iginia, niente!- esclamai, questa volta anch'io alzando la voce per farmi sentire meglio dalla donna, che sembrava aver perso il senno. La governante respirò profondamente, ma la sua espressione rimase la stessa.

-Questa mattina- iniziò, facendo una pausa per respirare di nuovo -sono entrata nella sua stanza- si fermò di nuovo e fu come se il mio cuore perdesse dieci battiti -e l'ho trovato steso sul letto, con delle occhiaie davvero molto evidenti. Mi ha rivelato di non aver dormito tutta la notte, poiché si sentiva male. Da ieri mattina è rimasto chiuso nella sua stanza senza mangiare, tanto che gli ho chiesto se fosse indisposto, poiché si comporta in quel modo solo in questi casi. Gli ho domandato se avesse preferito che gli preparassi qualche infuso, o se magari volesse che chiamassi un erborista. Mi ha guardato e mi ha detto che il suo male è incurabile, nessuna erba può farlo guarire. Chi altri può avergli procurato un malessere così profondo se non tu?- chiese infine, la voce spezzata dalla rabbia e dal rancore.

Mi accasciai a terra, seduta per terra e mi coprii il viso con le mani, vergognandomi di guardare in faccia Iginia, che tanto aveva fatto per me, ma non era stata ricambiata in nessun modo.

-Iginia, ti giuro che non dovrai più preoccuparti... non accadranno più cose del genere, io...- la donna sbottò ed alzò di nuovo la voce:

-Io so che non succederà di nuovo, poiché sta pur certa che ti impedirò in ogni modo di vedere mio figlio, dovessi sbatterti fuori da questa casa seduta stante. Non hai recepito il messaggio con le buone, ora lo farai con le cattive. Te lo ripeto, ragazzina, stai lontana da mio figlio!- gridò paonazza in viso, gesticolando. Se non avessi conosciuto Iginia, avrei quasi pensato che volesse picchiarmi, ma a quelle parole non riuscii a trattenermi e confessai i miei sentimenti più nascosti:

-Io lo amo, Iginia! Lo amo con tutta me stessa e questo sentimento mi distrugge! Io so che anche lui prova qualcosa per me ma credo che non sia nemmeno paragonabile a quello che provo io! Ieri sera Fabrizio mi ha rivelato parte dei suoi sentimenti per me, ma non ha nemmeno intensione di lottare affinchè un giorno io e lui possiamo passare una vita insieme. Come credi che mi senta? Tu non capisci... anzi, tu capisci, io lo amo più della mia vita, darei tutto per lui e questo mi uccide, perchè non passerò mai il tempo che mi resta con lui. Non so nemmeno le ragioni che hanno spinto la sua decisione, ma sono certa che se ci avesse tenuto a me avrebbe lottato e questo fa male più di qualsiasi cosa. So che questo pensiero probabilmente è sbagliato, ma non posso fare a meno di credere ciò!- esclamai concludendo, disperatamente. Iginia si mise una mano davanti alla bocca e si sedette vicino a me, abbracciandomi, mentre il mio corpo era scosso dai singhiozzi e la gola bruciava in una maniera tale da levare il respiro.

-Io non voglio far soffrire le persone che amo, Iginia e visto che al mondo ho solo Fabrizio da amare, non farò di certo del male a lui. Ti prego, però, di non incolparmi per ciò che è successo: non avrei mai rivelato parte dei miei pensieri a Fabrizio se non l'avesse fatto lui per primo!- dissi e continuai a piangere senza tregua. Iginia, a quel punto, si addolcì :

-Piccola Aurora... non immaginavo che questi sentimenti si agitassero nel tuo cuore...- disse la governante, costernata

-Non volevo essere così crudele con te... ma mettiti anche tu nei miei panni... sono la madre di Fabrizio, vedere soffrire lui, è come se anche una parte di me stesse male!- esclamò risentita. Alzai la testa e la guardai dritto negli occhi:

-Non credere che per me sia diverso!- esclamai piangendo.

-Forse è il caso che io me ne vada...- propose la donna, non sapendo cosa fare dopo aver visto la mia disperazione -ho provocato troppi guai....- continuò, cercando di strapparmi un sorriso, ma le sue parole furono inutili.

-Si... forse è meglio così...- dissi, restando seduta a terra. La donna si alzò e mi guardò, si avviò verso l'uscita e prima di andarsene disse:

-Mi dispiace...- la sua voce era bassa e roca, sebbene sapessi che le sue parole fossero sincere... dispiaceva più a me che a lei, ne ero convinta. Sola nella stanza, non riuscii a fare altro che restare seduta a fissare un punto nel vuoto. L'unico scopo della mia vita, da quando i Romani mi avevano catturata, era stato quello di essere una brava serva per riuscire a diventare libera e vivere una nuova vita. Ora invece, volevo solo restare con Fabrizio, mai mi sarei voluta allontanare da lui, ma sapevo che questo non era possibile, perchè eravamo inevitabilmente tenuti lontani da tutto ciò che ci circondava e ora che realizzavo che non potevo avere nemmeno lui, nulla aveva davvero senso poiché non avevo più niente da perdere. Qual'era lo scopo della mia vita, allora?


P.O.V. Fabrizio


Avevo cercato di schiacciare il dolore che sentivo nel petto in ogni maniera possibile, ma gli unici risultati erano stati la mancanza di appetito e l'insonnia. Io, Generale romano, non avrei mai dovuto lasciare che il dolore e i sentimenti salissero al di sopra della ragione. Scossi la testa, cercando di levare l'immagine di quella ragazza dalla mia mente, dove risiedeva ormai da troppo tempo, quando qualcuno bussò alla porta: era una serva, venuta a portare un messaggio.

-Padrone, tuo padre desidera vederti nel suo studio.- comunicò con voce piatta. Dopo aver detto questo se ne andò ed io la seguii, chiudendomi la porta alle spalle. Chissà cosa voleva dirmi mio padre... sperai che, con tutto il dolore che avevo, egli non volesse procurarmene altro con rimproveri o ammonimenti.

-Salve Padre.- salutai, dopo essere entrato nel suo studio che, per essere quello di un senatore, era ridotto all'essenziale: un tavolo, uno sgabello e numerosissimi scaffali dove si trovavano delle pergamene, null'altro adornava quell'ambiente.

-Salve, Fabrizio- rispose lui che, al mio arrivo, stava già camminando in su e in giù per la stanza.

-Ti chiederai perchè ti ho mandato a chiamare- dichiarò con voce severa e sguardo rivolto a un punto a me ignoto, perso in pensieri di cui ignoravo l'esistenza.

Annuii assecondando la sua affermazione:

-Se ben ricordi- iniziò -ti avevo promesso che per il tuo comportamento indegno del tuo titolo e di te, ti avrei punito. Tu sai che io mantengo sempre le promesse: bene, sebbene questo per te doveva essere un periodo di licenza, prenderai parte come Generale alla spedizione del neo eletto dittatore Quinto Fabro Massimo in territorio nemico- disse. Inizialmente credetti che le sue parole fossero uno scherzo, ma dopo aver scrutato il suo viso, decisi che di certo, l'uomo era serio. -Partirai tra due settimane. Puoi andare.- concluse il suo discorso con queste parole, senza aspettare un mio assenso o dissenso. Uscii dallo studio e il mio primo pensiero fu rivolto ad Aurora: il mondo mi crollò addosso.


Note dell'autrice


Inizio queste note scusandomi immensamente per l'orribile ritardo con cui ho aggiornto la storia... non cerco il vostro perdono perchè ho aggiornato davvero tardi, ma cerco solo la vostra comprensione. Sono andata in vacanza e non avevo un pc portatile, pensavo di riuscire ad aggiornare dal cellulare ma mi sbagliavo, è troppo difficile: connessione lenta ecc... Ora ho un computer senza connessione ad internet dunque non so quando aggiornerò, cercherò di farmi viva il prima possibile e mi scuso per questo disagio ma non è una cosa permanente, solo passeggera. Inoltre, vi chiederete anche come mai questo capitolo è così triste: il mio ragazzo mi ha lasciato e ha lasciato un vuoto immenso e tante delle cose che si sono detti i due protagonisti, sono state dette a me... non sto qui ad annoiarvi con quello che mi succede, spiego solo perchè ho tardato tanto ad aggiornare.
Prometto che non si ripeteranno mai più ritardi così vistosi.
Tornando alla storia: spero che non odierete Iginia così tanto, infondo è la madre di Fabrizio... il prossimo capitolo dovrebbe essere uno di quelli "bomba", devo ancora decidere, ma ho molte idee per questi due poveretti che si ritrovano ad essere miei personaggi.
Mi scuso ancora per il ritardo e vi ringrazio per la pazienza
un saluto e un abbraccio a tutte

_Renesmee Cullen_

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Capitolo 14
*** False speranze ***


Capitolo 14False speranze

 

P.O.V. Fabrizio

 

Tornai nella mia stanza quasi correndo e al mio arrivo chiusi, forse troppo violentemente, la porta alle mie spalle. Sbattei le mani sulla scrivania e i documenti che si trovavano li sopra caddero, frusciando, a terra. Scossi la testa violentemente e misi le mani tra i capelli, cercando di razionalizzare il mio attacco di ira e, inevitabilmente, panico. Mi sedetti sul letto, cercando di metabolizzare quanto mi aveva detto mio padre: sarei dovuto andare in territorio nemico con il neo eletto Dittatore per cercare di indebolire il Cartaginese Annibale (1*), che già una volta aveva sconfitto i romani nella battaglia campale.

Il motivo della mia disperazione era scontato quanto comprensibile: per mesi e mesi, forse anni, sarei dovuto rimanere lontano dalla mia Aurora. Sebbene capissi perfettamente che non sarebbe mai stata mia e che non avrei mai potuto arrogarmi alcun diritto su di lei, sapere che oltre al fatto che mi veniva preclusa la facoltà di vederla, mi veniva anche imposto di rimanerle lontano, con la possibilità che forse, non l'avrei rivista mai più, mi faceva sentire impotente e angosciato. Chi avrebbe difeso quella fragile creatura durante la mia assenza? Chi avrebbe vegliato su di lei e l'avrebbe protetta quando si metteva in situazioni più grandi di lei? Tutte queste domande mi fecero dolere la testa e fu a quel punto che, rassegnato, capii che lasciandola andare avevo fatto la cosa giusta: quell'ennesimo episodio l'avrebbe fatta soffrire e non potevo vivere sapendo di essere io la causa del suo male.

Dovevo smetterla di elaborare quel genere di pensieri poiché non avevo vie di scampo: nonostante molti miei commilitoni, per sfuggire alle battaglie e restare con la propria famiglia avessero disertato,io non avrei mai fatto ciò poichè il senso del dovere e del sacrificio, venivano anteposti ad ogni mio desiderio personale: avrei accettato la punizione inflitta da mio padre senza repliche, come Generale romano non avrei mai rifiutato di aiutare la mia patria e i miei compatrioti. L'unico pensiero che in minima parte riusciva a consolarmi era che, difendendo la patria, in qualche modo avrei difeso anche lei e che anzi, se fossi morto, Aurora non avrebbe più potuto pensare a me e avrebbe avuto una vita normale. Scacciai dalla mente quel pensiero: non mi sarei di certo fatto uccidere in battaglia poichè la mia patria e la mia famiglia avevano bisogno di me e il pensiero di non rivedere mai più la mia dolce fanciulla, era più atroce di quanto lo sarebbe stato sapere che soffriva per i sentimenti che provava per me. Decisi: sarei andato a combattere, come sempre avevo fatto nella mia vita e come avrei dovuto fare per ancora molto tempo e poi sarei tornato da lei, con il solo desiderio di guardarla da lontano e di proteggerla senza che se ne accorgesse, ma con la consapevolezza che era vicino a me, quindi al sicuro.

Tre giorni dopo la terribile notizia ricevuta, fui chiamato in Senato per partecipare ad un'importante riunione a cui avrebbe partecipato il Dittatore e tutti coloro che avrebbero preso parte alla spedizione in Puglia, territorio nemico, per indebolire sempre di più le forze del Cartaginese Annibale.

Solo come non mai, mi sedetti sugli spalti del Senato (2*) vicino ad un gruppo di uomini che, come me, erano degli Equites (3*) e stetti ad ascoltare quanto veniva detto, pronto ad intervenire al dibattito.

I senatori erano seduti in semicerchio nel primo ordine di spalti davanti alla piattaforma dove si trovava in piedi il Dittatore, che iniziò a parlare, sicuro

-Cittadini di Roma- la sua voce era forte e chiara -sebbene il Senato abbia già una volta contestato la tattica da me adoperata, alla fine si è dimostrata la migliore e la più efficace: è per questo che gli illustrissimi Senatori, hanno deciso di conferirmi, dopo sette anni, per la seconda volta, la dittatura(4*). È per questo che oggi sono qui e desidero spiegare come ho intensione di agire nel il tempo avvenire contro i nostri nemici di sempre, i Cartaginesi- fece una pausa per assicurarsi che tutti lo stessero ascoltando: nella sala non si udiva nemmeno il ronzio delle mosche, l'attenzione di tutti era rivolta a quell'uomo che, nonostante la sua statura, era di una certa presenza. Il Dittatore era un uomo assai basso, sebbene fosse massiccio di corporatura, dai suoi occhi grandi marroni si notavano la sua conoscenza della tattica militare e la sua mente brillante; ora che ce lo avevo davanti comprendevo le ragioni che avevano spinto il senato a eleggere l'uomo dittatore per la seconda volta. Questi guardò ogni persona presente nella sala negli occhi, poi continuò:

-Come ben sappiamo, dopo aver subito la sconfitta nella battaglia di Canne, dobbiamo necessariamente evitare di intraprendere uno battaglia campale contro i Cartaginesi e dobbiamo effettuare la così della “guerriglia” e temporeggiare: dobbiamo far in modo che le forze di Annibale siano stremate, per poi effettuare il colpo finale.- le sue parole furono assorbite dalla folla e nessuno ebbe il coraggio di proferire parola.

per questo motivo che ho deciso che, tra circa una settimana, io e un gran numero di uomini, porteremo rinforzi a coloro che, da tempo, cercano di riconquistare parte del territorio nemico senza risultati. Per fare ciò, avrò bisogno di tutto l'aiuto possibile, sia da parte dei militari che del senato.- concluse così il suo importante discorso e inizialmente sembrò che nessuno si pronunciasse contrario a quanto era stato detto dall'uomo: in seguito al grave errore commesso dal Senato, sette anni prima, quando non avevano riconfermato Massimo Dittatore, nessuno osava contraddire quanto veniva detto da questo, che sembrava il più esperto e lungimirante di tutta la sala. Dopo aver visto che nessuna delle strategie proposte dai consoli aveva funzionato, era stato saggio che il Senato tutto avesse ammesso il proprio errore a non dare fiducia al Dittatore prima e avesse cercato di riparare poi, dato che tutti desideravano che Roma uscisse vincitrice da quell'importante guerra, che stava segnando il destino di tutti.

Ad un tratto un senatore molto anziano si alzò in piedi e prese la parola sotto gli occhi di tutti:

-È stato appurato, per quanto costi ammetterlo, che la tattica del Cunctator (5*) si sia rivelata la migliore, rispetto a quelle proposte da Metello e dagli altri consoli (6*) tuttavia,- iniziò con tono scorbutico, quasi volesse che ogni sua parola pesasse come un macigno, -a mio avviso la tattica proposta, con tutto il rispetto, prolungherà soltanto la guerra e questo porterà gravi danni a Roma che solo da poco si è ripresa dalla dura e umiliante sconfitta che è stata inferta sei anni fa. La tattica del logoramento, non porterà danno solo alla milizia Cartaginese, ma anche a quella Romana, che a causa della guerra prolungata si prostrerà davanti alle ingenti forze Cartaginesi.- disse l'uomo, certo che le sue parole fossero giuste, ma non proponendo a sua volta nemmeno una soluzione.

Il Dittatore lo guardò a lungo, poi disse, con un tono molto più sufficiente e temperato di quello utilizzato dal Senatore:

-Secondo te, stimatissimo Lucio, è meglio vedere l'esercito romano distrutto in campo aperto e quindi dare ai Cartaginesi una possibilità certa di conquistare i nostri territori, che prolungare di, quanto? al massimo un pio di anni, la guerra?- chiese, guardando l'uomo dritto negli occhi. Questi tacque senza proferire parola, così Massimo continuò:

-Se qualcuno desidera proporre altre strategie, sono desideroso di ascoltare chiunque voglia parlare!- esclamò sicuro e con un sorriso impresso sulle labbra. Come di certo si aspettava, nessuno dei presenti parlò e fu a quel punto che io stesso mi alzai in piedi per chiedere delucidazioni su quella tattica militare che, a mio avviso, poteva dimostrarsi davvero efficace.

-Se i Romani rifiuteranno lo scontro campale e la guerra si prolungherà non solo sul fronte pugliese, ma anche nei luoghi in cui sono sopraggiunte le milizie Cartaginesi, sarà necessario che viveri e provviste raggiungano gli accampamenti romani con più frequenza, bisognerà quindi chiedere ai cittadini uno sforzo nel pagare tasse più elevate: saranno pronti i tribuni della plebe, come gli altri cittadini patrizi (7*) a sacrificarsi affinchè questo avvenga?- chiesi, in maniera educata e non sfrontata, come era giusto che fosse.

-Tu devi essere il figlio maggiore del Senatore Galba, non è vero? Ti vidi di sfuggita anni fa, quando eri ancora un bambino e di certo non ti ricordi di me, ma già allora dimostravi di avere una mente aperta, lungimirante ed intelligente.- iniziò il Temporeggiatore -la tua domanda è lecita e affatto stolta: è vero, i cittadini romani, sia quelli facoltosi sia quelli meno facoltosi, dovranno sacrificarsi e pagare delle tasse extra affinchè la nostra strategia si possa realizzare, ma credo che il popolo romano sia pronto a fare ciò, poiché i casi sono due: o Roma riuscirà a liberarsi della minaccia Cartaginese, o ne verrà schiacciata. Non chiederei mai questo sforzo ai cittadini, già prostrati dai precedenti conflitti, se non ce ne fosse bisogno.- annunciò il Dittatore.

-Dunque se per qualche motivo la strategia dovesse dimostrarsi deleteria per il popolo romano, essa verrebbe subito bloccata, dico bene?- chiese un altro Senatore, in tono tranquillo. Massimo annuì:

-Di questo non dovete dubitare: il nostro obiettivo è quello di difendere il popolo e la grandezza di Roma, nessuna azione sarà fatta per danneggiarli- i Senatori annuirono così come fecero gli altri, convinti: da quel momento, il contrattacco di Roma aveva inizio.

Conclusasi la riunione, trovai mio padre indaffarato a intraprendere una discussione con il Dittatore e non appena mi vide, mi chiamò:

-Figlio, era proprio di te che stavamo parlando: vieni ad unirti a noi, il Cunctator vuole parlarti- disse, mentre mi avvicinavo a loro. Giunto davanti al Dittatore mi presentai, come era di costume a Roma, battendomi un pugno sul petto (8*):

-Salve, io sono il Generale Quinto Fabrizio Galba- affermai chinando la testa. Massimo mi mise le mani sulle spalle, inducendomi a guardarlo negli occhi:

-Fabrizio, ho sentito molto parlare di te, sia da tuo padre che dagli altri Equites- iniziò -so molte cose sul tuo conto, per esempio che sei un ottimo stratega: sarò lieto di averti al mio fianco, al momento della battaglia!- esclamò l'uomo entusiasta.

-Sono al tuo servizio, Dittatore (9*)- dissi, battendomi di nuovo il pugno sul petto in segno di rispetto. Dopo molto tempo, mio padre mi guardò orgoglioso e alzai fiero la testa.


Il giorno seguente, mio padre invitò a pranzo alcuni Senatori per discutere riguardo alle questioni importanti che riguardavano la guerra, ma io non vi presi parte: sapevo che tutta la servitù era stata mobilitata affinchè il pasto fosse ricco e sostanzioso e di certo Aurora avrebbe contribuito con il suo aiuto, in quanto ancella: non avevo il coraggio di guardarla, sapendo che prima o poi sarebbe venuta a sapere quella notizia e la sua reazione mi avrebbe di certo spezzato il cuore. Nonostante fossi un generale Romano e non avessi timore né della morte né di nessun'altra cosa, non avrei mai avuto il coraggio di dirle quello che sarebbe accaduto, né di dirle addio. In fondo, mi dissi per tranquillizzarmi, il nostro accordo prevedeva che io mi comportassi da padrone e lei da serva: non dovevo fornirle alcuna spiegazione riguardo ciò che facevo o non facevo.



P.O.V. Aurora

 

Dal giorno in cui avevo discusso con Fabrizio, come purtroppo aveva promesso, non lo vidi più: né mentre lavoravo nella Biblioteca né quando mi recavo saltuariamente al fiume per aiutare Attilia a lavare i panni. Uno di quei giorni, sorprendentemente, c'era stato bisogno del mio aiuto per preparare un pranzo importante: il Senatore aveva invitato degli ospiti importanti a mangiare e sebbene io avessi servito ai tavoli, avevo notato che Fabrizio non aveva preso parte alla tavolata. Nessuna occasione avevo avuto di incontrarlo e, nonostante cercassi incessantemente di non pensare a lui, le parole che ci eravamo detti e le cose fatte insieme mi tornavano in mente come vivide immagini. Non potevo mentire a me stessa: Fabrizio mi mancava e senza di lui era come restare senza aria. Mi mancava tutto di lui: le nostre uscite di nascosto, le notti fugaci passate insieme, le parole dette e i segreti da mantenere e quei baci rubati... per averne soltanto un altro avrei venduto la mia anima a Cerbero (*10). Durante le ore passate nella Biblioteca, avrei voluto sbattere la testa contro i muri fino a perdere conoscenza e magari risvegliarmi in un mondo totalmente diverso, o non ricordare nulla della mia vita passata. Scossi la testa scacciando via quei pensieri, che sarebbero stati propri di una ragazzina senza onore e senza orgoglio: nonostante tutto io ero una principessa, l'ultima erede al regno di Macedonia e in ogni modo a me possibile avrei tentato di non demoralizzarmi a tal punto da cercare la morte, visto tutto ciò che avevo fatto per restare viva.

I giorni passavano e di Fabrizio nemmeno l'ombra, ogni volta che mi trovavo nei corridoi della Villa o uscivo fuori, una parte di me pregava gli dei di incontrarlo e ogni volta le mie speranze venivano distrutte: ero soltanto un'illusa. Di certo se Fabrizio avesse voluto vedermi mi avrebbe cercata, probabilmente io non mancavo a lui con la stessa intensità con cui lui mancava a me.

Una sera, dopo più di una settimana passata senza vederlo, in cui il caldo dell'estate, che quell'anno era arrivata prima, era particolarmente forte e io mi sentivo decisamente amareggiata a causa dei miei sentimenti, incontrai Fabrizio lungo i corridoi della Villa. Stavo camminando tranquillamente verso la camera delle ancelle, poiché avevo concluso tutti i miei compiti giornalieri quando lo vidi venire verso di me. Lo guardai dritto in faccia e dopo tutto quel tempo passato a non vederlo, lo trovai bello come non mai, con i suoi occhi così neri da sembrare due pozzi senza fine, in cui avrei desiderato perdermi. Il mio primo impulso fu quello di corrergli incontro, abbracciarlo e sentirmi protetta tra le sue braccia, perdermi nei suoi dolci baci... avrei fatto tutto questo, forse, se non mi avesse guardato in modo gelido e calcolatore. Quando ci trovammo l'uno di fronte all'altra, il Generale mi guardò a lungo, senza proferire parola. Non sapevo se aspettare che parlasse lui per primo, come imponevano i rituali tra servitù e padroni, così stetti in silenzio. Incredibilmente, all'improvviso, Fabrizio mi passò vicino senza proferire parola, andandosene senza voltarsi. Lo guardai camminare lungo il corridoio, con lo sguardo fisso sulle sue larghe spalle e desiderai gettarmi a terra in preda all'isteria: Fabrizio mi aveva ignorata, non mi aveva rivolto la parola e si era comportato come se non esistessi. Brancolai fino al mio letto, nella stanza delle ancelle e senza guardare in faccia nessuno, mi ci gettai, silenziosamente. Cercai di ripetermi che “insieme” avevamo deciso di comportarci in quel modo, Fabrizio mi aveva parlato molto chiaramente, ma nonostante tutto vedere che il Generale fosse fedele a quello che diceva, mi faceva davvero male. Mi addormentai con le lacrime che bagnavano il cuscino, sentendo che il mio cuore si era definitivamente spaccato in tanti pezzi di vetro, che solo un miracolo avrebbe potuto rimettere insieme.


I giorni passarono, lenti e monotoni, il mio pensiero era inevitabilmente rivolto a Fabrizio, memore di quanto era successo quell'orribile sera. Da una parte, ammiravo Fabrizio, poiché se io fossi stata in lui, non avrei mai avuto il coraggio di compiere ciò che lui aveva fatto, perchè, sì, lo amavo davvero. Ormai ero sicura del fatto che lui non provasse amore nei miei confronti, poiché se mi avesse amato davvero, non si sarebbe comportato in quel modo... sapevo che quella illusa ed in torto ero io, ma non mi ero ancora rassegnata al fatto che tra me e Fabrizio non avrebbe mai potuto esserci nulla e sotto sotto, speravo che per qualche motivo, un giorno, lui sarebbe corso da me, chiedendomi di passare la mia vita insieme a lui. Di certo, questo non sarebbe mai accaduto.

Una mattina, dopo essermi lavata e vestita, stavo uscendo dalla stanza delle ancelle, quando mi trovai davanti Iginia, che mi guardava preoccupata... chissà cosa era successo, questa volta.

-Buongiorno, Iginia- la salutai. Lei ricambiò il saluto e iniziò a parlare più concitatamente di quanto probabilmente mi aspettassi.

-Aurora, sono giorni che non ti presenti alle cucine per i pasti... sei dimagrita tantissimo nel giro di una settimana, non sei più la ragazza fresca e con le guance colorite che conoscevo io!- esclamò. La guardai a lungo ma non risposi subito, poi dissi:

-Non ho fame, Iginia, se l'avessi sarei venuta a mangiare.- il mio tono era freddo e distaccato, quasi stravolto.

-Mia cara, devi mangiare, altrimenti perderai le forze e bisognerà darti delle erbe ricostituenti! Ti assicuro che sono cattivissime!- esclamò, strappandomi inevitabilmente un sorriso.

-Bambina mia, devi mangiare ed essere bella come sempre! Sei un fiorellino appena sbocciato, non puoi cominciare ad appassire ora, che hai appena diciotto anni!- esclamò la governante con fare materno.

-Hai ragione tu, Iginia, ma il mio male è incurabile....- dissi, sapendo che poteva capirmi.

-Lo so, lo so, nessuno meglio di me ti potrà mai capire... sai, credo che non ti faccia bene restare chiusa in quella Biblioteca a catalogare pergamene, a forza di resta là, alla fine si impazzisce... che ne dici di andare al Tevere a lavare i panni, questa mattina?- propose. La guardai scettica, poichè la donna sapeva perfettamente che non ero portata per i lavori domestici, avrei fatto solo danni, ne ero convinta, ma quella parve irremovibile:

-Ti affiderò soltanto le vesti che i padroni utilizzano in casa, così che non accadrà nulla se verranno danneggiati... che ne dici? Il suo sguardo era così incoraggiante che non seppi rifiutare:

-Si... mi farà bene prendere un po' d'aria- risposi e Iginia mi abbracciò.

Con un cesto di pochi indumenti in mano, uscii dal retro della Villa e mi avviai verso il fiume Tevere: sospettavo che Iginia mi avesse dato una specie di permesso, quella mattina, per non farmi restare chiusa nelle mura della casa e darmi l'opportunità di uscire: quegli indumenti erano così pochi che, con la mia andatura, avrei lavato nel giro di un'ora. Ormai conoscevo bene la strada verso il fiume e proprio quando mi era venuto in mente cosa fosse successo quando mi ero persa per recarmi al Foro, che qualcuno mi mise una mano sulla spalla. Mi voltai, un po' spaventata e trovai davanti a me Fabrizio. Spalancai la bocca per lo stupore, poi la richiusi all'improvviso, senza proferire parola.

-Buongiorno, Aurora- disse il Generale, con fare noncurante, come se si fosse scordato quello che era successo tra di noi. Non riuscii a rispondere al saluto, così che lui alzò un angolo della bocca in un sorriso triste e continuò -Che c'è, non mi saluti?- chiese. In quel momento inspiegabilmente sbottai, incapace di trattenermi:

-Oh bhe questo dovrei dirlo io a te, visto che la settimana scorsa ci siamo trovati faccia a faccia e non ti sei degnato nemmeno di farmi un cenno con il capo, quindi adesso non venirmi a dire che ti sei offeso perchè non ti ho accolto con tutto l'entusiasmo che ti aspettavi, Generale!- conclusi, stupendomi da sola e non sapendo da dove avevo preso tutto il coraggio per dire quelle parole.

-Aurora, io... so quello che pensi ma... volevo soltanto dirti che oggi ho una mattinata libera, so che anche per te è così e volevo... passarlo con te, dimenticandoci tutto quello che ci siamo detti tempo fa, solo per un giorno...- disse. Lo guardai ancora più allibita e non risposi, non capendo se quello che stava succedendo fosse un sogno o la realtà e rimasi silenziosa. Forse non avevo capito bene: voleva comportarsi come se quel giorno non ci fossimo detti niente? A quale scopo?

-Aurora...?- chiese Fabrizio, muovendomi una mano davanti al viso, per svegliarmi dal mio stato di quasi incoscienza.

-Si... si... certo... certo...- farfugliai, senza sapere nemmeno se le mie parole avessero senso o meno.

-Benissimo, allora... dove stavi andando?- chiese improvvisamente interessato, guardando il cesto che portavo in mano. Mi obbligai a rispondere, ma esitai ugualmente:

-S-stavo andando al fiume per lavare questi panni- dissi, indicando il contenitore di paglia.

-Bene... andiamo allora?- chiese Fabrizio, come se fosse stata la cosa più naturale del mondo. Annuii e ci avviammo verso il Tevere. Quel giorno Fabrizio sembrava molto più loquace del solito, forse anche troppo, tanto che per un momento pensai che mi stesse nascondendo qualcosa. Iniziammo a chiacchierare come due amici che non si vedono da anni, pian piano il mio imbarazzo andava sparendo e il mio cuore riusciva soltanto a riempirsi di gioia poiché passavo del tempo con l'uomo che amavo. Probabilmente non ci sarebbero più stati giorni come quello e dovevo sfruttare tutto il tempo che potevo passare con lui.

Arrivammo al Tevere, che quel giorno stranamente era deserto: nessuna persona si trovava a lavare i panni sulle acque scroscianti del fiume, solo io e Fabrizio ci trovavamo in quel luogo. Una brezza fresca soffiava e mi scompigliava i capelli, acconciati in una crocchia dietro la nuca, portandoli davanti al viso.

Mi misi in ginocchio sulle sponde del fiume e iniziai a lavare i panni, anche se la mia testa si trovava da tutt'altra parte. Fabrizio si sedette accanto a me e mi fissò a lungo, restando in silenzio. Dopo un po', divertita ed incuriosita dal suo comportamento, parlai per prima:

-Come mai mi stai fissando? Ho qualcosa che non va sul viso?- chiesi, interdetta, ma sorridendo.

-Nulla... ti stavo solo osservando... se ti da fastidio smetto- affermò sorridendo a sua volta. Scossi la testa, facendogli capire che non mi infastidiva e pensai che, anzi, mi piaceva molto essere guardata da lui... mi faceva sentire importante.

-È solo che...- disse dopo un po' che ero indaffarata a levare una macchia da una veste e non voleva affatto sapere di andarsene, tanto che mi doleva quasi il braccio a forza di strofinare -Sei un totale disastro nel lavare i panni! Non mi stupisce che alcuni dei miei indumenti erano così rovinati da sembrare vecchi!- esclamò prendendomi in giro. Mi stizzii e smisi di lavorare:

-Le faccende domestiche non sono mai stato il mio forte, ne sono consapevole. Siccome, tuttavia, sei tu quello che non fa nulla, invece di criticarmi, perchè non mi aiuti così magari vediamo se sai essere migliore di me?- chiesi di nuovo, tornando ad essere sfrontata come quando ero una principessa e il mondo era mal mio servizio.

-Sono un Generale romano, posso fare qualsiasi cosa!- esclamò convinto, strofinando le mani un sull'altra.

-Benissimo, dimostramelo allora- affermai, con tono di sfida. Fabrizio mi sorrise, non seppi mai perchè ma avevo la netta impressione che quell'uomo amasse le competizioni. Prese una casacca marrone dal cesto, mi prese in malo modo, ma scherzosamente, la pietra pomice dalle mani e iniziò a strofinare le macchie, senza aver nemmeno bagnato l'indumento. Iniziai a ridere tenendomi la pancia che iniziava addirittura a dolermi e il Generale mi guardò, dubbioso:

-Cosa c'è che non va?- disse alzando un sopracciglio. Io lo guardai per un po' sorridendo calorosamente e gioiosamente e poi mi avvicinai a lui:

-Per lavare bene gli indumenti, da quello che so, prima bisogna bagnarli, poi passarci sopra la pietra- dissi, prendendogli dalle mani quella casacca. Sfiorai appena, involontariamente, la sua mano e fui scossa da un brivido: quanto avrei desiderato prendere la sua mano e appoggiarmela a una guancia. Scossi la testa impercettibilmente e bagnai l'indumento, poi mi posizionai dietro Fabrizio che, dubbioso, mi stava scrutando. Gli presi le mani con le mie e strofinammo insieme l'indumento; nonostante quella situazione mi sembrasse davvero imbarazzante, qualcosa mi aveva spinto ad agire, forse una sfrontatezza improvvisa o il desiderio di averlo accanto. Rendendomi conto davvero di ciò che stavo facendo, staccai le mani bruscamente dalle sue e lo lasciai fare, imbarazzata. Fabrizio non sembrò far caso al mio turbamento e dopo un po' stese sull'erba quella casacca: era tutta stropicciata e nei punti in cui si trovavano prima le macchie, era stato strofinato così forte che il tessuto si era decolorato. Scoppiai a ridere e Fabrizio mi guardò indispettito:

-Cos'hai da ridere?- chiese, sorridendomi. Io lo guardai con sguardo superiore:

-Mi hai criticato tanto ma di certo non sei stato migliore di me!- esclamai sentendomi davvero importante, riconoscendo dentro di me, però, che il suo mestiere era quello del militare, non del servo... chissà quanta forza possedeva nelle sue braccia.

Fabrizio alzò di nuovo un sopracciglio:

-Ah, è così?- chiese, mostrandosi indignato dalle mie parole e non aspettò nemmeno che io annuissi perchè si alzò di scatto da terra, mi prese per la vita e, di peso, mi gettò dentro il fiume. Il mio corpo sprofondò tra le fredde acque del Tevere e trattenni il fiato finchè non riemersi dall'acqua, guardando sconcertata Fabrizio, che rideva tenendosi la pancia... non poteva averlo fatto sul serio! Sapendo che non sarei mai riuscita a trascinarlo nelle acque del fiume con me, iniziai a schizzarlo ripetutamente così che si vide costretto a dire:

-Ora vengo ad affogarti!- e si gettò in acqua con me. Quando la sua testa riemerse iniziai a nuotare cercando di sfuggirgli, sapendo di non dovermi far prendere. Quando ero piccola, nei giorni in cui il caldo era troppo afoso, mia madre incaricava le ancelle di condurmi con loro al fiume e di insegnarmi a nuotare. Una volta, insieme alle mie sorelle, eravamo anche andate a nuotare nel mare e da quella volta me ne ero totalmente innamorata. Nonostante non fossi un'atleta, mi era sempre piaciuto nuotare e vi riuscivo anche molto bene. Fabrizio mi rincorse e quando mi fu vicino continuai a schizzarlo, ridendo ancora. Alla fine ci guardammo ed iniziammo a ridere ripetutamente, guardandoci negli occhi finchè, ad un certo punto, iniziai a starnutire e Fabrizio disse, riluttante:

-Credo che sia il caso di uscire... anche se è caldo, le acque del fiume sono fredde- nonostante tutto, il suo tono di voce non era mai stato così gioioso.

Ci avviammo verso le sponde del fiume, Fabrizio, grazie alla forza delle braccia uscì dall'acqua e poi mi aiutò a fare lo stesso. Quando uscii dal fiume, inciampando con un sasso, caddi tra le sue braccia, che mi sorressero per non farmi cadere. Fabrizio mi guardò negli occhi, intensamente, ma quel momento fu rotto da un mio starnuto. -Dobbiamo levarci i vestiti, altrimenti non si asciugheranno mai.- disse Fabrizio, in un tono che non avrei saputo di certo identificare. Arrossii di colpo: era sconveniente che una ragazza si levasse gli abiti davanti ad un uomo... di certo non l'avrei fatto davanti al Generale. Lui fece finta di non notare il mio imbarazzo e si levò la casacca, restando a petto nudo. Evitai di guardare i suoi muscoli e mettermi a fantasticare su cose non esattamente convenienti e mi voltai dall'altra parte. Fabrizio si levò i calzari e rimase solo con i pantaloni, poi mi guardò e rise:

-Che c'è? Non hai mai visto un uomo in pantaloni?- chiese, mettendosi davanti a me, obbligandomi a guardarlo. Distolsi di nuovo gli occhi da lui e starnutii ancora, sentendo il naso che mi colava.

-Fai come vuoi, piccola Aurora, ma secondo me, se non metti i tuoi abiti ad asciugare, ti prenderai un brutto malanno.- detto questo mise la sua casacca sull'erba per farla seccare sotto il sole cocente, dopo di che si stese a terra e chiuse gli occhi.

Approfittai del momento in cui non mi stava guardando e mi sfilai la veste da ancella, adagiandola a terra per farla asciugare. La sottoveste che avevo addosso era bianca e davvero molto corta, ma a causa dell'acqua era diventata completamente trasparente, facendo intravedere la mia biancheria intima e aderendo talmente tanto al mio corpo da evidenziare ogni mia forma. Mi stesi accanto a Fabrizio, indifferente, certa che non mi avrebbe visto se avesse continuato a tenere gli occhi chiusi. Fissavo incessantemente il suo volto, per fissarmi nella mente qualsiasi linea del suo viso, sapendo che un momento come quello non si sarebbe più ripresentato. Ad un tratto, Fabrizio stette per aprire gli occhi e mi allarmai:

-Non guardarmi!- esclamai, indignata. Fabrizio, sorpreso, restò con gli occhi chiusi e sorrise:

-Sei svestita, per caso?- chiese divertito.

-N-no- riposi imbarazzata, poi continuai -ma questa sottoveste è quasi trasparente e... mi vergogno, ecco. Quindi se non vuoi che rimetta la veste e prenda un brutto malanno, ti pregherei di restare ad occhi chiusi... e non ti azzardare a prendermi in giro!- affermai fingendomi sicura, ma la mia voce era spezzata dall'imbarazzo e sentivo le guance in fiamme. Fabrizio rise fragorosamente ma assecondò la mia richiesta, quando, ad un tratto, iniziò a parlare:

-Anche ad occhi chiusi riuscirei a ricordare ogni singolo tratto del tuo viso, ogni sua minuscola piega... ce l'ho impresso molto bene in mente- le sue parole mi raggiunsero e iniziai a boccheggiare, come se stessi in mancanza d'aria, quasi colta dal panico, non sapevo se essere lusingata o meno dalle sue parole. Sempre tenendo gli occhi chiusi, il Generale si appoggiò su un gomito e si avvicinò a me, alzando una mano.

-Qui c'è il tuo orecchio- iniziò, accarezzandomelo con la mano libera -e questi sono i tuoi capelli, così morbidi e profumati- prese una ciocca di capelli, ancora un po' bagnati e se la porto al viso, affondandoci il naso, provocandomi la pelle d'oca. Io restai immobile, senza avere il coraggio di muovermi, temendo che quel momento così particolare finisse troppo presto -questa è la tua fronte, liscia come la pelle delle tue guance- continuò sfiorando ogni centimetro del mio viso, mentre la mia mente non riusciva a formulare nessun pensiero coerente o sensato -Questi sono i tuoi occhi, di cui riconosco la forma, così grandi e così luminosi- mi sfiorò le palpebre e continuò a parlare, con voce dolce e suadente -qui c'è il tuo nasino, dolce e della giusta misura e...- esitò, dopo aver sfiorato il mio naso -queste sono le tue labbra... non potrei mai scordarle- con le dita toccò le mie labbra, indugiando e a quel contatto pensai di poter morire per la scossa che ricevetti e le emozioni che il suo gesto mi provocò, poi improvvisamente aprì gli occhi e mi guardò il viso, intensamente, mise le mani tra i miei capelli e avvicinò il suo volto al mio. Il mio corpo, che fino a quel momento era rimasto rigido, si sciolse e fu allora che Fabrizio appoggiò le sue labbra sulle mie e mi baciò ardentemente, come la prima volta. Sentii la morbidezza delle sue labbra che si muovevano all'unisono con le mie, il suo sapore inebriante e il sangue che raggiungeva inevitabilmente il cervello, mandandomelo in estasi, le mie guance erano così rosse che sembrava stessero andando a fuoco. Ci baciammo a lungo, finchè Fabrizio non si fermò e mi guardò il corpo, fasciato dalla sottoveste bagnata:

-Sei bellissima...- dopo aver detto questo mi aggrappai, senza vergogna, alle sue spalle e ripresi a baciarlo con foga, desiderandolo come mai avevo desiderato qualcuno in tutta la mia vita. Mi baciò a lungo e sentire le sue labbra sulle mie e le sue braccia che mi avvolgevano, mi restituiva una sensazione meravigliosa di protezione e sicurezza. In un eccesso di fervore, il Generale risalì il profilo della mia gamba e scostò la sottoveste, accarezzando ogni centimetro della mia pelle. Ad un tratto, però, ci giunsero all'orecchio le grida di alcuni bambini che, probabilmente, si stavano avvicinando, così che ci staccammo all'improvviso e dopo esserci rivestiti in fretta e furia e aver raccolto il cesto di indumenti lavati alla buona, in silenzio, ci avviammo verso la Villa, con lo sguardo rivolto verso il basso. Il mio cervello non ebbe il tempo di elaborare alcun pensiero: la mia mente era ferma su quello che era accaduto poco prima. Se avessi avuto un po' di responsabilità, di certo non mi sarei lasciata trascinare dai sentimenti in quel modo, ma quando si trattava di Fabrizio, ogni mia emozione veniva annientata e l'unico sentimento che riuscivo a sentire, che era il mio amore incondizionato per lui. Arrivati davanti all'entrata di servizio della Villa, Fabrizio mi guardò per un po', poi mi salutò, imbarazzato ed impacciato:

-Allora ti auguro una buona giornata- farfugliò piano, con un tono di voce così basso che quasi non riuscii a sentirlo.

-A-anche a te- balbettai senza guardarlo in viso, temendo di sapere quale fosse la sua espressione, ma quando alzai la testa, Fabrizio era già scomparso.

 

Passai il resto della giornata in tralice, con il pensiero fisso a quello che era accaduto al fiume, le labbra del Generale sulle mie, le sue dita che mi accarezzavano il viso... che cosa sarebbe potuto accadere se le urla dei bambini non avessero riportato me e Fabrizio con i piedi per terra? Fin dove ci saremmo spinti? Me lo chiedevo ripetutamente, senza riuscire a trovare una risposta a quel quesito. Nonostante tutto non riuscivo a capire le ragioni che avessero spinto Fabrizio a passare del tempo con me, quella mattina e soprattutto, cosa lo avesse spinto a baciarmi e... al resto, soprattutto dopo quello che mi aveva detto, settimane prima, nella sua stanza e dopo che mi aveva bellamente ignorato lungo i corridoi della Villa. Durante tutto in pomeriggio, chiusa in Biblioteca, non riuscii a catalogare nemmeno una pergamena, pensando che, forse, se Fabrizio aveva voluto comportarsi in quel modo una ragione c'era: aveva deciso che valeva la pena continuare la nostra “relazione” segreta, perchè il suo sentimento per me era tanto forte...? Forse aveva deciso di andare contro tutti e tutto in nome di ciò che provava per me? Una parte del mio cervello mi diceva ripetutamente di non illudermi perchè niente accade per caso, ma la mia mente era così inebriata dal pensiero di lui che, quando passai per i corridoi dopo aver concluso il mio lavoro, a tarda sera, non mi accorsi di tutto il trambusto che c'era: le ancelle correvano per i corridoi della casa gridandosi indicazioni a vicenda, così ad un tratto, fermai Attilia che stava camminando velocemente, come una forsennata:

-Attilia, che cosa sta succedendo? Come mai state correndo tutti a destra e a sinistra... cosa state preparando?- chiesi, dopo aver visto altre ancelle trasportare cesti pieni di vestiti e otri contenenti acqua. La mia voce era così impastata da sembrare quella di una sonnambula, ma la ragazzina, per mia fortuna non ci fece caso.

-Come, non lo sai?- chiese, più indaffarata a sbarazzarsi di me che a rispondere davvero, cosa che mi lasciò alquanto sospettosa -Il Generale Fabrizio insieme ad altri uomini partiranno domani per fronteggiare i Cartaginesi in territorio nemico, assieme all'aiuto e alle strategie del Dittatore Massimo- rispose e dopo aver detto ciò se ne andò di corsa.

Restai a fissare il punto in cui si trovava prima Attilia per un po', dopo di che alzai la testa, svegliandomi improvvisamente, come se prima fossi stata in un sogno: in quel momento, finalmente, riuscii a spiegarmi le ragioni del comportamento di Fabrizio... mi aveva imbrogliata!

Senza pensare o preoccuparmi di essere notata da qualcuno, corsi in camera di Fabrizio ed entrai senza nemmeno bussare alla porta. Appena mi vide, Fabrizio spalancò gli occhi, così mi sbattei l'uscio alle spalle e iniziai a gridare, come se uno spirito maligno si fosse impossessato del mio corpo:

-Tu mi hai imbrogliata! Ti sei preso gioco di me!- esclamai in preda all'ira e incapace di ragionare -ti sei divertito con me oggi, vero? Mi hai baciato, sei stato dolce con me e tutto il resto solo perchè domani saresti partito per la guerra? Non hai pensato minimamente a come mi sarei sentita quando sarei venuta a sapere che tu te ne eri andato, lasciandomi così dopo... dopo quello che hai fatto! Tu mi hai illusa, ti sei preso gioco di me...- a quel punto iniziai a piangere senza ritegno, non vergognandomi che davanti a me si trovava Fabrizio poichè in quel momento riuscivo a pensare a tutto meno che al mio orgoglio. Vedendo lo stato in cui mi trovavo, Fabrizio mi abbracciò e mi strinse forte a se, ma come una furia, iniziai a tempestargli il petto di pugni, continuando a gridare:

-Non puoi farmi questo! Non puoi! Cosa farò se morirai? Non posso pensare a questo non posso... e tu? Mi prendi in giro lasciandomi credere a qualcosa che, invece, non si realizzerà mai e non hai avuto nemmeno il coraggio di dirmi che stavi per partire!- in quel momento la mia voce fu rotta dai singhiozzi, così forti che mi scuotevano tutto il corpo. Fabrizio mi strinse ancora più forte a se e io adagiai la testa sul suo petto, dopo di che, il Generale mi prese il viso tra le mani e mi obbligò a guardarlo negli occhi:

-Guardami, Aurora!- feci come mi stava dicendo, con voce torva e disperata, i suoi occhi sembravano più neri e più profondi del solito -Io tornerò, questa è una promessa. Tornerò per te, se tu avrai la pazienza di aspettarmi.- iniziò, aspettando che io dicessi qualcosa, ma nessun suono uscì dalle mie labbra, mentre le lacrime continuavano a solcarmi il viso. -Mi aspetterai, mia dolce Aurora?- chiese ancora accorato ed io annuii con forza:

-Ti aspetterò per tutta la vita, se necessario, Fabrizio- risposi disperata tra un singhiozzo e l'altro. Lui iniziò ad accarezzarmi il viso, poi appoggiò la fronte sulla mia e continuò a parlare, guardandomi negli occhi, quasi cercando di ipnotizzarmi -Io non ti ho mai preso in giro, Aurora! Non ho avuto il coraggio di dirti che sarei partito proprio perchè non sarei riuscito a sopportare di provocarti del dolore, ho i miei punti deboli anche io, sai?- chiese retoricamente sorridendo. Riuscì a strapparmi un sorriso -Mi perdoni?- chiese ancora e l'unica cosa che seppi fare fu annuire e continuare a piangere. Fabrizio mi guardò ancora, poi iniziò a baciarmi le guance e ad asciugarmi le lacrime con i suoi baci. Quel gesto mi fece commuovere ancora di più e, sebbene avessi il viso ancora bagnato dalle lacrime, Fabrizio appoggiò le sue labbra sulle mie e mi baciò così appassionatamente e disperatamente che quasi mi tolse il fiato. Ricambiai quel bacio meraviglioso e poi, inspiegabilmente, tra un bacio e l'altro, Fabrizio mi sollevò di peso e mi condusse sul suo letto, dove mi ritrovai distesa sotto di lui, mentre continuavamo a baciarci con foga. Avrei desiderato con tutto il cuore che il tempo si congelasse in quel momento meraviglioso, avrei dato tutto ciò che avevo perchè accadesse! Questa volta senza esitazione, Fabrizio mi sfilò gli indumenti di dosso, mentre facevo la stessa cosa con lui, dopo di che mi sciolse i capelli e vi affondò il viso, respirando il mio odore. Avevo davvero paura, non mi era mai capitato di trovarmi in una situazione del genere, forse era tutto sbagliato, ma con uno sguardo Fabrizio, che aveva compreso i miei timori, mi fece capire che, con lui, non dovevo temere nulla. Accarezzò a lungo i miei capelli, continuando a baciarmi appassionatamente per rassicurarmi, dopo di che diventammo una cosa sola.


Note dell'autrice




(1*) Annibale è un grande condottiero Cartaginese, fratello di Asdrubale e figlio di Amilcare. Fu condottiero durante la Seconda Guerra Punica.

 

(2*) Il Senato romano si riuniva in un ambiente all'aperto, che era a forma di anfiteatro: al centro si trovava una piattaforma dove parlavano i consoli, i Dittatori ecc... ed era circondata da numerosi ordini di spalti.

 

(3*) Nell'esercito romano vi erano molti ruoli da ricoprire: gli Equites erano i cavalieri, uomini armati che si spostavano attraverso i cavalli. Spesso questi ricoprivano i ruoli più importanti dell'esercito, e facevano parte delle famiglie più facoltose (un cavallo e un'armatura costavano molto). Dopo di loro c'erano i fanti armati pesantemente, che si muovevano a piedi (in Grecia detti Opliti) e infine i fanti armati alla leggera. Tutti coloro che si muovevano a piedi erano detti Pedites

 

(4*) Durante la Seconda Guerra Punica, Roma per fronteggiare la minaccia cartaginese, nel 217 a.C. elesse Quinto Fabio Massimo Dittatore. Egli propose la tattica del “logoramento” secondo la quale l'esercito doveva rifiutare lo scontro in campo aperto e effettuare scorrerie che andavano ad indebolire le forze nemiche. (Bruciare roccaforti nemiche, bloccare le forniture di cibo ed acqua da parte degli alleati avversari ecc...) La sua tattica non fu vista di buon occhio dai Senatori poiché comportava un grande dispendio di denaro pubblico, che il popolo, dopo anni di guerra non poteva più fornire. Così, allo scadere del sesto mese, l'uomo non fu riconfermato Dittatore. Successivamente furono eletti due consoli che, sopravvalutando la potenza di Roma, attaccarono i Cartaginesi in campo aperto, a Canne dove subirono una pesante sconfitta. (216 a.C.) Sei anni dopo, nel 210 sotto la carica di unico Console, quindi Dittatore, Quinto Fabio Massimo fu rimesso al potere, poiché la sua tattica era la più efficace.

 

(5*) Cunctator è un termine latino, il suo significato è Temporeggiatore, aggettivo con cui veniva definito il Dittatore a causa della tattica da lui utilizzata.

 

(6*) Metello era uno dei consoli che fu sconfitto a Canne.

 

(7*) Nell'antica Roma la scala sociale era divisa per gradi: in cima c'erano gli Aristocratici, che erano coloro che avevano “sangue nobile” e aspiravano alle cariche pubbliche più importanti (Senato, Consolato...). Subito dopo c'erano i così detti “Homi Novi”, uomoni nati poveri che erano riusciti ad arricchirsi e avevano gli stessi possedimenti degli Aristocratici. Anche essi miravano alle cariche pubbliche più importanti ma era difficile arrivarci a causa della loro origine. Dopo di questi c'era la piccola nobiltà e gli operai, che non potevano lasciare il lavoro per ambire a cariche pubbliche, i loro rappresentanti erano i Tribuni della plebe, che rivendicavano i diritti del popolo.

 

(8*) I Militari salutavano i loro superiori sbattendosi un pugno chiuso sul petto: era simbolo di rispetto.

 

(9*) Il termine “Dittatore” nell'antichità non veniva utilizzato in maniera dispregiativa, questo accadde solo in seguito.

 

(10*) Cerbero era un cane a tre teste che si trovava all'entrata dell'Ade

 

Buonasera a tutti, non potrò scrivere molto perchè sono connessa dal pc tramite il cellulare e se salta la connessione addio capitolo!
Questa volta non ho postato così in ritardo e considerate che mi trovo in una situazione di quasi totale impossibilità ad aggiornare! Tuttavia, chi la dura la vince. Non spnderò molte parole su questo capitolo, credo che sia tutto abbastanza... scandaloso! Per qualsiasi chiarimento chiedete nelle recensioni, comprendo che il capitolo era difficile, a causa di tutti gli aneddoti storici, spero di essere stata chiara e coerente! Per quanto riguarda la parte "hard" spero di non aver disturbato nessuno, tuttavia la storia è reting arancione per sicurezza, se fosse necessario metterlo rosso, ditemelo.
Mi sono impegnata molto in questo capitolo e non so quando aggiornerò di nuovo, spero il più presto possibile... considerate che mi è nato un nipote e allo stesso tempo morta una carissima zia, ho cercato di aggiornare in fretta, quindi perdonate gli eventuali errori
un saluto e un abbraccio forte

_Renesmee Cullen_

 

 

 

 

 

 


 

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Capitolo 15
*** Segreti ***


Capitolo 15 - SEGRETI 


Mi rigirai nel comodo letto un paio di volte, prima di aprire gli occhi.

Mi piaceva perdere tempo a gingillarmi tra le coltri, prima di svegliarmi definitivamente. Aprii gli occhi e il sole che entrava dalla finestra mi accecò, così che dovetti sbatterli un paio di volte per abituarmi alla luce. Istintivamente appoggiai una mano sulla parte del letto accanto a me, che trovai, inevitabilmente, vuota.

Notai che quella mattina il sole era già alto nel cielo e, di certo, nessuno era venuto a svegliarmi per obbligarmi a lavorare. Di Fabrizio non c'era nemmeno l'ombra e questo mi fece rattristare molto. Mi sarebbe piaciuto risvegliarmi ed averlo accanto, come qualche tempo prima...

Il mio sguardo vagò sulla stanza, dove nessun segno mostrava la passata presenza di Fabrizio, sulla cassapanca ai piedi del letto, tuttavia, mi accorsi che si trovava un vaso con dentro dei meravigliosi fiori gialli, che la sera precedente non c'erano, tipici di quella stagione. Sperai, presuntuosa, che Fabrizio li avesse lasciati li per me... amavo i fiori e il loro profumo, quando ero piccola mi divertivo a raccoglierli nei prati e ad annusarli. Mi alzai lentamente, rabbrividendo quando appoggiai i piedi scalzi sul pavimento freddo e quando una brezza fresca entrò dalla finestra e mi colpì. Infilai velocemente i vestiti che si trovavano per terra e improvvisamente tutto quello che era accaduto la sera prima mi ritornò in mente con una impetuosità che mai avrei immaginato.

Mi appoggiai sul bordo della cassapanca per non rischiare di cadere a terra per l'intensità con cui i ricordi mi presero... i baci calorosi di Fabrizio, le sue carezze... scossi la testa, mettendomi una mano sulla fronte e sentendo le guance in fiamme a causa dei ricordi... ma dove si trovava, in quel momento, il mio Generale? Non era accaduto forse che...? Prima di fare qualsiasi congettura, mi accorsi che vicino ai fiori profumati c'era un biglietto piegato. Titubante e con le mani tremanti lo presi e lo aprii, riconoscendo quella grafia che mille volte avevo avuto il piacere di vedere. Man mano che gli occhi scorrevano sulla pergamena, il cuore mi batteva sempre più veloce e uno sciocco sorriso ornava il mio viso:

 

Mia dolce Aurora

 

non ho avuto cuore di svegliarti, non avrei mai voluto turbare l'espressione tranquilla che hai mentre dormi, con una brutta notizia. Non ho coraggio sufficiente per salutarti e per vedere quelle odiose lacrime rigare il tuo viso meraviglioso, dunque lo faccio ora con questa lettera: sono partito, amore mio e spero tu possa perdonarmi perchè non sono così coraggioso come credi. Ho guardato molto il tuo viso mentre dormivi e ora che scrivo mi sembra di sentire la mancanza della tua voce, dei tuoi occhi limpidi e del tuo profumo... non so quando tornerò, né quando potrò scriverti, come ben sai alla servitù non è permesso ricevere lettere dai padroni...

Non so nulla di come andrà a finire questa guerra, ma ti giuro questo: tornerò da te, a qualunque costo. Dovessi arrivare strisciando ed esalare il mio ultimo respiro tra le tue braccia, tornerò, te lo giuro! Non c'è altro che desideri se non morire con il tuo volto davanti agli occhi...

Voglio che tu sia forte, durante la mia assenza, mi aiuterà ad andare avanti... parto tenendo nel cuore il ricordo della notte passata con te, con la speranza che tu faccia lo stesso e che i fiori siano di tuo gradimento e profumino la stanza,

che gli dei ti proteggano,

per sempre tuo

 

Fabrizio.

 

Rilessi quella lettera più e più volte, poi la strinsi forte al petto e le lacrime iniziarono a rigare il mio volto. Non erano, tuttavia, solo di tristezza, ma anche di speranza e gioia per le parole che avevo letto in quella pergamena. Sarei stata forte per Fabrizio e l'avrei aspettato tutto il tempo che sarebbe stato necessario, mesi, anni...

Nella mia mente rimbombavano ancora le parole “amore mio”, come se fossero state le note di una canzone meravigliosa che non avrei mai potuto scordare. Il mio Generale mi aveva chiamata “amore mio”... ripiegai il foglio e lo infilai sotto la veste, vicino al cuore, così che avrei potuto rileggerla in ogni momento.

Prima di andare a lavorare innalzai una preghiera agli dei affinchè proteggessero Fabrizio e lo aiutassero nella sua impresa dopo di che, con la testa tra le nuvole per quello che era successo la notte precedente e con il pensiero rivolto a Fabrizio, andai a cercare Attilia per riferirle ogni dettaglio di quella storia.

 

Camminai per i corridoi della Villa come se stessi in trance, urtando le ancelle che passavano e che mi lanciavano delle occhiatacce. Non sapevo nemmeno dove stessi andando, camminavo come una persona che ha perso il senno e la strada di casa. Quando, stupita, me ne accorsi, era ormai troppo tardi poiché mi trovai Iginia davanti.

-S-salve, Iginia- biascicai, noncurante che il mio stato potesse risultare sospetto agli occhi di una persona esterna.

-Salve, Aurora, ti vedo piuttosto imbambolata sta mattina... ti senti bene?- chiese e il suo tono di voce più che preoccupato era inquisitorio.

-Mai stata meglio! - esclamai e mi accorsi di aver appena commesso una sciocchezza: Iginia sapeva che suo figlio era partito e di certo si sarebbe chiesta come mai io non mostrassi nessun segno di tristezza a riguardo, infatti esclamò:

-Non so se hai saputo la notizia... Fabrizio è partito stamane con una legione... è partito per la guerra!- la sua voce era quasi fredda, ma non ebbi cuore di giudicarla, chissà in tutti quegli anni quante volte aveva visto il sangue del suo sangue partire e non sapere quando sarebbe tornato... aveva sicuramente imparato a rimanere impassibile, ogni volta che accadeva, poichè la vita dei guerrieri si svolgeva soltanto sul campo di battaglia.

-Si, ho saputo, ma sono sicura che tutto andrà per il meglio e che torneranno vincitori!- esclamai sicura, ancora non pensando che il mio comportamento potesse risultare sospetto allo sguardo dell'argutissima Iginia. Cercai di andarmene, superandola alla svelta, ma lei mi trattenne per un braccio e disse, insospettita:

-Oggi non mi convinci affatto, Aurora...resta qui e chiacchiera con me, è successo qualcosa di cui vuoi parlarmi?- chiese ancora, non lasciando andare il mio braccio.

Mi guardai intorno, assicurandomi che nessuno stesse ascoltando quanto avevo da dire e poi, come un fiume in piena che rompe gli argini, incapace di trattenermi oltre, iniziai a parlare:

-Ho passato la notte con Fabrizio!- esclamai e la mia voce era un misto tra eccitazione, nostalgia ed incredulità. Li per li Iginia non capì esattamente le mie parole e restò tranquilla, ma quando poi continuai il mio racconto, senza mai fermarmi o prendere fiato, il suo viso impallidì e gli occhi sembrarono uscirle fuori dalle orbite. Quando conclusi la mia storia, sorridente, lei, che non aveva mai lasciato andare il mio braccio, mi trascinò con forza per un corridoio secondario della casa, affinchè non ci notasse nessuno e mi preoccupai, cosa stava per dirmi di così importante?

-Prega gli dei che le vostre stupide azioni non si ripercuotano nel futuro...- poi fece una pausa, mi guardò il viso e le venne quasi da ridere, il suo volto prese di nuovo colore e sciolse la presa sul mio polso -e non guardami con quella faccia da pesce lesso, ancora non hai capito cosa intendo?- chiese, anche se la sua voce non era troppo divertita. In quel momento la verità mi crollò addosso, e sbiancai anche io: se fossi rimasta incinta? Cosa avrei fatto?

-Capisci adesso?- chiese Iginia, notando la mia espressione che era mutata improvvisamente, da sognatrice a terrorizzata. Tanta era la paura che la mia mente non riusciva a visualizzare altro se non la parola “bambino”, non potevo nemmeno pensare a cosa avrei fatto se lo avessi avuto...

-Siete stati due sconsiderati- iniziò Iginia facendomi la predica, come se fossi stata la prima serva a giacere nel letto del suo padrone... o come se fossi stata l'unica donna che l'aveva fatto. Scossi la testa e cercai di mantenere la calma: la governante, reduce dalla sua esperienza di vita, si preoccupava troppo per quello che era successo... ma come biasimarla? Si era trovata sola, senza essere sposata, con un figlio... di certo non voleva che accadesse a me la stessa cosa.

-Iginia, andrà tutto bene, non mi capiterà quello che è successo a te!- dissi con veemenza. Vidi l'espressione di Iginia mutare e diventare fredda e distaccata, subito dopo mi accorsi di aver fatto una sciocchezza: quanto avevo detto sembrava un'accusa verso di lei, poiché da giovane era stata incosciente, forse quanto me.

-Te lo auguro con il cuore, Aurora- disse freddamente la donna, poi mi superò e uscì dal corridoio.

-Aspetta, Iginia io non avrei mai voluto offenderti!- dissi forte, ma in quel momento la donna si era già dileguata attraverso i corridoi della Villa. Scossi la testa: quel giorno avevo la testa così tanto tra le nuvole che ero riuscita solo a creare guai. Non ero di certo in vena per mettermi a discutere nuovamente con Iginia, dunque credetti che era meglio porgere le mie scuse più tardi. Mia madre aveva proprio ragione quando diceva che dovevo tapparmi la bocca, a volte perchè parlavo troppo. Non era stata solo lei a farmi quella raccomandazione... di nuovo mi venne in mente il volto di Fabrizio e tutto quello che era successo. Rivolsi il mio pensiero a lui e un'altra preghiera silenziosa verso gli dei affinchè lo proteggessero durante il viaggio e durante la battaglia. Pensai alle parole di Iginia e scossi di nuovo la testa: troppe preoccupazioni prendevano quella donna... non che non mi facesse piacere, anzi ero molto contenta che si curasse di me in quel modo... tuttavia, senza sapere perchè, una strana calma mi invadeva il cuore e nessun pensiero negativo mi annebbiava la mente: Fabrizio sarebbe tornato vittorioso dalla sua guerra e io non sarei rimasta incinta di nessun bambino, tutto si sarebbe risolto per il meglio. La mia testa tra le nuvole e il mio sguardo sognante, non colsero l'ombra che mi seguiva da quella mattina, un'ombra che presto mi avrebbe assalita senza che me ne potessi rendere conto.

 

 

-Dimmi che non è uno scherzo!- mi urlò Attilia nelle orecchie mentre la aiutavo, di sera, a riordinare la cucina. Stavo lavorando extra perchè la mattina ero “rimasta a poltrire”, come aveva detto Iginia prima di spedirmi direttamente dal capocuoco. Non ero ancora riuscita a farmi perdonare da lei, che nemmeno sembrava desiderasse le mie scuse. Forse le mie parole avevano portato a galla ricordi dolorosi e voleva essere lasciata in pace, o più semplicemente voleva farmela pagare per come le avevo risposto dopo tutte le pene che si era presa per me. Nonostante tutto, ero troppo felice per farmi rovinare la giornata dal cattivo umore di Iginia (sebbene lo avessi causato io), così anche mentre riordinavo la cucina cercando di non fare danni e non distruggere niente, chiacchieravo con Attilia allegramente: chi megli di lei poteva apprezzare la mia allegria?

-Non è uno scherzo!- esclamai per la decima volta. Appena avevo raccontato alla ragazzina quanto era successo, non aveva fatto altro che congratularsi con me e lanciare gridolini di soddisfazione. Attilia era l'unica persona che avessi mai conosciuto in vita mai che gioiva per la felicità altrui. La bontà di quella ragazza era sconfinata... come la sua ingenuità.

-Ti prego raccontami tutto da capo! Tu, lui, la notte insieme, la lettera, i fiori! Sembra una di quelle storie che si sentono nei miti o negli antichi poemi Omerici!- esclamò di nuovo congiungendo le mani. Sorrisi ancora e narrai tutto daccapo, ancora una volta, solo per il gusto di ripensaci, di ricordare le sensazioni che avevo provato e vedere il sorriso raggiante di Attilia.

-Quindi quando tornerà vivrete per sempre felici e contenti!- esclamò sicura sorridendo, con gli occhi che le brillavano.

-Si!- esclamai certa sorridendo a mia volta, ma dopo aver risposto così impetuosamente, la mia sicurezza vacillò: non sapevo se quando Fabrizio fosse tornato avrebbe fatto qualcosa affinchè la nostra relazione andasse avanti... in fondo, non mi aveva promesso nulla, se non il fatto che sarebbe tornato. Quel pensiero turbò un poco il mio buon umore e mi accigliai. Attilia se ne accorse subito:

-Aurora... cosa c'è? Perchè fai quella faccia?- chiese, mettendomi una mano sulla spalla. Immersa nei miei pensieri rischiai di far cadere il piatto che stavo asciugando, lo ripresi al volo dopo di che mi voltai verso di lei e la guardai negli occhi:

-Lui non mi ha mai promesso che quando sarebbe tornato avrebbe fatto qualcosa per me... per noi! Non l'ha mai detto...- sussurrai, poi deglutii e continuai -Quando tornerà... se tornerà, succederà quello che è già accaduto: mi ignorerà e farà di tutto per scordarsi di me, esortandomi a fare lo stesso!- esclamai con voce così bassa che si udiva appena. Attilia mi prese l'utensile che stavo asciugando dalle mani, mi fece poggiare la pezzuola di stoffa e mi mise le mani sulle spalle:

-Aurora, Fabrizio è un uomo d'onore e ancora prima di questo è un uomo dal buon cuore. Certo, in tante cose è come gli altri romani, ma sotto sotto nasconde un carattere più tenero di quello che oserebbe mai mostrare, a causa della sua educazione e del suo rango. Non devi fargliene una colpa... sta certa che non si comporterà da vile e se ti ama davvero, e sono sicura che sia così, questa volta farà di tutto per poter stare con te, non trovi? Soprattutto dopo quello che ti ha detto.- concluse la ragazza in tono dolce e comprensivo. La abbracciai forte, le sue parole erano quasi riuscite a commuovermi:

-Attilia, sei una ragazza meravigliosa... l'uomo che ti sposerà sarà davvero fortunato.- dissi. Lei sorrise, dopo di che, mi venne un dubbio:

-Attilia... io ti parlo spesso di quello che mi succede, di quello che provo, di chi sono innamorata... invece non ti sento mai parlare di te, della tua famiglia...- mi bloccai dopo aver detto questo: nemmeno io parlavo mai della mia famiglia, innanzi tutto perchè ciò mi causava un dolore immenso e faceva sanguinare una ferita ancora aperta e poi perchè non potevo svelare nulla del mio passato, altrimenti chiunque si sarebbe accorto del mio segreto. Non dovevo fare in modo che Attilia mi chiedesse infomazioni sulla mia famiglia: le volevo davvero bene e mi dispiaceva mentirle, anche se non potevo fare altro.

La ragazzina mi guardò a lungo e poi sorrise:

-Se volevi che ti raccontasso qualcosa di me, non avevi che da domandarlo! Non volevo annoiarti con le mie chiacchiere! Sai, a volte sembri così persa nei tuoi pensieri che ho paura che qualsiasi cosa possa dirti ti possa disturbare...- disse mestamente. Le sorrisi incoraggiandola, poiché mi dispiaceva che lei, così comprensiva e disponibile, stesse sempre a sentire tutto ciò che avevo da dire mentre io non l'avevo mai ascoltata.

-Una volta mi parlasti di tua madre incinta che non stava molto bene e dicesti che lavoravi per mantenere le sue cure... ora come sta? C'è qualcuno nel tuo cuore?- furono le prime domande che mi vennero in mente.

Attilia prese un contenitore sporco e lo immerse in un catino d'acqua, quindi iniziò a parlare, mentre io sploveravo come riuscivo la cucina:

-Per fortuna mia madre, grazie al denaro che riesco a mandarle, piano piano sta migliorando e la felicità per il bambino che porta in grembo è così grande che la aiuta ad andare avanti. Sai, con la crisi che piano piano sta prendendo piede qui a Roma, a causa della lotta contro i Cartaginesi, mio padre si è trovato senza lavoro e quindi è partito qualche mese fa per la guerra, pensando che il suo contributo, anche se di poco conto, potesse servire a qualcosa. Vuole garantire alla nostra famiglia un futuro di pace e serenità... mia madre non può lavorare, nelle condizioni in cui si trova, non siamo un famiglia facoltosa, s'intende... lei abita in una casupola qui vicino. Ogni tanto, appena ho un momento libero la vado a salutare, e le porto qualche vivanda o dei fiori freschi, poichè sono l'unica della famiglia che può riuscire a riportare qualcosa a casa... ti racconterò un segreto. Quando le condizioni di mia madre erano davvero critiche e mio padre ci aveva lasciato sole, avevo appena iniziato a lavorare e i soldi che ricevevo non bastavano per sfamarla e comprare ciò di cui aveva bisogno: ebbene, il Generale Fabrizio mi ha dato per svariato tempo dei soldi extra. Io non avrei mai voluto accettarli ma lui ha insistito così tanto affinchè io li prendessi che non ho potuto più rifiutare... per questo ti dico che il Generale ha un gran cuore, l'ho sperimentato sulla mia pelle!- disse con enfasi la ragazzina. Sentendo ciò che aveva fatto Fabrizio per una povera creatura indifesa e in difficoltà, mi si strinse il cuore e pensai che, al contrario di quanto avevo pensato nonappena l'avevo conosciuto, era davvero un uomo d'onore. Rivolsi ancora il mio pensiero a lui e pregai, per l'ennesima volta, affinchè stesse bene e che gli dei lo proteggessero: nessuno più di lui si meritava il loro aiuto.

-Attilia non ti ho mai chiesto... quanti anni hai?- chiesi curiosa, pensando che, effettivamente, non avevo mai saputo l'età della mia amica.

-Sto per compiere sedici anni- disse e a quelle parole mi stupii realizzando che, per la bassa statura e il corpo esile, la ragazza sembrava molto più piccola della sua età.

-Prima mi hai chiesto se c'è qualcuno nel mio cuore- continuò a raccontare Attilia, che quando iniziava a parlare non riusciva a fermarla più nessuno, -ebbene si, c'è qualcuno, ma non credo che potrà mai ricambiare il mio affetto...- disse tristemente e con il volto rivolto verso terra.

-Perchè dici così? Sei una ragazza graziosa, solare ed intelligente, nonché un'ottima amica, per quello che mi riguarda... perchè credi che il ragazzo che ami non ti ricambi?- chiesi concitatamente, detestando vederla triste.

-Costui è il figlio di Emilia, una delle cuoche... si chiama Paolo, ha diciassette anni ed è un ragazzo alto e ben piazzato... fino a poco tempo fa lo incontravo tutti i giorni o al Foro o quando rientravo a casa... ci parlavo ed è sempre stato molto cordiale, educato e gentile con me... purtroppo è da un po' di tempo che è andato a lavorare con suo padre nei campi e non lo vedo più spesso come una volta...- la sua voce si spense in un mormorio basso e incomprensibile. Le andai vicino e cercai di farle coraggio:

-Attilia, sei una ragazza meravigliosa, sono sicura che tra qualche tempo ti accorgerai che anche lui ricambia i tuoi sentimenti... sarete davvero felici insieme, vedrai!- esclamai concitatamente, pensando davvero ciò che stavo dicendo. Attilia mi sorrise calorosamente e poi disse ancora:

-Davvero tu pensi che io sia una buona amica?- la sua voce era quasi spezzata per la commozione e io la abbracciai affettuosamente.

-Sei la migliore amica che qualcuno possa desiderare.- dissi sorridendo, pensando che dopo tutto ciò che mi era capitato, una delle poche persone che davvero riuscivano a cambiare la mia giornata da triste ad allegra, era lei.

 

Un campo di battaglia dove non si sta combattendo. É una landa desolata, l'unico rumore che si riesce a sentire è quello degli avvoltoi che bramano in maniera ossessiva i corpi dei combattenti, che giacciono senza vita sulla nuda terra, in attesa della sepoltura. L'unica cosa che tiene lontani gli uccelli del malaugurio sono dei fuochi accesi qua e là nel campo, come piccole lucciole. Piano piano, gli uomini sollevano e conducono via cadaveri: sono tutti morti da eroi ed avranno una degna sepoltura. Ad un tratto viene portato via un uomo, ma non uno qualsiasi: è un Generale e il suo corpo è steso scompostamente in mezzo a quello di molti suoi commilitoni. Due uomini lo sollevano da terra e lo salutano alla maniera dei militari. Improvvisamente mi trovo davanti a quel cadavere: è quello di Fabrizio.

 

Mi sveglia gridando, tutta sudata e quando me ne accorsi mi tappai la bocca, per non disturbare tutti coloro che stavano dormendo. Avevo appena fatto un incubo, il peggiore che potessi fare: avevo sognato che Fabrizio era morto in battaglia. Ancora scossa dal sogno orribile appena fatto, mi alzai dal letto in punta di piedi e, incosciente come non mai, uscii dalla stanza delle ancelle, a notte fonda. Indossavo soltanto la sottoveste, ma senza curarmene, passando attraverso i corridoi interni della Villa, andai nella stalla, dove riposavano gli animali domestici. Mi sedetti ansimante ed infreddolita nello stesso punto dove, qualche tempo prima, ero rimasta con Fabrizio, mentre lui mi raccontava delle storie. Era rimasto solo un cavallo nella stalla e non era quello del Generale, ma era un cavallo marrone grande e fiero, dovevo averlo svegliato entrando nella stalla e mi scrutava come si guarda qualcuno la cui presenza è sgradita. Mi venne da ridere e mi avvicinai al cavallo per accarezzarlo. Questo sembrò accettare di buon grado le mie coccole ed io rimasi tranquilla, fin quando non sentii la porta della stalla che si spalancava lentamente. Pensai che era arrivato qualcuno che mi aveva sentito per cacciarmi di li o rimproverarmi: il buio della stalla non lasciava intravedere il volto della sagoma scura, ma quando la luce della luna che entrava dagli ampi finestroni colpì la faccia della figura, il mio cuore perse un colpo: Antonio camminava sicuro verso di me, il suo volto ornato da un ghigno crudele. Mi guardai intorno, cercando una via di fuga: la porta da cui ero entrata era inagibile, poiché lui mi sbarrava il passo e quella principale di notte veniva chiusa a chiave per evitare che i cavalli scappassero ed io non ero certo capace di scavalcare gli alti finestroni.

-Salve, serva, dunque ci rincontriamo.- disse Antonio, fermandosi a guardarmi a qualche passo da me. Non ricambiai il saluto, troppo terrorizzata per riuscire a parlare.

-Non rispondi, eh? Non fai la spavalda o la sfacciata quando non c'è il tuo caro e amato Generale a proteggerti, vero?- chiese crudelmente, avvicinandosi a me. Io indietreggiai intimorita finchè non mi ritrovai con le spalle al muro e nessun posto dove fuggire. Mi ritrovai Antonio di fronte, a un palmo di distanza dal viso.

-Non mi fai paura!- esclamai, contrariamente a tutto quello che stavo provando in quel momento.

-Ah no? Non hai paura di me? Ebbene dovresti!- disse l'uomo, mettendomi una mano sul collo ed inchiodandomi al muro, mentre i miei piedi penzolavano, poiché non toccavo per tera. Strabuzzai gli occhi, dato che la presa sul mio collo mi impediva di respirare. Cercai di staccare la sua mano con le mie ma era troppo forte, tuttavia riuscii a prendere un po' di fiato per parlare:

-Uccidimi, fallo! Non ho paura della morte!- mentii spudoratamente, mentre pregavo dentro di me affinchè qualcuno, chiunque, potesse aiutarmi o affinchè gli dei mi dessero la forza di affrontare quel terribile momento.

-Ucciderti?- chiese Antonio mentre diminuiva leggermente la sua presa sul mio collo per farmi parlare -sarebbe un'idea allettante, sai? Ma no, nessuno sentirebbe la tua mancanza, ora che Fabrizio è partito. Io invece voglio vederti soffrire, voglio vederti rantolare per il dolore. É per questo che non ti uccido: ucciderò prima Fabrizio e una volta fatto ciò tu soffrirai così tanto da poter morire e io sarò li a ridere di tutti e due!- disse crudelmente. A quelle parole tutto mi fu chiaro e le forze, che piano piano mi stavano abbandonando, tornarono di nuovo in me. Provai di nuovo a divincolarmi, gridando:

-Tu! Sei stato tu a commissionare a quella donna l'omicidio di Fabrizio, coinvolgendo Attilia! Quella donna... che poi ha assalito anche me, l'avevi mandata tu!- la presa dell'uomo sulla mia gola si fece più stretta e tossii forte.

-Chi te lo ha detto? Come hai fatto a saperlo?- chiese. Non riuscii a rispondere, così Antonio si vide costretto ad allentare ancora una volta la sua dura presa.

-Quando... quando mi ha assalito, la donna ha detto “Se non fosse stato per colpa tua, a quest'ora io sarei libera e potrei godermi il mio denaro” ed è ovvio che qualcuno che vuole morto Fabrizio le ha commissionato quel compito... eri tu! Tu vuoi uccidere Fabrizio!- esclamai sicura. Questa volta Antonio sorrise malignamente.

-Sei intelligente per essere soltanto una serva... ebbene si, sono stato io a fare tutto ciò che hai detto... e sta certa che prima o poi riuscirò nel mio intento!- esclamò con la sua voce gutturale, quasi come se qualche spirito cattivo si fosse impossessato di lui.

-Perchè?- chiesi, ormai incapace di reagire -perchè odi così tanto Fabrizio? Perchè odi me in questo modo?- la mia voce era un rantolo soffocato e risultò incomprensibile anche alle mie orecchie, tuttavia Antonio capì e rispose:

-Perchè? Perchè lui è tutto ciò che io non sono! É un Generale, tutti lo ammirano, lo rispettano, ha tutto: la stima di nostro padre, il benvolere del Senato, l'amore delle donne! Sono io, invece, il figlio legittimo, non lui, che è stato soltanto adottato, figlio di una sporca meretrice! Non lui, io! Allora perchè ha tutto ciò che io non ho?- chiese, aspettandosi una risposta.

-Fabrizio non è un vile, non è come te! Non avrebbe mai fatto quello che stai facendo tu ora, soltanto perchè ti senti sminuito! Lui è un uomo orgoglioso e un uomo d'onore, che conosce anche il rispetto per gli altri, nonostante il suo rango! Ecco qual'è la differenza!- dissi. A quel punto la stretta sul mio collo si fece tale che rischiai quasi di perdere i sensi, ma con le ultime energie continuai -E io andrò a riferire tutto quello che so e pagherai per quello che hai fatto e per quello che vuoi fare a Fabrizio!- esclamai. Per lo stupore Antonio allentò di nuovo la presa e io riuscii a respirare, ma la mia schiena fu sbattuta con forza contro il muro e un dolore lancinante si fece strada nel mio corpo, frastornandomi.

-Come osi dire ciò? Come osi? Tu non parlerai di nulla a nessuno perchè ti giuro che se lo farai, il tuo Fabrizio morirà in un modo più atroce di quello che credi! Chi crederebbe, poi, ad un'ancella dalle strane abitudini?- chiese crudelmente ridendo.

-Perchè mi odi?- chiesi nuovamente, non riuscendo a comprendere il motivo di tutto quell'astio nei miei confronti, che arrivava addirittura al desiderio i farmi del male. Antonio mi guardò a lungo e alla fine rispose, con un tono di voce basso e roco:

-Perchè tu ami lui e non me, ancora una volta lui ha qualcosa che io non posso avere. Odio lui, odio te e odio il vostro amore... anche io sonno innamorato di te... perchè ami lui e non me?- gridò, con gli occhi lucidi per le lacrime. Pensai di sbagliare e che forse ci vedevo male a causa della mancanza d'aria.

-Fai di me quello che vuoi: uccidimi, picchiami, ma qualsiasi cosa farai, il mio cuore non sarà mai tuo, io non sarò mai tua!- esclamai e dopo quelle parole la sua stretta sula mia gola divenne insopportabile e persi i sensi. 


Note dell'autrice

Buon pomeriggio a tutti! Innanzi tutto mi scuso nuovamente per il ritardo, ma si sa come vanno le cose: ad Agosto ci sono le ferie poi c'è Ferragosto e quindi non ho avuto mai tempo di scrivere, tanto più che non avevo il mio pc disponibile! Ora vi do una buona notizia: ricomincerò ad aggiornare ogni Domenica, come sempre quindi spero che perdonerete il mio ritardo. 
Mi dispiace che questo capitolo non sia lunghissimo ma accadono delle cose interessanti: Attilia racconta un po' della sua storia, che verrà approfondita più avanti, Fabrizio lascia una belissima lettera ad Aurora e, gran finale, Antonio rivela i suoi segreti... quindi dietro un grande odio si nasconde dell'amore... cosa succederà adesso ad Aurora? Antonio sarà capace di fare quanto dice? 
Ringrazio tutte voi che seguite la storia, fatemi sapere cosa ne pensate, un saluto e un abbraccio

_Renesmee Cullen_

 

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Capitolo 16
*** Una cura ***


CAPITOLO 16 – Una cura


Mi svegliai prona, riversa a terra, con il viso schiacciato sul pavimento della stalla e un alito caldo e dall'orribile odore sul viso. Aprii gli occhi all'istante e lanciai un breve grido: il naso di un cavallo mi stava annusando tutto il viso e mi insozzava i capelli con la sua lingua, mentre assaporava il sapore dei miei capelli. Mi scansai goffamente rotolando da un lato, ma l'animale, che non era legato, continuò a starmi addosso, annusandomi, come per stabilire se stessi bene. A quel punto mi misi a sedere e gli accarezzai il muso: questo gesto mi costò un dolore immenso. La schiena, il collo e, soprattutto, la testa, mi dolevano in una maniera mai sperimentata prima. Quando l'animale si accorse che ero viva, smise di prestare attenzione a me e la spostò al preziosissimo fieno, di cui la stalla era gremita. Mi appoggiai ad un muro della stalla, ricordando quello che era successo la notte precedente: dov'era Antonio, in quel momento? Perchè mi aveva lasciata andare, quasi illesa? Automaticamente nella mia testa si venne a formare una moltitudine di domande, che scacciai con una scossa di capo: avrei trovato la risposta a quei quesiti più tardi, ora dovevo capire se fossi ferita o meno. Mi tastai attentamente la testa e la nuca, ma sentivo solo del dolore, come se dei chiodi mi fossero penetrati nel cranio, comprensibile a causa di quanto fosse successo la notte precedente. Ciò che, tuttavia, sentivo più dolorante, era la schiena: non riuscivo quasi a tenermi dritta, probabilmente a causa dei colpi contro la parete che avevo ricevuto. Ricordai le mani di Antonio avvinghiate al mio collo che mi spingevano violentemente contro il muro e rabbrividii, desiderando scacciare quel pensiero. Feci un lungo respiro per tranquillizzarmi un poco ed alzai la testa: dagli ampi finestroni della stalla si poteva notare che il sole stava sorgendo e una luce fioca illuminava l'ambiente.

Mi alzai da terra lentamente ma ebbi un capogiro, di nuovo e mi appoggiai al muro della stalla. Avevo preso davvero un brutto colpo sul capo, a quanto sembrava. Dopo un po', quando vidi che riuscivo a restare in piedi abbastanza a lungo senza perdere l'equilibrio, iniziai a camminare verso la stanza delle ancelle, a passi piccoli e calcolati. Lungo il tragitto decisi che non avrei raccontato nulla a nessuno; il mio silenzio avrebbe giovato a me per prima e, nonostante tutto, anche a Fabrizio che si trovava in guerra. Quando sarebbe tornato, avrei pensato a cosa fare con le informazioni che avevo ottenuto da quel mascalzone di Antonio. Il sole ormai era sorto e per i corridoi della Villa iniziavano a brulicare numerose persone affaccendate, come fanno le formiche in un formicaio. Sgattaiolai nella stanza delle ancelle come se non ne fossi mai uscita, notando che qualcuna ancora dormiva e non avrebbe prestato attenzione a me. Il letto di Attilia era vuoto e sicuramente la ragazza si era accorta della mia assenza... mi preparai psicologicamente alla serie di domande che, di certo, l'avrebbero accompagnata.

Mi lavai velocemente il viso e le braccia con l'acqua ghiacciata che si trovava su un catino, dopo di che cercai di aggiustare la mia veste, tutta stropicciata, con fili di paia ancora attaccati alle gonne. Ebbi un nuovo capogiro e mi appoggiai al mio letto, iniziando a spaventarmi e respirando forte, non sapendo cosa fare: era la terza volta che mi succedeva, quella mattina. Non potendo recarmi altrove, andai a passo incerto in Biblioteca, per svolgere il mio lavoro quotidiano, dove invece, casualmente trovai Iginia intenta a portare delle pergamene arrotolate.

-Buongiorno Aurora- disse la donna, con voce gentile e spensierata. Sebbene avessi la mente avvolta da un'indefinita nebbia, che rendeva quasi impossibile ogni mio tentavi di elaborare qualche pensiero coerente e sensato, ricordai di dover delle scuse ad Iginia e non persi tempo:

-Iginia... ti chiedo perdono per ciò che ho detto ieri... io non avrei mai voluto permettermi di dire qualcosa di così sconsiderato...- iniziai, ma la donna mi zittì con un gesto secco, che inizialmente sembrò brusco, poi però sorrise:

-Non ti preoccupare, Aurora, eri sconvolta ed io me la sono presa troppo, in un momento in cui tu evidentemente non ragionavi!- esclamò con tono gioviale e cortese. Le sorrisi a mia volta e sembrò che, solo in quel momento, Iginia si accorse dello stato in cui si trovava il mio viso.

-Aurora... ti senti bene? Sei molto pallida, hai delle brutte occhiaie e ... non hai forse dormito bene, stanotte, cara?- chiese premurosa accarezzandomi una guancia con la sua mano callosa e calda.

-È proprio così- mentii indifferente -e questa mattina ho avuto ben tre capogiri... hai in mente qualche erba che mi possa curare?- chiesi tranquilla, sapendo che di solito la donna era decisamente esperta quando si trattava di quel genere di problemi. Iginia riflettè un poco, dopo di che rispose.

-No cara, non so proprio come aiutarti... tuttavia oggi c'è davvero poco da fare in casa, con la partenza del Generale e di suo fratello...- iniziò, ma la interruppi bruscamente, sconcertata

-Antonio è partito?- chiesi, forse con una veemenza che poteva risultare sospetta ai suoi occhi, anche se Iginia non fece domande e si limitò a rispondere:

-Si... se ti interessa, proprio questa notte, a due ore dall'alba!- esclamò tranquilla. Io spalancai involontariamente gli occhi e compresi tutto quello che c'era da capire: era per quello, allora, che Antonio mi aveva lasciata andare senza torcermi un capello, ore prima... probabilmente quando si era accorto di dover andare via, aveva tagliato la corda, feci un lunghissimo sospiro di sollievo e sorrisi involontariamente: non avrei più dovuto temere qualche assalto di Antonio, per ora! Iginia vide il mio cambio di espressione e mi guardò storto, ma non disse ancora nulla, forse desiderosa di non intromettersi troppo nella mia vita, anzi continuò quello che stava dicendo:

-Ti consiglio sinceramente di andare alla bottega del Dottore del Foro... è molto frequentata poiché sono poche le persone che decidono di intraprendere quella carriera particolare, sai non è molto bello vedere così solito delle persone morire... dicono che abbia affrontato in Grecia degli studi difficilissimi e che sia preparato per la maggior parte dei casi che gli si presentano!- concluse, dopo di che mi sorrise incoraggiante.

-Hai ragione Iginia... credo proprio che andrò a farmi visitare dal Medico!- esclamai, forse troppo contenta per la mia situazione


 

La bottega aveva l'entrata che dava sulla strada, proprio a due traverse di distanza dal Foro Romano. Avevo seguito attentamente le indicazione di Iginia e, almeno quella volta, non mi ero persa tra le numerose vie della città. Bussai timidamente all'uscio, non sapendo cosa aspettarmi di trovare oltre:

-Avanti- rispose una voce giovanile dall'interno. Aprii lentamente la porta e mi affacciai, timidamente. Mi trovai davanti una stanza con scaffali, cassapanche e cassette per le attrezzature, alcune delle quali erano appese con ganci alle pareti o appoggiate in bella vista su delle mensole. La bottega-ambulatorio, dunque, fungeva anche come luogo di pronto soccorso.

-È permesso?- chiesi, entrando titubante e camminai fino a raggiungere la scrivania sulla quale era seduto un uomo. Quando alzò la testa e fissò i suoi occhi su di me, mi accorsi di quanto costui fosse giovane ed attraente. Seduto sulla sua scrivania, non sapevo di certo identificare la sua altezza ma dal busto eretto e dalle spalle larghe, era di certo stato sottoposto ad un addestramento militare. I suoi capelli erano castano chiari, quasi biondi, ricci e i suoi occhi di un azzurro acceso. Non doveva avere più di venticinque anni e le sopracciglia alzate tradivano nel suo viso un'espressione di stupore, forse nel vedere una ragazza sola non accompagnata che si recava da lui. Mi scrutò per qualche secondo, aspettando che dicessi qualcosa, tuttavia dato che non parlavo, fu lui il primo a farlo, con una voce soffice e cordiale:

-Come posso aiutarti?- chiese guardandomi negli occhi. Inizialmente, scossa per il suo sguardo sbalordito non risposi, ma poi scossi la testa e parlai titubante:

-Salve, Dottore... sono venuta qui perchè è la terza volta, questa mattina, che ho un capogiro e perdo l'equilibrio...- iniziai. Il ragazzo si alzò dal suo sgabello e mi indicò gentilmente una panca:

-Siediti qui, per favore e, ti prego, chiamami Tiberio- disse cordialmente. Mi sedetti sulla panca, messa in soggezione dalla sua figura, alta e snella e dal suo sguardo penetrante. Si sedette accanto a me dopo di che chiese:

-Puoi raccontarmi cosa ti è successo? In modo che io possa capire meglio l'origine del tuo male.- improvvisamente pensai che se la voce di Fabrizio era profonda, melodiosa e talvolta, leggermente rauca, quella del dottore era soffice come le piume dei cuscini della camera del mio amato Generale...

Mi distolsi dai pensieri e raccontai in breve, omettendo alcuni particolari, ciò che mi era accaduto:

-Questa notte, inciampando a causa dell'oscurità ho... sbattuto molto violentemente la testa contro un muro e poi sono caduta sul pavimento...- dissi incerta, sperando di essere stata abbastanza chiara e che la mia versione dei fatti non risultasse in qualche modo sospetta.

-Ragazza mia- disse in tono affettuoso Tiberio -è normale che tu senta del dolore alla testa e abbia dei violenti capogiri... l'unica cosa che posso consigliarti è di stare a riposo per due giorni e se la situazione resterà la stessa, allora ti farò una visita più approfondita.- sentenziò. -Permetti che ti tocchi il capo?- chiese cordialmente. Io annuii incerta e lentamente perchè quel gesto mi provocava dolore. Il Dottore, con mano sicura, iniziò a tastarmi la testa, scostando lievemente i capelli dalla mia nuca. Abbassai gli occhi ed arrossii violentemente, anche se Tiberio sembrò non farci caso, imbarazzata al pensiero che un uomo mi stesse toccando... nessuno l'aveva mai fatto, oltre a Fabrizio... scacciai il pensiero, non volevo iniziare a piangere davanti ad uno sconosciuto, ricordando il mio amore che si trovava in guerra. Quando arrivò vicino alla nuca, nel punto in cui avevo battuto sul muro della stalla, sussultai per il dolore e Tiberio sorrise incoraggiante:

-Hai un bernoccolo davvero grande! Devi aver preso una bella botta!- dicendo questo allontanò le mani da me ed io sospirai di sollievo, forse troppo vistosamente, continuando ad ascoltarlo -I tuoi sintomi sono del tutto normali, ma ti consiglio caldamente di restare a letto, poiché se dovessi avere un altro capogiro e colpire di nuovo il pavimento con la testa, quello sarebbe un bel problema!- esclamò sorridendo. Non ricambiai il sorriso e controbattei:

-Dot...Tiberio, il mio lavoro non me lo consente...- ed esitai prima di continuare -sono un'ancella e non posso permettermi di passare due giorni a riposo....- conclusi. Tiberio mi guardò inizialmente perplesso, poi sorrise di nuovo:

-In questo caso ti consiglio di dormire più che puoi e di prestare molta attenzione quando lavori: non metterti a correre e non affaticarti troppo... inoltre ti consiglio di mangiare molto e applicare sulla testa della stoffa bagnata con acqua molto fredda!- concluse così il suo resoconto e mi sorrise. Mi alzai in piedi, dopo essere stata certa di ricordare quanto il ragazzo mi avesse detto. Sorrisi al Dottore e chiesi, come da prassi:

-Grazie di tutto, Tiberio... quanto ti devo per la visita?- misi una mano sul povero sacchetto di monete che portavo appeso alla cintura, ma il Dottore mi fermò posando una mano sulla mia, facendomi arrossire improvvisamente a causa di quel gesto

-Ti prego, non c'è bisogno che tu paghi... in fondo non ho fatto nulla, abbiamo solo chiacchierato...- disse ed io lo guardai curiosamente, chiedendomi il motivo di quelle parole ma davvero riconoscente. Mi allontanai in fretta dall'uomo e lo ringraziai:

-Ti ringrazio tantissimo per il tuo aiuto, davvero, non ho parole... ti saluto, a presto!- esclamai infilando l'uscio, pensando in realtà di non doverlo rivedere, perchè avrebbe voluto dire che qualcosa non andava. Prima che potessi andarmene, Tiberio disse, impetuosamente:

-Non conosco il tuo nome!- sentii la sua voce tremare leggermente, tradendo una certa titubanza, che non capii. Esitai prima di parlare, ma poi dissi:

-Mi chiamo Aurora- e dopo questo uscii velocemente dalla bottega tornando alla Villa.


 

Dopo il particolarissimo incontro con il giovane ed attraente Dottore seguii attentamente i suoi consigli e non ebbi più problemi di quel genere. Durante i giorni che seguirono quell'incontro, non riuscii a levarmi dalla testa quegli occhi azzurri e quello sguardo premuroso e dolce... non che il Dottore mi attraesse in qualche modo, anche se era davvero un bell'uomo, ma c'era qualcosa nei suoi occhi che mi aveva colpita: una dolcezza e una bontà che raramente si notavano a primo impatto dal viso di una persona. I giorni passarono tranquilli e monotoni, senza che accadesse alcun fatto che potesse turbare la quiete mia o della Villa. L'estate trascorse troppo in fretta, lasciando spazio all'autunno, freddo e ricco di colori, a suo modo affascinante, sebbene caratterizzato da piogge e vento freddo. Spesso, quando non dovevo lavorare, intraprendevo con Attilia lunghe passeggiate nei boschi, dove le foglie degli alberi si coloravano di giallo, rosso e arancione. In quei momenti di tranquillità lasciavo che il mio animo fosse invaso dalla tristezza che, quando mi trovavo alla Villa, cercavo di tenere solo per me e di soffocare attraverso il lavoro. Sentivo la mancanza di Fabrizio come una spada che mi trafiggeva il cuore, il pensiero che in ogni istante potesse essere in pericolo mi dilaniava l'anima dal profondo e pregavo ogni notte ed ogni mattina affinchè gli dei lo proteggessero. Non ero ancora riuscita a pensare a cosa avrei fatto se il mio Generale non fosse tornato mai più da me, poiché non ne avevo né il coraggio né la voglia: ero fiduciosa che Fabrizio avrebbe mantenuto la sua promessa anche a costo delle vita. Solo Zeus sapeva cosa sarei stata disposta a fare per vederlo anche un'altra, sola, ultima volta, nella mia vita. Gli avrei detto quanto lo amavo, quello che provavo quando mi guardava e quando mi prendeva le mani, quando mi baciava e quello che avevo sentito durante quell'ultima notte disperata nella quale ci eravamo detti addio. Durante quel tempo, non persi mai la speranza e cercai di farmi forza, come mi aveva chiesto: avrei esaudito ogni suo desiderio, piccolo, grande, importante o stupido che fosse. Dopo un mese dalla partenza di Fabrizio, in un giorno in cui sentivo particolarmente la sua mancanza ed il cuore rischiava di scoppiarmi nel petto per il dolore della sua lontananza, accadde che, mentre passavo per i corridoi della Villa, vidi un servo che correva scompostamente con una pergamena in mano e si recava nello studio del Senatore. Nella fretta, il servo dimenticò di chiudersi la porta alle spalle, così che, appostata dietro la parete per non essere vista, riuscii ad ascoltare tutto ciò che doveva riferire:

-Padrone, Padrone, è arrivata una lettera da vostro figlio!- esclamò il servo impetuosamente e a quelle parole sia io che il Senatore sussultammo, contemporaneamente. Il cuore iniziò a battermi velocemente e non sapendo come tenerlo fermo mi misi una mano sul petto e feci un respiro profondo, tuttavia ciò non serviva a niente. Non riuscivo a pensare ad altro che alla notizia che si poteva celare dietro quella pergamena.... Cornelio si appoggiò alla scrivania e strappò quasi dalle mani lo scritto al servo... quanto avrei dato per poterla leggere anche io, in quel momento. Dopo un silenzio che mi parve fin troppo lungo, l'anziano uomo sospirò, dal suo volto traspariva un'espressione quasi sollevata... la mia ipotesi fu confermata dalle sue parole:

-Vieni, Publio. Andiamo ad avvertire il Capocuoco: questa sera dobbiamo festeggiare!- esclamò raggiante, lasciando non poco stupito il servo.

Entrambi gli uomini fecero per uscire così che mi avviai velocemente verso un corridoio secondario che conduceva a degli sgabuzzini. Mi appostai lì finchè i due non se ne furono andati, dopo di che, entrai furtivamente nello studio, chiudendomi la porta attentamente alle spalle. La pergamena era il primo documento che si trovava in cima ad una pila di altri scritti, accatastati l'uno sull'altra. La presi con mani tremanti ed iniziai a leggere, dopo un attimo di esitazione, quanto c'era scritto, intimorita da quello che avrei potuto trovare:


 

Salve, Padre,

ti scrivo in un momento in cui mi trovo, a causa di una ferita alla gamba sinistra, impossibilitato a combattere e non a causa di un mio eccesso di sconsideratezza. Ti avverto subito che i Dottori mi hanno confermato che la ferita è soltanto superficiale, ma per non far aggravare la mia situazione, devo restare a riposo qualche giorno.


 

Il mio cuore si fermò poi riprese a battere velocemente quando lessi che Fabrizio, il mio Fabrizio, era ferito... sentii un nodo stringermi la gola e il petto, tuttavia mi obbligai a continuare a leggere, pensando che il Generale si era trovato in quella situazione gia molte altre volte.


 

Non so quando potò scrivere ancora, qui, nel nostro accampamento vicino Canne, sono pochi i giovinetti disposti a compiere un lungo viaggio per condurre i messaggi dell'esercito a Roma. Padre, sono ottimista, nonché realista: la guerra procede bene. Il Cartaginese Annibale non si aspettava di certo la strategia del nostro Dittatore, che si è mostrato ancora più lungimirante di quanto si fosse sperato. Abbiamo già vinto due battaglie e conquistato del territorio, tra cui un accampamento e abbiamo anche condotto dalla nostra parte un piccolo villaggio di contadini del posto. Sono fiducioso che la Guerra si concluderà presto e che io riesca anche a prendere una licenza. Con questo, ti saluto padre,

Fabrizio.


 

Terminai di leggere quelle parole ricche di speranza e, involontariamente, sorrisi raggiante. Fabrizio, nonostante le ferite riportate, stava bene e sarebbe tornato... sperai con tutto il cuore che una piccola parte di lui volesse rivedermi e che avrebbe preso la licenza, in piccola parte, anche per me, perchè sentiva la mia mancanza. Sperai che quelle speranze non venissero infrante....

Raggiante come non mai, andai subito a riferire la notizia ad Attilia e ad Iginia, che gioirono festosamente insieme a me.

Dopo tre settimane dall'arrivo di quella gioiosa lettera, la mia felicità fu stravolta tutta d'un tratto da un fatto terribile ed inaspettato. Mi trovavo con Attilia all'entrata principale della Villa, intenta ad aiutarla a pulire i pavimenti, quando il portone si spalancò e la figura di un uomo si stagliò nella luce del mattino. I tratti del volto di costei erano quasi irriconoscibili e solo dopo un'attenta analisi mi accorsi di chi si trattasse: Antonio. Improvvisamente il sangue si gelò nelle vene e sentii di essere impallidita, non solo a causa dello sguardo che mi aveva rivolto e della sua presenza, ma anche a causa del suo aspetto: il volto del ragazzo era coperto quasi interamente di sangue, così come le mani e le gambe erano cosparse di innumerevoli ferite, ma quella più impressionante era quella che aveva su un fianco, dove la pelle era così deturpata e lo squarcio così profondo da farmi rabbrividire. Mi fissò malignamente per un istante e poi disse, quasi divertito:

-C'è stato un agguato inaspettato all'accampamento Romano. Il tuo Fabrizio è morto, come molti altri Romani.- credetti di non aver capito bene quelle parole, ma quando vidi il volto di Attilia, capii di aver inteso benissimo. Mi accasciai a terra e mi sentii svenire.


Note dell'autrice

Buonasera a tutti, innanzi tutto mi scuso per il ritardo con cui ho aggiornato ma per una settimana mia madre sarà assente e devo comportarmi da "mamma", badare alla casa, ai nopitini ec... con l'inizio della scuola poi non ho avuto tempo di scrivere comunque, eccomi con questo nuovo capitolo!
Qui vediamo un nuovo personaggio: il Dottor Tiberio. L'idea di inserirlo nell'intreccio non era prevista ma è arrivata scrivendo, chissà quale ruolo avrà nella storia... e cosa è successo al nostro Fabrizio? Lo scoprirete Domenica, un saluto a tutti

_Renesmee Cullen_

 

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Capitolo 17
*** Morte senza gloria ***


Capitolo 17 – Morte senza gloria


 

Fabrizio è morto. Fabrizio è morto. Fabrizio è morto. Fabrizio è morto.

Quelle parole mi rimbombarono nella testa come i battiti assordanti di un tamburo, incantatosi sempre sullo stesso ritmo, che a forza di ripetersi, rischiava di farmi impazzire. Mi accasciai a terra sentendomi svenire, mi ritrovai con le ginocchia appoggiate sul pavimento, ansimante come se avessi corso da ore, anche se ero rimasta immobile. Improvvisamente, colta da un improvviso e inaspettato coraggio, prima di iniziare a piangere a dirotto e di abbandonarmi alla disperazione, alzai la testa di scatto e gli occhi, che avevo fissato sul pavimento fino a poco prima, lanciarono un'occhiata infiammata a quel vile di Antonio:

-Non ci credo!- sputai tra i denti, con tutto l'odio di cui ero capace

–Non è vero, lui è vivo, lo so! Tornerà! O forse sei stato tu ad ucciderlo? Vile, codardo, uomo senza pudore che non sei altro?- chiesi ancora, alzandomi in piedi. Antonio spalancò gli occhi a causa delle mie parole: di certo non si aspettava un simile atteggiamento da parte mia. Attilia, che si trovava alle mie spalle, mi mise una mano sulla schiena, cercando di trascinarmi via, o, quanto meno, di intimarmi di calmarmi. Io rimasi con i piedi puntati a terra, mi avvicinai di due o tre passi all'uomo, causa di molte delle mie sventure e continuai:

-Lo feci la prima volta che ti ho visto, lo rifaccio ora, sotto gli occhi del grande Zeus e di tutti gli dei- dicendo questo, gli sputai in faccia e rimasi a fronteggiarlo, non temendo che potesse colpirmi: non ero vigliacca come lui, avrei affrontato le conseguenze delle mie azioni, a testa alta, senza scappare, qualsiasi esse fossero. Contrariamente a tutto ciò che mi aspettassi, Antonio rise sguaiatamente, detergendosi con una mano il viso sporco e rispondendo in una maniera orripilante:

-Credi quello che vuoi, ma quando poi il tempo passerà e non lo vedrai tornare, capirai che le mie parole sono vere...- la sua voce si affievolì e il ragazzo si piegò in due, a causa di un accesso di tosse. Dalla sua bocca uscì del sangue e fu solo in quel momento che capii: Antonio stava per morire. Non c'era una cura per il suo male: probabilmente le sue ferite erano mortali, gli organi schiacciati e perforati. Come aveva fatto, dunque, a tornare... vivo?

-Dovresti ringraziarmi- continuò con voce roca, spezzando il filo dei miei oscuri pensieri.

-Per cosa?- sibilai inferocita, mentre cercavo di scacciare la disperazione che piano piano si faceva strada nel mio cervello e la desolazione che iniziava ad inondarmi il cuore.

-Per averti riferito questo fatto!- esclamò indignato, spalancando gli occhi, come se davvero fosse sorpreso per il fatto che non riuscivo ad essergli grata per quanto avevo fatto. -Se non te l'avessi detto, magari l'avresti aspettato per anni... come povera illusa...- sussurrò ancora, tossendo nuovamente sangue e mi scansai da lui per non essere imbrattata dal suo sudiciume. Feci per voltarmi ed andarmene in qualche angolo a sfogare la mia disperazione, che davanti al nemico cercavo di tenere a bada, quando Antonio, parlando nuovamente, mi fece gelare il sangue nelle vene:

-Urlava il tuo nome, sai? Tra gli spasmi della morte, non faceva altro che chiamarti in maniera accorata. Biascicava cose senza senso: diceva che avrebbe mantenuto ciò che aveva promesso, che non ti aveva mai ingannato e poi non so quali altre idiozie... ma sai, qualsiasi cosa avesse da dire, ora è morto no?- disse ridendo. Fino a quel momento gli avevo dato le spalle, ma poi mi voltai nuovamente e gli andai incontro:

-Qualsiasi... Qualsiasi cosa tu possa dire, Fabrizio era un uomo migliore di te. Il ricordo che tutti avranno di te, non è paragonabile al suo, fattene una ragione. Magari sei tornato dall'aldilà per tormentarmi con le tue parole, per distruggermi, dato che non ti basta ciò che hai già fatto. Sappi questo: qualsiasi cosa tu abbia potuto fare a me o a Fabrizio, la verità è una soltanto. Lui è vissuto ricevendo tutto l'amore che sono riuscita a dargli, per quanto misero e se tutti si dimenticheranno di lui, io non lo farò mai, porterò il suo ricordo nel mio cuore per la vita, dunque ci sarà sempre qualcuno che si ricorderà di lui con affetto e amore. Tra poco tu morirai e nessuno si ricorderà di te, nessuno ha mai potuto amarti, per come sei. Dentro di me, tra la rabbia e l'odio, compatisco quelli come te: se nessuno ti ama, esisti davvero? Io credo di no...- il viso di Antonio diventava sempre più allibito man mano che davo voce ai miei pensieri. Non feci in tempo, tuttavia, a finire di parlare, che il Senatore Galba arrivò nell'atrio a grandi falcate, rosso in viso. Si poteva notare da lontano quanto fosse adirato... aveva sentito le mie parole? Sperai vivamente di no, altrimenti chissà cosa sarebbe mai potuto accadere...

-Che cos'è tutto questo baccano?- iniziò con voce imperiosa ed autoritaria, ma quando i suoi occhi si posarono sulla scena che si presentava davanti a se, ammutolì di scatto e sbiancò improvvisamente. Il giovane servo che si trovava al suo capezzale gli prese un braccio, sostenendo il suo padrone, forse pensando che sarebbe collassato a terra da un momento all'altro, primo di sensi ma per fortuna non fu così. L'anziano signore rimase invece immobile nella sua posizione per qualche secondo e poi, scuotendo la testa impercettibilmente per riprendere il suo contegno fiero e deciso, sussurrò, forse non riuscendo a fare altro:

-Cosa ci fai qui, figlio?- il suo tono di voce era tutt'altro che gioioso o sollevato nel rivedere Antonio, quanto meno vivo.

-Non sei contento di rivedere la carne della tua carne per un ultimo estremo saluto, padre? Sono tornato anche per questo...- disse Antonio sorridendo, in maniera alquanto sconveniente dopo aver compreso i pensieri del genitore.

-Cosa è successo alle truppe? Tuo fratello dov'è?- chiese ancora il Senatore ignorando bellamente le parole di Antonio. Lui si strinse goffamente la pancia, probabilmente perchè gli doleva molto e non riuscendo a nascondere, bene o male, la soggezione e il timore che gli incuteva il padre.

-Sono morti, quasi tutti. Dei rinforzi inaspettati mandati dal Cartaginese Annibale alle sue truppe hanno sbaragliato l'esercito romano. Come vili, ci hanno attaccato nel cuore della notte, mentre riposavamo. Le sentinelle sono state neutralizzate improvvisamente: l'accampamento è andato completamente perduto, i pochi sopravvissuti forse sono stati catturati. Appena mi sono reso conto dell'assalto e appena ho visto Fabrizio cadere, sono scappato per tornare qui, da voi... per avvertirvi... ho rubato un cavallo e sono giorni che viaggio, mentre sto morendo... per avvisarti di questo fatto... per salutarti, padre...- a quel punto, Antonio si accasciò in ginocchio, tossendo e sputando molto più sangue di quanto avesse fatto prima. Il padre torreggiava sopra di lui, fissandolo, sorprendentemente, senza compassione, i bordi delle labbra piegati all'ingiù. Strinse una mano a pugno e la sua espressione diventò adirata, le guance si colorarono di rosso. Il figlio se ne accorse e fece per prendere una gamba del padre con le mani, ma questi si scostò velocemente, dicendo con voce fredda e calcolata:

-Non mi toccare. Tu non sei mi figlio. Disertando e abbandonando il tuo esercito hai infangato l'onore della tua famiglia. La tua anima sarà tormentata nell'Aldilà e ognuno di noi si ricorderà di te come un vigliacco. Non sei degno di intraprendere una fine gloriosa, per questo morirai a terra, tra le mura domestiche, come un servo o una prostituta. Non assisterò alla tua morte.- detto questo, diede le spalle ad Antonio, che si trovava ormai prono, riverso a terra, mentre imbrattava il pavimento di sangue. Antonio parlò nuovamente, la sua voce ridotta ad un sussurro flebile, quasi impercettibile:

-Dammi almeno una degna sepoltura. Condanna me in persona, ma non anche la mia anima!- esclamò disperatamente. Il senatore non si voltò a guardarlo:

-Anche se non te lo meriti... sono pur sempre tuo padre...- rispose e il suo tono questa volta era accorato e, chi l'avrebbe mai pensato, disperato. Il Senatore se ne andò e la figura di Antonio non si mosse più da terra, ma rimase ad occhi spalancati, riversa al suolo. Il servo che prima si trovava al capezzale de pater familias si chinò a chiudergli gli occhi. Mi voltai dall'altra parte, non riuscendo a guardare la scena e senza provare alcuna compassione. Alla morte di Antonio avevano assistito tre servi: una morte ingloriosa per un uomo vile e codardo.


 

Scappata via da quella scena orripilante, corsi velocemente lungo i corridoi della Villa e mi precipitai in camera di Fabrizio, dove sicuramente nessuno sarebbe venuto a disturbarmi, non solo perchè non sapevo dove altro andare per sfogare il mio dolore, ma anche perchè quello era il luogo che più vividamente mi ricordava il mio amore perduto. Mi chiusi velocemente la porta alle spalle e, dopo aver fissato per un po' quella stanza, che conoscevo così bene, che senza Fabrizio mi sembrava spoglia e scura, mi gettai sul letto enorme, prendendo tra le mani il cuscino sopra il quale aveva dormito il Generale l'ultima notte disperata che avevamo passato insieme. Lo strinsi al petto e respirai l'odore che emanava, dolce e leggero, inebriante: era l'odore di Fabrizio. Sconcertata e non riuscendo a credere a quanto fosse accaduto, affondai i viso nel cuscino e gridai, gridai a più non posso, più di quanto avessi mai fatto, sperando che quell'oggetto potesse in qualche modo attutire i miei lamenti e che, in qualche modo, le mie grida alleviassero il dolore sconfinato che sentivo dentro ogni parte di me. Era come se la consapevolezza della morte di Fabrizio avesse staccato via dal mio corpo una parte di me e quella che restava trasudava sangue e disperazione. Le lacrime iniziarono a sgorgare dai miei occhi senza che me ne accorgessi e dei singhiozzi violentissimi iniziarono a squassare il mio petto, impedendomi quasi di respirare e, soprattutto, di ragionare:

-Perchè amore mio? Perchè? Avevi giurato che saresti tornato da me, l'avevi giurato. Perchè non hai mantenuto la promessa? No, non puoi essere morto, Antonio mentiva, non puoi essere morto... non tu, non tu! Chiunque ma non tu!- gridai ancora, rivolgendomi a me stessa e non riuscendo a dire altro a causa dei singhiozzi.

-Dei del cielo, vi supplico... fate in modo che lo possa rivedere, soltanto un'altra volta. Prendete la mia vita, toglietemi tutto quello che volete, ma permettetemi di rivederlo una sola volta!- gridai di nuovo, invocando gli dei dell'Olimpo che, forse, avrebbero avuto compassione di me. Chiusa in quella stanza, da cui era iniziato tutto, mi venne in mente l'immagine del suo viso, nelle mie orecchi rimbombava la sua voce e il mio corpo si scaldava al ricordo dei suoi abbracci... cosa fare, ora, dopo che lui non sarebbe più stato con me? Come mi sarei dovuta comportare sapendo che quello che avevamo passato insieme non si sarebbe ripresentato mai più? Come potevo reagire davanti ad una realtà ineluttabile come la morte? Continuai a piangere per ore, stringendo quel cuscino al petto in modo così spasmodico da far dolore le dita e le braccia. Gridai ancora, a lungo, desiderando talvolta di farmi del male, di uccidermi o ancora di scappare, andarmene via da quel luogo che in ogni suo angolo mi ricordava tutto ciò che avevo e che ora era andato perso. Fabrizio era l'unica persona che avevo amato più di me stessa, nella mia vita. I miei sentimenti per lui erano stati più forti di quelli che avevo mai provato per i miei familari... lui era stata la mia ancora di salvezza quando mi trovavo persa e disperata in una terra straniera, era stato il mio punto di riferimento quando ero persa. Inconsapevolmente avevo trovato la forza per alzarmi ogni mattina ed affrontare ciò che mi aspettava solo grazie a lui e cosa avrei fatto adesso, che il mio amato Generale non c'era più? Chi si sarebbe preso cura di me in maniera così incondizionata come aveva fatto lui? Chi avrei potuto amare come avevo fatto con lui?

Dopo ore ed ore di incessanti urli e lacrime, Iginia e Attilia, che probabilmente mi stavano cercando e avevano udito i miei lamenti, mi trovarono distesa sul letto di Fabrizio con il suo cuscino stretto al petto e il naso che non smetteva di cercare il suo profumo. Il letto era bagnato dalle mie lacrime, così come il mio viso, da cui però avevano smesso, già da un po', di scendere. Ero arrivata ad un punto di tale sfinimento emotivo che non riuscivo nemmeno a piangere o a gridare. Forse era vero che le lacrime ad un certo punto finivano e poiché la calma mi inondava la mente e questa era forse più terribile della disperazione che aveva attanagliato le mie viscere poco prima. Non avevo la forza per muovere un dito e non voltai nemmeno la testa quando Iginia ed Attilia si avvicinarono preoccupate a me e mi scossero, prendendomi per le spalle.

-Aurora! Aurora, piccola! Cosa ti è successo, cosa stai facendo?- mi chiese la governante toccandomi la fronte sudata e scostando i capelli che si erano appiccicati al viso. Inizialmente non riuscii a rispondere, ma quando capii che le domande iniziavano ad essere insistenti e anche Attilia rischiava di scoppiare a piangere da un momento all'altro, risposi una sola cosa, la più ovvia e la più terribile:

-È morto- la mia voce era roca come non l'avevo mai sentita e così fievole che forse le due donne nemmeno mi sentirono. Mi sbagliavo, tuttavia, e Attilia e Iginia si guardarono allibite ma allo stesso tempo capendo ogni cosa: come avevano fatto a non comprendere da sole che il mio stato era dovuto a quella notizia? Attilia non sapeva cosa dire, allo stesso modo dell'altra, così continuai a parlare, dicendo quello che mi passava per la testa, senza un fio logico:

-É morto. Non tornerà. Aveva promesso, me lo ricordo. Ora però è morto. Io sono sola. Mi ha lasciato sola.- le mie parole erano così terribili eppure non piangevo più e me le ripetevo soltanto per convincermi del fatto che fossero vere. La madre di Fabrizio mi tirò su la testa a fatica e mi strinse forte a sé:

-Piccola Aurora... non sarai mai sola... ora che Fabrizio non c'è, vedrò in te più che mai una figlia e lo farò con piacere...- disse, cercando di porre rimedio a quella situazione disperata. Improvvisamente la abbracciai, aggrappandomi a lei, pensando che forse riusciva a capire davvero come mi sentissi... era sua madre... di certo il suo cuore si era spezzato assieme al mio, quando aveva saputo quella notizia.

-Fabrizio non c'è. Non c'è.- ripetei come una pazza, senza preoccuparmi che potessi passare come tale. Improvvisamente scoppiai di nuovo a piangere, spingendo Iginia a stringermi più forte a se. Le lacrime imbrattarono tutta la veste della dona ma lei non sembrò farci caso. Anche Attilia venne ad abbracciarmi, preoccupata per me, ma nonostante tutto quell'affetto ricevuto, nessuno avrebbe mai riuscito a colmare il vuoto che Fabrizo avrebbe lasciato, nessuno sarebbe mai riuscito a farmi sentire tanto amata come aveva fatto lui.


 

-Sono giorni che si trova in questo stato, Dottore! Non mangia, beve solo ogni tanto, non dorme! Le sue mani sono diventate rosse a forza di stringere quel benedetto cuscino e il suo sguardo rimane fisso in un punto indeterminato del vuoto!- sentii la voce possente e preoccupata di Iginia che parlava con il medico, dietro la porta chiusa della stanza di Fabrizio che, ormai, era diventata la mia. La donna aveva descritto perfettamente lo stato pietoso in cui mi ritrovavo da parecchi giorni e sebbene non volessi farmi visitare dal giovane Dottore, non riuscii a muovere un dito per impedire ad Iginia di lasciarle fare ciò che voleva, ma sotto sotto, nemmeno mi interessava: potevano fare di me ciò che volevano, poiché la mia vita era finita e questa volta, volevo morire sul serio. Nulla ci sarebbe stato a tenermi in vita, non mi importavano tutti gli ideali secondo i quali avevo vissuto fino a quel momento, volevo morire indegnamente sopra a quel letto, di fame, di sete e di noia, nessuno sarebbe riuscito a farmi cambiare idea, sia perchè non volevo, sia perchè non avrei mai trovato la forza per continuare a vivere, da sola, in quella situazione.

-Sei proprio sicura? Non ha fatto altro?- chiese il Dottore con voce vellutata, tradendo perplessità e preoccupazione, forse più del necessario.

-Ho fatto di tutto per farla muovere da quella posizione Dottore, ma quando insieme ad un'altra ragazza ho provato a metterla in piedi, si è accasciata su di noi e se non l'avessimo presa avrebbe battuto la testa per terra! Le ho detto molte cose ma è come se le mie parole le entrassero da un orecchio e le uscissero dall'altro. Non parla nemmeno più: sembra che un dio le abbia tagliato la lingua! Conosco quella ragazza e mai avrei pensato di poterla trovare sperduta e disperata a quel modo! Ha diciotto anni, Dottore... fai qualcosa per lei!- a quel punto del discorso le parole di Iginia erano diventate quasi un grido, per quanto erano accorate e riuscii a distinguerle ancor più distintamente.

-Lasciatemi da solo con lei... vedrò cosa posso fare...- disse a quel punto il Dottore, incerto e subito la porta della camera si spalancò e ne fece capolino il giovane uomo con cui avevo parlato, tempo addietro. I suoi occhi azzurri si stagliavano nella penombra della stanza come due fuochi accesi.

-Salve...- disse cordialmente il Dottore, ma fu come se le sue parole non arrivassero al mio orecchio ed io non distaccai gli occhi da un punto indefinito del pavimento. Sembrò che il Dottore non volesse aggiungere altro, ma poi sentii che si sedeva sul letto, accanto a me ed improvvisamente il suo viso entrò nel mio campo visivo: per la sorpresa sussultai e mi tirai indietro. Un lamento mi uscì dalla bocca: quel movimento era stato il primo dopo giorni e le mie ossa mi avevano lanciato delle dolorose fitte non appena mi ero spostata. Il verso uscito dalle mie labbra, era stato il primo dopo un lungo tempo passato in silenzio.

-Sono riuscito a farti muovere, almeno- disse il Dottore sorridendo calorosamente e questa volta lo guardai, incuriosita dal suo strano comportamento.

-TI ricordi di me, vero, Aurora?- chiese il ragazzo, continuando incredibilmente a sorridere. Io non ricambia, ma annuii lentamente, mentre il collo mi lanciava fitte dolorosissime. Il Dottore sembrò leggermi nel pensiero, incredibilmente:

-Che ne dici se parliamo un po'?- chiese e non sapendo perchè, non riuscii a dire di no a quella voce dolce e comprensiva, quindi annuii, incerta.

-Non voglio discutere con una ragazza che, seppur così giovane, sembra essere appena stata in mezzo ad una Guerra. Le donne non devono apparire come te, adesso. Dunque ti aspetterò nel giardino interno della Villa, mettiti in ordine e sbrigati ad arrivare, non ho solo te come paziente!- aggiunse l'ultima frase ridendo in maniera composta, dopo di che si voltò e se ne andò. Come se fossi un burattino mosso da fili, feci come mi aveva detto il ragazzo, mi lavai accuratamente con l'acqua del catino che Iginia mi aveva portato quella mattina (e con il quale non avevo avuto a che fare da giorni), mi spazzolai i capelli con gli stessi utensili che la donna mi aveva invitato ad utilizzare e che aveva lasciato li, mi lavai il viso ripetutamente, cercando di far sparire dai miei occhi e dalle mie guance il rossore dovuto alle lacrime ed ai singhiozzi. Mi guardai allo specchio e vidi che ero l'ombra di me stessa: gli occhi azzurri erano diventati piccoli ed infossati a causa del pianto e cerchiati da due occhiaie profonde, per l'insonnia. La veste che da sempre avevo riempito perfettamente, ora mi cadeva floscia sui fianchi e sul petto e quando respiravo sentivo il peso delle costole. Avevo le unghie sporche e i capelli appena lavati, ancora bagnati. Ero, tuttavia, più presentabile di prima.

Muovendo un passo dopo l'altro, come se avessi disimparato improvvisamente a camminare, mi avviai lentamente verso il giardino, appoggiandomi al muro con una mano, per non rischiare di cadere. Al mio passaggio, tutti i domestici si voltarono a fissarmi, ma non me ne curai: sicuramente avevano saputo della mia reazione alla notizia della morte di Fabrizio e avevano intuito cosa era successo tra noi... ma che importanza aveva, ormai che tutto si era concluso nel peggiore dei modi? Il viso del Generale mi ritornò in mente e fui tentata di tornare indietro e ricominciare a urlare nella sua camera, ma ormai, vicinissima al giardino, decisi di non tirarmi indietro e di mantenere la promessa fatta.

Il Dottore mi aspettava seduto a terra in mezzo all'erba ed io mi accomodai, lentamente, vicino a lui. Il ragazzo non mi guardò quando arrivai, anzi disse:

-Pensavo che non saresti più venuta!- esclamò e a quel punto, dopo giorni di silenzio, parlai davvero:

-Io mantengo sempre le promesse!- esclamai e mi spaventai sentendo che la mia voce era roca come quella di un uomo e flebile, quasi impercettibile. Anche il Dottore sembrò sorpreso, non so se a causa della mia voce o della mia risposta, tuttavia cercò di sorridere e di non darlo a vedere, forse per non farmi sentire a disagio.

-Non voglio chiederti cosa ti sia successo, Aurora, non voglio sapere cosa provi e impicciarmi di affari che non mi riguardano, che sono soltanto del tuo cuore. Forse sfogarti sarebbe produttivo per te, ma non ora.- iniziò a dire Tiberio con voce calma e quieta. Rimasi ad ascoltarlo, senza proferire parola -Sono un Dottore, tuttavia, quindi devo prescrivere una cura al tuo male, come mi è stato chiesto di fare. Stai sicura che c'è, ma devi trovare la forza per somministrarla solo dentro di te, nessuno ti può aiutare. Ti dico questo, dunque: tempo fa, ho visto una ragazza, davvero bella, se posso permettermi di dirlo, negli occhi aveva una luce che non si trova spesso tra le persone: la speranza. So che ora è stata distrutta e che il vuoto che ha lasciato la persona che ami non potrà mai colmarlo nessun altro, ma devi tornare a vivere. Hai pianto le tue lacrime, hai mostrato la tua disperazione e nessuno ti giudica debole per questo: il dolore è umano. Oggi ho visto una ragazza che non è più graziosa come quella dell'altra volta, negli occhi vedo che ha perso tutto ciò che aveva: è vuota. So quello che provi Aurora, ho perso una sorella tempo fa e non è stato facile vivere senza di lei... tuttavia la vita va avanti. Se per tutte le persone che muoiono, altrettante ne morissero di dolore, il mondo sarebbe deserto, non credi?- chiese Tiberio e quella domanda mi strappò un timido sorriso. Sentii che le guance erano arrossite a causa di tutti i suoi complimenti, ma lo lasciai continuare: -Impegnati nel tuo lavoro, Aurora, mangia tutto ciò che puoi, bevi tanta acqua, intraprendi lunghe passeggiate insieme alle persone che ti vogliono bene, torna a sorridere... non ti chiedo di dimenticare, perchè so che è impossibile... ti chiedo solo di lasciare che il tempo mitighi il tuo dolore, come è giusto che sia. Torna a vivere, Aurora, torna ad essere la ragazza che ho conosciuto, che, anche se forse frettolosamente, ho giudicato meravigliosa!- concluse il Dottore arrossendo. A quel punto, non riuscii a non piangere ancora.

Note dell'autrice


Buonasera a tutti, mi sucso per aver pubblicato, ieri sera, senza correggere il capitolo, tuttavia ho preferito aggiornare anche senza averlo corretto, per una questione di puntualità! Ultimamente ho davvero molto da fare quindi purtroppo capiterà che spesso pubblcherò capitoli senza correggerli, ma nel giro di 24h sarà tutto risolto! Grazie per la comprensione. In questo capitolo accadono molte cose, per esempio la morte di Antonio. Confesso che mi è dispiaciuto farlo morire in quel modo brutale, ma per una persona come lui, non poteva essere consona una morte gloriosa, spero capirete! Aurora è davvero disperata per la morte del suo amato Generale... che poi, è morto davvero? Lo scopriremo nel prossimo capitolo! Che dire del bel Dottore, così dolce e comprensivo? Ruberà il posto di Fabrizio? Continuate a seguirmi e lo scoprirete e, perchè no, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate!
Vi lascio la foto del bel Dottoree quella nuova di Fabrizio
un saluto

_Rensmee Cullen_


Fabrizio



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Tiberio


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Capitolo 18
*** Due respiri ***


CAPITOLO 18 – Due respiri


 

Lentamente, giorno dopo giorno, ricominciai a vivere. Ripresi la mia solita, rassicurante e noiosa routine quotidiana, nella quale passavo la maggior parte della giornata chiusa in Biblioteca a spolverare e catalogare pergamene. Qualcosa era cambiato, tuttavia: non c'era giorno in cui restassi da sola. Era come se Attilia, Iginia e, addirittura, il Dottor Tiberio, si fossero organizzati per non lasciarmi mai, per quanto possibile, da sola o senza compagnia. Qualche mattina, in cui la pioggia non inondava i campi o il vento non colpiva tenacemente gli alberi, scuotendo violentemente le loro chiome, io e Attilia intraprendevamo brevi ma rilassanti passeggiate per le vie di Roma.

Iginia mi chiedeva spesso come mi sentissi e, quasi tutti i pomeriggi, il Dottore bussava alla porta della Biblioteca e con la scusa di dovermi visitare, mi faceva compagnia per qualche minuto, portando in dono sempre del cibo prelibato, come dolcetti o frutta particolare, che, in quanto ancella, non ero abituata a mangiare. Le sue visite mi facevano sempre sorridere, anche se ero diventata una ragazza piuttosto taciturna, per i mie canoni e non ero di compagnia. Ognuna di quelle tre persone, al contrario, quando si con me, parlava fino allo sfinimento per farmi divagare, tanto che, avevo imparato, in quel tempo, anche ad ascoltare le persone e non solo ad essere ascoltata. Iginia si lamentava continuamente delle ancelle che non eseguivano alla perfezione i suoi ordini, maledicendo le ragazze ribelli, come ero stata io; Attilia non faceva altro che parlarmi del suo innamorato, di quanto lo amasse ogni giorno di più e di come ogni piccolo gesto di gentilezza nei suoi confronti la facesse sentire lusingata e la facesse sognare. Quelle vicende mi ricordavano tanto ciò che era accaduto a me con... non pensavo mai il suo nome, poiché farlo mi provocava un dolore così grande, che a stento riuscivo a controllarlo, dunque preferivo pensare ad altro. Durante le sue fugaci visite, il Dottore si lamentava dei pazienti che, a causa dell'ignoranza, non seguivano i suoi consigli e si ritrovavano in situazioni spesso peggiori di quelle iniziali. Trovavo ogni racconto davvero molto divertente e spesso avevo riso delle vicende particolari dei miei amici. Con l'aiuto dei pasti extra donati dal Dottore e dei piatti deliziosi, seppur non abbondanti, cucinati dal capocuoco, comincia a riempire di nuovo la mia veste in maniera consona e salutare. Un pomeriggio, mentre prendevo nota delle ultime pergamene accatastate sopra la scrivania della Biblioteca, mi cadde l'occhio su un biglietto stropicciato, che si trovava in mezzo a delle pergamene, con scritto:

Ti aspetto al fiume, sta notte, devo parlarti di una questione spinosa ed urgente.

Fabrizio.

Ricordai improvvisamente tutto quello che era successo quella volta: l'attacco della donna, Fabrizio che mi aveva salvata senza pensarci due volte, il suo atteggiamento freddo nei miei confronti per tenermi al sicuro e poi, quelle parole... quei baci...

Mi inginocchiai a terra, stringendo quel pezzo di carta al petto: il mio Fabrizio, il mio amato Fabrizio non c'era più... non sarebbe tornato da me e, forse, non sarei riuscita ad incontrare la sua anima nemmeno nel momento della mia morte... era scomparso, per sempre e nulla di quanto mi aveva promesso si era avverato.

Involontariamente, iniziai a piangere disperata e fu così che, qualche minuto dopo, mi trovò il Dottor Tiberio. Entrò nella Biblioteca con un larghissimo sorriso stampato sul volto, ma appena mi vide accasciata al suolo e singhiozzate, il suo sorriso si spense ed accorse, inginocchiandosi accanto a me.

-Aurora... che hai?- mi chiese accorato, prendendomi il viso tra le mani e voltandomi verso di lui, così da riuscire a fissarlo negli occhi. Le sue iridi, azzurre come il cielo, mi scrutarono a lungo mentre piangevo, dopo di che, colpita da un altro eccesso di pianto e di singhiozzi, mi aggrappai a lui, che mi abbracciò e mi accarezzò la testa. Come faceva Fabrizio... un altro singhiozzo squassò il mio petto e a quel punto il Dottore chiese:

-Ti manca così tanto, vero? So che stai piangendo per lui...- la sua voce era soffice e vellutata come la conoscevo, ma venata di una sfumatura di... rabbia repressa? Nei confronti di chi, poi? Non credevo di certo che quel sentimento potesse essere proprio di quell'uomo...

Io annuii distrattamente, asciugandomi con le mani le lacrime e distogliendo, imbarazzata, lo sguardo da Tiberio.

-Aurora... sono passate tre settimane da quando... da quando hai ricevuto quella notizia terribile e... so che non dimenticherai mai tutto questo ma non puoi ritrovarti disperata ogni volta che, inevitabilmente, pensi a lui, lo capisci?- chiese concitatamente, mostrando che era realmente preoccupato per me. Io annuii mestamente, persa ancora tra i ricordi e rischiando di ricadere ancora nella disperazione.

-E adesso io... so che è presto per tutto questo ma... in questi giorni in cui ti ho fatto compagnia, in cui ho parlato con te, passato del tempo con te... ho capito davvero che genere di persona tu sia, la ami stima e la mia ammirazione nei tuoi confronti è davvero sconfinata... per non parlare quanto io sia attratto da te, dalla tua bellezza... e ora sto prendendo coraggio e voglio chiederti se, con il tempo, tu potresti mai apprezzarmi come persona... dunque, visto che sei una ragazza non obbligata a rispettare delle etichette o a rispondere al volere del padre... ti va di passare più tempo con me, al fine di conoscermi?- chiese titubante, balbettando qua e la, arrossendo violentemente, come una donna. Alla fine, comunque, il senso delle suo parole mi fu anche sin troppo chiaro. Tiberio, il Dottore, mi aveva chiesto se avessi voluto... conoscerlo, al fine di poter capire se mi sarei mai potuta innamorare di lui. La sua domanda mi lasciò basita e in silenzio per un po': in quel momento, tutto mi aspettavo meno che essere corteggiata da un altro uomo. Per quanto, tuttavia, avessi già da tempo provato ad immaginare il mio futuro con un altro uomo, il mio cuore, inevitabilmente, restava soltanto di Fabrizio. Tuttavia quale sciocca avrebbe rifiutato le proposte di un giovane, attraente e gentilissimo uomo, dalla situazione economica dignitosa ed agiata?

-Io...- iniziai a balbettare, non sapendo che cosa rispondere, in quel momento ed in quelle circostanze meno che mai -mi serve tempo per risponderti...-continuai, scegliendo bene le parole da utilizzare -non voglio mentirti, Tiberio, sei un uomo buono e la tua offerta è davvero gentile ma... il mio cuore è ancora di... di... del mio Generale- conclusi, non riuscendo a trovare, ancora una volta, la forza per pronunciare il suo nome -in fondo, sono passate solo tre settimane da quando...- tuttavia il ragazzo non lasciò che io terminassi la frase, poiché mi interruppe:

-Lo so, Aurora, lo so... ma io non pretendo nulla da te, non oserei mai... ti chiedo solo di prendere in considerazione l'idea di... conoscermi!? Così che tu possa sapere se ci potrà mai essere spazio nel tuo cuore per me.- il Dottore concluse così la sua richiesta tenendosi una mano sul cuore e guardandomi negli occhi. Abbassai piano la testa, non riuscendo a sostenere il suo sguardo e arrossendo vistosamente.


 

Camminai lentamente lungo i corridoi della Villa, diretta come ogni giorno, alla solita ora, alla stanza di Fabrizio: quando si faceva sera, ogni giorno, mi recavo nella sua camera per tenerla pulita, fresca, sempre in ordine... come se qualcuno ci vivesse ancora. Quel giorno, tuttavia, la mia mente non vagava soltanto alla ricerca di ricordi del Generale, ma ponderava anche la richiesta del Dottore. Non mi ero mai trovata nella situazione di avere l'opportunità di scegliere se fare o no il più grande passo della mia vita... fin da quando ero nata, ero stata educata a rassegnarmi che, essendo donna, avrei dovuto sposare un uomo, magari anche vecchio e grasso, che non amavo e a fargli da schiava, a vivere soggiogata dalla sua volontà. Invece, ora, mi trovavo davanti alla possibilità, addirittura, di decidere se conoscere o meno un uomo... e, se dovevo dirla tutta, che uomo... bello, dal fisico allenato, dolce, comprensivo e istruito... quale sconsiderata avrebbe rifiutato una proposta di quella portata?

Io... sarei stata così sconsiderata? Con quale cuore, tuttavia, potevo illudere un uomo di amarlo, se avrei sempre e solo amato Fabrizio, unico uomo mai entrato nel mio cuore? Come avrei potuto sposarmi con Tiberio, se nei miei pensieri albergava costantemente l'immagine di Fabrizio? Non riuscivo a levarmi dalla testa il pensiero, però, che Fabrizio ormai era morto e, sebbene nulla avrebbe mai potuto colmare il vuoto che lui aveva lasciato, dovevo provare a stare bene... dovevo cercare di mandare avanti al mia vita, senza di lui. Entrai lentamente in camera di Fabrizio e mi chiusi la porta alle spalle, lentamente. L'odore di pulito e, purtroppo, di luogo abbandonato, era forte e pungente, più di quanto volessi ammettere. Scostai le tende dalla finestra per far entrare altra aria, sprimacciai il cuscino e tolsi le pieghe minuscole che si erano formate sul letto, pensierosa. Guardai quella stanza, fredda ed inospitale, ricordando a quanto l'avevo sentita come calda e accogliente quando... scossi la testa e mi dissi che quello era il passato e che se non volevo morire per il troppo dolore, dovevo iniziare a pensare di costruire una nuova vita. Decisi: avrei accettato la proposta di Tiberio e, forse, se davvero era la persona che sembrava, prima o poi avrei potuto nutrire un sentimento più forte del semplice affetto.

Presi il vaso di fiori che si trovava sulla cassapanca ai piedi del letto, per portarlo via poiché quelle piantine erano quasi appassite. Improvvisamente la porta si spalancò. Mi voltai tranquillamente, con la testa persa nei miei pensieri... ma appena vidi colui che si trovava sull'uscio, lasciai cadere il vaso dalla mia mano che cadendo a terra, si frantumò in mille pezzi. Fabrizio, una gamba completamente fasciata ed un taglio ancora vivido che si stagliava sulla pelle pallida del suo braccio sinistro, mi fissava con uno sguardo indecifrabile, sulle labbra dipinto un leggero sorriso, titubante come non lo avevo mai visto. Era sempre stato un uomo così sicuro e deciso.... Spalancai gli occhi e la bocca ed incapace di pensare, dire o fare qualsiasi cosa, rimasi immobile ed in silenzio nel punto in cui mi trovavo, al centro della stanza. Dopo un po', il Generale disse, piano, mentre il suo sorriso si spegneva lentamente:

-Cosa fai, non sei felice di rivedermi?- il suo tono di voce era deluso ed incredulo... credeva forse che gli sarei corsa incontro e l'avrei baciato non appena lo avessi visto?

-Tu... sei morto... non puoi essere vero...- sussurrai, muovendo appena le labbra e temendo che quell'apparizione, forse frutto della mia mente, potesse sparire. Avrei fatto qualsiasi cosa per poterlo rivedere ed ora che era accanto a me, non volevo se ne andasse, anche se probabilmente tutto era un sogno o una visione, dettata dal dolore sconfinato che provavo.

-Mia dolce Aurora... sono io, sono il tuo Fabrizio... non c'è legno o metallo più vero di me, sono più vero di quello che tu credi, più dell'aria che respiri!- esclamò esasperato, come se volesse correre ad abbracciarmi da un momento all'altro, ma che non lo stesse facendo per non compromettere la mia ritrovata, da poco, sanità mentale. Mi avvicinai molto lentamente a lui, temendo ancora che fosse tutto un sogno. Misi un piede dietro l'altro, finchè non mi ritrovai faccia a faccia con lui... sentii il suo fiato fresco che mi accarezzava il viso e i suoi occhi, accesi di una luce quasi febbrile, catturarono i miei. Lentamente alzai una mano, titubante, non sapendo se stessi facendo la cosa giusta. Gli accarezzai una guancia, tracciai il profilo del suo naso e il contorno dei suoi occhi con le mie dita. Appoggiai la mano sul suo petto e, lievemente, sentii il suo cuore che batteva sotto gli strati dei vestiti. Fu in quel momento che, dopo un istante di esitazione, mi gettai tra le sue braccia piangendo, sentendo gli occhi gonfi e le guance rosse. Fabrizio mi strinse a se così forte da farmi quasi soffocare e affondò il viso nei miei capelli, inspirandone l'odore.

-Aspettavo che lo facessi... il mio cuore, io, volevo averti tra le mie braccia... ma non facevi nulla e ho creduto non mi volessi più... che non ti ricordassi di me!- esclamò Fabrizio accorato, sicuramente se non fosse stato un Generale romano si sarebbe messo a piangere le la commozione.

-Come puoi anche solo pensare che non ti volessi più?- chiesi con veemenza accarezzandogli il viso. -Io... credevo che tu fossi una visione... Antonio ha detto che eri morto... e ci ho creduto... ma lui... o, Fabrizio, ho così tante cose da raccontarti!- esclami, travolgendolo con un fiume di parole, non sapendo da dove iniziare a parlare, il cuore inondato dalla felicità sconfinata di averlo lì, davanti a me. Dopo settimane passate a piangerlo... in quel momento ero tra le sue braccia. Cosa potevo desiderare di più?

-In ogni istante in cui sei stato lontano da me, ho pregato che tu tornassi, se non sano, quanto meno salvo! Ho offerto sacrifici più di sempre, mi sono comportata conformemente ai costumi antichi... quando ho saputo che eri morto io... io...- la mia voce si incrinò di nuovo e Fabrizio mi prese il viso tra le mani, cercando di consolarmi.

-Non piangere, non piangere! Ora sono qui con te, nessuno mi porterà di nuovo via... te lo giuro! Abbiamo tutto il tempo del mondo per raccontarci gli avvenimenti di questi mesi, ma... durante la Guerra mi struggevo perchè, mentre ero con te, non avevo trovato il coraggio di dirti una cosa davvero importante... avevo paura di sentire la tua risposta, ma quando mi sono trovato in punto di morte, ho rimpianto la mia codardia... come avrei potuto vivere senza dirti la cosa più grande ed importante che sento da quando sono nato?- chiuse gli occhi e respirò profondamente –non voglio dirtelo quando è tardi, quando sarà inutile, dunque te lo dico ora, con il cuore in mano: ti amo, Aurora.- a quelle parole rimasi un'altra volta basita, senza fiato, non aspettandomi quella esclamazione, così tempestiva e, notai, trasudante verità. Quelli erano davvero i sentimenti del imo Generale... Iniziai a muovere le labbra cercando di dire qualcosa, ma Fabrizio mi mise un dito sulla bocca, volendo continuare:

-Ti amo più di quanto amo me stesso, più di quanto abbia mai fatto in vita mia. Sei importante come l'aria che respiro...e sei bella da levare il fiato... ed ora dimmi, tu mi ami? Potresti mai amare questo povero uomo che sta di fronte a te, che non merita, forse, nemmeno il tuo affetto?- chiese accorato prendendomi le mani tra le sue. Io lo guardai, forse troppo a lungo rimanendo in silenzio, poiché i suoi occhi si spensero lentamente e fece per abbassare lo sguardo finchè, facendomi coraggio, parlai:

-Quando ho saputo che eri morto, avrei dato la mia vita, per poterti rivedere anche solo un'altra volta... e osi addirittura chiedere se io ti amo? Come se io possa fare a meno di amarti, come se io possa fare a meno di te!- risposi e in quelle parole misi tutto quello che avevo provato un quei mesi, anche prima di scoprire i suoi sentimenti per me, da quando l'avevo conosciuto fino ad ora. A quel punto, non potendo resistere all'impulso, Fabrizio mi prese la testa tra le mani, affondando le dita tra i miei capelli, si perse nei miei occhi, io nei suoi e, impetuosamente, mi baciò come la prima volta, appoggiando le labbra sulle mie, assaporandole lentamente e appassionatamente. Quel bacio durò più di quanto potessi sperare o sognare, così intenso, pieno di speranza e di sogni, da levare il fiato.

-Non sai da quanto sognavo di farlo...- sussurrò sulle mie labbra con voce suadente. Poi mi prese il viso tra le mani, appoggiò la sua fronte alla mia e mi guardò negli occhi. In quel momento pensai che, qualsiasi cosa sarebbe successa, sarei potuta morire felice.


 

Appoggiai il viso tra l'incavo tra la testa e la spalla di Fabrizio: il Generale portava addosso il suo solito odore, fresco, pungente ed inebriante, come se tutto quel tempo sul campo di battaglia non avesse sconvolto minimamente la sua essenza... Con una mano delicata Fabrizio mi sfiorò una guancia e depositò un leggero bacio sulle mie labbra. Mi strinsi a lui, sentendo il vento che entrava dalla finestra, di cui nessuno aveva chiuso le tendine, pizzicare la pelle nuda. Accarezzai il viso di Fabrizio, smagrito e piano di piccole cicatrici. La sua barba incolta mi pizzicò il viso non appena strofinò la sua guancia contro la mia. Con un dito accarezzai il lungo taglio che gli percorreva un braccio, ma lui, per non farmelo vedere, mi strinse a se spingendo le braccia sotto le coperte leggere del letto, dove, da ormai molte ore, giacevamo. Ci guardammo negli occhi, dopo non averlo fatto per troppo tempo, sentivo bisogno più che mai di lui, del suo sguardo, delle sue carezze, dei suoi baci, delle sue attenzioni...

-Mia dolce Aurora, credo che sia giunto il momento di raccontarci tutto quello che è accaduto in questi mesi di lontananza distruttiva...- iniziò Fabrizio tranquillamente, strofinando il naso sul mio collo, solleticandomi la pelle. Annuii distrattamente, intenta ad infilare le dita tra i suoi capelli, poi controbattei:

-Inizia tu, ho ben poco da dire- la mia voce era ovattata, dolce e sognatrice. Fabrizio alzò la testa e mi baciò dolcemente di nuovo, sorridendomi, prima di iniziare a parlare.


 

L'accampamento si trova nel silenzio della notte, si sentono solo gli uccelli notturni che scorrazzano tra gli alberi, emettendo suoni grotteschi e sinistri. Solo le sentinelle, numerose come non mai, si aggirano tra le tende, cercando di scoprire qualsiasi traccia degli avversari o di spie. É da troppo tempo, ormai, che si combatte, i giorni si susseguono lenti e monotoni: mi sveglio all'alba, mi nutro di un pasto fugace e mi trovo improvvisamente a comandare delle truppe, a dover deliberare sulla vita delle persone, a dover decidere tra la sopravvivenza di alcuni e la morte di altri. È un compito gravoso, quello del Generale Romano, non solo ricco di soddisfazioni e privilegi, ma di oneri, doveri e dolori. Questo, almeno accade per me. Quella sera, mi reco nella tenda di mio fratello, arrivato da poco nell'accampamento con un manipolo di soldati di cui è a capo. Per quanto possa rispettarlo e volere il suo bene, in quanto mio fratello, non gli affiderei mai la vite di quelle persone... soprattutto non dopo quello che ha fatto alla mia dolce Aurora...

La guerra sta volgendo a favore dei Romani, ci sono stati morti e feriti, ho un taglio non indifferente che mi ha lasciato infermo per giorni, ma ho affrontato situazioni decisamente più disperate. Roma vincerà anche questa guerra, me lo sento nel cuore... e il cuore di un Generale non si sbaglia mai.

Il mio pensiero è instancabilmente rivolto verso quella metà del mio cuore che ho lasciato a Roma: Aurora. Penso a lei in ogni istante della mia giornata, quando mangio, quando combatto, illudendomi che, in quel modo, posso garantirle un futuro migliore, prima di andare a dormire, quando prego per lei e mentre dormo, quando la sogno. Spero che mi stia aspettando e che non si sia dimenticata da me... questo pensiero mi tormenta, quanto la paura di non rivederla mai più. Non potrei mai morire senza vederla almeno un'ultima volta, senza accarezzare il suo viso dolce e bello, senza accarezzare quei lunghi, morbidi e setosi capelli: la mia anima non troverebbe mai pace. Sospiro profondamente e, dopo aver rivolto un'ennesima preghiera agli dei affinchè siano clementi con noi, entro nella tenda di Antonio, deciso a parlargli. Da quando è arrivato, ogni giorno non fa altro che mietere vittime su vittime: non gli manca la preparazione atletica, quanto, piuttosto, il buon senso. Continuando ad uccidere in quel modo, di certo scatenerà la furia degli dei e, imprudente, si farà uccidere. Nonostante tutto, però, non voglio questo.

-Salve fratello!- esclamo non appena entro nella tenda e lui ricambia il saluto con un cenno del capo, sta pulendo le sue armi. So che non vuole essere disturbato, ma non mi curo di ciò: è necessario che io gli parli

-Cosa ti turba, in questi giorni, fratello? Perchè ti butti nella mischia a quel modo? Sai che potrebbero ucciderti, se continui a comportarti in tale maniera?- chiedo, non volendolo rimproverare quanto, piuttosto, metterlo in guardia. Mi aspetto che risponda svogliatamente ai miei consigli, cercando di mandarmi via il prima possibile, invece volta la testa di scatto verso di me, ribattendo crudelmente e aspramente:

-Sempre a riprendermi, vero, fratello? In fondo, l'uomo lungimirante, quello che si è meritato la carica di Generale per la sua intelligenza e buon senso sei stato sempre tu, vero?- chiede, sputando quelle parole come siano veleno. Io sono allibito: di certo, non so cosa rispondere a quelle parole.

-Sono stato sempre io quello che ha dovuto prendere esempio da te, nella vita... perchè nessuno mi ha mai stimato?- chiede ancora, retoricamente. Sto per rispondergli, tentando di tranquillizzarlo e di smentire le sue parole, anche se so che sono vere, quando ad un tratto, un uomo ricoperto si sangue da capo a piedi, annuncia:

-Generale, i Cartaginesi non rispettano le antiche usanze! Sono entrati nell'accampamento, più numerosi che mai, (sembrano essersi moltiplicati) e stanno facendo razzia di uomini e provviste!- esclama, dopo di che cade a terra, esanime.

Io e Antonio ci lanciamo un'occhiata: forse in quel momento ci sentiamo più complici l'uno dell'altra che in tutto il resto della vita... non ho mai avuto uno stretto legame di fiducia con mio fratello e, in quel momento più che mai, me ne pento. Decido di rimandare le discussioni a dopo, sempre se un dopo ci sarà e, senza la bardatura necessaria, afferro spada e scudo ed esco fuori dalla tenda, seguito a ruota da Antonio, che mi emula, non potendo fare altro.

L'accampamento si trova nel caos: gli uomini corrono da una parte all'altra, senza nessuno che li guidi non sanno organizzarsi. Alcuni sono riusciti ad impossessarsi di armi e cercano di contrastare il nemico combattendo come meglio possono, i cadaveri di altri giacciono già a terra, esanimi. Mi getto contro il primo nemico che si para davanti al mio camiino, armato fino ai denti, protetto da un'armatura dalla foggia pregiata. Paro un fendente, poi un altro, affondo la lama nello spazio tra il torace e i fianchi, rimasto scoperto e passo all'uomo seguente. Vado avanti in questo ritmo serrato, uccidendo o disarmando nemici, mulinando la spada, finchè qualcuno, accorrendo alle mie spalle, senza che me ne accorga, mena un fendente alla mia schiena, rischiando di trapassarmi da parte a parte. Fortunatamente mi scanso in tempo: il risultato è un brutto squarcio lungo la spina dorsale, tuttavia recuperabile. Mi giro verso l'assalitore, il cui viso è coperto da un elmo resistente, pensando che non ha rispettato la regola dell'onore che enuncia che un nemico non va mai colpito alle spalle. Chi, anche tra i Barbari, può compiere un gesto simile? Ricomincio a combattere, ma sono debole, sbaglio un affondo, poi un altro, finchè non mi trovo a terra, un altra ferita che si apre sul braccio, che brucia terribilmente. Non posso muovere le gambe, sento le braccia pesanti e la schiena dolorante. Sto perdendo sangue a dismisura: so che non ci vorrà molto, se il nemico non sferrerà l'attacco finale, morirò dissanguato.

-Mostrati, valoroso cavaliere, che stai per sconfiggere un Generale Romano, con tanto ardore e inganno: non si colpiscono gli uomini alle spalle.- affermo, desiderando di conoscere colui che mi sta conducendo alla morte e, inevitabilmente, lontano dalla mia Aurora. L'uomo sta per levarsi l'elmo, quando una spada, comparsa dal nulla, trancia la testa del soldato, il cui corpo cade a terra. Vedo Antonio che avanza verso di me, con l'arma insanguinata in mano: è stato lui a salvarmi.

-Fratello- inizio con voce debole, a causa della perdita di sangue -avrei preferito morire, piuttosto che essere salvato in maniera così vile da te, che hai agito scorrettamente attaccando un avversario alle spalle.- dico.

-Nemmeno in punto di morte mi ringrazi o assecondi le mie scelte, vero, Fabrizio?- chiede aspramente e ridendo il ragazzo. Non trovo la forza per rispondere, così gli faccio cenno di avvicinarsi, per esprimere e mie ultime volontà e lui esegue la mia richiesta:

-Antonio... trova il modo dire ad Aurora che l'ho sempre amata, che anche se andrò nell'aldilà l'amerò...- inizio, ma lui non mi fa finire, sorprendendomi:

-Ah, si? É questo che vuoi? Sai, caro fratello, anche se non l'hai mai saputo, te lo dico ora perchè stai morendo e questo non potrà nuocere a nessuno... anche io amo la tua cara, dolce Aurora! E odio te, caro Fabrizio, con tutto il cuore, perchè nostro padre ha sempre preferito te a me, suo figlio legittimo, perchè la donna che amo ha prediletto di nuovo te e perchè ogni persona osanna te invece che il sottoscritto! Ed è per questo che ora ti lascio morire qui, senza fare nulla per tentare di salvarti.- le sue parole, chissà per quale motivo, se all'inizio mi rendono sgomento, alla fine non mi risultano impossibili: sospetto, da sempre, che Antonio mi odi. Lo lascio continuare, non riuscendo a controbattere:

-Sai chi è stato a dare istruzioni di appiccare l'incendio, tempo fa? Io! Sai, inoltre, chi ha tentato di farti mettere del sonnifero nel bicchiere? Ancora io! E sai chi ha dato disposizione per uccidere Aurora, per poi arrivare a te, facendoti dannare? Io! Sappi che adesso il tuo amore soffrirà, perchè godrò nel vedere soffrire anche lei: a questo punto, se non posso avere l'amore che merito, mi divertirò nell'infliggere dolore- concluso il suo discorso macabro si mette a ridere,

-Non hai nemmeno il coraggio per darmi il colpo di grazia, mentre ti guardo, vero fratello?- chiedo, ma vedendo che Antonio è allibito e non risponde, contino a parlare, con le ultime forze rimaste -non ti ha mai amato nessuno perchè sei un vile ed un ipocrita, capace di voltare le spalle alla tua stessa famiglia. Nessuno ti amerà mai...- ma la mia voce si spegne ed io inizio a perdere conoscenza. Faccio appena in tempo a vedere che Antonio si volta e fa per andarsene, ma una lancia, arrivata da un punto indefinito, gli trapassa il torace. A quel punto tutto diventa buio.


Note dell'autrice:


Buonasera a tutti, come ogni tanto mi capita, non posso fare a meno di scusaremi per il ritardo con cui ho aggiornato, tuttavia ho avuto davvero tantissimi impegni e non riesco a concludere tutti in tempo... comunque ora sono qui, con questo capitolo rivoluzionario direi... alcuni mi hanno detto che non si aspettavano il ritorno di Fabrizio così presto, ma per fortuna (o forse purtroppo per voi) tutto ha una ragione... i due innamorati dovranno affrontare una prova finale, immensa e chi lo sa se riusciranno a superarla restando uniti? Non è tutt'oro quel che luccica... e dov'è finita la nostra CARISSIMA amica Filenide? Vi anticipo che non manca moltissimo alla fine della storia... non più di altri dieci capitoli, sicuramente, se non di meno... quindi recensite ora o mai più! Vi aspetto domenica per scoprire le nuove svolte della storia, un saluto a tutti

_Renesmee Cullen_

 

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Capitolo 19
*** Una Promessa ***


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CAPITOLO 19 – Una Promessa


 

Fabrizio mi guardò per un po' negli occhi ed io presi qualche istante di tempo per metabolizzare tutte le informazioni ricevute, capire ed immedesimarmi in tutte le vicende che erano accadute. L'unica cosa che tuttavia non mi era chiara, era come Fabrizio si fosse salvato da quella situazione a dir poco mortale ed irreversibile. Non sapevo se avesse voglia di raccontarmelo o se rievocare il ricordo gli provocasse in qualche modo dolore. Alla fine, però, vinta dalla curiosità non riuscii a trattenermi e glie lo domandai:

-Come hai fatto a salvarti, dopo tutto questo?- chiesi guardandolo negli occhi, cercando di accorgermi se per caso qualche ombra fosse scesa sul suo viso dopo quell'interrogativo. Il Generale mi sfiorò le guance arrossate con i polpastrelli delle dita e invece che rabbuiarsi mi sorrise calorosamente.

-Non riuscirai mai a crederci... il Dittatore Massimo mi ha trovato a terra esanime e mi ha portato nella sua tenda, mentre la battaglia infuriava. Essendo un uomo molto colto, ha saputo come comportarsi in quel momento: ha bendato strettamente le mie ferite e mi ha tirato addosso dei secchi d'acqua per farmi svegliare. Una volta raggiunto quell'obiettivo, mi ha dato da bere e, grazie ad alcuni servitori, sono stato condotto fuori dall'accampamento, dove si ritrovava all'incirca la metà di tutta la legione romana. L'altra metà non è riuscita a salvarsi...- interruppe il suo racconto per sospirare profondamente. Abbassò gli occhi, forse un po' rattristato, tuttavia gli bastò guardarmi per tornare sereno. Non riuscii a trattenermi, ancora una volta, dal fare domande:

-Poi cos'è successo?- chiesi ancora curiosa. Fabrizio sorrise:

-Vuoi sapere proprio tutto vero?- rise dolcemente e mi accarezzò i capelli in maniera affettuosa, mentre io continuavo a guardarlo attentamente, come se fossi stata ammaliata da lui.

-Noi Romani rimasti abbiamo atteso, nascosti tra le montagne vicino Canne, che i Cartaginesi se ne andassero dal nostro accampamento, dopo aver recuperato quanto possibile, abbiamo chiesto ricovero presso le città vicine fedeli a Roma. I cittadini sono stati benevoli, altruisti e ospitali, aiutando l'esercito romano a rimettersi in sesto e dandogli la possibilità di riorganizzarsi. Il Dittatore Massimo è riuscito ad ideare una nuova strategia e dopo aver ricostruito parte dell'accampamento in un'ala nascosta della regione e dopo aver fatto ristabilire tutti i soldati malati e feriti, ha scagliato di nuovo l'esercito contro i cartaginesi ed ha mandato me qui a Roma, per chiedere al Senato dei rinforzi, affinchè la guerra potesse andare avanti. Con questo, avendo io riportato delle ferite non indifferenti, mi ha concesso di restare a Roma il tempo necessario a ristabilirmi appieno.- concluse così il suo racconto e restammo in silenzio. Mille altre domande mi frullavano in mente: come avessero reagito Iginia e suo padre dopo aver scoperto che il figlio era ancora in vita, se glie lo avesse detto, come si sentiva riguardo alla morte di suo fratello e cosa l'avrebbe aspettato a Roma dopo il suo rientro. Tuttavia conoscevo Fabrizio ed ero a conoscenza del fatto che non gli piacesse svelare troppo spesso i suoi pensieri più profondi e i suoi sentimenti, in quanto uomo romano che si comportava conformemente al mos maiorum, quindi non chiesi altro. A confermare la mia ipotesi si aggiunse il fatto che lui stesso iniziò a pormi delle domande e non indugiai oltre nell'indagare i suoi sentimenti e lo ascoltai:

-Tu invece?- chiese curioso -Cosa hai fatto durante la mia assenza?- lo guardai, feci un respiro profondo poi iniziai a raccontare.


 

P.O.V. Fabrizio


Dopo che Aurora se ne fu andata per svolgere le sue mansioni quotidiane e per non destare sospetti (poiché, nonostante tutto, la nostra storia era e doveva restare a qualsiasi cosa segreta ancora per un po'), restai solo nella mia stanza con i miei pensieri. Sospirai, seduto alla scrivania della mia camera, con le mani giunte davanti al viso. Nella stanza, riuscivo ancora a sentire il dolce profumo di Aurora e la mia pelle profumava ancora di lei, quasi fosse ancora li con me, così chiusi gli occhi, per percepire meglio quella sensazione. Finchè rimanevo in quell'atmosfera di pace e tranquillità, potevo illudermi di non avere problemi, ma una volta varcato l'uscio della stanza, non avrei più potuto ingannare me stesso e avrei dovuto affrontare tutte le mie incombenze. Evitare gli impacci non li risolveva di certo, dunque decisi: era ora di presentarmi da mia madre e da mio padre. Mi ero comportato in maniera indegna ed ingrata: la sera precedente, non appena ero arrivato a Roma dopo il lungo e stancante viaggio, mi ero recato subito nella mia camera certo che, in qualche modo, vi avrei trovato Aurora. Il cuore mi comandava di agire in quel modo senza riflettere, tuttavia non avevo pensato nemmeno per un attimo di svegliare i miei genitori, che certamente dormivano, per dargli la buona notizia. Avevo preferito che Aurora fosse la prima a sapere che ero ancora vivo e il mio cuore palpitava e la mia mente fremeva al desiderio di rivederla ancora. Quella mattina di certo, le guardie che la sera precedente avevano pattugliato la Villa, dovevano aver riferito qualcosa a mio padre. Il loro sguardo, al mio arrivo, era stato talmente attonito che non mi avevano nemmeno chiesto un riconoscimento per accertarsi di chi fossi e mi avevano lasciato oltrepassare la porta di casa, allibiti. Se mio padre l'avesse saputo, si sarebbe adirato alquanto. Sebbene avesse appena iniziato ad albeggiare, sapevo che il Senatore era un uomo mattiniero e sebbene il mio cuore mi consigliasse di recarmi subito da mia madre, che di certo stava soffrendo molto, il mio dovere era quello di recarmi dal pater familias.

Uscii dalla mia stanza, sospirando, e mi recai a passi sicuri verso lo studio di mio padre: ero un Generale romano, non potevo indugiare nelle decisioni. Pensando questo bussai vigorosamente alla porta e dall'altra parte rispose un flebile “avanti”.

Aprii l'uscio lentamente e vidi davanti a me un uomo seduto su uno sgabello, meditabondo e con lo sguardo fisso a terra. Nonostante i mesi di lontananza, mio padre non era cambiato affatto, se non per delle piccole rughe in più che ornavano l'espressione corrucciata del suo viso. Di certo non si aspettava di vedermi poiché quando alzò il suo sguardo su di me, strabuzzò gli occhi e spalancò la bocca, incapace di fare altro. Poche erano state, nei miei ventiquattro anni di vita, le volte in cui avevo visto il Senatore Galba attonito, stupito e, cosa più sconcertante di tutte, senza parole. Avanzai di qualche passo verso di lui, dopo di che mi sedetti sullo sgabello vuoto dall'altra parte della scrivania.

-Buongiorno Padre, sono venuto a riferirti gli affari della guerra, dopo aver intrapreso un lungo viaggio da Canne fino a Roma.- dissi tranquillamente, mentre negli occhi dell'uomo si accendeva una scintilla di felicità, che tuttavia l'anziano nascose subito dietro la fronte corrucciata e pensierosa.

-Molto bene, Fabrizio, molto bene... ti ascolto, dunque- disse, celando un tremito della voce. Sorrisi involontariamente: il suo cuore indurito da anni di intrighi politici e di battaglie, non aveva sopito del tutto il suo affetto verso di me che, in grande o in minima parte, si era sempre manifestato. Raccontai brevemente tutto quello che era accaduto a Canne, le strategie efficaci del Dittatore, l'assalto a sorpresa dei nemici e, riluttante, anche di ciò che era accaduto con Antonio. Quando trattai di quell'argomento, mio padre fece un gesto sbrigativo, intimandomi a continuare: il dolore per la perdita del figlio, nonostante tutto, doveva essere ancora molto grande. Dopo essere stato colpito dalla lancia, avevo dato per certa la morte di mio fratello, ma come avevo appreso dai racconti di Aurora, era riuscito a stento ad arrivare a Roma e a compiere un ultimo atto blasfemo. Sapere inoltre tutta la sofferenza e il dolore, fisico e morale, che aveva causato alla mia amata, smuoveva dentro di me una rabbia e un risentimento che non credevo di possedere. Non riuscivo, comunque, ad evitare di essere addolorato per la morte di mio fratello, con il quale avevo trascorso molti anni della mia vita e condiviso molte avventure. Antonio, alla fine, aveva pagato il giusto prezzo per il male compito, per aver cercato di uccidere me e Aurora e in minima parte questo mi consolava. In quel momento immaginai quale sconfinato dolore avesse provato mio padre alla notizia, nello stesso giorno, della morte dei suoi due unici figli maschi. Scossi la testa impercettibilmente per scacciare dalla testa quei pensieri e una volta terminato il racconto, che mio padre aveva ascoltato restando apparentemente impassibile, sorrisi per incoraggiarlo a dire qualcosa. Inizialmente non fece nulla, per cui mi alzai in piedi, con l'intenzione di congedarmi da lui, quando si alzò insieme a me, fronteggiandomi.

-Figlio mio...- disse, incerto, poi mi abbracciò brevemente ma calorosamente e mi batté una mano sul braccio, affettuosamente. Accennò un sorriso, poi disse:

-Sapevo che non eri morto e che tuo fratello mentiva... sono contento che tu sia tornato- dopo aver detto queste poche e semplici parole, che tuttavia erano colme di affetto, tossì e ritornò quello di sempre:

-E adesso cosa fai, ancora qui, conciato in questo modo? Vatti a dare una ripulita, profumati con gli aromi migliori e vesti con gli abiti più belli perchè questa sera ho una sorpresa per te!- esclamò mio padre. Sorrisi mentre uscivo dalla porta: lo conoscevo bene e sapevo che, nonostante il suo gesto d'affetto fosse stato di poca importanza, all'apparenza, in realtà nascondeva un' incommensurabile gioia nel rivedermi.

Sospirai profondamente: fino ad ora, il mio rientro era stato molto più piacevole del previsto: la notte d'amore passata con Aurora, l'accoglienza affettuosa di mio padre. In realtà, infedele come ero, avevo creduto che, dopo che tutti mi credevano morto, avrei ritrovato la mia dolce Aurora tra le braccia di un altro uomo e mio padre troppo impegnato con i suoi affari di politica per accogliermi come avrei desiderato nel mio intimo. Fino a quel momento era andato tutto molto meglio di quanto mi aspettassi, tuttavia era giunto il momento di andare da mia madre. Non l'avevo lasciata per ultima perchè fosse meno importante di mio padre, ma perchè desideravo passare tutto il resto della giornata con lei, in tranquillità, senza avere l'incombenza di dover fare altro.

Sapevo che avrei trovato Iginia già a lavoro, detestava non mettersi all'opera, così era una donna mattiniera ed operosa. Vagai un po' per la Villa senza sapere dove si trovasse, finchè non sentii la sua voce provenire dal giardino interno dell'abitazione, mentre canticchiava una melodia che utilizzava spesso per farmi addormentare quando era piccolo. Sorrisi tra me e me e la guardai per qualche istante mentre stendeva i panni, senza che si accorgesse della mia presenza, dopo di che mi incamminai verso di lei e mi fermai alle sue spalle. Non si accorse di nulla, così la salutai tranquillamente:

-Buongiorno madre- la mia voce risultò un po' incerta, tuttavia la donna si zittì, bloccandosi improvvisamente. Aspettò qualche istante prima di girarsi ed io trattenni il fiato finchè non mi ritrovai faccia a faccia con lei. Appena riuscì a stabilizzare chi fossi strabuzzò gli occhi, così pensai che avrebbe avuto la stessa reazione di Aurora e che avrebbe pensato che fossi un fantasma, invece gettò a terra i vestiti bagnati che stava stendendo, insozzandoli di erba e terra e, incurante, gridò:

-Figlio mio!- mi venne addosso con tutta la sua forza e mi abbracciò, facendomi barcollare. Mi strinse forte a se come faceva quando da piccolo facevo brutti sogni per consolarmi, così tanto da farmi quasi soffocare.

-Sei vivo! Sei vivo!- gridò concitatamente baciandomi le guance ripetutamente. La scansai per riprendere fiato e guardarla negli occhi:

-Madre... Madre sono così felice di rivederti!- esclamai e allora la donna mi strinse di nuovo a se in un abbraccio dolce e materno.

-Figliolo caro, non sai cosa ho passato in questi mesi... ma dimmi, quando sei arrivato, come ti sei salvato?- chiese mettendomi le mani sulle spalle. Le sue domande erano di certo più indagatrici ed insistenti di quelle di mio padre che, essendo un uomo, non si perdeva mai in chiacchiere superflue.

-Sono arrivato ieri sera, madre...- iniziai a raccontare, lasciando il cuore forse troppo in balia dei sentimenti, come non dovevo permettermi di fare. Questo atteggiamento, tuttavia, fece sorridere calorosamente mia mamma. Le dissi di come sembrava che la vittoria si trovasse nelle nostre mani e invece ci è sfuggita come una fune piena d'olio, come si fosse comportato Antonio e come fossi riuscito, infine, a salvarmi. Iginia stette ad ascoltarmi con gli occhi che le brillavano per la commozione di avermi di nuovo li con sé, tuttavia, una volta finito il racconto, dopo la felicità iniziale si accigliò un momento e chiese:

-Perchè non sei corso da me ieri sera, figlio? Da quando ho ricevuto la notizia della tua morte, non è passata notte in cui non restassi sveglia a pensarti, a chiedermi se eri davvero morto (non sapevo se credere del tutto a quel vile di Antonio), se eri vivo e se lo eri, dove ti trovavi?- domandò, facendo caso ad alcuni particolari a cui non aveva invece prestato attenzione mio padre. Le donne, tuttavia, riuscivano sempre a vedere cose che gli uomini non avevano notato.

-Non volevo svegliarti, madre...- iniziai titubante, certo che se gli avessi detto del mio incontro con Aurora, si sarebbe in qualche modo adirata e ingelosita. Purtroppo non riuscii a nascondere nulla ad Iginia, che capì all'istante cosa fosse accaduto in realtà.

-Non è vero. Sei appena tornato e già menti a tua madre, che ti ama così tanto...- iniziò e gli occhi le diventarono lucidi. Io sospirai, non riuscendo a trovare le parole giuste per parlare, a causa del senso di colpa. così mia mare mi fissò dritto negli occhi e disse, acida:

-Ho sofferto come un animale dopo aver saputo della tua morte! Ho il diritto di sapere che cosa ha fatto mio figlio appena tornato, invece che correre da sua madre, una parte di lui?- continuò a fissarmi e non seppi che rispondere, se non la verità. In quel momento, come era capitato rarissime volte nella mia vita, il mio coraggio da Generale intrepido venne meno.

-Io...- iniziai incerto, ma poi scrollai la testa, dicendomi che, dopo tutto quello che avevo passato, un Generale romano non poteva e non doveva avere paura di sua madre.

-Sono corso da Aurora, non appena sono tornato- dissi sicuro ma dopo di questo, abbassai la testa remissivamente, non riuscendo a guardare la donna negli occhi. Non seppi quale fu la sua espressione del viso, perchè non ebbi coraggio di guardarla, tuttavia udii ciò che diceva:

-Lo sapevo, lo sapevo!- esclamò, quasi furibonda. -Sei andato talmente fuori di testa a causa di quella ragazza da non riuscire a ragionare, Fabrizio! Sei andato prima da lei che da me, che sono la donna che ti ha generato, che darebbe la vita per te senza pensarci due volte! Cos'è lei per te? Un passatempo a cui ti sei affezionato più degli altri?- domandò in maniera crudele. In quel momento alzai la testa di scatto ed esclamai, infervorato:

-Non puoi dire questo, madre!- la mia voce aveva un tono categorico che non ammetteva repliche e per questo non andai avanti: non volevo raccontare le mie questioni sentimentali a mia madre, certe cose non potevano essere dette, ma andavano conservate nel profondo dell'animo: dirle avrebbe significato umiliazione, mancanza di onore e di pudore. Dentro di me sapevo che mai e poi mai avrei potuto utilizzare la mia dolce Aurora come un passatempo ed ero certo che lei non lo facesse con me.

Stranita dal mio tono quasi rabbioso, mia madre scrollò la testa e le spalle in maniera quasi infantile e si voltò. In quel momento compresi che mia madre, tra le altre cose, era gelosa: per tutta la vita era stata l'unica donna a cui avessi tenuto, che avessi amato ed ascoltato, come si addice a un figlio e ora vedeva un'altra donna portarmi via da lei. Sorrisi andandole vicino e la abbracciai, lei si scansò e poi mi fissò di nuovo negli occhi:

-Figlio mio, siamo seri... io voglio il meglio per te. Non che quella ragazza abbia qualcosa che non va, sia chiaro, è più bella di ogni donna che io abbia mai visto, sorprendentemente colta, di buone maniera, anche se spesso è troppo sfrontata... ma resta il fatto che lei è un'ancella e tu sei un Generale Romano e non potrete mai sposarvi. Cosa farai? Fuggirai da Roma come un criminale, contravvenendo alle regole che ti ha insegnato tuo padre dopo tanto sforzo e a quelle del mos maiorum? Oppure terrai Aurora come tua concubina quando tu, inevitabilmente, sarai sposato, disonorando lei e, in parte, anche te stesso?- domandò questo e mi accarezzò una guancia, ruvida a causa della barba incolta e scura a causa della polvere del viaggio.

-Non rispondere a queste domande... so che non hai piacere di parlare delle tue cose personali, ma pensa a ciò che ti ho detto e ricorda che voglio solo il meglio per il mio unico figlio.- detto questo mi abbracciò di nuovo, senza lasciare che io parlassi e, prima di andarsene, disse:

-Anche se ognuno deve, per quanto può, mantenere i suoi sentimenti più intimi per se, sappi che la gioia che mi hai portato con il tuo ritorno, è indescrivibile.- dopo aver pronunciato queste parole scomparì.


 

Mentre mi preparavo per la cena, durante la quale mio padre aveva preannunciato sorprese, ebbi modo di pensare alle parole di mia madre: cosa avrei fatto, ora che ero tornato a Roma e che incombeva su di me, come la morte, l'ombra di un futuro incerto? Sapevo che mio padre non avrebbe mai lasciato che io sposassi una donna di rango inferiore al mio e le possibilità, dunque, come mi aveva fatto notare Iginia, erano due: scappare con Aurora in un posto sperduto nel quale restare insieme, sposandoci forse ma disonorando, con la fuga, il mio onore e quello della mia famiglia; oppure disonorare Aurora con il concubinato. Per un attimo pensai che molti uomini conosciuti avevano delle concubine, ma il rispetto che portavo nei confronti del mos maiorum e nei confronti di chi amavo, mi avrebbe impedito di compiere un atto di così grande viltà: tradire la consorte e utilizzare come un oggetto un'altra ragazza... scossi la testa, eliminando quell'ipotesi improponibile. Avrei pensato qualcosa e sarei riuscito a venire a capo di quella situazione: dentro di me sapevo che Aurora era l'amore della mia vita e l'amavo con tutto me stesso, non sarei mai riuscito a rinunciare a lei né a non averla più nella mia vita. L'unica cosa che era riuscita tenermi vivo durante i giorni in cui ero sospeso tra la vita e la morte, erano i sogni che facevo su di lei e la consapevolezza dei suoi sentimenti verso di me. Ero fiducioso: nulla al mondo avrebbe potuto separarmi da lei. Quanto mi sbagliavo...


 

P.O.V. Aurora


 

-Questa sera ci sarà una grande cena in onore del Generale Fabrizio, sono stati invitati due ospiti d'onore ed è necessario che il servizio a tavola sia impeccabile!- esclamò il capocuoco dopo aver mandato a chiamare praticamente tutta la servitù della casa, per aiutare in cucina per quell'occasione. Mi domandai quali fossero gli ospiti tanto importanti della famiglia Galba: da quanto avevo capito, la cerimonia ufficiale per celebrare il ritorno di Fabrizio che portava buone notizie doveva ancora essere organizzata, chi poteva essere così importante da far muovere tutta la servitù della Villa? Scossi la testa, infondo non mi interessava, forse erano due senatori o forse no. Sapere che avrei visto ancora una volta il mio Generale, mi riempiva il cuore di gioia, come accadeva ogni qual volta che pensavo a lui, vivo. Il capocuoco mi rivolse un'occhiata ambigua, ricordando la mia poca predisposizione nel servire a tavola... distolsi lo sguardo imbarazzata e feci quanto mi veniva detto: dopo aver preso un vassoio pieno di vivande, mi avviai verso la sala da pranzo, insieme alle altre ancelle. Appena arrivai, tuttavia, vidi una scena che mi fece gelare il sangue nelle vene: Fabrizio si trovava al centro della stanza, con gli occhi quasi fuori dalle orbite. Al suo fianco c'era il senatore Galba e davanti ai due uomini si trovavano due donne: una giovane, dell'età di Fabrizio, alta, dal corpo snello e slanciato, con capelli biondi e ondulati. La ragazza era davvero molto bella ed era affiancata da una donna poco più bassa di lei, al contrario scura di capelli e di occhi, ma si muoveva con un portamento fiero e sicuro. Non sapevo se ciò che si trovava nello sguardo di Fabrizio fosse ammirazione per quella ragazza bellissima o soltanto stupore di trovare quelle due donne li, nella Villa. Sentii qualcosa che mi stringeva il petto e un calore inconsueto alla gola, tuttavia rimasi immobile sull'uscio della stanza, mentre le altre ancelle si muovevano intorno a me: non le vedevo, la mia attenzione era focalizzata su quell'orribile scena. Il Senatore si accorse del silenzio del figlio e lo esortò:

-Fabrizio, in guerra hai perso la lingua e hai scordato l'educazione? Saluta queste due matrone!- esclamò, quasi indignato. Fabrizio si batté un pugno sul petto e abbassò la testa, come era di costume fare davanti a qualcuno cui si portava rispetto o di rango superiore al proprio. Le due donne lo guardarono in modo malizioso e Cornelio disse, infine, svelando il mistero che avvolgeva quelle donne:

-Fabrizio, ti presento Filenide, sorella di un mio carissimo amico Senatore e Lucrezia, sua figlia: la tua promessa sposa!- concluse con tono compiaciuto. Feci cadere involontariamente il vassoio a terra, stupita, non riuscendo a realizzare davvero ciò che era stato detto. Le vivande si sparsero sul pavimento, insozzandolo, andando a destra e a sinistra e tutti si voltarono verso di me. Incontrai lo sguardo di Fabrizio e desiderai di poter morire all'istante.


Note dell'autrice
 
Buonasera a tutti... mi vergogno palesemente a ripresentarmi dopo tutto questo tempo... avrei dovuto aggiornare settimane fa ma sono stata male sia di salute che mentalmente!
Ho avuto molti problemi, il passato che è ritornato a bussare alla mia porta e la verità che non avevo visto alla fine è venuta a galla in maniera un po' troppo irrunete. Non vi sto ad annoiare con i miei problemi, passiamo al dunque:
ricomincerò ad aggiornare ogni Domenica! So che ora ci credete poco, ma vedrete che ve lo dimostrerò! In questo capitolo Fabrizio si fa vedere da tutti, finisce di spiegare come ha fatto a salvarsi e, colpo di scena finale, suo padre gli ha trovato al sposa!
Non vorrei dir nulla ma notate che la madre di Lucrezia si chiama FILENIDE... notate qualcosa? Le avventure per i nostri due piccioncini non sono ancora finite... chissà come andrà a finire questa volta, riuscirà Aurora a sopportare per l'ennesima volta di avere il cuore spezzato? NOn vi resta che continuare a seguirmi per scoprirlo. Pubblicherò alcuni SPOILER sulla mia pagina Facebook se avrò almeno 15-20 persone che mi seguono! So che la copertina della storia fa schifo ma è la prima volta che ne creo una, se qualcuno si volesse offrire per farla sarei davvero molto contenta!
Vi lasico il link della pagina qui sotto, un saluto a tutti!

_Renesmee Cullen_



Questo è il link della mia pagina facebook, risponderò a tutti e a qualsiasi domanda! -->

https://www.facebook.com/pages/Ex-Scintilla-Incendium-Oriri-Potest/615752951820950?fref=ts



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Capitolo 20
*** Tradimento ***


CAPITOLO 20 – Tradimento


 

Sapevo che prima o poi avrei sentito quelle parole uscire dalla bocca del Senatore, ma mai avrei pensato che avrebbero potuto addolorarmi in quel modo. Da sempre avevo preparato me stessa a quell'evenienza: se Fabrizio si sarebbe dovuto sposare, io non avrei potuto fare nulla per impedirglielo, né avrei potuto adirarmi con lui per qualcosa che era obbligato a fare. Non avevo mai ammesso, tuttavia, che quel momento sarebbe arrivato così presto e così improvvisamente e sapere che a breve il mio Generale sarebbe stato il consorte di un'altra donna, mi distruggeva. Sentii una morsa che mi stringeva la gola e piano piano scendeva allo stomaco e al petto. Avrei desiderato andarmene da quella stanza per scomparire e non tornare mai più. Il mio sguardo cadde sullo scempio che avevo compiuto: un vassoio con cibo raffinato e costoso destinato alla cena ora si trovava a terra, insozzando il pavimento e lasciando un odore per nulla invitante nella sala. Vidi il viso del padre di Fabrizio diventare rosso vermiglio a causa dello sdegno e della rabbia, tuttavia non un suono uscì dalle sue labbra: sicuramente non voleva fare brutta figura davanti alle sue ospiti, passando come un uomo mal educato e scortese, che grida di fronte a delle matrone. (1*)

Si voltò di scatto, invece, verso le donne, che mi guardavano come se fossi un animale, schifate, con gli angoli delle labbra all'ingiù e disse:

-Signore, vogliate scusare la serva, sapete come me che queste giovani sono così sbadate ed impacciate...- il suo tono trasudava rabbia e risentimento. Mi sentii così umiliata, inoltre, dallo sguardo di disprezzo che mi lanciarono quelle due donne maligne, che non mi importò di dover pulire il disastro che avevo combinato. Disperata e trattenendo le lacrime, mi voltai e uscii dalla stanza senza proferire parola o accennare delle scuse, seguita a ruota da Attilia che aveva visto, sconvolta, la scena.

-Aurora! Aurora, aspetta!- chiamò la ragazza, preoccupata per la mia reazione. Io non la ascoltai, iniziando a correre per i corridoi della Villa per fuggire da lei e da chiunque altro. Prima che riuscissi a uscire dall'abitazione, purtroppo, Attilia mi raggiunse e, con il fiatone, mi prese per un braccio, trattenendomi:

-Aurora, ferma, aspetta, dove stai andando?- chiese premurosa. Di nuovo trattenni le lacrime e la guardai negli occhi:

-Attilia... se mi vuoi davvero bene, lasciami andare e pulisci tu quello che ho combinato io. Ricambierò il favore!- dopo aver detto questo e certa che Attilia mi avrebbe assecondata, sfuggii dalla presa della ragazza e uscii dalla porta, trovandomi per le strade buie di Roma. Iniziai a correre senza meta, non sapendo dove stessi andando, imboccai un vicolo, poi un altro, incurante del fatto che piano piano le persone che passavano mi guardavano attonite, insospettite e curiose. Mi addentrai infine in una stradina secondaria dove, accidentalmente, inciampai. Caddi a terra sbucciandomi le ginocchia e ferendomi le mani, tuttavia non ebbi la forza di alzarmi. Scoppiai a singhiozzare e rimasi li, tra la polvere della strada a piangere disperatamente, mentre la notte inghiottiva tutti i miei singhiozzi.


 

La notte era buia e piano piano le persone che trafficavano per le strade di Roma rientravano nelle proprie case, per ritemprarsi dopo le fatiche della giornata. Io ero riversa a terra, sulla polvere, continuando a piangere e senza muovermi, incurante del fatto che prima o poi sarei dovuta tornare alla Villa. In realtà volevo restare in quel luogo per sempre, immergermi nella terra e non tornare mai più indietro. Da quando mi trovavo in quella piccola stradina secondaria, le poche persone che l'avevano attraversata mi avevano guardato con compassione e curiosità. Nemmeno una donna si era fermata per accertarsi se avessi bisogno di qualcosa o chiedermi che cosa fosse capitato. Forse erano tutti troppo impegnati nelle proprie faccende, o più semplicemente, nessuno voleva immischiarsi in affari che non lo riguardavano: non era cosa comune, a Roma, incontrare una ragazza stessa a terra che piangeva, quale disonore sarebbe stato per lei e per la sua famiglia! Se davvero mi fosse importato qualcosa, in quel momento, dei costumi romani, non sarei mai rimasta in quel luogo, come oggetto di scherno dei passanti, orgogliosa come ero. Se inoltre il mio cervello avesse davvero funzionato, avrei evitato di restare sola, di notte in una strada così buia e sperduta. Non avevo paura che qualche malintenzionato potesse trovarmi o che qualche mercenario potesse rapirmi: che lo facessero pure, poiché ogni dolore sarebbe stato di certo più sopportabile che vedere Fabrizio tra le braccia di un'altra donna. Immaginai che, come aveva fatto molte volte da quando ci eravamo conosciuti, mi sarebbe venuto a cercare, mi avrebbe trovata e una volta fatto questo, mi avrebbe preso tra le sue braccia e cullato dolcemente, finchè non mi fossi calmata. Mi avrebbe stretto incessantemente ripetendomi fino allo sfinimento che nulla ci avrebbe mai potuto separare. I miei sogni venivano infranti man mano che il tempo scorreva e restavo sola, mentre una fitta pioggerellina iniziava a cadere dal cielo. Fabrizio non sarebbe mai venuto a cercarmi: di certo in quel momento stava cenando con le sue ospiti, conversava allegramente, mangiava e beveva mentre io ero li, disperata come non mai, a piangere per lui. Sentii la pioggia che scendeva inzupparmi i capelli e le vesti, mescolando la terra che mi si era attaccata al corpo all'acqua: sicuramente avrei preso un malanno, ma non mi importava. Con la schiena ormai a pezzi per la posizione sbagliata mi misi a sedere e cinsi le ginocchia con le braccia, appoggiandovi la testa. Nella mia mente rimbombava una frase, ripetutamente: non volevo tornare alla Villa. Non desideravo vedere Fabrizio tra le braccia di quella donna, né il loro fidanzamento, il loro matrimonio e i loro figli. Volevo soltanto scomparire: ma come potevo fare? Chiunque mi avrebbe riconosciuto come serva, visto che non avevo un posto dove andare o una famiglia. Il mio accento e i miei modi tradivano la mia provenienza... mi avrebbero riportato immediatamente alla casa del mio padrone. Se fossi fuggita davvero, vagando senza meta per le strade dell'Italia, sarei morta di fame. Pensai che forse mi sarebbe piaciuta più quella fine che passare una vita in compagnia di Fabrizio e di sua moglie. Non avrei mai dovuto credere alle promesse del Generale, che di certo erano tutte bugie: un uomo del suo rango non sposa un'ancella. Continuai a piangere silenziosamente mentre il mio corpo veniva scosso da brividi. Ad un tratto passò un uomo per quella strada, alto e ben vestito, di cui non riuscivo a distinguere il viso a causa dell'oscurità. Appoggiò una moneta a terra vicino a me, forse pensando che non avessi casa a causa della miseria, ma mentre lui stava per andarsene, in un eccesso di imprudenza e sfacciataggine, dissi:

-Non sono una mendicante- e sentii che la mia voce era roca e bassa –sono solo una ragazza disperata e sfortunata- conclusi scuotendo la testa. L'uomo, che indossava un corto mantello e un cappuccio per ripararsi dalla pioggia, a quel punto tornò indietro, forse per farmela pagare, ma non mi ritrassi: che facesse di me ciò che voleva, non mi importava. Quando mi arrivò più vicino, però, mi chiamò e riconobbi la sua voce all'istante:

-Aurora!- esclamò il Dottore, sorpreso di vedermi li in quello stato.

-Tiberio-dissi a mia volta, la mia voce era priva di ogni stupore o interesse. Sentivo come se il mio cuore si fosse fermato all'improvviso e non riuscisse più a ripartire.

-Cosa ci fai qui, sotto la pioggia? Cosa è successo?- chiese ancora scuotendomi una spalla. Senza proferire parola mi alzai in piedi: non volevo parlare con nessuno, meno che mai con Tiberio, con il quale avevo ancora una faccenda in sospeso. Feci un passo in avanti ma barcollai, non riuscendo a trovare l'equilibrio. Tiberio mi sorresse tenendomi per un braccio. Mi mise una mano sulla fronte e disse, sconcertato:

-Ragazza mia sei bollente! Devo portarti in un posto asciutto!- esclamò -Come ti è venuto in mente di uscire di casa senza indossare nulla? L'inverno è alle porte, ormai, non è bene non coprirsi! Perchè non ti sei riparata dalla pioggia?- chiese ancora, non riuscendo più a fermarsi. Io non risposi, mi appoggiai alle sue spalle mentre mi trascinava di peso per le vie di Roma, verso una destinazione a me sconosciuta.

-Lasciami qui, sotto la pioggia, lasciami qui. Non mi importa di niente e di nessuno, per pietà, lasciami qui sola!- esclamai ansimando, mentre sentivo la febbre salire, iniziando a delirare.

-Non sai quello che dici, non te ne rendi conto... ora penserò io a te- disse Tiberio premuroso. Dopo aver camminato ancora per un po' ci trovammo davanti ad un'abitazione: Tiberio aprì la porta ed entrò. Non distinsi nitidamente dove mi stesse conducendo, a causa della vista appannata, seppi solo che improvvisamente mi trovai di fronte a un grande catino, circondata da due ancelle. Vidi Tiberio che usciva dalla stanza, probabilmente per lasciarmi un po' di intimità mentre le donne mi svestivano. Mi gettarono quasi di forza nell'acqua bollente, mentre sentivo la coscienza che se ne andava e tornava ad intervalli irregolari, mentre lo sguardo continuava ad essere appannato. Ad un tratto mi ritrovai lavata, asciugata, profumata, vestita con abiti puliti e sotto le coperte di un letto comodo. Dopo poco arrivò Tiberio mentre teneva in mano una ciotola fumante. Si avvicinò al letto e mentre mi sorreggeva la testa con una mano, con l'altra mi fece bere l'infuso.

-Cosa mi hai dato?- mormorai mentre un dolce calore si impossessava del mio corpo.

-Sono un Dottore, ricordi? Fidati di me, so bene quello che faccio- disse. Non ricordai mai se risposi o meno, perchè in quel momento mi addormentai profondamente.


 

-Buongiorno dormigliona!- esclamò qualcuno spalancando la porta della stanza. Aprii piano piano gli occhi e la luce invase il mio campo visivo. Presi il cuscino e me lo misi sopra gli occhi: volevo soltanto continuare a dormire e non pensare a nulla, era così bello.

-So che vuoi restare a poltrire, cara mia, ma è già metà mattina e sicuramente alla Villa si staranno chiedendo dove sei finita!- esclamò Tiberio giovialmente. Mi levai il cuscino dagli occhi, dopo essere tornata alla realtà e aver ricordato con dolore tutto quanto fosse accaduto il giorno precedente.

-Già, mi staranno cercando...- mormorai, non sapendo se il Dottore mi avesse udita o meno. In quel momento, alcune domande sorsero spontanee dentro di me:

-Tiberio... dove mi trovo? Come ho fatto ad arrivare qui?- domandai, ricordando poco o niente della sera precedente.

-Ci troviamo a casa mia, Aurora... ieri sera ti ho trovata con la febbre, sotto la pioggia seduta in un angolo della strada... cosa ci facevi lì?- chiese il Dottore incuriosito, prendendo uno sgabello che si trovava nella stanza che abbondava di mobili. Voltai il viso dall'altro lato ed esitai, prima di rispondere. Sentii gli occhi azzurri del Dottore puntati su di me e mi decisi: dopo che aveva fatto tutto quanto era in suo potere per aiutarmi, era giusto che gli fornissi delle spiegazioni. Mi voltai guardandolo negli occhi trasparenti come le acque del mare ed iniziai a raccontare, da quando avevo saputo che Fabrizio era vivo (omettendo certi particolari) al momento in cui avevo scoperto che il padre aveva trovato una moglie per lui. Lo sguardo di Tiberio rimase impassibile durante la narrazione, senza tradire dispiacere, compassione o gioia. Quando conclusi il racconto, il Dottore sospirò, mi prese una mano tra le sue e disse:

-Devi smetterla di reagire in questo modo, Aurora. Capisci che se ti comporti così comprometterai la tua salute che, se non fosse per tutto quello che hai passato, sarebbe davvero di ferro?- chiese retoricamente.

-Tiberio.. forse non capisci... io provo dei forti sentimenti verso Fabrizio- dissi, cercando di mantenere pudore nascondendo in parte ciò che pensavo. Riflettendoci, tutti i buoni costumi e le giuste usanze Romane erano state ignorate nel momento in cui avevo messo piede nell'abitazione di un uomo e vi avevo dormito... scossi la testa, tornando a conversare con il Dottore:

-Aurora... so che questo non è il momento adatto per dirtelo, ma te lo riferisco soltanto per farti capire quello che intendo. Anche io provo sentimenti verso di te, eppure so perfettamente che il tuo cuore appartiene soltanto a Fabrizio, ma guardami: sono qui, cercando di sorridere ogni volta che ne ho l'occasione, cercando di dedicarmi al mio lavoro e di non disperarmi. Ogni parola che hai detto per manifestare i tuoi sentimenti verso il tuo Generale sono stati una pugnalata al cuore per me... eppure non posso ridurmi nello stato in cui ti trovavi tu, lo capisci vero?- concluse il suo discorso sorridendo timidamente. Ricambiai il sorriso ma pensai, non dicendolo, che Tiberio non immaginava nemmeno lontanamente quanto potessi amare Fabrizio, quanto la mia esistenza, come la mia felicità, fossero legate alla sua. Avrei dato vita, anima e corpo per il mio Generale... come potevo riuscire con serenità a vederlo tra le braccia di un'altra?

-Ti ringrazio di tutto Tiberio... delle tue parole e dell'aiuto che mi hai dato...- iniziai, ma l'uomo mi interruppe con un gesto della mano.

-Oltre che è un piacere aiutarti, è anche un dovere: sono un Dottore e il giuramento di Ippocrate(2*), come forse sai, mi impedisce di lasciare un malato in balia della sorte.- disse sorridendo, ora calorosamente.

-Adesso indossa i tuoi abiti, che le ancelle hanno lavato, va alla Villa e affronta tutto e tutti, consapevole del fatto che se avrai bisogno di qualsiasi favore potrai contare su di me- detto questo, il Dottore si alzò dallo sgabello e se ne andò, dopo aver sorriso in maniera solare ancora una volta. Mi rigirai un po' nel letto, indecisa sul da farsi. Dare retta a ciò che mi aveva suggerito Tiberio o no? Riflettendo a mente lucida, capii che l'unica cosa che avrei potuto fare sarebbe stata quella di tornare alla Villa. Una volta li avrei deciso il modo in cui agire: non potevo lasciare Fabrizio senza dargli spiegazioni, senza vederlo un'ultima volta. Mi feci coraggio e mi alzai dal letto: Tiberio aveva ragione, non potevo continuamente fuggire ed abbattermi. Ero una ragazza forte, lo avevo sempre dimostrato, anche quando mi avevano privato di tutto ciò che avevo... ce l'avrei fatta anche questa volta.


 


 

-Dove sei stata tutta la notte, Aurora? Ho temuto il peggio, lo capisci? È già quasi ora di pranzo! Sai cosa ho dovuto fare?- mi chiese Attilia in maniera concitata, più preoccupata che adirata, quando mi presentai al suo capezzale, mentre puliva i pavimenti dei corridoi.

-Attilia io...- iniziai, scusandomi ma lei mi zittì con un gesto:

-Ho dovuto pulire al posto tuo tutto il disastro che avevi combinato, giustificando con Iginia il fatto che avevi fatto tutto quel disastro soltanto perchè avevi fortissimi dolori di stomaco!- fece un profondo respiro, calmandosi e lasciando che le sue guance da rosse divenissero del loro colore naturale.

-Dopo di che mi sono dovuta fare in quattro per svolgere il doppio del lavoro e quando Iginia mi ha chiesto di nuovo dove fossi, ho risposto che eri andata di corsa dal medico perchè ti sentivi troppo male! Iginia era sospettosa e dopo aver dubitato di ciò che le avevo detto perchè non ti vedeva tornare, alla fine se ne è andata a dormire. Sta mattina invece ho dovuto dire che stavi bene e che eri tornata tardi perchè non avevi trovato subito il dottore! Ho detto che stavi in biblioteca a svolgere il tuo compito e non so per quale grazie degli dei ancora non è venuta a vedere se fosse vero!- concluse le sue parole con il fiatone. Pensai che avesse finito, invece continuò:

-Quindi vedi di ripetere quello che ti ho detto ad Iginia, chiaro?- domandò concitatamente. Io annuii convinta e lei fece un sospiro di sollievo.

-Attilia... non ho parole, sei la migliore amica che esista al mondo... mi dispiace di averti fatto passare tutto questo...- dissi mortificata, abbracciandola con affetto. Attilia ricambiò l'abbraccio:

-Aurora, quello che voglio farti capire è che non mi pesa affatto aiutarti, quanto non sapere dove fossi andata, in quello stato di sconvolgimento totale! Sarebbe potuta accadere qualsiasi cosa, te ne rendi conto?- chiese. Io abbassai gli occhi e non risposi: non me ne sarebbe importato nulla, ma non potevo dirglielo, dopo tutto quello che aveva fatto per me.

-Lo so Attilia, ne sono consapevole... ma ti sono davvero grata per tutto ciò che hai fatto per me...- iniziai di nuovo, mortificata, tuttavia Attilia mi zittì di nuovo:

-Non credere che io abbia finito!- esclamò indignata, continuando a parlare a raffica: -Ti consiglio di tenerti alla larga dalle cucine, perchè il capocuoco si ricorda del disastro che hai combinato e ti consiglio anche di restare alla larga dal Senatore: ha inveito tutta la sera per la figuraccia fatta.- questa volta sembrò davvero che avesse finito di dirmi tutto quello che doveva, tuttavia questa volta era il mio turno di fare domande:

-E... Fabrizio? Ha chiesto di me, ha fatto qualcosa? Dov'è ora?- iniziai ponendole questa serie di quesiti. Lei si guardò intorno spaesata, come se volesse fuggire da me e non rispondermi, tuttavia continuai a guardarla intensamente e lei sospirando, disse:

-Mi... mi dispiace Aurora... lui non ha chiesto nulla di te, sebbene sapesse che avevi visto la scena. Aveva soltanto dipinta in viso un'espressione sconvolta, ma non è venuto a cercarti sta notte, nemmeno questa mattina. Ora si trova in Senato poiché deve informare i Senatori di quello che è accaduto in guerra, devono trovare una strategia vincente e credo che, assieme a suo padre, sarà di ritorno soltanto questa sera per celebrare la vittoria...- disse, lasciando in sospeso qualcosa. Sebbene le parole della mia amica mi avessero lasciato dentro un forte senso di abbandono e di vuoto, a causa del totale disinteresse di Fabrizio nei miei confronti, mi accorsi subito che c'era qualcosa che Attilia non aveva detto.

-Attilia, per favore, non sono nelle condizioni di riuscire a sopportare che mi tieni nascosto qualcosa, quindi per favore... ftùne ton batrakon!(3*)- esclamai esasperata. Attilia abbassò lo sguardo, intuendo cosa avessi detto e non riuscendo a sopportare i miei occhi puntati su di lei, disse, quasi come una confessione.

-Questa sera il Senatore darà una festa qui alla Villa, per il ritorno di suo figlio, inviterà il senato e i più importanti membri della politica romana...- iniziò ed io sorrisi: cosa c'era di male in questo? Anzi, ero davvero molto contenta che Fabrizio fosse acclamato in quel modo da suo padre. Attilia continuò:

-E annuncerà il fidanzamento del figlio con Lucrezia.- a quelle parole strinsi i pugni, ferendomi i palmi delle mani con le unghie: cosa avrei potuto fare per impedire il loro matrimonio?


 

La sala era stata riempita di tavoli e triclini, molti più di quanti ce ne fossero di solito. Ogni tavolo era stato imbandito con pietanze di ogni genere: carne, frutta, pane, cereali e vino a non finire, sembrava che le brocche che lo contenevano fossero innumerabili. Avevo assistito io stessa a tutti i preparativi per la serata, dopo aver ricevuto una sgridata infinita dal capocuoco, avevo giustificato i miei comportamenti dicendo che ero stata colta da un malessere improvviso. Dopo averlo convinto che sarei stata più attenta e mi sarei comportata bene, aveva deciso di lasciarmi lavorare insieme alle altre.

Era sera inoltrata ormai, di certo gli invitati non avrebbero tardato ad arrivare, insieme ai Senatori a Fabrizio e... alla sua promessa sposa. Solo pensare quella parola mi provocava un dolore tremendo, ma quella volta ero determinata: volevo vedere la reazione di Fabrizio al momento dell'annunciazione del loro fidanzamento e volevo che lui mi vedesse lì: non mi aveva cercata, non aveva lasciato biglietti per me, come se ad un tratto, dopo l'arrivo di quella donna, io fossi scomparsa. Non avrei lasciato che tutto andasse così: finita la serata, sarei riuscita a trovare il coraggio per parlare faccia a faccia con Fabrizio, per chiedergli spiegazioni sulla questione e non solo. Sapevo che mi sarei fatta del male da sola, vedendoli insieme: non mi importava, volevo essere li in quel momento, volevo vedere se Fabrizio si sarebbe ribellato o no.

Gli invitati iniziarono a varcare l'ampio portone della sala da pranzo, uno dopo l'altro. Per ultimi entrarono il Senatore Galba e suo figlio. In quel momento, ero appostata dietro una colonna e spiavo tutto quello che accadeva nella sala: Fabrizio si sedette tra le risate e le pacche sulle spalle degli altri uomini e tra le occhiate ardenti delle donne. Che il Generale fosse un uomo bello e di presenza, nessuno ne aveva dubbi e aggiungendo a ciò il fatto che era un eroe, gagliardo e senza paura, era considerato sicuramente come un principe da molte altre donne... come lo era per me. Scossi la testa e giunse il momento di iniziare a servire a tavola: come avevo promesso al capocuoco, prestai la massima attenzione ad ogni mia mossa, non distogliendo l'attenzione da tutto quello che avveniva nella sala. Non appena mi vide, Fabrizio, il cui triclinio si trovava tra quello di suo padre e quello della sua promessa sposa, divenne leggermente nervoso. Potevo notarlo dal modo in cui si muoveva sul triclinio e dalle occhiate che, di sottecchi, mi lanciava. Ad un tratto lo guardai intensamente, così tanto da fargli abbassare lo sguardo: mi sentivo combattiva quella sera e gli avrei fatto capire che ero determinata a fare qualsiasi cosa pur di tenerlo al mio fianco. La serata trascorse, tra risate e bevute, molto più tranquilla di quanto mi aspettassi: sebbene Fabrizio conversasse con Lucrezia in maniera cordiale e gioviale, non sembrava prestarle l'attenzione che si sarebbe dovuta ad una promessa sposa. Per un attimo, fui così presuntuosa da pensare che lo stesse facendo per dimostrarmi che amava solo me... purtroppo, non appena formulai quel pensiero, il Senatore Cornelio si alzò in piedi e disse con voce autoritaria e possente:

-Signori, un attimo di attenzione per favore- iniziò e subito tutta la sala si fece attenta e silenziosa -Questa sera, era giusto celebrare il ritorno di mio figlio che, nonostante tutto, porta buone notizie. Ho voluto rendere onore al suo coraggio in battaglia e al suo cuore che rispecchia quello di un vero cittadino romano! Inoltre- e qui fece una pausa ad effetto, per assicurarsi che tutti lo stessero ascoltando -sono qui per annunciarvi il fidanzamento di mio figlio, con la nipote di un nostro stimato e fidato Senatore: Matrona Lucrezia- a quel punto, i promessi sposi si alzarono in piedi, inchinandosi al cospetto degli invitati. In quel momento proruppe un fortissimo applauso, seguito da grida di giubilo, le flautiste iniziarono a suonare e davanti ai miei occhi, Fabrizio chiese a Lucrezia di ballare. Nonostante i buoni propositi, quello fu troppo per me: le lacrime iniziarono senza che me ne rendessi conto a rigare il mio viso e restai impalata con vassoio di pietanze in mano. Dopo aver ricevuto una piccola spinta da un'altra ancella, sotto lo sguardo attonito di Fabrizio, portai il vassoio a tavola e me ne andai, quasi correndo. Di certo non gli erano sfuggite le lacrime che mi rigavano il volto, purtroppo. Non mi accorsi che, in quel momento, Fabrizio prese un'otre di vino e iniziò a bere.


 


Le voci e le grida della festa echeggiarono per tutta la notte, mentre, senza riuscirci, tentavo di dormire, nella stanza delle ancelle. Nessuna di loro, a quell'ora, era a dormire, ma io si: ero riuscita a volatilizzarmi e nessuno si sarebbe accorto della mia assenza, nella confusione generale. I Carmina Triumphalia cantati dagli invitati giungevano alle mie orecchie, riuscendo anche a farmi sorridere, a causa delle parole:


Urbani, servate uxores: moechum pulchrum adducimus.

Aurum Canne effutuisti, hic sumpsisti mutuum (4*)


Era di uso comune cantare quel genere di cose durante il trionfo, servivano non solo ad esaltare le imprese degli eroi, ma approfittando della festa, venivano utilizzate rime forti e sagaci per prendere in giro il comandante.

Il tempo passò, la mia testa era persa nei pensieri, che ruotavano tutti intorno allo stesso argomento: Fabrizio e il suo matrimonio. Una delle cose che mi lasciava più triste e vuota, era il fatto che lui non mi avesse ancora cercata! Non credeva che io dovessi aver bisogno delle sue spiegazioni, delle sue stupide parole confortanti o anche, semplicemente di averlo al mio fianco? No, era a conoscenza di tutto ciò, eppure non aveva fatto nulla per me! Cosa credeva, di potermi far fare ciò che voleva e occasionalmente sperperare belle parole per me? Travolta da tutti quei pensieri e consapevole che quella situazione fosse così intricata da essere quasi senza via d'uscita, decisi: sarei andata da Fabrizio e gli avrei detto tutta la verità, chi ero veramente, perchè avessi agito in quel modo in quei mesi... non mi interessavano le conseguenze. Avrei tentato il tutto per tutto pur di riprendermelo, pur di non lasciare il mio Fabrizio nelle mani di quella donna. Avrei fatto qualsiasi cosa per il mio amore, anche se in quegli ultimi giorni sembrava che di me non gli importasse nulla. Corsi a più non posso lungo i corridoi della Villa, con un sorriso stampato sulle labbra: sicuramente dire la verità sarebbe servito a qualcosa, il Generale avrebbe capito qual'era la cosa giusta da fare, poichè ero una nobile anche io. Se avessero voluto torturarmi per estorcermi informazioni, sarei stata contenta di fornirgliele, ma nulla mi avrebbe separata da Fabrizio. Forse, se si fosse venuto a sapere che io ero una Principessa e l'ultima erede al regno di Macedonia, avrei potuto sposare Fabrizio. Non sapevo se la mia ipotesi fosse corretta, ma ormai non avevo nulla da perdere. Arrivai con il fiatone davanti alla porta della sua camera e aprii l'uscio di scatto, piena di speranze e di sogni. Ad attendermi c'era una brutta sorpresa, però, la più brutta a cui avessi assistito durante la mia vita: nel letto della camera di Fabrizio giacevano Lucrezia e il Generale, i vestiti gettati a terra. Nelle prime luci dell'alba, vidi il volto di Fabrizio con le gote rosse e gli occhi spalancati. La donna, invece, dormiva accoccolata al suo petto, il viso rilassato in un'espressione beata. Fabrizio voltò lo sguardo verso di me a causa del rumore provocato dalla porta che si apriva. Il suo sguardo inizialmente pensieroso diventò incredulo non appena mi vide, ma non gli diedi tempo di fare qualsiasi cosa che me ne andai sbattendomi la porta alle spalle: Fabrizio mi aveva tradita.


Note dell'autrice


(1*) Le donne romane importanti e nobili erano chiamate “Matrone”

(2*) Il Giuramento di Ippocrate I viene proclamato dai medici prima di iniziare la professione. Prende il nome da Ippocrate, importante medico Greco, a cui il giuramento è attribuito; la data di composizione non è definita, ma pare certo non preceda il IV Secolo a.C.

(3*) “Ftùne ton batrakon”, traslitterazione di “φτύνε τον βατραχον”, espressione greca che vuol dire “sputa il rospo”

(4*) I Carmina Triumphalia erano brevi componimenti poetici che, secondo un uso assai antico, venivano cantati durante le cerimonie del trionfo, dai soldati che seguivano il carro del comandante vittorioso. I soldati non si limitavano a esaltare le imprese del condottiero ma, approfittando del clima gioioso della festa, inserivano nelle canzioni battute scherzose e motteggi salaci nei confronti del comandante. Essi avevano anche funzione apotropaica e, enunciando anche i difetti del condottiero, facevano si che l'invidia degli dei venisse scacciata. Il Carmen riportato significa:

Civili, state attenti alle mogli, vi portiamo il bell'amatore

L'oro a Canne te lo sei fottuto in donne, qui (a Roma) l'hai preso a prestito.


Buonasera a tutti, questa volta eccomi qui, puntuale come avevo promesso e come sarò nel tempo che verrà. Prima di dire qualsiasi cosa, premetto questo: sì, Fabrizio ha tradito Aurora, non ci sono fraintendimenti, visioni o sogni. ha fatto ciò che non doveva. Non odiatemi per questo, tutto ha un suo motivo e a suo tempo verrà spiega il deplorevole comportamento di Fabrizio, tuttavia ho aggiunto questa scena per il seguente motivo: i personaggi sono esseri umani e se fossero perfetti perderebbero la loro verosimilità. Fabrizio è un uomo come gli altri, ha compiuto i suoi errori ma a suo tempo tutto andrà al proprio posto.
Detto questo, sono proprio contenta che qualcuno abbia già visitato la mia pagina facebook, appena raggiungerò circa 25 mi piace aggiungerò un altro SPOILER, spero che la pagina vi piaccia. Ripeto: se qualcuno volesse farmi un banner gli sarei davvero molto grata! Credo di aver detto tutto, aggiornerò Domenica prossima, ringrazio tutti per le recensioni e anche i lettori silenziosi, qui sotto lascio il link della mia pagina, accorrete numerosi!
Saluti

_Renesmee Cullen_


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Capitolo 21
*** Addio ***


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CAPITOLO 21 - Addio


 

Sbattei la porta alle mie spalle e rimasi immobile: non una lacrima uscì dai miei occhi, nè un lamento dalla mia bocca. Restai con la schiena appoggiata al muro vicino alla camerai Fabrizio e poi, con passo tranquillo, mi avviai verso la stanza delle ancelle, mentre nella mia mente si era ormai impressa l'immagine di Fabrizio, che giaceva nel letto con un'altra donna. Non riuscivo, tuttavia, in quel momento, a ralizzare davvero cosa fosse successo. Nella mia testa apparivano molteplici immagini e nelle orecchie risuonavano numerose parole, ma ero certa soltanto di una cosa ero stata una stupida. Mi ero illusa di poter piacere... a un Generale romano! Come ero riuscita a immaginare una sciocchezza simile? Lui invece si era solo preso gioco di me, mi aveva usata come un giocattolo che poi, quando viene regalato uno migliore, si butta. Nel mio caso, il giocattolo migliore era una venticinquenne bionda, probabilmente più bella di me e di certo più pratica su certe questioni. Strinsi i pugni, Iginia aveva sempre avuto ragione, su tutto: mai mi sarei dovuta innamorare di Fabrizio... ora, purtroppo, era troppo tardi poichè il mio cuore apparteneva interamente e completamente a lui.

Aprii la porta della camera delle ancelle e mi gettai sul mio letto, con una calma che mai avrei creduto potessi possedere, in una situazione simile. Chiusi gli occhi, pensando, stupidamente, che sarei riuscita a dormire, dopo tutto quello che avevo visto con i miei occhi. Abbassai le palpebre e subito le immagini di quei due che giacevano insieme si facevano strada nella mia mente, mentre si accavallavano quelle mie e di Fabrizio insieme. Il mio cervello si trovava nella confusione più totale, mentre un milione di domande continuavano a farsi strada tra i miei pensieri: Fabrizio mi aveva solo usata per divertirsi? Perchè io e non un'altra, visto che sicuramente c'erano ragazze migliori di me, a Roma? Se, invece, mi amava così tanto come sosteneva, perchè subito era corso tra le braccia di un'altra? Forse Eros(1*) aveva colpito con la sua freccia i cuori di Fabrizio e Lucrezia unendoli inevitabilmente, facendo in modo che tutto quanto era successo, fosse opera di una divinità superiore? Mentre la mia mente continuava a produrre congetture, l'alba si avvicinava e nemmeno per qualche minuto Morfeo riuscì a lambire la mia mente.

Ad un tratto, proprio mentre stavo per entrare in una sorta di dormiveglia tormentato dai ricordi, il gallo cantò e di conseguenza, piano piano tutte le ancelle iniziarono ad alzarsi, a lavarsi e a prepararsi per iniziare una nuova e stancante giornata di lavoro. Io feci altrettanto, con la testa che sentivo pesante a causa del sonno mancato. Mi specchiai sulla superficie d'acqua di una bacinella: avevo due occhiaie così nere che sembrava me le fossi procurate con della fuliggine. A rilento, senza nemmeno salutare Attilia e senza pensare di dover andare a fare colazione, mi avviai con passo lento e pesante verso la Biblioteca. Una volta arrivata, aprii la porta con le chiavi ma non feci in tempo ad arrivare alla scrivania che, a causa della stanchezza, mi accasciai a terra contro il muro, prendendomi le ginocchia tra le braccia. Vi ppoggiai la testa e mi appisolai tranquillamente, senza pensare alle conseguenze delle mie azioni: avevo passato una notte insonne, come potevo farlo? Sonnecchiai beatamente e per la prima volta, da mesi, senza pensare inspiegabilmente a nulla, quando la porta della Biblioteca si aprì all'improvviso, con un colpo secco e deciso. Alzai la testa dalle ginocchia molto lentamente ma quando vidi chi si trovava davanti a me, balzai in piedi come se mi avesse morso una tarantola.

Fabrizio mi guardò con i suoi occhi neri in maniera tranquilla, forse troppo per quella situazione in cui ci trovavamo. Mi squadrò da capo a piedi, forse incuriosito di avermi trovata seduta a terra a dormire e per un attimo, quando mi guardò negli occhi, un lampo di tristezza gli attraversò il viso, ma prima che potessi esserne certa, abbassò lo sguardo, fuggendo il mio.

Inizialmente sembrò non volesse dire nulla poichè non parlò, continuando invece a tenere fissi gli occhi sul pavimento, mentre la mia ansia cresceva di minuto in minuto, non sapendo cosa volesse dirmi. Voleva forse chiedere perdono per tutto quello che era successo, ammettere di aver sbagliato o dire che ero il suo unico e grande amore? Sarebbero bastate solo quelle parole per riuscire a farsi perdonare dopo tutto quello che mi aveva fatto e il dolore che mi aveva causato?

Cercai di nuovo il suo sguardo e quando infine riuscii a catturarlo, non resistetti: nulla avrei negato a quei due occhi neri, nemmeno il perdono. Sarebbe bastata una sua parola e gli avrei creduto, gli avrei dato un'altra possibilità e l'avrei perdonato.

Fabrizio aprì la bocca, una, due, tre volte, volendo dire qualcosa ma non riuscendoci e ogni volta il mio sguardo si accendeva e il cuore iniziava a battere più forte... avevo creduto che quel momento non sarebbe mai giunto. Come una stupida iniziai a sorridere ma quando il Generale, infine, parlò, l'unica cosa che avrei desiderato era quella di non aver mai osato sperare tanto:

-Devi andartene- il suo tono di voce era freddo e distaccato e sarebbe riuscito a congelarmi anche se ci fossimo trovati in una giornata di piena estate.

-C-cosa?- balbettai controbattendo, incredula -Che lavoro dovrò fare se non stare in Biblioteca? Ho forse rovinato qualche pergamena o rovistato in luoghi in cui non dovevo?- chiesi titubante e preoccupata, sentendomi subito in colpa: probabilmente non avevo svolto bene il mio lavoro nei giorni precedenti a causa di tutti i pensieri che avevo per la testa e di conseguenza volevano esimermi dal piacere di lavorare in Biblioteca. Mi ricordai che Iginia mi aveva avvertita: i documenti di quella stanza erano molto importanti e se avessi commesso anche un solo errore, questo avrebbe significato il mio cambio di mansione immediato. Quello che disse di novo il Generale mi sconcertò ancora di più:

-Non hai capito, Aurora. Devi andartene dalla Villa, da Roma e non tornare mai più.- il suo tono sembrava indifferente, come se di me non gli importasse nulla, come se fossi un animale e non una persona e non provassi sentimenti. Per un momento rimasi basita e non riuscii a parlare poi, sgomenta a causa di quelle parole, mi riscossi:

-Cosa stai dicendo? Sei forse impazzito, vuoi gettarmi in mezzo alla strada? Non ho un luogo dove andare, nessuno presso cui trovare lavoro e poi sono legata alla tua famiglia a causa del vincolo di schiavitù in quanto progioniera di guerra...- iniziai con veemenza, mentre la parte di me che era molto combattiva veniva a galla all'istante. Perchè Fabrizio mi stava dicendo quelle cose? Quali erano le sue intenzioni?

-Ho già pensato a tutto, dovresi ringraziarmi.- il tono di Fabrizio era calcolato, ma mentre diceva quelle parole, una goccia di sudore gli imperlò il viso, sebbene nella Biblioteca fosse più freddo delle altre stanze della casa.

-Andrai a lavorare presso una famiglia che si trova nella campagna proprio fuori Roma: i latifondi si stanno allargando e i piccoli proprietari terrieri sono obbligati a vendere gli schiavi per riuscire a pagare tutte le tasse. La crisi agraria(2*) non perdona e questa famiglia ha proprio bisogno di mano d'opera. Ti ho offerta come bracciante per aiutarli nei campi e in cambio loro ti daranno vitto e alloggio senza doverti pagare.- concluse. Spalancai gli occhi:

-Tu mi hai venduta?- chiesi in un sussurro, con la gola secca mentre il mio cuore batteva all'impazzata e pensai seriamente che non sarebbe riuscito a reggere quel colpo. Forse sarei morta li, davanti a Fabrizio, di crepa cuore e lui di certo non avrebbe fatto nulal per soccorrermi, visto il modo in cui si comportava.

-Tecnicamente no...- specificò l'uomo con espressione accigliata, fingendosi pensieroso -Non mi hanno affatto pagato- continuò -E ora smettila di fare domande, i particolari ti saranno spiegati non appena andrai in quella casa.- concluse tranquillamente, distogliendo di nuovo il suo sguardo dal mio.

-Non sono capace di lavorare i campi... non l'ho mai fatto, io...- iniziai sussurrando, cercando di trovare un appiglio attraverso argomenti stupidi, sperando di riuscire a convincere il Generale a non farmi andare via.

-Cosa me ne importa? Sono problemi tuoi!- esclamò convinto mentre una vena del suo collo si tendeva impercettibilmente. Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso ed esplosi, tirando fuori tutta la rabbia e il dolore che avevo tenuto dentro da troppo tempo, non preoccupandomi più di ferire Fabrizio o di dire cose crudeli. Iniziai ad urlare, non preoccupandomi nemmeno che qualcuno avrebbe potuto sentirci:

-Tu! Sei uno sporco e sudicio infame! Mi hai imbrogliata e illusa fin dal principio, mi hai riempito di belle parole, di promesse che sapevi non avresti mai mantenuto- iniziai e ancora una volta il Generale non ebbe il coraggio di guardarmi, come se avesse dovuto nascondermi qualcosa. Infuriata mi avvicinai a lui di qualche passo:

-Guardami in faccia quando ti parlo! Che c'è, hai paura che ti dica la verità? Fa male vero?- e dopo quelle parole, con molta lentezza Fabrizio alzò il suo sguardo su di me: i suoi occhi erano velati di sconforto, me ne accorsi, ma non me ne curai, poichè quella era solo una farsa per intenerirmi. Come poteva pensare che stessi tranquilla dopo tutte le cose orribili che mi aveva detto? Fissai il mio sguardo nel suo, spietatamente:

-Sei la persona più ipocrita che io abbia mai conosciuto! Sapevi che ti amavo, te lo avevo confessato perchè credevo che anche tu provassi la stessa cosa per me e tu cosa hai fatto? Hai giocato con me e con i miei sentimenti, da sempre, sapendo che questo mi avrebbe distrutta. Alla prima occasione te ne sei andato tra le braccia di un'altra, solo perchè lei è più bella di me e dopo di questo non mi hai nemmeno cercata, quasi come se tutto quello che è successo tra noi ti fosse stato dovuto, non pensando nemmeno a quello che provassi o sentissi io!- nemmeno una lacrima uscì dal mio viso, il mio corpo non era più in grado di tirarne fuori. Tenevo i pugni stretti e lo fissavo e lui, forse per il senso di colpa, voltò la faccia di lato. Continuai, mossa dalla disperazione e dal mio cuore ridotto in mille pezzi: -Io ti ho aspettato mentre eri in guerra, ho pianto e mi sono disperata dopo la tua presunta morte. Tu cosa hai fatto? Sei tornato e nemmeno quattro giorni dopo sei caduto ai piedi di un'altra che nemmeno conosci! Perchè, Fabrizio, perchè hai scelto me e non un'altra? Conoscevi i miei sentimenti, perchè hai voluto farmi soffrire? Sono solo un passatempo per te? - ribadii quel concetto più volte, poiché mi aveva lasciato più a pezzi e più sconcertata degli altri. Cosa gli avevo fatto di così brutto per meritarmi il trattamento che mi aveva riservato?

-Ora, che sono di troppo perchè tu hai il tuo felicissimo matrimonio da celebrare, mi mandi via, non pensando di nuovo a quello che provo e che penso. Sei solo un egoista! Oltre a te, ci sono persone a cui tengo qui e non avrei mai voluto lasciarle. Cosa te ne importa di quello che pensa una stupida serva, un giocattolo?- chiesi retoricamente con forza, mentre iniziavo a perdere la voce a causa di tutte quelle grida.

-Mi dispiace...- disse Fabrizio piano, con un tono di voce accorato che, ora, dopo tutto quel trambusto, sembrava davvero il suo, ma quasi fuori luogo. Non riuscii a credere a quella farsa e continuai a parlare:

-Ti dispiace, vero? Sai dire solo questo? Di cosa? Di avermi ingannata, di avermi promesso cose non avresti mai mantenuto, di avermi fatto soffrire come un animale a causa delle tue decisioni, usata, per poi abbandonarmi?- in quel momento, non riuscendo più a gridare a causa della voce roca e delle corde vocali in fiamme, mi calmai, tuttavia non frenai il fiume di parole che usciva dalle mie labbra:

-A me dispiace soltanto di averti incontrato, di essermi innamorata di te e di aver condiviso cose che mai avrei voluto con persone come te, che non si meritano nemmeno una parola gentile.- La rabbia andava mano mano scemando e sentivo il mio corpo che veniva abbandonato da tutta quell'energia che l'aveva pervaso in precedenza. Sebbene sapessi che non avrei retto quella situazione ancora a lungo e che sarei crollata, la mia lingua non si fermava ancora:

-Va bene, sarà come dici tu, me ne andrò, scomparirò dalla tua vita, non mi vedrai mai più. Questo impedimento che non ti fa giungere alla felicità se ne andrà all'istante, come tu hai deciso. Prima però voglio farti un'ultima domanda e sta sicuro che dopo non sentirai più nulla uscire dalla mia bocca.- feci una pausa per prendere coraggio e fiato e domandai:

-Tu non mi hai mai amato, vero? Ti eri invaghito di me e volevi portarmi a letto per divertirti, non è così?- chiesi e conoscevo già la risposta, ma avevo bisogno di sentirla per riuscire ad andarmene davvero, per provare a costruire una nuova vita senza di lui. Fabrizio mi guardò negli occhi, ma poi fissò lo sguardo sul pavimento e disse:

-Si. È così- nessun'altra parola uscì dalle sue labbra e io, lentamente, mi avvicinai a lui, come avevo fatto già troppe volte.

-Dimmelo guardandomi negli occhi. Fallo e dimmi che non mi hai mai amata, che sono stata solo un passatempo per te, che mi hai mentito su tutto.- dissi di nuovo. Lui alzò lo sguardo su di me, si morse un labbro ma non pronunciò nessuna parola. Aspettai qualche istante, poi sospirai:

Non riesci nemmeno a dirmi la verità in faccia, vero? Cos'è, ti senti in colpa dopo tutto quello che ti ho detto? Sappi che penso ogni singola parola che ho detto, non è vero che quando si è arrabbiati si dicono cose che non si pensano, io penso ogni cosa. Sei un verme, mi fai schifo.- conclusi e mi voltai, uscendo dalla porta e sbattendola alle mie spalle. Sarebbe stato inutile rivelargli la mia vera identità e in quel momento decisi che non l'avrei confessata a nessuno e ancora una volta l'avrei tenuta per me. Non valeva la pena dire la verità a Fabrizio, visto che lui non l'aveva fatto con me. Camminai spedita verso la stanza delle ancelle, per preparare i pochissimi effetti personali che avevo, ma non vidi Fabrizio che, dentro la Biblioteca, si inginocchiava a terra e singhiozzava disperatamente.


 

Tutto era pronto, presi il cesto in mano e sospirai. Ci avevo messo poco a preparare tutta la mia roba, non appena ero fuggita dalla Biblioteca avevo disposto tutto in fretta e furia, ansiosa di andarmene. Non erano molti gli oggetti che portavo con me: la veste che indossavo appena arrivata a Roma, la cartina della città che mi aveva regalato Fabrizio, tutti i suoi bigliettini, che avrei tenuto stretti al cuore fino al resto dei miei giorni, un paio di calzari di riserva e un pettine che mi aveva regalato tempo prima Attilia per strecciare i capelli la mattina. Sapevo che avrei dovuto salutare la ragazza e Iginia, ma non ne avevo il coraggio: avevo sempre detestato gli addii e di certo non volevo farlo con quelle due donne, a cui tanto tenevo e che molto avevano fatto per me. Con passo incerto mi avviai verso la porta di servizio, per uscire definitivamente dalla Villa: non volevo salutare nessuno e andarmene silenziosamente, come se non fossi mai esistita. Il fatto che Fabrizio mi avesse paragonata ad un impedimento alla sua definitiva felicità mi pesava sul cuore come un macigno. Una volta uscita dalla Villa, tuttavia, una sorpresa mi aspettava: Attilia e Iginia si trovavano davanti a me, mentre sorridevano tristemente, cercando di trattenere le lacrime.

-Pensavi che ti avremmo lasciata andare via senza salutare?- chiese Iginia venendomi incontro, abbracciandomi calorosamente. Subito dopo Attilia fece lo stesso, non riuscendo a proferire parola a causa della tristezza.

-Fabrizio mi ha avvertita di ciò che è successo e del fatto che devo darti delle informazioni per arrivare a quella casa...- iniziò titubante e sentire il nome di Fabrizio mi provocò all'istante de brividi sulla schiena. Non sapevo fino a che punto Iginia fosse a conoscenza di tutto ciò che era accaduto, ma scossi la testa per non pensarci, perchè ormai non aveva più alcuna importanza, così annuii, facendo cenno di aver capito.

-Appena uscita dalle mura di Roma, ti troverai in mezzo alla campagna. Prosegui sul viale che si trova al centro dei campi, è l'unico che c'è, non puoi sbagliarti. Ci vorrà un po', non è esattamente qui vicino, anche se con il carro, non ci vuole più che mezz'ora per arrivare. Tu dovrai camminare un po' di più. Prosegui su quel viale dove trafficano molte persone e cerca di arrivare a destinazione prima che diventi buio: le strade fuori Roma sono pericolose per una ragazza sola, di notte.- a quelle parole, pensai che Fabrizio nemmeno si era curato della mia sicurezza durante il viaggio. Mi attanagliò di nuovo lo sconforto, ma cercai ancora una volta di non pensarci: dovevo essere forte in quel momento più che mai.

-Dopo aver camminato un po', troverai alla tua destra una casa: è quella di un commerciante. In quel punto la strada si dirama in due: bada bene a prendere la strada che si trova a destra e non quella a sinistra: conduce verso un luogo dove è meglio che tu non arrivi.- disse e non approfondì la questione, continuando invece a fornire informazioni: -Prosegui per quella stradina fino a quando non inizieranno a comparire dei campi di grano e di ortaggi. Supera tre case, proprio tre, dopo di che ti troverai di fronte a un bivio. Prendi la strada a sinistra e dopo qualche tempo troverai alla tua destra una casa: quella è la tua destinazione- concluse Iginia. Mi feci ripetere tutto altre due volte, per essere sicura di aver capito bene, dopo di che arrivò il momento di dirsi addio.

-Aurora...- iniziò Attilia -Sappi che verrò a trovarti non appena potrò, è una promessa! Mi auguro che ti troverai bene con questa nuova famiglia, certo, mai bene quanto ti trovavi qui perchè c'ero i a farti compagnia e a riempirti di chiacchiere- specificò la ragazza e questo mi fece sorridere -Ma ti auguro davvero un futuro felice... e la tua migliore amica non ti dimenticherà mai, ricordatelo sempre!- esclamò, non continuando a parlare a causa delle lacrime. La abbracciai forte, tristemente:

-Attilia, sei la migliore amica che una persona avrebbe mai potuto desiderare... anche io ci sarò sempre per te, aspetterò tue visite allora! Mi raccomando tieni d'occhio la nostra Iginia, non vogliamo che combini qualche guaio!- esclamai, non sapendo cos'altro dire per alleggerire l'atmosfera di quel momento triste.

-Senti chi parla, l'ancella più imbranata che conosca!- esclamò commossa. Anche lei mi abbracciò forte e io sospirai:

-Grazie di tutto Iginia, sei stata come una madre per me, se solo avessi ascoltato i tuoi consigli... - interruppi la frase, non riuscendo a dire altro. Sorrisi un'ultima volta, mentre Iginia diceva, senza forzarmi a parlare:

-Tu sei stata come una figlia per me- e dopo aver detto ciò, mi sciolsi la targhetta che portavo appesa al collo che dichiarava la mia appartenenza alla famiglia di Fabrizio, la gettai a terra tra la polvere, mi voltai e sparii tra le strade di Roma.


 

Il viaggio durò più del previsto: sebbene fossi partita dalla Villa in tarda mattinata, ci volle un po' prima che arrivassi alle mura di Roma e una volta uscita, camminai forse troppo lentamente per il percorso che invece dovevo compiere. Arrivai al bivio che aveva predetto Iginia quando era già primo pomeriggio e le strade, man mano che mi addentravo nella campagna, si facevano sempre meno agevoli e più strette. Le persone che trafficavano le vie erano sempre meno e più il tempo avanzava più in me cresceva la paura di poter incontrare qualche losca figura.

Lungo il tragitto ebbi modo di pensare che non ero nemmeno riuscita a salutare il Dottor Tiberio, che tanto aveva fatto per me, nonostante tutto. Scossi la testa: non ero di certo un'ingrata o una maleducata e molto presto sarei tornata a Roma, magari anche per svolgere delle commissioni per la nuova famiglia, e sarei andata a ringraziarlo. Durante il viaggio i pensieri su Fabrizio si facevano strada nella mia mente in continuazione, uno di seguito all'altro ma puntualmente cercavo di scacciarli, contando quante pietre incontravo lungo il mio cammino o cercando di ammirare la bellezza del paesaggio rurale. La campagna romana era dipinta di colori caldi come giallo, marrone e verde, che riuscivano a ritemprare corpo ed anima.

Proseguii i viaggio, incontrando la prima delle tre case che aveva preannunciato Iginia mentre il sole iniziava a tramontare e quando sentii le gambe che non riuscivano più a sorreggermi a causa del troppo cammino percorso e lo stomaco che brontolava per la fame, arrivai alla mia destinazione.

La casa, che di dimensioni era di certo molto più minuta della Villa, aveva un aspetto curato, fresco e gioviale: da fuori non sembrava essere grande, ma i campi che si stagliavano intorno erano sconfinati. Mi chiesi subito: come avrei fatto a lavorare in quel luogo disperso nel nulla, io che odiavo i luoghi in solitudine e che amavo invece la vita in città, tra persone e pettegolezzi? Cosa avrei fatto se i padroni si fossero comportati in maniera dispotica e crudele nei miei confronti? Cercai di non pensare troppo e, facendomi coraggio, bussai vigorosamente all'unica porta che vedevo: non c'erano porte di servizio. Da dentro, sentii qualche rumore e delle voci:

-Deve essere la ragazza che doveva arrivare oggi per aiutarci con i lavori- disse una voce femminile.

-Non è un po' tardi per arrivare? È quasi buio!- controbatté invece una voce maschile, sicuramente quella di un uomo anziano.

-Abbiamo nuove bimbe a casa, madre?- disse una voce dolce ed infantile, che mi fece sorridere. Improvvisamente l'uscio della porta si aprì, facendomi sussultare e ne fece capolino un ragazzo biondo dagli occhi azzurri:

-Tiberio!?- domandai incredula, spalancando la bocca. Il Dottore sorrise e i suoi occhi si illuminarono.


Note dell'autrice:


(1*) Eros è, nella religione greca il dio dell'amore fisico e del desiderio. La sua figura compare per la prima volta nell'Iliade di Omero.

(2*) Dopo la Seconda Guerra Punica iniziò a Roma una profonda Crisi Agraria causata dall'abbondanza del grano, con conseguente crollo dei prezzi e dal reclutamento dei contadini. Questi, impossibilitati a coltivare i campi durante il servizio militare, perdevano le loro ricchezze e erano obbligati a indebitarsi con i grandi proprietari terrieri, pagando attraverso schiavi e campi. Mentre i contadini diventavano sempre i più poveri, i grandi proprietari si arricchivano sempre di più, così che i loro possedimenti diventavano dei veri e propri latifondi. Coloro che perdevano ogni possedimento erano obbligati a diventare schiavi, in quanto nullatenenti. Tiberio e Gaio Gracco, in seguito, cercarono di  migliorare la situazione a Roma ma solo l'Imperatore Augusto, molti anni dopo e non completamente, riuscì a migliorare la situazione dello stato.

Buonasera a tutti!
Mi dispiace infinitamente di aver pubblicato il capitolo non corretto, ma ho preferito pubblicarlo così che ritardare... cerco sempre di mantenere le mie promesse!
Ora ho corretto il capitolo e posso aggiungere qualche nota:
innanzi tutto non giudicate troppo male Fabrizio per quello che ha fatto. A prima vista può sembrare che sia un "verme" e un "infame", come ha detto Aurora, ma nulla è lasciato al caso... ogni azione del nostro Generale ha un suo motivo... ( vi ricordo che una certa Filenide bazzica all'interno della Villa). Seconda cosa: anche sulla mia pagina di facebook (link qui sotto) ho chiesto molto se qualcuno volesse farmi un banner ma nesusno si è offerto quindi mi dispiace ma dobbiamo tenerci quello che ho fatto io, perchè non so fare di meglio! Se c'è qualcuno che può spiegarmi come fare il "trailer" della mia storia, provo anche a farlo! Quando arriverò circa a 35-40 mi piace sulla pagina Facebook pubblicherò un nuovo SPOILER. (E che spoiler!)
Pubblicherò Domenica e spero di riuscire a mettere un capitolo già corretto! Ringrazio infinitamente tutti coloro che leggono e\o recensiscono questa storia... le vostre recensioni mi danno la voglia per continuare sempre a scrivere e a dare il meglio di me! GRAZIE
un saluto

_Renesmee Cullen_


Link pagina Facebook: https://www.facebook.com/pages/Ex-Scintilla-Incendium-Oriri-Potest/615752951820950?ref=hl

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Capitolo 22
*** Virtù e coraggio ***


CAPITOLO 22 – Virtù e coraggio


 

Il mio viso aveva un'espressione incredula come non mai: che cosa ci faceva Tiberio in quella casa? Era possibile che tra tutte le proprietà in cui dovevo andare a lavorare, Fabrizio avesse casualmente scelto la casa di Tiberio? Ricordavo, inoltre, che Tiberio abitava in città, a Roma... come poteva trovarsi lì, in quel momento?

-Buonasera Aurora... ti aspettavamo qualche ora fa!- esclamò sporgendosi di lato, con aria sollevata, facendomi cenno di entrare dentro la casa. Non appena entrai non potei fare a meno di notare la differenza tra le dimensioni della Villa del Senatore e quella dell'Insula(1*). Nonostante ciò, la casa era arredata con buon gusto e dalle finestre entrava molta luce, che si riversava su tutti gli ambienti. Quando entrai nell'atrio(2*) trovai davanti a me alcune persone ad attendermi: una signora che doveva avere più o meno quarant'anni, di media statura e di corporatura robusta, con vividi occhi azzurri e capelli che, una volta, dovevano essere stati biondi ma che con l'età diventavano sempre più grigi. Supposi che quella fosse la madre di Tiberio, poiché se non fosse stato a causa dei capelli sbiaditi e di alcune rughe che le rigavano il volto, sarebbe potuta sembrare sua sorella gemella. Un uomo ormai molto anziano, che si trovava vicino alla donna, mi sorrideva più giovialmente di quanto mi sarei mai aspettata sotto lunghi baffi e una folta barba bianca.

Infine abbassai lo sguardo e vidi che a completare il piccolo quadretto domestico c'era un bambino che doveva avere al massimo otto anni, gracile e con profonde occhiaie nere che gli solcavano il viso. Quella vista mi scosse un poco, non capendo come un bambino così piccolo potesse avere quell'aspetto malaticcio, ma subito mi sorrise. I suoi occhi, al contrario di quelli di Tiberio, erano grigi, del colore del cielo quando ci sono le nuvole. Mi ricordai che tutti mi stavano guardando, aspettandosi una risposta alle parole del Dottore e mi scossi:

-Mi dispiace di aver fatto ritardo... ci ho messo un po' ad arrivare perchè ho camminato molto lentamente... pensavo che la casa fosse più vicina.. mi metterò subito all'opera- iniziai a parlare molto velocemente, non volendo dare una cattiva impressione il primo giorno di lavoro. Tiberio trattenne una piccola risata e disse:

-Non preoccuparti, ti stavamo aspettando per la cena!- esclamò. In quel momento altre mille domande mi affollarono il cervello: ormai avevo capito che mi trovavo nella casa della famiglia di Tiberio, anche se non mi erano ancora chiari i rapporti di parentela che legavano le persone di quella casa, ma non riuscivo a capire come fossi finita li dentro, se fosse stata tutta una coincidenza o meno e se non lo era, perchè mi trovavo proprio lì? Avrei voluto chiedere come mai quel bambino sembrava sul punto di crollare a terra da un momento all'altro e per quale motivo mi stavano tutti aspettando come quando si attende un ospite. Tenni tutte quelle domande per me, comunque, perchè l'esperienza mi aveva insegnato a non farle, soprattutto in una nuova famiglia di cui non si sa nulla e quando si è appena arrivati. Cosa non meno importante, poi, che cosa voleva dire che mi stavano aspettando per la cena? Già dovevo mettermi all'opera? Respirai profondamente, pronta a lavorare e dissi:

-Benissimo Signori, ditemi tutto ciò che devo fare e lo farò subito!- il mio tono di voce era pacato e calcolato ma quando parlai, suscitai una reazione che mai mi sarei aspettata: la madre lanciò uno sguardo interrogativo al figlio, che sorrise mestamente.

-Aurora, ti presento mia madre, Marcella- disse Tiberio ignorando completamente quello che avevo appena affermato e indicò colei che già avevo compreso fosse sua madre, che mi sorrise dolcemente e mi inchinai al suo capezzale, mentre il dottore proseguiva con le presentazioni:

-Questo è mio nonno, Ruffinio...- ma non riuscì a finire di parlare, che l'uomo lo interruppe dicendo:

-Chiamami pure nonno Rufo!- la sua voce era appena rauca ma allegra e Tiberio sorrise, continuando:

-Questo, infine, è il mio fratellino, Vinicio.- concluse. Mi inchinai nuovamente, anche se tutti sembrarono molto spaesati dal mio gesto.

-Tu ti chiami Aurora, vero bella Signora?- mi chiese il bambino, tirandomi la veste per attirare la mia attenzione. Sorrisi incerta e annuii. Lui sorrise e batté le mani, contento. Guardai Tiberio, spaesata, mentre diceva:

-Loro già sanno chi sei, ho parlato molto di te...- si interruppe dopo quest'affermazione, per poi continuare:

-Aurora... appoggia le tue cose qui nell'atrio, verremo a riprenderle dopo, ora vieni a mangiare con noi, ci sono molte cose che devi sapere.- Nella confusione che mi provocarono quelle parole, mi prese per un braccio e mi portò con sé.


 

Stesa sul letto di una modesta ma graziosa e pulita sala da pranzo, pensai che era da tanto, troppo tempo, che non mangiavo insieme ad altri, stesa attorno a un tavolo. Quando mi trovavo alla Villa, consumavo i pasti per lo più in Biblioteca o vagando per le strade di Roma. Quel clima mi fece sentire a casa e, per un attimo, sorrisi sinceramente. Quando, poco prima, mi ero mossa per andare nella cucina, adiacente la sala, per condurre le portate al tavolo, la madre di Tiberio mi aveva fatto un cenno e mi aveva quasi obbligata a non muovermi dal triclinio. Tutto ciò mi aveva lasciato molto spaesata e, dopo aver iniziato a mangiare, Tiberio iniziò a parlare:

-Ebbene, Aurora, credo che sia venuto il momento di spiegarti quale sarà il tuo compito in questa casa- dalle sue intenzioni non sembrava avesse voglia di chiarire per quale motivo fossi finita lì... stetti ad ascoltare, comunque:

-Mia madre, sebbene sia bellissima e si mantenga in forma per l'età che ha- disse ammiccando verso la madre, che fece un gesto di noncuranza dicendo:

-Non dare retta a mio figlio... è un adulatore!- la donna era davvero lusingata dai complimenti del figlio e questo mi fece sorridere: vedere un figli e una madre che andavano d'accordo era sempre piacevole. Prestai di nuovo la mia attenzione a Tiberio, che continuò a parlare:

-Dunque, dicevo... mia madre non riesce a svolgere tutte le mansioni da sola, soprattutto quando mio nonno non può aiutarla e nemmeno il mio fratellino... dunque ti abbiamo assunta per aiutare mia madre nei lavori domestici, nell'arare i campi, ad andare in città con il carro quando lei non potrà...- spiegò e subito mi preoccupai: nonostante i mesi passati alla Villa, non ero avvezza a quel genere di compiti, così, prima che potessero pentirsi di avermi preso come serva, spiegai:

-Mi sento in dovere, per correttezza, di informarvi sul fatto che io non sono per niente brava o pratica di questo genere di mansioni... alla Villa ho sempre gestito la Biblioteca e il poco che facevo in quanto lavori domestici non mi riusciva gran che bene...- iniziai, mentre inspiegabilmente, Marcella reprimeva una risata e rispondeva:

-Cara, non devi preoccuparti per questo... ti insegnerò io con calma e di certo non accadrà nulla se non imparerai subito...- spiegò, ma io contestai nuovamente:

-Signora, grazie per la comprensione ma non voglio ti adiri con me e che poi mi mandi via, per questo voglio assicurarti che mi impegnerò molto nel lavoro, ma ti avverto, di nuovo, prima che tu possa pentirti della decisione di avermi assunta, che sono praticamente incapace in tutte le questioni...- Tiberio non mi fece finire di parlare poiché controbatté, in tono divertito

-Aurora, mettiti bene in testa queste parole: chiamaci con i nostri nomi, non con appellativi di cortesia e ricorda che qui sei come una di noi: non sei né una serva né altro... ti ospiteremo qui finchè vorrai, nessuno ti obbliga a restare, l'unica condizione, che credo sia più che ragionevole, è che tu, come puoi, aiuti mia madre quando le serve.- concluse. Non fiatai, scossa da ciò che ero venuta a sapere. Di certo c'era altro dietro a quella storia, ma sicuramente non avevo il coraggio di porre domande al Dottore. Marcella gli lanciò un'occhiataccia e disse:

-Figliolo, non azzardarti a rimproverare questa povera ragazza, così cortese ed educata, o mi adirerò moltissimo! Non essere maleducato, non ti ho insegnato questo!- rimproverò suo figlio che arrossì e, balbettando, cercò di spiegare che le sue intenzioni non erano affatto quelle:

-I-io non volevo essere scortese, volevo solo mettere in chiaro le cose...- il suo tono imbarazzato mi fece tenerezza e sorrisi. Nonostante le bellissime notizie ricevute, il mio cuore sussultò nello stesso istante in cui nella mente mi riapparve, per l'ennesima volta, l'immagine di Fabrizio.


 

Dopo aver aiutato diligentemente Marcella a pulire la sala da pranzo e la cucina, chiesi se potevo andare a fare una passeggiata tra i capi coltivati: stare in mezzo alla natura mi metteva serenità ed allegria. Dopo avermi ribadito per l'ennesima volta che potevo andare dove volessi e quando volessi e avermi raccomandato di non allontanarmi dalla casa, semmai qualcuno avesse provato a farmi del male, uscii dalla proprietà e mi avviai verso i campi. Nonostante fossi avvolta da un mantello pesante, l'aria fredda della notte invernale riusciva a pungermi il petto e le braccia. Dopo essermi allontanata solo di qualche metro dalla casa, mi gettai a terra supina, tra l'erba, a contemplare le stelle. Forse fu una cosa stupida, perchè ogni volta che rivolgevo lo sguardo verso gli astri, era come se queste formassero il volto del mio Generale e se chiudevo per un istante gli occhi, il suo viso mi tornava in mente. Presi in mano uno stelo d'erba e lo strappai dal suolo: oh dei del cielo, perchè il suo ricordo era così vivido nella mia mente e come mai mi procurava quel dolore immenso al cuore ripensare a tutto ciò che era successo? Scossi la testa e mi diedi della stupida: lo amavo, ecco la risposta che era più facile del previsto. Mi misi le mani davanti al viso: sarei mai riuscita a dimenticare quell'uomo, che tanto mi aveva fatto soffrire ma che mi aveva anche regalato le più belle emozioni? Persa tra quei pensieri, non mi accorsi subito di Tiberio dietro di me che mi stava osservando finché non si sedette vicino a me.

-Ciao- mi disse semplicemente, mentre io mi mettevo a sedere, accanto a lui, sorridendo mestamente e ancora impegnata nei miei ricordi. Il Dottore mi guardò per un po' mentre fissavo l'erba, poi disse:

-Scommetto che hai molte domande da pormi...- il suo tono era tranquillo e sincero, io annuii e non avendo detto altro, continuò,

-Sono qui per rispondere a tutti i tuoi quesiti... preferivo non farlo prima, perchè alcune cose preferisco che la mia famiglia non sappia...- non lasciai che finisse la frase che lo travolsi, con il fiume di dubbi ed incertezze che avevo:

-Per quale motivo sono finita qui a casa della tua famiglia? È stato solo un caso o c'entri, in qualche modo, tu?- domandai e il mio tono sembrava accusatorio, forse troppo, mentre dovevo essere solo grata a Tiberio per quello che aveva fatto per me. Lui non sembrò far caso al mio tono scontroso e rispose mestamente:

-No, non è stato un caso... l'altra mattina stavo andando alla bottega per lavorare, quando ho visto un uomo che si aggirava per le vie di Roma come un'anima dannata, fermando di tanto in tanto qualcuno e chiedendo informazioni. Avevo capito fosse il Generale– a quella parola rabbrividii ma non lo interruppi -così mi sono permesso di seguirlo e vedere cosa stesse facendo: stava cercando un lavoro per qualcuno, una persona che doveva andarsene dalla sua Villa. Mi sono avvicinato e gli ho detto che, se avesse voluto, avrei potuto assumere qualcuno per tenere pulito il mio studio medico oppure per mandarlo come aiuto alla mia famiglia, in campagna. Lui si è dimostrato molto riconoscente e una volta avermi posto qualche quesito su di me e la mia vita ha accettato la proposta. Dopo avergli chiesto chi fosse la persona che sarebbe venuta da me, lui mi ha descritto una ragazza giovane, poco esperta di faccende domestiche ma ha sottolineato molto bella... come potevo non pensare subito a te? Così gli ho detto che ti avrei mandata nella casa dei miei genitori evidenziando il fatto che ti avrebbero trattata bene e saresti stata la benvenuta. Se non fossi un uomo, direi quasi che avrebbe voluto piangere.- la sua risposta mi creò altre domande, più che certezze, che però non potevano essere risposte dal Dottore: se a Fabrizio non interessava più niente di me come aveva detto, allora perchè, invece di sbattermi fuori di casa, aveva desiderato trovare un luogo sicuro e accogliente dove mandarmi? Accantonai quel quesito e ne posi un altro:

-Tiberio io... non ho parole per esprimere la mia gratitudine nei tuoi confronti... ma come mai hai fatto questo per me? Dopo tutto quello che è successo... - inizia, ma questa volta fu lui ad interrompermi:

-Non potevo accettare che tu finissi in un luogo dove forse ti avrebbero maltrattata, venduta o chissà che altro... qui con loro sei al sicuro, sono persone buone ed oneste e hanno davvero bisogno di aiuto. Quando potrò verrò sempre a trovarvi e vedrò come stai, ma sono sicuro andrà tutto bene.- affermò sereno, sorridendo. Sebbene fosse una cosa davvero crudele e, in un certo senso, anche da ingrata, controbattei:

-Sei davvero un uomo dal cuore grande... ma spero che tu non abbia fatto questo pensando che un giorno io possa ricambiare i tuoi sentimenti... io li provo solo per Fabrizio e questo, credo, non cambierà mai o almeno non per molto tempo- il mio tono era secco: tutta quella situazione mi aveva indurita, non riuscivo ad essere dolce o a pensare di non ferire qualcuno. Tiberio fece un gesto di noncuranza con la mano:

-Lo so perfettamente e non pensare che abbia fatto questo per un secondo fine. Non posso negare che averti qui mi riempie il cuore di gioia, anche solo per il fatto di poterti incontrare ogni volta che posso... ma non penserei mai questo. So che pensi a un altro e va bene così.- concluse, molto più ragionevolmente e cordialmente di quanto mi aspettassi. Il mio stupore non trovava tregua: nonostante fossi stata brusca e scortese, Tiberio aveva avuto la pazienza di rispondere a tutte le mie domande con tutta la gentilezza del mondo... che uomo dal cuore magnanimo era...

-Tu... sai perchè Fabrizio ha voluto mandarmi via?- chiesi titubante, sentendo un po' di rimorso per quello che stavo chiedendo al Dottore, nonostante conoscessi i suoi sentimenti. Lui abbassò lo sguardo, non sostenendo il mio, intenso e ansioso di notizie:

-No- rispose infine, tornando a guardarmi, con un sorriso triste -Non glie l'ho chiesto, non sono così in confidenza con lui da permettermi questo...- continuò e temetti che mi chiedesse quali fossero le ragioni di tutto quello che era successo. Come se mi leggesse in viso quel timore, sorrise di nuovo e poi mi stupì:

-Non ti chiederò cosa è accaduto, so che non vuoi parlarne... sappi che se ne avrai bisogno, ti ascolterò sempre.- la sua voce era dolce e vellutata. Potevano esistere al mondo, mi chiesi, uomini dolci e comprensivi come lui? Forse no e sapevo che mi stavo facendo sfuggire un'occasione d'oro... ma per me era impossibile anche solo pensare di poter passare la vita con un altro uomo: amavo solo Fabrizio e questo non sarebbe cambiato, anche se il suo cuore ormai era di un'altra... Sorrisi riconoscente e, cercando di cambiare argomento, iniziai a chiedergli qualcosa sulla sua famiglia:

-Allora... qui abita la tua famiglia... come mai hai deciso di andartene dalla campagna e restare in città?- chiesi, incuriosita: non sapevo quasi niente della vita di Tiberio e spesso mi ero chiesta da dove venisse, che cosa l'avesse spinto a dedicare la sua vita agli altri...

-Abito in città perchè lì c'è la concentrazione più alta di malati, che nei paesini piccoli... chiunque entrerà nella mia bottega, sarà sempre aiutato, per quanto riuscirò. Molti non perdono nemmeno tempo con gli schiavi malati o con le prostitute... io si, perchè credo nel mio lavoro e di potere, in qualche modo, aiutare le persone- disse. I suoi ideali erano davvero alti, nobili e sinceri: ancora una volta la mia opinione di lui non poté che confermarsi.

-Perchè hai scelto questa vita? Spesso è difficile vedere la gente morire senza poter fare nulla, come per esempio bambini piccoli...- domandai ancora, mostrando la mia indole curiosa e avida di risposte. Per un po' il dottore non rispose e fissò un punto a me ignoto, davanti a sé, per poi parlare:

-Sai, il mio fratellino, Vinicio... come sicuramente avrai notato, non sembra un bambino della sua età. È gracile e malaticcio...- iniziò e ammutolii, non avendo il coraggio di commentare o interromperlo

-Lui nacque quando avevo diciassette anni... mia madre non credeva di poter più avere figli dopo di me poichè aveva avuto un parto molto difficile. Quando nessuno se lo aspettava, mia madre restò incinta, con grande gioia di tutti. In quel periodo, però, mio padre si trovava a combattere contro i Cartaginesi e lei, insieme a mio nonno, nonostante fosse incinta, doveva svolgere tutte le faccende domestiche e quelle che riguardavano la campagna poiché, se non l'avesse fatto, al ritorno di mio padre i campi sarebbero stati secchi e la nostra famiglia sarebbe andata in rovina. Io aiutavo Marcella in tutti i modi possibili, ma a causa della debolezza per la gravidanza e di un'annata più povera del previsto, non siamo riusciti a cibarci altro che di grano e polenta, così mia madre si è ammalata di pellagra(3*), anche se inizialmente non sapevo cosa fosse. In quel periodo, andai decine di volte in città, anche con l'aiuto del mio caro nonno, domandai a chiunque si spacciasse per medico se potesse visitare mia madre, se conoscesse una cura. Nessuno volle venire a visitarla, temendo che fosse malata di peste o di qualche malattia virale, finchè un uomo, che affermava di essere greco, disse che conosceva le arti mediche utilizzate anni prima da Ippocrate. Disperato gli credetti e quando visitò mia madre, capì di che cosa si trattava: a Marcella mancavano le vitamine. Lavorai come un animale assieme al nonno, rischiando io stesso più volte di ammalarmi, ma nulla poteva fermarmi: dovevo trovare i soldi per comprare del latte, frutta e verdura a mia madre. Alla fine, grazie al sudore della fronte, ci riuscii e con tutto l'amore e l'affetto che le dedicavamo, riuscì a guarire. La nostra gioia era smisurata, ma quando infine partorì, il bambino, come ci fece notare la levatrice(4*), aveva qualcosa che non andava: appena nato non piangeva e faticava a respirare, non avevo il colorito di pelle di tutti i bambini, ma era slavato, sul viso e sul corpicino. Il mondo ci è crollato addosso: dopo tutto quello che avevamo fatto, ci trovavamo in una situazione peggiore della precedente. Probabilmente gli dei ce l'avevano con noi. La levatrice disse che il bambino non sarebbe sopravvissuto se non per qualche mese perchè era debole, respirava a fatica e cadeva spesso in stati di apnea. A coronare il tutto, si aggiungeva il fatto che mia madre, a causa della malattia, non aveva latte per suo figlio. Fu in quel momento che decisi che avrei fatto qualcosa: sarei riuscito a far sopravvivere mio fratello, anche a costo della vita. Inizia a studiare le antiche pergamene di Ippocrate e sebbene a Roma chiunque può spacciarsi medico, io avevo intenzione di fare tutto seriamente, perchè avevo un motivo valido per cui combattere. Mentre studiavo e andavo alla ricerca di tante pergamene che parlassero dell'arte medica, feci in modo, indebitandomi con un latifondista, di comprare una mucca e, ogni giorno, cercavo personalmente di dare da mangiare al mio fratellino: nessuna donna, infatti, aveva voluto allattarlo, vedendolo così cagionevole, pensando che avrebbe portato malattie ai loro stessi bambini. I mesi passarono e tenevo il fiato sospeso, aspettandomi da un momento all'altro che Vinicio non ce la facesse, invece non fu così: una volta ristabilita, mia madre riusciva a dargli da mangiare anche quattro volte al giorno e io, che imparavo di giorno in giorno nozioni importanti, facevo di tutto per evitare che il bambino prendesse freddo o che, debole com'era, stesse a contatto con animali o con cose o persone non perfettamente pulite. Quando era bel tempo lo portavamo a in giardino a prendere, con parsimonia, i raggi benefici del sole e quando compì un anno, a me e alla mia famiglia, sembrò di toccare il cielo con un dito. Diventato medico a tutti gli effetti mi trasferii a Roma, riuscendo a comprare una casa rispettabile e ad aprire uno studio-bottega. La mia famiglia non poteva recarsi in città: Vinicio aveva bisogno di aria aperta e non di vivere tra le vie anguste di una metropoli come Roma. I medici non vengono retribuiti con soldi, ma le persone portano sempre qualcosa in dono al Dottore, frutta, verdura, carne, i più ricchi mi regalavano anche parecchi soldi, così che, grazie a quelli e al lavoro nei campi di mio nonno e mia madre, riuscivamo a far avere a Vinicio un'alimentazione completa e a fornirgli tutto ciò di cui aveva bisogno. Poi, un giorno, quando mio fratello aveva circa quattro anni, ci giunse la notizia della morte di mio padre: fu un duro colpo per tutti noi: Vinicio non aveva mai conosciuto il padre e forse fu meglio così, poiché il dispiacere avrebbe potuto farlo ammalare. Gli anni sono passati e Vinicio, grazie agli dei, è ancora qui tra noi anche se temiamo ogni cosa e, sebbene voglia aiutarci in tutti i modi, il bambino non può muovere un dito per aiutare mia madre e mio nonno: è troppo debole per compiere degli sforzi, farlo sudare vorrebbe dire fargli prendere la febbre o la tosse e farlo entrare a contatto con un ambiente diverso dal suo e meno pulito potrebbe significare la morte. Non permetterò mai che accada questo e prima o poi troverò una cura che lo faccia stare bene, per sempre!- esclamò con ardore Tiberio, concludendo il suo racconto. I miei occhi brillarono di ammirazione: un ragazzo che aveva scelto una vita difficile per aiutare suo fratello, mosso da un amore smisurato...

-Ti ammiro, Tiberio. Ogni parte della tua storia mi ha commosso e non ho conosciuto uomo al mondo che sia più encomiabile di quanto lo sia tu...- dissi, convinta delle mie parole, ma il Dottore fece un gesto di noncuranza con la mano, interrompendomi:

-Non abbastanza da farti innamorare di me, però- la sua non era una domanda ma una constatazione. Non seppi che rispondere e abbassai lo sguardo. Il Dottore notò il mio disagio e disse:

-Non preoccuparti per questo, non è colpa tua... è ora che rincasiamo entrambi, è molto tardi e domani bisogna svegliarsi presto: io devo tornare a Roma e tu dovrai iniziare ad aiutare mia madre nei campi!- esclamò. Entrammo in casa e dopo avermi mostrato la mia camera, semplice ma pulita e graziosa, se ne andò augurandomi la buonanotte. Sfilai i calzari e, stremata, mi adagia sul letto riflettendo su tutto quello che era successo quel giorno: ancora una volta in un battito di ciglia la mia vita era radicalmente cambiata... fino a quando non sarei riuscita a trovare un luogo fisso in cui vivere? L'immagine di Fabrizio con Lucrezia accompagnò il mio sonno, mentre il cervello non era più in grado di porsi domande.



Note dell'autrice

(1*) Insula è il termine latino per indicare una cosa di campagna modesta.

(2*) Appena si entrava nella casa romana, si accedeva a un piccolo corridoio chiamato atrio o vestibolo, che conduceva alla parte interna della casa.

(3*) La pellagra è la malattia del grano: i contadini spesso non riuscivano ad avere un'alimentazione variata e si nutrivano solo di polenta e derivati del grano: questo li portava ad ammalarsi. I sintomi consistevano in disturbi gastrointestinali e febbre, quando il caso era più grave la pelle si rovinava per questo spesso la pellagra era scambiata per peste.

(4*) Nei tempi antichi non esistevano gli ospedali e le donne partorivano a casa, a volte da sole, a volte aiutate da alcune donne esperte di parto, chiamate levatrici.

Buongiorno a tutti... so di non avere scusanti per aver aggirnato il capitolo in ritardo e averlo corretto ancora più in ritardo... a mia discolpa posso dire che ho avuto molto da fare ma sta mattina, per fortuna, sono riuscita a correggere il capitolo. Sappiate questo: sebbene ogni tanto mi capiti di ritardare io FINIRÒ QUESTA STORIA e NON LA LASCERÒ INCOMPLETA. Sono quel genere di persona che finisce sempre quello che ha iniziato! Vi avverto: non mancano molti capitoli pe rfinire la storia, al massimo cinque o sei... dopo di che vorrò sapere da voi se volete che pubblichi un'altra storia o no.
Passiamo alla storia: questo capitolo è tranquillo, ho approfondito la storia di Tiberio che mi sembrava molto importante e non è stata molto presente la figura di Fabrizio. Vi informo subito che il prossimo capitolo sarà riempito quasi totalmente da un P.O.V. Fabrizio e che la tranquillità di Aurora già si sta per concludere... non dico altro, aspetto tante recensioni!
Continua il sondaggio sulla mia pagina Facebook... appena avrò ricevuto circa 40 mi piace aggiungerò uno spoiler!
Un saluto

_Renesmee Cullen_

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Capitolo 23
*** Realtà diverse ***


Capitolo 23 – Realtà diverse


 

P.O.V. Fabrizio


 

La vidi allontanarsi con quel piccolo cesto di vimini in mano, senza nessun altro effetto personale con sé e sentii gelo dentro al mi corpo, nelle vene e nel cuore... dei del cielo, avrei preferito che un pugnale dalla lama ghiacciata mi trapassasse il cuore mille e mille volte più che vedere lei che se ne andava dopo tutto ciò che era accaduto... ma dovevo farmi forza ed essere fiero di me: avevo fatto la cosa giusta. Se le mie deduzioni erano esatte, l'avevo salvata dalla morte e avrei preferito sentire quel dolore altre cento volte più che vederla morta e stringere il suo corpo senza vita tra le mie braccia. Nonostante questo, non riuscii a restare nascosto sulla porta di servizio della Villa a guardarla e quasi di corsa raggiunsi la mia camera. Mi chiusi la porta alle spalle e mi presi il viso tra le mani, sedendomi per terra. Non riuscivo a pacificare la mia coscienza per quello che avevo fatto a quella povera ragazza, non riuscivo a perdonarmi per quanto l'avevo fatta soffrire. Era tutto il giorno che continuavo a rimuginare su tutto quello che era successo da quando ero tornato da Canne.

Dopo aver appreso la notizia del mio indesiderato matrimonio, non avevo nemmeno provato a protestare con mio padre, poiché sapevo che avrei solo peggiorato tutta quell'orribile situazione. Avevo visto che Aurora aveva assistito alla scena in cui mi veniva presentata Lucrezia ma, non potendo raggiungerla in nessun modo, né fisicamente né attraverso messaggi scritti, avevo incaricato mia madre di condurla da me quella notte stessa, non appena tutti si fossero addormentati. Speranzoso come non mai e desideroso di spiegarle che io non sapevo nulla dei piani di mio padre, l'avevo aspettata, per poi venire a sapere da Iginia che lei nemmeno voleva vedermi. Quella sera, la mia disperazione era arrivata ad un livello così insopportabile che, scosso nella mente da pensieri che mai avrei dovuto fare, come ci avevano insegnato all'addestramento militare, ero corso in strada sotto la pioggia e mi ero messo a correre per le vie di Roma, per schiarirmi le idee. Uccidere tutti coloro che impedivano la realizzazione del mio amore e di Aurora era stato il mio primo pensiero e per evitare che lo concretizzassi, avevo corso per ore ed ore, finché non mi ero sentito così stanco da non vedere la realtà se non in maniera sfocata.

Ero tornato alla Villa e, bagnato come un pulcino, mi ero messo a dormire. Gli anni di addestramento e quelli passati in guerra sotto intemperie e cataclismi avevano impedito che mi ammalassi, per fortuna. La sera seguente mio padre mi aveva obbligato con tutte le sue forze a celebrare la festa di fidanzamento tra me e Lucrezia.

Sebbene avessi opposto ripetutamente resistenza, ponendo davanti a tutto il fatto che non mi sentivo pronto per sposarmi e diventare un padre di famiglia, avevo capitolato quando il Senatore aveva detto:

-Figlio, sono anziano ormai e so che me ne andrò molto prima di quanto entrambi possiamo immaginare. La mia anima non riuscirà a trovare pace se non ti sistemerò in qualche modo. Fabrizio, sei l'unica famiglia che mi è rimasta, rendi felice questo povero vecchio di tuo padre, sposa Lucrezia, una ragazza bella, brava ed erede di molte ricchezze. Anche sua madre, che inizialmente può sembrare scostante è una brava donna. Figlio, rendi onore all'ultimo desiderio di tuo padre.-

In nessun altro modo ero riuscito a protestare dopo quelle parole, sebbene sapessi che, assecondandolo, avevo firmato la condanna mia e di Aurora. Mai e poi mai avrei tenuto quella ragazza così dignitosa ed orgogliosa come mia schiava, sarebbe stato un insulto a me e a lei. Quella sera stessa, disperato e, per la prima volta in ventiquattro anni della mia vita, non riuscendo a trovare una soluzione a quella situazione e sentendomi in trappola come non mai, avevo affogato i miei dispiaceri bevendo come mai avevo fatto. Non ero mai stato quel genere di uomo romano che si abbandonava agli eccessi del vino poiché pensavo che rimanere sempre sobri e vigili fosse la prima virtù del soldato in battaglia. Quel giorno, tuttavia, avevo contravvenuto a tutti i miei ideali e dopo essermi ubriacato così tanto da non riuscire a tenermi nemmeno in piedi, mentre nell'ebbrezza del vino avevo avuto delle visioni. Pensando che la ragazza che avessi vicino fosse la mia Aurora, l'avevo condotta senza ritegno e sotto gli occhi di tutti nella mia stanza, per poi compiere l'atto più disonorevole e disdegnoso della mia vita. La mattina seguente mi ero svegliato con un mal di testa così atroce da pensare che mi stesse uccidendo e una volta voltato il viso, mi ero accorto che vicino a me non c'era la mia amata Aurora, ma quella ragazza che nemmeno conoscevo, Lucrezia. In quel momento l'orrore per la mia azione sconsiderata si era impossessato di me, terrorizzato dal fatto che Aurora ci avesse potuto vedere. Forse, se fossi stato abbastanza fortunato, sarei riuscito a nasconderle tutto e a risparmiarle quell'immenso dolore che le avrebbe corroso l'anima. Come se l'avessi evocata con la mente, Aurora era entrata nella stanza e il suo viso aveva assunto un'espressione inorridita, allibita e, cosa peggiore di tutti, delusa. Le lessi in quegli occhi limpidi come il mare che non sapevano nascondere ciò che pensava, quanto si sentiva tradita e disperata. Poi se ne era andata, lasciandomi in quella stanza, in compagnia di Lucrezia ma in realtà solo con me stesso. Non avevo avuto il coraggio di correrle incontro come sarebbe stato giusto che facessi: mi ero pentito amaramente per quella codardia che si era impossessata di me. Se fossi stato un vero uomo, l'avrei rincorsa lungo i corridoi della Villa, per urlare al mondo che amavo solo lei e che ciò che avevo fatto con l'altra ragazza, era accaduto soltanto perchè nell'ebbrezza del vino avevo pensato fosse lei che giaceva tra le mie braccia. Ero rimasto a letto immobile, tenuto fermo dal mal di testa lancinante finchè ero riuscito ad alzarmi e ad abbandonare quella stanza in cui mi sarei vergognato fino alla fine dei miei giorni di mettervi piede.

Dopo essere riuscito a darmi un contegno, avevo incontrato mio padre che passeggiava nella Villa con la madre di Lucrezia, Filenide, parlando di questioni burocratiche per il matrimonio. Filenide era una donna che, sebbene avesse una certa età, si manteneva in forma: era molto alta e dal fisico muscoloso e se non fosse stato per i capelli che le ricadevano in voluminosi boccoli lungo le spalle, avrei quasi potuto dire che il suo corpo assomigliava a quello di un uomo. Quel pensiero mi aveva scosso non poco: era raro trovare a Roma delle donne con la corporatura di Filenide: le madri di famiglia, specialmente, erano dedite ai lavori domestici o a rendersi attraenti per i loro mariti e non avevano di certo tempo per temprare il loro fisico in quel modo mascolino. Avevo notato che, mentre passeggiava con mio padre, non aveva perso d'occhio tutto quello che la circondava, tanto da voltarsi e sussultare a ogni minimo fruscio di piante o allo sbattere delle ali degli uccelli. Quale donna aveva dei sensi così affinati? Io, in quanto Generale Romano, avevo dovuto imparare quelle tecniche per sopravvivere, ma perchè una donna del suo rango si comportava in quella maniera? Con la mente ancora annebbiata dopo la nottata trascorsa, avevo tralasciato tutti questi particolari, che in un altro momento mi sarebbero sembrati importanti e sospetti e avevo porto i miei saluti alla matrona e a mio padre. Dopo aver discusso con me su argomenti futili come il numero di persone che avevo deciso di invitare alla cerimonia nuziale e aver chiesto quale fosse per me la data più congeniale, la donna si era atteggiata in maniera strana. Dopo aver espresso il mio desiderio di sposarmi in primavera, aveva protestato dicendo che prima si celebravano le nozze meglio sarebbe stato per tutti. A svantaggio di questo, non aveva voluto addurre spiegazioni: a quanto diceva, perchè aspettare quando aveva visto che l'attrazione tra i due promessi c'era? Quell'allusione mi aveva fatto capire che aveva visto tutto quello che era successo la notte precedente e avevo letto nei suoi occhi un monito: lei avrebbe sempre saputo ciò che facevo o non facevo. Infine, era accaduto: una serva, per sbaglio, aveva urtato la donna, mentre correva a svolgere una commissione. L'impatto era stato lieve, tuttavia la matrona si era tenuta la pancia, urlando una salva di improperi contro quella ragazza che, dopo essersi scusata, se n'era andata via velocemente. Filenide aveva poi spiegato che aveva gridato per lo spavento, tuttavia continuando a tenersi la pancia e a respirare affannosamente, si era congedata in fretta. Mentre nella mia mente tornava la lucidità da Generale, l'avevo seguita senza farmi vedere o sentire attraverso i corridoi della Villa, fino ad arrivare alla stanza in cui alloggiava. Per la fretta si era addirittura scordata di serrare la porta alle sue spalle e proprio per questo ero riuscito a vedere quello che stava accadendo all'interno: Filenide si era sfilata velocemente la veste, sotto la quale spiccava della stoffa sporca in un punto di una macchia rossa, che le fasciava la pancia e la schiena. Se l'aveva levata velocemente, lasciando scoperto il busto ed è li che la vidi: una ferita si apriva sul suo ventre: si vedeva che era stata ricucita da poco infatti da una parte si era aperta e sanguinava copiosamente. In quel momento avevo capito: quella era la donna che aveva tentato di uccidere Aurora e a cui si era rivolto Antonio per togliere di mezzo me. In quel momento la mia decisione era stata tempestiva: dovevo assolutamente mandare via Aurora dalla Villa: sebbene l'avrei protetta anche a costo della mia vita, quel sicario sapeva ben fare il suo lavoro e avrebbe di certo trovato il modo per uccidere Aurora nel momento in cui meno me l'avrei aspettato.


 

Sospirai: tutti quei pensieri non riuscirono nemmeno un po' a mitigare la tempesta di sensazioni che avevo dentro: Aurora mi odiava, me lo aveva detto in faccia e credeva che io fossi la causa di tutto il male che le era capitato. Non ero riuscito a guardarla in faccia mentre le parlavo, poiché la vergogna che provavo nei mie confronti era troppa: con le mie azioni avevo umiliato lei e disonorato me stesso. Sebbene molti uomini non si facevano scrupoli a comportarsi in certi modi, io ero diverso: amavo Aurora e mai avrei voluto mancarle di rispetto in quel modo atroce. Ora, di certo, era felice lontana da me, da quell'uomo che tanto l'aveva fatta soffrire. Sarebbe riuscita a costruirsi una nuova vita lontana da me e da tutto quello che le avevo causato. In quel momento, però, oltre che stare a rimpiangere me stesso per come mi ero comportato, dovevo affrontare due problemi: l'immenso dolore che mi aveva causato la partenza di Aurora e al secondo posto, dovevo scoprire cosa ci faceva quella donna in casa mia e quali intenzioni avesse.


 

P.O.V. Aurora


 

I giorni in campagna passarono tranquilli, mentre piano piano apprendevo come si dovesse curare un campo, capire quando irrigare e quando no e molte altre cose utili. Sebbene fossero trascorse ben tre settimane da quando ero andata via dalla Villa e in quella casa si respirasse un'aria tranquilla e gioviale, ogni cosa, anche la più piccola, riconduceva il mio pensiero a Fabrizio. Mi chiedevo cosa stesse facendo quando mi svegliavo e andavo a dormire, prima dei pasti rivolgevo le preghiere agli dei affinchè lo proteggessero e ogni tanto, di notte, piangevo silenziosamente poiché sentivo la sua mancanza come se un pezzo di cuore mi fosse stato strappato via. Tiberio veniva a trovarci più o meno una o due volte a settimana, quando la sua bottega era vuota o quando nessuno chiedeva di lui. A mitigare il dolore che sentivo nel corpo e nell'anima per la mancanza di Fabrizio, c'era Vinicio, il fratellino di Tiberio, che mi ronzava spesso intorno, quando mangiavamo e quando aiutavo la mamma in casa. Il bambino era consapevole della sua malattia, ma nonostante questo riusciva ad essere solare e chiacchierone: mi riempiva di domande e cercava sempre di trovare un modo per rendersi utile, come poteva. Una sera in cui il freddo era più pungente del solito poiché ci trovavamo in pieno inverno, mentre passeggiavo per rilassarmi come facevo tutte le sere attraverso i campi di proprietà della famiglia di Tiberio, Vinicio mi venne in contro, coperto da un mantello leggero e con le guance pallide. Subito mi allarmai:

-Vinicio, non devi uscire di notte da solo con questo freddo! È pericoloso sia per la tua salute che per gli incontri che puoi fare!- esclamai, avviandomi subito con lui verso casa. Il bambino rispose con voce affannata:

-E allora perchè tu sei qui?- sentivo che nel suo tono c'era qualcosa che non andava, ma non volli allarmarlo, anzi lo spinsi più velocemente verso casa.

-Io sono grande tesoro mio... - iniziai mentre Vinicio corrucciava la fronte, contrariato. Mi venne da ridere, poi chiesi:

-Come mai sei venuto a cercarmi?- chiesi, premurosamente e Vinicio si voltò verso di me, guardandomi con i suoi occhi splendenti:

-È tardi e avevo paura che ti fosse successo qualcosa! Non rientri mai in casa a quest'ora!- esclamò con una lacrima che gli rigava un guancia, respirando forte. Gli diedi un bacio sulla fronte e, aprendo la porta di casa, dissi:

-Vinicio, sei un amore... sei stato davvero gentile a preoccuparti per me, ma io sono forte e posso proteggermi da sola, tu invece non devi uscire da solo di notte!- esclamai, non con tono duro, ma per avvertirlo: cosa sarebbe successo se avesse preso la febbre?

Lui non protestò e mi voltai per chiudere la porta di casa: non feci in tempo a farlo, però, che sentii un tonfo che veniva da dietro le mie spalle e mi girai di scatto: Vinicio era caduto a terra, con gli occhi chiusi, mentre respirava affannosamente, preso da un attacco d'asma. Impaurita mi chinai a terra, sollevandogli la testa e gridai:

-Aiuto! Marcella, aiuto! Vinicio sta male!- la mia voce trasudava preoccupazione e subito la donna, insieme a suo padre, accorsero nell'atrio.

-Cosa è successo?- chiese concitatamente sua madre, mentre il nonno cercava di calmare sua figlia, in preda all'agitazione.

-Io ero fuori, come tutte le sere, mi sono attardata più del solito e lui è venuto a cercarmi, coperto solo da questo mantello leggero... forse lo sbalzo di temperatura e la fatica hanno prodotto questo...- ipotizzai, sentendomi profondamente in colpa per quello che era accaduto. Sua madre scosse la testa con veemenza:

-No, già da sta mattina sentivo che respirava affannosamente, soltanto questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso...- rispose preoccupata. Io strinsi i pugni:

-Mi dispiace così tanto... se io non...- iniziai, ma Marcella mi zittì celermente con un gesto:

-Non azzardarti ad accusare te stessa, Aurora, non è colpa tua e in questo momento non serve che ti compatisci. Mettiamo il piccolo sul letto, lo aiuterà.- dopo aver detto questo, seguimmo quello che aveva detto la donna: conducemmo il piccolo in camera di sua madre e lo circondammo di coperte. Nonostante questo, la situazione sembrava restasse la stessa e la mancanza d'aria stava facendo alzare la febbre a Vinicio, le cui gote diventavano sempre più rosse. Nessuno di noi sapeva cosa fare: era necessario correre a chiamare Tiberio, ma quanto tempo ci sarebbe voluto? Improvvisamente un ricordo lontano mi venne in mente.


Ho dieci anni e sono una bambina molto vivace. Le povere ancelle che sono addette alla mia cura non sanno più cosa fare con me: corrono di qua e di la, mentre io scappo per le stanze del palazzo, desiderando giocare o mentre corro scalza nel giardino. Se la mamma mi vedesse di certo mi punirebbe e non mi farebbe più uscire dai miei alloggi, ma per me restare chiusa in camera sarebbe una condanna. Un giorno, mentre l'inverno è alle porte, ho appena finito di studiare il latino, quando inizia a piovere. Ho sempre amato il sole e l'estate, ma quando arriva l'inverno mi piace anche la pioggia. Sono stanca e accaldata: nelle stanze il fuoco scoppietta per riscaldare e corro in giardino sotto la pioggia, mentre mi bagno tutta. Le ancelle mi corrono dietro, mentre salto e mi diverto tra le pozzanghere. Appena riescono a prendermi, mi conducono di forza nelle mie stanze, mentre cerco di divincolarmi mi asciugano in fretta e mi cambiano i vestiti. Purtroppo però è tardi: l'affanno per la corsa, lo sbalzo di temperatura e la pioggia mi hanno provocato dei problemi respiratori, mi prende un attacco d'asma. Mi adagiano sul letto mentre io mi sento quasi incosciente. Le ancelle sono disperate e non sanno cosa fare, chiamano mia madre velocemente. Dopo essermi presa una sberla per la mia bravata arriva il Dottore, un uomo piccolo e dalla lunga barba bianca. Dopo avermi fatto una lunghissima lavata di capo, mi mette sotto il naso una ciotola con acqua bollente, all'interno della quale c'è del sale. Mi fa respirare l'infuso e dopo poco mi mette in bocca delle foglie di menta. Ne mastica altre e me le applica sul petto e sulla schiena, mentre continuo a respirare i vapori dell'acqua e del sale. L'effetto è quasi immediato: apro gli occhi e mi sento già meglio.


Senza fornire spiegazioni a nessuno, andai in cucina e misi a bollire dell'acqua e una volta arrivata alla giusta temperatura, presi del sale dalla dispensa e ce lo misi dentro. Quando tornai in camera, Marcella mi guardò interdetta, frapponendosi tra me e il letto:

-Cosa stai facendo?- chiese dubbiosa e guardandomi male.

-Non c'è tempo per spiegare... fidati di me!- esclamai e Marcella, abbassando lo sguardo, si fece da parte, lasciando che mi avvicinassi al piccolo Vinicio.

-Tenetegli questo sotto il naso e aspettatemi qui!- esclamai concitatamente, tornando in cucina. Non ci misi molto a trovare le foglie di menta che avevo messo da parte quella stessa mattina e dopo averle masticate e aver creato un impacco le spalmai sul petto e sulla schiena del bambino, come aveva fatto con me un Dottore, anni prima. Come un incantesimo, il piccolo aprì gli occhi, tossendo: era un buon segno, voleva dire che si stava riprendendo.

Non restai a guardare l'espressione sui volti di Marcella e Ruffinio perchè non c'era tempo e dissi:

-Corro a chiamare Tiberio- la mia voce era decisa, stavo per andarmene dalla stanza quando Marcella mi fermò:

-Aurora, dove credi di andare? È notte, e fa freddo, non sai chi potresti incontrare per la strada e a Roma... hai il coraggio di andare?- chiese tristemente, ma negli occhi aveva speranza. Non le risposi, mi voltai, corsi a prendere il mio mantello pesante e uscii di casa.


 

Avevo il permesso di prendere il carro con i cavalli ogni qual volta volessi e, in quell'occasione per la prima volta, sfruttai questo privilegio. Entrai velocemente nella stalla e liberai un cavallo nero, molto robusto, uno dei più veloci di quelli che c'erano. Senza perdere tempo a sellarlo gli salii in groppa come mi avevano insegnato a fare da bambina e cavalcai a briglia sciolta verso Roma. Nemmeno per un attimo il mio cuore fu invaso dalla paura di incontrare qualcuno di indesiderato nel mio cammino: avrei fatto qualunque cosa per quel bambino.

Arrivai in città prima di quanto credessi, oltrepassai le mura come un fulmine e mi recai senza esitazione a casa di Tiberio. Quando arrivai davanti alla sua casa, iniziai a sbattere come una pazza le mani contro la porta d'ingresso, gridando, incurante di chi potesse sentirmi:

-Tiberio! Tiberio scendi, corri, è urgente!- la mia voce era arrochita a causa della fatica, tuttavia non mi fermai finchè qualcuno di noto, dall'interno, gridò:

-Chi è là?- riconobbi all'istante la voce vellutata di Tiberio e mi infervorai nuovamente:

-Tiberio, Tiberio sono Aurora! Corri, Vinicio sta male, ha bisogno di te!- esclamai concitatamente. Non riuscii nemmeno a sbattere le ciglia che Tiberio si trovava già di fronte a me. Mi guardò sconcertato, nel viso un'espressione di orrore, con gli occhi che gli uscivano quasi fuori delle orbite. Prese fiato per porgermi una domanda ma io lo interruppi prima che potesse farlo:

-Non c'è tempo per le domande, dobbiamo correre, Vinicio non riesce a respirare, andiamo!- esclamai, salendo sul cavallo, che era ancora affaticato per la corsa. Gli accarezzai il collo e con mio grande sollievo notai che poteva ancora farcela. Una volta tornata a casa avrei solo dovuto lasciarlo riposare a lungo e sarebbe tornato come nuovo. Tiberio, senza fiatare, rientrò in casa per poi uscire subito dopo con un mantello e un cestino in mano. Salì sul cavallo dietro di me e galoppammo velocemente nella notte buia e fredda.


 

Dall'interno della stanza non proveniva alcun suono. Appena arrivati, Tiberio ci aveva fatto uscire dalla camera dove giaceva il suo fratellino e si era chiuso la porta alle spalle, dicendo che si sarebbe concentrato meglio. Marcella e suo padre erano andati in cucina per prepararsi qualche infuso che li calmasse, mentre io ero rimasta fuori dalla porta della camera, mentre camminavo in su e in giù in preda all'ansia: cosa sarebbe successo che fosse accaduto qualcosa a Vinicio? In qualche modo mi sentivo colpevole per tutto quello che gli era capitato: se non fossi uscita quella sera, forse lui non si sarebbe sentito male così all'improvviso. Non riuscii a pensare al peggio: mai sarei riuscita ad avere sulla coscienza la vita di un bambino così piccolo. Oh, se fossi stata un medico, avrei saputo sicuramente cosa fare per lui, come aiutarlo. Mi sedetti a terra, con la schiena appoggiata al muro, non sapendo cos'altro fare. Mentre galoppavo per le strade di Roma, in preda alla preoccupazione non ero riuscita a pensare nemmeno per un istante a Fabrizio, ma ora, seduta sul freddo legno della casa, mi tornarono in mente alcune scene di quello che avevo trascorso con lui lungo le strade di Roma. Prima che lo sconforto prendesse di nuovo possesso di me, Tiberio aprì la porta della stanza ed uscì silenziosamente. Mi alzai subito in piedi e iniziai a tempestarlo con una raffica di domande:

-Come sta Vinicio? È sveglio? Ti ha parlato?- domandai concitatamente. Tiberio sorrise, mettendomi le mani sulle spalle:

-Vinicio sta riposando, ha bisogno solo di questo ora come ora, poiché è molto affaticato.- disse. Sospirò profondamente poi continuò -Questi giorni resterò qui con voi, potrebbe capitare che la crisi respiratoria lo prenda di nuovo... anche se mi augurò di no.- abbassò lo sguardo, sconfortato, poi scosse la testa e tornò a guardarmi -Andiamo da mia madre, devo dirle che il suo piccolo sta bene.- concluse senza lasciarmi parlare e insieme andammo in cucina dove Marcella, con delle grandi occhiaie e il respiro pesante, ci aspettava. Suo padre, provato dalla giornata, era andato a letto. Tiberio le parlò con calma, rassicurandola, finchè Marcella disse:

-Sarebbe andata molto peggio se Aurora non avesse aiutato Vinicio. Quando ha visto che non riusciva a respirare, ha utilizzato un infuso di acqua e sale e delle foglie di menta per placare l'asma. La sua cura ha avuto un effetto immediato. Mentre lei è corsa a chiamarti, il bambino riusciva a parlare e a restare sveglio e a respirare meglio.- il suo tono di voce trasudava riconoscenza ma io arrossii, imbarazzata: nessuno avrebbe dovuto ringraziarmi, era stato il minimo che potessi fare. Inizialmente Tiberio restò stupito, poi sorrise:

-Se non fosse stato per te probabilmente adesso Vinicio starebbe molto peggio...- iniziò ma io lo interruppi, a disagio:

-Non ho fatto nulla, davvero, non sapevo nemmeno se il mio rimedio avrebbe fatto effetto...- iniziai ma Tiberio mi zittì a sua volta, sorridendo per la prima volta quella notte.

-Smettila di sminuirti, sei stata bravissima!- esclamò. Marcella mi abbracciò stretta, commossa: in parte, anche io avevo salvato suo figlio.

Dopo tutto ciò, mi accorsi di essere davvero stanca: era l'alba ormai, il viaggio e tutto il resto avevano fatto trascorrere tutta la notte. Nonostante questo, Tiberio mi accompagnò davanti alla porta della mia stanza, dove si fermò e disse, guardandomi negli occhi:

-Non preoccuparti per questa mattina: ci sono io a svolgere i lavori in casa, riposati fin quando vuoi, ne hai bisogno.- il suo tono di voce era dolce e premuroso. Stavo per protestare, ma il Dottore capì le mie intenzioni e mi fermò, con voce divertita:

-Non provare a opporti: hai fatto anche troppo per sta notte, hai salvato mio fratello e sei venuta a cercarmi a Roma, conscia dei pericoli... non so come ringraziarti- la sua voce era diventata stanca e scoraggiata. Non riuscendo a trattenermi, gli presi una mano, per confortarlo: mi faceva pena vederlo così triste, sicuramente era per la salute precaria del fratellino. Lo vidi arrossire improvvisamente e mi venne da ridere, ma mi trattenni.

-Tiberio, non preoccuparti per me, io sono stata felice di quello che ho fatto! Anzi, mi sento in colpa perchè se non fosse stato a causa mia, Vinicio non sarebbe mai uscito di casa...- iniziai decisa, ma lui scosse la testa con veemenza:

-Non dirlo nemmeno per scherzo: se non fosse stato per te, non so dove sarebbe lui ora.- affermò sicuro. Io sorrisi e controbattei:

-Per fortuna è andato tutto bene. So che sei giù di morale per ciò che è successo... anche a me dispiace moltissimo vedere un bambino così piccolo che combatte contro la morte ogni giorno, ma vedrai che prima o poi riuscirai a trovare una cura per il suo male e quel giorno tu e la tua famiglia sarete le persone più felici di Roma... e anche se non sono una di voi, anche io lo sarò.- conclusi sorridendo, sperando di essere riuscita a tirarlo un po' su di morale con le mie parole. Per un attimo Tiberio non rispose, poi disse, accoratamente:

-Aurora, sei una ragazza meravigliosa, bellissima intelligente e comprensiva... con le tue parole sei riuscita a placare i miei tormenti...- sussurrò e a quel punto, spinto da un impeto silenzioso, si avvicinò a me, mi prese la testa tra le mani e appoggiò le labbra sulle mie, baciandomi disperatamente e dolcemente. Sorpresa, non reagii ma subito dopo mi scansai, imbarazzata e sconcertata. Tiberio mi guardò negli occhi, mortificato e iniziò a balbettare:

-S-scusami io... non mi sarei mai dovuto permettere... non avrei mai voluto...- iniziò, poi deglutì -non sono riuscito a trattenermi. Ti chiedo infinitamente perdono- e dopo aver detto questo si voltò velocemente e se ne andò. Aprii la porta della stanza e mi gettai sul letto: quella notte erano accadute troppe cose e avevo bisogno di metabolizzarle tutte. Chiusi gli occhi e sentii ancora sulle labbra il sapore di Tiberio, che assomigliava a quello dolce dello zucchero. Quel bacio mi aveva sconvolta: i miei sentimenti non avevano nulla a che fare con quelli che provavo quando baciavo Fabrizio, perchè io amavo lui e nessun altro. Mi aveva lasciata stupita, però, aver sentito tutta la dolcezza di Tiberio e il suo amore che, in qualche modo, avevo percepito provasse per me. Sebbene non riuscissi a far entrare nel mio cuore altri se non Fabrizio, come potevo ignorare un uomo che aveva fatto tutto per me e che mi amava così profondamente?


 



Note dell'autrice:

Buonasera a tutti, mi dispiace immensamente per il ritardo, infondo sono stati solo due giorni, quindi credo mi possiate perdonare!
In questo capitolo viene svelato il motivo del comportamento di Fabrizio e la storia intorno a Filenide (spero di non avervi deluse) e vediamo il nostro Dottore che compie un'azione sconsiderata: bacia Aurora.
Vi ringrazio per la pazienza che dimostrate, posso dirvi che la storia sta per volgere al termine e avrà un lieto fine, come tutto quello che scriverò. Ho in mente già un'altra storia, fatemi sapere se vi farebbe piacere se la scrivessi e pubblicassi. Scusate gli eventuali errori del capitolo, ho dato una revisione molto sommaria perchè sto studiando per un compito in classe di domani. Prometto che cercherò di aggiornare Domenica e se non ci riuscirò vi prego di scusarmi... Buonanotte a tutti, aspetto tante recensioni! Per qualsiasi cosa, ecco il link della mia pagina facebook, rispondo a tutti! Un saluto

_Renesmee Cullen_

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Capitolo 24
*** Ritorno ***


Capitolo 24 – Ritorno


 

Lucrezia entrò nella camera ampia in cui il Senatore ospitava sua madre per quel periodo in cui dovevano organizzare il matrimonio: conteneva un letto di legno spazioso, ornato di sontuose coperte e cuscini, una cassapanca per gli effetti personali dello stesso materiale, uno specchio grande posto da un lato del letto e dall'altro un mobile per appoggiare oggetti. Da una parte c'era una bacinella d'acqua per lavarsi, dove Filenide stava trafficando: stava applicando sui suoi capelli un sapone particolare per nascondere il suo colorito naturale, il biondo, con uno molto più scuro. Aveva paura che qualcuno avrebbe potuto riconoscerla come l'assassina assoldata dal fratello morto di Fabrizio. I suoi capelli erano uguali a quelli della figlia, ricci e biondi, ma aveva fatto di tutto per riuscire a trasfigurarli. Titubante e con sguardo spaventato Lucrezia si avvicinò a lei: sapeva che la madre non era contenta di sua figlia, poichè in quei giorni non aveva concluso nulla di rilevante. Non era nemmeno riuscita a parlare con il suo promesso sposo, dopo quella notte in cui aveva capito di essere caduta in basso come mai in vita sua.

-Buongiorno madre- disse piano, preparandosi a una sfuriata. Filenide tirò su la testa dal catino e prese un panno per asciugarsi, che si macchiò subito di marrone. Buttò lentamente l'acqua sporca dalla finestra che dava sulla strada e poi si sedette sul letto, senza guardare la figlia. Lucrezia restò in piedi al centro della stanza senza parlare o muoversi, sua mare l'aveva abituata così fin da quando era piccola: mai fare o dire qualcosa se non veniva richiesto.

Dopo essersi asciugata i capelli e aver gettato l'asciugamano sotto il letto per nasconderlo fin quando non l'avesse bruciato, alzò lo sguardo sulla ragazza e chiese, in un tono che nascondeva irrequietezza:

-Dimmi, figlia, ti piace lavarti con l'acqua calda?- chiese. Lei annuì alla svelta: quando sua madre domandava, doveva ricevere una risposta all'istante.

-Bene, vedi che non sei così stupida!?- esclamò retoricamente, non perdendo un istante per insultarla, come faceva spesso.

-E adesso dimmi- continuò incurante dello sguardo spaventato della ragazza -Sei felice di mangiare fin quando vuoi e di poter riempire lo stomaco fino a scoppiare? Di non patire mai il freddo?- a quelle domande Lucrezia non rispose subito: dove voleva arrivare sua madre? Quell'esitazione le costò cara: Filenide si avventò su di lei di scatto e le diede uno schiaffo in pieno volto.

-Rispondi!- gridò, fuori di sé come poche volte l'aveva vista

-Si, madre, sono tutte cose che adoro- disse, sull'orlo delle lacrime. Era sempre stata una ragazza fragile ma mai aveva potuto mostrarsi tale con sua madre: avrebbe preso soltanto più sberle. Filenide non si calmò e la prese per le spalle, scuotendola:

-Allora spiegami perchè non stai cercando di fare qualcosa per tenerti stretto il figlio stupido del Senatore! Non capisci che finchè non sarete sposati lui o suo padre in qualsiasi momento possono decidere di annullare tutto? Ci ritroveremmo di nuovo in mezzo alla strada, come prima, lo sai vero?- gridò di nuovo, mentre Lucrezia avrebbe voluto scappare via da quella casa, dalla sua carnefice e dal destino infelice cui era destinata. Di certo, se lo avesse fatto, sua madre l'avrebbe ripresa subito: era un'assassina veloce e ben allenata

-M-mi dispiace madre, ti giuro che oggi stesso andrò da Fabrizio e cercherò di passare molto tempo con lui...- iniziò Lucrezia, ma la madre la interruppe di nuovo:

-Passerai molto tempo con lui? Figlia stupida, non basta! Devi legarlo a te a tutti i costi: quindi o lo fai innamorare di te o ti fai mettere incinta!- esclamò come se tutto fosse scontato.

-Farlo innamorare di me?- chiese incredula la ragazza -Madre, è impossibile! Mentre trascorrevamo la notte insieme (e questo è accaduto soltanto perchè era ubriaco fradicio, altrimenti non avrebbe mai giaciuto con me), mormorava il nome della ragazza che tu hai tentato di uccidere!- esclamò esasperata: non poteva credere che sua madre la ritenesse un oggetto fino a quel punto. Filenide si spazientì ancora di più:

-Ma fortunatamente quella ragazzina se ne è andata, altrimenti ci avrei pensato io! Non ci sono ostacoli sul tuo cammino!- esclamò con veemenza -Seducilo, convincilo, fallo ubriacare e portalo di nuovo a letto, sperando che questa sia la volta buona!- esclamò senza scrupoli. Lucrezia spalancò gli occhi, terrorizzata: non poteva farlo di nuovo. Quella notte che lei e Fabrizio avevano trascorso insieme, si era sentita la donna più scorretta e immorale del mondo. Lei credeva nel vero amore e mai avrebbe voluto sposarsi con qualcuno per diventare ricca e avere soldi a non finire, come voleva invece sua madre. Preferiva essere povera ma felice e mai lo sarebbe stata, a causa sua.

-No!- esclamò infine in un impeto di coraggio, che in tutti quegli anni della sua vita non aveva mai avuto -Non lo farò, madre! Ammalia tu il Senatore, sposalo, fai quello che vuoi! Io non voglio svendere me stessa per le tue brame di potere!- concluse la ragazza, disperata. Filenide inizialmente non disse nulla, non urlò o sbraitò, anzi restò sorprendentemente calma. Per un attimo Lucrezia si illuse sul fatto che magari, per la prima volta in ventiquattro anni, l'avesse capita e provasse compassione per lei. Un istante dopo, la donna si avventò sulla figlia come un fulmine e le prese i capelli con una mano, tirandoglieli fino a farla urlare e farla prostrare a terra:

-Tu farai quello che voglio io, ragazzina, hai capito? Se io ti dico di far innamorare il Generale di te, tu lo farai, non mi importa come. Se ti dico di farti mettere incinta, tu eseguirai i miei ordini e non fiaterai, mi capisci? Altrimenti te la faccio pagare cara.- disse e la sua voce era tranquilla come mai prima di allora. In quel momento Lucrezia si abbandonò alle lacrime, capendo che non aveva alcuna possibilità di salvarsi.


 

P.O.V Aurora


 

Il giorno seguente mi svegliai quando era già pomeriggio inoltrato: nessuno mi aveva svegliata ed avevo dormito così bene come non facevo da tempo. Nonostante questo, non appena mi alzai dal letto, non riuscii a fare a meno di pensare a quello che era accaduto la notte precedente: Tiberio, contro ogni mia aspettativa, mi aveva baciata. Non avevo nessuna intensione di essere arrabbiata con lui per questo o di biasimarlo, poiché conoscevo i suoi sentimenti e li comprendevo, ma il suo gesto mi aveva lasciato stupita: in quel momento, tutto mi sarei aspettata meno che essere baciata. Nonostante la dolcezza dimostrata dal Dottore in quel gesto disperato e tutto il trasporto che avevo sentito verso di me e sebbene nella mia mente si fosse insinuato il dubbio se continuare a rifiutare le sue attenzioni, alla fine avevo deciso che mai avrei potuto pensare di costruire un futuro con lui. Nel bene e nel male, nel mio cuore c'era un uomo solo, alto, moro con degli occhi che sembravano due pozzi neri senza fine, fiero e orgoglioso come pochi. Ciò che mi aveva fatto era imperdonabile ma l'amore che provavo per lui era più forte di qualsiasi cosa. Sapevo che mi aveva usata e imbrogliata, che non mi amava davvero, poiché me lo aveva detto, ma il ricordo di noi due mi inondava la mente in ogni momento.

Nonostante tutto, mi aveva salvata in svariate occasioni mettendo a repentaglio la sua stessa vita, mi conosceva come nessun altro e mi aveva mostrato parti di sé che mai avrebbe fatto vedere a qualcuno. Per me restava sempre un verme, ma anche l'unico amore della mia vita. Dopo essermi lavata con dell'acqua piacevolmente tiepida, pettinata e vestita, uscii dalla camera, andando a cercare Marcella per vedere se ci fosse qualcosa da fare e per sapere come stesse Vinicio quella mattina. La casa era immersa nel silenzio e tutte le camere avevano la porta chiusa: probabilmente stavano ancora dormendo tutti e non era il caso di disturbarli, chissà quanto erano stanchi e preoccupati. Decisi di andare in cucina per preparare qualcosa da mangiare: il mio stomaco brontolava da quando mi ero alzata. Non appena misi un piede nella stanza, però, mi bloccai: Tiberio, con delle occhiaie profonde che gli solcavano il viso e gli occhi lucidi, si apprestava a preparare qualcosa da mettere sotto i denti. Non mi vide entrare, assorto nei suoi pensieri, così mi schiarii la voce e lo salutai:

-Buongiorno, Tiberio.- dissi, arrossendo all'improvviso. Il ricordo di quello che era accaduto la notte precedete era ancora vivo in me e nel mio tono si notava una malcelata nota di imbarazzo. Il Dottore sussultò al suono della mia voce e quando posò gli occhi su di me, le sue guance pallide si colorirono di un rosso acceso. Dopo un attimo di esitazione, rispose:

-Buongiorno, Aurora...- la sua voce era stranamente flebile e incerta. Calò il silenzio tra noi due, pesante ed imbarazzante. Di nuovo mi schiarii la voce e chiesi:

-Vuoi che ti aiuti...?- il mio tono era incerto e Tiberio scosse la testa lentamente, senza parlare. Non sapendo più cosa fare e non volendo andarmene poiché non volevo dare l'impressione di essere offesa o arrabbiata con lui, iniziai a parlare del più e del meno:

-Come hai dormito sta notte? Non hai una bella cera...- iniziai, mordendomi subito dopo la lingua: come mi era venuto in mente di fare una constatazione del genere? Era ovvio che Tiberio non era riuscito a dormire dopo tutto quello che era accaduto... volevo solo farlo sentire a suo agio, invece probabilmente avevo ottenuto l'effetto opposto. Come a dimostrare la mia ipotesi, il Dottore si sfregò le mani sui pantaloni, impaziente, poi si toccò i capelli: era evidente che era nervoso e me ne dispiacque, non volevo che il mio rapporto con lui si incrinasse per quell'episodio. Dopo aver respirato profondamente disse:

-Non ho dormito tutta la notte, Aurora, so che si vede... non ho fatto altro che pensare... a quello che è successo ieri. O meglio, a quello che io ho fatto ieri.- fece una pausa e io non seppi dove volesse arrivare, così tacqui e continuai a guardarlo con sguardo interrogativo. Probabilmente prese questo come un gesto di disappunto e, mortificato e mordendosi le unghie continuò:

-Mi dispiace così tanto di essermi comportato in quel modo... ci ho pensato molto, sono pentito del mio atteggiamento scorretto... tu hai salvato la vita a mio fratello e io come ti ripago? Baciandoti quando so perfettamente che non provi nulla per me... ti prego, perdonami! Ti ho vista lì davanti a me... così bella e innocente che...- si coprì gli occhi con le mani, scuotendo la testa e facendo ondeggiare i capelli biondi -sono stato un villano e un insensibile, spero che potrai perdonarmi.- concluse, non riuscendo a guardarmi negli occhi e puntando il suo sguardo a terra. Mi avvicinai a lui lentamente e poi lo abbracciai forte, intenerita e con il sorriso sulle labbra. Nessuno fino a quel momento si era mai preoccupato di chiedermi scusa per qualcosa che aveva fatto. Il Dottore si stupì del mio gesto ma ricambiò l'abbraccio affettuosamente.

-Non preoccuparti, per me non è cambiato assolutamente nulla... dimentichiamoci quello che è successo, va bene? Non perderai il mio affetto per questo... non sarebbe affatto sincero altrimenti, non trovi?- chiesi retoricamente sorridendogli, mentre mi staccavo da lui dandogli una pacca sulle spalle. Tiberio sorrise raggiante e annuì, mentre il suo colorito non sembrava più così pallido e le sue occhiaie meno profonde.

-Mi arrabbierò moltissimo invece se non metto subito qualcosa sotto i denti! Sto morendo di fame!- esclamai e ridemmo insieme.


 

Quella sera, dopo aver fatto cena, avevo deciso di non fare la mia solita passeggiata notturna per schiarirmi le idee, visto ciò che era successo a Vinicio a causa del mio comportamento. Dopo l'insistenza di Tiberio che affermava che Vinicio era ancora a letto e non ci sarebbe stato nessun genere di rischio, uscii lo stesso. Il Dottore affermava che faceva bene passeggiare in solitudine, per rilassarsi e non pensare alle preoccupazioni che ci affliggono nel corso della giornata.

Dopo essermi coperta con un mantello pesante per non prendere freddo, uscii nei campi e iniziai a camminare, assorta nei miei pensieri. Quella notte c'era la luna piena che, insieme alle stelle, illuminava il paesaggio e conferiva alla campagna un'aria tremendamente malinconica.

Avevo sempre amato camminare in mezzo ai campi e quando ero davvero molto piccola, mio padre, prima di morire in guerra, mi conduceva con sé nelle campagne per cavalcare, cacciare o, più semplicemente, per passeggiare. Ricordavo molto poco di lui, ma nella mia mente erano sempre impresse la sua espressione sorridente, i suoi occhi azzurri come i miei e il suo atteggiamento espansivo. Ripensai a tutta la mia famiglia e nonostante fosse passato del tempo, la ferita era ancora aperta. Erano morti tutti: il mio amato fratello, le mie sorelle forse un po' stupide e troppo sottomesse e anche i miei genitori. Non restava nessun altro se non io e mio zio, di nobili greci. Per un attimo immaginai di tornare in Grecia nel mio palazzo ad Anticyra, di dormire nelle mie stanze, di vedere la vita della città, di andare a pregare sull'Acropoli e di governare il mio popolo in maniera giusta... scossi la testa: se anche fossi tornata in Grecia e avessi avuto la fortuna di farmi riconoscere come principessa, nulla sarebbe stato come prima e mai la mia felicità sarebbe stata completa, senza Fabrizio. Senza contare poi che la città in quel momento si trovava nella mani dei romani, come probabilmente anche il palazzo e tutto il resto... che senso avrebbe avuto ritornare? Immersa nei miei pensieri non mi accorsi di essermi allontanata troppo dalla casa e solo quando sentii un fruscio alle mie spalle, mi voltai. Riuscivo ancora a distinguere l'abitazione in mezzo ai campi, ma mi ero allontanata davvero troppo e mi trovavo in un terreno incolto, dove le erbacce mi arrivavano quasi al petto e i cespugli si stagliavano in ogni punto della terra senza un ordine preciso. Sentii di nuovo un fruscio provenire da una pianta alla mia destra, così tornai indietro, affrettando il passo verso la casa: probabilmente era soltanto un animale che girovagava per i campi, ma era meglio rincasare il più presto possibile. Affrettai il passo, ma ad un tratto mi bloccai: non erano più piccoli suoni che riuscivo ad udire, ma dei passi veri e propri. Qualcuno mi stava seguendo e prima che fossi riuscita a entrare nell'abitazione mi avrebbe preso. Mi fermai, non desiderando che chiunque fosse si avvicinasse alla casa: non volevo mettere a repentaglio la vita della famiglia di Tiberio, piuttosto sarei morta io con onore. Mi guardai intorno e mi feci coraggio, dicendo:

-Chiunque tu sia, so che mi stai seguendo. Non so cosa vuoi da me, non ho soldi da darti e non sono una donna di una famiglia a cui puoi chiedere un riscatto, ma vieni fuori, non nasconderti nell'ombra: non ho paura di te!- esclamai sicura: non avevo niente da perdere, ormai. Mentre il cuore, involontariamente, mi batteva all'impazzata nel petto, come se riuscisse a presagire qualcosa, un cespuglio alla mia destra si mosse notevolmente e mi preparai ad essere assalita da qualcuno. Dalla pianta, invece, sbucò improvvisamente Fabrizio. Mi bloccai, immobile, e spalancai la bocca. Non parlai né feci nulla, poiché il mio stupore era troppo grande: che cosa ci faceva lui lì, in quel momento? Come aveva fatto a trovarmi? Fabrizio mi guardò per qualche istante come se fosse la prima volta che mi vedeva, poi venne verso di me e senza esitazione mi prese il viso tra le mani e mi baciò con passione.

Tutta quella scena sembrava surreale, come in un sogno. A causa della veemenza dei suoi gesti e del terreno umido, scivolammo stesi a terra tra l'erba mentre il Generale continuava a baciarmi e io, sebbene una parte di me si opponesse con forza, mi abbandonai a lui, consapevole che tutto ciò che stava accadendo era reale. Quelle emozioni familiari che provavo quando lo baciavo si fecero strada in me: il calore piacevole che sentivo in ogni parte del corpo, le sue labbra morbide e delicate sulle mie e le sue mani che accarezzavano i miei capelli con dolcezza. Sentii il sangue inondarmi il cervello e lo stomaco capovolgersi: oh dei del cielo, da troppo tempo non mi sentivo così. Ci baciammo a lungo, per minuti o ore, non seppi mai definire il tempo e in quel bacio c'erano mille parole non dette, pensieri non ammessi. Ero consapevole che la bellezza di quel momento sarebbe durata poco e che una volta che ci fossimo staccati la realtà sarebbe piombata su di noi violenta come non mai ma in quel momento volevo solo sentire le braccia di Fabrizio che mi avvolgevano e le sue labbra che cercavano disperatamente le mie, come non accadeva da troppo tempo. Finalmente mi sentivo completa, come se il cuore che avevo lasciato a Fabrizio il giorno della mia partenza fosse tornato nel mio petto, impetuoso come non mai.

Quando a entrambi mancò il fiato, ci staccammo e il Generale, che stava sopra di me, mi guardò negli occhi:

-Quanto mi sei mancata...- sussurrò dolcemente e si avvicinò per baciarmi di nuovo, ma in quel momento, come mi aspettavo, il ricordo di tutto ciò che era accaduto mi assalì con violenza e non riuscii a fare altro se non appoggiare le mani sul suo petto e spingerlo via. Fabrizio si scansò subito e si mise a sedere, nel viso aveva un'espressione ferita e contrariata: cosa si aspettava? Dopo tutto ciò che mi aveva fatto avrei dovuto accoglierlo a braccia aperte?

-Che cosa...?- chiese, mentre mi mettevo a sedere anche io, mentre l'erba alta copriva le nostre figure.

-Non osare chiedere che cosa mi prende- anticipai il Generale con voce fredda e incolore. Lui, da una parte per niente stupito, fece un sorriso triste e aprì la bocca per parlare, ma io lo interruppi nuovamente ed impazientemente con un gesto della mano.

-No, Generale dei miei calzari, ora parlo io.- dissi e Fabrizio mi guardò sconcertato: mai mi aveva vista così decisa, indignata ed inquieta. Le mie guance si colorirono di rosso per la rabbia, mentre iniziavo a parlare e le mie parole erano come le acque di un fiume in piena:

-Ho aspettato che tu tornassi dalla guerra, mi sono disperata credendo che tu fossi morto, ho pianto e urlato, perchè ti amavo e non potevo pensare di vivere senza di te. Dopo essere tornato, avermi riempito di false promesse, dicendo che mi avresti sposata a qualunque costo, sei stato promesso sposo a un'altra donna. Va bene, non è stata colpa tua, potrei anche accettare questo fatto, ma dopo di questo, oltre a non avermi mai cercata per fornirmi delle spiegazioni, per confortarmi o altre stupide cose che avresti potuto fare cosa è successo? Ti ho trovato a letto con un'altra!- esclamai concitatamente, mentre il mio tono di voce saliva piano piano e io mi alzavo in piedi, irrequieta -Dopo che avevi giurato amore eterno a me e tutte le belle parole che avevi sperperato per farmi innamorare follemente di te, cosa hai fatto? Hai giaciuto con un'altra donna e io ti ho visto con i miei occhi, quindi non provare a negare l'evidenza, faresti peggio. Nonostante questo, non hai tentato nemmeno di scusarti, di riparare al dolore che mi hai provocato, sebbene mi avessi detto tante belle cose e poi? Mi hai cacciato di casa, come se fossi stata un oggetto che non ti serviva più perchè probabilmente volevi sposarti con quella che è più bella di me e non mi volevi tra i piedi! Dopo tutto questo hai anche il coraggio di venire da me, pedinarmi, sbucare improvvisamente da un cespuglio, baciarmi e scombussolarmi la vita che per un miracolo del destino era tranquilla, per una volta dopo troppo tempo! Non osare chiedermi perchè reagisco in questo modo!- conclusi, ansimando. Di solito, ero una ragazza che odiava chi urla e strepita ma in quel momento riuscii a giustificare me stessa: nient'altro gli avrebbe fatto capire come mi sentivo e forse, non lo avrebbe mai capito lo stesso. Fabrizio si alzò in piedi e mi fronteggiò, a testa alta, prese un respiro profondo e disse:

-Se vuoi che me ne vada perchè sei felice senza di me e hai una vita piacevole e tranquilla, se non mi ami più come prima, dillo e me ne andrò e ti giuro su quanto ho di più caro che non mi rivedrai mai più e avrai la tua vita felice. Se dentro di te, però, senti ancora qualcosa per me, allora lascia che questa notte resti qui con te e che ti spieghi tutto ciò che è successo.- disse mite, guardandomi negli occhi supplicante, come mai prima di allora. Non seppi resistere a quello sguardo e a lui, che ancora amavo oltre ogni immaginazione e mi sedetti a terra, cercando di calmare il battito del mio cuore e il sangue che mi pulsava in ogni parte del corpo. Anche Fabrizio si sedette accanto a me, prendendomi le mani tra le sue, ma io le spostai: non volevo che mi toccasse. Il Generale abbassò lo sguardo, sconfortato:

-Mi odio così tanto, vero?- chiese tristemente, anche se la sua voce era leggermente incrinata, non riuscì a farmi compassione:

-Sono qui per ascoltare ciò che hai da dirmi, non per sentirti mentre ti autocommiseri!- esclamai brutalmente. Fabrizio scosse la testa, prendendo un ciuffo d'erba tra le mani per torturarlo e iniziò a parlare, con voce bassa e roca:

-Tutto ciò che hai detto... è vero, eccetto due cose: io ti ho cercata e, nonostante le mie parole, non ho mai smesso di amarti più della mia vita e tu sei la donna più bella del mondo, non dubitarne mai.- disse e di certo non si aspettava che gli credessi, infatti il suo volto non fece una piega.

-Perchè dovrei crederti?- chiesi fredda e lui mi guardò intensamente negli occhi e continuò a parlare, senza rispondere alla mia domanda.

-Come hai detto tu, non sapevo di dover sposare quella Lucrezia e dopo essere venuto a conoscenza di ciò, ho detto a mia madre, Iginia, di cercarti e mandarti nella mia stanza, di notte, poiché io non avevo modo di venirti a cercare, non con quelle due donne nella Villa e con mio padre che seguiva ogni mio passo. Quella sera stessa è tornata dicendo che non volevi vedermi e il mondo mi è crollato addosso.- spiegò e io spalancai gli occhi, questa volta stupita:

-Nessuno è venuto a cercarmi! Anzi, Attilia mi ha anche detto che tu non avevi nemmeno menzionato il mio nome! Ho pensato che di me non ti importasse nulla e non ti ho cercato, non volendo guastare la tua probabile felicità!- esclamai allibita. A quel punto, Fabrizio mise le mani sulle mie spalle e mi scosse:

-Come hai potuto anche per un istante pensare che non mi importasse di te?- chiese retoricamente, ma io scossi di nuovo la testa, decisa a non farmi impressionare dalle sue parole.

-Se anche fosse vero... e non pensare che ti creda sulla parola, nulla giustifica ciò che hai fatto! Perchè non sei venuto a cercarmi?- chiesi concitatamente stringendo i pugni. Lui si prese la testa tra le mani, chiudendo gli occhi:

-Mio padre mi ha supplicato di sposare quella ragazza per adempiere le sue ultime volontà: sono l'unico suo figlio rimasto in vita e non potevo contrariare la volontà di un povero vecchio. Ero disperato, non sapevo cosa fare, ero convinto che tu mi odiassi e non volevo obbligarti a vedermi... poi quella sera, quando mio padre ha voluto festeggiare il fidanzamento, mi sono ubriacato come mai in vita mia per cercare di dimenticare quella situazione orribile... e ti giuro che nel delirio dell'alcool pensavo che quella ragazza che mi era accanto fossi tu! Quando mi sono svegliato... è stato l'incubo peggiore della mia vita...- spiegò ancora, ma io feci un gesto di impazienza con la mano:

-Risparmiami quei dettagli: saperli mi fa male.- dissi schietta, abbassando lo sguardo e trattenendo con forza le lacrime.

-Se è vero tutto quello che hai detto... perchè mi hai cacciata via in quel modo? Io ti avrei perdonato qualunque cosa, perchè ti amavo così tanto, avremmo trovato una soluzione insieme... invece tu mi hai pugnalata alle spalle e mi hai causato un dolore così grande che ancora adesso se ci ripenso tremo.- dissi, non nascondendo le mie emozioni: era giusto che sapesse ciò che mi aveva provocato, non mi interessava se avrebbe sofferto. La sua sofferenza non sarebbe mai stata paragonabile alla mia.

-Perchè ho scoperto che la madre della ragazza che deve sposarmi è la stessa che tempo fa ha tentato di ucciderti e pur di proteggerti e allontanarti dal pericolo ho preferito che tu mi odiassi.- disse tutto d'un fiato, chiudendo gli occhi. Io spalancai i miei, incredula: non potevo pensare che pur di sapere che mi trovavo al sicuro aveva fatto soffrire me e lui stesso... non dovevo ancora cedere, tuttavia, ogni sua parola si sarebbe potuta dimostrare una menzogna.

-Fabrizio... non so se crederti, non dopo tutto quello che mi hai fatto...- iniziai, ma questa volta lui mi interruppe, mi prese una mano e se la portò sul cuore, mentre io non potevo né volevo divincolarla, dicendo:

-Senti questo cuore come batte forte, quando ci sei tu? Vedi questi occhi brillare non appena posano lo sguardo su di te? Non noti, infine, quanto sono disperatamente innamorato di te tanto da compiere tutti i gesti sconsiderati che ho commesso? Ho sbagliato, è vero, so che il male che ti ho fatto è tanto ma anche se serve a poco ti giuro che se tornassi indietro nel tempo capovolgerei il mondo pur di vederti felice, senza curarmi di mio padre o di nessun altro...- mentre parlava respirò profondamente, per tranquillizzarsi, poi continuò -Queste settimane mi sei mancata così tanto che rischiavo di perdere il senno: ho meditato di uccidere chiunque si frapponesse tra me e te, sono arrivato a fare pensieri indicibili... ma questo non importa. Sono qui e ti amo così tanto da supplicarti: ti prego perdona questo stupido che si è lasciato trasportare dalla disperazione prima e che ha agito impetuosamente poi.- dicendo questo, si mise in ginocchio davanti a me abbassando la testa, lasciandomi basita: tutto avrei pensato, meno che il Generale, uomo romano fiero ed orgoglioso, si sarebbe umiliato in quel modo in mia presenza. -Forse provi solo compassione per me, ma ti prego, ti sto supplicando, se mi ami ancora l'ombra di come mi amavi prima credi a quello che ti ho detto e perdonami.- concluse. Io lo guardai a lungo, senza rispondere mentre dentro di me lottavano la mia testa e il mio cuore: la prima mi diceva di non credere a neanche una parola del Generale poiché se mi aveva tradita una volta, avrebbe potuto farlo di nuovo, dicendo anche di fargliela pagare per il male subito. L'altro urlava di credere completamente a ciò che mi diceva Fabrizio, capendo che i suoi discorsi provenivano dal cuore, anche perchè non avrebbe ricevuto nessun vantaggio dal mentirmi. Pensai che lo amavo talmente tanto che sarei riuscita a passare sopra a tutto quello in nome dei miei sentimenti per lui. In fine, quando vidi il suo corpo irrigidirsi sempre di più a causa del timore per la mia risposta, gli misi un dito sotto il mento e gli feci alzare lo sguardo su di me. Quando incontrai i suoi occhi sorrisi gioiosamente come non facevo da tempo e dissi:

-Smettila di dire sciocchezze: ti amo, Generale Fabrizio, più di quanto si possa dire o immaginare e anche se fino a poco fa avrei desiderato tirarti una spranga sulla testa... ti credo con tutto il cuore perchè l'amore non mi fa dubitare di te...- dissi e il sorriso sul volto dell'uomo divenne così grande da non poter quai essere contenuto nel suo viso, ma prima che si avvicinasse di nuovo dissi:

-Non deludermi questa volta!- esclamai sicura sorridendo e a quel punto Fabrizio mi abbracciò d'impeto, non riuscendo a trattenersi, accarezzandomi ripetutamente i capelli:

-Non lo farò, dovessi morire, non lo farò!- esclamò concitatamente e non riuscii a dubitare delle sue parole. Mi strinsi a lui, felice come non mai, alzai il viso e le nostre labbra si incontrarono ancora e ancora, finchè non mi ritrovai stesa a terra sul terreno umido, mentre non riuscivo a fare altro che perdermi tra i baci di Fabrizio e stringermi a lui tanto da farlo soffocare. In quel momento sentivo la felicità traboccare da ogni poro della mia pelle, mentre affondavo il viso sul collo del mio amore ritrovato e ne sentivo l'odore dolce. Ad un tratto il Generale mi guardò negli occhi, mentre un'ombra di sconforto li velava:

-Amore mio... ti giuro che farò di tutto per smascherare le intenzioni di quelle donne e se dopo di questo mio padre non vorrà accettare il nostro matrimonio perchè tu non sei nobile, fuggiremo insieme e non mi importa di causargli dolore: io scelgo te e lo farò per sempre!- esclamò con forza. In quel momento un pensiero passò nella mia mente: se davvero Fabrizio sarebbe riuscito a portare a termine i suoi intenti, con quale cuore avrei separato suo padre dall'unico figlio che gli restava? Con quale coraggio avrei messo il Generale contro suo padre, che amava così tanto? Decisi, dopo tutto ciò che era accaduto, che non potevo più nascondergli nulla, ma dovevo essere sincera, così parlai:

-Fabrizio, devo dirti una cosa- alle mie parole, lo sguardo del Generale si fece attento e io presi un respiro profondo -Io non sono un'ancella... sono l'ultima erede al trono del regno di Macedonia. Sono la Principessa Penelope di Anticyra, figlia della sorella del re Filippo V di Macedonia-

Fabrizio spalancò gli occhi e non parlò.


 


 

Note dell'autrice


Buonagiorno a tutti... ho una bella faccia tosta a presentarmi dopo tutto questo tempo, ma chiedendo perdono (come ha fatto Fabrizio) eccomi qui con questo nuovo capitolo. Siccome sono malata, ne ho approfittato per scrivere... è dalle 10:00 di sta mattina che non mi fermo un attimo e spero che apprezzerete il lavoro! Che dire... ho avuto molto da fare questi giorni, ma adesso che arrivano le vacanze di Natale, sarò puntuale. Purtroppo per voi dovrete aspettare fino a Sabato o Domenica prossima per il prossimo capitolo, ma spero che ne varrà la pena. Sono pronta a rispondere a tutte le vostre domade, chi vuole può anche scrivermi sulla pagina facebook, rispondo sempre! In questo capitolo vediamo la vera natura di Filenide (carnefice) e quella di Lucrezia (dolce e povera vittima) e poi... il ritorno di Fabrizio. So che alcuni preferivano Tiberio, ma come dirò in maniera più approfondita sulla pagina facebook, fabrizio è l'unico grande amore di Aurora e non sarebbe stato coerente che dopo tutto quello che è accaduto lei si conceda a Tiberio che, per altro, non la conosce nemmeno bene (e qui un ringraziamento speciale va a tutti voi per avermi aiutata a capire chi dovesse essere il vero amore di Aurora). Adesso vado a vestirmi visto che sto ancora in pigiama, spero recensirete in molti!
Un saluto

_Renesmee Cullen_

link pagina facebook: https://www.facebook.com/pages/Ex-Scintilla-Incendium-Oriri-Potest/615752951820950

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Capitolo 25
*** La verità ***


CAPITOLO 25 - La verità


 

Mi avvicinai e mi misi a terra, di fronte a lui, appoggiandomi sulle ginocchia in maniera lenta e calcolata. La reazione del generale non faceva presagire nulla di buono. Mentre teneva lo sguardo rivolto verso il basso senza parlare e senza quasi respirare, gli alzai il mento con le dita e lo spinsi a guardarmi, forzandolo: quel silenzio era più terribile di mille parole. Lo guardai negli occhi che erano più scuri del solito, attraversati da un'ombra che solitamente non era presente nel suo sguardo. Rabbrividii ma mi feci coraggio:

-Fabrizio... parlami, di qualcosa!- esclamai preoccupata: avrei preferito cento volte che mi sbraitasse contro, che mi insultasse o gridasse... quel silenzio, invece, pieno di parole non dette e pensieri nascosti, pesava più di un macigno sopra la mia testa.

-Mi hai mentito... per tutto questo tempo...- disse, inarcando le sopracciglia nere in maniera minacciosa -come hai potuto... come...!?- iniziò, il tono di voce basso e rauco, proprio di una persona che sta cercando di trattenere un'emozione troppo forte. Strinse i pugni con così tanta forza che le nocche gli diventarono bianche, tuttavia non si mosse oltre: sembrava una statua, bellissima e terribile allo stesso tempo.

-Non dirmi così! Non sapevo cosa fare, mi trovavo in una terra straniera, circondata da persone che avevano trucidato il mio popolo e continuavano a farlo!- esclamai in maniera convincente

-Avevo paura che se qualcuno avesse saputo chi fossi in realtà, avrebbe cercato di estorcermi informazioni e torturarmi...- iniziai, ma Fabrizio si alzò in piedi di scatto, agilmente, mentre io barcollavo all'indietro, perdendo l'equilibrio:

-Non ti avrei mai fatto una cosa del genere! L'hai visto, te l'ho dimostrato... potevi fidarti di me, se non subito, dopo un po' di tempo! Ti avrei tenuto al sicuro da chiunque e da qualunque cosa!- esclamò accusandomi, puntandomi un dito contro. Il suo problema era quello della fiducia, dunque?

-Eri pur sempre un uomo romano! Non sapevo come avresti reagito se ti avessi detto la verità... la tua reazione sarebbe potuta essere la peggiore o la migliore... non ho mai avuto il coraggio di dirtelo!- dissi concitatamente, alzandomi in piedi a mia volta e cercando di fargli comprendere le mie ragioni, prendendomi la testa tra le mani e scuotendola.

-Hai preferito mentire e lasciare che accadesse tutto quello che è successo, senza mai dire nulla...- continuò il Generale, con voce rabbiosa, come se la dolcezza di poco prima fosse scomparsa all'improvviso. Respirai profondamente: non aveva il diritto di reagire in quel modo, non dopo quello che mi aveva fatto, io avevo compreso le sue ragione, toccava a lui comprendere le mie.

-Avevo paura che oltre al resto avrebbero potuto darmi in sposa a un uomo che non amavo... ho preferito vivere come una serva, adattarmi ad una vita mai fatta, pur di riuscire a sfuggire a quel destino crudele!- controbattei, sicura che, se avessi insistito, alla fine avrebbe compreso i motivi per cui avevo agito in quel modo. Sapevo che sarebbe stato difficile, ma sarei riuscita a fargli accettare quel dato di fatto.

-Ti avrebbero data in sposa a me! Io ti avevo salvata e catturata, eri una mia prigioniera! Non mi ami forse?- chiese come se gli avessi mentito anche su quello e non lo amassi davvero. Sbattei un piede per terra, piccata ed incredula:

-Come potevo saperlo? Quando sono arrivata a Roma il mio unico pensiero era quello di nascondere la mia identità per cercare di non correre rischi di nessun genere.- affermai, quasi gridando, con il fiatone -Se mi avessero dato in sposa a qualcun altro, invece? Se fossi arrivata a Roma e mi avessero dato in sposa a qualcun altro? Al mio arrivo a Roma non potevo essere innamorata di te, non volevo sposarti, come puoi biasimarmi?- chiesi, sperando davvero che non credesse che i miei sentimenti per lui fossero falsi. -Se mi avessero uccisa perchè io mai e poi mai avrei rivelato i segreti di mio zio, il re?- domandai retoricamente, convinta che non sarebbe riuscito a controbattere a quelle affermazioni.

-Non avrei mai permesso nulla di quanto hai detto...- iniziò, ma lo interruppi, certa che la sua risposta fosse troppo poco convincente per essere presa in considerazione:

-Questo nessuno può saperlo. Io sono arrivata a Roma, catturata dai miei nemici, spaesata e con l'unico desiderio di non essere torturata a morte e di non sposare un uomo che non conoscevo né amavo.- dissi. Respirai profondamente e smisi di gesticolare come se fossi stata una pazza. Fabrizio si mise le mani davanti agli occhi e scosse la testa, ricominciando a parlare:

-Allora perchè non dirmelo dopo? Dopo che avevi visto quanto ero innamorato di te e quanto ero devastato dal fatto che era impossibile che io e te ci sposassimo, visto il tuo stato, perchè non me l'hai detto? Oppure, perchè non l'hai fatto quando hai saputo che ero promesso sposo ad un'altra?- chiese ancora, con la voce ovattata, mentre iniziava a camminare da destra a sinistra nervosamente, sfregando le mani l'una sull'altra.

-Quando... sono entrata nella tua stanza e tu eri...- iniziai, ma non riuscii a concludere la frase: ricordare e raccontare ciò che era successo mi faceva troppo male e mi causava un nodo alla gola. Respirai profondamente e ricominciai:

-Quando sono entrata nella tua stanza, quel giorno in cui tu- enfatizzai quel “tu”per rendere meglio l'idea, mentre la mia voce si spezzava a causa del ricordo terribile -mi hai tradita, ero venuta per dirti chi fossi. Dopo, però, appena ho visto ciò che avevi fatto, ho pensato che preferissi un'altra, che non mi amassi davvero e ho deciso che il mio segreto sarebbe morto assieme a me, dopo quello che mi avevi fatto.- conclusi, stringendo i pugni per trattenere le lacrime. Non volevo piangere di nuovo, dovevo essere forte. Non potevo abbandonarmi alla debolezza in ogni istante.

Fabrizio non rispose alle mie parole, ma lasciò cadere le spalle, rilassandosi: probabilmente stava trattenendo il respiro.

-So che cosa pensi.- dissi infine -Se ti avessi detto la verità prima ora non ci troveremmo a questo punto... ma anche se tu l'avessi fatto ora non saremmo qui, credo. Entrambi abbiamo sbagliato, tanto, tutti e due abbiamo fatto un torto all'altro. Non è ora di dimenticare e di guardare avanti, ora?- chiesi, sorridendogli timidamente, non sicura di averlo placato con le mie parole. Inizialmente il Generale non disse ne fece nulla e per un attimo temetti di averlo perduto di nuovo, questa volta per sempre, dopo di che sorrise a sua volta:

-Hai davvero ragione... non posso adirarmi in questo modo, quando l'unica cosa che hai cercato di fare è stato sopravvivere... e chi lo sa, forse doveva andare così. Probabilmente il Fato voleva questo. Ho capito una cosa, però- disse sorridendo, avvicinandosi lentamente a me e prendendomi le mani tra le sue, stringendole con trasporto:

-D'ora in poi, visto tutto quello che è accaduto, dobbiamo fidarci l'uno dell'altra incondizionatamente.- disse e io annuii forte e gli saltai al collo, abbracciandolo: chi avrebbe mai detto che sarebbe stato così facile dirgli la verità e riappacificarmi con lui? Per un istante avevo davvero temuto di averlo perduto ancora una volta, invece gli dei avevano deciso che non sarebbe accaduto. Ad un tratto, Fabrizio si scansò, mi guardò negli occhi con una punta di divertimento e si inginocchiò davanti a me, con un ginocchio piegato in avanti e uno appoggiato al suolo. Mi prese la mano e sorrise gioiosamente.

-Che cosa stai facendo?- chiesi interdetta, arrossendo: non capivo quali fossero le intenzioni del Generale, che sembrava essere sul punto di saltare per la gioia e di fuggire via per l'emozione allo stesso tempo. Lui abbassò la testa e mi baciò la mano con forza:

-Sei una Principessa... i militari si inchinano al passaggio dei superiori- affermò sicuro. Io cercai di divincolarmi dalla sua stretta, invano. Non volevo che da quel momento in poi iniziasse ad utilizzare quelle formalità inutili: non c'erano mai state tra di noi, nemmeno quando fingevo che fosse lui il mio superiore.

-Smettila di comportarti così! Non voglio la proskynesis(1*)... non sono un Regina, né un'Imperatrice, né un condottiero di eserciti... io sono come te, non devi utilizzare queste stupide riverenze... mi fanno sentire a disagio- iniziai a parlare a raffica, non sapendo che altro fare: quella situazione era così strana che quasi faceva venire voglia di ridere.

-Va bene, mia Principessa, come desideri. Non mi comporterò in maniera formale al tuo cospetto!- esclamò non muovendosi, tuttavia, di un passo dalla sua posizione. Scossi la testa, indignata: si stava evidentemente prendendo gioco di me.

-Mi stai prendendo in giro? Allora perchè continui a stare davanti a me in questo modo buffo? E non chiamarmi Principessa!- lo ripresi di nuovo, cercando ancora una volta di farlo muovere da quella posizione, quanto meno, o di farlo alzare in piedi. Non riuscivo nemmeno a guardarlo negli occhi, poiché teneva lo sguardo fisso sul terreno e questo mi procurava ansia: che cosa aveva intenzione di fare? Dovevo preoccuparmi?

-Non mi sto prostrando davanti a te. Devo farti una richiesta importante e gli uomini non sono così coraggiosi da guardare una donna in viso quando chiedono questo genere di cose, dunque lo fanno in ginocchio(2*)- spiegò. Io continuai a guardarlo interdetta, non riuscendo ad immaginare nemmeno per un secondo cosa stesse per domandarmi. Tacqui e aspettai che continuasse:

-Mia Princ... anzi, mia dolce Aurora, mi concederesti lo straordinario onore di diventare mia moglie?- chiese, forte e chiaramente, senza un minimo di esitazione nella voce. Per un istante non capii davvero cosa mi stesse dicendo. Inizialmente pensai di non aver capito bene e non risposi, non volendo dire qualcosa di inappropriato. Il Generale, contro ogni mia aspettativa tacque per un po' ed io compresi: non mi ero sbagliata, Fabrizio mi aveva veramente chiesto se volessi diventare sua moglie. Boccheggiai per qualche istante, cercando di parlare ma non ci riuscii a causa dello stupore e della felicità che mi aveva provocato quella notizia. Respirai profondamente e questa volta riuscii a rispondere:

-Mille e mille volte si!- esclamai convinta, con le lacrime agli occhi per la commozione e la gioia. Fabrizio alzò la testa di scatto e sorrise raggiante, come se vedesse il sole. Mi prese per i fianchi e mi sollevò, baciandomi e facendomi volteggiare. Mi baciò ancora e ancora mentre mi aggrappavo a lui come se fosse un'ancora di salvezza e lui avvolse tra le sue braccia calde, tra le quali mi sentivo al sicuro. Mi staccai e lo guardai negli occhi contenta. All'improvviso, però, la realtà mi cadde addosso: nonostante tutto Fabrizio era ancora promesso sposo a Lucrezia... cosa avremmo potuto fare? Esternai i miei dubbi:

-Fabrizio... tu sei ancora legato a quella donna, siete fidanzati. Cosa hai intenzione di fare?- domandai incerta, non guardandolo negli occhi e temendo la risposta.

-Non avere paura, amore mio- disse il Generale accarezzandomi una guancia e spingendomi a guardarlo -Quella donna è un'impostora, troverò il modo di smascherarla!- esclamò convinto e in quel momento non ebbi tempo di pormi altre domande perchè Fabrizio riprese a baciarmi con passione: era un'occupazione molto più soddisfacente.


 

P.O.V. Fabrizio


 

Dopo aver passato quasi tutta la notte con Aurora e prima che albeggiasse, ero riuscito a tornare a casa. Camminai velocemente per i corridoi della Villa, cercando di essere più silenzioso possibile e di non farmi vedere da nessuno, tanto meno da Filenide e sua figlia.

Non appena entrai nella mia camera mi richiusi la porta alle spalle lentamente e la serrai con la chiave: qualsiasi precauzione presa non sarebbe mai stata sufficiente, dato che in casa viveva un'assassina professionista, pronta a compiere qualsiasi follia in qualunque momento. Mi stesi sul letto, cercando di prendere sonno: dopo poche ore avrei dovuto iniziare l'operazione per smascherare le due donne. Se volevo che mio padre accettasse l'idea che spossassi un'altra ragazza, dovevo fornirgli prove sufficienti affinchè potesse rompere l'altro patto. Quale dimostrazione migliore che fargli vedere che quelle due erano assassine e imbroglione?

Mi rigirai a lungo nel letto, senza riuscire a prendere sonno: erano successe troppe cose che mi spingevano a riflettere, quella sera. Se da una parte sapere che Aurora era una Principessa (e non una qualsiasi, ma l'ultima erede del regno di Macedonia) mi aveva scosso e sconvolto, dall'altra era quasi come se una parte di me l'avesse sempre saputo. Troppi erano stati i segnali che me l'avevano fatto comprendere: i suoi modi di fare, il suo carattere sfrontato e irrispettoso, la sua grandissima cultura.

Sebbene inizialmente non avessi reagito bene a quella notizia poiché odiavo le menzogne, in quel momento non riuscivo a portare rancore ad Aurora: la felicità che a sua volta mi avesse perdonato e che l'avessi ritrovata era più grande di qualsiasi altro sentimento. Sentire la sua pelle delicata sotto i polpastrelli e le sue labbra morbide che si muovevano all'unisono con le mie e le sue braccia che mi stringevano forte le spalle erano sensazioni a cui mai e poi mai avrei rinunciato. Non avrei creduto, nella vita, di poter incontrare una persona che mi avrebbe fatto innamorare a tal punto da umiliarmi per ricevere il suo perdono... ma cos'era quello, di fronte a ciò che provavo per la mia dolce Principessa?

Assorto nei pensieri non mi accorsi del tempo che passava e, mentre stavo per addormentarmi, il gallo cantò. Lasciai dietro di me la stanchezza e mi alzai velocemente: da quello che avrei fatto nei prossimi giorni, sarebbe dipesa la mia felicità con Aurora. Quando uscii dalla mia camera, dopo aver cancellato con l'acqua i segni della mia avventura notturna, la Villa era già sveglia e in movimento.

La prima idea che mi balenò in mente fu che, certamente, da solo non sarei riuscito a concludere nulla di importante. Avevo intenzione di intrufolarmi nelle stanze delle due donne e di certo questo era impossibile: se mi avessero visto, quale spiegazione avrei arrecato loro? Di chi fidarmi, tuttavia, per compiere quella missione rischiosa? Pensai per qualche minuto: mai mi sarei affidato a mia madre. Dopo quello che mi aveva raccontato Aurora, era ovvio che lei non desiderava che stessimo insieme e che combattessimo per la nostra storia. Sebbene cercassi di comprendere che l'unica cosa che desiderava era tenermi al sicuro ed evitare sofferenze inutili, non potevo tollerare quel comportamento e prima o poi le avrei fatto sapere che nulla di quanto aveva fatto era stato scordato. Improvvisamente, dopo aver pensato a lungo, ebbi una folgorazione: sapevo perfettamente a chi rivolgermi.


 

-Credi di poterlo fare?- chiesi speranzoso, fissando Attilia negli occhi in maniera intensa. La ragazzina, mentre le spiegavo tutto quello che era successo senza riserve e le spiegavo ciò che avevo bisogno che facesse, aveva tenuto lo sguardo fisso a terra. Alla mia domanda alzò gli occhi e le sopracciglia, fissandomi incerta:

-Quindi, padrone, tu vuoi che io mi intrufoli nelle stanze delle signore con la scusa di doverle pulire e rassettare e frughi nei loro cassetti e sotto i letti per trovare delle prove che dimostrino che sono due impostore e poco di buono... perchè tu ora puoi sposare Aurora perchè lei è una Principessa Macedone ma l'unica cosa che te lo impedisce è il tuo fidanzamento con Lucrezia e l'unico modo per scioglierlo è dimostrare a tuo padre che lei e sua madre sono due poco di buono, perchè a te sembra che siano tali?- domandò concitatamente, iniziando a gesticolare. Socchiusi gli occhi, stupito che avesse compreso in maniera così celere la questione:

-Si, hai centrato il fatto.- dissi, sospirando -Mi rendo conto di averti chiesto una follia, potrebbe essere davvero pericoloso fare quello che ti ho chiesto, ma senza il tuo aiuto io e Aurora siamo condannati a rimanere separati e a vivere una vita infelice- dissi, esternando in maniera eccessiva i miei sentimenti. Se per ottenere ciò che volevo era necessario mostrare la parte più debole di me a una serva, bene, l'avrei fatto.

-Sono davvero tante informazioni da recepire...- sussurrò la ragazza, che assunse un'espressione pensierosa che la faceva sembrare ancora più piccola di quello che era -ma se c'è anche una piccola parte di verità in ciò che mi hai detto, allora ti dico: ti aiuterò! In realtà mi lascia parecchio di sasso sapere che Aurora è una Principessa e non me l'abbia detto... ma suppongo che se non l'ha detto a te, perchè avrebbe dovuto farlo con me? Conta pure su di me, Generale.- disse annuendo convinta.

-Non smetterò mai di ringraziarti... - dissi sicuro e dopo averle stretto una mano in segno di gratitudine, me ne andai: sarei andato in Senato per scoprire tutto ciò che potevo sull'identità di quella donna che, a quanto sembrava, era la sorella di un Senatore.


 

Camminavo ripetutamente e instancabilmente da destra a sinistra davanti all'ufficio di mio padre da un tempo che sembrava essere infinito. Dopo essere stato in Senato e aver appresso delle notizie terrificanti, ero corso alla Villa e avevo chiesto udienza a mio padre. A causa dei suoi numerosi impegni come Senatore, stava ricevendo un ambasciatore che portava notizie della situazione disastrosa(3*) delle province e mi aveva fatto aspettare davanti al suo studio. Il mio cuore e la mia mente non riuscivano a trovare pace: non facevo altro che pensare a ciò che mi aveva mostrato Attilia appena avevo messo piede alla Villa: più tempo passava durante il quale quelle donne non venivano scoperte, più la vita degli abitanti della proprietà si metteva in pericolo.

Respirai forte e mi fermai, tentando in qualche modo di calmarmi: un Generale romano non doveva reagire a quel modo, nemmeno nelle situazioni di più profonda disperazione. Era necessario che mantenessi la calma e pensassi con lucidità a quello che di li a poco mi sarei apprestato a fare.

Improvvisamente la porta dello studio si aprì e ne uscì l'ambasciatore, vestito in maniera elegante ed ordinata. Mi salutò con il pugno sul petto in segno di rispetto e se ne andò senza aggiungere altro. Mio padre, da dentro la stanza, mi fece cenno di entrare, ma prima di fare questo fermai un'ancella di passaggio e le intimai di condurre le signore nostre ospiti da me e mio padre con una certa urgenza. Entrai nella stanza e mi chiusi la porta alle spalle, sotto lo sguardo attonito di Cornelio, che aveva sentito ciò che avevo detto alla serva.

-Figlio, cosa sta succedendo? Cosa c'è di così importante da far riunire me e le signore e di così urgente da dove mettere fretta all'illustrissimo ambasciatore?- domandò preoccupato. Non fui capace di rassicurarlo in alcun modo: anche se non ne era a conoscenza, il suo turbamento era più che corretto.

-Lo scoprirai tra poco, padre- dissi, mentre cercavo di dominare l'ansia che trapelava da ogni poro della mia pelle. Strinsi i pugni: sarei uscito vittorioso da quella battaglia, soprattutto dopo tutte le informazioni che avevo ottenuto.

Il suo sguardo stupito mi spinse a dire qualcos'altro, ma fui interrotto dal rumore che proveniva dalla porta: dopo aver bussato, Lucrezia e Filenide si accomodarono nella stanza.

-Salve Senatore, salve Generale Fabrizio- disse la madre con apparente tranquillità, celando l'ansia dietro al movimento confuso delle sue sue mani e senza lasciare che la figlia parlasse domandò subito:

-Qual'è l'incombenza che vi ha portato a chiamarci con così tanta fretta?- domandò, quasi indignata dal fatto che tutto era accaduto troppo velocemente ed inaspettatamente per lei.

-Accomodatevi, signore- controbattei, non perdendo l'educazione che bisognava mostrare in ogni situazione, anche in quella più scomoda, che mi era stata inculcata da mio padre -vi spiegherò tutto con estrema calma.- iniziai, restando in piedi e mettendomi alla destra dello sgabello del Senatore, in piedi, non riuscendo a stare seduto a causa dell'agitazione.

-Spero innanzi tutto che vostro fratello, il Senatore Lelio stia bene... la settimana scorsa l'ho visto e aveva... cosa, dolori alle ossa, non è così?- domandai, mentendo spudoratamente e sapendo perfettamente che quanto avevo detto era una menzogna. Alle mie parole Filenide sbiancò, tuttavia, sempre mantenendo un certo contegno, rispose:

-Si, l'avete notato anche voi? Purtroppo mio fratello è afflitto da una malattia soltanto: la vecchiaia!- esclamò facendo un gesto di noncuranza con la mano, probabilmente più per cercare di sminuire il timore che stava provando nei miei confronti, pensai.

Tacqui per un po', sotto lo sguardo indagativo di tutti coloro che si trovavano nella stanza e sorrisi in maniera furba.

-Sono contento di poter dire, che questa mattina sono andato in Senato e ho incontrato l'illustrissimo Lelio, che mi ha informato di essere tornato proprio oggi dal viaggio di due mesi nella penisola Hispanica(4*) e per fortuna era perfettamente guarito, da un male che mai lo aveva colpito- dissi e tutti mi guardarono allibiti.

-Che cosa vorresti insinuare?- domandò Filenide, mentre la figlia si torturava le mani sfregandole tra loro e si mordeva ripetutamente il labbro inferiore.

-Voglio dire- iniziai, lanciando un'occhiata a mio padre, per vedere se mi stesse ascoltando -che voi sapevate, padre, che il Senatore Lelio era partito per quelle terre, non è così?- domandai retoricamente e Cornelio annuì non riuscendo inizialmente a capire dove volessi arrivare con il mio discorso articolato.

-Dove vuoi giungere dunque, Fabrizio? Che cosa vuoi dirci?- chiese impazientemente, non riuscendo a trattenere la sua trepidazione: non sapere cosa stesse accadendo lo metteva terribilmente a disagio.

-Voglio semplicemente dire che, se ho incontrato Lelio oggi in Senato e mi ha detto di essere appena tornato dal suo viaggio di due mesi, non è possibile che lo abbia incontrato una settimana fa.- dissi con fare da sapiente e prendendomi tutto il tempo per assaporare le espressioni che avevano preso vita sul volto delle due malfattrici: quello di Filenide era così bianco da poter essere scambiato per la neve che si trova sulle montagne, d'inverno, quello della figlia invece era così rosso per il nervosismo che sembrava il colore della lava di un vulcano che ha appena eruttato.

-Ancora non riesco a comprendere, figlio...- disse di nuovo mio padre e una parte di me si avvilì: l'arguzia che l'aveva caratterizzato fin da quando era giovane stava scomparendo pian piano con l'età.

-Voglio dire che queste donne sono due impostore. Filenide non è la sorella del Senatore Lelio e Lucrezia non è sua nipote. Questa mattina mi sono recato in Senato e ho cercato Lelio, del quale la qui presente signora- e indicai la donna più anziana delle due -ha detto di essere sorella. Il suo rientro era previsto tra un mese ma a causa della sua salute precaria (non dovuta certo alla vecchiaia o alle ossa doloranti) è dovuto rimpatriare. Mi ha raccontato di non avere sorelle, ma soltanto fratelli e di possedere si una nipote, figlia di un suo lontano parente morto da anni. La ragazza è molto graziosa, da ciò che mi ha detto, e mi ha anche riferito il fatto di volervela far conoscere per trovarle un pretendente.- conclusi. La sala si trovava nel silenzio più assoluto e mio padre senza parlare mi fece cenno di continuare, con una mano.

Le due donne mi guardavano allibite e me ne compiacqui in maniera quasi esagerata:

-Certamente le qui presenti illustrissime donne- dissi con ironia, enfatizzando a parola “illustrissime” -si chiederanno che cosa mi ha spinto ad indagare su di loro. Raccontare tutto ciò che è accaduto fin dal principio ci allontanerebbe dal mio scopo principale, che è quello di smascherarvi, così che, dirò soltanto che alcuni comportamenti ambigui e alcune cicatrici viste di sfuggita hanno destato in me il sospetto che voi due non siete davvero chi dite di essere- dissi con forza, convinto e presi fiato per riuscire a parlare meglio -infine, un'ancella di questa casa, di cui non farò il nome per proteggere e tutelare, ha scoperto nella camera di Filenide un pezzo di stoffa sotto il letto, sporco di tintura scura per capelli: è evidente che la donna voglia nascondere il suo aspetto originale.- affermai e a quel punto mio padre sbattè con rabbia un pungno sul tavolo in legno davanti al quale era seduto:

-Chi sono allora queste due e cosa le porta qui?- domandò alzando la voce. Filenide strinse con forza i bordi dello sgabello sul quale era seduta, facendo diventare bianche le nocche delle mani e, trattenendo il fiato e diventando rossa in viso improvvisamente, controbatté:

-Signor Senatore, non crederai davvero alle parole di tuo figlio! Sta facendo questo soltanto perchè non è un uomo di parola e nonostante quello che le ha fatto, ora non vuole sposarla!- esclamò disperata, aggrappandosi all'unico argomento cui poteva far fronte.

-Taci, donna e lascia parlare me.- disse il Senatore, adirato e preoccupato come poche volte avevo visto, mentre tentava di mantenere la calma e si alzava dalla sua postazione.

-Figlio, ti rendi conto che l'accusa che stai muovendo contro queste donne è molto grave? Sei così sicuro che loro non siano chi dichiarano?- domandò, questa volta con cautela. -Chi può confermarmi che quanto hai detto è la verità?- domandò mettendomi le mani sulle spalle. Stavo per controbattere dicendo che avrebbe potuto chiedere tutto a Lelio e che doveva credere ciecamente alle parole di suo figlio più che a quelle delle sconosciute, quando Lucrezia parlò, inaspettatamente:

-Lo confermo io- disse flebilmente, senza guardare nessuno in faccia e puntando gli occhi in grembo, non avendo il coraggio di guardare nessuno di noi.

-Mia madre non è la sorella del Senatore Lelio... è solo una morta di fame che cerca di arricchirsi alle spalle degli altri- sputò tra i denti con rabbia. Lo stupore iniziale cedette il passo al sollievo: forse sarebbe stato tutto molto più facile di quando potessi credere.

-Lucrezia...- iniziò la madre stringendo le mani a pugno -non sai cosa stai dicendo, forse è il caso che..- disse, con una voce che evidentemente non sapeva celare l'ansia, ma mio padre la interruppe prontamente:

-Taci, di grazia. E tu, ragazza, spiegati! Cosa stai dicendo?- domandò stupito, con il viso che iniziava a colorarsi di rosso: se c'era qualcosa che mio padre detestava più della codardia e del tradimento, era l'inganno. Un cittadino romano deve essere leale e sincero, non deve raggiungere i suoi scopi e ottenere guadagni attraverso sotterfugi.

-Tutto è iniziato anni fa: mia madre era ancora giovane, figlia di una famiglia di umili contadini. Non aveva mai avuto ciò che desiderava: il denaro, tuttavia un giovane uomo era riuscito a farle dimenticare quel pensiero quasi ossessivo e vissero felicemente per alcuni anni. Dopo che fui nata io, mio padre morì a causa di un uomo ricco e potente e Filenide decise: avrebbe ottenuto tutto il denaro di cui aveva bisogno per potersi vendicare, un giorno, di quell'uomo che l'aveva privata di colui che amava. Era molto giovane a quei tempi e, non essendo istruita e non trovando altri mezzi, decise: sarebbe diventata un'assassina e una ladra, avrebbe fatto il lavoro sporco per le persone pur di vivere agiatamente. Con il tempo diventò sempre più brava, agile e forte e la sua fama si diffuse a Roma.

Purtroppo, però, vivere in quel modo non portò in casa tutti quei soldi che si aspettava e sebbene la nostra situazione economica fosse decisamente migliorata da quando era morto mio padre, non eravamo ancora così benestanti come desiderava lei.

Un giorno, un uomo la cui identità mi è tutt'ora sconosciuta contattò mia madre: se avesse fatto ciò che desiderava, avrebbe pagato una somma di denaro davvero esorbitante, con la quale avremmo potuto comprarci una casa e non una piccola capanna.- continuò a raccontare sicura la ragazza, ma mio padre la interruppe:

-Chi era costui?- chiese, ma Lucrezia non rispose: era evidente che non lo sapeva. Respirai e chiusi gli occhi: non volevo che mio padre venisse a sapere che l'artefice del misfatto era stato proprio suo figlio Antonio, poiché avrebbe sofferto oltre ogni modo. In fondo ormai era morto, che bisogno c'era di incolparlo, se ora non poteva più pagare per le colpe commesse?

-Cosa importa, padre?- domandai e il Senatore annuì incerto, facendo segno alla ragazza di continuare:

-Quello è stato il primo colpo che non è andato a segno: nonostante avesse cercato di mettere a fuoco la casa attraverso metodi indiretti e avesse cercato di attirare la vittima, il Generale Fabrizio, in trappola, non è riuscita ad ucciderlo. In seguito alla scomparsa dell'uomo misterioso, nulla incombeva più su di noi e potevamo goderci il denaro fino in fondo e accontentarci di ciò che avevamo, ma per mia madre niente bastava.

Un giorno, mentre passeggiavamo per il mercato a fare compere, ci siamo scontrate con un ragazzino, che doveva consegnare una lettera proprio al Senatore Galba, da parte del suo amico Lelio. Il ragazzino non si accorse che la lettera gli scivolò dalla tasca e mia madre la raccolse e lesse quello che c'era scritto, poiché con gli anni aveva imparato a leggere. Il Senatore, sebbene si trovasse in un'altra città, chiedeva come stesse il suo amico e proponeva, quando sarebbe tornato, un incontro tra sua nipote e il Generale Fabrizio. Questa lettera non è mai arrivata poiché mia madre, dopo aver speso tutti i suoi soldi che possedevamo per comprare vesti preziose e gioielli, si è presentata qui dicendo che era la sorella di Lelio (non sapendo che in realtà non ne avesse) e ora voi l'avete smascherata. Questo è tutto.- concluse e si videro le lacrime che iniziavano a rigarle le guance. Mio padre spalancò gli occhi: era la prima volta che in ventiquattro anni lo vedevo così basito e disse, tuttavia, con voce dura:

-Fabrizio, va a chiamare le guardie... credo proprio che queste due donne avranno molto da dire di fronte al Senato...- e io mi avviai verso la porta con passo deciso, ma con uno scatto ferino Filenide sguainò un pugnale che probabilmente teneva nascosto in una tasca della veste e mi sbarrò il passaggio.

-Non andrai da nessuna parte!- esclamò fredda -Ora non ho niente da perdere, passerai solo se riuscirai a uccidermi!- esclamò, guardandomi con occhi infervorati. Non mi mossi: non potevo combattere con una donna, andava contro tutto ciò che mi aveva insegnato mio padre e contro tutto ciò in cui credevo. Non poteva essere più forte di me, l'avrei di certo uccisa, ma sarei stato sleale.

Non bisogna gioire delle vittorie su avversari più deboli, è disonorevole.

Mi rimbombarono in testa le parole di mio padre e cercai di risolvere tutto a parole:

-Vincerei in qualunque caso... ho compiuto anni di addestramento militare, ho partecipato a guerre sanguinose. Non ho ucciso persone a sangue freddo, ma ho combattuto contro avversari potenti. Non hai speranze con me! Non credi sia meglio andare in prigione che morire?- domandai, sebbene non fossi certo che, una volta presentata in Senato, la donna non sarebbe stata condannata a morte. Filenide inizialmente sembrò non voler ascoltare le mie parole, poi piano abbassò il pugnale e lo gettò a terra. Nello stesso istante in cui lo fece si accasciò sulle ginocchia ed iniziò a piangere e gridare:

-Tu, figlia maledetta! Hai tradito tua madre, l'hai tradita... come hai potuto?- chiese, con la voce colma d'odio. Io mi avvicinai a Lucrezia che stava seduta sullo sgabello scossa e le misi una mano sulla spalla, dicendo:

-Hai fatto la cosa giusta.- il tono di voce non nascondeva biasimo. Lei annuì distrattamente ed uscii a chiamare le guardie. Nonostante tutto quel pandemonio non riuscii a non sorridere: era tutto finito, potevo tornare gioiosamente da Aurora.


Note dell'autrice

(1*)La proskynesis  (traslitterazione di προσκύνησις, in greco) è il termine che indica l'atto di prostrarsi ai piedi di qualcuno, quindi l'adorazione. Nel III secolo era voluta dallo stesso Alessandro Magno, poichè riteneva che tutti dovessero prostrarsi davanti a lui, discendente degli dei.

(2*)Nell'antica Roma, sebbene l'80% dei matrimoni fossero combinati, esisteva quel 20% in cui due persone si incontravano e si innamoravano (accadeva soprattutto tra i servi). La tradizione di iginocchiarsi davanti alla donna è molto antica, risale forse agli Etruschi che ritenevano che l'uomo, temendo il rifiuto della donna, si mettesse in ginocchio per non guardare l'amata in viso e trovare dunque coraggio per fare la sua richiesta.

(3*)La situazione era disastrosa nelle colonie perchè molte, soprattutto quelle della Gallia Cisalpina e Cispadana, si erano alleate con Annibale, tradendo Roma.

(4*)La penisola Hispanica comprende l'odierna Spagna e Portogallo.

Buonpomeriggio a tutti... innanzi tutto Buone Feste e anche se sto temporeggiando, è il momento di scusarmi: mi dispiace moltissimo per avervi fatto aspettare così tanto nonostante avessi detto che avrei aggiornato presto... ho avuto molto da fare, aprenti, amici che sono venuti a trovarmi e non ho mai aggiornato. Ora eccomi qui, vi ho fatto aspettare un giorno in più così che ilc apitolo fosse più lungo. Ho una brutta notizia: questo è il penultimo capitolo della storia, ce ne sarà un'altro, Domenica prossima (?) e poi l'EPILOGO.
Cosa ne pensate ora di Filenide e sua figlia? E della reazioen di fabrizio?
Risponderò sta sera a tutte le recensioni, scusate se ho arretrati...
un bacione grande a tutti, per qualsiasi cosa chiedete e risponderò!

_Renesmee Cullen_

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Capitolo 26
*** Lieto fine ***


CAPITOLO 26 – Lieto fine


 

Il giorno seguente all'incontro con Fabrizio ero rimasta in un inspiegabile stato di ansia che non aveva voluto andarsene: nonostante in casa avessi cercato di rendermi utile come meglio potevo, non avevo fatto altro che far cadere vestiti a terra mentre li piegavo, far bruciare le verdure e rompere piatti. Aspettavo nervosamente sue notizie, una lettera, un messaggero o magari che lui in persona venisse da me per farmi sapere quale fosse stata la situazione alla Villa, come si stessero comportando Lucrezia e sua madre e se avesse parlato con suo padre riguardo lui e me. Tutte quelle domande mi facevano girare la testa e la paura che Fabrizio fosse in pericolo e che suo padre fosse più crudele di quanto pensassi e non volesse credere al figlio, mi invadeva la mente e mi faceva essere distratta. Nonostante tutti i guai, né Tiberio né alcun membro della sua famiglia mi aveva rimproverato. Quasi comprendendo cosa stesse accadendo, il Dottore, sebbene in quei giorni stesse spesso a casa con noi, cercava di essere garbato e gentile più del solito, senza comportarsi però in maniera inopportuna o invadente.

La mattina dopo mi svegliai di colpo, dopo una notte passata a fare incubi, sudata e con le ossa doloranti, stanca come non mai, come se avessi trasportato un cesto pesante per ore. Mi alzai lentamente dal letto, per nulla riposata ma non appena misi i piedi sul pavimento duro e freddo, vidi la stanza che mi vorticava intorno e un senso di forte debolezza farsi strada dentro di me. Mi appoggiai subito sul giaciglio e mi sedetti lentamente. In quei giorni non avevo fatto altro che essere in ansia e preoccuparmi per ogni singola e stupida questione. Non ero solita avere quel tipo di carattere e mi chiesi che cosa mai mi stesse capitando. Scossi la testa: sicuramente, dopo tutto ciò che era accaduto in quelle settimane, avevo bisogno di riprendermi mentalmente e anche fisicamente da tutte le situazioni che avevo dovuto affrontare. Respirai lentamente per calmarmi: sicuramente quel piccolo mancamento era indice soltanto di stanchezza e spossatezza

Dopo essermi vestita e lavata con una lentezza disarmante, andai in cucina per fare colazione: era passata da poco l'alba e come ogni mattina, la famiglia si riuniva per mangiare. Con passo incerto andai al triclinio, come sempre, ma quando varcai la soglia della stanza, Tiberio, che si trovava insieme al fratellino già steso sul letto, spalancò gli occhi. Lo guardai interrogativamente non comprendendo il motivo della sua espressione e disse:

-Aurora... sei molto pallida. Non ti senti bene?- chiese preoccupato. In un primo momento scossi la testa, ma dopo essermi messa al mio posto, decisi di rispondere: infondo lui era un medico, chi altri avrebbe potuto aiutarmi?

-In realtà non mi sento bene da questa mattina... appena mi sono alzata ho avuto un giramento di testa e mi sento davvero stanca- confessai. Tiberio mi guardò dubbioso e con occhio indagatore ma inizialmente non proferì parola. Dopo poco arrivarono sua madre e suo nonno portando con sé del cibo caldo e fumante, salutando tutti calorosamente. Non appena Marcella si fu accomodata, mi lanciò uno sguardo obliquo e all'inizio non riuscii a capire quale fosse il motivo di quell'occhiata, poi disse:

-Cara, non hai una bella cera questa mattina...- constatò ed io sospirai: si capiva così tanto che non mi sentivo bene? Non volevo che Fabrizio mi vedesse in quello stato... ero così brutta? Scossi la testa, pensando che quei pensieri non dovevano nemmeno sfiorarmi la mente: come potevo essere così frivola e stupida in una situazione del genere?

-Mangia molto, Aurora, forse ti senti così perchè ultimamente non hai avuto appetito e hai perso notevolmente peso.- propose Tiberio, alludendo al fatto che in quelle settimane, a causa del dolore che avevo provato per aver perso Fabrizio, non avevo quasi mai toccato cibo.

Annuii celermente: probabilmente aveva ragione, anche se, nonostante le belle notizie ricevute, una morsa mi stringeva lo stomaco, impedendomi mi mangiare. Attribuii il tutto all'ansia. Marcella annuì concitatamente alle parole del figlio, così mi porse una dose massiccia di latte e di pane nero. Non appena ingoiai il primo sorso di latte, però, un fortissimo conato di vomito mi salì in gola, così smisi subito di bere, di scatto. Lo stomaco iniziò a farmi male all'improvviso e mi piegai in due per il dolore. Tiberio si alzò subito dal suo posto insieme a sua madre, che si era accorta assieme al figlio del mio cambiamento di umore e mi vennero vicino.

-Che hai Aurora?- mi chiese il Dottore, apparentemente calmo, mentre i suoi gesti non tradivano altro che agitazione, come l'espressione corrucciata del viso e il movimento nervoso delle mani. Mi misi a sedere, sentendomi subito meglio:

-Probabilmente non dovevo bere il latte...- iniziai.

-Non ti piace? Altre volte in cui l'hai bevuto sei stata male?- chiese indagatore Tiberio, incalzandomi con le domande.

-In realtà no- risposi, incerta -forse però ho mangiato qualcosa che mi ha fatto male ieri e ora non riesco a mandare giù nulla- controbattei. Il Dottore si sfregò le mani l'una sull'altra, alzando un sopracciglio.

-Madre, rimettiti a sedere, credo proprio che dovrò portare Aurora dalla zia Sempronia, questa mattina.- disse cercando di sorridere in maniera incoraggiante. Tutto quello che gli uscì fu un mezzo sorriso, falso come non mai. Io non capii e Marcella, che aveva notato il mio momentaneo sgomento, annuì sicura:

-Cara, fidati di mia sorella, abita a poca distanza da qui, è una Levatrice ma si intende di erbe che curano dolori allo stomaco. Sa fare il suo lavoro ed è molto affettuosa e gentile...- scosse la testa e tornò a sedere. Io annuii: mai avrei messo in discussione le parole di quella donna, di cui mi fidavo ciecamente, anche se l'idea di farmi visitare da una sconosciuta non mi intrigava particolarmente. Tiberio mi fece cenno di seguirlo lungo il corridoio della casa e dopo aver preso i mantelli per ripararci dal freddo, uscimmo dall'abitazione

-Vieni, anche se Sempronia non è un vero e proprio medico, molti si fidano di lei e del suo giudizio.- iniziò. Io lo guardai incerta, mentre rallentava il passo per permettermi di camminargli a fianco senza affanno.

-Non puoi visitarmi tu? Non sei un Dottore?- chiesi retoricamente. Non vedevo il motivo per cui dovessi andare da una sconosciuta quando Tiberio avrebbe sicuramente fatto un ottimo lavoro.

-Credo di sapere che cosa tu abbia e credo di non poterti aiutare in nessun modo. Non mi occupo di queste cose- disse con tono serio e triste, arrivando dopo un po' che camminavamo ad un piccolo villaggio oltre i campi coltivati. Arrivammo davanti all'uscio di una casa modesta e Tiberio bussò titubante: il suo atteggiamento non mi faceva pensare a nulla di buono, mai l'avevo visto essere così schivo e taciturno...

-Che cos'ho Tiberio? Nulla di grave vero? C'è una cura...?- iniziai con una raffica di domande, andando nel panico: in vita mia raramente ero stata male di stomaco e ogni volta quella situazione mi faceva andare in panico, poiché non ci ero abituata. Per di più, i gesti meccanici del Dottore e la freddezza che mi riservava mi mettevano agitazione.

Tiberio si voltò verso di me con un sorriso tirato e triste e prima che potessi chiedergli qualcosa lui disse:

-Non esistono cure, Aurora, se hai ciò che penso- concluse sospirando. Spalancai gli occhi, terrorizzata.


 

Mi sedetti sul letto, dopo che Sempronia molto gentilmente mi aveva visitata con cura. Era stata davvero come aveva detto Marcella: dolce e affettuosa e non aveva mostrato il minimo turbamento vedendo due ragazzi che, senza preavviso, si erano presentati alla sua porta. La donna uscì, andando a chiamare Tiberio, che era rimasto ad aspettare fuori da quella stanza, per non farmi imbarazzare.

La casa di Sempronia non era molto grande ed era arredata semplicemente con mobili in legno, tuttavia era pulita ed accogliente. Il suo piccolo “ambulatorio” era costituito da una stanza completamente spoglia, provvista solo di un letto con coperte bianche, un tavolo e una sedia dove erano riposti alcuni attrezzi di cui non conoscevo il nome e l'uso e delle erbe. Non appena arrivata mi aveva fatto stendere e mi aveva chiesto come mi sentissi in quei giorni, interrogandomi anche su questioni intime e personali. Aveva domandato cosa mangiassi e bevessi, se ero solita ubriacarmi o nutrirmi solo di carne o cereali. Una volta appurato che la mia alimentazione era corretta e che conducevo una vita sana e avendole spiegato che ero una ragazza dall'ottima salute, aveva iniziato a tastare la mia pancia e il busto per capire, pensai, a cosa fosse dovuto il dolore che avevo provato quella mattina. Dopo aver fatto tutto questo, non aveva detto nulla, soltanto che sarebbe andata a consultarsi con Tiberio.

Dopo un po', sentendo il brusio delle loro voci che si avvicinava, entrarono nella stanza, la donna con un viso tranquillo e sorridente, Tiberio con una cera così terribile che, se la malata non fossi stata io, avrei lasciato visitare lui. Quegli atteggiamenti mi confusero: cosa mai mi stava succedendo?

Sempronia si sedette vicino a me, mentre Tiberio restava dritto di fronte al letto, senza muoversi. Quella reazione non mi rassicurò affatto e lasciò che mi abbandonassi ai pensieri peggiori.

-Cara- disse la donna prendendomi le mani tra le sue e quel gesto mi provocò una profonda angoscia: quando accadeva così e qualcuno cercava di comunicare delle notizie in quel modo, voleva dire che erano catastrofiche. Stavo forse per morire?

-Per favore, Signora... dimmi subito che ho, se posso essere curata... non girarci intorno, sono forte, accetterò qualsiasi cosa...- iniziai coraggiosamente, ma la donna rise apertamente.

-Cara ragazza, non allarmarti, la morte è ancora lontana da te, ciò che ti è capitato, anche se la cosa è soggettiva, io la vedo come la più bella che può succedere ad una donna- iniziò ma non riuscii a capire le sue parole finchè disse:

-Aspetti un bellissimo bambino, cara ragazza. Sei incinta- il suo tono era gioioso e allegro... e allora perchè Tiberio aveva quella faccia e quel comportamento? In quel momento accantonai la domanda e posi i miei quesiti alla Levatrice, piena di stupore e sorpresa:

-Da quanto tempo?- domandai con voce che tremava, in tono basso, tutto sommato sicura per la situazione in cui mi trovavo.

-Da poco più di un mese, Aurora... potrebbe... potrebbe essere giusta la mia ipotesi?- domandò incerta, guardandomi incoraggiante. Io volsi lo sguardo prima verso Tiberio, che aveva gli occhi fissi a terra e un'espressione cupa sul volto e poi verso di lei che mi guardava gioiosamente. Mi feci coraggio, era giusto che dicessi la verità:

-Si... è sicuramente giusto.- sussurrai, ricordando l'ultima, meravigliosa volta in cui io e Fabrizio avevamo giaciuto insieme. Sospirai profondamente, non riuscendo ancora ad essere davvero consapevole di quella notizia e non riuscendo a rendermi conto degli effetti. Rimandai tutte le domande che mi frullavano nella mente a più tardi, poiché Sempronia, che probabilmente era abituata ad incontrare anche ragazze più giovani di me in procinto di partorire e probabilmente volendomi aiutare, chiese:

-Sai chi è suo padre, cara? Il tuo fidanzato? Tuo marito?- il suo tono di voce era curioso ma per nulla malizioso. Io abbassai lo sguardo e improvvisamente sentii una porta sbattere: Tiberio se ne era andato dalla stanza con impeto. Sospirai di nuovo sconfortata, scuotendo la testa, dispiaciuta per lui, mentre una strana felicità, dopo lo stupore, iniziava a farsi strada dentro di me.

-Si, so chi è il padre. Può essere una persona soltanto.- risposi e nonostante non sapessi come fare per dirlo al diretto interessato, sorrisi: aspettavo un bambino.


 

Dopo aver adeguatamente ringraziato Sempronia, uscii di corsa dalla casa: dovevo trovare Tiberio. Era giusto che, dopo tutto quello che aveva fatto per me gli dicessi quello che era accaduto. Uscii sulla strada e trovai il Dottore che mi aspettava li davanti: nonostante tutto non avrebbe mai lasciato che io tornassi a casa da sola, nel mio stato. Non appena lo vidi mi morsi un labbro e mi si strinse il cuore: gli occhi bassi e i pugni stretti, teneva lo sguardo fisso a terra, senza però avere in viso un'espressione di odio, solo di malinconia. Gli andai vicino, aspettando che alzasse lo sguardo su di me. Dopo poco lo fece e nei sui occhi non c'era rammarico, soltanto tristezza. Mi sorrise mestamente e prima che parlassi disse tranquillamente:

-Probabilmente non so bene come stanno le cose e non ho intenzione di forzarti a parlare. Non so che cosa vuoi fare, pra: entrambi sappiamo chi è il padre del bambino, non è difficile da immaginare e qualsiasi decisione sul vostro futuro spetta a te soltanto... posso solo dirti che, sebbene ora siate in due, se hai bisogno di noi devi restare in casa nostra, dove ti aiuteremo e ti staremo vicino...- iniziò con sicurezza: sicuramente quelle parole non erano dettate solamente dal senso del dovere ma anche dall'affetto nei miei confronti.

Sorrisi calorosamente: nonostante quella situazione, non sapendo la reazione di Fabrizio alla notizia che presto gli avrei dato, non essendomi mai trovata in quelle circostanze e nonostante non sapessi cosa fare ero felice: stavo per diventare madre, quale privilegio maggiore di questo?

-Ti ringrazio, Tiberio, non ho parole per descriverti la mia gratitudine, ma è giusto che tu sappia alcune cose...- iniziai respirando forte, con la voce permeata dalla gioia e mentre tornavamo a casa raccontai a grandi linee quello che era successo due notti prima, quando Fabrizio, nonostante tutto, era tornato da me. Non scesi nei particolari per pudore ma sicuramente, se ero rimasta incinta Tiberio aveva intuito quello che fosse accaduto prima che me ne andassi dalla Villa. Non gli dissi che ero una Principessa Greca, quello non era di certo il momento giusto per farlo, non volevo turbarlo più del necessario, quel giorno. Quando finii, mi aspettai un rimprovero da parte del Dottore per tutto ciò che era successo: ero stata un ragazza sconsiderata, che si era lasciata travolgere dall'amore per un Generale Romano. Il ragazzo, invece, quando conclusi la mia storia, sorrise inaspettatamente:

-Allora, Aurora, se stanno così le cose, non appena vedrai il tuo Generale digli subito ciò che è successo, vedrai che sarà contento della notizia, vi sposerete e la Sorte vi riserverà molte cose belle.- concluse. Io rimasi basita dalle sue parole: non che non ne fossi contenta, ma di certo non me le aspettavo, non così esplicite e sincere almeno.

-Tiberio... io non so davvero cosa dire...- iniziai, trovandomi veramente a disagio di fronte a tutta quella bontà d'animo e quella comprensione.

-Non dire nulla e adesso andiamo o faremo tardi e non riuscirò ad aiutare mia madre!- esclamò cambiando argomento improvvisamente. Io gli misi una mano su una spalla e sussurrai:

-Troverai la donna giusta per te e vedrai che anche tu avrai un futuro roseo- dissi incoraggiante, non riuscendo a tollerare il fato che quell'uomo così buono restasse solo per il resto della sua vita. Inaspettatamente il Dottore sorrise sicuro:

-Sarà sicuramente così!- e insieme ci avviammo verso casa.


 

Quel pomeriggio andai nei campi tra i raccolti, per controllare se ci fosse qualche sorta di problema, come animali indesiderati o troppe erbacce da estirpare, nonostante le insistenze di Tiberio a farmi restare a casa per non prendere freddo. Ero troppo testarda per seguire i suoi consigli e feci come volevo.

Stavo camminando tra i campi quando sentii qualcuno alle mie spalle che arrivava velocemente, correndo. Per nulla spaventata ed immaginando chi fosse a quell'ora del giorno che arrivava in gran fretta, mi voltai sorridente: ed eccolo, Fabrizio che correva verso di me, con un sorriso raggiante sul viso. Appena mi arrivò davanti mi prese per la vita e senza pensarci un attimo mi sollevò in aria facendomi volteggiare e mi baciò con trasporto e amore sulle labbra, facendomi scordare tutto ciò che si trovava intorno a noi, che ci trovavamo in una piccola stradina sperduta in mezzo ai campi. Fabrizio mi rimise giù e mi sorrise raggiante, prendendomi la testa tra le sue mani e accarezzandomi i capelli.

-Aurora... sono venuto qui a portarti belle notizie- iniziò con il fiatone, segno che aveva corso a lungo. Mi chiesi come avesse fatto ad arrivare in campagna e sperai che non avesse compiuto quel lungo tragitto correndo da solo.

-Mi dispiace di non essere venuto prima, ma ci sono state molte questioni da ordinare, in casa, in Senato...- iniziò, senza che io riuscissi a comprenderlo a pieno, così lo interruppi:

-Fabrizio, cosa stai cercando di dirmi? Davvero, non ti capisco!- esclamai mettendogli una mano sulla spalla. Lui respirò profondamente e sorrise ancora:

-È tutto risolto, ora. Ho dimostrato che Filenide era un'impostora a mio padre e al Senato, grazie all'aiuto, non ci crederai, della tua amica Attilia- spiegò -Ieri sono state processate madre e figlia, ma mentre la prima è stata giudicata colpevole ed oggi è stata condannata a morte, l'altra è stata ritenuta soltanto una vittima. Confesso di aver fatto di tutto per riuscire a diminuire la pena di quella donna, sarebbe stato un atto di clemenza per una folle, ma ha commesso troppi delitti nella sua vita e il Senato non poteva certo non tener conto di tutto ciò: il suo deve essere un esempio. Cittadini romani che si comportano in quel modo non sono degni di vivere, né a Roma né in nessun altro luogo, poiché infangano il nome dei romani- disse solennemente e chiusi gli occhi: sebbene quella donna avesse provato più volte a farmi del male, provavo una profonda compassione per lei: una persona pazza non si rende conto di ciò che fa e non capisce che le sue azioni siano sbagliate.

-Perchè sua figlia è stata reputata innocente?- domandai con voce incerta, non essendo sicura di sapere davvero quale fosse il ruolo di Lucrezia in tutta quella storia. Una piccola parte di me si era rattristata all'idea che quella ragazza fosse ancora in circolazione e, allo stesso tempo, aveva desiderato nel profondo la sua morte. Scossi la testa: non dovevo pensare quel genere di cose, mossa da gelosia e rancore.

-Vedi, è stata proprio grazie al suo aiuto che sono riuscito a convincere definitivamente mio padre che Filenide era soltanto una pazza assassina. Ha testimoniato contro sua madre, stufa di tutte le angherie subite.- rispose continuando a sorridere, come se quello non fosse davvero importante.

-Dove si trova ora?- chiesi di nuovo guardandolo negli occhi e cercando di sorridere: tutto quello che era successo era stato giusto, non potevo rattristarmi perchè una persona era rimasta in vita, anche se, in un certo senso, la vedevo ancora come una minaccia per me, come se fosse migliore di quanto potessi mai essere io. Scossi la testa per scacciare quei brutti pensieri.

-Non lo so, appena ho appreso la notizia dal Senato sono corso da te senza nemmeno prendere il cavallo. Ho chiesto un passaggio a un uomo con un carro che mi ha condotto qui vicino e poi ho corso, pensando a te. Sono dovuto restare a Roma, in questi giorni, per testimoniare sull'accaduto davanti ai Senatori. Cosa importa adesso?- chiese gioiosamente come non l'avevo mai visto prima -tu sei una Principessa... la mia Principessa e noi possiamo sposarci quando tu vorrai!- esclamò abbracciandomi con forza, togliendomi il fiato. Mi staccai lentamente, mentre capii che era quello il momento giusto per dargli la notizia:

-Non stringere così forte...- iniziai, incerta. Lui mi guardò interrogativamente, perplesso:

-Perdonami, non volevo farti male, è solo che non sai quanto queste notizie mi riempiano il cuore di gioia...- iniziò di nuovo, sorridendo raggiante. Non riuscivo a condividere la sua felicità, terrorizzata dalla sua reazione alla mia notizia: se non ne fosse stato felice? Cosa avrei fatto?

-Non è per questo...- dissi respirando forte senza avere il coraggio di guardarlo -è che devi fare attenzione, d'ora in poi, visto che abbraccerai due persone allo stesso tempo.- dissi tutto d'un fiato, con gli occhi che continuavano a restare fissi a terra. Per un attimo restammo in silenzio entrambi e non sentendo nessuna reazione da parte del Generale alzai appena gli occhi, quanto bastava per notare la sua espressione. Mi guardava con occhi interrogativi che mano a mano che passavano i secondi si spalancavano sempre più e il suo sguardo diventava basito.

-Vuoi dire che...- iniziò con voce spezzata e rauca ed io annuii, rabbrividendo: non sembrava che la notizia l'avesse reso felice. Non sapevo che dire così restai immobile e terrorizzata. Mi aspettavo il peggio, quando a un tratto Fabrizio sorrise ancora più di prima, se possibile e inconsciamente mi abbracciò di nuovo, fortissimo, non riuscendo a trattenere la felicità

-Amore mio è una cosa meravigliosa!- esclamò baciandomi la fronte, le guance, le labbra e abbracciandomi di nuovo, dopo di che mi lasciò, temendo di farmi male. Io sorrisi, non sapendo come comportarmi: per un attimo avevo temuto il peggio e il suo atteggiamento mi lasciò per un attimo spaesata. Quando capii che era sincero mi buttai tra le sue braccia, stringendolo forte a me, dicendo:

-Avevo paura che non saresti stato contento...- iniziai con voce rotta per la commozione, premendo il viso sull'incavo del suo collo e respirando il suo profumo. Il Generale mi scosse le spalle e mi obbligò a fissare lo sguardo nel suo, prendendomi il mento con una mano.

-Non pensarlo nemmeno per un attimo, intesi? Sto per diventare padre ed è davvero una notizia stupenda!- esclamò. Restammo abbracciati per un po', in silenzio, poi titubante chiesi:

-E ora che faremo?- la mia voce tradiva una nota di insicurezza: fino a quel momento avevo sempre saputo cosa fare, fingere di essere un'ancella prima e una contadina poi, ma ora che non dovevo più indossare maschere, qual'era il mio compito? Cosa avrebbe riservato per me, il futuro? Fabrizio mi accarezzò piano la pancia con una mano, imbambolato, poi si riscosse, allegro:

-Adesso arriva la parte migliore. Vai a casa, prendi le tue cose, anzi non prenderle, avrai così tanti abiti alla Villa, che quelli non ti serviranno più, poi vieni con me. Andremo a parlare con mio padre e mia madre, gli dirò chi sei, lo dirò a tutti e poi fisseremo la data del matrimonio e aspetteremo che nostro figlio, o nostra figlia, nasca!- esclamò.

-Se non crederanno che sono una Principessa? Cosa faremo?- domandai dubbiosa. Fabrizio scosse la testa, come se cercasse, in quel modo, di togliere anche dalla mia ogni dubbio.

-Lo faranno, ne sono sicuro, tutto coincide, tutto si spiega. I tuoi comportamenti ambigui, la tua sfrontatezza, la tua cultura...- spiegò sicuro di sè e io sorrisi felice e poi controbattei:

-Signor Generale, prima di soddisfarei tuoi desideri, ci sono alcune cose che devo fare. Voglio presentarti alla famiglia che mi ha ospitato, a Tiberio, voglio che sappiano tutta la verità... sono stai con gentili con me, si meritano che io sia sincera con loro.- affermai convinta. Il Generale alzò un sopracciglio:

-Credo di sapere chi sia Tiberio... Vuoi dire che è stato nella tu stessa casa per tutto questo tempo? Devi dirmi qualcosa, Aurora?- iniziò a riempirmi con una raffica di domande, ingelosito e io sorrisi, furba:

-Penso proprio di si... ma ci sarà tempo per raccontarti cose che non ti piaceranno!- risposi vaga, mentre mi avviavo verso la casa della famiglia di Tiberio. Fabrizio mi corse dietro, cercando di farmi parlare:

-Di quale portata sono queste cose che non mi piaceranno?- domandò ancora, fingendosi arrabbiato ma avendo compreso che si trattava di uno scherzo (o quasi). Io mi fermai per un attimo per guardarlo negli occhi:

-CI sarà tempo per questo, ora non è importante.- insistetti e lui sorrise a sua volta.

-Mi farai impazzire un giorno di questi!- esclamò e prendendomi una mano, mi aiutò a scavalcare un tronco caduto a terra.


 

In quel mese di assenza, la Villa era rimasta esattamente la stessa, fatta forse eccezione per la Biblioteca che, dopo la mia partenza, era rimasta chiusa. Probabilmente nessuno aveva avuto tempo o le competenze per prendersene cura, sicuramente in quei giorni ci sarei tornata per vedere quale fosse la situazione. Respirai profondamente, mentre aspettavo fuori dalla porta dello studio del Senatore. Fabrizio mi aveva chiesto la gentilezza di aspettarlo lì fuori, affinchè potesse spiegare al padre la situazione e rispondere a tutte le sue domande: di certo non sarebbe stato facile come lo era stato con Tiberio e la sua famiglia, convincerlo. Sperai che, anche lui, alla fine fosse felice della notizia e non la prendesse come una menzogna. Sentii un rumore di passi e la porta che si apriva, il mio cuore accelerò rapidamente e le guance si tinsero di rosso. Fabrizio si trovava di fronte a me e mi fece cenno di entrare, con espressione seria in viso ma non così tanto come temevo.

Chiuse la porta dietro di me e poi disse:

-Padre, vi presento l'erede al trono del regno di Macedonia- il suo tono di voce nascondeva una malcelata nota di felicità.



Note dell'autrice:



Buonasera a tutti, mi dispiace infinitamente per questo ritardo immenso, ma ormai credo che non darete più retta alle mie scuse!
Comunque ora eccomi qui, anche se è così tardi, con questo capitolo. Anche se molte cose sono rimaste in sospeso non preoccupatevi: il prossimo capitol (che pubblicherò il prima possibile) sarà l'EPILOGO della storia, dove verranno chiarite tutte le questioni lasciate in sospeso. Se avete delle domande, è questo il momento giusto per farle! Spero di avervi lasciato di stucco con la notizia della gravidanza di Aurora e di non essere stata banale: all'inizio non l'avevo prevista ma poi mi è sembrato carino far concludere tutto in quel modo.
Detto questo, spero che il capitolo vi piaccia, vediamo all'EPILOGO
un saluto


_Renesmee Cullen_


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Capitolo 27
*** Epilogo ***


EPILOGO
 

1 mese dopo


Mi guardai allo specchio, titubante. Avevo paura che quel giorno non sarei stata bella sufficientemente per prendere Fabrizio in sposo, o che all’ultimo momento ci sarebbe stato qualche impedimento. Sapevo che le mie paure erano tutte dettate dall’ansia ma in quel momento non potevo fare altro che preoccuparmi. Volevo che tutti gli occhi fossero puntati su di me, quel giorno e non sul fatto che, sebbene fossi una principessa, non avessi la dote e nient’altro da offrire che un titolo prestigioso, un palazzo e una città lontani, già in mano romana. Temevo anche che le rotondità che piano piano si stavano evidenziando sul mio corpo, si vedessero. In tutta Roma nemmeno una decina di persone sapevano del mio stato: Fabrizio, Tiberio e sua zia, da cui spesso andavo per chiedere consigli, Iginia e il Senatore Cornelio, felici, nonostante tutto, della creatura che stava per arrivare.
Come di consuetudine, io,  la fidanzata, la sera precedente avevo raccolto i capelli in una reticella rossa e in quel momento indossavo una tunica senza orli, la tunica recta, fissata con una cintura di lana con un nodo triplo sotto il seno e un mantello color zafferano. Ai piedi sandali dello stesso colore, al collo una collana di metallo e sulla testa un'acconciatura, come quella delle Vestali, formata da sei cercini: ovvero panni attorcigliati in modo da formare un'imbottitura a forma di ciambella, separati da piccole fasce. Ero avvolta in un velo color arancio fiammeggiante che copriva il viso, adornato con una corona intrecciata di maggiorana e verbena. Vedermi vestita in quel modo così diverso dalle tradizioni Greche mi metteva ansia. Volevo guardare in faccia il mio sposo in ogni momento, per trovare sicurezza nel suo sguardo. Attilia, che mi aveva aiutata nella preparazione, disse:

-Sei bellissima, lo sai vero?- domandò dolcemente. Io sorrisi senza parlare, troppo emozionata, senza sapere nemmeno se si fosse accorta del mio sorriso. Capendo il mio stato non fece altre domande e trepidante, attendevo l’arrivo di Fabrizio, della sua famiglia e dei testimoni, con i quali, secondo la tradizione, mi sarei dovuta recare nel tempio più vicino alla Villa per compiere i dovuti riti. Erano tre notti consecutive che non riuscivo a chiudere occhio per l’emozione e a nulla erano servite le lettere che Fabrizio mi mandava per tranquillizzarmi. Come di costume, il marito non poteva vedere la moglie per due notti prima del matrimonio e la sola presenza di Attilia ed Iginia nella mie stanze di certo non mi erano affatto di aiuto. Quasi che la madre di Fabrizio fosse più emozionata di me per l’evento. Così Fabrizio, contravvenendo alle regole, mi mandava spesso delle lettere per tranquillizzarmi: come mi conosceva bene. Quella mattina Attilia aveva dovuto utilizzare tutte le erbe che conosceva per togliermi dal viso due occhiaie nere e orribili che occupavano il mio viso. Nonostante i bagni caldi nel latte di capra e nei Sali da bagno, mi sentivo stanca ed appesantita come non mai. Mi toccai la pancia: da quando Fabrizio aveva raccontato tutto a suo padre era passato circa un mese. Un po’ perché dopo tutto ciò che era accaduto non riuscivamo più ad aspettare, un po’ per evitare che il mio pancione si vedesse e non creare scandalo, che il matrimonio si era celebrato così presto. Sarebbe stato un matrimonio singolare: la mia famiglia non sarebbe stata presente e la consuetudine di condurre la ragazza a casa del marito prima della cerimonia non sarebbe stata attuata: dopo aver saputo la verità il senatore Galba, con più dolcezza e buon senso di quelle che mi sarei mai aspettata, mi aveva assegnato delle stanze sontuosissime in cui alloggiare, senza fare domande. Aveva creduto a tutto ciò che gli aveva raccontato il figlio, nascondendo una felicità non comune per quello che era accaduto. Sotto al cuore di pietra di quell’uomo si nascondevano dolcezza e amorevolezza, come mi aveva raccontato Iginia una volta.
Sentii dei passi provenire dal corridoio e il cuore iniziò a battere all’impazzata. Le nausee che da quasi due mesi mi tormentavano tornarono a farsi sentire, chiudendomi lo stomaco. Sapevo che era il bambino dentro di me a provocare tutto ciò, ma quel giorno era solamente l’emozione che mi faceva stare così.
La porta della camera si aprì ed entrarono Fabrizio, il padre la madre e i dieci testimoni, tra cui l’ex Dittatore Quinto Fabio Massimo e alcuni Senatori, amici di Fabrizio. In quel momento meno che mai mi sentii a mio agio. Attilia, che era diventata una delle mie ancelle personali, mi prese il velo che arrivava fino a terra, Fabrizio mi porse il suo braccio e dopo giorni che non lo vedevo mi strinsi a lui come a un’ancora di salvezza. Era più bello che mai, con gli occhi neri che brillavano e, essendo un generale, una tenuta da combattimento addosso. Noi a capo, seguiti dai genitori dello sposo e subito dopo dai testimoni, in fila per due, ci avviammo verso il tempio, formando un corteo silenzioso.

-Sei bellissima- sussurrò Fabrizio piano, mentre ci avvicinavamo al Foro. Io sorrisi e gli strinsi forte il braccio, non potendo abbracciarlo, cercando di fargli capire quanto quel complimento, per me che quel giorno ero così insicura, mi avesse fatto felice. Con una lentezza stancante arrivammo al tempio della dea Concordia, protettrice dei buoni rapporti tra gli esseri umani. Avevamo scelto di celebrare li il matrimonio  affinché fosse, oltre che felice e pieno di figli, anche pieno di concordia e di pochi litigi.
Il Pontefice Massimo, presente alle cerimonie delle personalità più importanti di Roma, ci attendeva davanti all’altare sacrificale, davanti al tempio, circondato da amici e parenti di Fabrizio. Nessuno che mi fosse caro c’era, visto che il mio unico parente ancora in vita era Filippo V di Macedonia e non correva buon sangue né tra me e lui né tra i Romani e i Macedoni.
Attilia mi abbandonò per posizionarsi accanto agli altri invitati insieme ai genitori di Fabrizio, mentre i testimoni si posizionavano cinque a destra e cinque a sinistra dell’altare. Tiberio, uno dei dieci, mi sorrise incoraggiante: anche lui era li a festeggiare con noi e ad augurarci uno splendido futuro. Il bue era pronto per il sacrificio e dopo esserci inginocchiati davanti all’altare e al Pontefice Massimo ed aver pronunciato le parole di rito, ci preparammo per compiere il sacrificio.
Il tutto si svolgeva in un religiosissimo silenzio, soltanto le parole mie e di Fabrizio risuonavano nelle orecchie di tutti.
Compiuto il sacrificio, l’aruspice presente, il Pontefice Massimo e i dieci testimoni posero il loro sigillo sull’atto del matrimonio. Tirai un sospiro di sollievo: il primo passo era fatto, ora arrivava la parte peggiore.
Di nuovo in ginocchio davanti all’altare, aspettammo che l’aruspice esaminasse le interiora del bue: doveva controllare se agli dei fosse stato gradito tutto ciò che avevamo fatto. Se così non fosse stato, il matrimonio sarebbe stato annullato. Chiusi gli occhi per l’ansia dell’attesa, pregando che andasse tutto bene e in un gesto anticonvenzionale strinsi forte la mano di Fabrizio, che mi diede coraggio.
L’aruspice alzò la testa dalle viscere dell’animale e annuì convinto:

-Gli dei sono favorevoli all’unione. Viva gli sposi.- disse alzando i palmi al cielo e tutti fecero lo stesso ripetendo “Viva gli sposi”.
Tirai un sospiro di sollievo e quasi volli piangere per la commozione: era fatta, gli dei erano favorevoli, Fabrizio era ufficialmente diventato mio marito. Trattenni le lacrime: non dovevo lasciarmi andare.
Ci alzammo in piedi ed insieme consegnammo al Pontefice Massimo e ai Sacerdoti di Giove una focaccia di farro, rituale caratteristico della Conferratio(*1) e Iginia, scelta come nostra madrina, che si impegnava a controllarci e a fare di tutto affinché il matrimonio fosse felice, si staccò dalla folla per avvicinarsi a noi e ci congiunse le mani, in segno di reciproca fedeltà. A quel punto, Fabrizio alzò il velo arancione buttandolo dietro le mie spalle e così guardandoci sorridenti negli occhi, pieni di amore e sogni, dicemmo all’unisono la formula conclusiva del rituale:

-Ubi tu, Gaio, ego Gaia(2*)- e sorridemmo insieme sinceramente e gioiosamente. Dopo esserci inchinati davanti all’altare, al Pontefice e ai Sacerdoti, scendemmo in mezzo agli invitati che gridavano parole di buon auspicio e felicitazioni.
Le flautiste iniziarono a muoversi, suonando, seguite da cinque tedofori che portavano le fiaccole e innalzando canti gioiosi. Tre amici dello sposo, uno dei quali innalzava una torcia ornata con il biancospino, ci precedevano. Dietro di noi tutti gli invitati ci seguivano verso casa formando il corteo che ci avrebbe condotti al pranzo nuziale. Nel tragitto, mentre Fabrizio mi sorrideva amorevolmente, lanciavo delle noci ai bambini che incontravamo per strada, come quelle con cui giocavo da bambina. Arrivati davanti al portone della Villa che era spalancato e adornato con fiori, Fabrizio mi prese in braccio e oltrepassammo insieme il portone, questa volta come marito e moglie.
Sebbene il Senatore avesse offerto a Fabrizio la possibilità di ritirarsi con me nella loro Villa dall’altra parte di Roma, io e Fabrizio avevamo preferito restare lì, insieme a tutte le persone che ci volevano bene e che facevano parte della nostra vita, al centro della vita politica romana. 
Il salone più spazioso dell’abitazione era stato adornato con triclini e tavoli sontuosi. Il letto più grande, riservato per gli sposi, si trovava al centro della stanza. Dopo che tutti si furono accomodati, io e Fabrizio, che dovevamo essere gli ultimi a stenderci, alzammo i calici, io con succo di mele(3*) e lui con vino rosso, che erano già stati versati nei nostri bicchieri, come di rito.
Inaspettatamente Fabrizio, invece che brindare al matrimonio e agli invitati presenti, disse, con voce sicura e nitida:

-Brindo alla mia stupenda moglie. La più bella, dolce e amorevole che si possa desiderare. Che la nostra unione possa essere la più felice di Roma- mi sorrise e  in quel momento una lacrima scese dalle mie guance. Fabrizio mi appoggiò una mano sulla guancia e grida di giubilo e felicità si alzarono per tutta la stanza.

 
Il pranzo si protrasse fino al tramonto, tra balli, canti, grida e qualche simpaticone un po’ troppo brillo, tra risate e sorrisi. Tutti ci fecero in complimenti per la cerimonia e Fabrizio ne ricevette ancora di più per sua moglie, per me. Sorrise a tutti, nascondendo per una volta quell’aria seria da Generale, comportandosi con naturalezza e scherzando e rispondendo a tutti in maniera gioviale ed allegra. Non potevo che essere più che felice di mio marito, l’uomo che sognavo, che fino a quel momento mi aveva regalato i momenti più belli della mia vita.
Quel giorno io e Fabrizio non avevamo avuto il tempo per stare un po’ da soli né per parlare cinque minuti, nemmeno durante il pranzo che ci aveva impegnati totalmente.
Era quasi scomparso il sole e non ci sembrò vero di dover adempiere ad un altro rituale, quello che aspettavamo da tanto. Ci alzammo dai triclini e tutti gli invitati ci seguirono verso le stanze che, da quel momento in poi, io e Fabrizio avremmo condiviso, dove si trovava il letto nuziale. Fabrizio entrò prima di tutti e due ancelle lo seguirono, portando una conocchia(4*) ed un fuso, simboli di quella che sarebbe dovuta essere la vita della moglie, si intende solo in teoria, per quanto mi riguardava. Attilia mi prese per mano e, con un po’ di imbarazzo perchè sotto gli occhi di tutti, mi condusse nel letto nuziale, dove Fabrizio mi aspettava, serio, seduto ai piedi del letto. Gli invitati cominciarono ad andarsene mentre mio marito mi scioglieva il triplice nodo delle cintura. Mi sorrise e mi attirò a sé, baciandomi dolcemente. Quella notte sarebbe stata solo nostra.

4 anni dopo

Il palazzo non aveva perso nulla del suo splendore e della grandezza di un tempo e la città era rimasta la stessa: le mura abbattute erano state ricostruite, le strade pulite. Il passaggio dei romani quasi cinque anni prima non aveva arrecato troppi danni alla città, solo ai cuori dei cittadini. Madri e mogli avevano perso figli e mariti che avevano tentato, inutilmente, di proteggere Anticyra dai romani. Un altro segno erano le nuove strutture costruite, come le case per i pretori, i questori e i loro sottoposti, o altre strutture che accogliessero i militari. Le tasse che i cittadini dovevano pagare, in quanto provincia romana facente parte della Repubblica, non erano tutto sommato esose ma gravavano comunque sulle famiglie meno abbienti.
Mi trovavo nella strada principale che conduceva alla scalinata verso la porta principale del palazzo. Il cuore batteva forte mentre tenevo per mano mia figlia Emilia, la primogenita che aveva appena quattro anni. Fabrizio mi stava a fianco senza parlare, rispettando il mio silenzio, tenendo in braccio Massimo, troppo piccolo per intraprendere quel lungo tragitto tutto a piedi, avendo solo due anni. Stava in braccio al papà appoggiando la testolina sulla sua spalla. Tutti e due i bimbi avevano gli occhi verdi e i capelli scuri, miscela perfetta tra me e Fabrizio. Al nostro seguito, ancelle, servi e cavalli si fermarono con me.

-Madre, madre un palazzo, un palazzo grandissimo!- urlò Emilia entusiasta indicando davanti a sé e tirandomi il braccio, da bambina intelligente e curiosa quale era.

-Lo so tesoro, è nostro…- risposi, più a me stessa che a lei. Mi feci coraggio e misi avanti un piede, poi un altro: non potevo esitare e sembrare impaurita davanti a tutte quelle persone. Dopo l’assedio, mi aveva giurato Fabrizio, nessuno era entrato li dentro, ero la prima a farlo dopo anni.
 Molti cittadini mi guardavano, quasi nessuno mi aveva riconosciuta come la principessa della città dato che in quei quattro anni il mio aspetto era cambiato: ero diventata una donna. Non potevo che esserne felice, tuttavia…
Spinsi l’enorme portone con forza ed entrai nella grande sala che fungeva da atrio, decisamente molto differente da quello romano. Fabrizio mi strinse con forza una mano per ricordarmi che era li con me: nulla era cambiato da quando me ne ero andata, solo la polvere riempiva pavimenti e mobilio. Il cuore batteva veloce e una forte nostalgia mi attanagliò lo stomaco. Ci sarebbe stato molto lavoro per i servi: pulire, far prendere aria all’ambiente: avremo dovuto renderlo più vivo, caldo, ospitale, per poterci vivere serenamente.
Fabrizio era tornato appena un mese prima da una battaglia terribilmente sanguinosa, a causa della quale molti soldati erano stati distrutti e molti villaggi rasi al suolo, Proprio lui un giorno dopo mesi di lotta era tornato a Roma con una gamba infortunata e una spalla ferita gravemente. Avevamo temuto il peggio per molti giorni ma con la competenza del dottore Tiberio, eravamo riusciti a salvarlo e ora, miracolosamente, era riuscito a riprendersi. Ringraziavo ogni giorno gli dei per aver fatto in modo che si salvasse, non sarei riuscita a vivere senza di lui.
Dopo quell’episodio Fabrizio era riuscito a farsi concedere una licenza a tempo indeterminato, purchè promettesse che, in qualsiasi momento Roma avesse avuto bisogno di lui, sarebbe tornato. Era stanco di vedere sangue, morti e persone disperate, nella sua vita ne aveva visti molti e ora che mancavano solo due anni per raggiungere i trenta, voleva dedicarsi ad una vita serena ed allegra, almeno per un po’. Avevo proposto io di tornare ad Anticyra e lui non aveva esitato un attimo: giusto il tempo di preparare i bagagli, ed eravamo partiti. Anticyra era lontana dagli affari spesso sporchi di Roma, era il luogo ideale per stare fiori da tutto ed occuparsi di tante attività meravigliose ed insegnare ai nostri figlio molto più di quanto avremmo potuto fare a Roma. Finalmente ero a casa e mentre mi avviavo verso quelle che erano state le mie stanze, indicando ad ancelle e servitori quali fossero le proprie, sentivo un senso di pace dentro di me. A Roma, tuttavia, avevamo lasciato tutti i nostri cari. Il Senatore Galba, ormai troppo stanco per intraprendere un viaggio così lungo, aveva preferito restare in Senato, poiché Roma stava andando incontro ad un periodo molto difficile. Iginia non avrebbe mai abbandonato il Senatore e chi sa se, prima o poi, con il tempo, tra di loro sarebbe sbocciato qualcosa di più, se entrambi avessero messo da parte l’orgoglio. Attilia aveva trovato la felicità giusto qualche mese prima sposandosi con Paolo, il ragazzo di cui dai tempi della mia servitù era fidanzata, coraggioso, sincero e rispettoso. Ero stata loro testimone e ne andavo fiera. Attilia non poteva abbandonare la sua famiglia di punto in bianco e, in occasione del suo matrimonio aveva ricevuto una lauta somma di denaro: le avevamo dato la possibilità di andarsene dalla Villa e vivere con suo marito in serenità.
Tiberio aveva conosciuto una ragazza di Roma, per caso parente lontana di Fabrizio e se ne era innamorato perdutamente, il loro matrimonio era stato celebrato un anno dopo il nostro ed io e Fabrizio eravamo stati ospiti d’onore. Tutto quello che era successo era passato in secondo piano: avevamo condiviso molti bei momenti con i dottore e la sua sposa ed erano stati spesso nostri ospiti, insieme alla famiglia di lui, che mi era molto cara.
Mi mancavano le affollate vie di Roma e le molteplici attività del Foro, ma in Grecia il mio animo irrequieto era in pace.
Dopo aver constatato che le mie stanze erano troppo piccole per ospitare noi e i nostri figli, ci trasferimmo in quelle dei miei genitori, adatte per questo. Tuttavia la camera era spenta e polverosa come il resto della casa. Mentre i bambini scorrazzavano per le stanze, mi sedetti sul letto che era stato di mia madre e accarezzai le coperte, un po’ triste. Fabrizio mi mise una mano sulla spalla e mi attirò a se, circondandomi la vita con le sue braccia forti. Nulla tra noi due era cambiato o scemato: Fabrizio mi sorprendeva sempre come le prime volte e la passione che provavamo l’uno per l’altra non era cambiata, nemmeno ora che ci appartenevamo da tempo.

-Lo so cosa stai pensando. È tutto polveroso e spento e grigio… ma sai che ti dico? Abbi fiducia e ti prometto che farò di tutto per riportare questo palazzo all’allegria e alla bellezza di un tempo, dovessi mettermi a pulire insieme ai servi- iniziò ridendo ed io sorrisi stringendolo forte. –Ti amo Aurora, moglie mia meravigliosa e farò sempre di tutto per vederti felice, perché ho visto morte e disperazione ma tu sei il raggio di sole che può portarmi fuori da tutto quel dolore: non permetterò che tu sia triste.- Le sue parole mi fecero scendere una lacrima di commozione, ancora una volta grata alla Sorte di averlo trovato. Fabrizio mi prese la testa tra le mani e mi baciò teneramente, dicendomi silenziosamente quanto mi amava e io rispondevo. Ci aspettava ancora una vita lunga e ricca di allegrie, soddisfazioni e sogni realizzati.
 
 
FINE
 


(1*) Rito di carattere religioso secondo il quale, dopo alcuni riti e in presenza di dieci testimoni, gli sposi consegnavano una focaccia di farro  al Pontefice Massimo.
(2*)Formula rituale che esprime il significato del matrimonio: Ovunque andrai, io andrò.
(3*)Dopo il matrimonio, le donne romane non poteva bere vino rosso: nei tempi più antichi, chi contravveniva a questa legge poteva essere condannato a morte.
(4*)La conocchia o rocca è uno strumento che in coppia col fuso serve a filare.


Note dell'autrice

Buongiorno a tutti, innanzi tutto buon anno! Da tempo immemore che non mi faccio sentire e ci ho messo veramente troppo per scrivere questo capitolo, lo so... spero che mi perdonerete ma un po' per l'estate, un po' perchè solo ora ho un computer MIO e che FUNZIONA con cui scrivere, un po' per gli impegni, sono riuscita a mettere questo ultimo capitolo solo ora. Le mie storie finiscono sempre bene e spero che il finale non vi abbia deluso. Forse tra poco pubblicherò una nuova storia e se vorrete leggere anche quella, ne sarò davvero felice!
GRAZIE A TUTTI COLORO CHE HANNO SEGUITO, RECENSENDO O SILENZIOSAMENTE, QUESTA STORIA. SIETE STATI IMPORTANTISSIMI PER ME ED IL VOSTRO SOSTEGNO E' STATO FONDAMENTALE. GRAZIE A TUTTI, UN ABBRIACCIO

_Renesmee Cullen_

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