Deserving

di _ayachan_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Deserving-1

Note dell’autrice.


- L’ambientazione di questa storia è l’Oltrepò pavese. Nonostante i nomi chiaramente giapponesi dei personaggi, volevo farli muovere in Italia, visto che le fanfic di solito snobbano il Bel Paese, e anche se all’inizio avevo optato per la classica Toscana, alla fine ho deciso di spostare il tutto in una zona a me familiare, così da descrivere i paesaggi con più semplicità. Ovviamente sfrutto soltanto i nomi dei luoghi, e lascio totalmente perdere la storia che li riguarda. Anzi, mi riservo il diritto di aumentare e diminuire l’importanza dei singoli paesi.
Per ovvi motivi, inoltre, fingerò che tutti parlino un italiano corretto e probabilmente fin troppo moderno, ignorando il dialetto.

- La gerarchia nobiliare prevede, in ordine di importanza decrescente: Duca, Conte, Marchese.

- Ammetto pubblicamente di aver tratto ispirazione da «Mistakes are gonna fade over time» per l’atmosfera.


- Sasuke mi è sfuggito pesantemente di mano. Per questo c'è l'indicazione OOC.








Deserving




Gli zoccoli dei cavalli al trotto lasciavano segni curvi sulla polvere della strada.
Il sentiero, largo poco più di due metri, si snodava dritto attraverso la campagna coperta dal grano maturo, e in lontananza si alzavano le prime propaggini dell’Appennino, morbide colline solcate dai vigneti.
Nella calura inclemente del primo agosto, sei cavalieri procedevano attraverso i campi, schierati su due file parallele. I loro cavalli erano sudati, ma ancora in forze: marroni e bianchi, digrignavano i denti sui morsi nelle loro bocche e sbuffavano di tanto in tanto.
«Manca ancora molto?»
Uno sbuffo umano andò a sovrapporsi a quello del cavallo, con incredibile precisione.
Il ragazzo biondo che cavalcava nella coppia centrale si issò sulle staffe per sbirciare il percorso più avanti, asciugandosi il sudore dalla fronte.
«Dobbiamo arrivare ai piedi delle colline» rispose il compagno, i cui capelli erano tanto scuri quanto chiari erano quelli dell’altro. «Ti conviene stare giù e non sprecare energie, ne avremo ancora per un paio d’ore»
«Avete sete, mio signore?» chiese il cavaliere davanti al biondo, voltandosi a guardarlo. La pelle chiara del suo viso, liscio e bello tanto da farlo sembrare una ragazza, sembrava soffrire per il solleone. «Nella bisaccia c’è ancora dell’acqua» disse, portando una mano alla sacchetta in cuoio che ondeggiava dai finimenti del suo cavallo.
«No Haku, lascia perdere» il ragazzo alle sue spalle sorrise, rivelando un sorriso aperto e abbronzato. «Te la richiedo tra un’ora, magari»
«Eccolo, vuole di nuovo fare l’eroe!» sbuffò il cavaliere alle sue spalle, il più giovane di tutti. «Prendete quell’acqua prima di svenire e cadere da cavallo! Sarebbe una macchia sull’onore della vostra famiglia!»
«Non sono così stanco!» si indignò il biondo.
«E io non capisco perché concedi ai tuoi servitori tante libertà» commentò il suo compagno, con un’occhiata severa al ragazzino che aveva parlato.
«Come tratto chi mi accompagna sono affari miei...» borbottò lui incassando la testa tra le spalle. «E poi viaggiare con Inari è molto più divertente che viaggiare con le mummie che ti porti appresso»
Sia il cavaliere davanti al moro che quello dietro lo fulminarono con lo sguardo, nonostante il rango nettamente inferiore. Il loro signore invece non si scompose più di tanto, ma fece affiorare un ghigno all’angolo delle labbra.
«Mizuki, Tazuna. Possiamo tollerare un simile affronto alla nobile casata Uchiha?»
«No, signore» rispose il vecchio alle sue spalle, con un sorriso sghembo.
«E allora mostriamogli che vale più l’esperienza dell’umorismo»
Senza preavviso l’uomo davanti a lui lanciò il cavallo al galoppo, subito imitato dai due che lo seguivano.
«Ehi!» esclamò il biondo, trattenendo il cavallo che cercava di scartare bruscamente. «Haku, accelera! Non possiamo farci lasciare indietro!»
«Agli ordini!»
Sotto un cielo blu cobalto, sei cavalieri sollevavano la polvere chiamandosi a gran voce.
Guardandoli, nessuno avrebbe mai detto che il loro arrivo avrebbe portato tanto scompiglio.

*

Erano passati già tre giorni dall’arrivo del nuovo signore a Montebello.
Nonostante il cognome del duca padrone di quelle terre fosse rimasto immutato, tutto il resto stava cambiando rapidamente: mobilio, menù, candelabri, persino il materasso e i cani da guardia venivano sostituiti, e il personale sudava le proverbiali sette camicie per eseguire ognuno degli ordini del nuovo signore.
Nella fatica, tuttavia, cameriere e garzoni trovavano sempre il tempo per commentare e spettegolare alle spalle degli Uchiha.
«Dicono che abbia lasciato la sua proprietà nel piacentino in amministrazione a un conte suo amico...»
«Non ha aspettato niente per trasferirsi qui, nemmeno i funerali!»
«E’ l’ultimo erede di tutta la famiglia, vero?»
«Ha ucciso il fratello con l’arsenico...»
«Allora il nobile Itachi è davvero morto?»
«Se fosse stato in vita, non avrebbe mai permesso a nessuno di entrare nel suo palazzo con quell’aria da conquistatore!»
Sussurri e bisbigli si rincorrevano lungo le stanze del palazzo, insieme ai manovali che sudavano per far salire dagli scaloni guardaroba e specchiere. Il vecchio attendente zittiva tutte le voci che gli capitava di intercettare, ma le ali dell’edificio erano troppe per essere controllate in ogni istante.
E così capitava che il giovane e avvenente padrone captasse qualche sussurro inopportuno.
«Ma quale arsenico?» ringhiò attraversando l’ampio terrazzo ad ovest, le code della giacca che sventolavano nell’aria calda. «Naruto!» chiamò all’improvviso, cercando con gli occhi assottigliati il compagno che si era portato dietro.
Alla balaustra, appoggiato con aria noncurante e un bicchiere di moscato tra le mani, un ragazzo biondo girò lo sguardo e sogghignò. Senza dire una parola, gli fece segno di stare zitto e raggiungerlo.
Come se fosse dell’umore adatto per i suoi stupidi scherzi.
Tuttavia obbedì, il perché non lo sapeva nemmeno lui, e andò ad affiancarlo con aria stizzita.
«Che c’è?» sbottò piantando i gomiti sulla ringhiera in ferro battuto.
«Guarda, Sasuke» ridacchiò il compagno, additando l’ampio viale che dava accesso alla villa e scendeva per un pendio dolce e ben curato.
All’inizio della strada, ancora nella piazzetta antistante il palazzo, c’erano due giovani e un cavallo. Uno dei due, il ragazzo, carezzava i fianchi dell’animale con aria da uomo di mondo; la cameriera davanti a lui invece rideva per qualcosa che aveva sentito, sistemando ogni due minuti un ciuffo di capelli sfuggente.
«Inari si sta dando da fare» commentò Naruto, sorseggiando il suo moscato con aria compiaciuta.
Sasuke gli scoccò un’occhiata irritata.
«Sì, molto interessante» sibilò asciutto.
«Mh? C’è qualcosa che non va? Sei più acido del solito, il che è tutto dire» Naruto inarcò un sopracciglio, e Sasuke sbuffò.
«Dovrei cambiare anche tutta la servitù» bofonchiò passandosi una mano tra i capelli sudati.
«Ahh... spettegolano!» comprese Naruto, voltandosi e appoggiando la schiena alla ringhiera. «Beh, dopotutto è normale. Non credo che i dettagli sulla morte di tuo fratello siano già arrivati fin qui»
«Mi danno dell’avvelenatore!» biascicò Sasuke indignato. «Come se avessi strisciato nella sua camera per mettergli l’arsenico nel vino!»
Naruto ridacchiò, e lui lo fulminò con lo sguardo.
«Scusa» si affrettò a dire, tossicchiando. «E’ che cercavo di immaginarti mentre strisciavi, tutto impomatato e profumato come sei»
«Idiota» ringhiò Sasuke.
Naruto si strinse nelle spalle con noncuranza, e sbadigliando lo rassicurò: «Smetteranno di parlare, se hanno caro il loro stipendio»
«Che smettano in fretta, allora»
«Sì, va beh, lasciali divertire nell’unico modo che possono! E a proposito di divertimento... Come siamo messi con il ricevimento?»
Sasuke si strinse nelle spalle, improvvisamente apatico. «Non ne ho idea, chiedi all’attendente»
«L’idea di una festa non ti solletica affatto, vero?» ridacchiò Naruto, svuotando il suo bicchiere.
«Per niente» confermò Sasuke, cupo.
«Ma è tradizione! Ad ogni nuovo insediamento il padrone deve dare un ricevimento per conoscere i suoi nuovi vicini!»
«Li conosco già tutti»
«Davvero?»
Gli occhi di Sasuke si fecero sfuggenti, come ogni volta che inavvertitamente parlava del passato.
«Sì» troncò, scarno, e Naruto avvertì la chiara sensazione di un muro eretto in fretta e furia tra di loro.
«Mh... Almeno sono simpatici?» buttò lì per cambiare discorso.
Il grugnito di Sasuke fu abbastanza eloquente da farlo scoppiare a ridere.
«Devono essere fenomenali!» commentò con una pesante pacca sulla spalla dell’altro. «In fondo anche se ti chiedessero di me storceresti il naso»
«Veramente mi domando ancora perché mi sono lasciato convincere a portarti qui»
«Perché ti ho assillato quasi un mese per una villeggiatura in campagna, mi sembra ovvio!»
Sasuke sbuffò, crollando il capo.
«E sempre grazie a me darai la festa migliore degli ultimi cento anni» aggiunse Naruto gioviale. «Vedrai Sasuke, vedrai! Non lascerò che tu abbia nulla di che pentirti, finché sarò con te!»


E Naruto mantenne la promessa, per lo meno la prima.
Il ricevimento che si premurò di organizzare ebbe una risonanza vastissima, fece nascere discussioni e commenti anche a distanza di chilometri, arrivando fino alle Alpi e oltrepassando gli Appennini.
Dal momento che Sasuke gli aveva lasciato carta bianca, rifiutandosi di mettere anche solo un’unghia in quella che definiva la formalità più seccante della sua vita, Naruto si ritenne autorizzato a dar fondo ad ogni riserva del ducato, procurandosi cibo e vivande a non finire, mobilitando l’intera campagna e visitando personalmente metà delle cantine e delle fattorie da cui prelevava le vettovaglie.
Tutti, dalla massaia in carne al ragazzetto delle consegne, lo videro caracollare sul suo cavallo chiaro, insieme ai due giovani che lo accompagnavano e a una guida del palazzo, e tutti, chi più e chi meno, finirono per scambiare due parole con lui.
Il risultato fu che prima della festa metà pianura riteneva che Sasuke avesse inclinazioni da pederasta.
«Tu, brutto imbecille di un idiota!» gridò Sasuke quando la prima voce raggiunse il suo delicato e nobile orecchio. «Che diamine vai a dire per il ducato?!»
«Eh? Io?» fece Naruto con aria ingenua, in quel momento a torso nudo nelle sue stanze. Un catino di acqua tiepida era posato sul tavolino pregiato, illuminato dai raggi del primo sole, e un asciugamano morbido era lì accanto.
«Le voci Naruto, le voci!» ringhiò Sasuke, attraversando la stanza a grandi passi.
«Ahh, quello!» si illuminò lui, immergendo la testa nel catino. Quando si tirò su i capelli bagnati gli si appiccicarono alla fronte, e da sotto le ciocche grondanti rivolse all’altro un sorrisino sghembo. «Non è colpa mia se quaggiù sono tutti un po’ ingenui. Dal loro punto di vista stare in compagnia dopo le dieci di sera è pura perversione»
Sasuke lo incenerì con gli occhi, passandosi le mani tra i capelli.
«Tu sei un imbecille!» inveì, furibondo. «Già la mia reputazione prevede l’aggettivo assassino, se aggiungiamo anche pederasta non durerò un solo istante come signore di queste terre!»
«Oh, quante storie» sbuffò Naruto, afferrando l’asciugamano e frizionandosi energicamente il viso. «Tanto entro la fine della settimana succederà qualcos’altro, e tu verrai dimenticato»
«Qui le cose non funzionano come in città! A Bologna gli scandali erano all’ordine del giorno, ma in campagna sono la fonte di intrattenimento dei contadini per anni!»
«Se vuoi te lo creo io uno scandalo. Vado a rubare un paio di mucche?» propose Naruto generosamente.
«Lascia stare, idiota!» sbottò Sasuke esasperato.
«Ehi, la mia era una proposta seria»
«E’ proprio questo il pericolo... Ora vestiti, hai ancora gli ultimi dettagli da controllare, alle cinque inizieranno ad arrivare gli invitati!»
E prima che Naruto potesse insinuare che Sasuke si interessasse alla festa, lui sparì fuori dalla stanza, ancora con un diavolo per capello.



Se i primi ospiti arrivarono alle cinque di pomeriggio, gli ultimi fecero il loro ingresso mentre il sole moriva incendiando i campi, e portando nella tomba un po’ dell’arsura che aveva sparso abbondantemente durante la giornata.
Quando i domestici al cancello videro fermarsi la carrozza scura, furono sorpresi nel riconoscere lo stemma che ne decorava un intero fianco. Furono sorpresi e spaventati, per la precisione.
D’altronde, il serpente grigio avvolto attorno a una corona era un simbolo sin troppo noto, da Torino a Napoli.
Lo sportello si aprì silenziosamente al tocco del valletto, e una mano bianca e scarna si posò sull’ebano nero, stringendo le dita affusolate con grazia quasi ferina.
Un uomo alto e nodoso si issò sul predellino, facendo vagare tutt’attorno gli occhi dorati, innaturalmente chiari, e lentamente scese fino a terra, lasciando che la carrozza ondeggiasse debolmente. Aveva capelli lunghi e neri, raccolti in una coda bassa, e la pelle candida e fin troppo liscia.
«Ebbene?» sibilò con un sorriso rigido, quando vide i domestici che lo fissavano impalati. «Non raccogliete il mio cappotto?»
Quelli si riscossero all’improvviso, e uno si affrettò a raggiungere il nuovo arrivato e a prendere con mano tremante la giacca di daino che gli veniva porta, giacca impensabile per chiunque, considerato il caldo, ma non per l’uomo dagli occhi dorati.
«Grazie» sussurrò quest’ultimo, in tono di scherno, e rivolse uno sguardo alla carrozza. «Kabuto» chiamò freddo, e dall’interno ombroso si fece avanti un ragazzo dai capelli precocemente ingrigiti, con un paio di curiosi occhiali di vetro in bilico sul naso.
«Mio signore Orochimaru, avete dimenticato il vostro orologio» disse premuroso, scendendo dalla carrozza e porgendo all’uomo che accompagnava un orologio in oro massiccio, con catena.
«Oh, hai ragione» commentò quello, prendendolo dalle sue mani e sistemandolo con noncuranza. «Forza, ora andiamo. Siamo notevolmente in ritardo»
I domestici si fecero bruscamente da parte mentre lui passava, senza più degnarli della sua attenzione. I suoi occhi felini erano fissi sulle torce che illuminavano il viale principale e, più oltre, sulla villa da cui veniva il suono leggero di un valzer.


«Credo che ci siano tutti» commentò Sasuke giocherellando nervoso con un polsino.
«E come fai a dirlo? Sei arrivato solo ora» ribatté Naruto, sollevando verso di lui il calice di spumante che teneva in mano.
«E il mio salone è pieno. Ed è tardi. E i cuochi in cucina sono pronti. Quindi ci sono tutti» sintetizzò Sasuke, palesemente a disagio.
«Uh, non fa una piega!» ridacchiò Naruto sarcastico.
Fermi in cima allo scalone in marmo rosa, i due guardavano gli invitati che bevevano spumante al di sotto, avvolti nei loro abiti migliori e circondati da nubi di profumo.
«Trovati una donna e smetti di bere» fu il commento disgustato dell’Uchiha.
«Nh, una l’ho intravista, forse, biondina... ma non ne sono tanto sicuro, sembrava un po’ troppo dispotica»
«Bionda?» Sasuke fece mente locale. «Ah, potrebbe essere la figlia dei conti Yamanaka: dicono sia diventata una ragazza piacente»
«Piacente? Diamine, con quello che ha addosso quella figliola ci starei bene una vita intera!»
«Non se il suo carattere è rimasto invariato...»
«Conosci anche lei?»
Sasuke si strinse nelle spalle, quasi ingobbendosi su sé stesso.
«Faccio annunciare la cena» svicolò rapido, dando le spalle a Naruto.
Ma prima che potesse allontanarsi fu bloccato dalla sua mano sulla spalla.
«Aspetta un attimo. Io non ho invitato lui!» esclamò sorpreso.
Sasuke si accigliò, voltandosi, e oltre la balaustra chiara vide il piano inferiore e il salone, fino all’ingresso. Davanti alla soglia, un uomo dall’incarnato cereo si guardava attorno lentamente, accompagnato da un ragazzo con i capelli grigi.
«Ma che diavolo ci fa qui?» sussurrò Sasuke, irrigidendosi all’improvviso.
«E’ Orochimaru, vero?» chiese conferma Naruto, incupendosi, e scoccò un’occhiata indagatrice al compagno. «Perché uno come lui è nel ducato? Quando l’hai incontrato, a Torino? E cosa ha a che fare con te?»
L’Uchiha si fece improvvisamente di marmo, serrando le labbra.
«Niente» sibilò stringato, e con uno scossone si liberò della mano di Naruto sulla sua spalla.
Sentì il suo richiamo dietro la schiena, ma lo ignorò e scese i gradini in fretta, facendo risuonare i tacchi sul marmo levigato. Arrivò al pianterreno, nervoso, e avanzò senza curarsi dei cenni degli invitati e dei loro tentativi di attaccar bottone, gli occhi neri fissi sull’ingresso.
Perché è qui?” si chiese, furente. “Come ha saputo del ricevimento? Le voci non possono essere arrivate fino alla corte dei Savoia, a meno che Naruto non sia stato tanto idiota da...!”
Si divincolò dal semi-accerchiamento di un nutrito gruppo di madri in cerca di genero facoltoso, e finalmente incrociò lo sguardo di Orochimaru.
Bastò un solo istante perché le labbra sottili dell’uomo si incurvassero in un sorriso.
E Sasuke seppe che era una minaccia.
«Splendido ricevimento, duca» salutò Orochimaru quando Sasuke lo ebbe raggiunto.
«Che fate qui?» sibilò lui, chiaramente teso.
«Ho sentito del vostro insediamento, duca» commentò l’altro, velenoso e mielato insieme. «Mi è sembrato doveroso passare a rivolgervi i miei rispetti... dopotutto abbiamo avuto un rapporto piuttosto stretto, di recente»
Sasuke si guardò intorno rapido, constatando che nessuno era abbastanza vicino per origliare. Ma quando spinse lo sguardo fino alla balaustra della scalinata, vide Naruto che lo fissava con insistenza, e un brivido d’allarme gli corse lungo la schiena.
«Non qui» disse in fretta, contrito. «Seguitemi»
Orochimaru non si oppose, freddo e pacato com’era. Gettò un’occhiata rapida nel punto in cui aveva guardato Sasuke, e per un attimo, alla vista del ragazzo biondo che lo fissava dall’alto, nei suoi occhi passò un brillio di sorpresa, che fu subito soffocato dal solito gelo.
E quindi seguì Sasuke, che camminava rapido verso le stanze della servitù.


In che pasticcio si è andato a cacciare?” pensò Naruto nervosamente, svuotando il suo calice.
Fece scorrere uno sguardo distratto sulla folla al di sotto, e per un attimo si soffermò sulla porta quasi invisibile, nell’atrio, che conduceva alle cucine e ai locali dei domestici. Sentiva le mani formicolare, e aveva una mezza idea di andare a spiare... Ma Sasuke lo avrebbe ucciso. E non metaforicamente.
Inspirò a fondo, cercando di darsi una calmata.
Sasuke non è un bambino né uno sprovveduto” si disse. “Probabilmente mi preoccupo per nulla, non è tipo da infilarsi in guai troppo grossi”
Eppure non smetteva di essere inquieto.
Sapeva fin troppo di Orochimaru e del genere di affari di cui si occupava: era uno di quei personaggi poco raccomandabili che bazzicavano la corte e risolvevano i pasticci degli altri, e la maggior parte delle volte le sue soluzioni prevedevano qualche morto. Di solito a lui si rivolgeva chi aveva già toccato il fondo e non sapeva più come uscire da qualche guaio.
E allora perché Sasuke...?
Non riuscì a concludere il pensiero, che il rumore di un bicchiere in frantumi lo fece trasalire.
«Oh, m-mi dispiace... I-Io non volevo, non intendevo...» balbettò una voce spaventata, in un angolo del salone.
Accanto al quartetto d’archi che per un attimo aveva smesso di suonare, una ragazza dai capelli nerissimi era chinata a terra e tendeva le mani verso i cocci di vetro, con il viso arrossato.
«No! Ti graffierai!» esclamò un’altra, fermandola un attimo prima che raggiungesse il pavimento.
E quando Naruto la vide alzare il viso, decise che quegli occhi verdi meritavano una maggior considerazione.
Gettò un ultimo sguardo alla porta dietro la quale erano scomparsi Sasuke e Orochimaru, e poi di nuovo alla ragazza dai capelli rossi, quasi rosa sotto le luci soffuse, che aveva fermato l’altra. Un leggero sorriso gli incurvò le labbra, furbo.
Adocchiò un cameriere che si aggirava con il vassoio dello spumante, e decise che se ne sarebbe procurato altri due calici.



In quello stesso momento Sasuke camminava veloce attraverso le cucine, cercando invano un luogo appartato.
Sentiva la presenza di Orochimaru alle sue spalle come una sanguisuga gelida attaccata alla schiena, e il sudore correva sulla sua pelle per la tensione.
Alla fine, esasperato dagli infiniti domestici che incontravano e che li fissavano sbalorditi e preoccupati, decise di prendere la via dell’orto, e uscì nel buio della sera.
«Luogo ameno, nevvero?» commentò Orochimaru quando finalmente si fermarono lungo un sentiero, tra le zucchine e i pomodori. Da qualche parte i grilli frinivano, e lucciole vaghe si posavano sulle foglie e riprendevano il volo.
«Perché siete qui?» scattò subito Sasuke, allentando il colletto della camicia con un dito. «Mi sembrava di essere stato abbastanza chiaro con voi!»
Anche nel buio, il sorriso di Orochimaru brillò sinistramente.
«Chiaro, dite?» ripeté freddo. «I miei ricordi sono diversi, se permettete. I miei ricordi vedono voi che chiedete un servigio a me, ma non voi che pagate per tale servigio»
«Alla fine avevamo abbandonato il progetto!» inveì Sasuke.
«Ma io avevo fatto ogni preparativo» rispose Orochimaru pacato.
Più l’Uchiha si alterava, più lui sembrava sereno e a suo agio.
«Non avevate parlato di nulla di simile!» sibilò furente.
«La morte di vostro fratello è avvenuta prima di quanto prevedessi» Orochimaru fece un cenno vago, annoiato. «Avevamo stabilito che cadesse da cavallo, se ben ricordo, ma il giorno prima della data designata voi avete avuto la brillante idea di sfidarlo a duello e uscirne vincitore. Nonostante le vostre intenzioni di sciogliere il nostro contratto, pensavo che mantenerlo integro sarebbe stata cosa a voi gradita. Ma ahimé, all’ultimo istante sono venute a mancare le condizioni di base, e la vostra fuga precipitosa dal piacentino mi ha impedito di ricordarvi che i nostri accordi erano ancora validi»
«L’avevo sciolto!» lo interruppe Sasuke, stringendo i pugni. «Ero venuto da voi e vi avevo detto di scioglierlo! Vi avevo anche pagato per il disturbo!»
Orochimaru sorrise gentilmente.
«Per quel disturbo, per ciò che avevo preparato fino a quel momento» spiegò con voce vellutata. «Non per gli oneri successivi, che sono stati assai più ingenti»
Sasuke aprì la bocca, e la richiuse. Si passò una mano sulla fronte, sfregando le dita sulla ruga che la solcava, e poi fissò Orochimaru, trattenendo a stento la rabbia. Intravide alle sue spalle il valletto che lo accompagnava sempre, e si rese conto che anche se avesse voluto tentare, non sarebbe mai uscito vincitore da un’eventuale colluttazione.
«Non avrete un soldo di più, da me» ringhiò allora, frustrato.
Come per ogni nobile del circondario, l’ammontare delle sue finanze era soltanto una montatura: sia la proprietà nel piacentino che quella nel pavese erano gravate da debiti più o meno pesanti, e le prospettive non erano certo delle migliori.
Ma Orochimaru gli rivolse una risatina bassa e stranamente pacata.
«Non temete, non voglio certo del denaro» sussurrò, nel buio.
Sasuke rimase interdetto.
«E allora cosa volete?» domandò confuso.
«Il vostro matrimonio»
«Prego?»
«Ho un piccolo debito nei confronti degli Hyuuga, immagino li conosciate» spiegò Orochimaru. «Questa sera sono tra gli invitati, e si dà il caso che abbiano una figlia in età da marito. Per quanto i loro possedimenti siano estesi, il loro titolo è soltanto quello di conti, e sarebbero molto lieti di unire le sorti della loro famiglia alla nobile casata dei duca Uchiha»
Sasuke sbatté le palpebre, a bocca aperta.
«Dovrei sposare l’erede degli Hyuuga?» allibì. «Quella scialba ragazzina incapace di mettere insieme due parole?»
«Dicono che il dono migliore sia quello del silenzio» sorrise Orochimaru.
«Ma... Ma che razza di proposta è?» chiese Sasuke sconcertato e furioso.
«Non è una proposta» il sorriso scemò sul volto pallido. «E’ un consiglio. Un consiglio che terrei particolarmente in considerazione, se fossi in voi»
Sasuke aprì e chiuse i pugni, in fermento.
Un matrimonio di convenienza con la figlia degli Hyuuga, l’insipida ragazzina della quale conosceva a malapena il nome, oppure...
«Se mi rifiutassi?» osò chiedere, rigido.
«Non è contemplato un rifiuto» rispose Orochimaru, immobile.
Il che era sinonimo di arsenico, prima causa di mortalità tra i nobili della corte a Torino.
Sasuke si tormentò i palmi delle mani con le unghie, respirando pesantemente.
Ora che aveva finalmente vendicato la scomparsa dei suoi famigliari ad opera di Itachi, ora che gli aveva impedito di mettere le mani sull’intero patrimonio e si era trovato a capo dei resti del casato, ora che iniziava a pensare di guardare avanti e ricostruirsi una vita, ecco che l’ennesimo ostacolo gli si parava sul cammino.
E ancora una volta non era un ostacolo aggirabile.
Sposarsi...” si trovò a pensare, con una punta di rammarico.
Ma prima che i suoi pensieri prendessero una piega nostalgica, la voce di Orochimaru lo riportò bruscamente alla realtà.
«Naturalmente non pretendo una risposta immediata» disse riprendendo a sorridere. «Ma mi auguro che ci penserete abbastanza intensamente da darmi la vostra risposta entro tre giorni. Oh, e spero che sia positiva. Lo spero intensamente»
Sasuke dovette mordersi la lingua per non sputargli ai piedi.
Ma aveva le mani legate. Con Orochimaru, chiunque aveva le mani legate.
«Mi dispiace, non credo di potermi trattenere per il ricevimento» riprese lui in tono discorsivo, ora molto più asciutto. «Vi faccio le mie congratulazioni e i migliori auguri per il futuro, duca. Ora mi perdonerete se vi chiedo di congedarmi: ho una tenuta oltre il Po, e conto di raggiungerla entro la mezzanotte»
«Prego» sibilò Sasuke, velenoso.
«Ah, un’ultima cosa» aggiunse Orochimaru, giocherellando con l’anello nero che gli circondava l’indice. «Ho notato tra i vostri ospiti il nipote del Re» Sasuke si irrigidì. «Conoscendo la sua spiccata attitudine all’impulsività, vi consiglio di ricordare che il nostro piccolo accordo potrebbe estendersi anche a lui, con onori e soprattutto oneri, se dovesse cercare di aprir bocca su questa faccenda. Naturalmente confido che certe conversazioni restino segrete, ma ci tengo a mettervi in guardia da subito... Non vorremmo mai che gli capitasse qualcosa di spiacevole, nevvero?»
Sasuke fremette.
«Via» sibilò, pericolosamente vicino a perdere il controllo. «Andate via!» gridò alla fine, sovrastando il frinire dei grilli e tagliando l’aria spessa di agosto.
Orochimaru sorrise, sornione.
«Vi auguro una buona serata, duca»


Quando rientrò nel salone, Sasuke non vide nemmeno gli sguardi degli invitati che si posavano sul suo viso arrossato e sul colletto scomposto della camicia. Con il cuore in subbuglio, attraversò il pavimento di marmo e cercò Naruto, colto da un’ansia immotivata.
Guardò in cima allo scalone, ma lo trovò deserto. Allora girò su se stesso, tentando di individuare la sua testa bionda tra quelle degli invitati, ma all’improvviso sembrava che l’intero vicinato fosse composto di tedeschi in villeggiatura.
Poi, tutt’a un tratto, sentì la sua risata levarsi al di sopra del quartetto d’archi. E lo vide, accanto alla piattaforma su cui suonavano, circondato da un piccolo gruppo di ragazze in abiti color pastello, con un calice di moscato che seguiva il gesticolare della mano.
La sua prima reazione fu il sollievo. Un sollievo sconfinato, profondo e, ora che ci pensava, immotivato.
Dopotutto non è che gli stesse poi tanto simpatico quel Naruto. Insomma, non si può dire di no all’amicizia del nipote del Re, ma la sua era più che altro una sopportazione obbligata. Era troppo chiassoso, troppo impulsivo, troppo esuberante, troppo... troppo biondo, persino.
E nonostante ciò, se Orochimaru gli avesse fatto del male Sasuke non se lo sarebbe perdonato.
Naruto era troppo bianco per restare coinvolto nei suoi problemi.
Con un sospiro profondo, risistemò il colletto della camicia e cercò di darsi un tono.
«Sasuke!» chiamò in quel momento Naruto, incrociando il suo sguardo. «Unisciti a noi!»
Lui si accigliò, restio di fronte alla compagnia tutta femminile. Intravide Hinata Hyuuga dietro le spalle di Naruto, e la sua ansia di raggiungerli scemò visibilmente.
Finché non gli cadde l’occhio sulla ragazza alla destra di Hinata. E allora si irrigidì di colpo.
«Dai, vieni!» insisté Naruto, scusandosi con la compagnia e raggiungendolo. «Che figure mi fai fare?» gli sibilò impaziente. «Ho detto a tutte che eravamo praticamente fratelli, non puoi piantarmi in asso ora!»
«L’idea della festa è stata tua» ribatté Sasuke asciutto, fissando ostinatamente uno dei candelabri alla parete. «Io ho fornito solo i locali»
«Ma la festa è in tuo onore!» esasperato, Naruto gli piazzò in mano il suo calice di moscato. «Non fare il solito scorbutico! Un po’ di aura di mistero va anche bene, ma a tutto c’è un limite!»
«Smettila!» sbottò lui, irritato. «Io non posso venire lì!»
«Non puoi?» chiese Naruto, perplesso. «E cosa te lo impedirebbe, di grazia?» aggiunse sarcastico.
Gli occhi di Sasuke sfrecciarono rapidi alla ragazza dai capelli rossi ancora accanto a Hinata. Per un attimo incrociarono quelli verdi di lei, ma li videro ritrarsi subito, fingendo di prestare attenzione a ciò che diceva la bionda che sussurrava guardandoli.
«Non posso, e basta» disse stringato, serrando le dita attorno al vetro fragile del calice.
Con un gesto brusco lo rimise in mano a Naruto, e poi gli voltò le spalle e si allontanò prima che potesse ribattere.






Continua



Allora, questo doveva essere un regalo di compleanno.
Per ieri.
Doveva essere una one-shot.
E' diventata una long-fic di media lunghezza.
Doveva essere una SasuSaku.
In teoria la è ancora, ma mi sa che ci saranno triangoli strambi, e comunque Sakura a malapena si vede in questo capitolo! (è inutile, non posso scrivere di loro e basta!)
Ma che diavolo ho combinato?
Persino il layout fa davvero schifo!

Ad ogni modo, auguri sammy1987! Con un giorno di ritardo, lo so, con un regalo imperfetto, so anche questo, ma ti faccio i miei più sentiti auguri! >_<
L'intera fic è dedicata a te!


Ayachan


PS: gli aggiornamenti saranno più lenti di quelli cui siete abituati! Diciamo che il prossimo capitolo è tra una settimana, eh? XD


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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Deserving-2

Deserving




Dopo il rifiuto ad unirsi al gruppo di Naruto, il resto della serata Sasuke lo passò in posizione decisamente defilata, rivolgendo la parola solo agli audaci che avevano il coraggio di sfidare la sua espressione cupa.
Con la schiena appoggiata alla parete fredda, fissava gli invitati che si servivano dal buffet in fondo alla stanza, e continuava masochisticamente a far girare gli stessi pensieri nella testa.
Perché è qui?”
Buttò giù il terzo bicchiere di spumante, sentendo la testa leggera, e si maledisse per aver lasciato tutto nelle mani di Naruto.
Conoscendolo, avrà aperto le porte anche ai villani” pensò irritato.
Ma l’abito che aveva visto non era quello di una paesanotta qualunque. Era alta sartoria, forse non eccelsa ma comunque buona.
E le stava bene.
Idiota” si disse, adocchiando un cameriere che portava nuovi bicchieri.
Si allontanò dalla parete per lasciargli il calice vuoto, infastidito dalla folla e dal ronzio che sentiva nelle orecchie, e per sbagliò urtò la spalla di qualcuno.
«Scusate...» mormorò, dandosi immediatamente dello stupido, dato che era il padrone di casa.
Ma quando incrociò gli occhi neri dell’uomo che aveva urtato, dovette fermarsi.
Vecchie conoscenze, impossibili da ignorare. Purtroppo.
«Duca, buona serata» lo salutò l’erede dei marchesi Nara, sollevando il suo spumante in un cenno di benvenuto.
«Buonasera» rispose lui ricomponendosi in fretta.
Gli bastò una sola occhiata per capire che la fortuna dei Nara non era aumentata negli ultimi anni, a giudicare dall’abito fuori moda, eppure quel ragazzo riusciva a indossare qualunque vestito facendolo sembrare perfetto. Con una mano mollemente abbandonata in tasca e un velo di profumo, anche il codino molle che gli solleticava il collo sembrava un’acconciatura meticolosa.
«Duca, ossequi» salutò il giovane che gli stava accanto, rivolgendogli un lungo sguardo attraverso gli occhi chiarissimi.
Sasuke lo riconobbe subito per uno Hyuuga, e facendo mente locale ricordò il parente di rango inferiore della casata, il ragazzino di cui si era parlato a lungo anni addietro, quando il conte lo aveva formalmente adottato. Gli rivolse un cenno con il capo, e individuò al suo fianco il marchese Akimichi e il marchese Lee, insieme al conte Inuzuka.
Altri convenevoli anche con loro, e il solito, vecchio disagio che lo coglieva sempre.
«Non vi abbiamo visto molto partecipe questa sera, duca» iniziò Neji Hyuuga, con voce pacata e profonda.
«Non mi sento particolarmente bene» mentì lui, e guardandolo si chiese se sapeva dei piani di Orochimaru.
«La mia domestica fa un decotto che è la fine del mondo in questi casi!» esclamò Rock Lee, solerte. «Ogni disturbo di intestino sparisce immediatamente, e...»
«Lee» lo fermò Shikamaru, sospirando. «Immagino che il duca abbia mal di testa, non il genere di problema di cui parli tu»
«Oh» il marchese arrossì, sbattendo gli occhi dalle ciglia lunghe e rade. «In questo caso, allora, vi consiglio l’essenza di...»
«Grazie, non è necessario» troncò Sasuke prima che iniziasse con la solita filippica.
Aveva sempre detestato stare in mezzo ai nobili. Per quanto il loro rango fosse inferiore, per quanto cercasse di ricordarsi che loro gli dovevano timore e rispetto, non riusciva mai a liberarsi del senso di inadeguatezza che lo perseguitava da una vita, e che aveva origine e fine nel suo troppo perfetto fratello.
«Scusatemi, volevo controllare che ogni cosa fosse...» iniziò, cercando di svicolare, ma ancora una volta fu Rock Lee a prendere la parola, fermandolo.
«Un solo istante, duca» sorrise, raggiante. «Prima che ci lasciate voglio presentarvi una persona!»
Sasuke fece una smorfia impercettibile, trattenendo uno sbuffo.
«Siete stato lontano a lungo, e probabilmente non ne avete avuto notizia» spiegò con gli occhi accesi. «Ma mi sono fidanzato ufficialmente!»
«Me ne rallegro» fu il commento atono di Sasuke, già lontano con la testa.
«Oh, ecco! Che fortuna, la mia fidanzata si sta avvicinando!» esclamò Lee, guardandosi attorno.
E quando Sasuke la vide camminare verso di loro, esitante, sentì distintamente il gelo avvolgere la sua spina dorsale.
«Sakura, vieni!»
Ecco perché era lì.
Non appena fu abbastanza vicina, Rock Lee prese la mano della ragazza dai capelli rossi, baciandone il dorso con devozione.
«Duca, vi presento Sakura, la mia fidanzata»
Nelle parole e nei modi del marchese c’era soltanto un orgoglio sconfinato, orgoglio che irraggiava dagli occhi come la luce di una candela. Sasuke se ne sentì urtato, e i pensieri peggiori gli balzarono alla mente, minacciando di uscire dalla sua bocca.
Non è nobile!
Sposi una villana!
Non ha un soldo!
Non è degna!
Una vampata di calore gli salì alle guance, aiutata dal moscato nelle sue vene, e le nocche sbiancarono attorno al bicchiere.
Intravide negli occhi di lei, schivi, un barlume di sorpresa, e capì di essere troppo esposto; allora evitò il suo sguardo.
«Felicitazioni» mormorò schiarendosi la voce, fissando il marchese Lee con insistenza. «A quando le nozze?»
«Quest’autunno, in settembre» sorrise l’altro, stringendo la mano della fidanzata. «Mi auguro che vogliate partecipare, duca, sarebbe davvero un gran...»
«Non posso» scattò Sasuke, asciutto.
Lee si interruppe bruscamente, smarrito, e chi gli stava intorno si immobilizzò allibito. Sakura arrossì, accigliandosi, e questa volta, quando incrociò lo sguardo di Sasuke, non lo distolse per prima.
«Credo che in settembre sarò a Torino» spiegò lui, più secco di quanto fosse nelle sue intenzioni. «Mi dispiace»
«Oh, beh... capisco» tossicchiò il marchese, imbarazzato. «Perdonatemi, non volevo... certo, l’invito è sempre valido, doveste liberarvi...»
«Grazie» troncò Sasuke. «Ora scusatemi, vi lascio ai vostri discorsi»
Rivolse un cenno agli uomini che lo circondavano, i quali risposero rigidamente, e senza degnare della minima attenzione l’unica donna, voltò le spalle al gruppo e si allontanò, perdendosi tra gli invitati.
Mentre si faceva largo tra pizzi e crinoline, serrò la mandibola, assalito dai ricordi.
Non è degna!

Avevano cinque anni, forse sei.
Lui vestiva di raso e seta, lei di lana se andava bene.
Lui ancora sorrideva – sorrideva davvero – lei non piangeva.
Lui non pensava all’etichetta, lei non la conosceva neppure.
Erano soltanto due bambini, nella campagna riarsa dal sole.
Erano soltanto due bambini, che parlavano e parlavano, ma non sapevano davvero nulla...

Afferrò il quarto – sesto? decimo? - calice e quasi lo svuotò in un sol colpo.
Piegò leggermente il capo, sentendo i capelli frusciare sulle guance accaldate, e comprese di essere pericolosamente vicino all’ubriacatura.
Che diavolo stava facendo?
Gettava alle ortiche onore, fama e immagine dopo neanche una settimana di permanenza?
Si disse che era per colpa di Orochimaru e delle sue minacce. Che era preoccupato per Naruto, che non voleva che gli capitasse qualcosa. Si disse che si era buttato sullo spumante perché non voleva sposarsi, meno che mai sotto ricatto.
Ma non ci credeva nemmeno da ubriaco.
Sapeva fin troppo bene che il problema era lei.
Lei, che era ricomparsa nella sua vita, dopo che si erano separati pensando di non rivedersi mai più.
Lei, che lo faceva sentire più che inadeguato... che lo faceva sentire in colpa.
Lei, che sposava un altro.
Avevamo cinque anni” si disse, rabbioso. “Eravamo bambini, solo bambini”
E allora perché ti arrabbi tanto?
Mentre cercava di riacquistare una parvenza di dignità e di capire dove trovare altro spumante, un’ombra indistinta ebbe l’ardire di fermarsi davanti a lui.
Sasuke alzò lo sguardo, irritato, assolutamente incapace di mostrare la solita maschera di facciata, e quando si trovò davanti agli occhi verdi di Sakura – di nuovo così vicini, dopo quasi quindici anni, e per la prima volta così in basso rispetto ai suoi – sentì l’alcol che minacciava vendetta dallo stomaco.
«Duca...» disse lei per prima, con un inchino un po’ goffo.
Lui rimase rigido a guardarla, senza sapere come rispondere.
Cosa insegnava l’etichetta riguardo alle fidanzate dei vassalli raccattate tra il popolino?
«Chiedo scusa, non volevo disturbarvi» riprese lei di fronte a suo silenzio, fissandolo di sottecchi. «E’ solo che...»
«Cosa vuoi?» la interruppe lui.
Sakura si irrigidì per un istante. Poi, a sorpresa, un sorriso amaro le solcò il viso.
«Allora ti ricordi?» chiese sottovoce, con discrezione.
Sasuke strinse le labbra e si diede dello sciocco.
Avrebbe potuto fingere, e allontanarla mostrandosi freddo; se solo non avesse bevuto tutto quello spumante, probabilmente, lo avrebbe fatto davvero. Invece era stupidamente incagliato nell’errore di darle del tu, e ora ne avrebbe pagato le conseguenze.
«Cosa vuoi, Sakura?» ripeté, e per assurdo gli piacque pronunciare il suo nome, dopo tutti quegli anni.
«Non sono qui per me» replicò lei, rabbuiandosi di fronte alla sua freddezza. «Né per te, se stai per pensarlo. Sono qui per Lee»
Sasuke avvertì un moto d’irritazione.
Bambini, solo bambini.
«So che la cortesia non ti è mai stata congeniale» continuò Sakura tesa, schivando i suoi occhi. «E probabilmente provi disgusto per un matrimonio che non sarà nemmeno lontanamente paragonabile a quelli cui sei abituato... ma per lui, per noi, sarebbe un grande onore averti alla cerimonia»
«Ah, davvero?» chiese Sasuke, guizzando con lo sguardo alla ricerca di altro spumante.
Che idiozia. Erano solo bambini, all’epoca. Sakura poteva sposare chi voleva... e comunque restava una villana nullatenente. Peggio per il marchese.
«Perché non dovrebbe essere un onore?» Sakura corrugò la fronte.
«Cosa?» fece Sasuke, distratto. E solo allora si rese conto delle parole che gli erano sfuggite, e di quanto poco senso avessero, insieme al tono acido.
Per caso incrociò lo sguardo di Sakura, di nuovo, e questa volta nessuno dei due lo abbassò.
Ci fu un istante di silenzio prolungato, durante il quale il mormorio degli invitati saturò l’aria troppo calda, insinuandosi tra i pizzi e sotto le stoffe. Fu un istante troppo lungo, forse, perché le concesse ciò che non poteva – ciò che non avrebbe dovuto – permettersi.
E Sakura parlò ancora una volta.
«Prima di andartene, tanti anni fa, dicevi che un nobile e una contadina non potevano sposarsi» mormorò con voce bassa. «Ma Lee non la pensa così. Lui mi vuole bene, e ha chiesto la mia mano. Ha detto che non gli importa della dote, che per avere me è disposto a rinunciare al denaro che gli avrebbe dato un’altra» sorrise a malapena, amara. «E’ più sognatore di un bambino, a quanto pare. Ma mi vuole bene, e non gli importa di nient’altro. Quindi, per favore... non rovinare la sua festa. Partecipa al suo, al nostro matrimonio, e fingi di essere contento, invece di disprezzarlo per avermi scelta»
Sasuke irrigidì la mandibola, immobile.
Disprezzare Lee per averla scelta? No, non era esattamente il sentimento che provava.
«Lo ami?» chiese di scatto, senza nemmeno sapere il perché – ma sospettando che avesse a che fare con lo spumante.
Sakura sussultò involontariamente, arrossendo.
«Non vi sembra una domanda esageratamente personale, duca?» sussurrò con occhi accusatori, ripristinando le distanze originarie.
«Immagino di sì» rispose Sasuke, facendo precipitosamente retro-front. «Perdonatemi, non intendevo arrecarvi offesa»
«Ne sono certa» lei annuì, deglutendo. «Ma, perché stiate tranquillo, vi assicuro che non sposo il marchese soltanto per il suo denaro. Non nego che sia una grande comodità, e che sia persino allettante, anche per la mia famiglia... ma io lo sposo perché gli voglio bene, e gli sono grata...»
«Un matrimonio non si regge sulla gratitudine» bofonchiò il duca, all’improvviso.
«Scusate?» fece Sakura senza capire.
«Niente» troncò lui, irritato. «Bene, sono lieto che i vostri sentimenti siano puri. Vi auguro ogni felicità e ogni bene insieme all’uomo che diventerà vostro marito»
«Vi ringrazio, duca»
Sakura si inchinò, di nuovo con quella leggera rudezza che era il segno indelebile della sua inesistente educazione, e quando tornò con la schiena dritta guardò Sasuke, in attesa.
Lui ricambiò lo sguardo, senza sapere cosa dire o fare, controllando la condizione dello spumante nello stomaco e i pensieri confusi nella sua testa, che sembravano mescolarsi e influenzarsi a vicenda.
Che cosa voleva da lei?
«Allora buona serata...» sussurrò Sakura, quasi delusa. «E bentornato, duca»
Sasuke si limitò a rispondere con un cenno brusco.
E lei capì che non c’era altro da dire.

*

«Che delusione!»
Naruto crollò su una poltrona, riversando la testa all’indietro.
«Non ci credo! Già promessa!» esclamò, in tono forzatamente melodrammatico. «Sakura già promessa! Al marchese, poi, che esteticamente lascia parecchio a desiderare!»
Il ricevimento si era concluso da poco più di un’ora, e l’ultimo invitato aveva lasciato la villa barcollando fino alla propria carrozza, scortato da un Sasuke funereo e un Naruto che alternava battutine e commenti finto-comprensivi.
Ora i due erano rientrati, mentre i domestici iniziavano a sistemare il salone tra sbadigli e schiene sudate, e Naruto aveva seguito Sasuke fino alle sue stanze, lasciandosi cadere su una poltrona.
Rialzò la testa, non sentendo commenti dal compagno.
«Beh? Non dici nulla?» chiese, moderatamente offeso.
«Mh?» fece l’altro, distrattamente.
«Sakura!» sbuffò Naruto, e con sua grande sorpresa si vide fulminare dagli occhi scuri del duca.
«Che c’entra?» scattò brusco, sciogliendo i lacci della camicia con gesti affrettati.
Naruto sbatté le palpebre e inclinò la testa di lato, perplesso.
«Ehi, la puntavi anche tu, per caso?» domandò incuriosito.
Sasuke sfilò la camicia, sbattendola sul divanetto con irritazione.
Di che parlava Naruto? Puntare? Puntare Sakura? E che voleva dire anche lui?
Aveva il terribile sospetto di aver perso parte della conversazione.
E, così facendo, di essersi tradito.
«Non capisco di cosa tu stia parlando» ruminò tra i denti, nervoso.
«Oho... allora ho visto giusto!» esclamò Naruto pieno di entusiasmo.
«Smettila» ringhiò Sasuke. «Ed esci dalle mie stanze, voglio dormire!»
«Macché, questo non è affatto il momento di lasciarti!»
Naruto balzò in piedi, energico come se non avesse ballato per ore e tirato quasi l’alba, e si avvicinò a Sasuke con più entusiasmo di quanto fosse saggio.
«E’ la prima volta che ti vedo interessato a una donna, sai?» commentò allegro, girandogli attorno. «Forse dovresti lottare per lei!»
Lottare?
Ma se era stato invitato al suo matrimonio... e probabilmente ci sarebbe pure andato, era difficile trovare una scusa plausibile per evitarlo.
Lo spumante ancora lo rendeva impulsivo, tanto da costringerlo a serrare i pugni per non scaraventare Naruto fuori dalla stanza.
«Per una contadina?» sibilò acido, senza volerlo.
«Che c’entra la contadina adesso?» chiese Naruto confuso.
«Non ho i pessimi gusti del marchese» continuò Sasuke, spinto da un impulso che non sapeva bene identificare. «Le donne che puzzano di stalla può tenersele tutte, io non me ne faccio nulla!»
«Aspetta, aspetta!» lo bloccò Naruto, spalancando gli occhi. «Sakura non è la figlia di qualche nobile? Viene dal paese?»
«E che si sposino anche domani, se ci tengono tanto!» inveì Sasuke, ormai del tutto disinteressato ai commenti di Naruto. «Inviteranno anche le capre!»
«Perché ne sai così tanto, tu?» lo interruppe l’altro, stupito.
«Cosa?» il duca si bloccò all’improvviso, fissandolo.
«Sì, perché sei così bene informato? Per quel che ne so, erano quasi quindici anni che non tornavi qui a Montebello, come mai sai tante cose su quella ragazza? E perché la cosa ti urta tanto?»
Sasuke sentì il viso accaldato, suo malgrado.
Per molti versi Naruto era terribilmente ingenuo, ma quando intuiva qualcosa poi tendeva a sviscerarla fino all’ultima goccia, insoddisfatto finché non raschiava il fondo. E Sasuke capì di avergli fornito fin troppi appigli per potersi tirare indietro.
Sbuffò sonoramente, passandosi una mano tra i capelli.
«La conoscevo» sibilò stringato. «Da bambino, giocavo con lei nei campi»
«Il nobile figlio degli Uchiha giocava nella polvere?» chiese Naruto, con un sorrisino allibito.
«Anche tu lo facevi, razza d’idiota!» insorse Sasuke, arrossendo.
«No. Io giocavo nei prati perfettamente curati attorno alla villa di famiglia, caro il mio duca» lo corresse lui, divertito. «Non arrivavo al fango, per tubare con le contadinelle»
«Non tubavamo! Avevamo cinque anni, al massimo sei! E non sono mai andato a cercarla, ci siamo incontrati per caso!»
«Va bene, va bene... chiedo venia. Ad ogni modo, poi che è successo?»
«Poi ci siamo trasferiti del piacentino, tutto qui»
Naruto scrutò Sasuke, assottigliando gli occhi.
«Tutto qui?» ripeté in tono inquisitorio.
Sasuke sbuffò. «Abbiamo litigato, prima che partissi. Uno sciocco litigio tra bambini, nient’altro. Una cosa molto stupida, oltretutto...»
«Cioè?»
Sasuke evitò lo sguardo di Naruto, a disagio.
«Eravamo giovani e ingenui...» masticò vago.
«Cioè?» ripeté Naruto, inflessibile.
«Matrimonio» bofonchiò l’Uchiha. «Volevamo sposarci»
Com’era prevedibile, Naruto scoppiò a ridere, piegato in due.
«Sono le promesse che si fanno tutti a quell’età!» scattò Sasuke, indignato.
«Anche tu?» ansimò Naruto, incredulo.
«Comunque era più lei di me!» sbottò Sasuke. «Io le ho detto subito che era impossibile, perché ero duca e lei contadina!»
«A cinque anni facevi già questi pensieri?»
«Hai intenzione di trovare da ridire su ogni cosa che uscirà dalla mia bocca?»
«No, certo che no. Scusa. E’ solo che...» si interruppe, e una risatina gli sfuggì alle labbra. «Cercavo di immaginarti, a cinque anni, mentre spieghi a una bambina che sei cento volte più importante di lei, anche se siete infangati fino ai capelli tutti e due»
Sasuke sbuffò, irritato.
«Avrei dovuto tenere la bocca chiusa» si rimproverò, sperando che l’alcol che aveva in corpo fosse sufficiente a fargli scordare tutto l’indomani.
«E perché, scusa?» chiese Naruto asciugandosi una lacrimuccia. «Ora dobbiamo fare un piano»
«Un cosa?» replicò Sasuke perplesso.
«Un piano per mandare all’aria il matrimonio tra Sakura e il marchese»
Suo malgrado, nonostante l’incredibile sconvenienza del gesto, il duca spalancò la bocca.
«No» disse poi, riprendendosi. «Non vedo nemmeno perché dovrei contemplare l’idea!»
Naruto sbuffò e roteò gli occhi, piantandosi le mani sui fianchi.
«Mi sembra evidente!» ribatté. «Tu e Sakura a cinque anni giocavate nel fango come due allegri maialini, il che, in teoria, ora non dovrebbe avere la minima ripercussione sulle vostre attuali azioni. Ma, e qui sta il punto, il suo matrimonio con il marchese ti turba. Ora, non so fino a che punto foste legati da piccoli, ma se perdi le staffe solo per averla rivista tre ore e aver scoperto che si sposa, direi che devi almeno provare a impedire l’irreparabile. Certo, se lei insiste nel voler restare con il marchese, è tutta un’altra faccenda, ma comunque vale la pena fare un tentativo!»
Sasuke sbatté le palpebre, vagamente stordito.
Perché ciò che diceva Naruto gli sembrava sensato?
Forse era più ubriaco di quel che pensava.
«Non... Insomma...» balbettò, spiazzato. «Non posso spuntare a un mese dalle nozze e... e rapire la sposa!» protestò. «Soltanto un folle, o un idiota, lo farebbe!»
«L’amore rende spesso folli e idioti» fu il pratico commento di Naruto.
«Amore? Io non la amo!»
«Prova a trovartela di nuovo davanti, e riprendiamo il discorso, che ne dici?»
«No. No, ciò che stai proponendo è... è assurdo, e folle. No»
Naruto sbuffò esasperato.
«Vediamo di esporre la situazione in poche, semplici parole» sillabò, come si parla a un bambino. «Sakura, la stessa Sakura che ti fa sembrare un ragazzino idiota e indeciso, sta per sposare un altro uomo. Tu dici che non la ami, ma il suo matrimonio ti ha spinto a bere qualcosa come quindici bicchieri di spumante – non negare, ti ho visto. Ora, sapendo che il divorzio è ancora prerogativa dell’Inghilterra, e sapendo che probabilmente avrai soltanto un’occasione per impedire le nozze, perché siamo ancora fermi a parlarne?»
«Cosa?» fece Sasuke, spiazzato.
«Prendiamo i cavalli e andiamo a rapirla!» esclamò Naruto, con gli occhi brillanti di entusiasmo.
«Cosa?» ripeté Sasuke, spalancando di nuovo la bocca. «Tu sei completamente folle!»
«Forse» ammise Naruto sbuffando. «Ma ho già detto che non avrai nulla di che pentirti finché sarò con te, e Sakura è precisamente una delle cose per cui ti pentirai, in futuro»
Sasuke sbatté le palpebre senza sapere cosa rispondere.
Nella sua testa la voce di Orochimaru gli ripeteva ossessivamente che avrebbe dovuto sposare Hinata Hyuga, e che se non l’avesse fatto sarebbe successo qualcosa a Naruto. Dall’altra parte, però, Naruto gli diceva praticamente che se non si fosse mosso sarebbe successo qualcosa a lui, per mano di chi non era precisato. E in mezzo, il nobile erede degli Uchiha pensava che aveva bevuto decisamente troppo.
Si passò una mano tra i capelli, confuso.
Ora che Naruto gli aveva messo la pulce nell’orecchio, l’idea di Sakura sposata con il marchese Lee lo faceva infuriare. Ma non poteva impazzire per una ragione del genere, non poteva gettare al vento anni e anni di preparazione, la sua maschera perfettamente costruita, edificata sul modello di Itachi con cura e attenzione.
Di lui si diceva che fosse una persona fredda e calcolatrice, lucida, intelligente, cauta. Non poteva dimostrarsi improvvisamente impulsivo, irascibile, e soprattutto stupido.
Strinse i denti, maledicendo Naruto e la sua parlantina.
«Non posso» ripeté. «Orochimaru... ho un debito con lui. Vuole che sposi l’erede degli Hyuga, e non posso rifiutare!»
Il sorriso sulla bocca di Naruto scomparve bruscamente.
«Orochimaru?» ripeté asciutto. «Cosa hai a che fare con lui, Sasuke? Perché gli hai chiesto aiuto?»
«Lascia perdere, è una vecchia questione» lo liquidò l’Uchiha, con un cenno.
«No, tu lascia perdere!» inveì Naruto. «Ignora Orochimaru, io posso difenderti benissimo da lui!»
Sasuke sbuffò piano. «Ha previsto che avresti messo bocca nella faccenda» mormorò. «E ha minacciato di occuparsi anche di te, se oserai immischiarti»
A sorpresa, Naruto scoppiò a ridere.
«Per favore!» esclamò quando si fu un po’ calmato, con un ghigno ampio. «Orochimaru non può sfiorarmi nemmeno con l’unghia del dito mignolo. Io sono il nipote del Re, diamine! Se osasse solo guardarmi in maniera poco gentile, avrebbe tutta la nobiltà contro. E senza appoggi i suoi traffici sarebbero finiti»
Sasuke lo fissò, dubbioso.
Conosceva Naruto abbastanza da dubitare della sua eccessiva sicurezza, ma allo stesso tempo sapeva che la famiglia reale era la protezione migliore da Orochimaru – forse l’unica protezione.
Non voleva che Naruto restasse coinvolto in qualcosa di pericoloso, ma sull’altro piatto della bilancia Sakura pesava ogni minuto di più.
Chinò la testa, frustrato.
Aveva sfidato a duello Itachi per non fare la stessa fine dei suoi famigliari. Nel corso degli anni, più o meno subdolamente, suo fratello aveva eliminato ogni possibile concorrente o erede trasversale, fino ad avere la sicurezza di avere ogni cosa. Sasuke aveva scoperto i suoi piani, si era infuriato, si era sentito tradito, e aveva deciso di troncare bruscamente ogni sua aspirazione al potere.
Ma ora tutto poteva diventare vano.
Aveva ucciso Itachi per sopravvivere, ma a causa della sua morte rischiava di soccombere ora.
E dire che alla fine Orochimaru non lo aveva nemmeno aiutato davvero.
E Sakura...
Sakura sposava Lee.
Per gratitudine, realizzò ricordando la loro breve conversazione.
Sasuke rialzò la testa, cupo.
Se avesse agito, lui e Naruto sarebbero stati in pericolo.
Se non avesse agito, Sakura si sarebbe rinchiusa in un matrimonio obbligato e lui lo avrebbe probabilmente rimpianto per sempre.
La prima opzione, se non altro, prevedeva conseguenze meno certe della seconda.
«Oh, al diavolo!» ringhiò, afferrando la camicia che aveva gettato sul divanetto. «Naruto, vai a dire di sellare i cavalli! E trova qualcuno che sappia dove vive Sakura!»
Naruto si illuminò, entusiasta come un bambino di fronte a un nuovo gioco.
«Agli ordini!» gongolò, partendo in quarta, e raggiunse la porta della stanza totalmente dimentico del fatto che non dormiva da almeno diciotto ore.
«E non metterti a raccontare ogni cosa al primo che passa!» gli gridò Sasuke, mentre già era con un piede fuori.
«Ehi, non ti fidi di me?» ribatté Naruto fingendo indignazione.
Rise, uscendo del tutto, e percorse il corridoio canticchiando una marcetta trionfale, accompagnato dall’ombra che la luce delle candele gli disegnava attorno.
Aveva leggermente esagerato riguardo alla questione di Orochimaru: non era del tutto vero che godeva di un’immunità assoluta, ma un po’ di rischio rendeva la vita più interessante.
Quando raggiunse lo scalone di marmo, scese i gradini a saltelli, sotto gli sguardi irritati dei domestici che ripulivano. Sorrise a tutti, in tono leggero, e ripensò a Sakura e a come si erano parlati lei e Sasuke, quella sera, quando credevano che nessuno li guardasse.
Oh, se il giovane duca avesse dato un’occhiata attorno, si sarebbe accorto che ogni singolo invitato aveva visto qualcosa di strano nel loro incontro.
Naruto sospirò, scuotendo la testa.
Bisogna sempre far notare tutto a quell’ingenuotto!”






Continua



E questa doveva essere la fine della fiction. Un bel finale aperto, punti interrogativi, intenzioni, e bla bla bla.
Ovviamente, la mia incapacità cronica di abbandonare i personaggi al loro destino mi ha portata ad allungare le cose. ç_ç
Che qualcuno mi scampi e liberi da questa maledizione!
(Tra parentesi, il seguito è ancora tutto da scrivere! XD)

Hipatya: Sasuke è ingestibile già nel mondo di Naruto, figuriamoci nelle AU... -.-' E la cosa orribile è che, nonostante io lo odi e non sappia gestirlo, finisco sempre per dargli ruoli complicati e che prevedono introspezione! Argh! Sono masochista! Comunque, confesso che la tentazione di ambientarla in Toscana c'è stata... Poi però ho realizzato che, ogni volta che si parla di Italia, tutti, dai fanwriter agli scrittori di professione, parlano della Toscana. E, da fiera e orgogliosa abitante dell'Oltrepò, mi sono rotta le scatole! XD Senza contare che per me è davvero molto più semplice descrivere luoghi che conosco. U_U Oh, questa volta non è tanto difficile prevedere cosa combinerò con i pairing (beh, l'ho annunciato! XD) Ci saranno solo alcuni dettagli che saranno un po' una sorpresa... e una cosa che spero vi spiazzerà proprio! XD Ma va beh, non ho a disposizione 'sto gran numero di capitoli, quindi rilassati: saprai tutto relativamente in fretta.
bambi88: paura delle ShikaIno, eh? Dai, dai. Inspira a fondo e mettiti comoda, che per questa volta quasi non sono comparsi insieme! XD Solo che Temari non si è ancora vista... e in che ruolo comparirà?
arwen5786: e così il SasuHina è fascinoso? Sai, potrei anche prenderlo come un consiglio... <3 Ma che parlo a fare, visto la risoluzione che ha preso Sasuke in questo capitolo? XD E poi, beh, lo confesso: per me Sasuke è sempre OOC, anche con Kishi. ò.ò Sì, è un personaggio che non dovrebbe esistere! XD E fidati... mi sono davvero ispirata a voi, mentre scrivevo. D'altronde Mistacchi è avvolgente, come si fa a non restarne contagiati? (patetica scusa per la mia scarsa inventiva ç_ç)
sammy1987: non è che sia difficile scrivere SasuSaku... E' proprio Sasuke a crearmi problemi! XD E' il più problematico di tutti, per quel che mi riguarda! Sono contenta che ti sia piaciuto il primo capitolo, e mi scuso ancora se alla fine questo regalo mi è sfuggito di mano... ç_ç Cercherò di rimediare tirando fuori qualcosa di sensato, lo prometto! (oh, sento odore di nuova fanwriter nell'aria o è soltanto una mia impressione...?)
lale16: sì, ora che ci ripenso il primo capitolo diceva poco o niente! XD Ma nel secondo si capisce in che direzione andranno le cose, quindi spero si sia rivelato un po' più interessante!
Talpina pensierosa: Maria, sai che io ti ammiro un sacco? XD Sei quasi peggio di arwen, recensisci anche ciò che nessuno vede! XD Sei ubiqua (o onnipresente), ma quanto leggi? Comunque mi fa tanto piacere vederti anche qui! ^_^ Un abbraccio forte!



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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Deserving-3


Deserving




La polvere si sollevava leggera nell’aria tiepida, sbiancata dalla luce di una luna insolitamente intensa. La campagna era piatta e deserta fin dove giungeva lo sguardo, e in lontananza si distinguevano i contorni dei primi terreni boschivi, riserve di caccia gelosamente custodite dalla nobiltà e terreno prediletto del bracconaggio contadino.
Due cavalli percorrevano solitari una strada sterrata, e i loro zoccoli lasciavano segni volubili nel terriccio polveroso. Sulla loro groppa, due uomini cavalcavano avvolti in abiti leggeri e decisamente troppo eleganti per la situazione.
«Potevamo almeno cambiarci!» gridò uno di loro, dal suo cavallo bianco. «Questa è seta! No, dico, seta!»
L’altro gli scoccò uno sguardo rovente, e la luna, complice e scenografa, contribuì ad aumentare il brillio irritato dei suoi occhi scuri.
«Mi hai trascinato fuori di casa a quest’ora barbara, e ti lamenti per l’abbigliamento?» esclamò quasi ringhiando, voltandosi sulla sella e rischiando di procurarsi uno strappo muscolare.
«Non è che mi lamento proprio...» tergiversò l’altro, i capelli biondi scomposti nel movimento sussultorio del cavallo. «E’ solo che mi è venuto in mente che potevamo cambiarci. Almeno io potevo farlo! Cioè, tu magari vuoi essere tutto elegante, ma io potevo cercare qualcosa di più comodo e meno cost...»
«Chiudi quella bocca!» lo interruppe il compagno, irritato. «O giuro che ti ci ficco dentro una rapa!»

Attraverso due domestici più o meno fidati Sasuke aveva scoperto che Sakura viveva ancora nella vecchia casa dei suoi genitori, a Codevilla.
Il paese non era distante, e a cavallo avrebbero impiegato meno di un’ora, ma con il buio rischiavano di perdere la strada nei tratti in cui costeggiava le colline e la luce della luna veniva oscurata dagli alberi.
Quando Sasuke glielo aveva fatto notare, Naruto aveva scansato il problema con un cenno distratto e una risata vaga.
Che vuoi che sia? In qualche modo ce la faremo!” aveva esclamato pieno di entusiasmo, e il duca aveva dovuto far leva su tutto il suo autocontrollo per non strangolarlo con il fazzoletto buono.
Ma alla fine, trascinato suo malgrado dall’entusiasmo del compagno, era balzato in sella al suo stallone bruno e lo aveva seguito in quella folle avventura, mentre una parte di lui ancora protestava vivacemente e gli ricordava concetti quali decoro, etichetta e immagine.
Quando le sagome delle case del paese si profilarono oltre i campi più vicini, quella stessa parte del suo animo era in piena dissertazione sull’incommensurabile sconvenienza del presentarsi alla porta di una paesana nel cuore della notte; sfortunatamente per lei, la restante parte di Sasuke, insieme a una generosa dose di spumante, stava gridando selvaggiamente di spronare il cavallo ad andare più veloce.
«E’ quello, vero?» chiese Naruto, leggermente più avanti. «Accidenti, mi stai dicendo che la piccola Sakura si faceva tutti i giorni questa strada a piedi, sotto il sole, solo per incontrare te?»
«Certo che no!» ribatté Sasuke indispettito. «Accompagnava i genitori, e loro erano nostri braccianti»
«Ah. Però è pur sempre un tratto lunghissimo per una bambina!» Naruto si strinse nelle spalle, gettandosi un’occhiata dietro la schiena. «Doveva essere bella robusta, eh?» ridacchiò.
Sasuke ripensò alla Sakura della sua infanzia, e rivide una bambinetta dalla fronte immensa e con le spalle magre e bruciate dal sole.
No, non era affatto robusta, ma aveva una fibra indubbiamente resistente.
«E’ una contadina» borbottò a mezze labbra. «Le allevano così»
«Ma poi, in certi casi, crescono proprio bene» commentò Naruto con un sorrisino.
Sasuke alzò lo sguardo e lo studiò per un attimo, accigliato.
«Per quale motivo siamo qui, puoi ricordarmelo?» chiese cauto.
«Per permetterti di rapire la promessa sposa del marchese a un mese dalle nozze» rispose pronto Naruto, con un’occhiata perplessa. «Perché?»
«Mh... niente» mormorò Sasuke, distogliendo lo sguardo.
Probabilmente era lo spumante a renderlo sospettoso, e gli faceva credere cose che non esistevano: Naruto aveva insistito tanto perché si imbarcassero in quell’impresa, e inoltre conosceva Sakura da pochissime ore... sicuramente aveva già smesso di pensare a lei in termini ambigui.
«E ora?»
La voce del compagno lo riportò bruscamente alla realtà, facendogli sollevare gli occhi dal collo del suo cavallo. All’improvviso si erano fermati, a poche braccia dalla prima casa, e Naruto lo fissava con uno sguardo curioso e leggermente emozionato.
«Da qui in poi sei tu che devi guidare» gli disse facendosi leggermente da parte.
Sasuke esitò per un istante, ma alla fine strinse le dita sulle briglie di cuoio, e diede uno strattone brusco.
«Seguimi»

*

In una stanza troppo piccola e troppo buia, rannicchiata in un letto troppo stretto e sotto coperte troppo sottili, Sakura fissava la parete nera a pochi centimetri dal suo viso.
Non riusciva a chiudere occhio. Era rientrata da almeno un’ora, si era rassettata, aveva accuratamente sistemato il vestito che le aveva regalato Lee – uno dei tanti – aveva indossato la solita vecchia camicia ruvida, e si era infilata sotto le coperte di sempre. Ma il sonno, no, quello non era arrivato.
Con uno sbuffo esasperato si girò sulla schiena, piantando gli occhi sul soffitto grigio, e scostò i capelli dalla fronte umida di sudore. Sentiva il sangue scorrere nelle sue vene, ancora impetuoso, e diede la colpa all’emozione della festa e allo spumante che aveva assaggiato troppo liberamente. Ma sapeva che non era soltanto quello. Perché non appena chiudeva gli occhi, il volto di Sasuke era pronto a coglierla di sorpresa, perfetto e gelido.
Nonostante sapesse perfettamente che le avrebbe fatto male, finì per soffermarsi con il pensiero su di lui, e su di loro. Presente e passato si alternarono nella sua mente confusa, mescolandosi e cancellandosi a vicenda, e alla fine non avrebbe saputo dire se aveva giocato nel fango con un giovane rampollo di cinque anni o con l’ultimo grande erede di una nobile ed altera famiglia.
Tutto ciò che restava, dopo tutto, era il suo viso. Più spigoloso, più acuto, meno dolce... ma sempre maledettamente bello.
Da bambina pensava che Sasuke fosse carino. Le piacevano i suoi occhi scuri, e le mani delicate con cui si arrampicava insieme a lei, su per le rive dei fossi. Non si curava molto dei suoi vestiti o dei nastri che gli legavano i capelli, ma quelle mani lisce e prive di calli l’avevano sempre affascinata, tanto che aveva passato interi pomeriggi a paragonarle alle sue, tra gli sbuffi leggermente supponenti del loro proprietario. Le dita e i palmi di Sakura già allora erano ruvidi e scuri. Crescendo si erano fatti ancora più resistenti, ancora meno femminili, finché Lee non era entrato nella sua vita, e sua madre le aveva proibito di prendere il sole e di fare qualunque tipo di lavoro pesante.
I nobili vogliono giovani con la pelle chiara e mani delicate! Prendi questo unguento, e lascia stare quei piatti!”
Ma, nonostante tutto, le mani di Sakura erano rimaste ruvide. Non erano bastati gli impiastri di sua madre e il dolce far niente, una contadina resta una contadina anche quando si agghinda e vuol sembrare una duchessa.
Per fortuna Lee non sembrava farci caso, così come non teneva conto della sua pelle abbronzata, così diversa da quella lattea delle altre nobildonne del circondario. A dire il vero, quando erano soli, Lee non faceva altro che dire tante e tante cose su un non meglio precisato fuoco della giovinezza, su quanto fosse felice di averla incontrata, e sulla gioia profonda che avrebbero provato una volta sposati. Diceva di essere rimasto colpito immediatamente dalla sua bellezza e dal suo modo di fare, e per quanto Sakura si mostrasse scettica, lui persisteva nelle sue convinzioni, ogni tanto con insistenza quasi fastidiosa.
Sakura gli era grata. Davvero grata. Sposandolo, avrebbe permesso ai suoi genitori di vivere dignitosamente per il resto della loro vita, senza spezzarsi la schiena nei campi; senza contare che anche lei avrebbe avuto un’esistenza agiata, e avrebbe messo al mondo figli ben nutriti e istruiti.
Non aveva avuto alcun dubbio sulla scelta da fare. Era semplice, era un scontato e obbligato.
Finché il duca non aveva rimesso piede in quelle terre.
Da quando aveva saputo del ritorno di Sasuke, Sakura aveva iniziato a sentirsi nervosa. Dapprima era stata una vaga sensazione di malessere, un fastidio generale e incerto; poi, con il passare dei giorni, si era fatto sempre più intenso, fino a culminare quella sera, alla festa, quando lo aveva rivisto.
Se da piccola pensava che Sasuke fosse carino, ora era convinta che fosse di quanto più simile alla perfezione Dio fosse disposto a creare.
Richiuse gli occhi, e richiamò alla mente la sua immagine impettita.
Il duca Uchiha era alto, era forte, era naturalmente elegante. I suoi capelli erano morbidi e lucenti, e i suoi occhi neri come Sakura li ricordava, anzi di più. Quando aveva incrociato il suo sguardo, le occhiate ingenue che si scambiavano da bambini erano impallidite improvvisamente, schiacciate dalla nuova profondità di quelle iridi pur tuttavia ancora riconoscibili.
E poi, poi c’era il naso dalla linea dritta, le labbra rosate, il mento delicatamente incurvato. Era bello come una donna, Sasuke, ma per qualche ragione non c’era e non poteva esserci alcun dubbio sulla sua virilità.
Sakura riaprì gli occhi, turbata, e spinse le coperte in fondo al letto, con una vampata improvvisa di calore.
Era vergognoso che una ragazza a un mese dalle nozze pensasse a un altro uomo; era vergognoso e indecente.
«Smettila, smettila, smettila...» mormorò tra i denti, coprendosi gli occhi con le mani.
E, stupidamente, più teneva le palpebre abbassate e più Sasuke Uchiha la tormentava, con la sua voce e con il suo aspetto, con il suo ricordo e la sua maledizione.
Alla fine dovette desistere, esasperata, e lasciò ricadere le braccia nude lungo i fianchi, restando a fissare il soffitto. Quella notte non sarebbe riuscita a dormire, pensò.
Ma quando sentì che bussavano bruscamente alla porta, accantonò stupidamente quella rapida riflessione, senza sapere che si sarebbe rivelata molto più vera di ogni sua previsione.
Si alzò a sedere, inquieta. Che ore erano? Chi poteva cercarli nel cuore della notte? Forse era successo qualcosa?
Si alzò dal letto, mentre i colpi riprendevano con più forza, e aprì la porta della stanza per affacciarsi sul corridoio. Vide suo padre avanzare con occhi sospettosi, e quando la incrociò le fece segno di tornare nella camera. Naturalmente lei non obbedì, e invece rimase a spiarlo mentre si avvicinava alla porta e chiedeva chi fosse.
«Uzumaki Naruto, per servirla!» rispose una voce squillante dall’altra parte. «Potrebbe gentilmente aprire? Non vorrei svegliare l’intero vicinato»
Sakura si accigliò, contro lo stipite.
Naruto Uzumaki era l’ospite del duca, e le aveva fatto una corte spudorata prima di sapere che era già promessa... Ma come sapeva dove abitava? E cosa voleva?
«Chi?» insisté il padre di Sakura, stringendo nelle mani callose l’attizzatoio del camino.
Dall’altra parte ci fu un mormorio indistinto, mentre Sakura deglutiva ansiosamente.
Possibile che...? No, non era assolutamente...
«Sono Sasuke Uchiha. Per favore, apra la porta»
Il cuore di Sakura si cristallizzò sotto lo sterno, congelato in un istante di puro stupore. Poi, senza preavviso, riprese a battere furiosamente e la spinse a rintanarsi nella stanza, richiudendo la porta bruscamente.
Appoggiò la schiena al legno ruvido, ad occhi sbarrati, e la voce bassa e roca che aveva sentito dall’ingresso le risuonò nelle orecchie come una cantilena spaventosa.
Sasuke era lì. Nella sua casa. Nel cuore della notte. Il nobile, elegante, leggiadro duca, si abbassava a posare il piede su un misero pavimento contadino.
Perchè?” si chiese agitata, premendo una mano sul cuore per cercare di contenerne il battito furioso. “Ho fatto qualcosa? L’ho offeso in qualche modo?”
Forse era stata troppo rozza quando gli aveva parlato, forse se l’era presa... Ma spingersi fin lì? E cosa c’entrava Naruto Uzumaki?
Tra tutte quelle domande, c’era un’unica, banale certezza, che lei nemmeno considerava più: di sicuro quella notte non avrebbe dormito.


«Uzumaki Naruto, per servirla!»
Sasuke fece una smorfia di fronte al tono esageratamente allegro di Naruto, passandosi una mano sul viso tirato.
Avevano raggiunto la casa di Sakura pochi minuti prima, ma sul più bello lui si era fatto prendere dal rimorso e aveva iniziato a sostenere che era tutta una follia e che dovevano tornare indietro. Dopo una mezza colluttazione, Naruto aveva avuto la brillante idea di sistemare la faccenda bussando direttamente alla porta.
Così non scappi più” era stato il suo perfido commento, mentre Sasuke sbarrava gli occhi.
E ora il padre di Sakura si era svegliato, Naruto starnazzava come un’oca, e se lui si fosse rintanato in una buca avrebbe sminuzzato definitivamente la sua già stracciata dignità.
«Potrebbe gentilmente aprire? Non vorrei svegliare l’intero vicinato» continuò Naruto in tono discorsivo.
«Chi?» esclamò la voce oltre la porta, sospettosa.
Sasuke vide Naruto che apriva la bocca per rispondere, e prima che facesse altri danni lo afferrò per la collottola e lo tirò indietro bruscamente.
«Lascia stare! Faccio io, ho capito!» sibilò irritato, mentre l’altro sorrideva. Si schiarì leggermente la voce, e Naruto mormorò qualche incoraggiamento stupido, poi si avvicinò all’ingresso e cercò di usare la voce delle grandi occasioni.
«Sono Sasuke Uchiha. Per favore, apra la porta»
Dall’altra parte ci fu un attimo di prolungato silenzio.
Sasuke e Naruto sentirono delle imprecazioni sorde, un rumore metallico, come di un pezzo di ferro che venga posato bruscamente, e infine una chiave che raschiava nella serratura. Quando il volto teso del signor Haruno comparve da una minuscola fessura, si trovarono ad essere fissati con una generosa dose di diffidenza.
«Duca...?» mormorò l’uomo che li squadrava, dagli occhi verdi e scuri.
«Chiedo scusa per l’ora tarda» replicò Sasuke, palesemente a disagio.
«E’ successo qualcosa? Avete bisogno del nostro aiuto?» domandò ansiosamente il contadino. «Un incendio?»
«No no, nulla di simile» si affrettò a negare il duca, iniziando a trovare la situazione assurdamente ridicola. «C’è una cosa di cui vorrei discutere con voi. Adesso»
«Bravo così!» sibilò Naruto alle sue spalle, con un sorriso soddisfatto.
Il signor Haruno fissò Sasuke stralunato, a disagio. Le dita che stringeva sul legno della porta avevano le nocche bianche per la tensione.
«Volete... volete entrare?» chiese titubante, scansandosi per fare strada. «La mia casa è piccola, non ho nulla da offrirvi... Ma ho un tavolo e delle sedie, di là»
«Basteranno»
Naruto e Sasuke entrarono insieme, uno dopo l’altro, chinando appena la testa in segno di rispetto. Il corridoio in cui si trovarono era buio e stretto, e vi aleggiava l’odore della campagna e dei contadini. Naruto storse appena il naso, ma non commentò, e invece si avvicinò a Sasuke e gli sussurrò qualcosa all’orecchio.
«Fin qui sei andato benissimo... Ma, in concreto, cosa diamine hai intenzione di fare adesso?» domandò piano.
Sasuke lo liquidò con un cenno nervoso, mentre entravano nella cucina angusta e buia.
Il signor Haruno cercò una candela e un cerino, e all’improvviso una luce fioca e aranciata si diffuse nella stanza, illuminando un tavolo scuro e sedie in tinta, tutto artigianale. In un angolo c’erano una stufa e un piano da lavoro, e alle finestre tende di stoffa grezza leggermente macchiata di fumo.
«Sedetevi, sedetevi» disse nervosamente il padrone di casa, accennando alle sedie.
Attese che i due si accomodassero, e solo allora si mise all’altro capo del tavolo e intrecciò le dita sul piano ruvido, la candela nel mezzo a illuminare i visi tirati di tutti.
«Allora?» chiese subito, tormentandosi le unghie. «Ho fatto qualcosa che... che vi ha offeso, vossia
«No, nulla del genere» rispose Sasuke, più rigido di lui.
Gli avevano insegnato a mettere a proprio agio le persone, a renderle rilassate, a intavolare conversazioni brillanti e intelligenti; gli avevano anche insegnato a rispettare i contadini, per guadagnare la loro fiducia; ma francamente, in quel momento, faticava già abbastanza a tenere il sedere sulla sedia, senza doversi preoccupare del comfort altrui.
«Sono qui per... un’altra cosa» aggiunse dopo una breve pausa, fissando con insistenza una venatura del legno.
Era lì per una cosa che, a ripensarci, aveva dell’assurdo. Forse avrebbe fatto meglio a fermarsi sotto la finestra di Sakura e rapirla dalla sua stanza, senza dire niente a nessuno; e in parte era la sua idea, effettivamente. Ma poi Naruto si era messo a bussare come un idiota, la casa si era svegliata, erano stati invitati a entrare... Non poteva scusarsi, prelevare di peso Sakura e andarsene con un cenno.
Ormai doveva ufficialmente chiederla in moglie.
(E cercò con tutto sé stesso di non pensare a quanto fosse seria la faccenda)
Mentre Sasuke rifletteva, la fronte aggrottata, Naruto lo fissava incuriosito, in attesa.
Vuole fare la proposta?” si chiese, suo malgrado emozionato. Adorava quel genere di cose: atti impulsivi, complicazioni, decisioni dell’ultimo minuto... A corte era tutto molto astratto, si parlava tanto, si spettegolava anche di più, ma alla fine tutti avevano paura di agire davvero. Poi era comparso Sasuke, che aveva sfidato a duello Itachi, e Naruto lo aveva visto come un’interessante ventata di novità, e aveva deciso che sarebbe diventato suo amico. Gli era andata bene: oltre che impulsivo e passionale – nonostante si sforzasse di sembrare freddo e calcolatore – Sasuke si era rivelato anche insperatamente divertente, come compagnia. Naruto adorava punzecchiarlo e vederlo irritarsi, e sotto sotto sospettava che Sasuke si divertisse quanto lui.
Il padre di Sakura tossicchiò, quando il silenzio si protrasse eccessivamente. Riscosso dal rumore improvviso, Sasuke alzò la testa e si bagnò le labbra, la fronte imperlata di sudore.
Inspirò, espirò, intrecciò le mani, rigido.
Naruto trattenne il fiato.
E alla fine il duca parlò.


La porta della stanza si spalancò così bruscamente che Sakura fu spinta fin quasi in mezzo al pavimento, con un’imprecazione sorda e un lamento soffocato.
«Ahia, che...?» iniziò a dire, ma fu interrotta dalla voce concitata della madre.
«Sei sveglia! Cara grazia!» esclamò quella, soffocando la voce in un sibilo. Era una donna rotondetta dai capelli rossi, a malapena brizzolati, ed era avvolta in una vestaglia troppo corta. «Muoviti, vestiti! L’abito migliore che hai!» sussurrò ansiosamente, aprendo l’armadio in cui conservava i regali del marchese.
«Cosa? Che succede? Mamma, ma che...?» balbettò Sakura, spiazzata, e si vide gettare addosso un vestito ancor prima di riuscire a tirare il fiato.
«Mamma!» sbottò irritata, liberando la testa dalle falde della sottogonna. «Che cosa succede?!»
«Oh, bambina mia!» sussurrò la donna, fermandosi di botto e guardandola, francamente piuttosto perplessa. «Quando io e tuo padre ti abbiamo messa al mondo eri poco più di un topo spelacchiato, e pensavamo che servivi a poco, sempre che sopravvivevi. E invece sei cresciuta un minimo graziosa, e fai strage di cuori nobili. La Provvidenza non ha limiti!»
«No, aspetta, ferma» la bloccò Sakura, confusa. «Strage di cuori nobili? Che vuoi dire?»
«Voglio dire che il duca ha appena chiesto la tua mano»
Sakura sgranò occhi e bocca, impallidendo bruscamente.
«Il... Il duca...?» mormorò incredula, e il suo cuore accelerò immediatamente.
«Ed è davvero incredibile!» annuì la madre, rimettendosi a frugare nell’armadio con impegno. «Sai, il marchese è un bravo ragazzo, ma è tanto bruttino... Pensavamo fosse il meglio che poteva capitarti, e invece no! Non so ancora come, ma sembra che hai conquistato anche il bell’Uchiha!» si sollevò dalla pila di stoffe e la fissò, pensierosa. «Non era mica il bambino con cui giocavi nella riva? O era il fratello?» domandò curiosa.
Sakura strinse le mani sul vestito, premendoselo contro il petto frenetico.
Sasuke l’aveva chiesta in moglie. Sasuke. Quel Sasuke. Lo stesso Sasuke che l’aveva trattata con gelida freddezza soltanto poche ore prima, che le aveva mostrato tutto il suo disprezzo e l’aveva congedata con asprezza.
Ora, nel cuore della notte, veniva per sposarla.
«No» si trovò a sussurrare, sgomenta. «No, non è possibile, devi aver capito male...»
«Figliola, di me tutto si può dire, ma non che non ci sento» sbottò la madre, prendendo un altro abito di un giallo pallido. «Ero nel corridoio, ho capito parola per parola. Posso anche ripetertele se vuoi»
«Ma non è possibile... E, aspetta, che stai facendo?»
«Devi essere presentabile!» la donna sbuffò esasperata. «Devi andare da lui con un minimo di dignità, o vuoi vederlo con quello straccio addosso?»
Sakura sentì la stoffa della camicia pungerle le gambe, e arrossì di colpo.
«Ma io non ho alcuna intenzione di incontrarlo!» esclamò all’improvviso, indignata. «Io sono la fidanzata del marchese, lo sposerò in settembre, e diventerò sua moglie!»
La madre si immobilizzò e la fissò, con un lampo d’ira nello sguardo.
«Signorinella, non si rifiuta un duca!» sibilò agguerrita. «Cara grazia che ti ha notata, figurarsi se possiamo giocare con la fortuna!»
«Ma il marchese...!»
«Il marchese se ne farà una ragione!»
Sakura gettò a terra il vestito che aveva in mano, furiosa.
«Non voglio sposare quell’uomo!» esclamò, senza curarsi del volume della voce. «Sono già promessa a un altro!»
«Zitta, per carità!» sibilò sua madre afferrandola per un braccio. «Sakura, ma che ti prende all’improvviso? Dovevi avere questi scrupoli a sposare il marchese, che è così brutto e neanche tanto ricco, piuttosto che il duca!»
«Ma io non voglio! Non voglio!» sussurrò lei, sentendo le lacrime che premevano dietro gli occhi. «Voglio sposare il marchese!»
«E che è questa storia?» chiese la madre, confusa. «Fino a ieri lo sposavi solo perché non c’era niente di meglio!»
«E ora no!» ribatté Sakura tra i denti, lo sguardo offuscato.
Sua madre crollò le spalle, smarrita.
«Bambina, il duca ti ha fatto qualcosa?» chiese titubante, allentando la stretta sul suo braccio.
«No, non mi ha fatto niente!» rispose lei asciugandosi le lacrime. «Però... però non voglio! Quell’uomo mi spaventa»
«Allora ti ha fatto qualcosa!»
«No!»
Non qualcosa di definito, perlomeno. Era più il suo intero comportamento: la freddezza, l’alterigia, la proposta improvvisa... Sakura non riusciva a capire il duca, e i suoi sbalzi d’umore la spiazzavano totalmente. Per quanto fosse affascinante, per quanto fosse ricco, per quanto fosse lo stesso bambino con cui aveva passato l’infanzia, ora era anche uno sconosciuto, un uomo che non aveva mai visto. E che la spaventava.
«Sakura...» sua madre abbassò la voce, tornando ad aumentare la stretta sul suo braccio. «Il duca è un uomo potente. Se vuole sposarti, ti sposerà, lo sai. Non irritarlo, per l’amor del cielo! Se alla fine sarai comunque sua moglie, ti conviene accettare di buon grado!»
«Io non sarò sua moglie!» inveì Sakura, riacquistando la verve perduta. «Non romperò il mio fidanzamento con il marchese, non diventerò la poco di buono del paese per compiacere il signorino!»
Mentre ancora la sua voce si alzava di tono, Sakura e sua madre sentirono bussare alla porta della stanza, e si irrigidirono di colpo.
«Sakura, aprimi. Sono tuo padre» disse la voce ruvida dall’altra parte.
Sakura tirò un sospiro di sollievo, aprendo la porta e lasciandolo entrare. Non appena fu all’interno della stanza, gli gettò le braccia al collo, e lo supplicò di rifiutare la proposta del duca.
«Ti prego, se mi vuoi un po’ di bene... Per favore, per favore...» sussurrò ad occhi chiusi, stringendosi a lui.
«Sakura, mi dispiace...» mormorò il padre, addolorato.
Sakura sentì le sue mani che la allontanavano delicate ma con forza, e sconcertata vide il suo sguardo afflitto.
«Ha promesso che si prenderà cura di te» spiegò il padre sottovoce. «Dice che penserà lui a chiarire le cose con il marchese, e che provvederà anche a me e a tua madre. Ho provato a dire qualcosa, ma francamente non vedo motivi per rifiutare...»
«Perché mi spaventa!» sibilò Sakura, allarmata. «Perché è un pazzo, perché è un assassino! Ha ucciso il fratello, avete sentito anche voi le voci! E volete darmi a un uomo del genere?»
«Sakura!» il padre la afferrò per le braccia, con forza. «Abbassa la voce, cristo santo!» la madre si fece il segno della croce, levando gli occhi al soffitto. «Anche a me fa paura! Ricordo suo padre, e anche suo nonno. Ricordo tutta la sua maledetta famiglia, e sono uno peggio dell’altro! Ed è proprio per questo che non possiamo rifiutarci, lo capisci? Non si dice di no a un uomo del genere!»
«Mi state consegnando nelle sue mani!» alitò Sakura, e questa volta le lacrime debordarono e le bagnarono le guance. «Mi state vendendo!»
«No, Sakura, no. Non dire una cosa simile, per carità...» suo padre l’abbracciò d’impulso, stringendola forte. «Volevo che fossi felice, dico davvero. Anche se vedevo che il marchese non ti piaceva, mi sembrava che comunque fosse il meglio per te, ed ero contento di come andavano le cose... Ma ora non posso fare niente, non lo capisci? E’ il duca! E’ amico delle persone che contano, gli basterebbe alzare un dito per rovinarci! Sakura, come faccio a dirgli di no?» la allontanò, asciugandole le guance con un dito. «E poi... mi sembrava che ti piacesse, un tempo. Da bambini giocavate insieme, no?»
«Sono passati così tanti anni...!» gemette lei, scuotendo la testa. «Le persone cambiano, papà... e io non voglio... ora non...»
«Sakura, ormai è troppo tardi» sussurrò il padre interrompendola, con voce arrochita.
Sakura alzò gli occhi, e impallidì.
«Gli ho già concesso la tua mano»

*

La strada del ritorno fu percorsa a un’andatura decisamente meno sostenuta.
Naruto e Sasuke procedevano in silenzio, lasciando che fossero i cavalli a decidere il passo, e tutti e due restavano meditabondi.
«Insomma...» mormorò a un tratto Naruto, scrutando vago l’ombra disegnata sul sentiero dal suo stallone. «Siamo partiti come guerrieri pronti alla pugna, e torniamo con un armistizio, in definitiva»
«Sta’ zitto» replicò Sasuke, acido.
Non riusciva ancora a crederci: la minaccia di Orochimaru pendeva sul suo capo, imminente, e lui andava a fare proposte di matrimonio a destra e a manca. A Sakura, poi: una contadinotta indegna e senza un soldo di dote. Doveva essere davvero folle.
Che diavolo mi è preso?” si chiese furioso. “Cosa sto facendo?”
Eppure, nonostante l’insofferenza e l’irritazione, non pensò nemmeno una volta di girare sui tacchi e annullare la sua proposta.
Folle o non folle, Sakura non avrebbe sposato il marchese.







Continua



Bene, volete la verità?
Non ho la più pallida idea di come andranno avanti le cose! ò.ò
Al momento mi si agitano in testa un po' di possibilità, ma visto che non mi sono ancora decisa su quale adotterò, beh... Mi sa che sarà una sorpresa per tutti quanti, me inclusa.

Talpina Pensierosa: sì, hai recensito anche quelle in cui non lo avevi fatto! XD E' inutile, mi fai paura!
Hipatya: anche io ho nostalgia del mio mondo, ma di quello mentale! Quello che metto per iscritto è soltanto una pallida imitazione di tutto ciò che viaggia nella mia testa, il che significa che lì dentro c'è un grande affollamento... ò.ò A proposito dei Sasuke OOC, purtroppo li conosco. Purtroppo li conosco. E in effetti rileggendo certe mostruosità mi convinco di essere un genio, ma poi per fortuna torno con i piedi per terra e ridimensiono l'altrui ridicolaggine e la mia mediocrità, con gran conforto (o sconforto?) del mio ego. <3 Oh, su Naruto non ho intenzione di dire nulla di nulla! Ormai quando Kishi non lo fa abbastanza figo - abbastanza figo secondo me - mi incazzo come se fosse un mio personaggio. ò.ò Ah, che egocentrica! Oh, per i pairings... Sai che in realtà con Shika sono ancora indecisa? Solo che ho bambi88 che mi alita sul collo minacciando di piangere se diffondo biancume, quindi mi trovo un po' strangolata! ^^' Ah, il Re è il re vero. Nel senso, modifico uno sconosciuto suo nipote affibbiandogli l'identità di Naruto, ma il Re resta il re! XD Jiraya è imparentato con Naruto, ma non so nemmeno bene come o perché! ò.ò E non so che ruolo abbia!
sammy1987: ma perché tutti si sconvolgono quando dico Sakura e Lee? Insomma, lui è innamorato perso di lei anche nel manga! E senza Sasuke e Naruto nei paraggi, ci sta anche che si trovino, soprattutto nelle condizioni in cui li ho messi io. Comunque, in questo capitolo hai letto un po' meglio come è strutturato il loro rapporto, e forse avrai anche capito un po' di cose... Spero che ti abbia soddisfatto quel che han combinato Naruto e Sasuke! (?) Alla prossima! ^^
bambi88: tu in questa fic avrai una sola certezza: Shika è un gran figo. U_U Comunque, mi sa che dal prossimo capitolo comparirà anche Temari... tanto per incasinare un  po' le cose! <3 Preparati!
arwen5786: che voglio fare di Hinata? Beh, se resta un personaggio marginale ne saprai poco, se dovesse rientrare nella cerchia dei principali ne saprai di più... Comunque non devono accadere poi troppe cose, quindi verrai a conoscenza di tutto in tempi relativamente brevi! Su, su, le tue speranze Hyuugacestose non vanno gettate al vento! Ma non azzardarti mai più a criticare Sakura e Lee, o metto lui con Hinata! O peggio, con Neji.
Kairi84: eccola, lo sapevo. Se non mette in una recensione "Naruto e Sasuke" non è felice! Tsk, questa donnina yaoista... Cooomunque, sempre lieta di allungare la tua lista delle cose da leggere e commentare! XD


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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Deserving-4


Deserving




Ogni leggenda parla del sole come della magica panacea. Mostri, vampiri, fantasmi e incubi scompaiono all’alba, bruciati dalla luce rosata che attraversa nubi e finestre, e le malattie più brutte si curano stando in giardino.
Quando aprì gli occhi, destato da un raggio caldo sul suo viso, per prima cosa Sasuke Uchiha odiò la magica panacea che lo aveva svegliato; e per seconda cosa odiò il mal di testa tremendo che lo ghermì non appena sbatté le palpebre.
«Che ore sono...?» mormorò intontito, con la bocca impastata e i muscoli pesanti.
Si rigirò sulla pancia, sentendo le lenzuola di lino frusciare sulla pelle nuda dell’addome, e si tese alla ricerca dell’orologio da taschino, abbandonato sul comò insieme al fazzoletto e al nastro con cui legava i capelli, ora sciolti sul collo e umidi di sudore. Le lancette ticchettavano precise, e segnavano le sei e venti.
Sasuke mugolò, crollando il capo sulla spalla, e si lasciò ricadere prono tra le lenzuola. Non aveva dormito più di due, forse tre ore. E non aveva decisamente digerito lo spumante. E doveva andare in bagno.
Facendo leva sulla volontà più che sulle sue forze, si issò sulle braccia, e buttò un piede giù dal letto. Riuscì a fare lo stesso anche con l’altro, mentre la stanza vorticava davanti ai suoi occhi, e scostò confusamente le lenzuola. Si alzò, passandosi una mano tra i capelli, sbadigliò sonnolento, e fece vagare lo sguardo per la stanza.
Fu allora che vide la giovane domestica che lo fissava ad occhi sbarrati.
Fu allora che lei lanciò un grido, e lasciò cadere la bacinella d’argento che aveva portato perché si sciacquasse il viso.
Fu allora che lui si accorse di essere completamente nudo.


Piegato sul suo piatto di fagiano arrosto, Naruto rischiava di soffocare per il gran ridere. Tossì, si asciugò una lacrimuccia, e afferrò il bicchiere di vino per svuotarlo in un’unica sorsata. Solo allora riprese fiato, e gettò un’occhiata piena di compatimento al suo unico commensale, un truce e cupo Sasuke.
«Fammi capire» celiò trattenendo le risatine. «Questa notte hai chiesto la mano di una ragazza, e questa mattina ti sei presentato nudo come Iddio ti ha fatto davanti a un’altra. Non male. Non male davvero»
«Piantala» sibilò l’Uchiha arrossendo, e si passò una mano tra i capelli, frustrato. «La prossima volta che i camerieri aprono bocca mozzo la lingua a tutti, lo giuro»
Naruto scosse la testa, strappando un pezzo di pane e masticandolo sornione.
Erano seduti sul terrazzo, all’ombra del grande timpano della villa. Sulla tovaglia bianca c’erano il piatto della carne, il vino, un cestino di pane e un vaso di cristallo, con un inutile quanto coreografico papavero all’interno.
«Beh, e lei?» chiese all’improvviso Naruto, mentre Sasuke giocherellava nervosamente con un’ala del fagiano.
«E lei chi?» replicò lui, stizzito.
«La cameriera! Non ti è saltata addosso?»
La forchetta stridé sul prezioso piatto in porcellana, facendo arricciare il naso di Naruto.
«Ma che razza di servitù avete a palazzo?» chiese Sasuke asciutto, scrutando acidamente il compagno.
Quello si strinse nelle spalle con nonchalance. «Beh, io me le scelgo bene le cameriere» commentò leggero, facendo ondeggiare il coltello per aria, e addentò un pezzo di carne. «Mh, giufto» aggiunse dopo un attimo, a bocca piena. «Devi paflave col mafchee pella faccea di Shakua!»
Sasuke non ebbe bisogno del traduttore per capire a cosa alludesse Naruto. D’altronde, il pensiero della sua proposta di matrimonio aveva iniziato a ossessionarlo subito dopo l’umiliazione per la scena di nudo mattutino.
Sbuffò, a sguardo basso, e si passò una mano nel colletto per allentarlo leggermente.
Da sobrio la faccenda assumeva tutta un’altra prospettiva. Una prospettiva poco accattivante, per l’esattezza. Ora che l’alcol aveva smesso di rendere tutto semplice e fattibile, si rendeva conto di essere un completo, irrimediabile idiota.
Come aveva potuto fare quel che aveva fatto? E sicuramente i camerieri avevano sparso la notizia prima dell’alba, perché – Gesù! – aveva chiesto a loro dove abitava Sakura.
Ma il vero dramma non erano i pettegolezzi della plebe. Il vero dramma era che lui non poteva sposare Sakura, e basta. Per Orochimaru, per le sue origini, per le convenzioni, per tutta una serie di motivi sui quali non poteva soprassedere. Ma allo stesso tempo non poteva nemmeno tornare a Codevilla e dire ‘è stato tutto uno spiacevole equivoco, scusate per l’improvvisata notturna e dimentichiamo tutto. Buona giornata’. Il che lo metteva in una posizione molto più che scomoda.
Naruto lo studiò, masticando il boccone con aria pensierosa.
«Sapevo che saresti stato in crisi» commentò dopo aver deglutito, additandolo con la forchetta. «Per questo mi sono preso la libertà di far chiamare il marchese»
«Cosa hai fatto?» Sasuke scattò in piedi, facendo strusciare rumorosamente la sedia. «Come ti sei permesso?» tuonò, il viso arrossato dall’ira, mentre Naruto lo fissava sbattendo le palpebre, la forchetta ancora alzata e immobile. «Hai osato dare ordini in casa mia, ai miei camerieri! Per una faccenda di tale importanza! Come hai osato?!»
L’altro abbassò il braccio e gli gettò un’occhiataccia. «Sembra proprio che tu abbia molta paura di quel che hai fatto stanotte» commentò asciutto.
Sasuke gli voltò la schiena bruscamente, passandosi una mano tra i capelli sudati.
Oh, Naruto aveva l’indubbio merito di aver risolto l’impasse in cui erano caduti, ma lo aveva fatto decisamente nel modo peggiore. Tornò a guardarlo, iroso, e slacciò definitivamente il colletto, con uno sgradevole senso di soffocamento.
«Che razza di idiota!» sibilò tra i denti, ricevendo in cambio un’occhiata offesa.
«Ehi, l’ho fatto per te» si giustificò Naruto. «Tu devi sposare quella ragazza, o sarai per sempre un idiota come me, ma frustrato»
«Tu non sai cosa voglio io» ribatté Sasuke, piantando le mani sul tavolo. «Non intrometterti nella mia vita!»
«Parole al vento» commentò Naruto, laconico, portandosi alle labbra una generosa sorsata di Bonarda. «E, fidati, un giorno mi ringrazierai»
«Un giorno pregherò Orochimaru di liberarmi di te!» sbottò il duca, voltandosi di scatto.
Il cotone della sua camicia frusciò leggero mentre si allontanava a passi pesanti, e nella sua furia urtò il valletto che usciva sul terrazzo senza nemmeno scusarsi.
«Ti costerebbe troppo!» gridò Naruto senza alzarsi, passando una mano a scompigliare i capelli chiari. Sbuffò, mentre il valletto si avvicinava timoroso, portando una lettera, e lasciò perdere le posate. «Ahh, che uomo impossibile!»


*


Quando il marchese mise piede sulla ghiaia del palazzo degli Uchiha, trovò Sasuke in persona ad attenderlo in cima alle scale che portavano all’ingresso. Nervosamente, allora, piegò il capo come si conveniva e asciugò furtivo il sudore che gli imperlava la fronte, sotto la frangia folta e regolare.
«Marchese» rispose il duca con un cenno rigido, e scese le scale per tendergli la mano. «Sono lieto di ospitarvi nella mia dimora»
«Oh, figuratevi» ribatté quello, frettoloso. «E’ un dovere... cioè, un onore per me... Mi avete convocato, e io...»
Sasuke si guardò intorno rapidamente, individuando il cocchiere del marchese e il suo stalliere a pochi passi di distanza.
«Non qui» disse allora, asciutto. «Venite dentro, l’aria è più fresca. Vi offro una limonata»
«V-Vi ringrazio...» balbettò il marchese, confuso.
Sasuke lo afferrò per un braccio, in una stretta che da lontano poteva anche sembrare amichevole, e con il solito passo marziale lo trascinò su per le scale e oltre le colonne dell’ingresso, fin nell’atrio luminoso e decorato dagli affreschi.
«Signore!» lo chiamò a quel punto un domestico, cercando di attirare la sua attenzione.
«Non ora!» lo liquidò lui, proseguendo lungo il corridoio ad ovest, e fino al salotto buono.
«Signore, vi cercava...» tentò un’altra cameriera, incrociandolo in quella stanza, ma di nuovo lui la congedò bruscamente.
«Esci. E porta della limonata» disse sbrigativo, lasciando finalmente il braccio del marchese Lee.
La cameriera tentennò, incerta. Ma poi il buonsenso le consigliò di chinare il capo e obbedire, se voleva evitare fastidi, e lei seguì il consiglio e se ne andò rapida.
Nel salotto scese un silenzio teso, acuito dal velluto delle tende e dalla generale opulenza di infissi e affreschi. Il marchese si massaggiava lentamente il braccio che Sasuke aveva stretto troppo forte, e lui, d’altro canto, fissava il tappeto con la fronte corrugata, rigido.
«Ebbene» esordì a un tratto, più bruscamente di quanto fosse sua intenzione. «Immagino che non sappiate perché vi ho convocato»
«No, effettivamente no...» ammise il marchese, sbattendo le palpebre dalle ciglia insolitamente lunghe e rade.
«Bene» ripeté il duca, muovendo passi nervosi fino alla credenza su un lato della stanza. «Bene» insisté, aprendo la vetrinetta e tirando fuori due bicchieri di cristallo e una bottiglia scura.
«Ehm, duca, avete chiamato per la limonata» gli ricordò il marchese, confuso, e lui si fece ancora più rigido.
«Quando arriverà berrò anche quella» commentò secco, stappando la bottiglia.
Versò il vino, rosso e corposo, in entrambi i calici, e poi li sollevò tenendoli per lo stelo sottile.
«Prendete» disse al marchese, facendogli cenno di avvicinarsi, e mentalmente aggiunse: ne avrete bisogno, almeno quanto me.
«Vi ringrazio, duca...» mormorò quello, obbedendo con una certa titubanza. «Ma, perdonate la franchezza, ancora non comprendo il motivo per cui mi avete fatto chiamare»
Sasuke strinse le dita sul cristallo, serrando la mandibola. Sì, neanche lui comprendeva il motivo, forse perché non lo aveva fatto chiamare.
Ora che se lo trovava davanti, aveva due sole possibilità, entrambe precedute da una lunga tergiversazione: poteva dirgli che voleva solo stringere un legame più saldo con lui, naturalmente all’unico scopo di migliorare le rispettive posizioni, o poteva intimargli di rompere il fidanzamento con Sakura e non osare protestare.
Chissà perché, nessuna delle due lo allettava.
Se solo Naruto gli avesse lasciato più tempo, avrebbe potuto far chiarezza nella sua mente e prendere la decisione giusta... Ma come sempre, Naruto si era rivelato troppo impulsivo.
«La fretta è cattiva consigliera» se ne uscì allora, prendendo tempo. «Perché non vi sedete, prima?»
il marchese si guardò attorno incerto, e vide il divano foderato di velluto blu che lo attendeva accanto al tavolino di mogano.
«Con permesso...» si scusò, raggiungendolo e accomodandosi rigidamente sui cuscini.
«Prego, prego» mormorò Sasuke frettolosamente, bevendo altro vino dal bicchiere. «Allora... la campagna produce, quest’anno?» esordì, maledicendosi mentalmente.
Non riusciva a fare altro che girarci attorno!
Fu allora che le porte decorate della stanza si aprirono bruscamente, e Naruto fece il suo chiassoso ingresso, per una volta con tempismo perfetto.
«Sasuke!» chiamò con voce leggermente isterica, dimenticando ogni più elementare forma di cortesia. «Sono ore che cerco di incontrarti!»
Il duca gli scoccò un’occhiata allibita e stizzita, vedendolo fare irruzione a quel modo, ma quando vide il suo colorito una ruga d’apprensione si disegnò tra le sue sopracciglia.
«E’ un’emergenza!» continuò Naruto, raggiungendolo a grandi falcate e sventolandogli davanti al naso un foglio spiegazzato. «Lascia perdere qualunque cosa tu stia facendo: lei sta venendo qui!»
«Lei?» trasalì Sasuke, pensando immediatamente a Sakura.
«Lei?» domandò Rock Lee, smarrito, con il calice ancora pieno e sollevato davanti al petto.
Neruto si scompigliò nervosamente i capelli.
«Sì, lei!» esclamò, facendo avanti e indietro di fronte a Sasuke. «La cugina del ministro della giustizia spagnolo, la donna più terribile che io abbia avuto occasione di incontrare! In una parola, la mia fidanzata»
E questa volta, Sasuke dovette lasciar da parte il suo proverbiale contegno e strabuzzare gli occhi quasi quanto quelli del confuso Rock Lee, ancora seduto sul divano di velluto blu, e sempre più convinto di essere vittima di un tragico errore.


*


«Marchese!» esclamò Sakura impallidendo, quando si trovò la carrozza di Rock Lee sulla porta. «Che cosa fate qui? Non vi aspettavamo...»
«Lo so, mia cara, lo so» cinguettò lui, entrando con grazia nella cucina che ormai considerava un distaccamento della sua villa. «Ma ero di strada, e non ho resistito alla tentazione di un’improvvisata. Spero di non aver commesso un errore!»
Si girò preoccupato a guardarla, e lei sbatté le palpebre, confusa.
Era ancora agitata per la visita notturna di Sasuke, non aveva chiuso occhio, probabilmente si vedeva lontano un miglio, ed era sola in casa. Perché Lee aveva deciso di comparire all’improvviso, e ammirarla mentre dava il peggio di sé?
«No... Nessun errore, marchese» mormorò, richiudendo in fretta la porta. «Prego, accomodatevi. Vi preparo un caffè?»
«Volentieri, mia cara»
Di umore insolitamente allegro, Rock Lee si accomodò su una delle sedie e appoggiò i gomiti al tavolo.
«Vengo dalla villa del duca» esordì, pieno di brio.
La tazzina nelle mani di Sakura cadde a terra e si frantumò sul pavimento, per fortuna ancora vuota.
«Cosa?» alitò lei, sbiancando, e si voltò tremante verso il marchese.
Cielo. Sapeva. Sasuke lo aveva convocato e gli aveva detto... No. Non poteva essere. Lee non sarebbe stato tanto di buon umore se gli avessero detto che il loro fidanzamento doveva essere rotto. Lee l’amava. Lee voleva sposarla.
«Sakura, va tutto bene?» chiese lui preoccupato, alzandosi e raggiungendola, per chinarsi a raccogliere i cocci.
«Io... non... ho dormito poco...» sussurrò sgomenta.
«Devi fare più attenzione alla tua salute, cara» le sorrise lui, posando i pezzi di coccio sul ripiano e prendendole una mano. «La prossima volta rientreremo prima dal ricevimento, va bene?»
Lei annuì automaticamente, trattenendo il respiro. «Che... Che vi ha detto il duca?» si azzardò a chiedere, guardando spaventata Lee.
«Oh, grandi novità!» esclamò lui, con gli occhi illuminati da una gioia intensa. «Darà un altra festa!»
Sakura rimase interdetta. Accigliata, fissò il marchese come se non fosse sicura di aver capito bene.
«Una festa?» ripeté confusa.
«Sì, entro una settimana» confermò lui.
«E vi ha... convocato per dirvelo?»
«Oh no, certo che no! In effetti, ora che mi sovviene, non ho ben capito per quale ragione mi abbia invitato...» rifletté per un istante, meditabondo, e Sakura si sentì gelare. Lei sapeva perché. «Ad ogni modo!» riprese il marchese, scrollando le spalle con noncuranza. «E’ in arrivo la fidanzata dell’amico del duca, il giovane biondo che era con lui, e naturalmente è doveroso presentarla con un altro ricevimento! E, sempre naturalmente, la nobiltà è nuovamente invitata a prendervi parte. Ho pensato che fosse una notizia sufficientemente buona per passare a riferirvela immediatamente... Od ho fatto male?»
Sakura si guardò attorno smarrita, e poi raggiunse una sedia, lasciandocisi cadere. «No... certo che no» mormorò stordita, con un curioso ronzio nelle orecchie.
«Cara, ma ho l’impressione che voi non stiate per niente bene...» si preoccupò lui, raggiungendola e inginocchiandosi accanto alla sedia. «Forse fareste bene a stendervi e riposare qualche ora»
«Sì, forse sì» approvò lei automaticamente, rialzandosi. «Marchese, vi chiedo perdono se sono costretta a farvi uscire così...»
«Nessun perdono, nessun perdono» fu in piedi in un istante. «Non c’è nulla da perdonare. Riposate, cara, vi voglio in forma per il prossimo ricevimento»
All’idea di rimettere piede in casa di Sasuke, lo stomaco di Sakura si contrasse – spiacevolmente o no? - ma Rock Lee non sembrò avvedersene.
Prima di arrivare alla porta, la fermò e le prese le mani, baciandone i palmi con devozione.
«Sakura... tra meno di un mese saremo marito e moglie» sussurrò sorridente. «Voi sarete marchesa, e sarete la più bella tra le nobildonne... E tra qualche anno saremo noi a dare ricevimenti in giardino, e i nostri figli correranno lungo il prato e si sporcheranno di fango. Non aspetto altro che questo momento»
Alle parole del marchese, Sakura impallidì. Lui la fissò, in attesa di una risposta, e lei deglutì e si costrinse ad annuire.
«Sì, certo...» mormorò con un filo di voce.
«Bene, mia cara» sorrise lui, confortato. «Ora vi lascio riposare come si conviene, e lascio la vostra casa prima che i vicini diano fiato alle malelingue. Domani tornerò ad accertarmi delle vostre condizioni, se non vi spiace. Per oggi, buona giornata»
Mentre Sakura lo guardava salire sulla carrozza, ferma dietro la finestra, il senso di colpa le strinse lo stomaco, insieme alla paura.
Voi sarete marchesa.
Voi sarete duchessa.


*


Tra le Alpi e la pianura padana una carrozza correva veloce, trascinata da stalloni bianchi e fulvi. Il cocchiere frustava gli animali con indolenza, sbadigliando nella notte, e si stringeva nel tabarro accertandosi che la provvidenziale fiaschetta di grappa fosse ancora al suo posto.
Dietro le tende di velluto rosso, che ondeggiavano pigramente al trotto dei cavalli, una mano scostò la stoffa e gettò un’occhiata all’esterno. Constatando che il paesaggio era ancora quello montuoso cui erano abituati da ore, un paio di occhi verdi si ritrassero insoddisfatti.
Lasciare le assolate terre di Spagna in cambio di picchi aguzzi e gelidi; per un uomo che stimava quanto l’unghia del suo dito mignolo, e che, sfortunatamente, era anche il suo promesso sposo.
Rintanata sul divanetto finemente decorato, la giovane duchessa Sabaku Temari pensò che era tutta una grande seccatura.


*


«Hai sentito la novità?»
Con movenze finemente calcolate, la giovane marchesa si accomodò sul divanetto accanto al marchese, tenendo tra le mani un piattino pieno di torta alle nocciole.
«Hn?» fece lui, riemergendo dal semi-sonno in cui era quasi caduto, e le gettò un’occhiata pigra.
Al suo fianco la marchesina sorrise maliziosa, con un brillio negli occhi azzurri.
«I servitori non parlano d’altro» sussurrò, portando alle labbra rosee un boccone del dolce. «Sembra che il nobile duca abbia fatto una visita notturna alla fidanzata del marchese Lee. Sicuramente era ubriaco, considerati i bicchieri di spumante che gli abbiamo visto vuotare, ma credo si possa parlare di colpo di fulmine, come lo chiamano i francesi»
«Mh...» fu il laconico commento del marchese, che soffocò uno sbadiglio dietro la mano.
«Certo, ancora non mi spiego come quei capelli possano attirare così tanti uomini...» borbottò la giovane, accarezzando distrattamente le ciocche bionde che le ricadevano sulle spalle. «...Ma forse è il suo essere selvatica a parlare per lei»
«Ino, si sente odore d’invidia da qui ai cancelli della proprietà» sospirò il marchese, atono.
Le guance della ragazza accanto a lui si imporporarono di indignazione.
«Come osi?» scattò, posando bruscamente il piattino sul tavolo di fronte al divano. «Io non sono affatto invidiosa di una contadina! Per quanto possa essere attraente, è evidente che gli uomini non la desiderano per la sua cultura o la sua istruzione... Da lei vogliono unicamente figli robusti, e sicuramente li avranno anche!»
«Ino, abbassa la voce...!» si lamentò il marchese, con una smorfia. «Non hai alcun bisogno di demolire Sakura Haruno ai miei occhi, dal momento che non mi interessa minimamente»
Le spalle della marchesina si rilassarono visibilmente, e prese a tormentare una ciocca della lunga chioma.
«Shikamaru» disse sottovoce, incapace di nascondere l’ansia nel tono. «Tu sai quali sono le intenzioni dei nostri genitori, vero?»
Il ragazzo sbuffò, lasciando ricadere indietro la testa.
«Ino, non ho la forza né la voglia di discutere con mio padre o, peggio ancora, con mia madre... Non hai nulla da temere, chinerò la testa e accetterò, se me lo comanderanno»
«Ma non devi sentirti obbligato» borbottò lei, chinando lo sguardo e arrossendo, a disagio.
«Non mi sento obbligato» la rassicurò lui, laconico. «Meglio te di una sconosciuta»
Negli occhi di Ino brillò un lampo di indignazione.
«Prego?» scattò, raddrizzando la schiena.
«Arriva Choji» replicò lui, tendendo l’orecchio alle voci lungo il corridoio. «Forse hanno finito la battuta di caccia»
«Non ho intenzione di lasciar cadere il discorso» mormorò Ino, minacciosa.
Ma un attimo dopo fecero il loro ingresso i marchesi Nara, Yamanaka e Akimichi, accompagnati dal figlio di quest’ultimo, e riempirono il salottino di risate corpose, eliminando anche l’ultimo alito di intimità che era venuto a crearsi.
«Allora? Buona caccia?» chiese Shikamaru, facendo lo sforzo di alzarsi e andare a tendere loro la mano.
«Nulla» sorrise bonario il giovane Akimichi. «E’ stata soltanto una cavalcata, alla fine»
«E allora questa sera cosa mangeremo?» chiese Ino, raggiungendoli e rivolgendo al nuovo arrivato un sorriso condiscendente.
«Con quello che mangi tu, figlia mia, potremmo anche finire per avanzare una quaglia» intervenne il marchese Yamanaka, in tono di vago rimprovero. «La pelle che si tende sulle ossa non ha mai attratto nessun uomo!»
«Ma nemmeno le curve troppo abbondanti, padre» rispose lei, in tono vagamente sostenuto. «E in ogni caso, dubito che dobbiate preoccuparvi dell’eventualità che io resti nubile...» aggiunse dopo un istante, con un sorriso d’intesa.
Il marchese la guardò a lungo, meditabondo. E poi, evitando di incrociare lo sguardo dei compagni, si avvicinò al tavolino su cui erano posati una bottiglia di vino e cinque bicchieri.
«Ino... ho sentito che ieri sera il ricevimento del duca si è svolto senza problemi» iniziò, versandosi due dita di Sangue di Giuda. «Sei riuscita a rivolgergli la parola?»
«No, è rimasto in disparte per quasi tutto il tempo» rispose lei, perplessa. «Ma ho avuto occasione di conoscere il nipote del re»
«Oh, bene. E cosa te ne è parso?» domandò, centellinando il rosso nel bicchiere.
«Sembra un bravo ragazzo. I suoi modi forse sono leggermente affettati, ma credo sia l’influenza della corte, e sicuramente è molto affabile. Probabilmente i suoi gusti in fatto di donne sono discutibili, ma sembra che ultimamente sia una malattia molto diffusa, e in ogni caso mi sembra più incline a divertirsi che non a sistemarsi a breve»
«Dici?» il marchese la guardò, preoccupato. «E il duca? Come ti è parso, a distanza?»
«Padre, perché mi fate queste domande?»
Per un attimo nella stanza aleggiò un silenzio nebuloso. Poi il marchese Yamanaka prese la bottiglia e riempì gli altri bicchieri, voltando le spalle a tutti.
«Non è nulla. Pensavo soltanto che, forse, è giunto il momento di pensare a sistemarti»
E quelle parole, collegate al duca e al nipote del re, fecero correre un brivido di fredda incredulità lungo la schiena della marchesina.






Continua



E' un capitolo che apre molte questioni e non ne chiude nessuna. Ma, in compenso, so più o meno come andranno avanti le cose. Cioè, Mr Yamanaka ha stupito pure me, ma non credo che mi scombinerà molto... spero. Ad ogni modo, non essendo questa fic progettata per essere lunga, taglierò e cucirò di qui e di là, quindi rilassatevi e non temete! U_U
Nel prossimo capitolo, gli Hyuuga e Temari... credo. Essendo che ho finito questo capitolo tipo un'ora fa, potrebbe succedere di tutto nel prossimo, per quel che ne so! XD
Oh, esiste una seconda, fittizia versione di questo capitolo, con una piccola differenza; dedicata a Cami (arwen5786):

Facendo leva sulla volontà più che sulle sue forze, si issò sulle braccia, e buttò un piede giù dal letto. Riuscì a fare lo stesso anche con l’altro, mentre la stanza vorticava davanti ai suoi occhi, e scostò confusamente le lenzuola. Si alzò, passandosi una mano tra i capelli, sbadigliò sonnolento, e fece vagare lo sguardo per la stanza.
Fu allora che vide la giovane domestica che lo fissava ad occhi sbarrati.
Fu allora che lei lanciò un grido, e lasciò cadere la bacinella d’argento che aveva portato perché si sciacquasse il viso.
Fu allora che lui si accorse di essere completamente nudo.

E Camilla, la domestica, lo stuprò.

Amen, Sasuke.

Naturalmente, mi scuso per l'ingiustificabile ritardo con cui si presenta questo capitolo! Perdonatemi, l'università è una brutta bestia... ç_ç E sono ispirata per questa fic solo a casa, praticamente. Anche Bologna è una brutta bestia! T_T
(naturalmente, non appena il capitolo è stato pronto, la linea ha deciso di morire. Dammit!)

arwen5786: partiamo subito dalle tue noticine della volta scorsa! Carattere ingrandito, e... ok ok ok, niente SasuLee! °_° Lo giuro! Anche perché... Mi ci vedi a scrivere del SasuLee IC? ò.ò O meglio: ci vedi qualcuno - uno chiunque - a riuscirci?! Ad ogni modo, sono contenta che per ora i personaggi siano IC. Cioè, essendo un'AU così stramba, mi aspettavo che mi uscissero proprio dagli schemi, e invece più o meno riesco a tenerceli. Forse Shika è il più facile da trattare, ecco. E Ino, che si infila nella parte della cacciatrice di mariti - di Shika - con una facilità disarmante! Ah, tra parentesi, mi hanno chiesto far diventare la fic NaruSaku... Che faccio, accetto? <3
sammy1987: sìììì! Tifate per Rock Lee, l'unico e inimitabile! *_* Io come lettrice terrei per lui, giuro! XD Peccato che Sakura sia una coglioncella... E d'altronde, con quel bel figliolo del duca, chi non le darebbe ragione? Per quanto possa aver tentennato, e per quanto esiti tuttora, non può restare insensibile troppo a lungo...
sasukkias94: chiedo perdono per il ritardo, ma questo è un periodaccio all'uni e la mia vita si è fatta difficile! @_@ Comunque ora il nuovo chap è qui! ^_^
Hipatya:
uhm, penso che Sakura abbia paura di Sasuke come una qualunque contadina dell'epoca può avere paura del duca che le chiede di sposarla all'improvviso! La domanda che sorge spontanea è: oddio, cosa vuole questo, è un maniaco? Che da piccoli abbiano giocato insieme conta poco, quando lui torna ed è straordinariamente figo, freddo e pericoloso - o così si dice... Comunque, non capisco perché sentiate tutti fetore di NaruSaku. ò.ò Ok che mi piace la coppia, ma mica la infilo in ogni angolo, no? Dopo un po' stufa. Per quanto riguarda Shika e Ino, invece, ancora sono un po' perplessa... Devo definire qualche dettaglio, e capire che fare di un certo personaggio! XD
Angel23: eh, chissà se Naruto e Hinata avranno a che fare in questa storia? Non ho ancora fatto comparire per bene gli Hyuuga, vedrò che fare! XD
yuna92: ognuno di voi ha una richiesta sui pairing! XD Se dovessi ascoltare tutti, sarebbe una SasuSakuNaruHinaNejiInoShikaTemaKiba! XD Alla faccia del triangolo! Comunque scoprirai come andranno avanti le cose solo leggendo! ^_^
Saku_piccina93: in effetti anche io pensavo che Sasuke avrebbe rapito Sakura... E così era nei progetti iniziali. Poi però la storia ha preso il sopravvento, e io sono diventata solo un'inutile scribacchina! ç_ç
bambi88: e finalmente... Shika e Tem! In posti diversi, e in situazioni decisamente diverse! Ma che sto combinando? Un quadrato InoShikaTemaNaru? Anzi, ChoInoShikaTemaNaruSakuSasuHinaNeji? XD Per la serie: intrecci letali!
Talpina Pensierosa: come ho già detto a qualcuno, il piano originale prevedeva un rapimento! XD Che poi si è trasformato in una molto più tranquilla richiesta di nozze... Ehh, non tutto è come vorremmo che fosse!
Kairi84: eccappunto, se tu dici "Naruto si sta divertendo un po' troppo" e "voglio vedere cosa ti inventi", è praticamente logico che o imbastisca qualche grosso casino per Naruto! E infatti gli ho trovato persino una fidanzata! E far interagire lui e lei, te lo assicuro, è un vero spasso! <3 Con Sasuke che non sa più da che parte scappare! XD E povero Lee! Che qualcuno parteggi per lui!



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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Deserving - 5
Deserving


Quando la carrozza si fermò davanti a villa Uchiha, nel raggio di dieci chilometri già otto paesi sapevano chi la occupava.
I servitori del duca si fecero trovare composti e in bell’ordine sulla scalinata d’ingresso, e il padrone di casa, accanto a un ospite visibilmente teso, sfoggiava impeccabile tutta la sua grazia e l’abito migliore, ignorando le gocce di sudore che gli scorrevano lungo la schiena accaldata.
«Oddio, è arrivata!» bisbigliò Naruto, incapace di stare fermo sui piedi. «Sasuke, stammi vicino, per l’amor del cielo!»
Il cocchiere scese dalla sua pensilina e andò ad aprire lo sportello, subito raggiunto dal maggiordomo degli Uchiha.
«Ora capisco perché ci danno dei pederasti!» mormorò Sasuke infastidito, scrollandoselo di dosso. «Ma non eri tu l’uomo di mondo? Non stavi cercando di prender confidenza con metà delle donne del circondario, la settimana scorsa?»
Un piedino calzato di rosso si posò sul primo gradino, e la carrozza ondeggiò leggermente, mentre un cavallo sbuffava in sottofondo.
«Tu non capisci... non la conosci!» gemette Naruto, con un sibilo quasi patetico.
Ecco l’orlo della gonna, rosso come la scarpetta, e guanti di pizzo bianco che la tenevano sollevata, mostrando qualche centimetro della caviglia abbronzata.
Sasuke si accigliò impercettibilmente, immaginando chissà quale mostro repellente... E invece, con sua grande sorpresa, dalla carrozza uscì una ragazza come tante atre. Capelli chiari e ribelli, occhi verdi, carnagione brunita, forme più che accattivanti. Scese dal predellino e si guardò attorno con un pizzico di arroganza, per poi fermare gli occhi su loro due, ancora fermi in cima alla scala.
Sasuke si scrollò di dosso Naruto, che si aggrappava al retro della sua giacca, e scese i gradini i fretta, andando ad accoglierla.
«Benvenuta nella mia residenza» la salutò, prendendole una mano appena liberata dal guanto e sfiorandone il dorso con le labbra. «Mi auguro che il vostro soggiorno sia gradevole»
La contessa inarcò leggermente le sopracciglia di fronte ai modi di Sasuke, a metà tra il galante e il distaccato, e si soffermò per un lungo istante a considerare che aveva lineamenti molto attraenti, per quanto poco italiani. Ma non appena sentì lo scalpiccio dei passi di Naruto lungo le scale, alzò la testa e assottigliò gli occhi verdi in una smorfia lievemente sprezzante.
«Lieta di vedervi, Naruto» salutò, con un inchino rigido e una vaga ombra di accento.
«Piacere mio» brontolò lui schivando il suo sguardo. «Volete... ehm, volete entrare?»
«Sì. Il sole è troppo caldo, ho bisogno di rinfrescarmi» approvò lei, con una certa stizza.
Sasuke studiò per un breve istante Naruto, perplesso e sorpreso: mai lo aveva visto tanto remissivo e cedevole, e mai lo aveva visto chinare la testa di fronte a una donna.
E pensare che è anche attraente...” commentò tra sé, stranito, mentre guardava la contessa che lo prendeva per il braccio e si faceva accompagnare in casa.
Si affrettò a seguirli, intravedendo l’occhiata di puro panico che gli lanciò Naruto, e trattenendo uno sbuffo entrò con loro, congedando i domestici. Loro si affrettarono a ritirarsi in buon ordine, consapevoli che prima fossero riusciti ad accaparrarsi un vassoio, prima avrebbero avuto pettegolezzi succulenti da raccontare agli altri, e con il cocchiere rimase soltanto un ragazzo delle stalle, in serissime difficoltà con una lingua mai sentita prima.
All’interno, Sasuke fece accomodare l’ospite nel salottino in cui già aveva accolto Rock Lee, intanto che la sua domestica familiarizzava con la servitù. Fu portata della limonata fresca, qualche pasticcino e molta frutta, e la duchessa si accomodò sul divano di velluto e prese a sventolarsi con un ventaglio dai colori accesi. Naruto, nervosamente seduto all’altra estremità dei cuscini, continuava a tormentarsi le dita e a gettarle occhiate inquiete.
«Avete fatto buon viaggio?» esordì Sasuke, per rompere lo spesso silenzio che era venuto a crearsi.
«Pessimo» fu la secca risposta di Temari. «Troppo lungo e decisamente troppo noioso. Una perdita di tempo»
«Gentile, da parte vostra» si lasciò sfuggire Naruto.
«Prego?»
«No, niente!» ritrattò in tutta fretta. «Un pasticcino, mia cara?»
Al ‘mia cara’ Temari gli scoccò un’occhiata gelida, e si irrigidì bruscamente. Naruto trattenne un gemito afflitto, mentre le porgeva il piattino con i dolci, e lei se ne servì tutta impettita.
Sasuke li guardò nascondendo la perplessità.
Non aveva mai visto due fidanzati più rigidi e a disagio. E non sembravano avere la minima intenzione di rendere le cose semplici. Anzi.
«Il clima è sempre così afoso?» si informò la duchessa all’improvviso, passandosi un fazzoletto umido attorno al collo, lasciato scoperto dall’acconciatura.
«Temo di sì» ammise Sasuke, versandole dell’altra limonata. «Ma ho fatto in modo di riservarvi le stanze più fresche della villa, non temete»
«Mh, mi conforta sapere che qualcuno almeno si preoccupa del mio interesse» frecciò lei, con un’occhiataccia a Naruto, e lui distolse lo sguardo per non inveire.
«Quando prevedete di tornare in Spagna?» chiese tra i denti, scandalizzando Sasuke.
«Il prima possibile, spero» rispose lei, asciutta.
E poi entrambi si diedero le spalle e di nuovo piombò il silenzio.


«Mi spieghi cosa non va in lei?» domandò Sasuke, non appena lui e Naruto furono soli.
Quest’ultimo si torse nervosamente le mani, facendo avanti e indietro lungo il salotto, e dovette passare una manica sulla fronte per liberarla da un freddo sudore nervoso.
«Non è qualcosa di preciso...» bofonchiò, a disagio. «E’ una sensazione, ecco. Non ci piacciamo. Ci detestiamo, praticamente. La prima volta che l’ho incontrata ho pensato che fosse piacente, ma poi, dopo poche parole, ci siamo resi conto entrambi che non riusciamo a sopportare la reciproca presenza. Capisci, Sasuke? Non può assolutamente funzionare, ma nessuno di noi ha il coraggio di rompere il fidanzamento, perché scoppierebbe un incidente diplomatico!» frustrato, si passò le mani tra i capelli.
«Stai dicendo che la vostra è stata un’antipatia improvvisa?»
«Sì! Oddio, Sasuke... Se la sposo, dovrò anche... Oddio... Quella mi sodomizzerà!» piagnucolò Naruto, disperato.
«Questa sarebbe la tua preoccupazione principale?» si accigliò Sasuke.
«No, certo che no! Però è importante, credo! Maledizione, perché non scioglie il fidanzamento?!»
«Per le stesse ragioni per cui non lo fai tu, suppongo» replicò Sasuke, laconico. «Ora calmati. Dovrete convivere pacificamente, tutto qui. L’indifferenza è una gran virtù, e quando non nasce naturalmente nell’uomo, può essere coltivata con cura e pazienza»
«Pazienza? Pazienza?» Naruto rivolse a Sasuke uno sguardo stralunato. «Con quella donna la pazienza si estingue!»
«E tu vedi di mantenerla viva» ordinò Sasuke, spiccio. «Ora, ci sono ancora alcuni dettagli per il ricevimento di domani...»
«Oddio, dovrò ballare con lei!» gemette Naruto, interrompendolo. «L’ultima volta che l’abbiamo fatto mi ha pestato i piedi di proposito, ne sono sicuro. E ovviamente ha sempre qualcosa da criticare sul mio stile di danza! E dovrà succedere davanti a Sakura!»
«Con questo?» lo interruppe Sasuke, irrigidendosi all’improvviso.
Naruto si bloccò, e per un attimo sembrò imbarazzato. «Ah, no, niente. Ho detto Sakura per dire tutte le fanciulle dei dintorni... Non crederai mica che io abbia messo gli occhi sulla tua futura sposa, vero?» rise. «Anche se, forse, dovresti informare il suo attuale fidanzato del fatto che la sua mano è stata ceduta» aggiunse dopo un attimo, pensoso.
Sasuke si incupì, e gli voltò bruscamente le spalle.
«Adesso non voglio parlarne» troncò. «Abbiamo altro cui pensare, i preparativi languono...»
«E con Orochimaru?»
Sasuke serrò la mandibola.
L’ultimatum di Orochimaru era scaduto quattro giorni prima, e il duca gli aveva fatto recapitare un messaggio strettamente confidenziale attraverso un canale protetto: adducendo come scusa l’arrivo improvviso della duchessa spagnola, aveva chiesto altro tempo per fargli sapere se avrebbe sposato Hinata Hyuuga, ma non aveva ancora ricevuto risposta. Sperava soltanto che significasse che Orochimaru sarebbe intervenuto al ricevimento dell’indomani, e non che preparasse l’arsenico.
«Per ora non abbiamo di che preoccuparci» mentì, senza guardare Naruto. «Ci sono cose più immediate che richiedono la nostra attenzione»
«Purtroppo» sospirò Naruto, afflitto. «Sasuke, tu non hai cugini facoltosi e in cerca di moglie?» tentò, speranzoso.
«Io sono l’ultimo membro della mia famiglia, ricordi?»
«Ah, già. Un vero peccato»


*


Un tocco di cipria per coprire l’abbronzatura, e poi polvere nera di kajal, per sottolineare gli occhi chiari. Davanti all’unico specchio della sua casa, Sakura si osservò, con lo stomaco stretto in una morsa.
Era carina. Non una bellezza, non avrebbe mai potuto rivaleggiare con Ino, ma aveva begli occhi e i lineamenti regolari. I capelli rossi erano raccolti semplicemente sulla sommità del capo, ma presto sarebbero stati sistemati a dovere dalle mani di una ragazzina che Lee mandava sempre per aiutarla a prepararsi, e il vestito verde dall’ampia scollatura era sottolineato da una collana con un grosso pendente di giada.
«Schiudete le labbra, signora» chiese la ragazza che l’aiutava, una domestica dei Lee dai capelli castani e gli occhi grandi. Sakura obbedì, e lei passò uno strato di rossetto chiaro, con cura e meticolosa attenzione.
«Ecco, ora chiudetele» disse poi, e Sakura le sfregò per distribuire la crema. La ragazzina sorrise. «Siete molto bella, questa sera»
«Davvero?» mormorò lei, incredula.
Si fissò allo specchio e vide soltanto un volto anonimo e due grandi e pesanti occhiaie.
Non era stata una settimana facile. Aveva vissuto giorno dopo giorno nell’angosciosa attesa di un Lee infuriato e tradito, ma nulla era successo. Anche i suoi genitori, che aspettavano la venuta del duca da un momento all’altro, erano rimasti inaspettatamente delusi, e il signor Haruno iniziava a nutrire un certo disprezzo per Sasuke.
Ma quella sera lo avrebbe rivisto.
Si sarebbero parlati? Lui le avrebbe spiegato qualcosa? Forse avrebbe detto che la sua proposta era tutto uno scherzo, o forse non l’avrebbe nemmeno ricordata: la sera dell’ultimo ricevimento aveva bevuto una generosa quantità di moscato, forse era ubriaco. O, forse, avrebbe ripetuto la sua richiesta guardandola negli occhi.
Il pensiero, involontariamente, la fece fremere.
«Avete freddo?» domandò la domestica, sentendola rabbrividire.
«No, Matsuri» rispose lei, deglutendo. «Continua, ti prego»
E si impose di non pensare più a simili sciocchezze. In ogni caso, non sarebbe mai accaduto.

Un’ora dopo, finalmente, il cocchiere della carrozza del marchese poté gettare a terra il tabacco che stava fumando nella vecchia pipa di suo padre, e salire a cassetta.
«Siete splendida, mia cara» cinguettò Rock Lee, tendendo una mano per aiutare Sakura a salire. «Il verde vi dona moltissimo, ma temo che il merito più grande sia da attribuire ai vostri occhi, e non ai miei miseri doni!»
Sakura si sforzò di sorridere, ormai abituata ai commenti esagerati del marchese, e gettò uno sguardo imbarazzato ai ragazzini che si affacciavano dalle porte per vedere la carrozza che partiva. Era una scena consueta, ma ogni volta la faceva sentire in qualche modo fuori posto.
«Sarete la più bella, questa sera» sussurrò lui, salendo insieme a lei e richiudendo lo sportellino. A quel punto si affacciò per salutare gli Haruno, che da una settimana a quella parte erano sempre molto a disagio, in sua presenza. «Vi auguro un buon riposo, signori. Prometto che la riporterò a casa prima dell’alba, e che la sua reputazione non sarà minimamente intaccata dal comportamento che terrà al mio fianco»
I genitori di Sakura risposero come sempre, ma con una leggera ansia, e poi il cocchiere frustò i cavalli e la carrozza partì sobbalzando, seguita dai bambini più esuberanti che volevano correre dietro alle ruote. Sakura si sporse dal finestrino e scrutò il paesaggio ad est, ancora illuminato dal sole al tramonto. Sentì la mano di Lee cercare la sua e stringerla, ma non riuscì a guardarlo, per timore di tradire l’angoscia che provava.
Raggiunsero la villa degli Uchiha un’ora più tardi, quando i primi candelabri erano già stati accesi e gli insetti ronzavano mesti. Il marchese aiutò Sakura a scendere dalla carrozza e poi la accompagnò oltre i cancelli del giardino, perché si presentassero all’attendente.
Non appena misero piede nel salone della festa, Sakura si trovò istintivamente a cercare Sasuke con gli occhi. Com’era prevedibile, non riuscì a scorgerlo, ma non poté impedirsi di provare un moto di delusione. Lee la distrasse baciandole la mano, e poi si scusò e si allontanò, diretto verso il gruppetto degli amici che bevevano poco più in là. Lei, incapace di togliersi l’ansia di dosso, andò a raggiungere le nobildonne che mormoravano in un angolo della sala, e non appena mise piede nel cerchio ristretto in cui confabulavano, si accorse di avere tutti gli occhi puntanti addosso.
Ma bene. La scorreria notturna di Sasuke era di domino pubblico.
Si fece avanti con un certo nervosismo, e capì che il suo arrivo aveva interrotto bruscamente un discorso certo interessante. Ma se c’era un vantaggio nell’essere contadina, era che ci voleva più di qualche mala parola per abbatterla, e così alzò il mento e si costrinse a sorridere.
«Buona serata. Come state?» chiese, fingendo che fosse tutto nella norma.
Borbottii vaghi in risposta, occhi sfuggenti e tentennamenti.
«Qualcuno ha già visto l’ospite?» continuò lei, cortese, e questa volta sembrò che l’argomento fosse sufficientemente interessante da destare l’interesse collettivo.
«E’ laggiù» Ino stese il ventaglio in direzione della sala, e Sakura seguì il suo sguardo fino a individuare l’unica sconosciuta della serata, una donna appariscente avvolta in un abito viola e nero. A quella distanza sembrava avere un piglio molto deciso, ma anche una notevole avvenenza.
«E il fidanzato?» indagò ancora, suo malgrado coinvolta in ogni faccenda sentimentale della zona, come ogni dama o aspirante tale.
«Si è presentato insieme a lei, ma poi è scomparso con il duca» rispose Hinata, arrossendo leggermente.
«Sembra che la dolce coppia non sia poi così dolce» sussurrò Ino maliziosa, dietro il ventaglio di raso giallo. «Pare che non si tollerino. Li hanno sentiti scambiare sì e no mezza parola cortese, e poi guardate: lei non fa che passare il suo tempo tra gli uomini»
All’altro capo della sala, Temari sorrideva di una battuta del conte Yamanaka.
«Però è attraente» la difese Sakura. «Non potete biasimarla se incontra il favore maschile»
«Oh, no no! Chi la biasima?» rise Ino, civettuola, per nascondere l’irritazione che più volte aveva manifestato privatamente nei confronti della contadinotta. «Piuttosto, pare che abbia due fratelli, entrambi in età da marito. Forse bisognerebbe che chi non è certo del proprio avvenire cercasse di catturare la sua benevolenza...» sussurrò, con occhiate eloquenti.
Nonostante Sakura fosse l’unica del gruppo ad essere ufficialmente fidanzata, le sembrò che l’insinuazione fosse rivolta a lei. Poteva darsi che, dopo la mossa di Sasuke, la ritenessero in pericolo? Se il marchese Lee l’avesse abbandonata e il duca non l’avesse raccolta, sarebbe dovuta tornare tra i campi, e non avrebbe più visto balli, buon cibo o conversazioni eleganti. Ne era perfettamente consapevole, e tuttavia, se all’inizio aveva accettato di sposare Lee senza quasi conoscerlo, non lo aveva fatto per la bella vita, ma per i suoi genitori. Se fosse tornata nella sua vecchia casa, il suo unico rimpianto sarebbe stato per loro, e non per le insinuazioni e i sussurri dell’alta società.
Così sorrise, senza bisogno di dover fingere, e mentre sorrideva vide una sciarpa turchese ondeggiare tra gli invitati, nella loro direzione.
«Buonasera, mie splendide dame!» sorrise Naruto, piombando tra loro con due calici di moscato tra le dita della sinistra e almeno tre braccia di seta turchese, intonata ai suoi occhi attorno al collo. «Il ricevimento è di vostro gradimento?» si informò, rivolgendo a tutte quante il suo miglior sorriso.
«Meraviglioso!» rispose Ino, tendendogli la mano perché la baciasse, e lui non si fece attendere. «Musica incantevole, devo assolutamente dire a mio padre di richiedere i vostri violini»
«Non mancheremo di fornirgli ogni indicazione» la rassicurò Naruto, e poi i suoi occhi cercarono Sakura. «Mademoiselle» la salutò, con un inchino particolare, e prontamente le tese uno dei due calici che teneva in mano. «Richiedo l’onore della vostra compagnia, se non vi è di troppo disturbo»
Per un attimo Ino non riuscì a mantenere la sua maschera di delicatezza, e sembrò sconcertata. Ma lo sconcertò lasciò subito il posto all’indignazione, e, infine, a un malcelato disprezzo, pronto a sibilare alle spalle del suo oggetto.
«Non so...» sussurrò Sakura, arrossendo sotto la cipria, e rimase immobile con il moscato in mano e gli occhi spalancati.
«Nessuna di voi si offende, nevvero?» sorrise Naruto, girando lo sguardo sulle dame tutt’attorno. Hinata Hyuga si fece di brace, ma annuì con tanta foga che rovesciò il suo vino.
«Non è un problema, contessa, date a me» Naruto prese il bicchiere vuoto e le tese immediatamente il suo ancora pieno, corredato di fazzoletto di seta per asciugarsi le dita. Ino roteò gli occhi, prevedendo l’immancabile collasso che Hinata si riservava dopo le attenzioni di qualsiasi gentiluomo, ma lei la stupì e rimase salda. Confusa, ma salda.
Naruto sfruttò la distrazione momentanea e prese delicatamente Sakura per un gomito, scusandosi con le sue compagne, tutto sorrisi, intanto che già si allontanava.
«Venite, venite» le diceva intanto senza guardarla, concentrandosi a salutare gli invitati.
Sakura provò a chiedergli quale fosse la loro meta, ma lui non la sentì o non volle sentirla, e così, impotente, fu trascinata attraverso stanze mai viste della residenza fin sul giardino posteriore, che altro non era se non un orto.
«Naruto... Per favore...» sibilò a quel punto, spaventata dal buio, dal silenzio, e dall’improvvisa intimità con il suo accompagnatore. «Io sono lusingata, dico davvero, tuttavia...»
«Non una parola di più» la fermò lui, sorridendole alla luce distante della casa. «Non fraintendete, non ho alcuna intenzione di turbarvi. Vorrei solo che aspettaste cortesemente qui»
«Aspettare?» Sakura lo guardò stupita, aggrappandosi al calice di moscato come all’unica certezza concreta rimastale. «Aspettare cosa?»
«Chi» la corresse Naruto, con sguardo malizioso, e poi le prese la mano, e ne baciò il dorso privo di guanti. Se si soffermò più del dovuto, Sakura non se ne accorse; e l’istante successivo già veleggiava indietro, verso il ricevimento.

Sasuke scrutava cupamente il salone affollato. Dallo scalone poteva intravedere diverse teste scure e lucide, ma al di sotto c’erano le guance colorite della campagna, e nessun volto innaturalmente pallido e lungo. Nessuna traccia di Orochimaru, ancora. E lui non toccava alcool, per precauzione contro qualunque veleno.
In compenso gli ospiti sembravano divertirsi. C’era il solito gruppo di giovani donne in un angolo della sala, tutte vicine ai violini per essere invitate a danzare, e gli uomini circolavano da un muro all’altro, ridendo e scambiandosi le ultime novità. La contessa spagnola protagonista dei festeggiamenti al momento sovvertiva ogni regola, ridendo tra quattro o cinque giovanotti, e se solo Sasuke avesse prestato più attenzione, si sarebbe accorta degli sguardi che correvano tra lei e il giovane Shikamaru Nara.
Ma, oltre alla preoccupazione, intervenne altro a distrarlo. E proprio mentre i suoi occhi si posavano sul marchese Lee, che discorreva serenamente con i suoi pari, Naruto lo raggiunse e lo afferrò per un braccio, lui e la sua vistosa sciarpa turchese.
«Vieni con me» gli disse senza preamboli, con un sorriso di difficile decifrazione.
«Dove?» chiese Sasuke, iniziando a seguirlo meccanicamente, e si accorse che stavano scendendo le scale.
Naruto non rispose alla sua prima domanda, né a quelle successive. Salutando ospiti e volti vagamente noti, continuò a trascinarlo portandosi appresso un misterioso calice vuoto, e senza preavviso scomparve oltre una porta degli appartamenti privati.
«Naruto! Esigo che tu mi dica cosa stai macchinando!» scattò Sasuke all’altezza dell’ultimo corridoio, scaldandosi.
«Niente» rispose lui, il ritratto dell’ingenuità nella luce incerta che proveniva dai muri. E mentre lo diceva aprì la porta che dava sul retro, e anche a quella distanza Sakura vide Sasuke, e Sasuke vide Sakura.
Entrambi si irrigidirono.
«Naruto...» sibilò lui, improvvisamente nervoso.
«Le hai chiesto la mano e poi non ti sei più presentato» sussurrò Naruto in risposta, in tono di rimprovero. «E ciò è accaduto la settimana scorsa, amico mio. Ritengo che sia giunto il momento che voi due parliate»
«Giuro su quanto ho di più caro che questa non la dimenticherò» mormorò Sasuke tra i denti, fulminando Naruto con gli occhi.
«Ci conto» sorrise quest’ultimo, sorpreso. «Dovrai pur ringraziarmi, prima o poi!» e dopo quella frase, senza voltarsi a cercar Sakura, si drappeggiò meglio la sciarpa attorno al collo e se ne andò, leggiadro come seta.
Sasuke rimase immobile sulla soglia a guardare l’ombra che si disegnava davanti ai suoi piedi. Oltre il punto in cui si interrompeva, ma prima che iniziasse la coltivazione di zucchine, Sakura faceva lo stesso.

All’interno il ricevimento si dimostrava un successo sempre maggiore.
Le donne avevano una gran quantità di argomenti di cui sussurrare – primo fra tutti la scomparsa di Sakura con relativa ricomparsa di Naruto, ma nessuna apparizione di Sasuke – gli uomini trovavano il vino di loro gusto, apprezzandolo non solo a parole, e la festeggiata, al centro delle attenzioni dei giovani della nobiltà locale, scambiava sguardi sempre più intensi con il giovane e solitamente apatico rampollo dei Nara.
Sasuke non se ne era accorto, perché cercava Orochimaru o Rock Lee. Se fosse stato sullo scalone in quel momento, avrebbe finalmente visto il marchese, che vagava per la sala con sguardo preoccupato alla ricerca della sua fidanzata; ma Sasuke non era lì, e Naruto non era interessato al marchese.
Il nipote del re, con la seta al collo e un calice vuoto tra le mani, ignorava qualunque marchese, conte o duca, e si faceva largo tra gli invitati per dirigersi verso l’unica persona che catturasse la sua attenzione, la quale aveva varcato i cancelli della proprietà da nemmeno un minuto; oltrepassò i violini, oltrepassò le fanciulle e la balbettante Hyuuga, oltrepassò gli uomini e oltrepassò anche alcuni servitori, per arrivare nell’atrio e fermarsi, con un sorriso perfettamente circostanziale disegnato sulle labbra.
A un metro da lui, Orochimaru rispondeva all’accoglienza, affiancato dal fedele Kabuto.
E se il suo sembrava il sorriso del vampiro che sta per affondare i canini, gli occhi di Naruto erano ben lungi dall’intonarsi con l’azzurro limpido della sciarpa. Attorno al calice vuoto, le nocche delle dita erano bianche, ma ferme.
«Benvenuto», salutò, falso.






Continua



E dopo tutta l'estate e pure parte dell'autunno, ecco che Deserving torna sui vostri schermi, per la gioia (?) dei SasuSaku fan che la seguivano!
Allora, cosa posso dire a mia discolpa? Che l'estate è stata intensa, che l'ispirazione languiva, che io e Sasuke non collimiamo molto, e mille altre cose. Ma la verità è che sono pigra, pigrissima, e che se la mia vita procede sul giusto binario non ho la forza di mettermi a scrivere.
Tuttavia negli scorsi giorni sono stata colta da una botta di ispirazione assoluta, e allora - ebbene sì - ho finito questa fanfiction! In sette capitoli, per giunta.
Personalmente ritengo che la fine del sesto vi lascerà un tantinello annichiliti (lo spero, se non altro), ma per oggi parliamo di questo capitolo.
Le cose si sono mosse inaspettatamente rapide, nevvero? Sasuke e Sakura soli, Orochimaru con Naruto, e Temari... ah, Temari! Che si mette a squadrare il marchese Nara, come se non avesse nient'altro da fare! Nel prossimo capitolo succederà di tutto e di più, ve lo anticipo, ma voglio anche anticiparvi che, contrariamente a quanto sono solita fare, questa volta la storia non può e non vuole prendere in esame analiticamente le vicende di tutti i personaggi. Questa volta mi concentro sui protagonisti, e solo e soltanto loro, lasciando al lettore l'arduo compito di decifrare le altrui azioni e stati d'animo. In parte lo faccio perché ho letto Seta, di Baricco, e sono rimasta incantata dalla sua essenzialità, e in parte perché di loro non è necessario sapere poi molto. Questa storia è nata per ruotare attorno a Sasuke e Sakura, persino Naruto fa la sua comparsa unicamente nel ruolo di mediatore.
Okay, dopo aver sproloquiato per dieci lunghe righe su me stessa e il mio egocentrismo, vi lascio alle risposte ai commenti, per quanto probabilmente non ricorderete nemmeno cosa mi avete scritto all'epoca! XD

Talpina Pensierosa: ormai la NaruTema non è più una novità, per quel che mi riguarda! Giusto? XD Invece tutto il resto... beh, le cose si sistemeranno alla svelta. U_U Spero.
Saku_piccina93: beh, direi che la famosa scintilla tra Sasuke e Sakura è scoccata, o comunque sta per scoccare! Peccato che non abbiano proprio un sentiero facile davanti a loro... Ma dai! Hinata non rompe affatto, povera stella! L'hanno messa in mezzo!
sammy1987: non dovresti maledire la serva di Sasuke per essere scappata dopo averlo visto nudo; a meno che la serva non fossi tu, naturalmente. XD Ah, non dovreste preoccuparvi troppo di Inoichi. Non è detto che abbia il tempo di concretizzare i suoi piani... E Temari è arrivata, in pompa magna e con tanto di puzza sotto al naso! Si aprano le danze, gente!
arwen5786: cough cough cough... Temo che gli Hyuga non rientrino nei miei piani immediati, non in questa storia! ^^' Mi spiace, è che, come avevo già anticipato, non avevo pronto niente, e alla fine le cose si sono evolute da sole, indipendentemente dalla mia misera volontà... Però non perdere le speranze, su di loro! Davvero, non perderle!
bambi88: il nero è sempre nel cuore di chi è stato/è/sarà nero. Non si può farci niente. Poi, tutto sta a vedere se si concretizza... Però qui ci sono buoni segnali, no?
Topy: io non definirei Temari e Naruto adorabili, ma alla fine sono opinioni... XD Però sono divertenti, diciamocelo!
kairi84: Susi, questo Naruto io lo adoro un po' troppo *____* Ehm. Ehm. (e ciò mi sembra decisamente esaustivo)

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Deserving-6

Deserving


Sasuke ricordò a che famiglia apparteneva un attimo prima di esagerare con i tentennamenti. Sentendo il nobile sangue degli Uchiha ribollire in corpo, si fece coraggio e avanzò con passo sicuro, sino a fermarsi a una falcata da Sakura.
«Buona sera» la salutò, con un inchino nervoso.
«Duca...» rispose lei, ricambiando.
Scese il silenzio.
«Un ricevimento meraviglioso» bisbigliò Sakura dopo un istante, sorseggiando il suo moscato. «Musica incantevole...»
Si rese conto di aver iniziato a parlare come Ino, e la cosa la turbò tanto da ammutolirla.
«Grazie» rispose Sasuke brusco, con un cenno del capo. «Sono lieto che vi divertiate»
Darsi del voi era orribile, realizzarono entrambi.
«Come stan...»
«Il soggiorno...»
Entrambi si bloccarono, dopo aver iniziato a parlare contemporaneamente, e per un attimo si scambiarono uno sguardo rigido.
«Prego, parlate voi» disse Sakura, abbassando gli occhi.
«Mi chiedevo se i vostri genitori godano di buona salute» mormorò lui, giocherellando con i polsini della camicia.
«Ottima, vi ringrazio» rispose lei in fretta. Poi si morse le labbra, e alla fine non resisté. «Per quanto in quest’ultima settimana abbiano sofferto di notevoli angosce...» insinuò, scrutando Sasuke con attenzione.
Lui si irrigidì, ma incrociando i suoi occhi si affrettò a distogliere i propri.
«Me ne dispiaccio» commentò atono. «Mi auguro che non sia un problema di salute»
«No, non lo è...» sussurrò Sakura, abbattuta.
Una parte di lei aveva sperato che incontrando Sasuke sarebbe cambiato qualcosa. Ma avrebbe dovuto immaginare che la proverbiale freddezza degli Uchiha avrebbe controllato ogni suo gesto: tendeva a sognare troppo, l’avevano sempre rimproverata per questo. E poi, non doveva dimenticare che per Sasuke lei non era degna di nulla.
«Bene» commentò il duca, schiarendosi la voce. «Ciò è bene» ripeté, in cerca di sinonimi.
«E voi?» tentò Sakura. «Com’è la vostra salute?»
«Oh, ottima» assicurò Sasuke. «Davvero ottima»
Quella sera non faceva che ripetere le stesse parole. E il pensiero di Orochimaru ormai era scomparso dalla sua mente.
Sakura lo sentì parlare, e scosse la testa. Per un attimo abbandonò i panni della nobildonna e si lasciò andare a una smorfia da contadina.
«Lo facevi anche da bambino» mormorò, asciutta. «Quando non sapevi cosa dire ripetevi le stesse, vuote parole, finché non perdevano anche quel poco di significato che avevano»
Sasuke tacque, riconoscendosi colpevole.
«Non è semplice» mormorò, tormentando la stoffa dei polsini.
«Immagino» replicò lei, sollevando il mento. «Eri ubriaco, vero? Non ti rendevi nemmeno conto di quello che facevi, chissà come sei riuscito a restare in sella...»
Lui sollevò gli occhi, giusto per scoccarle un’occhiata di fuoco. «Non ero ubriaco. Non ero totalmente in me, è vero, ma ancora ero in grado di ragionare»
«E allora perché non sei più tornato?» chiese Sakura, angosciata. «Perché quelle parole, quelle minacce... e poi più nulla?»
«Quali minacce?»
«A mio padre! Lui non voleva darti la mia mano, lo ha fatto perché ha paura di te!»
«Non ho fatto alcuna minaccia!» si indignò Sasuke, scandalizzato. «Non so come abbia interpretato le mie parole, ma io ho solo manifestato la mia intenzione a prenderti in moglie, e lui ha accettato. Non ci sono stati altri discorsi tra noi! Ho dovuto introdurre io stesso la questione del mantenimento dei tuoi genitori, altrimenti non mi avrebbero nemmeno chiesto niente!»
Sakura lo fissò confusa.
Era appurato che suo padre fosse spaventato dalla figura di Sasuke in sé, dall’emblema del duca. E in effetti, ora che ricordava, non aveva sentito nulla riguardo a minacce esplicite o ricatti. Forse aveva frainteso?
Ma, in ogni caso, non era quello il punto.
«Perché non sei tornato?» bisbigliò incontrando il suo sguardo, delusa. «Perché dopo quella notte non ti abbiamo più visto, e perché il marchese è ancora il mio fidanzato? Ci hai presi in giro? Non mi riteni degna della tua attenzione, da sobrio?»
«No!» esclamò Sasuke, passandosi una mano tra i capelli. «No, ero solo... E’ più complesso di quanto sembra. Ci sono cose, dettagli, che tu non conosci. Se io...» deglutì. «Se io ti sposassi, la vita di qualcuno sarebbe in pericolo, forse anche la tua»
Sakura si accigliò, con un tuffo al cuore.
«Cosa significa?» domandò, pallida.
«Non sono cose in cui voglio coinvolgerti» troncò lui, brusco. «Per questo non sono tornato, per questo non ho dato retta a quello sciocco di Naruto»
Sakura scosse la testa confusa.
«Io non voglio sposarti» sussurrò, e Sasuke la fissò ad occhi sbarrati, sorpreso. «Tu sei diverso, da allora... Sei un uomo che non conosco. E che mi spaventa. Sei un uomo che fa proposte di matrimonio, e che ha a che fare con la morte; sei un uomo che frequenta la corte e non si ricorda nemmeno più il sapore della terra. Il marchese non ha mai toccato il fango, forse, ma sa cosa vuol dire pensare come la gente comune. Tu, che sei stato tanti anni a Torino, lo ricordi ancora come si pensa qui?»
Sasuke fece un cenno rabbioso. «Che c’entra?» chiese stizzito. «Tutte le persone cambiano. Non possiamo restare bambini per sempre»
«Ma qui le persone restano uguali» lo contraddisse lei. «In campagna il tempo scorre più lentamente, le generazioni sono sempre le stesse. E tu, ormai, non fai più parte di questa realtà»
«Posso imparare» si lasciò sfuggire Sasuke, come se, per mantenere l’equilibrio, ora che lei si mostrava ritrosa lui dovesse farsi avanti. «Posso riadattarmi, abituarmi al...»
Sakura gli rivolse un mezzo sorriso. «Credevo che il matrimonio fosse escluso, ormai»
Lui ammutolì, livido.
Il matrimonio non doveva nemmeno essere considerato, o Orochimaru avrebbe agito, lo sapeva. Per quanto Naruto cercasse di convincerlo che non c’erano pericoli, non appena lui si allontanava Sasuke ritrovava la lucidità, e capiva che avrebbe dovuto sposare Hinata Hyuga, in un modo o nell’altro.
«Mi va bene così, sai?» sussurrò Sakura, con un sorriso tenue. «Da contadina a marchesa è già un gran balzo, non so se riuscirei ad affrontare il passaggio fino a duchessa»
Sasuke la fissò, e gli apparve così bella nella luce tenue e distante della casa; sembrava che fosse la persona più degna di stare al suo fianco, anzi l’unica degna, nonostante le sue origini, nonostante la sua pelle abbronzata, e desiderò che la sua ombra la coprisse sempre, come ora.
«Saresti una duchessa perfetta» si trovò a mormorare, perché ormai, nell’aria, qualcosa diceva a entrambi che quella era l’ultima scena.
Sakura rise, e la voce le si ruppe a metà, costringendola a cercare il fazzoletto tra le pieghe della gonna.
«Mi dispiace... Non so cosa...» tentò di scusarsi con voce incrinata.
E, dal momento che non avrebbero più parlato soli e che non sarebbe mai stata sua, Sasuke la avvicinò, la prese per le spalle e la baciò, come l’ultimo bacio di un soldato prima della guerra.
Sakura si riprese presto dalla sorpresa, così come avrebbe fatto per l’amato chiamato alle armi, e fu come se quella fosse l’ultima volta, la prima e l’ultima, per sempre, e poi mai più; lo abbracciò, si strinse a lui, consapevole dell’eccezionalità di quel momento, senza più cercare di trattenere le lacrime, nonostante il kajal colasse sulle sue guance. Perché lui la spaventava, lui era un altro, ma era sempre lui. L’unico. E anche se il loro bacio non era un bacio da aristocrazia, sarebbe sempre rimasto dentro di loro, fino alla morte.
Quando le loro labbra si staccarono, Sakura piangeva, e nascose il viso contro il petto di Sasuke.
«Mi dispiace, mi dispiace...» gemette. «Mentivo. Ti avrei sposato, anche se non ti conosco, perché non potrei mai non amare qualunque cosa tu sia diventato»
Sasuke la strinse con più forza, maledicendo Orochimaru e giurando vendetta, su ogni singolo battito del suo cuore, ma poi dovettero sciogliere l’abbraccio, e lui offrì a Sakura il suo fazzoletto, dicendole di tenerlo. Lei cercò di rimediare al danno apportato al trucco, ma senza risultati, e pensò confusamente di tornare a casa senza avvisare Lee, con la scusa di un malore improvviso. E pensò che dover tornare a parlare a Sasuke usando il voi avrebbe fatto molto male.
Sasuke le tenne la mano, stringendola fin quasi a farle male, e poi, angosciato, le prese anche l’altra.
«Se fosse diverso...» sussurrò, perché voleva almeno che lei capisse perché non era possibile. Che lo capisse alla perfezione e comprendesse che era inevitabile. «Se fosse diverso, saresti già mia moglie. Se tu non fossi stata promessa a Lee, sarei stato io il primo a farmi avanti, non appena tornato. E se mai ho amato qualcuna, quella donna sei tu, e puoi essere solo tu»
Sakura annuì, sforzandosi con tutta sé stessa di trattenere le lacrime che minacciavano di cadere di nuovo.
«Non dimenticarlo mai» ripeté Sasuke, baciandole le mani per non tornare sulla sua bocca. «Se fosse diverso, ti sposerei in questo istante»
«E allora abbiamo un intero matrimonio da organizzare» commentò una voce ironica e beffarda, a breve distanza.


Naruto aveva portato Orochimaru nel giardino principale, invitandolo a una passeggiata insieme a Kabuto. Orochimaru aveva chiesto di vedere Sasuke, ma il suo gentile ospite gli aveva detto che in quel momento era impegnato, e che sicuramente lo avrebbe visto più tardi; tanto valeva, dunque, attardarsi qualche istante con lui.
Il sorriso di Orochimaru era scemato visibilmente, mentre Naruto gli indicava la strada agitando un calice vuoto e ancora umido. All’esterno, i tre si erano inoltrati lungo un dedalo di sentieri accuratamente disegnati e bordati di erba secca. Avevano camminato tra i cespugli di Ortensie e Bella di Notte, senza parlare, finché Naruto non era stato certo di essere abbastanza distante.
«Quanto vi deve?» chiese allora, secco, abbandonando ogni traccia di affettazione. «Cento? Mille? Diecimila lire?»
Orochimaru stese le labbra con finta innocenza. «Non capisco di cosa parliate»
«Non fate il tonto con me» sibilò Naruto. «Per quanto ai vostri occhi io sembri solo un ragazzino sciocco, il mio sangue e le mie amicizie mi rendono pericoloso, per uno come voi. Dunque evitiamo ogni gioco, e ditemi a quanto ammonta il debito di Sasuke»
«Temo che ormai non sia più questione di denaro...» mormorò Orochimaru, con delicatezza. «Vedete, mio caro ragazzo, il giovane Uchiha si è impegnato con me in un altro genere di accordo. Incapace di risolvere il suo debito economicamente, ha deciso di vertere su un altro genere di patto...»
«Sposare Hinata Hyuga, sì?» troncò Naruto, assottigliando gli occhi.
«Esatto. Dunque, vedete, voi siete fidanzato con la contessa Sabaku, altrimenti l’affare sarebbe stato risolto davvero in fretta...»
«Scioglierò il fidanzamento»
«Come prego?» Orochimaru inarcò le sopracciglia, stupito, e Kabuto, al suo fianco, ebbe un guizzo di sorpresa.
«Ho detto che scioglierò il fidanzamento con la contessa spagnola» sillabò Naruto, parlando molto lentamente. «E annuncerò ufficialmente il mio nuovo fidanzamento con la contessa Hinata Hyuga»
Orochimaru gli regalò una lunga e cauta occhiata. «Credete di poterlo fare? Provocherà un incidente diplomatico, lo sapete?» chiese, mentre un sorriso compiaciuto si allargava sulla sua bocca.
«Non venitemi a dar lezioni di politica» sibilò lui. «Ditemi se lo scambio vi aggrada, e concludiamo un accordo»
Orochimaru finse di pensarci su, e alla fine chinò il capo con una cortesia che aveva del ridicolo.
«Penso che abbiamo raggiunto un punto d’incontro» sorrise. «Naturalmente... Per il disturbo...»
«Cinquemila lire. Non una di più» troncò Naruto, lapidario. «Cinquemila e il mio fidanzamento, e Sasuke sarà libero per sempre»
«Ottimo scambio» approvò Orochimaru, con un sorriso ampio e soddisfatto. «Tuttavia, se mi è permesso, potrei chiedervi come mai tanto affanno per un amico che... oh, diciamo le cose come stanno, per un amico che conoscete così poco da non aver diviso più di una cinquantina di pasti insieme?»
Lo sguardo di Naruto si indurì, nell’ombra. «Avete chiesto se vi è permesso. Ebbene, non lo è. E ora mi vedo costretto ad invitarvi a lasciare il ricevimento. Entro una settimana avrete tutto ciò che avete richiesto»
Orochimaru sorrise, si inchinò, e girò sui tacchi, diretto verso i cancelli che si intravedevano dietro un gruppo di arbusti. Kabuto, il fedele servitore, imitò il suo inchino e si affrettò a seguirlo, ed entrambi scomparvero nel buio della notte d’agosto, circondati dal frinire intenso dei grilli.
Naruto, rimasto solo, inspirò profondamente. Dopotutto la contessa Sabaku non gli era mai piaciuta, e la contessa Hinata era... no, non era ciò che avrebbe volentieri sposato, doveva ammettere. Ma con quel matrimonio avrebbe potuto vedere Sakura, avrebbero vissuto a breve distanza e avrebbe avuto ogni scusa per incontrare gli Uchiha.
E forse, rendendosi conto di cosa implicasse quel ragionamento, era proprio meglio se non ci pensava, e andava a riferire la lieta novella prima di trovare la casa chiusa più vicina.

Quando raggiunse Sasuke e Sakura, li trovò immersi nel loro intenso e drammatico addio; e sentire Sasuke parlare tanto coraggiosamente di matrimonio gli fece sorgere un sorriso derisorio sulle labbra. Tanto che volle provocarlo dandogli la notizia senza mezzi termini.
«Allora abbiamo un intero matrimonio da organizzare» esordì, avanzando con passo sicuro verso entrambi.
Loro, d’istinto, si allontanarono e gli rivolsero occhiate spaventate, trattenendo il fiato.
«Vengo in pace, Romeo e Giuseppina» rise, sollevando il calice vuoto e facendo ondeggiare la sciarpa nella notte. «O forse alla situazione si addice di più Giovanna? Ad ogni modo, nobile amante disperato, se fossi in te presterei più attenzione alle promesse che decido di fare! Potrei doverle mantenere» e si inchinò, beffardo.
«Naruto» sibilò Sasuke, irritato dall’interruzione. «Che stai dicendo?»
«Sto dicendo» sorrise lui, sornione. «che i tuoi ‘insormontabili impegni’ si sono dissolti come neve al sole. Svaniti. E che ora sei libero di dedicarti anima e corpo al solo, unico e quali altri aggettivi? Beh, all’amore della tua vita» concluse.
Sasuke lo fissò accigliato. «Che stai dicendo?» ripeté, più lentamente, questa volta per accertarsi di aver capito male.
«Quella persona non è più un problema» spiegò Naruto, agitando un lembo di sciarpa davanti al suo naso. «Me ne sono occupato io mentre tu cantavi, oh allodola. Indi, sei libero di imbrigliarti nella più machiavellica costrizione che mente umana mai progettò: il matrimonio»
«Cos’hai fatto?» Sasuke sentì il sudore impregnargli la schiena, gelido nonostante l’afa.
Naruto aveva incontrato Orochimaru. Lì. In quei pochi minuti che lui aveva passato con Sakura – mai coincidenza fu più opportuna, nevvero? Cosa gli aveva promesso? Fino a che punto si era spinto per lui?
«Oh, bazzecole di poco conto...» minimizzò Naruto, allontanando un tafano con la mano. «Cose di cui potremo discutere ampiamente in separata sede. Ora, se fossi in te, mi concentrerei sulla fortunata fanciulla alla quale hai appena promesso mari e monti, e permettimi di ricordarti che il fidanzato di suddetta fanciulla è ancora all’oscuro di tutto»
Sasuke si voltò a guardare Sakura, che, smarrita, lo fissava senza sapere cosa fare.
Se solo il pensiero di Naruto non fosse stato tanto pressante nella sua mente, l’avrebbe stretta di nuovo a sé, e avrebbe ripetuto le promesse, magari con meno enfasi – perché finché si tratta di impossibilità è un conto, ma quando si tratta di impegnarsi è un altro.
Però il pensiero di Naruto era lì, a roderlo, e non riusciva a ignorarlo per lei.
Naruto lo vide esitare, e allora sbuffò, avvicinandosi a Sakura per primo.
«Madame, le mie felicitazioni» commentò pomposo, piegandosi in un inchino profondo e posando le labbra sul dorso della sua mano. «Vi auguro ogni bene e figli maschi e sani»
Sakura arrossì, e guardò Sasuke in cerca d’aiuto.
Ma Naruto non gliene diede il tempo, e, ridendo e scherzando, si lasciò scappare qualche altra battuta e se ne andò, seguito dalla sua buffa sciarpa, con quell’inutile calice ancora in mano e l’espressione vuota di sempre. Se ne andò, e la sua, più che una delicata accortezza in favore dei due amanti, sembrò tanto una fuga.
Non appena furono soli, Sakura si strinse di nuovo a Sasuke, realizzando all’improvviso cosa stava per accadere, e lui le passò le braccia sulle spalle, convinto di doversi sentire felice, ma incapace di allontanare lo sguardo dalla porta per cui era passato Naruto. E mentre lei rideva, e iniziava a parlare, e piangeva di nuovo, lui faticò a ricambiare il sorriso.
Un cattivo presagio gli opprimeva lo stomaco.


*


La notizia volò di bocca in bocca, e stazionò sulle pagine dei giornali per diverse settimane. Fu uno scandalo su cui il popolino si accanì con violenza, entusiasmato dall’avventura, dalla storia d’amore e dal mistero dei paesi esotici. Qualche scrittore si decise a farne un romanzo a puntate, in appendice ai giornali, e riscosse un buon successo.
Ma la verità è che nessuno seppe mai precisamente come e perché la contessa Sabaku Temari fosse scappata con il marchese Shikamaru Nara, eppure tutti – per una volta tutti tranne Ino Yamanaka – giurarono di aver intuito ogni cosa al ricevimento del duca Uchiha.
Nella confusione seguita alla sparizione della contessa – confusione dovuta al mancato ritrovamento della sua lettera di addio, oltretutto in spagnolo, e nascosta sotto un divano – lo scioglimento del fidanzamento tra il marchese Lee e Sakura Haruno passò pressoché inosservato, e il marchese si ritirò in buon ordine, non tanto perché riconoscesse la superiorità del duca, quanto perché sapeva di non volere una moglie infelice.
Il successivo fidanzamento di Sakura con il duca Uchiha, poi, cadde in concomitanza con il molto più sontuoso fidanzamento tra Naruto Uzumaki, nipote del re, e Hinata Hyuga, ricca contessa in un’infima posizione. Naruto organizzò ogni cosa in fretta, senza lasciare il tempo a nessuno di fermarlo, e nel giro di un mese stabilì le nozze e la residenza coniugale, catalizzando l’attenzione dei pettegolezzi e dei giornali, tutti convinti che ci fosse una gravidanza di mezzo.
Sasuke lo interrogò a fondo, il giorno successivo al ricevimento. Prima di scoprire che la contessa era scomparsa, costrinse Naruto a raccontargli del suo incontro con Orochimaru, e insisté per restituirgli le cinquemila lire che aveva impegnato. Naruto rise, battendogli una pacca sulla spalla, e disse che ci avrebbero pensato in futuro.
Poi Sasuke gli chiese perché lo avesse fatto.
E lui, ancora una volta, non rispose.

Il mese successivo ci furono le nozze del nipote del Re.
Fu una cerimonia sfarzosa, elegante e molto dispendiosa. Naruto insisté per celebrarla a Montebello, dove avrebbe vissuto con sua moglie, ed ebbe occasione di invitare Sasuke e Sakura.
Hinata, splendente nell’abito bianco di sua madre, si sarebbe rivelata una moglie più amorevole e attenta di quanto chiunque avrebbe mai sospettato.
«Io vi amo» era solita dire a Naruto, ed era sincera. Una persona come lei non poteva non amare una persona come lui, così viva e accecante, e priva di macchie.
Ma Naruto non rispondeva; ringraziava per il suo amore e non rispondeva, e Sasuke temeva di conoscerne la ragione.
Gli Hyuga acquisirono il titolo di duchi, come desiderato e come si confaceva alle loro ricchezze. Il capofamiglia, Hiashi, fu così soddisfatto dalla piega che avevano preso le cose, che, gonfio di orgoglio e potere, arrivò a pensare di poter esercitare qualche tipo di autorità su Orochimaru, che ancora pretendeva il suo corrispettivo per i servigi resi.
E Orochimaru pensò che ciò che aveva davanti fosse solo uno sciocco conte di campagna, e non si lasciò toccare dalla sua alterigia.
Probabilmente fu un errore di entrambi, in fin dei conti.

Dopo un altro mese, in ottobre, prima dell’inverno, fu la volta di Sasuke e Sakura.
E, nonostante il loro matrimonio impallidisse al confronto con quello tra Hinata e Naruto, i giornali ci si soffermarono molto più a lungo, e le poche ragazze di campagna che sapevano leggere lo diffusero tra le analfabete, fino a consumare i fogli e la carta che avevano in mano. Sakura realizzava il sogno di tutte loro, dimostrava che sperare non era vano. Era molto meglio delle storie di spiriti che si raccontavano attorno al fuoco la sera, e la pagina della cronaca rosa divenne un vero talismano per le adolescenti romantiche delle campagne.
In occasione del ricevimento di nozze, Sasuke cercò di godersi la felicità e sorridere sinceramente agli invitati, nonostante i loro sussurri maligni. Tuttavia, ogni volta che incrociava Naruto, non riusciva a nascondere un’ombra di inquietudine. Aveva sempre la sgradevole sensazione di averlo messo in trappola, di essere stato la sola e unica causa della sua rovina. E giorno dopo giorno, guardando i suoi occhi distanti, quell’idea non faceva che aumentare.
«Sai a cosa stavo pensando?» chiese Naruto verso il tramonto, mentre con Sasuke centellinava del Bonarda sulla terrazza che tante volte li aveva visti pranzare, con un clima più favorevole.
«Riesci ancora a pensare?» replicò Sasuke, con un’occhiata eloquente al decimo bicchiere che gli vedeva in mano.
«Oh, certo che riesco. Questo non è niente» rise Naruto. «Ma stavo pensando di prendere in affitto una delle tue stanze»
«Cosa?» Sasuke si accigliò, con una punta di sospetto.
«Sì, per le visite prolungate. So che abitiamo a nemmeno mezzora di cavalcata, ma se una notte volessi fermarmi da te, vorrei avere una stanza... E, a dire il vero, prevedo di passare a villa Uchiha molto tempo, quindi gradirei avere una stanza riservata, sempre pronta. Un piccolo studio e camera da letto, diciamo»
Prima di ribattere, Sasuke fissò per alcuni lunghi istanti la campagna che si stendeva davanti alla terrazza. Il grano era stato raccolto, e ora i campi riposavano, grigi e arati, sotto gli occhi di un sole che già era solo tiepido. Si strinse nella giacca, posando i gomiti alla ringhiera.
«Naruto, perché hai sposato Hinata?»
Naruto inspirò a fondo, osservando a sua volta l’orizzonte. «Perché sono stato sedotto e abbandonato dalla bella spagnola» mormorò.
«Non voglio sapere l’opinione dei giornali»
«Perché ti interessa, Sasuke? Perché vuoi sentirmelo dire?»
Silenzio.
«Ciò che hai fatto non rende felice me, né te» mormorò il duca Uchiha, sottovoce. «Avresti dovuto fermarmi. Avresti dovuto lottare. Avresti dovuto...»
«Taci»
Il tono di Naruto fu insolitamente pacato. Sasuke cercò i suoi occhi, e quando li trovò si stupì nel vederli tinti d’arancio, infuocati dal tramonto.
«Ho fatto ciò che ritenevo migliore» disse, e, come faceva già da qualche tempo, non si scaldò. «L’ho fatto per le mie ragioni, e per un amico. L’ho fatto e basta. E recriminare non salverà nessuno, né cambierà qualcosa. Mi aspetto che ti comporti come la tua intelligenza richiede, Sasuke»
Sasuke distolse lo sguardo.
Non gli piaceva quel Naruto martire e ragionevole. Si accompagnava troppo bene al suo rimorso, e lo amplificava infinitamente.
«Allora mi farai la cortesia di concedermi quella stanza?» chiese Naruto, con un sorriso mesto.
Sasuke avrebbe potuto dirgli che la concedeva a lui e a sua moglie. O che non accettava. O che non voleva vederlo mai più.
E invece, ciò che disse nel giorno del suo matrimonio, all’amico che era innamorato di sua moglie, fu: «avrai la tua stanza. All’unica condizione di accettarla come un segno di ospitalità. Non voglio aumentare il debito che ho con te»


Il duca Uchiha e il nipote del re trascorsero l’inverno praticamente assieme.
Le malelingue parlarono di aborto per quanto riguardava Hinata, iniziando a bisbigliare della curiosa usanza degli inglesi di divorziare, ma nessuno insinuò nulla sulla moglie del duca, ancora eroina nazionale e moglie felice.
In primavera la marchesina Yamanaka, di ritorno da una villeggiatura al mare per cercare di riacquistare la salute perduta in seguito allo choc della fuga del giovane Shikamaru, andò in sposa al conte Inuzuka, realizzando un matrimonio tutto sommato buono, nonostante i piani del padre di vederla duchessa fossero bruscamente sfumati. Passò i suoi giorni a conservare gelosamente l’unica lettera spedita dal marchese Nara, in cui diceva di trovarsi nelle Americhe e di aver trovato un cielo totalmente sgombro di nubi, e per il resto della vita lo maledisse, e gli augurò ogni bene.
Poi l’estate tornò ad occhieggiare su quel tratto di pianura padana che accarezzava le pendici dell’appennino, senza che cicogne volassero nei cieli sgombri della penisola.
Accadde poco prima che la giovane duchessa Uchiha annunciasse la sua gravidanza.
Il corpo senza vita di Naruto Uzumaki fu ritrovato in un fosso lungo la strada per Retorbido.






Continua



Penultimo, sconvolgente capitolo! Vi sareste mai aspettati un finale così? E la prossima volta si chiudono i giochi!
Oh, come farò mai a sistemare tutto in un capitolo? Semplicemente così come ho sistemato tre quarti della faccenda in mezzo. XD Tra l'altro, il rating sarà arancio solo in quel prossimo capitolo!
Argh! Questo è stato disgustosamente melenso! Giuro, rileggendo vomitavo! l'unica "scusa" che sono riuscita a trovare per questo colossale svarione è che ho cercato di farli sembrare personaggi dell'Ottocento. Insomma, le facevano 'ste sviolinate amorose, no? Così dicono i libri, perlomeno... Bleah. -.-

Talpina Pensierosa:
ma no! Se tu non ti aspetti niente poi non c'è gusto a fare quello che faccio sul finale di capitolo! XD
Hipatya: arriveranno. Piccola e viscida ricattatrice, sappi che arriveranno! Le recensioni, intendo... Dammi solo tempo! un giorno mi sveglierò e, come ho fatto con Clà, mi metterò in pari! *_* Beh, il colpo di scena è stato decisamente insolito, direi. U_U Oh, a dire il vero mi sbizzarrisco con la SasuSaku già in Penne... ò.ò Quindi credo che questo sarà l'ultimo esperimento! Tutto ciò che hai detto riguardo alla storia, a come è trattato l'argomento, eccetera eccetera, mi ha fatta sciogliere! Sapevo che non mi stavo imbarcando in nulla di "grande" come Sinners e seguiti, però sapere che nel suo piccolo non ha fatto schifo, è già qualcosa. U_U Ammesso che io non crolli sul finale, ovviamente. Quindi, grazie per tutto quanto, e per essere arrivata fin qui con il tuo entusiasmo! Mi hai resa felice!
bambi88: bingo! La star è Naruto! E nel prossimo capitolo ti sarà ancora più chiaro! E poi... gradita la sorpresa di oggi? XD Oh, giusto. Mi spiace per Lee, ma era inevitabile! U_U
sammy1987: ed ecco che esattamente quando sembra che la parte interessante sia passata e ci sia la famosa calma, in realtà si scopre che la tempesta deve ancora venire! Muahahah, sono maligna! E nel prossimo capitolo riuscirò persino a sistemare le cose. Wow! ò.ò

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Deserving-7
Deserving


Aveva conosciuto il duca Jiraya al matrimonio di Naruto.
Aveva visto lui e il festeggiato comportarsi come padre e figlio, con affetto, rispetto e stima. Forse perché i veri genitori di Naruto erano morti molti anni prima, quando ancora si trovavano in Francia.
Aveva visto lo sguardo di Naruto che si posava su Jiraya, e quello di Jiraya che lo abbracciava come un consanguineo, nonostante fossero solo lontani parenti.
Aveva visto che si volevano bene.
Jiraya abitava a Torino, assiduo frequentatore della corte e delle dame. Aveva frequenti rapporti con il re, era ospite fisso ai suoi banchetti, e conosceva l’intera Italia e mezza Europa.
Il 16 giugno 1836, la mattina in cui trovarono il corpo di Naruto ancora imperlato dalla rugiada della notte, Jiraya era a Venezia.
Non appena Sasuke seppe, gli scrisse una lunghissima missiva.


*


Il funerale fu sontuoso, nonostante l’assenza del re. Sasuke premette al di là delle sue possibilità perché Naruto fosse seppellito a Montebello, ma riuscì a spuntarla solo con l’aiuto di Jiraya, accorso non appena possibile.
Sakura pianse, mentre la cassa veniva calata nel terreno, e Hinata aveva perso i sensi già in chiesa, senza sapere che suo padre pensava al prossimo genero.
La lapide sulla sua tomba fu di marmo bianco di Carrara, perfetta e abbacinante. Il sole splendeva alto nel cielo il giorno del funerale, e la pietra brillò con tutta la sua intensità.
Jiraya, Sasuke, Sakura e Hinata rimasero soli davanti al cumulo di terra, senza parlare, oppressi dai ricordi come se loro per primi fossero nella cassa. Quando Naruto era vivo, era impossibile pensare a lui e commuoversi; ma ora sembrava così facile che faceva male.
«Che ne sarà della sua stanza?» sussurrò Sakura, stretta nello scialle di seta turchese che lui le aveva regalato per il matrimonio. «Tutte le sue cose, il suo scrittoio...»
Nessuno le rispose. Hinata singhiozzava piano, ripiegata su sé stessa.
Poi Hiashi venne a prenderla, e Sasuke e Jiraya gli lanciarono un’occhiata lunga e intensa.
«Sono stanca» sussurrò Sakura, senza accorgersi di nulla. «Possiamo rientrare?»


«C’è la firma di Orochimaru»
Jiraya passeggiava lungo lo studio di Sasuke con un misto di ferocia e avvilimento.
«Le unghie. Cianuro. Deve essere riuscito a farglielo arrivare, in qualche modo»
Sasuke era seduto alla scrivania, le dita intrecciate davanti al viso e la fronte premuta contro il dorso.
«Cosa faceva su quella strada, in piena notte?»
Sasuke lo ascoltò parlare, senza sentirlo davvero.
I paesani sussurravano che Naruto fosse assiduo frequentatore della casa chiusa di Retorbido, e della signorina Margherita, che gestiva le sue tre ragazze con l’efficienza di un contabile. Ma nessuno lo diceva a voce alta, e, anche se fosse stato, Sasuke non ne avrebbe fatto un dramma.
Si passò le mani sul viso, stanco.
Aveva scritto tutti i suoi sospetti a Jiraya nella missiva che gli aveva mandato quando era ancora a Venezia, e non aveva nessuna necessità di sentirli ripetere a voce alta. Si sentiva nauseato, e angosciato, e in colpa. Naruto non avrebbe mai avuto a che fare con Orochimaru se non avesse conosciuto lui.
Com’era accaduto? Al primo ricevimento a corte. Naruto conosceva tutti, e vedendo un viso nuovo si era avvicinato, con quel suo sorriso aperto e sciocco.
Avrebbe dovuto allontanarlo, quel giorno. Sarebbe stato ancora vivo, ora.
«Cosa facciamo?»
Alzò lo sguardo, e vide Jiraya che lo fissava con occhi perfettamente sani. Non era impazzito per la rabbia o il dolore, aveva mantenuto l’autocontrollo. Forse perché non poteva ancora lasciarsi andare; non prima di fare quanto doveva.
«Voglio sapere perché» disse Sasuke, cupo. «Voglio sapere ogni più piccolo dettaglio, e poi agiremo»
Jiraya annuì. «So come fare»

Tra le conoscenze di Jiraya non c’era solo la nobiltà, ma anche le fasce più basse del popolo. Attraverso una serie di canali segreti e ben protetti, una rete sotterranea e impercettibile aveva iniziato a muoversi e serrare le maglie.
Fu più semplice del previsto.
Nell’arco di una settimana Sasuke seppe tutto.
E allora fu preso dallo sconforto.

«Non ho abbastanza denaro» mormorò, di nuovo nel suo studio, i lineamenti resi duri dalla luce incerta delle candele. «Per colpire uno come Orochimaru, io sono troppo debole»
Jiraya, seduto sulla poltrona di velluto dall’altra parte della scrivania, lo scrutò torvo.
«Mi pare che lo scorso inverno i vostri boschi abbiano prodotto una forte quantità di castagne» disse, asciutto.
Sasuke scosse la testa. «Non solo i miei boschi. Le castagne hanno invaso il mercato, e il prezzo è calato vertiginosamente. I miei forzieri non sono mai stati molto ricchi, riesco a malapena a mandare avanti questa villa senza sfigurare in un ricevimento...»
«Sfigurare!» ripeté Jiraya, con una smorfia sprezzante. «E’ in questione l’onore dell’amico migliore che abbiate mai avuto, e voi mi parlate di sfigurare
Sasuke lo fulminò con lo sguardo. «Sto per avere un figlio! Voglio che questo bambino abbia tutto ciò che gli spetta, e muoversi per distruggere Orochimaru è uno sforzo che oltrepassa abbondantemente le mie capacità economiche! Finirei sul lastrico, solo per pagare le informazioni sui suoi spostamenti! E questo, Naruto non lo vorrebbe»
«Ma il vostro debito verso Naruto è notevolmente superiore a quanto credete, duca» sussurrò Jiraya, minaccioso.
«So tutto» Sasuke fece un cenno brusco. «So che amava Sakura, so che l’amava al punto da permetterle di sposarmi, e prendere Hinata al mio posto. Non è passata una sola notte, da allora, senza che io mi svegliassi e fossi oppresso dal senso di colpa. Non venitemi a fare lezione su ciò che devo a Naruto!»
«No» Jiraya si alzò, attraversò il tappeto e si fermò davanti alla scrivania, posando le mani sul ripiano di ebano lucido. «Voi non avete nemmeno la più piccola idea di quanto dovete a Naruto. Voi non sapete nulla. Voi siete sempre stato, in qualche modo, la cagione della sua rovina. E lui lo sapeva. Lo sapeva, e nonostante ciò vi è stato amico molto al di là di quanto io possa comprendere»
Sasuke fissò Jiraya con confusione e irritazione. «Che diamine state dicendo?»
«Sto dicendo che se Naruto è rimasto coinvolto in un matrimonio che non meritava, è per causa vostra. E che se è rimasto orfano, quando ancora non sapeva nemmeno chiamare il nome di suo padre, è sempre per causa vostra e della vostra famiglia»
Jiraya fissò Sasuke, e lo vide vacillare.
«Come?» balbettò, senza comprendere.
«Minato Uzumaki, il padre di Naruto, era più di un figlio per me. Sono stato suo amico fin dall’adolescenza, gli ho insegnato metà delle cose che sapeva, e come ringraziamento lui mi aveva nominato padrino di Naruto. Poi, poco dopo il battesimo, lui e sua moglie Kushina sono stati avvelenati, alla corte del re di Francia. Volete sapere per quale ragione?» si sporse verso Sasuke, senza distogliere gli occhi dai suoi. «Sono stati avvelenati perché circolava la voce che il re avesse stretto un accordo con i Savoia, in modo da donare il ducato di Montebello agli Uzumaki. Gli Uchiha, storici proprietari del ducato, erano praticamente in rovina, e il re voleva privarli dei loro terreni in favore di un accordo pacifico con la Francia. Voi eravate appena nato, credo»
Il volto di Sasuke si accese improvvisamente d’ira. «State insinuando che la mia famiglia ha fatto assassinare quella di Naruto?» inveì, scattando in piedi.
«Io non insinuo nulla» sibilò Jiraya. «Ci sono tutte le prove. Il capro espiatorio della famiglia fu Madara Uchiha, il fratello di vostro nonno. Le accuse caddero su di lui, e lui confessò di aver agito spontaneamente, senza il consenso dei suoi consanguinei. Fu decapitato a Parigi, due mesi dopo la morte degli Uzumaki. Nel frattempo, non so come, gli Uchiha riuscirono a risollevare le proprie sorti economiche, e così i Savoia decisero di ripiegare sulla cessione di un altro ducato... Ma Naruto rimase orfano. A nemmeno un anno di vita, rimase solo con me, e questo a causa della vostra famiglia»
Sasuke si risedette lentamente, con un curioso ronzio nelle orecchie.
Sapeva che un certo Madara era stato cancellato dall’albero genealogico della famiglia. Qualche volta aveva sentito suo padre sussurrare qualcosa riguardo al suo nome, ma mai era stato pronunciato a voce alta. E ora gli dicevano che Madara Uchiha aveva agito per conto degli Uchiha, per salvare la propria famiglia... in cambio della distruzione di quella di Naruto.
«Non è possibile» mormorò, scuotendo la testa.
«Oh, sì che lo è» insisté Jiraya. «Posso fornirvi tutte le prove. E sapete qual è il dettaglio più interessante, che ancora non vi ho raccontato? Il dettaglio è che Naruto sapeva tutto, fino all’ultimo particolare. Ho cercato di nasconderglielo, e per questo l’ho portato via dalla Francia quando aveva solo dieci anni, ma in un modo o nell’altro i sussurri sono arrivati fino a lui. Il giorno del suo matrimonio l’ho rimproverato aspramente, perché non capivo cosa lo spingesse a fare tanto per un Uchiha; ma lui non mi ha risposto. Era un suo vizio, tacere nei momenti importanti... e non mi ha risposto. Per ragioni che mi sfuggono totalmente, Sasuke, Naruto vi adorava. Credo che voi e Sakura foste le persone che più amava sulla faccia della terra, e la cosa mi urta profondamente. E mi addolora, perché ora capisco che aveva riposto la sua fiducia nel luogo più sbagliato»
Sasuke rimase in silenzio, sopraffatto.
Al loro primo incontro, aveva pensato che Naruto fosse un giovane sciocco e irritante, vuoto come un guscio di noce, e aveva cercato di evitare la sua compagnia. Ma poi, chissà come, se lo era sempre trovato attorno, finché, piano piano, avevano finito per diventare amici. Non si era mai reso conto che aveva fatto tutto Naruto. Lui non aveva mai mosso un passo nella sua direzione, eppure, per qualche strano motivo, Naruto aveva desiderato il suo affetto. E mai, mai una volta lo aveva ingannato, tradito, o sfruttato. Mai.
Era la persona più incomprensibile che avesse mai incontrato.
La migliore.
«Il giorno in cui vi conobbe, Naruto mi scrisse» bisbigliò Jiraya. «Disse di aver incontrato l’ultimo degli Uchiha, e di essersi sorpreso profondamente nello scoprire di non odiarvi. Disse che vi aveva visto scostante e antipatico, ma che in fondo si sentiva simile a voi. E’ un reduce. L’ultimo della sua dinastia, come me. Ecco cosa disse»
Sasuke si passò le mani sul volto, pallido.
Naruto. Naruto lo aveva amato, e ora Naruto era morto, probabilmente a causa sua.
Suo figlio. Suo figlio attendeva solo di nascere, di crescere come un Uchiha, di crescere nel modo migliore. Naruto avrebbe voluto che fosse così, perché voleva che lui e Sakura fossero felici.
Vendicarlo era suo preciso dovere. Distruggere Orochimaru era l’unica cosa che davvero contasse.
Ma la memoria di Naruto, così, sarebbe davvero stata onorata?
Crescere il figlio di Sakura nelle difficoltà era davvero la cosa migliore?
Naruto probabilmente avrebbe detto di no. Senza spiegarlo, naturalmente.
Ma Sasuke era egoista. Un orgoglioso Uchiha egoista...
E decise che avrebbe fatto a modo suo.
«Jiraya» disse sottovoce, in tono vibrante. «Ho bisogno ancora dei vostri favori. Voglio che Orochimaru venga privato di ogni potere, economico o fattuale. Voglio che mendichi per le strade, che i cani gli rubino il cibo, che anche il più umile ciabattino lo disprezzi. Voglio distruggerlo»
Jiraya sorrise, con un lampo di trionfo negli occhi.
«Non è sufficiente» replicò, allontanando le mani dalla scrivania ed eliminando l’aura minacciosa che lo ricopriva. «Orochimaru è un uomo che si rialza, qualunque cosa gli succeda. Lo conosco fin dall’infanzia, e se vi dico che probabilmente non era nemmeno figlio di suo padre, ma dello stalliere, vi sarà chiaro come l’ambizione riesca a portarlo dovunque. Per fermarlo, dovremo ucciderlo»
Sasuke scosse la testa, stringendo i denti. «Non posso. Per fare questo non basterebbe attingere alle mie casse, dovrei seriamente indebitarmi, e non credo nemmeno che troverei qualcuno disposto a...»
«Non ce ne sarà bisogno» lo interruppe Jiraya. «Dove voi non arriverete, sopperirò io. In fondo questa era la mia intenzione fin dall’inizio, ma volevo verificare che tipo di persona foste. Il Re e i suoi cortigiani hanno sempre guardato a Naruto come un inconveniente imbarazzante, un orfano che non sapevano come sistemare. Ora che è morto se ne sono sentiti persino sollevati, e io ho deciso che lo avrei vendicato, anche da solo. Ma volevo che voi foste al mio fianco, per Naruto. Se mi aveste deluso, credetemi, avrei fatto in modo di distruggervi»
Sasuke fissò Jiraya, e lesse nei suoi occhi che non mentiva, né si gloriava a vuoto.
Se avesse deciso di non occuparsi della vendetta di Naruto, sarebbe stato rovinato.
Sospirò, posando la fronte sul palmo. Non provava rancore. Solo una grandissima desolazione.
Naruto doveva essere stato amato davvero molto da quell’uomo.
«Un ultima cosa» riprese Jiraya, assottigliando gli occhi con aria pensosa. «Gli Hyuga. Anche loro devono pagare»
«Non Hinata» intervenne Sasuke. «Hinata amava sinceramente Naruto, non merita di soffrire per l’idiozia di suo padre. Se Hiashi avesse saldato il suo debito con Orochimaru, lui non avrebbe fatto uccidere suo genero. Ci vuole qualcosa che che colpisca unicamente Hiashi»
Jiraya annuì. «Forse so cosa potremmo fare, e per questo non servirà nemmeno del denaro»


*


Alla fine dell’estate Sakura già si mostrava raramente in pubblico, costretta nelle fresche stanze della villa da una gravidanza leggermente problematica. Per questo fu la seconda celebre assente al matrimonio tra Hinata Hyuga e Neji Hyuga, che si svolse nella chiesa di Montebello agli inizi di settembre.
Jiraya si era impegnato a fondo per trovare la persona che più di tutte odiasse Hiashi, e quando aveva scoperto che tale persona era Neji, da lui formalmente adottato, si era trovato davanti a un dilemma.
Aveva scavato nel passato del giovane, fino a scoprire che probabilmente era il frutto di una relazione illecita del fratello di Hiashi, Hizashi, con una dama di compagnia. Era venuto a sapere che Hizashi era misteriosamente morto prima di sposarsi ed ereditare il casato, e che la linea di successione si era così spostata da lui a Hiashi. Poi Neji era cresciuto come la copia esatta di suo padre, e Hiashi aveva subodorato il pericolo che qualcuno lo proponesse come legittimo successore; prima che chiunque potesse prenderlo sotto la sua protezione, dunque, lo aveva adottato e ridotto al silenzio.
Giunto al termine delle sue ricerche Jiraya aveva realizzato che la cosa peggiore che potesse capitare a Hiashi era perdere l’influenza della figlia, unica erede del titolo nobiliare di Naruto, in favore del suo peggior nemico. E così si fece strenuo promotore dell’unione tra Neji e Hinata.
Dovette faticare non poco per contattare Neji, per sondare il terreno con Hinata e, infine, aggirare la sorveglianza di Hiashi. Decise di chiudergli ogni possibilità per quello che riguardava l’alta nobiltà, e di fatto lo rese inviso alla maggior parte dei nobili che frequentavano la corte. Dopo cinque mesi di inutile ricerca, Hiashi aveva perso le speranze di maritare di nuovo la sua primogenita, e allora Jiraya si era presentato come garante per Neji.
C’erano state molte liti, minacce e intimidazioni. Se Neji fosse stato solo, probabilmente sarebbe uscito sconfitto dalla diatriba; ma al suo fianco c’era Jiraya. E, dopo l’esperienza di Orochimaru, Hiashi sapeva che non poteva scherzare con i potenti.
Così aveva dovuto cedere. Masticando fiele, era stato costretto ad abbandonare i suoi piani su Hinata, per riversare ogni speranza sulla secondogenita, Hanabi. Aveva visto il titolo più importante del suo casato finire nelle mani del figlio di una dama di compagnia, e, livido, aveva rifiutato di partecipare al matrimonio a causa di una forte indisposizione.
Con profonda soddisfazione, dopo aver concluso quella faccenda, Jiraya si era allora volto verso Orochimaru.


Il salone principale era immenso.
Le grandi vetrate sul lato sud e ovest erano schermate da pesanti tendoni color vinaccia, e a est e nord le pareti erano coperte da alte librerie ricolme di volumi classici e moderni, in almeno cinque lingue diverse. La notte, per illuminare l’intero ambiente, i sei grandi lampadari di cristallo che pendevano dal soffitto venivano accesi, e la luce si frammentava in milioni di prismi, adagiandosi sulle coste dei libri in immobile attesa.
Al centro del pavimento si stendeva un ampio tappeto d’angora rossa, circondato da sofà francesi ricoperti di broccato, e sui raffinati mobiletti d’angolo ardevano tre candele armoniosamente posate su un candelabro in ferro battuto.
La luce era perfettamente controllata, e cadeva precisa sulle pagine ingiallite di un Macchiavelli dal valore inestimabile. Una mano bianca e sottile, solcata da piccole vene azzurrine, si muoveva lenta seguendo i ghirigori dell’inchiostro.
Orochimaru amava leggere almeno una decina di pagine prima di andare a dormire. Le selezionava con cura, prendendole dai libri che preferiva, e se le godeva come il piacere più grande, immergendosi in fitti brani di strategia, storia o politica. Non amava le letture ludiche, le trovava noiose e inutili.
Di solito, quando era ora di coricarsi, Kabuto bussava a uno degli ingressi del salone e gli comunicava che erano le undici. A quel punto Orochimaru richiudeva il libro, lo riponeva nella sua esatta posizione, e poi seguiva il fido servitore fino alle proprie stanze, dove trovava la camicia pronta e un catino di acqua tiepida per sciacquarsi.
Aveva abitudini molto metodiche; per questo, quando sentì bussare leggermente alla porta nord, guardò l’orologio posato sul tavolo, constatò che erano solo le dieci e un quarto, e si accigliò.
«Kabuto?» chiamò, posando il libro sul divano. «Sei tu?»
Non ottenne alcuna risposta, ma non si allarmò. Ciò che fece, invece, fu tendersi verso il mobiletto accanto al divano, aprire il primo cassetto ed estrarre un minuscolo coltellino in argento, affilato come un rasoio. Con la vita che conduceva, era sempre pronto a doversi difendere.
Ma la porta si aprì normalmente, senza la lentezza tipica della cautela, e sulla soglia non c’era altri che Kabuto, avvolto nella solita livrea grigia. Orochimaru lo scrutò, teso.
E dopo neanche un secondo, il corpo senza vita del servitore si ripiegò su sé stesso e cadde faccia a terra, andando a cozzare sul marmo con un tonfo raccapricciante.
Orochimaru balzò in piedi, sollevando la mano armata. Nello stesso istante la luce dei lampadari si spense bruscamente, privata dell’energia elettrica, e l’ombra asciutta del padrone di casa si allungò sul tappeto d’angora, disegnata dalle fiammelle delle candele.
Orochimaru trattenne il fiato, in ascolto. Sentiva il cuore battere rapido nel petto, e il sudore formarsi sulla fronte e sulla schiena, ma tutto ciò che fece fu far guizzare gli occhi da un capo all’altro della stanza.
Sentiva di non essere solo. Avvertiva il respiro sottile di un altro essere umano, oltre a lui, ma non capiva dove potesse nascondersi. Dietro le tende, forse? La mano sul coltello iniziò a farsi umida, scivolosa; riprese a respirare, sforzandosi di farlo lentamente, ma capì presto che l’angoscia glielo avrebbe impedito.
«Mostrati» sibilò allora; non per spavalderia, ma perché l’azione era infinitamente meglio di quella sospensione eterna.
E, obbediente, l’assassino si mostrò.
Le tende frusciarono, ondeggiarono con il loro rosso così cupo, nere dove le candele non le illuminavano. Le fiammelle del candelabro tremarono, scosse dalla corrente improvvisa, e Orochimaru si voltò di scatto, brandendo il coltello dritto avanti a sé.
Non vide la sagoma scura che lo raggiungeva alle spalle, ma sentì la sua mano serrarsi sul polso, troppo sottile e troppo fragile, e serrarlo fino a farlo crocchiare sinistramente.
Ebbe a malapena il tempo di inspirare, brusco, e chiedersi come mai le guardie non avessero fermato l’intruso; poi, semplicemente, avvertì un’ondata di dolore assoluto all’altezza dei reni. Sentì la lama penetrare nella carne, incidere la stoffa e i tessuti interni, e poi la sentì torcersi leggermente, e gemette, dolorante e furibondo.
Cadde in ginocchio, con il pugnale conficcato nella schiena, e si piegò sulle mani, sentendo lo stomaco contrarsi; sputò sangue sul tappeto già rosso, e i capelli stretti in una coda gli ricaddero sulla spalla, immergendo le punte nella pozza nera.
«Questo è per Naruto Uzumaki» sibilò una voce su di lui, una voce sconosciuta e distorta dal ronzio che gli invadeva le orecchie.
Poi sentì dei passi leggeri che si allontanavano, e la vista gli si annebbiò.
Provava nausea. Una nausea irriducibile, e il freddo più intenso della sua vita.
«Kabuto!» chiamò, dimenticando che il servo era già cadavere, incurante delle parole biascicate che si mescolavano con il sangue nella sua bocca. «Kabuto!»
Cadde sui gomiti, il suo stomaco tentò di liberarsi, inzaccherando mani e vestiti, e il pavimento ondeggiò sotto di lui.
Gli sembrò di sentire un crepitio lontano, mentre ricadeva su un fianco e tentava di girarsi sulla schiena. Il coltello nelle sue reni si piegò, incise altra carne, gli strappò un urlo di dolore e lo spinse a rannicchiarsi in posizione fetale.
Non aveva la forza di raggiungerlo con una mano. Non riusciva a estrarlo.
«Kabuto...» ansimò, senza fiato.
E quando alzò gli occhi verso i tendoni, vide soltanto una grande, calda vampata di fuoco.
E pensò che fosse l’inferno che si schiudeva al suo ultimo sguardo.






Continua



Non era l'ultimo, chiedo perdono!
Non so contare, avevo creato due capitoli 6! ç_ç Me scema!
Comunque, rating arancione non per l'arf, ma per la violenza. Relativa, si intende.
All'inizio avevo previsto qualche scena succosa tra Sasuke e Sakura, poi mi sono ricordata che siamo nel 1836 in un paesino padano, quelli se si sfiorano le mani svengono per l'eccitazione, figuriamoci il resto... Quindi mi sono limitata ad ammazzare qualcuno trucemente, e tanti saluti. Per la cronaca, l'assassino è Kakashi! Che però non conosce direttamente Naruto.
Ciò detto, sembra che tutto si sia risolto, vero...? Ebbene, c'è un ultimo capitolo, un po' agrodolce, che vi attende. Un capitolo del quale vado misteriosamente orgogliosa! XD Questa storia era nata un po' come una sciocchezza, e invece mi sono trovata a vagare su Wikipedia alla ricerca delle date delle battaglie di Montebello! ò.ò
Comunque, la prossima sarà l'ultima volta che ci troviamo su queste pagine, quindi...
Arrivederci!
(perdonatemi se non rispondo alle vostre recensioni, ma casco di sonno!)

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Deserving-8

Deserving


Le macerie riarse della villa di Orochimaru furono abbattute per fare posto a un nuovo edificio, più moderno e funzionale.
I suoi terreni furono venduti all’asta, numerosi estimatori piansero sulla biblioteca perduta per sempre, però molti, i più, tirarono un sospiro di sollievo. Presto qualcun altro avrebbe raccolto l’eredità di Orochimaru, ma per ora potevano dormire sonni tranquilli, pregando per la salute e non per svegliarsi vivi l’indomani.
Alla fine dell’anno Sakura diede alla luce il suo primogenito, un bambino pallido e magro, che destò non poche preoccupazioni. Sasuke chiese l’appoggio economico di Jiraya, che sbuffando glielo concesse, e si chiamarono i migliori medici, si fecero le migliori villeggiature.
Il bambino crebbe, acquistò la salute che gli mancava, e diventò degno erede di un casato in ricostruzione. A distanza di pochi anni la famiglia si ingrandì nuovamente, prima con una bambina, e poi un’altra ancora.
Il 1859, nel corso dei conflitti tra Francia e Austria, portò la guerra a Montebello, e costrinse gli Uchiha a fuggire a Milano.
Prima di andarsene, un Sasuke reso più solido e al contempo più fragile dal tempo, volle visitare per l’ultima volta il parco della villa e le stanze interne.

Era una giornata nuvolosa, e la luce si posava sugli oggetti con una morbidezza particolarmente vellutata, ammantandoli del telo della nostalgia.
Probabilmente non avrebbe più rivisto quelle mura, quegli alberi, quei divani. Non sarebbe più tornato a Montebello, prima di raggiungere i suoi antenati, e ogni fibra del suo corpo ne era più che consapevole.
Attraversò ogni camera con il passo lento che aveva acquisito negli anni, e si soffermò su ognuno dei mobili, sfiorandolo con affetto.
Lo scrittoio di sua madre, della quale ricordava così poco.
Il divano su cui Lee si era seduto, il giorno in cui doveva dirgli che non avrebbe sposato Sakura.
Il letto che aveva diviso con l’unica donna che avesse mai amato, e su cui i suoi figli si erano accalcati, nelle notti di tempesta, terrorizzati da tuoni e fulmini.
La carta da lettere con cui aveva scritto a Jiraya, il giorno della morte di Naruto.
Tutte cose a cui, vivendo in quella casa, non aveva mai prestato eccessiva attenzione. Ma ora che se ne andava, ora che era costretto ad abbandonarle, gli sembravano più care che mai.
L’ultima tappa fu la ‘stanza di Naruto’, come non avevano mai smesso di chiamarla. Era rimasta chiusa tanto a lungo da conservare ancora il suo odore, nonostante le domestiche fossero incaricate di pulirla ogni mese.
Sasuke vi entrò con una sorta di timore reverenziale, la mente e gli occhi pieni dell’immagine del Naruto ventenne, della sua voce squillante, della sua sciarpa turchese e del suo sorriso. Con gli anni il senso di colpa si era stemperato in una morbida accettazione, ma il ricordo, no. Quello si era ampliato e intensificato.
Attraversò il pavimento coperto di legno sentendo i tacchi risuonare piano. Passò lo sguardo sul letto, e quasi gli sembrò di vedere Naruto che si svegliava, i giorni in cui andavano a caccia, e lo fissava vacuo, chiedendogli perché diavolo era lì prima dell’alba. Scorse dal letto fino allo scrittoio, lo stesso scrittoio che Naruto aveva fatto portare con tanta cura fin dalla Francia, e che raccoglieva tutti i suoi segreti e i suoi pensieri, e lì si soffermò.
Non aveva mai letto i suoi diari, per pudore e per rispetto.
Li aveva chiusi nel primo cassetto, aveva dato due giri di chiave, e poi era scappato lontano dal suo senso di colpa.
Ora, in una fredda giornata di aprile, fermo nella sua stanza, un’antica domanda gli tornò alla memoria.
Perché Naruto era sulla strada di Retorbido, quel giorno?
Forse le malelingue avevano ragione a insinuare che visitasse la casa chiusa. Sasuke lo avrebbe anche capito, intrappolato in un matrimonio che non desiderava e costretto a vedere la donna amata tra le braccia di un altro.
Eppure no, era convinto che Naruto non fosse un tale disperato. Naruto voleva altro, la soddisfazione fisica dei piaceri non era fondamentale, né sufficiente, per lui.
Ma, se davvero esisteva una risposta a quella domanda, era morta la notte tra il quindici e il sedici giugno di quel lontano 1836.
E probabilmente, anche se Sasuke avesse potuto chiederglielo, Naruto si sarebbe limitato a tacere, come faceva sempre.
Forse nessuno era davvero degno di penetrare i segreti della sua mente.



* * *



Il giardino era cresciuto spontaneo ed incolto, conquistando sentieri e viali anno dopo anno.
Gli olmi e le querce si erano ingranditi a dismisura, assediati da edera e sterpaglie, e le loro radici nodose spuntavano dal terreno, per avvolgersi attorno a sassi e pavimentazione.
Era il regno incontrastato della natura, lasciata nella libertà più completa e riadattatasi alla vita prima dell’uomo. Solo la strada principale si era salvata, abbastanza larga da contrastare l’avanzata dell’erba, coperta di pietrisco aguzzo e chiusa al limitare da un cancello elaborato.
Quando lo aprirono, i cardini cigolarono penosamente, e l’intera struttura traballò, erosa dalla ruggine.
Il rombo dell’automobile fu assordante e terrificante per la piccola fauna che si era impossessata del parco. Scoiattoli e fringuelli si allontanarono spaventati a morte, correndo negli angoli più bui e sfidando l’egemonia dei gatti selvatici, e le ruote della Fiat lucente scricchiolarono, trasportando il peso di quintali di ferro e vetro sui ciottoli taglienti.
L’automobile si fermò nel grande cortile antistante l’ingresso, e la portiera davanti si aprì per lasciar uscire una donna avvolta in un severo completo di lana. Teneva i capelli raccolti in una crocchia rigida, grigia come i suoi abiti, e una minuscola borsetta nera tra le mani guantate. Attraverso le labbra sottili chiamò qualcuno all’interno dell’automobile, e mentre l’autista scendeva dall’altro lato, lei andò ad aprire la portiera posteriore.
A mostrarsi sul predellino lucente fu una bambina di una dozzina d’anni, avvolta in un vestitino giallo che le scendeva morbido fino alle ginocchia, forse un po’ troppo ossute. Non appena le sue scarpette di raso toccarono il pietrisco, fece una piccola smorfia e si calcò sulla testa il cappellino bianco, disposto su capelli di una bizzarra sfumatura di rosso, molto simile al rosa. Sia sul cappello che sugli abiti era ricamata una S elaborata.
«Avete freddo?» domandò la donna vestita di grigio, solerte.
«No tata, sto bene» rispose la bambina, stringendo la borsetta di pizzo al petto.
«Ottimo. Aspettate qui, devo scambiare qualche parola con vostra madre»
La donna si allontanò di buon passo, diretta verso la signora dai capelli scuri che parlava sorridendo con l’autista, e la bambina rimase sola. Si guardò attorno.
Schermandosi dal sole con la tesa del cappellino, scrutò il parco buio che si stendeva minaccioso attorno al viale principale. Sentì la madre parlare di giardinieri, oltre l’automobile, ma a dire il vero lei era molto più interessata alla gradinata giallastra che saliva verso il grande portone d’ingresso.
La villa era grande quasi quanto quella di Milano. Era rovinata, l’intonaco era scrostato e le persiane sfasciate, ma aveva un’aura di mistero che per una ragazzina di dodici anni era impossibile ignorare. Era come le case infestate di cui aveva letto tante volte nei libri, come quelle dei racconti di Poe, che tanto la spaventavano e intrigavano al contempo.
Quando sentì sua madre chiamarla, chiedendole di entrare con lei, si affrettò a seguirla senza nemmeno nascondere l’emozione.
Eppure l’interno, a dire il vero, fu deludente.
Un salone buio e mobili coperti da teli bianchi, polvere ovunque. Nessuna traccia di creature misteriose, folletti o mostri che fossero, nessuna botola, nessun passaggio segreto, nessun mistero, almeno a prima vista.
Sua madre e la bambinaia iniziarono subito a discorrere fittamente delle modifiche necessarie, delle pulizie, delle opere di falegnameria, della tinteggiatura, del restauro. La ragazzina le ascoltò per meno di due secondi, poi sbirciò sotto un telo, e scoprì soltanto un divano roso dalle tarme.
Sbuffando, si guardò attorno con evidente abbattimento.
Fu allora che vide ciò che le donò nuova speranza, e che fece fare un balzo al cuore nel suo petto: le scale che si inerpicavano nel buio fino ai piani superiori.
Si fece immediatamente circospetta. Mentre gli adulti erano distratti, la bambina percorse la sala fino a raggiungere le scale. L’autista stava ancora cercando di aprire il secondo tendone, per fare luce, e nessuno prestava attenzione a lei. Fu così che riuscì a sgattaiolare, inosservata, fino al piano superiore.
Da subito si trovò in una stanza molto più buia del previsto, tanto che impiegò quasi due minuti per abituarsi alla penombra. Procedette con le mani tese in avanti, cercando di non urtare i vecchi mobili troppo bassi, e poi incontrò la tappezzeria di una parete, con suo gran sollievo. Costeggiandola coscienziosamente, si fece avanti nella penombra fino a raggiungere una porta. Provò la maniglia, ma la scoprì chiusa.
Di nuovo sentì la delusione montare nel suo cuore avventuroso: possibile che quella casa fosse solo un ammasso di mattoni e intonaco scrostato? E la fiaba? I segreti? I misteri del luogo, dove si nascondevano?
Procedette ancora oltre, fino a incontrare un’altra porta. Questa volta, con sua grande sorpresa, si rese conto che non solo non era chiusa, ma nemmeno accostata troppo bene. Un sottilissimo raggio di luce sfuggiva dall’incontro tra legno e telaio, e andava a illuminare la polvere che danzava nell’aria, spegnendosi quasi subito.
La ragazzina sentì il cuore accelerare nel petto. Forse era arrivata a qualcosa.
Con trepidazione, dunque, sospinse la porta, e si trovò davanti a una stanza con un letto, uno scrittoio... E un bambino.
I loro sguardi si incontrarono per la frazione di un secondo. Lei era in piedi sulla soglia, lui davanti allo scrittoio, entrambi immobili e senza respiro.
«Chi sei tu?» scattò la ragazzina per prima, gettando sull’altro uno sguardo sprezzante. «Questa è la mia casa, potrei denunciarti ai carabinieri!»
Il bambino balzò giù dalla sedia e nascose qualcosa dietro la schiena, fissandola torvo.
«Non ho fatto nulla di male» borbottò, in dialetto.
«Eh?» fece la ragazzina, confusa.
Lui sembrò riflettere per qualche istante, e poi, in un italiano un po’ stentato, provò a ripetere la frase.
«Non sto fand’nient’ad mal»
La ragazzina impiegò qualche istante per tradurre quanto aveva sentito, e poi scosse la testa con forza.
«Questa è proprietà privata! Non puoi restare qui! Non puoi... Non puoi rubare i miei misteri, ecco!»
Il bambino la fissò sbattendo le palpebre, su occhi di un azzurro insolitamente intenso, in quella parte del mondo.
«Che misteri?» chiese perplesso.
La ragazzina arrossì violentemente, e si strinse alla sua borsetta. «I miei misteri. I segreti della casa, insomma. Non puoi scoprirli prima di me, è casa mia»
«Questa casa non è di nessuno» sbruffone, il bambino sollevò il mento con aria di sfida. «Mio padre e mio nonno sono sempre venuti qui a nascondersi, e non c’era mai nessuno»
«Perché viviamo a Milano» soffiò la ragazzina, stizzita. «Veniamo in campagna solo quest’estate, e solo da quest’anno, va bene? Ma tu che vuoi saperne? Con quei vestiti sarai sicuramente uno straccione»
«A dire il vero mio padre è il fabbro!» si indignò il bambino. «Ferra tutti i cavalli della zona, vengono fin da Varzi per rivolgersi a lui!»
La ragazzina fece una smorfia di disgusto. «Mio padre è il duca Uchiha» commentò tronfia. «E presto i cavalli non li vorrà più nessuno, perché tutti viaggeranno sulle Fiat, e mio padre possiede una parte della fabbrica»
Il bambino la fissò con astio. Aveva capito solo metà di quello che la ragazzina aveva detto, ma gli bastava sentire la sua vocina irritante e constatare che era più alta di lui, per farlo arrabbiare.
«Comunque sono arrivato prima mi» sibilò.
«Ma in casa mia» replicò la ragazzina.
«Chissene importa. Io ho già scoperto i segreti che c’erano da scoprire»
Negli occhi della ragazzina passò un lampo di rabbia. «Come sarebbe a dire? Non ci sono segreti! E’ una casa normale, banale e... e... stupida!»
Sembrò faticare per lasciarsi uscire l’ultima parola, abituata com’era a ingoiare sempre le imprecazioni, ma alla fine allungò verso il bambino un’occhiata profondamente soddisfatta per la propria audacia.
«Non è vero» ribatté lui, rabbioso. «Io li ho scoperti! E poi anche tu poco fa hai detto che li cercavi!»
La ragazzina arrossì. Nella stanzetta in penombra calò un silenzio denso di imbarazzo e tensione.
Il bambino si morse l’interno di una guancia, passandosi una mano tra i capelli biondi e scompigliati, e la ragazzina rimase immobile, abbracciata alla sua borsetta.
Che umiliazione. Ridotta al silenzio da un popolano, che per giunta sembrava più piccolo di lei.
Poi il bambino la guardò, improvvisamente incerto, e riaprì bocca.
«Senti... possiamo scoprirli insieme» borbottò, di malumore. «Se ci tieni tanto, possiamo scoprirli insieme i segreti»
La bambina alzò lo sguardo, indignata. Perché doveva scendere a patti nella sua stessa casa? Stava per fare una sfuriata degna della tata, con tanto di strepiti e imprecazioni, quando una vocina interiore la fermò.
Se questo bambino sa qualcosa, allontanandolo potresti perdere degli indizi. D’altronde c’è sempre un aiutante di infimo rango, nelle storie di avventura.
Sbuffò, sollevando il mento impettita, e, nonostante l’arrossamento del suo viso, annuì.
«Va bene. Te lo concedo» bofonchiò.
Il bambino le rivolse un mezzo sorriso, chiedendosi che diavolo volesse dire concedo, e all’improvviso le mostrò le mani che fino a quel momento aveva nascosto dietro la schiena.
«Guarda» sussurrò, mentre la ragazzina si avvicinava. Sui palmi sporchi era adagiato un piccolo mazzo di chiavi leggermente arrugginite.
«Dove le hai prese?» indagò lei, ormai avvolta nell’atmosfera delle imprese epiche, pronta a sussurrare con aria cospiratoria e a scordarsi di rimproverare il piccolo ladro.
«Le ho trovate nella stanza da letto, sul comodino» spiegò lui, senza nascondere la soddisfazione. «C’era una scatolina, e c’erano dentro queste. Ci ho messo una settimana a capire che aprivano quella porta» accennò con il capo la porta per cui erano entrati.
«E le altre?» mormorò la ragazzina, studiandole affascinata.
«Cercavo di capirlo. Secondo me c’entrano con lo scrittoio»
Insieme, i due bambini fissarono lo scrittoio di legno impolverato. All’improvviso aveva acquistato la consistenza di un baule del tesoro, davanti ai loro occhi.
Si scambiarono uno sguardo e si avvicinarono cauti.
«Penso che va qui» spiegò il bambino, additando il primo cassetto. «Perché gli altri sono tutti aperti. Però non riesco a farla girare»
La ragazzina gli chiese le chiavi, e le infilò nella toppa. La ruggine doveva aver intaccato la serratura, perché grattarono paurosamente, ma dopo un po’ di sforzi congiunti scattò.
Emozionati, i bambini si guardarono. E poi scoprirono che il cassetto era ancora chiuso, e che ci voleva un altro giro.
Allora, imprecando abbondantemente, si impegnarono di nuovo e riuscirono ancora una volta nell’impresa. Ma la chiave si spezzò all’interno della serratura mentre cercavano di tirarla fuori.
«Meno male che non è successo prima» commentò la ragazzina, mentre il bambino tirava il cassetto verso di sé.
All’interno trovarono un sacco di carta. La ragazzina inspirò a fondo l’odore della cellulosa ingiallita, riconoscendolo come l’odore del mistero, e con mani leggermente tremanti prese il primo pacchetto di lettere. L’indirizzo era scomparso, sbiadito dal tempo, o forse non c’era mai stato.
Il bambino che era con lei tirò fuori dalla tasca un coltellino a serramanico, e recise lo spago che le teneva insieme. La ragazzina prese allora la prima lettera, ed entrambi videro che sulla seconda il destinatario era ancora leggibile, in una calligrafia leggermente stentata ma comprensibile.

A Naruto.

Il bambino si accigliò.
«Io mi chiamo Naruto» sussurrò perplesso, e la ragazzina lo fissò stupita.
«Che nome strano» commentò. «E che coincidenza...»
Il bambino sbatté le palpebre, completamente smarrito di fronte all’incomprensibile termine coincidenza. Non sapendo come comportarsi, decise bene di scrollare le spalle e riportare l’attenzione sulla lettera.
«Aprila»
Senza crucciarsi troppo per la privacy e altre inezie simili, la ragazzina aprì la busta e sfilò il foglio che vi era chiuso dentro. Fece un po’ di fatica a decifrare le righe, tremanti e in uno stile troppo lontano nel tempo, ma alla fine ci riuscì, e lo lesse a voce alta, a beneficio del suo accompagnatore.

Mio amato Naruto,
spero che il profumo che mi avete donato si senta su questa carta dozzinale.
So che il denaro che mi concede non andrebbe sprecato in questa maniera, ma non posso fare a meno di lasciarvi ogni volta un messaggio.
Mi impegno molto per compilare queste poche righe, saval

«Saval?» ripeté la ragazzina, interrompendosi.
«E’ come sapere» spiegò il bambino, con una certa difficoltà. «Come se ti dico: guarda che ti faccio un favore, eh. Guarda che ti faccio un favore, saval»

Mi impegno molto per compilare queste poche righe, saval, ma ci tengo con tutto il mio cuore, perché quando se ne va io mi sento morire. Vi sono grata per la casetta che mi avete dato, e anche per avermi ins imparato a scrivere e un poco a leggere, ma quello che voglio davvero è lei, non i suoi insegnamenti.
So che è sposato, e la sua donna è la duchessa più a modo della pianura, mi creda. E so che me lo ha detto tante e tante volte, ma io non vivo se non vi ripeto quanto vi amo. Mi dispiace. Ai suoi occhi sarò ridicola, una cuntadinei prosuntuosa, ma sono sincera, mi creda, con tutto il cuore sincera.
Ogni volta che lei se ne va, io muoio. Il mio cuore fa male, davvero, e pesa nel petto.
Ora, poi, ci sono anche altre preoccuapazioni, ma non voglio annoiarla. Gliele dico quando ci vediamo, magari si sistema tutto.
A, voglio che è sia già venerdì, lo sapete?
Mi mancate, Naruto.
Vi amo con tutto il mio cuore.

10 giunio 1836”

«E finisce?» il bambino fece una smorfia di disappunto, contrariato.
«Oh, è così romantico!» sospirò la ragazzina, stringendosi la lettera al petto. «Non capici?Naruto e questa donna si amavano! Ma lui era sposato con un’altra, no? E quindi non potevano amarsi davvero»
Il bambino la fissò stranito. «Voi femmine siete proprio luc» mormorò scuotendo la testa.
«Ma come si chiamava questa donna?» sospirò la ragazzina, con gli occhi brillanti. «Quanto mi piacerebbe saperlo! E poi guarda la data: è di cento anni e sei giorni fa! Non è una grande coincidenza?»
«Oh, se lo dici tu...» borbottò il bambino, chiedendosi se sarebbe stato in grado di ripetere coincidenza.
«Aspetta, la lettera prima deve essere l’ultima. Quella senza indirizzo» Entusiasmata, la bambina afferrò la prima busta e la aprì febbrile.
All’interno, un foglio ingiallito con pochissime parole.

Devo vedervi urgentemente.
Vi prego.”

«E questo cos’è?» il bambino sbuffò, annoiato. «Non ci dice niente»
«Chissà cosa sarà successo...» mormorò invece la ragazzina, sognante. «Forse i loro genitori li hanno scoperti? Oh, sogno un amore proibito da sempre!»
«Sì, proprio strane» borbottò il bambino, considerando nuovamente le femmine, e frugò ancora nel cassetto. Le sue mani si posarono su una copertina di pelle morbida e impolverata, e con una certa fatica recuperò un quaderno chiuso da un laccio consumato. «Guarda cos’ho trovato» disse entusiasta, cercando di distrarre la ragazzina, rapita dalla corrispondenza.
«Lì forse risponde!» squittì lei, entusiasta, e quasi glielo strappò di mano.
Con impazienza sfogliò le prime pagine, e, ora che la scrittura era più comprensibile, lesse spedita.

25 Ottobre 1835

Ho una stanza, in casa di Sasuke e Sakura.
E’ incredibile pensare di essere qui, sereno, quando in realtà dovrei soffrire come un cane. Qualche celebre scrittore ha detto che il tempo guarisce ogni ferita, e forse ha ragione.
Spero che sarà così anche per Hinata.
Povera Hinata. Non posso dire di amarla, ma per lei provo solo un grande affetto, e molta compassione. Coinvolta nei piani del padre, avrebbe dovuto sposare anche Orochimaru, se glielo avessero ordinato.
Vorrei essere un marito migliore, per lei.
Vorrei non farla soffrire, e amarla come un uomo. Invece la amo come un fratello.
Ieri sono stato ancora a Retorbido, da lei. Non ricordavo quanto le somigliasse, come i suoi occhi fossero verdi... non lo ricordo mai. E’ sempre una sorpresa.
Temo che lei si stia innamorando di me, ma io non potrò mai renderla felice.
Sono il marito di Hinata, sarò per sempre il marito di Hinata, e nulla potrà mai accadere perché io cambi idea.
L’ho fatto per Sasuke e Sakura.
Continuerò a farlo per loro, e per Hinata stessa.”

«Risale a un anno prima della lettera...» mormorò la ragazzina, scorrendo le pagine più avanti. «Significa che per tutto quel tempo lui e lei si sono visti di nascosto. Giusto?» cercò l’approvazione del bambino, ma lui all’improvviso sembrava pensieroso, quasi a disagio.
«Che c’è?» chiese lei, accigliandosi.
«Mm... niente, vai avanti»
La ragazzina riprese a sfogliare il quaderno senza seguire alcun ordine. In alcuni punti lo scrittore esultava per una partita di caccia, o per un motto di spirito, in altri era sintetico e triste, altrove si dilungava in lunghe e appassionate disquisizioni sulla natura del dolore.
Tutte cose troppo noiose per due ragazzini come loro.
Così corsero fino alle ultime pagine, e allo scritto finale.

15 giugno 1836

Lei mi ha scritto.
Dice di volermi vedere con urgenza, e ho il fondato sospetto di sapere quale sia la cagion del suo malessere.
Non avrei mai voluto che accadesse.
Ora come dovrei comportarmi? Cosa dovrei fare come marito, come amante, come uomo? Qual è il mio compito in una situazione simile?
La donna con cui tradisco mia moglie aspetta un figlio da me. Un bastardo, che crescerà male in qualunque ambiente. Non avrà un padre, non potrà mai averlo, e se vorrò stare al suo fianco potrò farlo solo economicamente, e solo di nascosto.
Maledizione!
Proprio ora che anche Sakura sembra nello stesso stato...
Lei crede di nasconderlo a tutti, Sasuke forse non se ne è davvero accorto. Ma io non posso fare a meno di notare quanto le sue condizioni di salute siano simili a quelle di lei.
Doppia coltellata.
Certe volte mi chiedo perché Dio ami accanirsi così duramente su di me. Prima mi ha sottratto i genitori, poi mi ha sottratto la donna che amo, ora mi tortura, costringendomi a vedere la felicità di tutti, tranne la mia.
Cosa devo fare?
Dove ho sbagliato?
Me lo chiedo sempre più spesso, ultimamente...
Ma poi ricordo che la mia vita è stata piena anche di tante cose belle. Ho conosciuto Jiraya, Sasuke, anche Sakura, Hinata, e lei. Persone che a modo loro mi amano, pur facendomi soffrire, persone che, ne sono certo, non mi lasceranno mai solo.
Amo la mia natura ottimista, in questi momenti. E ringrazio Dio per avermela donata.
Ora devo andare. Lei mi aspetta, e credo che finirò per fare tutto quello che posso, in suo onore e per nostro figlio.
Ma non mi ritengo affatto uno sciocco.”

E lì il diario si concludeva, con una calligrafia nervosa eppure ancora elegante, di un uomo turbato ma profondamente coerente.
«Come sarebbe a dire?» sbottò la ragazzina, indignata. «Non posso sapere nient’altro? Ho per le mani la storia più tormentata dell’ultimo secolo, e si interrompe così? Insomma, lui la ama o no? E il bambino? Che ne è stato? E la moglie?»
Il bambino accanto a lei si mosse nervoso.
«Di’ qualcosa anche tu!» lo esortò la ragazzina, infuriata. «Cerca nel cassetto, magari c’è altro! Oh, se avessimo le sue lettere...»
«Io forse so dove sono» mormorò il bambino, accucciato sui talloni.
«Cosa? Le hai trovate?»
«No... Mi sa che sono a casa mia»
La ragazzina lo fissò per un lungo istante.
«Mi stai prendendo in giro» disse poi, secca.
«No. Sono tra le cose di mia nonna»
«Non è possibile! Sono le lettere di un nobiluomo! Perché dovrebbero essere nella casa di un fabbro?»
Il bambino scrollò le spalle, grattandosi un braccio.
«E’ che... boh, non lo so, magari mi sbaglio. Però, ecco, io non mi chiamo Naruto per caso. Il mio nome è il nome di tutti i primi figli maschi della famiglia. E’ una tradizione, ecco»
La ragazzina lo fissò stranita. «E quindi?» chiese, irritata. Detestava saperne meno del contadino.
«E quindi, mia nonna racconta una storia» bofonchiò il bambino, a disagio. «Dice che sua madre era figlia di un gentile. Cioè, che mia nonna era sposata con un gentile. Credo. Boh, non lo so bene, ma lei si vanta sempre di avere radici alte. Dice che sua nonna ha avuto una grande storia d’amore con un nobile che era sposato... Ah, quindi forse non si erano sposati. Va beh, comunque dice che aveva questo grande amore, e che poi è morto. E allora quando è nato suo figlio lo ha chiamato come lui. E poi il figlio di suo figlio lo ha chiamato come lui. Ma il figlio è morto giovane, e allora sua sorella, cioè mia nonna, ha avuto un figlio e lo ha chiamato Naruto. Che è mio papà. E poi sono nato io. E ci chiamiamo tutti Naruto. E diceva...» si interruppe, per raccogliere le idee. «Nonna diceva che suo nonno era un amico del duca che poi è andato a Milano. Quindi, non lo so, io poi pensavo che magari quel Naruto è quello che scrive qui... e le lettere sono della nonna di mia nonna»
La ragazzina sbatté le palpebre per un attimo, cercando di mettere in ordine le informazioni ricevute.
«Aspetta... Quindi tu potresti essere il discendente di questo Naruto?» chiese poi, sbalordita.
Il ragazzino scrollò le spalle per l’ennesima volta. «Boh. Non lo so, che ne capisco io? Dico solo che magari può essere... ma non lo so, non è che mi importa poi molto»
«E invece dovrebbe!» esclamò la ragazzina, entusiasta. «Hai sangue nobile delle vene! Magari un’eredità! Potresti avere tu dei cavalli da far ferrare!»
«Davvero?» il ragazzino la fissò, dubbioso. «Ma è passato tanto tempo... magari ci sono altri discendenti... e poi può essere che mi sbaglio»
«Oh. Hai ragione...» mormorò la ragazzina, demoralizzandosi. «Però sarebbe bello!» riprese dopo un attimo, con un sorriso. «Magari sei l’ultimo discendente, magari sei una specie di miracolo!»
Lo fissò, e lui fissò lei, rosso in faccia.
«Beh, non lo so... Sarebbe bello magari, sì... Ma anche se non lo è mi va bene lo stesso!» balbettò, imbarazzato. «Io non sono poi... cioè, non sono abituato ad essere speciale»
La ragazzina tacque, rendendosi conto di essersi lasciate prendere dall’entusiasmo.
«Scusa» mormorò, arrossendo a sua volta.
Immersi in un silenzio imbarazzato entrambi si fissarono le scarpe, finché non sentirono una voce allarmata dal piano di sotto.
«Signorina! Signorina Sofia!»
La ragazzina trasalì, e infilò precipitosamente il diario nel suo cassetto.
«Devo andare!» esclamò agitata. «Oh, quanto mi sgrideranno...»
«Ma torni?» la interruppe il bambino, fissandola intensamente.
Lei si sentì scaldare sotto quegli occhi azzurri, così strani e così belli. E poi fece un cenno che poteva essere sia sì che no.
«Per dove scappi?» si affrettò a chiedere preoccupata, guardandosi intorno.
Il bambino sorrise, furbo. «Questo è il mio segreto. Non sei degna di saperlo»




Quattro anni dopo l’Italia entrò in guerra al fianco della Germania.
Gli Uchiha, blandissimi sostenitori del regime, furono caldamente invitati a lasciare Milano e ritirarsi in provincia.
Laggiù, una ragazza ormai sedicenne, dai capelli di una sfumatura di rosso così insolita da sembrare rosa, si trovò a passare molto tempo e molte estati con un contadino dai capelli biondi come il grano, di qualche anno più giovane.
Un giorno, lui le svelò il passaggio segreto per il quale si era intrufolato nella villa di lei tutti gli anni, giorno dopo giorno. Sorridendo, le disse che finalmente ne era degna.
E poi le chiese di sposarlo, nonostante tutto e tutti, non appena avesse raggiunto la maggiore età.

La loro storia, come quella dei loro antenati, fu raccolta tra diari e lettere segrete.
Ma non ebbero bisogno di lasciare delle carte ai loro figli.
Insieme, finché il tempo glielo concesse, raccontarono parola dopo parola tutto quello che c’era da sapere.










Fine










E per chiudere in bellezza, un capitolo malinconico di vago retrogusto NaruSaku. Ma non fraintendete: questi due non sono Naruto e Sakura, né ci assomigliano! Questi sono un altro Naruto, e una certa Sofia, tutto qui.
Alla fine, questa fanfiction si è fatta quasi originale.
Cooomunque, spero vivamente che il dialetto non sia stato un gran problema per voi. Ho cercato di riprodurre il linguaggio semplice di un bambino che non è stato a scuola, e di renderlo comprensibile anche per chi non è delle mie parti (o, più genericamente, non è del nord). La misteriosa donna della casa chiusa (le case chiuse erano praticamente bordelli, ma immagino lo sappiate) è volutamente rimasta nell'anonimato, perché nella mia testa, ve l'ho detto, questa storia si è fatta originale, e non volevo inserire altri personaggi di Naruto.
Per tutto il resto... uhm, nella mia testa so esattamente com'è la storia di Naruto e Sofia, dettaglio per dettaglio. Ma, salvo eccezionali avvenimenti come terremoti, carestie o amnistie universitarie (trenta politico a tutti!), non credo ragionevole pensare che riuscirò mai a scriverla (e anche se dovessi, sarebbe un'originale).
In ogni caso, sappiate che questi due mi stanno molto a cuore, davvero.
Ora, finalmente, le risposte alle vostre recensioni...
Ma prima, un attimo di pazienza.
Avendo concluso questa longfic, e dal momento che Mala_Mela ha finalmente deciso di mettere la parola FINE (ma anche INIZIO) allo spinoff che mi doveva, credo che la prossima tappa sarà Hope, famigerato sequel di Redenzione! Avrei anche voluto metter mano alla longfic AU che ho sul pc, ma, davvero, quella non so se seriamente proseguirà...
In ogni caso, Hope arriverà. Che lo vogliate o no.

sammy1987: io l'ho detto che preferivo Sasuke nel finale, piuttosto che Naruto. Mi sembra decisamente più triste lui! Comunque ecco, fiction finita, regalo concluso, e ancora buon compleanno! (ormai è come dire "buongiorno")
Talpina pensierosa: un commento misteriosamente lungo e lusinghiero! Grazie Maria, uccidere Naruto è un hobby per me, ma a quanto dite mi riesce bene! E' bello quando le cose che amiamo sono anche quelle che facciamo meglio! <3
bambi88: non abbandonare il nero sentiero! Lascia perdere Kakashi che si allontana verso il tramonto, e concentrati su papà! A proposito di genitori e figli... visto? Sono riuscita a incasinare ancora di più!

Beh.
C'è da dire che rispondere a tre recensioni è quanto mai semplice! XD

Aya

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