Every breaking wave.

di Sassanders
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


                                                                        EVERY BREAKING WAVE.

                                                                                          Capitolo 1

La voce squillante di Jessica che mi chiama, mi ridesta dal flusso di pensieri che attraversa la mia mente in questo momento.
-Sophie!- ripete il mio capo, Jessica.
Mi dirigo con fare annoiato nel suo ufficio, aprendo la porta.
-Ti va un caffè?-
-Certo.- rispondo, allettata dall’idea di un bel caffè caldo.
-Bene, te lo pago io, ma lo vai a prendere tu al bar perché io non posso muovermi dalla scrivania visto che sto aspettando una chiamata importante.- propone lei. Giustamente, essendo la sua segreteria personale, devo prenderle io il caffè, perché lei è troppo pigra per alzare il suo bel sedere dalla sedia girevole. Ma questo, Sophie, non lo dice, perché altrimenti rischia una fantastica lettera di licenziamento.
-Va bene.- accetto, sorridendo.
Mi porge il denaro e io esco dall’ufficio per andare in bagno a sistemarmi velocemente. Fisso il mio riflesso nello specchio: i capelli rosso fuoco che mi arrivano a metà schiena sono abbastanza in ordine, la frangetta che oltrepassa le sopracciglia sottili è scompigliata come al solito, il trucco che contorna i miei semplici ma stanchi occhi verdi è stranamente apposto, il rossetto color ciliegia che marca le mie labbra carnose, anche. Ultimamente sono troppo stressata per pensare all’aspetto fisico, ma una considerazione ogni tanto me la concedo, nonostante abbia pochissimo tempo per me. Mi sistemo la camicia bianca e l’anellino al naso, fatto quando avevo circa diciannove anni, quindi più o meno sei anni fa. Prendo il giubbino nero di pelle ed esco dalla sede di Kerrang!, la testata musicale per cui lavoro come giornalista e vice direttrice. Mi sono impegnata davvero per ottenere quel posto, ottenuto da un anno e mezzo e senza raccomandazioni o cose del genere. Dopo essermi laureata in giornalismo ed essendo una grande appassionata di rock e metal, ho fatto il colloquio con Jessica e mi assunsero solo dopo una selezione rigida. Jessica è una trent’enne tanto bella quanto egocentrica. La solita bellezza della California: bel viso, un paio di gambe perfette, un bel seno e un bel sedere.
Appena varcata la soglia del bar noto la fila immensa. Mi metto in coda e aspetto pazientemente il mio turno, nonostante sia una che odia attendere senza far niente: sono leggermente iperattiva. Non so che fare per passare il tempo e, di conseguenza, comincio a mordicchiarmi le unghie. Poi passo le mani tra i capelli e successivamente prendo il cellulare, per controllare la posta elettronica. Quando tocca a me, saluto Mike e ordino due caffè, uno lungo, per Jessica, e uno normale con un po’ di cioccolata, per me. Bevo il caffè con il cioccolato da quando ho all’incirca quindici anni e me lo preparava sempre papà, tutti i pomeriggi. Dopo aver preso le due bevande bollenti mi avvicino all’uscita, attenta a non combinare pasticci. I due bicchieri di plastica traballano un po’, a causa del calore che emanano, e devo stare attenta anche a non sporcarmi e a non scottarmi. Mentre sto per tirare la maniglia, la porta si apre e un uomo di cui non riesco a vedere il viso mi urta, facendomi strillare e versare il liquido sulla camicia bianca, ritirata ieri dalla tintoria.
Urlo come impazzita, imprecando e alzando lo sguardo. Davanti a me ho un ragazzo di venticinque anni circa, con i capelli corvini sparati in aria, due occhi castani, delle labbra sottili e un piercing alla narice sinistra.
-Sei un fottuto idiota!- esclamo, infuriata.
-Sei stata tu a finirmi addosso! Guarda dove cammini!- mi risponde, alzando un sopracciglio. Devo trattenermi dal prenderlo a pugni.
-Sei tu che non guardi dove vai!-
-Senti, dolcezza, scusa per la camicia, ma non ho tempo da perdere.- replica, sorridendo beffardo.
A quelle parole perdo letteralmente le staffe. Mi ha urtato, mi ha fatto macchiare la camicia pulita da poco, e fa anche lo strafottente?
 -Sai che ti dico, tesoro?- dico, sottolineando il nomignolo. -Vaffanculo!- esclamo, con un sorrisetto e mollandogli un pugno abbastanza forte sul naso. Vedo il ragazzo urlare di dolore e portarsi le mani sul viso, coprendosi il setto nasale, probabilmente rotto.
Mi accorgo solo ora che il bar si è zittito completamente, se non per qualche risatina di sottofondo.
-Stronza!- grugnisce l’idiota, gemendo a causa del forte dolore.
Gli sorrido sarcasticamente e mi volto, andando verso  il bancone, dove Sarah, una cameriera nonché mia vecchia compagna di liceo, mi guarda sbalordita e con gli occhi sgranati.
-Sarah, hai per caso una maglietta pulita da prestarmi?- le domando.
Il bar, intanto, è ancora in assoluto silenzio e si sentono solo alcuni mormorii.
Mi volto verso i tavolini, catturando l’attenzione dei presenti.
-Possibile che non abbiate mai visto una donna picchiare un uomo? Lo spettacolo è terminato.- esclamo.
Nel frattempo, Mike ha dato del ghiaccio al ragazzo di prima che mi fissa con odio.
Mi avvicino all’uomo e gli poso una mano sulla spalla, come per confortarlo.
-Non l’ho fatto apposta. Ti chiedo scusa, dolcezza.- gli sussurro. Lui impreca sotto voce, tenendo il ghiaccio premuto sul naso e io scoppio a ridere. Sarah mi porge una canotta nera e blu e la ringrazio. Vado nel bagno e mi guardo allo specchio, soddisfatta. Mi infilo la canotta e avvolgo la camicia in una busta di plastica, uscendo dalla toilette. Il ragazzo mi fissa ancora con rabbia, mentre fuma una Marlboro. Mentre rimuove il ghiaccio dal volto arrossato, mi soffermo sulle sue mani: dita affusolate, unghia mangiucchiate come le mie e… un momento. Questo idiota si è fatto tatuare sulle dita la scritta ‘Marlboro’? Ma che razza di tatuaggio è? E’ vero che si tratta pur sempre di gusti, ma tatuarsi una marca di sigarette, a parere mio, è da stupidi.
Mentre mi avvicino al bancone, gli rivolgo un altro sorrisetto soddisfatto, che sembra innervosirlo ancora di più.
Ritiro i due caffè preparati nuovamente e mi dirigo verso l’uscita del bar. Attraverso la strada con il semaforo rosso, attenta a non farmi spiaccicare, a causa della fretta perenne che mi assilla, e ritorno in redazione. Quando entro nell’ufficio sento Jessica, che evidentemente parla al telefono, pronunciare  un ‘Grazie mille per la disponibilità, signor Jacobson.  A presto.’ e il rumore di una cornetta che si posa su un telefono. Entro nella stanza del mio capo e le porgo il caffè. Lei mi squadra stranita, in cerca di spiegazioni per il mio cambio di abbigliamento.
-Sì, un tipo mi è finito addosso nel bar e mi si è versato il caffè sulla camicia, quindi mi sono cambiata.-
Lei annuisce distrattamente e io torno alla mia postazione, canticchiando. Non mi era mai capitato di dare un pugno ad un uomo, ma questa volta se l’è cercata. Non sono mai stata una tipa violenta ed aggressiva, infatti la calma mi caratterizza, ma quando perdo la pazienza, quelle poche volte che succede, mi trasformo completamente, e la Sophie che tutti conoscono, muta in quella che conoscono in pochi: solitamente quelli che mi hanno fatto perdere le staffe.
E’ accaduto una volta, quando ero ancora una studentessa di sedici anni, che picchiassi una mia compagna per avermi ripetutamente insultata. Rido ancora al pensiero di quell’evento, e a tutte le facce stupite dei miei compagni che i avevano sempre considerato una ragazza tranquilla, calma e pacata. Erano terrorizzati. Ma questa è la prima volta che do’ un pugno ad uomo, anche più alto di me. Diciamo che non è difficile essere più alto di me, visto il mio metro e sessantacinque di statura.
Però sono fermamente convinta che quel pugno se lo sia cercato lui. Io sono una ragazza con una mentalità molto aperta e che difficilmente ha dei pregiudizi, ma prima mi è bastato uno sguardo per capire che tipo di persona avessi di fronte.  Non so nemmeno il nome di quel ragazzo, ma già dal modo in cui parlava, si capiva che è uno di quelli pieni di sé, egocentrici e convinti di essere i migliori. Ma solo dal modo di parlare, non dai tatuaggi che ricoprivano le sue braccia muscolose o da chissà cos’altro. Anche perché io, personalmente, amo i tatuaggi e ne ho anche qualcuno qua e là sparso per il corpo. Si vedeva proprio che è uno stronzo nato, per quanto possa essere bello.
L’anello che porto al dito mi ricorda che ho accettato la proposta di matrimonio di Logan e che devo controllarmi. Ammetto che era davvero un ragazzo affascinante. I capelli e gli occhi scuri, gli zigomi pronunciati e le labbra sottili sono tanto caratteristici quanto attraenti. Ma quel ragazzo non è minimamente paragonabile al mio futuro marito. Già, Logan. Un uomo di trent’anni, cinque in più di me, alto, bruno e terribilmente impegnato a causa degli affari. Lavora come direttore di una casa farmaceutica e, per questo, è quasi sempre in giro per il mondo. Stiamo insieme da sei anni e abbiamo deciso di fare questo passo importantissimo più o meno due mesi fa. I nostri genitori si conoscono ormai da tempo e ho dei quasi suoceri che mi amano come se fossi una loro figlia. Adrienne, mia suocera, è per me, una figura fondamentale: una figura oserei dire materna, visto la perdita che mi ha colpito all’età di soli dodici anni. Sono sempre cresciuta con mio padre con cui ho un rapporto bellissimo, che non mi ha mai fatto mancare niente in questi anni senza mia mamma, e da cui ho ereditato la passione per la musica, in particolare per il metal e il rock, che amo fin da quando ero nel pieno della mia fase adolescenziale e che mi hanno portato a fare domanda per lavorare in questa testata giornalistica.
Mi ritengo, da un po’ di tempo a questa parte, e finalmente dopo anni di sofferenze, una donna felice e realizzata. Stressata, ma felice. O almeno, credo.


 
 
 
 

NOTE DELL’AUTRICE STUPIDA:

Salve a tutti, deathbats!
Premetto che è la mia prima fan fiction sugli Avenged che pubblico, e che probabilmente ne uscirà una
vera schifezza, ma l’idea che ho avuto un bel po’ di tempo fa, mi ha spinto a scrivere questa storia e provare a farvela leggere. Sono molto insicura, e solitamente tutte le cose che scrivo non mi piacciono per niente.

Quindi, yeeee.
No, okay, basta.
Passando alla trama, non so nemmeno io come mi sia venuta l’ispirazione, ma ho colto l’occasione e ho approfittato (Seize the day, mi dicevano).
Scusate in anticipo per la lunghezza improponibile del capitolo, ma prometto che i prossimi saranno più sostanziosi.
Abbiamo questa ragazza di nome Sophie, con un passato non semplicissimo alle spalle, che approfondiremo più avanti, sempre se lo vorrete. E’ una storia né tragica, né troppo comica, penso… il giusto. Sarà abbastanza leggera, ma ci saranno comunque degli avvenimenti non troppo felici, ecco.
Sinceramente non so che altro dirvi, lol. Quindi, mi piacerebbe davvero tanto sapere cosa ne pensate, anche per vedere se dovrò eliminare la storia, o continuarla se sarà di vostro gradimento. Leggere le recensioni mi fa davvero molto piacere, soprattutto quelle negative, che mi aiutano a migliorare.
Alla prossima.
Un bacio.
Sassanders.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


  EVERY BREAKING WAVE.

                                     Capitolo 2.
Una settimana dopo.

Il rumore della sveglia delle 6.30, mi fa trasalire e sbuffare. Cerco a tastoni l’aggeggio e lo spengo, affondando poi nuovamente la testa nel cuscino. Ogni giorno che passa, mi sento sempre più stanca e stressata. Sono due mesi che non dormo decentemente per otto ora di fila, per colpa del lavoro che mi costringe a rimanere sveglia anche fino alle tre. Dopo dieci minuti buoni, mi alzo e fisso il calendario. Oggi è 20 ottobre, precisamente venerdì. Di solito, in sede, il venerdì, è il giorno più pesante delle settimana, e automaticamente, la mia voglia di lavorare diminuisce del cento percento. Mi dirigo in bagno, faccio una doccia veloce e dopo aver indossato una T-shirt e un jeans molto semplici, scendo in cucina. Addento frettolosamente una merendina al cioccolato, preparando il caffè. Consumo la mia piccola colazione ed esco di casa, andando in macchina. Sono le 8.00 precise e a quest’ora c’è un traffico davvero ingestibile: la causa del mio solito ritardo. Arrivo in ufficio alle 9.15, e, stranamente, Jessica non è ancora arrivata. Finalmente sono libera di prendermela un po’ con calma e di sistemarmi decentemente. Lego i capelli in uno chignon molto disordinato e mi lascio sprofondare nella sedia rossa girevole, sbuffando. Mi passo le mani sul viso e comincio a riordinare il tutto per il numero di questo mese. Mi soffermo un momento a leggere le varie interviste e tra un caffè e l’altro, l’orologio al mio polso, segna le 10.07.
Dopo qualche minuto entra Jessica in ufficio, salutandomi come al solito, ma lasciando una specie di promemoria sulla scrivania. Sono troppo presa dal lavoro per guardare il foglietto, anche se mi riprometto di dargli un’occhiata più tardi. Dopo una mezz’oretta circa il mio capo esce dall’ufficio, dicendomi di dover sbrigare delle faccende con non so chi. Annuisco e quando lascia l’ufficio prendo le cuffiette e le infilo nelle orecchie, lasciandomi trasportare dalle note di ‘One’ dei Metallica. Mi arriva un messaggio sul cellulare e noto che è di Logan.
  -Ciao, amore, come va?-                                                                                                                                                                                             -Bene dai. Solito stress per colpa del lavoro, tu?-
  -Stessa identica cosa. Mi manchi.-
  -Anche tu, quando pensi di tornare?-
  -Credo tra un paio di giorni.-
  -Finalmente! Ora scusa ma devo andare, ci sentiamo più tardi. Ti amo.-
  -Ti amo anch’io e a più tardi.-
La conversazione si conclude così, non è il massimo, ma non fa niente. Ognuno ha la propria carriera da portare avanti e non credo nemmeno di volere tutte queste attenzioni. Anche perché sono sei anni che ci ho fatto l’abitudine, oramai. Ci vediamo al massimo una volta a settimana, e mi sta bene così. Passo praticamente tutto il tempo da sola, e ho perso in un certo senso il contatto con il mondo esterno, nel senso di amici. L’unica amica che non mi ha mai abbandonato, nonostante il poco tempo che posso concedermi, è Julie. Ci conosciamo da quando avevamo quattordici anni, e anche se siamo molto diverse, sia fisicamente che caratterialmente, siamo sempre andate d’accordo. Mi sostiene, come ha fatto continuamente, in quei momenti difficili, così come io ho fatto, e credo di fare ancora oggi, con lei. Siamo diverse, fin troppo: io sono abbastanza semplice e, anche se abbiamo una passione in comune, che è quella per il metal, non mi vesto esattamente come, appunto, dei metallari, a differenza sua. Julie è una ragazza alta più o meno quanto me, ha dei capelli castani e le punte verdi e una rasatura a lato abbastanza ampia, nonostante i suoi venticinque anni suonati. Io, al contrario, non mi sono mai vestita come i metallari, ho preferito, e preferisco tuttora, degli abbigliamenti sobri, così come quando ero un’adolescente con una fissazione per la musica, quella che amo fin da piccola, grazie a mio padre. Mio padre, già. E’ stato costretto a crescermi da solo, fin da quando avevo dodici anni. Nonostante i diverbi comuni tra padre-figlia, abbiamo sempre avuto un ottimo rapporto ed è grazie a lui, e al suo pianoforte, che ora lavoro qui. Il pianoforte mi ha sempre affascinato ed ho imparato a suonarlo quando ero ancora uno scricciolo, come mi chiamava papà. E’ fin troppo tempo che non metto le dita su un pianoforte, colpa del lavoro che mi ruba gran parte del tempo che ho a disposizione. Mentre le canzoni mi aiutano a riflettere e lasciano un po’ di spazio ai ricordi, sento un colpo di tosse provenire da oltre la scrivania. Ho le cuffiette ad un volume abbastanza alto, quindi probabilmente non ho sentito il rumore della porta.
Alzo lo sguardo, e mi ritrovo davanti l’ultima persona che mi sarei aspettata e che avrei voluto vedere, al mondo. Il tipo che mi ha versato addosso il caffè, e a cui io ho dato un pugno. I nostri sguardi si incrociano, e quando lui mi riconosce, sbarra gli occhi, ed io aggrotto le sopracciglia.
-Ancora tu? Dio, ma sei la mia persecuzione!-
-Ah, io sarei la tua persecuzione? E sentiamo un po’ in che modo? Io qui ci lavoro. Si può sapere cosa vuoi?- domando, scontrosa.
Scoppia a ridere di gusto. Intanto, non avevo notato assieme a lui altri quattro ragazzi, più o meno della sua stessa età. Tutti ricoperti di tatuaggi e con piercing qua e là sul viso.
-Ma che diamine hai da ridere?-
-Oh, andiamo, ma lavori per una rivista musicale o come parrucchiera? Probabilmente una parrucchiera ne sa più di te, in fatto di artisti musicali.-
Respiro con profondità, socchiudendo gli occhi e imponendomi di rimanere calma. Un particolare che non ho fatto in tempo a notare, troppo presa dallo sconcerto e dalla rabbia, è un piccolo cerotto sul naso all’insù. Sorrido lievemente, alzando un angolo della bocca. A quel punto, il tipo solleva un sopracciglio e interviene uno dei suoi amici, con i capelli corti e un labret a destra, gli occhi verdi e un paio di Ray-Ban sulla testa.
-Innanzitutto, buongiorno. Io sono M. Shadows, il frontman degli Avenged Sevenfold e avremmo un appuntamento con Jessica Tuck.-
A quelle parole rimango sbalordita. Gli Avenged Sevenfold? Li ho sentiti solo qualche volta in radio, ma non avevo mai avuto l’occasione di guardare i loro visi, nemmeno in foto.
-Oh merda…- impreco, sottovoce.
-Scusatemi un momento.- dico, ed entro nell’ufficio di Jessica che, ovviamente, non c’è. Sulla sua scrivania noto una agendina e al giorno di oggi, vedo la scritta ‘Avenged Sevenfold’ seguito da un ‘ore undici’ e al di sopra di ‘Sophie Turner’.
Io devo gestire una nuova intervista per il prossimo mese, e non me lo dice? Ritorno da quei cinque, e do’ un’occhiata alla scrivania, dove noto il promemoria lasciatomi dal mio capo che prima non ho avuto modo di leggere.
‘Avenged Sevenfold alle ore undici, intervista prossimo mese. Gestisci tu il tutto, io ho un appuntamento a quell’ora.’
Sbuffo e mi passo le mani sul viso, quasi dimenticandomi della loro presenza.
-Sì, allora. Io sono Sophie Turner, e sono la vice direttrice di Kerrang. Gestirò la vostra intervista per il prossimo mese. Mi scuso per l’inconveniente, ma il mio capo, quella stronza che doveva occuparsi di voi, mi ha detto che ha un appuntamento e che devo sbrigarmela io. Fantastico, davvero.- esclamo, lentamente e con un tono di voce professionale. Mi rendo conto di quello che ho appena detto, solo quando noto gli Avenged Sevenfold soffocare qualche risatina.
Riorganizzo un attimo le procedure mentalmente.
-Se volete seguirmi.- dico, squadrandoli e andando poi verso l’ufficio di Jessica. Mi siedo al suo posto e apro la cartella sul suo pc, mentre loro si accomodano di fronte a me. Sul desktop trovo proprio una cartella dedicata alla band qui di fronte a me e aprendola, vedo una specie di biografia. Osservo i loro volti in foto, leggendo i nomi sotto. Il tipo del bar si chiama Synyster Gates, il cantante della band è M. Shadows, il più bassino Johnny Christ, quello alto con gli occhi azzurri The Rev o Jimmy, e il ragazzo con il septum e gli occhi cerulei, Zacky Vee.
Memorizzo i nomi  e mi volto verso di loro.
-Premetto che io non sapevo niente riguardo questa intervista. Non avevo semplicemente avuto l’occasione di guardare le vostre foto per riconoscervi e vi ho sentiti un paio di volte in radio, al contrario della mia parrucchiera.- mi fermo un secondo, guardando Gates e sentendo le risatine degli altri. –Solitamente non do’ pareri personali sulla band o cose del genere, ma da quello che mi ricordo siete abbastanza bravi.-
-Grazie mille.- mi risponde il più alto, Jimmy, sorridendo. Ad esempio lui, al contrario di Synyster, mi ispira calma e tranquillità, solo fissando i suoi occhi azzurri.
-Ma voi due come mai vi conoscevate già da prima?- mi domanda sempre Jimmy, indicandoci.
Vedo Gates aprire la bocca per parlare, ma lo precedo.
-Non ci conosciamo. Semplicemente una settimana fa, nel bar qui di fronte, mi è venuto addosso, facendomi macchiare la camicia e scherzando come se niente fosse, e io gli ho mollato un pugno sul naso. Tutto qui.-
Vedo Gates serrare la mascella e i pugni e gli altri quattro ridere.
-Davvero?- mi domanda il bassino, Johnny.
Annuisco distrattamente e ritorno a fissare lo schermo del pc.
-Allora, l’intervista è stata programmata per il 25 ottobre, mercoledì prossimo Per voi va bene?-
Si guardano e Zacky mi risponde di sì.
-Perfetto. Torno subito.- annuncio, andando nel mio ufficio e recuperando la mia agendina personale dalla borsa. La apro e mentre ritorno da quei cinque, annoto l’appuntamento per il 25 ottobre.
-Giù abbiamo dei tavolini adibiti a questo tipo di situazioni. Se volete posso offrirvi un caffè, o vi prego, almeno scendiamo perché se non predo immediatamente un caffè, rischio di addormentarmi.- li supplico quasi.
-Va benissimo.- dice Jimmy, ridendo. Gli sorrido e prendo il portafoglio, uscendo dall’ufficio e chiamando l’ascensore, per arrivare al piano terra, dov’è situato il bar, quindi sette piani più giù di noi. Ero rimasta un attimo indietro, e gli altri mi hanno sorpassato, e proprio avanti a me c’è Gates che mi fissa con uno sguardo che non riesco a decifrare.
-Prima le signore.-
-Oh, grazie mille.-
Entriamo nell’ascensore e l’imbarazzo si impossessa della poca aria circostante. Tossisco, e incrocio casualmente gli occhi di Gates. Distolgo lo sguardo e, dopo minuti che mi sembrano secoli, il plin metallico dell’ascensore ci segna l’arrivo al piano terra. Esco per prima, conducendoli verso un corridoio, per poi svoltare a destra e arrivare al bar. Vedo due divanetti in pelle, su cui si fondano immediatamente Johnny, Zacky e Jimmy. Guardo per un attimo Synyster e poi corro a quasi stendermi sull’altro divanetto, opposto a quello su cui sono seduti il bassista, il chitarrista e il batterista. Poggio l’agendina sul tavolino di fronte a me assieme ai due cellulari, uno di lavoro e uno personale. Gates viene verso di me e si siede alla mia destra, mentre Matt alla mia sinistra. Alzo gli occhi al cielo, sbuffando.
Faccio cenno a Joe, il barista di turno, che viene verso di noi, sorridendomi.
-Ciao Joe, ti presento gli Avenged Sevenfold.-
-Ehm, salve.- risponde lui, timido. –Cosa vi porto?-
-Per me il solito.- dico io, mentre lui annota velocemente.
-Tre caffè normali.- dice Zacky, per i tre che mi stanno di fronte.
-Per me un caffè macchiato.- ordina il chitarrista di fianco a me.
-Quattro normali.- aggiunge Matt.
Dopo aver ordinato, comincio con il spiegare tutto ciò che faremo durante l’intervista.
-Allora, mercoledì funzionerà in questo modo. Arriverete qui e nello studio, vi porrò delle semplici domande a cui dovrete rispondere in modo abbastanza articolato, visto che sarete in copertina. Poi, fisseremo un altro appuntamento per il piccolo set fotografico, dato che devo avvisare il fotografo.- dico, annotando sull’agenda di dover chiamare il fotografo. Joe, intanto, porta i caffè.
-Gates, ripetiamo la scena dell’altra volta al bar? Ti prego, mi sono troppo divertita a spaccarti il naso.- domando, girandomi verso di lui.
-Oh, andiamo. Ti ho chiesto scusa l’altra volta, cosa dovrei fare? Piuttosto dovresti essere tu a chiedermi scusa per il naso.-
Scoppio a ridere e quasi mi sento male, tenendomi lo stomaco. Lui inarca un sopracciglio, perplesso almeno quanto tutti gli altri.
-Io? Ma che diamine stai blaterando? Non sono di certo stata io a urtarti.-
-Chi mi ha rotto il naso?-
-Beh, te la sei cercata! E comunque non stai malaccio con il cerotto, non farla tragica.- ribatto, con un sorrisetto esplicativo.
Vedo lui stringere i pugni e cercare di calmarsi.
-Okay, ragazzi basta. Datevi una calmata. Dovete continuare a comportarvi come due bambini per una cosa così stupida?- chiede, Jimmy. -Brian, tu dovresti imparare a tenere un po’ a freno la lingua, e tu Sophie, da quanto ho capito, a gestire un po’ meglio la rabbia.- si ferma un attimo. –Posso darti del tu, vero?-
-Certo. Ho 25 anni, non 55.-
Vedo tutti sbarrare gli occhi.
-Oh, andiamo, sembro così vecchia?- domando sorseggiando il caffè bollente.
-Ma no, assolutamente. L’aria professionale ti dà solo qualche anno in più.- risponde Zacky.
Faccio spallucce, e una domanda mi sorge spontanea.
-E voi, quanti anni avete?-
-Tutti 28, tranne il nanetto che ne ha 25.- mi risponde Matt, mentre io scoppio a ridere, seguita da tutti gli altri, tranne Synyster.
-Oh, avanti Bri, finiscila di comportarti come un bambino di due anni.- esordisce Johnny. Bri? Brian è il suo vero nome, quindi. Squilla il mio cellulare personale, poggiato sul tavolino, e vedo comparire la scritta ‘Logan' con una foto del mio futuro marito.
-Scusate, devo rispondere.- dico, mentre vedo Brian fissarmi con uno sguardo pensieroso. Mi allontano e porto il cellulare vicino all’orecchio.
-Pronto?-
-Ciao amore.-
-Oh, ciao Logan. Come va?-
-Bene, tutto sommato. Tu invece? C’è qualcosa che non va?-
-No, ti ho solo chiamata per dirti che domani sarò finalmente a casa e ci starò per una settimana.-
-Dio, ma è una notizia fantastica!-
-Lo so, mi manchi tanto. Ti ho disturbata?-
-No, ero solo un po’ indaffarata con il lavoro, sto gestendo una nuova intervista importante.-
-Va bene, allora ti lascio, a dopo. Ti amo.-
-A dopo e ti amo anch’io.-
Pronuncio queste ultime ormai arrivata al tavolo e chiudo la conversazione.
-Scusate l’interruzione.- dico e mi risiedo sul divanetto, sbuffando.-Allora, dicevamo?- chiedo, con una specie di vuoto di memoria.
-Non stavamo dicendo niente di importante, parlavamo di Johnny e della sua statura.- risponde Jimmy. Mi lascio sfuggire una risata e guardo l’orologio al mio polso e noto che è già mezzogiorno, l’ora della mia pausa pranzo. Pausa pranzo… oh merda, devo pranzare con Julie! Me n’ero completamente dimenticata.
-E’ mezzogiorno e ora sarebbe la mia pausa pranzo e avevo promesso ad una mia amica di pranzare con lei. Jessica evidentemente ha troppo da fare per portare il suo bel sederino qui in ufficio, quindi mi tocca rimanere qui. Siccome devo parlarvi ancora di altre cose, potreste fermarvi a pranzare qui?- chiedo, in modo da riuscire a spiegare il tutto e facendo due cose contemporaneamente.
Loro cinque si guardano, poi Matt mi sorride mostrandomi delle fossette a dir poco enormi e accetta la mia proposta. Lancio uno sguardo a Synyster che mi sorride malizioso, e io ricambio con un’occhiata torva. Si prospetta un pranzo a dir poco snervante, e credo anche di saperne il motivo.
 

 
 
NOTE DELL’AUTRICE STUPIDA:
Salve a tutti!
Ecco a voi il secondo capitolo di questa fanfic che non so come definire.
Vediamo un altro incontro tra il nostro chitarrista egocentrico e la protagonista, Sophie.
Penso che abbiate capito che si odiano.
No sentite, questa potevo anche risparmiarmela, ma sto cercando di allungare il brodo, perché non so davvero cosa dire, lol.
Nei prossimi capitoli, ci saranno degli importanti sviluppi e colpi di scena che non riguarderanno solo la protagonista. Vi comunico che aggiornerò regolarmente il mercoledì e la domenica.
Spero di avervi incuriosito almeno un po’, anche se credo proprio di no.
Quindi, se vi va, recensite e fatemi sapere cosa ne pensate, mi farebbe davvero molto piacere. Ringrazio chi ha recensito e chi ha aggiunto la mia storia alle seguite.
Mi trovate su Twitter, e sono @x_sassanders.
Detto questo, alla prossima.
Un bacio!
Sassanders.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


             EVERY BREAKING WAVE.

                                    Capitolo 3.

Mi dirigo verso l’uscita della sede, prendendo il pacchetto delle mie Winston e cercando l’accendino nelle tasche dei jeans, mentre compongo il numero di Julie.
Accendo la sigaretta e la porto alle labbra, aspirando avidamente.
-Pronto, Julie.-
-Soph, ti sei ricordata che abbiamo un pranzo no?-
-Assolutamente, ma c’è un problema.-
-Dimmi tutto.-
-Jessica è fuori dall’ufficio e io non posso allontanarmi di molto perché magari arriva qualche chiamata importante e poi, chi la sente quella stronza? Tra l’altro ho delle persone importanti qui, che ho invitato a pranzo, tu vuoi ancora venire?- pronuncio queste parole mentre vedo Brian uscire dalla sede e venire verso di me. Tiro una boccata alla sigaretta e espiro verso l’alto.
-Va benissimo, ma non è che sono di troppo? Cioè, chi sono questi qui?- mi chiede, impaziente e curiosa. Intanto mi volto verso il chitarrista che ha messo una mano nella mia tasca, prendendo il pacchetto delle sigarette. Ne sfila una, mi toglie l’accendino dalle mani e se la accende. Mi sorride sarcasticamente, fumando tranquillamente e riponendo il pacchetto e l’accendino al proprio posto.
-No, ma fai con comodo eh.- gli mimo con le labbra.
-Mi sono finite.- alle sue parole sbuffo e sobbalzo quando sento la voce di Julie richiamarmi dall’altro capo del telefono.
-Sì, ci sono. Dicevo, stai tranquilla, non sei di troppo e sai che non ti dirò chi sono fin quando non arriverai qui.-
-Sei proprio una stronza.-
-Esatto, come te.- Mi arriva un’altra chiamata sempre sullo stesso cellulare e prego Julie di sbrigarsi, chiudendo la conversazione e aprendo l’altra. Ancora Logan, che strano. Di solito ci sentiamo a malapena due volte al giorno. Intanto Brian mi osserva e io spengo la sigaretta con la punta della scarpa.
-Logan, che succede?-
-Niente, amore, volevo solo avvisarti che ho anticipato la partenza e che stasera sarò lì da te.-
-Davvero? Ma è una notizia fantastica! Rimani comunque una settimana?
-Sì.-
-Perfetto. Ora scusami, ma devo andare, ci vediamo oggi pomeriggio.-
-Okay, ti amo.-
-Ti amo anch’io.- pronuncio, mentre chiudo la chiamata. Prendo di nuovo il pacchetto delle sigarette e ne sfilo due,  sospirando. Non so perché, ma sono nervosa. A volte mi capita di sentirmi così nervosa da piangere. E, se piango ora, è davvero la fine. Le accendo entrambe e ne porgo una Brian, che accetta volentieri, anche se mi guarda perplesso.
-Tu sei stressata. Fin troppo.-
-Sono stressata ma amo il mio lavoro. Mi piace la mia vita e sono felice.- dico, mentre una lacrima scende dall’occhio destro, e la caccio subito via con il dorso della mano. Merda.
-Infatti. Uno se è felice, piange.- dice. Ma che vuole ora?
-Ma mi lasci in pace? Sei qui per farmi da psicologo? Non ne ho bisogno, grazie. Sei pregato di farti i cazzi tuoi.- urlo, fuori di me, mentre altre lacrime scorrono sul mio viso.
-Certo che sei strana. Prima dici che sei felice e che non sei stressata, poi piangi e poi fai la pazza isterica. Stavo solo cercando un argomento di conversazione, che, visto il tuo caratteraccio, non si può trovare.-
-Quando hai finito, avvisami.- dico, mentre vedo una macchina blu entrare nel parcheggio della sede in cui lavoro. Spengo la seconda sigaretta con la punta della scarpa e mi avvio verso l’auto di Julie. La vedo scendere dall’auto, con indosso una canotta nera, dei leggins neri, gli anfibi neri e un chiodo di pelle dello stesso colore. Le vado incontro e la abbraccio, ridendo. Ride anche lei, e dopo esserci staccate, stringe gli occhi, mettendo a fuoco qualcosa. Mi giro e vedo che sta cercando di capire chi è l’uomo appoggiato al muro, non molto distante da noi. Lei spalanca gli occhi e mi guarda interrogativa. Faccio spallucce e man mano che ci avviciniamo noto due cose: il sorrisetto bastardo sempre più evidente sulle labbra di Brian, e gli occhi di Julie sempre più spalancati.
-Ma che cazzo…?- chiede la mia amica. –Mi hai invitato a pranzo con gli Avenged Sevenfold?-
Ma come fa ad aver riconosciuto Brian? Intanto, proprio quest’ultimo sorride e squadra Julie.
-Vedi Sophie? A quanto pare sei l’unica a non averci riconosciuti. Piacere, dolcezza, io sono Brian.- dice, mentre tende una mano verso di lei, che sorride di ricambio. Ma che diamine fa?
-Piacere, Julie.-
-Perfetto, ora che hai conosciuto questo idiota, vieni che ti presento gli altri.- dico, mentre la tiro velocemente verso i divanetti, dove trovo tutti gli altri seduti a ridere e scherzare.
-Ragazzi, volevo presentarvi la mia amica che oggi pranzerà con noi, Julie.- annuncio.
-Ciao, io sono Jimmy, lui è Johnny, lui è Zacky e lui è Matt.- dice, indicando i membri del gruppo uno ad uno.
-Sì, lo so.- ribatte lei, ridendo. Ci dirigiamo verso il piccolo ristorante di fronte alla sede, e ci sediamo ad un tavolo per sette persone. Matt a capotavola, alla sua destra Julie, poi io, Brian (mio malgrado), Jimmy, Zacky e Johnny.
Dopo un breve imbarazzo iniziale, il ghiaccio, finalmente, si rompe. In fondo, passiamo un pranzo piacevole, con qualche battuta e tutto ciò che dovranno fare e dire nell’intervista. Abbiamo anche mangiato abbastanza bene, semplicemente con una pizza a testa, molto buona.
Io dopo circa un’oretta sono costretta a ritornare in ufficio, e quindi a congedare tutti quanti, dandoci appuntamento a mercoledì. Tra l’altro abbiamo invitato anche Julie ad assistere all’intervista che ha approfittato, visto che quel giorno non doveva lavorare. Julie è la direttrice di un asilo nido qui a Los Angeles e il mercoledì è la sua giornata libera. I bambini le sono sempre piaciuti, infatti, mi ricordo che quando andavamo ancora a scuola, lavorava come baby-sitter e si divertiva molto.
Dopo una più che stancante giornata lavorativa, torno a casa in fretta, per poter preparare la cena, visto che stasera torna Logan. Arrivo, mi faccio una doccia veloce e mi metto in tenuta da casalinga, con un pigiamone blu e lego i capelli in uno chignon molto disordinato, per evitare di sporcarli. Decido di cucinare una semplice teglia di patatine fritte e un po’ di roast beef che avevo comprato ieri e avevo messo nel congelatore. Apparecchio la tavola accuratamente e dopo un po’ mi squilla il cellulare. E’ un sms del mio ragazzo.
“Amore, scusami tanto ma ci vediamo domani, stanotte rimango da mia madre. Ti amo, e scusami ancora. Buonanotte
Ovviamente. Lo fa praticamente ogni volta: mi dice che sarebbe passato da casa, ma alla fine non succede mai, rimane sempre o in ufficio oppure da sua madre. Tutto ciò mi da’ terribilmente fastidio. Faccio ogni volta davvero tutto ciò che posso per cercare di stare insieme il più tempo possibile e poi lui mi da’ buca. Sento delle lacrime infrangersi sulle mie guance che mi affretto ad asciugare con il dorso della mano, ma subito sono seguite da altre, che mi fanno letteralmente scoppiare in un pianto liberatorio. Mi stendo sul divano, poso la testa sul cuscino e singhiozzo piano, come se qualcuno possa sentirmi, nonostante sia sola in casa. E’ un pianto provocato da tante ragioni: ormai, nella mia vita, tutto ruota intorno alla carriera. La mia, indiscutibilmente stressante, e quella di Logan, altrettanto stancante, e che ci porta via troppo tempo. Non riusciamo quasi mai a stare insieme per via della carriera, che entrambi poniamo al primo posto della classifica delle cose che riteniamo più importanti. Sempre e solo la carriera. Ho pensato varie volte di lasciare il mio posto, ma ho subito scartato quell’idea per paura di deludere mio padre e di ritrovarmi sotto i ponti da un giorno all’altro. Mio padre ha sempre fatto così tanto per me, che, sinceramente, non me la sento di lasciare il lavoro e magari andare da lui per farmi prestare i soldi o tornare a vivere a casa sua. Causerei solo più problemi di quanti già ne ha ed è l’ultima cosa che voglio. Alzo lo sguardo verso l’orologio e noto che sono solo le 21.30, magari potrei andare in un bar e bere qualcosa, mi servirebbe proprio. Chiamo Julie che potrebbe venire con me, ma non mi risponde. Lascio perdere, sarà sicuramente occupata. Mi dirigo nel bagno e mi fisso allo specchio. Ho il viso arrossato e delle occhiaie spaventose, con alcune ciocche rosse appiccicate al viso e l’immancabile trucco sbavato. Apro la fontana e, dopo aver sciacquato il viso, passo delicatamente un asciugamano su di esso. Vado in camera, apro il guardaroba e indosso una canotta viola e lunga, un jeans nero, un giubbotto di pelle e delle comode Vans dello stesso colore della canotta. Pettino i capelli, lasciandoli sciolti e applico una semplice linea di eyeliner intorno agli occhi castani. Prendo una borsa blu, ci infilo chiavi, cellulare e robe a cui nemmeno faccio caso, ed esco di casa. Mi fermo un secondo per pensare a quale bar andare e poi mi viene in mente un bar piccolo, che ho frequentato un paio di volte, con Julie. Ricordo abbastanza bene la strada e mi metto in macchina, accendendo il motore. Quando arrivo a destinazione, dopo circa venti minuti, mi guardo attorno. Assieme al bar, c’è qualche negozietto qua e là, come in ogni luogo di Los Angeles. Qui, ovunque vai, c’è sempre tanta gente e tanti negozi illuminati. Entro nel locale, venendo subito investita dal solito odore dei pub, di cibo e anche di birra. Tiro su con il naso, e vedo il bancone, qualche metro più a sinistra. C’è parecchia gente, a partire da famigliole che mangiano, sino ad arrivare a uomini che bevono tranquillamente il proprio drink. Vado a sedermi nell’angolo più remoto possibile del bancone e ordino una Heineken che mi arriva subito dopo, ghiacciata. La mando giù a brevi sorsi, mentre fisso un punto indefinito, riflettendo. All’improvviso sento chiamarmi e voltandomi verso la direzione della voce, noto una figura femminile che non riesco a riconoscere. Una ragazza, o meglio una cameriera, dietro il bancone. Mi fermo un attimo ad osservarla: capelli ramati, occhi verdi, bocca sottili e una cicatrice sul mento. Cicatrice sul mento… Claire!
-Claire?- domando, titubante.
-Sophie! Ne è passato di tempo dall’ultima volta che ci siamo viste! Come va?- mi chiede, curiosa, con un sorriso a trentadue denti. Claire era una mia vecchia compagna di college, una delle mie più strette amiche in quel periodo, assieme a Julie. Non ricordo però per quale motivo ci siamo perse di vista. Le racconto di come tra circa sei mesi debba sposarmi, di come il lavoro mi stressi e di tutto quello che è successo in questi tre anni in cui non ci siamo mai incontrate. Lei mi racconta di come si stia ancora specializzando, e di come, pur di non rimanere a carico dei suoi genitori, lavori in questo pub. I suoi genitori li ricordo benissimo, delle persone davvero fantastiche, sempre gentili e hanno sempre voluto un bene dell’anima alla figlia. Dopo circa un’oretta, mi comunica che il suo turno è terminato e che deve andare via. E io, rimango di nuovo sola, trangugiando gli ultimi sorsi della birra presa prima che parlassi con Claire. Sento la porta aprirsi e chiudersi molte volte, segno che questo posto è molto frequentato. Tra l’altro, nonostante sia davvero piccolo come pub, è molto accogliente con della piacevole musica di sottofondo. Mentre sono intenta ad osservarmi intorno, vedo un uomo sedersi sullo sgabello accanto a me, ed ha un’aria piuttosto familiare. Il profilo è bello, mascella leggermente pronunciata, capelli sparati in aria e un nose ring come il mio. Si volta verso di me, ed incrocio gli occhi di Brian. Okay, ritiro tutto. Mentre il mio sguardo si posa subito verso l’alto e sbuffo, lui mi osserva con un sorriso sghembo.
-Ma possibile che sei anche qui? Mi segui, per caso?-
-Io seguire te? Ho di meglio da fare, fidati.- Distolgo lo sguardo e ordino una seconda Heineken, che mi arriva ghiacciata come prima e che trangugio a sorsi più lunghi questa volta e lui ordina, invece, un bicchierino di whiskey.
-Allora, Sophie- dice, sottolineando il mio nome. –Come mai da queste parti, a quest’ora?-
-I cazzi tuoi mai, eh?-
-Rilassati. Stavo solo cercando di fare conversazione. Sei troppo scontrosa.-
Sospiro e bevo un altro sorso.
-Sono qui perché il mio fidanzato mi ha dato buca, facendomi preparare una cena a vuoto e poi dicendomi che restava a dormire dalla madre. E io? Capirai chi se ne frega. Io faccio di tutto per stare con lui il più tempo possibile e poi mi liquida in questo modo.- dico, bevendo e sentendo la birra scorrermi lungo la gola.
-Non so nemmeno perché ti sto raccontando queste cose, ma sembri interessato.- aggiungo.
Lui mi guarda divertito, appoggiando i gomiti sul bancone.
-Beh, che pretendi? E’ ovvio che se la carriera per voi è così importante, queste cose succedono.-
-Si nota così tanto?- chiedo, mordicchiandomi il labbro inferiore. Lui annuisce e io ordino una terza birra.
-Guarda quelli lì, ad esempio.- dice, indicandomi una famigliola seduta ad un tavolo poco distante da noi. –Sembrano la famiglia perfetta, due figli, biondi e occhi azzurri  e perenne sorriso sulle labbra. A te piacerebbe vivere una vita così perfetta? I casini succedono, e sono quelli che rendono la vita una sfida.-
-Non saresti male come psicologo.- osservo.
-Beh, so semplicemente capire le persone. Anche se ad esempio ti conosco da nemmeno una settimana, so che sei stressata e che vorresti far apparire tutto perfetto, come se tutto ti andasse a meraviglia. Ma non è così. Sei infelice, te lo si legge negli occhi.-
-Mi chiedo come un coglione come te, a cui ho rotto il naso, e che conosco da nemmeno una settimana, riesca a capirlo così facilmente, e Logan, che tra sei mesi sposerò, non sia riuscito ancora a capirlo.- dico, passandomi una mano tra i capelli e ridendo amaramente.
Brian fa spallucce. –Ti sposi?- mi domanda.
-Sì, tra sei mesi. Sai, a questo punto non so nemmeno il motivo della mia infelicità.- dico, mentre una lacrima si fa spazio sul mio volto. La asciugo frettolosamente, ma lui la vede comunque.
-Questo non posso saperlo.- dice, ridendo. Ha un sorriso limpido, assomiglia a quello di un bambino. –Dovresti chiedertelo e vedere un po’ cosa riesci a capire di te stessa.-
Annuisco, tirando su con il naso.
-E tu? Che fa Synyster Gates, in un bar tutto solo?- chiedo, alzando l’angolo destro della bocca.
-Sai, credo che in questo momento non ci sia Synyster Gates a parlare con te, più Brian Haner.- dice, storcendo il naso. –Comunque sono qui perché la mia fidanzata mi ha tradito con uno sfigato a cui ho rotto la mascella.- Scoppio in una risata fragorosa.
-Davvero?- chiedo.
Lui annuisce.
Parecchie birre e parole dopo credo di essere un po’ brilla. Sono appoggiata alle spalle di Brian per non cadere e sto ridendo.
-Hai bevuto un po’ troppo, non credi?-
-Solo un pochino.- dico, singhiozzando e ridendo. Barcollando, ci dirigiamo verso la mia auto e lui sfila le chiavi dalle mie tasche. La apre e mi poggia sul sedile del passeggero, mentre lui si mette alla guida. Rido di nuovo e lui mi guarda divertito, alzando un sopracciglio. Presa da un qualcosa che non so nemmeno io come definire, tiro Brian per la sua maglia con lo scollo V verso di me e quando siamo a pochi centimetri di distanza, rido nuovamente. Lui aggrotta le sopracciglia, sorridendo. Lo tiro ancora di più verso di me e chiudo gli occhi, poggiando delicatamente le mie labbra sulle sue. Le sue labbra sottili sanno di tabacco e whiskey, e vengo inebriata dal suo Hugo Boss. Poggia una mano sulla mia guancia e mi trascina in un bacio più profondo che sono sicura che causerà danni. Ma a chi importa? Ho solo seguito il mio istinto.
 

 
NOTE DELL’AUTRICE:
Buongiorno, carissimi! Come va? Spero bene. Io sono un po’ sotto pressione per via della scuola, ma tutto sommato va tutto bene.
Bando alle ciance, passiamo al capitolo.
Beh, capitolo molto delicato. Vediamo come la protagonista e il nostro chitarrista si incontrano di nuovo e beh, succede quel che succede, diciamo così. Sono contenta che alcuni di voi stiano seguendo questa fanfic, e che recensiscano e mi rendono una persona felice u.u
Mi piacerebbe ricevere qualche recensione in più, giusto per rendermi conto di cosa ne pensate. Ah, e se avete critiche da fare, non esitate minimamente, in modo da sapere cosa vi piace e non di questa merd…, ehm, storia.
Ringrazio chi ha già recensito e aggiunto alle seguite!
A mercoledì.
Un bacione,
Sassanders.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


     EVERY BREAKING WAVE.

                                     Capitolo 4

-Sophie.- sento la voce di Logan che mi sveglia, mentre il suo torace è spalmato contro la mia schiena, ed un suo braccio mi cinge il fianco.
Mugolo, tenendo gli occhi chiusi e facendo fatica a svegliarmi a causa del mal di testa. Mi volto, abbracciando il mio futuro marito e affondando il viso nel suo petto, rimanendo sempre con gli occhi chiusi. Inspiro il suo profumo, notando che è diverso dal solito e che probabilmente l’ha cambiato dopo il viaggio. Sento una risatina e decido di aprire gli occhi, seppur con un mal di testa allucinante. Alzo lo sguardo e al posto di incrociare gli occhi azzurri di Logan, incontro quelli castani di Brian, ancora leggermente assonnati. Sbarro gli occhi e mi allontano di scatto da lui, cadendo dal letto e cacciando un urlo. Lui ride divertito, e io gemo di dolore per il mio povero ginocchio, dove avevo già un livido. Mi rialzo e mi guardo intorno. Non sono in casa mia, questo è poco ma sicuro. Le pareti di questa stanza sono bianche e c’è decisamente molto più spazio della mia camera. Guardo il mio corpo e noto che indosso una semplice maglia bianca a maniche corte e un pantalone blu che mi sta fin troppo largo. Mi tasto il seno senza farmi vedere e fortunatamente sento che è fasciato ancora dal reggiseno. Sospiro sollevata, è un buon segno. Mi massaggio le tempie e riorganizzo un attimo le idee, sedendomi sul letto e appoggiando la mia schiena ai cuscini, mentre lui mi guarda ancora divertito.
-Allora. Innanzitutto, che ore sono?-
Prende il suo cellulare e guarda il display.
-Le 11.30.- Sbarro gli occhi, terrorizzata.
-Ed oggi che giorno è?-
-Mh, sabato.-
-Oh cazzo!- impreco, correndo verso la mia borsa e recuperando il cellulare. Provo ad accenderlo ma è scarico.
-Hai un carica batterie, vero?-
Apre un cassetto adiacente al letto, e mi lancia un filo bianco. Lo prendo al volo inserendolo nella presa attaccata al muro e nello slot del telefono. Si riaccende e mi arrivano cinque messaggi di chiamate da Jessica. Sono ufficialmente nei casini. Ricompongo il numero del mio capo, fingendo di non stare bene.
-Pronto Jessica. Sì, lo so che non mi sono presentata. Il fatto è che ho la febbre e non mi sento per niente bene- fingo un colpo di tosse. –Sì, scusa ma non ho potuto avvisarti prima perché il cellulare si era scaricato e non avevo il carica batterie con me. Sì, penso di tornare lunedì. Grazie mille, ciao.-
Tiro un sospiro di sollievo e ritorno a sedermi sul letto, mentre Brian è piegato in due dalle risate.
-Mi spieghi cosa c’è da ridere?- chiedo con sufficienza, massaggiandomi le tempie doloranti.
-Avresti dovuto vederti come parlavi a raffica e nervosamente.-
Sbuffo infastidita, chiudendo gli occhi.
-Cosa è successo ieri sera?- chiedo, sperando che non sia accaduto niente, anche se ne dubito fortemente. Apro gli occhi e lo fisso in attesa di risposta. Sembra rifletterci un attimo su e intanto, si sistema a pancia in giù sul letto, poggiando la guancia sul cuscino ma con il volto comunque rivolto nella mia direzione.
-Beh, sono arrivato al bar ed eri con una birra in mano a fissare il nulla con un cazzo di sguardo triste. Abbiamo parlato un po’ di come la tua vita e la mia facciano schifo…- lo interrompo.
-La mia vita non fa schifo!- esclamo, risentita.
-Sì, certo, e io non so suonare la chitarra.- dice, inarcando le sopracciglia, con un sarcasmo davvero poco divertente.
Gli lancio un’occhiata torva e lui continua il suo discorso.
-Stavo dicendo… Abbiamo parlato di quanto la mia vita e la tua facciano schifo, ti sei presa una bella sbronza e siccome io reggo l’alcool meglio di te, e tu non eri in condizioni adatte per guidare e non sapevo nemmeno dove abitassi, ci siamo messi in macchina, ma prima che potessi mettere in moto, mi hai baciato. Ti ho portata qui, hai vomitato, ti ho cambiata e ti sei addormentata. Fine.-
In tutto questo tempo ho una mano poggiata alla fronte.
Aspetta. Io ho fatto cosa? Ho baciato questo idiota? Sbalordita, apro leggermente le labbra, faccio cadere la mano sul letto e lo guardo con occhi spalancati.
-Dimmi che non l’ho fatto veramente.- dico, quasi supplicandolo.
-Fatto cosa?-
-Beh, baciarti.-
-Invece è vero. E’ non baci niente male, sinceramente.-
-Oh Cristo.- dico, scivolando sul letto e fissando il soffitto.
-Su, non farla tragica, è stato solo un bacio. Okay, se non ti avessi bloccata, probabilmente sarebbe andata a finire in un altro modo. Ma è stato solo un bacio.-
-Ti diverti ad infierire?- chiedo, acida.
Si fa sfuggire una risata.
-Okay, la smetto.-  
La curiosità prende il sopravvento prima che possa impormi di bloccarmi.
-E sentiamo, perché la tua vita fa schifo? Sei un musicista bravo e famoso, hai un sacco di persone che ti vogliono bene, suppongo.-
Lui contrae la mascella e sospira. Mi rendo conto solo dopo aver parlato che forse sono stata un po’ troppo invadente.
-Scusa, non volevo intromettermi, ma la tua affermazione mi ha fatto riflettere. Non volevo essere invadente.- mi scuso.
-No, figurati. Beh, da quel punto di vista la mia vita è perfetta, per carità. Solo che ieri pomeriggio ho trovato la mia fidanzata a letto con uno sfigato.-
-Tradirti? Certo che ci vuole un bel coraggio.- dico. Mi accorgo solo dopo un suo sorriso malizioso di ciò che ho appena detto e arrossisco.
-Intendevo dire… Ci vuole un bel coraggio a tradire un uomo come te, sapendo delle conseguenze che ci potrebbero essere.- balbetto.
Lui annuisce, mantenendo però il suo sorriso beffardo.
Mi ricordo improvvisamente di Logan e recupero il cellulare, notando che mi ha chiamata un paio di volte. Lo richiamo.
-Pronto Logan.-
-Amore, ma dove sei?                           
-Ehm…Sono da Julie, mi sono addormentata da lei.- dico, sperando che mi creda.
-Ah okay. E perché non sei al lavoro?-
-Non mi sentivo molto bene, ho mal di testa.-
-Va bene, io sono a casa. Quando ti senti meglio vieni e pranziamo insieme.-
-Perfetto. A dopo.-
-A dopo. Ti amo.-
-Anch’io.-
Premo il tasto rosso e chiudo la conversazione, appoggiando il cellulare accanto a me, sulle lenzuola.
Sbuffo e chiudo gli occhi.
-Hai un qualcosa per il mal di testa, vero?- imploro Brian.
-Certo. Ti aspetto in cucina.- dice, mentre si alza sistemandosi i capelli. Noto solo ora che indossa una maglia blu e un misero boxer. Lo osservo mentre si passa le mani sul viso e tra i capelli e mi rivolge un ultimo sguardo, ammiccando. Dopo che esce dalla camera, chiudendo la porta, mi ricordo di chiedergli un’ultima cosa.
-Brian?- chiedo, incerta.
Riapre la porta e mi guarda.
-Sì?-
-Dov’è il bagno?-
-Esci dalla stanza, seconda porta a sinistra.-  
Lo ringrazio e lui esce definitivamente dalla stanza. Do’ un’ultima occhiata al cellulare e vedo che mi ha chiamato anche Julie. La richiamo, ma ha la segreteria, così decido di lasciarle di un messaggio. Le spiego la situazione e richiudo, sperando che mi chiami al più presto. Mi dirigo in bagno e mi fisso allo specchio, ho una cera terribile: sono pallida e ho i capelli completamente disordinati. Cerco di sistemare un po’ la frangetta rosso fuoco che mi arriva al di sopra delle sopracciglia e mi sciacquo il viso. Gli occhi verdi sono contornati dal mascara sciolto e purtroppo non posso farci niente, anche perché non credo che in questa casa ci sia qualche liquido simile allo struccante. Sono due le opzioni: rimango un panda oppure mi riduco ad arrossarmi completamente il viso. Decido di rimanere un panda e di far sembrare che qualcuno mi abbia mollato due cazzotti agli occhi.
Esco dal bagno e mi guardo un attimo intorno, rischio seriamente di perdermi. Seguo un corridoio ampio e mi ritrovo in cucina, e vedo che Brian è di spalle e sta tentando di cucinare qualcosa, in modo molto impacciato. Tossisco e si volta verso di me.
-Oh, ehm, vuoi qualcosa da mangiare?- chiede.
Sollevo le sopracciglia e abbasso leggermente il mento, indicando il piano su cui ha tentato di preparare qualcosa, sporcando i fornelli.
-Sì okay, non so preparare nemmeno un caffè, vuoi farlo tu?-
Annuisco e mi avvicino, senza parlare. Di mattina, appena sveglia, sono di pochissime parole e mi da’ fastidio la conversazione. Prendo una moka verde e ci metto l’acqua e il caffè in polvere, e metto tutto sul fuoco.
-Tu cosa vuoi da mangiare? A me basta solo il caffè.- dico, guardandolo.
-Una brioche al cioccolato.- dichiara, frugando in una specie di dispensa e trovando una scatola quasi vuota con delle merendine. Mi fermo un attimo ad osservare la scena ma il caffè comincia a bollire e mi costringe a distogliere lo sguardo, così spengo il gas. Lo fisso e lui mi guarda interrogativo.
-Le tazze.- biascico, sbadigliando.
-Cosa?-
-Le tazze!- urlo.
-Ah, sì, giusto.- Apre uno sportellino e prende due tazze azzurre. Verso velocemente la bevanda bollente e gliene porgo una. La prende e mi ringrazia, mentre io mi tasto il polso alla ricerca di un elastico, che per fortuna porto ancora. Lo prendo e lego i capelli in una coda veloce, passando più volte le dita tra la chioma rossa, prendendo anche la frangetta. Prendo la tazza tra le mani e bevo il liquido bollente in nemmeno due sorsi, nonostante fosse abbastanza piena. Lui mi guarda stupito.
-Senti. La mattina ho a malapena il tempo di vestirmi che poi devo scappare al lavoro. Sono abituata a fare le cose di fretta.- Lui annuisce e accende la tivù, facendo zapping e cambiando canale. Fisso la tivù anche io e tra un canale e l’altro noto un volto familiare.
-Puoi tornare un attimo indietro?-
Fa come gli chiedo e dopo poco fisso nel televisore il volto serio di Logan. Strabuzzo gli occhi e vedo che sta parlando della sua casa farmaceutica. Possibile che non me ne abbia mai parlato?
-Hey, tutto bene? Sei sbiancata di colpo.- dice, spostando lo sguardo da me al televisore.
-Quello è Logan.- balbetto, ancora scioccata.
Lui spalanca gli occhi castani e mi osserva.
-Davvero?- chiede.
Annuisco continuando a fissare lo schermo della televisione che mi mostra il mio fidanzato molto serio che parla con un giornalista. Il servizio dura poco, ma sono comunque allibita. Possibile che non mi abbia mai accennato ad una cosa del genere? Sospiro e mi volto verso il chitarrista. Non so come reagire e ci guardiamo per un po’. Tossisce imbarazzato e distoglie lo sguardo. Faccio lo stesso anch’io e rimaniamo qualche minuto in silenzio. Silenzio che viene rotto proprio da lui.
-Ieri sera siamo venuti qui con la tua macchina, quindi è nel box. Ti accompagno da qualche parte?-
Ci penso un attimo su e magari è meglio. Non mi va proprio di guidare.
-Grazie, non mi va di guidare.-
-Va bene. Allora vado a farmi una doccia e a cambiarmi e scendo. Tu fai un po’ come ti pare.-
Acconsento e lo vedo dirigersi in bagno. Mi guardo intorno e noto che è davvero una casa stupenda, in stile moderno, con le pareti bianche e la maggior parte dell’arredamento nero e blu. Non avevo notato un pianoforte bianco dall’altra parte della stanza. Mi si illuminano gli occhi a mi alzo in fretta dal divano, andando verso quel magnifico strumento color panna e sedendomi sullo sgabello in pelle. I tasti sono tenuti alla perfezione ed è sicuramente uno dei pianoforti più belli che abbia mai visto. Sono molto insicura e non suono da parecchio, ma poggio comunque le dita sui tasti. Una delle prime canzoni che papà mi insegnò e una di quelle che mi ricordo meglio è Losing My Religion dei R.E.M.
La sentii alla radio quando avevo circa sette anni e chiesi a mio padre di insegnarmela perché mi piaceva molto e lui assentì. Tempi in cui mia mamma c’era ancora e eravamo davvero una di quelle famiglie invidiabili.
Comincio a muovere le dita sui tasti e a cantare, dimenticandomi d tutto ciò che mi circonda. Chiudo gli occhi e il testo mi appare chiaro nella mente.
I thought that I heard you laughing
I thought that I heard you sing
I think I thought I saw you try
Every whisper, of every waking hour
I’m choosing my confessions
Trying to keep an eye on you
Like a hurt, lost and blinded fool, fool
Oh no I’ve said too much
I set it up.
Arrivata all’ultima strofa smetto di cantare e di suonare. Nemmeno mi ero resa conto delle lacrime che scorrono sulle mie guance, indisturbate. Questa canzone mi ricorda quei tempi che precedevano la morte di mia madre. Quella maledetta malattia che ha strappato mia madre a me e a mio padre, quando era ancora giovane e quando la vita aveva ancora tanto da riservarle. Il flusso dei miei pensieri viene interrotto da una mano che si posa sulla mia schiena. Mi ero completamente dimenticata di non stare a casa mia e, ovviamente, mi sono lasciata prendere, senza tenere conto delle conseguenze. Mi volto di scatto verso Brian che ha uno sguardo indecifrabile. Mi asciugo le lacrime con il dorso della mano e tiro su con il naso.
-Scusa, non volevo.-
-Scusa? Mi stai davvero chiedendo scusa? Sono arrivato qui all’incirca quando stavi cantando la seconda strofa. Sei davvero brava, hai un’ottima voce e sei brava anche con lo strumento. Non capisco però perché stavi piangendo.-
Prendo un respiro profondo e mi passo le mani sul viso.
-Grazie, ma non credo di essere poi tutto questo granché. E comunque non stavo piangendo.- dico, con la voce che trema un po’.
Mi guarda e alza un sopracciglio.
-Mi porta alcuni ricordi in mente quella canzone, okay? Ora possiamo andare?- chiedo, acida.
-Vatti a vestire, per lo meno. Vuoi uscire di casa con addosso il mio pigiama?- ribatte, divertito.
Arrossisco e lo supero, sbattendo contro la sua spalla, e andando verso la stanza di prima. Mi lavo e mi vesto in fretta e dopo poco siamo in macchina. Durante il tragitto nessuno dei due parla, se non per le indicazioni stradali. Una volta arrivati lo ringrazio e scendo dall’auto, salutandolo velocemente. Non vedo l’ora di passare un po’ di tempo con Logan. Entro in casa e mi abbraccia forte, sorridendo. Gli scompiglio un po’ i capelli neri e lo bacio. Passiamo la giornata sul divano a mangiare e a guardare qualche film. E per la prima volta ci godiamo a pieno anche il week-end. Non passavamo del tempo assieme da parecchio. E’ tutto perfetto se non fosse per un pensiero che continua a tormentarmi: io che suono e Brian che mi guarda.
 
 
I giorni passano in fretta e in poco tempo arriva mercoledì 25.
La sveglia delle otto mi avvisa che è ora di alzarsi. Trovo Logan che mi osserva e che stranamente è già sveglio. Gli sorrido e gli do’ un bacio a stampo, prima di alzarmi e cominciare la mia stancante routine settimanale. Faccio colazione e io e Logan parliamo del più e del meno.
-Se vuoi ti accompagno al lavoro, tesoro.- propone.
Accetto e in poco tempo siamo fuori casa, nella mia macchina e nel traffico già abbondante di Los Angeles. Oggi è il giorno dell’intervista e sono tesa, perché sarò costretta a rivedere Brian e, sinceramente, non mi va. L’immagine di lui che mi osserva mentre suono mi ha tormentato in questi giorni e l’ho persino sognato. Un incubo. La mano del mio fidanzato si posa sul mio ginocchio e io gli sorrido, stringendola. Sono in ritardo: sarei dovuta essere in sede alle dieci e mezza e, invece sono le undici meno un quarto, per fortuna Jessica oggi ha posticipato l’entrata per via dell’intervista . Dannazione. Entriamo nel parcheggio della sede in fretta e furia e vedo che ci sono gli Avenged Sevenfold che fumano fuori. Impreco sotto voce per il mio ritardo e scocco un bacio sulla guancia a Logan e poi scendo dall’auto. Sbatto lo sportello e tutti si voltano verso di me. Sorrido leggermente, camminando e loro mi salutano con un sorriso raggiante e un cenno di mano. Il primo che noto particolarmente è Brian che non mi guarda e fuma in tutta tranquillità la sua sigaretta.
-Buongiorno.- dico, salutandoli.
Mi rispondono tutti tranne Brian che rimane in silenzio e mi osserva senza dire una parola. Mi fa semplicemente un cenno con il capo, che ignoro spudoratamente. Propongo di entrare e di iniziare questa faticosa giornata lavorativa.
 

 
NOTE DELL’AUTRICE (STUPIDA):

Salve a tutti, carissimi lettori!
Sono tornata con il quarto capitolo di questa storia/cacchetta che sta pian piano prendendo forma.
Vediamo come Sophie debba sopportare dei ricordi brutti, e più in là approfondiremo il suo passato. Penso che però, a grandi linee, abbiate compreso la sua storia. Brian ha un comportamento indecifrabile per la stessa Sophie che cerca di mantenere un distaccamento dal nostro bel chitarrista.
Bene, spero che la storia vi stia piacendo e che non vi stia annoiando. Se vi va, lasciate una recensione, giusto per farmi capire cosa ne pensate e se apprezzate o meno la storia, in modo da farmi capire se dovrò continuarla, o eliminarla.
Detto questo, vi saluto.
Un bacione,
Sassanders. 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


          EVERY BREAKING WAVE.

                                    Capitolo 5.

Entriamo nella sede e ci dirigiamo all’ascensore. Saliamo su e schiaccio il pulsante numero sette. Mi giro di scatto, trovandomi a faccia a faccia con Brian che mi guarda con il sopracciglio sollevato. Sbuffo e mi allontano, per quanto mi è possibile, trovandomi di fianco a Jimmy che mi sorride raggiante, e io ricambio. Come si fa a non ricambiare un sorriso del genere? Arriviamo al piano dove si svolgerà l’intervista e li conduco nel mio ufficio, dove trovo la porta dell’ufficio adiacente, quello di Jessica, socchiuso. Mi levo il chiodo nero e lo appendo al gancetto fissato nel muro, sistemando la canotta di lino viola senza maniche.
-Accomodatevi, io intanto vado un attimo dal mio capo.- dico e loro si siedono sulle poltroncine, parlando del più e del meno. Mi allontano e apro la porta dell’ufficio di Jessica, trovandola a fissarsi le unghie smaltate di rosa. Dio, che nervosismo. Tossisco e lei si gira verso di me.
-Ci sono gli Avenged Sevenfold, ti devi presentare o non importa?- chiedo, fissandola con le sopracciglia alzate.
-No, ora arrivo. Solo un momento.-
Esco dall’ufficio e mi accomodo sulla sedia girevole, sospirando.
-Tra un momento dovrebbe essere…- non faccio in tempo a finire la frase che un rumore assordante di tacchi mi fa alzare lo sguardo. Jessica viene verso di noi, con un tubino nero scollato e delle scarpe dello stesso colore. Mi chiedo se lei diriga una testata musicale o di moda.
-Salve a tutti. Io sono Jessica Tuck, la direttrice di Kerrang.- si presenta, sorridendo a trentadue denti e porgendo la mano ai membri della band che ricambiano con lo sguardo fisso sulla sua corporatura atletica. Sbuffo sonoramente e me ne rendo conto solo dopo, quando la bionda si volta verso di me, interrogativa. Le faccio un sorriso tirato e lei si accomoda di fianco a me. Cerco di trattenere le imprecazioni alla sola vista del mio capo che mi fa letteralmente saltare i nervi.
-Allora, Sophie, tutto pronto?- mi domanda, puntando gli occhi azzurri nei miei verdi.
No sai, ho passato tutta questa settimana a giocare con le bambole, vorrei rispondere, ma questo Sophie non lo dice, altrimenti viene buttata fuori di qui a calci.
-Sì.-
-Perfetto. Io direi che potete iniziare, vi lascio con il mio angelo custode, visto che ho molto lavoro da finire.- dice, circondandomi le spalle con un braccio.
Ora la ammazzo.
Mi alzo, scostando il braccio e sorridendo a tutti gli altri che salutano Jessica e le osservano il sedere mentre va via.
-“Vi lascio con il mio angelo custode”.- dico, scimmiottando la sua voce e facendo una smorfia, suscitando le risate generali.
Mi dirigo nella sala, seguita da tutti gli altri e cominciamo questa intervista.
Dopo circa due ore di domande e risposte, nemmeno fosse un interrogatorio, mi lascio sprofondare nella sedia girevole, passando le mani sul viso.
-Abbiamo terminato con l’interrogatorio. Ora ci manca solo il set fotografico che comincerà tra circa un’oretta e poi siete liberi.-
-Perfetto. Possiamo mangiare? Sto morendo di fame!- esclama Zacky, toccandosi lo stomaco.
-Tu hai sempre fame, Vee.- ribatte Johnny.
-Zitto nano.- risponde Zacky avvicinandosi pericolosamente a Johnny che si nasconde dietro di me, mentre io rido.
-Comunque ho fame anch’io e ora sarebbe la mia pausa pranzo, ma visto che la stronza è qui, ora la avviso che andiamo a pranzo in un posto decente, va bene?- propongo e loro ridacchiano.
-Non la sopporti proprio, eh?- chiede Matt, mostrandomi un sorriso raggiante e delle fossette enormi.
-Io? Ma scherzi? E’ la mia migliore amica!- affermo, sorridendo sarcasticamente e sbattendo le ciglia innocentemente. Gli altri ridono, compreso Brian che si limita ad accennare un sorriso, alzando l’angolo destro della bocca. Ricambio il sorriso, presa da non so che e distolgo lo sguardo solo quando Jimmy mi mette un braccio sulle spalle e incontro i suoi magnifici e profondi occhi azzurri. E’ parecchio più alto di me, più di una ventina di centimetri. Gli sorrido e usciamo dalla stanza per dirigerci verso l’ufficio di Jessica. Entro e la trovo al telefono, mentre ci fa segno di entrare con una mano. Dice semplicemente un “scusa, ora non posso parlare. Ci vediamo dopo.” e riattacca.
-Allora, com’è andata?- chiede, sorridendo e toccandosi i lunghi capelli biondi.
-Piuttosto bene, direi. Senti, tu hai intenzione di rimanere qui o hai da fare? Noi dovremmo andare a pranzare fuori.- affermo, con lo sguardo puntato sul suo.
-Io in realtà ora avrei un appuntamento, ma non credo che per oggi riceverò chiamate importanti, quindi puoi tranquillamente andare.- dice, mentre noto sorridere a Brian che le fa un sorrisetto malizioso.
-Grazie. Ciao.- la saluto, uscendo dalla stanza e rientrando nella mia, recuperando borsa e giubbino, ed andando nel corridoio, chiamando l’ascensore. Aspettiamo pazientemente ed entriamo. Una volta usciti dall’edificio, mi fermo un attimo a pensare a dove potremmo fermarci a mangiare. Intanto mi squilla il cellulare e lo afferro dalla tasca del giubbotto, leggendo il nome di mio padre sul display. Rimango piacevolmente sorpresa e mi allontano un attimo per poter parlare con mio padre.
-Papà!-
-Bellissima, come va?-
-Alla grande, tu piuttosto?-
-Avanti, bambina mia, ho cinquant’anni , non ottantadue! Sto benissimo!- Rido, fragorosamente: mi fa piacere che mio padre rimanga sempre impertinente e pimpante, con il passare degli anni.
-Ho deciso di prendermi una settimana di ferie per venire da te a Santa Monica, che ne dici?- chiedo.
-Me lo chiedi anche? E’ fantastico!- esclama entusiasta.
-Perfetto, allora ci vediamo tra un paio di giorni! Ora scusami, ma devo andare, mi stanno aspettando.-
-Va bene, ci vediamo piccolina!- dice, riattaccando. Mi lascio sfuggire una risata: non cambierà mai. E’ la voce di Matt a risvegliarmi dai pensieri.
-Sophie stavo pensando di andare al ‘Riot!’? Non so se ce l’hai presente, ma non è molto lontano da qui, possiamo andarci in macchina.-
Al nome di quel locale mi blocco e fisso Brian che sta facendo lo stesso.
-Va bene.- acconsento, facendo spallucce, come se non fosse successo niente.
-C’è solo un problema. Non ho la macchina oggi.- dico, mordicchiandomi il labbro inferiore.
-Nessun problema, vieni in macchina con noi, abbiamo quella a sette posti.- ribatte Jimmy, sorridendo.
Annuisco e andiamo verso la loro Volvo grigia, bella spaziosa.
-Guido io, ho capito.- afferma Matt, dopo una leggera titubanza da parte degli altri. Si infila gli occhiali da sole e si siede al posto del guidatore. Al suo fianco si siede Johnny. I posti subito posteriori sono occupati da Brian che si trova accanto al finestrino sinistro e Jimmy mi trascina su, proprio accanto al chitarrista. Accanto a me prende posto il batterista e i posti dietro di noi sono occupati da un Zacky completamente steso sui sedili. Incrocio lo sguardo di Brian che mi sorride beffardo e io sbuffo, voltandomi verso Jimmy.
-Allora Sophie, chi è il fortunato?- chiede Jimmy, indicando la mano dove porto l’anello di fidanzamento.
-Oh, ehm…- arrossisco.
-Si chiama Logan.- sento Brian rispondere al posto mio. Lo guardo un po’ spazientita e un po’ sorpresa, così come Jimmy. Lui alza un sopracciglio.
-Che c’è?- chiede. Alzo gli occhi al cielo, scuotendo il capo.
Lasciamo cadere il discorso, visto che evidentemente Jimmy non vuole essere invadente, o deve comunque aver capito che qualcosa non quadra. Ci limitiamo a parlare di sciocchezze, e dopo poco, per fortuna, arriviamo al locale.
Entriamo e prenotiamo un tavolo per sei. Arriva una cameriera che sembra un po’ spaesata.
-Salve, cosa vi porto?- chiede, con un sorriso timido. Io leggo il menù e opto per una semplicissima insalata e una bottiglietta d’acqua. Lo comunico alla cameriera, sotto gli sguardi stupiti di tutti. Faccio spallucce e gli altri ordinano qualcosa di decisamente meno salutare: si va dalla pizza al kebab fino alla pasta. In attesa dei piatti, chiacchieriamo.
-E voi, piuttosto? Siete sposati o fidanzati?- chiedo, curiosa.
Il primo a rispondermi è Matt.
-Io sono sposato da poco.- dice, arrossendo leggermente.
-Io sono fidanzato.- Zacky.
-Anche io.- aggiungono Jimmy e Johnny.
Lo sguardo di tutti si punta su Brian che alza il sopracciglio, come al solito.
-Mi pare che tu sappia già tutto.- afferma, rivolgendosi a me e ammiccando.
Gli rivolgo un’occhiataccia torva.
-Comunque, ero fidanzato fin quando quella troietta mi ha tradito con uno sfigato a cui ho rotto la mascella, molto probabilmente.-
Gli altri rimangono perplessi.
-Tu sai già tutto? Ragazzi che…- prova Jimmy ma il chitarrista lo interrompe.
-Qualche sera fa ci siamo incontrati in questo locale e abbiamo parlato.- borbotta.
Era proprio necessario dirlo?
Lo guardo con la coda dell’occhio, notando che la cameriera, intanto, sta portando i piatti e le bevande. Serve ognuno e se ne va.
-Parlaci tu un po’ di Logan, no?- domanda Brian, marcando il nome del mio futuro marito.
Tengo gli occhi fissi sul piatto, muovendo leggermente l’insalata con la forchetta.
-Beh, è il proprietario di una casa farmaceutica ed ha cinque anni più di me. Ci conosciamo dai tempi del college ed è fuori tutta la settimana, non ci vediamo praticamente mai. Ah, sì, dovremmo sposarsi tra cinque mesi.-
-Dovremmo?- chiede Jimmy.
-Ho detto dovremmo? No, intendevo dire dobbiamo.- rettifico, tossendo.
-Voi siete cresciuti e nati a Los Angeles?- domando, cambiando argomento e mangiando una forchettata di insalata.
-No, siamo nati, cresciuti e viviamo attualmente ad Huntington Beach.- risponde Johnny, sorridendo.
Guardo Brian confusa.
-Io ho una casa anche qui, ogni tanto ci vengo e ho deciso di usarla questi giorni che precedevano l’intervista. Credo che ci resterò un altro po’.- afferma, chiarendomi le idee.
-E tu?- chiede Zacky. Sospiro, socchiudendo gli occhi.
-Io, beh. Io e la mia famiglia vivevamo in Kansas, ma poi quando avevo dodici anni ci siamo trasferiti qui. Io poi, per via del lavoro mi sono stabilita qui a Los Angeles.- dico, sorridendo amaramente.
-Dal Kansas a Santa Monica? Mamma mia, un bel cambiamento!- esclama Matt.
-Già, ma io e mio padre avevamo bisogno di cambiare aria. Non è stato un bel periodo, a dire la verità è stato orribile, ma fortunatamente ce l’abbiamo fatta.- E’ la prima volta che mi apro con qualcuno che non conosco molto bene. Sento una specie di nodo alla gola e allo stomaco. Bevo un sorso d’acqua.
-Se non vuoi continuare…- dice Jimmy, accarezzandomi una spalla.
-No, è passato tanto tempo e riesco a parlarne, bene o male.- sorrido. -Dicevo che è stato un periodo terribile all’incirca dai dieci anni fino ai quattordici. In quattro anni sono successe tante di quelle cose che non so nemmeno come sia accaduto tutto in fretta.- sono un po’ titubante.
-Ecco… eravamo una bellissima famiglia. Papà aveva una piccola scuola di musica e…- deglutisco. -Mia madre era una maestra d’asilo. Quando avevo circa dieci anni vedevo che mamma cominciava a stare poco bene e solo un anno più tardi scoprii che le avevano diagnosticato un cancro.- non riesco a continuare e una lacrima mi solca il volto. Tutti mi guardano con uno sguardo triste, quasi come se comprendessero tutto ciò che ho passato. So che non lo fanno di proposito, ma so anche che nessuno può capire senza aver attraversato questa situazione. Mi asciugo velocemente la lacrima e sorrido timidamente.
-Scusate ma…- comincio, ma Jimmy mi interrompe.
-No, non scusarti. Non riesci a parlarne, è ovvio. Ma credo che abbiamo più o meno capito tutti la situazione.- Sorrido e allontano il piatto, non ho più fame. Bevo un altro sorso d’acqua e controllo l’orologio al polso.
-Oh merda, sono le due! Tra un quarto d’ora abbiamo l’appuntamento con il fotografo, Joseph mi ammazza!- esclamo, cambiando rapidamente argomento. Prendo il portafoglio dalla borsa e corro alla cassa sotto gli sguardi di tutti gli altri. Pago il conto totale e torno al tavolo, infilandomi velocemente il chiodo.
-Muoviamoci!-affermo. Apro la porta di ingresso e vedo tutti gli altri ancora un po’ spaesati con uno sguardo interrogativo. Sbuffo e ritorno al tavolo.
-Ho pagato io per tutti. Ora muovete il culo e andiamo?- chiedo, avvicinandomi. Scattano in piedi e mi raggiungono, uscendo dal locale.
-Perché cazzo hai pagato tu?- domanda Jimmy.
-Jimmy, per favore. Siamo in ritardo. Vi ho offerto il pranzo, e allora?- chiedo, mentre corriamo all’auto. Ci mettiamo in fretta agli stessi posti di prima.
-Si può fumare?- chiedo a Matt che è al volante.
-In teoria no, ma solo per questa volta puoi.-
Sorrido e nel frattempo anche Johnny tira fuori il pacchetto.
-Tu non puoi, nano.-
-Cosa? E perché lei sì e io no?-
-Perché sei nano.- Scoppio a ridere e frugo nelle tasche con la sigaretta spenta in bocca, alla ricerca dell’accendino. Non lo trovo e impreco a bassa voce.
-Tieni.- dice Brian porgendomi un accendino nero con delle fiamme.
Ringrazio e mi accendo la sigaretta, inspirando il fumo.
Con la coda dell’occhio vedo Brian fissarmi e mi volto a guardarlo. Noto che è truccato con una linea di eyeliner nero. Mi sfrego il naso, sistemandomi il nose ring. Gli altri fanno conversazione e io e il chitarrista ci fissiamo, mentre fumo. Mi sporgo verso di lui, sempre guardandolo e butto la sigaretta ormai finita dal finestrino. Ritorno al mio posto e appoggio la testa al sedile, chiudendo gli occhi. Dopo poco arriviamo in sede e noto che sono le due e mezza e, una volta entrati nel parcheggio, scorgo Joseph che guarda verso di noi, leggermente arrabbiato.
-Joseph, scusami, ti prego, non ammazzarmi.- corro verso l’uomo alto e lo abbraccio, sperando di non ottenere una ramanzina come al solito.
-Sophie, ma cherie, ormai ho imparato che la puntualità non è il tuo forte. Ci sono abituato.- dice, con il suo forte accento francese, accarezzandomi i capelli.
Rido e mi stacco da lui, girandomi verso gli Avenged Sevenfold che sono poco dietro di noi.
-Ragazzi, vi presento Joseph, il fotografo ufficiale di Kerrang!-
Si salutano con una stretta di mano.
Joseph, oltre che essere il fotografo della rivista per cui lavoro, è un carissimo amico di mio padre. Joseph è un uomo di cinquant’anni pieno di vitalità, sposato con la madre di Jessica. Già, un bel casino.
Loro si sistemano in una stanza spaziosa e arredata per il set, e io me ne sto in un angolino a ridere delle varie scene davvero esilaranti. Joseph rimprovera i ragazzi e urla le varie pose da assumere, mentre i ragazzi cercano di mantenere la calma, ma proprio non ce la fanno. L’unico che sembra essere a suo agio è Brian, che assume tutte le varie pose e Joseph gli fa i complimenti. All’improvviso Zacky chiede di mangiare perché ha fame e Joseph gli lancia un’occhiataccia di quelle che fanno paura. Io, intanto, sono piegata in due dalle risate.
Chiama Andrea, una sua assistente e le chiede di preparare sei caffè. Mi avvicino e le dico di aggiungerne uno. Andrea, però, ha lo sguardo puntato su Brian e ha quasi la bava alla bocca, vedendo che il chitarrista le fa un occhiolino. Alzo gli occhi al cielo.
-Andrea ci sei?- Le sventolo una mano davanti agli occhi, cercando di farla riprendere dal coma in cui era finita. Lei si volta verso di me.
-Ti ho chiesto di portarci sette caffè, uno anche per me. Grazie.- le faccio un sorriso sarcastico a trentadue denti. Lei annuisce e si allontana sculettando e sbattendo i tacchi sul pavimento. Dio, che oca.
Joseph ride.
-Non ti sta tanto simpatica eh?- mi chiede.
Faccio la sua imitazione, andando vicino a Brian e fissandolo con la bocca aperta e sculettando. Tutti ridono di gusto e io me ne torno vicino a Joseph, con le braccia conserte e quest’ultimo mi circonda le spalle con un braccio. Aspettiamo Andrea che dopo poco entra in ufficio con una scatola con sette caffè.
Joseph e io cerchiamo di trattenere una risata, ma quando si avvicina a Brian per porgergli il caffè, io proprio non ce la faccio. Scoppio a ridere ed esco dalla stanza, tenendomi la pancia per il troppo ridere. Prendo un bel respiro ed entro nello stesso momento in cui esce Andrea e le nostre spalle si sfiorano. La guardo sorridendo sarcasticamente e lei fa lo stesso. Ritorno dagli altri e cominciamo a sorseggiare il caffè bollente. Solitamente lo bevo senza zucchero e quindi comincio a soffiare sul bicchierino. Ci ripenso e siccome ho caldo, prendo l’elastico e mi lego i capelli prendendo anche la frangetta, e ricomincio a sorseggiare la mia bevanda preferita.
-Sei dipendente dalla caffeina, ma cherie.- osserva Joseph. Rido e annuisco, buttando il bicchiere ormai vuoto.
Il resto del tempo passa abbastanza in fretta e dopo tutto il resto ci congediamo. Jessica non è nel suo ufficio e quindi esco in fretta dalla sede. Provo a chiamare Logan, ma non risponde e oggi non ho la macchina e non so come tornare casa.
-Merda!- urlo, in preda alla frustrazione.
-Serve un passaggio, dolcezza?- chiede una voce dietro di me. Mi giro e incontro gli occhi color cioccolato di Brian e gli altri dietro di lui. Annuisco e lui sorride beffardo. Ci accomodiamo agli stessi posti di prima e mi riaccompagnano a casa. Li ringrazio e scendo dall’auto, aprendo la porta di casa e noto che Logan non c’è. Spero davvero che questi due giorni passino in fretta: mi manca terribilmente papà.
 



 
NOTE DELL’AUTRICE (STUPIDA):

Buonsalve, lettori!
Come va la vita? Spero bene, ahah.
*tossisce assumendo un tono professionale*
Vediamo come in questo capitolo, non ci siano molti cambiamenti o passi avanti, ma piano piano, stiamo conoscendo il passato di Sophie.
Tenetevi forte per i prossimi capitoli, perché ci saranno molti colpi di scena.
Fatemi sapere che ne pensate con una recensione, mi rendereste una personcina felice.
Ringrazio chi ha recensito, aggiunto alle seguite e alle ricordate la mia fanfic.
A presto,
un bacione.
Sassanders. 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


                       
                     EVERY BREAKING WAVE.

                                                    Capitolo 6

Oggi finalmente iniziano le mie combattutissime ferie. Ho una settimana a mia disposizione per fare tutto ciò che avevo in programma da un po’ di tempo: principalmente passare un po’ di tempo con mio padre, che non vedo da un mesetto. Il lavoro mi sta risucchiando tutto il tempo libero a disposizione e ho preso questo periodo di relax proprio per staccare la spina e per schiarirmi le idee. Non so su cosa, precisamente, ma ho bisogno di fare chiarezza tra i miei pensieri. Ho riempito la mia valigia con almeno metà del mio guardaroba, essendo molto ansiosa. Sono le otto del mattino e dopo aver afferrato la pesante valigia, apro la porta di ingresso e vado verso la mia macchina, parcheggiata nel vialetto. Apro il cofano e carico la valigia, tirando poi un sospiro. Lo richiudo e torno in casa, afferrando le chiavi e controllando di aver preso tutto. Mi infilo la giacca e chiudo la porta alle mie spalle e corro verso la mia auto grigia. Mi metto al posto di guida, accendo il GPS e parto. Mi è sempre piaciuto guidare per tratti lunghi, o comunque i viaggi in generale: mi rilassano sempre tantissimo. Accendo la radio e tutte le stazioni si sentono male, e quando ne trovo una che si sente decentemente, scopro che è una radio che trasmette musica principalmente rock. Perfetto. Tengo lo sguardo fisso sulla strada e mi sono allontanata solo di poco da casa mia, sto guidando a praticamente trenta all’ora. Accelero e sorrido involontariamente, alzando il volume. Mandano in onda musica di altissimo livello, si passa dai Pantera ai Led Zeppelin ai Pink Floyd. Canto a squarciagola moltissime canzoni che ho imparato a memoria grazie a mio padre e vari ricordi si materializzano nella mia mente. Canto principalmente per cercare di scacciare questi pensieri. Dopo un po’ prendo un sospiro profondo e mi calmo, ricordandomi che sono comunque sulla strada e non posso permettermi di distrarmi. Fortunatamente non c’è molto traffico e quindi posso ritornare ai miei pensieri. Alla radio ora sta parlando uno speaker che presenta il prossimo brano. Sento il titolo e sobbalzo, bloccandomi. E’ Losing My Religion dei R.E.M.
Dopo un giro di chitarra, la voce di Michael Stipe comincia a cantare una melodia che tanto conosco e che ogni volta mi provoca dolore. Non riesco a pronunciare nemmeno una sillaba e ho una specie di nodo alla gola e allo stomaco. Sento il respiro cominciare a mozzarsi. Poggio una mano sul petto, cercando di controllare la situazione e il respiro. Sposto un attimo lo sguardo dalla strada e lo porto verso l’alto, provando nuovamente a controllare la situazione. Non ci riesco.
Ritorno a fissare la strada, imponendomi di mantenere la calma. Ho lo sguardo offuscato dalle lacrime e non riesco a vedere bene. Credo di fare una sterzata e cambiare corsia, andando contromano.
Perdo il controllo dell’auto.
E’ davvero questione di pochissimi attimi.
Sento uno o due colpi di clacson e un botto assurdo alla macchina. Sbatto la testa prima contro il vetro anteriore e poi contro il volante.
Vedo sangue. Molto sangue, anche se i miei occhi sono ancora offuscati dalle lacrime che ora sono raddoppiate. Ho solamente il tempo di pensare che è la fine. Varie immagini mi appaiono in mente. Mia mamma che mi abbraccia.
Mio padre ed io che cantiamo e suoniamo davanti al pianoforte.
Mia madre in fin di vita che mi stringe la mano e mi sussurra un “Sii forte, tesoro.”
Sento qualcuno che urla e un rumore di vetri che si rompono.
Poi, il buio totale.
 
 
 
Apro pianissimo gli occhi e sento che sono su una barella e dei dottori la trasportano velocemente. Mugolo e sento dolori dappertutto: non riesco a muovermi. Una dottoressa che non riesco a vedere si avvicina e mi accarezza i capelli.
-Stia sveglia, signorina!- urla, dandomi degli schiaffetti sul viso.
Vorrei tanto ma non ci riesco: mi sento terribilmente debole e stanca. Chiudo gli occhi con lentezza e sento delle voci che gridano. Voci che non riconosco. Riesco ad udire un ‘In sala operatoria! Alla svelta!’. Poi di nuovo il buio.
Quando mi sveglio per la seconda volta, percepisco un po’ meno dolore di prima. Tengo gli occhi chiusi e sento il rumore di una di quelle macchine che usano negli ospedali. Un tac-tac terribilmente fastidioso. Sento degli aghi puntati nel braccio e per il resto del corpo avverto pochissima sensibilità. Noto solo dopo un po’ una mano che mi accarezza i capelli e una mano che stringe la mia. A fatica, e soprattutto con molta cautela, apro gli occhi. Prima di tutto scorgo il volto di mio padre in lacrime alla mia sinistra con lo sguardo rivolto ad un punto indefinito della stanza. Probabilmente non si è accorto che sono sveglia e lucida, così, non avendo la forza di parlare, gli stringo la mano con quanta più forza riesco. Lui si volta di scatto verso di me, mostrandomi un colorito pallido e delle occhiaie violacee davvero spaventose, oltre alle lacrime che scorrono copiose sulle guance. Spalanca gli occhi e lascia la mia mano per correre fuori dalla stanza e urlare qualcosa nel corridoio. Ridacchio, ma il mio ghigno di trasforma subito in una smorfia di dolore, a causa della fitta alle costole. Dopo poco dei medici entrano nella camera e mi visitano, cacciando mio padre e spingendolo. Non mi permettono di pronunciare nemmeno una sillaba e mi sottopongono a dei controlli minuziosi. Hanno uno sguardo corrucciato che non promette nulla di buono e sono spaventata. Dopo poco quei dottori escono dalla camera e sento un parlottare fitto fitto. Riconosco la voce di mio padre e quella di Kris, le altre non capisco di chi sono.
Circa cinque minuti dopo che ho posato la testa sul cuscino, sospirando e volgendo lo sguardo in alto al soffitto, sento dei passi nella stanza. Sposto lo sguardo e intravedo mio padre, Kris, e…Brian. Che ci fa lui qui?
Hanno tutti quanti delle facce sconvolte e orribili. Corrono tutti verso il mio letto e mio padre mi travolge in un abbraccio che quasi mi soffoca. Lo supplico di scostarsi, visto che ho dei dolori allucinanti. La stessa cosa per Kris che piange sulla mia spalla. Quando lei si scosta, Brian si avvicina e noto che ha davvero una faccia sconvolta. Le occhiaie fanno paura e non si fa la barba da almeno due giorni. Mi abbraccia lievemente anche lui e rimango allibita, aggrottando le sopracciglia, anche se gli do’ alcune pacche sulle spalle. Non ci sto capendo niente e non so nemmeno perché sono qui. Guardo i dottori con uno sguardo confuso e una donna con un camice bianco, dai capelli castani legati in uno chignon, viene in mio aiuto.
-Non ricorda niente, vero signorina?- mi domanda, con tono professionale.
Faccio di no con la testa.
-Bene. Allora due giorni fa, quasi tre, a dire il vero- inizia, controllando l’orologio al suo polso. -Ha avuto un incidente d’auto frontale con il signor Haner e lei ha riportato delle conseguenze gravissime. Trauma cranico, un braccio e una gamba rotti e vari ematomi per il corpo sono solo alcune di queste conseguenze che le dicevo. L’abbiamo operata alla testa- e di istinto mi porto una mano sul capo, sentendo una fasciatura al tatto. –Ed è stata in coma per circa un giorno dopo l’intervento, che è stato davvero complesso. A dire la verità non ci aspettavamo che lei ne uscisse fuori viva da questo incidente, eppure ce l’ha fatta. Ha davvero una forza incredibile.-
Ho avuto un incidente con Brian? E sono stata in coma per due giorni? Possibile che debbano accadere tutte a me? Sbuffo infastidita, ma con estrema cautela.
Apro la bocca per parlare ma la dottoressa mi precede.
-So che ora ha tante domande per la testa, ma non deve sforzarsi e deve essere in assoluto riposo. Quindi pregherei suo padre- occhiataccia verso quest’ultimo –Il signor Haner e la signorina Williams di uscire dalla stanza e lasciarla dormire.-
-Cosa? Ma io non voglio dormire!- esclamo, con quanta più voce possibile, anche se ciò che ne viene fuori è detto a bassa voce.
-Signorina, non complichi le cose. Lei ha bisogno di assoluto riposo.- afferma, irremovibile. Sbuffo, mentre gli infermieri invitano mio padre, Brian e Kris ad uscire.  Mi fanno un cenno con la mano ed un timido sorriso. La dottoressa mi porge un bicchiere con una sostanza giallognola. Faccio una smorfia di disgusto.
-Deve berla, signorina. La aiuterà ad alleviare i dolori e a riposare.- Faccio come mi dice e bevo tutto d’un sorso. Mi sento subito debole, gli occhi mi si chiudono e in un batter d’occhio cado in un sonno profondo, conciliato anche dal buio pesto della stanza, viste le luci spente.
 
Quando mi sveglio per la quarta volta, i dolori sono diminuiti, ma solo di un po’. Sento un forte trambusto fuori dalla stanza e mi preoccupo. Suppongo sia mattina, visto che la stanza è illuminata dai raggi del sole. Non ho più le flebo al braccio, ma semplicemente un collare. Muovo le dita dei piedi e provo un po’ di dolore. Mugolo e muovo le braccia, notando che il destro è ingessato. Devo provare ad alzarmi. Sposto le gambe a sinistra, scostando le coperte per scendere dal letto. Non trovo appoggio, e non avendo molta possibilità di movimento, perdo l’equilibrio. Cado di schiena a terra, e caccio un urlo per il dolore e lo spavento. La porta si apre immediatamente e entra la dottoressa di ieri sera.
-Porca puttana!- urlo, adirata e indolenzita.
-Signorina, che diamine stava cercando di fare? In queste condizioni non può muoversi assolutamente!- mi rimprovera, chiamando gli infermieri che dopo cinque minuti entrano nella stanza. Mi sollevano di peso provocandomi dei dolori allucinanti. Grido più forte di prima e vedo delle persone che entrano nella stanza: mio padre, Brian, Kris e Logan.
-Signorina, se l’è proprio cercata! Se non avesse tentato di alzarsi dal letto, ora non avrebbe questi dolori.-
Sbuffo e la dottoressa si volta verso coloro che sono entrati nella stanza.
-Signori, chi vi ha autorizzato ad entrare?- chiede, furiosa.
-Oh, andiamo dottoressa! Sono le undici passate, questo vuol dire che l’orario delle visite è iniziato, no?- domanda Brian con un sorriso strafottente.
La dottoressa sbuffa spazientita ed esce dalla stanza, seguita dagli altri infermieri.
Mio padre e Kris si avvicinano al letto e mi abbracciano. Forse mi stringono un po’ troppo e mugolo di dolore, e subito si scostano.
E’ il turno di Logan. Noto che è in perfetto ordine, con la sua solita giacca grigia e la cravatta azzurra, in tinta con i suoi occhi. Ha il labbro inferiore gonfio e rosso, con un rivoletto di sangue su di esso. Aggrotto le sopracciglia e sposto lo sguardo su Brian che ha un occhio nero. Collego tutto e deduco che devono essere arrivati alle mani.
-Okay. Perché cazzo vi siete picchiati?- chiedo, cominciando ad alterarmi.
-Perché questo idiota ti ha fatto quasi morire ed ora è qua solo per convincerti a non sporgere denuncia.- esclama il mio futuro marito, gesticolando.
-Hey, amico. Hai cominciato tu con le mani, quest’occhio non è nero per magia.-
-Brian, per favore.-
Vedo Logan bloccarsi un attimo.
-Lo conosci?- chiede, titubante.
-Sì. Fa parte di una band che ho intervistato.-
-Di solito non dai del ‘lei’ a qualcuno che intervisti?-
Alzo gli occhi al cielo.
-Smettetela immediatamente o chiamo la dottoressa.- dichiaro. Loro si zittiscono subito e papà ridacchia.
-E papà, anche tu.- aggiungo, lanciandogli un’occhiataccia.
-Comunque credo di essermi ricordata qualcosa.- comunico, attirando l’attenzione dei presenti.
-Ero in macchina, andavo forse oltre il limite di velocità e ho avuto un attacco di panico. Ho cambiato corsia all’improvviso, ma ricordo solo un botto enorme e poi basta.-
Logan apre la bocca per parlare, ma lo precedo.
-Quindi, non è colpa tua, Brian. Tranquillo.- dico, tranquillizzandolo. Lui alza un angolo della bocca in un mezzo sorriso.
-Scusate, potete lasciarci un attimo da soli?- chiedo, riferendomi a me e a Synyster. Lui rimane un po’ stupito e Logan aggrotta le sopracciglia.
-Logan, per favore.- lo supplico quasi.
Escono tutti dalla stanza, e rimaniamo solo io e Brian. Lui prende una sedia, la poggia vicino al letto e si siede.
-Come stai?- domando, preoccupata.
Lui rimane leggermente perplesso.
-Tu sei in ospedale, sei stata in coma per un giorno e mezzo, hai varie contusioni per il corpo, dolori allucinanti e chiedi a me come sto?- si interrompe, facendo una pausa.
-Di merda, comunque.- continua, passandosi le mani tra i capelli.
-Senti non è colpa tua…- inizio, ma lui mi blocca.  
-Non è colpa mia? Non è colpa mia, dici?! Ti ho fatto quasi morire, cazzo. Sei stata in coma per un fottuto giorno e io non ho dormito nemmeno per un minuto. Quando ho saputo che ti eri svegliata, ti giuro che stavo urlando di gioia.- dice, alzando un po’ la voce.
Un ghigno si forma sul mio viso.
-Che cazzo c’è da ridere, ora?- chiede, cercando di essere serio, ma viene tradito da un sorrisetto.
-Mah, niente. Secondo me speravi che morissi, in realtà. E invece no, sono ancora viva e solo per romperti i coglioni.- dico, imitando una piccola risata malvagia, che mi causa un dolore atroce alle costole. Mugolo un ‘Ahia’ e lui ride. Lo guardo e rimango allibita quando scorgo i suoi occhi marroni lucidi. Si passa le mani sulle palpebre.
-Questa data è da segnare sul calendario. Synyster Gates che piange.- esclamo, ghignando.
-Non sto piangendo.- borbotta.
-Oh, certo e allora io non so suonare la chitarra.- replico, imitando la sua voce e suscitandogli una risata.
-Stronza.- risponde semplicemente, ridacchiando.
-Dai, vieni qui.-
 Si alza dalla sedia e si avvicina al letto. Mi stringe in un abbraccio e poggio la testa sulla sua spalla. Rimaniamo così per un po’ e veniamo interrotti da una porta che si apre e la dottoressa che ci avvisa che l’orario delle visite è finito. Gli altri entrano un attimo per salutarmi, lasciandomi nuovamente sola con i miei pensieri.
 
 

 
NOTE DELL’AUTRICE (STUPIDA):

Salve, carissimi lettori!
Prima di tutto, mi scuso per la lunghezza del capitolo. E’ breve rispetto al solito, lo so. Ma ho dovuto concluderlo così, perché, avendo in mente tutta (o almeno quasi) la storia, ho diviso gli eventi capitolo per capitolo.
Beh, in questo caso, vediamo che Sophie ha un incidente gravissimo con Brian ed è salva quasi per miracolo. Sembra che i due si stiano avvicinando, eliminando l’odio che prova(va)no l’uno per l’altra.
E’ un capitolo importante per la storia, e anche un po’ tragico.
Beh, in effetti questo non è niente in confronto ai prossimi capitoli. *risata malvagia*
Bene, detto questo, scappo nel mio angolino.
Vi ricordo che sono su Twitter e sono @x_sassanders.
Fatemi sapere cosa ne pensate della storia, attraverso le recensioni.
Ve se ama.
Sassanders. 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


EVERY BREAKING WAVE.

                                    Capitolo 7

Ieri mi hanno dimessa dall’ospedale, dopo dieci giorni dall’incidente con Brian. Ho avuto modo di parlare pochissimo con il mio futuro marito, visto che per motivi di lavoro, è dovuto ripartire per l’Europa tre giorni fa. I medici mi hanno obbligato a prestare attenzione a tutto ciò che faccio, e potrò tornare in sede solo tra due settimane. Siccome devo stare sotto controllo, passerò tutto questo tempo, in compagnia di papà, a Santa Monica. Amo quella casa, è magnifica: ha un giardino grande e una vista sul mare davvero mozzafiato.
Ieri papà ed io siamo passati da casa mia per fare le valigie e portarmi tutto il necessario per passare due settimane in un’altra città. Due settimane di quel puro relax tanto ambito. L’unica cosa pessima di questo periodo è che non posso muovermi più di tanto, visto che ho ancora un braccio ed una gamba rotti. Ho ancora parecchi ematomi, ma non sono molto estesi, tranne uno enorme sullo zigomo, provocato dall’urto con il parabrezza. In più mio padre non mi consente nessun movimento, se non quelli essenziali, come andare in bagno e in cucina. Tutto il resto del tempo lo passo a letto, a guardare film strappalacrime, a sopportare i dolori e a rigirarmi i pollici.
In realtà sono ancora leggermente sotto shock per l’accaduto e per come tutto ciò sia potuto accadere. Quella canzone ogni volta mi provoca un vuoto nel petto e un nodo alle porte dello stomaco, che non passano molto facilmente. Succede fin da quando avevo sedici anni. La maggior parte delle volte riesco a ristabilirmi dopo poco, ma altre volte quei blocchi si tramutavano in veri e propri attacchi di panico, proprio come è successo dieci giorni fa. Non avevo attacchi di panico da un bel po’, a dirla tutta. Non so come sia potuto succedere e sono certa che la colpa dell’incidente sia da attribuire a me e alla mia emotività. Per questo, quando ho saputo di tutto il casino enorme, ho tranquillizzato Brian, dicendogli che non era affatto colpa sua. In fin dei conti, sono io che ho cambiato corsia, e anche perché andavo un po’ oltre il limite di velocità consentito. Solo che lo scontro è stato talmente potente da farmi sbattere la testa contro il parabrezza e da mandarmi in coma per un giorno e mezzo. I medici mi hanno detto che se non fosse stato per il signor Haner, a quest’ora non sarei qui. Ha prontamente chiamato l’ambulanza e solo dopo ha scoperto che ero io quella nella macchina, visto che ero intrappolata tra le lamiere.
Sento qualcuno che bussa alla porta.
-Avanti.- dico, a voce alta, mettendo il segnalibro blu nel libro che stavo leggendo e poggiandolo sul comodino a fianco del letto.
La porta si apre e in camera entra mio padre, con un vassoio pieno di prelibatezze in mano. Mi si illuminano automaticamente gli occhi.
-Papà, lo sai che ti voglio un gran bene, no?- chiedo, osservando il vassoio che mi sta letteralmente chiamando a gran voce. Lui ride di gusto. Poggia il tutto sulle mie gambe coperte, facendo pressione su un’escoriazione, e mugolo di dolore.
-Oddio scusa, tesoro! Ti ho fatto tanto male?- domanda, allarmato.
-No tranquillo.- lo rassicuro. Lui posa il piatto accanto a me e io addento immediatamente una fetta di torta al cioccolato. Ci sono anche altre merendine e un bicchiere di succo d’arancia.
-Ma che ore sono?- chiedo a mio padre, masticando.
-Le cinque di pomeriggio.- risponde, sorridendomi dolcemente e carezzandomi i capelli rossi.
Parliamo un po’ e poi mi lascia nuovamente sola con i miei pensieri e dopo non molto, sprofondo in un altro sonno causato dalla noia.
Un colpo alla porta mi risveglia. Apro gli occhi e noto che il sole illumina la stanza. Quanto cazzo ho dormito? Sbadiglio e biascico un ‘avanti’. Mio padre apre la porta e mi sorride.
-Sophie, c’è una visita per te. Beh, forse più di una. Vuoi scendere?- mi domanda.
Aggrotto le sopracciglia e annuisco, curiosa di vedere chi è. Sarà sicuramente Julie, ma se è più di una persona, non so proprio chi possa essere venuto a trovarmi. Mentre mi pongo mille domande, papà mi aiuta a sedermi sulla sedia a rotelle e mi trasporta. La casa è bella grande, quindi per arrivare in salotto si attraversa un corridoio lunghissimo.
-Pista!- urlo, ridendo, prima di arrivare a destinazione. Entro nella stanza e vedo che ci sono gli Avenged Sevenfold al completo sui divani e Julie su una poltrona. Mio padre mi spinge per un altro po’ e mi sbilancio un po’, perdendo l’equilibrio e cadendo quasi dalla sedia a rotelle.
-E ma che cazzo!- urlo, infastidita dalla mia poca mobilità.
Alzo lo sguardo da terra e tutti scoppiano a ridere, compresa Julie. Alzo un dito medio verso Brian che si alza e mi abbraccia, per quanto possibile.
-Ciao anche a te, stronza. Io sto bene e tu?- dice, guardandomi.
Faccio una smorfia per prenderlo in giro. Lui ride.
-Beh, ho ancora dei dolori che se potessi ti spaccherei il cranio per farti provare lo stesso mio dolore, ma tutto sommato va bene.- rispondo. Lui sorride beffardo.
-Hai un braccio e una gamba ingessata, che pensi di fare?- chiede, alzando un sopracciglio.
-Un pugno sul naso con la mano sinistra è comunque forte, eh.-
Lui ride e mi lascia un bacio sulla fronte e dopo poco Jimmy mi travolge in un abbraccio. Fa sbilanciare la sedia e cado all’indietro, e Jimmy fa giusto in tempo a spostarmi e a non cadermi addosso. Urlo di dolore, e gli altri corrono verso di me, preoccupati.
-Tiratemi su o giuro che vi spacco quella merda di faccia che vi ritrovate.- dichiaro. Con non pochi sforzi, parecchi colpi e abbastanza bestemmie da parte mia, mi risistemano.
-E cazzo, Jimmy, la delicatezza di un elefante!-
-Scusami, rossa.- dice, baciandomi una guancia.
-Rossa?- domando, ridendo.
-Beh, hai i capelli rossi no?-
Faccio spallucce e tutti gli altri vengono ad abbracciarmi. Julie per ultima e mi scoppia a piangere sulla spalla.
-Oh Gesù santo, Julie sono uscita viva da un incidente mortale, non sono morta e sepolta!- le faccio notare, cercando di risollevarle il morale. Lei tira su con il naso e ride, staccandosi da me. Le sorrido rassicurante.
-Allora, come va?- chiede Matt, mostrandomi le sue fossette enormi.
-Beh, considerando che mi sto annoiando a morte, perché non so che fare dalla mattina alla sera, e considerando anche che ho una gamba rotta, un braccio rotto, degli ematomi abbastanza dolorosi, uno zigomo che sembra che un camion ci sia passato sopra, un mal di testa che ogni due per tre si fa sentire e dei dolori sparsi ovunque, va tutto alla grande!- esclamo, sorridendo e alzando il pollice.
-Ti diverti ad infierire?- chiede, citando le mie parole di qualche settimana fa.
Mi lascio sfuggire una risata.
-Hey, aspetta ma se è stato un incidente così grave, perché tu non sei tipo morto o non hai almeno la testa rotta  o non sei stato in coma?- chiedo a Brian.
-Beh, perché l’airbag mi ha permesso di non prendere nessun tipo di botta.- ribatte.
-Ma non è giusto!- esclamo, incrociando le braccia al petto. –Però posso rimediare io, no?- aggiungo, sorridendo felice e suscitando le risate di tutti.
Poi mi viene in mente una cosa.
-Papà!- urlo, chiamandolo.
Dopo poco entra in salotto mio padre, tutto sorridente.
-Mi spieghi perché hai dato il tuo indirizzo a questi cinque imbecilli?- chiedo.
Lui scoppia a ridere, ma il telefono squilla e corre via per rispondere.
-Hey, ma io voglio una risposta!- esclamo.
Mi volto verso di loro.
-Non va bene nemmeno se ti dico che ti abbiamo portato cinque cupcake solo per te?- domanda Brian mostrandomi una busta rosa.
Sgrano gli occhi e sorrido felice come una bambina che scarta i regali la mattina di Natale. Spingo la sedia a rotelle con un solo braccio fino al divano su cui è seduto Brian, e cerco di afferrare il sacchetto che lui sposta prontamente verso l’alto. Gli lancio un’occhiataccia.
-Cosa vuoi ora?-
-Se vuoi i cupcake, devi promettermi che ti tingerai i capelli.-
-Cosa? E di che colore?- chiedo, con le sopracciglia alzate.
Ci riflette un attimo su.
-Di blu!-
Rimango sconvolta.
-Cosa hai contro i miei capelli rossi? Non cambierò colore, nemmeno per cinque cupcake!- ribatto, indignata.
Mi sventola la busta rosa sotto il naso, e intanto Kris ridacchia.
-Sei sicura?- insiste, con un sorrisetto.
-Sicurissima!- esclamo, incrociando le braccia al petto.
-Bene, allora vorrà dire che li mangerò io.-
Apre la busta e con lentezza, tira fuori un cupcake alla vaniglia, ricoperto di gocce di cioccolato. Lo fisso, come ipnotizzata dal cioccolato e dalla vaniglia.
Lui avvicina il cupcake alle labbra, ma io con uno scatto del braccio sinistro, lo afferro in fretta e lo metto in bocca, masticando avidamente.
Rimane un attimo confuso, e gli altri ridono.
-Grandissima Sophie!- esclama Zacky, alzando il pollice in segno di approvazione. Julie strappa il sacchetto dalle mani di Gates e me lo porge, e io lo stringo saldamente, sorridendo.
-Siete tutti di grandissimi stronzi!- afferma Brian, lanciando un’occhiataccia a Zacky.
-Comunque, mi spiace per te Zacky, ma anche se sei dalla mia parte, non ti darò un mio cupcake, scusa.- dico, mentre addento il secondo dolcetto. Brian si piega quasi dalle risate e Zacky si finge offeso, mettendo il broncio. Rido e ne porgo uno a Julie, lei accetta e lo fa sparire in fretta fra le sue labbra.
-Hey, ma…- comincia Brian.
-Scusa, ma lei è l’unica decente tra voi coglioni. Le voglio bene e le do’ un cupcake. Brian, se vuoi un cupcake, devo spaccarti la testa oppure un braccio oppure una gamba, fai un po’ tu.- dico, sarcasticamente, e addentando l’ultimo pasticcino rimasto.
Lui mi lancia un’occhiata torva e io gli sorrido innocentemente.
-Allora, prima che venissimo noi a rompere i coglioni, che facevi di tanto interessante?- domanda Julie.
-Dormivo. In realtà dormivo dalle tre di ieri pomeriggio.- rispondo, facendo spallucce e pulendomi le labbra con un tovagliolo. -A proposito, ma oggi che giorno è?-
-Mercoledì.- risponde Julie.
-Quindi avevi la giornata libera.-
-Sì.-
-Bene, massa di imbecilli. Se mi aiutate con questo affare, vi mostro la bellissima casa di mio padre.- affermo e Brian si porta dietro la sedia, afferrando le maniglie.
-Sì, ma non mi uccidere.- dico, alzando la testa per poterlo guardare.
Fa una smorfia, cercando di imitarmi e io rido. Gli altri vengono ai lati della carrozzina e gli mostro l’intero edificio. Ci mettiamo un po’ più del previsto, visto che Brian è impedito e scambia le direzioni, o non ascolta le mie indicazioni, e intanto chiacchierano. Mi spiegano come si siano presi un giorno di pausa, visto che sono indaffaratissimi a causa del loro quinto album che uscirà nell’anno nuovo. Sono a buon punto, ma manca ancora abbastanza per completare il lavoro, visto che si tratta di due cd: un cd che si chiamerà ‘Diamonds in the rough’ con brani inediti e un dvd che contiene le riprese realizzate ad un concerto a Long Beach. Sono entusiasti della musica, glielo si legge negli occhi, soprattutto in quelli azzurri di Jimmy. Si capisce subito che hanno tantissima forza di volontà e amano alla follia ciò che fanno, ci mettono davvero tanta passione. Mi propongono di andare in sala registrazioni qualche volta, ed io accetto con piacere, dato che sarebbe bello poter assistere alle scene esilaranti che mi hanno raccontato un po’ tutti: le imprecazioni di Brian quando sbaglia qualcosa, la bravura di Jimmy e la sua simpatia, la voce strabiliante di Matt, e l’allegria di Zacky e Johnny. Scopro che quest’ultimo è spesso soggetto alle prese in giro da parte degli altri componenti della band, che gli fanno scherzi, solo per via della statura. Mi raccontano moltissimi aneddoti che mi fanno quasi piangere dalle risate e Julie con me. Noto che proprio la mia amica non stacca un attimo gli occhi da Jimmy: la vedo sorridere ogni volta che lui dice qualcosa, come se lo affascinasse a tal punto da non scrollargli lo sguardo di dosso. Mi diverto come non facevo da tempo e quasi mi dispiace quando mi dicono che devono andare per tornare a lavorare sull’album imminente. Mi salutano tutti con un abbraccio che ricambio con affetto, sorridendo. Anche Julie mi congeda, dicendo di avere delle commissioni da sbrigare, ma penso che tra qualche giorno tornerà di nuovo a trovarmi.
 
 
Queste due settimane, sono passate lentamente, ma mi sono davvero rilassata. Ho passato del tempo con mio padre, cosa che non facevo da tempo, e a dirla tutta, non vedevo l’ora di riabbracciarlo; gli Avenged Sevenfold sono venuti a trovarmi altre due volte e sono stata felicissima di rivederli, e di poterci parlare come se ci conoscessimo da sempre: sono proprio soddisfatta. Inoltre ho tolto i punti alla testa e i due gessi, e le fratture sono guarite. Sto quasi bene, tranne che per lo zigomo ancora gonfio e rosso e qualche ematoma qua e là. Nonostante io stia meglio, però, i medici mi hanno caldamente consigliato di non fare molti sforzi e di riguardarmi.
Ora io e papà siamo in macchina e lui mi sta riaccompagnando a casa, e stiamo cantando qualche canzone che trasmettono alla radio. Passo un viaggio davvero piacevole, e ringrazio mio padre per tutto quello che fa per me. Magari a volte non lo ringrazio abbastanza, ma so che a lui basta vedermi felice e soddisfatta, fin da quando mamma non c’è più. Ha fatto sempre tanti sacrifici per me e io a volte mi sento in debito, ma lui mi tranquillizza sempre, dicendo che per lui è più importante la mia serenità che due o tre parole.
-Allora, papà, che farai quando tornerai a casa?- domando.
-Beh, per prima cosa dovrebbero venire gli operai per dare una piccola sistemata, di cui non ti anticiperò niente fin quando non verrai a trovarmi e vedrai con i tuoi stessi occhi il lavoro completo.- dice, guardandomi di sottecchi. Rido di gusto.
-Sei crudele, lo sai vero?-
-Sì, e faccio bene. Comunque per il resto, penso che me ne starò come sempre senza far niente, a suonare o a comporre qualcosa. Solita vita da cinquant’enne, insomma.- afferma, lasciandosi sfuggire una risatina.
-Tu piuttosto?-
-Io sarò come al solito affogata dal lavoro e dai preparativi del matrimonio.- dico, facendo spallucce.
-Ricorda di non fare troppi sforzi, mi raccomando.-
Alzo gli occhi al cielo.
-Andiamo, papà! Ho fatto un incidente che mi è quasi costato la vita, è vero, ma sto bene. Ma diciamo che solo per te, cercherò di stare il più attenta possibile e di non sottopormi a sforzi inutili.- dico, come una cantilena, ripetendo ciò che mi hanno detto i dottori.
-Bravissima, piccolina.- risponde, accarezzandomi una mano, con lo sguardo fisso sulla strada. Sorrido e gliela stringo.
Poco dopo arriviamo di fronte a casa mia e lo convinco a non entrare con me, visto che ce la faccio a trascinare una valigia neanche troppo pesante. Apre il cofano e afferra il bagaglio, lasciandolo sul vialetto. Lo richiude e mi lascia un bacio sulla fronte, raccomandandomi le solite cose. Annuisco e risale in macchina, tornando verso Santa Monica.
Alzo lo sguardo e vedo che le luci sono accese. Com’è possibile? Magari Logan è tornato prima del previsto, meglio così.
Infilo la chiave nella serratura e la giro, aprendo la porta di ingresso. La poggio alle mie spalle e sento dei rumori provenienti dal piano superiore.
Mi affretto a salire le scale, per avvisare il mio futuro marito che sono tornata a casa e soprattutto per chiedergli il motivo di questo improvviso e anticipato ritorno.

 
 
NOTE DELL’AUTRICE (STUPIDA):
Buonsalve, lettori!
Sono tornataaaaa! Okay, stahp.
Questo capitolo è un po’ di passaggio, per così dire, e dal prossimo aspettatevi dei colpi di scena.
Il rapporto tra Sophie e Brian va via via migliorando e lei è decisamente felice anche grazie al padre e a tutto ciò che quest’ultimo fa per lei.
Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento, e magari, fatemi sapere cosa ne pensate attraverso una recensione.
Ringrazio tutti coloro che hanno inserito la storia tra le preferite e le seguite, e anche chi mi ha lasciato un commento positivo, motivandomi davvero tanto.
Scappo via e in fretta.
Ve se ama,
Sassanders.
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


EVERY BREAKING WAVE.

                      Capitolo 8

Salgo in fretta al piano di sopra, sempre stando attenta ai lividi che ho sparsi qua e là sul corpo. Attraverso il corridoio in fretta, con un sorriso stampato in volto, felice di rivedere Logan. Sento che i rumori diventano sempre più forti, man mano che mi avvicino alla camera. E se fossero i ladri? Cerco di mantenere quanta più calma possibile e apro la porta della camera da letto con cautela. Non avrei mai dovuto farlo. Ciò che vedo dinanzi a me è una scena a dir poco da voltastomaco e sconvolgente.
Logan a letto con una donna che non riesco a vedere in volto. Loro non si sono accorti della mia presenza e continuano il loro rapporto decisamente indisturbati. Sto quasi per vomitare. I miei occhi si riempiono di lacrime e il sorriso svanisce dal mio viso. Riesco a non piangere con molta facilità, stranamente. Mi stampo un sorriso ironico sulla faccia e tossisco. Logan si volta verso di me, terrorizzato. Anche la donna sotto di lui mi guarda spaventata ed intimorita. Mantenendo il sorriso, metto a fuoco la donna e la riconosco. Eccome se la riconosco: capelli biondi, viso perfetto e occhi azzurri. Jessica, quella stronza del mio capo.
Logan apre la bocca per parlare e dire qualcosa ma lo precedo.
-Non voglio sentire niente. Non una sola fottuta parola. Non mi interessa nulla. Vi do’ esattamente dieci minuti per raccogliere le vostre robe, rivestirvi ed sparire da questa casa e dalla mia vista. Dieci minuti, non di più.- dichiaro, irremovibile. Scendo al piano inferiore e apro la dispensa, cercando del whiskey. Afferro una bottiglia per il collo e trangugio quanto più liquore possibile. Sento il liquido scendere nella gola e bruciare. Un bruciore che mi fa sentire subito meglio. Mi appoggio alla credenza e tiro due respiri lunghi e profondi. Mi passo le mani tra i capelli, chiudendo gli occhi e sperando che le lacrime non si facciano vive proprio ora. In qualsiasi momento, ma non ora. Mi ricompongo, e sento dei passi provenire dalle scale, ma rimango comunque di spalle. Sento i passi sempre più vicini e una mano che si posa sul braccio. La scrollo immediatamente, e mi volto verso Logan, con uno sguardo furente.
-Non mi toccare. Non ti permettere, non dopo quello che hai avuto il coraggio di fare. Sparisci dalla mia vita e dalla mia vista. Immediatamente.- sibilo.
Sembra un po’ ferito dalle mie parole, ma non me ne può fregare di meno. Meglio così, anche se non proverà mai il dolore che ho provato quando ho visto loro due a letto insieme. Sono stata capace di non piangere, ma non per questo non mi sento ferita. Lo vedo arretrare, come se fosse a disagio, e dietro di lui vedo Jessica correre verso la porta di casa mia, e uscendo dalla casa, impaurita. Mi sfrego le mani e mi ricordo della fede che porto all’anulare, così la sfilo in fretta e la lancio contro il mio ormai ex fidanzato. Riesce a scostarsi e ad evitare che l’anello lo colpisca.
-Fuori.- urlo, indicando la porta.
Tenta di nuovo di avvicinarsi a me, ma sono io ad arretrare questa volta.
-Ho detto fuori!- grido, fuori di me.
Mi guarda per l’ultima volta e cammina verso l’uscita, a testa bassa. Raccolgo l’anello e lo scaglio una seconda volta contro di lui. Manca il bersaglio anche questa volta e poi mi dirigo verso l’uscio, sbattendo la porta con violenza e scivolando su di essa e sedendomi sul pavimento. Bevo dal collo della bottiglia e lascio che le lacrime mi si infrangano sulle guance. Piango perché mi ha delusa profondamente, e perché pensavo fosse l’uomo perfetto. Non ci vedevamo spesso, è vero, ma comunque credevo che mi amasse. Invece no, chissà da quanto mi mente in questo modo. Non voglio nemmeno sapere da quanto tempo va avanti questa storiella del cazzo.
Sento il campanello che trilla e sobbalzo. Mi alzo da terra e preparo una di quelle sfuriate indimenticabili. Ancora prima di afferrare la maniglia comincio ad urlare, con una rabbia incontrollabile.
-Cosa cazzo non capisci della frase ‘sparisci dalla mia vista’, brutto pezzo di- mi blocco, quando noto che Brian è sull’uscio e mi guarda un po’ terrorizzato. Mi asciugo le lacrime con il dorso della mano e tiro su con il naso.
-Scusa, pensavo fossi…- inizio, ma poi sbuffo. –Lascia stare.- tiro di nuovo su con il naso e mi sposto per lasciarlo passare, bevendo un sorso di whiskey.
Mi chiudo la porta alle spalle e mi vado a sedere sul divano, stendendomi e poggiando i piedi sul tavolino. Prendo un pacchetto di sigarette posto sul mobiletto accanto al sofà, ne estraggo una, la accendo con l’accendino che trovo nella tasca e la accendo, aspirando la nicotina, che subito mi rilassa. Intanto, Brian è ancora nei pressi dell’uscio che mi guarda spaesato.
-Mi spieghi che cazzo succede?- domanda, visto il mio probabile stato d’ira.
-Niente, ho appena trovato Logan a letto con Jessica e li ho sbattuti entrambi fuori di casa. Ah sì, e gli ho anche lanciato l’anello di fidanzamento contro.- dico, indicandomi l’anulare.
Rimane sbigottito,e quando realizza tutto quanto, si siede accanto a me. Presa da tutto questo casino, non ho visto i due cartoni di pizza che ha in mano. Ne prendo uno e lo apro, prendendo un trancio di pizza bollente e cominciando a mangiare.
-Ma è tutto okay, davvero. Pensa, non ho pianto nemmeno. Immagina che quando sono entrata in casa e di conseguenza in camera, perché sentivo dei rumori strani,-dico, mimando il termine con delle virgolette, -non si erano nemmeno accorti della mia presenza. Poi ho tossito, mi sono messa a ridere e gli ho detto che avevano dieci minuti per andarsene da questa casa e sparire dalla mia vista.- continuo, mentre faccio raffreddare la pizza. Brian non si è ancora espresso.
-Cazzo, mi dispiace…- mormora, accarezzandomi una mano. Annuisco e faccio spallucce, togliendomi il cartone dalle gambe e poggiandolo sul tavolino. Mi gratto lo zigomo, dimenticandomi di avere ancora un livido ed impreco, sotto voce.
-Guarda, neanche il tempo di tornare a casa. Cazzo, sono quasi morta e lui ha pensato solo a venire in ospedale a dettar legge e a darti la colpa. Che merda.- commento.
-Già. Hey, davvero, mi dispiace.- ribadisce. Gli faccio un piccolo sorriso e faccio di no con la testa.
-Ti ripeto, non mi importa più niente ormai. Sai, pensavo di stare peggio, e invece non ho pianto. O meglio, ho pianto solo prima che venissi tu, ma soltanto perché i sento totalmente presa in giro. Ti rendi conto? Ci conosciamo dal college, se aveva qualche tipo di problema con me, avrebbe potuto dirmi di finirla qua e di rimanere amici, che ne so. Ma che cazzo, tutto a sei mesi di distanza dal matrimonio. E non voglio nemmeno sapere da quanto va avanti questa storiella.- dichiaro, sbuffando.
Lo vedo in difficoltà e in imbarazzo, quindi decido di cambiare argomento.
-Scusa, ti sto annoiando con le mie cazzate.-
-No, che dici? E’ normale, hai bisogno di sfogarti.- risponde, sorridendo timidamente.
 -Dai, vieni qui.- mi incita, aprendo le braccia. Mi rifugio subito lì, tra le sue braccia e affondo la testa nel suo petto. Mi accarezza i capelli, e rimaniamo così per un bel po’. Decido di staccarmi io alla fine, sorridendo come per ringraziarlo. Ammicca e io rido leggermente, ma mi ricordo che non è venuto qui per parlare dei miei problemi. Addento un altro trancio di pizza.
-Ma come mai sei qui?- chiedo.
-Boh, non avevo niente da fare e sono venuto a vedere come stavi.- risponde, facendo spallucce.
-Come va con il disco?-
Brian non fa in tempo a rispondere alla mia domanda, che veniamo interrotti dal suono insistente del campanello. Alzo gli occhi al cielo e mi alzo, dirigendomi verso la porta, che apro e mi trovo davanti Logan.
-Oh cristo, ma si può sapere cosa non hai capito della frase ‘lasciami in pace’?- gli domando, alzando la voce.
-Sophie ti prego…- si interrompe e sposta lo sguardo dietro di me. Sgrana gli occhi.
-Che ci fa lui qui?- chiede, indicando Brian con il mento. Scoppio a ridere di gusto.
-Tu vieni qui a casa mia, dopo che ti ho trovato a letto con il mio capo e dopo che ti ho già detto di lasciarmi in pace, e mi dici ‘che ci fa lui qui’? Ma vedi di andare a farti fottere!- esclamo, chiudendogli la porta in faccia. Ritorno sul divano e vedo Brian che ha uno sguardo tra il divertito e lo spaventato.
-Oh. Mio. Dio.- dice, scandendo bene le parole e ridendo.
-Cosa?-
-Cioè, sei stata grandiosa! Era incazzato nero, glielo si leggeva negli occhi.- afferma, tenendosi lo stomaco per il troppo ridere. Rido anch’io e riprendiamo a parlare normalmente, mangiando la pizza e bevendo una birra. Chiacchieriamo parecchio, come se fossimo amici di vecchia data e riesco quasi a dimenticarmi di tutto ciò che è accaduto in questa giornata su cui occorre stendere un velo pietoso. Mi alzo dal divano per mettere un po’ in ordine e pulire. Sono chinata a raccogliere delle carte finite sotto il divano e quando mi alzo di scatto, mi ritrovo faccia a faccia con Brian. Ci separano solo pochi centimetri. Rimaniamo a fissarci per un po’ fin quando non sento le sue mani afferrare il mio viso e premere le sue labbra sottili sulle mie carnose. Ha un sapore di birra, tabacco e pizza e piano piano chiede accesso nella mia bocca. Ci baciamo per un tempo che sembra infinito e quando ci stacchiamo entrambi sorridiamo. Lascia cadere le mani e io vado in cucina per gettare le carte nel cestino. Mentre torno in salotto, guardo l’orologio e noto che si è fatto tardi, è quasi mezzanotte e io sono stanchissima, anche a causa del viaggio di oggi pomeriggio. Sbadiglio e mi stiracchio. Lo vedo in piedi vicino alle scale che fissa le fotografie appese al muro. Lo raggiungo e vedo che ha lo sguardo perso su una foto in particolare. E’ un’immagine che ritrae una bambina con dei riccioli biondi al centro dello sgabello, un uomo alla sinistra della bambina e una donna dai capelli neri e lunghi, alla destra della piccola: io, mio padre e mia madre. E’ in bianco e nero e sembra un foto artistica, quindi deduco che l’abbia scattata Joseph. Io sorrido con lo sguardo puntato sui tasti bianchi e neri, mentre mio padre e mia madre, mi guardano con occhi pieni di amore.
-Quella foto è stata scattata quando avevo più o meno quattro anni.- dico, ridestandolo dai pensieri. Si gira verso di me e presta attenzione alle mie parole.
-Loro sono mio padre e mia madre. Una cosa che mi ha sempre fatto riflettere è che ho i capelli ricci e biondi, presi da non so chi, perché entrambi i miei genitori sono castani. Ho sempre pensato che mia madre fosse una donna bellissima, i capelli neri e lisci, non molto alta, ma con un fisico atletico e un viso incantevole. Purtroppo io ho ereditato questi capelli- affermo, ridendo e prendendomi una ciocca tra le dita –E siccome non ho mai sopportato i capelli biondi, li ho sempre tinti, fin da quando avevo sedici anni. Ho cambiato tipo dieci tinte in dieci anni: sono passata dal nero al verde fino al rosso di ora.- continuo, sempre ridendo. Alza il sopracciglio divertito.
-Sì, fino ai diciotto anni, sono stata un’eccentrica metallara che aveva in camera poster di Phil Anselmo e tutto il resto.- ammetto.
-Tu metallara? Devi farmi vedere qualche foto.- dice, sorridendo.
Scendo i pochi gradini e corro verso il cassetto in cui di solito tengo tutte le fotografie che non sono appese al muro. Lo apro e sfoglio le varie immagini, fino a quando trovo quella che cercavo. La afferro e la osservo per un momento: una sedicenne con un sorrisetto sarcastico in volto e i lunghi capelli neri con qualche ciocca verde qua e là, una felpa dei Metallica, degli anfibi e un chiodo di pelle nero.
Gliela porgo e la guarda un momento. Piega la testa di lato. 
-Beh, non sei cambiata molto da allora.- osserva, spostando lo sguardo da me alla foto che tiene in mano.
-Nemmeno con uno zigomo rosso e gonfio?- domando, sarcastica. Aggrotta le sopracciglia e storce il naso, guardandomi un attimo e poi facendo di no con la testa. La prendo dalle sue mani e la rimetto al suo posto, in quello esatto di prima. Ne prendo un’altra, di mia madre, questa volta. Ho gli occhi lucidi e sorrido.
-Questa era mamma. Ho sempre desiderato essere come lei, la trovavo e la trovo tutt’ora una donna incantevole. La veneravo oltre come madre, anche come una specie di dea della bellezza.-
Gli porgo l’altra foto. La prende e la guarda.
-Le assomigli tantissimo. Il viso è davvero identico.- afferma, alzando un angolo della bocca.
Sospiro profondamente e cerco di non scoppiare il lacrime.
-Mi manca troppo, desidererei solo abbracciarla per altre volte, senza parlare.-ammetto, con la voce che mi trema. Non risponde, mi abbraccia soltanto. Inspiro ed espiro e riesco a cacciare indietro le lacrime che avrebbero tanto voluto scendere sulle mie guance. Mi stacco e mormoro un ‘grazie’, tirando su con il naso.
-Non ringraziarmi, è normale che ti manchi.- ribatte, sorridendo dolcemente.
Annuisco e mi allontano. Metto la fotografia al suo posto e Brian si dirige in salotto. Mi sporgo un po’ per vedere che sta facendo e vedo che si sta infilando il giubbino.
-No…- mi faccio scappare, involontariamente. Si volta verso di me con un braccio ancora non infilato nella giacca. Alza un sopracciglio e io impreco sotto voce.
-No è che mi chiedevo se potevi…ehm…rimanere qui.- balbetto, dandomi mentalmente della stupida. Rimane un attimo sorpreso.
-Non ho nemmeno un pigiama…- osserva, allargando le braccia.
Salgo le scale a due a due, rischiando anche di inciampare sull’ultimo gradino e urlando una colorita imprecazione, e sento una sua risatina.
Frugo nei cassetti adiacenti al letto e ci trovo una maglia e un pantalone di Logan. Li guardo e per la sua corporatura vanno decisamente bene. Scendo in fretta al piano inferiore e porgo il tutto al chitarrista. Scoppia a ridere e io arrossisco. Dannazione!
Acconsente, sempre ridendo, e si leva la giacca. Sorrido con un angolo della bocca.
-Io vado in bagno, tu fai come se fossi a casa tua.- dico, alzando le spalle.
Lui annuisce e io vado di sopra, entrando nel bagno. Mi guardo allo specchio e ho le guance arrossate. Mi sciacquo il viso e mi lavo i denti, poi mi infilo il pigiama, posto nel cestino del bucato pulito accanto al lavandino. Mi gratto il naso, cosa che faccio sempre quando sono leggermente nervosa. Scendo i primi gradini e lo vedo fermo ad osservare nuovamente le foto appese al muro. Rido di gusto.
-Ti piacciono proprio eh?- domando. Annuisce e sale gli altri gradini con i vestiti in mano, e mi lascia un veloce bacio a fior di labbra. Non ho il tempo di fare niente che è già corso in bagno. Controllo che la cucina sia in ordine e poi salgo al piano di sopra,  e mentre sto passando dal bagno per andare in camera, la porta si spalanca, e per lo spavento caccio un urlo, facendo un salto all’indietro. Mi metto una mano sul petto per tranquillizzarmi e respiro profondamente. Lui ride e gli lancio un’occhiataccia.
-Stai cercando in tutti i modi di farmi morire, o è una mia impressione?- chiedo.
-Mi hai scoperto!- esclama, fingendosi sorpreso.
-Ti odio.- borbotto, incrociando le braccia al petto.
-Sì, come no.- ribatte, ridendo. Scuoto la testa e gli faccio strada per la camera da letto.
Mi volto verso di lui.
-Il lato sinistro è mio.- dichiariamo, contemporaneamente. Ci guardiamo con aria di sfida e corriamo entrambi verso il lato sinistro del letto, io mi ci fiondo sopra e lui con me. Ridiamo contemporaneamente e poi mi bacia a stampo.
-Fa freddo, cazzo!- esclamo, tremando.
Mi infilo sotto le coperte e lui come me, abbracciandomi da dietro. Sorrido e dopo poco mi chiudo gli occhi, cadendo in un mondo di sogni.


 
 
 
NOTE DELL’AUTRICE (STUPIDA):
Ma buon salve, lettori!
Come va la vita? Spero bene, almeno per voi.
A me va così e così ma questo non vi interessa. Yeee.
Okay, la smetto.
Questo capitolo mi piace particolarmente deheheh, anche se è un po’ corto :/
Il rapporto tra i due piccioncini è decisamente migliorato, rido, anche grazie a Jessica e Logan che sono stati scoperti dalla nostra giornalista a letto insieme a, beh, lalala.
Se pensate che ora le cose possano finalmente andare per il meglio, posso solo dirvi di non mantenere questa sicurezza, MUAHAHAHAHAH.
Bene, ora mi dileguo.
Colgo l’occasione per ringraziare tutti coloro che hanno inserito la fanfic tra le seguite e le preferite, e tutti coloro che hanno recensito i vari capitoli. Grazie davvero.
Spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento, e, naturalmente, fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione, se vi va.
Mi rendereste una personcina felice.
Alla prossima,
ve se ama.
Sassanders.
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


             EVERY BREAKING WAVE.

                         Capitolo 9

E’ passata una settimana da quando io e Brian ci siamo baciati.
Beh, per la seconda volta, anche se la prima non conterebbe perché non ero cosciente delle mie azioni, in quanto ubriaca fradicia.
Oggi è il giorno del mio rientro a lavoro, e della ripresa del solito stress settimanale che mi affligge. In realtà, anche se non ero propriamente in salute, mi sono rilassata tantissimo, e ho passato due settimane intere con papà, cosa che non facevo da molto tempo. E’ stato tutto perfetto, tranne una cosa: Logan a letto con Jessica.
Ci sono stata male e ovviamente, penso ancora a lui, anche se sto cercando di fare il più possibile per dimenticarlo. Dopo quel giorno, mi ha chiamato un altro paio di volte, ma non gli ho mai risposto. Non ho intenzione di perdonarlo, dopo tutto quello che ha fatto. Tradirmi con una persona che non fosse stata il mio capo avrebbe fatto sicuramente meno male. E avrebbe fatto meno male anche se mi avesse parlato o comunque mi avesse tradito prima della proposta di matrimonio. Mi sono sentita totalmente presa in giro, e sto cercando di andare avanti. Devo dire che non è difficile come pensavo fin dall’inizio, anche grazie a Brian, che mi sta accanto il più possibile.
Anche dal punto di vista della salute, va tutto bene. Gli ematomi sono completamente guariti e anche quello sullo zigomo. Insomma, sta andando bene, tutto sommato.
Ora sto uscendo di casa per dirigermi al lavoro, dove oggi rivedrò Jessica. Già mi innervosisco al pensiero di averci a che fare tutti i giorni. Mi metto in macchina e guido il più cautamente possibile, senza distrazioni. Arrivo alle nove e un quarto circa in redazione e, a passo spedito, vado verso l’ascensore, salutando qualche collega che mi chiede anche come sto. Dopo qualche chiacchiera, salgo al mio piano, aprendo la porta dell’ufficio. Mi tolgo la giacca e la appendo al gancetto vicino alla scrivania, sedendomi poi sulla mia sedia girevole blu. Sono ancora sola, perché la luce dell’ufficio di Jessica è spenta. Comincio a lavorare e a recuperare tutto quello che non ho fatto in tre settimane di assenza. Il lavoro arretrato è abbastanza, ma mi impegno e riesco ad arrivare a buon punto, verso le dieci e mezza. Sento la porta aprirsi e dei tacchi che fanno un rumore allucinanti. Deve essere arrivata la vipera. Non saluto, né alzo lo sguardo dai fogli, ignorandola completamente.
-Sophie io…- comincia, ma io la guardo, furente.
-Non voglio sentire assolutamente niente. Tu sei solo il mio capo e al di fuori di qui non abbiamo alcun tipo di rapporto. Non voglio stare ad ascoltare tutte le sciocchezze che hai da dirmi, ne ho già piene le scatole. Tu e quello stronzo, potete continuare a fare quello che volete, vi chiedo solo di lasciarmi in pace, fate finta che io non esista, o che ci conosciamo come un capo può conoscere una propria dipendente, okay?- domando.
Lei annuisce soltanto e fruga nelle tasche della giacca.
-Tra un’oretta devono passare gli Avenged Sevenfold per firmare degli ultimi documenti e un controllo veloce.- dice e io rimango piacevolmente sorpresa. Tento di non sorridere e mormoro un ‘okay’ e torno ai miei documenti. Dopo che è rientrata nel suo ufficio, mi dirigo in bagno a darmi una sistemata. I capelli sono in ordine, così come il trucco. Stiro con le mani il tessuto del vestito nero in cotone che indosso. E’ un semplice vestito, molto sobrio e neanche molto elegante. La gonna ha qualche balza ed arriva al ginocchio e ai piedi indosso un paio di stivali, sempre neri, con la zeppa. Esco dalla toilette ed esco nel corridoio per prendere un caffè alla macchinetta. Prendo i soldi e premo il tasto del caffè. Mentre aspetto che la bevanda venga versata nel bicchierino marrone, controllo l’orologio al polso e noto che sono le undici meno dieci minuti. Torno in ufficio, bevendo il caffè bollente e lavoro un altro po’, con la testa chinata sulla scrivania, concentrandomi. Recupero un altro po’ di articoli da completare. Sento un colpo di tosse e qualche risatina, e alzo lo sguardo, ritrovandomi la band di fronte. Sorrido raggiante, alzandomi e andando incontro a Brian che mi abbraccia, circondandomi la vita con le sue braccia tatuate. Avvolgo le mie braccia attorno al suo collo e dopo poco mi bacia, facendo incontrare le nostre lingue. Ci stacchiamo e sorridiamo, sotto gli sguardi stupiti degli altri membri del gruppo. Noto che però manca Jimmy.
-Ragazzi, dovete raccontarci parecchie cose a quanto pare.- esclama Zacky, sorridendo. Io arrossisco e Brian se la ride, grattandosi la nuca con fare imbarazzato. Saluto tutti con un abbraccio veloce che viene prontamente ricambiato e poi vado nell’ufficio di Jessica per avvisare che sono arrivati. Apro la porta dell’ufficio e la trovo con lo sguardo fisso sullo schermo del pc.
-Sono arrivati gli Avenged Sevenfold.- dico semplicemente. Lei si toglie gli occhiali da vista e li posa sulla scrivania. Mi giro e torno da loro, seguita dal mio capo. Stringe la mano e sorride a tutti loro.
-Scusate ma ho davvero molto lavoro arretrato. Sophie vi farà firmare gli ultimi documenti e darà un’ultima ricontrollata all’intervista e all’articolo. Quindi vi auguro buona giornata.-
Si gira e torna nel suo ufficio. Sbuffo infastidita e mi siedo.
-Come mai manca Jimmy?- chiedo, curiosa.
-Non ha risposto al cellulare, probabilmente starà ancora dormendo. Coglione.- risponde Johnny.
Annuisco e Brian mi si avvicina dopo poco, accarezzandomi una spalla.
-Va tutto bene?-
Faccio spallucce e un sorriso amaro. Mi lascia un bacio sulla guancia e mi alzo subito.
Prendo i documenti che devono firmare e li sistemo su una pila ordinata. Guardo di fronte e noto che non ci sono abbastanza sedie.
-Non so, sedetevi a terra.- propongo, ridendo assieme agli altri.
Mi guardo intorno alla ricerca di qualche sedia e poi mi ricordo dell’ufficio di Jessica, dove ci sono sempre delle sedie inutilizzate. Entro nell’ufficio del mio capo, dopo aver bussato e le dico che ho bisogno di due sedie.
-Brian! Vieni ad aiutarmi!- urlo. Dopo poco il chitarrista si materializza nella stanza e prende una sedia, uscendo e poggiandola vicino alla mia scrivania. Lo seguo, prendendo l’altra e chiudo la porta alle spalle, ma Brian mi toglie anche quella dalle mani e la poggia accanto all’altra trasportata da lui. Sorrido come per ringraziarlo e mi siedo sulla mia girevole, mentre gli altri si accomodano in ordine sparso. Brian prende posto alla mia sinistra, Matt alla mia destra, mentre Zacky e Johnny di fronte. Tendo una mano verso Brian, che mi stringe e fa intrecciare le nostre dita. Sorridiamo e un colpo di tosse proveniente dalla mia destra ci ridesta dal flusso di pensieri.
-Okay, piccioncini…- comincia Matt, ma viene interrotto da Brian che gli mostra un dito medio.
Rido di gusto e poi sfoglio i documenti che devono firmare.
-Allora, dovete mettere delle semplici firme. Sapete scrivere almeno il vostro nome no?- chiedo, sarcastica. Brian fa una smorfia cercando di imitarmi e alzo gli occhi al cielo. Porgo un foglio ciascuno e una penna che si passano a turno. Dopo un’oretta abbiamo terminato.
-Andiamo a mangiare?- chiede Zacky, toccandosi la pancia.
Scoppio a ridere e poi guardo l’orologio al polso.
-Beh, sono le dodici e mezza, potremmo andare se proprio avete fame.- dico, alzando le spalle.
Annuiscono e il chitarrista ritmico sorride soddisfatto. Busso alla porta dell’ufficio di Jessica.
-Avanti.- pronuncia, a voce alta.
-Io e gli altri andiamo a pranzo. Ti va bene o hai altro da fare con Logan?- chiedo, sorridendo divertita. Lei diventa tutta rossa.
-No, rimango io qui. Puoi andare.- mormora, a testa bassa.
-Grazie, ciao.- la saluto, chiudendo la porta e prendendo la giacca. Brian mi rivolge un’occhiata divertita e io lo guardo interrogativa.
-Si vedeva che era arrossita fin qui.- risponde. Alzo un sopracciglio e scoppio a ridere.
-Come se mi interessasse.-
Usciamo dall’ufficio e prenotiamo l’ascensore. Dalla borsa mi squilla il cellulare e compare il nome ‘Logan’ sul display. Sospiro, cercando di mantenere la calma.
Mi giro verso Brian che è dietro di me. Rivolgo lo schermo verso di lui e mostro il display. Conto fino a tre e con le dita e accetto la telefonata.
-Sophie!- esclama Logan, sorpreso.
-Allora, ascoltami bene. Questa è la prima e l’ultima volta che ti rispondo. Devi lasciarmi in pace. Torna da Jessica, è così difficile? Davvero è tanto complicato da capire? L’anello di fidanzamento che ti ho scagliato contro non ti ha fatto capire niente? Sparisci dalla mia vita, cazzo!- urlo, in preda all’ira, sotto gli sguardi di tutto il corridoio. Chiudo la chiamata e ripongo il cellulare spento nella borsa.
Mi lego i capelli in un mezzo chignon disordinato e mi levo la giacca.             Brian mi posa una mano sulla spalla, ma io mi allontano, cominciando a fare avanti e indietro per tutto il corridoio, mordendomi le unghie. Presa dalla rabbia, sferro un calcio al muro, mentre alcuni miei colleghi mi osservano spaventati.
-Che cazzo avete da guardare?- urlo. Loro tornano al proprio lavoro, mormorando delle cose che non riesco a capire. Lancio un’occhiata alle scale e decido di scendere a piedi, percorrendo i gradini in fretta. Sento una voce che mi chiama e dei passi dietro di me, ma continuo a correre. Subito dopo percepisco due braccia tatuate che mi afferrano da dietro e mi impediscono di continuare a scendere le scale. Respiro a fondo, appoggiandomi al torace di Brian che mi sostiene.
-Stai calma.-afferma, accarezzandomi i fianchi.
Mi volto e lo abbraccio, mormorando un grazie.
-Non ringraziarmi, se fosse per me avrei già ucciso di botte quel figlio di puttana. Ma sinceramente, mi ha solo fatto un favore a tradirti.- dice, sorridendo. Rido di gusto e poi lo bacio. Rimaniamo così per qualche minuto e poi decidiamo di scendere e vedere che fine hanno fatto gli altri Sevenfold. Quando riusciamo a trovarli, andiamo in un ristorante vicino alla sede e pranziamo tutti insieme, chiacchierando normalmente. Dopo aver mangiato, Matt, Zacky e Johnny vanno via. Mi spiegano che Jimmy è rimasto a dormire a casa sua perché non si sentiva molto bene, quindi, rimaniamo solo io e Brian. Bevo un sorso d’acqua, fissando un punto indefinito e pensando a varie cose.
-Ti va di uscire stasera a mangiare qualcosa?- mi domanda e sposto lo sguardo su di lui, che mi sorride.
-Certo.- rispondo, senza pensarci più di tanto.
-Okay, ci vediamo alle otto e mezza dalle parti di casa tua?- propone. Annuisco e sorrido, alzandomi dalla sedia e guardando l’orologio.
-Devo tornare in sede.- annuncio, sbuffando e infilandomi la giacca.
-Non preoccuparti. Ci vediamo stasera.- mi avvicino e lo bacio a stampo. Prendo velocemente la borsa e lascio i miei venti dollari sul tavolo. Brian mi afferra un polso.
-Riprenditi quei soldi.-
-No, voglio pagare.-
-Non ti porto a cena.-
Sollevo gli occhi al cielo e mi riprendo la banconota, facendo la linguaccia. Mi volto, ma lui mi afferra nuovamente il braccio. Mi tira verso di lui e mi bacia. Sorrido e scappo verso l’uscita, altrimenti non tornerei più a lavoro. Mi metto in macchina e torno in redazione in tempo, visto che non c’è molto traffico. Il tempo scorre velocemente e alle sette finisco il mio turno.
Esco a passo svelto dall’ufficio e dall’ascensore. Sono completamente sola, se non per gli addetti alle pulizie, che ovviamente sono negli uffici. Esco dall’edificio e vado verso la mia macchina. Non faccio in tempo ad arrivare all’auto però, che sento una mano tapparmi la bocca e un’altra frugare nelle mie tasche alla ricerca di qualcosa. Mi dimeno, cercando di urlare, per quanto mi è possibile, ma la persona dietro di te, riesce a bloccare i miei movimenti. Prende le chiavi dell’auto e apre lo sportello posteriore, sbattendo mici dentro a forza. Comincio a tremare di paura, ma mi dimeno comunque, anche se non ho ancora capito chi mi ha aggredita alle spalle. Sbatto la schiena contro i sedili posteriori e spalanco gli occhi, trovandomi di fronte Logan, che mi fissa furioso. La mia guancia destra viene colpita da uno schiaffo abbastanza forte e urlo, ma il mio ex mi tappa nuovamente la bocca.
-Da quanto tempo stai con quello lì? Mentre stavamo insieme te la facevi con quello, eh puttana?- chiede, urlando e mollandomi un pugno sullo zigomo sinistro. Quando leva la mano dalla mia bocca, mi faccio coraggio e gli sputo in faccia. Il mio gesto sembra innervosirlo ancora di più, così mi sferra un pugno sullo zigomo destro e uno nello stomaco, tenendomi comunque bloccata. Urlo di dolore, mentre le guance indolenzite sono inondate dalle mie lacrime. Mi colpisce ancora molte volte e ad ogni colpo, la mia forza diminuisce sempre di più. Non ho nemmeno la forza di urlare e chiedere aiuto, tanto comunque nessuno mi sentirebbe. Dopo un po’ si solleva e io continuo a tremare e a piangere, piena di dolori e completamente debole. Sento Logan che chiama qualcuno, ma non riesco a sentire la conversazione. Quando chiude la chiamata, mi lancia un ultimo sguardo carico di odio e scappa, non so dove. Lascia lo sportello aperto e nel frattempo sento del sangue colarmi dal naso e un sacco di dolori sul viso e sul torace. Piango fin quando anche le ultime forze vengono a mancare, e chiudo gli occhi, stanca di tutto. L’ultima cosa che percepisco
è la sirena di un’ambulanza. Poi, il buio totale.
 
 
BRIAN’S POV.
Sono seduto in macchina, sul sedile del guidatore e sono fermo da un po’ di fronte casa di Sophie. Ho lo sguardo puntato verso le finestre di casa sua, dove le luci sono totalmente spente. Provo a richiamarla una terza volta, ma mi risponde nuovamente la segreteria. Sto cominciando a spazientirmi. Dopo il bip le lascio un messaggio che spero riceva e ascolti il prima possibile.
-Sophie, si può sapere dove cazzo sei? A casa tua non di certo e ti sto aspettando da un po’. Che fine hai fatto?- dico, inviando il messaggio e chiudendo la chiamata. Lancio il cellulare sul sedile del passeggero e mi passo le mani tra i capelli, sbuffando. Accendo lo stereo, e giro qualche stazione, fin quando non ne trovo una abbastanza decente. Spero solo che si muova, perché già sto cominciando a perdere la pazienza. Che cazza di fine avrà fatto? Starà al lavoro o starà di nuovo con quel Logan? Ecco che ora mi faccio anche le seghe mentali.
-Cazzo!- impreco, urlando, esasperato dopo un’ora che Sophie non si fa né vedere, né sentire. Metto in moto e, ormai stufo dell’attesa, ritorno verso casa. Mi ha dato buca, quindi è stata tutta una gigantesca stronzata. Eppure pensavo che quei sorrisi fossero veri. Ma chi se ne frega. Sono Synyster Gates, posso trovarne quante voglio. Di certo non sto a farmi problemi per una come lei. E’ ovvio che tutte le altre che troverò non saranno come lei ma...
Un attimo. Che cazzo sto dicendo? Sto davvero facendomi tanti problemi per quella lì? Scuoto la testa, sconsolato.
Il flusso dei miei pensieri viene interrotto dalla suoneria del mio cellulare. Lo lascio squillare: se è Sophie, non le risponderò. Dopo qualche secondo smette di trillare, per poi riprendere immediatamente. Sbuffo infastidito e lancio una veloce occhiata al display del mio cellulare, ma non è Sophie che mi sta chiamando. E’ un numero che non ho memorizzato in rubrica. Aggrotto le sopracciglia e afferro il telefono, accettando la chiamata. Porto l’aggeggio vicino all’orecchio e sento dei rumori strani, come dei singhiozzi.
-Pronto?- chiedo, titubante.
-Brian, sono Julie!- risponde la voce dall’altro capo.
-Senti se hai chiamato per giustificare la tua…- comincio, ma lei mi interrompe bruscamente.
-No, cazzo! Devi correre al st. Patrick’s Hospital, stiamo portando lì Sophie.- esclama, con la voce rotta dal pianto. Penso di essere impallidito. Accosto l’auto sul ciglio della strada e spengo il motore.
-Come sarebbe a dire in ospedale?- chiedo, deglutendo.
-Non c’è tempo per spiegare. Muoviti!- pronuncia, prima di chiudere la conversazione. Biascico un ‘oh cazzo’, per poi rimettere il cellulare sul sedile e ripartire in fretta e furia verso il st. Patrick, che per fortuna, non dista molto dal punto in cui mi trovo io in questo momento. Mille domande fanno capolino nella mia testa, ma mi impongo di non pensare a niente, se non a pigiare sull’acceleratore e aumentare la velocità. Che cazzo sarà successo?
 
 
NOTE DELL’AUTRICE (STUPIDA):
Saaaalve, carissimi.
Mi scuso già per il finale angoscioso di questo capitolo, ma ho già in mente tutta la storia e il corso degli eventi, quindi non ho potuto evitare quest’episodio triste. Dovete sapere che questa fanfic l’ho scritta un po’ di tempo fa e sinceramente avevo cambiato idea per quanto riguarda questo capitolo, ma non mi andava di modificare tutto, quindi ho lasciato questo avvenimento, anche se non sono per niente soddisfatta.
Vediamo come il rapporto si stia evolvendo e nei prossimi ne vedremo delle belle, per quanto riguarda gli altri personaggi.
Grazie ancora a voi che seguite e commentate questa merd storia.
Se vi va, lasciatemi una recensione, una vostra opinione, mi renderebbe una delle personcine più felici di tutto il pianeta.
Scappo e un bacione.
Come al solito,
ve se ama.
Sassanders.

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


             EVERY BREAKING WAVE.

                                 Capitolo 10

Apro gli occhi, sentendomi completamente stordita: ho dolori ovunque e soprattutto al viso. Tutto questo mi sembra di averlo già vissuto. Perché sembra una specie di tuffo nel passato? Spalanco le palpebre, e la prima cosa che metto a fuoco è un soffitto bianco. Con molta cautela, faccio scorrere lo sguardo sul resto della stanza, realizzando solo dopo un po’ di essere in una orribile stanza d’ospedale, con tanto di solita puzza di medicine. Credo sia mattina, visto la debole luce che entra dalla finestra, che ha ancora le tende leggermente chiuse. Ma da quello spiraglio entra un po’ di sole che mi fa rendere conto che probabilmente è mattina presto. Sistemo la schiena e guardo le mie mani. Sono apposto, con le solite unghie mangiucchiate. Mi inumidisco le labbra, che sento terribilmente asciutte. Scosto le coperte di poco e vedo il mio torace ricoperto da un camice bianco a fiori blu. Alzo il tessuto e scopro delle fasciature all’altezza dello stomaco. Le tasto ma sento un dolore allucinante e di conseguenza, ritraggo la mano. Mi guardo intorno e vedo un bicchiere con dell’acqua sul comodino. Lo afferro di corsa e tracanno avidamente il liquido, che da’ un leggero sollievo alle mie labbra. Le inumidisco nuovamente, ma questa volta le sento gonfie. Sul mobiletto adiacente alla brandina, c’è il mio telefono. Lo uso come specchio, e metto a fuoco il mio riflesso. Rimango sbalordita: ho le labbra gonfie con un piccolo taglietto sul labbro superiore, in alto a destra, il naso fasciato, un occhio nero e livido e un sopracciglio con quelli che appaiono come dei punti. La fronte e la testa in genere sono apposto e non sembrano esserci punti o fasciature. Naturalmente, i capelli sono completamente in disordine, ma non ci faccio più molto caso, abituata al mio stato penoso mattutino. Poggio il cellulare sulle lenzuola e lascio sprofondare la testa nel cuscino. C’è un silenzio totale, sia all’interno della stanza, che all’esterno. Mi spremo le meningi per cercare di ricordare i motivi per cui sono finita per la seconda volta qui, ma solo dopo parecchio tempo dopo, tutto mi torna in mente, a grandi linee. Ricordo che sono uscita dalla redazione e qualcuno mi ha tappato la bocca e mi ha spinto verso la mia auto. Quel qualcuno mi ha scaraventata contro i sedili posteriori e con estremo orrore mi sono trovata davanti Logan, il mio ex, che mi ha accusata di averlo tradito con Brian e mi ha anche insultata. Sospiro profondamente, chiudendo gli occhi stanchi. Il display del telefonino dice che sono appena le sei del mattino, così mi sistemo per stare più comoda e cerco di riaddormentarmi. Gli ematomi e le fasciature all’addome non mi permettono di girarmi, quindi posso rimanere esclusivamente a pancia in su e con lo sguardo puntato al soffitto. Sbuffo, ma le costole sono indolenzite e mugolo per colpa del dolore insistente. Ricostruisco ciò che è accaduto per filo e per segno, ma la debolezza mi porta pian piano a chiudere gli occhi e lasciarmi cadere in un sonno profondo.
Sento un urlo e la porta della mia stanza che si apre, e di conseguenza mi metto a sedere di scatto, svegliandomi. Lo scatto mi provoca un lieve giramento di testa e delle fitte all’addome. Sposto lo sguardo verso la porta, che si spalanca e mi mostra un Brian dal colorito cadaverico e delle occhiaie viola che gli contornano i profondi occhi castani.
-Sophie…- mormora, con voce rotta.
-Lo so, lo so… Sono inguardabile…- dico, a mezza voce e abbassando lo sguardo sulle coperte. Sento che si avvicina al letto e mi stringe in un abbraccio, per quanto gli è possibile. Mi guarda con dolore e io gli accarezzo una guancia, come per tranquillizzarlo. Non si scosta, ma si lascia cullare dalla mia mano, socchiudendo le palpebre. Veniamo interrotti da una voce femminile.
-Signor Haner, esca immediatamente da qui!- ci rimprovera una dottoressa dal volto familiare. A quanto pare è la stessa dell’altra volta, con lo stesso ed identico sguardo torvo e lo stesso ed identico tono severo.
-Dottoressa, la prego, lo faccia rimanere qui…- biascico. Lei alza gli occhi al cielo e sbuffa, rinunciandoci. Faccio un mezzo sorriso e prendo la mano di Brian, intrecciando le nostre dita.
-Allora, signorina Turner. Ricorda qualcosa dell’accaduto?- domanda il medico.
Sto per rispondere di sì, ma mi blocco, pensando alle conseguenze che potrebbero esserci. Brian sarebbe capace di commettere qualche cazzata, se sapesse che Logan mi ha picchiata e ridotta così male. Quindi, nego con la testa.
-Bene, allora le racconto cosa è successo, o meglio, quello che so io di tutta la vicenda. Abbiamo ricevuto una chiamata anonima, in cui ci dicevano che lei era in quel parcheggio, e non era in buone condizioni. Abbiamo provato a chiedere altro, ma l’interlocutore ha riattaccato. Siamo giunti sul posto, e l’abbiamo trovata in uno stato pessimo. Sanguinava da più parti del viso, e l’abbiamo medicata, dandole però un sonnifero, altrimenti non sarebbe riuscita a sopportare tutto il dolore. Questo è tutto quello che sappiamo. Non abbiamo idea di chi fosse l’interlocutore, avendo effettuato la chiamata con lo sconosciuto e in completo anonimato.- mi comunica, con tono professionale.
Fingo di rimanere sorpresa e di spalancare gli occhi. Brian serra la mascella, e io gli stringo la mano.
-Ora, signorina. Magari è normale che non ricordi l’accaduto,- abbassa la voce e si avvicina al letto. –Ma è evidente che gli ematomi e i vari lividi che ha sul viso e sull’addome sono causati da percosse. Non deve avere paura di nessuno, e ne può parlare con me, se ricorda qualcosa.- La sua espressione si addolcisce, come se comprendesse la situazione. Prendo un respiro profondo.
-Davvero, dottoressa, è da quando mi sono svegliata che sto cercando di ricostruire la situazione, ma non ci riesco proprio.- mento, ma lo faccio per me e Brian. Lei annuisce e si allontana, usando nuovamente un tono professionale.
-La dimetteremo domani, ma l’importante è che rimanga a riposo e aspetti che i lividi siano scomparsi. Le anticipo già che sono parecchio estesi e dovrà applicare delle pomate specifiche sia per alleviare i dolori, sia per far guarire gli ematomi.-
Annuisco vigorosamente, ascoltando tutto il discorso filo per segno.
-Bene, ora vi lascio soli. L’orario delle visite termina tra…- si blocca un attimo per guardare l’orologio al suo polso. –Esattamente un’ora. Fuori ci sono altre persone, le faccio entrare?-
-Fra dieci minuti.- rispondo semplicemente e la dottoressa esce dalla stanza, chiudendo la porta alle sue spalle. Brian intanto è rimasto in piedi, a fissare il vuoto, con una mano ancora intrecciata alla mia.
-Brian…- lo chiamo, attirando la sua attenzione. Sospira, spostando lo sguardo su di me. Gli tiro leggermente il polso e mi sposto un po’, in modo da fargli spazio. Si stende per metà, poggiando la schiena sui cuscini. Mi avvicino e poggio la testa sul suo petto, facendo particolare attenzione al viso e agli ematomi. Mi posa una mano su un fianco e mi spinge più vicino a sé. Sento una fitta quando mi muovo, e mugolo.
-Sophie, sto facendo di tutto per mantenere la calma.- annuncia e comincio a spaventarmi. Mi allontano di scatto, respirando a fatica con gli occhi sgranati.
-Dimmi chi cazzo si è permesso di ridurti in questo stato.- verbia.
-N-non lo s-so.- mento, tremando ed evitando il suo sguardo indagatore.
-Non mentirmi.- dice, sollevandomi il mento con due dita. Il cuore mi batte all’impazzata e gli occhi si inumidiscono. Mi mordo il labbro inferiore, mentre sento le guance già solcate da due lacrime che proseguono il loro cammino fino al mento, dove sono ancora posate le dita di Brian. Si affretta ad asciugarle e a guardarmi con tristezza.
-Scusami…- mormora. Aggrotto le sopracciglia, mentre sento quello sinistro terribilmente dolorante. Perché mi sta chiedendo scusa? –Non dovevo trattarti così. E’ solo che…- prosegue, passando la lingua sulle labbra e inumidendole. –Vorrei solo sapere chi ti ha ridotto così, andare lì e ucciderlo di botte.-
Una ciocca di capelli scivola davanti ai miei occhi e lui la sistema subito dietro il mio orecchio, sorridendo lievemente.
-Sei bellissima anche così.- sussurra. Arrossisco un po’ e poi mi lascio sprofondare tra le sue braccia che mi accolgono e mi cullano dolcemente. Rimaniamo in quella posizione per qualche minuto, e poi veniamo interrotti dalla porta della stanza che si apre e mi mostra mio padre spaventato e preoccupato. Brian si affretta ad alzarsi dal letto e a sedersi su una sedia posta lì vicino, mentre papà fa finta di non aver visto niente e viene verso di me. Mi abbraccia e mi accarezza una guancia, stando attento ai lividi.
-Piccola mia…- borbotta, staccandosi da me e asciugandosi velocemente il viso con il dorso della mano. Ridacchio alla vista di mio padre che cerca in tutti i modi di celare il suo pianto e gli occhi lucidi.
La porta viene spalancata e in stanza entra una Julie completamente sconvolta, naturalmente in lacrime, che corre verso il letto dove sono stesa e mi stringe, singhiozzando. Le passo una mano sulla schiena come a tranquillizzarla e guardo Brian che osserva la scena divertito. Quando si stacca le sorrido e lei annuisce semplicemente.
-Hanno detto che ti dimetteranno domani, ma che dovrai rimanere a riposo, applicare costantemente delle creme specifiche sul viso e non fare sforzi con l’addome.- mi comunica mio padre. Sbuffo spazientita.
-Per quanto tempo?-
-Almeno una settimana.-
Fisso papà allibita. Una settimana per qualche livido? Okay, non è proprio qualche livido, ma una settimana non sarà troppa?
-Calma, ho chiamato io Jessica e le ho comunicato che non potrai lavorare questo periodo.- mi rassicura Julie.
Le sorrido grata.
-E quando mi dimetteranno?- domando.
-Domani.- risponde Brian, con le sopracciglia leggermente aggrottate e una mano poggiata sul mento, come a verificare che ci sia della barba incolta.
Dopo che tutti quanti sono andati via, al termine dell’orario delle visite, cerco di fare di tutto per non pensare a Logan e alla scena che mi si ripresenta in mente come un cassetta bloccata: lui che mi picchia lasciandomi lividi un po’ ovunque. Automaticamente mi si inumidiscono gli occhi e mi sfogo, piangendo un po’ e facendo sprofondare la testa nel cuscino, senza poggiarci il viso. Mi addormento così, con le guance bagnate e tra i singhiozzi.
 
 
Sono le undici di mattina, e mi stanno dimettendo dall’ospedale. Mi prescrivono delle pomate specifiche e mi fanno firmare qualche documento, poi mi permettono di uscire. Ho le stampelle, perché a causa dei lividi sull’addome non posso fare molti sforzi e, con molta cautela, mi dirigo verso l’uscita dell’ospedale, facendo fatica a sorreggermi su questi aggeggi che mi fanno scappare la poca pazienza che già ho di mio. Non è ancora arrivato nessuno, probabilmente mi aspettano fuori. Le porte scorrevoli si aprono e mi lasciano uscire all’esterno, dove c’è un enorme parcheggio. Mi guardo intorno e non scorgo nessuna macchina che riconosco né tantomeno qualcuno di mia conoscenza. Solo tante persone che entrano ed escono dall’ospedale. Alcuni si soffermano ad osservarmi e rimangono un po’ allibiti, altri, invece, non mi notano e continuano il loro percorso. Mi appoggio al muro, e respiro a fondo. Possibile che mi abbiano lasciato da sola? Automaticamente Logan mi ricompare in mente e la sua espressione arrabbiata mi fa tremare le gambe. Dagli occhi cominciano a fuoriuscire delle lacrime e, per non farmi notare e per non catturare attenzione, abbasso la testa, lasciando che i capelli mi coprano la vista. Singhiozzo e cerco di asciugarmi le gocce che cadono sulle gote, ma mi faccio male a causa dei lividi. Dopo qualche attimo sento una mano posarsi sulla mia schiena e, spaventata, caccio un urlo e balzo all’indietro, rischiando di cadere. Alzo il viso e mi trovo davanti Brian che mi fissa preoccupato.
-Sophie, che succede?-
Non riesco a rispondere e mi limito a fare di no con la testa, come per fargli capire che va tutto bene.
-Se va tutto bene, non piangeresti.- deduce.
Sospiro affranta e punto lo sguardo verso il cielo, mordendomi il labbro inferiore.
-Davvero, va tutto bene.- affermo, fingendomi convinta. Mi sistemo in fretta sulle stampelle e lo supero a testa bassa, cominciando a camminare più veloce che posso. Scorgo la macchina di Brian e vado verso di essa, aprendo poi lo sportello e bloccandomi perché non so come fare a salirci sopra. Brian viene in mio soccorso e mi sistema sul sedile del passeggero. Sale su quello del guidatore e chiude lo sportello, poggiando le mani sul volante e girandosi nella mia direzione. Io stendo le gambe e mi lascio scivolare sul sedile nero, sbuffando.
-Mi spieghi perché cazzo stavi piangendo?- insiste. Socchiudo le palpebre e mi sporgo lateralmente verso di lui, posando la testa sulla sua spalla. All’inizio si blocca ma poi mi accarezza i capelli in un gesto così confortante e dolce che potrei addormentarmi seduta stante. In seguito mi rimetto composta e gli sorrido, provando a convincerlo del fatto che vada tutto bene, e lui mi sorride di rimando. Durante il tragitto verso casa mia, entrambi stiamo in silenzio ma teniamo le nostre mani intrecciate. Mi sento meglio e credo che tutto questo sia molto meglio di tante parole sprecate.
Una volta arrivati nel vialetto di casa mia, il chitarrista mi aiuta a scendere dall’auto e mi porge le stampelle, che afferro immediatamente. Mi fermo ad osservarlo con le sopracciglia aggrottate mentre apre il cofano e tira fuori un borsone da tennis.
-Hai intenzione di andare a giocare a tennis?- domando.
Lui scoppia a ridere, ma io rimango comunque perplessa.
-Non sto scherzando. A che ti serve il borsone?- Lui alza il sopracciglio.
-Mi fermerò da te per qualche giorno, finché non starai meglio, per lo meno.- mi comunica, come se fosse ovvio. Strabuzzo gli occhi.
-Che c’è?- chiede, spaesato.
-Quando avevi intenzione di dirmelo? Cristo santo, ci sarà tutta la casa in disordine e non ci metto piede da due giorni e sarà un porcile!- esclamo, come una mitragliatrice. Comincio a camminare verso il portone di casa mia, e una volta arrivata lì, capisco di non avere la borsa con me. Mi volto verso il vialetto, dove Brian sta ridendo come un matto.
-Mi spieghi cosa cazzo c’è da ridere? Piuttosto muovi il culo e passami le chiavi!- urlo, per farmi sentire.
Prende la mia borsa, afferra la sua lasciata a terra e chiude la macchina inserendo le chiavi nella serratura accanto allo sportello del guidatore. Corre verso di me e mi porge la borsa. Gli lancio un’occhiata torva. Non rispondo, semplicemente alzo le sopracciglia e gli mostro le stampelle.
-Giusto.- borbotta, cominciando a frugare nella spaziosa e piena borsa.
-Ma hai tutta casa tua in borsa?- chiede.
Faccio una smorfia, e fortunatamente, riesce a trovare il mazzo di chiavi. Me le porge e le prendo; trovo quella giusta e la infilo nella serratura, facendola scattare e aprendo la porta. Entro in fretta e mi giro verso di lui.
-Qualunque cosa tu veda, dimenticala immediatamente.- dico, scandendo le parole con lentezza. Lui annuisce e rientro in casa, zoppicando, seguita dal chitarrista.
Mi guardo un attimo intorno e vedo un po’ di caos. Qualche bottiglia di birra sparsa sul tavolino, carte sul divano e mozziconi di sigarette anche a terra.
-Dovrei chiamare una donna delle pulizie, maledizione.- affermo, più che altro a me stessa, sotto voce. Lui ghigna e gli mostro il dito medio, sorridendo a trentadue denti.
-Aiutami a pulire, piuttosto.-
Posa le borse sul divano e io approfitto per sedermi sulla poltrona. Ci mettiamo all’opera e dopo circa un’oretta la casa è già leggermente più pulita e più in ordine.
Ci lasciamo cadere entrambi sfiniti sul divano. Guardo l’orologio a muro, e le lancette segnano le tredici e cinque minuti.
-Dobbiamo cucinare qualcosa. Sto morendo di fame.- annuncio, fissandolo.
-Dobbiamo? Hai dimenticato che non so nemmeno preparare un fottuto caffè?- mi domanda. Alzo gli occhi al cielo e in pochi attimi mi metto in piedi, con l’ausilio delle stampelle. Vado verso il frigorifero e lo apro, osservando i vari scompartimenti.
-Abbiamo qualche uova, dei pomodori, dell’insalata e…- comincio, ma Brian mi interrompe.
-Ordiniamo una pizza.- quasi mi supplica.
Faccio spallucce e annuisco, tornando sul divano. Prendo il cordless poggiato sul comodino a fianco del divano e compongo il numero della mia pizzeria di fiducia, ordinando due pizze margherita.
-Ti va bene la margherita, no?-
-Decisamente sì.-
-Ma come mai hai deciso di venire qui?-
-Non so, mi andava.-
Rimaniamo qualche secondo in silenzio.
-Ma sei sicura di non ricordarti proprio niente?- chiede, cambiando argomento. Un brivido mi percorre la schiena. Nego con la testa e cerco di sostenere il suo sguardo indagatore. Quegli occhi castani, che sono capaci di non rivelare nemmeno un’emozione, al contrario dei miei occhi verdi o semplici occhi azzurri.
Occhi azzurri: Logan.
Il respiro si velocizza.
Mi porto istintivamente una mano sul petto e comincio a respirare forte.
Brian è immerso nei suoi pensieri e non nota, per fortuna, il mio stato d’animo e il mio semi attacco di panico.
Le sue mani sul mio viso.
Gli occhi azzurri carichi di odio.
L’espressione corrucciata.
Io che urlo di dolore.
Un altro pugno diritto sul naso.
Un altro ancora nello stomaco.
Porto le mani davanti al viso, come per proteggermi da qualcuno che vuole farmi del male.
Provo a pensare ad altro, ma la stessa terribile scena si presenta più volte nella mia mente.
Quelle mani grandi che mi schiaffeggiano e mi sferrano pugni un po’ ovunque.
Cerco di stare calma, ma mi è difficile. Inizialmente porto le gambe al petto, rannicchiandomi su me stessa, poi mi viene un’idea: il bagno. Corro in bagno, cercando di non pensare ai dolori all’addome, e spalanco la porta. Entro dentro, e la chiudo violentemente e a chiave alle mie spalle. Mi accascio a terra, piangendo, ma stando attenta a non farmi sentire da Brian. Sento dei passi nel corridoio e fuori dalla porta.
-Sophie.- mi chiama il chitarrista.
Respiro a fondo e stringendo i denti dal dolore, mi tiro su.
-Va tutto bene?- chiede, con un tono di voce pieno di preoccupazione.
-S-sì, è solo che mi sanguinava il naso e sono c-corsa in bagno per disinfettarlo.- mento, balbettando. Apro la fontana e butto dell’acqua fredda sul viso, sempre stando attenta alle ferite. Da fuori si sente solo silenzio.
-Ah, va bene.-ribatte, mentre sento il rumore dei suoi passi allontanarsi. Appoggio le mani sul bordo del lavabo e mi fisso allo specchio. Quello che vedo è solo ciò che rimane di una ragazza distrutta psicologicamente: lacrime e singhiozzi non sono mai appartenuti alla vecchia Sophie. Cosa mi sta succedendo?
 
 
 
 
 
NOTE DELL’AUTRICE:
Salve, carissimi.
Come va? La scuola mi sta distruggendo, ma più o meno, è tutto okay.
Chiedo venia per il ritardo con cui ho aggiornato, ma la connessione non andava. Ma passiamo al dunque.
E’ un capitolo molto delicato, assieme al precedente e ai prossimi due, in cui la protagonista è soggetta ad attacchi di panico per tutto ciò che le è accaduto. Brian cerca di starle vicina e di capire cosa le succede e chi ha potuto farle tutto questo, ma lei resiste e non svela nulla.
E niente, spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento. Beh, se cosi non fosse, me ne farò una ragione. Se vi va, lasciate una recensione e ditemi cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacione,
Sassanders.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


           EVERY BREAKING WAVE.

                              Capitolo 11

 Logan che mi rincorre.
Mi afferra per il lembo della maglia blu.
Io che urlo terrorizzata.
Mi volto e incrocio quei maledetti occhi azzurri, che mi scrutano con odio.
Uno, due, tre pugni sul viso e cado a terra. Grido per il dolore. Continua a picchiarmi, sorridendo soddisfatto.
Strillo, svegliandomi di soprassalto, mettendomi seduta sul letto e poggiando la schiena sui cuscini morbidi e la testa contro il muro. Vedo la luce del comodino che si accende e un Brian assonnato, con un occhio chiuso ed uno aperto e i capelli scompigliati, fissarmi.
-Hey, che succede?- biascica, accarezzandomi una coscia al di sotto delle coperte.
Deglutisco nervosamente.
-Niente… Era solo un incubo.- dico, cercando di tranquillizzarlo.
-Me ne vuoi parlare?- domanda.
E ora? Cazzo, che cosa mi invento?
-No, davvero, non preoccuparti. Dormiamo, ora.- Mi lascio scivolare nel letto e mi avvicino a Brian che spegne la lampadina e si gira di lato per cingermi la pancia e poggiare la testa nell’incavo del mio collo. Dopo non molto, lo sento respirare regolarmente e capisco che si è nuovamente addormentato. Aspetto qualche minuto e poi, con molta attenzione, scosto il suo braccio e le coperte, scendendo dal letto. Non afferro nemmeno le stampelle, farei troppo rumore. In punta di piedi vado in cucina e afferro un bicchiere, riempiendolo con dell’acqua fresca, che tracanno avidamente.
Mi appoggio ai fornelli e continuo a sorseggiare l’acqua. Torno in camera e mi rimetto sotto le coperte, nella stessa posizione di prima, con la testa di Brian nell’incavo del mio collo e il suo braccio a cingermi la pancia. Fortunatamente Morfeo mi accoglie di nuovo tra le sue braccia dopo poco, e mi addormento sperando di non fare altri incubi.
A svegliarmi, questa volta, non sono gli incubi, ma il rumore di una padella che cade sul pavimento.
Sbuffo e apro gli occhi, notando che Brian non c’è accanto a me e che sono sola, con le tende aperte e la luce che filtra nella stanza. Scosto le coperte e afferro le stampelle, poggiate al muro, accanto al letto. Scendo pian piano tutti i gradini e una volta arrivata in cucina, noto il chitarrista alle prese con i fornelli, chinato a prendere qualche cosa caduta a terra che non noto. Mi soffermo ad osservare la sua schiena che si intravede grazie alla maglia sollevata leggermente, le fossette di Venere, il sedere e le sue gambe snelle. Si alza di scatto e si volta verso di me. Ho ancora lo sguardo perso sulla sua vita che solo dopo mi rendo conto che si è accorto della mia presenza. Guarda me e poi osserva con un sopracciglio alzato la sua vita. Mi fissa nuovamente e mi guarda divertito, mentre io arrossisco e do un’occhiata un po’ in giro.
-Buongiorno.- dice, ridacchiando e venendo verso di me. Gli lancio un’occhiataccia.
-Si può sapere cos’era tutto quel casino?-
Le sue guance diventano leggermente rosee.
-Volevo prepararti la colazione.- mormora, fissando con interesse le sue scarpe.
Ridacchio e gli vado incontro, abbracciandolo e lasciandogli un piccolo bacio sulle labbra.
-Sei un disastro.- esclamo, tra le risate.
-Smettila, volevo essere gentile e tu ricambi così.- dice, fingendosi offeso.
Lo bacio, lasciando un po’ giocare le nostre lingue. Mi stacco e sorrido.
-Perdonata?-
-Assolutamente sì.- ribatte, accarezzandomi i fianchi.
Scuoto la testa e mi allontano, andando verso i fornelli.
-Allora… Cosa vuoi da mangiare?- chiedo, aprendo i vari cassetti.
-Non so…- mormora.
Apro la dispensa e tiro fuori un barattolo di crema alle nocciole, alla cui vista mi si illuminano gli occhi. Mi giro, sorridendo e mostrando la confezione. Sorride di rimando, a trentadue o forse anche più denti. Prendo il pane dalla dispensa e porto tutto sul tavolo, sbadigliando. Metto a fare il caffè, e prendendo due tazze ampie. Rimaniamo entrambi in silenzio, così mi volto verso Brian e lo vedo perso a fissare il vuoto. Mi chiedo cosa starà pensando. Il rumore della macchinetta posta sui fornelli dietro di me, mi segnala che la mia bevanda preferita è pronta, se così si può definire. Verso il liquido bollente nelle due tazze, prendo due cucchiaini dal cassetto, il contenitore dello zucchero e porto il tutto a tavola, dove Brian è ancora perso nei suoi pensieri. Mi siedo sulla sedia e bevo il caffè a piccoli sorsi, visto l’elevata temperatura.
-A che pensi?- chiedo, distogliendolo dalle sue riflessioni. Si gira verso di me.
-A un po’ di tutto quello che sta succedendo in questo periodo.- risponde, sospirando e afferrando il bicchiere, per poi portarlo alle labbra.
-Finalmente puoi constatare anche tu come io porti il casino nella vita delle persone che mi stanno intorno.- osservo.
Posa la tazza sul tavolo e mi afferra una mano.
-Che cosa diavolo stai blaterando?-
-La verità. Ogni persona che mi sta intorno, non fa altro che danneggiarsi man mano che stringe rapporti con me. Così la maggior parte di essi, tende ad allontanarsi da me.- ribatto, facendo spallucce.
-La vuoi sapere una cosa?- mi domanda, e io annuisco, fissandolo.
-Hai portato il casino nella mia vita, è vero. Ma è un casino assolutamente positivo: è un casino che mi fa stare bene, e che mi spinge sempre più a restarti accanto.- afferma e io gli sorrido grata, anche se non so fino a che punto possa essere vero ciò che sta dicendo. Sembra leggermi nel pensiero.
-Probabilmente non mi crederai, ma se ti fidi di me, sappi soltanto che grazie a te, la mia vita sta prendendo una svolta migliore, anche se da poco. Mi stai facendo cambiare, e ti posso assicurare che è uno dei cambiamenti più belli di sempre.- aggiunge, sorridendo e baciandomi il palmo della mano.
Soppeso le mie parole con cautela.
-E io ti posso assolutamente garantire che la cosa è reciproca. Vedi, mi stai aiutando come pochi hanno saputo fare con me. Quindi, dato che già sai che essere in debito con le persone, è una delle cose che più odio, non so davvero come ringraziarti.- Mi inumidisco le labbra. –Beh, anche ringraziare mi fa abbastanza schifo, ma per te faccio un’eccezione.- aggiungo, mentre entrambi ridiamo.
-Davvero gentile da parte tua, Turner.-
-Come sempre, Haner.-
Rimaniamo così per dieci minuti buoni, senza parlare, ma soltanto restando in silenzio, immersi nelle nostre riflessioni.
Guardo l’orologio appeso al muro, che mi segnala che sono le undici e cinque.
-Cosa devi fare stamattina?- chiedo.
-Non so, credo di rimanere qui.- dice, facendo spallucce.
-Bene, carissimo scansafatiche, aiutami a sparecchiare e a mettere i piatti nella lavastoviglie, perché poi devi mettermi la pomata su questi dannati ematomi.- annuncio. Vedo il chitarrista serrare la mascella e mi avvicino da dietro, facendo posare la sua testa con molta attenzione contro il mio addome, e carezzandogli i capelli corvini costantemente sparati in tutte le direzioni. Il gesto sembra rilassarlo notevolmente, visto che socchiude gli occhi e si lascia coccolare. Mi chino sul suo viso e gli lascio un bacio a fior di labbra, che sembra incoraggiarlo, quindi si alza e comincia ad aiutarmi. Dopo circa una mezz’ora, la cucina è nuovamente in ordine e io sono seduta sul divano, sulle gambe di Brian che mi applica le creme mediche sul viso.
-Dio, Brian, fai piano! La delicatezza di un bisonte…- sbotto, scostandomi un po’.
-La solita capricciosa: se questa frangetta non ci fosse, mi renderebbe tutto più facile.-
Sbuffo sonoramente, alzandomi per cercare l’elastico in giro per la casa. Salgo al piano superiore e lo trovo sul comodino, assieme al telefono che mi segnala due chiamate perse da Julie. Mentre scendo i gradini, la richiamo, mettendo il vivavoce e posando il telefonino sul mobile adiacente al sofà. Mi lego i capelli, prendendo anche la frangetta, e sorridendo in direzione di Brian, mostrandogliela completamente tirata indietro. Mi riaccomodo sulle sue gambe e lui riprende il suo lavoro, mentre Julie, dall’altro capo del telefono, pronuncia un ‘Pronto’ con voce assonnata.
-Julie, ma che cazzo? Prima mi chiami e poi ti riaddormenti?- chiedo, aggrottando le sopracciglia, mentre Brian applica la crema sullo zigomo.
-E’ che…- inizia, ma qualcuno la interrompe. Si sente solo un mormorio.
-Julie’ Chi c’è lì con te?- domando.
-Nessuno.- risponde, con voce tremante.
-Non sparare cazzate. Chi c’è lì con te?- insisto e intanto Brian mi pressa lo zigomo.
-Ahia, cazzo, mi fai male!- sbotto, infastidita, mentre lui alza il suo solito sopracciglio.
-Nessuno, davvero. Ora scusa, ma devo andare. A più tardi.- dice semplicemente Julie, chiudendo la chiamata. Corruccio la fronte, rimanendo un attimo perplessa. Alzo le spalle, non riuscendo a capire chi potesse essere con lei in quel momento.
Dopo poco Brian finisce la sua tortura sul mio viso e io mi alzo, notando che è oramai mezzogiorno. Rimaniamo tutto il pomeriggio stravaccati sul divano, lui con la testa sulle mie gambe, e io che gli accarezzo i capelli, con la schiena poggiata contro i cuscini del divano. Guardiamo i primi film che ci capitano in canali casuali: insomma passiamo tutta la giornata in completo relax, cosa che mi fa veramente bene. Sono riuscita a dimenticare quasi tutto quello che è successo con Logan, ma poi la paura prende il sopravvento, anche se riesco, con fatica, a controllarla, in modo da non far vedere e capire a Brian ciò che è realmente accaduto quella sera.
Gli sto mentendo per il nostro bene, perché so che potrebbe combinare qualche guaio, e sinceramente è l’ultima cosa che voglio. Dopo tutti gli avvenimenti di questo periodo, sono così stufa e scombussolata che non ho nemmeno la forza di uscire di casa e provvedere alla spesa. Sono debole e tremo di paura in molti momenti della giornata. Ho paura che lui possa tornare qui e farmi ancora del male, o fare del male alle persone a cui tengo di più. Brian, che ha ancora la testa poggiata sulle mie ginocchia, vede che sto cominciando a diventare pallida, probabilmente e lo vedo aggrottare le sopracciglia. Deglutisco e cerco di calmarmi, accarezzandogli nuovamente la chioma nera e baciandolo a stampo. Distolgo lo sguardo, e lo porto prima sul televisore, notando che stanno trasmettendo un noiosissimo film degli anni cinquanta e poi sull’orologio, scoprendo con grande stupore, che sono già le otto di sera.
-Brian, sono le otto, è ora di alzarci no?- domando.
-Già le otto?- mi chiede, alzandosi e passando le mani sugli occhi.
-Sì, e sai cosa facciamo ora? Prepariamo qualcosa campata in aria e beviamo una bella birra.-
Mi alzo dal divano, andando verso il frigorifero e tirando fuori una piccola cassetta con sei birre dentro. Le poggio sul tavolo, anche se le costole mi fanno male per lo sforzo e poi frugo nella dispensa alla disperata ricerca di qualcosa di commestibile. Riesco a scovare del pane comprato ieri e lo metto sul piano della cucina. Apro il frigorifero.
-Vediamo cosa abbiamo… Formaggio qua e là e…- chiudo l’anta, sbuffando.
-No, ordiniamo qualcosa.-
-Kebab?- propone.
Faccio una smorfia di disgusto.
-Cosa? Non ti piace il kebab? Sei scomunicata.- annuncia, incrociando le braccia al petto. Gli faccio una linguaccia e prendo il telefono, chiamando la pizzeria.
-Ti prometto che domani andiamo da qualche parte.- dico, sedendomi sul divano a gambe incrociate. Mugolo per il dolore all’addome e le stendo, ripensandoci.
Ordino due pizze come stamattina, anche se è davvero indecente andare avanti a pizze.
-Sì, e magari mangiamo caviale e champagne.-
-Non credo di avere abbastanza soldi.-
-Per quello ci sono io.- dice, ammiccando. Scuoto la testa per la disperazione e mi volto verso di lui.
-Prendi quella bellissima cassetta di birre.- quasi lo supplico e lui si alza, portando il contenitore sul tavolino di fronte al divano.
Dopo qualche oretta, ci sono sei o sette bottiglie vuote sul tavolino, la maggior parte consumate da me, e due cartoni di pizza vuoti. Credo di essere un po’ brilla, infatti non faccio altro che ridere.
-Smettila di ridere.- dice Brian, guardandomi severamente ma poi lasciandosi sfuggire una risata. Rido ancora più forte e mi piego su me stessa, facendo poi una smorfia per il dolore.
-Attenta.- dice Brian facendomi stendere sul divano.
Rido e poi spalanco gli occhi. Lui mi guarda un attimino perplesso.
-Puff! Mi sono ricordata tutto!- esclamo, ridendo.
Lui spalanca gli occhi, mostrandomi le iridi color cioccolato.
-Sai cos’è successo due giorni fa?- comincio, interrompendomi per singhiozzare.
-Ero nel parcheggio della sede per venire da te e Logan mi ha picchiata.- continuo, mentre sento le guance bagnate dalle lacrime. Rido tra di esse.
-Ops! Forse non dovevo dirlo.- noto, tappandomi la bocca con una mano e sghignazzando.
Vedo Brian diventare rosso dalla rabbia e contrarre la mascella.
-Su, non fare così.- dico, tirandolo verso di me e cominciando a baciarlo. Si stacca di scatto e punta lo sguardo altrove.
-Vuoi abbandonarmi anche tu, vero? Ahahahah.-
Si volta nuovamente verso di me e mi guarda con dolcezza. Si alza definitivamente dal divano e mi prende in braccio, portandomi di sopra. Mi poggia sul letto e si stende al mio fianco, sospirando. Chiudo gli occhi, poggiando la testa sul cuscino e sentendomi subito più rilassata. Sento la presenza del chitarrista di fianco a me, che mi stringe per la vita, debolmente, forse per paura di farmi male.
Mi addormento in poco tempo, ringraziando Morfeo per avermi accolta così in fretta tra le sue comodissime braccia.







NOTE DELL’AUTRICE:
Salve a tutti, carissimi!
Devo essere piuttosto breve in queste note, perché sono sommersa dai compiti.
Capitolo abbastanza complicato, in cui la protagonista rivela tutto al chitarrista, che ha una reazione che cerca di celare. Prova a mantenere la calma, e anche con mia sorpresa ahah, ci riesce.
Ringrazio tutti quanti, e se volete, lasciatemi un commento, perché mi rendereste davvero felicissima. E a voi piace vedermi felice, vero? *occhioni*
Bene, mi dileguo.
A presto,
Sassanders.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


  EVERY BREAKING WAVE.

                               Capitolo 12

Vengo svegliata da un rumore che probabilmente proviene da fuori la finestra, forse perché il sonno non era così profondo. Ho un mal di testa allucinante e prima ancora di aprire gli occhi, percepisco solo due braccia enormi e tatuate che mi cingono e un petto a cui sono appoggiata. Sorrido spontaneamente e mi muovo leggermente, cercando di non fare rumore, in modo da non svegliare Brian. Mi volto verso di lui e alzo lo sguardo, soffermandomi ad osservare il suo viso e i suoi lineamenti. Sfioro la mascella un po’ squadrata e marcata, gli zigomi fortemente pronunciati, le labbra sottili ed il naso all’insù con tanto di piercing. Accarezzo piano la sua guancia, un po’ ruvida a causa della poca barba incolta e lo sento sorridere. Mi avvicino e gli lascio un bacio sulle labbra che stranamente non approfondisce. Mi stacco, incrociando finalmente i suoi magnifici occhi color cioccolato e gli sorrido mentre lui alza solo un angolo della bocca, evidentemente a causa del sonno.
-Buongiorno, Haner.- mormoro.
-Turner.- biascica in risposta, stropicciandosi gli occhi e stiracchiandosi successivamente.
Mi lascio sfuggire una risata quando, il chitarrista si stende a pancia in giù e affonda la testa nel cuscino, mugolando. Passo ad accarezzargli i capelli corvini in un gesto che sembra rilassarlo ancora di più e chiude gli occhi. Dopo poco, una fitta alla testa mi fa sprofondare nel cuscino morbido e mi poggio un braccio sugli occhi, per evitare la luce che filtra dalle persiane.
-Porca puttana che mal di testa.- dico solamente, tirando la coperta fin sopra la testa. Lo sento rimanere in silenzio, e lo imito per i successivi dieci minuti.
Decido di alzarmi, non prendendo nemmeno più le stampelle, visto che i dolori all’addome sono diminuiti notevolmente. Scendo a piedi nudi giù per le scale e arrivo in cucina, dove rimango allibita. Sul tavolino adiacente al divano ci sono sei bottiglie di birra, e mozziconi di sigarette sparsi ovunque. Sbuffo infastidita, visto che stamattina mi toccherà fare la casalinga e mettere in ordine questa casa, che al momento, somiglia più ad un porcile.
Sento dei passi dietro di me e noto Brian che rimane un attimo fermo ad osservare la mia espressione scocciata.
-Abbiamo bevuto un tantino troppo ieri sera, non credi?- chiedo, con una punta di ironia.
-Hai bevuto un tantino troppo ieri sera.- dice, marcando il verbo. -Ed ora non ricordi nulla di nulla, dico bene?- mi domanda a sua volta, con tono acido.
Aggrotto le sopracciglia e rimango perplessa. Sta facendo riferimento in particolare a qualcosa che ho combinato e che ora non ricordo? La paura di poter aver detto qualche cazzata, si impossessa di me.
Faccio spallucce, e fingo di rimanere calma, mentre preparo un caffè.
-Vuoi il caffè?-
Lui annuisce semplicemente, sedendosi su una sedia a caso e passandosi una mano sul viso e tra i capelli. Non ho idea di cosa gli sia preso e, sinceramente, sto cominciando a preoccuparmi. Avrò combinato una qualche cazzata delle mie? Mentre questi pensieri mi mandano in confusione, sento il rumore della macchinetta, che mi segnala che il caffè è finalmente pronto. Afferro due tazze, verso il liquido bollente al loro interno, e le poggio sul tavolo, poi, prendo una scatola di merendine e la metto al centro del tavolo.
Comincio a sorseggiare il caffè e fisso un punto indefinito della stanza, sforzandomi di ricordare cosa è successo ieri sera, senza risultati. Con la coda dell’occhio vedo che anche lui è immerso nei suoi pensieri e contrae la mascella: sembra nervoso. Ho paura di chiedergli cosa ho combinato, perché potrei aver fatto qualcosa di sbagliato. Magari non è così grave e gli passerà. Mi faccio forza e dopo aver finito la colazione poggio le tazze nel lavabo. Probabilmente ha bisogno di stare un po’ da solo e schiarirsi le idee, così decido di andare per prima in bagno. Osservo il riflesso nello specchio: tutto sommato i lividi sono spariti, ce n’è solo uno sullo zigomo che è ancora gonfio e qualcuno qua e là per il collo. Dannazione, solo guardare quegli ematomi mi riconduce al dolore di quella sera e agli occhi azzurri di Logan che mi scrutano con rabbia. Una lacrima scivola dall’occhio destro, ma prontamente la asciugo con le dita. Apro la fontana della vasca e comincio a riempirla con del bagnoschiuma e vari oli, con acqua calda. Quando è piena, mi svesto ed entro nella vasca, immergendo la testa in acqua, tra le bolle.   Mi aiuta a rilassarmi e a pensare, e forse mi aiuterà anche questa volta, per cercare di ricordare ciò che è avvenuto ieri. Ricordo fin quando abbiamo preso delle birre, io ho scolato tutta la prima e metà della seconda, abbiamo parlato del più e del meno e poi niente. Buio totale, non ricordo più nulla. Sospiro, sforzandomi ancora di più, mentre il mal di testa torna a martellare le mie tempie. Ci provo ancora una, due, tre volte ma niente. Niente di niente. Solo fino allo stesso punto di prima. Esausta e affranta, esco dalla vasca, avvolgendo il mio corpo nell’accappatoio e i capelli nell’asciugamano, formando una specie di turbante. Esco dal bagno e torno nel corridoio che porta al salotto, asciugando i capelli con l’asciugamano azzurro. Li smuovo un po’ ed entro in cucina, notando Brian ancora fermo al suo posto, mentre si guarda intorno. Mi avvicino silenziosamente e lo avvolgo le mie braccia intorno al suo collo, da dietro. Mi sporgo e gli poso un bacio sulla guancia, guardandolo mentre, con espressione pensierosa, mi accarezza le braccia. Rimaniamo qualche minuto in quella posizione, poi gli scocco un altro bacio sulla guancia e mi allontano per andare a vestirmi e ad asciugarmi i capelli umidi.
Quando sono pronta, scendo in cucina, canticchiando una canzone a caso, a labbra serrate. Ho scelto di indossare solo una maglia nera che scopre una spalla con un disegno viola, dei leggins e delle scarpe da tennis. Compongo il numero di Julie con il mio iphone, mentre vedo il chitarrista giocherellare con le sue dita, con lo sguardo perso su di esse e pensieroso.
-Julie, finalmente!- esclamo, quando sento la sua voce dall’altra parte del telefono.
-Tesoro, ciao! Come va?-
-Bene, i lividi vanno molto meglio. Tu piuttosto?-
-Io sto alla grande.-
-E, di preciso, a cosa è dovuta tutta questa gioia?-
-Magari dopo passo da casa tua e ci facciamo una bella chiacchierata, che ne dici?-
-Perfetto.-
-Bene, ciao tesoro.-
-Ciao!-
Chiudo la chiamata e vedo Brian che mi osserva. Mi siedo accanto a lui e gli carezzo una mano e le sue dita affusolate.
-Tutto bene?- gli chiedo.
Sospira profondamente e ora, inizio seriamente a preoccuparmi.
-Sì, ma… Volevo chiederti una cosa.- dice, scrutandomi.
-Dimmi pure.-
Prende un altro respiro profondo.
-Che fine ha fatto quel…Logan o come si chiama lui?-
A quelle parole mi irrigidisco e sbarro gli occhi. Tremo dalla paura e abbasso lo sguardo, torturandomi le dita.
-S-sì, non si è fatto più sentire da quel giorno in sede…- mento, fissandolo negli occhi per cercare una possibilità in più per essere creduta.
Scoppia in una risata fragorosa, oltre che amara e sarcastica. Aggrotto le sopracciglia e mi si mozza il fiato, mentre cerco di non piangere.
-Non si è fatto più sentire eh? E allora com’è che ieri sera mi hai casualmente confessato che è stato lui a ridurti in questo stato?- domanda e mi irrigidisco. Porto le gambe al petto e comincio a tremare come una foglia.
-Ero sicuramente ubriaca e-e poi n-non mi ricordo ciò che è successo quella sera, te l’avevo già detto.- sbotto, mentre delle lacrime solcano il mio viso, ma le scaccio prontamente con il dorso della mano.
-Perché cazzo ti ostini a mentirmi, Sophie?- urla e trasalgo, in preda al panico. Le lacrime scendono di nuovo copiose, mentre lui afferra il mio viso tra le sue mani, ma io mi allontano di scatto, appiattendomi contro il divano.
-Cosa avrei dovuto fare? Dirti che quella sera mi aveva picchiato solo perché pensava che io e te stessimo insieme mentre lui se la faceva già con quella lì? Devo dirti che l’ho fatto solo per noi? Quelle volte che è successo, vederti ridotto in uno stato pietoso a causa mia, mi ha provocato un dolore che nemmeno immagini. Non voglio che combini qualche cazzata per colpa mia, lo capisci? Riesci a comprendere le mie ragioni?- Urlo in risposta, mentre lui mi guarda allibito.
-Avremmo potuto discuterne come delle persone adulte e cercare di risolvere la situazione insieme!-
-Cercare di risolvere la situazione insieme?- dico, ridendo istericamente. -Dopo quello che avevo passato, dopo ogni notte passata a fare incubi su di lui che tornava e mi faceva del male, sarei dovuta venire lì e parlartene? Scusami ancora se stavo cercando di dimenticare, visto che ogni volta che chiudo gli occhi, la scena di lui che mi riempie di botte mi si presenta davanti.-
Si zittisce per i successivi dieci minuti, mentre io mi rannicchio sul divano, singhiozzando debolmente.
-Mi dispiace, ma me ne avresti potuto parlare.- dice semplicemente, alzandosi e prendendo la giacca dall’appendiabiti.
-Dove vai?- gli chiedo, con la voce tremante.
-Non lo so. Devo riflettere.-
-Riflettere? Ma ti senti quando parli? Le situazioni si risolvono insieme, non è così? Ti confesso un’ultima cosa, prima che tu te ne vada.- inizio, tirando su con il naso.      -Non te l’ho detto perché ci tengo a te, e perché mi ha fatto stare più male di tutto ciò che avevo subito in precedenza, vederti lì a soffrire per colpa mia.- continuo, e lo vedo titubante. Afferra la maniglia, e mi lancia un ultimo sguardo pieno di tristezza, il tutto accompagnato da una lacrima che gli riga la guancia destra.
-Tornerai?- gli chiedo soltanto. Non risponde, abbassa solamente lo sguardo per qualche attimo. Poi, lo rialza e apre la porta, uscendo e chiudendola alle sue spalle. Appena sento il rumore della porta, scoppio in un pianto isterico, ma anche liberatorio. Non ho idea di quanto tempo passo con la testa sul cuscino a singhiozzare convulsamente, ma mi addormento. Ciò che mi sveglia è il trillo del campanello, che mi fa alzare di scatto dal divano e trovando sull’uscio di casa una Julie tutta pimpante e sorridente. Appena mi vede, il sorriso le scompare dal viso e comincia a preoccuparsi.
-Sophie, che diamine hai fatto?-
Io la abbraccio semplicemente, piangendo sulla sua spalla, mentre con la mano mi accarezza i capelli e cerca di tranquillizzarmi. Dopo poco, mi ricompongo, per quanto sia possibile, e la lascio entrare nell’appartamento. Si siede accanto a me sul divano e mi sfiora una guancia.
-Allora, mi spieghi cos’è successo?-
-Succede che sono un’emerita deficiente. Succede che io ho mentito a tutti, e che ricordo perfettamente quella sera, ricordo che Logan mi ha picchiata e mi ha ridotto in queste condizioni. Mi ero ripromesso di non dirgli niente, e così è stato, fin quando ieri mi sono ubriacata e gli ho rivelato tutto. Non ero sobria e stamattina era strano. Abbiamo litigato e se n’è andato: il problema è che non sa se tornerà o meno.- riassumo, fermandomi ogni tanto per asciugarmi il volto. Julie cambia improvvisamente stato d’animo, abbracciandomi forte.
-Oh, cazzo, mi dispiace, Soph. Davvero, non lo dico tanto per, mi dispiace un casino.-
-Lo so.-
-Tutto andrà per il meglio, sta’ tranquilla. Tra qualche giorno sarà di nuovo qui a romperci le scatole e a fare le sue solite battutine del cazzo. Non c’è da preoccuparsi.- mi risponde.
Annuisco e sospiro, sperando che sia così.
-Scusami.- mormoro. Mi guarda stranita, non comprendendo il motivo delle mie scuse.
-Scusa se ti riempio sempre con i miei problemi e le mie stronzate.- aggiungo.
-Non devi scusarti, sono qui apposta, rossa.-
Le faccio un mezzo sorriso, ricordandomi poi che lei doveva dirmi qualcosa.
-Hey,ma tu non dovevi dirmi qualcosa?- le domando.
Sembra leggermente imbarazzata e a disagio.
-Cristo, allora.- si blocca un attimo, passandosi le mani tra la chioma nera.
-Io e Jimmy siamo stati a letto insieme e ora ci frequentiamo.- continua, sorridendo. Rimango stupita.
-Jimmy…Jimmy?- chiedo.
-Jimmy Sullivan.-
-Quel Jimmy Sullivan?- chiedo, spalancando gli occhi.
-Andiamo, conosci qualche altro Jimmy Sullivan? Cazzo sì, il batterista dei Sevenfold! Devo anche farti un disegno?-
-Oh mio dio, non ci posso credere!- esclamo, sorridendo con un angolo delle labbra e ignorando l’ironia della sua ultima frase.
-Lo so ed è meraviglioso. Comunque, rimango qui io per questi giorni.-
-Sul serio?-
-Certo, rossa. Rimarrò qui fin quando non mi caccerai a calci nel culo.- dice, facendomi sorridere per la terza volta.
-Grazie, Julie. Ti voglio bene.- dico, abbracciandola.
-Anch’io, rossa. Anch’io.- pronuncia e rimaniamo strette in quell’abbraccio che sa di amicizia vera e stima l’una nei confronti dell’altro. Credo che lei sia una delle ancore a cui poggiarmi in casi di difficoltà come questi.
 




 
NOTE DELL’AUTRICE:
Innanzitutto salve carissimi lettori e lettrici.
Chiedo venia per il ritardo con cui aggiorno, ma ultimamente sto avendo tanti problemi e impegni.
Ma comunque, passiamo al dunque e quindi al capitolo.
Credetemi, mi doleva il cuore mentre scrivevo questa parte. *si asciuga una lacrimuccia e tira su con il naso*
So che magari sono stata un po’ banale e sembra la solita storiella scema, ma ho voluto affrontare anche il tema della violenza sulle donne, un argomento a cui tengo particolarmente.
Nei prossimi capitoli ci saranno dei piccoli cambiamenti, non posso spoilerare altro, scusatemi. Eheheh.
Bene, ora scappo e torno nel mio angolino.
Vi amo tanto tanto. *sparge cuoricini*
Mi fa piacere e mi motiva leggere recensioni. Non è che potreste lasciarmi un commento piccolo piccolo in cui mi fate sapere cosa ne pensate di questa schifezza storia? *fa gli occhioni*
Mi dileguo davvero.
A presto.
Sassanders.
o

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


           EVERY BREAKING WAVE.

                               Capitolo 13

BRIAN’S POV.

Esco da casa di Sophie, sbattendo la porta alle mie spalle e scacciando una lacrima scesa sulla guancia. Com’è possibile che io stia piangendo? Non mi capitava da anni, e di certo non ho mai pianto per una donna.
La cosa che al momento mi distrugge di più è sentirla urlare e piangere dall’interno dell’appartamento. Mi sta letteralmente facendo a pezzettini il cuore, rendendomi sempre più debole. Ma non posso tornare, per ora. Ho bisogno di riflettere e di sapere perché  mi ha mentito, anche se me l’ha già spiegato. E’ stata una mancanza di fiducia nei miei confronti, non parlarmene. E anche provando ad immedesimarmi in lei, mi sarei comunque comportato diversamente.
Non lo capisco, cazzo. Mi dirigo a passo svelto verso la mia auto, parcheggiata nel vialetto e, appena salito nell’abitacolo, metto in moto.
-Cazzo cazzo cazzo!- urlo, imprecando e sbattendo i pugni contro il volante. Respiro profondamente e faccio retromarcia, uscendo a gran velocità dal vialetto in cui mi trovo. Nel tragitto fino alla casa che ho qui a LA, penso a tutto quello che sta succedendo e la velocità con cui sta accadendo. Non credo di aver mai provato qualcosa di forte per qualcuna, nemmeno per la mia ex, che mi tradiva da chissà quanto. In quella circostanza, ad esempio, non me ne è fregato nulla: mi sono semplicemente tolto la soddisfazione di picchiare quel cretino con cui se la faceva. Di certo non avevo sofferto come sto facendo in questo momento, anche se è difficilissimo da ammettere. Voglio dire, ho una reputazione e un orgoglio da tenere alto e, raramente mi capita di mostrare i miei sentimenti e cosa realmente provo. Sophie stava facendo cambiare qualcosa in me, che ancora non so come identificare. Arrivo nel garage di casa mia, e parcheggio in fretta. Prendo le chiavi dalla tasca dei jeans e apro la porta di casa, chiudendola successivamente alle mie spalle, e lanciando il mazzo di chiavi sul tavolo. Prendo una birra ghiacciata dal frigo e mi sfilo le scarpe con velocità, stendendomi poi sul divano. Tracanno il liquido freddo che da una sensazione di sollievo assurda sia al mio corpo, che alla mia mente. Chiudo gli occhi e lascio che pian piano la mia mente sovraccarica si svuoti. Tutte le preoccupazioni vanno via, ne rimane solo una, ed ha il nome della ragazza in grado di farmi cambiare in poco tempo.
Non so di preciso dopo quanto tempo chiamo Jimmy, ma non deve essere passato molto.
-Pronto Jim, sono Brian.-
-Oh, ciao stronzo. Non l’avevo capito, sai?-
-Jim, per favore. Non è il momento di scherzare.-
-E’ successo qualcosa?-
-E’ una storia troppo lunga e non posso raccontartela per telefono. Puoi semplicemente venire qui a casa mia e ne parliamo di persona?-
-Va bene, devo avvertire gli altri?-
-No, saranno per cazzi loro.-
-Okay, come vuoi. Sono lì tra una mezz’oretta.-
Chiudo la chiamata senza nemmeno salutarlo, ma ha sicuramente compreso che c’è qualcosa che mi turba. Mi passo una mano nei capelli e sul viso, sbadigliando. Vado in bagno, alzandomi dal divano, per darmi una sistemata.
Fisso il mio riflesso nello specchio, e ciò che vedo, mi fa rimanere allibito: ho delle occhiaie violacee, probabilmente a causa della notte insonne, e gli occhi sono rossi. Mi sciacquo rapidamente il volto, asciugandolo poi con un panno morbido. Dopo non molto, sento il campanello suonare e dei colpi alla porta. Corro verso l’entrata e sull’uscio mi ritrovo un Jimmy con i suoi soliti capelli scompigliati e un’aria un po’ preoccupata. Quando mi guarda, fa un piccolo balzo all’indietro. Mi scosto per lasciarlo passare senza dire una parola, mentre mi butto a peso morto sul divano.
-Bri, mi spieghi che cazzo hai fatto?-
Sospiro pesantemente.
-Ieri sera ero a casa di Sophie e lei ha bevuto un po’ troppo. Mentre la mettevo a dormire, mi ha confessato di ricordarsi la sera in cui è finita all’ospedale e di ricordarsi anche che il suo aggressore è stato Logan, il suo ex. Lei, ovviamente, non me ne ha parlato per paura della mia reazione o non so per quale altro cazzo di motivo, così stamattina abbiamo litigato e me ne sono andato da casa sua, sentendola anche piangere a dirotto, da bravo coglione che sono.- sputo tutto d’un fiato, sentendo gli occhi pizzicare.
Vedo Jimmy cambiare espressione e colorito per ogni frase da me pronunciata. Alla fine, quando realizza tutto, sbianca e sgrana i grandi occhi azzurri.
-Cazzo, amico, mi dispiace…- dice, sedendosi di fianco a me. -Ma perché quello stronzo l’ha picchiata?- aggiunge.
-Probabilmente perché pensava che io e lei stessimo insieme in contemporanea con la loro relazione. Quando poi quel bastardo se la faceva con il suo capo.- sbotto, stringendo i pugni.
Rimane qualche minuto in silenzio, il batterista. Forse si sente a disagio, o forse non sa cosa dire, anche se noto chiaramente i suoi occhi leggermente cupi all’apprendere della notizia.
-La cosa che mi ha fatto più incazzare, e alla fine il motivo per cui me ne sono andato, è stato il fatto che non mi ha detto nulla fin dal principio, e mi ha anche mentito, nonostante stessimo praticamente insieme. Pensa te, avevo tirato fuori le palle quella mattina, e l’avevo invitata a cena fuori, se non fosse per tutto ciò che è avvenuto dopo.- sospiro, guardando dritto di fronte a me.
-Ascoltami bene, Bri. Si vede lontano un miglio che stai male, e che stai soffrendo. Ti dico solo una cosa: tutto questo, non è mai successo con la tua ex, nemmeno quando l’hai scoperta a letto con quello lì.- si ferma per prendere fiato. -Questo vuol dire che alla rossa, ci tieni davvero. Ti avverto solamente di non fare cazzate. Prenditi tutto il tempo che ti serve, rifletti. Ma non combinare stronzate.- afferma, scandendo bene l’ultima frase. Annuisco e lui mi posa una mano sulla spalla.
-Che poi, su cosa dovresti riflettere?- mi domanda.
-A dire la verità non lo so nemmeno io con precisione. So che devo pensare a tutto ciò che è successo, e prendere una decisione: lasciarla, e di conseguenza continuare a stare male per il resto dei miei giorni e provare a dimenticarla; oppure tornarci insieme, risolvere questi fottuti problemi e fanculo tutto.- dico, sospirando ancora una volta.
-Cosa vuoi che faccia io? Hai bisogno di qualcosa in particolare?- mi chiede, premuroso.
-Avevo in mente una cosuccia…- mormoro, facendo il vago.
-Ovvero?-
-Beh, sai che sono un amante della vendetta e…- inizio, ma il mio migliore amico mi interrompe.
-Bri, so già cosa vuoi fare. Non te lo consiglio, ti metteresti solo in dei casini grossi quanto una casa.- risponde.
Mi limito a guardarlo e a sollevare un angolo della bocca. Lui sbuffa, alzando gli occhi al cielo.
-Secondo me stai progettando una gigantesca puttanata, ma se è ciò che vuoi, ti aiuterò quanto più possibile.- cede, grattandosi il mento.
-Grazie James, sei un amico.- dico, abbracciandolo. Mi lascia alcune pacche sulla schiena e, quando si stacca, comincio a raccontare ciò che mi è venuto in mente durante il tragitto in auto e mentre bevevo la mia amata birretta ghiacciata.
 
 
SOPHIE’S POV.
-Allora, tesoro, ho preso una bella vaschetta di gelato, che te ne pare?- mi domanda Julie, entrando in casa con delle busta della spesa.
Le faccio un piccolo sorriso, mormoro un ‘grazie’ che probabilmente non ha neppure sentito. Sta facendo così tanto per me, che non saprei proprio come ricambiare questa sorta di favore. Sono passati due giorni da quando Brian se n’è andato da questa casa e da quando abbiamo discusso. Non mi ha cercato, proprio come ho fatto anche io. Aveva detto che doveva riflettere, e quindi lo sto lasciando in pace, in un certo senso. Julie fa di tutto per farmi risollevare il morale, ma io non ne voglio sapere proprio niente. Probabilmente si sta anche stufando di me, visto che fa degli sforzi incredibili per farmi mangiare o comunque per farmi divagare un po’. Tutto ciò che sto mangiando, è del gelato, che puntualmente la mia amica si preoccupa di comprare. Mi piazzo circa due volte al giorno davanti alla tivù, sul divano e me ne sto lì a pensare, mentre gusto del gelato al cioccolato. Questo succede più o meno due volte al giorno: la mattina e la sera. Il resto del tempo lo trascorro al letto o comunque sul divano, rannicchiata con le gambe al petto. In questi due giorni ho avuto due forti attacchi di panico, tutto a causa della scena che frequentemente mi si presenta in mente: Logan che mi picchia. Julie mi ha sempre aiutata e fatta calmare.
Mi distoglie dal flusso di pensieri, sedendosi accanto a me e aprendo la vaschetta del gelato al cioccolato. Mi volto verso di lei, ma vedo che non ha un cucchiaio in mano per me, questa volta. Ne ha solo uno per lei e noto che si sta già rimpinzando.
-Allora, tesoro. Sono due giorni che quel cazzone se n’è andato e devi decisamente smetterla di comportarti così. Capisco tutte le ragioni di questo mondo, ma non puoi passare il resto della tua vita buttata su questo divano a deprimerti e a mangiare unicamente del gelato. So che tutto ciò che hai passato è difficile da superare, ma devi trovare un modo per andare avanti e non buttarti giù. Sei caduta, o meglio, ti hanno fatta cadere? Bene, rialzati e continua il tuo percorso. La vita deve necessariamente continuare.- dice, con un tono di voce e uno sguardo terribilmente seri. Sospiro profondamente e mi passo una mano sul viso.
-Ora tu alzi questo culo e vai a fare una doccia e a metterti qualcosa di decente, altrimenti sarò costretta a farlo io.- aggiunge, mostrando un sorriso innocente. Ridacchio un po’ e poi decido di andare in bagno per darmi una sistemata: ho due occhiaie spaventose e un colorito cadaverico, a causa delle due notti insonni trascorse a pensare e a piangere come una stupida. Julie ha ragione, in fin dei conti. Non posso continuare in questa maniera, rinchiudendomi  nella mia bolla personale e perdendo ogni tipo di contatto con il mondo esterno. Sarà difficoltoso, forse impossibile, ma devo provarci. Devo farlo per la mia migliore amica, che anche in questi momenti, mi sostiene. Credo che non potrò mai ringraziarla abbastanza per tutto ciò che sta facendo per la sottoscritta.
Riempio la vasca con acqua e bagnoschiuma, vedendo delle bolle cominciare a formarsi. Mi levo i vestiti e la biancheria, li metto nella cesta del bucato ed entro nella vasca. Il calore mi avvolge e immediatamente tutto il mio corpo, a partire dai muscoli, fino alla mente, si rilassano. Passo forse quasi un’ora nel silenzio totale, circondata dall’acqua e dalle bolle, a non pensare a niente. Quando esco dalla vasca, mi infilo l’accappatoio e avvolgo i capelli in un asciugamano blu, massaggiando il cuoio capelluto. Mi rivesto, ed in circa mezz’ora sono pronta e ho decisamente un aspetto migliore: i capelli in ordine, il viso leggermente più riposato e indosso vestiti puliti, anziché l’ampio pigiama e dei calzettoni. Scendo in cucina e quando Julie mi nota, mi rivolge un sorriso radioso. Ricambio, anche se con fatica, alzando semplicemente un angolo della bocca. Sono riuscita ad esternare per più o meno un’ora i problemi dalla mia mente, ma ora tornano ad affollarla, pronti a rendermi debole ancora una volta.
-Dopo domani torni a lavoro o mi sbaglio?- mi domanda.
-Non ti sbagli, purtroppo.- rispondo.
-Almeno tornerai alla vita normale e il lavoro ti distrarrà un po’.- mi incoraggia.
Annuisco, perché non ho voglia di parlarne. Probabilmente lei non ricorda che ho ancora un’intervista in corso con gli Avenged Sevenfold e che forse dovranno ripassare in sede tra qualche giorno, prima della pubblicazione dell’articolo. Bisogna sempre ricontrollare le intervista, verificare di non scrivere baggianate mai pronunciate dagli artisti in questione; ultimi documenti per vari motivi tra cui la privacy e tante altre scartoffie.
Alzo lo sguardo verso l’orologio a muro, posto sopra il televisore e capisco, con grande stupore, che sono le tre del pomeriggio. Mi siedo sul divano, poggiando i piedi sul tavolino e prendendo una sigaretta dal pacchetto delle mie Winston.
-Sai benissimo che se vuoi fumare, devi andare in veranda.- afferma Julie. Sbuffo e prendo l’accendino, assieme al pacchetto, ed esco al balcone. Il panorama non è niente di strabiliante, semplicemente si vede il centro di LA, da lontano. Accendo una sigaretta e aspiro il fumo, espirando poi verso l’alto.
Quando finisco, torno in casa e mi siedo nuovamente sul divano. La mia amica è al telefono, non so con chi. Sinceramente, con tutto ciò che mi passa per la testa, non mi preoccupo nemmeno di sapere con chi sta avendo una conversazione a bassa voce. Accendo il televisore e scorro i canali a caso, fin quando trovo un film che sembra decente e inizio a guardarlo: ci sono parecchi attori famosi, e la trama non è per niente male. Sono concentrata a capire come si svolge il film, ma Julie mi distoglie, sedendosi accanto a me.
-Chi era?- le chiedo, distrattamente.
Sembra rifletterci qualche attimo, poi, molto titubante e quasi balbettando, fa il nome del batterista degli Avenged Sevenfold: Jimmy. Annuisco e le faccio un sorrisetto, mentre lei abbassa lo sguardo e fissa con particolare attenzione il pavimento. Decido di lasciare cadere il discorso, soprattutto per non essere invadente o per paura di far intimidire la mia amica. Continuo a guardare il film, e fino alla fine di quest’ultimo, entrambe rimaniamo in silenzio. In realtà la vicenda non mi ha preso quanto dovrebbe, anche perché i pensieri ruotano costantemente attorno ad una persona dai capelli corvini, delle labbra sottili, della braccia leggermente muscolose e completamente tatuate e più di tutto, due occhi color cioccolato colmi di lacrime.
 

                   
 



NOTE DELL’AUTRICE:

SAAAAALVE CARISSIMI.
Chiedo umilmente venia per il ritardo con cui pubblico questo capitolo, ma sto avendo tanti problemi e compiti, che non mi lasciano nemmeno un attimo di respiro per aggiornare. *si mette in ginocchio*
Bene, capitolo di passaggio, come lo saranno i prossimi, già vi avviso.
Vado davvero di fretta perché devo terminare i compiti di latino per domani .-.
Scusate ancora per lo schifo che sarà venuto :/
Ringrazio chi segue la mia storia, chi l’ha aggiunta alle preferite e ancora chi la recensisce costantemente.
Vi amo tanto tanto, quindi me la lasciate una piccola recensione per farmi sapere cosa ne pensate di questa schifezza? *occhioni*
Beh, grazie in anticipo a chi lo farà.
Un bacione e a presto (probabilmente domenica prossima, perché il mercoledì sono super impegnata, ma vedrò che fare).
Sassanders.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


            EVERY BREAKING WAVE.

                             Capitolo 14

BRIAN’S POV.
Sono passati due giorni da quando me ne sono andato da casa di Sophie. Da quando l’ho lasciata lì, piangente, perché mi aveva mentito su ciò che aveva avuto il coraggio di farle il suo ex. Ho parlato molto con Jimmy in questo periodo, e gli ho anche spiegato tutto il piano che avevo in mente, per filo e per segno. All’inizio era un po’ titubante, ma alla fine ha accettato di aiutarmi e di non lasciarmi solo ad affrontare le difficoltà, nemmeno questa volta. The Rev mi ha anche informato su Sophie, attraverso quello che Julie gli ha riferito. Julie e Jimmy stanno insieme, finalmente. Quell’idiota del mio amico non ha fatto altro che parlarmi di lei in questo periodo, di quanto è bella e smancerie varie.
Julie ha esplicitamente detto che Sophie non è nella migliore delle condizioni. Passa le sue giornate sul divano, a mangiare gelato oppure nel letto con uno sguardo perso nel vuoto, a detta dell’amica. Mi sento un coglione proprio per questo, perché una ragazza come lei, sta soffrendo a causa di uno come me, senza nemmeno meritarlo. Sono a conoscenza del fatto che molto probabilmente sto sbagliando ogni cosa, a partire da quando ho chiuso la porta di casa sua fino a quello che ho in mente di fare proprio oggi. Jimmy e gli altri miei amici, a cui ho comunicato la mia idea dopo aver ottenuto una specie di consenso dal batterista, hanno cercato di sviarmi e di non farmi commettere un errore del genere, ma non è ho voluto sapere niente. James mi aiuta ed è già un punto a mio favore, per il resto poi si vedrà. Ho in mente tutto ciò che accadrà con precisione e sono deciso nel farlo: non ho alcun dubbio.
In questi due giorni, oltre che riflettere e pianificare, mi sono anche documentato sul conto di Logan, l’ex di Sophie, attraverso alcune vecchie conoscenze. Ho saputo dove lavora e cosa fa nello specifico, e ora so più o meno tutto di lui: un bel pezzo di merda, da quanto mi hanno detto.
Dopo essermi fatto una doccia veloce, mi preparo, indossando una semplice maglia bianca con lo scollo a V, un jeans nero strappato e delle semplici sneaker nere. Prendo un giubbino in pelle, lo infilo e mi siedo sul divano, aspettando l’arrivo di Jimmy. Guardo l’orologio appeso al muro della cucina, e noto che sono le 10,20. The Rev dovrebbe arrivare tra una decina di minuti, più o meno. E’ un tipo puntuale, quindi non credo che ritarderà. Mentre sono immerso nei miei pensieri, noto la mia cagnolina, Pinkly, salire sul divano e posizionarsi accanto a me. Sorrido e la prendo in braccio, carezzandole piano il musetto e il pelo bianco. Dopo qualche minuto sento il campanello di casa trillare e mi dirigo ad aprire la porta, trovando sull’uscio il mio amico tutto sorridente e pimpante.
-Ciao cazzone.- lo saluto e lui mi da’ una veloce pacca di saluto per ricambiare. Prendo le chiavi di casa, Pinkly, il cellulare ed esco di casa, chiudendo la porta e dirigendomi verso la mia auto grigia.
-Tutto pronto?- mi chiede Jimmy. Faccio un sorrisetto esplicativo e apro lo sportello dell’auto, sedendomi sul sedile del guidatore. Aspetto che entri anche James, e dopo aver lasciato Pinkly sui sedili posteriori, metto in moto. Accendo lo stereo e intanto il mio amico mi informa sull’attuale situazione di Sophie.
-La rossa sembra stare meglio.- annuncia.
Spalanco gli occhi.
-Davvero?- domando, titubante.
Vedo con la coda dell’occhio che annuisce vigorosamente.
-Julie mi ha detto che ieri ha fatto a Sophie un piccolo discorsetto e le ha fatto capire che non serve stare così, tanto le cose non migliorano. Una piccola strigliata, insomma. Sembra aver afferrato il concetto e ora sono addirittura uscite insieme per andare a fare spese. Cose da donne, hai capito.- dice, gesticolando. Annuisco e sospiro sollevato, nel sentire che finalmente sembra aver capito che non vale la pena buttarsi giù per uno come me. Rimaniamo in silenzio per il resto del tragitto, mentre penso a quello che succederà fra poco. Credo di assumere automaticamente un’espressione corrucciata, perché vedo Jimmy farmi coraggio.
-Su, amico, sta’ tranquillo.- mi rassicura. Sbuffo, passandomi una mano tra i capelli e spostando lo sguardo fuori dal finestrino. Mi si presenta una Los Angeles del tutto caotica: macchine che sfrecciano veloci, clacson per invitare gli automobilisti ad andare più in fretta, pedoni che corrono qua e là con valigette ed abiti eleganti. La macchina si ferma dopo qualche minuto e il mio batterista tossisce.
-Sei pronto?- chiede.
-Mai stato più pronto di ora.- dico, con tono fermo e tremendamente serio.
Annuisce e scendiamo dalla macchina, entrando nell’imponente edificio dinanzi a me con un’enorme insegna con scritto ‘Johnson & co.’. Entriamo nella sede a passo spedito, venendo avvolti da un’atmosfera frenetica. Ci dirigiamo verso un uomo mingherlino in giacca e cravatta seduto dietro una scrivania. Quest’ultimo alza lo sguardo e ci squadra dalla testa ai piedi. Mi avvicino e poggio una mano sulla scrivania.
-Buongiorno. Sa dirmi dove posso trovare l’ufficio del signor Johnson?- domando.
-Certo. Andate al sesto piano e lì troverete la sua assistente e il signor Johnson stesso.- mi risponde, con tono cordiale. Ringrazio e auguro una buona giornata, prima di prenotare l’ascensore poco distante dalla scrivania di quell’uomo, che in pochi secondi ci conduce al nostro piano. Le porte si aprono e ci mostrano un lungo corridoio con sedie su entrambi i lati delle pareti bianche e un grande lampadario che emana una luce gialla molto fioca. Percorro quei pochi metri che mi separano da colei che identifico come l’assistente di quello stronzo e tossisco per catturare l’attenzione della donna, che alza lo sguardo e mi sorride.
-Buongiorno signori. Cosa posso fare per voi?-
-Avremmo bisogno di parlare con il signor Johnson di una questione privata e importante.- affermo, contraendo la mascella. La ragazza -a quanto pare poco più grande di me- rimane con il sorriso sul volto per tutto il tempo, ascoltando con attenzione le mie parole.
-In teoria si potrebbe parlare con il signor Johnson solo su appuntamento, ma come vede oggi non ci sono molti clienti e quindi può tranquillamente parlargli in privato.- risponde. -Ed è anche fortunato, dato che molto spesso il signor Johnson è fuori per lavoro.- aggiunge, sfogliando un’agenda verde.
-Quindi, prego. Se volete seguirmi.- ci invita, alzandosi dalla sedia girevole e accompagnandoci fino alla porta di un ufficio, dove si legge la targhetta color oro con inciso ‘Dott. Logan Johnson’. La segretaria apre la porta e ci lascia con un ampio sorriso e io faccio un cenno col capo, per ringraziarla della disponibilità. Sposto lo sguardo all’interno dell’ufficio e vedo quel pezzo di merda scrutarmi con uno sguardo tra il sorpreso e lo spaventato. Chiudo la porta alle mie spalle e mi avvicino alla scrivania. Lui aggrotta le sopracciglia e scatta in piedi.
-Cosa ci fa lei qui?- mi domanda. Scoppio a ridere, fissandolo.
-Non è buona educazione far accomodare i clienti, signor Johnson?- chiedo, sarcasticamente. Mi siedo su una poltroncina in pelle nera e Jimmy e l’ex di Sophie mi imitano.
-Sì, ma vorrei sapere cosa…- inizia, ma lo interrompo bruscamente, grattandomi il sopracciglio destro.
-Ascoltami bene, stronzo. Innanzitutto ringrazia chiunque in cui credi per non essermi già imbestialito e non averti già mandato all’inferno a suon di calci in culo. Detto questo, vorrei parlarti di un paio di cosette che sono successe in questo periodo. Come hai visto quel giorno, ero a casa di Sophie e ho saputo che vi siete mollati e che tu l’hai tradita. Su questo aspetto, non ho niente da dire. Anzi, per carità, mi hai solo semplificato le cose.- mi interrompo, facendo spallucce e poggiando i gomiti sul tavolo in legno. Vedo che ha comunque uno sguardo perplesso, oltre che intimorito.
-Devi sapere che io e Sophie abbiamo cominciato a frequentarci da quel giorno. Circa una settimana fa, quindi venerdì scorso, se non erro…- al solo pronunciare di quel giorno della settimana, si irrigidisce, il bastardo.
-L’ho invitata a cena la sera e lei ha accettato. Avevo in mente di portarla in un posto fantastico e tutto -e ti assicuro che sono un tipo che odia queste smancerie- e di farla divertire. Avevo pianificato tutto, ma la sera non ho più ricevuto risposta. L’ho aspettata per circa un’ora e stavo per mandare tutto a puttane, se non fosse per una telefonata di Julie che mi chiama, comunicandomi che Sophie è in ospedale in condizioni pietose. Ti posso garantire che quando l’ho vista in quello stato, mi sono sentito male. Era distrutta, e si vedeva dal viso e da come si comportava giorno e notte, anche se non riuscivo proprio a capire cosa diamine avesse. Tre giorni fa si è ubriacata e mi ha confessato che in realtà ricordava tutto di quella sera. Ricordava, piangendo, come l’avessi picchiata solo perché pensavi che io e lei stessimo insieme mentre tu ti scopavi felicemente quella troietta del suo capo.- mi interrompo per prendere fiato, inumidendomi le labbra.
-A quelle parole l’ho praticamente lasciata, perché sentivo che aveva tradito la mia fiducia e mi rendo conto solo ora di quanto io sia stato un coglione e di quanto in realtà la ami.- mentre pronuncio queste parole vedo il viso dell’uomo di fronte a me assumere diverse colorazioni: dal pallido al rosso.
-Senti io…- inizia, ma stringo le mani in pugni e Jimmy mi posa una mano sulla spalla come per farmi calmare.
-Non ho finito. Sono venuto qui con un intento ben preciso, anche se quello iniziale era di prenderti a pugni fino allo sfinimento, ma ripensandoci non vale la pena finire in galera per un poveraccio e codardo come te.- sento che è spaventato a causa del respiro che gli si è visibilmente mozzato in gola.
-Quindi sono qui oggi, per comunicarti che in questi giorni tornerò da Sophie e la convincerò a sporgere denuncia e anche ad intraprendere una causa contro di te, dovessi pagare tutti gli avvocati più bravi in circolazione. Quindi preparati psicologicamente e goditi queste ultime settimane in libertà, prima di marcire per i prossimi vent’anni al fresco.- affermo, mentre lo vedo sempre più intimorito. Sto facendo esattamente ciò che mi aveva consigliato Matt: incutere timore al bastardo, con parole forti, che lo colpissero a livello psicologico. Sembra che stia funzionando.
-Ora voglio proprio sentire cosa hai da dire.- aggiungo.
Prende un bel respiro profondo.
-Ascolta. Quando vi ho visti insieme a casa sua ho perso letteralmente il lume della ragione. Non volevo picchiarla in quel modo e farla stare male, ma l’ho fatto perché la amo e non posso accettare il fatto che lei ami un altro!- esclama, passandosi le mani sul viso.
A quella parole, scatto in piedi e perdo immediatamente quella poca pazienza che ho avuto fino ad ora. Mi avvento su Logan e lo afferro per il colletto della camicia sbattendolo contro il muro adiacente alla scrivania. Lo vedo sgranare gli occhi a causa del terrore e mi avvicino al suo viso. Jimmy si materializza accanto a me e cerca di bloccarmi, ma mi scrollo le sue mani di dosso.
-Tu hai fatto cosa? L’hai picchiata perché la ami? Sei proprio un figlio di puttana! Io la amo almeno il doppio di quanto tu possa amarla, e di certo non la uccido! Per di più mentre la tradisci con una cretina che apre le gambe davanti a te! Lurido pezzo di merda!- urlo, completamente impazzito. Gli mollo un pugno nell’occhio destro e lo vedo contorcersi per il dolore e gridare, mentre si accascia sul pavimento, con le mani sul viso. Anche Jimmy strilla come impazzito e in pochi attimi si scatena il putiferio. Mi afferra per le spalle e cerca di mantenermi mentre do’ un calcio allo stomaco di Logan. Quest’ultimo grida ancora una volta e io grugnisco.
-Vuoi stare calmo, cazzo?- mi rimprovera il batterista, afferrandomi per le spalle.
-L’hai sentito? Hai sentito cosa cazzo ha detto?- chiedo, indicando l’uomo ancora steso a terra con le mani sul viso.
Jimmy sospira e scuote la testa, sconsolato.
-Andiamo via.- impone, ma io nego con la testa e mi inginocchio davanti all’ex di Sophie che si copre ancora di più.
-Prova anche solo a dire qualcosa di tutto ciò che è successo ora e giuro che vengo qui e ti uccido con le mie stesse mani.- sibilo. Lui annuisce in fretta e io mi ricompongo, sistemando il colletto del giubbino in pelle. Usciamo in fretta dall’ufficio, dove vediamo la segretaria di Logan decisamente spaventata. La ignoro e continuo a camminare con disinvoltura, mentre le immagini di ciò che è appena successo, mi scorrono nella mente. Una volta raggiunta l’auto parcheggiata nel cortile dell’azienda, salgo sul sedile del passeggero e aspetto che Jimmy faccia lo stesso. Chiudiamo lo sportello in contemporanea e vedo il mio amico sbattere i pugni sul volante, con nervosismo. Aggrotto le sopracciglia e lo guardo interrogativo.
-Avevamo detto che dovevi mantenere la calma, idiota!-
-Gli ho dato una bella lezione. ‘L’ho picchiata perché la amo.’- dico, scimmiottando la voce del pezzo di merda. -Ti sembra una cosa normale? Tu non avresti reagito così se qualcuno avesse picchiato la tua ragazza, giustificandosi con un ‘l’ho fatto perché la amo’- imito delle virgolette con le dita –e sapendo che proprio questo coglione la tradiva con una?- chiedo, incrociando le braccia al petto. Lui continua a guidare, restando in silenzio e borbottando qualcosa di tanto in tanto. Prendo una sigaretta dal pacchetto delle mie Marlboro e la accendo, aspirandone il fumo.
-Non puoi fumare in macchina.- afferma il batterista. Alzo gli occhi al cielo e lo ignoro.
-Ah, portami a casa di Sophie.-
Vedo Rev girarsi verso di me con uno sguardo arrabbiato.
-Mi hai preso per il tuo autista personale, Haner? Comunque lo stavo già facendo.- ribatte, mentre io mi lascio sfuggire una risata, continuando a fumare.
Dopo non molti minuti riconosco il viale della casa di Sophie e la macchina si ferma.
-Grazie Jimbo, sei un vero amico.- affermo, tirandogli un pugno sulla spalla. Sbuffa e alza gli occhi al cielo, e io scoppio a ridere. Esco dal veicolo e sbatto lo sportello, buttando la sigaretta ormai terminata a terra e spegnendola con la punta della scarpa. Vedo che il mio batterista abbassa il finestrino e mi mostra un dito medio, con un piccolo sorriso. Ricambio il gesto con un altrettanto dito medio, e vedo che mette in moto l’auto e sfreccia via.
Mi ritrovo solo davanti alla porta di ingresso di Sophie e prendo un respiro profondo. Suono il campanello con impazienza, con una voglia assurda di abbracciarla e baciarla. Aspetto qualche attimo, fin quando la porta non si apre e mi mostra la ragazza che amo, con dei capelli un po’ arruffati ed uno sguardo triste, che però si illumina non appena scorge il mio viso sorridente. 









NOTE DELL'AUTRICE:
Chiedo umilmente venia per ritardo, ma, come detto la settimana scorsa, non posso aggiornare più di una volta a settimana.
Detto questo, buonassssera siori e siore. *assume tono da presentatore*
Vado di corsa, e mi scuso anche per la brevità di queste note, ma sono completamente impegnata, considerando che domani ho il compito di matematica (non frega a nessuno, ma okay) >.<
Bene, in questo capitolo ci sono dei progressi, e devo dire che mi sono anche divertita parecchio a descrivere la scena in cui Brian picchia Logan, deheh.
Ringrazio chi ha recensito, aggiunto alle seguite e preferite (addirittura) la mia pietosa fanfic,
Vi auguro una buona settimana.
Come sempre, vi voglio taaanto bene.
Alla prossima settimana,
Sassanders <3


 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


             EVERY BREAKING WAVE.

                              Capitolo 15

Sento il campanello trillare e sbuffo, alzandomi dal divano e lisciandomi i jeans sulle cosce. Mi passo una mano tra i capelli e apro la porta, sicura di dover trovare Julie davanti a me. Sull’uscio, però, non trovo la mia amica. E nemmeno il postino o il pizzaiolo che aspettavo.
Trovo Brian. Sollevo il capo e mi si para davanti in tutto il suo metro e ottanta. Incrocio i suoi occhi color cioccolato e ho un brivido. Vedo il suo sguardo preoccupato che mi squadra prima il viso e poi il resto del corpo. Poi, spalanco gli occhi e la bocca a causa dello stupore, mentre lo vedo sorridere leggermente.
-C-che ci fai tu qui?- chiedo, balbettando.
-Non ti ho detto che non sarei più ritornato. Ho detto che non lo sapevo. Avevo un paio di questioni da risolvere, ecco.- ribatte, strafottente.
Rimango impalata a fissarlo con la spalla poggiata allo stipite della porta in legno.
-Vuoi farmi entrare o no?- domanda, ironicamente. Mi scosto quanto basta per farlo passare e mi supera, entrando nell’appartamento. Si guarda un po’ attorno, mentre io chiudo la porta alle mie spalle. Si toglie la giacca di pelle e la poggia su un appendiabiti collocato accanto all’entrata. Rimaniamo qualche minuto in silenzio, fin quando non corre di scatto verso di me e mi solleva in aria, abbracciandomi. Rido e avvolgo le braccia attorno al suo collo, mentre i nostri nasi si sfiorano. Brian posa con delicatezza le sue labbra sulle mie, e intanto stringe le mie gambe attorno alla sua vita. Approfondisco il bacio, facendo così scontrare le nostre lingue. Il chitarrista riesce a portarmi con facilità e velocità al piano superiore, come se pesassi meno o quanto una piuma. Non ci stacchiamo nemmeno per un attimo, se non per riprendere fiato, quanto ci basta per respirare. Apre la porta della camera da letto e mi fa stendere sul materasso coperto da un lenzuolo giallo, mentre lui si adagia su di me. Comincia a spogliarmi e io arrossisco sempre di più. Se ne accorge e ridacchia, e di tutta risposta gli mollo un pugno sulla spalla ormai scoperta dalla maglia bianca con lo scollo a V che indossava fino a poco fa. Mi concedo qualche secondo per ammirare il suo corpo: ha delle spalle abbastanza larghe e un fisico asciutto in generale, ornato e ricoperto da molti tatuaggi che lo rendono ancora più bello ai miei occhi.
Affondo le mie mani nei suoi capelli mentre raggiungiamo l’apice del piacere nel nostro amplesso, appena concluso. Sussurriamo contemporaneamente i rispettivi nomi e poi mormora un ‘ti amo’ nel mio orecchio, dopo avermi baciato un’ultima volta e dopo essersi steso accanto a me. Mi accoccolo sul suo petto, incrociando le nostre dita sul mio ventre.
-Ti amo anche io.- bisbiglio contro il suo collo e lasciandoci un piccolo bacio a stampo. Apro gli occhi e vedo che sta sorridendo con un angolo della bocca, guardandomi con quegli occhi color cioccolato che adoro. Ritorno nella posizione precedente e chiudo gli occhi, riflettendo su ciò che è appena successo. Dopo pochi attimi sento il respiro del chitarrista regolarizzarsi, e capisco che si è addormentato. Mi rintano ancora di più tra le sue braccia, che mi fanno sentire assurdamente protetta. Mi addormento non molto tempo dopo, con un sorrisetto stampato sulle labbra e gli occhi ancora lucidi per la felicità dei momenti appena vissuti.
Un urlo mi sveglia e mi fa mettere a sedere di scatto. Mi copro velocemente con il lenzuolo e notando solo allora che sulla soglia della mia camera da letto c’è una Julie a dir poco sconvolta che ha la bocca spalancata e gli occhi coperti da una mano. Le sue gote si arrossano sempre di più, come del resto le mie.
-Che cazzo, ragazzi! Chiudere la porta vi fa così schifo?- domanda retoricamente, uscendo dalla stanza, sbattendo alle sue spalle la porta di legno e continuando a borbottare qualche imprecazione. Chiudo gli occhi, respirando a fondo e sentendo Brian ridere di gusto di fianco a me. Li riapro e gli lancio un’occhiataccia. Mi porto una mano tra i capelli, scuotendo la testa visibilmente esasperata, sbuffando.
-Dai, su, non farla così tragica. Alla fine non ci ha nemmeno visti mentre…- inizia, ma lo blocco dandogli un pugno sul petto e arrossendo ancora di più. Ricomincia a ridere, ma poi mi prende un polso e mi trascina nuovamente sotto le lenzuola, e ci ritroviamo talmente vicini che i nostri nasi quasi si sfiorano. Mi fissa con la testa leggermente di lato, con il solito suo sorrisetto strafottente. Si avvicina ancora di più e posa con delicatezza le sue labbra sulle mie, chiudendo gli occhi. Lo imito e dischiudo le labbra, mentre sento la sua lingua entrare in contatto con la mia. Ci stacchiamo e sorridiamo entrambi.
-Dobbiamo rivestirci, Julie è al piano di sotto.- mormoro. Sbuffa sonoramente e io ridacchio, scoccandogli un bacio sulla guancia destra, leggermente ruvida a causa della poca barba che gli è cresciuta in questo periodo. Mi alzo dal letto e cerco l’intimo con lo sguardo, notandolo poi in un angolino della stanza. Sbuffo e tiro la coperta, usandola per avvolgermi. Recupero gli indumenti e vado in bagno, per rivestirmi e sistemarmi. Mi guardo allo specchio e noto che sono diversa da qualche oretta fa: le gote sono arrossate, i capelli sono spettinati come sempre, ma la cosa che mi colpisce di più sono gli occhi. Sembrano quasi più lucidi e vispi. Faccio una doccia veloce e quando esco dal bagno, infilando un braccio nella manica della maglia, trovo Brian addormentato. Ridacchio e mi fermo un attimo ad osservarlo: ha vagamente i tratti di un bambino, quando dorme. I lineamenti sono senza dubbio più rilassati e un mezzo sorriso gli incornicia il volto. Molto cautamente mi avvicino e gli scosto una ciocca di capelli ricaduta sugli occhi e lo sento mormorare qualcosa, forse sta sognando. Mi allontano ed esco dalla camera, chiudendo la porta alle mie spalle con attenzione per evitare di svegliare Brian. Scendo al piano inferiore dove trovo Julie sul divano a sfogliare una rivista di moda, presa forse tra quelle posizionate sul tavolino di vetro, accanto ad un posacenere con tre cicche che devono appena essere state fumate dalla mia amica. Tossisco leggermente e lei si volta di me, lasciando il giornale che stava sfogliando sul ripiano accanto alla tivù.
-Possibile che me ne vado per qualche minuto, torno e noto che ti sei data alla pazza gioia?- mi chiede e io arrossisco, guardando i miei piedi che sembrano essere diventati improvvisamente interessanti. Lei ride di gusto e io le faccio segno di tacere.
-C’è Brian che sta dormendo di sopra.- le sussurro.
-Non più ormai.- dice una voce dietro di me, che riconosco come quella del mio ragazzo. Io e Julie ci voltiamo e notiamo che ha addosso solo un boxer ed è a torso nudo.
-Per l’amor del cielo, Brian, mettiti una maglietta!- esclama la mia amica tornando sul divano. Lui la guarda interrogativo e lei alza gli occhi al cielo, mentre io ridacchio.
-Va bene che avete appena scopato e lo capisco pure, ma non mi pare di aver letto qui sopra che le maglie maschili sono ormai passate di moda.- dice, sventolando il giornale che ha in mano davanti agli occhi di un Brian che non deve averci ancora capito nulla. Alzo gli occhi al cielo e mi schiaffeggio la fronte, scuotendo successivamente la testa. Vado al balcone e, dalla cesta degli abiti puliti, tiro fuori una maglia del chitarrista, che aveva lasciato qui poco prima che se ne andasse e sparisse per qualche giorno. Sporgo il braccio e la testa all’interno del salotto e lancio la T-shirt a Brian che riceve in pieno viso. Scoppio a ridere e lui la prende tra le mani e la indossa, guardandomi male.
-Contenta ora?- chiede a Julie. Lei fa una smorfia e io, intanto, mi accorgo di quanto entrambi siano immaturi e bambini. Apro il freezer e afferro una confezione di gelato al cioccolato e un cucchiaio da uno dei tanti cassetti, chiudendolo poi con un colpo di fianchi. Mi butto di peso sul divano, accanto alla mia amica che alza lo sguardo dal giornale e solleva le sopracciglia, fissandomi. Aggrotto le sopracciglia in cerca di risposta e lei scuote la testa come esasperata. A volte, dopo tutti questi anni che ci conosciamo, non riesco proprio a comprendere alcuni suoi comportamenti. Apro la scatola e guardo Brian che mi osserva in modo indecifrabile.
-Si può sapere che avete tutti e due da guardare? E’ una confezione di gelato, ne avete mai sentito parlare per caso?- domando, retorica. Julie sospira come se fosse esasperata e il chitarrista ghigna, dirigendosi in cucina e tornando qualche attimo dopo con un altro cucchiaio. Si siede accanto a me e mi sfila la confezione dalle mani, aprendola e cominciando a mangiare il gelato al cioccolato che ero convinta di finire io.
-Hey ma…- comincio ma lui mi interrompe ridendo come se non ci fosse un domani.
Io e la mia amica ci guardiamo contemporaneamente per cercare di capire per quale assurdo motivo sta quasi piangendo dalle risate.
-E ora che cazzo c’è da ridere?- chiedo, esasperata, riprendendomi la vaschetta e affondando il cucchiaio nel gelato e assaggiandolo subito dopo.
-Avresti dovuto vedere la tua faccia quando ti ho tolto il gelato dalle mani.-
Sbuffo sonoramente, mentre porto altro gelato alle labbra. Restiamo in silenzio per i successivi cinque minuti, fin quando sentiamo Julie tossire. Mi volto verso di lei che ha appoggiato la rivista al tavolino e si è alzata in piedi, stiracchiandosi.
-Bene, vecchiacci. Io vado a farmi un giro con James mentre voi siete qui a mangiare come dei disperati, dopo che avete anche scopato. Sapete, non vi capisco proprio. Dovreste saltellare di gioia, e invece siete a marcire su questo divano nemmeno aveste appena saputo della morte di qualcuno.- dice, mentre la guardo torva.
-Julie, per favore.- tento di dire, ma lei mi blocca con un altro intervento a dir poco fastidioso.
-No, Soph. Sembrate due disperati, quando invece vi amate e state qui tutto il giorno a far nulla. Uscite un po’, divertitevi, perché non sarà così per sempre.- continua, prima di recuperare la borsa ed uscire frettolosamente da casa mia, borbottando qualcosa di incomprensibile.
-Ma ha le sue cose, per caso?- chiede Brian.
Faccio spallucce, alzandomi dal divano per riporre i cucchiai nel lavandino e la scatola ancora piena per metà, nel freezer.
-Non lo so, fatto sta che probabilmente ha ragione. Che ne dici di uscire?- domando, tornando in salotto per poi guardarmi intorno.
-Per me va bene.-
Guardo l’orologio appeso al muro e noto che sono le dodici e trenta.
-Potremmo andare a pranzo fuori.- propongo, mentre vedo il chitarrista annuire distrattamente.
-Basta che andiamo al Riot.- mi comunica, dopo qualche minuto di silenzio. Mi volto di scatto verso di lui, che sta ghignando. Scuoto la testa esasperata e mormorando che probabilmente non cambierà mai, per poi fare qualche passo verso le scale. Vengo bloccata da lui che mi tira per un polso e dopo poco mi ritrovo seduta sulle sue gambe e con il mio viso a pochi centimetri dal suo. Mi guarda fisso, mentre io arrossisco, suscitando una sua risatina. Gli do’ un piccolo pugno sul petto, che non sembra nemmeno sentire, per poi avvicinarmi e lasciargli un piccolo bacio a fior di labbra. Chiude gli occhi, ma li riapre l’istante dopo. Piega la testa di lato, continuando ad osservarmi.
-Perché mi fissi in quel modo?- chiedo, curiosa.
Scrolla le spalle per poi lasciarmi un ultimo bacio sulle labbra e poggiare la testa sullo schienale del sofà. Rido leggermente, e poi mi alzo, dirigendomi al piano di sopra per darmi una sistemata. Indosso un paio di shorts neri e una maglia blu elettrico, assieme a dei sandali dello stesso colore della T-shirt. Metto un filo di matita nera e pettino i miei capelli rosso fuoco, legandoli poi in una coda alta che lascia scoperta solo la frangetta. Prendo gli occhiali da sole neri, situati accanto al beauty case nella mia camera, e poi scendo le scale, fischiettando. Brian, che prima era seduto sul divano, e si gira verso di me. Porto gli occhiali sulla testa e gli faccio un mezzo sorriso, che ricambia con allegria. Dopo non molto ci catapultiamo fuori casa e andiamo al locale, decisamente affamati. Appena arriviamo ci sediamo ad un tavolo per due, situato in un angolo remoto del pub, e Claire, la mia amica del liceo che lavora qui, viene a prendere le ordinazioni qualche minuto dopo.
-Buongiorno, possiamo ordinare?- chiede, con un sorriso cordiale, sfilando il taccuino dal grembiule. Alza lo sguardo e finalmente mi riconosce.
-Sophie!- esclama.
-Ciao Claire, come va?- domando curiosa alla mia amica.
-Abbastanza bene, tu?-
Sposta poi lo sguardo verso Brian, sbarrando leggermente gli occhi.
-Oh, piacere, Claire.- si presenta.
-Brian.- risponde semplicemente il mio ragazzo, con un mezzo sorriso.
-Sto abbastanza bene anche io.- rispondo.
-Fantastico! Cosa ordinate?-
-Oh, uhm, per me un cheeseburger e una porzione di patatine fritte.- annuncia il chitarrista, e io arriccio il naso.
-Per me…- comincio, ma vengo interrotta dal mio ragazzo.
-Due cheeseburger e due porzioni di patatine fritte. Oh, e due diet coke.-
-Sei impazzito? Tutto per te? Vuoi diventare obeso?- chiedo, mentre Claire scoppia a ridere e Brian si schiaffeggia la fronte.
-Ho ordinato anche per te.-
-E’ troppo.- affermo.
-Non è troppo.-
-Okay, mi arrendo, ma la diet coke mi fa schifo.-
-Cosa?-
-La diet coke mi fa schifo, quindi una coca normale.- dico alla mia amica, che ci osserva divertita.
-Va bene.- ribatte quest’ultima, dopo che ha terminato di scrivere sul taccuino.
-La diet coke non può farti schifo.- dichiara Brian, sconcertato.
-Perché no? Non sa di nulla e non mi piace.- sbotto. –E a dir la verità il cheeseburger non mi fa impazzire, e avrei voluto prendere altro ma l’ho fatto solo per te.-
-Quale onore.- dice Brian, scoppiando a ridere l’attimo dopo.
Non molto tempo, Claire ci porta i piatti caldi con le varie pietanze e intanto chiacchieriamo.
-Potresti venire ad Huntington Beach a vivere da me.- dice ad un certo punto della conversazione, e io tossisco e sputacchio un po’ dell’acqua che stavo bevendo. Respiro con profondità e poi lo fisso.
-Dici sul serio?- domando.
-Sì, per me non ci sarebbero problemi. Per te?-
-Nemmeno per me, ma ci sarebbe la questione del lavoro.-
-Andiamo, vorresti continuare a lavorare per quella lì?- chiede, alzando un sopracciglio, con scetticismo.
-No, ma non posso stare senza lavoro.- ammetto.
-Perché no? I soldi non sono un problema, ci sono io.-
-Sei impazzito, per caso? Non ho intenzione di fare la casalinga disperata in menopausa. Necessito di un lavoro, comunque sia.-
-Allora trovi un lavoro lì. Senti qua, potresti anche aprire una tua testata giornalistica.- mi fa notare e, in fondo, non mi sembra nemmeno una idea così cattiva. Rimango qualche minuto in silenzio a riflettere, fin quando non sento Brian che mi prende una mano.
-Hai bisogno di ricominciare, di lasciarti alle spalle tutto quello che ti è capitato fino ad ora. Ad Huntington potremo stare più tranquilli, tu avresti l’occasione di trovare un nuovo lavoro, anche diverso di quello che fai ora, e di dimenticare Mark e quello che ti ha fatto. Ti assicuro che saremo felici.- mi dice, con gli occhi lucidi. –E poi ho una villa e saremo vicinissimi a Jimmy e agli altri.- Scoppio a ridere, mentre mi asciugo una lacrima caduta dall’occhio destro.
Sospiro e chiudo per un attimo gli occhi. Li riapro e pronuncio un ‘sì’ a bassa voce.
-Ti amo.- mi sussurra Brian.
-Anche io.- rispondo, intrecciando le mie dita con le sue.
 
 
 
 
NOTE DELL’AUTRICE:
*si inginocchia davanti al pc*
Non so come chiedervi scusa per questo ritardo clamoroso, ma vi assicuro che è stato per vari motivi, compreso il fatto che il pc mi va terribilmente lento. >.<
Bene, detto questo, buonasera siori e siore! *assume tono da conduttore televisivo*
Come avrete sicuramente notato, ho inserito fluff in questo capitolo, che non fa mai male.
Quiiiiindi, finalmente i piccioncini sono tornati insieme *canta Hallelujah*
Non vi nascondo che non sono per niente soddisfatta da questo schifo che ho scritto, ma bandiamo (?) alle ciance.
Ringrazio chi recensisce e segue questa fan fiction, anche assiduamente, aw.
Ringrazio anche i lettori silenziosi, anche se ricevere una vostra recensione mi farebbe davvero piacere.
Detto questo, vi saluto, con la speranza di riuscire ad aggiornare lunedì prossimo (o magari anche prima, ma shh).
Vi vi bi,
Sassanders.

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