Quando arriva l'inverno

di Macy McKee
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Note: questa storia apporta una piccola modifica al canon: mentre nel libro Katniss rimane in ospedale solo un paio di giorni dopo la ferita alla gamba riportata al Distretto 8, qui il suo periodo di degenza viene allungato, diventando di circa una settimana.
Può essere considerata una storia parallela alla prima parte di Mockingjay, con i tempi leggermente dilatati rispetto al libro, che racconta come Finnick e Katniss si avvicinano e consolidano la loro amicizia.
Più note in fondo, perché mai nell’universo riuscirò a scrivere soltanto cinque righe di note XD

Dedicata dalla prima all’ultima riga a Rica, perché senza di lei questa storia non sarebbe mai esistita. Dall’idea di base, all’ispirazione, al supporto, alla sopportazione dei miei “Argh, sono stuck, aiutami!” continui, è stata fondamentale per la creazione di questa fanfiction.
Grazie, compagna di banco mezza. Questa è tutta per te
.
Quando arriva l’inverno
You and I, torn and broken,
bleed into the night and I’ll meet you there
Waiting for the world to end
Oh, let it end again

“Into the night”, H.I.M

La terra fredda dormiva al di sotto;
sopra splendeva freddo il firmamento:
e tutto intorno, con un suono gelido,
da caverne di ghiaccio e campi di neve,
il respiro della notte scorreva come la morte
sotto la luna calante.

“La terra fredda dormiva al di sotto”, P.B. Shelley
 
Capitolo I
 
Non è il rumore della discussione a svegliarmi, ma il movimento del letto che sussulta quando qualcuno si accovaccia vicino ai miei piedi.
Apro gli occhi di scatto, scivolando indietro sul materasso. Sono all’erta prima di essere lucida.
Non credo che qualcuno si sia preso il disturbo di sedersi sul mio letto per uccidermi, ma l’istinto di sopravvivenza agisce più rapidamente del mio buon senso.
≪Sono io≫ sussurra Prim, nel momento esatto in cui il mio cervello registra la sua presenza.
≪Certo che sei tu, Paperella≫ le rispondo. Non so perché io senta il bisogno di confermarlo. Forse per convincerla che non sono impazzita al punto da non riconoscere mia sorella.
≪Chi sta litigando?≫ le chiedo, scostando la coperta per permetterle di sgusciare sotto. Mentre si rannicchia contro il mio petto, mi rendo conto di quanto fosse freddo il letto prima del suo arrivo.
Prim si gira su un fianco, mettendosi comoda, e io capisco all’istante di aver indovinato: è stata la discussione a farla agitare.
≪La mamma e Plutarch. Lui e gli altri vogliono che Finnick venga dimesso dall’ospedale, per registrare altri pass-pro quando tu… non puoi.≫
≪Meglio che si assicurino di procurargli dei vestiti prima di farlo, o rischiano una rivoluzione interna≫ commento, sorridendo al ricordo di Finnick che attraversa i corridoi del Distretto in camicia da notte. Prim si volta per rivolgermi un’occhiata curiosa, e io scuoto la testa.
≪Non mi piace sentire la mamma che discute. E poi… forse dovrebbero chiederlo a lui, no?≫ continua lei. Riesco a immaginarla mentre si morde il labbro inferiore, preoccupata, e ancora una volta provo una fitta di ammirazione di fronte alla sua saggezza.
≪A volte mi chiedo perché non ci sia tu al posto di Plutarch al comando delle operazioni, Prim.≫
Lei rimane in silenzio per qualche istante, e mi sembra quasi di sentire i pensieri che corrono nella sua mente.
≪Scusami per averti svegliata≫ sussurra alla fine, facendo per allontanarsi. La fermo, appoggiandole una mano sulla spalla.
≪Non scusarti. Rimani qui.≫ Mi interrompo. ≪Per favore.≫
La mia richiesta suona così debole da farmi rabbrividire.
È troppo simile a quando chiedevo a Peeta di rimanere al mio fianco sul treno diretto a Capitol City. Troppo simile a momenti che non si ripeteranno. Ad un tratto, il corpo di Prim è troppo piccolo, troppo sottile fra le mie braccia. Prim sa di casa, calore e certezza, ma non è Peeta. Il pensiero mi chiude lo stomaco.
In quel momento, capisco che non riprenderò sonno. Ma non c’è motivo per tenere sveglia anche Prim.
Chiudo gli occhi, e dopo qualche minuto rallento il respiro, fingendo di addormentarmi.
Quando sento il corpo di mia sorella rilassarsi, scivolo giù dal letto dal lato opposto.
≪Stanno litigando per me. Se li incontri, puoi dire loro che c’è abbastanza di me per tutti?≫ bisbiglia una voce alle mie spalle.
≪Perché non glielo dici tu stesso?≫ replico, irritata per essere stata scoperta così velocemente. Incolpo la mia gamba dolorante per questo.
≪È un invito, signorina Everdeen?≫
Mi volto, scorgendo la sagoma di Finnick seduto sul bordo di un lettino. Sembra lucido, a giudicare dal suo tono di voce e dalla sua posa.
Mi domando se gli altri facciano lo stesso con me: quando mi vedono, il loro primo istinto è di valutare il mio livello di salute mentale con un’occhiata?
È una domanda che non mi aiuta, quindi la accantono.
≪Lo accetteresti, se lo fosse?≫
≪Solo se mi aiuti a sgattaiolare fuori da qui. Sto diventando pazzo.≫
Sono quasi certa di sentirlo ridacchiare fra sé.
≪Dipende: hai intenzione di portare i pantaloni?≫
Siamo particolarmente loquaci, considerata l’ora della notte. Decido che, per quanto riguarda me, è l’idea di sgusciare fuori da qui a mettermi di buon umore. Non è come scivolare sotto la rete per andare a caccia, ma è un inizio.
Sento Finnick muoversi, e la sua voce è vicina quando risponde. ≪Perché, preferiresti di no?≫
Mi chiedo se sia una buona idea andare in giro la notte con lui. Non che io mi senta particolarmente incline a rispettare le regole del Tredici, ma il buon senso mi suggerisce che forse non dovrei incoraggiarlo a evadere: se avesse una ricaduta, non saprei come comportarmi. Non sono esattamente nelle condizioni di aiutare qualcuno in preda a un crollo nervoso.
Mi viene in mente che mia madre si stava battendo perché non fosse dimesso dall’ospedale. Non l’avrebbe fatto se l’avesse ritenuto stabile, giusto?
Forse non è un’idea brillante portarlo con me.
≪Se provi a lasciarmi qui, chiamo tua madre≫ sussurra lui al mio orecchio. Faccio un passo di lato, lanciandogli un’occhiataccia. Probabilmente non la vedrà, al buio, ma mi fa sentire meglio.
≪Non oseresti.≫
≪Rischieresti? Sono abbastanza certo che Haymitch non stia aspettando altro per metterti quell’auricolare nuovo…≫
Rabbrividisco al ricordo della manetta-da-testa.
≪Hai vinto questa battaglia, Odair, ma non hai vinto la guerra.≫
≪Pensavo fosse una rivoluzione.≫
Sospiro. Qualcuno che fa tante battute non può essere sull’orlo di una crisi di nervi, giusto?
Scivoliamo fuori dall’ospedale. I suoi passi sono abbastanza rumorosi da farmi tirare un sospiro di sollievo quando vedo che non c’è nessuno appostato all’entrata.
≪Via libera≫ sussurro, tenendo la porta aperta per Finnick. Le voci di Plutarch e mia madre si sono spente, e non ci sono sentinelle nel corridoio.
Muoviamo qualche passo prima di renderci conto di non aveva la minima idea di dove andare: il Distretto Tredici non ha esattamente una vita notturna attiva.
Un istante dopo, passi rapidi rimbombano nel corridoio.
Ci scambiamo un’occhiata. Non ho alcun desiderio di tornare all’ospedale, non dopo essere riuscita a scapparne con tanta facilità. La nostra grande fuga non può durare soltanto qualche secondo, e mi rifiuto di ammettere la sconfitta così velocemente.
Spingo Finnick nella direzione opposta a quella da cui provengono i passi. Bastano pochi secondi di corsa perché la mia gamba cominci a protestare, ma la ignoro. Svoltiamo alla prima traversa che troviamo, senza sapere davvero dove stiamo andando.
Mi chiedo come faremo a trovare la strada per tornare indietro, ma ormai le mie gambe hanno deciso di correre e io non posso fermarle.
È un corridoio senza sbocchi ad arrestare la nostra fuga. Mi fermo di colpo, e devo fare un passo di lato per evitare che Finnick mi travolga. Davanti a noi c’è una parete, liscia e del tutto priva di aperture.
Siamo in trappola.
Mi volto verso la direzione da cui siamo venuti. Forse chiunque ci fosse in giro non stava venendo proprio in questa direzione. Forse li abbiamo seminati.
Poi il rumore di passi in avvicinamento ricomincia.
 ≪Qualcosa mi dice che non ci lasceranno più incustoditi≫ borbotto, e all’improvviso il pensiero mi diventa insopportabile. Non voglio dare ad Haymitch un pretesto per mettermi quella manetta-da-testa, non voglio dare alla Coin un’altra scusa per tenermi rinchiusa mentre gli altri combattono, e non voglio assolutamente essere confinata nell’ospedale con una sentinella appostata di fianco al mio letto.
Mi guardo attorno. Ci deve essere una via di fuga.
Studio le pareti, il soffitto, il pavimento… e la vedo. Una grata, proprio sotto i nostri piedi.
Finnick ha seguito il mio sguardo. Ci chiniamo nello stesso momento, sollevando la grata. Ringrazio silenziosamente chiunque abbia progettato il Distretto e abbia deciso di non chiudere le grate con un lucchetto. Dopotutto, quale persona sana di mente vorrebbe farsi un giretto fra le tubature?
Ci caliamo all’interno, e qualche minuto dopo siamo seduti fra tubi che fischiano e gorgogliano. La temperatura è quasi insopportabile, ma è il prezzo da pagare per non essere rinchiusi nell’ospedale fino alla vecchiaia.
≪Se avessi saputo che avremmo fatto un picnic avrei almeno portato qualche provvista≫ scherzo, incrociando le gambe.
Rimaniamo in silenzio, riprendendoci dalla corsa. Passato l’effetto dell’adrenalina, la mia gamba pulsa e mi fa abbastanza male da darmi le vertigini. Il mio cuore ha bisogno di qualche minuto in più del solito per riprendere il suo ritmo regolare.
Quando il mio battito torna normale, mi rendo conto che Finnick non ha parlato da quando siamo scesi qua sotto. Non mi dispiace il silenzio, ma qualcosa mi dice che si tratti di una quiete innaturale.
Alzo lo sguardo su di lui, e capisco di avere ragione. Guarda oltre le mie spalle, lo sguardo fisso su i tubi, e lo vedo sobbalzare quando una delle condutture emette un fischio.
Non mi piace il modo in cui si muovono le sue mani. Tremano sulle sue gambe, come se stessero lottando contro un riflesso istintivo.
La corda. Non ha portato con sé la corda.
Non so cosa fare. Non so gestire un crollo nervoso. Ma non posso scappare, rifugiarmi nei boschi e aspettare che mia madre lo calmi. Ed è colpa mia. L’ho portato io qui.
Pensa, mi dico. Io come mi calmo? Di solito non mi calmo. Qualcuno mi mette al tappeto fino a quando non sono più un pericolo per me stessa e per gli altri. Ma non ho sedativi a disposizione, e Finnick non sembra essere sul punto di diventare violento.
Ma le sue braccia tremano, e il suo sguardo non mi piace.
Dovrei tirarlo fuori da qui, ma è rischioso. Se ci fosse qualcuno sopra di noi e lo trovassero in questo stato, gli impedirebbero di partecipare alle missioni per sempre. Forse non sarebbe una cattiva idea, ma non voglio essere la persona che l’ha fatto rinchiudere in ospedale fino alla fine della guerra. So che io, al suo posto, non glielo perdonerei.
Finnick ha l’espressione di chi sta per urlare, e io comincio ad agitami davvero. Sta pensando ad Annie, rinchiusa in uno spazio più soffocante, più caldo, più opprimente di questo? Sta pensando a Annie, segregata, sofferente, che non può fuggire come siamo fuggiti noi? Penso che Peeta è insieme a lei, nella stessa situazione, e vacillo.
Ma no, unirmi al suo attacco non aiuterà nessuno. Uno di noi deve rimanere lucido.
Come mi calmo quando non c’è nessuno armato di sedativi in giro? Mio padre ci riusciva cantando. Qualche volta.
Poi mi viene in mente Peeta. È l’ultima cosa a cui vorrei pensare qui e ora, con il calore dell’acqua che scorre nei tubi che fa attaccare la camicia da notte alla mia pelle e l’umidità che si incolla ai miei polmoni, perché è come essere di nuovo nell’Arena, la prima volta, con Peeta che sta per morire fra le mie mani e io che non so cosa fare, io che sono inappropriata e inesperta e vorrei prendere il mio arco e andarmene lontano mentre mia madre e Prim risolvono il problema.
E di nuovo non posso farlo.
Ma il pensiero si è incollato alla mia mente e non riesco a cacciarlo. Penso a Peeta, che saprebbe come calmare Finnick, che sa lavorare con le parole come io so maneggiare il mio arco, che ha saputo placare la morfaminomane morente nell’Arena.
≪Una volta un merlo mi ha salvato la vita≫ comincio. È un tentativo disperato, e con ogni probabilità non funzionerà, ma non ho altre idee. ≪Era inverno, e stavamo morendo di fame. Nessun animale osava uscire dal proprio rifugio con quel freddo, e non avevo trovato una preda per giorni. La temperatura aveva gelato tutto le piante. Mi sono seduta su un tronco, nel bosco, e guardavo il ghiaccio divorare il terreno. Pensavo che, forse, avremmo potuto resistere per qualche giorno raccogliendo un po’ di corteccia, ma presto non sarebbe più bastata. A un certo punto la neve si è mossa, una macchia grigia su un grigio infinito. Era un merlo. Non so cosa facesse lì. Doveva essere mezzo congelato e affamato, come me. Doveva essere impazzito per appoggiarsi sulla neve, ma l’aveva fatto. Mi sono avvicinata, e il merlo è volato via. E a quel punto ho guardato in basso e ho visto che il merlo era appoggiato su un tronco, e sotto c’era la tana di una lepre.≫
Prendo un respiro. Non sono abituata a parlare così tanto, e la mia gola si secca subito. Ma sta funzionando. Le mani di Finnick non tremano quasi più, e sta lottando per riportare il suo sguardo su di me.
≪Era un merlo bellissimo. Mentre aspettavo che la lepre arrivasse, il merlo è tornato indietro. Si è fermato su un albero e mi guardava. Avrei potuto colpirlo, ma mi aveva salvata, e sentivo di essere in debito con lui. Quando ho raccontato questa storia a Prim, lei mi ha detto che avevo fatto bene a non colpirlo. Mi ha detto che forse il merlo era uno Spirito della Foresta, un Principe dei boschi. Ha inventato una favola, su quel merlo.≫
Mi interrompo, vedendo che Finnick ha chiuso gli occhi. Penso che stia per svenire, e mi sporgo in avanti per cercare di afferrarlo, ma mi rendo conto che sta solo ascoltando. Mi ricorda Prim da piccola, accoccolata nel letto che mi chiede di raccontarle storie di caccia, dopo avermi guardata con occhi troppo saggi che mi spaventano e avermi implorata di limitarmi a racconti belli, che abbiano un lieto fine. Come quella del Principe Merlo.
Sto per riprendere a parlare quando Finnick riapre gli occhi. Sembra ancora distante, ma le sue labbra non sono più tese. Ha lo sguardo lontano di chi sta fluttuando fra ricordi piacevoli, molto più promettenti del presente, e per un attimo lo invidio.
Un tubo gorgoglia ricordandomi che dobbiamo uscire da qui. Risalgo dalla grata, mi assicuro che non ci sia nessuno pronto a trascinarci in ospedale e ammanettarci al letto e dico a Finnick di seguirmi. Devo fermarmi per sospingerlo in avanti in un paio di occasioni, e lui si lascia guidare.
Ci perdiamo soltanto due volte prima di riuscire a sgattaiolare di nuovo nell’ospedale.
Scivolo nel letto, facendo attenzione a non svegliare Prim. Chiudo gli occhi e il sonno giunge quasi all’istante.
Mi sembra che siano passati pochi secondi quando le urla di Finnick mi svegliano.
 
 
Note parte II, la vendetta (?)
Dunque, prima long-fiction in questo fandom *si emoziona*
Questa storia è uno dei lavori più impegnativi che io abbia intrapreso, ed è stata una faticaccia scriverla. Ma allo stesso tempo, è stata una delle cose più divertenti e piacevoli di sempre, e sono soddisfatta del risultato.
Quello che avete letto era il capitolo più lungo. In totale, questa storia si compone di nove capitoli. Spero con tutto il cuore che rimarrete con me fino alla fine, e se vorrete lasciarmi due righe mi farete un piacere immenso. Intanto, grazie per avermi seguita fino a qui.

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


 
Capitolo II
 
Sun's come up
And there's no one else around
Meet me in the shadows
Won't you tell me what you found?

"Where the lonely ones roam", Digital Daggers
 
Sento i passi di mia madre che entra di corsa. Prim si agita fra le mie braccia. Finnick urla, e non sembra avere intenzione di smettere.
Provo l’impulso di andare da lui, ma mi trattengo. Potrei essergli utile soltanto se qualcuno lo stesse attaccando, e questo è fuori questione.
Deve aver avuto un altro crollo. Provo una fitta sottile di senso di colpa, ma è accompagnata dalla consapevolezza che io non possa fare nulla: qui, almeno, può essere aiutato da qualcuno capace di gestire una crisi. 
A mia madre servono cinque minuti di parole rassicuranti per convincere Finnick di non trovarsi a Capitol City, e una dose di sedativo per farlo addormentare di nuovo.
Io non chiudo occhio. Sono ancora sveglia quando Prim scivola fuori dalle lenzuola, e mia madre si avvicina per chiedermi se io sappia cosa sia successo a Finnick.
Sospetta qualcosa, e questo mi sorprende. È sempre stata intuitiva con i suoi pazienti, ma non con me. Non le ho mai permesso di avvicinarsi abbastanza da riuscirci. 
Forse dovrei dirle la verità, ma non voglio essere confinata qui un secondo più del necessario. E non voglio nemmeno tradire Finnick, in un certo senso: uscire è stata una mia idea, dopotutto. Così, mi stringo nelle spalle e fingo di non averne idea.
≪Credeva di essere a Capitol City≫ continua lei, sedendosi sul bordo del mio letto. Mi ritraggo istintivamente, e vedo la sua espressione ferita quando se ne accorge. Ma non commenta. ≪E di essere fuggito dalle prigioni di Snow. Qualcosa riguardo all’essersi nascosto sotto un pavimento per non farsi prendere dalle guardie. Credeva che io fossi un Pacificatore.≫
Deve essere piuttosto convinta dei suoi sospetti, se è disposta a condividere con me queste informazioni. 
Mi stringo nelle spalle di nuovo, e lei si allontana, con un’espressione incerta. Sono sicura di non averla convinta, ma non ha importanza: finché non decide di confinarmi qui, può sospettare qualunque cosa. E so che non oserebbe mai rompere l’equilibrio che abbiamo in qualche modo raggiunto tentando di segregarmi qui.
Non mi avventuro più fuori dall’ospedale dopo quella notte. Da sola non saprei dove andare, e non ho la minima intenzione di tornare là sotto. E, naturalmente, coinvolgere di nuovo Finnick è fuori questione.
Passano un paio di giorni senza che succeda nulla, e io comincio a provare il desiderio di fuggire da una finestra. Ma non ci sono finestre. Solo muri immacolati e persone ferite che entrano ed escono e nulla da fare. Assolutamente nulla da fare.
La sera del secondo giorno scopro di non sopportare più la noia. Salto giù dal letto e comincio a camminare avanti e indietro. Devo sembrare più instabile di quanto io non sia, ma è un piccolo prezzo da pagare pur di non rimanere ancora sdraiata. Di questo passo, dimenticherò come si faccia a correre.
Quando comincio a sentirmi di nuovo in gabbia, allungo il mio percorso. Esco dalla zona sicura vicino al mio letto e muovo qualche passo attraverso l’ospedale. Vorrei trovarmi in qualunque altro luogo, ma non posso andarmene: devo fingermi docile, almeno per qualche giorno, o non mi dimetteranno in tempo per prendere parte ai combattimenti.
Riesco a scorgere Finnick che dorme poco lontano. Sto per tornare indietro, quando lo vedo aprire gli occhi. Dopo la nostra piccola fuga, non abbiamo più parlato, e io ho davvero bisogno di rivolgere la parola a qualcuno per non dover pensare.
Bisogno di rivolgere la parola a qualcuno. Io. Haymitch non ci crederebbe, se mi sentisse dire una cosa del genere. Forse sto impazzendo davvero.
Mi avvicino a Finnick. Il suo sguardo è ancora distante, e sembra teso. Capisco che ha notato la mia presenza quando lo vedo rilassarsi.
Mi siedo su un angolo del suo letto, come Prim fa con me. Rimaniamo in silenzio fino a quando ci viene portata la cena e io torno nel mio angolo. Quando mi avvicino di nuovo a lui, lo trovo addormentato.
Ripetiamo questa routine per due giorni.
Il terzo giorno, Finnick mi guarda sorridendo e dice: ≪Vuoi lasciarmi sulle spine fino alla fine della rivolta?≫
Vede il mio sguardo interrogativo e scuote la testa con un po’ troppa enfasi per essere serio.
Questi suoi cambiamenti d’umore improvvisi cominciano a irritarmi. So che non è colpa sua, ma non mi piace non saper prevedere quale sarà la sua prossima mossa. È come cacciare in un bosco in cui gli alberi possono spostarsi. Anzi, è più difficile, perché le persone rimangono per me un territorio quasi completamente inesplorato. Questo non è mai stato il mio campo.
≪La favola del Principe Merlo≫ spiega lui. ≪Non me l’hai raccontata.≫
La favola. Mi ha sentita, allora. Ricorda il mio discorso.
Avrei preferito che lo dimenticasse: è solo una sciocca fiaba, e io non sono assolutamente in grado di raccontarla. Non avrei nemmeno dovuto nominarla.
≪Prim è una narratrice molto più brava di me.≫
Lui scuote la testa. ≪Mi accontenterò.≫
Cerco una posizione più comoda sul letto, a disagio.
Non sono brava a raccontare. Non sono Peeta.
Se lui fosse qui, prenderebbe la vecchia favola di una bambina del Giacimento e la trasformerebbe in una grande avventura.
Ma qui ci sono solo io.
Dovrei rifiutarmi, ma qualcosa mi dice che accontentarlo è il modo più veloce per fargli dimenticare che io ne abbia parlato.
≪Uhm…≫ comincio. Come si racconta una storia? Non è come scambiarsi aneddoti sul passato nella grotta insieme a Peeta. Lui riusciva a trasformare i miei goffi tentativi in un racconto con un significato. Gli dava forma, come faceva con i colori sulle tele.
Finnick alza un sopracciglio, dicendomi “puoi fare di meglio” con gli occhi.
La considero una sfida. 
Mi concentro. Come cominciava sempre le favole Prim? C’era una formula, un’espressione che aveva trovato in un vecchio libro polveroso, ma non riesco a ricordarla. Decido di improvvisare.
≪In un regno lontano≫ inizio. ≪Vive un Principe brutto. Non si guarda mai allo specchio, e passa le giornate chiuso nelle sue stanze. Esce soltanto la notte, quando nessuno può vederlo. Un giorno, una fata bussa alla sua porta e gli concede di esprimere un desiderio. Tutti sono convinti che chiederà la bellezza, ma non lo fa. Invece, le dice di non voler più essere solo. La fata accetta di esaudire la sua richiesta, e scaglia un incantesimo. Lo trasforma in un merlo.
Il Principe si infuria, e urla che condannerà a morte la fata. Ma prima, troverà qualcuno che cancelli l’incantesimo.
Vola fuori dalla finestra, verso i boschi.
Vola fino a non avere più forze. Allora si ferma su un ramo, e a un tratto guarda in basso e vede una margherita che danza e danza nel prato. È bellissima, e il merlo se ne innamora. Trascorre tutta l’estate accanto a lei. Un giorno, si accorge che la margherita ha un petalo annerito. Le chiede cosa sia successo, e lei risponde che il tempo e il vento l’hanno ferita. Sta appassendo. Ma il merlo non si arrende. Rimane accanto alla margherita, parlandole e portandole l’acqua con il becco, e lei non appassisce.
Ma l’estate lascia il posto all’autunno, e poi l’autunno finisce. Un giorno, il merlo si allontana per cercare un po’ d’acqua per la margherita. Ha piovuto poco, quell’anno, e lei soffre la sete. Ma quando torna, lei è scomparsa. Un velo di neve ha coperto tutto, nascondendo anche il fiore. Il Principe la cerca ovunque, ma non riesce a trovarla. Allora si posa su un ramo e rimane immobile a vegliare sulla radura tutto l’inverno, aspettando che la neve si sciolga. Ma quando…≫
Mi interrompo di scatto quando sento qualcuno toccarmi una spalla. Un’infermiera mi sta tendendo un vassoio, e mi fa cenno di ritornare al mio letto.
Nessuno mi aveva mai impedito di rimanere lì, prima d’ora: i sospetti di mia madre devono essere condivisi.
Mi rimprovero fra me. Ero convinta di essere stata più prudente nella mia fuga. Rimanere qui non mi sta facendo bene.
Finnick protesta, ma l’infermiera non cede.
Torno al mio letto, e quella notte sogno Peeta che vola verso di me. Non ha ali, ma galleggia nell’aria. Io rido vedendolo volteggiare nel cielo, e mi sorprendo di quanto mi suoni estranea la mia risata. Ma all’improvviso comincia a nevicare, e la neve mi seppellisce. Preme sulla mia bocca, sul mio naso. Mi soffoca.
Cerco di liberarmi, ma ovunque io guardi vedo neve. Neve bianchissima. Come le rose di Snow.
 
 
 
Note: Sì, la favola del merlo mi ha risucchiato la vita. Si nota?

 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Capitolo III

We dreamt a new life
Some place to be at peace
But things changed, suddenly
I lost my dreams in this disaster
Call your Name - Shingeki No Kyojin OST
 
La prima cosa che vedo quando apro gli occhi la mattina successiva è la schiena di Finnick. Sta camminando avanti e indietro accanto al mio letto, e credo che sia venuto da me per ascoltare la fine della favola. Non avrei mai pensato che qualcuno potesse essere così impaziente di farsi raccontare qualcosa da me. È una sensazione nuova.
Ma quando si gira e vedo la sua espressione tormentata, capisco che forse non è qui per la storia.
«Annie!» esclama, correndo verso di me. Passa un istante di confusione prima che io capisca che sta parlando con me. «Sei sveglia. Forza, devi venire con me. Ho aggiustato la vela, possiamo partire per la nostra gita.»
Cerco di pensare in fretta.
«Ma no, Finnick» esclamo, con il tono più allegro che mi riesce. Devo concentrare nelle mie parole tutte le mie energie per farlo. «È ancora presto. Guarda, non è ancora sorto il Sole. Torna a dormire, ti sveglierò io.»
Finnick mi guarda per un istante, confuso. Poi sorride e si china verso di me, appoggiando una mano sulla mia guancia. Il mio primo impulso è di ritrarmi, ma combatto per rimanere immobile.
«D’accordo, dormigliona.»
La sua mano indugia ancora per un istante sulla mia pelle, poi lui si volta e scompare. Mi sporgo per assicurarmi che stia tornando a letto.
Quando vedo che si sta sdraiando, faccio altrettanto. All’improvviso, sono esausta.
Chiudo gli occhi e mi riaddormento.
Quando mi sveglio, mi sento più stanca che mai. I miei occhi bruciano per lo sforzo di rimanere aperti, ma non ho alcun desiderio di rimettermi a dormire. Decido di lasciare passare qualche ora prima di andare a controllare come stia Finnick.
Mi fa uno strano effetto dovermi accertare di continuo della salute di qualcuno che non sia Prim, ma sento di essere in debito con lui. In parte perché la responsabilità per la sua ricaduta è anche mia, e in parte perché la sua condizione non è tanto diversa da quella in cui io mi trovo. E lui ha tentato di aiutarmi. Capitol City ha sottratto a entrambi qualcuno. Se non rimaniamo uniti e non ci costringiamo l’un l’altra a rimanere interi, ogni volta che vacilleremo sarà una piccola vittoria per Snow.
E Snow non può vincere. In nessuna occasione.
Trovo Finnick sveglio. Tiene lo sguardo fisso sulla parete e le sue mani tormentano lo corda, ma sembra più stabile di questa mattina.
«Finnick…»
«Katniss! Sei tornata per raccontarmi la storia? Ti sei fatta attendere.»
 Mi rivolge un sorriso brillante, e sembra di nuovo se stesso. Esito. Forse dovrei lasciarlo tranquillo, finché è lucido. O forse gli farebbe meglio un po’ di compagnia.
Sospiro fra me e me. Dover prendere sempre più spesso decisioni di questo genere mi sta togliendo le forze, e la pratica non sta migliorando le mie capacità in questo campo.
Prim saprebbe esattamente cosa fare.
«Allora? Il Principe ritrova la margherita oppure no?»
Mi arrendo. Mi siedo di nuovo sul suo letto, domandandomi come io sia finita in questa situazione. Dev’esserci davvero una rivoluzione in corso, se la gente vuole sentirmi parlare e, soprattutto, io non rifiuto di farlo. Forse non sono io che sto impazzendo. Forse è l’universo.
«Eravamo…»
«Alla margherita coperta dalla neve» risponde Finnick, con un tono di esasperazione divertita.
«Giusto. Quando la neve si scioglie, il Principe cerca ovunque la margherita. Ma il gelo l’ha soffocata. L’inverno l’ha uccisa.
Il Principe impazzisce per il dolore. Scende sul prato e rimane lì, piangendo la margherita, fino all’inverno successivo, quando la neve cade di nuovo.
Nevica e nevica, e il ghiaccio lo copre. Il merlo vorrebbe lasciarsi seppellire, ma ha giurato a se stesso di piangere la margherita per sempre. Non potrebbe farlo, se morisse. Lotta contro il gelo, ma senza allontanarsi mai da lì. Rimane fermo sul prato innevato per settimane, ma un giorno qualcuno entra nella radura.»
Mi interrompo. Questa parte è imbarazzante. Davvero imbarazzante. E, naturalmente, è sempre stata la parte preferita di Prim.
«È… una giovane cacciatrice. Sì, Prim pensava che fosse divertente. Secondo lei, questa sarei dovuta essere io.» Scuoto la testa. «A volta ha un po’ troppa immaginazione. Ma non mi perdonerebbe mai se cambiassi la storia, quindi…»
Finnick mi fa segno di continuare, impaziente.
«È una giovane cacciatrice, ma non ci sono più prede per lei. L’inverno ha congelato tutto, e la ragazza sta morendo di fame. Il Principe vorrebbe volare via, perché da quando ha perso la margherita non vuole più parlare con nessuno. Ma questa ragazza sta per morire, e lui non è malvagio. Così, rimane fermo. Sa che una lepre ha costruito la sua tana proprio sotto di lui: l’ha lasciata fare, volendo che qualcosa sorgesse là dove la margherita aveva vissuto. Per ricordarla. E ora la lepre potrebbe salvare la vita alla ragazza.
La cacciatrice lo vede e cerca di raggiungerlo, come lui aveva sperato. Il merlo fugge, ma non lascia la radura: si appollaia su un ramo per assicurarsi che lei trovi la tana. La trova. Il Principe è soddisfatto della sua buona azione, e questo basta per alleviare un po’ del suo dolore.
Vedendo che il merlo è rimasto a portata di tiro, lei punta il suo arco verso di lui, ma non scaglia la freccia. Potrebbe portare a casa una preda in più, ma non vuole uccidere il merlo che le ha salvato la vita. Rimette la freccia nella faretra e si siede sul terreno ghiacciato.
A un tratto, il principe si accorge che la cacciatrice sta piangendo.»
Sento qualcuno appoggiare una mano sulla mia schiena, e devo compiere uno sforzo consapevole per impedire al mio corpo di irrigidirsi. Ma è solo un’infermiera, diversa da quella di ieri, che mi dice di tornare a letto per permetterle di visitare Finnick. Lui assume un’espressione affranta alle spalle della donna. Lei gli lancia un’occhiataccia e mi rispedisce a letto.
Il giorno dopo, trovo Finnick di nuovo accanto al mio letto. Penso che abbia avuto un altro crollo, ma lui si limita a sorridermi e sedersi sul mio materasso.
La favola è quasi alla fine e, inaspettatamente, scopro di non essere del tutto contrariata dall’idea di raccontargli la conclusione.
«Il principe vede che la cacciatrice sta piangendo e le si avvicina per chiederle cosa sia successo. Lei è fiera e orgogliosa, e non risponde. Se ne va senza dire una parola, ma il giorno successivo torna. Torna ogni giorno alla radura, e finalmente una sera si decide a raccontare al merlo la sua storia. Gli dice di essere stata innamorata di un soldato di una città lontana, senza averglielo mai confessato. Un giorno, il soldato era andato in guerra. Il suo esercito aveva vinto la battaglia. Il guerriero stava tornando a casa insieme ai suoi compagni, quando una bufera di neve li aveva sorpresi. Nessuno di loro aveva fatto ritorno.
Sorpreso da quanto abbiano in comune, il merlo la consola e le racconta della fata, dell’incantesimo, della margherita. Si  rendono conto di essere simili, nonostante le differenze, perché entrambi hanno perso qualcuno di importante a causa dell’inverno. Cominciano a parlare ogni giorno, e più parlano più il dolore del merlo diventa sopportabile. Pensava che sarebbe rimasto solo per sempre dopo aver perso la margherita, ma si sbagliava.
Un giorno, mentre i due amici si aggirano insieme per i boschi, la fata che aveva trasformato il principe compare davanti a loro. Chiede al merlo se voglia ancora condannarla a morte, o se il suo desiderio alla fine sia stato esaudito. Lui, sorpreso, si rende conto che il sortilegio della fata ha funzionato: non è più solo. Lei gli domanda se voglia tornare umano, ma lui rifiuta e si scusa per essersi infuriato con lei. Allora la fata, apprezzando la sua gentilezza, decide di concedergli un dono. Scaglia un incantesimo, e il merlo vede comparire davanti a sé la margherita che aveva amato.
Felice, corre da lei. È così contento di riaverla da dimenticare tutto il resto, ma ricorda la cacciatrice. Ha amato anche lei, in una certa misura. Lei l’ha aiutato a ricominciare a vivere.
Ma quando si volta per parlarle, vede la cacciatrice è scomparsa. Se n’è andata.
Il merlo e la margherita si riuniscono, e ogni inverno lui si posa accanto a lei sul prato, per tenerla al caldo e proteggerla dalla neve. Il merlo invecchia, ed è vicino alla morte quando la fata torna di nuovo e gli rivela di poter donare alla margherita l’immortalità, ma a un prezzo: lui dovrà trasformarsi in uno spirito della foresta. Sarà invisibile, ma potrà rimanere accanto alla margherita e proteggerla per sempre. Accetta. Rimane vicino a lei per tutta l’eternità, invisibile. Ma, ogni tanto, si allontana dalla radura e va a fare visita alla cacciatrice che l’ha salvato, pur sapendo che lei non lo vedrà.»
«E poi?»
«E poi basta. Finisce così.» Per fortuna, aggiungo fra me. Ho la bocca secca, e la mia mente protesta per tutte queste parole.
«Ma non può finire così» protesta lui, raddrizzandosi sul letto.«È un finale terribile. »
Mi stringo nelle spalle.
«È solo una favola. »
«È una favola triste. Sono certo che questo finale sia opera tua. Non può averlo inventato Prim.»
Annuisco. «È vero. Prim voleva che il merlo e la margherita vivessero insieme per sempre, e che la cacciatrice ritrovasse il soldato.»
«E perché non è successo?»
«Perché nella realtà non funziona così. »
Rimaniamo in silenzio. Ho ragione, e lo sappiamo entrambi.
«Nella realtà i merli non parlano» commenta Finnick dopo un po’, riuscendo quasi a strapparmi un sorriso.
Sembriamo entrambi più vicino all’equilibrio mentale di quanto non lo siamo stati da settimane.
Poi, quella sera, Capitol City trasmette il video di Peeta – Peeta che è distrutto, Peeta che sta crollando, Peeta che è lì per il solo scopo di attirarmi, piegarmi, distruggerli. Peeta che soffre, e soffre solo e soltanto perché io sono viva.
L’equilibrio crolla.




 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Capitolo IV

 
 Nothing will be enough
For the ones Who keep on stumbling
In the garden of withering trust
Without the courage to leave

Face of God - H.I.M.
 
Finalmente, veniamo entrambi dimessi dall’ospedale. La mia gamba è guarita, e credo che mia madre pensi che trattenere Finnick in ospedale non lo stia aiutando a guarire.
Quando viene personalmente ad annunciarci la nostra appena riconquistata libertà, credo che voglia chiedermi di continuare a tenere d’occhio Finnick, ma non lo fa.
Ho seppellito l’immagine di Peeta su quello schermo sotto una barriera di rabbia. Più le ore passano e nessuno sembra voler parlare di lui, più coltivare la collera diventa semplice.
Dopo una settimana di inattività, ho bisogno di cacciare. Porto Finnick con me.
Riusciamo ad abbattere un cervo, e con lui la rabbia si dirada un po’. Come siamo arrivati al punto che tutti tranne Finnick mi mentono, mi tengono all’oscuro, mi manipolano?
Se questo è il prezzo dell’essere la Ghiandaia Imitatrice, non sono sicura di volerlo pagare.
I giorni successivi sono una nebbia di rabbia e noia e fastidio che si accumulano ai lati del mio cervello.
Assisto a qualche allenamento, faccio visita a Beetee che sta perfezionando un nuovo genere di filo tagliente da utilizzare come arma, mi siedo di fronte agli schermi e guardo i pass-pro senza vederli davvero.
Mi sembra di vagare in una foschia di attesa irritata, mentre aspetto e aspetto che qualcuno dica qualcosa, qualunque cosa, e il tempo continua a passare senza che questo accada. Le ore si ammassano, e insieme a loro si accumula la mia irritazione.
È come correre e correre, continuando ad accelerare, ignorando il fatto che prima o poi sarò troppo veloce per riuscire a tenere i piedi sul terreno, perderò il controllo e cadrò.
E, alla fine, cado.
Succede un pomeriggio, nella mensa, mentre tormento una carota con la punta della forchetta con tale concentrazione da scoraggiare chiunque voglia avvicinarsi a me.
Chiunque tranne Plutarch, che devia con il preciso scopo di salutarmi e mi sorride.
Sorride, ed è un sorriso di Capitol City che si delinea su un viso di Capitol City che appartiene a un corpo di Capitol City.
Sorride, e il sorriso raggiunge i suoi occhi. Gli stessi occhi che hanno studiato, analizzato, accarezzato per anni le Arene dei Giochi. Gli stessi occhi che hanno guardato, edizione dopo edizione, ventiquattro ragazzini lottare, morire, uccidere, massacrarsi.
Gli stessi occhi che hanno visto Rue strappata ai suoi frutteti e alla sua musica, che hanno osservato Mags scomparire nella nebbia perché noi potessimo vivere, che hanno guardato Peeta sfiorare la morte di fronte a me, fra le mie braccia, sotto le mie mani, così tante volte da non sembrare vero.
Sento il mio stomaco rivoltarsi, gorgogliare, chiudersi, e la punta della forchetta affonda nella carota con tanta violenza da ridurla in poltiglia contro il fondo del piatto.
Lui è uno di loro, e sa. Lui è nato, vissuto, cresciuto fra coloro che hanno preso Peeta e l’hanno ridotto così, e sa. Lui ci ha guardati andare al massacro, ci ha spediti al massacro, e ha il diritto di decidere che no, io non posso sapere che Peeta sta soffrendo, crollando, forse morendo in questo esatto momento.
Qualcosa nella mia mente si spezza, e quella è la mia caduta.
Corro – no, mi precipito – attraverso i corridoi, urtando oggetti e persone e provando un piacere oscuro a ogni scontro. Voglio colpire ogni passante, ogni cosa. Voglio lottare per scavare la mia strada attraverso il muro vivente che pulsa e si muove e cammina verso di me, come mi sembra di aver fatto per una vita intera e forse oltre.
Non ho bisogno di loro, di nessuno di loro. Non ho bisogno del loro permesso, della loro approvazione, delle loro regole.
Non ho bisogno che scelgano per me, che decidano che sono troppo debole, troppo stupida, troppo preziosa per contaminare la mia piccola mente di simbolo della rivoluzione – di oggetto della rivoluzione – con la verità.
Corro fino a quando mi ritrovo sopra una grata che mi è familiare.
Il Distretto Tredici è pieno di grate come quella, identiche fra loro, ma io so che questa è la stessa che ho aperto per sfuggire ai miei ignari inseguitori insieme a Finnick, la notte della nostra breve fuga. Lo so perché da quando ho cominciato a correre mi sono diretta qui, proprio qui, senza pensarlo coscientemente ma essendone consapevole dal primo passo.
Sollevo la grata e scendo.
Mi siedo sul pavimento di metallo, troppo caldo per essere confortevole, e ascolto l’acqua che gorgoglia nelle tubature.
Aspetto di addormentarmi, o di andare alla deriva nella mia rabbia, o di ribollire nella mia collera fino a non avere più la forza di odiare.
Ma non succede.
È uno di quei giorni di calma, come li chiama Gale, o giorni di fame, come li chiamo io. Uno di quei giorni in cui puoi acquattarti fra gli arbusti fino a quando ogni centimetro della tua pelle si congela, e per quanto tu possa essere paziente e silenzioso e invisibile non un singolo animale si avvicina.
Uno di quei giorni in cui non puoi fare altro che aspettare ma, a parte i tuoi muscoli che si fanno doloranti e le tue gambe che formicolano, non succede nulla.
Rimango seduta, cosciente di ogni respiro, ogni pensiero, ogni fischio delle tubature. I minuti sono densi come gocce di catrame.
Aspetto di perdermi nella mia mente, ma rimango salda a terra.
Non riesco a convincere i miei pensieri a portarmi via. Persino la rabbia, ora che sono lontana da chiunque contro cui io possa urlare il mio disappunto e il mio rancore, sembra vuota, sbiadita.
Sto per prendermela con le pareti quando la grata cigola sopra la mia testa e si apre per lasciar scivolare Finnick al mio fianco.
Apro la bocca per cacciarlo, scocciata. L’ultima cosa di cui ho bisogno è calmare qualcuno in preda a un attacco di panico.
Ma l’espressione di Finnick è distesa e risoluta insieme, e al momento pare molto più lucido di me, il che significa che in una battaglia verbale perderei prima ancora di aver pianificato un discorso.
Decido di conservare il mio risentimento per qualcun altro. Chiunque altro.
≪Non ho voglia di parlare≫ dico, e mi sorprendo di quanto la mia voce suoni simile a un ringhio, qua sotto.
≪Non devi≫ replica Finnick, sedendosi accanto a me.
Mi stringo nelle spalle.
≪Ho inventato un nuovo finale per la tua favola≫ prosegue lui. ≪Senza offesa, ma il tuo era terribile.≫
Rimango in silenzio. Forse sono abbastanza colpita dal fatto che abbia ricordato la mia favola, nonostante la sua condizione, da non rifiutare di ascoltarlo, ma non gli chiederò di proseguire.
Alla fine, è lui a cedere. Con un sospiro divertito, si mette platealmente comodo sul pavimento.
≪Visto che insisti tanto per sentirla, ti racconterò la mia versione≫ continua lui. E comincia a raccontare.
≪Quando la cacciatrice rivela la sua storia al principe, i due cominciano a incontrarsi sempre più spesso. Diventano amici, e un giorno decidono di partire insieme per esplorare nuovi boschi, perché si sono accorti di non avere più motivo per rimanere lì.
Mentre stanno costeggiando una parete rocciosa, vengono sorpresi da un temporale e devono cercare riparo.
Trovano una grotta, e ci si rifugiano. Si accorgono presto che la grotta in realtà è molto più profonda di quanto sembri: si allunga fino a diventare un vero e proprio labirinto sotterraneo.
Dato che il temporale non sembra volersi fermare, i due decidono di esplorare i cunicoli. Stanno camminando da ore quando sentono un rumore.
Immediatamente, la cacciatrice estrae il suo arco e incocca la freccia, pronta a respingere qualunque animale feroce voglia aggredirli.
Ma non è una belva  che viene verso di loro: è un giovane uomo, e la cacciatrice lo riconosce immediatamente come il soldato che aveva amato. Lei si infuria: come ha potuto lui farle credere di essere morto? Urla contro di lui, ma lui rimane in silenzio.
La cacciatrice corre via e sparisce oltre l’ingresso della grotta, nel mezzo del temporale.
Il principe rimane con il soldato, e dopo aver ascoltando come lui si sia salvato a stento dalla bufera e abbia trovato rifugio in quella grotta, gli racconta tutto quello che è successo dopo la sua scomparsa.
Il soldato si rende conto solo allora di quanto la cacciatrice lo amasse: lei non l’aveva mai confessato. Rivela al merlo di aver sempre provato gli stessi sentimenti, e corre fuori dalla grotta per raggiungerla; ma è fermato dalla pioggia. Allora il merlo vola attraverso la tempesta, deciso a rivelare alla giovane quanto il soldato la amasse. Vola fino a non avere più forze, e la trova  proprio quando sta per cadere a terra, esausto. Le riferisce quello che il soldato gli ha detto, un attimo prima di crollare sul prato per la stanchezza.
Quando si sveglia, il merlo vede il soldato e la cacciatrice che lo guardano, insieme. Sembrano felici, e si stanno abbracciando. E dietro di loro c’è qualcun altro. Il merlo riconosce all’istante la terza persona come la fata che l’aveva trasformato.
Lei gli si avvicina e gli dice che, per la lealtà che ha dimostrato nei confronti della cacciatrice, verrà ricompensato. Lui chiede di ricongiungersi con la margherita, e la fata esaudisce immediatamente il suo desiderio: la margherita rinasce davanti agli occhi del merlo. Sono di nuovo insieme, e non si separano più. Tutti vivono per sempre contenti.≫
Finnick mi osserva con un ghigno soddisfatto, aspettando la mia reazione.
≪La margherita era morta≫ commento.
≪È una favola. Può risorgere.≫
Scuoto la testa. ≪Non è un finale realistico.≫
≪Neanche il tuo. “Invisibile spirito dei boschi”? Ma andiamo.≫
≪E comunque, è “vivono per sempre felici e contenti”.≫
Finnick mi lancia un’occhiata di esagerato risentimento. ≪Non sapevo fossi un’esperta di favole.≫
≪Non lo sono. Prim lo è.≫
Passa qualche minuto di silenzio surreale. Poi, Finnick mi rivolge un altro sorriso enigmatico.
≪Allora, se hai finito di criticare il mio finale, sei pronta per la seconda ragione della mia visita?≫
≪C’è una seconda ragione?≫
≪Pensavi fossi venuto solo per raccontarti la favola? Io, Signorina Everdeen, sono pieno di sorprese.≫
Mi osserva, impaziente, come se non vedesse l’ora che io gli chieda a cosa si riferisca. Sono tentata di non farlo, per non dargli la soddisfazione di sentirmi domandare, ma posso concedergli una piccola, piccolissima vittoria, considerando che è sceso nel luogo che gli ha provocato un collasso pochi giorni fa soltanto per il piacere della mia compagnia.
≪Davvero?≫ replico.
Lui fa una smorfia, e per un istante penso di aver passato il segno, a prova che anche essere il simbolo della ribellione non ha migliorato le mie capacità comunicative. Ma un attimo dopo, mi accorgo che la sua smorfia è un ghigno esagerato.
≪Quante cose non sai, Ghiandaia Imitatrice. Bene, dato che me l’hai chiesto… Sono qui per farle una proposta, Signorina Everdeen. Vuole accompagnarmi in superficie?≫

Note: Chiedo scusa per il ritardo, ma il mio computer è morto e fino a quando non è tornato dopo averlo mandato in riparazione non ho potuto accedere al file della storia.
Spero che non vi siate ancora dimenticate di questa fic xD
Questo capitolo è un po' lunghetto, ed è parallelo al libro. Diciamo che "aggiunge" qualcosa a quello che ci viene raccontato dopo che Katniss scopre lo stato di Peeta.
Nel prossimo, l'avvenura in superficie. E, dato che sono cattiva sia con voi sia con i personaggi, vi anticipo che succederà qualcosina di non proprio carino U.U

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