L'ultimo desiderio

di Vera_Davvero
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo primo ***
Capitolo 3: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 4: *** Capitolo terzo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Ci sono giorni che non riesco nemmeno a rendermi pienamente conto di quello che mi accade intorno. Certi giorni non mi alzo nemmeno dal letto, e certi altri non ho nemmeno voglia di parlare con la gente.
Le infermiere sono sempre gentili con me. Con Hannah, poi, ho un rapporto del tutto speciale. Non è fatto di chissà quali discorsi e di grandi confidenze, ma di profondi silenzi e sguardi. E non sguardi velati di compassione come quelli che mi rivolgono più o meno tutti, no. Sguardi colmi di sincero affetto. Quel tipo di sguardo che ti da la conferma di non essere un peso, ma di essere ancora una persona, anche se disumanizzata completamente dalla malattia.
Ci sono giorni che perdo il senso del tempo. Mi sembra di essere in questo ospedale da una decina d'anni, ma la verità è che sono solo un paio di mesi. Il tempo scorre con una lentezza disarmante. C'è una piccola sveglia grigia appoggiata sul mobile affianco al mio letto, la ascolto ticchettare nei rari momenti in cui sono totalmente vigile.
Quei momenti sono sempre meno. Il più delle volte resto incastrata in una strana dimensione fra il sonno e la veglia, un innaturale tropore che mi raggiunge sempre più spesso.
Vorrei fuggire, vorrei scappre da tutto questo. Ma la verità è che le mie gambe non sarebbero in grado di reggermi nemmeno se decidessi di andare a fare un giro nei giardini dell'ospedale.
La prima volta che sono arrivata in questo posto sono rimasta affascinata da quei giardini. Le rose, i sentieri, i cespugli ordinati e il bellissimo gazebo al centro del prato. Quanto vorrei potrmi sedere sotto quel gazebo e sentire ancora il vento sul viso... quanto vorrei poter lasciare i miei piedi liberi di correre fra l'erba...
Niente più corse per me. Niente più giardini. Solo quella maledetta stanza e il suo soffocante silenzio. Il tragitto più lungo che riesco a ricordare di aver percorso è quello che mi separa dal bagno. È l'unico che il mio fisico riesce ancora a sopportare prima di crollare rovinosamente a terra, come un burattino a cui vengono tagliati improvvisamente i fili.
I miei genitori mi fanno visita ogni giorno. Mia madre mi porta sempre fiori freschi, e mi racconta della mia sorellina, Mary, che ha da poco incominciato a camminare. Mi parla dei vicini di casa, di zia Adele e del suo nuovo compagno, e di Percival, che abbaia ogni notte perché sente la mia mancanza.
Mio padre, invece, non è un uomo di molte parole. Per la verità non abbiamo nemmeno un grande rapporto.
Ricordo la prima volta che è venuto a farmi visita. Finsi di dormire, perchè non aveva nessuna voglia di parlare con lui. Si avvicinò al letto, accompaganto da Hannah, che gli stava spiegando che in quella fase della malattia dormivo praticamente tutto il tempo, ma questo non stava a significare che non sentissi quello che mi stava intorno.
Rimasti soli, sentii mio padre aprire la sua ventiquattrore e tirare fuori qualcosa. Si sedette accanto al mio letto, e dopo qualche momento di silenzio, iniziò a leggere.
"In un buco nella terra, viveva uno hobbit."
Ricordo il mio cuore fare un balzo nel petto, in quel momento. Più ascoltavo la voce di mio padre, meno riuscivo a credere a quello che stavo sentendo. La tentazione di aprire gli occhi era forte, ma riuscii a reprimerla.
Mio padre odiava quel libro. Odiava che perdessi il mio tempo a fantasticare su un mondo che non esisteva realmente. Odiava che ne parlassi, odiava quando mi trovava a leggerlo in sala il sabato sera, invece di uscire con la gente della mia età. Più di un volta, quando era tornato a casa ubriaco dal pub, aveva minacciato di buttarlo nel camino.
Non l'aveva mai fatto. Non ne aveva avuto il coraggio. Perchè sapeva quanto fosse importante per me. 
Ma mai e poi mai avrei pensato che avrebbe accettato di fare questo compromesso con sè stesso. Addirittura leggerlo ad alta voce.
E viene ancora, ogni giorno. Io faccio finta di dormire e lo ascolto leggere.
Mi mancava il libro di Tolkien. I miei occhi sono sempre troppo affaticati per leggere da sola.
Mio padre, che mai e poi mai è riuscito ad accettare il mio amore per quel libro, forse è l'unico ad averlo davvero capito. 
È qui, accanto a me, che legge. Io ho gli occhi chiusi e lo sto ascoltando. Vorrei non smettesse mai, ma ecco che, ad un tratto, la lettura si interrompe, e sento mio padre chiudere il libro, infilarlo nella ventiquttrore, alzarsi dlla sedia, ed uscire senza dire una parola.
Allora apro gli occhi, e vedo Hannah sulla porta della stanza. Mi guarda con un sorrisetto complice. Si avvicina e mi dice: "Facevi finta di dormire,  eh?"
Annuisco, e le sorrido.
"Lo fai ogni volta? Non è carino"
Controlla il monitor alla mia destra,  poi si volta nuovamente verso di me.
"Come ti senti oggi?"
"Fluttuante" rispondo. Ho la gola secca e a stento riconosco la mia voce, un tempo allegra e squillante.
Annuisce. 
"Torno più tardi, Jenny." dice, e mi prende la mano. "E voglio trovarti meglio."
Fa per lascirmi la mano, quando io gliela trattengo.
"Hannah" comincio. "Sto morendo."
Non è una domanda, e Hannah lo capisce. A dispetto delle mie aspettative, non nega tutto, si limita a stringermi la mano.
"Hannah..."
"Dimmi cara"
Parlare è uno sforzo senza eguali. I miei polmoni sembrano ricolmi di cemento fresco, e l'aria a malapena raggiunge la gola.
"I condannati a morte non hanno diritto ad un ultimo desiderio?"
Hannah ascolta quei rantoli e fa cenno di sì con la testa.
"Tu che desiderio esprimeresti?"
"Io..." 
Dillo scema! Esprimi il tuo desiderio!, grida la mia mente. 
Ma qualcosa non va. Sento il mio corpo intropidirsi, e so che significa. Il buio sta arrivando. 
Rccolgo le mie forze, quelle ultime che ancora conservo, e dico: "Io voglio vederla..."
Mentre l'oblio mi inghiotte, sento la voce di Hannah, lontana e ovattata, chidermi: "Cosa vuoi vedere, Jenny?"
La Terra di Mezzo, risponde la mia mente.
Mi addormento prima di riuscire a dire altro. 

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Capitolo 2
*** Capitolo primo ***


Un battito di ciglia. La testa mi gira, batto gli occhi una seconda volta. 
Un brivido mi coglie, ed anche un vago senso di nausea, come quello che si prova quando si scende a terra dopo aver fatto un giro sulle montagne russe.
Ma tutto dura un istante, perchè all'improvviso il mio corpo inizia a rispondere. Al mio cervello arrivano informazioni propriocettive che si accavallano l'una sull'altra. Ma la più sorprendente mette in ombra tutte le altre: non sono coricata. Sono in piedi... 
Oddio, sono in piedi!!
Ma che diamine... ero... ero nel mio letto... c'era Hannah, si. Ero con Hannah, mi teneva la mano... 
Ero coricata nel letto...
Invece sono qui, e mi reggo sulle mie gambe. Le guardo come se non avessi mai visto un paio di gambe in vita mia. Sono coperte da un paio di jeans... ma no, non possono essere le mie gambe! Queste sono troppo forti, troppo armoniose. Sento i muscoli sotto la stoffa dei pantaloni. 
Le mie gambe non sono così. Le mie gambe sono magre, scarne, i muscoli troppo sottili e le ossa troppo fragili. 
Le gambe che sto toccando ora sono come quelle che avevo prima di ammalarmi... le gambe con cui correvo nel campo della nonna fino a farmi venire i crampi...
Le tocco con le mani. Anche queste non possono essere le mie, osservo. Le unghie sono rosee e sane, la pelle è chiara ma non eccessivamente pallida e ruvida. 
Che sta succedendo?
Scopro di indossare un maglione rosso con lo scollo a V. E poi noto una ciocca di capelli oscurarmi parzialmente la vista...
Improvvisamente ho un tuffo al cuore. 
I capelli... questi sono i miei capelli!
Lascio che le dita vi corrano in mezzo, e sorrido. 
Sono senza dubbio i miei capelli. Quelli che acconciavo con mollettine e spille colorate da bambina, e che riempivo di tante treccine da ragazza. Avevano questa consistenza, erano morbidi al tocco e perfettamente lisci, castani e scuri.
Questi sono i capelli che avevo prima che la malattia me li portasse via. 
Di colpo tutto mi appare chiaro.
Le gambe, le mani, le unghie.. questa sono io prima che la mia vita mi abbandonasse quasi del tutto.
Lascio correre le mani sul mio corpo, e inizio a ridere. E poi a piangere.
Piango e le lacrime si mescolano con la mia risata. 
Non posso crederci! È tutto così... così dannatamente reale! Sento le dita dei piedi dentro gli stivali neri, sento il braccialetto che mi ha regalato zia Adele, che è sempre stato troppo largo, penzolarmi dal polso sinistro. Sento la mia risata e mi accorgo di avere ancora una voce. La mia bella, dolce, cristallina voce.
Ma la cosa che più di tutte trovo sorprendente, è la sensazione di essere in piedi, o meglio, di riuscire a reggermi in piedi senza sentire nessun fatica. 
Sapete cosa vuol dire? Sapete cosa vuol dire questo per una come me? Molte persone danno quasi per scontate alcune cose. Stare in piedi. Nulla di speciale, no?
Per me lo è. Sento il mio cuore esplodere di gioia.
Faccio un passo avanti, e la mia gamba destra esegue l'ordine senza esitazione. La sinistra la segue.
Vorrei gridare, impazzire dalla felicità. 
Ma prima di poterlo fare, mi accorgo di una cosa. Un dettaglio che fino a quel momento il mio cervello si era rifiutato di elaborare. Oppure se ne era dimenticato.
Io... sono in piedi in mezzo all'erba.

Mi guardo intorno, confusa. Sono in una... fortesta. Circondata dall'abbraccio degli alberi. Alzo gli occhi e vedo uno spicchio di sole fra le fronde. I suoi raggi filtrano e punteggiano di luce il suolo ai miei piedi.
Titubante, inizio a camminare. Non so nemmeno dove sto andando, ma non mi interessa. La mia attenzione è focalizzata sulle mie gambe, che, un passo dopo l'altro, mi trasportano attraverso il bosco. Schivo rami e pietre, e non inciampo in nessuna radice. È fantastico.
Cammino per non so quanto tempo, respirando a pieni polmoni, come non facevo da un pezzo. 
Quasi non me ne accorgo, talmente sono concentrata sulle sensazioni che esplodono dentro di me, ma sono uscita dal bosco.
Il mio sguardo corre avanti. Mi trovo su una collina, ai piedi della quale scorre un ruscello, e oltre questo...
Un brivido freddo mi percorre la spina dorsale.
Hobbiville?
Spalanco gli occhi. È... è davvero hobbiville? 
Mi trovo... mi trovo nella Contea!
Okay. Okay. Okay, niente panico.
Chiudo gli occhi, e quando li riapro è ancora tutto lì, e allora cerco di mettere a fuoco i dettagli. Quel posto, quel meraviglioso angolo di paradiso, è lì per davvero. Vedo le case scavate nelle colline, vedo deliziosi giardini colorati, orti e siepi, e sentieri... vedo la gente.
Vedo gli hobbit. Oddio, non ci credo. Quelli che vedo sono hobbit!
Ricciuti, grassotteli, paciosi piccoli hobbit. Ne vedo due camminare lungo un sentiero e fumare allegramente la pipa. Vedo una giovane hobbit intenta a  bagnare un'aiuola, e dei bambini correre in un campo...
Mi salgono le lacrime agli occhi. È esattamente tutto come me lo ero immaginata... come nei miei sogni!
Un momento, fermi tutti!
Ora ho capito. 
Improvvisamente tutto mi è chiaro. Stavo parlando con Hannah, ed ho ceduto alla stanchezza. Mi sono addormentata...
E questo è un sogno.
Sto sognando. Sto sognando per l'ennesima volta la Terra di Mezzo. Certo, è un sogno diverso dagli altri, senza dubbio. È decisamente più nitido, rispetto a quelli vaghi ed indistinti che faccio di solito... e poi, a differenza degli altri, qui ci sono anche io. In prima persona. 
È tutto estremamente realistico. 
Lo adoro.

Corro giù per la collina. Cielo, quanto mi mancava questa sensazione! L'aria fra i capelli, sul viso, fra le dita delle mani... le carezze delicate del sole, l'erba soffice sotto i piedi...
È decisamente il miglior sogno di sempre!  Vi prego, per favore, nessuno mi svegli! Mamma, Hannah... non azzardatevi!
Irrompo sul sentiero, e immediamatmente tutti gli sguardi dei passanti sono per me.
"Buongiorno" saluto gli hobbit con un sorriso.
"Buongiorno a te, straniera" mi risponde, incerto, uno di loro. 
I bambini smettono di giocare. Li vedo fissarmi incuriositi, e rivolgo loro un sorriso. Sono davvero bellissimi. Con quei visi così puerili e delicati, e i ricci scuri baciati dal sole.
"Serve aiuto?" mi chiede lo hobbit che mi ha parlato prima. 
"Beh... si. Si, grazie."
"In che modo posso aiutarti, ragazza?"
"Sei un elfo?" mi chiede un bambino, avvicinandosi,  seguito dagli altri. 
"Non lo vedi che non ha le orecchie a punta? Non è un elfo, sciocco." ribatte una bambina.
"Allora cosa sei?"
Sorrido e rispondo: "Un'umana."
"E cosa ci fa una giovane umana da queste parti, se posso chiedere?" mi chiede uno degli hobbit anziani.
Eh, bella domanda. Cosa rispondo adesso?
Un'idea si insinua nella mia mente. L'afferro subito.
"Sono venuta a trovare una persona." rispondo. "Conoscete per caso il signor Bilbo Baggins?"
Lo hobbit anziano solleva un soracciglio. "Siete amica del signor Bilbo?"
"Beh, si..."
Uno dei bambini mi si para davanti. "Io lo so dove abita il signor Baggins! Se vuoi ti ci porto!"
Mi abbasso e lo guardo dritto in viso. "Saresti davvero così gentile?"
Lui fa segno di sì con la testa e mi prende la mano. Inizia a correre, e io lo seguo, insieme agli altri bambini. Mi viene da ridere, mentre facciamo lo slalom fra gli hobbit che troviamo lungo il sentiero. Non so chi si sta divertendo di più, se io o questi bambini.
È il sogno più bello che la vita potesse regalarmi. E se questo fosse il paradiso, ed io fossi morta, non sarebbe nemmeno tanto male.
Corriamo a perdifiato, fino a che, quasi non me ne accorgo... eccola. Casa Baggins.
Il mio cuore perde un battito, quando il bambino me la indica. 
"Ecco! Questa è la casa del signor Baggins!" dice, trionfante. "Te l'ho detto che sapevo trovarla!"
Gli scompiglio i capelli. "Sei stato bravissimo! Tutti voi! Grazie per avermi accompagnata!" dico ai piccoli hobbit. 
I bambini si allontanano ridendo e giocando. Li seguo con lo sguardo fino a che non svoltano l'angolo. Poi mi volto nuovamente verso la mia meta.
Casa Baggins. Il "buco hobbit" dove tutto ha avuto inizio. Non posso credere di esserci per davvero! 
Osservo il giardino come ipnotizzata, i fiori e le piante tagliate meticolosamente, e poi i miei occhi si posano sulla porta. Quel pannello verde perfettamete tondo incastonato nella parete della collina... 
Le mie gambe si muovono da sole, e qualche secondo più tardi sono davanti alla porta. È a portata della mia mano, qualora decidessi di bussare.
Oddio... lo faccio? Busso?
In fondo, è solo un sogno, no? Il mio sogno. Quindi non è reale. Non ho nulla da perderci...
Stringo il pugno e avvicino la mano alla porta... 
Sto per bussare, quando qualcosa mi blocca. Sento la serratura scattare. 
Il mio cuore fa un balzo nel petto. Faccio un passo indietro, ma sfortunatamente appoggio male il piede sul gradino dietro di me, e perdo l'equilibrio. 
I secondi successivi passano lenti ed inesorabili. Cado all'indietro, sul sedere, ma la pendenza è comunque troppa, e sento il mio corpo esibirsi in una rovinosa capriola all'indietro. A nulla servono i miei goffi tentativi per evitarlo. Batto la testa sullo spigolo di un gradino.
Quando riprendo finalmente il controllo del mio corpo, sono letteralmente spalmata al suolo, e solo in quel momento il dolore alla nuca esplode con violenza. È un dolore caldo e pulsante. Mi porto una mano alla testa e mi lascio sfuggire un lamento.
Rimango in questa posizione poco elegante per qualche momento, massaggiandomi la nuca e pensando che questo, per essere un sogno, è fin troppo realistico.
Quando una voce interrompe le mie riflessioni: "Stai... stai bene?"
Alzo gli occhi e mi trovo davanti lo hobbit in persona, che mi guarda preoccupato dalla soglia di casa sua.
Il dolore alla testa passa in secondo piano, quando per la prima volta incrocio lo sguardo di Bilbo Baggins.


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Capitolo 3
*** Capitolo secondo ***


È bizzarro come il tempo all'interno di un sogno possa scorrere così diversamente dalla realtà. 
Con questo pensiero mi stiracchio, e rivolgo uno sguardo alla piccola finestra tondeggiante alla mia sinistra. Dalle persiane filtrano i timidi raggi del sole del mattino.
Voi credete che sia possibile dormire all'interno di un sogno?
Vi assicuro che lo è. Parola mia. Ho dormito come un ghiro, stanotte. Otto ore almeno. Qui, in questa stanzetta così calda e accogliente, in questo lettuccio talmente piccolo che per starci devo praticamente abbracciarmi le ginocchia...
Ma c'è tanto di quel silenzio... questo posto trasmette pace e serentità, arrivano dritte al cuore. Dal momento in cui mi sono coricata su questo modesto giaciglio, e mi sono stretta nel mio stesso abbraccio, ho avvertito una profonda sensazione di calma, che mi ha portato ad addormentarmi col sorriso, e a svegliarmi con uno ancora più ampio.
Sarà una mia impressione, ma, nonostante le piccole dimensioni e la copertina ispida, questo letto è cento volte più confortevole di quello dell'ospedale, con la sua coperta grigia ed il cuscino troppo duro, impreganto della puzza di ospedale.
Mi siedo sul bordo del letto, e mentre mi sistemo i capelli, penso a quanto è accaduto ieri.

Bilbo Baggins non ha perso un secondo di più, e mi è venuto incontro, chiedendomi se stessi bene.
Ho cercato di minimizzare. Ho detto che non era nulla, che era tutto a posto. Ma non sono mai stata brava a fingere, e il dolore era evidente. Quella botta così violenta alla nuca mi stava dando il tormento, e Bilbo ha dimostrato di saper leggere bene lo sguardo di una persona.
Mi ha offerto il suo aiuto, ed io, imbarazzata, ho rifiutato. Ma lui ha insistito tanto...
In quel momento ho sentito il mio cuore sciogliersi... insomma, nemmeno mi conosceva ed aveva così a cuore la mia salute...
Mi ha fatto strada fin dentro casa. Ma ci pensate? Casa Baggins! Ero dentro Casa Baggins!
E vi assicuro: non c'è descrizione che potrebbe darle giustizia. È deliziosa, nella sua semplicità. 
Mi ha detto di stendermi sul un divano, ed io ho eseguito meccanicamente. Avevo il cuore a mille, e ascoltavo lo hobbit parlarmi dalla cucina, mentre mi stava preparando un the, senza pienamente cogliere il significato delle sue parole. 
Tutto quello che riuscivo a realizzare era che mi trovavo a casa di Bilbo Baggins. E che lui era a pochi passi da me. 
Quando è tornato nel salottino inncui smi trovavo, portava con sè una tazza fumante. Ci siamo seduti fianco a fianco sul divano, e io ho cominciato a bere il the a piccoli sorsi. 
"Va un po' meglio?" ha chiesto.
"Si... si, grazie."
"Hai fatto una bella caduta..." poi il tono della sua voce ha subito una leggera inflessione, e si è fatto lievemente sospettoso. "A proposito, cosa ci facevi dietro la mi porta?"
Mi è andato di traverso il the. Ho iniziato a tossire, e lui ha assunto ancora quella adorabile aria preoccupata.
Il mio cervello ha sfruttato quel momento per elaborare una scusa credibile. Non che sia riuscito ad inventrsi chissà che cosa, poi...
"Vogliate scusarmi. Ecco... io stavo per bussare alla vostra porta."
Bilbo mi ha rivolto uno sguardo sorpreso, la fronte corrugata e gli occhi scuri fissi nei miei.
"Sono di passaggio da queste parti, signor Baggins, ma non ho saputo resistere alla tentazione di fare la vostra conoscenza."
La sua espressione si è fatta ancora più perplessa.
"Sapete, ho sentito molto parlare di voi, dalle mie parti. Sono cresciuta con i racconti delle vostre avventure!"
In quel momento ho cominciato ad insospettirmi a mia volta. La sua confusione era evidente, e mi sono chiesta se non fossi stata sufficientemente chiara.
"Insomma... i racconti sulla riconquista della Montagna Solitaria! Chi non li ha mai sentiti?" ho spiegato, con un sorriso. 
Bilbo ha continuato a guardarmi con quell'espressione qualche istante,  poi finalmente ha mormorato: "Domando scusa?"
"Non avete davvero capito di che parlo? La Montagna Solitaria? Non... non vi dice nulla?"
Lo hobbit ha scosso la testa.
"Oh. Ma... davvero? Erebor? Thorin Scudodiquercia?"
"Scudodiche?!" ha chiesto lui. "Mia cara ragazza... credo tu abbia battuto la testa con troppa violenza. Lasciate che dia uno sguardo"
Mentre lui mi scostava i capelli per osservare il punto esatto in cui avevo battuto la nuca, la mia mente cercava una spiegazione razionale per quello che avevo appena sentito.
Beh, razionale... si tratta pur sempre di un sogno. Tutto questo ha davvero poco di razionale, ma ho pensato che fosse meglio non andare per il sottile.
Bilbo non conosceva Erebor, né ha riconosciuto il nome di Thorin... L'unica possibile spiegazione era che non avesse ancora vissuto gli eventi narrati nel libro.
Ma certo! Doveva essere per forza così! Era ancora lo hobbit ingenuo e solare che conduceva la sua rispettabile vita nella Contea. Gandalf non aveva ancora fatto irruzione nella sua vita, nè la compagnia di tredici nani...
Ero talmemte presa dalle mie considerazioni che sono tornata alla realtà solo quando ho sentito le dita dello hobbit sfiorarmi la testa, esattamente nel punto che mi causava tanto dolore.
"Ahia!" 
"Scusa." ha detto immediatamente. "Scusa... ma sta gonfiando. Hai preso una bella botta."
"Già... che sciocca che sono." 
"Non è colpa tua. Sono cose che capitano. Aspettami qui."
È sparito in cucina, ed è tornato con un panno bagnato.
"Tieni. È per evitare che si gonfi."
Ho accettato il panno, e nel prenderlo dalle sue mani, ho provato una stretta al cuore a vedere quanto le sue dita fossero piccole rispetto alle mie. L'ho ringraziato, e lui finalmente mi ha sorriso.
"E dimmi, qual'è il tuo nome?"
"Mi chiamo Jenny. Jenny Smith"
"Da dove vieni, se posso chiedere?"
Ahia. E adesso che mi invento?
"Da Brea."
La mia bocca è stata più veloce del mio cervello. In effetti sto diventando brava a raccontare frottole. E in un certo senso è un bene.
"Vivi con la tua famiglia?"
"Si, esatto." ho risposto, anche se non vedevo l'ora di cambiare argomento.
"E sono i tuoi genitori ad averti raccontato... quelle storie a cui alludevi prima?"
"Beh... si... vogliate scusarmi, signor Baggins, credo di essermi confusa... evidentemente non eravate voi la persona di quei racconti, domando scusa."
"Non ti preoccupare"
Ho finito di bere il mio the, e di tanto in tanto ho poggiato con delicatezza il panno bagnato sulla testa.
"Signor Baggins, non so davvero cone ringraziarvi. Siete stato così gentile a prendervi cura di me."
"Ci mancherebbe, mia cara. Ma ti prego, chiamami Bilbo."
"Bilbo." ripeto, sorridendogli. "Sono contenta di fare la tua conoscenza. "
"Anche se non ho compiuto straordinarie imprese e non sono un personaggio dei racconti?" 
Abbiamo riso insieme, poi io ho fatto cenno di si con la testa. 
"Una cosa però mi sembra di ricordarla sul tuo conto. Gira voce che tu abbia una libreria piena di volumi e delle splendide mappe della Terra di Mezzo"
Lo hobbit ha gonfiato il petto d'orgoglio, e ha ammesso che si, in effetti, aveva una modesta collezione. Mi ha timidamente chiesto se fossi interessata a vederla, e io, che non aspettavo altro, ho accettato di buon grado.
E così abbiamo passato il pomeriggio. Fra libri e carte. Bilbo ha cominciato a spiegare e a raccontare, e io, più lui andava avanti, più ero affascinata dalle sue parole.
Mi ha mostrato i suoi libri, e poi le carte della Terra di Mezzo, indicandomi tutti i luoghi che avrebbe voluto visitare, parlandone trasporto, e io lo ho ascoltato dal principio alla fine. Sono sempre stata una ragazza molto curiosa, e così ne ho approfittato per coprirlo di domande, per poi ascoltare, rapita, le sue risposte. 
Mi ha parlato anche della Contea, ed aveva una luce negli occhi in quel momento che non so descrivere. Era evidente il suo amore per la sua terra. 
Ho ammesso di trovare a mia volta la Contea un luogo incantevole, ma che non ho mai avuto l'occasione di visitarla per ammirarla in tutto il suo splendore. Al che lo hobbit si è offerto di farmi da guida, quando avessi deciso di visitarla.
È stato il calare del sole ad interrompere i nostri discorsi. Quando ha  chiuso e riposto sullo scaffale l'ultimo libro, un volume  sulla storia della Contea, mi sono subito rattristata. Avrei voluto congelare il tempo e far si che quel pomeriggio durasse per sempre. 
Bilbo, però, a dispetto di ogni mia previsione, mi ha invitata a fermarmi per cena.
"Non vorrei disturbare..." ho risposto inizialmente. 
"Stai scherzando? Certo che non disturbi! Mi farebbe davvero piacere che tu fossi mia ospite questa sera!"
"Allora accetto!" ho detto, col cuore che traboccava di gioia. L'idea di abbandonare quell'adorabile buco hobbit e di congedarmi da Bilbo Baggins mi piaceva sempre meno, e la prospettiva di trascorrere altro tempo in sua compagnia mi riempiva di felicità.

Dopo cena ci siamo seduti nel giardino, fianco a fianco. Sulla Contea era ormai scesa la notte. Il paesaggio era abbracciato dalla freddi raggi della luna, e punteggiato delle luci del paese. Un timido alito di vento portava fino a noi il profumo dei campi, e agitava gli anelli di fumo a cui Bilbo dava vita con la sua pipa.
Li osservavo allontanarsi,  volare per qualche momento, e poi dissolversi nell'aria. Come i miei pensieri e le mie preocupazioni.
Il mondo reale sembrava così lontano in quel momento. La mia vita cupa e grigia, l'ospedale... la fragile Jenny Smith che ho abbandonato in quella stanza spoglia per vivere questo sogno meraviglioso...
Ero lì, e non avrei voluto essere da nessun'altra parte. Avevo passato un pomeriggio indimenticabile con una persona meravigliosa. Bilbo mi aveva accolta in casa sua, avevamo parlato a lungo, e un'insolita complicità era nata fra noi. 
Anche in quel momento, in silenzio a guardare avanti a noi la bellezza del paesaggio, non provavo imbarazzo, o soggezione. Ero a mio agio, ero felice, felice, felice...
Un felicità che nella realtà non mi era dato di provare, ma che nel sogno poteva ancora essere mia.
Bilbo ad un certo punto ha posato al suo fianco la pipa, ha intrecciato le mani sul grembo e si è voltato verso di me.
"Jenny, posso farti una domanda?"
"Certo." ho risposto con un sorriso.
Lui ha fatto una breve pausa, poi ha alzato di nuovo gli occhi su di me, e ha detto: "Tu non vieni da Brea, non è così?"
Il mio cuore ha perso un battito. Come diamine lo aveva capito? Ma soprattutto... cosa ribattere?
"Cosa te lo fa pensare?"
"Non rispondere con un'altra domanda."
Ho preso un respiro profondo.
"Hai ragione. Ti ho mentito, e ti chiedo scusa."
A dispetto delle mie aspettative non mi ha chiesto il perché di quella menzogna. 
"Ma se non vieni da lì, allora da dove?"
Cosa avrei dovuto rispondere? La verità? Avrei dovuto dire: "Tutto questo non è reale, è frutto della mia mente, e io sto morendo in uno squallido ospedale in New Jersey? Ah, e tu non esisti, sei solo la proiezione di una mente malata che sta solo cercando di allontanare il più possibile la verità della sua condizione"?
Ho sentito gli occhi inumidirsi. Perchè farmi questo? Perchè? Stava andando tutto così bene... perché la mia mente mi ha messo di fronte alla realtà? 
Non volevo piangere... ma quella stupida, inutile lacrima mi ha solcato ugualmente la guancia.
Ho voltato il viso dall'altra parte, ma non abbastanza in fretta.
"Ehi... ho detto qualcosa di sbagliato? "
Ho scosso la testa, ben consapevole che se avessi parlato, la mia voce sarebbe stata incrinata dal pianto.
Ma non potevo farci niente. L'idea di quello che mi aspettava al di là di quel sogno era angosciante. L'idea di dovermi svegliare, e abbandonare questo mondo, questo corpo... questa realtà. 
Bilbo mi ha preso la mano, e ha intrecciato le sue piccole dita con le mie. La sua mano era calda, e ha riscaldato la mia. E un po' mi ha riscaldato anche il cuore.
Ho preso qualche istante per riprendere il controllo delle mie emozioni. Poi mi sono asciugata gli occhi col dorso della mano, e ho detto: "Scusami... scusami, non volevo..."
"No, no. Non devi scusarti. Però così mi fai preoccupare."
"Sto bene" ho detto, voltandomi finalmente verso di lui.
Bilbo è rimasto in silenzio qualche momento, poi ha detto: "No, non è vero. Ma non ho intenzione di chiederti altro. Voglio solo sapere una cosa, e voglio che tu sia sincera"
"Okay."
"Hai un posto a cui fare ritorno per la notte?"

Ed ecco come sono finita su questo piccolo letto. Bilbo è stato irremovibile. Ha voluto a tutti i costi ospitarmi per la notte. Un gesto che mi ha fatto riflettere sulla cortesia e la bontà di quello hobbit. 
Mi sento ancora terribilmente in colpa per aver perso il controllo delle mie emozioni ieri sera... spero di non averlo turbato eccessivamente con la mia reazione.
Mi alzo in piedi e stiracchio gambe e braccia. Raccolgo i capelli in una treccia. Rifaccio il letto con cura, e poi esco dalla stanza, abbassandomi per passare attraverso la piccola porta a misura di hobbit. 

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Capitolo 4
*** Capitolo terzo ***


Il cielo del mattino è limpido e colorato. L'aria frizzante accarezza il mio viso. Ho i polmoni pieni del profumo dell'erba e dei campi, e il cuore in pace.
Il mio sguardo si perde nello splendore della Contea avvolta dalla luce del mattino. È tutto così perfetto...
"Dormito bene?" 
Mi volto di scatto, e vedo Bilbo Baggins uscire dalla porta per raggiungermi in giardino. Gli sorrido, mentre viene a sedersi accanto a me.
"Si." rispondo. "E... grazie ancora per avermi ospitata, Bilbo."
"È stato un piacere."
Nessuno dice niente per un po'. Ci limitiamo a guardare avanti a noi, a deliziarci dello spettacolo offerto dalla Contea alle prime luci dell'alba.
Poi, ad un certo punto, Bilbo si volta verso di me, e dice: "Senti, non voglio metterti in difficoltà. Non ho intenzione di chiederti nulla, e tu non mi devi alcuna spiegazione... c'è solo una cosa che voglio sapere di te, Jenny."
"Chiedimi pure."
"Tu non hai una casa?" chiede timidamente. "Una famiglia... un posto a cui fare ritorno?"
Mi perdo un momento a fissare i suoi occhi così carichi di sincera empatia, e cerco le parole giuste con cui rispondere.
"Si, Bilbo, io ho una famiglia. Mia madre si chiama Alice, e mio padre Gregory. E ho anche una sorellina, Mary. È molto piccola, sai, cammina appena." racconto. "Siamo una famiglia come tante. Viviamo i nostri alti e bassi. A volte si discute... a volte non ci si parla per un po'. Ma ci vogliamo bene, a modo nostro. Io... io voglio loro un bene infinito. Ultimamente le cose si erano fatte... complicate per noi. Ma loro si sono sempre presi cura di me, e hanno fatto il possibile per farmi stare bene..."
Realizzo che queste parole non sono rivolte tanto a lui, quanto a me stessa. 
"Forse non li ho mai ringraziati abbastanza per quello che hanno fatto per me..."
Prendo un respiro profondo, e poi continuo. "Loro... loro sono lontani."
"Lontani? Lontani quanto?"
Abbozzo un sorriso. "Più di quanto tu possa immaginare."
Lui è visibilmente colpito dalle mie parole. 
"E come mai non sei con loro?"
"Questo, mio caro Bilbo, temo proprio di non potertelo dire." spiego. "Ci sono cose di cui preferirei non parlare. Ti chiedo scusa."
Lo hobbit scuote la testa. "Non preoccuparti. Chiedevo e basta. Ho capito che hai un passato alle spalle di cui non vuoi parlare. Lo capisco, e rispetto la tua decisione." dice. "Voglio solo che tu sappia che puoi contare su di me."
Le sue parole arrivano dritte dritte al cuore. Sono commossa.
"Ti chiedevo questo perché non posso lasciarti andare via senza saperti al sicuro. Non fraintendermi... la Contea è un posto tranquillo, ma sai, non a tutti gli hobbit va a genio la Gente Alta... insomma, non ho la certezza che ci possa essere qualcun altro disposto ad offrirti ospitalità. Sei giovane, e sei sola. Pensavo che potresti... beh, ecco... restare per un po'. Qui." dice. "Se ti va".


Ancora non mi capacito di cosa abbia spinto Bilbo Baggins, lo hobbit in persona, ad ospitarmi a casa sua. Davvero, non ha alcun senso per me. Insomma, sono pur sempre una sconosciuta.
O meglio, lo ero. Ormai è una settimana che vivo a Casa Baggins. La camera degli ospiti in cui ho dormito la prima notte è diventata a tutti gli effetti la mia stanza. E parte svegliarmi con il torcicollo un giorno sì ed uno no, il soggiorno a casa dello hobbit si sta rivelando veramente piacevole.
Bilbo Baggins è davvero la persona più adorabile di questo mondo. Ho imparato a conoscerlo meglio, in questi giorni. È cordiale, divertente, un gran chiacchierone, quando ha qualcuno disposto ad ascoltarlo. E io lo sono sempre. Adoro sentirlo parlare, amo lasciarmi coinvolgere dai suoi racconti. 
E con "racconti" non intendo certo grandi imprese o fatti straordinari. Mi racconta della vita nella Contea. Mi ha parlato degli hobbit, dei suoi amici, parenti e conoscenti, e ad alcuni di loro, quando sono venuti in visita, mi ha anche presentata.
Mi ha raccontato della sua infanzia. Era un bambino vivace, stando a quello che mi ha detto. Un'adorabile piccola peste. 
Mi ha parlato dei suo genitori. Di sua madre, Belladonna Tuc, di quanto fosse dolce, e di suo padre, Bungo Baggins, e dei momenti trascorsi insieme. 
E così come lui ha cominciato a condividere la sua vita con me, anche io ho cominciato ad aprirmi con lui. Durante le sere passarte in giardino, oppure davanti alla luce calda del caminetto, gli ho raccontato anche io qualcosa di me.
Gli ho descritto gli episodi più buffi della mia infanzia, gli ho parlato dei miei amici, dei miei parenti, e anche di Percival, il cucciolo che ho salvato dalla strada.
Lui ha ascoltato tutto in silenzio, senza mai interrompermi, ridendo assieme me in alcuni momenti, facendo qualche domanda ogni tanto.
Ma non ha mai insistito per sapere qualcosa di più. Era come se riuscisse a capire fino a che punto poteva chiedere, e da che punto in poi era meglio rispettare i miei silenzi. Non ha mai voluto sapere nulla che io non fossi disposta a raccontare. E io gliene sono stata silenziosamente grata. 
Poi, come mi aveva promesso, mi ha portata a visitare la Contea. Ogni giorno mi ha mostrato qualcosa di nuovo.
Abbiamo percorso tanti sentieri fianco a fianco, seguito il corso dei ruscelli, camminato in mezzo ai campi, e ci siamo addentrati nei boschetti, camminando all'ombra delle fronde. 
Giorno dopo giorno ho iniziato a sentirmi sempre più a casa.
Per ringraziarlo di tutto quello che faceva per me, ho fatto il possibile per aiutarlo nelle sue faccende quotidiane. 
Ogni mattina gli ho fatto trovare la colazione in tavola, e l'ho aiutato a curare il giardino, a bagnare i fiori, potare le piante, a tagliare la siepe.
A pranzo e a cena, poi, ci trovavamo per cucinare insieme. 
Ho sempre amato cucinare. Fin da bambina mia madre ha condiviso con me le sue ricette, e da più grandicella conoscevo tutti i suoi segreti. Mi ha anche trasmesso il valore della pazienza e dell'attenzione ai particolari, tutte cose che mi hanno permesso di diventare brava almeno quanto lei.
Cucinare era una delle cose che più mi mancava durante la mia permanenza in ospedale. 
E, ad essere sincera, quando nel caso migliore la tua dieta si basa su minestra e purè di patate, e nel caso peggiore ti capita una flebo, inizi a sentire la mancanza del buon cibo fatto in casa. 
Bilbo ha condiviso con me alcune delle sue ricette, e io ho fatto lo stesso con lui. Ogni volta ci siamo divertiti a sperimentare qualcosa di nuovo.

Insomma, il tempo è davvero volato... una settimana! Stento quasi a crederci!
Sto lavando le stoviglie della colazione, e intanto ripercorro con la mente questi giorni e sorrido fra me. 
Poi d'un tratto un pensiero si fa strada nella mia mente. Una cosa su cui, in effetti, non ho mai riflettuto. 
Ho trascorso sette giorni qui. Un periodo lunghissimo. Ma se questo è un sogno... allora da quanto tempo sto dormendo?
O il tempo scorre davvero in modo diverso in questa bizzarra proiezione della mia mente rispetto alla realtà... oppure non apro gli occhi da una settimana.
Un brivido freddo mi percorre la spina dorsale. È tantissimo tempo.
Appoggio sul tavolo il piatto che sto asciugando con un panno, e mi fermo a riflettere.
Potrei essere in coma. Oddio... deve essere senz'altro così. 
Ma è possibile sognare durante il coma? Non saprei...
Tutto quello a cui riesco a pensare è alla mia famiglia. Chissà come stanno affrontando questa situazione...
Con un sorriso amaro mi ritrovo a pensare a loro. Mia madre verrà ancora a raccontarmi le ultime novità? Mary avrà detto la sua prima parola? Percival avrà accettato che non farò più ritorno a casa?
E mio padre verrà ancora tutti i giorni al mio capezzale a leggere il libro?
Sento gli occhi riempirsi di lacrime. 
Sono una stupida egoista. Ero così felice di quello che questo sogno mi stava offrendo che mi sono quasi dimenticata di quello che loro stanno passando. Chissà che dolore provano nel vedere la loro bambina addormentata da così tanto tempo... chissà come soffrono alla prospettiva della mia morte...
E io, che mi sono lasciata così tanto coinvolgere dal miraggio di una nuova vita, sto iniziando a rendermi conto che è tutto sbagliato.
Dovrei svegliarmi. Dovrei tornare da loro... 
Dovrei lasciare quest'illusione per stare vicina alla mia famiglia,  ed aiutarli a lasciarmi andare nel modo meno doloroso possibile...
Dovrei.
Già. Sarebbe la cosa giusta da fare. 
Ma se da un lato non riesco a dire a me stessa che è quello che voglio davvero, dall'altro non ho la più pallida idea di come fare a svegliarmi. Davvero non saprei. 
Sto rimuginando su queste cose quando vedo Bilbo entrare in casa e chiudere immediatamente la porta alle sue spalle. Vi si appoggia contro con la schiena per qualche momento, poi scatta in direzione di una finestra, e guarda fuori, il collo teso in avanti, le dita strette attorno alla posta che è andato a ritirare.
Sembra quasi che ci sia qualcosa lì fuori che lo hobbit ha paura di affrontare.
Nonostante tutto, mi viene quasi spontaneo sorridere. 
"Che succede Bilbo?" chiedo.
Lo hobbit mi si avvicina. "È successa una cosa strana, Jenny. Stavo ritirando la posta, quando mi si è avvicinato un individuo. Non te ne ho mai parlato, forse. Uno stregone, un certo Gandalf... fabbrica dei magnifici fuochi d'artificio..."
Mi irrigidisco all'istante, la mia mente si azzera di colpo.
Bilbo continua: "Da bambino impazzivo per quei fuochi d'artificio... beh, comunque sia, lo stregone ha completamente perso la ragione. Mi ha chiesto se volessi prendere parte ad un'avventura. Un'avventura!" 
Ride, una rista nervosa, incrocia le braccia al petto. "Ti rendi conto di che assurdità?"
"Ehm... già" mormoro. 
"Ora se n'è andato. Ma aveva uno strano sguardo... non so, dici che devo aspettarmi qualche sorpresa?"
Lo guardo. È piuttosto scosso, mi fa tenerezza.
Oh, se solo sapesse... questo non è che l'inizio!


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