A Game of Masks di Hypnotic Poison (/viewuser.php?uid=16364)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Special Division of Investigation ***
Capitolo 2: *** God has given you one face, and you make yourself another ***
Capitolo 3: *** How many secrets can you keep? ***
Capitolo 4: *** I bet you look good on the dance floor ***
Capitolo 5: *** And the thrill of the chase moves in mysterious ways ***
Capitolo 6: *** You may be a lover but you ain't no dancer ***
Capitolo 7: *** Come on tell me the answer ***
Capitolo 8: *** Are there some aces up your sleeve? ***
Capitolo 9: *** And the masquerade will come calling out at the mess you made ***
Capitolo 10: *** We'll play hide and seek to turn this around ***
Capitolo 11: *** This is my kingdom come ***
Capitolo 1 *** Special Division of Investigation ***
A Game of Masks
A
game of masks
Capitolo
uno: Special Division of Investigation.
Il
palazzo era così vistoso che ormai la gente non ci faceva
più caso;
le alte vetrate e la sfilata di persone che entravano ed uscivano a
qualsiasi ora catturavano brevemente l'attenzione di chi vi passasse
per la prima volta, ma era così anonimo nel suo essere
imponente che
nessuno ci si soffermava più del dovuto.
Quella
era la sua funzione.
I
piani più bassi erano occupati da normali uffici, studi
legali ed
editori. Era ai piani più alti che si trovava il
divertimento.
Il
Dipartimento Speciale di Investigazione era un reparto riservato
dell'Agenzia di Intelligence per la Pubblica Sicurezza. (*) Dislocato
lontano dal palazzo del quartier generale, era uno di quei reparti di
cui tutti sapevano, ma che nessuno conosceva davvero. Si veniva
scelti dopo un'accurata selezione, ed in pochi potevano discutere la
loro vera occupazione. Era un lavoro difficile, stancante ed anche
emotivamente provante; ma, per chi vi era portato, valeva tutta la
pena.
Il
lavoro sul campo era la parte più avvincente, quella che
tutti
speravano di affrontare e per cui accettavano l'incarico, ed
ovviamente quella che accadeva il meno spesso, visto quanto doveva
essere accuratamente pianificata. Il Dipartimento Speciale, in fondo,
trattava solo casi particolari; quelli per cui, ad esempio, serviva
l'appoggio dell'Intelligence straniera.
Ryo
Shirogane, Agente Speciale di Prima Classe, lavorava per il DSI da
quasi un anno come agente di supporto della CIA; la sua doppia
cittadinanza nippo-americana gli facilitava infatti le cose. Non
erano in molti a voler lasciare gli Stati Uniti per collaborare con
gli altri paesi, ma a lui era piaciuto aver la possibilità
di
tornare nella sua seconda casa per un'occupazione che gli era
sembrato meno stressante che lavorare per la prima agenzia di
spionaggio al mondo.
Non
che il lavoro che avesse ora fosse tanto più rilassante, ma
a lui
pareva diverso; ed aveva il bonus di averci guadagnato in grado di
comando.
Come
ogni mattina, puntuale come un orologio svizzero, alle otto e
cinquantacinque passò il tesserino tra le colonnine scanner
situate
all'ingresso, che emisero un flebile bip
aprendo i cancelletti automatici. La massa di persone che si
affrettava lungo i corridoi si divideva tranquillamente in due
gruppi; quelli che senza indugio si recavano agli uffici al piano
terra o agli ascensori di destra, e quelli che, esibito ancora il
tesserino davanti ad un altro scanner, prendevano i due ascensori di
sinistra, gli unici collegati ai piani più alti.
L'importante
era non dare nell'occhio, era la prima regola che veniva insegnata i
primi giorni in cui ci si trovava sul posto, ma muoversi in mezzo
agli altri come se tutto fosse normale; perché lo era,
almeno per
loro. E per Ryo, i cui capelli biondi erano facilmente distinguibili
tra la folla di teste scure, quella era una regola fondamentale.
Le
porte dell'ascensore si aprirono con un tintinnio sull'ingresso
dell'ultimo piano, in cui si trovava il suo ufficio, ed il familiare
odore di caffè e fogli di carta gli invase le narici. Erano
ormai le
nove, e la giornata doveva incominciare.
Si
incamminò lungo il corridoio, facendo dei cenni con il capo
alle
facce che riconosceva; era un po' un'abitudine quella di stringere
amicizia soltanto con le persone con cui si lavorava a più
stretto
contatto, lasciando gli altri a livello di una semplice conoscenza.
Le relazioni interpersonali erano già abbastanza difficili
senza
doverci aggiungere anche la sicurezza nazionale.
Alla
sua destra sfilavano le scrivanie degli altri agenti, alla sinistra
le porte di vetro degli uffici dei ranghi più alti e le
stanze di
riunioni, ognuna affidata per consuetudine ad ogni squadra –
e lui
stava marciando dritto verso l'ultima, a tre porte dal suo ufficio,
dove sapeva che lo stava aspettando una tazza di caffè nero
bollente
ed una lavagna piena degli ultimi risultati delle indagini.
Erano
ormai otto mesi che lavoravano a quel caso, e gli erano sembrati gli
otto mesi più sfiancanti della sua vita; o forse dopo
già due anni
non si era ancora abituato al ritmo di vita giapponese. Il fatto era
che comunque, dopo appostamenti e intense ricerche, ancora non erano
riusciti a sbrogliare il filo della matassa e ad avvicinarsi ai
soggetti interessati.
Si
sfregò la fronte, imponendosi di pensare positivo; erano
vicini, lo
sapeva. Doveva solo avere pazienza; in fondo, aveva con sé
la
squadra migliore.
L'ufficio
del capo era decisamente molto più grande di quelli di tutti
loro,
ma era così che doveva essere, no? Comparato a quello del
suo capo
alla CIA, era notevolmente ridotto – ma agli americani
piaceva fare
tutto in grande, e lui non era certo nella posizione di negarlo.
Osservò
il fascicolo che gli era stato dato, scorrendo con gli occhi sulle
foto e le informazioni catalogate in un carattere troppo simile a
quello della stampante per appartenere a quel decennio.
“Sono
una banda di trafficanti di armi,” esordì
Keiichiro Akasaka dalla
sua poltrona nera, le mani dalle lunghe dita intrecciate sulla
scrivania “La banda Deep Blue, così si fanno
chiamare. Sono
giapponesi, ma collaborano con i russi da qualche anno. Sappiamo che
stanno progettando varie vendite di grosse armi illegali con pezzi
grossi di qui, ma ancora non siamo riusciti ad incastrarli.”
Shirogane
sfogliò le spesse pagine del file: “Altre
informazioni al
riguardo?”
“Tutto
quello che sappiamo è lì dentro,”
Akasaka fece un cenno con il
capo “E' per questo che ti affidiamo il caso. Vuoi sempre la
stessa
squadra?”
Il
biondo annuì: “Certo. Hanno lavorato bene sul caso
dei
narcotrafficanti, non vedo perché dovrei
cambiarle.”
“Vogliamo
solo i migliori, in fondo. C'è pressione anche dalla tua
parte, Ryo,
prima riusciamo a risolverlo, meglio sarà.”
“Mi
metto subito al lavoro.”
“Rapporto
completo ogni settimana sulla mia scrivania.”
Non
appena aprì la porta di vetro, un lampo di capelli biondi
gli roteò
davanti agli occhi seguendo il movimento di una poltrona girevole.
“Buongiorno
capo!” Purin Fon, la più giovane tra gli Agenti
Speciali della sua
squadra, lo salutò con un sorriso, le gambe stese sopra il
tavolo di
legno scuro. Attorno a lei, le altre quattro componenti.
Ryo
le osservò una ad una, richiudendosi la porta alle spalle e
poggiando la valigetta a terra, mentre ripassava con la mente i file
di ognuna che gli erano stati lasciati sulla scrivania due anni
prima, al suo primo incarico.
In
piedi, poggiata al muro con le braccia incrociate, stava Zakuro
Fujiwara, sua coetanea, un corpo snello, capelli neri e penetranti
occhi blu che giustificavano il suo passato da modella, in grado di
parlare quattro lingue e dalla straordinaria capacità
d'osservazione.
Dall'altra
parte della stanza, Retasu Midorikawa, ventotto anni, grandi occhioni
blu nascosti da un paio di grandi occhiali tondi che le davano
un'aria ingenua, perfetti a nascondere la sua caparbietà ma
che
forse non stupivano quando si veniva a sapere che era un genio dei
computer dalla memoria fotografica.
Seduta
al tavolo, la schiena dritta ed una tazza di tè fumante
davanti, era
Minto Aizawa, ventotto, piccola e testarda, le cui origini di buona
famiglia le assicuravano contatti quasi ovunque, e che sembrava saper
gestire qualsiasi tipo di contesto con tenacia ed una sana dose di
sarcasmo.
Accanto
a lei, Ichigo Momomiya, fiammanti capelli rossi e testardaggine da
vendere, era stata la prima tra loro ad essere reclutata circa un
anno prima dell'arrivo di Shirogane, ed aveva sempre tenuto il
controllo della situazione.
Ed
infine, la “piccola” Purin, abilissima nei
travestimenti e nelle
acrobazie, esuberante e sempre pronta a lanciarsi nella mischia in
caso di intervento.
“Ci
sono novità sul caso?”
Abituate
ai modi bruschi e diretti del loro superiore, le cinque si voltarono
verso la grande lavagna bianca appesa al muro, piena di scritte,
frecce, e grandi foto.
“Non
molto rispetto alla scorsa settimana,” rispose Retasu.
Ryo
si sedette a capotavola, appoggiando i gomiti sul tavolo: “Da
capo,
allora.”
Con
un sospiro, Zakuro si staccò dal muro, avvicinandosi alla
lavagna:
“Banda Deep Blue, composta dagli otto ai venti uomini, di
prevalenza russi. Sono in circolo da circa quattro anni, trafficano
armi illegali di grossa taglia, anche queste russe. Si sospetta che
siano un braccio regionale di un'organizzazione più grande
con sede
in Europa. Per quello che a noi interessa, i soggetti più
importanti
della Deep Blue sono due,” fece un cenno alle due foto in
centro
“Pai Hayashi, giapponese, probabilmente il capo. Le notizie
su di
lui risalgono ad otto anni fa, poi probabilmente è passato
definitivamente dalla parte russa. È ricomparso in Giappone
nove
mesi fa, in coincidenza con l'inizio delle nostre indagini. L'altro,
Kisshu Fukazawa, è il suo braccio destro.”
“Abbiamo
nomi, foto, possibile che non riusciamo ad intervenire?”
Ichigo
si strinse nelle spalle: “Non ci sono prove concrete. Non
abbiamo
registrazioni, numeri di telefono da intercettare; quando li seguiamo
in pubblico, si fanno trovare solo in luoghi molto affollati come
caffè o centri commerciali, e non si comportano in modo
sospetto.
Immagino che sappiano di esseri ricercati dalle maggiori agenzie del
mondo, sono molto cauti.”
Shirogane
sospirò, passandosi una mano tra i capelli: “Sono
otto mesi che ci
lavoriamo, dovremmo essere più avanti di
così.”
“Be',
potremmo avere un asso nella manica,” Purin si
scambiò uno sguardo
con le colleghe, prendendo un foglio da una carpetta che aveva tenuto
vicina tutto quel tempo ed andando ad attaccarlo alla lavagna con un
magnete “Li abbiamo tenuti sott'occhio duranti i weekend di
questi
ultimi mesi, ed abbiamo riscontrato una costante. Molti sabati sera
vanno al Pure
Water,
un locale nei quartieri alti.”
L'uomo
alzò un sopracciglio: “Quando pensavate di
dirmelo?”
La
biondina ghignò: “Era il modo per augurarti un
buon lunedì,
capo.”
Shirogane
non disse niente, si alzò per andare a controllare la nuova
foto
mentre Retasu scribacchiava i dettagli più importanti con un
pennarello nero.
“Abbiamo
delle telecamere all'interno?”
Minto
annuì, girando pigramente il cucchiaino nella tazza:
“C'è qualche
telecamera di sicurezza, ma tra le luci ed il fumo non hanno una
grande risoluzione, e non coprono a dovere l'intera sala. Quel posto
è enorme.”
Retasu
la guardò: “Lo conosci?”
“Ovvio
che lo conosco, è uno dei posti più in
da frequentare nel weekend.”
Ichigo
alzò gli occhi al cielo: “Okay, Minto,
illuminaci.”
La
mora voltò la sedia girevole: “Il Pure
è a Ginza, e per entrarci c'è la selezione. Ci
sono due piani,
entrambi molto ampi; al primo si balla e c'è il bar, il
secondo è
riservato per chi prenota i tavoli. Dal secondo è possibile
vedere
la pista, ma là sopra non ci sono telecamere. Un buttafuori
controlla le scale del secondo piano, serve un braccialetto o uno
stampo, qualunque cosa si siano inventati la sera. Da quanto ne so,
c'è solo un'entrata principale per l'intero
locale.”
“State
pensando anche voi quello che penso io?” esclamò
eccitata Purin.
“Ferme,
ferme,” Shirogane alzò una mano “Le
operazioni interne sotto
copertura vanno organizzate per bene, e non vi ho ancora detto di
sì.”
Zakuro
accennò ad un sorriso: “Abbiamo l'intera
settimana, mi sembra più
che sufficiente.”
Ichigo
annuì: “Se ci pensi, è la soluzione
migliore. Potremmo
avvicinarli, ed addirittura installare delle microspie, se agiamo con
cautela.”
“Le
nuove cimici super-piccole di Taruto hanno appena passato il
test,”
intervenne convinta Purin “E' l'occasione giusta per testarle
sul
campo!”
“Ragazze,”
Ryo le riprese con voce seria “Vorreste cortesemente
tranquillizzarvi? Voglio tutte le informazioni possibili su questo
locale, fotografie, piante. Non vi mando dentro alla cieca.”
“Non
è mica la nostra prima volta, Shirogane-kun.”
“Non
mi interessa.”
“Come
sei carino a preoccuparti per noi,” lo prese in giro Minto
con un
ghigno, a cui il biondo rispose con un'occhiataccia.
“Fai
poco la spiritosa, e vedi di darti da fare, o ti rispedisco alla
polizia postale. Voglio tutto entro domani.”
“Io
vado a parlare con Taruto-chan!” prima che gli altri
potessero
replicare, Purin era schizzata fuori dalla porta, diretta al
laboratorio di munizioni ed accessori.
“Lasciala
fare,” Zakuro parlò con calma, rivolta a Ryo
“Lo sai che quei
due si piacciono.”
Lui
scosse la testa, raccogliendo i vari fogli sparsi sul tavolo e la
tazza di caffè che ancora non era riuscito a bere:
“Mettiamoci al
lavoro.”
Uscirono
anche loro dalla sala, le ragazze dirigendosi direttamente nelle loro
scrivanie lì davanti, Ryo tre porte più a destra
nel suo ufficio,
in cui si barricò dentro per potersi rilassare cinque minuti
con il
liquido caldo prima di dover iniziare la solita trafila di
telefonate.
“Shirogane
è sempre una gioia il lunedì mattina,”
commentò sarcastica Minto
mentre aspettava impazientemente che il suo computer si accendesse,
facendo ridere le altre tre.
“Se
dovremo preparare la missione, sarà una settimana di
inferno,”
concordò Retasu “Ci farà ripetere il
piano venti volte.”
“Magari
Ichigo dovrebbe aiutarlo a calmarsi.”
Chiamata
in causa dalla mora, Ichigo arrossì, facendole una smorfia:
“Stupida.”
Zakuro
e Retasu si scambiarono un'occhiata divertita, e la prima
infilò il
telefono tra l'orecchio e la spalla, digitando velocemente sulla
tastiera del computer: “Guardate che le sue minacce non sono
vane.”
Minto
scrollò le spalle, ma prese anche lei la cornetta, seguita
poco dopo
dalla rossa. Dimenticato era il poco relax del weekend appena
trascorso, fisso in mente era lo scopo da raggiungere: la squadra μ
era
entrata in azione su quello che era stata addestrata a fare.
(*)
Public
Security Intelligence Agency (PSIA): è l'agenzia di
intelligence
nazionale del Giappone, amministrata dal Ministero della Giustizia,
ed ha incarichi di sicurezza interna e spionaggio contro minacce. Per
più info, cliccare qua.
Salve
a tutti :D Nuova long senza arte né parte, primo tentativo
di
AU. Sono un po' emozionata, a dire il vero, non sono un'amante del
genere ma quando la Musa coglie bisogna ascoltarla. Sto ancora
studiando e vorrei avere un buon numero di capitoli di scorta tra un
aggiornamento e l'altro, e voi ormate mi conoscete e sapete che io e le
scadenze fisse non andiamo d'accordo. Prometto di impegnarmi, ma prima
il dovere, e poi le vacanze, e poi le Mew Mew. ^_^ A dire la
verità volevo aspettare di avere almeno cinque capitoli
pronti
prima di pubblicare il primo, ma è un sacco che è
qui che
mi aspetta, ieri sera ho trovato il titolo e quindi...
Questo
ovviamente è solo un
prologo/primo capitolo, quindi eventuali domande dovranno aspettare
pazientemente. Cercherò di essere il più
veritiera
possibile.
Spero
che questo nuovo progetto vi possa interessare. Bacioni a tutti, vostra
Hypnotic Poison.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** God has given you one face, and you make yourself another ***
Capitolo
due: God has given you one face, and you make yourself another
Ichigo
non aveva capito bene come fosse passata da dolce ed imbranata
ragazzina con un'ironica passione per il rosa e le fragole, a stoica
ed intrepida agente speciale. Non sapeva nemmeno di essere
così
brava a mentire.
Eppure
adesso era lì, una matita a tenere fermi in una crocchia i
capelli a
caschetto, a terminare di scrivere un rapporto preliminare sul Pure
Water,
con un distintivo ed una pistola nel cassetto.
A volte, se ci si
soffermava, la
faceva ridere tanto le sembrava surreale, anche dopo tre anni. Forse
era il fatto che, a guardarle, lei e le sue compagne non sembravano
per nulla degli agenti – ed anche quello era uno dei loro
motivi
forti, dopotutto; e forse, era anche il fatto che ben pochi sapevano
cosa facesse lei veramente, visto che davanti a tutti lei si
spacciava vagamente come impiegata in uno dei tanti uffici del
palazzo.
“Io
ho finito, Ichigo-chan,” alzò lo sguardo verso
Retasu, che si
stava infilando il cappotto “Vuoi che ti aspetti per darti un
passaggio?”
Lei scosse la testa
con un
sorriso: “No, grazie, Retasu-chan, vai pure. Io devo
completare
questi documenti prima di andarmene, altrimenti poi chi lo sente
Shirogane.”
L'altra sorrise:
“A domani,
allora.”
Rimasta sola, Ichigo
si allungò
sulla sedia per sgranchire i muscoli indolenziti dall'essere rimasta
ferma la maggior parte della giornata. Non vedeva l'ora di andarsene
a casa ed infilarsi il pigiama.
Cliccò
sull'icona di stampa,
aspettando il rumore della macchina per sincerarsi che fosse partita,
per poi spegnere il computer e raccogliere le sue cose.
Una volta raccolti i
fogli, bussò
alla porta dell'unico ufficio con la luce ancora accesa.
“Shirogane-kun?”
domandò, infilando la testa nello spiraglio della porta
“Sto
andando via, sono venuta prima a darti questi.”
Ryo le andò
incontro a metà
stanza, studiando brevemente ciò che lei aveva scritto:
“D'accordo,
grazie. Li leggerò prima di tornare a casa.”
“Shirogane-kun,
sono quasi le otto, lascia perdere e fallo domani.”
Lui scosse la testa:
“Mai
rimandare, Ichigo.”
La rossa
sospirò: “Il solito
testardo. Io me ne vado.”
Ryo abbozzò
un sorriso,
avvicinandosi a lei: “Non credi di starti dimenticando
qualcosa,
Momomiya?”
Ichigo non fece in
tempo a
rispondere che lui le stava gentilmente togliendo la matita dai
capelli, lasciandoli ricadere attorno al viso e arruffandole la
frangetta.
“Grazie,”
sussurrò lei, prendendo la matita così
sfiorandogli le dita “A
domani, Ryo.”
“A
domani, Ichigo.”
Mentre lasciava
l'edificio in
direzione della metropolitana, Ichigo non poté non
soffermarsi a
pensare all'ennesima svolta imprevista che la sua vita aveva preso
circa sei mesi prima, e che lei, colpevolmente lo ammetteva, non
aveva fatto nulla per fermare.
Ovviamente,
di tutti i giorni in cui lei decideva di mettersi i tacchi, i tecnici
del laboratorio balistico avevano scelto quello per dimenticarsi di
consegnare i risultati. Ovviamente, il tecnico che gliele aveva
portate aveva già finito il turno, e visto che Ichigo era
ancora lì,
non poteva per caso portarle lei a Shirogane, che le aveva chieste
con urgenza?
Come
se lei avesse voglia di scarpinare fino all'appartamento del suo
capo. Ma non voleva nemmeno subirne la sua ira. Così,
mugugnando tra
sé e sé e sognando il comodo divano e le
pantofole, aveva avvisato
il ragazzo e si era incamminata verso l'indirizzo che le era stato
dato.
Doveva
ammettere di essere un po' nervosa all'idea di presentarsi
così
brutalmente a casa di chi era a tutti gli effetti un suo superiore, e
soprattutto uno come Shirogane. Anche perché ancora non
aveva capito
bene come
fosse
Shirogane.
Arrivata
all'alto complesso di appartamenti, digitò sul citofono il
codice
che lui le aveva dato per telefono.
“Shirogane-kun,
sono Ichigo.”
“Lo
so, ti vedo,” rispose lui con una risatina “Sali,
è al
dodicesimo piano.”
Quasi
non si stupì quando vide che al dodicesimo piano c'era solo
un
appartamento.
Shirogane
la stava aspettando sulla porta, con i pantaloni della tuta ed una
maglietta della sua precedente agenzia, ed Ichigo dovette ammettere
che forse stava meglio così che con gli eleganti ma formali
completi
neri che lei era abituata a vederlo indossare.
“Scusa
l'intrusione,” esclamò lei, leggermente a disagio
“Ma ero ancora
in ufficio e mi hanno detto che erano urgenti e che dovevo
assolutamente consegnarteli. Forse se la smettessi di terrorizzare
l'intero dipartimento, avrei anche io meno problemi.”
Ryo
rise, una risata profonda e roca che le fece tingere piacevolmente le
guance: “Grazie, Ichigo, e tranquilla, non mi hai disturbato.
Vuoi
entrare? Dopo tutto questo terrore, ti devo almeno un bicchiere
d'acqua.”
Ichigo
tentennò; da quando avevano iniziato a lavorare insieme,
più di un
anno e mezzo prima, lei aveva capito che Shirogane aveva uno strano
effetto su di lei, e si era ritrovata a pensare che non le
dispiacesse poi così tanto; ciò era molto, molto
pericoloso.
Ma
quei tacchi la stavano uccidendo.
“Sì,
grazie. Prometto di non infastidirti ulteriormente, poi.”
Il
ragazzo si fece da parte, permettendole di entrare nell'appartamento
ben illuminato, e pervaso da un dolce odore.
“Stavo
cucinando,” rispose alla muta domanda di lei, vedendola
arricciare
contenta il naso, e si diresse verso la cucina, un lungo spazio
aperto diviso dal resto della sala da un bancone con degli sgabelli.
Gli
occhi di Ichigo si illuminarono nel notare ciò che vi era
appoggiato
sopra: “Tu fai... dolci?”
Ryo
si strofinò il collo, tossicchiando: “Ehm,
sì. Mi rilassa. Non
sono un campione, però... ho una laurea in chimica, e
cucinare è
quello.”
La
rossa lo guardò con la coda dell'occhio: “Credevo
fossi laureato
in legge.”
“Tra
le altre cose,” lui rise di nuovo “Ne vuoi un
pezzo?”
Fu
in quel momento che lo stomaco della ragazza decise di dare la sua
opinione della situazione, rispondendo in breve per lei e facendo
sogghignare il ragazzo.
“Lo
prenderò come un sì.”
Ichigo
si sedette su uno degli sgabelli mentre Shirogane apriva varie ante e
cassetti per prelevarne piatti e forchette, e lo osservò di
sottecchi, catturando ogni movimento misurato.
Le
mise davanti anche un bicchiere di latte, poi si sedette in fronte a
lei. “Su, forza. Aspetto il tuo parere.”
Inforcò
decisa un pezzo di torta al cioccolato, morbida sotto la pressione
della forchetta, e senza indugiò se la portò alle
labbra, chiudendo
gli occhi per un istante. “E' buonissima,”
commentò poi.
Ryo
sorrise: “Lo so.”
Lei
gli fece una smorfia, continuando imperterrita a mangiare, ed
accettando una seconda fetta pochi minuti dopo, commentando solo che
dopotutto era da quella mattina che non metteva qualcosa sotto i
denti, “grazie anche ai ritmi da schiavista a cui tu ci
sottoponi,
Shirogane-kun.”
Si
stupì non poco della quantità di volte in cui lo
stava facendo
ridere: “Sono lusingato da tutti questi complimenti,
Ichigo.”
La
rossa notò ancora come lui si ostinasse a chiamarla per
nome. Forse
solo all'inizio della loro conoscenza lui aveva usato il suo cognome,
ma era durato per poco. Sapeva che faceva lo stesso anche con le
altre ragazze, ma il suo nome suonava strano sulla bocca di lui.
“A
proposito,” si piegò a prendere dalla sua borsa la
busta beige dei
risultati “Prima che me ne scordi.”
Ryo
ne tirò fuori i fogli, studiandoli attentamente, ed Ichigo,
concentrata sulla ruga che gli si formava tra gli occhi, non
udì
quello che le aveva detto. “Come, scusa?”
“Ho
detto che sono diversi da quelli dell'ultima volta.”
Lei
annuì, scendendo dallo sgabello e aggirando il bancone per
andargli
a fianco e poter leggere: “Questi sono proiettili per il
Dragunov,
chiaramente russo. Quelli dell'altra volta erano di un
AK-105.”
Lui
si alzò con un sospiro: “Ho i file della balistica
qua, vado a
prenderli.”
Finirono
seduti sul tappeto del salotto, circondati di fogli e fotografie,
mangiucchiando torta e patatine che Ichigo aveva recuperato dalla
credenza, senza accorgersi che il tempo stava passando molto
velocemente, finché la rossa non sbadigliò
all'improvviso.
Ryo
lanciò un'occhiata all'orologio: “Però,
sono già le dieci e
mezza. Mi dispiace averti trattenuta di venerdì
sera.”
Ichigo
si strinse nelle spalle: “Non avevo nessun programma
particolare.
Avevo, uhm, avvertito che avrei fatto tardi al lavoro.”
“Capisco,”
il ragazzo spostò lo sguardo su di lei e rise, confondendola.
“Cosa
c'è?” domandò arrossendo.
“Hai
i baffi di cioccolata.”
Lei
si portò istintivamente una mano sul viso, sfregandosi
imbarazzata.
“Aspetta,”
Ryo le si avvicinò e le passò il pollice
sull'angolo delle labbra,
appoggiandole la mano sulla guancia.
Ichigo
le sentì andare in fiamme mentre la torta al cioccolato le
ballava
nello stomaco.
“Shirogane-kun?”
sussurrò, incerta su come continuare. C'erano giusto due o
tre cose
che avrebbe dovuto dirgli, e tra tutte, scelse “Lo sai di
essere il
mio capo?”
Lui
annuì, senza staccare gli occhi dalla sua bocca:
“A te importa?”
Ichigo
deglutì. Le importava? No, decisamente era l'ultima delle
sue
preoccupazioni. Tutto quello a cui riusciva a pensare era quanto
naturale le sembrasse stare seduta sul pavimento accanto a lui,
quanto le piacesse sentire la sua risata profonda quando lei faceva o
diceva qualcosa di sciocco, e quanto tremendamente volesse sentire il
suo sapore.
Anche
se non avrebbe dovuto. Anche se avrebbe dovuto dirgli molto di
più.
Ma
non si dissero nulla, non fino al mattino dopo, e le due bocche in
quella stanza finirono cucite insieme, l'una sull'altra, senza
ulteriore spiegazione.
Il leggero stridere
dei freni la
risvegliò dai suoi pensieri appena in tempo
perché scendesse alla
sua fermata. Doveva ammettere che aveva un debole per il complicarsi
la vita.
La distanza tra la
metro e il suo
appartamento era breve, e fu con un sospiro di sollievo che si chiuse
la porta alle spalle, calciando via le ballerine con un gesto
esperto.
Le bruciavano gli
occhi per tutto
il tempo passato al computer ed aveva il collo indolenzito per l'aver
tenuto il telefono tra l'orecchio e la spalla la maggior parte della
giornata. Quella era decisamente la parte che le piaceva di meno del
suo lavoro.
Non le importava
nemmeno che
fossero solo le otto e mezza; voleva mangiare un boccone, infilarsi
il pigiama e dormire undici ore.
Strascicando i piedi
fino alla
camera da letto, inspirò a fondo il familiare odore di
cannella del
suo appartamento; ci viveva ormai da dieci anni, da quando aveva
iniziato l'università, e non l'avrebbe cambiato per niente
al mondo.
Dopo tutto quel tempo, era diventato l'unico posto che potesse
chiamare casa e dove si sentiva totalmente a suo agio. Ogni cosa era
posta esattamente dove e come la voleva lei, anche se un po'
disordinata; e lì, già addormentato nella sua
cesta, c'era il suo
piccolo gattino nero, Masha, l'unico con cui desiderava condividere
l'alloggio.
A dire il vero,
qualcun altro che
voleva venire a vivere con lei esisteva, e c'erano tracce in molti
angoli della casa, tra fotografie e magliette dimenticate.
Masaya Aoyama faceva
parte della
sua vita tanto quanto quell'appartamento; si erano conosciuti i primi
di università, nonostante lei studiasse criminologia e lui
biologia.
Erano stati presentati da amici comuni, ed in due anni la loro
amicizia si era trasformata in una relazione. Masaya era tutto quello
che sua madre adorava: educato, intelligente, gentile, con due
genitori anziani che l'avevano cresciuto con amore ma senza viziarlo
troppo; appassionato di sport e dell'ecologia, sempre in cerca di
nuove fonti alternative non inquinanti e amante degli animali. Andava
d'accordo con la sua famiglia, con le sue amiche, non si dimenticava
mai un appuntamento o un compleanno. A detta degli altri, era l'uomo
perfetto, che Ichigo doveva tenersi assolutamente stretta
perché non
ve ne erano molti così. E lei, per un po', ci aveva creduto.
Ironicamente,
Shirogane era
arrivato durante il loro settimo anno insieme. Non che fosse stata
tutta colpa sua, anzi; Ichigo era stata la prima a mettere dei seri
freni alla loro relazione. Dopo tutto quel tempo, molti si sarebbero
aspettati come minimo la convivenza, e Masaya aveva suggerito la cosa
più di una volta, ma lei era stata irremovibile; oltretutto,
le
risultava già abbastanza difficile nascondergli la sua vera
occupazione senza averlo in giro per casa.
Anche quello era uno
dei fattori
che la illuminavano sul loro rapporto: il suo fidanzato non aveva
idea di che cosa lei facesse davvero, e lei non aveva la minima
intenzione di dirglielo. Sapeva che era sbagliato, e rimaneva molte
volte sveglia a pensare a quanto in realtà lei fosse
egoista, ma era
un'altra di quelle complicazioni da cui non sapeva come uscire.
Masaya era quasi da
sempre una
presenza costante, ed il pensiero di doverlo lasciare andare la
spaventava.
Masha aprì
un occhietto verde
quando la sentì sospirare mentre si infilava il pigiama, e
le
rivolse un lento miagolio.
“Lo
so, lo so,” con in mano un bicchiere di latte ed una fetta di
torta, Ichigo si stese a letto ed accese la televisione
“Qualcosa
farò, non preoccuparti.”
Il gatto
lasciò la sua cesta per
accoccolarsi vicino a lei, che prese ad accarezzargli dolcemente la
testa. Come faceva spesso, decise di mettere da parte ancora per un
po' i suoi problemi personali; almeno finché quella missione
non
fosse conclusa. Quando avrebbe dovuto smettere di fingere di essere
qualcun'altra perché sotto copertura, allora avrebbe smesso
anche di
mentire a se stessa.
§§
La
sala delle riunioni mormorava di pagine sfogliate, sorsi di
caffè e
delle dolci noti provenienti da un cellulare. Era stata un'idea di
Purin quella di mettere un po' di musica in sottofondo, ma dopo solo
tre canzoni un po' troppo heavy
metal
per la loro concentrazione, Minto aveva preso il controllo scegliendo
il più rilassante Chopin.
Non era propriamente
secondo il
regolamento, ma erano chiuse lì dentro dalla mattina e
l'ufficio si
stava lentamente svuotando; la porta chiusa attutiva un po' il suono,
ed il volume era abbastanza basso perché nessuno fosse
disturbato.
“Certo
che così è un po' una noia.”
commentò la biondina,
giocherellando con la matita mentre per l'ennesima volta leggeva un
fascicolo.
Retasu
sorrise senza alzare gli occhi dalla pianta del Pure
Water,
di cui stava memorizzando i dettagli: “Preferiresti le
canzoni
francesi con cui Minto-chan ci aveva minacciato?”
“Guarda
che ti sento, Retasu,” l'ammonì la ragazza in
causa.
L'altra rise, tentando
di
concentrarsi sui disegni davanti a lei ma con la mente da tutt'altra
parte.
Erano ormai due giorni
che
pianificavano l'incursione al locale, prevista per quel sabato, e
Shirogane stava loro con il fiato sul collo, accertandosi che tutto
fosse organizzato nel più insignificante particolare. Non
era la
prima volta, ma questa si prospettava più difficile del
previsto; e
Retasu aveva tutta l'intenzione di parteciparvi.
Non sapeva da dove
spuntasse
tutto quello spirito d'avventura, lei così timida e restia a
mettersi in gioco più del previsto nonostante il grande
altruismo.
Forse finalmente aveva deciso che era tempo di farsi valere davanti
agli occhi di tutti.
Sapeva che le sue
amiche e
colleghe conoscevano il suo valore, e lo stesso faceva Shirogane;
più
di una volta li aveva piacevolmente stupiti con le sue
abilità al
computer e la facilità con cui ricordava cose lette anche
solo una
volta. Se proprio poteva dirlo, ogni tanto le sembrava essere
più
capace persino del suo superiore dai capelli biondi, nonostante il
famigerato quoziente intellettivo maggiore di 180. Tuttavia, fremeva
di poter partecipare ancora più attivamente, invece che solo
dietro
lo schermo di un computer, voleva entrare nel gioco e mostrarsi abile
a tutto tondo.
La spaventava, certo,
ma al tempo
stesso era una spinta a crescere.
“Vi
lascio mezz'ora e qui dentro diventa l'Opera,” Shirogane
entrò in
quel momento, guardandole con un'aria tra il contrariato ed il
divertito.
Zakuro sorrise,
attorcigliando
una lunga ciocca corvina attorno ad un dito: “L'alternativa
era un
concerto metal.”
L'americano scosse la
testa:
“Farò finta di non sapere nulla. A che punto
siete?”
Minto
sfogliò le pagine gialle di un blocco per gli appunti,
contando
sulle dita: “Taruto sta finendo di procurarci tutto il
necessario,
soprattutto telecamere ad alta risoluzione da aggiungere a quelle del
locale. La squadra tecnica è pronta a sistemarle domani, ma
bisogna
che tu chiami il capo del Pure
ed usi la tua voce grossa per essere certi che vada tutto bene. Un
paio di ragazzi della squadra kappa
si sono offerti di lavorare insieme ai buttafuori per assicurarsi che
tutto sia a posto. Le mappe sono memorizzate e caricate sul computer,
Ichigo ha già dato disposizione per i documenti falsi. Manca
solo la
parte più importante, ovvero il piano.”
“Dobbiamo
solo decidere chi dovrà avvicinare i soggetti,”
Ryo passò lo
sguardo su ognuna di loro “Cosa dite?”
Retasu fece un respiro
profondo,
tossicchiando, ed alzò la mano: “Ehm, io... io
vorrei farlo.”
Cinque paia di occhi
curiosi si
spostarono su di lei, poi le ragazze le sorrisero incoraggianti.
“E'
un po' che volevo, uhm, lavorare in attivo sul campo, e
quindi...”
aggiunse intimidita.
“D'accordo
allora,” anche Shirogane le sorrise, e lei arrossì
piacevolmente
“Sono più che sicuro che farai un ottimo lavoro,
Retasu.”
Inarcò
un sopracciglio verso le altre quattro: “Volete che ci vada
io in
drag?”
“Oh,
non me lo perderei per niente al mondo,” commentò
sarcastica Minto
con un sorrisetto cattivo “Andrò io con
Retasu-chan. Conosco il
locale, sarà più facile.”
“E'
sempre un onore vederti prendere l'iniziativa, Minto,”
replicò di
rimando il biondo “Finiamola qua, per oggi, e andate a casa.
Ci
vediamo domani.”
“Sarai
bravissima, Retasu!” Purin le circondò le spalle
con un saltello,
facendole cedere un po' le ginocchia, una volta che furono uscite
dalla sala “Non vedo l'ora!”
La ragazza sorrise, sentendosi
molto più leggera dopo l'evidente supporto dell'intera
squadra.
Raccolse le sue cose, lanciò un'ultima occhiata a Shirogane
che
dall'uscio della sala sembrava osservarle tutte, e si avviò
con
Purin e Zakuro verso l'ascensore.
Beh,
state aggiornando tutti, quindi aggiorno anche io :D Anche se il
capitolo terzo non è finito, il quarto è appena
abbozzato, e il quinto ha solo il titolo e via dicendo (LOL). Ma in
questo momento non posso pensare ad altro che la tesi, che deve essere
completata, stampata e impacchettata - spero di essere libera tra una
settimana al massimo, e dopo proverò a scrivere qualcosa :)
Lo so che questo capitolo è molto corto, però
è estremamente
rivelatore.
Minto: Ichigo che se la fa col capo, sai che novità...
Oh, vabbè, insomma, mi conoscete! xD La parte in corsivo,
giusto per chiarire, è un flashback; il titolo viene
dall'Amleto, atto III, Scena Uno.
Grazie a tutti coloro che hanno commentato e seguito/favorito, siete
troppo grandi :)
Bacioni, à
bientôt!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** How many secrets can you keep? ***
Capitolo
tre: How many secrets can you keep?
Purin
adorava la palestra dell'Agenzia, era senza dubbio il suo posto
preferito nell'intero grattacielo.
Era
fornita di tutto il necessario, compresi anelli e sbarre da cui lei
poteva dondolare senza problemi mentre le sue amiche preferivano un
allenamento più convenzionale.
“Mi
stai facendo venire la nausea,” rise Ichigo, le guance rosse dal
tapis-roulant, mentre la osservava agganciata a testa in giù ad una
sbarra con solo la forza delle gambe.
“E'
un esercizio perfetto,” replicò la biondina, tirandosi su e poi
alzandosi in piedi in equilibrio che alla rossa sembrava un po'
precario “Ed è molto più divertente che correre senza una meta.”
Zakuro,
impegnata a sollevare dei pesi, lanciò un'occhiata all'orologio a
muro: “Tra un quarto d'ora ci aspettano al poligono, è meglio
andare.”
“Possibile
che prima di ogni missione Shirogane si impunti con il misurarci la
mira?” si lamentò Minto, asciugandosi il collo con un asciugamano
“Già abbiamo il test ogni anno, cosa vuole di più!”
Retasu
sorrise: “Lo sai che è il suo modo di tranquillizzarsi.”
La
mora si strinse nelle spalle: “Immagino che riempire di pallottole
una sagoma di cartone riesca a sciogliere la tensione.”
Mentre
entravano nello stanzone perennemente odorante di polvere da sparo,
si avvicinò ad Ichigo e le sussurrò qualcosa all'orecchio che le
fece guadagnare un'occhiataccia.
“Guarda
che ti ho sentita,” Shirogane le passò a fianco, una cartelletta
in mano e l'impeccabile completo nero anche lì. “Chi vuole
iniziare?”
Minto,
ancora con un sopracciglio alzato, ribatté al suo solito: “Buon
pomeriggio anche a te, Shirogane-kun. È sempre una gioia vederti.”
L'americano
la ignorò del tutto, facendo un cenno del capo a Zakuro: “Inizia
tu, per cortesia.”
Ben
presto, il poligono si riempì del rumore assordante degli spari,
attutito dalle grandi cuffie che tutti indossavano; le ragazze
sparavano, e Ryo teneva il conto dei punteggi.
Minto,
giusto per montarle ancora un po' di più la testa, aveva una mira
quasi perfetta ed uno dei risultati più alti di tutto il
dipartimento; la velocità e la precisione con cui riusciva a vuotare
un caricatore le permettevano di coprire spesso le compagne durante
le missioni.
Oppure
di finire molto in fretta e poter tornare a disturbare Shirogane con
del non richiesto sarcasmo.
Annotato
l'ultimo punteggio di Ichigo, l'americano osservò la cartella: “Se
faceste questi numeri anche nelle prove fisiche, potrei iscrivervi
alle prossime olimpiadi.”
Purin
sghignazzò, intrecciando le mani sopra la testa per scrocchiarsi la
schiena: “Ora sei più tranquillo, capo? Pensi che sappiamo badare
a noi stesse?”
“Oh,
ne sono certo,” rispose lui annuendo “Peccato che molto spesso
non vogliate.”
“Possiamo
andare ora?” lo incalzò la biondina, lanciando un'occhiata veloce
all'orologio appeso alla parete che segnava ormai le quattro e mezza.
“Vai
da Taruto, Purin, vai.”
“Grazie!
A domani!”
In
un lampo, la biondina era corsa lungo il corridoio che portava agli
spogliatoi.
“Allora
andiamo anche noi,” con uno guardo a Zakuro e Retasu, Minto fece un
gesto verso Ichigo e Ryo “Ci vediamo domani.”
“Ciao,
Aizawa.” la liquidò glaciale il ragazzo mentre la rossa
ridacchiava di nascosto, intenta a sistemare nelle custodie le varie
pistole.
Rimasti
soli, e premurandosi che non ci fossero altri nei paraggi, Ryo le si
avvicinò, avvolgendole le braccia intorno alla vita e sfiorandole il
collo con il naso: “Lo so che oggi è solo giovedì,” sussurrò
“Ma sabato c'è la missione e so che detesti essere... distratta
la sera prima, quindi pensavo...”
Ichigo
sospirò, voltandosi verso di lui: “Non posso, ho già detto ad
Aoyama-kun che ci saremmo visti...”
“Pensavo
vi foste visti ieri sera.”
“Sì,
ma...”
“Dammit,
Ichigo,”
Ryo si scostò da lei, passandosi una mano tra i capelli biondi “Sono
mesi che va avanti questa storia.”
“Lo
so, ma...”
“Lo
ami ancora?” Shirogane fece un passo avanti.
“Lo
conosco da anni, Ryo, ed in qualche modo fa parte della mia
copertura.”
“Non
è quello che ti ho chiesto.” insistette lui a denti stretti.
Ichigo
si morse il labbro, evitando il suo sguardo: E'... complicato...
stiamo insieme da così tanto...”
“E
non sa nemmeno quale sia il tuo lavoro, la tua vera vita!”
La
rossa arretrò, sbattendo contro il bordo dei divisori di ogni
postazione, presa alla sprovvista da quell'urlo: “Ryo, non...”
“Per
te questo non è complicato, allora? O ti fa comodo portarti a letto
il capo ed avere il fidanzato perfetto che ti aspetta a casa?”
“Lo
sapevi che non sarebbe potuto essere tutto così semplice!”
“Non
è comunque una giustificazione, Ichigo.”
“Ryo,
ascolta, lui...” lei prese un respiro profondo “Masaya mi ha
chiesto di sposarlo.”
Avevano
cenato con il cibo del ristorante indiano preferito da Ichigo, con
una buona bottiglia di rosso che di solito riservavano per cene
importanti, ed ora lei stava lavando i piatti mentre della musica
jazz suonava in sottofondo.
“Lo
so che questi ultimi mesi sono stati difficili,” iniziò
all'improvviso Masaya “E credo di sapere il perché.”
Ichigo
si irrigidì impercettibilmente, quasi le scappò il piatto
insaponato di mano: “Ah sì?”
Lui
annuì, cercando di accarezzare Masha il quale gli rivolse
un'occhiata indifferente:“Sì. In fondo, stiamo insieme da tanto
tempo ed è normale che le cose cambino, che si abbiano nuove
aspettative. Forse avrei dovuto capirlo prima.”
La
rossa appoggiò il piatto sul ripiano, facendo un respiro profondo:
“Aoyama-kun, io-”
“No,
non dire niente, Ichigo,” la interruppe alzandosi in piedi “In
parte è stata anche colpa mia. Avrei dovuto pensarci prima.”
Lei
corrugò le sopracciglia, ma rimase zitta ad osservarlo mentre le si
avvicinava.
“Dopo
tutto questo tempo, non era possibile aspettare oltre, Ichigo, e
posso capire che tu ti possa sentire un po' delusa. Ma ora non ce n'è
più bisogno.”
Le
prese la mano e si inginocchiò mentre lei sgranava gli occhi,
comprendendo.
“Ichigo,
vuoi sposarmi?”
Fu
come se la temperatura nella stanza fosse calata all'improvviso di
dieci gradi. Shirogane la fissò inespressivo, espirando lentamente.
“E
cosa gli avresti risposto, di grazia?”
Ichigo
allargò le braccia: “Stiamo insieme da otto anni, Ryo, cosa dovrei
dirgli?”
“Che
sono sei mesi che ti scopi il capo, ecco cosa!” gridò lui.
“Ryo...”
“Cosa?”
si voltò rabbioso verso di lei “Vieni da me, mi dici che mi ami, e
poi decidi di sposarti un altro a cui non dici la verità da anni?”
La
rossa fece per aprire la bocca, ma lui la interruppe di nuovo
aggressivamente: “Cristo Santo, Ichigo, ti rendi conto che potrei
mandare a puttane tutta la mia carriera?”
Lei
abbassò gli occhi: “Nessuno te l'ha mai chiesto...”
Le
labbra di Shirogane si appiattirono in una linea secca. “Nessuno me
l'ha mai chiesto.” ripeté incredulo.
Si
passò una mano tra i capelli, espirando lentamente. Le lanciò
un'occhiata furente, e senza aggiungere altro, se ne andò.
§§
Il
mattino dopo, Zakuro avrebbe voluto essere da tutt'altra parte. La
tensione di Shirogane era palpabile, e metterlo di cattivo umore non
era mai una scelta saggia.
Lei
e le altre avevano sentito, dagli spogliatoi, le urla della litigata
del pomeriggio precedente; ed anche se non erano state in grado di
cogliere ogni parola detta, non era poi molto difficile indovinare di
cosa si trattasse.
Lanciò
uno sguardo al biondo, intento a mostrare loro una presentazione con
tutte le fasi del piano che si sarebbe attuato il giorno successivo.
Ad un occhio esperto come il suo, che conosceva le movenze del
ragazzo, non poteva sfuggire la rabbia che sembrava fargli vibrare i
muscoli. Aveva la mascella tesa, la mano destra che stringeva così
forte il pennarello della lavagna da fargli diventare bianche le
nocche, l'altra che ritmicamente passava tra i capelli, gli occhi che
facevano di tutto per evitare la rossa seduta al tavolo.
L'ex
modella sospirò. Non ce l'aveva con Ichigo, assolutamente; ma non
sarebbe potuto capitare in un momento peggiore.
“Retasu,
Minto, voi dovrete attirare la loro attenzione,” sentenziò
Shirogane “Cercate di non esagerare, non voglio dovervi venire a
salvare da ubriachi vogliosi. Purin, tu lavorerai dalla pista da
ballo, voglio che osservi dall'alto quindi per favore, anche tu non
scatenarti troppo. Zakuro ed Ichigo, a voi tocca il bar. Osservazione
da dentro la sala ed eventuale supporto.”
“Perché
a noi il lavoro noioso e faticoso?” si lamentò la rossa,
incrociando le braccia al petto.
Ryo
continuò imperterrito a non guardarla, cambiando slide sullo
schermo: “Con due relazioni già in attivo, volevamo risparmiarti
la fatica di sedurre anche un terzo.”
Lei
chiuse la bocca, arrossendo notevolmente ed abbassando lo sguardo
mortificata; Zakuro si schiarì la gola, interrompendo il silenzio di
disagio che era calato. “A che ora inizia l'operazione?”
“Tu
e Ichigo inizierete il turno delle dieci, Purin quello delle undici.
Minto e Retasu, non arrivate dopo le undici e mezza. I soggetti si
presentano di solito per quell'ora.”
“Sì,
mi piace questa missione, non andiamo a ballare da anni,” commentò
allegramente Purin per smorzare la tensione.
Ryo
abbozzò ad un sorriso: “Ricordatevi che siete sotto copertura, per
favore.”
“Non
devi dirci come fare il nostro lavoro, Shirogane.” sibilò Ichigo
furente “Se è tutto, possiamo andare?”
Con
un cenno della testa, l'americano le congedò, e le ragazze tornarono
nel loro ufficio.
“Devi
smetterla di litigare con Shirogane, Ichigo, altrimenti diventa
ancora più insopportabile del solito.” commentò acidamente Minto.
La
rossa non le rispose, sbattendo con violenza il cassetto e riempiendo
la borsa con rabbia.
Zakuro
le si avvicinò lentamente, sedendosi a bordo del tavolo: “Non mi
farei i fatti vostri se non fosse prima di una missione, ma forse
dovresti parlargli, Ichigo-chan.”
Lei
scosse la testa: “Ha oltrepassato il limite, Zakuro-san. Può
pensare quello che vuole in privato, ma non può permettersi di
trattarmi così al lavoro.”
“Non
gli sto dando ragione, infatti. Ma stasera abbiamo un lavoro
importante da fare.”
“Lo
so, e ti prometto che non ne sarò influenzata.” le rivolse un
sorriso tentennante, sistemandosi la borsa a tracolla “Ora vado, se
avete bisogno di qualcosa, chiamatemi.”
Retasu
fece per alzarsi e seguirla, ma Zakuro scosse la testa. Invece, dopo
qualche minuto, si incamminò convinta verso l'ufficio di Ryo.
“Fujiwara,
no.” Lui non aveva nemmeno alzato la testa quando aveva sentito la
porta aprirsi e chiudersi; si conoscevano abbastanza bene da sapere
quando l'altro sarebbe arrivato. “Non ho voglia di parlarne, non è
pertinente all'ambiente lavorativo, abbiamo un sacco di cose di cui
occuparci e sì,
d'accordo, ho detto una cosa da stronzo ma, no, non me ne pento. Non
ora, almeno.”
“Allora
quando dovrei dirti che te
l'avevo detto?”
L'occhiataccia
che le fu rivolta non bastò a fermarla.
“Ryo,
ti rendi conto che domani
dovremo affrontare una delle missioni più importanti e complicate
che ci capiteranno, sotto
copertura in
un locale pieno di gente?” lo guardò da sotto la frangia di
capelli scuri “Ed io
non ho intenzione di giocarmi la carriera perché tu ed Ichigo ancora
non avete capito che bisogna separare piacere e lavoro.”
“Non
mi pare di averti chiesto un consiglio.” replicò gelido Shirogane.
“Infatti
non te lo sto dando.” Zakuro incrociò le braccia al petto “Voglio
bene a Ichigo, ma ogni tanto lei non... non pensa alle conseguenze
delle sue azioni. Tu, invece, dovresti.”
“Non
tirare la corda, Fujiwara-san.” l'improvviso cambio di tono la fece
sussultare “Possiamo anche essere in ottimi rapporti, ma sono
sempre il tuo capo. E ti ho detto che questa conversazione non è da
affrontare in ufficio. Se sei amica di Ichigo, benissimo, parlane con
lei, davanti ad un caffè.”
La ragazza
sospirò:
“Shirogane-kun, senti-”
“Vieni a fare
la predica a
me per il bene della tua amica e della missione, o così che tu possa
sentirti in pace con te stessa?” Ryo si alzò, incattivito,
guardandola con uno sguardo di ghiaccio “Fai fare a me la parte del
cattivo, ti fa sentire meglio, visto che tu e Ichigo avete fatto la
stessa, identica
cosa?
La
grande, inossidabile Zakuro non è poi così perfetta, in fondo.”
Fece
un altro respiro, senza riuscire a fermare la lingua tagliente: “Devo
inoltre complimentarmi per la professionalità che tanto mi
rimproveri di non avere e di cui ti fai paladina, sei davvero brava a
essere precisa e distaccata con Keiichiro dopo averlo usato come
botta e via per uscire da un matrimonio che ti annoiava. Immagino che
tu e la tua amica abbiate un debole per le autorità.”
Zakuro
stava richiamando tutte le sue abilità imparate davanti ad una
macchina fotografica per mantenere il contegno ed evitare di tirargli
un ceffone che entrambi, sapeva, avrebbero rimpianto; tremava fino
alla punta dei piedi, e fu con voce rotta che gli disse, prima di
uscire: “Ora chiediti perché Ichigo lascia che tu sia solo
l'altro.”
§§
Ichigo
si rigirò nel letto per l'ennesima volta. Tra i rumori di quel
venerdì sera, l'operazione il giorno seguente, e Ryo e Masaya,
sapeva che non sarebbe riuscita a prendere sonno molto presto.
Sospirò,
decidendosi ad accendere la luce e ad arraffare il libro che stava
sul comodino da ormai molti mesi. Riuscì a leggere solo qualche
parola prima che la sua mente iniziasse a vagare altrove.
Litigare con
Shirogane non
era certo un'esperienza nuova; avevano bisticciato dal primo momento
in cui si erano ritrovati a lavorare insieme, entrambi ostinati e
testardi e pronti a difendere a spada tratta le proprie posizioni.
Però, ovviamente, non c'era mai stata tra di loro un'escalation
del genere.
Aveva
visto un lato dell'americano che difficilmente veniva allo scoperto.
Sapeva che era geloso, come poteva non esserlo, e sapeva anche di non
potersi dire nel giusto – ma sapeva anche che, in quel momento, non
era in grado di poter prendere decisioni così drastiche.
Accarezzò
il pelo morbido di Masha, acciambellato vicino a lei e addormentato
da molto. Il suo respiro ritmico e profondo la rilassava,
permettendole di pensare più liberamente.
Avrebbe
dovuto riposare, prepararsi per la serata successiva che si sarebbe
sicuramente rivelata impegnativa, ma poteva solo pensare a quel viso
dai lineamenti distorti per la rabbia e il disappunto.
Il
ronzio prepotente del cellulare la fece sobbalzare; era il numero
riservato, quello che soltanto le ragazze e pochi colleghi
dell'agenzia avevano. Quello che, se stava suonando a quell'ora,
aveva un significato preciso.
Ichigo rise sotto
le dita
agili che le facevano il solletico, avvolgendosi ancora di più nel
lenzuolo fino a che quasi non poteva muovere le gambe.
“Ti puoi scordare le
miei chiavi di casa. Le ho solo io, e non ho intenzione di cambiare
idea.”
Ryo le baciò una
clavicola,guardandola con quei suoi occhi pungenti: “Solo tu?”
“E' ovvio,” rispose
lei “Segretezza e sicurezza sono le priorità numero uno. Non posso
rischiare che si possa trovare qualcosa mentre io non ci sono.”
-O che qualcuno
entri
quando qui c'è qualcun altro,- si disse tra sé e sé.
Il ragazzo annuì:
“E
se io non volessi fissare i nostri appuntamenti con settimane di
anticipo, ma venirti a trovare quando voglio?”
Ichigo si morse
un
labbro, scostandogli i capelli biondi bagnati di sudore dalla fronte.
“Dovresti comunque dirmelo prima.”
“Facciamo così,” Ryo
le lasciò un bacio sulla punta del naso e afferrò il cellulare sul
comodino “Quando vorrò stare con te, di sera, ti chiamerò. Se
risponderai dopo quattro squilli, vuol dire che posso salire.
Altrimenti, vorrà dire che... c'è lui.”
Con un
gesto quasi automatico, agguantò il telefono da sotto le coperte in
cui era sepolto e pigiò sull'icona della cornetta verde, senza
parlare. Non sapeva nemmeno cosa dire, in realtà, ma lanciò le
gambe giù dal letto e si diresse verso la porta, aspettando di
sentire i leggeri bussi per aprire quella principale.
L'aria
fresca della sera che saliva dalle scale del condominio non coprì
l'odore di alcol che veniva da Shirogane; non che la faccia sfatta e
gli occhi persi potessero dimostrare il contrario.
“Ho
litigato con Zakuro,” si lamentò il biondo con voce strascicata
non appena la vide, appoggiandosi con una spalla allo stipite della
porta “E lo sai quant'è difficile litigare con lei, dovresti
sentirti almeno un po' in colpa per me.”
Lei
si morse la guancia per fermare il sorrisetto che sentiva nascerle
sulle labbra.
“Sei
ubriaco,” osservò a braccia incrociate.
Shirogane
annuì: “Non hai risposto alla mia domanda di ieri, sai?”
Ichigo
corrugò la fronte: “Quale?”
Lui
abbozzò un sorriso, facendo un cenno verso la sua mano: “No
sparkling diamond.”
Lei
intrecciò le dita dietro la schiena, sospirando. “Ci sto...
pensando.”
Ryo
le si avvicinò, inclinandosi verso di lei:“Tell
me that you turned down the man who asked for your hand 'cause you're
waiting for me.”
le canticchiò sussurrando all'orecchio.
“Sono
le tre del mattino, Ryo.”
“And
I'm trying to change your mind,”
intonò lui ancora, con una risata.
Ichigo
gli mise una mano sul petto, allontanandolo quanto bastava per
poterlo scrutare in volto: “Lo sai cosa mi stai chiedendo, vero?”
Il
biondo annuì, sistemandole due ciocche dietro le orecchie per poi
appoggiarle i palmi sulle guance: “Ti sto chiedendo di fronteggiare
il tuo egoismo, mia dolce Ichigo,” sfregò la punta del naso contro
il suo “Ci vorresti tutti e due, ma non puoi. Uh-uh,
you can't.
E lo sai che vuoi me, don't
you?”
Lei
deglutì, le mani strette a pugno lungo i fianchi e le ginocchia
molli, come al solito, sotto il suo sguardo di ghiaccio.
“Non
gli hai detto di sì, darling,
non potresti perché sai che sarebbe sbagliato costruire ancora
qualcosa su fondamenta di bugie. Ma sei così buona che non vuoi
neanche ferirlo, anche se sai che stai sbagliando. A volte mi chiedo
se davvero il tuo egoismo non si tramuti anche in altruismo, in
a strange turn of things.”
Ichigo
era allibita dalle capacità oratorie di Shirogane anche sotto
l'effetto di alcol, stupita da quanto potesse comprenderla anche se a
malapena riusciva a stare dritto. Poi, l'incantesimo si spezzò e
Ryo, appoggiò la fronte alla sua spalla, costringendola a
circondarlo con le braccia per trattenerne il peso, e ridendo iniziò
nuovamente a cantare: “I
can show you the world, shining, shimmering, splendid...”
Le
ci volle qualche secondo per riconoscere cosa stesse blaterando, e
quando vi riuscì, non poté trattenersi dallo scoppiare a ridere.
Lo
avrebbe fatto di nuovo, si disse; almeno per quella sera, per quella
notte prima di cose importanti, non avrebbe pensato, non poteva. A
entrambi serviva serenità e poi, passata la tempesta, avrebbe fatto
i conti con le sue scelte.
Eccociiiiiiiii :) Scusate il
ritardo, ma ero presa dall'euforia delle vacanze, e se il blocco dello
scrittore non mi assale ogni due capitoli, non è contento.
Sarò OOC, sarà IC? Ho un po' calcato la mano, devo ammetterlo (sarà il
caldo asfissiante). Prometto che dal prossimo capitolo ci saranno meno
drammi sentimentali (Ichigo-centrici) xD Anche se in realtà scrivere di
Ryo incazzoso è molto divertente ^_^
Il titolo viene da Do I
Wanna Know? degli Arctic Monkeys; ci sono altre tre
canzoni nel discorso di Shirogane, vediamo se le indovinate
;) Anzi, chi le indovina vince uno spoiler, ma non vale usare Google!
*risata malefica*. Se nessuno ci becca e volete sapere le risposte,
cliccate qua
(palese autopromozione, ma c'esta
la vie xD).
A presto, grazie a chi legge, segue, e commenta (soprattutto chi
commenta, perché mi date davvero la carica!)
Bacioni e buone vacanze a tutte!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** I bet you look good on the dance floor ***
Capitolo
quattro: I bet you look good on the dance floor
Minto
si ripassò il rossetto davanti allo specchio, facendo schioccare le
labbra una volta per assicurarsi che fosse perfetto. Si ravvivò poi
i capelli, lasciati sciolti in morbide onde che le incorniciavano il
volto, stando attenta a fare in modo che le coprissero le orecchie.
Si fidava di Taruto e dei suoi congegni, ma le precauzioni non
potevano mai essere troppe.
Il
laboratorio delle munizioni profumava stranamente di borotalco, il
che faceva presupporre alle ragazze che Taruto avesse provato uno dei
suoi esperimenti che molto spesso risultavano in un botto.
Il
ragazzo, che sembrava troppo giovane per tutto quello che riusciva a
fare, stava presentando loro tutto quello che avrebbero utilizzato
per la missione di sabato. Dire che Retasu era strabiliata era poco;
non aveva mai immaginato
che potessero arrivare a ottenere risultati di quel genere.
“Questi
sono gli ultimi auricolari ergonomici testati,” spiegò Taruto,
mostrando loro dei curiosi oggettini color carne “Sono praticamente
invisibili, e li abbiamo modellati sulla forma precisa del vostro
orecchio, così da garantire la migliore attaccatura possibile. Non
si vedono e non si staccano, ed è come se il vostro interlocutore
sia a due centimetri da voi.”
Li
poggiò cauto su un ripiano di metallo, prendendo le due pochette
nere che aveva richiesto a Minto e Retasu. Picchiettò leggero sulle
fibbie a forma di fiore: “Qui abbiamo inserito una telecamera che
possa riprendere i vostri dintorni, non si sa mai che possa tornare
utile per qualche particolare.”
Riposte
le borsette, mostrò loro dei piccoli microfoni che, spiegò
arrossendo, sarebbero stati meglio sistemati “dove, uh, non si
sarebbero visti e ehm, avrebbero consentito il miglior suono.”
“Puoi
dire reggiseno, Taruto-chan”, intervenne sarcastica Minto, il viso
appoggiato alla mano “Non ti mangiamo, promesso.”
Arrossendo
ancora di più, e con Ryo che borbottava qualcosa contro la ragazza
tra le risate delle altre, il giovane tecnico prese una scatolina che
sembrava contenere tanti piccoli bottoni chiari.
“Queste
sono i nuovi prototipi di cimici che dovrete mettere sui nostri
soggetti. Sono studiate per essere il meno invasive possibili, ma
state comunque attente a dove le piazzate.”
“Come
sei bravo, Taru-Taru,”gongolò Purin, abbracciandolo di scatto e
schioccandogli un sonoro bacio sulla guancia “Senza di te il nostro
lavoro sarebbe venti volte più difficile.”
“Be',
sì, uhm...” lanciò un'occhiata nervosa a Shirogane, che stava
facendo finta di niente sfogliando ancora una volta i suoi appunti
“Ecco, è tutto direi.”
“Andiamo?”
La voce tesa di Retasu
distolse
Minto dai ricordi di due mattine precedenti, e guardando l'amica
attraverso lo specchio annuì. “Fammi solo chiamare il taxi.”
Retasu strinse nervosamente la
borsetta; non avere gli occhiali era una delle cose che più la
mettevano a disagio e la facevano sentire scoperta. Lo stretto tubino
nero senza spalline, tra l'altro, non era decisamente uno dei capi
d'abbigliamento che lei avrebbe normalmente indossato, mentre non era
stata stupita che fosse stato pescato dall'armadio di Ichigo. Eppure,
non poteva negare che le negasse, insieme ai tacchi non troppo alti e
al perfetto trucco che Zakuro le aveva fatto. Per una volta, si
sentiva insieme diversa e simile alle altre ragazze che vedeva in
giro; si sentiva, a modo suo, pronta.
Arrotolandosi uno dei boccoli,
lasciati sciolti per quell'occasione, attorno al dito, sorrise a
Minto che le fece segno verso la porta.
“E'
ora di andare.”
La
corsa in taxi fu breve, costellata dalle luci che sfrecciavano veloci
accanto a loro. A poca distanza dal Pure
Water,
accesero microfoni e auricolari.
“Shirogaaaaane,”
trillò la mora, facendo finta di parlare al cellulare per non dare
nell'occhio con l'autista “Stiamo arrivando.”
«Bene»,
la voce del capo arrivò forte e chiara alle orecchie di entrambe «Io
e Taruto siamo appena fuori, nel parcheggio delle limousine.»
Retasu
sgranò gli occhi: “Il dipartimento vi ha dato una limo?”
«Il
solito furgone sarebbe stato un po' troppo sospettoso qui davanti,
non credi?»
“Sono
curiosa di sapere come avete fatto a incastrare tutta l'attrezzatura
lì dentro,” ridacchiò Minto, ricontrollandosi l'ultima volta
nello specchietto “Siamo arrivate, scendiamo.”
«Vi
vediamo,» Shirogane,
da dentro la lunga auto nera, controllò i diversi schermi che
Taruto, in qualche modo sconosciuto perfino a lui, era riuscito a
sistemare, attaccandoli ad un piccolo generatore portatile che gli
aveva garantito avrebbe resistito fino alla fine della serata. Il
giovane tecnico era seduto accanto a lui, munito anch'egli di cuffie,
e digitava veloce sulla tastiera principale per tenere sotto
controllo ogni telecamera ed ogni apparecchiatura.
Minto
e Retasu si misero in fila, già calate nella parte; uno dei
buttafuori di quella sera era uno dei loro, e le fece passare senza
problemi dopo pochi minuti.
Il
locale era già colmo di gente, nonostante fossero solo le undici e
un quarto, caldo e odoroso di alcol e sudore.
«Purin
è alla vostra sinistra,»
esclamò
Ryo, ed entrambe si voltarono per osservare la piattaforma rialzata e
dotata di pali, sulla quale stavano ballando circa sei ragazze. «E'
quella con la parrucca rosa...»
Il
tono esasperato del loro capo non riuscì a coprire la risatina
lontana di Taruto; ma le altre ballerine avevano altrettanti colori
altamente improbabile, che la sorridente ragazza in rosa non attirava
più di tanto l'attenzione.
Dopo
aver fatto una piroetta attaccata con una mano ad uno dei pali,
strizzò l'occhiolino verso le due colleghe, come segno che le aveva
riconosciute: «Vi
controllo io dall'alto,»
esclamò divertita «E
questo posto è una figata, capo, però dovrebbero pagarmi per tutta
la fatica che sto facendo!»
«Purin,
stai zitta, per favore, le altre ballerine non parlano», la
riprese il biondo, il cui tono stizzito, tipico di quando era
profondamente concentrato e in agitazione, le rimise tutte subito in
riga.
Le
due ragazze si avviarono, spingendo tra la calca, verso il lungo
bancone del bar, illuminato da una luce violetta che si rifletteva in
modo strano sugli specchi che gli facevano da parete posteriore e sui
quali erano posizionati tanti scaffali di vetro ricolmi di bottiglie.
Bastò
loro una veloce occhiata per trovare le ultime due componenti del
gruppo che, vicine, si davano da fare come se fossero state delle
vere bariste. I vistosi capelli rossi di Ichigo erano stati nascosti
sotto una parrucca a caschetto marrone; Zakuro, invece, portava una
bandana sopra la lunga coda di cavallo liscia.
“Come
sta andando?” gridò Retasu, cercando di sovrastare la musica.
Ichigo
lanciò loro un'occhiataccia, asciugandosi la fronte con il polso:
“Io sto lavorando sul
serio.
Come faccio a tenervi d'occhio con tutto questo casino?”
“Un
aiuto in più arriverà tra poco, non preoccuparti,” le rispose
Zakuro “Piuttosto, state attente, sono quasi le undici e mezza.”
“Questa
parrucca pizzica. E i clienti continuano a guardarmi giù per la
scollatura e a farmi facce strane.”
“Almeno
non devi sedurne nessuno...” borbottò sottovoce Retasu.
“Mozione
per un aumento, Shirogane.”
Poterono
quasi sentire l'americano alzare gli occhi al cielo mentre esalava:
«Ichigo, sii seria.»
“Sono
serissima. Al prossimo che mi chiama tesoro, mi licenzio.”
Anche
Zakuro sorrise, allungando l'ennesimo drink ad un ragazzo dall'aria
già euforica: “Le nuove telecamere installate funzionano bene?”
«Certo
che sì, le ho controllate io,»
Taruto intervenne per la prima volta, con tono fiero «Il
fumo e le luci sono comunque una noia, ma almeno adesso abbiamo una
risoluzione più alta e non dobbiamo giocare a
Indovina-Chi-E'-Questo-Pixel,
e possiamo
controllare a 360 gradi.»
“Sono
anche nei privé al piano di sopra?” domandò Minto, giocherellando
con una delle cannucce rosse.
«Ovvio,
non potevamo lasciarlo scoperto. Spero che ci ripaghino tutti questi
miglioramenti, abbiamo risistemato il locale.»
Le
quattro ragazze risero, con le due al bancone che non smettevano di
lavorare. Avevano allungato due bicchieri di limonata alle altre,
giusto per continuare a non dare nell'occhio visto quanto si stavano
trattenendo al bar. Retasu controllò l'ennesima volta l'orologio che
portava al polso: ormai era arrivata l'ora in cui si erano sempre
presentati i motivi per cui erano lì.
Proverbialmente,
la voce di Shirogane borbottò in quel momento nel loro orecchio:
«Target
acquired.»
Minto
alzò gli occhi al cielo, e insieme a Retasu si voltò verso
l'entrata; tra il gruppo di gente che aveva ottenuto l'autorizzazione
ad entrare, si distinguevano bene i due soggetti interessati.
“Ah
però,” commentò la mora “Sono meglio che in foto.”
Diede
una leggera gomitata alla compagna, rimasta un po' intontita dalla
improvvisa realizzazione che fosse il momento di darsi davvero da
fare. “Io prendo quello più basso,” esclamò con una risatina.
Poi
si rivolse ancora ad Ichigo, facendo scivolare il bicchiere sul
bancone appiccicaticcio: “Pensi
di riempirmi di vero alcol quel bicchiere o cosa?”
La
rossa la guardò severa: “Posso ricordarti che sei in servizio?”
Minto
sbuffò: “Devo essere convincente.
Se devo fingere di essere un po' ubriaca, non posso andare là
profumando di dentifricio alla menta, non credi? E poi serve del
coraggio liquido.”
«Minto.»
giunse alle orecchie il monito di Ryo.
“Oh,
non rovinarmi il divertimento, Shirogane.” la mora afferrò il
cocktail rosato che l'amica le aveva preparato, prendendone due
lunghi sorsi.
Il
familiare pizzicore che le bruciò la gola le tinse le guance, e lei
sorrise a Retasu, molto più cauta invece con il suo bicchiere.
“Cosa
facciamo adesso?” domandò quest'ultima.
Prendendo
un altro sorso dal bicchiere, Minto arrischiò a lanciare un'occhiata
verso Pai Hayashi e Kisshu Fukazawa, a bordo pista e intenti a,
sembrava, salutare qualcuno di conosciuto.
“Non
possiamo andargli subito addosso, sarebbe troppo sospettoso,”
esclamò all'orecchio dell'amica “Shirogane, ci serve il tuo
aiuto.”
«Ma
dai?»
Ignorando
il sarcasmo, continuò: “Noi adesso andiamo a ballare; io darò
loro le spalle, Shirogane-kun dovrà dirci più o meno dove si
trovano così che possiamo spostarci verso di loro senza dare
nell'occhio. Tieni stretta la borsetta e lasciati andare, d'accordo,
Retasu-chan?”
Lei
annuì: “E poi?”
Minto
sorrise: “Poi improvvisiamo.”
Prese
la mano dell'amica dagli occhi blu e la condusse in mezzo alla calca
di gente, muovendosi senza problemi a ritmo di musica sui tacchi
alti.
«Purin,
dimmi se li vedi.»
La
biondina rispose subito al comando dell'americano attaccandosi
agilmente ad uno dei pali per essere ancora più in alto e lanciando
una veloce occhiata alla massa: “Sono all'angolo esterno della
pista, sembra che stiano entrando.”
«Sono
coperti dalla due, capo.» aggiunse
Taruto.
Retasu
guardò velocemente davanti a sé, ondeggiando da una parte e
dall'altra, lasciando che fosse guidata dalla musica mentre Minto le
sorrideva incoraggiante. Non le facevano troppo piacere le decine di
corpi che puntualmente si strusciavano contro di lei per passare, la
spingevano o si attaccavano troppo, ma era il prezzo che sapeva
avrebbe dovuto pagare... e non era poi così male.
Nella
canzone che seguì, arrivò a metà del suo drink mentre continuava
lentamente ad avanzare verso il centro della pista; era più alta di
Minto anche con i tacchi più bassi dei suoi, perciò riusciva a
guidarla meglio grazie anche alle indicazioni di Shirogane.
«Siete
vicine,» mormorò
l'americano in quel momento, stupendola di quanto chiaramente potesse
sentire la sua voce nonostante il volume sempre più alto della
musica.
“You
better move, you better dance,”
cantò in quel momento Minto, facendo due salti indietro.
«Minto,
attent-»
Ma
il monito di Shirogane non fu abbastanza veloce; la ragazza finì
direttamente contro la schiena di Kisshu Fukazawa.
Si
voltarono entrambi, lui con un sorriso che faceva capire come non
fosse certo la prima volta che gli succedeva qualcosa di simile;
Minto si sentì immediatamente arrossire allo sguardo curioso e
dorato che ne seguì.
«No,
non dirmelo. L'hai fatto apposta.»
Il
sorriso che involontariamente le scappò non fece che aumentare
quello del ragazzo davanti a lei.
“Ciao!”
esclamò a voce alta sopra la musica, senza smettere di guardarla con
quell'espressione malandrina.
Minto
gli fece un cenno del capo, maliziosa, così lui continuò,
gesticolando verso il bicchiere quasi vuoto del drink che nello
scontro si era un po' rovesciato.
“Posso
prendertene un altro?”
Lei
si avvicinò per potergli rispondere: “Non lo sai che non si
accetta da bere dagli sconosciuti?”
Il
ragazzo rise, tendendole la mano; quando lei la prese, fu tirata un
po' più vicina: “Piacere, sono Kisshu.”
“Minto,”
rispose la mora “E lei è la mia amica Retasu.”
Un
altro ragazzo, decisamente più alto e con l'aria di chi non era poi
così contento di essere lì, si mise accanto a Kisshu in quel
momento; lui, senza mollare la mano di Minto, gli diede un'amichevole
pacca sulla spalla: “E il qui presente musone è invece il mio
amico, Pai.”
Quello
che loro sapevano essere il capo dell'organizzazione lanciò loro uno
sguardo, soffermandosi qualche istante in più su Retasu, che
inevitabilmente arrossì come aveva fatto la sua amica. Aveva avuto
ragione, dal vivo erano molto più intimidenti di quanto non
trasparisse dalle foto.
Pai
si chinò su Kisshu, dicendogli qualcosa all'orecchio mentre faceva
segno verso le scale alla sua destra, che conducevano al privé del
piano superiore.
«Ragazze,
vi ricordo che ora dovete darvi da fare,»
esclamò Shirogane in quel momento «Cercate di
non perdere
l'occasione, grazie. E, Minto, non credo che una microspia sul polso
sia la scelta migliore.»
La
ragazza si rese conto che la stretta di Fukazawa sulla sua mano non
accennava a sciogliersi, anche se era ancora intento a conversare con
il suo amico.
“Ti
guarda come Ichigo guarda la torta al cioccolato di Zakuro,” le
bisbigliò Retasu all'orecchio.
Minto
arrossì, ma si strinse nelle spalle: “Tanto meglio, no? Sei
pronta?”
L'altra
annuì, afferrando più saldamente la borsetta in cui aveva riposto
le cimici che avrebbe dovuto sistemare addosso a Pai.
La
mora sentì tirarsi leggermente, così si voltò verso i due ragazzi.
“Volete
venire su con noi?” le domandò Kisshu “Abbiamo sempre un tavolo
riservato.”
Rivolse
a entrambe il suo sorriso splendente, e Retasu catturò con la coda
dell'occhio Pai che rivolgeva lo sguardo al cielo; le scappò da
ridere e non seppe bene come ma il ragazzo la sentì, facendole un
sorriso prima di dirigersi verso la scalinata. Retasu agguantò il
polso dell'amica, non volendo perderla nella calca spingente mentre
sgusciavano tra i corpi accaldati in una specie di trenino.
«Non
avete copertura al piano di sopra, ci sono le telecamere solo per
precauzione, non andate su, non andate...»
Shirogane si lasciò andare contro lo schienale del sedile,
sospirando e passandosi una mano tra i capelli “Sono andate su.”
Taruto
gli lanciò una breve occhiata, cambiando velocemente alcuni degli
schermi dalla pista da ballo al piano rialzato del privé; il biondo
era ormai alla terza tazza di caffè della serata, che comunque non
poteva nascondere le occhiaie e l'ombra di barba che gli aleggiavano
sul viso.
“Nottataccia
ieri, capo?” si arrischiò a domandare.
Ryo
si limitò a fissare gli schermi, senza rispondergli: “Dammi tutte
le telecamere che hai lassù.”
«E'
davvero così facile adescare gente in discoteca?» la
voce di Purin risuonò allegra nell'abitacolo «Averlo
saputo prima...»
“Ehi!”
replicò offeso Taruto “Ti sembrano cose da dire?”
“Concentrati.”
gli intimò il biondo, indicando gli schermi sui quali le figure un
po' sgranate dei quattro stavano apparendo.
Quella
parte del locale era sicuramente più calma, pensò Retasu, anche se
farsi strada tra i piedi della gente allungata sui larghi divanetti
bianchi, e la parete di plexiglas che permetteva di vedere al piano
di sotto; il volume della musica era anche più umano, visto che
proveniva dalla sala da ballo e quindi era attutito e non c'era
bisogno di urlare per potersi parlare.
“Eccoci
qua,” Kisshu fece loro largo davanti ad un divano più in angolo
rispetto agli altri, sul cui tavolo abbonato risaltava il cartellino
con su scritto Riservato.
“Con i complimenti dell'azienda.”
Le
due ragazze si scambiarono un'occhiata, sedendosi tra i due.
“Cos'è,
ogni sabato sera qualcuna di diversa?” scherzò affabile Minto,
producendo una risatina da parte di Kisshu.
“Prendiamo
da bere, vi va?”
Fermò
una delle ragazze dai succinti vestiti dorati che si aggiravano con
splendenti sorrisi e vassoi rotondi – e che
sembrava
conoscerlo molto bene,
notò
Minto – ordinandole una bottiglia di champagne che fece alzare un
sopracciglia alla mora.
Retasu,
intanto, si tormentava nervosamente le dita, a disagio dalla vicina e
rigida presenza di Pai,che continuava a guardarsi intorno con aria
annoiata.
“Non...
non ti piace venire qui?” gli domandò dopo aver fatto un respiro
profondo.
Il
ragazzo si voltò a guardarla un istante, poi si strinse nelle
spalle: “E' okay, immagino... diciamo che non è uno dei miei
passatemi preferiti.”
Lei
sorrise: “Ti capisco. Sono qua solo per accompagnare la mia amica,
di solito mi piace di più leggere un libro.”
“Anche
il sabato sera?”
“Be', no, il sabato sera è per i film sul
divano.”
Pai
le scrutò il volto qualche secondo, e scoppiò a ridere; Retasu, che
non capiva cosa ci fosse di così divertente, arrossì ancora ma si
lasciò andare ad un sorriso.
“Oh,
che suono soave sentono le mie orecchie,” intervenne Kisshu,
afferrando la bottiglia di champagne appena arrivata e stappandola
zelante “E' raro sentirti ridere di questi tempi, amico, direi che
un brindisi è d'obbligo.”
Riempì
i quattro calici che erano stati posati sul tavolo, passandoli ai
suoi compagni: “Cin-cin a
queste dolci fanciulle dalle incredibili qualità.”
Vuotò
il suo bicchiere tutto d'un fiato, appoggiandolo poi con un certo
slancio sul legno e riempendolo ancora, per poi distendere il braccio
così che fosse appoggiato sulla pelle bianca del divano proprio
dietro alle spalle di Minto.
“Allora,
mie care,” domandò allegro “Cosa fate di bello a parte catturare
l'attenzione dei giovanotti del Pure?”
Rigirando
il calice tra le dita così che il liquido dorate rimbalzasse tra le
pareti, Minto rispose: “Io sono una ballerina.”
“Del
ventre?”
Lei
alzò gli occhi al cielo: “No, classica.”
Retasu
sorrise: “Io, invece, lavoro per una ditta di informatica.
Prevalentemente, adesso mi occupo di riparare i computer dei clienti,
ma spero di poter ottenere una promozione presto.”
“Oh,
già, il suo capo è terribile,” commentò vaga Minto, ridendo tra
sé e sé nel sentire Shirogane borbottare.
“Sei
una specie di cervellone, quindi?” chiese Kisshu, già al quarto
bicchiere.
“Sì,
Retasu è una delle persone più intelligenti che conosca,” rispose
per lei la mora con voce genuina, lanciandole un gran sorriso che la
rinfrancò parecchio.
Catturò
ancora una volta Pai a osservarla, e così chiese in tutta fretta: “E
voi, invece, di cosa vi occupate?”
“Bah,
di cose troppo noiose per parlarne il sabato sera,” Kisshu agitò
una mano in aria, posò il suo quinto bicchiere, e tese la mano,
ancora una volta, a Minto “Andiamo a ballare, che ne dite? Siamo
tutti qui per questo.”
“Tu,
forse,” replicò Pai, alzandosi comunque.
Ridiscesero
com'erano saliti, con un sospiro sollevato di Shirogane che poteva
controllare meglio la situazione e che continuava a ripetere loro di
cogliere il momento giusto.
Se
possibile, sembrava che ci fosse ancora più gente di prima nella
sala già stracolma. Tra la folla, lo champagne e la mano di Kisshu
all'altezza dei suoi reni, Minto aveva molto caldo.
Stando
attenta a non farsi notare tenendo la borsetta stretta contro la sua
pancia, ne estrasse una delle cimici, sistemandola nella stessa mano
che stringeva la pochette così da non renderla visibile.
Si
fermarono in una zona della pista un po' esterna, meno fitta di
gente, con una canzone che sembravano conoscere tutti in sottofondo.
Le
due ragazze si scambiarono un'altra occhiata veloce, ben sapendo cosa
avrebbero dovuto fare ora e segretamente sperando che Shirogane
smettesse di incalzarle, visto che stava dando sui nervi a Minto e
rendendo nervosa Retasu.
La
prima rise mentre Kisshu la prendeva per una mano e le faceva fare
una piroetta poco adatta al tipo di musica, stringendola poi a sé
come se stessero ballando un tango. Lei approfittò dell'occasione
per appoggiare le mani sulle sue spalle; dopo qualche istante di
attesa, in cui si premurò di muovere un po' di più i fianchi per
assicurarsi che l'attenzione di Kisshu fosse localizzata altrove,
attaccò velocemente una delle cimici sotto il colletto della
camicia, dietro al suo collo.
Voltò
poi la testa per cercare Retasu, sentendo il cuore perdere un battito
quando non la vide accanto a sé com'era stata fino a qualche secondo
prima.
Avvertendo
il suo nervosismo, Kisshu le sorrise: “Pai è andato a prendersi
qualcosa al bar e la tua amica è con lui.”
Effettivamente,
Minto vide i due davanti a Ichigo, che le fece un sorriso affrettato
come a dirle che stava tenendo la situazione sotto controllo, e si
rilassò; una parte del lavoro era stata fatta.
Le
mani del ragazzo si spostarono sui suoi fianchi non appena la musica
cambiò, facendola girare, i bassi più carichi che le facevano
rimbombare le vene. Dovette riconoscergli il merito di non averla
schiacciata contro di sé come tanti erano soliti fare, ma la
vicinanza del viso al suo collo tradiva le intenzioni. Minto sorrise,
lanciando un'altra occhiata verso Retasu che buttava la testa
all'indietro ridendo a quello che Pai le stava raccontando. Ad occhi
sconosciuti, sembrava la ragazza più estroversa del mondo; per
Minto, stava recitando perfettamente, e si chiese se anche lei fosse
riuscita a posizionare le microspie.
“Non
preoccuparti, il mio amico è un gentleman,” la voce divertita di
Kisshu, mischiata al fatto che per farsi sentire le aveva sfiorato
l'orecchio con le labbra, la fece rabbrividire.
Si
voltò, alzandosi in punta di piedi nonostante i tacchi per
rispondergli: “Tu no?”
Lui
rise e scosse la testa con aria furba, tirandola più vicino. Minto
si morse un labbro. Non le capitava dai tempi del liceo di
rimorchiare qualcuno in discoteca; non era decisamente una cosa che
le ragazze
perbene
facevano poi tanto spesso. Ma poteva sempre incolpare la missione.
Avevano un incarico da portare a termine, lei voleva assicurarsi di
farlo al meglio. E diavolo, poteva anche divertirsi una volta ogni
tanto.
Tirandolo
per il colletto della camicia, lo baciò, ignorando i mugolii di
disapprovazione che risuonavano nell'auricolare, lasciando che fosse
lui a prendere le redini della situazione.
Ricordava
appena l'ultima volta che era stata baciata, men che meno l'ultima
volta che era stata baciata così.
Kisshu sapeva di champagne e tabacco, e la combinazione le pizzicava
piacevolmente le labbra mentre lasciava che i suoi denti la
mordicchiassero leggermente.
Si
staccarono solo per prendere aria e allontanarsi da quella zona in
cui gente alticcia continuava a sbattere contro di loro, per
trasferirsi sotto la scalinata del privè. Lì era più buio, e
Kisshu non perse tempo ad intrappolarla con la schiena premuta al
muro, appoggiandole una mano sulla nuca per giocherellare con i suoi
capelli mentre l'altra si premurava di esplorarle la gamba.
Quando
i suoi denti rifecero lo stesso giochino di prima sulle sue labbra e
lui si premette di più contro di lei, Minto si lasciò scappare un
sospiro.
«Pensi
di fare qualcosa oltre a pomiciartelo?» la
voce infastidita di Ryo, unita alle risa che sentì provenire da
Ichigo e Purin, interruppe quel momento e fece scappare una risatina
anche a lei.
Kisshu
la osservò divertito, allontanandosi di qualche centimetro,
osservando il rossore sulle guance e sul naso, i capelli spettinati e
lo scintillio negli occhi accentuato dalle luci e dallo champagne,
senza dubbio.
Minto
si sentì arrossire ancora di più sotto quello sguardo dorato, non
aiutata dal fiatone che entrambi esibivano, ma che non la fermò dal
riagguantarlo per il fronte della camicia e baciarlo un'altra volta.
“E
se io ti chiedessi di venire da me?” le mormorò sulle labbra dopo
qualche istante.
Quello
non era decisamente nei piani, pensò lei, sforzandosi di mantenere
la mente lucida. Shirogane l'avrebbe uccisa, era un rischio enorme,
ma era anche l'opportunità di infilarsi direttamente nella tana del
nemico. Ed avrebbe potuto sacrificarsi in modi molto peggiori di
questo.
Perciò,
gli sorrise e gli tese la mano; Kisshu la prese con un ghigno,
dandole le spalle per guidarla attraverso la folla.
«Cosa
cazzo stai facendo?»
le sibilò velenoso Ryo all'orecchio.
“Stai
tranquillo,” sussurrò lei, sicura che l'avrebbe sentita “E'
tutto sotto controllo.”
Raggiunsero
Pai e Retasu, ancora al bancone, entrambi molto più allegri di
quando li avevano lasciati; la verde sorrise all'amica, annuendo
appena per farle capire di essere riuscita anche lei a mettere le
cimici addosso al ragazzo.
“Bene,
signori, è stato un piacere, ma noi ce ne andiamo.”
L'espressione
contenta di Retasu cambiò immediatamente alle parole di Kisshu, e
anche Zakuro, che si dava da fare con le bottiglie tendendo
l'orecchio verso di loro, sollevò di scatto gli occhi.
“D-dove
vai?” domandò all'amica.
Minto si
fece avanti, abbracciandola così che potesse sussurrarle
all'orecchio: “Voglio vedere dove stanno di base, anche se non
credo che mi porterà là, ma almeno posso avere un vantaggio. Quando
vuoi andare via, fai finta che Taruto sia tuo fratello che ti sta
venendo a prendere, d'accordo? Sta' attenta.”
Retasu
annuì, stringendole la mano: “Sta' attenta tu, se hai bisogno
chiamaci subito.”
Ignorando
i ripetuti richiami di Shirogane all'orecchio, Minto sorrise e si
fece guidare fuori da Kisshu, il braccio di lui attorno alla sua
vita.
«Seriamente?»
le altre sussultarono al volume di voce del loro capo «Non
gliene va mai bene uno, e poi decide di andarsene con un trafficante
d'armi?»
Ichigo,
che l'aveva seguita con lo sguardo, sospirò: “Avrà uno dei suoi
piani in mente. Servono dei rinforzi per Retasu.”
“No,
no, sto bene,” le rispose sottovoce la verde, girata verso di lei
che fingeva di star aspettando un drink, rigorosamente analcolico
“Datemi ancora dieci minuti.”
«Dieci minuti
massimo,
Retasu, poi ti voglio fuori.»
Lei
si girò verso Pai, ridendo del suo commento inappropriato nei
confronti di Kisshu. Aveva sistemato una microspia dove lei e Minto
avevano concordato, sul colletto della camicia, ma non le sarebbe
dispiaciuto poterne mettere un'altra ed essere sicura che
rimanessero. Ma quel Pai non era decisamente ardito quanto il suo
amico, né lei così coraggiosa da provarci come Minto. Era riuscita
nel suo scopo solo mentre stavano ballando, e adesso lui manteneva
una rispettosa distanza da lei.
Se
non avesse saputo quale fosse la sua vera occupazione, quasi quasi le
sarebbe piaciuto più del dovuto.
Il
suo cellulare si mise a vibrare in quel momento, e un'occhiata rapida
al display le fece notare che era Taruto. Si morse il labbro e guardò
Pai, ridendo nervosamente: “E' mio fratello, mi aveva promesso che
sarebbe passato a prenderci. Adesso mi ucciderà quando gli
racconterò di Minto-chan.”
Il
ragazzo annuì: “Ti accompagno fuori.”
Le
fece strada tra la calca, limitandosi a guidarla con una mano sulla
schiena che la sfiorava appena. L'aria fresca della sera la investì
come una manna, e la vista di Taruto che si sbracciava la fece
sorridere.
“Be'...
grazie della bella serata,” guardò il suo accompagnatore negli
occhi scuri, arrossendo ancora “E' stato... diverso.”
“Arrivederci,
Retasu-san. È stato un piacere anche per me.” le fece un cenno con
il capo, e fu ri-inghiottito dal buio e dalla folla del Pure
Water.
Accertandosi
di non essere seguita, Retasu si affrettò verso l'amico, che le
sorrise.
“Ti
avverto, Shirogane-kun è un po' furibondo.”
Le aprì
la portiera della limousine, che profumava tremendamente di caffè, e
lei accennò ad un timido sorriso verso il biondo.
“Taruto,
torna qua e sintonizzati su Minto.”
La mora
gli aveva mandato un veloce messaggio, informandolo del fatto che
Kisshu aveva un'auto con guidatore privato e che non aveva dovuto
fornirgli l'indirizzo, e che lui avrebbe fatto meglio a non farle
battutine idiote nell'orecchio che l'avrebbero fatta ridere e
avrebbero potuto mandare tutto all'aria.
-Se,
la tua notte di follia,- aveva pensato acido
l'americano, ma
aveva abbassato il suo microfono in modo da evitare qualsiasi
interruzione.
Mentre
la macchina nera correva veloce attraverso le strade vuote, Minto
sorrise al ragazzo seduto al suo fianco: “Credevo che prima si
dovesse essere invitate a cena.”
Kisshu
ghignò, sfiorandole il collo con la punta del naso: “Le regole
sono fatte per essere violate, no?”
Senza
il traffico, il tragitto fu breve, o forse erano stati entrambi
troppo impegnati a esplorare la bocca dell'altro per accorgersene.
L'auto si fermò davanti ad un imponente hotel, il preferito dai
ricchi turisti e dalle conferenze o matrimoni più importanti; la
stessa Minto non ne era estranea, ma si stupì comunque della loro
destinazione.
Kisshu
aveva già una camera lì, dedusse, visto che non si fermò al banco
della reception per chiederne una (e sarebbe stato totalmente volgare
per un hotel del genere, pensò anche), ma si fece strada sicuro fino
agli ascensori.
La
micro-telecamera nascosta nella fibbia della pochette di Minto stava
registrando tutto il tragitto dalla hall dell'hotel fino alla suite
all'ultimo piano, dove finalmente si fermarono.
“Però,”
commentò, alzando un sopracciglio una volta che fu entrata“Ti
tratti bene.”
“Paga
l'azienda,” replicò lui con un sorriso, poi l'attirò nuovamente a
sé.
Minto
appoggiò la borsa sul tavolino al centro della sala, in modo da
avere la piena visuale della stanza ma dando le spalle al letto,
concentrandosi poi sui bottoni della camicia del ragazzo.
Lo
avvertì sorridere mentre passava ancora una volta le mani tra i suoi
capelli: “Non mi sembra che neanche tu perda tanto tempo,
dolcezza.”
La
sollevò per i fianchi, appoggiandola ancora una volta contro il muro
e lasciandole baci sul collo finché non trovò l'esatto punto che la
fece gemere.
Ryo,
sfregandosi gli occhi con le dita, si tolse le cuffie e si accasciò
sul sedile prima di rivolgersi a Taruto: “Chiudi i microfoni di
Minto, per carità, ma lascia acceso il suo localizzatore. Voi altre,
preparatevi ad uscire da lì.”
L'altro
ragazzo, rosso come un peperone, digitò un paio di volte sulla
tastiera. Retasu, anch'essa in imbarazzo (mai avrebbe
immaginato
di trovarsi in una situazione simile né di sentire una sua amica in
quella determinata situazione), si sentì finalmente
in
grado di rilassarsi. Si tolse i tacchi che la stavano uccidendo e
raccolse le gambe sotto di sé, appoggiandosi allo schienale e
lanciando un'ultima occhiata al biondo prima di chiudere gli occhi.
Ce l'ho
fatta :D Pensavo non sarei riuscita a pubblicarlo prima di partire
(cioè domani), e invece oggi in tre ore praticamente ho scritto le
ultime cinque pagine di capitolo - per un totale di otto, che ormai per
me sono un casino. Spero vi diverta tanto quanto mi sono divertita io a
scriverlo ;) E' stata una delle prime scene che mi è venuta in mente
mentre mi immaginavo la storia, e spero che il focus maggiore su Minto
e Retasu sia una bella novità. :)
Naturalmente, le ragazze usano cose un po' futuristiche come
micro-micro-telecamere e micro-micro-spie e cose del genere, ma un po'
di fantasia a questo mondo ci vuole xD Forse Pai è un pochetto OOC, ma
anche qua, insomma, è tutto un po' diverso. :) Il titolo del capitolo
viene dall'omonima canzone degli Artctic Monkeys, ormai fonte di
ispirazione inesauribile.
A data da destinarsi il capitolo cinque, visto che vado in vacanze e
ancora devo capire per bene cosa metterci dentro ^^''''
Grazie a tutti quelli che leggono, seguono, favoriscono e soprattutto
recensiscono! Sprecate cinque minuti di questo afoso luglio per fare
contenta una neo-laureata, dai. ahaha
A presto e buone vacanze a chi può; bacioni!!!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** And the thrill of the chase moves in mysterious ways ***
Capitolo
cinque: And the thrill of the chase moves in mysterious ways
Ryo Shirogane doveva essere grato
che le pareti delle sale riunioni fossero insonorizzate; forse per
fare in modo che informazioni riservate non ne uscissero, decisamente
non progettate per contenere le sue urla ma perfettamente funzionali.
L'oggetto della sua ira funesta
era, ovviamente, Minto, tornata quel lunedì mattina al lavoro con
un'aria troppo soddisfatta per poter calmare l'americano.
“Ti
rendi almeno conto del pericolo che avresti potuto correre? E se si
fosse accorto che gli avevi messo addosso una cimice?”
La
ragazza alzò gli occhi al cielo: “Per l'ennesima volta, lo
so,
ma non è successo niente.”
“Non
puoi andare in giro a fare quello che vuoi!”
“Non
stavo facendo quello che volevo, stavo andando a piantare ancora più
microspie di quanto sarei riuscita a fare se fossi rimasta al
locale!”
“C'è
momento e luogo per iniziative del genere che possono mettere a
repentaglio la tua copertura, e questa
missione
non ne ha bisogno!”
Le guance di Minto si arrossarono mentre
anche il suo tono di voce aumentava: “Questa missione ha bisogno di
essere risolta il più presto possibile, ecco di cosa ha bisogno! E
io
sono stata quella che ha rischiato la pelle, portandosi a casa altre
quattro microspie! Adesso abbiamo uno dei luoghi in cui si
incontrano, costantemente sorvegliato, e
un numero di telefono. Quindi, prego,
Shirogane.”
Ryo sospirò, spostandosi la
giacca all'indietro mentre poggiava le mani sui fianchi. “Potrei
licenziarti per insubordinazione.”
La ragazza scosse le spalle,
adagiandosi sullo schienale della poltrona: “Fallo, ma poi il
numero lo tengo io.”
“Smettila
di tirare la corda.”
Minto alzò le mani in segno di
difesa, girando pigramente sulla sedia mentre un sorrisetto
soddisfatto le si disegnava in volto.
Shirogane scosse la testa,
facendo un cenno verso le altre ragazze: “Purin, dì a Taruto che
metta qualcuno a controllare le microspie continuamente, non voglio
perdere neanche una parola. Voi altre, chiedete le registrazioni di
questi ultimi giorni e ascoltatele, segnatevi qualsiasi cosa possa
sembrarvi importante, o strana, anche minimamente preoccupante.”
“Dobbiamo
ascoltare anche la registrazione di sabato sera?” sghignazzò
Purin, ignorando la risatina nascosta di Ichigo e l'occhiataccia di
Zakuro.
Ryo fece finta di nulla, così
come fece finta di non notare le tre dita che Minto aveva alzato e
che Retasu si affrettò prontamente ad abbassare con una faccia
sconvolta, e con un gesto della mano fece loro intendere che era
meglio che se ne andassero.
Prima che Retasu fosse uscita,
però, Shirogane la trattenne. “Volevo solo dirti che hai fatto un
ottimo lavoro, sabato sera. Ero un po' sovrappensiero per dirtelo
subito, ma sei stata davvero brava.”
Le guance della ragazza si
tinsero piacevolmente mentre abbozzava ad un inchino. “Grazie,
Shirogane-kun. Ho fatto solo il mio dovere.”
“Be',
sì, spero di vederti ancora così piena di iniziative positive.”
Retasu raggiunse le altre alla
loro postazione, scuotendo la testa con fare ammonitorio nel sentirle
discutere di questioni poco adatte all'ambiente lavorativo.
“Purin,
potresti andare a prendere le registrazioni, per favore?”
“Sì,
sì, aspetta, voglio sentire come finisce la storia,” le rispose
brevemente la biondina, che sembrava pendere dalle labbra di Minto.
Zakuro alzò gli occhi al cielo,
afferrando velocemente il portafoglio per scendere velocemente al bar
del piano terra. Le serviva un caffè, e non le andava decisamente di
doversi sorbire l'acqua sporca della macchinetta in dotazione che
ancora non si decidevano di riparare.
Aveva talmente tanto a cui
pensare che la salita e la discesa dal suo ufficio le sembrarono
passare in un momento, tra visi confusi e parole incomprensibili tra
la miriade di altri discorsi che le scorrevano in mente. Si sentiva
nervosa, e non le era mai piaciuto. Era sempre stata abituata ad
avere il controllo di sé e della situazione, e le poche volte in cui
lo perdeva le sembrava di fallire.
Solo il calore dei bicchieri di
carta che aveva in mano la manteneva in contatto con la realtà
mentre attraversava veloce il corridoio, i grossi tacchi degli
stivali che risuonavano leggeri contro la moquette consunta e ruvida.
Sbatté le nocche contro il
vetro, attenta a non rovesciare il caffè, e non aspettò risposta
per entrare, chiudendo la porta con un colpo d'anca.
Appoggiò una delle tazze sulla
scrivania di Ryo, sedendosi poi in una delle comode poltrone
girevoli. Era il loro modo di fare pace, quello; senza dirsi molto,
si portavano solamente delle tazze di caffè in segno di scuse –
americano, nero, bollente.
“Ho
bisogno di un paio d'ore di permesso, nei prossimi giorni,” iniziò
dopo qualche secondo, prendendo un tentennante sorso per non
bruciarsi la lingua.
Ryo sollevò appena lo sguardo
dalle carte che aveva davanti, il rapporto di sabato sera senza
dubbio. “Devi firmare i documenti?”
Zakuro non lo guardò in volto,
limitandosi ad annuire mentre sospirava. “Sì.”
Shirogane batté le dita contro
il tavolo, fissandola. “Nel mezzo di un'operazione?”
“Non
ho scelto io la data, sai.”
Lui sospirò, digitando svelto
sulla tastiera. Non sapeva quanto i superiori fossero tenuti a sapere
della vita privata dei loro agenti, ma si rendeva anche conto che il
rapporto che manteneva con le ragazze non era proprio da manuale.
Stava
piovendo incessantemente quando suonò il campanello. Non aspettava
nessuna visita, decisamente; era da più di un anno che abitava a
Tokyo ormai, ma non aveva avuto molto tempo per farsi tanti amici. O
almeno, amici che si prendevano la libertà di suonare a casa sua un
giovedì sera alle dieci.
D'altronde,
non si sarebbe nemmeno aspettato di vedere nello schermo del citofono
Zakuro, grondante d'acqua.
Le
chiese subito se c'era qualcosa che non andava, quando arrivò sulla
soglia del suo appartamento. Gli venne naturale chiederglielo in
inglese, visto che molte volte si trovavano a parlarsi in quella
lingua senza pensarci troppo. C'era qualcosa che li accomunava, ma
non sapeva il perché nemmeno di quello, o che cosa fosse
esattamente. Fujiwara non si apriva mai con nessuno, e lo stesso
faceva lui... forse, erano capaci di farlo solo l'uno con l'altra.
“Promettimi
che questa conversazione sarà off-the-records,
e che in questo momento tu non sei il mio capo.”
Shirogane
alzò le sopracciglia, allungandosi in bagno per prenderle un
asciugamano: “Mi stai chiedendo qualcosa di importante.”
“Lo
puoi fare o no?” insistette lei.
“D'accordo.
Prima cambiati, però, non voglio essere il non-responsabile della
tua polmonite.”
Le
porse una vecchia felpa di Harvard e un paio di pantaloni della tuta
in cui probabilmente lei avrebbe navigato, ma non aveva di meglio da
offrirle.
Si
stava decisamente preoccupando. Non era da lei chiedergli determinate
cose; nei mesi in cui l'aveva conosciuta, aveva capito che le piaceva
testare i limiti senza però uscirne del tutto. Sperò che non fosse
qualcosa di troppo grave.
Quando
Zakuro ritornò in cucina, i lunghi capelli avvolti come in un
turbante nell'asciugamano, la guardò con sguardo interrogativo,
senza chiederle oltre – di sicuro pressarla era la scelta peggiore.
“Sono
andata a letto con Akasaka-san.”
E
di sicuro, Zakuro non usava mai mezzi termini.
Il
sorso di decaffeinato che Ryo aveva appena preso gli andò di
traverso, facendolo tossire. “C-come scusa?”
“O
forse andati a letto non è il termine migliore, visto che è
successo in ufficio.”
Shirogane
si lasciò sfuggire un gemito e si passò una mano tra i capelli: “Ti
prego, dimmi che nessuno vi ha visti.”
Lei
scosse la testa: “Eravamo solo io e lui, gli dovevo consegnare
tutti i documenti per l'ultimo caso chiuso.”
Gli
occhi azzurri si fissarono su di lei: “Lo sai che adesso dovrei
trasferirti, giusto?”
“No, perché questa conversazione non è
mai accaduta e tu non sei il mio capo.”
Quasi
gli scappò un sorriso. “D'accordo, allora... perché sei venuta a
dirlo proprio a me?”
Zakuro
si strinse nelle spalle, chiudendo le dita attorno alla tazza:
“Perché non sapevo a chi altro dirlo senza iniziare una lunga
sequela di domande, e non potevo non dirlo a nessuno.”
Shirogane
annuì. Il rumore della pioggia fece loro da sottofondo per qualche
minuto, mentre il suo cervello cercava un modo educato di iniziare
l'altro argomento che gli premeva. “Lo so che probabilmente non
vorrai parlare nemmeno di questo, ma... pensavo fossi sposata,
Zakuro.”
Lei
scosse nuovamente le spalle: “No, non ne voglio parlare. Non
fingerò di essermi innamorata di Akasaka-san, per carità...
probabilmente sappiamo entrambi che è stata davvero solo una cosa di
una volta. Non ti dirò nemmeno di essere stata presa alla
sprovvista, perché era da un po' che ci giravamo intorno, così.
Credo che, in fin dei conti, mi servisse solo una scusa.”
Si
chiuse nel suo silenzio, girando pigramente il cucchiaino nel liquido
scuro. Shirogane sapeva che il discorso era stato chiuso lì, e lui
non voleva premere oltre per non esserne ulteriormente coinvolto.
“Man,
I won't be able to sit at that desk anymore, now.”
Zakuro
rise a quella battuta, e poi continuò a ridere di cuore,
trascinandolo con sé tra sollievo e il timore di vedersela cadere in
una crisi isterica.
La stampante vibrò mentre il
foglio usciva a scatti prima di essere afferrato con una mossa veloce
da Shirogane.
“Domani
pomeriggio, pausa pranzo allungata fino alle cinque. Di più non
posso fare, lo sai.”
Lo allungò a Zakuro, che lo
prese annuendo. “Grazie,” fece un cenno verso la tazza di caffè
quasi intoccata “Pensi di finirlo?”
“Oh,
sì,” sospirò lui, allentandosi la cravatta “Dopo lo scherzetto
di Minto e vista la quantità di roba che dovremo osservare, ne ho
più che bisogno.”
“Dovresti
darti a tè e tisane, forse ti calmerebbero più i nervi.”
“E'
proprio la tua amica che beve tè come se non ci fosse un domani, e
guarda com'è andata a finire.”
Zakuro abbozzò un sorriso: “Come
se non sapessi che sotto sotto sei rimasto stupito dal suo fegato.”
“Non
credo fosse il fegato
quello per cui lei andava...”
§§
Taruto si stropicciò gli occhi,
sbadigliando senza remore. Era da solo nel laboratorio in quel
momento, ed anche se ci fosse stato qualcuno, non gli sarebbe
importato molto. Erano ormai giorni che tenevano sotto controllo la
situazione nella camera dell'hotel che Minto era riuscita a infestare
di cimici.
Non succedeva molto, a dire la
verità; era molto probabile che quella stanza non fosse nient'altro
che il luogo in cui Kisshu Fukazawa abitava e dormiva per il tempo
necessario in cui doveva trattenersi a Tokyo, ma Shirogane non voleva
perdersi nemmeno un fotogramma.
Sbadigliò ancora, lanciando
un'occhiata all'orologio che aveva al polso. Almeno Fukazawa sembrava
avere una routine regolare. Si svegliava alle sei e mezza, usciva e
non tornava fino alle nove di sera, solitamente con qualcosa da
mangiare dietro. Questo voleva dire che, se tutto fosse andato come
al solito, Taruto avrebbe avuto ancora due ore da passare osservando
uno schermo fermo, tranne per l'eventuale cameriera, e le altre
quattro di totale inerzia sarebbero toccate a qualcun altro.
E
stavano pure registrando il tutto, pensò un po' stupito, così che
se qualcosa fosse davvero
successo, Shirogane avrebbe potuto vederlo con i suoi occhi.
Ringraziò che non fosse comparsa
nessuna ragazza insieme a Kisshu; per lui sarebbe stato
maledettamente imbarazzante, Purin l'avrebbe preso in giro e il capo
si sarebbe senz'altro irritato. Per non parlare di Minto, quella
ragazza poteva avere reazioni imprevedibili per le cose più strane.
Shirogane doveva avere proprio
tanta pazienza con loro, si disse. Non sapeva se un altro capo
avrebbe sopportato tutte le loro storie.
“Taru-Taruuuuu,”
la voce di Purin rimbombò tra i computer della sala vuota mentre la
biondina arrivava saltellando, in mano due sandwich impacchettati “Ti
ho portato da mangiare, ho immaginato che come al solito te ne
saresti dimenticato.”
“Grazie
mille,” esclamò lui, realizzando solo in quel momento quanto in
realtà fosse affamato “Come vanno le cose al piano di sopra?”
“Oh,
sai com'è, il solito. Shirogane brontola, Ichigo borbotta, Minto
beve il tè. Ormai stiamo diventando tutti un po' ciechi a forza di
stare davanti al computer.”
“Mhmm,”
rispose Taruto, la bocca già piena di cibo “Non succede niente di
interessante.”
“Infatti
la sorveglianza è la parte più noiosa, ma almeno non dobbiamo stare
in macchina nascosti dietro un giornale.”
“Tu
guardi troppi film, Purin.”
“Forse,”
la ragazza rise, inclinandosi in avanti per avvicinare il viso a
quello di lui “Ma è Minto quella che si comporta come James Bond.”
“Guarda
che se ti sente si arrabbia.”
“Ma
è vero! Però è brava a raccontare storie. Particolari piccanti a
parte.”
Taruto alzò gli occhi al cielo:
“Va bene, raccontamelo.”
“Quindi
è questo che vi insegnano alle accademie del balletto?”
Minto
rise, spostandosi una ciocca di capelli sudati dalla fronte. “Chi
lo sa.”
Kisshu
le scoccò un'occhiatina divertita, piantandole un dito nel fianco
per farle il solletico: “Di sicuro ti hanno insegnato a essere
sfacciata.”
“Ah,
senti chi parla!” lei lo spinse via, arrotolandosi poi nel lenzuolo
per coprirsi mentre si avviava verso il bagno. Prese con sé la sua
pochette e la biancheria intima; non aveva la minima intenzione di
allontanarsi dai suoi effetti personali visto il loro contenuto, e
sapeva che era ormai ora di andarsene... purtroppo.
Fece
scorrere l'acqua del lavandino, spruzzandosene un po' sul viso per
cancellare le tracce di trucco sbavato. Si rivestì in fretta e poi,
lanciando un'occhiata veloce alla porta chiusa del bagno, aprì la
borsetta.
Aveva
afferrato le microcamere poco prima di uscire, giusto in caso, si era
detta. Al tempo non aveva saputo cosa farsene, ma ora sarebbero
potute tornare utili.
Si
guardò intorno, cercando di individuare un angolo utile. Taruto era
davvero bravo a minimizzare le dimensioni dei loro aggeggi, ma non
voleva comunque correre altri rischi.
Il
water sembrava l'appoggio giusto, calcolò velocemente; se fosse
riuscita a salirci e ad arrivare nell'angolo dietro la porta, la
telecamera avrebbe avuto il panorama adatto della stanza e forse –
forse
– sarebbe stata abbastanza nascosta.
Sapeva
che ci stava mettendo troppo tempo, quindi cercò di affrettarsi,
maledicendo per l'ennesima volta la sua bassa statura. Azzardò a
posare un piede sulla cassetta del water, facendo partire lo scarico
in modo da nascondere i suoi sbuffi di fatica. Temeva che avrebbe
ceduto sotto il suo peso, ma con un ultimo sforzo e un'impuntata di
piedi, la microcamera si attacco alle piastrelle del muro e diede un
leggero bip
per indicare che era accesa.
Saltò
giù, riassettandosi velocemente e prendendo la borsetta per poi
uscire dal bagno.
Kisshu
la osservò nuovamente da capo a piedi, facendo una smorfia
scontenta: “Oh, non dirmi che te ne vuoi già andare.”
Lei
sorrise, prendendo il vestito abbandonato sul tavolo: “Sono le
cinque del mattino, direi proprio di sì. Le ballerine hanno bisogno
del giusto riposo, sai.”
“Immagino,”
con l'ennesimo ghigno da schiaffi, Kisshu si alzò, incurante del
fatto che il lenzuolo fosse rimasto nel bagno mentre si avviava
lentamente verso di esso.
Tirandosi
su la zip del vestito, anche Minto si concesse un'ultima occhiatina
prima di decidere di tentare un'ultima volta la fortuna. La poltrona
nell'angolo della stanza, proprio accanto alle pesanti tende color
crema, faceva al caso suo.
Tendendo
l'orecchio verso il bagno,nuovamente si arrampicò sulla poltrona,
tenendosi in equilibrio sullo schienale mentre si allungava il più
possibile per posizionare la seconda microcamera sul bastone a cui
erano attaccate le tende.
Saltò
giù proprio nel momento in cui sentì aprirsi la porta, atterrando
con grazia su un bracciolo come se fosse sempre stata seduta ad
aspettare il ragazzo – che, almeno, aveva avuto la decenza di
coprirsi con il lenzuolo questa volta.
“Posso
almeno avere il tuo numero?” le chiese ironico.
Minto
si strinse nelle spalle: “Dipende. Cosa ottengo in cambio?”
Kisshu
alzò gli occhi al cielo, ridendo. Afferrò il bloc notes dell'hotel,
strappandone una pagina, e vi scrisse velocemente il proprio numero.
Allungò il foglietto alla mora che, con un sorriso simile al suo,vi
scribacchiò il proprio per poi strappare il pezzetto che aveva
usato.
“Ti
chiamo un taxi mentre scendi,” le disse poi, prima di avvicinarsi
ulteriormente e baciarla.
§§
Ichigo bussò a raffica alla porta di Ryo, aprendola senza aspettare
risposta: “Shirogane-kun, devi venire subito.”
“Cos'è successo?” le domandò lui, alzandosi di scatto e
raggiungendola.
“E' ovvio che dopo una settimana e mezza di sorveglianza in cui non
è successo niente, adesso abbiano deciso di muoversi.”
In due minuti raggiunsero il laboratorio, dove erano già raccolte
tutte le altre ragazze.
Retasu lasciò a Shirogane il posto accanto a Taruto, che digitò
velocemente sulla tastiera per rimandare indietro il viso che stavano
visionando.
Sullo schermo apparve la figura di Kisshu, che stava entrando nella
sua stanza digitando sul cellulare. Lo osservarono portare il
telefono all'orecchio, camminare ancora un po' per la camera
probabilmente aspettando una risposta, e poi appoggiarsi con una
spalla contro il muro.
«Ehi,
Pai», la voce
risuonò
incredibilmente chiara «Abbiamo un nuovo
cliente.
Vediamoci tra mezz'ora.»
Taruto
fermò il video con un tasto: “E' di dieci minuti fa.”
Zakuro
si voltò verso il biondo: “Credo che sia ora di muoversi. Se hanno
un nuovo cliente, vuol dire che sono pronti a vendere. Dobbiamo agire
prima che possa succedere, e dobbiamo farlo in fretta, perché non
sappiamo quando accadrà.”
“Fare
le cose troppo in fretta non porta mai a qualcosa di buono.”
“Non
abbiamo tempo, Shirogane-kun,” insistette Minto.
Il
biondo prese il telefono alla sua sinistra: “Io chiamo Keiichiro,
voi continuate a guardare in caso Pai arrivi lì.”
Si
alzò dalla sedia, parlottando velocemente mentre le altre
riprendevano il video in diretta, che mostrava però soltanto una
camera vuota.
“Shirogane-kun
ha ragione, non abbiamo abbastanza informazioni,” commentò Retasu,
mordendosi un labbro.
Ichigo
annuì: “Per questo dobbiamo ottenerle. Dobbiamo avvicinarli di
nuovo.”
“Non
correre,” la voce di Shirogane era tesa “Nemmeno a Keiichiro
piace questa situazione. Non siamo nemmeno sicuri che non si siano
accorti di essere intercettati.”
Minto
si strinse nelle spalle: “Non ne hanno dato segno fino ad ora. Si
sono comportati in modo normale, hanno parlato abbastanza
liberamente. Non ne possiamo essere certe al cento per cento, ma non
possiamo lasciarci scappare l'occasione.”
Ryo
le puntò un dito contro: “Niente colpi di testa, d'accordo?”
Lei
gli fece un finto saluto militare: “Signorsì.”
Lo sooooo, sono
terribile, ci ho messo una vita :( Ma sono stata pressissima dalle
vacanze (LOL), dal moroso e dal dolce far nulla... ma siccome domani (o
meglio, stanotte) devo partire ancora, oggi mi sono messa d'impegno e
ho scritto tuuuuuuuuutto il capitolo ^_^
Ringrazio tutte voi che avete commentato perché mi avete dato la carica
:) Spero che le vostre vacanze siano andate bene, e che gli ultimi
giorni siamo buoni :)
A presto, un bacione!!
Hypnotic Poison
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** You may be a lover but you ain't no dancer ***
Capitolo
sei: You may be a lover but you ain't no dancer
“Non
mi piace,” Keiichiro scosse la testa, chiudendo il fascicolo beige
riposto sul tavolo. “Non c'è abbastanza personale per una
situazione del genere.”
Shirogane,
seduto in fronte a
lui, annuì: “Hanno scelto il posto giusto, direi. In centro, in
pieno giorno, in mezzo alla gente, così da attirare l'attenzione il
meno possibile. Ma ciò potrebbe facilitare anche la nostra
sorveglianza.”
Si allungò
cauto sul tavolo,
indicando lo schema che aveva scarabocchiato in fretta: “Noi
possiamo posizionarci qui e qui. Saremo dall'altro lato della strada,
ma la visuale è buona.”
“Non
c'è niente di più vicino?”
“Solo
negozi, e sarebbe sospetto stare da un fioraio per più di quindici,
venti minuti. In piedi, soprattutto.”
Keiichiro
si appoggiò alla poltrona, sfregandosi la punta delle dita.
“Cercherò di mettervi a disposizione dell'altro supporto. E,
voglio che vi manteniate in costante contatto radio con me.”
Ryo
si trattenne dall'alzare un sopracciglio, un po' stupito da quella
richiesta. “D'accordo, informerò Taruto.”
“Domani,
quindi?”
“A
mezzogiorno, sì.”
Shirogane
si alzò al cenno del suo capo, chiudendosi la porta alle spalle.
Condivideva i dubbi di Keiichiro, ma doveva anche dar ragione alle
ragazze quando dicevano che il tempo stava stringendo. Avrebbe solo
voluto che loro non fossero così maledettamente impulsive.
Il
solo pensiero di un'ennesima operazione sotto copertura gli stava
facendo venire il mal di testa. A volte si chiedeva ancora perché
avesse accettato quel cavolo di lavoro.
“Andiamo,
Ichigo-chan, lo sappiamo tutte che ti piace indossare costumi.”
La
voce pungente e ironica di Minto gli arrivò alle orecchie a qualche
scrivania di distanza, e si vide già intento a reprimere le sue
collaboratrici sui comportamenti da tenere in ufficio.
Mentre
le altre ridevano, la rossa fece una smorfia: “Vogliamo proprio
entrare nel discorso, Minto?”
“Non
farla ricominciare con quella storia.”
Minto
voltò la sedia girabile verso di lui: “Invidioso, Shirogane-kun?”
Lui
le rispose con un'occhiatina di altrettanto sarcasmo: “Sei meno
pungente al telefono, Aizawa.”
La
mora chiuse la bocca di scatto, alzando leggermente il naso per aria
e ritornando sui documenti sparpagliati per la scrivania. Era stata
infatti lei che, dopo i ripetuti vanti di aver ottenuto un numero di
telefono da Fukazawa, aveva dovuto mettersi in contatto con lui.
“Non
è mai la ragazza che chiama per prima!”
Ryo
alzò gli occhi al cielo: “Santo Cielo, Minto, ma ti ascolti quando
parli? Di solito, una ragazza non è mai nemmeno un'agente sotto
copertura! Se non avessi voluto chiamare, non avresti dovuto prendere
il numero. E sai come non avresti dovuto prendere il numero?”
“D'accordo,
d'accordo,” la ragazza aprì di scatto il cassetto metallico della
scrivania, afferrandone il cellulare che Taruto le aveva fornito per
quella occasione. Compose lentamente il numero scritto sul foglietto
che aveva attaccato allo schermo del computer e, quando sentì il
segnale di libero, diede le spalle a tutti gli occhi curiosi delle
sue amiche.
“Ciao,”
la sentirono esclamare dopo qualche istante, con una voce che non era
sicuramente quella che usava tutti i giorni. “Non c'è male, e tu?”
Retasu
si apprestò a tappare la bocca di Purin, che per qualche motivo
stava sghignazzando in silenzio, fissando con apprensione la mora e
la ciocca di capelli che aveva iniziato ad arrotolarsi attorno
all'indice.
“Diciamo
che non mi è mai piaciuto aspettare,” Minto rise, e Shirogane alzò
nuovamente gli occhi al cielo, incrociando le braccia al petto “A
questo proposito, stavo pensando... prima che la compagnia mi metta
sotto stretto regime, potremmo andarci a prendere qualcosa da bere...
in fondo mi devi ancora una pizza...”
“Sìsì,
una pizza!” bofonchiò Purin all'orecchio di Ichigo, allungandosi
per sfuggire alla presa di Retasu e facendo ridere la rossa.
“Mercoledì
prossimo a pranzo?” Minto guardò Shirogane, che annuì “D'accordo,
è perfetto.”
Voltò
ancora la sedia così da poter guardare Retasu negli occhi. “Senti,
perché non porti anche quel tuo amico, quello che era con te al
Pure? La mia amica ne sarebbe felice.”
La
ragazza in questione arrossì, ma sostenne con forza lo sguardo
pungente.
“Benissimo.
A mercoledì, allora.” Minto chiuse la telefonata, risistemando il
telefono nel suo posto originale “Soddisfatto?”
Ryo
abbozzò un sorriso. “Io stesso non avrei saputo fare di meglio.”
“Non
avevo dubbi.”
“State
lavorando così tanto che mi sento in colpa a mandarvi a casa prima
così che domani siate preparate.” commentò l'americano ad alta
voce, infilandosi le mani in tasca e fissando le cinque ragazze,
quasi divertito.
Zakuro
sorrise e alzò un sopracciglio: “Con tutto questo sarcasmo prima
di una missione, Ryo, ho paura di quello che potrebbe succedere.”
Lui
si strinse nelle spalle: “Domani qui alle dieci, d'accordo? Purin,
prima di andare via, avvisa per favore Taruto che Keiichiro lo vuole
con sé domani.”
Le
ragazze annuirono, iniziando a raccogliere le loro cose. Shirogane
sembrò sul punto di aggiungere qualcosa ma, con un ultimo cenno
della testa, fece dietrofront e si rintanò nel suo ufficio.
§§
Il
mattino dopo, il laboratorio di Taruto stava servendo anche come
luogo d'incontro per gli ultimi preparativi, in modo che la squadra μ
potesse
uscire indisturbata e più comodamente dalla porta “sul retro” di
cui era predisposto.
Ryo
e le ragazze si erano cambiati con gli abiti per quella copertura. I
biondi capelli dell'americano, così appariscenti e riconoscibili,
erano stati coperti da una parrucca nera (anche se Purin aveva
suggerito di tingerli con una di quelle bombolette spray che si
usavano ad Halloween), e gli occhi erano cerchiati da un paio di
occhiali con delle lenti finte. Ichigo sfoggiava una lunga e liscia
chioma castana; Zakuro si era acconciata i capelli in uno chignon e
aveva indossato lei stessa gli occhiali; Purin, infine, aveva scelto
una parrucca di corti capelli neri sparati in tutte le direzioni.
Le
uniche due che mantenevano un'apparenza di normalità erano Retasu e
Minto, con indosso due eleganti vestitini che nascondevano svariati
dispositivi.
“Purin,
potresti cortesemente smetterla di saltellare?” la riprese la mora,
infilandosi un auricolare nell'orecchio.
“Scusa,
scusa,” rispose la biondina, limitandosi a sedersi sullo spigolo
del tavolo e a battere con un piede per terra “Ho un sacco di
energie da sprecare.”
“Tienile
per dopo, d'accordo?” Ryo sistemò la fondina così che la pistola
gli stesse contro la schiena, nascosta sotto la giacca. “Siete
pronte?”
Retasu
annuì, la mano che automaticamente saliva a sistemarsi gli occhiali
anche se questi non c'erano. “Direi di sì.”
“Allora,
tu e Minto prenderete il primo taxi. Voglio che arriviate lì il
prima possibile, così da assestare la situazione. Io e Ichigo vi
seguiremo in un altro taxi, e saremo nel caffè davanti al vostro
ristorante. Zakuro e Purin, terzo taxi, stessa posizione. Ricordatevi
che la vostra prenotazione è a nome Shintaro.”
Minto
lanciò uno sguardo a Ichigo, che fece una smorfia simpatica
stringendosi nelle spalle, non volendo attirare troppo l'attenzione
di Keiichiro, che stava finendo di discutere degli ultimi particolari
al telefono.
“Avrete
un'auto di sorveglianza, con il personale a disposizione è tutto
quello che sono riuscito ad ottenere.” le informò il loro capo.
“L'agenzia
non pensa di poter reclutare qualcuno di nuovo?” si volle informare
Zakuro, sistemando anche la sua pistola nella stessa posizione di
Shirogane.
Il
moro fece spallucce: “Lo sapete che non dipende da me. Già hanno
tagliato abbastanza i fondi per il nostro dipartimento, i piani alti
della PSIA sono sempre restii a dare spiegazioni esaurienti.
Comunque, io e Taruto saremo sempre in contatto.”
Ryo
guardò l'orologio che portava al polso: “Manca mezz'ora a
mezzogiorno, sarà meglio andare.”
Purin
si lanciò giù dal tavolo e, con molta noncuranza, avvolse le
braccia attorno al collo di Taruto: “Un bacio portafortuna prima
del lavoro con il capo,” scherzò, schioccandogli un gran bacio
sulla guancia che lo fece arrossire come un bambino – e,
bonariamente, Akasaka fece finta di nulla, sorridendo sotto i baffi.
Uscirono
con cautela dalla porta, controllata all'esterno e all'interno da un
codice in dotazione a pochi; a due a due, girarono l'angolo,
camminando come se fossero normali persone fuori per pranzo in quella
bella giornata di inizio primavera.
Avevano
chiamato tre auto diverse, ognuna in un punto separato del lungo
quartiere. Minto e Retasu presero il primo, davanti all'entrata di
una banca; in fronte a loro, Ryo poteva riconoscere l'auto blu su cui
erano sistemati tre agenti.
Gli
altri si divisero secondo lo schema concordato.
“Se
volevi passare del tempo con me, potevi chiedermelo.” sussurrò
Ichigo a Shirogane quando furono saliti sul taxi.
Lui,
evidentemente, non trovò la cosa divertente, perché tenne lo
sguardo fisso davanti a sé, osservando attento le auto del loro
convoglio.
La
rossa si trattenne dallo sbuffare; non aveva voglia di sorbirsi une
delle ramanzine da Ryo-a-nervi-tesi-da-lavoro-sul-campo. Con il
palmare in dotazione, controllò sul GPS la loro posizione, seguendo
accorta i tre puntini blu che si muovevano sulla mappa digitale.
Il
taxi , però, si fermò prima dell'indirizzo fornito da Ryo, che si
sporse nervosamente in avanti per parlare con il conducente: “Perché
ci fermiamo qui?”
“Ci
sono dei lavori in corso, signore,” gli rispose l'autista “Più
avanti di così, per i prossimi tre giorni, non si va.”
Ichigo
si morse il labbro mentre sentiva Shirogane sussurrare una parolaccia
nella sua lingua madre, tirando fuori i soldi dal portafoglio ed
allungandoli all'uomo.
Scesero
dall'auto, le orecchie che già bruciavano di comunicazioni.
«Il
taxi ci ha lasciato poco più avanti, stiamo camminando verso il
ristorante,»
stava spiegando in quel momento Retasu «Loro
non sono ancora arrivati.»
Ryo
si passò una mano tra la parrucca nera: “La scorta aggiuntiva si è
dovuta fermare, maledizione. Siamo scoperti, ragazze. Proveranno a
fare il giro dell'isolato ma non so quanto riusciranno ad avanzare,
perciò state attente.”
Ichigo
arrischiò un'occhiata dietro di sé, dove anche Zakuro e Purin erano
scese dall'auto e si stavano incamminando sul marciapiede opposto,
apparentemente due giovani amiche tranquille.
«Ricevuto,»
sentì l'ex-modella dire in quel momento «Noi
ci dirigiamo al caffè.»
Shirogane
sospirò, mormorando sottovoce per spiegare la situazione a
Keiichiro: la strada a due corsie era interrotta quasi davanti a dove
il loro incontro doveva accadere. Corde ed elastici erano stati
issati proprio al centro della strada, dove vari uomini con dei
martelli pneumatici erano intenti ad aprire dei buchi.
“Non
ci voleva,” sussurrò “Maledizione, maledizione.”
“Cerchiamo
di ricavarne il meglio che possiamo, d'accordo?” intervenne Ichigo
“Spostiamoci da qua e andiamo al caffè, Retasu e Minto saranno già
al ristorante.”
Con
un ultimo sospiro, Ryo la prese per mano ed iniziò a tirarla
dolcemente lungo la strada.
«Uuuh,
sì, fate i piccioncini, mi raccomando,»
la
voce irrisoria di Minto punse loro i timpani.
“Cosa
state facendo?” rispose secco il biondo.
«Ci
siamo appena sedute,»
era chiaro che la mora stesse parlando a denti stretti «Ancora
nessuna traccia dei nostri uomini.»
Ichigo
e Ryo si fecero strada lungo il marciapiede, il chiasso dei lavori in
corso che li rendeva ancora più nervosi. La stretta presa
dell'americano sulla sua mano, tra l'altro, non riusciva a
rassicurarla; da quando si era presentato ubriaco a casa sua, il loro
rapporto non aveva ripreso una piega ottimale, e la freddezza del
ragazzo nei suoi confronti non poteva essere nascosta.
Cercò,
però, di concentrarsi sui suoi passi, e sorrise calorosa al
cameriere che li accolse all'entrata del Caffè.
“Scusate
per il disagio di oggi, non avevano avvertito dei lavori in corso,”
si scusò con un sorriso affabile “Avevate prenotato?”
Shirogane
annuì: “Sì, un tavolo fuori per due, a nome Fukui.”
Ichigo
intercettò fugacemente lo sguardo di Purin mentre il cameriere li
accompagnava al loro tavolo, proprio accanto al basso cancelletto di
ferro battuto coperto da fiori che separava lo spazio adibito al
locale dalla strada. La biondina e Zakuro erano nella loro stessa
posizione, solo tre tavoli a destra del loro.
Si
sedette con un sospiro, coprendosi il volto con un menù mentre
parlava: “Quanto pensi dovremmo rimanere qui?”
Ryo
si strinse nelle spalle: “Non lo so, quei due sono già in
ritardo.”
Controllò
l'orologio, poi spense brevemente il microfono incastrato nel
colletto della sua polo: “Ti mette a disagio stare da sola con me,
per caso?”
Leggermente
presa alla sprovvista da quella domanda, anche la rossa spense il
microfono: “Uh... no?”
“E'
una risposta o una domanda?”
“Ryo,
non mi sembra il momento.”
Lui
rise: “Hai ragione. But
it's never the time with you, Ichigo.”
“Sì,
sì, quello che vuoi.” la ragazza riaccese il microfono,
guardandosi intorno.
Gli
uomini dai caschetti gialli circondati da macchine, racchiusi in
un'area contornata da quel nastro rosso, oscuravano parzialmente la
vista del lato opposto della larga strada. Soprattutto a lei, che non
era una campionessa d'altezza; così, fingendo di sistemarsi l'orlo
del vestitino, si alzò dalla sedia per controllare dove fossero le
sue amiche.
“Quinto
tavolo da sinistra,” le descrisse Ryo, osservando pacato il menù
“Le vedi?”
Ichigo
annuì, riconoscendo le chiome. “Si stanno alzando!”
«Sono
arrivati...»
esclamò giusto in quel momento Retasu.
Desiderando
ancora una volta di avere i suoi occhiali indosso, la ragazza si alzò
non appena vide i due uomini venire loro incontro; Kisshu con quel
suo sorrisetto sfacciato che gli aveva visto impresso in volto tutto
il sabato sera che avevano passato insieme, e Pai, d'altronde, se
possibile ancora più ombroso di prima.
“Bonjour,
signorine,” le salutò allegro il primo “Vi siamo mancati?”
Minto
sorrise, procedendo ad intavolare una conversazione di circostanza
che però sfuggì a Retasu, concentrata invece con un po' di
apprensione su Pai. Non che fosse stato particolarmente loquace la
prima volta che l'aveva conosciuto, ma l'umore nero che traspirava
evidente dal ragazzo la metteva ancora più a disagio di quanto non
fosse.
La
voce di Shirogane le invitò di nuovo a scoprire quanti più
particolari possibili che avrebbero potuto rivelarsi utili, perciò
si schiarì la gola e rivolse un tentennante sorriso al ragazzo
davanti a lei: “Non ti ho mai chiesto se sei di Tokyo.”
Pai
versò un po' d'acqua in entrambi i loro bicchieri: “Sì, ma non ci
abito più da anni.”
“Torni
in città solo per lavoro?”
Un
cenno d'assenso fu tutto quello che ricevette in risposta.
Afferrò
il bicchiere, totalmente a disagio (forse Minto non aveva avuto
troppo torto a farle prendere un alcolico al Pure), e prese un
lungo sorso così in fretta che delle gocce le caddero lungo il
mento.
Arrossendo,
notò che un accenno di divertimento era comparso sul volto di Pai,
che le allungò un fazzolettino: “Saremo in città per un po'.”
La
conversazione proseguì per svariati minuti, su argomenti che
rendevano Shirogane sempre più impaziente visto la loro totale
inutilità.
Stavano
giocando bene, doveva rendergliene conto; erano attenti a non entrare
in dettagli o a rivelare troppe informazioni, ma senza risultare
eccessivamente misteriosi. Non per niente, quel caso si stava
rivelando uno dei più difficili della sua carriera.
“Cerca
di rilassarti,” gli sussurrò Ichigo, masticando lentamente una
foglia della sua insalata, occhieggiando ogni due minuti le amiche da
sotto gli occhiali scuri.
“Voglio
che se ne vadano da lì,” rispose lui “Meno tempo passano in
compagnia di quei due, meglio è. Tutta questa situazione è
sbagliata.”
«Devi
dargli ancora mezz'ora, capo, per gli appuntamenti ci vuole un po',»
esclamò Purin, sempre cercando di tirarlo su di morale.
«Ryo,
mi senti?»
fu Keiichiro, appena
entrato in comunicazione, a prendere la parola «Come sta
procedendo?»
Shirogane
si strinse nelle spalle, anche se il suo superiore non poteva
vederlo: “Fino adesso è stato totalmente inutile, non dicono
niente di interessante.”
«Taruto
sta ricalibrando un satellite su di voi, dovremmo essere in grado
di-»
Akasaka si
bloccò di scatto
quando il rumore di vetri infranti rischiò di bucargli un timpano;
uno dei camerieri del ristorante, che stava passando accanto al
tavolo di Ryo e Ichigo, era inciampato nella borsa di un'altra
cliente, mandando il vassoio pieno di bicchieri usati a sfracellarsi
al suolo proprio di fianco a loro. Rimbombando nell'auricolare, il
suono era stato assordante e li aveva fatti saltare tutti; anche
dall'altro lato della strada, i suoi effetti erano stati visibili.
Minto aveva
fatto una smorfia,
portandosi automaticamente una mano all'orecchio e cambiandole
traiettoria appena in tempo per fingere di doversi spostare una
ciocca di capelli; Retasu, invece, aveva sussultato e non aveva
potuto evitare di lasciarsi scappare un gemito.
Lo sguardo di
Pai su di lei
divenne improvvisamente più pesante: “Tutto bene?”
“Oh, sì, sì,”
cercò di
essere vaga “Ma credo proprio che mi stia venendo l'emicrania...
sai quando ti si appanna la vista, e poi ti scoppia la testa in due?”
“Forse stai
troppo davanti al
computer,” scherzò Kisshu, facendole un occhiolino.
Minto tentò di
ridere,
nonostante il fischio che le tintinnava nell'orecchio: “Sembri sua
madre. Retasu, non dovresti fare questo, lavorare lì...”
Pai
si voltò verso di lei: “Scusami, invece non ho sentito dove lavori
tu.”
“Sono
una ballerina,” rispose lei, prendendo un sorso del suo tè freddo
per allentare la tensione di quello sguardo profondo.
“In
quale compagnia?”
Minto
ebbe la tentazione di deglutire nervosamente: “Nel balletto di
Tokyo, ovviamente. Non c'è niente di migliore.”
“Eh,
non lo so,” Kisshu ghignò “Mi dicono che l'Operà di Parigi sia
imbattibile.”
Un
angolo delle labbra di Pie si rivolse verso l'alto, poi lui si
schiarì la gola: “Vogliate scusarmi un secondo.”
“Shit,
shit, shit,”
Ryo stava digitando freneticamente sul cellulare
“Taruto, cambia il sito del balletto, tiralo giù, fai qualunque
cosa.”
«Ci
sto lavorando, capo!»
“Dobbiamo
intervenire?” Ichigo si morse un labbro, guardando ora fissa il
ristorante.
«Aspettate
ancora,»
comandò Keiichiro
«Non
fate saltare la vostra posizione.»
Zakuro,
che era seduta rigida sulla sua sedia, allungò il collo il più
possibile: “Una delle macchine dei lavori in corso si sta
spostando, tra poco perderemo la visuale, dobbiamo spostarci.”
Shirogane
si passò una mano tra i capelli: “Cercate di farlo con calma, ogni
cambiamento a questo punto potrebbe essere sospetto. Shit.”
«E'
la legge di Murphy, capo,» commentò
Purin «Sì,
il conto per favore.»
Mentre
le ragazze all'altro tavolo terminavano il loro pranzo, Ryo riportò
l'attenzione sulle agenti in piena operazione; Pai non era ancora
ritornato al tavolo, ed era fuori dalla sua visuale.
Aveva
infatti percorso qualche metro, fino a raggiungere l'angolo a cui la
strada principale incrociava una stradina di servizio su cui davano
le porte sul retro dei locali.
Si
era sempre basato sul suo istinto, ed esso non l'aveva mai tradito.
Con il tempo, aveva imparato che era meglio avere il doppio della
prudenza consigliabile. Peccato che non sempre i suoi collaboratori
la pensassero come lui; forse era anche quello il perché lui fosse
gerarchicamente più in alto di loro. Quindi, si disse, che era
sempre il momento buono per confermare i dati.
Cellulare
in mano, digitò casualmente l'indirizzo web del balletto di Tokyo.
Una schermata bianca a sfondo blu gli comparve davanti, scusandosi
per l'inaccessibilità al sito per lavori al server.
Un
ennesimo formicolio del suo istinto gli disse di comporre un numero
di telefono.
Quando
Ryo lo rivide camminare verso il ristorante, non seppe se il sospiro
di sollievo che aveva voglia di tirare sarebbe stato appropriato;
forse sarebbe stato meglio se non fosse tornato del tutto.
“Zakuro,
cercate di muovervi,” ringhiò.
«Ci
sto provando, ma la fila alla cassa è lunga.»
rispose lei con lo stesso tono di voce.
«Signorine,
mi dispiace dover interrompere così presto questo incontro, ma un
impegno di lavoro è appena arrivato all'improvviso. Kisshu, dovrebbe
essere arrivato un messaggio anche a te.» la
voce di Pai giungeva forte e chiara dal microfono probabilmente di
Retasu.
“Zakuro...”
intimò nuovamente Shirogane, alzando una mano per attirare
l'attenzione del cameriere.
«Stiamo
uscendo!»
Ichigo,
quasi scattata in piedi, non stava distogliendo gli occhi un secondo
dalle sue amiche; vide Kisshu tirare fuori il cellulare e leggerlo,
poi sorridere amabilmente alle due mentre tutti e quattro si
alzavano.
“Pensavo
avresti preso una pizza,” esclamò a Minto, appoggiandole una mano
all'altezza dei reni mentre l'accompagnava verso l'uscita.
Lei
arrossì un poco a quel riferimento: “Devo stare attenta alla
linea, sai?”
Anche
il suo istinto stava all'erta, l'adrenalina che pompava nelle vene;
si avvicinò a Retasu mentre uscivano sul marciapiede, trovando
conferma della sua ansia anche nel viso dell'amica. Con la coda
dell'occhio, vide Zakuro e Purin dall'altra parte della strada, che
tentavano di attraversare ma erano bloccate da quei dannatissimi
lavori in corso.
Giusto
in quel momento, un SUV nero accostò all'angolo poco più avanti, a
meno di due metri da dove si erano fermati a scambiarsi i saluti.
“Ah,
ecco la nostra carrozza,” la battuta di Kisshu risuonò strana alle
sue orecchie “Volete per caso un passaggio?”
Un
sottofondo rumoroso le fece capire che anche Shirogane si era alzato
dal proprio tavolino.
“Oh,
no,” rifiutò Retasu, il cui braccio tremò appena accanto a quello
dell'amica “Grazie mille, ma possiamo benissimo andare a piedi.”
Pai,
che le si era fatto terribilmente vicino, le sfiorò un braccio: “Mi
sento in dovere di insistere, visto che dobbiamo andare via ora.”
«Ragazze,
ferme, arrivo!»
Ma
il monito di Shirogane non fu rispettato; Minto non si era accorta
dell'uomo sceso dalla macchina che le si era avvicinato e l'aveva
costretta tra lui e Pai, così come non aveva previsto la forte
stretta al braccio che l'aveva quasi strattonata dentro la macchina.
Era
successo tutto così in fretta che non aveva avuto il tempo di
gridare, né di attirare l'attenzione dei passanti, e né, se per
quello, di poter provare a reagire. Si ritrovò scaraventata nel
sedile posteriore dell'auto, con Retasu che le fu spinta contro dopo
un secondo; prima che potesse sedersi dritta, erano partiti
sgommando.
“Attivate
gli schermi anti-localizzazione,” Pai, nel sedile anteriore, istruì
gli altri quattro uomini che erano in macchina “E perquisitele
velocemente, credo che abbiano degli auricolari.”
Retasu
cercò di divincolarsi, ma le erano già state legate le mani con un
filo di plastica che le stava segando i polsi ad ogni movimento. Un
uomo con il volto coperto le stava passando un detector di frequenze
lungo il corpo, strappandole l'auricolare dall'orecchio e il GPS che
Taruto le aveva incastrato nell'orlo della gonna.
L'ultima
cosa che sentì, prima che un cappuccio nero le fosse calato sugli
occhi e un panno premuto contro la bocca, fu la voce di Shirogane che
le chiamava, e quella di Minto che faticava per scostarsi di dosso un
altro uomo; poi, udì solo il rumore delle ruote contro l'asfalto, e
il silenzio.
Ryo
guardò la macchina allontanarsi, fermandosi in mezzo alla strada con
il fiatone e strappandosi quell'orribile parrucca dalla testa. Aveva
urlato comandi fino a sgolarsi, ma le ragazze erano state bloccate
tanto quanto lui. La stessa auto di scorta, parcheggiata all'inizio
della via, aveva impiegato troppo tempo per compiere un'inversione ad
U. L'auto su cui erano state caricate Minto e Retasu era scomparsa in
nemmeno due minuti.
“Maledizione!”
gridò, riponendo la pistola. Sapeva che sparare in quelle condizioni
sarebbe stato da pazzi, ma l'aveva presa senza quasi pensarci. Ed ora
era lì, inutile tra le sue mani, quanto era stato inutile lui.
Si
allontanò dal centro della strada, aveva già attirato l'attenzione
di troppi curiosi. Le tre colleghe lo stavano aspettando all'angolo
da cui erano arrivati, con aria angosciata.
“Cosa
facciamo, Shirogane-kun?” domandò tesa Purin.
Lui
fece un respiro profondo: “Non lo so.”
Tan-tan-taaaaaaaaaaan :D
Cos'è una storia di agenti segreti senza un po' di suspance?
ahahahah 3:)
Diciamo che ormai siamo entrati nel vivo della questione; chissà,
chissà cosa potrebbe succedere ora.... ^_^
L'università è ricominciata, ho già capito che la sopravvivenza sarà
terribile, perciò gli aggiornamenti potrebbero subire ritardi, anche
perché adesso la questione si complica U.U Quindi, per favore, fatemi
sentire il vostro amore, perché quando leggo i vostri commenti mi gaso
e ricomincio a scrivere :3
Il titolo del capitolo, che mi sembra rivelatorio, viene da una strofa
di Helter Skelter
dei soli, unici, incredibili Beatles.
Bacioni a tutti!
H.P.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Come on tell me the answer ***
Capitolo
sette: Come on tell me the answer
“Voglio
tutto il personale disponibile qui,” Ryo entrò a passo di marcia
nel laboratorio informatico, arrotolandosi le maniche della camicia
“Voglio che controlliate tutte le telecamere disponibili nel
quartiere e che rintracciate quel SUV.”
Taruto, che lo stava
tallonando,
iniziò ad istruire i suoi colleghi informatici, assumendo un tono
serio che non gli era familiare.
D'altronde, però, era anche la
prima volta che gli capitava qualcosa del genere.
“Ryo,”
Keiichiro, che chiuse la porta del laboratorio dopo che le tre agenti
rimaste della squadra μ
furono entrate, si avvicinò al biondo e gli parlò sottovoce
“Conosci la regola. Se entro un certo tempo non le recuperiamo, noi
non ne saremo più responsabili.”
Certo che la conosceva, le
politiche della CIA erano anche più rigide di questa. Ciò non
significava però che avrebbe lasciato due delle sue agenti in mano
ad un branco di criminali russi.
“Allora
faremo meglio a trovarle in fretta.”
Con un'ultima occhiata al suo
capo, Shirogane si sedette accanto a Taruto, digitando freneticamente
sulla tastiera.
“Il
satellite che avevamo calibrato su di voi non ha fatto in tempo a
registrare la scena,” gli spiegò il giovane scienziato “E,
ovviamente, i lavori in corso hanno usufruito della corrente
elettrica che alimentava la telecamera diretta su quella strada,
mettendola fuori gioco. Possiamo provare a controllare le altre
telecamere lungo il percorso, ma ci vorranno ore.”
L'americano annuì: “Allora
diamoci da fare.”
§§
La prima cosa che avvertì fu
la
gola secca e i muscoli del collo indolenziti. Poi l'aria umida e
fredda le punse le narici mentre pian piano riacquistava sensazioni
nel resto del corpo. Mosse appena le braccia, avvolte attorno allo
schienale di una sedia, cercando di evitare eccessiva frizione nei
polsi doloranti. Per ultimo, aprì gli occhi.
Le ci volle qualche secondo
per
abituarsi al buio totale della stanza; non vi era luce che filtrasse
da nessuna fessura, e per qualche istante pensò che non ci fossero
porte. Fece un respiro profondo, impegnandosi a ragionare in modo
razionale – in qualche modo le avevano portate lì, quindi
un'apertura doveva per forza esserci.
Un gemito alla sua sinistra la
fece voltare; la sagoma di Retasu era appena distinguibile
nell'oscurità.
“Retasu!”
sussurrò Minto “Retasu-chan, svegliati!”
“M-Minto?”
la voce dell'amica era roca e piena di spavento “Do-dove siamo?”
“Non
lo so. Tu stai bene?”
Retasu sbatté le palpebre. Si
accorse di essere scalza, doveva aver smarrito le ballerine mentre
era svenuta. Nonostante la sensazione di gelo, le dita dei piedi
obbedirono al suo ordine di muoversi. “Cre-credo di sì.”
Le scappò un singulto, ma
strinse le labbra. Doveva ricordarsi l'addestramento, doveva
ricordarsi di tutto quello che le avevano insegnato quando avevano
riferito alla sua classe di dover essere sempre pronti a tutto. Aveva
saputo a quello cui sarebbe andata incontro quando aveva deciso di
unirsi all'Agenzia, e quando si era offerta volontaria per quella
missione.
Non avrebbe ceduto.
All'improvviso, una debole
luce
arancione le si parò davanti; stringendo gli occhi per abituarli,
nonostante le lenti a contatto le bruciassero terribilmente, vide la
figura di Pai stagliarsi contro quella che doveva essere la porta.
“Bene,
bene,” seguito da due uomini armati, Pai entrò con due lente e
lunghe falcate nella stanza “Direi che il nuovo cloroformio
funziona bene, avete dormito come degli angioletti per molto tempo.”
Prese una sedia che loro non
avevano notato e la posizionò al centro della stanza, lasciando
sempre che la luce lo colpisse alle spalle.
“Le
cose possono andare in due modi,” iniziò in tono casuale che
suonava decisamente minaccioso “Voi mi raccontate chi siete e cosa
sapete con le buone, e allora prometto che i miei amici qui vi
tratteranno con riguardo... oppure, mi raccontate chi siate e cosa
sapete con le cattive, e io non posso promettervi che loro saranno
così clementi.”
Retasu sentì gli occhi
pizzicarle ancora di più, ma rimase in silenzio, tenendo gli occhi
bassi.
“Non
vorrete certo rovinarvi quei bei faccini, vero?”
Si era rivolto a Minto, che
sosteneva con disprezzo il suo sguardo.
Il tono di voce di Pai si fece
più duro: “Allora, per chi lavorate?”
La mora rise sarcastica: “Per
il balletto di Tokyo, ovviamente.”
“Non
farmelo ripetere due volte,” l'uomo si alzò “O ti costerà.”
Minto rimase in silenzio,
lasciandosi andare contro lo schienale e guardandolo con aria di
sfida.
Il rumore del ceffone sulla
sua
guancia bianca fece sussultare anche Retasu; nella penombra, riuscì
a riconoscere il rivolo di sangue che le scese dall'angolo della
bocca.
“Per
chi lavorate?” insistette Pai.
All'ennesimo silenzio, si
voltò
verso Retasu. “Vediamo se la tua amica è più decisa a
collaborare.”
Le si avvicinò, scrutandola
con
i suoi occhi scuri. “Ho incontrato poche donne riempiti di
strumenti di localizzazione quanto voi. Non pensiate che sia stupido.
Scoprirò il vostro segreto in un modo o nell'altro, quindi
risparmiamoci tutti la fatica. Non mi piace far male alle signore, ma
d'altronde...”
Afferrò un coltello dalla
tasca
posteriore dei pantaloni e fece scorrere lentamente la parte piatta
della lama contro il viso di Retasu. “Quindi? Per chi lavorate?”
Lei chiuse gli occhi e strinse
le
labbra.
Non
date informazioni troppo precise o che possano ricondurre alla
verità.
La voce del suo istruttore le rimbombò nella testa.
“Per
qualcuno a cui non piacete.”
Ascoltò Minto rispondere.
Sentì
Pai sospirare, poi la punta del coltello scendere pericolosamente
verso la vena pulsante del suo collo.
“Portatele
via.”
§§
Le luci del laboratorio
sembravano accecanti ai loro occhi stanchi. Purin si stropicciò le
palpebre, incurante delle tracce di trucco che le rimasero sulle
dita. Era seduta per terra a gambe incrociate, appoggiata contro il
muro, a fissare incessantemente Taruto e gli altri che lavoravano.
Lei non era brava con i
computer,
e si stava sentendo parecchio inutile; sapeva che anche le sue amiche
provavano lo stesso.
Zakuro stava camminando avanti
e
indietro per la sala, e per il bene della sanità mentale di Ryo e
degli altri, si era tolta gli stivali ed era rimasta scalza. Purin
sapeva che quello era uno dei suoi modi per scaricare la tensione ed
evitare di staccare la testa a morsi a qualcuno.
Dei passi affaticati sulle
scale
introdussero il ritorno di Ichigo, che reggeva un vassoio colmo di
tazze di caffè.
“Ho
portato il rifornimento,” cercò di scherzare “Come sta andando?”
Shirogane prese un lungo
sorso:
“La ricerca dell'auto in tutte le telecamere è infinita, era l'ora
di punta e quel modello di SUV è particolarmente popolare in questi
ultimi tempi. Stiamo rimpicciolendo il raggio d'azione, ma ci vorrà
ancora un po'.”
Purin osservò la rossa
stringere
velocemente la spalla dell'americano in un gesto di conforto. Le
sorrise quando le si sedette accanto, calciandosi via le zeppe e
sospirando.
“Mi
sento un po' inutile. Almeno tu puoi portare il caffè, il capo mi ha
impedito di farlo da quella volta in cui gliel'ho rovesciato sui
pantaloni,” le sussurrò.
Ichigo rise sottovoce,
mordendosi
poi la pellicina in un dito: “Siamo qui da ore.”
“Dici
che stanno bene?”
La rossa avrebbe voluto dirle
di
sì; ma la quantità di bugie che raccontava giornalmente era
abbastanza per poterci aggiungere anche quella alla sua amica.
“Sanno
cavarsela,” le rispose solo “Sapevano quello che stavano
facendo.”
La biondina annuì e le poggiò
la testa sulla spalla, sospirando forte. Si sentiva esausta, erano da
ore chiusi in quel laboratorio, e quel sentimento la faceva sentire
ancora più in colpa. Le sue amiche se la stavano passando molto
peggio di lei, quindi come poteva lei sentirsi stanca?
Zakuro si inginocchiò davanti
a
loro, parlando a bassa voce: “Devo uscire di qui, vado a comprare
qualcosa da mangiare. Cosa volete?”
Purin scosse la testa: “Non ho
fame, grazie, Zakuro-san.”
Lei annuì, si alzò, e fece per
rimettersi gli stivali quando la voce di uno dei loro tecnici le mise
tutte all'erta: “Forse abbiamo trovato qualcosa, Shirogane-san.”
Ryo fece scivolare la sedia
vicino all'uomo, che subito riprese a spiegare: “Abbiamo
circoscritto il più possibile la zona di plausibile passaggio del
SUV, grazie alle telecamere di alcune banche due isolati più a nord.
Coprono anche le strade sul retro, quindi abbiamo avuto un aerea
abbastanza localizzata. Qui, proprio sulla strada che corre parallela
al luogo di incontro, abbiamo trovato questo.” digitò velocemente
sulla tastiera, e sullo schermo apparve l'immagine sgranata di un
SUV.
“Calcolando
l'orario in cui sono state riprese queste immagini, il tragitto per
arrivare in quel punto e la velocità massima che l'auto poteva
raggiungere con il traffico registrato a quell'ora, ci sono buone
probabilità che quello sia il SUV che stiamo cercando.” spiegò
infervorato Taruto.
“Quant'è
per te una buona probabilità?” gli domandò Ryo.
Taruto si morse il labbro:
“Uhm... potrei dirti il settanta percento, capo, ma...”
“Okay,
d'accordo, togliete tutti quei pixel e fatemi leggere la targa.”
Avvertì
le tre ragazze farsi più vicine a loro, concentrate sugli schermi.
In pochi minuti, i tecnici riuscirono ad ingrandire la foto e
renderla nitida abbastanza da poter distinguere le cifre e il kana
incisi sopra.
“Quali
sono ora le probabilità che sia una targa vera?” domandò Ichigo.
L'americano afferrò un
telefono
e compose velocemente un numero: “Sono Shirogane, chiamo dal
laboratorio, ho bisogno di identificare una targa. È urgente.”
lesse ciò che era scritto sullo schermo e riagganciò.
Passarono
quasi dieci minuti di silenzio prima che il computer di Taruto
emettesse un ping
e si aprisse una schermata con le informazioni che i piani superiori
avevano ritrovato.
“E'
registrata ad una certa Izumi Masahiro”, lesse il giovane tecnico
“Che, secondo l'anagrafe, ha ottantatré anni, ed abita alla
periferia di Tokyo. Dubito che vada in giro con un SUV.”
Shirogane afferrò la pistola,
riponendola nella fondina che teneva sulla schiena: “C'è un
indirizzo?”
Taruto digitò su qualche altro
tasto, rispondendogli dopo pochi istanti.
“Chiamate
la Squadra d'Intervento,” Ryo s'infilò la giacca “Voglio tutto
il personale disponibile pronto in cinque minuti. Voi no,” aggiunse
rivolto alle ragazze “Ne avete già passate troppe oggi.”
“Shirogane-kun,
è troppo semplice, non possiamo sapere se le ragazze sono davvero
lì,” tentò Ichigo.
“Vuoi
davvero che mi lasci scappare l'opportunità?”
Lei si permise due secondi per
pensarci. “No, hai ragione.”
Le strinse la mano così
brevemente che, per un attimo, Ichigo pensò di esserselo immaginato:
“Andiamo.”
§§
La cosa buffa del suo
cervello,
si ritrovò a pensare, era che faceva sempre i collegamenti più
strani nei momenti meno opportuni. Se avesse raccontato che in quel
momento era capace di pensare solo al Titanic, probabilmente
l'avrebbero presa per pazza.
Se fosse sopravvissuta a tutto
ciò, non l'avrebbe certo riferito alla psicologa da cui l'avrebbero
decisamente spedita.
L'acqua di quella bacinella
era
talmente fretta che il graffio creatosi dal contatto con un pezzo di
ghiaccio quasi non le fece male; erano i suoi polmoni a bruciarle
terribilmente, esausti da quel continuo dover trattenere aria
all'improvviso ed ogni volta più a lungo.
Quando sentì i capelli tirati
di
nuovo verso l'alto, Retasu strinse ancora di più gli occhi e si
preparò ad inspirare forte tra i colpi di tosse che non la
lasciavano andare.
Ma
sarebbe potuto andare molto peggio,
si disse, davvero
molto peggio.
Le ciglia erano piene d'acqua
e
sbatterle era difficile, gli occhi le pizzicavano e aveva perso le
lenti chissà quanto tempo prima dentro quella pozza gelida, perciò
vedeva meno del solito. Minto, accanto a lei, la frangia e le ciocche
frontali fradicie e gocciolanti, era praticamente soltanto una
silhouette sfocata.
“Non
fatemelo ripetere,” la voce di Pai era stranamente calma mentre
stava seduto su una sedia, giocherellando con il coltello che prima
le aveva graffiato il collo “Ditemi per quale organizzazione
lavorate.”
Retasu mosse le ginocchia, che
si
erano sbucciate a contatto con il pavimento, per alleviarne un po' la
pressione. Fissò un punto davanti a sé sul suolo sporco, senza
alzare il viso. Udiva Minto respirare affannata, ma nessun altro
rumore.
Pai sospirò, facendo un cenno
ai
due uomini nella stanza. Essi afferrarono nuovamente le teste delle
due ragazze, spingendole dentro i catini e tenendole sott'acqua,
contrastando il loro naturale tentativo di uscirne quando la
pressione nei polmoni diventava troppa.
Doveva ammettere di non aver
pensato che potessero essere così tenaci. A vederle, così grazioso
e gracili, le aveva scambiate per qualcuno che sarebbe crollato alla
terza insistenza. A lui non piaceva essere troppo brusco con le
donne, ma forse sarebbe stato opportuno, con loro, cambiare tecnica.
D'altronde, nessun altro era mai arrivato così vicino ad
incastrarlo.
Si alzò, accucciandosi accanto
a
Retasu, che annaspava, le labbra ormai blu e il viso pallido sotto i
graffi, il sangue e il rossore sulla pelle provocato dal gelo.
“Volete
continuare a resistere ancora per molto?” le prese il viso con due
dita, voltandolo verso di sé “Credete davvero che fare le dure vi
aiuterà a salvarvi? Perché so anch'io due o tre cose sul mondo a
cui sospetto apparteniate. E so che quando due agenti sotto copertura
sono dispersi, è davvero difficile che i loro superiori
intervengano.”
Retasu
ignorò il tuffo che il suo cuore fece a quelle parole, scostò la
testa dalla presa dell'uomo e ritornò a fissare il pavimento.
Lo
ascoltò scambiarsi parole con gli altri uomini nella stanza in una
lingua a lei sconosciuta. Non sapere cosa si stessero dicendo era
quasi rinfrancante, l'aiutava ad accettare meglio quello che sarebbe
stato. Era così stanca che non le veniva nemmeno da piangere.
Li
sentì ridacchiare, quello che torreggiava sopra a Minto prese una
delle ciocche corvine e se l'arrotolò attorno ad un dito,
sfiorandole una guancia con la mano dalle nocche indurite e sporche
mentre la mora tentava flebilmente di allontanarlo. Retasu avrebbe
voluto aiutarla, avrebbe voluto anche solo farsi più vicina a lei,
ma era come se il freddo della bacinella l'avesse avvolta fino alla
punta dei piedi.
“Retasu
è il tuo vero nome?”
A
quell'ennesima domanda di Pai, lei non riuscì a mentire ed annuì.
“Sai
cos'è il waterboarding,
Retasu?”
“Lasciala
stare!” la voce di Minto era roca, spezzata, ma non aveva perso
quella carica combattiva e tenace che la ragazza sempre dimostrava.
“Siete solo dei codardi!”
Pai
si alzò, ritornando sulla sua sedia: “Ancora.”
Il
russo che aveva giocherellato con i suoi capelli spinse di nuovo
Minto nell'acqua, mandandola più a fondo e contraccambiando la forza
che lei sembrava aver recuperato per quell'effimero momento. Retasu
riuscì a guardarla per mezzo secondo, prima che il suo viso fosse
nuovamente avviluppato dal liquido e dai cubetti di ghiaccio. La
stanchezza le fece aprire la bocca prima del previsto, e l'acqua
glaciale le invase la gola; si accasciò a terra quando la
riportarono su, sentendosi affogare mentre tossiva senza sosta,
tremando, non riuscendo a rispondere ai deboli richiami della sua
amica.
Pai
fece scorrere un dito sulla parte larga della lama del suo coltello;
forse, ora, sarebbe arrivato vicino ai risultati sperati. Riteneva di
basso livello ricorrere ad altri metodi con le donne, ma i suoi
“colleghi” non erano certo della sua stessa fattezza morale. Lui
non era nemmeno come Kisshu, a cui piacevano le storielle di una
notte senza senso. A lui, in fondo, le donne con un certo fegato
piacevano. E quella Retasu ne stava dimostrando parecchio.
Quasi
quasi era un peccato.
Con
la coda dell'occhio, vide una delle guardie avvicinarsi alla
finestra, fatta di spesso vetro che non veniva pulito da molto.
“Cosa
c'è?” abbaiò, non incline ad essere interrotto.
L'uomo
gli rispose in russo: “Si sta avvicinando una macchina.”
§§
Zakuro
aveva preso il posto di Ryo lungo l'estesa fila di computer che ora
erano tutti impegnati tra GPS, satelliti e telecamere. Shirogane era
in collegamento continuo con loro, così tutti potevano osservare
cosa stesse succedendo.
Più
il tempo passava, più lei era tesa come una corda di violino. Non lo
aveva mai ammesso ad alta voce, e forse non l'avrebbe mai fatto, ma
era disposta a tutto pur di tenere al sicuro le ragazze con cui
lavorava. Magari perché era la più anziana, magari perché avevano
tutte transizionato molto velocemente dal ruolo di colleghe a quello
di strette amiche, fatto sta che sentiva un fortissimo senso di
protezione nei loro confronti, quasi da sorella maggiore. E pensarle,
ora, lontane dalla sua ala... non poteva sopportarlo.
Pensò
alla dolce Retasu, che si era imbarcata in tutto ciò solo per
dimostrare che lei non era da meno; non gliel'aveva detto, ma non
erano servite parole per farle capire che era così.
E
pensò a Minto, che l'aveva incontrata anni ed anni prima ad una
festa quando ancora lei era nel pieno della sua vecchia vita, e che
l'aveva accettata così com'era anche nella nuova. Minto era davvero
la cosa più simile ad una sorella che avesse mai avuto.
“Lui
vuole dei figli e io no, ecco il problema.”
Minto
non alzò nemmeno gli occhi dalla sua insalata di pesce: “Ne avete
già parlato?”
Zakuro
sbuffò: “Centinaia di volte. Non potergli spiegare davvero il
perché rende tutto più difficile.”
La
mora annuì: “Quindi ne vorresti se non lavorassi per il
Dipartimento?”
“Forse,”
la modella ci aveva pensato un attimo “Non lo so. Non mi sono mai
sentita materna.”
“Non
dirlo a me. Piagnucolanti esserini che richiedono attenzioni a tutte
le ore, per carità.”
Rimasero
in silenzio qualche istante, concentrate sui loro pranzi e sui loro
pensieri.
“Hai
mai pensato di mollare tutto?” domandò Minto dopo un po'.
La
domanda, per Zakuro, poteva avere un doppio significato, ma lei
sapeva dove l'amica stesse andando a parare: “A volte penso sarebbe
più semplice. Ma ho già mollato tutto una volta, e lavorare al
Dipartimento mi piace. Mi fa sentire più utile che posare per delle
foto.”
“Anche
se ciò significa rischiare di dover sacrificare tutta la tua vita
privata?”
Lei
si strinse nelle spalle: “Vuoi sentirmi dire che il matrimonio tra
me e Matt durerà per sempre perché è così che funziona il vero
amore?”
Minto
scosse la testa: “No, perché non crederei nemmeno in quella
domanda.”
“A
ventun anni si crede un po' a tutto.”
“Oppure
ti chiami Ichigo Momomiya.”
Il
rumore delle portiere sbattute che proveniva dai computer la riscosse
dai pensieri; Shirogane e la squadra di intervento erano arrivati
all'indirizzo che Taruto aveva trovato collegato alla targa del SUV.
Sugli
schermi comparvero tanti capannoni, di quelli usati per il deposito
di vecchie cose o di quelle cianfrusaglie in più che tra i traslochi
e i viaggi non si sanno mai dove mettere.
La
squadra, uomini bardati in caschi, grosse tute nere e giubbotti
antiproiettile, scese in silenzio, armi puntate davanti a sé.
“Capo,
ci sono quattro capannoni nella zona indicata dall'indirizzo. Non
riesco a trovarti il numero di quello che ci serve.” esclamò
Taruto a voce bassa, come se avesse potuto disturbare.
Non
potevano vedere Shirogane, perché la telecamera era attaccata al suo
giubbotto, ma sentirono la sua voce: «Dobbiamo
dividerci, voglio due uomini davanti ad ogni capannone.»
Il
rumore di passi concitati li accompagnò mentre si posizionavano
davanti alle porte a serranda di metallo.
Ichigo
si avvicinò agli schermi, mordendosi la pelle secca del pollice,
borbottando qualcosa sulla violazione di proprietà privata che fece
sorridere Zakuro. Purin si mise tra di loro, prendendo le loro mani e
stringendole forte.
«Capannone
uno, ora!»
grazie ad un congegno che riusciva a decifrare codici e password, gli
uomini con Shirogane riuscirono ad aprire il primo di quei
prefabbricati. Quando lo illuminarono, videro che era occupato da una
grande barca che aveva tutta l'aria di essere stata dimenticata lì.
Ryo
fece un gesto ai due di perquisire l'interno, mentre lui si spostava
al capanno successivo.
Lì,
l'apertura rivelò soltanto qualche auto e dei vecchi divani.
“Non
ci sono,” mormorò Purin con un singhiozzo “Non sono lì. Con
tutto quel rumore, sarebbero già usciti.”
La
sua previsione si rivelò corretta. I due ultimi capanni erano
totalmente vuoti. La loro ispezione non rivelò niente di importante;
nessuna botola nascosta, nessuna telecamera di sorveglianza, nessuna
traccia di passaggio umano negli ultimi mesi, per non dire anni.
Rimasero
tutti in silenzio mentre sentivano Shirogane esclamare parolacce in
inglese e abbaiare ordini; anche se a mani vuote, era ora di
rientrare.
§§
Kisshu
si fece avanti con la sua solita aria rilassata, alzando solo un
sopracciglio quando vide la scena davanti ai suoi occhi: “Siete
ancora qui?”
“Potevi
almeno avvertire che eri tu che stavi entrando, sai. Pavel era già
pronto a riempirti di buchi,” gli rispose Pai, con un cenno del
capo all'uomo alla finestra “E comunque, le signorine qui stanno
facendo le ritrose.”
Minto,
da sotto la frangetta bagnata che le si appiccicava al volto, lanciò
uno sguardo d'odio al ragazzo appena entrato, non stupendosi quando
si accorse che la stava già guardando.
“Non
hai esagerato, vero?”
Fu
stavolta il turno di Hayashi di stupirsi: “Proprio tu ti fai degli
scrupoli con le donne, ora?”
Kisshu
afferrò una delle sedie e la voltò, così da appoggiare le braccia
sullo schienale: “Oh, lo sai che sono altri
i metodi che mi piace usare con loro.”
Retasu,
a quelle parole, rabbrividì. Che tutta quell'aria di casualità
fosse solamente una maschera, un piano che in realtà rivelava cose
molto peggiori di quella? Che Kisshu fosse entrato con uno scopo ben
preciso?
“Sei
sempre così volgare. Magari adesso però la tua amichetta avrà
qualcosa da dirti.”
A
Minto scappò una risatina nervosa: “Oh, certo. Vaffanculo.”
Quasi
non fece in tempo a prendere aria che la sua testa fu spinta
nell'acqua. Non sapeva nemmeno quante ore fossero passate, quante
volte aveva dovuto fare quel bagno fuori programma. Sentiva ogni
singola parte del corpo dolere per la scomoda posizione in cui era
costretta a stare da quando le avevano prese; i polsi pungere e
tirare, forse anche sanguinare contro i polpacci lasciati scoperti e
graffiati dal pavimento. La testa le pulsava, la bocca e la gola
erano secche, le grida con cui Pai aveva cercato di estorcere loro
informazioni le rimbombavano nelle orecchie fischianti. Eppure,
l'unico suo pensiero era che non poteva cedere.
Soprattutto,
ora, non davanti a Kisshu.
Vide
i due parlottare, vide Retasu ormai stesa su un fianco, notò con
sollievo il suo petto alzarsi ed abbassarsi, lentamente. Forse
perdere conoscenza avrebbe reso le cose più facili, ma non poteva
rischiare di abbassare la guardia in mezzo a tutti loro.
“Se
vuoi che ti aiuti, colombella, forse dovresti dirci per chi lavori.”
la voce di Kisshu le arrivò lontana.
Sta'
sveglia, Minto, sta' sveglia.
Tossì,
sputando del catarro ai piedi del suo torturatore. Tre istanti dopo,
lui quasi le spezzò il collo tanta fu la forza con cui la spinse in
avanti.
Kisshu
la osservò lottare a malapena, le bolle d'aria che increspavano la
superficie.
“Non
penso ricaveremo molto da loro, Pai.” esclamò pensieroso “Tanto
vale...”
L'altro
sembrò rifletterci, poi annuì. “D'accordo. Occupatene tu.”
...... oops? xD Lo so, sono particolarmente sadica negli ultimi tempi
^^''' Comunque almeno è passata solo una settimana dall'ultimo
aggiornamento, quindi non potete dire che vi ho lasciate troppo col
fiato sospeso (anche se sììì, adesso forse è peggio di prima? xD)
Mi scuso se le scene presentate possano aver offeso qualcuno; ho
cercato di non essere troppo esplicita né troppo crudele. E
scusatemi anche per l'OOC di Pai, ma già io e lui non ci becchiamo
quando si tratta di carattere, se poi devo renderlo anche criminale
internazionale, diventa difficile davvero ^^
Il titolo è, di nuovo, una strofa di Helter Skelter :)
Grazie alle magnifiche che sempre commentano e mi fanno scrivere per
alleviare il loro dolore, e grazie a chi spenderà due minuti per
commentare anche questo :)
A presto e buon weekend,
Hypnotic Poison
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Are there some aces up your sleeve? ***
Dedicato
a Blackmiranda, per ragioni che si scopriranno in fondo :)
Capitolo
otto: Are there some aces up your sleeve?
Stava albeggiando, Ichigo
notò,
stropicciandosi gli occhi. Lei, Purin e Zakuro erano distese sui
tappetini della palestra, dove avevano passato una notte agitata.
Shirogane avrebbe voluto mandarle a casa, ma loro si erano imposte ed
erano rimaste lì, sentendosi inutili mentre la ricerca per Minto e
Retasu continuava. Sapevano, però, che ogni minuto che passava era
un minuto in più di speranza persa; ancora poco tempo, e non
avrebbero potuto fare molto.
Taruto e i suoi colleghi si
erano
rimessi a setacciare le telecamere stradali, ipotizzando i vari
tragitti che quel dannato SUV avrebbe potuto prendere. Ma Tokyo era
Tokyo, e quell'impresa titanica.
Si alzò silenziosa, non
volendo
svegliare le altre. Aveva sentito Purin piangere durante la notte, e
adesso la biondina era immersa in un sonno profondo che le sarebbe
servito. Non sapevano, infatti, quali notizie avrebbe potuto portare
il giorno.
Stirandosi i muscoli, si
diresse
a piedi nudi verso il bagno, desiderando una doccia calda per poter
alleviare stanchezza e preoccupazione.
Mentre passava davanti allo
spogliatoio maschile, vide la luce accesa e sentì il fermarsi
dell'acqua corrente; non ebbe molta difficoltà nell'indovinare chi
avrebbe potuto essere, ma un'occhiata veloce all'interno le rivelò
dei vestiti noti. Non erano in molti in Dipartimento a quell'ora,
dopotutto.
Sapendo che, appunto, non
c'era
nessuno in giro, si addentrò nello spogliatoio umido, appoggiandosi
poco distante dall'entrata.
“Ryo?”
domandò in un sussurro.
“Hey
there,” le
rispose lui con finta allegria mentre tirava fuori dei vestiti puliti
dall'armadietto, con un asciugamano intorno al collo e solo la
biancheria addosso “Ti sei svegliata presto.”
“Già,
è stata la luce. Le altre stanno ancora dormendo.”
“E
tu cosa ci fai nello spogliatoio degli uomini?”
Ichigo alzò gli occhi al
cielo:
“Ho sentito la doccia e ho pensato che fossi tu.”
Shirogane si frizionò
velocemente i capelli: “Ed ora che mi hai trovato?”
Lei si morse il labbro: “Come
stai?”
L'americano non rispose per
qualche minuto, rivestendosi con calma.
“Non
è colpa tua, Ryo.” insistette la rossa “Non potevamo prevedere
tutti quegli... imprevisti.”
Lui rise senza nessuna traccia
di
umorismo: “E' praticamente il nostro lavoro riuscire a prevedere
tutto quello che può andare storto e fare di meglio per evitarlo,
Ichigo-chan.”
“Lo
so, ma questa volta sembrava davvero che avessimo l'universo contro.”
Ryo chiuse l'armadietto,
armeggiando con l'orologio che portava al polso: “Avrei dovuto
essere più attento e annullare tutto quando ci siamo resi conto che
la situazione non era appropriata.”
“L'ordine
sarebbe dovuto arrivare da Akasaka-san...”
“Be'
e io avrei dovuto insistere,” la rabbia di Shirogane fuoriuscì in
un sibilo così improvviso che la ragazza fece un passo indietro
“Minto e Retasu sono le mie
agenti, era la mia
missione sotto la mia
responsabilità,
quindi io
avrei dovuto lasciare perder tutto invece di metterle così in
pericolo.”
“Ryo
-”
Erano tanti i toni in cui
Ichigo
diceva il suo nome, quand'erano da soli. C'era l'acuto strillo
implorante quando le faceva il solletico all'improvviso, e
l'affannato sospiro all'orecchio tra le lenzuola; ma di tutti, quello
era l'unico che non poteva sopportare. Era carico di quella che lui
percepiva come pietà, un sentimento che aveva dovuto provare da
troppo piccolo e che detestava. Aleggiava nell'aria, non detto, non
concluso, precedendo scuse che lui non voleva sentire perché non
portavano a nessuna soluzione.
“Puoi
ascoltarmi, per favore?” insistette la rossa.
“Perché
dovrei?” ringhiò lui “Hai qualcosa da dire che potrebbe tornare
utile?”
“Non
lo so, ma se tu per
una volta
volessi farti aiutare...!”
Ryo strinse i pugni e si
impose
di fare un respiro profondo. Sapeva che non poteva prendersela con
lei, non almeno in quel frangente. Ichigo era preoccupata quanto lui,
poteva fare ancora meno di lui.
“Nessuno
ti impone di essere sempre il più forte di tutti,” la udì
mormorare.
Lui sospirò, cacciando
l'asciugamano nel cesto per la roba bagnata e indossando la camicia
pulita: “Non ho voglia di parlarne, Ichigo. Sono stanco.”
Ichigo fu colta da un ironico
senso di déjà vu che la fece trasalire. “Volevo solo...”
“Lo
so,” la interruppe lui “Ma lascia perdere.”
Lei annuì e, senza aggiungere
altro, girò sui tacchi e si diresse verso lo spogliatoio femminile,
volendo ormai soltanto di annegare tutti i suoi pensieri sotto il
getto d'acqua bollente.
Nel silenzio della palestra,
intanto, Purin dormiva un sonno agitato. La pelle era secca e striata
dalle lacrime che le erano cadute copiose durante la notte, per
quanto lei avesse cercato di trattenersi convincendosi di essere più
forte di così, che sapeva cosa avrebbe affrontato lavorando per
l'Agenzia.
Il pensiero di Retasu, però,
persa chissà dove, non la poteva lasciare. I suoi sogni nervosi
riflettevano le sue paure, le riportavano a galla momenti che aveva
paura di non poter più condividere con la sua amica dagli occhi blu.
Si svegliò quasi di
soprassalto
nel sentire il rimbombo di un armadietto lontano, con un rantolo che
le soffocò la gola mentre un ricordo le ritornava in mente.
Erano
sedute in armeria, a riporre le pistole usate poco prima per un
controllo al poligono. Purin sapeva che a Retasu non piaceva l'odore
della polvere da sparo, o lo schiocco violento del proiettile che
schizzava verso il bersaglio. Neanche lei ne era particolarmente
attratta, ma sapeva che per l'altra ragazza era peggiore. Retasu era
brava con i computer, le piaceva rendersi utile da una tastiera
piuttosto che impugnare un'arma. Un po' come a Taruto, si disse, e
forse era per quello che andava così d'accordo con entrambi. Decise,
perciò, di provare a distrarla un po', giusto per fare due
chiacchiere. Ne aveva di cose da raccontarle, in fondo, ed era da un
po' che non avevano il tempo di rilassarsi per bene, con tutti quei
casi che Akasaka-san aveva deciso di appioppare loro ora che si era
reso conto di quanto anche Shirogane le facesse lavorare.
“Sono
uscita con Taruto-kun, sabato scorso,” le rivelò sotto voce con un
sorriso.
Retasu,
incredibilmente, non ne sembrò sorpresa. “Lo so,” rise contenta,
rispondendo subito alla muta domanda di quegli occhi nocciola “Me
l'ha detto Minto, ovviamente, lo sai che lei sa sempre tutto. Non ti
ho chiesto nulla perché ho preferito aspettare che me ne parlassi
tu.”
“Oh,
Reta-chan, lo sai che con me non devi farti problemi! Siamo amiche,
puoi chiedermi quello che vuoi!”
Le
guance della ragazza s'imporporarono: “Allora, come è andata?”
Purin
si strinse nelle spalle: “E' andata bene, direi? Non sono molto
abituata ad avere degli appuntamenti, e Taru-Taru è così... timido?
No, è... uhm... non so come descriverlo. Però ci siamo divertiti,
siamo andati allo zoo, e poi a prendere un gelato, e...”
Retasu
guardò divertita la sua amica che si lanciava in un intricato
racconto del suo week-end. Era bello vedere la “piccola” del
gruppo così contenta, soprattutto visto quanto lei e uno dei loro
tecnici si girassero intorno da mesi. Non riuscivano ad ingannare
nessuno quando insistevano di essere solo amici e finalmente, dopo
tattici suggerimenti da parte di Minto e Zakuro, Purin aveva preso in
mano le redini della situazione e si era convinta ad invitarlo fuori,
vista la ritrosia infantile del ragazzo. Le venne da sospirare. Era
da tempo che lei non provava quel brivido lungo la schiena dato dalla
consapevolezza che ci fosse qualcosa sul punto di nascere. Un po' non
aveva il tempo di concentrarsi sulla sua vita privata, un po' le era
anche comodo barricarsi dietro quella scusa... non era mai stata una
campionessa nelle relazioni sociali, ed il pensiero di doversi
imbarcare in una con tutte le conseguenze che la sua vita
professionale comportava, non la faceva certo sentire meglio. Per
Purin era facile, Taruto sapeva benissimo chi lei fosse. Ma bastava
guardare al caso di Ichigo, che sembrava impazzire dietro tutto
quello con cui doveva destreggiarsi, per non parlare poi... le sue
elucubrazioni furono interrotte da Minto, che si sedette vicino a lei
sulla panca scuotendo la testa.
“Quei
due dovrebbero stare più attenti, o lo verrà a sapere l'intero
dipartimento.” borbottò sottovoce.
Le
altre ragazze non ebbero bisogno di chiedere a chi si stesse
riferendo.
“Tu
fai a meno di parlarne, e magari la questione sarebbe più
riservata,” la riprese con un sorriso Purin.
Minto
alzò gli occhi al cielo e fece un cenno veloce verso Shirogane ed
Ichigo, che si stavano parlando ad una distanza troppo ravvicinata
per due persone che intrattenevano soltanto una relazione lavorativa:
“Guarda che io lo dico per loro. A me non me ne frega niente di chi
si porta a letto Ichigo, o Shirogane, ma ai piani alti questa cosa
potrebbe non andare giù. Tecnicamente, è contro le regole.”
“Almeno
Shirogane-kun è più spesso di buon umore,” sghignazzò la
biondina.
Retasu
storse la bocca in un'espressione pensierosa: “Non è comunque
giusto, pensate ad Aoyama-kun, lui non sa niente...”
Minto
si alzò in piedi e ripose le cuffie che usavano per proteggersi dal
frastuono: “Quello è l'ultimo dei problemi di Ichigo, Reta-chan. E
comunque, non siamo qui per giudicare.”
“Oh,
tu sì!” con una risata, Purin avvolse le braccia intorno alle
spalle delle amiche e insieme si diressero bisbigliando verso il loro
ufficio.
Purin schiacciò la testa
contro
il materassino della palestra, che da confortevole appoggio per pochi
minuti dopo gli allenamenti era diventato duro e scomodo dopo una
notte passataci a rivoltarcisi sopra. Fece un respiro profondo,
cercando di allungare la colonna vertebrale e far schioccare
piacevolmente le ossa anchilosate; le gambe erano intirizzite dal
freddo e dalla posizione raggomitolata che aveva tenuto per ore.
Sapeva che non sarebbe più riuscita ad addormentarsi, e non ne aveva
voglia. Voleva solo fare qualcosa, qualsiasi cosa, per ritrovare le
sue amiche.
Almeno smetterla di perdere
tempo
a dormire, solo l'idea di essere lì reclusa la faceva innervosire,
lei che era così abituata a non stare mai ferma.
Si alzò svelta dal pavimento,
stirando le braccia verso l'alto e strofinandosi le guance per
affievolire il pizzicare dell'acqua salata. Si legò i capelli in una
coda veloce e spettinata, affrettandosi fuori dalla palestra.
L'ombra di Ryo le si stagliò
davanti, con i capelli umidi e le spalle un po' incurvate.
“Buongiorno,”
le disse sottovoce “Che dici, prendiamo un caffè anche per i
ragazzi in laboratorio?”
Purin annuì, quasi le venne da
sorridere, e intrecciò un braccio con quello del suo capo:
“Andiamo.”
§§
L'auto sobbalzava sul percorso
sterrato, facendole cozzare l'una contro l'altra sul sedile
posteriore. Ad ogni saltello, Minto poteva sentire il corpo di Retasu
afflosciarsi sempre di più contro il suo; avrebbe voluto dire
qualcosa all'amica per consolarla, per rafforzarla, ma era stato
ordinato loro di rimanere in silenzio, la testa tra le gambe – e
lei, in quel momento, non aveva certo la forza di provare ad opporsi.
Torse appena i polsi, testando la
resistenza della sua pelle: le bruciature lasciate dalle manette
pulsavano in modo insopportabile, e sembrava che ad ogni movimento
diventassero più profonde.
Esalò lenta, cercando di non
fare rumore; i due uomini alla guida stavano parlando tra di loro a
bassa voce - non che loro avrebbero mai potuto capire quale fosse
l'argomento – e il suono della terra e dei sassi sotto le ruote
veloci era abbastanza forte, ma Minto non voleva correre nessun
rischio.
Si
puntellò appena sui piedi, spostando il baricentro e sollevandosi
appena dal sedile con il bacino, stringendo i denti mentre cercava di
far passare un po' le mani in avanti; era solo un tentativo, una
fievole speranza di poter recuperare almeno l'uso delle braccia e, in
qualche modo, riuscire a contrastare due uomini. Il corpo di Retasu
premeva contro il suo, mettendole in difficoltà il già precario
equilibrio; anni di addestramento e balletto, però, non erano stati
inutili, e forse
ce l'avrebbe fatta, forse non appena la porta fosse stata aperta, lei
avrebbe potuto in qualche modo sbrogliarsi... un salto più forte
della macchina la fece ricadere con prepotenza contro il sedile con
uno sbuffo.
Sentì gli occhi pungerle di
lacrime, ma non gliel'avrebbe data vinta; doveva essere forte, per se
stessa e per Retasu. Spostò appena un ginocchio per appoggiarlo a
quello dell'amica, per tentare di regalarle un po' di conforto.
Se doveva essere sincera, non si
era mai aspettata che potesse finire in quel modo. Era un rischio che
aveva messo in conto all'inizio, aveva fatto addestramenti apposta,
ma chi mai pensava che fosse davvero una possibilità concreta?
Forse un po' l'assurdità della
situazione la faceva ridere, o forse semplicemente stava avendo un
crollo nervoso. Meglio così, si disse, non aveva voglia di essere
troppo lucida. Le venne solo da sperare che si concludesse tutto
molto in fretta.
Sentì l'auto accostare e
fermarsi, poi le portiere anteriori aprirsi.
Retasu, accanto a lei, emise un
gemito ed iniziò a tremare più forte.
La luce del Sole era più forte,
ora, da quello che riusciva a vedere; dovevano essere in un posto
davvero isolato se i due russi erano così tranquilli a stare fuori
in pieno giorno.
La portiera del lato destro,
dov'era seduta lei, si aprì, ed la mano forte di quello che aveva
capito chiamarsi Pavel si strinse attorno al suo braccio in una morsa
implacabile, strattonandola fuori e sostenendola senza sforzo mentre
lei inciampava giù dal gradino e sui sassolini.
Minto dovette sbattere un paio di
volte le palpebre per abituarsi alla luce improvvisa; non oppose
resistenza mentre Pavel la spingeva oltre la macchina, dall'altro
lato della strada dove Kisshu stava conducendo Retasu in una maniera
molto meno grezza, ma terribilmente più spaventosa.
Attorno a loro, poté constatare
la mora in pochi istanti, non c'era davvero nulla se non una lunga
strada sterrata in mezzo ad una pianura di campi incolti ed
abbandonati, ingialliti dal tempo. Una vecchia ferrovia piena di
sterpaglie correva alle spalle di Fukazawa; quasi le sembrava,
ironicamente, il set di un film. Un bidone della spazzatura vuoto
giaceva poco lontano, segnato dalla ruggine.
“Madamigelle,
spero che il viaggio non sia stato troppo stancante,” le schernì
Kisshu con un sorrisetto beffardo.
Minto non rispose, non lo guardò
nemmeno, mentre Pavel le spingeva con forza su una spalla per farla
cadere in ginocchio a terra. Rivolse una domanda a Kisshu, che però
scosse la testa: “No, ormai non c'è più bisogno di bendarle. E
poi è meglio così, non credi, amico mio?”
Retasu si lasciò scappare un
singhiozzo, poi un rantolo quando l'aria faticò ad entrarle nei
polmoni, ormai però aveva esaurito le lacrime. Voltò appena la
testa verso Minto, che le rivolse un piccolo sorriso.
Almeno non erano sole; almeno,
erano insieme.
Davano
le spalle ai due uomini, fissando il SUV nero con cui erano state
portate lì. L'aria era ferma, quasi calda, rilassante. Il frastuono
dei loro cuori rimbombava nelle orecchie, Kisshu continuava a
blaterare, ma il click
indistinguibile delle sicure delle pistole non venne ignorato.
Entrambe presero fiato allo
stesso momento; era vero quello che si diceva, che poco prima di
morire tutta la vita passava davanti agli occhi? Anche quando un
proiettile veniva conficcato nel cervello?
Strinsero gli occhi, mentre solo
puntini rossi e gialli apparivano davanti a loro nel nero. Il cuore
batteva, batteva, la gola era secca e i secondi sembravano dilatarsi
nel tempo e nello spazio contro ogni legge della fisica.
Poi, risuonò uno sparo.
§§
“Accusami
di insubordinazione, se vuoi, ma non
ti azzardare a dire quello che stai pensando perché sprecheresti
solo fiato!”
Keiichiro sospirò pesantemente
al rumoroso tono di voce di Shirogane: “Il tempo scorre, Ryo, non
posso fare niente per fermarlo. La PSIA è già stata informata della
situazione, non so per quanto ancora...”
“E
tu tienili impegnati, inventati qualcosa, cazzo!” il biondo puntò
un dito contro i monitor “Non ho fatto passare la notte in bianco a
questi uomini per nulla, e non ho intenzione di abbandonare le mie
agenti!”
“Credi
che sia questo che io voglio?” anche Akasaka alzò il tono di voce
“Credi che non tenga alle componenti di una delle squadre migliori
che ho? Ma metto da parte i sentimenti personali in questo lavoro,
Shirogane, e devo affrontare la realtà. Non abbiamo nemmeno certezze
che Aizawa e Midorikawa siano vive. Io posso tirare la corda più che
posso, ma quando mi diranno di tagliarla, non so come potrò
resistere a lungo.”
Lanciò uno sguardo alle tre
ragazze nell'angolo, dall'aria stanca e disperata.
“Mi
dispiace,” aggiunse sottovoce “Lo so che state facendo il
possibile. Cercherò di farlo anche io.”
“Grazie,
Akasaka-san,” pigolò Purin, annuendo, stringendo convulsamente la
mano di Ichigo.
Il moro annuì, guardò per
l'ultima volta verso Ryo, e prese le scale.
L'americano si passò una mano
tra i capelli, imponendosi di calmarsi. Avevano setacciato di nuovo
tutte le telecamere, progettando tutti i possibili percorsi che quel
maledetto SUV avrebbe potuto intraprendere. Ad un certo momento,
circa mezz'ora prima, era sembrato che una effimera traccia del
cellulare di Fukazawa, quello il cui numero era stato procurato da
Minto, fosse comparso al limitare della città; troppo breve per
poter trovarne un tracciato, ma era una flebile speranza.
“Triangolate
quel segnale,” abbaiò secco ai tecnici “Trovate la centralina a
cui si è attaccato e datemi qualcosa.”
Retasu avrebbe saputo cosa fare,
pensò mentre si sedeva sulla poltrona che ormai odiava. Preferiva
non pensare a come avrebbero fatto senza.
§§
Seguì qualche secondo di
silenzio all'eco dello sparo, molto più prepotente visto il luogo in
cui si trovavano. Anche l'odore della polvere e di bruciato sembrava
più incisivo.
Minto aprì un occhio solo,
terrorizzata. Forse volevano farla aspettare per farla soffrire
ancora di più? Toccava a lei ora, era così che facevano, una alla
volta? Aveva sentito il tonfo di un corpo cadere a terra, ma le era
parso dietro di lei e troppo pesante per...
Arrischiò
a muovere la testa di mezzo grado a destra; Retasu era ancora in
ginocchio, il mento poggiato al petto, i denti stretti e il corpo
scosso da singhiozzi e tremiti silenziosi. Viva.
Ma allora...?
Minto si voltò talmente in
fretta da perdere l'equilibrio e finire con il sedere in terra;
sgranò gli occhi, incredula, alla scena che le si presentò.
Kisshu aveva ancora il braccio
teso alla sua sinistra, la pistola impugnata verso dove, pochi
istanti prima, c'era stata la testa di Pavel che ora giaceva steso a
terra, una pozza di sangue che si stava formando sotto di lui.
“Mi
dispiace, amico mio. Piano di contingenza.” esclamò.
Rivolse poi la sua attenzione
alle due ragazze, in pieno shock. Aveva un'espressione diversa da
quella con cui erano state abituate a vederlo, Minto notò, ma ciò
non le impedì di cercare di strisciare il più lontano possibile
quando lui si inginocchiò accanto a loro.
“Che...
che cosa sta succedendo?” balbettò Retasu, sbattendo gli occhi “E'
un'altra trappola?”
Si
voltò anche lei, il viso che divenne ancora più pallido nel notare
il cadavere steso a terra.
“Ascoltatemi
bene,” Kisshu aprì velocemente le loro manette “Non c'è tempo
per spiegarvi tutto, dovete fidarmi cinque minuti di me.”
“Fidarmi
di te?”
sibilò velenosa Minto, massaggiandosi i polsi e alzandosi
lentamente, un passo alla volta “Ci avete torturate, fino ad un
secondo fa ci puntavi una pallottola alla testa, e adesso dovremmo
fidarci di te?”
“Hai
ancora fiato da sprecare, o no? E allora ascoltami.” il ragazzo
indicò l'auto “Prendete quell'auto, tornatevene da dove siete
venute e fatela sparire. I congegni di localizzazione sono spenti,
potete controllare voi stesse nel cruscotto.”
La
testa delle due ragazze stava girando senza fine; la situazione era
paradossale, non riuscivano minimamente a capire quello che stava
succedendo.
“Siete
in grado di guidare?” domandò ancora Kisshu.
Minto
annuì, senza smettere di guardarlo con sospetto: “Credo di sì...
c'è una bomba nella macchina?”
Lui
alzò gli occhi al cielo: “Senti, colombella, ragiona. Secondo te
organizzerei tutto questo per farti saltare in aria?”
“Allora
perché lo stai facendo?” chiese sottovoce Retasu, mentre si
appoggiava alla sua amica per rimettersi in piedi.
“Te
l'ho detto, non c'è tempo di spiegare tutto. Ora, la cosa
importante,” le guardò entrambe un attimo “E' che la vendita
sarà anticipata. Al venticinque maggio. Ricordatevelo.”
Minto
boccheggiò un paio di volte: “Ma cosa...?”
“Il
venticinque. Di più non posso dirvi.”
La
mora quasi scoppiò a ridere, però iniziò a spingere Retasu verso
l'auto. Lei probabilmente stava impazzendo, era il frutto della sua
mente per impedirle di affrontare la realtà, ma perché non
approfittarne allora?
“Aspetta!” Kisshu fece un passo avanti,
tendendo la mano ma ritraendola subito dopo non appena vide lo
sguardo che gli fu rivolto. “Prendi questa.”
Si
avvicinò a Pavel per sfilargli la pistola che teneva alla fondina,
poi allungò a Minto la sua. La ragazza la prese con titubanza,
immaginandosi con l'ennesima punta di pazzo divertimento di doversi
mettere a duellare.
“Spara
qualche colpo a quel cassonetto della spazzatura... e poi spara a me.
Evitando di uccidermi, grazie.”
“Ma
che stai dicendo?” volle sapere lei, ormai completamente spiazzata.
Kisshu
sospirò: “Senti, passerotto, non lo voglio nemmeno io, ma tu fallo
e basta.”
Minto
soppesò la pistola tra le mani; era pesante nelle sue mani stanche
seppur piccola, stranamente non di fattura russa. Alzarla le costò
uno sforzo che le sembrava immane, lei così abituata a maneggiarle.
“Vai
in macchina, Reta-chan.” sussurrò all'amica.
Quest'ultima
annuì senza opporre resistenza, trascinando i piedi e alzando
nuvolette di polvere mentre aggirava il fronte dell'auto e saliva sul
sedile del passeggero, appoggiando la fronte dolorante contro il lato
e chiudendo gli occhi con un sospiro.
Minto
quasi non prese la mira contro il cassonetto, sparando tre colpi a
distanza ravvicinata che echeggiarono dentro al metallo vuoto. Poi si
voltò lentamente verso Kisshu, che si era messo in ginocchio davanti
a lei e la guardava fissa.
Sentì
il respiro chiudersi in gola e il cuore battere più forte. Ricordò
il modo in cui le avevano trattate quando le avevano prese, le loro
mani pesanti e sporche sotto i vestiti per togliere loro le microspie
e i localizzatori, la voce irrisoria del ragazzo davanti a lei mentre
le caricavano in auto.
Inspirò
profondamente, chiuse un occhio, e sparò.
Kisshu
gemette sottovoce mentre si piegava in avanti, stringendo i denti e
la spalla sinistra che aveva iniziato subito a perdere sangue.
“Hai
mira, eh, colombella?” ironizzò.
“Ringrazia
che non te l'ho piantata in testa.”
Senza
mollare la pistola, Minto percorse in due grandi falcate lo spazio
che la divideva dall'automobile, salendo al posto di guida con una
destrezza che non pensava di poter raccogliere in quel momento.
Forse
era stato lo sparo, forse l'euforia di poter dire di essere quasi
scampate da lì, ma aveva ritrovato le energie che aveva perso in
tutte quelle ore prima. Fece inversione velocemente, facendo stridere
le ruote sul terreno, e senza guardarsi indietro, lei e Retasu se ne
andarono.
Kisshu
si trascinò fino al cassonetto, accasciandovici contro, prendendo
dei respiri profondi e controllando di non perdere troppo sangue.
Quasi si stava stupendo della mano ferma di Minto, l'aveva colpito
con una precisione non da poco nonostante fosse visibilmente
affaticata e pressoché incapace di reggersi in piedi.
Quando
vide che si furono allontanate, sparò un paio di colpi nella
direzione generale in cui avrebbe dovuto trovarsi il SUV, poi gettò
la pistola di lato. La spalla gli stava dolendo tremendamente,
l'adrenalina stava scendendo.
Afferrò
il cellulare e compose un numero che ormai conosceva a memoria:
“Pai?” esclamò roco dopo qualche squillo “Abbiamo un
problema.”
Hellooooooooo :D Ci ho messo
una vita, perdonatemi, lo
so. Ma non ho più una vita in pratica, l'uni mi sta
uccidendo :( Ho scritto tutto questo capitolo oggi tra le pause studio
prima di un esame, e devo pubblicarlo entro dieci minuti così da andare
a studiare per il terzo e ultimo parziale della settimana, domani :O
Tra l'altro qui a Roma c'è pure l'allerta meteo, ma la mia università
ha deciso di rimanere aperta... ovviamente -____-
Come scritto all'inizio, il capitolo è dedicato a Blackmiranda, perché
lei adora Kisshu, e Kisshu è moooolto importante in questo chappy... o
sbaglio? ;) Spero di avertelo reso bene :3 (E prometto di
passare da Somebody
durante il weekend, finisco di studiare! xD).
Anche questo è uno di quei momenti che avevo progettato fin da subito
nella creazione della storia, certo non mi è venuto proprio
come lo volevo, ma va bene anche così :)
Il titolo è da Do I
wanna Know? degli Arctic Monkeys, l'avete capito ;)
A non so quando, sorry xD
Bacioni e grazie di tutto!!!
Hypnotic Poison
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** And the masquerade will come calling out at the mess you made ***
Capitolo
nove: And the masquerade will come calling out at the mess you made
“Retasu,
piangi, grida, fa' qualunque cosa, ma ho bisogno che tu reagisca.”
Minto
staccò gli
occhi un secondo dalla strada su cui stava correndo spedita, per
osservare l'amica seduta al suo fianco.
Retasu,
con la testa
ancora appoggiata al finestrino, annuì: “Sto solo cercando di...
capire.”
“Non
c'è tempo per capire adesso,” la mora scosse la testa, forse
tentando di convincere anche se stessa. “Dimmi che ci sono delle
cabine telefoniche qui attorno.”
L'altra
sbatté le
palpebre: “Ehm... perché?”
“Siamo
senza cellulari,” spiegò Minto, accelerando per bruciare un
semaforo che stava per diventare rosso “E per quanto Fukazawa possa
dire che non ci sono sistemi di monitoraggio, preferirei non portare
quest'auto direttamente alla base. Perciò, dobbiamo chiamare
Shirogane e farci venire a prendere.”
Retasu
annuì
ancora, provando a concentrarsi sulla strada che scorreva veloce ai
suoi lati: ormai stavano raggiungendo il centro della città, che
vibrava trapelante con l'inizio della vita quotidiana. Il traffico si
stava facendo più intenso, rallentando la loro corsa verso
l'Agenzia.
Si
chiese come
facesse Minto a sembrare così calma, così ripresasi da tutto ciò
che avevano passato nelle ultime ventiquattro ore. La osservò per un
istante; la pelle tesa e slavata, le pesanti ombre sotto gli occhi,
le nocche bianche attorno al volante. Avrebbe davvero voluto sapere
cosa le stava passando per la testa, perché nella sua si stava
scatenando un terremoto.
Le
ruote della
macchina fischiavano contro l'asfalto, ma la mora non sembrava avere
intenzione di andare più piano – voleva mettere più distanza
possibile tra loro e ciò che si erano lasciate, sperando, alle
spalle. Borbottando contro gli altri automobilisti che secondo lei
non si spicciavano abbastanza, Minto accostò sul marciapiede, vicino
ad una cabina dall'aria vecchia e trasandata che non rassicurava
riguardo il suo funzionamento.
“Non
abbiamo monete,” esclamò sottovoce Retasu.
L'altra
abbozzò ad
un sorriso: “Taruto mi ha insegnato un trucco.”
“Alla
James Bond, come direbbe Purin?”
“Precisamente.”
§§
Aveva
guardato
l'orologio talmente tanto che gli angoli degli occhi gli facevano
male a forza di spostarli ritmicamente verso la sua sinistra; ma
d'altra parte, l'orologio che portava al polso era stato malamente
lasciato su un tavolo, dismesso qualche ora prima per il fastidio che
gli dava.
Era
insolito trovare
Shirogane trasandato, come era improbabile vedere Zakuro con i
capelli fuori posto o Purin ferma in un'unica posizione. La gravità
della situazione, per occhi allenati quanto i loro, era così chiara.
“Signore,
le abbiamo provate tutte,” tentò di placarlo un giovane tecnico,
le cuffie che gli penzolavano al collo “Non so per quanto ancora il
direttore ci lascerà carta bianca.”
“Il
direttore non è qui a darti ordini, ci sono io.”
ringhiò l'americano “Se il segnale del telefono è passato per
quell'incrocio, e si è agganciato a quella centralina, vuol dire che
possiamo restringere il campo.”
“Non
è abbastanza piccolo,” replicò l'altro “Stiamo parlando di
almeno cinque chilometri, in tre direzioni diverse.”
Ryo
fece un passo
avanti: “Ascoltami bene-”
Lo
squillo del
telefono lo interruppe; tutti si girarono verso l'apparecchio, come
se li stesse disturbando, come se stesse portando chissà quale tipo
di brutta notizia. I telefoni del laboratorio, dopotutto, erano
collegati direttamente agli uffici principali.
Shirogane
sospirò,
esitando. Sentiva gli sguardi di tutte le ragazze che si spostavano
su di lui. Allungò la mano tentennante, avvolse le dita attorno alla
cornetta nera, poi la tirò su con uno scatto.
“Pronto?”
«Aizawa
Minto, agente 627952, chiamo da una linea non protetta.»
Quasi
gli scappò il
telefono di mano mentre lanciava un'occhiata al display e notava
effettivamente un numero esterno: “Procedura di identificazione?”
«Certo,
Shirogane, scioriniamo i miei dati così al vento, tanto ormai...!»
Lui
sorrise, facendo
cenno all'agente accanto a lui di localizzare il punto di provenienza
della telefonata. “Siete da sole?”
A
quella domanda, le
teste delle altre tre componenti della squadra scattarono all'insù,
allarmate ed improvvisamente speranzose. Allungarono le orecchie,
cercando di catturare la voce all'altro capo della cornetta, o
un'occhiata indicativa di Ryo, il quale però era piegato in avanti
per controllare lo schermo di un computer.
“D'accordo.
Non vi muovete. Mando una squadra.”
Non
appena
riagganciò, Ichigo balzò in avanti: “Shirogane-kun?”
Lui
esalò
profondamente, ancora incredulo, appoggiando le mani sui fianchi.
“Erano loro. E no, voi state qui,” le ammonì, non appena vide le
tre muoversi. “Ancora non sappiamo come sia la situazione.”
“Stanno
bene, vero?” domandò tremante Purin.
“Lo
sapremo appena la squadra le andrà a prendere,” ripeté spiccio
lui, concentrandosi solo sugli ordini da impartire per telefono.
§§
Pai
osservò in
silenzio Sergei armeggiare con un panno intriso di acqua ossigenata
attorno alla spalla di Kisshu, che aveva passato il suo tempo a
stringere i denti sibilando e borbottando parolacce mentre il
proiettile veniva estratto, prima di avvolgergli una spessa garza
intorno al tessuto danneggiato.
“спасибо”
(*) Kisshu si reclinò all'indietro sulla sedia e si asciugò il
sudore sulla fronte con il braccio. Era imbottito di antidolorifici,
ma non era stata comunque un'operazione piacevole – ma d'altronde,
non era esattamente il caso di andare all'ospedale, e loro erano
abituati così da sempre.
“Ci
metterà un po' a guarire,” sentenziò il suo compagno, rigirando
il coltello tra le dita e facendo un cenno a Sergei perché uscisse.
Lui
annuì: “Mi ritengo fortunato che sia la sinistra, che l'osso sia
integro, e la ferita pulita.”
Pai
annuì, replicando la posa dell'altro. “Com'è successo?”
Kisshu
alzò l'unica spalla che ancora poteva avvertire chiaramente: “Le
stavamo portando fuori città, erano legate nel sedile posteriore, in
silenzio per la maggior parte del tempo. E la mora, Minto... stava
piangendo sottovoce, e pensavo che fosse perché avesse paura. In
realtà, penso che fosse perché era nel mentre di rompersi una mano
così da poterla tirare fuori dalle manette. Ora
lo so.”
Fece
una smorfia mentre si riaggiustava sulla sedia.
“Le
abbiamo fatte scendere, sembrava tutto a posto. Le abbiamo fatte
inginocchiare come al solito, sai. Io avevo lei davanti. Quando ho
cercato di spararle, la mia pistola ha fatto cilecca. Te l'ho detto
che dobbiamo rivedere quel fornitore.”
“Quando
l'avevi pulita l'ultima volta.”
“Tre
giorni fa. Non è possibile che continui a capitare.”
Pai
gli fece un cenno nervoso con la mano, così lui proseguì. “Allora
ho chiesto a Pavel di passarmi la sua, intanto lui teneva una mano
sopra la testa di quell'altra donna. E Minto... te l'ha detto che
faceva la ballerina, no? È bastata una frazione di secondo, si è
alzata con una velocità spaventosa e mi ha tirato un calcio con
quelle gambe che si ritrova, dritto nello stomaco. Sono caduto
all'indietro, e lei mi ha preso la pistola. Lì ho capito che aveva
le mani libere. Per prima cosa, ha sparato a Pavel, così da liberare
la sua amica, che si è messa a correre come una pazza verso l'auto.
Ti giuro che è successo tutto nel giro di trenta secondi. Io mi sono
spostato, ho preso la pistola di Pavel, ma lei mi aveva già preso
alla spalla. Mi sono nascosto dietro il cassonetto e ho provato a
rispondere al fuoco, non pensare che abbia smesso di puntarmi, la
stronza. Ma se n'erano già andate con l'auto.”
Si
alzò, azzardandosi ad allungare appena la schiena. “Hanno ricevuto
un addestramento speciale, te lo dico io.”
Pai
annuì. “Sapevano chi eravamo, ed erano preparate. Questo è un
guaio che non rientrava nei piani. Non pensavo potessero essere così
furbe.”
“Dobbiamo
cambiare i tempi. È rischioso rimanere qui troppo a lungo, non
sappiamo tra quanto potranno ripiombarci addosso.”
“Intanto,
adesso ne siamo al corrente anche noi, hanno perso lo svantaggio,”
Hayashi si alzò “Cerchiamo di non fare mosse avventate. Non è la
prima volta che ci sconvolgono i piani.”
“Be',
per me è la prima volta che delle donne
mi mandano dietro ad una pattumiera.”
“Magari
dovresti smetterla di infilarti nelle mutandine di ogni essere di
sesso femminile che ti sbatte le ciglia.”
“Come
se tu non avessi pensato di infilarti nelle mutandine di quella
Retasu.”
Kisshu
ghignò e poi sbadigliò, scuotendo la testa. “Ora perdonami,
amico, ma questi antidolorifici mi stanno uccidendo. Io vado a farmi
un pisolino. Ne ho già avuto abbastanza di oggi.”
L'altro
annuì in silenzio, osservandolo uscire a passo lento dalla larga
sala che sembrava aver ospitato la maggior parte delle loro giornate
nelle ultime quarantotto ore. Notò la giacca di Kisshu appesa allo
schienale della sedia, e fece per richiamarlo indietro, ma cambiò
idea, e lasciò perdere.
§§
Tutta
quella situazione stava procedendo per l'iperbole dell'assurdità, si
ritrovò a pensare Retasu per l'ennesima volta.
Erano
passati due giorni da quando la squadra di intervento era andata a
recuperarle; due giorni passati tra visite mediche, che comprendevano
anche una lunga chiacchierata con la psicologa – e ancora non aveva
ben capito come fosse riuscita a sfuggire ad una terapia di
tranquillanti, visti i battiti del suo cuore – e quello che era
apparso più come un interrogatorio che una chiacchierata informale
con Akasaka-san.
Ma
Shirogane-san e Zakuro-san gliel'avevano spiegato; dopo accadimenti
del genere, bisognava accertarsi che gli agenti fossero ancora dalla
parte giusta. Che fossero ancora utili,
aveva borbottato in tono macabro Minto. E, viste le decisamente
inusuali circostanze della loro fuga, circostanze che le davano
l'emicrania al solo essere nominate, le precauzioni erano state
estremamente minuziose.
Così
minuziose che, una volta stabilito che dopo qualche giorno di
assestamento fisico lei e Minto sarebbero potute ritornare in
servizio, Shirogane aveva decretato che sarebbe stato meglio tenerle
insieme in un luogo sicuro.
Loro
non volevano certo stare da sole, in un momento del genere. Non
avevano certo pensato, però, che il luogo sicuro sarebbe stata la
casa del loro capo.
«Solo
per stanotte,»
le aveva rassicurate lui con un sorriso «Almeno
finché non mettiamo in sicurezza i vostri appartamenti e
controlliamo che la casa rifugio sia pronta. Non ci vorrà molto. E
poi, voglio tenervi sott'occhio per davvero, stavolta.»
Era
per questo motivo che adesso Retasu si trovava avvolta dalle
profumate lenzuola di cotone grigio nel letto matrimoniale
dell'americano, da condividere con Minto, che però già dormiva
profondamente. Lei invidiava la capacità di ripresa dell'amica, o
almeno la capacità di far sembrare che tutto andasse bene. Retasu
ancora sobbalzava ad ogni sussurro, e trovarsi in quella stanza un
po' la metteva a disagio.
Avevano
cenato in quell'appartamento tutti insieme, in modo informale –
talmente informale che Shirogane e Purin erano in tuta. Era stata un
cena veloce, non ad un'ora tarda, perché tutti avevano voglia di
rilassarsi e tornarsene a casa, dopo quei due giorni da vero incubo.
Minto
e Retasu erano state spedite a letto, vietato aiutare con i piatti o
il rassettare. Ma lei non aveva per niente sonno, non ancora. Un po'
aveva paura a chiudere gli occhi, anche se il respiro tranquillo
della mora accanto a lei l'aiutava a rilassarsi.
Inalò
profondamente, girandosi su un fianco. Poteva sentire il profumo di
Shirogane-kun aleggiare per la stanza, così come era intriso in ogni
angolo della casa. O forse lo sentiva solo lei.
E
Ichigo. Era certa che anche Ichigo lo sentisse. Magari invece si era
assuefatta? Per lei era normale sentirlo tutti i giorni? Chissà
quante volte anche Ichigo aveva dormito in quel letto, proprio come
lei.
Non
proprio come lei.
Esalò
lentamente, cercando di non far rumore, ascoltando i rumori ovattati
che provenivano dall'altra parte della porta chiusa. Non le piaceva
pensare determinate cose sulla sua amica, ma a volte non poteva farne
a meno. Si chiedeva, ogni tanto, se Ichigo si rendesse conto di
quanto fosse fortunata, ad avere tutto ciò che aveva, e
probabilmente tutto ciò che voleva.
Purin,
a volte, sottovoce le ricordava che la vita della rossa non doveva
essere molto più semplice della loro, anzi forse era il contrario;
ma il verme della gelosia colpiva anche lei, seppur raramente. In
particolare quando vedeva il modo in cui Shirogane osservava Ichigo,
nonostante tutto quello che sapevano star succedendo tra di loro.
Sospirò
di nuovo, si accoccolò arrotolata nel letto, e provò ad
addormentarsi, sperando in una giornata migliore.
Dall'altro
lato del muro, nel frattempo, Ryo si fece passare gli ultimi
bicchieri sporchi da Zakuro, passandoli sotto il getto di acqua
tiepida del lavandino della cucina.
“Che
giornate,” commentò lei, appoggiando i gomiti al bancone di marmo
mentre si sedeva su uno sgabello, per poi accasciarsi su di essi “Ho
bisogno di una vacanza.”
“Non
ci pensare minimamente. Ho come l'impressione che diventerà tutto
ancora più complicato. Ci sono troppe cose sotto che non riesco a
capire.”
“Tipo
la magica avventura di Minto e Retasu?”
“Appunto.
C'è un passaggio che mi sfugge.”
“Un'autostrada,
più che un passaggio. Tutta la situazione è così...”
“Paradossale?
Incredibile?” Ryo si scostò i capelli dalla fronte “Avevano più
senso le trame di James Bond.”
Zakuro
rise: “Purin ci ha contagiati tutti con James Bond.”
Con
un sospiro, si tirò in piedi e si diresse in salotto per recuperare
borsa e cappotto, lanciando un'occhiata al letto improvvisato sul
divano dell'americano. “Sicuro che starai comodo?”
“Sì,
non ti preoccupare. Sono contento che loro si riposino per bene.”
Lei
annuì. “Ci vediamo domani al lavoro.”
Ryo
l'accompagnò verso la porta: “Ehi, Zakuro?”
“Sì?”
Lui
studiò il suo viso per qualche secondo, poi scosse la testa. “No,
nulla. Sta' attenta mentre torni a casa, d'accordo? Buonanotte.”
Chiuse
la porta solo quando la vide scomparire nell'ascensore,
improvvisamente provato e stanco, come se tutta l'adrenalina di quei
giorni avesse deciso di calare di botto e fargli scendere la
pressione tutta in uno.
Non
sapeva cosa avesse combinato in una vita precedente, se mai c'era
davvero qualcosa di simile, ma il karma, l'universo, o gli Dei
sembravano davvero avercela con lui, viste tutte le cose che
continuavano a piombargli sul groppone. Vita sentimentale inclusa;
lui, che era sempre stato così deciso a mettere la carriera prima di
tutto.
“A
volte vorrei essermi innamorato di te, Zakuro.”
Lei
rise della sua risata roca, gettando appena la testa all'indietro
mentre il vino rosso galleggiava pericolosamente vicino al bordo del
bicchiere.
“Ora
so per certo che hai bevuto troppo.”
Anche
Ryo rise, passandosi una mano tra i capelli. “No, dico sul serio.
Con te sarebbe tutto molto più semplice.”
“Ne
sei proprio sicuro?”
Lui
la guardò, chiudendo un occhio con fare ironicamente critico. “Mh.
Forse.”
Zakuro
abbassò lo sguardo, giocherellando con il liquido. “Quindi ti sei
innamorato, Ryo?”
Shirogane
sospirò, scivolando verso il basso così che la nuca poggiasse sulla
testiera del divano. “Credi che potrei mai giocarmi il posto in
questo modo se così non fosse?”
“E
Ichigo lo sa?”
“Cosa,
che mi sono innamorato di lei o che rischio un'azione disciplinare?”
“Smettiamola
con tutte queste domande una dopo l'altra, per favore, e rispondi.”
Lui
sbuffò. “Certo che lo sa. Non è così
tonta.”
Lei
gli diede una gomitata: “E cosa pensi di fare?”
Ryo
si strinse nelle spalle. “Te l'ho detto, non lo so. Lei è...
complicata. È così... ah, non lo so nemmeno io. Non è come te,
questo è sicuro. Tu dici le cose come stanno, sei brava a prendere
decisioni in modo razionale. Un po' come me.”
“Fidati,
non stai facendo nulla
in modo razionale. E comunque, ti sei appena risposto da solo.”
“A
che cosa?”
“A
se sarebbe meglio se ti fossi innamorato di me. Siamo troppo simili,
l'hai detto tu. Per questo possiamo essere ottimi amici.”
“E
continuare con pericolosissime conversazioni sbronze
off-the-record?”
“Precisely.”
Come
se avesse ascoltato i suoi pensieri, il cellulare prese a ronzargli
nella tasca.
«Stanno
dormendo?»
Ichigo parlava sottovoce, e lo stava chiamando dal suo numero
riservato.
Ryo
annuì senza quasi pensarci, rendendosi conto solo dopo che lei non
sarebbe riuscita a vederlo. “Sì. Zakuro è appena andata via. Tu
sei a casa?”
Fu
come se stesse tentennando: «Sì,
sì, sono qua... da un po', ormai. Come ti senti?»
“Perché
me lo chiedi? Non sono io quello che è stato rapito.”
«Lo
so, ma... niente, volevo sapere se avevi voglia di un po' di
compagnia. Vuoi che venga lì?»
Lui
fissò il soffitto mentre si stendeva sopra le coperte. “Il divano
è un po' stretto per due.”
«Non
mi stai dicendo di no.»
Shirogane
rise della sua risata, prima che un rumore di sottofondo catturasse
il suo udito. “Non sei da sola, vero?”
«Ehm...»
poteva quasi vederla, mentre si mordeva un labbro e si arrotolava una
ciocca rossa attorno al dito «Ha...
ha voluto farmi una sorpresa, non pensavo sarebbe arrivato. Io...»
Ryo
chiuse gli occhi: “Non fa niente, Ichigo. Va' a dormire, ci vediamo
in ufficio.”
Prima
che lei potesse ribattere, il suono della telefonata che veniva
riagganciata la fermò.
Ichigo
espirò, portandosi il cellulare contro il petto. Sentiva l'inizio
del mal di testa echeggiarle nelle tempie e, come sempre quando
avvertiva il suo malessere, il piccolo Masha che le si strusciava
contro le caviglie, in cerca di conforto per sé e per la sua
padrona.
“Ichigo?”
la voce di Masaya la raggiunse da fuori la porta della piccola
terrazza della cucina “Va tutto bene?”
“Sì,
non preoccuparti... sono solo molto stanca, e mi sta venendo
l'emicrania.” replicò, forse un po' troppo secca.
“Problemi
al lavoro?”
Oh,
tu non ne hai nemmeno un'idea,
pensò, superandolo con un sorriso per rientrare al caldo e bere un
bicchiere di acqua.
Si
strinse nelle spalle, in cerca di una risposta. “Una mia amica non
è stata bene, ci siamo un po' preoccupati. Stavo chiamando per
sapere come stava.”
“Qualcuna
che conosco?”
Quante
domande, pensò
nuovamente, una punta di irritazione. “No, non la conosci.”
Masha
miagolò con insistenza, così lei lo prese in braccio. Non era mai
andato d'accordo con Masaya, l'aveva sempre reso abbastanza evidente.
Il pelo morbido e il tenue calore del suo gattino la calmarono, il
ronzio delle fusa che le dava il ritmo del respiro.
Si
voltò verso il suo fidanzato, che la stava guardando con quegli
occhi marroni così profondi e che tanto l'avevano fatta sentire
amata, un tempo. Sentì qualcosa smuoversi nel petto, e mise a terra
il gatto.
“Aoyama-kun?”
§§
Minto
era già stata una settimana lontana dal lavoro, ovviamente. Ma erano
state settimane prese per pura volontà, per ferie; non erano state
forzate su di lei perché si riprendesse. Oziare non era mai stato
parte del suo vocabolario, e quando le veniva imposto, diventava
matta.
Per
quello fu con un certo cipiglio che marciò dentro l'ufficio, quel
lunedì mattina, ansiosa di poter far ripartire la solita routine e
riacquistare una parvenza di normalità.
Sapeva
che la sua prima meta sarebbe stato l'ufficio di Akasaka-san; era il
capo, doveva parlare con lui prima di poter riprendere ufficialmente
il servizio, e sapeva che lui voleva anche accertarsi personalmente
che sia lei che Retasu stessero bene.
Forse
era un po' più in ritardo rispetto al solito, si disse mentre
scambiava sorrisi con gli altri colleghi, ma era tornata a casa
propria solo la sera precedente, dopo il tempo passato nella casa
rifugio, ed era stata così contenta di rivedere il suo letto da
dormire oltre il suono della sveglia.
Il
ritardo era anche l'unica ragione per cui Shirogane e Zakuro
potessero già essere lì, già evidentemente su di giri, in piedi a
discutere davanti all'ufficio del capo.
“Buongiorno!”
esclamò allegra, facendoli sussultare entrambi “E' possibile che
qui non ci si mai un attimo di pace?”
Ryo
la squadrò dall'alto, nervoso: “Cosa ci fai tu qui?”
“Oggi
riprendo servizio, Shirogane, ciao anche a te.”
Lo
vide scambiarsi un'occhiata con Zakuro e si accigliò. “Qualcosa
non va?”
“No,
è che... ah, Retasu, ci sei anche tu.”
La
ragazza era appena comparsa dietro di loro, insieme ad Ichigo e
Purin.
Minto
scosse la testa: “Io non so quale sia il vostro problema, ma io
devo parlare con Akasaka-san.”
Appoggiò
la mano sulla maniglia della porta prima che Ryo potesse fermarla, la
spalancò, e la scena che le si presentò davanti la fece gelare.
Keiichiro,
infatti, appariva intento in un'importante conversazione con qualcuno
seduto di fronte a lui, vista la ruga profonda tra le sopracciglia e
le mani congiunte davanti al viso; questo qualcuno si era voltato
sulla sedia girevole non appena aveva sentito il rumore della porta
aprirsi, ed aveva sorriso.
“Ciao,
colombella.”
I
suoni, da quel momento, divennero molto ovattati per Minto; rimase
lì, con la mano sulla maniglia e il corpo un po' proteso in avanti,
gli occhi sgranati e il sangue che le stava affluendo così
velocemente al cervello da farle ronzare le orecchie. La voce di
Keiichiro che invitava la squadra μ
e
Ryo ad entrare le sembrava molto lontana; l'unica cosa che poteva
avvertire quasi chiaramente era la presa dell'americano sul suo polso
e la sua mano leggera sulla schiena, un po' tra il sostenerla ed il
fermarla. Purin bisbigliò qualcosa in sottofondo, a cui rispose
Ichigo, poi fu lei a trovare la voce, un po' più alta del normale.
“Cosa
diamine sta succedendo qui.”
La
mano di Shirogane strinse appena più forte. “E' quello che mi
stavo chiedendo anche io,” ringhiò.
Keiichiro
sospirò rumorosamente. “Vi prometto che la situazione è diventata
chiara anche a me da pochi minuti. Se fossi stato informato delle
circostanze prima, tutto sarebbe molto diverso.”
“Cosa
ci fa lui qui?” sibilò velenosa tra i denti Minto, ignorando del
tutto la premessa del suo capo.
Kisshu
si alzò, il braccio a cui lei lo aveva colpito fasciato e premuto
contro il petto, tendendo l'altro verso il biondo, che lo rifiutò
con sguardo glaciale. “Sono Kisshu, Ikisatashi
Kisshu. Sono un agente sotto copertura del Dipartimento Speciale
della PSIA, e sono parecchi
anni che sto lavorando a questo caso.”
“Pensavo
fossimo noi il Dipartimento Speciale,” borbottò Purin, incrociando
le braccia.
“Sì,
be', a quanto pare hanno un DS ancora più speciale,” Akasaka si
lasciò andare contro la poltrona “E a quanto pare, ancora non
hanno perso la brutta abitudine di lavorare a compartimenti troppo
stagni.”
“Vuol
dire che nemmeno lei ne era stato informato, Akasaka-san?” domandò
Ichigo, la voce che faceva trasparire i nervi tesi.
“Che
ci fosse un'indagine parallela in corso, così avanzata e così in
profondità? Assolutamente no. Ne sono stato informato stamattina,
quando mi ha chiamato il Segretario della PSIA e l'Agente Ikisatashi
si è presentato qui.”
“E
come facciamo a sapere che nemmeno questa sia una trappola?”
domandò Shirogane.
“Ho
tutti i documenti, se vuoi. E posso rispondere a qualsiasi tua
domanda,” gli rispose beffardo Kisshu. “Ti ho detto anche il mio
vero cognome, sei estremamente libero di mettermi nella merda, se
volessi.”
“Oh,
trust me.
Mi piacerebbe.”
“Ryo.”
Akasaka lo riprese, severo. “Non è il momento di mettersi a
litigare. So che questo è uno shock per tutti, ma le indagini da
adesso devono proseguire in modo congiunto.”
Retasu
inspirò forte, agguantando la mano di Purin; la biondina, guardando
l'amica, scosse la testa. “Io non ci voglio lavorare, con lui.”
“Temo
che non ci sia un'altra opzione, Agente Fon.”
“Abbiamo
lavorato mesi senza di lui, non vedo cosa cambi adesso!” insistette
Ichigo.
“E
in effetti, si sono visti i risultati,” commentò sarcastico Kisshu
“Pensavate
davvero che il vostro teatrino in discoteca avrebbe funzionato se non
mi fossi avvicinato io?”
Minto,
a quelle parole, si irrigidì ancora di più e strinse gli occhi.
“Tu... tu sapevi chi eravamo?”
Lui
annuì: “La PSIA sapeva, ovviamente, della vostra investigazione.
Vi controllavano, e passavano le informazioni più importanti a me.
Devi ammettere, passerotto, che le chance di incontrarsi al Pure
con tutta quella gente erano davvero misere.”
Anche
la mano di Zakuro si strinse sull'altro polso della mora, tirandola
leggermente indietro.
“Cercheremo
di collaborare al meglio delle nostre capacità,” concluse
l'ex-modella, “Grazie per averci avvertito, Akasaka-san. Possiamo
andare, ora?”
“Vi
passerò tutte le informazioni disponibili al più presto.”
Minto
si dileguò, sentendo le pareti della stanza che si chiudevano
attorno a lei e l'aria che cominciava a mancarle, tallonata dalle sue
amiche. Retasu ancora non aveva detto una parola, nonostante le
insistenze di Purin.
“Minto!”
la voce di Kisshu la raggiunse pungente alle orecchie nel mezzo del
corridoio “Minto, aspetta!”
Si
sentì afferrare per un braccio, ma questa volta non c'erano
Shirogane o Zakuro a fermarla; usando la forza del voltarsi, centrò
il viso di Ikisatashi con un sonoro e robusto ceffone che gli fece
voltare la testa dall'altra parte.
“Non
osare toccarmi.” esalò “Tu mi hai usata.
Sapevi benissimo chi ero, eppure ciò non ti ha fermato dal... dal...
UGH.”
Liberò
il braccio dalla sua presa, ignorando i bisbiglii degli altri
colleghi e delle sue compagne, e marciò battendo i piedi a terra
verso le scale.
Sarebbe
andata nell'unico posto in cui sapeva si sarebbe sfogata veramente,
in cui il rombo dello sparo avrebbe potuto cancellare i mille
pensieri che le si accavallavano in testa.
Aprì
la porta dell'armeria con slancio, noncurante del fatto che rimbalzò
con un tonfo contro il muro. Prese le cuffie e una delle pistole in
dotazione, combattendo l'istinto di impugnare uno dei fucili.
Non
seppe per quanto tempo rimase da sola a riempire di precisi buchi le
sagome di cartone, o quanti caricatori svuotò; non le importava
molto, aveva solo bisogno di distrarsi, e non c'era altro modo
migliore, in quel momento, di sfogare la rabbia.
Dopo
un po', però, i suoi sensi già da tempo all'erta l'avvertirono di
una presenza alle sue spalle.
“Non
ho bisogno di un baby-sitter, Shirogane-kun.” esclamò, guardando
appena sopra la sua spalla.
Lui,
con le mani in tasca, abbozzò ad un sorriso. “Sono solo venuto a
vedere se stai bene.”
“Una
meraviglia,” rispose lei a denti stretti.
Poi
sospirò, sentendo la tensione farle dolere i muscoli della schiena.
Decise che era ora di smetterla, e si ravvivò i capelli dopo essersi
tolta le cuffie.
“Posso
prendermi il pomeriggio libero?”
“Credo
che se lo siano prese un po' tutte,” le rispose franco lui “Volevo
solo dirti che nemmeno io ne sapevo nulla.”
“Lo
so,” lei sorrise con sincerità “Non ci avresti mai messo in
pericolo se fosse stato diverso.”
“Non
sareste state in pericolo in primis, se l'avessi saputo.”
“Dovremmo
saperlo, che si lavora in questo modo. Immagino che la CIA non sia
migliore.”
Shirogane
sorrise: “Se te lo dicessi, poi dovrei ucciderti.”
Minto
rise, facendo un cenno verso i bersagli: “Vuoi sfogarti un po'?”
“No,
grazie,” Ryo scosse la testa “E' molto più il tuo genere di
cose, quello.”
“Ah,
giusto, tu hai Ichigo per sfogarti.”
“Aizawa.”
“Shirogane:”
L'allegria
con cui gli fece il verso fu presto smorzata da chi si vide comparire
davanti. Ryo, notato il suo sguardo, si voltò per seguirlo,
assumendo anche lui un'espressione minacciosa.
“E'
inutile che guardi me così, è stata la tua amica ad aggredirmi,”
Kisshu alzò le mani in aria, l'ironia della sua voce che certo non
l'aiutava nella posizione in cui era “Sono venuto solo per
parlarti, te lo giuro. Ho anche parlato con la tua amica Retasu.”
“Sei
fortunato che lei ha visioni più pacifiste delle mie.” borbottò
Minto, incrociando le braccia al petto.
Shirogane
fece un passo di lato verso di lei mentre Kisshu le si avvicinava.
“Vuoi che rimanga?” le domandò.
La
mora sospirò: “No, non preoccuparti. Sono circondata da armi, in
fondo.”
“D'accordo.
Ti aspetto di sopra.”
Con
un'ultima occhiata di minaccia all'altro uomo, Shirogane si allontanò
lentamente, e Minto si rivolse a Ikisatashi. “Che cosa vuoi, ora?
Non ti è bastato il ceffone di prima?”
“Minto,
io... volevo scusarmi per come sono andate le cose.”
Lo disse
con un'espressione talmente afflitta che lei quasi si ritrovò a
credergli.
“Quando...
quando Pai ha voluto portarvi via, quel pomeriggio... io dovevo stare
al gioco per garantirmi la copertura, lo sai questo, no? E mentre lui
vi... cercava
di estrarvi informazioni, io stavo cercando di mettermi in contatto
con la PSIA, ma purtroppo essere un agente della mia divisione spesso
vuol dire doversela cavare da soli.”
“Noi
ce la siamo decisamente cavata da sole.” rimbrottò lei.
“Ho
corso anche un bel rischio a venire qui, oggi, ma voi dovevate
saperlo e io dovevo spiegarvi.”
Combattendo
contro la tentazione di cedere così alla sua storia, Minto alzò il
naso per aria, inarcando le sopracciglia. “Ciò non toglie che tu
ti sia comunque preso gioco di me.”
“Neanche
tu sei stata esattamente limpida su chi tu fossi, dolcezza.”
“Ero
sotto copertura!”
“Io
lo sono da anni.”
“Avresti
potuto evitare di portarmi a letto!”
“Sbaglio
o tutto quello che sapevi dire quella sera era sì,
sì, sì?!”
Lei
chiuse la bocca, arrossendo visibilmente e raddrizzando la schiena.
“Quindi
cosa vuoi, ora?”
Kisshu
scosse la testa. “Niente, volevo solo chiarire, e farvi le mie
scuse per il modo in cui siete state trattate.”
“Ci
vorrà del tempo.”
“Lo
so, colombella. Credimi, lo so.”
Lei
sospirò, spostandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. “Non
posso dire di essere estasiata all'idea di lavorare con te, ma spero
che almeno sarà un modo di chiudere in fretta questa faccenda.”
Kisshu
sorrise, con un guizzo negli occhi dorati. “Sarà un piacere anche
per me, passerottino. Ci vediamo.”
Le
voltò le spalle, e Minto lo osservò andarsene senza aggiungere una
parola.
(*)
Secondo il sempre autorevole Google Translator, è la
traslitterazione di spasibo,
ovvero grazie
in Russo.
E dopo ben due mesi, eccolo quaaaa *partono i fuochi di artificio*.
Scusate se vi ho fatto aspettare tanto, ma ero assolutamente
bloccatissima. Ringraziate i miei due moschettieri, ovvero Ria e Danya,
che oggi hanno *cough cough* fatto la pressa e indotta a scrivere tutte
ste pagine in una giornata sola (e chi deve studiare? xD).
Ovviamente non è venuto come
speravo, ma vabbene, ormai niente lo è più. Il titolo viene da
"Demons", degli Imagine Dragons, e ci sono un paio di cosucce a cui
dovreste far attenzione, nel chappy, perché sono... piccoli indizi :3
Direi che vi ho detto tutto, spero
che abbia soddisfatto l'attesa!
Un bacione a tutti <3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** We'll play hide and seek to turn this around ***
Capitolo dieci: We'll play hide
and seek to
turn this around
Ryo sbatté un paio di volte le palpebre prima di decidersi
ad aprirle del tutto. Avvertì il cerchio alla testa ancora prima di
riuscire a
mettere a fuoco per bene la stanza.
E quella non era decisamente la sua stanza.
Si voltò sulla schiena, allungando un braccio alla sua
sinistra e trovando soltanto ulteriori cuscini. Doveva essere davvero
parecchio
tardi se lui era l’ultimo a svegliarsi.
Decise, però, di trattenersi ancora qualche istante a letto;
era davvero troppo stanco, le ultime settimane l’avevano sfinito, e si
sentiva
addosso il doppio dei suoi anni.
Ancora non riusciva a concepire come le sue agenti fossero
più stressanti nelle situazioni ordinarie che in quelle di emergenza.
O forse perché nelle situazioni di emergenza non le aveva
tra i piedi ad assillarlo perché si facesse qualcosa, a battibeccare
come delle
scolarette, e a parlarsi in battutine e doppi sensi degni davvero di
liceali.
Sorrise nel sentire il tonfo di un corpicino non proprio
leggero che zompava sul letto e si avvicinava a lui, pretendendo
attenzioni
infilandosi con prepotenza sotto al suo braccio e strusciandosi in un
miagolio.
“Buongiorno, Masha,” mugolò, accarezzandogli con la punta
delle dita la sommità della testa.
Il gattino rispose con un brontolio profondo e si piegò di
più contro la sua mano prima di acciambellarsi accanto a lui e chiudere
gli
occhi.
Ryo rimase in silenzio ad ascoltare il respiro dell’animale
e ad accarezzare il lucido pelo nero, sovrappensiero, ancora troppo
intorpidito
per potersi alzare.
Stava rivedendo per
l’ennesima volta i risultati di quelle analisi, l’orecchio attaccato al
telefono
connesso al laboratorio, quando aveva sentito bussare rapidamente alla
sua
porta.
Ichigo, come suo
solito, non aveva aspettato che lui rispondesse prima di aprire uno
spiraglio
ed infilarsi dentro, sventolando un paio di fogli che dovevano essere i
report
giornalieri degli agenti messi a guardia delle case protette dove Minto
e
Retasu stavano già da un paio di giorni.
Lei gli sorrise un po’
titubante – non si erano parlati molto dopo la telefonata di qualche
sera prima
– e lui le fece un cenno con il capo mentre continuava a parlare con il
laboratorio, indicandole di appoggiare pure i fogli sulla sua
scrivania. Non
aveva molta fretta di guardarle, dopotutto; non succedeva,
fortunatamente, mai
nulla durante quelle sorveglianze, e se qualcosa fosse successo, lui
l’avrebbe
saputo già da un pezzo.
Ichigo si morse il
labbro mentre si avvicinava, e da dietro la schiena tirò fuori anche
una busta
bianca sigillata, dall’aspetto rigonfio.
Ryo alzò un
sopracciglio in una muta domanda, osservandola curioso con i suoi occhi
penetranti; ma la rossa si strinse solamente nelle spalle, spingendola
verso di
lui con due dita, e poi uscì velocemente così com’era entrata.
Ormai l’aveva
distratto da ciò che il tecnico gli stava borbottando al telefono, così
Shirogane cercò di tagliare il più possibile, studiando la busta che
aveva
preso in mano. La tastò; c’era sicuramente qualcosa dentro di grosso,
che non
era carta. Cosa diavolo saltava in mente a quella donna?
Impaziente di
aspettare oltre, salutò bruscamente l’interlocutore, e aprì di scatto
l’involucro.
Ne cadde un paio di
chiavi; non gli ci volle molto per capire cosa fossero, e cosa
significassero.
Tipico di lei, pensò, cercando
di ignorare la stretta che il suo stomaco aveva subito quando il cuore
gli era
piombato contro, giocherellando con le chiavi sul vetro della
scrivania:
aggirare il problema, non parlarne, presentarsi solamente con la sua
decisione
già pronta e fornire quella che per lei era la soluzione.
Forse questo modus
operandi poteva funzionare in Agenzia, ma non era del tutto sicuro che
avrebbe
funzionato anche con lui.
Se le mise comunque in
tasca, deciso a non pensarci fino ad almeno alla fine del turno. Non
mancava
molto, ed avevano avuto già abbastanza distrazioni da bastargli una
vita in
questi ultimi tempi.
Nessuno lo disturbò
più nel suo studio, sapendo bene che quando la porta rimaneva chiusa
per così
tanto tempo, aveva un significato preciso; perse anche lui la
cognizione del
tempo, in realtà, ad organizzare tutti i loro compiti che avrebbero
dovuto
adempiere una volta recuperate le due agenti mancanti della squadra, e
quelli
da svolgere nel frattempo.
Gli fece bene, si
disse, distrarsi così; aveva già sprecato abbastanza emicranie per
Ichigo.
Quando si alzò dalla poltrona, erano ormai passate le otto di sera, e
ricordava
vagamente i saluti delle ragazze, qualche ora prima.
Uscì con calma
dall’edificio, avvertendo il tintinnare delle chiavi nella tasca
interna della
sua giacca, ma ciò non aumentò il suo passo.
Si concesse due tranci
di pizza prima di salire in auto, ma tra una cosa e l’altra, non arrivò
sotto
casa di Ichigo fino alle dieci.
Fece un respiro
profondo prima di scendere, guardando con la coda dell’occhio la luce
che
filtrava da quella che sapeva essere la finestra del salotto.
Scelse anche di salire
le scale piuttosto che prendere l’ascensore – come se le quattro rampe
gli
avrebbero dato più tempo di prendere una decisione, come se il rimbombo
del
battito del cuore nelle orecchie servisse ad isolarlo dalla marea di
pensieri
nella sua mente.
Possibile che l’ultima
volta che avesse percorso quei gradini fosse stato alle tre del
mattino,
completamente ubriaco, a pregarla di non scegliere l’altro?
Gli sembrava che
fossero passati secoli.
Infilò la chiave, ora
dalla forma così famigliare, nella toppa, ma bussò comunque un paio di
volte
prima di farla girare e far scattare la serratura.
Ichigo gli apparve
davanti, un po’ affannata come se avesse corso, non appena aprì la
porta quanto
bastava per guardare. Lo accolse con un sorriso.
“Ciao,” gli disse,
tirandosi giù l’orlo della maglia che usava come pigiama “Mi stavo
chiedendo
se…”
“Speri di cavartela
consegnandomi così le chiavi?” le domandò lui di rimando, forse un po’
troppo
bruscamente.
L’espressione sul viso
di lei cambiò rapidamente, e si morse il labbro. “No, però…”
Ryo scosse la testa, facendo
due passi in avanti per poter entrare nell’appartamento.
“Per te è tutto molto
semplice, vero?”
“Non è semplice per
niente!” sbottò di rimando lei, stringendo i pugni ai fianchi “Ma…
tutta questa…
cosa di Minto e Retasu mi ha fatto capire molte cose. Mi ha fatto
capire chi
non voglio perdere. E sono spaventata, però… l’ho fatto comunque. Ho
preso la
mia decisione. Vuoi sentirti dire che avevi ragione, è questo che vuoi?”
L’americano alzò un sopracciglio,
un po’ preso alla sprovvista dal solito scoppio imprevisto di Ichigo.
“Sì, be’,
non mi dispiacerebbe.”
La rossa fece una
smorfia al suo tono ironico e supponente. “Okay, allora avevi ragione,”
ammise
comunque “Sono stata egoista. E voglio te. Tu mi conosci più di tutti,
Ryo. Con
te posso essere me stessa, senza menzogne o inganni. Io voglio stare
con te.
Solo con te.”
Masha miagolò all’improvviso, lo costrinse ad aprire di
nuovo gli occhi quando gli diede un colpetto sul naso con la testa.
Tutto la sua padrona.
“D’accordo, d’accordo,” bofonchiò arreso. “Alziamoci.”
Si tirò su a fasi, sedendosi sul bordo del letto e
stiracchiandosi i muscoli indolenziti, facendo scrocchiare
piacevolmente le
giunture e le ossa del collo. Si passò le mani sul volto, pizzicante
per la
ricrescita della barba, sbadigliò, ed agguantò giocoso il gattino da
sotto la
pancia, portandolo con sé verso la cucina.
“Sei una piccola bestiolina invadente,” gli mormorò,
facendolo ballonzolare piano come se fosse un pesetto -
Masha, incredibilmente, stava mollo e
rilassato nella sua presa, fidandosi di lui. Avevano giocato insieme
ormai
talmente tante volte che si conoscevano a vicenda.
Emise delle fusa contente, e si divincolò solamente quando
varcarono la soglia della stanza, invasa dall’odore invitante del bacon.
“Ti sembra questa l’ora di svegliarsi?” Ichigo, armata di
spatola, lo accolse allegra ed ironica, guardandolo da sopra la spalla.
Ryo lanciò un’occhiata all’orologio del forno, che segnava
ormai le undici e trequarti. Benedetti i sabato mattina.
“Avrei continuato a dormire, ma ci ha pensato il tuo dannato
gatto a svegliarmi.”
La rossa guardò amorevole Masha che le si strusciava tra le
caviglie per chiederle un pezzetto di pancetta. “La prossima volta lo
morderei
anche, se fossi in te.”
L’americano sorrise, e le avvolse le braccia intorno alla
vita, lasciandole un bacio sulla spalla.
“Che ora abbiamo fatto ieri sera?”
Ichigo girò abile una striscia di bacon: “Ho controllato
prima i file, l’ultima modifica è dell’una e mezza. Guarda che non
abbiamo più
l’età per certi straordinari, io pretendo un aumento.”
Ryo ridacchiò, mordendola piano: “Io direi che non abbiamo
più l’età per fare le ore piccole facendo
altro.”
Lei si finse offesa, decisa a nascondere il rossore sulle
guance: “Parla per te, vecchio.”
Lui rubò velocemente della pancetta dalla padella
sfrigolante, assaporando il gusto così familiare con calma, beandosi
dell’espressione intimidatoria di Ichigo che lo sgridava imponendogli
di
aspettare ed usare dei piatti, come le
persone civilizzate.
“Dovresti smetterla di passare tutto quel tempo con Minto.”
“Dovresti iniziare a farlo tu, invece!”
“No,” Ryo spense il fornello, l’agguantò di nuovo per la
vita, e la voltò così che la potesse guardare in volto “I’d
rather spend it with you.”
La baciò dolcemente mentre lei rideva ed incrociava le
braccia dietro al suo collo.
Non avevano parlato ancora di nulla, in quella settimana e
mezzo – del loro lavoro, del fatto che tutto ciò tecnicamente non era
autorizzato, delle possibilità di trovare dei cavilli, di tutte le
altre
sfumature della loro relazione. Ryo non ci voleva pensare, non ancora.
Era
felice, per la prima volta da tanto tempo, ed andava bene così.
§§
Purin scese le scale quasi a saltelli, tenendo in mano un
plico di fogli.
“Taru-Taruuu,” cinguettò, palesemente ignorando il fatto che
non ci fosse solo lui in laboratorio, e causandogli il solito imbarazzo
sulle
guance “Li manda Shirogane-kun, per te. E vuole sapere se tu-sai-cosa
è già pronto.”
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo: “Potresti evitare di
chiamarmi così, almeno in pubblico?”
La biondina sorrise, appoggiandosi al bordo della sua
scrivani: “Potrei, ma non è detto che lo farò.”
Taruto scosse la testa e si rimise a digitare alla tastiera:
“Comunque, dì a Shirogane-san che è tutto pronto. Glielo consegnerò
domani.”
“Forse faresti meglio a consegnarglielo stasera.”
“Perché? È di cattivo umore?”
“No, anzi,” Purin si arrotolò una ciocca attorno ad un dito
“Ma lo sai com’è fatto. Oggi è lunedì, nuova settimana, bisogna
iniziarla con
qualcosa di concreto.”
“Già,” Taruto si guardò un attimo intorno, controllando che
i suoi colleghi fossero abbastanza impegnati e fuori dalla portata
d’orecchio
“A questo proposito… credi che dovremo notificare Shirogane in caso,
per esempio,
se… io e te andassimo, uhm, a vivere insieme, o che so io…”
I fogli quasi scapparono di mano alla ragazza, che sgranò
appena gli occhi: “Be’, ecco… insomma, non lavorando nella stessa
squadra non
vedo dove possa esserci il problema, ma per precauzione, sai…”
Lui annuì: “Sì, infatti, è quello che pensavo anche io.
Perfetto.”
Passarono pochi attimi di silenzio, durante i quali Purin
cercò di placare il sorriso che minacciava di spuntarle sulle labbra, e
Taruto
fingeva di rimanere concentrato sullo schermo del computer; poi la
biondina gli
si gettò al collo, stringendolo in una morsa pressoché asfissiante,
sballottandolo di qua e di là, prima di piantargli un sonoro bacio
sulla
guancia: “Oh, Taru-Taru, sono così felice!” strillò, catturando
l’attenzione di
tutti i presenti che ebbero almeno il buonsenso, per il bene del loro
giovane
collega, di ridere sottovoce “Non vedo l’ora di scegliere l’arredamento
della nostra camera da letto!”
Lui era ormai diventato di un notevole colorito violaceo;
spostata la ragazza dal suo grembo, sul quale si era arrampicata,
tossicchiò un
paio di volte: “Uhm, sì… ne parliamo un’altra volta, d’accordo? O-ora
devo
portare questo a Shirogane-san.”
“Glielo posso portare io,”
“No, no,” Taruto scosse la testa e sfiorò con le dita un piccolo
involucro nero “Voglio fare un altro paio di test prima di essere
sicuro. Digli
solo che sarà pronto prima che lui vada a casa.”
“D’accoooooooordo, ma ricordati che ultimamente il capo va a
casa prima,” con un occhiolino che diceva molto, Purin saltò giù dalla
scrivania e gli arruffò i capelli, provocandogli l’ennesimo attacco di
rossore
“A più tardi, Taru-Taru!”
Quando vide la matassa di capelli biondi sparire su per le
scale, il giovane scienziato si lasciò andare ad un sospiro, passandosi
una
mano tra le ciocche spettinate per cercare di ridare loro un po’ di
ordine. Purin
era davvero pazza, pensò con una forte punta di affetto; ma le
invidiava la
capacità di portare sempre allegria ovunque andasse.
Sentendo nascere un sorriso, si rimise al lavoro: Shirogane
aspettava il suo pacchetto, e lui non vedeva già l’ora di tornarsene a
casa.
§§
Ciò che Taruto consegnò al capo della squadra µ, poche
ore dopo, era una speciale tipo
di cimice da lui sviluppata, che non pensava sarebbe riuscito a testare
così presto.
Si trattava di un microchip sottocutaneo, progettato per apparire
invisibile e
soprattutto il meno rintracciabile possibile dagli strumenti
predisposti a
rilevare microspie esterne.
Non era rimasto molto con Shirogane, però; lui l’aveva preso
in custodia per un tempo limitato, ne aveva studiato al meglio delle
sue
capacità proprietà e funzionamento, e poi si era premurato che il
dispositivo
finisse nel luogo ad esso designato.
Questo altri non era che il braccio sinistro di Kisshu,
ancora avvolto da qualche benda di precauzione per il proiettile che
aveva
trapassato la sua spalla. Shirogane aveva supervisionato l’operazione
di
inserimento, che avrebbe fatto sì di poter seguire gli spostamenti di
colui che
si era rivelato essere loro alleato, senza che quest’ultimo rischiasse
ulteriormente di vanificare la sua copertura.
La situazione si stava infatti complicando, come
sottolineato dal fatto che i due precedenti incontri con Ikisatashi
erano
avvenuti nel buio di un parcheggio sotterraneo in un centro
commerciale, ben
oltre l’orario di lavoro prestabilito. Non potevano permettersi di
sottostimare
nemmeno una precauzione, le comunicazioni dovevano essere ridotte al
minimo, il
più possibilmente irrintracciabili ed incomprensibili ad occhi esterni.
Shirogane
pensava che il passo successivo sarebbero probabilmente stati i
piccioni
viaggiatori.
Ma la data di consegna detta da Ikisatashi a Minto, quelle
poche settimane prima, si stava avvicinano in modo rapido, e lui non
vedeva
davvero l’ora che tutta quella assurda vicenda volgesse al termine.
Sentiva la
tensione gravare sul gruppo come mai prima d’ora, e temeva per il
benessere
delle sue sottoposte.
Il suo senso del dovere, in ogni caso, era anch’esso più
forte che mai, e lo aiutava ad indorare la pillola nelle situazioni che
lo
rendevano così nervoso.
Come, ad esempio, il primo degli incontri segreti
organizzati con Ikisatashi, in modo che quest’ultimo potesse passare
loro più
informazioni possibili raccolte negli anni passati sotto copertura.
In quel momento, infatti, Ryo stava passeggiando nella
maniera più tranquilla che potesse con Purin al suo fianco, diretti
verso una
delle tante abitazioni sicure che l’agenzia deteneva in città.
Erano entrambi in incognito; Shirogane sfoggiava una
parrucca castana e un paio di tondi occhiali da vista, ed aveva
praticamente
costretto la biondina appesa al suo braccio ad accontentarsi di lunghi
e lisci
capelli neri.
Il resto del gruppo gli avrebbe raggiunti da altri percorsi,
in modo da non dare nell’occhio, come al solito; e, come al solito,
Purin
riusciva a trasformare anche quella situazione in una di tranquillità e
casualità, come se fossero davvero due amici fuori per una passeggiata.
Gli stava, infatti, raccontando come se nulla fosse di tutti
i piani che lei e Taruto avevano discusso in quei giorni, allegra ed
estasiata
come una ragazzina senza nemmeno una preoccupazione al mondo.
“E poi voglio che il salotto sia dipinto di un bel giallo,
per dare un po’ di allegria!”
Shirogane rise: “Non starete correndo un po’ troppo, voi
due?”
Purin alzò gli occhi al cielo: “Vuoi davvero farmi la
predica, capo?”
“No, ma dì a Taruto che lo rispedisco a riparare computer se
ti tratta male.”
La biondina ridacchiò e s’infilò oltre la porta che lui
aveva appena aperto per lei.
Davanti a loro si allungava un corridoio buio, illuminato
solo dalla fioca luce che proveniva da uno spiraglio aperto nell’unica
porta
che riuscivano a vedere.
Purin storse il naso: “Questo posto puzza di muffa.”
“E’ una delle abitazioni più vecchie che il Dipartimento ha
a disposizione,” spiegò Shirogane, “Sono anni che non viene utilizzata.
È per
questo che siamo qui.”
Lei si strinse nelle spalle: “Fa venire un po’ i brividi.”
La porta si aprì un po’ di più, quanto bastava perché Retasu
facesse spuntare la testa: “Oh, eccovi! Mancavate solo voi.”
La stanza in cui li accolse era stranamente calda, quasi da
risultare soffocante, e odorava fortemente di polvere e chiuso. Era
arredata
con pochi mobili di vecchio legno, di fattura grossolana, tutti vuoti
fatta
eccezione per il lungo tavolone di massello attorno al quale erano già
sedute
le altre quattro componenti della squadra µ
e Kisshu; su esso, infatti, erano stati dispiegati dei fogli e qualche
pianta,
stampata su carta blu. Una lampada dalla forte luce bianca illuminava
quel
tavolo più di tutto il resto della camera.
“Ichigo ti ha contagiato con i suoi ritardi, eh,
Shirogane-kun?” esclamò con la solita punta di acidità Minto.
L’americano, come al solito, decise di soprassedere sulla
battuta, notando subito la posizione rigida e difensiva che la mora
teneva,
dritta e algida sulla sedia all’angolo più lontano da Ikisatashi. A
quest’ultimo,
però, non risparmiò l’occhiataccia quando lo udì ridacchiare sottovoce.
“Non perdiamo troppo tempo in chiacchiere e diamoci da fare,”
replicò brusco, togliendosi il cappotto e occupando la sedia accanto a
quella
di Zakuro.
Kisshu si alzò con un sospiro, si avvicinò al tavolo e
srotolò i bordi di una delle piante, con aria pensierosa. “Condensare
anni di investigazioni
in poche ore non sarà facile, quindi non vi aspettate che questo sia
l’unico
incontro.”
“Non pensavo fossi tu a dare gli ordini.” esclamò glaciale
Shirogane.
L’altro non si scompose più di tanto: “Solo un’informazione
di servizio, capo.”
La parola gli snocciolò dalla lingua con astio e sarcasmo
che non venne ignorato dall’americano, consapevole della possibile e
probabile
circostanza che Ikisatashi fosse in realtà un agente a lui superiore.
Continuò
in ogni caso a fissarlo deciso, immobile e con la guardia alzata.
“Ovviamente, in tutto ciò io sto rischiando la pelle, ed è
anche per questo motivo che c’è questo,” Kisshu mosse per quanto ancora
poteva
il braccio sinistro, ed abbassò lo sguardo su una delle carte in fronte
a lui “Cercherò
di essere il più specifico possibile. Questa è una mappa del probabile
luogo in
cui Pai vorrà far tenere la vendita. Il modo è sempre lo stesso: posto
isolato,
facile da coprire per la sorveglianza, con molte vie di fuga
disponibili. Capannoni
abbandonati, fabbriche chiuse, qualche volta retri di locali. Se gli
incontri
preliminare vengono fatti all’aperto, sotto gli occhi di tutti quasi,
per dare
meno nell’occhio, la vendita è tutta il contrario.”
“E per quanto riguarda i clienti?” domandò Zakuro.
Kisshu spinse verso di lei un foglio: “Sono i nomi di quasi
tutti quelli a cui io ho partecipato. Alcuni immagino li riconoscerete.
Non so
quanto ormai possano essere utili, risalgono ad anni ed anni fa, ma
capirete la
cerchia.”
Quando il foglio le giunse fra le mani, Ichigo passò
sgomenta gli occhi sulla lista: “Com’è possibile che ci sia voluto così
tanto
tempo per poter solo pensare di far saltare l’organizzazione?”
“E’ tutto molto più grande di quanto immaginiate,” Ikisatashi
si strinse nelle spalle “La Deep Blue
è solo una cellula, mettiamola così, ed è sempre in movimento. Già è
strano che
si siano trattenuti qui a Tokyo così a lungo. Sono bravi a coprire le
proprie
tracce, a non lasciare niente al caso.”
“E tu come hai fatto ad inserirti?” domandò curiosa Purin,
appollaiata a gambe incrociate.
Lui le fece l’occhiolino: “Quella è una storia troppo lunga
per essere raccontata ora, scimmietta.”
Shirogane si alzò sbuffando e si avvicinò a Kisshu per poter
osservare anch’egli la planimetria. “Parlami delle vendite.”
“Con piacere,” lo prese in giro l’altro.
Le informazioni che Kisshu prese a rivelare loro furono
talmente tante che, dopo un po’, le ragazze cominciarono a provare un
vago
senso di mal di testa. L’aria, nella stanza priva di finestre perché
tutte
sbarrate, stava cominciando a farsi ancora più opprimente e stantia, e
l’essere
in sette in quell’ambiente angusto non aiutava di certo.
Solo Minto sembrava non avere spiccicato una parola da
quando la riunione era incominciata, lo sguardo fisso sul ragazzo
davanti a
lei, le braccia e le gambe incrociate. L’aveva seguito con gli occhi
per tutto
quel tempo, provando ad interpretare i suoi gesti e la sua personalità,
mentre
le parole che le aveva rivolto l’ultima volta che si erano visti
continuavano a
rimbombarle nelle orecchie.
Non riusciva a capire come potesse mostrarsi due persone
talmente diverse allo stesso tempo. Ma, d’altro canto, era qualcosa a
cui lei
stessa si era abituata, e l’aveva ritrovato anche nelle sue amiche più
care.
Fu il trillo di un cellulare ad interrompere, dopo qualche
ora, la discussione; ci furono anche parecchi sussulti, che nessuno
commentò
perché erano tutti ben consci di quanto in realtà fossero tesi i loro
nervi.
“E’ Akasaka-san,” borbottò Ryo “Gli avevo detto di chiamarmi
una volta finito il tempo a nostra disposizione per oggi. Ragazze, voi
uscite
per prime.”
Purin si fece scrocchiare le vertebre: “Finalmente, non ne
potevo più di stare qua. È buio e brutto.”
Ichigo le arruffò teneramente la frangetta: “Guarda che
James Bond non ha paura del buio.”
“Senti chi parla.”
Le ragazze risero a bassa voce, raccogliendo le proprie
cose, mentre Shirogane rivolse l’ennesima occhiata dura a Kisshu.
“Riesci a
tornare tra tre giorni?”
L’altro ci pensò un attimo: “Direi di sì. Stesso luogo,
stessa ora?”
“Se gli ordini di Keiichiro non cambiano, sì.”
“Roger that.”
Ryo si allontanò alzando appena gli occhi al cielo,
raggiungendo Ichigo che stava, con molti tentennamenti, osservando il
bagnetto
nascosto da una porta nell’angolo.
Mentre le altre ragazze si salutavano, le voci più allegre
di quanto non fossero state al loro arrivo, prima di incamminarsi verso
il
corridoio, Minto decise di avvicinarsi all’uomo rimasto, guardinga,
incrociando
le braccia al petto: “Come va la spalla?”
Kisshu la mosse quasi inconsciamente mentre raccoglieva le
ultime carte: “Diciamo che hai un'ottima mira.”
“Io continuo a sostenere che avrei dovuto piantarti il
proiettile in testa.”
Lui la guardò con un'espressione a metà tra il divertito e
l'irritato. Per qualche istante, il rumore fu solo quello delle auto
per la
strada e il fruscio dei fogli che venivano impilati in modo ordinato.
“Senti,” esclamò il giovane dopo un po' “Ero sincero l'altro
giorno quando...”
“Lo so,” lo interruppe lei con tono leggero “Sono più forte
di quello che sembra, comunque.”
Kisshu rise: “Immagino. E… ero serio anche riguardo la
pizza.”
Minto alzò gli occhi al cielo: “Non posso venire a cena con
te, non ti conosco nemmeno.”
“Sei venuta a letto con me.”
“E' diverso.” (*)
“D'accordo, allora vuoi tornare a letto con me?”
Fu Minto, questa volta, a ridere: “Non credi che dovresti
almeno aspettare finché la spalla non è guarita del tutto?”
Preso alla sprovvista, Kisshu alzò un sopracciglio: “Mi
stavo aspettando un cazzotto, in realtà.”
Lei si strinse nelle spalle, rimanendo con un fianco
appoggiato al tavolo.
“Minto-chan?” la testa di Ichigo sbucò dalla porta,
titubante “Io e Shirogane-kun stiamo per andarcene, vuoi un passaggio?”
“Oh, per carità,” replicò lei “In auto con voi due non salgo
nemmeno morta. Torno da sola, non è un problema.”
Mentre Kisshu sghignazzava sotto i baffi, la rossa gli
lanciò un'occhiata tipica di chi non si fida molto: “Sei sicura?”
“Non sono nemmeno le cinque del pomeriggio, Ichigo.”
“Ikisatashi ha già il microchip nel braccio, se per caso ha
intenzione di fare qualche stronzata lo troveremo facilmente,”
intervenne
Shirogane, indossando la giacca.
“Sempre che non me lo tolga prima,” replicò irritante e
sarcastico l'altro ragazzo.
“In tal caso, farò in modo che il coltello piantato nel tuo
occhio sia capitato lì per caso.”
“Grazie per la fiducia.”
Con un'ultima occhiataccia a Kisshu, Ryo e Ichigo se ne
andarono, parlottando sottovoce.
Lui rivolse la sua attenzione alla ragazza accanto a lui:
“Mi offrirei io di darti un passaggio, ma non credo sia il caso. Per
adesso, è
meglio che né io né altri sappiano con certezza dove abiti.”
“Lo so, infatti non te l'ho chiesto.”
“Perché sei rimasta, allora?”
Minto fece spallucce: “A casa sarei stata da sola, e mi
sarei annoiata. Non ho fretta di tornarci. Qualcuno deve anche
controllarti,
no? Non si sa mai che con la tua testa vuota, non lasci qualche cosa di
importante qui.”
“E' questo che fanno le signorine per bene, allora?” domandò
lui ridendo “Controllano i loro colleghi?”
“No, facciamo shopping.”
“Brrr, orrore.” Kisshu fece finta di rabbrividire. “E' un
po' un paradosso che un Agente di grado superiore sia controllato da
qualcuno
di grado inferiore, non credi?”
La mora alzò un sopracciglio: “Non provarci nemmeno. Se vuoi
tirare in ballo il grado, allora tu
ti sei approfittato di un tuo sottoposto, e quello
è molto più grave.”
“E, dimmi, se dovessi approfittarmene ancora, verrei
ucciso?”
Minto fece solo in tempo ad abbozzare ad un sorriso, senza
invece riuscire a rispondere, perché Zakuro bussò due volte,
aggiustandosi i
capelli dopo aver annodato la sciarpa: “Minto, vieni.”
La mora sembrò irrigidirsi a quell'invito: “Pensavo fossi
già andata via.”
“Borsa dimenticata.” replicò laconica, guardando Kisshu invece
che l’amica.
Lui sorrise, scuotendo la testa con aria avveduta e
riponendo le varie carte che si era portato dietro in una valigetta.
“Vi lascio alle vostre chiacchiere, signorine,” le salutò,
la giacca posata sulla spalla malandata e l’altra mano che stringeva
saldamente
la ventiquattrore, mentre inforcava un paio di occhiali “A presto.”
Sfiorò Minto con un braccio mentre le passava accanto per
uscire, intenzionale o meno che fosse, lo sguardo di Zakuro che gli
bruciava la
schiena. Solo quando udirono il tonfo lontano della porta di ingresso,
la
morettina, gli occhi puntati in basso, borbottò seccata: “Puoi anche
smetterla
di guardarmi così.”
L’altra afferrò la borsa, bella in vista sul tavolo per
essere stata dimenticata in distrazione: “Pensavo fossero anni che non
mangiassi la pizza, ballerina.”
Minto arrossì, seguendola lungo il corridoio e fuori,
finalmente, alla luce del Sole, e scosse la testa. “Ho bisogno di un
bicchiere
di vino.”
“Sì, ma con me, stavolta.”
(*)
Questo scambio di battute è stato tratto e tradotto
dalla sottoscritta dalle battute di un dialogo tra Miranda e Steve in
Sex and
The City ;)
Hellloooooo, mie dolci
fanciulle :D Siamo tornati nel periodo del "Hypnotic dovrebbe studiare
ed invece scrive", quindi aspettatevi sempre aggiornamenti random (e
terribilmente in ritardo come questo, lo so, lo so, mea culpa :'( Ma
l'uni mi tiene in ostaggio per 12 ore al giorno quasi tutti i giorni -
ci vado anche al sabato ahahahah *risatina isterica*).
Mi avevate chiesto in molte un
capitolo un po' soft,
di calma, ed eccolo qui, spero di aver fatto bene :) E comunque le cose
succedono, direi! Ichigo sembra aver messo la testa a posto (o sì?
Chissà? xD), Purin e Taruto sono l'unica coppia normale, Zakuro ne sa
sempre una più del diavolo... forse ho sgravato un po' nell'OOC per
quanto riguarda Minto, sono dubbiosa.
Il titolo viene da Give me Love di Ed
Sheeran.... sarà mai il titolo della canzone rivelatore? MAH ahahahah
Però è sempre bellissima, e lui è un patato paciugoso amorevole
<3 ("Qualcuno la fermi" ndKisshu. "Sta' buono che la tua vita è
in mano mia, sappilo." ndA)
Ora vado a studiare per l'ora
d'aria che mi rimane xD Aspetterò le vostre paroline sempre
dolci dolci (od incazzose, sopratutto verso certi PG ahahah)
Un bacione, a presto! <3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** This is my kingdom come ***
Capitolo undici: This is my
kingdom come
La stanza
puzzava di fumo e sudore. L’odore sarebbe rimasto
sui loro vestiti presumibilmente per tutta la giornata, e probabilmente
sarebbe
solo peggiorato se avessero seguito il consiglio di Kisshu e fossero
andati in
chissà quale nuovo locale che lui aveva scovato nei suoi vagabondaggi
notturni.
Pai osservò il
socio in affari, che, come al solito durante
quelle riunioni, aveva un’espressione terribilmente annoiata e
scarabocchiava
sul foglio davanti a sé. Se non avesse saputo che anche la propria
espressione
non era molto dissimile, l’avrebbe rimproverato per il poco tatto che
mostrava
nei confronti dei loro clienti.
Qualche parola
borbottata in russo attirò la sua attenzione
mentre gli altri continuava a discutere in giapponese. Sapeva che un
forte
malumore si stava diffondendo all’interno del gruppo. Era da troppo
tempo ormai
che si stavano intrattenendo a Tokyo per cercare di concludere affari
con
soggetti che si mostravano particolarmente tenaci nelle loro posizioni,
e il
fiato sul collo che avvertivano da quell’incontro con quelle due donne
non dava
loro tregua.
Non sapeva
ancora per quanto sarebbe riuscito a mantenere il
controllo sui propri uomini, prima che decidessero di levare le tende e
spostarsi in un luogo più sicuro.
Avrebbero
dovuto solamente mettere a segno quell’ultima
richiesta, e tutto sarebbe andato a posto.
Sempre che i
termini di scadenza non continuassero a
cambiare.
Kisshu alzò lo
sguardo in quel momento, intercettando il suo
mentre si grattava pigramente il braccio sinistro, lì dove fino a pochi
giorni
prima c’era stata la garza a proteggere il colpo di proiettile.
Si era rimesso
davvero in fretta, non c’era da dire. Forse
anche lui avvertiva la stessa tensione e la voglia di andarsene il
prima
possibile. Anche se era sempre difficile riuscire a leggere le
espressioni del
proprio compagno, con tutta quella facciata di rilassatezza che sempre
mostrava.
Anzi, molto
spesso quell’attitudine lo infastidiva. Avrebbe
voluto che certe cose fossero prese un po’ più sul serio, soprattutto e
specialmente in una situazione come quella.
Ma anche
Fukazawa era nervoso, quello lo percepiva. Lo
attribuiva probabilmente al fatto che si era fatto scappare in modo
così
stupido quelle due, e ne era anche rimasto ferito. Ma era strano vedere
Kisshu
agitato.
Quest’ultimo
alzò un sopracciglio nel notare il costante
sguardo di Pai, come a chiedergli quale fosse il problema.
Lui accennò
appena ad un movimento della testa, per
dissuaderlo dall’insistere. Non era il caso di distrarsi ulteriormente,
in
questo momento. Finché i problemi di Kisshu non avessero danneggiato il
loro
lavoro, sarebbero stati solo una sua faccenda.
E per un breve
istante, Pai sperò davvero che non avrebbero
interferito.
§§
“Ti prego,
dimmi che
abbiamo finito con quella roba.”
Purin schiantò
la
testa contro il tavolo, mugolando sommessamente. Poteva sentire gli
occhi
bruciarle da quanto era stata ferma a guardare lo schermo del computer.
“Voglio andare
a casa.
A cercare nuovi appartamenti da dipingere di azzurro.”
Ryo le lanciò
un’occhiata distratta, sfogliando velocemente il plico di fogli tiepidi
appena
stampati da Retasu: “Pensavo che lo volessi giallo.”
“Il salotto lo
voglio
giallo. Il bagno lo voglio azzurro.”
“E la camera
da letto
rossa?”
“Non lo so,
com’è
quella di Ichigo, capo?”
Mentre sia la
ragazza
in questione che l’americano colpivano Purin con delle palle di carta,
Retasu
scosse la testa stancamente, trattenendo la voglia di alzare gli occhi
al
cielo. Ogni tanto non capiva come la biondina potesse prendersi certe
liberà
con Shirogane-kun. Lei sicuramente non si sarebbe mai permessa di
rispondergli
con quel tono canzonatorio, come a volte faceva anche Minto.
E il loro capo
rispondeva alle provocazioni della più giovane del gruppo con un tale
calma,
quasi come se ne fosse divertito, da spiazzarla. A lei sembrava che
stessero
tutti giocando così tanto con il fuoco, non poteva capire come
potessero affrontarla
con così tanta noncuranza.
Forse quei due
pensavano di essere intoccabili, ponderò, così avvolti dai loro
sentimenti da
pensare che potessero comunque prevalerne.
Retasu, in
cuor suo,
pregava che fosse così, sia per il bene della sua amica, che di
Shirogane. Non
poteva capire molto bene come lui avesse potuto perdonarla così
facilmente,
anche perché non erano girati molti dettagli tra di loro – Ichigo era
stata
incredibilmente riservata riguardo la questione, per una volta nella
sua vita,
e lei lo riteneva quasi un buon segno.
Come
d’altronde non
poteva capire l’evidente fissa che Minto si era presa per Kisshu. Non
le
importava molto del fatto che infine si fosse rivelato dalla loro
parte; lei
continuava a non fidarsi, non le piaceva. Non le piaceva il suo
comportamento,
l’attitudine che comunque aveva tenuto nei loro confronti quando erano
state
prigioniere, che fosse servito a mantenere la propria copertura o meno;
non era
nemmeno certa che dopo tutti quegli anni passati in mezzo alla Deep
Blue, lui
fosse del tutto sicuro di a chi appartenere. Poteva essere pericoloso,
e molto,
e forse Minto avrebbe fatto meglio a farsi passare la voglia del
brivido per il
rischio.
“Retasu, hai
finito
con quelle fotocopie?”
La voce
dell’americano
la distrasse dai suoi pensieri, facendola sussultare. Notò Ryo
osservarla con
cautela, un accenno di preoccupazione sul volto. La guardava spesso a
quel modo
quando la vedeva perdersi nei pensieri, o reagire di scatto, da quando
lei e
Minto era tornate al lavoro. Da un lato le faceva piacere pensare di
avere un
superiore che tenesse genuinamente a loro; dall’altro, la infastidiva
il fatto
che lui non rivolgesse mai occhiate di quel genere alla sua amica dai
capelli
neri. Come se solo lei avesse bisogno di essere controllata, perché non
era
forte come Minto.
E dire che se
aveva
deciso di offrirsi volontaria per quella maledetta missione, era stato
solo per
dimostrare che non era lei l’anello debole del gruppo.
Si schiarì la
gola e
sorrise al biondo, giusto per fare in modo che scostasse lo sguardo che
l’aveva
sempre messo a disagio, e gli porse il nuovo plico di fogli caldi.
“Ecco,
Shirogane-kun.”
“Grazie,” le
rivolse
un sorriso “Prometto che tra dieci minuti ce ne andiamo, prima che
Minto si
rimetta a lamentarsi.”
“Non
trasformare me
nella causa della tua fretta,” lo rimbeccò la mora, senza alzare gli
occhi dai
documenti che stava riempendo, con tono canzonatorio.
Zakuro
intercettò
lesta la pallina di carta che Ichigo, questa volta, aveva lanciato
contro Minto
– erano rimaste solo loro dentro l’ufficio, e si stava avvicinando
l’ora di
cena, scatenando tutto il loro malumore e la loro stanchezza.
Le loro
giornate
lavorative si stavano allungando sempre più, specialmente ora che gli
incontri
con Kisshu stavano diventando sempre più difficili da organizzare.
Avevano
molte cose ancora da discutere, ma lui non poteva rischiare di sparire
troppo a
lungo e troppo spesso, ed era già capitato un paio di volte, in quelle
ultime
due settimane, che gli incontri nella casa sicura fossero avvenuti dopo
cena. Addirittura
Purin si stava rivelando più nervosa del solito, e la mancanza della
sua
normale allegria si rifletteva in modo evidente sul gruppo.
Ryo sospirò
nel vedere
Ichigo e Minto scambiarsi occhiatine da battibecco e farsi le linguacce
a
vicenda, si passò una mano tra i capelli e si avviò a lunghe falcate
verso il
suo ufficio.
“Va bene,
basta,”
esclamò ad alta voce oltre la spalla, aprì uno dei cassetti della
scrivania e
vi infilò dentro quasi di scatto i plichi di fogli che teneva in mano,
ormai
dissoltasi la forza di volontà necessaria per consultare anche loro
“Andiamo a
casa. Domani sarà un’altra lunga giornata.”
“Ma domani è
venerdì!”
si lamentò Purin, alzandosi lentamente dalla sedia.
“Domani sera
dobbiamo
incontrare Ikisatashi.”
“Di venerdì?!”
“Purin. Non
fare come
Minto. A mezzanotte.”
La biondina mugugnò qualcosa
che somigliava
molto a ma a Minto piacerebbe incontrare
Kisshu a mezzanotte, ma prese la borsa e si allontanò in
fretta, prendendo
Retasu sottobraccio e praticamente trascinandosela via, permettendole
di
lanciare un saluto affrettato agli altri.
Zakuro le
osservò
andarsene, scambiandosi uno sguardo con Ryo non appena questo uscì
dalla sua
stanza con la giacca piegata sul braccio.
“Dici che
dovremmo
controllare come sta?”
L’americano
scrollò le
spalle: “Lo sai com’è fatta Retasu, non vuole che ci si preoccupi per
lei.”
“Dobbiamo
preoccuparci?”
Ichigo si era
avvicinata a loro due, e si mordeva ansiosamente il labbro inferiore.
“Ho
provato a parlarle, ma lei sostiene che è tutto okay, che sta bene…”
“Non te lo
puoi
scordare,” Minto parlò all’improvviso, aggiustandosi la borsa sulla
spalla “E
per Retasu credo sia stato un po’ più difficile.”
“Tu, in ogni
caso,
devi smetterla di fare Wonder Woman.” la riprese Ryo.
“Non puoi
dirmi
nulla.”
“Sono comunque
il tuo
superiore.”
“Ancora
peggio!”
“Minto, la
vuoi
piantare?”
“Coda di
paglia,
Ichigo-chan?”
“Guardati la
tua!”
Zakuro rise
sotto i
baffi mentre il solito dibattito continuava anche nell’ascensore, con
il povero
Shirogane che cercava di mantenere il controllo.
Gli sfiorò il
braccio
mentre le porte grigie si aprivano cigolando, sorridendogli. “Ci
vediamo
domani.”
“Ciao,
Zakuro-chan,”
Ichigo si sciolse la coda che le stava ormai facendo dolere
l’attaccatura dei
capelli “Vuoi un passaggio, Minto-chan?”
La mora scosse
la
testa, ma Ryo intercettò la sua risposta alzando gli occhi al cielo.
“Non ci torni
a casa
da sola, Aizawa, fila in auto.”
§§
Non appena
Purin entrò
in casa, lasciò penzolare cappotto e borsa sulla poltrona dell’ingresso
e si
trascinò fino al divano, dove si fece cadere con uno sbuffo a faccia in
giù.
“Sono morta.”
Taruto sbucò
dalla sua
piccola cucina, utilizzata praticamente solo quando la biondina si
palesava in
casa sua. “La cena è quasi pronta. Sei abbastanza rumorosa per essere
morta.”
“Non sei
spiritoso,”
lo rimproverò lei, legandosi i lunghi capelli in una crocchia scomposta
che
pendeva da un lato “Hai notato che ore sono? Pensavo che una volta
risolta la
situazione con Ichigo, Shirogane avrebbe smesso di fare lo schiavista.”
Il ragazzo
spense il
fuoco sotto alla pentola, raggiunse il salotto e si sedette accanto a
lei,
sollevandole le gambe e posandosele in grembo.
“Stare tutto
questo
tempo con Minto ti sta facendo diventare pettegola.”
Purin ghignò,
voltandosi
sulla schiena: “Spettegoliamo?”
L’occhiataccia
che le
fu rivolta da Taruto non riuscì a spegnere la sua ritrovata allegria.
“La verità è,”
si
arrampicò sulle ginocchia del ragazzo, piegando le gambe sotto di lei
ed
accoccolandosi contro il suo petto “Che siamo tutti preoccupati, tutti
su di
giri. Io lo sono specialmente per Retasu. Forse avrei dovuto invitarla
a cena.
Non mi piace che stia da sola.”
“Forse ogni
tanto ne
ha bisogno. State sempre e comunque insieme un sacco di tempo in questi
ultimi
giorni.”
“Sì, ma è
diverso.
Reta-chan avrebbe bisogno di svagarsi. Forse dovremmo trovarle un
fidanzato.”
“Ti ricordi
cos’è
successo l’ultima volta che hai cercato di trovare un fidanzato a
qualcuna?”
Purin
ridacchiò: “Io e
Ichigo siamo finite chiuse dentro lo stanzino in armeria per tre ore
perché
Minto non aveva apprezzato. Ma non si tratta di Minto-chan, ora, lo sai
che lei
ha dei gusti particolari. Decisamente particolari,
basta guardare a che pensieri ha ora per la testa. Ogni volta che ci
incontriamo
con Ikisatashi-kun, puoi tagliare la tensione con un coltello, e fidati, quella casetta è davvero
piccola. Se poi ci aggiungi pure il capo ed Ichigo…”
Taruto sbuffò,
cercando di scostarsela gentilmente di dosso: “Ho troppa fame per
queste cose.”
“Dai,
Taru-Taru,”
Purin gli strinse le braccia al collo e le gambe attorno alle sue,
placcandolo
sul divano “Fammi due coccole, siamo stati lontani due lunghissimi
giorni!”
Lui arrossì:
“Basta
che la smetti di parlare di quello che fanno le tue amiche, o
Shirogane-san.”
“Ma così è più
facile
non essere in sua soggezione, se sai che –”
“Io non sono in soggezione, e non
voglio sapere! Già mi guarda
malissimo da quando tu gli hai
detto
dei nostri… piani.”
“Avevamo
deciso che
sarebbe stata la cosa giusta.”
“Potevi
avvertirmi!”
Purin sorrise,
sfiorandogli il naso con la guancia: “Come sei carino quando sei
imbarazzato,
Taru-Taru.”
“Piantala,”
Taruto se
la scrollò definitivamente, facendola ridere mentre rimbalzava sul
divano, “Io
vado a mangiare, scimmia dispettosa.”
“Aspettamiiiii,
non ti
ho ancora finito di raccontare…!”
§§
Purin non era
stata
l’unica, ovviamente, a notare il cambiato atteggiamento, almeno questa
volta in
positivo, tra Ichigo e Ryo. Anche Kisshu, grazie alle varie ore passate
in
compagnia della squadra µ, sembrava
aver percepito quale tipo di relazione intercorresse tra i due; e,
visto che
sembrava aver fatto un passatempo il cercare di dare sui nervi il più
possibile
a Shirogane, si prodigava sempre in battutine e doppi sensi che molto
spesso
riguardavano proprio loro due.
La biondina
sbadigliò
rumorosamente; era quasi l’una di notte del venerdì, e loro erano
nuovamente
seduti intorno a quel tavolone polveroso, sepolto dalle carte.
Retasu le
allungò la
tazza di caffè che stringeva in mano: “Ne vuoi un po’?”
Lei scosse la
testa:
“No, grazie. Se lo bevo, so che poi non dormirò tutta la notte.
Preferisco
tirare avanti e sperare che tra una mezz’oretta sarò al calduccio da
Taru-Taru.”
Litri del
liquido
scuro, invece, stavano scorrendo tra Kisshu e Ryo, piegati sopra una
grande
planimetria del luogo dove, secondo l’agente sotto copertura, Pai
avrebbe fatto
accadere l’ultimo e il più importante atto di vendita, quello per cui
l’intera
banda era arrivata a Tokyo.
“L’impianto di
aerazione è inutilizzabile,” spiegò Kisshu, arrotolandosi una manica
della
camicia bianca “E c’è solo un’altra uscita sul retro. Di solito, Pai
mette a
guardia delle uscite un minimo di tre uomini, ma essendocene solo una,
non
vorrei che ne mettesse di più.”
Ryo annuì,
passandosi
una mano tra i capelli: “E’ questa la planimetria più vecchia che
possiamo
trovare? È una zona vecchia della città, non vorrei che ci fosse
scappato
qualcosa.”
L’altro scosse
la
testa: “Ho trovato solo questo.”
“Che dite di
costruzioni lì attorno?” Minto si avvicinò a loro, cercando su un
tablet la
mappa della zona “Per sistemare la copertura dall’alto?”
“E’ isolato,”
Kisshu
rilassò le spalle con fare scoraggiato “Non so se i cecchini dall’alto
siano
fattibili.”
“Damn
it.” Shirogane studiò qualche altro foglio “Sei sicuro che
sia
la nostra unica occasione?”
“Dopo questa
vendita,
Pai ha intenzione di andarsene. Nemmeno io so mai quale sia la nostra
destinazione fino a quando non siamo ormai praticamente in viaggio. È
troppo
tempo che siamo qui, gli altri si stanno lamentando, e non troppo
raramente.”
Il biondo lo
guardò
con un’occhiata decisa: “Il fatto che tu parli al plurale non è
rassicurante.”
Kisshu si
strinse
nelle spalle: “Forza dell’abitudine. E anche il fatto che se non si
smonta
tutta questa operazione ora, io dovrò partire con loro e continuare la
mia
investigazione.”
“What
a shame.”
Perfino Zakuro
lanciò
un’occhiataccia all’americano dopo la battutina sarcastica, e lui si
ritrovò a
sospirare e cercare di correggere il tiro.
“Non hai modo
di
convincere Hayashi a cambiare il luogo?”
“Purtroppo non
sono io
a decidere questi dettagli. Né sono abbastanza influente. Ho già avuto
il mio
da fare a convincerlo a spostare la data della vendita.”
Mentre i due
uomini si
rimettevano a confabulare tra di loro, Minto si andò a sedere accanto a
Ichigo,
sfregandosi il viso con il dorso della mano per tentare di scacciare la
stanchezza.
“Io non ho
capito
perché dobbiamo venire anche noi se poi fanno tutto loro due,”
bofonchiò la
rossa.
L’altra li
occhieggiò,
cercando di non soffermarsi troppo sui muscoli bene in vista delle
braccia di
Kisshu. “Senso di inferiorità numerica?”
“Altra ragione
per
lasciarci a casa.”
La mora
sorrise,
osservando il profilo del ragazzo dagli occhi dorati. Sapeva che
avrebbe dovuto
tenere ben separati vita personale e lavoro, soprattutto in un momento
come
quello, ma non aveva un bel esempio nemmeno nel suo capo e in una delle
sue
migliori amiche, e Kisshu…
Non riusciva a
capirlo
fino in fondo, e quello era il fattore maggiore che la spingeva verso
di lui.
La colpiva la
leggerezza con cui sembrava affrontare qualcosa che era sicuramente più
grande
di tutti loro, e in qualche assurdo modo, ciò le ispirava fiducia.
Sapeva che
non tutti la pensavano come lei, decisamente. Eppure, sembrava che in
fondo a
lui non importasse.
Lo vedeva nel
modo in
cui trattava Retasu; lei era sempre molto sulle spine e rigida attorno
a lui,
cauta ed attenta. Lui, d’altro canto, le dimostrava la massima
attenzione,
quasi come per scusarsi ancora di tutto quello che era successo,
rivolgendole
sempre saluti e parole gentili.
“Terra chiama
Minto,”
la voce divertita di Ichigo la distrasse “Ti hanno chiesto il tablet.”
“Ah, sì,” lei
si alzò
e allungò l’oggetto a Shirogane, ignorando l’occhiata scocciata che lui
le
stava rivolgendo.
Da
che pulpito, si ritrovò a pensare.
“Pai arriverà
lì
mezz’ora prima del cliente, ed io dovrò essere con lui,” stava
spiegando Kisshu
in quel momento, muovendo le dita sullo schermo del tablet per aprire
una mappa
delle strade “Un furgoncino con da tre a cinque uomini ci seguirà poco
dopo.
Per ultimo, arriverà il cliente, scortato da una delle macchine della Deep.”
“Arrivare
prima di Pai
sarebbe uno sbaglio, immagino.” commentò Zakuro.
“Sarebbe
pericoloso.
Lui arriva sempre prima per accertarsi che tutto sia a posto, e se
desse
l’allarme prima dell’arrivo della squadra, potrebbe saltare tutto
comunque.”
Ryo incrociò
le
braccia al petto: “Dovremo trovare comunque il modo di avere almeno un
po’ di
vantaggio.”
“Posti di
blocco sulla
strada che porta al luogo di incontro, tipo lavori in corso?” domandò
Retasu.
Kisshu scosse
la
testa: “Sarebbe troppo sospetto.”
“Se ci
sostituissimo
al cliente? Sappiamo il nome, potremmo incriminarlo, e…”
Ryo interruppe
Purin:
“Contenere la fuga di notizie sarebbe difficile. È un’operazione troppo
delicata per imbastirla in poche settimane, e sarebbe anche rischioso
trovare
capi d’accusa che possano reggere abbastanza a lungo per potere giocare
d’anticipo. Non basta avere il suo nome su una lista.”
Zakuro sbuffò
così
forte che le punte della frangetta le sventolarono. “E’ assurdo pensare
di non
poterlo incastrare.”
“Se fosse così
semplice, ci sarebbero già riusciti.”
La modella
lanciò
l’ennesima occhiata glaciale al biondo: “Quit it with coffee, you’re getting irksome.”
“No, vi
prego,” si
lamentò Ichigo “Sono quasi le due del mattino, l’inglese no.”
“Non ti
diverti
abbastanza, Rossa, se alle due del venerdì sei già stanca,” la prese in
giro
Kisshu.
“Preferisco
fare altre
cose che stare rinchiusa in una casetta ammuffita.” rispose piccata
lei.
Purin si mise
a
sghignazzare, esclamando un Oooooh
irrisorio che fece tingere di rosa acceso le guance dell’amica.
“Anche io, ed
infatti
quella era la mia scusa,” il ragazzo le fece un occhiolino prima di
stirarsi
la schiena, facendo scrocchiare piacevolmente le vertebre. “Mh, a
proposito, avrei
bisogno di qualche segno del mio divertimento notturno,” si voltò
ancora con un
ghignetto sarcastico verso Ichigo “Vorresti favorire, micetta?”
Una vena
pulsante comparve sulla fronte di Shirogane, mentre
la rossa alzava gli occhi al cielo e si allontanava sbuffando e
scuotendo la
testa. “Stai tirando troppo la corda, Ikisatashi.”
Kisshu rise:
“Non avete davvero senso dell’umorismo.”
“It wasn’t funny.”
Lui lanciò uno
sguardo di sbieco a Minto, che era rimasta
zitta per tutto il tempo e stava riponendo le sue cose nella borsa, la
schiena
un po’ più rigida del solito.
“Possiamo
andarcene, ora?” domandò infatti lei.
Ryo annuì:
“Sì, basta, non ne posso più.” Si voltò verso
Ikisatashi, le mani sui fianchi: “Il prossimo venerdì?”
L’altro fece
segno di no con la testa: “Il tempo stringe.
Proviamo mercoledì, sempre a quest’ora.”
“Che scusa
dovrai trovarti questa volta?”
Kisshu ghignò:
“Qualcosa mi inventerò. Ve lo confermo entro
il pomeriggio alle cinque.”
Il biondo
annuì e prese Ichigo per mano, stringendola forte,
ormai noncurante del fatto che fossero davanti agli occhi di tutti.
Un’occhiata
intuitiva con Zakuro gli fece intendere che avrebbe pensato lei a
controllare
tutto; lui si preoccupò solo di accertarsi che Purin e Retasu salissero
in
macchina illese ed al sicuro, raccomandando loro di fargli sapere non
appena
fossero arrivate in casa.
Quasi spinse
Ichigo in auto senza una parola, ringraziando
almeno che l’ora così tarda permettesse di arrivare al proprio
appartamento in
pochi minuti, senza traffico.
La rossa, dal
canto suo, non protestò affatto, contenta
soltanto di aver riempito le ciotole di acqua e cibo di Masha prima di
essere
uscita.
Lo seguì in
silenzio dal garage all’entrata del moderno
appartamento, che come sempre aveva il vago odore di dolci aleggiante
per
l’aria.
“Hai fatto una
torta prima?” gli domandò, appoggiando borsa
e cappotto sul bancone della cucina.
“Ieri sera,”
rispose quasi bruscamente Ryo mentre si sedeva
con uno sbuffo sul divano e si toglieva le scarpe.
Ichigo gli si
avvicinò e passò le mani tra le ciocche
bionde: “Sei nervoso?”
Lui annuì,
tirandola a sé così da poggiare la fronte contro
il suo ventre. “Sono esaurito, è diverso. Incontri notturni, microspie,
doppi
giochi… A volte mi chiedo se sia tutto un incubo, e cosa sia davvero
reale.”
La ragazza si
inginocchiò per guardarlo negli occhi. “Tra
poco finirà, vedrai. Non manca molto, ora.”
“Sempre che
riusciamo a far funzionare l’operazione. The more we study it, the more it looks like
Mission Impossible.”
ribatté lui con uno sbuffo, incurante del fatto che lei si era persa
ormai metà
della frase. “E in tutto ciò, sono preoccupato per Retasu, e… e Minto
mette
l’asso di briscola!”
“Lasciala
stare. Certe cose non si possono scegliere,
giusto?”
“Alcune sì.”
Ichigo rise e
premette la fronte contro la sua. “Io e te
siamo reali.”
Ryo annuì,
affondando i polpastrelli nei suoi fianchi: “Promise?”
“Promesso.”
Il modo in cui
si strinsero quella notte non poté che
suggellare quella promessa.
§§
Minto guardò
distrattamente l’orologio in basso a destra
nello schermo del computer. Sapere che non mancava molto tempo alla
scadenza
posta da Ikisatashi il venerdì precedente la stava rendendo leggermente
nervosa. Ogni giorno che passava, cresceva in loro la voglia di
terminare
quella faccenda il più presto possibile, per ricominciare a vivere una
vita che
fosse quantomeno un poco più normale e meno caotica.
Il brusio
dell’ufficio, a quell’ora sempre pieno di tutti
gli altri agenti, la stava intontendo, così come le poche ore di sonno
che
ormai riusciva a concedersi ogni notte. Continuava a svegliarsi spesso,
in
preda a brutti ricordi e accenni di attacchi d’ansia che non voleva
fossero
troppo divulgati, e diventava poi difficile concentrarsi sul luogo di
lavoro.
Soprattutto
quando il suo cervello si sintonizzava
autonomamente su quello che era accaduto il venerdì precedente.
Ichigo e Ryo
uscirono
per primi, di fretta, sbiascicando saluti controvoglia e sparendo nel
buio del
corridoio. Il fresco della notte raggiunse quel salotto invecchiato
nella
manciata di secondi in cui loro aprirono la porta, ricordando a tutti
quale
fosse il vero orario a cui si erano incontrati.
Zakuro accompagnò
Purin e Retasu alla porta, lanciandole solo un’occhiata che sembrava
più di
avvertimento che di rimprovero, questa volta. Solo quando non la vide
tornare
per un po’, Minto si concesse di lasciare andare il respiro che aveva
trattenuto.
“Capisci perché
non te
l’ho chiesto, no?” le domandò Kisshu, che era rimasto ad osservare la
scena in
silenzio.
Lei continuò a
dargli
le spalle mentre sistemava le sue cose in borsa: “Perché ti piace
irritare
Shirogane fino a dove puoi spingerti, e la tua natura da maniaco prende
il
sopravvento su di te?”
Kisshu sorrise
sarcastico, e lei lo avvertì compiere un passo verso di lei ma
mantenere comunque
una distanza di sicurezza. “Fuochino.”
Lei sbuffò e
scosse la
testa, voltandosi solo in quel momento. Pensava che almeno ci sarebbe
stato il
tavolo tra di loro, invece lui l’aveva già aggirato, portandosi a poco
meno di
un metro da lei. La stava guardando con gli stessi occhi di quella
prima sera
in discoteca, ma la sua fronte era corrugata in un’espressione di
frustrazione.
“Sappiamo tutti e
due
che è complicato.” mormorò il ragazzo.
Minto annuì. “E
che
non dovremmo. Soprattutto non adesso.”
“Magari… dopo.”
La mora si
strinse le
braccia quando lui si avvicinò ulteriormente. “Non ti accontenti mai,
noto.”
“Difficilmente,”
rise
lui, e allungò una mano per arrotolarsi una ciocca corvina attorno ad
un dito.
“Ikisatashi,” la
voce
le tremò per la piacevole fitta dietro l’ombelico che la colse non
appena il
profumo di lui le sfiorò le narici “Sei un Agente di grado superiore al
mio.”
“E’ una diversa agenzia.”
Ormai aveva
appoggiato
la mano alla sua guancia, i loro nasi si stavano per sfiorare, lei non
aveva
intenzione di chiudere gli occhi.
“E’
una stronzata.”
Kisshu sorrise:
“Ooh,
occhio al linguaggio, mademoiselle. Hai intenzione di lamentarti per
abuso di
potere?”
“Shirogane ci
ucciderà.”
“Ancora più
elettrizzante.”
Era così vicino
che le
sarebbe bastato inclinare la testa di pochi millimetri per avere le sue
labbra
sulle proprie. Bastava chiudere gli occhi e non pensarci più.
“Me ne vado solo
se ti
sento dire di no, passerottino.”
Minto chiuse gli
occhi.
“Io ti mando
dalla psicologa per un caso di sindrome di
Stoccolma, sappilo.” la voce sarcastica di Shirogane, unita al rintocco
delle
sue nocche sulla scrivania di Minto, la fece riconcentrare sulla
situazione
presente.
Raddrizzò la
schiena e squadrò le spalle, non rivolgendogli
lo sguardo. “Non sono incline a parlare della mia vita privata con te,
Shirogane-kun.”
“Privata un
accidente, signorinella.” borbottò lui “Ti stai
cacciando in un bel guaio.”
Minto alzò un
sopracciglio: “Vuoi davvero iniziare questo
discorso?”
“Maledizione,
voi donne.”
“Ryo,” il
monito, mezzo divertito, di Zakuro lo fece alzare
dalla scrivania di Minto con un sospiro.
“Ci sono
novità?”
“Ancora
nessuna conferma, capo,” rispose Purin. “Ma non sono
neanche le cinque.”
L’americano
alzò le sopracciglia, poco perturbato dal fatto
che, come al solito, Ikisatashi si premurasse di fare sempre tutto
all’ultimo
momento.
Del lavoro da
sbrigare prima di ricevere la sua conferma ne
avevano a bizzeffe, quindi non c’era pericolo che rimanessero con le
mani in
mano ad attendere in vano.
Ma non gli
sfuggì l’occhiata inquieta che Minto scoccò all’orologio
quando le lancette oltrepassarono i trenta minuti dopo le sei. Nessuna
accennò
ad alzarsi, nonostante l’orario lavorativo fosse finito da un pezzo.
Il vecchio
cellulare di servizio che Shirogane teneva nella
tasca, sul quale Ikisatashi era solito inviare un corto SMS di
conferma, non
squillò nemmeno per le tre ore successive.
§§
La nuvola di fumo
che
aleggiava per la stanza gli stava facendo venire mal di testa. Non
sapeva
quante volte aveva detto a tutti gli altri di non fumare nell’armeria,
ma ora
meno che mai sarebbe stato probabile che l’ascoltassero.
La risata
rumorosa di
Kisshu coprì il chiacchiericcio degli altri; Pai si voltò verso di loro
mentre
camminava lungo il corridoio illuminato quasi a giorno per controllare
l’ultimo
carico arrivato dalla Russia.
Il suo compare
stava
pulendo uno dei vecchi fucili, quelli così ricercati dall’ultimo
collezionista
che si era rivolto a loro nelle ultime settimane; ci stava mettendo più
tempo
del solito, forse perché la spalla ancora non era guarita del tutto
nonostante
avesse già dismesso la fasciatura.
La pistola che
Kisshu
portava sempre con sé era invece appoggiata sul tavolo, ancora nella
fondina,
pronta per essere pulita anch’essa.
Avrebbe dovuto
darci
una controllata, pensò Pai, non era un buon segno che continuasse ad
incepparsi, e non voleva correre il rischio anche con le altre armi
destinate
alla vendita.
Non era
decisamente
più il momento di lasciare anche il minimo dettaglio al caso.
Sfiorò con due
dita le
canne lucenti dei fucili di precisione ancora nelle casse, e si
avvicinò agli
altri.
Uelàààààààà aggiornamento
lampo per i miei standard :D Anche se lo so che probabilmente
mi odiate, perché è un capitolo pieno di cazz*AHEM*te e poi... ohohohoh
:3 A mia discolpa, è stato scritto quasi tutto in università (e la
ultima scena e mezza proprio mo, dopo due spritz. "Se, come
se due spritz ti facessero qualcosa, a te, ormai!* NdKIsshu "Buono te,
che sei in mano mia!")
Credo di non avere niente da
dire per non rovinarvi la sorpresa ;) Il titolo viene, di nuovo, da Demons degli
Imagine Dragons. Non so perché, in realtà, l'avevo scelto da un pezzo
xD
Non siate troppo cattive, plis
:3 Un bacione, buon weekend e buona notte :)
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=2658171
|