Amnesia

di scrittrice in canna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Amnesia.

“Sono due settimane che non si sveglia.”
“Starà bene, vedrai.”
“E se non riaprisse gli occhi? Se non lo vedessi mai più? Se Tony non si svegliasse?”
“Andrà bene, Ziva. Ci sono io con te.” disse Gibbs stringendola, lei si nascosa nel suo petto e cominciò a piangere mentre Jethro guardava, inerme, il suo agente in coma.
 
La stanza del Washington General Hospital della sezione “Casi gravi” che ospitava il comatoso Agente DiNozzo non era mai stata più silenziosa. Nessuno era andato a fargli visita quel giorno, non avevano avuto tempo, eppure, proprio in quel momento, lui avrebbe avuto bisogno di qualcuno vicino che lo calmasse perché proprio quel giorno Tony DiNozzo si risvegliava dal coma e la sola cosa che lo accoglieva erano le mura bianche e fredde di una stanza d’ospedale in cui non ricordava di essere stato portato. Dopo il risveglio il panico e un’infermiera che si era resa conto della situazione ed era affacciata sulla porta, la spalla contro lo stipite e le braccia conserte, in volto un sorriso accogliente come quello che si riserva ai bambini appena nati.
“Dove mi trovo?” chiese subito Tony spaesato.
“Al Washington General Hospital. Era caduto in coma dopo un’incidente d’auto.” Rispose gentilmente la donna.
“Incidente d’auto? Non ricordo.”
“Agente DiNozzo, stia tranquillo, è perfettamente normale che…”
“Agente? Di chi sta parlando?” la interruppe il ragazzo.
“Si ricorda il suo nome?” chiese l’infermiera credendo che il peggio fosse avvenuto, l’altro ci pensò su qualche secondo e poi la guardò sgranando gli occhi: “No. Mi aiuti, la prego. Non ricordo nulla.”.
 
La squadra accorse alla chiamata, lasciarono tutto quello che stavano facendo per salutare il loro collega. Sapevano una cosa sola: Tony era sveglio.
Il gruppo venne fermato da un medico che sorvegliava la porta e si presentò: “Dottoressa Pamela Gordon. Salve a tutti. Suppongo siate qui per vedere l’agente DiNozzo.” Annuirono tutti.
“C’è una cosa che non vi è stata detta: lui non sa chi è. Amnesia totale…” disperazione sul volto di tutti, Abby quasi svenne.
“… quindi può entrare solo una persona alla volta e vi prego… non tutti in un giorno solo, è per il suo bene.” Si riunirono tutti in gruppo per decidere chi doveva andare per primo, Ducky espose la questione sotto il suo punto di vista: “Secondo me il primo ad andare dovrebbe essere qualcuno a cui Tony tiene particolarmente, qualcuno che gli abbia dato tanto da ricordare.” Gibbs guardò Ziva in maniera piuttosto esplicita e, quando vide che lei aveva risposto al suo sguardo, dichiarò: “Ci andrà Ziva.” Ducky corrugò la fronte: “Io stavo pensando a te, Jethro… ma se tu credi che Ziva sia più adatta be’… chi sono io per oppormi!?” Gli altri annuirono tutti così la ragazza prese il coraggio a due mani ed entrò nella stanza.
 
Tony stava seduto sul bordo del letto con un diamante grezzo nelle mani, lo rigirava tra le dita giocandoci come se fosse un sassolino, appena sentì la porta scattare si girò automaticamente in direzione del suono e la vide, le sorrise e lei pensò che, forse, si era ricordato di lei così gli sorrise di rimando: “Ciao Tony.”
“Oh… ciao.” Rispose lui ancora incantato.
Silenzio.
“Tu chi sei?” le speranze di Ziva si sgretolarono, continuò a sorridere.
“Sono io, Ziva. Non ti ricordi di me?”
“Non ricordo nemmeno chi sono io! So solo che sono un agente dell’NCIS e che mi chiamo Anthony DiNozzo. Me l’ha detto l’infermiera.” Ziva si sedette accanto a lui, lo sentì irrigidirsi.
“Lavoriamo insieme da… otto anni, quasi, io sono la tua… collega.”
“Wow, otto anni! Siamo molto amici?” chiese Tony incuriosito.
“Sì, siamo ottimi amici… eppure… è complicato.” Ammise lei abbassando gli occhi, notò il diamante.
“Dove l’hai preso?” chiese.
“È dell’incidente. L’hanno trovato sulla moquette della mia macchina. A quanto pare ero a Berlino per…”
“Lo so, io ero con te. Io stavo… ehm… provando il diamante. Al dito. Ti ricordi cosa mi hai detto?” gli chiese Ziva.
“No, mi dispiace.” Lei si alzò e sussurrò un: “Okay.” Poi uscì, si chiuse la porta alle spalle ed esplose in un fiume di lacrime.









 
scrittrice in canna's corner
sono particolarmente masochista in questo periodo.
Questa storia deriva da una fanart su tumblr, ma la svilupperò in modo leggermente diverso anche perchè sei gif non possono fare granchè.
Se volete vi posto anche il link con la foto ;)
Se vedete qualcehe orrore di bttitura vi prgo di ramelo sapere e di perdonarmi perchè è da un po' che non scrivo con la tastiera del PC! D:
Se vi aspettavate un nuovo capitolo di "back to the origins" desolata, ma arriverà anche quello! Siamo quasi alla fine, mancano due capitoli! Quinid un'altra long non farà male u.u
Intanto ditemi se l'idea vi piace o se la ritentere una grandisima cazzata! 
vostra
scrittrice in canna

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Andò subito a chiedere conforto ai suoi amici, si asciugò le guance umide di lacrime e raccontò tra i singhiozzi: “Non mi ha riconosciuta, non ha idea di chi sia, non sa chi è lui, non sa niente… ha lo sguardo perso, è spaesato, non è più lui.” Intanto Gibbs la stringeva a sé con una mano intorno alla sua spalla e il mento sulla sua testa sussurrandole: “Ehi, Ziver ricordati che andrà tutto bene.” Neanche le sue parole che tanto l’avevano aiutata in quelle dure settimane riuscivano a farla stare meglio.
 
A Tony erano stati restituiti gli effetti personali: una camicia, un paio di pantaloni, una giacca, il suo distintivo, la patente e il portafogli, un paio di occhiali da sole. Prese il portafogli e controllò il contenuto, in uno scomparto nascosto c’era una foto, la prese e vide una ragazza, con un cappotto e una sciarpa, di fronte a quella che sembrava un’edicola, in bianco e nero, ci mise un po’ a realizzare ma poi capì che quella era la stessa ragazza che era andato a trovarlo qualche minuto prima. Continuò il suo giro nella stanza e vide un vaso con delle rose nere al suo interno e un bigliettino vicino che riportava, in bella grafia:
 
Per il nostro agente molto speciale.
Ti vogliamo bene,
                      Abby, Gibbs, Ziva, McGee, Ducky, Palmer.
 
C’erano molte persone che gli volevano bene e si prendevano cura di lui e non riusciva a ricordare nessuna di loro, un po’ si sentiva in colpa, avrebbe voluto ricordare, ma non era nemmeno sicuro di come fosse finito in quell’ospedale, a stento sapeva il suo nome grazie alla carta d’identità che aveva trovato in quello che gli avevano detto essere il suo portafogli, non ricordava nemmeno suo padre o sua madre, la sua vita era fatta di stralci che si stavano formando nella sua mente, da sogni fatti durante il coma e ricordi condivisi tramite altre persone. Tutta questa consapevolezza di non sapere lo esasperava, decise di sdraiarsi e dormire anche se era solo tardo pomeriggio quindi tirò le tende e uscì per dire all’infermiera di turno di far entrare solo un’altra persona e poi mandare tutti a casa. Nel momento in cui mise piede fuori dalla porta tutte quelle persone senza nome drizzarono le orecchie, c’era anche lei, piangeva, non aveva dimenticato il suo nome: Ziva. Probabile che stesse piangendo per causa sua? Forse sì. Era convinto di averla vista da qualche parte, lo sapeva, l’aveva riconosciuta quando era entrata, certo non come Ziva, ma sentiva di conoscerla già. Una ragazza dai vestiti gotici si avvicinò a lui e lo strinse forte dicendo: “So che non ti ricordi di me, ma io sì e sono così contenta che tu sia vivo!” una lacrima bagnò il camice di Tony che si staccò dalla presa e le sorrise, lei si presentò allungando la mano: “Abby.” C’era il suo nome nel bigliettino delle rose. Le strinse la mano: “Scusa Abby, devo dire una cosa all’infermiera.” Quando si girò per comunicare con l’infermiera si sentì chiamare: “DiNozzo, il camice è aperto dietro.” Tony si girò e vide che un uomo dai capelli grigi seduto accanto a Ziva stava sorridendo sotto i baffi mentre la ragazza era arrossita e cercava di guardare altrove allora lui si girò e disse: “Sono molto stanco… è meglio che io vada a riposare ora…” era imbarazzato, molto e forse non avrebbe dovuto esserlo perché loro erano le uniche persone che erano andate a trovarlo e magari erano in qualche modo la sua famiglia.
 
Gibbs stava intagliando un aereoplanino nella sua cantina, solo fino a quel momento in cui Ziva arrivò, prese uno sgabello, lo piazzò d’avanti al tavolo da lavoro nell’angolo e prese un contenitore pulito, lo riempì di liquore e si mise a bere, senza parlare, non aveva voglia di parlare, se avesse parlato si sarebbe messa a piangere e lei non voleva piangere, non d’avanti a Gibbs, non di nuovo.
“Come stai?” Chiese lui senza guardarla.
“Non dovreste chiederlo a Tony?” rispose bevendo un sorso.
“Ho chiesto come stai.” Ripeté ignorandola.
“Non molto bene, quando non mi ha riconosciuta…” si bloccò per soffocare un singhiozzo, poi continuò: “…mi sono sentita come se l’avessi perso, probabilmente se fosse… -pausa- se non si fosse svegliato sarebbe stato meno doloroso.” Gibbs annuì mentre Ziva si lasciava andare sempre di più alle lacrime fino a non riuscire a fare altro che singhiozzare, a quel punto Gibbs si sentì in dovere di avvicinarsi e stringerla, le sentì dire, con la voce soffocata dal suo petto: “Lui… lui mi ha detto di amarmi e io… io…” Gibbs la allontanò quel giusto che serviva per vederla negli occhi e disse sorridendo: “Ehi, Tony ti ama ancora.”
“Io non gli ho risposto… ho solo sorriso. Lui… lui deve sapere.”
“Dagli tempo, devi solo dargli un po’ di tempo.”
 
Seduta sul divano della casa del suo capo Ziva stava cercando un film, uno di quei film che vedeva i venerdì sera liberi con Tony, uno di quelli di cui lui le raccontava tutto in modo che lei potesse passare tutto il film a parlare con lui, a scherzare, ma non ne trovò nemmeno uno, c’era solo un canale che funzionava: quello dei western e forse erano meglio di niente. Gibbs arrivò con due bistecche e due birre, li appoggiò sul tavolino e, con la bocca piena, propose: “Se vuoi puoi restare qui sta notte.” Ziva annuì: “Grazie.” Gli sorrise. Dopo nemmeno un'ora si era addormentata e Gibbs le aveva appoggiato una coperta sulle spalle, la notte era fredda e le aveva potuto dare sol una delle sue felpe per stare più comoda. “Tu dove dormirai?” chiese ancora mezza addormentata.
“Tranquilla.” Detto questo si sedette sulla poltrona con il resto della sua birra vegliando su di lei.
 
Nella camera del Washington General Hospital di Anthony DiNozzo regnava il silenzio, lui guardava la pioggia dal letto, incapace di prendere sonno o di chiudere occhio in nessun modo perché se si fosse addormentato non avrebbe avuto tempo per ricordare e lui voleva ricordare, voleva ricordare tutti, dalla ragazza gotica all’uomo con i capelli bianchi, ma soprattutto voleva ricordare lei perché, se lo sentiva, lei gli aveva dato molto da ricordare.
 





 
scrittrice in canna's corner
Oggi sono stata abbastanza produttiva >_> posso dichiararmi soddisfatta.
Sicuramente la settimana prossima aggiorno "Back to hte origins" il che, nella mia lingua, vuol dire: forse la settimana prossima comicnio a scrivere l'ultimo capitolo.  NONONO seriamente lo scrivo XD
E la settimana prossima aggiorno anche questa e, se tutto va bene, Sabato scrivo una OS per tenermi attiva u_u
Ditemi se il capitolo vi è piacuto, se lo volete meno incentrato sui Tiva o se va bene così o se ne volte di più, io vi concedo tutto! Vi dico solo che il mio intento iiziale era una Tiva con Gibbs papà ma quello si è visto, no? :3
DITE DITE E IO ASCOLTO :D
vostra
scrittrice in canna 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Erano le sette del mattino e Tony DiNozzo non aveva preso sonno quella notte se non per qualche ora, sapeva che i ragazzi sarebbero arrivati da un momento all’altro così provò a rendersi presentabile: si rasò e lavò la faccia, mise i vestiti dell’incidente, puliti dalla lavanderia dell’ospedale, sistemò come poteva i capelli e si guardò allo specchio, così sistemato con una bella camicia e il viso pulito sembrava quasi un’altra persona. Mise la testa fuori dalla stanza e vide che, effettivamente, c’era qualcuno: un ragazzo goffo che aveva visto la sera prima, era seduto accanto ad Abby, almeno così gli sembrava si chiamasse quella ragazza strana che gli era saltata al collo, e si tormentava le mani. Lo salutò con un cenno della mano, lui si avvicinò e gli sorrise: “Ehi. Come va?” chiese dimenticandosi che Tony non si ricordava di lui nemmeno lontanamente, poi realizzò e si presentò: “Oh, scusa… sono Tim. McGee o Pivello o altri cento nomignoli.”
“Ciao, Tim…” rispose sorridendo.
“Oh, ti prego! Chiamami McGee, non mi chiami mai Tim.” Lo interruppe.
“McGee. Sai niente di Ziva? Ieri non stava molto bene, pensavo di chiamarla, ma non mi hanno restituito il cellulare. Credo di avere il suo numero, no?”
“Aspetta, ti ricordi il suo nome?” chiese McGee ancora fermo alla prima frase.
“Sì, me l’ha detto lei, ieri sera.” L’amico scosse la testa e si chiese come faceva ad essere così stupido.
“Sì, sì. Hai il suo numero, ma il telefono l’ha preso lei, doveva restituirtelo ieri ma evidentemente se n’è dimenticata. Vuoi che la chiami?”  balbettò incerto.
“No, mandale un messaggio. Non vorrei che si svegliasse…” Tony era ancora scosso dall’averla vista piangere, l’ultima cosa che voleva era crearle altri disagi. Vide McGee prendere il suo telefono, digitare qualcosa e poi riporlo in tasca.
 
Il telefonino di Ziva vibrò, era arrivato un messaggio, Gibbs lo prese e, controllando che non fosse sveglia, lo lesse:
Da: McGee
Si è svegliato. Vieni quando vuoi, chiede di te.
07:21

Notando che era qualcosa di serio la svegliò con un leggero scossone alla spalla, Ziva aprì gli occhi, si sedette subito sul divano e si strofinò il viso con le mani, sembrava una bambina.
“Buongiorno Gibbs, novità?” chiese sbadigliando.
“Buongiorno, Ziver. McGee ha mandato un messaggio, Tony chiede di te.” le disse porgendole il cellulare, lei si alzò di scatto: “Oddio, devo muovermi, devo andare a casa e…” Gibbs la prese per le spalle e la fece risedere.
“Tranquilla, le visite non sono autorizzate prima delle nove, hai tempo.”
“Ma… Tim ha parlato con lui.”
“Sarà uscito per salutarlo.” Rispose per calmarla.
“In ogni caso devo andare a casa e farmi una doccia.” Per tutta risposta Gibbs si allontanò facendo cenno di seguirlo, arrivò ad una porta, la aprì e svelò un bagno con tanto di vasca. “Faccio il caffè.” Disse dandole una maglietta e un pantalone, Ziva li osservò: non erano i suoi.
“Di chi sono?” chiese.
“Erano di… Shannon.” Ammise Gibbs.


La dottoressa Gordon cominciava il suo turno in ospedale esattamente alle nove, non era mai arrivata in ritardo, tranne quel giorno in cui la sveglia aveva suonato qualche minuto dopo del previsto e lei non intendeva mancare nemmeno un atto del suo rituale mattutino, per una volta avrebbero capito. Durante la notte si era interrogata sullo strano caso di quell’agente NCIS che aveva perso la memoria, di sicuro non era in grado di fargliela tornare, era una chirurga non una psicologa, per diamine! Così decise di chiamare la sua più fidata amica tramite il telefono della sua tecnologica automobile.
“Dottoressa Cranston. Con chi parlo?” chiese una voce dall’altra parte del telefono.
“Rachel, ciao, come va?”
“Di cos’hai bisogno Pamela? Non è un po’ presto per un caffè e quattro chiacchiera?”
“Infatti… Ho bisogno di te per un mio paziente credo tu lo conosca già.”
“Spara.” Rispose la Cranston con un foglio vicino, giusto per appuntarsi il nome.
“Agente speciale dell’ NCIS, Anthony DiNozzo.” La donna posò la penna e staccò la chiamata, prese l’automobile e si diresse verso il Washington General Hospital.
 
Ziva era arrivata in ospedale da qualche minuto, non sapeva se entrare o meno, aveva paura di cadere in lacrime come la sera prima, non si sentiva pronta, ma lui voleva vederla e se era così c’era un buon motivo.
Prima che si potesse decidere ad entrare Tony uscì, sorrise vedendola e la salutò: “Ciao Ziva, ti dispiace entrare?” lei fece leggermente cenno di sì con il capo ed entrò nella stanza seguita da Tony.
 
“Siediti!” la invitò lui indicandole il letto mentre versava due bicchieri d’acqua, lei si sedette.
“Spero di non averti scossa troppo ieri, avrei tanto voluto ricordare.” Ammise porgendole un bicchiere di plastica e sedendosi accanto a lei.
“Forse va bene così.” Rispose Ziva sorridendo, il sorriso più forzato della sua vita.
“No, non va bene! Io sento che c’era qualcosa tra di noi.” Gli occhi di Ziva si illuminarono.
“Ho trovato questa.” Continuò porgendole la foto trovata nel portafogli.
“Eravamo a Parigi per una missione, me l’hai scattata di sorpresa e poi mi hai detto che era la tua foto preferita.” Spiegò.
“Oh, davvero?” chiese incredulo.
“Sì.” Lei stava per piangere. Non si ricordava di nulla. Tony lo notò: “Ti prego, non andartene.” Le prese una mano per non farla scappare e aggiunse: “Parlami di quello che abbiamo passato insieme, dall’inizio.”
“Sono arrivata all’NCIS otto anni fa, una tua collega era appena morta, Kate. Io ero del Mossad. Tra le cose più significative: siamo andati sotto copertura come marito e moglie, siamo rimasti chiusi in un container, ti ho parlato di mia sorella Tali, sei venuto svariate volte a casa mia e ti ho quasi ucciso con la mia guida, svariate volte. Questo solo nel primo anno di permanenza.”
“Wow!” esclamò lui.
“E non abbiamo mai…?” lasciò la frase in sospeso perché sapeva che lei avrebbe capito, Ziva arrossì: “No.”
“Scusa… non volevo….” Disse Tony sulla difensiva, lei si mise a ridere.
“Tranquillo, anche io mi sono stupita.” Scherzò.
“Della tua forza di volontà?” disse lui di rimando.
“Vedo che il senso dell’umorismo è rimasto. Sempre un dodicenne.”
Risero. Per la prima volta dopo tanto tempo.
“Sono contento di averti rincontrata, Ziva.”
“E io sono contenta che tu non sia morto.” Disse alzandosi.
“Ziva!” la chiamò quando lei stava per andarsene, si girò.
“È successo qualcosa prima dell’incidente?” Ziva voleva dirglielo, dirgli che lui le aveva detto di amarla, ammettere che provava la stessa cosa e che ogni volta che parlavano da soli avrebbe solo voluto baciarlo, come avrebbe fatto se quel SUV non gli fosse venuto addosso, dire che sapevano di essere anime gemelle e che dopo otto anni avevano ammesso i loro sentimenti, invece si limitò a dire: “No, nulla di che.”
 
 
 
 
Scrittrice in canna’s corner
Chiudo così perché nel prossimo capitolo farò arrivare la psicologa che sarà un perno fondamentale della storia, non si svolgerà tutta in ospedale, anzi Tony verrà dimesso presto e girerà per il quartier generale come Visitatore e da lì cominceranno a succedere tante belle cose :3
Forse ho spoilerato troppo. Ops.
Ok, vado via prima di dirvi anche che un capitolo si… no. Non ve lo dico. :3
Vostra
scrittrice in canna 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Rachel Cranston era arrivata al Washington General Hospital da un paio di minuti, conosceva il posto come le sue tasche, sapeva dove si trovava la stanza dell’agente DiNozzo, ma si stava preparando perché sapeva che non sarebbe stato facile rivedere tutte quelle persone che erano così tanto care a Kate così si ritrovò a gironzolare come un fantasma nell’aula di pediatria. Il reparto che cercava era al lato opposto dell’ospedale. Forse non avrebbe mai dovuto accettare quell’incarico.
 
Gibbs stava seduto sulla sedia di plastica che lo aveva ospitato da due giorni a quella parte aspettando nemmeno lui sapeva cosa: un miracolo o un siero miracoloso che avrebbe ridato a Tony la memoria in modo che tutto tornasse come prima. Ripensò a quel “prima” e si maledisse perché se non avesse mandato i suoi agenti migliori a Berlino e avesse lasciato tutto il lavoro all’FBI adesso non avrebbe un agente ricoverato in ospedale e un’altra spezzata che in quel moneto era seduta accanto a lui e si mordeva il labbro inferiore “Eppure sembra così forte-pensò guardandola-ma è bastato che Tony stesse male per spezzarla.” Il telefono interruppe i suoi pensieri, guardò il display: Vance. Aveva chiamato un paio di volt quella mattina, ma Gibbs aveva sempre riattaccato, forse era il momento di rispondere: “Leon.” Disse strofinandosi il viso con la mano libera e alzandosi per allontanarsi.
“Gibbs, dove diavolo siete?”
Non ebbe risposta, dove potevano essere secondo lui?
“Il dottor Mallard e la signorina Sciuto sono qui. Dove siete voi?”
“In ospedale, Leon, dove siamo stati anche ieri.” Rispose acido.
“Hanno trovato il corpo di un marine abbandonato in un cassonetto vicino alla base di Norfolk.”
“Quindi?” chiese Gibbs anche se aveva capito fin troppo bene.
“Ho bisogno di voi.”
“Non se ne parla.”
“Gibbs, è un ordine!” sbraitò Vance.
“Be’ licenziami, io non lo lascio!” rispose Gibbs urlando. Lo sentì anche Ziva e, probabilmente, Tony.
Il direttore staccò la chiamata con forza sbattendo il telefono contro la scrivania, chiedendosi se quell’uomo capiva cosa fosse un diretto superiore.
Intanto Gibbs era tornato a sedersi, sbuffando pesantemente, si guardò attorno e pensò ad alta voce: “Dove diamine è McGee?”
“A prendere dei vestiti per Tony. È partito da un po’, dovrebbe tornare a breve.” Rispose Ziva, la voce flebile. Gibbs guardò l’orologio, l’orario di visita stava per finire, aveva circa dieci minuti per entrare in quella stanza. Si alzò ed entrò.

Tony sobbalzò al suono della porta che si apriva e rimase ancora più scioccato quando vide entrare quell’uomo dai capelli bianchi: non aveva idea di chi fosse e lui non era molto abituato a fare le presentazioni, di solito la sua fama lo precedeva o sventolava un distintivo, cosa che in quell’occasione non avrebbe potuto fare, così si limitò a sorridere e spiegarli chi fosse: “Ciao Tony. Sono Gibbs, il tuo capo.”
“S-salve.” L’altro allungò e detrasse la mano un paio di volte, non aveva idea di come comportarsi, aveva riconosciuto la sua voce, era la stessa che gridava in corridoio.
“Come ti senti?”
“Meglio. Comincio a ricordare i Natali con mio padre, di quando ero un bambino.” Rispose, sorridendo all’idea.
“Nient’ altro?” chiese Gibbs.
“No.” Ammise Tony sconsolato.
In quel momento entrò la dottoressa Cranston che squadrò Gibbs e si presentò, nuovamente, a Tony: “Salve agente DiNozzo, sono la dottoressa Rachel Cranston, sono qui per aiutarla con la sua memoria.” Gli strinse la mano, prese una sedia, un blocchetto e una matita e si sedette, pronta a cominciare.
“Agente Gibbs… le dispiacerebbe lasciarci soli?” l’interpellato fece un cenno di consenso e se ne andò.
“Ora possiamo iniziare.” Sentenziò.
“Ho qui alcuni suoi… effetti personali che il direttore Vance mi ha permesso di prendere dalla sua scrivania. Vediamo se si ricorda di qualcosa?” Rachel mise tutto quello che aveva preso sul letto della stanza e Tony identificò subito il uso distintivo e il badge, la pistola d’ordinanza e una foto di sua madre, quando la prese in mano chiese subito di un’altra foto: “Ha per caso trovato la foto di un ragazzino con gli occhiali e i capelli a caschetto? In bianco e nero?”
“Era nel computer della sua collega, non mi sarei mai permessa… perché?”
“Mi ricordo di quella foto e so che è in qualche modo collegata con questa.” Disse mostrando quella che teneva in mano. Per gli altri oggetti nemmeno un ricordo.
“È stato molto bravo, agente.” Ammise la Cranston. Mise tutto in una scatola e appoggiò gli oggetti su di un tavolo in modo che potesse vederli quando voleva.
Ziva e Gibbs aspettavano fuori dalla porta per conoscere il decreto, la dottoressa si prese un momento per decidere come spiegare: “Ha parlato di un foto di un ragazzo, quella che hai tu-indicò Ziva-nel computer e l’ha collegata ad una sua foto con sua madre, sai dirmi perché?”
“Sì, le abbiamo guardate insieme a lavoro, qualche mese fa.”
“Ora capisco… Si ricorda solo di cose che hanno a che fare con l’NCIS. Deve tornare. Certo non sul campo, ma più resta con voi meglio è. Lo farò dimetter sta sera stessa, ma di sicuro non potrà stare solo.”
“Faremo i turni per stare a casa sua.” Disse Ziva senza pensarci, Gibbs annuì.
“Credo sia perfetto.” Ammise Rachel soddisfatta.
 
Tony e Ziva arrivarono all’appartamento di Tony all’ora di cena, il piano di Ziva era di preparare da mangiare e poi lasciarlo stare, se avesse avuto bisogno di chiarimenti lei sarebbe stata disponibile.
“Eccoci, dammi le chiavi.” Ordinò Ziva. Trovò subito la chiave giusta e lo lasciò entrare.
“Questa è casa mia?!” chiese stupito.
“Sì.” Lei non sapeva se si trattava di una reazione positiva.
“Mi piace, è molto accogliente.” Mentre lui faceva un tour della casa, lei diede da mangiare al pesce parlandole come faceva Tony: “Ehi Kate! Ciao, ti ricordi di me? Sì, vero? Sono mancata solo due giorni.” Rise ricordando quando lei andò per la prima volta in quella casa. Tony si affacciò dalla cucina sorridente: “Gli parli come se fosse un bambino.”
“Lo facevi anche tu.” Fu distratto dalla collezione di film: “Wow, guarda qua!” sembrava un bambino in un negozio di caramelle.
“TI piacciono molto i film.”
“Oh, questo lo so.” Ne prese uno: “Che ne dici di guardarlo? Casablanca. Un classico.”
“Faccio i popcorn.” Rispose Ziva, rideva perché aveva il suo vecchio Tony, ma non era veramente felice, soffriva a vedere che la considerava un’amica, non era facile dopo avergli sentito dire che l’amava, non lo sarebbe stato mai, ma era consapevole che forse non sarebbe mai tornato da lei. Pianse in silenzio, coperta dal suono del microonde pensando che rivoleva indietro il suo DiNozzo.
“Ehi, il film è pronto, a che punto sono i…” rimase bloccato nel vederla piangere, si avvicinò e l’abbracciò come se fosse la cosa più naturale del mondo, lei si rannicchiò tra le sue braccia, si sentiva al sicuro eppure era lui la fonte del suo dolore, avrebbe voluto prenderlo a pugni, ma non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere.
“Scusa.” Le sussurrò. “Vorrei tanto ricordarmi di te. Credimi.”
“Ma non ti ricordi.” Rettificò lei con la voce soffocata dal suo petto. Tony non rispose, la strinse soltanto più forte di prima.






 
scrittrice in canna's corner

RULE #6: NEVER SAY YOU'RE SORRY!
Qunidi non lo dirò, ma lo sono. 
Poveri amori miei :'(
Per come avevo impostato il capitolo Tony avrebbe ritrovato la memoria ad un ritmo troppo rapido quindi per ora ci limitiamo a questi dettagli.
Vi dico subito che per un po' non ci saranno importanti miglioramenti, solo scene all'NCIS pr alleggerire la tensione.
Ovviamente ora hanno anche un caso per le mani e possono ricominciare a lavorare senza problemi dato che Tony sarà lì con loro ventiquattro ore 
Adesso vado via e cerco di scappare per non farmi raggiungere dalla folla urlante.
Vostra
Scrittrice in canna

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Tony si svegliò nel tepore della sua stana da letto, era felice: niente fredde lenzuola bianche, materassi scomodi o fastidiose infermiere, solo il suo letto e la sua casa che già gli piaceva tantissimo.
Si alzò e appoggiò i piedi sul morbido tappeto che gli solleticava i piedi, mise un paio di ciabatte comode e stirò le braccia godendosi l’abbraccio del suo pigiama, caldo quanto bastasse per una mattinata di Aprile, sembrava tutto perfetto, persino il profumo di uova e bacon proveniente dalla cucina era perfetto, si recò nella stanza adiacente spiando Ziva ai fornelli, sembrava conoscere quel posto meglio di quanto lui avesse mai potuto fare, prendeva oggetti e utensili muovendosi ritmicamente, come in una routine di tutti i giorni, gli sembrava una cosa così normale, così giusta, lei che si svegliava prima per fare la colazione e lui che la raggiungeva ammirandola lavorare, quel pensiero lo fece sorridere.
“Vedo che ti sei svegliato.” Disse Ziva senza staccare gli occhi dalla padella, Tony entrò nella cucina e sbirciò in direzione dei fornelli: “Solo pochi secondi fa.” Ammise sorridendo, il suo solito mezzo sorriso alla DiNozzo era ancora lì.
“La colazione è pronta, mangia e preparati. Andiamo all’NCIS oggi.”
“Sì, mamma.” La prese in giro lui sedendosi, Ziva fece una smorfia annoiata: sempre lo stesso DiNozzo, quasi.
Quando anche Ziva si fu seduta per mangiare Tony alzò lo sguardo dal suo piatto e disse: “Abbiamo mai fatto colazione insieme, così?”
Ziva si stupì chiedendosi il perché di quella domanda, poi rispose senza farci troppo caso: “No, mai.” Continuò a mangiare come se nulla fosse.
“Ne sei proprio sicura?” insistette lui.
“Sì. Non mi sono mai svegliata in casa tua preparando la colazione come oggi.” Mentre lo diceva sentiva che c’era qualcosa di sbagliato nelle sue parole. Già-pensò-ma non ne capisco ancora il perché.
Scosse la testa come a far cadere i pensieri sul piatto vuoto e si alzò: “Forza, a Gibbs non piace che si ritardi.”
“Non voglio fare brutta figura al mio primo giorno.” Scherzò amaramente Tony andando a lavarsi e vestirsi.
Ziva lo guardò raggiungere la sua stanza e chiudersi la porta alle spalle, con le solite parole non dette, rimaste sulle labbra che mai avrebbero toccato di nuovo le sue, si era ripromessa di togliersi quel peso non appena si fosse svegliato, ma non l’aveva fatto e intanto si chiedeva quanto potessero diventare pesanti delle parole taciute prima di farti esplodere.


Il Navy Yard era tranquillo, la giornata calda e molti marine tornavano a casa quella stessa mattina per ricongiungersi alle famiglie e tutto sembrava perfetto per il mondo esterno a quello di Tony e della squadra, che sarebbe stato tale solo nel momento in cui lui avesse riacquistato la memoria e per ora l’unica cosa che potevano tentare era seguire le istruzioni della psicologa: tanto tempo a contatto con le persone e gli oggetti più cari a lui prima dell’incidente.
Per Tony l’NCIS era un posto nuovo e guardava tutto come se fosse un bambino al luna-park, strizzò persino gli occhi vedendo la luce accecante del lucernario unito allo scintillante arancione delle pareti e il resto della squadra non sapeva se ridere quando, arrivato alle loro scrivanie, si era seduto a quella piccola dietro il separé e quando, una volta seduto alla sua aveva cominciato a giocare con qualsiasi cosa leggermente fuori dal normale che ci fosse, cioè tutto. Dopo qualche minuto squillò il telefono della scrivania di Tony, rispose sotto gli sguardi attenti dei suoi colleghi che avevano arrestato ogni lavoro per cercare di capire chi fosse al telefono, sentita la voce squillante di Abby e vedendolo andare verso il laboratorio si tranquillizzarono. McGee sorrise e disse: “Si è ricordato da che parte andare.” Gibbs lo imitò e rise mentre componeva un numero sul telefono della sua scrivania.
 
Abby aveva alzato il volume della musica appena sopra la soglia del sopportabile il che non era il massimo per qualcuno appena uscito da un coma, infatti Tony si coprì le orecchie e disse: “Abby, per favore abbassa il volume.”
“Cosa?” rispose la ragazza quasi urlando e girandosi verso di lui.
“Ho detto: ‘abbassa il volume, per favore!’” riprovò a voce più alta.
“Aspetta, non capisco.” Ripeté Abby spegnendo lo stereo.
“Abbassa il volume, Abby. Dannazione!” urlò esasperato Tony e la sua voce riecheggiò in tutto il laboratorio, divenuto silenzioso, quando se ne accorse rimise le mani lungo i fianchi e fece una smorfia.
“Mi avevi chiamato.” Aggiunse.
“Sì.” Rispose la scienziata.
“Ok… perché?” chiese più esplicito prima che la ragazza lo abbracciasse e rispose: “Perché mi è mancato il mio Agente molto speciale.”
“Agente molto speciale?” le fece eco lui.
“Sì… oh… è così ce ti definisci, non che tu non sia un agente molto speciale ma, ecco, il tuo grado è agente speciale ma, sai, hai un ego sproporzionato quindi…” cominciò Abby staccandolo dalla presa.
“… te ne ricorderai.” Finì.
“Lo spero.” Ammise Tony.
Ci fu un momento di silenzio che parve infinito, era imbarazzante e nessuno dei due sapeva cosa dire: Abby aveva straparlato abbastanza e Tony non aveva nemmeno la più pallida idea di cosa fossero tutti quei marchingegni che lo circondavano, ma era sicuro che lo stessero osservando.
“Porta questo a Gibbs.” Disse Abby consegnando una cartellina a Tony e salutandolo: “Ora va’, fammi lavorare. Non siete l'unica squadra operativa, ma io sono l’unica scienziata forense.”  Sorrise e tornò al suo lavoro: “Si è ricordato come arrivare qui.” Sussurrò compiaciuta quando si allontanò e si asciugò una lacrima dagli occhi: non era il loro DiNozzo.
 
Tornato alle scrivanie Tony trovò la squadra indaffarata d’avanti al grande schermo che ripercorreva la scena del crimine e non potè fare a meno di ascoltare.
“James Rowan, ventun anni, figlio di Alexandra Rowan, ex tenente della marina militare, ora impiegata del JAG. È stato ritrovato in un cassonetto vicino Norfolk, ieri.” Disse Ziva facendo scorrere le immagini.
“Non conosciamo né l’arma né la causa del decesso ma sappiamo che è avvenuto intorno alle diciannove di ieri. In pratica non abbiamo niente. Solo…” Cominciò McGee che fu interrotto dal telefono della sua scrivania che squillava.
“Sì che avete qualcosa.” Disse Tony illuminandosi.
“DiNozzo, cosa ci fai lì?” chiese Gibbs irritato.
“Stavo solo… portandoti questo, da Abby. È un analisi, di un corpo estraneo trovato durante l’autopsia, nel cranio della vittima. Ceramica e vernice colorata.”
“Un vaso…” osservò Ziva.
“Esatto! Gli hanno sbattuto un vaso in testa! Quella non è la vostra scena del crimine.” Osservò posando la busta aperta su quella che sarebbe dovuta essere la sua scrivania.
“Non si muore per un vaso in testa, al massimo svieni.” Aggiunse la ragazza cercando di farlo ragionare.
“No, hai ragione, non si muore per un vaso in testa.” Ripeté Tony e Gibbs, che aveva seguito tutto il discorso, si mise a camminare in direzione della sala autopsie. Intanto McGee aveva riagganciato: “Era la madre, Alexandra Rowan, vuole venire a vedere il corpo di suo figlio, ma non ha una macchina, mi ha chiesto di mandargliene una, vado io.” Disse tutto d’un fiato prendendo il giaccone e sistemando la pistola d’ordinanza.
“Come facevi a conoscere i risultato di quelle analisi?” Chiese Ziva a Tony, da cui non aveva staccato gli occhi nemmeno un secondo e lui aveva fatto altrettanto.
“Potrei aver dato un occhiata.” Scherzò.
“Non farlo.”
“Cosa?”
“indagare.” Chiarì Ziva: “Non devi, la dottoressa ha detto che non puoi agire sul campo.”
“Non sono sul campo, sono in ufficio.” Continuò a scherzare lui.
“Sai cosa intendo.” Sì, lo sapeva.
“Dimmi quello che sai, Duck.” Lo esordì Gibbs.
“Sai che l’ultima volta che me l’hai chiesto è stato circa due ore fa, vero?” disse Ducky intento a lavorare sul corpo.
“E te lo sto chiedendo ancora.”
“Sto effettuando un’autopsia, Jethro! Se avessi la decenza di farmi finire io…” si bloccò vedendo che l’amico non aveva intensione di muoversi.
“Non importa. Come saprai hanno sbattuto qualcosa in ceramica in tesa al ragazzo, ma non è stata quella la causa della morte, bensì questo colpo alla testa.”
“Ha perso l’equilibrio.” Osservò Gibbs.
“Esatto, questo caso sembra anche troppo facile. Vero, Jethro?” L’altro andò verso la porta dicendo: “A volte va bene così.”
Gibbs salì nell’open-space e informò la squadra di ciò che sapeva: “È morto per un trauma alla testa.” Si sedette alla sua scrivania e aspettò che tutti arrivassero alla sua conclusione, il primo a parlare fu Tony: “Ho una teoria, Gibbs.”
“Parla.” Acconsentì lui.
“Sappiamo che sono in un luogo dove si tengono dei vasi o cose simili, magri un salotto, c’era una rissa, gli sbattono la prima cosa che trovano addosso, Rowan sbatte la testa e muore ma…”
“… l’assassino è un principiante, non voleva ucciderlo, così pulisce velocemente la scena e si libera del corpo mettendolo in un sacco della spazzatura.” Finì Ziva.
“Magari l’ha visto in TV” Commenta Tony. Gibbs, soddisfatto, chiede alla ragazza di aggiornare McGee sugli ultimi progressi e di portare la donna pe interrogarla sul figlio.
“E io? Direi che ormai sto investigando.” Disse Tony scocciato.
“Tu guidi l’interrogatorio.” Affermò Gibbs deciso.

Qualche minuto dopo, in sala autopsie, McGee, Ducky e l’avvocato Rowan osservavano la salma ancora non ricucita, la prima a parlare fu Alexandra Rowan: “Questo non è mio figlio.” Disse.
“Ne è sicura?” domandò McGee.
“Certo che ne sono sicura!” si interruppe per cercare qualcosa nella borsa e continuò mostrando una foto che ritraeva un ragazzo con la toga blu e il tocco rivolto a sinistra. No, non era quello che giaceva morto nella sala autopsie di Ducky.






 
scrittrice in canna's corner
okokokokok so che sono stata via per un po'
so che vi aspettavate di vedere del Tiva e magari Gibbs che sta con Tony durante la notte, a casa sua, ma dovevo farvi vedere che in qualche modo Tony è sempre Tony, anche se tutti sono convinti del contrario. Il suo istinto da super detective resta e poi vi avevo già accennato questo caso, ricordate la telefonata del precedente capitolo? Forse no dato che è passato quasi un mese, ma porvate a concentrarvi, ok? XD
Nel prossimo capiolo lascerò più spazio ai nostri agenti molto speciali e alle loro interazioni :3 
Per quanto riguarda il motivo della mia assenza: ESAMI. 
Posso solo dirvi che, non per vantarmi (e invece sì) sono stata l'unica a ottenere 50/50 nelle invalsi di italiano e che la commissione mi ha fatto i complimenti. HAHHAHA sembro un pavone boriso vabe'vabe'vabe'.
Stay tuned.
vostra
scrittrice in canna

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Gibbs fu chiamato dal suo agente, arrivò alla velocità della luce in sala autopsie e vide la donna che continuava a dire: “Questo non è mio figlio!” indicando il corpo con le lacrime agli occhi: “Allora dov’è lui?” chiese adirata parlando con Gibbs che cercò di calmarla dicendo: “Lo troveremo, stia tranquilla. Verrà contattata non appena scopriremo qualcosa.” Avevano un caso particolare per le mani, non sarebbero potuti tornare a casa finchè non avrebbero trovato un senso a quella storia così Jethro prese il telefono e compose un numero, aspettò finchè non ottenne una risposta: “Rachel Cranston, come posso aiutarla?”
“L’agente DiNozzo.” Disse l’altro uscendo dalla sala autopsie.
“Agente Gibbs, mi dica.” La donna si sedette.
“Oggi i miei agenti non posso tornare a casa…”
“Ma lui deve riposare.” Lo interruppe lei.
“… lo so!”  Rispose annoiato.
“Non può lasciarlo in ufficio, sarebbe bene che vedesse qualche sua vecchia conoscenza, che so… un compagno del college, magari potrebbe andare a bere un drink con lui una volta che gli avrete spiegato la situazione.” Gibbs si sentì soddisfatto della risposta che ottenne, ora il suo interesse primario era trovare qualcuno di abbastanza maturo che potesse portare Tony in un pub non molto lontano, magari uno in cui il gestore era una faccia nota, in modo che lo tenesse sott’occhio.
“Un ragazzo risvegliatosi da un coma può andare a bere un drink?” chiese scherzosamente.
“Di solito no, ma si tratta di DiNozzo, vedrà che non far sciocchezze.” Lo rassicurò Rachel.
“Ne sono convinto, doc.” staccò la chiamata e prese l’ascensore per salire all’open-space portando il suo agente con se. Una volta arrivati irruppe nel silenzio ordinando: “McGee, voglio sapere tutto su James Rowan. DiNozzo, inizia ad andare in sala interrogatori. Ziva…” si avvicinò alla ragazza e bisbigliò: “Cerca qualcuno di affidabile che è rimasto in contatto con DiNozzo dal college, prova con la sua agenda.” Si allontanò per andare da Tony che girava spaesato cercando la strada per la sala interrogatori, magari non ricordava proprio tutto, ancora.
 
Quando furono abbastanza lontani Ziva sgattaiolò alla scrivania di fronte, prese un librettino in pelle nera: l’agenda. Tornata al suo posto cominciò a sfogliarlo: all’interno c’erano principalmente nomi femminili, un classico, provò con un paio di persone fino ad arrivare al suo ex compagno di stanza: John Baker, sposato, due figli di due e cinque anni, impiegato statale e niente precedenti penali. Ziva lo trovò perfetto, così lo chiamò e lo informò della situazione, John disse solo: “Non sento Tony da quando lavorava a Baltimora, ma mi farebbe molto piacere rivederlo, lo vengo a prendere sta sera a casa sua, verso le otto, se è così gentile da lasciarmi l’indirizzo.”
“Nessun problema…” sentiva che sarebbe stato utile e che, magari, quella sera Tony sarebbe tornato a casa con dei ricordi in più e delle cose da confessarle.
 
La serata arrivò molto velocemente, Tony aveva condotto un buon interrogatorio anche se la madre non li aveva aiutati e, come previsto, alle sette e mezza erano ancora tutti in ufficio. Gibbs era stato ovviamente informato dell’appuntamento di Tony quindi lasciò lui e Ziva andare per poter raggiungere John che aveva già fatto fare uno squillo al telefono della ragazza per informarla che sarebbe stato all’appartamento dell’amico di lì a breve. Raggiunsero la Mini di Ziva in silenzio, non avevano molte occasioni di parlare durante il giorno ma non avevano intenzione di farlo in quel momento, non che ci fosse imbarazzo tra i due, anzi quel silenzio era confortevole, gli accarezzava dolcemente le orecchie ed era bello restare muti, lasciando spazio alle parole che i loro sguardi si scambiavano ad ogni semaforo rosso e ai sorrisi appena accennati, tutto ciò sapeva di complicità. Era sempre stato così, le parole non erano mai veramente servite perché i loro occhi parlavano solo per loro due, come un loro codice segreto che nessun’altro poteva capire ed era sempre bastato..
Arrivarono a destinazione in poco tempo, salutarono l’ex compagno che si presentò per niente imbarazzato dagli anni di lontananza: “John. Ero il tuo compagno di stanza al college.” Disse sorridendo, Tony strinse la mano all’uomo leggermente stempiato e cercò l’approvazione di Ziva che sorrise e annuì da dietro le spalle di John, il ragazzo si sentì meglio e acconsentì a salire in macchina con lo sconosciuto, ma non prima di aver salutato la collega: “Ti trovo a casa quando torno, vero?” Ziva sorrise e rispose: “Certamente. Lascia il cellulare acceso.” Gli raccomandò come una madre preoccupata.
“Sta’ tranquilla.” Disse arruffandole leggermente i capelli. Lo faceva, a volte, prima dell’incidente. Il cuore della ragazza si fermò e ripartì solo quando sentì il suo telefono suonare e l’auto era ormai lontana.
“Gibbs, dimmi.” Rispose Ziva salendo sulla Mini.
“Dove sei?”
“Sto arrivando.” Rispose lei mettendo in moto.
“Lascia stare. Va a casa e riposati, a DiNozzo ci penserà McGee.” Le consigliò.
“No.”
“No?” ripeté l’uomo sconcertato.
“Mi ha chiesto di restare sta notte.” Spiegò Ziva.
“Perché ho due agenti così testardi?!” Si chiese Gibbs staccando la chiamata, Ziva lo prese come un “Okay.”, scese dalla macchina e salì i due piani, forzò la serratura, richiuse la porta e si sedette sul divano aspettando il ritorno di Tony.
 
Il pub che aveva scelto John brulicava di gente, non ci sarebbe stato modo di muoversi dal bancone, ma lui non era un tipo a cui piaceva ubriacarsi, preferiva semplicemente prendere una birra e farsela bastare per tutta la serata e, in fondo, aveva sempre retto bene l’alcool, quasi meglio di Tony che stava seduto sullo sgabello accanto al suo con un bicchiere di martini - rigorosamente agitato, non mescolato - e che aveva cominciato a fargli un paio di domande come: “Quindi ci conosciamo dal college, come mai non siamo rimasti in contatto?” ottenendo risposte come: “Dopo che sei andato a Baltimora per lavorare alla omicidi ci siamo sentiti per un po’… poi più nulla. Io ero fidanzato e stavo per sposarmi.” Da qui erano passati attraverso tentativi di ricordare: “Oh, me la ricordo. Si chiamava… Giulia?”.
“Katrin.” L’aveva corretto John.
“Giusto… state ancora insieme?” chiese allora Tony.
“Sì. Abbiamo due bambini: Eleanor e Michael.” Rispose mostrando l’immagine dello schermo del suo smartphone: la moglie e i due figli in una gita in campagna. Sembravano molto felici e Tony pensò se mai sarebbe riuscito ad avere quello di cui il suo ex compagno di college gli stava parlando: una famiglia.
“Sono bellissimi.” Ammise ancora intontito dal pensiero che dentro di lui c’era un bisogno spasmodico di essere felice come lo era lui e, per qualche minuto, invidiò quell’uomo dal fisico tutto meno che atletico, dalla carente capigliatura e dal lavoro modesto. Eppure lui era Anthony DiNozzo: un agente federale con un fisico e dei capelli invidiabili e un’agenda piena di nomi e numeri di splendide, giovani ragazze, ma non riusciva a farne a meno, in quel momento avrebbe rinunciato a tutto per avere una donna che lo amasse e che amava e dei figli da poter viziare.
“Tu, invece?” si risvegliò dai suoi pensieri e tornò alla realtà, rispose: “Single.”
“Quindi con Wendy non ha funzionato?”
“Wendy?” chiese Tony non capendo.
“Oh, giusto… scusa. Stavi per sposarla quando lavoravi a Baltimora, non ho mai saputo come è andata a finire.” Spiegò. Tony si illuminò, c’era una donna che avrebbe voluto veramente costruire una famiglia con lui? Se lui stava per sposarla doveva amarla molto.
“Guarda, è proprio lì. Non è cambiata molto, credo sia proprio lei.” Disse John indicando una ragazza dall’altro lato del bancone, l’agente non ci pensò un attimo, si alzò e si avvicinò alla ragazza: “Wendy?” la chiamò poco sicuro, lei si girò sorridendo: “Tony, quale onore.” Fece un giro completo sullo sgabello per poterlo guardare meglio, lui la squadrò da capo a piedi: era bella, striminzita in un abitino da cocktail verde scuro e capì perché era stato attratto da lei. John li raggiunse per tenere l’amico sotto controllo e la salutò: “Ciao Wendy, sono John. Ti ricordi? Andavo al college con Tony.” Lei distolse lo sguardo dal ragazzo che l’aveva avvicinata per stringere la mano all’altro uomo che lei ricordava bene, stringerli la mano e sfoggiare un sorriso carismatico, gli fece le solite domande di rito: “Come sta tua moglie? Alla fine avete avuto dei bambini?” lei sapeva che John aveva sposato una delle sue più care amiche, ma non si concentrò molto su di lui, voleva parlare con Tony, aveva bisogno di parlare con Tony, ma quando cercò di farlo chiedendo: “Allora. Che mi racconti? Niente di nuovo all’NCIS?” e lui rispose schietto: “In effetti sì: ero in missione con la mia collega quando abbiamo avuto un incidente. Mi sono svegliato dal coma pochi giorni fa e non ricordavo chi fossi. Se non fosse stato per i ragazzi non so dove sarei ora.” A Wendy si gelò il sangue nelle vene e si chiese se era ancora così convinta del voler parlare con lui, poi lo vide sorridere e si disse che sì, ne era ancora convinta e dopo i soliti: “Oddio, deve essere stato orribile!” e “Come va adesso?” aveva chiesto: “Ti sei deciso a dichiararti a lei?” in realtà voleva solo sapere se era ancora single e apparve abbastanza evidente ad entrambi i ragazzi.
“Lei? Non so di chi stai parlando.” Chiarì Tony sedendosi allo sgabello accanto e urlando: “Due martini, grazie.” Sotto il sorriso di Wendy.
 
Ziva aveva cominciato a guardare dei film senza guardarli davvero, aveva sistemato la casa, dato da mangiare a Kate e, alla fine, cominciato a preoccuparsi: perché non tornava? Erano circa le tre di notte e lui non si era fatto vivo, non aveva risposto al telefono nelle ore precedenti e non l’aveva fatto nemmeno John. Se solo avesse saputo dove si trovava sarebbe andata per assicurarsi che stesse bene e poi strangolarlo con le sue stesse mani, che aveva cominciato a rosicchiare, si fermò: lei non si era mai rosicchiata le unghie, non era mai caduta in un tale stato di ansia, o forse sì, qualche volta, sempre per colpa sua.
Non poteva continuare così.
Decise di sdraiarsi mettendo una delle sue felpe, molto simili a quella di Gibbs con cui aveva dormito la sera prima, si tolse la maglietta c per indossare la felpa più piccola che aveva trovato, ma che le stava comunque enorme, si sdraiò nel divano in modo che, quando Tony fosse tornato, avrebbe potuto sdraiarsi nel suo letto e dormire. Provò per una buona mezz’ora a chiudere occhio, ma era inutile, non ci riusciva e il profumo impregnato in quella maglia la faceva solo distrarre di più. La tolse restando in canottiera, faceva spaventosamente freddo per essere quasi a Maggio, ma non se ne curò e riprovò a prendere sonno, sempre in vano. Si rimise la felpa, si sedette su divano e chiese: “Tony, dove sei?” anche se sapeva che non avrebbe ricevuto risposta.
 Intanto, in una casa lontana da quella in cui Ziva si stava angosciando, Tony abbracciava Wendy nella sua camera da letto, sorridente nel sonno.






 
Scrittrice in canna's corner
con l'estate tornano anche i miei orari completamente anormali! (erano mai andati via?) Sono le 2.35 (2.37, per l'esattezza) e sto aggiornando prima che il mio PC segnali la sua morte urlando "BASTA LEGGERE FANFICTION, DAMMI UN CARICABATTERIE!" uuh potrei scriverci una OS :D
Anyway volevo portare una ventata fresca alla storia altrimenti sarebbe stato tutto: NCIS, casa di Tony, NCIS, casa di Tony e NO, grazie. Quindi mi sono scervellata per trovare questo colpo di scena! (Due giorni ci ho messo a impostare tutto. DUE) :D Vi avevo promesso del Tiva? Well... Nope. Sorry. Spero vi sia piaciuto lo stesso hahaha giuro che Ziva smetterà di soffrire... prima o poi...
tutta colpa di Meggie90, ti avevo detto che avrei architettato qualcosa di perfido, no? Muahaha dooolce vendetta :3
*voce da lettrice delle pubblicità dei medicinali* per chi non sapesse di cosa sto parlando, andate a cercare Meggie90 e leggete la sua ff: "I'm not giving up on you" 
Be'? Che aspetti? Sei ancora qui? Su, Su. MUOVITI! VAI A PIANGERE, VIA!
Il mio computer reclama lo spegnimento... e anche il mio cervello.
Lalia tov a tutti.
vostra
scrittrice in canna

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Erano le cinque l’ultima volta che Ziva aveva controllato l’orologio per poi addormentarsi stremata. Erano le nove quando fu svegliata dal campanello, andò ad aprire ancora addormentata e Abby la salutò dal corridoio: “Ehi Ziver! Sono venuta a vedere come stava Tony.” A quelle parole Ziva andò nella camera da letto di Tony, pensando che lui fosse lì, che fosse tornato, che magari le avesse baciato la fronte e le avesse augurato la buonanotte, esattamente come aveva sognato, invece trovò un letto vuoto e ordinato.
“Non è tornato” disse piano sull’orlo delle lacrime.
“Ziva…” Abby la chiamò da dietro le sue spalle, lei si girò.
“Perché non è tornato, Abby?” chiese triste.
“McGee mi ha mandato un messaggio, è all’NCIS. È arrivato con un taxi mezz’ora fa” rispose allegra sperando che l’amica si calmasse, invece si allarmò ancora di più e corse a prendere il suo telefono, si diceva che non era possibile, che era tutto nella sua testa, che lui non poteva averlo fatto, non dopo quello che le aveva detto, non dopo Berlino. Mentre questi pensieri le passavano per la mente come un fulmine le lacrime spingevano per uscire e la vista si offuscava, cercava disperatamente il numero di Gibbs nella rubrica. Lo trovò.
“Ehi, Ziver”
“Ha ancora i vestiti di ieri?” chiese Ziva a bruciapelo.
Ci fu una pausa. Gibbs si sfregò gli occhi.
“Sì” disse piano.
Ziva staccò e si girò verso la sua collega cercando di trattenere le lacrime.
“L’ha fatto, Abby” disse tra i singhiozzi. La ragazza l’abbracciò, non sapeva perché la sua collega era così triste, non sapeva di cosa stesse parlando, ma una cosa la sapeva: aveva bisogno di lei.


L’NCIS era stranamente silenzioso e Tony se ne era accorto perché riusciva a sentire ogni singolo messaggio arrivare sul suo telefono che suonava dieci volte più forte del normale nella calma, lo infastidiva. Non aveva niente da fare, il caso del giorno prima era a buon punto e di sicuro non avevano bisogno di lui così decise di degnare uno sguardo al cellulare per leggere i messaggi: tre e tutti di Wendy che chiedeva dove fosse, se si fosse svegliato e se potevano vedersi quella sera. Tony non voleva rispondere in quell’esatto momento, non era sicuro di nulla, nemmeno di quello che aveva fatto la sera prima, sotto evidente effetto di alcolici. Si pentì nel momento esatto in cui si ricordò di aver chiesto a Ziva di rimanere da lui quella notte e invece di essere tornato o essersi fatto sentire in qualunque modo era riuscito a rendersi irreperibile e lasciarla da sola, non se lo sarebbe perdonato facilmente. Lei era lì quado lui si sentiva smarrito, era lì quando non sapeva chi fosse e sarebbe stata lì anche la sera prima, pronta a prendersi cura di lui. Perché aveva ceduto? Era veramente in quel modo il Tony che tutti conoscevano? Aveva bisogno di risposte, il più presto possibile. Alzò gli occhi e vide il suo capo seduto alla sua scrivania che fissava il cellulare, aveva ricevuto una chiamata.
“Chi era?” chiese Tony sospirando.
“Ziva.” Al ragazzo venne una fitta al cuore.
“Cos’ha detto?” indagò.
Gibbs si prese qualche secondo per rispondere, poi disse: “Sta arrivando.” Tony annuì e si mise a smanettare al PC, facendo finta di avere qualcosa da fare.
 
Ziva arrivò circa dieci minuti dopo, seguita da Abby che era sbiancata durante il viaggio in macchina, uscirono dall’ascensore come razzi non dando nemmeno tempo alle porte di aprirsi. La scienziata aveva uno sguardo poco amichevole, l’altra aveva gli occhi gonfi di lacrime e non si era nemmeno disturbata a togliere la felpa con cui aveva riposato. Quando le videro i colleghi puntarono gli occhi su Ziva pensando che stesse per dare uno scappellotto a Tony o che avrebbe urlato in mezzo all’open-space, invece si sedette semplicemente alla sua scrivania senza degnarlo di uno sguardo. Abby lo incenerì con gli occhi e si diresse verso il suo laboratorio, cosciente del fatto che non era il caso di infierire su un ragazzo che a malapena ricordava il suo nome. Cadde di nuovo il silenzio che era stato rotto pochi secondi fa dai passi delle due ragazze.  Nessuno parlò finchè McGee non disse: “Capo, credo di aver trovato qualcosa” e si buttò in una descrizione accurata di come e perché pensava di avere un sospettato, Gibbs era soddisfatto della teoria elaborata dal ragazzo così prese la sua pistola e il distintivo e ordinò: “McGee, con me. Andiamo a prenderlo.” Tim si alzò e andò verso l’ascensore salutando con un gesto i suoi colleghi.
Tony alzò un paio di volte lo sguardo verso la scrivania davanti a sé finchè non si decise a parlare per primo: “Sbaglio o quella è mia?” disse riferendosi alla felpa.
“Non avevo ricambi, ieri sarebbe dovuto restare Gibbs” rispose lei senza guardarlo per ricordargli il motivo per il quale era rimasta.
“Già…” sussurrò lui abbassando gli occhi.
“Ma vedo con piacere che sei in grado di cavartela da solo” aggiunse Ziva irritata alzandosi e piazzandosi di fronte alla scrivania del suo collega che si alzò e la aggirò per ritrovarsi la ragazza davanti.
“Ascolta… mi dispiace, ok? Non avrei dovuto farlo…” cominciò.
“Oh, no che non avresti dovuto!” lo interruppe lei, Tony alzò un dito per zittirla e la guardò con aria ammonitrice: doveva ascoltarlo.
“… ma capiscimi, non è facile capire quello che provo per qualcuno quando non ricordo nemmeno chi sia. Non avevo nessuna intenzione di ferirti” cercò di giustificarsi.
“Eppure ci sei riuscito bene” rispose Ziva facendo per andarsene, ma fu trattenuta dalla sua mano che le cingeva il fianco e la avvicinava. Le era mancato quel suo tocco leggero e rabbrividì sentendo la sua mano sulla felpa sperando che lui non se ne accorgesse. Si ritrovarono a guardarsi negli occhi e mentre il resto del mondo continuava a girare loro erano rimasti fermi in un altro universo, dimenticandosi per un attimo di tutti quello che era successo nell’ultimo mese: l’incidente, l’amnesia di Tony, la sua serata fuori. C’erano solo loro ed entrambi sperarono di rimanere in quel limbo per sempre, trattenendosi dal baciarsi, lasciando da parte la delusione, il risentimento e, soprattutto, l’orgoglio che, ancora una volta, gli proibiva di essere felici.
“Mi dispiace” sussurrò Tony con li occhi gonfi di lacrime.
“Non posso perdonarti. Mi hai lasciata sola come mio padre, come Ray… anche per te c’è sempre qualcosa di più importante” disse lei ricominciando a piangere e senza preoccuparsi del fatto che lui non ricordasse chi fosse Ray e non avesse idea di cosa le avesse fatto suo padre, o almeno così lei credeva perché Tony non chiese spiegazioni, si limito a stringerla un po’ di più per cercare di fermare le lacrime ed ad abbassare la testa per un solo, impercettibile, secondo.
“Lasciami” aggiunse Ziva appoggiando una mano su quella di Tony che le cingeva la vita allontanandola, stringendola nella sua per poi lasciarla e andarsene lasciandolo solo nell’open-space con i suoi ricordi che, piano piano, tornavano insieme.






 
scrittrice in canna's corner
SONO TORNATA DAL NULLA.
Scusate, veramente, ma ho fatto una settimana di vacanza nel mezzo del nulla e poi ho cominciato a editare un video Tiva che mi ha portato via l'anima D:
Mi rimproverate di non mettere abbastanza fluff nella storia, Frencia92 mi dice che devo rimediare all'uragano che ho combinato, su twitter mi dicono che ho fatto una vigliaccata... (CIAO SAM)
Ne sono consapevole *abbassa la testa in segno di resa* ma cerco di farmi perdonare come posso, come il nostro caro DiNozzo, d'altronde lol
Ma, proprio come Ziva, nemmeno voi mi potete perdonare subito o mi sbaglio? Mica vi bastano due moine, quindi cercherò di fare del mio meglio per risolvere questa scomoda situazione che ho creato. :3
Intanto ditemi se questo mini-capitolo (dopo quasi un mese tra vacanze e video in produzione) vi è piaciuto. 
Vostra,
scrittrice in canna.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Era sera e Gibbs aveva preparato due bistecche al sangue per far cenare Tony, avevano finito di mangiare e il ragazzo era andato a mettersi un pigiama per dormire ma apparse sulla soglia qualche secondo dopo e non era in pigiama, teneva qualcosa tra le mani, cominciò a parlare: “Questo è di Ziva” disse indicando l’elastico per capelli che aveva in mano.
“Deve averlo dimenticato ieri.” Lo mise al polso, come se fosse stato un braccialetto. Si sedette accanto a Gibbs sul divano e continuò: “Sai cosa? Non capisco perché mi sono scusato o perché avrei dovuto scusarmi! Insomma, abbiamo solo dormito insieme a Parigi, non è mai successo nulla tra noi…”
“Ti ha raccontato di Parigi?” chiese Gibbs più stupito da quello che dal resto.
“No, credo… credo di essermene ricordato” rispose lui realizzando solo in quel momento di conoscere avvenimenti più recenti rispetto al Natale di trent’anni fa.
“E come credi di essertene ricordato?” lo spronò il capo.
“Credo sia successo… oggi” disse Tony pensando a quando, senza una ragione apparente, si era scusato stringendo la sua collega, come se fosse la cosa più normale del mondo.
“Cosa, esattamente ti ricordi?”
“Che eravamo in una stanza d’albergo dalla quale si vedeva la Toure Eiffel… mi aveva svegliato nel cuore della notte, aveva avuto un incubo… mi pare, poi si è addormentata sul mio petto” fece una pausa, sorridendo, riprese: “dopodiché è come se non mi fossi risvegliato in quella stanza, ma in ospedale, il giorno dopo.” Gibbs annuì e prese un sorso di birra decidendo se dirgli ciò che era successo un paio di giorni prima nel suo seminterrato o tenerselo per se.
“Non so esattamente perché, ma ho capito che io e lei… abbiamo una connessione, in un certo senso, solo… non riesco a capire di che tipo” spiegò Tony ripetendo ciò che aveva detto a Ziva in ospedale.
Gibbs sorrise e gli diede uno scappellotto prima di andare verso la cucina.
“E questo per cos’era?”
“Regola numero dodici.”
“Non me la ricordo” rispose Tony strofinandosi la nuca.
Gibbs sapeva che l’avrebbe ricordata, a suo tempo.


“Su, Anthony, la mamma vuole vederti” disse una giovane infermiera accompagnando il bambino fino ad una camera dalla porta chiusa.
“Non devi farlo per forza, Junior” spiegò il padre accarezzandogli la schiena.
“No, io voglio vedere la mia mamma” insisté il bambino.
“Okay, apra” acconsentì l’uomo riferendosi all’infermiera.
L’apertura di quella porta rivelò qualcosa di molto simile a un sogno o un incubo, Anthony non avrebbe saputo scegliere tra i due. Una donna magra e fragile giaceva in un letto bianco, i suoi capelli biondi erano sparsi sul cuscino e la flebile luce della prima luna serale filtrava dalla finestra semichiusa illuminandole il viso e conferendole un colorito ancora più bianco, in quel momento il bambino pensò che la madre fosse fatta di porcellana e non osò toccarla nemmeno con un dito, per paura di romperlo, il padre era dietro di lui, non aveva mai staccato la mano dalla sua schiena, nemmeno per un secondo. L’unico rumore nella stanza era il bip dello strumento per il battito cardiaco.
La donna si mosse quasi impercettibilmente, salutò il bambino con un sorriso che venne ricambiato, poi alzò gli occhi azzurri verso il piccolo televisore sul muro e disse: “Guarda Tony, fanno ‘Angeli con la faccia sporca’, mi piace quel film.”
“Anche a me, mamma” ammise il bambino.
qualche secondo dopo le macchine si zittirono e nessun’infermiere, nessun medico o specializzando accorse a salvare la donna, nessuna corsa frenetica, nessuno che lo allontanasse da lì, come nei film preferiti di Anthony. Padre e figlio restarono semplicemente a guardare la donna che amavano scivolare via lentamente.

Tony si svegliò di soprassalto, sudato e accaldato. Non voleva ricordare certe cose, avrebbe preferito continuare a domandarsi che fine avessero fatto i suoi due genitori felici dei ricordi Natalizi, ma non si può sfuggire dalla verità.
 
Il mattino dopo l’ufficio era frenetico e all’arrivo di Gibbs e Tony nessuno era alle scrivanie a salutarli, o a rimproverarli con lo sguardo per essere arrivati tardi.
“Siediti, DiNozzo.” Erano in ritardo, Gibbs non era mai in ritardo.
“Sì capo, è che… ho dormito male stanotte” si giustificò.
“Ti ho sentito” rispose l’altro.
“Certo.”
Poco dopo arrivò Abby che si rivolse a Jethro per comunicare i risultati di alcuni test sulla vittima del caso che stavano seguendo, la ragazza guardò la scrivani vuota dell’amica e chiese: “Ziva non è ancora arrivata?”
“No, è arrivata” disse Tony sospirando, in cambio ottenne un’occhiataccia.
“Sai dov’è, Gibbs? Non la vedo da ieri” domandò la ragazza.
“Abby, per favore…” cominciò il ragazzo esasperato da quel comportamento.
“Ah-ah. Ho chiesto a Gibbs” lo fermò Abby alzando il dito come a zittirlo.
“Non ne ho idea” disse Gibbs senza staccare gli occhi dal fascicolo che stava leggendo.
“Allora chiederò a McGee, grazie. Gibbs.” Si avviò verso il suo laboratorio, appena si allontanò abbastanza anche Gibbs si alzò per andare verso la sala autopsie e Tony rimase solo a guardare la scrivania vuota davanti a lui, aveva il telefono in mano aperto sul numero di Ziva, indeciso se chiamarla o no. Gli sembrò quasi di avere un déjà-vu, come se quella scena fosse già accaduta in passato, ma non riusciva a capire il perché. Fu interrotto dalla dottoressa Cranston che sostava accanto alla sua scrivania, pronta per cominciare una seduta in qualunque momento: “Agente DiNozzo, che ne dice se andiamo in sala relax? Avremo più calma” consigliò lei e Tony fu ben felice di accettare.


“Allora, come va? Ricorda qualcosa di particolare?” chiese la donna sorseggiando un caffè preso alla macchinetta, comodamente seduta d un tavolo, davanti a lei era seduto Tony.
“Solo… stralci della mia vita da bambino e qualcosa riguardante l’NCIS” spiegò vago.
“Temo che questo non basti… le dispiace essere più preciso?”
“Ricordo… i Natali con mia madre, ricordo la sua stanza d’ospedale e il film… ‘Angeli con la faccia sporca’, ricordo anche un caso… una testimone che doveva essere prelevata da Parigi.” La dottoressa annuì e disse: “Nient’altro? Casi particolari, persone che hanno lasciato un segno importante nella sua vita?”
“Del caso a Parigi ricordo la mia collega… aveva avuto un incubo la notte in cui siamo rimasti lì” raccontò senza scendere nei dettagli.
“Parla dell’agente David?”
“Sì.”
“Dov’è lei, ora?”
“Non lo so… non credo voglia parlarmi” ammise Tony sconsolato.
“Questo la disturba?”
“Più che altro mi ferisce” parlava a ruota libera, non aveva paura di dire qualcosa di sbagliato e sapeva di poter dar voce ai suoi pensieri.
“Lei e l’agente David avete sempre avuto una relazione… strana. Nemmeno io saprei come definirla.”
“Mi creda, nemmeno io so come definire il nostro rapporto” disse Tony ridendo amaramente.
“L’unica persona che può aiutarla a chiarire la sua confusione su questo è proprio lei” consigliò la dottoressa.
“Sì, credo… credo che dovrei parlarle, grazie” rispose Tony alzandosi dalla sedia.





 
scrittrice in canna's corner
Se esco fuori ora non mi uccidete, vero?
Riprenderò a scrivere, mi sono presa una pausa ma sono tornata e vi prometto che concluderò la storia prima dell'inizio della scuola.
Non sapevo se finire questo capitolo con un colpo di scena e, a dirla tutta, non sono nemmeno sicura di quello che ho scritto.
Vedrete come si evolverà la faccenda, siamo vicini alla fine!
Vostra,
scrittrice in canna.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Non fu difficile decidere da dove far partire le ricerche, anche se non ne era al corrente Tony andava sempre al laboratorio quando gli serviva aiuto con uno dei suoi colleghi, testardi per com'erano. Non sono mai stati i tipi da una telefonata e via o di quelli che puoi trovare nei posti abituali – anche se, c'era d'ammetterlo, tutti avevano un locale dove andavano per schiarirsi le idee, anche se raramente – così rintracciare i numeri o il GPS o qualsiasi altra cosa avesse in mente la scienziata era da sempre una prassi, per tutti.

“Che ci fai tu qui?” chiese Abby puntandogli un dito nel petto.
“Potremmo lasciare questa cosa per dopo, per favore?” La ragazza strinse gli occhi, quasi a considerare la cosa, poi si girò vero i suoi computer, colpendo Anthony con la punta delle sue codine.
“Cosa vuoi?”
“Ziva, devo parlarle e non so dove sia” disse Tony speranzoso, avvicinandosi poco alla scrivania.

“Ma davvero, le hai per caso chiesto se a lei andasse di parlare con te?” sputò fuori la scienziata, gesticolando apertamente.
“Lo farei se mi dicessi dov'è.” Il sorriso che mostrò dopo era uno di quelli a denti stretti.
Ci fu un momento di silenzio, interrotto solo dal rumore snervante delle tastiere – Se la mia emicrania non è tornata in questi giorni con tutto l'alcool e le terapie, ci penserà lei – pensò Tony massaggiandosi le tempie tra l'indice e il pollice e chiudendo gli occhi solo qualche secondo per far andare via quel fastidioso dolorino dietro gli occhi che stava cominciando a fasi martellante quando Abby spense i computer e si incamminò verso la porta.
“Che- che stai facendo? Abby!” chiamò l'altro andandole dietro.
“Vuoi parlare con Ziva, sì o no? Credo dovreste farlo da soli. Io vado a prendermi un altro caffè” rispose lei scuotendo la tazza che teneva in mano per far sentire il rumore della cannuccia che strofinava contro il cartone vuoto prima di lasciarla cadere nel cestino e andarsene.

Con una smorfia d'incomprensione sul viso, Tony si girò verso la porta che portava alla seconda stanza del laboratorio dove una timida figura femminile arrotolata in una felpa della Polizia di Baltimora troppo grande stava aspettando di essere notata. “Ehi” fu l'unica cosa che riuscì a dire lui, sorridendo come se il viso della ragazza non fosse segnato da una nottata di sonno e – forse – da qualche ora di pianti durante il giorno.
“Ehi” rispose Ziva, arrancando un sorriso stanco.
“Volevo... chiederti scusa, per- quella scenata, in ufficio” riuscì a dire dopo qualche secondo in cui Anthony penso che lei stesse pesando le parole esattamente come stava facendo lui.
“No, sono io che ti dovrei chiedere scusa,” credo. Ma quest'ultima parola non uscì dalla sua bocca.
La risposta fu un leggero cenno del capo e due mani, già da prima unite sul grembo, sbattute dolcemente contro la felpa. Non dissero altro, si lasciarono cullare da un silenzio stranamente familiare, mentre si scrutavano alla ricerca di nemmeno loro sapevano bene cosa.
“Sta sera starai di nuovo con Gibbs?” chiese poi Ziva, cercando di colmare la calma piatta che si era creata.
“Dovresti chiederglielo” esortì Tony, forse un po' troppo velocemente e con una scintilla di... speranza, negli occhi. “Potrei venire io, se ti fa piacere. Ovviamente.”
“Mi farebbe molto piacere.”
Quando la situazione divenne troppo pesanti per entrambi da gestire Ziva fu la prima ad inventarsi un pretesto per uscire dalla stanza e andare in ufficio – o in qualunque altro posto in cui non ci fosse anche lui, con i suoi occhi verdi e il suo sorriso dolce riservato solo per i suoi pochi affetti che custodiva gelosamente. Ziva David non avrebbe mai pensato di poter essere l'affetto di qualcuno, a parte per sua madre e Tali, quindi vedere un collega preoccuparsi in quel modo, sentire che qualcuno aveva avuto paura di ferirla, le faceva uno strano effetto (lo faceva da quando le chiese se era opportuno disarmare una bomba da sola e quando lei lo aveva rassicurato, lui, testardo per com'era, le era andato dietro facendo una battuta sulla sua scollatura per smorzare la tensione) e non voleva indagare più affondo riguardo quella strana sensazione allo stomaco. La cosa migliore da fare era andarsene. Per ora.

Stare seduta alla sua scrivania, costretta ad alzare le maniche della felpa in continuazione perché cadevano sulla tastiera, non aiutava a tenere la mente lontana da dove era stata per le ultime settimane.

Lo perdiamo, Gibbs, sta volta lo perdiamo” aveva pianto sulla spalla del suo capo – della sua figura paterna – dopo essesi risvegliata la mattina seguente l'incidente e aver ricevuto la notizia che Anthony DiNozzo era ricoverato tra i casi gravi, in stato comatoso, dalla notte prima.
Andrà tutto bene, sta tranquilla” continuavano a ripeterle, ma lei non voleva stare calma. Lei voleva vederlo e né il suo braccio destro né l'apprensione materna di Abby rendevano la cosa più facile.

Quando finalmente le permisero di entrare nella sua stanza erano passati circa quattro giorni, ma a Ziva sembravano quattro settimane. Il suo primo pensiero fu che non aveva mai pensato che un giorno l'uomo che era stato la sua roccia per così tanto tempo sarebbe stato così fragile: immobile in un letto bianco d'ospedale, nessun segno di vita escluso il regolare bip delle macchine che registravano il suo battito cardiaco. Il secondo pensiero fu che era tutta colpa sua se entrambi si trovavano rilegati in quel posto, senza nemmeno il conforto l'uno dell'altra e – diavolo quegli affari l'avrebbero portata alla follia.

Bip.

Se non fosse stato per la sua stupida sete di vendetta tutto questo non sarebbe mai successo e quel viso adesso sarebbe contratto in qualche smorfia di scherno, quegli occhi sarebbero aperti e brillanti e quella barba di qualche giorno non sarebbe mai apparsa sul suo viso.

Bip.

Se c'era qualcuno da incolpare per tutto quello, prima di chiunque altro, era Bodnar e la sua stupida mania di grandezza. Il motivo per cui Eli non era lì con lei a consolarla.

Bip.

Ma, anche se fosse ancora vivo, di sicuro non si sarebbe scomodato a fare visita ad un agente Americano moribondo, d'altro canto chi poteva biasimarlo? Aveva ucciso uno dei suoi e contribuito a portagli via la sua bambina, la sua unica bambina.

Bip.

Dio, potreste far smettere questo rumore?” disse pensando a voce alta, rendendosi conto di dove si trovava solo nel momento in cui la mano di Gibbs si posò sulla sua spalla.
“Scusa. É solo che... mi ero persa.” Ma, per dire la verità, si era persa molto tempo prima.

 

“Terra chiama Ziva. Ci sei?” urlò McGee. Ziva scosse la testa e si girò stancamente verso il suo collega.
“Ti ho chiesto a che punto è il tuo rapporto, Gibbs ci ucciderà se non lo consegniamo in tempo.”
La ragazza guardò un attimo lo schermo bianco del suo computer: aveva scritto semplicemente: “La vittima è stata ritrovata alla base di Annapolis”.
“Quasi finito” ripose, mentendo spudoratamente, ma se Tim lo notò non lo diede a vedere, concentrato invece sul suo di rapporto che stava davvero arrivando ad una conclusione.

Il poco che restava della giornata lavorativa volò via, all'NCIS c'era silenzio e Tony e Ziva avevano passato il breve tragitto dalle scrivanie all'ascensore – di solito riempito da risate e battute – in silenzio, godendosi i piccoli momenti di calma prima della tempesta.

Il viaggio in macchina non fu per niente diverso e prima che uno dei due potesse intavolare una conversazione si ritrovarono a destinazione, il rumore dei fornelli era accompagnato da un leggero mormorio, Tony si accorse solo dopo che la sua collega stava canticchiando.
“David, non sapevo fossi anche una cantante” la prese in giro, evidentemente divertito dalla scoperta che sarebbe stata tale con o senza le sue memorie degli ultimi anni intatte dato che Ziva non si permetteva di canticchiare sotto la doccia, meno che mai mentre scattava foto o prendeva misure su di una scena del crimine.
“Non è una cosa che faccio spesso e non vuoi sentirmi cantare a voce alta, credimi” ribatté lei, ridendo sotto i baffi perché quello sembrava proprio il vecchio Tony.
In nemmeno trenta secondi la cucina venne riempita da una canzone un po' troppo familiare.

I live to love, I love to live
With you beside me
This role so new I'll muddle through

Non riuscì a non pensare a quando entrambi ballarono su questa canzone a Berlino, in un momento tutto per loro rubato durante una missione. Poteva quasi sentire le sue dita sul suo fianco e le loro mani l'una nell'altra, petto contro petto li aveva fatti dondolare sulla pista per un tempo che sembrò lunghissimo e allo stesso tempo infinitamente breve.

With you to guide me
In this world where many, many play at love
And hardly any stay in love

“Se non vuoi cantare, almeno concedimi un ballo.” Le sorrise, porgendole la mano e prima che uno dei due riuscisse ad accorgersene stavano ondeggiando sul pavimento di un piccolo appartamento a Washington con dei vestiti ben diversi dallo smoking e dal vestito che avevano indossato in Europa.

I'm glad there is you
More than ever
I'm glad there is you

Anche sta volta si persero l'uno negli occhi dell'altra, senza badare alla dolce voce di Julie London che avrebbe dovuto guidare i loro passi e proprio in quel momento Ziva ebbe l'illusione di pensare che magari si era finalmente ritrovata tra le braccia di una persona dolce che crede in lei e che l'ha sempre adorata. L'unica cosa che mancava era aiutare lui a ritrovare sé stesso.

 

scrittrice in canna's corner

Da quanto tempo non aggiornavo? 5 mesi? Di più? Forse di più.
Ciao a tutti! C'è ancora qualcuno che legge questa sezione di EFP? HELLO?
Fa niente, che ci siate o no mi sono ripomessa di portare a termine questa storia e lo farò.
Mi scuso enormemente ma Liceo, robe varie e ODDIO DEVO DIRVI TROPPE COSE QUINDI ANDIAMO AL PUNTO.

Allora, io sto riprendendo a fare cose e ora che Cote sta finalmente tornando sui nostri schermi ci sono foto da vedere, dirette da fare e persone da stalkerare e cose da votare 
so che tenere traccia di tutte queste cose è una faticaccia, ma io ci provo e potete trovare ogni news riguardo Cote, il cast di NCIS, lo show (che ho impaato ad apprezzare di nuovo) e gli aggiornamenti delle mie storie, comprese idee per progetti futuri al profilo twitter linkato nella mia biogafia.
Dato che nessuno ha voglia di andare nel mio profilo e tornare qui ve lo linko QUA e vi metto quello di Facebook che serve alla stessa cosa ve lo cecate nel profilo. Ok? Ok.

Poi... niente dovevo dirvi di andarevi a vedere Once Upon A Time e di shippare i Captain Swan come me perché sono UGUALI ai Tiva con una piccola differenza: loro sono canon. Sono solo 4 stagioni, la prima un po' è noiosa ma fate un piccolo sforzo per Killian Jones che ne vale la pena. Il Tony DiNozzo dei sette mari 'nsomma.
Ho finito di blaterare, spero mi scuserete per i mesi di interminabile assensa.
Vostra,
Scrittirice in Canna.

 

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