The girl who keeps running

di CassandraBlackZone
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Episodio 1: Babysitter ***
Capitolo 2: *** Laghetto ***
Capitolo 3: *** Preoccupazioni ***
Capitolo 4: *** Roba da Star Trek ***
Capitolo 5: *** Brutto presentimento ***
Capitolo 6: *** I'm sorry ***
Capitolo 7: *** Dimenticare ***
Capitolo 8: *** Cambiamenti ***
Capitolo 9: *** L'evidenza ***
Capitolo 10: *** Dottore ***
Capitolo 11: *** Cambiare idea ***
Capitolo 12: *** Attraverso la parete ***
Capitolo 13: *** Rapporto di classe 5 ***
Capitolo 14: *** La madre, la famiglia e il passo decisivo ***
Capitolo 15: *** Finalmente fuori ***
Capitolo 16: *** Spiegazioni ***
Capitolo 17: *** Continuare a correre ***
Capitolo 18: *** Speciale: gli addii non esistono, per noi ( parte 1) ***
Capitolo 19: *** Speciale: gli addii non esistono, per noi ( parte 2) ***
Capitolo 20: *** Episodio 2: l'ultima magia di Massy ***
Capitolo 21: *** Amici di vecchia data ***
Capitolo 22: *** Nero/Viola/Bianco ***
Capitolo 23: *** incontri inaspettati ***
Capitolo 24: *** Il tempo stringe ***
Capitolo 25: *** Sensibile ***
Capitolo 26: *** Non sei tu ***
Capitolo 27: *** quindici minuti di distacco ***
Capitolo 28: *** Meglio tardi che mai ***
Capitolo 29: *** Qual è la verità? ***
Capitolo 30: *** Reietto salvato ***
Capitolo 31: *** Nuovo padrone ***
Capitolo 32: *** Nuovo arrivato, nuovo inizio ***
Capitolo 33: *** Episodio 3: Chi sono io? ***
Capitolo 34: *** L'imprevisto ***
Capitolo 35: *** L'arrivo della Neve Nera ***
Capitolo 36: *** Salvati dall' arresto momentum ***
Capitolo 37: *** La pazzia del Signore del Tempo ***
Capitolo 38: *** Rivelazioni ***



Capitolo 1
*** Episodio 1: Babysitter ***


Con o senza tacchi, Gemma faticava ugualmente a correre.
Quella dannata pioggia la faceva scivolare ogni volta che tentava di percorrere almeno cinquanta metri, e solo dopo una ventina di cadute si era finalmente decisa a togliersele definitivamente.
Con le scarpe in una mano e la borsa nell’altra, la donna aveva corso per più di due chilometri completamente bagnata fradicia e senza sosta, voltandosi di tanto in tanto con il terrore negli occhi.
La donna si maledisse più volte per non aver fatto il pieno alla macchina il giorno prima. Avrebbe sicuramente evitato quell’assurda situazione.
Restavano ancora tre isolati da superare prima di ritenersi veramente al sicuro e Gemma aveva paura di non farcela: era stanca e col fiatone ormai all’estremo delle sue forze.
“Aiuto! Qualcuno mi aiuti! Vi prego!”
L’intero quartiere taceva mentre lo scrosciare della pioggia aumentava d’intensità sempre di più. Nessuno sembrava aver sentito il suo richiamo d’aiuto, poiché neanche una luce si era accesa.
Gemma era sola. Da sola con quella cosa.
Per un attimo lei pensò ai suoi due figli, Tommaso e Andrea, che l’aspettavano assieme a suo marito Antonio per la cena. Pensò ai loro volti sorridenti al suo arrivo e alla voce profonda di Antonio che le diceva: ben tornata, tesoro.
Ed eccolo di nuovo. Quell’orribile rantolo, quel respiro affannoso che tormentava la donna da quando aveva finito il suo turno in ufficio.
Con un ultimo sforzo, Gemma raggiunse il lampione più vicino e in preda alla disperazione lanciò a vuoto prima una e poi l’altra scarpa.
Quasi come se contemplasse il cielo, allargò le braccia e si guardò attorno con il cuore che le batteva a mille.
“Vieni se hai il coraggio! Vieni fuori!”
A pieni polmoni la donna urlò a testa alta ormai stanca di fuggire, ma solo dopo quel silenzio inaspettato si accorse di aver fatto un gravissimo e fatale errore che le costò il suo arrivo.
Tutto quel coraggio che era riuscito a raccogliere svanì in un attimo quando un brivido di freddo le percorse la schiena.
Un tuono coprì il suo ultimo urlo disperato, mentre qualcosa l’afferrava saldamente le caviglie per trascinarla nel buio.
 
 
Anna si arricciava nervosamente una ciocca bionda piastrata. Fare da palo dietro ad una colonna di marmo non era mai stato il suo forte e sperava con tutto il cuore che Emily si sbrigasse a preparare lo zaino.
“Emily… ne hai ancora per molto? Non so perché, ma ho come la sensazione che stiano per arrivare”
“No, non sbagli. Questa è sempre l’ora della loro caccia quotidiana”
“ Ma… è parecchio stressante!”
“Benvenuta nel mio mondo. O quasi…”
Accortasi della scarsa collaborazione di Anna, Emily cercò di infilare il più veloce possibile nello zaino gli ultimi libri rimasti, chiuse la cerniera con uno strattone e al volo raccolse i capelli in una coda di cavallo: un’ultima stretta ed era pronta.
“Bene Anna. Come al solito tu terrai i miei libri fino a domani e passerò poi dopo scuola a prenderli. Afferrato?”
“A-afferrato…”
“Perfetto”
“M-ma… se J.C. ti prende?”
“Jeremy testa-a-caschetto non è mai riuscito a prendermi. Figuriamoci se oggi cambierà qualcosa”
“E… sei sicura di farcela?”
Come se cercare di non farsi prendere dai bulli non fosse abbastanza, anche sopportare le continue finte preoccupazione di miss cheerleader Anna Carpi era diventata una routine quotidiana.
“Senti, Anna… Così non mi sei d’aiuto. Smettila di fare la carina con me, perché sappiamo entrambe come va a finire. Tu limitati a fare ciò che ti ho detto”
Anna sbatté tre/quattro volte le palpebre con la bocca aperta portandosi una mano al petto: era la classica espressione da perfetta finta tonta, che agli occhi di Emily pareva più falsa delle sue ciglia e delle sue extension bionde. Ancora di più lo era la sua voce da civettuola.
“Sono scioccata! Questo significa che non siamo amiche?”
Emily inarcò un sopracciglio e roteò gli occhi.“Senza offesa Anna, ma no. Non siamo amiche. E preferisco di gran lunga che tu continui ad essere la ragazza super-popolare amata da tutti e io una tua semplice tutor di matematica, che si fa pagare facendoti portare i miei libri. Intesi?”
Un discorso diretto ,freddo e con una punta di arroganza o in poche parole: l’unico modo che Emily conosceva per far stare zitta Anna.
Popolare, tu. Non popolare, io. Ricordi?”
“ Si, ma… se mi starai vicina ti assicuro che tutti cambierebbero idea su di te”
“Oh, ti prego… preferisco di no”
“Ma…”
“Niente ma. Ora pensa a dirmi se arriv-”
“Ah! Stanno venendo da questa parte!”
Avvicinatasi alla colonna di marmo, Emily adocchiò un ragazzo biondo campeggiato da due coetanei al suo fianco. D’impulso sbottò un sorriso divertita.
“Ma tu guarda. Tipico di Jeremy Calvatori. Il gorilla alfa con le sue bertucce da passeggio”
“E adesso… che cosa farai?”
“Semplice. Faccio quello che faccio ogni giorno: corro”
“Ah, aspetta!”
Prima che Emily potesse fare un passo, Anna la prese per un braccio “Dai, Anna! Stanno per arrivare, che cosa c’è?!”
“Fai… attenzione”
Emily rilassò il braccio e fissò incredula Anna che cercava di non incrociare il suo sguardo. Così di punto in bianco non sapeva se essere sorpresa o archiviare quelle due parole assieme alle altre finte preoccupazioni dell’anno. Mai avrebbe pensato che miss cheerleader le dicesse una cosa del genere.
Emily sorrise e sperò vivamente che per la prima volta nella sua vita avrebbe finalmente detto qualcosa di carino a qualcuno che non fosse nel suo girone di popolarità, qualcosa tipo senz’altro o contaci  per poi finire con un bell’occhiolino.
“Pensa a difendere il tuo titolo di ragazza popolare, Anna” e corse via verso l’entrata della scuola.
Purtroppo per lei non finì come tanto sperava e imprecò tra sé a sé, mentre tre scimmioni la rincorrevano urlando, come se fosse l’ultima banana rimasta nella giungla.
 
Ciao, vecchio amico.
Ed Eccoci qui, io e te, all’ultima pagina.
Quando leggerai queste parole, io e Rory ce ne saremo andati da un pezzo.
Quindi sappi che abbiamo vissuto bene e siamo stati molto felici.
E soprattutto: sappi che ti ameremo sempre.
 
Ancor prima di aver attraversato l’immensa piazza del Duomo, una nuvola di piccioni si alzò in volo lasciando così libero il passaggio. Emily seguì per un attimo la traiettoria dello stormo per poi ritornare  concentrata nella corsa, ma si concesse un minuto per sorridere davanti al suo monumento preferito.
Avrebbe tanto voluto rimanere lì ad ammirare la maestosità del Duomo di Milano e per contare ciò che le rimaneva delle statue sui pinnacoli o rasenti al muro di marmo sui vari doccioni, guglie e contrafforti. L’ultima volta si era fermata a 907. Ci aveva messo davvero un sacco a contarne così tante e per fortuna si ricordava ancora l’ultima statua da lei contata: la statua di San Giovanni Battista sul diciannovesimo contrafforte, al centro dove stava l’abside.
“Fermati Creek! Non ci scappi!”
Ma con rammarico Emily non aveva tempo da dedicare al suo hobby.
Incrementata di poco la sua velocità, cercò di evitare di colpire a bracciate turisti intenti a fare foto-ricordo. Abbassava la testa o si copriva il volto in caso capitasse accidentalmente davanti a un qualsiasi obiettivo fotografico.
Inutile parlare del branco di gorilla alle sue spalle: i tre inseguitori si scontrarono almeno sei volte, sia con turisti che con venditori di souvenir senza nemmeno scusarsi, lasciandosi alle spalle una scia di urla e insulti in almeno tre lingue diverse.
La voce di Jeremy era così alta che attirava l’attenzione di tutti, che di conseguenza attirava occhi increduli e cellulari che ripresero la corsa estrema, convinti che fosse una qualche scena cinematografica in corso.
Nell’enorme Galleria le cose si fecero tremendamente complicate. Emily dovette fermarsi un attimo sotto l’enorme cupola per decidere dove andare. Non avendo molta scelta, prese la via verso il teatro La Scala.
Emily cominciò a sentirsi stanca, ma notò con piacere che non era l’unica. I tre ragazzi avevano rallentato drasticamente, quasi come se fossero sul punto di fermarsi. Volti stravolti dal sudore e deformati dalla stanchezza, che  cambiarono subito espressione non appena videro Emily scendere giù per un sottopassaggio della metropolitana.
“Ehi… Jeremy… non è meglio… lasciar perdere?”
“Già… io non ce la faccio più…”
Jeremy ignorò totalmente le lamentele dei due tirapiedi lasciandoli indietro e partì spedito sulle scale.
Emily passò velocemente la sua tessera magnetica della metropolitana. Per sua fortuna arrivò giusto in tempo per l’arrivo del treno. Lanciato uno sguardo verso le scale, si allarmò alla vista del caschetto biondo e fiondò in un vagone a suon di mi scusi e permesso.
Alla chiusura delle porte, Emily tenne d’occhio nascondendosi dietro a tre uomini davanti a lei, una giacca gialla fluorescente e due occhi verdi che scrutavano arrabbiati in tutte le direzioni.
Era completamente bagnata di sudore, con il cuore in gola e con il fiato corto che stando lì schiacciata tra la folla non faceva che peggiorare la situazione più di quanto non lo fosse già.
Emily alzò lo sguardo per controllare dove fosse finita. Un po’ si sorprese di ritrovarsi davanti la mappa della metro gialla, poiché non la prendeva quasi mai, ma non ci diede troppo peso. Si limitò a rimanere calma, ad andare a memoria e decise di fermarsi all’unica fermata che conosceva leggendo la mappa: CENTRALE.
Da MONTENAPOLEONE mancavano solo tre fermate, ma per quei pochi minuti che le rimanevano chiuse gli occhi, giusto per riposare un po’, riprendere fiato e non pensare a niente.
Prima, durante e dopo scuola: era una continua corsa contro il tempo, un tran tran, un loop temporale infinito che Emily doveva sopportare ogni giorno.
Due fermate.
Il come sia passata a vivere così non se lo ricordava proprio. Forse perché fin da quando era piccola si era sempre isolata, forse perché era leggermente scontrosa e introversa verso ogni singolo bambino e insegnante. O semplicemente era fatta così.
Una fermata.
In poche parole, Emily Creek viveva il classico cliché di un film scolastico americano. Lei era la sfigata che di conseguenza doveva stare sotto i ragazzi e ragazze popolari. Termini che lei aveva sempre detestato, ma gli unici che potessero rispecchiare la sua - se poteva definirla così- vita, ma con qualcosa in più.
 
CENTRALE. Fermata CENTRALE.
 
Tre secondi. Emily ci mise poco più di tre secondi ad uscire dal treno,  usando le braccia per farsi un varco tra la folla, mentre a Jeremy ci vollero sette secondi netti.
Quattro secondi di distacco equivalevano a circa una decina di passi di distanza, un pensiero che aumentava drasticamente l’adrenalina in ogni parte del corpo di Emily.
Paura? No, lei non aveva affatto paura. Ed era proprio questo quel qualcosa in più.
Correre per lei non era mai stato un modo per scappare, anzi: correre per lei era l’unico modo per superare la monotonia e, anche se stancante, era lo svago che più la soddisfaceva. Persino più del contare le statue del Duomo.
Emily amava correre. Da sempre.
Come la piazza del Duomo, anche la stazione centrale brulicava di milioni di persone, tutte munite di carrelli, valigie e trolley: decisamente non facile da superare, soprattutto sul tapis roulant in movimento.
Sei persone più in là Jeremy squadrava minaccioso Emily.
Quest’ultima sbuffò per l’assurda perseveranza del ragazzo.
“Accidenti… ancora non molla”
Emily diede un’occhiata veloce al suo orologio: 15 e 14. Era passata più di un’ora da quando uscirono da scuola e sperava tanto che suo padre non fosse già ritornato dall’ufficio.
Finalmente Emily poté uscire da quella trappola mortale e corse più veloce che poteva verso l’uscita della stazione. Un forte odore di umidità riempì le sue narici e la freschezza del vento autunnale alleviò la stanchezza sul suo volto.
“Creek!”
Arrivata al centro della piazza Duca d’Aosta, Emily si piegò in due per riprendere fiato. Sotto il portico dell’entrata della stazione, c’era Jeremy che faceva lo stesso.
“Cosa c’è J.C.? Ti arrendi già?”
“Va al diavolo Creek!”
Per Emily era una soddisfazione immensa vedere Jeremy testa-a-caschetto arrendersi. Era la prova inconfutabile che nonostante si rincorressero dalla seconda elementare era sempre rimasto un idiota patentato: di nome e di fatto.
“E’ meglio finirla qui” urlò Emily.
“Nel caso te ne fossi dimenticato, domani ci aspetta un’interrogazione sulla Divina Commedia”
“Non finisce qui! Sappilo!”
“Si, certo. Come al solito”
Finalmente un altro giorno era finito ed Emily poteva godersi un bel bagno caldo, studiare il X canto del Purgatorio e passare due ore a leggere i suoi fumetti preferiti.
“Creek!”
“Basta Jeremy. Falla fin-“
“Stai attenta!”
“Cosa?”
Emily si girò verso a un Jeremy spaventato, con gli occhi spalancati e un dito che indicava in alto dietro di lei.
Un po’ esitante la ragazza rivolse lo sguardo in direzione del dito e a sua volta strabuzzò gli occhi per ciò che si ritrovò sulla sua testa.
Un rumore simile ad un treno che si fermava a tratti si stava avvicinando alla piazza assieme a quella che sembrava un’enorme sfera azzurra incandescente.
“Creek!! Spostati da lì!”
Gli occhi di Emily non riuscivano a staccarsi da quella sfera; le sue gambe erano incollante all’asfalto incapaci di muoversi, eppure... dentro di sè gridava aiuto affinché qualcuno la spostasse.
Nessuno si fermò. Dal terrore tutti quelli che erano nella piazza corsero urlando verso la stazione.
La voce di Jeremy ormai non la raggiungeva più perché coperta da quel assordante rumore. Ed eccola lì, a un metro e mezzo di distanza da Emily. La palla di energia si schiantò al suolo con un forte boato.
Poi ci fu solo silenzio.
 
A volte però mi preoccupo per te.
Credo che quando ce ne saremo andati non tornerai più qui per un po’ e potresti essere solo, cosa che non dovrebbe mai succedere.
 
Non stare da solo, Dottore.


 

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Capitolo 2
*** Laghetto ***


Laghetto
 
Un semplice sogno. Un terribile incubo. Qualunque cosa fosse stato, al suo risveglio Emily si ritrovò sudata, con gli occhi spalancati e il cuore che le batteva violentemente nel petto.
L’immagine di un’enorme sfera azzurra, che ai suoi occhi pareva fatta di pura elettricità, le era rimasta impressa nella sua mente. Così anche lo spaventoso boato a contatto con l’asfalto, che le costò un timpano fracassato e detriti su detriti che la colpivano ripetutamente sul volto.
Si ricordò della sua paura incontrollata, delle sue urla disperate che chiedevano aiuto e del silenzio che l’avvolse assieme al buio.
Con uno strattone tirò su le lenzuola celesti fino alle ginocchia e a tentoni raggiunse con la mano sinistra  l’interruttore della luce dietro di sé.
Una tenue luce dorata illuminò pareti ricoperte di poster di ogni genere: dalla musica rock anni ’80, ai supereroi della Marvel e della DC che calmarono Emily appena li vide.
Tirato un sospiro di sollievo, si guardò intorno facendo scorrere gli occhi da sinistra verso destra e allargando pian piano un sorriso compiaciuto. Sì. Era davvero nella sua stanza.
Tutto era al suo posto, come l’aveva lasciata, anche se con qualche scartoffia e vestito qua e là era la sua ed unica camera da letto, il suo piccolo rifugio racchiuso in 30 metri quadri.
Una finestra dalle tende blu indaco trasparenti che dava su un piccolo giardinetto per bambini, una scrivania azzurra di legno comprata all’IKEA due mesi fa, gli scaffali pieni di fumetti e libri fantasy gelosamente ordinati in ordine alfabetico, un bell’armadio blu notte davanti a lei e il tutto accompagnato da un tappeto shaggy e una parete vuota del medesimo colore.
L’unica cosa che spiccava in quella stanza ondata di blu era la porta, che con il suo bel bianco brillante attirava l’attenzione da tutto il resto.
Chiunque sarebbe entrato in quella stanza, avrebbe subito capito quale fosse il suo colore preferito senza neanche porle la domanda.
Ripreso il controllo Emily si decise a scendere dal letto. Il pavimento in parquet sotto di lei era così freddo che riusciva a stento a camminare in punta di piedi.
Come al solito aveva lasciato le sue pantofole all’ingresso grazie al suo vizietto di camminare sempre con le calze, pur sapendo la conseguenza mattutina. Avvicinatasi alla porta, cercò di abbassare la maniglia il più piano possibile, onde evitare che suo padre si svegliasse. A destra, in fondo al corridoio, lesse ora e data dall’orologio appeso al muro: sabato 19 ottobre. 7 e 13. Fortunatamente dormiva ancora.
Camminando con un po’ più di tranquillità, Emily si diresse in bagno  vicino alla sua stanza per cambiarsi e darsi una lavata, ma appena entrò e vide il suo riflesso sullo specchio i suoi occhi si spalancarono dallo stupore.
“Ma cosa…”
Tralasciando i suoi capelli castani sparati e gli occhi verdi ancora incrostati dalla stanchezza, ciò che la lasciò senza parole fu il modo in cui era vestita. Non aveva la sua solita tuta bianca e nera della Adidas che usava come pigiama, ma gli stessi vestiti del giorno prima; o almeno così le sembrava.
Emily si tastò con entrambe le mani ogni parte del corpo con la fronte aggrottata preoccupandosi sempre di più: indossava jeans scuri, una maglietta bianca e una felpa rossa dell’ Original Marines. Decisamente il pigiama non ideale.
Com’era possibile, pensava lei, che non si fosse cambiata? Che cosa aveva fatto il giorno prima?
Scrollando le spalle, prese al volo la saponetta per lavarsi il viso e lo spazzolino da denti. Quasi dimenticandosi del padre, prese a correre giù per la scala a chiocciola per poi fiondare in cucina e versarsi un bel bicchiere di spremuta d’arancia. Emily era pronta sedersi tranquillamente sul divano per guardare la TV, quando non soffocò un urlo facendo cadere rovinosamente il bicchiere sul pavimento.
Emily si portò le mani alla bocca indietreggiando di tre passi con gli occhi fissi su una figura avvolta in quella che era la sua coperta degli Avengers.
Un uomo. L’unica cosa che riusciva a pensare era che un uomo sconosciuto dormiva beatamente sul divano di casa sua. Sulla trentina a prima vista, con un buffo ciuffo alla sua destra e un mento a dir poco… esagerato.
Subito Emily si irrigidì, appena l’ospite inaspettato si mosse per girarsi. Con cautela, facendo attenzione a non calpestare i vetri rotti, si avvicinò. Dallo spavento non si era accorta delle bende mediche sulle braccia e attorno al collo, per non parlare dei tagli sul volto.
Pur provando rammarico per le sue ferite, ancora si chiedeva chi fosse e cosa ci facesse in casa sua.
All’improvviso, il campanello suonò.
“Arrivo!” superata la chiazza appiccicosa della spremuta, raggiunse l’ingresso e aprì il pesante portone con quattro giri di chiave. Dall’altra parte della soglia, la salutò sorridente Cristian: vicino di casa di Emily, nonché grande amante del fantasy e dei fumetti in generale.
“Ehilà Emily! Come va?”
Emily squadrò severa l’amico che smise subito di sorridere “Come va? Come va, mi dici?!”
“Ehi… che fa-… Emily!”
Preso per la maglietta, Emily obbligò Cristian ad entrare. Chiusa la porta con un piede, lo trascinò in salotto e indicò con una mano e l'altra su un fianco indicò il divano.
“Non va per niente bene! Guarda!”
Un po’ scosso, il ragazzo si aggiustò gli occhiali sul naso e allungò il collo. Con indifferenza fece spallucce “Beh… vedo che dorme tranquillamente”
“Cos-… ma non hai capito?! C’è un uomo in casa mia e non lo conosco!”
Cristian continuava a guardare Emily con estrema calma, che dopo un attimo di silenzio si avvicinò a lei e appoggiò le mani sulle sue spalle. Divenne improvvisamente serio“Pare che… dallo shock tu ti sia dimenticata ciò che è successo ieri. Dico bene?”
Emily lo guardò sbigottita “Che cosa vuoi dire?”
“Ieri, dopo la tua consueta corsa pomeridiana con testa-a-caschetto, quando siete arrivati fino alla stazione Centrale è successo un brutto incidente in cui tu ne eri coinvolta”
“Io?”
Annuì lui “Io stavo lavorando nella mia fumetteria quando tu mi hai chiamato. Eri così preoccupata, in lacrime e mi implorasti di venirti a prendere”
Ad un tratto qualcosa ad Emily ritornò alla mente. Una serie di immagini un po’ sfuocate di un enorme cratere in cui lei ci era finita dentro e di qualcuno, un uomo, che era disteso a fianco a lei ferito. D’impulso fissò il divano.
“Non puoi immaginare quanto fossi sconvolto nel vedere che nessuno si fosse presa la briga di aiutarti! Tutti scapparono urlando verso la stazione o la metropolitana, comunque… appena sono arrivato eri tutta sporca di terra affianco ad un buco e avevi sulle spalle lui” disse Cristian indicando l’uomo“E’ stato a dir poco… pazzesco!”
Emily rimase in silenzio. Allora era tutto vero. La sfera, lo schianto, quello strano rumore irritante. Tutta realtà “Oh cavolo… allora non è stato un sogno…”
“No, e mi stupisce il fatto che tu non abbia voluto andare in ospedale. Eri tutta: no! Niente ospedale ti prego! Andiamo a casa! Come al solito mi sono lasciato trasportare e dalla foga vi ho portati a casa e medicati”
“Beh, sai com’è. Se mio padre avesse scoper-… Oh no!! Mio padre! Non deve sapere che qui c’è uno sconosciuto! Mi ucciderebbe!”
In preda al panico Emily iniziò a imprecare a bassa voce in cerca di una soluzione prima che si svegliasse. Sarebbe davvero finita nei guai e non osava immaginare cosa le avrebbe fatto.
“Ehi ehi, vedi di calmarti! Credo proprio che tu abbia sbattuto forte la testa!”
“Eh?”
“Guarda che tuo padre ieri pomeriggio è partito per lavoro. Te ne sei dimenticata?”
“Oh… davvero?”
“Certo!”
Emily si sedette su uno dei braccioli del divano portandosi una mano fra i capelli. Cristian aveva perfettamente ragione “E’ vero… Doveva andare a Roma per una riunione”
“Esatto. E parlando di tuo padre…”
Il ragazzo tirò fuori da una delle due tasche dei pantaloni un foglietto ripiegato in quattro. Lo porse tra le mani dell’amica che subito lo aprì e lo lesse nella mente: num. Signor Creek. “Ieri sera mi ha chiesto di te e mi ha lasciato il numero del suo ufficio, perché tu potessi chiamarlo: il suo cellulare lo ha lasciato qui a casa. Credimi, è davvero molto preoccupato”
“Aspetta… non gli avrai mica…”
Ovviamente non gli ho detto di lui”
Emily sospirò pesantemente per la seconda volta e posò timidamente gli occhi sull’estraneo che intanto si era girato facendo una piccola smorfia.
Lei, che era seduta sul lato della sua testa, allungò una mano e prese ad accarezzare i capelli di lui: erano così morbidi al tatto che dopo averli toccati la prima volta ci passò altre due volte.
Mai avrebbe pensato di ritrovarsi in una situazione del genere, che un giorno la sua routine quotidiana  venisse stroncata in quel modo. Non che la cosa la spaventasse, ma semplicemente la trovava… strana.
Ad un tratto Emily ritrasse velocemente la sua mano. Sentì come un mugugno, più simile a un lamento e notò il volto dell’uomo contorcersi dal dolore.
Le sue gambe e le sue braccia cominciarono a muoversi convulsamente sotto la coperta.
“Ma che cavolo succede?”
“Io… non lo so! E’ come se… stesse avendo un incubo”
“Forse è meglio se chiamo un’ambulanza”
“No!”
Cristian era sul punto di digitare il 118 quando Emily non gli bloccò la mano afferrandogli il polso.
“Non serve l’ambulanza”
“Ma…”
“Aspetta” la ragazza s’inginocchiò davanti all’uomo ancora molto agitato. Prima posò una mano sulla fronte per poi appoggiare entrambe le mani sulle sue: erano così grandi e calde, ma anche così rigide e tremanti che parevano congelate.
Emily non sapeva cosa fare se non stringere più che poteva le sue mani per tranquillizzarlo. Con sua grande sorpresa, quelle risposero stringendo energicamente a sua volta.
Una voce strozzata dai singhiozzi raggiunse le orecchie di Emily “Pond…” Profonda e cupa, continuava a ripetere quella piccola parola di sole quattro lettere. Al suono di essa Emily subito pensò all’inglese e ad una traduzione esemplare. Non usava spesso quella parola, forse perché non l’aveva mai reputata importante quanto gli aggettivi o i verbi irregolari inglesi, ma se la ricordava perché suo padre la diceva ogni volta che le illustrava un parco naturale in America in estate. Pond: laghetto.
Cristian aggrottò la fronte avvicinandosi ad Emily “Ma… perché continua a dire pond? Se non sbaglio significa.. eh, un corso d’acqua…”
“Laghetto. Pond significa laghetto in inglese”
“Beh, almeno sappiamo che è inglese” disse il ragazzo scrollando le spalle“Anche perché indossa una giacca di tweed stile Mr. Bean”
Everything is fine now. You ‘re safe”
“Pond. My Pond”
“Forse cercava un parco”
Emily annuì “Probabile”
“Riesci a chiedergli come si chiama?”
“Mi sa tanto che sta ancora sognando. Deve essere molto importante per lui”
“Un laghetto… potrei capire un libro, un fumetto o un gadget speciale, ma un laghetto!”
“No” Con un indice Emily asciugò una lacrima che stava rigando la guancia destra dell’uomo. Portatasi la goccia salata davanti agli occhi, si sentì improvvisamente triste e provò per così dire una sensazione di malinconia “Credo che sia qualcosa di più di un semplice laghetto”
“Non ci posso credere!”
“A cosa?”
Cristian allungò la mano destra ad Emily per mostrarle il cellulare.
Sul display la ragazza lesse ad alta voce il titolo di un articolo di giornale “INCIDENTE IN PIAZZA DUCA D’AOSTA: SEMPLICE ILLUSIONE?”
“Come sarebbe a dire una semplice illusione?”
“E’ questo il problema!”
Emily continuò a leggere il resto dell’articolo “Sembra che la piazza Duca d’Aosta, circa alle 15 e 20, sia stata ospite di una  scena cinematografica di un film fantascientifico ancora anonimo. Tale scena a provocato caos e sgomento  tra il pubblico che scappò impaurito all’interno della stazione.
Centinaia di testimoni hanno affermato che un’enorme sfera di luce azzurra si fosse schiantata in mezzo alla piazza provocando un breve terremoto e un forte boato simile ad un boom sonico, formando un enorme voragine profonda circa  tre metri, ma larga almeno 7 o 10 metri.
Fortunatamente non ci furono segnalazioni di feriti nei dintorni, ma all’arrivo dei carabinieri e dei soccorsi, la cosa che li lasciò senza parole al loro arrivo – circa verso le 16- fu che  il cratere era come svanito dal nulla”
Velocemente la ragazza lesse il resto da sola, tenendo a mente solo alcune parole chiave: magia, illusione, staff veloce, film spettacolare.
L' articolo finì in bellezza con una foto che immortalava tre carabinieri perplessi in mezzo a quella che doveva essere una piazza distrutta.
“No… è impossibile… la sfera c’era davvero!”
“E anche il cratere! Chi mai lascerebbe girare una scena cinematografica senza avvisare il comune?! Voi due ci potevate stare secchi, non possono passarla liscia così!”
“C’è qualcosa di strano…”
“Solo qualcosa? Io direi che tutta questa situazione è strana. Che mi dici delle telecamere? Non ce n’era neanche una. Io dico che dobbiamo esporre denuncia”
“Scordatelo”
“Ma perché no, Emily?!”
“Stiamo bene.Non è necessario denunciare nessuno. Ora dobbiamo pensare a curare lui. Alla piazza penseremo dopo"
Cristian  aprì la bocca, ma senza trovare le parole la chiuse. Abbassò il cellulare arruffando la sua chioma riccia e nera.
“Tu… Un giorno mi dovrai rivelare il tuo segreto per come fai zittire così le persone”
Emily sbottò un sorriso strizzando un occhi all’amico“E’ una dote che ho nel sangue”
“Si certo. Senti, ora preparo qualcosa per la colazione. Ti va?”
Lei annuì.
“Perfetto. Direi… che prima pulisco questo piccolo disastro..." disse il ragazzo indicando la  macchia della spremuta "e poi corro in cucina. Tu stai vicino a lui e chiama se hai bisogno”
“Grazie mille Cristian”
“Figurati”
Emily seguì con lo sguardo Cristian e quando scomparve in cucina per prendere scopa e paletta, ritornò a guardare l’uomo. Le loro mani erano ancora intrecciate e il suo volto era ritornato sereno, privo di lacrime. Lei che era occupata ad aspettare che la colazione fosse pronta, riprese ad accarezzare i suoi capelli, mentre una piccola luce verde lampeggiava indisturbata sotto la coperta in un ritmo regolare.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE:
Ok… non ho resisto e così dopo A person ti remember ho deciso di iniziare una nuova storia. Questa volta sarà diverso. Sarà incentrata su il nostro caro Eleven, una storia tra Angels take Manhattan e lo speciale di Natala The snowmen.
Detto questo, spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che la storia possa piacervi da qui in avanti.
Per qualsiasi errore ( grammaticale, di battitura o altro) vi prego di farmelo sapere!!
 
Alla prossima!!
 
Cassandra

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Capitolo 3
*** Preoccupazioni ***


No. Non era così che doveva andare a finire.
Quella era decisamente la soluzione che lui avrebbe preferito evitare più di ogni altra cosa al mondo. Stava davvero invecchiando, pensava, perdeva colpi.
Ma come avrebbe potuto fermarla? Come avrebbe anche solo potuto pensare che lei lo avrebbe lasciato indietro? Nulla l’avrebbe fermata, perché lei lo amava. Lo amava così tanto a tal punto che era decisa a seguirlo.
Impulsiva, coraggiosa e così sicura che lo avrebbe ritrovato senza problemi, senza pensare alle conseguenze.
 
C’è ancora spazio per un altro nome, vero?
 
Sarebbe stato palese chiedersi quale nome fosse destinato a stare lì, in quella lapide sotto il nome di Rory Williams: Amelia Pond. La ragazza che aveva aspettato, la ragazza dal nome fiabesco, la prima che la sua faccia aveva visto. Colei che era marchiata a fuoco nei suoi due cuori.
Sapeva che un giorno sarebbe successo. Sapeva che prima o poi se ne sarebbero andati, eppure...
Si sentiva abbandonato, perso,inutile e in colpa, terribilmente in colpa.
Se solo non avesse deciso di andare a New York, se solo avesse accompagnato Rory a prendere i loro caffè o avesse visto quel dannato angelo sopravvissuto, forse a quest’ora, anche se per poco, avrebbe avuto ancora al suo fianco i suoi due migliori amici.
Sentiva la loro mancanza ogni giorno, ogni istante che passava e ciò gli faceva troppo male.
Ma ora era stanco di soffrire.
Per lui era il momento di farla finita una volta per tutte. Senza rimpianti.
 
Anna sospirò pesantemente infilando il cellulare nella tasca e alzò il volume del suo mp4. Con una smorfia abbassò lo sguardo appena vide delle ragazze avvicinarsi a lei per mostrarle diverse riviste con gli ultimi gossip della settimana e si fece strada in mezzo a loro lasciandole sconvolte con le braccia all’aria: Anna non era in vena di inutili accoppiamenti fra celebrità, tabelle dei ragazzi più carini e cosmetici costosi. Continuò a camminare tra i corridoi affollati di ragazzi senza né scusarsi delle spallate né rispondere ai saluti. In quel momento ciò che le importava più di ogni altra cosa là dentro era la presenza di Emily o almeno una sua risposta al suo messaggio Va tutto bene?.
Aveva tenuto il cellulare in mano per tutta la mattinata, infischiandosene delle lezioni, non che non lo facesse già, ma quel giorno proprio non riusciva a non pensare alla sua tutor di matematica. Le sue preoccupazioni iniziarono quando non la vide fiondare in classe correndo come ogni mattina e dalla seconda ora in poi cominciò a pensare che le fosse successo qualcosa.
“Carpi! Anna Carpi!”
Anna si sfilò dall’orecchio destro l’auricolare e si voltò. Subito alzò un mano forzando un sorriso alla figura slanciata che correva verso di lei: era Alba Brown, l’insegnante di madrelingua inglese più giovane della scuola, ma anche la più capace nell’insegnamento.
Eccentrica per il suo stile dark e gotico, con tanto di meches viola su un caschetto corvino, gonna lunga con pizzo e stivali col tacco a spillo neri.
Una donna rispettata da tutti, alunni compresi, novella sposa con due gemelli e amante del genere hard rock.
Good morning Mrs Alba
Good morning my dear!”
“Ha bisogno di qualcosa?”
“Ecco… veramente è giusto una curiosità” disse l’insegnante con un marcato accento inglese.
“Sai per caso perché Emily Creek non è venuta a scuola?”
Anna subito smise di sorridere abbassando gli occhi e scosse la testa “No.. mi dispiace. Ho provato anche a mandarle un messaggio, ma ancora non mi ha risposto”
Senza accorgersene aveva ripreso il cellulare e cominciò a stringerlo con forza.
Mrs Alba appoggiò le mani guantata di nero sulle spalle di lei e increspò le labbra tinte di viola in un sorriso comprensivo “Io so quanto tu ci tenga a lei, Anna. Tu le sei molto legata”
Anna sorrise timidamente in po’ malinconica ripensando per un momento al sorriso di Emily del giorno prima. Da quando Emily iniziò a farle da tutor non aveva mai pensato di provare simpatia verso una come lei. Non fino ad ora. Dopo aver passato due anni e un estate insieme, anche se solo per studiare matematica, sentiva che pian piano si stava avvicinando sempre di più a lei: nonostante si isolasse da tutti e non si atteggiasse come i suoi coetanei, ammirava la sua forza di volontà, la sua perseveranza, la sua intelligenza; ma malgrado la sua ammirazione, solo ora si stava pentendo dei suoi comportamenti sleali nei suoi confronti. Di non averla difesa quando doveva essere difesa e di non esserle stata vicina nei momenti difficili. Anna iniziò a sentire gli occhi che le bruciavano.
 Alla fine Emily non aveva tutti i torti: lei era solo una ragazza falsa e debole e ciò la rattristava facendola sentire anche in colpa.
“Lei non la pensa così. Ne sono certa”
Senza accorgersene la sua voce tremò ad ogni parola e le lacrime scesero lente lungo le guance.
“Credimi, my dear. Io l’ho visto, sai? Le stai molto a cuore ”Con un dito la donna asciugò una lacrima sulla guancia di Anna sorridendo. Quest’ultima le rispose tirando su col naso e annuì decisa.
Thank you, Mrs Alba
You're welcome. E non ti abbattere! Fammi sapere appena avrai sue notizie”
“Senz’altro!”
L’insegnante si allontanò sorridendo a suon di tacchi, mentre Anna si rilassò negli ultimi cinque minuti d’intervallo che le rimanevano, ma di colpo si fermò e soffocato un urlo si tranquillizzò appena vide il caschetto biondo di Jeremy.
“Jeremy! Mi hai spaventata!”
“Dovrei dire lo stesso di te. Il tuo mascara si sta sciogliendo”
Incurante la ragazza non rispose alla provocazione aggrottando la fronte con lo sguardo basso.
“Comunque” continuò lui
“Se ho sentito bene, non hai notizie di Emily, vero?”
“Se come dici tu hai sentito bene , allora sai già la risposta!”
“Ehi, te l’ho solo chiesto! Non te la prendere!”
“ E poi, da quando in qua ti interessa di lei? Sbaglio o tu le rompi le scatole ogni singolo giorno?!”
“Tranne oggi”
“Eh?”
Jeremy si appoggiò alla colonna di marmo alla sua destra, si mise con le braccia conserte e sbuffò “Di solito alle sette e un quarto in punto la vedo sbucare da un angolo della strada vicino a casa mia; praticamente da dove iniziamo ogni mattina”
Anna rimase ad ascoltare in silenzio.
“E oggi non l’ho vista. Per questo sono arrivato in ritardo”
“L’hai aspettata?”
Jeremy iniziò ad arrossire cercando di evitare lo sguardo di Anna.“Sì… esatto. Speravo che tu ne sapessi qualcosa, che ieri l’avessi chiamata per chiederle come stava”
Gli occhi di Anna s’illuminarono “Aspetta un momento… tu di solito la rincorri fino a casa”
Jeremy fece una smorfia grattandosi la nuca “Beh… ecco…”
“Avanti! Racconta! Ora” ordinò Anna impaziente avanzando verso il ragazzo.
“E calmati, va bene! Non è facile da spiegare!”
Un po’ titubante, Jeremy si grattò nuovamente la nuca prima di iniziare a parlare “Tu… hai presente dell’ incidente di ieri alla stazione Centrale?”
Anna annuì ricordandosi degli sguardi attoniti dei carabinieri sulla piazza visti in tv “Sì. Dell’illusione cinematografica dell’enorme voragine. Ancora fatico a crederci:dopo aver visto il telegiornale io e miei siamo rimasti senza parole”
“Ecco… beh… non ne sono sicuro, ma… penso che per quella scena o quello che era… lei ne fosse coinvolta”
Anna si portò davanti alla bocca una mano con gli occhi spalancati “Che cosa! Lei faceva parte di quella scena! Ma co-…!”
Jeremy tappò la bocca della ragazza con forza quasi impedendole di respirare. La sua voce attirò due ragazzi che scrollarono le spalle per poi andarsene. Tirato un sospiro di sollievo Jeremy tolse la mano“Non urlare, ok?”
“Ma… come fai a saperlo?”
“"Ieri abbiamo corso fino alla stazione Centrale. Arrivati alla piazza una… gigantesca palla incandescente è piombata proprio su Emliy”
“Oddio!”
“Ma prima che tu possa fare o dire qualcosa, lasciami finire”
Anna annuì prestando ancora più attenzione ad ogni parola di Jeremy cambiando di volta in volta espressione fino alla fine.
Jeremy raccontò tutto; dal terremoto e l’esplosione alla misteriosa scomparsa del cratere nel giro di mezz’ora e con lei la stessa Emily.
“Wow… raccontata da te… è ancora più incredibile”
“Non ero riuscito ad avvicinarmi subito per colpa della folla. Ero davvero convinto di trovarla lì e invece: nulla. Tutto sparito”
“Non so perché Jeremy… ma io ho paura”
Jeremy distolse lo sguardo da quello impaurito di Anna mostrandosi risoluto ai suoi occhi “Io non starei a preoccuparmi per lei. Probabilmente oggi non è venuta perché starà facendo altre scene. Poco ma sicuro lei in segreto fa parte dello staff di cui parlano i medi”
Anna si tranquillizzò alzando gli occhi “Dici che… lei sia diventata un’attrice?”
Jeremy allargò un timido sorriso per poi aggrottare subito la fronte serio. Un strana sensazione percorse la sua schiena “Non lo so e non m’interessa. Ok, caso chiuso. Non sai niente di Emily? No? Pazienza! Ora devo andare”
“Aspetta Jeremy!”
“Che vuoi?”
“Ecco… so che tu la conosci dalle elementari perciò mi stavo chiedendo… perché l’hai sempre trattata male?”
Jeremy rimase in silenzio staccandosi dalla colonna e si voltò pronto ad allontanarsi “Non sono affari che ti riguardano”
Prima che Anna potesse protestare, il ragazzo camminò a passo veloce verso le scale. Senza farsi notare strinse con forza i pugni.
Jeremy non riusciva a capire perché sentisse quello strano formicolio alle mani, quel fastidioso groppo in gola, per non parlare di quell’apprensione mai provata prima d’ora: mai avrebbe immaginato che un giorno si sarebbe preoccupato proprio di Emily. E questo lo irritava parecchio.
Per reprimere quei presentimenti cercò in tutti i modi di ripensare al suo odio verso di lei, a quei dieci anni passati a tormentarla e al gusto di farlo ogni giorno, ma era tutto inutile: l’immagine di quell’enorme sfera luminosa che si abbatté su Emily ancora lo tormentava, dimenticandosi completamente della sua avversione.
Alla fine Jeremy si arrese. Ormai dovette ammetterlo; era davvero preoccupato. E non poco.
 
Un forte odore di muffa e umidità fece arricciare il naso di Gemma e la luce del sole che filtrava da una finestra rotta la indusse a coprirsi gli occhi con una mano. Di scatto lei si alzò realizzando di non essere più sul ciglio della strada ma chissà dove in quella che sembrava essere una fabbrica abbandonata.
“Ma… dove sono…”
Attorno a lei c’erano solo vetri rotti, travi di legno marcio e grossi tavoli di metallo arrugginiti. Sopra di lei pezzi di carta da parati e cavi pendevano dal tetto in procinto di cadere da un momento all’altro.
Dal disgusto Gemma si coprì la bocca con entrambe le mani e si maledisse il giorno lanciò le scarpe sotto la pioggia.
Il giorno? Purtroppo Gemma era costretta a pensarla in quel modo, sicché non sapeva da quanto tempo era lì, ma soprattutto perché. Cercò invano di ricordare cosa avesse fatto l’ultima volta, ma l’unica cosa che rievocò era una delle tante giornate che passava in ufficio e in casa con la sua famiglia. Il resto era un vuoto totale.
La donna si strinse le spalle appena un colpo d’aria la investì facendola rabbrividire e spalancò gli occhi vedendo che la corrente veniva da una porta a vetri a cento metri da lei.
Facendo attenzione a tutto ciò che c’era sul pavimento Gemma camminò verso quella porta accompagnata dal suo respiro affannoso e si concesse un sorriso al tocco della maniglia, ma che durò poco più di due secondi.
A tentoni cercò di abbassarla almeno quattro o cinque volte e alla sesta di colpo di bloccò e il suo cuore prese a battere all’impazzata.
Un rantolo a lei familiare rimbombò nell’enorme sala, un gemito che ricordava fin troppo bene.
“No...No! Ti prego, apriti! Dai!”
Dietro di lei Gemma sentì uno dei tavoli venir scaraventati sul muro e cadere rovinosamente sui vetri rotti. Due tavoli. Tre tavoli. Il quarto andò a sbattere a dieci centimetri di distanza da Gemma che cadde a terra per poi indietreggiare.
Il suo cuore si fermò appena sentì del pelo strusciare contro la sua schiena. Puzzava terribilmente di cane bagnato se non anche di carne di chissà quale animale.
Lentamente Gemma si girò con gli occhi colmi di paura e aprì la bocca senza riuscire a dire una parola o anche solo urlare.
Lasciò che quattro occhi cremisi la fissassero e si avvicinassero a lei.

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Capitolo 4
*** Roba da Star Trek ***


Emily si alzò in piedi di colpo e prese il telecomando del televisore per sintonizzarlo velocemente sul primo telegiornale che le capitò a tiro: si fermò sul TGCOM24 e alzò il volume.
 
 “… E dopo il curioso caso della stazione Centrale di Milano, ritorniamo alle tragiche sparizioni avvenuta recentemente per le strade della stessa Milano. La sera del 17 Ottobre un’altra donna è scomparsa durante il suo ritorno dal lavoro. Non vi sono testimoni oculari come per le precedenti vittime, ma solo i consueti segni bruciati sull’asfalto. I carabinieri, appena ricevettero la denuncia da parte del marito Antonio, andarono sul posto quella stessa notte. Che siano gli stessi piromani delle altre tre donne? Una cosa è certa, l’ultima vittima, Gemma, è stata l’unica ad aver provato a combattere, sicché qualche isolato più in là dal suo appartamento, sono stati ritrovati delle scarpe e una borsa fradici per via della pioggia, che grazie alle testimonianze di Antonio sono state identificate appartenenti a Gemma. Tutt’ora le ricerche continuano…”
 
Mentre la voce continuava a parlare sugli sviluppi del caso della scomparsa, delle telecamere sul posto mostrarono le immagini della via in cui vennero ritrovati gli oggetti della donna. Emily riconobbe la strada grazie al distributore di benzina e all’Esselunga: era via Cascina Barocco, poco più lontano dal capolinea di Bisceglie. Dei lunghi nastri segnaletici  bianchi e arancioni facevano da contorno alla zona in cui avvenne la scomparsa e quattro carabinieri, più tre uomini della scientifica vestiti di bianco, ispezionavano nei dintorni.
Alcune immagini dopo lasciarono perplessa la ragazza a tal punto che per vederle bene dovette strabuzzare gli occhi e avvicinarsi allo schermo: quelle che dovevano essere bruciature sull’asfalto, agli occhi di Emily sembravano più tre graffi neri fatti da un grosso felino o comunque da un grosso animale.
Forse era solo una sua impressione o magari semplicemente non vedeva bene.
“Cavoli… io e il signor Smith abbiamo visto la notizia in cucina. Davvero impressionante”
Emily era così presa dal telegiornale che non si accorse di Cristian seduto accanto a lei con in mano due tazze. L’amico allungò una tazza colma di caffèlatte alla ragazza per attirare la sua attenzione.
 “Oh, grazie Cris… mi ci voleva proprio”
“Comunque poverina. E’ anche una donna giovane” disse il ragazzo scuotendo la testa
“E’ incredibile che esista delle gente del genere.Nel giro di tre settimane quattro donne rapite: è davvero la nascita di un nuovo serial killer”
“Già…”
Emily sorseggiò piano il suo caffèlatte tenendo gli occhi fissi sulla sequenza di foto che ritraeva la giovane Gemma. Senza accorgersene le sue mani incominciarono a tremare, nonostante fossero attaccate alla tazza ancora bollente.
“Ehi, Emi. Che hai? Sei infreddolita?”
“Eh? Ah, non lo so… mi sono venuti i brividi così, all’improvviso… o forse perché ho appena sognato di essere in una… fabbrica…”La ragazza si voltò verso Cristian che la fissò a sua volta. Solo in quel momento, dopo quei pochi sorsi di caffeina, Emily si accorse di essersi persa un bel po’ di cose; a partire dalla coperta degli Avengers che aveva sulle spalle, la stessa con cui l’inaspettato ospite era avvolto.
Ma la cosa che la stupì ancora di più, era che avesse dormito dopo essersi svegliata.
“Aspetta un momento… io ho dormito?”
“In un certo senso…sì, quando sono uscito dalla cucina ti ho vista addormentata sul signor Smith”
“Scusa un attimo… Signor Smith? Lo hai detto anche prima, ma allora…”
“Esatto, l’uomo di cognome fa Smith, di nome John. John Smith e ribadisco: tu ti sei addormentata sopra di lui. Non mi stupisce il fatto che si sia svegliato di colpo”
Emily d’impulso arrossì e cercò di nascondere l’imbarazzo affondando la faccia nella tazza, mentre Cristian sogghignava divertito.
“Oh, andiamo! Non è poi così grave! Pensa che persino lui si è messo un po’ a ridere. Anche se dopo è diventato inaspettatamente serio”
è diventato? Significa che non è più qui?”
Cristian annuì finendo di bere il suo caffè americano “Sì. Dopo che ti ha messa sul divano abbiamo fatto colazione insieme in cucina. Ah, a proposito! Mi ha confermato che lui effettivamente è inglese, ma vive qui in Italia da un bel po’! Difatti parlava un perfetto italiano con in più l’accento milanese! Mi ha risparmiato un sacco di figuracce!”
“Davvero?”
“Già!”
Emily rispose con un sorriso all’entusiasmo dell’amico, ma tenendo per se la delusione per non averlo incontrato da cosciente. Delusa? Lei stessa se lo stava chiedendo perché si sentisse in dovere di conoscerlo, eppure non poteva fare a meno di pensarci.
C’era qualcosa che l’attirava in lui; non era tanto il suo aspetto- anche se doveva ammetterlo, era piuttosto carino - ma più il come si fosse ritrovata nel cratere con lui.
Da parte sua si sentiva ridicola, ma invece di pensare che fosse un poveretto che si era sfortunatamente trovato lì in mezzo come lei, Emily aveva come la sensazione che non fosse accaduto per caso.
 “Ha detto di essere un professore di fisica”
“Cosa?”
“E già. In effetti vestito con quel farfallino sembrava un professore”
“Non ti ha detto nient’altro?”
“No. Ci ha solo ringraziati dell’aiuto”
“Ah capisco. Beh, pazienza”
“Dimmi te piuttosto”
“Eh?”
“Prima dicevi di aver sognato di essere in una fabbrica. Davvero uno strano sogno”
“Ah, quello… Lascia perdere. Dopotutto è stato solo un sogn-… ehi!”
Alzatasi dal divano Emily si portò velocemente le mani alle orecchie. Nel salotto rimbombò uno strano ronzio acuto che fece trasalire entrambi.
Emily sentì qualcosa di freddo vicino al suo piede destro e abbassato lo sguardo, notò uno strano oggetto simile ad una torcia con all’estremità una lampadina verde.
 “Che è stato?” chiese Cristian nervoso, aggiustandosi gli occhiali sul naso.
“Non lo so, ma penso che sia stato questo coso qui” Emily raccolse il curioso oggetto e iniziò a girarselo tra le mani “Sembra una torcia”
“Guarda, li ci sono dei pulsanti”
Poco più in alto del manico in pelle nera della cosiddetta torcia, c’erano un paio di pulsanti dello stesso colore. Un po’ esitante Emily avvicinò il suo pollice destro a uno di essi e lo premette con decisione: la lampadina verde subito s’illuminò e l’oggetto emise un trillo acuto. Il televisore del salotto si spense sotto gli occhi increduli dei due ragazzi.
“Wo! Ma come hai fatto!? Forte!”
“Guarda che io non ho fatto proprio niente!”
“Questa è roba da Star Trek! Fammi provare!” Cristian sfilò dalle mani di Emily la torcia dalla forma ambigua.
“Vedi di fare attenzione, Cris! Magari é del signor Smith”
“Deve essere uno strumento elettromagnetico che usano i fisici. Accidenti! Forse faccio in tempo a cambiare facoltà all’università! Che cosa fa quest’altro pulsante?”
“Io non penso che sia una buo-…”
Fu troppo tardi. Il guaio era fatto: la torcia emise un trillo ancora più acuto e le lampadine nel salotto iniziarono a scoppiare provocando delle scintille.
“Oh! Cris spegni quel coso, ora!”
Cristian subito tolse il pollice dal pulsante guardandosi attorno disorientato. Il tavolo sotto il lampadario di cristalli era ricoperto di bulbi e pezzi di vetro.“Oh, cavoli…”
Oh cavoli un corno! Mio padre mi ucciderà!”
“Nessun problema! Posso chiedere un giorno di permesso dal lavoro. Oggi pomeriggio andrò dal ferramenta e riparerò tutto!”
“Sarà meglio restituirglielo”
“Cosa?”
“Non è mio, non è tuo; figuriamoci se è di mio padre! Vado a cercare quel John Smith”
“Eh? Cercare? A Milano?”
“Non ho scelta e poi ho tutto il giorno” Emily lesse l’orologio sopra la porta della cucina: erano le undici e sette.
“E’ inutile che vada a scuola per un’ora. In conclusione: vado a cercarlo” la ragazza si riprese velocemente dalle mani di Cristian la torcia.
“Asp-… Emi!”
Ormai era decisa, doveva assolutamente trovarlo e questa volta Cristian non le avrebbe fatto cambiare idea. Aveva tante domande che necessitavano delle risposte.
Salite le scale Emily prese al volo un paio di calze e una giacca col cappuccio per poi correre giù all’ingresso.
“Ma non vuoi nemmeno fare colazione?” tentò l’amico dal salotto.
“No, il caffèlatte è bastato. Ci vediamo più tardi!”
Neanche il tempo di dire un semplice ciao, che Cristian sobbalzò allo sbattere della porta d’ingresso, facendo cadere a terra uno dei dodici bulbi.
Mentre scendeva le scale Emily tenne stretta nella mano destra la misteriosa torcia sorridendo, non curandosi dell’ombra dietro di lei che la seguiva silenziosamente.

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Capitolo 5
*** Brutto presentimento ***


“Come se delle sparizioni non fossero abbastanza, ora ci si mette anche il trucchetto di una troupe cinematografica… Assurdo”
“Però è davvero strano… Guarda questo rapporto! I testimoni oculari hanno affermato tutti la stessa cosa” L’ufficiale Manforti allungò al collega Dimatri una lunga lista di nomi con a fianco due righe di testimonianze. Anche se dette con parole diverse, il tema era lo stesso; una sfera che provoca un terremoto  e forma una grossa voragine sulla piazza della stazione Centrale.
Dimatri sbuffò scocciato e firmò il foglio prima di infilarlo nell’apposita cartelletta dei rapporti.“Questa storia è sulla bocca di tutti. Ci sono persino i turisti che si mettono a fotografare la zona…. Ehi voi!” urlò ad un paio di ragazzi tedeschi  muniti di fotocamere“ State lontani dal nastro segnaletico!”
“Ho appena ricevuto un messaggio dalla pattuglia di Gianfranco”
“Ah sì? E che ha detto?”
“Un altro negozio di alimentari è stato parzialmente svaligiato, e come al solito le telecamere di sorveglianza non hanno segnalato nulla”
“Ancora? Ma che cos’ha Milano in questi giorni?! Questi casi superano di gran lunga gli omicidi!”
“Ehi ehi, vacci piano. Saranno pure dei casi assurdi ma non fino a questo pun-… Ehi… ma quello che fa lì in mezzo?”
Manforti, che era appoggiato sul cofano della vettura, si alzò strabuzzando gli occhi verso il centro della piazza duca d’Aosta, distinguendo un uomo castano in giacca di tweed marrone e con un farfallino rosso bordeaux.
“Ehi tu, col farfallino! Non puoi stare lì!”
L’uomo si rivolse all’ufficiale roteando gli occhi.
“Cos’è, sei sordo?”
Di nuovo lo ignorò, questa volta sorridendo e scrollate le spalle, schioccò le dita. Manforti si alzò la cinta e si sistemò il cappello deciso ad avvicinarsi “Quello ora passerà dei guai”
Superato il nastro bianco e arancione, Manforti camminò verso l’uomo che ancora sorrideva “Senti, se non vuoi problemi ti conviene sparire da qui, hai capito?”
“Oh, ma certo” disse l’uomo con estrema calma e una punta d’ironia “non si preoccupi. Sparisco immediatamente
D’un tratto tutta la spavalderia dell’ufficiale venne sostituita con una bocca aperta e gli occhi spalancati. Ancora stentava a credere a ciò che aveva appena visto e continuò a strofinarsi gli occhi scettico.
Non c’era più. L’uomo castano era sparito veramente.
 “Ma che diavolo…”
Ripresosi dallo shock Manforti chiamò Dimatri a gran voce.
“Ehi, ma cosa è successo?”
“Non lo hai visto?! Quel tizio! E’ sparito!”
Il collega squadrò Manforti disorientato “Mi spiace, ma… ti giuro che non ho visto proprio niente. Ero convinto che lo avessi mandato via”
“No! Ti sto dicendo che lui si è volatilizzato! Ha fatto un passo in avanti e…”
All’improvviso i cappelli dei due carabinieri vennero spazzati via da una corrente d’aria accompagnata da un strano rumore sordo, difficile da descrivere, ma anche molto fastidioso che obbligò i due a coprirsi le orecchie.
Solo quando nella piazza ritornò il silenzio, poterono finalmente tirare un sospiro di sollievo.
 
Emily si concesse qualche minuto per riprendersi dalla corsa. Sotto il passamontagna il suo respiro sapeva ancora di caffèlatte, il sudore le colava fredda dalla fronte fino al collo, per non parlare della sauna che stava facendo sotto la sua giacca: in quel momento si accorse di essere una vera stupida.
Quale idiota si metterebbe a cercare una persona in una città come Milano? Oh, certo; lei.
La ragazza si guardò attorno seguendo con lo sguardo persone su persone che camminavano veloci per le strade e le vie. Si mise persino a guardare nei taxi e nei vagoni dei tram, ma niente; nessuna giacca di tweed in vista.
Con uno sbuffo Emily scosse la testa “Oh, ma che diamine sto facendo… è impossibile trovare qualcuno così”
Alzato lo sguardo verso il cielo bianco ricoperto di nuvole grigie, una goccia fredda le piombò dritta sulla fronte e subito dopo ne seguirono velocemente altre cento, poi mille.
“Oh, fantastico!” disse scocciata tirandosi su il cappuccio “Ci mancava solo la pioggia…”
“ E’ sempre meglio portarsi l’ombrello in questo periodo, my dear
Presa alla sprovvista Emily fece un piccolo salto di lato voltandosi verso la voce, ma subito rilassò i muscoli vedendo che era Mrs Alba.
“Oh, salve Mrs Alba”
Good morning, Emily” disse la donna invitando la ragazza sotto il suo ombrello lilla.
“Lei… cosa ci fa qui?”
“Oggi avevo solo le prime due ore. And you?”
Emily si morse il labbro inferiore, cercando di evitare lo sguardo della professoressa sorridente. In quel momento Emily era incapace di parlare o spiegare razionalmente, perché per ovvio di cose in quegli ultimi due giorni niente poteva essere considerato razionale. Dalla sfera allo strano ospite in casa; lei proprio non sapeva da dove cominciare.
Doveva assolutamente trovare una scusa, e in fretta.
“Beh, ecco…”
Oh my goodness!”
“Eh?”
La mano guantata di nero di Mrs Alba prese delicatamente il braccio destro di Emily e tirata su la manica della giacca militare, la ritrasse per portarsela alla bocca “Cosa sono tutte queste bende? Hai avuto un incidente?”
“Beh, ecco… sì. Un qualcosa del genere”salvata dalle bende, pensò la ragazza.
“Ora capisco perché non sei venuta a scuola oggi. Ma sono felice che tu stia bene. Anna sarà felice di saperlo”
Emily alzò di scatto gli occhi spalancandoli verso quelli sereni di Mrs Alba “Anna? Quella Anna?”
Yep. Era molto preoccupata per te oggi”
“Ma non mi dica…” disse sarcastica la ragazza.
“Oh, ti prego Emi. Non fare così”
“Mi creda Mrs. Alba. Io la conosco meglio di lei”
“Magari non abbastanza” mrs. Alba posò su Emily un bel sorriso comprensivo, come solo lei era capace; un sorriso in grado di rincuorare persino qualcuno come lei.
“Può darsi di sì. Può darsi di no”
Arresasi all’idea di cercare l’uomo, Emily decise di fare una passeggiata con l’insegnante. Il pungente odore delle foglie bagnate le accompagnavano assieme alla pioggia battente sull’ombrello: una meravigliosa combinazione che rilassava entrambe.
“L’autunno è davvero una stagione fantastica”
“Sì. Davvero una bellissima stagione”
“Dimmi, Emi. Come sta tuo padre?”
“Bene. Ora è ad una riunione a Roma. Ma conoscendolo tornerà a Milano non prima di un mese”
“Oh, capisco. Certo che fare l’archeologo non è per niente facile”
“Già, ma ha i suoi vantaggi”
I know. I tuoi voti di storia sono impeccabili”
“ Sì, lo confermo”
“Modesta come sempre”
Alunna e insegnante risero all’unisono passando davanti al castello Sforzesco e continuarono a camminare e a chiacchierare.
“Come stanno i gemelli, Mrs Alba?”
“Oh, stanno molto bene! Crescono come funghi! Li vuoi vedere?”
“Mi piacerebbe!”
Mrs Alba tirò fuori dalla sua borsa nera un portafogli viola firmato Harrods, dove vi tirò fuori a sua volta una fotografia: su un letto matrimoniale dalle lenzuola verde acqua c’erano tre facce sorridenti, una barbuta e squadrata del marito Salvatore e due grandi due terzi della prima dei due piccoli Jack e Jeff.
“Oh, ma quanto sono belli! Che bei riccioli castani!”
“Già, tutto loro padre! Sono due piccoli angioletti with horns” disse ridacchiando Mrs Alba “ Ma sono la mia vita”
“E’ davvero un’ottima mamma”
“Oh, thank you dear. Anche tuo padre è un ottimo genitore. E’ ovviamente lo era anche tua madre”
A quelle parole Emily d’impulso sorrise continuando ad osservare la fotografia. Per un solo istante le immagini di Salvatore e dei gemelli nella sua mente vennero sostituite da una delle foto sul comò del suo letto, ma subito distolse lo sguardo per poi restituire la foto.
“Davvero una bella famiglia. Complimenti”
Mentre si riprendeva la foto, Mrs Alba sorrise dolcemente e stampò un bacio sulla fronte di Emily. Quest’ultima, trattenute le lacrime, sorrise a sua volta.
She’s always with us, Emi
I know
Entrambe si presero per mano continuando a camminare. Ridevano e scherzavano, parlando di cose che solitamente in un rapporto tra uno studente e un insegnante non si vedeva spesso; Mrs Alba per Emily era come una sorella maggiore, era un’amica di famiglia di suo padre sempre presente in ogni situazione. Lei era l’unica che sapesse come Emily era fatta ed era l’unica a sapere come gestirla.
Ad un tratto Emily si fermò di punto in bianco, lasciando Mrs Alba tre passi avanti a lei, smise di sorridere e aggrottò la fronte. Aveva un brutto presentimento.
“Emi! Non stare lì che sta ancora piovendo”
Emily guardò Mrs Alba senza rispondere. Si sentiva strana, come se qualcosa in quel momento era fuori posto, e ciò la infastidiva molto. La confusione della folla? Il fastidioso scrosciare della pioggia? No. il problema non era il rumore, ma più il silenzio che calò in quello stesso istante.
“Strano…”
What?
“ Non lo sente, Mrs Alba?”
L’insegnante tese l’orecchio in ascolto “Ma… io veramente non sento niente”
Emily sgranò ancor di più gli occhi e annuì tremando“Appunto”
“Emi, io non capisco cos-… oh…” Mrs Alba iniziò a guardarsi attorno trepidante: c’erano macchine, tram e pullman, ma senza nessuno che li guidasse, senza contare delle strade inaspettatamente vuote. Mrs Alba posò due occhi preoccupati su Emily che era altrettanto spaventata.
“E c’è dell’altro” disse la ragazza indicando il cielo “Non sta piovendo”
Abbassato l’ombrello la donna alzò lo sguardo e fissò il cielo azzurro privo di nuvole con gli occhi spalancanti. Squadrò anche l’asfalto sotto i suoi piedi ancora più sconvolta e incredula, sicché era perfettamente asciutto.
“Emi… che succede?” disse con la voce tremante.
“Io… davvero non lo so”
“Emi…” All’improvviso Mrs. Alba lasciò cadere l’ombrello e con il terrore negli occhi indietreggiò di almeno cinque passi indicando le spalle di Emily “ scappa!”
La ragazza sentì su di sé un pesante respiro  simile a quello di un animale selvatico che la fece rabbrividire, seguito poi da un ringhio minaccioso.
Un po’ esitante Emily si girò lentamente e quattro occhi rossi incandescenti la fissavano profondi nell’anima.

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Capitolo 6
*** I'm sorry ***


Emily non riusciva a staccare gli occhi da quella densa cortina di fumo nero. Per non parlare di quei quattro grossi occhi rossi di chissà quale bestia: erano così penetrati nei suoi a tal punto che Emily non riusciva a sbattere le palpebre neanche volendo. Ma la cosa che più le importava in quel momento non era tanto quell’essere o la Milano fantasma attorno a sé e questa cosa altro non era che una semplice parola: perché.
La ragazza si chiedeva perché una creatura del genere potesse fare tutto ciò, perché le stesse seguendo e perché era lì.
Nella sua testa tutte quelle domande parevano sensate e ben mirate, ma solo dopo l’ennesimo perché si accorse del contrario.
Il vero problema non era il perché, ma tanto il cosa avrebbero dovuto fare ora, lei e Mrs Alba, se non continuare a scappare?
“Emi, please! Non posso tenerti su il braccio per sempre!”
Come svegliatasi da un sogno Emily scosse la testa disorientata e sentì una lieve fitta di dolore al braccio destro: erano le unghie di Mrs Alba, saldamente conficcate nel suo arto.
Senza accorgersene entrambe stavano correndo più veloci che potevano per sfuggire alla creatura misteriosa alle calcagna. Era tremendamente veloce ed era sul punto di raggiungerle.
Ripreso il controllo, Emily si staccò dall’insegnante e la prese per mano e allungò il passo inducendo la donna a cercare di starle dietro.  Iniziarono a svoltare per diverse vie e attraversare strade trafficate da macchine e tram vuoti.
Mrs Alba ad ogni passo si lamentava facendo delle smorfie e lanciando delle occhiate ai suoi piedi ormai rossi e gonfi.
“Emi… non troppo veloce!” disse con la voce rotta da pesanti sospiri “ Con questi tacchi… correre non è per niente facile, sai?”
“Cerchi di resistere!” proferì Emily freddamente
“Dobbiamo in qualche modo raggirarlo!”
How?”
Emily cercò invano delle parole rassicuranti per la sua insegnante, ma l’unica cosa che riuscì a dire fece tutt’altro che incoraggiarla.
“Non lo so, mi dispiace” disse semplicemente “ Ciò che possiamo fare è continuare a correre”
 
Colpito un paio di volte il buon vecchio saldatore, una bella fiamma fece sorridere l’uomo e velocemente la passò su dei tubi di ferro, giusto per assicurarsi che fossero ben fissati. Il forte odore di metallo bruciato lo infastidì a tal punto che ad ogni saldatura dovette fermarsi per riprendersi dalla puzza.
Diede un’occhiata anche al piccolo pannello provvisto di cinque grossi pulsanti rossi , una pratica tastiera numerata e sistemò per l'ultima volta l'enorme antenna a forma di zeta.
“Ecco fatto! Così dovrebbe andare!”
 Battute le mani soddisfatto, l’uomo alzò lo strano apparecchio a forma di tetraedro costruito in soli venti minuti  con diversi scarti di elettrodomestici e computer trovati nell’immondizia e si avvicinò alla porta del suo laboratorio: prima di uscire, lanciò un ultimo sguardo al suo tavolo di lavoro sporco di riccioli di ferro e olio, e ai suoi attrezzi abbandonati sul pavimento polveroso.
Questi sorrise scuotendo la testa e dandosi dell’idiota. Per un istante pensò a cosa stesse facendo e perché.
Ma forse , pensò lui, i veri quesiti non erano di per sé quelli, ma tanto il tempismo con cui si era deciso ad agire. Sì, perché lui sapeva cosa stava accadendo. Lo aveva sempre saputo.
Sto davvero invecchiando, pensò alla fine, continuando a sorridere.
“Tu sapevi che sarebbe successo” disse con una voce profonda e malinconica, con lo sguardo verso il tetto.
“E ancora pensi che cambierò?”
Quasi come se aspettasse una risposta, l’uomo rimase davanti alla porta spalancata ancora un po’ per poi annuire.
“Già, certo…”
Guardato il suo orologio da polso dorato, l’uomo uscì frettolosamente chiudendo dietro di sé l’uscio.
Il tempo stringeva. Doveva sbrigarsi.
 
Sia Emily che Mrs Alba avevano perso la cognizione del tempo. Non sapevano ben dire da quanto stessero correndo, ma sentivano che ormai erano al limite della sopportazione, mentre la cortina di fumo era ancora dietro di loro instancabile.
Per Emily era inutile chiedersi perché mai una creatura del genere dava la caccia alle donne, dal momento che non sapeva di cosa si trattasse: e se fosse un sogno, tentò lei. Un pensiero molto rassicurante ma che purtroppo dovette subito cancellare, sicché il dolore sul suo braccio destro bendato era vero.
D’un tratto Emily si sentì stranamente il braccio sempre più leggero e giratasi verso Mrs Alba, la vide staccarsi da esso e rallentare gradualmente.
“No, Mrs Alba! Avanti dobbiamo continuare a correre!”
“Io.. proprio non c-…”
All’improvviso Mrs Alba si accasciò a terra con una mano sulla caviglia destra e con il volto contorto dal dolore. Emily dallo spavento si precipitò da lei.
“Mrs Alba! Che le è successo?”
“La… scarpa… si è staccato il tacco”
Vicino alla donna Emily notò il piccolo rialzo della scarpa laccata di nero conficcato in un crepa dell’asfalto.
“La mia caviglia… credo che si sia slogata”
“No, Mrs Alba! Non si può arrendere così! Venga, si regga a me!”
Delicatamente Emily sfilò le scarpe dai piedi dell’insegnante e avvolse al suo collo il braccio sinistro di lei.
“Su, coraggio!”
“Ahi! Fa… troppo male. Ti prego lasciami qui”
“Mai!”
Uno spaventoso ruggito fece trasalire Emily e Mrs Alba. Girata la testa, entrambe scrutarono lontano vicino al tram che avevano appena passato. Ed eccola lì, furiosa e famelica più di prima a soli duecento metri di distanza da loro, che sollevava a due a due delle macchine lanciandole sulle vetrine vicine.
“Forza Mrs Alba! Si sbrighi!”
“Io.. non…”
Mrs Alba ormai era sul punto di arrendersi. Quasi rimase sconvolta a quel pensiero, lei che solitamente era forte di spirito, sempre pronta ad agire, ma ora non sapeva più cosa fare. Si sentiva debole e incapace di rialzarsi: una sensazione nuova per lei.
Chiusi gli occhi, la donna cercò di focalizzare la sua mente sulle facce sorridenti di suo marito Salvatore e dei suoi due piccoli terremoti Jeff e Jack. Si concesse un piccolo sorriso, prima di riaprire e sgranare gli occhi.
Un altro ruggito. La creatura era ormai a dieci passi da loro,e ancora non erano riuscite a muoversi per colpa della slogatura di Mrs Alba.
“Oddio, Mrs Alba! Dobbiamo sbrigarci! Si appoggi bene a m-…”
I’m sorry, Emi
“Eh?”
Successe tutto in un attimo. Forse cinque o anche solo tre secondi, ma che agli occhi di Emily fu come trovarsi  in una scena di un film al rallentatore, in una scena lunga almeno due minuti.
 Con le sue ultime forze Mrs Alba aveva spinto Emily lontana da lei di circa mezzo metro, lasciandosi poi  cadere a peso morto. La creatura si era subito lanciata su di lei, inerme e sorridente, inghiottendola dentro di sé ansimando, mentre Emily ancora cadeva all’indietro con gli occhi gonfi di lacrime.
“No!!!! Mirs Alba!!!”
Quell’urlo disperato attirò l’attenzione della bestia che caricò prima di partire all’attacco, ma qualcosa sembrò bloccarla, facendola restare dov’era e ringhiò furiosa, come se fosse spaventata da qualcosa.
“Mrs Alba!!”
Invano la ragazza urlò il nome della sua insegnante quando inaspettatamente sentì una mano afferrarle il braccio sinistro che la strattonò all’indietro. L’immagine di quegli occhi rosso sangue, della cortina di fumo man mano svanirono e vennero sostituiti dall’enorme opera d’arte a forma di ago posta nella piazza di Cadorna.
“No!! Mrs Alba!! Mrs Alba!!”
In preda alla disperazione Emily urlò a gran voce e due braccia virili subito la circondarono, con l’intento di impedirle di raggiungere la ormai perduta Milano fantasma.
La ragazza ancora si divincolava cercando di liberarsi dalle braccia, ignorando la pioggia battente e la voce maschile dietro di lei che cercava di calmarla.
“Ehi, stai buona! E’ tutto finito!”
Emily scuoteva la testa e piangeva. Non poteva crederci, non voleva crederci. Lei era lì,vicino a lei: poteva salvarla, pensava. Poteva salvarla.
“No!! no!! Mrs Alba!”
“Ti prego, stai zitta! Così attiri l’attenzione!”
“Dobbiamo salvarla! Dobbiamo salvare Mrs Alba!”
Adesso ascoltami bene!
Controvoglia Emily smise di muoversi e di urlare, come fosse sotto l’effetto di un incantesimo e due grandi mani a lei familiari si posarono sulle sue guance bagnate. Due occhi marroni sfumati di verde erano fissi nei suoi e un lungo ciuffo castano bagnato le sfiorò la fronte.
Era lui. Era l’uomo che Emily cercava tanto. Era John Smith; con la sua giacca di tweed, le sue bretelle rosse e il farfallino bordeaux.
“Lei ormai è stata presa”
Emily cercò di scuotere la testa senza riuscirci.
Non c’è più” continuò la voce.
Il volto di Emily a quelle parole divenne inespressivo, come quello di una bambola e le lacrime ripresero a scendere copiosamente sulle guance.
Accarezzati i capelli di Emily, l’uomo la strinse forte a sé. Quest’ultima ignorò quell’atto di compassione e un cinque o sei persone che si avvicinarono a loro. Con gli occhi spenti e rassegnati, Emily fissò il tacco rotto della scarpa di Mrs Alba abbandonato lì, sotto la pioggia, tra i piedi di quella folla a lei ipocrita.
 
 
ANGOLO DELL’AUTRICE:
Sono decisamente in ritardo… ho avuto parecchio da fare in questi giorni tra interrogazioni, verifiche e quant’altro… un vero incubo….
Non so quando arriveranno i prossimi se a scuola mi continueranno a bastonarmi, ma… spero di aggiornare il più presto possibile…
A mio parere non l’ho scritta un granché bene… perciò vi chiedo il favore di segnalarmi qualsiasi tipo di errore!! Grazie!!
Detto questo, grazie per aver letto il capitolo e alla prossima!!
 
Cassandra

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Capitolo 7
*** Dimenticare ***


Con le dita raggrinzite come delle  prugne, Emily allungò la mano verso il tavolino davanti a sé.
La ragazza seguì con l’ indice destro le linee sinuose delle parole: Sono andato dal ferramenta, così diceva il foglietto ingiallito scritto in rosso e firmato da Cristian.
Riappoggiatolo sul tavolino, Emily si raggomitolò nell’asciugamano portandosi le ginocchia al petto, dove vi affondò la testa coi capelli ancora gocciolanti.
Di nuovo si lasciò andare in un piccolo pianto disperato, con nel cuore un grosso peso, un profondo senso di colpa che già una volta aveva provato, ma che sperava ardentemente di non provare mai più. Ricordava perfettamente l’ultima volta che pianse così amaramente e senza controllo, e quella volta fu il giorno in cui sua madre morì.
Si era ripromessa di non piangere più, che suo padre non si sarebbe più preoccupato per lei e così successe. Il giorno dopo era ritornata la ragazza orgogliosa, che non si curava di ciò che la gente pensava di lei e di quella stessa gente.
Ma ora era lì, che piangeva di nuovo, dopo aver passato tre anni della sua vita a schermare quel suo lato così diverso da quello che appariva. Ora si sentiva più vulnerabile che mai.
“Mrs Alba…”
Emily fece in tempo a dire mi dispiace, prima che la porta della cucina si spalancasse di scatto. Ne uscì in tutta fretta John, ancora alle prese con il telefono di casa, che iniziò a gironzolare per il salotto.
Velocemente la ragazza si coprì il volto con l’asciugamano, mentre l’uomo-farfallino terminava la sua telefonata con un carabiniere.
“Vi ringrazio per la vostra collaborazione e portate i nostri saluti ai familiari, arrivederci e buona giornata”
Premuto il tasto rosso di chiusura, John sbuffò arruffandosi i capelli ancora bagnati e appoggiò il telefono sulla tavola da pranzo, disseminata da bulbi e vetri rotti.
Lui rimase a fissarli per un po’, con la tentazione di prenderne uno in mano, ma subito distolse lo sguardo e lo pose su Emily che palesemente cercava di evitarlo.
John si avvicinò cauto al divano sedendosi sul bracciolo lontano da lei.
“Ho avvisato i carabinieri” disse con voce ferma.
“Ho denunciato la scomparsa della tua insegnante. Alba Brown, dico bene?”
Emily aspettò un po’ prima di rispondere, finché non disse un cupo e distaccato.
“Da quel che sei riuscita a dirmi sul pullman lei era felicemente sposata e con due figli. Gemelli per di più”
Questa volta annuì soltanto, sempre senza degnargli di uno sguardo.
“Beh, c’è da dire che era piuttosto giovane” disse John scuotendo la testa “ Un vero peccato, era davvero molto carina”
“Si può sapere che problemi hai?”
Qualcosa dentro Emily si ruppe. Sentì improvvisamente un impeto di rabbia, una voglia innata di picchiare qualcuno, ma più di chiunque altro quell’idiota di un professore di fisica che si trovava davanti.
La ragazza uscì allo scoperto levandosi l’asciugamano. I suoi occhi non erano più rossi e gonfi come prima, era come se le lacrime si fossero ritratte all’improvviso assieme a quella tristezza, lasciando posto alla vera Emily.
“Te lo hanno mai detto che il tuo modo di parlare è davvero irritante? Ti senti tanto grande con quel tono da saputello! Ma guardati! Vestito così sei solo una brutta copia di Mr Bean! Professore o no, anche se mi hai salvato la vita, tu non hai nessun diritto di parlare così di Mrs Alba! ”
John lasciò che Emily si sfogasse del tutto prima di poter parlare.
Senza accorgersene Emily si era alzata ed era davanti all’uomo. Quest’ultimo inarcò un sopracciglio accennando un sorriso compiaciuto.
Touché” disse semplicemente.
Quella parola lasciò spiazzata Emily che riuscì solo a sbattere freneticamente le palpebre. Touché? Non c’era tanto da meravigliarsi; era una parola francese che significava toccato,usato nella scherma per confermare un colpo di spada o anche per indicare l’esattezza di una risposta in una discussione,ma in quel momento entrambi i significati non centravano nulla.
Come sciolta da un incantesimo, Emily si sentì libera da qualcosa. Era improvvisamente serena.
Un secondo dopo Emily formulò nella sua testa una domanda: che cosa aveva appena fatto?
“Ma… un momento… tu non hai…”
John sorrise
“Esattamente”
Emily si portò una mano davanti alla bocca spalancando gli occhi.
“La tua voce era del tutto normale. Non hai detto niente di… strano, eppure io…”
L’uomo si alzò e fece risedere Emily, sedendosi a sua volta vicino a lei.
“Beh, è il trucco del mestiere”
Emily lentamente si girò verso John e lo fissò negli occhi, mentre lui le sorrideva tranquillo.
“Tu… non sei un professore di fisica. Vero?”
Quasi come se avesse sentito una barzelletta, John ridacchiò piegandosi persino in due. Emily fu l’unica a rimanere seria e in silenzio, in attesa di una risposta.
“E sentiamo, da dove lo avresti capito? Dal mio distorsore della realtà?” disse indicando il curioso apparecchio a forma di tetraedro vicino all’ingresso, con tanto di antenna.
Emily aprì la bocca per parlare ma si fermò, appena vide la mano di John davanti ai suoi occhi.
“Sì, sì… Domanda stupida. Direi che l’hai capito perfettamente da quello”
“Che cosa mi hai fatto?”
“Oh, ma guarda. Cambi subito argomento, ti adatti in fretta, vero?”
“Sai che non è così. Tu mi hai fatto qualcosa. Vorrei tanto ammazzarti di botte ma non ci riesco. Ora rispondimi”
“Ho semplicemente fatto in modo che scaricarsi tutto quello stress addosso”
Emily lo fissò senza capire.
“Il punto è che dentro di te avevi un enorme senso di colpa che induceva a farti credere che fosse colpa tua. Ma non è così. E’ stata la tua insegnante a deciderlo, ti ha spinta lei”
Emily rievocò con amarezza quel momento. I’m sorry, così le aveva detto prima di spingerla per poi venir inghiottita dalla bestia informe. Ricordò l’espressione di Mrs Alba, i suoi occhi che non erano fissi su di lei. Ora tutto le fu chiaro.
“ Lei ti aveva visto. Tu eri dietro di me”
John annuì.
“Esatto”
La ragazza abbassò lo sguardo per riorganizzare le idee.  C’era decisamente qualcosa che non andava e ciò la infastidiva, più di quanto non lo fosse nella Milano fantasma.
“No. Non ha alcun senso. A questo punto potevamo salvarla”
“Invece no”
“ Come sarebbe a dire?”
Emily non si aspettò di dirlo con tanta calma. Nella sua testa le suonava più da madre incavolata con il proprio figlio per aver lasciato la camera in disordine.
“Non l’avremmo salvata perché quel varco poteva far passare solo una sola persona” disse John con freddezza.
“Credevo che fossi solo tu quella che inseguiva, non pensavo di certo che ci fosse pure lei in mezzo”
Emily non sapeva più cosa dire se non chiedergli le stesse cose, e ancora non riusciva ad arrabbiarsi o a reagire come vorrebbe.
Ad un certo punto John si alzò dal divano, si avvicinò alla giacca militare di Emily e dalla tasca prese la strana torcia dalla punta verde. Assicuratosi che funzionasse premendo una volta il pulsante, se lo infilò nella tasca interna della sua giacca.
“Assomiglierei a Mr. Bean, dico bene? Beh, la faccia da perfetto ebete ce l’ho. Soprattutto in questi giorni”
“Tu chi sei veramente?”
John era sul punto di dirigersi alla porta d’ingresso  quando si fermò di punto in bianco, girato di spalle.
Emily si alzò dal divano avvicinandosi a lui.
“Ha importanza?”
“ Tu sai che razza di creatura era quella cosa, dico bene?”
“Sai? Ragazza mia, dovresti usare un passato in questo caso, perché…”
“Mrs Alba non è morta”
John soffocò una risata nervosa.
“Oh, e sentiamo. Questo che cosa te lo fa credere?”
“ Beh… perché…”
Emily si morse il labbro inferiore strofinandosi il braccio destro. Perché sapeva che Mrs Alba non era morta? Già. Le sarebbe piaciuto saperlo. Tutto il coraggio che aveva due secondi fa si dissolse in un attimo.
“Non lo sai, vero?”
“Io…”
Inaspettatamente John si girò e appoggiò le mani sulle spalle della ragazza che cercava di tenere lo sguardo più basso che poteva.
“Segui il mio consiglio, ragazzina: vivi la tua vita. Tu non c'entri in questa storia, pensa al liceo, allo studio, agli amici, alla pubertà, a tutte cose che normalmente gli esseri umani fanno”
“Che vuoi dire?”
Dimenticati di tutto. Della creatura, della scomparsa della tua insegnante e soprattutto di avermi incontrato. Dimenticati
“Ma…”
“E se come il tuo amichetto mi ha raccontato bene, tu sei una ragazza molto sveglia e intelligente – di sicuro più intelligente, visto che svegli sono tutti capaci di esserlo- , so che li seguirai”
Agli occhi di Emily era come ritrovarsi davanti ad uno specchio. Mai avrebbe immaginato di trovare qualcuno capace di parlare nel modo in cui lei era solito rivolgersi ad Anna o qualunque altra persona. Era una sensazione così strana trovarsi in quel punto di vista così diverso.
Ma ciò non l’avrebbe fermata.
“…parsa”
“Come dici?”
Emily alzò finalmente lo sguardo guardando dritto negli occhi l’eccentrico professore, alla ricerca di una piccola luce di speranza.
“Tu hai detto ai carabinieri che è scomparsa. Che senso ha denunciare una scomparsa se tu mi stai dicendo ch-…”
“Decisamente troppo intelligente”
Emily non ebbe neanche il tempo di finire di parlare, che John aveva già spalancato il pesante portone, dopo quattro giri di chiave.
“Stammi bene Emily Creek. Grazie di nuovo per tutto”
Nessun ma o aspetta raggiunse l’uomo, che ormai era corso velocemente verso le scale. Emily rimase ancora un po’ con il braccio teso, intenzionata a prenderlo per la giacca, che poi abbassò.
Si lasciò cadere in ginocchio sul pavimento freddo, che con i vestiti fradici pareva gelido.
Emily rimase a pensare alle parole dello strano professore ; o poteva semplicemente chiamarlo tizio col farfallino, visto che probabilmente non era affatto un professore.
Posò uno sguardo veloce all’apparecchio di metallo abbandonato sul tappeto. Avrebbe dovuto restituirglielo? No. Se lo aveva lasciato lì, pensò lei, probabilmente non gli serviva più. Dimenticare. Come avrebbe mai potuto farlo? Sapeva che nonostante tutto le fu assurdo, non avrebbe mai e poi mai dimenticato.
Indecisa sul da farsi, Emily rimase ferma lì, davanti all’ingresso, fino a quando  Cristian non ritornò dal ferramenta.

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Capitolo 8
*** Cambiamenti ***


Emily non ebbe neanche il tempo di entrare in classe,sicché si trovò sul collo le braccia di Anna. Il forte profumo di Abercrombie rischiò di soffocarla, per non parlare dei suo capelli che le impedivano di vedere dove stesse camminando.
“Emi! Sono contenta di rivederti! Stai bene? Niente di rotto?”
“Come puoi constatare, sto bene. Ma Anna… se continui così finisce che muoio sul serio”
Anna si staccò dalla sua tutor scusandosi, mentre quest’ultima riprendeva fiato.
“Oh… mi dispiace, davvero. Scusa”
“Ok, non importa. Cavolo, Anna… non ci siamo viste solo per due giorni. Neanche fossero stati due anni”
“Ecco… io ero davvero preoccupata per te. Ti ho scritto anche dei messaggio , ma non hai mai risposto”
“Ah,si?”
Emily si tastò la giacca alla ricerca del suo Samsung Galaxy Ace. Arrivata ai fianchi si ricordò di cosa gli fosse successo: era dal giorno dell’incidente alla piazza che non ce l’aveva. Che l’avesse perso? Dopo tutto quello che le era successo era la cosa più plausibile.
“Ehm, scusa… Mi sa proprio che l’ho perso…”
“Oh, capisco”
“No sul serio. Io avrei risposto! Sono successe un po’ di cose e perciò…”
“Lo so! Non preoccuparti! Me ne rendo conto” disse Anna sorridente “ Comunque l’importante è che stai bene! Sai, persino Jeremy si era preoccupato per te”
Emily aggrottò la fronte incredula, pensando per un solo momento a quella testa-a-caschetto di Jeremy.
“Jeremy? E perché mai?”
“Dico sul serio! A parte i professori, io e lui siamo stati gli unici a pensare a te. Più di una volta avevamo anche pensato di passare a trovarti, ma credevamo che fossi all’ospedale e…”
“Lui dov’è?”
“Ah, è alle gare di atletica, quelle al chiuso a Bologna”
Emily annuì abbassando lo sguardo e ricordandosi delle fatidiche gare a cui aveva più volte rifiutato di partecipare.
“Capisco”
“Ehi Emi” la voce di Anna si fece più calma
“Stai davvero bene?”
Emily sbottò un sorriso e annuì di nuovo
“Si, tranquilla. Sto bene”
“Tutti, me compresa, sanno di… Mrs Alba e io so quanto eri legata a lei” Anna prese per mano Emily “Mi dispiace”
Emily  rimase in silenzio con lo sguardo perso nel vuoto. Sentì le lacrime che erano sul punto di scendere di nuovo, ma con forza riuscì a ritrarle.
“Emi, io…”
“Sì”
Anna si zittì sbigottita, mentre Emi allargò un sorriso, uno di quelli che Anna vedeva raramente.
Quest’ultima sentì una scossa percorrerle il braccio destro e abbassato lo sguardo, vide Emily che le aveva preso l’altra mano e iniziò a stringerla.
“Emi?”
“L’ho capito solo ora. Io ci tengo alla tua amicizia”
Anna spalancò gli occhi. Quasi stentava a crederci, avrebbe voluto che qualcuno la schiaffeggiasse o le decise che non fosse un sogno, ma intanto la felicità dentro di se cresceva.
“Dici… dici sul serio?”
Emily mostrò un secondo sorriso a trentadue denti.
“Sì”
Anna non riuscì più a trattenersi e si lanciò nuovamente sulla sua tutor, ormai ufficialmente sua amica, che rispose all’abbraccio.
“Sono… sono così felice!”
“Oh, andiamo! Non ti metterai a piangere , vero?”
“Veramente io…”
“Su dai. Via quei lacrimoni, che ti si sbaverà il mascara” disse Emi asciugando coi pollici gli occhi di Anna “Fra un po’ inizia la lezione”
 
Driiiiiiiin
 
“Beh, detto fatto”
Entrambe le ragazze risero all’unisono e raggiunsero i loro banchi, pronte ad affrontare una lunga mattinata di cinque ore insieme.
 
“Il miglior giornale che ha, buon uomo”
L’omone dietro il bancone del chiosco abbassò il suo Corriere della sera e squadrò il curioso damerino col farfallino rosso davanti a sé con il sigaro acceso.
A prima vista gli sembrava palesemente un perfetto idiota, già vedendolo giocherellare con le sfere di neve in esposizione.
“Scelga quello che vuole”  disse riabbassando gli occhi sul quotidiano “Sono tutti uguali. Parlano della stessa cosa ormai”
“Ovvero?”
L’edicolante alzò di nuovo lo sguardo inarcando un sopracciglio.
“Parli sul serio?”
Lo strano cliente in tweed scrollò le spalle e alzò le mani come un ladro con le spalle al muro.
“Mai stato più serio”
“Delle donne scomparse! E’ da almeno in mese che a Milano non si parla d’altro!”
“Oh! Sì! Certo! Le cinque donne scomparse! Mi scusi, non sono di queste parti e sono appena arrivato. Sa, sono inglese e le notizie da qui arrivano di rado”
Rassegnatosi di non poter leggere in santa pace, l’uomo ripiegò il giornale e si sporse al bancone aggrottando la fronte.
“Inglese? Ma se parli un italiano perfetto. Hai persino un accento milanese e inoltre, questa è una notizia che tutto il mondo sa”
“Sono uno che impara in fretta e, detto fra noi, le sembro il mondo io?”
Assottigliati gli occhi, l’edicolante osservò il damerino dalla testa hai piedi fermandosi più sul farfallino e sulla giacca di tweed: ormai novembre si stava avvicinando e vederlo vestito in quel modo, o era pazzo, pensava lui, o semplicemente era lui quello che era troppo coperto- cosa molto improbabile, visto il tempo.
“Te l’hanno mai detto che sei strano?”
Aggiustandosi il bavero della giacca, l’uomo-farfallino sorrise.
“Non fanno che ripetermelo”
Corriere della sera. E’ quello più venduto” disse il giornalaio indicando con un dito una pila di quotidiani davanti a lui alla sua destra.
“La ringrazio. Quant’è?”
“Un euro”
Senza perdere tempo, l’ inglese prese il giornale, sfilò dalla tasca interna una banconota da cinquecento euro e lo pose sull’apposito piattino sul bancone.
Il sigaro cadde a fianco ai piedi dell’uomo che aveva aperto la bocca dallo stupore e che rischiò di cadere all’indietro dalla sedia.
“Grazie dell’aiuto e buona giornata”
“Ma che?! Sei pazzo?!”
“Oh, mi creda”
L’uomo in tweed strinse la mano dell’edicolante ancora scosso.
“499 euro sono l’ultimo dei miei pensieri”
Lasciata la mano, l’eccentrico cliente inglese se ne andò, con il giornale sottobraccio.
 
Anna.belbeauty@------.it
 
Emily rilesse più volte quel piccolo foglietto rosa strappato dal diario di Anna. Emanava ancora quel forte profumo che tanto odiava, ma che da quel giorno decise di sopportare.
D’impulso sorrise.
Si era divertita. Per la prima volta lasciò perdere gli stereotipi, i nomignoli stupidi e via dicendo, così da poter dire con Anna oggi ci sono stata più che bene.
Era buffo. Non avrebbe mai immaginato che Anna potesse essere una buona compagnia, nonostante fossero così diverse, ma in compenso scoprirono dopo tanto tempo di avere due o tre cose in comune.
Entrambe avevano ignorato gli sguardi attoniti dei compagni di classe e accolto i sorrisi dei professori.
Sì. Era davvero contenta. Ma pur essendo di buon umore, Emi dovette piegare il foglietto e rimetterlo in tasca.
Aveva cose più importati a cui pensare, domande che avevano bisogno di riposte.
Sperava che stando seduta sulle scale del Duomo potesse aiutarla a pensare, ma invano: il punto di domanda restava.
Chi era John Smith? Cosa faceva davvero? Cos’era quella creatura nella Milano fantasma? Come poteva Mrs Alba essere viva?
Emily si arruffò i capelli e scacciò quei pensieri fastidiosi sbuffando.
“Stupido John Smith! Stupido farfallino! Stupido… mentone!”
“Ahaha, mentone! Questa è buona! Anche se ammetto di averlo chiamato così un paio di volte!”
La ragazza subito smise di parlare, avendo sentito una voce femminile alla sua sinistra. Con la coda dell’occhio riuscì a distinguere un lungo impermeabile beige, un di quei cappelli da detective degli anni’30 e una folta chioma bionda e riccia.
“Ma chi…”
“Non voltarti”
Emily si bloccò.
“Stai pure dove sei, non disturbarti. Oggi sono un disastro, perciò è meglio se non mi guardi”
La voce della donna era sensuale, ma al tempo stesso autoritaria. Aveva un timbro particolare che ad Emily piaceva molto. Dava l’aria di qualcosa di misterioso.
“Molto bella la piazza del Duomo, vero?”
Emily annuì.
“Sì, è molto bella”
“Ma oggi è molto noiosa”
“Che vuole dire?”
“Oggi nessun inseguimento, Emily Creek?”
“Ma lei… come fa a…?”
“Ogni giorno mi piace stare seduta qui, ed ogni volta spero di vedere te e i tre gorilla inseguirti. Come conosco il tuo nome? Ringrazia i tuoi inseguitori”
La donna si fermò per soffocare una risata, mentre Emily aggrottò la fronte offesa.
“E’ così esilarante!”
“Non c’è molto da ridere, sa?”
“Sì, scusa! Perdonami. Ahah”
“E poi non l’ho faccio apposta”
"Questo lo so bene, tesoro. È da una stupida lite alle elementari che tutto cominciò”
“Cos-… come fa a saperlo?”
“Scale, ricordi?” disse semplicemente la donna.
“Non è un buon motivo”
“E sentiamo, tu hai un buon motivo per cui tu abbia smesso di correre? ”
“Per prima cosa non è colpa mia se il mio inseguitore, come lo chiami tu, oggi non c’è e secondo: mio padre paga ogni anno la tariffa della tessera elettronica per i mezzi pubblici” Emily iniziò ad irritarsi.
“onde evitare di sprecarla ho deciso di usarla”
“Deve essere difficile accettare i cambiamenti, dico bene? Uscire dalla propria routine quotidiana è una cosa nuova per una che ha passato la vita a correre, stare lontano da gente invece che stare vicino ad un’altra e trattarle in due modi completamente diversi. Ti capisco”
La voce della donna si era fatta come quella di una mamma la figlia afflitta dai problemi di cuore; così comprensiva che lasciò spiazzata Emily.
Aveva ragione. Solo in quel momento la ragazza si accorse che molte cose stavano cambiando; il suo rapporto con Anna, la scomparsa di Mrs Alba, il suo iniziare ad usare i mezzi pubblici, l’inaspettata apprensione di Jeremy.
Molte, troppe cose stavano cambiando rapidamente. E tutto era cominciato dal suo incontro con John Smith.
“Ma devi stare tranquilla, Emily. È normale che dopo averlo incontrato la tua vita stia cambiando radicalmente. È successo a molta gente prima di te, ci sono passata anche io”
Facendo attenzione a non girarsi troppo verso la donna misteriosa, Emily si voltò di tre quarti con la bocca aperta.
“Ma… lei legge nel pensiero?”
La donna ridacchiò.
“Qualcosa del genere”
“Quindi lei conosce il signor Smith?”
“Signor Smith? Oh cielo. Usa ancora quel nome? È così mediocre a volte”
“Scusi, non la seguo”
Prima di riprendere a parlare, la bionda si schiarì la voce
“Regola numero uno: il Dottore mente
Emily alzò un sopracciglio perplessa: dottore? John Smith era un dottore?  No, non era un dottore, pensò lei, era il, articolo determinativo.
“Il…dottore?”
“Esatto. È così che si chiama. Il Dottore, con la d maiuscola”
“Il Dottore? Lui mi ha detto che era un professore di fisica”
“Regola numero uno, Emily. E poi sii ragionevole. Un professore di questi tempi si vestirebbe ancora in quel modo così ridicolo?”
Emily iniziò a scuotere la testa senza più capir nulla. Era tutto così confuso e surreale, come se si ritrovasse davanti ad una lunga saga di romanzi fantasy intricati al massimo.
“Ma… non ha senso! Nessuno si chiama… Dottore! E poi… Dottore chi?”
Pur non potendo girarsi completamente, Emily riuscì ad intravedere le labbra rosse della donna incresparsi in un largo sorriso.
“Ci sono molte cose che non sai del Dottore. Ed è qui che ora arriva il bello”

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Capitolo 9
*** L'evidenza ***


Mrs Alba si lasciò trasportare dal caldo tepore del caffelatte. I muscoli si rilassarono insieme allo stress. All’ultimo sorso si sentì decisamente meglio, tralasciando la sua caviglia slogata.
Ancora non lo credeva possibile. Doveva essere per forza tutto un sogno o al massimo,  pensava lei, doveva essere già morta o in coma.
Come biasimarla a non pensarla così? Un attimo prima si trova in una città fantasma e uno dopo in una fabbrica abbandonata, per poi finire in una sorta di piccolo appartamento.
L’appartamento in questione altro non era che una sala grande quattro volte la palestra della sua scuola, ben arredata, illuminata, con tanto di poltrone in pelle rossa, fornita di una cucina a vista e di un bagno.
Era tutto così assurdo ai suoi occhi, più assurdo dei vestiti che indossava, sicché al suo risveglio Mrs Alba non aveva più la sua gonna nera sporca di polvere e strappata, ma una camicia da notte viola col pizzo.
Nonostante si trovasse in un ambiente più che accogliente, Mrs Alba non si sentiva per niente al sicuro. Era molto preoccupata per suo marito e i suoi due bambini, ma specialmente era preoccupata per Emily.
Sperava vivamente di aver fatto la cosa giusta. Era successo tutto in un attimo, tanto quanto il suo spintone ad Emily. Lo sfondo dietro di lei si aprì in due come due persiane ed eccolo lì: un uomo sulla trentina con il farfallino che allungava più che poteva il braccio per prendere Emily. Chi fosse e come avesse fatto le importava ben poco, ciò che le stava a cuore era l’incolumità dell’alunna. Sperava davvero che quel buffo uomo in tweed l’avesse salvata.
“Piaciuto il caffelatte?”
“Oh… sì, ecco… ehm…”
“Marta. Marta Ferri”
“Ah, sì… mi scusi”
“E’ normale che sia un po’ scossa in questo momento” la rassicurò Marta levandosi il grembiule color porpora “Come si chiama?”
“Io sono Alba Brown. Insegno inglese al liceo”
“Bene Alba, non si deve preoccupare. Qui è assolutamente al sicuro! Lo siamo tutte”
“Ha ragione”
Altre tre donne si avvicinarono a Mrs Alba. La rossa le appoggiò le mani sulle spalle.
“Non appena torneranno tutti le sarà più chiara, signora Brown”
“Mrs Alba, please. Odio il mio cognome”
“Mrs Alba. Si fidi di noi, non resteremo qui per sempre. Presto ritorneremo dalle nostre famiglie”
“Ma… allora ce ne più di uno?” chiese Mrs Alba ricordandosi di quegli agghiaccianti occhi rossi.
“Sono cinque, per l’esattezza” rispose una donna mora dai lineamenti orientali.
“Ma quelli sono dei… monsters! Perché siamo state rapite? Cosa vogliono farci? Io è una mia alunna abbiamo rischiato di morire! ”
“Mi creda, Mrs Alba. Loro non sono quello che appaiono. Lo ha visto, no? Kai l’ha portata qui su di lui”
“Kai?”
“Uno dei cinque” parlò la bionda riccia “Li abbiamo dato dei nomi. Così li distinguiamo. Non sono tutti uguali”
“Ma… cosa sono?”
“Probabilmente quello che le racconteremo potrebbe sconvolgerla, ma è la pura verità. Sì, il loro modo di prelevarci non è stato del tutto… carino, ma hanno i loro buoni motivi”
“A cosa dovrei credere?”
Un forte boato fece trasalire Mrs Alba, mentre le altre donne sorrisero.
“Eccoli sono tornati”
 
Marta Ferri, 37 anni. Proprietaria del Rowiebar nei pressi del Duomo.
He hua Ming, 32 anni. Sarta.
Federica Perli,29 anni. Apprendista parrucchiera.
Gemma Paravanio, 30 anni. Segretaria.
Alba Brown, 27 anni. Insegnante di inglese

 
Scritto l’ultimo nome, il Dottore li cerchiò tutti insieme e sistemò la penna rossa nella giacca. D’impulso sorrise.
 L’aveva fatto di nuovo. Si era lasciato ammaliare dal volto triste di una ragazzina.
E ora eccolo lì, a cercare di salvare le vite che si era ripromesso di non salvare mai più. Ma come avrebbe potuto resistere davanti a cinque donne misteriosamente scomparse, ai segni di artiglio bruciati sull’asfalto e specialmente a loro?
Si sentiva come Sherlock Holmes in certi versi; non vedeva l’ora di scoprire cosa c’era sotto, perché voler rapire solo donne dall’età compresa i 25 e i 40 anni, ma soprattutto capire la loro utilità.
L’alieno si arruffò nervosamente i capelli imprecando a bassa voce.
“Ma… come è possibile! Non ha senso! Perché rapire proprio delle donne? Hanno lavori umili, sono semplici esseri umani, non hanno niente di speciale!”
Subito si bloccò e scosse la testa.
“Ok… così ho esagerato… Accidenti. Si vede proprio che sto invecchiando”
“Signore, vuole assaggiare i nuovi cioccolatini prodotti dalla Nesté?”
Il Dottore si voltò di scatto a destra in direzione della voce. Era quella di una ragazza mora con gli occhi azzurri, che gli sorrideva con in mano un vassoio pieno di cioccolatini cilindrici. In tutta risposta il Gallifreyano ricambiò il sorriso e ne prese un paio.
“Grazie, mi servivano proprio”
“La Nesté organizzerà nei prossimi giorni un’altra pregustazione di nuovi prodotti” la ragazza porse al Dottore un depliant dell’evento “ l’aspettiamo”
“Grazie”
Salutatolo con un ulteriore sorriso, la ragazza si allontanò e si avvicinò ad una giovane coppia.
Prima di gustarsi i due cioccolatini, il Dottore se li girò tra le mani. Si chiedeva se mai un giorno anche i bastoncini di pesce ripieni di crema sarebbero diventati ufficialmente dei dolci.
Sapeva che stava vagando con la fantasia, ma dopotutto era il suo piatto preferito. Era un prezioso ricordo.
“Oh, Amelia. La mia Amelia”
E soprattutto, un ricordo da sopprimere.
Con un indice passò sulla scritta della marca incisa sulla superficie e strabuzzò gli occhi
“Ma cosa”
Un secondo dopo ridacchiò scuotendo la testa.
“Oh, ma certo. Ora è tutto chiaro. Stupido Dottore. Stupido, lento e vecchio Dottore”
Il Dottore rise un’ultima volta per poi infilarsi in bocca i cioccolatini uno alla volta.
“Ingegnoso. Molto ingegnoso, ma non abbastanza da ingannare me”
 
La donna misteriosa pose vicino ad Emily un sacchettino di stoffa rossa con dentro dei cioccolatini cilindrici. La ragazza li osservò per un po’, indecisa se prenderli o meno.
“Cosa sono?”
“Cioccolatini, non si vede?”
“Sì, ma… perché me li da?”
“Su non fare tante storie. Sono buoni, sai?”
Anche se ancora diffidente, Emily prese il sacchetto e lo esaminò. Erano davvero degli innocui cioccolatini.
“Beh, grazie”
“Di nulla. Servono per calmarti”
“Calmarmi?”
“Tu nascondi molto bene le tue emozioni, ma so perfettamente come ti senti in questo momento”
 “Andare nel panico non serve a nulla” disse Emily un po’ titubante “per quanto sarà impossibile ciò che mi racconterà ora, non potrà che essere la verità. Tanto la situazione è già assurda di suo”
“Caspita. Rivisitazione di una celebre frase di Sir Arthur Conan Doyle. Non male”
“Avanti. Parli”
“Vai di fretta?”
“No. Ma ciò che mi sta cercando di dire è di cercarlo il più presto possibile, no?”
La donna sorrise.
“Brava Emily, sei molto sveglia”
“Dormo otto ore al giorno” disse Emily per rompere il ghiaccio “e comunque, lui mi ha detto di non cercarlo”
Questa volta la donna rise divertita.
“E tu gli credi? Lui è solo un bambinone troppo cresciuto che si fa desiderare. Non sai quanto tempo ci abbia messo io ad avvicinarmi. Ad ogni modo non posso dirti esattamente tutto su di lui, ma solo il necessario”
“E cosa sarebbe questo necessario?”
“Che lui ha bisogno di qualcuno accanto”
“Eh?”
La donna iniziò a sospirare pesantemente, quasi come se fosse pronta a rievocare un triste ricordo. E forse era proprio così.
“Ormai sono anni, oserei dire secoli che si porta dentro il rimorso delle persone che ha abbandonato e di quelle che ha perso. Lui ha sofferto davvero molto”
“Secoli? Scusi, ma di nuovo non la seguo”
“Sul chi è non ti devi preoccupare che te lo spiegherà non appena lo rincontrerai, ma ora stammi bene a sentire”
“D’accordo…”
“Lui, il Dottore, è l’unica persona su questo pianeta che può salvare quelle donne, ma soprattutto Milano”
“Donne? Allora… allora sono ancora vive! Mrs Alba è viva!”
“Sì, sono vive. Sperando che loro non le abbiano ancora fatto del male”
“Loro chi?”
“Ora ho poco tempo. Ascoltami, cerca il Dottore e fa tutto quello che ti dirà. Devi fidarti di lui. Assolutamente”
“Aspetti un momento. Ma perché io? Che cosa c’entro?!”
“Tu sei la prima che lui ha visto dopo tanto tempo. Come ho detto saranno passati almeno cento anni. Massimo duecento. Sei una ragazza molto in gamba. Ti ho vista, perciò sono sicurissima che saprai vegliare su di lui”
“Duec-…? Cosa?!”
“Mi dispiace. Il mio tempo è scaduto. Vai Emily Creek. E sta vicino al Dottore”
“Ehi!”
Tralasciato il divieto di girarsi, Emily si voltò di quarantacinque gradi, ma invece di trovarsi davanti una detective in impermeabile e cappello, si trovò a due centimetri di distanza dal naso di un turista a prima vista inglese.
Are you ok?” Le chiede sorridente.
Yes… ” gli rispose imbarazzata.
Emily si alzò dalle scale in cerca dell’impermeabile beige. Non poteva essere andata lontana, pensava lei, non poteva essere…  sparita.
“Ma in che guai mi sono cacciata…”
Ora come ora si sentiva più confusa che mai, ma più che per le parole della donna- non che non fosse assurda pure lei-, ciò che la preoccupava era quel nome: Dottore.
Passare da John Smith al Dottore non era una cosa da poco, ma neanche passare da una trentina di anni a … chissà quanti.
Emily proprio non sapeva più cosa fare, a cosa credere e a chi. Era davvero troppo per i suoi gusti, ma anche troppo allettante da lasciarsi sfuggire un’occasione del genere.
Sentiva una strana sensazione, come quella di un bambino che non vedeva l’ora di scartare i suoi regali di compleanno, ma forse era solo la sua eccitazione di rivedere Mrs Alba viva.
Chiunque fosse veramente o qualunque cosa fosse, questo Dottore poteva aiutarla a trovare la sua insegnante. Era questo che contava.
Ma da dove poteva cominciare a cercarlo? Già aveva provato a farlo, e lei ricordava perfettamente di essere finita nei guai.
“ A me non sembrano tanto male questi cioccolatini”
“Sarà,ma a me non cambia più di tanto. A parte il Nesquik, la Nesté non mi piace un granché”
“Ehi, aspettate!”
Senza accorgersene Emily si era intromessa in una giovane coppia che la fissarono con gli occhi sbarrati. La ragazza sentì il suo volto in fiamme dalla vergogna.
“Hai bisogno di qualcosa?” chiese la ragazza gentilmente.
“Ehm… si ecco. Prima stavate parlando di cioccolatini della Nestlé e mi stavo chiedendo dove..”
“Della Nesté vorrai dire”
“Cosa?”
“Comunque sia sono degli assaggi gratuiti, se vai nella Galleria o a Cordusio, troverai dei ragazzi con dei vassoi” rispose il fidanzato.
“Scusaci ma ora dobbiamo andare”
“Ah, ok. Grazie”
Salutata la coppia Emily la osservò perplessa mentre si allontanava. Li aveva visti bene. La forma dei cioccolatini dei ragazzi era la stessa di quelli nel sacchettino, era per quello che si era avvicinata a loro.
Subito Emily prese il sacchettino e ne tirò fuori uno e cercò sulla superficie il marchio di fabbrica: Nestlé.
“ Quel tipo ha detto Nesté. Anche prima. Magari si è sbagliat-..”
All’improvviso Emily fece cadere sia il sacchetto di stoffa che il cioccolatino e si portò le mani alla testa. La sentì pulsare, ma senza alcun dolore in particolare.
“Ma… ma cosa?”
Come un flashback Emily chiuse gli occhi e rievocò quel sogno che credeva ormai di aver dimenticato: si ricordò di quella fabbrica in procinto di cadere a pezzi, della paura provata in quel momento e della creatura che l’aveva catturata.
Riaperti gli occhi si sentì come se avesse capito qualcosa di importante. Davvero molto importante.
“Quella fabbrica… no, è impossibile,ma… io… io l’ho vista. E quegli occhi. Erano gli stessi!”
Dentro di sé Emily contava sul fatto che avesse un minimo di senso e che potesse essere utile per ritrovare Mrs Alba e il resto delle donne rapite.
Era solo una semplice ipotesi, non aveva niente di concreto, ma era già qualcosa su cui poter lavorare: su cui questo Dottore poteva lavorare.
Doveva sbrigarsi. Doveva assolutamente trovarlo prima che fosse troppo tardi. Era il momento di ricominciare a correre.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE:
Ok, innanzitutto comincio col dire che sono certa che questo capitolo è decisamente un po’ noioso… il motivo è che da un po’ la mia organizzazione di idee fa abbastanza schifo recentemente. Mi sto davvero impegnando a non rendere i capitoli troppo lunghi perciò ho dovuto fare dei tagli e dei cambiamenti,ma… spero che tutto sia leggibile.
A presto!
 
Cassandra

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Capitolo 10
*** Dottore ***


“Sì signor Creek, glielo posso assicurare… Sì! Ho fatto colazione con lei questa mattina ed è andata tranquillamente a scuola come le ho det-… ma no! Certo che ho bloccato il numero! L’ho fatto!... Sì, è dal giorno dell’incidente che non ce l’aveva, ho provato a chiamarlo ieri e risultava irraggiungibile. Sì, senz’altro glielo dirò, stia tranquillo. Ma si figuri, a presto e buon lavoro”
Quarantacinque minuti. Era decisamente il suo limite di sopportazione. Di rado Cristian dedicava il suo tempo al telefono o al cellulare, se proprio doveva era solo per ordinare dei nuovi fumetti o per qualche piccola commissione come fare la spesa e badare ad Emily, ma mai per una discussione.
Massaggiandosi l’orecchio destro, il ragazzo appoggiò il telefono sul tavolo in cucina. Sulla superficie lucida del frigorifero il lobo dell’orecchio era diventato rosso.
“Accidenti signor Creek… Emily ha diciassette anni! Non cinque!”
Con rammarico Cristian ripeté quella frase nella sua testa.  Diciassette anni. Quasi stentava a crederci che fossero passati così tanti anni. Ricordava perfettamente il giorno in cui la famiglia Creek portò Emily in casa loro. Era così piccola, e anche così vulnerabile. Beh, tutti i bambini lo sono, pensò lui ridendo.
A Cristian piaceva molto passare il tempo con lei, era la sorellina che non aveva mai avuto.
Era tutto grazie a lui se la sua stanza era piena di poster, di fumetti e di romanzi fantasy. Non c’era anno in cui il suo regalo di compleanno o di Natale non fosse uno di quelli.
Ma ora che aveva Jeremy testa-a-caschetto come compagno di giochi, il suo tempo con lei si era ristretto notevolmente. Un po’ l’ammetteva. Ne era geloso.
“Accidenti Emily… ti avevo detto di chiamare tuo padre… esiste anche il telefono fisso…Beh. Almeno hai l’occasione di cambiare cellulare. Sei fortunata”
Il suono sordo del campanello bloccò Cristian prima che potesse accendere i fornelli. Toltosi il grembiule di dossi, raggiunse di corsa l’ingresso.
“Eccomi”
Aperta la porta Cristian assottigliò gli occhi per poi sgranarli: davanti a lui non c’era nessuno ad aspettarlo, ma poté sentire chiaramente dei passi scendere velocemente le scale.
“Ehi!”
Cristian fece solo in tempo ad avvicinarsi al corrimano e ad intravedere l’ombra di un uomo scivolare sulla parete per poi scomparire.
“Ma tu guarda… scherzi del genere neanche alle elementari si fac-… ma… questa cos’è?”
Sullo zerbino di casa Creek giaceva una busta celeste con sopra il suo nome scritto in rosso. Al quanto sinistra come cosa, pensò Cristian, ricordandosi dell’ultimo libro thriller che aveva letto – e che ricordava perfettamente non esser finito tanto bene.
“Che sia una lettera da quelli del Comic con?”
Senza pensarci due volte il ragazzo la prese, controllò se oltre al suo nome ci fosse quello del mittente, ma non avendo trovato nulla la aprì con uno strappo: per sua grande sorpresa all’interno della  busta c’era una schedina del superenalotto, con i classici sei numeri vincenti, con tanto di superstar.
Pronta per essere giocata quello stesso giorno.
 
Emily aveva la sensazione di rivivere un dejà vu. Per un momento ebbe paura di ritornare nella Milano fantasma con quella creatura, ma senza Mrs Alba.
A differenza di quel giorno il cielo era sì grigio, ma che non dava segni di pioggia e ciò poteva rendere le cose più facili, o così lei sperava.  Solo di una cosa poteva essere certa: finalmente sapeva da dove iniziare a cercare il Dottore.
Piazza duca d’Aosta. Dove tutto era iniziato.
Fortunatamente per lei non c’erano più i nastri segnaletici che di sicuro le avrebbero impedito di avvicinarsi. Un po’ affannata per la corsa Emily camminò verso il centro della piazza guardandosi attorno.
Un brivido di freddo le percosse la schiena fino alle spalle. Arrivata al centro ricordò tutto di quel momento: il boato, la sfera di luce e infine lo schianto.
Sta vicino al Dottore.
Di tutto quel discorso di belle parole a lei incomprensibili, Emily ricordò specialmente le ultime parole della donna prima che sparisse.
Ancora non aveva ben chiara la situazione, ma lei e il Dottore erano le uniche fonti attendibili che Emily poteva usare per salvare Mrs Alba e le altre donne, sul dover stare vicino lo avrebbe poi affrontato più avanti.
Senza indugio Emily raccolse tutto il suo coraggio inspirando profondamente. Durante tutto il tragitto dal Duomo alla stazione Centrale aveva preso una rigida decisione: era sicura che arrivata lì non lo avrebbe trovato, perciò tanto valeva che fosse lui a doverla trovare.
“DOTTOOOOOOOOOOORE!!!!!!!!!!!!!!!!!!”
Con tutta l’aria che aveva nei polmoni, Emily alzò gli occhi al cielo e gridò attirando l’attenzione di una cinquantina di persone.
“DOTTOOOOOOOOOOOOOOORE!!!!!!!!!!!!!”
Ad ogni pausa di silenzio la ragazza continuò ad urlare ignorando la folla che si stava formando attorno a lei, cercando anche di evitare più obiettivi possibili.
“DOTTOOOOOOOOOOOOOOOOOORE!!!!!!!!!!”
Altro silenzio.
“ORA SO COME TI CHIAMI!! E’ INUTILE CHE TI NASCONDI!! FATTI VEDERE!!”
Emily era sul punto di urlare ulteriormente quando la sua voce venne coperta da uno strano rumore.
Nella piazza la folla, Emily compresa, si guardò attorno disorientata. Quel rumore sordo, simile a quello di un treno a vapore che frenava, prese a rimbombare per tutta la piazza. Emily chiuse gli occhi per ascoltarlo meglio: sì, era lo stesso rumore che lei sentì prima dello schianto.
Prima che potesse riaprire gli occhi, Emily si sentì tirare all’indietro ritrovandosi un paio di porte bianche richiudersi davanti a sé.
“Ehi! Ma ch-… ahi!”
Con un leggero tonfo, la ragazza si trovò con il sedere per terra su un freddo pavimento – probabilmente- di metallo. Anche quel gesto le era familiare.
“Ma che accidenti ti prende!”
Emily si rialzò dando le spalle alle porte e squadrò il Dottore che a sua volta la guardava serio e con le braccia incrociate.
“E’ un tuo vizio prendere le persone alle spalle o sbaglio?”
“Il tuo cellulare”
“Cosa?”
Il Dottore pose tra le mani di Emily quello che doveva essere il suo cellulare: un Samsung Galaxy Ace nero con attaccato un ciondolino a forma di anello del potere. Era davvero il suo.
“Ti avverto che ci sono almeno una decina di messaggi e chiamate. Forse una ventina”
“Eh?”
“Bene. E ora che te l’ho riportato. Puoi anche uscire. Sai dove la porta”
Emily alzò gli occhi dal cellulare spalancando gli occhi.
“Wo! Aspetta un momento! Dopo tutta la fatica che ho fatto per ritrovarti pensi che io me ne vada così?! Scordatelo!”
“Se non sbaglio ti avevo detto di non cercarmi”
“Beh, qualcuno mi ha detto di farlo, Dottore! Non ti stupisce neanche il fatto che sappia il tuo nome vero?”
“Nessuno ti ha chiesto di urlarlo ai quattro venti. Hai visto? Della gente ti ha filmata"
“Come se la cosa mi importasse. Ad ogni modo, sapevo che tu potevi salvare Mrs Alba. E non provare a dire che non è così!”
Il Dottore aspettò un po’ prima di rispondere.
“E anche se fosse? Perché dovrei aiutarti?”
“Ascoltami bene…” Emily si forzò di trattenere la sua voglia di prenderlo a schiaffi “Ne ho abbastanza di tutta questa storia. Da quando quella cosa mi è venuta addosso, da quando ho corso in una città di una realtà alternativa inseguita da chissà cosa e incontrato una donna-detective evanescente, mi sono successe delle cose assurde. Anzi, aggiungerei che un attimo fa ho avuto la visione di un mio sogno che spero vivamente c’entri qualcosa, ho trovato della gente che dice cose che non esistono e…”
“… e sei entrata in un’astronave”
All’improvviso Emily si bloccò con la bocca aperta senza parlare, fino a quando non si decise a richiuderla.
“Aspetta… che cosa hai detto?”
Il Dottore sbuffando ripeté scandendo le parole
“Ho detto: e sei entrata in un’astronave. Anzi, aggiungerei appena
Emily scosse la testa senza capire
“No… è uno scherzo… di cosa… parli?”
Il Dottore allargò le braccia rassegnato.
“Guardati intorno e giudica tu”
Lentamente Emily distolse lo sguardo dal Dottore e lo alzò verso il… soffitto.
“Oh… mio… Dio”
Emily si girò prima a destra e poi a sinistra con gli occhi che le bruciavano da quanto erano aperti: non ci poteva credere. Attorno a lei non c’era più la folla armata di cellulari e fotocamere, ma bensì pareti metalliche con motivi geometrici, lampade bianche circolari e tubi metallici. Man mano che camminava il suo stupore aumentava sempre di più , fino a quando non raggiunse quella che sembrava un grosso pannello di controllo con sopra un enorme rotore illuminato di verde e con sopra degli enormi meccanismi che giravano e producevano un suono elettronico.
La serie di leve, di bottoni illuminati sulla consolle attirarono Emily, come una mosca davanti ad una luce al neon. Le ricordavano tanto quelli delle astronavi di Star Trek.
“No… è impossibile. Qu-questa… questa non è…”
“E invece sì”
“No… è tutto sbagliato… un’astronave n-non… può essere così piccola”
“Tu dici? Beh, devo dire che leggi troppi fumetti e troppi libri. Vuoi per caso che ti illustri la biblioteca, il mio ripostiglio dei vestiti, il mio caminetto, il mio osservatorio e i miei 27 bagni?” disse il Dottore indicando le due rampe di scale alle sue spalle.
“Mi stai prendendo in giro?”
“Sì, in effetti hai ragione. Ho dimenticato di dirti delle 128 stanze da letto”
“Smettila!”
“E perché dovrei? Io ti sto dicendo la verità. Se non vuoi credermi allora dimentica tutto come ti ho detto e vattene!”
“No!”
“Perché no?!”
“Perché non posso!”
Emily si lasciò alle spalle le pareti, il rotore e la consolle per concentrarsi sull’uomo in tweed e farfallino.
“Io… l’ho promesso”
Il Dottore sogghignò.
“E sentiamo? A chi lo avresti promesso? A Mrs Alba?”
“No. Alla donna-detective”
“La donna-detective. E chi sarebbe?”
“Una donna che ha faticato tanto per avvicinarsi a te”
L’uomo smise subito di sorridere pensando a quella donna si riferisse. D’impulso sgranò gli occhi.
“E tu come hai fatto ad incontrarla?”
“Non ha importanza come, ma sappi che mi ha detto di fidarmi di te. Che tu eri l’unico che poteva salvare tutte le vittime. Compresa Milano”
“Ti sbagli”
“Cosa?”
Il Dottore abbassò lo sguardo.
“Io non faccio più quelle cose. Da tanto tempo, e lei dovrebbe saperlo”
"Beh, se lei mi ha detto così, allora vuol dire che t-..."
“Sei sorda? Io ho deciso di non salvarvi più! Hai capito?!”
La voce del Dottore era così forte che rimbombò per l’intera sala. Era così forte che Emily rabbrividì e sentì il bisogno di piangere.
I suoi occhi urlavano arrabbiati verso di lei.
“Non m’interessa che cosa ti ha detto di me, ma sappilo ora: io sono stato il vostro salvatore per più di novecento anni. Tante, tantissime volte ho dovuto occuparmi di cose che voi patetici esseri umani non sareste stati mai capaci di affrontare”
Emily rimase in silenzio con gli occhi gonfi di lacrime e si aggrappò ad una leva della consolle, in cerca di sostegno.
“La mia pazienza ha un limite e io sono stanco”
La voce del Dottore divenne inaspettatamente più calma, ma spezzata da tremori.
“Sono davvero stanco di vedere la gente a cui voglio bene morire davanti a me”
L’uomo si portò una mano sulla fronte e diede le spalle ad Emily, cercando di ricacciare indietro le lacrime.
Emily invece lasciò che una lacrime le scendesse sulla guancia destra.
“Queste sono cose che una ragazzina come te non capirà mai”
“Ora sei tu che ti sbagli”
Il Dottore girò la testa senza guardare la ragazza.
“Anche io ho visto qualcuno morire davanti a me”
Questa volta l’uomo si girò completamente rimanendo in silenzio.
“Io… ho visto mia madre morire tra le braccia di mio padre. So che probabilmente non è niente in confronto a te, ma…”
“Quanti anni avevi?”
Un po’ sorpresa Emily alzò lo sguardo sul Dottore per poi riabbassarlo.
“Ne avevo 14”
“E tu ora ne hai 17. Non è passato molto tempo”
Lei annuì.
“Mi dispiace”
Il Dottore si avvicinò ad Emily stringendole dolcemente la mano libera.
“Mi dispiace davvero”
La ragazza accennò un sorriso e rispose stringendo con forza la mano dell’uomo. Per un solo istante Emily si concesse di ricordare quel giorno al museo, di suo padre che correva veloce davanti a lei verso l’ufficio di sua madre e il suo urlo disperato alla vista di quell’orrore.
“Grazi-… Ahi!”
All’improvviso Emily si staccò dal Dottore e dalla consolle portandosi la mano destra al petto.
“Che c’è? Che è successo?”
“La mano… mi fa male”
“Fammi vedere”
Il Dottore aprì delicatamente la mano serrata a pugno di Emily. Sul palmo erano ben evidenti il segno di due buchi rossi dal diametro di circa due millimetri. Il Dottore sospirò.
“Ah, non preoccuparti. Non è niente di grave”
“In che senso? Cosa mi è successo?”
“Nulla. Il TARDIS ha solo prelevato qualcosa dalla tua memoria visiva”
“Eh? Chi? Il TARDIS?”
“Sì, il TARDIS. E’ così che si chiama la mia astronave. Niente domande. Adattati all’idea”
“E avrebbe prelevato… che cosa?”
“Non saprei. Un’immagine, delle coordinate, qualunque cosa tu abbia vis-… wo!”
Bastò solo uno scossone per farli urlare. Due per farli cadere a terra.
“Ehi! Ma che succede?!”
“Oh no…”
Il Dottore cercò di rialzarsi il più presto possibile per poi iniziare a gironzolare attorno alla consolle. L’enorme rotore illuminato cominciò a muoversi velocemente assieme ai meccanismi sovrastanti e gli scossoni aumentavano d’intensità.
“Dottore!” urlò Emily
“Il TARDIS. Non risponde ai comandi! Sta… facendo tutto da solo!”
“Che?!”
“Stiamo decollando, ma non so per dove… Wo!”
Era come vedere un fantasma all’opera: delle mani invisibili stavano premendo ogni tipo di bottone e abbassando leve, il tutto sotto gli occhi increduli di Emily e del Dottore.
“Oddio! Moriremo!”
“Ma figurati! La mia Sexy non ci ucciderebbe mai!”
“La tua cosa?!”
“Lascia perdere. Piuttosto, fai come me!”
“Cioè?!”
“Aggrappati a qualcosa! Stiamo per atterrare!”
Emily non se lo fece ripetere due volte e si aggrappò saldamente ad una ringhiera vicino a lei.
La sala prese a girare vorticosamente accompagnata dal consueto rumore assordante dei freni di un treno e dall’urlo folle del Dottore.
 
Geronimooooooooooooo

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Capitolo 11
*** Cambiare idea ***


“Emily. Emily Creek. Sveglia”
Il Dottore schiaffeggiò leggermente la ragazza assicurandosi che stesse bene. Una smorfia lo rilassò fino a farlo sorridere.
“Hm… che… Dottore?”
“Sono qui, non preoccuparti”
Lentamente Emily aprì gli occhi. Si sentì la testa terribilmente pesante, come se avesse fatto una trentina di giri sulle montagne russe: non che fosse tanto diverso farli su un’astronave, ma di certo non l’avrebbe rifatto mai più.
“Che… che è successo?”
“E’ tutto a posto, il TARDIS si è fermato. Sei svenuta per via dei gas che erano fuoriusciti”
“Gas?”
“Nessun problema. L’ho aspirato con i condotti di aerazione”
Ancora un po’ scombussolata Emily si aggrappò al Dottore e si rialzò barcollando. Nella sala era ritornata la pace e in essa riecheggiava il suono leggero del rotore azzurro che oscillava.
Emily l’osservò un po’ intontita.
“Un momento… quel coso.. prima non era verde?”
“L’ho modificato. Te l’ho detto, prima che tu venissi qui ho dovuto sistemare velocemente. Più tardi riordinerò tutto. Adesso andiamo a vedere dove siamo finiti”
Il Dottore prese per mano Emily ed uscirono dalla porta di legno. Un vento gelido li investì in pieno volto accompagnato da una pioggia leggera. Davanti a loro si presentò uno spiazzo desolato e recintato.
Si erano veramente spostati dalla stazione.
“Oh cavolo…. Ci siamo spostati. Ci siamo seriamente spostati!”
“Esatto”
“Ma… questo posto, io l’ho già visto”
“Ci credo, siamo ancora a Milano e più precisamente…” il Dottore puntò il suo cacciavite sonico sullo spiazzo che emise subito un trillo acuto “ Non tanto lontano dal Duomo. Ma che ti è preso Sexy? Tutto questo casino per qualche metro!"
Il Dottore si rassegnò e batté due leggeri colpi sulla porta.
“Va beh. Non importa. Visto che siamo qui Emily, diamo un’occhiata”
L’uomo si aspettò una qualche risposta da parte della ragazza, ma tutto quello che sentì fu il silenzio. Un attimo dopo si colpì la fronte con una mano.
“Oh no… me ne ero completamente dimenticato…”
Una cabina. L’unica cosa che Emily riusciva a vedere e a pensare, era che davanti a lei c’era solo una cabina di legno blu, con tanto di finestre, una lanterna e una scritta bianca che recitava: POLICE PUBLIC CALL BOX. La sua reazione? Semplicemente un dito puntato e la bocca aperta.
Dove? Dov’era quella sala con il pannello di controllo, la consolle e quegli enormi meccanismi? Dove potevano starci 27 bagni, una biblioteca, un ripostiglio, il caminetto, l’osservatore e 128 camere da letto?
No, pensava lei, era decisamente impossibile.
“Cos’è… quella…”
“Ok, calmati va bene? E’ una reazione più che normale. Hanno tutti reagito come te”
“Nella piazza! Nella piazza non c’era nessuna cabina! Come diamine ho fatto a non vederla?!”
“Era invisibile! Non potevo di certo farmi vedere! Avevo deciso di non farlo più, ricordi? Fortuna che non ci sei andata contro”
Emily squadrò incredula il Dottore.
“Andata contro? Vuoi dire che tu eri sempre lì?”
“Non sempre, è stato un caso che fossi lì”
Emily ritornò a guardare la cabina e si avvicinò per accertarsi che fosse vera. Al tatto era rovente e per un attimo le sembrò che lei le rispose con ulteriore calore.
Era così piacevole.
“Tu cosa sei?”
“Emily, non c’è tempo dob-…”
“Ti prego”
Emily si girò verso il Dottore con gli occhi che lo imploravano. Non resistette oltre.
“Io non sono un essere umano, ma un Signore del Tempo. Vengo da un pianeta ormai istinto chiamato Gallifrey, ho due cuori e ho 1002 anni”
La ragazza rimase in silenzio incapace di parlare.
“In… poche parole” aggiunse imbarazzato “Io sono questo
“Quindi… in sostanza tu sei… un alieno?”
“Beh, dal tuo punto di vista sì, dal mio tu sei l’alieno comunque: sì. Sono un alieno”
“Ok… ok”
“Sei soddisfatta?”
Emily sventolò una mano un po’ impacciata
“Sì sì… più o meno. 1002 anni? Precisamente?”
“No” disse diretto
“Bene…”
“E quella che stai accarezzando è la mia macchina del tempo: il TARDIS. Visto che sei mezza inglese è l’acronimo di Time And Relative Dimension In Space e può viaggiare nel tempo e nello spazio”
“Nel tempo?!”
Il Dottore sgranò gli occhi e si indicò con entrambe le mani.
“Oh, certo. Ho capito”
“Perfetto”
Il Gallifreyano batté le mani e si rigirò verso quello spazio desolato recintato.
“Ora che abbiamo risolto questo problema. Ritorniamo a noi. Il TARDIS ha raccolto delle informazione attraverso di te così da farti collegare al suo circuito telepatico, ma perché? Perché portarci proprio qui? A cosa stavi pensando Emily?”
“Il… mio sogno”
Il Dottore si avvicinò ad Emily con la fronte aggrottata.
“Il tuo sogno?”
“Ora ricordo” Emily iniziò a guardarsi attorno “Io c’ero, o meglio: non fisicamente”
“Spiegati meglio”
“Il giorno in cui te ne sei andato da casa mia ho fatto un sogno. Ero da sola in una specie di fabbrica e…” date le spalle allo spiazzo Emily indicò un alto condominio di marmo bianco “prima di svegliarmi ho visto per un attimo il tetto del mio condominio”
Il Dottore annuì con un sorriso beffardo.
“Hm, capisco. Allora aveva più di un piano”
“Eh?”
Il Dottore di nuovo puntò il suo cacciavite e il trillo divenne ancora più acuto.
“Vuol dire questo”
Emily soffocò un urlo portandosi una mano alla bocca. Prima una macchina più grande all’interno e ora un’intera fabbrica si materializzò dal nulla davanti ai suoi occhi: così era davvero troppo.
“Oddio! Ma… che è?!”
“Non lo vedi? E’ una fabbrica”
“Lo so!! Ma come…”
“Emily, lo so che ti sembra di stare in uno dei tuoi fumetti o libri, ma credimi: è tutto vero”
“Fosse facile per te! Sei un alieno! Io non…”
“Che cos’hai in tasca?”
“Eh?”
Il Dottore allungò la mano verso la ragazza.
“In tasca”
Emily si tastò la tasca della giacca e tirò fuori il sacchettino di stoffa rossa.
“Ho dei cioccolatini. Me li ha dato quella donna”
“Un attimo fa hai detto che hai sentito della gente dire cose senza senso. Che cos’era?”
“Ah, ecco… questo cioccolatini sono prodotti della Nestlé, c’è scritto sulla superficie dei cioccolatini, ma due ragazzi hanno detto Nesté. Mi hanno perfino corretta. E’… una cosa importante?”
“Filtro di percezione”
“Cosa?”
“Guarda” disse il Dottore indicando l’insegna sulla fabbrica “Cosa c’è scritto?”
Emily la osservò per un po’ e sorrise.
Nestlé. E’ una vecchia fabbrica della Nestlé. Allora c’entra veramente qualcosa!”
Nesté
“Eh?”
“Leggila bene, c’è scritto Nesté
“Ma dai è impossibile. È scritto chiaramente… Nes…té?”
“Come ho detto: filtro di percezione”
Emily si stropicciò gli occhi con entrambe le mani. Lo aveva visto bene, c’era sicuramente una l tra la t e la é; eppure dopo averla riletta non c’era più.
Nesté. C’è scritto davvero Nesté!”
“Questa fabbrica da' sulla strada dove passano macchine, tram, motorini e soprattutto gente. Per ovvio di cose chiunque si girerebbe e leggerebbe l’insegna ed è qui che arriva il bello”
Il Dottore sollevò un dito sorridendo.
“Il bello è che…”
“E’ impossibile”
L’alieno si fermò con ancora il dito a mezz’aria.
“Come dici?”
“Qui non ci è mai stata una fabbrica della Nestlé, tempo fa c’era una fabbrica di carta. L’unico centro Nestlé presente qui a Milano è… in via… Giulio Richard… che diamine stai facendo?!”
“Ti sto scansionando. Non muoverti”
“Scans-… e per quale motivo lo stai facendo?!”
Il Dottore si spostò dietro la schiena di Emily e continuò con il suo cacciavite.
“Controllo che non sei un Nestene o un Teselec-… Ahio!”
“Io sono un essere umano! Idiota mascellone!”
“Idi-… te lo ha detto lei, non è vero?!”
“Io un cervello ce l’ho, sai?! Lo so perché è una cosa che ho sempre saputo! Ci passo molto spesso con mio padre in macchina. Posso anche dire che non è proprio una fabbrica, ma più una specie di laboratorio di ricerche nutrizionali”
Il Dottore si massaggiò la testa dolorante, sistemò il cacciavite sonico nella giacca e ritornò a guardare la fabbrica.
“Ok, va bene. Non allontaniamoci dal nostro obiettivo e pensiamo per bene. Come hai detto tu, qui a Milano esiste un solo centro Nestlé e fin qui ci sono arrivato anche io. La storia dei cioccolatini: ok. Ma rimane il problema dell’insegna”
“Esatto. Perché è scritto male?”
Il Gallifreyano schioccò le dita.
“Probabilmente non erano abbastanza forti”
“Forti? Sono più di uno?”
L’uomo porse ad Emily cinque fogli con ognuno sopra la foto di una bruciatura sull’asfalto. Emily sapeva cosa fossero.
“Ma queste sono le bruciature sull’asfalto”
“Quelle lasciate dopo aver preso le vittime. Sì, sono quelle e se guardi bene sono tutte diverse. Consuete? Ah! Che ridere. Sono tutte palesemente diverse. E comunque è logico , visto che come voi umani loro non crescono allo stesso modo”
“Loro chi?”
“I Kujacara”
Emily mimò quel nome così assurdo corrugando la fronte.
“Ku…jacara?”
“Sì, Kujacara. Una specie aliena molto simile ad un cane, o forse ad un leone… o magari tutti e due, ma è comunque una sorta di grosso animale, ma tornando alla questione non sono forti: non lo sono visto che hanno fatto questo enorme sbaglio, basandosi solo su un cartello pubblicitario senza cercare altre fonti, erano di fretta e perciò si sono dovuti arrangiare”
Il Dottore prese a camminare verso la fabbrica seguito da una Emily al quanto confusa.
“E… sono pericolosi?”
“Per pericolosi intendi se uccidono?”
“Sì”
“Se non strettamente necessario loro non uccidono. Mangiano carne morta e putrida. Vivono su un pianeta paludoso in cui è molto facile trovarla e inoltre gli stessi abitanti gliela forniscono”
Emily d’un tratto di fermò abbassando lo sguardo e strinse i pugni.
Il Dottore se ne accorse e si fermò. Accidenti alla mia linguaccia, pensò.
“Senti… ciò non vuol dire che Mrs Alba e le altre siano morte”
“E coma lo sai? Sono passate settimane per le altre vittime…”
“Ma non è detto! In genere loro mangiano molto, te l’ho detto che sono molto grossi. È probabile che le abbiano tenute e non le abbiano uccise, e noi siamo qui per verificare, dico bene?”
La ragazza senza alzare lo sguardo annuì.
“ Inoltre cinque è un numero approssimato, potrebbero essere anche di più, non lo sappiamo. Perciò prima che un’altra donna possa venir rapita, dobbiamo fare in fretta. Ok?”
Questa volta Emily guardò negli occhi il Dottore che intanto le sorrideva e gli prese la mano stringendogliela.
Non sapeva bene il perché, ma la sua voce era così rassicurante, in grado di sostituire la paura in speranza.
Già una volta aveva sperimentato quel suo strano incantesimo, ma questa volta era diverso.
Improvvisamente Emily sentì che potevano farcela, che potevano veramente salvare Mrs Alba e le altre donne.
Aveva piena fiducia nel Dottore.
“Va bene”
Quella risposta allargò il sorriso del Dottore.
“Perfetto,allora andiamo”
Insieme, l’umana e l’alieno, si avvicinarono alla struttura. Da vicino pareva malconcia, con delle finestre in procinto di cadere e persino più alta.
“Bene. Considerando il fatto che tu abbia visto il tuo condominio, direi che più o meno eri al penultimo o all’ultimo piano”
“Era l’ultimo piano, ne sono certa. Ho visto il tetto completamente distrutto”
“Ok, continua a ricordare. Tutto ci sarà utile non appena entreremo. Ah, un’altra cosa”
“Cosa?”
Il Dottore avvicinò la sua mano alla pesante maniglia di metallo.
“Dietro questa porta può esserci di tutto. Come ho detto sono piuttosto deboli, altra prova è il filtro di percezione è caduto e ha reso invisibile l’edificio, ma ciò non toglie che l’interno possa essere ancora intatto. Illusioni, distorsione della realtà, sono cose che tu hai già visto”
Emily annuì.
“E ci sono altre due cose che vorrei chiarire”
“E sarebbero?”
“Uno: scusami se nei precedenti dieci minuti ho parlato come una macchinetta, ma fattene una ragione perché sono fatto così. Mi piace parlare tanto”
“Ok” Emily ridacchiò.
“E due: non ti garantisco che io rifarò un’altra volta ciò che sto per fare. Quello che ho deciso non cambia. Anche se il TARDIS ha fatto quel gesto estremo”
Emily guardò di nuovo il Dottore negli occhi e sorrise a quella faccia che si forzava di essere scura e seria.
Di certo non sapeva i dettagli, cosa gli fosse successo in passato per fargli dire tutto questo, ma di certo sapeva che erano cose che non diceva sul serio.
Lei lo aveva visto nei suoi occhi: l’eccitazione di poter ricominciare, la voglia di ripartire da dove aveva lasciata.
Conosceva perfettamente quella sensazione, perché anche lei stessa l’aveva provata.
Avevi ragione donna-detective, pensò lei, è proprio un bambinone che si fa desiderare.
“Ti farò cambiare idea”
Il Signore del Tempo ricambiò accennando una risata.
“Umani. Sempre i soliti”
“Andiamo?” disse Emily appoggiando la mano sull’altra maniglia.
“Andiamo”
I due spinsero con forza la pesante porta di ferro entrando nell’oscurità, lasciandosi alle spalle un’ombra che li spiava da lontano.

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Capitolo 12
*** Attraverso la parete ***


La donna prese a gironzolare attorno alla consolle accarezzando di volta in volta le leve e posando lo sguardo sul rotore e il resto della sala. Sorrideva ai grossi meccanismi e alle scritte gallifreyane incise su di esse. Alla prima lettura non avevano un minimo senso, si vedeva perfettamente che l’aggiornamento è stato fatto di fretta, ma almeno l’accostamento di azzurro e indaco era passabile. Sempre il solito, pensò lei ridendo.
“Però. Messa così non stai tanto male. Lo sai?”
In tutta risposta il rotore si abbassò con un fischio leggero.
“Ti ringrazio per quello che hai fatto. Mi dispiace che tu abbia dovuto sprecare così tanto energia. Per fortuna che il Dottore ha saputo farti atterrare per bene”
Un altro fischio accompagnato da un respiro.
“Puoi stare tranquilla. Emily riuscirà a convincerlo. Ne sono certa”
Nella sala riecheggiò un profondo sospiro che fece sorridere la donna e alzare la testa verso il soffitto.
“Sì. Questo lo so bene, ma per ora… vediamo come andrà a finire” prima di uscire si rimise il Fedora in testa e sorrise.
“Anzi. vediamo come inizierà”
 
“Parlami di tua madre”
Emily innalzò un sopracciglio e squadrò il Dottore per quella strana richiesta.
“Come scusa?”
“Giusto per rompere il ghiaccio. Non è molto rilassante sentire le gocce di umidità rimbombare qua dentro”
In fin dei conti non aveva tutti i torti. L’interno della fabbrica era tutt’altro che rassicurante. Se da fuori sembrava messa male, dentro era peggio.
Tutto cadeva a pezzi, dalla carta da parati alle pareti stesse, per non parlare di ciò che circondava le sale che man mano incontravano: tavoli ribaltati ricoperti di polvere, risme di carta bagnata e ingiallita e vetri rotti sparsi sui pavimenti.
Era la perfetta location per un film thriller o dell’orrore.
“Era brava come mamma?”
Prima di rispondere Emily pensò bene alle parole da usare. Non parlava spesso di sua madre, se proprio doveva lo faceva solo con suo padre e nessun’altro. Cercando di mantenere un tono neutro iniziò a parlare.
“Non era sempre presente. Si occupava di datare reperti in laboratorio insieme a mio padre, anche se lui è più un tipo da ufficio”
“Oh no” Il Dottore era già sul punto di sbuffare.
“ Non mi dire che i tuoi genitori sono archeologi”
“Sì” rispose tranquilla.
L’alieno fece una smorfia di disgusto che attirò non poco l’attenzione di Emily. Era così ridicolo che si lasciò scappare un sorriso.
“Che c’è?Non ti piacciono gli archeologi?”
“Io sono un Signore del Tempo. Gli archeologi me li mangio a colazione”
“Che marziano modesto, eh?” disse Emily ridacchiando.
“Oi! Io vengo da Gallifrey, non da Marte!”
“Ahah! Ok ok! Scusami!”
La risata di Emily era piacevole da sentire e amplificata lì nel bel mezzo del nulla lo era ancora di più.
Il Gallifreyano non poté fare a meno di sorridere.
“Comunque… anche se non era sempre a casa ho molti ricordi di lei”
“Ad esempio?”
“Che lei amava i sabati”
“Ah, quelli piacciono molto anche a me. E poi: a chi non piacciono i sabati?”
“Per noi era un momento molto speciale. Ricordo che quando ero piccola le dicevo che era bello vederla almeno una volta alla settimana vestita normalmente, senza più il monotono camicie bianco e le ciabatte di gomma”
Emily subito increspò le labbra in un sorriso nostalgico.
“Mi piaceva molto anche quando mi abbracciava. Aveva sempre un buon odore”
“Posso solo immaginarlo”
“Già”
“Ti adatti in fretta”
Emily rimase sorpresa da quell’affermazione, anche se in realtà non era del tutto falso. Lei aveva fatto di tutto per opprimere quel giorno, non poteva negarlo.
“Scusa, con questo cosa vorresti dire?”
Il Dottore subito scosse la testa forzando un sorriso imbarazzato.
“Non dico che sia un male, anzi! Così le cose le riesci a gestire meglio. Insomma, a tre anni dalla sua morte hai recuperato alla grande e…”
“Tu invece no, vero?”
L’uomo di bloccò e si voltò verso Emily che lo fissò seria accennando un sorriso.
“Senti, io non so cosa sia successo, ma immagino che doveva essere una persona molto importante per te”
Il Dottore cercò di evitare gli occhi compassionevoli dell’adolescente posando lo sguardo verso un lampadario.
Emily si sentì decisamente in imbarazzo e si accorse di aver colpito un tasto dolente. Per fortuna non aveva pronunciato quel nome, altrimenti sì che sarebbero stati guai. Eccoli: i sensi di colpa.
“Senti… dimentica quello che ho detto, fai come se non te lo aves-…”
“Sì”
Gli occhi di Emily s’illuminarono nel sentire la sua voce, mentre il Dottore le sorrise lievemente.
“Io sono uno che non si adatta in fretta quanto te”
Risposta ovvia, pensò lei, anche se per un momento aveva sperato che gli raccontasse tutto. L’alone di mistero attorno a quell’eccentrico alieno, ai suoi occhi si faceva sempre più fitta.
Senza preavviso il Dottore allungò un braccio davanti ad Emily.
“Ehi, ma… che fai?”
“Hai sentito anche tu, vero?”
“Eh? Ma che cosa?”


Splash
 
Emily s’irrigidì a quel curioso suono dell’acqua che s’increspava. Per un momento s’immaginò un sasso lanciato nell’acqua.
“Che… che cos’è stato?”
“Sta’ indietro Emily”
La ragazza obbedì e rimase dov’era lasciando che fosse il Signore del Tempo ad avanzare.
Con cautela quest’ultimo prese dalla sua tasca interna il suo cacciavite pronto per essere usato e facendo attenzione a non calpestrare i vetri camminò con gli occhi puntati davanti a lui finché…
 
Crack
 
All’improvviso una grossa voragine si aprì sotto i suoi occhi e ve ne uscì un enorme felino dai denti a sciabola, col pelo rigato di verde e marrone e quattro grossi occhi coloro cremisi.
Il Dottore preso alla provvista cadde all’indietro.
“Dottore!”
“Emily! E’ un Kujacara! Scappa!”
Emily non sapeva dove scappare. Erano al secondo piano, senza contare che la creatura era troppo veloce perché lei potesse raggiungere la porta.
Per un attimo si sentì sollevare dal cappuccio della giacca per poi non sentire più la terra sotto i piedi.
“Dottore!”
“Emily!”
Il Kujacara si tramutò in nebbia e attraversò la porta, lasciando il Dottore a terra con un braccio a mezz’aria e gli occhi fissi sul soffitto umido. C’era qualcosa che non andava, qualcosa che lo turbava, e non era di certo il fatto che fosse caduto di schiena su dei vetri rotti, ma l’apparizione del Kujacara.
Per un attimo il Signore del Tempo chiuse gli occhi e rievocò il suo arrivo, focalizzò il suo muso e le sue espressioni. L’aveva visto bene: era terribilmente spaventato.
Il suo non era un ruggito per spaventarli, ma bensì per avvisarli.
 
Scappate! Scappate!
 
“No… no no no no!”
Il Dottore si alzò in fretta e azionò il cacciavite imprecando a bassa voce per non averlo notato prima. Come pensava, c’era più di un’oscillazione all’apertura dello strato della realtà: qualcosa era rientrato assieme al Kujacara e sicuramente non era niente di buono.
“Emily!”
Correndo più veloce che poteva il Dottore salì due rampe di scale saltando due scalini alla volta per poi raggiungere una porta di legno frantumata. Subito si fece largo nel varco ed entrò chiamando a gran voce Emily.
“Emily!! Emily dove sei?!”
“Sono qui Dottore!”
Tre metri più là davanti a lui, Emily era in ginocchio a fianco al Kujacara. Era già pronto a reagire, prima che si accorgesse che la povera creatura fosse accasciata vicino a lei senza forze.
“Oh no…”
Il Dottore si sforzò di correre quei pochi metri e li raggiunse affannato.
“Che… che è successo?”
Emily scosse la testa continuando ad accarezzare il pelo morbido del Kujacara.
“Non lo so. Abbiamo volato fino a qui quando ad un certo punto mi ha messa giù. Poi è svenuto. E’ ferito”
La ragazza si aspettò che il Dottore tirasse fuori il suo cacciavite. Si rilassò appena vide che aveva preso un fazzoletto di stoffa nero.
Il Dottore tastò delicatamente la schiena del Kujacara e sbottò un sorriso.
“Fortunatamente lo ha colpito di striscio”
“Lo ha… colpito?”
“Qualcuno è rientrato con lui. Questa è una ferita provocata da un’arma laser”
“Ma chi?”
“Questo proprio non lo so e credimi. Odio non sapere”
Il Dottore era sul punto di avvicinare il fazzoletto all’alieno, ma ritrasse la mano appena lo sentì ruggire di dolore.
“Ehi tranquillo. Non siamo nemici. Scusa se ti ho fatto male”
Il Signore del Tempo si riavvicinò con più cautela ed applicò il fazzoletto sulla ferita.
Tranquillizzatosi, il Kujacara emise quello che sembrava un miagolio pesante e il Dottore ridacchiò.
“Ma figurati amico mio. Siamo noi che ti dobbiamo ringraziare”
Emily rimase senza parole mentre i due alieni parlavano tra di loro tra un ruggito e l’altro. Ecco un’altra cosa da aggiungere nella lista delle assurdità del momento: come  se una finta fabbrica invisibile, un’astronave/macchina del tempo più grande all’interno e un’ alieno millenario con due cuori non bastassero.
“Aspetta… ma tu capisci cosa sta dicendo?”
Il Dottore annuì sorridendo.
“Già”
“Ma si può sapere quante cose sai fare?”
“Quanto basta”
“Certo che avevi ragione” disse Emily riprendendo ad accarezzare il Kujacara “ Sono davvero molto grossi”
“Ti sbagli”
“Eh?”
“Questo è solo un cucciolo di Kujacara. Uno adulto è nettamente più grosso”
“Più.. grosso?”
“Hai presente due elefanti?”
“S-sì…”
“Bene. Dimenticateli, perché è ancora più grosso, specialmente se sono femmine”
Il Dottore levò il fazzoletto nero sorridendo. Per grande sorpresa di Emily, il pelo non era più bruciacchiato, ma era ritornato marrone e verde, e la lunga striscia rossa era completamente sparita.
“Ma è incredibile! Come hai fatto?!”
L’alieno tirò su quello che sembrava un semplice pezzo di stoffa, ma quando lo lanciò ad Emily, sulla sua mano pareva di ferro, gelida e sorprendentemente leggero.
“Tecnologia del L secolo. O del XL … faccio sempre un sacco di confusione. Se qui si usa cotone, alcol etilico e tempo, lì si usa nanotecnologia, ferro e zero tempo”
Il piccolo di Kujacara, non sentendo più dolore, si rialzò lentamente e si sfregò sulla schiena del Dottore che rischiò di cadere.
“Wo, buono bello. E’ stato un piacere aiutarti. Per curiosità, tu hai un nome?”
L’enorme felino rispose con un ruggito leggero.
“Kai? Però, bel nome”
Ne emise un altro.
Questa volta il Dottore smise di sorridere e sbatté freneticamente le palpebre.
“Aspetta… te lo ha dato… Marta?”
Kai annuì.
In tutta fretta il Signore del Tempo prese dalla giacca un foglio ripiegato in quattro e lesse il primo nome il rosso da lui scritto e spalancò gli occhi.
“Parli di Marta Ferri per caso?!”
Fusa.
Subito Emily si avvicinò al Dottore. Pur non avendo capito bene la conversazione dei due, capì attraverso il Dottore la notizia che voleva sapere e sperava vivamente che lo fosse.
“Dottore, se non sbaglio Marta Ferri è una delle…”
“Marta Ferri: la prima donna ad essere stata presa, perciò sì; fa parte delle donne scomparse”
Emily allargò un sorriso che venne ricambiato da una risata del Dottore.
Senza accorgersene la ragazza si era gettata sul collo del gallifreyano, e quest’ultimo aveva risposto abbracciandola a sua volta.
L’abbraccio durò poco più di dieci secondi. All’undicesimo i due si staccarono imbarazzati.
Il Dottore si schiarì la voce sistemandosi il farfallino.
“Ok, ehm… Dal momento che grazie al nostro amico” disse indicando Kai “ sappiamo che tutte le donne sono ancora sane e salve”
“Tutte?”
Un ruggito confermò.
“Così ha affermato per la seconda volta. Or dunque amico mio. Ci faresti il favore di mostrarci dove sono?”
Kai annuì e con uno scatto raggiunse una parete di cemento . Con una zampata lasciò un grosso graffio su di essa e con un cenno del capo il Kujacara invitò Emily e il Dottore ad avvicinarsi.
I due camminarono verso la parete posta dall’altra parte della sala e la raggiunsero. Ai loro occhi pareva una semplice parete di cemento sgretolata con delle macchie di umidità.
Ovviamente non era affatto così.
“Una… parete. Sarà una specie di… portale interdimensionale o roba del genere?” tentò Emily.
Il Signore del Tempo sorrise all’umana. Lui vedeva che il suo sguardo era sì perso, sorpreso e incredulo, ma era inevitabilmente affascinata e vogliosa di andare avanti. In un certo senso, pensò, le somigliava parecchio, ma in fondo lo sapeva: gli esseri umani sembravano Signori del Tempo.
“Sei davvero una ragazza molto sveglia, sai?”
Emily inarcò un sopracciglio.
“Svegli sono capaci di esserlo tutti. Sono solo intelligente”
“Umana modesta”
“Senti chi parla”
Il Dottore allungò una mano ad Emily che l’afferrò e la strinse.
“Pronta?”
“Pronta”
Kai lasciò che fossero prima loro ad attraversare il portale e si spostò dietro di lato facendo le fusa.
Emily per un attimo si sentì come Alice che doveva attraversare uno specchio e come lei avrebbe potuto trovare di tutto, ma visto com’erano cambiate le cose tra loro e Kai il Kujacara, poteva sperare di non trovare niente di spiacevole.
Mancava poco. Presto Emily avrebbe riabbracciato Mrs Alba.
Bastò solo un salto per attraversare il portale e seguiti dal ruggito di Kai, si ritrovarono in un’immensa sala illuminata con cinque donne sedute attorno ad un tavolo, che bevevano tranquillamente del caffèlatte.

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Capitolo 13
*** Rapporto di classe 5 ***


Rapporto di classe 5. Chiedo il permesso di illustrarlo.
 
Permesso accordato. Dichiarare il proprio nome e quello della gilda.
 
Kranov. Gilda LOTO 16.
Il Kujacara è stato individuato e ferito non mortalmente con un’arma laser di tipo X-556.
 
Luogo e tempo.
 
Pianeta Terra, anno 2013 del giorno 21 Ottobre.
 
Prosegui.
 
Il resto della gilda è impegnato al prelievo di altre specie in altre epoche.
 
Sei solo?
 
Affermativo. I Kujacara in questione sono ancora cuccioli inesperti che si affidano a mere tecniche di illusione e di percezione per nascondersi. Tecniche facili da raggirare.
 
Quanti sono?
 
Cinque.
 
Cinque è un numero da non sottovalutare. Kranov della gilda LOTO 16, ti si chiede di non abbassare la guardia.
 
Agli ordini.
 
Hai da aggiungere altro?
 
Sono presenti assieme ai Kujacara altre sette forme di vita. Apparentemente sono innocue, non dovrebbero recare alcun problema.
 
Forme di vita individuate. Non fanno parte della missione, lasciarle pure in vita.
 
Agli ordini. Chiedo il congedo per riprendere la cacc-...
 
Allarme! Allarme!
 
Qualcosa non va?
 
Scannerizzazione di emergenza. Le forme di vita innocue sono 6. Individuato reietto. Ripeto, individuato reietto.
 
Reietto di che classe?
 
Di classe 3185511. STATUS: pericoloso. Richiesta l’immediata eliminazione. Il più presto possibile.
 
Non è presente alcun controllo nei suoi confronti come per i precedenti?
 
Negativo. La sua eliminazione è tassativamente necessaria.

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Capitolo 14
*** La madre, la famiglia e il passo decisivo ***


Ed eccolo lì. L’euforico, il giocherellone, il bambinone; alias il Dottore, che si lasciò cospargere di bava da capo a piedi dai cinque enormi, ma affettuosi Kujacara.
Bastarono tre secondi e il povero Signore del Tempo era già a terra a ridere a crepa pelle.
“Ehi! No… fate piano! Basta! Ahaha! No!”
Nella sala riecheggiò la fragorosa risata dell’alieno che Emily non aveva mai avuto l’occasione di sentire. Non prima di quel momento. Per un attimo sorrise a quella scena, immaginandosi dei teneri labrador invece che degli alieni dal peso di mezza tonnellata ciascuno.
“Emily…”
Ed eccola lì. L’incredula, l’impietrita, la ragazza che voleva fare l’adulta; alias Emily, che rimase immobile davanti alla figura slanciata della sua insegnante d’inglese avvolta in una camicia da notte col pizzo. Gli occhi le bruciavano dall’emozione.
“Mrs…. Alba”
“Emily!”
La donna non si trattenne oltre e corse verso la sua alunna e l’abbracciò forte a sé, mentre la ragazza era ancora intenta a realizzare che non stava sognando. Era lei. Era veramente Mrs Alba.
“Mrs. Alba! E’ viva!”
“Oh, Emily! Sì! I’m alive, sweetheart!”
Mrs. Alba accarezzò i capelli di Emily con le lacrime agli occhi.
Era così strano, pensava la ragazza, vedere Mrs. Alba senza i consueti trucchi punk, ma era pur sempre contenta di vederla viva.
“Oh! Ohhhhhh!!! Ho finalmente capito!”
Tutti, Kujacara compresi, guardarono perplessi il Dottore, che con un salto si rialzò tutto bagnato -Dio solo sapeva quanto puzzasse- e iniziò ad imprecare ad alta voce con le braccia all’aria.
“Che stupido! Stupido vecchio Dottore! Davvero stupido! E giustamente ci arrivi adesso, vero?! Bah, che stupido!”
“Smettila di darti dello stupido e dicci che cosa hai capito!”
“Ah!”
Mrs. Alba si portò una mano alla bocca incredula e con l’altra indicò l’uomo in tweed bagnato.
You… sei l’uomo della finestra! L’uomo che ha salvato Emily!”
Il Dottore annuì imbarazzato increspando leggermente le labbra in un sorriso.
“Beccato”
You are really him!”
“Sì…”
“Dottore! Ci spieghi che cosa hai capito?”
Doctor?”
“Sì, si fa chiamare così”
“Ma… Doctor who?”
Per favore!”
La voce del Signore del Tempo bloccò prima Emily e poi Mrs. Alba, lasciando quest’ultima con gli occhi spalancati accortasi di non poter parlare.
La diciassettenne scrollò le spalle mimando lo so.
“Mrs. Alba, la risposta è sì: il mio nome è il Dottore, con la d maiuscola e prima di passare a te Emily: signore, scusate se non vi ho salutate” e fece un profondo inchino alle altre quattro donne alquanto sorprese.
“E se permettete, ho bisogno di voi, compresa Mrs. Alba, per illustrarvi la mia lenta comprensione di poco fa”
Sfregandosi le mani, il Dottore spostò una donna per volta accanto ad ogni Kujacara che iniziarono a strusciare amorevolmente sulle loro schiene facendo le fusa.
Emily lo osservò senza capire, posando uno sguardo assai confuso su ogni coppia umana/alieno schierata davanti a lei.
“Beh?” disse esaltato il Dottore.
“Beh?...” rispose Emily insicura.
“Guarda! Un Kujacara per donna! Una donna per Kujacara!”
“Senti… non stiamo giocando al mimo. Spiegati come si deve”
“Avrei dovuto capirlo subito o almeno arrivarci! Ho dimenticato un dettaglio davvero importante che riguarda i cuccioli di Kujacara”
“E sarebbe?”
“La madre!”
“La… madre?”
“Sì! La madre!”
Il Dottore si mise davanti alle cinque coppie indicando una alla volta le donne.
“Marta, He hua, Federica, Gemma e infine Alba. Siete cinque donne sposate, ma non è questo il punto, ciò che vi accomuna è anche il fatto che siete delle madri!”
“ E… perché è così importante?” chiese He hua.
“Non è importante, è molto importante. Sapete perché? Per il senso materno! Perché i cuccioli di Kujacara ce l’hanno!”
“Aspetta un momento Dottore…  non ti seguo…”
“Arrivati qua Emily, ti ho parlato dei Kujacara in generale, ma senza accennarti dei cuccioli. Loro sono come i semplici cuccioli di cane, di gatto, di foca, quello che vuoi; hanno sempre bisogno di una madre! E’ vero che qui possono anche togliere i cuccioli ancora piccoli , ma per i Kujacara è diverso . Loro hanno tassativamente bisogno di una madre fino alla maggiore età, ma se nel caso dovessero perderla o sfortunatamente lei dovesse morire, ne cercano una che la sostituisca”
Il Gallifreyano arruffò la testa del Kujacara a fianco di Gemma.
“Ciò che volevano era che  qualcuno fosse per loro una  figura materna. Qualcuno che li proteggesse, e quel senso di protezione l’hanno sentito in ognuno di queste donne: delle vere e proprie madri. Cosa c’è di meglio?”
Senza accorgersene Emily allargò un sorriso che contagiò sia il Dottore che tutte le donne.
“A nome di tutte” annunciò Marta sorridendo “siamo state contente di essere state delle madri per voi”
I cinque alieni risposero con un leggero ruggito.
“Ma anche noi abbiamo i nostri di figli” continuò Federica “ e le nostre famiglie saranno molto preoccupate”
“Signor Dottore, lei che sembra essere un esperto, per quanto tempo dovremmo stare qui?”
“Non preoccuparti Gemma, loro se ne andranno oggi stesso”
“Sul serio?!” esclamò felice He hua.
“Dici così perché hanno già raggiunto la maggiore età?”
“No, Emily. La maggiore età la raggiungono dopo qualche anno”
“Cos-… ma allora perché hai detto… ?”
Manipolatori del vortice del tempo”
“Eh?” Manipolatori di cosa?”
Il Signore del Tempo ignorò la ragazza e si avvicinò al muso di Kai.
“Già per il fatto che sono qui nel 21° secolo ho pensato che li usassero, visto che sono alieni nati a partire del 30° secolo, e inoltre potete capire la lingua umana, cosa che in questo stesso secolo non sareste ancora in grado di fare. Perciò posso dedurre in conclusione, tenendo conto di tutto cronologicamente, che venite dal 50° secolo, giusto?”
“5-… parli sul serio?!”
“Già. Nel 30° secolo i Kujacara erano, per così dire, ancora dei selvaggi. Gli esseri umani non osavano nemmeno avvicinarsi e li lasciavano vivere in pace nelle loro paludi. Ma col tempo, entrambe le specie iniziarono a collaborare. I Kujacara usano le loro capacità per gli umani, mentre questi ultimi li proteggono e procurano a loro cibo. Sicché dovevano vivere insieme, li hanno anche insegnato a comprendere la loro lingua. Ah, sono molto intelligenti, e per lingua umana intendo ogni singola lingua umana”
“Che cosa intendi per protezione?”
“Anche se sono grandi e grossi c’è sempre qualche bracconiere pronto a provare a catturarli, e con esiti più che positivi. Come quello che ha inseguito Kai poco fa”
“Quello era un bracconiere?”
“Una specie”
Il Dottore tirò fuori dalla giacca ancora bagnata il cacciavite sonico e lo puntò contro la parete da cui lui ed Emily erano entrati. Con un solo trillo dello strumento quella venne attraversata da una scarica elettrica azzurra.
Le scintille fecero trasalire Emily e le donne, ma nonostante fosse incomprensibile ai loro occhi, sembrò tranquillizzare parecchio i Kujacara.
“Così non dovrebbe trovare il passaggio, ma soprattutto riuscire a fare una scansione. Anche se molto probabilmente l’avranno già fatt-… woah!”
Bastò una sola spinta per far piegare in avanti il Signore del Tempo. Era un altro Kujacara dal pelo turchese che ruggì lievemente.
“Ciao, dimmi pure…. Ehm…”
“Bryan” disse Mrs. Alba.
“Bryan. Bel nome. Qualcosa non va, Bryan?”
Il grosso felino avvicinò al piede del Dottore la sua enorme zampa destra unghiata. Scostato di poco il folto pelo, Bryan mostrò un oggetto quadrato di metallo che attirò l’attenzione del Gallifreyano.
“Oh, eccolo il diavoletto. Geniale nasconderlo sotto il pelo, ma inefficace perché quei brutti bracconieri sarebbero riusciti a trovare il segnale”
Emily, seguita da Mrs Alba e le altre, si avvicinarono e ammirarono il curioso manipolatore provvisto di solo un display e due pulsanti rossi.
“Quindi questo può farli riportare nel 50° secolo?”
“Esatto”
“E’ come… una macchina del tempo!”
“E’ una macchina del tempo, solo tascabile”
Il Dottore iniziò ad esaminarlo aggrottando la fronte di volta in volta. Alla fine scosse la testa e schioccò la lingua deluso.
“Ora capisco perché non siete ritornati. Si è danneggiato parecchio e siete dovuti andare in una qualsiasi epoca”
“E’ tanto grave?”
“Mi ci vorrà del tempo, ma posso ripararli senza problemi”
Come se il bagno di bava di gruppo non fosse abbastanza, il Dottore si beccò un ulteriore lecata di ringraziamento sulla faccia da parte di Bryan.
Emily non si trattenne dal ridere.
“Grazie… ehm… direi che non era necessario,ma… non c’è di che”
“Tenga, Mr. Doctor
Mrs. Alba allungò al Dottore un fazzoletto di seta viola, quest’ultimo lo accettò e si asciugò il viso e i capelli.
“Grazie mille”
“Di nulla”
Con uno strappo deciso, l’alieno tolse dalla zampa il manipolatore di Bryan, per poi passare a quelli di Kai, Gian, Ken e Bill – nel mentre aveva chiesto ai tre rimanenti il loro nome - , e si mise su uno dei tavoli di vetro pronto per lavorare.
“Bene. Porte bloccate, le donne sono in salute, l’unica cosa che ci rimane da fare è riparare questi obbrobri e tutti torneremo alle nostre vite. Un favore che vi chiedo è di tenere a bada i nostri amici qui presenti fino a quando non avrò finito. Emily, ho bisogno della tua assistenza”
La ragazza si alzò di colpo come un suricato al richiamo di un predatore, con tanto di occhi ben spalancati.
“O-ok”
“Bene. Quando te lo dirò…” continuò a parlare tirando fuori dalla giacca quelle che sembravano chiavi di diverse dimensioni “passami questi. Ti dirò il colore del manico. Rosso”
“S-sì”
Un po’ impacciata la ragazza gli passò una chiave dalla forma molto singolare. Verde, e gliene passò un’altra; giallo, indaco e così via. Col passare del tempo, Emily iniziò a prenderci la mano. Quasi si sentì una vera infermiera che aiutava un vero dottore.
Non erano passati nemmeno venti minuti, eppure il Dottore aveva già riparato due manipolatori.
Emily lo ammirò stupefatta, mentre armeggiava con sicurezza cacciavite sonico e chiavi.
“Però. Te la cavi con i congegni elettronici”
Lui fece spallucce incurante.
“Dipende”
“C’è qualcos’altro che devo sapere oltre al fatto che hai due cuori e una macchina del tempo”
“Shh! Buona tu! Non vorrai che lo sappiano tutti!”
“E perché no? Andiamo! Non possono pensare che tu sia un semplice uomo che sa cose aliene!”
“Beh, mi spiace per te, ma loro la pensano così, e comunque non ci tengo a farmi notare. Dopo questa storia, ognuno ritornerà alla sua vita. Ricordi?”
“E tu… cosa farai? Cosa stavi facendo prima che ci incontrassimo?”
Senza cogliere lo sguardo interrogativo di Emily, il Dottore si fermò per pochi secondi e ricominciò a girare la chiave rossa.
“Sì”
Confusa lei scosse la testa.
“Come scusa?”
“Era… una persona molto importante per me. Anzi: erano, le persone più importanti per me. Me lo avevi chiesto”
Deve essere un vizio, pensò Emily, quasi si era dimenticata di averglielo veramente chiesto.
Il rumore delle chiavi sul manipolatore era il filo dei pensieri di Emily; ogni girata corrispondeva ad una parola che si collegava a molte altre, formando domande su domande, curiosità su curiosità, ma onde evitare di colpire ulteriormente un tasto dolente si limitò a dire solo una parola di quel filo.
“Davvero?”
Il Dottore sorrise e annuì.
“Erano i miei migliori… amici. Erano la mia… ehm…”
“Famiglia”
Questa volta il Gallifreyano si girò verso Emily. Bastò quello sguardo attonito del primo per far sorridere quest’ultima.
“E loro sapevano di quello che facevi? Che aiuti la gente?”
“Loro erano con me. Sempre. Senza di loro io non sarei così”
“Così come? Generoso?”
“Può darsi”
Un’imbarazzante silenzio calò tra i due, che venne poi riempito dai ruggiti dei Kujacara e le risate delle donne alle loro spalle.
“Prima nel TARDIS e fuori dalla fabbrica hai detto che non… che non ci avresti mai più aiutati. Perché?”
Di nuovo la ragazza venne ignorata, ma per poco.
“Mille anni. E’ ormai da quasi mille anni  che io sto dietro a voi e non solo. Non credi che sia abbastanza, eh? Anche io ho il diritto di andare in pensione”
“Io continuo a dire che sembri giovane”
“Come dice il proverbio: l’abito non fa il monaco
“Io avrei detto mai giudicare un libro dalla copertina
“Oi! Ragazza-sveglia-che-in-realtà-è-solo-più-intelligente, vedi di abbassare la cresta, chiaro? Perché io…”
“Tu menti”
La mano dell’alieno si fermò con la chiave lasciando che il manipolatore scricchiolasse.
“Come dici?”
“Te lo si legge in faccia. Tu menti, lo fai e lo hai sempre fatto”
Diversamente dalla prima volta, il Dottore guardò dritto negli occhi Emily e appoggiò sul tavolo di vetro la chiave gialla.
I profondi occhi verdi di lei erano come insidiati in quelli sfumati di marrone del Galliferyano. Per un solo istante pensò che gli stesse leggendo dentro, e forse era così, non lo sapeva.
“Io lo so a cosa pensi”
Un brivido percorse la schiena del Dottore fino alla nuca.
“Ho avuto anche io lo stesso e identico pensiero quando è morta mia madre. Dentro me ho pensato: la mia vita non ha più senso senza di lei, o anche, se solo io e mio padre l’avessimo raggiunta in tempo, forse lei sarebbe viva. Ma purtroppo non è successo. E’ stato inevitabile”
Il Dottore strinse con forza i pugni con entrambe le mani.
Magari inevitabile per voi, ma non per me.
Il Signore del Tempo rievocò con rammarico quel momento al cimitero a New York, un momento che avrebbe voluto e dovuto dimenticare ormai da tempo.
Rory era già stato spedito nel passato, erano rimasti lui, River ed Amy, ormai in lacrime.
No. Non doveva ricordare. I suoi due cuori non avrebbero retto una seconda volta. Le sue mani tremavano sotto il vetro freddo del tavolo, ma vennero scaldate dalle mani calde e rassicuranti della diciassettenne.
“Ma stai tranquillo, Dottore. Loro non sono andati via. Sono sempre qui”
Quelle piccole mani candide e rosee si posarono sul petto dell’alieno, mani che lui riteneva non meritare.
“Alieno o umano, religioso o non religioso, non cambia nulla. Tutte le persone a noi care non ci lasciano mai, sono sempre con noi, ci proteggono e ci controllano, ma soprattutto ci controllano”
Sapeva bene cosa intendesse, e anche se era una frase che aveva sentito svariate volte, detta da Emily era come sentirla per la prima volta. Era così confortante. Così piacevole da sentire.
“Non ho idea di come fossero questi tuoi amici, ma sono sicura che non approverebbero quello che tu stessi per fare. Ovvero smettere di aiutare e… ”
Inaspettatamente il Dottore si lasciò scappare una risata, spezzando così quello che doveva essere un momento di serietà.
“Che… cosa c’è da ridere?”
“C’è… una cosa che non ti ho detto…”
“E sarebbe?”
Un’altra risata.
“Che Amy era dannatamente scozzese!! Hai voglia se si arrabbierebbe!!”
Emily lasciò andare il petto del Gallifreyano con il volto in fiamme dalla vergogna. Avrebbe tanto voluto dargli un bel cazzotto sul naso, o magari su quel suo mentone.
“Tu… non hai il proprio il senso della misura, vero?”
“Scusa.. ahahah… ma mi vengono in mente… in mente tutte quelle volte che… ahahah!”
L’atmosfera ormai era cambiata da un pezzo.
Emily si ritrovò davanti il Dottore piegato in due dal ridere e gli occhi curiosi delle donne e dei Kujacara. Non sapeva se farlo smettere o lasciare che si sfogasse.
“Ma sì…”
“Alla fine decise di lasciarlo sfogare un po’.
“Oh, Emily Creek!”
D’un tratto la ragazza si trovò faccia a faccia con il buffo farfallino bordeaux e l’orribile tanfo di bava di un’ora fa. Quella era decisamente la cosa più disgustosa che le potesse capitare, ma anche la più sorprendente dopo tanto tempo.
“Grazie” disse lui semplicemente, stringendo ancor di più le braccia.
“Di… niente” rispose lei sorridendo.
“Bene! Basta con i convenevoli! Abbiamo pianto, abbiamo riflettuto, abbiamo capito e abbiamo riso!! E’ il momento di continuare a lavorare! Emily, rosso!”
“Emi”
“Cosa?”
La ragazza appoggiò a peso morto la chiave sulla mano dell’alieno sorpreso.
“Chiamami pure solo Emi”
Un passo alla volta. Un passo alla volta e lo avrebbe aiutato a cambiare.

ANGOLO DELL'AUTORE:
Lo ammetto... questa può essere una spiegazione un po' vaga, ma vi posso assicurare che è quello che sono riuscita a pensare in mezzo a verifiche e interrogazioni XP accidenti alla scuola... mi blocca sempre di più...
beh, spero sia di vostro gradimento questo capitolo!

Cassandra

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Capitolo 15
*** Finalmente fuori ***


Base a Kranov. Base a Kranov. Ci ricevi?
 
Forte e chiaro. C’è qualcosa che non va?
 
Abbiamo perso il segnale. I Kujacara non risultano più nell’edificio terrestre.
 
Non è possibile. Io sono ancora all’interno, ed è qui fisicamente.
 
Qui risulta scomparso. Esegui un controllo col tuo scanner.
 
Confermo. Lo scanner non rileva la presenza dell’edificio, ma -...
 
Questi sono i nuovi ordini da noi impartiti, Kranov della gilda LOTO 16: ritorna alla base e attendi i tuoi compagni.
 
E l’ordine di eliminare il reietto?
 
Il reietto non andrà lontano, e se mai dovesse allontanarsi possiamo sempre ritrovarlo, è più importante la tua presenza. Lo uccideremo a tempo debito.
 
Ma io posso abbatterlo ora, se solo mi -...
 
Osi disobbedire?
 
...
 
Kranov della gilda LOTO 16?
 
No. Non oserei mai.
 
Allora ritorno immediato. Preparati per il teletrasporto.
 
Affermativo.

 
 
Emi trasalì quando si trovò davanti agli occhi la piccola lucina verde del cacciavite sonico.
“Ehi ma cos-…”
“Shh” fece il Dottore tappando la bocca della ragazza con un indice “hai sentito anche tu?”
“Sentito cosa?”
Alzatosi in piedi il Gallifreyano raggiunse la parete da lui bloccata e vi avvicinò la mano destra, ma al primo contatto venne scaraventato lontano, quasi come se ci avesse rimbalzato contro.
“Ah!”
“Dottore!”
Mancò poco che andasse contro uno dei tavoli di vetro, quando Kai fece in tempo a prenderlo al volo.
 Emi e tutte le donne tirarono un profondo respiro di sollievo.
“Dottore, va tutto bene?”
Un po’ scosso il Signore del Tempo si tastò il petto per controllare che entrambi i cuori funzionassero ancora.
“Sì… sì, sto bene. Ma cosa diamine è successo? Un’interferenza?”
“Che cosa vuoi dire?”
“Insomma, è assurdo! O la parete si è smagnetizzata o…”
Il suo silenzio durò almeno una ventina di secondi. Un tempo decisamente troppo lungo per uno come il Dottore.
“Ehm.. si è smagnetizzata o?”
“Si è smagnetizzata… si è veramente smagnetizzata!”
“E questo cosa vuol dire?”
“Vuol dire che c’è stata un’interferenza!”
“Oh, ora sì che ho capito.”
“Davvero?”
Certo che no!!”
Senza smettere di sorridere il Dottore ringraziò Kai per averlo salvato e ritornò davanti alla parete. Con sicurezza l’alieno appoggiò di nuovo la mano. Non successe nulla.
“Ora è tutto chiaro. L’interferenza è un teletrasporto.”
“Tele…teletrasporto? Un vero teletrasporto?”
“Sì, un vero teletrasporto. E sai questo cosa significa?”
Su Emi si disegnò un largo sorriso mostrando appena un piccola fossetta sulla guancia sinistra.
“Che il cacciatore se ne andato?”
“Esattamente”
“Questa sì che è una buona notizia!”
So… possiamo quindi uscire?” chiese Mrs. Alba.
“Sì!” urlò felice Emi.
“Ma che ne saranno dei manipolatori?” chiese Federica.
“Oh, quelli sono già belli che pronti per essere usati. In realtà non sono proprio riparati del tutto, gli ho programmati per fare due viaggi.”
“Due viaggi? E perché?”
“Ora lo vedrai. Datemi una mano a metterli sui Kujacara, forza.”
Le donne si avvicinarono una alla volta al Dottore per prendere un manipolatore ciascuno. Fortuna voleva che erano facili da mettere in quanto simili al blocco della cintura di una macchina. Fu come aver appena messo dei guinzagli a dei cani prima di uscire, sicché la reazione dei Kujacara furono lingue penzolanti e code scodinzolanti.
“Perfetto. Che ognuna si prenda per mano e… per zampa. Insomma, dovete creare una catena. Non vorrei perdere qualcuno durante il viaggetto.”
“Aspetta. Ci spostiamo?Noi?”
“Emi, lasciatelo dire. Di solito adoro quando le persone mi fanno tante domande, ma ora non abbiamo tempo. Il cacciatore sarà pure andato via, ma nulla può garantirci un suo ritorno, quindi dobbiamo fare in fretta. Siete pronti?”
Emi subito si aggrappò al braccio del Dottore, seguita da Mrs. Alba, poi dalle altre e i Kujacara.
“Siamo pronti.”
”Sorry, Emi.”
“Mi dica Mrs. Alba.”
“Ma… davvero non sai cosa Mr. Doctor abbia intenzione di fare?”
“No”
La donna spalancò gli occhi sorpresa.
“E tu sei tranquilla. Why?”
“Lo so, l’ho conosciuto appena ma…”
But?”
“Ma so di potermi fidare di lui.”
Gli occhi di Emi brillarono di una luce nuova, una luce che Mrs. Alba non aveva mai visto da quando la conosceva. Era sempre stata una ragazza dal carattere forte, in fondo sensibile e determinata.
Se lei si fidava di lui, pensò, allora poteva fidarsi anche lei.
Ok.
“Ehi, allora ci siamo?” chiese lui un’ultima volta.
“Si Dottore!”
“Bene. Ora signore, chiudete gli occhi. Presto rivedrete le vostre famiglie.”
Emi strinse con forza il braccio di lui con gli occhi chiusi e il cuore che le batteva forte nel petto.
Il Dottore intanto aveva preso in mano il suo cacciavite sonico e lo alzò verso il soffitto.
“Uno. Due. E tre!”
Durò tutto in un secondo. Anzi. In un millesimo di secondo. O forse anche meno.
L’unica cosa di cui erano certi tutti, era che non si trovavano più nella sala monolocale in cui le donne sono rimaste per quasi un mese, ma erano finiti fuori, seguiti da una cortina di fumo.
Era notte, forse le dieci di sera, e stare su un terreno desolato  con solo una camicia da notte non era proprio il massimo.
“Brrr… ma… ma siamo fuori? Siamo fuori!” disse Marta scaldandosi le spalle.
“Ma come abbiamo fatto?!”
“Bene, abbiamo poco tempo prima che vengano qui.” il Dottore controllò velocemente l’orologio da polso d’oro scuotendo la testa.
“Accidenti… è da un sacco di tempo che non viaggio nel tempo con questi affari. Ma almeno non lo dovrò più rifare. Ok, ora che siamo ritornati noi, tocca a voi ritornare a casa, amici miei.”
Il Gallifreyano agitò di nuovo il cacciavite e i manipolatori dei Kujacara ripresero a lampeggiare rumorosamente e simultaneamente.
“Prima che questi sessanta secondi  scadino, vi posso assicurare che voi non avete fatto niente di male e che lo avete dovuto fare giusto per avere protezione, come già spiegato. Dico bene?” e indicò Marta, che rispose un po’ frettolosamente.
“S-sì. Sì, certo!”
“E che loro non sono per niente arrabbiate” e indicò He hua.
“Ovviamente non lo siamo!”
“Ok. Trenta secondi. Mi raccomando di far riparare come si deve i vostri manipolatori e di salutarmi tanto le vostre madri, e continuate con l’ottimo lavoro che state facendo nel 50° secolo e spero che cresciate grandi e forti!”
I cinque alieni risposero all’unisono con un forte ruggito.
“Buoni buoni! Che qui intorno dormono! Dieci secondi. E’ quasi il momento. Arrivederci!”
Mancavano ormai sette secondi prima che Bryan, Gian, Ken, Bill e Kai scomparissero, ma bastarono a quest’ultimo per ruggire al Dottore una seconda volta. Un ruggito che conteneva un messaggio, importante. Molto importante.
“Non lo so” disse semplicemente lui  “non lo so davvero.”
Una cortina di fumo fece sparire i cinque enormi felini sotto gli occhi di tutti.
Dietro di loro scomparve anche l’enorme fabbrica, come se fosse stato un semplice miraggio in un deserto. Al suo posto non rimase che uno spiazzo rettangolare.
“Sono… sono andati via?”
“Sì, Emi. Sono tornati a casa”
“Nel 50° secolo?”
“Nel 50° secolo”
Il fruscio degli alberi mossi dal vento riecheggiava in quell’imbarazzante silenzio, mentre la cortina si dissolveva nell’aria, lentamente, senza lasciare tracce.
Nessuno sembrò voler parlare, nemmeno le donne, forse perché così contente di essere uscite e di poter finalmente rivedere le proprie famiglie.
E’ così che finisce, pensò Emi.
E’ così che vuoi che finisca. Dottore?
“E tu vuoi smettere di fare tutto questo?”
Il Dottore ci impietrì con la bocca aperta, aspettandosi di rispondere, ma subito la chiuse arrossendo.
Inevitabile fu non incrociare gli occhi di Emi,nemmeno volendo, e si limitò a sorriderle, un po’ forzatamente.
“Aiutare la gente è un bene. O meglio, gli… alieni, ma credimi Dottore” si morse il labbro inferiore prima di continuare “Qualunque decisione tu abbia preso prima di incontrarci, dopo che loro morirono, non è quella giusta. Non è così che avrebbero voluto” sì, lo aveva detto. Finalmente era riuscita a dirlo.
Tasto dolente o no, era sicura che questa volta non avrebbe avuto i sensi di colpa. Era il momento giusto, la donna-detective lo avrebbe approvato, o almeno così sperava.
La ragazza era pronta a riprendere a parlare, quando la sua voce venne coperta dal consueto rumore assordante della sirena di un’ambulanza – o forse erano due- che attirò l’attenzione di tutti.

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Capitolo 16
*** Spiegazioni ***


Il Dottore fu l’unico a sorridere al loro arrivo e ad accoglierli sventolando le braccia.
“Oh, era ora! Finalmente !”
A cento metri di distanza, due ambulanze e tre vetture dei carabinieri, si avvicinarono sgommando.
Infermieri vestiti di arancione e secondini in divisa accorsero veloci davanti al Dottore e ad Emily.
“Era ora che arrivaste! E’ questo il vostro tempismo?”
“Dottore… non mi sembra il caso di …”
“Ci scusi detective Smith, ma abbiamo fatto il più presto possibile appena ricevuta la sua chiamata.”
Emi non poté credere alle sue orecchie.
Detective? Ma non era un ‘professore di fisica’?
“Ci siamo parlati al telefono, ma le chiedo ugualmente di mostrarmi un suo documento, per favore.”
“Ma certamente.”
Il Dottore allungò la mano nella tasca interna della giacca per niente preoccupato, a differenza di Emi, a cui tremavano le mani e la sua gola si era fatta secca.
“Ecco il mio distintivo.”
Emi non poteva crederci. Per poterlo fare dovette strofinarsi gli occhi almeno tre volte. Su quello che sembrava un semplice portadocumenti in pelle nera, c’era veramente un distintivo, con sotto scritto John Smith e una sua fotografia.
Che sia tecnologia aliena?
Il carabiniere annuì soddisfatto e strinse la mano del cosiddetto detective allargando un sorriso.
“Detective Smith, non sappiamo proprio come ringraziarla. Lei ha salvato cinque vite stanotte, ma che cosa mi può dire dei…”
“Oh, non si deve preoccupare dei Kujacara.”
Ecco, sembrava troppo bello per essere vero.
“S-scusi, come?”
“Dimentichi i Kujacara. Ora. Non si disturbi nell’interrogare le donne, lasci che ritornino dalle loro famiglie”
“ Ma di cosa sta parl-…”
Dimentichi i Kujacara e lasci che le donne tornino dalle loro famiglie.
Agli occhi di Emi l’ufficiale sembrò come incantato, ipnotizzato, ed era così. Non fece altro se non sorridere al Dottore, a stringere un’ultima volta la sua mano e a salutare prima lui e poi Emi fingendo di abbassare la visiera del suo cappello.
“Detective Smith, buona serata.”
“Buona serata a voi.”
L’uomo diede le spalle all’alieno e alla ragazza per dirigersi verso i suoi subordinati pronti agli ordini.
Questi ultimi si guardarono sorpresi dell’ordine ricevuto, ma obbedirono al loro superiore ed entrarono nelle loro vetture, per ritornare alla base.
“Ma voi Signori del Tempo fate sempre così?”
“Così come?”
“Ipnotizzare.”
“Ah, quello? No, è severamente proibito nel mio pianeta. Almeno credo.”
“E… perché lo fai?”
Il Dottore inarcò un sopracciglio increspando le labbra in un sorriso quasi maligno. Anzi, decisamente maligno.
“Diciamo che… io sono una specie di reietto. Sì, mettimi su questo piano”
“Senti Dottore, riguardo a prima io…”
“Ti conviene rispondere al telefono.”
“Eh?”
Come predetto, il cellulare di Emi suonò In the shadows dei The Rasmus a tutto volume.
Un po’ impacciata lei lo prese dalla tasca rischiando di farlo cadere e senza guardare il display rispose.
“P-pronto?” dall’altra parte una voce profonda dall’accento inglese, salutò Emi con un Hi there, my little Emi.
“Oh, papà ciao! Cioè… scusami, ma sono successe un sacco di cose e quindi non ho potuto… Puoi scusarmi un minuto, Dottore?”
“Nessun problema, fai pure.”
Emi si scusò di nuovo imbarazzata e si allontanò, iniziando a parlare liberamente in inglese.
“Ancora grazie, Mr Doctor.
Avvolta in una coperta color panna, Mrs. Alba si avvicinò al Dottore appoggiandogli una mano sulla spalla.
Senza farsi notare lui fece roteare gli occhi un po’ scocciato. Non era da lui essere così, ma quella sera era come se lei, Mrs. Alba, non le togliesse gli occhi di dosso: cosa che successe. La verità era che poteva lavorare ai manipolatori dei Kujacara senza l’aiuto di Emi, ma aveva bisogno di una piccola distrazione, affinché quella brutta sensazione di esser osservato lontano se ne andasse.
C’era qualcosa di strano in lei, questo lo aveva capito, ma preferiva non scoprire cosa. Lo avrebbe trattenuto troppo a lungo, secondo lui.
“No, non mi deve ringraziare. Non lo fa più nessuno da ormai tanto tempo.”
“Allora sarà il caso di riabituarsi. Dopo tutto quello che ha fatto in passato.”
Il Signore del Tempo subito si irrigidì, mantenendo però il volto inespressivo. Forzò un sorriso per mascherare il suo panico e si voltò verso la donna.
“Scusi, come ha detto?”
“Non si deve preoccupare delle altre. Prima che si avvicinassero abbiamo inventato una storia da raccontare su questa faccenda, nel caso qualcuno chiedesse. Questo è il minimo che possiamo fare, visto che lei ci ha risparmiato l’interrogatorio per stanotte.”
“Che cosa intendeva dire con fatto in passato?” disse freddo il Dottore.
“Oh, se ne è accorto.”
“Se qualcosa non mi interessa non resto ad ascoltare, sono fatto così. Ora risponda alla mia domanda.”
“Ma come? Era lei che diceva che ogni cosa era importante. Oh, no aspetti.” Mrs. Alba fissò negli occhi il Dottore annuendo, mentre lui aveva l’impressione di essere un teselecta.
“Ah, giusto. Per lei sono importanti le persone. Errore mio.”
Gli infermieri erano occupati a visitare le donne, i carabinieri avevano già lasciato il terreno abbandonato ed Emi era ancora occupata con la sua telefonata.
Il Dottore aveva tutto il tempo che gli serviva per avere delle risposte alle perplessità della serata.
Chi sei?
Mrs. Alba rise divertita, quasi sorpresa, come se avesse sentito una barzelletta, ma era ben disposta a rispondere.
“Alba. Alba Brown, sono un insegnante di madrelingua inglese delle scuole superiori, sono sposata, ho figli e sono un essere umano. A confronto di lei, Mr. Doctor.
Uno spasmo indusse il Dottore a stringere a pugno la sua mano destra.
“E come fa a saperlo?”
“Oh, andiamo. Mica pensava che l’avrei considerata semplicemente un esperto di alieni, dico bene?”
“Di solito funziona.”
“Beh, non con me.”
Mrs. Alba tese la mano sinistra verso il Gallifreyano confuso.
“Mi dia la sua mano.”
Senza rispondere lui lasciò che la donna esaminasse il palmo della sua mano destra.
“Forse Emi non glielo ha detto, ma nel mio tempo libero sono anche una chiromante, e anche piuttosto brava”
“Modesta. E dov’è la sfera?”
“Le ho detto che sono brava, no?”
“E io le dico fin da subito che fatico a credere a simili predizioni. Solo una volta ci ho creduto, e mi ha quasi ucciso”
“Neanche se si tratta delle sue rigenerazioni?”
Il volto del Dottore sbiancò all’istante e la mano iniziò a tremare sotto le dita di lei.
“Vedo che ne ha usate molte nel corso della sua vita, quasi tutte. Un numero un po’ confuso devo dire, ci sono state delle complicazioni, soprattutto verso… l’ottava. Ha sempre cambiato volto, ma senza morire effettivamente, una capacità curiosa la sua e, ovviamente, della sua specie.” si fermò per ridere “ E la sua età, caspita. Ormai è millenario, lo si vede dai suoi occhi, Mr. Doctor. Nonostante il suo volto sia giovane, i suoi occhi dicono il contrario.”
“Lei… come fa a sapere queste cose?”
“Non si spaventi, gliel’ho detto. Io posso vedere il passato e il futuro, ma non si deve preoccupare. Non divulgherò nulla sul suo conto. Nemmeno per quanto riguarda i suoi due cuori.”
“Ho sempre pensato che la chiromanzia fosse solo una gran buffonata.”
“E?”
“E lo penso ancora. Non è possibile che lei sappia così tanto .”
“Beh, ho paura che oltre ad abituarsi ai ringraziamenti temo che dovrà abituarsi anche a me.”
“E perché?”
Mrs. Alba lasciò andare la mano e si avvicinò all’orecchio del Dottore.
“Perché ci rincontreremo ancora. Sweetie
Il Gallifreyano non ebbe neanche il tempo di rispondere, che lei si era già allontanata per dirigersi verso l’ambulanza.
“Ah, un’ultima cosa. Protegga Emi. Mi raccomando” urlò salutando con una mano, lasciando il Dottore in balia di domande che rimarranno senza risposte per chissà quanto tempo.
“Voglio delle spiegazioni.”
Ripresosi dallo shock, l’alieno si ritrovò davanti Emi con una mano sui fianchi e l’altra con il cellulare.
“Ma prima mio padre vuole parlare con te.”
“Oh ah! Quelle spiegazioni! Da’ qua. Saaaalve signor Creek! Sì, è il Signor Smith che parla. Sì… sì, nessun problema! Ma si figuri!! Emi e in buone mani!! Eh già, un’occasione d’oro per il nostro caro Cristian. Ma no, non mi reca nessun disturbo badare a sua figlia per un mese.”
“Asp-… come sarebbe per un mes-…”
“Sì, senz’altro signor Creek. Ogni tanto la chiamerò.”
Il Dottore chiuse la chiamata prima che Emi potesse riprenderselo.
“Ehi! Dovevo ancora parlargli!!”
“Tuo padre è molto occupato con una serie di scavi.”
“Ma lui è a Roma per delle riunioni!”
Aveva da fare con delle riunioni. Ora ha da fare con degli scavi a Roma. Poco fa in un terreno hanno trovato delle ossa e le stanno studiando. Ecco le tue spiegazioni.”
“Eh no, che cosa mi dici di Cristian? Lui cosa…”
“Messaggio.”
“Eh?”
Di nuovo il cellulare suonò fischiando, questa volta per l’arrivo di un messaggio.
Possibile che potesse anche prevedere quelle cose, pensò Emi, o forse era semplicemente un caso.
Il nome sul display era quello di Cristian e il messaggio recitava Chiamami appena puoi.
La ragazza subito lo chiamò e dopo un paio di squilli la voce dell’amico la salutò tutto contento ed eccitato.
“Ehi Cris!! Senti, non crederai a quello che mi è successo!! Sono qui vi-… cosa?... Sai che sono con il signor Smith? Ma … che?! No, non può essere lu-… hai parlato con mio padre?... Amici di università?!”
Emi si allontanò dal cellulare e con una mano lo coprì.
“Dico davvero, dopo voglio delle spiegazioni!!” disse aggressiva al Dottore.
“Come vuoi, come vuoi.”
Ritornò a parlare al telefono.
“Ehm… sì! Sì… me lo ha.. a-accennato e-… davvero? Sul serio?! Ma che colpo di fortuna!! Sì, mi ricordo! Ma vuoi scherzare?! E’ il tuo sogno da anni! Non mi offenderei di certo! Sì, sicurissima tanto… mio padre mi ha detto di restare con il signor Smith.” lanciò uno sguardo veloce all’alieno sorridente.
“No, davvero! Sono contenta per te! Fai buon viaggio. Un bacio, ciao.”
Se non mi da delle motivazioni valide, pensò Emi, giuro che lo strangolo.
Scura in volto la ragazza si avvicinò al Dottore, che intanto sorrideva. Come poteva essere così calmo dopo tutto quello che era successo? Ormai ne era certa. Non si trattavano di mere coincidenze.
“Tu. Sei stato tu, non è vero?”
Lui alzò le mani scuotendo la testa e negò.
“Ma di cosa parli? Io non ho proprio fatto niente” palesemente falso.
“Mio padre ti crede un amico di Cristian, e Cristian ti crede un amico di mio padre. È ovvio che qualcosa puzza in questa storia.”
“Oh, scusa è colpa mia.” il Dottore annusò la sua giacca. Aveva ancora quel fetore di Kujacara addosso” Non appena tornerò nel TARDIS mi cambierò la giacca.”
“Sii serio. Perché lo hai fatto?”
Il Signore del Tempo rimase in silenzio rassegnato. Si potevano notare le sue guance tingersi di rosso, forse per l’imbarazzo. Veramente non l’hai capito?
“Allora?”
“E’ un esperimento.”
“Come scusa?”
Lui si avvicinò ad Emi con una serietà che lei aveva visto solo sul TARDIS, ma senza avere paura di lui, solo era… sorpresa.
“Lo pensavi davvero?” chiese a bassa voce.
“ Cosa?”
Inaspettatamente il Dottore prese per mano Emi, quasi come cercasse il coraggio di continuare a parlare.
“Pensi davvero che… Amy e Rory vorrebbero che continuassi anche senza di loro?”
Lei non si scomodò a chiedere chi fossero Amy e Rory, era palese che fossero loro, i Pond. Non disse niente, sorrise, annuì con sicurezza e strinse a sua volta la mano.
“Loro ti vogliono e ti vorranno sempre bene, e sanno che devi continuare. È la cosa giusta.”
Gli occhi del Gallifreyano tremavano, pronti a piangere.
“Come già sai, mia madre è morta, ed ero seriamente sul punto di mollare ogni cosa, ma mio padre mi disse: devi andare avanti, devi continuare a correre.”
Con il pollice Emi accarezzo il dorso della mano di lui sorridendo.
“Forse per te non ha alcun significato, anzi, ti confesso che all’inizio non capivo anche io, poi ho scoperto che ha cercato di tirarmi su di morale inventandosi una frase legata alla mia passione.”
“Ti piace correre?”
Emi annuì.
“Sì, fin da quando ero piccola. Correre è sempre stata la mia passione, che sia una semplice corsa da casa a scuola o trenta giri di un campo da calcio.”
“Piace molto anche a me correre.”
I due si sorrisero guardandosi negli occhi.
“Ecco… non è per rovinare l’atmosfera, ma… quale sarebbe questo esperimento?”
“Vieni con me.”
Emi sbatté quattro volte le palpebre con la bocca spalancata.
“Eh? Venire… con te?”
“Sono passati tanti anni dall’ultima volta, ho detto a molti che avrei continuato a viaggiare da solo, ma grazie a te, mi sono ricordato di una promessa .”
“E… sarebbe?”
Trova qualcuno. Non viaggiare da solo.
Emi non sapeva se esserne lusingata, o spaventata. Cosa avrebbe voluto dire andare con lui?  Avrebbe viaggiato nello spazio e nel tempo con quella cabina blu più grande all’interno? Assieme ad un alieno pazzo con due cuori? Che cosa succederà se dirà di sì? Non si ricordò l’ultima volta che dovette pensare così tanto e in così poco tempo. Non poteva pensarci su per qualche giorno? Cosa avrebbe detto a suo padre e agli altri?
“Non è necessario che tu mi risponda adesso. È del tutto normale non riuscire a rispondere ad una simile richiesta.”
Un enorme peso si liberò dentro la ragazza, ormai sul punto di arrendersi.
“Davvero?”
“Tu sai dove trovarmi. Non scapperò, lo prometto.”
“Per quanto tempo potrò pensarci?”
Il Dottore si avvicinò alla fronte di Emi e stampò velocemente un bacio.
Lei rimase pietrificata e con il cuore che le batteva forte nel petto.
“Tutto il tempo che vuoi.”

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Capitolo 17
*** Continuare a correre ***


Alzarsi dalla sedia, superare la cattedra con un salto e avvinghiarsi sul damerino in tweed, farfallino bordeaux e fez rosso dietro ad essa: sostanzialmente il piano era quello,ma forse avrebbe attaccato al suono della campanella.
Non appena entrò in classe qualcosa si bloccò nella gola di Emi, come un groppo, o forse era un grido soffocato dalla rabbia. Qualunque cosa fosse non riusciva e non era riuscita a tirarla fuori, neanche quando aveva allargato le braccia e annunciato urlando come un fruttivendolo, che sarebbe stato il loro supplente di fisica solo per quella lezione.
Emi passò quell’ora così; a fissarlo con odio mentre modellava nervosamente una pallina di gomma-pane usata nell’ora precedente di disegno tecnico. Immaginandosi che quella fosse la sua testa.
Ormai ne era certa, glielo aveva detto anche quella sera. Sapeva che con lui le coincidenze non esistevano, e la prova era la sua presenza nella sua classe.
Se aveva detto che avrebbe avuto tutto il tempo per pensarci, allora perché era lì? Perché è venuto a cercarla? Per avere già una risposta?
La verità era che ancora lei non ne era sicura, non perché avesse paura, ma semplicemente… non sapeva cosa rispondere. Era troppo presto.
“Bene ragazzi” disse il Dottore sorridendo e assottigliando gli occhi dietro agli occhiali alla Harry Potter  “questa è quella che ai giorni nostri chiamiamo fisica missilistica, perciò; se mai doveste scegliere la facoltà di geofisica o astrofisica, sapete che cosa andrete a studiare, ovvero noiosissime formule.”
Buttato il gessetto nell’apposito contenitore, si sedette con un tonfo sulla sua cattedra e iniziò a strofinarla, quasi accarezzarla.
“Adoro le cattedre! Ancora di più però le scrivanie! E gli uffici!! Uhhh quanto ne vorrei uno!”
Un po’ timidamente Anna alzò la mano.
“Dimmi pure, Barbie.” Disse lui schioccando le dita.
“Ehm… scusi signor…”
“Smith.”
“Sì, signor Smith, ma… che cosa è successo al prof Tancredi?”
“Tancredi? Tancredi… oh! Ti riferisci a quel pomodoro con le gambe?”
L’intera classe rise all’unisono, quando il presunto professore imitò un gorilla, più che un pomodoro, tranne Emi, che era ancora concentrata su come ucciderlo.
“Oh, beh sai com’è. Ieri sera ha casualmente vinto al superenalotto.”
Tutte balle, pensò Emi.
“Che gran colpo di fortuna, eh?”
Ancor prima di aggiungere una parola, la campanella suonò rumorosamente la fine della quarta e ultima ora. Tutti si apprestarono a preparare i propri zaini per uscire e salutarono il loro supplente ringraziandolo per l’inaspettata, ma interessante, lezione di fisica, aggiungendo pure la più interessante del quadrimestre.
“Ehi Emi, mi viene a prendere mio padre, vuoi un passaggio?” chiese Anna all’amica.
“No, grazie. Ho una commissione da fare prima.” E lanciò un’occhiata al Dottore senza farsi notare.
“Ok, ho capito allora ci vediamo lunedì! Buon weekend!”
“Buon weekend.”
Al volo Anna e Emi si stamparono un bacio sulla guancia, una cosa che l’ultima non era mai stata abituata a fare, ma comunque un gesto che avrebbe apprezzato col tempo.
“Buffo, il ragazzo che ti rincorre sempre non ti ha calcolata di striscio, ha preso e se ne è andato.”
Presa alla sprovvista, Emi fece cadere sulla sedia lo zaino e indietreggiò. Erano rimasti solo lei e il Dottore in classe.
Il Signore del Tempo tolse gli occhiali e il fez e li appoggiò sul banco, si sistemò il cravattino e sorrise alla ragazza.
“Ciao Emi.”
“Lo sai che sono furiosa con te?” disse lei senza rispondere al sorriso e ignorando l’osservazione dell’uomo.
“Lo immaginavo, e mi dispiace che io sia piombato così nella tua classe.”
“Avevo una mezza idea di saltarti addosso.”
“Immaginavo anche questo, e sicuramente non in modo amichevole.”
“Puoi dirlo forte.”
“Ma c’è un motivo per cui sono qui.”
“Senti, se sei qui per la risposta, io n-…”
“Ma cosa hai capito, non sono qui per la tua risposta, ti ho detto che avrei aspettato, no?”
Questo sì che era inaspettato.
“C-come scusa?”
“Sono qui per il tuo sogno.”
“Sogno? ”
“Ricordi alla fabbrica? Mi dicesti del sogno che hai fatto, beh. Sappi che ho fatto delle piccole ricerche per conto mio, e ho scoperto che non eri la sola ad averlo fatto.”
“Davvero?”
“Milliano, Giurchi,Viari e  Finerdi ti dicono qualcosa?”
“Sì. Sono i miei vicini di casa. Quelli che abitano sopra di me.”
“Bene, essendo loro tra gli ultimi piani, il campo telepatico dei Kujacara ha raggiunto sia te che loro, visto che la tua stanza era sul loro stesso piano, e perciò in conclusione; avete sognato la stessa identica scena della fabbrica.”
In qualche modo Emi era riuscita a capire cosa intendesse per campo telepatico, merito delle sue conoscenze attinte nei libri di fantascienza e increspò le labbra in un sorriso.
“Wo, questo è… un solievo!”
“Essendo cuccioli erano ancora piuttosto inesperti, era normale che qualcosa fosse sfuggito a loro. Non ho controllato le case lì vicino alla fabbrica, ma è probabile che anche loro lo avessero sognato.”
“Perché lo avresti fatto? Di fare questa ricerca e venirmi a cercare.”
L’alieno si grattò la nuca segno che si stava imbarazzando.
“Beh, mi sembrava il minimo visto il prezioso aiuto che mi hai dato, e non sto parlando dei Kujacara, anche se sono coinvolti anche loro, in un certo senso.”
“E per cosa?”
Ed ecco quello sguardo, lo stesso che le posò quella notte di ottobre, quando le chiese di venire via con lui.
“Mi hai aperto gli occhi. Sì, è vero che ho perso quella che per me era la famiglia, ma come loro, come la loro stessa figlia, non vorrebbero che mi fermassi. Devo continuare.” e sorrise ad Emi “devo continuare a correre.”
Il groppo in gola, la voglia di picchiarlo o di ucciderlo, lasciarono posto ad una sensazione di estrema dolcezza non appena i loro occhi di incontrarono in un sguardo intenso.
Aveva preso una decisione.
“Ok.”
Il Dottore sgranò gli occhi.
“Vuoi dire…”
“Sì. Voglio dire che verrò con te.”
Come un bambino alla mattina di Natale, il Gallifreyano abbracciò la ragazza tirandola su di peso e iniziò a ridere.
“Oh! Non mi sono mai sentito così vivo!! E’ davvero da un sacco di tempo che non mi sentivo così bene. No, non è vero. Stavo bene anche tre settimane fa. Beh, la cosa importante è che non ho più quella voglia di suicidarmi.”
“Su-suicidarti?!”si allarmò Emi staccandosi dall’abbraccio “era questo che stavi per fare prima che ci incontrassimo?!”
“Lascia stare, lascia stare! E’ il passato quello!” disse lui ancora più allegramente “ora si passa al futuro, no? Bene! Detto questo, usciamo da questa prigione, è sabato! L’ideale per viaggiare! Tutto può accadere!”
“Per esempio?” chiese Emi entusiasta.
“Una bella partita a Ontipyò su Marxiya.”
Altri due nomi incomprensibili che sicuramente si sarebbe dimenticata, ma ciò che importava ad Emi era che si stava per fare una bella vacanza nel tempo, nello spazio e nell’Universo. Chi non coglierebbe una simile occasione?
“Oh, dimenticavo di dirti che Sexy è un po’ arrugginita perciò potrebbero esserci dei diversi problemi durante il viaggio.”
“Come gli scossoni dell’altra volta?”
“Sì.”
“Beh, una volta ho fatto con mio padre quattro giri sulle montagne russe. Credo che sopravvivrò.”
Il Dottore sorrise.
“Fantastico.”
Alieno e umana uscirono dall’entrata principale mano nella mano diretti verso il TARDIS, parcheggiato poco più in là vicino alla scuola.
Dietro ad una colonna, Jeremy li stava osservando allontanarsi,e solo alla chiusura delle porte uscì dal suo nascondiglio. Arrabbiato, si lasciò scivolare sul marmo liscio e tirò fuori dalla tasca della giacca giallo-fluo una piccola scatola quadrata blu. Alzato il coperchio ne tirò fuori un piccolo ciondolo a forma di A degli Avengers, poi lo rimise dentro sospirando.
“Sai che il suo compleanno e alla fine di Novembre, dear Jeremy?”
“Ah! Mrs… Mrs. Alba. Mi ha spaventato.”
“Ahah, I’m sorry! Non volevo! Comunque mi stupisce che vuoi fare un regalo a Emi.”
Lui arrossì violentemente, cosa che fece ridere non poco l’insegnante.
“I-io ecco… ho i miei buoni motivi! E non era per il suo compleanno, ma…”
“Per la storia della stazione, dico bene? E’ davvero carino da parte tua preoccuparti per lei. Anche se parecchio strano.”
“Non sono poi così…”
“Cattivo?”
“Non so se sia la parola giusta….”
“Anche i bullies hanno dei lati buoni.”
“La cosa che mi chiedo è chi è quell’idiota vestito alla Mr. Bean. Oggi non ha fatto altro che guardarla durante la lezione.”
“Oh, lui è il suo tutore temporaneo, non preoccuparti. Il padre e il suo vicino sono via, perciò se ne occupa lui. Vecchio amico di famiglia. Il signor Doctor.”
Jeremy inarcò un sopracciglio perplesso.
“Dottore? Ma lui mica si chiama Smith? E’ un dottore?”
“No, dear. È solo un nome d’arte. Ad ogni modo, credo che passeranno un meraviglioso periodo insieme.”
 
FINE EPISODIO 1

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Capitolo 18
*** Speciale: gli addii non esistono, per noi ( parte 1) ***


ANGOLO DELLE AUTRICI:
Salve a tutti!! Vorrei avvertivi fin da subito che questo è uno speciale prima del secondo episodio, uno speciale che da tempo volevo scrivere con TilenaGirl, una mia carissima amica :) Sarebbe dovuto uscire tempo fa, ma il tempo non ci ha permesso di farlo ( soprattutto perché ero io quella lenta... scusate). Questos speciale lega la mia e la sua storia, perciò vi inviterei a leggere la sua storia Blue box is cool, per capire ma soprattutto perché a parer mio scrive benissimo!! :D
Detto questo, spero che sia di vostro gradimento e buona lettura!!

Forse penserete che io sia stata molto stupida a scegliere come ultimo viaggio proprio un parco della mia stessa città. La verità è che non ci fu un vero motivo logico nel chiedergli di seguirmi fin lì. Lasciammo il Tardis nel vicolo in cui lo vidi per la prima volta e alle prime ore dell'alba iniziammo a percorrere le vie deserte di Milano rispettando, in silenzio, l'armonia dei canti degli uccelli.
“Cosa ti piace, per colazione?” gli chiesi, quando fummo sotto un portico pieno di negozi con le serrande a metà.
“Cosa mangiate a colazione, voi milanesi?”
Lo portai dunque davanti all'entrata di un bar in stile francese, dai tavolini circolari con sedie dallo schienale in ferro battuto decorato con grazia. Ho sempre amato quel posto. Mi sedevo fuori, in primavera, e facevo colazione in compagnia di un buon libro. Aspettavo l'orario di apertura del negozio in cui lavoravo e poi me ne andavo col sorriso.
Il Dottore mi guardò e dai suoi occhi percepii meraviglia e stupore per la bellezza di quel bar.
“Sei mai stata a Parigi?” mi chiese tornando a guardare l'interno del negozio, da cui provenivano le dolci note di La Vie En Rose.
“No, sono stata solo a Londra” risposi. Un terribile nodo in gola. Mi perdonerà?, pensai.
“Ah, Londra! Una città così ricca di mistero! Lì capita di tutto, credimi. E Parigi...” Lasciò la frase in sospeso, come se quella città gli ricordasse qualcosa o qualcuno che gli provocasse dolore. Sbatté velocemente le palpebre per scacciare le lacrime. Si era fatto cupo, in volto.
Nel tentativo di allontanarlo dai – possibili – brutti ricordi, lo portai all'interno del bar; lo feci accomodare ad un tavolino e lo controllai con la coda dell'occhio mentre mi dirigevo verso il bancone scintillante e quasi fatato per il marmo che sembrava appena levigato e il legno di ciliegio intagliato con motivi floreali. Se ne stava tranquillamente seduto a fissare il vuoto come se fosse stato drogato; tornai da lui con una tazza di caffè pesantemente zuccherato e due croissant integrali ripiene di miele. Gli misi tutto davanti agli occhi e lo fissai mordendo la mia brioche. Era ancora immerso nei suoi pensieri, ma non appena le sue narici incontrarono le scie di vapore profumato si rianimò. “Dove mi vuoi portare dopo?” mi chiese con una briciola di croissant su una fossetta. Quell'immagine mi fece arrossire – mi hanno sempre attratta gli uomini con le fossette – ma frenai gli impulsi e gli dissi che era una sorpresa, sebbene non fosse nulla di speciale.
Finimmo di fare colazione, uscimmo con calma dal bar e in un batter d'occhio fu ora di pranzo: ci fermammo ad un mercato per comprare due semplici panini al prosciutto che divorammo lungo il percorso per il Parco Sempione.


Uno sguardo veloce e via, senza nemmeno chiedersi da dove fosse mai saltata fuori una cabina telefonica della polizia. Nessuno al parco Sempione sembrò stupirsi, tranne magari qualche bambino attirato dal profondo blu e dalla curiosa scritta in inglese, o cani intenzionati a fare qualcosa di poco decoroso, come un pastore tedesco, che subito guaì e si allontanò dalla porta correndo appena ne uscì una ragazza con in mano un trofeo violaceo informe.
Prima di toccare terra, Emily lo ammirò soddisfatta con gli occhi che le brillavano e lasciò che l’aria invernale le colpisse leggermente le guance.
“Chi l’avrebbe mai detto! Ho vinto! Ho vinto sul serio! La mia prima partita a Ontìpyo!”
“Non è Ontìpyo!” urlò il Dottore dal ripostiglio “È Ontipyò
“Oh, scusami, Hermione. Bruci di invidia, vero?”
“Non direi.”
Il Signore del Tempo uscì dal TARDIS con un paio di giacche, uno lungo e verde per lui e uno più sportivo e rosso per Emily.
“È meglio se lo lasci nel TARDIS. Oltre ad essere un trofeo è anche un’antenna. Potrebbe causare interferenze qua intorno”
“Ok.”
La ragazza si avvicinò alla macchina del tempo e lasciò il trofeo all’entrata. Quando ritornò fuori vide il Dottore agitare il suo cacciavite sonico con la sua solita posa alla Superman.
Sforzandosi di non ridere, Emily lo ignorò e si limitò a chiedere: “Trovato qualcosa di nuovo?”
“No” disse lui controllando il cacciavite “ma non si sa mai. Dopo i Kujacara, Milano potrebbe diventare un nido per qualunque altra specie. Anche se…”
Con gli occhi assottigliati per la luce accecante del cielo bianco, il Dottore vagò con lo sguardo tra le persone e la natura circostante contaminata dalle strade. Non sapeva bene dire come e perché, ma qualcosa nell’aria oltre al forte odore di umidità solleticò non poco il naso dell’alieno.
“Anche se che cosa?”
“Non so… forse è un'impressione. Ho come un déjà-vu…”
“Ah beh. Per te dovrebbe essere normale, vista la vita che fai.”
“Sì, in effetti non hai tutti i torti.”
“Comunque, perché siamo tornati qui a Milano? Mi avevi promesso che saremmo andati su un altro pianeta, no?” disse Emily un po’ delusa.
“Beh, vista l’improvvisa partenza di Cristian in America e il prolungamento del lavoro di tuo padre, ho pensato che abbiamo tutto il tempo per girarci tutto l’Universo – cosa un po’ improbabile-. Un passo alla volta, ti devi un po’ abituare all’idea.”
Emily pensò alle parole del Dottore e subito le venne in mente un particolare che aveva tralasciato. Qualcosa di davvero importante che l’allarmò parecchio.
“Aspetta! Avrai pure parlato con Cristian e mio padre, ma che ne sarà della scuola?”
“Ah! Pensavi che me ne fossi dimenticato?”
Tutto eccitato il Gallifreyano tirò fuori dalla giacca un foglio ripiegato in quattro e lo mostrò ad Emily sorridente.
“Ecco qui nero su bianco una bella giustificazione del tuo viaggio d’istruzione a Londra per un totale di tre mesi! Eh? Sono stato bravo?”
La ragazza glielo tolse dalle mani e lo lesse tutto ad un fiato spalancando gli occhi alla firma in fondo alla pagina. Quella era inconfondibile, non aveva dubbi di chi fosse.
“Mrs. Alba? È stata lei a firmarla?”
“Esatto! Lei in persona! Sono andato da lei ieri.”
“E quando saresti andato da lei se noi er-… Ah!! Ecco dov’eri finito al buffet! Credevo fossi andato a cercare i tuoi vestiti!”
Il Dottore arrossì violentemente dall’imbarazzo.
“C-certo che sono andato a cercare i miei vestiti! La penitenza era finita e sono tornato nel TARDIS per prenderne degli altri!”
Emily scoppiò a ridere pensando per un solo istante a lui che correva con le braccia al petto, nella foresta, senza nessun vestito addosso.
Il Dottore la squadrò severo per niente divertito. “Non c’è proprio da ridere, sai?”
“Scusa, scusa, è che… eri così ridicolo mentre correvi!”
“Non sono stato di certo io a scegliere una penitenza che mettesse a nudo il pudore. O sbaglio?”
“E dai, ti ho già chiesto scusa!”
“Umani… Senti, vuoi qualcosa da mangiare prima di andare? Tu fatti un giro qua attorno. Brioche?”
“Al cioccolato, grazie” rispose la ragazza già con l’acquolina in bocca.
“Perfetto. Brioche integrale al miele in arrivo.”
“Cioccolato! Non al miele.”
“Ho detto miele? Volevo dire cioccolato, scusa! Bene, vado e torno.”
Con un sopracciglio inarcato, Emily salutò l’eccentrico alieno e si diresse verso l’arena Civica.
Risposto al saluto, il Dottore prese a camminare nella direzione opposta alla ragazza scuro in volto e grattandosi la nuca.
“Accidenti… Ci è mancato poco, ma ancora questa sensazione non se ne va.”
Come poteva essere possibile, pensò. O meglio, era possibile, ma come? Due erano passabili, ma come poteva percepirne tre?
Quello era un mistero degno di Sherlock Holmes o Agatha Christie – Oh Agatha, se solo fossi qui -.
Il Signore del Tempo per un istante si fermò sotto un albero e scrutò da lontano il bar. Un vago ricordo gli passò nella mente, fino a quando quel déjà-vu non divenne un effettivo ricordo. Ora gli era tutto più chiaro: era quel giorno. Il giorno in cui avrebbe dovuto dirle addio.


I cancelli del parco erano spalancati come due braccia aperte, pronti ad accoglierci. Il chiosco-bar affianco all'entrata lavorava senza sosta con l'aiuto di Sofia, la figlia dei proprietari, che raccoglieva gli ordini dei clienti. Tutto sembrava essere uguale a quella piazza londinese, tutto mi ricordava la mia ex coinquilina, e fra poco avrei dovuto parlarne al Dottore. Mi ero ripromessa più volte di non piangere, ma mi fu sempre impossibile. Lui notò la mia insicurezza nell'attraversare l'entrata del parco; mi prese per mano e a quel punto dovetti allentare la sciarpa che già di per sé era pesante. Continuammo a camminare così fino all'entrata opposta, contemplando gli alberi totalmente spogli e i sentieri quasi del tutto deserti se non per chi faceva jogging o portava a spasso il cane.
Arrivammo al bar e lui si voltò verso di me.
“Elly, questo parco è così spoglio!” esordì mollando la mia mano per poi guardarsi attorno.
“Dottore, è.. È novembre.. Ed è normale.”
“Ma è così.. Triste” replicò lui.
“Ti prego, ti supplico, ti scongiuro: non fare nulla di azzardato. Qui non c'è nessun pericolo!”
Lui tirò fuori il suo cacciavite sonico e lo puntò in giro, guardandolo di tanto in tanto. “Sì, hai ragione” concluse. Ma poi il suo voltò cambiò espressione; sembrava molto preoccupato. “Quanto distiamo da casa tua e di Earl?” mi chiese con la fronte aggrottata.
“Mhm, circa due chilometri, credo.”
“Ma è impossibile! E anche nello stesso momento! Voglio dire.. Potremmo creare un paradosso di quelli coi fiocchi!”
“Mhm?!” Aiuto. Un'altra crisi da Signore del Tempo.
“No, no, no! È semplicemente..”
“Ma cosa?!” Mi sentii come la notte in cui lo conobbi per la prima volta: confusa come un gatto che segue con affanno una luce sulla parete.
Lui continuava a fare avanti e indietro facendomi girare la testa. Scattai verso di lui e lo afferrai per le spalle. “Senti, bello. O ti calmi e mi spieghi che diavolo sta succedendo, o ti dico subito quel che ho da dirti e me ne vado.”
Quel discorso sembrò calmarlo.
Stava cominciando a parlare quando una ragazzina bionda spuntò dal nulla, ci venne addosso con la sua bici e cadde ai piedi del Dottore. Aveva una mantellina rosso brillante col cappuccio tirato sul capo. Il paradosso era già in atto? Dov'era il lupo cattivo?, ero tentata di chiedergli per scherzare e prenderlo in giro.
“Oh, mi scusi! Che sbadata, scusatemi!” Tirò su la bici e, dopo un ultimo sguardo lanciato sul Dottore, se la svignò a testa bassa, diretta nella direzione opposta alla precedente.
Il Dottore si lisciò bene il cappotto e la cravatta blu metallico con decorazioni dorate. “Che strana ragazza.. Comunque!” riprese sorridendo, come se non fosse successo nulla. “Non siamo soli. Nel senso che due Tardis nello stesso momento è anche possibile, ma addirittura TRE...è praticamente... Non è... Insomma...”
“Perché due sono possibili ma tre no?” chiesi, senza sperare di capirci qualcosa. “In fondo sono tuoi simili, no?”
“Non credo, Elly. No. Io..li ho uccisi tutti.”
In quel momento anche un sordo avrebbe potuto sentire uno spillo cadere a terra.
“C-cosa?” gli chiesi con un filo di voce.
“Hai capito bene” tagliò corto lui guardando a terra.
“Ma perché? Cos'è successo?” Cercai di essere il più delicata possibile, nonostante lo scomodo momento. Ma ormai c'ero dentro.
“Ricordi i Dalek?”
“La causa della scomparsa del nostro secondo satellite?”
“Brava, loro. Stavano distruggendo il mio pianeta e sapevo che l'unico modo per non farli più soffrire era...era...”
“Capito.” Lo fermai senza pensarci due volte: non mi piaceva vederlo in quello stato. Anche in quella casa di Burbank non potei fare a meno di notare l'angoscia nei suoi occhi sempre sorridenti. “Vuoi qualcosa da bere?” dissi per distrarlo.
“No, grazie. Vorrei stare un po' da solo, se non ti dispiace” replicò lui.
“Capisco. Ci vediamo tra un po' lì, al bar?”
“..Certo.” Si voltò e cominciò a camminare lentamente con le mani nelle tasche dei pantaloni, senza sapere che al bancone del bar lì vicino vi era un tizio con losche intenzioni.


Emily inspirò profondamente l’aria circostante e chiuse gli occhi, lasciando che fossero i suoi sensi a guidarla. Percepì l’odore e la consistenza molliccia della terra bagnata sotto i suoi piedi, il dolce suono delle risate gioviali di bambini che la rilassarono fino a farla sorridere. Gli abbai dei cani un po’ meno, ma ciò non la distrasse dal suo momento di relax, fino a quando non sentì una fitta di dolore alla pancia.
Il suo stomaco cominciò a gorgogliare rumorosamente.
Non vedeva proprio l’ora di mangiare la sua brioche al cioccolato e sperava che il Dottore si sbrigasse. Sapeva bene che avrebbe potuto mangiare al buffet su Marxiya e provare le specialità locali, ma una come lei, che già s’impressionava con il semplice pesce crudo del sushi, non sarebbe mai riuscita a mangiare un piatto con chissà quale creatura ancora viva al suo interno. No, il suo stomaco non avrebbe decisamente retto.
Con le mani affondate nelle tasche della giacca, Emily cercò di ignorare quel fastidioso borbottio camminando lungo il perimetro dell’Arena Civica. Forse lo scricchiolio dei sassi l’avrebbe anche aiutata a non attirare l’attenzione su di sé.
Parco Sempione era uno dei parchi di Milano che le piaceva di più, non solo perché era il secondo parco costruito nella città, ma anche per ogni pezzo di storia che racchiudeva al suo interno. A lei piaceva molto la storia, e lo doveva solo ai suoi genitori: entrambi archeologi, una più adatta alle spedizioni estere e l’altro ai lavori in laboratorio, ma ciò non voleva dire che non potessero fare uno il lavoro dell’altro. In un certo senso si completavano a vicenda senza problemi, o almeno era così prima che sua madre morisse.
Dalla tasca dei pantaloni Emily tirò fuori il suo portafogli blu regalatogli da suo padre per il suo compleanno e sfilò la prima foto che c’era, se non l’unica, e sorrise.
Ritraeva lei, suo padre e sua madre ai suoi fianchi, tutti e tre che sorridevano per la splendida giornata passata a Londra. Con un dito passò prima sul volto del padre, soffermandosi poi più a lungo su quello di sua madre. Erano due gocce d’acqua, tutti lo dicevano, si assomigliavano così tanto che la maggior parte le scambiavano per sorelle più che per madre e figlia: stessi capelli castani, stessi occhi verdi e stessi lineamenti del viso.
A malincuore, Emily rimise a posto la foto e cacciò indietro le lacrime. Era sul punto di ricominciare a camminare quando qualcosa la bloccò. O meglio, qualcuno.
A circa cento metri da lei c’era l’ultima persona che avrebbe voluto incontrare: non lì.
“Oh, cavoli… no” Non qui. Non ora.
Era quella testa-a-caschetto di Jeremy, assieme alle sue bertucce dei suoi compagni.
Per lo meno non la stava guardando, visto che era troppo occupato a parlare di videogiochi e altre stupidaggini per accorgersi di lei, ma questo non l’avrebbe impedita di scappare.
Senza farsi troppo notare, Emily camminò veloce verso la direzione opposta di Jeremy e, girata una curva dell’arena, fece uno scatto lungo una ventina di metri. Giusto per esserne sicura, si girò per vedere che non la stesse seguendo, e accadde l’inevitabile.
“Ah!”
All’improvviso Emily si sentì cadere all’indietro dopo aver sbattuto contro qualcuno.
“Ehi!”
Una mano subito la prese per un braccio, una mano che lei aveva già sentito recentemente sulla sua pelle.
“Dot-…”
Era davvero sul punto di chiamarlo per nome, quando incrociò lo sguardo di due enormi occhi color nocciola, e la sua fronte sfiorò un ciuffo castano ingellato.
No, decisamente non era chi si aspettava.

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Capitolo 19
*** Speciale: gli addii non esistono, per noi ( parte 2) ***


Mi avvicinai al bancone e ordinai una cioccolata calda al peperoncino. Sbottonai i tre bottoni del mio cappotto e tolsi la sciarpa tenendola sull'avambraccio. I pochi clienti lì intorno erano molto silenziosi e interessati ai fatti loro, quando un omone alla mia destra, di cui sarebbe stato un miracolo se gli avessero trovato delle gocce di sangue nell'alcol che gli circolava nelle vene, si girò verso di me col sorriso di un ebete e allungò una mano sulla mia coscia.
“Ehi, cosa ci fa una ragazza bella come te.. Qui, da sola?” Accompagnò le ultime parole con un'alitata di whisky economico e avvicinò i suoi occhi rossi e umidicci ai miei.
Vicino a noi sembrava non esserci più nessuno tranne il titolare, impegnato ad asciugare i bicchieri, e i piccioni che beccavano le foglie secche in cerca di cibo. Il tempo parve fermarsi e quei pochi secondi che passarono parvero durare minuti scanditi da un enorme gong nel silenzio di una montagna innevata.
Lui era ancora lì, con la sua sudicia mano sulla mia gamba, quando arrivò alle nostre spalle un uomo molto giovane, vestito elegante e dall'aria saccente. Con uno strano sorriso che creava una doppia fossetta sulla guancia contratta, sollevò la mano dell'ubriacone che, sbuffando alito puzzolente, se ne andò controvoglia trascinando i piedi.
La fase pre-panico era finita e cominciai a riavere una buona vista.
“Grazie” gli dissi stringendogli la mano.
“Di nulla, Elly.”


Capotto color cioccolata lungo fino alle caviglie, completo blu con tanto di cravatta e un paio di converse bordeaux: di certo il gusto nel vestire era molto simile.
Forse… era un po’ più sexy, ma giusto solo un po’. Emily non riusciva a togliergli gli occhi di dosso, mentre lui scrutava malinconico l’elenco dei caduti incisi su una lastra di marmo.
“È triste, non trovi?”
“Che cosa?”
“Il modo in cui bisogna venir ricordarti, ovvero quando si è morti. E’ una cosa che mi deprime.” La sua voce era così malinconica, intenta a sopprimere un brutto ricordo. La prova era nei suoi occhi lucidi prossimi a diventare rossi.
Per un momento Emily sembrò soffrire insieme a lui.
“Beh, pazienza” disse finito di leggere l’ultimo nome.
“Ad ogni modo, perché correvi? Qualcuno ti stava inseguendo?”
Un po’ imbarazzata, la ragazza abbassò lo sguardo a terra, intravedendo con la coda dell’occhio un sorrisetto compiaciuto su di lui.
“Beh, ecco… in realtà non volevo essere seguita.”
“Da chi? Dal biondino in giacca gialla fluorescente?”
“C-come fai a saperlo?”
L’uomo scrollò le spalle.
“Ho tirato ad indovinare. Se vuoi posso farti compagnia. Sto ancora aspettando una mia amica, ho un po’ di tempo.”
“Anche io sto aspettando qualcuno, ma mi sa che mi sono allontanata un po’…”
“Già, anche io. È strano fino a dove si può arrivare con la testa fra le nuvole.”
“Tu non sei di queste parti, vero?”
“Ebbene sì, non sono di Milano.”
“Sei scozzese?”
L’uomo fissò Emily con un sopracciglio inarcato. Era così buffo agli occhi della ragazza.
“Come fai a dire che sono scozzese?”
Questa volta, fu lei a scollare le spalle.
“Ho provato ad indovinare.”
I due si scambiarono due smaglianti sorrisi. Anche il suo sorriso piacque molto ad Emily. Un bel sorriso a trentadue denti, ma uno di quelli che le sembrava di aver già visto.
Possibile che lui…
“Come ti chiami?”
“Ehm… Emily” si avvicinò per stringergli la mano. “Emily Creek.”
“Oh, ma guarda, un cognome inglese!” L’uomo rispose con una stretta vigorosa. “Anche tu allora non sei di queste parti.”
“Mio padre è americano.”
“Ah, capisco. Bene, Emily Creek. Piacere di conoscerti, io sono-… ma, cosa..?!”
Un po’ bruscamente l’uomo ritirò la mano e la infilò nella giacca. Con gli occhi spalancati dalla tasca tirò fuori uno strano strumento simile ad una penna con una curiosa punta blu lampeggiante.
Emily trasalì quanto lui. Forse era un modello diverso o semplicemente non era quello che pensava, ma il ronzio era inconfondibile: quello tra le sue mani era proprio un cacciavite sonico.
“Ma… ma quello è…”
“Oh, lo sapevo!! Il segnale si è agganciato! È qui! Lui – o lei, non si sa mai- è qui!”
“Cos-… un momento, ma chi?”
“È un po’ difficile da spiegare, e sicuramente non capiresti, quindi tanto vale non farlo. Mi dispiace Emily, ma devo proprio scappare. Non mi deve sfuggire.”
Inaspettatamente Emily ricevette un bacio sulla fronte che la bloccò per almeno una decina di secondi, un tempo sufficiente per lui per poter girare un angolo.
“Ehi!! Aspetta!”
Ripresasi dallo shock, Emily lo rincorse.
“Dottore!”
Ma non fece in tempo. Quel Dottore era come svanito nel nulla.


Cosa?!, pensai. C'è solo un uomo che mi chiama così.
Momento, momento, momento.
“Dott-.. Dottore?!” sussurrai avvicinandomi al suo viso, diverso da quello che ricordavo. “Ma cosa..? Quindi, uno degli altri due Tardis è il tuo..” Ok, ma il terzo?
“Sono successe un po' di cose da quando ci siamo lasciati.” Mi fece l'occhiolino, poi si rabbuiò. “Mi ricordo perché sei qui. Non c'è alcuna possibilità che tu cambi idea?”
Feci cenno di no; era troppo importante. Sapevo a quali pericoli stavo andando incontro – non l'avrei più rivisto, probabilmente – ma ormai avevo deciso e di tornare indietro non ci pensavo nemmeno.
“È bello rivederti.” Tornò a sorridere e mi abbracciò. Aveva un odore diverso..
“Dove l'hai messo il cappotto?” gli chiesi quando sciolse l'abbraccio. “E come mai sei qui?”
“Mia cara Elly.. Nella vita, si cambia idea molte volte. E io sono parecchio duttile. Ehm.. Sono qui con degli amici. Sai, nuove avventure..” Il suo dolce farfallino metteva ancor più allegria sul suo visino angelico.
“Dottore?”
“Dimmi, Elly.” Mi guardò con lo sguardo più spensierato ed innocente che potesse esistere.
“Scusami. Intendo per quello che tra poco ti dirò.. Che ti ho detto..” Wow. “Detto o dirò? Che confusione..”
“Per me è passato; per te è futuro.” Una lacrima stava per farsi strada sulla sua guancia. “Tranquilla. Mi mancherai, è vero, ma la supererò. L'amicizia è una cosa importante.”
Aveva ragione: per me, Jenna è sempre stata importante e, nonostante la poca conoscenza di lei, l'ho considerata fin da subito come una sorella. Ciò che causò la rottura della nostra amicizia è paragonabile ad una minuscola crepa nell'immensità dell'universo.
“Qualche consiglio?”
“Parla col cuore. Apprezzo le persone sincere.”
Un ottimo aiuto. Per chi non ha un cuore freddo come il mio.
Nel riabbracciarlo, sentii che profumava di qualcosa di nuovo – crema, forse – ed era caldo, tremendamente caldo: non riuscivo più a staccarmi da quel calorifero. Mi accarezzò i capelli scompigliandoli appena, come farebbe un fratello maggiore, e io risposi bagnandogli tutta la spalla con lacrime che mi facevano bruciare gli occhi per il trucco che colava, colorandomi gli occhi come un panda. Un po' controvoglia, mi staccai dal Dottore col farfallino.
“Salutami Londra. E chiama se noti qualcosa di strano come cani che parlano o case che scompaiono, eh!” mi disse con un sorriso che non ammetteva repliche.
“Come farai a sapere che avrò bisogno di te?” È vero, c'era un telefono incorporato al Tardis; ma come avrei fatto a chiamarlo se fosse stato in tutt'altra epoca?
“Tranquilla: ovunque ci siano guai, prima o poi arrivo io! Non so come, ma è così.”
“Allora questo è un addio?”
“Probabilmente, per me sì. Ma tu mi parlerai nuovamente fra qualche istante” rispose inclinando la testa e, dopo aver dato uno sguardo al minuscolo orologio da polso, indicò un albero alla mia sinistra. “Guarda: sto per spuntare da là dietro. Ah” mi prese il mento per farmi girare la testa e guardarlo negli occhi; mi si avvicinò, naso contro naso, e il mio volto diventò come il sole al tramonto. Fortuna che lui ebbe l'accortezza di non dire nulla.
“Ricordati di non dirgli nulla di me. Digli che stavi parlando con.. il tuo ex fidanzato, ok?”
Con le gote in fiamme e la pelle d'oca perfino sul cuoio capelluto, annuii.
“Elly!” mi chiamò il Dottore col cappotto lungo fino alle caviglie. Mi girai; lui era ad una cinquantina di metri da noi. O meglio, da me.. Perché, quando mi girai nuovamente, l'altro lui non c'era più.


Assurdo. Quello era veramente… il Dottore? Ma non può essere! Insomma: era così… diverso! Ma anche così… simile.
Ad Emily le era passata la fame, come se il suo stomaco si fosse chiuso all’improvviso. Non le importava più della brioche al cioccolato, ne tanto meno di incontrare Jeremy (tanto era già uscito dal parco, lo aveva intravisto). L’unica sua premura era quello strano tizio con il cacciavite sonico: perché quello era un cacciavite sonico, e non c’erano dubbi. Forse era un suo amico, tentò, o suo fratello, o… un clone.
Frustrata, la ragazza si arruffò i capelli levandosi dalla testa quel cappotto, quel completo blu, tutto, finché non le rimase da dimenticare quel bacio sulla fronte. Una sfida.
“Ah! Non ci capisco niente! Al diavolo i viaggi nel tempo!”
“Lo sai che parlando così mi stai insultando pesantemente?”
La voce del Dottore spaventò Emily a tal punto che saltò lontano da lui di almeno un metro.
Da dove era sbucato? Come aveva fatto a non sentirlo arrivare?
“Ah! Dottore?!”
“Wo, calma Emi! Sì, sono io. In carne ed ossa, dal farfallino alle scarpe di pelle. Tutto bene?”
Un po’ sorpresa Emily si avvicinò al Signore del Tempo e iniziò a toccarlo con un indice.
“Sei… sei veramente tu?”
“Cos’è questo, un interrogatorio?”
“Mi è… successo qualcosa di strano un attimo fa.”
“Cosa? Hai visto qualcuno fico come me?”
“Non proprio, ma ti… assomigliava, credo.”
“Ed era più bello?”
“Forse.”
“Oi!”
“Tu piuttosto! Dove sei stato?”
Il Dottore tirò fuori dalla tasca della giacca un sacchetto di carta e lo agitò sotto il naso di Emily.
“Brioche al cioccolato. Come avevi chiesto. Gustatela fin quando è calda.”
La ragazza non se lo fece ripetere due volte e gli sfilò il sacchetto dalla mano. Al primo morso le sembrò di essere in estasi. Era davvero buona.
“Grazie, Dottore.”
“Di nulla. Bene, credo che ora dovremmo andare.”
“Di già?”
“Ho detto che facevamo uno spuntino e poi ripartivamo, no? Forza allora!”
“Ehm, Dottore?”
“Sì?”
“Ti potrà sembrare una domanda… un po’ sciocca, ma considerando il fatto che sei un alieno…” un boccone di brioche le si bloccò in gola. “per caso tu, puoi cambiare faccia?”
Stupito, l’alieno si voltò serio verso la ragazza rimanendo in silenzio. Si avvicinò a lei così tanto, che i loro nasi quasi si toccavano.
Emily si aspettò che le chiedesse il perché di quella domanda così all’improvviso, ma non accadde, sicché lui si limitò a sorriderle e a sfiorarle il naso con un indice.
“Ti racconto tutto sul TARDIS. Ora è meglio se andiamo. Tira una brutta aria, qui.”
Il Dottore prese per mano Emily e camminarono a passo sostenuto.
“Ehi, aspetta. Perché tanta fretta? È successo qualcosa?”
“Credimi. È meglio se non te ne parlo qui e ora.”
I due tagliarono per un parco giochi che brulicava di bambini, mentre poco più lontano da loro, il Dottore dalla giacca color cioccolata, cercava invano l’uomo da lui intravisto.


“Elly, tutto bene? Dov'è andato quell'uomo?” mi chiese il Dottore quasi correndo. Si era messo un paio di occhiali e studiava, con profonda concentrazione, lo spazio alle mie spalle.
“Dottore, tranquillo. Mi ha aiutata a liberarmi di un ubriacone. E poi.. era.. il mio ex.” Autoconvincimento, mode: ON.
“Mhm, va bene. Ma dimmi il suo nome, non si sa mai. Sembrava inglese.. Non è così?”
Oh, mamma. Oh, cavolo. “Sì, si chiama.. Joey.. Joey Turner.” Che fantasia...
“Ok, appuntato in mente.” Si toccò la tempia. “Cosa mi dovevi dire?”
Pericolo scampato. “Siediti.” Mi aveva detto di parlare col cuore. L'unico problema è che ho il tatto di un elefante.. Ma se ha detto che l'avrebbe superata, allora l'unico modo per dirglielo era essere me stessa.
Quando si fu seduto, cominciai a contorcermi le mani che sudavano come non mai. “Ammetto di non essere brava con le parole, specialmente per cose del genere, quindi ti chiedo subito scusa.”
Lui aveva già capito. “No, non pure tu, ti prego! Rimani!” I suoi occhi erano diventati come diamanti ambrati; si espose per prendermi una mano e stringermela forte.
“Oh, Dottore.. Non sai quanto mi piacerebbe. Ma non posso restare.”
“Invece sì! Saremo liberi di andare ovunque noi vogliamo; niente più lavoro per guadagnarsi da mangiare; niente bollette, niente stress, niente cose noiose che riguardano la vita monotona! Vieni con me, ti prego..”
Mi girai; non riuscivo a sopportare quella visione. “C'è una ragazza a Londra che aspetta le mie scuse. Da quasi sette anni. Devo tornare da lei, Jennifer mi aspetta.”
Lui abbassò lo sguardo in un silenzio straziante. “Permettermi di accompagnarti a Londra personalmente, almeno” mi implorò.
“No, vorrei fare tutto da sola. Dottore, tu hai già fatto molto per me, moltissimo.” Lui alzò lo sguardo; la bocca semichiusa con fiumi di lacrime che gli scorrevano fin oltre il mento. “Standoti vicino, ho imparato i valori dell'amicizia e quella pazza londinese mi manca da morire. Ho bisogno di mettere in piedi un discorso che le faccia capire che sono cambiata.”
“Allora questo è un addio?”
Mi venne da sorridere. Curioso, la mia stessa domanda. “Probabilmente, per me sì. Ma aspetta ancora qualche avventura e, vedrai, ci rincontreremo, senza preavviso, qui e oggi.”
Quello che avvenne dopo esserci salutati non voglio descriverlo. Posso solo dire che, ancora adesso, quando ci penso, mi viene la pelle d'oca alta come un palazzo..
Andai all'aeroporto con un taxi e comprai un biglietto per Londra; partii senza bagagli, quasi senza meta, ma non mi importava. Stavo tornando a casa. Dalla mia Jennifer.

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Capitolo 20
*** Episodio 2: l'ultima magia di Massy ***


Episodio 2: L’ultima magia di Massy
Capitolo 20: Lezione di Dottorologia
 
Il pavimento di metallo era ricoperto da album fotografici colorati, che straboccavano di vecchie e nuove fotografie e lettere ingiallite dal tempo. Il consueto odore di antico si era diffuso per tutta la sala comandi; era lieve e piacevole, per niente fastidioso, come spesso era solito sentire  in un polveroso negozio di antiquariato.
Emi era in mezzo a quei pezzi di storia da quasi un’ora, o forse di più. Ad ogni sfogliata le sue dita si sporcavano leggermente di polvere e i suoi occhi si spalancavano dallo stupore ad ogni singola foto.
Era vero. Il Dottore poteva cambiare il suo volto e la sua età, e lo vedeva in quegli album: prima un uomo di una certa età dai capelli bianchi, dai capelli neri, ancora bianchi per poi passare ad un uomo un po’ più giovane e con una folta chioma castana, bionda e di nuovo castana. Era tanti uomini diversi, con i propri modi di fare, di vestire e personalità, ma che portavano tutti lo stesso nome.
Le pareva strano vederlo così… differente da quello che aveva appena conosciuto. Eppure lei vedeva dei tratti in quei Dottori, che uniti tutti insieme formavano il suo di Dottore.
Quanti ne aveva contanti in quell’ora? Nove? L’ultimo Dottore a cui era arrivata indossava una giacca di pelle nera, aveva gli occhi azzurri, era rasato e con le orecchie a sventola. Nove volti diversi uno più bizzarro dell’altro, e ancora non aveva visto il Dottore dalla giacca lunga color cioccolata.
Quell’uomo dal completo blu, con gli occhi color nocciola e il ciuffo annegato nel gel le era rimasto impresso nella mente. Per non parlare del bacio sulla fronte. Scacciato quel pensiero, ritornò a sfogliare le pagine.
Alle ultime dieci pagine Emi guardò le foto con una mano davanti alla bocca. Eccolo finalmente: il Dottore dal cacciavite sonico blu.
L’alieno sorrideva in ogni fotografia assieme a diverse ragazze, come in quelle precedenti, ma quale tra quelle poteva essere Amy? E Rory?
“Bene, credo che quelli fossero gli album più importanti. Wo… che bel macello, beh, è decisamente peggio il mio studio.”
Il Dottore entrò nella sala raccogliendo, man mano che passava, gli album già consultati dalla ragazza.
“Meglio fare un po’ d’ordine. Questi li riporto dov’erano.”
“Perché me li stai facendo vedere?”
Un lungo silenzio lasciò spiazzato l’alieno, finché lui non tornò indietro e si sedette a fianco ad Emi. Schiaritosi la voce, parlò.
“Per rispondere alla tua domanda. Essendo giovane pensavo che se ti avessi spiegato chi fossi solo a voce, ti sarebbe stato difficile capire. Così alla fine ho pensato che fosse d’obbligo spiegartelo attraverso prima queste foto e poi a voce.” E indicò album e foto sparsi sul pavimento. “Ovviamente spiegarti tutto nei minimi dei dettagli sarebbe troppo, e soprattutto noioso. Ne ho fatte di cose nel corso della vita. Perciò potrei dirti solo il minimo indispensabile.”
“Come il fatto di aver preso un tè assieme ad Einstein?” disse Emi ridendo e con in mano una foto, che ritraeva lo scienziato e il Signore del Tempo.
“Precisamente.”
“Per ora so che sei un alieno con due cuori, che viaggia nel tempo e nello spazio e… che il tuo pianeta d’origine è estinto.”
Lui annuì con lo sguardo perso nel vuoto.
“Cosa volevi dire con estinto? Che… non c’è più? E la tua gente ora dove vive?”
“Non è rimasto più nessuno.” Si fermò per sospirare “ Ci sono solo io. Sono l’ultimo Signore del Tempo.”
“Oddio… io… mi dispiace davvero tanto.” disse Emi mortificata.
“E’ passato molto tempo da allora. Non preoccuparti. Ci sono abituato. Ho anche dimenticato tutto- più o meno-, ma parliamo di cose serie! Come avrai notato negli album hai visto i me del passato, di un qualche secolo fa. In poche parole, loro sono le mie vecchie rigenerazioni.
Senza accorgersene Emi si era alzata lasciando cadere l’album che era sulle sue ginocchia, e fissò confusa l’alieno.
“R-rigenerazioni?”
“Esatto. La rigenerazione è un processo che solo noi Signori del Tempo possiamo applicare. In punto di morte il nostro corpo ci avverte che dobbiamo usarla. Questo processo consiste nel cambiare ogni singola cellula e… poof!! Scampiamo alla morte e ci ritroviamo con un corpo nuovo di zecca! O quasi… La rigenerazione è come una lotteria, non puoi mai sapere come esci, purtroppo non lo si può decidere da sé.”
“Caspita!! Ma è una cosa fantastica!! Allora voi… cioè… tu sei immortale?”
“Eh, magari cara Emi. Ho un numero limitato di volte, e io le ho quasi terminate tutte.”
“Tu che… numero di rigenerazione sei?”
“L’undicesima. Potresti pure chiamarmi Undici, o Eleven! Fa più stile detto in inglese!”
“No, preferisco di gran lunga chiamarti Dottore.”
“Non ne avevo dubbi.”
Per un attimo Emi si fermò a pensare. Da quanto era nervosa si era messa a mordicchiare il suo labbro inferiore. Doveva dirglielo o non doveva dirglielo, che al parco Sempione aveva visto la sua – se non aveva contato male- decima rigenerazione? Da una parte pensava fosse la cosa giusta, dall’altra aveva paura che avrebbe causato qualche problema. Da quel che sapeva, incontrare i se stessi del passato era altamente pericoloso, e che avrebbe comportato non pochi problemi. Ma allora perché non le aveva chiesto la ragione della sua domanda? Perché non si era insospettito di nulla?
“L’hai visto, non è vero? Per quello mi hai fatto quella domanda.”
Di colpo Emi alzò la testa a quell’affermazione.
“C-chi?”
“La foto sulla consolle.” E ne indicò una vicino alle leve rosse e gialle.
Emi si avvicinò ad essa e la prese, aprendo leggermente la bocca alla vista dei due volti sorridenti. Era il Dottore dal ciuffo ingellato assieme ad una ragazza bionda!
“Scommetto che in qualche modo hai capito che ero io, non è vero?”
Emi colse l’occasione di nascondere il suo incontro inaspettato e annuì. Fortunatamente non aveva sospettato nulla.
“Sì, esatto.”
“ E scommetto anche che lo hai capito dagli occhi, vero? Saranno pure di colore diverso, ma sono identici! Me lo dico spesso.”
Beh, non l’ho capito esattamente dagli occhi.
“Eh già.”
“Ah ah!” disse il Dottore ridendo “Lo sospettavo che eri intelligente, ma non anche una buona osservatrice. Ho fatto bene a scegliere te.”
“Scegliere?”
“Sappi una cosa Emi. Sarò pure un pazzo che viaggia in una cabina telefonica blu della polizia del 1963, ma non sono stupido.”
“No, quello era ovvio.”
“Ecco, e perciò i miei amici me li scelgo con cura.”
Emi sentì le guance infiammarsi e allargò un sorriso.
“Quindi… io sarei una tua amica?”
Il Dottore si avvicinò alla ragazza, prese la sua testa con entrambe le mani e le stampò un bacio sulla fronte.
“Esattamente.”
Il trillo assordante di un telefono attirò l’attenzione dei due che si girarono verso la fonte. Il rumore veniva da fuori il TARDIS.
“Dottore… hai un telefono fuori dalla cabina?”
L’alieno si colpì la fronte con una mano e imprecò a bassa voce dandosi dell’idiota.
Agli occhi di Emi fu come trovarsi davanti al folletto domestico Dobby.
“Accidenti!! Devo ricordarmi di aggiornare per bene Sexy! Forse dalla fretta ho spostato il telefono fuori invece che dentro… Un attimo.”
La ragazza si allarmò senza poter dire qualcosa sicché il Dottore aveva già aperto la porta, ma si rilassò un po’ sorpresa, quando vide che stava tranquillamente con la testa fuori dalla cabina.
“Pronto, qui è il TARDIS! Chi parla?” strillò il Dottore “Sì, sono proprio io. C’è qualche problema?”
Tre minuti e ancora Emi non riusciva a capire come facesse  a respirare fuori nello spazio, o come nulla venisse risucchiato fuori.  Grazie mille fisica e scienze, pensò lei sarcastica.
“Bene bene. Abbiamo già una nuova destinazione! Spiegato chi sono – o almeno in parte –:  l’ho fatto, detto che sei una mia amica: fatto anche quello! Bene! Basta indugiare, il resto aspetterà!! Perciò, andiamo!”
“Ah, Dottore!”
“Sì?”
“Avrei un’altra domanda.”
“Spara.”
“Riguarda la vacanza studio che tu hai fatto firmare a Mrs. Alba. Ho pensato a lungo e mi sono accorta di una cosa. Forse ci sono arrivata ora perché è, diciamo… una cosa nuova per me – ho reagito anche senza pensare.”
“Certo, qual è il problema?”
“Non è un po’ inutile? Insomma, con il TARDIS puoi riportarmi esattamente lo stesso giorno e alla stessa ora, no? Allora perché?”
“Oh, Emi Emi” canticchiò il Dottore “ te l’ho già detto che sei intelligente?”
“Non fai che ripeterlo.”
L’alieno le sfiorò il naso con un indice.
“Non si sa mai. Almeno stiamo sul sicuro.”
Emi inarcò un sopracciglio.
“Te lo hanno mai detto che sei strano?”
“Non fanno che ripeterlo.” E sorrise beffardo.
 
“Una vacanza studio?!” disse Jeremy quasi urlando.
“Sì, potresti evitare di urlare?” chiese Anna più calma che poteva.
“E dove sarebbe andata a fare questa vacanza studio? In America?”
“No, in Inghilterra.”
“Ma suo padre è americano! L’inglese lo sa già alla perfezione!”
“Beh, avrà dei progetti per lei. Lo sai, no? E’ un archeologo.”
“E’ assurdo… e per quanto tempo dovrà starci?”
“Tre mesi.”
“T-tre mesi??!!”
Anna colpì sulla testa Jeremy con il giornalino che stava leggendo, ignorando lo sguardo fulmineo di lui.
“Vedi di calmarti, ok? Io sono sorpresa quanto te! Quando mi ha scritto il messaggio ci sono rimasta male. Ma tu? Che motivo hai di esserlo? Sei sempre stato a rincorrerla dalle scuole elementari.”
“E tu questo come lo sai? La conosci solo dalle superiori.”
“Prima che diventassimo amiche sentivo delle voci su di lei, e questa faceva parte della catena.”
“Voi ragazze siete solo capaci di spettegolare.”
“Ma dimmi una cosa, per quale motivo la rincorrevate sempre? Vi ha fatto per caso qualche torto da piccoli?”
Jeremy era sul punto di aprir bocca, quando ad un tratto si bloccò con la mano destra a mezz’aria. I suoi occhi iniziarono a dilatarsi e ogni ricordo, ogni immagine di lui e i suoi compagni che rincorrevano Emily, erano come svaniti dalla sua mente in un secondo: dalle elementari alle superiori. Tutto.
Perché la odiava? Che cosa lo spingeva ad inseguirla? Jeremy non se lo ricordava più.
“Ma… cosa?...”
“Che c’è? Qualcosa non va?”
“Io… non me lo ricordo. Non me lo ricordo!”
Anna lo fissò perplessa pensando che stesse scherzando.
“Ma non prendermi in giro! Come è possibile che non te lo ricordi? Andiamo!”
“Ti giuro che è vero! Accidenti!”
Jeremy si arruffò i capelli cercando invano uno straccio di ricordo. Sapeva che era una sua compagna di classe e ovviamente che si chiamava Emily, ma niente di più.
“Jeremy, mi stai spaventando.”
“Allora provaci tu.”
“Cosa?”
“Prova a ricordarti la prima volta che l’hai vista e sentito parlare.”
“Ma non essere stupido! E’ ovvio che io mi ric-…”
Il suo primo pettegolezzo, il suo primo sguardo di superiorità, il primo giorno di ripetizione di matematica. Come successe a Jeremy, anche Anna rimosse ogni ricordo legato ad Emily, tranne il suo nome.
“Oddio… non può essere! Non… non me lo ricordo!”
In preda all’ira Jeremy fermò il primo ragazzo che gli era capitato a tiro. Fortunatamente era Davide, un suo compagno di classe.
“”Ehi!”
“ Davide, tu sai chi è Emily Creek, non è vero? Sai cosa le facevo e faccio tutt’ora, giusto?”
“Certo che so chi è Emily Creek! E’ una nostra compagna di classe! E tu non le hai mai fatto niente, Jeremy.”
“Come niente?!” disse lui aggressivo.
“Niente! Lei è una ragazza silenziosa che non ha mai dato fastidioso a nessuno! E tu non te la sei mai presa con lei! Ma si può sapere che ti prende?!” rispose Davide un po’ spaventato.
Senza scusarsi Jeremy lasciò il braccio di Davide che subito si allontanò.
“No… non può essere… Tutti in classe lo sanno. Come è possibile…”
“E’ del tutto normale che ora tu non capisca, dolcezza.”
“Eh?”
Giratosi alla sua destra, Jeremy si ritrovò a fianco una donna con un impermeabile lungo e beige che gli sorrideva sotto un ampio Fedora nero.
“E tu chi sei?”
“Jeremy, con chi stai parlando?” chiese Anna confusa.
Il ragazzo si girò verso di lei sorpreso.
“Ma come non la vedi? C’è una donna con  un impermeabile qui!” e indicò la sua destra.
Anna lo guardò ancora più confusa e spaventata di prima.
“Ok, credo che questa storia di Emi ci stia sfuggendo di mano, ma vedrai che ne andremo a capo. Ora è meglio se andiamo a recuperare le scarpe di ginnastica. Abbiamo educazione fisica dopo l’intervallo.”
“Asp-… Anna!”
“Sbrigati! Ok?” e corse via in classe, pensando ancora ai ricordi perduti.
“Lei non può vedermi e nemmeno sentirmi. Nessuno può farlo se non tu.”
Jeremy riprese a guardare la donna; occhi verdi , capelli ricci e biondi e labbra dipinte di rosso. A ben vederla sembrava una qualsiasi donna, ma perché solo lui poteva vederla? E se era uno stupido scherzo? Non era mai finito in una simile situazione e non sapeva proprio come comportarsi, se non restare lì. Correre via? Le sue gambe erano come bloccate al pavimento.
“Che vuoi dire che solo io posso?”
“Nel senso che l’ho deciso io.”
“Chi sei tu?”
“Non ha importanza. O almeno, non ora, ma devi fidarti di me.”
“E perché dovrei?”
“Perché fidarti di me ti servirà a trovare Emi, Jeremy Calvatori.”
Jeremy rimase in silenzio, mostrandosi un po’ più interessato alla faccenda e incrociò le braccia al petto.
“Spara.”
“Tu la incontrerai di nuovo. Non tanto presto, ma la incontrerai. Non appena l’avrai fatto dovrai fare di tutto per restare con lei.”
“Spiegati.”
“Che la dovrai proteggere, assieme al Dottore.”
“Dottore? Ti riferisci a quella specie di Mr. Bean?”
La donna soffocò una risata.
“Sì. Sì, esatto.”
“Emi è con lui?”
“Precisamente.”
“E perché dovrei proteggere Emi, scusa? Tanto c’è lui, no? Un vecchio amico di famiglia, così mi è stato detto.”
“Regola numero uno: Il Dottore mente.”
“Aspetta… vuoi dire che lui non…”
“Classica copertura. Ti conviene preparare carta e penna, ragazzo. Ti aspetta una lunga lezione di Dottorologia. “
La campanella suonò la fine dell’intervallo.
“Educazione fisica può aspettare.”

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Capitolo 21
*** Amici di vecchia data ***


“Scusi! Mi scusi! Oh! Scusi tanto.. mi spiace!”
Ad ogni spallata il giovane allievo si scusava impacciato senza fermarsi, lasciandosi alle spalle una scia di insulti in inglese, ma nulla lo avrebbe distratto dalla sua missione. Quelle lettere, avrebbero segnato la vita del suo amato maestro.
“Devo sbrigarmi! Devo assolutamente sbrigarmi!”
Le teneva strette al suo petto, quasi come se non volesse che nessuno le vedesse, ed era effettivamente così: perché loro erano lì, a Londra, e potevano essere ovunque, persino nel bar che stava per sorpassare o tra la folla di turisti armati di macchine fotografiche digitali. Erano troppo preziose, troppo importanti.
Con un ultimo sforzo, e un’ultima occhiata alle sue spalle, il ragazzo raggiunse l’unico cancello pitturato di nero e viola del quartiere. A due a due salì le scale fino al quinto piano, e, ripreso un po’ di fiato, corse dritto, fino all’ultima porta del corridoio. Senza bussare entrò.
“Maestro!! Maestro Massy! Ne sono arrivate delle altre! E’ in grave pericolo!”
“E smettila di sbraitare!! Hai corso, vero? Quante volte ti ho detto che correre ti fa male, giovanotto!”
Urlò  un vecchio burbero, seduto su una poltrona di pelle rossa in mezzo a un salotto futuristico tutto bianco.
“Ma, maestro Massy, io… ”
“Prima di tutto vedi di stare tranquillo, ok?” disse lui con più calma “Ora passami le lettere, da bravo.”
Ancora un po’ affannato, il giovane allievo si avvicinò alla poltrona e porse all’uomo le lettere.
Quest’ultimo sorrise, e le buttò nel camino davanti a sé, senza nemmeno leggere il mittente o aprirle.
“Le solite minacce, peccato che non sia ancora arrivato, è uno spreco di tempo il loro.”
“Che cosa vuole dire, maestro?”
Massy si sistemò una ciocca di capelli bianchi dietro l’orecchio sinistro, facendo tintinnare lo stravagante orecchino a forma di corvo d’oro.
“L’ho appena chiamato ora. L’ho invitato al nostro spettacolo di oggi.”
Gli occhi del ragazzo si spalancarono, consapevole di chi stesse parlando il suo maestro..
“Vuole dire… il suo amico di vecchia data?”
“Oh, di vecchissima data, vorrai dire.” Disse Massy ricordando il loro ultimo incontro. Aveva ancora i capelli neri, quel giorno, ed era giovane e scattante, non vecchio e decrepito come lo era in quel momento. Quasi rimpianse la sua offerta di venire con lui, cosa lo spinse a fermarsi, questo non lo sapeva. Se lo ricordava ancora, il caro Dottore, che in confronto a lui sembrava vecchio di almeno duecento anni. Con il suo curioso ombrello col manico a forma di punto interrogativo, simbolo che si ripeteva anche sul suo gilet di lana, per non parlare del suo classico cappello panama, a cui gli piaceva sempre farlo roteare in aria. L’eccentrico, esuberante, ma pur sempre fantastico Dottore. Chi meglio di lui poteva stare al tavolo davanti al palco?
Chissà come reagirà appena lo vedrà. Sicuramente, pensò lui, riderà a crepapelle e lo prenderà in giro per tutto lo spettacolo.
Sì. Non vedeva l’ora di incontrarlo un’ultima volta.
“Passiamo oltre. Ti sei allenato, Jake?”
“Sì! Sono migliorato!” rispose lui con sicurezza “Ieri sera mi sono anche ricaricato la batteria. Temo solo di aver esagerato con i ricettori delle emozioni umane.”
“Ho visto. E fra un po’ ti avrei anche visto sudare.”
“Non credo che sarebbe successo.”
“Ovviamente.”
Jake all’improvviso alzò la testa col volto impassibile e si avvicinò alla finestra con gli occhi illuminati di azzurro.
“Aveva ragione, maestro Massy. Loro sono qui. Il mio scanner li ha individuati.”
“Quanti sono?”
“Cinque, maestro.”
“Bah, meno dell’altro giorno.”
“Vuole che li uccida?”
“No, lasciali. Tanto non possono fare molto. Pensiamo piuttosto a prepararci. Fra due ore si va in scena.”


Jeremy aprì più volte il taccuino di pelle nera sfogliandone le pagine per poi richiuderlo. Aveva ancora il consueto odore di nuovo, sicché fino a tre mesi fa era sempre stato immacolato, se non fosse stata per quella lezione di Dottorologia.
 
“Mi raccomando Jeremy, queste sono cose assai importanti da sapere sul Dottore e il suo modo di essere, per quanto riguarda la sua vera natura, non spetta a me dirtelo.”
“Cos-… Come sarebbe dire la sua vera natura?!”
“Te l’ho detto, no? Non spetta a me, e poi, se te lo dicessi ora, tu scapperesti.”

“L’avrei potuto fare ora, sai?”
“Appunto. E per concludere, Jeremy: tieni gli occhi bene aperti.”

 
Quanto meno te lo aspetti, la potresti incontrare.
 
“Ehi, Jeremy?” una mano guantata di rosa, lo riportò alla realtà facendolo trasalire: quel tocco vellutato era  di Anna, con le sopraciglia basse, segno di preoccupazione.
“Va.. tutto bene?” provò di nuovo lei.
“Sì.” Rispose lui schietto e forzando un sorriso.
“Io… so cosa ti aspettavi di fare arrivati qui, ma non è possibile separarci dal gruppo. È già tanto se ci lasciano un’ora. E poi, dove l’andresti a cercare?”
Jeremy rimase in silenzio, con lo sguardo fisso sul London Eye. La rabbia gli ribolliva in tutto il corpo fino a fargli tremare le mani. Come poteva pretendere la donna dall’impermeabile beige, che lui riuscisse a trovare Emi a Londra? Emi. Non c’era giorno in cui non pensasse almeno una volta a lei o ai momenti passati con lei, anche se erano solo vaghi ricordi.
“Hai notato, Jeremy? Sono passati tre mesi e ancora nessuno sembra – diciamo – ricordarsi di Emi. Guarda ad esempio Michele e Simone.” Disse Anna indicando due ragazzi vestiti di nero, in compagnia di tre ragazze qualche metro più il là da loro “Ti stavano sempre intorno e si divertivano a infastidire tutti in classe, tutte le ragazze non parlano più di lei, e poi…”
“Noi.” continuò Jeremy “ Noi due siamo amici.”
“Ahhhh, ma allora lo ammetti, eh?”
“Ah, ma stai zitta.”
“Oltre a questo, sono davvero cambiate tante cose” all’improvviso Anna smise di sorridere “ non che la cosa mi faccia piacere, è ovvio.”
“Già.” Una coppia inglese passò dietro a loro ridendo e indicando il London Eye “Dannazione! Ma tutto questo non ha senso!”
Frustrato, Jeremy si tirò su dal corrimano e diede le spalle alla meravigliosa attrazione.
“Che c’è, Jeremy?”
“No, tu non c’entri Anna. È solo che… è inutile che te lo spiego.”
“Oh, andiamo! Abbiamo ancora mezz’ora prima di dover riprendere il giro. Che cosa ti preoccupa?”
“Ricordi quello Smith?”
Anna si ripeté quel cognome nella testa e spalancò gli occhi, ricordandosi del bell’imbusto col farfallino bordeaux.
“Ah! Intendi il supplente di fisica?”
“Esatto. Beh, a quanto pare è con lui che Emi è venuta qui a Londra.”
“Ah, davvero?”
Jeremy annuì con le braccia conserte.
“Amico di… famiglia.”
“Oh, ma che coincidenza.”
“Già… coincidenza…”
“ Certo che è parecchio buffo quando cammina.”
“Puoi dirlo for-… c-cosa?! Che hai detto?!”
Jeremy si mise davanti ad Anna e le appoggiò le mani sulle spalle. Quest’ultima dallo spavento, lasciò cadere il suo pacchetto di M&M’s.
“Cosa? Che ho detto?!”
“Hai detto che ha una camminata buffa, perché?!”
“Beh, perché… perché è appena passato con due fish and chips in mano.”
“Dove?!”
“Dall’altra parte della strada…”
“E’ tu me lo dici così?!”
“Un mom-… Jeremy! Dove vai?!”
“Tienimi lo zaino, per favore! Torno subito!”
“Jeremy!”
Passata davanti ad una scolaresca in uniforme, Jeremy corse sulle strisce pedonali, ed eccolo là: lungo ciuffo di capelli castani e la classica giacca di tweed. Anna aveva ragione, la sua camminata era veramente ridicola. Jeremy cercò di avvicinarsi il più possibile senza perderlo di vista, a costo di far cadere qualcuno dal marciapiedi, cosa che successe una decina di volte.
S-sorry… p-please, sorry!! Ah!”
Non aveva mai avuto così tanta pazienza in vita sua, se si ricordava bene. Ma perché diamine lo stava facendo? Cosa sarebbe successo alla fine? Allora perché stava correndo?
“Questa volta non mi sfuggi, Emi.”
 
Stare lì sotto al Big Ben faceva sentire Emi una piccola formica. Non quanto come con la Statua della Libertà, ma faceva comunque lo stesso effetto. L’ultima volta che era andata a Londra aveva dieci anni, e si ricordava ben poco, perciò ritornarci non le dispiaceva per niente. Sentire tutta quella gente parlare inglese la faceva sentire a casa, a parte la storia della guida a sinistra. A quella doveva ancora abituarsi, ma era comunque contenta di essere lì.
“Fish and chips?”
Il Dottore attirò l’attenzione di Emi con una bella porzione di pesce e patatine fumante. Aveva giusto un po’ fame.
“Oh, grazie mille.”
“Figurati.”
“Che cos’hai in quel sacchetto di plastica?”
“Oh, della semplice crema pasticciera.”
Lei inarcò un sopracciglio davanti all’alieno sorridente.
“E… che intenzione hai?”
Lui stappò il tappo della bottiglia di vetro con l’acquolina in bocca “Non sono esattamente bastoncini, ma è pur sempre pesce, no?”
“Mi stai dicendo che tu ti mangi il pesce con la crema?”
“I gusti sono gusti.” E scrollò le spalle.
“Tu sei veramente impossibile.”
“Lo so.”
“Ad ogni modo, cosa ci facciamo a Londra?”
“E’ da qui che è venuta la chiamata.”
“Dalla Londra dei nostri giorni?”
“Esatto, e più precisamente…” il Dottore guardò il suo orologio da polso d’oro “ è mercoledì 12 febbraio del 2014. Tempo…” e tirò fuori la lingua come un cane “ discreto, anche se sento l’arrivo di pioggia. L’inquinamento è sempre in aumento. Chi ha chiamato, ti starai chiedendo,  e ti rispondo Massy.”
“Eh? Lassie?”
“No! Massy!”
“Massy… e chi è?”
“Un mio amico di vecchia data. Guarda, gli ho stampati sul TARDIS! Tada!”
Il Dottore tirò fuori dalla tasca un paio di biglietti variopinti con una scritta in oro che recitava: Massy, the alien magician.
“Mago alieno? Il tuo amico è un alieno?”
“Ehi, tu sei mia amica e sei un’aliena.”
“Ah, hai ragione.”
“Fra circa una mezz’oretta farà uno spettacolo, e lui ci ha invitati entrambi.”
“Wow! E’ fantastico! Adoro i maghi! Specialmente Dynamo.”
“Dynamo?”
“Non lo conosci? E’ un mago inglese piuttosto famoso. Pensa che qui a Londra ha camminato sul Tamigi,come trucco magico.”
Il Signore del Tempo si accarezzò il mento perplesso.
“Che… c’è?”
“Sul Tamigi, eh? Sicuro che non sia un alieno anche lui?”
Emi rise piegandosi in due “Sì, ne sono sicura. Allora che aspettiamo? Andiamo!”


Dottore!
 
“Eh?”
“Emi? Tutto bene?”
La ragazza si girò e guardò la folla dietro di sé. Aveva sentito chiaramente una voce che lo chiamava. Una voce a lei familiare.
“Non hai sentito? Qualcuno ti ha chiamato.”
“Hm? Davvero? Strano, di solito me ne accorgo.”
“Magari… mi sono sbagliata…”
“Deve essere così. Forza, per di qua.”
Emi scrutò un’ultima volta la gente sui marciapiedi e davanti le vetrine. Scossa la testa, raggiunse il Dottore addentando ciò che era rimasto del suo pesce impanato, mentre un ragazzo dai capelli a caschetto e biondi, si guardava attorno disorientato, ancora intento a cercare l’uomo in tweed.

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Capitolo 22
*** Nero/Viola/Bianco ***


“Ok, class. This is your  homeworks that you have to do. Have a nice day.”
“Goodbye, Mrs. Alba.”
In segno di rispetto, i ragazzi si alzarono e salutarono Mrs. Alba con un sorriso. Preso il registratore e la sua borsa di pelle viola, lei uscì dalla classe a suon di tacchi. Ad aspettarla fuori c’era Enrico Merradi,preside del liceo, vestito con il suo consueto maglione di cashmere dai colori scozzesi.
“Oh, salve Mr. Merradi.”
“Salve, Alba. Come sta?”
Very good. Grazie per l’interessamento. C’è qualche problema?”
“Direi di sì. Mi è arrivata questa giustificazione in ufficio poco fa, riguardante una vacanza studio a Londra di Emily Creek” e le mostrò un foglio con tutto l’itinerario, i costi e in basso a destra l’inconfondibile firma della donna “ ed è stata proprio lei a firmarla, dico bene?”
Lei annuì con sicurezza “ Sì, sono stata io.”
“E per quale motivo l’ha fatto? Con quali soldi?”
“Con i miei, ovviamente.”
Il preside balbettò un paio di volte con le mani tremanti” Co-come sarebbe a dire i suoi?! Lei non può fare una cosa del genere! E poi dare la tutela ad un supplente di fisica no-…”
“Non vedo dove sia il problema.” rispose lei con estrema calma “Sa bene che Emily eccelle in ogni materia, che sia scientifica,artistica o motoria, non ha alcun problema, e poi ormai è da novembre che è lì. Un po’ tardi per accorgersene ora. Inoltre il signor Smith è inglese, degno di accompagnarla, sicché io sono occupata con la scuola.”
Merradi rimase scioccato da quelle parole, che non riuscì a dire nulla se non “Sì, ma…”
“Ripeto: non vedo dove stia il problema. Emily può restare a Londra quanto vuole.”
All’improvviso lui abbassò la mano, rilassò i muscoli della faccia e rimase in religioso silenzio. Si limitò ad annuire con la bocca aperta.
“Non avrei voluto farlo, mi creda, ma è strettamente necessario che Emi resti col Dottore. Ha capito?”
“Ho… capito.”
“Bene. Bravo preside.” Mrs. Alba schiaffeggiò leggermente la guancia destra e flaccida del preside prima di riprendere a camminare verso l’aula professori, lasciando l’uomo in uno stato vegetale in mezzo al corridoio.
“Mi deve un favore, Doctor.
 
 
Il Dottore finì in fretta la crema pasticciera con una ditata e buttò la bottiglia di vetro nel cestino più vicino.
Così fece lo stesso Emi, con il suo cartoccio unto, mangiata l’ultima patatina fritta.
“Bene. Mangiato, abbiamo mangiato, e siamo anche in perfetta ora. Guarda! La gente inizia ad entrare.”
Una folla di adulti e di bambini si apprestava ad entrare in un locale appariscente, in cui i colori che prevalevano erano il nero e il viola. Il perfetto stile gotico.
 Persone scettiche, ma curiose, persone emozionate e impazienti; fattori che Emi riuscì a cogliere per confermare l’effettiva fama di questo Massy a lei sconosciuto.
“Però. Non credevo fosse così famoso.”
“Non è uno che si fa notare molto. È solo grazie ai pettegolezzi – credo si chiamino così -  umani.”
“Ci sono persino dei turisti.”
“ Sempre pettegolezzi umani.”
Con un largo sorriso, il Dottore mostrò i biglietti all’omone in smoking nero e viola posto all’entrata, che li accolse con un leggero inchino.
“Spero che lo spettacolo sia di vostro gradimento.”
“Grazie.”
“Oh, un momento. Quei biglietti, non sono i classici biglietti.”
Emi fissò confusa il Dottore, che lo era quanto lei.
“Ehm… Dottore, forse non è stata una buona idea stamparli nel TARDIS. Forse hanno capito che sono state contraffatte.”
“Con-… ma che dici?! Non è colpa del TARDIS. E’ possibile che Massy abbia sbagliato a mandarmeli.”
“Ma certo!” Esclamò l’uomo in smoking “ Voi siete gli ospiti speciali! Il signor Dottore e la sua compagna.”
“C-compagna?”
“Oh, Massy vi ha detto di noi.”
“Sappia che è stato Massy stesso a fare quei biglietti.”
“Tipico di lui.”
“Venite con me. Vi faccio strada.”
Mano nella mano, Signore del Tempo e umana, entrarono nel locale scortati dalla cosiddetta maschera. Diversamente dall’esterno, il colore dominante all’interno era il bianco; il gotico era stato sostituito da un ambiente futuristico, con tavoli di vetro a forma di clessidra rivestiti di tovaglie di velluto rosso. Il palco a mezzaluna aveva il pavimento di vetro nero e il sipario era bianco come tutte le pareti circostanti.
“Accidenti! E chi se lo aspettava! I gusti di Massy non sono cambiati affatto. È un grande classico!”
“Classico? Ma è… fantastico!”
Il Dottore scrollò le spalle sorridendo “ Sì, è sempre bello.”
“Ecco i vostri posti.”
Il Dottore batté le mani, in segno di stupore, e rise indicando i cartellini di cartoncino nero sul tavolo “Hai visto? C’è un cartellino! Con il mio nome!” disse eccitato come un bambino a Natale.
“Lo vedo, Dottore…  E c’è anche scritto compagna…”
“Il maestro sarà contento di vedervi.”
“Non ne dubito.”
“Con permesso.” Fatto un profondo inchino, la maschera si allontanò per accogliere gli altri spettatori, che entrarono con la stessa identica sorpresa di Emi.
“A giudicare da come si sta riempiendo la sala, i biglietti sono andati a ruba.”
“Oh, sì. I biglietti per i posti a sedere di sicuro.”
“Che vuoi dire?”
“ I biglietti come i nostri o quelli che hai visto all’entrata sono per i posti a sedere. I posti in piedi invece non si pagano.”
“Ah, capito. Tu prima hai detto amico di vecchia data. Quindi lo conosci da molto tempo, giusto?”
“Esattamente.”
“Ha sempre fatto il mago?”
Inaspettatamente l’alieno rise lasciando senza parole la ragazza “Ti devo confessare che lui non è un vero mago.”
“Eh? Ma allora... è un impostore?”
“Tutti i maghi alla fine sono degli impostori. Lui era un umile servo di una famiglia reale schiavista. Un giorno capitai per caso sul loro pianeta e lo salvai, assieme a molti altri, ma ho legato di più con lui.”
“Ok, ma toglimi una curiosità. Gli hai per caso parlato di me?”
Lui scosse la testa “ Che io ricordi no.”
“E allora come faceva a sapere di me?”
“Oh, probabilmente pensa che io sia con Ace.”
Emi alzò un sopracciglio perplessa “Ace?”
“Dorothy Gale McShane, o semplicemente Ace. Adesso che mi ci fai pensare le somigli molto in fatto di intelligenza e mascolinità. L’unica differenza invece è che a lei piaceva molto costruire bombe. Era un vero terremoto” rispose il Dottore un po’ malinconico.
“Aspetta. Per caso ti riferisci a quella ragazza dal giubbotto nero? Quello pluridecorato?”
“Esatto.”
“Allora è proprio una tua vecchia conoscenza! Lui, cioè… tu eri alla settima rigenerazione.”
“Di nuovo esatto, certo che hai davvero una buona memoria tu. Come fai a ricordartelo?”
Un po’ imbarazzata Emi iniziò a giocherellare con il cartoncino sul tavolo “ Io ho…  la memoria eidetica; ricordo ogni cosa che leggo, sento o vedo.”
“Oh, interessante! Questo non me lo aspettavo! Direi che ho fatto proprio bene a sceglierti.”
“Dici che… non è uno svantaggio?”
“Scherzi? Magari io ce l’avessi! O ce l’ho pure io… O ce l’avevo… Perché pensi che sia uno svantaggio?”
“E’ una cosa che ho sempre avuto da bambina. Tutti mi trovavano strana.”
“Esseri strani ha i suoi vantaggi, credimi. Guarda me per esempio! Andiamo, hai mai visto qualcuno più strano di me?”
Emi si lasciò andare in una risata “ No, direi proprio di no.”
“Bene. Benvenuta nel club, Emily Creek.”
“Signore e signori. Ragazze e ragazzi. Lo spettacolo del grande Massy sta per cominciare. Vi pregherei di prendere posto. Grazie, e buon divertimento.”
“Ecco Emi. Ci siamo.”
“Sì.” Il Dottore prese per mano Emi trepidante di eccitazione. Le luci si abbassarono di colpo, una corona di luce illuminò il sipario e in sala piombò il silenzio più totale. Niente rulli di tamburi o voci, solo un fischio sordo simile a quello di una teiera.
“Oh, inizia con un vero classico.”
“Che cosa succederà?”
“Aspetta e vedrai, Emi.”
Gli occhi del Dottore brillavano da quanto era emozionato, se per lo spettacolo o per Massy, questo Emi non sapeva dirlo con certezza. Forse lo era per entrambe le cose. “Guarda attentamente il sipario. Una cosa del genere il tuo Dynamo di sicuro non ne sarebbe capace.”
 
Il cellulare di Jeremy suonò almeno una decina di volte, e lui sapeva benissimo che si trattavano di Anna e dei suoi messaggi di preoccupazione. E come biasimarla? Dopotutto lui l’aveva lasciata lì, con il suo zaino e a inventarsi chissà quale scusa per coprirgli le spalle.
La folla davanti a lui sembrava intralciarlo sempre di più. Nonostante avesse perso le tracce del Dottore, Jeremy aveva come la sensazione che era sulla pista giusta. Di tanto in tanto alzava gli occhi al cielo per assicurarsi che non si mettesse a piovere; a giudicare dalle nuvole grigie, le probabilità erano molte “ Dannazione… dove sarà finit-… ah!”
A Jeremy bastò girarsi un secondo per andare a sbattere contro un uomo vestito con quella che sembrava essere una muta da sub nera.
“Ah… ehm… I-I’m… sorry…” per quanto si fosse sforzato nelle scuse, il diretto interessato non sembrò accettarle e riprese la sua strada, impassibile in volto “Ma cosa… che problemi aveva quello?”
Da dietro, quell’uomo pareva camminare come un robot, cosa che attirò non pochi obiettivi e sguardi: una vera e propria assurdità, tanto quanto quella tuta.
 Le cose assurde, pensò Jeremy, non possono accadere così all’improvviso. “Che sia opera tua, Emi?”
“Devi seguirlo.” disse una voce femminile a lui familiare.
“Ma questa voce… Sei tu, non è vero? La donna con l’impermeabile.” Era così che era solito chiamarla, visto che non gli aveva mai rivelato il suo nome “ Non girarti.” gli ordinò lei severa “ Non pensare a me e osserva.”
Disorientato lui rimase immobile “Che cosa intendi?”
“Non ricordi? Ti avevo detto di tenere gli occhi aperti. Ora fallo: guardati attorno.”
Jeremy respirò profondamente e iniziò a girarsi prima a destra e poi a sinistra, e fu allora che li vide. Come tante macchie nere sul manto bianco di un dalmata, uomini dalla tuta nera erano fermi tra le persone con gli occhi fissi chissà dove, come se stessero sorvegliando ogni parte di Londra.
“Dimmi. Quanti riesci a contarne?”
Nove. Dieci. Undici. Più si guardava attorno, più ne contava. Quindici. Sedici. “Sono… sono tantissimi!”
“Quindi sono aumentati dall’ultima volta. In questo caso li devi cercare assolutamente, Jeremy.”
“Aspetta, ciò significa che… Emily è in pericolo?!” chiese lui preoccupato.
“ Può darsi.” rispose lei calma.
“Può darsi?! Non puoi darmi una risposta precisa?”
“Se vuoi essere sicuro della sua incolumità, ti conviene seguire quel cacciatore.”
“C-cacciatore? Non mi hai mai parlato di cacciatori.”
“Beh, te ne sto parlando ora. È ancora visibile da qui, prima che tu lo perda, corri. Corri!
Jeremy non se lo fece ripetere due volte e corse dietro al cacciatore tra la folla, senza farsi notare .
“Emi… Emi, sto arrivando!”

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Capitolo 23
*** incontri inaspettati ***


C’era chi si alzava dal proprio posto per lo stupore, chi applaudiva perché probabilmente sapeva cosa sarebbe successo e chi invece urlava dal terrore.
Emi non sapeva come reagire, sicché il Dottore la obbligava a rimanere seduta e a non urlare. Ciò che l’era concesso era fare domande “D-Dottore?... Ora… mi spieghi cos’è quello?” chiese lei con l’indice sinistro tremante che indicava una grossa voragine violacea sul sipario.
Il Gallifreyano sorrise tranquillamente all’umana “ Stai tranquilla, Emi. E’ un innocuo buco nero artificiale”
“U-un buco nero?! Ma moriremo!!”, urlò lei con gli occhi spalancati.
“Artificiale, Emi. È artificiale. È un trucco vecchio come il mondo, come spiegartelo… è come… come… la passaporta o… la polvere volante di Harry Potter! Questo buco nero è collegato ad un altro che sarà di sicuro o nei sotterranei, o in un posto non tanto visibile, totalmente differente da un vero buco nero e decisamente non pericoloso. Poi ha usato della corrente d’aria e effetti di luce per fare un po’ di scena, e il trucco è fatto.”
Nonostante il Dottore lo avesse spiegato sorridendo e per niente preoccupato, ad Emi spaventava ancora.
All’improvviso la folla soffocò un urlo quando dal buco nero uscirono dei lampi. Che fossero quelli gli effetti speciali?  pensò Emi. Un secondo dopo ci fu un abbaglio che sorprese ogni singolo spettatore, compreso il Dottore, e fu la volta dell’entrata del tanto atteso Massy: il mago alieno.
Completo a righe nero e viola con tanto di cravatta rossa, mocassini bianchi e lucidi vestivano un uomo sulla sessantina, coi capelli bianchi e lunghi fino alle spalle , con gli occhi azzurri e un paio di orecchini a forma di corvo d’oro. Allargate le braccia, Massy fece un profondo inchino incrociando le gambe e la sala lo accolse con un fragoroso applauso.
“Dottore. Massy è lui?”
“Sì! Non è fantastico?” disse il Dottore battendo più forte le mani.
“Ma… sembra un essere umano.”
“Ti devo ripetere lo stesso discorso dell’altra volta?”
“No… direi di no.”
“Benvenuti care signore e cari signori. Ragazzi e ragazze.”,annunciò il mago,“ Spero vivamente che questo spettacolo sia di vostro gradimento, ma soprattutto…” dal nulla uccelli dai colori sgargianti, si smaterializzarono e volarono fino al soffitto per poi scomparire, suscitando tra il pubblico sgomento e ammirazione “ che non vi spaventiate troppo.” di nuovo il locale si riempì di applausi e urla di incoraggiamento, e Massy non poté far altro che inchinarsi una seconda volta. L’entusiasmo durò una trentina di secondi; tempo sufficiente per strizzare l’occhio, un po’ sorpreso, all’uomo con il cravattino rosso e alla sua compagna.
“Dottore. Ci ha salutati!”
“Ho visto! Finito lo spettacolo andremo a salutarlo come si deve. Ora divertiamoci.”
“Bene! Detto questo: che lo show abbia inizio!”
 
Il misterioso cacciatore finalmente si fermò dando così il tempo a Jeremy di riprendere fiato dietro ad un bidone della spazzatura. Rimanendo ben nascosto, il ragazzo lo tenne d’occhio, mentre scrutava l’entrata di un locale rigata di nero e viola.
La donna con l’impermeabile. I cacciatori. Emi. Il Dottore. Lo stavano facendo impazzire, e il bello era che ormai non poteva più tirarsi indietro. Si era lasciato trasportare da questa storia per cosa? Per il semplice fatto che non ricordasse nulla di Emi. Ok. Forse se ci pensava meglio, l’unico problema era proprio Emi.
“Andiamo, amico. Cosa fai lì davanti? Fa’ qualcosa!”
Come se lo avesse sentito, l’uomo entrò nel locale con la sua solita camminata robot.
 Jeremy subito lo seguì correndo, e s’immobilizzò davanti alla prima cosa che gli volò davanti “Ma che… diavolo era quello?!”, urlò lui con gli occhi fissi al soffitto, mentre milioni e milioni di creature informi e variopinte svolazzavano e emettevano versi a lui sconosciuti.
Un’enorme sfera illuminava la sala come in una discoteca, il pubblico si era ormai tranquillizzato e si godeva i fantastici trucchi del vecchio mago a righe sul palco.
Gli bastò agitare qua e là le mani e qualche telo per fare trucchi mai visti ed inimitabili. Trucchi che man mano spiegava il Dottore ad Emi con una certa esaltazione.
Emi. Eccola lì. Finalmente l’aveva trovata. Era proprio davanti al palco in compagnia dell’uomo in tweed, e stava ridendo. Perché si sentisse offeso, questo Jeremy non lo sapeva, ma stava di fatto che l’aveva finalmente ritrovata.
Cercando di non farsi sorprendere da quegli sottospecie di uccelli, Jeremy dimenticò il cacciatore e si avvicinò camminando verso il tavolo di Emi. Mancavano pochi metri, e avrebbe ricevuto tutte le risposte di cui aveva bisogno. La sua mano era a dieci centimetri da lei, finché non fu lei a girarsi verso di lui.
Fu come se un nastro si stesse riavvolgendo; nella mente di Jeremy ritornarono ogni singolo ricordo di lui e di Emi. Prima alle elementari, poi alle medie e infine il liceo. L’avversione verso di lei era ritornata, e con lei anche la sua voglia di rincorrerla. Si era ricordato di tutto. Ed era bastato guardarla.
“Je-Jeremy?Tu… tu che ci fai qui.”
“Finalmente.”, disse lui quasi ridendo, “ Finalmente ti ho trovata.”
Sul viso della ragazza il sorriso si tramutò in terrore, il cuore prese a battere, voleva scappare via, ma le sue gambe non si mossero nemmeno volendo. Perché? Perché non riusciva a muoversi? Perché non riusciva a chiedere aiuto al Dottore?
“Emi tu s-…”


Il cacciatore.
 
Una voce riecheggiò nelle orecchie di Jeremy che si bloccò con il braccio alzato. Era di nuovo lei.
 
Il cacciatore è dietro di voi. Salvala. Salvala!
 
“Emi sta giù!” d’impulso il ragazzo si lanciò su Emi cadendo con lei a terra, e una scarica di proiettili si abbatté sul tavolo di vetro. Tutti gli spettatori si allarmarono e ognuno di loro andò sotto il loro tavolo o semplicemente si abbassò con le mani alle orecchie.
“Che… cosa sta succedendo?!”
L’alieno sembrò alquanto disorientato, ma felice di vedere che Emi era al sicuro “Questo non lo so! Ma stai tranquilla, ok? Rimani con la testa-a-caschetto!”
“Test-… ehi!”
Una risata sinistra dal palco attirò l’attenzione dei tre, poiché si trovavano praticamente sotto di esso. Era Massy, con gli occhi rivolti verso un uomo dalla tuta nera in fondo alla sala.
“E’ lui! E’ il cacciatore!”, urlò Jeremy indicandolo.
Il Dottore spalancò gli occhi dallo stupore “Come hai detto? Cacciatore? Come sai dei cacciat-…”
“Finalmente vi siete fatti vedere, eh? Beh, non pensate che io sia impreparato! Avanti! Fatevi sotto!” con la voce che rimbombava possente sul palco, allargate le braccia, Massy tirò fuori dalla manica della giacca un piccolo telecomando e premette l’unico bottone rosso. Subito un enorme buco nero si aprì al suo fianco e iniziò a risucchiare prima i proiettili, poi l’arma e infine anche il cacciatore. Gli bastò premere una seconda volta il bottone per richiudere il buco.
Un inconsueto silenzio piombò nell’intero locale, lasciando che i vetri rotti fossero l’unico suono di sottofondo. Era tutto finito. Erano tutti salvi.
“Bene signore e signori, è ovvio che avete constatato il mio piccolo cambiamento. Era palese fare sempre lo stesso spettacolo, non credete? Proiettili veri? Ma non siate ridicoli! Era tutto calcolato, cari miei!”
“Posso confermarlo a nome del grande maestro!”, era il Dottore ad aver preso la parola, “ Noi qui davanti ci occupavamo di tutto, perciò non dovete preoccuparvi di nulla. Ve lo posso garantire.”
Che fosse stato grazie alla sua capacità oratoria, questo Emi non lo metteva in dubbio. Man mano tutti gli spettatori si convincevano a vicenda annuendo e ripetendo frasi fatte come ‘è solo uno spettacolo’. Alla fine, partirono gli applausi, seguiti da urla.
“E’ meglio se mi seguiate tutti quanti.” Dal nulla, apparve un ragazzo, a prima vista di sedici anni, vestito con lo stesso smoking delle maschere. All’orecchio portava un orecchino d’acciaio ad anello “il mio nome è Jake, e sono un discepolo del maestro Massy. Tanto piacere di conoscervi.”, e fece un inchino.
“Un suo discepolo, dici?”, disse diffidente il Signore del Tempo, “vediamo se è effettivamente così.” Velocemente lui prese dalla giacca il suo cacciavite sonico che iniziò a ronzare davanti al volto del ragazzo. Controllate le analisi, si rilassò, e sorrise.
“Dunque… è tutto a posto?” chiese Emi.
“Più che a posto. Lui è un semplice androide modificato. Parecchio modificato.”
“Posso confermarlo.”
“Ma… sembra un ragazzo.”, tentò di entrare nel discorso Jeremy, “ Insomma… ha la faccia di un ragazzo normalissimo!”
“Invece di parlare di lui spiegami cosa ci fai qui!”
“Ehi! Prima di tutto vedi di calmarti! E secondo: mi dovresti ringraziare invece di prendertela con me.”
“Oh, certo! Ringraziarti di essere venuto a rovinarmi la vita!”
“Ma se ancora non ti ho fatto niente?! Senti, ci sono tante cose che ti devo dire, e credimi, io non ci sto capendo niente, perciò…”
“Potrete continuare a parlare dentro.”, s’intromise Jake, “Non appena tutto il locale sarà vuoto, il maestro Massy ci raggiungerà. E ogni vostra domanda avrà una risposta.”
“Forza, ragazzi.”, disse allegro il Dottore ai due ragazzi imbronciati, “vi faccio conoscere il mago alieno.”
“A-alieno?”
“Lunga storia.”
I due stettero dietro al Dottore e a Jake, lanciandosi degli sguardi veloci. L’androide li condusse ad una porta di servizio con il solito cartello in rosso di divieto e si ritrovarono in un lungo corridoio dalle pareti nere.
“Mi devi spiegare un bel po’ di cose, Creek.”, disse Jeremy aggressivo.
“Io non ti devo spiegare proprio niente, tu te ne torni da dove sei venuto.”
“E per cominciare mi devi dire chi è veramente il Dottore.”
“Senti, non è facile da spieg-… un momento… Come fai a sapere che lui si chiama Dottore? Io sono l’unica a…”
“Una donna con l’impermeabile beige ti dice niente?”
La ragazza rimase a bocca aperta davanti all’espressione seria del ragazzo. No. non stava per niente scherzando. “Vuoi dire che… l’hai incontrata pure tu?”
Lui annuì imbarazzato “ Mi ha detto lei di cercare te e il damerino in tweed. E che… avrei dovuto proteggerti.”
“Pro-… proteggermi?! Stavolta stai scherzando.”
“Ti sembra che io stia scherzando? Tre mesi! Ho dovuto aspettare questa dannatissima gita a Londra per trovarti! E ora che sono qui non me ne vado!”
“Bene. Allora direi che resti con noi.”
Gli occhi di Emi si posarono aggressivi sul Gallifreyano, ma che al tempo stesso imploravano pietà “No… non dirai sul serio, Dottore?”
“Perché no?” disse lui innocentemente “Donna con l’impermeabile. Lui che sa che mi chiamo Dottore e dei cacciatori. Piuttosto interessante come caso. Mio caro Jeremy, staneremo quella donna finita questa faccenda con Massy. Fino ad allora, rimarrai con noi, ti va?”
Domanda piuttosto affrettata a cui aveva giusto dieci secondi per poter rispondere. Non aveva poi così molta scelta. “Sì, d’accordo.”
“Perfetto.”
“Tu non sai a cosa vai incontro, Jeremy.”
“E nemmeno tu, Emi. Il Dottore è pericoloso.”
“No, non lo è.”
“Ho faticato tanto a credere alle parole della donna. È davvero assurdo che qualcuno possa viaggiare nel tempo! Ma visto che in ballo c’eri tu, dopo tutto quello che è successo, ho pensato che doveva essere vero.” Jeremy squadrò il Dottore da dietro “ Da come me lo ha descritto, anche se non dettagliatamente, io non mi fiderei.”
“Tu dici così perché non lo conosci.”,rispose Emi sicura di sé, “ Visto che sei qui, mi dovrò adattare. Dopo ti spiegherò per bene.”
Jeremy annuì semplicemente e presero a camminare senza più dire una parola, fino a quando non raggiunsero un’enorme porta nera di legno.
 
Le spie luminose lampeggiavano rumorosamente sulla consolle di comando. Il soldato le spense prendendo in mano il walkie-talkie “Abbiamo perso l’unità 14. Ripeto: abbiamo perso l’unità 14. Si deve essere guastato.”
Ricevuto.” Rispose una voce femminile dall’altro capo dello strumento.
“Avrà anche 600 anni, ma il vecchio non se la cava poi tanto male. Non lo pensi anche tu, Jay?”
“Io penso solo che dovremmo avvisare la base dell’accaduto. Randy, pensaci tu, io qui sono impegnato.”
Randy, che era sì il più anziano, con delle eccellenti doti come cecchino, ma era tremendamente pigro se si trattava di lavori umili come le comunicazioni.
Molto diverso da Jay: giovane, esperto di armi bianche, disposto a fare qualsiasi incarico, purché provennissero dall’alto.
“Uffa, quanto sei noioso. Solo quando si comincia a ballare sei più attivo. Si può sapere perché stiamo dando la caccia al vecchio? Lo teniamo d’occhio da tre mesi ormai.”
“Perché il reietto dovrebbe passare da lui.”
Randy fischiettò sorpreso “Ora capisco. Allora in tal caso, meglio che dia la comunicazione. Dimmi se lo trovi! Così lo uccidiamo prima noi.”
Salutatolo con una mano, Randy lasciò la stanza, e finalmente Jay poté lavorare senza problemi. Trovarlo?
A volte Jay pensava che Randy era veramente un emerito idiota. Per uno come lui trovare qualcuno era più facile che uccidere qualcuno. Difatti lui spesso e volentieri si asteneva nell’uccidere, solo quando non lo riteneva necessario.
La verità era che lui lo aveva trovato già da un pezzo, ma non voleva farlo sapere a nessuno. Specialmente a uno come il suo compagno idiota.
Digitati diversi codici, sullo schermo davanti a lui venne riportato l’immagine dell’entrata del locale in cui Massy tenne il suo spettacolo di magia,archiviò l’immagine in una cartella privata nel database e spense l’intero sistema, pronto per uscire dalla sala comandi.
Jay non poteva lasciare che il reietto venisse ucciso. Non quel giorno. Era troppo presto.

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Capitolo 24
*** Il tempo stringe ***


Se c’era una cosa che Massy odiava, era dover segnare autografi. Forse odiare era una parola grossa, perché alla fine venir adorato da adulti, ragazzi e bambini era piacevole, ma dopo un po’ le dita gli cominciavano a fare male e iniziavano a formarsi due o tre calli sui polpastrelli. Ricordò che una volta non riuscì a tenera in mano una tazza di porcellana per una settimana. Fu un periodo terribile per lui, sicchè amava bere il tè.
Massy controllò il suo orologio da polso. Aveva ancora tre ore di tempo e poteva godersi qualche bella storiella del suo vecchio amico. Almeno avrebbe sorriso un po’, ma prima preferiva salutare per bene il suo fidato compagno di spettacolo.
Il locale, ormai privo di spettatori,dal palco pareva triste e silenzioso. Anche fin troppo.
Massy si concesse due minuti per chiudere gli occhi e ricordare i suoi primi spettacoli.
1704: l’anno del suo primo debutto, l’alba della guerra per la successione spagnola, ma che nonostante tutto era riuscito ugualmente a strappare qualche sorriso. Da quel giorno si era affermato come il miglior mago in circolazione, senza però farsi notare troppo; solo le voci lo avevano aiutato ad avere un buon pubblico. Giornalisti? Ricordava bene che se avessero osato anche solo avvicinarsi a lui o scrivere su di lui, avrebbe minacciato di non esibirsi più. Ecco come era rimasto anonimato, ma soprattutto fuori dai guai.
Il tempo passava e passava, e lui ancora riscuoteva una certa fama, di più dopo aver sistemato il suo buco nero e creato Jake, il suo assistente androide fidato. Già, doveva anche trovargli un nuovo padrone finita tutta quella storia.
Oltre a Jake e al suo amato locale, a Massy mancava una sola persona da salutare: il Dottore, il suo migliore amico e salvatore. Se quel giorno non avesse visto quella buffa cabina blu precipitare proprio vicino alla sua baracca, lui non avrebbe vissuto la vita agiata che tanto desiderava, ma sarebbe sicuramente morto, tra le frustate dei suoi meschini padroni.
Aperti gli occhi, Massy fissò il tavolo su cui il Dottore e la sua compagna stavano seduti durante lo spettacolo.  Ormai a pezzi, erano rimasti solo grossi frammenti che oscillavano, in procinto di cadere rovinosamente a terra.
Un’oscillazione, due oscillazioni…
 
Crash
 
Detto fatto. Il più grosso era caduto e si era frantumato formando a sua volta altri pezzi.
Con un salto il vecchio mago scese dal palco e prese in mano uno dei frammenti, che al primo contatto praticò dei tagli sul palmo. Pizzicava, per certi versi, ma a lui non importava. Era ormai arrivata la sua ora.
Sul pezzo di vetro Massy vide il suo riflesso ; le sopracciglia erano folte e bianche, il suo volto scavato e i capelli color platino facevano da cornice assieme ai suoi orecchini.
“Ma guardati” forzò un sorriso “Sei solo un vecchio, che cosa puoi fare ancora per lui? Niente, se non proteggerlo per un po’”
A peso morto, l’alieno lasciò scivolare il vetro sul pavimento e alzò gli occhi sull’immenso soffitto sopra di lui. Le lacrime presero a scendere copiosamente sulle guance, dei brividi percossero il suo corpo fino alle punta delle dita. “ Sei davvero fortunato, amico mio. Morire fa veramente schifo.”
 
“Buco nero.” Randy sventolò davanti al volto inespressivo di Jay la risposta della comunicazione.
L’enorme scritta in rosso allarmò il giovane soldato fino a farlo sobbalzare:

 
Missione d’emergenza. Reietto 3185511 localizzato.
 

“Ma che diamine?…”
“Altro che guastato, quel vecchiaccio lo ha risucchiato con un buco nero. Se fosse stato uno di noi sarebbero stati guai.”
“Chi ti ha detto del reietto?” chiese Jay agitato “Chi?!”
“Woah, rilassati giovanotto! I sistemi di sicurezza dell’unità 14 hanno rilevato all’ultimo momento la presenza del reietto. Grazie ai dati di Kranov.”
Jay non stette ad ascoltare il suo compagno di gilda idiota e rilesse più volte quelle lettere cubitali rosse. Se non fosse stato per i suoi coetanei attorno a sé, ma soprattutto per Randy, avrebbe stracciato il foglio in quel preciso istante e addio missione; ma sapeva bene che avrebbe rischiato grosso “E allora?” disse alla fine, cercando di recuperare la sua risolutezza.
E allora?! Abbiamo la possibilità di prendere quel reietto! Mi hanno detto che vale un bel po’! Ho fatto domanda affinché affidino la missione a noi du-…”
“No.”
L’entusiasmo di Randy si spense in un attimo assieme al suo sorriso giallastro “Che cosa?”
“Ho detto no.”
Il giovane cacciatore poteva sentire benissimo quello anziano respirare pesantemente gonfiando il petto, come un grosso gorilla pronto ad attaccare, ma Jay non si scompose e rimase immobile, per niente spaventato.
“Sei per caso impazzito, Jay?”
“No.”
“Oggi sei in vena di dire no! Abbiamo tra le mani una buona missione con cui sfogarci, e tu la rifiuti? Che cos’hai nel cervello, eh?!”
“Il buon senso.” rispose Jay senza indugio “E magari qualche neurone in più di te, Randy.”
Ed eccolo lì, il toro infuriato, pronto ad assestare un pugno deciso su Jay.
“Tu… piccol-!!!....”
“Abbassa quel pugno. Randy della gilda Loto 2.”
Le nocche della mano di Randy sfiorarono di poco la fronte di Jay all’arrivo di Shila, cacciatore di prima categoria, nonché membro del Consiglio Loto.
La tuta bianca della donna brillava talmente tanto sotto le luci, che i due in nero dovettero coprirsi gli occhi con una mano.
Tra i cacciatori non era difficile distinguere chi fosse superiore e chi inferiore. Erano i vestiti  a fare la differenza; il grigio per i cacciatori inesperti, il nero per i cacciatori di una certa abilità e il bianco per i cacciatori dalle capacità disumane.
Colori semplici, ma facili da interpretare.
Randy tirò giù il braccio e andò sull’attenti, con gli occhi che non osavano incrociare lo sguardo di ghiaccio di lei“Se cadi così in basso per una semplice provocazione ti avverto che il tuo titolo di cacciatore non lo terrai a lungo. Sono stata chiara?”
“S-sì, signora.”
“E se devo essere sincera, sono d’accordo con il tuo compagno.”
“Sì, signora.”
“Randy della gilda Loto 2. Va’ nella sala di sorveglianza numero 431. Hanno bisogno di aiuto.”
Velocemente Randy fulminò con lo sguardo Jay e, senza disobbedire, andò verso gli ascensori per le sale di sorveglianza. La prossima volta ti uccido: questo diceva il suo sguardo.
“Mi chiedo cosa ti abbia spinto a scegliere un compagno così diverso da te, Jay. Potevi permetterti di meglio.”
“Diversamente da me Randy è molto forte. Io sono più adatto a pensare.”
“Un tempo non eri così.”
“Le persone cambiano, signora.”
“Ho fatto come mi hai chiesto. Ho archiviato quella missione appena mi hai chiamata.” disse Shila tirando fuori dalla tuta immacolata, il suo palmare “ sei riuscito a mandarmi la richiesta dieci secondi dopo aver letto la comunicazione senza farti notare. Davvero notevole. Se continui così finirò col chiedere un tuo trasferimento. Il bianco non ti starebbe male, sai?”
“Non sarebbe corretto.”
Shila soffocò una risata “Sei tu quello troppo corretto. Jay, tu sei molto intelligente,per questo che ti ho fatto questo favore, ma soprattutto perché io e te siamo buoni amici.”
“Per questo la ringrazio di nuovo.”
“Ma è una missione assai importante. Perché rinunciare?”
“Perché non è il momento, signora.”
Jay strinse con forza la tasca destra della sua tuta nera “Il reietto lo voglio cercare io, ma non ora.”
“Capisco. In tal caso rimarrà archiviato fino a quando non vorrai occupartene, e non preoccuparti di Randy. Ci penserò io.  Ascolta, un giorno mi piacerebbe bere qualcosa con te. Senza dovermi dare del lei. D’accordo?”
Il ragazzo annuì accennando un sorriso."Certo."
Date due pacche sulle spalle, Shila lasciò Jay da solo coi suoi pensieri, a pensare cosa avrebbe fatto non appena si sarebbe trovato davanti al reietto. O ancora peggio: a cosa gli avrebbe detto dopo tutto quel tempo. All'improvviso sentì un innato bisogno di prendere a pugni qualcuno.
 
Con la delicatezza di un cameriere esperto, Jake appoggiò sul tavolo tre tazze fumanti di tè, accompagnate da una ciotola di biscotti assortiti fatti in casa “Ecco a voi. Servitevi pure.”
“Grazie mille!” il primo a buttarsi fu il Dottore, che subito si infilò in bocca due biscotti al cioccolato, sorseggiando poco per volta il dolce intruglio di erbe. Bergamotto: un classico. “Oh, questo tè è davvero fantastico! Complimenti, Jake!”
“Mi lusinga, signor Dottore. La ringrazio.”
“Ma figurati! Ragazzi, dovete assolutamente assaggiare i biscotti! Sono buonissimi!”
“Fai sul serio?” disse Emi irritata per niente vogliosa di mangiare “Dimmi che stai scherzando.”
“Hm? Che vuoi dire?”
“Credo che Emi intenda… questo.” Jeremy alzò gli occhi al soffitto alto cinque metri. Un soffitto nettamente più alto rispetto al lungo corridoio dalle pareti nere.” E ovviamente Emi intenda anche il fatto che siamo in un salotto al quinto piano e non più al piano terra. Al centro di Londra.”
Il Gallifreyano smise di masticare di colpo e guardò i due ragazzi alquanto perplessi. Buttato giù l’ultimo boccone si pulì la bocca coi palmi delle mani e si schiarì la voce “Ok. Credo proprio che vi debba delle spiegazioni.”
“Direi proprio di sì.” dissero all’unisono i due umani.
“Tranquilli, è un concetto molto semplice! Io ho già visto una cosa del genere, solo che non erano una porta, ma una foresta in una scatola e in un salotto.”
“Ok… comincio ad essere confuso.”
“Quella che poco fa abbiamo attraversato era una porta dimensionale. Una porta che collega due posti diversi. Per farvi un esempio, avete entrambi presente le Cronache di Narnia, non è vero?”
“Sì.”
“Certo.”
“Bene, è lo stesso concetto dell’armadio, e si chiama piano dimensionale. Una foresta in un armadio e in una soffita.”
“Quindi… noi ci siamo spostati solo grazie a quella porta?”
Il Dottore schioccò le dita soddisfatto “Precisamente.”
“Credo che diventerò pazzo insieme a voi.”
“Benvenuto nel mio mando JC.”
“Se volete scusarmi, devo assicurarmi che il maestro Massy stia bene. Fate come foste a casa vostra.” fatto un profondo inchino, l’androide lasciò che i tre ospiti gustassero il tutto, e si diresse alla porta di legno nero. Rimasti soli, Jeremy ed Emi poterono finalmente analizzare il salotto attorno a loro.
Come la sala del locale, le pareti erano di un bianco brillante, dove le uniche macchie erano il tavolo rivestito di una tovaglia nera, la poltrona di pelle rossa e il cammino scoppiettante alle loro spalle. Seduti com’erano, poterono anche distinguere altre due stanze lungo i due corridoi ai lati dello stesso cammino.
“Non vorrei dire una sciocchezza ma… siamo per caso a casa di Massy?”
“Giusta osservazione, Emi. Siamo proprio a casa di Massy, ma bando alle ciance, e parliamo di cose serie. Jeremy, tu che sei il nuovo acquisto, tocca a te parlare.”
“A-acquisto?!”
“Abbiamo poco tempo, perciò mi limiterò a dirti che sono un alieno millenario con due cuori e che viaggio nel tempo e nello spazio con una macchina del tempo più grande all’interno. Domande? Me le farai dopo. Ora, le cose più interessanti: che cosa ti ha spinto a cercare Emi?” Il Dottore appoggiò i gomiti sul tavolo con una certa serietà e rimase in silenzio, in attesa che il ragazzo si decidesse a parlare.
“Ecco... io veramente… non so da dove cominciare…”
“E’ normale che tu ti senta un po’ sotto pressione. Dopotutto hai assistito ad una sparatoria, scoperto l’esistenza di due alieni, di un androide e di un piano dimensionale, ma come ho già detto, abbiamo poco tempo. Perciò è meglio se inizi.”
Jeremy si concesse un’altra pausa di silenzio, alzò lo sguardo verso ad Emi, trepidante nel sapere tutto, visto che era la diretta interessata, e guardò infine il Dottore sempre più impaziente. Ormai con le spalle al muro. Appoggiati anche lui i gomiti, si decise a raccontare.
 

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Capitolo 25
*** Sensibile ***


Tè e biscotti erano finiti in meno di venti minuti, il tempo che ci volle a Jeremy per spiegare ogni cosa per filo e per segno, senza tralasciare nulla. Alla fine si sentì incredibilmente leggero, come se si fosse tolto un enorme peso dal corpo, e poteva ben dirlo, vista l’enorme pressione che ha dovuto sostenere per tre mesi e la segretezza che ha dovuto assolutamente mantenere. Di sicuro nessuno gli avrebbe creduto, fu quello il suo primo pensiero, senza contare che la donna gli aveva tassativamente detto di non rivelare nulla di quello che gli disse.
E adesso? Cosa avrebbe dovuto fare? Ora che aveva detto tutto, il Dottore gli avrebbe dato una buona risposta da alieno? Solo a pensarci gli venivano i brividi.
“Allora… Che cosa ne pensa, Dottore?”
Pensi.”
“Eh?”
“Dammi del tu. Odio le formalità.”
“O-ok…”
Il Dottore ed Emi erano rimasti in silenzio ad ascoltarlo senza soffermarlo nei dettagli. Se Emi era sul punto di chiedere qualcosa, l’alieno la zittiva solo come lui era in grado di fare.
Perdita di memoria e riacquisto di quest’ultima al solo sguardo. Interessante, fu l’unico commento del Signore del Tempo nella sua testa. Proprio un bel grattacapo.
“Comprendo bene la tua preoccupazione per questo fatto, Jeremy. Ed Emi, visto che ciò ti riguarda, ma credetemi quando vi dico che al momento non ho idea di come possa essere possibile.”
“Dottore, e se fosse stata opera dei Kujacara?”
“Ku-jacosa?!” provò a ripetere Jeremy “ Che roba sono?”
“Sono gli alieni che avevano rapito le donne a Milano tempo fa.” spiegò lei velocemente.
“Ah, ok… Che?!”
“Ci ho pensato, e poteva essere un’idea, se solo non fosse che loro non ne avrebbero avuto il motivo.”
“E allora come è possibile che lui o gli altri si siano dimenticati di me?”
“Mi dispiace Emi, ma proprio non lo so.”
“Jeremy, anche ad Anna è successo?” chiese Emi preoccupata “ Anche lei si è dimenticata?”
“Della prima volta che sentì parlare di te sì, ma degli ultimi momenti che avete passato insieme no.”
La ragazza spalancò gli occhi dallo stupore “Dici sul serio?”
“Sì.” le sorrise “Puoi pure stare tranquilla.”
“Tutto ciò è davvero toccante, ma il dilemma rimane e io non so come risolverlo. Santo cielo quanto odio non sapere…”
“Le tue parole famose, dico bene? Dottore?”
L’enorme porta nera si spalancò  di scatto ed entrò Massy, seguito da Jake, tutto sorridente e con le braccia allargate, pronte per abbracciare il suo vecchio amico “Oh, Dottore. Quanto tempo! Vieni subito qui, vecchia volpe!”
Senza indugio, il Signore del Tempo si alzò dal tavolo e lo abbracciò ridendo “Oh, Massy! Ti trovo in splendida forma!”
“Ma taci, tu! Sai bene che io sto invecchiando! Piuttosto… nuovo volto, eh? Mi avevi parlato della tua… rige-cosa, ma non pensavo che l’avresti usata.”
“Caro mio, dall’ultima volta che ci siamo visti l’ho usata ormai quattro volte.”
“Diamine!”, esclamò il vecchio alieno, “Direi che mi sono perso un sacco di roba! Sai che mi dovrai raccontare tutto?”
Tra continue strette di mano e risate, i due alieni parlavano dei bei tempi andati e si commentavano a vicenda il loro aspetto. Agli occhi dei due umani rimasti seduti, era come vedere due fratelli ritrovatisi dopo secoli – il che era effettivamente vero-, più che semplici amici.
“Ehi, Emi. Ma sono veramente degli alieni?” chiese confuso Jeremy “Insomma… io ero convinto che fossero…”
“Verdi con le antenne in testa?”
“No… me li facevo più alla X-Men.”
“Quelli sono mutanti…”
“Sono la stessa cosa!”
“Massy! Ti voglio presentare Emi e Jeremy! I miei due compagni.”
Al loro richiamo, i due ragazzi si alzarono e sorrisero al simpatico sessantenne “Molto piacere, signor Massy. Il suo spettacolo è stato a dir poco fantastico!” commentò entusiasta Emi.
“Oh, mia cara. Sono davvero contento che ti sia piaciuto!”
 “Beh… io non ho visto tutto, ma da quel poco che ho visto è stato fantastico.” disse Jeremy grattandosi la nuca.
“Giovanotto, tu hai visto il buco nero alla fine, dico bene?”
“Sì.” rispose lui un po’ imbarazzato.
“Anche se è stato inaspettato faceva parte dello spettacolo.”
“Oh, beh… in tal caso è stato davvero strabiliante!”
“Bravo ragazzo! Bella risposta!”
“Inaspettato tanto quanto l’arrivo del cacciatore.” aggiunse il Dottore con le mani ai fianchi “Si può sapere che cosa hai combinato, Massy? Non sarai finito nei guai, spero.”
Massy allargò il suo sorriso strizzando l’occhio all’amico “E’ qui che viene il bello, vecchio mio. E’ per questo che io ti ho chiamato. Per avvertiti.”
il Dottore inarcò un sopracciglio “Avvertirmi?”
“Proprio così.” Allo schiocco delle dita del maestro, Jake avvicinò subito al tavolo la poltrona, su cui il mago si sedette pesantemente sospirando. Era l’ora di un altro bel discorsetto. “Sediamoci per parlarne insieme.”
“Prima avrei una domanda.” disse il Gallifreyano mettendosi al suo fianco “Se non ti dispiace.”
“Chiedi pure, Dottore.”
“Se tu sapevi dell’arrivo di quel cacciatore, allora sapevi che era un semplice robot, vero? Ecco perché non ti sei fatto scrupoli con quel vero buco nero.”
“Buco nero… vero?!”
“Sta buono, Jeremy.” lo ammonì Emi.
Massy annuì sorpreso “Bravo, Dottore. Sei un grande osservatore.”
“E’ il mio mestiere. Bene, ora puoi pure dirci perché è successo tutto quel casino nel locale.”
Facendo tintinnare i suoi orecchini, Massy si avvicinò al tavolo e vi appoggiò le mani giunte “Reietto, ti dice niente?”
Il Dottore sgranò gli occhi e sbatté le palpebre più volte “Reietto?”
“Davvero non lo sai?”
“Dovrei saperlo?”
“Mi sembra palese, Dottore. È abbastanza ovvio! Non lo pensi anche tu?” il vecchio alieno fissò negli occhi l’amico, ancora confuso “Sarei… io?” provò lui.
“L’unico che può avere un appellativo del genere sei tu. A meno che i tuoi due amichetti non abbiano fatto qualcosa ai cacciatori.”
“Io ho rotto le scatole ai cacciatori solo un paio di volte.” ci pensò su “O tre. Ad ogni modo sono abituato ai soprannomi. Aggiungerne un altro alla lista non mi cambia nulla.”
“E invece dovrai tenerne conto, amico mio, perché loro sono venuti qui per ucciderti.”
“Sai che novità.” disse il Dottore sarcastico “Sono l’Ultimo Signore del Tempo con l’ultima astronave macchina del tempo dell’Universo, è normale che molta gente mi voglia morto.”
“Questi cacciatori androidi sono qui da tre mesi. Poco ma sicuro loro sapevano che saresti venuto, e la prova è che oggi uno di loro ha attaccato solo il vostro tavolo. Non credo che sia stata a causa mia, sono stato davvero molto attento.”
“C’è un piccolo problema, Massy. Tempo fa durante un mio viaggio sono stato cancellato dall’intero Universo. Attualmente io sono nessuno. A parte per le persone che mi conoscono, tra cui ci sei tu.”
“Oh, questo lo so.”
“E come?”
Mantenendo sempre il sorriso, Massy tirò fuori il bavero della giacca una busta ingiallita nel tempo, con il sigillo di cera blu perfettamente spaccato in due “Grazie a questa.” Senza indugio, l’appoggiò davanti al Dottore, alquanto sorpreso.
Il sigillo recitava due lettere in corsivo maiuscolo: R.S. . Un’idea di chi gliel’avesse spedita ce l’aveva.
“River Song. È lei che me l’ha spedita.”
Bingo, pensò il mentone. “Lo sospettavo.”
Sia Emi che Jeremy cercavano di star dietro a quei discorsi così complicati e inverosimili. Specialmente Jeremy, lontano anni luce dal mondo fantascientifico rispetto ad Emi, che seguiva con gli occhi assottigliati.
“Ti risparmio la fatica di leggerla. In sole settanta righe lei mi ha detto diverse cose da fare prima e dopo il tuo arrivo, e mi ha assicurato che tutto sarebbe andato bene se avessi rispettato ogni cosa che c’era scritto.”
“Quali?”
“Per prima cosa: ricevere le minacce di quella feccia per poi bruciarle senza nemmeno leggerle.”
“E poi?”
“Proteggere te per un po’.”
“Tipico di River. Mi affida sempre a qualcuno perché sa che potrei fare qualcosa di altamente stupido.”
“Non la biasimo.”
“Scusa, Dottore?”
“Dimmi, Emi. Scusateci, vi stiamo un po’ lasciando in disparte.”
“Non importa, ma per sapere… chi è questa River? Ha un nome curioso.”
“River? È solo una vecchia amica. Ma la vera domanda è: per quale motivo avrebbe fatto mandare una vecchia lettera dal 1800?”
“18-… Che?!”
“E’ ovvio che abbia assegnato a qualcun altro il compito di inviarla. È troppo ingiallita, e sul retro della busta c’è la data. Ah, dimenticavo; lei è in grado di viaggiare nel tempo.”
“Complimenti Dottore. Arguto come sempre.”
“E se fosse stata lei?” Massy, Emi e infine il Dottore si girarono verso Jeremy sbigottiti“ Come hai detto, scusa?” chiese il Gallfreyano.
“Ci ho pensato ora e… non è possibile che lei sia la donna che mi ha detto di venire qui?”
“E questo cosa te lo fa pensare?”
“Beh… mi ha detto di fidarmi di te, e mi ha raccontato molto sul tuo modo di essere. A parte il fatto che eri un alieno.”
Subito il Dottore si zittì con gli occhi fissi sul ragazzo ancora incredulo di esser riuscito ad inserirsi nel discorso.
“Adesso che ricordo, anche la donna dei cioccolatini mi aveva detto di essere una persona a te vicina, Dottore.” aggiunse Emi “Jeremy ha ragione! Può essere che questa River abbia fatto in modo che…”
“No.” rispose freddo l’alieno col farfallino.
“Cosa?”
“Anche quel giorno ho pensato subito a lei, ma è impossibile che lo fosse.” abbassò gli occhi alla busta che ancora aveva tra le mani “ Come per la lettera, di sicuro avrà commissionato qualcun altro per fare il resto.”
“Perché?”
Gli occhi del Dottore si erano fatti rossi e lucidi, pronti a piangere, ma intenti a resistere “ Perché lei è morta molto tempo fa.”
Un imbarazzante silenziò calò nel salotto, lasciando posto al semplice rumore delle macchine che passavano per le strade di Londra. Emi si sentì terribilmente in colpa “Io… scusa Dottore. Non lo sapevo.”
“Ok. Non importa. Bene! Passiamo oltre! Massy, hai per caso il numero esatto di cacciatori androidi? Tu li hai sicuramente contati.”
“Sono settantacinque.” rispose tranquillo.
“Bene. E da guardiano hai anche fatto installare delle telecamere di sorveglianza aliene, giusto?”
“Esattamente.”
“Perfetto! Da bravo Jake, accompagnami alla sala in cui si trovano le telecamere. Voglio sgranchirmi le gambe.”
“ Certamente, signor Dottore. Signor Massy, la lascio in compagnia della signorina Emi e del signorino Jeremy.”
“Tranquillo, va’ pure.”
Ricevuta la sua approvazione, l’androide guidò il Dottore nel corridoio a destra del camino fino all’ultima stanza a sinistra. Sentita la porta sbattere, Emi sospirò pesantemente imbronciata.
Perché non era stata zitta? Perché non si era limitata a sorridere e ad annuire? I sensi di colpa erano ancora fermi in fondo al suo stomaco, vicini al tè e ai biscotti non ancora digeriti. Aveva davvero ancora molto da imparare sul Dottore, e la prima era proprio conoscere i suoi punti deboli e i suoi sentimenti, se voleva ancora viaggiare con lui.
“Non è colpa tua.” Emi si voltò verso Jeremy impassibile “Non potevi mica saperlo, e nemmeno intuirlo.”
“Ha ragione, piccola Emi. Il Dottore ha un lungo passato alle spalle e perciò bisogna avere pazienza.”
“Questo lo so, ma… fa davvero male vederlo così. Io ancora non lo conosco, è vero, ma…”
“Beh, ora sai che è sensibile. O meglio, lui è sensibile, io ricordo bene che il Dottore con cui sono stato era molto autoritario, un po’ manipolatore, ma sempre curioso e ficcanaso. Usava spesso dei trucchi di magia, sai? Forse è per questo che ho scelto di fare il mago arrivato sulla Terra.” Massy sogghignò malinconico accarezzandosi i dorsi delle mani “Eh, sì. Il caro Dottore è davvero imprevedibile. E credimi, Emi. Sei lui ti ha scelta, o meglio, vi ha scelti, allora significa che siete gli unici in grado di gestirlo e di capirlo.”
Emi accolse con un sorriso la mano di Massy fra i suoi capelli. Si sentiva come un gatto; era così rilassante.
“Sei più tranquilla ora?”
Lei annuì “Sì, grazie.”
“Bene.” Il vecchio mago buttò uno sguardo sul suo orologio da polso: due ore e venticinque minuti. Il tempo passava inesorabile. “E ricorda, ragazza mia. Abbi pazienza.”

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Capitolo 26
*** Non sei tu ***


E come sospettava il Dottore, ecco un’altra porta dimensionale. Si era dimenticato che Massy amava entrare ed uscire da una parte all’altra. Era quello il suo lavoro da schiavo: occuparsi di creare porte e passaggi segreti dimensionali per la reggia dei vecchi padroni . Ricordava bene che senza quella abilità, non sarebbero mai riusciti a scappare dalle fauci della creatura multiforme nei sotterranei.
 Così su due piedi, appena entrato, non riusciva a capire dove fossero. Di sicuro non erano nello spazio: avrebbe avuto quella strana sensazione di non indossare le scarpe come al solito. Londra: opzione possibile, ma banale per una cosa come sorvegliare cacciatori assassini. Sotto terra,in Kansas, nella Città Proibita; potevano essere ovunque. Ciò che gli era possibile constatare era di essere finito in una stanza insonorizzata, grande tanto quanto il salotto di Massy, con una pessima carta da parati nera e gialla e illuminata da più di settanta schermi a LED accesi, che mostravano punti diversi di Londra.
“Da questa parte, signor Dottore.”
“Eccomi.”
Jake illustrò velocemente le telecamere e i settantacinque cacciatori di latta. Erano ancora tutti lì fermi, in attesa del reietto. “Quindi loro sono fermi così da tre mesi, giusto?” chiese l’alieno picchiettando su un paio di schermi “ E loro non si sono mai accorti di queste telecamere?”
“Il signor Massy ha fatto in modo che non rintracciassero il segnale.”
“Bravo Massy. Il solito geniaccio,” ridacchiò “ però non è molto sveglio, devo dire.”
“Il Signor Massy è molto intelligente, signor Dottore.”
“E con questa fanno tre volte.”
“Come dice?” chiese confuso l’androide.
 “Ti sei fregato da solo, bello mio.” Il Signore del Tempo tirò fuori dalla giacca il suo cacciavite sonico il più velocemente possibile, ma Jake fu ancora più veloce. La canna di un fucile laser era a pochi centimetri dalla fronte dell’alieno, pronto a sparare.
“Non mi costringa a farlo, signor Dottore. Non sono tenuto ad ucciderla”
“Ma davvero? E ti aspetti che ti creda? Che cosa ne hai fatto di Jake?”
“Non so di cosa sta parlando.”
“Oh, vedi di smetterla, da maestro sei passato a signore , e lo hai detto per tre volte, un androide ben programmato non cambia gli schemi di punto in bianco. Ora dimmi, che cosa sei?”
L’androide fissò impassibile il Signore del Tempo,per niente impressionato, mentre entrambi i cuori di quest’ultimo battevano freneticamente nel petto “Io sono l’unità X. Cacciatore androide di tipo 847. Riguardo a quell’androide di bassa fattura, l’ho distrutto; sicché intralciava la mia missione.”
“Bene, allora avevo ragione a pensare che non eri Jake, ma di certo non mi aspettavo che fossi un cacciatore. Gli hai rubato il volto e l’hai appiccicato sopra la tua faccia di metallo. Passiamo oltre: hai detto che non sei tenuto ad uccidermi? Ma ce li hai gli occhi? Io sono il reietto che tanto stavate aspettando da tre mesi.”
“Negativo.”
“Scusa… come hai detto?”
“Io sono venuto qui per il reietto 3185511.” Inaspettatamente, il presunto Jake abbassò la pesante arma e il Dottore poté tirare un profondo sospiro di sollievo “Confessalo. Tu sapevi che questo aggeggio era un semplice cacciavite, vero?”
“Ovviamente.”
“Ah, perfetto. Androide, ed è persino sarcastico. Comunque non ho capito un accidente! Il reietto non sono veramente io?”
“Negativo.”
“E allora chi è?”
“Il reietto 3185511.”
“Ok, io adoro i numeri, ma ce lo avrà un nome!”
“Nella mia memoria è presente solo questa sequenza di numeri.”
“Ok, in buona sostanza io non sono tenuto ad essere ucciso – a meno che non faccia qualcosa di follemente stupido – e non sono tenuto anche di sapere chi è il reietto, ma ciò non mi vieta di indovinare chi è.”
“Negativo. Non posso nemmeno concederle questo.”
“Senti, sono già abbastanza arrabbiato, ok? E non solo per la lettera di River, ma per il fatto che lui non mi abbia detto che sta per morire. Io la calma la mantengo per poco.”
All’improvviso l’androide inclinò di lato la testa di almeno dieci gradi, come per simulare un’espressione di stupore, davanti al volto deformato dalla rabbia del Gallifreyano. “Quindi lei lo sapeva fin dall’inizio?”
“Prima regola: io mento sempre. Non l’ho di certo abbracciato solo perché lo volevo, l’ho fatto soprattutto per controllare le sue funzioni vitali. Ho subito notato durante lo spettacolo che era affaticato, poi in salotto ho controllato il polso e aveva i battiti del cuore irregolari. Uno dei polmoni non funzionava bene e dal momento che lui è un Liseno, sui polsi e il collo aveva le classiche macchie rossastre e violacee della…”
Morte lisena del succube.” continuò il cacciatore.
“Esatto.”
“Non manca molto ormai. Gli restano poco più di due ore. Dovrebbe passare questi ultimi 120 minuti con lui.”
“E lasciare che tu ti prenda il suo cadavere? No, non esiste. Voi non gli farete nulla. Anche se lui è un reietto. Ci ho preso, vero?”
“Negativo. Massy della specie lisena non è il reietto 3185511.”
“Cos-… Allora chi diamine è?!”
“Non sono tenuto a risponderle.”
“Ma almeno dimmi perché lo devi uccidere?!”
“Negativo. La mia missione non è uccidere il reietto.”
Di certo non era la prima volta che il Dottore si ritrovava in una situazione di totale confusione, ma evidentemente era parecchio arrugginito e doveva ancora abituarsi. Tra la questione della memoria di Jeremy,della morte di Massy, della lettera di River e del reietto, il suo cervello non sapeva più come reagire; ancor di più dopo aver sentito la risposta dell’androide alla sua ultima domanda, prima di lasciare la stanza correndo.
“Questa mi è… nuova. Mi è davvero nuova. Un cacciatore che non deve uccidere. E allora dimmi… che cosa devi fare?”
“Mi è stato ordinato di fare solo una cosa: proteggere il reietto. Ad ogni costo.”
 
La preziosa tazza di porcellana cadde in mille pezzi sul lucido pavimento in marmo bianco. Massy si aggrappò con forza alla tovaglia, tossendo dolorosamente “Massy! Massy che cos’ha?!” chiese Emi più preoccupata che mai, tenendolo per un braccio “Fatti forza, Massy!”
“No… Emi. Ormai… è arrivata la mia ora.” disse l’alieno sorridendo “La morte… è venuta a prendermi.”
“No, non dire così, Mas-…” con il terrore negli occhi, la ragazza si portò le mani al volto. Le sue dita si erano impregnate di una sostanza violacea prossima al nero. Era inodore, ma che faceva rabbrividire alla sola vista. “Che… che cos’è?”
Allarmato, Jeremy si avvicinò alla mano di Emi “E’… sangue? Voi alieni ce l’avete così?”
“Quello è veleno. Uno di quelli potenti. Un veleno che non infetta nessuno al di fuori di noi Liseni.”
“Che cosa vuoi dire?”
“Quello che vedi sulle tue dita è una particolare sostanza che solo il nostro corpo produce nel momento in cui sa che stiamo per morire. Non esiste nessun medicinale in grado di contrastarl-… Ah!!” un dolore lancinante all’addome costrinse il vecchio mago a piegarsi in due e cadere a terra dalla poltrona.
“Oh no! Massy!”
“Massy!”
Con uno sforzo innato, il Liseno allungò la mano destra tremante ad Emi, che subito la prese e la strinse forte a sé. Era fredda come il ghiaccio “Ascoltatemi… tutti e due… Non mi resta molto tempo, ho solo due ore… Quando io non ci sarò, dovrete proteggere il Dottore. Avete capito?”
“Proteggere il Dottore?” ripeté quasi arrabbiato Jeremy “ Noi dovremmo proteggerlo?!”
“Lui… lui è il reietto solo perché ha fatto del bene. I cacciatori lo vogliono morto per questo, ma non può… morire ora…” la sua voce si faceva sempre più roca, ostacolata da quello che sembrava catarro, inducendolo a tossire più forte di prima “ Voi non potete immaginare lontanamente quante vite, quanti imperi o quanti pianeti lui abbia salvato. La Terra, ad esempio, avete idea di quante volte l’abbia salvata?”
Emi e Jeremy si guardarono scrollando le spalle. Non avevano mai sentito parlare di alieni e di invasioni. O almeno non fino a qualche mese fa.
 “Mi spiace. So solo dei Kujacara, alieni venuto a Milano mesi fa, ma… altro no.” disse lei “Nemmeno io.” seguì lui.
“Sono… Sono successe molte cose in passato, tra cui un riavvio dell’Universo. Ci sono andato di mezzo anche io, ma alla fine… ho ricordato. Ora però, non è questo l’importante…” con l’aiuto dell’umana, Massy riuscì ad alzarsi dal pavimento e a risedersi sulla poltrona. Il suo respiro si era fatto più corto.
“Dimmi, Massy. Posso fare qualcosa per te?”
“Oh, dolce Emi… temo che tu non possa fare molto per me. Ma una cosa la potete fare, voi due insieme.”
“Dicci pure.”
“Sì.”
“Dovreste… Dovreste bloccare la porta dell’appartamento.”
All’improvviso, un tonfo sordo fece trasalire prima Emi e poi Jeremy; al secondo colpo, entrambi indietreggiarono verso la finestra. C’era qualcuno alla porta, e di certo qualcuno per niente amichevole.
“Oddio… chi sarà?”
“Sono qui… sono i cacciatori.”
“I cacciatori?!” urlò il ragazzo “ Che facciamo?!”
“Svelto, Jeremy! Prendi qualcosa!”
I due colpi divennero tre, poi quattro, fino a diventare un numero compreso fra sei o sette ogni due secondi.
Impulsivamente Emi prese una grossa spazzola per i camini, mentre Jeremy una delle sedie su cui erano seduti.
“Una sedia? Sul serio?”
“Ha parlato la spazzacamini!”
“Ragazzi… smettetela di flirtare. Pensate… alla porta.”
I due umani subito tornarono a concentrarsi sull’uscio, ormai in procinto di essere sfondata. I colpi divennero più forti, e il pavimento sotto i loro piedi aveva cominciato a tremare.
Con la gola secca e le mani sudate, Emi e Jeremy raccolsero tutto il loro coraggio, pronti ad affrontare chiunque ci fosse al di là della soglia.
Dobbiamo proteggere Massy, fu il pensiero di Jeremy. Dottore, dove sei? Fu quello di Emi.
Tutto successe in un attimo: la pesante porta di legno si frantumò davanti ai loro occhi, e tutti e tre si ritrovarono a terra, circondanti da uomini vestiti di nero.
 
INIZIO REGISTRAZIONE.
[…]
Non lo credevo possibile. Non lo credevo assolutamente possibile.
Ero convinto che una cosa del genere non sarebbe mai successo, che noi fossimo prossimi alla morte e invece… Eccoci qui. Siamo vivi. Cosa mi abbia fatto decidere di andare avanti io me lo ricordo bene, l’avevo sempre prefissato come obiettivo e lo è ancora adesso.
[…]
Lui aveva ragione, aveva sempre avuto ragione e questo è il risultato. Fortuna vuole che io l’abbia ascoltato, altrimenti io non sarei qui.
[…]
Senti… so già a cosa stai pensando e ti prego, non odiarmi… sono stato costretto. Spero che mi perdonerai.
[…]
Spero anche che tu non abbia spento ,e che tu stia sentendo questa registrazione e tutti gli altri, perché questa è solo una piccola introduzione. Tu mi conosci: io non sono mai stato bravo a parlare davanti a qualcuno, ma… Oh, scusa! Ora devo andare! Stanno per ritornare!
“Jay! Dove sei?”
Arrivo!! A presto. Credo… e buona fortuna.
FINE REGISTRAZIONE

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Capitolo 27
*** quindici minuti di distacco ***


“Signor Dottore! Aspetti!”
“Smettila con questo signore, mi irriti!”
“Mi dispiace davvero, ma purtroppo fa par-…”
“Fa parte dei tuoi dati! Ok! Dacci un taglio!” Il Dottore non vedeva altro che nero davanti a sé, tanto era in preda alla collera. Sapeva bene che passando da una porta dimensionale il tempo passava in modo diverso, e la sua paura era che mentre era distratto, i cacciatori ne avevano approfittato. Come lo sapeva? Lui non lo sapeva; lui seguiva semplicemente l’istinto, come sempre.
Raggiunto il salotto, l’alieno spalancò gli occhi fino a sentirli lacrimare per quanto erano aperti. Il tavolo, le sedie e la poltrona erano distrutti, così lo era anche la porta: ridotta in minuscole schegge nere “Oh, no.” disse lui a denti stretti.
L’androide entrò impassibile, analizzando di volta in volta coi suoi occhi bionici ogni oggetto frantumato davanti ai suoi piedi “ Erano in quattro. Hanno usato la forza bruta, tranne con la porta.” Si inginocchiò e toccò il pavimento con una mano “Hanno anche usato un sonnifero molto forte.”
“Non ti sembra stupido rivelarmi il vostro piano?” ringhiò il Dottore irritato.
“Io non sto rivelando nulla. Sto formulando delle ipotesi.”
Con la fronte aggrottata, il Signore del Tempo si avvicinò a Jake con le mani sui fianchi “Mi stai forse dicendo che non sapevi di questo?!”
“Affermativo.” Rispose l’androide “ Io sono stato creato solo ed esclusivamente per proteggere il reietto.”
“E proprio non vuoi dirmi chi è, giusto?”
“Affermativo.”
“Oh, ti prego… potresti smettere di rispondere in quel modo?”
“Aggiornamento: Esatto.”
“Ah, mi è concesso farti fare degli aggiornamenti, tranne che avere risposte sul reietto?”
“Esatto.”
“Perfetto… Va beh, continua pure a fare… ipotesi. Io guardo un po’ in giro.”
“Aggiornamento: D’accordo.” Come un bravo soldatino, il cacciatore si abbassò al tavolo e alle sedie, mentre il Dottore issò la poltrona di Massy ormai ridotta a pezzi, e accarezzò l’unico braccio rimasto attaccato con rammarico “Massy…”
“Lei è molto strano, signor Dottore.” Disse l’androide con in mano la gamba di una delle tre sedie.
“Strano mi va bene.” Replicò l’alieno con più calma.
“I suoi due compagni e un suo caro amico sono stati rapiti, eppure lei è così calmo.”
“Dimmi, unità X, hai un nome almeno tu?”
“No, signore.”
“Non importa. Visto che hai la sua faccia ti chiamerò Jake. Aggiornati.”
“D’accordo.”
“Ok. Ora ti faccio una domanda facile: sai perché mi chiamo Dottore?”
Jake iniziò una ricerca tra i suoi archivi aprendo cartelle su cartelle, ma con scarsi risultati “Nella mia banca dati non sono presenti informazioni. Nemmeno scansionandola ora.”
“Come pensavo. Allora è vero che non siete venuti per me.”
“Posso farle io una domanda?”
“Oh, interessante. Sei un androide sarcastico provvisto anche di una mente pensante. Chiedimi pure.”
“Perché lei si chiama Dottore?”
Il Gallifreyano increspò le labbra in un sorriso compiaciuto “Lo vuoi davvero sapere?”
Jake annuì.
“Non ne ho la più pallida idea” ridacchiò.
Il consueto trillo acuto del cacciavite sonico, indusse il Dottore a prenderlo goffamente dalla tasca. Finalmente aveva ricevuto il segnale che tanto aspettava “ Era ora che si fermassero.”
“Di chi parla?”
“I cacciatori. Dimmi, Jake. Sai quanto tempo fa sono stati qui?”
“Certo. A giudicare dalla porta distrutta, sono passati circa quindici minuti.”
“Meglio di Sherlock Holmes, devo dire, ma purtroppo per te sono due minuti.” Disse il Signore del Tempo spegnendo il suo fidato strumento scientifico “Che attraversando una delle porte dimensionali di Massy, diventano quindici. Perfetto. Almeno abbiamo il tempo di vantaggio. Andiamo!”
“Per dove, signor Dottore?”
“Penultima porta di questo corridoio a destra. Ah, un ultimo aggiornamento: basta con questo signore.”
 
Jay chiuse velocemente la registrazione, salvandola in una cartella privata. Digitati le ultime tre cifre della password, entrò Shila, col volto contorto dalla preoccupazione “Sei sempre stato qui dentro?”
“Ehm….sì, signora. C’è… qualche problema?” chiese lui confuso, tenendo la mano destra sulla tastiera.
Qualche problema?” La cacciatrice si avvicinò alla postazione dell’amico e gli porse una cartella di documenti.  Dalla pessima scrittura e le macchie di caffè, Jay sapeva bene a chi apparteneva: era la cartella dati di Randy, malridotta come sempre “ Eccolo il problema.”
Lui tirò fuori i cinque fogli al suo interno e li lesse tutti ad un fiato con gli occhi spalancati “No… non può essere…” disse alla fine scuotendo la testa.
“E’ per questo che ti stavo cercando!”
“Ma… lui non può farlo! E’ stato archiviato!”
“Credo che lo voglia fare ugualmente. Dopotutto lui lo ha letto per primo il resoconto. Inoltre, sai com’è fatto.”
“Se non sono indiscreto… perché lo sta dicendo a me? Dovrebbe avvisare il Consiglio, e non dirlo ad un suo subordinato.”
“Beh… ecco… Ero convinta che non avresti voluto che un tuo compagno veniss-…”
“Dubito che io abbia mai provato simpatia per quel troglodita!” rimessi i documenti nella cartella, Jay uscì dalla stanza a passo deciso, seguito da Shila e dagli occhi indiscreti di altri cacciatori.
“Asp-… Jay, che intenzioni hai?”
“Lo devo fermare.” Rispose senza guardarla. “Lo devo fermare assolutamente.”
“Jay! Calmati!” Con uno strattone, Shila riuscì a fermare il giovane cacciatore e a guardarlo negli occhi. Quelli di quest’ultimo erano furenti e colmi di inquietudine “Si può sapere cosa ti prende? Non ti ho mai visto così agitato. Di solito sei così composto e…”
“Mi scusi, ma è di vitale importanza che lui non trovi il rei-…”
“Shhh.” Fece lei tappandogli la bocca “Nessuno sa di questa cosa.”
“Cosa?” riuscì a dire lui attraverso la sua mani.
Shila si guardò attorno per rassicurarsi che nessuno si fosse avvicinato a loro “Nessuno sa del reietto se non io, te, il Consiglio e Randy.”
Jay abbassò lo sguardo stringendo i pugni e digrignando i denti. Non ci voleva, pensò lui.
“E’ importante?” la voce di Shila riportò alla realtà il giovane cacciatore “Per te è così importante che il reietto rimanga ancora in vita?”
Lui cercò invano di non guardare negli occhi l’amica. Non era sicuro che si potesse fidare, dopotutto l’aveva promesso; non doveva assolutamente rivelarlo a nessuno, e inoltre, pensò lui, sarebbe stata una storia troppo lunga da raccontare. Infine annuì “Sì. Per me è importante.”
Shila gli sorrise dolcemente appoggiandogli una mano sulla spalla destra. “Va bene. Allora ci penso io.”

Emi si ricordava bene il giorno in cui si ruppe il braccio destro. Aveva circa dodici anni ed era caduta da un albero perché Jeremy le aveva lanciato il cappello sui rami, e ovviamente fu inevitabile un intervento d’emergenza. Per lei fu inoltre un’esperienza strana stare sotto l’effetto dell’anestesia, specialmente al suo risveglio: sentirsi intontita tanto quanto un ubriaco, cercare invano di aprire le palpebre, delirare, ma soprattutto, non sentire alcun dolore.
La situazione era la stessa di quel giorno, solo che non furono dei medici a svegliarla, ma il forte odore di alcol etilico, che le arricciò il naso dal fastidio.
“Che… che cosa… è successo?”
“Emi! Finalmente ti sei svegliata! Va tutto bene?”
“Je-Jerem-… ah!” invano la ragazza provò a muoversi, quando si accorse di avere delle manette ai polsi, che le graffiavano i polsi. Si sentiva appesa come un salame, con i piedi che dal suo punto di vista sembravano staccati dal pavimento di metallo sotto di lei di almeno cinquanta centimetri. “ Ma cosa sono questi affari?! Dove siamo?!” urlò.
“Non è ho idea, ma a giudicare da quello che ci hanno fatto, non penso che abbiano buone intenzioni.”
Con un piccolo sforzo, Emi riuscì ad alzare la testa e davanti a lei vide Jeremy, nella sua stessa posizione. All’improvviso sentì una fitta di dolore al collo e qualcosa di viscoso scivolarle sul petto. Era sangue “Che… diamine è?!”
“Sta’ calma.” Le disse lui “Campione di tessuti, così ha detto il tizio di latta.”
“Tizio di latta?”
Il rumore sordo di una porta scorrevole, attirò l’attenzione dei due ragazzi che volsero lo sguardo: tuta nera aderente, occhi impassibili e volto umano inespressivo. Era uno degli androidi cacciatori.
Ripresa un po’ di lucidità, Emi si guardò attorno e tralasciando le manette e la scomoda postura, si accorse che non erano in una prigione, ma in una sorta di infermeria. L’odore di alcol che aveva sentito al suo risveglio, veniva da una bottiglia di plastica con del liquido rosa shock al suo interno.
Di nuovo, la porta si aprì e nella stanza entrarono tre androidi con una barella. Il cuore di Emi si fermò per un paio di secondi, alla vista del corpo su di essa “Massy!! Massy!! Che cosa volete fargli?!”
I quattro cacciatori ignorarono le grida della ragazza e continuarono con il loro lavoro. Massy pareva profondamente assopito, invecchiato di almeno trent’anni, ma la cosa peggiore fu vedere che le chiazze violacee si erano fatte ancora più scure e avevano ormai raggiunto anche il volto.
Quanto tempo era passato ormai? Che l’ora rimasta del Liseno fosse già terminata? No, non poteva essere vero. Lui era uno dei migliori amici del Dottore, non poteva morire senza avergli detto addio: gli avrebbe spezzato entrambi i cuori.
Con una certa delicatezza, l’alieno venne trasportato su un apposito lettino bianco, uscito levitando dal pavimento.
“Jeremy! Che cosa stanno facendo?!” chiese Emi disperata.
“Io… io non lo so!”
Attorno al corpo del vecchio mago addormentato , si materializzò una spessa barriera color vermiglio, e uno degli androidi si posizionò su una pedana provvista di comandi, vicino al lettino. Dei rumori elettronici allarmarono i due umani, così anche le scariche elettriche all’interno della barriera.
“Ehi!! Che cosa state facendo a Massy?!” urlò Emi “Smettetela!”
Le scariche aumentavano d’intensità ogni dieci secondi. Una forte luce bianca avvolse Massy da capo a piedi, come se fosse in procinto di esplodere in quel preciso istante.
“Massy!!!”

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Capitolo 28
*** Meglio tardi che mai ***


Nelumbo. Pianta acquatica della famiglia delle Nelumbonaceae, colore del fiore che varia dal bianco, rosa, giallo e rosso. Comunemente conosciuto con il nome di fiore di loto.
Nel linguaggio dei fiori esso rappresenta la perfezione, la purezza del sole, del cielo, della creazione, del passato, del presente e del futuro, o come piace definirlo mio padre: è il fiore del Tempo, dello Spazio e dell’Universo.
Io odio i fiori di loto. Sono i fiori più insulsi che io abbia mai visto. Quell’idiota di padre ha insistito tanto perché me li facessi piacere, ma nonostante le sue insulse preghiere, il suo continuare inginocchiarsi, io li odio. Se solo potessi, lo investirei volentieri con la mia sedia a rotelle senza pietà.
Passo le mie giornate così, in mezzo a questi fiori nauseabondi sotto un’enorme cupola di cristallo dai motivi floreali, accompagnata da un pezzo di ferraglia gelido, incapace di provare emozioni e che esaudisce ogni mio capriccio; una specie di secondo padre, quando lui è occupato a esaudire capricci più importanti del semplice portarmi da mangiare o intrattenermi.
Quanto odio l’odore di questi fiori.
“Dimmi, Christopher. Hai qualche novità dal Consiglio Loto?” mi sono stancata di staccare i petali di questi fiori. Godiamoci qualche storiella divertente.
“Affermativo, signorina Hana.”
“Ti prego, dimmi che qualcuno sta finendo nei guai e posso gustarmi un bel processo a breve.”
“Affermativo. Randy della gilda Loto 2 sta intraprendendo una missione senza il consenso del Consiglio”
“Oh, interessante. Di che missione si tratta?” finalmente qualcosa di emozionante.
“Si tratta della cattura di un reietto.”
Come non detto.“Ah, ma davvero? E cos’ha di così importante questo reietto? Questa volta cerca di dirlo con un po’ più di suspense, senza annoiarmi.”
Raccolgo un altro noiosissimo loto, in attesa che il mio buon Christopher mi risponda. “Allora?”
“Sette secondi di suspense terminati. È il reietto 3185511.”
L’odioso fiore di loto rosa mi cade delicato dalle mani, mentre spalanco gli occhi “Cosa? Il reietto 3185511 è stato trovato? Veramente?”
“Secondo i dati del Consiglio, sì.”
“Ma questa è… una notizia fantastica! Ne ho sentito tanto parlare! È il reietto più ricercato!” Dall’emozione quasi non saltavo giù dalla sedia a rotelle- metaforicamente parlando-. “Mio caro Christopher, credo che oggi andrò a fare una piccola visitina a mio padre.”
“Signorina Hana, suo padre è impegnato in una riu-…”
Ubbidisci. Ora.”
Ogni volta è uno spasso vedere come Christopher reagisce alla mia voce. Una piccola scarica elettrica lo raggiunge fino al cervello e gli cancella una piccola parte della memoria, per dar spazio al mio comando. È davvero divertente.
 “Affermativo.”
Reietto 31285511. Presto sarai mio.
 
Per trenta interminabili secondi, Emi e Jeremy non riuscirono più a vedere nulla, nonostante i loro occhi fossero aperti; una cecità temporanea che li impedirono di sapere cosa fosse successo a Massy. Riuscirono a malapena intravedere le quattro tute nere dei cacciatori, che tiravano giù dal lettino il corpo.
“Ah! Non ci vedo! Che diamine… Ah!” si lamentò Jeremy divincolandosi.
“Nemmeno io! Dov’è Massy?!”
“Stai buona,tu.” Una profonda voce maschile si avvicinò alla destra di Emi. Quest’ultima si girò di scatto verso la fonte, cercando di mettere a fuoco il più possibile. Un’altra tuta nera, un altro cacciatore.
“Chi… Chi sei?” provò a chiedere lei.
Un sonoro click allarmò la ragazza che d’istinto si dondolò spaventata “Ehi ehi, buona. Voglio solo controllare lo stato dei tuoi occhi.” Disse di nuovo la voce ridendo.
Il misterioso schiocco, altro non era che lo scatto di una piccola pila elettrica, con cui il cacciatore la passò su entrambi gli occhi di Emi.
“La vedi la luce?” dopo cinque avanti e indietro, Emi riacquistò a pieno la vista, riuscendo finalmente a vedere il volto dell’uomo:  occhi color pervinca, capelli biondi e spenti a spazzola , mento pronunciato da perfetto soldato e un largo sorriso sotto il naso ad uncino “Allora?” chiese di nuovo lui.
“S-sì… ora ci vedo.” Rispose in fretta lei.
“Bene. Ora tocca al tuo amico. Ti dispiace?” incurante della risposta della ragazza, il cacciatore la tirò su di peso sganciandola dal gancio, ma senza toglierle le manette, e si avviò a passo di marcia verso Jeremy.
“Massy… Massy!!”  Emi era sul punto di avvicinarsi al gruppo di cacciatori attorno al vecchio mago, quando si fermò di punto in bianco, a bocca aperta.
Finito di essere sganciato, Jeremy corse verso Emi, ancora immobile “ Ehi, si può sapere che hai?”
Lei scosse la testa incredula con gli occhi fissi sulla figura vestita in smoking nero e viola “Quello… quello non è Massy.”
“Ma che dici?! Dai, andiamo a vedere cosa gli è…”
“Guarda.”
Subito Jeremy si girò seguendo lo sguardo di Emi, e fu ad allora che sgranò gli occhi quanto lei. “No… non può essere…”
“E invece è così…”
“Ma… è…”
“Gli abbiamo risparmiato tanta sofferenza.” Si mise in mezzo tra i due ragazzi il cacciatore biondo “ La morte lisena del succube vi dice niente?” chiese poi sorridente.
I due umani scossero la testa, senza togliere gli occhi da quello che doveva essere Massy. Come poteva essere possibile, si chiedevano, sicché in quell’eccentrico vestito non c’era più un vecchietto arzillo dai capelli bianchi, ma un ragazzino di poco più di tredici anni, intento ad arrotolarsi le maniche della giacca troppo lunghe per le sue braccia magre.“Quel ragazzino moro è… Massy?” chiese confusa Emi.
“Sì.”
Quel Massy?” ripeté Jeremy.
“Di nuovo sì. Come ben sapete, lui è un Liseno, ma ciò che evidentemente vi sfugge, è cosa rappresenta la loro specie. I Liseni, ragazzi miei, sono alieni usati esclusivamente come schiavi, da non confondere però con gli Ood, alieni anch’essi usati un tempo come servi, ma a cui è stata riconosciuta l’ indipendenza. La differenza tra le due specie è, che i Liseni possono vivere a lungo e sopportare più di chiunque altro il dolore, e infine: questo.” Indicò il ragazzino “I Liseni sono noti per la loro capacità di rigenerarsi dalle proprie cellule morte, così da riuscire a ritornare giovani,  con una conseguente perdita della memoria. Un po’ come la leggendaria fenice, che ritorna in vita dalle proprie ceneri. L’unica pecca è che lo possono fare una volta sola. Le chiazze sul corpo sono un chiaro segno delle cellule che muoiono una dopo l’altra.”
“Cos-… un momento, che cosa intendi con perdita della memoria?” obbiettò Emi con la fronte aggrottata.
“Come un neonato nasce inconsapevole del mondo che gli circonda, così succede ai Liseni quando ritornano giovani. Almeno si è tolto il peso dei suoi 600 anni.”
“6-…. 600 anni?!”
“Vedo che non vi siete informati molto su di lui, eh?” il cacciatore rise portandosi una mano sugli addominali scolpiti “ Ad ogni modo, mi dispiace di avervi coinvolti. Ero convinto che fosse assieme a voi. Le vostre ferite guariranno presto. Io sono Randy, e sono un…”
“… cacciatore.” Concluse fredda Emi.
“Oh, ma guarda. sai cosa sono?”
“Non sei il primo che vedo. La vostra tuta è inconfondibile.”
“Sì, devo dire che siamo in molti ad indossarla, ma molto presto, non appena avrò catturato il reietto, ne indosserò una bianca.”
“Il reietto? intendi il Dot-… ahia!” Emi colpì con una gomitata lo stomaco di Jeremy fulminandolo con lo sguardo.
Gli occhi di Randy s’illuminarono dall’eccitazione “Tu, ragazzo. Che cosa stavi per dire?”
“Niente. Lui non stava dicendo niente.” Disse velocemente la ragazza con la voce tremante “Noi non consociamo il reietto.”
“Troppo tardi, carina, voi lo sapete eccome.” Il cacciatore camminò minaccioso verso i due ragazzi, che indietreggiarono fino al muro alle loro spalle “Dove sta il reietto, eh?”
“P-perché lo cerchi?!”  urlò Jeremy.
“Ve l’ho detto, no? Mi serve per la mia bella promozioncina.”
“Lo vuoi… uccidere?” osò chiedere Emi.
“Mi pare ovvio. Non a caso ci chiamiamo cacciatori.” Schioccate le dita, Randy ordinò agli androidi di portargli il giovane Massy, e subito gli attorcigliò il collo con il braccio destro.
“Oh, no! Massy!”
“Vi conviene parlare se non volete che il vostro amichetto muoia davanti a voi.”
“Tu… brutto…”
“Modera il linguaggio, ragazzino. Mi basta una sola stritolata per ucciderlo.”
“Ma tu pensa. A me basta dire spara, e… beh, immagina tu cosa potrebbe succedere.”
“Ma chi diam-…” Randy non fece in tempo a prendere la pistola dalla cintura, che si trovò in mezzo agli occhi la canna di un fucile laser impugnato da quello che sembrava uno degli androidi cacciatori “Tu… come osi puntare un’arma contro un suo superiore?”
“Mi dispiace contraddirti, ma non lui non prende ordini da te.” Dalle spalle dell’androide, si fece avanti il Dottore, con un largo sorriso malizioso da vincitore “Salve, Randy. Io sono il Dottore.”
“Dottore!” lo chiamarono all’unisono i due umani.
“Ciao Emi. Jeremy. Sono felice di vedere che state bene!”
“Chi diamine sei?!”
“Hai le orecchie otturate, per caso? Sono il Dottore, con la d maiuscola. Ricordartelo. Anzi, no. Dimenticatelo, non dovresti ricordati di me.”
“Lascialo.” Disse Jake indicando Massy “Ora.”
In preda all’ira e disappunto, Randy allentò la presa del braccio, lasciando il ragazzo confuso e spaventato “Sta tranquillo.” Gli disse il Dottore “Ora sei al sicuro.”
Il giovane Massy posò i suoi due occhi color cielo su quelli eterocromi del Dottore “Tu… tu chi sei?”
Il Signore del Tempo perse due battiti da entrambi i cuori, senza però smettere di sorridere. Doveva essere forte, doveva resistere. Doveva ritrarre al più presto le lacrime. Mi dispiace non esserti stato vicino. Mi dispiace davvero tanto. “Sono un amico che è venuto ad aiutarti, Massy Junior.” Quest’ultimo rimase fermo a guardare la mano tesa dell’uomo in tweed e il buffo farfallino rosso davanti a sé, finché alla fine decise di afferrarla ricambiando il sorriso.

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Capitolo 29
*** Qual è la verità? ***


“Ti conviene slacciarti la cintura,” disse il Dottore sorridendo“non credo che ti servirà.”
Con gli occhi colmi d’ira e rivolti verso il damerino vestito all’inglese, Randy si sganciò la cintura porta-armi, e alzò le mani in segno di arresa.
Con un cenno del capo, il Dottore ordinò a Jake di abbassare l’arma e di spostarsi di lato. Sistematosi il farfallino, l’alieno si mise davanti al cacciatore furente “Allora, Randy. Ti va di parlare civilmente?” e indicò il tavolo di madreperla bianco, posto dietro al biondo “O forse preferisci che il nostro amichetto Jake ti faccia la festa?”
“Un gergo al quanto antiquato, non trovi?”
“Oh, vorrei ben vedere, giovanotto. A differenza di te io ho poco più di mille anni.”
“Ho fatto qualcosa che non va, Dottore?”
“A parte aver pedinato e catturato illegalmente un Liseno rilasciato legalmente? Potrei aggiungere il fatto che hai rapito due esseri umani innocenti.”
Rapito è una parola grossa. Mi pare che i tuoi due amichetti stiano bene, no?”
“Non provocarmi, Randy.” disse il Dottore scuro in volto “Non sono in vena di scherzi, in questo momento.”
“Ma come? Perché sei diventato serio di colpo?” sogghignò il cacciatore “Dov'e' finita tutta la tua spavalderia?”
Tenendo gli occhi su Randy, il Signore del Tempo puntò il cacciavite su Emi e Jeremy. Una sonicizzazione, e le manette di ferro si staccarono da soli dai polsi dei due umani. Un secondo trillo, i sistemi di tutti gli androidi cacciatori presenti  tranne, ovviamente, Jake, si spensero all’istante.
“Allora. Sia ben chiaro. Io non ho tempo da perdere con un essere ripugnante come te.”
“Oh, per favore, Dottore. Ammettilo che c’è gente peggiore di noi.”
“Non ne dubito, ma per ora siete voi ad essere in cima alla mia lista.”
Prese al volo un paio di sedie, il Dottore invitò Randy a sedersi davanti a lui, per iniziare un discorso da alieno a umano “Emi. Jeremy. Fatemi un grosso favore. Uscite dalla porta che vedete dietro di voi assieme a Massy, l’ho già programmata per Londra. Questa faccenda riguarda solo me e Randy.”
“Eh? Perché non possiamo restare?” si oppose Emi adirata “So che cosa vuoi chiedergli, e anche io voglio sapere chi è il reietto. Massy si è…”
“Emily, lo so.” La interruppe subito freddo il Gallifreyano. “Lo so bene.”
Emily, ripeté la ragazza nella sua testa, è da mesi che non mi chiama così, e perciò questo significa solo una cosa. Accortasi del grave errore commesso, Emi si morse il labbro inferiore mortificata. Bella mossa, Emi.
“Io… mi dispiace, Dottore. Avremmo dovuto proteggerlo quando eravamo a casa sua. Eravamo in due e… non abbiamo fatto nulla.”
“Ha ragione” aggiunse Jeremy “E’ solo colpa nostra.”
“Non è affatto colpa vostra, invece” forzò un sorriso il Dottore “ Non potevate fare nulla. La morte del succube è una malattia incurabile, persino per gli ospedali migliori di tutto l’Universo. Fa parte della fisionomia dei Liseni da sempre. E poi,” strizzò l’occhio al giovane alieno “ è pur sempre vivo, no? Va bene così.”
I due umani ricambiarono il sorriso e annuirono all’amico rilassati.
Emi si avvicinò a Massy per prenderlo per mano “Andiamo, Junior. Ci andiamo a prendere un gelato. Vuoi?”
“Cos’è un gelato?” chiese lui innocente.
“Ora lo vedrai” gli arruffò i soffici capelli corvini Jeremy.
“Ci vediamo fuori!”  salutò Emi.
“Ok. Fate i bravi.”
I due ragazzi e il giovane Liseno andarono verso la porta da cui il Dottore e Jake erano entrati.
Emi si voltò un’ultima volta. Sei sicuro che te la caverai?, diceva il suo sguardo.
Stai tranquilla, fu la risposta del Signore del Tempo.
Abbassata la maniglia con decisione, l’odore del classico fish and chips  scaturì un certo languorino sia a Jeremy che al piccolo Massy. Come aveva detto il Dottore, la porta li aveva riportati a Londra, più precisamente, davanti all’entrata del locale a strisce viola e nere di Massy.
Emi provò a varcare una seconda volta la soglia della porta, ma il collegamento era stato spezzato, poiché si ritrovò nella sala futuristica distrutta dalla sparatoria dell’androide cacciatore “Ok. Siamo veramente fuori.” Sospirò lei.
“E adesso… cosa facciamo?” chiese Jeremy “ Insomma… non sappiamo nemmeno quando finiranno.”
“Tu puoi anche tornare dalla classe” gli propose Emi “non sei tenuto a restare qui. Ti abbiamo già causato tanti problemi, quindi…”
“Non se ne parla nemmeno!” la interruppe aggressivo “ Ho dovuto aspettare tre mesi per ritrovarti!”
“Ancora questa storia? Si può sapere perché mi cercavi?! Che cosa vuoi da me?”
All’improvviso Jeremy si mise davanti ad Emi tirando fuori dalla sua giacca fluorescente una scatoletta blu, che sorprese non poco la ragazza “Che… cos’è quello?” chiese lei.
“Questo è… per te.” Rispose lui rosso in volto “Era per… l’incidente alla stazione. Pensavo che fosse giusto farlo, così… prendilo!” insistette.
Un po’ titubante, Emi avvicinò la mano all’inaspettato regalo, e con il pollice aprì il coperchio spalancando gli occhi: era un bellissimo ciondolo a forma di A degli Avengers attaccato ad un catenina d’acciaio.
“Io… ecco. Non so cosa dire.” Ed era effettivamente così. Emi non sapeva cosa rispondere, non riusciva nemmeno a guardarlo negli occhi dalla vergogna. Che cosa stava succedendo? Perché da quando lei aveva conosciuto il Dottore le cose più improbabili le stavano accadendo proprio in quel momento?
“Non dire nulla.” La riportò alla realtà Jeremy “ Accettalo e basta.”
“Volevi veramente cercarmi per darmi questo?”
“Beh, sì…” mentì spudoratamente “Quando ho saputo che saresti venuta qui, ho aspettato questa gita per poterti cercare.”
“Sai che potresti finire nei guai, vero?” lo ammonì la ragazza.
Jeremy scrollò le spalle incurante “ Capirai. A quest’ora staranno sicuramente andando in giro per negozi .”
“E’ così strano, non trovi?”
“Che cosa?”
“Insomma… io e te che parliamo tranquillamente senza rincorrerci o insultarci. E’… strano.”
“Non dirlo a me.”
I due ragazzi si lasciarono inconsapevolmente alle spalle tutto ciò che avevano passato e risero per la prima volta insieme: le loro interminabili corse, gli scherzi più infami, i nascondigli di Emi uno più strano dell’altro, gli assedi continui di Jeremy. Tutto. Ma quel tutto nascondeva troppi perché nella testa della ragazza.
Stava succedendo di nuovo. Come con Anna, ora anche con Jeremy. Si era presentata un’altra svolta inattesa nella vita di Emi, e ciò iniziava a spaventarla terribilmente.
Cosa c’è di sbagliato in me, pensò lei. Perché sta succedendo tutto adesso?
“Perché?”  scosse la testa “Perché stiamo facendo questo?”
“ Questo cosa?” Jeremy percepì il senso di inquietudine della ragazza. Intenzionato ad avvicinarsi, lei indietreggiò di qualche passo “Emi?” chiese lui preoccupato.
“Dimmelo. Che cosa vuoi veramente?”
“Emi, ascoltam-…”
“E non credere che io non me ne sia accorta! Tu mi hai sempre chiamata per cognome!” Emi sentiva la sua voce spezzata da tremori, come se fosse sul punto di mettersi a piangere.
“Ti prego calmati, ok?! Siamo tutti abbastanza sconvolti da quello che è successo, ma non c’è proprio bisogno di reagire cos-…”
“No!”con la mano ancora intrecciata a quella di Massy, umana e alieno attraversarono la strada correndo e si confusero tra la folla.
“Emi!” Jeremy tenne d’occhio il vestito stravagante del  piccolo Liseno e prese a rincorrerli, mentre Emi piangeva silenziosamente, sempre più confusa.
 
“No… così non va affatto bene! Accidenti!” Jay digitò di nuovo e più frettolosamente i codici di localizzazione, ma senza risultati. Essi apparivano errati sullo schermo, accompagnati da una serie di insopportabili bip.
“Cosa c’è che non va?” gli si avvicinò Shila “Non riesci a rintracciarlo?”
“Porte dimensionali.” Disse lui a denti stretti.
“Ne sei sicuro?”
“Più che sicuro. Questo è un segno tipico di interferenze dimensionali. Maledetto Randy! Che diamine ha in mente?!”
“Inoltre non conoscendo le interfacce delle porte non sappiamo il tempo di distacco.”
“Esatto”affermò Jay grave “ è proprio quello che mi preoccupa.”
Ormai prossimo all’arrendersi, il cacciatore si appoggiò allo schienale della sedia portandosi una mano fra i capelli. E adesso? Che cosa posso fare?
Qualunque fosse il tempo di distacco fra loro e Randy, quest’ultimo poteva fare qualunque cosa anche solo in due minuti. Persino ucciderli.
Era finito. Aveva infranto la promessa. Nonostante tutte le precauzioni che aveva ricevuto, si era rivelato un vero fallimento. Una delusione.
“Maledizione…”
“Ehi… Ehi Jay! Guarda!” Scrollatolo un paio di volte, Jay alzò lo sguardo sullo schermo, e i suoi occhi si illuminarono “No… dimmi che non è vero.”
“Oh, sì invece!” presa dall’entusiasmo, Shila spostò dalla postazione l’amico e iniziò ad armeggiare con la tastiera, intenta ad agganciarsi al segnale, o meglio, ai tre segnali di debole frequenza che aveva visto “ Ancora un attimo e ci siamo”
Jay era al suo fianco impaziente di vedere quei tre puntini rossi diventare più visibili.
“Fatto!” urlò infine Shila “Trovati!”
“Grandioso Shila! Sei la migliore! Dove si trova Randy?”
“Ti sbagli, Jay. Questi non sono Randy o i suoi androidi.”
“Eh? Allora che cosa abbiamo trovato, scusa?” chiese Jay confuso.
La cacciatrice avvicinò un indice allo schermo indicando i tre punti rossi fermi “Questi, Jay, sono forti emanazioni di radiazioni X20.”
“Radiazioni X20? X20… X2-… Ah! Ma sono quelle dell’acceleratore molecolare dei Necefar!! L’ultima macchina rimasta del pianeta che io stesso e Randy avevamo prelevato!”
“Esatto! Ciò significa solo che molto probabilmente Randy si troverà…” una pausa di silenzio tenne sulle spine Jay, mentre Shila allargò la mappa “ a Londra.”
Londra. Il cuore di Jay perse subito due battiti non appena capì perché Randy avesse usato l’acceleratore molecolare. Era il momento di agire “Shila, ti prego. Raccogli almeno una decina di androidi e vai subito a Londra, puoi?”
“Cosa?”
Ignorata l’amica, Jay digitò da un’altra postazione i codici di attivazioni del teletrasporto e aprì un varco nel Vortice del Tempo “Bene, con il Vortice faremo più prima.”
“Sei impazzito?! Non abbiamo mai usato il vortice perché non ne siamo…”
“Shila, stai parlando con il miglior hacker tra i cacciatori Loto. Si tratta di solo un viaggio, non succederà nulla. Fidati di me.”
Shila rimase a guardare senza parole la determinazione attraverso cui Jay si stava impegnando. Nonostante non sapeva di cosa o di chi si trattasse il reietto, la cacciatrice avrebbe fatto qualunque cosa per il suo Jay “Ok, va bene. Risveglierò una quindicina di androidi. Stai pronto a teletrasportarci.”
Jay si voltò verso Shila sorridendole grato “Non so come ringraziarti.”
“Non dirlo nemmeno” ricambiò lei “Andiamo a prendere Randy.”

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Capitolo 30
*** Reietto salvato ***


La lancetta dell’orologio da polso del Dottore ticchettava inesorabile da ormai venti minuti. L’alieno era rimasto con gli occhi fissi sul cacciatore, che ad ogni secondo che passava, perdeva la sua pazienza e, di conseguenza, la sua lucidità. Non desiderava altro se non staccare a morsi quello stupido farfallino, per poi sfigurargli direttamente il volto.
“Ebbene?” fu Randy a rompere il ghiaccio, con tutta la calma di cui disponeva “Siamo fermi uno davanti all’altro da quasi un’ora e…”
“Sarebbero venti minuti. Per essere precisi.”
Te lo faccio vedere io l’essere precisi. “Venti… minuti. Di cosa dovremmo parlare?” continuò a denti stretti.
Il Dottore allungò le braccia avvicinandole pericolosamente alle mani massicce dell’umano, che le ritrasse involontariamente quasi per paura. Paura? Randy se lo stava chiedendo: un fessacchiotto vestito in tweed non poteva assolutamente spaventarlo, eppure quello sguardo non mentiva, lo conosceva fin troppo bene. Era lo stesso che lui mostrava davanti ad ogni sua preda prima di catturarla, il perfetto riflesso di se stesso.
“Ma tu guarda, Dottore. Sembravi quasi amichevole entrato qui dentro. Che cosa ti è successo nel giro di venti minuti, eh?”
“Lo stai facendo di nuovo.”
“Che cosa intendi?”
“Mi stai provocando.”
Certo che ti sto provocando, dal momento che non stiamo effettivamente facendo nulla “Ti sbagli, la mia era solo un’osservazione.”
“3185511.”
“Eh?”
“3185511. Ti dice niente, Randy?”
Era palese che Randy sapesse cosa fosse quella sequenza di numeri.  Palese tanto quanto volesse conoscere l’identità del reietto. Era la sua occasione di guadagnare un po’ di tempo “ Per essere precisi è il reietto 3185511.”
“Grazie per la correzione.”
“Spiacente, amico mio. Io non so chi sia il reietto, anche se in passato avevamo molti nomi sulla nostra lista, tra cui…”
“Tra cui Massy” continuò il Signore del Tempo.
“Fino a qualche giorno fa, sì. Ma poi ci sono giunte informazioni che hanno fatto in modo che il nome del tuo amichetto liseno venisse cancellato.”
“E il resto della lista?”
“Oh, mi dispiace. Non posso proprio dire nulla. Sai come funziona, no? Se parlo mi uccidono.”
“Già. Ma io so anche come farti parlare.”
Allo schiocco delle dita del suo padrone, Jake si mise a fianco di Randy e gli puntò alle tempie il cacciavite sonico.
“Ma cos-…? Quando…?”
“Massy non è l’unico a saper fare le magie,” sogghignò il Dottore soddisfatto “non per vantarmi , ma sono stato io a insegnargli i primi trucchetti.”
“C-che vuoi fare? Assemblarmi un armadietto addosso?” Apparire sarcastico non gli era difficile, ma niente poteva impedirgli di sudare e quindi mostrarsi tremendamente preoccupato.
“Spero che tu abbia almeno ipotizzato cosa ho intenzione di fare. So bene che a cacciatori di un certo livello vengono impiantate delle speciali cornee che fungono da hard disk. Deve aver fatto molto male, vero?”
“Tu…. Maledetto.”
“Ma credimi. Farà ancora più male appena le manderò in corto, e non oso immaginare cosa succederà alla tua povera vista. Jake…”
L’androide era pronto a premere il pulsante sul cacciavite, quando si fermò di colpo all’ordine del Dottore.
“Ehi ehi!! Fermati Theta Sigma!”
Con la mano ancora ferma a mezz’aria, il gallifreyano cambiò improvvisamente espressione. Quello stesso sguardo in cui Randy si ritrovava era scomparso. Al suo posto, due occhi dilatati alla massima estensione, indice di stupore, fece sghignazzare vincitore Randy. Sorprendere l’avversario era la sua specialità.
“Che cosa hai detto?” chiese con la gola secca l’alieno.
“Ho detto qualcosa di sbagliato? Non ti è piaciuto il modo in cui ti ho chiamato? Eppure è strano. Era così che ti facevi chiamare. Theta Sigma.”
Randy non riusciva a smettere di sorridere, e si godeva, da buon sadico che era, la preoccupazione dipinta sul damerino in tweed.
Intanto, le cornee dell’umano continuavano la ricerca delle informazioni sul Dottore attraverso i suoi pensieri: tra le sue innumerevoli gesta eroiche, Randy si concentrò sulle sue informazioni personali:
 
Nome: Dottore
Specie: Signore del Tempo
Pianeta: Gallifrey
Costellazione: Kasterborous
Segni particolari: ultimo della sua specie, capacità di rigenerarsi
 
Randy rimase per un attimo scioccato dall’enorme quantità di files sotto la voce Dottore, soprattutto da quella particolare rigenerazione, ma felice di aver trovato la distrazione perfetta per il gallifreyano.
“Come diamine fai a saperlo? Tu… voi non dovreste avere informazioni su di me.”
“Allora non ci conosci così bene come dici. Dovresti saperlo che noi cacciatori dell’ordine Loto siamo bravi a raccogliere informazioni. La nostra rete di comunicazione è molto ampia.”
“Avevo eliminato ogni traccia di me dall’Inforarium.
“Ribadisco: non ci conosci così bene come dici.”
Il Dottore cercò invano di mantenere la calma il più possibile, poiché Randy vedeva chiaramente la sua inquietudine dalle pupille dilatate. Lo aveva in pugno “Oh, scusa,” riprese l’umano “ forse Theta non ti piace perché ti rievoca troppi ricordi, vero? Allora… che cosa ne dici di… La tempesta inarrestabile?
“Piantala” riuscì a dire il gallifreyano.
Il portatore dell’oscurità?”
“Ho detto basta.
“Ah, questo sì che mi piace! Fa tanto film d’azione.” Randy allargò le braccia davanti a sé come il redattore di un importante casa editrice che decide il titolo della prima pagina, e a gran voce e con una certa enfasi disse “Il predatore!
Inaspettatamente, il Signore del Tempo si allungò su Randy per prenderlo per il colletto della tuta.
Per un istante il cacciatore provò la stessa paura di qualche minuto fa dopo aver incrociato gli occhi del suo aggressore, in cui le pupille da dilatate erano diventate due piccole fessure nere verticali immerse in iridi verdi e arancioni. Quasi temette che si sarebbe messo a sibilare, tanto assomigliava a un serpente pronto ad attaccare.
“Ascoltami bene,” ringhiò il Dottore “te l’ho già detto, no? Io non ho tempo da perdere con della feccia ripugnante come voi, quindi: o parli, o Jake ti manderà all’altro mondo, e tutti i tuoi coetanei si ricorderanno di te come colui-che-è-stato-ucciso-da-un-semplice-cacciavite! Ti piace come idea, eh? Ti piace?!”
“Dottore.”
“CHE C’E’??!!”
Jake si intromise tra i due staccandoli tenendo Randy dal colletto e il Dottore dal polso “I suoi battiti. Si controlli, per favore.”
Con la fronte aggrottata, il Dottore si portò la mano destra al petto, e stette in ascolto:
 
Tu-tu-tu-tum
Tu-tu-tu-tum
Tu-tu-tu-tum
 
I suoi cuori battevano entrambi ad un ritmo decisamente accelerato e regolare. Fin troppo regolare, che gli ricordava vagamente qualcuno da tempo dimenticato, e che doveva rimanere tale.
Chiusi gli occhi, respirò profondamente e si calmò. Non era da lui, pensò, doveva restare il Dottore.
 Aperte le palpebre, gli occhi dell’alieno erano ritornati di un verde leggero sfumati di marrone; da rettile erano ritornati ad essere quelli di un uomo.
“Grazie, Jake” disse sorridendo all’androide “Se non ci fossi tu.”
“Si figuri.”
“Come? Tutto qui? Abbiamo già finito di giocare, Dottore?”
“Non ho tempo. Questa è la terza volta che te lo dico. Ora, Randy, se vuoi che io ti lasci andare è meglio se mi dici ora chi è il reietto.”
Randy schioccò la lingua con disappunto, e arresosi all’idea parlò “Non avresti dovuto mandare via i due ragazzini, lo sai? La testa-a-caschetto bionda stava per dire ch-…”
“Si sbagliano di grosso. Non sono io il reietto.”, lo precedette il gallifreyano deluso, “All’inizio lo pensavo anche io, ma non lo sono.”
“Oh, non lo sei?” lo seguì l’umano.
“No. Anche se devo dire che il nome Reietto mi si addice.”
“Ora però ti stai prendendo in giro da solo.”
“Può darsi. Sta di fatto che il tanto ricercato reietto 3185511 non sono io, nonostante la mia reputazione.”
“Modesto, eh?”
“Puoi dirlo forte.”
“Beh, caro Dottore.” Disse Randy accavallando le gambe “ I miei piani sono andati in fumo a quanto pare. Un vero peccato.”
Il Dottore inarcò un sopracciglio perplesso. C’era qualcosa che non andava, e quel qualcosa era dovuta proprio a causa di Randy “No, così non va affatto bene.”
“Che cosa, Dottore?” chiese Jake.
“Lui” indicò Randy “Che cosa hai in mente?”
“Ti vorrei correggere, Doc,” sogghignò il cacciatore “se mai: che cosa avevo in mente. Ero certo che il tuo amichetto biondo avrebbe detto un nome strano, in questo caso il tuo, perché… diciamocelo: Dottore. Che razza di nome è?”
“Che avevi qualcosa in mente fin qui c’ero arrivato. Sei stato tranquillo per tutto il tempo, prima ero quasi certo che avresti addentato il mio mento. ”
“Ne avevo la tentazione, ma mi sono trattenuto.”
“Rispondi. Che cosa avevi in mente.”
“Sarai pure l’ultimo Signore del Tempo, l’uomo stropicciato, ma sei una vera frana in matematica.”
Il Dottore si alzò dalla sedia e si avvicinò a Randy invitandolo ad alzarsi “Che vuoi dire?”
“Dimmi, Doc. Sei sicuro di aver sonicizzato tutti i miei androidi?”
Il Dottore spalancò nuovamente gli occhi con la fronte aggrottata “Non dirmi che…”
“Sta a te controllare, non credi?”
Subito l’alieno si avvicinò agli androidi spenti. Undici. Erano undici androidi cacciatori, li aveva contanti bene dopo aver spento i loro sistemi. Non può essere, pensò lui, mentre li controllava uno per uno.
“Dottore,” lo chiamò Jake  inespressivo “Sono dieci. Ne manca uno.”
“Che cosa hai mente, Randy?!” lo ammonì il Dottore.
“I verbi, Dottore. Era quasi sicuro che fossi tu il reietto date le tue informazioni, e ho pensato che questa volta avrei usato veramente i tuoi due amichetti come ostaggi.”
“Richiamalo. Ora!!”
“Mi dispiace tantissimo,” disse sarcastico il cacciatore “ ma l’ordine gliel’avevo dato qui dentro. Ora che ha attraversato la porta dimensionale mi è impossibile cancellarlo.”
“Bugiardo!”
“Accecami pure, allora! Ma ti conviene sbrigarti. Sai che c’è un distacco di tempo fra qui dentro e là fuori.”
Randy sorrise soddisfatto. Non aveva trovato il reietto come pianificato, ma in compenso poteva benissimo portare ai suoi superiori qualcosa che fosse alla sua altezza. La testa del Dottore era un’ottima scusa per il sua disobbedienza.
“Jake!”
“Sì, Dottore.”
“Corri e cerca subito Emi, Jeremy e Massy. Vai!!”
“Agli ordini.”
Sonicizzata la porta, Jake uscì di corsa, mentre il Dottore sperava che quei quindici minuti di distacco non penalizzassero l’androide.
“E’ tutto inutile, Doc. Il mio androide li avrà sicuramente già trovati. Quindi minuti non sono niente.”
“Cinque.”
“Come dici?”
“Jake ci metterà solo cinque minuti.”
“Ma non essere ridicolo. Tu menti.”
“Già. Io mento molto spesso, anche sul mio nome, ma questa volta no” il Dottore fece roteare in aria il cacciavite sonico, e come un pistolero, se lo portò alla bocca e soffiò sopra la lampadina verde “A quanto pare non sei intelligente come tu pensi, e non sono l’unico ad andare male in matematica.”
“Che cosa intendi?”
“Pensi davvero che io abbia sonicizzato solo la porta?”
Randy lo fissò ancora più confuso con la bocca semiaperta.
“Dovresti sapere che quello,”, indicò il lettino in mezzo alla stanza, “ per accelerare le molecole, rilascia delle radiazioni innocue chiamate X20 che si attaccano facilmente a qualsiasi cosa, a meno che non si è protetti come i tuoi androidi o tu stesso, e quindi, mio caro Randy, diversamente dal tuo androide, Jake ha nella sua banca dati le informazioni riguardanti le X20 così da poter rintracciare i miei amici.”
“Tu,” disse scuotendo la testa il cacciatore “Tu sei….”
“Un genio? Un infame? Un doppiogiochista? In questo caso l’ultimo non c’entra, ma arrivati a questo punto chiamami come ti pare e piace, non m’importa, e sai perché?”
“Perché?”
“ Perché stai per venir degradato.” Una leggera pressione. Bastò una leggera pressione sul secondo bottone del cacciavite per far esplodere tutti gli androidi rimasti.
“No! Maledetto! Tu non hai di quello che hai fatto!!”
“Oh, e invece sì. So bene quel che ho fatto.”
“E devo dire, che ci ha fatto risparmiare un sacco di tempo. Signore.” La punta di una pistola laser toccò fredda la schiena di Randy, che d’istinto alzò le braccia riconosciuta la voce: era Shila.
“Da-dannazione…” imprecò.
“Puoi dirlo forte, Randy della gilda Loto 2. Se non fosse stato per i localizzatori di emergenza degli androidi che tu hai rubato, non ti avremmo mai trovato.” Abbassata l’arma, Shila ammanettò il suo subordinato “Portatelo via” ordinò a quattro cacciatori dalle tute grigie.
“No, Shila! Tu non capisci! Ero a tanto così per trovarlo! Il reietto era qui vicino!”
“Taci! La missione del reietto 3185511 era stata archiviata. Non ci sono scuse per aver preso una decina di androidi e un acceleratore di molecole senza permesso.”
“No! Aspet-… lui!! Lui è un’ottima preda! Dovete prenderlo!! Lui è i-…!”
“Avvio teletrasporto.”
La voce di Randy venne coperta dal fascio di luce del teletrasporto, e in meno di un secondo era svanito, assieme ad altri due cacciatori.
“Bene. Qui abbiamo finito. Voi altri, portate via l’acceleratore.”
“Agli ordini.”
“Questa stanza verrà subito eliminata. In quanto a lei, ” Shila incrociò lo sguardo del Signore del Tempo con i suoi occhi color cannella “potrei sapere chi è?”
Il Dottore sorrise tranquillamente, mentre tirava fuori dalla sua tasca la sua fidata carta psichica “Mi chiamo Smith, signora. John Smith. Mi faccia tutte le domande che vuole, ma si sbrighi. Ho fretta.”
 
“Presa!”
“No! Lasciami! Lasciami, Jeremy!”
Per sua fortuna, Jeremy non dovette rincorrere per molto Emi. I marciapiedi erano così intasati di persone, che essendo assieme a Massy non poté andare molto lontano.
Con uno strattone, Jeremy riuscì a far uscire dalla folla Emi e il piccolo Massy. Tutti e tre col fiatone, si piegarono in due per riprendere fiato.
“Tu… mi farai impazzire, sai Emi? Si può sapere cosa ti è preso, eh? Non hai ancora capito che siamo sulla stessa barca?”
“No” rispose lei tra un sospiro e l’altro “Non lo capisco e non lo voglio capire, è chiaro?!”
“Ma lo sai che sei proprio una grande egoista tu?! Insomma, guardati! Dopo essere appena usciti da una situazione assurda come questa hai ancora la forza di pensare solo a ora mi parla, ora qualcosa è cambiato… basta! Tutto non gira attorno a te! Non sei l’unica confusa qui, c’è anche il sottoscritto, sai?! Tra alieni, androidi, la donna con l’impermeabile. il Dottore… non so cosa ci sia di peggio!”
Emi si morse il labbro inferiore. Si sentì come se a sgridarla non fosse Jeremy, ma suo padre, poiché anceh lui stesso le fece lo stesso discorso. Si era messa in testa che stando da sola sarebbe stata bene, ma grazie a lui capì che doveva cambiare, per questo si fece avanti come tutor giusto per iniziare, e così conobbe Anna. Detestava ammetterlo, ma Jeremy aveva dannatamente ragione.  Che cosa stava facendo? Non era di certo il momento di pensare a se stessa. C’era altro a cui pensare.
“Si. Hai ragione. S-scusa.”
Jeremy si arruffò i capelli sbuffando, sentendosi improvvisamente leggero. Era la prima volta che urlò ad una ragazza, e sperava vivamente di non doverlo fare mai più “No. Scusami tu. Non avrei dovuto urlare. Anche perché… ora la gente ci guarda.”
“Se mai guardano te.”
“Ehi, non ricominciare.”
“Io… non so cosa mi sia preso. Avevo l’impulso di correre e allora… ho iniziato a correre.”
“La forza dell’abitudine.”
“No, non solo. Ho sentito qualcosa di strano.”
“Ehm… Emi…”
“Hm? Che c’è?”
Jeremy fissava preoccupato la mano di Emi che teneva quella del liseno. Entrambi i dorsi pulsavano di una luce violacea.
“Ma che diamine…”
“Emi, questa cosa non mi piace. Che succede?”
“Lo vorrei sapere anche io.” Senza lasciare la mano, Emi si inginocchiò davanti a Massy. Quest’ultimo era visibilmente spaventato; fronte aggrottata, occhi tremanti di paura. “Massy. Che cosa succede? Allora sei stato tu? Sei tu che mi hai trasmesso la paura?”
“ Sta… arrivando” disse il giovane alieno “ Ci raggiungerà presto.”
“Chi? Chi ci raggiungerà? Il Dottore?”
“No.” Massy spostò lo sguardo sulla folla da cui erano appena usciti “Lui.”
Le urla di un gruppo di turisti tedeschi allarmarono Emi e Jeremy, ma furono gli occhi rossi del cacciatore a farli correre
“Oddio, no!”
“Andiamo Jeremy!”
Prede localizzate.
Il cacciatore tramutò in pochi secondi il suo braccio in un bazooka.
He has a bazooka! Oh my gosh! It’s  really a bazooka!” Tutti quelli che erano nelle vicinanze, si allontanarono dall’uomo in tuta e scapparono il più lontano possibile in preda al panico.
“Ha un bazooka?! Ma stiamo scherzando, vero?!” urlò Jeremy.
“Zitto e corri!” lo ammonì Emi.
Individuate le sue prede nel suo mirino, l’androide si preparò a sparare il primo colpo. Il razzo uscì dalla canna lasciandosi dietro il consueto fischio e si avvicinò pericolosamente ai tre bersagli.
“EMI!!! GIU’!!!!!”
Un’enorme esplosione provocò una folata di vento e un boato assordante. Una spessa cortina di fumo si formò attorno al punto il cui il razzo atterrò, e un profondo silenzio calò su tutta la via londinese.
Jeremy teneva stretti a sé Emi e Massy. Il razzo li aveva colpiti? Erano morti? No. tutti e tre sentivano odore di bruciato, i sospiri di sollievo delle persone uscite dal loro nascondiglio, ma soprattutto non sentivano dolore.
“M-ma… cosa?” Emi, che era con gli occhi chiusi, si decise ad aprirli lentamente e li spalancò ritrovandosi davanti il volto inespressivo di Jake “Oh santo cielo, Jake! Sei veramente tu?”
Senza rispondere, l’androide cadde a peso morto di lato. Sulla parte del cuore, Emi vide spuntare la punta ammaccata del razzo che era diretto verso di loro.
“Oh no! Jake! Jake mi senti? Jake! Jeremy, alzati! Jeremy!”
“Che… cosa è successo? Siamo… vivi?”
“Aiutami Jeremy! Jake ci ha salvati la vita!”
“Cosa?!”
I due umani e il liseno si misero attorno a Jake incapace di muoversi. Facendo attenzione, Jeremy girò il pesante corpo metallico sulla parte anteriore.
“Oh,accidenti. Ci ha… davvero salvati.”
“Andrà tutto bene, Jake. Il Dottore arriverà e potrà ripararti, ne sono certa.”
“R…”
“Eh? Come dici?”
“Re…Rei…”
“Non ti devi sforzare, hai capito?”
Con un po’ di fatica Jake riuscì ad allungare il braccio per prendere la mano di Emi, che rispose a sua volta “Sì, sono qui, Jake. Sono qui.”
Ormai privo di energia, Jake riuscì a guardare negli occhi Emi un’ultima volta e a pronunciare due parole, prima di spegnersi del tutto “Rei… Reietto…  Reietto…. sal…vato.”

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Capitolo 31
*** Nuovo padrone ***


Emi appoggiò la mano su quella di Jake. Era gelida e tremendamente pesante. I suoi occhi non lampeggiavano più e la fissavano senza vita.
Reietto salvato, così aveva detto prima di spegnersi del tutto, e dentro di sé Emi sperava vivamente che non si riferisse a lei. Cosa aveva di speciale? Era un comune essere umano, senza qualità particolari, solo la passione di correre e la memoria eidetica; che fosse il suo incontro col Dottore la causa di tutto?
“Reietto. Ha detto di aver salvato il reietto, ma… lo ha detto riferendosi a te, Emi.” Le lesse nel pensiero Jeremy.
“Non so davvero cosa dirti,” si limitò a rispondere lei “ora però dobbiamo andarcene. Prima che il cacciatore ci raggiunga.”
Detto fatto, al di là della cortina di fumo, i pesanti passi dell’androide si stavano avvicinando pericolosamente a loro.
Massy si aggrappò di nuovo alla mano di Emi “Maledizione” imprecò quest’ultima.
“ Questo dannato fumo… è troppo denso! Non vedo niente!”
“E non urlare, Jeremy! Dobbiamo… dobbiamo aspettare.”
Il ragazzo si voltò di scatto verso Emi fulminandola con lo sguardo “Non mi pare il momento di scherzare, lo sai?!”
“Io non sto scherzando!” Si difese lei  aggrottando la fronte“Massy mi ha detto…”
Detto?!  A parte averci avvertiti che uno stramaledetto cacciatore ci sta inseguendo, ora non penso che stia dicendo qualcosa!”
“Lo ha fatto invece! A me!”
Jeremy era pronto a tirare Emi su di peso, ma notò che la mano di Massy era saldamente aggrappata a lei. Il palmo pulsava di un’intensa luce arancione“Oi… fai sul serio, piccoletto?”
Il giovane alieno deglutì e annuì insicuro.
“Jeremy. Aggrappati all’altra mano di Massy, sbrigati!” lo ammonì Emi.
“O-ok!” arresosi, Jeremy si allungò a Massy e afferrò saldamente la mano libera.
 
Sta arrivando. Ora arriva.
 
“Oddio… ma questo è… Massy?” disse Jeremy con voce tremante.
“Esatto. E ora… aspettiamo.”
La figura nera del cacciatore era ben visibile nella cortina di fumo. Una decina di passi e li avrebbe raggiunti.
Entrambi gli umani strinsero con forza le mani dell’alieno, che sembrava aver acquistato un po’ di sicurezza. Un sorrisetto compiaciuto si disegnò su di lui, quando l’androide si fermò davanti a loro.
“Reietto salvato” disse tranquillamente il piccolo Liseno alzandosi in piedi “Reietto…”
“Salvato” dietro il cacciatore, il Dottore continuò la frase. Alla frequenza giusta puntò il suo cacciavite sonico davanti al nemico, che cadde di lato a peso morto. Gli occhi spenti come quelli di Jake.
Emi e Jeremy si rilassarono lasciando entrambi la mano di Massy. I loro cuori ripresero a battere regolarmente.
“Scusate il ritardo, ragazzi.” Sogghignò il Dottore “Ma capitemi. Quindici minuti di distacco sono molti.”
“Po-potevi venire un po’ prima, no?!” gli urlò Jeremy in un bagno di sudore freddo.
“Non mi hai sentito? Quindici minuti, ragazzo: puoi fare di tutto, lo sai? E io ho corso.”
“Allora non sei molto allenato.” Intervenne Emi “Dovremmo fare jogging insieme, un giorno.”
“Affare fatto” disse il Dottore sorridendo.
“Ehi…  mi dispiace interrompere la vostra chiacchierata. Ma abbiamo un piccolo problema qui” disse Jeremy indicando Jake.
“Oh, certo! Hai perfettamente ragione! Jake. Dobbiamo aggiustare Jake.”
“Cosa? Dottore, puoi aggiustare Jake? Sul serio?!”
“Non vedo perché no, Emi. Ho un cacciavite. Una patente da meccanico. Cosa vuoi di più.”
“Una… patente?”
“Sì, il tizio che mi ha esaminato era un po’ ubriaco. Ora, pensiamo al nostro amico.”
Con una certa delicatezza, il Dottore sfilò il razzo dal petto di Jake. Dal buco erano ben evidenti circuiti ammaccati, tra essi anche quelli importanti. Non era messo per niente bene.
“Dottore. Puoi fare veramente qualcosa?” chiese Emi preoccupata.
“Spostarlo da qui non se ne parla,” le rispose lui mentre cercava la frequenza giusta del suo cacciavite “posso sempre riavviarlo per farci dare qualche spiegazione, e poi spostarlo col TARDIS.”
“Dottore.”
“Stai tranquilla,” le sorrise veloce l’alieno “ Ricordi? Ho la patente.”
“Sono io.”, disse tutto ad un fiato la ragazza, “ Sono io il reietto che cercavano.”
Il Dottore si fermò per un millisecondo, riprendendo subito a legare tra loro fili su fili tutti di un colore diverso, e rispose semplicemente “Ah, davvero?”
Emi rimase così scioccata dalla reazione del Signore del Tempo, che le parole che le uscirono dopo erano al dir poco incomprensibili.
“M-ma… ha-hai sentito che ho detto?! Insomma… io… io sono il…”
“Scommetto che lo hai pensato perché Jake è venuto a salvarvi, vero? E’ stato messo K.O. da un missile, anche gli androidi delirano con una punta nel proprio nucleo di palladio.”
Reietto salvato” Emi rabbrividì a quelle parole, quando Jeremy si avvicinò a lei “E’ questo che ha detto. Rivolto verso a Emi.”
Questa volta il Dottore guardò a lungo la serietà dipinta sul volto di Jeremy. Persino il tuo buffo taglio a caschetto sembrava tremendamente serio,  assieme ai suoi occhi che rispecchiavano pura sincerità su quelli dell’alieno.
“E non credere che non ti abbiamo sentito,” continuò lui aggressivo “anche Massy lo ha detto una volta, alla seconda tu hai proseguito. Perché?”
Il Dottore, che intanto fingeva di sonicizzare due fili gialli, era incapace di rispondere. La verità era che non lo sapeva nemmeno lui; non sapeva perché Massy avesse detto reietto salvato, e non sapeva soprattutto perché Jake lo avesse detto rivolto a Emi. Una mera coincidenza? Era dovuto al fatto che l’androide stesse perdendo energia? E Massy? Sapeva chi era effettivamente il famoso reietto? Ancora non aveva raccolto abbastanza informazioni, e quindi era incapace di rispondere a quella semplice domanda.
“Non lo so perché l’ho detto. E non so perché anche Jake e Massy l’abbiano detto.” Rispose alla fine con la gola secca. “Ma sapete che vi dico? Penso che Jake si sia semplicemente sbagliato. Per quanto riguarda Massy, beh… Ha appena perso la sua prima, non  che unica vita, è normale che sia un po’ confuso. Emily il reietto tanto atteso? Ma andiamo! Senza offesa, ma sei solo una semplice umana, a cosa potresti servire a dei cacciatori sanguinari come i Loto? Ridicolo!”
Una risposta lunga poco più di cinquanta parole, detta tutta ad un fiato con un sogghigno nervoso. Gli occhi persi nel buco del petto di Jake, e il nome. Soprattutto il nome.
“Tu stai mentendo.” Disse fredda Emi.
“Oh, ma davvero? Che cosa te lo fa pensare?”
“Mi hai chiamata Emily.”
“Scusa, dov’è il problema? E’ il tuo nome, giusto?”
“Da quando abbiamo viaggiato insieme non mi hai più chiamata Emily.”
“Dove vuoi arrivare?”
"Allora una cosa é certa: tu, Dottore, sei insicuro e preoccupato."
Sonicizzato gli ultimi circuiti, il Dottore tirò fuori dalla giacca una sfera argentata, e la infilò tra i fili ai lati del buco.
"Non lo sarebbe chiunque? L'ho detto prima. In quindici minuti tutto é possibile. come ad esempio, riparare un androide come Jake."
La piccola sfera prese a sibilare, e con un leggero pop si divise in tante piccole sfere, che iniziarono a riempire la voragine provocata dal razzo.
"Una cosetta che ho rubato da Randy. Quel ragazzo non é molto attento. Nanogeni modificati, ma pur sempre efficaci.”
Prima un mignolo, poi l’anulare, e infine tutta la mano. Jake stava iniziando a muoversi. Era visibilmente disorientato, gli occhi lampeggiavano ininterrottamente di una luce azzurra, il volto inespressivo come sempre.
“E’ incredibile. Il buco non c’è più!”
“I suoi sistemi si stanno ancora aggiornando, ma è a posto. Per ora.”
“Io… io… dove sono?...” iniziò a parlare Jake “Che… è successo?”
“Oh, ben tornato fra noi, vecchio mio!”
“Signor… Dottore?”
“Ehi… credevo che quello lo avessi aggiornato…” disse irritato il Signore del Tempo.
“E invece no.”
“E invec-…? Dov’è finito il negativo?”
“L’ho aggiornato assieme all’affermativo, signore.”
“Tu lo fai apposta, vero?!”
“Esatto.”
“Oi!”
Emi e Jeremy risero davanti all’espressione buffa del Dottore contro quella inespressiva di Jake. Sembrava di vedere un duo comico in azione.
“Ok, va bene. Ci siamo fatti due risate, ma ora pensiamo alle cose serie.”
“Per serie intendi il fatto che il cacciatore abbia distrutto il centro di Londra e Massy sia ritornato bambino?” puntualizzò Jeremy.
“Esattamente. Per Londra, beh. Visto che ho usato già il trucchetto dell’ologramma a Milano, non mi è possibile usarlo qui.” Disse il Dottore scuotendo la testa.
“E perché?” chiese Emi.
“Perché ucciderei il TARDIS, perciò lasceremo ai media, Facebook, Twitter e ai poveri muratori, la singolare storia del buco nell’asfalto. Noi dobbiamo andarcene via, e alla svelta. Torniamo da dove tutto è iniziato.”
 
“Bene così, Jeremy. Jake, metti dell’altro nastro segnaletico sul cancello”
“Qui, signore?”
“Sì, bravo.”
“E qui, Dottore?”
“Perfetto, Jeremy. Anche lì!”
 Come il direttore di un’orchestra, il Dottore indicava a Jeremy e a Jake le zone da ricoprire con il nastro segnaletico. Bianco e arancione rimpiazzarono le strisce nere e viole. Il locale aveva tutta l’aria di essere un regalo di Natale che aspettava di essere scartato.
Intanto Emi e Massy si gustavano il cono gelato tanto atteso, nonostante le nuvole cariche di pioggia sopra le loro teste non fossero dalla loro parte.
“E’ buono il gelato, Massy?”
Il giovane liseno strabuzzava gli occhi ad ogni leccata del suo gelato crema e pistacchio “Sì! E’ buono!” rispose con entusiasmo.
“Ne sono felice. Sai, Dottore. Io non credo sia una buona idea.”
“E perché?” chiese l’alieno senza voltarsi.
“Dove hai preso il nastro?”
“Oh, l’avevo fregato a uno di quei simpaticoni dei carabinieri a Milano. Man… Manforti? Credo fosse quello il suo nome.”
“Ah, ecco.”
“Qual è il problema?”
Polizia locale.
“Come?”
“Sul nastro c’è scritto in italiano: polizia locale.
Il Dottore strabuzzò gli occhi per leggere il nastro. Così fecero Jeremy e Jake.
“Ha ragione”  sbottò il biondo.
“Confermo” seguì l’androide.
“Oh, al diavolo. Mi ero stancato di portare il rotolo in giro. Le mie tasche non sono più grandi all’interno.”
“Ora… che cosa ne sarà di Massy?” chiese Emi preoccupata “Insomma. Dov’è starà ora?”
“Una cosa e certa,” rispose subito il Dottore “non potrà venire con noi.”
“E perché no?”
“Perché il suo posto non è con noi. Rimarrà qui a Londra. Con Jake.”
Sentito il suo nome, Jake alzò la testa impassibile verso il gallifreyano “ Con me?”
“Questo sarà l’ultimo aggiornamento che ti ordino di fare. Dopodiché, sarai nelle mani del tuo nuovo padrone,” si girò verso il giovane alieno sorpreso “ovvero Massy.”
Jake spostò lo sguardo dal Dottore al liseno tre volte, valutando le parole del suo padrone attuale “Aggiornamento confermato. Quando lei è pronto, io sarò al servizio del signorino Massy.”
“Qualunque cosa accada, chiunque osi fare del male a Massy, dovrai proteggerlo con tutto quello che hai. Gli sarai fedele, ti dimenticherai della tua natura di cacciatore, e tutto questo da ora, Jake.”
L’androide fece per l’ultima volta un profondo inchino al Dottore, fintanto che i suoi dati si aggiornassero al cento per cento “Come desidera, signore.”

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Capitolo 32
*** Nuovo arrivato, nuovo inizio ***


PREMESSA DELL'AUTRICE:
Ahi ahi ahi... devo aver combinato qualcosa col cellulare e ho per sbaglio modificato da "in corso" a "completa"... ops... mannaggia a questa tecnologia!! XD
Non è finita qui! Assolutamente no! Anzi, ho appena cominciato!! 
Scusate ancora!!

Cassandra

“Pensi che Jake non… ucciderà Massy, Dottore?” chiese Emi, tra una leccata e l’altra del gelato.
“Stai tranquilla, Emi” le sorrise il Dottore facendo l’occhiolino “l’ho scannerizzato per bene ed effettivamente era stato programmato per proteggere.”
“Ma ha ucciso il vero Jake” precisò Jeremy “Oppure no?”
“Beh… sì… è pur sempre un androide cacciatore, anzi, era. E’ probabile che chi lo avesse creato gli avesse anche ordinato di eliminare chiunque fosse un ostacolo per lui.”
“Hai avuto le risposte che cercavi da Randy?”
“Purtroppo no. Non è stato molto d’aiuto.”
“Scommetto che lo hai conciato per le feste,per questo ci hai detto di uscire.”
“Se c’è una cosa che devi sapere per poter iniziare a viaggiare col Dottore, Jeremy, è che lui cerca di evitare la violenza e le armi. O meglio, questo Dottore.”
All’improvviso Jeremy smise di camminare, dividendosi da Emi e il Dottore di circa dieci metri. I due, accortasi della sua assenza, si girarono.“Che hai, Jeremy?” disse il Dottore.
Balbuziente, il ragazzo cercò di dire una frase di senso compiuto invano “Co-cosa… hai detto, Emi?”
“Io?”
Annuì.
“Ho detto: che se vuoi iniziare a viaggiare col Dottore, devi sapere che lui no-…”
“Io questo lo so già.” La interruppe con un po’ più di sicurezza. “Quella donna, quella con l’impermeabile, mi ha detto delle cose sul conto del Dottore. Anche se ancora faccio fatica a comprenderle.”
“E allora dove sta il problema? Col tempo lo consocerai.”
“E’ questo il problema. Io… posso davvero venire con voi?”
Emi si voltò verso il Dottore confusa. L’alieno rispose a tono scrollando le spalle. “Scusa, se non sbaglio il Dottore ti ha detto che potevi restare, no? Fino a quando non avremo scoperto perché io e te siamo legati dalla donna con l’impermeabile. Dico bene, Dottore?”
“Assolutamente.” Rispose il gallifreyano sorridendo. “In più, se non sbaglio, la donna misteriosa ti ha detto di proteggere Emi, giusto?”
“Oi, non mettere in ballo questa storia.” Lo ammonì Emi a denti stretti.
“Ma... come faccio con la scuola? Sono nel bel mezzo di una gita!” si allarmò Jeremy  “Oddio… adesso mi uccideranno se non torno!”
“Non penso che questo sarà un problema, my dear.”
Il primo a girarsi e a riconoscere la voce, fu il Dottore, con un’espressione seria sul volto e la fronte aggrottata in segno di disappunto: era Mrs. Alba, vestita con un outfit gotico invernale rigorosamente nero  accompagnato da un ombrello decorato con pizzi e merletti viola, che allargò un sorriso al Dottore come niente fosse.
I could help you.
 
Randy passò la lingua prima sulla fila superiore e poi la fila inferiore. Il forte sapore di ferro lo indusse a sputare il sangue per l’undicesima volta sul pavimento “Bleah, che schifo.”
Del giro di due ore, il cacciatore aveva provato invano di liberarsi in quelle manette antiquate di ferro, che ad ogni suo movimento graffiavano entrambi i polsi, lasciando dei segni rossi ben visibili.
 
Rimarrai in isolamento per un mese per aver forzatamente inoltrato una missione senza permesso. Verrai inoltre degradato, Randy della gilda Loto 2.
 
“Dannato Dottore. Questo me la pagherai. Stanne certo!”
“Non ne dubito, mio caro Randy.”
Quasi come s avesse ricevuto un ordine, Randy smise subito di divincolarsi e non osò alzare la testa. con la coda dell’occhio riuscì a distinguere le ruote di una sedia a rotelle e un paio di scarpe nere lucide.
“Ma… questa voce?” disse con la voce che gli tremava “E’ lei… signorina Hana.”
Una pausa di silenzio divise lui e l’ospite inatteso, poiché quest’ultima allargò un sorriso malizioso “Suvvia, Randy. A me non piace parlare con le persone che tengono lo sguardo rivolto sul pavimento. Chi lo fa rischia di rimanere senza testa. Avanti. Alzala.”
Il cacciatore alzò lentamente la testa “Mi… mi perdoni, signorina Hana.”
Sia Shila che lo stesso Dottore, non potevano essere minimamente considerate come le principali paure di Randy, se confrontate con Hana Hasu, la figlia del capo dell’organizzazione Loto. La sua sola presenza gli incuteva un indescrivibile terrore: brividi a fior di pelle, tremori intermittenti di qualsiasi parte del corpo e l’incapacità di parlare.
Agli occhi poteva sembrare un’innocua ragazzina di tredici anni su una sedia a rotelle.
Il suo volto era delicato come quella di una bambola di porcellana. I suoi lineamenti puramente giapponesi davano un senso di serenità a chi la guardava per la prima volta. E i suoi capelli, erano di una rarità unica, naturalmente lisci, lunghi fino alle ginocchia e di un nero profondo. Ma sotto quei sorrisi d’angelo e quei sofisticati abiti bianchi dell’Ottocento, si nascondeva la persona più sadica, più ignobile, persino più crudele di Randy che il cinquantunesimo secolo avesse mai visto.
“Christopher ed io ci siamo divertiti ad osservarti lì, in quell’angolo, mentre venivi torturato.” Disse lei con estrema calma e nonchalance “Mi aspettavo un po’ più di sangue, sai?”
“Mi… mi dispiace.” Rispose con un fil di voce Randy.
“Oh, non ti preoccupare. Oggi sono di buon umore. A parte per il reietto. Contavo veramente nella tua riuscita della missione.”
“Mi… dispiace.”
“Dillo un’altra volta, e ti faccio veramente tagliare la testa.”
Il sangue del cacciatore raggelò. Annuì rimanendo in silenzio.
“La missione del reietto è stato archiviato ufficialmente. Pazienza. L’importante è avere un collegamento con lui.”
Altro silenzio e altra conferma con la testa.
“Ho avuto modo di interferire con le cornee di tutti i cacciatori durante ogni applicazione, perciò so tutto. Detto questo,” Hana ordinò con un cenno della mano a Christopher di liberare Randy dalle manette “tu mi parlerai di questo collegamento, Randy. Mi parlerai di questo Dottore. Ora.”
 
Con un paio di sonicizzazioni sulla carta psichica, il Dottore inviò un file alla mail di Mrs. Alba “Con questo… ho finito.”
Perfect, mi affretterò a portarlo all’insegnante che accompagna la classe e allo stesso preside. Puoi pure stare tranquillo, Jeremy.” Disse la donna sorridente.
“G-grazie.”
“Così starete tranquilli per un po’.”
“E che mi dice dei suoi genitori?” Si allarmò Emi.
“Oh, don’t worry. Penserò anche a loro.”
“Emi, Jeremy. Potreste lasciarci un momento da soli, per favore?”
“Eh? E perché?” chiesero i ragazzi all’unisono.
“Ho bisogno di parlare con la vostra prof.”
I due si guardarono e obbedirono. Adocchiato un negozio di souvenir  dall’altra parte della strada, vi ci entrarono.
Rimasti soli, l’umana sorrise all’alieno non altrettanto contento della situazione.
“Che cosa fa qui?” le chiese risoluto.
“Mi pare ovvio, no? Per aiutare.”
“Non è un’umana qualunque, questo l’avevo capito, ma perché? Qual è il suo scopo?”
“Io ci tengo a Emi. Le voglio bene. E devo perciò fare in modo che non le succeda nulla.”
“Stai mentendo.”
Mrs. Alba non smetteva di sorridere, mentre il gallifreyano non abbassava la guardia rimanendo serio e inespressivo.
“La smetterai mai di guardami con quell’espressione?”
“La smetterò quando avrò capito chi è, Mrs. Alba.”
“Continui pure a fare ipotesi. Sono sicura che prima o poi lo scoprirà. For now,” gli sventolò il cellulare davanti alla faccia “ho una comunicazione importante da inviare. Ci vediamo al nostro prossimo incontro. Doctor.”
E per l’ennesima volta, il Dottore si lasciò sfuggire l’occasione di avere delle risposte.
La misteriosa insegnante di inglese si allontanò a suon di tacchi dall’alieno. Attraversata la strada,  proseguì dritto fino a girare un angolo.
 
“Ah, a proposito.” Jeremy iniziò a frugare nelle tasche dei pantaloni e della giacca “Ma… dove l’ho messo… Ah Eccolo! Tieni.”
Giratasi verso di lui, Emi fissò il pezzetto di carta rosa che lui teneva. Riconobbe la scrittura: era quella di Anna. “Che cosa sarebbe?”
“Anna ha cambiato numero di cellulare. Prima della gita mi aveva chiesto di dartelo nel caso ti ritrovassi.”
Emi prese il foglietto e lo lesse nella sua mente. Senza accorgersene lo stava facendo sorridendo.
 
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Anna <3
 
“Oh, Anna…”
“Le manchi, sai? In questi tre mesi non ha fatto che parlarmi di te e di come le dispiaceva il modo in cui si era comportata con te.”
Alquanto sorpresa, Emi alzò lo sguardo dal foglietto con gli occhi spalancati. Il cuore prese a battere velocemente “Sul serio?”
“Già.”
Emi rilesse per l’ultima volta il numero, lo ripiegò due volte e lo mise nel suo portafogli in una tasca, dove non avrebbe rischiato di perderlo “Dopo le scrivo. Lo prometto.”
“Sarà meglio.”
La situazione non poteva essere più imbarazzante di così: Emi toccava qualsiasi oggetto trovasse sul bancone, mentre Jeremy guardava per aria e sui muri qualsiasi cosa valesse la pena di guardare. Entrambi pregavano che il Dottore finisse di parlare con Mrs. Alba.
“A-allora…” provò a rompere il ghiaccio lui “che fortuna, eh? Mrs. Alba, intendo.”
“Già…” cercò di stargli dietro lei “Insomma… tempismo perfetto.”
“Si vede che dopo l’esperienza che ha vissuto l’ha indotta a starti dietro più di prima.”
“E’… possibile. Ti ha raccontato tutto lei?”
“Sì.”
“Ah, capisco.”
Altri sguardi da talpe tra souvenir a random.
“Ti ricordo che il Dottore ha una macchina del tempo.” Osò questa volta Emi “In realtà non ci sarebbe bisogno di avvisare i tuoi genitori.”
“Allora tanto valeva che non lo facevi anche tu, non credi?”
Sicurezza, così mi ha detto.”
“Beh, si vede che il Dottore lo stia facendo per sicurezza anche per me.”
Touchè.”
Il campanello del negozio attirarono l’attenzione dei ragazzi. Erano entrate due ragazze coreane che si avvicinarono subito alle collane-ricordo. Delusi che non fosse il Dottore, sospirarono.
“Scopriremo mai chi è la donna?”
“Te l’ho detto. Il Dottore indagherà sulla faccenda.”
“Perché dovrebbe farlo?”
“Perché ne è attratto.”
Jeremy la guardò con un sopracciglio alzato “Ma non l’ha mai vista.”
“La faccenda, Jeremy. La faccenda.”
“Ah… giusto.”
“E inoltre dobbiamo capire perché tu mi abbia dimenticata quando sono andata via.”
“Vero.”
“Tutto questo è assurdo!”
“Hai ragione. Non immagini quanta ansia avevo accumulato nel giro di quei tre mesi!”
“No, non intendo quello.”
“Eh? E che cosa?”
Emi mostrò a Jeremy un ciondolo in acciaio a forma di cuore con la bandiera del Regno Unito stampato sopra “Un ciondolo così piccolo venticinque sterline? Ma stiamo scherzando?”
Jeremy scoppiò gradualmente a ridere. Emi si lasciò trasportare e iniziò a ridere insieme a lui.
“Sei… sei davvero  impossibile tu! Siamo appena sopravvissuti da una morte certa, e tu ti preoccupi del prezzo di una collana! Ahah! Non ci credo!”
“Beh, ahah.  Se c’è una cosa in cui sono brava, è adattarmi ala situazione.”
“Che non è cosa da poco.” Nascosto dietro ad un quotidiano, il Dottore uscì allo scoperto e abbracciò i due ragazzi allibiti.
“Do-Dottore!! Era qui tutto il tempo?”
“Quando sei entrato?!”
“Due secondi dopo le ragazze coreane. Ve l’avevo detto, no? Massy ha imparato i trucchi del mestiere da me.”
“Oh, ma guardalo come si vanta.” Scherzò Jeremy intrappolato dal braccio sinistro del gallifreyano.
“Ti ci abituerai” lo consolò Emi.
“Oh, suvvia ragazzi! Dovreste stare allegri! Abbiamo salvato Londra, cacciato i cacciatori, e abbiamo, per così dire, salvato Massy! È stata una giornata fantastica!”
“Ok, su questo posso essere d’accordo.”
“Bravo, Jeremy! Questo è lo spirito giusto! Non male il ragazzo… direi che hai passato la prova! Andiamo?”
Lasciati i due ragazzi, il Dottore aprì la porta del cancello e fece un inchino “Prima le signorine.”
Emi scosse la testa sorridendo “Ma grazie.”
“E i signorini.” Strizzò l’occhio.
“Oh, ma piantala.”
Usciti dal negozio, un sole inaspettatamente spogliato dalle nuvole lasciò che li scaldasse e dimenticassero l’avventura appena conclusa.
“Sei anche metereologo, Dottore,” Emi si riparò dalla luce del sole con una mano “è veramente una giornata fantastica.”
“Che vi dicevo? Forza, si va! Che ne dite di festeggiare l’entrata nel gruppo di Jeremy con un po’ di dolci? Alla fabbrica di cioccolato!”
“Ah, Dottore…” iniziò a lamentarsi il ragazzo “ho già visto quel film! Non possiamo andare su un… non so… un altro pianeta o… in un altro… tempo?”
“Oh, mio caro Jeremy. Chi ti ha detto che non andremo su WW7105 a visitare la vera fabbrica di cioccolato?”
Jeremy spalancò occhi e bocca, mentre Emi si godeva il rito d’iniziazione dell’amico. Amico. Dopo anni e anni passati a scappare da lui, ora lo poteva considerare tale? Sì, era il momento giusto per adattarsi.
“Ribadisco: ti ci abituerai.”
 
C’era chi si alzava dal proprio posto per lo stupore, chi applaudiva perché probabilmente sapeva cosa sarebbe successo e chi invece urlava dal terrore, davanti a quella voragine violacea sul sipario.
All’improvviso la folla soffocò un urlo quando dal buco nero uscirono dei lampi. Un secondo dopo ci fu un abbaglio che sorprese ogni singolo spettatore fino a quando non fece finalmente il suo ingresso il tanto e atteso Massy: il giovane mago e illusionista, accompagnato dal suo assistente Jake.
Un completo a righe nero e viola con tanto di cravatta rossa, mocassini bianchi e lucidi vestivano un tredicenne, coi capelli neri pettinati all’indietro, gli occhi azzurri e un paio di orecchini a forma di corvo d’oro.
Altrettanto vistoso era il vestito nero e ottocentesco di Jake, con l’aggiunta di un paio di guanti bianchi e un cilindro nero.
 Allargate le braccia, entrambi fecero un profondo inchino incrociando le gambe e la sala li accolse con un fragoroso applauso.
“Si rilassi, signore. La vedo un po’ tesa.” Disse a bassa voce l’androide.
“Scusa, Jake.” Rispose a tono il giovane liseno “E’ che mi eccito sempre ad ogni spettacolo.”
“Faccia come al solito, signore. Si diverta.”
“Benvenuti care signore e cari signori. Ragazzi e ragazze!”,annunciò il mago rialzatosi,“ Spero vivamente che questo spettacolo sia di vostro gradimento, ma soprattutto…” dal nulla uccelli dai colori sgargianti, si smaterializzarono e volarono fino al soffitto per poi scomparire, suscitando tra il pubblico sgomento e ammirazione “ che non vi spaventiate troppo.” di nuovo il locale si riempì di applausi e urla di incoraggiamento, e Massy non poté far altro che inchinarsi una seconda volta.
“Bene! Detto questo: che lo show abbia inizio!”

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Capitolo 33
*** Episodio 3: Chi sono io? ***


Episodio 3: Chi sono io?
Capitolo 33: l'interfaccia vocale perduta

Tutto ciò che mi circonda è nuovo per me. Non c’è nulla che mi ricorda il mio pianeta natale. So di essere nata da poco, e quindi non lo conosco più di tanto, ma di certo so riconoscere, quando la vedo, la cima della catena montuosa di Rialpovas, tutte ricoperte da della candida neve color ocra, o un albero del sospiro, gli stagni di Tapallu e il più importante: il cielo stellato e vermiglio chiamato, se ben ricordo, Ninavia.
Qui invece prevalgono il colore nero, il blu scuro, il marrone, e nonostante i grossi bulbi di luci attaccati ad alti pali di ferro, non contribuiscono a migliorare quest' orribile ambientazione. Ho paura.
Ovunque io mi giri ci sono degli enormi arbusti rugosi e ramificati con dei piccoli arti verdi e gialli cadenti. Gli alberi più brutti che abbia mai visto, o che per ora abbia visto.
Sotto i miei piedi scricchiolano degli strani detriti informi e grigi come me, e fanno male.
Il mio cuore batte molto irregolarmente. Sento una fitta di dolore sotto la nuca e le mie forze venir sempre meno. Sono stanca, mi voglio fermare, ma se lo faccio verrò uccisa, perciò devo continuare a correre.
Corro e corro, continuando a girare in quel labirinto infinito. Passo tra delle strane costruzioni fatte di legno e di un altro materiale che non ho visto prima di partire, forse plastica, e poi vedo lui, a duecento metri di distanza da me: il cacciatore, nella sua inconfondibile tuta nera, gli occhi inespressivi e pulsanti di rosso.
La paura mi assale, non riesco a muovermi, mentre quella macchina da guerra ambulante mi si avvicina correndo accompagnato dal suono metallico delle sue articolazioni. E’ finita.
 
Qualcuno mi aiuti.
 
Jeremy sbadigliò pesantemente e si stropicciò gli occhi ancora assonnato “Beh? È tutto? Finisce così?”
Emi si strinse ancora di più al suo cuscino turchese e annuì, cercando di dimenticare l’immagine del cacciatore. Erano passati due mesi da quando avevano lasciato Londra e Massy alle spalle, e da all’ora la ragazza non faceva che fare lo stesso sogno tutte le notti, finendo sempre col chiamare Jeremy disperata.
“Scusami…”
“Bah, non importa. Ormai ci sono abituato. Solo che la cosa comincia ad essere preoccupante. Meglio dirlo al Dottore, non pensi?”
“No!” disse quasi urlando Emi “No…” si tranquillizzò “E’ meglio se non gli diciamo nulla. Sono sicura che passerà.”
“Dici le stesse cose tutte le sere, Emi” disse spazientito il biondo “insomma, questo è un lavoro adatto a lui.”
“Non… voglio creargli problemi.”
Jeremy si rassegnò scuotendo la testa e si sedette a fianco dell’amica “In questi due mesi sono andato ovunque con voi. Su Nuova New York – nuova per quindici volte -, sulla foresta Gamma – incredibile che ci sia solo il fiume come corso d’acqua…- o Adipose 3 – ho… salutato… delle piccole palle di grasso… - e tanti altri pianeti, ma ancora non mi hai parlato del passato del Dottore.”
“Ero convinta che la donna dell’impermeabile ti avesse parlato di lui.”
Jeremy si grattò nervosamente la nuca “So solo che ha questa nave spaziale che viaggia tempo, il TARDIS, che è un Signore del Tempo, che ha più di mille anni e che… può cambiare… faccia?. Niente di più.”
“Hm… interessante.”
“Che cosa?”
“Sono riuscita a notare un piccolo dettaglio sulla donna.”
“E…sarebbe?”
“Lei tende a parlare bene del Dottore. O almeno, così mi sembra, quindi… E’ possibile che lei sia una persona molto legata a lui.”
“Ah, ho capito dove vuoi arrivare. Beh, è un’ottima teoria!”
“Potrebbe essere una parente.”
“Nah, una di sangue? Non penso.” La corresse Jeremy ridacchiando.
“Perché, scusa?”
“Io la vedo come… sua moglie!”
Emi inarcò un sopracciglio perplessa, ma lo riportò giù annuendo “Sai una cosa… E’ una possibilità! Ricordo che aveva un non so che di nostalgico mentre parlava di lui.”
“Lo stesso vale per me!”
Oh, ma è così bello sentirvi parlare insieme. Sono contento!
Entrambi i ragazzi sobbalzarono finendo sul pavimento con un tonfo, non appena rimbombò nella stanza la voce del Dottore.
Ouch… vi siete fatti male? Vi posso sentire, ma non vedere.
“Dot-Dottore?! Che stai facendo?!”
“Cos’è? Sei diventato invisibile?”
Oh, ma non essere ridicolo, Jeremy! Avevo da qualche parte un dispositivo, ma non lo trovo più, cooomunque, ho solo deciso di installare nella stanza di Emi dei microfoni così che io possa sentirla attraverso il cacciavite sonico.
Emi e Jeremy si guardarono in silenzio, minando all’unisono lui cosa?
“Ehm… Dottore… potrei chiederti perché lo hai fatto?” provò a chiedere lei.
Semplice. Questa notte ti ho sentita urlare. Ho cercato di correre più velocemente che potevo, ma poi avevo visto che eri in buona compagnia.
Jeremy si indicò “Ti… riferisci a me?”
Esatto.
“E… da quanto tempo li hai installati?”
Ah, solo ora. Perché me lo chiedi?
“No, niente. Così.”
State pure tranquilli. Non stavo origliando. La mia era una frase ad effetto. Ehi! Che ne dite di fare colazione anche se sono solo le tre e mezza del mattino?
“Si, va bene!”
Perfetto! Sapete dov’è la cucina! A dopo!”
Chiuso il collegamento, Jeremy sobbalzò leggermente con una piccola smorfia di dolore.
“Jeremy… qualcosa non va?”
“N-no…” balbettò lui “Sto bene, deve avermi punto… una zanzara…”
“Ah… capisco… Allora,vado a cambiarmi prima io.”
“Ok. Fai pure.”
Tra uno sbadiglio e l’altro, Emi si mise le pantofole. Prima di uscire disse all’amico senza girarsi “Ehm… grazie di nuovo, Jeremy.”
“Figurati. Non c’è problema.” Rispose lui imbarazzato.
Chiusa la porta alle spalle, Jeremy aspettò di sentire i passi allontanarsi, e alzò gli occhi al soffitto “E quella cos’era? Una scossa telepatica? Non bastava dirmi che volevi parlarmi?”
Oh, ma come sei bravo! Ti faccio i miei complimenti, portarti con noi è stata un’ottima idea.
“Hai sentito tutto, non è vero?” arrivò al punto il biondo “Allora, che cosa ne pensi?”
Una pausa di silenzio lasciò che il Dottore riflettesse sulla risposta da dare “Sentito, sì. Tutto, no. Dopo la storia del sogno mi sono occupato di installare degli altoparlanti affinché mi sentiste.
“Ok, il sogno è più importante. Che cosa consigli di fare?”
Vuoi la verità?
“Sì.”
Direi che… La affido nelle tue mani, ragazzo mio.
“Co-cosa?!”
Oh,  andiamo. Chi meglio di un essere umano può capire un suo coetaneo?
“Sai bene che non è questo il punto!”
Ascoltami Jeremy, io sono un alieno millenario che, sì, ha vissuto a lungo con degli esseri umani, ma ciò non vuol dire che io sappia tutto ciò di cui hanno bisogno, non so se mi sono spiegato.”
“Non siamo mica animali!”
Beh… tecnicamente lo siete, ma il punto è che… insomma…
“Che tu non ti senti all’altezza.” Continuò Jeremy con le mani sui fianchi.
E’ esattamente ciò che volevo dire. Come hai fatto?
Il ragazzo scrollò le spalle “Istinto umano.”
Niente di più vero.
“Io… la sto conoscendo bene solo in questi giorni. Insomma… abbiamo passato gli ultimi dieci anni a ricorrerci.” Scosse la testa per correggersi “O meglio… io la rincorrevo.”
E’ una cosa che mi sono sempre chiesto,Jeremy. Perché la rincorrevi?
“Una… domanda di riserva?”
“Perché lui prima mi odiava.”
Preso alla sprovvista, Jeremy non riuscì a soffocare quello che sembrava un urlo. Emi era entrata alla chetichella senza che lui e lo stesso Dottore non si accorgessero di lei.
“Mentre ora no.”
Indossava un paio di jeans neri semplici, una maglietta bianca con lo scudo di Captain America , una camicia a quadri rosa e grigi e delle All Stars bordeaux.
“Belle… scarpe” disse il Dottore ripresosi dalla sorpresa.
“Grazie” replicò la ragazza quasi sottoforma di domanda.
“Ma tu… come hai fatto a metterci così poco per cambiarti?!”
“Perché dovrei metterci di più?”
“Solitamente le ragazze sono lente.”
“Oh, io non credo proprio.”
“Su, forza giovanotto. Vai a cambiarti anche tu.”
“Di cosa avete parlato, voi due?” chiese Emi con lo sguardo sul soffitto.
“Oh, non preoccuparti. Non sparlavamo di te.”
“Ah no?”
“Parlavamo di te, ma non sparlavamo di te. Più precisamente.
Pur essendo diffidente, Emi annuì rilassando le spalle “Ok, va bene. Ve la do buona. Per adesso.”
“Posso… congedarmi?” chiese Jeremy ridendo.
Emi ricambiò a sua volta “Permesso accordato.”
 
“Benissimo! Pancakes mangiati, succo di arancia bevuto e bisogni fatti! Siamo pronti per ripartire!” il Dottore strofinò le mani soddisfatto, eccitato di intraprendere un nuovo viaggio con i suoi nuovi due amici.
Non lo credeva possibile. Il giorno in cui perse Amy e Rory, i suoi due migliori amici, anzi, la sua famiglia.
Mai avrebbe pensato di poter ricominciare a viaggiare con persone al di fuori di loro: la ragazza e il ragazzo che avevano aspettato.
Se mi state vedendo da lassù, pensò lui, non sono da solo. Non più.
“Qual è la destinazione, allora?” lo riportò con lo sguardo sulla consolle Emi.
“Oh! Beh! Non sta a me scegliere questa volta! Tocca a voi!”
“Hm… vediamo…”
“Sbrigati a scegliere, Emi!” si affrettò a dire Jeremy.
“Eh? E perché?”
“Perché è ansioso di viaggiare come me! È ovvio!”
“No. E’ colpa della tua ansia che alla fine Emi non riesce a scegliere e alla fine scegli tu.” Lo ammonì.
Innocente, il Dottore alzò le braccia “Non vedo dove stia il problema, giovane Jeremy.”
“Ti sei dimenticato che la settimana scorsa ho rischiato di venir soffocato da delle amazzoni?!”
Il gallifreyano e Emi non riuscirono a trattenersi e scoppiarono a ridere, lasciando il povero Jeremy testa-a-caschetto a insultare senza essere sentito.
“Sai, in realtà mi sembrava che ti piacesse come ti trattavano!” disse Emi tra un risata e l’altra.
“Oh, ma certo! Venir sottomesso con una presa di wrestling è stato davvero molto piacevole!”
“Visto? Lo dici anche tu!”
“Dottore!”
“Ok ok, calmati!” si asciugò una lacrima con la manica della giacca “Va bene, prometto che questa volta non andremo in nessun posto peric-Ah!”
Pericoloso. Tempismo perfetto, pensarono all’unisono i due umani, quando un forte scossone li buttò tutti contro il corrimano.
Nel TARDIS rimbombarono dei pesanti rintocchi di un orologio accompagnati da quelli che sembravano sirene di un’autopompa: segni per niente positivi.
“D-Dottore!! Che cosa sta succedendo?!”
“Cos’é questo fracasso?!”
L’alieno cercò più volte di rialzarsi per raggiunger la consolle. Ad ogni tentativo, barcollava per poi cadere ulteriormente “Io… io non lo so! Ah!”
“Che…. Cosa facciamo!”
“Tranquilla, ho tutto sotto controllo!”
“Non è il momento di mentire! Mentone idiota!” ringhiò Jeremy.
“Oi! E’ solo leggermente sproporzionato! Ouch!”
Più il tempo passava, più gli sconquassi aumentavano, e con loro si aggiunsero un nuovo assortimento di rumori metallici frastornanti.
“Dottore! Fa qualcosa!!!”
“Ok ok!! Ora provo a… a… interfaccia vocale!! Ho bisogno di un’interfaccia vocale!”
Per poco Emi e Jeremy non si staccarono dal corrimano, dopo ciò, o meglio chi, si materializzò davanti a loro. Non potevano crederci.
Un lungo vestito a sirena nera vestiva una donna formosa, ma proporzionata, un sorriso smagliante colorato di rosso sul volto , due occhi vispi e verdi incontaminati dall’età e una folta chioma riccia e bionda. Era lei, l’avevano riconosciuta entrambi: era la misteriosa donna-detective.
Interfaccia vocale attivata.”

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Capitolo 34
*** L'imprevisto ***


“Mamma, ma è vero che tu eri un soldato?”
“Sì, tesoro. Lo ero molto tempo fa.”
“Perché ora non lo sei più?”
“Ho fatto molti errori nella mia vita, preso molti decisioni sbagliate di cui ancora mi pento. Bada bene, figlio mio. Non seguire il mio esempio.”

“Che cos’è quella chiave?”
“Ricordi la stanza che ti ho sempre proibito di avvicinarti?”
“Sì.”
“D’ora in poi, custodirai la chiave che la apre fino a quando non sarà necessario farlo.
Solo quando sarà necessario.”
 
E’ molto importante, Jeremy
 
“Jere-… Jerem-… Jeremy… Jeremy! Ti prego svegliati! Jeremy!” percosso più volte l’amico, Emi sorrise appena lui riaprì lentamente gli occhi disorientato.
Riacquistata lucidità, Jeremy cercò di rialzarsi con l’aiuto del corrimano e la forza che gli restava. “Che cosa… è successo?”
“Ci siamo fermati, finalmente” lo aiutò Emi prendendolo per un braccio “anche il fracasso.”
“Non era fracasso,”, urlò il Dottore da sotto la consolle, “ il TARDIS ha solo voluto avvisarci del pericolo. E del fatto che stava per morire.”
“Morire? Le macchine del Tempo non possono morire! Sono macchine!”
“Attento a quello che dici, giovanotto. I TARDIS hanno sentimenti.”
Attenzione. Atterraggio d’emergenza. Attenzione. Atterraggio d’emergenza.”
“Ok, grazie mille.” Risalito sulla consolle, al Dottore bastò abbassare una leva per far dissolvere l’ologramma della donna “Bene. È il momento di scoprire dove questo scherzetto del destino ci ha portati.”
“Aspetta un attimo!”
“Sì? Che c’è Emi?”
Emi cercò sicurezza negli occhi di Jeremy che in risposta annuì. Ciò che stava per chiedere avrebbe potuto risolvere, o almeno in parte, la questione della misteriosa donna- detective “Ecco… mi chiedevo se potevi dirci chi era quella donna.” Disse alla fine tutto ad un fiato.
“Oh, quella? Era solo un’interfaccia vocale,”, rispose l’alieno con nonchalance, “ non dovete darci molto peso.”
“Era lei.” Si intromise Jeremy quasi aggressivo “Era la donna-detective che ha parlato ad entrambi.”
Gli occhi del Dottore si persero sullo schermo senza leggere veramente i caratteri gallifreyani, cercando invano di ignorare il ragazzo.
“Dottore,”, provò a chiamarlo Emi, “Jeremy ha ragione. Era proprio lei. L’abbiamo riconos-…”
“Non è possibile” la interruppe l’alieno millenario.
“Oh, per una volta ci darai ascolto! Era lei, punto!”
“Jeremy,” lo bloccò Emi con un braccio “Datti una calmata. Dottore. Perché dici che è impossibile?”
Il Dottore si voltò verso l’umana con occhi austeri. Doveva davvero dirlo? Doveva davvero ricordarlo?  “Lei è morta. Molto tempo fa.”
Emi strinse involontariamente la mano di Jeremy, che a sua volta fece con lei.
“Io… mi dispiace, Dottore”, si scusò Jeremy sinceramente mortificato, “ sono stato un’idiota.”
“Non importa. È successo tempo fa, mi sembra di averlo detto. È ok.”
“No, non è ok.” La voce di Emi pareva tremare, intenta a fermare le lacrime in procinto di scendere. “Non è una cosa da dire alla leggera. Anche io mi sento un’idiota.”
“Oh, andiamo ragazzi! Non è successo niente, davvero. Vi sarete solo sbagliati. Questa famosa donna-detective le somiglia soltanto. E di sicuro non è sexy tanto quanto la mia River. Ma l’avete vista?”
“River?” ripeté Emi con la fronte aggrottata.
“Sì, River. River Song. Nonché la mia mogliettina. O almeno lo era. Forza! Andiamo a vedere dove siamo finiti! Questo dannato schermo non mi dà le informazioni che mi servono.”
“Ti sta bene?” tentò di nuovo la ragazza di persuaderlo “Ti sta davvero bene così?”
“Sì, Emi. E lo devo solo a te.” Le sorrise sbarazzino il vecchio alieno.
“Me?”
“Sì, te.” Le si avvicinò per abbracciarla. Quest’ultima si sentì tremendamente in imbarazzo “Mi sembra di avertelo detto, no? Senza di te a quest’ora mi sarei suicidato chissà dove. Avevo perso la voglia di andare avanti. E tu me l’hai ridata.”
Il sorriso infantile del Dottore indusse la ragazza a copiarlo, finendo anche col ridacchiare.
“Ed eccomi qui! Vivo più che mai! E a fare da guida a due splendidi, giovani e curiosissimi esseri umani! Yowzah!” dopo il suo grido di battaglia, il Signore del Tempo, sovreccitato, uscì dalla porta correndo, lasciando che una forte luce color erba invadesse l’entrata del TARDIS.
“E’ così che bisogna trattarlo?” chiese Jeremy “Come un bambino?”
“Come mi ha detto la donna con l’impermeabile: lui non è altro che un bambinone troppo cresciuto, che ha bisogno di essere seguito. Ha avuto un passato terribile, un trauma, oserei definirlo.”
“Cioè… e noi saremmo i suoi genitori?”
Emi rise con una mano davanti alla bocca “Sì, ho paura che lo siamo.”
“Alla faccia degli splendidi e giovani.”
Altra risata.
“Comunque avevo ragione, ammettilo.”
“Riguardo a cosa, testa-a-caschetto?”
“Te l’avevo detto che era sua moglie.”
“Ahah, vero.”
Ehi voi! Che fate ancora dentro? Forza! È il momento di una bella lezione di botanica!” urlava intanto il Dottore da fuori, iniziando anche a dire nomi, così potevano dedurre i due ragazzi, di piante aliene.
“Visto? Sfogarsi è l’unico modo che ha per dimenticare. Assecondarlo è la cosa giusta da fare. Andiamo?”
“Esci pure. Io devo andare a prendere una cosa in camera.”
“Ok, ma fai presto.”
“Sì.”
Salutato l’amico, Emi uscì per raggiungere il Dottore, mentre Jeremy si avventurò tra i corridoi dell’immensa macchina del Tempo, alla ricerca della sua camera da letto.
“Accidenti… qual era le porta? Dovrei dire a quell’idiota di un alieno di non mettere le porte tutte ugu-... Uoh!”
Colto di sorpresa, Jeremy salto all’indietro rischiando anche di cadere, quando si ritrovò davanti all’improvviso River Song, che questa volta indossava un vestito verde tendente al grigio, con una fascia attorno alla vita dello stesso colore,  un lungo cardigan color panna e un paio di sandali ai piedi. L’espressione era sempre tremendamente seria.
“Oh, l’interfaccia di prima… c-ciao.”
Nessuna risposta.
“Ma cosa mi aspettavo… è un’ologramma. Senti… non sai… mica dov’è la mia stanza?”
Proteggila.
Jeremy si avvicinò alla donna stando ad una distanza di sicurezza “Come,scusa?”
Proteggila” disse per l’ultima volta. Come era arrivata, svanì in una pioggia di pixel, lasciando Jeremy confuso, finché non capì “Non c’è bisogno di ricordarmelo”, sorrise, “so bene cosa devo fare.”
 
Ciao papà! Come va lì a Roma? Mi manchi tanto, sai? Qui a Londra la scuola è davvero fantastica! Non vado pazza per l’uniforme, ma non mi lamento più di tanto! Vorrei tanto che tu fossi qui. Spero di sentirti presto!
Ciao!
Emi
 
Richard sorrise dolcemente a quel messaggio tanto atteso dalla figlia. Era da quando era partito per Roma, ovvero un mese, che non sentiva la sua Emily,  e quelle poche parole a caratteri cubitali lo aiutarono a sopportare altre dieci ore di duro lavoro in ufficio. Una scoperta a dir poco sconvolgente quella del ritrovamento di ossa proprio nel bel mezzo di un parco pubblico romano. Un vero colpo di fortuna.
Due colpi sulla porta riportarono lo sguardo dell’americano sul portatile “Avanti.”
“Signor Creek?” era Miranda, la segretaria temporanea per quel periodo di tempo in cui sarebbe rimasto a Roma “Posso disturbarla per un attimo?”
Of course, dimmi pure.”
La donna si tirò su gli occhiali con un indice. Era piuttosto nervosa e sconvolta “Ecco… c’è una ragazzina giapponese e il suo maggiordomo. Chiedono di lei, signore.”
Richard spalancò gli occhi sorpreso “A… japanese girl?”
“Esatto.”
“Beh… possono approfittarne ora che non ho nulla da fare. Falli pure entrare.”
“Come vuole lei.” Fatto un profondo inchino, la donna uscì dall’ufficio a piccoli passi.
Due minuti dopo, la misteriosa ragazza giapponese e il suo maggiordomo entrarono, accompagnati dal fastidioso scricchiolio della sedia a rotelle.
Richard si alzò in piedi in segno di rispetto “Oh, mi spiace. Io non avevo idea. Se lo avessi saputo sarei venuto io da lei, miss.”
Oh, non si preoccupi, signor Creek.” Lo tranquillizzò lei con un fluente inglese e un sorriso sbarazzino.
Richard era rimasto alquanto allibito alla vista di quella bambina così sofisticata in uno studio moderno come il suo. Per un attimo, con quei vestiti gotici con tanto di merletti rosa, i lineamenti morbidi del viso e gli occhi lucidi, pareva una preziosa bambola di porcellana.
Mi dispiace disturbarla, ma avevo bisogno di parlargli.” Continuò lei in inglese.
Dimmi pure.
Ho saputo tempo fa che lei è il padre di Emily Creek, dico bene?”
Sì, è esatto. Conosce per caso mia figlia?”
Non esattamente, è per questo che mi trovo qui, ma sono venuta soprattutto per avvertirla, signore.
Richard aggrottò la fronte preoccupato “Scusa, è… successo qualcosa a mia figlia?”
Non ancora.
Deglutì “Spiegati meglio, per favore.
Signor Richard Creek, so cosa le è successo circa quattro anni fa a sua moglie, e accetti le mie condoglianze.
Ti… ringrazio.
Non è per allarmarla, mi creda. Il mio è solo un avvertimento. Deve assolutamente tenere d’occhio sua figlia. E…
Mia figlia in questo momento è il Inghilterra,” la interrupe bruscamente l’americano “ed è insieme ad un professore di fisica per uno stage.
Era proprio quello che temevo.
Che vuoi dire?”
E’ davvero sicuro che lei non vede sua figlia solo da un mese?”
Gli undici rintocchi del preziosissimo pendolo dell’ufficio, lasciarono che Richard pensò a come reagire a quell’assurda domanda.
Certo che è da un mese che lei è in Inghilterra. Per quanto tempo dovrebbe essere lì?”
E se le dicessi che sua figlia è in Inghilterra da più di cinque mesi?”
E’ impossibile! Stai mentendo!
I viaggi nel tempo sono imprevedibili, signor Creek. E’ normale che lei non percepisca il vortice del tempo come il qui presente Christopher” indicò con lo sguardo l’impassibile maggiordomo vestito di nero.
Viaggi nel tempo? Ma tu chi sei?
Se mi dà il tempo necessario, posso spiegare. Tutto quanto.”
 
Finito di inviare il messaggio, Emi rimise il cellulare nella giacca della felpa e si godette il meraviglioso panorama che le si presentava davanti.
In vita sua aveva visto moltissimi tipi di foreste, le mancava la foresta amazzonica, ma era quasi certa che quella in cui si trovava, batteva ogni foresta esistente sulla Terra.
Quelli che vedeva non erano semplici alberi alti un centinaio e passa di metri,  immobili e saldamente attaccati al terreno, ma erano alberi che si muovevano, che camminavano. Le innumerevoli forme delle piante e i colori vivaci che partivano dal verde fino al giallo, dall’arancione al rosa, erano uno spettacolo per gli occhi.
“E’ bellissimo, Dottore” disse eccitata l’umana persa in quell’immensità “ è davvero bellissimo.”
“Che dire. Non mi aspettavo che il TARDIS ci avrebbe portato proprio su Teràbithia.”
Emi si voltò di scatto verso l’alieno incredula “Che cosa? Questa è Terabìthia?!”
Il Dottore scosse la testa ridendo “No no! E’ Teràbithia. Con l’accento sulla prima a.
“Ah, ok,” si rilassò la ragazza. Come poteva pensare per un solo momento che quel mondo potesse esistere davvero? “Mi sembrava strano.”
“Già. Anche perché Terabìthia è completamente diversa.”
Ad Emi le caddero le braccia.
“Uo, ma dove siamo finiti? Su Pandora? Troveremo qualche Na’vi in giro?” commentò Jeremy uscito finalmente dal TARDIS.
“Siamo si Teràbithia.”
Jeremy era pronto ad aprire bocca quando…
“Accento sulla prima a.
La richiuse subito.
“Allora Dottore. Che cosa facciamo qui?”
“E’ un’ottima domanda, Emi” tirò fuori il suo cacciavite sonico “perché il TARDIS è proprio atterrato su Teràbithia?”
“Quanto siamo lontani anni luce?”
“Almeno… un cento o due cento. Faccio sempre confusione.”
“Dottore,” , urlò Jeremy, “c’è qualcuno che si avvicina da questa parte.”
L’alieno strabuzzò gli occhi per scrutare l’orizzonte indicatogli dall’umano. A ovest, in direzione dei tre soli minori, il Dottore riuscì ad intravedere un gruppo di giovani Batheri, con la loro consueta carnagione scura coperta dai vestiti tradizionali del pianeta dai colori sgargianti, che stavano correndo proprio verso di loro.
“Oh, ma guardate un po’! Dei giovani Batheri! Sono venuti ad accoglierci.”
“Accoglierci? Sapevano del nostro arrivo?” chiese Emi.
“No, ma non appena vedono qualcuno di nuovo sono molto cortesi. Ehilà! Ciao!” il Dottore iniziò a sventolare il braccio per attirare l’attenzione dei Batheri, che però non risposero come sperava il gallifreyano “Buffo. Ormai sono praticamente a quattrocento metri di distanza da noi. Di solito salutano.”
“Forse è una mia impressione,” , intervenne Jeremy, “ma mi pare che siano… spaventanti.”
Emi si mise vicino all’amico. Aveva ragione: nonostante fossero lontani si potevano distinguere i loro volti contorti dalla paura. “Jeremy ha ragione. Stanno anche dicendo qualcosa.”
“Eh? Davvero?”
Scappate…” a cento metri di distanza le voci erano ben distinguibili a tutti e tre.
La neve nera” urlò una voce squillante e femminile.
Scappate! C’è la neve nera!” urlarono di nuovo insieme.
“Ma neve nera?” ripeté confuso il biondo “Che cos’è la neve nera?”
“No… non è possibile..”
Accortasi della paura nella voce dell’alieno, Emi gli si avvicinò.
I suoi occhi erano così spalancati e la sua espressione così atterrita, che la ragazza non poté fare a meno di copiarlo, appena vide quella valanga grigia tendete al nero dietro al gruppo di alieni.
“Oddio! E’ una vera valanga!”
“Emi, apri la porta! Presto!”
“S-sì!”
“Jeremy, subito dentro!”
“Ok!”
Con le mani che le tremavano, Emi fallì due volte nell’inserire la chiave. Alla terza girò più velocemente possibile e spalancò le porte.
Venite da questa parte! “ urlò il Dottore “ Presto!
Ma… è una…
Lo so cos’è! Fidatevi di me!”
Ormai consapevoli che non avrebbero mai raggiunto in tempo il loro villaggio, i più grandi del gruppo annuirono e ubbidirono allo straniero in tweed e farfallino e fiondarono nella piccola cabina blu, esattamente dieci secondi prima  che la valanga colpisse violentemente la macchina del Tempo.

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Capitolo 35
*** L'arrivo della Neve Nera ***


Una valanga. Il solo pensiero che una tonnellata di neve nera, ma soprattutto aliena, potesse ribaltare il TARDIS, indusse Emi e Jeremy ad aggrapparsi per l’ennesima volta al corrimano vicino alla consolle, aspettandosi un enorme scossone. Cosa che non successe.
“Siamo… già morti?” sbottò Jeremy con la voce strozzata.
“Non lo so…” gli rispose a tono Emi.
“Ma che domande… certo che non siete morti.”
La voce tranquilla – anche fin troppo- del Dottore indicò ai due umani il via libera e riaprirono gli occhi: il gallifreyano e i sei batheri erano davanti a loro intenti a non ridere, per la loro posizione fetale.
In imbarazzo, il primo a staccarsi dal corrimano fu il biondo “I-io… sono un po’ confuso…”
“Questo lo avevo notato” ridacchiò il Signore del Tempo “sembravate un paio di bertucce.”
“Dottore… ma quella valanga… si stava avvicinando al TARDIS! Avrebbe dovuto sommergerci.”
“Emi, solo perché si chiama Neve Nera, non vuol dire che sia davvero neve.”
“Neve, Dottore!” agitò le braccia Jeremy “ Se si chiama neve è neve.”
“E io ti dico di no. Quello era aerogel.”
A-aereogel?”
“Aerogel,” corresse l’amico Emi “è una miscela particolare di solido e gas, usato come isolante termico o acustico.”
Il Dottore schioccò le dita in approvazione “Esatto.”
“Ma quello non è fatto di silicio o altro, vero?” ,aggiunse la mora, “ Il colore comune dell’aerogel non è il nero, ma l’azzurro.”
“Difatti quello era un gas completamente diverso dal silicio, o dal cromo e quant’altro. E’ un gas che viene prodotto da una parte particolare di questo pianeta: il batheranios.”
“E’ un gas molto tossico” si intromise Mar, il bathero più grande di tutti “ appare sì pesante all’esterno, ma in realtà è molto leggero.”
“Di nuovo esatto. Una sola inalazione, e sei spacciato. Non esiste alcuna cura, persino a Nuova Nuova New York. Nemmeno una. Ora, la mia domanda è… perché oggi?”
“In che senso, Dottore?”
Qualcosa dietro ad Emi, tirò con una certa delicatezza la sua camicia per attirare la sua attenzione. Una piccola bathera con delle treccine lunghe fino alle spalle, si nascondeva dietro a Mar, incantata dai quadretti sull’indumento ai suoi occhi estranei.
“Oggi… non è il giorno della Neve Nera” disse con un filo di voce “ doveva succedere domani.”
“Caspita, dovrei chiamare questo giorno il giorno degli esatti, stiamo dando tutti delle ottime risposte. La Neve Nera è un fenomeno che su questo pianeta dovrebbe avvenire una volta ogni trentacinque anni precisi alle… dodici e trentacinque, ma invece del, per noi, 25 aprile del 3027 il fenomeno è avvenuto un giorno prima. Perché?”
“Questo dovremmo saperlo?” disse scorbutico Jeremy.
“Assolutamente no, ma prima dobbiamo avvisare l’intero villaggio dell’accaduto. Loro lo sanno, tu, coi capelli rasati a zig zag?”
“Sono Mar, comunque non lo sa nessuno! Ogni mattina andiamo verso la foresta per esercitarci con le arti delle erbe e ci siamo accorti della neve nera.”
“Perfetto. Allora possiamo tornare giusto una mezz’ora prima del nostro incontr-… Ah!!”
I due umani erano alquanto sollevati che questa volta non si erano sognati lo scossone e l’ennesimo rimbombo dei rintocchi nella sala.
“C-che cosa sono questi rumori?” disse terrorizzato Warat, il più piccolo del gruppo.
“Dottore, ora che cosa sta succedendo?” chiese Emi.
“Non è possibile…” la ignorò l’alieno “ Non riusciamo ad entrare nel vortice del Tempo! È come se… fosse bloccato.”
“Come sarebbe a dire bloccato?” protestò il biondo.
“Il TARDIS non riesce a crearsi un varco come suo solito.”
“E come faremo ad avvisare il villaggio di questi ragazzi?”
Il Dottore controllò il suo orologio da polso d’oro. Valeva la pena di tentare, pensò. Ce l’avrebbero fatta“Non possiamo viaggiare nel tempo, ma possiamo almeno spostarci da qui al villaggio. Dovremmo farcela.” Con una certa decisione, il gallifreyano abbassò la leva più grossa della consolle e il suono dei freni abbassati coprirono i pesanti rintocchi dell’orologio. Due minuti sarebbero bastati per arrivare.
 
“Ecco qua il rapporto.” Shila appoggiò soddisfatta sulla postazione di Jay la cartella con tutte le splendide imprese di Randy nel 2014.
Il cacciatore le sfogliò velocemente senza soffermarsi alle didascalie o ai grossi timbri rossi su ogni singolo foglio. Sapeva già cosa c’era scritto. “Bene. Allora è stato degradato.”
“Peggio, mio caro Jay,” ridacchiò lei “è stato buttato fuori dalla Loto. Per sempre.”
Jay spalancò gli occhi incredulo sull’ultimo foglio, dove un Randy reduce da una tortura completamente gonfio e pieno di lividi lo fissava con occhi carichi di odio. Sembravano fissare lui stesso e urlare traditore.
“Oh, andiamo Jay. Non è stata colpa tua”, gli lesse nella mente Shila, “era la cosa giusta da fare.”
“No,” chiuse violentemente la cartella “ciò è successo per un mio capriccio.”
“Jay, Randy ha volontariamente rubato una serie di androidi cacciatori per una missione già archiviata. È contro le regole della Loto. Tu non c’entri proprio nulla.”
Il conforto delle parole di un suo superiore, di un’amica, non bastavano a tranquillizzarlo.
“Jay…” cercò di farlo ragionare per l’ultima volta.
“Sì, va bene” rispose schietto lui “non ci penso più. Promesso.”
Shila sorrise istintivamente. Spostato di lato un ciuffo biondo scuro dalla sua fronte, la cacciatrice gli stampò un lungo bacio sopra. “Sappi, Jay, che io per te ci sono. Sempre.”
 
Gli ultimi ad uscire dal TARDIS furono Emi e Jeremy, che rimasero incantati davanti a quegli edifici futuristici dai colori caldi e dalle forme che variavano dall’ovale alla sferica, in un paesaggio naturale e incontaminato, il tutto racchiuso in una cupola di arbusti e foglie che coloravano l’intero villaggio di diverse tonalità di verde.
“E questo sarebbe un villaggio?” si lamentò Jeremy col naso all’insù.
“C’è una bella differenza fra il 2014 e il 3027, giovane Jeremy”disse il Dottore senza guardarlo.
“Mar?”
Riconosciuta la voce, il giovane bathero si voltò alle sue spalle. Era Gemo, suo padre, nonché capo villaggio, che corse verso di lui assieme a sua moglie, rimasta incantata dalla misteriosa cabina blu apparsa all’improvviso.
“Labic!” che significava padre nella lingua batheriana.
“Mar! Figlio mio, cosa ci fai qui? Non ti stavi esercitando? Chi sono loro?” indicò prima i due umani e poi il gallifreyano. “Che cosa è successo?”
“Mi dispiace terribilmente interrompervi”, si intromise il Dottore, “Non ho voglia di utilizzare la carta psichica, perché non abbiamo tempo.”
“Tempo per cosa?” chiese tranquillamente il bathero, concentrato sul buffo farfallino bordeaux. Non ne aveva mai visto uno prima di allora.
“Io sono il Dottore. Ultimo Signore del Tempo. Ho più di mille anni – o almeno credo – , viaggio assieme ai miei due amici Emi e Jeremy: Emi la mora, Jeremy il caschetto, e ho salvato suo figlio e i suoi amici dalla Neve Nera.”
Gemo cercò invano di stare dietro al gallifreyano per quanto parlava veloce. Mi prende in giro, diceva il suo sguardo rivolto prima a Mar e poi a sua moglie, altrettanto sorpresa.
“Ma di cosa sta parlando? La Neve Nera travolgerà il pianeta domani e non oggi.”
“E’ la verità!” intervenne Mar. Le sue iridi erano diventate completamente bianche, le pupille dilatate: paura. Era evidente che non stava mentendo.
“Allora… la Neve Nera sta veramente iniziando a propagarsi? Con un giorno d’anticipo?”
“Purtroppo è così.”Continuò il Dottore “Dovete evacuare il villaggio e andare nella città sotterranea. Subito!”
“S-sì!”
In qualità di capo villaggio, era lo stesso Gemo che doveva dare l’allarme per l’arrivo della valanga nera. Come gli aveva insegnato suo padre fin da quando era solo un bambino, doveva praticare il canto e il ballo tradizionale del pianeta, che per farli doveva raggiungere in fretta il gazebo di quarto rosa nella piazza centrale.
“Dottore, un momento! La Neve Nera colpisce l’intero pianeta? Sul serio?!”si allarmò Emi.
“Esattamente. L’aerogel ricopre tutta Teràbithia in meno di venti minuti, e rimane sulla superficie per circa due giorni. Vedi il gazebo su cui ora Gemo sta salendo?”
“Sì.”
“Non è un semplice gazebo rosa cresciuto naturalmente, ma è anche una potente trasmittente collegata a tutte le altre degli altri villaggi.” Controllò di volata il suo orologio “ Si deve sbrigare a iniziare. Mancano solo quindici minuti. Intanto noi dobbiamo chiamare tutti i batheri, muoviamoci!”
In posizione al centro del gazebo, Gemo iniziò a cantare nell’antica lingua bathera, che  il TARDIS riusciva a tradurre solo a pezzi.
 
L’oscurità incombe sulla nostra foresta arcadica.
Il suo respiro che uccide per due cicli solari è impaziente di prendere le nostre vite.
Combattere è lecito, ma sono i nostri figli la luce del nostro futuro!
 
Il canto raggiunse ogni singolo edificio, dove ogni bathero  prendeva in braccio i suoi figli , i suoi averi più cari, e corsero confusi in massa verso il pannello gravitazionale che li avrebbe portati nella città sotterranea d’emergenza.
“Forza. Dobbiamo andare con loro!” Mar prese per mano Emi, i piccoli Jeremy e Grema, la madre di Mar, il Dottore.
“Aspettate! Non possiamo lasciarlo lì!” protestò l’umana.
“Lac melit”, non preoccuparti,  la tranquillizzò Grema con un sorriso forzato, “ Lui ci raggiungerà. Farà in tempo.”
Proprio come aveva detto il Dottore, il canto di Gemo aveva raggiunto gli altri villaggi che cantavano in coro assieme a lui. Prima dieci, poi cento fino ad arrivare a un milione e passa di voci che riecheggiavano nell’intero pianeta come in un immenso teatro.
Emi ne era rimasta affascinata, dimenticandosi per un attimo di star correndo per sopravvivere.
“Abbiamo ancora sette minuti” la riportò alla realtà Mar “Ecco, siamo alla piattaforma.”
“Ma  Gemo…” riprovò l’umana.
“Il gazebo è anch’esso una piattaforma che scende nella città. Non preoccuparti.”
Saliti con un salto sulla placca di ferro circolare, all’arrivo di Jeremy e gli altri, sotto di loro si aprì una voragine e iniziarono a scendere. Tutti rabbrividirono, non appena scorsero la neve nera davanti alla cupola di arbustri.
“Kaja! Bartha!” disperata e tra le lacrime, una bathera spingeva tra i suoi coetanei urlando. Le iridi colorate di viola, erano segno di preoccupazione “Figli miei! Dove siete!”
Dabic!Dabic!” due voci flebili in pianto, urlavano e chiamavano a perdifiato la loro mamma.
Col terrore negli occhi, la donna alzò lentamente la testa davanti a sé. Da viola, le sue iridi sbiancarono in un battito di ciglia “KAJA!BARTHA!” Intenta a correre verso di loro, due batheri la trattennero a malincuore. Gli occhi arancioni dalla vergogna e dal dispiacere.
“Lasciatemi!! Lasciatemi andare! I miei figli! Salvate i miei figli!”
Emi, che era ancora aggrappata alla mano di Mar, gliela strinse, onde evitare che corresse al posto della donna. Nonostante la tentazione fosse forte.
Ci sarebbe riuscita, pensò al volo lei, erano bambini piccoli sui cinque massimo sei anni, li avrebbe sollevati e sarebbe ritornata indietro con loro sani e salvi, ma doveva pensarci in fretta. La placca stava arrivando all’altezza del petto, dopodiché non sarebbe più riuscita a saltare.
Devo provarci. Si abbassò per prendere bene lo slancio. Devo provarci!
“Grema, dammi le due maschere.”
Preceduta di un secondo, il Dottore, con un salto quasi felino, ritornò sulla superficie con in mano quelle che agli occhi di Emi sembravano maschere antigas all’avanguardia, e corse verso i due bambini più veloce di quanto la ragazza avesse visto.
“Dottore!”
Il Signore del Tempo perse un paio di battiti, appena vide che la massa informe del pericolosissimo aerogel nero, aveva ormai raggiunto i due piccoli batheri.
“No no no! Forza!” con un ultimo sforzo, il Dottore ignorò i terribili crampi ai polpacci e si lanciò sui due bambini. Letteralmente.
“NO! DOTTORE!”
Gallifreyano e batheri, vennero inghiottiti dall’apparente neve,  mentre la giovane madre esalò il suo ultimo grido prima di svenire del tutto.

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Capitolo 36
*** Salvati dall' arresto momentum ***


Dio solo sapeva quanto Emi fosse preoccupata per il Dottore. Prima ancora che i suoi occhi raggiungessero l'altezza della terra, vide il suo amico alieno buttarsi letteralmente sui piccoli batheri e, di conseguenza, nella temibile e mortale Neve Nera.
Una sola inalazione, e sei spacciato. Una definizione semplice e chiara, che ripetuta nella sua testa atterriva notevolmente l'umana.
Nel tempo trascorso con il Signore del Tempo, Emi aveva avuto l'occasione di leggere alcuni testi riguardanti il suo popolo, che sottolineavano la loro straordinaria capacità di espellere veleni e quant'altro, persino le radiazioni. A rigor di logica, pensò lei, il Dottore dovrebbe dunque riuscire a sopravvivere anche al gas solido tanto letale su Teràbithia.
Intanto la giovane madre, con gli occhi ormai colorati di un grigio spento, si lasciò cadere sulle braccia dei suoi coetanei amareggiati quanto lei per la perdita, incapace di esprimere la sua disperazione se non con lo sguardo perso nel vuoto.
Emi scuoteva più volte la testa, la mano stretta a quella di Mar e gli occhi umidi, ma ancora colmi di speranza. Non poteva crederci. Lui non poteva morire in quel modo, e soprattutto…  non lì.
“Emi” la chiamò più volte l’amico sconvolto “Emi… è morto?”
“No,” rispose lei schietta senza guardarlo“non è morto.”
“Ma la Neve Nera li ha inghiottiti. Lui… noi… non torneremo mai più indietro…”
“Lui arriverà!” gli ringhiò la mora a denti stretti e con gli occhi che imploravano pietà. Jeremy non era l’unico ad essere spaventato all’idea di restare intrappolati su un pianeta distante anni luce, ma soprattutto lontano dai propri amici, dalla propria famiglia, anche Emi era preoccupata per Cristian, Mrs. Alba, Anna e suo padre.
Arrivati a venti metri di profondità, Emi alzò la testa sul cielo ormai prossimo al nero. La cupola ramificata e verdeggiante stava per essere ricoperta del tutto dall'aerogel, e una spessa lastra di resina batheriana era pronta a coprire la voragine sul terreno.
Venticinque metri.
Emi era sul punto di arrendersi all'evidenza, ma come abbassò lo sguardo, subito lo rialzò avendo sentito una voce a lei familiare. Fu consolante il fatto che non era l'unica ad averla sentita, sicché lo stesso Jeremy e l'intero villaggio bathero sollevarono la testa.
"FATE LARGO, GENTE!" urlò il gallifreyano, prima di saltare in tempo per la definitiva chiusura della lastra protettiva.
Gli occhi di Emi si illuminarono, vedendo il Dottore arrivare in picchiata con i piccoli batheri attaccati alle sue gambe. Era vivo!
“Dottore!” lo chiamò Emi più felice che mai. “Sei vivo!”
“NON MI PARE UN BUON MOMENTO, EMI! SPOSTATEVI!”
“Indietro! Tutti indietro!” ordinò la ragazza allargando le braccia.
“Ma si schianteranno!” l’ammonì Jeremy con le mani fra i capelli.
A dieci metri di distanza, il Dottore sventolò più che poteva una mano verso Emi, lottando con il vento “EMI! QUANDO VUOI!”
La ragazza annuì e si affrettò a tirare fuori dalla tasca dei pantaloni un piccolo cubo nero grande quanto una gomma da cancellare “Questa è un’altra lezione per te, Jeremy,” lo pose velocemente sulla piastra, “ che col Dottore devi essere sempre pronto ad ogni evenienza.”
Cinque. Quattro. Tre. Due. All’ultimo metro, il piccolo oggetto avvertì la presenza dei tre alieni illuminandosi di azzurro e come in un arresto momentum, i tre alieni di fermarono a mezz’aria, tra una folla ammutolita e stupita.
Ripreso a respirare, il Dottore cercò di rialzarsi in piedi nonostante la forza di gravità gli impedisse di fare qualsiasi movimento, peggio di una balena spiaggiata “Ehm… Emi. Potresti tirarmi su da dietro?”
“S-sì, certo.” Ritornata alla realtà, Emi girò intorno al campo gravitazionale e tirò di peso dal colletto l’amico senza alcuna difficoltà. Subito dopo il piccolo cubo disattivò il campo al loro allontanamento.
“Sapevo che non saresti morto” gli sorrise l’umana “Lo sapevo.”
“Oh, andiamo Emi! Chiunque avrebbe pensato che sarei morto. Persino testa-di-cocco.”
“Testa-di-… ehi!” gli urlò da dietro il biondo “E la testa-a-caschetto dov’è finita?!”
“Vedi che ti piace di più, eh? Avevo ragione! Mi devi dieci euro, Emi.”
“Erano cinque.”
“Fa lo stesso.”
“Voi… voi due mi farete uscire pazzo! Siete impossibili!”
“Kaja! Bartha!”
Mentre gli stranieri venuti dal cielo ridevano fra loro, Mika, la giovane madre disperata, si fece largo tra i suoi coetanei per arrivare al centro della piattaforma. I suoi occhi pulsavano di un rosa acceso, segno della speranza.
Al suono della sua voce, i piccoli batheri si liberarono dalle pesanti maschere antigas e si lanciarono su di lei, urlando in coro “Dabic!”
Lacrime e risate, un vero e proprio cocktail di emozioni, che emozionano sempre il Dottore non appena aveva l’occasione di assistere ad immagini così splendide.
Cofay! Grazie! Grazie tante!” diceva l’aliena senza riuscire a smettere di ridere e piangere.
Non è nulla” rispose il Dottore con l’incomprensibile dialetto antico batheriano. Perché il TARDIS non riusciva a tradurlo? “ chiunque l’avrebbe fatto” accarezzò le morbide treccine dei bambini da lui salvati.
“Sei stato davvero molto coraggioso, straniero” si complimentò con il Signore del Tempo un bathero vicino a lui.
“Oh… grazie”
“Davvero bravo!” commentò un bambino.
“Troppo gentile.”
Un leggero boato sotto i piedi, indicò il loro arrivo alla città sotterranea di emergenza. Emi alzò per l’ultima volta la testa verso la copertura in resina, o almeno così voleva. Se non fosse stato per le luci laterali della galleria, non sarebbe riuscita a riconoscere la fessura da cui erano partiti, che a quell’altezza il suo diametro pareva largo tanto quanto una falange. Erano scesi davvero molto in basso.
“Bene, tutto è andato come previsto”  la voce di Gemo attirò l’attenzione di tutti. Grema gli si avvicinò stampandogli un bacio veloce sulle labbra “Come prestabilito, ogni famiglia andrà alla capanna assegnatogli giorni fa, le provviste sono già presenti in ognuna. È stata una giornata molto dura, ma ce l’abbiamo fatto” il capo villaggio si rivolse al Dottore con una mano tesa. Quest’ultimo si indicò e camminò goffamente verso di lui “e tutto questo, lo dobbiamo a lui! Il Dottore! Cofay!”
Cofay!” urló e applaudì l’intero villaggio bathero.
“Oh, ma io… non ho fatto niente.”
“Sei modesto, amico mio! Non solo hai salvato mio figlio da morte certa, ma anche l’intero villaggio! Sei un eroe! Un eroe!”
Pian piano il Dottore fece sciogliere quel sorriso che era riuscito a mantenere per tutto quel tempo. Gli zigomi si abbassarono, e lati dalla bocca si appiattirono “No” disse semplicemente abbassando lo sguardo “io non sono un eroe.”
“Sarai stanco, Dottore. Oggi sarai ospite assieme ai tuoi amici nella mia capanna! C’è posto a sufficienza!”
“Fammi indovinare,” rifletté Jeremy con Emi “ Se villaggio è uguale a grande metropoli… Scommetto che per capanna lui intende…”
“Sì” lo assecondò Emi annuendo “Direi proprio di sì.”
 
In mezzo a tutto quel blu, azzurro, poster, agli occhi di Hana, di insulsi esseri in costume da bagno e libri antiquati, la ragazzina non riusciva a comprendere lo stile di vita della suddetta Emily Creek.
Da quello che riuscì a farsi dire dal padre, lei se la immaginò una ragazza tutta pepe, alle prese con svariate amicizie, ma aveva giudicato troppo presto.
“E’ incredibile, non trovi Christopher? Questa ragazza non ha minimamente una vita sociale” si avvicinò alle medaglie nascoste sulla scrivania, tutte d’oro da primo posto nelle staffette, velocità e mezzofondo.
Hana allargò un sorriso nostalgico, mentre con un indice accarezzava il rilievo delle gambe dell’atleta inciso su una delle medaglie. “Quasi mi ricorda me. Prima che perdessi l’uso delle gambe, ovvio.”
“Signorina.”
“Dimmi, caro Chris.”
“Non rilevo nulla di anomalo in questa stanza.”
“Nulla nulla?” disse con un tono infantile.
“Affermativo.”
“E ALLORA COSA CI FACCIAMO ANCORA QUI!”
Un attacco d’ ira improvviso. Succedeva spesso, era un problema che si portava da molto. Da quando era nata. Solitamente Hana scaricava la sua rabbia sui suoi androidi, prima di Christopher ne aveva distrutti a migliaia, ma questa volta si limitò a stringere con forza la medaglia che aveva in mano fino a che quest’ultima non diventò rossa “Oh accidenti” la lasciò cadere a terra.
“Qualcosa non va, signorina?” chiese nella sua impassibilità l’androide.
Hana si limitò a fissare il pezzo di ferro color oro caduto sul morbido tappeto shaggy blu. Blu. Era un colore che le ricordava vagamente qualcosa che in quel momento non riusciva a ricordare “Sì, Chris” rispose alla fine “C’è qualcosa che non va.”
“E sarebbe?”
La ragazzina si girò verso il suo maggiordomo di latta “Non ti ho ancora ucciso. Strano, eh?” ridacchiò.
“Io lo chiamerei un miglioramento, signorina.”
“Oh, hai ragione! Che sciocchina che sono! Deve essere così! Tutto questo blu mi rilassa! Credo che si il mio colore!” alzate le braccia, Hana iniziò a ridere come non aveva mai fatto prima “Chris! Ricordami di far cambiare la carta da parati della mia stanza! Voglio questo stesso colore!”
Christopher fece un profondo inchino “Come vuole lei, signorina.”
“Ah, è un'altra cosa.”
“Mi dica pure.”
“Ricordami anche di… far uccidere l’idiota che ha messo la mia vecchia carta da parati.
 
Come per le abitazioni in superficie, le capanne costruite per l’arrivo trentacinquennale  della Neve Nera erano strutture ovali alte la metà, racchiuse non più in una cupola di arbusti, ma di solidi rami fatti di quarzo rosa alti una decina di metri , che aiutarono i batheri a dimenticare l’accaduto, rilassandosi anche sul morbido muschio bathero. Gli stessi Emi e Jeremy rimasero esterrefatti da quella meraviglia, come se all’improvviso si trovassero in un ambiente fiabesco.
Ogni bathero raggiungeva la propria capanna con le iridi completamente dorati, felici più che mai di essere riusciti a sopravvivere.
“Caspita” iniziò a commentare Jeremy “Questo pianeta mi stupisce sempre di più. Come diamine hanno fatto a costruire un’intera città?”
“E’ stato il dio Teràbithia” gli rispose girandosi Gemo.
“Il… pianeta?”
“E’ stato lui stesso a creare questa immensa cupola. Così come anche le cupole della superficie.”
“Ma perché ogni trentacinque anni avviene questo fenomeno?” chiese Emi con lo sguardo ancora perso nel quarzo.
“Madre Natura non sempre è contenta. Fortunatamente non lo è una volta all’anno.”
“Ma è mai successo che accadesse un giorno prima?”
Il bathero scosse la testa alquanto deluso “per parecchie generazioni non è mai successo.”
“Dottore tu cosa ne pensi?”
In attesa di una risposta, la ragazza si aggrappò al braccio del Signore del Tempo. Quest’ultimo sembrò non averla sentita, quasi ignorata, poiché i suoi occhi erano impegnati a guardare il muschio viola sotto i suoi piedi. Era evidente ad Emi che c’era qualcosa che lo disturbava parecchio, lo poteva dedurre dalla fronte aggrottata, dalle nude sopracciglia contorte e dal suo sfregarsi nervosamente il mento più volte.
“Dottore?”
Al richiamo l’alieno andò sull’attenti, farfugliando tra sé a sé parole incomprensibili.
“Va tutto bene, Dottore?”
“Cosa? Eh? Dici a me? Sì, sì! Tutto bene! Sto bene.”
“Sarà il caso di fare un controllo generale, Dottore” gli consigliò Grema con un sorriso e gli occhi color verde-acqua: pura sincerità “dopotutto è stato esposto al gas. Non era coperto come i bambini. Non che non mi fidi delle sue parole, ma…”
“Oh, certo! Nessun problema. Sono disposto a fare ogni tipo controllo” acconsentì il gallifreyano.
I due alieni presero un’altra strada verso l’unico edificio dalla forma rettangolare, ma con gli spigoli smussati.
Jeremy, che era rimasto dietro ad Emi e al Dottore, notò subito la preoccupazione dell’amica per l’alieno. D’impulso strinse con forza i pugni.
“Non devi preoccuparti” Mar gli mise amichevolmente una mano sulla spalla “Non devi essere geloso di lui.”
Il ragazzo aprì la bocca, ma senza riuscire a dire nulla. Cercò attraverso i gesti di fargli capire che si sbagliava, ma era palese e troppo trasparente.
“Come… come hai fatto? Leggi nel pensiero?” cercò di giustificarsi il biondo.
“Qualcosa del genere, sì. Ogni bathero ha una qualche capacità particolare, la mia leggere la mente attraverso l’espressione.”
Incredibile, pensò l'umano, mi sono salvato. “Lo vedo. Cambiate colore a seconda delle vostre emozioni.”
“E’ il prezzo da pagare per queste stesse capacità. Le nostre emozioni sono nude agli occhi degli altri, ma in compenso non siamo in grado di fare altre cose senza che quegli altri possano vedere.”
“Quindi…. Tu capisci i sentimenti delle persone. Tuo padre?”
“Ha un innato senso dell’orientamento. Gli basta fare una volta il percorso, anche quello di un labirinto, per poi  ripercorrerlo anche a distanza di anni.”
“Oh, caspita! Ma è fantastico.”
“Mia madre invece è una veggente.”
“Sul serio?”
“Sì. Tornando al discorso di prima. Lei è molto importante per te, vero?”
Jeremy si portò una mano alla nuca imbarazzato, cercando invano di non fissare Emi “Beh… ecco io…”
“Non c’è bisogno di vergognarsi, sai? L’amore è una cosa normalissima, no?”
“A-amore? O-ora… non esageriamo però!”
“Caro amico umano, capisco cosa ti affligge. E’ il passato che ti tormenta, ho forse ragione?”
Titubante annuì.
“Ci avrei giurato.”
Non solo il passato lo tormentava, ma anche le sue innumerevoli domande, le stesse che aveva formulato assieme ad Anna prima che decidesse di partire assieme al Dottore e ad Emi. I due avevano cercato ogni giorno ogni possibile spiegazione. Avevano girato per Milano tra i luoghi da lei frequentati, senza però trovare una risposta che li soddisfaceste. Sulla lista si aggiunse anche una domanda insolita, se non anche inquietante: chi è veramente?
“Avevo sempre pensato che fosse diversa. Se ne stava per conto suo, lontano da tutti. La prima volta, alle elementari, non ci facevo molto caso, ma un giorno mi guardò negli occhi e…”
“… hai iniziato a rincorrerla.”
Per un attimo Jeremy ebbe i brividi per lo strabiliante tempismo di Mar “Esatto…”
“Ci sono ancora dubbi che non ti sono chiari, ma sono certo che arriverà il momento in cui tutte le domande avranno una risposta.”
“Lo spero” ridacchiò nervoso l’umano.
“Guarda. Siamo arrivati alla capanna.”
 
 
ANGOLO DELL’AUTRICE:
Help…  I need help… la scuola mi sta letteralmente succhiando l’anima… o magari… non ce l’ho già più… sono in straritardo… per quale assurdo motivo mi è venuto in mente di mandare avanti tre storie diverse? Help… ma… the show must go on, giusto?
Ce la farò!! Spero…
 
Cassandra

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Capitolo 37
*** La pazzia del Signore del Tempo ***


Emi si lasciò cadere sul letto incredibilmente morbido. Rilassò ogni singolo muscolo rischiando anche qualche piccolo crampo e iniziò a respirare a pieni polmoni il buon profumo dei fiori di un albero vicino alla sua finestra. Era un profumo indescrivibile, ma estremamente dolce e delicato, proprio come un buon fiore alieno doveva essere per il suo naso umano.
Finalmente si poté concedere un momento di pace: avevano di certo rischiato per l’ennesima volta di morire, ma era finito tutto bene. Dopo tanto tempo la ragazza poté anche rivivere lo splendido momento del pranzo in famiglia, cosa che non faceva da quando sua madre morì.
Grema aveva cucinato tutti i piatti tipici di Terábithia, compresi i piatti del guerriero per Gemo e il Dottore in onore delle loro azioni. Era tutto incredibilmente buono, che Emi e Jeremy non si sognarono minimamente di chiedere cosa fossero.
Tra risate e le pessime freddure del Dottore, Emi pensò alle cene speciali che ogni sabato sera sua madre preparava per lei e suo padre. Padre...
“Oddio papà!” Emi era stata così presa dalla Neve Nera, che quasi si stava dimenticando del messaggio inviatogli al padre. Preso di volata il cellulare notò con sorpresa l’assenza di una notifica vicino all’icona dei messaggi e si rilassò  “Oh, che strano. Ero convinta che avrebbe risposto…”
“Sarà occupato” avvolto in un accappatoio, Jeremy entrò nella stanza senza bussare e si sedette vicino ad Emi. Dopo pranzo aveva approfittato delle terme artificiali all’ultimo piano con Mar e suo padre“ dopotutto hanno ritrovato delle ossa, no?”
“Tu non hai il minimo senso del pudore, vero?”
“Ho un accappatoio, no? Non sono mica nudo” rispose lui onestamente.
Non era quello che intendevo, pensò la ragazza pregando che non si vedesse quanto fosse imbarazzata.
“Quindi… dovremmo restare qui sotto per un paio di giorni?”
“Così pare.”
“Bene. Sono contento, ma soprattutto sollevato.”
“A chi lo dici. Anche il Dottore è andato alle terme?”
“No, lui ha preferito restare in camera subito dopo mangiato.”
“Lo credo bene. Questa volta ha davvero rischiato grosso.”
“Già.”
Emi cercava disperatamente di non fissare Jeremy. Sentiva le guance in fiamme “Allora…” cercò in fretta un qualsiasi argomento per rompere il silenzio, ma venne preceduta dal diretto interessato.
“Sai, mentre ero alle terme mi sono ricordata di una cosa.”
“Una… cosa?”
“L’anno scorso era un anno come tutti gli altri: io che rincorrevo te.”
“Sì, io c’ero.” ridacchiò lei.
“Ti prego, è una cosa un po’ seria. Questa volta.”
Emi fu costretta a girarsi verso l’amico dimenticandosi per un attimo che era vestito solo con un accappatoio “Mi devo… preoccupare?”
“Ti aspettavo all’angolo come ogni mattina” la ignorò lui “e come ogni mattina mi aspettavo che arrivassi alle sette e quarantacinque, quando invece arrivasti alle sette e mezza.”
“E… quindi?”
“Evidentemente non te lo ricordi, ma io sì.”
“Va bene, d’accordo. Continua.”
Jeremy focalizzò al meglio quel particolare momento, quel giorno in cui qualcosa cambiò in quella assurda routine quotidiana “Tu non avevi intenzione di correre via. Appena mi vidi rimasi immobile, con un’espressione mortificata dipinta sul volto e mi dissi: ciao, Jeremy.”
“Scusa se ti interrompo, ma sei sicuro che sia successo l’anno scorso?”
Annuì “Rimasi quasi incantato. Non sapevo cosa dire, lasciai che tu ti avvicinassi a me e…”
“E? Ho… fatto qualcosa?”
Jeremy cercò di nascondere il suo improvviso rossore fingendo di fare aria con il bavero dell’accappatoio  “Mi… hai abbracciato.”
“Co-come? Dici sul serio?”
“Beh… sì.”
“Ah beh. Non mi stupisce il fatto che l’abbia dimenticato” credendolo opportuno, Emily sbottò una risata, ma smise subito non avendo ricevuto una risposta.
“E non è tutto. Piangesti. Avevi degli occhi completamente diversi, e non lo dico solo perché stavi piangendo, ma avevano proprio una luce diversa del solito. Non so se mi spiego e hanno in qualche modo… aperto i miei.”
Emi ascoltò molto attentamente, cercando in tutti modi di compensare la confessione del ragazzo, ma non riusciva proprio a ricordare un fatto così tanto singolare.
“Mi dispiace, Jeremy… non me lo ricordo davvero. Scusami.”
“Lo credo bene. Dopo sei scappata in fretta chiedendomi più volte scusa, ritornando poi alle quarantacinque.”
“Un po’… insolito.”
“Insolito tanto quanto noi in un villaggio sotterraneo su un pianeta invaso da gas alieno.”
“Ottimo riassunto.”
“Vero. Comunque… Da quel giorno cominciai a guardati in modo diverso. Continuavo a fare ciò che facevamo sempre, ma diciamo… con parsimonia.”
“In effetti avevo notato dei cambiamenti. Ad un certo punto avevi smesso i tuoi scherzi idioti.”
“Ecco.”
“E inoltre… alla stazione Centrale...”
“Altro esempio.”
“Wo, questo spiega molte cose.”
“E invece io temo di no.”
Tra uno sbadiglio e l’altro, si intromise nella conversazione anche il Dottore accompagnato da Grema. Aveva i capelli completamente spettinati e il farfallino storto.
“Oddio Dottore! Sei  un vero disastro!”
Il Signore del Tempo accolse un po’ assonnato la risata di Emi rispondendo a tono e si sistemò il farfallino “Beh, non ho mai dormito così bene. Ammesso che io lo abbia mai fatto. Non me lo ricordo.”
"Che volevi dire con questo?" riportò in primo piano il discorso Jeremy.
"Che ancora dobbiamo capire chi era la donna con l’impermeabile e perché sa tanto Mrs. Alba su di me.”
“Aspetta, cosa c’entra Mrs. Alba?” chiese Emi confusa.
“Oh, perdonami! Non dovevo dirlo. Spolier.”
“Spoiler?”
“Avanti Jeremy, pensa! Sotto quel caschetto avrai un cervello, no?” il Dottore sembrava, per certi versi più… scorbutico del solito e questo lo avevano capito sia i ragazzi che Grema, che lo aveva già notato appena lo aveva svegliato.
“Ma parlando di altro, sono già passati due giorni, no?”
“Dottore siamo qui sotto da neanche un giorno. Sicuro di stare bene?”
“Oh davvero? Nemmeno un giorno? Quando si dorme si perde la cognizione del tempo!”
"Credo che... tu abbia bisogno di dormire pazzoide di un alieno" cercò di alleggerire l'atmosfera il ragazzo. "forza, ti accompagno in camera. Tanto ora mi devo cambiare."
Il Dottore fece una specie di saluto militare sorridendo "ok, capo!"
Jeremy salutò con un cenno del capo Emi, che rispose con un sorriso. 'Ci penso io' mimò lui, 'grazie' fu la risposta di lei.
L'umano spinse scherzosamente l'alieno verso la porta.
"Hai davvero degli amici simpatici" disse Grema seguendoli con lo sguardo.
"Giá. Sono... speciali."
"Mai speciali come te. Emily Creek."
Emi incrociò lo sguardo della batheriana, dove occhi color del cielo riflettevano nei suoi color nocciola. Avevano un non so che di mistico ed erano piacevoli da guardare.
"Poteri da batheriani, dico bene?"
"Te ne ha parlato mio figlio?"
"Sì, mentre pranzavamo."
La donna allargò un bel sorriso e si sedette vicino a lei per tenerle la mano. Pian piano gli zigomi si abbassarono per formare un'espressione sconsolata e mortificata "Oh Emi. Ti attende un arduo destino" scosse la testa "e credimi... mi dispiace tanto."
La ragazza ritrasse istintivamente la mano "Scusa, non ti capisco... che cosa vuoi dire?"
Grema cercò prima le parole giuste aprendo di tanto in tanto la bocca" Vedi... io sono in grado di vedere il futuro, ma questo mio potere mi impedisce di riferirlo. Io sapevo del vostro arrivo."
"Perché non puoi dire ciò che vedi?"
"É la legge di chi ha questo potere. Mi é solo concesso rivelarti queste parole, Emily Creek, solo queste e il resto dovrai aspettare che accada."
Emi deglutì più volte per poi annuire.
"Devi fare attenzione ai fiori, Emily."
"I... fiori?"
Annuì "I fiori determineranno il tuo destino, devi stare alla larga da loro."
 
"Dottore io mi sono cambiato. Datti una bella sistemata anche tu."
"...ri."
"Hm? Hai detto qualcosa?"
"Fiori..." mormorò il gallifreyano.
Jeremy non sapeva ben dire se fosse normale, ma notò con sorpresa che l'amico millenario era sul letto con le ginocchia al petto.  Magari i Signori del Tempo riflettono così, pensò Jeremy ignorandolo anche mentre dondolava.
"Fiori? Dottore, credo sia meglio che tu vada a farti guardare di nuovo. Deliri un po' più del solito."
"Io sono un pazzo con una cabina... Io sono un pazzo con una cabina... Io sono... "
"Dottore? Va tutto be-..."
Neanche il tempo di appoggiare una mano sulla spalla, che Jeremy venne lanciato verso la porta con un solo spintone. Da dove era uscita tutta quella forza?
"I FIORI JEREMY!! PENSACI!!" urlò aggressivo l’alieno.
Il ragazzo si rialzò a fatica. Sperò di non essersi spezzato la schiena o di avere una commozione celebrale, mentre il Dottore si avvicinava a lui. Paura. Era tutto quel che provava il povero Jeremy nei confronti di quello che credeva essere un eccentrico alieno sempre sorridente.
“Do... ttore…”
Al gallifreyano bastò una sola mano per tirare Jeremy su di peso, una mano che rischiava di soffocarlo da un momento all’altro “I fiori… I fiori sono ovunque, caro il mio soldatino di ghiaccio. OVUNQUE! Non li vedi?!”
“Io non… Io non capisco…”mormorò l’umano boccheggiando.
“Tu? Tu non capisci?! In mille anni non ho mai capito voi patetici esseri umani! IO! Che ho mille anni!”
La semplice paura si stava lentamente tramutando in puro terrore. Gli occhi policromi del Dottore si erano come trasformati in quelli di un rettile pronto ad uccidere la sua preda.
“Dottore… non… non respiro…” implorò disperatamente il ragazzo “Ti prego… lasciami…”
“Io sono stanco, lo sai Jeremy? Sono molto, molto stanco… SONO STANCO!!”
“Dottore! Dottore perché urli? Cosa succede?!”
“E… Emi… EMI!! AIUTO!” riuscì ad urlare Jeremy con uno sforzo innato. Era arrivato al limite.
“Jeremy, che succede? Oddio!” Riuscita ad aprire di poco la porta, Emi si allarmò vedendo Jeremy sul punto di perdere i sensi “Dottore! Fermati!”
“Gemo!”
“Lo so, tesoro. Spostati Emi!”
Jeremy dovette sopportare l’ennesimo giramento di testa, ma poté finalmente respirare grazie al calcio del bathero alla porta.
Emi si gettò su Jeremy per assicurarsi che stesse bene, mentre ad un comando del capo villaggio due suoi coetanei entrarono per afferrare il Signore del Tempo  per le braccia. Quest’ultimo iniziò ad agitarsi e ad urlare.
“Lasciatemi! LASCIATEMI ANDARE! VOI NON SAPETE CHI SONO IO!”
“E invece lo sappiamo, amico mio” gli disse Gemo con estrema calma “Tu sei il Dottore, ma sei anche un bravo bugiardo.”
“Che cosa intendi, Gemo? Che cosa è successo al Dottore?” chiese spaventata Emi. Quegli occhi… non erano i suoi. Dov’erano finiti quei grandi occhi che l’affascinarono fino a quel momento? Che cosa era accaduto al suo amico alieno? Emi si strinse vicino a Jeremy con le mani che le tremavano e gli occhi umidi. Non lo riconosceva più.
“Dottore… Dottore.. DOTTORE!! IO SONO IL DOTTORE, RICORDATEVELO!”
“Quello che vedi, giovane Emi, è una delle conseguenze dovuta ad una prolungata esposizione alla Neve Nera: ovvero un’eccessiva attività celebrale. In questo momento i suoi neuroni stanno elaborando informazioni più del necessario.”
“Avete mai pensato al mostro di Loch Ness? No? Siete così sicuri che non esista?! MA SIETE COSI’ OTTUSI? Pensate che il pi greco sia un semplice numero trascendete? BAZZECOLE!”
“Era già pazzo di suo…. Cof… ora lo è ancora di più.”
“Jeremy, non sforzarti. Tutto bene?”
Il ragazzo abbassò il colletto della camicia. Sul collo era ben evidente un livido provocato dalla presa del Signore del Tempo.
“Oh santo cielo…”
“Ancora qualche secondo e sarei morto.”
“Morto? MORTO?! Oh mio caro Jeremy…  tu… non saresti morto qui, sai? No… Assolutamente no!”
“Taci maledetto pazzoide!”
“Jeremy calmati!”
“Oh, tranquilla… tranquilla Emily Creek. Se è questo il tuo vero nome. Che mi dici, EH?!”
Senza girarsi verso il Dottore, Emi rabbrividì alla risata del lontano amico. Non è in sé, continuava a ripetersi, non è in sé.
“Oh? Ho detto qualcosa che non va? Povera… povera la piccola yapsichekiana!”
Attorno ad Emi tutto si colorò di nero. C’erano solo lei e il Dottore e quella parola: yapsichekiana.
Così lontana e al tempo stesso così… vicina. Più la ripeteva nella sua testa, più la paura l’assaliva. Che cosa significava? Perché?
“Non possiamo indugiare un altro minuto di più. Dobbiamo portare il Dottore alla sala di esportazione. Andate!”
Dopo un grido di risposta, il Dottore venne portato fuori a forza di strattoni in un bagno di sudore e con gli occhi ancora accecati da una furia disumana. Nel vano tentativo di liberarsi, uno dei due batheri afferrò il farfallino bordeaux del gallifreyano strappandoglielo del tutto dal colletto e cadendo proprio ai piedi di Emi.
Le sue urla strazianti attirarono l’attenzioni degli altri batheri che avendo capito quel che stava succedendo, rientrarono velocemente in casa.
“Prima la Neve Nera… E adesso questo… ahia, ora pulsa” si lamentò Jeremy massaggiandosi il collo.
“Dobbiamo medicarlo subito” l’unica ad essere rimasta coi due ragazzi fu Grema.
“Lo sapevi” disse fredda Emi raccogliendo il farfallino.
“Emi io… mi dispiace… speravo che tu non lo vedessi, e invece…” cercò di giustificarsi l’aliena.
“Speravi che parlandomi non l’avrei visto pur sapendo che sarebbe accaduto?”
“Io…”
“Che senso avrebbe avuto?!” tristezza. Frustrazione. Rabbia. Paura. Un insieme di emozioni cominciarono pian piano a riempire la mente stanca e confusa di Emi “Dimmi perché… perché?!”
Tra le sue mani tremanti, l’allegra forma del farfallino era diventata quella di un semplice pezzo di stoffa strappato e bagnato di lacrime.

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Capitolo 38
*** Rivelazioni ***


L’unguento speciale di erbe preparato a mano da Grema fece incredibilmente effetto. Bastarono due sole passate e il livido sul collo di Jeremy si schiarì come niente, provocandogli giusto un leggero formicolio per pochi secondi.
“Questo unguento agisce sulla pelle molto rapidamente” disse l’aliena sistemando per bene il barattolo in quarzo rosa del medicinale “ giusto trenta secondi.  E’ lo stesso lasso di tempo con cui la Neve Nera agisce su un essere vivente.”
“Dove vuoi arrivare?” chiese Emi fredda e distaccata, cercando di tenere impegnati gli occhi fuori dalla finestra. Giovani batheri desiderosi di giocare fuori fissarono il giardino amareggiati, ma comunque impauriti per via dell’allarme lanciato da Gemo riguardo ad un’infezione dovuta alla Neve Nera.
“Sto solo… cercando di spiegarti, Emi.”
“Che cosa mi devi spiegare? Che il Dottore è speciale perché è durato per più di trenta secondi? Grazie, ma lo so già che è speciale.”
“Ehi, Emi. Calmati, ok? Io non ho alcun diritto di fare la voce della ragione, ma…”
“Allora stai zitto, Jeremy.”
“E invece mi ascolti, Creek!” alzarsi ed urlare fu uno sforzo inutile per Jeremy, poiché gli costò una fitta di dolore proprio al collo. Le erbe stavano ancora agendo sul livido.
“Faresti meglio a startene buono, Calvatori” disse Emi cercando di mascherare la sua preoccupazione per l’amico.
“Sei davvero testarda quando vuoi! Non pensi che la colpa in realtà sia anche, anzi, specialmente del Dottore? Lui stesso ci aveva detto che la Neve Nera è pericolosa a prescindere, ma lui si è buttato a capofitto per salvare i bambini. E’ stato un eroe, questo non lo nego, sta di fatto però che ha agito senza pensare” l’ennesimo formicolio costrinse il biondo a fermarsi per schiarirsi la voce “ e inoltre se non ricordo male la prima regola del Dottore è il Dottore mente sempre, ed è proprio quello che ci ha fatto arrivare qui!”
Emi riprese a guardare fuori dalla finestra senza rispondere, non perché non fosse d’accordo con l’amico, ma proprio perché sapeva che era la verità.
Ferita e tradita: era tutto quello a cui riusciva a pensare. Mesi fa, quando Emi aveva accettato di viaggiare con il Dottore, la prima cosa che fece era fidarsi completamente di lui, di attenersi sì alle sue condizioni, ma soprattutto porre la sua completa fiducia verso una persona che aveva reputato sua amica.
“Senti… Ormai il danno è fatto, ha inalato quel gas, ma sono sicuro che Gemo risolverà tutto, vero?”
Anche se erano tra i batheri da solo un giorno, sia Jeremy che Emi aveva imparato come riconoscere alcune emozioni di essi attraverso il colore delle loro iridi. Gli occhi di Grema erano diventati di colpo arancioni, segno che fosse mortificata.
“No… non mi dire che…” sbottò Jeremy incredulo.
Emi lasciò scivolare dalle mani il farfallino ormai ridotto ad un pezzo di stoffa e si alzò “Grema, spiegati. Ora sono pronta ad ascoltarti.”
La bathera annuì e iniziò a parlare il più delicato possibile, così da non allarmare ulteriormente i due ragazzi “Come ho detto il gas se inalato ci mette circa trenta secondi ad invadere l’intero organismo e come disse mio marito, ciò che successe poco era una delle conseguenze. Non nego il fatto che il Dottore sia speciale, probabilmente perché il suo corpo di Signore del Tempo è stato in grado di controllare il gas per un po’.”
“eccessiva attività celebrale” disse Emi con la voce che le tremava.
“Esatto. Come ben sapete la Neve Nera è un aerogel tossico, ma all’interno della vittima diventa solido e cresce, distruggendo tessuti, ossa e organi vitali.”
“Oddio… “ Emi si portò entrambe le mani alla bocca. Le lacrime erano pronte a scendere “il Dottore… il Dottore allora morirà?!”
Grema si alzò dal letto per prendere le mani della ragazza. Quest’ultima avvertì uno strano calore provenire dalle mani dell’aliena, che inaspettatamente sembrò tranquillizzarla “Emi, credimi. Lui starà bene.”
Emi spalancò gli occhi allargando un sorriso di speranza.
“Io l’ho visto, Emi. L’ho visto.”
 
Nell’intero reparto d’armi riecheggiavano diversi brusii, voci di corridoio arrivati sia tra i cacciatori di bassa categoria, i grigi, che quelli di rango superiore, neri e bianchi. All’apertura delle porte, sguardi fugaci si posarono su Jay appena entrò e tutti cessarono di parlare.
Il cacciatore cercò di ignorare i membri del Consiglio Loto in fondo alla stanza, che gli lanciarono, rispetto agli altri, uno sguardo di sfida. Che cosa aveva fatto per meritarsi una simile accoglienza, si chiese lui.
Jay sapeva già di non essere simpatico a nessuno del Consiglio a parte Shila, specialmente a Marshall, il più giovane cacciatore che diventò membro del Consiglio all’età di sedici anni, quindi il più anziano. Il cacciatore reputava Jay un rivale in tutti i sensi, persino in amore,poiché da sempre innamorato di Shila.
Il fastidioso cigolio delle scarpe di gomma riempì il silenzio del reparto. Chiunque si trovasse davanti a Jay si spostò di lato per farlo passare, chi per rispetto e chi per paura.
“Ok. La cosa sta diventando ridicola. Io devo ritirare due fucili narcotizzanti” Jay tirò fuori la ricevuta “qualcuno potrebbe darmele, per favore?”
“Hai una bella faccia tosta a parlare in quel modo” Marshall si fece largo tra la folla sfoggiando la sua lucente divisa bianca completamente immacolata. Jay si era sempre chiesto se lui e Randy fossero fratelli, dal momento che la loro somiglianza era davvero incredibile, a parte per i capelli ingellati e tirati all’indietro del primo. Le sopracciglia aggrottate circondavano i suoi occhi azzurri riducendoli a due piccole biglie di vetro, che avrebbero dovuto incutere terrore al giovane cacciatore, cosa che non accadde.
Jay lo imitò incrociando le braccia al petto e allungando il collo verso di lui. Lo ammetteva, gli piaceva prenderlo in giro.
“Oh, vedo che lo stai facendo ancora” disse Marshall a denti stretti.
“Sì, lo sto facendo. E mi diverto davvero tanto” rispose tranquillamente lui. Forse anche troppo.
“Sta’ attento, Jay. Se non fosse per lei io non me ne starei così calmo.”
“Sei sicuro di non essere un lontano parente di Randy? Sei tale e quale a lui anche da come ti comporti.”
Dare del tu ad un proprio superiore era severamente proibito tra i cacciatori e poiché Jay era un cacciatore nero le conseguenze gli sarebbero state fatali, ma non quel giorno, non quel determinato momento, e tutti nel reparto lo sapevano. Tutti tranne lui.
“Jay della gilda Loto 2” continuò Marshall ignorandolo “ti volevo dire personalmente che… Hana Hasu ti vuole parlare.”
Jay lasciò trafelare la sua inquietudine con il semplice spalancare degli occhi, concedendo a Marshall un solo secondo di soddisfazione. Anche se lo odiava, lui sapeva bene che una convocazione di Hana non era mai un buon segno.
“il compito dei fucili lascialo pure a qualcun altro. Verrai teletrasportato immediatamente nella sua stanza.”
“N-nella sua stanza?” si allarmò Jay.
“Cerca di essere composto come sempre e vedrai che andrà bene. Tu sei un ottimo cacciatore perciò spero vivamente che non si trattino di cattive notizie” l’inaspettato incoraggiamento di Marshall sembrò farlo sentire meglio “ok?”
“Ok” rispose respirando profondamente.
“Teletrasporto attivato. Stanza Hana Hasu.” Non appena una colonna di luce avvolse Jay, quest’ultimo chiuse gli occhi fino a quando non scomparve in una pioggia di pixel.
Così come era partito col teletrasporto dal reparto, così si ritrovò in una stanza completamente diversa e a lui estranea. Aperti gli occhi Jay si perse in tutto quel blu attorno a lui: le pareti dell’immensa stanza, i mobili e le tende erano tinte di diverse tonalità di blu, compreso gli innumerevoli specchi.
“Adoro il blu.”
Jay non poté fare a meno di alzare la guardia. Accortosi di aver alzato i pugni contro Hana Hasu, li abbassò subito, e con loro anche lo sguardo.
“S-signorina Hana. Io… mi scusi. Non l’avevo sentita arrivare.”
“Oh, ti prego Jay! Non ti devi scusare. Avrei dovuto chiamarti per nome. Perdonami.”
“Ehm.. no. Non si deve scusare.”
“Caro Jay, alza il tuo sguardo e dimmi: cosa ne pensi del mio vestito?”
Lentamente il biondo alzò gli occhi cercando di evitare il suo sorriso enigmatico e si concentrò sui merletti e i nastri azzurri, blu e bianchi su un vestito completamente in stile gotico.
“Allora? Che ne pensi?” ripeté la bambina innocentemente.
“Le sta benissimo” le rispose lui sorridendo.
“Oh, ne sono felice! Ormai è diventata una mia ossessione personale! Il blu mi fa sentire bene! Mi da il buon umore! A te piace il blu?”
“E’… un bel colore.”
“Sì! Lo penso anche io!”
“Mi dispiace interromperla” sii forte, continuò a ripetersi, vai al sodo “ma mi stavo chiedendo il motivo della mia convocazione.”
Hana avvicinò la mano destra alla bocca assumendo un’espressione mortificata “Oh, certo, sì! Perdonami! Caro il mio Christopher,procedi.”
“Sì, signorina.” L’androide maggiordomo si allontanò dalla sedia a rotelle per porgere a Jay una cartella di pelle blu notte. Jay subito lesse l’incisione in oro: REIETTO 3185511. Seguì il consiglio di Marshall e cercò di mantenere un atteggiamento composto, quasi inespressivo, affinché non potesse notare la sua paura.
“Ma… ma questo è…”
“Ebbene sì. È la cartella con tutte le informazione del tanto ricercato reietto 3185511.”
“Non capisco, signorina Hana. Io… io cosa dovrei farci?”
“Ho avuto modo di ficcare il naso nelle tue cartelle, e sono rimasta alquanto colpita dalle tue capacità.”
“La ringrazio…”
“Non mi devi ringraziare, Jay della gilda Loto 2. Sarò io a ringraziarti, appena mi avrai catturato il reietto 3185511.”
 
Emi rabbrividì ad ogni singolo urlo del Dottore, pur essendo dietro ad un vetro spesso svariati centimetri.
Il povero gallifreyano era legato sia ai polsi che alle caviglie da delle cinghie attaccate ad un lettino d’ospedale di metallo, un telo copriva il suo corpo nudo dalla vita in giù.
Quattro batheri, tra cui Gemo, erano equipaggiati da una tuta nera e una pratica maschera antigas: tre si preoccupavano di controllare che il Dottore non si agitasse troppo, mentre Gemo prese ad armeggiare con i tubi che avrebbe poi infilzato in diverse zone del corpo e l’ennesima bombola di contenimento dell’areogel. Emi e Jeremy non poterono notare tre enormi bombole all’angolo della sala operatoria.
“Grema… dimmi…  dimmi che tutto quello non è…” chiese preoccupata la ragazza.
“Purtroppo sì, Emi. Ed è davvero una gran quantità di aerogel” rispose a malincuore la bathera.
Jeremy non poté fare a meno di avvicinarsi ad Emi per stringerle la mano. Quest’ultima rispose abbracciandolo “Starà davvero bene come hai detto tu? Insomma… lui vivrà?”
“Io posso dirvi solo questo. Lui vivrà, ma dobbiamo essere pazienti.”
L’ennesimo urlo di dolore costrinse Emi a stringere ancora di più, mentre Jeremy assistette all’aspirazione dell’aerogel dal corpo. Prima uno, poi due e infine tutti i tubi si riempirono di una sostanza viscosa e nera, tubi che poi convergono in un unico tubo fino alla bombola. Il corpo dell’alieno era visibilmente pallido e debole, sempre contratto dal dolore.
“Porca miseria… forza Dottore. Puoi farcela” pregò Jeremy a bassa voce “nel frattempo, cosa facciamo?”
“Se volete possiamo tornare a casa. Come ho detto, l’unica cosa che possiamo fare è aspettare.”
“No” staccatasi da Jeremy, Emi sembrò aver riacquistato un po’ di coraggio e si avvicinò al vetro “Io… non lo lascerò da solo. voglio rimanere qui.”
“Se Emi rimane qui, allora rimango anche io” disse deciso il biondo.
“Comprendo che voi ci teniate al vostro amico” acconsentì Grema “ Io torno a casa per portarvi del buon tè alle erbe.”
“Grazie” dissero all’unisono entrambi i ragazzi.
L’aliena abbracciò forte a se Emi per infonderle speranza. Il dolce profumo di Grema calmò particolarmente la ragazza che rispose a tono “Darzak” che significava andrà tutto bene.
Rimasti soli, Jeremy ed Emi rimasero in piedi davanti al vetro, mentre Gemo si apprestava a cambiare tubi e bombola per la quinta volta.
“E’ sempre stato così” disse Emi per rompere il silenzio “Ha sempre voluto fare l’eroe salvando persone, popoli, persino pianeti, ma mai una volta che pensa a se stesso. Stupido Dottore…” la voce di Emi faticò ad uscire, poiché strozzata dalle lacrime soppresse invano. Era inutile arrabbiarsi con lui in quel momento così delicato, l’unica cosa in cui sperava lei era l’incolumità dell’alieno, che era costretto a sopportare per l’ennesima volta il dolore dei tubi nella sua carne.
“Non possiamo farci niente. Lui è fatto così” si limitò a dire Jeremy “come ha detto Grema, non possiamo fare altro che aspettare.” Un po’ titubante, lui circondò le spalle di Emi con le braccia e le stampò un bacio dietro la nuca “Il Dottore è duro a morire. Se la caverà.”
Emi sbottò una risata e si aggrappò ad un braccio dell’amico cogliendolo di sorpresa. Jeremy sobbalzò quando lei si appoggiò al suo avambraccio “Mi ha chiamata yapsichekiana.”
Subito Jeremy aggrottò la fronte cercando invano di ripetere quella strana parola “Come,scusa?”
“Il Dottore” puntualizzò lei “mi ha chiamata piccola yapsichekiana.”
“Ya… psiche – cosa?” ridacchiò il biondo “Non è nemmeno una parola. Sembra il nome di un…” prima ancora che Jeremy finisse di parlare, Emi si staccò da lui avanzando verso il vetro di due passi, proprio mentre Gemo stava preparando la sesta bombola: fu allora che Jeremy capì.
“Emi, non parlerai sul serio? Non era in sé, lo avrà detto perché… non so, stava pensando ad altro o…”
“Tu non capisci”, lo interruppe la mora, “ quando me l’ha detto mi sono sentita… strana. Come se conoscessi già quella parola” quella folle idea, ma plausibile, che frullava nella mente confusa di Emi, la spaventava lentamente. Poteva anche sbagliarsi. Era possibile che stesse divagando con l’immaginazione e che Jeremy avesse ragione, eppure non riusciva a non pensarci, a non preoccuparsi. Perché l’aveva chiamata in quel modo? Perché le sembrava così familiare?
“Ora piantala, ok? Tu sei tu. Ti chiami Emily Creek, hai diciotto anni, sei nata a Milano nel 1996, i tuoi genitori si chiamano Richard Creek e Vanessa Malari, in conclusione: tu sei un essere umano e non di certo una… quella roba lì!” Jeremy si sentì terribilmente stupido. Quello era sen’altro il peggior discorso che avesse fatto a qualcuno, ma sperava con tutto se stesso che sarebbe servito a far ragionare Emi. Purtroppo per lui, la risposta dell’amica lo lasciò completamente spiazzato.
“Tu sbagli, Jeremy.”
“Che cosa intendi, Emi?” provò lui a chiedere, senza nascondere la sua paura per ciò che gli avrebbe risposto.
Emi si girò verso Jeremy con le braccia incrociate e gli occhi che imploravano perdono “Jeremy, io… sono stata adottata.”

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