You will be in my heart

di 9Pepe4
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cosa ho fatto? ***
Capitolo 2: *** È colpa mia ***
Capitolo 3: *** Tornare indietro ***
Capitolo 4: *** Silenzioso ***
Capitolo 5: *** Ninnananna ***
Capitolo 6: *** Tre anni dopo - Incubo ***
Capitolo 7: *** Euforia ***
Capitolo 8: *** Aura ***
Capitolo 9: *** Troppo semplice ***
Capitolo 10: *** E la fine diventa l'inizio ***
Capitolo 11: *** Illusione ***
Capitolo 12: *** Il passato ***
Capitolo 13: *** Faccia a faccia ***
Capitolo 14: *** Oltre la ragione ***
Capitolo 15: *** Dove nessuno si fa male ***
Capitolo 16: *** Sodalizio ***
Capitolo 17: *** Chi va e chi resta ***
Capitolo 18: *** Cadere e rialzarsi ***
Capitolo 19: *** Al peggio non c’è mai fine? ***
Capitolo 20: *** Un tentativo in più ***
Capitolo 21: *** Abbracci ***
Capitolo 22: *** Ritorno al futuro ***
Capitolo 23: *** Perché? ***
Capitolo 24: *** Tu sarai nel mio cuore ***



Capitolo 1
*** Cosa ho fatto? ***


AVVERTIMENTO: L'inizio della storia è ispirato a "La solitudine dei numeri primi" di Paolo Giordano. Visto e considerato, però, che quel benedetto romanzo non l'ho mai finito, il resto della trama sarà completamente di mia invenzione.



You will be in my heart

Capitolo 1 – Cosa ho fatto?

«Trunks, io sono stufa!»
Il ragazzo sospirò esasperato.
E Trunks sono stanca e Trunks ho sete, e Trunks mi prendi quel gioco, e Trunks entriamo in pasticceria… Certo che sua sorella era davvero una lagna!
Per di più, quel giorno era stato obbligato a portarsela appresso.
E pensare che avrebbe dovuto essere una festa tra ragazzi, lui, Goten e basta!
Invece, a causa di un convegno, sua madre si era ritrovata fuori casa, e di conseguenza lui era stato obbligato a trascinarsi dietro quella mocciosa di quattro anni, che non faceva altro che piagnucolare, urlando e battendo i piedi.
Il giovane aveva provato a convincere i genitori che quella serata era davvero importante, e in fondo era più di un mese che lui e il suo migliore amico la progettavano!
Quella, poi, era la loro occasione: Chichi era riuscita a trascinare il marito in un locale di cui aveva letto ottime critiche, perciò la casa sui Paoz sarebbe stata tutta per loro due. Avrebbero potuto spassarsela in santa pace, chiacchierando e guardando qualche film. Magari avrebbero persino ritentato la tecnica della Fusione, dopo tanti anni in cui non l’avevano più sperimentata.
I suoi, però, non gli avevano dato il minimo ascolto. Anzi, persino suo padre l’aveva apostrofato seccamente, intimandogli di non fare il bambino. E pensare che mai prima di allora si era intromesso in una faccenda simile!
«Comprami un gioco, così dal tuo amico non mi annoio!» pretese in quel momento Bra, pestando i piedi e strattonando la mano del fratello.
«Io il gioco non te lo compro» ribatté Trunks, irritato da tutti quei capricci. Altro che serata tra uomini! Con la sorellina che si lagnava ininterrottamente, sarebbe stato un inferno!
La bambina, dal canto suo, non pareva per niente contenta della risposta del ragazzo. «Io voglio un gioco!» strillò, gonfiando le guance per dare maggior enfasi alla dichiarazione.
Trunks fece per replicare, esasperato, ma i suoi occhi furono distratti dall’entrata del Parco della Città dell’Ovest, che si trovava poco lontano. Era in quel parco giochi che lui e Goten avevano sempre giocato da bambini; in quel parco giochi che Bra era stata più volte accompagnata…
E, improvvisamente, un’idea balenò nella mente del giovane. «Senti, Bra» esordì lui, deviando verso l’entrata del parchetto, «vorresti stare in un luogo da principesse?»
La bambina lo guardò, e il suo visetto mostrò un’espressione compiaciuta. «Io sono una principessa» ricordò. «Ci voglio stare! Dimmi dov’è!»
Trunks la condusse vicino ad una casetta di legno, posta proprio accanto allo scivolo che un tempo era stato il suo preferito, perché più alto di tutti gli altri. «Eccola» disse alla sorellina, «questa dimora fa parte di un regno incantato… Vuoi restare qui ad aspettarmi?»
«Io sono una principessa» ribadì Bra. «Sto nel luogo delle principesse».
Ciò detto, lasciò la mano del fratello ed andò a sedersi all’interno della casetta, tenendosi ben stretta nella propria giacchetta di jeans.
«Bene» sorrise Trunks, «allora io vado». Deglutì, esitando. «Tu non muoverti, però» si affrettò a raccomandarsi. «Rimani ferma qua».
Bra alzò gli occhi azzurri, incrociando quelli dello stesso colore del fratello, ed annuì.
Allora, incerto, il ragazzo si diresse verso l’uscita del Parco. Dapprima si voltò indietro ogni due passi a cercare con gli occhi la chioma turchina della sorellina, poi, assicuratosi che Bra restava ferma nella casetta, prese a camminare con maggior velocità, e infine si alzò in volo.
L’aura di Bra non era potente, eppure baluginava nella mente del ragazzo, e per merito della natura mezza saiyan e mezza terrestre della bambina, era abbastanza particolare per non smarrirsi tra tutte le altre forze spirituali del mondo.
Infatti, nel momento in cui il ragazzo atterrò davanti a casa Son, riusciva ancora a percepire distintamente la bambina.
Goten lo accolse con entusiasmo ed impazienza. «E Bra?» domandò, perplesso, quasi si fosse ricordato di colpo del fatto che la piccola avrebbe dovuto essere presente.
«Non l’ho portata» rispose Trunks, evasivo, sentendo un’ondata di disagio.
Goten sorrise con la spontaneità che lo caratterizzava. «Visto? Sapevo che i tuoi genitori avrebbero capito!» esclamò.
“Invece no, non hanno capito” pensò Trunks, e per un momento il malessere causato dall’aver lasciato sola la sorellina fu sostituito dalla scontentezza per il fatto che tanto il padre quanto la madre avessero preso le difese di quella peste.
Seguì Goten in salotto, mentre prendevano a parlare del più e del meno.
L’amico si era organizzato in modo che ci fosse il frigorifero pieno e a loro completa disposizione. Tra un morso e l’altro, i due ebbero maniera di scherzare e concordare su quanto i loro padri premessero affinché loro si allenassero.
Goten era allegro, spensierato come quando era un bambino ma con un interesse decisamente più spiccato per le ragazze.
Trunks, però, non riusciva a sentirsi a proprio agio. Aveva la gola asciutta e, nonostante fosse sicuro di avvertire l’aura di Bra, bastò che trascorresse una manciata di minuti perché l’ansia lo invadesse.
Ad un certo punto, poi, non resse più. Si alzò di scatto dal divano e, ignorando le domande esterrefatte e gli occhi interdetti di Goten, si lanciò in volo verso il Parco.
Col cuore in gola, notò che ormai si era fatto buio. Immaginò la sorellina sola, e il senso di colpa mise gli artigli sul fondo del suo stomaco.
Vedere le luci della Città dell’Ovest non gli comunicò nessun sollievo, e quando finalmente atterrò ebbe l’impressione di essere sul punto di soffocare. Corse a perdifiato sino alla casetta, e quando sbirciò all’interno si sentì mancare.
Di Bra non era rimasta neanche l’ombra, ma solo un guantino di lana con un cagnolino ricamato sopra.
«Bra!» urlò il ragazzo, con il cuore che batteva all’impazzata. La sua voce uscì distorta e stonata. “Cosa ho fatto, cosa ho fatto?!” «Bra!»
Il silenzio che gli giunse in risposta lo fece tremare sin dentro le ossa.
«Bra!»
Si mise alla ricerca della bambina, disperato, chiamandola ad alta voce, correndo da un gioco all’altro. Il cigolio della altalene mosse dal vento sembrava aggiungere un ché di spettrale all’atmosfera cupa del Parco deserto.
«Bra!» gridò ancora, angosciato.
Nulla.
Barcollante, il ragazzo si sentì assalire da un’ondata di nausea, e per evitare di cadere dovette appoggiarsi ad un albero. La corteccia graffiò la sua pelle, ma lui non vi badò.
Ripensò agli occhioni azzurri della sorellina… Come aveva potuto essere così bastardo?
Tremante, sconvolto, si prese il volto tra le mani.
In quel momento, Goten atterrò accanto a lui. «Trunks» chiese, confuso, «che è successo?»
Il giovane, pallido in viso, fissò l’amico. «Goten» mormorò. «Che cosa ho fatto...»

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Capitolo 2
*** È colpa mia ***


Capitolo 2 – È colpa mia

«Come ho potuto, Goten?! Come ho potuto!»
Trunks sollevò gli occhi sconvolti sull’amico.
Avevano cercato tutta la notte in lungo e in largo, ma di Bra non avevano trovato nemmeno una minima traccia. Anche l’aura della bambina non si sentiva più, come uno sbuffo di profumo cancellato dal vento.
«Tu non sai cosa le ho detto… Ho detto che la lasciavo lì perché era un posto da principesse» proseguì il giovane, con voce straziata. «E lei ci credeva, Goten, mi credeva. Avrei dovuto pensarci! Avrei dovuto considerare che è solo una bambina!»
Il moro lo guardò in un silenzio allarmato. Era agitato a propria volta – tanto che il sudore iniziava ad attaccargli la maglia alla schiena –, ma guardando Trunks non poteva fare a meno di sentirsi maggiormente nervoso.
«Trunks» disse, tentando di dare alla propria voce un tono ragionevole, «non preoccuparti. Non può essere lontana. Andiamo… andiamo a casa tua, poi potremo chiamare la polizia».
Trunks si sentì, se possibile, ancor più sgomento. Dire ai propri genitori quel che era successo… Sua madre avrebbe sofferto, e tutto per colpa sua. Come aveva potuto abbandonarsi a quel gesto, cedendo all’esasperazione? Avrebbe dovuto fermarsi a ragionare, ricordare la risata di Bra e quanto la bambina sapesse essere affettuosa…
E suo padre, poi?
Al pensiero di come avrebbe potuto reagire Vegeta, si sentì rabbrividire, ma poi si dissi che, qualunque punizione il padre gli avrebbe inflitto, se la sarebbe meritata.
«Andiamo» disse, faticando a tirar fuori le parole dalla propria gola.
Camminarono: Trunks barcollava ed aveva la nausea, e si sentiva troppo stremato per volare.
Nel constatare la propria debolezza, cercò di riprendersi. “No” pensò, “non devo sembrare debole di fronte ai miei genitori. Loro devono sapermi dare tutta la colpa che ho”.
Si appoggiò a Goten.
Continuava a pensare a Bra, solo a Bra, al suo sguardo curioso quando loro madre le faceva vedere qualcosa di nuovo, alle sue manine, così impacciate ogni volta che provava a sistemarsi l’elastico per capelli, ai suoi occhi blu… Si sentiva soffocare dal peso di quel che aveva fatto, a desiderare disperatamente di poter tornare indietro e cambiare atteggiamento, e la notte era solo una cornice scura attorno all’impotenza che minacciava di fargli scoppiare il petto.
Eppure, nonostante tutto, una parte di lui, un minuscolo angolo della sua mente, continuava a sperare.
Sperava.
Sperava di arrivare a casa e trovare la sorellina, al caldo e al sicuro, con i genitori. Sperava che lei, stufa di attenderlo, fosse semplicemente tornata alla Capsule Corporation.
E lui l’avrebbe abbracciata con tutte le proprie forze, sentendo le lacrime pungergli gli occhi, e non gli sarebbe importato nemmeno dei rimproveri dei suoi genitori.
E mentre quei pensieri si agitavano nella sua mente, continuava ad incespicare dietro a Goten.
Dopo un po’, la sagoma della Capsule Corporation iniziò a profilarsi in fondo alla via. I due ragazzi procedettero lenti, quasi con cautela. I fanali delle auto li illuminavano per pochi istanti, momenti in cui sembravano spalancarsi sbalorditi, chiedendosi come mai quell’aria di tragedia.
Infine, a passi lenti e faticosi, Goten e Trunks giunsero alla porta dell’abitazione dei Briefs. Il giovane dai capelli lilla sentì lo stomaco serrarsi maggiormente, mentre la nausea e l’orrore salivano. Com’era possibile che ci fosse una tale atmosfera di pace?
Le sue dita gelate annasparono alla ricerca delle chiavi, a malapena riuscirono ad afferrarle. Le passò a Goten, poggiandosi pesantemente allo stipite, colto da un giramento di testa. Iniziò a sforzarsi di respirare piano, tentando di calmarsi almeno un po’.
Quando udì la porta girare sui cardini, si tirò in piedi, entrando con Goten.
I due giovani percorsero il corridoio nel più completo silenzio, sino a sbucare nell’atrio.
Lì, Trunks si fermò di colpo. Sia sua madre che suo padre erano davanti a lui. Bulma era evidentemente appena rincasata, mentre Vegeta sembrava aver soddisfatto da poco il proprio appetito.
Entrambi si voltarono simultaneamente verso i mezzi saiyan che avevano fatto il loro ingresso.
«Già finita la serata?» domandò Bulma con un sorriso: evidentemente non si era accorta dell’assenza di Bra.
Trunks barcollò in avanti. «Mamma» iniziò, con voce tremante, «Bra è…»
Poi, senza poterne fare a meno, nonostante ciò che si era ripromesso, vomitò sul pavimento.
Bulma, se nell’udire quanto suonava incerta la voce del primogenito si era allarmata, ora era davvero preoccupata. «Trunks, che è successo?!» esclamò, balzando verso il figlio.
Il ragazzo alzò il viso, passandosi un braccio sulla bocca. «Mamma, io… Bra… oh, mamma!» Fece una pausa. «È successa una cosa orrenda, mamma, ed è colpa mia, è tutta colpa mia».
Bulma si protese verso di lui, angustiata. «Ma che dici?»
«Io… ho lasciato Bra da sola al parco» riuscì finalmente a dire il ragazzo, sentendosi come se ogni suono emesso gli avesse trafitto la gola. «E poi, quando sono tornato…»
Non ebbe la forza di concludere, ma le sue parole non dette aleggiarono nell’aria con maggior presenza di quanto avrebbero fatto se pronunciate.
Dopodiché, Trunks si girò verso Vegeta, che aveva assistito a tutta la scena. «Forza, papà» mormorò, tentando di soffocare il dolore che gli lacerava il petto. «Puniscimi, fammi del male. Dammi quel che merito».
Il Principe dei Saiyan alzò lentamente il capo.
Prima aveva ricevuto la notizia che la sua secondogenita era scomparsa – la sua Bra, finita chissà dove – e ora suo figlio, con espressione sconvolta, lo spronava a ferirlo. Tutto ciò era troppo per riuscire a mantenere la maschera di indifferenza che lo contraddistingueva.
«Ma che vai dicendo, Trunks?! Piuttosto…» Si rivolse a Goten che, impietrito, aveva osservato tutto, e gli disse bruscamente: «Accompagnalo in camera sua. Io vado a cercare Bra. Bulma» proseguì, rivolgendosi seccamente alla moglie, «chiama la polizia e tutto ciò che vuoi…» Si interruppe per un momento, poi concluse: «Avverti anche Kakaroth e il resto dei tuoi amici».
La donna annuì e, nonostante avesse le guance pallide rigate di lacrime, si affrettò a fare come ordinato dal saiyan.
Goten si riscosse e prese a sospingere Trunks in direzione della sua stanza, ma ad un certo punto il giovane Brief si voltò. «Papà, stai sbagliando!» urlò, in tono disperato. «Sono stato io, non capisci?! È colpa mia!»
Goten dovette trattenerlo per evitare che si lanciasse verso Vegeta e lo costrinse a proseguire, nonostante Trunks si ribellasse con forza.
Il Principe restò immobile per qualche istante, le linee del viso più tese del consueto, dopodiché si girò ed uscì dalla porta.
Nel frattempo, il secondogenito di Goku era riuscito a far sedere Trunks sul letto. Il ragazzo fissava un punto indefinito con aria assente, tremando violentemente, e continuava a ripetere quanto fosse colpa sua, e a pronunciare il nome della sorella.
Di Bra, nessuna traccia. La bimba sembrava semplicemente svanita nel nulla; tutto ciò di tangibile che restava di lei era quel guantino ricamato che Trunks stringeva in una mano.
Era colpa sua e non se lo sarebbe mai perdonato.
Il giorno dopo, la notizia della sparizione della bimba compariva sui giornali a caratteri cubitali. Su ogni rivista spiccavano titoli che annunciavano: SCOMPARSA LA FIGLIA DEI BRIEFS; SVANITA NEL NULLA LA PICCOLA BRA BRIEF; ERA USCITA CON IL FRATELLO MAGGIORE: DI LEI NESSUNA TRACCIA.
Quell’evento sembrava aver congelato le vite di tutti. Persino Goku, che dopo una pausa presso la famiglia sarebbe dovuto tornare ad allenare il giovane Ub, aveva rinunciato ai suoi progetti.
Goten si era trasferito momentaneamente alla Capsule Corporation, per poter sostenere Trunks come poteva. Si trovava appunto nella stanza dell’amico quando, guardando fuori dalla finestra, scorse sciami di giornalisti che si accalcavano davanti al cancello dell’azienda.
Si girò un attimo ad osservare l’altro giovane, che stava fissando il vuoto con aria assente e tormentata, e si sentì disgustato. Perciò, dopo essersi assicurato che Trunks non si sarebbe mosso, corse fuori, attraversando il giardino come una furia e andando ad allontanare i cronisti.
Mentre pressava su un uomo, un microfono gli colpì la nuca. Il giovane protestò con veemenza, spingendo da parte una donna che gli domandò: «Com’è l’atmosfera in casa Brief?»
La maggior parte degli inviati, quando venne sbattuta fuori, iniziò a lamentarsi. Solo alcuni sembravano seriamente preoccupati per quanto stava accadendo, e fissavano dispiaciuti il ragazzo.
Questi voltò le spalle a tutti e tornò nell’abitazione, e quando rientrò nella camera di Trunks sbatté la porta dietro le proprie spalle.
Il Brief alzò lo sguardo, con un sorriso tirato che somigliava ad una smorfia di dolore. «Ho sbagliato, Goten» affermò, con il tono roco e incerto di chi ha il pianto bloccato da qualche parte tra la gola e il cuore, «accidenti se ho sbagliato…»
La sua voce calò man mano che proseguiva la frase, finché non restarono altro che le sue labbra socchiuse in un soffio.
Goten non seppe cosa rispondere e si limitò a fare un sorriso triste.
Trunks si rigirò tra le dita il morbido guantino della sorella scomparsa, poi, con voce strozzata, dichiarò: «È colpa mia… Papà avrebbe dovuto punirmi. Avrebbe dovuto farmi soffrire, come può non vedere che sono io la causa di tutto?»
Si alzò di scatto, e Goten sobbalzò. «Dove vai?!» non poté fare a meno di esclamare, allarmato.
Sentire come l’amico sembrava desiderare terribilmente una punizione fisica da parte del genitore, infatti, gli aveva serrato lo stomaco.
«A cercare Bra» replicò Trunks.
Goten lo guardò, deciso. «Allora vengo con te».
Sorvolarono attentamente l’area attorno a quel maledetto parco giochi.
Scesero a terra per poter cercare meglio, chiamarono Bra a gran voce sino a sgolarsi, nulla.
Quando tornarono alla Capsule Corporation, esausti e demoralizzati, Trunks, in un impeto di rabbia, scaraventò a terra un vaso decorato, ed esso si ruppe in innumerevoli schegge di porcellana.
Il giovane, sotto gli occhi pietrificati di Goten, si chinò, quasi rammaricato dal proprio gesto, e tese una mano a sfiorare quei frammenti aguzzi.
Non la ritirò nemmeno quando si tagliò, arrestandosi invece a fissare i danni alla pelle.
Solo quando il sangue purpureo fluì dalla ferita, bagnandogli il polso, alzò la mano, portandosela davanti al volto per osservarla.
Goten contemplava la scena, turbato, sentendosi le gambe bloccate, il cuore sul punto di scoppiare.
Trunks alzò lo sguardo sofferente su di lui e sillabò una frase in silenzio.
Il Son sentì un brivido corrergli lungo la schiena non appena comprese quelle parole. “È colpa mia”.







Spero che questo capitolo non appaia in qualche modo ridicolo, e di essere riuscita a comunicare ciò che provano Bulma, Vegeta, Goten ma soprattutto Trunks. Credo che un senso di colpa così sia terribile. Se i loro sentimenti vi sono parsi non appropriati, vi prego di non farvi problemi a comunicarmelo, credo sia molto probabile. È la prima volta che mi inoltro in un genere a questo livello di drammaticità^^”. Ed è una faticaccia descrivere sentimenti di tanta intensità...
Non mi aspettavo tante recensioni, grazie di cuore a tutti!

DarK_FirE: Gemy!!! Che bello, sei anche qui! (Questa è autentica fedeltà *-*) Okay, non la cancello, tranquilla^^ In quanto a Bra… si saprà di più avanti ^-^ L’hai messa anche tra le preferite, grazie mille!

bellissima90: tranquilla, non la cancello. Grazie mille, spero ti piaccia anche questo capitolo...

Swwtcica: sai che mi hai fatto davvero piacere con la tua recensione? Sia perché, si sa, è sempre bello ricevere un commento, ma soprattutto perché mi piace molto come scrivi (sono una fan del tuo racconto “Io nel mondo di DBZ”... anche se non l’ho mai recensito ^///^ dato che l’ho cominciato in ritardo. Comunque prima o poi lo farò... speriamo^^).

lu88: okay, a questo punto è lampante che non la cancellerò affatto, spero di essere riuscita a mantenere vivo il tuo interesse… Dimmi tu!

vegetaismine: che ne dici? La reazione di Trunks è adatta secondo te (è ancora sotto shock, povero ç_ç) o ti aspettavi un comportamento diverso?

Oddio, grazie, grazie, grazie (lo so che l’ho già detto, ma sono talmente contenta delle vostre recensioni…).
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 3
*** Tornare indietro ***


Capitolo 3 – Tornare indietro

Trunks giocherellò con il righello di plastica azzurra che teneva in mano.
Goten lo aveva persuaso a disinfettarsi il taglio. Non che avesse faticato a convincerlo, in realtà: se Trunks non se ne era occupato subito, infatti, non era stato per masochismo, ma solo per disinteresse.
Il giovane dalla spettinatissima zazzera di capelli neri osservava preoccupato l’amico, che al momento appariva assorto nei propri pensieri. Poi, di colpo, sussultò, ricordando di aver promesso a sua madre di informarla su come andavano le cose.
Chichi era rimasta davvero sconvolta sentendo quanto era accaduto, e aveva subito fornito a Bulma il proprio sostegno.
Goten gettò un’occhiata in tralice a Trunks, dopodiché prese il cellulare e compose rapidamente il numero di casa.
A quanto pareva sua madre doveva ancora essere sull’attenti, dato che rispose dopo un solo squillo: «Pronto?»
«Mamma, sono Goten» borbottò lui, serio.
«Tesoro!» esclamò la donna, in tono preoccupato. «Cosa mi dici? Ci sono notizie di Bra?»
Il ragazzo ciondolò avanti e indietro, con un nodo alla gola. «Veramente no» sussurrò. «Mamma, volevo dirti che penso di restare con Trunks…» Abbassò ulteriormente la voce, guardando appena l’amico: «Mi sembra molto sotto shock».
«Lo immagino, povero ragazzo» disse Chichi, partecipe a quel dolore. «Spero che si riprenda… E che la piccola Bra salti fuori…»
«Già» mormorò Goten, «lo speriamo tutti».
In quel momento, Trunks sollevò gli occhi azzurri sull’amico. Li riabbassò subito dopo, prendendo a passarsi distrattamente il righello sul polso. Avanti e indietro, ripetutamente.
Goten si sentì sussultare davanti a quella scena. Salutò Chichi, spense il cellulare e chiamò ad alta voce l’amico. «Trunks!»
Questi sobbalzò, lasciando cadere il righello.
«Stai bene?» domandò il moro, con un groppo alla gola, avvicinandoglisi.
Gli sarebbe andato bene anche un “no” deciso e sofferente – certo non era così stupido da aspettarsi una risposta affermativa.
Ma Trunks lo guardò a lungo negli occhi, senza parlare. Distolse lo sguardo e mantenne il proprio doloroso silenzio.
Goten sentì che il nodo alla gola si stringeva.
Aveva sempre vissuto con Trunks. E in ogni situazione era sempre stato il Brief il leader, il ragazzino allegro che li trascinava in un mare di guai. Era stato Trunks, sempre, ad essere il più sicuro e deciso.
Vederlo così tormentato gli faceva male. Lo confondeva, in un qualche modo. Era come svegliarsi e scoprire all’improvviso che il cielo non era azzurro.
«Goten» disse di colpo Trunks, con voce rauca, «come si fa?» A fatica, alzò il viso ad osservare l’amico. «Come si fa a tornare indietro?»
Goten si morse la lingua. Inghiottì a vuoto, pensando disperatamente ad un modo per rispondergli, ma non gli venne in mente niente. E del resto pareva che Trunks non attendesse una replica, non davvero.
“Indietro non si torna, Trunks” pensò il giovane Son, avvertendo un vuoto allo stomaco, “non resta che trovare un modo per andare avanti…”

«E alla bambina piacevano i negozi?»
Bulma annuì, torturando il fazzoletto che stringeva tra le mani. «Sì, lei…» Soffocò un gemito, sentendosi gli occhi velati di lacrime non versate. «A lei piaceva dire in giro che la portavo a fare shopping».
L’agente che le stava davanti annuì comprensivo. Si voltò un istante per rivolgere un cenno ad un paio di suoi sottoposti, i quali uscirono con discrezione del salotto.
«C’è speranza?» trovò la forza di domandare Bulma.
L’uomo la guardò, provando pietà per lei. «Signora» le ricordò, «c’è sempre speranza. La bambina è scomparsa solo ieri…»
«Ma è piccola» sussurrò la donna con voce spezzata, straziata, come se da quel dettaglio dipendesse l’esito della ricerca stessa.
L’agente annuì. «Lo sappiamo» affermò. «Ora, se mi vuole scusare, dovrei andare...» aggiunse, in tono rispettoso.
Uscendo, la salutò di nuovo.
Bulma appoggiò la testa sul bracciolo del divano, chiudendo gli occhi. Si sentiva tremare. Pensava alla sua bambina, alla sua piccola Bra, smarrita chissà dove… Si raggomitolò, con l’impressione di essere cent’anni più vecchia e cent’anni più giovane, inerme e impotente.
Forse sarebbe stato meglio, se avesse trovato la forza per piangere, al posto di tenersi tutto dentro…
Ma non ci riusciva.

Trunks voleva tornare indietro.
Voleva cambiare ciò che aveva fatto, ricordare allo sciocco ragazzo che aveva lasciato la propria sorellina al Parco quanto le voleva bene, e quanto sarebbe stata dura continuare a vivere senza di lei.
Avrebbe voluto tornare indietro e beffarsi del destino quando esso lo avrebbe visto tornare a cambiare le proprie azioni.
Se solo avesse potuto, avrebbe abbracciato Bra con tutte le forze, l’avrebbe coccolata, vezzeggiata, fatta giocare in giardino, non si sarebbe affatto sentito obbligato se sua madre gliel’avesse affidata, nemmeno se in un giorno importante.
Persino il ricordo dei capricci della bambina, adesso, gli sembrava dolce e consolatorio come il miele. Gli sembrava la felicità più grande a cui poter anelare.
Il tempo, però, non poteva retrocedere.
Lui non poteva cambiare passato con presente e futuro.
Sospirò – un respiro vuoto e freddo –, e riprese a guardare fuori dalla finestra, per quanto i suoi occhi non carpissero nemmeno la minima parte del paesaggio al di là del vetro.
Dov’era Bra, la sua Bra?






Che ‘chifo di capitolo. Ditemelo che magari smetto di scrivere... -.-“
Dunque, non preoccupatevi, la storia entrerà nel vivo dal prossimo capitolo, in questo ho voluto sottolineare il “Tornare indietro” del titolo.
Che dite, la smetto di cianciare e passo alle risposte alle vostre recensioni? Meglio, eh?

s_ara: grazie^^ Non ti preoccupare, pian piano farò luce sul mistero! (Non pensavo fosse così bello dirlo *_*) (-.-“ N Tua). Comunque cercherò di continuare al più presto...

DarK_FirE: ciao! Non preoccuparti, mica temevo che non si capissero i sentimenti dei personaggi (perché naturalmente l’idiota della situazione sono io XD) (scusala, questa notte non ha dormito Nd Qualcuno Di Onnisciente). Piuttosto avevo paura di non essere stata brava a portarli sul foglio (foglio, poi...).

lu88: grazie mille, è stato fantastico apprendere di averti interessata ancora di più^^

bellissima90: già ç__ç che crudeltà, povero ragazzo... No, ora mi sento in colpa! (Problemi psicologici -.-“).

Grazie di cuore a tutti, al prossimo capitolo!

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Capitolo 4
*** Silenzioso ***


Capitolo 4 – Silenzioso

Goten camminava fianco a fianco con Trunks. In quanto a quest’ultimo, era talmente silenzioso che dimenticarsi della sua presenza era tutt’altro che faticoso.
Con le settimane passate senza che nessuno trovasse la minima traccia di Bra, Trunks si era fatto sempre più introverso e taciturno, sempre più propenso ad evitare i contatti con le altre persone.
Finalmente, un giorno, aveva deciso di tornare a scuola, ma Goten sospettava lo facesse non tanto per tornare in mezzo alla gente, quanto per fuggire dallo sguardo della madre e da quello del padre.
Che Bulma soffrisse era facile vederlo. In quanto a Vegeta… Vegeta era meno trattabile che mai.
Quando Goten da bambino andava a casa Brief, il Principe dei Saiyan gli incuteva una sorta di timore istintivo, ma non ne aveva avuto mai davvero paura. Adesso era cresciuto, e da quando Bra era scomparsa si sentiva raggelare ogni volta che incrociava per caso Vegeta.
Era come se gli occhi dell’uomo fossero divenuti due voragini in grado di fagocitare qualsiasi cosa, e davanti ad uno sguardo simile il giovane non poteva che provare una punta di sgomento.
Quella mattina, si separò da Trunks con una certa ansietà, e fu assai sollevato nel ritrovarlo al suono della campanella. Lo affiancò in tutta fretta, ed erano sul punto di andarsene quando vennero raggiunti da un ragazzo che Goten conosceva solo di vista, Takei, di un anno più grande.
«Oh, guarda chi si vede!» esclamò questi, in tono ilare, rivolto al gruppo di amici che lo seguivano. «Son e Brief!»
«Sta’ zitto» sussurrò Trunks, senza guardarlo.
Il ragazzo rise, mentre Goten si ritrovava a pensare che avrebbe preferito continuare a non avere contatti di alcun tipo con lui. «Come? Non ho capito, Brief».
«Stai zitto!» urlò Trunks, girandosi di scatto sotto lo sguardo preoccupato di Goten.
Il giovane Son si augurava che Takei, capita l’antifona, lasciasse perdere e se ne andasse, ma quello non si mosse di un millimetro.
«Qualcuno è irritabile» constatò anzi. «Cosa c’è, Brief, ti manca la sorellina alla quale fare le coccole? Ti manca la stupida mocciosetta? È davvero un peccato che non possa crescere abbastanza per diventare una sgualdrinella».
A quelle parole, Goten sbiancò, mentre Trunks, furioso, scattava verso Takei e gli indirizzava un pugno, senza preoccuparsi di trattenere la propria forza. Se non usò la piena potenza fu solamente per abitudine.
Goten, per quanto fosse d’accordo sul fatto che l’altro ragazzo avesse bisogno di una bella strigliata, si allarmò di fronte all’ira del proprio migliora amico, e si pose subito davanti al terrestre che si stava rialzando con le mani premute sul volto sanguinante. «Trunks!» esclamò, nervoso, tentando di guardarlo dritto negli occhi. «Fermati!»
Il giovane sembrò riaversi e, con una certa fatica, fissò Goten. Dopodiché puntò gli occhi azzurri su Takei. «Prova a parlare ancora di mia sorella e sei morto» minacciò, gelido.
Un silenzio irreale pervase il corridoio. La scolaresca che un momento prima si accalcava verso l’uscita era ora bloccata, e gli alunni fissavano ammutoliti i ragazzi che avevano scatenato una rissa.
Takei, inorridito, fissò prima la propria mano e poi Trunks, il quale ricambiò con uno sguardo in cagnesco.
«Si può sapere cos’è successo qua?»
Goten alzò lo sguardo, con lo stesso raccapriccio che Takei aveva dedicato al danno procuratogli da Trunks. I suoi occhi neri, come previsto, incontrarono la figura austera di un professore, che si era appena fatto strada tra gli studenti.
Il Son imprecò tra i denti.
«Brief, Son, Takei!» li rimproverò l’uomo, facendo scorrere lo sguardo severo anche sugli amici dell’ultimo nominato. «Esigo che mi spiegate il motivo del vostro comportamento».
Trunks rimase in silenzio, continuando a fissare il ragazzo a terra con la stessa espressione feroce di un carnivoro che scruta la propria preda.
«Mi ha aggredito, professore!» piagnucolò Takei, additandolo.
Il figlio di Vegeta irrigidì la mascella e non distolse lo sguardo da lui.
«Ma l’ha provocato!» sbottò Goten.
L’insegnante fissò entrambi, poi fece vagare lo sguardo sul giovane immobile.
«Si è comportato come una furia scatenata!» esclamò un ragazzo appartenente alla schiera degli amici di Takei.
«E chi è che aveva paura di provocare Trunks senza una sfilza di compari?!» lo rimbeccò Goten, alzando la voce.
«Be’, ma se pensa che la violenza…»
«Insomma! Spiegatemi cosa è successo per…»
Goten, Takei e gli amici di quest’ultimo presero a parlare contemporaneamente, alcuni gesticolando con energia, sotto lo sguardo ugualmente severo e confuso del professore.
«Ha insultato Bra» disse improvvisamente Trunks, facendo trasalire e zittire all’istante tutti i presenti. «Quel verme ha parlato male di mia sorella».
Il docente scrutò preoccupato il ragazzo che non staccava gli occhi da Takei e la maniera minacciosa con la quale lo fissava. Era a conoscenza di ciò che era accaduto a casa Brief e non poté fare a meno di rimanere senza parole, disgustato.
«È così?» chiese infine.
La schiera di Takei non lo contraddisse, mentre Goten si affrettò ad affermare: «Esatto».
«Ma professore, mi ha aggredito!»
L’uomo sospirò, dopodiché spedì Takei in infermeria – Trunks lo seguì con sguardo torvo finché non fu scomparso dietro l’angolo – e si recò in segreteria, dove si fece dare il telefono su cui digitò il numero di casa Brief.
Rispose una donna che l’uomo suppose essere la madre di Trunks. Sembrava angosciata e molto, molto stanca.
«Sono professore alla scuola di suo figlio, signora» si presentò l’insegnante, con un moto di compassione nei confronti della donna. Aveva visto come doveva soffrire il fratello della bambina scomparsa, e non osava pensare a quel che doveva provare la madre della piccola Bra.
«Che cos’è successo?» domandò la voce della donna, ansiosa.
L’uomo tamburellò per un attimo le dita sulla scrivania lì vicino, nervoso, dopodiché rispose: «Ehm… In poche parole, ha fatto a pugni con un ragazzo e gli ha spaccato il naso».
Nel silenzio che seguì dall’altro capo della cornetta c’era più di una dolorosa rassegnazione. «Devo venire lì?» domandò poi.
Il professore percepì, oltre all’allarme, un’enorme stanchezza. «Mmm, no, non si preoccupi» replicò, di slancio. «Non è necessaria la sua presenza, volevo solo avvertirla che per questo Trunks potrebbe rincasare più tardi del consueto».
“Che diavolo ho detto?” si chiese un attimo dopo, sbigottito. Non era da lui – non era professionale – farsi condizionare dalla situazione privata di una famiglia. Non così tanto.
Ma gli mancò il coraggio per rimangiarsi quanto aveva appena affermato, e si limitò a salutare la madre di Trunks.
«Perfetto» mugugnò poi, una volta spento il telefono.
Appena fuori dalla stanza da dove aveva effettuato la chiamata, sentiva le voci concitate dei genitori di Takei.
Aggrottando la fronte, ripensò allo sguardo di Brief… la maniera in cui fissava l’altro… Con un brivido, allontanò quel ricordo.
Sfregò tra loro le mani ed uscì in corridoio, preparandosi all’ondata di lamentele che, ne era certo, lo avrebbero investito di lì a poco.
«Io pretendo che lei espella quel ragazzaccio che ha ferito il mio bambino!» lo aggredì da subito la madre di Takei.
«Be’, signora» replicò il professore, gettando un’occhiata fugace a Trunks. «Certamente non rimarrà impunito, ma dobbiamo considerare che è stato provocato. Piuttosto pesantemente, anche». Vide che la donna stava per protestare, e la prevenne, aggiungendo in tono ragionevole: «Lo hanno testimoniato quasi trenta ragazzi che hanno assistito alla scena».
Lei, allora, richiuse la bocca. «E cos’avrebbe detto di talmente brutto, il mio pulcino?» si informò dopo qualche momento.
Goten, presente perché si era rifiutato di lasciare solo Trunks, non poté fare a meno di storcere la bocca, disgustato.
«Ha insultato» rispose il professore, pazientemente «la sorella minore di Trunks». Fece una breve pausa. «E in maniera abbastanza pesante, come le ho già detto».
La donna rimase interdetta per qualche attimo, ma poi sbuffò con fare sprezzante. «Come se gliene importasse qualcosa, a quel delinquente. Ho sentito che è stato lui a lasciarla da sola, la sua preziosa sorellina».
Goten si voltò verso Trunks, e vide che l’amico aveva il viso nascosto tra le mani.
Il giovane Son sapeva che Bulma e Vegeta avevano preferito cercare di non diffondere quel dettaglio, che era stato comunque raccontato ai poliziotti. Se esso era giunto alle orecchie di quella donna, probabilmente era stato a causa di Trunks, che non aveva mai negato il ruolo avuto nella scomparsa della sorellina.
«Signora!» esclamò in quel momento il professore, che, nonostante cercasse di essere soggettivo, iniziava a seccarsi. «Non siamo ad un processo. Tolga pure il disturbo e sia certa che prenderò le giuste misure di punizione».
La madre di Takei storse il naso, offesissima. «E perché mi ha chiamata, se ora mi caccia via?»
«Per farle venire a prendere il suo pulcino» replicò il docente, imperturbabile.
Goten lo guardò stupito: non aveva mai pensato che un professore potesse prendere le sue difese, o quelle di Trunks.
La donna fece per ribattere, ma a quel punto fu suo marito ad intervenire: «Lascia stare, cara, l’importante è che ora nostro figlio stia bene».
«Ti sembra che stia bene?!» strepitò subito lei, ma alla fin fine si lasciò persuadere dall’uomo.
Quando si avviarono verso l’infermeria per passare a prendere Takei, lei lo fece borbottando accidenti a non finire.
«Wow, prof» esalò Goten, senza riuscire a trattenersi, non appena i due se ne furono andati. «E non è stato nemmeno maleducato!» esclamò, con sincera ammirazione.
L’uomo, sorpreso, si voltò per rivolgergli un sorriso un po’ tirato, e a quel punto Goten si ricordò di Trunks. Sussultò, andando ad avvicinarsi all’amico.
Quest’ultimo era ancora immobile con la testa tra le mani.

«Goten, grazie per aver accompagnato Trunks sino a casa» gli disse Bulma, realmente sollevata.
La telefonata del professore l’aveva davvero angustiata.
«Di nulla» replicò Goten, imbarazzato. «Semmai grazie a te: ormai è un bel po’ che mi ospitate».
«Scusami mamma» intervenne Trunks, mestamente. «Vado in camera mia».
Si voltò e si allontanò sotto gli sguardi della madre e dell’amico.
Goten non poté fare a meno di notare quant’erano cauti i suoi passi. Sembrava che Trunks avesse quasi paura di far rumore, come se sentisse di non avere più il diritto di occupare un posto nel mondo, di disturbare ciò che lo circondava con la propria presenza.
Silenzioso, il giovane scomparve dalla loro vista.






Ehm, forse mi sono fatta trascinare con 'sto simpaticissimo professore... Okay, basta esprimere pareri sulla mia storia... Lascio a voi questo compito U.ù

s_ara: in effetti Trunks non si è affatto comportato bene >_> Povera Bra… Ho cercato di sottolineare ancora l’amicizia tra Goten e Trunks, infatti gli amici veri si riconoscono nel momento del bisogno ^_- Grazie mille (a proposito di “Una persona speciale”, appena trovo un decente straccio di tempo leggo e recensisco, scusa per il ritardo!)

DarK_FirE: wow, bella la tua vena poetica. Ti cito: “purtroppo non si può tornare indietro,però si può cercare di rimediare al presente”. Graaaande! Lo so, sono cattiva (mwahahahahah). Prometto che cercherò di aggiornare al più presto, in modo da non farti soffrire troppo XD

Alla prossima!

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Capitolo 5
*** Ninnananna ***


Capitolo 5 – Ninnananna

Poco a poco, la speranza di ritrovare Bra era andata scemando, lasciando posto ad un dolore sordo ma straziante.
Bulma si rannicchiò sul letto matrimoniale, allungando istintivamente la mano a sfiorare la parte di materasso lasciata vuota da Vegeta.
Il Principe aveva ormai preso l’abitudine di uscire ogni notte, per perseverare più a lungo nella ricerca di Bra.
Bulma chiuse gli occhi, disegnando sul copriletto dei cerchi immaginari con la punta del dito. Era terribile che le sue deboli speranze si aggrappassero in quella maniera alle uscite notturne del compagno.
La donna trasse un respiro dal naso, e sobbalzò quando la finestra venne spalancata. Aprì gli occhi e si alzò velocemente, osservando il Principe dei Saiyan che scivolava dentro la stanza.
«Niente?» gli sussurrò, nonostante la risposta fosse evidente nello sguardo cupo di Vegeta.
Lui scosse la testa evitando i suoi occhi, e andò a sedersi sull’orlo del materasso.
Bulma si sentì scuotere dal dolore. Fece per dire qualcosa, ma ebbe l’impressione di udire una voce roca intenta a sussurrare qualcosa, e si zittì immediatamente.
Dal canto suo, Vegeta si era immobilizzato, e aveva alzato la testa in ascolto.
Improvvisamente, Bulma si irrigidì, e afferrò il braccio del saiyan. Quest’ultimo contrasse appena le labbra, attento.
«Non è possibile» bisbigliò Bulma. «Questo è Trunks… Ma cosa…?»
Vegeta non replicò, ma si alzò in piedi, e la donna lo seguì in corridoio, e più si avvicinavano alla stanza del loro primogenito, più la voce si faceva chiara. Ben presto, i due riuscirono a distinguere quelle parole che venivano cantilenate a bassa voce.
«Avanti, smetti di piangere
Andrà tutto bene
Prendi solo la mia mano
Stringila forte…»
Bulma aumentò la propria stretta sul braccio di Vegeta, spalancando gli occhi mentre continuavano ad avanzare nel corridoio.
«Io ti proteggerò
Da tutto ciò che ti circonda
Sarò qui
Non piangere…»
La canzone sussurrata si interruppe, e a quel punto Vegeta aprì di colpo la porta della stanza del suo primogenito.
Trunks era seduto sul proprio letto a gambe incrociate, lo sguardo assorto. Quando il padre lo chiamò seccamente, sembrò tornare con lentezza al presente, e accorgendosi della presenza di entrambi i genitori, rivolse alla madre il fantasma di un sorriso, come per rassicurarla che andava tutto bene.
«Che stavi facendo?» domandò Bulma con voce rotta, in un sussurro.
Negli ultimi tempi, non faceva altro che bisbigliare, come se raggiungere un tono più alto fosse per lei troppo faticoso.
Sul volto di Trunks ricomparve quel pigro e vuoto sorriso che non contagiò in alcun modo i suoi occhi, i quali rimasero tristi e desolati. «È tutto a posto, mamma» rispose.
Bulma si portò una mano al petto, mentre le dita dell’altra stringevano maggiormente il braccio di Vegeta. Il Principe, allora, disse rigidamente: «Non ti ha chiesto se va tutto bene». “Perché tutto bene non va”. «Ha chiesto perché cantavi».
In risposta, ottenne nuovamente quel sorriso, fugace, e tutto, tutto meno che un’espressione di gioia. Era una smorfia angosciante, che induceva a desiderare la serietà sul volto del ragazzo.
«Nulla» affermò Trunks, scrollando le spalle, «stavo solo cantando una ninnananna a Bra».
Bulma rabbrividì, lasciandosi sfuggire un gemito convulso, e i suoi occhi azzurri fissarono scioccati il ragazzo, mentre Vegeta, irrigidendosi, si avvicinava di più a lei, d’istinto, come a volerla proteggere almeno da quello.
«Comunque adesso ho finito» proseguì Trunks, in tono neutro, apparentemente ignaro delle emozioni violente dei suoi genitori. «Non avete interrotto nulla».
Con la massima tranquillità, scese dal letto per poterlo disfare, dopodiché si infilò sotto le coperte. Notando che Bulma e Vegeta erano ancora fermi sulla soglia della sua stanza, li salutò: «Buonanotte, mamma. Buonanotte, papà».
Loro non risposero, arretrando di qualche passo, per poi voltarsi e percorrere di nuovo il corridoio.
Bulma resistette sino a quando non entrarono nella loro camera. Una volta seduta sul letto matrimoniale, scoppiò in lacrime. «Orribile» farfugliò, tra i singhiozzi. «È… Orribile…»
Era la prima volta che piangeva. Da quando era scomparsa Bra fino ad allora, si era tenuta dentro tutto il dolore. Ma in quel momento la paura lacerante per la propria bambina, la pazza incertezza per la sua sorte, il ricordo del sorriso vuoto di Trunks, ma soprattutto della voce del ragazzo che modulava in tono piatto quella ninnananna… Tutto le esplose in petto, abbandonandola ai singulti.
Vegeta la fissava. Poi, muto e tenebroso, le si avvicinò, giungendole alle spalle, e l’abbracciò da dietro, reclinando il capo sulla sua spalla.
Bulma, piangendo, si aggrappò a quelle mani forti, come se fossero le sole a potere tenere insieme i pezzi della sua anima.





Continua...


EDIT del 16/10/2011: La ninnananna che canta Trunks è You'll be in my heart di Phil Collins. Inizialmente avevo riportato pari pari in inglese le parole della canzone. Solo che, per me, Dragonball parla di un vero e proprio mondo a parte. E di conseguenza, credo che i personaggi non parlino giapponese, ma nemmeno italiano o qualsiasi altra lingua realmente esistente, bensì un idioma proprio del loro universo (non so come spiegarmi >.>). La canzone in inglese, pertanto, mi stonava un po', ed ho deciso di sostituirla con una sua traduzione (fatta sul momento, ma credo non errata) in italiano.
Spero di essermi spiegata =D


Breve capitolo... a me l’idea ha dato un po’ i brividi, poi non so voi... Comunque dalla prossima volta (e da un sacco che lo ripeti NdVoi) (vero ^^” ma ‘sta volta sul serio) si entrerà un po’ più nel vivo nel mistero “Bra”.

DarK_FirE: grazie mille. Hai ragione, Takei doveva fare una fine ben peggiore che cavarsela col naso rotto... Per msn non so, in questo periodo ci sono le ultime interrogazioni e sto diventando matta =_= però martedì (alla solita ora, più o meno) dovrei esserci... Kiss

s_ara: ho un’idea: dato che siamo tutti d’accordo sul fatto che Takei è uno st***zo, possiamo organizzare una gita a casa sua e dargliele di santa ragione è_é W il professore (mi sta sempre più simpatico^^). Baci

Inoltre ringrazio:

babypunk90;
bellissima90;
Christy 94;
DarK_FirE;
monicar92;
s_ara

Per aver aggiunto questa storia alle preferite^^

Alla prossima! 

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Capitolo 6
*** Tre anni dopo - Incubo ***


Capitolo 6 – Tre anni dopo: incubo

Goten respirò due volte, prima di parlare.
«Va tutto bene, Trunks?» domandò, in tono ansioso.
L’amico, in risposta, annuì senza guardarlo, al ché Goten si sentì sprofondare.
No che non andava tutto bene.
Era bizzarro. Era assurdo.
Senza dire nulla, osservò Trunks giocherellare distrattamente con un guanto minuscolo. Sempre lo stesso guantino ricamato. Quello di Bra.
Goten quasi non riusciva a ricordare l’ultima volta in cui aveva visto l’amico senza quell’oggetto morbido tra le mani.
«Sai cosa c’è di strano?» disse Trunks, all’improvviso. «I poliziotti, gli investigatori… Ormai non vengono più a casa nostra». Aggrottò la fronte, come per sforzarsi di ragionare, ed infine strinse le labbra. «Ma probabilmente sono occupati nelle ricerche».
“Nessuno è più occupato nelle ricerche, Trunks, sono passati tre anni, ormai. Accidenti” pensò Goten, con una fitta di rimpianto, ma non osò esprimersi ad alta voce.
C’erano momenti in cui Trunks sembrava essere consapevole di come stavano le cose, in cui pareva che sapesse che le probabilità di ritrovare Bra erano ormai nulle; ma c’erano anche momenti in cui parlava come se avesse visto la sorellina per l’ultima volta solo il giorno prima. Era una cosa che gli dava i brividi.
Solo la sera prima aveva parlato con Bulma. Infatti, sebbene ormai fosse tornato a casa propria, passava dalla Capsule Corporation almeno una volta al giorno, e se non ci riusciva faceva almeno una telefonata alla famiglia Brief.
Accigliandosi, ripensò alle parole della donna.
“Non so, Goten, mi sento così stanca… Fa ancora così male. E per di più non è questo il peggio, no. Il peggio è Trunks. Ti giuro, mi vengono i brividi, la notte, quando canta quella ninnananna. Sembra convinto di parlare a Bra, in quei momenti. Non è affatto normale”.
A quanto pareva, Bulma aveva paura di portare il figlio da uno psicologo. Diceva di credere che non sarebbe servito: secondo lei Trunks non avrebbe proferito parola, quindi sarebbe risultato tutto inutile.
Goten allontanò quei ricordi. «Trunks, ti va di fare qualcosa?» domandò, in tono teso.
L’altro fece un gesto vago, dopodiché chinò la testa.
«No, a dire la verità mi sento stanco» mormorò. «Stanco» ripeté, fissando l’asfalto.
Per un attimo, il tempo sembrò congelarsi in quell’istante, ma poi i due giovani ripresero a camminare. Trunks non proferì parola sino a quando non arrivarono alla Capsule Corporation.
Una volta giunti lì davanti, Trunks alzò la testa a guardare Goten e sussurrò, con occhi disperati: «Non tornerà, vero?»
Il moro sussultò. Fece per dire qualcosa, ma l’amico non attese risposta ed entrò, lasciando Goten solo e a disagio.
Il secondogenito di Goku impiegò qualche istante per riscuotersi. Aveva un nodo alla gola. Aveva nostalgia del Trunks iperattivo e dispettoso con il quale aveva condiviso l’infanzia e l’adolescenza fino a tre anni prima. Soffriva per il dolore del suo amico, e la malinconia più forte e struggente era per la serenità che non vedeva da tempo nello sguardo di Trunks.
Con un sospirò, si voltò, pronto a dirigersi verso casa.

È buio, ogni cosa sprofonda nell’oscurità.
Lui cerca di vedere qualcosa assottigliando gli occhi e sforzando lo sguardo, ma è inutile.
Poi, di colpo, ecco la luce. Lontana, sfuggevole.
Lui la insegue, correndo a perdifiato. Scivola su qualcosa di viscido, si sporca le mani, ma non può vedere di cosa si tratta. Si alza in fretta, riprendendo la corsa.
E poi l’ambiente, l’universo, non è più solo buio. Ora lui riesce a vedere e si guarda attorno.
Dopodiché, davanti a lui, compare qualcosa, qualcuno. Ed è una visione che gli lacera il cuore.
Una bambina di circa quattro anni. I capelli azzurri disordinati, gli occhi cobalto grandi e curiosi, le guance rosee, la pelle liscia. Le manine paffute.
No, la manina.
Lui ne vede solo una.
È nuda, quella manina, e lui si chiede perché. C’è freddo – all’improvviso la temperatura esiste, ed è gelida, invernale. Il dorso e le dita della mano della bambina, infatti, sono arrossate e screpolate.
Lui vorrebbe dirle di metterla in tasca, ma in quel momento lei fa qualcosa.
Gli mostra anche l’altra mano.
Questa calza un guantino. Un piccolo guanto ricamato con l’immagine di un cagnolino.
Lui sente il sangue gelarsi nelle vene e non è colpa del freddo.
Perché lui ha in tasca un minuscolo guanto che è la copia esatta di quello della bambina. Due guanti dello stesso paio.
La bambina si fa pallida, sempre più sfocata.
«BRA! No!»
Trunks tende le mani in avanti, cerca di afferrare la sorellina, di stringerla a sé.
Ma le sue dita sfiorano il nulla: ormai non è rimasto più niente di lei.
Allora prende il guantino che tiene in tasca, in un disperato tentativo di richiamare a sé la bambina. Ma, quando lo sguardo gli cade sulle proprie mani, urla, in un impulso di orrore.
I palmi sono ricoperti di sangue. La vista gli si annebbia, capisce cos’era la pozza vischiosa nella quale è caduto.
Apre la bocca.
Per urlare, perché sa di essere colpevole…

Trunks si svegliò di soprassalto. Si passò una mano sulla fronte per detergere il sudore e contrasse le dita sulla propria pelle.
Respirando affannosamente, ripensò al sogno, per quanto gli facesse male.
Era incredibile la nitidezza con la quale aveva visto Bra. Dopo tanto tempo, i ricordi che aveva della sorella si erano fatti sfocati, imprecisi.
Non era stato un sogno normale, no. Gli sembrava di sentire ancora qualcosa di umido sui polsi; istintivamente li guardò, ma scoprì la pelle rosea e liscia, pulita.
«No!» urlò, preso da un’improvvisa frenesia. Cercò il guantino della sorella, ma non lo aveva con sé. Si toccò il corpo, gemendo, tentando, come impazzito, di trovare su di sé una traccia che gli indicasse che quello era stato più di un incubo. «No, non era un incubo! No!»
Si bloccò, rendendosi conto di come suonava la sua voce. Strana. Non era roca come avrebbe dovuto essere dopo il sonno. Era come se l’avesse già usata.
Ma certo! Nel sogno aveva urlato, quindi la sua gola si era abituata a far vibrare le corde vocali.
Iniziò a ridere, in reazione alla tensione spezzata. Fu una risata convulsa, simile a singhiozzi, e Trunks smise quasi subito di darle voce.
Senza attendere oltre, corse in camera dei suoi genitori.
«Mamma, mamma! Papà!» esclamò, battendo la mano sull’interruttore per accendere la luce.
Scoprì che loro erano già svegli e il sollievo lo invase: almeno avrebbe potuto dare subito la notizia che aveva in serbo.
«Trunks, che diamine…?» domandò Vegeta, secco, nonostante fosse rimasto piuttosto sorpreso del comportamento del primogenito, così… così vitale, così improvvisamente vivo.
Gli occhi azzurri del ragazzo fremevano di un’eccitazione quasi febbrile. «Mamma, Bra è viva! Lo so, mamma! Papà, lo so!»
Bulma gemette, tirando istintivamente le coperte fino al proprio mento.
«Davvero, ho fatto un sogno, ma non era solo un sogno! La realtà, mamma, Bra è viva!»
«Trunks!» Il ringhio secco di Vegeta fece ammutolire il giovane.
«Trunks, ti prego, per favore, smettila» implorò Bulma, ansiosa.
Lui fissò per un attimo i genitori, senza capire, poi gli parve di comprendere il motivo della loro agitazione. «Avanti, smettila di piangere, andrà tutto bene» mormorò fra sé, sicuro di aver trovato la ragione di tanto allarme. «Mamma, papà, non è come la sua ninnananna! Questa volta è diverso! Questa volta è vero! Bra è viva!»
«Trunks, smettila subito».
«Ma papà…»
«Fuori di qui! Ora!»
Il ragazzo indietreggiò, confuso dall’improvvisa ira del padre, ma ancor più dall’espressione glaciale comparsa sul volto di Vegeta… perché suo padre… Tentò di ordinare le proprie idee per esprimere la spiegazione che sentiva… Questo comportamento faceva soffrire il Principe.
Rapido, con un’ultima occhiata ai suoi genitori, Trunks batté in ritirata.
Una volta fuori dalla porta, pensò allo sguardo di sua madre… Non era solo preoccupata, era terrorizzata, aveva paura di quel che lui aveva detto. Aveva paura del suo comportamento.
Gli dispiacque per lei, soprattutto perché sapeva di essere la causa della sofferenza della donna, ma non poteva fare finta di nulla.
Bra era davvero viva, lo sentiva.




Continua...




Salve, bella gente! ^0^ lo sapete che vi adoro tutti vero? E in questo capitolo (finalmente!) la nota “Sovrannaturale” inizia a farsi sentire un pochino.

Christy 94: grazie mille... Lasciare senza parole la gente... be’, suppongo sia una cosa ottima! Voglia dire che riesco a comunicare quel che provano i personaggi^^

DarK_FirE: ora suppongo che Trunks ti preoccupi ancora di più, eh? Purtroppo non è che faccia proprio luce sulla scomparsa di Bra ^^””” piuttosto diciamo che incentra nuovamente la storia sul mistero che la tiene in piedi... (XD ma che vado a dire?! XD) (sì, sono impazzita).

babypunk90: ecco, ho riportato la storia più sul mistero... ma ancora (almeno secondo me >_> è un po’ smorta... ebbe’, rimedierò!! ^^). Felice che ti sia piaciuto lo scorso capitolo... Grazie^^

s_ara: concordo, anche a mio parere quella della “ninnananna” è una scena da brivido, l’ho inserita appunto perché mi sembrava scioccante. Be’, dopotutto Bulma ha fatto bene a sfogarsi, no? Bacio

Un grazie di cuore, un bacione, alla prossima!

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Capitolo 7
*** Euforia ***


Capitolo 7 – Euforia

Trunks, seduto sul proprio letto, tentò di decidere cosa fare. Parlare ancora della sua sensazione ai genitori era impensabile, data la reazione che avevano avuto entrambi. Il ragazzo si morse il labbro. La voglia di agire, di scagliarsi semplicemente fuori, in strada, e cercare Bra fino all’esaurimento di tutte le sue energie era enorme. Quando si trovò a valutare quanto effettivamente desiderasse passare all’azione, si accigliò. Sarebbe stato un po’ un suicidio il ritmo che, se solo avesse potuto, si sarebbe imposto per la ricerca di Bra.
Giudicando la propria avventatezza in modo oggettivo, come gli aveva insegnato il padre, si accigliò ancor più. Seppur riluttante, doveva ammettere che era una pazzia. Già, la scomparsa di sua sorella doveva averlo fatto diventare pazzo, pensò con amarezza. Ammesso che non lo fosse sempre stato.
Cupo, si alzò e si avvicinò alla finestra.
Osservò torvo la città addormentata.
Fissò di sbieco il letto disfatto, e decise che cercare di tornare a dormire sarebbe stato inutile. Perciò rimase immobile, davanti alla finestra (l’aria fredda della notte rendeva il vetro gelato) senza muoversi, mentre il senso di vita che provava di nuovo, finalmente, gli cresceva in petto. Bra era viva!
Sapeva che trovarla avrebbe cambiato tutto, in meglio. Sarebbe tornato tutto come prima. Anzi, più perfetto di prima, perché lui non avrebbe mai più negato il proprio affetto a Bra.
Si passò una mano tra i capelli, lentamente.
Si voltò e prese tra le mani il guanto della sorellina. Lo lisciò con cura, assorto nei propri pensieri. Se Bra sarebbe tornata (quando Bra sarebbe tornata) avrebbe dovuto trovare il suo guantino in ottime condizioni, in modo che le sue manine non si screpolassero per il freddo.
Con quei pensieri, assisté alla venuta del nuovo giorno.
Finalmente poteva guardare il sole sorgere senza provare rancore, senza prendere come un’offesa la sua luce che si permetteva di illuminare un mondo così sporco. Di illuminare e scaldare lui, dopo quello che aveva fatto a Bra.
Fu una tortura fingersi calmo, fare come se non fosse accaduto nulla, come se quel sogno non gli avesse dato una nuova forza. Ma sapeva che era necessario, che non poteva riempire di ansia i suoi genitori.
Quando finalmente la giornata si concluse andò a letto presto. Non appena il sonno lo raggiunse un sogno si presentò vivido alla sua mente, quasi lo avesse aspettato dietro alle palpebre tutto quel tempo.

Una radura. La bambina è davanti a lui, sembra spaventata da qualcosa che lui non riesce a capire, ad identificare. Vorrebbe raggiungerla, ma qualcosa gli fa temere che se ci provasse lei svanirebbe. Come se fosse la replica di qualcosa già accaduta.
Sente il bisogno di abbracciare la bambina farsi sempre più forte, sino a diventare un dolore fisico. «Bra!» implora con voce rotta. «Ti prego!»
Fa un passo verso di lei, ma poi nota i suoi occhi sbarrati dal terrore, e capisce: non c’è nessun mostro, nessuna presenza inquietante. La bambina, sua sorella, ha paura di lui.
«Bra, per favore...»
Prima che possa fare qualsiasi altra cosa, la bambina gli lancia un’occhiata impaurita, poi si sgretola. E lui rimane solo.
Cammina in fretta, percorrendo la radura, tentando di scorgere dove sia finita la sorellina. Quando sente uno schizzo sui jeans. Si abbassa a guardarli ed eccoli sporchi di un liquido vermiglio.
Improvvisamente sa che urlando si risveglierà dal sogno, e non potrà capire dov’è Bra, ma non può impedirsi di farlo. Grida, grida dall’orrore.

Trunks ansimò, riemergendo dal sogno. «Bra» balbettò, in un sussurro incoerente.
Una parte di lui lo spronava a provare disgusto per quello che aveva visto in sogno, ma non poteva impedirsi di sentire una strana euforia scaldarlo.
Un sorriso pallido gli incurvò le labbra. Sua sorella era viva, e lui la avrebbe trovata! Si passò una mano sulla fronte sudata, ma in quel momento non riusciva a trovare un motivo per provare spavento per quel sogno, quell’incubo che gli permetteva di sperare.
Di sapere che sua sorella era viva.



Continua...



Devo ammettere che questo capitolo non mi soddisfa pienamente... Spero solo di sbagliarmi. In fondo è solo una specie di intermezzo per sottolineare come si sente Trunks, no?!?!

DarK_FirE: thanks very much, twin^^ Come vedi il comportamento di Trunks si fa sempre più preoccupante. Fa un sogno orribile e si sveglia euforico... mah. Certa gente... (in effetti io non potrei dire nulla, dal momento che sono quella che decide le mosse del ragazzo^^” Kiss

Christy 94: grazie per la recensione! Trunks è logorato dai sensi di colpa, Bra ha fatto chissà quale fine... Hai ragione, è terribile che abbiano interrotto le ricerche =°( Ciao, grazie ancora!

S_ara: in effetti tre anni sono un gran bel po’ di tempo... è stato bello leggere che hai trovato il sogno commovente e raggelante allo stesso tempo, perché è proprio quel che volevo ottenere ^_^ quindi immagina la mia soddisfazione... In effetti Bulma e Vegeta hanno molte riserve nel credere che loro figlio sia stato “illuminato”. D’altronde non hanno mica tutti i torti... Grazie millle^^ Un bacio!

babypunk90: mi fa piacere che ti piaccia (piacere che ti piaccia... va be’...) Wow, grazie, magari prima o poi (credo poi >_>) proverò a mettermi alla prova con qualche horror... Purtroppo non riesco ad andare avanti senza capitoli in cui non succede un bel niente (tipo questo...) ma a scanso che la cosa non funzioni, penso che il prossimo capitolo ti piacerà^^ Ciao^^

Al prossimo capitolo!

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Capitolo 8
*** Aura ***


Capitolo 8 – Aura

Goten era esterrefatto. In poche settimane, Trunks sembrava essere tornato quello di prima. Rispondeva al cellulare, parlava senza dare la sensazione di essere da tutta altra parte col pensiero, a volte persino un sorriso gli sfiorava il viso. Un’espressione di gioia che non accendeva mai del tutto i suoi lineamenti, ma che gli restituiva un po’ di umanità.
Eppure non era del tutto tornato il suo amico di un tempo. A volte gli diceva (con poche e concise parole) di avere incubi su Bra, ma mentre ne parlava sembrava quasi esaltato, non solo spaventato. A tratti tornava ancora torvo e introverso, escludeva il mondo e rimaneva solo con se stesso. Ma accettava di uscire con lui e non rivolgeva più occhiate furiose a chi si lamentava dei propri fratelli minori.
Nonostante tutti i miglioramenti, gli mancava qualcosa.
Gli mancava Bra.

Trunks era chino ad allacciarsi una scarpa. Goten lo osservò per qualche momento, poi azzardò a proporre: «Trunks... stasera ti andrebbe di venire a casa mia?»
Il Brief si rialzò. Parve riflettere per un attimo, poi domandò: «Dopo cena?»
«Sì, pensavo di sì» rispose cautamente il figlio di Goku.
«Allora no» replicò deciso Trunks, «devo andare a letto presto...»
Goten non ribatté, mordendosi il labbro. Poi chiese, temendo la risposta: «Perché devi andare a letto presto?»
Una strana luce passò negli occhi di Trunks, e Goten la riconobbe. Quello era lo sguardo del Trunks che era stato profondamente cambiato dalla scomparsa della sorellina. Poi il lilla fissò l’amico come se avesse fatto la domanda più idiota del mondo. Infine rispose: «Devo sapere dov’è lei».
Goten si trattenne dal replicare alcunché e si incamminarono in silenzio.
Trunks era immerso nei propri pensieri. I sogni lo angosciavano e lo facevano sentire vittorioso allo stesso tempo. Quando era sveglio non anelava ad altro che a immergersi nei propri incubi. Per ogni risveglio che lo trovava sudato e urlante, la sicurezza che Bra fosse ancora viva diventava più tangibile. Quegli incubi lo rassicuravano, gli toglievano la paura che Bra potesse essersene andata definitivamente.
Sua madre era in cucina. Da quando era scomparsa Bra, non apparecchiava più la tavola, ma lasciava che tale compito venisse svolto da una domestica. Troppo, per Bulma, dover accorgersi ogni volta di aver calcolato quattro posti, quando erano solo in tre. Lei, Trunks e Vegeta. Bra non c’era più, non occorreva più il piatto e la forchetta e il cucchiaio e il bicchiere che le sarebbero spettati.
«Cosa si mangia, mamma?» chiese Trunks, indifferente.
Lei gli rivolse un sorriso tirato e una risposta incerta.
«Buono» commentò il ragazzo, senza mutare il proprio tono piatto.
Fu il primo ad alzarsi dalla tavola. Diede una frettolosa buonanotte ai genitori e si ritirò nella propria stanza. Indossò svelto il pigiama, si coricò impaziente.
Esitò un solo momento prima di chiudere le palpebre, turbato dall’aspettativa di vivere nuovamente quell’incubo, poi serrò gli occhi.
Rimase immobile per un tempo indefinito, poi sbadigliò e scivolò nel sonno.

Un pianeta, un pianeta rosso. Il ragazzo non capisce dove si trova, né da quale prospettiva vede quel pianeta. Dopo qualche istante capisce: è così che si immaginava il mondo di origine dei saiyan.
Una lieve insoddisfazione gli suggerisce che non è quello che voleva vedere, ma, dal momento che si trova lì, decide di stare a guardare.
Compaiono delle linee frastagliate sulla superficie del pianeta, si allargano sempre più ed infine esso esplode, scomparendo per sempre dalla Galassia.
Il ragazzo non sa come sentirsi.
Non capisce cosa c’entri.
Prima che possa riflettere, il paesaggio cambia, e si ritrova in un prato enorme. Muove qualche passo smarrito, sentendosi confuso e incerto. Poi la vede.
Una bella bambina, dalle guance paffute e i ciuffi azzurri. Allora il suo passo si fa più deciso, gli sembra che i pensieri gli si schiariscano all’improvviso.
Va da lei.
È seduta sul prato e piange. Gli occhi celesti sono pieni di lacrime.
Lui vorrebbe consolarla, ma ha paura dell’aria triste della bambina. Quando non ce la fa più muove un passo verso di lei. Il momento dopo si ritrae.
La bimba irradia disperazione, un’angoscia totale che per lui è come più di una ferita fisica.
Il ragazzo si siede, non riesce a proseguire oltre. Ascolta i singhiozzi della piccola farsi più laceranti. Sa, senza bisogno di parole, che se la abbracciasse la spaventerebbe ancora di più.
Ma si sente inutile, e stupido.
Inutile perché non può fare nulla, stupido perché, nonostante tutto, si sente lui quello senza via di uscita, si sente lui quello che desidera un po’ di calore umano.
La bambina piange, e lui si sente un verme. È tutta colpa sua, lo sa. Lui le ha preso i suoi genitori, la sua vita fatta di piccole cose. Lui l’ha abbandonata.
«Bra, io...» sussurra.
La piccola alza lo sguardo smarrito, pervaso di solitudine.
Trunks si irrigidisce, ha la gola secca. «Bra, io ti voglio bene». La sua sorellina ora piange il pianto di chi si sente tradito dopo una bugia troppo grande per essere perdonata.
«Io ti voglio ritrovare. Dove sei?»
All’improvviso si sente un caldo intenso, che mozza il fiato a Trunks. Bra non sembra accorgersene.
«Dove sei?» ripete Trunks, ma si sente soffocare. Indietreggia, quasi d’istinto. Scivola su qualcosa, poggia la mano su una pietra bollente. Ritrae il palmo arso.
«Dove sei?»
La bambina scompare.
Lui rimane solo.

La mano gli bruciava. Trunks inspirò pesantemente, convinto di essere ancora nel sogno, deciso a svegliarsi, a tentare di cancellare dalla propria mente l’immagine di sua sorella in lacrime.
«Era solo un sogno» disse a voce alta, per la prima volta sperando che fosse davvero così.
Il dolore alla mano divenne insopportabile. Il ragazzo si alzò di scatto e corse in bagno, dove sottopose il palmo ad un getto di acqua fredda.
Una volta che il bruciore si fece meno intenso, il giovane alzò la mano e la osservò. Non c’era alcun segno di ustione, se non una piccola macchia scura che scottava. Assorto, vi premette sopra il polpastrello del dito indice della mano destra. Combaciava perfettamente. Non aveva coperto l’ustione con il dito, l’aveva fatta coincidere in modo esatto con esso.
Era assurdo e strano.
Ed era il modo per trovare Bra, si disse subito.
Tornò nella propria stanza, rovistando tra le cose che possedeva. Si fermò al guanto della sorella. E a quel punto avvertì qualcosa che lo fece cadere in ginocchio con le braccia strette al petto.
L’aura di Bra.
Una percezione debole, timida, incerta, ma reale.
Trunks sentì una lacrima bagnargli la guancia.
Si alzò in piedi, spalancò la finestra con una spinta decisa. Inspirò l’aria fredda della notte, e improvvisamente fu preso da un capogiro. La vista gli si annebbiò per un attimo, e in quel nero scorse nella propria mente lo scintillio di una lama.
La vista gli si schiarì. Lui tese i sensi. Percepiva ancora la lieve forza spirituale della sorellina.
Seguendo quell’aura così speciale, si alzò in volo.





Continua...




Eccomi qua, stranamente non ad un ritardo catastrofico (ebbene sì, i miracoli esistono! xD). Grazie a quelli che leggono e naturalmente ai recensitori!!! <-- Parola inesistente, con ogni probabilità, ma vabbe’...

DarK_FirE: bene Gemy!!! Hai espresso esattamente quel che volevo comunicare con lo scorso capitolo U_U A me onestamente metteva molta inquietudine la parola euforia pensando a Trunks che si sente vittorioso dopo gli incubi XD Ci si avvicina al mistero ^__^ Kiss (io msn me lo sto dimenticando ç__ç è il periodo delle verifiche/interrogazioni, grr!)

babypunk90: infatti lo scorso capitolo era più che altro un passaggio, per far appunto capire i sentimenti di Trunks ^-^ Mentre scrivevo questo avevo anche più ispirazione... credo si capisca, fammi sapere ^_- Baci

giusiemo291: non preoccuparti, la tua recensione è stata molto gradita! ^-^ Posso dire che ha fatto male alla mia modestia, ma in compenso un gran bene all’autostima... Mi ha fatto piacere sapere che hai seguito così tanto questa ff e altre nonostante non fossi ancora in grado di recensire^^ Un grazie enorme^^ Spero di risentirti presto!

Al prossimo capitolo, allora!

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Capitolo 9
*** Troppo semplice ***


Capitolo 9 – Troppo semplice

L’aria della notte gli arrossava appena le guance, gli riempiva i polmoni di vita.
Ma la vita vera – o la vera volontà di vivere – era generata dalla percezione di quella forza spirituale che aveva creduto di non sentire più. Improvvisamente, si sentiva come se avesse potuto allungare il braccio e stringere la sorellina in un abbraccio.
L’avrebbe riportata a casa, e tutto sarebbe stato come prima. Forse loro padre, una volta che si fosse ripreso, lo avrebbe punito giustamente per la sua sconsideratezza. Ma cosa importava, se Bra tornava a casa?
Le stelle brillavano, minuscoli diamanti di luce incastonati nel manto nero della volta celeste. La luce dei lampioni che punteggiavano le strade, al confronto, risultava smorta e pallida.
Trunks inspirò una boccata d’aria, mentre il vento gli spettinava i capelli.
Si concentrò sull’aura di Bra e aumentò la velocità del volo.
Non badò allo scorrere del tempo. Quando si rese conto di essere in prossimità del luogo dal quale proveniva la forza spirituale della sorellina, stava ormai albeggiando.
Il sole si affacciava quasi con timidezza sul cielo, forse temendo che alcune nuvole potessero offuscarlo come cappe grigie. I suoi raggi carezzavano la volta tingendola di lilla e rosa, protendendosi a schiarire il blu ad un azzurro tenue.
Trunks osservò il terreno sotto di sé. Si trovava sopra un prato. Si era lasciato alle spalle il cemento della città da tempo, ormai. Non riuscendo a localizzare con esattezza la provenienza dell’aura che lo guidava, decise di abbassarsi. Toccò l’erba coi piedi, poi si guardò attorno.
Davanti a lui si apriva un modesto bosco dalle piante piuttosto rade. Le cortecce erano umide, e il ragazzo si chiese, a disagio, quando fosse piovuto in quei giorni. Non lo ricordava, ed aggrottò la fronte. Tese i sensi verso la sorellina e mosse passi fra gli alberi.
Un lieve strato di foglie cadute da chissà quanto tempo ricopriva il terreno. Il giovane si mosse con agilità, quasi senza rumore alcuno.
Respirava piano.
Ancora qualche passo, e si ritrovò in una radura circolare. Il sole lo spronò a schermarsi gli occhi con una mano mentre avanzava lentamente.
Si inoltrò in quel prato enorme.
Poi si bloccò di colpo.
Lo aveva già visto, quel posto. Quella notte, nel sogno. Lo sapeva, era lì che aveva visto Bra in lacrime – deglutì a quel ricordo. Si guardò attorno quasi famelico, frugando con gli occhi per cercare la sorellina.
L’aura della piccola pulsava nella sua consapevolezza, ma non riusciva a localizzarla con esattezza.
«Bra» chiamò esitante. «Bra!» ripeté, alzando la voce.
«Benvenuto, saiyan» sussurrò una voce alle spalle del ragazzo.
Trunks si voltò di scatto. Non aveva sentito nulla. Si ritrovò a fissare il viso bianco di una creatura. La osservò. Indossava uno strano mantello, dal quale spuntavano braccia e gambe bianche e lisce al pari del viso. Non aveva capelli, solo una macchia rossa sulla nuca.
«Chi sei?» domandò, sulla difensiva, il figlio di Vegeta.
«Sicuro che abbia importanza?» chiese con un tono che sfiorava la dolcezza l’alieno. «Non è più importante quel che sei venuto a cercare?»
Il saiyan si irrigidì. Come poteva sapere di Bra? «Certo che è più importante!» esclamò, quasi senza accorgersene.
«Cosa vorresti che accadesse, nelle prossime ore?» incalzò l’alieno, la voce suadente e subdola, che pareva infiltrarsi nella mente con delicatezza, ma allo scopo di estorcere le informazioni più preziose.
«Vorrei...» Per un momento Trunks si domandò per quale motivo stesse rispondendo. Forse aveva solo bisogno che qualcuno – un qualcuno qualsiasi – sapesse come si sentiva. «Voglio trovare Bra. Voglio abbracciarla, voglio tenerla in braccio e vederla ridere e voglio vedere i suoi capelli scompigliati dal vento. Voglio portarla a casa».
L’alieno ghignò, beffardo. «No, saiyan. Così è troppo facile».




Continua...




Scusate l’orribile ritardo. Purtroppo non solo ho avuto un periodo di salute nient’affatto degna di questo nome, anche la mia chiave per computer ha deciso di smettere di funzionare facendomi perdere una marea di capitoli quasi conclusi. Questo fra i tanti, avrebbe dovuto essere più lungo, temo che non verrà mai bene come la prima volta ç__ç Lo ho per così dire tagliato in modo di poter aggiornare senza far diventare ulteriormente esagerato il tempo tra questo e l’ultimo capitolo. Scusate ancora

Babypunk90: in effetti il punto di Trunks che fa combaciare il dito con la bruciatura è parecchio confusionario... Temo che questo capitolo non sia all’altezza della situazione, purtroppo. Baci

DarK_FirE: non preoccuparti, sto lavorando per districare questo mistero con le parole ^_- Wew, Trunks sarà contento di passare al grado di veggente U_U xD Grazie mille, kiss^^

Giusiemo291: tranquilla, Trunks è il mio personaggio preferito, quindi forse (devo mantenere la suspence U_U) lo terrò in salvo. Ciao, e non preoccuparti, non infastidisci^^

S_ara: non preoccuparti, dal momento che sono una ritardataria nata, ti capisco benissimo. Grazie mille, spero di riuscire a trovare il modo – con la scuola e tutto – di aggiornare con più frequenza.

FullmoonDarkangel: Cugi, Cugi, Cugi, non si trattano male i fazzoletti di carta >_> Okay, sono scema. Ci sentiamo^^

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Capitolo 10
*** E la fine diventa l'inizio ***


Capitolo 10 – E la fine diventa l’inizio

«Troppo facile?» ripeté Trunks, inquieto ed incredulo.
Nella sua mente balenarono i mesi – gli anni – trascorsi dalla scomparsa della sorellina, le giornate vuote, le notti insonni, i pasti durante i quali non aveva avuto appetito. I silenzi che non potevano essere riempiti se non dalla risata cristallina della bambina.
L’alieno iniziò a camminare in cerchio attorno a lui, le braccia dietro la schiena, mentre il ragazzo si voltava per seguirlo con lo sguardo.
«Troppo facile?» reiterò Trunks. «Tu cosa c’entri con mia sorella?» Aveva appena posto quella domanda che il cuore batté più forte nel suo petto. Temeva di saperlo...
L’altro ignorò le sue domande, ponendone un’altra. «Ricordi dov’è iniziato tutto?»
Trunks sussultò.
«Bene» constatò l’alieno, facendo poi un gesto sbrigativo con la mano.
Il paesaggio attorno a loro sfumò, mentre i colori parevano confondersi come tinture su una tela sulla quale viene versata acqua.
Quando il mondo tornò a definirsi, si trovavano in un luogo completamente diverso. Trunks si guardò attorno, stordito, tenendo al contempo – automaticamente – sottocchio l’altro.
Non aveva bisogno di alcuna consulenza per riconoscere il posto. Era il Parco, quello stesso parco in cui aveva abbandonato Bra tre anni prima. Sembrava molto più lugubre, come se una nebbiolina fosse calata improvvisamente.
L’alieno lo osservò. «E così finiamo dove tutto è iniziato» sussurrò.
Il giovane si irrigidì. «Dov’è mia sorella?» domandò sotto voce, guardingo.
L’alieno si limitò a continuare a guardarlo con gli occhi di bronzo screziato di smeraldo.
«Dov’è Bra?» chiese Trunks, a voce più alta. Iniziava a tremare incontrollabilmente.
«Ma quanto siamo impazienti...» commentò l’altro. Mosse qualche passo verso il ragazzo, fermandosi esattamente davanti a lui. «Non sei curioso? Nemmeno un po’?»
«Ho detto che voglio sapere dov’è mia sorella» replicò Trunks, gelido, «credo che la curiosità sia più che sufficiente...»
L’alieno rise brevemente. «Non vuoi sapere perché l’ho rapita?»
Fu più forte di lui. Non riuscì a trattenerlo. Trunks digrignò i denti, fissando furioso l’alieno. «Cosa le hai fatto?» sbottò.
«Io? Io non più di quanto le abbia fatto tu...»
La testa di Trunks ebbe un breve scatto rabbioso, forse per il desiderio istintivo di attaccare, o forse per cercare di liberarsi di pensieri troppo dolorosi. «Dov’è?» domandò, tremando di rabbia e disperazione.
L’alieno sospirò. «Vedo che senza di lei non ascolterai mai davvero quanto ho da dirti...» Si voltò, guardandosi attorno con aria svagata, quasi distratta.
Quando si voltò nuovamente verso Trunks il suo viso era contratto come a voler trattenere un ghigno.
«Dov’è Bra?»
«Dov’è Bra?» gli fece eco l’alieno. Fece un sorriso sghembo, poi si scostò di lato di un unico passo, lasciando una bambina di circa sette anni allo sguardo attonito di Trunks.
Lei alzò impaurita gli occhi. Due cristalli cobalto. I capelli che le incorniciavano il visino erano di un morbido blu.
«Bra» ansimò Trunks. Quanto era cresciuta...
Mosse un passo in avanti, ma il mostro sconosciuto tornò a porsi davanti alla bambina spaventata. «Lei ora è qui» gli fece notare. «Ora vuoi ascoltare?» C’era una pericolosa piega di impazienza nella sua voce.
Trunks ansimava. A fatica, le braccia strette al petto, riportò lo sguardo sull’alieno. «Parla» sussurrò.
Non riusciva più a vedere la bambina, ma ora l’aura di Bra pulsava chiaramente.
«C’era una volta, un essere chiamato Freezer», Trunks alzò di scatto gli occhi, «che iniziò una giusta opera di sterminio della razza saiyan. Però, evidentemente, qualcuno gli sfuggì. E un giorno trovò la morte per le mani di un ragazzo...» Alzò lo sguardo su Trunks. «Un ragazzo che ti somigliava parecchio...»
Il giovane lo fissò confuso. Continuò a prestare attenzione all’energia spirituale della sorellina, ma ascoltava meglio lo sconosciuto. A dire il vero, non era così concentrato su una conversazione da tanto, troppo tempo. «Io allora non ero ancora nato» gli fece notare.
«Sì, ma gli somigli davvero tanto. Gli somigli davvero troppo» sibilò l’alieno.
«Chi sei tu?»
«Algid» rispose quello, «ex soldato al servizio del grande Freezer».
Il tono con il quale pronunciò il nome di Freezer era acceso da una fanatica venerazione che brillò anche nel suo sguardo.
«Vedi, quando Freezer morì, un dispositivo aveva registrato il tutto. La nave spaziale del grande Freezer è andata distrutta, ma quella registrazione è sopravvissuta... ed io l’ho decifrata. Perciò sono venuto qua a vendicarmi... di te» concluse, fissando Trunks con una sorta di oscena soddisfazione.
«Per questo hai rapito Bra?» domandò il ragazzo. Voleva essere certo di aver capito bene. Al distratto cenno d’assenso dell’altro – come se quello fosse un dettaglio irrilevante – si sentì avvelenare da una fitta d’odio.
«Allora ti sei impegnato per nulla. Lei è innocente e io non ho ucciso il tuo Freezer» ringhiò.
«Lo so» confermò distrattamente l’alieno, «è stato il tuo alter ego del futuro. Ma cosa mi importa» aggiunse, mentre la sua voce si faceva gelida come il suo nome, «di questi dettagli, quando alla fine siete comunque la stessa persona?» Era una domanda retorica, Trunks lo lesse nel suo sguardo.
La rabbia, l’odio e la disperazione che si agitavano nel suo petto gli impedivano di pensare con chiarezza. Non riusciva a trovare uno spazio nella sua mente – nel suo animo straziato – che non fosse invaso e posseduto dal desiderio agonizzante di poter stringere Bra tra le braccia. Vederla era stato riaprire una ferita mal rimarginata, bruciare il suo cuore, alimentare le sue folli speranze.
Voleva toccarla. Lo voleva così tanto che gli dolevano le braccia.
«Cosa vuoi, dunque?» domandò faticosamente, rivolto ad Algid.
L’alieno lo guardò con un’evidente soddisfazione impressa nei lineamenti sinuosi. «Voglio te» affermò, con misurata lentezza. Ed ogni parola era un ghigno, era una condanna, era un taglio mai rimarginato.
Trunks lo fissò, interrogativo, mentre un brivido gli scorreva lungo la schiena.
«Vedi» iniziò Algid, «Freezer era a dir poco geniale quando si trattava di tecniche di tortura. In particolare, aveva il talento di riconoscere cosa faceva soffrire davvero i suoi avversari. Sapeva che non sempre le ferite peggiori sono quelle carnali. Ora: potrei sbarazzarmi della tua sorellina solo per vederti distrutto».
L’espressione di Trunks si fece sgomenta e nauseata.
«Ma non voglio» continuò l’essere, ed il ragazzo si rilassò visibilmente nonostante mantenesse la posizione di guardia. «Penso di essermi divertito abbastanza a scrutarti ogni tanto in questi anni. Fa male la disperazione, vero? Fa male il senso di colpa, giusto?»
«Cosa vuoi?» domandò di nuovo Trunks, osservandolo furibondo.
«Voglio battermi con te. Non potrai fermarti. Perché, se anche tu dovessi provare ad evitare anche solo per un attimo lo scontro, la tua sorellina la pagherà cara. Dopo che ti avrò distrutto la riporterò a casa, perché avrò avuto la mia vendetta. Ti è chiaro il concetto?»
«Cristallino».
Il suo tono era stato gelido e calmo, ma dentro sé Trunks sentì un’ondata di angoscia. Non aveva idea di quanto fosse forte il suo avversario.
Non aveva mai avuto così tanta paura in vita sua, prima di un duello. Morire era una possibile conclusione, lo sapeva, lo leggeva nello sguardo di Algid. Ma il pensiero di morire prima di poter stringere tra le braccia Bra, prima di poterle dire, guardandola negli occhi, che gli dispiaceva, era semplicemente insopportabile.
«Cosa succede se rifiuto la sfida?» chiese, sentendosi infinitamente stanco. In cuor suo sentiva di sapere già la risposta.
Ne ebbe la conferma quando sul volto dell’alieno si disegnò un ghigno perfido. «Dovrai raccogliere i pezzettini della piccola Bra» rispose.
Di nuovo il ragazzo sentì uno scatto d’odio dentro sé, così acuto e repentino da annebbiargli la vista per un attimo.
«Posso dirle una cosa, almeno... Prima?» chiese. «Ti prego» aggiunse, incrociando gli occhi dell’alieno.
Non aveva mai supplicato apertamente un avversario.
Un lampo perverso balenò negli occhi dell’alieno. «No». Fece un gesto beffardo. «Ma urlalo, se vuoi, lei è qui» e fece cenno dietro di sé. «Ah, un’altra cosa. Se tenti di fuggire con la tua sorellina, giuro che vi darò la caccia fino alla fine dei miei giorni. E quando la troverò, la ucciderò subito».
«Se vinco?» domandò Trunks.
«Se vinci, do la mia parola che ti lascerò allontanare e non ti darò mai più fastidio. Né a te né alla tua preziosissima Bra».
«Cosa mi assicura che manterrai la parola? Cosa mi dà la certezza che, se morirò, tu la riporterai a casa?» chiese Trunks, con il cuore che batteva all’impazzata.
«Ti giuro che farò così» replicò Algid. «E poi...» aggiunse, con una mezza smorfia. «Come potrebbe essere altrimenti? Cosa dovrei farmene di una mocciosa come lei, una volta compiuta la mia vendetta su di te?»
Trunks lo fissò raggelato per qualche istante, poi annuì lentamente. Si sentiva tremendamente disperato, ma non poteva far altro che fidarsi della parola dell’alieno.
«Un attimo» sussurrò. Cercò di individuare almeno parte della sorellina, ma Algid la nascondeva completamente. Fece un respiro profondo e cominciò: «Bra.
Perdonami, ti prego. Sono stato egoista. Non sono stato il fratello che avresti meritato. Lo so che tu devi aver sofferto almeno il doppio di quanto ho sofferto io, ma ti chiedo di perdonarmi. Ti prego, per favore.
Forse... Forse me ne dovrò andare, piccola, ma non ti preoccupare. E soprattutto, non pensare, mai, per nessun motivo, che sia in qualche modo colpa tua. Ti amo tantissimo, piccola, perché sei tu. Non avere mai rimpianti, per favore, non ne hai motivo. È da un secolo che non mi sento così vivo».
Tacque e deglutì.
Raddrizzò la schiena, fronteggiando Algid. «Sono pronto» affermò, osservando il profilo crudo dell’alieno.
Questi sorrise con lentezza. Avanzò di un passo.



Spazio dell’Autrice:
No. Non è un’allucinazione. Sono tornata davvero, dopo mesi di assenza. Mi dispiace tantissimo e spero di non avervi fatto fuggire tutti con la pausa enorme che mi sono permessa (anche se forse me lo meriterei). No, se dico “permessa” sembra sia stato intenzionale farvi attendere così tanto. Non è così e vi chiedo scusa.
Spero il capitolo sia all’altezza delle vostre aspettative.

Luna_07: Come vedi, Bra finalmente è saltata fuori, e l’alieno ha spiegato la propria provenienza. Spero ti piaccia l’aggiornamento – che, finalmente, è arrivato.

S_ara: Non immagino ora che balzo farai (forse di rabbia, anche) quando vedrai che finalmente, dopo mesi e mesi di nulla, ho aggiornato questa storia. Come vedi, Freezer c’entra... Un bacio

Babypunk90: Almeno questo capitolo è più lungo. Viene molto in ritardo ma almeno come lunghezza non scarseggia – almeno spero, sigh!

Giusiemo291: Infatti Freezer, pur non essendo esattamente questo nuovo personaggio, entra nella sua storia ed in un certo senso è la causa indiretta di quanto è accaduto. Spero che tu possa perdonare il mio orribile ritardo! Grazie per i complimenti!

DarK_FirE: Gemy! Perdona TU per il ritardo! Sono un disastro, ci ho messo così tanto ad aggiornare... Purtroppo ti ho tenuto molto sulle spine, ma ora tenterò di non farlo più, mi sono già fiondata a scrivere i capitoli che seguiranno. Vedi che il tuo Freezer c’entra? Ti anticipo che non ci si scorderà certo di lui, in questa storia... Bacioni

FullmoonDarkangel: Funghi? Io adoro i funghi! Vabbe’, probabilmente già lo sai, data la quantità di riso ai funghi che ho mangiato su al campo... Sono felice che ti piaccia questo nuovo alieno.

Giuliiiiii: Ed ecco il continuo. Lo so, sono stata molto più che ritardataria. Spero sia perdonabile questa attesa che vi ho fatto fare... Grazie mille per i complimenti, sono molto contenta che ti sia piaciuta!

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Capitolo 11
*** Illusione ***


Capitolo 11 – Illusione

“È rapido”.
Il pensiero si delineò con irreale precisione nella mente di Trunks, mentre questi veniva scagliato all’indietro da un pugno al mento indirizzatogli da Algid.
Cadde pesantemente sul prato, precedendo con essa il resto del corpo poggiò una mano al terreno e si rialzò in piedi, fulmineo. Osservò Algid in posizione di guardia.
Un rivolo di sangue gli bagnava il labbro.
Lo sentiva sulla lingua, in bocca. Eppure, quel sapore salato e metallico aveva un che di inebriante, come se improvvisamente ogni percezione fosse diventata elettrizzante. Non avrebbe saputo dire se era dato dal fatto che aveva ritrovato Bra o dalla prospettiva di morire.
Il secondo scatto dell’alieno non lo trovò impreparato. Il primo attacco, nella sua rapidità, lo aveva spiazzato, ma ora sapeva che la velocità era elevata sino a quel punto. Non c’era più spazio per la sorpresa, fortunatamente.
Indietreggiò, stando a qualche centimetro da terra, mentre l’aria gli passava tra i capelli, poggiando i piedi sul terreno solo raramente, per avere un migliore equilibrio; arretrò sotto i colpi di Algid, parandoli, restando in posizione di difesa in attesa di cogliere qualcosa dello stile del nemico.
Dopo gomitate, pugni, manate, ginocchiate e calci iniziò a trovare il proprio ritmo in quello frenetico e spietato dell’alieno. Lentamente, senza lasciare la difesa, iniziò ad adattarsi ad esso, cercando di abituarsi.
Per un attimo, colse l’immagine di ciuffi azzurri e scompigliati da dietro la spalla di Algid. Un boato gli esplose nella mente, un momento dopo l’alieno lo scagliò impietoso sul terreno.
Si rialzò e riprese a danzare nell’aria, in equilibrio sul filo del rasoio.
Quando credette di essersi fatto una vaga idea dello stile di Algid azzardò un colpo poco convinto per testare la sua difesa. Come previsto, l’alieno lo parò senza problemi.
Il ragazzo si alzò un po’ di più nell’aria, con una capriola in volo evitò una manata in pieno viso da parte dell’essere, quindi mosse fulmineamente la gamba... Ed il suo ginocchio raggiunse deciso lo stomaco dell’alieno, che si fece appena un po’ indietro.
Il combattimento riprese.
Nonostante l’angoscia che gli serrava lo stomaco, Trunks sapeva di non aver mentito (né mentito né esagerato) quando aveva parlato a Bra.
Era da tanto che non si sentiva così vivo.
Sentiva il battito del proprio cuore contro il petto, sentiva il sangue pulsare nelle vene, l’aria fresca pungere sulla pelle, il vento a scompigliargli i capelli.
Percepiva ogni aura degli essere più o meno vicini. La splendida forza spirituale di Bra e quelle opache, deboli e dolcemente ottuse dei piccoli animaletti che si aggiravano lì intorno.
E le aure erano una musica, erano la colonna sonora della vita. E quella di Bra era la melodia più soave, bella e speciale.
Ogni nota racchiudeva una storia.
Erano storie, erano immagini nella sua testa, al di sopra dei movimenti del suo corpo che si opponevano ai colpi di Algid. Erano racconti che avrebbe voluto narrare alla sua sorellina. Voleva raccontarle storie della buonanotte.
Voleva sentirla ridere, voleva vederla premere le mani sulla bocca – simile ad un minuscolo bocciolo di rosa rossa – in un moto di sorpresa. Voleva udirla reclamare a gran voce il continuo del racconto.
Un pugno lo fece crollare a terra. Sbatté la testa sul prato, per un attimo stelle e luci gli esplosero davanti agli occhi. Si rialzò di scatto mentre, contro la sua volontà, una nuova ipotetica storia si faceva strada nella sua mente.
Bra che sorvolava i tetti della Città dell’Ovest sorretta da Algid.
Bra che correva tra le braccia di Bulma ridendo.
Bra che riportava il sorriso sulle labbra di sua madre ed un ghigno meno rigido su quello del padre.
Bra che tornava ad accucciarsi sul proprio letto, mentre Bulma, felice, prendeva dalla soffitta gli oggetti che aveva messo via.
Bra che rideva.
Bra che piangeva.
Bra, Bra, Bra.
Bra... Senza di lui.
Avrebbe voluto essere meno egoista, avrebbe voluto che non gli importasse nulla di se stesso, se solo sua sorella poteva riavere ciò che le era stato tolto per colpa sua. Ma gli importava. Eccome se gli importava.
Non voleva morire.
Una ginocchiata lo colpì al mento, facendogli perdere il ritmo, permettendo ad Algid di raggiungerlo con un calcio ben indirizzato.
Il ragazzo scattò indietro, stordito. Mentre si rilanciava contro l’alieno cercò il modo di liberare la propria testa dalle immagini in cui sua sorella viveva senza di lui, in cui lui non aveva l’occasione di abbracciarla nemmeno un poco.
Non gli era mai stato troppo difficile liberare la mente durante un combattimento, e non riusciva a capire come mai ora quelle immagini premessero così tanto sui suoi pensieri.
Poi, mentre spingeva la mano in avanti, colse un bagliore degli occhi di Algid che si erano alzati a incontrare i suoi, e capì.
Era stato Algid a creare gli incubi che lo avevano tormentato e ossessionato in quegli anni. Era stato lui, ed ora era lui a sommergergli la mente di ipotesi sgradite.
Con un gemito, il ragazzo sollevò un pugno ed andò a colpire in viso l’avversario, per poi ricevere in cambio una sfera d’energia dritta nello stomaco.
Trunks compì una mezza capriola all’indietro per sottrarsi da un altro Ki Blast, quindi si raddrizzò e tentò di colpire Algid sul petto, senza risultato.
Le immagini che, nella sua mente, soffocavano gli altri pensieri gli stavano facendo perdere gran parte della concentrazione.
«Basta!» gridò, fermando un pugno dell’alieno. «Che stai facendo?!» chiese con rabbia, mentre entrambi si guardavano, uno davanti all’altro.
«Ti combatto» replicò Algid, con un bagliore serpentino negli occhi.
«Sta’ fuori dalla mia mente!»
«Perché?» domandò l’alieno, in tono strisciante, con parole che sembravano insinuarsi viscide nella mente del giovane saiyan. «Io combatto con quello che ho. Con tutto quello che ho».
Con un balzo l’alieno si scostò dal ragazzo, per poi ripartire all’attacco, con una nuova marea di immagini ed un’ondata di colpi.
Il ragazzo riuscì a mettere da parte i propri pensieri e a focalizzarsi sul duello.
Stava riacquistando il ritmo quando le forme nella sua mente cambiarono. Non erano più una vita nuova per Bra.
Erano il passato.
Era Bra che piangeva nei suoi incubi, era Bra che si sedeva alla casetta nel Parco, fiduciosa del fatto che lui sarebbe tornato a prenderla. Bra, ed i suoi occhi erano azzurri. Erano smarriti, traditi, infelici.
Il globo energetico che Algid creò con una mossa fulminea lo colpì in pieno petto, travolgendolo in un’ondata di scintille.
Il ragazzo cadde all’indietro, battendo la testa contro il prato. Le sue narici vennero immerse dall’odore di terra bagnata e da quello di bruciato.
Stordito, alzò a fatica la testa, mentre Algid si avvicinava con lentezza.



Spazio Autrice:
Eccomi! Lo so, sembra incredibile, è incredibile, ma è la verità. Sono di nuovo qua, ad aggiornare questa storia. Devo dire che, quando ho ideato questo capitolo, ero un po’ scettica riguardo all’idea di riuscire a descrivere un combattimento – stile Dragonball – senza farlo diventare troppo pesante e ripetitivo. Invece, quando mi sono messa a lavorarci sopra, mi sono divertita. E penso di essere riuscita a non farlo diventare troppo tedioso – ma questo dovete dirmelo voi.

Super Sirod: Oddio, non sai quanto mi ha fatto arrossire – di piacere, diciamolo pure – la tua recensione. Non so, è sempre bello poter dirsi che può esserci qualcuno, oltre a quelli che recensiscono, che segue la storia. Sono felice che ti piaccia così, sono felice di essere riuscita a rendere i sentimenti di Trunks così realistici e di essere riuscita a creare un’atmosfera nel quale sei riuscita ad immedesimarti. Non so se riuscirò a ringraziarti mai abbastanza per il piacere che mi ha fatto la tua recensione. Comunque intanto ti dico grazie, e mi impegnerò per provare a non lasciarti più in lunga attesa – senza dubbio, non di certo lunga come quella che c’è stata... Ciao^^

Luna_07: Le parole che Trunks rivolge a Bra prima di iniziare il duello sono senz’altro importanti. A dire il vero, ero un po’ preoccupata che alla fine sembrasse un discorso messo là con tanti termini più o meno eccessivi e perdesse il significato che volevo dargli. Quindi, quando ho letto il tuo commento, ho anche tirato un bel sospiro di sollievo. Sono felice che ti siano piaciute. Al prossimo capitolo^^

Giusiemo291: Eh, quando ho pensato alla storia non ho potuto fare a meno di inserire un qualche collegamento con Trunks del futuro (che è anche il mio personaggio preferito). Diciamo che la scena madre – esiste la scena madre nei capitoli di una storia?, comunque – del capitolo è proprio quando Trunks rivede Bra dopo tanto tempo. Insomma, io cerco sempre di comunicare qualcosa a chi legge quel che scrivo e sono molto più che felice di leggere che i brividi, le emozioni e i sentimenti di Trunks ti siano giunti con tanta chiarezza. Anche l’immagine di una Bra spaventata era importante, per me, quindi sono contenta che tu l’abbia colta. Sì, è rimasta traumatizzata davvero, povera cucciola (Bra mi fa sempre questo effetto. Mi intenerisce moltissimo). Per i suoi sentimenti riguardo il fratello li vedremo presto, non preoccuparti. Ciao, un bacio.

Dea Nemesis: Non preoccuparti per non aver recensito prima. Cavolo, non credevo di saper coinvolgere sino al punto di indurre a leggere dieci capitoli in un fiato... Be’, mi fa piacere di esserci riuscita. Riguardo alla scena della ninnananna volevo qualcosa di “normale”, come dire, che potesse risultare inquietante, Trunks che ripete a bassa voce le frasi di una canzone rivolgendosi alla sorellina che, di fatto, non c’è, mi sembrava adatto alla situazione. Sono contenta di averti fatto immedesimare e provare quasi lo stesso shock che ha sentito Bulma. Stesso discorso per gli incubi – nel senso che anche loro sono una parte importante della storia. Anch’io credo che mi sarei terrorizzata abbastanza, sognando cose simili... Per finire, ebbene sì, la colpa è in gran parte di Algid. Alla prossima e grazie!

Angelo Azzurro: Sono contenta che ti sia piaciuta l’idea della storia e il modo in cui poi l’ho sviluppata. Ti capisco, anch’io ultimamente non frequento più la categoria “Dragon Ball”, senza dubbio non come facevo un tempo. Così come te, pure io ogni tanto però vengo a dare un’occhiata, e leggere una cosa qui e una cosa lì mi aiuta a riprendere l’ispirazione, soprattutto se è qualcosa di ben scritto. Cercherò di aggiornare il prima possibile! Al prossimo capitolo...

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Capitolo 12
*** Il passato ***


Capitolo 12 – Il passato

Faceva male.
Faceva maledettamente male.
Il petto gli doleva, le braccia gli dolevano, ogni muscolo sembrava spossato ed esausto, teso sino allo spasmo per la stanchezza.
Sfinito, osservò Algid farsi sempre più vicino. L’aspetto più positivo della faccenda era senza dubbio il fatto di non riuscire a pensare a nulla, mentre continuava a fissare l’alieno che incedeva con lentezza studiata, quasi goduta.
Sbatté le palpebre e provò a tendere i muscoli, ma loro non risposero, se non con una protesta di dolore. Il ragazzo rilassò come poteva il proprio corpo.
Di punto in bianco, il suo cervello riprese a funzionare. I pensieri che parevano essere scomparsi sino a qualche attimo prima tornarono di colpo a invadergli la mente, frenetici. Allo stesso tempo, si impegnò in modo di controllare i propri respiri affannati, regolandoli.
Di scatto, balzò in piedi, mentre la sua aura si increspava. Le sue pupille parvero sbiadire, inghiottite dall’azzurro dell’iride, colore che mutò in un brillante verde acqua. I capelli sudati diventarono di un biondo sfolgorante alzandosi appena verso il cielo. La forza spirituale che lo circondava si fece visibile in una fiammata d’oro.
Algid si bloccò. Per un momento i due si limitarono a guardarsi, poi Trunks scattò in avanti con la rinnovata potenza dovuta al suo stadio di super saiyan.
I suoi colpi si fecero più precisi e mirati, spiazzando l’alieno e costringendolo ad indietreggiare, visione che provocò al ragazzo una soddisfazione quasi selvaggia.
Con una testata diretta al viso dell’avversario sancì definitivamente lo spazio tra loro due.
Algid traballò, poi alzò il capo. Sembrava, mentre arretrava sempre di più, che tentasse di cogliere la sfumatura e i sentimenti che si celavano negli occhi estranei del giovane.
Qualcosa balenò nel suo, di sguardo, e Trunks, seppure per un frammento di secondo, esitò, disorientato da una nuova sequenza di immagini nella propria testa.
Strinse i denti e si abbassò ad attaccare l’alieno.
Ma, contro la propria volontà, si ritrovò trasportato indietro, tre anni prima, dai ricordi di Algid su quanto era accaduto dopo che lui se n’era andato lasciando Bra sola al parco.

Correva.
Il freddo della notte sembrava cristallizzarsi sul suo corpo liscio, ma lui non ci badava, si rifiutava di rallentare anche di un poco la frenetica andatura.
I colori della notte sfrecciavano attorno a lui, una massa indefinita a causa della velocità; un nero schizzato di poche luci scialbe.
Non si era mai sentito così vittorioso ed esultante, non dall’uccisione del suo signore.
Quando aveva assistito alla scena in cui quel... ragazzino si permetteva di sfidare il grande Freezer, non aveva avuto più pace. E sapeva che non ne avrebbe avuta sinché non avesse trovato la propria vendetta.
Finalmente – doveva ringraziare tutti gli dei che si onoravano sul suo pianeta natale, dei ai quali lui non aveva mai creduto – l’occasione della rivalsa gli si era presentata.
Quello stupido ragazzino aveva lasciato la sua sorellina sola al parco. Per mera fortuna, in quel momento lui, Algid, era focalizzato sulle aure dei fratelli Brief. E così aveva sentito la prima (così odiata, così chiaramente saiyan) separarsi dalla seconda (lieve e ostinata nella sua mente). Senza osare credere alla fortuna che gli stava capitando, aveva seguito con la mente l’aura di Trunks. L’aveva sentita incontrarsi con quella del figlio minore di Son Goku ed aveva compreso cosa doveva essere accaduto.
Trunks aveva lasciato la sorellina, che gli era stata affibbiata, sola al parco.
Un ghigno si dipinse sul viso gelato di Algid. Saiyan o no, combattente o meno, il ragazzo era decisamente succube di tutti i difetti umani. La scarsa pazienza non faceva eccezione.
Una svolta, ed Algid se lo ritrovò davanti, il parco in cui il figlio di Vegeta aveva lasciato sua sorella minore.
Alla luce scialba delle prime ore della notte, illuminato a stento da qualche pallido lampione, il prato sul quale si trovavano alcuni giochi sembrava stranamente lugubre.
Ma non era così che Algid lo vedeva. Oh, no. Per lui ogni singolo stelo d’erba brillava di magnificenza e soddisfazione, ogni scheggia arrugginita delle catene delle altalene irradiava compiacimento.
Il gran momento era giunto, finalmente.
L’alieno atterrò con calma sul prato, nonostante gli sembrasse di avere il corpo teso per l’impazienza famelica.
Si avvicinò alla casetta giocattolo dalla quale proveniva l’aura modesta e quasi indistinguibile di Bra. Già in lontananza poteva distinguerla.
La bambina, ciuffi di capelli blu e occhioni dello stesso colore a sottolineare la sua razza ibrida, sedeva là dentro, sfilandosi accigliata uno dei guantini che indossava.
Quando l’alieno le fu davanti, sussultò come se lo avesse percepito ed alzò repentinamente lo sguardo, spaventata.
In risposta a quello sguardo impaurito, il ghigno di Algid si fece minacciosamente ironico. Ah, che delizia! La vendetta si preannunciava molto più meravigliosa di quanto se la fosse mai figurata!
«Ciao, piccola Bra» la salutò, mentre il ghigno si allargava maggiormente.
Lei mosse la testa in uno scatto curioso. «Chi sei tu?» strillò, alzandosi in piedi. Il guanto cadde dalla sua mano nuda.
Naturalmente, avrebbe potuto caricarsela in spalla senza tanti complimenti e portarsela via così, come se niente fosse. O avrebbe potuto stordirla con un colpo ben mirato e condurla via altrettanto facilmente.
Ma l’euforia che provava gli suggerì di giocare un poco.
«Oh, sono un amico, piccola Bra, te lo assicuro» ghignò.
Lei scosse la testa, scrutandolo torva nonostante la paura fosse più che evidente. «No! Non è vero! E non mi parlare!» aggiunse, in tono quasi disperato. «La mamma dice di non parlare con gli estranei!»
Algid sorrise. Sì, sì, sì! Che gaudio! Poteva quasi sentire il cuore della bambina battere, veloce e impaurito come quello di un uccellino in trappola. Assaporò ogni singolo palpito spaventato, godendolo come il piacere supremo.
«Vattene!» urlò la bambina, atterrita. «Sei tutto freddo, vai via, non mi piaci!»
«E dovrei lasciarti qui sola soletta?» domandò Algid, con un nuovo ghigno. «Io, almeno, ti posso dire che conosco tuo padre e tuo fratello. Pensa che brutti cattivi e veri sconosciuti potrebbero arrivare da un momento all’altro». Fece un gesto ampio. «Tra poco sarà buio» aggiunse, quasi in tono di sfida.
La bambina seguì con gli occhi la mano dell’alieno che si tendeva ad indicare tutt’attorno. Una piccola dose di incertezza e di rinnovata inquietudine si disegnò sul suo visino.
«Tanto Trunks mi viene a prendere!» esclamò, in tono di sfida.
Questa era bella! Bellissima! «Oh, ma davvero?» sogghignò Algid. Guardò per bene il volto della bimba, assicurandosi di averlo sott’occhio in modo ottimo. Sarebbe stato un piacere vedere con chiarezza ogni fiducia scomparire, lasciandolo infreddolito e terrorizzato.
«Mia cara, piccola Bra, temo che tu abbia frainteso. E di molto, anche. Il tuo fratellone, quello che in teoria dovrebbe tornare a salvarti, ti ha scaricata. Ti ha lasciata qui per non averti fra le scatole, ti ha abbandonata perché non ne può più delle tue lagne, perché vuole godersi una bella giornata in compagnia del suo amico Goten senza di te».
La certezza sul volto della piccola iniziava a sgretolarsi. Quasi a sottolineare quel cambiamento, il labbro inferiore iniziava a tremare, quasi lei fosse prossima al pianto.
«Non è vero!» disse, ma la sua voce era fievole e quasi patetica. «Il mio fratellone mi vuole bene!»
«No» la contraddisse pacato Algid, quasi con dolcezza. «No... Lui vuole disfarsi di te. Pensa che bella la sua vita, prima che arrivassi tu! Aveva papà e mamma tutti per sé. Ora, invece, sia papà che mamma si occupano della sua sorellina, trascurandolo. Non è bello essere trascurati, piccola mia, non è per nulla bello. Ti ha raccontato una bugia e ti ha scaricata qui. Ma non verrà a prenderti più. Mai più».
Le guance rosee della bimba iniziarono ad essere rigate dalle prime lacrime. Bra iniziava a sentire il freddo. Prima, quando pensava che Trunks sarebbe tornato, non c’era così freddo.
Pensò disperata al suo fratellone, a tutti i capricci che, in fondo, aveva fatto solo per attirare la sua attenzione. Pensò ai suoi sorrisi quando le faceva il solletico.
Ed era tutto una bugia? Non era vero niente? Era tutto cattivo?
Un brivido scosse la piccola, facendola piangere di più. Voleva correre via e non tornare più su quel mondo in cui tutto era brutto, nero e cattivo.
Algid posò le dita sulla fronte della piccola, concretizzando ogni sua paura, consolidando le debolezze e distruggendo le certezze.
Quando tolse la mano si ritrovò davanti una Bra molto più indifesa e terribilmente disperata di quella che gli stava innanzi prima che la sfiorasse.
La guardò piangere, assaporò la sua solitudine. Poi la strinse e se la caricò in braccio. Essere circondata dalle braccia dell’alieno aumentò i singhiozzi spaventati della bambina.
Sola. Sola. Sola.
Strillava solo quello, ormai, la sua mente: solitudine.

«L’ho portata via e ho teso la mente verso voi saiyan, ingannando i vostri sensi e, così facendo, nascondendo l’aura della bambina ad ognuno di voi» concluse Algid, recuperata la solita beffa nella propria espressione, evitando il pugno fiacco e sfiduciato di Trunks.
Il ragazzo si riscosse ed attaccò con maggior convinzione. Ma si sentiva malissimo.
Aveva la nausea, la testa gli girava.
La sua mente era sopraffatta dall’immagine di Bra in lacrime. Si sentiva soffocare dalla voce di lei che sosteneva che suo fratello sarebbe tornato a prenderla, dalla fiducia che si sgretolava e che, frammento a frammento, scivolava via dal visino della bambina.
Ansimò e si costrinse a concentrarsi sul duello.
Poco lontano, smunta e impaurita, Bra osservava ad occhi sbarrati quel combattimento.




Spazio Autrice:
Mamma mia. Scusate il ritardo, ma avevo una paura pazzesca che questo capitolo suonasse un po’ ripetitivo. Cioè, sono tutte cose già viste: il senso di colpa di Trunks, l’insopportabile bastardaggine (?) di Algid, la paura di Bra. Comunque mi sentivo in dovere di completare quello che è successo dopo che Trunks ha lasciato la sorellina al parco, una specie di escursus sul personaggio di Algid, anche.
Come se non bastasse, ci si è messa di mezzo la scuola, tutte le sue orrende interrogazioni e/o verifiche e tutto ciò che ne deriva. Per non parlare della febbre che mi è venuta...
Spero di non avervi annoiato.

Super Sirod: Okay. So che l’ho già detto, ma, nonostante tu abbia scritto che credi che i complimenti siano meritati, non posso fare a meno di ripeterlo: Grazie. In effetti quando mi appresto a scrivere un combattimento, come dici tu, alla Dragonball, mi sento un po’ irrequieta: mi sembra di essere in equilibrio molto precario. E in effetti, ho sempre un timore insopportabile di calcare o troppo o troppo poco la mano sulle azioni più fisiche. Sono felice che ti piaccia come scrivo. Ora penso tocchi a me scusarmi, e mi scuso per non aver aggiornato prima. Spero di non lasciare attendere un mese di nuovo!

Trunks94_cs: Ciao! Ti ringrazio per i complimenti. Mi fa piacere che la mia storia ti abbia catturato ed invogliato a leggerla tutta in un’unica serata. Ho visto la tua mail, dopo tanto che me l'hai mandata, ma non riesco a inviarti la risposta! Poi riprovo e spero di riuscirci!

Dea Nemesis: Okay, qui spero di non essere inciampata nella ripetitività, come ho paura che sia. Il combattimento è sempre un punto critico, perciò sono stata più che grata di leggere che non ti è parso pesante, così come è stato bello leggere che hai apprezzato il modo in cui ho trattato il personaggio di Trunks. Spero di continuare a mantenere un tale “livello”.

Finaltrunks: Come vedi, sei capitato proprio giusto, con la domanda: “Ma Trunks non è ancora trasformato in super saiyan?”, dal momento che proprio in questo capitolo finalmente lo diventa. Il cambiamento di Trunks e le reazioni di Vegeta e Bulma, oltre naturalmente alla scomparsa della piccola Bra, sono i “pilastri” della storia, i punti che mi premeva maggiormente far apparire reali al massimo. Quindi ti ringrazio per averli apprezzati^^

Giusiemo291: Guarda, anche a costo di prendere a calci la modestia, ti assicuro che non è affatto noioso leggere dei complimenti. Mi fa sempre un piacere immenso leggere che sono riuscita a trasmettere quel che mi ero progettata di comunicare. Le tue recensioni, poi, non sono mai troppo striminzite, anzi! Riesci sempre a darmi una dritta, e quando le rileggo mi viene sempre voglia di aggiornare le storie su DB (purtroppo, però, a volte la scuola e gli altri impegni non possono essere sconfitti dalla mia voglia di scrivere ç_ç). In quanto a quel che scrivi... Be’, mi sento sempre – se posso dirlo con un aggettivo che di solito non mi piace molto, salvo situazioni particolari – deliziata, dal modo in cui capisci o interpreti quanto scrivo. A volti guardi addirittura più in fondo di quanto ho guardato io. E mi dà una felicità che non ti dico, vedere che riesco a comunicare qualcosa addirittura oltre quanto mi ero programmata di far capire.
Credo sia un peccato che le storie sul futuro alternativo, e quindi sul nostro amato Mirai No Trunks, scarseggino. Mi trovo in completo accordo con te: Trunks del futuro okay, ma per pietà non quello del GT!
Un bacio.

DarK_FirE: Ehehe, Gemy, vedrai che i riferimenti al tuo adorato Freezer non mancheranno, lo garantisco! Per adesso mi sa che, crudele come sono (bisogna essere consapevoli della propria cattiveria, ogni tanto >.<) torturerò ancora un po’ psicologicamente il povero Trunks. Sono d’accordo, Algid è senza dubbio un incallito servitore (e come potrebbe essere altrimenti?! Lo sappiamo noi che Freezer ha carisma a palate), ma allo stesso tempo è anche un gran rompiballe. La sua concezione di “giusta vendetta” è un bel po’ distorta. Io dico “Evviva ottobre perché compiamo gli anni!!!”, no?
Baci.

S_ara: In effetti Bra poverina non c’entrava praticamente niente. Anzi, proprio nulla. Ma si sa che i nemici devono sempre escogitare la vendetta più contorta del mondo, invece che essere diretti e prendersela con il responsabile. In effetti la tua teoria è interessante xD Infondo è SEMPRE colpa di Goku, non bisogna dimenticarlo... Mmm. ^^ Ciao, un bacio!

Raven85: Addirittura "Spettacolare"?! Oddio, grazie mille! In quanto alla tua domanda... Certo che la finisco!

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Capitolo 13
*** Faccia a faccia ***


Questo voglio dedicarlo a Valerio (alias Trunks94_cs)
Ragazzi, è tutto merito suo se ho ripreso in mano questa storia!



Capitolo 13 – Faccia a faccia

Trunks fendette l’aria con un manrovescio che finì per abbattersi sul viso di Algid, furibondo. Non ne poteva più delle immagini e dei ricordi che parevano impazzire nella sua mente. Si sentiva male nel percepire i propri pensieri fuori controllo, ma non voleva smettere di combattere.
Grazie alla trasformazione in super saiyan era molto superiore all’alieno sia in potenza che in velocità – almeno sperava. La prontezza di riflessi era un po’ frastornata dai continui ricordi che Algid inviava alla sua mente, ma non se la cavava troppo male.
Sussultò all’immagine mentale di Bra rannicchiata in un angolo, terrorizzata; un momento dopo si abbassò per evitare appena in tempo il pugno chiuso di Algid. Si risollevò fulmineamente, afferrando il braccio dell’alieno e, facendo presa su quella stretta, scaraventò a terra l’avversario, alzandosi di qualche metro nell’aria.
«Perché...» ansimò Algid, una volta che si ritrovò a fluttuare davanti al saiyan, a distanza di sicurezza, «credi... di avere... il diritto di essere qui?»
Trunks lo ignorò e lo colpì con una gomitata, per poi creare un Ki Blast e mandare la piccola sfera d’energia ad infrangersi contro il petto dell’alieno. Quest’ultimo reagì scagliando un ricordo contro il presente del ragazzo.
Il figlio di Vegeta barcollò appena, sopraffatto dall’immagine di una Bra in lacrime, spaventata, disperata.
«Cosa le hai fatto?!» ruggì, scattando in avanti.
Algid si scansò con una mezza capriola.
«Perché piangeva? Cosa le avevi fatto?» gridò di nuovo il ragazzo. Una parte di lui pensava che non era importante, perché comunque gli avrebbe fatto pagare ogni cosa. Ma un’altra voleva assolutamente essere a conoscenza di cosa aveva dovuto patire la piccola Bra.
«Cosa le ho fatto?» urlò Algid, di rimando. «Devi accettare che sei stato tu a farle del male! Io l’ho solo portata via da quel parco gelido dopo che tu l’avevi abbandonata! Chissà chi sarebbe arrivato, se non fossi giunto io a trascinarla via! Un maniaco? Un pazzo? Un ubriaco?»
Trunks allungò una manata, ma Algid la evitò con facilità, per poi prendere l’attacco e colpire il giovane con una testata al petto che gli fece mancare per un momento il respiro.
«Io ho deciso di mostrarti la strada per venire da lei!» continuò Algid.
Trunks scrollò la testa e lo attaccò, ma l’alieno riuscì ad evitarlo.
«Avresti continuato ad annaspare nel buio, se io non ti avessi mostrato come venire qui».
«Non ci sarebbe stato il buio, se tu non l’avessi portata via!» urlò Trunks, colpendolo sotto il collo con un pugno violento che fece barcollare all’indietro l’alieno.
Algid per poco non crollò sul terreno, ma riuscì a recuperare l’equilibrio e a portarsi fuori dalla portata del giovane.
«Errato» corresse, in tono sprezzante. «Non ci sarebbe stato il buio se tu non l’avessi lasciata al parco».
«Continua a rigirare la frittata come vuoi» sibilò Trunks tra i denti. «Niente può togliere che comunque sono tornato a prenderla».
«Oh, è questo?» domandò Algid. «Quindi tutto bene? Non importa cosa lei ha patito, basta che tu alla fine ti sia dato una svegliata?»
Trunks scosse la testa, tenendo d’occhio l’alieno e aspettando il momento giusto per partire di nuovo all’attacco. «Non è questo che sto dicendo» affermò, quasi sottovoce.
Con uno scatto, si lanciò contro Algid e lo scaraventò a terra, per poi iniziare a indirizzargli dei colpi su ogni centimetro di pelle dell’alieno che riusciva a raggiungere, percuotendolo senza il minimo ritegno.
Algid, all’ultimo momento, mentre un livido bluastro iniziava ad allargarsi su una sua guancia che sembrava ormai tumefatta, riuscì a sgusciare via dal saiyan. Volò verso l’alto, digrignando i denti furibondo.
Si fermò e guardò verso Trunks, che lo stava fissando con disprezzo.
L’alieno si irrigidì. Non doveva permettere a quel ragazzino di batterlo, per nulla al mondo!
Pensò a Freezer, il suo sovrano, e sentì una nuova ondata di rancore bollente invaderlo. Quel bastardo, che non poteva nemmeno vantare un sangue puro, non aveva il minimo diritto di continuare a vivere, dopo la nefandezza compiuta.
Passato, presente o futuro non importava. Sempre Trunks era stato, e sempre Trunks doveva pagare.
Però stava iniziando a resistere ai suoi attacchi mentali. Avrebbe dovuto evitare di insistere su Bra, almeno per un poco. Doveva cambiare soggetto.
Ma chi...?
Un ghigno gli si disegnò sul volto alieno.
«Vediamo se non ti confonde questo, bastardo» sibilò tra i denti, aspettando che Trunks arrivasse a raggiungerlo.
Il ragazzo non si fece attendere troppo. In men che non si dica, si lanciò nella direzione del rivale, un’espressione determinata e rabbiosa insieme.
Algid attaccò con precisione la sua mente.
Come aveva previsto, Trunks si bloccò, frastornato, disorientato dall’improvvisa visione di se stesso davanti ai propri occhi. O meglio, non se stesso.
Un’altra persona.
Un ragazzo come lui, ma con lo sguardo più triste.
Trunks avvertì un’improvvisa stretta allo stomaco quando si rese conto di star guardando negli occhi il suo alter ego del futuro.
Per un momento dimenticò Algid, sommerso dal turbinio frammentario di eventi che arrivarono con l’immagine dell’altro Trunks.
In un solo istante, seppe cos’aveva passato quel ragazzo.
Aveva perso il padre, gli amici, il proprio maestro... Non aveva mai avuto un amico come Goten, non aveva mai avuto una sorellina.
Bra...
Appena in tempo, Trunks riuscì a riscuotersi da quell’illusione. Tornò al presente, scostandosi in fretta dalla traiettoria di Algid, il quale cercò di colpirlo approfittando dello smarrimento del mezzo saiyan.
Evitato il colpo dell’alieno, Trunks partì al contrattacco, andando a segno con una testata.
L’aria gli soffiava tra i capelli, il cuore gli batteva nel petto, le tempie gli pulsavano, l’adrenalina pareva scorrergli a fiumi nelle vene. Ma nel suo cuore, adesso, c’era anche qualcos’altro.
L’immagine di qualcuno che, pur non essendolo, era lui.
Se in un primo istante l’idea l’aveva sconvolto, ora Trunks lo accettò. Nella storia c’era stato un altro Trunks, che aveva avuto una vita completamente diversa dalla sua, che aveva maturato un carattere quasi opposto, ma che avrebbe combattuto per Bra esattamente nello stesso modo in cui stava lottando lui.
Trunks trovò nuova forza e nuova decisione in quel pensiero.
Improvvisamente, gli parve di non essere il solo a combattere quella battaglia.

Algid sibilò tra i denti, frustrato, accorgendosi che le nuove immagini, invece di confondere il Saiyan come aveva sperato, sembravano addirittura avergli dato una nuova determinazione.
Il suo potere, in realtà, non consisteva nel creare immagini illusorie. Lui era in grado di distorcere le barriere del tempo e dello spazio, in maniera che i suoi avversari avvertissero eventi passati e ne fossero distratti o sconvolti.
In quel momento, aveva dato a Trunks solo un assaggio – davvero minimo e distante – di quella che era stata la vita del suo alter ego del futuro. E così, contrariamente ai suoi piani, gli aveva dato un motivo in più per continuare a lottare. Se invece gli avesse fatto percepire con più intensità tutti gli orrori che quell’altro bastardo aveva vissuto, se avesse scaraventato nella sua mente gli incubi e le paure della sua controparte…
Si sollevò più in alto, e assottigliò gli occhi fissando Trunks che gli si avvicinava rapidamente.
Individuò senza problemi la barriera spazio temporale sulla quale avrebbe dovuto far forza per cogliere alla sprovvista quello sbarbatello. Quindi, con la propria capacità, iniziò a deformarla, quasi immergendo Trunks in una nuova realtà.
Il ragazzo, da parte sua, era più che deciso a finire quell’incontro una volta per tutte, sbarazzandosi di Algid in fretta per poi poter correre finalmente da Bra.
Accelerò il proprio volo, ma improvvisamente nuove immagini del suo alter ego lo colpirono, e questa volta erano più nitide e forti delle precedenti. Trunks si sentì ghiacciare il respiro – la sensazione era proprio quella di essere finito in un pozzo d’acqua gelata.
Nella sua mente paralizzata, si fecero largo alcuni ricordi che non gli appartenevano, che avevano l’odore nauseante del sangue.
Quando allungò un braccio per colpire Algid, il suo pugno fu goffo e inefficace, e venne facilmente schivato dall’alieno. Quest’ultimo, se fino a un momento prima era stato furibondo, ora si concesse un sorrisetto di scherno, mentre attaccava di nuovo la mente del Saiyan.
Allora Trunks, investito dalla violenta immagine del cadavere di Gohan giacente a terra, non poté che serrare gli occhi e abbassare di scatto la testa, prendendola tra le proprie mani. Sentiva una disperazione che non gli apparteneva salire ad ondate dal suo petto, travolgendolo.
Un orrore incontenibile, un’angosciosa impotenza…
La gomitata con cui Algid lo colpì violentemente alla nuca lo colse del tutto alla sprovvista.
«Prova quanto fa male questo, Saiyan!» gridò l’alieno, mentre Trunks, con la vista annebbiata a causa del colpo ricevuto, si spostava quasi alla cieca dalla sua traiettoria.
Il giovane non ebbe nemmeno il tempo di riprendersi che il suo nemico lo colpì di nuovo, con più furia, facendolo precipitare di parecchi metri verso terra.
Riuscì a frenare la propria caduta appena in tempo, ma a quel punto Algid gli inviò contro diverse sfere di energia e il ragazzo non riuscì ad evitarle tutte.
Gemette di dolore sentendo la propria carne che veniva bruciata, ma proprio mentre stava ripartendo al contrattacco fu devastato dalla consapevolezza che suo padre non c’era.
Suo padre era morto.
Un urlo strozzato gli uscì dalla gola, mentre i confini della sua realtà venivano invasi dai ricordi di una vita che non era stata la sua.



Spazio Autrice:
Okay, dopo un secolo dallo scorso capitolo, eccone uno nuovo ^^
Lo so, ho un ritardo terribile, e per questo direi che non ci sono scusanti. Spero almeno che lo sviluppo non vi deluda (riguardo al potere di Algid, si capirà meglio più avanti di cosa si tratta).
Il prossimo aggiornamento sarà mercoledì 28 Settembre (si va un po’ avanti con i giorni, lo so, ma voglio essere sicura di rispettarlo).
Ad allora!

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Capitolo 14
*** Oltre la ragione ***


Capitolo 14 – Oltre la ragione

Bra, poco lontano, si era accucciata tra l’erba.
Tremava lievemente.
Guardava in alto, verso i due combattenti, che a lei sembravano macchie sfumate senza un significato particolare. A volte, quando Trunks e Algid si arrestavano per squadrarsi e soppesarsi a vicenda, li poteva vedere meglio, ma il loro senso non cambiava.
Per lei, il ragazzo che un tempo era stato suo fratello non aveva un significato diverso dall’alieno che l’aveva rapita. Algid faceva solo più paura.
Bra si rannicchiò più stretta, senza staccare lo sguardo dal cielo. Aveva gli occhi spalancati. E le iridi azzurro intenso, così simili a quelle della madre e del fratello, sembravano ancora più grandi nel visino pallido della bimba.
Probabilmente, se quei tre anni li avesse passati a casa propria, a farsi viziare dai genitori e a farsi coccolare dal fratello – quando questi era di buonumore –, a quel punto si sarebbe messa a piangere, impaurita ed esausta com’era.
Ma quei tre anni Bra non li aveva trascorsi a casa propria.
Aveva conosciuto il tradimento e, sebbene ormai il ricordo di quella giornata grigia e fredda fosse ormai solo una macchia sfumata nella sua memoria, ne portava ancora dentro la pallida desolazione.
Aveva passato tre anni con un alieno che non aveva nulla di umano, nel corpo o nella mente. Un alieno dalla mente calcolatrice, che in ogni singolo momento passato con la bambina non aveva fatto altro che pregustare la propria vendetta, senza mai provare un unico bagliore di pietà per lei, nonostante avvertisse la sua disperazione.
Bra aveva passato anni con un mostro che detestava la razza di suo padre e disprezzava la gente di sua madre, e che portava un odio sconfinato nei riguardi di suo fratello. Un mostro che non aveva mai provato un barlume di sentimento verso nessuno. Un mostro che non conosceva altro che il rancore tanto vecchio da essere ormai marcito e una cieca e assoluta venerazione per colui che un tempo era stato giudicato padrone della Galassia, il potente Freezer.
La bambina non osava piangere, per timore delle conseguenze che le sue lacrime avrebbero potuto portare. Non conosceva più la consolazione che le avrebbe offerto la sua mamma, il burbero incoraggiamento di suo padre, l’affetto di suo fratello.
Sapeva solo che Algid non sopportava i singhiozzi, che li detestava dal profondo dell’anima. Perché lui li considerava segni di una debolezza che, da parte sua, non si era mai potuto permettere.
La bambina tremava lievemente.
Aveva il viso serio, immobile, gli occhi all’erta.
Ma non piangeva.

Algid era euforico.
I ricordi della sua controparte del futuro destabilizzavano il giovane Trunks più di quanto l’alieno avrebbe mai potuto sperare.
Quel ragazzo era davvero vissuto nella bambagia – gli unici grandi problemi che avesse mai dovuto affrontare erano quelli che gli aveva causato lui – e come se non bastasse suo padre era il suo principale punto di riferimento.
Non sapeva come fronteggiare la sensazione di non poter crescere con Vegeta accanto, di non avere l’amicizia di Goten a sostenerlo.
Si sforzava di recuperare la lucidità, di schiarire i propri pensieri, di spingere lontano le sensazioni che Algid scatenava dentro di lui, ma era in evidente difficoltà.
Non reagiva più con la prontezza che aveva dimostrato inizialmente, e tra i colpi dell’alieno erano sempre di più quelli che andavano a segno.
E il ragazzo ne era consapevole.
Erano tre anni che non si allenava. Nel momento in cui Bra era scomparsa, aveva perso ogni sorta di interesse per quegli esercizi che, a dire il vero, non avevano mai costituito per lui una grande attrattiva.
Con uno scatto, si allontanò bruscamente da Algid, alzandosi di parecchi metri nell’aria. A quella distanza, i calci e i pugni dell’avversario non potevano raggiungere, ma quei ricordi spezzati che non gli appartenevano – e che allo stesso tempo gli sembravano così suoi – continuavano a rincorrersi nella sua mente.
Trunks scosse velocemente la testa. Ingoiò alcune avide boccate d’aria, nella speranza che quella freschezza potesse aiutarlo a schiarirgli le idee.
Certamente, però, Algid non era intenzionato a lasciargli il tempo per una pausa. Infatti, con un ghigno freddo stampato sulle labbra, l’alieno si lanciò verso il ragazzo.
Trunks serrò rigidamente la mascella, e compiendo una sorta di capriola a mezz’aria si allontanò da Algid, scagliandogli contro una sfera d’energia.
Di nuovo, però, un’ondata di emozioni che non gli erano mai appartenute gli si riversarono addosso, facendogli scorrere i brividi lungo tutto il corpo.
Era insopportabile e frustrante, e lui sapeva che era anche stupido, eppure non poté fare a meno di seguire il filo di quei pensieri… Era assurdo… Non aveva mai visto tanti cadaveri in vita sua…
Vedendo sopraggiungere un globo infuocato creato dalle dita di Algid, si scansò rapidamente, ma era tanto confuso che il risultato fu una mossa goffa. Riuscì ad evitare la sfera, questo sì, ma non a impedirsi di trovarsi nella traiettoria del pugno di Algid.
«Ma… cosa…?» gli sfuggì dalle labbra.
Si sentiva stordito e disorientato. Gli sembrava che le mosse dell’avversario stessero avvenendo ad un ritmo insostenibilmente rapido. Aveva sentito tante volte, sul fondo della gola, il sapore amaro della sconfitta, e l’umiliazione che quei cyborg…
Con un’esclamazione soffocata, cercò di sottrarsi all’incalzare di Algid, ma senza un particolare successo.
Quei terribili robot avevano un sorriso glaciale ed inumano, e ormai lui era rimasto il solo a combatterli.
“Maledizione!” imprecò Trunks, mentalmente, quasi disperato. “Non ci sto capendo più niente!”
E nel momento stesso in cui quel pensiero prese forma nella sua mente, gli sembrò di udire la voce di suo padre che lo rimbrottava.
Se hai la testa tra le nuvole in quel modo, non riuscirai mai a portare avanti un duello decente!
Con una sorta di sorpresa, il ragazzo unì rapidamente le mani, dopodiché le utilizzò per colpire violentemente Algid, ma quella mossa non smarrì l’alieno come Trunks aveva sperato.
Intanto, però, quasi fosse stata estranea al combattimento, la sua mente correva.
Ricordava benissimo quando gli erano state rivolte le parole che aveva appena rammentato. Era stato più o meno cinque anni prima, durante uno degli allenamenti a cui aveva cercato di sottrarsi sino all’ultimo momento. E anche quando suo padre aveva dato il via al combattimento, lui vi aveva partecipato distrattamente, focalizzato sulla festa che lo attendeva quella sera… Vegeta lo aveva atterrato in poco tempo, rivolgendogli quindi quel brusco rimprovero.
L’aura dorata che circondava il ragazzo si accese come una fiammata, mentre Trunks schivava agilmente il pugno di Algid, poggiando poi le mani sul braccio dell’alieno in modo da prendere la spinta giusta per scagliargli un violento calcio a piè pari in piena faccia.
Si sentiva ancora dolorante e un po’ intorpidito, ma finalmente era riuscito a riportare chiarezza nei propri pensieri.
Lui non si era mai allenato in quel modo, lui non aveva mai trovato il cadavere di Gohan, lui era cresciuto con un padre vicino.
Già… Lui aveva sempre avuto Vegeta accanto… E aveva avuto Bra.
Quella sorellina dolce e insopportabile, affettuosa e detestabile.
Mentre un urlo gli raschiava la gola, Trunks bloccò prontamente il pugno di Algid, piantando i propri occhi – occhi smeraldini, splendenti di furia, gli occhi del super saiyan – in quelli dell’alieno.
I suoi denti si scoprirono appena in una smorfia di rabbia, e dopo un attimo il giovane colpì il suo avversario con una violenta testata.
Nella sua infanzia, era riuscito a trasformarsi senza alcuna difficoltà, al punto che lì per lì non gli era nemmeno parsa una faccenda da dover mostrare a suo padre nella speranza di un elogio.
Di conseguenza, gli parve di capire solo in quell’istante l’ira che poteva ardere nelle vene del guerriero leggendario, di percepire solo allora il furore che il suo petto era in grado di contenere.
È la rabbia che ci trasforma in super saiyan, sussurrò flebilmente nella sua testa una voce familiare e sconosciuta al contempo, una voce alla quale lui non prestò la minima attenzione.
Era come se il sangue, da sangue, si fosse trasformato in collera.

Quando Trunks lo colpì ferocemente al basso ventre, Algid dovette piegarsi su se stesso, e sul fondo della gola riuscì a sentire il sapore del sangue.
Con un sibilo gutturale, l’alieno cercò di allontanarsi dal giovane saiyan.
Era esterrefatto. La forza spirituale che attorniava come una vampa il corpo di Trunks sembrava ardere con più energia di prima.
Uno strappo alla maglia e alcune contusioni – nonché un livido che si allargava lentamente sotto l’occhio sinistro – mostravano chiaramente che il ragazzo non era passato indenne attraverso il combattimento. Eppure sembrava che la sua potenza fosse esplosa in quel momento, con una forza del tutto nuova.
Era come se avesse cominciato a lottare seriamente solo in quell’istante.
Ed era un pensiero assurdo, dato che fino a quel momento si era chiaramente battuto con le unghie e con i denti, con la disperazione che gli deriva dal desiderio di tornare ad abbracciare la propria sorellina.
Trunks lo colpì in pieno viso. Ma Algid, più forte del dolore, sentì la frustrazione.
Com’era possibile? Eppure era certo di aver dato a quel bastardo abbastanza ricordi da fargli perdere completamente l’orientamento.
Furibondo, tentando al contempo di non venire ferito troppo brutalmente, Algid tese la propria mente a cercare la barriera che separava le due dimensioni in cui erano cresciuti i due Trunks differenti. Poi, con tutta la sua forza, la spinse contro il proprio avversario, per avvicinarlo violentemente alla vita del suo alter ego.
Eppure aveva già contorto tanto quella barriera spazio temporale… Possibile che Trunks non risentisse più di quelle sensazioni estranee?
Algid aveva sempre saputo che il proprio era un potere che andava utilizzato con cura. In quel momento, però, fuori di sé per la rabbia, continuò a far forza su quella barriera… E lo fece oltre il limite della ragionevolezza.
Davanti a lui, Trunks si fermò di colpo, irrigidendosi e sbattendo le palpebre come se i pensieri che l’aveva travolto all’improvviso gli avessero annebbiato la vista.
Il ragazzo non fece in tempo a distinguere quei ricordi estranei l’uno dall’altro, che gli parve di sentire esplodere qualcosa di immateriale tra sé ed Algid.
E la forza di quell’esplosione invisibile fu sufficiente per scagliare brutalmente all’indietro sia lui che il suo avversario.
Trunks sbatté con violenza la schiena contro il terreno. Il colpo fu così duro che il ragazzo sentì il proprio corpo reagire abbandonando la trasformazione in super saiyan. Confuso, ma con i sensi all’erta, il giovane si tirò a sedere, e i suoi occhi corsero subito a cercare Bra, con la paura che fosse stata travolta da quell’esplosione di energia.
Fortunatamente, ancora rannicchiata tra l’erba, la bambina sembrava illesa, sebbene si fosse abbassata maggiormente.
Algid era stato scaraventato più in là ed era finito bocconi. Si rialzò di scatto, ma quando i suoi occhi si sollevarono istintivamente verso il cielo, perse di colpo ogni interesse nei riguardi del duello che lo aveva catturato sino a quel momento.








Spazio Autrice:
Buondì!
Dunque, come al solito spero di non aver scritto niente di pesante. Devo dire che stavolta forse la faticaccia maggiore è stato scegliere il titolo del capitolo (e forse si nota xD).
Per il resto… be’, speravo di poter accorciare i tempi d’attesa tra un aggiornamento e l’altro, ma purtroppo credo sia meglio darvi di nuovo appuntamento tra due settimane (quindi al 12 d’Ottobre).
Perdonatemi, ma la scuola mi sta uccidendo ç_ç Cioè, dopo le mattinate di lezione non riesco a scrivere niente, quindi dovrò ripiegare sulle domeniche e su eventuali miracoli.
Alla prossima!

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Capitolo 15
*** Dove nessuno si fa male ***


Capitolo 15 – Dove nessuno si fa male

Trunks, inginocchiato e con una mano premuta contro il terreno per potersi rialzare rapidamente, tirò un sospiro di sollievo.
Bra si stava guardando attorno, con movimenti timorosi, e sembrava star bene.
Per un momento, al saiyan mezzosangue importò solo quello. Ma nell’istante successivo, voltò di scatto il viso verso Algid, così velocemente che i capelli gli frustarono la faccia.
Sorpreso, il ragazzo vide che l’alieno non si stava preparando ad attaccarlo, anzi, sembrava essersi completamente dimenticato di lui. Nella frazione di secondo in cui si domandò a cosa fosse dovuto quell’atteggiamento, Trunks percepì una nuova aura che lo fece rabbrividire e, rendendosi conto che era proprio il possessore di quella forza spirituale a distrarre Algid, seguì meccanicamente lo sguardo dell’alieno verso l’alto…
E sgranò gli occhi, mentre il respiro gli si bloccava in gola per un istante.
Trunks sapeva qual era il suo aspetto, lo sapeva grazie agli specchi e alle fotografie, grazie ai riflessi sbiaditi che rimandavano le superfici trasparenti. Al contempo, però, conosceva molto meglio le sembianze di chi gli stava attorno: i visi degli altri poteva rimirarli da più angolazioni, ed aveva più modo di trascorrere un tempo maggiore a scrutare coloro che lo circondavano che non a esaminare se stesso.
Eppure, quando vide il giovane che, come apparso dal nulla, restava fermo a mezz’aria, si sentì scuotere fin dal profondo.
Perché quel ragazzo era uguale a lui.
Non si trattava di una somiglianza leggera, né di una somiglianza forte. Erano identici, e Trunks dovette impiegare qualche istante prima di accorgersi di essersi immobilizzato a fissarlo con aria stranita.
A quel punto, riuscì a serrare le labbra che aveva schiuso quasi senza rendersene conto e a deglutire, e gli parve che a quel gesto la sua mente riprendesse a lavorare.
Improvvisamente, tutti – o quasi – i tasselli del puzzle si incastrarono l’uno con l’altro. Quel ragazzo uguale a lui era il Trunks proveniente dal futuro di un’altra dimensione. Era lui che aveva eliminato Freezer, scatenando il rancore di Algid. Era a lui che appartenevano i ricordi che l’alieno aveva utilizzato per cercare di destabilizzarlo durante il combattimento.
L’unico dubbio che gli rimaneva era come avesse fatto ad apparire in quel luogo.
Nel momento stesso in cui Trunks realizzò chi era quel giovane, questi abbassò lo sguardo, con aria interrogativa, e i loro occhi si incrociarono.
Trunks lo vide spalancare gli occhi e assumere l’espressione di chi non crede a ciò che vede, e un istante dopo aggrottare la fronte e schiudere le labbra come a voler domandare qualcosa.
“Questa è la situazione più assurda in cui mi sia mai trovato” fu il primo pensiero coerente di Trunks.
Prima che l’altro giovane potesse dire alcunché, entrambi furono distratti dalla vampata di energia che esplose a livello del terreno.
Trunks distolse lo sguardo dal suo alter ego, irrigidendo la mascella e assumendo un’espressione allertata, ed ebbe la vaga percezione del fatto che anche quel ragazzo là in alto si era girato di scatto a guardare nella stessa direzione.
Ciò che aveva catalizzato i loro sguardi era Algid, il quale, raccolta la propria energia, sembrava più che intenzionato a scagliarsi contro il nuovo arrivato.
Trunks vide l’alieno scattare in volo verso il giovane sconosciuto, vide che il ragazzo, nonostante con ogni probabilità non ci stesse capendo niente, si metteva in posizione di difesa con un’esclamazione soffocata, e allora si alzò in piedi con un ringhio di rabbia, sollevandosi da terra.
«Tu!» ruggì Algid, e la sua rabbia parve vibrare ed esplodere in quell’unica parola.
Se aveva creduto che tutto l’odio dell’alieno potesse essersi riversato su di lui, Trunks si sbagliava. Lo capì in quel momento, notando che l’aggressività di Algid nel raggiungere il ragazzo appena comparso era ben più grande di quella che aveva dimostrato nei suoi confronti.
Per di più, quel recente arrivo sembrava aver distolto totalmente l’alieno da lui.
Quasi senza accorgersene, Trunks digrignò i denti, aumentando la propria velocità.
Algid poteva anche essersi completamente dimenticato di lui, ma lui non poteva dimenticare ciò che l’alieno gli aveva fatto, né tanto meno perdonargli quel che aveva fatto a Bra.
Il suo avversario, però, aveva un vantaggio notevole su di lui, e Trunks non era riuscito a riempire nemmeno la metà della distanza tra loro che Algid aveva attaccato il ragazzo del futuro, il quale, preso alla sprovvista, venne colpito di striscio da una sfera d’energia.
«Chi sei tu?» urlò a pieni polmoni, e persino lontano com’era Trunks sentì un brivido nell’udire quella voce, così identica alla propria.
«Sono un soldato al servizio di Freezer» esclamò in risposta Algid, con voce stridente a causa della rabbia. Si era fermato, e squadrava malevolo il giovane che gli stava davanti.
Questi sgranò gli occhi. «Freezer è morto!» disse, con una punta di durezza nella voce.
Il gelo passò nello sguardo dell’alieno. «Esattamente» confermò. «L’hai ucciso tu».
Scagliò un pugno in direzione del ragazzo, ma lui lo bloccò per un soffio, afferrando la mano dell’alieno e gettandolo lontano da sé. Forse lo calcolò, forse invece non lo fece apposta, ma di fatto Algid venne scaraventato verso Trunks.
Il ragazzo era pronto, e colpì violentemente l’alieno, con tutte le proprie forze.
Algid, non appena riuscì a riprendersi, indirizzò una ginocchiata al giovane, evidentemente impaziente di tornare ad occuparsi dell’assassino del suo amato Freezer.
«Togliti di torno, moccioso!» ringhiò, sbuffando d’ira, quando Trunks evitò il suo colpo senza problemi.
«Non ci penso neanche!» ribatté il ragazzo, furibondo, concentrando l’aura, che guizzò potente prima di esplodere nell’oro del super saiyan.
Algid scoprì i denti in una smorfia di rabbia, poi tese fulmineo la mano verso il basso, e scagliò un’onda energetica proprio verso dove si trovava la piccola Bra. Trunks sentì il respiro bloccarsi nella propria gola, e un momento dopo si stava precipitando in picchiata verso il terreno, gli occhi che bruciavano per l’aria che gli soffiava in faccia… Bra stava guardando in alto, e nelle sue iridi blu sembrava riflettersi l’enorme sfera che si stava per abbattere su di lei…
Appena in tempo, il fratello riuscì a porsi tra la bambina e l’onda d’energia.
L’impatto fu così doloroso che gli sembrò che la pelle minacciasse di bruciare, gli parve che qualcuno cercasse di strappargli la carne dalle ossa… Ma alla fine il dolore scomparve, e Trunks si trovò quasi riverso a terra.
E, sotto di lui, un corpicino tiepido e infantile tremava.
Il giovane sussultò e si scostò di colpo da Bra. La bambina si tirò a sedere tra l’erba, e lo guardò con occhi azzurri colmi di qualcosa che Trunks non riusciva a decifrare.
«Stai… stai bene?» le domandò, con voce malferma.
Bra rimase zitta, ma infine mosse la testa, facendo un timido cenno di sì.
Trunks respirò di sollievo, e improvvisamente gli sembrò che il cuore stesse per esplodergli per il sollievo e a causa di un’emozione troppo grande per essere descritta.
Bra era lì. La sua piccola Bra era di fronte a lui, ed era viva, e stavano respirando la stessa aria, e per un istante lui aveva potuto percepire il suo calore sulla propria pelle.
Un momento dopo, sentì il sangue gocciolare lungo il suo braccio destro. Con una smorfia, portò immediatamente la mano sinistra sulla spalla lesa, e strinse i denti, mentre i capelli, tornati della loro tinta originaria, gli ricadevano sugli occhi.
Per un istante, non seppe spiegarsi come mai era tornato normale. Forse era per non sprecare energie che potessero aiutarlo a placare il dolore fisico, forse per il desiderio disperato che Bra, guardandolo, tornasse a riconoscerlo come il suo fratellone.
La bambina era ancora seduta, il respiro appena più veloce del consueto, e lo guardava con due occhi blu che sembravano ancora più grandi nel suo visino pallido e smagrito.
Trunks non osò accorciare lo spazio che c’era tra loro, temendo di spaventarla. Una parte di lui stava malissimo perché probabilmente sua sorella aveva paura di lui, ma l’altra provava solo il sollievo di averla vicino.
Schiuse le labbra, ma non riuscì ad emettere un solo suono.
Dopo tanto tempo trascorso a immaginare di cullarla tra le proprie braccia, di raccontarle tutto e anche quello che non le poteva interessare, di chiederle scusa dalla mattina alla sera in un milione di modi, adesso che si trovava di fronte a lei non aveva la più pallida idea di cosa dirle.
«Ti porto via da qui, Bra» sussurrò improvvisamente, d’impulso. «Non dovrai più preoccuparti. Nessuno ti farà più del male».
La bambina sembrò rannicchiarsi più strettamente, ma i suoi occhi non lasciarono il viso di Trunks. Lo studiava minuziosamente, in maniera non dissimile da quella in cui una giovane gazzella avrebbe potuto esaminare il più pericoloso dei suoi predatori.
«Io non volevo che succedesse tutto questo, Bra, ti giuro» le disse allora Trunks, con voce spezzata. «So che ti ho fatto male, e che ho fatto del male anche alla mamma e al papà, e a me stesso. Non sai quanto ho desiderato di poter tornare indietro, ma il passato non si può cambiare. Adesso, però, ho l’occasione di sistemare questo casino, e ho tutte le intenzioni di riportarti a casa».
La piccola non cambiò espressione, né si mosse.
In quel momento, un grido giunse alle orecchie di Trunks, il quale sussultò: si era completamente dimenticato di aver lasciato il proprio alter ego a combattere contro Algid.
Alzò di scatto gli occhi verso il cielo, stringendo la mano sinistra in un pugno. La sua controparte del futuro si era trasformata in super saiyan, e stava cercando di difendersi dai ripetuti attacchi dell’alieno.
Trunks credette di provare pietà nei suoi confronti, perché probabilmente si era ritrovato scagliato lì senza avere la minima percezione di quanto stava succedendo. Forse non aveva capito dove si trovava, forse sì ma non riusciva a spiegarsi né il come né il perché.
Trunks si alzò in piedi, stringendo i pugni.
Fece per darsi la spinta per alzarsi in volo, ma un pensiero improvviso lo bloccò. Perché mai avrebbe dovuto aiutare quel ragazzo? In fondo era colpa sua se Algid aveva rapito Bra.
Poi, però, l’alieno colpì il giovane con una testata, e Trunks trasalì nuovamente nell’udire l’esclamazione di sorpresa e dolore del proprio alter ego.
No… Ciò che era successo non era colpa di quel ragazzo.
In un modo o nell’altro, Freezer era da eliminare. E se proprio occorreva cercare un colpevole per quel che Algid aveva fatto a Bra, quello non poteva essere che lui, perché aveva lasciato da sola la sua sorellina.
Riabbassò gli occhi sulla bambina.
Sentiva di dover aiutare il proprio sostituto, ma allo stesso tempo la paura gli strisciava sin dentro le ossa al pensiero che Algid, per allontanarlo, potesse nuovamente prendersela con Bra.
Si guardò attorno febbrilmente, alla ricerca di un posto o di un nascondiglio relativamente sicuro… E gli sembrò di sentirsi morire quando capì che l’unica cosa vagamente somigliante ad un rifugio era una casetta di legno accanto ad uno scivolo.
Quella casetta di legno.
Le aure che si scontravano al di sopra della sua testa gli ricordavano che non c’era tempo: che doveva sbrigarsi e in fretta.
Stringendo la mascella, si chinò su Bra e, più delicatamente che poteva, le infilò le mani sotto le ascelle, in maniera tale da poterla sollevare senza stringerla troppo a sé.
Per evitare di spaventarla, la tenne distante dal proprio petto. Bra lo fissava con gli occhi sgranati, e teneva le ginocchia piegate, come se tutto il suo corpo volesse rannicchiarsi per difendersi dal mondo esterno.
Trunks la sentì tremare di nuovo, e sentì il bisogno – così acuto da essere quasi un male fisico – di parlarle, di tentare di darle un conforto. «Bra» iniziò, «piccola, ascolta. Io ti voglio riportare a casa, e ti ci riporterò». Iniziò a muoversi, con lentezza, sempre tenendola come un cucciolo impaurito. «Ma prima devo sconfiggere Algid… E perché io possa riuscirci» aggiunse, sentendosi la gola dura e secca, «tu devi essere al sicuro».
Era arrivato di fronte alla casetta, e gli sembrava di avere la testa sul punto di esplodere.
Con le braccia che tremavano, si chinò in avanti per poggiare la sorellina lì dentro… Bra girò la testa, e Trunks vide la consapevolezza e la paura passare nei suoi occhi azzurri… Poi, in maniera del tutto inaspettata, la bambina allungò le mani verso di lui e si aggrappò alla sua maglia, stringendola forte, e intanto lo guardava dritto in faccia.
«Bra… no… giuro che… è diverso… no… Io…» mormorò Trunks, confusamente. Sentendosi straziare dentro, cercò di aprire le dita della bambina per costringerla a lasciare la presa su di lui, ma i suoi gesti erano incredibilmente deboli.
Bra non lo fissava più, ma continuava testardamente a tentare di serrare di nuovo le mani sulla maglia del fratello.
«Bra… non è come credi… io ti voglio bene… tornerò a prenderti…»
Il ragazzo non riusciva nemmeno più a dare un senso alle parole frammentate che gli uscivano dalle labbra. Senza alcun preavviso, sentì che qualcosa di bagnato gli stava scorrendo sulle guance; era lacerato: solo qualche momento prima aveva desiderato come non mai che Bra riuscisse ad accettarlo di nuovo, e adesso che la bambina manifestava di voler rimanere accanto a lui era costretto a staccarla da sé… E farlo non gli sembrò meno doloroso dello strapparsi la carne dalle ossa, o addirittura il cuore dal petto.
Gli sembrò qualcosa contro natura, qualcosa simile ad un suicidio.
La spalla destra gli faceva un male tremendo, ma alla fine riuscì a staccare Bra da sé, per quanto lei, senza emettere nemmeno un suono, tentasse di tenersi aggrappata a lui, e la appoggiò laddove l’aveva abbandonata tre anni prima.
«Non muoverti da qui» le disse, con voce malferma, nel bisogno di accertarsi che la bambina non si ponesse di nuovo come un facile bersaglio per Algid. «Io torno a prenderti, e andremo a casa» proseguì, sentendo le proprie parole spezzate e il proprio respiro irregolare.
Quasi incespicando, come se i suoi piedi avessero dimenticato come camminare, indietreggiò di qualche passo…
«Io non mi sono mossa».
La voce di Bra gli arrivò chiara alle orecchie. Era la prima volta che la sentiva parlare, quel giorno.
La bambina lo guardava, e a Trunks parve che nel suo tono ci fosse quasi una gemito impaurito, un lamento inconsolabile.
Il ragazzo si sentì invadere dall’atavico terrore dell’animale braccato.
«Questa… Questa volta tocca a me rispettare la mia parte di promessa» trovò la forza di dirle, con gli occhi che bruciavano. «Questa volta… è solo un posto dove non ti farai niente».
Bra non disse nulla.
Era lì, in una casetta di legno per bambini, ma somigliava a tutto meno che ad una piccola che si diverte. Era lì, con dei vestiti troppo piccoli per lei, e guardava suo fratello.
In quanto a Trunks, fece ciò che si era ripromesso di non fare più finché avrebbe avuto vita.
Distolse lo sguardo da lei e le voltò le spalle.










Spazio Autrice:
Troppa roba, troppa roba xD
Sul serio, questo capitolo è stato un lavoraccio.
Da una parte la comparsa di Mirai no Trunks, dall’altra la scena tra Trunks e Bra… Spero di essere riuscita ad equilibrarle per bene, senza mettere in disparte il ragazzo del futuro!
Per limitare la confusione, chiamo Trunks solo quello del presente, mentre a quello del futuro do vari appellativi…
La frase di Trunks, “Non muoverti da qui”, richiama quello che aveva detto a sua sorella quando l’ha lasciata nel parco all’inizio della storia.
Mmm, okay, sarà meglio chiuderla qui e lasciare a voi la parola U.U
A mercoledì 26 Ottobre!
P. S. Sto riscrivendo un po’ i primi capitoli (la revisione è arrivata sin dove il testo è in Arial, le parti in Times New Roman non le ho ancora riguardate U.U), perché in certi punti la scorrevolezza mi sembra un po’ carente… Ma non preoccupatevi, il senso della storia non cambia, non dovete rileggere tutto xD

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Capitolo 16
*** Sodalizio ***


Capitolo 16 – Sodalizio

Per un attimo, credette che il cuore gli sarebbe scoppiato.
O che, in alternativa, la sua testa non avrebbe più saputo contenere il dolore rimbombante tra le tempie, e sarebbe esplosa.
In ogni caso, alla fine lui sarebbe finito in mille pezzi.
Invece, contro ogni aspettativa, il suo corpo si muoveva come sempre, ed era ancora integro quando piantò i piedi per terra e strinse i pugni, trasformandosi in super saiyan. Evidentemente, era solo la sua anima a sfaldarsi.
Spiccò il volo, e non sentiva alcun danno fisico, se non la spalla che gli doleva terribilmente.
Passò, rapido e deciso, una mano sul proprio viso, asciugando le tracce salate delle lacrime che gli avevano bagnato le guance.
Algid e il ragazzo del futuro stavano ancora combattendo.
Mentre si avvicinava, Trunks notò con sollievo – eppure gli sembrava ancora di avere il cuore pesante come un macigno – che il suo alter ego sembrava più o meno illeso.
In effetti, ciò che rendeva Algid un osso duro era la sua indiscutibile rapidità e la sua capacità di introdursi nella mente dell’avversario. Per il resto, non era niente che un super saiyan non potesse tenere a bada.
Il giovane, ben deciso a non cadere nuovamente nei tranelli mentali del nemico, aveva appena finito di formulare quel pensiero, quando notò con un certo allarme che la sua controparte proveniente da una dimensione alternativa si era bloccata nel mezzo di un attacco.
Trunks capì che probabilmente Algid gli aveva fatto rivivere qualche sgradevole ricordo; senza accorgersene, strinse a pugno le proprie mani, aumentando la velocità.
Se davvero le memorie con cui l’alieno lo aveva disorientato appartenevano a quel ragazzo identico a lui, allora non c’era da stupirsi che rivivendole egli ne fosse disorientato.
Dentro a quei ricordi c’era abbastanza sofferenza per stordire chiunque – Trunks ne sapeva qualcosa.
«Lascialo in pace, Algid!» si sentì urlare, con voce tremante di rabbia repressa, non appena giunse alle spalle dell’alieno.
Quest’ultimo si girò di scatto, digrignando i denti, ma Trunks non gli diede tempo di attaccarlo: lo colpì violentemente, ma il movimento gli diede uno strappo alla spalla destra e gli strappò una smorfia di dolore.
Distratto dalla fitta, si accorse all’ultimo momento del pugno che stava arrivando verso il suo viso, ma dall’altra parte il suo alter ego si era riscosso, e si era prontamente slanciato in avanti per colpire Algid con un calcio a piè pari.
L’alieno precipitò vertiginosamente verso il suolo, andando a schiantarsi a terra.
Trunks trasse un paio di respiri affannosi… Alzò lo sguardo, incrociando quello del ragazzo che gli stava davanti. Questi lo fissava con aria quasi stupita, come chi si ritrova innanzi il proprio riflesso e non riesce a capacitarsi di come abbia fatto ad uscire dallo specchio.
«Tu sei Trunks?» domandò infine.
Il giovane annuì rapidamente, gli occhi puntati verso Algid, il quale si stava rialzando a fatica. «Sì, ma credo sia meglio rimandare a dopo le spiegazioni».
Con la coda dell’occhio, notò il suo alter ego annuire.
Trovava strano vedere se stesso da una simile angolazione. Se non avesse avuto il cuore dolente per essere stato nuovamente costretto a lasciare Bra da parte, lo avrebbe trovato impressionante.
In quel momento, con un boato assordante, Algid si sollevò dal suolo, tornando verso i due ragazzi ad una velocità sorprendente. Trunks si irrigidì in posizione d’attacco, ma di nuovo l’alieno pareva interessato soltanto all’altro guerriero, tanto che urlò: «Tu stanne fuori, ragazzino! Non c’entri niente in questa storia!»
Trunks sentì il proprio sangue ribollire nelle vene e risalirgli sino al volto, incendiandogli le guance. «Sei stato tu a trascinarmi dentro questa faccenda!» gridò di rimando, furiosamente. «Dopo tutto quello che ci hai fatto passare, dopo tutto il male che hai fatto a Bra, questa storia mi riguarda eccome!»
Algid si spostò in modo da tenersi a debita distanza dai due saiyan, e gettò all’indietro lo sguardo per dare una rapida occhiata verso il basso. Trunks capì che l’alieno stava cercando di individuare Bra, e la rabbia gli avvelenò il respiro.
«I tuoi avversari sono qui, vigliacco!» esplose, con voce terribile.
Senza attendere oltre, anche per la paura che il mostro potesse trovare sua sorella, gli si scagliò addosso, colpendolo violentemente.
Il tempo di un istante, e il ritmo della lotta si era già fatto serrato.
Algid cercava ancora di scagliargli addosso dei ricordi spiacevoli, ma Trunks ormai poteva dire di averci fatto l’abitudine. Ormai era ben ancorato al presente ed aveva tutte le intenzioni di non farsi più distrarre e ferire in quel modo… L’alieno gli fece arrivare una gomitata in pieno volto, quindi sgusciò via per aggredire l’altro ragazzo.
Quest’ultimo non si fece cogliere impreparato, ma quando Algid lo assalì con uno dei suoi attacchi mentali non poté fare a meno di allontanarsi appena dall’avversario, scrollando il capo con espressione sgomenta, e l’alieno ne approfittò per colpirlo con forza allo stomaco.
Cosa poteva avergli mostrato?
Una fila di cadaveri ammassati sulle strade di una città rasa al suolo?
Il corpo di Gohan riverso a terra, privo di vita?
Trunks non perse tempo a tirare ad indovinare, intromettendosi nel duello prima che Algid potesse attaccare nuovamente il suo alter ego.
Il giovane si accanì con furia contro quel nemico che gli aveva portato via Bra per tanto tempo, con tutta l’ira che poteva provare al di là della propria disperazione.

Quando Bulma si svegliò, prima ancora di aprire le palpebre, fu invasa dalla consapevolezza di aver perso la sua bambina.
Non c’era freddo, eppure la donna si sentì rabbrividire, e la sua mano destra si strinse convulsamente attorno al lenzuolo che la copriva. Era un gelo che le era strisciato sin dentro le ossa, così come la stanchezza che sembrava avvolgerla come una nebbia soffocante.
Eccolo, un altro giorno che cominciava, e a Bulma sembrò di trattenere il respiro quando si mise a sedere, aprendo gli occhi e lasciando che le coperte le ricadessero in grembo.
Il sole invadeva la stanza e la donna dovette schermarsi il volto con un braccio.
Fu a quel punto che notò Vegeta, in piedi davanti alla finestra. Il saiyan era immobile e non si girò verso di lei, così Bulma si lasciò scivolare fuori dal letto, infilando i piedi nudi nelle proprie pantofole.
Gli si avvicinò lentamente.
Quando giunse di fianco a lui, non disse nulla, ma studiò il suo profilo accigliato, i suoi occhi di pece concentrati su qualcosa al di là del vetro, quindi allungò una mano per sfiorargli appena il braccio.
A quel punto, Vegeta si girò verso di lei.
«A cosa stai pensando?» sussurrò la donna.
Per un istante, il saiyan parve rimuginare su qualcosa. «Non percepisco l’aura di Trunks» disse infine.
Bulma sbatté le palpebre. «Come?» domandò, mentre una sgradevole sensazione si faceva strada nel suo petto.
Qualcosa balenò negli occhi di Vegeta. «Ho dato un’occhiata alla sua stanza, e non si trova lì».
La donna guardò con agitazione verso la porta della stanza, e Vegeta chiuse saldamente la propria mano attorno al polso di lei per costringerla a calmarsi.
«Avrà azzerato la sua aura, uscendo» affermò quindi.
Bulma si morse il labbro. «Vorrà stare da solo…» mormorò, mentre il suo stomaco si chiudeva dolorosamente.
Vegeta non replicò, ma le lasciò il polso e tornò a girarsi verso la finestra.
Bulma lo fissò in silenzio. La luce feriva gli occhi del saiyan, eppure lui non accennava nemmeno ad abbassare lo sguardo.
«Vegeta» esordì la donna, dopo qualche istante, con voce instabile. «Tu… Tu credi che avrai una fine, tutto questo?»
Lui si girò a scrutarla.
«Voglio dire, so che le cose non potranno mai tornare come prima» proseguì Bulma, mentre il ricordo di Bra, della sua bambina, le arpionava lo stomaco. «Ma questa storia potrà mai concludersi? Quest’agonia, perlomeno, potrà mai terminare?»
Vegeta la fissò intensamente, pur senza parlare.
Bulma era forte. La era sempre stata, anche se a volte in maniera isterica e nevrotica, ed era una delle cose di lei che lo avevano colpito per prime.
Lei era coraggiosa. Si spezzava, certo, ma trovava sempre il modo di rialzarsi e andare avanti.
Il non sapere, però, la stava distruggendo – li stava distruggendo tutti e tre, alla fine dei conti.
«Non lo so» le rispose, tornando a guardare il sole.
Senza dire nulla, Bulma infilò la propria mano in quella del compagno. Lui non la sottrasse, e lasciò che le dita della sua donna si intrecciassero alle sue.







Spazio Autrice:
Okay, quasi mi vergogno a presentarmi con questo. Un capitolo un po’ corto che probabilmente non è nemmeno un granché.
Nonostante siano una delle mie coppie preferite di Dragonball (probabilmente la preferita insieme alla Marron/Trunks), non ho mai scritto molto su Vegeta e Bulma, perciò spero di non aver fatto gaffe!
A proposito, Vegeta non sente l’aura di Trunks perché Algid sta nascondendo le forze spirituali di chi gli sta attorno affinché nessuno intervenga nel duello…
Che posso dire?
Be’, vi do appuntamento al 25 Novembre (sì, così avanti T.T Vi prego, non fucilatemi).

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Capitolo 17
*** Chi va e chi resta ***


Capitolo 17 – Chi va e chi resta

Dopo pochi istanti, la situazione sembrava volgere ormai in completo favore dei due saiyan mezzosangue.
Algid poteva anche essere incredibilmente veloce. Poteva anche avere dalla propria la brillante capacità di far leva sui peggiori ricordi dei suoi avversari, ma non poteva certo tener testa a due membri di quella razza guerriera.
Trunks si accorse quasi subito delle difficoltà dell’alieno.
Il suo cuore, però, ormai ferito a sufficienza da tutto ciò che gli era accaduto negli ultimi tre anni, ormai disilluso dopo tante speranze infrante, non si concesse di gioire vedendo la prospettiva di vittoria farsi più probabile.
Una parte del ragazzo si stupì nel notare come gli risultava semplice combattere assieme al suo alter ego.
Forse solo con Goten poteva dire di aver provato una sensazione di maggiore sincronia.
Certo, i loro stili erano differenti: Trunks sapeva di lottare in maniera assai simile a Vegeta, e gli parve di intravedere qualcosa delle tecniche di Gohan nei metodi dell’altro giovane. Eppure sembrava che il loro modo più personale e istintivo di affrontare l’avversario fosse molto simile.
“In fondo è logico” ragionò Trunks, mentre si abbassava di scatto per evitare un pugno di Algid, “dato che siamo la stessa persona”.
Se la sensazione di vertigine che provò un momento dopo fosse dovuta a quel pensiero o alla frenesia del combattimento, non avrebbe saputo dirlo.
In realtà, il vero vantaggio che i due giovani trovarono nel combattere insieme fu il fatto che si compensavano a vicenda.
Trunks era ormai abituato ai tranelli mentali di Algid e quindi ne era quasi immune, cosicché poteva intervenire rapidamente quando il suo alter ego veniva tratto in inganno da uno dei ricordi che venivano richiamati ad affollargli la mente.
Trunks era il più forte tra i due, ma anche quello decisamente più fuori allenamento; il ragazzo del futuro, invece, poteva contare su un addestramento che era continuato incessantemente anche dopo la sua definitiva vittoria contro i due cyborg. Era meno provato e più esercitato, e le sue mosse risultavano tutto sommato più fluide di quelle di Trunks.
Dal canto suo, Algid era furibondo.
Era arrivato sulla Terra per vendicare Freezer. Aveva giudicato che Trunks fosse colpevole quanto il suo alter ego della morte dell’alieno – dimensioni parallele o meno, futuri alternativi o no, erano la stessa persona – e si era occupato di fargliela pagare.
Nel momento in cui, però, era comparso il ragazzo davvero responsabile, il suo interesse nei riguardi di colui che aveva attaccato sino a quell’istante era svanito completamente.
Quando aveva avuto davanti il vero e proprio uccisore di Freezer, la voglia di fargli sputare sangue si era fatta tanto corrosiva da bruciargli le vene.
Di quell’altro ragazzino, ormai, non gli importava nulla, ed un vero e proprio ringhio gli salì alla gola quando Trunks gli lanciò contro una sfera d’energia che lui riuscì a parare all’ultimo istante.
Se solo fosse riuscito ad individuare quella mocciosa, toglierselo di torno sarebbe stato facile come bere un bicchier d’acqua. Purtroppo, però, non riusciva più a vederla, e il ritmo incalzante dello scontro gli impediva di concedersi anche un solo secondo per cercarla.
Trunks, approfittando della frustrazione che aveva distratto l’alieno, si gettò su di lui, riuscendo ad afferrarlo da dietro e a bloccarlo in modo tale che non potesse più far danno.
In sincrono, il ragazzo del futuro unì le mani, pronto a dare il colpo di grazia all’avversario.
La voce sgradevole di Algid, però, lo fermò. «Sei davvero sicuro di volerlo fare?» insinuò l’alieno. «Come pensi di poter tornare nella tua dimensione, quando io non ci sarò più?»
Il ragazzo del futuro si bloccò.
«Tu sei arrivato qui perché io ho creato una distorsione spazio temporale» continuò Algid, velenosamente. «Come pensi di tornare nella tua epoca, senza di me?»
Trunks sussultò. Mentre guardava il proprio alter ego, allentò involontariamente la presa sull’avversario, per un solo istante, ma Algid ne approfittò subito. Con una mossa fulminea, si girò nella stretta, pronto ad attaccare Trunks, ma prima che potesse fare un gesto, ci fu un’esplosione di luce.
Trunks, che aveva affrettato una posa difensiva, sbatté le palpebre.
Algid, di fronte a lui, sembrava stranamente sospeso nell’aria, la bocca molle, gli occhi vuoti.
Poi, dopo un istante, la sua testa si rovesciò in avanti, e l’alieno precipitò pesantemente al suolo.
Impietrito, il ragazzo rimase a fissare il suo avversario – il nemico che, per vendicare Freezer, aveva rapito Bra – mentre quello giaceva al suolo.
Dopodiché, sollevò la testa e guardò il proprio alter ego, consapevole del fatto che il tempestivo intervento dell’altro gli aveva probabilmente salvato la vita.
«Grazie» riuscì a dire. Aveva la gola secca, e la testa gli rintronava.
L’altro non sorrise, ma scrollò le spalle. «Di niente» rispose.
Trunks si sentiva completamente stravolto.
Dunque era finita? Era davvero finita?
Lentamente, iniziò a perdere quota, sino a poggiare i piedi sull’erba. A quel punto, forse per la stanchezza, forse per il sollievo, sentì le gambe cedere, e cadde in ginocchio, ansimando piano.
Il ragazzo del futuro atterrò lì vicino, ed andò ad osservare il corpo di Algid. Con espressione impenetrabile, sollevò la mano, e ridusse il cadavere dell’alieno in cenere, per poi dirigersi verso Trunks.
«Stai bene?» gli domandò, aggrottando la fronte.
Trunks riuscì ad annuire. Aveva lo stomaco sottosopra: persino in quel momento, a causa dell’orgoglio ereditato da Vegeta, si sentiva un idiota per essersi fatto prendere così alla sprovvista da Algid. “Come diamine ho fatto a permettergli di liberarsi dalla mia presa?” si domandò, e quel pensiero parve riecheggiare nella sua mente svuotata.
L’inattività, si rispose dopo un momento. Aveva trascurato sin troppo gli allenamenti. Erano secoli che non combatteva, né sul serio né per gioco, da quando…
«Bra!» esclamò improvvisamente, con voce soffocata.
Un momento dopo, scattò in piedi sotto lo sguardo interrogativo del suo alter ego, e si precipitò verso la casetta di legno che aveva infestato i suoi incubi per tanto tempo.
Là dentro, Bra era seduta – rannicchiata, per meglio dire – con gli occhi spalancati. Udendo dei passi che si avvicinavano, mosse la testa in uno scatto spaventato.
Poi si irrigidì, e guardò fuori, e vide avvicinarsi due ragazzi.
Per quanto quei due giovani fossero pressoché identici, la bambina riconobbe immediatamente il fratello, e fu solo su di lui che fissò il proprio sguardo, ignorando del tutto il ragazzo del futuro.
Trunks aveva una mano premuta sulla spalla destra, ma non sentiva affatto il dolore.
Il cuore gli rintronava nelle orecchie – batteva così forte che sembrava sul punto di scoppiare – e lui faticava a trattenere le proprie gambe. Avrebbe voluto correre, invece di camminare, precipitarsi su Bra e afferrarla e stringerla contro di sé, ma a frenarlo interveniva il desiderio di non spaventare la bambina, e il timore che lei avesse effettivamente paura di lui.
Quando però la vide, gli sembrò che tutte le sue ansie non avessero più importanza.
Bra era seduta e lo guardava, con un’espressione seria che un po’ strideva sul suo viso che – seppur pallido e aguzzo – era pur sempre quello di una bambina.
Quasi inconsapevolmente, d’istinto e contrariamente ai propri desiderio, Trunks rallentò appena il passo, invece di sveltirlo, e si avvicinò alla sorellina con un’estrema cautela.
Lei, immobile, lo fissava con i suoi occhi grandi e celesti.
«Bra, sono io» sussurrò Trunks, con voce rotta. «Sono tornato a prenderti».
Tese le braccia senza pensarci. Non credeva che Bra si sarebbe lasciata stringere, ma il desiderio di toccarla era tale che quel gesto gli venne d’impulso.
La bambina, però, prendendolo totalmente alla sprovvista, non aspettò nemmeno che lui la invitasse ad abbracciarlo: si alzò in piedi e si rifugiò contro il petto del fratello, le manine che si aggrappavano veloci e incerte alla maglietta del giovane.
Trunks, sentendo quella testolina che spingeva contro il suo collo, si sentì mancare il fiato. Fu solo un attimo, però, e il momento dopo si chinò in modo da abbracciarla, prima con cautela perché Bra, disavvezza com’era al contatto fisico, tremava appena, poi con più forza quando i tremiti della bimba si calmarono.
Trunks sentì i primi singhiozzi della sorellina, e fu solo quando aprì la bocca per cercare di confortarla che si accorse di star piangendo a propria volta.
Poi lei iniziò ad agitarsi furiosamente, scalpitando perché il fratello la lasciasse andare.
Confuso e col cuore ferito, Trunks la lasciò, e Bra gli diede una testata in pieno stomaco.
Con le guance ancora bagnate di lacrime, il ragazzo rimase fermo. Quel colpo non gli aveva fatto male fisicamente, ma psicologicamente sì. Stordito e dolorante, non riusciva a muoversi.
Allora… Allora Bra lo odiava.
Allora era arrivato troppo tardi, alla fine.
Allora…
La bambina sollevò su di lui due occhi carichi di biasimo, poi allungò una manina verso il suo volto… e gli asciugò doverosamente le lacrime, senza dire una parola.
«Bra, mi dispiace» gemette Trunks.
Lei annuì, guardandolo seria, poi gli abbracciò il petto.
Osando a malapena a credere a ciò che stava accadendo, il giovane ricambiò la stretta, assaporando il profumo della bambina. Era odore di bruciato e di erba e di terra, con un pizzico di sudore infantile, ma era decisamente odore di casa, e le labbra del ragazzo tremavano mentre la prima ondata di felicità lo invadeva, così violenta e improvvisa da farlo traballare.
Da quanto tempo non si sentiva in quel modo?
Gli sembrava che il petto avrebbe potuto scoppiargli per la gioia da un momento all’altro.
Chinandosi sulla bambina, affondò il viso nei suoi capelli turchini, e per un attimo interminabile rimase fermo così, immemore di tutto.

Anche quando sciolse l’abbraccio e si raddrizzò, continuò a tenere la manina di Bra nella propria.
Fu solo con molta fatica che riuscì a distogliere lo sguardo da lei per posarlo sul proprio alter ego – della cui presenza si era quasi dimenticato.
«E ora?» domandò, senza sapere cos’altro dire. «Tu come farai? A tornare nel tuo tempo, voglio dire».
Il ragazzo del futuro si morse il labbro inferiore, ma poi cercò di sembrare sicuro di sé. «Penso che si troverà il modo».
«Algid ha detto…» cominciò Trunks.
«Non importa quello che ha detto» lo interruppe l’altro, con decisione. «Sono certo che la mamma… Tua madre, intendo, potrà aiutarmi».
Trunks si morse il labbro, mentre Bra, accanto a lui, si muoveva appena. «Lo spero proprio» disse il saiyan, sinceramente, per poi aggiungere: «Mi dispiace».
L’altro lo fissò. «Per cosa?»
«Be’, è stato a causa mia che sei rimasto coinvolto in questa faccenda» replicò Trunks, mentre il senso di colpa cominciava ad agitarsi nel suo petto. «Se non avessi combinato questo gran pasticcio, non sarebbe successo niente» aggiunse, con voce strozzata.
Bra alzò la testa a guardare il fratello.
Il ragazzo del futuro sembrava confuso.
«E poi» riprese Trunks, «mi hai salvato la vita, anche se così facendo potresti aver preso la possibilità di tornare a casa tua».
«Non è detto» replicò l’altro, poi azzardò: «Ehm… Scusa se te lo chiedo, ma… Puoi dirmi chi è lei?»
La prima reazione di Trunks fu di assoluto sbalordimento, ma poi si ricordò che nella dimensione dove era cresciuto l’altro Bra non esisteva.
Quel pensiero gli diede un brivido.
«È Bra» disse, per scacciare la propria ansia. «È mia sorella».
Così dicendo, abbassò lo sguardo su Bra, che sollevò la testolina per fissarlo a propria volta.
«Sorella?» ripeté il ragazzo del futuro, sorpreso, senza riuscire a trattenersi.
Trunks strinse la manina di Bra, e si disse che non doveva essere una passeggiata, scoprire che un altro se stesso aveva una parente in più.
«Scusa» disse, perciò.
Contro ogni sua aspettativa, però, il suo alter ego sorrise. «Una sorellina» disse, serenamente. «Mi piace».
Si passò una mano tra i capelli.
«Però ancora non ho capito cosa lei c’entri con Algid e tutto il resto…»
Trunks sentì un fremito percorrerlo. Si sedette a terra, e Bra si mise sulle sue ginocchia. «È una storia un po’ lunga» disse, a fatica. «Vieni, ti racconto».
Gli riuscì spaventosamente difficile, ripercorrere quella che era stata la realtà della sua vita negli ultimi anni, ma col peso caldo di Bra contro il proprio petto, in qualche modo ci riuscì.
Anzi, ad un certo punto la bambina, sentendolo tremare, gli passò una manina impietosita sul viso, come per consolarlo.
Trunks ne fu grato e allibito.
Non si meritava un simile perdono, e soprattutto non meritava una sorellina tanto affettuosa.
«Aspetta, però» intervenne il suo alter ego, «qua la Sfere del Drago non sono attive? Non avete chiesto aiuto al Dio Drago?»
Trunks accarezzò la testa azzurra di Bra. «Sì, lo abbiamo fatto» rispose, in tono assente. «Gli abbiamo chiesto di trovare Bra, ma lui ha risposto che non gli era possibile, così come non gli era possibile determinare se fosse viva o morta».
Per un istante, seguì quel ricordo, poi si riscosse.
«Non riuscivamo a capire perché» riprese. «Ora credo che Algid abbia trovato il modo di nascondere Bra al Dio Drago così come ha nascosto a tutti la sua aura».
«Non gli dev’essere stato difficile» ragionò il ragazzo del futuro. «Se era più forte di Dio, poteva prevalere sul Dio Drago».
Dopodiché, scrollò le spalle, e Trunks abbracciò Bra.
«Adesso» sussurrò il giovane, contro la pelle della sorellina, «credo sia ora di tornare a casa».





Spazio Autrice:
Scusatemi, scusatemi, SCUSATEMI!
È un secolo che non mi faccio sentire, ed è un’ingiustizia fatta e finita nei vostri confronti.
Vorrei addossare tutta la colpa alla scuola (e in effetti un po’ di colpa ce l’ha: nelle ultime settimane di lezione avevo poco più di un nanosecondo da dedicare alla scrittura), ma va detto che ho avuto anche carenza d’ispirazione e di buona volontà .-.
Mi sono scoraggiata, insomma.
Comunque, oggi mi presento con questo, che mi sembra tanto un CC (= Capitolo Cavolata), brutto e scontato. Spero solo di sbagliarmi T.T
E alla fine spuntano fuori le Sfere del Drago. Inizialmente, l’intenzione era di mostrare con un flashback l’apparizione di Shenron e tutto, ma a questo punto mi sembrava che stonasse con la trama, quindi ho cercato di riassumere la scena solo con le parole di Trunks.
Il succo, comunque, è che, come Dragonball ci insegnò, chi è più potente di Dio può fregare Shenron alla grande, ed è almeno dalla saga dei saiyan che gli avversari sono tutti più potenti del Supremo.
Boh. Spero bene.
Alla prossima?

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Capitolo 18
*** Cadere e rialzarsi ***


Capitolo 18 – Cadere e rialzarsi

Nuvole nere avvolgevano in cielo, mutandolo in un pozzo d’oscurità, mentre le sfere si illuminavano e pulsavano.
La forma possente e sinuosa del drago comparve nel cielo.
La bocca si mosse, e una voce tonante riempì l’aria. «Ditemi, qual è il vostro desiderio?»

Trunks strinse la presa su Bra, come per accettarsi che lei fosse davvero lì, tra le sue braccia.


Il freddo alle gambe, il suo cuore che batteva all’impazzata mentre Vegeta si faceva avanti, chiedendo a gran voce di portare lì Bra, o almeno di indicare loro dove si trovava.

La bambina guardò il fratello e si rannicchiò contro di lui, aggrappandosi più forte alla maglietta bruciacchiata del giovane.


Il freddo al viso, il suo cuore che smetteva di battere quando il drago proclamava: «Spiacente, non posso esaudire questo desiderio».

Trunks le sorrise debolmente, prima di rivolgere uno sguardo al proprio alter ego.

Il ragazzo del futuro camminava accanto a lui in perfetto silenzio, apparentemente immerso nei suoi pensieri.

«Che cosa?» Goten era scattato in avanti. «Almeno dicci se è sana e salva!»
Trunks non era stato in grado di muoversi, mentre il drago ripeteva: «Mi dispiace, non posso esaudire questo desiderio».

Una parte di Trunks si meravigliò, faticando a capacitarsi di quanto fosse discreta la presenza dell’altro.


Il tonfo nel momento in cui le gambe di Bulma avevano ceduto, e la donna era caduta in ginocchio.

«Trunks, siamo arrivati?» domandò Bra, con voce esile. «Voglio vedere la mamma».

Il ragazzo annuì, con un nodo alla gola. “Mi dispiace, Bra” pensò, ricordando che era colpa sua se la piccola non vedeva Bulma da molto tempo. Solo colpa sua.
«Sì, ci siamo quasi» le assicurò.
«E anche il papà» sottolineò la bambina.

La voce di Goku che spezzava il silenzio sconvolto, commentando: «Questo complicherà le cose».
L’ira di Vegeta.
Il rumore di stoffa strappata nel momento in cui il Principe aveva afferrato l’altro per il colletto, sbottando con rabbia: «Che significa, Kakaroth?! Vorresti dire che dovremmo rinunciare!»

Trunks faticava a riemergere dai ricordi che gli affollavano la mente, ma per fortuna, a trattenerlo nel momento presente, c’era la manina di Bra, fresca e minuta, posata sul suo collo.


Goku che replicava, in tutta calma: «Niente affatto. Dico solo che dovremmo impegnarci ancora di più».

La manina di Bra.

La manina di Bra.



Bulma si trovava in giardino.
Dal momento che Trunks non era ancora rientrato, lei non poteva fare a meno di preoccuparsi.
Stentava a ricordare l’ultima volta che aveva visto il suo primogenito sorridere – sorridere davvero – e per quanto ne sapeva, perso chissà dove, Trunks avrebbe potuto sentirsi abbastanza sconvolto da farsi del male.
Ormai, alla donna sembrava che l’angoscia fosse diventata l’unica emozione che le era dato di provare.
Sentendo la porta sbattere violentemente, si voltò, e vide Vegeta avanzare ad ampi passi verso di lei. Quando notò l’espressione del Principe, Bulma non poté fare a meno di sussultare.
Vegeta sembrava fuori di sé, intento a fissare la strada al di là del cancello, le narici dilatate e gli occhi ardenti.
Bulma sentì un vuoto allo stomaco.
Non credeva che ci sarebbe mai stato niente di più spaventoso di quello che tutti loro stavano vivendo in quei giorni, ma si chiese se stesse per giungere un nuovo nemico, e di fronte a quella prospettiva le gambe minacciarono di cederle.
Non ce l’avrebbe fatta a mostrarsi forte, non mentre una nuova minaccia scuoteva la Terra, non mentre la sua bambina – la sua bellissima bambina – era scomparsa chissà dove…
Impallidendo, fronteggiò il saiyan. Cercò di parlare, di chiedere al compagno il perché del suo sconvolgimento. «Vegeta, cosa…?»
Lui, però, stava guardando al di là delle spalle di lei. «Non è possibile» sussurrò, con voce roca.
A quel punto, Bulma si voltò…
E il cuore minacciò di scoppiarle nel petto.
Vicino al cancello, a pochi passi da lei, c’era Trunks, gli abiti strappati e il viso arrossato. In piedi accanto a lui c’era il ragazzo del futuro, il figlio che Bulma aveva sempre ricordato con amore, e tra le braccia di Trunks si trovava la piccola Bra.
La piccola Bra che era cresciuta, ma che non esitò a tendere le mani verso la madre in un gesto smanioso, riconoscendola all’istante.
Di fronte a quella scena, Bulma impiegò qualche tempo per ricordarsi di dover respirare.
La testa le girava, e lei non riusciva a credere ai propri occhi.
Non era possibile.
Non era possibile, no, e per un attimo un gemito minacciò di sfuggirle dalle labbra.
Lei aveva tentato di essere forte. Ci aveva provato davvero – nonostante il dolore per Bra, nonostante lo sguardo cupo di Vegeta, nonostante la sofferenza di Trunks.
A quanto pareva, però, alla fine era sopraggiunto un crollo nervoso, o qualcosa di simile o di peggiore, e lei aveva iniziato a vedere cose che in realtà non c’erano.
Poi la bimba tra le braccia di Trunks si mosse, chiamando: «Mamma!», e Bulma si riscosse, rendendosi conto che era tutto reale, dannazione, e che lei stava perdendo istanti preziosi nella convinzione di essere impazzita.
Per fortuna, Trunks fu svelto ad arrivare verso di lei, dato che Bulma non era affatto sicura che le gambe l’avrebbero retta.
E a quel punto, lei poté strappare la sua bambina dalle braccia del figlio maggiore, e stringersela al petto, e sentire i suoi capelli tiepidi contro l’incavo del collo.
«Oddio, Bra… Oddio» disse, con voce rotta, accarezzandola sulla nuca e sulla schiena, su quei vestitini troppo stretti. «Bra… Bra!»
Sentì Vegeta avvicinarsi, intravide la sua mano che si posava per un momento sulla guancia della piccola.
Poi la donna diede a Bra un bacio su una guancia, e sull’altra, e sulla fronte, e sotto il mento, sul collo, sulle manine… Su ogni parte di lei che riusciva a raggiungere, stringendola e sentendola concreta contro il proprio seno, e tra un bacio e l’altro ripeteva il suo nome, mentre le lacrime sfuggivano al suo controllo.
Si riscosse da quell’incanto soltanto quando il Principe scattò in avanti senza preavviso, colpendo Trunks con tanta violenza da farlo cadere all’indietro.
«Vegeta!» esclamò Bulma, allarmata, mentre il ragazzo del futuro faceva un gesto e poi si bloccava, come incerto se porsi o meno tra il padre e il proprio alter ego.
Il Principe, però, era del tutto concentrato sul primogenito, che ora si sollevò a sedere e lo fissò ad occhi spalancati, ammutolito, con una mano sulla guancia.
«Questo è per aver abbandonato tua sorella» disse Vegeta, cupamente.
Trunks sbatté le palpebre. Era incredibile come una frase potesse fare più male di un pugno.
«E questo» aggiunse Vegeta, chinandosi a porgere la mano verso il figlio, «è per averla riportata a casa».
Trunks esitò. Poi, però, afferrò quella mano, prendendola come se fosse la sua ancora di salvezza, e lasciò che il padre lo rimettesse in piedi.
Ricordò quell’orribile giorno di tanti anni primi, quando il Principe si era rifiutato di picchiarlo nonostante lui avesse implorato una punizione fisica… E si ritrovò a sussurrare, guardando in faccia il padre sotto gli occhi degli altri presenti: «Grazie».
Non per averlo colpito, ma per averlo infine perdonato.












Spazio Autrice:
Buondì.
Innanzitutto, vi ringrazio moltissimo per le recensioni allo scorso capitolo. Non avete idea di quanto mi avete fatta felice (solo trovare Loki (guardare qui per capire) in camera da letto avrebbe potuto darmi altrettanta gioia :D).
Comunque, ecco il nuovo capitolo.
Alla fine, come vedete, sono ritornata sulla scena delle Sfere del Drago, che dovrebbe collocarsi da qualche parte in mezzo al secondo capitolo (cronologicamente parlando) :D
Forse avrei potuto farne a meno, ma avevo in mente da un bel po’ di tempo la scena della “litigata” tra Goku e Vegeta, e volevo inserirla >.<
Ho cercato di essere chiara e al contempo di fare apparire la cosa un po’ confusa, perché sono i ricordi di Trunks che affiorano qua e là nella mente del ragazzo.
Per questo capitolo, comunque, ho deciso di concentrarmi su Bulma e Bra in particolare. Spero di non aver tagliato troppo fuori Mirai Trunks, ma ho pensato che subito i pensieri di Bulma e Vegeta si sarebbero concentrati sulla bambina ^^
Spero vi sia piaciuto!
Alla prossima!

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Capitolo 19
*** Al peggio non c’è mai fine? ***


Capitolo 19 – Al peggio non c’è mai fine?

Nel momento in cui Bulma aveva posato gli occhi su Bra, aveva avuto l’impressione che il tempo avesse iniziato a scorrere a velocità doppia.
Voltarsi verso la sua bambina, prenderla in braccio, stringersela al cuore… Era stato come se tutte quelle azioni si fossero succedute ad una rapidità impressionante.
Adesso che la donna si era finalmente resa conto che sua figlia era lì e lei non l’avrebbe più persa, però, il tempo aveva rallentato docilmente, tornando a muoversi alla consueta velocità.
E con la normalità del tempo, erano tornati anche i pensieri, le domande…
Bulma si volse verso il ragazzo del futuro.
«Trunks» lo salutò, meravigliata, cercando di stringerlo in un mezzo abbraccio un po’ impacciato – poiché non era affatto intenzionata a lasciare a terra Bra nemmeno per un istante.
«Mamma» replicò lui, posandole un lieve bacio sulla guancia.
La donna fece scorrere lo sguardo da lui a Trunks – che era in piedi accanto a Vegeta – e assunse un’aria un po’ confusa.
«Come mai sei qui?» gli chiese. «Cioè» precisò, stringendo più forte la sua bambina, «sono felice di vederti, ma…»
Il ragazzo del futuro abbozzò un sorriso, poi scambiò uno sguardo con Trunks.
«Se vuoi racconto tutto io» disse, semplicemente.
Trunks rimase interdetto per un attimo, dopodiché annuì, con gratitudine.
Aveva l’impressione che aver narrato al suo alter ego della scomparsa di Bra e del rancore di Algid lo avesse svuotato. Anche se ora non ci sarebbe stato bisogno di raccontare la parte iniziale – la parte peggiore – ai suoi genitori, che ne erano già a conoscenza, Trunks si sentiva girare la testa al solo pensiero di dover spiegare l’insana vendetta architettata dal seguace di Freezer.
Il ragazzo venuto dal futuro capì, e prese la parola, attirando l’attenzione di Bulma e Vegeta – la mano destra della donna non cessò mai di accarezzare la testolina di Bra, mentre il Principe era appena girato verso la bambina.
Trunks si sedette sul prato e li osservò, e una parte di lui si stupì della familiarità con cui il suo alter ego si rivolgeva ai suoi genitori.
Mano a mano che il giovane del futuro procedeva parlando della lotta contro Algid, Trunks scoprì di non sentirsi particolarmente scosso per quelle cose appena accadute.
La cosa lo stupì: in quei quattro anni, il passato gli aveva sempre artigliato il cuore con violenza. Ora che aveva recuperato Bra, però, sembrava che potesse riprendere a guardare al futuro, vivendo nel presente.
Certo, si sentiva ancora mostruosamente in colpa, ma la lotta contro Algid non lo toccava più.
Aveva combattuto ed era riuscito a portare il salvo Bra. Il resto – le botte ricevute, alla mente e al corpo – non aveva più importanza.
Dal canto loro, Bulma e Vegeta sembravano sinceramente impressionati dal racconto.
Il Principe pareva trattenersi a stento dal digrignare i denti, e stringeva i pugni come se avesse voluto stritolare Algid, mentre Bulma, a un certo punto, strinse a sé Bra con un gemito di orrore, tremando mentre immaginava ciò che la figlia aveva dovuto subire.
Trunks avrebbe voluto dire di nuovo che gli dispiaceva – sentiva che non si sarebbe mai scusato abbastanza – ma il ragazzo del futuro procedeva nel racconto senza lasciare spazio ad alcun intervento.
Quando infine la narrazione si concluse, calò il silenzio, che contro tutte le aspettative venne interrotto da Bra.
«Algid non mi piaceva» dichiarò la bambina, con voce risoluta. «Era cattivo».
Trunks sollevò la testa di scatto, sorpreso, perché sino a quel momento la bambina non aveva espresso alcun pensiero riguardante il suo rapitore.
Bulma accarezzò la figlia con mano tremante. Lo sguardo di Vegeta si era fatto impenetrabile.
Per un momento, nessuno disse niente. Poi, con un certo sforzo, Bulma si rivolse al ragazzo del futuro.
«E così, ora, temi di essere bloccato qui».
Sulle proprie spalle, la donna sentiva gravare il peso di tante notti insonni. Al contempo, però, le sembrava che la piccola Bra tra le sue braccia le stesse già restituendo la sua forza d’animo.
Il giovane la guardò. «Tu puoi aiutarmi?» domandò, con uguale misura di ansia e speranza.
Anche Trunks rivolse gli occhi verso sua madre. Non voleva che il suo alter ego si ritrovasse bloccato in un’altra dimensione per colpa sua.
Bulma sbatté le palpebre. «Be’…» esitò.
«Pensi che riusciresti a costruire una macchina del tempo?» suggerì il ragazzo.
Bulma restò per un attimo senza parole. Poi, però, sfiorò con le labbra la fronte di Bra e dichiarò, decisa: «Se ci sono riuscita nella tua epoca, non vedo perché non dovrei riuscirci qua».
Vegeta la guardò. Era da tempo che non sentiva nella sua voce quella scintilla di caparbietà.
Trunks era sorpreso. «Mamma, hai costruito una macchina del tempo?»
Lei lo fissò. «Perché sei tanto meravigliato?»
Il giovane alzò le mani come a scusarsi, ma non ebbe bisogno di dire niente. A riportare immediatamente la pace, infatti, intervenne un suono melodioso e argentino, spontaneo e soddisfatto.
La risata di Bra.
Bulma se ne riempì le orecchie, sentendo il cuore battere di gioia. Un sorriso balenò non visto sulle labbra di Vegeta, mentre Trunks guardava la sorellina.
Poi la donna si rivolse al ragazzo del futuro: «Quanto tempo ci ha messo, tua madre – io –, a costruire la macchina del tempo?»
Il giovane fece una smorfia. «Almeno tre anni» rispose.
Bulma inorridì – aveva fatto la domanda più sbagliata.
«Però» riprese il ragazzo del futuro, «lei doveva ancora capire tutto. Io ho visto i progetti finali della macchina del tempo, potrei descriverteli».
Bulma si passò la lingua sulle labbra. Bra poggiò la testa sulla spalla della madre, sbadigliando e stropicciandosi gli occhi con fare assonnato.
Sia Trunks che Vegeta fissavano la bambina.
«Allora per me sarà semplice, dovrò solo seguire le istruzioni» concluse Bulma, in tono ottimista, cercando di confortare il ragazzo del futuro.
Quest’ultimo abbozzò un sorriso.
«Bene, adesso andiamo dentro» accennò la donna.
Non appena si mosse, Trunks la affiancò. Non voleva restare lontano da Bra nemmeno un istante.
Il ragazzo del futuro fece per seguire il trio, ma inaspettatamente sentì Vegeta richiamarlo un attimo.
«Sì, papà?» domandò il giovane, stupito e lieto insieme.
Il saiyan guardò da tutt’altra parte mentre borbottava: «Ti ringrazio per aver salvato la vita di Trunks».
Il ragazzo del futuro lo guardò, meravigliato. Il Vegeta che aveva lasciato anni prima non lo avrebbe mai ringraziato, né tanto meno avrebbe ammesso – neanche così velatamente – di essere sollevato che il figlio fosse sano e salvo.
Del resto, ormai suo padre sembrava ben inserito nella propria famiglia.
Vegeta gli diede una mezza pacca sulla spalla. «Andiamo dentro anche noi» disse, piuttosto burberamente.
Il ragazzo del futuro ne rimase stupefatto, poi sorrise, capendo che quel gesto era il modo spiccio di suo padre di dirgli che era felice di rivederlo.

Bra si era addormentata, e Bulma continuava a guardarla.
Anche Trunks la osservava da sopra la spalla della madre, riempiendosi gli occhi di quelle labbra dischiuse, di quelle guance fresche, di quei capelli azzurri.
Poi, d’un tratto, il giovane esclamò: «Goten!»
Fino a quel momento, il suo amico non gli era venuto in mente. Ora si disse che era il caso di avvisare la famiglia Son che Bra era tornata.
Il telefono, però, si trovava in un’altra stanza, e l’ultima cosa che Trunks voleva era allontanarsi da Bra.
Del resto, ricordava bene come l’amico avesse cercato di sostenerlo e infondergli forza, e si sentiva in colpa a lasciarlo ancora a preoccuparsi per lui.
«Chi è Goten?» domandò a quel punto il ragazzo del futuro, interrogativo.
Trunks lo fissò. Quella domanda posta dalla sua stessa voce gli suonava parecchio strana, quasi assurda. «È il mio migliore amico» replicò. «Il secondogenito di Goku».
«Goten è stato concepito poco prima del Cell Game» precisò Bulma, senza staccare gli occhi dalla piccola Bra.
«Caspita» commentò il ragazzo del futuro, scuotendo la testa.
«Già» sorrise la donna, sollevando lo sguardo. «Hai dato a ben due famiglie l’opportunità di espandersi».
Trunks fissò il proprio alter ego, sentendo un vuoto allo stomaco. La sua controparte venuta dal futuro era molto migliore di lui. Era un ragazzo altruista, generoso, che non aveva esitato un attimo prima di aiutarlo, e oltretutto aveva salvato tutte le persone a cui Trunks teneva.
Trunks, invece, si sentiva sciocco ed immaturo, un ragazzino viziato che aveva condannato sua sorella a quattro anni infernali, e aveva fatto passare una tragedia alle persone a lui più vicine.
“Io non credo potrò mai aggiustare del tutto il presente” pensò. “Lui, invece, ha cambiato il futuro”.
«Forse dovresti chiamare i Son» intervenne Bulma, carezzando lievemente i capelli di Bra.
La bambina arricciò appena il naso, ma continuò a dormire pacificamente.
«Già» mormorò Trunks. «Non devono preoccuparsi inutilmente».
Si alzò in piedi e si diresse fuori dalla stanza. Quando prese in mano il telefono, si rese conto che non vedere Bra lo agitava moltissimo. Come se, invece della sorellina, avesse lasciato in un’altra camera il proprio braccio, o metà gamba.
Pertanto, compose più in fretta che poteva il numero di cellulare di Goten, per poi portare la cornetta al proprio orecchio.
L’amico, se non altro, non lo fece aspettare, e rispose dopo soli tre squilli.
«Pronto, Goten? Sono io. Ho bisogno di parlarti…»

Qualche minuto dopo, Trunks tornò dove si trovavano gli altri.
I suoi occhi saettarono immediatamente su Bra, e per un momento si dimenticò quello che doveva riferire.
«Allora?» domandò però Bulma.
«Ehm» disse il giovane, riscuotendosi, «credo che Goku, Chichi e Goten saranno qui a momenti».
«Goku?» intervenne il ragazzo del futuro, perplesso. «Ma è morto nella battaglia contro Cell».
Trunks si girò verso di lui. «In effetti sì, poi però è resuscitato… Kaioshin il Sommo gli ha donato la sua vita, visto che Gohan…» Vedendo l’espressione del proprio alter ego, decise che era meglio tagliare corto: «Be’, è una storia lunga da raccontare, quel che devi sapere è che è vivo».
«E visto che sa teletrasportarsi» aggiunse Bulma, guardando Bra con affetto, «penso ce lo ritroveremo in giardino a momenti».
«Vado a vedere» disse Trunks, anche se un po’ a malincuore.
Era quasi arrivato alla porta d’ingresso quando percepì diverse auree comparire nella stanza che lui aveva appena lasciato.
A quel che pareva, Goku non aveva voluto sprecare tempo, e si era teletrasportato direttamente dentro la Capsule Corporation.
Trunks non perse tempo a chiedersi se quella del saiyan fosse sfacciataggine o senso pratico, e si affrettò a tornare sui propri passi.

«Wow, è davvero sana e salva» commentò Goten, mentre sua madre scoppiava praticamente in lacrime di gioia, abbracciando Bulma ed esclamando: «Oh, sono così felice!», mentre Goku si grattava la testa e mormorava: «Dai, Chichi, finirai per svegliare la piccola». Anche lui, però, stava sorridendo.
Goten, da parte sua, tirò un sospiro di sollievo.
Quando aveva sentito Trunks dirgli che Bra era sana e salva, per un momento aveva creduto che l’amico stesse parlando a vanvera, e si era chiesto preoccupato se per caso lo stress non lo avesse fatto impazzire sul serio.
E a proposito di Trunks… Goten alzò gli occhi e incrociò lo sguardo del suo migliore amico, che a dirla tutta gli sembrava un po’ diverso dal solito. Anche per il modo in cui gli sorrise, un sorriso cortese e curioso, come se lui fosse un estraneo, non il sorriso ampio e allegro che gli aveva sempre dedicato – prima della scomparsa di Bra, almeno.
Cercando di capire perché Trunks sembrasse tanto diverso, gli si avvicinò, dicendo: «Allora ce l’hai fatta davvero a riportarla a casa».
L’altro lo fissò e sembrò sul punto di dire qualcosa, ma non fece in tempo, perché in quel momento la porta della stanza si spalancò ed entrò – Goten spalancò gli occhi, convinto di star sognando – Trunks.
«Goten» lo salutò quest’ultimo. «Siete già qui?»
Il secondogenito di Goku sbatté le palpebre. Ecco, quello sì che era il suo migliore amico. Ma allora chi era l’altro?
Confusissimo, si girò verso la copia sputata di Trunks, e a quel punto Trunks intervenne precipitosamente: «Goten, lui è il mio alter ego venuto dal futuro. Sai, era stato lui a sconfiggere Freezer».
Goten sbatté le palpebre, a dir poco stupefatto. «Accidenti» commentò. «È come se avessero appena clonato il mio migliore amico».
Un momento dopo, sfoderando il suo consueto candore in un sorriso entusiasta, aggiunse: «Che forza!»
«E Gohan?» stava chiedendo Bulma.
«Gohan è fuori con la cara Videl e la piccola Pan» rispose Chichi. «Gli ho lasciato un messaggio in casa, quindi dovrebbero arrivare anche loro».
Vegeta sbuffò. Era un po’ infastidito, sebbene non riuscisse a sentirsi veramente seccato, non dopo che sua figlia, dopo tanti anni in cui l’avevano data per dispersa, era tornata.
Anche se non l’avrebbe mai ammesso, avrebbe voluto trascorrere un po’ di tempo con la propria famiglia.
Quel buffone di Kakaroth, con moglie e progenie allegati, non era esattamente la gente che avrebbe voluto accogliere in casa sua.
In quanto a Goku, del tutto inconsapevole dei pensieri astiosi che Vegeta gli stava rivolgendo, si era avvicinato a Goten e ai due Trunks.
«Oh, ma tu sei il ragazzo del futuro!» esclamò, aprendosi in un sorriso.
«Signor Goku» replicò il giovane, «è un piacere rivederla in vita».
In quel momento, Bra si svegliò e, sfregandosi una mano contro il nasino, si raddrizzò. A quel punto, nessuno poté preservarla dall’abbraccio commosso di Chichi, né da Goku – che le scompigliò i capelli – o da Goten che la salutò chiamandola “piccoletta”.
La bambina valutò per un momento il fratello di Gohan. «Ho fame» gli disse, alzando la voce per sovrastare i commenti di chi la circondava.
Bulma si alzò immediatamente, prendendola in braccio. «Allora andiamo in cucina» replicò, sorridendo alla figlia.
Udendo quelle parole, Goku fu subito accanto all’amica. «Sai» le disse, in tono speranzoso, «anch’io avrei un certo languorino».
«Tu puoi prepararti la merenda da solo» ribatté Bulma, acidamente.
Di fronte all’espressione abbattuta dell’altro, però, scoppiò a ridere allegramente. «E va bene, seguimi» gli concesse.
Così, alla fine, si recarono tutti quanti in cucina.
Trunks, infatti, non voleva lasciare Bra, Goten non voleva lasciare Trunks, il ragazzo del futuro decise di andare con loro e, quando anche Chichi li seguì, Vegeta alzò gli occhi al cielo, prima di unirsi alla comitiva.
Non l’avrebbe mai confessato, ma era un po’ preoccupato per Bulma. Aveva visto che ora la sua donna sembrava star bene… La felicità di riavere Bra, però, per grande che fosse, non valeva tanto da restituirle le energie per le notti insonne e per i pasti saltati.
Avrebbe dovuto riposare, non mettersi a fare panini imbottiti per quell’idiota di Kakaroth.
«Sai» disse in quel momento la voce di Bulma, rivolta a Chichi, «forse sarebbe il caso di informare anche gli altri amici… Il maestro Muten, Crilin e C-18, Yamcha…»
Vegeta spalancò gli occhi, inorridito.
Al peggio non c’era mai fine?
In quel preciso istante, Bra gli rivolse un sorriso da sopra la spalla di Bulma, e il saiyan si sentì improvvisamente meno cupo: sì, il peggio era finito. A quel punto, la presenza di quegli irritanti terrestri che Bulma chiamava “amici”… Be’, sarebbe stato solo un piccolo fastidio.








Spazio Autrice:
What do you mean by that? That is not an aaanswer!
E questa era la mia ottima interpretazione di Pilato in Jesus Christ Superstar (sto ascoltando la colonna sonora del film e mi faccio un po’ trascinare .-. Mi piace troppo come dice: “You’re deep in trouble, friend” =°D).
Chiusi gli approfondimenti culturali (?), ho una gran paura di aver scritto un capitolo noioso e incasinato… Soprattutto la fine… Sarò io che sono imbranata, ma muovere tanti personaggi tutti insieme è una faticaccia >.<
Spero di sbagliarmi e che non sia uscita una cosa proprio orribile…
Alla prossima!
(But – if – I – die…)
P. S. Ho spaventato qualcuno col titolo del capitolo? >.<

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Capitolo 20
*** Un tentativo in più ***


Capitolo 20 – Un tentativo in più

Il sole, quel giorno, batteva impietoso su due teste identiche.
Trunks e il suo alter ego si trovavano nel giardino della Capsule Corporation, seduti sul prato, ed entrambi usavano una mano per schermare gli occhi dalla luce.
Se qualcuno li avesse visti, probabilmente si sarebbe divertito nel constatare quanto le loro posizioni fossero uguali, ma ad un certo punto Trunks ruppe quell’armonia, passandosi la mano sulla fronte per detergere le ultime tracce di sudore.
Si erano appena allenati. Ripensando alla scarsa prontezza di riflessi che aveva dimostrato nello scontro con Algid, infatti, Trunks aveva deciso di riprendere a esercitarsi nelle Arti Marziali.
Dato che una parte di lui era ancora restia a chiedere un favore a suo padre, e in più non voleva che Vegeta notasse quanto si era rammollito, aveva chiesto al ragazzo del futuro di allenarsi con lui.
E, tutto sommato, la cosa faceva bene a entrambi.
Trunks stava recuperando rapidamente le proprie abilità, e il suo alter ego si distraeva un po’ dalla propria ansia. Da quando Bulma aveva cominciato a costruire una Macchina del Tempo – facendo in modo di avere sempre Bra attorno – il giovane non poteva fare a meno di sentirsi sulle spine, chiedendosi in continuazioni quanto tempo sarebbe servito e angosciandosi al pensiero che qualcosa potesse andare storto.
Per un momento, il ragazzo del futuro lasciò vagare lo sguardo.
Ripensò alla festa che Bulma aveva improvvisato per il ritrovamento della piccola Bra. Se all’inizio la bambina era stata vezzeggiata in mille modi, dopo un po’ gli invitati, rallegrati e rinfrancati per bene, si erano permessi di guardarsi attorno… E ovviamente il ragazzo del futuro si era subito ritrovato circondato.
Per lui era stato uno shock particolare vedere Gohan. Il primogenito di Goku era cresciuto, e ora somigliava terribilmente al maestro che lo aveva allevato.
Anche a distanza di giorni da quell’incontro, al giovane bastava ripensarci per sentirsi assalire dalla nostalgia. Ciò che al momento lo faceva un po’ vergognare, era la punta di gelosia che aveva provato di primo acchito vedendo la figlia di Gohan, Pan, aggrapparsi alle gambe del padre. Fortunatamente, quell’invidia immotivata aveva avuto vita breve, e il ragazzo del futuro era riuscito a sentirsi felice per il fatto che, almeno in quella dimensione, Gohan avesse avuto modo di costruirsi una famiglia.
Per il resto, lo aveva sconcertato vedere 18 al fianco di Crilin, e lo sbalordimento era salito alle stelle quando il basso terrestre gli aveva presentato la figlia avuta con la cyborg.
Marron era una ragazzina apparentemente tranquilla, con due codini biondi e un modo di tenere alta la testa che ricordava molto sua madre.
Sembrava stravedere per la piccola Bra, e durante la festa aveva fatto volentieri comunella con Trunks e Goten, e il ragazzo del futuro si era meravigliato vedendo che trio affiatato formavano.
Se qualcuno, prima di quel giorno, gli avesse detto che in un’altra dimensione era molto amico della figlia di C-18… Be’, probabilmente gli avrebbe dato del pazzo.
Tra le vecchie conoscenze, a stupirlo particolarmente era stato Yamcha, che l’aveva salutato con un sincero entusiasmo, e gli si era poi affiancato per parlare con lui tutto il tempo.
A riportarlo al presente, distogliendolo da quei ricordi, fu Trunks, che si stiracchiò con un movimento pigro.
Il ragazzo del futuro lo fissò. Trunks adesso si massaggiava il polso, distrattamente, e il suo sguardo si era perso in lontananza.
Si mordeva il labbro e sembrava quasi tormentato.
Il ragazzo del futuro sapeva che, quando faceva così – e lo faceva molto spesso –, stava ripensando a tutto il rapimento di Bra, rivivendo per l’ennesima volta il senso di colpa, perciò frugò nella propria mente, cercando qualcosa da dire per distrarlo.
«Che ne pensi?» gli domandò dopo un po’, assumendo un tono indifferente. «Mi avrai rotto qualche osso, oggi?»
Trunks si riscosse e lo guardò, ma impiegò qualche momento per replicare. «Ma se sei tu che mi hai quasi staccato un braccio!» lo accusò, esagerando volutamente.
«Io?» disse il ragazzo del futuro, scuotendo la testa. «Ti avrò sfiorato giusto due volte durante tutto il combattimento».
Gli sembrava di essere tornato alla sua infanzia, quando Gohan lo stuzzicava per tirarlo su di morale e distrarlo dai suoi pensieri, sempre troppo cupi per un bambino della sua età.
Trunks gli scoccò un’occhiata e inarcò un sopracciglio. Sembrava essersi ripreso. «Due volte, dici?» chiese, alzando gli occhi al cielo. «Qualcuno dovrà ripassare un po’ di matematica…»
Il ragazzo del futuro abbozzò un sorriso, e dopo qualche momento Trunks lo ricambiò.
Poi tornarono seri e si guardarono, comprendendosi a vicenda.
«Mia madre è molto brava» commentò Trunks, sommessamente. «Vedrai che riuscirà a costruire la migliore Macchina del Tempo su cui tu abbia mai viaggiato».
Il ragazzo del futuro si strinse nelle spalle. Lo sperava.
In quel momento, la piccola Bra uscì in giardino, chiamandoli ad alta voce. Teneva a fatica contro il petto una bottiglia e due bicchieri.
«Trunks e Trunks!» li chiamò, con una voce autoritaria che ricordava molto Vegeta. «La mamma dice che dovete bere».
Trunks le sorrise immediatamente. «Grazie, piccola» disse, mentre Bra gli consegnava il bicchiere.
«B-bevi» replicò lei, per tutta risposta.
Bulma era stata la prima ad accorgersi che Bra, certe volte, nel bel mezzo di un discorso pronunciato con voce spedita, inciampava in alcune lettere, mettendosi a balbettare.
Il ragazzo del futuro non aveva commentato, ma aveva pensato al proprio mondo. Prima che tornasse la pace, non era raro che i bambini che avevano subito dei traumi inciampassero nelle parole. Un gran numero di loro diventava addirittura muto.
Fortunatamente, per parlare, Bra parlava un sacco, ma non si poteva negare che nelle sue parole c’era una sorta di nervosismo del tutto inadatto a una bambina di sette anni.
«Quando si suda» stava spiegando la bambina, «è l’acqua che abbiamo bevuto che rinfresca la pelle. Me l’ha detto la mamma. Ah, e ha anche detto che siamo fatti dal sess… no, ottanta per cento? Non mi ricordo. Abbiamo tanta acqua dentro, p-p-però».
Le sopracciglia di Trunks ebbero un lieve fremito, ma il ragazzo si sforzò di apparire del tutto naturale. «È vero» concordò. «Per questo è importante bere molto».
Bra annuì e gli rivolse un sorriso, piccolo come una perla in fondo all’oceano ma altrettanto prezioso.
La bambina aspettò che il fratello avvicinasse il bicchiere alle labbra, poi gli diede un colpo, e Trunks si rovesciò tutto addosso.
Bra si mise a ridacchiare. «Sei tutto bagnato» commentò, con una certa soddisfazione.
Poi si tese a dargli un bacio sulla guancia. Doveva appena aver fatto merenda, visto che le sue labbra erano un po’ appiccicose e il suo fiato sapeva di cioccolata.
«Io vado dalla mamma» annunciò poi, lasciando lì la bottiglia e correndo via.
Trunks la seguì con lo sguardo, strizzandosi distrattamente la maglietta. Sentiva su di sé gli occhi del proprio alter ego, ma era restio a condividere i propri pensieri con qualcuno. Però, diamine, erano la stessa persona!
«Credo voglia punirmi» disse, prima di rendersi conto di aver aperto bocca.
Il ragazzo del futuro lo guardò perplesso. «Chi?» domandò.
«Bra» rispose Trunks, in tono piatto. «Non è la prima volta che mi fa dispetti di questo genere… A tavola finisce sempre per versarmi qualcosa addosso… E quel pomeriggio, quando è venuto Goten e io e lui ce ne stavamo qua a prendere il sole… Ci è passata accanto e mi ha pestato la mano». Aggrottò la fronte, cercando di spiegare l’inquietudine che sentiva.
Il ragazzo del futuro non diceva niente. Passava un dito attorno a un ciuffo d’erba.
«E tutte le volte, dopo che mi ha fatto un dispetto, mi dà un bacio, o una carezza, o mi prende la mano».
Trunks tacque, deglutendo.
Quando riprese a parlare, la sua voce era tanto bassa che il suo alter ego si tese verso di lui: «È come… Sembra che Bra cerchi di imitare quello che ha fatto papà quando l’ho riportata a casa. Quando mi ha colpito e poi mi ha teso la mano. E credo che… credo lo faccia perché ha capito che è in quel momento che lui mi ha perdonato, e vuole perdonarmi anche lei. Ma è chiaro che non ci riesce, per questo continua a tentare».
Il ragazzo del futuro esitò. Prese in considerazione l’idea di dirgli che non poteva essere sicuro che le cose stessero davvero così. Che semplicemente Bra aveva un carattere dispettoso, e ogni volta che ne combinava una poi chiedeva scusa al fratello con un gesto d’affetto.
Alla fine, però, non disse nulla.
Dentro di sé, infatti, credeva che le cose stessero come aveva detto Trunks, e non era nel suo carattere mentire.
«È un buon segno» osservò.
Trunks lo guardò, inarcando le sopracciglia.
«Che lei continui a tentare, intendo» spiegò il ragazzo del futuro. «Perché se lo fa, se non si arrende, vuol dire che crede che ne valga la pena. Vuol dire che per lei è importante riuscire a perdonarti».
A sorpresa, Trunks reagì a quelle parole con una rabbiosa scrollata di spalle. «Già, ma perché dovrebbe farlo? Perché dovrei meritarmelo?»
Il ragazzo del futuro rimase per un momento senza parole. Non si aspettava quello scoppio di collera. Pensò di dire che forse Bra voleva perdonarlo perché tutti sbagliano, perché gli voleva bene, o perché – comunque fossero andate le cose – alla fine era tornato a prenderla.
Alla fine, però, scelse delle altre parole.
«Non lo so» rispose, con sincerità. «Evidentemente, però, Bra lo sa, quindi fidati di lei. Fidati di lei e basta. Se vuole provare a perdonarti, lasciaglielo fare».
Trunks lo fissò, con le labbra dischiuse. Sembrava sorpreso.
«Grazie» sussurrò dopo un lungo silenzio, con voce flebile.
Il ragazzo del futuro accennò un sorriso. «Ma ti pare?»

Quando Trunks li poggiò sul secchiaio, i due bicchieri cozzarono fra loro, tintinnando.
Il giovane non ci fece caso. Con la coda dell’occhio, notò suo padre che entrava, dirigendosi dritto verso il frigorifero, dove cercò qualcosa da mettere sotto i denti.
Trunks era abituato a incrociare Vegeta in cucina – infatti, durante la propria infanzia, la considerava quasi la sua stanza preferita: il punto di ritrovo di due saiyan perennemente affamati.
Di solito, nel corso di quegli incontri, si limitavano a scambiarsi un’occhiata, a volte nemmeno quella. Proprio mentre Trunks stava per uscire dalla porta, però, la voce del Principe lo fermò.
«Trunks».
Il giovane, colto di sorpresa, si voltò con un’espressione interrogativa. «Papà?»
Vegeta non rispose subito, forse poco convinto che richiamare il figlio fosse stata una buona idea.
Alla fine, però, lo informò, col tono impassibile che gli era tanto congeniale: «Ho visto i vostri allenamenti, oggi».
Trunks sbatté le palpebre e cercò di leggere la sua espressione, ma gli occhi dell’altro saiyan erano impenetrabili come sempre.
Quando Vegeta parlò di nuovo, sembrò quasi che qualcuno gli stesse estraendo le parole dalla gola con una grossa pinza.
«Hai fatto un buon lavoro» disse. Forse con fatica, forse con riluttanza. O forse senza nessuna delle due.
Trunks lo fissò, preso alla sprovvista dal calore che gli salì dal petto, arrivando sino alla gola. Conosceva quella sensazione: un tempo, ne era invaso ogni volta che suo padre gli rivolgeva una parola da approvazione. Poi Bra era scomparsa, e con lei se n’era andata ogni cosa che non la riguardasse.
Trunks si sentì stranamente sorpreso. Era da tempo che non si sentiva così… Felice? O sollevato?
Non sapeva più definire quella sensazione, che poteva somigliare all’orgoglio, sapeva solo che era molto piacevole.
Vegeta gli rivolse un cenno del capo. Per un attimo, i loro occhi si incrociarono, azzurro nel nero, poi il Principe dei saiyan lo sorpassò.
«Grazie» riuscì a mormorare il ragazzo, dopo qualche istante.
Suo padre non si voltò, non disse nulla, ma Trunks era certo che l’avesse sentito.







Spazio dell’autrice morta di caldo:
Alzi la mano chi mi vuole impiccare per il vergognoso ritardo.
*conta le mani con aria preoccupata* Ahem, ho capito, vado a prendere il cappio .-.
Parlando di questo capitolo… Mi dispiace, ma ci ho pensato, e non credo che ciò che ha fatto Trunks possa essere cancellato come se non fosse mai successo.
Alla fine è questo il dramma.
Una cosa fatta è fatta, e a volte quel che si fa in seguito per porvi rimedio conta solo sino a un certo punto.

Oddio, come sono profonda oggi!
Riguardo al pezzo finale su Trunks e Vegeta, l’idea me l’ha data Devandro, che nello scorso capitolo era dispiaciuto di non aver visto una scena tra il Principe e il figlio del presente. Spero non sia venuta fuori troppo pessima.
Be’, alla prossima!

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Capitolo 21
*** Abbracci ***


Capitolo 21 – Abbracci

Circa quattro mesi dopo il ritrovamento di Bra, la macchina del tempo poteva dirsi quasi pronta.
Il ragazzo del futuro era ormai nervoso e inquieto. Aveva iniziato a trascurare un po’ gli allenamenti con Trunks, e passava sempre più ore in compagnia di Bulma, cercando di spiegarle per filo e per segno il lavoro compiuto da sua madre.
La piccola Bra era sempre lì a gironzolare per l’officina, e ogni tanto faceva qualche comparsa anche Vegeta, non foss’altro che per dare un’occhiata alla figlia.
Trunks non se l’era presa per l’abbandono dell’addestramento da parte del suo alter ego, poiché capiva il suo nervosismo. Per non mandare all’aria i miglioramenti fatti negli ultimi giorni, si allenava anche da solo, ma finiva per recarsi a sua volta in officina.
Avendo ereditato dalla madre l’interesse per la tecnologia, non poteva che trovare interessante la costruzione della macchina del tempo, e inoltre preferiva avere Bra sott’occhio.
Non che il rapporto con la sorellina sembrasse essere migliorato, anzi. La piccola continuava a fargli i dispetti più disparati, pestandogli i piedi o lanciandogli contro “per sbaglio” un cacciavite.
E poi, come ormai era consuetudine, gli si accostava tremando e domandando scusa, e gli stampava dei baci sulle guance.
Bulma, che era rimasta a lungo estranea a quella nuova dinamica, iniziò a notare il comportamento della figlia e ad impensierirsi.
Una sera, dopo aver messo a letto Bra, si recò nella stanza del proprio primogenito.
Trunks era sveglio, seduto sul letto e intento a giocherellare con qualcosa di morbido.
«Posso?» chiese Bulma, dando un colpo leggero alla porta.
Il ragazzo parve riscuotersi dai propri pensieri. «Certo» replicò, intascando l’oggetto che fino a un po’ di tempo prima si rigirava distrattamente tra le mani.
Bulma andò a prendere posto sul materasso accanto al figlio. Lo studiò per qualche momento, incerta su come esordire.
«Vuoi parlarmi di Bra» dedusse Trunks.
La donna sussultò, sorpresa, ma poi annuì. «Ho notato come si comporta con te».
A quelle parole, il ragazzo scrollò le spalle. «È tutto a posto, mamma» affermò. «Lasciala fare».
Bulma lo guardò, inclinando la testa. Nel corso dei tre terribili anni in cui Bra era scomparsa, non poteva negare di aver provato un po’ di risentimento nei riguardi del figlio maggiore. Anzi, risentimento era riduttivo: talvolta avrebbe proprio voluto prenderlo a schiaffi.
Ciò che l’aveva sempre trattenuta, però, era la consapevolezza della sofferenza del figlio, il suo doloroso desiderio di una punizione.
Ora che Bra era tornata, poi, lei aveva perdonato Trunks.
Ci aveva pensato, e aveva concluso che il figlio aveva fatto una cosa stupida – molto stupida – che aveva avuto conseguenze terribili. Aveva concluso anche che Trunks si meritava una punizione terribile, ma aveva capito senza problemi che il giovane quella condanna l’aveva già scontata.
Già, l’aveva scontata nelle lunghe notti che aveva trascorso insonne, l’aveva scontata nel momento in cui era quasi impazzito, ma soprattutto quando era riuscito a recuperare la sorellina.
Adesso, per quel che riguardava Bulma, Trunks era stato punito a sufficienza.
E si era meritato il perdono che lei gli aveva dato.
«Sai cosa credo, mamma?» disse il ragazzo, in tono sommesso. «Bra sta cercando di trovare un modo per perdonarmi. Non voglio che smetta, anche se ho paura che i suoi tentativi continueranno ad andare a vuoto».
Bulma aggrottò la fronte. Studiò il viso smagrito e sofferente del figlio maggiore… E lo abbracciò, spinta da un’ondata di empatia.
«Andrà tutto bene» gli disse, accarezzandogli la nuca come se lui fosse stato ancora un bambino. «Vedrai, andrà tutto bene».
Trunks non ne era sicuro, ma non sciolse quella stretta.
Era la prima volta, da quando Bra era scomparsa, che sua madre lo abbracciava.

Il mattino dopo, il ragazzo del futuro si recò di buon’ora nell’officina.
Bulma non era ancora scesa, ma lui si avvicinò ansiosamente ai progetti della donna, studiandoli da cima a fondo, sforzandosi di ricordare se aveva dimenticato qualcosa…
Così preso da quell’occupazione, impiegò qualche istante per rendersi conto che c’era qualcuno nei paraggi.
Era un’aura modesta, che proveniva da sotto il tavolo.
Immaginando chi potesse essere, il ragazzo del futuro sorrise tra sé e sé.
Dopo qualche istante, una testolina azzurra fece capolino. «Ciao» disse Bra, studiandolo per bene, in modo da vedere se era rimasto sorpreso dalla sua apparizione.
Il giovane si finse più stupito che poteva. «Ehi» rispose. «Che ci fai, lì sotto?»
La bambina si alzò in piedi, sgusciando fuori dal tavolo. «Aspetto la mamma» replicò.
Sporgendosi, cercò di vedere i progetti che il ragazzo aveva in mano. «Cosa guardi?» gli chiese, incuriosita.
Lui scrollò le spalle. «Controllo che la macchina del tempo sia a posto».
Bra annuì, con aria quasi saggia. «Vuoi t-tornare a casa, eh?»
«Eh, già» confermò il giovane.
«Anch’io lo volevo, quando stavo con Algid» dichiarò la bambina. Allargò le braccia. «Però non p-potevo» concluse, gettando un’occhiata nervosa attorno a sé.
«Immagino che tutta la tua famiglia volesse tornare a casa» disse il ragazzo del futuro.
Bra lo guardò, perplessa. «Loro erano già a casa!» gli fece notare.
«Sì, ma non penso la sentissero davvero così, visto che tu non c’eri».
La bambina parve affascinata da quella risposta. Ci pensò su a lungo, poi mosse appena le labbra, come in un accenno di sorriso.
«Ti manca la tua mamma?» volle sapere poi.
Il ragazzo del futuro sentì un improvviso nodo alla gola, e le sue dita si strinsero sulla carta del progetto. Si affrettò a posare quello schizzo sul tavolo, poi rispose, sommessamente: «Sì. Sono preoccupato per lei».
«La mia mamma ha detto che a casa tua c’erano dei mostri cattivi» riprese Bra – sembrava che la risposta del ragazzo lo avesse stupita. «Per questo sei preoccupato?»
Il giovane scosse il capo. «No, non è per questo… I mostri cattivi non ci sono più, li ho sconfitti».
Bra scosse la testa. «Allora perché sei preoccupato? La tua mamma è a casa. A me la mia mamma mancava tantissimo, ma non ero preoccupata. Ero io ad essere in un b-b-brutto posto, non lei».
Il ragazzo del futuro la valutò per un momento, domandandosi come spiegare ciò che provava a una bambina di sette anni, senza confonderla o disorientarla.
«Be’… Sai, io so che mia madre mi vuole molto bene» iniziò, con una certa difficoltà. «Così, mi preoccupo perché lei non sa dove sono, e so che questo la fa star male».
«Però nessuno la picchia» constatò Bra, apparentemente decisa ad accertarsene.
Il giovane annuì. «Nessuno la picchia» confermò, e la bambina parve abbastanza sollevata. «Ma, sai, la mia lontananza le dà un male… diverso».
«Ho capito» sostenne Bra, cogliendolo di sorpresa. La bambina si portò una mano al petto. «È un male qua dentro, non un male fisico».
Il giovane annuì nuovamente.
Impietosita, la bimba gli posò una mano sulla gamba.
«Sai» mormorò il ragazzo del futuro, «certe volte le ferite emotive sono dolorose come quelle fisiche, se non di più».
Bra, allora, lo abbracciò – con una certa difficoltà, data la differenza d’altezza. «Non essere triste» gli disse, affondandogli il viso contro il petto. «Quando andrai a casa, la tua mamma sarà felice. Guarirà subito».
Il giovane, sorpreso dal gesto della bambina, le posò una mano sui capelli.
«Lo spero, piccola» disse alla fine, mordendosi l’interno della guancia. «Lo spero davvero».
I suoi occhi andarono a posarsi, con un certo rimpianto, sulla sagoma della macchina del tempo.
Era quasi ultimata, ma quel “quasi” gli impediva di dormire la notte.
Pensava sempre di più a sua madre. Dopo tutto quello che lei aveva fatto per lui, gli sembrava mostruoso, da parte propria, abbandonarla così… Certo, la colpa era solo di Algid se lui era capitato lì, però… Il ragazzo del futuro non si sentiva con la coscienza a posto, a sonnecchiare quando avrebbe dovuto rimboccarsi le maniche e lavorare per tornare a casa il prima possibile.
Chissà se sua madre lo dava per morto… Chissà se piangeva, credendo di averlo perduto…
Bra si strinse un po’ di più a lui, affondando il naso nella sua maglietta. Il ragazzo del futuro aveva lo stesso odore di Trunks, e abbracciare lui era un po’ come abbracciare suo fratello…







Spazio Autrice:
Scusate l’attesa ^^”
E scusate, se potete, la brevità del capitolo.
Spero che vi possa essere piaciuto comunque…
Per quanto riguarda il prossimo capitolo, vi do appuntamento a Giovedì 30 Agosto ;)

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Capitolo 22
*** Ritorno al futuro ***


Capitolo 22 – Ritorno al futuro

Finalmente, il gran giorno era arrivato.
Bulma si passò una mano sulla fronte, poi diede un’occhiata soddisfatta al mezzo che le stava davanti.
«Ecco» annunciò, rivolgendo un sorriso radioso al ragazzo del futuro, «la macchina del tempo è pronta!»
Il giovane non disse nulla, limitandosi ad avanzare di qualche passo per osservare meglio il frutto del lavoro di quegli ultimi mesi.
Era un po’ diversa dalla macchina del tempo costruita da sua madre, ma solo nell’aspetto, e quel genere di dettagli non gli interessavano certo. Non in quel momento.
«Pensi vada bene?» chiese Bulma.
Il ragazzo si voltò a guardarla, e sul volto aveva un’espressione di sollievo e trepidazione. «Penso di sì» rispose, in un soffio.
Bra, che fino a quel momento era rimasta a giocare poco lontano, si avvicinò.
«Vuoi dire che vai via?» domandò, rivolta al ragazzo del futuro.
Quest’ultimo la guardò con serietà, facendo cenno di sì.
«Oh» disse Bra. «Mi dispiace, sei simpatico». Poi fece un sorriso. «Però sono contenta che puoi tornare a casa».
Il giovane la guardò. «Ti ringrazio, piccola».
E, a quelle parole, il sorriso della bambina si fece radioso.
Bulma la contemplò con aria intenerita, poi si avvicinò al ragazzo del futuro. «Allora?» indagò, sistemandogli delle pieghe invisibili della maglia. «Come stai? Ti senti pronto?»
Lui sbatté le palpebre. Si sentiva agitatissimo, a dire il vero. Nella sua dimensione, sua madre gli aveva spiegato fin troppo bene tutti i rischi che avrebbe potuto correre con una macchina del tempo imperfetta.
“Però” si disse, “questa non è imperfetta. L’abbiamo costruita con attenzione, basandoci su ciò che ricordo dei progetti che mia madre ha concluso dopo anni di lavoro… Qua, inoltre, abbiamo potuto usare degli strumenti che nel mio tempo non erano disponibili a causa dei cyborg… Andrà tutto bene”.
Quando incrociò lo sguardo di Bulma, lo fece con grande determinazione. «Sono pronto» dichiarò.
La donna, allora, gli si gettò tra le braccia. «Bra ha ragione: sono contenta anch’io che tu possa tornare a casa… Da tua madre» sottolineò.
Negli ultimi anni, aveva avuto modo di scoprire quanto fosse orribile, per una madre, non sapere dove si trovasse il proprio figlio, perciò desiderava che la sua alter ego si tranquillizzasse il prima possibile… Del resto, alla Bulma del futuro non rimaneva altro che il figlio…
«Però non ti nascondo che mi mancherai» aggiunse, stringendolo brevemente.
Il ragazzo del futuro accennò un sorriso. «Mi mancherai anche tu, mamma» replicò.
Bulma sorrise a propria volta, poi si guardò attorno. «Allora» considerò, «bisognerà chiamare Trunks e Vegeta… Sono certa che vogliono salutarti tutti e due…»
Bra alzò la testa. «Vado io a chiamare Trunks!» annunciò, dirigendosi quasi di corsa verso la porta dell’officina.
Mentre usciva, sentì sua madre pronunciare un «Va bene» un po’ basito.
La bimba trovò Trunks in giardino. Si era portata a dietro la palla di gomma con cui aveva giocato in officina… Sapeva che non faceva molto male.
Quando vide il fratello seduto sull’erba, probabilmente dopo una sessione di allenamento solitario, Bra non esitò a lanciargli contro la palla.
Proprio in quel momento, però, Trunks percepì la presenza della sorellina e si girò, e di riflesso prese la palla al volto.
La bambina divenne rossa in viso, ma poi scrollò la testolina.
Scacciando le lacrime di frustrazione e il proprio disappunto, si avvicinò al fratello.
«La macchina del tempo è p-pronta» annunciò. «Vieni a salutare Trunks?»
Trunks sbatté le palpebre. «È già pronta?» domandò, alzandosi in piedi.
Tese la palla alla sorellina. Bra esitò, lanciando un’occhiata veloce e nervosa al volto del fratello, ma poi prese il proprio giocattolo.
«Vai avanti t-t-tu» disse, rivolta a Trunks, e lui si avviò verso l’officina.
Bra aspettò che tra loro ci fosse una certa distanza, poi lo seguì trotterellando.
Quando arrivarono, videro che Vegeta li aveva già preceduti, e stava litigando con Bulma. Il punto era che avrebbe dovuto spostare all’aria aperta la macchina del tempo, ma evidentemente alla donna non andava bene il modo in cui lo stava facendo.
«Ehm, mamma, papà… Avete bisogno di una mano?» azzardò Trunks.
Bulma si girò di scatto verso di lui. «Fermo dove sei!» esclamò. «Tuo padre deve imparare a lavorare!»
«Okay…» Il giovane quasi indietreggiò, scambiando un’occhiata col suo alter ego. «Ma perché non la rimettete nella capsula, prima di…?»
«Esatto, donna!» sostenne subito Vegeta. «Perché non la rimettiamo nella capsula?»
«Perché tu non fai mai niente!»
Il Principe, però, la ignorò, e trovò il pulsante che serviva per ridurre la macchina del tempo alle dimensioni di una compressa per il mal di testa.
Così, dopo circa altri dieci minuti di battibecchi, la macchina del tempo si trovava in mezzo al prato, nella posizione ideale per la partenza.
Il ragazzo del futuro esitò, osservando quella sua famiglia di un’altra dimensione.
«Allora… Ci vediamo…» mormorò.
Bulma ero commossa. «Certo, tesoro» disse, andando ad abbracciarlo. «Mi dispiace di non averti organizzato una bella festa in occasione della tua partenza…»
«Non fa niente» replicò lui. «Non credo che sarei riuscito ad essere di buona compagnia, sarei stato troppo impaziente di partire. Salutami gli altri, però».
Bulma annuì. «Certamente».
Vegeta, da parte sua, bofonchiò un burbero «Fa’ buon viaggio», mentre la piccola Bra andò a stringersi con forza al petto del giovane.
Il ragazzo del futuro le scompigliò i capelli, poi si volse verso il suo alter ego.
Trunks gli sorrise. «Be’… è stato un piacere conoscerti» disse.
L’altro gli restituì il sorriso, seppur brevemente. «Anche per me» replicò.
«Grazie… per Bra, per gli allenamenti… Per tutto quello che hai fatto, insomma» disse Trunks.
Il ragazzo del futuro sorrise, stringendogli la mano. Poi, facendosi udire solo da Trunks, disse, in tono sereno: «Sai, a mia madre sarebbe piaciuta molto, una bambina».
E poi aggiunse, sempre a voce bassa: «Per lei è importante, riuscire a perdonarti».
Trunks lo fissò, poi mormorò un ultimo «Grazie».
Il ragazzo del futuro gli fece un cenno, poi salutò di nuovo gli altri. Dopodiché, volò sino alla carlinga della macchina del tempo, accomodandosi sul sedile.
Guardò i pulsanti che aveva davanti, cercando di non badare al cuore che gli martellava tra le costole.
“Andrà tutto bene” si disse. “Andrà tutto bene”.
E a quel punto, qualcosa scattò nella sua testa. Riconosceva i comandi, sapeva usare quella macchina alla perfezione… E ciò lo fece sentire più sicuro.
Premette alcuni tasti, inserendo le coordinate giuste.
La macchina del tempo iniziò a sollevarsi verso l’alto. Il ragazzo del futuro, attraverso il vetro, continuò a salutare la sua famiglia… Poi tutto scomparve.

Quando la macchina si posò a terra, in uno sbuffo di polvere, Trunks aveva i palmi sudati.
Guardò apprensivo fuori dal vetro e, con immenso sollievo, riconobbe la Capsule Corporation… La sua Capsule Corporation, quella in cui era cresciuto… La Capsule Corporation del suo tempo.
Con un balzo, fu fuori.
Non si fermò a mettere la macchina del tempo nella capsula, troppo ansioso di raggiungere sua madre.
Tese i sensi, individuando senza difficoltà l’aura della donna.
A quel punto, si lanciò dentro casa a rotta di collo.
La trovò, pallida e angosciata, seduta accanto al telefono, intenta a tormentare un fazzoletto tra le mani. Sentendolo entrare, Bulma si girò di scatto… E un’espressione di gioia incredula si dipinse sul suo volto, assieme ad un sollievo così intenso da apparire straziante…
«Sono qui, mamma» disse Trunks, ansimando appena per la corsa.
La donna si alzò, chiamando il suo nome con voce strozzata e correndogli incontro. L’impatto tolse per un momento il fiato al ragazzo, mentre Bulma gli si avvinghiava contro.
«Oddio, Trunks!» disse poi, scostandosi per guardarlo in faccia. «Ero così in ansia per te! Dove sei stato? Perché non mi hai fatto sapere niente? La preoccupazione mi stava uccidendo…»
Trunks le prese le mani tra le proprie, con affetto. «Lo so, mamma, mi dispiace. Credimi, ti avrei informata che stavo bene, se solo avessi potuto…»
Bulma sembrava confusa. «Se avessi potuto? Perché, cos’è successo? Stai bene?»
Nei suoi occhi, il ragazzo vide il timore per una nuova minaccia alla Terra e scrollò le spalle. «Sto bene, sto bene. È solo che… Ecco, sono finito nel passato».
Bulma lo guardò, ancora più disorientata di prima. Trunks, allora, la fece sedere e mise su l’acqua per un tè.
Mentre l’acqua si riscaldava, le raccontò tutto: di come si fosse ritrovato improvvisamente su un campo di battaglia, di come avesse visto una copia di se stesso, di come avesse aiutato il proprio alter ego contro Algid…
Ad un certo punto, si alzò e riempì di tè due tazzine, per poi tornare verso il divano e offrirne una a sua madre.
Bulma parve accorgersi a stento di quella bevanda calda. Fissava il figlio con aria a dir poco scossa.
«Sicuro» disse alla fine, «che sia la verità? Non ti sarai inventato tutto come alibi?»
«Alibi?» ripeté Trunks, del tutto preso alla sprovvista.
«Sì, alibi. Davvero hai trascorso questi mesi nel passato, e non con una bella ragazza?»
Al giovane per poco non andò di traverso il tè. «Mamma, non ti avrei mai fatto preoccupare così per una ragione simile!» protestò.
Bulma, però, si mise a ridere. Una risata piena di sollievo. «Lo so, tranquillo, stavo solo scherzando».
Lui sospirò, e lei tornò seria. «Be’, credo dovrò telefonare alla polizia e ritirare la denuncia della tua scomparsa».
«Già» mormorò il ragazzo.
Bulma rimase qualche istante in silenzio, riflettendo e osservando il figlio. «Trunks?» lo chiamò.
«Mmm?»
«Hai fatto bene ad aiutare l’altro te stesso» rispose lei. Esitò, e per un attimo i suoi occhi si fecero distanti. «Sai, mi sarebbe piaciuta molto, una bambina» confessò quindi, in tono nostalgico.
Trunks le sorrise con calore. «Lo so, mamma» rispose, lasciando che lei poggiasse il capo sulla sua spalla, «lo so».






Spazio Autrice:
E così, Mirai no Trunks è tornato a casetta sua.
Inizialmente, non pensavo di descrivere il suo incontro con la Bulma del futuro, per non distogliermi dalla trama centrale, ma poi ho preferito riportarlo così che non ci fosse il dubbio “Ma sarà arrivato sano e salvo nel suo tempo o no?”.
Spero solo che questo non abbia reso il capitolo noioso, ma senza dubbio era una questione che doveva essere risolta U.U
A martedì 4 Settembre per il prossimo capitolo! =)

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Capitolo 23
*** Perché? ***


Capitolo 23 – Perché?

Goku sembrava abbastanza dispiaciuto di non aver avuto modo di salutare il ragazzo del futuro.
«Chissà…» disse, grattandosi la nuca. «Magari lo rivedremo… Potrebbe arrivare e annunciarci una disgrazia imminente… Non sarebbe male» aggiunse, illuminandosi all’idea.
«Non sarebbe male rivederlo» puntualizzò Bulma, quasi minacciosa. «Una disgrazia imminente lo sarebbe, invece, eccome».
Goku si affrettò a darle ragione. «Certo, certo», ma il suo sguardo distratto diceva tutt’altro.
La piccola Bra, seduta sul tappeto poco lontano e piuttosto annoiata dalla conversazione, si tirò su e uscì dal salotto. Si diresse verso la camera di Trunks, quasi per caso, tenendo gli occhi fissi sul pavimento.
Più o meno a metà percorso, uno scricchiolio la fece sobbalzare.
La bambina si lanciò accanto al muro, appiattendosi contro di esso, col cuore a mille e il respiro che accelerava… Giusto un momento prima di andare nel panico, però, capì di essere stata lei stessa a provocare il rumore che l’aveva spaventata.
Inspirò profondamente, toccandosi le guance per assicurarsi che non le fosse sfuggita nemmeno una lacrima.
Per un istante, aveva temuto… aveva temuto che… “Algid” pensò, col cuore in gola.
Quando il suo respiro tornò ad avere un ritmo normale, la bambina riprese a camminare. Dopo poco, giunse davanti alla porta della stanza del fratello ed entrò senza esitare.
Trunks era seduto sul proprio letto, ed alzò di colpo la testa, colto di sorpresa.
Lo sguardo di Bra cadde sulle mani del giovane… E la bimba sgranò gli occhi. Tra le dita del fratello, riconobbe un guantino di lana, con un cagnolino ricamato sopra. Era il suo guantino, quello del paio che indossava quando Trunks l’aveva abbandonata.
Per un istante, Bra rimase senza respirare. Poi, le sue guance s’infiammarono, mentre il fiato le tornava tutto.
«Ti odio!» gridò lei, prima che Trunks avesse il tempo di fare niente. Si chinò ad afferrare una ciabatta posata sul pavimento, e la scagliò verso Trunks. «Ti odio!» ripeté, con voce stridente.
La suola dell’oggetto colpì il giovane sulla fronte, ma lui non parve accorgersene. Si era irrigidito, e fissava la propria sorellina, le labbra dischiuse nel respiro spezzato.
«B-bra» balbettò.
«Ti odio!» strillò la bambina. Si era messa a piangere, ma quando si avvicinò al letto del fratello, lo fece per assestare un calcio contro la gamba del ragazzo. «Ti odio!» reiterò, afferrando il cuscino e prendendo a sbatterlo contro Trunks, con tutte le proprie forze.
«Ti odio, ti odio, ti odio! Tu non sei mio fratello! Non mi vuoi abbastanza bene! Ti odio!»
La bambina continuò a ripeterlo, singhiozzando, e nel frattempo continuava a dare cuscinate al fratello.
Trunks non si muoveva. O meglio, ad ogni colpo le sue spalle parevano sussultare, ma il ragazzo non cercava minimamente di evitare le percosse.
«Ti odio!»
Quando le dita cominciarono a farle male, Bra lasciò andare il cuscino. Con un grido disperato, la bambina piantò uno schiaffo sulla guancia del giovane, dandogli un dito nell’occhio.
Trunks non si mosse neanche allora.
«Ti odio!»
Senza fiato, Bra si fermò. Guardò Trunks, e lui ricambiò lo sguardo – respirava a malapena, e due lacrime silenziose gli rigavano le guance.
Quasi con ferocia, la bambina gli strappò di mano il guantino.
«Ti odio!» urlò, per poi lasciar cadere a terra il guanto. Iniziò a pestarlo con rabbia. «Ti odio!» ripeté, per l’ennesima volta, alzando gli occhi e piantandoli in viso al fratello.
«Ti odio…» mormorò.
Si immobilizzò, poi si girò e corse via.
Trunks restò fermo dov’era, impietrito, mentre il dolore che aveva dentro si faceva sempre più straziante. Incapace di pensare, di parlare – incapace anche di piangere –, il ragazzo si lasciò scivolare di lato.

Bra correva più veloce che poteva.
Non riusciva a capire cosa provava… Rabbia? Odio?
Sapeva solo che voleva scappare via, e non vedere Trunks mai, mai più.
Quando si trovò davanti ad uno dei bagni, entrò svelta e chiuse a chiave, andando a rannicchiarsi in un angolo. Il pavimento e le pareti erano di marmo freddo, e Bra, accaldata com’era, si sentì rabbrividire a quel contatto.
Si sentiva come se il petto le stesse per esplodere.
Era come se tutta la paura, tutto il dolore e la nostalgia che aveva provato durante la prigionia impostale da Algid fossero tornate a colpirle, più violente che mai.
Tremando a più non posso, la bambina si mise le braccia sulla testa, come per proteggersi. Era una posizione che aveva assunto spesso, quando Algid era vicino a lei…
Adesso Algid non c’era, ma Bra si sentiva lo stesso come se qualcuno le stesse riempiendo la mente di brutti ricordi.
Riusciva solo a pensare a quella sera, a quanto aveva aspettato Trunks, ancora e ancora… Al fatto che lui non era tornato…
O meglio, si corresse la bambina, era tornato sì, ma dopo tre anni!
Per poco non le sfuggì un singhiozzo.
Perché aveva un fratello così cattivo? Non poteva averne uno buono? Perché aveva questo Trunks? Perché, invece, suo fratello non era il Trunks del futuro?
Quello lì sì, che era buono.
Ripensò a quando lo aveva abbracciato… Ma a tornarle in mente furono soprattutto le parole che lui le aveva detto… Sai, certe volte le ferite emotive sono dolorose come quelle fisiche, se non di più.
La bambina si immobilizzò.
Lentamente, abbassò le braccia, togliendosi le mani da sopra la testa.
Il suo respiro riprese ad accelerare, come le succedeva quando si spaventava, quando pensava che Algid fosse tornato a prenderla.
Adesso, però, non vedeva l’alieno, dentro la propria testa.
Vedeva l’espressione stordita di Trunks, le sue guance arrossate rigate di lacrime, i suoi occhi pieni di dolore…
Bra iniziò ad agitarsi.
Cercò di star ferma, ma dopo un po’ si accorse che proprio non ci riusciva.
Si tirò in piedi ed uscì dal bagno.
Riprese a correre lungo il corridoio, e ad un certo punto sbatté contro qualcosa – o, per meglio dire, contro qualcuno.
Non se lo aspettava proprio, e incespicò all’indietro, cadendo sul sedere.
Alzò gli occhi, intontita dal dolore all’osso sacro, e si ritrovò a guardare la faccia di Goku.
«Bra» la salutò il saiyan. «Non ti sei fatta male, vero?»
La bambina sbatté le palpebre un paio di volte. Quando il dolore della botta passò, scosse la testa. «No» pigolò.
«Ah, bene» disse Goku, aprendosi in un sorriso. La prese per un braccio e la aiutò a rimettersi in piedi. «Ecco fatto… Sto cercando il bagno, comunque… Puoi dirmi dov’è?»
Bra indicò la direzione che l’uomo avrebbe dovuto prendere.
«Oh, è vero» disse Goku, allegramente. «Ora ricordo… Be’, grazie, piccola» disse, scompigliandole i capelli mentre le passava accanto.
La bambina si girò per seguirlo con lo sguardo, e improvvisamente le uscirono di bocca alcune parole farfugliate.
Goku si voltò indietro. «Come dici?» le domandò, confuso.
Bra si morse le labbra. Ripeté quanto aveva già detto, ma per la seconda volta le venne fuori solo un borbottio incomprensibile.
Goku sembrò perplesso. Gettò un’occhiata verso la direzione appena imboccata, ma poi tornò sui propri passi, sino a giungere di fronte alla bambina.
Si accoccolò persino, in modo da avere il volto all’altezza di quello di Bra.
«Come dici?» ripeté.
Bulma gli aveva detto di essere preoccupata per la figlia. Dato ciò che era successo, non poteva nemmeno provare a farla aiutare da uno psicologo. Chi poteva dire come avrebbe reagito un terrestre qualsiasi, ascoltando una bambina di sette anni che sosteneva d’essere stata rapita da un alieno?
Però, chissà, magari lui poteva darle una mano.
Bra respirò a fondo, disperatamente. «Si può morire per la tristezza?» domandò poi.
Goku sgranò gli occhi. Non si era minimamente aspettato una domanda del genere… Di colpo, parve molto più serio, e s’accigliò appena.
«Non lo so» rispose alla fine. «Mio nonno diceva che l’anima e il corpo sono collegati, che…»
«Le ferite emotive sono dolorose come quelle fisiche» farfugliò Bra, ripetendo le parole del ragazzo del futuro.
Goku le lanciò un’occhiata stupita, quindi annuì. «Già» disse, serio.
«Allora si può morire di tristezza?» insistette Bra.
Goku si portò una mano dietro la nuca. «Be’» tentennò, «non lo so…»
Bra, però, non lo ascoltò: le era appena tornata in mente una cosa.
«Certa gente si uccide!» gridò, facendo sobbalzare il saiyan.
«Cosa?» chiese Goku.
«Lo diceva Algid» rispose la bambina, prendendo a tremare. «Diceva che c’è gente che è debole e che non è capace di sopportare la tristezza e allora si uccide perché non ne può più…»
Goku si irrigidì.
Bra iniziò a tremare più forte. «Io… Io non l’ho ascoltato… P-p-perché… la mia mamma, il mio papà… Trunks… Pensavo che loro erano forti, quindi mi dicevo che non avrebbero fatto una cosa simile, p-però…»
Però, il ragazzo del futuro si era preoccupato per la sua mamma, anche se la sua mamma era forte.
Allora doveva voler dire che anche i forti, certe volte, non ne potevano più… Quindi sì, di tristezza si poteva morire davvero…
La bambina venne attraversata da una scarica d’orrore.
«Bra?» la chiamò Goku, allarmato.
Senza rispondere, lei si voltò, incespicando, e prese a correre disperatamente verso la stanza di suo fratello. Aveva ricominciato a piangere, e sentiva le lacrime che le gocciolavano dal mento…
Perché, perché, perché, perché, perché, perché, perché?
Perché non le era venuto in mente subito?
La bambina quasi si buttò addosso alla porta della stanza del fratello per aprirla ed entrare… E, vedendolo immobile sul letto, gridò con quanto fiato aveva in gola.







Spazio Autrice:
Ed eccolo qua.
Il prossimo aggiornamento, se ce la faccio, sarà Martedì 11… E, mi duole dirlo, dovrebbe essere l’ultimo (o il penultimo) capitolo.
NOTA di martedì 11: Il capitolo è quasi pronto, ma dato che devo studiare francese (domani ho un esame orale, brrrrr! =S) non credo di riuscire a finirlo per oggi, perciò l'aggiornamento è rimandato a domani, mercoledì 12. Scusate ^^"
Alla prossima!

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Capitolo 24
*** Tu sarai nel mio cuore ***


Capitolo 24 – Tu sarai nel mio cuore

Udendo quell’urlo, Trunks si sollevò a sedere di scatto.
«Bra?!» esclamò, stupefatto.
La bambina era sulla soglia, gli occhi arrossati dal troppo piangere, l’espressione stravolta… Di colpo, chiuse la bocca, mentre Goku faceva capolino da dietro di lei, controllando allarmato l’interno della stanza…
Trunks scambiò appena un’occhiata con l’uomo, ma poi dovette distogliere lo sguardo, poiché Bra gli si era gettata addosso.
La bambina si inerpicò sulle ginocchia del fratello, gettandogli le braccia al collo. «Sei forte, sei forte, sei forte» singhiozzava.
«Bra, che cosa…?»
Lei, però, non rispose: stava piangendo così forte che non aveva fiato per parlare.
«Bra…» sussurrò Trunks.
Non riusciva a credere di averla sulle proprie gambe, non riusciva a credere che lei si stesse davvero premendo contro di lui con autentica disperazione… Dopo la scena di poco prima, aveva pensato di non vederla mai più… Okay, forse di vederla sì, ma solo durante i pasti o quando si fossero incrociati casualmente in casa… Di certo, aveva pensato che non l’avrebbe mai più toccata.
Il pianto della piccola si calmò un po’, quel poco che bastava per permetterle di mettere in fila qualche parola senza soffocare.
«Non… Tristezza…» farfugliò. «Per favore, guarisci, guarisci! Io ho detto a Trunks che la sua mamma sarebbe guarita subito, non appena lui fosse tornato da lei!»
Stranito, Trunks portò una mano sulla nuca della sorellina.
In quel momento, si accorse che sulla soglia non c’era più nessuno: Goku si era dileguato in tutto silenzio…
«Io sono tornata» continuò Bra, «e allora tu… Guarisci!»
Sollevò gli occhi lacrimanti sul fratello.
«Io… ti faccio guarire?» domandò, con un fil di voce.
Trunks impiegò qualche istante prima di riuscire a parlare. Quella bambina poteva fare di lui tutto, tutto… Poteva guarirlo e poteva distruggerlo.
E in quel momento stava certamente facendo la prima cosa.
«Sì, Bra» le rispose perciò, con forza. «».
La bimba tirò rumorosamente su col naso. «Tu non sei cattivo…» piagnucolò. «Il cattivo è Algid, e io non voglio un altro fratello…»
Lo abbracciò di nuovo, mentre Trunks si sentiva quasi stordito.
Le diede un bacio delicato sulla guancia, sfiorandola appena con le proprie labbra. E poi ripeté il gesto, per asciugarle le gote bagnate.
Bra, intanto, gli accarezzava la spalla. Aveva smesso di tremare.
Improvvisamente, irruppe in una sorta di risatina. Trunks, stupito, alzò gli occhi a guardarla, e lei rise più forte. Il ragazzo, allora, contagiato da quell’allegria forse immotivata – forse dovuta più a una crisi nervosa che ad autentica felicità –, si mise a ridere a propria volta.
Lei gli fece il solletico, lui la imitò, e continuarono a ridere insieme.
Poi si fermarono, e Bra si strinse contro di lui, e insieme piansero un po’.
Quando ebbero esaurito tutte le loro lacrime, Bra inarcò la schiena, premendo la faccia contro il petto del fratello. Ecco, sì… Era lo stesso odore del ragazzo del futuro, però… Però era questo, il suo Trunks.
«Trunks?» sussurrò la bambina, con voce esilissima.
Lui le accarezzò i capelli.
«Non è vero che ti odio…»
Il giovane le rivolse un’occhiata timorosa. «No?»
Bra scosse la testa, con decisione.
«Ne avresti tutte le ragioni, sai?»
La bambina annuì. «Sì, ma non voglio» rispose. «Io ti voglio bene».
Trunks la guardò attentamente, mentre sentiva il proprio cuore gonfiarsi di sollievo. «Non mi merito il tuo perdono» obiettò, giusto perché gli sembrava di doverlo dire.
Bra, però, gli picchiò una mano sul petto, senza fargli male. «Lo decido io!» pretese. «E io ti perdono!»
Dopo averlo detto, sembrò abbastanza soddisfatta.
«Sono buona?» s’informò poi, guardando il fratello dritto negli occhi.
«La bambina più buona che io conosca» confermò lui. La abbracciò, affondando le labbra nei suoi capelli turchini, e pensò che stare così per sempre… Gli sarebbe bastato.
Bra fece un piccolo sbadiglio. «Posso dormire qui?» pigolò, timidamente.
Trunks sorrise debolmente, perché era più di quanto avesse mai sperato. «Certo» sussurrò.
La bambina gli si spostò dalle ginocchia con agilità, andando a rannicchiarsi sul materasso del letto del fratello.
Quest’ultimo la seguì con lo sguardo.
Bra sembrava assonnata, ma continuava a tenere gli occhi aperti e ad osservare il ragazzo.
«Trunks?» chiamò, dopo un po’, con voce triste. «Le cose non torneranno più come erano prima, vero?»
Lui sentì una stretta al cuore. «No» si ritrovò costretto ad ammettere.
«Però» mormorò Bra, confusamente. «Però… Possono diventare più belle di come sono adesso, giusto?»
Trunks annaspò, come se le parole pronunciate dalla sorellina fossero per lui come una boccata d’ossigeno dopo anni di apnea.
Bra, non udendo nessuna risposta, parve riscuotersi. Fissò Trunks e ripeté, un po’ preoccupata: «Giusto?»
Lui tese la mano, accarezzando la testa della bimba. La piccola chiuse gli occhi, come un gattino che si crogiola nell’affetto del proprio padrone.
«Giusto» confermò Trunks, in un sussurro.

Bulma era sinceramente perplessa.
Goku, infatti, l’aveva salutata con un mezzo sorriso, con l’aria di chi pregusta una felice sorpresa, e se n’era andato senza protestare o attendere con aria speranzosa che lei lo invitasse a restare per cena.
In più, nonostante ormai fosse sera tarda, l’unico ad essersi presentato per reclamare l’ultimo pasto della giornata era stato Vegeta.
E dire che tanto Trunks quanto Bra facevano solitamente onore al proprio sangue saiyan con un appetito decisamente fuori dal comune.
Improvvisamente preoccupata, la donna si avviò verso la porta della sala da pranzo, ignorando lo sbuffo seccato di Vegeta.
Il saiyan occhieggiò con un certo desiderio la pentola posata in mezzo al tavolo, poi si accigliò e si alzò da tavola, seguendo la sua donna.
Bulma passò dapprima in camera di Bra ma, visto che della bimba non vi era traccia, decise poi di proseguire verso la stanza di Trunks.
Quando giunse a metà del corridoio, però, le parve di udire qualcosa. Si arrestò d’istinto, tendendo le orecchie… E si sentì raggelare.
Prima che Vegeta potesse dire alcunché, si rimise in moto, quasi di corsa, precipitandosi verso la stanza del suo primogenito.
Non poteva star succedendo di nuovo, non poteva!
E invece, quando fu accanto alla porta, capì che stava accadendo eccome.
«Prendi solo la mia mano
Stringila forte» cantava la voce di Trunks, in tono sommesso, ripetendo le parole che per un lunghissimo tempo avevano infestato gli incubi di Bulma.
La donna cercò gli occhi di Vegeta, che rispose con uno sguardo imperscrutabile.
Prima di chiedersi perché il saiyan sembrasse così poco preoccupato, Bulma posò una mano sulla maniglia. Aprì la porta piano, silenziosamente…
E fece bene, perché la scena che si stava svolgendo all’interno della camera era assai diversa da quella che lei si stava immaginando.
Trunks cantava sì, ma lo faceva senza lo sguardo vacuo e perso che aveva accompagnato quella melodia tempo addietro. E lo faceva non rivolto al vuoto, ma alla bambina che dormiva accanto a lui.
Bulma trattenne il fiato, osservando la piccola Bra raggomitolata sul letto del fratello.
Abbassò appena gli occhi, notando la manina della bimba aggrappata inconsciamente a quella più grande del fratello, e improvvisamente si sentì come se il cielo avesse esaudito il più grande dei suoi desideri.
Sentendo voglia sia di ridere che di piangere, perché era felice e commossa allo stesso tempo, si tirò silenziosamente indietro, richiudendo piano la porta.
«Io ti proteggerò
Da tutto ciò che ti circonda
Sarò qui
Non piangere».
Bulma scambiò uno sguardo con Vegeta. Ora capiva perché lui le era sembrato molto meno allarmato: il saiyan doveva aver percepito subito che il figlio non era solo, e che quindi stava cantando la ninnananna alla sua sorellina. Davvero, questa volta.
«Andrà tutto bene?» sussurrò.
Lui mosse il capo e lei lo interpretò come un sì.
Più serena, gli diede un colpetto scherzoso sullo stomaco. «Vieni, saiyan» mormorò, prendendogli un braccio, «andiamo a riempire quel tuo pozzo senza fondo».
Lo trasse con sé con un sorriso, mentre dietro di loro ancora si sentiva la voce di Trunks.
Una voce emozionata, incredula e piena di speranza.
La voce di un Trunks che non sarebbe più tornato come prima, ma che sarebbe riuscito a sentirsi un po’ meglio.
«Perché tu sarai nel mio cuore
Sì, tu sarai nel mio cuore
Da questo giorno in avanti
Ora e per sempre».














Spazio dell’Autrice:
E così si conclude la storia.
Non. Ci. Credo.
E sono anche un po’ triste, a dire il vero >.<””
Scusatemi per la posticipazione dell’aggiornamento, ma ieri dovevo proprio studiare...
Non sono del tutto convinta di come è venuto questo capitolo, spero di sbagliarmi e che vi sia piaciuto!
La ninnananna, naturalmente, è la traduzione di You’ll be in my heart di Phil Collins (quella di Tarzaaaan! :D).
Comunque, grazie a tutti!
A tutti quelli che hanno letto;
a tutti quelli che hanno recensito;
a tutti quelli che hanno inserito questa storia tra le preferite;
a tutti quelli che l’hanno messa tra le seguite;
a tutti quelli che l’hanno aggiunta alle ricordate.
GRAZIE, davvero!
Ah, se vi mancano già Trunks e Bra, sappiate che presto riprenderò in mano un’altra fanfiction in cui compaiono loro due, anche se decisamente diversa (il genere è comico, e poi non è così incentrata sul legame fraterno, quindi... XD). Se vi interessa, non avete che da cliccare qui (oddeo, ora mi sento in colpa per essermi fatta pubblicità da sola O_O).
Alla prossima (prima o poi)!

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