Il Collezionista Di Capelli

di Maryleescence
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'uomo dai mille vizi e peccati ***
Capitolo 2: *** Proposte allettanti ***
Capitolo 3: *** Una perfetta agonia ***
Capitolo 4: *** Ricordi pericolosi ***
Capitolo 5: *** Incontro fatale ***
Capitolo 6: *** Patto di sangue ***
Capitolo 7: *** Pazzia ***
Capitolo 8: *** Assassinio ***
Capitolo 9: *** Sanguinosa scoperta ***
Capitolo 10: *** Cuore ardente ***
Capitolo 11: *** Terrore ***
Capitolo 12: *** Ripugnante ***
Capitolo 13: *** Folli incomprensioni ***
Capitolo 14: *** Tenebre e dolci celle ***
Capitolo 15: *** Sanguinosa distruzione ***
Capitolo 16: *** Peccatore di bene ***
Capitolo 17: *** Il segreto annientato ***
Capitolo 18: *** Follemente reale ***
Capitolo 19: *** Maledetta felicità ***
Capitolo 20: *** Giustizia ***
Capitolo 21: *** Palcoscenico di orrori ***
Capitolo 22: *** La verità fatale ***
Capitolo 23: *** Ringraziamenti ***



Capitolo 1
*** L'uomo dai mille vizi e peccati ***


Capitolo 1°: L’uomo dai mille vizi e peccati.

 

Alexander Brown si era soffermato più volte a fissare quel firmamento continuamente oscurato da quelle nubi grigie dalle sfumature più svariate, ma quel giorno ne rimase completamente folgorato.  Quello che vide dentro di esse non fu altro che il suo animo deturpato dalle colpe che ogni giorno s’impregnavano su di lui e lo disarmavano davanti ai suoi stessi pensieri. Nella sua mente continuava a regnare la confusione; era come se vagasse nel buio, seguendo la scia di una luce invisibile. I motivi che l’avevano spinto a restare nella città di Londra erano davvero tanti; forse troppi. La protezione da parte della regina, la quale decideva di graziarlo ogni volta con un’amnistia, giocava un punto a favore. Lui, però, scappava; sì, scappava dal suo incubo peggiore e da una vita angosciante che voleva soltanto cancellare, o forse fuggiva semplicemente da se stesso e dal mostro che era diventato.
Scosse il capo, cercando di dimenticare gli ultimi frustranti pensieri che ormai l’affliggevano da parecchi anni e lo perseguitavano quasi come se cercassero costantemente di distruggerlo. Lui non era altro che un uomo; sì, un essere umano come tanti, ma con una visione del mondo completamente pessimistica. Non vedeva altro che falsità e odio attorno a lui; la società indossava frequentemente maschere per farsi apprezzare, ma Alexander semplicemente le odiava. Anche quando delle giovani donne gli facevano dei complimenti, lui li considerava semplicemente ipocriti. Eppure era dotato di un fascino e di una bellezza in equiparabili a una qual si voglia divina virtù. I suoi capelli scuri erano ricci e corti, ma apparivano molto morbidi al tatto, tanto da sembrare fragili. Il suo viso era ovale ed era accompagnato da una pelle candida, ma soprattutto secca a causa del freddo. Il naso aveva semplicemente una forma perfetta e arrotondata, mentre le sue labbra apparivano rosee e carnose, ma screpolate, poiché le mordeva spesso. I suoi occhi, invece, parevano dei veri e propri lapislazzuli in cui ogni donna poteva specchiarsi e infatuarsi di una cotale bellezza.
Nessuno, però, poteva comprendere cosa si celava dietro quelle incantevoli pietre preziose.
Molte persone lo ritenevano fortunato poiché viveva nei territori appartenenti alla regina Vittoria e nessun altro posto poteva essere più sicuro, ma semplicemente il giovane aristocratico di venticinque anni non era d’accordo. Per lui Londra non era altro che una fatale maledizione. Possedeva un’avversione inconscia proprio per le donne, ma nessuno sospettava di lui a riguardo di questo peccato. La lussuria divorava ogni parte della sua anima, ma Alexander non si dispiaceva di ciò; anzi, il piacere carnale era una delle sue tante forme di sfogo.
Eppure un uomo così orribile e rozzo era capace di essere rispettato e di poter incantare chiunque grazie alle sue notevoli abilità oratorie. Spesso partecipava alle riunioni di stato e cercava costantemente di far prevalere le sue proposte; riusciva sempre e comunque ad accaparrarsi la benevolenza dei suoi colleghi e se non altro quella dei sovrani d’Inghilterra.
Alexander continuò a camminare tra le gelide strade vittoriane, osservando ad ogni passo, il paesaggio caratteristico dell’anno 1859. S’innalzavano magnifici palazzi pubblici e proprio dinnanzi a loro, tutta la popolazione rimaneva esterrefatta nell’ammirarli, dimenticando così la restante parte della città afflitta dalla fame e dalla miseria. Lui stesso quando vedeva i poveri chiedere l’elemosina in ginocchio, rivolgeva loro uno sguardo intriso d’indifferenza; colui il quale era capitato spesso di vederli morire dal freddo sui marciapiedi e di spingere il loro cadavere con il piede, poiché intralciava il suo cammino. Semplicemente, li odiava. Ogni volta che se li ritrovava davanti, un’espressione di disgusto si dipingeva sul suo volto; probabilmente perché, fissandoli negli occhi, rivedeva se stesso molti anni prima.
In quel momento, cercò di respirare a pieni polmoni, sentendosi soffocare dalle perenni catene che imprigionavano il suo stesso animo, ma solo aria pesante e maleodorante l’investì. Strisciò le scarpe nere e nuove sulle strade lastricate, iniziando così già a consumare la suola. Non gli importò, poiché per lui i soldi non erano un problema. Udì l’elevato vocio cittadino e il rumore degli zoccoli dei cavalli che battevano su quei ciottoli quasi come martelli su pezzi di ferraglia. Ciò confondeva ulteriormente la sua mente, provocandogli un fastidioso mal di testa che sapeva sarebbe passato solo con un buon riposo; un qualcosa che non avrebbe mai ottenuto, poiché il suo inconscio era costantemente tormentato da incubi che altro non rappresentavano il suo vero essere.
Alexander, inoltre, era anche un uomo molto colto; dedicava, infatti, tante ore allo studio di materie scientifiche. Anche la letteratura per lui aveva un grande valore; adorava impregnare i suoi pensieri su fogli di carta, ma soprattutto amava creare catene di parole, che solo a pronunciarle scaturivano un’armoniosa musicalità. Era molto interessato soprattutto alla psicologia e all’anatomia dell’essere umano; spesso si ritrovava a fissare le persone che passavano accanto a lui con uno sguardo intriso di curiosità o a volte semplicemente disegnava su quelli che erano soltanto semplici fogli, il vero lato inconscio di ogni persona. Lui era un uomo molto intuitivo e per lui gli esseri umani erano dei veri e propri libri aperti.
Questo era Alexander Brown, l’uomo dai mille vizi e peccati.
Ben presto svoltò più volte, avvertendo il freddo pizzicargli le guance e giunse davanti a quello che era un palazzo composto da due piani; si trattava infatti della sua dimora. Già all’esterno appariva ricca di ghirigori di materiali pregiati, come l’oro e l’argento. Più volte aveva sorpreso qualche piccolo teppistello rubargli ornamenti oppure rovinargli la struttura e più volte li aveva denunciati davanti a un pubblico ufficiale. Altre invece, i poveri bussavano alla sua porta chiedendogli del pane, ma lui la richiudeva con forza ordinando loro di non ritornare più. Aveva sorpreso anche il suo maggiordomo prendere del cibo e donarlo a loro; tante minacce volarono quel giorno, anche di morte. A differenza di molti aristocratici, i quali preferivano vivere in campagna, lui amava la città, poiché abitava tra quell’agglomerato di palazzi e sporcizia dalla tenera età infantile.
Appena varcò il portone, davanti ai suoi bellissimi occhi, si estese un magnifico salotto composto da pregiate poltrone, divani rossi e tappeti scuri. Un tavolino di marmo era posto al centro della stanza e numerose librerie adornavano il suo angolo di lettura.
Bastian Waynther, il maggiordomo di mezz’età di casa Brown, si avvicinò all’aristocratico togliendogli il cappotto e assicurandosi che la luce non fosse troppo fioca. Era già quasi del tutto calvo, ma si notavano ancora dei capelli brizzolati. Possedeva anche lui un naso arrotondato, ma molto più grande rispetto a quello di Alexander. I suoi occhi erano verdi, mentre sulle sue labbra molto sottili, si poggiavano dei grandi e curati baffi bianchi. Indossava, inoltre, degli occhiali da vista rotondi poiché gli mancavano parecchi gradi in tutti e due gli occhi, ma questi purtroppo apparivano sempre sporchi e unti.
<< Spero abbiate fame! Ruth, vi ha preparato un pranzo squisito… >> disse, mettendo in mostra il suo audace sorriso.
<< Non ho fame, potete dire alla signora Dickens di gettarlo… >> rispose con acidità, recandosi nel suo studio.
Chiuse la porta bianca a chiave alle sue spalle e si sedette su quella sedia di legno nobile, posta dietro a una scrivania intagliata da numerose decorazioni. Su di essa era poggiato un calamaio e una piuma, poiché preferiva continuare a scrivere nel modo classico e non usare una penna stilografica. Per non parlare dei numerosi fogli buttati alla rinfusa e le cartacce che tutti i giorni Bastian doveva gettare nell’apposito raccoglitore di rifiuti. Su quelle mura bianche erano appesi numerosi quadri di volti sconosciuti e altre librerie, invece, erano semplicemente appoggiate a esse.
Si alzò in piedi e diede un calcio al tappeto scuro che si trovava dietro la sua precedente postazione, rivelando così il segreto che teneva celato nel profondo del suo cuore. Davanti a lui vi era una botola di legno e sapeva esattamente che in realtà era un passaggio che conduceva a un regno intriso di maledizioni. Fece dei respiri profondi e in seguito deglutì con forza. Estrasse la chiave dalla tasca e girandola nella serratura la sbloccò, affinché potesse introdursi all’interno della botola. Percorse una scala di legno e facendosi luce con un fiammifero, attraversò il corridoio tetro e freddo, sino a giungere davanti a una porta di legno che in seguito aprì.
Quello era il laboratorio delle sue malefatte.
L’atmosfera era cupa e solo poche fiaccole illuminavano lo scenario. Un odore pungente investiva i polmoni del giovane Alexander, il quale avvertiva anche il freddo impregnarsi nella sua pelle. Erano presenti tanti scaffali su cui erano poggiati dei barattoli, che in realtà contenevano organi umani di vari tipi; erano conservati in liquidi, così da arrestare il loro processo di decomposizione. C’era poi un altro ripiano su cui giacevano degli strumenti chirurgici e al centro della stanza era presente un tavolo di ferro, tipico dell’obitorio, dove il cadavere della donna che aveva portato a casa sua quella notte – e di cui aveva abusato – restava inerme e nudo.
Il rituale era sempre lo stesso. Estraeva gli organi con i vari strumenti che aveva a disposizione e li metteva in dei barattoli, i quali li posizionava poi su quegli scaffali polverosi. In seguito tagliava una ciocca di capelli alla sua vittima e servendosi della cera di una candela, la incollava tra le pagine bianche di un libro dalla copertina nera; accanto alla prova del crimine scriveva il nome della donna che aveva ucciso. Infine bruciava i cadaveri con il forno crematorio costruito in quella putrida stanza e poi semplicemente gettava le ceneri dove nessuno potesse vederle.
Alexander ormai stanco e sudato, si soffermò a lungo su quel libro che era già per metà pieno di crimini e peccati. L’osservò dalla prima pagina, sfogliando poi le altre e osservando, con uno sguardo intriso di malignità, che il suo primo omicidio avvenne cinque anni prima. Ricordava bene che aveva ucciso sua madre, con cui inizialmente si era scaturito un rapporto incestuoso, il quale sfociò poi con la morte.
La regina non faceva altro che coprire i suoi crimini e lui la ricambiava con effusioni di piacere carnale. Questa era la terribile vita di Alexander Brown, il quale rimaneva costantemente in bilico per non cedere alla morte.
Lui era il collezionista di anime e di corpi; lui era il collezionista di capelli.

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Capitolo 2
*** Proposte allettanti ***


Capitolo 2°: Proposte allettanti.

 

La sera era ormai giunta e Alexander si trovava nel suo studio illuminato da alcune candele che lui stesso detestava. In quel momento preferiva restare nel buio così come il suo animo, il quale era ormai ricoperto da ombre oscure che non lasciavano trapassare alcuna luce divina.
All’interno di quella società a cui ancora non era stata data del tutto la libertà, aveva deciso di rimanere ateo. Non aveva bisogno di preti e calunniatori che obbligavano le persone a entrare in quella che era una semplice struttura con una croce di legno; non aveva bisogno di udire le loro parole sprezzanti contro i peccatori come lui. Certo, spesso quando cercava di colloquiare con un credente, questo lo evitava poiché lo riteneva un pericolo per la sua fede.
Ma a lui, non importava.
Forse proprio la solitudine era la sua arma vincente. Non riuscire a confidare nulla a nessuno forse non era una delle cose migliori, ma in ogni caso, arrivavano sere dove lui scriveva pagine intere di preoccupazioni e che poi bruciava, affinché nessuno potesse scoprire i suoi segreti. Era come se parlasse a qualcuno che in realtà esisteva solo e unicamente nella sua mente.
Dopo cena si sarebbe recato al palazzo della regina Vittoria, la quale aveva organizzato una festa di corte e lui era tra gli invitati. Con che faccia avrebbe guardato il marito della sovrana? Semplicemente con la sua solita espressione indifferente e misteriosa. Alexander era bravo a mentire, tanto che avrebbero potuto fare di lui un attore del mondo teatrale. Era attento a ogni dettaglio come lo sguardo o la voce, affinché nessuno si accorgesse della sua menzogna, ma poi arrivava a casa e l’incubo ricominciava. La rabbia ribolliva nelle sue vene e la voglia di uccidere ancora si ripresentava.
La parte dell’agnellino sperduto non gli si addiceva. Lui era un mostro e questa era la realtà. Se lo ripeteva continuamente, dopo che osservava quella cenere che dai corpi ricavava. Il senso di colpa lo divorava costantemente, ma non riusciva mai a controllarsi e continuava con quelle orribili malefatte.
Qualcuno bussò alla porta e Alexander si levò in piedi irrequieto. Aveva sempre e costantemente la paura addosso che qualcuno potesse scoprirlo e che la regina a quel punto non avrebbe potuto salvarlo.
Eppure lei preferiva nascondere i suoi reati invece di difendere i popolani. Era semplicemente una sciocca, la quale in passato si lasciò abbindolare da quell’uomo dai mille volti e peccati. Sì, lei era innamorata di Alexander, come non lo era mai stata di suo marito Alberto. Forse era la sua sfrontatezza giovanile o il fatto di avere un rapporto indipendente che la facesse stare bene, furono i motivi che la portarono a crogiolare davanti ai suoi piedi.
<< Chi è? >> chiese.
<< Sono Bastian. Signore, volevo dirle che è pronta la cena… >> rispose.
Alexander tirò un sospiro di sollievo e si grattò più volte la fronte già impregnata dal sudore acido della tensione. Aprì la porta e scese le scale in compagnia del suo maggiordomo. Raggiunse la sala e cenò con una prelibata zuppa che la signora Ruth Dickens gli preparò con tanta cura.
Lei era proprio davanti a lui mentre giocava con i suoi riccioli castani. Alexander le rivolse uno sguardo intriso di rabbia, poiché odiava vederla oziare; lei percepì immediatamente il messaggio e con la sua corporatura esile si diresse nella cucina calando il capo. Era una donna di ben trentacinque anni con già tre figli sulle spalle, ma Alexander sapeva cosa era successo più di una volta in quella casa durante la notte fonda. Era capitato più volte che lui stesso la violentasse, ma Ruth, essendo a dir poco povera, non poteva assolutamente rinunciare a quel lavoro. Alexander ricordava ancora la sua pelle candida e calda, ma soprattutto le sue urla che lui stesso aveva cercato di soffocare, tappandole la bocca con le sue sudice mani.
Ben presto, finì di mangiare e in seguito si precipitò fuori dalla porta, chiedendo alla prima carrozza di passaggio di poter raggiungere il palazzo della regina. Il cocchiere condusse i cavalli fino al luogo prestabilito e lui potette notare la magnificenza del palazzo. Appena varcò l’ampio portone, due maggiordomi si apprestarono immediatamente a togliergli il cappotto e a dargli il benvenuto. Le sale erano complete e ben ornate, ma soprattutto molto illuminate. Brulicavano d’invitati e il loro chiacchiericcio frequente infastidiva molto il bello e seducente Alexander.
Si sentì immediatamente afferrare il braccio e in pochi attimi si ritrovò in una stanza seduto su una poltrona rossa. Vittoria chiuse la porta a chiave alle sue spalle mentre sul suo viso si dipinse un sorriso malizioso. La camera era molto ampia e ben illuminata. I muri erano bianchi e su di essi erano presenti molte decorazioni floreali soprattutto negli ampi angoli. I suoi piedi erano appoggiati su un tappeto rosso di grandi dimensioni e parecchio pregiato.
<< Per vostra fortuna siete qui! Avevo giusto bisogno di voi! >> disse, sedendosi nella poltrona accanto.
Vittoria possedeva dei capelli molto scuri, i quali si abbinavano perfettamente alla carnagione visibilmente chiara. Era abbastanza in carne e questo era uno dei motivi per cui al giovane conveniva un rapporto fuori da ogni legame. Lui era l’amante segreto, ma in un certo senso di convenienza, poiché faceva ciò solo per procurarsi più benevolenza e denaro.
<< Gradivate la mia compagnia in questo momento, sua maestà? >> chiese in tono malizioso.
Godeva nel vedere le gote di Vittoria diventare rosse in segno di vergogna, poiché ciò aumentava la sua spudorata ambizione di poter conquistare ogni tipo di donna e non innamorarsene mai.
<< Oh no, vi devo chiedere un patteggiamento… >> rispose, poggiandosi allo schienale. << Ho bisogno che voi uccidiate mio marito ed io vi propongo la mia protezione per qualsiasi minaccia si opponga a voi… Diventereste la mia spia segreta… >> continuò.
Quella che gli fu detta non era altro che una proposta allettante che lo faceva scalpitare dall’emozione. Pane per i suoi denti, questa era l’affermazione giusta. Sul suo volto si dipinse la malizia e l’astuzia, considerati da lui pregi da celare nel profondo della sua anima.
<< Dov’è il tranello? >> domandò, toccandosi il mento con le dita.
<< Non vi è alcun tranello! Per chi mi avete presa? Sono una donna emancipata, ma soprattutto sincera. Vorrei che lo uccideste per puri scopi personali; pare abbia scoperto di un mio ipotetico tradimento e non vorrei che questa voce si spargesse nel popolo… >>.
<< Poiché riguarda anche la mia incolumità personale, sarà fatto mia signora! Non dovete, però, parlare così di vostro marito quando è presente in questa casa… Dovete ricordarvi che anche i muri hanno le orecchie >>.
<< Mio marito è in viaggio verso la Scozia e farà ritorno solo la prossima settimana… Mi raccomando, voglio un lavoro pulito! Confido in voi… >>.
<< Perfetto… >> disse e a quelle parole prese in braccio Vittoria e la mise a sedere sulla scrivania posta dietro di loro. << Ora però, mia signora, dovreste concedermi un po’ del vostro tempo… >> continuò.
Incominciarono a baciarsi, ma tutto ciò era intriso di falsa passione. Lui strinse le sue gambe tra le mani e in seguito caddero in quell’euforia che tutti chiamavano amore, ma che lui stesso appellava lussuria e nient’altro.
E fu così che Alexander Brown si vendette un’altra volta al cospetto della sovrana per puro egoismo personale. Questo era solo un incontro fatalmente minaccioso per entrambi i protagonisti; portatore di parecchie future sventure.

 

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Capitolo 3
*** Una perfetta agonia ***


Capitolo 3°: Una perfetta agonia.

                                              

Le strade vittoriane erano illuminate soltanto dalla luna piena che con grazia si era poggiata sul firmamento. Le stelle l’accerchiavano, rendendola uno spettacolo agli occhi umani, ma da ovest stavano già giungendo altri nuvoloni scuri come la notte stessa, pronti a coprire quella magnificenza.
Ad Alexander, mentre camminava verso casa, gli era capitato spesso di soffermarsi sulla sua inesorabile bellezza e di raffigurarsi in lei. Lui era bello e affascinante, ma nessuno conosceva la parte oscura della sua anima. Sembravano essere presenti due personalità diverse che combattevano costantemente per prevalere all’interno di un unico corpo. A volte gli era capitato di tentare il suicidio, poiché questa consapevolezza lo faceva costantemente impazzire, ma non ci era mai riuscito.
Gli pareva di restare continuamente in equilibrio su un filo trasparente, ignaro di quando si sarebbe spezzato.
Alexander strisciava i piedi su quella strada ruvida, mentre un freddo pungente batteva sul suo viso. Stese un fazzoletto sul marciapiede e si sedette sopra di esso, concedendosi una pausa. Era stanco di camminare, ma allo stesso tempo voleva godersi il panorama di quella cittadina ricolma di storia e di arte. Eppure, in quella cotale perfezione, riusciva costantemente a trovare difetti. Sognava posti tranquilli come le meravigliose colline della Scozia e della Cornovaglia, ma sapeva che nulla sarebbe stato più lo stesso se ci avesse messo piede.
“Ho bisogno che voi uccidiate mio marito”.
Si ricordò di quella frase e improvvisamente il suo stomaco parve contorcersi in una stretta mortale. La regina più amata del mondo le aveva chiesto un subdolo e spietato compito che avrebbe dovuto portare a fine. Si promise che avrebbe escogitato tutto nei minimi dettagli pur di possedere la protezione sui suoi peccati.
Ricordava ancora quando aveva conosciuto Vittoria per la prima volta. Era stato umiliato - dopo la morte della madre - davanti a lei dalle guardie di corte, le quali urlavano continuamente la parola “assassino”, mentre lui restava in ginocchio davanti a quel trono ricolmo di ricchezze. La sovrana non seppe resistere allo sguardo affascinante e accattivante di Alexander e fu così che tutte le sue malefatte incominciarono. Vittoria mise a tacere il caso, non facendo trapelare la notizia fuori dalle mura del castello, ma tutto ciò in cambio di passione carnale e lussuria. Dava ad Alexander parecchi soldi per i suoi servigi ed era per questo motivo che si ritrovava a essere un giovane ricco aristocratico, ma lui continuò con i frequenti omicidi che la regina coprì costantemente, facendoli apparire semplici sparizioni. Infondo con i soldi lei poteva sistemare ogni cosa.
Era tutto così assurdamente macabro e scandaloso. Come poteva la corona d’Inghilterra nascondere certi delitti così crudi e sanguinolenti?
Corruzione.
Era questo il peccato di cui le mani di Vittoria si macchiavano.
In quel momento, i pensieri di Alexander furono interrotti dal passaggio di una carrozza che trasportava al suo interno una donna. Quando riuscì a scrutare il suo viso, gli si gelò il sangue nelle vene: assomigliava maledettamente a sua madre. I suoi capelli erano rossicci e raccolti in un perfetto chignon. La sua pelle era chiara quanto quella del ragazzo e grazie a quella risaltavano i suoi perfetti occhi azzurri.
Il giovane aristocratico fermò la carrozza e si sedette accanto alla donna, la quale se ne stava aggraziatamente seduta nell’angolo con le mani giunte. Alexander potette notare sul suo viso chiaro un filo di vergogna attraversare le pallide guance ricolme di lentiggini. Lei si sentiva a disagio e sperava con tutta se stessa che quell’attraente uomo non le rivolgesse la parola.
<< Buona sera… >> disse educatamente.
La donna gli rivolse uno sguardo fugace e in seguito si ricompose, cercando di non fissarlo oltre.
<< Oh, ma voi non vi dovete spaventare di me… Sono un brav’uomo… >> continuò.
<< Perché siete salito su questa carrozza? Potevate aspettare la prossima… >>.
<< Stavo attendendo da fin troppo tempo… Posso sapere il vostro nome? >>.
<< Isabel… Isabel Whooton>>.
<< Incantato di conoscerla… >> disse baciandole la mano e fissandola con il suo nobile sguardo da conquistatore.
La donna si sentì attraversare da un fremito. Bastava guardare quell’uomo negli occhi per sentirsi già una sua vittima e Isabel, era già caduta in quel tunnel blu che ricreavano i suoi dolci e profondi lapislazzuli.
<< V-voi chi siete? >> chiese balbettando dall’emozione.
<< Il mio nome è Abraham Yorkintel… >> rispose mentendo sulla sua identità. << Su ditemi, dove siete diretta? >> continuò.
<< A Reading… >>.
<< Oh, ma è molto distante da qui… Che ne dite di fermarvi nella mia dimora almeno per questa notte? Possiede parecchie stanze e credo che ai miei servitori non dispiacerebbe allestirne una per voi… >>.
Isabel accettò, ignara del pericolo in cui si stava per avventare. Entrambi scesero dalla carrozza davanti a quel palazzo costituito da materiali preziosi e varcarono l’ingresso. La donna si guardò attorno con una luce vivida negli occhi. Era meravigliata che un giovane come lui, possedesse così tanta bellezza all’interno della propria dimora. Mobili e poltrone pregiate erano, se non altro, un vero lusso per lei.
Alexander chiuse la porta a chiave alle sue spalle. Togliendosi poi il cappotto, si assicurò che i suoi servitori fossero entrambi fuori dall’edificio e si avvicinò alla donna, la quale era intenta a fissare le copertine dei libri poggiati sulle librerie.
Le cinse i fianchi con le sue mani e incominciò a baciarle il collo. Isabel rimase inerme tra quelle sue braccia così possenti, mentre il suo respiro si faceva sempre più ansimante. Non sapeva se la cosa migliore fosse respingerlo o lasciarsi amare così intensamente come solo lui sapeva fare. Alexander incominciò a toccarle il seno e il ventre, ma a quel punto la donna si voltò e lo spinse.
<< Siete un maniaco! Un pervertito! Sono una donna sposata e che diamine! >> urlò.
In seguito, si diresse verso la porta e cercò di aprirla, ma non ci riuscì: era chiusa a chiave. Alexander era un vero e proprio genio. Escogitava la morte delle sue vittime solo pochi minuti prima che accadeva. Le sue doti intellettive erano superiori alla media, ma le sprecava in moltitudine di sangue amaro.
<< Avete chiuso la porta! Vi ordino di aprirla, immediatamente! >> continuò a urlare.
Il giovane si avvicinò a Isabel, la quale poggiò la schiena contro il muro, sentendosi quasi schiacciata da quella parete bianca. Lui incominciò ad arrotolare delle ciocche di capelli sbarazzini della donna tra le sue dita. Poi sorrise, mentre lei, invece, tremava dalla paura; erano così vicini che potevano sentire il respiro dell’altro.
Le sue dita, in seguito, strinsero il volto pallido della donna e si avvicinò ancora di più, poggiando l’altra mano sul muro freddo. Lei era caduta nella sua trappola e non poteva più fuggire.
<< Siete proprio una bella donna, lo sapete? >> le sussurrò all’orecchio con delicatezza. << Sì, così bella da aggiungere alla mia collezione di omicidi! >> continuò.
Dopo aver pronunciato quelle parole agghiacciati, con forza, spinse la donna sul pavimento, la quale piangeva e lo implorava di non farle del male, ma lui rideva di puro gusto.
Godeva nel scrutare la paura sui volti delle sue vittime.
Stava per commettere un altro sanguinoso omicidio; forse proprio uno di quegli omicidi che l’avrebbe fatto cadere in una perfetta agonia, ricolma soltanto di odio e rancore verso il prossimo.

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Capitolo 4
*** Ricordi pericolosi ***


Capitolo 4°: Ricordi pericolosi.

 

L’atmosfera non era mai stata così lugubre e oscura. In quella stanza si udivano soltanto i ticchettii di un orologio a pendolo che sferzava l’aria, scandendo così il tempo. Era ormai l’una di notte. Quella luna così bella e affascinante, era stata già coperta da numerose nuvole oscure e così anche le stelle che la circondavano.
Alexander, invece, continuava a respirare forte in preda alla tachicardia che si era insidiata dentro il suo cuore. Restava inerme davanti a quel cadavere, mentre i suoi occhi scrutavano l’orripilante scena. Isabel giaceva sul nobile pavimento con la gola sgozzata da cui continuava a sgorgare sangue. I suoi occhi azzurri erano sbarrati, mentre la sua bocca era aperta nell’atto di riuscire a incanalare dell’aria nei suoi polmoni. Il destino però, era stato fatale nei suoi confronti, lasciandola morire in quella stanza tra le grinfie di un vile assassino.
Alexander guardò le sue mani, incredulo del vederle sporche di sangue come ogni sera. Eppure continuava a impugnare quel coltello come se fosse un oggetto prezioso. Vedere quella donna inerme sul suo pavimento lo fece angosciare, semplicemente perché gli portava alla mente dei ricordi altrettanto dolorosi.
Sua madre.
Emily Hiddenson.
Una donna incantevole che assomigliava maledettamente a Isabel, colei che ormai aveva perso la vita a causa sua. Ricordava ancora i suoi occhi azzurri che lo fissavano e i suoi capelli rossicci che profumavano sempre di fiori.
Alexander era un ragazzo di diciotto anni all’epoca in cui il padre morì. Sua sorella invece ne possedeva solo dieci. Il lutto in famiglia fu struggente, poiché per tutti era un punto di riferimento. Il signor Brown era un chirurgo di fama che aveva dato tanto per gli altri, ma che nei riguardi della brutale malattia che s’insediò nel suo corpo, non era bastata la sua estimabile bravura. Alexander si ritrovò a portare il peso della famiglia sulle sue spalle sin dalla giovane età. Dovette lavorare e faticare per ottenere pochi spiccioli per mangiare, ma la sua volontà lo portava lontano. Eppure, era bastato uno sguardo fatalmente scambiato tra lui e sua madre per capire che in realtà entrambi si desideravano da tempo. Tutta quella passione e amore che si era scaturita tra gli amanti portò a un odio tremendo, tanto che Emily tradì il suo stesso figlio con un altro uomo. Da quel momento Alexander cambiò, divenendo ciò che era: uno spietato e pervertito assassino. Di sua sorella Jane Brown, dopo l’omicidio della madre, non seppe più nulla e non avrebbe voluto rivederla per non specchiarsi ancora nei suoi peccati.
Osservare Isabel davanti a lui ridotta in quello stato, lo portò a ricordarsi del male che aveva inferto a sua madre. S’inginocchiò davanti a quel cadavere, lasciando cadere l’arma che fino a quel momento aveva stretto a se. Con delicatezza toccò quella donna con le sue mani ancora sporche di sangue, macchiandole così la sua pelle chiara. Abbracciò quel corpo inerme avvertendo che era gelido e incominciò a piangere. Era come se simulava il momento della morte di Emily.
Ecco cosa portava Alexander a nutrire sentimenti così contrastanti: una doppia personalità che sembrava divorarlo in ogni istante.
In quel momento, però, sapeva cosa avrebbe dovuto fare. Si asciugò le lacrime velocemente e in seguito, trascinò il corpo della donna sulle scale, portandola nel suo laboratorio ricolmo di malefatte. Poggiò il cadavere sul tavolo di ferro e lo spogliò. In seguito afferrò un coltello e incominciò a incidere quella pelle così chiara e delicata. Quella però, non era un’incisione qualunque; era un’incisione simile a quelle di un chirurgo professionista.
Ciò l’aveva ereditato sicuramente dal padre. Gli era capitato più volte di assistergli durante delle operazioni e per lui il corpo umano non aveva più segreti.
Estrasse tutti quegli organi essenzialmente vitali, mentre il sangue di quel cadavere deturpato schizzava sui vestiti di Alexander. Non gli importava, lui adorava quell’odore ferroso. Racchiuse quegli apparati negli appositi barattoli e li mise in esposizione come vittoriosi trofei su quegli scaffali impolverati. In seguito, prese le forbici e tagliò una maledetta ciocca di capelli. Si avvicinò a quel libro che lui conosceva molto bene e lo aprì di scatto, attaccando con della cera quella ciocca rossiccia in alto a sinistra della pagina bianca. Scrisse poi, intingendo la piuma nell’inchiostro: “Isabel Whooton”.
Si sentì in un certo senso liberato da tutte quelle atroci sensazioni che si erano fatte strada nel suo cuore già amareggiato. Era come se quel libro fosse il diario delle sue malefatte; era come se rappresentava se stesso nelle vesti del perfetto peccatore. Dentro di lui rimase solo il vuoto. Ogni volta si convinceva che ciò andava fatto per impedire il sovrappopolamento londinese.
Era pazzo.
Sì, maledettamente pazzo.
Alexander chiuse quel libro e in seguito, cremò quel povero cadavere, trasformandolo in semplice cenere. Si accasciò su quel pavimento umido e freddo, stringendo forte i suoi capelli riccioluti tra quelle dita ancora insanguinate. Respirò forte e avvertì i battiti del suo cuore divenire sempre più accelerati. Si sentiva morire e ancora nuovamente, il desiderio del suicidio stava prendendo il sopravvento su di lui.
Ma cosa avrebbe scritto il destino per il suo futuro?
Nulla.
Solo maledizione e morte per lo sventurato Alexander, che altro non si reputava che un paladino di giustizia.
Incominciò a piangere e a strapparsi i vestiti, rendendoli semplici stracci. Urlò forte le sue lodi di dolore, tirando diversi pugni sul pavimento e sbucciandosi le nocche. Voleva fondersi proprio su quelle piastrelle di pietra e cadere al loro interno per non sopportare più quel male che gli veniva inferto.
Gli pareva di aver ricommesso nuovamente l’omicidio di sua madre, vedendola così morire e soffrire ancora una volta; gli pareva di aver commesso l’omicidio della sua anima in cui bene e male s’intrecciavano indissolubilmente.

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Capitolo 5
*** Incontro fatale ***


Capitolo 5°: Incontro fatale.

 

Alexander stava correndo in un bosco oscuro e fitto di alberi. Avvertiva l’affaticamento e il sudore, ma non poteva smettere di muoversi perché sapeva che c’era qualcuno o qualcosa che lo stava inseguendo. Udì i battiti accelerati del suo cuore risuonare nelle sue orecchie come echi sordi e il respiro divenire sempre più affannoso, quasi come se fosse in preda a una pericolosa crisi d’asma.
La sua corsa dovette arrestarsi, poiché davanti a lui si estese una piccola catapecchia di legno ormai distrutta dal tempo. I vetri delle finestre erano tutti rotti, per non parlare poi delle tarme che avevano scavato già profondi buchi. Il timore era forte dentro di lui e deglutì, cercando così di inghiottire quel boccone amaro che lo tormentava.
Si avvicinò a quella porta dalla maniglia tutta impolverata e cercò di aprirla, ma improvvisamente lo fece da sola. Il ragazzo si bloccò pochi istanti, respirando sempre più profondamente per scaricare la tensione che dentro di lui scorreva come piccole scosse elettriche che logoravano parti nascoste di se. In seguito, si fece coraggio ed entrò.
Quello che vide fu uno spettacolo orripilante.
Tanti cadaveri giacevano sul quel pavimento polveroso, ma soprattutto troppo sangue era stato versato. La puzza della putrefazione riempì i polmoni di Alexander, tanto che dovette coprirsi il naso con il braccio. Incamminandosi in quella spaziosa stanza – dove molti mobili erano coperti da teli – riuscì a riconoscere diversi volti e immediatamente capì: quelle erano le sue vittime.
Improvvisamente, udì un rumore di passi provenire dall’esterno. Gli si gelò il sangue nelle vene e rimase immobile, poiché la paura non gli permetteva di muoversi. Lo sconosciuto incominciò a toccargli le spalle, ma quando si mostrò ai suoi occhi, lui non potette far altro che urlare.
Era sua madre.
I suoi capelli rossicci erano tutti unti e alcuni le coprivano il volto, il quale un tempo possedeva lineamenti delicati. La sua pelle cadeva a pezzi sul pavimento come tipico segno della putrefazione, tralasciando così vedere l’apparato scheletrico facciale. I suoi occhi, invece, semplicemente non erano presenti. Al loro posto erano posizionati due grandi buchi neri.
<< Alexander! Sei sorpreso di vedermi? >> chiese, ma lui rimase in silenzio ancora incredulo di ciò che stava accadendo. << Sei sorpreso di aver ridotto la tua povera madre in questo stato?! >> continuò urlando e spingendolo sul pavimento.
Improvvisamente tutti i cadaveri che giacevano sull’assito si svegliarono, scagliandosi sul corpo indifeso del ragazzo e strappando la sua carne con i loro denti appuntiti. Alexander gemette a causa del dolore acuto che provava, mentre in lontananza udiva sua madre sghignazzare di puro gusto, com’era solito fare lui quando infliggeva le sue punizioni alle giovani donne che incontrava.
Si svegliò di scatto, mettendosi a sedere sul suo comodo materasso bianco. Le coperte ormai erano scomparse da quanto si era rivoltato al loro interno. Il cuore batteva troppo velocemente e dovette fare parecchi respiri profondi per riprendersi dall’atroce incubo che si era insidiato nella sua mente. La fievole luce del sole, la quale trapassava le lunghe tende rosse, illuminava i pregiati mobili bianchi e l’affascinante specchio che aveva posizionato sulla parete.
Improvvisamente, il suo stomaco si strinse in una morsa mortale.
La notte precedente, facendo mente locale tra i suoi ricordi, si era addormentato nel suo laboratorio e aveva lasciato le tracce di sangue di Isabel al piano inferiore. Come aveva fatto a finire nel suo letto? Mentre spremeva le meningi per capirne il motivo, il signor Bastian Waynther bussò alla porta, entrando, poi, senza un esplicito permesso.
<< Buongiorno signore! >> esclamò, aprendo le tende e lasciando entrare totalmente la luce accecante del sole. << Avete dormito bene? Ieri notte vi siete addormentati sul pavimento… >> concluse.
Alexander capì immediatamente.
Il suo maggiordomo aveva scoperto il suo misfatto o con ogni probabilità, conosceva il suo segreto da sempre, ma non ne aveva mai proferito parola con lui, forse per indiscrezione. Una parte di se sperava di sbagliarsi e cercava quasi di convincerlo di quest’errata verità, ma il ragazzo non si fidava e sapeva esattamente cosa avrebbe dovuto fare per sistemare la situazione.
Bastian gli porse delicatamente la colazione su un vassoio d’argento, ma Alexander lo guardò con uno sguardo minaccioso intriso d’odio e rancore. L’uomo fece finta di nulla e si recò dinnanzi alla porta.
<< Ah signor Brown, ieri ho pulito io al posto vostro, non vi preoccupate… >> disse, uscendo e chiudendo la porta alle sue spalle.
Il ragazzo preso dalla rabbia, lanciò il vassoio con la colazione sul pavimento rompendo il set di porcellana addetto al the. Ormai era come se una benda fosse stata legata davanti ai suoi occhi azzurri e li avesse resi neri come la pece.
Incominciò a buttare i mobili sul pavimento, cadendo in una vera e propria crisi nervosa. In seguito, si avvicinò a quello specchio e gli si gelò nuovamente il sangue nelle vene, poiché vide un qualcosa di spaventoso e raccapricciante.
Il suo volto era deturpato da diverse grinze, ma soprattutto al posto degli occhi, aveva anche lui due buchi da cui fuoriuscivano dei vermi bianchi, i quali rosicavano la pelle, formando numerose ferite piene di pus dal colore giallo. Il ragazzo dello specchio incominciò a sghignazzare, mentre Alexander rimase incredulo a fissarlo. Tirò un pugno sulla sua superfice e lo ruppe in mille pezzi, ma l’immagine di quell’uomo permaneva indelebilmente.
<< Quanto sei stupido… >> disse con la voce rauca e possente. << Non ti libererai presto di me, perché io sono tuo padre… >> continuò fissando il ragazzo impaurito e inginocchiato sul pavimento con il sangue che sgorgava dalla mano.
<< Sì, io sono Satana! >> esclamò infine.
Alexander fu risucchiato nello specchio e le ultime cose che udì furono le sue urla ricolme di orrore e paura, le quali rimbombarono e risuonarono all’interno di quella maestosa stanza.

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Capitolo 6
*** Patto di sangue ***


Capitolo 6°: Patto di sangue.

 

Lui era steso su un pavimento umido e freddo, ma non sapeva esattamente dove si trovasse. Teneva gli occhi aperti e sbarrati, ma l’unica cosa che riusciva a vedere erano le tenebre che avvolgevano quel luogo. Si voltò a destra e a sinistra, ma ciò che notò lo fece quasi impazzire, poiché vi era solo buio.
Un buio pesto.
Riusciva a udire solo lamenti disperati, pianti, ma soprattutto uomini e donne che sghignazzavano. Non era solo e la consapevolezza di ciò lo spaventava parecchio. Incominciò a respirare velocemente e più lo faceva, più i suoi polmoni si riempivano di quell’odore di zolfo che non faceva altro che alimentare quel luogo tetro e sconosciuto.
Improvvisamente, Alexander si sentì toccare le gambe da due mani viscide e calde. Cercò di divincolarsi, ma quell’essere le teneva strette a se come se volesse farle sue. Altri arti, in seguito, gli toccarono il volto e soprattutto gli tapparono la bocca. Voleva urlare o semplicemente scappare, ma era bloccato.
Le sue doti da perfetto assassino non l’avrebbero aiutato questa volta.
Sentì nuovamente qualcuno sghignazzare, ma questa volta era più vicino. Anzi, si accorse ben presto che molti stavano ridendo in segno di scherno. Era come se si divertissero a vederlo in quelle condizioni, incapace di poter reagire.
Gli strapparono i vestiti e in seguito, avvertì i loro artigli affilati graffiare la sua pelle candida e delicata. Cercò di urlare per farsi sentire da qualche anima pia che avrebbe potuto salvarlo, ma quella probabilmente era la fine che si meritava un essere come lui. Con le dita toccò il pavimento per cercare qualche oggetto contundente che potesse aiutarlo, ma quello che sentì non era altro che uno strano liquido. Alexander immaginò cosa fosse e allontanò immediatamente la sua mano.
Improvvisamente poi, qualcuno gli diede un pugno e il ragazzo perse i sensi.
Si svegliò circa un’ora dopo.
Avvertì la mente confusa, ma quando aprì gli occhi, si ritrovò davanti a uno spettacolo orripilante.
Aveva le mani e i piedi legati a un palo, mentre sotto di lui ardevano delle violente fiamme.  Vi erano tante persone e solo in quel momento riuscì a delinearne i volti. I loro corpi erano in alto stato di decomposizione, infatti, molti di loro erano completamente senza pelle. Alexander vedeva che possedevano ossa ricolme di buchi con parecchi vermi che fuoriuscivano al loro interno. I loro occhi invece non c’erano; al loro posto erano presenti sangue e lombrichi. Quelli non erano altro che morti viventi e scheletrici. A quella visione, l’assassino si sentì quasi disgustato. Non voleva diventare uno di loro, poiché la sua estimabile bellezza sarebbe svanita.
Sì, aveva paura.
Era terrificato da quella visione; era terrificato per quello che sarebbe potuto succedere e dalle sue sorti future.
Non poteva neanche cercare di liberarsi, poiché un solo passo falso l’avrebbe portato a una morte assicurata a causa delle fiamme che sventolavano quasi come bandiere al vento. Era in preda a una vera e propria crisi di panico. Cercò di respirare il più possibile, ma si sentiva continuamente soffocare come se qualcuno d’invisibile gli stesse stringendo le mani attorno al collo. Quel cuore, invece, continuava a battere forte e martellava nella sua testa. Era come se gli stessero facendo provare tutto ciò che sentivano le sue sfortunate vittime.
<< Cari sudditi! Onorate mio figlio! >> urlò una voce grossolana e possente.
Alexander fece capolino e vide seduto su un trono rosso, una sottospecie di uomo ricoperto interamente da peli neri e ispidi. Sul capo, invece, possedeva delle corna molto ricciolute. Ciò lo spaventò ulteriormente.
<< Come puoi essere mio padre se non ci assomigliamo minimamente?! >> urlò.
Lui si fece spazio tra la folla e lo raggiunse sotto quella coltre di fiamme.
<< Io e te, Alexander, ci assomigliamo più di quanto tu creda… >> rispose, indicando a due uomini di liberarlo.
Il ragazzo venne condotto tra la folla, la quale cercava sempre di toccare la sua pelle, che a differenza della loro, si presentava soffice e profumata. Continuavano a lamentarsi e a sghignazzare come se fossero dei veri e propri pazzi. Bastò uno sguardo di quell’uomo per fare inchinare tutti al cospetto di Alexander, il quale non capì il motivo di quel gesto.
Tutti i sudditi se ne andarono lasciando entrambi soli in quella lugubre stanza dalle pareti rocciose. Gli pareva di essere finito in una grotta sotterranea, illuminata unicamente da alcune fiaccole. Il pavimento, invece, non era altro che pietra. Ambedue rimasero in piedi davanti a quello che era un altare sacrificale e si guardarono dritti negli occhi in segno di sfida.
<< Hai incrementato molto la popolazione di questo luogo e per questo non posso essere altro che orgoglioso di mio figlio… >> disse colui che altro non poteva essere che Lucifero, ovvero il famoso Satana, conquistatore degli inferi.
<< Tu non sei mio padre! Non puoi esserlo! >>.
<< Se io ti dicessi che per me è stato un immenso piacere impiantare un mio seme all’interno dell’organismo di tua madre? Tu sei il principe degli inferi e non puoi scappare da me… >>.
A quelle parole Alexander tacque, inghiottendo il boccone amaro della sconfitta. Nonostante ci fosse molto caldo, fu attraversato da brividi che percorsero la sua candida schiena. I fremiti dello spavento lo stavano catapultando in sensazioni nuove.
Eppure com’era strano che un essere così spregevole, davanti al re degl’inferi morisse dalla paura; proprio lui il bellissimo e spavaldo Alexander, il quale in quel momento sembrava fondersi con quel pavimento di pietra.
<< Il male in quel modo si sarebbe potuto espandere più velocemente ed io avrei potuto risucchiare ogni anima pia qui all’inferno per opera tua! Un giorno potremo conquistare il mondo, dove si riprodurranno ogni specie di demoni e malefatte, ma ho bisogno del tuo aiuto… >> disse incominciando a girargli attorno. << Posso darti bellezza, onore e fama come ho fatto fin ora, ma tu devi continuare a uccidere per il bene del nostro futuro! >> continuò, poggiandogli una pelosa mano sulla spalla.
Il ragazzo rifletté a lungo sulla proposta toccandosi più volte il mento.
“Potremo conquistare il mondo…” quella frase continuava a echeggiare nella sua testa. Vedeva se stesso al comando di un universo in cui il male regnava costantemente e l’idea lo eccitava parecchio.
In lui risiedeva la vera e propria malignità.
Alexander accettò e fu proprio in quel momento che il demonio estrasse un grosso coltello dalla lama ben affilata. Si tagliò il polso e in seguito, trafisse anche quello di suo figlio, il quale ansimò forte dal dolore. Li fecero combaciare dandosi la mano, iniziando così un vero e proprio patto di sangue.
Insieme avrebbero distrutto ogni cosa che il bene prediligeva.

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Capitolo 7
*** Pazzia ***


Capitolo 7°: Pazzia.

 

Il buio stava ormai calando sulla cittadina londinese, proprio quando Alexander illuminato dalla fievole luce di una candela giunta quasi a termine, scriveva lunghe pagine della sua vita. Stava compilando il solito diario che avrebbe poi bruciato per far si che si perdesse ogni traccia dei suoi segreti.
Improvvisamente, si fermò e incominciò a fissare quel taglio posizionato sul suo polso. Suo padre era Satana e quella era la prova inconfutabile che il suo incontro non era stato soltanto un sogno. Quella ferita gli faceva davvero male, ma ugualmente se la toccò per poter costatare il suo stato di guarigione. Più lo faceva, però e più gemeva da quel dolore che contorceva il suo stomaco su se stesso.
Si alzò in piedi, avvicinandosi alla finestra da cui scrutava spesso la cittadina vittoriana. Rimase impassibile davanti a quello spettacolo che poteva sembrare quasi mozzafiato, eppure lui era così. Crudele e senza cuore, ma tendenzialmente lunatico. In quel momento, comprese alcuni suoi comportamenti che inizialmente gli parvero strani, ma a cui poi si abituò. Capiva perché improvvisamente compariva quell’istinto di uccidere e in seguito, crogiolava tra rimpianti e pentimenti. Lui, infondo, era per metà uomo e per metà demone; le loro due anime provocavano in lui quest’effetto.
Si mise con la testa contro il muro e appoggiò anche le mani sopra di esso.
“Stai solo impazzendo Alexander…” pensò una vocina dentro di lui. “Tu non puoi essere il figlio del demonio. Quel taglio te lo sei provocato da solo…” continuò.
A quelle parole, un dolore acuto provenne dalla ferita sul polso, tanto che si accasciò sul pavimento e incominciò a urlare a squarciagola. Tanto sangue uscì e lui la vide come un’atroce punizione per non aver creduto in colui che si presentava come suo padre legittimo. In quel momento comprese anche i suoi peccati di lussuria che non riusciva a frenare, tanto da avere rapporti incestuosi anche con sua madre.
Alexander possedeva una natura complessa, ma che in quei attimi gli parve del tutto limpida.
Improvvisamente udì qualcuno bussare alla porta. Nascose la ferita sotto gli indumenti che indossava e in seguito, andò ad aprire. Facendo capolino, scorse il volto di Bastian. Lui sorrideva e teneva le mani nascoste dietro il busto; era una posizione in cui era solito stare.
<< Signor Brown, tutto bene? In ogni caso volevo dirvi che la signora Dickens non potrà venire stasera, perché è ammalata… Dunque, proverò io a cucinare qualcosa per voi… >> disse con gentilezza.
<< Certo, fate come volete… >> rispose Alexander cercando di chiudere la porta, ma Bastian la tenne aperta con la mano.
<< Ho bisogno di parlarvi… >>.
Il maggiordomo entrò nella stanza inizialmente cautamente, ma in seguito, prese Alexander per una spalla e lo spintonò contro il muro. Estrasse poi un coltello e glielo puntò dritto al collo.
<< Siete un vile assassino e tocca a me ora fare giustizia! >> urlò.
Il ragazzo rimase sorpreso da quel gesto. Non si sarebbe mai aspettato che Bastian, il quale lavorava per lui da parecchi anni, potesse reagire in quel modo, ma lui già sapeva chi dei due avrebbe vinto la battaglia.
<< Bastian, Bastian, Bastian… >> disse.
Gli tirò un pugno e gli spaccò il labbro, facendolo poi cadere sul pavimento. Perse il coltello e cercò di recuperarlo, ma Alexander gli pestò con forza la mano, afferrandolo per primo. S’inginocchiò accanto a lui e strinse il suo viso tra le dita.
<< Vi siete messo contro la persona sbagliata… Sapete avevo già intenzione di uccidervi, ma voi avete accelerato la situazione. Non vedo l’ora di aggiungere le vostre ultime ciocche rimaste alla mia collezione! >>.
Detto ciò gli conficcò il coltello nel cuore e potette scrutare la sua espressione dolorosa. Vide la solita bocca aperta e occhi sbarrati, tipico di ogni cadavere che ormai seminava. Questa era un’altra anima che andava all’inferno a marcire come tutte quelle che aveva visto proprio in quel luogo lugubre.
Solo in quel momento si accorse che le sue mani erano insanguinate e si sentì completamente inebriato da quell’odore pungente, tanto che finì per leccare il liquido che si era poggiato su quelle dita. Ansimava dal piacere e si lasciò travolgere da quelle intense emozioni che lo trascinavano sempre di più in un profondo oblio.
Portò il corpo dell’uomo nel suo laboratorio segreto con la bocca, ormai, tutta sanguinate. Lo distese sul tavolo di ferro e incominciò a estrarre i suoi organi, ridendo di purò gusto. Sembrava completamente pazzo o almeno forse lo era. Più vedeva quel sangue sulle sue dita e più lo gustava, accarezzandosi poi il volto e macchiandoselo di quel liquido.
Tagliò la ciocca di capelli grigi e la mise nel suo libro scrivendo accanto il nome “Bastian Waynther”.
Era il primo uomo a essere scritto in quella lista di omicidi, ma lui sapeva che ce ne sarebbe stato ancora un altro. A quell’idea sorrise e in seguito, cremò il corpo del maggiordomo che lui riteneva di fiducia.
Rideva.
Sì rideva beffardamente e di puro gusto come non aveva mai fatto.
Gettò sul pavimento alcuni dei barattoli contenenti gli organi che custodiva maniacalmente, riempiendo quella stanza ancora di più di orrori nefasti. Si buttò tra i pezzi di vetro e le membra, tagliandosi la pelle e assaporando quel dolore come se fossero pure scariche di piacere.
La situazione era peggiorata e quello non poteva altro che essere un tetro e macabro spettacolo.

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Capitolo 8
*** Assassinio ***


Capitolo 8°: Assassinio.

 

Il rumore della carrozza – in cui si trovava in quell’istante – non gli aveva mai dato più fastidio. Sentire quel continuò battere di zoccoli e le ruote che calpestavano le strade ricolme di ciottoli, era una sottospecie di maledizione per Alexander, il quale se ne stava seduto con i piedi ben saldati a terra. Teneva la testa tra le sue mani e continuava a pensare agli avvenimenti accaduti la sera precedente.
Cosa si era impossessato di lui tanto da farlo arrivare a quel punto?
Non lo sapeva, ma continuava a domandarselo.
Ricordava bene la sua eccitazione nella vista del sangue, ma soprattutto come lo gustava avidamente. Gli erano rimasti, inoltre, vari tagli sulla sua candida pelle e sapeva che erano riconducibili ai barattoli rotti all’interno del laboratorio.
Tutto ciò per lui era frustrante.
Lo portava a riflettere costantemente e farlo crogiolare nelle sue pene più profonde. Si sentiva esattamente un morto vivente o semplicemente un ammasso di carne putrefatta, capace di bruciare nei meandri della sua anima. La tensione saliva ogni volta e il nervosismo si faceva sempre più insistente, tanto che spesso si ritrovava a muovere mani e piedi senza nessun esplicito motivo.
Guardò nuovamente la ferita che aveva sul polso e capì realmente a cosa servisse. Quello era il suo debito con Lucifero. Più uccideva e regalava anime a suo padre, più la lacerazione si rimarginava, lasciando spazio a della pelle che sembrava non essere mai stata toccata dalla lama di un coltello. Era tutto così inverosimile davanti agli occhi di Alexander, eppure doveva convincersi che quella era la realtà.
Scostò la tendina rossa che copriva la finestrella della carrozza e si soffermò a fissare ancora il panorama. Il tramonto era già giunto sui cieli londinesi e in lontananza le nubi scure della notte si stavano già facendo spazio nella loro naturale bellezza. Ancora parecchie persone camminavano tra le strade e lui le fissava con invidia. Loro erano spensierate e soprattutto non avevano bisogno di nascondersi sotto la protezione della regina Vittoria. Avrebbe dato tutto per ricevere un po’ di normalità, ma sapeva che nonostante ciò, i suoi vizi non sarebbero spariti. Avrebbe continuato a fare strage di sangue innocente e a peccare di lussuria.
Si sentiva un mostro.
Lui stesso non capiva in realtà cosa scattava nella sua testa ogni volta che gli si presentava la possibilità di uccidere. Perdeva il controllo sul suo corpo e diventava improvvisamente un’altra persona. Questo lo faceva soffrire e rimuginare costantemente sui peccati commessi.
Il cocchiere frenò e ciò lo distolse dai suoi pensieri, poiché era arrivato a destinazione: il palazzo della regina.
L’aveva invitato a cena con la sua famiglia, ma dopo Alexander avrebbe dovuto fare il suo solito servigio o altrimenti sarebbe semplicemente scaduta la protezione che vigilava su di lui da anni or sono. Non che gli dispiacesse, ma percepiva l’aridezza del loro rapporto. Non c’era amore e neanche passione; era tutto finto. Infondo Alexander era così, incapace di provare sentimenti veri nei confronti delle persone.
Appena varcò il grande portone d’ingresso, venne accolto come al solito da due maggiordomi, i quali lo scortarono nella sala da pranzo reale. Al centro era presente un lungo tavolo ricoperto da una tovaglia bianca e già apparecchiato. Alcune sedie di legno pregiato erano già state occupate dagli ospiti, di cui non conosceva neanche i nomi. Un lampadario composto da luccicanti cristalli, invece, pendeva sulle loro teste, illuminando tutta la stanza.
Vittoria si avvicinò per accoglierlo e Alexander, da galante gentiluomo, s’inginocchiò e le baciò la mano. Le gote della regina s’incendiarono dalla vergogna e lui nuovamente godeva per ciò. Tutti presero posto e solo in quell’istante notò la presenza di Alberto, marito della regina. Sedeva nelle vesti di un perfetto e elegante capotavola con i suoi capelli corti e semi ondulati, e la pelle molto chiara.
Come avrebbe compiuto i suoi servigi in presenza di Alberto?
Forse Vittoria aveva già escogitato un piano. Eppure sembrava un uomo colto e autoritario, capace di portare avanti un grande regno come quello d’Inghilterra. Non capiva in realtà perché la regina preferisse lui ad Alberto, in fondo con quest’ultimo poteva contare di avere le spalle coperte ogni volta che commetteva un qual si voglia errore.
I loro destini si stavano già brutalmente intersecando, poiché avrebbe dovuto uccidere proprio quell’uomo; potente sovrano d’Inghilterra.
<< Scusate il ritardo, ho camminato per svariati negozi quest’oggi e sono giunta a palazzo solo pochi minuti fa… >> disse una voce femminile proveniente dalla porta d’ingresso della sala.
Alexander si voltò e quando riuscì a scrutare quel viso, qualcosa in lui scattò e prese il sopravvento. Si trattava di una giovane donna dai capelli lisci e biondi. Possedeva la pelle molto chiara e degli occhi blu quanto i suoi. Rimase quasi esterrefatto da quella visione di pura freschezza. Giurò di aver sentito lo stomaco ribaltarsi e restringersi più volte. Per non parlare del suo cuore, il quale continuava a battere forte e senza alcuna sosta. Non sapeva cosa gli stava accadendo e incominciò a tremare dall’emozione appena quella donna si avvicinò al tavolo. Cercò più volte di ritornare in se, ma i tentativi furono del tutto vani.
“Oh avanti Alexander! Stai perdendo per caso il senno della ragione?!” urlò una voce dentro di lui, ma nonostante ciò si sentì ancora troppo attratto da quella ragazza.
<< Signor Brown, voglio farvi conoscere mia nipote Miriam Harrowed… >> disse la regina Vittoria.
Alexander si alzò in piedi e cercando di nascondere ogni sentimento d’attrazione verso quella donna, le baciò la mano fissandola dritta negli occhi. Lei non arrossì, bensì tenne un’espressione autoritaria stampata sul suo volto. Rimase del tutto indifferente davanti alla sua bellezza e questo irritò parecchio Alexander, poiché quella era la prima ragazza che lo respingeva così spudoratamente.
<< Incantato di conoscervi… >> disse delicatamente.
Miriam si limitò a mostrargli sorriso appena accennato e in seguito si sedette il più lontano possibile da lui.
Incominciarono a cenare, ma nel culmine di ciò, l’irrequieto assassino dovette abbandonare la sala poiché si sentiva soffocare da un’innesta angoscia che perforava il suo maledetto animo. Attraversò parecchi corridoi, strisciando le scarpe nuove su quel nobile pavimento. Proprio in quel momento però, s’imbatté in una scena del tutto raccapricciante.
Il cadavere di un uomo giaceva sul pavimento con la testa del tutto separata dal corpo. Il sangue scorreva dalle sue numerose ferite e per non cadere in tentazione come la sera precedente, Alexander si coprì il naso con la giacchetta. Gli occhi erano spalancati e così anche le labbra carnose, diventate di un colorito violaceo. Alcune mosche già svolazzavano su quelli che erano i suoi resti, facendo sembrare l’immagine ancora più macabra. Il ragazzo chiuse gli occhi sperando che fosse solo una fatale allucinazione, ma quando li riaprì si accorse che in realtà ciò che vide era tutto vero.

Non era stato lui a uccidere quell’uomo.
Tra le vie di Londra si stava facendo strada un altro assassino ancora più pericoloso di Alexander, il quale avrebbe seminato terrore e distruzione tra i popolani.

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Capitolo 9
*** Sanguinosa scoperta ***


Capitolo 9°: Sanguinosa scoperta.

                           

Quella mattina la signorina Ruth Dickens passeggiava tra le strade vittoriane con espressione del tutto dubbiosa. Guardava quei fantastici palazzi storici con una pura confusione che non faceva altro che tormentare la sua mente già afflitta da numerosi pensieri e problemi.
Nella giornata precedente, come tutti i dì, si era recata a casa Brown per servire il suo padrone e non aveva neanche incrociato il signor Bastian Waynther, il quale era un suo grande amico. Si conoscevano da parecchio tempo e così anche le loro famiglie, tanto che da piccoli i loro figli giocavano spesso insieme. Chiese ad Alexander informazioni sul suo conto, ma l’unica risposta che ricevette fu: “Era molto ammalato e così gli ho detto di tornare a casa”.
Ruth non aveva creduto a una sola parola. Il suo padrone non era mai stato così solidale con la servitù e soprattutto, conoscendo Bastian, non avrebbe mai accettato la proposta del signor Brown per non perdere i guadagni di una gratificante giornata di lavoro.
Mentre camminava tra le bancarelle del mercato alla ricerca di frutta abbastanza matura da portare a casa di Alexander, si ricordò di un particolare che notò mentre puliva il suo studio al posto di Bastian: una botola. Presa dalla paura e dall’angoscia che qualcuno potesse scoprirla, non sbirciò al suo interno, ma si promise che quel giorno stesso l’avrebbe fatto. Sapeva che c’era qualcosa che avrebbe dovuto scoprire proprio in quel luogo.
Sistemò i suoi capelli castani e ricci, raccolti in un perfetto chignon e in seguito, anche il vestito azzurro, nascondendo così le pieghe solite di una stiratura imperfetta. La mattina era spesso di fretta per poter giungere puntuale a lavoro, altrimenti sapeva che Alexander avrebbe potuto licenziarla. Sarebbe stata una situazione orrenda, poiché le era morto il marito qualche anno prima a causa di una fulminante malattia e come se non bastasse, aveva ben tre figli di mantenere. Per lei era già una benedizione che il signor Brown l’avesse accolta nella sua dimora come cuoca, anche se sapeva che non era giusto che spesso abusasse di lei. Ogni notte era tormentata da incubi in cui ripercorreva quegli istanti di pura vergogna e violenza; sentiva ancora le sue viscide mani toccarla, ma soprattutto ricordava bene i suoi gemiti fuoriusciti a causa del piacere.
Si affrettò a comperare la frutta e la verdura più commestibile e in seguito, si diresse verso quel maestoso palazzo mentre ancora la sua mente veniva investita da innesti dubbi e pensieri.
Pensava a Roger, suo figlio più grande e alle due gemelline Hester e Amy, le gioie della sua vita. Li amava incondizionatamente e voleva solo il meglio per loro. Infatti, sacrificava soldi e salute pur di renderli felici. Non vedeva l’ora di tornare a casa da loro e riabbracciarli come faceva sempre, riempiendoli così di calde e dolci carezze.
Ruth finalmente giunse all’edificio del signor Brown, posando così le compere nell’ampia e grande cucina dove lei stessa lavorava. Approfittò del fatto che lui dormiva ancora per introdursi di nascosto nel suo studio. Quelli che vide, furono fogli sparpagliati sul pavimento – nonostante aveva pulito quella stanza proprio il giorno precedente – e delle candele lasciate ancora accese che al suo passaggio si spensero, lasciando nell’aria un odore dolce.
La donna venne colpita da un fremito.
Improvvisamente, la paura prese il sopravvento su di se e si maledisse per essere una donna troppo curiosa. Facendo lunghi respiri si tranquillizzò e in seguito, aprì quella botola dando una svolta per sempre a quella che era la sua vita, poiché proprio lì avrebbe scoperto uno dei più orrendi segreti che Alexander celava nel suo impavido cuore.
Nel posto in cui s’introdusse c’era freddo, ma soprattutto era presente una puzza di muffa, la quale s’impregnò nei polmoni della donna, facendola così tossire forte. Superato un breve corridoio, aprì la porta di legno che si trovava davanti a lei con tutto il coraggio che possedeva il suo corpo magro e esile.
Quello che vide fu solo paura e orrore.
L’odore ferroso del sangue s’insidiò nelle sue narici e si coprì il naso con il braccio. Rimase scioccata quando vide quegli organi racchiusi in barattoli e poggiati su degli scaffali. Si accorse poi di strumenti chirurgici e ne afferrò uno in mano, osservandone la consistenza. Incominciò a pensare che Alexander avesse una sottospecie di passione per gli animali morti, essendo ignorante in materia.
“Forse li imbalsama…” pensò.
Quell’ipotesi fu smentita proprio quando vide davanti a se un tavolo lungo di ferro e un libro dalle pagine bianche, sporche di peccati. Deglutì forte e sentiva le lacrime che stavano per fuoriuscire dal forte nervosismo che stava provando. Tremolante si avvicinò al diario delle malefatte e le si gelò il sangue nelle vene quando vide quelle ciocche di capelli attaccate con la cera e quei i nomi scritti accanto con quell’inchiostro nero e penetrante; le si gelò il sangue quando vide proprio il nome di “Bastian Waynther”.
Improvvisamente si sentì soffocare e quando si toccò la gola si accorse che qualcuno la stava strangolando. Cercò di dimenarsi e vi riuscì, ma quando si voltò, la faccia di Alexander Brown si stampò nei suoi occhi assieme al terrore. Lei incominciò a tremare, mentre l’assassino la fissò con uno sguardo accigliato.
Lui si avvicinò alla donna, la quale appoggiò la schiena al muro retrostante. Alexander le strappò i vestiti, com’era solito fare; lei urlò, mentre l’assassino le poggiò una mano sulla bocca per zittirla. In quel momento, afferrò un coltello lentamente e sgozzò Ruth, facendola cadere priva di vita sul pavimento.
Alexander fissava quel cadavere compiaciuto, mentre nei suoi occhi si dipingeva tutta la crudeltà che teneva nascosta all’occhio umano. Tremava, sì, ma non gli importava.
<< Dovevate farvi gli affari vostri, piccola Ruth… >> disse, sghignazzando.
Afferrò il cadavere e lo posizionò su quel tavolo di ferro. In seguito godette nel sentire il suono delle membra squarciate, mentre commetteva quell’atto con il coltello che si era già macchiato parecchie volte.
Non resistette e ancora una volta leccò quel sangue sulla lama, dipingendosi quel peccato sul volto. Questa volta non c’era spazio per le contraddizioni, lui voleva solo squarciare ancora quella pelle e ansimare dal piacere ogni volta che lo faceva.
Sì, lui era un uomo dalle mille sfaccettature, ma solo una continuava a prediligere: quella di uno spietato e orrendo demone.

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Capitolo 10
*** Cuore ardente ***


Capitolo 10°: Cuore ardente.

 

Quella ferita si era rimarginata solo di poco, eppure quei piccoli pezzi costituivano una sottospecie di salvezza per Alexander. C’era qualcosa che però non quadrava affatto: una piccola parte era guarita proprio quando aveva trovato il cadavere di quel maggiordomo nel palazzo della regina Vittoria.
Non era stato lui a ucciderlo, ma quel segno gli indicava che la colpa era sua.
Si rimise la benda che aveva deciso di utilizzare, nascondendo così il patto oscuro con suo padre. Si girò sotto quelle coperte bianche e delicate del letto della regina, dopo aver fatto l’amore con lei. Il marito era semplicemente partito ancora e il ragazzo, invece, stava diventato a dir poco impaziente; si chiedeva quando avrebbe potuto agire e compiere quella missione tanto richiesta dalla stessa moglie.
Lei dormiva accanto a un orribile e temibile assassino, mentre lui sperava nella fine di quel ridicolo momento. Non sapeva esattamente cosa gli stava succedendo in quel periodo; non trovava più alcun piacere nel fare l’amore per soldi e fortune. Mentre qualche giorno prima non gli dispiaceva, in quel momento si sentiva disgustato dall’animo che possedeva. Nella sua mente era sempre più convinto di essere un mostro e un ignobile essere vivente, ma questa era solo la sua parte umana e razionale. Quella demoniaca non faceva altro che sputare false verità, complimentandosi per tutti gli omicidi commessi e facendolo così sentire quasi invincibile e onnipotente davanti a ogni ostilità.
Molti erano i dubbi che affollavano quella mente e non sempre era in grado di metterli a tacere; lo portavano spesso alla confusione e a quel punto non gli rimaneva altro che accucciarsi in un angolo della sua dimora e disperarsi su ciò che possedeva.
Improvvisamente, si voltò per fissare il viso di Vittoria, ma questo gli apparì tutto deturpato e grinzoso. Lei si mise a sedere e dalla sua bocca fuoriuscirono numerose e sottili lingue che intrappolarono Alexander; gli perforarono il cervello e gli strapparono il cuore con foga. L’aria nei suoi polmoni cessò di fluire e si sentì soffocare. I suoi occhi rimasero spalancati e l’ultima cosa che vide fu la bocca della regina sporca del suo stesso sangue.
Alexander si svegliò di soprassalto, notando che si trovava realmente nella stanza di Vittoria, la quale dormiva beata accanto a lui. Ansimando si alzò dal letto e si vestì, scappando dalla lussuosa camera per respirare un po’ d’aria fresca. Non si era mai sentito così male dopo un incubo del genere. Avvertiva ancora il dolore del cuore strappato e della carne lacerata. Per non parlare dell’odore forte e ferroso del sangue.
Correva tra quei corridoi, dove si udivano solo i suoi scalpiccii, mentre nei suoi occhi, invece, era ancora stampato il terrore di quella visione.
Improvvisamente, scivolò e quando appoggiò le mani sul pavimento, si accorse che in realtà era impregnata di sangue. Vide cadaveri provenire da entrambe le ali del corridoio, pronti a raggiungerlo e a ucciderlo. Ansimava dalla paura, ma soprattutto incominciò a tremare dalla forte tensione. Si rannicchiò con la schiena contro il muro e portandosi le gambe al petto, nascose la sua testa tra esse.
<< Andate via! >> continuava a ripetere a bassa voce.
Udiva i loro lamenti e sghignazzi nella sua mente; risuonavano quasi quanto i battiti del suo cuore, i quali erano troppo veloci per rientrare nella norma.
<< State bene? >> chiese una voce femminile.
Improvvisamente, sparirono tutti quei fastidiosi vocii di sottofondo e quando Alexander alzò il capo, i cadaveri erano già scomparsi e così anche il sangue che si era impregnato tra le sue mani. Al loro posto c’era Miriam, la quale lo fissava con uno sguardo sorpreso e preoccupato. Il ragazzo ricadde in un angusto e ostile tunnel di emozioni quando i suoi occhi incrociarono quelli della nipote di Vittoria. Si sentì crogiolare davanti a quella meravigliosa bellezza, ma soprattutto avvertiva un incendio divampare ardentemente dentro di lui, tanto che le sue guance accennarono un colorito rossastro. Lo stomaco nuovamente si contorse; era come se riceveva costantemente dei pugni al suo interno. La sua mente, invece, si confuse nuovamente e non riuscì neanche ad articolare una semplice frase.
Voleva soltanto averla al suo fianco.
No.
Non come una delle tante donne che poi avrebbe ucciso. Avvertiva qualcosa che lo attirava indissolubilmente a lei. Non sapeva esattamente cosa fosse, ma non poteva nascondere a se stesso le emozioni che provava ogni volta che la vedeva.
<< S-sto bene… >> singhiozzò, rialzandosi in piedi.
<< Che ne dite se vi porto a respirare un po’ d’aria fresca? Sono sicura che non potrebbe altro che farvi del bene… >>.
Quella donna che inizialmente era sembrata fredda e indifferente, si era sciolta mostrando il suo lato dolce e spensierato. Alexander invidiava quel suo aspetto. Lei era capace di cambiare la sua vita in poco tempo e per fare ciò, le bastava un semplice sguardo.
In quel momento, il suo cuore ardeva e urlava di accettare l’invito, mentre la sua parte razionale non faceva altro che dirgli di scappare perché sapeva che poteva essere una rovina per le sue sorti.
<< M-mi dispiace, ma devo proprio andare… >> rispose senza neanche guardarla negli occhi.
<< Sarà dunque per un’altra volta. È stato un piacere signor Brown… >>.
Detto ciò la ragazza sfiorò le mani di Alexander con le sue e in seguito si allontanò, lasciando nell’aria un odore dolce, capace di inebriare e drogare il ragazzo con quella lieve essenza.
Scosse il capo per cancellare le emozioni provate e in seguito, salì sulla prima carrozza che incontrò sul suo percorso.
Il suo formidabile intuito sapeva che quella donna dagli occhi blu gli avrebbe provocato parecchi problemi.
Doveva soffocare ogni emozione che lo legava a lei; doveva uccidere ogni suo ricordo.

 

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Capitolo 11
*** Terrore ***


Capitolo 11°: Terrore.

 

Alexander camminava in una stanza completamente bianca, tanto da accecare la sua acuta vista. Un profumo di lavanda investì i suoi polmoni, i quali ne rimasero completamente inebriati. Si sentiva maledettamente bene come non lo era mai stato. Non c’erano preoccupazioni e soprattutto la sua parte demoniaca sembrava completamente sparita.
In quel momento era la persona che avrebbe sempre voluto essere: un semplice uomo lavoratore e magari con una famiglia da mantenere, invece di essere un disgraziato versatore di sangue altrui.
Eppure bastò quel pensiero per far contorcere Alexander in un dolore atroce.
S’inginocchiò sul quel pavimento bianco poggiando un braccio sull’addome; era come se qualcuno l’avesse colpito con forza. Improvvisamente quella ferita che possedeva sul polso incominciò a squarciarsi. Da essa fuoriuscì tanto sangue, il quale sporcò l’intera camera apparentemente angelica.
Quelli erano i suoi peccati che si stavano affliggendo sulla sua parte sana e umana.
Udì numerose risate e schiamazzi; gente che lo scherniva e che urlava verso di lui la parola “assassino”. Alexander scosse più volte la testa, ma si sentì continuamente tormentato da quelle anguste voci. Guardò il suo corpo e si accorse di quando fosse percosso da tagli e buchi sanguinolenti, ma solo in quel momento avvertì ancora di più quel dolore che lo trafisse enormemente.
Senza fiatare si sdraiò su quel pavimento ormai ricoperto dalle sue malefatte. Teneva costantemente la bocca aperta per incanalare più aria possibile, ma quegli sforzi furono vani. Si sentì improvvisamente soffocare e avvertì il cuore battere sempre più veloce a causa dell’assenza di aria.
Sul suo volto si dipinse l’angoscia della morte.
Improvvisamente, udì il rumore di una porta sbattere. Il dolore e le ferite svanirono proprio quando i suoi lapislazzuli incrociarono quelli di Miriam. Il suo cuore cominciò a martellare sempre più forte non più per la mancanza d’ossigeno, ma per la visione di quella donna così bella e raggiante. Alexander era rimasto completamente folgorato da ogni sua caratteristica. Adorava il suo odore dolce capace sempre di farlo drogare di lei; il suo viso dai delicati lineamenti e infine i suoi lunghi e leggeri capelli biondi. Amava come solo la sua visione potesse mettere fine alle sue anguste angosce. Davanti a lei diveniva debole e vulnerabile; un qualcosa che non aveva mai avuto precedenti.
Si alzò in piedi e si ritrovò di fronte a lei, la quale gli afferrò la mano e incastrò le dita di Alexander nelle sue. Così fece anche con l’altra mentre i loro sguardi non facevano altro che incrociarsi e dichiararsi.
Improvvisamente, tutto ciò lasciò spazio all’amore e alla passione di un bacio. Oh no, non la solita passione; questa era vera. A ciò che stava avvenendo, neanche lo stesso Alexander sapeva dare una spiegazione. Gli piaceva e basta, ma attenzione, non era un qualcosa di lussurioso.
Il ragazzo aprì gli occhi, accorgendosi che il corpo di Miriam tra le sue mani apparve del tutto deturpato e proprio davanti a lui, cadde a pezzi sul pavimento. Sangue; solo il sangue dominava in quella scena. Tristezza e frustrazione invece invasero Alexander, il quale gridò le sue lodi di dolore.
L’assassino sobbalzò mettendosi a sedere sul suo letto. Sentì che la sua pelle sudaticcia aveva ormai impregnato gli abiti da notte e le coperte. Si sentì per qualche attimo confuso, mentre il suo cuore continuava a martellare. Quell’incubo lo stava tormentando da qualche giorno e più il suo inconscio glielo presentava e più avvertiva come se una lancia lo trafiggesse lentamente e dolorosamente.
Scosse la testa per eliminare ogni pensiero che potesse sopprimere la sua forte indole e andò a farsi un bagno, cercando per una volta in vita sua di rilassarsi. In seguito si vestì, indossando i suoi soliti abiti eleganti e infine si bendò quella orribile ferita che gli ricordava le sue origini.
Si fermò per una manciata di secondi davanti alla porta spalancata della sua camera. L’unica cosa che udiva era un silenzio tombale. Eppure quella casa era diventata così vuota da quando aveva ucciso i suoi domestici. Doveva provvedere da solo a se stesso e per sua fortuna sapeva cucinare, poiché nel passato gli era stato insegnato dalla sua stessa madre.
Attraversò il corridoio, ma si accorse di un particolare al quanto macabro.
Delle gocce di sangue erano posizionate sul pavimento. S’inginocchiò e le toccò con le dita, ma si rese conto e ben presto che non erano sue. Improvvisamente udì degli sghignazzii e quando si voltò, vide un’ombra sul muro che sparì pochi istanti dopo.
Posizionò la testa tra le mani, cercando di fare svanire quella visione dalla sua mente e placando così la paura che si stava insediando nelle sue vene.
“Avanti Alexander, questa è solo una delle tue stupide allucinazioni…” pensò.
Scrollò le spalle e in seguito incominciò ad attraversare le scale di legno che portavano al piano inferiore. Improvvisamente, si accorse di altre macchie di sangue, ma cercò di sorvolare pensando nuovamente che era tutto frutto del suo senso di colpa.
<< Alexander! >> urlò una voce femminile e rauca.
Lui si spaventò terribilmente solo quando si voltò e vide che c’era una donna dai lunghi capelli neri seduta sulla sua poltrona. Era girata di spalle e dal suo corpo colava un enorme quantità di sangue. Lei si voltò a guardare il ragazzo, il quale solo in quel momento si sentì crogiolare a causa del terrore che gli incuteva quella donna.
Possedeva una grande bocca munita di denti aguzzi e gialli, da cui fuoriusciva molto sangue. Uno dei suoi occhi era cucito da uno spago spesso e nero, mentre l’altro si presentava di colore bianco, in cui si poteva scrutare solo la pupilla. Indossava, infine, una lunga tunica viola. Continuava a sghignazzare e tremava mentre cercava di avvicinarsi ad Alexander a tentoni, il quale si accasciò sul pavimento con le spalle contro il muro.
<< Finalmente c’incontriamo Alexander… >> disse.
Solo a quel punto il ragazzo svenne, sperando con tutto se stesso che quello era solo uno dei suoi angusti e orribili incubi.

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Capitolo 12
*** Ripugnante ***


Capitolo 12°: Ripugnante.

 

Quello che avvertiva era solo il freddo, il quale oltrepassava le sue vesti e s’imprimeva nella sua carne. Aprì lentamente gli occhi e si accorse che la sua vista era un po’ offuscata. La confusione albergava ormai nella sua mente, non capendo così dove in realtà si trovasse. Cercò di muovere le mani, ma le sentì intrappolate accanto al suo capo.
Si voltò e mettendo a fuoco la sua acuta vista, si accorse di essere nella stanza segreta delle sue malefatte; esattamente sopra quel tavolo di ferro, dove aveva squarciato ormai tantissimi cadaveri. Era incatenato a esso, ma soprattutto si accorse ben presto di avere la bocca cucita con uno spago nero e spesso. Si dimenò, ma l’unica cosa che ottenne fu uno sghignazzio proveniente dall’altra parte della stanza.
Si sentì immediatamente spaventato e indifeso. Non aveva le armi per difendersi da un nemico che con ogni probabilità aveva giocato sulla sua psicologia, tanto da indurlo a svenire e quindi a consegnarsi nella sue mani.
Proprio accanto agli strumenti chirurgici c’era quella donna dai lunghi capelli neri e il caratteristico occhio grande e cucito. Si avvicinò a lui rannicchiata e tremolante.
<< Sei proprio un bel ragazzo, lo sai Alexander? >> disse con voce rauca e con l’alito fetido, il quale assomigliava per lo più alla puzza di un corpo in decomposizione.
Gli strappò la cucitura dalla bocca, facendo fuoriuscire da essa molto sangue. Le urla del ragazzo erano forti e atroci a causa del dolore che si era insidiato dentro di lui, ma nessuno in quel luogo li avrebbe mai sentiti. Lui non aveva amici; nessuno avrebbe mai salvato il malvagio e futile Alexander.
La donna gli aprì la camicia bianca che indossava e toccò la sua pelle con le sue sudicie mani; l’avidità scorreva dentro di esse.
<< C-chi sei? >> chiese con voce flebile.
<< Strano che non mi riconosci, eppure sei il figlio di Lucifero… Io sono Alya e sono la sua messaggera. Dovevo controllare il tuo operato, ma quale occasione migliore per ucciderti? Potrei conquistare l’intero regno degli inferi e uccidere il tuo stesso padre! Tutti sarebbero dalla mia parte e diventerei così la regina che sarei dovuta essere milioni di anni fa! >> rispose afferrando un coltello e facendolo roteare tra le sue dita, le quali dimostravano ormai la sua vecchiaia.
<< N-non ci riuscirai mai. Certo, ucciderai me, ma che importa? M-mio padre sarà sempre forte con me o senza di me; ti sgretolerà con le tue stesse mani e te lo posso garantire! >>.
Improvvisamente Alya afferrò i capelli riccioluti di Alexander e ne tagliò una ciocca. La fissò attentamente, mentre un ghigno beffardo si dipingeva sul suo volto.
<< Questa ciocca la terrò conservata in ricordo di questo memorabile momento o forse creerò anch’io un mio libro di malefatte esattamente come il tuo! >>.
Detto ciò, la donna graffiò con le sue lunghe unghie la liscia pelle del ragazzo esattamente sull’addome, facendolo nuovamente urlare dal dolore. Ormai solo il sangue era diventato il protagonista di quell’orribile situazione.
Alexander si sentì umiliato da quella ripugnante messaggera. Una rabbia insolita fustigò il suo animo, tanto da avvertire l’adrenalina scorrere velocemente nelle sue vene. La forza dentro le sue braccia magre sembrò aumentare notevolmente, tanto che strinse forte i pugni e si liberò da quelle nefaste catene; così avvenne anche per le caviglie.
Gli occhi del ragazzo si spalancarono, tanto da parere quelli di pazzo efferato; possedeva uno sguardo minaccioso capace di far tremare la stessa Alya, la quale si era già rannicchiata sul pavimento in segno di protezione.
Alexander strinse tra le sue mani quel tavolo di ferro e con forza lo lanciò sul corpo di quella riluttante donna, la quale emise dei veri e propri gemiti di dolore.
No.
Questo non bastò a placare la rabbia del giovane assassino.
L’afferrò per il collo e in seguito, la sbatté contro il muro. Prese il coltello e si accanì sul suo corpo con ferocia, squarciando così ogni lembo delle sue membra. Lei ansimava dal dolore, mentre lui rideva e godeva davanti a quello spettacolo raccapricciante.
Alya cessò di vivere e Alexander le tagliò la testa, facendola così rotolare sul pavimento già impregnato dal sangue. Le strappò una ciocca e in seguito, bruciò il suo corpo nel forno che aveva a disposizione. La maledisse, mentre scriveva il suo nome in quel raccoglitore.
Sapeva bene che le vittime morte che giungevano all’inferno divenivano demoni, i quali vivevano una seconda vita quasi come semplici esseri umani; quella di Alya era l’ultima e il ragazzo gliel’aveva strappata senza pietà e senza alcun rimorso. Era, così, finita in uno strato subalterno all’inferno, dove ardevano costantemente le anime dei veri e propri peccatori; quello era il posto che meritava.
Vide, poi, quel sangue e ancora inebriato da quella frustrante rabbia, lo leccò sul quel pavimento sentendosi il padrone del mondo intero. Si mescolò tra quella poltiglia sporcandosi tutti gli abiti, ma poco gli importava.
Improvvisamente, poi l’immagine di Miriam sfiorò la sua mente. Fu solo in quel momento che Alexander si rese conto di quello che era realmente avvenuto.
Avvolto ancora da quel liquido scuro e ferroso, si soffermò a fissare quel soffitto che altro non rappresentava che un agglomerato di muffa e sporcizie. Era, però, così sorprendente come quella donna potesse misteriosamente calmare i suoi istinti sovrannaturali, trasformandolo in un semplice umano.
Il ragazzo si sentì attraversato da confusione e sgomento. Non sapeva ancora perché il suo cuore continuava a sussultare alla sua visione e perché quella donna riusciva a riportarlo in vita.
Non voleva saperlo.
No.
Voleva solo stare ancora accanto a lei un ultima volta.

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Capitolo 13
*** Folli incomprensioni ***


Capitolo 13°: Folli incomprensioni.

 

Silenzio; sì, ciò che udì fu solo un frustrante e doloroso silenzio, che non faceva altro che alimentare la confusione e lo sgomento. Alexander l’odiava; a esso preferiva lo schiamazzo e la confusione perché sapeva che proprio lì la parte più oscura di lui non poteva emergere.
Avvertiva l’aria fresca provenire dalla finestra lasciata aperta, la quale era accompagnata da una dolce fragranza che sembrava cullare l’animo del ragazzo, mentre i brividi s’insidiavano nel suo candido incarnato. Era semplicemente seduto nella vasca da bagno con le braccia appoggiate sul corrimano, mentre avvertiva l’acqua imprimersi sulla sua pelle. Le labbra erano quelle carnose di sempre; anzi non si erano per nulla deturpate, nonostante Alya era riuscita a cucirgliele. Quella stanza, invece, aveva un’aria diversa rispetto al resto della casa, poiché era forse la più luminosa e abbellita da diversi gingilli che lui detestava, ma che lasciava su quei mobili per non vedere sempre e costantemente uno spazio vuoto. Lui intanto, fissava proprio quella parete bianca a pochi metri da se, dando così libero sfogo ai suoi pensieri e alle sue pene.
Miriam.
Solo lei era la sua più grande preoccupazione. Gli aveva folgorato l’animo, ma non né sapeva ancora il motivo. Voleva vederla; voleva stringerla a se; voleva inebriare i suoi polmoni con il suo dolce profumo. Lo faceva ogni notte, ma questo non gli bastava. Non si era mai trovato in una situazione del genere; per lui esisteva solo quella passione carnale che divorava ogni parte del suo corpo. Ciò lo rendeva futile e inconsistente, ma se ne stava lentamente pentendo di non aver condiviso un momento così dolce e amorevole con una donna per cui provava davvero qualche sentimento.
In quel momento voleva solo staccare la spina che ogni giorno gli faceva aprire gli occhi su un mondo ricolmo d’insidie e malignità; un mondo in cui faceva fatica a inserirsi a causa della doppia personalità che lo trafiggeva. Si buttò sott’acqua e proprio lì rimase disteso a fissare il soffitto.
Lui voleva rimanere lì; lui voleva suicidarsi proprio lì.
Questa volta era deciso a farlo e niente lo avrebbe fermato se non la sua stessa paura della morte. Si sentì soffocare sotto quella coltre di acqua cristallina, ma cercò di resistere per mettere fine a una vita di errori e malefatte. Improvvisamente vide una sagoma avvicinarsi alla vasca; quando riuscì a mettere a fuoco riconobbe il volto grinzoso e deturpato della madre, la quale lo fissava ridendo e mettendo in mostra i suoi aguzzi denti gialli. Immediatamente Alexander si alzò e si mise a sedere, incanalando finalmente l’aria nei polmoni e impregnandoli dell’odore del sapone versato nell’acqua. Tossì forte e si guardò attorno alla ricerca di quella figura mostruosa che aveva visto accanto a lui.
Si era completamente dissolta nel vuoto.
Allucinazioni.
Appoggiò la testa tra i suoi palmi e incominciò a versare lacrime amare, le quali si mescolarono con l’acqua in cui si era immerso. Gemiti fuoriuscirono da quella bocca – la quale aveva assaporato il sangue innocente di molte delle sue vittime – mentre stringeva forte i pugni e mordeva costantemente quelle labbra carnose. Scatenò quell’ira profonda che si celava dietro i suoi occhi chiari e cristallini, urlando forte le sue lodi di dolore.
Voleva strapparsi di dosso quella pelle putrefatta che altro non metteva in mostra il lato più meschino di se; voleva cancellare ogni parte della sua esistenza ritornando a dove tutto ciò era incominciato per non ricommetterlo nuovamente. Odiava se stesso; sì, profondamente, come non aveva mai odiato nessuno in vita sua.
Era sull’orlo di un precipizio pericoloso e sapeva che prima o poi sarebbe caduto, abbandonando le sue speranze di diventare una persona migliore.
Si alzò in piedi coprendosi con un asciugamano. Lasciò i ricci ribelli liberi di asciugarsi, mentre si vestiva e cercava di affogare quel dolore che ogni volta lacerava i lembi della sua pelle. Guardò, infine, la sua immagine riflessa nello specchio appeso al muro della stanza da bagno.
Non si riconosceva, o almeno sperava che quell’uomo pietoso non fosse lui.
Fissò ogni particolare del suo volto chiedendosi come un aspetto del genere potesse essere così ricercato da molte donne; chiedendosi come un uomo così orribile potesse ottenere così tanta benevolenza.
Avvertì la sua testa pesante come se fosse travolta da troppi pensieri e fu così che si coprì nuovamente il volto con la mano. Quando però la tolse, finì per catapultarsi nella realtà. Davanti a lui c’era un ragazzo con la pelle desquamata, dove in alcuni punti penzolavano pezzi di carne staccatisi dalla mascella. I suoi occhi erano rossi come il sangue, mentre la sua lingua si mostrava come quella del serpente che nel paradiso terrestre ingannò Adamo ed Eva.
<< Io non sono te…. >> disse ansimando. << Io non sono te! >> continuò urlando. Ruppe, in seguito, lo specchio, lanciando uno dei piccoli gingilli posto accanto a lui.
Alexander scappò precipitandosi fuori dall’edificio. Aveva bisogno di un po’ d’aria, poiché troppi avvenimenti lo stavano profondamente turbando. Incominciò a correre tra quelle strade, avvertendo l’aria insidiarsi tra i suoi capelli ancora un po’ bagnati e impregnarsi tra quei vestiti puliti e profumati.
Dentro di lui ardeva il desiderio di libertà; dentro di lui ardeva il desiderio di normalità.
Svoltò più volte, addentrandosi nel cuore di Londra, ma soprattutto nelle sue strade più oscure e tenebrose. La sua corsa dovette arrestarsi proprio quando scivolò su qualcosa di morbido e polposo. Si guardò attentamente attorno, ritrovandosi testimone di un omicidio avvenuto proprio in quel luogo.
Un altro cadavere giaceva lì su quella strada lastricata, mentre il sangue fuoriusciva dalla testa decapitata. Era un uomo di circa trent’anni, possedente ormai un incarnato scialbo e freddo.
Fu proprio lì che Alexander si avvicinò in ginocchio e toccò quel corpo con le sue viscide mani, ma soprattutto quel sangue con avidità. Improvvisamente, avvertì un dolore atroce al polso tanto che dovette allontanarsi e appoggiarsi con la schiena al muro accanto. Ansimò, cercando di farlo il più silenziosamente possibile e quando guardò l’estremità del braccio che terminava con l’attaccatura della mano, si rese conto che la ferita che segnava il patto con il demonio, si stava rimarginando ancora.
<< Voi ci dovete qualche spiegazione! >> urlarono due guardie, le quali ne approfittarono del suo stato di shock e dolore, per arrestarlo.
Alexander stava per essere punito per qualcosa che non aveva commesso, mentre quello spudorato assassino era ancora a piede libero, capace di uccidere ancora e voltarsi indifferente davanti a quei cadaveri insanguinati, i quali reclamavano ardentemente il suo nome.

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Capitolo 14
*** Tenebre e dolci celle ***


Capitolo 14°: Tenebre e dolci celle.

 

Era rannicchiato su quel pavimento in pietra putrido e freddo, mentre il sangue gocciolava ancora dalla sua bocca. Il dolore, ormai, si era insidiato in ogni membra del suo corpo a causa delle percosse ricevute. Quel sudore aspro tipico della paura aveva impregnato la sua fronte e le sue vesti, le quali erano macchiate soprattutto di quel sangue che più volte si era permesso di leccare dalle ferite dei cadaveri, morti per opera sua. I suoi polsi, infine, erano rinchiusi all’interno di forti e possenti manette di ferro che sapeva non sarebbe mai riuscito ad aprire attraverso il suo perspicace ingegno e ottima manualità.
Alexander Brown, il giustiziere di numerose vittime, era stato appena gettato in quella cella come un povero animale da bestiame, dopo essere stato picchiato a sangue freddo da quelle guardie e torturato per conoscere la verità che pensavano di avere ormai in pugno; una verità amara e cruda, che per questa volta non era per nulla correlata alla realtà.
Lui ansimava e rimaneva a pensare ancora a quei colpi sferrati sulla sua delicata pelle, ormai deturpata da ferite e lividi. Alcune lacrime scesero da quegli occhi sognanti e meravigliosi, mentre una malinconia cupa e triste, risaliva lungo tutto quell’animo tenebroso. Tossì con forza, mentre sputava il sangue ancora su quell’umido suolo su cui appoggiava il capo. Si sentiva debole e fragile, ma soprattutto vulnerabile agli attacchi di nemici nascosti. Cercò di mettersi a sedere, ma il tentativo fu del tutto inutile.
Avvertiva i rumorosi passi lenti della guardia che sorvegliava le celle; il vocio delle altre persone incarcerate per reati ben più futili rispetto al suo; addirittura udiva i ragionamenti contorti di un pazzo e le sue risate isteriche.
Proprio in quel momento trovò la forza di rialzarsi e di sedersi in un angolino gelido della cella. Sopra la sua testa era presente una piccola finestra con grosse sbarre di ferro, da cui filtravano i primi raggi del sole. Udiva il vento frastagliarsi come onde nel cielo e le prime urla dei venditori ambulanti londinesi; mai in vita sua come in quel momento aveva desiderato la libertà.
Sì, proprio la libertà; ciò che cercava da tempo.
Lui, però, sfuggiva da qualcosa di ben più complicato che una semplice prigionia.
Lui stesso era la sua morte.
Voleva camminare tra quelle strade e imprimere nei suoi polmoni quegli odori, i quali lo portavano a vagare tra le fantasie più svariate che la sua mente gli proponeva. In quella cella invece, si respirava solo aria pesante, che non faceva altro che soffocare il già percosso Alexander.
No, una cosa sola era certa in quel momento.
Se fosse riuscito a uscire vivo da quella caverna, si sarebbe vendicato di molti atti commessi sul suo cagionevole corpo; inafferrati delitti che forse più nessuno si sarebbe permesso di coprire.
I granelli di polvere volteggiavano attorno al suo corpo, mentre rimaneva inerme a fissarli, distraendosi così da quell’atmosfera così lugubre e ripugnante.
Qualcuno sarebbe venuto a cercarlo; qualcuno prima o poi, l’avrebbe salvato, o almeno queste erano le sue speranze.
Improvvisamente, udì delle urla e quando si voltò si rese conto che le guardie stavano trascinando una donna lungo il corridoio lastricato, mentre lei opponeva resistenza. Riuscì a divincolarsi dalla presa dei possenti uomini, cadendo sul suolo e ansimando forte dal dolore. Una delle guardie le afferrò i capelli e continuò il suo cammino, trascinando il suo corpo come se fosse un semplice sacco. Sarebbe giunta ben presto sul patibolo nella piazza pubblica e tutti avrebbero assistito alla sua morte; tutti avrebbero festeggiato nel vedere i suoi occhi piangenti chiudersi per sempre. Le sue urla svanirono proprio quando svoltò l’angolo e di lei non rimase altro che l’eco della sua dolce e disperata voce.
Alexander fu attraversato da un fremito nel vedere quella raccapricciante scena. Sarebbe stato punito prima o poi anche lui come quella giovane donna per un reato che non aveva commesso; tutti avrebbero riconosciuto quello sguardo e si sarebbero ricordati dell’assassinio di Emily Hiddenson. Avrebbero infangato la regina e il suo onore, urlandole di aver coperto un letale assassino, assetato solo di sangue e vendetta.
Scosse il capo e improvvisamente udì dei passi veloci provenire dal corridoio.
Aveva paura.
Sì, tremava al solo pensiero di poter scorgere lo sguardo di una guardia pronta a portarlo in pubblica piazza e a condannarlo a una morte perenne.
Eppure sembravano passi aggraziati e gentili.
La curiosità spinse Alexander ad avvicinarsi alle sbarre, strisciando lentamente sul quel rozzo pavimento. Quando alzò lo sguardo, incrociò dei dolci occhi blu e ordinati capelli biondi che folgorarono il suo animo, strappandogli letteralmente il cuore.
Miriam lo fissava allibita e preoccupata, mentre le sue mani tremavano dalla tensione e ansimava a causa del ritmo della camminata che aveva acquisito precedentemente. Alexander, invece, si sentì soffocare da un sentimento che stava prendendo il sopravvento sul suo essere. Avvertì il pallore sulle sue gote e il cuore battere veloce, tanto da faticare nell’inalazione dell’aria nei suoi polmoni. Lei rendeva quelle celle tenebrose e oscure, un ambiente dolce e accogliente. Era come se lei riuscisse a cancellare tutto quello che di negativo circondava il ragazzo, compresi i pensieri pessimisti, i quali troppo spesso affollavano la sua mente.
Era la luce che illuminava quel tunnel buio e oscuro che Alexander continuava a percorrere ignaro del cammino arduo che gli aspettava; era la luce che illuminava la sua angusta vita ricolma di orrori e di vizi.
Lei s’inginocchiò e toccò quelle sudice sbarre con le sue delicate mani. Continuava a fissarlo, ma stavolta quegli occhi blu si spensero, riempiendosi di lacrime.
<< Volevo vedere se era vero… Tutti ne stavano già parlando in città… >> disse con un tono deluso.
<< N-no… M-Miriam, non sono stato io… Dovete credermi almeno voi… >> rispose con voce roca, aggrappandosi alle sue mani.
Lei non le allontanò, anzi lasciò che Alexander le stringesse forte nelle sue. La stessa donna che circa qualche settimana prima aveva visto sciogliersi e diventare dolce, in quel momento gli sembrò quella autoritaria di un tempo. Solo quelle dolci e malinconiche lacrime tradirono il suo vero essere.
<< Io vi credo, me lo dicono i vostri occhi. Voi volete apparire misterioso e indifferente, forse alle volte anche sfuggente, ma il vostro sguardo non può mentire. Voi non siete altro che un uomo ricolmo di paure che vuole apparire sicuro di se; voi potete fingere davanti a chiunque di essere l’uomo che non siete, ma davanti a me no. Io vi credo per questo motivo Alexander. I vostri occhi non mentono quando mi urlano la vostra innocenza. Farò di tutto per portavi fuori da questa cella, lo prometto… >> disse Miriam con una sicurezza tale da sbaragliare lo stesso Alexander.
Come aveva fatto a scoprire il carattere di Alexander senza conoscerlo, era ignaro anche allo stesso ragazzo. Rimase incantato a fissarla, ma soprattutto senza parole, mentre il sentimento verso di lei cresceva sempre di più. Forse si stava solo illudendo di un amore che nella realtà poteva apparire invisibile; un vero e proprio amore platonico, il quale esisteva solo nel profondo del suo cuore.

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Capitolo 15
*** Sanguinosa distruzione ***


Capitolo 15°: Sanguinosa distruzione.

 

Un solo urlo forte e angoscioso; in seguito quello che vide fu solo del dolce e amaro sangue.
Alexander stava assistendo a una delle scene che avrebbe voluto osservare da parecchio tempo. Su quell’umido pavimento dei sotterranei del castello aveva appena ucciso una guardia con le sue stesse mani. Gli aveva strappato il collo a morsi e di lui non rimaneva altro che del sangue scuro che si era già insidiato nella bocca dell’assassino, il quale lo assaporava con avidità e si lasciò trascinare dall’avido piacere che cercava di aggrapparsi con le unghie a ogni parte della sua anima.
Eppure, nonostante ciò, non era felice.
Avvertiva l’insoddisfazione spaziare tra quelle sue amare membra, le quali non erano altro che un agglomerato di vizi e capricci che spudoratamente si divertivano a stuzzicarlo.
Eppure quella scena del delitto gli pareva così vuota e priva di ogni significato.
Incominciò a sbattere la testa contro il muro, accasciandosi in seguito sul pavimento, ma tutto ciò avvenne senza alcuna spiegazione; era come se avesse perso il controllo del proprio corpo. Ansimava e piangeva, graffiando con forza quella parete di pietra per cercare la forza di rimanere in piedi e di non cedere davanti a quell’angoscia che continuava ad aprire quella grossa ferita che apparteneva ormai alla sua oscura anima. La sua disperazione, invece, gridava forte e squarciava ogni barriera del suo orgoglio.
Improvvisamente, si ritrovò al posto del cadavere della guardia. Incominciò a sentirsi soffocare e a boccheggiare alla ricerca di ossigeno, ma in quel momento stava infliggendo a se stesso la morte di quel pover’uomo. Alexander lentamente chiuse gli occhi, morendo in agonia proprio tra quelle tenebrose celle che tanto lo avevano fatto soffrire e che avevano creato in lui un barlume di luce, capace di rischiarare in minima parte il suo cuore.
Si svegliò si soprassalto su una delle poltrone presenti in soggiorno, mentre il suo cuore continuava a battere forte. Si guardò attorno mentre ansimava con forza. In un certo senso si sentiva felice, poiché riconosceva quelle polverose librerie che contenevano i suoi sogni e speranze. Sì; era stato scagionato e tutto ciò era avvenuto per l’intercessione di Miriam.
Improvvisamente, tutto sembrò fermarsi per pochi istanti proprio mentre quel nome echeggiava tra il nudo silenzio di quelle stanze. Alexander si lasciò andare su quella poltrona, mentre il suo sguardo rimase a guardare con tristezza quella che era una lanterna poggiata su uno dei mobili di legno scuro che abbellivano l’atmosfera.
Poi, solo sangue tra le mani.
Sì, fu quello che vide; del vivido sangue tra quelle sudice mani.
Si alzò in piedi di scatto proprio quando si accorse di essere ferito: una profonda lacerazione era presente sul torace e ancora una volta era alla ricerca di aria da poter inalare. Si accasciò in ginocchio su quel pavimento, chiudendo per qualche istante gli occhi per calmarsi, ma quando li aprì, si ritrovò in un corridoio dalle pareti scure con un fiume ricolmo di sangue scorrere sotto di lui.
Non sapeva dov’era, ma notava con attenzione cadaveri galleggiare su quel mare di peccati che si estendeva. Mani e gambe di corpi straziati che non aspettavano altro che di ricongiungersi con gli altri pezzi a cui erano stati per tanto tempo legati.
Era un sogno; Doveva esserlo.
Voci chiamavano il suo nome e lui invano cercava di scacciarle. Improvvisamente due cadaveri viventi e zoppicanti, si avvicinarono a lui, incappucciandolo. Erano due donne con lunghi capelli lunghi e unti, ma tra alcune ciocche spuntavano vermi e pidocchi. La pelle era di un colore verde tendente al giallognolo, mentre i loro occhi erano completamente tutti neri.
Loro lo trascinarono, lasciandolo sporcare di quel sangue amaro che un tempo adorava. Avvertiva l’aria pensante, creata da quel sacco nero che aveva sulla testa, entrare nei suoi polmoni, ma allo stesso tempo, sentiva la stanchezza pizzicargli ogni parte del corpo.
Era diventato così vulnerabile; così sciocco e stupido.
Improvvisamente, poi, un angusto dolore lo fece tremare e urlare a squarcia gola. Uno delle due donne aveva morso il suo polso e gli aveva estratto con i denti spezzati tutti i tendini della sua mano come piccoli e futili spaghetti; se li gustava con avidità senza alcun ritegno per poi ridere con gusto, essendo ormai soddisfatta di aver fatto quel gesto.
Alexander non sapeva cosa stava accadendo, ma forse poteva intuirlo: qualcuno lo voleva vedere distrutto; qualcuno lo voleva distruggere.

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Capitolo 16
*** Peccatore di bene ***


Capitolo 16°: Peccatore di bene.

 

Dalla sua bocca fuoriuscirono gemiti di dolore mentre gli fu sferrato un pugno in pieno volto. Molti ne aveva già ricevuti da quell’uomo che si era fatto strada tra quella massa di persone che l’accerchiavano e lo deridevano proprio mentre cedeva sul quel pavimento costituito da ciottoli di terracotta.
Alexander sapeva bene dove si trovasse e non gli ci volle molto per scoprirlo. Quella doveva essere la sua dimora primordiale; la sede di un padre che altro non aspettava che la distruzione di un mondo, il quale già cadeva costantemente a pezzi. L'umanità cercava invano di ricostruirlo tassello per tassello, quasi come un vero e proprio puzzle, ma la corruzione e la violenza aveva preso il sopravvento e lo stesso Alexander né era un perseguitore.
Lui giaceva su quel pavimento a mani legate. Il sangue ormai aveva già impregnato il suo petto nudo, ma soprattutto quelle labbra da cui pendevano tutte le donne che aveva conquistato.
<< Basta così! >> urlò una voce possente in lontananza. << Liberatelo e portatelo davanti al mio cospetto! >> continuò.
Alexander fu afferrato con forza e liberato, ma fu proprio in quell’istante che cadde nuovamente a terra, sbattendo quel volto dalla carnagione candida sul suolo e lasciando fuoriuscire del denso sangue dal naso. Fu trascinato da due bestie orripilanti, le quali al posto della pelle ringrinzita, possedevano la carne fresca e colma di quel liquido ostile che ben conosceva; apparivano squarciati e deformati i loro corpi, mentre Alexander in quel momento, assomigliava per lo più a un lurido sacco trascinato su un altrettanto sporco pavimento. Giunse presto davanti a quel trono rosso che riconobbe all’istante. Quell’uomo dai peli neri e ispidi, con il capo cornuto, afferrò una frusta e incominciò a scagliarla con forza sulla schiena del ragazzo, il quale urlava le sue lodi di dolore ogni volta che quelle strisce di pelle osavano toccarlo.
<< Come hai potuto disonorarmi non tenendo più fede al nostro patto?! Sei divenuto sciocco e vulnerabile! >> urlò, frustando con più forza colui, il quale non era altro che suo figlio.
Lui squarciò quella schiena senza alcuna pietà, mentre quel liquido rosso scuro scorreva, giungendo su quel pavimento dove altre persone come lui, avevano ricevuto lo stesso e identico supplizio. Forse quello era il male che comportava vivere nella gaiezza e nel bene. Nella sua mente maledisse il giorno in cui uccise sua madre e iniziò quel circolo vizioso che opprimeva costantemente il suo respiro. Era incatenato dalla sua stessa essenza; era solo prigioniero di se stesso. 
Satana lo afferrò per il braccio, ponendolo davanti ad un altare sacrificale di pietra. Sopra di esso vi era distesa una donna completamente nuda dai lunghi capelli corvini. I suoi occhi le erano stati strappati con crudeltà, mentre le sue labbra sembravano essere state divorate; la parte carnosa era, infatti, sparita e al suo posto era presente solo tanto vivido sangue. Possedeva ancora la forza di far fuoriuscire da quella bocca – la quale forse un tempo era stata rosea e carnosa a giudicare dall’incarnato chiaro – dei profondi gemiti che cercava a tutti i costi di soffocare.
Con forza, il demonio fece brandire ad Alexander un pugnale e insieme squarciarono l’addome di quella donna indifesa, che invano mostrò un’espressione di dolore sul suo volto. Suo padre estrasse quelle budella come se fossero oggetti di estremo valore e con avidità le leccò. Strappò un pezzo da esse e lo fece ingurgitare ad Alexander, il quale rimase inerme a fissare quel corpo. Era sconvolto e dovette ingoiare anche quell’amaro boccone. Lacrime; tante di quelle lacrime fuoriuscirono da quegli occhi incantevoli e profondi. Si chiedeva continuamente com’era potuto essere così insensibile in passato e come poteva essergli piaciuto quel gusto angusto del male.
<< Che questo ti serva da lezione! >> urlò Lucifero.
Afferrò il polso di Alexander e ripeté nuovamente l’incisione che gli aveva inferto tempo indietro. In seguito, si limitò a versare quel sangue che sgorgava nella bocca della donna, la quale istantaneamente si svegliò e ritornò in vita, vagando con un ventre squarciato. Era diventata un demone, ma lui sapeva bene che c’era ancora una possibilità di salvarla; quel corpo era solo un involucro che imprigionava la sua dolce anima.
Quello che vide, poi, Alexander fu solo il buio. Tutto sparì; gli parve di fluttuare in un’oscurità angusta e tenebrosa.
Doveva affrontare un ostacolo ben più grande di un sentimento di amore che ardeva con foga dentro di lui; doveva lottare con se stesso e con una parte del suo essere che reclamava ancora brutali omicidi.
Solo così avrebbe avuto la meglio; solo così avrebbe avuto la possibilità di diventare un uomo migliore.

 
 

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Capitolo 17
*** Il segreto annientato ***


Capitolo 17°: Il segreto annientato.

 

Era notte fonda e il cielo si era già dipinto del colore blu scuro, mentre la luna apriva il suo solito sipario, mostrando la bellezza di quel firmamento. Le stelle recitavano e brillavano accanto a lei come ogni sera che si rispetti, ma il vento sembrava quasi spazzarle via come piccoli e insignificanti capricci. Gli arbusti, ormai spogli, ondeggiavano avvertendo in lontananza una dolce e silenziosa melodia, ma allo stesso tempo stridente e rotta da quel freddo angusto e pungente. 
Alexander, in contrapposizione a quella quiete, non riusciva a far altro che contorcersi sul freddo e gelido pavimento. Le ferite sulla schiena facevano ancora maledettamente male, mentre la sua mano appariva intatta e candida come lo era sempre stata. Teneva le gambe strette al petto e continuava a dondolarsi, mentre delle lacrime amare scivolavano su quella sua pelle candida e lucida. Cercava di soffocare quei gemiti che volevano fuoriuscire con forza, squarciando il silenzio che si era creato attorno a se.
Ciò era diventato l’assassino di anime e corpi straziati dalla sua furia; ciò era diventato quel collezionista di capelli che altro non si era preso beffe delle sue vittime. Si ritrovava diviso tra un male che non poteva contrastare e un bene che la sua psiche reclamava.
Improvvisamente, solo delle voci.
Sì; tante crudeli e grossolane voci che s’insinuavano nella sua mente e che essa assorbiva quasi come una spugna. Lui afferrò la testa tra le sue mani cercando di cancellare quei sussurri maligni, ma restavano indelebili quasi come ricordi mortali e dolorosi.
<< Guarda come ti sei ridotto… Svegliati, assassino! >> urlò una voce femminile.
Alexander si alzò in piedi di scatto e incominciò a guardarsi attorno per scrutare quel viso che aveva osato emanare quella sentenza contro di lui, ma non vi era nessuno. Era tutto frutto della sua mente e del suo senso di colpa.
<< Io non sono un assassino! >> rispose.
Davanti a lui vide avvicinarsi cinque cadaveri femminili con il collo a penzoloni e gli arti sanguinolenti. Una di loro aveva un braccio spezzato e si poteva, dunque, scrutare l’osso fuoriuscire dalla carne. I loro capelli erano unti e i loro occhi scuri lo fissavano con malignità. Reclamavano la sua carne; volevano divorare ogni lembo di Alexander Brown. Graffiarono la sua pelle con le loro lunghe unghie nere, mentre lui urlava a causa del forte dolore. Il sangue ormai sgorgava da quelle ferite, ma proprio in quell’istante il ragazzo ebbe la forza di scappare, fuggendo da quelle cinque bestie maledette. Aveva capito che in realtà era solo un brutto scherzo che stava giocando la sua mente e c’era solo un modo per mettere fine a tutto ciò; lui lo conosceva bene.
Raggiunse ben presto la stanza dove compieva le sue malefatte e rimase inerme a osservare il male che per anni aveva inferto a delle giovani e indifese donne. Le avrebbe potute amare tutte e provare così quel forte sentimento che avrebbe scaldato quel suo cuore troppo congelato; invece aveva deciso di mettere fine alla loro vita per soddisfare un proprio bisogno personale. Era infuriato con se stesso e con la persona che era divenuto; si odiava profondamente come non aveva mai disprezzato nessuno.
Si avventò su quello scaffale su cui erano poggiati i rimanenti barattoli che contenevano gli organi vitali delle sue vittime e lo scaraventò sul pavimento, lasciandoli frantumare in tanti piccoli pezzi di vetro. Con rabbia fece cadere quelli che erano gli strumenti con cui era solito squarciare quelle delicate membra, ma rimase nuovamente inerme davanti a quel libro nero che ben conosceva.
Sfogliò le sue pagine, osservando quei nomi scritti con una calligrafia lieve e ordinata, ma più lo faceva e più l’odio verso se stesso aumentava. Si sentì trafiggere il cuore e allo stesso tempo avvertì una scarica di adrenalina far fluire più velocemente il sangue delle vene.
Accese il fuoco del forno crematorio posto davanti a lui e con ira gettò il libro dalla copertina nera tra quelle fiamme, sentendosi più realizzato. Lo guardò bruciare, mentre i suoi occhi brillavano dalla soddisfazione.
<< Io non sono un assassino… >> disse. << Io non lo sono più… >> continuò correggendosi.

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Capitolo 18
*** Follemente reale ***


Capitolo 18°: Follemente reale.

 

In quell’istante, il sole tramontava lentamente, illuminando ogni cosa attraverso la sua luce aranciata e profonda; la furia di Alexander, invece, tramontava velocemente, mentre si emozionava a fissare quel firmamento che pareva aver scaldato quella parte di lui che si era nascosta nella parte retrostante di una maschera di sofferenza e dolore.
Se ne stava dietro quella finestra, con una mano appoggiata sul vetro e osservava come questo si appannava sempre di più a ogni suo respiro. Su quel piccolo spazio avrebbe voluto abbandonare tutto il male che aveva commesso a esseri indifesi e rimanere l’uomo che era diventato; un uomo migliore e con una coscienza pulita.
Appoggiò la testa tra le sue mani e cercò con tutte le forze di non cadere in quel pianto tanto desiderato. Quegli occhi incantevoli si erano spenti e brillavano solo a causa delle lacrime amare che li bagnavano ogni istante.
Alexander Brown era solo un uomo sfortunato; un uomo nato sotto delle stelle che dissipavano ogni fonte di bene.
Sentì il forte odore di chiuso che proveniva dal completo nero elegante che indossava e immediatamente si ricordò di quello che avrebbe dovuto fare. La regina Vittoria aveva organizzato un ballo in maschera a cui lui avrebbe dovuto partecipare. Questa era, in realtà, solo una scusa per poter passare del tempo con il suo amante, ma lui non si recava in quel luogo per lei; bensì per poter vedere ancora una volta Miriam.
Più volte si era soffermato a pensare a lei e alla sua reazione se avesse scoperto delle sue malefatte, ma nulla aveva più importanza. Lui era cambiato ed era pronto ad amarla e onorarla più della sua stessa vita.
Si guardò allo specchio che aveva fatto prontamente riparare e si asciugò quelle lacrime che erano già cadute su quelle gote bianche. Non doveva più pensare al passato, bensì doveva essere fiero di ciò che era diventato.
Dopo gli ultimi accorgimenti, si recò al piano inferiore e varcò l’uscio, assaporando l’aria fresca riempire i suoi polmoni. La primavera era ormai arrivata e poteva udire gli ultimi uccellini cinguettare canti gioiosi prima che il buio travolgesse ogni cosa con la sua potenza. Si sentiva terribilmente bene come non lo era mai stato; gli sembrava di essere rinato, ma soprattutto di essere riemerso da acque gelide e torbide.
Camminò lungo la strada, strisciando quelle scarpe sul suolo, le quali un tempo erano state nuove; non gl’importava di vedere quella suola consumata, ma non più perché fosse avaro.
Proprio su quella strada che sembrava al quanto facile, vide un pover’uomo che indossava abiti leggeri e stracciati; era infreddolito e tremava accasciato su quella strada. Nessuno osava soffermarsi a guardarlo; anzi gli lanciavano puri sguardi intrisi d’indifferenza, ma pareva quasi un miracolo il fatto che riuscì ad attirare l’attenzione proprio di Alexander Brown, l’aristocratico egoista.
Lui si avvicinò al nulla tenente e gli regalò la sua giacca. In seguito, gli lasciò parecchi soldi nella speranza che l’uomo potesse farne buon uso. In quel momento il ragazzo aveva freddo, ma non aveva importanza perché dentro era colmo di gioia e di soddisfazione.
Salì sulla prima carrozza che riuscì a fermare e si voltò l’ultimo istante per osservare quell’uomo che era stato degno della sua attenzione. Lui gli era fortemente riconoscente e aveva gli occhi lucidi dalla commozione. Alexander gli rivolse un sorriso e rimase a osservare il panorama da dietro il finestrino di quella carrozza che tanto lo rattristava.
Avrebbe voluto correre e camminare tra la folla; per la prima volta avrebbe voluto sentirsi libero da oppressioni e atrocità, ma nonostante ciò, ogni volta era un tentativo vano.
Giunse presto davanti a quel maestoso palazzo e all’entrata fu accolto da due guardie, le quali gli diedero il benvenuto. Lui ricambiò con un cenno di capo e in seguito, avanzò trovandosi davanti a un servo che distribuiva delle maschere bianche agli uomini e argentate alle donne, le quali erano sostenute da un’asta di legno. Alexander ne prese una dalle mani di quell’uomo così umile e generoso; per qualche istante si specchiò nei suoi occhi verdi e desiderò ardentemente essere come lui, ma non ne era capace e non lo sarebbe probabilmente mai stato.
Avanzò in quella sala gremita di gente con la maschera sul volto, cercando lo sguardo di Miriam dietro quelle tante maschere bianche, ma più volte venne distratto dalla musica e soprattutto dalle voci frastornanti.
Improvvisamente, com’era già capitato più volte, si sentì afferrare il braccio e in seguito trascinare; lui sapeva già di chi si trattava. La regina Vittoria lo portò in una camera al piano superiore, dove vi era un letto matrimoniale, un’ampia finestra e pregiati mobili di legno. Chiuse la porta alle sue spalle e in seguito incominciò a sbottonare il gilè e la camicia indossata da Alexander. Le sue fredde mani percorsero quella pelle calda e pallida, mentre le sue labbra baciarono con foga quel collo su cui più volte se ne erano stampati.
<< Aspetta… >> disse il ragazzo, allontanandola.
<< Che cosa è successo? Perché mi respingi? >> chiese preoccupata. << Non sono abbastanza? Se vuoi posso fare di più… >> continuò.
<< No, ci sono delle cose che devi sapere… >>.
La donna rimase in silenzio e attese il continuo di quella frase con palpito e ansia.
<< Io sono cambiato Vittoria e non riesco più a far finta di niente. Non posso baciarvi e passare una notte d’amore con voi, mentre i miei pensieri sono rivolti verso un’altra donna che mi ha strappato il cuore. Non voglio più neanche accettare la missione che avevate stabilito per me, preferisco ritirarmi sullo sfondo e non essere più il protagonista di uno sporco ricatto… >> disse, abbottonandosi la camicia e il gilè, e lasciando la stanza in silenzio.
Quello che udì fu solo una porta sbattere alle sue spalle e dei gemiti provocati da un pianto doloroso. Gli dispiaceva aver fatto soffrire a quel modo la regina Vittoria, ma preferì così, invece di ritornare in quell’angusto passato.
Scese quelle scale con eleganza e con la testa alta. Proprio in quel momento raggiuse di nuovo quella sala: non sarebbe andato via da quel luogo senza prima incrociare lo sguardo dolce e tenero di Miriam.
<< Signor Brown, nessuno vi ha spiegato che questa era una festa in maschera? >> disse una voce femminile alle sue spalle.
La maschera bianca, che precedentemente aveva indossato, l’aveva dimenticata in quella stanza, dove in quel momento si metteva in scena un enorme tragedia fatta di pianti e disperazioni. Alexander si voltò e si meravigliò nel vedere il volto della donna che amava. Il cuore sussultò dalla gioia e il sangue immediatamente giunse nei capillari delle guance, donandogli un colore per lo più roseo.
<< Credo di aver perduto la mia maschera… >>.
<< Per fortuna, altrimenti non vi avrei riconosciuto! >> rispose Miriam, ridendo.
<< Potete venire con me in giardino? Ho bisogno di parlarvi… >>.
Lei annuì ed entrambi si diressero all’esterno del palazzo, dove passeggiarono tra quei giardini interni ricolmi di cespugli e arbusti. Alexander fissò il firmamento, mentre la luna piena sembrava puntare la sua luce proprio su di loro.
<< Io vi devo confessare un segreto… >> disse, guardandola negli occhi. << Io mi sono innamorato di voi dal primo momento che vi ho visto. Per me è impossibile starvi lontana, alimentereste solo le mie anguste pene… Io sono felice solo in vostra compagnia. Può sembrare strano, ma è tutto così follemente reale. Io stesso non so spiegare quel che provo e ho cercato più volte di dimenticare, ma sono state tutte azioni vane… >> continuò, ma non fece in tempo a finire il discorso che Miriam lo azzittì, poggiando un dito sulle sue labbra carnose.
<< Non vi dovete giustificare, perché può sembrare strano, ma è follemente reale il fatto che io provi gli stessi e identici sentimenti per voi. Io alimento le mie giornate pensando costantemente al vostro sorriso Alexander… >>.
Entrambi si specchiarono negli occhi dell’altro e proprio in quel momento, le loro labbra s’incontrarono, dando inizio a un vero e proprio bacio intriso di passione. Alexander inebriò i suoi polmoni con il suo dolce profumo e finalmente la strinse forte a se, assaporando l’amore vero che mai era stato in grado di provare. Da troppo tempo desiderava ardentemente quel momento: questo era il debito che le stelle dovevano saldare con lui per il solo peccato di avergli presentato un destino irrequieto e ostile.

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Capitolo 19
*** Maledetta felicità ***


Capitolo 19°: Maledetta felicità.

 

Quella luna, la quale per un lungo periodo della vita di Alexander era stata la sua musa ispiratrice, era stata ormai coperta da alcune nubi ostili proprio su quel tenero firmamento. Era come se lei stessa capisse il pudore di quel momento e cercava di nascondersi nel rispetto degli amanti, ma al ragazzo non importava più; era svanita la deprimente sensazione che appesantiva costantemente il suo animo e che lo spingeva a fissare quell’astro luminoso.
In quel momento, però, gli bastava soltanto osservare Miriam dormire accanto a lui, sotto quelle coperte che un tempo avevano ospitato una sola persona. Accarezzò i suoi lunghi capelli biondi e la sua pelle candida con delicatezza, poiché aveva paura di farle del male con quelle mani rozze d’assassino; pareva quasi una fragile bambola di porcellana mentre si udiva il suo respiro fioco cadere delicatamente sul quel cuscino bianco. Alexander la strinse forte a se, avvertendo il calore del corpo scaldare apparentemente il suo e inebriò nuovamente i suoi polmoni con quel profumo soave che aveva sempre adorato.
Lui l’amava più della sua stessa vita. Era impossibile distinguere le due anime, poiché ne parevano una sola. Eppure gli erano bastati pochi istanti con lei per capire che cos’era il vero amore. Non aveva nulla a che fare con quello che aveva provato con la regina Vittoria fin dai primi momenti; non era nulla di superficiale. Era qualcosa di vero che bruciava nella sua anima. Sì; ardeva di passione.
Miriam si svegliò, spalancando i suoi profondi occhi azzurri. Sorrise e gli afferrò la mano, accarezzandosi il volto. Alexander ricambiò, ma solo il cielo sapeva cosa provava in quel momento. Avrebbe voluto baciarla e stringerla ancora; avrebbe voluto sprofondare nei suoi occhi e in quelle emozioni che l’avevano travolto fino a quel momento, ma dentro di lui vi era una sorta di barriera, la quale non gli permetteva di sbilanciarsi. Sperava che quell’istante non giungesse mai a termine, ma in fondo sapeva che sarebbe successo. Lui pensava troppo alle conseguenze delle sue azioni e continuava a soffrire costantemente; era come un vero e proprio circolo vizioso.
Il suo sorriso si spense e i suoi occhi incominciarono a brillare dalla tristezza, poiché le lacrime stavano incominciando a insediarsi, rendendo l’atmosfera cupa e tenebrosa.
<< Cosa vi accade Alexander? Ho fatto forse qualcosa di errato? >> chiese Miriam, asciugandogli le lacrime che scesero sulle sue gote.
<< No, voi mi rendete così felice che per me sembra tutto un sogno… Vi prego, se lo è non svegliatemi. Voi siete la prima cosa gioiosa che mi sia capitata in questa mia orrenda vita. Siete la luce che irradia quello che di oscuro c’è in me ed io non vorrei perdervi per nessuna ragione al mondo… Mi chiedo cosa vi piace di me; io sono un uomo orribile… >> rispose in preda alla disperazione.
Miriam lo abbracciò con dolcezza, accarezzandolo delicatamente con le sue piccole mani calde.
<< Voi siete l’uomo più dolce e più romantico che io abbia mai incontrato. Mi è bastato poco per innamorarmi di voi; i vostri occhi mi hanno immediatamente folgorata … >>.
Lui ricambiò l’abbraccio, stringendola forte. Eppure avvertiva il senso di colpa logorare il suo cuore, il quale proprio in quel momento stava palpitando dall’emozione. Lui non era dolce, né romantico; fino a poco tempo prima era stato un orrido assassino, capace di qualsiasi cosa pur di ottenere del sangue e della carne squarciata.
Improvvisamente, però, un forte rumore.
<< Signor Brown! Dove vi nascondete?! >> urlò una voce maschile.
Alexander scattò dal letto e si vestì velocemente, mentre Miriam rimase spaventata sotto le coperte; nei suoi occhi erano palpabili il terrore e l’angoscia.
<< Cosa succede Alexander?! >> chiese con voce flebile.
<< Restate lì e non vi muovete per nessuna ragione… >> rispose, dandole un bacio sulla fronte.
Lui sapeva cosa stava accadendo; lui sapeva che sarebbe successo. Questa era la conseguenza per aver compiuto nuovamente un’opera benevola.
Alexander non fece neanche in tempo ad aprire la porta che delle guardie corazzate la sfondarono, facendo urlare la giovane Miriam. Alcune andarono a soccorrerla, mentre altre buttarono sul pavimento il ragazzo, afferrando con forza le sue braccia e ammanettandole dietro la schiena.
<< Finalmente ti abbiamo arrestato, assassino pervertito! >> urlò con forza l’uomo.
Lo sguardo di Alexander incrociò per l’ultima volta quello della ragazza, la quale non poteva credere alla scena che si stava svolgendo proprio dinnanzi a lei. I suoi occhi azzurri si riempirono di lacrime cristalline, ma allo stesso tempo tanto amare da avvertire una stretta profonda al cuore. Sentiva le sue gambe tremare e avrebbe voluto gettarsi su quel pavimento per urlare, così, le sue lodi di pura disperazione. Eppure rimase inerme a fissare quella scena incredula, proprio quando i suoi arti non rispondevano ai comandi da lei richiesti.
<< Mi dispiace… >> sussurrò Alexander, sperando che Miriam potesse comprendere.
Lei lo fissò con un’aria malinconica, mentre il suo cuore reclamava un ultimo bacio da quell’uomo che aveva sentito chiamare “assassino pervertito”, ma che per un momento le era sembrato uno degli astri più belli, caduto dal cielo solo per lei.
Miriam non conosceva ancora chi era quel ragazzo tanto affascinante, ma una sola cosa poteva sembrare veritiera: Alexander Brown avrebbe sempre ricercato la felicità che tanto reclamava, senza mai maledettamente raggiungerla.

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Capitolo 20
*** Giustizia ***


Capitolo 20°: Giustizia.

 

Mai nulla gli era sembrato così freddo e vuoto proprio come in quel momento. L’aria pesante delle celle sotterranee del castello comprimeva i suoi polmoni, i quali fino a poco tempo prima erano stati inebriati dalla dolce fragranza dell’amore; quell’amore infelice e che era caduto a pezzi davanti a suoi occhi profondamente dolci.
Piangeva, di fronte a quell’angoscia che lo lasciava crogiolare nelle sue pene. Alcuni gemiti, dovuti a un dolore incurabile, fuoriuscirono da quelle labbra insanguinate; ancora una volta quelle guardie si erano divertiti sul suo corpo, lasciandogli parecchi segni di percosse. Gli abiti che aveva indossato in fretta erano tutti lacerati e strappati da quella sorte che per Alexander non era mai stata favorevole.
Eppure in quel momento continuava ad agitarsi, tanto da scuotere quelle braccia legate da catene al soffitto e ad avvertire il dolore della lacerazione. Era sicuro che nulla questa volta lo avrebbe salvato.
Il sanguinario e meschino assassino e collezionista di capelli, stava giungendo alla sua gloriosa fine, abbracciando così i sorrisi di scherno dell’intera popolazione che in quella giornata avrebbe assistito alla sua impiccagione sulla piazza pubblica. La regina Vittoria, non riuscendo a mantenere il giovane Alexander sotto il proprio controllo, decise di confessare tutte le sue malefatte, ma esagerò proprio quando affermò che il ragazzo abusava del suo corpo; lei rimase solo la vittima della situazione, nonostante la sua anima fosse macchiata quanto quella dell’assassino che per anni ha coperto e che soprattutto sfruttava per soddisfare i propri desideri repressi.
Se Alexander avesse urlato a quella folla quel briciolo di verità che dentro di lui echeggiava, nessuno gli avrebbe mai creduto; anzi avrebbe soltanto peggiorato la sua situazione, poiché infamava la casta e pura regina d’Inghilterra.
Lui sapeva bene che questa sarebbe stata la sua reazione, ma aveva cercato di smentire a se stesso una verità indelebile.
In quel momento si sentiva impotente davanti a una situazione che non poteva controllare, ma l’unica cosa positiva a cui pensava era che tutto sarebbe terminato presto e con questo, anche il terrore della gente che nei suoi occhi avevano sempre visto il volto di un uomo valoroso e degno aristocratico; nessuno immaginava chi era realmente Alexander Brown.
Sollevava, inoltre, le sue pene pensando agli incantevoli occhi di Miriam, che più di una volta lo avevano portato a fantasticare sul suo stesso futuro. Aveva desiderato spesso di restare al suo fianco per il resto della sua vita, ma più volte si era chiesto se lui poteva essere l’uomo giusto per lei; la giovane donna si meritava qualcosa di meglio, ma lui non riusciva a nascondere quei suoi sentimenti del tutto contrastanti e veri.
Sarebbe morto.
Sì; lo sapeva. Almeno sarebbe morto imparando che la sua vita non era poi un luogo così riluttante con la presenza del vero amore, il quale auspicava un cammino sereno e del tutto intriso di passioni variopinte.
Per Alexander quei costanti minuti, che scorrevano inesorabilmente, parevano lunghe ore, le quali non giungevano mai a termine. Viveva quel tempo letale soppresso dall’ansia che lo trafiggeva come tanti e piccoli pugnali conficcati nella sua pelle. Il tutto sembrava una tortura volta alla sua autodistruzione.
Improvvisamente, però, sentì dei passi provenire dal corridoio.
Aveva già capito che quello era il suo momento.
Come un grande astro cadente, Alexander stava abbandonando lentamente quel palcoscenico di vergogne e sacrilegi su cui aveva recitato fin troppo a lungo, ma dove aveva imparato inesorabili concetti riguardanti la vita e la morte; solo in quel momento, però, li aveva realmente compresi.
Una guardia, scortata da altre tre, aprì il cancello della sua cella e vi entrarono; era un luogo al quanto tetro e ostile, ma che in quell’istante era parso al ragazzo come la dimora più dolce dove aveva mai vissuto. Lo lasciarono, poi, libero da quelle forti catene e strisciarono il suo corpo sul quel pavimento rozzo.
Ben presto lo scortarono davanti a quel popolo dai volti infamanti che lo fissavano con disprezzo, mentre faceva il suo ingresso sull’ultimo palcoscenico della sua vita, ma nel ruolo del perdente.
Le guardie lo lasciarono inginocchiato su quella struttura di legno, dove alle sue spalle vi era presente un cappio, il quale si sarebbe stretto attorno al suo collo, ostruendo così quel lieve respiro che fuoriusciva dalle sue narici. Inoltre, attorno a se vi erano delle grandi impalcature, dove risiedeva la famiglia reale e poté incrociare per l’ultima volta quello sguardo che più volte si era impietosito davanti alla sua figura, ma che in quel momento lo odiava profondamente. Proprio da lì si sarebbe emanata la sentenza definitiva; proprio uno degli uomini forzuti presenti alle sue spalle l’avrebbe ucciso, soffocando quell’ego che un tempo era stato a dir poco sproporzionato.
<< Assassino! >> urlavano le persone presenti davanti a lui indicandolo.
Era consapevole dell’appellativo che usavano; era consapevole delle sue colpe laceranti.
<< Popolo di Londra! Oggi giustizieremo quest’uomo viscido e crudele, mettendo fine al terrore che si scaturì in questa fiorente città. Alexander Brown, aristocratico di venticinque anni, uccideva delle giovani donne e squarciava con malignità i loro corpi. Vi è una colpa che aggrava tutte le antecedenti. Questo ragazzo, posseduto vividamente dal demonio, abusò della nostra regina d’Inghilterra! Un atto ignobile e, se non che, irrispettoso nei confronti nella monarchia! Or dunque, doneremo a quest’uomo la punizione che merita: l’impiccagione! >> urlò un giudice, precedentemente seduto accanto a Vittoria.
Un uomo afferrò Alexander, incitato dalla folla, e lo pose con i piedi sopra una botola ancora chiusa, ma la quale si sarebbe aperta presto. Infine mise il cappio attorno al collo del ragazzo, aspettando solo il momento della morte di un altro trasgressore rimasto fino a quel momento impunito.
Alexander per la prima volta pregò e sperò che il momento tragico potesse finire all’istante. Guardò il sole che brillava e nuovamente quella rude popolazione, ma nulla più gl’importava.
Forse era meglio per lui non essere mai nato.

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Capitolo 21
*** Palcoscenico di orrori ***


Capitolo 21°: Palcoscenico di orrori.

 

Alexander Brown, in quell’istante, cercò di chiudere gli occhi, ma la forte tensione non gli permetteva di farlo. Con un cappio al collo, avrebbe dovuto godersi gli ultimi istanti di vita, prima di abbandonare un mondo che gli aveva procurato solo gravi ingiurie.
Guardò un ultima volta quella folla di miserabili che urlavano verso di lui i suoi peccati, i quali gli erano già noti, ma che aveva cercato di nascondere a se stesso. Proprio in quel momento, però, il sole scomparve, lasciando spazio a delle nuvole scure che incominciarono a diffondere il terrore tra i presenti. Tra di essi, il ragazzo vide una donna con un mantello nero e grezzo recarsi dinnanzi al patibolo. Quando alzò lo sguardo, Alexander rabbrividì; il suo aspetto era al di poco riluttante.
Possedeva un solo occhio rosso, da cui fuoriusciva del sangue scuro. Non vi erano labbra, ma al posto della mascella erano presenti solo muscoli intrisi di quel liquido dal gusto ferroso. I suoi denti erano gialli e aguzzi, mentre due lingue nere si facevano spazio tra essi. Da sotto quel mantello sporco estrasse una mano formata solamente da ossa, dove i lembi di carne si staccavano, lacerandosi e cadendo sul suolo. La donna lo indicò e il ragazzo deglutì con forza, forse dalla paura e dallo sgomento.
<< Noi ti vogliamo vivo… >> disse con voce rauca.
Improvvisamente, la vide strappare a morsi il collo della donna in prima fila, gustandosi l’aorta e le corde vocali, come se si stesse cibando di una pietanza prelibata. Sentì urlare tutta la platea e tanti altri demoni attaccarono le persone presenti comparendo quasi dal nulla; alcuni, invece, si arrampicarono sull’impalcatura dove sedeva la famigliare reale, pronti a divorarli pezzo per pezzo.
<< Questa è stregoneria! >> urlò qualcuno, ma Alexander rimase inerme davanti a quell’atroce spettacolo.
Vide corpi straziati e privati delle proprie interiora; demoni che divoravano i loro arti con disinvoltura e con avidità, inghiottendo ogni boccone con gusto. Si soffermò ancora su quella donna, la quale strappò il cuore di un uomo; lui dolorante cadde sul suolo, mentre il demone mordeva quell’organo e lo leccava, assaporandolo con gioia. Quelle urla squarciavano ogni lembo della sua anima, creando un profondo solco; quel sangue innocente era stato ormai versato in quella piazza, divenuta un palcoscenico di orrori e lesioni. Si sentiva soffocare da quell’aria pensante di morte e distruzione; un tempo, invece, l’adorava.
Proprio in quel momento vide un corpo cadere dall’impalcatura e scoprì con rammarico essere quello della regina Vittoria. Lei giaceva su quel suolo con la pelle del viso strappata e con il ventre squarciato, mentre quel sangue scorreva nelle incanalature della strada formata da numerosi solchi. Aveva gli occhi spalancati e le sue narici avevano ormai smesso di inalare puro ossigeno.
Alexander guardando quel malevolo disastro, incominciò a piangere davanti a quella platea che in passato volle vedere tutta morta, ma che in quell’istante gli parvero povere anime castigate inutilmente; castigate in nome suo e dei suoi efferati delitti.
Improvvisamente, qualcuno liberò le sue mani e gli tolse il cappio che era appoggiato attorno al suo collo. Quasi aveva il terrore di girarsi per vedere chi fosse, ma deglutendo e con un po’ di coraggio si voltò, notando il viso di Miriam nascosto sotto il cappuccio di un mantello azzurro. Si sentì così felice di vederla lì e mai si sarebbe aspettato che sarebbe tornata da lui dopo quello che aveva udito sul suo passato. Voleva abbracciarla e stringerla ancora tra le sue braccia, trasformando quell’istante tragico in un pretesto di pace, ma sapeva che quello non era il momento.
<< Non c’è più tempo, seguitemi Alexander! >> urlò, afferrandogli la mano e fuggendo da quel luogo.
Mentre entrambi correvano verso quella che sembrava la libertà, il ragazzo incominciò a sentirsi sempre più stanco e affaticato. L’aria incominciò a mancare e gli venne spontaneo poggiarsi le mani attorno al collo, cercando di poter inalare una grande quantità di aria, ma invano.
Si accasciò e svenne, mentre quelle grida svanivano nel buio pesto che vedeva davanti ai suoi occhi profondamente blu.

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Capitolo 22
*** La verità fatale ***


Capitolo 22°: La verità fatale.

 

Appena aprì gli occhi, notò quanto in realtà fosse confuso e quanto fosse coinvolto da pericolosi capogiri. Cercò di mettere a fuoco la sua vista, strizzando più volte i suoi occhi, ma continuava a risultare sfocata. Si maledisse profondamente per questo particolare, poiché voleva sapere a tutti i costi dove si trovasse.
Improvvisamente, però, vide del fuoco.
Cercò di muoversi, ma le sue mani erano bloccate e così anche le sue gambe. Urlò, ma questo gesto fu vano, poiché la sua voce era come un eco sordo in un oceano silenzioso. Ben presto si accorse di essere sdraiato su qualcosa di duro e freddo, ma non sapeva, in realtà, dove si trovasse.
Ebbene sì, Alexander Brown era legato da numerose catene, attorcigliate agli arti, a quel tavolo di ferro su cui più volte aveva squarciato cadaveri innocenti ed era posto davanti a quel forno dove più volte li aveva bruciati. Esso era acceso e trasmetteva inquietudine nello stesso assassino fatale.
Cercò nuovamente di muoversi e urlare, ma era completamente bloccato in quella trappola infernale. Avvertiva il cuore battere forte a causa dell’agitazione e il respiro farsi sempre più affannoso. La paura e il terrore presero il sopravvento su di lui, come non era avvenuto mai.
Proprio in quell’istante, sentì una risata provenire dal corridoio buio che spesso lui aveva attraversato con timore; era maligna e perfida, tanto da squarciare quel silenzio angosciante.
Con disinvoltura entrò nella stanza, strisciando quei piedi sul suolo. Aveva il volto coperto dal cappuccio di un mantello nero e teneva le mani in grembo, mentre avanzava lentamente verso quel corpo inerme. Alexander deglutì dalla forte paura, la quale faceva scorrere velocemente l’adrenalina nelle sue vene.
Lei rise ancora, ma di puro gusto e toccò con avidità il suo petto. Il ragazzo fu percorso da brividi profondi che s’incanalavano in ogni parte del suo corpo.
La donna si tolse il cappuccio, svelando la sua vera identità. Proprio in quel momento Alexander rimase scioccato da ciò vide davanti ai suoi occhi; anzi per lo più deluso e ferito.
<< Miriam! Ma cosa fate qui?! Perché mi avete legato?! >> chiese urlando.
La figura femminile posta davanti a lui era proprio l’amore della sua vita di cui si era innamorato follemente. Fissava con attenzione quei capelli biondi, i quali emanavano ancora un profumo delicato, e in seguito, i loro sguardi profondi s’incrociarono. Era ancora confuso sulle azioni che la ragazza voleva compiere proprio in quel luogo, ma forse aveva capito che qualcosa di orripilante stava per accadere.
<< Io non mi chiamo Miriam, sciocco! >> urlò, infilzando le unghie nella carne del ragazzo e godendo delle sue urla di dolore. << Per tutto questo tempo, hai creduto alla mia falsa identità. Non pensavo eri così stupido, Alexander! >> continuò, affondando sempre di più quelle dita nella carne, per poi estrarle e leccare quel sangue con avidità.
<< E allora chi sei?! >> chiese, ansimando dal forte dolore.
<< Non mi riconosci? Sono tua sorella, Jane Brown… >> rispose, afferrandogli i capelli con forza. << Tu non sei un demone, sei solo un pazzo che crede di esserlo! Pensi di essere davvero il figlio di Satana? Mi dispiace contraddire le tue idee, ma io sono sua figlia. Te l’ho solo fatto credere affinché tu uccidessi più vittime e t’imprigionassero anche per delitti non commessi da te personalmente, ma che erano i miei! Ebbene sì, Alexander. Io sono l’assassina che puntualmente ti faceva trovare sul luogo del delitto. Manipolai la mente di Alya e le ordinai di attaccarti, tu vincesti e lì osservai la tua vera forza che probabilmente avevi acquistato con la fatica. Quando, però, ti vidi in quella cella, capì che dovevi morire per mano mia, perché solo così avrei messo in atto la mia efferata vendetta. Tu hai ucciso nostra madre ed è questa la fine che ti meriti! Pensavi davvero che ti amassi? No; Ti ho preso solo in giro, poiché sapevo che adulandoti avrei ricevuto in cambio la tua vulnerabilità, facendoti diventare un debole sentimentale. Ora ti ho in pugno e non mi puoi scappare! >> continuò, strattonandolo e facendogli sbattere la testa contro il muro.
Mentre Alexander ansimava dolorante e allo stesso tempo piangeva, contemplando il male procuratogli con quell’orrida notizia, Jane estrasse un lungo coltello affilato dal suo mantello. Lo baciò con foga e il ragazzo si lasciò trascinare, proprio mentre lei le conficcò il coltello nel cuore con forza e malignità.
Quello che era stato l’assassino in grado di far tremare la Londra vittoriana, spalancò gli occhi blu e con le ultime forze cercò di esprimere i suoi sentimenti a quella che era, in realtà, l’artefice della sua morte.
<< Sappiate che io vi ho amata davvero, Jane… >>.
Detto ciò spirò e calò un silenzio tetro sulla scena circostante. Proprio in quel momento, la ragazza si mise a piangere davanti al corpo inerme di suo fratello. Forse anche lei, in fondo, aveva creduto a quell’amore incestuoso, ma l’aveva nascosto a se stessa, accecata dall’ira e dalla spudorata vendetta. Si ricordò del loro bacio e della loro notte d’amore passata proprio in quella casa; avrebbe potuto amarlo, ma grande sarebbe stato il prezzo da pagare. Rinunciare a una vendetta così importante, l’avrebbe fatta soffrire; condividere giorno per giorno il proprio amore con l’assassino di sua madre, l’avrebbe fatta soffrire. Eppure in quel momento, non riusciva a smettere di pensare ai dolci occhi blu di Alexander, mentre i suoi erano ricoperti da putride lacrime amare. Si accasciò su quel lurido pavimento e avvicinò al suo volto la mano fredda del cadavere, accarezzandosi e cercando un po’ del suo calore umano, ma invano. Loro erano simili. Prima commettevano l’atto criminale e in seguito, se ne pentivano profondamente, come se due metà contrastanti vivessero in uno stesso corpo.
<< Tu devi restare con me! >> urlò in lacrime.
In quel momento estrasse il coltello dalla ferita sanguinante e incominciò a squarciare quel corpo, senza alcun pudore. In seguito, divorò quegli organi che tanto reclamava, sporcando quelle dolci labbra – le quali una volta avevano incontrato quelle del fratello – di sangue amaro. Mentre lo faceva, piangeva, ma era sicura che Alexander volesse questo.
No; era la sua mente malata che le diceva di fare ciò. Era il desiderio di poter addentare della carne succulenta che la spingeva all’uccisione. Pareva che l’avesse ammazzato ben due volte, ma lei si sentiva ferita dentro; come se la coltellata avesse trafitto il suo cuore e non quello di suo fratello.
Sempre con quell’arma sporca di sangue, tagliò una ciocca riccia e la guardò con uno sguardo profondo. Si sarebbe dovuta sentire vittoriosa in quel momento, era parte del piano; avrebbe dovuto sentirsi vittoriosa mentre reclamava il suo ruolo di Collezionista di Capelli. Eppure, quella sensazione che si sarebbe aspettata di sentire, non arrivò mai. Alexander si era spento e così anche il suo coraggio e la sua forza. Si sentiva inutile e vulnerabile, mentre pensava al suo sorriso e al suo amore.
Jane liberò il corpo del fratello da quelle pesanti catene e in seguito lo gettò nel fuoco, osservandolo bruciare. Proprio in quell’istante, però, entrò anche lei in quelle spudorate fiamme, le quali incenerirono quello che fu un amore profondo tra due fratelli. Fin dalla nascita erano stati legati da un solo filo conduttore: il controllo di una passione ardente, dissipata dall’odio.

 

Fine.

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Capitolo 23
*** Ringraziamenti ***


Ringraziamenti.

 

Il Collezionista Di Capelli è stato il mio grido di battaglia. Ho cercato di imprimere in queste poche pagine me stessa e se non altro la mia fantasia, forse un po’ troppo macabra. Ciò forse, però, nasce da una mia esigenza di poter esprimere la tristezza, che per circa un anno intero, mi ha letteralmente travolta. Persone di cui pensavo veramente di potermi fidare, mi hanno abbandonata; persone che hanno costituito ben undici anni della mia vita. Io però, questa crudeltà nei miei confronti, la devo ringraziare, perché se non fosse stato per loro, probabilmente non avrei mai capito che la scrittura era la mia salvezza e soprattutto non avrei mai scritto questo libro. Con la morte di Alexander, non voglio sancire una fine, ma solo un buon inizio per me e per la mia vita. Semplicemente lui rappresentava le mie paure, le mie angosce e la mia tristezza, e con la sua morte, volevo mettere fine a quell’angusto periodo, dove sono arrivata a dichiararmi un vero e proprio mostro, addossandomi la colpa di tutto. Per fortuna esistono gli angeli; persone che non mi hanno mai abbandonata, neanche nei momenti peggiori e che in quel periodo buio non hanno mai smesso di sostenermi. Grazie Cristian, Jamie, Linda, Serena, Greta ed Elisa. Altre persone che dovrei ringraziare profondamente sono i miei nonni, che nonostante non siano più qui con me, io li sento sempre e costantemente vicini. Non sto scrivendo ciò per chiedere la vostra pietà, ma semplicemente vi sto spiegando i motivi che mi hanno spinta a scegliere questa trama. Forse questa mia esperienza vi porterà a riflettere e forse penserete che sono troppo giovane e che in futuro ci saranno difficoltà più grandi che mi porteranno a soffrire maggiormente. Questo mi è già chiaro, ma nessuno forse sa cosa ho provato davvero e spesso i giudizi affrettati sanno essere solo velenosi. Un altro ringraziamento speciale va a chiunque abbia letto questa storia e mi ha sostenuto, ma anche a chi l’ha criticata parecchio. Le loro critiche mi hanno aiutato a crescere e a dimostrare cosa voglio esprimere mentre scrivo. Inoltre, tutti voi, mi avete insegnato a non ostacolare la mia fantasia, ma a semplicemente impregnarla in queste semplici pagine, che spero vi abbiano intrattenuto. Se avessi seguito la mia ragione che mi diceva di cestinare questa storia già dai primi capitoli, probabilmente avrei fatto un errore davvero grande. Quindi vi ringrazio ancora per avermi insegnato a credere nei miei sogni e soprattutto a seguire il mio cuore. Ho ancora molte e troppe cose da imparare, ma so che questa esperienza mi è stata davvero utile per comprendere molti lati di me stessa che neanche io conoscevo. Un altro messaggio che voglio lanciare con la morte di Alexander è la cessazione della violenza sulle donne. Io sono contraria a questo fattore e credo che molti uomini si dovrebbero solo vergognare di sfiorare con un solo dito un essere così delicato. Non si rendono conto che non è giocando a fare i supereroi che si dimostra di essere forti, ma solo amando. E con questo gran finale, colgo l’occasione per ringraziarvi ulteriormente e sperare che continuerete a seguirmi anche nel futuro.
Maryleescence.

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