Deep Inside

di Lux in Tenebra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.Knocking on the roof. ***
Capitolo 2: *** 2. Curious Slender. ***
Capitolo 3: *** 3. Welcome! ***
Capitolo 4: *** 4. Little tiny secret. ***
Capitolo 5: *** 5. A very long story. ***
Capitolo 6: *** 6. Unexpected. ***
Capitolo 7: *** 7. New Feelings. ***
Capitolo 8: *** 8. The Forest of Change. ***
Capitolo 9: *** 9. So close... ***
Capitolo 10: *** 10. The beginning of trouble. ***
Capitolo 11: *** 11. Crush. ***
Capitolo 12: *** 12. One special aunt. ***
Capitolo 13: *** 13. Under the moon. ***
Capitolo 14: *** 14. Dream of Darkness ***
Capitolo 15: *** Capitolo bonus: 0.1. Cocoon ***
Capitolo 16: *** 15. The road that leads to the past. ***
Capitolo 17: *** Capitolo bonus: 0.2. The Evil Dress ***
Capitolo 18: *** 16. Home. ***
Capitolo 19: *** Capitolo bonus: 0.3. The Last Bottle of Martini ***
Capitolo 20: *** 17. Bleeding. ***
Capitolo 21: *** 18. Broken. ***
Capitolo 22: *** 19. The right thing to do. ***
Capitolo 23: *** 20. This is not a goodbye. ***



Capitolo 1
*** 1.Knocking on the roof. ***






Introduzione  

Aspirai una profonda boccata d’aria, fissando le stelle in cielo: era passato così tanto tempo dalla prima volta che ci eravamo incontrati. I giorni erano volati e io facevo ancora fatica a credere che tutto ciò fosse successo per davvero.  Passai una mano sul volto, rassegnato a mandare avanti quella stupida farsa, e le parlai nuovamente:
"Come fa a non farti rabbia pensare a tutto ciò che gli uomini hanno combinato fino ad ora?! Sanno solo puntare il dito contro coloro che non ritengono normali, come se fossero dei sulla terra, sempre pronti a giudicare chiunque abbia la sfortuna di passargli davanti. Si credono tanto buoni, ma le loro anime sono nere come la pece! Sebbene io possa sembrare saccente, questo è quello che penso e nessuno lo può cambiare. Io amo definirmi come realista."
Conclusi il discorso, lasciando ricadere le mie braccia e cercando di rendere il mio tono di voce il più serio possibile. Volevo e dovevo provocarla. Il vento stava diventando a dir poco gelido, mentre una goccia d’acqua cascò sulla mia testa, facendomi rabbrividire per qualche secondo.
Fissai quella creatura negli occhi, cercando ogni minimo segno di cedimento nella corazza impenetrabile che proteggeva e oscurava le sue emozioni, nascondendo dei segreti a me inimmaginabili. Mentre si girava verso di me, un’espressione di totale indifferenza le attraversò il volto:
"Hai ragione, non siamo la migliore delle razze. "
Alzò le spalle come se niente fosse e scese dall'albero.
Sarebbe stata più dura del previsto, ma una cosa era certa: avrebbe fatto più male a me che a lei.
 
 
 
 
°°°°
 


Piccola parentesi per chi non lo sa ancora: qui non si narrerà dello Slender dei videogiochi, né di quello che mangia le persone per cena. Volevo affrontare un nuovo modo di vedere questo personaggio: a mio parere, non tutto ciò che sembra al di fuori della norma è per forza malvagio.
Insomma, di certo non siamo soli nell’universo (troppo grande per non avere altre forme di vita) e le cose “diverse” non dovrebbero scandalizzarci così tanto.
Per quanto ne sappiamo potremmo essere noi gli alieni su questo pianeta. Chiusa parentesi.

 


°°°°
 
 
 

1. Knocking on the roof.
 
 



Rovistai nella libreria alla ricerca di un buon libro da leggere e, trovatone uno che avevo letto solo tre volte, lo appoggiai con delicatezza sul tavolino vicino alla poltrona. Un leggero fischio segnalò che l'acqua per il tè era pronta, la versai nella tazza, stando ben attento a non scottarmi, e vi posai un filtro del mio tè migliore: qualche minuto e avrei avuto tutto ciò che mi serviva per distendere i muscoli e rilassarmi, senza che nessuno avesse la remota possibilità di rovinare quel momento. Buttandomi a peso morto sul velluto rosso spento e appoggiando le lunghe braccia sui comodi braccioli, mi concessi un sospiro di sollievo. La mansione era deserta finalmente! Mi spostai un po' per trovare una posizione più comoda, stendendo le lunghe gambe per terra. Aprii il libro, prendendo la tazza e soffiandoci sopra con estrema calma. Era tutto così tranquillo e bello da non sembrare ver-
 
Tonf!!
 
“Ma che accidenti?!”
Il soffitto tremò un’altra volta, facendo ondeggiare il candelabro minacciosamente, mentre la polvere cadeva fitta ricoprendomi come fa la neve quando cade giù da un ramo. (Una cosa che trovavo molto fastidiosa, soprattutto quando erano i miei fratelli a farlo di proposito.)
Cacciai via la sostanza grigia dallo smoking, creando delle nuvolette nell’aria circostante, e mi alzai per teletrasportarmi fuori.
 
Tonf!!
 
La tazza mi scappò dalle mani a causa della nuova scossa e il contenuto mi finì diritto in faccia, ustionandomi il volto. Cercando di trattenermi dal gridare e imprecando varie volte, mi appoggiai ad un lato della poltrona mentre la terra tremò ancora.
“Giuro che se becco il responsabile di tutto ciò, gli farò fare un bel volo giù dalle cascate vicine!” ringhiai tra i denti e, dopo vari tentativi a vuoto, riuscii ad arrivare al disopra dell’edificio sotterraneo.
Mi nascosi con cautela tra gli alti alberi, badando bene che nessuno potesse scorgere la mia figura: c’erano degli uomini, probabilmente degli operai visti i vestiti che indossavano, e delle ruspe. A quanto pare stavano spianando il terreno per costrire un nuovo edificio.
Come si erano permessi di entrare nel mio territorio?! Non avevano dato retta alle voci che si erano diffuse nel paese vicino?! Molti prima di loro avevano tentato di violare la foresta, ma ero riuscito a scacciarli via tutti e qualcuno ci era pure restato secco. (Ammetto che la cosa mi aveva fatto sentire in colpa per un breve periodo di tempo.)
Iniziai ad osservarli, arrampicandomi sulla cima di un albero con i lunghi viticci nero pece che si estendevano fluidamente, cingendo i tronchi con maestria, portandomi abbastanza in alto per tenere la situazione sotto controllo.
Decisi di aspettare fino al tramonto, svolgendo allora il mio ruolo senza alcuna fatica.
 
Eheh, vedrete che bel benvenuto vi ho preparato, stolti!
 
Pensai, mentre un sorriso si dipinse sul mio volto, mostrando un’infinità di denti affilati.
 
 
Qualche ora più tardi…
 
 
Il sole era completamente sceso, facendo cadere sull’area circostante un’atmosfera a dir poco spettrale, e gli operai si stavano preparando a ritornare nelle loro case, alquanto impazienti di cenare e riempire i loro stomaci vuoti.
Ero stato davvero fortunato: una densa nebbia si era diffusa nella foresta, era a dir poco perfetto per ciò che avevo pianificato di fare. Respirai l’aria densa e mi teletrasportai vicino ad un’escavatrice dove due operai stavano discutendo animatamente. Mi fermai ad ascoltare.
“Senti, ma non è imprudente stare in un posto come questo?” chiese l’uomo con voce tremolante. Era chiaro come il sole che fosse terrorizzato.
“Che intendi dire?”
“Sai… tutte le storie su questo posto, non sono rassicuranti. Soprattutto su… tu sai cosa.”
“Intendi dire lo Slenderman?”
“Shhh! Non dire il suo nome, potrebbe apparirci alle spalle all’improvviso!”
Sorrisi: non era una cattiva idea. Muovendomi velocemente, salii sulla ruspa, oscurando i pochi raggi lunari che attraversavano la nebbia con il mio corpo snello.
“Ehi, cos’è quell’ombra-?” disse uno dei due, indicando la nera silhouette della mia figura sul terreno. Tirai fuori i viticci in posizione di attacco, lasciandoli ondeggiare minacciosamente al vento, mentre iniziai a fissare i due con scherno.
Quei poveri stolti si girarono e per poco non morirono a causa dell’infarto che gli feci prendere. Il primo rimase congelato sul posto, trattenendo il respiro e forse anche l’anima, mentre il secondo se la diede a gambe levate, incespicando ogni tanto e gettando qualche imprecazione randomica contro l’ennesima pietra che rischiava di farlo cadere al suolo.
Mi concentrai su quello a portata di mano, avvicinandomi a lui. Quando solo pochi centimetri ci separavano, inclinai la testa e la pelle del mio viso iniziò ad aprirsi, fino a rivelare una serie di denti affilatissimi. Un ghigno compiaciuto mi si dipinse sul volto.
Quel mollaccione non resse a lungo, cascando per terra come se fosse stato morto. Sospirai: quando la finiranno di darmi fastidio? Non chiedo tanto, voglio solo stare solo!
Teletrasportandomi alle spalle dell’altro e attorcigliandogli un viticcio attorno alla caviglia, lo trascinai in aria. Quello iniziò a ribellarsi come un forsennato, tanto che dovetti avvolgerlo fin sulla vita per fermarlo. Ripetei lo stesso procedimento di prima, facendogli intendere che lo avrei divorato vivo, ma quello non svenne come l’altro:
“Lasciami andare, bestia immonda che non sei altro! Perché non vai al diavolo?!”
Uh, perché certa gente non può starsi zitta?! Che pezzo di idiota! Come se fosse stato nella condizione di dirmi quelle cose. Debole essere umano, non sai fare altro che giudicare anche quando sai che farai la fine del pollo.
Sorrisi, teletrasportandomi via nel profondo della foresta. Qualcuno griderà parecchio questa notte!
 

Ciò che successe poi…
 

Dopo quella notte, passati i primi due giorni, la situazione sembrava essersi calmata. Non c’era più nessuno e mi sentii sollevato dal fatto che avessero deciso di mollare tutto dopo lo spiacevole incidente accaduto a quegli operai.

Ma purtroppo mi sbagliavo terribilmente…

Il terzo giorno tornarono e portarono con loro la polizia. Appena lo scoprii, rimasi di sasso. Ora dovevo stare attento il doppio, non essendo immune ai proiettili e non avendo capacità illimitate. C’erano troppe persone, mi sentivo come in trappola, stretto dalla morsa della paura di essere rinchiuso nuovamente. Avevo sperato di non provare mai più quella sensazione opprimente, mentre vecchi ricordi riaffioravano alla mente, ricordi che volevo rimanessero sepolti nei meandri della mia memoria, senza riaffiorare mai più alla superficie.
Tutta quella attenzione era insensata: non avevo nemmeno iniziato a infastidirli per davvero! Come si sarebbero comportati se qualcuno fosse morto per sbaglio? Avrebbero mandato l’esercito?
Fui costretto a nascondermi più di una volta e la casa sotterranea rischiò di crollare in molte occasioni. Spaventato da quest’ultima evenienza, dovetti trasferirla in un’altra ubicazione, consumando tutte le mie forze e afflosciandomi successivamente sul mio letto, completamente stremato.
Durante la seconda settimana, decisi di indagare: da ciò che appresi, quel pezzo di terra vicino al limitare della foresta apparteneva ad una vecchia che se ne voleva disfare a tutti i costi, a causa delle voci insistenti sul mio conto, e l’avrebbe venduta a qualcuno che l’aveva comprata a condizione che ci fosse stata una casa di montagna per le vacanze compresa. (Il tutto pagato comunque da questa fantomatica acquirente, non si sa bene per quale misterioso motivo.) Quella vecchia doveva essere davvero disperata! Bizzarro, non credevo gli umani mi temessero così tanto da accettare uno scambio del genere. In un certo senso fui sollevato, almeno non era un centro commerciale o un parcheggio e simili, quelli sì che sarebbero stati problematici da “sgomberare”. Appena i lavori fossero finiti e avessi recuperato tutte le forze, avrei scacciato facilmente chiunque avesse avuto l’ardore di stabilirsi in quella casa.
Iniziò a ronzarmi in testa l’idea di prenderne possesso e di ribattezzarla come mia dimora personale: quella vecchia era ridotta malaccio, l’avrei mollata ai miei “coinquilini” senza guardarmi indietro due volte.
Mentre il pensiero di una nuova casa mi accarezzava dolcemente, prospettando un lungo periodo senza alcun mal di testa, salvo nelle molte occasioni in cui i miei consanguinei sarebbero venuti a farmi visita, iniziai a riflettere sul modo in cui avrei scacciato i probabili abitanti del piccolo edificio. Decisi infine che li avrei spaventati a morte (si fa per dire) e, finalmente, avrei avuto la pace che mi meritavo dopo tutto quel tempo. Niente più cravatte a pois arcobaleno, montagne di rose o vestiti “fashion”! Da troppo tempo stavo aspettando quel momento e ora era così vicino che potevo già sentirne il sapore.
 


°°°°

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Capitolo 2
*** 2. Curious Slender. ***




2. Curious Slender.



Passò all’incirca un mese, ma nessuno si fece vivo. In aggiunta, la data del ritorno dei miei fratelli si avvicinava sempre di più e con questo anche la fine della mia pace interiore ed esteriore: al solo pensiero una fitta lancinante mi attraversava il cervello, prospettando già i futuri mal di testa a cui stavo andando incontro.
In quel periodo, non avendo nulla da fare, decisi di studiare l’edificio, imparando così la disposizione delle camere a memoria. La stanza che preferivo di più era il salotto: spazioso e confortevole, con due divani e una grossa poltrona, un tavolino basso nel centro su cui vi era stata posta una strana lampada cubica e uno di quegli oggetti inutili che gli umani chiamano televisione. Cosa ci trovino di tanto interessante non lo capirò mai…
Mi sistemai sulla poltrona e iniziai a leggere uno dei miei libri che avevo portato con me da casa. La giornata trascorse velocemente, cullandomi tra le parole di quelle pagine e lasciando la mia immaginazione scorrere via come l’acqua di un limpido ruscello che scende a valle. Ogni volta che leggevo, il mondo reale svaniva e con esso tutti i problemi, le preoccupazioni e le noie di una vita passata a nascondersi nel folto della foresta. In quei momenti c’ero io, il mio libro e nessun altro.
Le ore passarono come se fossero state minuti e il cielo si oscurava lentamente, assumendo sfumature rossastre, mentre il sole stava sparendo all’orizzonte. Richiusi il libro, considerando l’idea di dormire nel letto al piano di sopra, che non avevo avuto ancora occasione di provare, ma che probabilmente era più comodo del mio.
Prima che potessi raggiungere il corridoio, il rumore di una macchina arrivò al mio apparato uditivo. Preso totalmente alla sprovvista, mi appiattii al soffitto, nascondendomi nell’ombra e sperai di rimanere inosservato.
La luce dei fari filtrava dalle tende di raso bordò, illuminando parte della stanza. Quando si spensero, tutto piombò in un’oscurità spezzata a tratti da pochi raggi bianchi della luna.
I miei acuti sensi da slender mi permisero di tenere sotto controllo la situazione tramite i suoni dell’ambiente circostante: una portiera che veniva chiusa, il rumore di passi soffici sull’erba, che divennero duri con il contatto con gli scalini di pietra, mi segnalarono la sua posizione esatta.

Tlack!

Il rumore della serratura che scattava metallicamente risuonò nell’aria, girando per ben tre volte prima di sbloccarsi. La porta si aprì con lentezza, scricchiolando rumorosamente, rivelando così la figura di un essere umano con il mano una grossa valigia.
Sebbene potessi vedere nell’oscurità, ogni forma mi appariva confusa. Sapevo che quella persona era lì e ne carpivo i vaghi contorni, ma i particolari erano impossibili da definire: questo era uno dei difetti della capacità di vedere anche nelle tenebre più profonde. Mi appiattii di più al soffitto, sperando che la notte coprisse le mie mosse.
Ad un certo punto ebbi buona ragione di credere che mi avesse scoperto, dato che continuava a fissare il punto in cui mi ero nascosto. Stavo già per teletrasportarmi fuori, spaventato dall’opportunità che stesse cercando di tendermi un agguato, quando quell’essere si inoltrò nel profondità della stanza, ignorandomi totalmente.
Tirai un sospiro di sollievo, non mi aveva visto. La mia era stata soltanto un’impressione dettata dal momento di “tensione” che la sua persona aveva creato, avevo avuto un tuffo al cuore. Colsi l’occasione per scoprire con chi avevo a che fare.
“Dove accidenti è il generatore?!” sentii qualcuno imprecare, mentre il rumore di uno scatolone di cartone che cascava per terra mi segnalò nuovamente dove dirigermi. Doveva essere la persona appena entrata e, grazie al tono della voce, capii che era una donna.
Mi spostai nella direzione da cui proveniva, ritrovandomi in cucina.

Tonf!

Notai che la sua valigia era proprio sotto di me, affianco ad una scatola vuota rovesciata sul pavimento. Lei era indaffarata ad aprire le tende nella stanza. Decisi di avvicinarmi alla sua borsa, captando un odore davvero strano: non avevo mai sentito nulla del genere prima d’ora. La annusai, ma prima che potessi fare altro, mi accorsi di quanto mi ero esposto con quel gesto incauto e mi allontanai di scatto, cercando di evitare quel raggio di luna rivelatore che mi aveva colpito in pieno.

Sbeng!

Sfortunatamente, andai a sbattere contro una lampada sul soffitto, facendomi un male incredibile. Ancora intontito dal colpo, con le mani premute sulle tempie, barcollai e ebbi l’accortezza di nascondermi dietro il tavolo da pranzo, rannicchiandomi su me stesso.

Crash!

L’aggeggio si staccò dal soffitto, facendo girare di scatto la donna a causa del rumore improvviso. Si avvicinò alla lampada che ora giaceva sul pavimento in pezzi e sospirò rumorosamente:
“Sarah, Sarah, non cambierai mai, eh?” blaterò ad alta voce, alzando un pezzo di vetro verso la finestra e osservandone le sfaccettature.
Non sapevo chi accidenti fosse questa Sarah e sinceramente ero troppo occupato a pensare al grosso bernoccolo che mi era spuntato in fronte per preoccuparmene. Mi infilai sotto il tavolo mentre quella passava da una stanza ad un'altra, ignara della mia presenza.

Clack!

Tutte le luci nella stanza si accesero, lasciandomi allo scoperto mentre la sua voce risuonò dal corridoio.
“Ah, finalmente! Ci voleva un po’ di luce.” Dichiarò soddisfatta.
La sua andatura cambiò: stava salendo le scale. Approfittai dell’occasione per uscire dal mio nascondiglio ed avvicinarmi di nuovo alla misteriosa borsa. Non sapevo bene che cosa potesse contenere la borsa di una donna, né avevo mai avuto l’occasione per scoprirlo e sinceramente non mi interessava farlo, ma quell’odore era così strano da accendere in me una grande curiosità.
Piegandomi per evitare ogni altro contatto con oggetti potenzialmente pericolosi per la mia testa, mi avvicinai di soppiatto. Iniziai a fissarla e ad annusarla di nuovo, girandole intorno. Poi, spinto dalla brama di conoscenza, la afferrai e cercai di capire come aprirla.
C’erano dei piccoli numeri posti su delle rotelle girevoli, probabilmente una specie di rebus che mi avrebbe permesso di rivelarne i segreti. Iniziai a girarli a caso con molta fatica, erano davvero troppo piccoli per me!
Nel frattempo i passi della donna riecheggiavano dal piano di sopra attraverso il pavimento, probabilmente occupata a visitare le stanze della sua nuova casa.
Dopo un minuto buono di tentativi, i polpastrelli iniziarono a dare problemi e iniziai a sentire i primi dolorosi crampi alle dita. Persi la pazienza, cercando di aprirla con la forza con i viticci, ma niente!
Senza pensarci, iniziai a ringhiarle contro:
“AH! Così vuoi la guerra, stupida valigia?! Adesso ti faccio vedere io!!”
La mia bocca si aprì, rivelando una schiera di denti sottili e affilati. Iniziai a morderla, sperando vivamente che si aprisse.

Crack!

Finalmente il duro materiale di cui era fatta cedette sotto la mia salda morsa e stavo quasi per esultare dalla gioia quando la vidi.
Davanti a me c’era una donna che mi fissava esterrefatta, ferma sulla fine del corridoio che collegava la sala da pranzo con le scale.
Ma la cosa che mi colpì più di tutto fu il colore innaturale dei suoi capelli, che erano rossi come il sangue.
 


°°°°

 

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Capitolo 3
*** 3. Welcome! ***


 

3. Welcome.



Congelandomi sul posto, la fissai stupefatto.

Mi ha scoperto!

Lasciai cadere la borsa rotta per terra ed indietreggiai di un passo mentre lei continuava a fissarmi: era immobile e pareva avesse smesso di respirare. Poi mosse il piede sinistro all’indietro, senza mai perdermi d’occhio, scrutandomi con uno sguardo indecifrabile.
Senza nessun preavviso, iniziò a tremare e si appoggiò al muro, scivolando sulla superficie finché non si fu seduta. Il suo respiro accelerò notevolmente, probabilmente a causa della paura che le incutevo, che la blocco e le impedì di gridare.
Mi teletrasportai fuori, vicino ad un albero e mi ci appoggiai. Ero stato incauto, troppo incauto… non ero un novellino e ciò che mi era accaduto era imperdonabile. Come avevo potuto abbassare la guardia? Per uno stupido odore poi?! Che accidenti mi era saltato in mente?
Beh, almeno l’avevo spaventata, era ciò che volevo!
Iniziai a dirigermi verso casa, contemplando la foresta avvolta dalle tenebre notturne. Nel cielo scuro splendevano innumerevoli stelle, la luna piena brillava più del solito e qualche gufo svolazzava da un albero all’altro.
Era tutto così tranquillo e pacifico tanto che desiderai ardentemente restasse così per sempre.
Mancava poco per arrivare, mi teletrasportai direttamente sull’uscio.
“Casa dolce casa! Soprattutto silenzios- “

Sponk!

Abbassai subito lo sguardo, notando che c’era qualcosa davanti al mio piede. Una grande borsa nera a pallini multicolore giaceva a terra, abbandonata lì, segnale della fine imminente della mia pace. Rimasi a fissarla, sperando con tutte le mie forze che fosse solo un’allucinazione visiva dovuta all’adrenalina che l’incontro con quell’umana mi aveva provocato. Ma era lì e non sembrava voler sparire.
“Oh, no…”
Indietreggiai di un passo, considerando l’idea di darmela a gambe levate e nascondermi in qualche luogo remoto della nazione. Guardai a destra e sinistra, controllando che nessuno mi avesse visto e indietreggiai di nuovo, molto lentamente.

Sbeng!

Girai la testa lentamente, sudando freddo, incontrando così un grosso sorriso e due occhi più neri dell’oscurità stessa.
“Fratellone, ti ho trovato!!” disse allegramente l’altro slender, abbracciandomi e rischiando di stritolarmi.
“S-splendor… s-sto… s-soffocand-!!” cercai di liberarmi dalla sua stretta di eccessivo affetto, riuscendoci per mia fortuna.
“Ahah, scusa Slendy, a volte non riesco a controllarmi! Ero venuto a cercarti dato che non eri in casa. Mi sei mancato tantissimo, fratellone!!” si riattaccò di nuovo a me, rischiando di farmi morire un’altra volta per la mancanza di ossigeno. Certe volte Splendor è fin troppo affezionato. Beh… diciamo sempre. Si fida degli altri come un’idiota, finendo così per farsi male da solo e quando perde il controllo è meglio non essere nelle vicinanze. In quei momenti fa davvero paura, ma per fortuna ciò accade di rado, di solito è molto solare e alquanto invadente.
“O-ok, ok, ho capito, ti sono mancato! Ma voi tre non dovevate rimanere ancora per una settimana? E’ successo qualcosa?” iniziai a fissarlo con sospetto, che cosa avevano combinato questa volta?!
“Oh, ecco… nulla di grave! Non ti preoccupar- “
“E’ stato lui, vero?!” lo interruppi con rabbia. Si, doveva essere così! Causava così tanti problemi che ancora mi stavo chiedendo per quale strano motivo gli permettessi di stare ancora in casa con noi.
Splendor abbassò la testa, il suo sorriso si ribaltò ed annuì tristemente.
“Che diavolo ha combinato questa volta quell’imbecille?!” ringhiai furioso, mentre mi sentivo bruciare dalle viscere.
“E-ecco… a quanto pare ha di nuovo importunato l’essere sbagliato e con importunato tu sai cosa intendo...” disse arrossendo per l’imbarazzo a causa della sua timidezza riguardo l’argomento alquanto scottante.
Assunsi un’espressione schifata, mentre dentro di me si dipingevano le visioni più terrificanti: banditi dalla terra, condannati a morte o a stare appesi ad un masso fino alla fine dei nostri giorni e chissà quali altre terribili conseguenze il gesto di mio fratello avevano provocato.
Scacciai via un brivido e mi riappropriai della mia rabbia.
“S-sì, ma per fortuna non è successo niente! Trendor l’ha bloccato prima che potesse avviare l’opera… “dichiarò Splendor, un po’ spaventato dalla mia ira, il suo volto era ancora tutto rosso.
“Uff… che fortuna!” dissi sarcastico “E adesso di preciso dove sono quei due?” incrociai le braccia, sbattendo la punta del piede destro a terra ripetutamente.
Splendor iniziò a giocare con le dita con fare nervoso, sospettosamente nervoso.
“Ecco, sono stati trattenuti lì per quello… hanno detto di non preoccuparsi e che ci raggiungeranno presto.”
In quel momento potevo interrogarlo, fargli domande fino a portarlo sull’orlo dell’esasperazione e di sicuro gli avrei strappato tutto ciò che sapeva, ma ero davvero troppo stanco.
Era incredibile il fatto che ogni volta che i miei fratelli facessero un viaggio senza di me si cacciassero nei guai, guai seri. La mia testa si era fatta pesante e potevo già sentire il mal di testa che bussava alla porta.
“Va bene così, Splendor. Ora sarà meglio se ci rilassiamo… mi sento già debole…”
Splendor mi guardò preoccupato, saltandomi addosso e prendendomi in braccio.
“Oh, no!! Stai bene, fratellone?!?! Hai la febbre?!? Non ti preoccupare, mi prenderò cura io di te!!” ci avrei capito qualcosa, se non fosse stato per il fatto che Splendor disse tutto così velocemente che non ci capii una cippa.

Che accidenti?

Spuff!

Fui buttato sul divano senza neanche accorgermene, ricoperto di coperte due secondi dopo e costretto a bere non so cosa. Totalmente confuso, gli chiesi gentilmente:
“Splendor, che diavolo fai?!?” beh… non poi così tanto gentilmente.
“Volevo aiutarti, hai detto che ti senti debole, devi essere ammalato!”
Non so perché, ma in quel momento desirai tanto sapere dove aveva lasciato il suo cervello. Probabilmente sarà stata quella volta in cui gli era caduta la libreria in testa da piccolo che gli aveva tolto tutto il buon senso.
“Splendor…” dissi con un tono monotono “tu lo sai che noi slenders non ci ammaliamo, vero?”
Lui rimase fermo, con un’espressione da idiota sul volto. Iniziò a fissare il terreno con un’aura depressa: “E’ vero… sono un’idiota” si rannicchiò in un angolo, disegnando figure immaginarie nel pavimento con il dito.

Su questo non c’è dubbio.

Pensai, liberandomi dall’abbraccio delle coperte. Presi la tazza e ne bevvi un sorso.

Pffftttttt!!

“Che c’hai messo qui dentro, Splendor?!? Ha un sapore che supera la definizione di terrificante!!!” gridai, cercando di far sparire quel gusto orribile dalla mia bocca, sputazzando per tutta la stanza.
“Ci ho messo solo tè…”
“Sicuro?” chiesi sospettoso.
“Si!”
“Sicuro, sicuro?”
“Si! Quello e del colore giallo con del glitter. A tutti piacciono!”
Sentii che stavo per vomitare, mentre la strana impressione che Splendor stesse cercando implicitamente di provocarmi problemi intestinali divenne sempre più reale.

Sarà una lunga notte. Molto, molto lunga…

°°°°

 

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Capitolo 4
*** 4. Little tiny secret. ***



4. Little tiny secret.



Mossi la testa, cambiando posizione nel letto, cercando di mantenerne ancora per un po’ il suo accogliente tepore. Il cuscino era un po’ vecchio, ma era ancora accettabile e ci si stava decentemente. Non filtrava alcuna luce dalle finestre, ma il mio orologio interiore ( proprio come quello degli animali) mi diceva che doveva essere l’alba. Mi alzai piano, ancora sonnolento. Rabbrividii a contatto con il vento gelido della stanza, strofinando le braccia, e mi trascinai in cucina per preparare la colazione.
Sì, so cucinare. Potrebbe sembrare sorprendente, ma è normale alla fine dei conti. Di certo non posso lasciar cucinare i miei fratelli: sono dei totali incapaci in quel campo e non ci tengo proprio a star male ogni qual volta venga il loro turno. Quindi decisi di incaricarmi di questo onere, oltre a quello di far la guardia alla proprietà e alla foresta.
Presi gli ingredienti e mi misi all’opera.
Appena tutto fu pronto, Splendor sbucò dalla sua stanza e si precipitò sul tavolo della cucina, sedendosi sulla sedia colorata, attualmente la sua preferita, e tenendo coltello e forchetta verticali al tavolo, guardò il piatto con gli occhi languidi.

Growl!

Il suo sguardo mi stava supplicando di dargli da mangiare. Sospirando, presi il suo piatto e glielo misi davanti:
“Buon appetito, Splendor, e buon giorno!”
Lo slender si buttò sul cibo come se non ne vedesse da giorni.
“Grascie… e buon ciorno anscie a te!” disse quello con la bocca piena di cibo.
Finimmo di mangiare, sparecchiai la tavola e ci accomodammo sul divano. Splendor si sedette composto e rimase immobile a fissare il pavimento: sembrava così serio in quel momento, troppo serio e la cosa mi preoccupò non poco. Era davvero raro vederlo in quello stato e significava una cosa sola: guai biblici.
“Slender, ho bisogno di parlarti…” la sua espressione divenne ancora più grave e io ancora più teso.
“D-di cosa vuoi parlarmi?” chiesi, mentre un leggero tremito attraversò le mie parole. La mia immaginazione iniziò a lavorare più del dovuto, profilando altri scenari apocalittici e chissà che altre terribili vicende avevano causato la serietà di Splendor.
Allargai nervosamente la cravatta, scuotendo la testa per cercare di mantenere la mia fredda compostezza.
“Ho fatto amicizia con un essere umano e vorrei andare a trovarlo. Nontiarrabbiaretipregotipregotiprego” l’ultima frase fu detta con una tale velocità che non ne colsi il completo significato.
Tirai un sospiro di sollievo, ringraziando qualsiasi entità superiore per il falso allarme. Era solo un altro dei suoi stupidi amichetti.
“Va bene.”
Di solito gli avrei sbraitato contro, cercando di fargli cambiare idea sulla pericolosità degli umani e avrei fatto di tutto per tenerlo al sicuro, ma non accadde.
In quel momento le parole mi uscirono così naturali che io stesso ne fui sorpreso.
“Davvero???”
Affermai con la testa e lui mi saltò addosso gridando:
“Grazie, grazie, grazie, grazie!! Sei il miglior fratellone al mondo!” mi strizzò per l’ennesima volta con uno dei suoi abbracci e si teletrasportò via lasciando l’intera stanza incredibilmente silenziosa e vuota.
La sua allegria era incredibile e i suoi sbalzi di umore a volte allarmanti, ma era rimasto lo Splendor di sempre, quindi non c’era nulla di cui preoccuparsi…
Ma allora perché tutta questa faccenda mi lasciava dentro uno strano senso di inquietudine? Andai verso la libreria e presi un libro, cercando di concentrarmi sulla lettura. Gli unici rumori che si udivano in quel momento erano quello dei fogli di carta e il ticchettio dell’orologio a pendolo.

Tik tok!

Avvicinai di più il volto alle pagine, cercando di ignorare quel rumore che stava iniziando a tediarmi e la mia strana sensazione.

Tik tok, tik tok!

Appiccicai la faccia nel libro, cercando di farcela sparire al suo interno. Sembrava quasi come se il ticchettio stesse aumentando di volume.

Tik tok, tik tok, tik tok, tik tok!!!

“Accidenti!” gridai, buttando il libro in un angolo. Mi teletrasportai fuori: dovevo sapere chi era quella persona, per la sanità mentale del mio fratellino!
Seguii le sue tracce per tutto il bosco, finché non raggiunsi il limitare della foresta: a quanto pare doveva essere entrato nella vicina cittadina. Cercai di mimetizzarmi tra gli edifici, seguendo velocemente la pista lasciata dal suo odore.
Arrivai fin nel parco, dove lo vidi. Era seduto su una panchina appartata e nascosta, sembrava stesse aspettando qualcuno mentre i suoi occhi fissavano il viale con sguardo assente. Mi appostai su un albero vicino, abbastanza grande da celare la mia presenza.
Dopo qualche minuto apparve qualcuno alla fine della strada ciottolosa, un essere umano. Aveva una grande felpa bordò addosso con un cappuccio che ne copriva il volto. Camminava velocemente, con le mani nascoste nelle tasche inferiori del vestito, e si avvicinò a Splendor, alzando la mano destra in segno di saluto. Lui sembrò destarsi dal suo strano stato di torpore e le sorrise salutandolo a sua volta. Quella persona tirò fuori una busta con dei croissant all’interno, lo capii immediatamente dall’odore, passandone uno a Splendor, e iniziò a mangiare il suo con voracità.
Inclinai la testa, cercando di analizzare in che rapporti fossero quei due. Continuai a fissarli per un’ora buona, di qualsiasi cosa stessero parlando doveva essere importante. Mi avvicinai di più per sentire, teletrasportandomi sull’albero sopra di loro.
“Non è colpa sua se è diventato così, come ti ho già detto prima, è colpa loro” disse fermo Splendor, quasi come se stesse cercando di convincere l’umano di qualcosa. Quello si girò verso Splendor e gli diede una pacca sulla spalla:
“Non fa niente, non è la prima volta che accade una cosa del genere.”
La sua voce era stranamente rauca, ma mi sembrò di averla già sentita da qualche parte.
Cercai di avvicinarmi di più, sporgendomi dal ramo per capire perché mi fosse così familiare.

Crick!

Feci un altro incauto passo avanti.

Crick, crick!

Avvolsi i viticci al tronco per avvicinarmi maggiormente.

Crack!!

Il ramo si staccò improvvisamente dal tronco, cadendo sulla zucca di Splendor che d’istinto aveva abbracciato quel piccolo essere per proteggerlo, e con esso finii a terra, gambe all’aria con la schiena sull’erba dietro la panchina.
Ripresomi dalla caduta, diventai invisibile per non farmi scoprire.
Splendor era ancora rintontito dall’impatto e degli strani unicorni arcobaleno stavano volando in cerchio sulla sua testa.

Devo aver sbattuto forte la testa nella caduta per vedere cose simili…

L’invisibilità era un vantaggio considerevole in situazioni di pericolo, gli unici problemi erano che:
1) L’intero processo mi stancava considerevolmente;
2) I miei movimenti diventavano più lenti;
3) Se qualcuno avesse sparato un colpo con una pistola nella mia direzione, il proiettile mi avrebbe danneggiato. (Insomma posso diventare invisibile, non immateriale.)
Mi teletrasportai vicino casa, sentendo che le energie si stavano consumando velocemente. Andai in camera mia, buttandomi sul letto. Non ricordo per quanto tempo rimasi lì, ma non ci feci caso, ero davvero troppo stanco per rendermene conto. Dopo un’indefinita quantità di tempo, sentii la porta principale aprirsi. Sapevo bene chi era, il suo odore di zucchero filato e torte alla carota era inconfondibile.

Tok, tok!

“Entra pure Splendor…” dissi piano con le poche forze che mi erano rimaste.
Lui entrò e si sedette sul letto accanto a me.
“Sicuro di non avere la febbre, Slendy? Ti comporti in maniera strana da quando sono tornato a casa!” mi chiese scherzosamente, grattandosi la tempia.

Puff!!

Il mio cuscino si posò poco gentilmente sulla faccia del mio fratello minore, che si bloccò con le mani alzate, totalmente preso alla sprovvista dal mio gesto.
“Non fare l’idiota, Splendor! Te l’ho già detto che gli slenders non si ammalano.”
“Si, si, lo so… stavo solo scherzando!” affermò sorridendo “Comunque sono venuto perché devo darti una cosa!”
Mi alzai incuriosito, appoggiandomi al muro per rimanere seduto. Inclinai la testa di lato e iniziai a fissarlo mentre lui stava frugando nella tasca della sua giacca. Dopo un po’ iniziai a perdere la pazienza e misi il broncio.
“Allora?!” chiesi irritato.
“Aspetta, aspetta! Deve essere qui da qualche parte!”
Splendor iniziò a frugare furiosamente in tutte le sue tasche, alla disperata ricerca di qualcosa.

Doon!

Si incupì di botto, rannicchiandosi alla fine del mio letto, e iniziò a sussurrare frasi senza senso.
“Idiota… panchina… forse lì? No, no… quello era prima… a casa sua? No… forse… si? Boh…”
Cercando di risollevare la situazione gli chiesi: “Sicuro di non averlo lasciato nelle tasche dei pantaloni? Non è la prima volta che succede…”
Lo slender si illuminò improvvisamente e iniziò a controllare dove gli avevo consigliato. Poi ne tirò fuori un piccolo libricino che sembrava la copia rimpicciolita di quello che avevo letto la sera prima nella casa di quella tizia e me lo mise in mano.
“Sei contento fratellone? Ho ritrovato il tuo libro!” affermò tutto allegro.
“Io non ho perso nessun libro!” gli dissi con espressione seria.
“Ma quel libro è tuo, c’è pure la tua firma alla fine!”
Infatti ho sempre avuto la strana abitudine di firmare tutti i miei libri, non so bene perché, ma mi piace farlo.
Lo aprii nell’ultima pagina dove c’era una strana striscia nera in basso a destra. Splendor tirò fuori una lente d’ingrandimento dalla giacca e la mise su quel segno incomprensibile.

Slender
 
Slender

Era quello che c’era scritto ed era innegabilmente la mia firma. Rimasi a fissarlo per un po’ e, ritrovate le forze, mi precipitai giù dalle scale fino alla libreria.
Là dove doveva esserci quel libro, c’era solo un grosso spazio vuoto.
“Che diavoleria è mai questa? Splendor!” chiamai mio fratello, lui doveva sapere!
“S-si?” chiese lui sbirciando dalla soglia della porta con fare preoccupato e timoroso.
“Com’è arrivato il mio libro nelle tue mani? E come mai si è rimpicciolito?”

°°°°

 

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Capitolo 5
*** 5. A very long story. ***


 

5. A very long story.



Slam!

Splendor chiuse la porta di scatto, altamente terrorizzato da una mia possibile reazione violenta, e mi disse, nascosto dietro a quell’effimera protezione:
“Prima promettimi che non ti arrabbierai o reagirai come quella volta con la zia Endergarda!”.
Scossi la testa ripensando a quell’episodio sfuocato nella mia memoria, era passato così tanto tempo che credevo l’avesse dimenticato! E a dirla tutta, io non ricordavo bene cosa fosse accaduto quel giorno… strano che lui lo ricordasse.
“Questo è da vedersi…” mi teletrasportai davanti a lui facendolo sobbalzare violentemente “… prima di tutto parla e poi si vedrà.”
Un’aura nera circondava il mio corpo.

Nessuno rovina le mie cose e la passa liscia.

Splendor cercò di proteggersi con i suoi viticci, creando una barriera:
“E-ecco… è una lunga storia.”
La sua pelle divenne più bianca del solito: stava cercando di trovare un modo per sviare il discorso e, per sua sfortuna, io non sono uno stupido.
“Abbiamo tutto il tempo, quindi racconta pure, non sto più nella pelle!” dissi oscurandomi ancora di più. Trascinai di forza il mio fratellino per le spalle, sembrava essersi pietrificato dalla paura e ne aveva tutte le ragioni.
Lo presi di peso con i viticci e lo misi sul divano, mi accomodai sulla mia poltrona e iniziai a fissarlo con le mani giunte, lo sguardo torvo e un’aura a dir poco spaventosa che circondava la mia essenza.
L’aria nella stanza era glaciale. Splendor cercò di recuperare un po’ di coraggio per raccontare ciò che aveva provocato l’improvviso rimpicciolimento del mio amato libro.
E così iniziò il suo racconto:
“Avevo deciso di ritornare a casa, non volevo rimanere ad aspettare che i miei fratelloni si togliessero dai pasticci, l’attesa sarebbe stata noiosissima. Purtroppo ho deciso di prendere la strada di destra, poiché non trovavo più la mappa che avevo messo da qualche parte che non ricordo, e credevo che fosse quella giusta. Non sai per quanto tempo ho girato in quella foresta, non ci ero mai stato prima, ma dopotutto è per questo che ci siamo diretti lì, non l’avevo mai vista… bla… collina… bla, bla… sono inciampato… bla, bla, bla… stavo girando in tondo… bla, bla…”

Molto tempo dopo…

La mia mente iniziò piano piano ad assopirsi, era passata all’incirca un’ora (o forse di più?), ma nulla che spiegasse ciò che era accaduto al mio libro era stato nominato dal mio fratellino incauto. Mi raccontò tutto con una minuzia a dir poco eccessiva (insomma, non è che le sfumature dell’erba del fosso in cui ci sei finito di faccia sia un argomento poi così interessante!).
Mezzo rintontito e con la rabbia che si era consumata come una candela accesa, trovai la forza di fermare tutto quel nonsense di inutili particolari e episodi così futili da non meritare di essere raccontati.
“… e allora la coccinella mi ha detto che avrei trovato ciò che cercavo se fossi andato dritto e mi fossi infilato nel buco dell’albero e quindi mi- “
“Basta! Che cosa ha a che fare tutto questo con il mio libro?!” alzai le braccia al cielo.
“Te l’avevo detto che sarebbe stata una storia lunga, non ti preoccupare non manca molto, ci sono quasi arrivato”.
Lasciai ricadere le braccia a terra, sospirai e continuai ad ascoltarlo.
“Allora, dove ero rimasto? Ah, sì! Quindi mi sono infilato in quell’albero, ma era un po’ troppo stretto per me e sono rimasto bloccato… bla, bla…”

Un’altra lunga ora dopo…

Yawn!

Trattenni un altro sbadiglio, appoggiai la testa sulla mano e continuai a fissare mio fratello. Aveva il papillon storto.

Zzzzzzzz…

Due ore più tardi…

“…e poi, BOOM!!!
Mi svegliai di soprassalto, scuotendo la testa per cercare di rimpossessarmi delle mie facoltà mentali.

Tre ore più tardi…

Con le mani poggiate ai lati del volto, mi buttai sullo schienale della poltrona, incurvandomi all’indietro e cercando di calmare il feroce mal di testa che si era impossessato del mio povero cervello.

Quattro ore dopo. (Aiuto! Sto per scoppiare!)

La mia testa era tutto un dolore, ma almeno eravamo arrivati al punto. Comunque mi ero perso qualcosa mentre mi ero appisolato, ma non volevo assolutamente che ricominciasse tutto da capo.
“… e allora ho visto quella nuova casa, qui, nella nostra foresta. Ci sono entrato e ho ritrovato la mia amica! Ero davvero felice, ma lei non sembrava stare molto bene. L’ho aiutata e per fortuna, grazie al siero che aveva nella borsa, sembrava stare meglio! Certo quella cosa aveva un odore davvero strano… comunque, mi ha raccontato di tutto quello che hai combinato, Slender, e devo dire che sono rimasto scioccato. Non avrei mai potuto credere che tu potessi fare una cosa simile, proprio tu che ti definisci un gentiluomo!”
Ok, Splendor che mi fa la predica è il colmo! Aspetta… quindi l’amico di Splendor è quella tipa dai capelli rossi che ha distrutto la mia quiete, rovinato la mia foresta e che attualmente è l’unica cosa che mi divide da una vita solitaria, tranquilla e piacevole in una bella casa nuova?!
“E il libro?” chiesi spazientito.
“Quale libro??” mi chiese Splendor con sguardo perso.
Se n’era dimenticato. Grandioso!

Sbeng!

“Questo!!” il piccolo oggetto incriminato gli era finito diritto in fronte.
Dopo qualche secondo di silenzio, la sua mente sembrò riaccendersi all’improvviso, rimembrando ciò che mi interessava.
“Ahhh! E’ stata tutta colpa mia, ho rotto una delle boccette che mi aveva regalato la strega gentile sul tuo libro. Al lo aveva trovato in corridoio, probabilmente ti sarà caduto quando hai distrutto la lampada! Comunque, visto che ora sai tutto, posso presentartela!”
“Cos-?” fui trascinato fuori da Splendor.
“In un certo senso la consci già, non fare il timido!” disse con un gigantesco sorriso in faccia, fui spinto via di qualche passo.
“Io non voglio conoscere nessuno!” sottolineai la parola “nessuno” cercando di fargli capire quanto la cosa non mi piacesse.
“Ma è la nostra vicina e poi sei stato tu a rompere cose che non ci appartengono! Almeno scusati con lei.”
“Ehi, è stata lei a invadere il nostro territorio, quindi non è colpa mia e non mi scuso!” cercai di ritornare dentro, ma Splendor mi teletrasportò davanti alla casa di quella tipa.
“Ti pregooo!!” lo slender arcobaleno sfoderò uno dei suoi sguardi più dolci e melensi di sempre, cercando di convincermi con quella che era la sua più subdola arma: la tenerezza.
“…”

Non lo guardare Slender, se lo guardi è finita.

“Per favore, fratellone! Poi non dovrai fare più niente, lo giuro!” le sue guance assunsero un colore rosso porpora, diventando paffutelle e tenere, i suoi occhi erano languidi più che mai e si era fatto piccolo piccolo per rendere il tutto più credibile.

Oh, no…

“E va bene… ma se sviene di nuovo non la prenderò in braccio e né aspetterò che si riprenda. Mi scuserò e basta.”
“Yuppie!!” gridò lo slender trascinandomi fino alla porta.
 
°°°°

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Capitolo 6
*** 6. Unexpected. ***


 

6. Unexpected.
 


Fissai la porta, indugiando sulla soglia e sullo strano tappetino rettangolare che recava la scritta in inglese “OH NO! NOT YOU AGAIN”.

Devo averne uno da mettere davanti alla porta della mia camera!

Posai la mano destra sulla bocca per nascondere il sorriso che era nato a causa di quel oggetto d’arredamento.
“Pronto fratellone? È arrivata l’ora di farsi un nuovo amico finalmente!” disse Splendor tutto allegro, alzando le mani al cielo e saltellandomi intorno.
“Che cosa stai implicando Splendor?! Io ho degli amici e comunque non vedo la necessità di un atto simile! Non dovevo scusarmi e basta?” chiesi spazientito.

Non ho bisogno di nessuno, mai ne ho avuto e mai ne avrò.

“Si, si, va bene. Però ora entriamo!” lui alzò gli occhi al cielo e iniziò a frugare nelle tasche della giacca.
“Cosa stai cercando Splendor?”
Lui si bloccò all’improvviso e mi guardò con un’espressione alquanto stupita.
“Sto prendendo le chiavi…”
“Quali chiavi?” incrociai le braccia guardandolo con sospetto.
“Le chiavi della casa, cosa se no?” e ricominciò a frugare nelle tasche.
Lo fissai per un lungo minuto, uno strano pensiero mi attraversò la mente per poi scomparire due secondi dopo.

Può essere che…? No, è impossibile! Non prima di me!

Ero totalmente sconvolto e se ciò che avevo pensato fosse stata la realtà? Sentii il sangue gelarsi e uno scenario profilarsi ai miei occhi…
“Mi dispiace non avertelo detto, fratellone, volevo farti una sorpresa!” disse Splendor sorridendo e abbracciandomi improvvisamente.
“C-cosa significa tutto questo?” chiesi terrorizzato.
“Lei non è solo una mia amica…” continuava lo slender con lo sguardo pieno di felicità e sentimento. Avevo sempre più paura, prevedendo ciò che sarebbe accaduto di lì a poco.
“S-splendor… ti prego, non dirmi che- “
“Si, ci sposeremo e a breve avremo un bambino! Non sei contento Slender? Diventerai zio!!” gridò felice, strizzandomi ancora di più, con lacrime di gioia ai lati degli occhi. Sbiancai, diventando più bianco del bianco stesso. Le gambe si appesantirono e sentii il mondo intorno a me girare vorticosamente.

Tump!

Mi afflosciai, mentre nella mia testa rimbombavano ancora gli echi di quelle parole.

Matrimonio? Bambino? Zio? Non è giusto, non doveva finire così! Non voglio rimanere zitello a vita!!!

Tutto divenne buio.

Clack!
 


°°°°




Viaggiai nelle tenebre, avvolto dall’oscurità più totale. Dopo poco iniziai a sentire delle voci e i miei sensi iniziarono a ritornare nel mio corpo:
“E’ caduto per terra all’improvviso, non so cosa accidenti sia successo!! Mi ha fatto prendere un colpo, pensavo fosse morto!!” doveva essere Splendor.
“Sicuro di non avergli detto o fatto niente?” era una voce che aveva un non so che di familiare.
“Non gli ho fatto nulla di male, volevo solo che facesse amicizia con te!”
“Oh bè, allora sarà un caso di eccessiva immaginazione, chissà che avrà pensato appena avrà saputo che avevi le chiavi di casa mia. Non è la prima volta che mi succede un cosa simile, per quanto strano possa sembrare. Attualmente, nell’intero arco della mia vita, mi sono accadute molteplici cose che possono essere definite come al limite del possibile.”
Aprii gli occhi, ero su qualcosa di soffice e comodo. Mi alzai lentamente, osservando l’ambiente circostante: ero nella camera da letto al piano superiore dell’edificio, Splendor era seduto sul letto accanto a me con le mani sul volto.
Proprio davanti alla sua figura, vicino alla porta e appoggiata al muro, c’era la tipa dai capelli rossi. Aveva un’espressione piuttosto normale… e non è possibile per un essere umano averla quando sono nelle vicinanze. Inclinai la testa fissandola.
Lei si accorse che mi ero svegliato e girò gli occhi nella mia direzione restando totalmente impassibile. Fissai i suoi occhi ambrati che mi fecero davvero una strana impressione.
“A quanto pare tuo fratello si è svegliato” disse lei con la voce leggermente rauca “se mi cercate sono al piano di sotto” e così dicendo uscì dalla stanza a grandi falcate.
Non ebbi nemmeno il tempo di dire una parola e né di restare stupito dalla sua totale mancanza di paura nei miei confronti, che mi ritrovai Splendor addosso che stava versando catini di lacrime sul mio povero smoking.

Buaaah!

“S-splendor! Calmati! Mi stai bagnando tutto il vestito!” lo respinsi con forza, cercando di arginare il fiume che stava uscendo dai suoi due occhi neri.
“Fratellone, stai bene!!” gridò mentre sul suo viso c’era un gigantesco sorriso, strizzandomi poi in un nuovo abbraccio pieno del suo affetto fraterno.

Il suo affetto mi ucciderà un giorno di questi!

“Si, ma basta piangere! Non sei un bambino Splendor!” lo rimproverai e per mia fortuna chiuse la diga.
Rimanemmo per un po’ in silenzio, Splendor tossì qualche volta imbarazzato. Un sacco di domande mi frullavano nel cervello in quel momento.
“Non capisco…” dissi scettico, più a me stesso che al mio fratellino.
“Cosa non capisci?” mi chiese lui curioso, avvicinando la sua faccia alla mia.
“Come mai due reazioni tanto differenti? La prima volta che l’ho incontrata è quasi morta di paura e ora ha reagito come se niente fosse… quasi come se mi ritenesse al pari di un essere umano” misi la mano sul mento, riflettendo su ciò che era accaduto. Doveva esserci una spiegazione logica!
“Oh, io, io!” pronunciò allegro Splendor, alzando la mano quasi come se fossimo tornati a scuola.

Brutti ricordi in arrivo… avanti Slender, quel periodo non è mai esistito, è solo tutto nella tua testa!

Repressi il passato e mi concentrai su mio fratello:
“Che c’è Splendor?”
“Ecco da ciò che mi ha raccontato Al, lei ha dei problemi di salute molto gravi e se non prende regolarmente quel siero di cui ho parlato potrebbe morire! La sera in cui è arrivata ha incontrato te che giocavi con la sua borsa e non ha potuto prenderlo. Per fortuna che sono arrivato io o sarebbe mo-“ si bloccò per qualche minuto, impallidendo. E fu così che il mio fratellino scoppiò di nuovo a piangere “ho rischiato di perdere mio fratello e la mia amicaaa!!”.
Questo non spiegava comunque il perché non avesse paura di uno slender.
Sospirai rumorosamente, mentre Splendor si precipitò al piano di sotto e con lui tutte le speranze di una spiegazione decente. Lo seguii con tutta la calma e appena arrivato stava abbracciando la sua amica.
“Non morire Al, promettimi che non ti accadrà mai nulla di brutto!” disse lui triste.
“Non posso assicurarti niente, ma ci proverò” proclamò con sicurezza lei, sfuggendo da quella stretta soffocante. Notai che aveva tre mug e un odore di cioccolato proveniva dalla cucina.

Eh-ehm!

I due si girarono nella mia direzione. La rossa si avvicinò a me:
“Tu dovresti essere Slenderman, il fratello maggiore di Splendor, giusto?” mi chiese con totale naturalezza. Mi fece davvero una strana impressione parlare con un essere umano come se niente fosse, come se non fossi diverso da quella persona.
“Si…” dissi sentendo uno strano senso d’imbarazzo. Questo era il mio primo incontro che prevedesse una vera conversazione con un’umana e niente urla di terrore, paura cieca e simili. In quel momento non sapevo cosa dire. Un tempo avevo immaginato come sarebbe stato avere un amico umano e ci avevo fantasticato abbastanza sopra, ma era passato tanto tempo e mi sentii totalmente inadeguato.

Cosa ci faccio io qui? Non so neanche cosa dire…

“Piacere, io sono Aliaga. Ti va un po’ di cioccolata calda, Slenderman?” mi chiese fissandomi “ne stavo preparando un po’ per me e dato che ci siete tanto vale farne per tutti”
“Ok…”

E a quanto pare il mio buonsenso è morto.

“Allora, se volete scusarmi, io vado in cucina a preparare le nostre bevande! Voi state in salotto e se avete bisogno del bagno è proprio in fondo al corridoio, vicino alle scale. Non rompete niente, io sono solo in affitto qui!” sottolineò l’ultima frase con uno sguardo torvo che non accettava repliche.
Ci sedemmo sul divano con le gambe che oltrepassavano il tavolino del salotto. Questi mobili umani mi fanno sempre sentire ridicolosamente grande.
“Woah, fratellone! Da quando parli in monosillabi?” mi chiese Splendor incuriosito.
“Cosa?! Io non parlo in monosillabi…”
“E allora che stavi facendo due secondi fa? Poi non volevi solo chiederle scusa e andartene?” un piccolo sorriso apparve sul suo volto e i suoi occhi brillarono di una luce che mi inquietò nel profondo.
“Stavo solo aspettando l’occasione giusta per farlo, non voglio sembrare scortese” ignorai la prima domanda.
“Non è che…” il suo sorriso si ingrandì.
“Non è cosa?!”
“No, no, niente…” iniziò a ridacchiare sotto i baffi.
“Che caspita c’è che non va Splendor?!?” mi alzai, cercando di non rompere niente.

Pfft!

Lui nascose la testa, arrotolandosi a riccio e cercando di non scoppiare dalle risate, invano. Qualche secondo dopo infatti si stava rotolando sul pavimento.
“Splendor! Sei uscito fuori di testa?!” lo presi per le spalle per guardarlo in faccia.
“Ah… no, no è solo che è divertente! Pfft…”
“Cosa è divertente?!?” gli chiesi terribilmente irritato dalla sua strana reazione prendendolo per il colletto.
“Ahahah, ti piace!” il suo sorriso era diventato gigantesco. Sbiancai.
“Ti sbagli Splendor” gli dissi cercando di recuperare la calma.

Che idiozia!

“Se lo dici tu!” sentii una leggera nota di sarcasmo nel suo tono di voce, ma lo ignorai totalmente.
Un dolce profumo di cioccolato si diffuse nell’aria.

Eh-ehm!

Aliaga stava ferma sulla soglia guardandoci con uno sguardo di disapprovazione. Mollai Splendor che ricadde sul divano con un’espressione soddisfatta, ritornai al mio posto e presi la tazza che aveva messo sul tavolino. Curioso il fatto che la tazza assegnatami assomigliasse ad un piccolo smoking in miniatura, mentre quella di Splendor era bianca con un grande smile stampato sopra.
“Grazie!” pronunciammo insieme io e Splendor.
“Di niente” disse lei soffiando sulla tazza per farne raffreddare il contenuto.
Mi fermai poco prima di bere, annusai il contenuto e, notando che non c’era nulla di strano, decisi di fidarmi.
Non so bene il perché, ma qualcosa mi bloccò:
“Sicura ti vada bene?” i due mi fissarono con espressione interrogativa. Aliaga smise di soffiare sulla sua tazza.
“Non ti preoccupare, ho visto ben di peggio che una schiera di denti affilati. Non mi faranno venire gli incubi di notte!” disse lei con un mezzo sorriso.
“Ok, così almeno non avrò colpa di eventuali danni alla tua fragile psiche da umana” bevvi un sorso dalla tazza.

Spffffft!

Tutto ciò che Splendor aveva in bocca fu sputato fuori e finì sulla mia povera faccia, sporcando il mio smoking.
“Splendor!” gridai scandalizzato.
“Slender!” gridò lui scandalizzato.
“Fragile?” chiese lei, appoggiando il viso sulla mano.
“Fratellone, questo è molto rude da parte tua!”
“Ma è la verità!” dissi convinto.
“Ma è comunque scortese!” ribatté lui.
“Io non me la sono presa. In un certo senso ha ragione” proclamò lei. Entrambi ci girammo verso la persona da cui provenivano quelle parole.
“Cosa??” chiedemmo contemporaneamente, entrambi alquanto allibiti.
“Non sono mica permalosa, ognuno può pensarla come vuole, la cosa non mi tocca affatto e poi ogni essere vivente ha un lato fragile, non vedo proprio dove stia il problema.” Riprese la sua tazza e continuò a bere come se niente fosse.
“Ma la mia era una provocazione bella e buona!” dissi io.
“Ma non è giusto!” disse Splendor.
“Non si può avere sempre quello che si vuole, quindi zitti e finite la vostra cioccolata.”
Splendor mi si avvicinò e mi sussurrò: “Lo sai che questo non è il modo giusto per attirare la sua attenzione, vero?”
“E tu lo sai che lei non mi interessa affatto, quindi smettila di dire stupidaggini!” gli sussurrai indietro.
“E io vorrei sapere di che diavolo state parlando…” disse la rossa ad alta voce.
“Niente di importante!” pronunciammo di nuovo contemporaneamente. Ad un certo punto, dopo un lungo silenzio, Splendor parlò:
“Comunque Slender voleva dirti una cosa, vero Slendy?” lui sorrise nel modo in cui non avrei mai voluto facesse.

Il sorriso del male.

Era così che io, Trender e Offender avevamo battezzato quella particolare espressione del nostro fratello minore. C’era qualcosa di estremamente inquietante in quel sorriso, avendo portato con se molti avvenimenti spiacevoli in passato, e sembrava che Splendor non si rendesse conto di questa sua strana capacità. Avevamo deciso di tacergli il tutto di comune accordo o sarebbe rimasto traumatizzato a vita dalla possibilità di portare sfiga agli altri.
Dovevo sbrigarmi o qualcosa di brutto sarebbe successo di lì a poco.
“Ecco… i-io…” cercai di tirare fuori le parole con la forza, scusarmi non è mai stato il mio forte.
Splendor, con quel sorriso inquietante ancora stampato in faccia, si alzò dal divano: “Oh, quanto è tardi, devo andare a dare da mangiare ai coniglietti carotini, sicuramente staranno sentendo la mia mancanza! Allora io vado, ciao ciaooo!!”

Slam!

Se n’era andato per davvero e mi aveva lasciato solo!

E adesso cosa faccio?! Che le dico a questa?! Cerco di intavolare una conversazione sul tempo? No è troppo squallido così… maledizione, Splendor! Tu e il tuo sorriso del male!

Ed all’improvviso lei scoppiò a ridere. La guardai confuso.
“Ahah, oddio, è impossibile non notare il fatto che cercasse di farci stare da soli. Tutto ciò è davvero buffo!” si alzò e prese le tazze, fermandosi poi davanti a me.
“Il tuo vestito ha bisogno di una ripulita, vieni.”
Indugiai, il suo sguardo era fisso su di me. Lei si incamminò verso il corridoio.
Non mi mossi di un centimetro, incerto.
Lei ritornò indietro.
“Avanti, Slender, non ti mangio mica! E non ti preoccupare, il tuo vestito sarà più bello di prima!” e così dicendo ritornò verso il corridoio, sperando che io la seguissi.
Non mi mossi.

Tap tap tap!

“Dannazione, biancoccio, non ho assolutamente intenzione di stare qui tutta la sera! Se non vieni con le buone ti trascinerò a forza!” disse seccata, mettendo le mani sui fianchi.
“Vorrei proprio vederti provare!” la sfidai con un mezzo sorriso in faccia.

Qualche secondo dopo…

Rabbrividii a contatto con il vento gelido del bagno, strofinando le mani sulle braccia. Avvolsi poi qualche viticcio intorno al mio corpo per scaldarmi. La rossa prese un grosso asciugamano rosa dal ripostiglio e me lo avvolse intorno alle spalle delicatamente. Mi resi conto che le sue mani erano ruvide e su quella destra c’era una grossa cicatrice guarita da poco.
Cercai di ignorare ciò che avevo visto:
“Sei davvero una donna insistente…” sbuffai.
“E tu sei una creatura molto testarda! Posso capire che tu non ti fidi di me, non mi fiderei nemmeno io, ma fisicamente sei decisamente superiore ad un umano, non vedo dove sta il problema. Volevi prenderti un raffreddore?” disse giocosamente.
“Gli slender non si ammalano, non nel modo in cui intendete voi umani, e si, siamo superiori, ma non siamo infallibili. Chi mi assicura che tu non mi stia tendendo una trappola?” chiesi scettico abbozzando un sorriso.
“Oh beh, se ti può consolare, se ti avessi teso una trappola a quest’ora saresti già morto.”
“Suonerà strano a dirsi, ma mi stai mettendo i brividi…”
“Sei tu che hai iniziato, io ho solo deciso di reggerti il gioco. Comunque i pantaloni li puoi tenere perché sono puliti.”
Lei prese i miei vestiti e li mise a lavare. La osservai per tutto il tempo, non mi ero mai reso conto di quanto gli esseri umani fossero paffuti. Era innegabile che avessero più curve, forse anche per la loro piccola stazza. Il petto era più prominente così come il fondos-

Slender, ma che vai a pensare! Ecco cosa succede a passare anni della tua vita con Offender, ti si baca il cervello!

“Ora non ci resta che aspettare! Qualcosa di bello da dirmi?” mi chiese con le mani ai fianchi.
“Si, volevo scusarmi per aver rotto la lampada…” non la guardai in faccia, facevo fatica, i suoi occhi erano troppo penetranti.
“Nahh, non ti preoccupare, era brutta… se non fosse per il fatto che ora devo ripagarla e non ho ancora trovato un lavoro sarebbe tutto perfetto” il suo sguardo si oscurò per qualche secondo, poi ritornò indifferente.
Lei iniziò a guardare il mio petto con insistenza.
“Non ti hanno mai detto che è maleducazione fissare così qualcuno?” ghignai.
“Disse colui che mi fissava il didietro.”
Sentii un forte calore espandersi dalle guance in tutto il resto del corpo, rimanendo come immobilizzato. Lei uscì dalla stanza sorridendo.

Se n’è accorta!
 
°°°°

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Capitolo 7
*** 7. New Feelings. ***


 

7. New Feelings.



Fermo come una statua, fissai il pavimento totalmente imbarazzato. Come aveva fatto a scoprirmi?
Scossi la testa, quel comportamento non era da me. Mi avvicinai allo specchio del bagno, osservando il mio riflesso: la mia faccia era ancora sporca dal cioccolato che mi era finito addosso e era totalmente rossa.
Dovevo stare più attento e cercare di controllare i miei sentimenti e la mia curiosità. Il non aver mai avuto contatti cordiali con un essere umano, soprattutto se di genere femminile, non era una scusa per quel comportamento sfrontato.
Aprii il rubinetto del lavandino, sciacquandomi il viso e asciugandolo subito dopo con l’asciugamano che mi aveva dato quella donna.

Chissà come si è fatta quella cicatrice…

Scossi di nuovo la testa, la cosa non doveva assolutamente interessarmi! Erano solo fatti suoi e io non mi dovevo impicciare, per ciò che mi riguarda io ho finito con lei. Dovevo scusarmi e l’avevo fatto, punto.
Ripensai a prima del suo arrivo, di quanto desiderassi avere quella casa tutta per me per sfuggire ai miei fratelli invadenti e, stranamente, quell’idea non mi sembrava più così invitante, senza comprenderne bene il perché. Avere qualcuno di nuovo intorno mi faceva sentire elettrizzato. Dopo una vita passata con i miei parenti, questa era l’occasione buona per apprendere qualcosa di nuovo: era come se avessi avuto davanti un essere sconosciuto avvolto da una cappa misteriosa. Dovevo scoprire prima di tutto il perché non le facessi assolutamente nessun effetto, al resto ci avrei pensato dopo.
Rimisi l’asciugamano sulle spalle e uscii dal bagno. Mi fermai improvvisamente, cosa avrei potuto dirle allora? Insomma, si era accorta del mio sguardo… sentii di nuovo l’imbarazzo invadermi e cercai con tutte le mie forze di bloccare quel sentimento alquanto fastidioso.
“Ancora imbarazzato, Slender?” chiese giocosamente Aliaga, sbucando improvvisamente al mio fianco. Mi girai di scatto verso di lei spaventato.

Non ho sentito la sua presenza! Come accidenti ha fatto ad arrivare qui senza che me ne accorgessi?!

“C-che stai dicendo? Io non sono affatto imbarazzato!” indietreggiai, rizzandomi sulla schiena e iniziando a grattarmi il mento, cercando di mantenere un’espressione calma e controllata.
“Ah, allora la tua faccia ha avuto un incontro ravvicinato con un barattolo di vernice rossa o forse è semplicemente colpa degli schiaffi delle donne a cui hai guardato il fondoschiena?” Proclamò ironica mentre nei suoi occhi brillava una strana luce.
Se ero riuscito a domare il mio imbarazzo per quel breve lasso di tempo, tutti i miei sforzi andarono in fumo in quel preciso istante, raggiungendo una temperatura che non credevo possibile.
“Io non passo il tempo a fissare… quella cosa! Non è stata colpa mia se mi è caduto lo sguardo per qualche secondo, non si può dire che tu non abbia fatto lo stesso!” cercai di difendermi come potevo, mentre un misto di rabbia e desiderio di sparire sotto terra mi avvolsero.
Lei scoppiò a ridere senza nemmeno cercare di trattenersi e mi diede un colpo dietro la schiena.
“Ahahah! Non ti preoccupare, ti stavo solo prendendo in giro!”
“E la cosa ti diverte così tanto?”
“Diciamo di sì. Non trovi?”
“No” dissi serio.
“Beh, si vede che non puoi vedere la tua faccia in questo momento!” mi sorrise sorniona. Misi il broncio e mi girai dall’altra parte, cercando di nascondere il mio volto arrossato.
“T-tsk!”
“Allora, bronciolone, ti va di vedere un film?”
"Un film?"
"Si. Hai presente quelle specie di lunghi video che raccontano storie di ogni genere per i pigri che non vogliono immaginare o godersi un bel libro?"
"Preferisco leggere"
"E fai bene" disse trascinandomi via "ma per ora c'è solo quello, devo ancora sistemare la mia roba."
Senza lasciarmi alcuna possibilità di replica, mi fece accomodare sul divano e accese la televisione. Lo schermo era statico, non si vedeva assolutamente niente come al solito.
"Mhmm... " si avvicinò, i nostri volti a pochi centimetri di distanza "sì, credo proprio che sia tu il problema..."
"Il problema di cosa?" chiesi innervosito.
"La tua energia interferisce con la Tv e non la si può vedere, ma non ti preoccupare, si risolve subito!”
“Cos- AHIA!”
Mi aveva tirato un pizzico sul braccio! Alzandomi di scatto, tirai fuori i viticci in posizione di attacco, pronto ad un’eventuale trappola.
Aliaga non si mosse, né indietreggiò di un passo, non perdendomi mai di vista.
“Uh… a quanto pare abbiamo i nervi tesi, Slender!”
“Perché diavolo l’hai fatto?!”
“Non ti ho mica staccato un arto! Era solo un pizzicotto, mai ricevuto uno in vita tua?” incrociò le braccia.
“S-si… ma questo non cambia il fatto che non dovevi farlo!”
“Ok, ok… ora potresti mettere giù quei cosi?” chiese indicando i miei viticci.
La guardai diffidente, avevo abbassato fin troppo la guardia. Non potevo permettermi tanta imprudenza.
“No”
“Hai intenzione di tenerli tesi per tutto il tempo?” alzò un sopracciglio.
“Si”
“Hai deciso di ricominciare a parlare a monosillabi?”
“Si”
“Come ti pare”
La televisione iniziò a trasmettere delle immagini, mentre un suono flebile proveniva dall’apparecchio. Aliaga si girò vero la Tv, cambiando i canali con il telecomando, finché non trovò qualcosa che la soddisfacesse e si appoggiò allo schienale del divano, fissando lo schermo.
Una ventina di minuti dopo, iniziai a sentire le estremità intirizzite: non era il massimo stare fermo con i viticci tesi per un lungo tempo, che iniziarono così ad afflosciarsi lentamente.
Infine, esausti e doloranti, si accasciarono al suolo, flosci come delle alghe di fiume.
“Non credo faccia bene ai tuoi tentacoli stare così tesi… che ne dici di sederti un po’? Non fare il timido.”
“Primo, non sono tentacoli, sono viticci, secondo, non sono timido e terzo… va bene, mi siedo” decisi di accettare la sua offerta “ma solo se mi prometti di non toccarmi”
“Se la cosa ti fa sentire bene, ok, lo prometto.” Toccò lo spazio vuoto affianco a lei invitandomi ad appoggiarmici.

Pat pat!

Mi accomodai, sentendo il corpo rilassarsi, finalmente. Il film che stavamo vedendo, di cui ignoravo il titolo, raccontava la storia di un tizio che mi assomigliava vagamente che cercava di compensare il vuoto che provava nell’anima. Appena partì la réclame, non persi tempo a porle delle domande:
“Come si chiama questo film?” chiesi curioso.
“Nightmare Before Christmas. Devo dire che il protagonista ti assomiglia, se non avesse la faccia, potreste essere fratelli separati alla nascita”
“L’ho pensato anch’io, ma ho abbastanza fratelli, quindi no grazie!” sorrisi amaramente.
“A quanto pare non ti piace stare con i tuoi fratelli, mi sbaglio?” mi chiese lei appoggiando il viso sulle mani.
“Si e no, credo che chiunque si stancherebbe dopo aver passato più di vent’anni con loro” sospirai pesantemente. Perché non riuscivo ad avere un momento di pace quand’erano nei dintorni?
“Vent’anni?! Complimenti per la pazienza, io me la sarei data a gambe levate già dopo tre anni!” dichiarò sorpresa.
“Ci ho provato, ma riescono sempre a ritrovarmi! Credo che tu già conosca l’espressione da cucciolo abbandonato di Splendor…”
“Si, nessuno con un po’ di cuore può resistere a quello” disse preoccupata.
“A proposito, cosa ti ha raccontato di preciso Splendor sui miei fratelli?”
“Mi ha detto di non fidarmi di Offenderman e delle sue rose, il perché ha faticato a dirmelo per l’imbarazzo, ho dovuto strapparglielo via a forza, e di non giudicare mai gli abiti di Trenderman perché potrebbe uccidermi per una cosa così banale, però l’idea è alquanto allettante…”
“No! Non ci provare nemmeno, è troppo pericoloso!” le ordinai allarmato.

… ?

“Non ti preoccupare, stavo scherzando. So badare a me stessa e non sono ancora abbastanza rincretinita per finire tra le braccia del pericolo volontariamente. Non senza un buon motivo…” Incrociò le braccia e andò a controllare se la lavatrice avesse finito il suo ciclo di lavaggio.
Abbastanza sconvolto dal fatto che mi importasse qualcosa di lei, cercai di concentrarmi sul film che mi stava appassionando molto.
Qualche tempo dopo ritornò, dicendo che aveva messo i miei vestiti nell’asciugatrice e che non mancava molto affinché si asciugassero.
“Pensavo avessi fretta…” mi disse mentre stavano scorrendo i titoli di coda del film.
“Uh?” mi girai verso di lei.
“Da quando sei arrivato qui, sentivo che non volevi rimanere per più di un minuto, il tuo fastidio era alquanto evidente. Eppure dopo un po’ di tempo le cose sono cambiate…” un’espressione malinconica si dipinse sul suo volto “posso chiederti una cosa?”
“Ok…” in quel momento mi resi conto di non poter più sfuggire al suo sguardo che mi aveva preso in trappola chissà per quale strana stregoneria.

Prima gli occhi fluffosi di Splendor e ora questo!

“Tu hai mai visto un umano prima d’ora?”
Per poco non cascai dal divano. Pensavo stesse per chiedermi qualcosa di importante!
“Si, ho già incontrato degli esseri umani, ma è una lunga storia. Posso chiederti una cosa anche io?”
“Certo.”
“Come mai non hai paura di me?”
“E’ una lunga storia.”
“Ma- “
“Niente ma, Slenderman, quando uno dice che è una lunga storia vuol dire che non te la vuole raccontare, io ho rispettato la tua decisione e tu ora rispetti la mia!” mi zittì all’istante “Capito?”
Annuii, leggermente spaventato dalla sua reazione brusca. Ritornò in bagno e mi portò una camicia grigio chiaro con una giacca dello stesso colore solo più scuro.
“Ecco a te!”
Rimasi fermo per qualche secondo, fissando quei vestiti che erano certamente della mia taglia data la lunghezza delle maniche.
“Questa roba non è mia…”
“Si che lo è, ha solo subito un grosso incidente di percorso!”
La fissai con sguardo vacuo.
“Come sarebbe a dire che ha subito un grosso incidente di percorso?!”
“Credevo potessi vedere… si è stinta la giacca ed è diventato tutto grigio.”
“Avevi detto che sarebbe stato più bello di prima! Guarda come si è ridotto!” esclamai arrabbiato, indicando il vestito che era stato confezionato da Trender con poca voglia per me, dato che gli chiedevo sempre lo stesso modello. Ricordai ciò che lui mi aveva detto tempo addietro:


“Slender, dovresti cambiare modello, sei proprio monotono e fuori moda” mi disse Trender, ondeggiando la mano con fare scocciato.
“Non mi vestirò da pagliaccio, Trender, fammi i soliti vestiti e basta!” incrociai le braccia sbuffando.
“Tsk, tsk! Sempre a tarpare le ali della mia vena artistica! Odio dover fare sempre lo stesso vestito!”
“E io odio le tue continue lagnanze!”


“Sii positivo, tu hai distrutto la mia lampada e ora siamo pari. Avanti, vediamo come ti sta.”
Mi infilò addosso la camicia, abbottonandola fino al penultimo bottone, e poi mi aiutò a mettermi la giacca, lasciandola aperta.
Iniziò a fissarmi e a girarmi intorno, osservandomi attentamente.
“Ti sta davvero bene, sembri meno pallido con il grigio!”
“Tu credi?” chiesi incerto e imbarazzato.
“Già, mi piace”
“Però questo non cambia il fatto che tu mi abbia rovinato un completo!” cercai di mandare via l’imbarazzo, ricordandomi la ragione per cui mi ero arrabbiato. Decisi che era il momento di ritirarsi: era già notte fonda, probabilmente Splendor si stava chiedendo che fine avessi fatto, e non volevo sorbirmi le strane fantasie che il mio ritardo aveva provocato nel suo cervello.
“Beh, credo sia ora…”
“Slender?”
“Si?” chiesi brusco.
“Mi ha fatto piacere che tu sia rimasto a farmi compagnia, grazie” mi sorrise.
Non riuscii assolutamente a dire una parola, non sapendo bene come comportarmi, mentre un sacco di emozioni strane si agitavano nella mia anima così velocemente che non riuscivo ad identificarle con chiarezza.
Mi sentii stranamente felice e imbarazzato allo stesso tempo, mi teletrasportai via senza dire una parola.



Arrivato a casa…



Aprii la porta di casa, trovando Splendor addormentato sul divano ricoperto dai suoi palloncini colorati. Salii al piano di sopra, prendendo una grossa coperta e, teletraspormandomi vicino al mio fratellino, gliela misi addosso con cautela, cercando di non svegliarlo.

E’ davvero tardi, meglio andare a dormire.

Tok, tok!

Come non detto…

Sbuffai e mi diressi verso la porta.

Chi può essere a quest’ora della notte?

Aprii la porta, mentre uno slender occhialuto con una camicia bianca e un maglione marrone mi stava davanti con un’espressione tra l’impaziente e il seccato.
“Slender, ti giuro che non andrò mai più in vacanza con quel desueto, discinto, idiota e demodé di Offender! Tu non sai i guai che mi ha fatto passare, il suo comportamento è stato disdicevole e unfashionable al limite del possibile! Indecente, tutto quello che ho vissuto è stato indecente!” batté il piede per terra con insistenza, esternando tutta la sua irritazione in un discorso che durò una mezz’ora. Quanto lo odio quando si lagna, è quasi insopportabile quanto i racconti infiniti di Splendor!

Bla, bla, bla!

“Dov’è l’idiota ora?” gli chiesi, interrompendo la sua manfrina, ma ignorò totalmente la mia domanda, guardandomi dall’alto in basso.
“Slender… che diavolo hai fatto ai miei vestiti?” mi fissò cupo.
Indietreggiai, spaventato da una sua possibile reazione violenta. Avevo deciso che avrei fatto scomparire i vestiti rovinati in fondo all’armadio e li avrei sostituiti con uno dei tanti completi uguali che mi aveva confezionato il mio fratello amante della moda sotto la mia supervisione, cosicché nessuno si sarebbe mai accorto della differenza, ma non mi aspettavo che Trender tornasse così presto!
“Sono meravigliosi!”

Doon!

Cascai a terra con le gambe all’aria, Trender nel frattempo si dilettava a rimirare i miei abiti con commenti di cui mi importava davvero poco.
“Finalmente ti sei deciso a cambiare, Slendy! Stai davvero bene con questo grigio cenere… splendido! E poi con la giacca aperta e la camicia con qualche bottone lasciato libero ti danno un’aria che mischia il casual con il vintage e un non so che che di certo farebbe impazzire il gentil sesso! Ahh, a cosa devo questo piacevole cambio di stile e soprattutto l’abbandono della tua consueta cravatta di famiglia?”

Sbam!

Gridò il tutto così forte che svegliò lo slender addormentato sul divano di soprassalto.
“Cos… che… yawnn, che mi sono perso?” chiese Splendor con gli occhi lucidi e ancora addormentati. Quando si rese conto che Trender era tornato, gli saltò addosso, ma lui lo evitò.

Sbeng!

“Niente abbracci Splendor, il mio vestito è appena stato riparato dopo una lunga ed estenuante avventura con il mio odiato fratello, non vorrei che me lo stropicciassi!” lo guardai male e lui scrollò le spalle.
Splendor era andato a finire di testa contro il muro lasciando un’impronta evidente e rovinando il suo cilindro. Abituato com’era ai continui rifiuti del suo secondo fratello maggiore, si ricompose e fece finta di niente, anche se il suo dispiacere era visibile.
Poi lo notò: “Woah, Slender, hai cambiato vestito? Te l’ha dato lei non è vero? Che bello! Ma allora è vero che-“
Gli saltai addosso, tappandogli la bocca prima che potesse dire qualche altra cosa. Non poteva e non doveva dirlo a Trender dell’esistenza di quella tipa. Avevo raccontato ai miei fratelli in una lettera che avevo cambiato l’ubicazione della casa perché la zona in cui era prima era troppo esposta e non volevo che qualcun altro, a parte Splendor, sapesse dell’esistenza di quell’umana.
Trender era un pettegolo e si lasciava scappare un sacco di cose personali, quindi era fuori discussione dirgli di Al, poiché di sicuro gli sarebbe sfuggito tutto con Offender e quella donna non avrebbe avuto più pace!
La sola idea che il mio fratello pervertito potesse stare nella stessa stanza con lei mi terrorizzava, lei che era stata la prima ad avvicinarsi a me senza scappare via o cercare di uccidermi. Ora avevo finalmente l’occasione di spezzare la monotonia della vita in famiglia, potevo davvero avere un amico che non condividesse lo stesso sangue e lo stesso tetto.
“Umpf! Uhmm!!” biascicò Splendor, cercando di togliere le mie mani dalla bocca.
“La mela è nascosta sui rami…” gli sussurrai e lo lasciai andare.
All’inizio la sua espressione era sorpresa, ma poi annuì e pronunciò come da copione: “…lì c’è anche un cuculo e rimarrà così per tutta la notte.”
Trender ci guardò come se avesse avuto a che fare con due pazzi, ma decise di ignorarci. Io e Splendor, fin da bambini, ci custodiamo e confidiamo i nostri segreti a vicenda e, di tacito accordo, abbiamo inventato delle frasi in codice per comunicarci delle direttive.
Ad esempio la frase che ho detto io vuol dire che il mio segreto deve restare nascosto, mentre ciò che ha detto Splendor significa che lo manterrà tale.
“Ah, volevi sapere dove è andato a finire quell’aborto ambulante della moda? Ha detto di aver sentito la presenza di un umano nei paraggi ed è andato a controllare” dichiarò sottolineando l’ultima parola con disprezzo.
Io e Splendor ci congelammo all’unisono e insieme gridammo:
“Noooooo!” ci precipitammo fuori casa come se fossimo stati inseguiti dalle schiere infernali, mentre Trender si affacciò fuori dalla porta, seccato.
“Ma voi pretendete che io vi segua dopo tutto ciò che ho passato?! Tsk, tsk…” ma dato che noi eravamo già spariti, lo slender stilista si sentì ignorato e la cosa non gli piacque affatto.
“Tsk, tsk! Che villani, costringermi a seguirli con l’inganno! Quanta meschinità!” e, vedendo che il terreno era ancora umido per le piogge recenti “Ora mi cambierò outfit e poi vi inseguirò in capo al mondo se necessario… non vi libererete facilmente di me!” pronunciò con fervore.
 
°°°°

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Capitolo 8
*** 8. The Forest of Change. ***






8. The Forest of Change.
 


Mi teletrasportai con Splendor davanti alla casa di Al. La prima cosa che notammo era che la porta era stata staccata dai cardini con violenza.
“Deve essere stato lui!” esclamai agitato.
Splendor si precipitò dentro senza pensarci due volte per cercare la sua amica.
All’interno c’era il caos più totale, i mobili erano stati divelti e le tende strappate, ma non c’era traccia di lei e la porta finestra sul retro era aperta.
L’odore di Offender era nell’aria, segno che era la causa di quel casino, ed era così intenso che stava coprendo quello della rossa.
Un’aura nera comparve intorno al mio fratellino, era fuori di se dalla rabbia, rendendolo pericoloso e terrificante:
“I-io giuro… che se ha osato solo alzare una mano su di lei… LO UCCIDERO’!!” la sua voce era cupa e distorta, mentre la sua faccia lasciò il posto di ciò che noi definiamo come “l’Incubo”: la forma più oscura e bestiale di uno slender.
Anche lui sentì l’odore di nostro fratello e, prima che potessi dire qualcosa, si mise sulle sue tracce. Lo seguii, sperando vivamente che la donna stesse bene: di sicuro non aveva accettato quella rosa, i segni di colluttazione nell’edificio ne erano la prova, ma purtroppo Offender non demordeva mai così facilmente…
Ci inoltrammo nel bosco, arrivando in un grande spiazzo illuminato da pochi raggi della luna, lì le tracce si interrompevano bruscamente. Splendor si voltò in tutte le direzioni per capire cosa fosse successo ed improvvisamente puntò a sud, fermandosi ad osservare un oggetto per terra: una rosa.
“Deve essere qui intorno… non si separa mai dalle sue rose” dissi, avvicinandomi al fiore senza però toccarlo.

Crack!

Ci girammo di scatto, pronti a tutto, mentre un odore di sangue ci penetrò le narici, allarmandoci. Fiondandoci nel luogo da dove proveniva il rumore, vedemmo una figura appoggiata ad un albero, i capelli cremisi che ondeggiavano al vento e il petto che si alzava e abbassava velocemente per lo sforzo.
Mi avvicinai a lei senza esitare e la sostenni, aiutandola a stare in piedi, Splendor si mise davanti a lei, prendendole il viso tra le mani che gli tremavano per l’ira.
“Slender… Splendor… sto bene, non c’è nulla di cui preoccuparsi…” aveva il fiato corto.
Il mio fratellino cercò la causa di quell’odore ferreo, controllando da cima a fondo, finché non trovò un grosso taglio nel fianco che per fortuna aveva smesso di sanguinare già da un po’ di tempo.
“E’ stato lui, vero? E’ stato Offender a fati questo?” la furia nella sua voce era lampante, ma la donna non ne sembrava turbata.
“Eh, eh… beh, non si è mica presentato! E’ un tipo che va subito al sodo…” un mezzo sorriso ironico comparve sul volto.
“Slender, riportala a casa e prenditi cura di lei, a Offender ci penso io” disse con un tono che non ammetteva repliche.
Annuii, prendendola in braccio. Lei si mosse e tese la mano verso Splendor:
“Davvero, non ti preoccupare Splendor. Io non mi merito tutta questa attenzione da parte tua…e poi è tuo fratello” disse flebilmente.
“Questa è una mia decisione, non tua” ribatté lui serio e scomparve nel folto della foresta.
Mi apprestai a ripercorrere la strada a ritroso, ma prima che potessi teletrasportarmi, mi bloccò.
“Slender…” disse lei sospirando.
“Si?”
“Puoi per favore evitare di teletrasportarti? Non credo che il mio stomaco potrebbe reggere altri scombussolamenti per oggi…” appoggiò la sua mano calda sul mio petto, il fiato ancora affaticato. Arrossii leggermente.
“Non c’è problema, mi piace passeggiare”
“Bene, sono felice di sentirlo…”
Mossi qualche passo, raggiungendo lo spiazzo dove avevamo trovato la rosa di mio fratello.
“Slender…”
“Che c’è Al?”
“Senti, potresti per favore togliere la mano dal mio sedere?” disse lei guardandomi annoiata. Imbarazzato e mortificato, la lasciai andare di scatto.

Tund!

“Auch!”
“Accidenti, scusami… i-io…”
“Non l’hai fatto apposta, si vede che sei imbranato con le donne” scherzò la rossa, cercando di rialzarsi. La aiutai:
“Io non sono affatto imbranato!” la presi per la vita e la rimisi in braccio, questa volta stando più attento a cosa andavo a toccare.
“Allora devi esserlo solo con le umane” sussurrò, acquattandosi contro di me.
“Ma che mi importa delle umane! Un giorno mi troverò una slender che mi ami e tutto andrà da se, semplice e senza complicazioni.”
Lei mi fissò per un po’ di tempo, facendomi sentire inquieto.
“Ah, sembra lecito volere una cosa simile… ma allora perché sei qui se non ti importa?”
“Cosa?” chiesi confuso e spiazzato dalla sua domanda.
“Hai appena detto che non ti importava delle donne, io sono una donna se non te ne sei accorto, e ora sei qui. Perché?”
“Err…”
“No, aspetta, quindi non sai nemmeno perché sei qui?”
“Credo… di no”
“Quindi è stata solo una scelta dettata dall’impulso?” inquisì, mettendo la mano sul mento.
“In un certo senso, si”
“Uh, ok. Allora buona fortuna, spero troverai la slender dei tuoi sogni! Se avrai bisogno di qualche consiglio, ti aiuterò di sicuro!” disse dandomi una leggera pacca sulla guancia.
“Beh, ti chiamerò se sarò così disperato da chiedere l’aiuto di un’umana!”
“E io che cercavo di essere gentile!” mise il broncio.
Appena arrivati, la portai al piano di sopra e la appoggiai sul letto.
“Ho un kit di pronto soccorso nella borsa sul comodino, me la potresti passare?”
Presi ciò che mi aveva chiesto, notando che era ancora rovinata a causa del mio vecchio incontro, e gliela porsi. Quello strano odore tornò a farsi sentire, ricordando ciò che mi aveva detto il mio fratellino.
“Splendor mi ha raccontato del tuo problema…” presi un lungo respiro “mi dispiace di aver messo a rischio la tua vita”.
“Non lo sapevi e, sebbene io sia attualmente arrabbiata per ciò che hai fatto alla mia borsa, non pensavo di sentire due mi dispiace da te in un giorno solo” tirò fuori una piccola bottiglia e ne bevve un piccolo sorso.
“Tecnicamente sono due giorni, dato che è passata la mezzanotte da un bel po’ di ore” le dissi sorridendo. Prese delle garze e la aiutai a fasciare la ferita.

Tap tap!

Dei passi sospetti provenivano dal piano di sotto, decisi di andare a controllare.
“Aspetta qui, vado a vedere chi è…”
Lei annuì e io mi diressi al piano di sotto, fino ad arrivare in salotto dove c’era un’alta figura.
“Mio Dio! Chiunque sia il designer di interni di questa casa, ha bisogno di un lungo corso di stile! Tsk, tsk!”
Riconobbi quella voce e sospirai profondamente, pronto ad una lunga spiegazione.
“Slender! Finalmente ti ho trovato! Che diavolo vi è preso a voi due così all’improvviso? Vi siete resi conto di cosa ho dovuto passare? Costringermi a seguirvi è stata proprio una carognata, per fortuna che ho trovato dei vestiti di ricambio, bla bla… bla…” aggrottai le sopracciglia, mentre le lagne di Trender mi stavano trapanando il cervello.
La rossa, senza che io me ne rendessi conto, scese al piano di sotto e si fermò ad osservare Trender lagnarsi. Lui, notatala, si bloccò immediatamente:
“Oh… e tu chi saresti?” si avvicinò a lei, aggiustandosi gli occhiali, e si chinò al suo livello. Rimasi completamente spiazzato dalla sua comparsa e, non sapendo bene cosa fare, decisi di rimanere in silenzio per vedere come si sarebbe svolta la cosa.
“Aliaga, piacere” rispose lei tendendogli la mano.
“Trenderman, il piacere è tutto mio” lui gliela strinse contento, il che mi fece sospettare che avesse qualche cosa in serbo per lei. Conoscendolo, aveva già deciso di cambiare il suo stile nel momento in cui l’aveva vista per poi vantarsi della sua bravura per una settimana almeno.
Io li osservai, il mio sguardo passava dall’uno all’altro. Trender la fissò per un po’ di tempo e poi disse:
“Non sapevo che avessi trovato una fidanzata, Slender, lo sai che è proibito stare con gli umani vero?” si riaggiustò gli occhiali con fare inquisitorio.
“Noi non siamo fidanzati, Trender! La conosco solo da mezza giornata all’incirca!” mi misi sulla difensiva.
“Allora mi sai spiegare perché ha il tuo odore e la tua cravatta addosso?” chiese scettico. La fissai, la mia cravatta rossa era intorno al suo collo, ricadendole sul petto come un grosso segnale su cui la mia mente aveva scritto “come hai fatto a non notarmi?”. Mi avvicinai a lei, annusandola per controllare e, si, aveva anche il mio odore addosso, ma dopotutto l’avevo presa in braccio, quindi era piuttosto logico che fosse così.
“Al, come mai hai la mia cravatta addosso?” le chiesi.
“Te l’eri dimenticata qui, avevo deciso di lavarla a parte e mi sono ricordata dopo che sei andato via che non te l’avevo ancora data. L’ho messa addosso per non scordarmi di riconsegnartela, ma a quanto pare quel pervertito di tuo fratello mi ha fatto dimenticare di avercela. E a quanto pare l’ha fatto dimenticare anche a te” se la tolse e me la diede indietro.

E-ehm!

Trender iniziò a sbattere la punta del piede per terra, spazientito dal fatto di non essere più al centro dell’attenzione:
“Non credevo fossi il tipo da una notte, Slendy! Mi deludi…” si allontanò con espressione schifata, avvicinando Aliaga a se.
“Cos-“ cercai di ribattere ma lui mi bloccò prima che potessi continuare.
“Guardala, Slender, non è mica poi così male anche con questi vestiti indecenti addosso! Come puoi instaurare false speranze nel cuore di questa fanciulla come fa Offender e poi fare finta di niente? Guardala, guarda la sua espressione triste e ferita!” la spostò davanti a me e iniziò a gesticolare platonicamente.
“Sembro triste?” chiese Al, girandosi verso Trender.
“Assolutamente sì! Non c’è bisogno che tu lo nasconda cara!” dichiarò dandole dei colpetti sulla testa.
“Non sono andato a letto con lei, idiota! Per chi mi hai preso? Ho dei progetti da portare avanti, non ho tempo per queste inettezze e non voglio rovinarmi la vita infrangendo la legge!” dissi arrabbiato.
“Si, si, la cosa della slender dei tuoi sogni e bla bla…” mise la mano a papera e iniziò a muoverla con un’intenzione decisamente provocatoria.
“Trender, ora basta, mi stai facendo perdere la pazienza!”
“Io ho fame, vado in cucina a mangiare qualcosa” la rossa si dileguò.
“Ok, ok, ho capito. Ma non puoi negare che c’è qualcosa di diverso in te quando lei entra nella stanza” lui incrociò le braccia.
“Che intendi dire con questo? Io non sento nessuna differenza!” mi rimisi la cravatta.
“Ma devi davvero portare quella cosa…” sussurrò e poi riprese l’argomento principale della nostra discussione “comunque, prima che arrivasse poco tempo fa, tutte le tue funzioni vitali erano a posto, ma appena ti sei accorto della sua presenza ti si è sballato tutto e la tua temperatura è aumentata. Aspetta… non è che per caso sei timido, Slendy?” Trender trattenne una risata, mettendosi la mano sulla bocca.
Sentii la rabbia attraversarmi:
“Come ti salta in mente una cosa simile, Trender! Io non sono affatto timido”
“Si che lo sei!” sorrise sornione.
“No che non lo sono!” ribattei.
“E invece si!”
“No!”
“Si!”
“Guarda che Trender ha ragione!” disse Aliaga dalla cucina.
“Tu non dovresti stare dalla mia parte?” chiesi imbronciato.
“Io sto dalla parte della verità!” ritornò in salotto e si accomodò sul divano rovinato e senza due piedi da un lato.
“Comunque ora sto meglio, puoi pure andare se vuoi, Slender, io mi farò un pisolino” disse lei e si distese “buona notte a tutti!”
Per quanto fosse discutibile la scelta di dormire sul divano, non mi riguardava e di certo non mi sarei messo a fare la predica.
“Dunque è lei ciò che aveva sentito Offender?” chiese Trender.
“Già.”
“Deduco che tu e Splendor siete arrivati in tempo, dato che ha ancora tutti i vestiti addosso.”
“Per fortuna sì, ma non so bene cosa sia successo ad Offender, ha deciso Splendor di occuparsi di lui…” gli spiegai tutta la situazione e ciò che era accaduto nel periodo in cui era stato via, tanto tentare di nasconderlo era inutile e soprattutto una perdita di tempo.
“Doveva essere davvero furioso, povero Splendor…” disse Trender rammaricato “quell’idiota di Offender se la merita davvero una bella strigliata alla splendor, per quello che ci ha fatto passare per tutti questi anni…”  Sospirò amaramente “eppure era così calmo quando era piccolo, non mi capacito ancora di come abbia fatto a ridursi così…”
“Nemmeno io Trender e, conoscendolo, non lo sapremo mai.”
“Allora, che facciamo con lei?” chiese fissando la donna addormentata sul divano.
“Ti sembrerà strano, ma non mi va di lasciarla da sola, Splendor me l’ha affidata perché si fida di me. Non voglio deluderlo.”
“Ok, io vado a cercare quei due, così poi potremo stare tutti tranquilli.”
Annuii e lui uscì dalla casa seguendo le loro tracce.
Riattaccai la porta ai cardini, che per fortuna si poteva ancora chiudere, e mi girai a guardare la figura addormentata che ogni tanto si muoveva impercettibilmente sul divano. Faceva uno strano effetto osservarla mentre dormiva.

Ok, ora stai iniziando a diventare inquietante, Slender! Gira la testa, non è educato fissare la gente che dorme.

Mi girai di scatto, quella donna mi stava rimbambendo sensibilmente. Fu allora che decisi che sarebbe stato meglio per me non vederla più. Non era passato molto tempo dal suo incontro e già mi aveva scombussolato la testa, la sua presenza mi destabilizzava fin troppo. Forse era meglio per me lasciarla perdere, in fondo la mia famiglia non era poi così male.
Presi la poltrona che era finita in un angolo della stanza e mi sedetti sopra, aspettando il ritorno di Trender con nuove notizie. Sentii la vista farsi vacua, finché non riuscii a percepire più niente.
 
 
°°°°
 


Mi ritrovai per l’ennesima volta in quello spiazzo illuminato dalla luna, nel profondo foresta. Mi alzai, osservando lo spazio circostante: c’era una persona seduta contro un albero, la riconobbi immediatamente.
“Che cosa ci fai qui, Al? Offender potrebbe essere ancora in giro” le chiesi preoccupato.
“Non mi importa” disse con voce monotona e vuota. La presi di forza per portarla via:
“Niente storie, se no poi chi lo sente a Splendor se scopre che ti ho mollata qui!” mi diressi verso la foresta, ma una forza misteriosa mi impediva di portarla con me e sparì dalle mie braccia, ricomparendo poi sotto un raggio di luna.
“Io non posso andarmene… io devo stare qui.”
“Che sciocchezza! Sentiamo, perché non puoi?” le chiesi. Stranamente, non trovai allarmante ciò che era appena accaduto anche se fuori da ogni comune logica.
“Tu lo sai il perché…”
 


°°°°
 


Ore dopo…




La luce dei raggi del sole filtrò dalle finestre, svegliandomi. A quanto pare mi ero addormentato. Il sogno che avevo fatto era stato davvero breve e senza senso alcuno, rimasi solo turbato dal fatto che riguardasse lei.

Si, ho davvero bisogno di mettere le distanze da questa tipa!

Mi girai, ma sul divano non c’era nessuno. Ispezionai tutta la casa, ma non c’erano tracce né di lei né del suo odore. Se fosse entrato qualcuno me ne sarei accorto immediatamente, quindi era da escludere. La sua macchina era sparita, molto probabilmente era sgattaiolata via volontariamente.
La cosa mi preoccupava, ma nonostante ciò decisi di ritornare a casa.
Appena arrivai, trovai Splendor nel salotto che fissava la snella figura di uno slender con una fedora, un lungo cappotto, un paio di jeans e stivali, buttato sul divano con totale noncuranza.
Mi fermai di botto, osservando meglio ciò che gli era successo.
I suoi viticci erano stati annodati l’un l’altro, formando un grosso fiocco bianco, la sua faccia era stata completamente ricoperta da scarabocchi e a quanto pare doveva aver perso i sensi da tanto tempo.

Pfft!

Cercai di trattenere le risate. Splendor mi si affiancò quatto quatto, lasciano dietro di se qualche pennarello ancora aperto.
“Che ne dici?” mi sussurrò.
“E’ geniale!” gli sussurrai a mia volta.
“Grazie, comunque l’ho trovato già annodato e privo di sensi. Era andato a sbattere contro un albero, rimanendo incastrato, scommetto che c’è lo zampino di Al!” mi sorrise. Mi sollevò notevolmente il fatto che non fosse più arrabbiato.
“Quella lì ci sta nascondendo qualcosa…” dissi serio, come poteva una donna da sola fare una cosa del genere?
“Solo perché non ti ha detto niente, non vuol dire che io non lo sappia!” sorrise sornione, dileguandosi velocemente nella sua stanza.
“Fermo Splendor! Tu sai tutto e non mi dici niente?” gli gridai dietro. Lui uscì dalla sua stanza e si diresse verso la porta principale: “diventa sua amica e saprai tutto ciò che vuoi, persino se è libera! Io non ti dirò una sola parola e i conigli carotini mi aspettano!” e così dicendo andò via.

Ma che modi sono questi?

Misi il broncio.
Qualche secondo dopo Offender ricominciò a riprendere conoscenza:
“Cazzo, sento dolore ovunque… dove sono?” chiese rintontito, appoggiando una mano sulla fronte.
“Modera il linguaggio, Offender, non siamo in una taverna. Per mio sommo dispiacere, sei a casa.” Mi misi davanti a lui, facendo sparire i pennarelli di Splendor per coprire il buffo scherzo di mio fratello.
“Bacchettone come al solito, fratellone? Per quel poco che mi ricordo, stavo seguendo una sventola, come ci sono finito qui?” si rialzò lentamente.
“Primo, sei tu che sei troppo volgare, secondo, quella che chiami sventola è un’amica di Splendor, è stato lui a riportarti qui. Devi ritenerti fortunato se respiri ancora.” lo fissai serio.
“Io dovrei aver paura di quello stecchino? Andiamo Slender, non scherziamo!” alzò le braccia al cielo.
“Incosciente come al solito, da quanto vedo. Io non scherzo mai…” il mio volto si incupì e sottolineai l’ultima parola.
“Ehh…” si rilassò lasciandosi scivolare nel divano “sono un peccatore incallito e mi piace davvero tanto.”
“Puoi fare ciò che ti pare, ma non ti azzardare mai più a toccare la sua amica!”
“Ma l’hai vista, Slender? Credo proprio di no, se no le staresti già ronzando intorno per infilare il tuo pungiglione nel suo soffice miele!”

Pungiglione? Miele? Ma di che diavolo sta…? Aspetta… questo è un fottutissimo doppio senso!

“Tu non infilerai niente da nessuna parte, Offender!” gli gridai contro infuriato, tirando fuori i viticci che iniziarono ad ondeggiare minacciosamente.
“Woah, quindi la conosci anche tu!”
“E se anche fosse? La cosa non ti riguarda!” lo presi per la giacca “Ti chiedo solo di starle lontano.”
“Tsk, tsk, se è questo che vuoi!” disse non curante, svincolandosi dalla mia presa e dirigendosi in cucina.

Ti conosco troppo bene, so che stai certamente tramando qualcosa!

Lo seguii e, facendo finta di niente, presi un libro e iniziai a leggere senza mai perderlo di vista. Lui iniziò a sbafarsi tutto il gelato che c’era nel frigo, ignorandomi totalmente.
“Slendy, che ne pensi di questo modello?”
Trender mi sbucò davanti all’improvviso, tenendo in mano un disegno di un vestito rosso da sera.
“Non avrai mica intenzione di farmi indossare quella cosa?!” chiesi allarmato attaccandomi alla sedia con le unghie.
“Che sciocco che sei! Non vedi che è un vestito da donna? Volevo solo sapere che ne pensavi”
“E’ molto bello…” dissi inclinando la testa.
Offender, incuriosito, sbirciò il disegno e sogghignò: “La scollatura profonda è la parte migliore, non lascia spazio all’immaginazione, mi piace!”
“Nessuno ha chiesto il tuo parere, pervertito!” gridammo insieme io e Trender.
“Ok, ok, quanto siete suscettibili! Volevo solo aiutare” alzò le mani e si diresse verso la sua camera.
“Dove vai?” indagammo entrambi.
“A dormire, mi sento come se fossi stato investito da un tir, avete intenzione di controllare ogni mio movimento?”
“Assolutamente sì!” esclamammo.
“Tsk…” e sparì nella sua stanza.
 
Passarono i giorni, Splendor continuava a fare visita regolarmente ad Aliaga e ogni tanto mi chiedeva se volevo andare con lui, ma rifiutavo sempre le sue proposte. Riflettei sul perché avessi cambiato così drasticamente idea, rendendomi conto di quanto il pensiero di una virata di rotta della mia vita mi spaventasse e mi attraesse allo stesso tempo.
Non riuscii a comprendere immediatamente il perché del mio turbamento e più i giorni passavano, più in me cresceva il desiderio di ritornare indietro da lei. Iniziai a lottare contro me stesso, ma esattamente una settimana e mezzo dopo le mie resistenze si annullarono.
Avevo deciso di andare a fare una passeggiata per sgranchirmi le gambe prima di coricarmi, camminavo placido nel folto della foresta, osservandone il paesaggio. Il cielo notturno costellato di stelle era chiaro, senza nessuna nuvola, e molte lucciole svolazzavano allegre tra le foglie degli alberi, si stava abbastanza bene nonostante fosse autunno.
Una famigliola di gufi attirò la mia attenzione, mi avvicinai silenziosamente per osservarli meglio: il maschio arruffò le penne, facendomi capire che era disposto a tutto per proteggere la sua amata, ma appena si rese conto che non avevo alcuna intenzione di fargli del male, si accoccolò alla femmina felice.

Frush!

Allarmato da quel rumore improvviso, mi preparai per uno scontro, lasciando uscire i viticci che si misero in posizione di difesa. Ma con mia grande sorpresa, incrociai un paio di occhi ambrati altrettanto sorpresi. I suoi capelli cremisi ondeggiavano al vento mentre la sua bocca si dischiuse per pronunciare queste esatte parole:
“Slender… pensavo fossi morto!”
 
°°°°

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Capitolo 9
*** 9. So close... ***


 

9. So close…
 


La fissai immobile, credendo di avere qualche strana sorta di abbaglio. Un vento gelido spirò dietro la mia nuca ma, troppo concentrato per notarlo, mi avvicinai a lei per controllare che la sua immagine non fosse uno scherzo della mia mente.
“Slender?”
Mi accostai a lei, prendendole la calda e soffice guancia con la mano.

Squee!

Lei all’inizio mi fissò con stupore, passando lo sguardo dal mio arto sul suo viso al luogo dove dovevano essere i miei occhi, che si trasformò in seguito in noia.
“Slender, mi stai facendo male…” disse, alquanto spazientita da quel contatto non richiesto. Ma non riuscii proprio a mollarla, nonostante la sua richiesta.

Squee squee!

Ero rimasto totalmente intrigato dalla morbidezza delle sue guance, che mi permisero di mandare via un po’ dello stress accumulato in questi giorni. Appuntai nella mente che le guance degli esseri umani erano un buon modo per scaricare la negatività di una giornata con quei tre combina guai.
“Ora basta!” lei mi pizzicò sulla mano, provocandomi una scossa tremenda di dolore che mi attraversò tutto il braccio.
“Ahia! Aliaga, che ti prende?” le chiesi ferito.
“Come che mi prende? Sei stato tu a iniziare, te la sei cercata” lei incrociò le braccia “comunque, dove eri sparito?” chiese preoccupata.
Impallidii e iniziai a sudare freddo.

E ora che le dico?!?

L’avevo spudoratamente evitata per giorni, inventando scuse su scuse per non vederla, mentre alla fine era ciò che volevo, sebbene non riuscissi ad accettarlo.
“Err… ho avuto da fare…”

Bella scusa, Slender! Non ci cascherà mai!

“Uhm… ok” proferì lei tranquilla, mostrando di non volersi impicciare nei miei affari.

Err… mi ricredo, ci è cascata… disse la mia coscienza dai meandri della mia anima.

Lei mi si avvicinò e sorridendo mi disse: “E’ bello rivederti, che cosa hai fatto in tutto questo tempo?” mi guardò con un’espressione felice, prendendo la mia mano nella sua. Notai che era meno ruvida dell’ultima volta e, sentendo una strana differenza, mi abbassai per odorarla: sapeva di menta.
“La tua mano…” pronunciai piano, rigirandola tra le mie, c’era ancora quel taglio. Preso alla sprovvista dalle mie stesse azioni, iniziai a sentire caldo.
“Ti dà fastidio?” lei mi fissò interrogativa, accarezzandosi il collo.
“No, volevo dire, la tua mano è più morbida…” sussurrai imbarazzato, cercando di non rompere quel piccolo contatto che mi faceva sentire strano, ma non in senso negativo.
 “Ho usato della crema per le mani, almeno così non assomiglio ad un coccodrillo!” la sua espressione divenne un ghigno sarcastico, cercando di ironizzare sul fatto che per un po’ avesse trascurato la sua pelle, e poi ritornò a quella di sempre “allora, mi vuoi dire che hai fatto o devo andare da Splendor per sapere qualcosa?” chiese stringendo la mia mano.
“Oh, beh… sono stato con i miei fratelli, ho cucinato, riletto qualche libro, fatto qualche passeggiata, sono andato a dormire… tutto questo per una settimana e tre giorni di fila, fine” dissi grattandomi la testa e rendendomi conto che non era un gran che.
Lei mi fissò con un’espressione piena di compatimento, lasciò andare la mia mano con mio sommo rammarico, e iniziò a saltare in una maniera buffa davanti a me con le braccia alzate verso le mie spalle. La guardai interrogativo, iniziando a credere che la mia presenza l’avesse fatta uscire di senno, lo sapevo che non dovevo farle vedere la mia dentatura:
“Che accidenti stai facendo, Aliaga?” inclinai la testa totalmente confuso.
“Come? Non si vede? Sto cercando di raggiungerti, sei troppo alto!” pronunciò immusonita, scuotendo le mani e saltando un’altra volta.
“Raggiungermi per fare cosa?” lei si allontanò di qualche metro senza dare spiegazioni, facendomi inclinare la testa incuriosito.
“Questo!” iniziò a correre verso di me, saltandomi poi addosso e facendomi perdere l’equilibrio.
Avrei potuto evitarla, ma non ero poi così sicuro di volermi spostare.

Sbeng!

Finii con le gambe all’aria, mentre lei aveva avuto la fortuna di trovare il mio corpo a farle da materasso. Sperando di non avere bernoccoli o danni di altro tipo, cercai di rialzarmi ritrovandomi addosso la rossa che si era attaccata al collo. Sentii tutto il suo calore e il suo profumo penetrarmi la pelle e l’anima, mentre mi stringeva tra le sue piccole braccia e il suo petto premeva contro il mio.

No Slender… niente pensieri strani o puoi anche buttarti giù da un dirupo per la vergogna…

“Che ti è saltato in mente?!” chiesi cercando di sembrare più spazientito che a disagio.
“Volevo abbracciarti, mi ha messo tristezza il tuo loop di eventi. Dimmi un po’, com’è che voi slenders siete così alti?” lei rimase in quella posizione, senza dare alcun segno di volersi staccare.

Trattieni l’imbarazzo…

“P-piuttosto, siete voi umani che siete bassi!” girai la testa dall’altro lato, cercando di evitare in contatto visivo.
“Timido come al solito, Slender? Dovresti trovare qualcuno che spezzi la tua vita monotona!” disse, io mi misi seduto e lei si alzò.
“La mia vita non è poi così monotona, qualche volta devo spaventare qualche umano che disturba la foresta e i miei fratelli combinano sempre qualche pasticcio!” dissi, aggrappandomi chiaramente sugli specchi. Si, la mia vita non era poi così eccitante…
“Hai paura?” mi chiese mentre osservava un albero particolarmente alto.
“Cosa? No!” mi alzai di scatto mentre lei si stava arrampicando sul tronco molto velocemente, più di quanto io avessi mai sospettato dal suo aspetto.
“Perché fuggi allora?” la sua voce diventava sempre più fievole, man a mano che saliva. La fissai e decisi di seguirla per indagare.
La raggiunsi in poco tempo, estendendo i viticci che attorcigliai intorno ai tronchi per andare su. Aliaga si era seduta su un grosso ramo e stava osservando le montagne con sguardo perso, la leggera brezza le scompigliava i capelli aggiungendo un po’ più di mistero alla sua figura. Ad un certo punto il vento cambiò direzione, facendole finire i capelli in faccia. Lei sospirò mentre l’ennesimo capello le finiva diritto nell’occhio, infastidendola. Sorrisi mentre la mia testa faceva capolino dal basso tra i rami.
“Ehi! Non ridertela tu solo perché sei fortunato a non avere i capelli!” mi avvicinai, sedendomi accanto a lei. Allungai un viticcio e impedii alla sua chioma di darle ulteriormente fastidio, divertito e impietosito allo stesso tempo da quel bizzarro spettacolo di lotta.
“Ecco, così non dovrebbe darti fastidio…” dissi, spostandole poi una ciocca dietro l’orecchio con la massima delicatezza, finendo poi per risultare come un gesto molto goffo. Mi sentii un impedito, ma lei non ci fece tanto caso, fissandomi in viso.
“Sai questa situazione mi ricorda terribilmente qualcosa” dichiarò, inclinandosi leggermente all’indietro.
“Che cosa?” chiesi incuriosito, sperando di non aver fatto qualcosa di sbagliato.
“Un libro che preferirei dimenticare. Ho provato a bruciarlo ma mi si è bloccato in testa. Pensa che è da qualche settimana che ho il timore che mi svegli e ti trovi fuori dalla finestra, con la camicia sbottonata, che mi guardi con un’aria sognante e inizi a brillare come una strobosfera*! (N.D.A.* palla da discoteca formata da tanti piccoli specchi.) Per favore, non farlo!” mi guardò con aria supplicante e ironica.

Pfff!

Scoppiai a ridere, attaccandomi all’albero per non cadere giù. Come le poteva venire in mente un’immagine simile?!
“Wahahahah! Come ti è venuta un’idea simile?? Ahahah!!”
“Non è stata colpa mia, è tutta colpa di quel libro!” lei incrociò le braccia, gonfiando le guance per il disappunto. Cercai di calmarmi e, appoggiandomi al tronco, ripresi fiato.
“Credo tu stia esagerando, nessuno con un po' di amor proprio scriverebbe una cosa simile! Sarebbe davvero umiliante” constatai accarezzandole la testa per cercare di toglierle il broncio, ma dato che non funzionava, non resistetti alla tentazione e avvicinai il dito alla sua guancia gonfia.

Poke!

La sua guancia si sgonfiò all’improvviso emettendo un suono stridulo.
“Visto che non mi credi, te ne procurerò una copia, ma ti avviso, quel libro è davvero brutto” il suo sguardo mi diceva che non stava scherzando o, se lo stava facendo, era davvero brava a nasconderlo.
“Ok allora”
Lei mi si avvicinò senza preavviso e si appoggiò a me, rannicchiandosi contro il mio petto.

Gulp!

“Slender, posso sapere perché sei sempre rigido come un pezzo di ferro?”
“E-ecco… credo sia lo stress!” dissi irrigidendomi ancora di più. Era vicina, così vicina che mi metteva a disagio. Il mio viso divenne di un rosso purpureo che si stagliava sulla mia carnagione bianco latte, come una specie di messaggio con su scritto “slender timido e inesperto proprio qui!”.

Fai finta che sia zia Endergarda, fai finta che sia lei! Funziona sempre.

“Allora rilassati un po’, non ti farà di sicuro bene se rimani così” lei mi abbracciò, cercando di tranquillizzarmi, ma ottenendo solo l’effetto contrario. Nonostante non disdegnassi il calore di quel contatto, ero troppo imbarazzato per godermelo.

Non funziona, non funziona! Mayday, mayday!!

“Niente pungiglione nel miele…” balbettai, cercando di non perdere il controllo di me stesso, rimembrando, tutto d’un tratto, ciò che mi aveva detto Offender. Lei mi fissò con un’espressione stupita, credendo chissà che cosa di me! Recuperando un po’ di sanità mentale, le dissi, quasi come se la stessi implorando:
“Io non sono un pervertito, devi credermi!” le presi le spalle, avvicinando il mio viso con il suo.
Lei mi guardò totalmente spaesata, come se non capisse la gravità dell’intera situazione. Da tutto ciò poteva nascere qualcosa, qualcosa di sconveniente e sbagliato, per non parlare poi delle dinamiche! Lei è troppo piccola e io sono troppo grande e chissà quanti anni di differenza ci sono tra di noi, probabilmente dovrei tirare dritto per la mia strada e non guardare mai più indietro, ma il vero problema è che non voglio farlo! Perché deve essere tutto così difficile!
“… stai vivendo un conflitto interiore per caso?” mi chiese seria.
“Esattamente!” mi avvicinai di più, cercando di indagare cosa frullasse in quella testolina.
“Credo di avere anche io un problema simile…” lei mi guardava fissa.
Una strana speranza si accese in me, forse non ero il solo ad essere tormentato da quel caos di sentimenti ed emozioni, forse lei…
“Sono indecisa se continuare a sorbirmi le lamentele del mio nuovo capo incapace o se sbattergli tutta la sua incapacità in faccia.”

Doon!

Il mio volto si oscurò, mi ero illuso per niente! Le lasciai le spalle e appoggiai la testa all’albero, mentre un’aura nera mi circondò.
“Ho forse ferito i tuoi sentimenti senza rendermene conto?” chiese riavvicinandosi a me incerta.
“Più o meno…” la mia voce assunse un tono alquanto deprimente e vuoto.
“Sei più complicato di quel che pensassi… uhmm” lei si fermò a pensare, appoggiando la testa sulla mia schiena.

Tumtum tumtum!

“Scommetto che stai pensando a qualcuno che ti piace” dichiarò soddisfatta, rialzandosi con mio profondo rammarico “ma hai paura che non ricambi… un classico!”
“No, hai fatto cilecca…”
Probabilmente era solo una leggera infatuazione, ma non volevo ammetterlo. Speravo davvero che fosse stata tutta colpa dei miei ormoni impazziti.
“E invece io credo proprio che sia vero!” mi prese il volto fra le mani “Secondo me non dovresti deprimerti così, la vita non finisce se qualcuno non ti ama. L’importante è dirglielo, che sia un momento adatto o meno. Si vive meglio senza rimpianti!”
Sentii il suo fiato caldo sul viso, i suoi occhi ambrati brillavano alla luce della luna, qualche lucciola faceva capolino tra i rami e i gufi bubolavano rumorosi.
E prima che potessi dire altro, il suo viso si avvicinò al mio…
 
°°°°

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Capitolo 10
*** 10. The beginning of trouble. ***



10. The beginning of trouble.
 
 

Lei era così vicina, estrassi e analizzai il suo profumo con una precisione a dir poco maniacale, scoprendo così un aroma che mi sussurrava avventure di un luogo lontano. Il suo viso non era perfetto e una vecchia cicatrice argentea le attraversava il sopracciglio, lasciando così un piccolo spazio vuoto, ma mi importava ben poco. Mentre il mio cuore batteva all’impazzata come un’orchestra di tamburi che aveva deciso di dare spettacolo senza preavviso, la rossa si avvicinava sempre di più con le labbra leggermente dischiuse. Stava per farlo per davvero.
Una piccola parte di me entrò nel panico, non sapendo bene cosa dire e come comportarsi.

Esiste un modo per baciare? Devo fare qualcosa? Dovrei abbracciarla? O semplicemente stare fermo? Non lo so, che faccio adesso?! Come mi comporto?! Santi numi!

Ma il mio intero essere respinse tutti i pensieri, schiacciandoli con furia nei meandri più oscuri della mia anima, desiderando ardentemente di assaporare quel momento e di aprire il cuore a qualcosa di nuovo.
Non era la mia prima cotta, ma era la prima volta che qualcuno provava lo stesso sentimento per me. In quel momento, senza rendermene conto, cascai in un abisso da cui non sarei mai più potuto uscire, finendo così in un luogo oscuro e tenebroso.
Le sue rosee e tenui labbra si posarono sulla mia pelle, mentre il mio volto s’infiammava contagiando anche il resto del corpo con vampate di calore, facendomi sudare in un modo che il termine imbarazzante non avrebbe mai potuto descrivere appieno.
Mentre le sue labbra lasciavano la mia guancia, mi sentii triste. Alla fine era durato tutto troppo velocemente e ciò che avevo sperato era ancora vivo in me, divorandomi le interiora, mentre la mia coscienza mi ammoniva e i miei desideri, nati dalla pura passione sopita, rifiorirono come boccioli a primavera.

Che ti aspettavi, Slender? Che si fosse presa una cotta per te così, a cavolo? Capisco che non hai mai concluso niente con nessuno, ma pretendi troppo, soprattutto da un’umana! E poi cosa sono questi pensieri, frutto di qualcosa che non è destinato a nascere? Svegliati, non siamo in una favola, questa è la vita vera.

“Buona fortuna…” disse Aliaga mettendo distanza tra di noi “spero che questa slender non ti rifiuti, non affatto male, poi dimmi com’è andata!” iniziò a scendere giù dall’alto albero, lasciandomi lassù da solo con un senso di vuoto.
“Aspetta!” gridai, cercando di riportarla da me anche se solo per qualche secondo, ma lei oramai era sparita.
Sospirai, mentre la malinconia si riversò come un fiume in piena. Lì restai ancora per qualche ora, contemplando la distesa infinita di diamanti luminosi che costellavano l’immensa volta celeste. Non avevo sonno e non aveva voglia di tornare a casa, avevo troppi problemi con me stesso per riuscire a badare a quelli altrui.
Appoggiai la schiena contro il tronco ruvido e irregolare del grande albero e lasciai penzolare i miei viticci completamente rilassati: avevo bisogno di un po’ di tempo per pensare.



Alle prime luci dell’alba…



Camminavo tranquillo tra gli alti alberi della foresta, il clima stava iniziando a cambiare e il freddo stava avvolgendo tutta la foresta, segno che l’inverno era alle porte. Iniziai a domandarmi che idea si fossero fatti i miei fratelli per la mia assenza improvvisa e comunque non sarebbe stato un problema.
Rimasi sorpreso di trovare Offender davanti alla porta di casa, cosa ci faceva lui lì? Aveva un’espressione cupa ed era agitato, molto agitato, mentre i suoi denti aguzzi erano digrignati in un’espressione di disgusto. Conoscendolo, probabilmente era andato in bianco.
Lo lasciai in pace, sapendo già che non era una buona idea provocarlo in quello stato, e lo sorpassai come se niente fosse. I suoi muscoli stranamente si rilassarono di botto appena si accorse della mia presenza. Stavo per afferrare la maniglia, quando qualcosa mi bloccò, attorcigliandosi attorno al mio avanbraccio con una pressione considerevole. Girai il viso, osservando mio fratello. Aveva recuperato la sua solita espressione beffarda, ma c’era qualcosa di davvero strano in lui, qualcosa di inusuale.
“Dove diavolo sei stato per tutto questo tempo?” chiese con voce tremante e ricolma di furia cieca trattenuta con fatica.
“A fare una passeggiata” dissi seccamente, mantenendo una totale calma.
“Tsk… e tu ci passi tutta una notte a fare una passeggiata!?” disse irato, stringendo di più la presa.
“Si, Offenderman, e non vedo proprio come la cosa ti irriti a tal punto. Non mi volevi fuori dai piedi?” chiesi freddo, riaggiustandomi la cravatta con nonchalance.
Lui mi lasciò andare, sembrava davvero confuso, ma decisi di non investigare, e entrai in casa. Le facce stupite di Splendor e Trender apparvero dal salotto, fissandomi con delle facce lunghe.
La nostra mansione era molto grande, formata da due piani, in stile vittoriano. Al piano di sotto c’era una grande hall nel cui centro risiedeva un grande tappeto rosso scuro, rovinato a tratti e pieno di polvere, che si estendeva fin sulle scale, portando al piano superiore. Un grande candeliere finto era appeso al soffitto, facendo luce in tutta la stanza e qualche tavolino antico era stato appoggiato contro il muro, mentre una grande vetrina era stata posta contro la parete di sinistra, esponendo regali di parenti e soprattutto un inquietantissimo carillon creato dalla cara zia Endergarda apposta per noi quattro. Ci saremmo felicemente liberati di quella cosa spaventosa, se quest’ultima non ci avesse minacciati di morte se fosse accaduto qualcosa a quell’oggetto raccapricciante. Il salotto era molto grande, con due divani antiquati messi paralleli gli uni agli altri, una carta da parati ingiallita ricopriva le pareti e un altro candelabro finto minacciava di staccarsi dal soffitto, pendendo pericolosamente da un lato. La libreria si trovava nella stessa stanza ed i tarli l’avevano ribattezzata come loro dimora a vita, avevo fatto di tutto per toglierli di mezzo, ma niente da fare. La sala da pranzo era a dir poco eccessiva, il tavolo era lunghissimo e pesanti drappeggi ricoprivano le due grandi finestre di ferro battuto, un vecchio arazzo donatoci da nostra madre era stato posto sulla grande parete vuota parallela alle finestre. La cucina non era molto grande, sembrava molto semplice se paragonata al resto delle stanze. Infine c’era un grande bagno sfarzoso totalmente inutilizzato, preferendo usare quelli sopra. Il piano superiore era formato da sei camere da letto, quattro occupate da noi, tre bagni, uno di esclusiva proprietà di Trender, il perché si può intuire facilmente, e uno studio che utilizzo solo io.
“Slender!” gridò Splendor e mi saltò addosso felice come un cagnolino che ha appena ritrovato un amico perso da tempo “sei tornato! Dove eri andato a finire? Eravamo preoccupati per te!”.
Notai che era vestito in un modo diverso, più informale. Lo stesso aveva fatto Trender. Deglutii, sperando che non fosse come credevo: “Perché siete vestiti così?”
Splendor mi lasciò andare con sguardo cupo, togliendosi il cappello tristemente “ecco…”
Ma Trender lo bloccò, dando segno di voler parlare al posto suo “sta venendo a farci visita, arriverà questo pomeriggio”.
Mi sentii congelare dentro, mentre un senso di estremo disagio pervase la mia persona. Lei stava venendo qui, nella nostra casa, per rovinarci l’esistenza come solo lei riusciva a fare.
“Oh, no…” sussurrai sconvolto, mentre Splendor e Trender mi guardavano con sguardi che mi supplicavano di trovare un modo per sfuggire all’imminente tortura.
“Si, la zia sta venendo qui per una visita…” dichiarò Splendor che di sicuro stava desiderando ardentemente di essere da un’altra parte, glielo si leggeva negli occhi.
“Semmai per torturarci!” ribatté Trender irritato.
Probabilmente era questo il motivo per cui Offender era così arrabbiato. Misi la mano sulla fronte, strofinandola esausto, e sospirando chiesi: “quando lo avete saputo?”
“Questa notte, mentre eri fuori, ci è arrivata una sua lettera…” disse Trender mentre puliva i suoi occhiali “proprio ora che stavo realizzando dei nuovi capi doveva arrivare quella vecchia megera!” batté la punta del piede per terra. La zia era una slender molto all’antica, tutto ciò che voleva da noi era che ci sposassimo e dirigessimo l’attività di famiglia, il resto era infantile, stupido e superfluo. Non approvava nemmeno il fatto che avessimo deciso di vivere sulla terra perché ci allontanava dai nostri doveri e gli umani per lei erano nient’altro che cibo ambulante di scarsa qualità.
Poi un pensiero mi attraversò come un fulmine in un cielo in cui si stava approcciando una tempesta.
“La zia sa che la locazione della casa è cambiata?” chiesi spaventato.
“Non credo che-“ Splendor si interruppe, totalmente terrorizzato.
Trender fu il primo a dirigersi fuori “accidenti, non permetterò a quella vecchia racchia di mangiarsi la mia nuova fonte di sperimentazione artistica!”
Mi irritai sensibilmente a quell’affermazione, Aliaga non era un oggetto e di sicuro non gli avrei permesso di strapazzarla e torturarla facendole provare un’infinità di vestiti… o almeno ci avrei provato! Io e Splendor lo seguimmo a ruota. Offender sembrava essere sparito nel nulla, di sicuro se l’era data a gambe levate e aveva tutti i motivi per farlo.
Ci teletrasportammo fino a casa di Al.
Splendor frugò nelle sue tasche, ma non riusciva a trovare la chiave, iniziando a sudare freddo.
“Splendor! Sbrigati, non possiamo perdere tempo! Lo sai che la zia ama arrivare in anticipo!”
“Ci sto provando, ma non trovo la chiave! Doveva essere qui, io non l’ho mai tolta dalla giacca-” si bloccò, congelandosi mentre si rese conto di essersi cambiato i vestiti per non doversi sorbire ramanzine da parte della vecchia. Fummo presi dal panico e, mentre stavamo cercando un modo per aprire quella benedettissima porta, Trender ci bloccò con fare saccente.
“Tsk! Perché non ci teletrasportiamo semplicemente dentro?” si aggiustò gli occhiali seccato.
“Ah…” esclamammo io e Splendor, amareggiati per la nostra imperdonabile dimenticanza causata dall’agitazione nata per l’imminente visita della zia.
“Vivo con un branco di idioti…” sibilò tra i denti, noi decidemmo con tacito accordo di ignorarlo, non serviva a niente prendersela, Trender è fatto così.
Teletrasportandoci all’interno della struttura, ci dirigemmo subito al piano di sopra, raggiungendo la stanza della rossa. Lei dormiva beata, senza neanche sospettare cosa si stesse avvicinando pericolosamente alla sua casa. Mi accostai a lei, osservando il suo petto alzarsi e abbassarsi con calma, sembrava così dolce e pacifica in quello stato. Guardai i miei fratelli:
“Ora che facciamo?” sussurrai.
“La portiamo via, no?” sussurrò Trender.
“Dobbiamo svegliarla prima, non è bello portare via qualcuno mentre dorme!” disse Splendor piano.
“Yawn… che sta succedendo qui? Perché volete rapirmi?” chiese la voce sonnolenta di una donna.
“Noi non vogliamo rapirti!” dichiarammo noi tre contemporaneamente.
Rendendoci conto di ciò che era appena successo, ci girammo, fissando la figura che ora era sveglia sul letto stropicciandosi gli occhi. Aveva tutti i capelli in disordine e un paio di occhiaie grigie sulle palpebre.
“Arghhhh!!” gridammo tutti e tre, attaccandoci contro la parete, totalmente presi alla sprovvista dal suo improvviso risveglio.
Le ci guardò male, incrociando le braccia e inclinando la testa di lato:
“Capisco che la mattina posso non essere una bellezza, ma così esagerate!” lei si alzò, prendendo il suo beauty case “Vado in bagno a sistemarmi, poi mi spiegate cosa diavolo sta succedendo, capito?”.
Noi annuimmo, leggermente spaventati dal suo sguardo rabbioso.
“E quando torno, cercate di far sparire quello sguardo terrorizzato. Mi fate sentire come un mostro!” lei uscì dalla stanza.
“Il suo sguardo… mi ha fatto paura” Trender si appiattì contro il muro.
“Già…” disse Splendor, abbracciando spaventato un cuscino.
“Qualsiasi essere di genere femminile è terrificante quando è arrabbiato… vi ricordate cosa ci disse nostro padre?” chiesi rilassando i muscoli tesi.
Loro annuirono.


Era il giorno del mio diciassettesimo compleanno, avevamo appena finito i festeggiamenti ed eravamo tutti e quattro nella mia stanza a parlare di belle slenders. Spelndor si era fatto una nuova amica, abbastanza carina, e Offender dichiarava di aver trovato la sua anima gemella. Io e Trender eravamo alquanto invidiosi dei nostri fratelli minori. Poi era arrivato nostro padre, che a quanto pare aveva origliato tutta la conversazione, e ci aveva consigliato caldamente di non far mai arrabbiare una femminuccia.


Quante cose sono cambiate da allora, non siamo più gli stessi. A volte vorrei poter tornare indietro, ma è un desiderio irrealizzabile.
Controllammo che la zia non fosse in arrivo e aspettammo che Aliaga avesse finito di sistemarsi. Splendor decise di tenere sotto controllo il lato sud della zona circostante all’edificio, mentre Trender prese quello nord. Mi assegnarono il compito di tenere sotto controllo la rossa cosicché non le sarebbe accaduto niente ed ora ero solo.

Tund!

Qualcosa sbatté contro il muro del bagno al piano di sopra, allarmandomi. Senza pensarci due volte, mi teletrasportai nella stanza, trovando così un Aliaga in reggiseno e Offender con un ematoma sul viso, appoggiato al muro.
“Io ti avevo avvisato, marpione da quattro soldi…” sibilò velenosa la donna, il pugno incriminato ancora stretto davanti a se e lo sguardo irritato.
Mi bloccai, mentre due sentimenti contrastanti combattevano nel mio cuore.
I suoi soffici seni erano avvolti in un reggiseno di pizzo rosa chiaro, mentre la sua pelle rosea era ricoperta di cicatrici argentee di varie dimensioni e gravità. Particolarmente profonde dovevano essere le due sulle scapole, quella al ventre e una distante qualche centimetro da dove risiede il cuore. Dovevano essere state molto dolorose e aver messo la sua vita a rischio.
Continuai a fissarla anche quando si mise addosso una maglietta rosso scuro. Mi guardò e non proferì parola. Scese un grande imbarazzo, mentre Offender stava cercando di ricomporsi e ruppe il silenzio: “Siamo aggressivi, eh? Non dovresti fare tanto la schizzinosa, sono molto più bravo di quel che sembro, sarebbe davvero un peccato perdere-“
“Non mi frega, gira a largo depravato, con tutti i ninfomani che esistono al mondo, dovevi venire a scassare le scatole proprio a me? Senti, tesoruccio bello, se non vuoi ritrovarti con la gola aperta in due, ti conviene finirla” il suo sguardo era carico di furia cieca e le sue parole affilate e minacciose. Se i suoi occhi potessero uccidere, Offender sarebbe già morto da un pezzo.
Io ero lì, fermo in mezzo a quella tempesta, con un’aria tesissima. Stavo per dire qualcosa quando un rumore di tacchi provenne dal piano di sotto e una voce irritantissima arrivò al mio apparato uditivo.
“Slender, Offender, tesori miei, venite dalla zietta che vi vuole dare una bel bacio!”
Una parte dentro di me gridò.

Prendi la donna e fuggi!

Aliaga mi guardò interrogativa e Offender andò nel panico più totale, dimenticando completamente la sua intenzione di portarsi a letto la donna, l’unica cosa dell’intera faccenda che mi risollevò il morale.
Lei apparì pochi secondi dopo, mio fratello si nascose dietro Aliaga e io mi misi davanti all’entrata della stanza per cercare di occultare la sua presenza.
La zia Endergarda aveva un lungo vestito marrone di fine ottocento che toccava il suolo, un colletto alto e una collana di perle con un ciondolo alla fine. I capelli ingrigiti erano raccolti in una crocchia e le sue mani erano guantate. I suoi lunghi viticci bianchi tenevano Splendor e Trender sollevati in aria, in una specie di abbraccio “amorevole”. Dalle loro espressioni supplicanti capii quanto questi desiderassero sfuggire dalla soffocante presa d’amore della vecchia racchi- ehm… zia.
“Oh, Slender, quanto sei cresciuto! E’ davvero tanto tempo che non ci vediamo tesoro!” giunse le mani e inclinò la testa con un’espressione deliziata.
“Z-zia!” dissi sorpreso, senza spostarmi di un centimetro dall’entrata del bagno.
“Come va, amore della zietta?” le rughe solcavano il suo vecchio volto bianco, contraendosi ad ogni sua parola.
“Benissimo zia!” dissi impettito, impedendole di guardare oltre la mia figura.
Lei purtroppo capì ciò che stavo cercando di fare e mi scostò con violenza, facendomi cadere gambe all’aria contro il muro, vedendo così l’umana.

Adesso se la mangia, Slender, fa qualcosa!

Offender sbucò da dietro di lei con nonchalance, sfoggiando un ghigno nervoso.
Lo fissai e il fatto che lui fosse la mia ultima speranza non mi piacque affatto. Sperai che avvenisse un miracolo, era l’unica cosa che poteva tirarci fuori da questa situazione spiacevole.

Qualsiasi cosa tu abbia in mente, per una volta fa che sia una cosa buona!

“Offender, chi è questa tizia? La nostra cena?” chiese l’adorata zia, facendomi raggelare il sangue nelle vene. La sola idea di ucciderla mi faceva sentire un peso immondo sul cuore ed un’angoscia tremenda mi attraversò l’animo, mangiarla era totalmente fuori discussione. Il pensiero di commettere un atto simile mi disgustò, non avrei mai potuto, neanche con tutte le mie forze, uccidere l’umana che non era scappata via spaventata dal mio aspetto.
Lui le mise un braccio attorno alle spalle, facendo agitare qualcosa dentro di me, lei lo guardò interrogativa, decidendo di non proferire parola, probabilmente per vedere come sarebbe finita la cosa.
Poi Aliaga mi fissò e, in quella frazione di secondo in cui aveva spostato lo sguardo verso di me, capii che, per la prima volta, la paura aveva attraversato il suo volto. Mi rialzai, ben consapevole che dalla risposta di Offender dipendeva ciò che sarebbe successo di lì a poco.
“No zia, lei è la mia sgualdrina!” disse con una spavalderia vergognosa, mentre tutti i muscoli della rossa si tesero. Abbassò lo sguardo, stringendo i pugni. Non le era permesso mostrare la sua rabbia se voleva vivere.

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Capitolo 11
*** 11. Crush. ***



11. Crush.



La zia inclinò la testa, avvicinandosi pericolosamente alla rossa che stava fissando il pavimento con occhi vacui. La candida pelle di Offender iniziò a imperlarsi di fredde gocce di sudore, mentre il suo braccio stringeva sempre di più la spalla dell’umana, cercando di ritrovare la sua sicurezza. Cercai di fare tutto ciò che era in mio potere per controllare la rabbia immotivata che stava crescendo al centro del mio petto, velenosa e pericolosa come la coda di uno scorpione.

La sua sgualdrina?!

Come poteva permettersi di dire una cosa del genere su Aliaga? Come poteva solo lontanamente pensare che qualcuno come lei potesse avvicinarsi ad un tipo come lui, così maleducato, pervertito e vile.
Piano piano, riconobbi quel sentimento logorante: gelosia, fredda, penetrante e con un tocco di invidia. Sebbene ritenni che fosse la cosa più stupida del mondo, essendo tutta una messa in scena, non riuscii a fare a meno di essere pervaso da quel sentimento così negativo. Misi la mano sul cuore, cercando di tranquillizzarmi, riuscendoci con mio grande sollievo. Ero invidioso, incredibile a dirsi, di mio fratello, del modo in cui riusciva ad avvicinare qualsiasi essere di genere femminile senza timore o imbarazzo, pronunciando parole vergognose senza provare alcun rimorso. Come riusciva a farlo? Sono sempre stato troppo orgoglioso per chiederglielo e non voglio né diventare come lui, né dovermi subire le sue prese in giro per una domanda a cui non risponderebbe nemmeno, preferendo fare scherno della mia incapacità nel campo… vorrei solo essere più ardito.
Il mio cuore perse quasi un battito quando la zia afferrò violentemente il volto della donna e la costrinse a fissarla, lo sguardo carico di odio e superiorità, scrutandola come se fosse stato un oggetto di bassa lega.
“Dovresti cambiarla, è così danneggiata che probabilmente non riuscirebbe nemmeno ad adempiere ai suoi compiti decentemente…” la mollò altrettanto violentemente, rivolgendole uno sguardo terribilmente schifato, ripulendo la mano guantata sul vestito.
Splendor fissò Al tristemente, ma lei, ritrovando un po’ di forza negli occhi, cercò di rassicurarlo con lo sguardo. Era stata umiliata in un modo vergognoso, ma almeno era ancora viva e le sarebbe bastato, o almeno così sembrava. Tirai un sospiro di sollievo, badando bene che la vecchiaccia non si accorgesse del mio gesto, se mi avesse visto la cosa avrebbe destato in lei non pochi sospetti. Ci mancherebbe solo che si accorgesse che mi sono preso una cotta… ehm, no, sono solo gli ormoni. Fortunatamente, era troppo distratta dall’ambiente circostante: “Questa casa è davvero penosa!” dichiarò Endergarda, togliendosi i guanti e strofinando la mano destra contro il vestito con irritazione per l’ennesima volta.
“Mi dispiace zia, ma fare l’arredatore non è il mio mestiere!” esclamò Offender, recuperando tutta la sua spavalderia non appena si rese conto che la zia se l’era bevuta, il suo sguardo era sicuro più che mai e aveva lasciato Aliaga, mettendo le mani dietro la testa. A volte è proprio un pallone gonfiato… anzi no, diciamo sempre. Ironico il fatto che ero io colui che desiderava avere questa casa e ora Offender l’aveva avuta senza neanche volerla, anche se solo per finta. Ciò che tutta questa farsa comportava, mi avrebbe dato certamente gli incubi la notte e di sicuro lui non sarebbe tornato alla mansione con noi.
“Allora questa casa è tua… ora tutto torna. Suppongo che i tuoi fratelli vivano ancora nella vecchia mansione, è così?” lei appoggiò la mano destra sul viso, mentre tutti i suoi muscoli facciali si contrassero in un’espressione interrogativa.
“Si!” disse Splendor, prendendo così coraggio per togliere la zia di torno e permettere quindi alla rossa di respirare per un po’ di tempo, per quanto ci si possa rilassare con Offender nei paraggi, scaricando la rabbia accumulata “e-ecco… noi abbiamo cambiato la locazione della mansione perché… perché… err…”.
Vedendolo in difficoltà, la zia iniziò ad insospettirsi, agitando nervosamente i viticci nell’aria, ma per fortuna Trender prese la parola:
“Per le infiltrazioni Splendor, ricordi? Scusalo zia, è dal giorno in cui si prese la libreria in faccia che è diventato così tonto. Ahahah,ahah…ah!” rise nervoso, mentre un rivolo di sudore gli attraversava la fronte e i suoi occhiali iniziarono lentamente a scendere giù. Splendor, terribilmente infastidito dalle cattive parole del fratello maggiore, mise il broncio, gonfiando le sue guance: “Io non sono tonto…” sussurrò, ma nessuno gli prestò attenzione.
“Infiltrazioni dite? Meglio così allora, non voglio che i miei poveri capelli si rovinino! Mostratemi la strada allora, cosa state aspettando?” sorrise, mostrando così i denti affilati, con l’evidente intento di far cadere nel panico la rossa, ma fallendo miseramente.
“Zia, noi vorremmo farlo…” iniziò Splendor sempre imbronciato.
“…è solo che in questo stato non possiamo!” concluse Trender, indicando gli amorevoli viticci della zia che lo stavano avvolgendo da fin troppo tempo per i suoi gusti, stropicciando i suoi vestiti eleganti. Quanto avrebbe voluto ucciderla, ma non poteva farlo poiché la zia era davvero troppo forte per lui da solo e di certo una nostra coalizione contro di lei avrebbe portato più guai di quanti quell’essere da solo sapeva causare. Far scoppiare una faida familiare sarebbe stato davvero stupido.
“Oh, quanto sono stata scortese, non è proprio da me questo comportamento così incivile! Deve essere stata tutta colpa di quell’umana, questi esseri schifosi mi destabilizzano!” lei li lasciò andare di botto.

Tund!  

Splendor e Trender finirono con il muso contro il pavimento, già sapendo che era la norma per la racchi-ehm… zia, comportarsi in quel modo rude, sapientemente nascosto da un velo di finta bontà per salvare le apparenze.
“Beh? Cosa state aspettando allora?” chiese, mostrando di star perdendo la pazienza.
I miei fratelli si alzarono e le indicarono la strada, desiderando “ardentemente” di accompagnarla.
“Tu non vieni Slender, tesoro?” chiese lei sulla porta, guardandomi con uno sguardo dolce.
“Ho delle faccende da sbrigare prima, non so se riuscirò a tornare presto, quindi non vi conviene aspettarmi” dissi serio, senza ammettere repliche, con lo sguardo cupo.
Endergarda indietreggiò di un passo, mentre un sorriso maligno si dipinse sul suo volto:
“Proprio come tuo padre, sempre troppo impegnato per dare conto a qualcuno. Aww, il fatto che tu abbia ereditato la sua malvagità mi commuove sempre!” lei fece finta di asciugare una lacrima invisibile dal suo viso con fare melodrammatico “Ecco perché tu sei sempre stato il mio preferito, non lavorare troppo tesoro della zia! E soprattutto non abbassarti mai al livello di questo pezzo di carne da quattro soldi…” lanciò un ultimo sguardo di disgusto ad Aliaga e se ne andò. Appena il rumore dei suoi passi scomparve in lontananza, presi Offender per le spalle e lo spostai lontano dalla donna, mettendolo in fondo al corridoio:
“Stai qua e non origliare! Se ti azzardi solo ad avvicinarti, giuro sulla mia vita che ti impalo ad un albero!” gli ordinai senza ammettere repliche.

Slam!

 Chiusi la porta dietro di me, rimanendo così solo con Aliaga, che aveva iniziato a colpire leggermente le sue guance con le dita. La bloccai, prendendole le mani e allontanandole dal suo viso alquanto scosso.
“Me la sono vista grossa… la tua cara zietta voleva squartarmi viva” disse pianissimo, probabilmente non avrei mai potuto capire ciò che stava dicendo, se non fossi stato uno slender.
“Già… mi dispiace” le sussurrai, trovando così il coraggio di avvicinarla a me e abbracciarla. Il suo corpo era così caldo e soffice, alta all’incirca la mia metà, tanto che mi dovetti accovacciare a terra per non doverla sollevare in aria. Non so perché, ma capii che in quel momento non le sarebbe piaciuto essere presa in braccio come una bambina piccola.
Rendendomi conto della mia azione, l’imbarazzo, come un’improvvisa fiammata, mi avvolse, facendomi arrossire in un modo vergognoso, mentre il desiderio premeva. Mi piaceva la sensazione che la sua vicinanza mi dava, anche fin troppo, mentre il suo profumo mi ottenebrò la mente.

Non ha lo stesso odore di quando si è svegliata, si deve essere lavata di sicuro…

L’immagine poco casta di una donna dai capelli rosso sangue che si fa la doccia si dipinse nella mia mente: senza veli, mentre l’acqua calda le scorreva sulla pelle e un’espressione di completo relax sul suo volto.
Esplosi, cercando di cacciare via quell’idea che aveva poco a che spartire con la figura di gentleman, mentre due parti di me iniziarono a lottare nel mio inconscio: una gridava di non perdere la testa, l’altra di lasciarsi andare, permettendo così alla mia immaginazione di lavorare di fantasia. Ma prima che una delle due potesse prendere il sopravvento sull’altra, una voce interruppe il flusso dei miei pensieri:
“Perché? Non è colpa tua, inutile dispiacersi” dichiarò lei con rinnovata forza, accoccolandosi contro il mio petto e appoggiando la testa nell’incavo del mio collo, sfiorandolo leggermente con le labbra morbide, facendomi arrossire ancor di più.
“E’ comunque mia zia e l’ho lasciata fare, quindi-“ lei mi interruppe, mettendo l’indice dove era di solito la mia bocca quando era aperta. Avvicinò il suo viso al mio, come aveva fatto la sera prima, e sospirò.
“Non ammetto che tu ti prenda la colpa di quella, scusa il termine, vecchia racchia!” disse convinta lei.
“Ma-“
“Ancora con questo ma?! Niente ma, è così e basta.”
La fissai negli occhi che traboccavano di sicurezza e determinazione: “E va bene…” mi rassegnai al suo volere, accennando un sorriso, “comunque questo non toglie il fatto che ti abbia trattata in un modo orribile” conclusi, prendendole il viso tra le mani.
“Beh, se fossi stata nelle condizioni di difendermi appropriatamente e se non fosse stata una tua parente, probabilmente non sarebbe finita in questo modo. Ma è meglio così…” fece una pausa reggendosi la fronte e chiudendo gli occhi “ci tengo a te e qualcosa in me mi dice che se ti vedessi triste mi si spezzerebbe il cuore”.
Lei si allontanò di nuovo da me, senza mai togliere la mano dalla fronte, coprendo così l’occhio destro. Cercai di non illudermi di nuovo, sicuramente voleva intendere che ci teneva a me come un semplice amico e non come ciò a cui anelo. Mi rialzai:
“Anch’io ci tengo a te, sei una mia amica dopotutto!” finsi un sorriso, mentre una parte di me si rotolava a destra e sinistra nella mia coscienza, gridando:

Gaglioffo! Infingardo! Vivrai nella falsa speranza che un giorno cambi idea, finché non arriverà qualcun’altra che ti farà girare la testa e chissà se ci sarà mai un’altra occasione come questa!

La zittii senza pensarci due volte, soffocando i sentimenti e mettendo un tappo a quel caos, riportando così il silenzio e il freddo in me.
“Ah…” colsi un’inesplicabile punta di delusione nella sua voce “quindi siamo amici? Amici amici?” chiese incerta.
“Certamente” dissi blandamente, riaggiustandomi la cravatta e girandole le spalle. Feci per muovere un passo verso la porta, ma, inaspettatamente, lei si mise davanti a me, impedendomi così di procedere oltre.
Il suo sguardo era diventato improvvisamente incerto e per la prima volta scorsi debolezza in lei:
“I-io, ecco… accidenti!” strinse i pugni frustrata fino a far diventare le nocche bianche, “Perché deve essere così difficile?!” domandò, più rivolta a se stessa che a me.
“Non capisco…” dichiarai inclinando la testa ed indietreggiando di un passo, completamente confuso sia dalle sue parole che dalla sua reazione inaspettata.
“Nemmeno io, è questo il problema!” lei scosse la testa, appoggiandosi alla porta del bagno.
Rimasi in silenzio, sperando che qualcosa si chiarisse in quel momento così confuso e nebbioso.
“E’ solo che… io credo che forse” farfugliò, iniziando a mordersi il labbro nervosamente e a cercare disperatamente le parole che le sfuggivano dalle tenere labbra “uff… ti devo dire una cosa molto importante, sarò veloce, ok?” mi chiese senza guardarmi, maltrattando con la mano un lembo della sua maglietta.
“Va bene…?” risposi mentre la curiosità iniziò a consumarmi. In quel momento, Aliaga sembrava così fragile ed in difficoltà, un lato di lei che non avevo mai scoperto fino ad ora: era sempre così sicura di sé, tanto da mettermi in soggezione.
Quel suo improvviso impappinamento la rendeva goffa, strappandomi così un sorriso sincero.
Lei alzò la testa. I suoi occhi ambrati erano dubbiosi, scrutandomi quasi come se cercassero di comprendere a fondo la mia psiche. Poi parlò, lasciandomi a bocca aperta. Non avrei mai sospettato che mi avrebbe detto una cosa simile, ero totalmente impreparato, cogliendomi così di sorpresa e con le spalle al muro:
“Slender, io credo di essermi presa una cotta per te, ti prego non odiarmi per questo…” lei si staccò dalla porta, aspettando che dicessi qualcosa, con lo sguardo colpevole e la mano stretta sul cuore.

°°°°

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Capitolo 12
*** 12. One special aunt. ***


 

12. One special aunt.



Rimasi immobile, volevo dire qualcosa, volevo parlarle, ma nulla usciva dalla mia bocca. Cercavo le frasi adatte, ma non ne trovavo, quasi come se si fossero volatilizzate all’improvviso. Indietreggiai, spaventato dalla mia totale incapacità di esprimere ciò che avevo dento. Provavo lo stesso, ma qualcosa in me stava cercando di bloccarmi, come una barriera invisibile.
La mia mente mi diceva che era sbagliato e non aveva torto: non appartenevamo alla stessa specie, sebbene dotati di caratteristiche molto simili. Poi entravano in gioco le regole del mio mondo: non era permesso instaurare un legame d’amore con un’altra specie che non fosse la nostra per motivi di sicurezza. Infine vi era la mia famiglia: cosa avrebbero pensato tutti se avessero saputo la verità? Non si poteva tenere nascosta questa cosa per sempre e di sicuro prima o poi sarebbe venuta alla luce.
Era incredibile constatare quanto fosse grande la mole di problemi che una relazione simile avrebbe portato e altrettanto ironico il fatto che ci stessi pensando solo al momento.
Certo, la mia parte razionale aveva cercato di avvertirmi prima, ma non vedendo possibilità di essere ricambiato, avevo preferito abbandonarmi per poco ai sentimenti e far finta che la cosa fosse fattibile.
Ma ora tutto il sogno era finito, era la realtà e non era uno scherzo decidere di buttare tutto all’aria per inseguire il cuore.

Incredibile quanto sia difficile parlare, ora. È tutto così vero che potrebbe finire per ucciderci…

Lei smise di fissarmi e si riappoggiò alla porta di legno, mettendo la mano sul pomello della maniglia, lo sguardo basso e le guance arrossite:
“Ok, ho capito… meglio che mi tolga di torno allora” disse piano, girando la maniglia, fraintendendo le mie intenzioni. Davvero credeva che avrei avuto il coraggio di rifiutarla in modo così vigliacco?
La bloccai prima che potesse muovere un passo, avvolgendole un viticcio intorno alla vita e stringendola a me.
“Non andare…” fu tutto quello che le riuscii a dire, sussurrandole nell’orecchio. Lei rimase ferma qualche secondo, fissandomi con un’espressione stupita, e poi mi cinse con le sue braccia, ricambiando l’abbraccio.
Lasciai che il suo calore mi avvolgesse, inebriandomi del suo profumo e della sua morbidezza, mentre il mio cuore gioiva felice. Decisi di mettere da parte tutte le preoccupazioni e problemi di varia natura, godendo del contatto tra i nostri corpi.
Lei si allontanò, prendendo il mio viso tra le mani, e mi sorrise. Posi i miei arti sulle sue spalle, traboccante di gioia, e decisi che, almeno per il momento, non avrei pensato alle conseguenze delle mie azioni, facendomi guidare dalla pura passione e dal flusso delle mie emozioni.
La avvicinai a me, aprendo la bocca, finché le nostre labbra non si sfiorarono. Potei sentire tutto il suo calore e la sua dolcezza accarezzarmi per una frazione di secondo, mancava così poco, ero così vicino che potevo sentire il suo fiato caldo sul viso…

Sbam!

Aliaga scattò all’indietro, spaventata dall’improvvisa apparizione nella stanza di un intruso, e io l’emulai. Ci ritrovammo entrambi attaccati alla superfice di due muri paralleli, scrutando l’essere che aveva distrutto e fatto a pezzi il mio primo passo verso un agrodolce baratro diretto all’inferno.
Uno slender in un lungo cappotto, jeans e stivali, giaceva a terra, mentre il suo cappello, svolazzando ancora in aria, finì per posarsi lentamente sulla sua testa. Colto da un’ira improvvisa, lo circondai con i viticci neri e lo sollevai da terra.
Quell’imbecille non aveva ascoltato una parola di ciò che avevo detto e probabilmente aveva origliato tutta la conversazione. Perché per una volta non può fare come dico?! Lo ucciderebbe forse?!

Eh, ma che ti aspettavi da lui? Che se ne stesse tutto buon in un angolo? Non è nel suo stile.

Prima di andarmene, mi girai verso la rossa, rivolgendole uno sguardo sconsolato:
“Ci vediamo vicino alle cascate a nord, verso mezzanotte, ma non posso assicurarti che potrò venire oggi… la zia darà sicuramente problemi”
“Aspetterò” disse lei seriamente, incrociando le braccia sul petto e mordendosi il labbro. Rimasi ipnotizzato da quel gesto involontario, sentendo il caldo diffondersi dentro di me.
Mi ricomposi e mi teletrasportai fuori, questa volta il mio fratello minore non l’avrebbe passata liscia.

Tempo dopo…

“N-non credi di… aver esagerato… soltanto un pochino?” mi chiese Offender mentre un rivolo di sangue gli attraversò le labbra e, attratto dall’implacabile gravità, finì al suolo, sporcando qualche filo d’erba.
“Slender avvisato, mezzo salvato. Se mi avessi ascoltato, non ti sarebbe accaduto nulla e poi, che fratello maggiore sarei, se non facessi rispettare la mia autorità?” fissai Offender con rassegnazione, non avrebbe mai fatto come chiedevo, era insito nel suo sangue venirmi contro.
“Brutto idota… vuoi uccidermi?” un colpo di tosse dovuto al suo eccessivo amore per le sigarette lo colse senza preavviso e i rami gli provocarono una considerevole quantità di pena.
“Non fare tanto il melodrammatico, non morirai mica per così poco” girai i tacchi e mi incamminai verso la via di casa.
“Ehi, ehi! Non vorrai mica lasciarmi qui?!” gridò allarmato, cercando di liberarsi dal groviglio di rami in cui l’avevo conficcato. Gli risposi alzando la mia mano destra con nonchalance e continuai per la mia strada senza mai voltarmi indietro.
“Fa comunque male, imbecille! Tirami fuori da qui!!” sentii le sue grida affievolirsi man a mano che procedevo. C’era un trucco, che tutti gli slender conoscono, che se usato non ci permette di teletrasportarci via da un luogo e neutralizza questa nostra capacità, era la prima volta che lo usavo e devo dire che ne era valsa la pena. Ammetto che punire Offender mi aveva dato molta soddisfazione, anni di angherie e soprusi erano stati completamente ripagati in quel preciso istante. Arrivai alla mansione a testa alta, sentendomi sollevato da un peso, felice per aver scoperto che non ero il solo a trovarsi in una situazione scottante. Il momento in cui le nostre labbra si erano sfiorate mi ritornò in mente, facendomi diventare rosso come un peperone. Mancava così poco.

Accidenti ad Offender!

Tirai un calcio ad una pietra, irritato.

Crash!

“Ahhhhh!” gridò una voce femminile dall’interno della casa, mentre un pezzo di vetro della finestra si ruppe a causa dell’impatto con l’oggetto contundente. Mi precipitai dentro, cercando di fare finta di non essere il colpevole dell’accaduto, dirigendomi in salotto, il luogo da cui era provenuto quel grido che ricordava tanto il verso di una gallina strozzata.
Faticai a trattenere le risate per la scena che mi ritrovai davanti: la zia, colpita dal sasso, era riversa sul divano con un’espressione da attrice del dramma, Splendor le stava sventolando davanti un fazzoletto di pizzo, cercando di rassicurare la zia, e Trender era in piedi in un angolo, girato verso il muro, con la mano sulla bocca, il suo corpo attraversato da irrefrenabili spasmi dovuti alla situazione alquanto buffa che si era andata a creare a causa del mio calcio.
“Mi vogliono assassinare, buaahhh!! Assassinio! Assassinio!! Vogliono strappare i miei averi dal mio freddo cadavere!! Buahhh!!” gridò isterica la zia, lacrimando come una fontana aperta e sbattendo la mano a destra e sinistra drammaticamente.
“Z-zia, calmati per favore. Non c’è nessun pericolo qui…” disse Splendor, sudando freddo mentre sventolava il pezzo di stoffa, cercando di evitare le manate della zia.
Trender si piegò in due nell’angolo e, non riuscendo più a controllarsi, prese un cuscino dalla poltrona e se lo mise in faccia per soffocare le sue risate spastiche:
“Mffff!!” rise Trender, nascondendo la sua faccia.
“No, no!! Sono qui!! Quei bastardi sono qui!! Mi ammazzeranno, sgozzeranno, squarteranno e apriranno come una cassapanca!!” le sue grida divennero ancora più convulse, agitandosi con furia e versando ancora più lacrime, bagnando il povero tappeto innocente che mi ero degnato di ripulire da poco. Il povero Splendor non riuscì più a evitare i colpi della zia, finendo per essere schiaffeggiato in malo modo e, accortosi della mia presenza, mi supplicò con i lacrimoni agli occhi di salvarlo dalla furia della parente.
Trender iniziò a rotolarsi sul pavimento, non riuscendo proprio a ricomporsi e rendendo il tutto più ridicolo.
Diviso tra il desiderio di spanciarmi dalle risate e quello di rimanere scioccato da tutta quell’insensata follia, optai per la prima, finendo così per sedermi sul divano e ficcarmi un cuscino in faccia, emulando Trender.

All’ora di cena…

Mi recai in camera di Splendor, per vedere in che stato era ridotto dopo essersi preso una marea di schiaffoni in piena faccia da parte della nostra adorabile zia. Attraversai il corridoio, notando che c’era davvero bisogno di fare un po’ di pulizie e magari quando la zia avesse tolto le tende avrei provveduto a questa mia mancanza. Arrivato alla sua porta, bussai tre volte per segnalare che ero io.
“Vieni Slender, la porta è aperta” disse Splendor con un tono monotono. Varcai la soglia, richiudendo la porta dietro di me per non incappare in ospiti indesiderati. Il mio fratellino aveva tutta la faccia gonfia e un’aura depressa lo circondava, provai una pena immensa per lui. Avere a che fare con la zia era sempre un inferno in terra.
“Ti ho portato del ghiaccio…” gli posai il sacchetto sulla guancia più gonfia, sperando che lo aiutasse ad alleviare il gonfiore, “va meglio così?” gli chiesi poi con premura. Lui affermò con la testa, mentre un gocciolone gli uscì dall’occhio. Lo abbracciai, cercando di consolarlo. La sua stanza era così diversa senza tutti i colori e le decorazioni allegre che di solito erano un must per Splendor, la presenza della zia l’aveva costretto a nascondere tutto, e sembrava quasi triste adesso.
“Quando finirà questa tortura, fratellone?” mi chiese disperato, abbracciandomi.
“Tra una settimana…” risposi sconsolato, immaginando già ciò che ci aspettava.
“Non è passato nemmeno un giorno e già sono ridotto in questo stato pietoso, salvami da quella pazza psicotica!” scoppiò a piangere Splendor, mettendosi le mani sulla testa. Lo consolai come potei e ci preparammo per scendere per la cena.
Appena arrivati nella sala, trovammo Trender e la zia che ci aspettavano. Lui non aveva un bell’aspetto, probabilmente la zia aveva iniziato la conversazione con uno dei suoi lunghissimi discorsi sulle sue battute di caccia e su quanti poveri esseri viventi aveva sterminato dall’ultima volta che l’avevamo vista. Il suo volto aveva assunto una colorazione verdastra, segno che stava per buttare fuori l’anima.
“E quindi l’ho preso e gli ho strappato il cuore… oh, Slender, Splendor, finalmente siete arrivati! Non sapete che vi siete persi, stavo raccontando a Trender di come ho ucciso una delle mie nuove prede, dovremmo andare qualche volta a caccia insieme!” disse lei tutta entusiasta, mentre la faccia di Trender esprimeva un estremo stato di malessere.
Ci sedemmo ai nostri rispettivi posti, la cena cucinata dalla zia era già stata servita e l’unica cosa preoccupante era la portata centrale che era ancora coperta.
“No grazie, zia adorata, preferisco cacciare in solitaria” dissi senza accettare repliche, serio, mentre la zia giunse le mani sul tavolo con sguardo dubbioso.
“Se è ciò che vuoi, voi maschi siete sempre così individualisti! Così orgogliosi! E così sia allora!” dichiarò con fare drammatico, facendomi aggrottare i muscoli facciali.
“Bene…” pronunciai scandendo le sillabe con cura, “cosa c’è come portata principale?” chiesi sospettoso, aspettandomi di ritrovarmi chissà che orrore davanti agli occhi.
La zia si illuminò, stava aspettando quella domanda da ciò che riuscii a capire e non era una buona cosa.
“Era ora che qualcuno me lo chiedesse, è una delle mie prede migliori, l’ho cacciata questo pomeriggio stesso!” la zia si apprestò a scoprire il piatto.
Cercai di frenare la terribile sensazione opprimente che mi invase la bocca dello stomaco, fissando con orrore quella povera bestia che aveva avuto la sfortuna di ritrovarsi vicina alla zia mentre stava cacciando e, riconosciutala, misi la mano davanti alla bocca, trattenendo un conato di vomito.
Trender si precipitò in bagno, non riuscendo più a trattenersi, e Splendor, dopo essere rimasto immobile per qualche secondo, svenne, rigido come una tavola di legno.
“Non è stupenda?” chiese tutta contenta, mentre cercavo di mantenere il controllo.
Su quel piatto c’era, cucinato a dovere e con contorno di patate, il povero unicorno Joniwan, una nostra vecchia conoscenza.

Povera bestia…

 
°°°°




Pochi minuti prima di mezzanotte…




Non avevo mangiato quasi niente, come averi potuto dopotutto? Quell’arpia aveva ucciso un nostro vecchio amico che aveva condiviso con noi un piccolo pezzo della sua vita. Probabilmente voleva farci visita ed era incappato in lei, che fato crudele!
In compenso la zia stava benissimo e se l’era mangiato tutto, fino all’ultimo boccone e con gusto. Fu dolorosissimo guardala divorare il nostro compagno la cui funzione ora era quella di riempire lo stomaco ad un essere tanto maligno. Splendor svenne multiple volte, ma per fortuna riuscii a convincere la zia a lasciarlo riposare in camera sua, non riuscivo a vederlo soffrire così, con quella faccia sconsolata, quasi sull’orlo di una crisi di pianto. Trender riuscì a mangiare solo un po’ di insalata, che poi finì nella tazza del cesso per l’ennesima volta, portandolo alla saggia decisione di fare digiuno ascetico per “dimagrire”.
Ora eravamo rimasti soli, io e la zia, e la cosa non mi piaceva affatto. Stava ancora blaterando cose sulle sue abilità che non mi interessavano affatto, portando la mia mente a viaggiare e ad immaginare una situazione più piacevole. I miei pensieri finirono per concentrarsi sulla figura di una donna:

“Slender, io credo di essermi presa una cotta per te…”

Arrossii, rimembrando con piacere le sue parole e la sua bocca così vicina che potevo quasi assaporarne la dolcezza, sarebbe bastato poco per cancellare la distanza che ci separava. Poi mi ritornò in mente l’entrata fuori programma di mio fratello, facendomi così incrociare le braccia per la stizza. Ma c’era qualcosa che in tutto quel trambusto sentivo di aver dimenticato. Fissai l’orologio a pendolo.

Doon!

I rintocchi segnarono la mezzanotte esatta, il mio sguardo si focalizzò sulle lancette, credendo di stare per ricordare qualcosa. Mi congelai:

“Aspetterò”

Le sue parole rimbombarono nel mio cervello, rimproverandomi aspramente della mia dimenticanza.
 


°°°°

 

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Capitolo 13
*** 13. Under the moon. ***


 

13. Under the moon.       




Mi appoggiai allo schienale della sedia, la spina dorsale ritta e le mani aggrappate ai braccioli. Dovevo andarmene e subito: cosa avrebbe pensato di me se non mi fossi presentato?
Cercai disperatamente un modo per filarmela via indisturbato mentre la zia si era improvvisamente zittita e aveva iniziato a fissarmi con sguardo torvo.
La ricambiai confuso, credendo di essermi perso qualcosa, anche se in fondo era normale, dato che non avevo ascoltato una sola parola di ciò che aveva detto.
“E allora?” proferì lei con una leggera punta di irritazione nella voce.
“Allora cosa?” chiesi sempre più confuso ritraendomi sulla sedia, iniziando così a sudare freddo.
“Cosa ne pensi della mia idea?” lei si spostò in avanti con le mani giunte, scrutandomi come faceva di solito con le sue prede.
Pensai velocemente a come rispondere e ad un modo per tirarmi fuori dalle sue sottili torture psicologiche:
“Sinceramente, non mi interessa!” dissi, tirando fuori tutto l’orgoglio e il coraggio che mi sarebbero serviti per sopportare la reazione della vecchiaccia. Lei mi fissò con occhi vacui.

Bene, addio mondo.

“Beh… in un certo senso è normale che tu non ti interessi di forcine per capelli e mi stupirebbe se lo facessi!”

Sono ancora vivo mondo!

Mi ero salvato grazie ad un colpo di fortuna alquanto improbabile e, tirando un sospiro di sollievo, mi afflosciai sulla sedia, ringraziando il cielo per essere ancora incolume. Ma c’era ancora un bel problema da risolvere:
“Zia, scusami, ma ho bisogno di andare a fare una passeggiata…” dissi alzandomi dalla sedia.
Lei fece lo stesso e, con mio sommo dispiacere, mi prese a braccetto, facendomi così sentire come incatenato alla sua inquietante figura.
“Che bella idea, nipote caro!” dichiarò riaggiustandosi i capelli, mostrando di non volersi staccare dal mio povero arto.

Che qualcuno me la tolga di dosso! Aiuto!!

“… io intendevo andare da solo” sperai che capisse ciò che volevo dirle, ma la zia non è mai stata una tipa tanto comprensiva e il fatto che tutti i cugini siano scappati di casa ne è una prova evidente.
“Suvvia, Slendy! Un po’ di sana compagnia ti farà bene!”

Punch!

Lei mi diede una pacca dietro la schiena, cosa che non fu affatto piacevole: era come se avessi ricevuto un pugno sulla spina dorsale, una sensazione tremendamente dolorosa. Una cosa è certa, lei non imparerà mai a controllare la sua forza perché, è evidente, ama vedere gli altri soffrire.

E ora come mi libero di lei?!

Senza permettermi di ribattere oltre, mi trascinò fuori contro voglia. Riuscii a scorgere l’ora prima di attraversare la porta: mezzanotte e dieci.
Mentre passeggiavo forzatamente con la zia, mi resi conto che prima di tutto non dovevamo avvicinarci a due zone precise dell’area circostante: le cascate a nord e la foresta dove avevo dato una bella lezioncina a mio fratello.
Infatti sarebbe stato difficile spiegare la situazione al demonio… ehm, zia. Il tutto sarebbe risultato estremamente compromettente e dovevo cercare di preservare la mia reputazione.
“Allora, tesorino, cosa mi racconti di bello? L’hai già trovata la tua metà?” chiese simulando un sorriso che mi fece venire l’urticaria.
“Zia cara, lo sai che queste cose non mi interessano” dissi infastidito, c’era già qualcuno, anche se era ancora troppo presto per dirlo con certezza, e di sicuro non ne avrei parlato con lei. Non volevo assolutamente metterla in pericolo.
“Oooh, avanti Slendy! Dovrai avere dei figli prima o poi, perché non iniziare da subito? Conosco un sacco di belle fanciulle che stanno solo aspettando di trovarsi uno sposo!” dichiarò con una voce mielosa che stimolò in me una rabbia difficile da reprimere. Odio la sua insensata insistenza! Non avrei mai scelto una delle sue amichette da quattro soldi, sarebbe stato come dargliela vinta ed era l’ultimo dei miei desideri.
Rimasi in silenzio, fissando la strada davanti a me con sguardo torvo, stavo solo perdendo tempo prezioso.
Non c’era nessun animale nelle vicinanze, probabilmente a causa della presenza altamente vinifera della zia, ed era tutto terribilmente silenzioso. Lei continuava a parlare a vanvera, tartassandomi il cervello di stupidaggini, accrescendo così in me il desiderio di buttarmi giù da un dirupo. Ogni minuto che passava mi faceva sentire male, stringendo la morsa che avevo sul cuore. E se si fosse arrabbiata? Se non volesse più vedermi per aver mancato al nostro “appuntamento”?
La mia mente si riempì di pensieri negativi e scenari a dir poco tristi, in cui lei mi diceva le cose più orribili:


“Io credevo che tu mi amassi!” gridò la rossa, guardandomi con disprezzo, mentre si allontanava sempre di più da me.
“… mi dispiace, non è stata colpa mia se non sono arrivato in tempo!” dissi scioccato, mentre credetti di perdere più di un battito.
“Oramai è troppo tardi…” si girò e scappò via, scomparendo nel folto della foresta per non tornare mai più.
Sentii il rumore del mio povero cuore che si spezzava in due.



“Slender, caro? Che ti succede? Sei diventato tutto viola all’improvviso!” pronunciò la voce stridula della zia, prendendomi per le spalle con i suoi viticci e posandomi su una roccia per farmici sedere sopra.
“N-niente zia, sono solo un po’ stanco…” dissi flebilmente, mentre tutto ciò che volevo fare era rannicchiarmi in un angolo e piangere come un’idiota.
Per qualche secondo percepii qualcosa di strano, un fattore disturbante nel tessuto della realtà che proveniva da dietro le spalle della zia. Una strana figura umana dall’aspetto etereo di un blu molto scuro, mi fissava inclinando la testa vicino al tronco di un albero. I suoi occhi emettevano un’energia oscura a dir poco terrificante, sprigionando una forza innaturale e misteriosa. La zia, sentendo anche lei quella presenza estranea, si girò di scatto. Quella, accortasi di essere stata scoperta, iniziò a fuggire, mentre Endergarda, sentendo il suo spirito da impavida e crudele cacciatrice, le andò dietro senza farsi troppe domande, lasciandomi lì solo.

Si vede che le importa proprio di me! Che zia dolce e gentile!!

Pensai sarcastico, cercando di recuperare le forze per filarmela. Quella strana creatura mi aveva ridato l’opportunità perfetta e di certo l’avrei ringraziata, sempre sperando però che non avesse avuto la brutta intenzione di mangiarmi. Mi teletrasportai alle cascate, consumando quasi tutte le mie forze. L’acqua cristallina rifletteva la bianca luna, assumendo dei riflessi vagamente argentei. L’ambiente circostante era pieno di piccole lucciole che vagavano senza una precisa meta nell’aria, dando una connotazione quasi poetica al paesaggio.
Purtroppo però di lei non c’era traccia, nemmeno del suo profumo: era davvero troppo tardi.
Mi sedetti su una grande pietra vicino all’acqua, mettendo il mio viso tra le mani. Era tutto finito e non dovevo illudermi del contrario dato che lei non era più lì.
Rimasi così per un po’ di tempo, cercando di soffocare la cocente delusione e il rimpianto di non essere arrivato in tempo. Non avevo voglia di alzare la testa, preferendo stare rannicchiato su me stesso autocommiserandomi per la mia estrema pateticità e incapacità di affrontare la zia di petto. Ripensandoci è molto sensato, data la sua estrema forza.
“Accidenti, sono in ritardo non è vero?” chiese una foce familiare, mentre il vento portò con se quel profumo a me conosciuto.
Alzai il viso, girandomi per controllare che non fosse tutta un’illusione della mia mente, ma non lo era. Non poteva esserlo.
“Eh… mi dispiace, mi sono appisolata senza rendermene conto e-“ la interruppi senza pensarci due volte, abbracciandola d’impeto. Sentii nuovamente il suo calore, la sua fragranza e il contatto con la sua pelle avvolgermi di nuovo. Mi era mancata così tanto e, anche se non eravamo rimasti separati per molto temo, in quel momento mi resi conto di non poterne più fare a meno. Lei ricambiò l’abbraccio, mentre un leggero sorriso si dipinse sulle sue labbra, così invitanti da farmi scoppiare il cuore.
Mi sentii felice come non mai, credevo l’avevo persa e ora era qui con me!

Beh, tecnicamente non l’hai persa… è semplicemente arrivata tardi. Che poi, che modi sono? Presentarsi a quest’ora, così, senza neanche una scusa decente!

Zittii la mia coscienza, che a volte lavora davvero troppo per i miei gusti, e mi concentrai sulla figura che avevo davanti.
“Sei qui…” dissi piano, appoggiando la mia fronte alla sua.
“Così sembra” disse lei, chiudendo gli occhi ambrati, fermandosi così a riflettere.
“E’ difficile,” esordì lei “forse esordire così non è molto romantico, ma non sappiamo ancora se il gioco vale la candela e nemmeno se quello che proviamo diventerà mai qualcosa di più grande di una semplice cotta. Avrei una proposta, se ti va di ascoltarla…” disse seria, riaprendo le palpebre, e avvicinandosi di più a me.
“Ti ascolto” sussurrai, incuriosito da ciò che voleva dirmi.
“Che ne dici di dare alla cosa una specie di periodo di prova per capire se sia una cosa seria o meno? Non credo che le relazioni tra specie differenti siano così apprezzate sia tra gli umani che tra gli slenders… è roba che scotta.”
Aveva ragione, la legge non era una cosa da prendere tanto alla leggera e lei non sapeva quali fossero le precise conseguenze di una tale atto.
“Già, non hai torto” dissi mentre la mia coscienza ricominciò a premere per sopprimere i miei sentimenti e riprendere il controllo.
“Ehi, cos’è quell’espressione cupa?” mi chiese allarmata, prendendomi le guance e strizzandole con le sue mani “su, su, è inutile preoccuparsi così ora! E devo ammettere che forse era meglio se non facevo quella proposta deprimente. Beh, non sono molto brava con queste cose, ma almeno ci sto provando…” disse arrossendo leggermente, totalmente in imbarazzo a causa della mia reazione così negativa.
Lei, senza alcun preavviso, posò i polpastrelli della mano destra sulla mia bocca e mise l’altra sul mio collo, accarezzandolo delicatamente.
“Al-“ ma, prima che potessi continuare, mi bloccò.
“Abbiamo parlato fin troppo…” sussurrò sorridendo maliziosamente. Abbassò lentamente le palpebre, dischiudendo le labbra. Il tempo sembrò rallentare, mentre il suo profumo mi circondava, inebriandomi e avvelenandomi l’anima. Le presi il volto, osservandolo per qualche istante, imprimendo così quell’immagine nella memoria, desiderando non svanisse mai, travolta dai ricordi. Mi avvicinai timidamente a quella bocca attraente, posandoci sopra la mia. Le sue labbra erano così calde, morbide e invitanti. Mentre le nostre bocche si univano, potei sentire un leggero sapore di cioccolata e dentifricio al limone che si diffuse nella mia. Piano piano, acquistai sicurezza, muovendo le labbra sottili con dolcezza sulle sue, non riuscendo però a fare a meno di sentirmi goffo. Lei mi rispose dopo qualche secondo, assecondando il mio ritmo, quasi come se cercasse di aiutarmi e guidarmi allo stesso tempo. Mi lasciai andare, godendo pienamente di quel contatto, assaporando le sue labbra con passione e, senza rendermene conto, iniziai a vibrare in un modo strano. Ci allontanammo di poco per riprendere fiato, lei appoggiò la sua testa sulla mia spalla.

Purrr!

“Slender?” mi chiese lei senza muovere la testa, stringendosi di più a me.
“Si?” la avvolsi con le mie braccia, cercando di proteggerla dal vento di tramontana che aveva iniziato a spirare da nord. Mi sentivo scoppiare dalla felicità, mentre il calore del mio affetto mi riempì, facendomi sentire come mai prima d’ora.
“Sbaglio o stai facendo le fusa?” lei alzò un sopracciglio perplessa, senza mai cambiare posizione.
“Le fusa…?!” mi bloccai all’improvviso, rendendomi conto di stare emettendo dei rumori e delle vibrazioni totalmente fuori dal mio controllo.

Purrr, purr, purr!

Mi sentii estremamente in imbarazzo. Stavo praticamente esternando tutti i miei sentimenti tramite quel gesto e senza neanche volerlo! Fissai Aliaga, sperando che non trovasse la cosa inquietante o chissà cosa, ma una parte di me diceva che non l’avrebbe fatto. Insomma, non aveva trovato strano il fatto che non avessi una faccia, perché dovrebbe farlo per un paio di fusa?

Non le definirei esattamente un paio di fusa, sono davvero molto rumorose! Se ti sentisse la zia saresti in guai belli grossi!

“Ti danno fastidio?” le chiesi, spaventato da quella possibilità. Lei si rialzò e appoggiò le sue labbra sulle mie ancora una volta: il contatto fu veramente breve, ma di una passione a dir poco travolgente. La sua bocca sembrava terribilmente affamata di amore, come se non se ne sfamasse da tanto tempo, mentre le sue labbra bruciavano come fiamme vive, divorando completamente le mie. Venni trascinato via da quel contatto così seducente e pericoloso, sballottato sia che da forze paradisiache che infernali, spaventato e attratto allo stesso tempo da tanto desiderio nascosto.
Quando la sua bocca abbandonò la mia, una parte di me protestò, volendone ancora, ma decisi di riprendere il controllo della mia persona.
“Le trovo solo bizzarre… non pensavo potessi fare le fusa come un gatto” dichiarò con sguardo sorpreso e le guance imporporate, ansimando per riprendere fiato.
“E io non pensavo sapessi baciare così bene!” dissi con la faccia più rossa del rosso stesso e, dato che il calore era diventato a dir poco insopportabile, mi fiondai vicino all’acqua e ci infilai dentro la testa.

Fsssss!

“Eh, triste a dirsi, ma l’esperienza mi aiuta… sicuro di stare bene?”
Sentii tutte le sue parole ovattate a causa dell’acqua, ma riuscii a capirla comunque. Sperando di non aver avuto altri tipi di problemi imbarazzanti, tirai fuori la testa per controllare che fosse tutto a posto e tirai un sospiro di sollievo.
“Si, sto bene. Era così evidente che fosse il mio primo bacio?” chiesi ancora imbarazzato.
“Si, ma non devi preoccuparti per questo. La cosa è totalmente irrilevante…” i suoi occhi assunsero un’espressione molto dolce e comprensiva, facendomi sentire tanto piccolo nonostante la nostra differenza di stazza.
Le sue parole mi sollevarono da un peso che era rimasto nel mio cuore per un po’ di tempo: l’inadeguatezza. Si, avevo avuto paura anche di quello e mi rallegrò che la cosa non fosse un problema per lei: ci sono delle dame* che ti rifiutano solo perché non hai abbastanza esperienza per i loro gusti raffinati. (*nda: slenders di genere femminile appartenenti ad alti ranghi della società degli slenders)
Lei sbadigliò rumorosamente, stropicciandosi gli occhi e mostrando evidenti segni di stanchezza. Mi avvicinai e, senza aspettare il suo consenso, la presi in braccio.
“Ehi, posso camminare da sola!” protestò, con un’espressione vagamente giocosa.
“Lo so, ma non sarebbe molto galante da parte mia se non ti riaccompagnassi a casa” le dissi accarezzandole la testa. Sbuffò, accoccolandosi contro il mio petto e aggrappandosi al mio collo.
“Allora, dato che sei così gentile, ne approfitto! Comunque ti avviso che potrei addormentarmi, si sta tanto bene qui…” ribatté piano, accennando un altro sonoro sbadiglio, mentre i suoi occhi si chiusero lentamente. Mi teletrasportai a casa sua, totalmente esausto. Il suo caldo fiato attraversava delicatamente il mio sensibile collo, facendomi arrossire, mentre il suo petto si alzava e abbassava tranquillo, provocando in un me un grande senso di pace. La portai nella sua camera, appoggiandola sul letto, cercando di fare attenzione a non svegliarla. Con mio sommo rammarico, non avevo tempo per stare lì con lei. Era tardi e la zia non avrebbe di certo lasciato correre il fatto che io fossi scomparso a quel modo. Le baciai la fronte con tenerezza e appoggiai le mie mani sulle sue per liberarmi dalla sua stretta.
Ma, sorprendentemente, la presa era terribilmente forte e sembrava non volermi lasciare andare. Ci provai di nuovo, niente da fare. Sembrava quasi come se le sue mani fossero state saldate insieme.
“Aliaga, devo andare, dai su…” le dissi, sperando che in qualche modo mi lasciasse libero. Lei mugolò piano mentre dormiva, stringendomi di più e facendomi finire con la testa sul suo soffice seno.

Squee!

“Mpfff!” cercai di liberarmi per non soffocare, riuscendo a girarmi per riprendere fiato.
Certo, si stava parecchio comodi su cotante morbidezze, estremamente sensuali, e dire che non mi piaceva sarebbe stato un tantino errato ma, dato che ci tenevo alla pelle, non volevo che la cara Endergadra me la strappasse via.

No, vi prego, non fatemi questo! Io non posso restare, vorrei tanto, ma proprio non si può. Santi numi, non mi tentate con la vostra estrema morbidezza, diventerò davvero fallibile di questo passo!

Cercai di fuggire, di ribellarmi, di svegliarla e infine, come mia ultima risorsa, di farle il solletico, ma niente funzionò, mentre mi sentii quasi come se fossi stato assorbito dalla sua intera persona.
La mia natura di essere maschile gridava di arrendermi a quella situazione imbarazzante e di godermi il momento, mentre la mia mente e il mio istinto di sopravvivenza stavano cercando di trovare un modo per trascinarmi via da lì.
Fissai il muro, con il volto completamente rosso, decidendo di arrendermi al destino burlone che aveva deciso di giocarmi quello scherzo piacevole e allo stesso tempo terrificante.
Mi abbandonai, abbracciando quella figura per il cui il mio cuore accelerava ogni secondo, lasciando che la mia mente fosse ottenebrata dalla stanchezza e dalla dolcezza di quel caldo corpo pieno di vita.
 
°°°°

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Capitolo 14
*** 14. Dream of Darkness ***


P.s. scusate la pubblicazione alquanto irregolare, c'è sempre qualcosa che mi impedisce di andare avanti con costanza :((
 



14. Dream of Darkness.




Intorno a me c’era il buio più totale, non riuscivo a vedere niente. Iniziai a provare una strana sensazione di profondo disagio dato che per me era impossibile non vedere oltre le tenebre, i miei non erano occhi fisici, avevo sempre potuto vedere tutto ed ora ero come cieco, la cosa mi opprimeva tremendamente.
Provai a muovermi ma, come paralizzato in quella densa coltre nera che si stava stringendo attorno a me, non riuscivo a spostarmi di un millimetro. Mi imposi di non perdere la calma, cercando di ricordare come ero finito in quel luogo, ma non c’era alcuna traccia nella mia memoria né del come né del perché. Era tutto così confuso, i miei ricordi erano ottenebrati da una forza invisibile, portandomi così a non ricordare chi fossi.
Un vento gelido mi accarezzò il collo mentre un’immagine indistinta apparve davanti a me, piccolo frammento di qualcosa che non riuscivo bene a definire. Con il tempo si fece più nitida, finché una foresta si mostrò ai miei occhi. Le sue foglie vecchie e rinsecchite cadevano placide e tristi al suolo, mostrando i segni di un autunno avanzato. Notai davanti a me una piccola figura indistinta dalla forma quasi umana. I capelli rossi ondeggiavano al vento, perdendo stranamente la loro consistenza sulle punte. (nda= i capelli sono arancioni)
Non riuscivo a ricordare chi o cosa fosse quell’essere, ma qualcosa dentro di me si mosse. Un’inspiegabile affetto mi invase il cuore, agitando la mia anima dal profondo, riversandosi come lava dalla bocca di un vulcano appena risvegliato.
Il mio corpo si mosse da solo, giostrato da fili invisibili, e si avvicinò a quella figura vagamente femminile, sorreggendola amorevolmente con le mie braccia.
Lei ricambiò il mio gesto con tenerezza facendomi sentire come in paradiso, mentre la strana sensazione che fossero passati secoli dall’ultima volta che l’avevo vista mi invase. Mi fermai a fissare il suo viso per capire chi fosse, ma non riuscivo a focalizzarne i tratti. Sorrise, avvicinandosi a me per baciarmi dolcemente. Assaporai le sue labbra familiari, dei vaghi ricordi risalirono alla luce, facendomi rimembrare il suo nome.
“Merisa?” chiesi con una voce che non riconobbi come la mia. La fanciulla mi sorrise mentre tutto iniziò a cadere a pezzi. La foresta si dissolse in polvere sottile e la ragazza si sgretolò in tanti piccoli frammenti, lasciandomi così cadere nelle tenebre più profonde che mi circondarono nel loro abbraccio soffocante.
“No, non di nuovo!”
 

 




Mi svegliai in un piccolo letto con un terribile peso sul cuore. Respirando affannosamente, imposi a me stesso di calmarmi e di riprendere il controllo perduto. Dopo un po’, notai la figura addormentata accanto a me, realizzando di essermi appisolato al fianco rossa che ora era accoccolata contro il mio petto, cercando probabilmente di scaldarsi.

Era solo un sogno, molto strano e senza senso, ma solo un sogno…

Ma per quanto lo ripetessi, continuavo ad esserne turbato, mentre nella mia testa si agitavano un sacco di domande a cui non potevo rispondere con estrema certezza. Stupito dalla tremenda impressione che mi aveva lasciato, mi strofinai la fronte con il dorso della mano, quasi come se volessi scacciarne via il ricordo. Mi sentivo così stanco, ma non potevo fare a meno di chiedermi chi fosse quella donna e come facevo a sapere il suo nome. Una domanda in particolare mi punzecchiava con insistenza, richiedendo la mia completa attenzione: cosa era lei per me?
Di certo non l’avevo mai vista in vita mia e non avrei mai dimenticato una cosa simile tanto facilmente, quindi, che cosa significava quel sogno? Era una premonizione di qualche tipo o forse era soltanto lo stress che mi faceva brutti scherzi? Optai per la seconda opzione, ritenendola come quella più realistica e sensata.
Rendendomi conto di star dando troppo significato ad una cosa di così poca rilevanza, fissai la donna al mio fianco concentrandomi su di lei: i miei sentimenti erano immutati, non c’erano né segni di cedimenti né esitazioni.
Volevo ancora starle accanto, sentire la sua presenza, percepire il suo profumo e godere del contatto con la sua pelle con tutto me stesso, ma allora perché sognare di tradirla con qualcuno che nemmeno conoscevo?

Insomma non è neanche un giorno che abbiamo cominciato a vederci e già sbucano fuori sogni che mi fanno sorgere altri dubbi? Non basta che la legge, l’intera specie, la zia e i parenti si mettano in mezzo? Ci voleva pure questo.

Pensai estremamente infastidito, stringendo i pugni mentre la rabbia invadeva la mia anima con prepotenza.

No… non ha senso essere arrabbiati per una stupidata simile, Slender. Ti rovinerai solo la giornata e non risolverai niente… e poi non vorrai mica spaventarla?

Accarezzai il viso addormentato di Aliaga con delicatezza, cercando di non svegliarla, osservando i suoi lineamenti completamente rilassati nel sonno che diedero un po’ di pace alla mia anima tormentata. Lei si mosse leggermente e si strinse di più a me cercando la mia presenza, facendomi sentire tutto il suo accogliente calore. Posai lo sguardo sulla finestra da cui era spuntato un timido raggio di sole, era quasi l’alba. La zia doveva essersi sicuramente insospettita per non avermi ritrovato nel posto in cui mi aveva mollato ma, per mia fortuna, non era ancora venuta a cercarmi e la cosa era assai sospetta. Era già difficile trovare una scusa per la mia improvvisa scomparsa, figuriamoci se mi cogliesse a condividere lo stesso letto con un’umana. Sarebbe stato terribilmente imbarazzante da spiegare alla cara zia che mancava di totale comprensione anche per il più stupido e irrilevante degli errori.
Sospirai, posando le mie labbra sulla fronte e circondandola con le mie braccia per tenerla al caldo, gustandomi appieno il momento, sperando che durasse almeno per un quarto d’eternità.

Certo che questi esseri umani hanno dei letti davvero piccoli…

Crack!

Un terribile crampo mi attraversò la schiena, bloccandomela completamente, impedendomi così di piegarmi in due per il dolore acuto.

Auch… si, decisamente troppo scomodi per me!

Cercai di mettermi in una posizione più favorevole, stendendo le gambe che finirono al suolo e rilassando la spina dorsale dolorante.
“Tutto a posto?” chiese una voce annoiata.
“Si, stavo solo un po’ scomodo…” dissi d’impulso, cercando di mettermi comodo. Rendendomi conto di ciò che era appena accaduto, mi congelai, abbassando lo sguardo verso Aliaga. Non sembrava essere molto felice del fatto che l’avessi svegliata così presto e il suo sguardo parlava per lei.
“Ah…” disse seccata facendo schioccare la lingua sul palato, fissandomi intensamente con i suoi occhi ambrati, cercando di sondare la mia anima.
“C’è qualcosa che non va?” chiesi, spaventato dall’eventualità di aver fatto qualcosa di sbagliato. Lei si strofinò gli occhi e si mise a sedere, stiracchiandosi le braccia.
“Beh, prima di tutto mi hai svegliato prima delle nove…e poi sono sempre di cattivo umore la mattina” dichiarò gravemente, fissandomi di traverso.
“Non lo sapevo, mi dispiace.”
Mi fissò interdetta, probabilmente sorpresa dalle mie scuse. Si girò verso di me e, sospirando, appoggiò la mano sul suo viso:
“Slender, non sei mica il mio schiavetto, non sei tenuto a scusarti con me per ogni errore inconsapevole che fai… mi fai quasi sentire in colpa, lo sai?” disse piano, ritornando al mio fianco.
“Lo so, ma ho paura di rovinare tutto. E’ prematuro dirlo e forse potrei pentirmene, ma non voglio che finisca troppo presto… io mi sento davvero bene qui con te” la guardai tristemente, prendendole la calda mano e avvicinandola al mio cuore, che accelerò mentre sfiorava lentamente il tessuto della mia camicia.
“Accidenti a te! Come faccio ad essere arrabbiata se tu sei sempre così gentile con me? Ora sì che mi sento in colpa!” dichiarò scherzosa, abbracciandomi.
“Perché? È forse anormale per la tua specie comportarsi bene con una signora?” chiesi confuso, non conoscendo approfonditamente le sue usanze.
“Tecnicamente dovrebbe esserlo, ma non è così nella maggior parte dei casi. Mah… lasciamo perdere, certa gente non merita nemmeno di essere considerata umana…” sospirò, abbassando lo sguardo. Riuscii a vedere, per una frazione di secondo, un’immensa tristezza nascosta in quegli occhi profondi. Lei si aggrappò a me, nascondendo il viso nel mio petto, abbracciandomi saldamente.
“E comunque, neanche io vorrei che finisse presto… insomma, cosa c’è di più eccitante di una relazione interspecie?” disse giocosamente, riappropriandosi di tutta la sua sicurezza, tirando fuori la testa dal suo nascondiglio e regalandomi un meraviglioso sorriso.
“Uh, lo sai che, detta così, suona malissimo? Non mi illudere per niente Aliaga!” ribattei stando al suo gioco, appoggiando la mia fronte alla sua e stringendola di più a me.
“Si, era davvero una battuta pessima!”
Lei si distaccò da me, facendomi distendere a pancia all’aria. Adagiando il suo corpo sul mio, avvicinò il nostri visi. Le labbra a pochi centimetri di distanza, il battito del suo cuore che premeva sul mio, le sue mani sul collo che lo accarezzavano in un modo molto gradevole e il suo profumo che raggiunse le mie narici, mandando così a dormire il mio lato razionale.
“Aliaga…” sussurrai piano, non sapendo bene cosa dirle. Lei posò l’indice sulla mia bocca, dicendomi di fare silenzio. Mi osservò per qualche secondo, lo sguardo addolcito e le guance leggermente arrossate, mentre il nostri fiati si mescolavano in piccole nuvolette invisibili di vapore.
Appoggiai la mani sulla sua schiena, abbandonandomi completamente ai sensi, attraversando la spina dorsale con la destra lentamente, fino ad arrivare al suo fragile collo. La avvicinai a me, congiungendo le nostre labbra, sentendo il loro sapore delicato sulla lingua. Muovendomi con più sicurezza le guidai con passione sulle sue, lasciando che seguisse il mio ritmo. Sentii dentro di me le fiamme dell’inferno bruciare, mentre il nostro bacio aumentava di passione con il passare dei secondi. Purtroppo la mancanza di ossigeno ci costrinse a separarci, respirando con affanno uno sull’altro.
“Slender…” sussurrò piano stringendo le sue mani sulla mia camicia “vorrei chiederti un favore”, una grande incertezza si mostrò nella sua voce mentre si mordicchiava il labbro inferiore.
“Ti ascolto” le dissi baciandole la guancia, mentre una forte emozione si fece largo nel mio cuore, chiedendo a gran voce altri baci e contatti, seppur brevi, con la sua pelle soffice.
“Ti prego, non smettere mai di baciarmi in questo modo…” nascose la sua testa sul mio petto un’altra volta. Le accarezzai i capelli con calma, spostandola poi un po’ più su per avvicinare il suo viso al mio.
“Farò ciò che posso, anzi no… te lo prometto”, le sorrisi, mostrando una schiera di denti affilati che erano tutto tranne che rassicuranti “ma solo se tu mi farai un favore a tua volta”.
Lei mi fissò interrogativa, adagiandosi nell’incavo del mio collo “dipende da che tipo di favore…” disse poi diffidente.
“Ooh, andiamo Aliaga. Non sono mica Offender!”
“Quindi niente robe a rating rosso?” mi guardò speranzosa, abbozzando un sorriso.
“Assolutamente no.”
E così dicendo la distesi sul letto, mettendomi sopra di lei, scambiandoci di posizione, baciando dolcemente la sua bocca, riprendendo quel caldo contatto interrotto di lì a poco e accarezzando i suoi fianchi. Le sue labbra erano così calde e desiderose d’affetto, che non potei fare a meno d’essere travolto dalla passione, sfiorando così per pochi attimi una sezione di pelle della sua pancia, rimasta inavvertitamente scoperta a causa del movimento improvviso. Un leggero gemito di piacere uscì dalle sue labbra, facendomi arrossire completamente e accelerando ancor di più i battiti del mio cuore che sembra quasi esser impazzito.
“Q-qual’ era il favore?” chiese, totalmente imbarazzata per essersi lasciata sfuggire quel suono così poco casto, coprendosi gli occhi con il braccio sinistro.
“Voglio che tu mi dica una cosa…” la fissai dolcemente, anche se sapevo che non avrebbe mai potuto vederlo. Lei spostò un po’ il braccio, scoprendo una parte dell’occhio destro.
“Che cosa?”
“Il mio nome” risposi strofinando la mia fronte sulla sua guancia.
“Il tuo nome? Perché? È qualche strano tipo di nuovo feticismo?” chiese, togliendo il braccio dal viso e alzando il sopracciglio con un’espressione interrogativa.
“No, assolutamente. Mi piace il modo in cui lo dici, solo questo.”
Lei mi fissò incredula, senza sapere se fidarsi delle mie parole o meno.
“Se questo ti rende felice… Slender” disse scandendo bene il mio nome. Si, mi piaceva davvero tanto sentirla chiamare il mio nome, era quasi come se dicendolo, desse importanza alla mia presenza, confermando la mia stessa esistenza e il suo affetto per me. Nessuno mi aveva mai chiamato con quel tono di voce. Conoscevo bene il modo in cui tutte le persone mi chiamavano per nome, chi allegramente come Splendor, chi con fastidio come Offender, chi con scherzosa superiorità come Trender, chi con affetto come mia madre, chi con rispetto come mio padre e chi come un oggetto di valore come la zia. Dagli umani avevo ricevuto solo paura e disprezzo, in un certo senso, che uno di loro provasse qualcosa di così vicino all’amore per me e che io provassi lo stesso mi confondeva. C’era chiaramente qualcosa di diverso in lei, un coraggio innato ed una grande sfacciataggine, a volte fastidiosa, che l’avevano portata ad avvicinarsi a me senza timore. Ma qualcosa in me diceva che c’era sicuramente dell’altro, qualcosa che Splendor sapeva ed io no. Qualcosa di davvero grosso, dato che non mi aveva ancora rivelato niente.
“Grazie, ora dovresti riposarti un po’, mancano ancora un bel po’ di ore fino alle nove” le dissi, scacciando via tutti i miei pensieri, facendomi bastare ciò che avevo. Volevo averla accanto a me, non la sua fedina penale. Mi separai da lei a malincuore e mi alzai dal letto.
“Te ne vai di già?” chiese triste, sedendosi sul letto.
“Non ti preoccupare, scendo solo al piano di sotto per farmi un caffè, sempre che non ti dispiaccia se uso la tua cucina” mi riavvicinai a lei, baciandole la fronte amorevolmente.
“Nessun problema, fa come se fossi a casa tua, ma ti chiedo solo di non toccare la scatola nera nella mensola. È troppo preziosa e se si rompesse sarebbero guai grossi per me e per il mio portafoglio fin troppo leggero” mi sorrise, baciandomi con passione sulle labbra, trascinando via la mia anima per quei pochi attimi. La sua presa su di me era così forte da farmi venire i capogiri, mi spaventava e mi attraeva inevitabilmente a se, come una falena che vola verso la fiamma, pur sapendo che l’avrebbe bruciata. Imperterrito, come quel piccolo insetto, mi dirigevo nelle fiamme, mentre il fuoco della passione stava pian piano divorando il mio cuore e l’oscuro baratro dell’inferno si avvicinava sempre di più.
Mi diressi al piano di sotto, mentre la donna si cambiava per poi infilarsi sotto le coperte. Continuai a concentrare i miei sensi su di lei per tenerla al sicuro da ogni pericolo, sperando che nessuno si facesse vivo per minacciare la sua persona.
Scesi le scale lentamente e mi diressi in cucina, monitorando l’intera zona per controllare se ci fossero presenze sconosciute nei dintorni. Non trovando nessuno, iniziai a frugare nella credenza per trovare il barattolo del caffè. Dopo un po’ di ricerche lo individuai, era un barattolo bianco a pois arancioni con dei piccoli gufi multicolore, e lo aprii. L’aroma era buona, non delle migliori, ma non poi così male, dopotutto i prezzi del caffè erano aumentati e Aliaga non sguazzava di certo nel denaro. Non mi sorprese che la qualità fosse alquanto bassa, ma non avevo intenzione di lamentarmi e mi ripromisi di comprarle un caffè molto più gradevole quando ne avessi avuto l’occasione. Trovai una vecchia caffettiera bruciacchiata nella mensola affianco alla scatola nera che Aliaga mi aveva raccomandato di non rompere assolutamente.

Beh, se le do un’occhiata non la rompo mica. Basta solo stare attenti!

La presi in mano, era formata da uno strano minerale nero compatto, molto lucido, e sembrava non ci fosse modo per aprirla, era tutta un blocco. Pesava parecchio e probabilmente era solo una delle tante bizzarre statuine che gli umani amano definire come opere d’arte contemporanea. La rimisi a posto, leggermente deluso.
Mentre preparavo il tutto, decisi di frugare nel frigo per far passare il tempo. C’era una grande quantità di cibi precotti e poca roba fresca.

Non va bene, capisco la praticità, ma se mangia sempre questa roba le farà male!

Mi fermai a riflettere, fissando l’orologio da muro in ceramica color crema, probabilmente se avessi fatto tutto con estrema calma, mettendo un po’ di ordine nella credenza, avrei fatto in tempo per le nove.
Mi teletrasportai al piano di sopra per assicurarmi che lei stesse bene, trovandola addormentata sotto le coperte mentre abbracciava il cuscino.

Si, c’è tempo.


 


Tempo dopo, verso le nove…
 


Sentii i suoi leggeri passi scendere le scale e, appena arrivò in corridoio, mi teletrasportai al suo fianco. Indossava un pigiama verde pallido a pois bianchi con stampata sopra una grossa ranocchia che diceva in inglese “Will you love me, even if I’m not beautiful?”, i capelli rossi avevano assunto la forma del cuscino e le sue occhiaie erano leggermente migliorate.
“Slender, sei ancora qui?” chiese Al, stropicciandosi gli occhi sonnolenti “Pensavo saresti tornato a casa dalla megera. Non è rischioso per te trovarti in questo luogo, dato che quella tipa è in giro nelle vicinanze?” continuò sinceramente preoccupata per il mio stato di salute.
“Non ti preoccupare per me, posso pur sempre teletrasportarmi via e poi chi mi trova più!” le dissi scherzosamente, accompagnandola.
“Bene, se è così, allora sono più tranquilla. Cos’è questo buon profumo?” lei si diresse in cucina senza aspettarmi, incuriosita.
“Non è nulla di particolare, solo la colazione” le risposi placidamente, affiancandomi a lei “che ne pensi?”
Lei si tirò la guancia due volte e, realizzando di essere sveglia, si girò verso di me, fissandomi stupita.
“Ma… com’è possibile? Tutto questo sembra così reale… ma probabilmente sto ancora sognando! Insomma, non abbiamo fatto ancora niente… sono confusa” lei iniziò a girare sul posto pensierosa, confondendomi a mia volta.
“Che cosa intendi dire?” la guardai interrogativo, inclinando la testa senza capire bene cosa volesse comunicarmi con le sue criptiche parole. Lei mi fissò con gli occhi sgranati, tutto il suo viso divenne rosso all’improvviso.
“Ehm… n-non importa, fa finta che non abbia parlato!” dichiarò, cercando di evitare la questione.
“Uhmm…” avvicinai il mio viso al suo, chinandomi verso di lei con le braccia incrociate “troppo tardi, ora voglio sapere e non smetterò di fissarti finché non me lo dici!” dissi convinto, senza mai allontanare lo sguardo da lei.
“Ah! E così il grande Slender vuole avvalersi del suo aspetto inquietante per farmi venire i brividi di paura. Brrrrr, mi sento già congelare!” esclamò sarcastica, strofinandosi le braccia ironicamente.
“Ahah… no. Il tuo sarcasmo non mi tocca, io non mollerò così facilmente!” dichiarai deciso a mandare avanti quella nostra piccola disputa. Non mi sarei arreso finché la verità non fosse saltata fuori.
“E quindi hai intenzione di continuare per quanto tempo di preciso, se mi è dato sapere?” chiese spostando il peso del suo corpo sulla gamba destra, appoggiando poi la mano sul fianco.
“Finché non parlerai, anche a costo di farmi aprire come una scatoletta di sardine dalla zia!” drizzai la schiena pronto a tutto. Lei lasciò cadere le braccia, sospirando.
“Va bene, mi arrendo, te lo dirò…” lei mi si avvicinò, sconfitta, capendo di aver perso in partenza, “ma è solo perché mi dispiacerebbe vederti ridotto ad un colabrodo a causa della zietta!” dichiarò incrociando le sue braccia sul petto. Lei prese un bel respiro:
“Quello che intendevo con l’espressione non abbiamo fatto ancora niente è una cosa sola…” fece una pausa “io stavo parlando di sesso.”
Il mio cervello andò in criogenesi automatica poco prima che l’imbarazzo mi invadesse tutta la pelle, trasformandomi in una specie di slender dalla colorazione rosso cremisi.

Tum!

C-cosa?!

Non riuscivo più ad elaborare pensieri complessi, mentre mi sentivo confuso e spaesato, iniziando a sudare per l’estremo calore che il mio corpo stava emettendo, desiderando di infilare la testa sotto terra come quei buffi uccelli terrestri di cui non ricordavo il nome.

Tum tum!!

Lei intendeva quello?

Tum tum tum!!!

Cioè, io e lei, fare quello?!?

Come se la situazione non fosse stata abbastanza surreale, la mia mente si scongelò e mi rimembrò ciò che era successo poche ore prima. Quel suono prodotto dalle sue labbra mi rimbombò nelle orecchie, prepotente e sensuale, portandomi alla temperatura di ebollizione.
Mi precipitai in bagno, aprendo il rubinetto della vasca, e ficcai sotto il flusso d’acqua fredda la mia povera testa imbarazzata ai limiti del possibile.

Fsssss!

“Non è colpa mia, sei tu che lo volevi sapere!” gridò Al dalla cucina.

Blub!

Sentii i suoi passi ovattati, causa del liquido in cui ero immerso, avvicinarsi al bagno. La sua testa fece capolino dalla porta, osservandomi con curiosità.
“E’ tutto ok, Slender?” mi chiese, mezza imbarazzata e mezza divertita dalla mia timidezza.
“Blub!” dissi, alzando il pollice verso di lei, senza mai togliere la testa dall’acqua.
“Va bene allora… possiamo dimenticare ciò che mi sono lasciata sfuggire prima e andare a mangiare quelle meraviglie che ci sono a tavola? Credo di avere fame…” dichiarò grattandosi il dorso del naso nervosamente.

Growl!  

“Accidenti, altro che credo, io ho fame!”
Lei si avvicinò al rubinetto, lo chiuse e mi porse un asciugamano, aiutandomi poi ad asciugarmi la faccia.
“Ok, ora dovresti essere a posto…” disse soddisfatta del risultato.
“A volte mi fai sentire come se fossi un bambino” le confessai, fissandola negli occhi con dolcezza.
“Ed è una cosa buona o cattiva?” mi chiese inarcando il sopracciglio.
“Buona, definitivamente” senza preavviso, la presi tra le mie braccia e, sorreggendola per la vita, le sfiorai la fronte con le labbra, lasciandole un leggero bacio affettuoso.
“Dove sei stato per tutti questi anni, Slender?” sussurrò, godendo del nostro breve contatto.
“Sempre qui, subendo le angherie dei miei consanguinei” accennai un sorriso. Si, la mia vita era abbastanza deprimente.
Ci mettemmo a tavola e mangiammo, il tempo passò veloce, anche troppo per i miei gusti…
“Credo che ora io debba andare, ho delle spiegazioni da dare alla zia ed è meglio che mi sbrighi, non vorrei ritrovarmela davanti!” e così dicendo indietreggiai verso casa, continuando a fissare Aliaga, non volendo perdere un solo istante della sua figura che, mano a mano che procedevo, si riduceva impercettibilmente. Purtroppo non avevo calcolato gli svantaggi della cosa.
“Perché stai camminando all’indietro, Slender?” mi chiese lei, inclinando la testa.
“Cerco di allungare il momento prima del distacco, gli addii mi mettono tristezza” le risposi continuando a camminare all’indietro goffamente come un’idiota.
“Ma questo non è mica un addio e poi così non rischi di-“

Sbeng!

“… appunto” disse mettendosi la mano in faccia.
“E’ tutto a posto, sono ancora intero!” le dissi rialzandomi, scacciando via polvere e terriccio dal completo.
“Bene, ma ora per piacere, cammina normalmente. Non vorrei cadessi in un fosso e ti facessi male!” mi rimproverò saldamente.
Sebbene con profondo rammarico, decisi di seguire il suo consiglio e, appena fui abbastanza vicino alla mansione, mi teletrasportai sull’uscio. Bussai alla porta e aspettai.
Mi ritrovai davanti Splendor, un’espressione in volto così triste e depressa che mai avevo visto sul suo viso. Le lacrime gli rigavano la faccia uscendo come fontane e un’aura nera avvolgeva il suo corpo, ingobbito dalla negatività. Le sue braccia ricadevano inerti sui fianchi e gli occhi avevano perso tutta la vivacità, ora sembravano smorti. La cosa che più mi colpì fu il fatto che la sua pelle aveva assunto una malsana colorazione grigia.
“Fratellone…” esordì con una voce bassissima e rauca, “è già passata una settimana?” chiese mettendo le mani sulle mie spalle, quasi come per appoggiarsi a me. Gli tremavano le gambe, stando a malapena in piedi.
“No, mancano ancora sei giorni… Splen, stai bene?” gli dissi, sentendomi terribilmente in colpa per averlo lasciato da solo in quello stato pietoso e strappacuore.
Lui mi fissò sgranando gli occhi e cascò improvvisamente tra la mie braccia, emettendo un suono che sembrò una via di mezzo tra un fischio e un sibilo di disappunto. La sua temperatura era terribilmente alta, tanto che mi scottò appena toccai la sua fronte.
“Santi numi! Splendor, che ti succede?!” lo sorressi, spaventandomi a morte per il suo improvviso cedimento e le sue condizioni disastrose. Lo portai in camera sua e gli sentii il polso: era debole, troppo debole.

La zia lo stava uccidendo sul serio!
 
°°°°

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Capitolo 15
*** Capitolo bonus: 0.1. Cocoon ***




“Capitolo” bonus:
0.1: Cocoon
 



Acho!

Accidenti, si congela qua fuori!

Rabbrividii mentre qualcosa di bagnato e freddo finì sul mio viticcio. Dei piccoli fiocchi di neve iniziarono a cadere dal cielo, posandosi sulla mia figura, diminuendo sempre di più la mia temperatura corporea. Cercai di muovermi per liberarmi e trovare un riparo, ma il dolore era troppo intenso e mi costrinse ad arrendermi a quella spiacevo situazione.
“Me la pagherai Slender…” borbottai tra i denti, mentre un ghigno di dolore si dipinse sul mio volto.

Tecnicamente, te la sei cercata.

Disse la mia coscienza, cercando di rimproverarmi per ottenere un qualche tipo di reazione positiva da parte mia. Che illusa!

Tecnicamente, tu dovresti essere morta. Sta zitta…

La soppressi, rimandandola da dove era venuta e richiudendola lontano da me, desiderando non tornasse più indietro. C’era silenzio, troppo per i miei gusti. Deglutii lentamente, schiacciando ogni residuo di emozione dentro di me.
Annusai l’aria, mentre uno strano odore sconosciuto si avvicinava. C’era qualcosa o qualcuno nei dintorni e non era né un umano né uno slender. Non c’erano mai state creature pericolose e, essendo una delle poche foreste a non essere infestate da esseri terrificanti, a parte noi, mi parve parecchio strano che qualcosa di così anomalo girasse in questo luogo. Qualcuno, probabilmente, l’aveva condotto in zona per chissà quale scopo. Dovevo liberarmi e in fretta, non era sicuro affrontare qualcosa di ignoto senza avere la possibilità di filarsela al minimo segno di pericolo.
Strattonai un viticcio con forza, sopportando a malapena il dolore, finché non riuscii a spezzare il ramo in cui era stato conficcato. Cercai di fare la stessa cosa con il braccio, ma il legno era troppo resistente e i miei muscoli troppo debilitati per riuscirci, finendo così per farmi solo più male del necessario.
“Tu guarda, che cosa abbiamo qui? Uno slender impigliato tra i rami!” disse una voce con una forte nota sarcastica.
Girai la testa, cercando l’essere da cui erano state prodotte quelle parole e, avendolo individuato, lo fissai incerto.

Un uomo?

“Mi sembri confuso, sai almeno parlare la mia lingua? O forse preferiresti di gran lunga decorare le tue portate con la mia deliziosa testa?” accennò un gesto plateale con la mano, uscendo dall’ombra con un mezzo ghigno stampato sul volto.
Era alto all’incirca un metro e ottantotto, sicuramente di non più di venticinque anni d’età, con capelli corti di un castano molto chiaro e occhi di un azzurro pungente. Indossava un lungo cappotto blu scuro, quasi nero, con dei piccoli glifi azzurri che decoravano la fine del colletto e delle maniche. Da esso faceva capolino una lunga sciarpa grigia che gli proteggeva il collo dal freddo, quanto avrei desiderato averla per tenermi al caldo.
“Puoi giurarci, tizio che non conosco, ma se volevi che ti mangiassi, mi dispiace, sono certo che avresti decisamente un cattivo sapore” gli restituii un ghigno spaventoso, mostrando tutti i miei denti, ben sapendo che l’avrei spaventato.
Lui mi fissò, senza muoversi di un centimetro e senza mostrare alcun segno di paura, squadrandomi in un modo che non mi piacque affatto:
“Cos’hai da guardare, umano? Sono forse troppo brutto per i tuoi preziosi occhietti?” scherzai, sentendomi totalmente al sicuro. Era solo una misera creatura, cosa mai poteva farmi?
“Assolutamente no” dichiarò senza scomporsi più di tanto, avvicinandosi a me, mentre il mio unico viticcio libero ondeggiava flaccido e senza energie.
Non sarei riuscito ad ucciderlo in un colpo solo, non con quell’unico arto ora così debole. Realizzai che, se avesse voluto, avrebbe potuto eliminarmi senza tanti problemi.
I suoi passi riecheggiarono sul leggero strato di nebbia fresca, mentre la sua mano si apprestò a prendere qualcosa da sotto il cappotto. Una lama risplendette sotto i raggi della luna, mettendomi in allarme. Il terrore puro invase le mie vene, pompando adrenalina nel sangue vivo. Dovevo liberarmi e in fretta, prima che fosse tardi.
Cercai di colpirlo con il mio prolungamento, ma finì per afflosciarsi al suolo, inerte e inutile.
Dopo vari tentativi, deglutii, arrendendomi all’inevitabile. Girai la testa dall’altro lato per non guardare la fine negli occhi.

Zac!

Aspettai, ma nulla arrivò. Nessun dolore, a parte quello dei rami conficcati nella carne, attraversava il mio corpo stanco e debilitato. Mi girai verso quell’uomo, fissandolo stupito mentre quello tagliava alcuni rami che mi bloccavano.
“Che diavolo stai facendo, umano?” gli chiesi sconvolto dalle sue azioni.
“Uffa, ti sto liberando, non è evidente? E poi il mio nome è Rei, non umano” disse serio, continuando a tranciare il legno con il coltello, come se niente fosse.
“Si, ma perché?”
“Perché mi andava e mi facevi pena” e così dicendo tagliò l’ultimo ramo, facendomi cascare a terra.
“Non ho bisogno del tuo compatimento, Rii” mi rialzai, spazzando via la neve che si era accumulata sul cappotto “io non ho bisogno di nessu-“

ACHO!

“Nemmeno di qualcosa di forte per mettere un po’ di calore in quelle ossa congelate? Sai, l’alcool non ha un sapore così cattivo come si dice in giro… o, ma, scusami, non sapevo preferissi morire congelato! Buona fortuna allora e, comunque, è Rei, non Rii.” lui si incamminò tra gli alberi innevati, comportandosi come se non fosse successo nulla di strano.
Lo fissai andare via, quanti umani ricordavano dei fugaci incontri che avevo avuto con loro? Nessuno, cancellavo sempre le loro memorie perché non avevo voglia di ritrovarmi gente suicida sulla coscienza e quello se ne andava via così, con i ricordi immutati e facendo finta di niente.
Un vento freddo mi investì, costringendomi a coprirmi in quel cappotto troppo sottile per quel clima gelido. Tirai fuori l’accendino e accesi una sigaretta, passandola tra le labbra intirizzite.

Già so che me ne pentirò.

“Ehi, aspetta, Re, Principe o come cavolo ti chiami! Ho cambiato idea” gli andai dietro.
“Uh, è Rei. Sono solo tre lettere, non è così difficile da ricordare!” protestò, fermandosi improvvisamente e girandosi verso di me.
“Che nome stupido! Non è colpa mia se non lo ricordo, non è importante” misi le mani sulla nuca, aspirando qualche buona boccata di fumo.
“Ah, sentiamo, com’è che ti chiami tu?” chiese beffardo, infilando le mani guantate nelle tasche.
“Richard, Michael, Caspian quindicesimo, detto il più sensuale dell’intero universo!” scherzai, facendo cadere un po’ di cenere per terra.
“Pff, e quello lo chiami un nome?! Altisonante e pomposo, la mia mente non è abbastanza congelata per credere che qualcuno riuscirebbe a sopportare di vivere con una tale denominazione senza vergognarsene a morte” sghignazzò, divertito dalle mie parole.
“Stavo scherzando, il mio nome è Offenderman, detto Smexy da tutte le belle fanciulle che mi vengono dietro” pronunciai orgoglioso.
“Tipico nome da slender, nulla di importante, ma sempre meglio del primo che mi hai rifilato.  Comunque, già che ci sei, non ti andrebbe di presentarmene qualcuna delle tue pollastrelle? La gente orba non mi fa senso.”
“Ahah… molto divertente, Rei” dissi sarcastico.
“Quando vuoi, Offenderman.”

°°°°

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Capitolo 16
*** 15. The road that leads to the past. ***



15. The road that leads to the past.




Fissai Splendor, mentre una morsa si strinse sul mio cuore. Stava davvero male, ma non riuscivo a capire quale fosse il problema. Gli slender non si ammalano, infatti siamo immuni da batteri e virus di ogni sorta, i nostri problemi sono tutt’altri. Può capitare che alcuni fattori possano influenzare negativamente il nostro organismo dall’esterno: cose come l’ambiente circostante, sentimenti, oggetti o persone con un’energia particolare possono danneggiare la nostra essenza, mettendo quindi a rischio la nostra incolumità e, a volte, la nostra stessa vita. Per quanto riguarda la nostra sfera emotiva, siamo molto fragili ai sentimenti negativi, per questo la nostra specie aveva sviluppato una calma e freddezza quasi innaturali. E dico “aveva” perché questo fattore sta iniziando a sparire con le nuove generazioni. Quasi tutte le specie che ci erano ostili sono state eliminate dalla circolazione e, non avendo più un nemico da cui difenderci, la nostra sfera emotiva stava perdendo di freddezza e l’organismo si stava rilassando troppo, causando quindi sbalzi emotivi, irritabilità e, in casi gravi, la perdita della memoria con una conseguente morte. Strinsi la mano bollente di mio fratello, non avevo mai visto una cosa del genere prima d’ora. Trender aveva avuto degli sbalzi precedentemente e quindi ne conoscevo bene i sintomi, ma era palese che il problema di Splendor fosse tutt’altro, ne ero assolutamente certo.
Fortunatamente della vecchia non c’era traccia, né nella mansione né nei dintorni: era come inspiegabilmente sparita nel nulla.

Sarebbe meraviglioso se quell’essere l’avesse accoppata una volta per tutte.

Scacciai via quel pensiero, tanto valeva non illudersi, quella era più dura a morire della morte stessa. Dopotutto campava da più di duecento anni ed era sopravvissuta alla guerra.
“Splendor, come ti senti?” gli chiesi, cercando di indagare sui suoi sintomi, mantenendo un’apparente bozzolo di freddezza, mentre in realtà ero terribilmente spaventato dalla possibilità che fosse qualcosa di davvero grave.
“M-male” rispose flebilmente, emettendo un fischio, con gli occhi socchiusi e la bocca evidentemente secca. Afferrai il bicchiere d’acqua che avevo preso poco tempo prima in cucina e glielo portai alla bocca, aiutandolo a bere, stando ben attento a non farlo soffocare.
“Dove senti dolore?” gli aggiustai il cuscino, cercando di rendere la sua seduta più confortevole.
“Ovunque” disse mentre un altro debole fischio gli scappò dalla bocca. Lo fissai, cercando in tutti in modi di non fargli vedere la mia preoccupazione che aumentava ogni secondo di più. Mi coprii il viso, nascondendo i muscoli che si contrassero per la disperazione.

Non capisco, eppure ho studiato tutti i libri di medicina in circolazione, non può essere che io abbia dimenticato qualcosa! Eppure non c’è nessuna soluzione o indizio su cosa possa essere ciò che gli sta accadendo… perché sono così incapace?! Maledizione!

Strinsi le dita sul volto e, senza rendermene conto, perforai la carne con le unghie. Mi sentivo così impotente e la cosa mi dava fastidio, tanto fastidio.
Spendor mi fissò per qualche secondo, gli occhi quasi senza vita e la pelle ingrigita.
“Non è niente, Slender… vedrai che passerà presto” cercò di consolarmi, avendo notato il mio improvviso disagio. Provò a sorridermi, ma tutto quello che uscì fu un ghigno di dolore che pretendeva di assomigliare ad un’espressione felice.
“Forse hai ragione…” dissi riacquistando il pieno controllo di me stesso mentre le piccole ferite si richiudevano lentamente, non l’avrei di certo aiutato se fossi ceduto alla disperazione, “ma è meglio andare a chiamare un medico…” mi alzai dalla sedia che avevo posto affianco al suo letto e mi diressi in camera di Trender in modo da avere qualcuno che si occupasse di Splendor mentre ero via.
La stanza era completamente diversa dal solito, ma dopotutto era normale dato che la zietta era ancora in giro.
“Trendy Trendy, lo so che ci sei, hai lasciato i tuoi occhiali sulla scrivania!” gridai, sapendo bene che era lì.
Una botola si aprì da pavimento e la testa annoiata di uno slender fece capolino dal buco, appoggiando la mano sul viso:
“Slender, lo sai che odio quando qualcuno mi chiama in quel modo. Ti riterrò il diretto responsabile degli incubi aggiuntivi che mi causerai questa notte perché mi hai ricordato quella persona” dichiarò platealmente mentre usciva da quell’apertura segreta, “e se ti sentisse la zia?! Se scoprisse il mio armadio sarei in guai belli grossi e di certo non punirebbe solo me!” richiuse il nascondiglio, facendo poi sparire ogni traccia della sua presenza.
“Non preoccuparti, non è in casa” dissi con cautela, sperando che, per qualche misterioso ed oscuro motivo, quella frase non attirasse la sua presenza demoniaca.
Lui sembrò rilassarsi per la buona notizia, prendendo gli occhiali e rimettendoli sul viso.
“E’ successo qualcosa?” chiese notando la mia espressione corrucciata, aggiustandosi le maniche del completo con stizza, mostrando tutto il suo odio per quel capo che riteneva indegno della sua persona.
“Si, Splendor non sta bene e non riesco a capire quale sia il problema, devo ritornare a casa e cercare un dottore” gli dissi freddamente, fissandolo con estrema serietà.
“E hai bisogno di me per badare a lui nel frattempo, giusto?” chiese appoggiando la mano sul fianco.
“Giusto” risposi seccamente.
“Nessun problema, Slender, spero almeno che non sia contagioso!” dichiarò con leggerezza, dirigendosi verso la stanza di suo fratello minore.
Preparai velocemente tutte le cose che mi sarebbero servite per il viaggio e mi apprestai sulla soglia della stanza di Splendor per annunciare la mia partenza.
“Io vado, cercherò di fare il più velocemente possibile” annunciai ai due, appoggiandomi alla porta. Trender aveva preso il mio posto sulla sedia, le braccia conserte e la gamba accavallata: si vedeva che anche lui era sinceramente preoccupato anche se stava cercando di non darlo a vedere.
“Ok” disse Trender, riaggiustandosi gli occhiali con la punta delle dita.
“Conto su di te, Trender, non mi deludere…” pronunciai gravemente, fissandolo con intensità.
“Farò tutto ciò che posso” rispose appoggiando la testa sui palmi delle mani, osservando suo fratello minore.
Raggiunsi la porta e mi teletrasportai all’aria aperta. La neve stava iniziando a cadere dal cielo con lentezza, fluttuando nel vento e congelando tutto ciò che toccava. La natura si stava addormentando lentamente mentre qualche piccolo scoiattolo con le guance gonfie portava le ultime ghiande nella sua tana e due gufi dormivano affiancati al calduccio nella loro casa.
L’inverno era arrivato e quasi tutte le foglie erano oramai distese al suolo, venendo irrimediabilmente ricoperte da quella spessa coltre bianca.
Mi riparai da quei piccoli fiocchi che mi punzecchiavano la pelle, aprendo l’ombrello, e mi incamminai verso il punto preciso della foresta dove si fermava l’omnibus per ritornare a casa. Sebbene decisamente superiori agli esseri umani per quanto riguarda forza ed intelletto, la nostra tecnologia era decisamente inferiore, soprattutto perché molte delle invenzioni umane per noi erano superflue o perfino dannose. Puntavamo ad avere l’essenziale ed il funzionale per non danneggiare il nostro pianeta.
Osservai il paesaggio circostante, cercando di imprimere bene nella mente quelle immagini. Il più totale silenzio regnava tra gli alberi sopiti dal freddo, interrotto a volte dal leggero rumore del vento che spirava tranquillo e dal suono di una foglia che, staccandosi dal ramo, dava il suo ultimo addio alla vita. Non ci misi molto ad arrivare alla fermata, sedendomi su un grande masso, togliendo un po’ di neve con la mano. Fissai il vecchio orologio da taschino del nonno che conservavo nella tasca dei pantaloni, le lancette si inceppavano ogni tre ticchettii, faticando ad avanzare, ma, nonostante questo, funzionava ancora bene. Lo richiusi, osservandone la foggia: era tutto dorato ed inciso sul dorso c’era il disegno di una camelia, il cui color rosso era sbiadito e a tratti scrostato a causa del tempo e dell’incuria dei suoi precedenti padroni. Sul retro recava un’altra incisione, una scritta in latino:

Ubi tu, ibi ego.

Mancavano una decina di minuti prima della mia partenza: non abbastanza per salutarla.

Vabbè, non importa. Tanto non starò via a lungo.

Richiusi l’orologio e lo riposi nella tasca. Congiungendo le mani, presi tempo per riflettere su tutto quello che era successo in quel breve lasso di tempo. Mai prima d’ora le ore e i giorni erano volati tanto in fretta, la monotonia della vita era man a mano sbiadita, lasciando così spazio ad emozioni, sia positive che negative, tanto forti da farmi sentire vivo e, ora, stavo ritornando a casa. Trovai ironico il fatto che, quando partimmo per venire a vivere qui, io non avevo la minima intenzione di andarmene e ora il pensiero di ritornare indietro non era più così allettante. Non sapevo ben dire cosa fosse cambiato da allora, ma era come se la Terra fosse diventata la mia casa durante quei lunghi anni. Le sue terre, le foreste e i prati verdi, l’acqua limpida e scrosciante, gli animali che l’abitavano e tutto il resto, erano rimasti impressi nel mio cuore come un disegno indelebile. Sembrava così viva che la sua bellezza mi era entrata dentro. Ma dopotutto non era davvero la mia casa, non era il luogo a cui appartenevo e fingere che fosse così era sbagliato.
Mi riscossi dai miei pensieri mentre un portale rosso si aprì nell’aria, squarciando il velo dimensionale. Delle forti folate di vento mi colpirono sgualcendomi il completo e facendo finire la mia povera cravatta in pieno viso. Un grande omnibus nero trainato da quattro destrieri Nofai* apparì dallo squarcio, atterrando al suolo con un tonfo e frenando improvvisamente. Il primo cavallo nitrì imbizzarrito, bruciando il terreno con le sue selvagge fiamme blu.
“Oooh, calma Nora, non è ancora ora di pranzo e lo sai bene!” disse il cocchiere, cercando di acquietare l’animo irrequieto di quella che doveva essere una cavalla. Era uno slender più o meno della mia stessa età, coperto da una mantella scura, un cappello nero con una lunga piuma bianca gli copriva la testa. Indossava un paio di stivaletti marrone scuro, guanti neri, pantaloncini marroni e calzettoni bianchi. Una grossa cicatrice trasversale gli attraversava il volto, sfregiandogli il viso, arrivando fino alla bocca, l’unico tratto visibile sulla sua faccia. Appena si fu calmata, scese giù dal suo posto di guida:
“Slenderman? Per i numi, sei tu! Sono anni che non ti vedo, come va la vita?” mi chiese allegro, avvicinandosi a Nora per accarezzarle il muso.
“Ostenderman, non pensavo ti avrei rivisto in tali circostanze! Le cose non vanno molto bene, ma comunque si tira avanti” dissi, contento di aver ritrovato una mia vecchia conoscenza dopo così tanto tempo.
“A chi lo dici, Slender…” dichiarò, chinando la testa e osservando tristemente l’animale. Io e Ostender eravamo stati amici d’infanzia molti anni addietro, ci eravamo conosciuti a causa di un terribile malinteso che si era protratto per un tempo abbastanza lungo e che, ripensandoci, mi strappava ancora un sorriso.
“Cocchiere! Noi dovremmo scendere, si dia una mossa!!” gridò una voce stridula dall’interno del mezzo di trasporto con estrema stizza.
“Pei i numi, arrivo duchessa!” si affrettò Ostender, mollando improvvisamente le briglie e correndo fino alla portiera dell’omnibus, rischiando di inciampare in un grosso sasso.
“Woah!” esclamò, ondeggiando a destra e sinistra, reggendosi su un piede solo. Sbattendo le braccia convulsamente, riprese l’equilibrio pochi secondi prima di ritrovarsi faccia a terra. Si ripulì velocemente la mantella con le mani, apprestandosi poi ad aprire la portiera.
Una giovane slender dai capelli biondi ramati molto chiari sbucò fuori. Indossava un lungo vestito bordò spento, ornato da del pizzo rosso, con una grossa spilla a forma di rosa appuntata sul petto e un girocollo di pizzo con una collana di perle nere. Lei si tolse i guanti dalle mani, accettando la mano tesa di Ostender, scendendo dall’omnibus con altezzosità e una certa grazia. Appena fu uscita all’aria aperta, il cocchiere si apprese a chiudere la portiera, scordandosi completamente del suo secondo passeggero.

Sbem!

“Ahio ahio! Che male al naso!!” gridò qualcuno dall’interno dell’omnibus. Lui si allarmò, rendendosi conto di aver dimenticato la presenza di una piccola umana che stava scendendo dal mezzo proprio in quel preciso istante.
“Numi, mi dispiace…” disse rammaricato lo slender, mettendosi le mani sul viso per nascondere la sua vergogna.
“Non farlo,” dichiarò afona la duchessa, “è soltanto una servetta e un naso rotto non le impedirà di adempiere ai suoi doveri… vero, Anna?!?” dichiarò severa, guardandola male, con una vena acutissima di veleno nella voce che si fece sottile ed affilata come una lama. La piccoletta si ricompose in fretta, cercando di tamponare le narici con un fazzoletto di stoffa:
“C-certamente mia signora, duchessa Chyntia, non potrei mai mancare ai miei doveri! Non sono degna della sua incantevole presenza!!” squittì meccanicamente, inchinandosi molteplici volte. Probabilmente doveva aver imparato quella frase a macchinetta per salvarsi da possibili ritorsioni sulla sua persona.
“Benissimo…” sibilò con uno sguardo che avrei giurato potesse congelare una persona. Lei mosse qualche passo in avanti e si bloccò, mettendosi le mani a coppa sul viso.
“Awww, sì, sono bellissima, non credete? Sì, certo che lo credete, ma che domande!” disse tutta contenta, ciondolandosi a destra e a sinistra come una gallina che pretendeva di assomigliare ad un pavone.

Che testa vuota…

Ostender iniziò a scaricare i suoi bagagli mentre l’umana stava lottando con l’altezza dello scalino, indecisa se saltare giù e rischiare di rompersi un osso della gamba, oppure aggrapparsi alla portiera e provare a scivolare lentamente fino a toccare il suolo. Rimasi fermo ad osservare l’intera scena mentre Anna optò per la seconda, appiccicandosi alla portiera, cercando di scendere, rimembrandomi così un bradipo obeso che cercava di arrampicarsi su un albero.
“Brutta stronzetta, figlia di canaglie, duchessa delle mie braghe-“ borbottò mentre un pezzo del suo lungo vestito rosa confetto si impigliò in un gancio e la costrinse a strattonarlo con violenza mentre era ancora appesa alla porta.
“Eh-ehm! Hai detto qualcosa, Anna?” la duchessa le lanciò un’occhiataccia, schiarendo la voce.
“N-niente, sua maestosità!” cercò di discolparsi, facendo la finta tonta, mollando la presa per errore.

Tund!

Screek!

Lei cascò con le gambe all’aria mentre il vestito si squarciò sulla gonna.
 Ostender posò l’ultimo bagaglio della sua passeggera al suolo e si asciugò il sudore con il dorso della mano sottile.
La duchessa sembrò ravvedersi dal suo improvviso attacco di presunzione e fissò Anna che agitava le sue gambette al vento, cercando probabilmente di rimettersi in piedi.
“Anna, smettila di giocare e prendi le valigie. Abbiamo ancora tanta strada da fare!”
Io mi avvicinai ad Ostender:
“Chi è quella tipa? Non l’ho mai vista prima d’ora…” gli sussurrai volendo indagare sul suo conto. Lui appoggiò una mano sulla mia spalla e fissò la duchessa.
Anna riuscì a rialzarsi e a prendere le cinque pesanti valige della nobile, mostrando evidenti sforzi nel trasportarle tutte da sola, senza riuscire a mantenere una traiettoria dritta mentre camminava.
Appena sparirono nel folto della foresta, il cocchiere lasciò la mia spalla e si rilassò, sospirando.
“E’ la figlia del granduca Hellbender, l’unica. È nata poco dopo la vostra partenza, è davvero bella ma non ha un bel carattere. Diciamo che è una spina nel fianco per chiunque le stia attorno, il granduca l’ha viziata in modo che definire esagerato sarebbe poco… troppi divertimenti, nessun dovere” disse piano, sperando che la tipa non fosse ancora nei paraggi.
“Ma il granduca non era…?” chiesi dubbioso, mettendo la mano sul mento.
“Infertile? Sì… alcuni sussurrano che non sia nata in un modo molto legale…” disse piano mettendosi la mano sulla bocca con timore, “comunque… è ora. Allora, Slender, avrò l’onore di riportare il figlio del Visconte a casa o sei qui solo per una beffa del fato?” dichiarò, togliendosi il cappello e facendomi un inchino scherzoso che mi strappò un mezzo sorriso.
“Ostendy, che onore e onore? Non ti sarai per caso dimenticato della nostra amicizia?” chiesi salendo sull’omnibus e chiudendo la portiera dietro di me.
“Affatto, io temevo che accadesse il contrario invece! Il figlio di un Visconte amico di un pischello, figlio di nessuno come me, una cosa a cui nemmeno la nonna crede. Sono più di venti anni che sto cercando di convincerla, ma niente, quella vecchia ha la mente più dura di un sasso!” dichiarò platealmente mentre si arrampicava al suo posto, prendendo le redini.
“Eheh, mi ricordo che, ogni volta che mi vedeva in giro per la sua dimora, mi fissava come se avesse visto un fantasma, come sta? Spero bene…” mi accomodai sul soffice velluto rosso del grande sedile, rilassando i muscoli della schiena.
“Se la cava…” disse placidamente, alzando le spalle, “allora, è da tanto che non fai più un viaggio con un omnibus trainato da queste meraviglie?” disse accarezzando il dorso del Nofai mentre le sue fiamme blu gli avvolsero delicatamente la mano senza bruciarla. Il cavallo nitrì contento e girò la testa verso il cocchiere, speranzoso di ricevere altre carezze.
“Dal giorno in cui ci siamo lasciati a Rusia*” dichiarai, cercando di ricordare bene quel momento passato.

Spunf!

Sprofondai letteralmente nella seduta, rischiando di venirne risucchiato.
“Accidenti è un sacco di tempo!” esclamò per poi accorgersi di quello che mi stava capitando “Numi! Lo sapevo che non dovevo comprare quella spugna di gelloso* da quel mercante ender*. Giuro che, se lo becco, gli farò vedere che effetto fa prendersi un pugno da uno slender!” disse con fervore, allungando le mani attraverso la finestrella da cui il cocchiere poteva osservare gli ospiti dell’omnibus e mi tirò fuori, facendomi poi accomodare sulla poltroncina opposta. Era piuttosto dura, ma almeno non ne sarei stato risucchiato.
“Cerca di non prenderle come quando ti azzuffasti con Offender, non posso assicurarti che questa volta non scoppierò a ridere!” dichiarai coprendo il sorriso che mi era spuntato sul viso per i ricordi.
“Numi, Slender, non picchio più come una femminella, ora sono un adulto!” gridò imbarazzato.
“Si, come no!” dissi sarcastico.
Il mezzo partì all’improvviso, un forte scossone mi fece finire con la testa nel sedile opposto, rischiando di esserne risucchiato nuovamente all’interno.

Mpffff!

Mi agitai, facendo forza sulle mani, finché non riuscii a tirarla fuori, accasciandomi sul sedile opposto.
“Me lo sono meritato” dichiarai mentre riprendevo fiato.
“Esattamente!” esclamò allegramente Ostender, riaggiustandosi il cappello sulla testa.
“Comunque, hai detto che la figlia del granduca non è, probabilmente, nata in un modo legale… che cosa intendevi di preciso?” indagai sospettoso.
“Esattamente ciò che ho detto…” sentii esitazione nella sua voce e paura, tanta paura, “senti non dovrei dirtelo, Slender, ma ho bisogno di confidare questa cosa a qualcuno. Non riesco più a tenermela dentro…” strinse la presa sulle redini.
“Dimmi pure, terrò la bocca ben chiusa” gli promisi con sicurezza, incuriosito dalle sue parole e ben sapendo che mi sarei potuto ficcare in un bel guaio, ma il desiderio di sapere era troppo grande.
“Mentre mi stavo occupando degli stalloni del principe, un anno dopo la tua partenza, l’ho sentito confabulare con il granduca…” abbassò la voce, sperando che io fossi l’unico a sentirlo “e ha detto qualcosa riguardo ad una strega che era arrivata nel nostro mondo e che preso sarebbe accaduto qualcosa. Tutto ciò mi terrorizza, gli intrighi di corte mi terrorizzano e soprattutto le streghe! Brr… e vuoi sapere qual è la cosa più inquietante?” mi chiese, facendo poi un respiro per tranquillizzarsi.
“Non sono sicuro di volerlo sapere, queste cose portano sempre-”          
“Pochi giorni dopo il re è morto e con lui il principe! Deve essere stata la strega, anche se non ha senso che abbia ucciso chi l’ha commissionata…” mi interruppe per poi fermarsi pensieroso.
“…guai” conclusi, leggermente irritato.
“Ahhh!! Tutto ciò non ha senso!” esclamò grattandosi la testa con la mano libera.
“Meglio così. Se fossi in te, non mi impiccerei negli affari di casate con un’influenza così grande sull’Alto Consiglio*. Non si fa mai una buona fine, soprattutto se non si hanno i mezzi per abbatterle senza destare sospetti…” mi massaggiai il mento, rimembrando ciò che mi era stato insegnato come primogenito. Uno dei motivi per cui eravamo stati costretti a partire era per proteggerci dalle guerre intestine che imperversavano tra le varie casate nobiliari. Erano tempi caotici e i miei fratelli non erano ancora completamente capaci di proteggersi da soli. Il sangue scorreva copioso, mentre intere famiglie venivano distrutte per il mero desiderio di un po’ di potere in più. Nostro padre non poteva permettersi che ci capitasse qualcosa e, di conseguenza, ci spedì sulla Terra con l’ordine di non tornare finché non fosse arrivato il tempo. Passarono gli anni e la situazione man a mano si stabilizzò. Alla fine decidemmo di rimanere sulla Terra, al sicuro, perché, nonostante tutto, ci eravamo innegabilmente affezionati a quel pianeta. Mi ritengo molto fortunato ad avere ancora tutti i miei fratelli con me e il pensiero di perderli non ha mai smesso di perseguitami da allora.
Sbirciai dal finestrino, osservando i contorni indefiniti delle terre di passaggio, lande sconosciute poste tra le varie dimensioni in cui non c’era vita, apparentemente. Era necessario attraversarle per passare da una dimensione all’altra.
“Già… possiamo per favore fare finta che questa conversazione non sia mai accaduta?” disse Ostender.
“Quale conversazione?” chiesi stando al gioco.
“Quella su-… aaah, capito!” esclamò spiaccicando la mano contro la sua guancia.

Slap!

“Auh auh!” disse accarezzandosi il viso arrossato su cui c’era stampata la sua manata.
“Ahah, non sei cambiato affatto!” mi piegai in due dalle risate, cercando di non soffocare.
“Il figlio del visconte si sta divertendo abbastanza con questo povero contadino?” chiese ironico, inclinando il cappello da un lato.
“Decisamente, ora puliscimi le scarpe!” scherzai.
“Mi dispiace annunciarla, messere, che al massimo gliele potrei infilare in bocca, così poi fa da solo” ghignò nascondendosi il volto sotto il capo d’abbigliamento.
“Oh, cosa abbiamo qui? Un ribelle? Mi piaci, ti assumo!” esclamai alzando la mano al cielo con studiata enfasi.
“Eheh…” sghignazzò, “te lo ricordi ancora vedo.”
“Come potrei mai dimenticare questo scambio di battute che facevamo da piccoli? Bisogna tenersi stretti i ricordi più cari o potrebbero scomparire nel nulla cosmico” dissi sorridendo sinceramente.
“Sembrerò un’idiota che non fa altro che copiare i pareri altrui, ma sono completamente d’accordo” dichiarò sorridente.
“Non sei un’idiota, abbiamo idee concordanti. Tutto qui.”
“Fiuu e io che ci credevo davvero! Grazie mille, messere, lei ha dato speranza alla mia vita di basse prospettive!”
“Di nulla, mio caro contadinotto!”
Mi sistemai in una posizione più comoda, stendendo le gambe sul sedile. Sospirando profondamente, presi la cordicella delle tendine blu scuro, una trama a fiori era stata ricamata sulla stoffa grezza con molta cura, probabilmente, dalla nonna di Ostender, e la tirai, facendole scendere lentamente. Lasciai che gli scossoni del mezzo mi cullassero e che la mia mente si riposasse dallo stress accumulato, mancavano all’incirca due ore buone all’arrivo.





La mia coscienza scivolò lentamente mentre il sonno mi prese tra le sue braccia, portandomi nel reame dove nascevano i sogni.
La luna risplendeva vivacemente nel cielo notturno, accompagnata dalle piccole luci delle stelle che, come tante piccole lucciole, brillavano di luce propria. Un vento primaverile attraversava l’erba della radura, facendola ondeggiare al suo tocco. I primi fiori erano nati da pochi giorni, ancora addormentati, aspettando che il sole sorgesse per salutarlo, aprendo così i loro delicati petali. E io ero lì e aspettavo. Non sapevo bene cosa stessi aspettando, sentivo semplicemente di doverlo fare. Passarono le ore… o erano forse minuti?
Non ne ero certo, ma dovevo stare fermo lì, fissando il monotono movimento degli steli delle piante per ingannare il tempo.
Emisi un lungo sospiro e mi distesi al suolo, puntando lo sguardo al cielo e ammirando le varie costellazioni. Dei piccoli passi si avvicinarono a me e il viso di una fanciulla apparve nel mio campo visivo.
Lei mi scrutò, stando in piedi dietro la mia testa, e, dopo essersi chinata, mi sorrise.
“Sei in ritardo…” dissi con una voce troppo profonda per essere la mia.
“Amender, sbaglio o quello è un broncio?” mi chiese senza smettere di sorridere.
“Sì, lo è. Lo sai che sto correndo un sacco di rischi per venire fin qui, vuoi farmi scoprire per caso? Almeno cerca di arrivare all’ora stabilita!” dichiarai automaticamente, girandomi dall’altro lato per non guardarla in volto. I suoi tratti erano ancora sfuocati e poco chiari, non avrei mai potuto definire chi fosse in realtà.
“Hai ragione, è colpa mia e me ne rammarico. Capirò se non mi vorrai più bene per questo, Amender, sono un’idiota…” sussurrò piano, indietreggiando di qualche passo.
Mi alzai di scatto, afferrandole la mano che sembrava così piccola e fragile nella mia, e la avvicinai a me:
“Si, sei proprio un’idiota” iniziai, stringendola tra le mie braccia, “se credi che io smetta di amarti per così poco” conclusi, accarezzandole i capelli e avvicinando il suo viso al mio. Mentre le nostre labbra si sfioravano delicatamente, sentii una grande tristezza espandersi nel mio cuore mentre l’angoscia mi riempiva l’anima. Avevo paura di perderla, che l’indomani mi sarei alzato e non l’avrei ritrovata più. Temevo di vederla morire tra le mie braccia, mentre la vita le scivolava via dalla candida pelle e gli occhi le venivano lentamente chiusi dal sonno eterno. Dei ricordi di notti agitate dagli incubi, che mi perseguitavano senza requie, riaffiorarono alla memoria. Scene della sua figura senza vita mi straziavano il cuore, risvegliandomi dal mio sonno madido di sudore e con il fiato corto.

“Amender…” disse lei piano, fissandomi con un’espressione preoccupata.
“Merisa, credimi… una vita senza di te non varrebbe la pena di essere vissuta” pronunciai appoggiando la testa nell’incavo del suo collo.
“Non dire queste cose… non potrei sopportare di vederti morire per me! Non potrei sopportare nemmeno la tua scomparsa dopotutto. Ti prego, non fare nulla di stupido, ok?” esclamò spaventata, abbracciandomi con tutta la forza che aveva in corpo.
“Va bene…”





“Siamo arrivati!” gridò qualcuno, svegliandomi di soprassalto. Mi accarezzai il viso, ancora scosso a causa del sogno, e mi alzai dalla seduta. Ostender saltò giù dal suo posto con un balzo e, aprendo la portiera, mi fece un inchino, aspettando che scendessi.
“Bentornato a casa, signor Slenderman! Spero che il viaggio sia stato di suo gradimento!” dichiarò tutto allegro, togliendosi il cappello di testa.
Attraversai gli scalini, posando il piede, dopo tanti anni, sul terreno del mio pianeta natale. Il cielo arancione chiaro, gli alberi altissimi e contorti e il terreno a tratti arido, mi accolsero.
Ma non ero lì per un viaggio di piacere: dovevo trovare un medico e già sapevo dove dirigermi.
 
°°°°


Glossario (opzionale):

Nofai= grandi più del doppio dei comuni cavalli terrestri, il loro manto va dal nero pece al grigio scuro. Criniera e zoccoli sono ricoperti da indomite fiamme blu che possono bruciare a comando chiunque li minacci, il loro cuore è composto da puro fuoco che, se spento, può portare alla morte di questa creatura. La loro forte muscolatura può sopportare il triplo del loro peso e si racconta che i loro occhi, coperti da un’energia innaturale, possano vedere gli spiriti invisibili. Utilizzati principalmente come mezzo di trasporto, non è facile domare queste magnifiche bestie che continuano a mostrare atteggiamenti ribelli anche dopo essere stati addomesticati. Si nutrono principalmente di carbone e legna. Sanno nuotare e, sorprendentemente, amano l’acqua calda, anche se li rende deboli. Se le loro fiamme esterne si spengono non moriranno, ma non potranno più usarle per un certo lasso di tempo. Vivono vicino ai geyser e nelle foreste. Hanno un ciclo vitale che va dai 100 ai 150 anni.

Rusia= cittadina di periferia e città natale dei nostri protagonisti. Rusia è sempre stata vista come un posto isolato e sicuro tra le montagne, luogo ideale per chi cerca la calma e la tranquillità della natura e per le passeggiate romantiche al tramonto. I suoi vasti terreni sono usati per l’allevamento e la produzione di lana. Tutta l’economia della città si basa sul settore tessile, estremamente fiorente, e vanta uno dei caffè più esclusivi della regione. Vi è presente un servizio di omnibus interdimensionale.

Alto Consiglio= formato dai saggi delle generazioni passate (slender che hanno tenuto un comportamento ineccepibile durante tutto l’arco della loro vita, mostrando una grande sapienza, capacità decisionale e intelligenza e che hanno superato i 300 anni d’età), ogni slender, indipendentemente dalla nobiltà, può accedervi possedendo i requisiti giusti e superando delle prove scelte dal caso. Il numero dei membri può variare da un minimo di cinque ad un massimo di venti (in un caso eccezionale il numero arrivò a trentatré membri). Il mandato di ogni membro dura fino alla morte dello stesso. L’Alto Consiglio controlla ed amministra l’intero mondo e non vi è luogo dove non abbia autorità. Lo scopo per cui fu creato era quello di controllare l’operato dei nobili e di non permettere che il desiderio di potere accecasse le loro menti, ma sarà ancora così? Una cosa è certa, l’Alto Consiglio non ha bisogno della legge poiché è la legge.

Gelloso= una creatura sferica dalla consistenza gelatinosa, di colorazione cremisi e taglia variabile (l’esemplare più grande ritrovato raggiunse l’altezza di 2,20 m, il più piccolo di ben 5 cm). È composto da un nucleo solido luminescente, uno strato liquido ed uno estremamente molle ed elastico. I gellosi sono tendenzialmente pacifici e non attaccano se non provocati, casi di un inglobamento involontario sono stati riportati, ma il malcapitato è sempre stato liberato da questo bizzarro animale (se non viene digerito prima per sbaglio). Prediligono luoghi umidi come paludi e foreste pluviali. Il loro apparato digerente è composto da un liquido corrosivo posto tra pelle e nucleo, nutrendosi principalmente di pesce in grandi quantità. Il loro ciclo vitale va dai 3 ai 10 anni d’età e ogni due mesi mutano la pelle gelatinosa che li ricopre. Questi scarti vengono lavorati ed usati per le imbottiture. Possono essere scambiati per gli slime terrestri ma, a differenza di quest’ultimi, non possono cambiare la loro forma né inglobare più di 10 kg di cibo al giorno. L’apparato visivo è composto da due piccole sfere nere organiche semoventi, poste nello strato molle. Non vedono i colori. Possono essere allevati o utilizzati come animali da compagnia.

Ender= gli endermen saranno presenti nel racconto come ramo evolutivo parallelo a quello degli slender. La due specie hanno lo stesso progenitore comune.

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Capitolo 17
*** Capitolo bonus: 0.2. The Evil Dress ***


 

0.2. The Evil Dress.
 



Fissai l’umana con occhi vacui, osservando la sua figura con la mano sul mento, riflettendo bene su quello che mi stavo apprestando a fare. Presi uno spillone e fissai un grosso fiocco sul corpetto, vicino al seno.
“T-trender, sto… s-soffocando, toglimi questo affare infernale di dosso!” squittì Aliaga debolmente, facendo cadere il fiocco che si disfece al suolo, ritornando ad essere un lungo e comune nastrino rosso. La fissai frustrato, per quale strano motivo si agitava in quel modo?
“Quante storie! Ricordati che stai aiutando un artista, dovrebbe essere un onore per te, comune mortale senza senso del gusto!!” pronunciai platealmente, volendo attirare l’attenzione di proposito, ondeggiando la mano al vento drammaticamente.

Fiiiiiii!

Fischiò Splendor, divertito, probabilmente, dalla goffaggine della mia modella posticcia. Un sorriso gli si dipinse sul volto, mentre una piccola luce brillò flebilmente nei suoi occhi neri.
“G-giuro che… s-se non me lo togli… l-lo strappo!” minacciò la donna, lottando con i lacci per liberarsi da quel pezzo di abbigliamento.

Swish!

Bam!

Lei scivolò nel lungo strascico e finì di testa contro l’armadio, lasciando così una grossa impronta rossa sulla fronte che, probabilmente, si sarebbe trasformata in un’orribile ed antiestetico bernoccolo.

Ewwh!

“Sta ferma, umana! Così mi rovini il vestito frutto del mio ineguagliabile genio!!” dissi con voce isterica, sperando ardentemente che quell’idiota non rovinasse il lavoro di notti insonni passate a cucire e rifinire il mio prezioso capo.
“Toglimi-questa-maledettissima-cosa!!” esclamò arrabbiata, scandendo le parole con la furia di un’arpia a cui veniva sottratta una preda, stringendo i pugni.
Il mio fratellino nascose la testa nel suo peluche preferito a forma di pinguino verde chiaro, cercando di trattenere le risate.
“Va bene, va bene, ma almeno sta ferma! Ti agiti di più del pesce appena pescato, come faccio a togliertelo se ti muovi così tanto?!” dichiarai stizzito, iniziando a scogliere i nastri e liberandola dalla stretta, a suo parere eccessiva, del corpetto.
“Grazie” disse, riprendendo fiato, apprestandosi a rimettere addosso i suoi vestiti. La fissai, aggiustandomi gli occhiali.
“Che cosa stai facendo?!” chiesi alzando il tono della voce.
“Mi rivesto” dichiarò, inclinando la testa, e guardandomi incerta dopo essersi vestita.
“No, no! È troppo presto, ne dobbiamo provare altri dieci!” proclamai, avvicinando la mia faccia alla sua e guardandola di traverso. Lei ricambiò la mia espressione, fulminandomi con gli occhi.
“E questo chi lo dice?!” sibilò con sfida.
“Io! Adesso sono il fratello più grande nei paraggi e le decisioni spettano a me!” ringhiai.
“E io cosa c’entro?!?” mi ringhiò indietro. Come potesse averlo fatto, mi è ancora un mistero.
“C’entri bella mia! Sei fidanzata con nostro fratello, o no?!?”
“Ma certo che no! Cosa ti salta in mente?!” mentì spudoratamente.
“Bugiarda! Vi ho visto la notte scorsa che dormivate stretti stretti!” esclamai, mettendo le mani sui fianchi, assaporando già il gusto della vittoria. Avevo fatto bene ad andare a cercare mio fratello e, anche se mi aveva seccato non poco, per la scoperta che avevo fatto ne valeva la pena.
“Ooh, che sporcaccioni! Fate i maialini proprio quando non ci sono!” disse una voce che conoscevo fin troppo bene, sghignazzando come l’emerito idiota che era. Doveva ancora scontarla per l’inferno che mi aveva fatto passare e per aver rovinato il mio maglione.
“E tu da dove diavolo sei sbucato fuori?!” gridammo io e Aliaga contemporaneamente.
“Anche io sono molto felice di rivedervi!” pronunciò Offender sarcastico, apparendo sulla porta con una sigaretta accesa tra le labbra.
Splendor si guardò intorno confuso, arrossendo dalla testa ai piedi a causa del nostro discorso, nascondendosi sotto le coperte.
“Comunque, come me lo spieghi tutto questo, umana?!” le chiesi girandomi verso di lei con fare inquisitorio.
Lei mi fissò con uno sguardo completamente vuoto e, grattandosi la punta del naso, si girò di spalle:
“Questo è un Sumikkogurashi, un peluche giapponese prodotto dalla San-X, come hai fatto ad averlo?” chiese lei a Splendor, ignorandoci totalmente.
“Non cercare di cambiare discorso così spudoratamente, donna!” esclamai puntando l’indice verso di lei.
“Sai ho un’amica a cui piacciono questo tipo di cose” disse continuando ad ignorarmi.

Nessuno m’ignora! Nessuno!!

“Come osi?!?” dissi indignato dal suo comportamento estremamente menefreghista nei confronti della mia persona.
“Si, le piacciono proprio!” dichiarò platealmente, mostrandomi, in un modo molto subdolo, che non mi avrebbe dato l’attenzione che volevo.
“D-davvero?” chiese piano Splendor, tirando la testa fuori.
“Tu non incoraggiarla!” esclamai, facendo scomparire Splendor ancora una volta sotto le coperte.
“Beh, è molto carino…” disse Offender inclinando la testa.
“Lo stesso vale per te! E non si fuma in casa, imbecille!!” gridai, facendogli saltare via la sigaretta con un viticcio.
“Guasta feste…” sibilò.
“Sono d’accordo, caro il mio pervertito, ma bada bene, questa è la prima ed ultima volta che accadrà una cosa del genere!” esclamò la rossa con enfasi.
“Come se la tua approvazione mi servisse a qualcosa!” ribatté lui.
Mi sentii come se un vulcano stesse eruttando dal mio corpo, mentre una rabbia irrazionale mi invadeva le vene. Ero sull’orlo di una crisi di nervi e tutto per colpa di quei due imbecilli!
“Uh oh, credo che Trender stia per avere uno dei suoi attacchi!” dichiarò Offender, evidentemente preoccupato, indietreggiando.
Un’aura oscura circondò il mio corpo mentre i miei viticci uscirono fuori, facendo attenzione a non rovinare il vestito.
Offender prese suo fratello in braccio e si fiondò fuori dalla stanza, cercando un riparo dalla mia furia crescente. Aliaga mi fissò impassibile, come se fosse tutto regolare per lei.
“Tu! Sfrontata!” dissi irato, puntando il dito.
“Il primo vestito mi piaceva, era molto bello” dichiarò placidamente mentre fissava il muro.
“…”
“Saresti un bravo stilista, semmai decidessi di diventarlo un giorno” disse convinta rivolgendo uno sguardo sincero verso di me.
“D-davvero??” chiesi incerto, rilassando i viticci, mentre la mia rabbia si stava dissipando lentamente.
“Perché dovrei mentirti?” proclamò, alzando un sopracciglio.
La fissai, mentre la rabbia scomparve, lasciando così posto alla gioia.
“Finalmente qualcuno che apprezza il mio genio!” esclamai felice, abbracciandola e dondolandola a destra e sinistra, dimenticandomi così di tutto il mio odio.
“Trender, te la sei già mangiata la tipa?” chiese Offender in lontananza.
“Sono ancora viva, imbecille!!” gridò Aliaga.
Dei passi incerti si avvicinarono alla stanza e, poco dopo, la sua testa sbucò fuori con cautela.
“Eheh-“ sghignazzò tra i denti.
“Sta zitto!” esclamai.
“Una sola parola sporca e ti mando a dormire con i pesci!” disse l’umana con estrema serietà.
“Ok ok” dichiarò alzando le mani “per questa volta passo.”
Lo fissai stupito. Non so ben spiegarmi il perché, ma ogni qualsivoglia volta che Offendy si comportava decentemente, avevo sempre il terribile presentimento che stesse per accadere qualcosa di terrificante.
“Quel bastardo me la pagherà!” gridò una voce che speravo di non risentire così presto.
Offender sbiancò, Aliaga deglutì e io trattenni il fiato, sperando che quel gesto mi permettesse, in qualche modo misterioso, di sparire.
“Offendy, dove hai messo Splendor?” gli sussurrai, avvicinandomi a lui con cautela, cercando di fare meno rumore possibile.
“Nella stanza di Slender, ma non sarà al sicuro a lungo di questo passo. Ho notato benissimo che non stava bene dal primo momento che l’ho visto… e sono certo che la vecchiaccia sia la colpevole” mi sussurrò indietro, digrignando i denti con rabbia.
Sentii i passi della zia dirigersi verso di noi: eravamo nei guai, guai seri.
“Quanto tempo credete che Slender ci metterà per tornare?” chiese Aliaga, mettendosi la mano sul mento, riflettendo.
“Dovrebbe ritornare prima di questa sera nel migliore dei casi” le risposi.
“E nel peggiore?” indagò.
“Dopodomani.”
Lei chiuse gli occhi, espirò e li riaprì con calma. Una strana luce, che aveva un non so che di battagliero, brillò nelle sue pupille.
“Posso farcela, se me la gioco bene” disse poi a se stessa, lasciando ricadere le mani sui fianchi, “vi chiedo solo di non interferire, qualsiasi cosa accada” concluse con un’espressione terribilmente seria.
La fissammo interrogativi, non sapendo bene cosa intendesse fare. Lei uscì dalla stanza, scendendo giù dalle scale e bloccandosi a metà strada, ritrovandosi faccia a faccia con la vecchia.
Sbirciammo dalla cima delle scale per vedere che cosa stava passando in mente a quella piccola testolina rossa.
Stranamente, sembrava quasi come se il corpo della zia fosse stato congelato su più punti e i suoi movimenti erano sensibilmente ridotti. Fissò l’umana con uno sguardo a dir poco terrificante.
“E adesso cosa vuoi, sgualdrina da quattro soldi?!” chiese irata.
“Ora la mangia e di certo non sarò io a raccontarlo a Slender…” mi disse Offender, ma lo ignorai completamente.
“Assolutamente niente…” disse Aliaga ferma nel bel mezzo delle scale.
“Bene, perché la spazzatura come te non dovreb-“
Il discorso della zia fu interrotto dall’improvvisa mossa dell’umana. Lei spiccò un balzo, colpendola in pieno volto con una ginocchiata mentre l’inquietante suono di qualcosa che si spezzava riempì l’aria.
Scioccati dal suo gesto, le nostre mascelle toccarono il suolo. Non credevo ai miei occhi, non poteva averlo fatto per davvero!

Quella donna è pazza!
 

°°°°

 

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Capitolo 18
*** 16. Home. ***



16. Home.




Era da un bel po’ ti tempo che camminavo, le strade della cittadina erano quasi vuote, cosa alquanto insolita. Mi ritrovai a pensare a quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che avevo camminato su quel suolo, ma per mia fortuna, o almeno da ciò che vedevo, quasi tutto era ancora dove lo avevo lasciato.
Proseguii, arrivando fuori città dove risiedeva la nostra villetta: una casa a tre piani, in uno stile che era una via di mezzo tra il vittoriano e il gotico, con un vasto giardino e una piccola torretta che sbucava nel bel mezzo della casa. I tetti rivestiti da qualche pianta rampicante erano di un colore verde scuro che contrastava con il grigio dei muri e le grandi finestre ornate da arabeschi in ferro battuto erano coperte da tende color crema che ne celavano l’ingresso.
Percorsi tutto il giardino, passando per il sentiero di ghiaia, e mi accostai alla porta, tirando la maniglia che attivava il campanello. Un piccolo uccellino meccanico sbucò fuori dal riquadro affianco ad essa e si appoggiò su un trespolo di ferro posto sul muro. Mi osservò con circospezione mentre il rumore di una campanella avvisò gli abitanti della casa del mio arrivo.
Il fringuello si posò sulla mia spalla, canticchiando allegro per un motivo a me misterioso. Aveva due grandi occhi sgargianti di granato rosso che mi fissavano curiosi, sembravano molto felici e fin troppo vivi per un piccolo automa come quello.
Lo toccai con il dito, era caldo, davvero molto strano per un oggetto inanimato, a meno che non avesse un motore.
Lui si ritrasse, cinguettando arrabbiato e beccandomi la testa senza però farmi male.
“Ehi!” esclamai indietreggiando mentre quello cercò di colpirmi ancora.
Il portone di legno scuro si aprì, rivelando la figura di uno slender molto alto, con un vestito rosso, ghette dello stesso colore, stivali neri ed un Alcheometro* in testa. Era decisamente invecchiato dall’ultima volta che ci eravamo visti.
“Figlio!” esclamò lui con stupore e allegria.             
“Padre!” pronunciai felice, una solenne nota di rispetto nella voce, inchinandomi leggermente al suo cospetto.
“Cosa sono tutte queste formalità, figliolo? Avanti, entra, questa è casa tua o l’avrai forse scordato?” chiese scherzosamente, mettendomi il braccio sulle spalle mentre l’uccellino gli volò sulla testa. Lui lo prese e lo mise in piedi sulle sue dita:
“E per quanto riguarda te… non sei autorizzato a beccare i miei figli se si comportano bene!” gli ordinò severamente. Quello alzò l’ala destra, stando sull’attenti, dimostrando di aver recepito gli ordini.
“Bene, riposo soldato” disse contento mentre l’uccellino volò in cima alle scale, salendo al piano di sopra.
“Come vanno le cose? Tutto apposto sulla Terra? I tuoi fratelli? L’hai trovata una fidanzata? L’avete già fatto? Io e la mamma non vediamo l’ora di diventare nonni!” mi chiese, inondandomi di domande, spiazzandomi e confondendomi allo stesso tempo.
“Papa’!” esclamai allontanandomi da lui di scatto, “Prima che questa cosa diventi troppo imbarazzante, no, non ho una fidanzata, quindi, per favore, non fate castelli in aria. Comunque le cose non stanno andando bene, è per questo che sono venuto qui” conclusi cercando di non sembrare imbarazzato per via di ciò che aveva appena detto. Non potevo certo dirgli della mia relazione con Aliaga. Conoscendolo, sarebbe andato su tutte le furie e l’avrebbe aperta in due. Metterla in pericolo non era neanche sulla lista dei miei pensieri, era totalmente fuori questione.
“E’ successo qualcosa di grave?” inquisì, accarezzandosi il mento.
“Splendor sembra avere qualche strana sorta di malattia e non sono riuscito a capire quale fosse, per questo sono venuto qui, nella speranza che tu sia ancora in contatto con il tuo vecchio amico, lui è l’unico che può aiutarci adesso” proclamai serio, sperando che mio padre non avesse tagliato i contatti con quello slender.
“Uhm… lo sai che quel tipo è completamente pazzo?”
“Si, ma devi ammettere che è un genio. Non sarei venuto fin qui se fosse stato un problema di poco conto e la situazione è molto seria. Per farla breve, sono disperato, padre. Se ti rifiuterai di aiutarmi, lo cercherò da solo!” esclamai torvo, muovendo un passo verso la porta.
“Piano ragazzo, la fretta non ti aiuterà. E poi chi ti ha detto che non voglio aiutarti? Non sarà forse che le chiacchiere dei parenti ti hanno influenzato a tal punto, durante tutto questo tempo, da portarti a credere che tuo padre sia così crudele come si dice in giro? Sciocchi senza cervello che parlano solo per dare aria alle loro fogne di bocche! Splendor è mio figlio, non solo tuo fratello, e bada bene di non scordarlo più!” pronunciò serio, fermandomi e togliendosi l’Alcheometro dalla testa, appoggiandolo su un tavolino. Prese la sua vecchia giacca nera e se la infilò addosso con tutta tranquillità.
“Certo…” dissi piano, intimorito dalla sua figura autoritaria, “dove andiamo?” chiesi, curioso di sapere dove il vecchio amico di mio padre si fosse andato a cacciare.
“Io? A trovare il nostro caro dottore. Tu? Tu non ti muoverai da qui” pronunciò con un tono che non ammetteva repliche, “e poi è da tanto tempo che tua madre non ti vede, non vorrai mica che lei venga a sapere che sei stato qui e non l’hai salutata? Potrebbe impazzire…”
“Ok…” sospirai.
“Questo è il mio ragazzo!” esclamò.

Pat pat!

“Papa’, sono un uomo adesso!” dichiarai imbarazzato ed imbronciato. Solo ai bambini si danno le pacche in testa!
“I figli crescono sempre così in fretta… soprattutto se sono lontani da casa per più di dieci anni…” dichiarò con voce malinconica “beh, è ora che io mi dia una mossa, la malattia di Splendor non si guarirà di certo da sola!” concluse, uscendo dalla porta principale, salutandomi con un cenno della mano e chiudendola dietro di se.
Sopirai, fissando per qualche secondo la porta chiusa, domandandomi se avessi fatto bene a lasciarlo andare da solo.

Oramai quel che fatto è fatto…

“Caro, ho sentito il campanello suonare, è arrivato qualcuno?” chiese flebilmente una voce a me familiare, facendomi sobbalzare.
La sua figura sottile apparve dalla cima delle scale, più bassa di me di due spanne, con dei lunghi capelli neri ed un lungo vestito dello stesso colore. La sua pelle era più bianca di quel che ricordassi, mentre l’unico occhio visibile, quello sinistro, era di un verde scuro.
Lei mi fissò incerta, appoggiandosi sulla stampella di legno, sbattendo ripetutamente la palpebra e guardandosi intorno incerta.
“S-slender… sei davvero tu?” chiese dubbiosa, scendendo lentamente un gradino. Sembrava che, dopo tutti questi anni, avesse ancora problemi a deambulare con l’unica gamba che le era rimasta.
“Certo mamma” dissi cercando di rassicurarla.
“B-bada bene a non essere un’altra illusione… dà sempre una bruttissima sensazione cercare di abbracciare i propri figli e ritrovarsi pochi secondi dopo con la faccia a terra!” esclamò con una nota di disperazione nella voce, appoggiando la mano libera sul muro per reggersi.
Arrivata a metà della scala, perse l’equilibrio, inciampando nel vestito e finendo diritta tra le mie braccia.
Mi fissò in silenzio, posando la sua mano sul mio viso.
“Sei davvero tu…” disse sgranando gli occhi.
“Si, sono io” le sorrisi mentre lei mi abbracciò, nascondendo la testa sul mio petto.

Sigh!

“Mamma…” sussurrai, abbracciandola a mia volta, lasciando che si sfogasse.
Quando smise di piangere, mi fissò intensamente:
“Quanto sei cresciuto… ora sei più alto di me!” dichiarò, appoggiandosi al mio braccio. Presi la sua stampella con un viticcio e gliela riconsegnai.
“Già, così sembra.”
Lei si appoggiò di nuovo ad essa e fece strada verso il salotto a passi lenti, accomodandosi poi sul divano, facendo segno di sedermi accanto a lei.
“E’ bello rivederti dopo tanto tempo” iniziò, congiungendo le mani, “sei venuto da solo?” concluse interrogativa, inclinando la testa.
In quel momento potevo fare solo due cose: dire la verità o mentire. La mamma era diventata molto fragile dal giorno in cui avvenne l’incidente in cui perse la gamba e tutti i suoi viticci, doverle dire che uno dei suoi figli era in uno stato alquanto critico era pericoloso per la sua salute, ma la stessa cosa valeva se avessi deciso di mentirle. Prima o poi avrebbe scoperto il mio inganno. Alla fine decisi di confidare nella sua forza e che non mi sarebbe convenuto mentirle, raccontandole tutto ciò che era successo, stando ben attento a non menzionare l’umana.
“Quindi tuo padre è andato a cercare Vender?” chiese lei, prendendo una scatola di latta familiare dal ripiano inferiore del tavolo. La aprì, tirando fuori un gomitolo di lana rosso cremisi e due ferri da maglia.
Venderman, o il dottore, era un vecchio amico dei miei genitori. Lo conoscevano fin da prima del loro fidanzamento ed erano stati grandi amici nei tempi andati, ma i metodi utilizzati da questo medico, definiti da molti come al limite della follia, gli hanno causato la cancellazione dall’albo. Nonostante questo rimane uno dei più geniali nel suo campo, curando in segreto malattie sconosciute e non.
“Esattamente…” sospirai, osservandola mentre lavorava a maglia.
“Tienimi il filo un secondo…” disse con calma “speriamo non sia niente di grave” concluse, sospirando anche lei.
Un grande silenzio scese sopra di noi. Non sapevo bene cosa dirle, c’erano mille cose di cui potevo parlarle ma nulla sembrava voler uscire dalla mia bocca. Allora il silenzio sembrava la scelta migliore, dato che la mia mente non aveva la minima intenzione di aiutarmi. Fissai i fili di lana che avevo tra le mani, rendendomi conto di cosa quel colore mi ricordasse.
Trovai alquanto bizzarro il fatto che, in quel momento, non riuscissi a pensare a nient’altro che a lei. Non avevo potuto salutarla, chissà come l’aveva presa: era forse arrabbiata con me? Triste? O semplicemente si era sentita sollevata?
Il terrore che avesse accettato di avere una relazione con me solo per pietà o per vanagloria mi invase, facendomi ghiacciare il sangue nelle vene.
“Slender, non ti preoccupare, vedrai che il dottor Vender riuscirà a guarire Splendor” pronunciò, avendo certamente notato la mia involontaria espressione prodotta da quei pensieri negativi e volendo consolarmi.
“Lo spero…”
Lei mi fissò, inclinando la testa da un lato mentre continuavo ad osservare la lana vacuamente.
No, non poteva essere così. Non dopo tutti quegli sguardi e quei fugaci contatti che avevano nutrito in me la speranza che fosse stato tutto reale e non solo un sogno, mentre i suoi baci bollenti avevano portato via una parte della mia anima. I suoi sorrisi non potevano avermi detto il falso, il mio cuore mi diceva che lei era sincera. Decisi di fidarmi, sapendo bene i rischi che correvo se mi fossi sbagliato. È difficile risanare un cuore in pezzi.
“Ti piace questa lana? La stai fissando da un sacco di tempo” dichiarò mia madre mentre un piccolo pezzo di stoffa rettangolare si stava formando sotto le sue sapienti mani.
“Eh? Ah… si! È molto bella!” esclamai, totalmente preso alla sprovvista, sentendo caldo sulle guance. Lei ridacchiò, senza mai interrompere il suo lavoro, e dopo un po’ di tempo ruppe nuovamente il silenzio:
“Allora, chi è lei?” mi chiese senza preavviso.

M’ha sgamato!

“L-lei chi?” chiesi facendo finta di nulla. Dovevo giocarmela bene, uno sbaglio o una parola sfuggita al mio controllo avrebbero potuto rivelare la mia relazione clandestina.
“La tua fidanzata, sciocchino! È più di mezz’ora che fissi quella matassa con lo sguardo perso di uno slender innamorato!” esclamò, poggiando la mano sulla guancia.
“Non c’è nessuna fidanzata” dissi seccamente.
“Allora la tua amante” pronunciò sicura.
“Non c’è nessuna amante”
“Sicuro?”
“Sicurissimo!” esclamai con tutta la sicurezza che avevo in corpo.
“Va bene…” disse mentre il suo sguardo esprimeva tutt’altro. Era incerta e sembrava solo aver deciso di lasciar perdere. Sicuramente avrebbe riportato a galla l’argomento in un'altra occasione, dovevo solo escogitare un modo astuto per evitare l’argomento e tutto sarebbe proceduto a gonfie vele.
Dopo qualche ora lei mi costrinse a riposarmi, conducendomi nella mia stanza e dicendomi di non preoccuparmi poiché mio padre sarebbe tornato presto.
Tutto era identico a come lo avevo lasciato, con l’aggiunta di uno spesso strato di polvere. Sbattei le coperte nere e rifeci il letto, accomodandomi poi sopra di esso.
Fissai il soffitto del letto su cui i miei fratelli, in gioventù, avevano avuto l’abitudine di scarabocchiare scritte infantili o disegni dalle dubbie e irriconoscibili forme. Quante volte mi ero arrabbiato con loro per quella brutta abitudine, ma, nonostante i miei continui rimproveri, avevano continuato imperterriti con il loro lavoro, perseguendo la loro “causa artistica”.
Nonostante il pisolino che avevo schiacciato durante il viaggio, mi resi conto di avere ancora sonno. Accomodandomi su un lato, fissai la grande finestra che portava al piccolo balconcino posteriore e, senza rendermene conto, mi assopii.






“Amender!!” gridò una voce disperata mentre le fiamme avvolgevano l’intera casa, minacciando di divorarmi. Sorprendentemente, la sua richiesta d’aiuto fu più forte della paura della morte, mentre il mio cuore gridava disperato.
Mi feci strada tra le lingue che mi bruciavano la pelle, cercando di ignorare il dolore, mentre la temperatura si alzava vertiginosamente. Arrivai nella sua stanza, trovandola riversa per terra, svenuta.
Riuscii a teletrasportarmi fuori prima che il soffitto cedesse e ci schiacciasse entrambi.
Fissai il suo corpo senza sensi, sperando che non fosse troppo tardi, scuotendolo con forza. Dopo un po’ di tentativi, proprio quando stavo per perdere la speranza, i suoi occhi si aprirono, muovendosi stanchi verso di me.
Era ancora viva, grazie al cielo!
Lei si rialzò, facendomi riacquistare in qualche modo coscienza del mio essere. Ripresi il controllo di me stesso, ma proprio quando mi avvicinai per vederla bene in viso, sperando che non fosse offuscato come al solito, uno squarcio netto attraversò l’aria, rompendo l’intero sogno. Il paesaggio sparì all’improvviso, mentre una foresta familiare prese il suo posto. Senza rendermene conto, mi sentii quasi come se fossi uscito dal mio corpo. Dietro di me lasciai ciò che doveva essere il corpo di Amender. Lo osservai da vicino, era uno slender molto alto, di sicuro più alto di me, vestito con un lungo completo nero molto antico e una lunga mantella. Cercai di toccarlo ma la sua immagine sparì nel nulla.
L’umana mi fissava incerta, indietreggiando a tratti. Mi avvicinai con cautela, cercando per l’ennesima volta di capire chi fosse ma, appena fui ad un passo da lei, quella iniziò a fuggire tra gli alberi.
“Aspetta, non voglio farti del male!” gridai, sperando ardentemente che si fermasse. Lei continuò imperterrita, finché non raggiunse un piccolo laghetto ghiacciato, inciampando al suolo e cascando per terra.
Mi fermai di botto, sperando che non provasse a fuggire di nuovo.
“Credimi, non ho cattive intenzioni!” dissi con il fiatone, cercando di recuperare una parte delle energie che avevo usato per seguirla fin là.
Lei rimase ferma lì, senza mai guardarmi in faccia, respirando affannosamente.
“Aiutami…” disse lei poi, sempre di spalle, iniziando a tremare leggermente.
“Cosa?” chiesi interdetto.
“Aiutala…” il suo viso si girò verso di me, il volto rigato dalle lacrime. Aveva due occhi di un verde molto vivace, i capelli lunghi color carota, una faccia sottile e due labbra rosee.
La fissai senza capire.
“Sta morendo!” esclamò poi, indietreggiando verso la superficie ghiacciata.
“Chi?” mi avvicinai di un passo con estrema cautela.
Lei rimase in silenzio, irrigidendosi all’improvviso. Proprio quando mi accostai a lei, il suo corpo si afflosciò, perdendo le forze. La presi tra le mie braccia, sperando che non le fosse accaduto nulla di grave.
Quando mi apprestai ad osservarla un altro squarcio attraversò l’aria, facendo vacillare quel sogno già instabile.
Notando che il corpo che avevo tra le mani era quello di qualcun altro, rimasi completamente scioccato da ciò che vidi. La sua pelle chiara piena di cicatrici fresche e sanguinanti, gli occhi ambrati socchiusi, quasi senza vita, e una massa di capelli rossi avevano preso il posto della donna sconosciuta. La fissai attonito, non credendo ai miei occhi, mentre una terribile fitta mi attraversò il cuore.
“S-slender…” disse lei flebilmente con una voce che conoscevo fin troppo bene.
“Aliaga!” esclamai, sorreggendola saldamente.
“M-mi dispiace…” pronunciò mentre le sue parole perdevano di consistenza. Avvicinai la sua mano al mio viso, cercando di trattenere le lacrime.
“No, non dire così… mio padre conosce un bravo medico, vedrai che riuscirà a… numi, chi ti ha ridotta in questo stato?” chiesi, cercando di controllare la marea di sentimenti che mi avevano invaso il cuore. Non potevo perdere il controllo o per lei sarebbe stata la fine.
Lei mi sorrise mentre i suoi occhi si chiusero lentamente e il corpo si afflosciò tra le miei braccia. La sua mano che fino a poco tempo prima era sul mio volto era ora sul suolo, priva di vita.
Fissai il suo corpo inerte, mentre la mia mente si rifiutava di accettare ciò che era appena accaduto.
Le lacrime mi rigarono in volto, mi sentivo il petto così pesante che facevo fatica a respirare e il cuore stracolmo di così tanto dolore che mai credevo possibile. Cascai in ginocchio, senza mai distogliere lo sguardo da lei, ammirando il suo volto immobile tra le mie braccia.
“No… non può essere… ti prego…” sussurrai, aggrappandomi come un disperato alla futile speranza che fosse stato solo uno stupido scherzo. Abbracciai il suo corpo senza vita, scuotendolo, chiamando il suo nome, pregando qualsiasi dio ci fosse in cielo di riportarla da me… ma oramai era troppo tardi.
Lasciai che le lacrime scendessero senza freni, perdendo il controllo di me stesso, mentre il dolore si trasformava lentamente in rancore e odio verso qualsiasi cosa mi si parasse davanti.
E poi, senza forze, mi accasciai al suo fianco, sperando che la vita scivolasse via dal mio corpo, raggiungendo così di nuovo la persona che avevo realizzato di amare troppo tardi.







Mi risvegliai, agitato, cercando di alzarmi, ma finendo per barcollare per la stanza, mentre il mio corpo non era ancora del tutto sveglio. Appoggiandomi al muro, cercai di calmare quella profonda inquietudine che quell’incubo nefasto mi aveva portato in fondo al cuore.
Era stato tutto così terribilmente realistico da sembrare vero, spaventandomi fin nell’anima che non sembrava volersi calmare. Controllai l’orologio, erano già le otto di sera.

Dove diavolo è andato a finire mio padre?!

Mi chiesi, ancora turbato. Quella terribile esperienza aveva contribuito a rafforzare il mio desiderio di tornare indietro, non volevo perdere altro tempo. L’unico modo per calmarmi era ritornare sulla Terra con il dottore e andare a trovarla per assicurarmi che fosse sana e salva a casa sua.
Passai dal bagno per sciacquarmi la faccia e darmi un aspetto più presentabile e mi diressi al piano di sotto.
Sentii tre voci conversare: una che apparteneva a mio padre, una di mia madre e una che mi era vagamente familiare.
Scesi le scale in fretta, affacciandomi sul salotto.
Uno slender con un lungo camice bianco, un monocolo, un solo lungo capello che gli sbucava ritto nel bel mezzo della testa ed un paio di baffi marroni stava seduto sulla poltrona affianco a mio padre, intingendo un biscotto nel thè.
“Slender, finalmente ti sei svegliato!” esclamò mia madre con sorpresa, notandomi sulla porta.
“Lei deve essere Venderman” dissi, sperando che mia madre non se la prendesse a causa della mia estrema scortesia, “mi scusi per la maleducazione, ma mi è appena arrivato un messaggio e sembra che le condizioni di mio fratello siano peggiorate. Dovremmo avviarci immediatamente” mentii, non avevo più tempo da perdere in chiacchiere.
“Slender!” proclamò mio padre con una nota d’indignazione.
“Non ti preoccupare, Fender, il giovinotto ha ragione. Nulla è più importante della vita di un paziente, nemmeno l’educazione” dichiarò ridacchiando il dottore, infilandosi il biscotto in bocca e trangugiando tutto d’un sorso il thè.
Mia madre cercò di calmare mio padre, irato per la mia mancanza d’educazione, dicendogli che era per il bene di mio fratello e per fortuna ci riuscì. Li salutai facendogli un blando inchino e trascinando il vecchio dietro di me.
Ci teletrasportammo alla fermata dell’omnibus, sedendoci sulla panchina di pietra. Per quanto ci provassi, non riuscivo a calmarmi, volevo solo ritornare indietro in fretta.

Tap tap tap tap!!

“Ragazzo, capisco che hai fretta, ma cercare di rompere il pavimento con il tallone non farà di certo andare il tempo più veloce!” esclamò Vender, mettendo la sua borsa affianco a se, e si appoggiò al suo bastone da passeggio, infilandosi successivamente la giacca che non era riuscito ad infilarsi perché l’avevo trascinato via prima che avesse potuto farlo. In un certo senso era un miracolo se era riuscito a prenderla.
Fissai la mia gamba destra che si muoveva senza freni e mi fermai prima che potessi fare danni.
Per nostra fortuna il mezzo arrivò qualche minuto dopo. Il cocchiere era cambiato ma, preso com’ero dai miei pensieri, non lo notai nemmeno, limitandomi a salirci sopra.
Il viaggio fu lungo e snervante, contribuendo solo ad aumentare la mia agitazione. Vender mi osservò silenzioso per tutto il tempo, decidendo saggiamente di farsi gli affari suoi.
Appena arrivati sulla Terra, tirai un sospiro di sollievo alquanto prematuro. Condussi il dottore verso casa nostra, teletrasportandolo con me all’interno dell’edificio.
Trender avvertì la nostra presenza e ci corse incontro:
“Finalmente, Slender! Ce ne hai messo di tempo…” disse con una voce terribilmente preoccupata.
“Dov’è il paziente?” chiese Vender senza remore, desideroso solo di compiere il suo dovere.
“Al piano di sopra, la prima porta a destra” dichiarò Trender.
“Trender, c’è qualcosa che non va? E perché Splendor è nella mia stanza?” gli chiesi quando il dottore entrò nella camera, rimanendo da soli.
“Slender… prima di tutto aspettiamo la diagnosi del dottore e poi ti racconterò tutto” proclamò riaggiustandosi gli occhiali con nervosismo.
Accettai silenziosamente, entrando in camera mia ed osservando Vender che stava visitando Splendor. Dopo una quindicina di minuti la visita si concluse.
“Si tratta di un accumulo di negatività nella sua anima, per fortuna ad uno stadio iniziale, qualche giorno e il problema sarebbe stato irrimediabile” dichiarò solennemente, rimettendo tutti gli attrezzi medici nella borsa “basterà lasciare il paziente in uno stato di calma e trovare qualcuno che possa estrarre la sua negatività a piccoli pezzi… se fosse estratta tutta d’un colpo sarebbe rischioso per la sua salute” concluse poi arricciandosi un baffo con le dita.
“Quindi, è una cosa che possiamo fare noi o abbiamo bisogno di qualcuno?” chiesi incerto.
“Non credo che gli slender sappiano usare la magia” esclamò scherzosamente.
“La magia?”
“Ma non è… illegale?” dichiarò Trender, leggermente intimorito.
“Certo che è illegale, figliolo. Secondo te perché la gente ha così tanta paura della magia al punto di bandirla?”
“Perché è pericolosa!” esclamò mio fratello sconcertato.
“Anche quello” disse ridacchiando “io comunque intendevo il potere. Un essere dotato di magia può fare cose che gli altri si possono solo sognare!” concluse con un’espressione estasiata.
“Arrivi al punto, dottore” dissi io torvo, spiazzandolo completamente.
“Mi dispiace, sarò breve. Quello di cui avete bisogno è di una strega con poteri guaritrici” dichiarò come se fosse stata la cosa più normale del mondo chiedere aiuto ad un tale essere malefico.
“Una strega!” gridò isterico Trender.       
“Dottore, si rende conto della gravità delle cose che sta dicendo?! Portare una strega qui equivale a firmare un contratto per inimicarsi l’Alto Consiglio e poi non credo che una strega sarebbe disposta ad ascoltarci prima di averci trasformati in rospi!” esclamai, sottolineando l’evidente stupidità della sua proposta.
“E poi ci sono i demoni, tutte le streghe fanno patti con loro o peggio!” proclamò Trender mettendosi le mani in faccia con estrema drammaticità. A volte mi viene da pensare che sarebbe perfetto come attore anche se questa scenata è totalmente giustificata.
“Esattamente” dissi confermando ciò che aveva appena detto mio fratello, incrociando le braccia. Vender ci guardò con la stessa espressione con cui si guardano dei bambini che fanno domande sciocche ai genitori.
“Beh, allora mi dispiace per vostro fratello ma morirà entro due settimane” proclamò con estrema freddezza.
Rimanemmo in silenzio, fissando Splendor, non sapendo cosa fare. Lasciarlo morire era totalmente fuori questione.
“Non c’è un altro modo?” chiesi speranzoso.
“No, non credi ve lo avrei proposto se l’avessi avuto?”
Mi fermai bene a riflettere, valutando tutti i pro e i contro, e alla fine mi arresi alla realtà.
“Va bene allora, farei qualsiasi cosa pur di salvare mio fratello” dichiarai sicuro.
“Ma-“ iniziò Trender riluttante.                                               
“Non abbiamo altra scelta, vuoi lasciare che Splendor muoia senza neanche provarci?” gli chiesi seriamente.
“No, hai ragione...”
“Allora, dottore, dove possiamo trovare una strega simile?”
“Sinceramente non saprei” disse lui piattamente.
“Come sarebbe a dire che non lo sa!” esclamai indignato.
“Non lo so e basta, insomma, non dovrebbe essere difficile trovarne una, no?” chiese, grattandosi la testa con imbarazzo.
Senza nemmeno rendermene conto, mi misi la mano in faccia, pregando gli dei del cielo di avere abbastanza forza per non saltargli addosso e prenderlo a pugni.
“Errr… forse ho detto una stupidata. Chiedo venia!” dichiarò lui sempre più imbarazzato “Ma se volete posso aiutarvi a cercarne una!”
“Un’aiuto in più può sempre fare comodo” dissi rilassandomi un po’ “a patto che lei non faccia cose strane”
“Questo è certo, mi comporterò in maniera impeccabile!” esclamò facendo un inchino “Ora, dove posso sistemarmi?” chiese infine con umiltà.
“Venga, le stanze degli ospiti sono da questa parte” pronunciò Trender, offrendosi di fare da guida al nostro nuovo ospite.
La mancanza di Offender era piuttosto normale, dato che amava bazzicare per la città a caccia di belle fanciulle. La cosa che mi insospettì di più era l’assenza della zia, non era possibile che non fosse ancora tornata.
Mi sedetti sulla sedia accanto al letto di Splendor, notando così la sua espressione sconsolata.
“Come ti senti?” gli chiesi appoggiandomi al letto con i gomiti.
“Non poi così male” disse lui piano.
“Sembri preoccupato, è a causa della tua malattia?” ipotizzai.
“No… non è per questo” dichiarò stringendo le coperte.
“Allora cosa?” inquisii curioso, mentre una strana angoscia aveva invaso il mio cuore.
“Ho paura che Offender non riesca a proteggere Aliaga dalla zia… chissà se è riuscito a trovarla prima di lei” disse con un’espressione estremamente sofferente.
Mentre le immagini del sogno che avevo fatto ore addietro mi ritornarono alla mente, una parte di me si congelò, mantenendo a stento uno stato di apparente calma.
“Non capisco… che cosa è successo mentre ero via? Cosa centra Aliaga in tutto questo?” chiesi confuso e terrorizzato, delle goccioline fredde iniziarono a sbucare dalla mia pelle, facendomi sentire come un pezzo di ghiaccio.
“Al ha deciso di portare via la zia per proteggermi da lei e non l’ha fatto con le buone purtroppo, non so di preciso cosa sia successo, ma ora la vecchia è tanto arrabbiata. Sono riuscito a convincere Offender ad andarle dietro per salvarla, ma ho paura che sia già…”
Mi alzai di scatto dalla sedia, catapultandomi fuori dalla casa.

No!! Fa che non sia vero! Fa che lei non sia…

Mentre il ricordo di quel terribile incubo riecheggiava nella mia mente.
 
°°°°
Glossario


Alcheometro= lente di ingrandimento portatile che può essere messa come una maschera. Utilizzata spesso per la creazione di piccoli macchinari.

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Capitolo 19
*** Capitolo bonus: 0.3. The Last Bottle of Martini ***



0.3 The last bottle of Martini




La notte prima dei fatti correnti…




“E quindi, che lavoro fai?” mi chiese Rei, trangugiando il resto del contenuto del bicchiere.
“Diciamo che coltivo rose” risposi piattamente, fissando diffidente il mio.
“Sei un giardiniere allora?” disse, facendo segno al barista di versargli un altro po’ di alcool.
“Più o meno” dichiarai, decidendomi ad assaggiare quello strano liquido.

Pffftt!!

“Ahahah, qualcuno non ha mai assaggiato un Martini in vita sua a quanto pare!” sogghignò Rei, nascondendo la faccia nella sciarpa, cercando inutilmente di trattenere le sue risa.
“Bleah! Che diavolo è questa robaccia?! Stai cercando di avvelenarmi?!?” esclamai schifato.
“Eheh, no, tranne se tu non mi dia un motivo per farlo e poi non è mica così male!” disse con estrema leggerezza.
“Come può non essere così male?! Fa schifo e non è neanche lontanamente dolce!” esclamai cercando di togliermi dalla bocca quel sapore orrendo.
“Bene… barista, mi dia tutta la bottiglia! E per il mio amico qui un latte al cioccolato per favore!” disse lui con enfasi.
“Non è un po’ tardi per un latte al cioccolato?” disse l’uomo, rimettendo a posto i bicchieri che aveva appena finito di asciugare.
“Andiamo, non manca molto all’alba! Sia gentile con lui, non vede la sua espressione da cane abbandonato in mezzo alla strada, tutto solo al freddo a pianger miseria per la sua vita rovinata!” esclamò, distendendosi da un lato del balcone con le guance leggermente arrossate.
“Primo, non ho l’aspetto di un disgraziato, secondo, sono alquanto sexy, terzo, sei ubriaco” dichiarai.
“Non è vero, non sono ubriaco! Parlo ancora in un modo completamente normale!”
“Se lo dici tu… ma non aspettarti che io ti riporti a casa, te la dovrai cavare da solo”
“Nessun problema, dormirò qui allora! È piuttosto comodo…” disse mettendo la testa sulle braccia conserte.
“Ecco a te, non mi aspetto di ricevere lamentele se il cioccolato non si è sciolto del tutto data l’ora!” esclamò il barista con stizza, indicando l’orologio e poggiando la tazza davanti a me.
“Non mi crea problemi, l’importante è che sia dolce” proclamai prendendo le bustine dello zucchero e mettendocene sei all’interno. Rei mi osservò per tutto il processo, fissando lo zucchero che cadeva fino a formare una montagnola, sbadigliando sonoramente ogni tanto.
“Sicuro di non volerne mettere un’altra? Il diabete sta chiamando e sarebbe un peccato non aprire” proclamò scherzosamente, grattandosi l’orecchio.
“Ma che diabete e diabete, non vedi come sono in forma?” chiesi con un ghigno stampato in faccia “Sono così in forma che probabilmente anche tu vorresti fare due cosine con me” conclusi prendendolo chiaramente in giro.
Lui mi fissò con un’espressione vuota, aprì la bottiglia senza mai staccare lo sguardo da me, ne versò il contenuto nel bicchiere e se lo portò alle labbra, girandosi di scatto dall’altra parte.
“Mi dispiace, mi piacciono le donne” dichiarò piattamente “e comunque sei grasso”
“Grasso io?! La tua è solo invidia per la mia sfolgorante bellezza!” esclamai soddisfatto.
“Ha parlato il tizio la cui testa assomiglia ad un uovo con i denti… che narcisista” disse riducendo gli occhi a due fessure.
“Parli proprio tu che hai degli occhi spaventosi! Ti sei mai guardato allo specchio?! Sembrano gli occhi di un morto!” sostenni arrabbiato, alzandomi in piedi di scatto.
Lui mi imitò, finendo per ritrovarci fronte a fronte, con il desiderio di darcele di santa ragione.
“Ehi voi due, niente risse nel bar. Risolvete le vostre faccende altrove!” ci rimproverò il barista.
Rei si riaccomodò rassegnato al bancone, mettendo la testa tra le braccia e facendo finta di niente. Mi sedetti e bevvi il contenuto della tazza, ritrovandomi di nuovo con i miei pensieri.
Avevo la testa completamente vuota in quel momento e non riuscivo a pensare a niente. Era come se qualcosa avesse risucchiato via tutto il caos che c’era all’interno.
Fissai la tazza con sguardo vuoto.

È leggermente troppo dolce, strano.

“Ehi…” disse poi Rei senza mai tirare fuori la testa “mi dispiace”
“E per cosa?” dichiarai piattamente, facendo finta di non essere interessato nelle sue parole.
“Per averti detto che la tua testa assomiglia ad un uovo”
“Ah, quello, non è niente.”
Il silenzio ricadde per qualche secondo, ma nessuna sensazione spiacevole albergava dentro di me.
“Questo non dovrebbe essere il momento in cui ti scusi per aver detto che ho gli occhi di un cadavere?” chiese Rei alzando la testa.
“Assolutamente no!”
“Ma come?! Io ti ho chiesto scusa!!” esclamò lui, guardandomi di traverso.
“E che vuol dire? Tu hai per davvero gli occhi da morto”
“Bene, allora pagi tu il conto!” dichiarò imbronciato, alzandosi dalla sedia.
“Err… no, aspetta, aspetta, guarda che io non ho un soldo!”
“Non sono miei problemi!”
“Fermo! Va bene, s…c…u… argh! È troppo difficile!!”
“Ciao!” disse essendo sul punto di andarsene.
“Scusami” dissi pianissimo.
“Cosa?” chiese lui mettendo la mano sull’orecchio.
“Scusami” ripetei a bassa voce.
“Non ho capito, credo d’essere diventato sordo!”
“Ho detto scusami!! Sei contento adesso?!” gridai perdendo la pazienza.
“Certamente!” esclamò con un sorriso sornione stampato sulla faccia, risiedendosi.
“Imbecille” dissi tra i denti.
Dopo un po’ di tempo, frugò nella tasca della giacca senza tirarne fuori niente, si guardò intorno e si alzò lentamente causando in me una grande curiosità.
“Devi andare in bagno per caso? Perché io non ti ci accompagno di sicuro” dichiarai, osservando il suo improvviso cambio di umore.
“C’è una finestra abbastanza larga da cui io possa passarci?” mi chiese con circospezione, muovendo lo sguardo dal bancone alla porta, misurandone presumibilmente la distanza.
“Perché diavolo vorresti passare da una finestra?”
“Ti ricordi quando ti ho detto che avrei pagato il conto?”
“Si e allora?”
“Ho perso il portafoglio…”
Mi bloccai all’improvviso, alzandomi lentamente e aspettando che il barista fosse distratto.
“Al mio via ci fiondiamo fuori e corriamo a gambe levate… tre… due… uno… via!”




Qualche ora dopo la mossa della rossa…




Fissai il volto preoccupato di mio fratello, aveva sentito tutto ciò che era accaduto e, anche se non aveva potuto vedere con i suoi occhi, aveva capito tutta la situazione.
“Offendy, secondo te la zia le farà tanto male?” chiese con gli occhi lacrimosi.
“Conoscendo l’umana, probabilmente se la caverà… insomma, riesce a resistere al profumo delle mie rose e alla mia irresistibile bellezza, qualcosa deve pur significare!” esclamai, cercando di rassicurarlo.

Molto probabilmente la farà a pezzi…

“Offendy” iniziò Splendor mentre due occhioni dolci apparvero sul suo viso “potresti farmi un favore?”

Oh, no… gli occhioni da Bambi no!

“Che tipo di favore, stecchino?” chiesi, già ben sapendo che la cosa mi avrebbe portato un sacco di guai e probabilmente nuove ferite.
“Potresti salvare la mia amica dalla zia?”
I suoi occhi si ingrandirono e si addolcirono in un modo terrificante.

Non li guardare o è la fine!

“Non ho la minima intenzione di rischiare di nuovo la pelle per quella bigotta monachella da quattro soldi!” esclamai convinto.
“T-ti prego, Offendy, fallo per il tuo fratellino stecchino!” disse mentre dai suoi occhi iniziarono a fuoriuscire dei lacrimoni.

È la fine…

“E va bene…” dissi rassegnato.
“Ti voglio tanto bene Offendy!” esclamò abbracciandomi.
“Aiut… non… respir… S…p…len…dor!!”
Lui, rendendosi conto del fatto che stavo rischiando di soffocare, mi lasciò andare.
“Come accidenti fai ad avere tutta quella forza anche quando sei malato?!” dichiarai toccandomi il collo esterrefatto.
“E’ il potere degli abbracci!” proclamò alzando le mani al cielo che ricascarono pesantemente sulle coperte poco dopo.
“Si, come no, e io sono un orso coccoloso!” dissi ironico.





Attualmente…




L’odore di sangue riempiva l’area, appestando l’aria e confondendomi i sensi mentre la neve che cadeva dal cielo non faceva altro che peggiorare la situazione. Mi nascosi dietro ad un grande albero, sperando che la zia avesse perso le nostre tracce.
Ero riuscito a trovarla ma lo stato in cui era ridotta era davvero pietoso: il suo corpo era completamente ricoperto di cicatrici che sanguinavano copiosamente e aveva molti ematomi sparsi ovunque, era un miracolo che fosse ancora viva.
“Offenderr, fai il bravo… dammi la tua puttana e ti risparmierò la vita!” sibilò la zia in lontananza con una voce che faceva venire i brividi.
Presi la donna in braccio e me la filai nella direzione opposta. Dovevo cercare di guadagnare tempo fino al ritorno di mio fratello maggiore, intelligente com’era avrebbe di sicuro trovato un modo per tirarci tutti fuori da questa brutta situazione.
Ci avvicinammo ad un laghetto ghiacciato, la neve stava cadendo fitta dal cielo, coprendo tutto ciò che toccava e, fortunatamente, stava cancellando le nostre tracce. Stavo per attraversarlo quando la vecchiaccia si teletrasportò davanti a me, costringendomi a saltare all’indietro per evitare il suo viticcio che spaccò il suolo.
In quel momento non riuscii a fare a meno di pensare a quanto quella situazione fosse ironica:

Sto davvero rischiando la vita per una che nemmeno me la vuole dare… stupidi occhioni da daino!
 
°°°°

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Capitolo 20
*** 17. Bleeding. ***



17. Bleeding.         




La foresta era silenziosa come mai prima, la neve continuava a cadere fitta, accarezzando i rami nodosi che si stagliavano al cielo prospettando delle ombre spettrali al suolo. Il vento portava via le poche tracce d’odore rimaste, nascondendo l’ubicazione degli esseri a cui appartenevano, e i cristalli ghiacciati avevano nascosto quelle tangibili. Continuai a seguire gli squarci profondi nelle cortecce dei pini, constatando con gelida rassegnazione e remore che fossero l’unica cosa che poteva guidarmi verso il mio obbiettivo.
Dei suoni inquietanti si producevano tra i tronchi, rimembrandomi l’ululato di un lupo feroce pronto a sbranare la sua preda.
Avevo paura, una paura che mi cingeva e mi stringeva con forza le membra, glaciale nel suo abbraccio e infida per la mente. Dovevo controllarmi per l’ennesima volta, seguendo una pista di cui non ero nemmeno sicuro che mi portasse a qualcosa di concreto, e non permettere che i miei sentimenti mi facessero perdere la lucidità.

Devo farlo per lei, non riuscirò mai a ritrovarla in tempo se mi lascio andare.

Annusai l’aria, sperando che il vento la smettesse di essermi ostile, soffiandomi le sue forti raffiche contro e facendomi perdere quel poco che avevo in quel momento.
Le tracce si indebolivano sempre di più, diventando vaghe ed indefinite, bloccandomi nella radura in cui tempo addietro io e Splendor eravamo passati: era lì vicino che l’avevamo ritrovata, appoggiata a quell’albero e con una ferita sul fianco.
Mi guardai intorno, finché un colore non spiccò sulla candida neve, sporcandola di scarlatto. Accese più del colore dei rubini, delle macchie di sangue, quasi coperte, mi mostrarono la strada da seguire. Era terrificante pensare a cosa ciò significasse, il sangue non colava se non c’era una ferita e il pensiero di una sola piccola ferita su di lei mi strinse il cuore e mi fece provare una pena impossibile da evitare.
Delle orme fresche di stivaletti indicavano che non ero l’unico ad aver trovato quella pista, contribuendo così ad aumentare la morsa sul mio cuore, stritolandolo impietosamente.
Non ci volle molto a raggiungerli, ci volle ancora meno per realizzare ciò che stava accadendo: l’odore di sangue fresco mi riempì le narici, mentre mio fratello minore cercava di fare di tutto per proteggere quel piccolo corpo inerte che aveva tra le braccia, evitando i tentacoli che spaccavano la superficie ghiacciata.
Una mossa sbagliata lo fece slittare, perdendo così l’equilibrio e cadendo di botto sullo strato d’acqua congelato. L’umana scivolò via dalle sue braccia, finendo verso il limite di uno dei buchi prodotti dai colpi della slender, rischiando di cadere dentro l’acqua giacchiata e lasciando delle strisce insanguinate dietro di se.
La zia, cogliendo al volo l’occasione, si precipitò verso il corpo inerte, pronta a colpirlo per finire ciò che aveva iniziato.
Scattai, bloccando i suoi viticci con i miei e scaraventandola via con un colpo secco mentre incontrai il suo sguardo estremamente stupito.
Presi Aliaga tra le miei braccia, portandola via dal pericolo, e dopo essermi assicurato che Offender fosse ancora vivo, mi riparai dietro un albero per osservare le sue condizioni.
Le ferite erano molteplici, troppe, la maggior parte delle quali profonde e ancora sanguinanti, ognuna di esse mi aprì uno strappo nel cuore, facendomi provare una pena immensa e costringendomi a lottare con le lacrime. Il corpo era sempre più freddo mentre la carnagione più pallida ad ogni secondo che passava, assumendo un colore mortifero che mi raggelò il sangue nelle vene. I suoi occhi si aprirono lentamente con immane sforzo, risultando vacui e spenti, e le labbra scolorite furono attraversate da un fremito, provando a dirmi qualcosa che non riuscì ad uscire fuori, rimanendo solo un pensiero nella sua mente.
La sua mano si mosse, portandomi a prenderla tra le mie, abbracciando poi quel corpo così freddo da fare paura, sporcandomi del suo sangue innocente, sperando in qualche modo di poterle restituire il calore perduto, stingendola con forza e disperazione.
Le appoggiai l’indice sua bocca, dicendole di fare silenzio, e mi avvicinai a lei, posando le mie labbra sulle sue: un sapore ferreo investì le mie papille gustative, facendomi sentire terribilmente colpevole per tutto ciò che le era accaduto. Lei non riusciva a rispondere al mio bacio, era senza forze e la cosa mi atterrì, rompendomi il cuore in mille pezzi.
“Al, andrà tutto bene, te lo prometto. Tu non parlare, sprecherai solo energie” le dissi con voce tremolante, scostandole i capelli sporchi dal viso con delicatezza e teletrasportandomi via con lei, cingendo il suo corpo con attenzione e cautela, senza badare a quante energie avessi consumato con quell’azione.
Arrivai a casa in poco tempo, trovandomi davanti Trender che mi fissò allibito. Non appena notò il corpo della donna, il gomitolo che aveva in mano cascò al suolo, facendo riecheggiare quel piccolo tonfo per tutto il corridoio.
“Che diavolo?!? Dottore, venga presto!!” gridò, dirigendosi in fretta verso la camera di Vender mentre quello sbucò fuori dal bagno in pigiama, con mezzo baffo e con il rasoio ancora in mano, sbattendo così per errore la porta sul muso di Trender, che per una fortuita coincidenza del fato aveva messo gli occhiali sulla cima della testa.
Notando l’umana tra le mie braccia, si riscosse, tirando con sciatteria il rasoio nel lavandino e rinfilandosi il camice alla buona, sbagliando la disposizione dei bottoni.
“Portatela in camera mia, presto!!” ordinò con freddezza professionale. Gli obbedii, trasportandola nella sua stanza ed appoggiandola sul letto. Trender, notando il sangue che sgocciolava sul pavimento, si appoggiò al muro, cercando con tutte le sue forze di non vomitare lì vicino in quel momento critico. Stetti fermo nell’angolo della stanza, osservando con sconcerto la rossa che giaceva esanime sulle lenzuola e la scia che aveva lasciato dietro di se.
Vender mi buttò fuori con forza, dicendomi che non mi avrebbe fatto bene restare lì e che di certo non l’avrei aiutato dato che non ero un dottore. In quel momento il mondo sembrò come riempirsi di ovatta, ottenebrandomi i sensi, mentre qualcosa di terrificante si risvegliò, portandomi ad agire con cinica freddezza e con glaciale calcolazione.
Mi teletrasportai indietro al lago ghiacciato, evitando per poco il corpo di Offender che andò a sbattere con violenza contro un albero, rialzandosi pochi secondi dopo, tossendo furiosamente.
“S-slender… p-pensavo mi avresti lasciato qui a morire…” disse lui, appoggiandosi con il braccio alla corteccia, mentre una vistosa ferita gli attraversava la guancia, richiudendosi pochi secondi dopo.
“Va via, Offender, mi sarai solo d’intralcio” dichiarai mentre la mia voce diventava sempre di più irriconoscibile e l’incubo iniziava a prendere forma. Intimorito da ciò che stava per succedere, Offender decise di non farselo ripetere e si teletrasportò via, sparendo dalla mia vista.  
Fissai la figura della zia in lontananza, lo sguardo freddo e spietato, facendo scorrere all’aria aperta i viticci con studiata lentezza, osservandone i movimenti e mostrandole le mie intenzioni ostili.
“Slender… non pensavo ti importasse così tanto di quell’essere da quattro soldi. Devo dire che ti avevo sopravvalutato, non avrei mai immaginato che avessi il pallino per gli umani” dichiarò allargando le braccia senza alcuna remore.
Ignorai ciò che disse, non mi importava più, quello che aveva fatto il mio cuore non gliel’avrebbe mai perdonato. Era troppo tardi per le parole.
Scattai in avanti, colpendo il punto in cui era situato il suo cuore, lei si teletrasportò alle mie spalle, evitando il colpo. Il mio prolungamento colpì il ghiaccio spesso, provocando delle incrinature profonde sulla sua superficie. Prontamente, mi girai e bloccai il suo colpo facendo forza sui piedi, alzando poi un viticcio libero per colpirla in pieno viso. Lei indietreggiò velocemente, evitando l’impatto per pochi millimetri, afferrando il mio viticcio e scaraventandomi più in là. Atterrai in piedi, appoggiandomi sul braccio destro per non perdere l’equilibrio.
Endergarda era ridotta in uno stato pietoso e qualche ferita faticava misteriosamente a rimarginarsi ma, nonostante questo, riusciva a tenermi testa in un modo impeccabile. Era davvero forte come si diceva in giro, non erano tutte favole quelle sul suo conto.
“Avanti, Slender, lo sai che non puoi battermi. Dammela e lascerò che tu e i tuoi fratelli viviate, non è una proposta conveniente?” chiese alzando le mani al cielo con enfasi.
“E’ troppo tardi, vecchia. Non ho alcuna intenzione di ascoltarti!” gridai, teletrasportandomi al suo fianco, prendendola di sorpresa e colpendola sulle costole, rompendogliene due. Lei, ripresasi dall’attacco improvviso, mi bloccò con i suoi viticci cercando di stritolarmi nella sua presa.
In quel preciso istante in cui l’aria iniziava a diventare poca e la mia vita piano piano scivolava via, la mia ultima difesa si attivò, permettendomi di liberarmi. Mentre una cappa d’oscurità mi avvolse, allentai la sua stretta, recuperando le forze. Afferrai i suoi prolungamenti, tranciandone alcuni con i miei artigli, affilati più dei rasoi, facendola indietreggiare per il dolore.
Un ringhio furioso uscì dalla mia bocca, mentre i miei denti mortali sbucarono fuori minacciosi.
Persi il totale controllo della mia mente, mentre la furia cieca si impossessò del mio corpo, saltandole addosso e mordendola sul collo con rabbia animalesca mentre il sangue schizzava da tutte le parti, riempiendo l’aria di un odore che mi diede alla testa. Purtroppo però, non ero l’unico ad avere quella modalità come mia ultima risorsa.
Mentre dei viticci d’oscurità mi scaraventarono via, la zia si rialzò, ancora viva nonostante la grossa ferita. Due bulbi oculari violetti apparvero sul suo viso, carichi di furia e rancore.
La osservai minaccioso, aspettando la sua mossa che non tardò ad arrivare. Si teletrasportò davanti a me, cercando di colpirmi con tutti i suoi viticci che schivai prontamente. Contrattaccando, colsi l’occasione per colpirla con uno dei miei prolungamenti in pieno stomaco, avendo avuto l’incauto ardore di aver lasciato scoperto e senza difese per qualche secondo.
Con l’adrenalina a mille e il sangue che scorreva a fiotti, non riuscii a rendermi conto in tempo che il suo era stato solo un diversivo. Afferrò il mio viticcio con le mani, bloccandomi a lei e avvolgendo il mio corpo con i suoi viticci oscuri, tirando le miei braccia verso l’esterno provocandomi un dolore lancinante.
“Non volevo arrivare a questo, nipote…” sussurrò al mio orecchio con una punta di dispiacere, aumentando la pressione sulle mie braccia, volendole strappare via.
Bloccato dalla sua presa, mentre sentivo il potere scivolare via lentamente e la sofferenza aumentare ogni secondo che passava, i miei pensieri andarono ai miei fratelli. Che ne sarebbe stato di loro se fossi morto in quel momento? Che vita avrebbero fatto se fossero riusciti a salvarsi dalla furia della zia? Che cosa sarebbe accaduto ad Aliaga? Sarebbe morta anche lei? Avevo causato così tanto dolore solo per uno stupido capriccio personale, ero definitivamente una persona orribile.
Mentre la vista mi si annebbiava e i sensi si attutivano, la presa scomparve all’improvviso facendomi cadere al suolo. La zia ringhiò furiosa, volgendosi verso colui che l’aveva colpita, congelandole parte del colpo. Ricominciando a respirare, voltai lo sguardo verso il mio salvatore, cogliendo allo stesso tempo l’occasione per mettere distanza tra me la slender: lo stesso essere blu di quella notte stava in piedi davanti alla zia con una spada eterea impugnata con entrambe le mani in posizione di guardia.
“Tu guarda, chi non muore si rivede” dichiarò, rivolto alla zia, sorridendo con scherno, “ora ci penso io a lei” mi disse, indicandomi con lo sguardo un punto sicuro dove ripararmi. La sua voce sembrava provenire da un altro mondo, trasportata da un’eco indefinito.
“Neanche per sogno…” dissi sputando un po’ del sangue che mi si era formato in bocca, cercando di rimettermi in piedi “questa è una faccenda tra consanguinei, chiunque tu sia… non ti intromettere!”
“Si, perché stavi definitivamente vincendo, nevvero?” chiese ironico, alzando gli occhi oscuri al cielo.
La zia, confusa da ciò che era appena accaduto, passò lo sguardo da me all’essere, studiando la situazione, per nulla intimorita dall’aumento dei suoi avversari.
Lei stava per teletrasportarsi quando un cerchio blu le apparve intorno, bloccandola sul posto. Era stato l’essere, che ora mi si era affiancato, alzando la mano sinistra avvolta da un’energia sconosciuta verso di lei, che l’aveva bloccata. Non riuscivo a capire cosa fosse, non avevo mai visto nulla di simile prima d’ora.
“Tu!!” esclamò lei rivolta all’essere.
“Vedo che la menopausa ti rende estremamente irritabile, te l’avevo detto di prenderti una camomilla!” dichiarò lui, abbassando il braccio. Una lunga striscia blu apparve sul collo della slender, bloccando presumibilmente la sua abilità di teletrasportarsi.
Lei si posò le mani sul collo strofinandolo con calma, la ferita che le avevo provocato era quasi del tutto guarita. Improvvisamente si diresse verso di me, essendo non ancora in condizioni di difendermi, ma prima che potesse colpirmi l’essere si parò tra di noi, respingendola indietro e ghiacciandole le gambe.
Endergarda cercò di liberarsi, riuscendo a tirare fuori un piede, ma prima che potesse scostarsi la colpì con un fendente della spada che scivolò nella sua spalla, aprendo una grossa ferita. Lui indietreggiò mentre lei riuscì a liberarsi, colpendo a vuoto con i viticci che scattarono in ritardo.
Mi allontanai per riprendere le forze, appoggiandomi contro il tronco di un albero, aspettando che i tessuti muscolari delle spalle si riaggiustassero. Quell’essere mi stava aiutando di nuovo e sperai vivamente di riuscire a sopravvivere abbastanza a lungo per saperne il motivo.
Sospirai mentre un’altra fitta di dolore mi attraversò il corpo, accasciandomi al suolo, sperando che non sarebbe durato tanto a lungo da impedirmi di fare la mia parte. L’essere blu nel frattempo continuava a combattere e schivare colpi con una maestria che invidiai, calcolando con precisione ogni colpo e passo, tenendo bene il ritmo della zia. Improvvisamente notò un’apertura in un punto vitale della slender e, essendo troppo avido e desideroso di concludere la faccenda in poco tempo, si arrischiò a compire un pericoloso affondo, mettendo in pericolo tutte le sue difese. Il colpo andò a segno ma dovette abbandonare la sua spada per evitare che un viticcio gli tranciasse la testa di netto.
L’arma perse la sua consistenza eterea, trasformandosi in un comune oggetto d’antiquariato.
Tutti le mie ferite si richiusero e il dolore scomparve, permettendomi di salvare quella persona da un viticcio che stava per impalarlo. Ci teletrasportai via, realizzando di aver consumato quasi tutte le mie energie con quell’ultimo gesto.
“Uff, me la sono vista brutta… grazie!” esclamò lui mentre il suo corpo perse la sua consistenza eterea, appoggiando le mani sulle ginocchia e diventando un comune essere umano dai capelli marroni e gli occhi di un azzurro così freddo da fare spavento.
“Scusami se potrò sembrare estremamente sgarbato, ma chi sei tu? Non ti ho mai incontrato prima di quella volta nella foresta… o sbaglio?” chiesi sedendomi a terra per riprendere fiato.
“Non sbagli. Io sono Rei Bennett, un amico di un amico” dichiarò con la massima leggerezza, come se non avesse rischiato la vita pochi secondi prima.
“Sei un altro amico di Splendor?” ipotizzai.
“Splendor? No, no, conosco solo Offender!” esclamò grattandosi la testa confuso.
“Non pensavo che Offender avesse degli amici…” dissi allibito, non credendo alle mie orecchie.
“Amici? È una parola grossa. Non credo sia il termine adatto dato che ci conosciamo da pochissimo tempo” dichiarò mettendosi le mani dietro la testa, osservando il paesaggio circostante.
“Allora, se non siete amici, perché mi stai aiutando?” chiesi sospettoso, rialzandomi.
“Diciamo che conosco Aliaga… in un modo molto indiretto… e sono stato ingaggiato per assicurarmi che non le accadesse nulla. Incredibile quante cose possano succedere in qualche ora d’assenza” disse facendo qualche piegamento sulle ginocchia per riscaldare i muscoli.
“Uhm… per curiosità, da quanto tempo saresti qui?” non mi fidavo di lui, dato che può assumere un’apparenza umana e congelare le cose a comando, meglio guardarsi le spalle.
“Da quella sera in cui ci siamo incontrati nel bosco” rispose asciuttamente “e non ti preoccupare, i vostri affari amorosi non mi riguardano” concluse schioccando la lingua sul palato.
“Aliaga sa qualcosa di tutto questo?”
“Assolutamente no e preferirei che restasse così, da ciò che mi è stato riferito, odia farsi proteggere dagli altri” dichiarò, girando la testa verso un punto indefinito della foresta.
“Un’ultima domanda… che cosa accidenti sei?” chiesi fissando lo stesso punto e sentendo la presenza della zia che si avvicinava verso di noi.
“Diciamo che ero un umano tempo fa” disse con un ghigno stampato sul volto mentre il suo corpo riprese le sue sembianze eteree “sai, Slender, mi sono reso conto di una cosa” concluse chiudendo gli occhi.
“Cosa?” chiesi senza mai distogliere lo sguardo.
“Non possiamo batterla neanche in due, la vecchia è più tosta di quel che pensassi” dichiarò riaprendoli, preparandosi per l’arrivo della slender.
“E allora che possiamo fare?” chiesi nuovamente, pronto ad attaccare.
“Ho bisogno che tu mi faccia da diversivo, ho un’idea!” esclamò, strofinandosi il mento.
“Sputa il rospo”
“Io congelo i piedi della vecchiaccia, tu fai in modo che non si liberi, in poche parole trattienila, e appena fischio raggiungimi nello spiazzo qui vicino. Ho una bella trappola da usare in queste situazioni”
“Che tipo di trappola?”
“Un seme”
“Un seme?!?” girai la testa verso di lui, domandandomi sulla sua attuale salute mentale.
“Lo so che può sembrare folle, ma fidati di me” dichiarò mentre il suo braccio sinistro si illuminò della stessa energia di prima.
“Perché dovrei?”
“Perché non hai altra scelta. Se può consolarti io ho deciso di fidarmi di te, raccontandoti tutte quelle cose” disse inclinando la testa di lato verso di me “e spero vivamente che tu te le tenga per te!” concluse fissandomi con uno sguardo pungente.
“Grandioso!” esclamai con immenso sarcasmo.
La zia sbucò dal punto in cui l’avevamo individuata, colpendo lo spazio tra le mie gambe con i suoi viticci. Evitai il suo colpo e mi resi conto che, per mia fortuna, o meglio per mia sfortuna, ero il suo obbiettivo primario, essendo quello più debole tra i due.
Rei colse l’occasione per fare ciò che aveva detto, fermando la vecchia dalla vita in giù e sparendo nella boscaglia poco dopo.
Lei cercò di liberarsi ma riuscii a bloccarla prima che potesse muoversi, avvolgendo i miei viticci attorno al suo corpo.
“Perché non ti arrendi, Slender? Persino il tuo amichetto ti ha abbandonato, non hai speranze!” ringhiò cercando di sfuggire alla mia stretta. Concentrai le ultime energie rimaste, mantenendo così salda la presa, consapevole che non sarei riuscito ad andare avanti a lungo: pochi minuti ed avrei esaurito tutte le mie forze.
Proprio quando stavo per perdere le speranze e rimpiansi di aver deciso di fidarmi di qualsiasi cosa fosse quell’essere, un rumore aleggiò nell’aria.

Fiii!!

Mollai la zia, raggiungendo il luogo stabilito, assicurandomi che non potesse perdere le mie tracce. Raggiunsi Rei dietro un albero.
“E ora?” chiesi con il fiato corto.
“Lascia fare a me, tu non ti muovere” dichiarò con serietà, uscendo dal suo nascondiglio.
Io annuii, sperando vivamente che, qualsiasi idea avesse in mente, funzionasse.
Osservai tutta la situazione dal mio riparo: la zia sbucò fuori, ritrovandosi faccia a faccia con Rei.
Lei, con un grosso ghigno stampato in faccia, si avvicinò a lui pronta ad ucciderlo mentre l’essere non si mosse di un millimetro, forse fin troppo sicuro dei suoi mezzi.
Delle grosse radici sbucarono dal terreno, avvolgendo la zia e una gigantesca pianta uscì, ondeggiando la sua testa minacciosamente.
La slender venne ingoiata in un solo boccone senza che potesse ribellarsi. Fissai quella cosa gigantesca senza parole, incerto e spaventato, rimanendo nel mio nascondiglio, avendo il timore che le venisse il desiderio di mangiare anche me.
Rei si avvicinò a quella cosa, accarezzandola:
“Brava piantina, ti è piaciuto lo spuntino?” le chiese sorridente.

Raw! Raw!

Esclamò allegra, strusciando la sua testa contro il suo petto.
“Che diavolo è quella cosa?!” esclamai poi, senza mai muovermi dalla mia zona sicura.
“E’ una pianta, non si vede?”
“Si, ma non è un tantino grossa e soprattutto… vivace?”
“Forse, non mi intendo di piante!” disse grattandosi la testa “E poi ci ha salvato la vita, non basta questo?” concluse grattando sotto la sua testa.

Raw!

“Sarà, ma io non mi fido” dissi guardingo.
Salutai Rei, ringraziandolo e promettendogli di non dire una sola parola a nessuno riguardo lui e tutto ciò che concerneva la sua persona.
Dovetti ripercorrere tutta la strada a piedi per poter ritornare a casa. I miei passi sulla neve spessa riecheggiarono nell’ambiente circostante, rimbombando nelle mie orecchie e facendomi sentire terribilmente solo.
Ora che la mia furia si era esaurita, restava solo il vuoto ed un dolore così profondo da risucchiarmi completamente. L’angoscia aumentava ad ogni passo, costringendomi ad aumentare la mia andatura e a raggiungere al più presto la mansione.
Arrivai dopo una mezzoretta, tutto trafelato ed esausto, sentendo le mie forze venire meno, appoggiandomi alla porta d’ingresso.
Un odore di fumo arrivò alle mie narici prima che scivolassi, senza più energie. Qualcuno mi sorresse e mi portò dentro, dicendomi qualcosa che non riuscii a comprendere.
Ero troppo stanco e troppo debole. Chiusi gli occhi.

°°°°

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Capitolo 21
*** 18. Broken. ***



18. Broken.



Riaprii gli occhi con fatica, sentendomi senza forze. Sforzandomi per mettermi seduto, cercai di focalizzare l’ambiente circostante per capire dov’ero finito: mi trovavo nell’ora spoglia e grigia camera di Splendor. Un leggero odore di fumo arrivò al mio apparato olfattivo, portando i miei lineamenti a contrarsi per il disgusto, mettendo la mano sul viso per cercare di bloccare quella puzza insopportabile.
Una figura abbastanza alta andava sotto e sopra per la stanza, fermandosi a volte verso la finestra e buttandoci infine qualcosa che non riuscii a definire. Non potendo visualizzarla bene, dato che la mia vista era ancora tutta sfuocata, mi strofinai il volto per cercare in qualche modo di stabilizzarla. Piano piano i miei sensi ritornarono in me, permettendomi di distinguere bene gli oggetti circostanti.
Vidi i contorni di una sedia su cui era stato posato un cappello che mi parve assai familiare e un posacenere sul comodino, nel cui interno vi erano ben più di una ventina di mozziconi bruciacchiati.
Offender, poiché di lui si trattava, si fermò di botto, rendendosi conto che avevo ripreso conoscenza. Irrigidito peggio di un tronco congelato, mi fissò in volto per qualche secondo: vidi disperazione, sollievo e infine rabbia, passargli su quei pochi tratti del viso con una velocità impressionante.
“Accidenti a te!” esclamò poi, totalmente indeciso su come avesse dovuto sentirsi e comportarsi in quel momento, accomodandosi sulla sedia e schiacciando il cappello senza rendersene conto tanto era nervoso. Puzzava così tanto di fumo da farmi credere che avesse passato tutto il tempo a fumare come una ciminiera.
Lo fissai con un’espressione interrogativa, non riuscendo a comprendere perché si comportasse in quel modo così differente dal suo solito io menefreghista e noncurante:
“Come?” ebbi l’ardore di chiedere, ancora confuso e con i ricordi annebbiati. Avevo la gola terribilmente secca e le lettere mi uscirono tutte distorte, ma lui diede ad intendere che avesse comunque capito.
“Come come?! Stai scherzando vero?! E poi l’imbecille sarei io?!? Tsk!” mi rimproverò, frugando nelle tasche e tirando fuori un ultimo pacchetto di sigarette che risultò essere totalmente vuoto appena lo aprì. Guardò la confezione con dispiacere, permettendomi di realizzare che aveva due grosse occhiaie nere. Da quanto tempo non dormiva?
 “Non capisco” dissi piano, mettendomi le mani sul viso, mentre una fitta di dolore mi attraversò il cervello.
“Allora ti sei proprio ammattito! Sono tre giorni che sei in quel letto, tre lunghissimi giorni!” esclamò, alzandosi e dirigendosi fuori, spalancando la porta con rabbia. “E tutto per un’umana senza valore!” concluse, ritornando nella stanza per prendere il suo cappello che si era appiattito a causa del suo peso, riaggiustandolo con cura e posandolo sul capo. Si appoggiò allo stipite della finestra, fissando il paesaggio fuori e prendendo una boccata d’aria gelida.
Non compresi immediatamente le sue parole, mentre il mio cervello faceva ancora fatica ad elaborare tutte le informazioni che il mondo esterno mi stava inviando.
“Tre giorni…” sussurrai incredulo quando il mio cervello ricominciò finalmente a funzionare come si deve.

“E tutto per un’umana senza valore!”

Le sue parole rimbombarono nella mia testa, richiedendo la mia completa attenzione, mentre qualcosa dentro di me premeva per uscire fuori.

Un’umana?

Di chi sta parlando?

Io non conosco nessun…

I ricordi riaffiorarono dalle tenebre che mi offuscavano la mente con prepotenza, riportando alla luce del sole tutto ciò che era accaduto. Mi rannicchiai su me stesso, sopportando un’altra scossa di dolore. I suoi capelli rossi, gli occhi penetranti e il suo sorriso mi ritornarono in mente, mentre le sue mani mi toccavano il collo e le sue labbra si avvicinavano alle mie.

Aliaga…

Mi alzai dal letto di scatto, senza pensarci due volte, rendendomi conto che una flebo mi era stata applicata al braccio destro, impedendomi di andare oltre. Offender si riscosse, sorpreso dal mio gesto improvviso:
“Slender, che diamine?! Sta giù!” esclamò, cercando di fermarmi e di riportarmi indietro.
“No!!” dissi con estrema fermezza, nonostante le mie gambe tremassero e mi reggessi in piedi a malapena.
“Accidenti a te! Perché vuoi farti del male?! Cosa stai cercando di ottenere?!” dichiarò irato, riuscendo a rimettermi a sedere. Estrassi la flebo dalla pelle nonostante la mia mano fosse alquanto inferma, rabbrividendo non appena scorsi l’ago, rimembrandomi di esperienze passate che non riuscivo a dimenticare. Deglutii con fatica, mentre un nodo mi si formò in gola:
“E’ ancora…?” chiesi, non riuscendo a completare la domanda, terrorizzato dalla possibile risposta. Ciò che avevo ricordato non era stato confortante, mentre mi sembrò quasi come se l’odore del suo sangue penetrasse nuovamente le mie narici, creando in me un terribile senso di angoscia. Volevo sapere, ma avevo paura di una verità troppo difficile da accettare.
Lui mi fissò incredulo, tirò un sospiro seccato, buttando il pacchetto vuoto in un angolo della stanza, e si accomodò accanto a me: “Sì…”
Il peso sul mio cuore diminuì sensibilmente e, sollevato, gioii in silenzio per quella notizia.
“Ma ha rischiato di non farcela, il mezzo baffo sapientone ha detto che è un miracolo se respira ancora” disse, fissando il contenitore bianco che aveva mancato di poco il cestino.
Persi un battito, rendendomi conto di ciò che in quel preciso istante sarebbe potuto non essere più al mio fianco: avevo rischiato di perderla, avevo rischiato che morisse e non ero stato con lei in quei momenti cruciali. Ero rimasto svenuto per tutto il tempo mentre lei soffriva. Certo, non per mia volontà, ma non riuscii a fare a meno di pensare che avrei dovuto stare al suo fianco e non in quel letto per tutto il tempo.
“I-io devo vederla… ti prego, ne ho bisogno. Morirò se non lo faccio” mi ritrovai a supplicarlo, stringendo debolmente la manica del suo cappotto, mentre qualcosa di caldo mi attraversò il volto, scivolando via con estrema facilità.
“Slender…” sussurrò piano, completamente attonito, fissando le lacrime che mi bagnavano il volto, senza sapere cosa fare, colto alla sprovvista. “Va bene… ma non puoi farti vedere ridotto così, dato che sei in mutande” concluse sogghignando per smorzare il clima pesante che si era creato in quel momento.
Guardai in basso, notando che aveva ragione. Un po’ imbarazzato, mi rivestii, accettando il suo aiuto. Non riuscivo a capire perché lui si stesse comportando in quel modo, era così insolito da sorprendermi. Sembrava quasi come se fossimo tornati bambini, quando ancora non fioccavano parolacce e i litigi erano scarsi, quando non aveva ancora quel vizio tanto deprecabile. Mi portò persino un bicchiere d’acqua per ristorare la mia bocca che si era alquanto rinsecchita.
Scossi la testa: non era il momento adatto per farsi e fare domande del genere sul conto di mio fratello. La mia mente era troppo turbata e concentrata su qualcun altro per essere disposta a capire le meccaniche celate dietro tanta gentilezza inaspettata.
Appena fui pronto, mi accompagnò fino alla porta dove stava riposando la rossa.
Mi bloccai poco prima, fissando l’entrata con incertezza, non sapendo cosa dovevo aspettarmi di preciso. Com’era il suo stato? Cosa dovevo dirle? Potevo fare qualcosa?
Ero confuso e spaurito, cercando di trovare le parole adatte, parole che sfuggivano via come pesci guizzanti che seguono la corrente di un fiume infinito.
“Sicuro di essere pronto per vederla?” chiese la voce di Offender, riscuotendomi dai miei pensieri, mentre mi fissava con apprensione. (Mai avrei sospettato che una tale espressione apparisse sul suo volto.)
“Sì” risposi dopo qualche secondo di attenta riflessione, sospirando. Dovevo vederla, ne avevo bisogno e non potevo farne a meno: se avessi perso altro tempo, il mio cuore ne avrebbe pagato ancor di più le conseguenze. Lui bussò sulla porta due volte con fermezza, dandomi poi una pacca sulla spalla per rassicurarmi. Lo fissai sorpreso.
“Avanti!” esclamò con fermezza la voce di Vender da dentro la stanza.
Offender si assicurò che potessi andare avanti da solo e si congedò, dichiarando di aver bisogno di nuove sigarette, dato che le aveva finite tutte in quel lasso di tempo.
“Era davvero molto preoccupato per te” esordì lui quando fummo soli.
“Fatico a crederlo…” dissi incerto, entrando nella vasta stanza degli ospiti rettangolare e richiudendo la porta dietro di me. Il pavimento era stato ripulito egregiamente e da poco tempo, data la leggera traccia di candeggina nell’aria. Quest’ultimo e i muri erano di un color crema spento, con tutti i mobili di un chiaro legno di pino. C’era un letto ad una piazza e mezza da slender posto a sinistra della stanza, un piccolo divanetto, un armadio e un separé di legno. Un’unica grande finestra copriva l’intero muro destro della stanza, illuminandola parzialmente, dato che mezza tenda era stata abbassata per impedire che i raggi del sole potessero dare fastidio al dottore durante il suo lavoro.
Lui ora sedeva su una sedia, fissando con sguardo vago e mani giunte la persona che era stata posta nel letto.
“Insomma, la solita vecchia storia di due fratelli che si odiano a morte e si scannerebbero per idiozie, giusto?” chiese con una punta di sarcasmo, arricciando l’unico baffo che gli era rimasto. Anche lui non aveva dormito e probabilmente non aveva nemmeno avuto il tempo per prendersi una pausa.
“Esattamente” risposi piatto. Il vecchio diede ad intendere che non voleva impicciarsi e si alzò dalla sedia, cercando di non barcollare per l’evidente stanchezza.
Mi avvicinai al letto, osservando la figura che vi era assopita. Il viso ancora pallido come la luna, tumefatto in alcuni punti e fasciato in altri per coprire le cicatrici, permettendo a quest'ultime di guarire senza infettarsi. I suoi occhi erano chiusi, cerchiati di nero, immobili nell'abbraccio di Morfeo che aveva accolto quel corpo ora così fragile.
"Non ha dormito per giorni, tanto che il dolore era forte... oltretutto continuava ad insistere di voler toccare il mio baffo... proprio una tipetta testarda. Cerca di non svegliarla, è ancora molto debole e provata dalle sofferenze. Ha bisogno di molto riposo" disse il dottore, dandomi una pacca sulla spalla, sbadigliando sonoramente e uscendo fuori dalla stanza, lasciandomi così completamente solo con lei.
Un respiratore era stato posto sul suo viso: purtroppo uno dei viticci del mostro, che orami rifiutavo categoricamente di chiamare zia, le aveva perforato un polmone, rendendole impossibile respirare regolarmente. Mi sedetti accanto a lei sulla sedia dove prima sedeva il vecchio slender, appoggiandomi con le braccia sul letto e nascondendo la testa tra le mani per la vergogna e il rimpianto di non aver potuto impedire una tale violenza su colei a cui tenevo più di quanto mai avessi realizzato. Era così vicina a me che potevo toccarla, accarezzarla, abbracciarla, ma avevo remore, non volevo provocarle altro male. In quel momento la rabbia, che sembrava essersi sopita dentro di me, si risvegliò, bruciando come fiamma viva. Cercai qualcuno da incolpare dell'accaduto, trovandolo in me stesso. Ero stato io ad avvicinarmi a lei, nonostante le leggi e il pericolo incombente, io l'avevo trascinata in quel pasticcio e avevo messo a repentaglio la sua incolumità molteplici volte, fino a ridurla in quello stato. Non potevo fare a meno di sentirmi colpevole per ciò che era accaduto, avevo intrapreso una strada e non avevo prestato attenzione ai possibili inconvenienti. Ero stato capace di un egoismo senza pari, noncurante per la sua salvezza e me ne pentivo, torturando nervosamente le mie dita che andarono subito dopo sul letto dove giaceva immobile, mentre il suo petto si sollevava con una cadenza così irregolare da preoccuparmi.
Strinsi il lembo della coperta con rabbia e frustrazione, sentendomi un totale incapace buono a nulla, rimpiangendo di non aver avuto il potere necessario per cambiare ciò che era successo.
In quel momento di totale sconforto, qualcosa mi toccò la mano irrequieta con delicatezza, sfiorandola teneramente e riempiendola di un'amorevole calore, il cui unico scopo era quello di calmare il mio animo turbato. Mi riscossi all'improvviso, alzando la testa ed incontrando due occhi ambrati che mi guardavano con dolcezza, cercando di rassicurami e di farmi capire che non c'era bisogno di preoccuparsi.
Una lacrima solitaria attraversò il mio viso, scendendo prepotente senza chiedere il mio consenso, mostrando tutto il dolore che volevo solo seppellire sotto venti metri di fredda terra, finendo diritta sulla sua mano che si ritrasse leggermente appena entrò in contatto con la pelle, ma che poi ritornò imperterrita al suo posto, quasi come una sposa fedele che ritorna dal suo amato dopo un’assenza che, seppur breve, sembrava fosse durata secoli.
"Slender..." sussurrò piano con uno sforzo estremo, faticando a malapena a trattenere un ghigno di dolore, inarcando leggermente la schiena per cercare di alzarsi.
"Ferma, Aliaga! Ti farai solo del male se ti sforzi!" la rimproverai, avvicinandomi di più a lei, appoggiando le mani sulle sue spalle con delicatezza, riportandola giù e costringendola a distendersi.
"S-si... mamma" proclamò con voce flebile e rauca, mentre un altro ghigno di sofferenza si dipinse sul suo volto.
All'inizio rimasi allibito da quanta sfacciataggine ci volesse per fare ironia in un momento come quello, ma poi un'emozione irrazionale prese il posto dello stupore, facendomi reagire come mai avrei voluto, brandendomi il cuore senza possibilità di replica:
"Non scherzare, idiota! Non ti rendi conto di come sei ridotta?!? Pazza! Perché l'hai fatto?! Perché volevi buttare via la tua vita così?!" gridai irato, non riuscendo più a contenere la rabbia e la disperazione. Mi alzai di scatto, facendo cadere la sedia a terra, e battei il pugno sul muro con foga, sentendo un pezzo di parete sgretolarsi sotto il mio diretto, smorzando un po' della mia furia che sembrava essere uscita fuori dal mio controllo.
"Perché io ti amo..." sussurrò piano, lo sguardo corrucciato e pieno di dispiacere, gli occhi diretti verso di me, con la stessa espressione di una madre che cerca di consolare il figlio per la sua cocente delusione.
In quel preciso istante mi fermai, pochi secondi prima che un altro pugno aprisse definitivamente un varco per passare dall'altra parte, bloccandosi a mezz'aria.

Io ti amo...

Ipotizzai di aver avuto un'allucinazione uditiva sulle prime ma, a giudicare dal suo sguardo, avevo sentito il vero. Mi amava. Me, un mostro che il suo genere odia! Molti della sua specie avrebbero voluto la mia morte, date le voci terrificanti sul mio conto, ma lei no, lei mi amava! Volevo esultare e far festa per giorni, finché le miei stanche membra si fossero rifiutate di andare oltre, baciando le sue labbra fino allo sfinimento e gioendo perché era tutto vero! Non era uno di quei sogni così belli che, quando ci si risveglia, si cerca con tutte le proprie forze di richiudere gli occhi e dormire di nuovo, desiderando solo di ritornare indietro per viverlo ancora e ancora, poiché la realtà è troppo dura da accettare! Volevo assaporare nuovamente la sua bocca e finalmente sentirla vicina a me come non mai, stringendo il suo corpo al mio e magari, se natura permette, farsi una famiglia.
Ma, purtroppo, tutti i bei sogni si infrangono, rimanendo solo sogni, quando si scagliano contro la verità e l’immutabilità dei fatti:

Lei era un'umana, io uno slender, e questo nessuno lo poteva cambiare.

Questa realizzazione mi fece capire quanto tutto ciò fosse impossibile da realizzare e non avevo la minima intenzione di rendere la sua vita un inferno nuovamente per il mio mero egoismo. Il tempo era passato così velocemente che non avevo potuto godere appieno della sua presenza, né ero riuscito a fare chiarezza nella mia mente. Non sapevo ancora se ciò che provavo per lei fosse stato amore o solo una semplice cotta dettata dalla mancanza di una compagna per un periodo così lungo della mia vita. Potevo anche aver frainteso il tutto, alla fine dei conti, data la mia scarsa esperienza sull’argomento. L'unica cosa che sapevo per certo era che non volevo vederla mai più ridotta in quello stato, anche se questo mi fosse costato un sacrificio enorme.
Mi avvicinai a lei, poggiando la mia fronte sulla sua con rammarico per ciò che le avevo appena detto, guidato dalla rabbia:
"Mi dispiace... non volevo arrabbiarmi con te" le sussurrai, spostando la testa nell'incavo del suo collo, una delle poche parti illese del suo corpo. Aprii la bocca, sfiorandolo con le labbra, baciandolo amorevolmente.
"E’ solo che ho avuto tanta paura di perderti. Non dovevi farlo o almeno trovare qualcosa di più sicuro e che soprattutto non ti riducesse in questo stato. Ti voglio bene… non sopporterei che qualcuno ti potesse fare di nuovo del male… ma ora risparmia le forze, ti prego, le ferite potrebbero riaprirsi" conclusi, rialzandomi e accarezzandole le guancia con il dorso delle dita.
Lei chiuse gli occhi, beandosi del contatto con la mia pelle, ispirando a fondo:
"Va bene..." disse infine, sfiorandomi la guancia con la mano.

Growl!

Aliaga accennò un piccolo sorriso, io arrossì, completamente imbarazzato a causa del rumore che aveva fatto il mio stomaco vuoto in quel momento così intimo. Tutta la tensione che si era accumulata dentro di me mi aveva chiuso lo stomaco e non mi ero reso conto di aver fame.
“Eheh… credo proprio di aver bisogno di mettere qualcosa sotto i denti” dichiarai, alquanto a disagio, riaggiustandomi la cravatta.
Lei mosse la testa in segno di assenso, guardandomi con tenerezza, senza mai smettere di sorridere.
“Vado in cucina, torno subito” dissi, baciandole la fronte con delicatezza, rammaricandomi quando mi sembrò che il mio gesto le avesse provocato dolore a causa delle ferite recenti.
“S-scusa… non volevo” pronunciai con tristezza, chinando lo sguardo verso il pavimento e girando la testa dall’altro lato, vergognandomi per la mia inadeguatezza.
La sua mano si posò nuovamente sulla mia guancia, costringendomi a guardarla negli occhi.
“Non fa niente” sussurrò piano, cercando di non sforzarsi o mostrare dolore per non farmi preoccupare un’altra volta. “Non fa poi così male e, ora che sei qui, mi sento già un po’ meglio… ora, prima di scioglierci nella melassa e scadere nel romanticismo più basso, va a mangiare qualcosa, non vorrei mi morissi di fame… sarebbe a dir poco terrificante!” concluse con la massima calma, sospirando impercettibilmente e chiudendo gli occhi.
La fissai per un po’ prima di risponderle:
“Spero tu non mi stia mentendo per farmi piacere, non ho intenzione di farti soffrire di nuovo” dissi serio, fissandola nei suoi occhi che si riaprirono sorpresi nell’istante in cui pronunciai quelle parole. Il suo sguardo acquistò sicurezza e decisione.
“Assolutamente no. Ora vai, abbiamo bisogno tutti e due di riposo-“

Growl!!

“E tu hai bisogno di riempirti lo stomaco. Non vorrai mica che mi alzi per costringerti a farlo?” chiese con sfida, alzando il sopracciglio e fissandomi con gli occhi socchiusi.
“No, no! Vado subito, anzi, mi ci fiondo!!” esclamai, spaventato dall’idea che potesse farsi del male da sola, alzandomi e facendo rovesciare di nuovo la sedia, fiondandomi letteralmente fuori dalla stanza.
“Bravo e attento al-“

Swish!

Sbeng!

“-pavimento bagnato…” concluse senza che io avessi potuto sentirla.
Andai a finire direttamente di testa contro il muro, lasciando un perfetto segno tondo nella parete adiacente alle scale. Mi ritenni fortunato di non essere caduto giù come un imbecille, tastando il bernoccolone che mi era spuntato in testa, mentre una piccola gocciolina d’acqua uscì dall’incavo dell’occhio.

Poke!

“Ahia!”
Devo dire che avevo trovato assai bizzarro il piccolo cartello giallo che era stato messo sul pavimento, ma sul momento non gli avevo dato alcuna importanza. Ripensandoci, avrei dovuto prestare più attenzione a quel cartello.
Non ci misi molto a mettere qualcosa sotto i denti e ritornai al piano di sopra in un tempo che trovai abbastanza ragionevole. Mi fermai all’entrata della mia stanza, dove attualmente doveva esserci Splendor. Ero ancora molto preoccupato per lui e ciò che era accaduto ad Aliaga non aveva fatto altro che aumentare considerevolmente le mie preoccupazioni: dovevamo trovare qualcuno in grado di farlo stare meglio, una strega, e il nostro tempo era alquanto limitato.
L’idea non mi piaceva per niente, data l’estrema pericolosità di quest’ultime e l’impossibilità di controllarne ogni minimo movimento senza provocare una reazione violenta da parte loro. Sospirai e bussai alla porta: non ci potevo fare niente, avevamo bisogno di una strega, lagnarmi non avrebbe contribuito a migliorare le cose.
“Slender!” esclamò qualcuno dall’interno della stanza con allegria.
“Cosa…? Voglio una flebo! Muoio!!” disse all’inizio confusa e poi con estrema enfasi un’altra voce a me estremamente familiare.
Aprii la porta, mentre Splendor mi saltò addosso tutto felice, anche se la sua pelle era ancora grigia per la “malattia” e non stava bene. La sua presa era incredibilmente salda nonostante tutto ciò che gli era successo.
“S-Splendor… bast… soffoc… di… nuov!” esclamai balbettando, cercando di liberarmi per respirare l’essenziale ossigeno che mi serviva per vivere.
“Nessuno che pensa a me! E sia! Morirò qui, dimenticato da tutto e da tutti! Il mio genio rimarrà sconosciuto al mondo e questa perdita non verrà notata da nessuno! Buahhhh!!” gridò nuovamente Trender, agitando la mano con fare drammatico, versando lacrime come un rubinetto aperto, rischiando di allagare il pavimento.
Splendor mi lasciò andare, afflosciandosi sul letto come un palloncino sgonfio:
“Mi sento tanto floscio…” disse lui senza forze, “ma sto bene!” concluse riacquistando inspiegabilmente parte delle sue energie, alzando il pollice.
Lo aiutai a risistemarsi a letto, coprendolo per bene con lo coperte.
“Tu sta qui e non muoverti, Splender. Dovresti riguardarti” lo rimproverai scuotendo il dito.
“O-ok…” rispose lui, infilando la testa sotto le coperte.
In quel momento una terza voce mi colse di sorpresa:
“Sono solo gli effetti della malattia, è normale abbia sbalzi d’energia a questo stadio.”
Una mano si posò sulla mia spalla, facendomi sobbalzare leggermente.
“Ho bisogno di parlarti ragazzo…” disse grave lo slender che riconobbi come Vender. Notai che il suo baffo era scomparso e adesso era conciato un po’ meglio, nonostante fosse ancora molto provato dalla lunga operazione.
“Non può aspettare a-“
“No” dichiarò torvo, non ammettendo alcuna possibilità di replica, tranciando di netto il mio discorso con le sue parole.
“Sigh… se è proprio necessario!” sospirai seccato dalla sua improvvisa inflessibilità.
Ci trasferimmo nella sala da pranzo e appena arrivati, lui si assicurò che nessuno ci avesse seguito, chiudendo tutte le tende e le porte.
“Che succede? Come mai tutta questa segretezza?” chiesi senza perdere la calma, rimanendo freddo ed impassibile mentre lui accendeva un’unica candela nella stanza.
“Per sicurezza” minimizzò abbozzando un sorriso che nascondeva un nervosismo sospetto.
Dopo un po’ di tempo, quando fu soddisfatto del suo operato e io stavo per perdere la pazienza, parlò: “Sa… signor Slender, si dice che altri slenders vivano sulla Terra oltre alla sua famiglia…” esordì, massaggiandosi la mascella.
“Si, lo so… cosa-“
“Molti di loro sono qui perché hanno commesso atti deprecabili contro famiglie dell’alta nobiltà…” continuò imperterrito, interrompendomi per la seconda volta.
“Ne sono a conoscenza e-“
“Alcuni cercano vendetta…” e quella fu la terza volta che mi interruppe.
Alquanto stizzito dal suo comportamento irrispettoso, mi girai e mi diressi verso la porta. Non avevo intenzione di perdere la calma per qualcuno che non mi faceva nemmeno parlare e continuare ad ascoltarlo non avrebbe fatto che aumentare la mia irritazione.

Tap, tap, tap…

“Quella donna è pericolosa” disse con semplicità, inclinando la testa verso di me.
Mi bloccai improvvisamente, sentendomi congelare le membra, la mano ferma a mezz’aria intenta ad afferrare la maniglia di quella porta.
Girai lentamente la testa, fissando torvo la figura in piedi davanti a me. In quel momento, tutto quello che sentivo dentro era vuoto, un vuoto che teneva a bada le tenebre sopite. Il mio fastidio aumentava secondo per secondo, portandomi a stringere con forza il pugno destro.
“…” lo fissai in silenzio, senza sapere cosa dire o ribattere.
“Signor Slender, lei lo sa con chi ha a che fare? E chi si è portato in casa? O è stata così brava da ingannare anche lei?” chiese, appoggiando il volto sulla mano, con un’espressione che mi parve al limite del compiacimento: mi stava deridendo. Stava deridendo la mia figura, quasi come se fossi stato un povero bambino ingenuo.
“Lo sa della cicatrice sulla sua mano?” proclamò, facendo un’ultima, lunghissima e pesantissima pausa.
“E infine lo sa che quella donna non è nient’altro che un’assassina mandata qui ad eliminarvi tutti?” il suo sguardo si fece sottile.
Mi sentii come se un ago fosse stato infilato nel mio cuore. Il vuoto lasciò spazio a rabbia e incredulità, stringendo il pugno fino a farlo sanguinare.
“Che diavolo significa tutto questo, Vender?!?” gridai, deciso a non credere a nessuna delle sue parole.
“Non mi crede? Allora controlli il marchio sulla sua mano. Quella è una prova più che sufficiente a dissolvere tutti i suoi dubbi.” Si mosse, avvicinandosi a me e mettendomi la mano sulla spalla, “Si ricordi che, solo perché si è innamorato di lei, questo non vuol dire che lo sia lo stesso anche per lei.” Concluse togliendo la mano e uscendo fuori dalla stanza.
Rimasi congelato lì, senza sapere cosa fare o pensare. Ci volle un po’ prima che mi riscuotessi, ma quando lo feci ero deciso a verificare di persona tutto ciò che quel vecchio mi aveva riferito.

Le sue sono solo bugie… sono solo tutte bugie…

Pensai, dirigendomi al piano di sopra. Appena arrivato, fissai la rossa che ora si era assopita nel letto. Era così fragile in quell’istante, così indifesa…
La sua figura era avvolta dalle tenebre notturne, i raggi della luna che filtravano dalla finestra sembravano evitarla, probabili segni premonitori di una verità a lungo nascosta.

Eh se… no, non è possibile.

Mi chinai, prendendo la sua mano con delicatezza, avendo in me l’insensata certezza che tutto ciò che avevo sentito era solo una mera bufala.
Se volevo scoprire la verità, dovevo provare a marchiarla come un mio Emissario (o Proxy). Il processo non era irreversibile quindi, a parte un po’ di dolore, non ci sarebbero stati problemi a rimuoverlo subito. Le avrei spiegato tutto poi, non avevo tempo, né la voglia per svegliarla. Doveva stare a riposo dopotutto e, anche se mi doleva terribilmente farle del male, dovevo per avere certezze.
Aprii la bocca concentrando le mie energie per creare il marchio, pronto a morderla con i miei denti affilati, ma poco prima che potessero toccare la sua pelle qualcosa mi respinse.
Un semplice disegno luminescente, dai toni viola scuro, apparve sulla sua carne.
Le lasciai andare immediatamente la mano, indietreggiando terrorizzato e senza parole, mentre tutto ciò che mi rimaneva era un immenso senso di vuoto e ogni certezza stava crollando inesorabilmente.


Era tutto vero: lei era un Emissario di un altro slender e io ero cascato nella sua trappola come un pollo.


Ma nonostante tutto, il mio cuore non riusciva ancora ad accettarlo. Nemmeno in quell’istante smise di volerle bene.
 
°°°°
 

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Capitolo 22
*** 19. The right thing to do. ***




19. The right thing to do.

 


Pochi secondi dopo quella sconcertante scoperta, mi ritrovai con la schiena poggiata sul muro, scivolando giù lentamente, privo di forze. Era come se qualcosa dentro di me fosse stata strappata via con violenza, facendo colare del sangue vivo dall’interno del mio cuore, martoriato e confuso dall'improvvisa onda di dolore che mi aveva travolto.

La amavo ma, infondo, non sapevo neanche chi fosse in realtà e il suo passato mi era completamente ignoto. Perché era una proxy? Lo era diventata volontariamente o era stata costretta? Aveva mai avuto una famiglia, degli amici o qualcuno che la stava aspettando e a cui apparteneva ora il suo cuore? Era davvero tutta una bugia ciò che mi aveva detto?

Appoggiai la testa tra le gambe, contemplando il silenzio nella stanza, interrotto a tratti dal suo respiro irregolare e dal suono del vento che soffiava con una snervante calma, sfiorando i vetri delle finestre, creando così in me un profondo senso di irritazione.

Non sapevo cosa fare allora, sebbene in quel momento il dovere e la salvezza dei miei fratelli mi imponessero una sola ed estrema scelta: qualcosa che desideravo evitare con tutto il cuore ma che, probabilmente, sarebbe stata la soluzione più sensata.

 

Erano passati tanti anni da quel giorno in cui mio padre mi insegnò una lezione che mi sarebbe stato difficile mettere in un cassetto tanto facilmente. Fu proprio prima della nostra partenza improvvisa, mentre il mondo tranquillo in cui avevamo vissuto prima si sgretolava sotto i nostri occhi, rivelando la sua vera faccia: un volto crudele, pieno d'oscurità e desiderio di potere a tutti i costi, in cui valori come l'amicizia e l'amore erano solo meri concetti astratti.

Le sue parole ancora riecheggiavano per le pareti di quella stanza, rimembrandomi i miei doveri nei confronti della mia famiglia:

Slender, rimembra in futuro ciò che sto per dirti, non ti è permesso scordarlo. Tu sei il maggiore e il tuo dovere è quello di proteggere i tuoi fratelli a tutti i costi. Sembrerà deprimente, ma io non vivrò per sempre, non so nemmeno se riuscirò ad arrivare a domani, quindi devi sapere che, quando quel giorno arriverà, la responsabilità di tutto ricadrà sulle tue spalle. Quello che è successo alla mamma è solo l'inizio, dovete andarvene da qui. Questo posto non è più sicuro e voi non siete ancora abbastanza forti per difendervi da soli e, sopratutto, ricorda che, quando sarete soli, a te toccherà il peso delle loro vite. Eliminare ogni pericolo che troverai sulla strada sarà il tuo compito e non importa se questa minaccia deriverà da qualcuno a cui terrai, l'importante è che rimaniate uniti: tutto il resto è sacrificabile, persino i sentimenti personali.”

 

 

Ritrovai un po’ di forza in quelle parole che mi permise di rialzarmi e di accostarmi alla sua figura: era così debole e indifesa in quel momento, tanto che sarebbe bastato poco per assicurare la salute di tutti gli abitanti della casa. Un movimento veloce e ogni cosa sarebbe finita così come era iniziata.

 

Ma è davvero ciò che voglio?

 

Pensai, mentre nella mia testa regnava la confusione più totale.

Senza rendermene conto, una strana sensazione di gelo mi avvolse improvvisamente, mentre quelle parole riecheggiavamo come un comando, una legge imposta a cui non potevo sottrarmi, tirando fuori ciò che io consideravo come il lato più subdolo del mio essere. Alzai un viticcio che iniziò ad ondeggiare minaccioso nell'aria, irrigidendosi di botto e mettendosi in posizione per colpire. Ma, piano piano, quell'arto iniziò a tremare, colto dall'esitazione, mentre quel pensiero assumeva sempre più consistenza. Il senso del dovere che si era impossessato di me trovò un muro nato dall'affetto che si era sviluppato per quella donna durante tutto quel tempo. Comparve poi, come una reazione a catena, una traccia di paura, grande quasi quanto una piccola scheggia.

Prima che potessi fare qualsiasi cosa, i suoi occhi si dischiusero piano, fissandomi, offuscati dal sonno e dalla stanchezza, facendo ingrandire così quella piccola scheggia, finché non poté più essere ignorata.

“Slender?” chiese con un filo di voce, richiudendo le palpebre con lentezza, notando il viticcio che aleggiava minaccioso nell’aria.

La fissai senza parole, mentre incontrai nuovamente il suo sguardo. Qualsiasi cosa stesse architettando e se veramente era venuta per ucciderci, i suoi occhi non ne mostravano alcuna traccia: mi fissavano con quella solita espressione dolce, facendomi sentire terribilmente bene e al sicuro, rendendomi impossibile compiere quell’unico difficoltoso gesto.

“Slender, perché?” pronunciò, fissando il mio prolungamento che stava puntando al suo cuore, con lo sguardo che si riempì di tristezza ma, cosa assai sospetta, non paura.

Non riuscii a rispondere, non riuscii a dirle niente, riuscii solo a fissarla negli occhi. Di lì a poco sarebbero diventati vitrei, privi di ogni luce vitale e di tutte le emozioni che avevo visto scorrere su di essi con forza.

E, senza che me ne accorgessi, mi intrappolarono nel loro incanto, bloccando la mia mente e facendo afflosciare al suolo quell’arma puntata contro di lei.

Non riuscivo, non potevo, non avevo la forza per porre fine alla sua vita. I miei sentimenti per lei mi avevano intrappolato, quasi come se una catena fosse stata fissata sul mio cuore, impedendomi di porre fine a tutto e di compiere il mio dovere. Mi aveva catturato e non avevo alcuna voglia di liberarmi.

Appoggiai le mani sul volto, scosso da tremiti incontrollabili, maledicendomi per essere stato così debole e incauto da farmi guidare da emozioni effimere. La colpa era mia, avevo permesso che ciò accadesse e ne avrei pagato le conseguenze.

Sentii qualcosa posarsi sulla mia testa e, rimembrando quel contatto a cui prima mi ero affidato così ciecamente, mi ritrassi di scatto, terrorizzato dall'idea di venir di nuovo intrappolato da quell'incanto.

Mi faceva ancora piacere, persino con maggiore intensità di prima, ed era terrificante per me: dovevo temerla, odiarla, non continuare a provare quelle sensazioni così positive!

“Slender, che diavolo sta succedendo?” chiese lei, mettendosi a sedere e gemendo dal dolore nel processo. Si cinse le spalle con le mani, un’espressione spaesata sul volto, continuando a cercare il mio sguardo per trovare una spiegazione, mentre le mie parole venivano soffocate da lacrime di frustrazione e pena.

“… traditrice” pronunciai quell’unico suono a fatica, sputandoglielo in faccia con un disprezzo profondo, ancora scosso da fremiti. Le lacrime si prosciugarono lentamente.

“C-cosa?” chiese piano, colta di sorpresa, stringendo di più le mani sulle braccia.

“Traditrice, come ti sei permessa?!” sibilai parole che trasudavano una profonda malevolenza, maledicendola silenziosamente per avermi attratto in quell'inganno. Il mio cuore in quel momento gridava di dolore, sopraffatto dal sospetto e dal tradimento della persona che credeva lo amasse con tutta se stessa, soffocato da sentimenti negativi che mi avvelenavano piano l'anima.

“Slender, di cosa stai-?“ iniziò lei, inclinando la testa e strizzando gli occhi persi più che mai. La interruppi prima che potesse completare la domanda, sapendo che se l'avessi ascoltata, sarei caduto nuovamente nella suadente trappola delle sue parole.

“Tsk! Come se non lo sapessi, Aliaga?! Se questo è davvero il tuo nome e non mi hai mentito ancora una volta!” esclamai, mettendo distanza tra di noi ed evitando il suo sguardo.

“Ma io non ti ho detto nessuna bugia!” ribatté lei, cercando di difendersi con estrema convinzione.

Infuriato dal fatto che lei riuscisse ancora a mentirmi con tanta spudoratezza, le afferrai il polso con violenza, alzandolo in aria e mostrando quella cicatrice.

“E questo?!” appoggiai di nuovo la bocca sopra, facendo risplendere quel marchio violetto, “Cos’è questo, Aliaga?!” gridai, stringendo con forza la presa, provocandole una consistente fitta di dolore.

Fu allora che il castello di cristallo si incrinò, creando una grossa crepa che solo il tempo avrebbe richiuso.

Il suo sguardo divenne vuoto all’improvviso, quasi senza emozioni, spaventandomi nel profondo: non avevo mai visto un’espressione simile prima d'allora, aveva qualcosa di terribilmente anomalo.

Liberò il polso con un movimento netto e mi osservò sottecchi senza mostrare alcun sentimento.

“E’ il mio marchio da proxy, non si vede?” chiese gelida, accarezzandosi il polso con estrema calma.

“Chi ti ha mandato?!” esclamai, preso alla sprovvista dal suo gesto improvviso, indietreggiando.

“Che domanda idiota! Non mi ha mandato nessuno, signor Slenderman” dichiarò, togliendosi di dosso le coperte e cercando di scendere dal letto con non pochi sforzi e gemiti di dolore.

Bloccai quella parte di me che stava cercando con tutte le forze di fermarla dal farsi male da sola, cercando di ricordare a me stesso il pericolo che quella donna comportava.

“Allora perché hai quel segno? Perché sei qui?” chiesi, spiazzato dalla sua risposta così incolore.

“Ma quante domande… se è la salute della tua famiglia che ti preoccupa” iniziò, scendendo dal letto e reggendosi in piedi a fatica, “non sono qui per fare del male a nessuno. Sono capitata in questo luogo per caso e, per quanto riguarda quel segno, c’è l’ho da quando ero una bambina e non per mia scelta” concluse, arrancando verso la porta e agguantando il pomello con fatica.

Girò lo sguardo verso di me: “Contento ora? Non torcerò un capello a nessuno” disse, aprendo la porta.

“Come faccio a sapere se non mi stai mentendo? O che qualcuno non ti controlla?” chiesi infine, incontrando di nuovo i suoi occhi ora così freddi.

“Non lo so, Slender, ma, a quanto pare, piuttosto che provare ad ascoltarmi, avresti preferito impalarmi il cuore direttamente. Ma sappi che non ti biasimo, non sei il primo a provarci e non credo sarai nemmeno l'ultimo.”

E così dicendo,spalancò la porta e la richiuse dietro di se.

Continuai a fissare quel confine di legno, mentre i suoi passi piano piano si spegnevano, attutendosi fino a scomparire. Un grosso vuoto si fece largo lentamente nella mia figura, portandomi ad ammirare l'improvviso silenzio del mondo in quell'istante di infinito. Sembrava quasi come se ogni cosa si fosse bloccata nel tempo e tutto ciò che rimaneva fosse solo il freddo pungente e un senso pressante di solitudine. Una solitudine profonda come un oceano sconfinato, ricolmo di creature terrificanti provenienti da un passato traboccante di tenebre e fobie irrisolte che aleggiavano nell'animo come fantasmi irrequieti.

Mi appoggiai sul letto e osservai il muro con sguardo vitreo, incapace di dormire.

 

°°°°

 

Passarono i giorni con una lentezza esasperante, mentre ogni secondo sembrava durare un'eternità. Constatai con dispiacere che, in quel momento, la normale routine mi era diventata insopportabile, arrivando fino al punto di dovermi rifugiare spesso nella foresta per non sbottare all'improvviso davanti ai miei fratelli. Lei era tornata a casa sua e si stava riprendendo abbastanza velocemente, ma il suo sguardo, da quella sera, era diventato di una freddezza insostenibile. Ma come biasimarla? Aveva tutte le ragioni, così come io avevo le mie per comportarmi in quel modo. Non accadde niente ai miei fratelli, né lei tentò di avvicinarsi a loro, rimanendo nella sua zona, senza allontanarsi mai, ma il dubbio rimaneva, senza mai assentarsi per un secondo. La stanza della zia si svuotò misteriosamente, senza che nessuno si rendesse conto di niente. Raggiungemmo la conclusione logica che fosse stato un ladro a trafugare la sua roba, sebbene fosse sospetto il fatto che non avessero cercato di rubare altro. Passarono due giorni da quella sera, quando qualcuno bussò alla porta di casa nostra. Come al solito stavo leggendo il giornale in salotto con la compagnia di Trender, seduto sul divano, che stava realizzando un maglione ai ferri da regalare a Splendor, le cui condizioni erano diventate piuttosto stabili.

 

Tok, tok!

 

Alzai la testa dal giornale, distratto da quel rumore inaspettato. Trender fece lo stesso, fermando lo sferruzzare che fino a poco prima riempiva l'aria.

Ci guardammo interrogativi, senza avere la minima idea di chi potesse essere.

“Aspettavamo visite?” chiesi a mio fratello, sperando di non aver dimenticato qualcosa a causa di tutto il caos che si era creato in quel periodo.

“Che io sappia, no” disse lui scuotendo la testa e girandosi incuriosito verso il corridoio.

Richiusi il giornale, poggiandolo sul tavolino, mi diressi verso di esso e mi fermai proprio davanti alla porta.

 

Tok, tok, tok!

 

Bussò qualcuno di nuovo con più insistenza. Appoggiai la mano sul pomello, indugiando un po' e poi l'aprii piano, lasciando solo un piccolo spiraglio per controllare che non ci fosse alcun pericolo. Rimasi completamente sorpreso da ciò che vidi: un'umana abbastanza bassa, mi fissava con due occhi verde acceso e dei capelli castano chiaro. Era vestita in un modo piuttosto bizzarro: indossava un vestitino ornato di pizzo e un piccolo cappellino sulla sua testa con una fascetta verde e due grossi cuori rossi cuciti su quest'ultima.

Lei mi sorrise in modo gioioso:

“Buon giorno!” esclamò, facendo un passo in avanti, per cercare in qualche modo di entrare.

Chiusi di più la porta per sicurezza, mentre lei mi fissò interrogativa, inclinando la testa di lato per il mio comportamento assai diffidente.

“Chi è lei, come ha fatto ad arrivare qui e cosa vuole?” chiesi, stringendo di più lo sguardo su di lei, cercando di farla sentire in imbarazzo.

Ma a quanto pare non funzionò.

“Io sono Sarah Caelum, piacere di conoscerla! Sono arrivata in questo luogo grazie alla piantina che è alle mie spalle, seguendo le indicazioni della signorina Aliaga scritte su questo foglio, e sono qui perché mi è stato detto che cercavate una strega con poteri di guarigione. Lei deve essere il signor Slenderman, dov'è il mio paziente?” disse tutta contenta, facendo la riverenza e mostrandomi un fogliettino di carta tutto malridotto con sopra delle indicazioni incomprensibili.

 

Ma che accidenti c'è scritto sopra? Sembra gaelico antico o qualche altra sorta di scrittura dimenticata dal mondo!

 

Dopo aver analizzato quel pezzo di carta straccia, mi sporsi dalla porta per guardare dietro di lei, notando una pianta dall'aspetto alquanto familiare che si allungò sopra di lei per osservarmi.

Di sicuro a quella ragazza non funzionavano bene gli occhi: era a dir poco gigantesca! Avvicinò la faccia alla mia, mostrando i suoi canini aguzzi, per esprimersi con un unico e dolcissimo suono.

 

Rawrr!!

 

Divenni più bianco del mio solito e chiusi d'istinto la porta, appoggiandomi sopra e bloccandola con i viticci, terrorizzato a vita da quella cosa.

Se avessi avuto gli occhi, mi sarebbero di certo caduti per terra!

 

Alla faccia della piantina!! Quella cosa è un mostro! No no, col cavolo che apro ora!

 

°°°°


 

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Capitolo 23
*** 20. This is not a goodbye. ***


20. This is not a goodbye.
 
 
 
 
Devo ammettere una cosa. In quel momento mi ero fatto prendere dal panico senza neanche provare a resistere e probabilmente se mi avesse visto mio padre, me le avrebbe dette di tutti i colori.
 
“Signor Slenderman, apra immediatamente!” esclamò Sarah da dietro la porta, battendo ripetutamente il pugno sulla spessa superficie di legno.
 
“No!” risposi io con fermezza, bloccando l'entrata con i viticci color della pece e impiegando tutte le mie forze per tenerla tale, terrorizzato da quella gigantesca pianta carnivora all'esterno.
 
Ci fu una pausa, seguita da un lungo momento di silenzio che parve durare più del dovuto e,
infine, parlò di nuovo, schiarendosi la gola:
“Non faccia il bambino, c'è un paziente che ha bisogno di me, devo entrare per forza!” la sua voce palesemente infastidita, mentre il suono del tacco delle sue scarpe, incontrando molteplici volte e con impazienza il terreno, arrivò al mio apparato uditivo.
 
“No! Non con quell'essere mostruoso dietro di lei!” dichiarai, facendo trasparire una leggerissima nota di timore nella mia voce, stringendo ancora di più la presa, deciso a non lasciarla andare.
 
 
“Bene...” si udì un sospiro, “così mi costringe ad usare le maniere forti… e poi non dica che non l'avevo avvertita!” concluse, mentre i suoi passi risuonarono nell'aria circostante, allontanandosi sempre di più dalla mia posizione.
Un altro lungo silenzio riempì la zona, smorzato a tratti dal suono del mio respiro.
 
Che se ne fosse andata per davvero?
 
Stavo quasi per rilassarmi, quando qualcosa dietro le mie spalle mi colpì abbastanza violentemente, facendomi finire contro il muro in fondo al corridoio. Mi rialzai a fatica, mezzo ammaccato per la botta e con la strana impressione che ci fossero delle bizzarre stelline che avevano deciso di dare una festa intorno al mio capo.
Non mi ci volle molto per realizzare ciò che era accaduto: la povera porta di casa era stata sprangata dall'immondo testone di quella terrificante creatura che ora stava osservando la zona circostante, fissando con fare curioso i soprammobili e guardandoli da tutte le angolazioni possibili.
Ancora mezzo tramortito, notai la testa di Trender, decisosi finalmente ad indagare sull'accaduto, sbucare dal salotto con un'espressione di estremo sconcerto mentre gli occhiali gli scivolarono su un lato, passando lo sguardo da me alla pianta, senza sapere esattamente cosa fare o cosa diavolo stesse succedendo.
La fanciulla sbucò alle spalle della creatura, salutandomi con la mano con un fare che oserei definire giocoso.
 
Sbaglio o quello sulla sua faccia è un sorriso soddisfatto?
 
 Attraversò il corridoio, avvicinandosi a me e inginocchiandosi al mio fianco:
“Io glielo avevo detto, è lei che non mi ha voluto dare ascolto. La salute dei pazienti viene prima di tutto!” proclamò, alzando l'indice al cielo e facendo si con la testa, dimostrandosi, certamente, molto convinta delle sue stesse parole.
 
“Ugh… stupida pianta...” farfugliai con un'enorme sforzo, prima di essere agguantato per il collo della giacca dalla suddetta. In quel preciso istante non ci feci neanche caso, ma se avessi potuto vedermi dall'esterno, mi sarei tanto ricordato un micetto che viene preso per la collottola da mamma gatta.
Cercai di ribellarmi, ma non avevo ancora recuperato tutte le mie forze: il combattimento con la zia mi aveva letteralmente distrutto… per non parlare di ciò che era successo con la donna che amavo.
Lo so, probabilmente ero stato troppo affrettato, ma anche lasciare che una sconosciuta entrasse nella mia vita era stato uno sbaglio imperdonabile.
 
Che mi sia da lezione. La prossima volta starò più attento.
 
Sentii ancora una volta la voce di Sarah confabulare con la creatura: 
“Pensaci tu a lui piantina e vedi di non maltrattarlo” disse la ragazza, serissima, accarezzando un po' il lato del testone di quella cosa.
 
Rawr!
 
La pianta si strusciò un po' sulla mano di lei e poi, quando si allontanò di qualche metro e la fanciulla si girò, iniziò a giocherellare con me, scuotendomi a destra e sinistra, stando ben attenta a non farsi scoprire da lei.
 
Perché sempre tutte a me?
 
Pensai con espressione triste, lasciandomi sbatacchiare come un povero coniglietto tra le grinfie di una volpe.
 
 


°°°°
 
 

Trender e la strega parlarono per un po', chiarendo l'intera situazione nel complesso e mettendosi d'accordo sul da farsi. Dopo lunghi minuti di chiacchiere, salirono al piano di sopra, lasciandomi relativamente solo. Inutile dire che non ci capii molto, altri pensieri mi assillavano sul momento dato che un'enorme pianta mi aveva scambiato per il suo giocattolino personale.
Dopo essere stato sbatacchiato innumerevoli volte a destra e manca, iniziai a riprendermi, trovando in me un po' di forza sopita per sfuggire al mostro, tirando fuori i viticci e spingendo con tutta la forza che avevo contro il suo corpo.
 
Strap!
 
 Purtroppo questo mi costò il colletto della giacca che perse un grosso pezzo della sua morbidissima stoffa, strappandosi di netto.
Quello, non contento di aver rovinato il mio adorato completo, iniziò a venirmi dietro come il gatto col topo. Mi rifugiai in salotto, mentre il bestione rimase irrimediabilmente bloccato nella porta, troppo grasso per riuscire a proseguire oltre, con dei rotoloni di ciccia che gli strabordavano ai lati, impedendogli di proseguire oltre.
Provò a liberarsi, spingendo più forte che poteva varie volte ma, non riuscendoci, iniziò ad agitarsi considerevolmente, finendo per farsi prendere dal panico.
In quel momento, guardandolo da sotto il tavolino in cui mi ero rifugiato (per precisare, la mia era solo una ritirata strategica), mi parve assai buffo: in fondo era solo una pianta grassoccia troppo cresciuta e dai denti un tantino fuori misura, forse non era poi così male.
Alla fine, si afflosciò sul pavimento, scoraggiata e senza forze, versando fontane di lacrime che arrivavano da chissà dove, dato che gli occhi non erano visibili. Provai compassione per pochi secondi per poi ricordarmi ciò che mi aveva fatto poco tempo prima e desiderare, di conseguenza, che sparisse dalla mia vita.
Strisciai sul pavimento, svicolandomela da quella situazione, e uscii dalla finestra mentre quello iniziò a supplicarmi di aiutarlo, guardando nella mia direzione. Si agitò per un altro po' e poi, resosi conto che non avevo la minima intenzione di tirarlo fuori da quella brutta situazione, si rassegnò, afflosciandosi sul pavimento.
Presi una bella boccata di aria fresca: aveva smesso di nevicare la notte prima e ogni cosa era coperta dalla neve. Pensandoci bene, non mancava molto a Natale.
 
Sarebbe perfetto se Splendor si riprendesse per quel giorno e se venisse anche-… no, non devo pensare a-… lei...
 
Vagando nei miei pensieri con uno sguardo improvvisamente cupo, per poco non finii dritto dentro l'enorme buco nel bel mezzo del giardino che aveva distrutto un terzo delle rose che vi erano state piantate con tanta cura da Offender. Mi avvicinai per studiarlo, stando ben attento a non provocare altri danni: probabilmente quella ragazza e la sua pianta erano venute passando sotto terra da lì.
Ritornai velocemente indietro, ben sapendo che sarebbe stato meglio non farmi trovare nei paraggi di quella voragine quando Offender sarebbe ritornato con delle nuove sigarette. (Ci tiene davvero tanto alle sue rose… in un modo che, devo dire, rasenta l'inquietante.)
Decisi di dare un'occhiata a come stavano andando le cose in camera mia. Attraversai l'entrata ora priva di una porta, la quale giaceva danneggiata sul pavimento con l'enorme impronta di una testa sopra.
Sospirai: sostituirla mi sarebbe costata una fortuna.
 
Salii al piano di sopra e sbirciai nella mia camera, sporgendomi sull'uscio, captando un odore molto simile a quello della camomilla. Per fortuna la porta era aperta e potevo vedere tutto, quindi niente entrate teatrali che mi avrebbero solo messo in ridicolo:
Splendor era disteso sul letto, sembrava stare già meglio per l'espressione allegra che aveva sul volto. Sarah era seduta accanto a lui, con le mani aperte a pochi centimetri dal suo petto, mentre una debole luce si diffondeva da esse, risucchiando poi un'energia oscura dalle sfumature violacee che una parte della mia mente suggerì di aver già visto molti anni addietro. Infine Trender si era accomodato su un pouf e stava continuando a sferruzzare, senza però staccare mai lo sguardo da Splendor per assicurarsi che non gli capitasse niente di brutto, non sbagliando neanche una volta a posizionare i fili.
Non ci volle molto che la giovane strega si fermò, asciugandosi la fronte con un fazzolettino ricamato a fiorellini sui bordi:
“Ecco fatto,” dichiarò, sorridendo e riponendo il pezzo di stoffa nella tasca della gonna “per oggi abbiamo finito!” e si alzò dalla sedia, rassettandosi con attenzione il vestito.
“Bene” disse Trender, riportando gli occhi sul suo operato.
“Grazie, mi sento già molto meglio” proclamò il mio fratellino, rilassandosi e arrossendo per qualche motivo a me misterioso.
“Di nulla, vedi di riposarti e, dato che ti sei comportato bene, ho un regalo per te!” esclamò lei, allegra, facendogli l'occhiolino.
 Rizzò la schiena e la guardò con un'espressione a dir poco adorante mentre i suoi occhioni neri brillavano di una luce piena di vita.
“Un regalo? Per me?” chiese lui, non stando più nella pelle, stringendo le coperte con impazienza.
“Si, ma dovrai averne cura, senno me lo riprendo!” disse, tirando fuori un vasetto dalla borsa e piantandoci dentro un semino.
“Lo prometto, ne avrò cura!” proclamò serissimo, mettendo la mano sul suo cuore.
La strega proclamò delle strane parole che a me parvero senza senso, mentre un'aura verdognola circondò il vaso, facendo sbucare una margherita molto più grande di quelle terrestri e con una faccia così simpatica da strapparmi un mezzo sorriso.
Avevo già visto delle piante simili, ma non mi ero mai deciso ad approfondire la mia conoscenza su di esse per mancanza di tempo e di pace, necessari per uno studio che si possa definire decente.
“Ecco qui,” gli consegnò la piantina “ti dirà lei quando ha bisogno di qualcosa, quindi non devi preoccuparti” concluse, continuando a guardarla con un'espressione che diceva chiaramente che non  le era facile separarsi da quel piccolo essere giallo.
“Va bene!” esclamò Splendor, afferrandola con entusiasmo e una certa dose di cautela.
Lui guardò la piantina, mentre quella gli sorrideva, felice per essere venuta al mondo probabilmente, e disse:
“Ti chiamerò Smile, ti piace?” i lati della sua bocca si alzarono in un'espressione allegra, inclinando leggermente la testa a destra.
La margherita, ora ribattezzata con il nome di Smile, fece si con la testa perfettamente rotonda, senza mai smettere di sorridere, emettendo dei piccoli versetti simpatici.
“Sai, ti voglio già bene, Smile” disse infine, abbracciando il vasetto.
 
 
 
 
 
 
°°°°
 
 


Sarah liberò la pianta dalla porta, scusandosi per l'accaduto e promettendo che avrebbe ripagato tutti i danni appena fosse tornata l'indomani. Poi, prima di andarsene, mi prese da parte, sostenendo che doveva dirmi qualcosa di importante.
 
“Allora, strega, di cosa volevi parlarmi?” chiesi diffidente, appoggiandomi contro il tronco di un albero e incrociando le braccia.
“Devo parlarti di lei...” iniziò, un'espressione di rammarico era apparsa sul suo volto “lo so che Aliaga ha molti segreti, la maggior parte dei quali nemmeno io conosco, ma non è una persona cattiva… sta nel mezzo”
“Stai cercando di convincermi a tornare con lei per caso?” la interruppi, alquanto infastidito.
“Assolutamente no, non è ciò che intendevo!” esclamò, indietreggiando di un passo.
“E allora cosa intendevi?”
“Io volevo solo… chiederti di non odiarla” disse piano, quasi come se si vergognasse delle sue stesse parole, fissando le punte delle sue scarpe.
Rimasi in silenzio, scrutandola.
Infine le parole mi uscirono dalle labbra con un'estrema spontaneità:
“Non preoccuparti, io non la odio affatto, solo non posso più fidarmi di lei e né è saggio farlo per me” conclusi, decidendo di rimanere di quell'opinione.
Lei mi guardò in silenzio per qualche secondo e poi parlò: “Non posso biasimarti per questo, c'è stato un tempo in cui nemmeno io mi fidavo di lei e anche se fatico ad ammetterlo, ora le cose sono diverse, anche se tendo spesso a non andarci d'accordo perché ragiona in un modo che fatico a comprendere.”
La fissai, facendo ricadere le braccia sui fianchi, mentre una leggera brezza gelida mi fece rabbrividire.
“Ringraziala da parte mia per aver cercato qualcuno che potesse aiutare mio fratello...” le parole mi uscirono incerte dalla bocca, quasi come se facessi fatica a farle uscire per orgoglio.
Si avvicinò di un passo, smettendo di fissarsi le calzature.
“Dovresti farlo di persona, Slender, le farebbe piacere” disse piano, stringendo la sua borsetta tra le mani affusolate.
“Io non sono sicuro di avere la forza per farlo... non adesso almeno” mi preparai a chiudere il discorso lì, ma lei mi bloccò.
“Non so se potrai farlo ancora più tardi, dato che sta per partire” dichiarò con una punta di rammarico.
Quelle parole, non ne conosco il motivo preciso, mi bloccarono. Mi sentii pesante, come se non potessi più muovere le gambe e qualcosa sembrò premere sul mio petto.
Non ci riflettei neanche, dimenticandomi che senza teletrasporto la strada era molto lunga, e mi fiondai verso il luogo che volevo evitare.
 
 


°°°°
 


Ci misi all'incirca tre quarti d'ora, arrivando tutto sudato e probabilmente con tutti i vestiti fuori posto. Lei stava sistemando un grosso scatolone dentro il bagagliaio, non notandomi sul momento.
Sarei potuto girarmi e andare via, così come la mia mente stava cercando disperatamente di farmi fare, ma qualcosa nel profondo del mio animo me lo impedì, ordinandomi di andarle incontro e di parlarle:
“Quindi te ne vai...” iniziai, cercando di riaggiustarmi almeno la cravatta per darle una parvenza ordinata.
Lei non si girò, continuando a sistemare le sue cose.
“Si, sono stata sfrattata per il casino che ha fatto tuo fratello la prima volta che ci siamo incontrati… e tu sei venuto a trovarmi, non lo speravo” disse con tutta la calma possibile.
“Sarò sincero, è stata una decisione dettata dall'impulso. In condizioni normali non sarei venuto.” dichiarai asciuttamente, cercando di frenare quello strano senso di imbarazzo nervoso che si era impadronito di me.
“Ho notato che agisci abbastanza spesso in questo modo o mi sbaglio?” c'era una leggera punta di sarcasmo nella sua voce.
“Il me di qualche tempo fa non l'avrebbe fatto” proclamai, decidendo di togliermi la cravatta perché non riuscivo a riannodarla, sentendomi le mani come impastate nella farina.
“Cosa ti ha fatto cambiare così tanto di rotta, Slender?” chiese, finendo di sistemare e girandosi verso di me, per poi fissarmi in un punto indefinito del volto.
In quel momento avvampai mentre i suoi occhi provocarono in me un terribilmente senso di colpa che, per quanto provassi a scacciare, non andava via, quasi come se tutto quello che avessi fatto fosse stato un terribile e vergognoso sbaglio da dilettanti in erba.
Scossi la testa, confuso dai miei stessi sentimenti, riuscendo a ricacciarli lì da dove erano venuti.
“Tu” risposi poi, dopo minuti interi di silenzio, vergognandomi immensamente di quella parola pronunciata con tono incerto.
“Io?” alzò il sopracciglio sinistro, portando le braccia al petto e incrociandole.
“Esattamente” risposi tagliando corto.
“Uhmm...” lei iniziò a riflettere, massaggiandosi il mento e dopo un po' continuò “si, credo di aver capito l'intera questione.”
“Cosa hai capito?”
“Che sei un essere molto confuso, Slender. Confuso e spaesato come un bimbo senza mamma” concluse con un ghignetto che le si aprì sul volto.
Mi sentii ferito nell'orgoglio da quell'affermazione ma non sbottai, limitandomi ad assumere un'espressione estremamente contrariata e poco felice.
“Grazie del bel complimento, tizia con dei capelli dal colore non adatto alla sua età” ribattei stizzito, sentendo in me un senso di rabbia e frustrazione crescente.
“Touché!” esclamò, mentre il suo ghigno divenne una risata.
“Non ci trovo nulla da ridere” incrociai le braccia e gonfiai le guance.
“Io invece si, dovresti comprarti uno specchio sai? La tua espressione è ridicola” si portò le mani alla bocca, cercando di frenarsi dal ridere ancora.
Guardai dall'altro lato con il volto tutto rosso, imbronciato come non mai.
“Sta zitta, sei insopportabile!” dichiarai, gonfiando ancora di più le guance.
Il suo sorriso pian piano si spense e lasciò ricadere gli arti:
“Scusami se ho reagito in quel modo freddo...” disse cingendosi le spalle con le braccia.
“...” rimasi in silenzio, visto che non avevo dato molto peso a quel piccolo episodio. Insomma, avevo cercato di farla diventare uno spiedino, non mi sarei mica aspettato mi facesse le feste dalla gioia!
“Diciamo certe cose preferisco lasciarle nel dimenticatoio. Il passato è passato, cosa importa oramai?” si allontanò di qualche passo e mi diede le spalle, fissando il cielo dalle sfumature rossastre.
“Già...” risposi io, senza proferire un'altra parola.
 
Dopo un po' di tempo si girò, guardandomi di sottecchi, mentre il sole stava tramontando, lasciando così spazio alle tenebre. Presa la borsa e si riavvicinò a me.
 
“Forse un giorno ci rincontreremo, non è detto che questo sia un addio” disse lei, stringendo la presa sulla maniglia.
“E, di grazia, come fai a saperlo?” le chiesi, rilassandomi completamente.
“Perché tornerò” rispose, riavvicinandosi al bagagliaio della sua auto e poggiandoci dentro la valigia con cura “e forse avremo l'occasione per conoscerci davvero...” concluse, richiudendolo con un movimento secco.
“Quindi, se ci rincontreremo, mi dirai tutta la verità?” incrociai di nuovo gli arti, mentre in me crebbe la curiosità.
“Te l'ho detto che preferirei lasciare tutto da parte ma… chi lo sa… se mai ne avrò voglia, allora si!” esclamò ghignando e dirigendosi verso la portiera dell'auto.
“Questo non vuol dire niente. Probabilmente non ne avrai” dichiarai deluso, mettendomi la mano sul volto e scuotendo la testa.
“Beh probabilmente, ma potrei anche averla” aprì la portiera e mi guardò.
La fissai per qualche istante, avvicinandomi a lei. Sentii, specchiandomi in quegli occhi misteriosi, che mi sarebbero mancati. Che alla fine e nonostante tutto, mi sarebbe mancata lei e tutte quelle sensazioni che come uragani avevano scosso il mio animo fino a ridurlo in un ammasso confuso di sensazioni più disparate.
Non la conoscevo a fondo, ma il mio cuore aveva preso una strada che la ragione non poteva comprendere. Mi ero innamorato di lei come se fosse stata la cosa più naturale al mondo, pur non sapendo niente. La cosa era estremamente pericolosa e, chiunque fosse quella donna, solo allora mi accorsi che aveva qualcosa di diverso da tutti soliti umani che avevo incontrato. Non mi riferisco al fatto che non abbia mai avuto paura di noi, ma proprio ai suoi occhi. Fu per un'istante, ma mi sembrò quasi che la sua pupilla si fosse ristretta, per una frazione di secondo, ad una striscia.
“Uhm?” pronunciai, credendo di stare iniziando a vedere cose che non esistevano.
Entrò in macchina e accese il motore senza fare caso alla mia esclamazione di stupore:
“Arrivederci, Slender, mi mancherai.”
Non dissi una parola mentre si allontanava dal vialetto per poi sparire all'orizzonte, il suo odore che veniva trascinato via dal vento e il fruscio degli alberi che copriva in parte il rumore della macchina. Mi limitai ad alzare la mano senza neanche pensarci.
 
E fu così che la vera avventura ebbe inizio…
 
 


Angolo finale:
 
Eh…
Si…
La peste (io) è tornata dal suo lunghissimo periodo di mancanza totale di ispirazione °^°.
La mia mente era diventata come un foglio bianco e non mi veniva più da scrivere nulla n.n'.
E voi con i forconi perché la storia finisce così (o per altri motivi), con pochi misteri risolti e pochissime risposte, calmatevi U.U, non è mica finita per davvero, questa è una prima parte… ma se vi piace come finale va bene tanto di guadagnato! XD
Comunque ho deciso di prendermi un periodo per scrivere altre storie, così almeno la mia creatività si risveglia dal suo sonno 9)*v*)9 (← non fate caso a sta faccina, è strana di suo, non ci si può fare niente).
Ho tante storie in mente da scrivere… e non è un bene °-°, perché se devi fare tanto, alla fine finisci che non fai una cippa e poi diventi triste (o almeno nel mio caso n.n).
Speriamo di farcela 9)*u*)9 (← ancora più inquietante di prima °_° perché la uso non lo so).
 
Per chi odia le storie lunghe… mi dispiace n.n, è capitato, va bene? La storia me lo chiedeva e quando la storia chiede… io dormo! Ehmm… no ^^', scrivo. O dormo. O non lo so, faccio qualche altra cosa.
Comunque avevo promesso a qualcuno che avrei lasciato tutte info di età e compagnia bella sul nostro Slender & Fratelli Simpatici.
Quindi, se vi interessa sta scritto qui sotto U.U.
 
Attualmente:
 
Slender ha 39 anni umani, è alto 2.40 m e la sua bevanda preferita è il thè (così, a caso… sembrano quasi le info che trovi nei volumi speciali dei manga). Non è mai stato fidanzato prima dell'arco della fiction, ma ha avuto varie cotte.
 
Trender ha 38 anni umani, è alto 2.35 m e la sua bevanda preferita è la limonata (perché vuole mantenere la linea e stare bello in forma… sapete, ha la sua figura da mantenere U.U'). E' stato fidanzato varie volte con delle slenders prima dell'arco della fiction, infatti era abbastanza popolare nel suo periodo adolescenziale. La sua ultima fidanzata preferisce non ricordarsela per questioni che definirei totalmente lecite.
 
Offender ha 36 anni umani, è alto 2.33 m e la sua bevanda preferita è (*rullo di tamburi*) la birra (yeeeh!) e il cioccolato caldo con una spruzzata di peperoncino sopra. Ha avuto rapporti con molte donne umane (questo lo sapevamo tutti si u.u basta conoscere il personaggio), tutti senza alcun coinvolgimento amoroso. Sembra che lo faccia solo per divertimento! (Ed è così!) Per quanto riguarda il periodo prima di arrivare sulla terra, aveva solo una cotta e la cosa non è finita esattamente bene, però gli è sempre piaciuto guardare riviste dal dubbio gusto fin dall'infanzia, anche se era molto più tranquillo di quanto lo sia adesso.
 
Splendor ha 30 anni umani, ed è il più piccolo della famiglia (eeh… chi l'avrebbe mai detto…), è alto 2.41 m senza cappello e la sua bevanda preferita è il succo all'albicocca con qualche strambo accessorio sopra. Non è mai stato fidanzato prima ed è così poco esperto dell'argomento che sarebbe difficile per lui rendersi conto da solo di ciò che sta accadendo intorno alla sua figura. Questo non lo rende un inetto, ma è semplicemente troppo puro per pensare a certe cose. (è così puro che profuma di biancheria pulita *^*)
 
Fine delle info.
Poi dovevo scrivere uno speciale sul loro passato, ma forse è meglio non forzare l'ispirazione già claudicante che mi ritrovo.
Un saluto,
Lux In Tenebra fa caldo qui da me, datemi un lemon soda!
 
 
P.S. giuro solennemente di non fare più la regina del dramma italico… e possibilmente di ricordarmi chi mi aveva chiesto di scrivere insieme una storia °-°… la mia mente mi prude ma non rimembra.
 
 
 
 
 

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