Sweet, sweet, sweet di Switch (/viewuser.php?uid=619656)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Each day a wonderful surprise ***
Capitolo 2: *** So cute ***
Capitolo 3: *** Once upon a December ***
Capitolo 4: *** You're so idiot ***
Capitolo 1 *** Each day a wonderful surprise ***
Raphael
non aveva mai amato svegliarsi presto.
Prima.
Era
Leo quello che si gettava fuori dal letto all'alba, dopo nemmeno
poche ore di sonno, che si riducevano a volte in una mezz'ora scarsa,
a seconda dei guai in cui erano incorsi la notte prima di ronda; ma
da Splinter Junior c'era da aspettarselo.
Donnie
era sempre in piedi da presto, e a volte non andava nemmeno a
dormire, perciò vagava nel rifugio anche in piena notte,
creando
chissà cosa nel suo strampalato laboratorio; si era chiesto
più
volte come diamine facesse a sostenersi, con che cosa si alimentasse,
dato che il riposo non era uno dei suoi segreti. Caffè,
probabilmente, si rispondeva quasi sempre.
Per
ultimo veniva Mikey, di certo non il più propenso a lasciare
la
comodità del letto di mattina, eppure riusciva ad alzarsi ad
un
orario considerevolmente normale, per preparare la colazione a tutti,
dato che si divertiva da morire a cucinare, magari soffocando giusto
un paio di sbadigli.
Ecco,
loro erano tipi mattinieri, che pensavano a coprire con
produttività
le ore di una giornata sin dalle sue prime luci.
Ma
non lui.
Raphael
si era sempre svegliato verso l'ora di pranzo, con tutta la calma del
mondo, senza fretta nel lasciare il letto per affrontare le
moltitudini di problemi che si affacciavano nella loro vita
praticamente un giorno sì e l'altro pure, affondando la testa nei cuscini per cercare di
catturare quei flebili sogni normali che faceva, quelle lievi
sensazioni di pace che il sonno sapeva dargli.
Perciò
non si era mai svegliato presto, men che meno all'alba.
Prima.
Perché
tutto era cambiato da quando c'era lei.
Perché
ora, quando apriva gli occhi, lei era lì, addormentata con
la
guancia premuta buffamente contro il cuscino.
E
il fatto che lei non dovesse esserci affatto, gli faceva solo
più
piacere. Ogni mattina era una scommessa, prima di aprire gli occhi,
nell'indovinare se lei sarebbe stata lì.
Isabel
aveva ripreso possesso della sua camera, dall'altra parte del
pianerottolo ad anello, tra le stanze di Mikey e Leo, con loro somma
gioia. Splinter d'altronde la amava come una figlia ed era felice che
tutto si fosse risolto e che loro due stessero assieme, ma non
avrebbe permesso che dividessero la stessa stanza.
C'erano
sempre delle regole di rispetto da tenere conto, gli aveva detto, e
anche loro avrebbero dovuto attenersi ad esse.
Perciò
Isabel non avrebbe dovuto essere lì. Anche se ormai, in
effetti,
c'era quasi tutte le mattine: non sapeva come, ma riusciva a
sgattaiolare fuori dalla propria stanza e ad intrufolarsi nella sua,
quasi tutte le notti, subito dopo che tornava dal giro di ronda.
La
prima volta, quando per sbaglio l'aveva toccata mentre si girava nel
sonno e aveva spalancato gli occhi dalla sorpresa, quello era stato
il più emozionante dei risvegli: trovarsela lì
aggrovigliata alle
sue coperte, coi capelli in disordine e abbracciata ai suoi cuscini,
dei quali si era egoisticamente appropriata, con l'espressione
più
dolce e serafica mai vista prima.
Era
rimasto ad osservarla per qualche istante con stupore e un'emozione
crescente, il battito del cuore più accelerato; e aveva
allungato
una mano per toccarla, per sincerarsi che fosse reale: una ciocca di
capelli tra le dita e il dorso sulla guancia calda e morbida.
Era
così reale. Ed era sua e sua soltanto.
Aveva
allungato le mani e abbracciarla era stato un istante, stringendosela
contro e poggiando il mento sulla sua fronte, inalando il suo
profumo: Isabel aveva mormorato qualcosa in italiano, dai toni
vagamente frettolosi, mentre si accoccolava meglio nell'incavo del
suo collo, con un sospiro morbido.
Aveva
sorriso, tanto da far male alle guance, e con un bacio sulla sua
fronte si era riaddormentato sereno e felice, il pensiero che
Splinter li avrebbe potuti uccidere non l'aveva nemmeno sfiorato.
Quella
mattina, come le altre, sentì il confine labile tra il sogno
e la
realtà farsi sottile, la coscienza che tornava a svegliarsi,
le
sensazioni fisiche del suo corpo.
Allungò
le gambe per stiracchiarle senza aprire gli occhi, ancora, tendendo
invece le orecchie: il respiro delicato si fece strada nel silenzio e
si trovò a sorridere.
Isabel
era lì, scoprì aprendo gli occhi, anche lei nel
momento del
risveglio, con le ciglia che sfarfallavano per riprendere il contatto
con la realtà, infastidita dalla flebile luce che filtrava
dalla
finestra magica.
I
suoi occhi scuri si aprirono al mondo e poi si fermarono nei suoi.
“Buon
giorno” sospirò teneramente, con un timido
sorriso, stringendo il
cuscino al petto e nascondendocisi parzialmente dietro.
Sì,
pensò allungandosi per stringerla, svegliarsi presto non era
decisamente male.
Note:
Ma
ciao!
Che
felicità ritornare! Perdonate il ritardo!
Queste
sono quattro OS sulla Raphibel, 4 momenti dolciosi o buffi. Niente di
ché, solo per farvi vedere un po' di momenti tranquilli
prima della
nuova avventura che si promette... niente spoiler!
Abbraccione,
mi siete mancati!
A
presto!
Due
OS le metto oggi, due domani e domenica il primo capitolo della terza
storia! Yeeeh, lanciatissima!
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Capitolo 2 *** So cute ***
“Mikeymaledettofermatiimmediatamentetiuccido!”
riecheggiò nel rifugio, come una maledizione.
Michelangelo
correva come un dannato, veloce come solo lui sapeva essere, ma
nonostante tutto, Raphael gli era alle calcagna, nero di rabbia come
non mai.
Se
lo avesse preso, ne avrebbe pagato le conseguenze.
“Era
uno scherzo, Raphie! Non sai più stare ad uno
scherzo?” esalò,
girando appena la testa per controllare a quanta distanza fosse suo
fratello: Raph era ad appena qualche metro, con la morte negli occhi.
Con
uno strillo preoccupato, cercò di correre più
veloce, superando con
un solo balzo il laghetto, miracolosamente.
“Aspetta
che ti prenda e poi ti faccio vedere come so scherzare!” lo
minacciò l'altro, con la mezza intenzione di tirargli
addosso uno
dei Sai per inchiodarlo al muro; poi, se per sbaglio lo avesse
colpito, sarebbe stato davvero così terribile?
Superò
anche lui il laghetto e cercò di avvicinarsi ancora, con la
rabbia
che pompava il sangue nei muscoli con più foga.
Mikey
aveva appena scartato a destra, correndo sotto il portico del piano
terra, evitando la zona video con balzelli calcolati, lui proprio
dietro.
E
se la rideva, nonostante un po' fosse terrorizzato, prendendolo solo
più in giro.
Con
uno scatto deciso si gettò a testa bassa, acquistando
velocità.
E
l'avrebbe preso, per certo, se la porta del dojo non si fosse aperta
repentinamente, dritta sulla sua faccia.
Ci
fu un tonfo epocale che riecheggiò ovunque, seguito dalla
sua caduta
a terra e la risata fragorosa e incredula di Mikey, che faticava a
tenersi in piedi per la troppa ilarità.
Lo
avrebbe ucciso. Appena quelle lucine avessero smesso di balenargli
davanti agli occhi e la testa avesse smesso di aprirsi dolorosamente
in due.
Stava
trattenendosi con tutte le sue forze per non urlare e imprecare, con
le mani premute sulla testa, cieco e sordo ad ogni altra cosa che non
fosse il dolore.
Poi
sentì qualcosa di morbido sfiorarlo, se ne accorse perché
qualunque
cosa fosse si stava portando via la sofferenza, lasciandolo con una
estatica sensazione di pace e benessere; perciò, con calma,
abbassò
le mani e aprì gli occhi, di colpo in perfetta salute.
Isabel
era accucciata di fronte a lui, gli occhioni castani che lo
scrutavano con un misto di esasperazione e preoccupazione, e lui
capì
che era stato un suo bacio magico a guarirlo.
“Cosa
diamine state combinando?” gli chiese sospettosa,
occhieggiando la
sua fronte, dove sapeva che poco prima ci fosse un principio di
bernoccolo.
“Sto
cercando di uccidere Mikey” confessò, alzandosi in
piedi e tirando
su lei. Era in completo da palestra e in una mano teneva i Tessen
chiusi.
“Sì,
le vostre urla si sentivano sin dentro il dojo. Ma perché lo
vuoi
uccidere? Insomma, più degli altri giorni” si
informò la ragazza,
girandosi verso Mikey, che nel frattempo era rimasto poggiato alla
colonna vicino al dojo, ridendosela della grossa.
Quando
aveva visto che Isabel aveva curato il fratello, comunque, era
scivolato per sicurezza indietro, giusto per essere pronto in vista
di un suo nuovo scatto.
“Lui
lo sa” fu la cauta risposta, molto inusuale, di Raph.
Isabel,
infatti, sollevò un sopracciglio e voltò lo
sguardo da uno
all'altro, come se volesse leggere la risposta sui loro volti: a
destra c'era Mikey, il cui sorriso diventata sempre più
grande via
via che passavano i secondi, a sinistra Raph, sempre più
torvo e
minaccioso, come se lo stesse avvertendo di non aprire bocca.
“Ho
messo una cavalletta nel letto di Raph e lui si è svegliato
urlando
quando gli è finita in faccia!” confidò
tutto d'un fiato Mikey,
che stava bruciando dalla voglia di dirglielo.
Il
fratello chiuse la mano a pugno, desiderando ardentemente schiantarlo
contro la sua testaccia, ma quando lei si voltò a guardarlo,
fece
finta di niente, e attese: Isabel gli sorrise, un sorriso normale,
nessuna presa in giro sottaciuta, e gli si fece vicino.
“Una
cavalletta?” domandò cortesemente, aprendo poi la
strada verso la
sua camera da letto.
Entrò
con sicurezza, mentre lui e Mikey rimanevano fuori in attesa; un
lieve tramestio, una corsetta, poi la ragazza uscì, con le
mani
unite a formare una conchiglia, un riparo sicuro.
“Ecco
fatto” annunciò contenta, avvicinandosi.
“Ecco
cosa? Non hai preso la cavalletta, vero?” urlò
sconvolto Raph,
indietreggiando inconsciamente.
Isabel
si fermò e lo guardò stranita.
“Io...
odio gli insetti” confessò dopo qualche attimo di
silenzio, con un
groppone in gola di vergogna.
Di
nuovo, si era aspettato che lei ridesse. Invece, avvicinandosi
velocemente, Isabel si tese in punta di piedi e gli scocciò
un bacio
sulla guancia, sempre tenendo le mani ben chiuse per non lasciarsi
scappare la cavalletta.
“Sei
terribilmente carino!” chiosò felice,
allontanandosi a grandi
passi, diretta verso l'uscita del rifugio, per liberare la
bestiolina.
Raph
si toccava la guancia con fare distratto, seguendo la sua uscita,
meditabondo.
“Oh,
vedi? E tu a fare tante storie... guarda che vera donna!”
sentì la
voce di Mikey colpita, da qualche parte vicino a lui. Tanto vicino
che, se fosse stato completamente in sé, avrebbe potuto
allungare un
braccio e strozzarlo, per certo.
Invece
guardava l'entrata del rifugio, in trance, con un lieve fastidio nel
petto.
“Ha
detto che sono carino” continuava a ripetere come una nenia,
sempre
più offeso.
Raphael
sapeva di star facendo un dramma dal nulla. Ma Isabel lo aveva
definito carino. Nello stesso senso con cui ci si rivolgeva ad un
bambino paffuto e tenero, o ad un cane che faceva sciocchi giochetti.
E lei non poteva pensare di accomunarlo a cose simili.
Era
un uomo, grosso e rude, non era carino. Si era incrinato qualcosa
quando lei gli aveva detto quella parola, solo perché lui
aveva
paura degli insetti.
E
non poteva lasciar perdere. Doveva riacquistare credibilità
ai suoi
occhi!
Doveva
solo trovare una sua debolezza, un qualcosa di cui lei avesse paura e
usarlo contro di lei, nell'ombra, per poi apparire da nulla e
salvarla con galanteria.
Sì,
era stupido. Ma lui non era carino. Lei avrebbe potuto dirgli
qualsiasi altra cosa, ma non carino.
Si
sentì un po' meschino quando si intrufolò nella
sua stanza, con un
piccolo pacchetto nelle mani; poggiò il suo contenuto sul
letto, poi
sgattaiolò velocemente fuori, nascondendosi al piano terra,
dietro
una delle colonne, in attesa.
Isabel
tornò a sera inoltrata, come di consueto, salutando a voce
alta:
passò nel laboratorio per lasciare gli appunti delle lezioni
e le
videoregistrazioni a Donnie, poi cercò lui in giro,
chiamandolo con
apprensione.
Scivolò
fuori dall'ombra, solo lievemente colpevole.
“Bentornata!”
le disse, sinceramente felice.
Era
sempre bello quando lei tornava a casa, un po' stanca per le
massacranti lezioni, ma indubbiamente contenta di rivederlo: lo
poteva leggere nel suo sguardo e si emozionava, ogni volta. Non
importava quante volte la scena si fosse già ripetuta, il
suo cuore
batteva più forte non appena lei rimetteva piede a casa.
Quel
giorno però, sentiva anche un po' di vergogna.
Isabel
gli corse incontro e gli scoccò un bacio, chiedendogli di
aspettare
che si cambiasse per chiacchierare un po'.
Raph
annuì, poi la osservò in silenzio mentre andava
nella propria
camera, ignara.
Attese
col magone, aspettando l'urlo di terrore di lei. Un minuto, poi due,
poi tre. Ma dalle stanze di sopra non arrivava alcun rumore.
E
se fosse svenuta per la paura? Lui non sapeva certo le fobie di
Isabel, e se l'avesse spaventata più del dovuto? Non era
strano
svenire come meccanismo di difesa.
Stava
rimuginando e iniziando a sentirsi in colpa, sempre più, di
più,
tanto che non sentì il suono dei passi in avvicinamento,
finché il
suo campo visivo non fu solo verde. Verde chiaro con chiazze scure,
confuse e pulsanti e che gracidava.
Si
tirò indietro con una scartata decisa, sorpreso, e mise a
fuoco la
ranocchia dall'aria svampita che la ragazza gli aveva praticamente
spiaccicato in faccia dalla foga di mostrargli.
Con
un sorrisone a trentadue denti che non si era di certo aspettato di
trovare sul viso di lei.
“Guarda
com'è carina! Era nella mia stanza”
strillò euforica,
sventolandogliela sotto il naso.
Raphael
annuì in trance, più perché la
allontanasse che davvero perché la
stesse ascoltando, mentre una parte del suo cervello si malediceva
per il fallimento del suo piano.
Ok,
non pensava che Isabel potesse davvero avere paura delle rane, ma
almeno disgusto. Ribrezzo. Schifo.
Invece
se ne andò via con il piccolo anfibio ben stretto nelle
mani, come
se fosse un tenero cucciolo di foca, mormorandogli parole carine per
rassicurarlo mentre andava a liberarlo.
Raph
si passò una mano in faccia, con un sonoro sospiro.
Ora,
lasciar perdere sarebbe stata la cosa migliore, -con una ragazza che
non temeva gli insetti e gli animali viscidi, cosa si aspettava di
ottenere?- ma c'era una buona componente di idiozia e testardaggine
nel suo DNA, che lo costringeva ad andare fino in fondo.
Perciò,
nei giorni a seguire, non ci fu mattina in cui non sgusciava nella
camera di lei, un'aria furba e cospiratrice in volto, un pacchettino
nuovo nella mano.
Isabel
trovò, nell'ordine: un serpente, due topolini, tre
lucertole, quattro scarafaggi, ma mai, mai, mai diede un minimo
accenno di paura o repulsione, di fastidio o ribrezzo, una scintilla
di disgusto.
Niente.
Toccava quegli animali a mani nude, -tranne gli scarafaggi,
ovviamente- e li liberava uno dopo l'altro, dando ogni volta,
inconsapevolmente, una stoccata al suo ego.
Doveva
rassegnarsi, stava con Wonder Woman e lui non avrebbe mai potuto
riscattare quel “carino” in nessun modo, mai
più nella vita.
Doveva farsene una ragione!
Gli
bruciava, da morire, ma dovette ammettere che probabilmente non ci
sarebbe riuscito in alcun modo e che sarebbe stato meglio lasciar
perdere, prima di perdere ancora più la faccia.
Se
ne stette con il broncio per un paio di giorni, mentre lei gli
trotterellava dietro per farsi dire cosa avesse, giusto per farla
sentire in colpa anche senza confessarle perché.
Poi,
a mano a mano che i giorni passavano e si trasformavano in settimane,
avercela con lei non era la cosa più importante, non quando
poteva
averla con sé e parlarci e abbracciarla, toccarla, amarla.
Perciò,
quel carino venne dimenticato abbastanza in fretta, tutto sommato. Di
certo non ci aveva più pensato da molto, quando infine
successe.
Era
sera, Isabel era appena tornata dalle lezioni, aveva lasciato come di
consueto gli appunti a Don e un bacio a lui, poi si era diretta verso
la camera per cambiarsi, con la promessa di racconti mirabolanti su
una lezione buffa, un professore calvo e una gaffe linguistica che
aveva tutta l'aria di una barzelletta.
Le
era andato dietro, smanioso di parlare con lei, di ascoltarla ridere,
di gioire della sua vicinanza, e attendeva appena fuori, ciondolando
di qua e di là, mentre lei continuava a parlottare, la voce
troppo
flebile perché lui la sentisse, ma comunque felice del suo
chiacchiericcio.
Poi,
un urlo terrorizzato lo raggiunse e lo allarmò e Isabel
uscì come
un fulmine dalla sua stanza, la maglia infilata al contrario, i
capelli sconvolti e un terrore che poche altre volte le aveva visto
in viso: gli si fiondò letteralmente tra le braccia, e si
accorse
che un po' tremava.
“Isa...
cosa...”
“C'è
un... c'è un... un...” balbettò lei,
premendo la faccia contro il
suo torace, come se cercasse di seppellircisi contro per non vedere
mai più cosa l'avesse spaventata.
“Un...?”
incalzò lui, cercando di capire.
Le
aveva messo nella stanza tutte le creature più orride e
spaventevoli
che conoscesse e lei le aveva portate fuori come fossero stati dei
cuccioli da portare a spasso, perciò cosa poteva esserci di
così
spaventoso da farla tremolare in quel modo?
“Un..
un...”
“Un?”
“Un
ragno” piagnucolò Isabel da qualche parte nel suo
petto, paurosa
al solo pronunciarlo.
“Un
ragno?” ripeté, incredulo, per essere certo di non
aver capito
male. Lei annuì solamente, come se il pronunciarlo per la
terza
volta potesse attirarlo, un po' come Beetlejuice.
“Ma
tu non hai paura degli insetti” esalò lui dopo
qualche secondo,
stupidamente.
Davvero,
ce l'aveva messa tutta, ma non riusciva a capire.
“Non
è un insetto! È un ragno! Sono aracnidi, la
progenie del male,
subdoli e meschini che si muovono in un modo rivoltante e si
nascondono nelle ombre per poi attaccarti mentre sei indifeso e
addormentato ed entrarti nelle orecchie e depositarti le loro uova
e...” strillò lei senza senso, sollevando il viso
folle di paura,
ormai lanciata.
“Ehi!
Ehi! Buona! Non è mica Shredder! Sembra che tu stia
descrivendo un
serial killer!” la fermò, incredulo, provando a
calmarla.
“Ho
paura dei ragni! Sono aracnofobica, mi manda nel panico solo vederne
uno nella stessa stanza” si scusò Isabel,
stringendolo più forte.
“Buttalo
fuori, per favore!” finì come una supplica, con un
tono
implorante.
Raphael
sorrise, senza volere.
La
strinse più forte, in uno slancio improvviso, e
strofinò la guancia
contro la sua fronte.
“Come
sei carina” sussurrò senza averlo previsto,
completamente ebbro
della sua delicatezza.
Solo
dopo qualche secondo, capì cosa aveva fatto. Capì
quel carino che
lei gli aveva detto, capì quel sentimento di dolcezza che
lei doveva
aver provato nel vedere la sua paura, perché non c'era
niente di
male nel mostrare le proprie debolezze a chi si amava, nell'essere
indifesi, sinceri, uno la forza dell'altra, quando ce n'era la
necessità.
Si
sentì di colpo sciocco per essersela presa, per aver provato
a
cercare le sue paure per mostrarsi uomo, la sua roccia.
Ci
fu un lungo attimo di silenzio, nel loro abbraccio totale.
“Allora,
lo cacci via?” chiese dubbiosa Isabel, sollevando il viso
verso di
lui.
Raphael
scosse la testa, con foga.
“Non
mi importa se lo chiami arachide o...”
“Aracnide”
lo corresse lei.
“...
o ragno o come ti pare. Per me rimane sempre uno schifoso insetto e
non intendo avvicinarmici nemmeno morto” confessò
senza
vergognarsi, questa volta.
Isabel
mise un secondo il broncio, guardandolo intensamente.
Poi
entrambi scoppiarono a ridere, per l'assurdità della
situazione.
“E
allora?” domandò alla fine Isabel.
“E
allora... Mikey!” urlò all'improvviso Raph,
sorprendendola e
rintronandola.
Michelangelo
apparve dalla sua camera, allarmato dal suo tono urgente e li
guardò
a turno, ancora stretti nell'abbraccio.
“C'è
un ragno nella camera della tua sorellina! Hai il compito di
catturarlo!” disse solo Raphael, davanti alla sua espressione
stupita.
Poi,
si incamminò con Isabel per mano, senza curarsi del suo
sguardo
vagamente attonito.
“Posso
dormire da te, stanotte?” chiese lei innocentemente, molto
più
rincuorata e felice.
Raphael
ridacchiò, sorpreso dalla sua uscita.
“Fai
anche finta di chiedere il permesso, adesso?” la
schernì, unendosi
poi alla sua risata.
Note:
Dunque,
questo capitolo è parzialmente autobiografico... il mio
Raph, il mio
fidanzato che è un pazzo miscuglio di Raph e Mikey, ha il
timore
delle cavallette (se sa che l'ho detto a qualcuno mi uccide) e una
volta l'ho salvato da una enorme che era entrata in casa.
Però
poi lui mi salva dai ragni, quindi siam pari, no?
Ahahah,
ce li vedo Isa e Raph a battibeccare e Raph non sa davvero perdere,
lo sappiamo.
Vi
abbraccio tantissimo!
|
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Capitolo 3 *** Once upon a December ***
Dicembre,
con la sua aria frizzante e gelida era infine arrivato, carico di
promesse come di regali. Il rifugio era un fermento di preparativi,
Isabel non si era risparmiata un secondo ad addobbare e canticchiare,
abbellire e preparare, nei tempi vuoti tra le lezioni, coinvolgendoli
tutti, in un clima che sapeva tanto di cartone animato della Disney.
A volte Mikey scherzava che prima o poi si sarebbe messa a cantare e
qualche scoiattolo e cerbiatto sarebbe sceso fin laggiù per
aiutarla
coi lavori.
Lei
rideva delle sue battute. Ma in effetti, quando non rideva, ormai?
Era completamente euforica per le imminenti festività e la
prospettiva di passarle assieme a loro, come una vera famiglia.
Solo
una cosa sembrava adombrare la sua felicità: la neve, o
meglio la
sua mancanza. Ogni notte Raphael la trovava sul tetto della rimessa
per auto che nascondeva l'ingresso all'ascensore, col naso per aria e
gli occhi pieni di attesa.
La
neve, diceva, doveva cadere, perché lei doveva rispettare
una
promessa.
Ma
natale si avvicinava a grandi passi e di fiocchi di neve non ce n'era
nemmeno l'ombra e nelle previsioni meteo niente faceva supporre che
ci sarebbe stato un cambiamento in tal senso.
Comunque,
Isabel aspettava, pazientemente.
Aspettava,
aspettava, aspettava.
Il
rifugio era ingombro di scatole e valigie, nemmeno fosse diventato
d'un tratto uno scalo di aeroporto: c'era Donnie che di tanto in
tanto controllava nei lati le scritte che indicavano cosa
contenessero e poi passava a leggere con scrupolo una lista ben
compilata e ordinata, dove annotava in fondo ciò che si
ricordava
all'ultimo secondo.
“Mikey”
chiamava poi, “hai preso gli ingredienti per la
torta?”
domandava, per esempio.
La
voce del fratello arrivava dalla cucina, indaffarata e distratta,
attenta solo per metà.
Raphael
si chiedeva come fosse possibile, ogni anno, ripetere sempre lo
stesso scenario: in vista della loro permanenza alla fattoria Jones,
tutti impazzivano per fare pacchi e pacchettini e non dimenticare
nulla di ciò che servisse.
Donnie
doveva assolutamente portare le sue ultime
invenzioni per
lavorarci come un matto anche mentre erano in vacanza; Mikey non
poteva lasciare a casa i suoi fumetti preferiti, almeno una
cinquantina, da rileggere fino alla nausea nei tempi morti, che per
lui era praticamente sempre; perfino Leo non era immune, con il suo
valigione di prodotti per l'affilatura e la manutenzione delle spade,
cosa che faceva praticamente di continuo, dato il periodo di calma
delle feste.
Lui,
Raph, doveva in genere portare solo i regali e il suo bagaglio di
brontolii per tutti. In genere era quello che faceva, anche se
quell'anno, in vista del suo primo natale con Isabel, anche lui si
era un po' fatto prendere la mano.
Ma
comunque nulla in confronto a loro.
Perciò,
mentre tutti andavano e venivano con i loro bagagli, lui ne
approfittava per allenarsi nel dojo, in silenzio e pace,
finché non
fosse arrivato il momento di partire.
Su.
Con un grugnito per lo sforzo. E poi giù, trattenendo il
fiato nel
momento di massima trazione, di bruciore nella tenuta, nel muscolo
che si tendeva.
Su
e poi ancora giù.
A
quanto era arrivato? Trecentonovantadu... tre... aveva perso il
conto, dannazione. Pompò ancora una volta verso l'alto i
bicipiti,
ricontando le flessioni da uno, con rassegnazione.
Su,
e poi giù.
Era
talmente concentrato che quasi non udì la porta del dojo che
si
apriva, col suo flebile cigolio. Di certo l'assenza di alcun rumore
di passi lo convinse che se l'era solo immaginato e la mente
ritornò
a contare le flessioni a terra, assorta.
Sei,
giù, sette, giù, otto, giù, i muscoli
chiedevano pietà ma non
poteva fermarsi, dieci, giù.
Su,
il viso di Isabel al contrario, che lo guardava con gli occhioni
trepidanti.
Quasi
perse la presa e il conto, sorpreso.
“Cosa
stai facendo?” la apostrofò, fermandosi e
sollevando il viso verso
di lei, che fluttuava a mezz'aria a testa in giù. Il suo
sorriso
sornione era davvero buffo, ma stranamente inquietante.
“Sta
per nevicare!” annunciò, la voce euforica che
rimbalzò ovunque
nel dojo vuoto.
Raphael
ridiscese giù, continuando le flessioni, lasciandola
lì a
galleggiare pigramente in attesa di una sua reazione.
“Il
meteo dice che non nevicherà” rispose alla terza
risalita,
guardando nel suo viso pieno di disappunto.
“E
invece nevicherà. Sta per nevicare. Andiamo a
vedere” incalzò
Isabel ostinata, mettendo le mani sotto il suo mento e tirando verso
l'alto, rischiando di strozzarlo.
“Non
nevicherà. Il tempo è troppo caldo e instabile
per nevicare”
esalò senza voce Raph, facendo forza per contrastare la sua
presa.
“E
vieni a controllare allora!” si impuntò lei,
decisa.
“Non
posso. Devo finire l'allenamento e poi andare ad aiutare Casey col
motore del furgone, è già tardi. E tu dovresti
andare a studiare,
invece” la rimproverò, continuando nel suo
esercizio, senza
prestarle troppa attenzione.
Sapeva
che Isabel non aveva avuto alcuna possibilità di svago nei
mesi
precedenti, troppo concentrata sulle lezioni di medicina che
diventavano sempre più complesse e stancanti, -passava le
serate a
guardarla studiare mentre ne approfittava per allenarsi, pur di stare
un po' assieme,- ma anche se avrebbe voluto lasciare tutto e
accontentarla, doveva in realtà uscire per cercare il suo
regalo,
come faceva ormai ogni giorno dicendole che andava da Casey.
“Domani
andremo a giocare con la neve, se davvero avrà
nevicato.”
“Ma
domani dobbiamo andare alla fattoria” ribatté lei
imbronciata.
“Meglio.
Sai quanta neve c'è laggiù ogni anno? Nevica
sempre, per quasi
tutto l'inverno. Ti potrai sbizzarrire, fino alla nausea. E il
laghetto ghiaccia e puoi pattinarci sopra.”
“Ma
non è lo stesso! È qui... è qui che...
oh, lascia perdere”
pigolò Isabel, con un tono deluso, poggiandosi sul suo
guscio, di
colpo.
Le
braccia di Raphael quasi si piegarono per l'improvviso aumento di
peso, rischiando di mandarlo a sbattere col mento al suolo, e fece
molta più fatica a tirarsi su.
“Sei
uno stupido, Raffaello” mormorò triste lei,
sdraiandosi su di lui
che ancora continuava a fare le flessioni, fino ad addormentarsi.
“Isabel?
Isabel! Svegliati! Se il sensei mi trova qui mi uccide!”
esalò
sottovoce Raphael, provando a svegliarla.
Era
tornato dal giro di ronda tardissimo, intirizzito dal freddo, e
stanco, e si era infilato nella stanza di lei di soppiatto, con la
dannata paura che il maestro potesse scoprirlo. Oh, non lo avrebbe
davvero ucciso, in quel caso, lo sapeva: lo avrebbe solo costretto ad
una ramanzina di ore, forse anche giorni, senza possibilità
di
scampo, con qualche bella punizione per condire il tutto.
Ma
per quello che voleva fare, si disse che ne valeva la pena.
“Isabel!”
sussurrò strozzato, provando a scuoterla.
Lei
mugugnò qualcosa che suonava come “sei uno
stupido, Raffaello”,
poi si voltò dall'altra parte, abbracciando il cuscino.
Con
uno sbuffo esasperato, Raph si fece coraggio e forza e, afferratele
le braccia, la tirò su, mettendola seduta.
“Dobbiamo
uscire! Metti il giubbotto!” mormorò, ottenendo
solo altri mugugni
in risposta, piuttosto contrari. Insieme al tentativo di risdraiarsi,
intercettato da lui.
“Sì
che vuoi uscire! Forza!”
Se
la issò in spalla e prese con una mano sola quello che le
serviva,
sperando ci fosse tutto. Poi, furtivo come sperava di essere,
scivolò
fuori dalla stanza, con la ragazza a mo' di sacco di patate e il
braccio libero ingombro di roba, mentre Isabel, biascicando nel
sonno, parlava a voce decisamente troppo alta.
“Dove
mi stai portando? Non ci voglio andare, stupido d'un Raphael!”
“Abbassa
la voce! Ti sto portando in un bel posto!”
“Un
corno! Sei uno stupido! Non ci vengo!”
“Ti
dico che ti piacerà! Fidati! E stai zitta!”
“Ho
i piedi gelati! Mettimi giù, idiota!”
“Vuoi
piantarla?”
La
mise giù con delicatezza, poi, combattendo contro il suo
precario
equilibrio da mezza addormentata e i suoi scatti sonnambuli,
cercò
di metterle il cappotto sopra il pigiama, i calzini e gli stivaletti,
imbacuccandola per bene con sciarpa e cuffia alla fine.
Sembrava
un enorme involtino dalle tonalità rossicce, in varie
sfumature.
Trattenne una risata, nel guardarla, giusto per non svegliarla
davvero.
La
riprese in braccio, e facendo orecchie da mercante alle sue
lamentele, ai suoi “sei uno stupido” e ai suoi
tentativi di
scendere dalle sue braccia, Raphael uscì dal rifugio e
percorse
velocemente canali sicuri e in disuso delle fogne, per non dover
essere costretto a percorrere la stessa strada al freddo e al gelo di
Dicembre.
Arrivarono,
infine, all'uscita che aveva in mente fin dall'inizio, e passandosi
Isabel sulla spalla, issò entrambi su per la scaletta,
spostando con
cautela il tombino sulle loro teste: una folata glaciale li
colpì
entrambi, talmente fredda da fare male quasi a respirarla.
L'intenso
e improvviso freddo sembrò riuscire dove lui aveva fallito:
con un
rantolo arrabbiato Isabel mugugnò qualcosa e poi
starnutì, di colpo
sveglia.
La
sentì muoversi a destra e sinistra, come se stesse cercando
di
capire, poi il respiro brusco di meraviglia.
Central
Park era una distesa completamente bianca, immersa nelle tenui luci
dei lampioni, di un lucore quasi soprannaturale, etereo come il
paradiso.
Cumuli
bianchi che adornavano gli alberi spogli, -donandogli quasi una nuova
chioma, dall'aspetto soffice come nuvole,- e che coprivano ogni
superficie lì attorno, congelando l'acqua della fontana ,
come vetro
gelido.
Poteva
quasi giurare di aver sentito il momento esatto in cui sorrise,
fisicamente.
Isabel
mandò uno strillo emozionato e si divincolò sulla
sua spalla e lui,
delicatamente, la mise giù, trattenendola però
vicino, tanto da
poterla abbracciare.
“Ha
nevicato! Mi hai portato dalla neve!” esclamò
euforica, allargando
le braccia come se volesse stringere tutto il parco.
Poi,
senza perdere un attimo, lo afferrò e lo
tirò verso
la fontana, completamente congelata, lì dove la neve era
più
candida e bianca.
Iniziò
a formare una palla, prima una piccola pallina compatta, che poi fece
rotolare per terra per farla ingrandire con pazienza; Raphael
capì
al volo e inginocchiatosi al suo fianco, cominciò a fare una
sua
sfera, dalle proporzioni enormi.
Isabel
gli tirò una palla di neve dritta in faccia, poi rise e
scappò a
gambe levate quando lui si alzò per vendicarsi, con le
braccia piene
di sfere compatte e ghiacciate.
La
battaglia durò un po', nessuno dei due voleva cedere, con un
pareggio e i cappotti completamente bianchi. Alla fine Raph la
bloccò
tra le sue braccia e si prese un bacio, come risarcimento per il suo
agguato, poi tornarono a dedicarsi al pupazzo di neve, lasciato a
metà per la battaglia.
Iniziò
a nevicare, mentre lo assemblavano, piccoli fiocchi lievi e teneri
che danzavano nell'aria attorno a loro, ma niente che potesse farli
desistere dal loro proposito: il pupazzo di neve finito li
guardò
col suo viso folle, il sorriso sghembo e gli occhi fatti di sassi
nella piccola testa fatta da Isabel; le braccia due grossi rami
nodosi e grotteschi infilati nell'enorme corpo fatto da Raphael.
“È
un nuovo Gilbert” soffiò esasperato lui,
guardandolo da una certa
distanza con lei, accorgendosi solo in quel momento che lo avevano
fatto nello stesso posto del suo predecessore; sentì che non
era un
caso, che era quello che lei voleva.
Isabel
sorrise, guardando emozionata la loro creatura bianca e folle,
pensando che finalmente aveva mantenuto fede ad un desiderio espresso
mentre creavano il primo Gilbert: se mai fosse rimasta lì,
con loro,
con lui, avrebbero dovuto fare un nuovo Gilbert ogni anno, in ricordo
di quel primo natale in cui si era sentita felice, per la prima volta
in decenni.
“Il
nostro Gilbert” ripeté lei, girandosi a guardarlo.
“C'è
ancora una cosa da fare” disse, prendendolo per mano.
Si
incamminarono poco distante, verso il limitare degli alberi scuri con
le loro chiome bianchicce e soffici.
Verso
Shadow.
“Ciao
Miciomiao” disse Isabel con affetto, inchinandosi davanti
alla sua
tomba, al piccolo arbusto ghiacciato dal freddo che in Settembre
avrebbe rifiorito con i suoi splendidi fiori arancioni.
Prese
due manciate di neve e le pressò nelle mani, mettendo la
prima palla
al suolo e la seconda, più piccola, proprio sopra.
Raph
la guardò un po' confuso mentre abbelliva la sua piccola
opera con
rametti e sassi ancora più piccoli, finché non ci
fu un minuscolo
Gilbert proprio di fianco alla tomba.
Isabel
si tirò su e si pulì i guanti innevati contro il
cappotto, con
tutta la calma del mondo.
“E
uno tutto per il nostro Shadow” esclamò davanti
alla sua
espressione confusa.
Raphael
capì e sorrise, dolcemente.
“Grazie”
la sentì dire, mentre lo guardava. Raphael lesse nei suoi
occhi
un'infinita gioia e gratitudine e si sentì in difetto,
nonostante
tutto.
“Non
sono potuto uscire con te, oggi, perché dovevo uscire per
cercare il
tuo regalo. Ma non ho trovato nulla di adatto, niente che potesse
essere perfetto per te, che ti stesse bene, che ti esprimesse,
che...”
Le
braccia di Isabel lo circondarono, in un attimo, e il passo
successivo fu trovarsi completamente avvolto nel suo abbraccio,
così
totale e sentito.
“Mi
hai appena fatto il regalo più bello, perfetto e adatto a
me” lo
interruppe, tendendo la testa verso l'alto, il naso ghiacciato che
toccava il suo mento.
Inchinò
appena la testa e baciò la punta del naso, mentre lei
ridacchiava.
Rimasero
stretti nel loro caldo abbraccio in mezzo alla romantica nevicata,
dimentichi di tutto il resto.
“Adesso
cosa ne dici se baciassi Gilbert e lo facessi diventare vivo?
Potrebbe venire con noi alla fattoria” disse Isabel
all'improvviso,
facendolo inorridire.
Mentre
lei rideva di gusto, Raphael se la issò in spalla e la
portò via,
sorridendo senza farsi vedere, felice, schifosamente felice.
Note:
Perdono!
Dovevo mettere i capitoli ieri, ma se un'amica chiama perché
ha
bisogno di parlare, io mi fiondo come Batman al vedere il batsegnale
e il resto deve attendere.
Ma
mi scuso davvero!
Comunque
ecco gli ultimi due capitoli e sì, come promesso, avrete
anche il
primo di “Don't let me go!” Abbiate solo un paio
d'ore di
pazienza! Please!
Abbracci
affettuosi!
|
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Capitolo 4 *** You're so idiot ***
“Come?”
domandò Isabel sorpresa, alzando lo sguardo dal tomo di
medicina
volume due che stava studiando.
Lei
e Don stavano facendo due anni in uno, Donnie perché era un
genio
indiscusso che se lo poteva permettere senza alcuno sforzo, e Isabel
grazie alla magia che la aiutava a memorizzare più
velocemente
rispetto ad un essere umano normale.
Comunque,
la mole di cose da studiare era enorme, ed entrambi dedicavano la
maggior parte del tempo libero chini sui libri.
Raphael
si rialzò dal pavimento dove aveva fatto flessioni fino a
quel
momento, approfittando del tempo che lei passava a studiare per
allenarsi, pur di stare assieme. Certo, lei ogni tanto se ne usciva
con frasi come: “sai che abbiamo almeno quattro metri di
intestino?”, che decisamente gli faceva perdere il conto con
disgusto.
“Ti
ho chiesto se questo sabato sei libera e vuoi uscire”
ripeté con
calma, allungando le braccia per fare stretching dopo le serie
infinite che aveva fatto.
Lei
sorrise, con gli occhi che scintillavano.
“Uscire?
Io e te? Un appuntamento? Mi porti in giro di ronda?”
domandò
senza prendere fiato, chiudendo il librone di scatto dalla gioia,
senza nemmeno mettere il segno.
“Sì,
sì, sì e vediamo. Non ti dirò cosa ho
in mente” rispose
dispettoso lui, guadagnandosi uno sguardo implorante e curioso.
Isabel
passò la settimana agognando quell'appuntamento, un evento
che si
realizzava decisamente troppo raramente tra loro, sia per le lezioni
incessanti e gli esami, e le sere e le notti che lei passava chiusa
con Don in laboratorio a studiare e fare esperimenti, sia per gli
allenamenti di lui e i suoi giri di ronda. E c'era ovviamente, anche
il fatto che vivessero insieme alla famiglia Hamato, che non lasciava
di certo molto spazio a privacy e momenti liberi solo per loro.
Perciò
se ne andò in giro con un grosso sorriso e approfittava di
ogni
momento in cui erano da soli per cercare di estorcergli informazioni
sulla serata in programma.
“Dai,
dimmi se è un posto dove sono già
stata.”
“Non
posso.”
“Dammi
un piccolo indizio sulla zona.”
“No.”
“Dimmi
almeno come devo vestirmi! Tuta da kunoichi? Vestiti normali? Abito
da sera? Eddai, Raffaello! Smettila di scappare!” continuava
a
chiedere ad ogni occasione trotterellandogli dietro, mentre lui
faceva il vago e il misterioso, divertendosi da matti della sua
insistente curiosità.
E
il sabato, infine, arrivò.
Isabel
aveva finito presto le sue commissioni e di studiare, ed era
già
pronta da ore e vagava per il rifugio cercando di prendere di
soppiatto Raphael, anche se non riusciva a trovarlo da nessuna parte.
Si
affacciò in ogni stanza del piano terra, nella cucina,
nell'officina, lo cercò perfino nel bagno, inutilmente.
Poi,
la porta dell'ascensore si aprì e lui ne venne fuori, col
completo
da motociclista addosso, nero come la notte. Le sorrideva.
“Allora,
cosa fai lì impalata? Muoviamoci” disse,
tendendole la mano.
Il
garage era nella semi oscurità, ma riusciva perfettamente a
vedere i
contorni delle vetture, i loro scintillii metallici quando uno
sprazzo di luce entrava dalle assi inchiodate alle finestre,
illuminandoli.
La
grossa moto nera e argento era al suo solito posto, minacciosa come
la ricordava.
Un
giro in moto. Raphael l'avrebbe portata in giro in moto, ancora non
sapeva assolutamente verso dove, anche se una mezza idea se l'era
fatta.
Sentì
le mani di lui afferrarla per la vita, per aiutarla a salire.
“No,
faccio da sola” disse, con calma e un sorrisetto.
Non
poteva avere ancora paura della moto. Poteva essere il primo di una
lunga serie di appuntamenti e non poteva ogni volta mettere su un
casino per la moto. Doveva imparare a conviverci.
Raphael
la lasciò andare e si mise a sedere, poi accese il motore e
girò la
manopola dell'acceleratore un paio di volte.
La
moto ruggì.
Sembrava
quasi le stesse ringhiando contro, come a volerle dire che lui era
suo e suo soltanto e che lei non doveva azzardarsi a toccarlo.
Raphael
attese incrociando le braccia al petto, quasi come a volerla sfidare.
Non aveva dimenticato affatto la paura della volta in cui erano
usciti in moto e le sue urla disumane di terrore.
Isabel
occhieggiò lui e la moto a momenti alterni, poi, con una
risoluzione
assoluta, passò la gamba oltre il sellino, sedendosi dietro
a lui,
col busto ritto e le spalle in fuori, altera.
Raph
ridacchiò, ma lei non se ne rese conto. Si infilò
il casco che lui
le passò, poi si ancorò alle sue spalle, con
forza, respirando a
fondo per scacciare l'agitazione dal fondo dello stomaco.
La
moto rombò più forte, riempendo tutto lo spazio
del garage, mentre
la saracinesca si apriva di scatto. Con uno scarto deciso a destra
partirono, uscendo con uno stridore di gomme e confuse macchie
colorate davanti al viso, per la velocità improvvisa.
Isabel
trattenne un gridolino e strinse invece più forte la presa
sulle sue
spalle, e Raph rise davvero, certo che lei non potesse sentire.
Ma
poi, a mano a mano che la strada scorreva sotto le ruote, che il
traffico di New York diradò lasciando spazio a strade enormi
e
solitarie illuminate da sporadici lampioni, Isabel si
rilassò,
sentendo un senso di nostalgia, per il percorso familiare, per la
serata familiare. Si lasciò andare contro la sua schiena,
come
allora, godendosi il viaggio, la bravura di Raph nel condurre, la sua
sicurezza.
La
moto si fermò, non seppe nemmeno dopo quanto.
Voltò il viso verso
destra, verso il cielo scuro trapunto di stelle che toccava con
delicatezza la distesa di acqua altrettanto scura, altrettanto
misteriosa.
Scese e sfilò il casco, rivelando il grosso sorriso che le
era
apparso in viso.
Raphael
l'aveva portata alla loro spiaggia, della quale serbava un ricordo
dolcissimo.
Quando
si voltò a guardarlo, vide che sorrideva esattamente al suo
stesso
modo, felice di averla sorpresa.
Isabel
lo afferrò per la mano e lo trascinò in spiaggia,
con un gridolino
emozionato, il vento che scorreva tra i suoi capelli e le sferzava il
viso. Si voltò in ogni dove, ricordando ogni dettaglio della
prima e
unica volta in cui c'erano stati, del suo indagare per sapere il
colore degli occhi di lui, quando allora quel batticuore non sapeva
cosa fosse, della sua frenetica corsa dietro a Shadow mentre lui
rideva.
Gli
diede un bacio a stampo, euforica.
“Grazie
per avermi riportato qui.”
Raphael
fece per aprire bocca, ma poi lei iniziò a spogliarsi ed
ogni parola
gli morì in gola.
“Cosa
stai...”
“Bagno
di mezzanotte. Non sai quanto ho desiderato poter fare il bagno qui,
quella volta!” rispose lei di fretta, gettando i vestiti
sulla
sabbia, fino a rimanere in intimo.
Raphael
per un secondo pensò anche di fermarla, ma poi fu solo
grato di
quella visione e non se la sentì, ipnotizzato a guardarla
scivolare
verso l'acqua, la pelle pallida che quasi scintillava alla luce delle
stelle e un quarto di luna.
La
sentì strillare quando l'acqua le lambì le gambe,
era pur sempre
Marzo, doveva essere gelida, ma ridacchiando continuò a
camminare
fino a che non le arrivò alla vita, poi con un respiro per
prendere
coraggio si inabissò.
Raphael
rimase in attesa che lei riemergesse, con una tensione strana al
centro dello stomaco. Più i secondi passavano,
più rimase a
trattenere inconsciamente il respiro, nervoso.
Quando
la testa bruna infranse l'acqua e lei riapparve, lasciò
andare il
fiato, rincuorato.
Isabel
si strofinò gli occhi, poi lo guardò,
intensamente.
“Vieni!
Fammi vedere come nuotano bene le tartarughe!” lo
sfidò con un
sorrisino, facendogli cenno di raggiungerla.
Ci
pensò su mezzo secondo, poi con un sospiro rassegnato la
tuta da
motociclista sparì, gettata sulla sabbia a fianco ai vestiti
di lei.
E
sì, l'acqua era gelida come aveva pensato,
imprecò nella mente ad
ogni passo nel liquido freddo. Quando arrivò da lei si
ancorò al
suo corpo tiepido, mentre lei cercava di tenerlo a distanza
schizzandolo in pieno viso, ridendosela della grossa.
“Sei
completamente pazza! Ci saranno sì e no dieci
gradi!” la sgridò,
battendo i denti per il freddo.
“Devi
muoverti per tenerti al caldo! Nuota con me!”
“Ho
un'idea migliore” sorrise lui malizioso, stringendola
più forte e
chinandosi per baciarle il collo.
Isabel
ridacchiò, trattenne il respiro e inabissandosi
sfuggì dalla sua
presa, riemergendo ad un paio di metri di distanza.
“Prima
devi prendermi!” urlò iniziando a nuotare con
vigore, per
distanziarlo.
Raph
rise, scuotendo la testa, e le diede un po' di vantaggio, giusto per
mettere un po' di pepe. Solo quando lei fu davvero un puntino
distante, si immerse sott'acqua.
“Raffaello?”
chiese Isabel con la voce un po' roca, quando non lo vide riemergere.
Certo,
doveva essere capace di trattenere il fiato per molto, si disse per
cercare di rassicurarsi. Però, i minuti si accumularono, e
di lui
non c'era traccia. Solo un grande silenzio, con solo la risacca delle
onde come suono e il batticuore che rimbombava fin alle orecchie.
Quanto
era sotto? Dieci minuti?
“Raffaello!”
strillò terrorizzata. Prese un grande respiro, ma d'un
tratto
lui riemerse di fronte a lei con grandi schizzi, lasciandole scappare
il fiato trattenuto per la sorpresa.
Lui
rideva e lei tossicchiava per lo spavento improvviso.
“Sei
un idiota! Pensavo che fossi annegato” lo sgridò
tirandogli un
pugno sul petto. Lui l'afferrò e se la strinse contro.
“So
trattenere il fiato anche più a lungo, ma ti stavi per
tuffare per
venirmi a cercare, avresti rovinato il mio scherzo” le disse
per
niente colpevole.
“Idiota!
Stupido! Non sono scherzi da fare!” continuò a
rimproverarlo,
arrabbiata.
Ma
poi ogni lamentela si spense nel bacio che lui si sporse per darle,
sotto le stelle, solo loro due.
“Ti
ho presa. E adesso non mi scappi più.”
“E
chi ha intenzione di scappare?”
Isabel
si tese e circondò le sue spalle con le braccia, baciandolo
con
passione.
“Ma
rimani sempre un idiota.”
Note:
Ed
ecco anche il quarto!
La
raccolta è finita! C'erano tante bozze e altre OS non finite
su loro due, ma adesso pensiamo alla terza storia, magari un giorno
rimpolpo questa raccolta.
Sono due idioti, ma decisamente fatti uno per
l'altra.
Adesso
mi metto a betare il primo capitolo della terza storia della serie (a
velocità super!) e stasera lo metto! Cascasse il mondo,
prima di
mezzanotte lo devo mettere!
Abbracci
a tutti!
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