Amore Clandestino

di _Arya
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Amore Clandestino ***
Capitolo 2: *** Amore Clandestino [POV KLAUS] ***



Capitolo 1
*** Amore Clandestino ***




                                       
 
 

 
  Il tintinnare continuo di chiavi, provocato dall’ondeggiare della nave, si intrecciava al lento russare dei pirati. Il suono rauco strisciava oltre le pareti legnose di una porta, accompagnato dal cigolio dell’imbarcazione, che echeggiò nel corridoio, lungo e stretto, illuminato dalle deboli fiammelle delle lampade ad olio.
Quella sera avevo decisamente superato i limiti. Con fervore e lingua velenosa, avevo ardito obbiettare gli ordini impartitimi dal capitano del veliero sul quale mi ero ritrovata. Massaggiandomi distratta il polso, ricordai la sua stretta salda e forte, i suoi occhi ridotti ad un’unica linea, quell’aria pericolosa che minacciava di assalirmi. Avevo osato sfidarlo con sguardo e parole, davanti alla sua ciurma, sulla sua nave, e lui, furioso, aveva dato ordine di lasciarmi senza cena, segregandomi in una stanzetta buia e fredda.
Adesso, spinta dalla fame e da una sottile inquietudine, avevo abbandonato il mio posto sicuro alla ricerca di qualcosa che potesse conciliarle fame e sonno. Ad intraprendere quella fuga furtiva, mi aveva incoraggiata il silenzio che avvertivo oltre la porta del mio piccolo abitacolo. Immettendomi nel corridoio, il mio coraggio era vacillato per via del buio e del suono cigolante, tanto tetro da mettermi in soggezione. Stavo cercando di fare il meno rumore possibile, ma nella tranquillità in cui l’interno del vascello era immerso, un gorgoglio rumoroso mi gettò totalmente nel panico. Mordendomi il labbro inferiore, portai le mie mani a coprire la pancia, mentre un'altra imprecazione poco velata partì verso il capitano di quella nave e di quei suoi modi scontrosi. Prendendo un respiro per cercare di sostituire coraggio alla sensazione della fame, all’ennesimo corridoio stretto, mi arresi all’idea di essermi persa. Avvertendo un sottile strato di sudore imperlarmi la fronte, cercai di calmarmi per ritrovare la giusta strada per il mio posto sicuro.
Ad un tratto, da una porta in fondo al corridoio di quel piano della nave, una luce rosata catturò l’attenzione della coda dell’occhio, iniziando al col tempo a stuzzicare la mia parte curiosa. A piccola passi, scoprendo che l’interesse aveva preso il sopravvento, mi diressi verso quella luce.  Sbirciando dentro la stanza, dove in essa sorgevano due colonne in legno, notai che era vuota. Per qualche secondo, i miei occhi rimasero incantati nel cogliere alcuni oggetti che non avevo mai visto, provenienti da chissà quale parte del mondo. Entrando nella stanza e iniziando a vagare in questa come una bambina curiosa, mi avvicinai ad un tavolo, dove sulla sua superficie vi era aperta e stesa una mappa raffigurante il Nuovo e Vecchio Mondo. Sul lato più alto, a sinistra, vi era disegnata una rosa dei venti. La mia mano scivolò curiosa su quelle terre sconosciute e mai viste, quando le dita si arrestarono su una piccola scritta: New Orleans. Era lì che ero nata, era lì che dovevo tornare. I ricordi della notte della tempesta che aveva sorpreso la nave diretta in Inghilterra e sulla quale mi trovavo, arrivarono prepotenti, improvvisi come l’acqua che si era abbattuta su di noi, aizzandoci contro l’oceano.
Alle luce delle candele, un nuovo riflesso catturò l’interesse dei miei occhi. Alzando lo sguardo nella direzione dello scintillio, incuriosita, mi ritrovai a socchiudere la bocca: all’angolo più estremo del grande tavolo, da sotto un panno rosso, si intravedeva un piccolo scrigno. Era aperto. Quel poco che si riusciva a scorgere, bastò per dimenticare i ricordi del naufragio di non più di quattro giorni addietro. Nel piccolo scrigno, vi erano custodite pietre di ogni colore e gioielli, alcuni incastonati con pietre dalle schegge brillanti, altri in semplice oro.
Avvicinandomi, scostando il panno leggero, una luce prese a brillare ai miei occhi. Con mano tremante, raccolsi una pietra rossa. Rimasi sorpresa nel constatare che pesava pressoché nulla, intanto che la luce fievole delle candele generava sulla superficie levigata della pietra giochi di luce, che soggiogarono per un momento i miei occhi. Rigirandola tra le mani, la studiai, cogliendo in essa sfumature nuove ogniqualvolta che cambiavo la gradazione della pietra nella mia mano.
 < Vi piace? >
A quella voce calda e vellutata, cogliendomi alla sprovvista, la pietra scivolò dalle mie mani, cadendo per terra con un tonfo secco, attutito da un tappeto dai mille ricami. Voltandomi di scatto, spalancando gli occhi e chiudendo le mani a pugno, davanti a me vi era un uomo seduto su una poltroncina. I lineamenti del volto erano in ombra, ma la maglia bianca svettava su un paio di pantaloni scuri, dove a dividere i due indumenti vi era una cintura nera e spessa. L’orlo degli stivali neri si perdeva a contatto con i pantaloni del medesimo colore.
Cogliendo nel volto dell’uomo un accenno di sorriso, il sollievo che mi pervase nel costatare che non si trattava del capitano, mi fece sospirare di sollievo.
< Presumo che sia rubata >, debuttai, inginocchiandomi per raccogliere la pietra e riporla nel mucchio delle altre con disinteresse. < Quindi no, ai miei occhi perde tutto il suo fascino >.
< Dipende dai punti di vista, Miss >, controbatté l’uomo, alzandosi e portando le mani dietro la schiena, muovendo un passo verso di me ed esponendosi alla luce delle candele.
Le parole che stavano per ribattere pungenti, svanirono. La sicurezza che la mia voce trasmetteva e quell’aria vagamente saccente che assunsi, vacillò. I capelli corti del pirata che mi fronteggiava erano dorati al chiarore diffuso della stanza. Gli occhi apparivano due pozzi limpidi, nonostante non riuscissi ad identificare con precisione il loro colore. I profili del volto e quel mezzo sorriso disegnato su di esso, gli conferiva un’aria affascinante e allo stesso tempo arrogante. Metabolizzando la sua figura, avvertii invadermi una strana sensazione, come se qualche fiamma calda avesse iniziato ad attrarmi al suo calore.
Ma era un pirata e come tale non potevo trovarlo affascinante.
< Se il punto di vista è il vostro, quello di un fuori legge e assassino, permettetemi di dire che la pietra che si trova nel mio giardino ha più valore >, dissi, soddisfatta della mia risposta.
Il volto del pirata si fece serio, ma ai suoi occhi sfuggì un lampo di divertimento.
< È questa vostra tendenza a non rimanere al vostro posto che vi ha messo nei guai. Se non erro, voi adesso dovreste essere nella vostra stanza >, soffiò l’uomo al mio indirizzo, aguzzando la vista.
Spalancando gli occhi per la paura che mi riservasse lo stesso trattamento del suo capitano, feci qualche passo indietro. Il pirata fece un passo verso di me, tamburellando con le nocche della mano sul tavolo, concentrando il suo sguardo sulla carta geografica aperta su di esso. Io cercai di indietreggiare ancora, quando la mia mano si ritrovò ad accarezzare l’elsa di una spada. Era una pessima idea, ma la paura che mi strattonasse e mi gettasse ancora in quella stanza buia, fu più forte. Spinta dai modi bruschi che avevo visto possedevano i pirati, sguainai la spada, puntandogliela contro.
< Siete sicura di saperla maneggiare? >, mi domandò tra l’incuriosito e il beffardo, senza sollevare gli occhi su di me, continuando ad osservare la mappa.
A quell’accenno di ironia, come unica risposta a quella domanda, inclinai la testa di lato e con un sorriso e un passo verso di lui, mossi veloce la lama, procurando un graffio alla manica della maglia larga, strappandola.
< Questa era nuova >, disse lui, facendo svanire quel sorrisino e guardando il graffio nella camicia e poi me, < ma se proprio avete intenzione di sfidarmi con quel bel faccino >.
Si mosse veloce, troppo veloce per difendermi in qualsiasi modo. Avvertii la sua mano scivolare improvvisa sulla mia, su quella che impugnava l’elsa della spada, e con un piccolo movimento rapido, mi ritrovai con la lama che sfiorava la mia gola. Quello che forse mi gettò più  nel panico, fu sentire la mia schiena a contatto con il petto dell’uomo, l’altra sua mano ad abbracciare la mia vita. Una vampata di calore si irradiò dalla mano dell’uomo a contatto con la mia pelle, facendola diramare in ogni dove nel mio corpo. Scoprendo il mio cuore impazzito, dovetti sforzarmi nel cercare di calmarlo, portando il respiro veloce ad essere regolare.
< Lezione numero uno, Miss: non incrociare mai le lame con un pirata se non sapete come usare la spada >, sussurrò l’uomo a pochi centimetri dal mio orecchio.
Brividi, quella voce bassa e delicata riuscì a trasformare ogni mia agitazione in tremiti deliziosi. Solcando la mia pelle – collo, braccia, gambe –, essi andarono a stuzzicare e ad alimentare quel calore, quell’attrazione inspiegabile che mi portava a pensare che la temperatura intorno a me, ad un tratto, si fosse alzata. Il suo tocco era così leggero ed educato, un semplice gesto che ebbe il potere di contorcere il mio stomaco all’ennesimo brivido, solcante libertino la mia schiena. Nell’avvertire il respiro leggero dell’uomo e la sua mano sul mio fianco creare una carezza sulla mia pancia, pensai di stare per bruciare. Una vocina nella mia mente iniziò a urlarmi contro l’ordine di scansarlo. Era un pirata, un assassino.
 < Fino a prova contraria >, iniziai, ribellandomi alla stretta di lui, che mi lasciò andare, < è la vostra maglia ad essere strappata >.
< Pregate piuttosto che non sia io a strappare la vostra >, precisò l’uomo con semplicità.
Socchiudendo la bocca per lo sdegno, circondandomi con le braccia il mio busto, come per difendermi da quegli occhi che solo in quel momento mi accorsi mi stavano studiando avidi, scossi la testa con un’espressione infastidita e mi avviavi verso la porta. Seppur l’idea di un buco e freddo mi metteva ansia, non sarei stata un secondo di più in presenza di quel pirata. Riuscii appena a fare qualche passo e un suono sordo saettò nell’aria, bloccandomi all’istante. Ad ostacolare la mia uscita, vidi quella stessa lama lucente rimanere sospesa nel vuoto. Voltandomi lentamente verso l’uomo, lo vidi ammiccare al mio indirizzo e tenere la spada alzata. Senza proferire parola, cercai di muovermi oltre, ma la lama picchiettò sul mio fianco. Rivolgendo uno sguardo di sfida al pirata, aguzzando gli occhi, qualcosa nello sguardo bianco mi suggerii che stavo giocando con il fuoco.
< Vorrei tornare nella mia stanza se non vi dispiace >, dichiarai, portando il mio sguardo dritto verso la porta, che solo ora mi accorsi essere chiusa.
< E la mia maglia chi la rammenda? >.
Con occhi furenti e sconcertati mi voltai lentamente verso l’uomo, fulminandolo con lo sguardo in un chiaro messaggio visivo che non avrei preso in mano né ago, né filo. Sospettando che l’unico modo per liberarmi di quel pirata fosse quello di disarmalo e uscire alla svelta dalla stanza, muovendomi cogliendolo di sorpresa, afferrai un pugnale, scansando con forza la spada. Con mio stupore e con quella del pirata, la lama in mano a questo cadde per terra.
Io, trionfante, puntai il pugnale sotto il mento dell’uomo.
< Non vi è bastato una volta? >, disse l’uomo, sorridendo e facendo comparire due fossette ai lati delle labbra.
< Chi vi dice che io non abbia alcuna esperienza con le armi? >.
Sospirando spazientito e alzando gli occhi al cielo, vidi il pirata muoversi con agilità e afferrarmi per la vita con una mano e portandomi via l’arma con l’altra. Prima che riuscissi ad allontanarmi, l’uomo mi costrinse a retrocedere per far incontrare la mia schiena contro una delle colonne di legno. Tra di noi, che a dividerci c’erano non più diventi centimetri, frappose il pugnale. Con sorriso arrogante e soddisfatto, il pirata fece scivolare la lama fredda sulla mia pelle, lungo il collo. Trattenni il respiro e alzai il mento per la paura, per cercare di allontanare la minaccia tagliente da me. Quando alzai il mio sguardo su di lui, per la prima volta i nostri occhi si legarono davvero, senza separarsi. Inumidendomi distratta le labbra, ritrovandomi immersa in un mare blu con riflessi argentei e verdi, riuscii a catalogare il colore delle iridi. Il potere che emanavano ed esercitavano, superava la bellezza delle striature di un colore tra il verde e il blu, rendendo gli occhi magnetici e allo stesso tempo stuzzicanti. Il pirata inclinò il volto e la mia attenzione si spostò sulle sue labbra. Erano rosse, rosse e piene. Erano invitanti, come quegli occhi che lanciavano un accenno di malizia.
< Chi dice che non avete esperienza con le armi? >, ripeté seducente, facendo scivolare la lama del pugnale a scostarmi i capelli dorati oltre la mia spalla. < Io, dolcezza >.
E come una ventata di aria fresca, vidi l’uomo avvicinarsi d’impeto e toccare le mie labbra con le sue, quelle stesse linee che avevo trovato stuzzicanti da chiedermi solo in parte che gustava avessero. E adesso lo sapevo. Quelle labbra erano sulle mie.
Trattenni un respiro. Il battito del mio cuore si fermò un istante, ma quando avvertii il suo corpo scontrarsi con il mio, prese a battere, a ricordarmi cosa fosse un tuono in mare aperto. Con occhi spalancati per la sorpresa, assaporai quelle labbra rosse ed invitanti premere contro le mie, e con mia sorpresa, alle mie bastò qualche secondo per rispondere a quei tocchi, iniziando a danzare e rincorrersi con esse. Sapevano di mare: acqua marina e salsedine.
Quando le labbra si spostarono lungo la mia mandibola, ricollegandomi alla realtà, aprendo gli occhi, misi a fuoco le figure che mi circondavano e la situazione che mi aveva spinta fino a lì. Vergognandomi per quel momento di debolezza, scostai per la seconda volta l’uomo da me, interrompendo quella magia.
< E io significa persona arrogante, insolente, sfrontata, maleducata, sicura di sé e  … >, alzando lo sguardo d’impeto per colpirlo, incontrai quei due occhi famelici e quel sorriso, che fecero crollare ancora ogni mia protesta.  < E … >.
Due braccia mi avvolsero ed intrappolarono, fermando ogni mio colpo furioso.
< E? Continuate, vi prego >, sussurrò l’uomo, avvicinandosi ancora alle mie labbra. < Lo sapete che vi arrabbiate con passione? >, disse, lasciando una leggera carezza sulle mie braccia.
C’era qualcosa nel suo sguardo, qualcosa di immortale ma allo stesso tempo di giovane. Un qualcosa da attrarmi al punto da dimenticare chi fossi.
Era un pirata. Aveva sicuramente visto il mondo, luoghi di cui non immaginavo neanche la loro esistenza. Aveva incontrato persone di culture e lingue diverse. Era forse quello che gli permetteva di essere così sicuro di sé?
< Credete di conoscere le donne? >, lo provocai.
Mentre il mio cuore batteva veloce, vidi il suo sorriso allargarsi fino a quando non comparvero ancora quelle due fossette a donargli un’aria innocente quanto furba e scaltra.
< Non solo, dolcezza, conosco il mondo tanto da poter dire che i vostri orizzonti dovrebbero essere allargati >, disse, confermando i miei pensieri.
Vedendolo muovere qualche passo lontano da me, accolsi con piacere la frescura che mi circondò e mi toccò le guance, che sentivo essere in fiamme.
< Cosa vi fa pensare di avere qualche ascendete su di me? >.
< Io non ho detto niente, state facendo tutto voi >, disse, scoccando un’occhiata divertita al mio indirizzo, < ma vorreste forse negare ciò che è evidente? >.
< Forse funziona con le altre donne, ma non con me >, precisai, ricambiando la sua occhiata. < Non mi incantate con i vostri modi e la vostra voce affascinate >.
< Quindi mi trovate affascinante >.
< Non ho detto questo >, ribattei all’istante, increspando la fronte.
< Ma lo avete pensato, anzi non oso nel dire che lo state pensando anche adesso. Potete dire quello che volete, ma il vostro corpo non mente >.
Rabbrividii per quella sicurezza tale da farmi credere che riuscisse a leggermi l’anima.
< In ogni caso domani sarò libera e potrete incantare altre donne >, dissi, cambiando argomento, e pensando alle parole del capitano e alla sua promessa che l’indomani mattina, appena la nave avesse attraccato al porto, mi avrebbe lasciato ritornare a casa.
< Attenta Miss, il capitano ha detto che vi lascerà andare, non che sarete libera >.
< Cosa intendete dire? >, dissi con una nota di panico, rammentando i volti freddi del capitano.
Ad un tratto, avvertii il mio stomaco controbattere nel silenzio. La fame era tornata. Abbassando il mio sguardo imbarazzata al sorriso di lui, lo percepì muoversi e alzando di poco lo sguardo, vidi l’uomo dirigersi verso l’estremo della stanza e tornare.
< Lezione numero due: i pirati sanno bene come usare le loro parole e per quanto mascalzoni, siamo uomini d’onore. Siete una sciocca se credete davvero che domani il capitano vi lascerà tornare alla vostra vita come se nulla fosse >, disse lui, porgendomi una mela.
Studiando la sua espressione e apprendendo le sue parole, presi la mela, dandole un morso timido.
< Quindi cosa ne farà di me? >, domandai non troppo sicura di voler conoscere la risposta.
Lo sguardo e gli occhi del capitano mi tornarono in mente, quella sua stretta ai polsi da credere ancora che avesse le sue mani addosso a me. Tremai al pensiero di che cosa potesse farmi.
< Con ogni probabilità? Vi venderà come schiava al miglior offerente >.
Ad un tratto tutta la fame sparì. Il succo dolce della mela e il suo sapore, nella mia bocca divennero amari, come se ad un tratto il frutto fosse diventato marcio. 
< Come … schiava? >
A New Orleans, avevo visto uomini e donne di ogni età sporchi e con gli occhi spenti. Al loro collo vi era appeso una targhetta di legno con un numero scritto in nero. Un signore basso e grasso urlava dei prezzi, indicando con un dito l’uomo, che con lo sguardo basso veniva venduto, come se fosse stato un oggetto esposto all’asta.
Avvertendo una vertigine cogliermi, posai la mela sul tavolo.
< Non temete, dovete solo riuscire ad abbandonare la nave >, disse l’uomo, avvicinandosi e accarezzandomi con gli occhi.
< Solo? >, chiesi ironicamente, alzando lo sguardo e vedendolo sorridere.
< Venite con me >, disse lui, porgendomi una mano. < Potete fidarvi >.
E in quel momento, guardando quei suoi occhi, qualcosa dentro di me mi disse che sì, di lui potevo fidarmi.
 
 


All’esterno, mi aspettavo di avvertire tra le vele spiegate il fruscio del vento, invece dovetti ricredermi; la leggera presenza della corrente, faceva scivolare la nave tranquilla, sospinta in vanti dalla brezza marina che si innalzava dalle acque scure. Osservando l’orizzonte, in quell’ora oscura era impossibile distinguere la linea che divideva le acque nere dalla volta celeste. Ispirando a pieni polmoni quella fragranza che mi avvolse, facendomi per un attimo rabbrividire, con passi timidi e guardandomi intorno, mi avvicinai al pirata dagli occhi blu e dai capelli cenerini.
Poco prima, nascosta dalla vista di tre pirati di vedetta, lo avevo sentito disporre di lasciare il posto assegnatoli. In quell’ordine breve, la sua voce mi era parsa autoritaria, così diversa da quella calda che mi aveva stuzzicato nella stanza della mappa. Al pensiero delle sue labbra sulle mie, quella luce provocante nei suoi occhi, un delicato formicolio  mi invase tutto il mio corpo.
< Aiutate tutte le prigioniere del vostro capitano a fuggire? >, chiesi a bassa voce, vedendolo indaffarato a slegare cime e cavi di una scialuppa.
Ignorando quelle sensazioni scomode, nate dentro di me, catalogandole come l’adrenalina e il fermento che sentivo per ciò che mi aspettava, conoscevo abbastanza le regole che vigevano trai pirati per chiedermi cosa spingesse quell’uomo ad aiutarmi.
< Siete gelosa, Miss? >, domandò lui, guardandomi senza interrompere le sue azioni veloci, ma cogliendo nel suo tono di voce un briciolo di malizia. < A donne e a fanciulle non è permesso salire a bordo >, sancì, rivolgendomi uno sguardo veloce. < Voi siete la prima >.
Inarcando un sopracciglio, rifiutai di pensare che non fosse conscio del pericolo che stava correndo. Se qualcuno lo avesse visto, se qualcuno avesse capito cosa stava cercando di fare, far scappare una prossima fonte di guadagno per il capitano e per la ciurma, lo avrebbero ucciso o abbandonato in mare aperto per tradimento.
< Perché lo state facendo allora? >.
Dopo un breve sguardo, come se fosse in lotta con se stesso, la sua attenzione scivolò di nuovo alle cime. A quella mancata risposta, nacque in me un accenno di irritazione e delusione, che non faceva altro che aumentare il risentimento; con amarezza, ammisi che mi era difficile leggere cosa si celasse davvero dietro quel volto.
Emettendo un sospiro un po’ troppo marcato, accarezzando il parapetto, sbirciai l’acqua che si scontrava con il fianco della nave, provocando un rumore continuo ed ipnotico.
< Non sono un amante delle regole imposte da quello che si fa chiamare erroneamente capitano >.
Voltandomi verso di lui, trovandolo più vicino, il primo pensiero fu quello di indietreggiare, ma non lo feci. Vi era qualcosa che mi attraeva in modo quasi oscuro verso di lui.
Alla sinfonia degli elementi marini si venne a sostituire quel calore e quel formicolio. Insieme mi pervasero il corpo, sentendo le mie mani iniziare a sudare, e il rumore dell’acqua, della brezza che sfiorava il mio viso ad intervalli regolari, sembrarono svanire. I miei occhi si erano legati ancora una volta a quelli di lui, intensi e fissi, come se stessero osservando un’altra scena lontana.
< Vi state per caso ammutinando contro di lui? >, dissi con voce bassa, indossando ancora quella maschera provocatoria per impedirgli di riuscire a cogliere e leggere altro di me.
< Noto un accenno di rimprovero e giudizio pungente nelle vostre parole >, iniziò, sfoderando quel sorriso sghembo e assottigliando gli occhi per poi sospirare e attorcigliare le cime in nodi che mai sarei riuscita a riprodurre, < ma se volete che obbedisca agli ordini allora dovrei essere a dormire a quest’ora, e anche voi dovreste riposare per domani >.
Quando lo vidi voltarmi le spalle ed incamminarsi lungo il ponte, diretto verso l’entrata dalla stiva, percepì la paura crescere ed invadere la mia mente, aiutata dal panico di rimanere ancora sola in un posto a me sconosciuto.
< No, vi prego >, dissi, allungandomi per afferrare un suo braccio.
Con la visione di quel destino che mi aspettava e che si sarebbe compiuto con il sorgere del sole, accarezzando la camicia, strinsi il suo braccio, cercando di girarlo. Tra le mie dita il tessuto era caldo e liscio, ma la sensazione del tatto venne sostituta da quella della sorpresa. In una frazione di secondo, lui si girò di scatto e fece passare la sua mano intorno alla mia vita, avvicinando pericolosamente i nostri corpi, che si scontrarono, dando origine ad una collisione di energie capaci di smuovere ogni mia certezza. Vedendomi riflessa nei suoi occhi, in questi vidi brillare quella luce che riaccese in me quel calore e quel formicolio prima ignorato, più insistente, più presente. Le labbra rosse e provocanti svettavano invitanti sulla sua pelle chiara.
< E poi voi siete straordinariamente bella >, sussurrò sulle mie labbra, accarezzandomi una guancia, < non mi piace pensarvi a servire qualche uomo o prendere ordini da donne che fanno di tutto per apparire eleganti e fini, come lo siete voi >.
Fui cosparsa da elettricità ed eccitazione. L’effetto che quell’uomo aveva su di me era pura energia  emotiva, capace di destabilizzare ogni mio pensiero, ogni mio valore, perché il fiato si accorciò, sazio di sentire il respiro di lui sulla mia pelle, desideroso di essere mozzato e spento da un altro suo bacio. Inconsapevole e sotto quel suo flusso magnetico, mi avvicinai al suo volto, sfiorando le sue labbra, pregustano quel sapore accattivante, e una parte di me, quella segreta ed insicura che nascondevo al mondo e a me stessa, si chiese se lui avrebbe risposto con la stessa voracità con cui mi aveva colpito la prima volta, o se mi avrebbe scansata e allontanata. Al pensiero di un suo rifiuto, strinsi la sua maglia, avvicinandomi al suo corpo. 
< Cosa ci fai ancora sveglio? >.
La voce maschile che ruppe il silenzio e la magia, quel torno rude che riconobbi solo in un secondo momento, gelò ogni mio muscolo. Con mio orrore, dall’oscurità emerse il capitano con al seguito tre pirati dall’aria minacciosa e dalle espressioni fredde e allo stesso tempo incredule.
Gli occhi azzurri del capitano, due punti ghiacciati in mezzo al calore che mi attraversava il corpo, mi studiavano gravi. Si chiamava Mikael, e bastava il suo nome per far tremare gli uomini della sua ciurma, me compresa.
< Glielo avevo detto che Klaus stava architettando qualcosa, capitano >, disse uno dei tre pirati, scoccandomi un’occhiata, < ma non mi sarei mai immaginato una relazione clandestina >.
Vedendo Mikael studiare la scena che gli si presentò, vedendo il suo sguardo intercorrere tra me e la scialuppa, il pirata al mio fianco, Klaus, si scostò da me, portandomi dietro di lui e fronteggiando il suo capitano. Con la mia mano ancora stretta alla camicia bianca di Klaus, nel vedere lo sguardo di odio che il capitano trasmetteva, il terrore iniziò ad essere la mia compagna, conscia di che cosa sarebbe potuto accadere.
< Vedo >, proferì Mikael per poi voltarci le spalle e compiere qualche passo. < Prendetelo >.
Una sola parola e due dei tre uomini si gettarono addosso a Klaus, riuscendolo ad immobilizzare, prima che cercasse di estrarre la spada che gli pendeva da un fianco. Toccò al terzo assestargli un pugno in pieno viso per stordirlo e a prendere la sua spada, mentre li altri due, prendendolo da sotto le ascelle, lo trascinarono lontano da me. Ebbi la percezione di cadere in un vortice nero.
< No! >, urlai con più voce che possedevo in corpo, senza riuscire a fare un passo che una mano, quella del terzo pirata, mi bloccò ferrea.
L’odio e la rabbia che provai, mi portò a rivolgere uno sguardo carico di ostilità all’uomo, mentre gli stivali neri di Mikael provocavano un rumore sempre più inquietante sul ponte della nave man mano che si avvicinava a Klaus. Poggiando i miei occhi sul capitano, vidi i suoi profili del viso trasmettere una rabbia che faticava a contenere e controllare. Sembrava un predatore pronto ad attaccare e ferire solo con l’intento di uccidere.
< Per quello che stavi per fare, dovrei tagliarti la gola e gettarti in mare, ragazzo, ma è troppo poco per quello che definisco tradimento >, disse alzando il mento di Klaus.
< Va all’inferno, Mikael >, sputò, alzando maggiormente la testa con aria di sfida, innescando una silente battaglia di avvertimenti e minacce.
Il pugno che sferrò Mikael, improvviso e veloce, spaccò il labbro inferiore di Klaus, che passandosi la lingua su di esso, gettò un grumo di sangue dalla bocca, sorridendo beffardo.
< Nostromo, trenta colpi di frusta e poi gettatelo in cella, né acqua, né cibo per tre giorni >, ordinò Mikael con disprezzo, dove non vi era spazio per il ripensamento.
Io, io ammutolii, pietrificata dal suono dello schiocco di dita e un uomo che, facendo la sua comparsa, afferrò una frusta, nera come se fosse un’arma mortale. I miei pensieri si erano spenti all'unisono con le mie paure, quando si diresse da Klaus. Scuotendo freneticamente la testa, i miei occhi non stavano assistendo a quello stesso uomo che, sorridendo, sferzò l’aria con la frusta e con un movimento secco della mano la fece fischiare. I miei occhi non stavano assistendo inermi ed impotenti a dei pirati che misero ai polsi di Klaus delle catene, legandolo all'albero maestro e togliendogli la camicia, gettandola a terra, come se fosse un inutile panno lurido e vecchio. 
< Lasciatelo, vi prego >.
Feci un passo, quando la frusta si alzò e con la stessa velocità precipitare sulla schiena liscia e bianca di Klaus, emettendo un suono selvaggio. Bastò quello per pietrificarmi, emettendo un piccolo lamento strozzato e spalancando gli occhi. Lui, Klaus digrignò i denti, arrestando l’urlo che costrinsi a rimanere intrappolato nella sua gola e non uscire.
Una seconda frustata ed ebbi la sensazione che il mondo vorticasse e ogni oggetto e presenza si incanalasse nell'immagine di Klaus imprigionato, alla mercé dell’arma del nostromo.
Alla seconda si aggiunse la terza, e quel ticchettio che prese a scandire i secondi cambiò, mutò e al posto del tempo, il suono prese a contare i colpi. Quattro … cinque … sei.
Sette. Ancora quel rumore e sulla schiena di Klaus iniziarono a svettare linee rosse ed innaturali. Osservando quella scena, dove il silenzio strisciante ed angosciante era spezzato solo dall’arma e dal suo colpo, le catene stridettero, creando un suono agghiacciante. Iniziai a tremare.
< Basta >, urlai, < Basta! >, gli occhi mi iniziarono a pizzicare e il desiderio di stringere a me quel corpo, quell’uomo capace di farmi provare emozioni sconosciute ma così deliziose, divenne tale da muovere le gambe: iniziai a corre, ma avvertendo un singulto proferito da Klaus, mi bloccai e una mano mi afferrò e strattonò, intrappolandomi. 
Otto.
Immaginai il suo volto straziato dal dolore. Gli occhi serrati, il sorriso malandrino scomparso. Lui che cercava di non dare la soddisfazione di urlare e chiedere pietà ad un capitano malvagio, che sul volto aveva dipinto un sorriso sadico e soddisfatto.
Nove.
La mia vista si appannò e gli occhi iniziarono a bruciarmi per le lacrime. I miei occhi volevano scostarsi da quella visione, ma al pensiero di socchiuderli corrispondeva il senso di abbandonarlo. Non potevo. Era colpa mia. Il senso di colpa arrivò con l'ennesimo colpo.
< Basta >, urlai, < basta così lo uccidete > .
Ma in risposta arrivò un altro colpo. Dieci. 
Il mio respiro aumentò vedendo il sangue iniziare a fuoriuscire dalla pelle. Lo avrebbero ucciso.
< Lui non vi chiederà mai pietà >, urlai disperata, guardando Mikael. < Lo faccio io, vi prego, date ordine di smetterla. È colpa mia, non sua >.
Mai, mai il tempo mi era parso infinito. Un momento sospesa nel nulla, in un precario equilibrio.
< Continua >, ordinò Mikael.
Undici.
Mare e cielo presero a vorticare, invertendo e tornando nella loro posizione più e più volte.    Guardavo avanti, come se scostare lo sguardo avesse significato cadere, perdere quell'equilibrio e precipitare nel vuoto.  
Dodici.
E lui non gridava, al contrario della mia mente che sembrava esplodere di urla e preghiere. Agitandomi nella presa dell'uomo, questo strinse di più il mio polso. La sua stretta, quella di Klaus era così gentile, così protettiva.
Tredici.
Scostai gli occhi e il freddo della notte minacciò le mia gambe tremanti di farmi crollare a terra, schiacciata da quei colpi che nell'oscurità riecheggiavano minacciosi. 
Quattordici.
Chiudendo gli occhi ebbi la sensazione di poter sentire la sua mano sulla mia pelle, le sue labbra sulla mia bocca, il suo profumo circondarmi. Una lacrima solcò la mia guancia, vedendolo resistere e soffrire in silenzio. Per me. Con gli occhi serrati, il rumore della frusta sembrò intensificarsi. 
Quindici.
All’ennesimo colpo, con il respiro che aumentava, iniziai a divincolarmi e ad assestare una gomitata all’imboccatura dello stomaco del pirata al mio fianco. Alzando gli occhi, questi vedevano solo lui, Klaus. Iniziai a correre, e una mano mi sfiorò.
< Lasciami, non toccarmi >, dissi scandendo ogni singola parola, scostando la mano con uno schiaffo e sentendo la rabbia ribollirmi dentro.
Correndo, ignorando il nostromo in piedi, mi inginocchiai sul corpo di Klaus. Al mio tocco, sussultò e il mio cuore sembrò perdere un battito. Prendendogli il viso tra le mani, vidi il suo sguardo spaesato. I suoi occhi, i suoi bellissimi occhi, stanchi e doloranti. 
< Mi dispiace, mi dispiace così tanto >.
< Spostati, ragazzina. Non credere che mi asterrò nel colpirti solo perché sei una donna >, sputò l’uomo alle mie spalle, facendo scricchiolare la pelle della frusta tra le sue mani.
Guardandolo, nel suo sguardo vibrava l’assoluta veridicità delle parole. Per spavalderia o per l’adrenalina che sentivo scorrermi in corpo, mi frapposi tra Klaus e il pirata, sfidandolo con lo sguardo. L’uomo scosse la testa e alzando la frusta, serrando la mandibola, sperai che vedesse nei miei occhi la sicurezza che non mi sarei spostata. Quando la frusta calò, chiusi gli occhi, ma non mi arrivò a colpirmi. Socchiudendoli dopo qualche secondo, scorsi Klaus davanti a me, la frusta arrotolata sul suo braccio. Con uno strattone deciso tolse l’arma al pirata. Assestandogli un pugno sotto il mento, gli sfilò la spada, ferendo di striscio le gambe.
Nello stupore dei presenti, Klaus puntò la spada verso il capitano, che annuendo, estrasse la sua.
< Finiamola qui, ragazzo >.
< Non aspettavo altro, padre >. 
Mentre le lame dei due pirati si incrociarono, nella mia mente risuonava quell’ultima parola.
Mikael era il padre di Klaus.
Mi sembrava di essere finita in un incubo. Quella non era la mia vita, era così lontana dall’essere accostata ai giorni tranquilli che trascorrevo. Ad un tratto mi ritrovai anche io tra un Vecchio e un Nuovo mondo, così selvaggio e inesplorato, sconosciuto e pericoloso da rimpiangere la vecchia terra. Volevo tornare a casa. Volevo dimenticare ciò che avevo conosciuto dal momento in cui realizzai di trovarmi su una nave pirata.
Quando un urlo mi strattonò dai miei pensieri, vidi Klaus ferire con la sua lama il padre.
In quel frastuono di ricordi, emozioni e dolore, tra tutto quel Vecchio e Nuovo, io non volevo dimenticare Klaus.
Quella rivelazione arrivò nell’attimo esatto in cui la lama di questo trapassò l’addome del capitano, di Mikael, del padre di Klaus.
Vidi solo le labbra di Klaus muoversi, e poi, con un unico gesto e ultimo sforzo, spinse il corpo di Mikael oltre il parapetto della nave.
Allo scontro del corpo con l’acqua ghiacciata calò il silenzio.
< Qualcun altro vuole seguirlo? >, urlò rabbioso Klaus, inchiodando i suoi occhi su ciascun volto presente.
Con il respiro veloce e tremante, gli occhi blu, in fine, toccarono anche me. Nel vederlo con quello sguardo infiammato, pericoloso, così selvaggio da far indietreggiare alcuni uomini, pensai che assomigliasse ad un angelo vendicatore, bello e letale, pericoloso e allo stesso tempo dannato. A quello sguardo che mi diede l’impressione di guardami dentro, dentro la mia anima, crollai. Le mie ginocchia toccarono l’anonimo legno del ponte. Priva della forza per abbassare lo sguardo, interrompendo quel legame visivo che correva tra di noi, lo vidi avvicinarsi a me ed inginocchiarsi.
Distaccata dal mio volere, la mia mano si sollevò, accarezzando quel viso deturpato dalla fatica e dalla stanchezza, ma straordinariamente bello e rassicurante.
< Mi dispiace >, sussurrò, inclinando il viso, cogliendo nella sua voce un accenno di dolore.
Mi limitai ad accennare un sorriso e a scuotere la testa.
Quando si alzò offrendomi la sua mano, lo vidi chiudere gli occhi per un secondo. Un capogiro lo colse e prima che riuscissi ad alzarmi, Klaus si accosciò a terra, privo di sensi. 
 
 


Mi ritrovai in un sogno. La scena che ero intenta ad osservare, dove nessun pensiero solcava errante la mia mente, mi aveva indotto ad abbandonare quell’inquietudine che aveva attanagliato il mio cuore. Con l’aiuto di Elijah, ero riuscita a pulire le ferite sulla schiena di Klaus e a bendarle. Il volto contratto dal dolore era così in opposizione con quello sereno di adesso, illuminato dalla luce delle candele. In un’aurea dorata, le mie iridi scivolarono silenziose lungo il volto di Klaus. Disteso a pancia in giù, sulla spalla destra, a contrasto con la pelle rosea e le bende bianche, svettava un piccolo tatuaggio: un triangolo nero la cui punta era rivolta verso l’alto. Avevo notato quel suo marchio, insieme ad un secondo sul petto, solo quando cercai di lottare contro la sua opposizione nell’allontanarmi per impedirmi di medicarlo. Senza che me ne accorgessi, sospirai, abbassando le spalle e la testa.
< Siete preoccupata per me, Miss Forbes? >.
A quel suono basso e stanco, alzai la testa di scatto. I miei occhi leggermente spalancati, rivelatori della sorpresa che mi assalii e ancor di più della felicità che provai nel poter riascoltare la sua voce, ne incontrarono due socchiusi, influenzati dalla luce malandrina irradiata dal sorriso tirato sul volto di Klaus.  
< Caroline >, dissi, mentre dentro sospiravo di sollievo.
< Come? >, domandò lui, increspando la fronte e puntando i gomiti sul materasso nell’intento di mettersi a sedere. Notai il grande sforzo nella contrazione dei muscoli e una smorfia appena accennata di dolore nel viso. Quando il suo braccio iniziò a tremare sotto il peso e lo sforzo che gli veniva richiesto, mi affrettai a portare una mano all’altezza della spalla di Klaus per aiutarlo a sedersi. Udii solo di sfuggita i sui piccoli lamenti; il suo profumo mi inondò i sensi, come una ventata improvvisa sul viso, fresca a profumata. Il pizzico di elettricità ricomparve nel momento in cui realizzai che la mia mano era a contatto con il suo corpo. Il calore che la pelle di Klaus iniziò ad emanarmi, accelerò i battiti del mio cuore, come se bastasse quel torpore straniero iniziò ad immettere e a pompare sangue nelle mie vene. Rompendo quel legame, discostando la mia mano dal suo braccio, sentii i suoi occhi ceruli su di me fissarmi, chiamarmi a loro. Io non potei che rispondere a quel richiamo. Perdersi in quegli occhi, ritrovarsi ammaliati da essi come se fossero degli incantatori, mi provocò altro calore. La sensazione che Klaus riuscisse a leggere la mia anima, sentendomi esposta davanti a lui, guidò i miei occhi ad abbassarsi e il mio corpo ad allontanarsi.
Qualcosa dentro di me protestò per quella decisione di mettere una nuova distanza tra noi.
< Caroline, è il mio nome >, ripetei piano, ritrovandomi a rigirare tra le dita quello stesso indumento che avevo sgualcito per puro orgoglio. < Vi ho ricucito la camicia >.
Mordendomi il labbro inferiore, lanciando solo una rapida occhiata e cogliendo divertimento nell’espressione del pirata, gliela porsi. Quando le sue dita sfiorarono le mie, cogliendo la leggera scarica elettrica e che incominciava a divenire per me familiare,mi parse che quel tocco si protraesse nel tempo il più del dovuto. Lasciando la camicia, allontanai il mio sguardo, facendolo vagare per la piccola cabina. Anonime candele bianche erano accese per rischiarare gli angoli bui. Ad un lato della stanzetta, vi era un bacile ricolmo di acqua e uno specchio. Libri e altri innumerevoli oggetti erano sparsi nell’ambiente.
Quando sentii un frusciare ovattato, vidi Klaus in piedi. Dandomi la schiena e ricordandomi cosa le bende nascondessero, ferite di un rosso vivido e dolore, mi si formò un nodo in gola.
< Ho sentito che adesso siete voi il capitano >, dissi sicura, lasciando che quel triste ricordo sbiadisse nella mia mente ancora prima di comparire con un’impronta insistente.
< A si? >, disse, guardandomi da dietro la spalla.
Con passo lento e tirato, il pirata si diresse vicino al catino, posando la camicia su un ripiano in ombra. Poggiando le mani all’estremità del recipiente pieno di acqua, abbassò la testa, inspirando profondamente.
Se provasse e sentisse dolore, lo nascondeva con somma maestria.
Con movimenti lenti, Klaus immerse le mani nell’acqua, portandosela al volto e rimanendo per alcuni secondi fermo, in silenzio.
< Vorrà dire che come mio primo ordine sarà la promessa che domattina vi lascerò libera >, proferì, asciugandosi il volto con un panno bianco e girandosi verso di me.
La sua immagine mi colpii come una di quelle illuminazioni improvvise e rare. Alla luce soffusa e scarsa delle candele, Klaus mi apparse nel suo fisico asciutto, i muscoli del petto e delle braccia accentuati dal gioco della luce e delle ombre. I pantaloni neri erano di qualche centimetro più lunghi, andando piegarsi sui piedi nudi del pirata Rimasi incantata ad osservarlo, intanto che nella mia mente la sua voce ripeteva quella sua promessa.
Quel suo tono che sapevo orami mi avrebbe tormenta anche nei miei sogni, seguendomi nei miei pensieri e desideri più nascosti, riuscì ancora a sorprendermi.
Lui mi avrebbe liberato. Mi avrebbe lasciato libera.
Avrei dovuto dirgli grazie, mostrargli gratitudine, dire qualcosa, ma non lo feci. La mia bocca era semiaperta, da essa fluiva il mio respiro leggero, a volte calmo per aver udito quella promessa, a volte accelerato per … per cosa non lo sapevo neanche io davvero.
Lo vidi avvicinarsi timoroso.
< Cosa c'è, Miss? >.
Quando si avvicinò, quando mancavano solo pochi passi a dividerci, notai che il bendaggio meticoloso con cui avevo cercato di coprire le ferite, era macchiato dal sangue secco, all’altezza della spalla. Una mia mano tremante si sollevò nel vuoto indipendente, protraendosi verso il petto del pirata. Come se fosse dotata di volontà propria, osservai la mano entrare in contatto con la pelle calda e, senza che io mi allontanassi o alzassi i miei occhi, iniziò a muoversi lungo le clavicole. Con occhi persi trai pensieri e le sensazioni che animavano quel mio vorticare di desideri, seguii l’indice tracciare il contorno fittizio del secondo tatuaggio, una piuma dalla quale si distaccavano petali e i petali mutavano in uno stormo di uccelli neri.
Mentre tracciavo il contorno del disegno, Klaus trattenne il respiro. I suoi occhi puntati su di me. Fissi e attenti, per quanto in quel momento non li stessi guardando, intuivo brillassero di quella luce che avevo colto nella stanza della mappa, così calda ed invitante. Al pensiero del suo bacio, dei suoi sospiri sulla mia bocca, rabbrividii. Per combattere il barlume di un nuovo desiderio, iniziai a girargli intorno. Lenta e cauta, mi ritrovai a ridisegnare quel triangolo per poi spostarmi lungo il trapezio, scendendo e risalendo la collana vertebrale. Osservando la sua schiena, sfiorandola delicata, un suono lontano risuonò nella mia mente. Mi parse di sentire ogni frustata colpire quel corpo che avevo davanti, ogni lamento trattenuto, portato via con il sangue che gli macchiava la schiena. In quei momenti, avevo desiderato stringere tra le mie braccia Klaus.
Senza che me ne accorgessi, posai ciascuna delle mie mani sopra le sue spalle e avvicinai la mia guancia a contatto con la sua schiena. Rimasi così, chiudendo gli occhi.
I suoi muscoli si pietrificarono di colpo, come se una parte di lui non riuscisse a rilassarsi, ma necessitasse di rimanere in allerta.
< Cosa state facendo? >, mi chiese con voce rauca ed incredula.
La paura di ricevere un nuovo colpo inaspettato, di doversi difendere da esso e dal dolore, di doversi difendere da me, mi provocò un moto di ribellione.  Eppure, quel suo rimanere fermo senza allontanarmi o scansarsi, portò nella mia mente un pensiero: con il mio tocco, con quel passo avanti, forse, avevo trovato il modo per leggere quella sua anima imperscrutabile? 
< Avete subito quasi trenta frustate, avete ucciso vostro padre e l'unica cosa che vi rimarrà di me saranno queste cicatrici >, dissi, sentendomi colpevole nel profondo, incapace di alleviargli quel dolore che sapevo, stava provando, < e la camicia rammendata >.
Una risata spezzò il silenzio.
Quando la sua mano sfiorò la mia, rinchiudendo gentile le mie dita in un intreccio, Klaus si voltò verso di me, riducendo il più possibile il vuoto che creò quel movimento. In quel frangente, la  mia mano libera accarezzò il corpo di Klaus per poi depositarsi sul suo petto. Mi ritrovai a sollevare di sua volontà il mio volto e, mentre mi perdevo nelle sensazioni che mi provocava la sua vicinanza, lui mi accarezzò una guancia, facendo scivolare il dito lungo il collo, sul braccio per infine stringere la mia vita.
Senza che vi fossero parole tra di noi, riuscii a cogliere una luce scura nei suoi occhi limpidi. In me si fece avanti un moto di inquietudine, chiedendomi quanto gli fosse costato macchiare la sua spada del sangue di suo padre.
Desideravo che quella sua nota venuta ad adombrare i suoi occhi svanisse. Desideravo sentirlo vivo, come lo avevo sentito nella stanza della mappa. Desideravo cogliere quel bagliore nei suoi occhi, perché quella parte di lui, quella dove pensieri e dolore si annullavano, c’era e questa volta, lo decisi in quell’istante, avrei combattuto io per vederla divampare di nuovo.
< Siete sicura che io non abbia alcun ascendete su di voi, Miss? >, soffiò, avvicinandosi.
Mi chiesi cosa mai avesse letto nel mio sguardo o cosa il mio corpo gli stesse trasmettendo. Ancor di più mi chiesi cosa un uomo come lui, un pirata che aveva viaggiato e conosciuto altre donne, avendo avuto avventure o storie con queste, vedesse in una ragazza come me, che passava i suoi giorni ad organizzare eventi per la città, a curarsi che queste fossero perfette.
< E io? Io ho qualche ascendete su di voi? >, sussurrai, assottigliando gli occhi.
Lui sorrise, avvicinandosi al mio volto. 
< Lezione numero tre … Caroline: non portare mai un pirata a desiderare qualcosa, perché se lo prenderebbe senza chiedere il vostro permesso >.
Mi ritrovai in balia di una tempesta, quando il suo volto si avvicinò al mio, quando le sue mani mi strinsero a lui,  tornando ad  aizzare quel pizzico di elettricità.
< E voi cosa desiderate, capitano? >, sussurrai, mentre provavo ad agitarmi per non affondare nel blu dei suoi occhi.
< Lo avete chiesto, adesso mi spingete ad ignorare le buone maniere >.
Le sue labbra accarezzarono la mia guancia, trasformandosi in un bacio delicato sulla mandibola, un altro sul collo, costringendo il mio petto ad abbassarsi e alzarsi sempre più veloce.
< Siete un pirata, è usanza per voi non osservarle, come anche chiedere il permesso per qualcosa >. Ascoltando più il rumore del mio cuore contro il petto che quello che aveva la mia voce, chiusi gli occhi ad un’altra carezza sul collo. Le sue mani, dalla mia vita, iniziarono a muoversi lungo la mia schiena, ad accarezzarmi i capelli, come se volesse sfiorare i miei desideri e pensieri più nascosti. 
< Invece devo se si tratta di una donna come voi >, soffiò sulla pelle, scostandomi una ciocca dorata dalla spalla.
Il mio cuore iniziò a veleggiare verso quel richiamo che avvertivo tormentarmi da quando quella sua voce aveva interrotto il silenzio nella sala della mappa. Eppure, arrendermi a ciò che volevo, avrebbe significato finire in acque territoriali che neanche io conoscevo.
Ero pronta a finire per questo? 
Quando incontrai i suoi occhi, profondi e oscuri abissi, così pieni di tentazione da farmi rabbrividire, notai quanto anelassi esplorare quelle acque sconosciute da cogliere i miei pensieri e il mio cuore completamente fuori rotta. Ancora prima di pensarlo o di rendermene conto, mi ero arenata  sulle coste sconosciute della sua terra.
< Allora lasciate che sia io a non osservarle >.
Accarezzandogli il volto, sentendo un sottile strato di barba sotto i miei palmi, le mie labbra si posarono sulle sue e il loro sapore, la loro morbidezza, la loro consistenza e presenza perfino, mi rapirono, depravandomi della mia anima. Dopo un attimo di esitazione, Klaus iniziò a stuzzicare, a cercare le mie, e in un ondeggiare di respiri e sospiri, quelle labbra erano diventate leggere come le onde, gentile come l'acqua che accarezza la spiaggia in un'eterna consolazione. Quel formicolio pari ad sfrigolii sparsi in tutto il mio corpo, non erano altro che la spuma di quelle onde
Mi lasciai scivolare sul materasso, accogliendo con un brivido di eccitazione il suo peso sul mio corpo. Fu allora che Klaus si distaccò da me, privando le mie labbra del suo tocco. Lo osservai studiarmi e cercare nei miei occhi una nota di incertezza che sapevo non avrebbe trovato. 
Inumidendomi le labbra, per dargli conferma di quella voglia e speranza che leggevo nei suoi occhi e che il suo corpo mi trasmetteva, mi avvicinai a lui e accarezzandogli l'addome, lanciandogli una veloce occhiata, premetti le mie labbra sulla sua pelle. Ancora e ancora.
Lo avvertii sorridere e quella consapevolezza di essere riuscita a fargli dimenticare la sua vita libertina, di essere riuscita a sovrastare quel bagliore di oscurità nei suoi occhi con un po’ di luce, era pari alla voglia che io avevo di lui.
Sorridendo a mia volta, gli accarezzai il petto, portando le mie mani ad allacciarsi dietro al suo collo, mentre percepivo le sue mani fermarsi sul mio ginocchio e un secondo dopo risalire lungo la coscia, sotto il vestito. Quando la bocca di Klaus mi abbandonò per depositarsi famelica sul mio ventre, non riuscii a capire se a farmi rabbrividire fu il freddo o il troppo caldo. Contorcendomi nel buio che mi circondava, sotto le labbra e il respiro di Klaus, mi accorsi solo vagamente l’attimo in cui mi privò del mio vestito e ripercorse ogni centimetro del mio corpo con baci e carezze.
Quei tremiti e quel calore tornarono ancora più forti, vorticanti ed intensi, quando mi ritrovai a baciare di nuovo le sue labbra. Insieme al trambusto e al chiasso, assaggiai le labbra, spinta da quell’onda di desiderio improvviso che portarono con sé. Esperte, le due linee rosse e calde si impadronirono del mio controllo in precario equilibrio, piegandomi ad esse e a quel sapore di selvaggio e di libertà, elementi di cui erano plasmate.
Riavendolo vicino, iniziai a giocare con i suoi capelli, corti e ricci. Assaporai l’emozione che nacque in me, quando ogni ciocca dei suoi capelli passò tra le mie dita e le mie labbra rubarono al pirata un nuovo caldo bacio. Quando la sua mano mi fermò, alzando il mio viso, una vertigine mi colse di sorpresa. Ebbi la sensazione di andare a fuoco sotto lo sguardo di Klaus, carico di desiderio.
Lo vidi chinarsi alla mia altezza, depositando un bacio sulle mie labbra, dapprima innocente, vellutato, trasformandosi in successivamente in un rude bisogno di sentire di più, di volere di più. Agitandomi sotto il suo corpo, sospirando, la sua lingua accarezzò umida le mie labbra, introducendosi nella mia bocca. Lo lasciai fare, bramosa di cogliere le reazioni che provocavano in me i suoi atti di devozione.
Senza che me né accorgessi, Klaus riuscì a districare le mie mani trai suoi capelli e, senza distaccare le sue labbra dalle mie, portò le mie braccia sopra la mia testa.
Un suo sussurro. Il mio nome, e il mio stomaco si contorse, costringendomi a stringermi a lui, ad aggrapparmi a quel corpo come se si trattasse della mia ancora incagliata negli scogli.
Il suo corpo si adagiò maggiormente sul mio, mandandomi in estasi per il contatto.
Quando interruppe il bacio, facendo scivolare le sue labbra sulla mandibola, sentendolo mordicchiarmi e stuzzicarmi, una vampata di calore mi spinse ad abbandonarmi ancor di più a quelle sensazioni. E allora mi convinsi  che in balia di quel mare in tempesta, l’unico modo per salvarsi era perdersi.
< Sei profumata come la spuma del mare >, sussurrò, respirando nell’incavo del mio collo, facendomi reclinare la testa all’indietro, < delicata come il vento sul viso >, con ogni fibra del mio essere sentii la sua bocca scendere, baciami trai seni e sul ventre, < calda come il sole sulla pelle >, e il suo corpo fu di nuovo sul mio, le sue labbra premute sulle mie. < Inizio a pensare che le sirene abbiano il tuo aspetto >, disse, sussurrandomi piano all’orecchio, intrecciando al suo dito una ciocca dei miei capelli dorati.
E io iniziavo a pensare che quelle creature misteriose potevano avere la sua voce, quel timbro sensuale che riusciva a rendermi completamente instabile, tentandomi e ammaliandomi come il canto di vere sirene.
< Dovrò limitarmi a baciarti >, disse, Klaus portando un suo dito sulle mie labbra per accarezzarle, < sono rosse e gonfie, incredibilmente provocanti per rinunciare a stuzzicarle. Vuoi che mi fermi, Caroline? >.
Volevo solo che mi facesse sua. Questo volevo e desideravo.
Come risposta alla sua domanda, unii ancora le mie labbra alle sue. Lo sentì mordere il mio labbro inferiore, tirandolo leggermente. Come reazione spontanea strinsi le mie gambe intorno alla sua vita, ancorandomi con le braccia alle sue spalle larghe.
Lanciandomi un’occhiata, sorridendomi beffardo, mi ritrovai a gemere quando la sua bocca si spostò sui miei seni, iniziandoli a torturare in una scia di baci e carezze.
< Klaus >.
Lo chiamai. Per la prima volta.
I baci si fermarono per un secondo, di colpo. I suoi occhi furono su di me. In quello scambio di sguardi, c’era solo il mio respiro veloce. Ricevetti un bacio dolce, come se in esso vi fosse riversato la luce della prima alba e l’ultima del tramonto, quell’attimo che ti congela parole e pensieri. E con esso, con quella nuova unione, divenni consapevole che gli avevo consegnato le chiavi per aprire il mio scrigno nel quale avevo custodito il mio cuore.
Uno spostamento di aria, veloce e fresca, colse il mio volto, seguito dal fruscio dei pantaloni di Klaus cadere in qualche angolo della stanza.
Avvertii di nuovo le sue mani sul mio corpo, il suo peso su di me, e all’improvviso il mare divenne terra, la terra divenne mare. Acqua e cielo si invertirono di posizione.
Accarezzai il caos, ma al col tempo trovai il mio posto, riacquistando il mio equilibrio, conquistando il mio mondo.
Klaus si iniziò a muovere dentro di me, e la sensazione di pienezza e di amore si propagò oltre il tempo e lo spazio, oltre il mare e la terra.
Forse pronunciai il suo nome ancora, ma lo strinsi a me, come se avessi paura di perderlo, come per impedire alla corrente del mare sotto di noi di portarlo via da me.
Con un sorriso che gli illuminava il volto e gli occhi, lo vidi scivolare al mio fianco. Voltandomi verso di lui, guardandolo, vidi una piccola fitta di dolore passargli il viso, come un lampo improvviso in mezzo ad un cielo limpido.
Le ferite. Il sangue. Quella scena.
Mordendomi il labbro inferiore, raccolsi la coperta ai miei piedi. Ignorando lo sguardo curioso che mi iniziò a seguire in ogni mossa, lo scavalcai e prima che potesse dire o fare qualcosa, lo avvolsi nella coperta. Non so se lo feci per proteggerlo o per rassicurarlo, ma lasciando piccoli baci sulla pelle fredda, mi avvicinai alla sua schiena, sperando che con calore del mio corpo, della mia vicinanza, quel dolore gli venisse meno.
Prima di chiudere gli occhi, lo vidi sorridermi e rilassare il volto del viso in un’espressione finalmente felice.
 
 

 
Dando le spalle alla nave, osservavo oltre la figura di Elijah, in direzione del porto. Klaus si era rifiutato di accompagnami e aveva affidato al suo secondo di aiutarmi a rintracciare Marcel Gérard. Con il suo aiuto, sarei riuscita a tornare a New Orleans, a casa, dalla mia famiglia.
Per la prima volta dalla notte del naufragio, non riuscivo a pensare a loro, loro che avevano occupato gran parte dei miei pensieri.
La mia mente risuonava del nostro addio.
< Ti rivedrò un giorno? >.
< Forse >.
Abbassando lo sguardo, accarezzai il bracciale che alla luce del sole scintillava.
< Addio Caroline Forbes >.
Un addio.
No, per me non era un addio. Lo avrei rivisto un giorno, me lo sentivo.
< Arrivederci, mio Capitano >.
 







Note Autrice.

E dire che il mio pirata per eccellenza è Jack Sparrow, poi sono arrivate Vittoria ed Elisa con la loro idea di darsi alla pirateria, ed eccoci qua…
Questa volta niente note o precisazioni su ciò che è la storia. Forse dovrei chiamare quest’ultima parte I Ringraziamenti dell’Autrice.
Voglio solo ringraziare di cuore le ragazze che hanno letto la mia storia, chi l’ha votata e le admin del gruppo,  poiché senza la loro idea questa storia non sarebbe mai stata scritta.
Quindi: GRAZIE!
Anzi, siccome il modo migliore che ho per dirvi grazie, è scrivere, a breve potrebbe arrivare una piccola sorpresa!
 
Lily 

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Capitolo 2
*** Amore Clandestino [POV KLAUS] ***


Questo aggiornamento non è un vero e proprio secondo capitolo, poiché la storia è nata come os.
Ho voluto scrivere qualcosa per ringraziare le ragazze che hanno letto, ma soprattutto votato Amore Clandestino per il secondo contest indetto dal gruppo 
“Klaroline and Klaus Fanfiction addiced” su facebook.
 
Quindi GRAZIE ragazze.
Grazie Daiana, Maela, Sara, Marta, Valentina, Marina, Alessandra, Laura, Monica e Alessia.
Spero che l’ultima parte della os scritta seguendo in pov Klaus vi possa piacere.

Buona lettura!

Con affetto,
Lily 




                                    

 


Il dolore arrivò prima della consapevolezza di stare riprendendo coscienza.
I miei pensieri, annebbiati dall’eco lontano e vago del rumore della frusta che calva con decisione e forza su di me, erano annebbiati dai ricordi; scene confuse, mischiate e distorte alle quali non avevo la forza di dare loro un senso.
Un sospiro poco distante da me, infine, mi convinse di essere sveglio.
Quando aprii gli occhi, strizzandoli per la luce che li investì, la prima cosa che questi focalizzarono con fatica, fu una sagoma dai dolci contorni, una chioma bionda, dove ciocche di capelli dorate, alcune calate sul viso e altre che scendevano sciolte lungo la spalla, si andavano ad intrecciare tra loro, formando boccoli così simili a spirali.
Nel sottile ronzio che avvertivo invadermi la testa, unii e collegai quei dettagli che mi balzavano agli occhi con lei, la ragazza. Miss Forbes.
Le immagini distorte dal dolore si andarono ad incrinare, quando a cogliermi fu un giramento di testa. Ebbi l’impressione di essere in preda alla nausea, come se la nave stesse solcando acque in tempesta. In quella triste sensazione, comparvero i momenti vividi della punizione che Mikael aveva ordinato di impartimi. Tra urli trattenuti e occhi chiusi con forza, comparve chiaro il volto di lei. Mentre sentivo il mio corpo venire martoriato dalla frusta, scosso ad ogni colpo da un nuovo tremito, la sola cosa che riuscii a sentire e sulla quale mi concentrai, era la voce di lei.
< Lui non vi chiederà mai pietà >.
Come se un folata di vento mi avesse sferzato il volto, tagliandolo e marchiandolo con un piccola e rossa ferita, frammenti di ricordi si unirono ad altri, e io ricordai quanto quella parole mi avessero fatto male nel coglierle imploranti e disperate.
 < Lo faccio io, vi prego, date ordine di smetterla. È colpa mia, non sua >.
In un attimo, il dolore che aveva lasciato al suo passaggio la frusta nel nostromo sulla mia schiena scoppiò di nuovo. Avvertii il calore delle ferite bruciare e scavare nella mia mente con l’intento di essiccare ogni mio respiro.
Serrando la mandibola per trattenere un lamento, socchiusi gli occhi e circondata dalla luce creata dalle tremolanti fiammelle delle candele, c’era ancora lei. A capo chino, immersa in chissà quali pensieri, fui felice che nell’oscurità che avevo dentro vi fosse uno spiraglio di luce.
Un sospiro fu l’unico segnale che mi diede la forza per riuscire a formare delle parole e pronunciarle, ignorando le fitte che mi paralizzano la schiena.
< Siete preoccupata per me, Miss Forbes? >.
La mia voce suonò stanca, ma questo non mi fermò nel vedere quegli occhi spalancarsi per la sorpresa di sentirsi interpellata dal mio tono. I suoi occhi saltellarono su di me, scorrendo con mano invisibile il mio viso, immergendosi nei miei. A quel tocco, mi invase un senso di tranquillità e quella stessa sensazione ebbe la forza di andare ad inibire il dolore delle ferite.
< Caroline >, disse.
Mi mossi, ignaro della pelle che ricominciò a tirarsi lungo le lesioni sulla schiena. Increspai la fronte, mettendo a tacere quel dolore.
< Come? >, dissi, gettando un respiro di fuori, cercando una posizione più comoda.
Puntai i gomiti sul materasso con l’intento di alzarmi, ma la sensazione di sentire la cute strapparsi per lo sforzo, canalizzando il dolore e il bruciore nei grafi, mi provocò un tremore in tutto il corpo, concentrandosi nelle braccia. Strinsi i denti e proprio quando stavo per abbandonarmi, permettendo al dolore di invadermi le ossa, sentii la mano di lei posarsi sulla mia spalla. I suoi capelli mi sfiorarono la pelle e quella carezza inconsistente, quel formicolio venne a sostituire il tremore provocato dal dolore.
Come se fosse bastato quel contatto, fui scaraventato indietro a, forse, poche ore prime: era corsa da me, nella confusione che mi avvolgeva, la sua mano riscaldava e confortava mio volto. Il calore contro il freddo che la notte sopra di noi mi gettava addosso era solo secondo al dolore che presto mi avrebbe congelato i muscoli e la mente.
< Mi dispiace, mi dispiace così tanto >.
Nella mia mente, rividi i suoi occhi pieni di lacrime. Nella mia mente ricomparve quel pensiero che non avrei permesso ad una sola lacrima di solcare le sue guance rosse, mentre l’azzurro delle iridi diventava elettrico, così espressivo da lasciarmi incantato.
Prendendo coscienza di quel suo tocco quasi impalpabile, mi avvicinai a rilassarmi, a calmare il mio mare in tempesta, che dentro di me si agitava e si infuriava per poter liberare tutta la sua forza, ma la mano posata sulla mia spalla, il calore che ignara mi donava, si scostò di colpo e io mi ritrovai a spalancare gli occhi, ritrovando la ragazza lontana.
In una muta ed insistente chiamata silenziosa, cercai quei due occhi, li chiamai a me, fissando quei tratti di un viso in fiore. Come attratti, le iridi chiare sprofondarono nelle mie, mentre dimenticavo di nuovo cosa fosse il dolore e con quanta intensità mi facesse del male.
< Caroline, è il mio nome >, ripeté piano, allontanando di nuovo il suo sguardo dal mio.
Inclinai il volto, cogliendo una nuova invitante gradazione del colore della sua pelle: le sue guancie si erano colorate di un delizioso color pesco. Mentre le sue mani si sfogavano con la stoffa che aveva adagiata sulle ginocchia, riuscii a cogliere un nuova parte di lei, quella più timida ed innocente.
< Vi ho ricucito la camicia >.
Quando riconobbi il tessuto nelle sue mani, sorrisi, sorrisi come solo lei avevo scoperto poteva riuscire a fare.
< Siete sicura di saperla maneggiare? >, domandai inarcando un sopracciglio.
Lei così fine ed elegante nei movimenti e nei tratti del viso da darmi l’impressione che anche solo tenendo in mano la spada si potesse ferire, mi aveva stupito. Con un passo nella mia direzione e un colpo di spada, mi ritrovai nella camicia un strappo a fare bella vista di sé. Sollevai il mio viso per replicare, quando incontrai il suo inclinato e arricchito da un sorriso soddisfatto, senza smettere di sfidarmi spavalda.
Mi porse la maglia, sfoggiando orgogliosa il lavoro rigoroso e curato. Allungai la mia mano, sfiorando l’orlo bianco, intercettando le sue dita affusolate. Lanciandole un’occhiata, feci scivolare veloce la mia mano lungo la stoffa, sentendo al tatto la sua ruvidezza fino a quando questo senso non fu sostituito da qualcosa di vellutato. La mia mano si chiuse sulla sua, creando un contatto di cui, lo scoprii amaramente, ne stavo diventando sempre più avido.
< Vorrei tornare nella mia stanza se non vi dispiace >, dichiarò, portando il suo sguardo dritto verso la porta.
< E la mia maglia chi la rammenda? >.
E adesso lo aveva fatto, aveva riparato quel suo strappo.
Le accarezzai il dorso della mano in un impercettibile movimento del dito. Fu le a rompere quel filo di connessione, allontanandosi, iniziando a curiosare con lo sguardo per la stanza.
Curiosare. Era un’altra parte di lei che avevo imparato.
Altre scene si andarono ad incastonare nei ricordi che riaffioravano nella mia mente; i suoi passi timidi ed incerti nello studio, quell’aria sognante con cui aveva osservato ogni oggetto abbandonato su scaffali e tavolini, la lentezza con cui aveva sfiorato il foglio della cartina geografica raffigurante il Mondo.
< Vi piace? >.
E quella riverenza con cui aveva raccolto nelle sue mani una piccola pietra, quasi sfociante nella paura quando aveva iniziato a sfiorarla.
< Presumo che sia rubata >, rispose alla mia domanda, riprendendo il controllo di sé e raccogliendo la pietra che aveva fatto cadere per lo spavento. < Quindi no, ai miei occhi perde tutto il suo fascino >.
Ero rimasto incantato. Non riuscivo a capacitarmi come l’esuberanza e la ferma volontà di sfidare Mikael potesse conciliarsi con la regalità con cui si muoveva.
Mikael.
Al ricordo di mio padre, d’impeto mi cercai di alzare, trattenendo un lamento tra le labbra. Mettendo i piedi a terra, alzandomi, chiusi gli occhi quando una leggera frescura mi invase il corpo. Il freddo strisciante delle fondamenta della nave mi diede l’impressione di gettare acqua gelida sulla mia schiena in fiamme.
< Ho sentito che adesso siete voi il capitano >.
Trattenni il respiro, chiedendomi cosa fosse successo durante il mio periodo di incoscienza.
< A si? >, dissi, lanciando alla ragazza una veloce occhiata da dietro la spalla.
Sarei dovuto andare da Elijah per sapere con esattezza come stavano le cose. A quel pensiero, qualcosa dentro di me si ribellò alla condizione di privarmi ancora di quella testarda, temeraria, dolce compagnia. 
In lotta con me stesso, avanzai un passo lento aspettandomi una fitta di dolore che non arrivò. 
Il senso del dovere mi diceva di uscire da quella stanza, di andare da mio fratello, ma le mie gambe mi condussero davanti al catino dell’acqua, dove mi specchiai nella sua superficie liscia. I miei capelli erano scompigliati, il mio volto stanco.
Ad un tratto, i profili del mio volto specchiati nell’acqua si distorsero, venendo alterati dai ricordi. Con una violenza tale da appesantire le mie spalle, arrivò l’attimo del primo colpo della frusta, il secondo, il terzo.  Sentendo la rabbia incominciare a ribollire dentro di me, avvertendo quelle ferite pulsare, vibrare alla violenza del colpo, sembrò che questo riuscisse a scavare in quelle crepe sanguinanti ancora più a fondo. Il mio respiro si fece irregolare e, stringendo i bordi del recipiente colmo di acqua, inspirai profondamente, come avevo fatto al settimo colpo di frusta. All’undicesimo, quel suono sinistro e ripetitivo capace di risuonare come un eco continuo e sinistro dentro il mio orecchio, rimbombando in tutto il mio corpo in violenti scossoni, svanì.
Il dolore, quello no.
Con un movimento deciso, immersi le mani nell’acqua, interrompendo quella visione, gettandomi le mani ricolme del liquido freddo ed incolore sul viso. Rimasi ad occhi chiusi, con le mani a nascondere il viso.
Dopo tante promesse e minacce ringhiate, avevo ucciso Mikael. Il rumore dello scontro del corpo con l’acqua si sostituì a quell’eco ronzante nell’orecchio, chiedendomi con quale forza in corpo fossi riuscito a disarmarlo e affondare la mia spada nel suo costato, guardarlo con occhi sbarrati e ricolmi di rabbia e gettarlo oltre il parapetto della nave.
< In ogni caso domani sarò libera e potrete incantare altre donne >.
< Attenta Miss, il capitano ha detto che vi lascerà andare, non che sarete libera >.
< Quindi cosa ne farà di me? >.
< Con ogni probabilità? Vi venderà come schiava al miglior offerente >.
< Come … schiava? >.
Ecco da dove avevo attinto alla forza. Mi ero promesso di salvarla.
< E poi voi siete straordinariamente bella. Non mi piace pensarvi a servire qualche uomo o prendere ordini da donne che fanno di tutto per apparire eleganti e fini, come lo siete voi >.
Avevo promesso.
Adesso potevo mantenere quella promessa. Ignorai la domanda se lo volessi davvero.
< Vorrà dire che come mio primo ordine sarà la promessa che domattina vi lascerò libera >, dissi, asciugandomi il volto con un panno.
Mi voltai e scontrandomi con al sua figura, vidi l’incredulità disegnata su quel bel viso.
L’avrei lasciata libera, libera di vivere la sua vita, libera da me.
La luce soffusa e scarsa delle candele sembrò tremolare, per un attimo oscurarsi. 
La nebbiolina composta dal rosso delle ferite, dal sangue e dalla pelle che tirava lungo le ferite, tornò più fitta e più grigia di prima, lasciandomi l’angoscia di ritrovami avvolto dalle sue spire.
< Cosa c'è, Miss? >, le domandai, cogliendo un primo bagliore di agitazione.
Avvicinandomi lento, vidi i suoi occhi incupirsi, guardarmi con tristezza.
Ad inibire i miei sensi, si fece avanti il dolore, che dentro di me iniziò a stiracchiarsi, pronto ad attaccare di nuovo ogni singolo muscolo del mio corpo.
Trovandomi di fronte a lei, captando quasi il suo profumo, nel suo movimento di alzarsi, deglutii quando i miei occhi presero a seguire i movimenti della sua mano, che, timorosa e timida, si arrestò vicino al mio petto. Mi immobilizzai quando il palmo caldo si adagiò come piuma sulla mia pelle.
Di vitale importanza era per me imprimere nella mia mente quel suo volto concentrato a seguire la linea che tracciava la sua mano lungo le mie clavicole.
Di vitale importanza era per me, marchiare la mia pelle con il calore che quella creatura che mi fronteggiava, riusciva a trasmettermi, scaldandomi, curandomi da quei ricordi che pochi minuti prima sembravano avessero urlato l’arrembaggio ai miei pensieri.
Evitai di respirare per la paura di sospingere via quella bolla che si era formata intorno a noi e dentro la quale tutto ciò che era successo, chi ero stato prima di lei, sfumò.
La nebbia che mi avvolgeva, tornò a diradarsi.
Trattenni il respiro, quando cercò di riprodurre il tatuaggio che ritraeva la piuma, sulla mia spalla sinistra. Percorrendo il suo contorno, la voglia di sfiorarla, di accarezzarla a mia volta mi invase, ma prima che potessi accarezzare i capelli, inondarmi del suo profumo, lei si mosse piano, girandomi intorno senza che questa volta la sua mano si allontanasse da me. Chiusi gli occhi, ritrovandomi cullato come se fossero le onde stesse del mare a far rilassare i miei muscoli, ad abbassare le mie barriere, a lasciare che quel tocco, che quella ragazza curasse le mie ferite. Era una sensazione così simile al sentirsi in totale equilibrio e in pace dal ritrovarmi tentato di abbandonarmi a lei. Ma quel senso di calma che mi invase, si incrinò di colpo, poiché sentii il suo corpo avvicinarsi al mio, il suo viso contro la mia schiena.
< Cosa state facendo? >, dissi, e questa volta non riuscii a mascherare la mia sorpresa.
Ancora una volta mi ritrovai in lotta contro me stesso: il mio istinto mi chiedeva di allontanarmi, ma quella parte avida di lei sovrastò il rumore di quella richiesta, lasciando che quel contatto si protraesse ancora nel tempo.
< Avete subito quasi trenta frustate, avete ucciso vostro padre e l'unica cosa che vi rimarrà di me saranno queste cicatrici >, sussurrò, intanto che il suo respiro mi solcava la pelle nuda con la stessa essenza di una brezza mattutina. < e la camicia rammendata >.
Cogliendo la maglia abbandonata ai piedi del letto, sorrisi, decidendo che di quel momento mi sarei preso tutto.
Sfiorai la sua mano, liscia e calda. Avvicinandomi alle sue dita, le intrecciai con le mie e mi voltai. Sfiorai il suo mento, alzando il suo volto. Rimirandolo, lasciai scorrere il mio dito lungo il collo, facendolo discendere sul braccio scoperto. Il pensiero che in qualche modo, qualcosa o qualcuno l’avrebbe potuta colpire, macchiandola, mi fece stringere di più la sua vita, attirandola a me.
Lessi il suo volto inclinato di traverso, la sua bocca leggermente socchiusa, il suo respiro che abbassava e sollevava il suo petto, riducendo e annullando la distanza che ci avvicinava. Avevo l’impressione di udire i battiti del suo cuore scontrarsi con il suo petto, trasmettere il loro rintocco nel mio.
< Siete sicura che io non abbia alcun ascendete su di voi, Miss? >.
< E io? Io ho qualche ascendete su di voi? >, bisbigliò, assottigliando gli occhi.
Sorrisi, avvicinandomi con il volto a lei.
Quel misto di malizia ed innocenza, di consapevolezza ed inconsapevolezza che metteva in ogni suo gesto inconsapevole, in quelle parole che poteva trasformale in armi per ferire o per provocare, in quell’occhiate a volte da bambina e a volte di donna, mi faceva girare la testa e impazzire..
< Lezione numero tre … Caroline: non portare mai un pirata a desiderare qualcosa, perché se lo prenderebbe senza chiedere il vostro permesso >.
La strinsi a me, sentendo come il vestito sotto il palmo della mia mano si stropicciasse, assaporando solo con il pensiero la delicatezza che aveva la sua pelle, mentre vidi le più tempestose delle emozioni attraversarle il volto, l’una prendere il posto dell’altra.
< E voi cosa desiderate, Capitano? >, chiese, ammiccando al mio indirizzo con lo sguardo. 
Controllo, potere, piacere. Lei.
I miei occhi corsero alle sue labbra e sulle mie riaffiorò il ricordo di quel primo bacio rubato, al sapore di quelle due linee, vittime di un carnefice che le aveva gettate in un vortice di passione.
< Lo avete chiesto, adesso mi spingete ad ignorare le buone maniere >.
Sorrisi segretamente quando mi avvicinai alla sua guancia, sfiorandola con le labbra, baciando la sua mandibola.
Sentivo i suoi brividi, il suo corpo fremere in turbinio di desiderio capaci di istigare il mio.
< Siete un pirata, è usanza per voi non osservarle, come anche chiedere il permesso per qualcosa >, disse con voce tremante.
In quelle avventure passate, di quelle donne che avevano abitato le mie notti, non ne ricordavo una che fosse riuscita davvero a scaldarle. Divertimento, attimi dove farmi scivolare di dosso quella vita vissuta ai piedi di mio padre.
< Invece devo, se si tratta di una donna come voi >, ammisi, portando una ciocca dei suoi capelli color d’oro dietro l’orecchio.
Lei non era come quelle donne di Singapore o dei bassi borghi di una grande città. Al contrario. Con lei non mi sarei mai comportato come con le altre. Forse per quel potere di disorientare le mie pene, forse per quei suoi modi a volte da bambina altre da donna, c’era qualcosa in lei che mi attraeva, sospingendomi sempre più vicino.
Sovrappensiero, iniziai ad accarezzarle la schiena in un lento percorso, come se io stesso volessi orientarmi trai i miei dubbi e le mie emozioni.
Le sue mani scivolarono lente sul mio petto per andare a sfiorare il mio volto.
< Allora lasciate che sia io a non osservarle >, bisbigliò, guardandomi.
Le sue labbra arrivarono d’impeto, scontrandosi con le mie, come l’acqua salata e agitata si scontra sugli scogli, alzandosi e rituffandosi in mare il secondo dopo. Il rumore, il frastuono che riuscirono a scatenare in tutto il mio corpo era tale da tentarmi nel retrocedere di un passo. Non lo feci, non ne avevo bisogno, perché il sapore delle sue labbra portò di nuovo le acque del mio mare privato, calme e trasparenti.
La sentì distaccarsi per un secondo da me. Questa volta non glielo permisi. Incatenandola a me, legandola al mio corpo in un abbraccio deciso, ma così gentile da apparire stonato all’urgenza che le mie labbra stavano portando quel nuovo bacio, la respirai agognante.
Con gentilezza, la costrinsi a compiere  un passo seguito da un altro senza mai lasciarla. Si lasciò guidare e scivolare sul letto. Quando mi sdrai su di lei, sentendo il suo corpo aizzarsi sotto di me, mi sembrò di essere disteso sotto il sole caldo, e quelle mani che mi esploravano avide potevano essere i raggi caldi e alti nel cielo.
Cercando e trovando le sue labbra, lasciando su di esse un mio nuovo bacio, mi distaccai da lei per osservarla. Folte ciglia dorate incorniciavano i suoi occhi, come i capelli biondi erano sparsi sul letto liberi e disordinati. Si inumidì le labbra passandoci la lingua, e io dovetti frenarmi dal divorare ogni centimetro del suo corpo.
Lanciandomi un veloce sguardo, facendo vagare le mani sul mio addome, si sollevò e baciò la mia spalla, la base del mio collo, mentre i suoi capelli non facevano altro che solleticarmi, che invogliarmi a diventare dipendente di quella creatura.
Tutto era lontano. Ancora una volta era grazie a lei.
Percepivo il suo senso di smarrimento investirla, mentre cercava di regolare il suo respiro sempre più agitato a contatto con le mie labbra.
Quando iniziai ad accarezzare la sua gamba, oltrepassando l’orlo del vestito, sentendo quanto la sua pelle fosse calda e reagisse al mio tocco con tremiti e brividi, lei si strinse a me, allacciando le sue mani intorno al mio collo.
Le sue mani furono trai miei capelli, ingarbugliandoli tra le sue dita affusolate. Li tirò e io fui tentato di morderle un labbro in segno di protesta, ma mi limitai a fermarla, baciandola, osando di nuovo, provocandola. Sentendola agitarsi sotto di me, districai le mani trai miei capelli e le portai sopra la sua testa.
< Caroline >, bisbigliai, baciando ogni lettera di quel nome, come se fosse la sua pelle, come se fossero le sue labbra.
Abbandonai la sua bocca, facendo scorrere il mio corpo giù, con un gesto deciso, privai quel corpo del suo vestito. Come se fossi richiamato da una voce tentatrice, sul suo ventre depositai le mie labbra, beandomi come questo reagiva ad un mio sussurro, ad un mio accenno di riguardo.
< Sei profumata come la spuma del mare >, sussurrai, respirando la sua fragranza fresca e delicata, < delicata come il vento sul viso >, dissi, baciandola ovunque ci fosse qualche centimetro di pelle che ancora non avevo fatta mia, < calda come il sole sulla pelle >.
La vidi aprire gli occhi lentamente.
Avevo viaggiato, visto luoghi dove l’azzurro cambiava gradazione, cambiava la sua personalità, diventando a volte più scuro, a volte più chiaro, tuttavia, mai, in quei lunghi viaggi da sembrare interminabili, avevo colto una tale gradazione. L’azzurro e lo smeraldo delle sue iridi coniavano quella gradazione che sfoggiavano solo i mari del profondo sud, caldi, cristallini, limpidi da poter vedere il proprio fondale. E lei, quella creatura di sole e di mare che avevo dinnanzi ai miei di occhi, avevo scoperto essere proprio così: trasparente come l’acqua, impetuosa come il mare, calda come la sabbia.
< Inizio a pensare che le sirene abbiano il tuo aspetto >, le sussurrai suadente all’orecchio, intrecciando una ciocca dei suoi capelli intorno al mio dito, osservando quanto il suo volto avesse assunto un’aria sognante e remissiva. < Dovrò limitarmi a baciarti >, riflettei, percorrendo la figura delle sue labbra in una lenta carezza, < sono rosse e gonfie, incredibilmente provocanti per rinunciare a stuzzicarle. Vuoi che mi fermi, Caroline? >.
Assottigliai gli occhi, conscio della mia provocazione.
Lei si rimpadronì delle mie labbra, come se le appartenessero. Per dimostrarle il contrario, lasciai libero sfogo alle mie voglie, senza trattenermi. Senza remore, le morsi il labbro inferiore, che tanto mi stuzzicava e mi continuava a provocare. Una leggera pressione mi strinse i fianchi, sentendo come quel corpo si avvicinasse al mio ancora più avido, come se necessitasse di aggrapparsi a me per non lasciarsi portare via da quella corrente che stava investendo entrambi.
Sorridendo per il chiaro effetto che avevo su di lei, spostai la mio bocca sul suo seno, iniziandola a provocare in una scia di baci.
< Klaus >.
A quel sussurro appena accennato tra le labbra, mi bloccai. La guardai incantato, in balia delle mie stesse emozioni. Come poteva scomporre così la mia anima pronunciando solo il mio nome?
Ebbi la sensazione di trovarmi sotto litri di acqua, in essa nuotavo, mi dimenavo, ma non per l’urgenza di tornare in superficie, non per la voglia di tornare a respirare aria; mi dimenavo per quella sensazione di tranquillità e pace che mi stava invadendo.
La baciai dolcemente, un bacio lento, senza urgenza, perché quel tempo, quel luogo, era nostro.
Con un movimento veloce e fluido, privandomi dei pochi indumenti che avevo addosso, annullai pensieri e parole, dolore e ricordi.
Fu solo pace.
Le acque agitate nelle quali ero abituato a nuotare, a lottare per sopravvivere, si stavano calmando e, mentre un desiderio pari alla voglia di averla completamente si propagava in ogni parte del mio corpo, mi chiedevo se dopo la sua assenza sarei riuscito a tornare a sfiorare quelle serenità.
Scivolai al suo fianco. Il contatto immediato con il letto contro la schiena provocò una scarica elettrica che mi fece tremare le gambe per il dolore. Respirando ad occhi chiusi, sentii un movimento al mio fianco. Aprendo gli occhi, colsi la sua figura scavalcarmi e prendere un lembo della coperta ai nostri piedi. Con mio stupore, senza che riuscissi a proferire parola, mi lasciai avvolgere nella coperta e cullare della sue braccia. Avvertendo il suo corpo caldo contro la mia schiena, sorrisi al pensiero di quello scricciolo che cercava di proteggermi.
Chiusi gli occhi, intrecciando le nostre mani per mai più lasciarle.
Mi ero lasciato investire da quella sua luce. Adesso mi preparavo a tornare nelle tenebre.
L’avrei lasciata libera. Mi sarebbe mancata.

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