Diario degli sfortunati eventi - Michel B.

di StrychnineTwitch
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Giorno 1 - Il bicchiere di liquore ***
Capitolo 2: *** Giorno 2 - Il filo d'erba ***
Capitolo 3: *** Giorno 3 - La fase REM del kraken ***
Capitolo 4: *** Giorno 4 - Bianco per il Re, blu e rosso per la Francia ***



Capitolo 1
*** Giorno 1 - Il bicchiere di liquore ***


Diario degli sfortunati eventi di Michel B.
e di come un giorno qualsiasi possa trasformarsi nell'incubo peggiore



23/12/2014 - Il bicchiere di liquore

 

L'unica sensazione che posso percepire è il vuoto.

Sono un bicchiere. Uno di quelli piccoli che si usano per bere il liquore tante volte. Non sono una di quelle sorsate che dai direttamente dalla bottiglia mentre sei con i tuoi amici. Io sono diverso. Sono uno di quei bicchieri che stanno appoggiati sul tavolo alla vigilia di Natale, quelli che solitamente son tenuti dietro una vetrinetta tutto l'anno, e che durante le feste offri ai parenti.
Li riempi e poi giù.
Restano vuoti, ma è un vuoto pieno di qualcosa: l'aria, il residuo lasciato da qualcuno che di bere non aveva voglia, la macchia del rossetto sul bordo, l'infinitesimale granello di polvere, ricordo della vetrinetta. Un vuoto pieno di piccole cose che prese singolarmente sono trascurabili, ma che se sommate l'una all'altra formano una storia, e la raccontano attraverso le parole di chi ha appena posato le labbra sul bicchiere notando il freddo al contatto o di chi non se n'è nemmeno accorto.

Potrei accogliere un altro sorso, per la gioia altrui, fare mio l'ennesimo residuo e miscelarlo con i precedenti.

La verità è che più vengo riempito, più mi sento vuoto. Più le storie si accumulano, più la mia si annebbia.

Ho scelto di raccontare la vita degli altri perché è più interessante della mia. Mi piace intromettermi nelle storie e poi andarmene di nascosto, prendere qualcosa da ognuno senza in realtà togliere nulla. Faccio tesoro delle mie esperienze e le cucio l'una all'altra, in un patchwork colorato come l'arcobaleno; molteplici i disegni, infinite le sfumature.

Ogni situazione è per me spunto di domande, risposte, congetture, supposizioni. Riesco a creare un racconto, per quanto improbabile possa essere, su ogni singolo atteggiamento quotidiano e normale. È molto faticoso accogliere le cose così come sono, senza analizzarle e dar loro troppa importanza. Quello che la gente dovrebbe capire è che nulla è casuale, neanche la posizione in cui poniamo le parole in una frase. È tutto ricollegabile a qualcosa. Il lessico che usiamo, il modo in cui scriviamo, il fatto stesso di esprimerci su un foglio è significativo per il passato e per il futuro allo stesso tempo. Se oggi non fosse successo quello che effettivamente è successo ora non starei qui, con le mani sui tasti, con il ronzio del computer nelle orecchie, con la bottiglia di un alcolico qualunque al mio lato, a provare a mettere insieme un discorso sensato, che possa esprimere veramente il modo in cui sto. E allo stesso tempo influirà in modo imponente su ciò che sta per succedere.

Potrebbe cadere una mongolfiera nel parco in cui sto scrivendo, potrebbe finire esattamente sul mio computer e distruggerlo, cancellando tutto quello che è stato scritto. L'uomo sulla mongolfiera potrebbe chiedermi di salire e aiutarlo ad azionare il gas, ma questo potrebbe essere finito. Potrei trovargliene altro, potrei per sbaglio essere troppo in alto per scendere e dovrei necessariamente rimanere sulla mongolfiera per salvarmi da un lancio di trenta metri che mi condurrebbe molto più in alto. Proverei paura, timore, libertà e prigionia conviverebbero nello stesso istante. Ma sono solo supposizioni, poiché la più probabile delle teorie è che la mongolfiera atterri semplicemente sulla mia testa, e che il computer in realtà sia l'unico a salvarsi.

Michael B.

 


NB. A volte è meglio lasciare che una storia si presenti da sola, senza spiegarla, senza dover aggiungere nient'altro che non sia un nuovo capitolo.
Non deve importare al lettore se essa è stata scritta da lucidi, dopo uno o mille bicchieri. L'importante è la storia.
Quella di Michel B. è una storia particolare, perché forse quello che tutti qui devono ancora capire è che non si costruisce un libro su un ragazzo normale con una storia normale, qualcosa di straordinario deve esserci, che sia la storia, che sia il soggetto. Non so ancora se Michel B. (A proposito, B. viene da Baudelaire) sia un ragazzo speciale, o abbia semplicemente avuto la fortuna di avere una gran storia da raccontare, so solo che ora esiste qualcosa su questo personaggio inventato, con un nome francese che suona meglio di altri, che a qualcuno farebbe piacere leggere.
Benvenuti nella mia mente.
Natalie B.

 

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Capitolo 2
*** Giorno 2 - Il filo d'erba ***


Diario degli sfortunati eventi di Michel B.
e di come un giorno qualsiasi possa trasformarsi nell'incubo peggiore



29/12/2014 - Il filo d'erba

 

Mi piace guardare ciò che mi circonda con occhi diversi da quelli umani. È importante raccogliere ogni dettaglio che ci è dato, non perché sia importante essenzialmente, ma perché, nella nostra limitatezza di essere sensibili, è fondamentale che approfittiamo di ogni informazione che possa arricchirci e potenziarci.

Ecco, mi piace pensare questo.

Per fare un esempio, anche oggi sono in giardino, nell’angolo verde dietro casa nostra, a cui si accede solo dalla porta secondaria della cucina, come nei film americani. La panchina è posta proprio vicino all’ulivo: in estate concede una piacevole ombra, ma in questo periodo, qualche giorno dopo Natale, non protegge nemmeno dal sole più gelido.
La neve è caduta in questi giorni, il manto candido di lana congelata copre ogni singolo filo d’erba. Staranno soffocando là sotto? Respirano acqua in questo stesso istante. I loro polmoni verdi si staranno riempiendo mentre esalano gli ultimi soffocati respiri.

Questo è ciò che intendo dire. Mi piace immedesimarmi negli altri ed esplorare per un po’ di tempo la loro vita, con i loro occhi.

Non so proprio che occhi abbiano i fili d’erba, anzi, a dirla tutta non penso proprio che abbiano gli occhi, ma fingiamo per un momento che sia così, riescono davvero a nasconderli bene; forse vivono in un sonno eterno e per questo li tengono sempre chiusi. Chissà cosa si prova a vivere in un sonno perenne.

Se fossi un filo d’erba non vorrei svegliarmi. Che effetto fa trovarsi in un mondo sconosciuto dove tutti i nostri simili sono immobili e il loro sonno incorruttibile? Si sente la catastrofe imminente. In che modo porre fine a tale sofferenza? Niente braccia, occhi aperti, trattenere il respiro non serve a nulla.

Sono un filo d’erba, non ho motivo per vivere. Accolgo la neve fredda fuori e dentro di me, voglio riempirmene, bramo il riposo che attende la primavera, lasciatemi godere della lieve morte. La mia superficie liscia si fonde con la dolce fine, diventano tutt’uno nel silenzio di un urlo pieno di livore. Ogni parte di me lentamente si arresta, non percepisco le estremità, cesso di esistere. Forse se chiudo gli occhi tornerò nel mio mondo.
La vita è sogno, diceva un vecchio commediografo spagnolo. La vita è solo un sogno fatto ad occhi aperti, o chiusi, a seconda delle circostanze.

Il gelo si insinua nelle mie membra, come quando ero un sottile filo d’erba. Potrei tornare in casa, ma voglio sapere cosa si prova a sentire il corpo abbandonarsi al ghiaccio. Vorrei che tutto andasse a finire bene, lo vorrei davvero, ma non è mai così. Quante volte sono morto fino ad ora? Innumerevoli, non riuscirei a citarne nemmeno la metà. Chiudo gli occhi e l’infinito mi sovviene. Muoio e risorgo in continuazione, non c’è nessuno al mondo morto più volte di me. Anche oggi sta per succedere, ma non ho di che preoccuparmi: mi risveglierò qui, pochi secondi dopo la fine, mi alzerò e tornerò in casa al caldo. Non ho davvero di che preoccuparmi.

E mentre mi accingo a descrivere questo particolare ciclo, sento gli applausi in fondo all’ultimo atto. La mia mente gioca brutti scherzi, la morte si avvicina al mio cospetto. Non è una morte incappucciata di nero con la mano ossuta che regge la falce, sono stato molto più creativo al riguardo. La morte è una rotaia continua, la vedo, è sotto i miei piedi coperti dalle pantofole, la seguo passo dopo passo. Le massicce assi metalliche si susseguono infinite, poi, improvvisamente, si interrompono per sempre. Ecco cos’è la fine: l’ultima asse. Non si può tornare indietro, sei costretto a fermarti proprio sull’ultima asse. Non puoi che rimirare l’infinita oscurità che si staglia oltre la punta del tuo naso. Sta solo a te decidere come prenderla: puoi piangere perché sei fermo o puoi buttarti e vedere cosa succede.

Dopo tutte le volte che mi sono buttato in quel nulla senza fine, sono sempre tornato in vita. Le numerose esperienze ormai inscatolate nella mia memoria mi hanno fatto capire cosa scrivere nel diario che avrei cominciato. Il diario degli sfortunati eventi di Michel B., potrebbe diventare famoso. Peccato che sia costretto a fermarmi solo alla seconda pagina a causa di questa morte improvvisa. Forse questa volta rimarrò con gli occhi puntati all’infinito, non mi butterò.

Ormai le braccia sono più che intorpidite, sembrano passate ore da quando sono uscito, il freddo mi raggiunge il cuore passando per le vene.

Tum tum, tum tum…

Rallenta, vacilla, oscilla, ondeggia, è un vecchio ubriacone in mezzo alla strada. Ha paura, sa che non ce la farà.

Tum tum…

È l’ultimo battito, ciao mondo.

 
 
Avevo gli occhi già aperti, ma è come se si fossero appena dischiusi, ho ripreso a vedere ciò che per un po’ era sparito. Morire per il freddo non è doloroso come mi aspettavo, forse i fili d’erba smettono semplicemente di vivere, senza rendersene nemmeno conto.

Sulle rotaie questa volta c’era un fiore, ma i suoi petali erano avvizziti a causa della temperatura glaciale. Mi ha fatto pensare a casa e sono tornato.

 
 

Michael B.

 

 

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Capitolo 3
*** Giorno 3 - La fase REM del kraken ***


Diario degli sfortunati eventi di Michel B.
e di come un giorno qualsiasi possa trasformarsi nell'incubo peggiore



9/1/2015 - La fase REM del kraken

 

E ancora una volta mi stupisco dell'inverno che arriva. Il cambiare delle stagioni, lento e graduale, è l'unica situazione sicura che riusciamo a constatare durante la nostra vita. Mi illudo di sapere che a Dicembre farà freddo, ma non so mai veramente quando arriverà e in che modo: se sarà un cambio improvviso o se comincerò col mettere una canottiera e poi passare ai maglioni senza patire veramente lo sbalzo.

Quest'anno non mi sono accorto dell'arrivo improvviso della neve, dell'arrivo improvviso del Natale e nemmeno dell'ultimo dell'anno. È stato come se, da distratto osservatore del mondo, mi sia perso le parti principali per concentrarmi su un unico, singolo personaggio: me stesso.

Solo sentendo la folla gridare attorno a me "10...9...8...7" mi sono reso conto che tutto stava "6...5...4" ancora una volta "3...2...1" per finire. "Buon anno nuovo!"

Lo spumante di scarsa qualità mi è finito addosso ed è stato il mio occhio sinistro a farne le spese.

Ho evitato di imprecare, ho detto un addio frettoloso al vecchio anno, e per le successive tre ore mi sono sentito come in un limbo. In che modo dare il benvenuto al nuovo anno? Non era ancora arrivato il tempo di pensarci. Nonostante riconosca di essere un tipo meticoloso e preciso, in quell'istante, in quell'etere, ho desiderato essere il nulla nel nulla. Prendermi il mio tempo, rilassarmi senza concentrarmi su niente. Almeno nei primi istanti di questo nuovo periodo che si apre, ho preferito escludermi e perdermi in un universo infinito.

Non posso descrivere come sia stato, non esistono parole per farlo, forse solo una: fuori fase. Fuori fase rispetto al locale, fuori fase rispetto alla gente che mi circondava, fuori fase rispetto al mio corpo freddo, rispetto all stagioni e al perpetuo rotate delle sfere celesti. Esistevo senza vivere. E basta.

Buon inizio, Michel, è l'unico pensiero, se chiamarlo così non è un'iperbole, buon inizio verso la fine.

Poi son finite quelle tre ore, son tornato a casa e mi son messo a dormire.

Il mondo dei sogni mi affascina, nonostante non li ricordi spesso. Chissà perché i nostri neuroni cercano il modo di impegnarsi quando invece potrebbero riposare anch'essi. Forse è solo una strategia per evitare la morte. O forse è solo ciò che dicono: una marea di ricordi e desideri che, ammucchiati nei nascondigli più reconditi della nostra psiche, trovano il coraggio di uscire allo scoperto solo nel buio, quando noi, i loro possessori, siamo gli unici privilegiati a poterli scorgere nell'ombra. Nell'oscurità, celati agli occhi inquisitori del mondo, mettono in atto commedie indicibili, affascinanti a tal punto che al mattino non riusciamo a riconoscerne l’esistenza. Li banalizziamo soltanto perché non riusciamo a concepirli come reali, ma senza essi saremmo persi, relitti dell’ennesimo Titanic della nostra personalità.

Mi sono informato sui sogni e sul loro affascinante mondo, partendo da Freud e arrivando a soggetti come McElroy, che ci propongono teorie interessanti su come controllare i nostri viaggi notturni. “Sogni lucidi” si chiamano. Da ciò che sono riuscito a comprendere in quel mare di termini specifici, i sogni lucidi sono simili a quelli che faccio io, anche se da sveglio. Puoi decidere di comandare le tue azioni, basta che ti convinca di conoscere la differenza tra realtà e fantasia. È il solo modo che ci è concesso per sapere cosa sarebbe accaduto quel giorno se al posto di “no” avessimo sussurrato uno spasmodico “sì” a quella fatidica domanda che da tempo ci tormenta.

È la sola possibilità che abbiamo per prendere la strada a mancina invece che a destra. Possiamo dirigerci verso il Deserto dei Tartari e lasciare che la nostra anima venga sbranata dal fuoco della penitenza nella dannazione eterna. Il tutto per la durata di tempo che desideriamo, tanto per vedere che effetto fa baciare le labbra proibite del male.

L’esempio più calzante è Biancaneve, no?
Inconsapevolmente non si era tirata indietro di fronte a quella poco affidabile mela che le era stata offerta. Chi mai, oltre a lei, avrebbe addentato senza tante domande un frutto per metà bianco come la neve e per metà rosso come il sangue? E pur dalla parte sbagliata! Qual è stato il risultato? Un sonno profondo, destinato a non finire se non grazie al bacio di quello che, più che un principe azzurro, sembra il modello gay di Abercrombie.

Talvolta mi viene naturale chiedermi se tutti questi ragionamenti non siano che il frutto (tanto per rimanere in tema) di una mente deviata sin dall’infanzia. Qualcosa dev’essere andato storto nei primi anni della mia vita. Ci dev’essere necessariamente un evento, uno di quei traumi rimossi, che hanno segnato in modo indelebile tutto il decorso della mia esistenza fino ad ora. Forse sono stato adottato: mia madre in realtà non è francese e mio padre era un derelitto pirata che, di fronte al figlio neonato dell’ammiraglio appena freddato, si è intenerito e ha deciso di crescermi in vece del defunto.

Quali avventure avrei vissuto se non avesse deciso di ritirarsi alla vita borghese per consentirmi un’esistenza normale. Questo sarebbe il mio diario di bordo ed io starei annotando la sanguinaria lotta contro il kraken.


Il mostro dai mille tentacoli ha afferrato la nostra nave. Da molte lune ormai tentiamo di annientarlo, ma le munizioni iniziano a scarseggiare, presto termineranno. Ormai carichiamo i cannoni con l’argenteria e i bottini delle navi verso le quali un lontano giorno avevamo gridato “All'arrembaggio!”. Sono 48 ore che non chiudo occhio, la stanchezza si fa opprimente per queste mie giovani e inesperte ossa, così come per quelle dei più anziani membri. Scuotiasse oggi si è strappato la gamba legnosa, afferrata da uno degli infiniti tentacoli della feroce bestia, e tutto questo solo per aver salva la vita. Una scheggia delle dimensioni di un cucchiaio si è conficcata nella carne rugosa del moncone, causando le urla acute che incorniciavano la smorfia di dolore dipinta sul viso del mozzo. Ciò ha avuto il risultato di agitare l’atmosfera dell’intera nave e del mostro stesso. L’ho visto cadere sulla schiena, sbattere la testa, mentre il sangue ferruginoso pompava a fiotti generosi dalla sua coscia, scivolando a terra e percorrendo da poppa a prua il ponte fradicio della nave. Qualcuno ha persino tentato di soccorrerlo mentre si dimenava; l’impresa sembrava impossibile fin quando mio padre, il più valoroso tra tutti i corsari che io abbia mai conosciuto, si è avvicinato con un ferro incandescente e, tolta l’imponente scheggia, ha cauterizzato la ferita che l’avrebbe probabilmente condotto alla morte.

 

Fine delle avventure del ragazzo nato tra le onde. Non saprei che altro dire: la fine più probabile, come al solito, è che anche lui muoia in un mare di sangue. Strano vero? Non posso trattenermi dal ridere. La parola morte mi suona così familiare. E pensare che dall’altra parte del mondo – chi non ha mai almeno una volta pensato di scavare un tunnel che attraverso il centro della terra portasse in Cina? – la parola morte viene pronunciata solo molto raramente. Passare al secolo (去世), dicono loro. Forse è solo un modo per esorcizzare questo evento fondamentale, per renderlo meno reale di quanto non sia effettivamente, più o meno come faccio io continuando a “passare al secolo” più e più volte. Non c’è nulla di strano in questo. Se l’uomo riuscisse a carpire completamente il concetto di morire e farlo suo morirebbe veramente. È come la vita, qualcosa di impercepibile, che scorre come il tempo, che il mondo, troppo impegnato a sfuggire alla morte, non riesce nemmeno a vedere. Eppure tutto ciò che abbiamo è qualche ora per esistere, poi finiamo, torniamo ad essere ciò che eravamo, polvere, che un malcapitato soffio di vento forse un po’ troppo debole ha portato in vita, invece di spazzarla semplicemente via. 

Michel B.

 



NB. Mi scuso per lo scabroso ritardo, purtroppo, nonostante abbia diversi capitoli già pronti, sono tutti scritti a penna e la mia voglia di ricopiare tutto a computer è pari a 0. 
Yep.
Quindi, ci tengo a fare gli auguri di un buon 2015 a tutti, vi auguro che sia messo meglio di quello di Michel, scrivere il suo diario mi mette una depressione assurda in corpo.
Non ho idea del perché Michel conosca il cinese, probabilmente frequenta qualche corso di lingue.
La cosa che mi piace di tutto questo è che mi ricorda un sacco Il giovane Holden (consiglio il libro a tutti coloro che non l'abbiano ancora letto).
Quindi... niente, il prossimo capitolo sarà piuttosto breve quindi entro pochi giorni penso di riuscire a postarlo.

Natalie B.

Ps. Volevo ricordare a tutti coloro che leggono e non recensiscono che esiste un girone dell'inferno appositamente per voi. 
 

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Capitolo 4
*** Giorno 4 - Bianco per il Re, blu e rosso per la Francia ***


Diario degli sfortunati eventi di Michel B.
e di come un giorno qualsiasi possa trasformarsi nell'incubo peggiore



11/1/2015 - Bianco per il Re, blu e rosso per la Francia

 

Siedo in un bar attendendo che la gente si ammucchi nella piazza dov’è situato “Caffè della Loggia”. Sono qui da solo, ma so che presto riuscirò di nuovo a sentirmi in un mondo di persone che posso definire tali, persone che tengono a loro stesse, che tengono agli altri, e questo non potrà che farmi bene. E posso dire così perché è domenica, e la gente non manifesta di domenica se non ci tenesse veramente, perché mai disturbarsi quando si potrebbe rimanere a letto a riposare tutto il giorno e rifocillare la batteria esaurita dalle fatiche di una lunga settimana?

Il campanello trilla ed io mi volto verso la porta: è appena entrato un uomo, sembra essere conosciuto dai proprietari, che lo salutano cordialmente. Ora parlano, parlano dell’argomento più temuto dopo la morte, parlano della guerra. Ma ormai ci siamo abituati anche a questo, la guerra ci scorre addosso come acqua senza nemmeno riuscire ad inumidirci, siamo chiusi in buste di plastica idrorepellenti, ma non basta, ci hanno anche dotati di comodissimi ed efficientissimi paraocchi per poter evitare l’argomento scomodo. La guerra è un argomento che non ci riguarda, non lo sentiamo nostro, e questa è una fortuna per noi singoli uomini. Ci preserviamo da un terrore che potrebbe inghiottirci. “È fortuna nostra che qui non ci siano attentati.” Dice il vecchio che si è messo comodo contro il bancone; forse ordinerà il caffè, o forse è qui solo ad aspettare che la manifestazione cominci, un po’ come me. Ora parlano di cristiani, di crociate. Sarei tentato d’intromettermi e ricordargli l’inquisizione e la caccia alle streghe, ma per oggi preferisco stare in silenzio ad ascoltare ciò che gli altri hanno da dire. Gli adulti. Almeno alcuni tra loro sanno di cosa parlano, anche se la condanna più diffusa è che dopo i trent’anni si aspetti solo con tanta ansia che arrivi la morte.

Son felice di essere qui, non c’è altro posto dove vorrei o potrei essere in questo momento. Solo qui. Mi hanno sbattuto fuori di casa, così come qualche giorno fa mi hanno sbattuto fuori da scuola. Tanto meglio. Non ho nulla da spartire con questa realtà. Devo andarmene al più presto, nonostante ora sia confinato in questo luogo, incatenato con manette d’oro – per amor di Dio, non si può dire che non mi facciano vivere nel lusso – ma pur sempre manette restano. Anche le catene e i ganci sono preziosi, ma il loro valore è l’ultimo dei miei problemi. Se solo riuscissi a liberarmi. Il problema è che non è facile spezzare qualcosa che è cresciuto con me e aderisce perfettamente al mio corpo. Non posso tagliare catene che si sono allungate seguendo i miei passi. È il brutto delle prigioni emotive, delle briglia famigliari che, anche se possono sembrare inizialmente un sostegno, col tempo diventano obblighi che odiamo rispettare.

Mancano 40 minuti, ho ancora 2400 secondi per pensare alle lacrime che scorrevano sul volto di mia madre oggi, quando sono entrato in casa con i lividi sulle braccia e sul volto. Non riesco ancora a capire cosa sia successo, e perché, è come se la strage francese si fosse rimpiccolita e adattata alla mia vita. Mi sono spezzato come la punta delle 12 matite che ora non respirano più, ma sono comunque qui, ad una marcia di solidarietà per Parigi, nella speranza che il favore mi sia restituito.

La Loggia è un edificio antico e perfetto nella sua magnificenza, la sua stazza e compattezza gli conferiscono tutta l’importanza di cui necessita. Una cupola dai costoloni morbidi copre i due piani in pietra, tre finestroni la bucano al piano superiore, e sotto di essi tre grandi portali arcuati, ma senza porte. Lo spazio coperto che si apre oltre gli archi è circondato da pilastri decorati, targhe e incisioni, ma non è questo il meglio che offre oggi, poiché tre grandi teli colorati con i colori della nazione colpita corrono sulla sua facciata, la incorniciano quelli laterali, mentre quello centrale è l’ennesimo ricordo di quello che viene definito come il nuovo 11 Settembre. Bianco per il Re, blu e rosso per la Francia, anche se oggi quest’ultimo sembra voler essere sangue.

In piazza non s’è ancora vista la folla, solo alcune persone stanno incollate allo schermo posto sotto il porticato, per carpire ogni dettaglio dell’ultima atrocità umana.

Gli unici che sembrano non curarsene sono i piccioni, che infreddoliti scorrazzano avanti e indietro sulla pietra. Ma a loro non importerebbe nemmeno dei piccioni francesi morti perché una macchina troppo veloce li ha travolti un attimo prima che potessero volare lontano. Essere un umano è troppo difficile a volte, non ne vale nemmeno la pena. Nel mondo in cui siamo finiti, essere un uomo è la peggiore delle disgrazie.Dover pensare, e quindi trovare uno scopo a quello che in realtà vedo come un inutile lampo nella volta celeste del mondo. Ma è difficile raggiungere uno scopo quando non hai più nemmeno un tetto sotto il quale dormire, non un amico che ti possa accogliere, non una manciata di soldi sufficiente a mantenere te stesso. E potrei finire come quegli uomini che non possiedono altro che una coperta ed un cane, e che, quando fa tropo freddo, scelgono di sacrificare un bene per la sopravvivenza dell’altro.

 ***

 
Dopo la manifestazione mi sono diretto in stazione, ed ora ho ancora tempo da perdere prima che arrivi l’autobus che sto aspettando. Ancora una volta non mi restano che 40 minuti, un lasso di tempo infinitesimale a pensarci bene, ma infinitamente lungo da trascorrere in compagnia solo di una matita e di un taccuino.

Il mio caro e brillante groviglio di neuroni non mielinizzati (quella che comunemente definiamo come materia grigia) proprio non ne vuole sapere di collaborare. Sarà solo che ha voluto prendersi una vacanza dopo le percosse di oggi. Sì, la testa mi duole ancora, ma almeno ho avuto altro a cui pensare in quella piazza non poi così gremita. I volantini che io e il mio amico avevamo hanno costellato ognuno dei sei lampioni davanti alla Loggia, ho perfino sorriso quando un bambino pakistano ha seguito con il ditino ogni lettera delle due righe scarse, forse senza nemmeno capirne il significato. Che cosa può saperne un bambino della libertà di stampa? Forse anche più di me. Sotto la scritta, uno dei disegni che ha fatto il giro del mondo in sole poche ore: due matite verdi che si ergono in un cielo sconfinato, in cui l’unica compagnia sarà quella di un aereo che si avvicina nascosto da una nube. Ci sono anche io in quello scenario che procede verso la distruzione. Mi sto arrampicando sulla matita di destra, quella che per prima verrà colpita. Sono il punto d’impatto e questa è la mia fine. Attendo, con impazienza, di sentire la pelle bruciare, l’eterno istante che precederà la fine fare capolino nella mia linea temporale. Non ci sono speranze di sopravvivere, il metallo scottante brucerà la mia carne in men che non si dica, eppure quell'attimo costituirà la mia esistenza da lì innanzi. Non avrò più niente, se non quella lunga rotaia del terrore celata dalla nebbia, e come al solito la percorrerò, arriverò al precipizio e mi lancerò sperando, ameno questa volta, di schiantarmi al suolo in un fragoroso impatto i organi molli e asfalto.

Ancora 20 minuti mi separano dalla partenza, e questo, per quanto monotono, è l’unico pensiero a cui permetto di affiorare tra le nuvole che coprono i miei occhi. A breve anche una nuova sigaretta si accenderà per poi consumarsi, bruciando tutta se stessa per unirsi al sottoscritto. Vorrei piangere tanto da poterla spegnere, questa sigaretta, ma no, le gocce umide sono bloccate nei meandri dei miei condotti lacrimali e nessuno potrà smuoverle da lì.

Non so ancora se sono un ragazzo profondamente diverso, o se questo è solo un principio di depressione congenita che sta prendendo possesso del mio corpo, ma questo non è il mio problema principale ora. Quello è la punta ormai consumata della matita, che non mi consentirà di scrivere ancora a lungo. È l’unica cosa di cui mi stia interessando in questo tempo, sì, anche più dell’orario e del pullman. Le pagine invece non sembrano terminare, sono tante, e il diario è solo all’inizio. Non ne vedo l’utilità. Trascrivo solo i pensieri di un folle su pagine bianche, senza nemmeno utilizzare l’inchiostro.

A volte mi chiedo se il mio problema non sia l’essere solo, il non avere nessuno accanto, se si capisce cosa intendo. Forse è solo una scusa, ma solo dopo l’ultima volta ho deciso di smettere di innamorarmi. Il mondo non appartiene più ai romantici. Ora se vuoi farti strada nel cemento devi esser fatto d’un materiale altrettanto duro, cinismo rinforzato d’assenzio. Devi essere amaro come l’aceto, e aggiungere un pizzico d’acidità di limone. O non funziona, amico mio, non funziona più di una molla che non si tira né si restringe.

Michel B.


 



NB. Avrei voluto, almeno per questo capitolo, lasciare le cose come stavano, senza commentare nulla, ma lasciando fare agli altri. Putroppo però, sento la necessità di chiarire alcuni punti, partendo dalla data che non è quella del giorno corrente, ma quella della settimana scorsa. Motivo? Semplice, la manifestazione di solidarietà per Charlie Hebdo si è tenuta l'11 e non il 16 Gennaio. 
Questa volte l'autrice ha fatto qualcosa che non si può assolutamente perdonare, si è sostituita al personaggio. Motivo? Semplice anche questa volta, la settimana scorsa sentivo il bisogno di scrivere il mio diario, e non quello di Michel, penso se ne capisca il perché facilmente, se si ha letto il capitolo. Non è certo per la manifestazione, se non per i fatti personali sparsi qua e là nel testo.
Chiedo quindi umilmente perdono per questo sgarro, ma purtroppo, come ha detto una volta la Fallaci, uno scrittore scrive la maggior parte delle volte di sé. 
Non penso ci sia molto da aggiungere, se non che non vorrei che questo passasse per il capitolo tributo a ciò che è accaduto in Francia, o meglio, ovviamente l'argomento è affiorato, ma non come la solita banalità. Intendo dire che ha le sue ragioni, come c'è una ragione per cui ero lì anche io a quella manifestazione, e certo non era per perdere tempo. Penso che invece sia molto importante per una persona che scrive difentere la libertà di stampa. Spero condividiate, oppure pensatela a modo vostro, non è importante.
Natalie B.

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