Il cancello nel bosco

di Walter_Larini
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il campanello ***
Capitolo 2: *** Il bagliore ***
Capitolo 3: *** Il davanzale. ***
Capitolo 4: *** Lo specchio ***
Capitolo 5: *** Luce! ***
Capitolo 6: *** Pareti di vetro ***
Capitolo 7: *** Bianco. ***



Capitolo 1
*** Il campanello ***


Tutti i negozi sono chiusi, alla domenica. Assurdamente, l’unico giorno della settimana in cui si ha tempo pensare e comprare quello che serve, è l’unico giorno in cui non puoi. Cartolerie chiuse, supermercati chiusi, negozi di abbigliamento chiusi.. L’unica attività possibile è rimanere in casa, con una tazza di the in mano, a leggere un libro. O guardare la televisione tutto il giorno: ci sono le partite di campionato, la maggior parte degli uomini ha un passatempo ben preciso.
Oggi però, con un sole cosi bello, proprio non me la sento di rimanere in casa.
-Mamma, credo che andrò a correre, ne sento il bisogno.-
Mia madre mi sta rifacendo il letto, nonostante le abbia detto per la millesima volta che non voglio: quello che voglio fare, lo faccio da solo, se non lo faccio c’è un motivo. Tanto alla sera lo disfo comunque.
-Ci credo che ne senti il bisogno, sei flaccido, stai sempre sul letto, inizi a rammollirti.-
-Ma se sono 80 kg!Il mio peso forma.-
È davvero il mio peso forma: sono alto un metro e ottanta, e sono sempre stato magro, più del normale. Da quando ho smesso di fare calcio, però, nonostante non abbia preso che un paio di kili, mia madre insiste nel dire che sono ingrassato. Ho perso muscoli, quello si, ma non sono ingrassato. Non tanto.
-Comunque andare a correre non ti farà male, prendi su il cellulare?-
-No non prendo su nulla, rimanete in casa.-
Appoggio il cellulare sulla scrivania, che occupa la zona studio della mia camera. Ci sono due zone preponderanti: la zona studio, con scrivania, computer, libri, penne, e tutta la roba che quasi non tocco, e il letto, che invece occupa tutto il resto della stanza, che costituisce la zona svago.
Mando un messaggio alla mia ragazza, dicendole che andrò a correre un oretta, e che non prenderò su il cellulare.
Poi vado in bagno, mi vesto ed esco.
Appena uscito mi accorgo che la temperatura è più fredda di quello che sembrava, nonostante il sole. Quindi torno in casa, e prendo guanti, scalda collo e cuffia.
Poi comincio a correre.
O meglio, ci provo.

Sono due mesi che non faccio attività fisica, quindi il mio tentativo nel giro di un quarto d'ora appare piuttosto goffo e disperato. I muscoli iniziano a farmi male, il fiato si fa asmatico, il naso dolorante per l’aria fredda, e una stretta mi attanaglia lo sterno. Devo fermarmi.
In mia difesa, ho smesso di fumare da circa due settimane, e ho affrontato una strada in salita come primo obiettivo. Diciamo che, più che in salita, la strada era perpendicolare al terreno. E che continuo a fumicchiare almeno una sigaretta ogni due giorni. Si, sono un po’ un coglione.
Mentre mi insulto moderatamente per la mia scarsa volontà “acciderbolina Marco, sei uno stupidino, ahiahiahi, totò sul sederino”, decido che camminare sarà comunque un ottimo modo per fare attività fisica, e qualcosa dovrà pur fare, no?Così, come il ciccione che sono (nell’anima) inizio ad arrancare per la salita, sperando che nessuno abbia visto il mio triste e penoso cambio di andatura.
La strada che sto percorrendo porta ad un sentiero per raggiungere la sommità della collina. I miei genitori lo percorrono spesso, e sono andato con loro fin da piccolo, ma ci siamo sempre fermati prima di raggiungere la cima. Un grosso cancello arrugginito ci bloccava la strada.
Un ricordo si fa strada nella mia testa mentre imbocco il sentiero:
-Mamma, cos’è?- chiedevo ogni volta, sperando che mi dicesse per quale motivo non potevamo proseguire oltre.
-Il punto di arrivo marcolino, è ora di tornare indietro. Lo vuoi un panino alla nutella?”
E cosi, corrotto dalla merenda, tornavo sui miei passi, a volte anche correndo, perché anche da piccolo ero goloso.
Sorridendo fra me e me, continuo a camminare su quel sentiero, che piano piano si inoltra nella foresta.
I raggi del sole sono filtrati dagli alberi, scaldando ancora meno di quanto non facessero prima. Ringrazio la mia felpa termica sotto il kway, reduce dagli allenamenti di calcio, e lo scalda collo, che prontamente alzo, in modo da scaldare l’aria che entra nel mio naso.
I boschi mi hanno sempre tranquillizzato. Abito in un paesino dell’Emilia Romagna, non lontano da Parma, ma abbastanza da potermi considerare “in campagna”. Ho un fiumiciattolo vicino a casa, e una collina proprio di fronte, sulla quale scivolare in inverno, quando viene imbiancata dallo zucchero a velo. Per respirare aria, invece che smog, basta fare due passi, e ci si ritrova in magnifici boschetti, circondati da alberi sicuramente più vecchi dei nostri nonni.
Loro rimangono li, qualsiasi cosa succeda, e questo aiuta a ridimensionare i pensieri, dandoti una visione ottimista della vita. Sarà per questo che mi considero tale. Il bicchiere è sempre mezzo pieno, perché è una fortuna anche solo che ci sia qualcosa dentro.


Appena vedo il cancello, riemergo dai miei pensieri, constatando che “ne ho fatta di strada”.
Mi fermo e guardo la vallata attraverso gli alberi. Sono in alto, riesco a vedere Parma da qui, grazie al cielo chiaro. Respiro dell’aria pulita, che ormai è un miracolo trovare, e osservo il cancello: è proprio come lo ricordavo.
Il colore, un tempo metallico, ora è rossiccio, per via della ruggine. Una catena spessa, con un lucchetto grande quanto la mia mano, è avvolta attorno al cancello, chiudendolo saldamente. Anche avendo la chiave, sarebbe impossibile entrare, il lucchetto è arrugginito.
Le colonne che reggono il cancello dovevano terminare con due guglie appuntite, ma ora ne esiste solo una, rovinata per via del tempo. L’altra è stata distrutta in qualche modo. Dal cancello parte un muro da entrambi i lati, abbastanza alto da non poter vedere oltre e non poterlo scavalcare, ma c’è qualcosa di strano in quel cancello, anche se non capisco cosa. Qualcosa che mi turba, qualcosa di assolutamente innaturale e illogico, che però non riesco a capire…  
Accarezzo una colonna ricoperta di muschio, pensando a cosa possa disturbarmi tanto, quando fra le dita sento qualcosa di metallico, che esce dalla colonna. Qualcosa di piccolo, lungo circa due centimetri, nascosto fra il muschio. Tolgo il muschio dalla colonna, e sotto trovo la cosa più ovvia al cancello di ingresso di una dimora. Il campanello.
Non un campanello come lo intendiamo noi, sia chiaro: nessuna targhetta con sotto il nome della famiglia, nessuna fessura da dove poter ascoltare e rispondere. A dire il vero, nemmeno sono sicuro che sia un campanello, è la cosa a cui immediatamente ho pensato vedendolo. Per quello che posso sapere, potrebbe essere un pulsante che apre una botola sotto i miei piedi, o un meccanismo di antifurto che lancia una nube di frecce nella mia direzione, o fa rotolare un gigantesco masso a forma di palla giù per la collina..
Il fatto che io ieri sera abbia rivisto Indiana Jones non compromette assolutamente la mia immaginazione.
Il dilemma. Lo suono?
Mi do dello stupido. Sono su una collina, in altissimo, di fronte ad un cancello arrugginito chiuso con un enorme lucchetto, che da accesso ad una casa che non vedo, distante chissà quanto, e circondata da mura enormi. Anche se suonassi, probabilmente il meccanismo sarebbe rotto, e sarebbe un atto fine a se stesso. Nonostante ciò, qualcosa che posso riassumere nella mia “buona educazione” mi impedisce di farlo. Sono assolutamente sicuro di non poter disturbare nessuno, ma mi sembra sbagliato, e me lo sento nello stomaco. Mi giro, do le spalle al cancello e al campanello, e mi incammino per tornare indietro. Poi mi fermo.
Ecco cosa non va in quel cancello.
Dietro di esso si vede il bosco. Non un sentiero, non un giardino. Bosco, come se fosse costruito in mezzo al nulla.
Mi giro, guardo oltre al cancello. Nulla, bosco fino a dove si può estendere il mio sguardo.
A questo punto guardo di nuovo quel campanello. Ora che lo vedo bene, è placcato in quello che sembra essere oro, ma più probabilmente è ottone, e, cosa ancora più strana, non sembra arrugginito.  Chissà se è grazie al muschio che si è conservato bene, chissà se, in qualche modo, l’ottone lo ha protetto dal tempo, per qualche assurdo motivo.. Questo però lo rende appetitoso.
La curiosità, d'altronde, è figlia dell’uomo, e in me è assolutamente incontenibile, come quella volta che volevo capire perché i capelli della mia maestra erano cosi lucidi e colorati.
I capelli erano una parrucca e lo scopri tirandoglieli di fronte a tutta la classe, ma questa è un’altra brutta storia. In questo caso forse potrei anche trattenermi. Ma perché dovrei?
Premo il campanello. 

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Capitolo 2
*** Il bagliore ***


Tolgo il dito dal campanello, dal meccanismo scattante, come pensato in precedenza. Non succede nulla. Rido fra me e me. L’immaginazione corre, vola, plana e, quando si incontra con la realtà, si schianta a terra, strusciando la faccia contro l’asfalto.  Mi giro, faccio due passi diretto verso casa, quando la sento.
Una melodia di campane, come quella che si sente nelle chiese, ma diversa. A tratti triste, a tratti felice, a tratti cupa.. Non ho mai sentito nulla del genere.
Dagli alberi si levano stormi di uccelli diversi, spaventati da quel suono. Si propaga giù per la collina, scivolando sul versante destro, verso il paese. La musica è bellissima, ma smette troppo presto. Sembra interrotta da qualcosa, come se avesse un seguito, andato perduto nel tempo.
Incantato, noto a malapena che qualcosa è stato messo in moto, all’altezza delle mie ginocchia, nella colonna di destra.
Guardo in basso e vedo un cassetto di pietra che esce dalla colonna, con una lentezza irritante.
Rumori metallici, a scatti, escono dalla colonna, e se appoggio le dita contro il muro, sento vibrare il meccanismo che sta aprendo il cassetto.
Smette di aprirsi, rimane sospeso, attaccato alla colonna.
Dentro, una chiave.
La raccolgo e la guardo. Esistono artigiani che fabbricano chiavi su misura?Ma soprattutto, esistono artigiani che decorano chiavi?Io non ne ho mai sentito parlare. Con tutte le porte blindate di oggi, non dev’essere un lavoro cosi proficuo, anche se assolutamente affascinante. Quindi chi ha scolpito quella chiave?
Descriverla non è facile: è interamente realizzata in bronzo, o almeno cosi sembra dal colore. L’impugnatura è decorata, e raffigura un labirinto quadrato, composto da 4 quadrati uno dentro l’altro, sempre più piccoli, le cui mura escono dalla chiave, in rilievo. La porta del labirinto è rivolta verso l’estremità della chiave, e si fonde con il resto, che si assottiglia mano a mano. C’è una bambina, sul’altra estremità , rivolta verso il labirinto, che sta camminando. Quella bambina rappresenta l’unicità della chiave: sarebbe impossibile duplicarla.
Con la chiave in mano guardo il cancello.
Beh, a questo punto…
Inserisco la chiave nel lucchetto arrugginito, ma non entra. La bambina è troppo alta, e la chiave è troppo grossa per quel buco. La chiave non apre quello.
Aah, la mia curiosità. Ripenso alla mia casa, a mia madre, ai compiti che ho lasciato sulla scrivania, alla mia ragazza che potrebbe stare in pensiero, al fatto che fra poco farà buio e ancora più freddo…
Poi prendo un sasso e rompo il lucchetto.
Atterra pesantemente al suolo, sollevando alcune foglie. Il cancello ora è libero di muoversi. Lo spingo con una mano e sento i cardini opporre resistenza. Spingo più forte, e questa volta si apre verso l’interno, con un cigolio degno dei migliori film dell’orrore, spalancandomi di fronte il bosco. Non avevo visto male: davanti a me, per almeno cinquecento metri, si espandono alberi e piante, su un terreno coperto di foglie marroncine, gialle e rossicce. Con un po’ di timore faccio il primo passo avanti. È sempre il primo passo il più difficile, poi spesso  la strada è in discesa, e il secondo arriva da solo, e poi il terzo, e poi il quarto, e poi stai correndo e non sai perché. Ed è proprio quello che stavo facendo: corro veloce in mezzo agli alberi, facendo slalom fra gli arbusti che a tratti mi graffiano la pelle, appendendomi ai rami più bassi con un salto, giocando come un bambino. Questo luogo sembra carico di una energia infantile e spensierata, che si respira con l’aria. Erano anni che non mi sentivo cosi felice.
Guardo il cielo e ruoto su me stesso, i rami interrompono la luce del sole, che a tratti mi scalda il viso. Ridendo cado a terra e chiudo gli occhi. Respiro profondamente e cado un sonno profondo.
La risata di una bambina in lontananza..
“Luce…..Luce!Torna qui Luce, non correre!” dice giocosa una forte voce maschile, che ride e sembra correre mentre parla..
“Tanto ti acchiappo Luce, tanto ti acchiappo!”
Una voce femminile inizia ad intonare un canto con voce dolce e lieve..
Ma io ho già sentito questa melodia, cos’è?
è ovunque, sono circondato..
La voce della bambina e dell’uomo si allontanano ridacchiando, mentre la canzone si fa sempre più forte, fino a rimbombare nelle mie ossa..
Me la sento dentro, si fa largo fra i miei organi..
“Ricorda.”

Mi sveglio bagnato in mezzo alle foglie. Sopra di me, il cielo nero e coperto di stelle. Tutto intorno assolutamente buio.
L’ansia mi assale. Quanto ho dormito?Che ore sono?Dov’è il cancello?
Avete presente quella paura irrazionale che vi prende le caviglie e i polmoni ogni volta che avete una strana sensazione?Una paura folle, che vi fa battere il cuore a mille quando non siete padroni della situazione?
Improvvisamente la mia testa iniziò a creare mostri, riempiendo lo spazio fra gli alberi di artigli dalle dita appuntite, pronte ad afferrarmi e dilaniarmi le carni.
Con fatica mi metto in piedi, e mi tasto le tasche: Cristo non ho il cellulare!La torcia del flash mi avrebbe aiutato a ritrovare il cancello, e soprattutto avrei chiamato casa per dire che ero vivo e stavo bene.
Per ora.
Chi ha detto per ora??Io non sono stato. Devo tornare indietro, alla svelta.
Ma la strada non esiste, e ho corso troppo per orientarmi. Ma cosa mi era preso, correre cosi, come uno stupido. Come un bambino.
Disperato mi guardo intorno, cercando qualcosa che mi risulti famigliare.
Poi vedo una luce davanti a me.
Non era proprio una luce, era più il riflesso della luna su qualcosa.
La luce brilla proprio come il sole sul vetro delle finestre in estate, ma più pallida, perché proveniente dalla luna. Che sia davvero una finestra?
Mi guardo alle spalle, e vedo le tenebre più totali. Non so quanto sia grande il giardino, potrei perdermi, potrei vagare in tondo senza nemmeno accorgermene, passando davanti al cancello innumerevoli volte. L’unico punto fermo ora è il riflesso strano, l’unico obiettivo possibile.
Chissà quanto sarà preoccupata mia madre. E la Claudia! Mio Dio la Claudia sarà disperata! Perché non ho portato il cellulare?? Sono un incosciente.
Si ma fa freddo, e l’umidità mi ha completamente bagnato i vestiti. Se anche solo c’è una mezza speranza che quella sia una finestra, devo andare a controllare. Se non sarà cosi, deciderò sul da farsi.
Quindi muovo  un primo passo verso il bagliore. Non è distante, probabilmente duecento metri, ma impiego quasi mezz’ora a percorrerli, osservando guardingo tutto quello che mi circonda, tendendo le orecchie per captare il minimo suono. Ogni volta che un rametto si spezza sotto il mio peso, il mio cuore accelera, e il mio cervello urla di correre via all’impazzata. Stare calmo si rivela più difficile del previsto.
Ma dopo 10 minuti, gli alberi si aprono in una piccola radura, e la luce della luna staglia davanti ai miei occhi l’edificio da cui proviene quel bagliore: un’enorme villa. 

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Capitolo 3
*** Il davanzale. ***


La villa è posta in mezzo alla radura, circondata da alberi che la nascondono quasi del tutto, ecco perché non l’avevo scorta attraverso il cancello. La luce della luna sbatte contro il lato sinistro della casa, allungando l’ombra dei balconi e delle decorazioni sporgenti delle finestre, che, proiettati contro il terreno, appaiono come denti affilati pronti a sminuzzarti le carni. Ogni finestra è chiusa da una serie di infissi in legno, tranne una, sulla parte sinistra della casa, a cui manca l’infisso destro. Il vetro scoperto riflette la luce della luna, e crea il bagliore che ho seguito. La porta d’ingresso principale è sbarrata a una serie di grosse assi di legno, che ne impediscono l’accesso. L’unico modo per entrare è dunque la finestra?Decido di girare cautamente intorno alla villa per cercare un’altra entrata. Cammino verso sinistra, verso la metà illuminata, questa volta con passo un po’ più deciso e meno timoroso. La luce è sufficiente a farmi vedere almeno tre quarti del giardino, mentre l’ultimo lato, completamente al buio, decido di non esplorarlo: non ho visto ancora nessuno, ne sentito alcun suono riconducibile ad animali feroci che possano danneggiarmi, ma resto comunque un fifone. Sul lato sinistro non vedo nulla che possa tornarmi utile , solo due fila di finestre completamente chiuse. Ma appena volto l’angolo noto qualcosa, a distanza di circa cento metri dalla villa, che mi provoca immediatamente sollievo: un capanno degli attrezzi!Proprio quello di cui avevo bisogno! Dentro troverò riparo per la notte, senza essere costretto ad entrare nella villa ed ad arrampicarmi per raggiungere la finestra. La luce della luna è appena sufficiente ad illuminare l’entrata del capanno, ma basta per poterlo raggiungere senza difficoltà, camminando con passo svelto. Arrivo davanti al capanno e prego perché la serratura sia aperta, abbasso la maniglia e tiro verso di me. La porta si apre senza difficoltà: finalmente un colpo di fortuna!Purtroppo il capanno è completamente buio all’interno, e i miei occhi, pur abituati alla semi oscurità, non vedono quasi nulla. Cerco un interruttore per la luce elettrica, sperando che questa casa non sia così vecchia, ma non lo trovo. Probabilmente nel capanno non è stata installata,  o la casa è davvero molto vecchia. Impreco virilmente (“per dindirindina!”) e mi guardo a destra e a sinistra , cercando qualcosa che possa tornarmi utile negli unici spazi ancora parzialmente illuminati. Vedo sulla sinistra un bastone, e sulla destra un vecchio comodino con tre cassetti. Un cassetto è bloccato, ma gli altri due si possono aprire, e con gioia trovo dei fiammiferi.  Dei fiammiferi!!Calore e luce!
Dentro al terzo cassetto trovo invece una forbice arrugginita. Raccolgo tutto e lo metto in tasca. Apro la scatola dei fiammiferi. La scatola è semi vuota, sono rimasti solo 7 fiammiferi. Merda.
Considerando che la scatola è rimasta in un ambiente umido quasi tutto il tempo, nessuno di essi funzionerà e saranno completamenti inutili. Preso dallo sconforto, mi siedo a terra, dando la schiena verso il comodino. Chiudo gli occhi, penso a tutti coloro che mi staranno cercando, mia madre in primis, la mia famiglia, la mia ragazza che probabilmente invece è solo incazzata perché non le rispondo da circa un sacco di tempo… me e la mia curiosità, nessuna persona normale sarebbe entrata in un cancello isolato, arrugginito e per di più chiuso con un lucchetto di ferro!!Irritato dal mio stesso comportamento, sbatto la nuca contro il comodino dietro di me. Mi faccio male, ma sento qualcosa cedere sopra all’oggetto vicino.  Cede di poco, non capisco cosa sia dal rumore, ma vale la pena scoprirlo. Mi alzo e mi allontano dal comodino, poi gli tiro un calcio con forza. Sento scricchiolare, qualcosa rompersi, scivolare ed infine cadere a pochi metri da me con un gran tonfo. L’estremità dell’oggetto viene rivelata dalla luce a pochi metri da me: una scala.

Decido che nel capanno fa troppo freddo e lo spazio che riesco a vedere è troppo poco per passarci la notte, quindi prendo la scala e mi preparo ad entrare nella villa dalla finestra. Il trasporto fino alla villa non è facile: ho freddo, i guanti mi si sono bagnati, insieme al resto della tuta, durante il riposino pomeridiano in mezzo al parco, e con il freddo della notte si sono fatti gelati, impedendomi una presa salda sulla scala per più di 5 secondi. Porto la scala con una mano facendola strisciare sul terreno, tenendo l’altra mano in tasca per dare il cambio quando non sento più le dita. In questo modo ci metto 10 minuti ad arrivare davanti alla finestra dall’uscio rotto. Ormai ho i brividi, la tuta termica si sta raffreddando e i guanti bagnati non aiutano, devo assolutamente scaldarmi. Posiziono la scala: arriva circa alla finestra, dovrò appendermi al davanzale e issarmi con le braccia, facendo forza sull’ultimo piolo con il piede. Non sono particolarmente atletico, ma non dovrebbe rappresentare uno sforzo immane.
Quindi inizio a salire la scala. Appoggiando le mani sulle aste, sotto i polpastrelli sento i chiodi lunghi e arrugginiti che bloccano i pioli in legno, sembra molto vecchia. Il legno è marcio in alcuni punti, ma la scala sembra reggere il mio peso senza difficoltà, quindi arrivo all’ultimo piolo. Sopra di me, il davanzale, in quello che sembrerebbe essere cemento crepato dal tempo, mi attende. Allungo una mano e stringo la presa, poi allungo l’altra, afferrandolo . Sposto il primo piede e lo poggio sul piolo, quindi sposto tutto il peso su quel piede e faccio per allungare il secondo, quando il legno marcio cede. Per lo spavento l’altro piede urta l’asta della scala, che si sposta verso destra e cade, scivolando sul muro. Mi ritrovo a penzolare attaccato solo per le mani fredde e doloranti, con i piedi completamente persi nel vuoto.

Panico. I miei piedi cercano un appiglio freneticamente, mettendo a dura prova le mie mani e le mie braccia, che sono congelate e poco ancora resisteranno. Dopo poco lo trovano: una decorazione inutile e terribile, larga appena una decina di centimetri, che però ora mi sta salvando la vita.
Mi stabilizzo e mi calmo un poco. Il mio respiro è irregolare e frenetico, dovuto alla potente dose di adrenalina nel sangue, mi sforzo di calmarlo. Le mani, ora che hanno il sostegno dei piedi, sono più propense a collaborare, e potrebbero decidere di non cedere all’improvviso. Noto che sulla sinistra l’incavo fra l’infisso e la finestra è un appiglio più utile, cosi sposto la mano sinistra. La mia faccia e il mio collo sono appena sopra il davanzale, riesco a vedere la finestra ma non ho la possibilità di aprirla con un pugno, come contavo di fare. Devo issarmi sul davanzale, sperare che sia abbastanza ampio da permettermi l’equilibrio. Tocco con una mano per testare quanta distanza c’è fra la finestra e il bordo, tenendomi saldo con la mano sinistra all’ infisso, per non cadere all’indietro: circa mezzo avambraccio, non è molto, circa tre quarti del mio piede, ma posso farcela.
Pregando che questa volta trovi sostegno, spingo e contemporaneamente mi isso sul davanzale con il braccio.  Poggio un piede sul davanzale e mi tiro su sfruttando la mia presa sull’infisso sinistro. La mia gamba ora si trova sul davanzale, mentre l’altra penzola nel vuoto. Metto in una posizione comoda la gamba, dopo di che cambio mano a sostegno, mi tolgo il berretto e, con la mano più vicina alla finestra, tiro un pungo al vetro, mandandolo in mille pezzi. Apro la finestra a tentoni, cercando con il tatto la maniglia, poi rotolo dentro.

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Capitolo 4
*** Lo specchio ***


La prima cosa che noto è la polvere. Non la vedo, nella casa c’è un buio spesso, ma ne sento l’odore sgradevole e vecchio, che mi entra nelle narici e quasi mi fa starnutire. I raggi della luna illuminano i miei piedi, e guardando in basso vedo che li poggio su un tappeto. A prima vista è bianco, ma alzando un piede  vedo la polvere che si alza intorno alla suola, come quando soffi sullo zucchero a velo, rivelando il vero colore del tappeto:  rosso. Tutto il resto della stanza è completamente buio, e decido di cercare un interruttore della luce o una lampada ad olio (la terza opzione è una torcia ma spero che la casa non sia cosi vecchia) per capire meglio in che razza di luogo mi trovo. Annaspo qua e là, cercando a tentoni vicino al muro, pregando di trovare qualcosa che assomigli ad un interruttore. Faccio l’intero perimetro della stanza con le mani premute contro le pareti, talmente invase dalla polvere che sembrano ricoperte da moquette. Schifo, meno male che non sono allergico, anche se di questo passo potrei diventarlo. Irritato, decido di andare verso il centro della stanza e cercare in alto, alla ricerca di un lampadario da poter accendere. Mentre cammino, urto qualcosa a terra, mi abbasso e lo raccolgo, portandolo alla luce della finestra. Una lampada ad olio!Oh fortuna che ti mostri solo ogni tanto, non so se insultarti o ringraziarti!
La lampada è ancora piena d’olio, quindi cerco di accendere un fiammifero contro il muro. Il primo si spezza, rammollito dall’umidità, ma il secondo regge e posso accendere la lampada. Finalmente posso vedere dove mi trovo.
La stanza è quadrata, con carta da parati gialla mezza strappata alle pareti e il soffitto bianco, pieno di muffa. Non è arredata, non ci sono nemmeno i classici mobili coperti da un lenzuolo bianco che tanto piacciono ad Hollywood. La mia attenzione però è attirata da un grande specchio a muro che occupa il centro della parete di fronte a me. È ricoperto anch’esso di polvere, e non riflette altro che deboli accenni di luce provenienti dalla mia lampada, ma è perfettamente integro. Sulla sua cima, un’unica decorazione: un orologio intrappolato dentro a radici che si fondono poi con il corpo dello specchio. Il tutto è di un materiale argentato, mentre l’orologio ha le lancette nere. Non ci sono numeri, nemmeno le classiche “tacche” a simboleggiare le ore. È fermo a mezzanotte e mezza, o almeno cosi pare.
Con la mano dentro la manica, mi avvicino e libero una porzione di specchio dalla polvere, come quando, dopo la doccia, togli la condensa del vapore da quello di casa per asciugarti i capelli.
Lo specchio è perfetto sotto la superficie. Nessuna macchia, nessun graffio, sembra appena tolto dall’imballaggio. Riflette la mia faccia, e solo ora mi accorgo di quanto io possa essere stanco e malmesso. I miei occhi sono circondati da occhiaie livide, i miei capelli sono bagnati, il naso è rosso e sono pallido. Devo scaldarmi e dormire. Illumino ogni minimo angolo della stanza alla ricerca di qualcosa che possa bruciare per scaldarmi. Passo la lampada sulle pareti almeno un miliardo di volte, ma non c’è assolutamente nulla in quella stanza.
Privo di energie, mi accascio contro il muro, lasciandomi scivolare verso il basso. Piego la testa in avanti e guardo dritto davanti a me.. che bel camino, davvero enorme, chissà come doveva far caldo in questa stanza un tempo, quando ancora era abitat...
Vuoto mentale.
Camino?
Cosa mi sfugge?
La stanchezza offusca i miei pensieri, mi rendere difficile ragionare, come se mi fossi preso una mega sbronza.  
Come cristo ho fatto a non accorgermi prima di quell’enorme camino in marmo???Come??Come è possibile???
Non importa, le energie che ho conservato bastano a trascinarmi verso il camino.
Dentro, miracolosamente, un ceppo di legno. Come può… non importa, questi interrogativi me li porrò domani, ora devo accenderlo. Mi tolgo la felpa termica e la canottiera asciutta. Inizio a tremare come se mi avessero attaccato alla corrente, i miei muscoli hanno degli spasmi cosi forti che a malapena riesco a muovere le braccia. Strappo un lembo di canottiera, asciutta, e lo lascio penzolare sulla fiamma della lampada. Come prende fuoco, lascio che consumi un po’ il tessuto della canottiera, poi lo lancio nel camino, sul ceppo. Il ceppo prende fuoco e dopo circa 10 minuti, si diffonde un calore tiepido nella stanza. Spengo la lampada per risparmiare olio e mi spoglio del tutto, mettendo ad asciugare i vestiti. Per fortuna il calore generato dal fuoco combatte il freddo che entra dalla finestra da cui sono entrato…
Panico.
Il camino sarà pulito?Potrei soffocare nel sonno se cosi non fosse.
Non ho modo di saperlo..
Guardo il fumo entrare nella cappa del camino. Ormai è acceso da troppo, se fosse otturato a quest’ora ormai si sarebbe notato. Tranquillo, decido che posso addormentarmi senza problemi. La mia mente è troppo stanca, per non parlare del corpo, devo riposare per guadagnare in lucidità.
Domani, con calma, uscirò da questa stanza e dalla casa, cercherò l’uscita dal giardino, uscirò dal cancello e tornerò a casa.. Mi farò una doccia, mangerò qualcosa, guarderò un film con mia madre, chiamerò Claudia, le spiegherò cosa è successo, rideremo di quest….situaz…..
Mi addormento.

Luceee, dove sei, Luceee, torna qui!” dice la stessa voce maschile del sogno, ma stavolta il tono è preoccupato.
“Hai visto Luce?Dov’è?”
La musica riprende a vibrare nelle mie ossa, cantata dalla stessa voce femminile.
Una risata, sopra il canto, bellissima.
Ride, e ride, sempre più forte, sempre più sguaiata.
“Vieni a prenderla…”
L’orologio segna mezzanotte e mezza.
Tic tac, tic tac, tic tac….
“Ricorda…”

Mi sveglio.
Qualcosa non va.
La luce è rimasta invariata, il fuoco è ancora acceso, il calore sempre lo stesso.
Tocco i vestiti, sono asciutti. Poi alzo lo sguardo verso la finestra, per vedere se sia ancora notte.
Muro.
La finestra non c’è più.
Al suo posto, il muro, con la stessa carta da parati gialla mezza strappata.
Mi volto alla ricerca della porta chiusa, che da sul resto della casa.
Muro.
La stanza non ha più uscite.
Sono chiuso dentro.

All’improvviso, le campane ricominciano a suonare la stessa melodia meravigliosa. Panico, il terrore si fa strada fra i miei muscoli, sento costantemente una presenza dietro di me.
Mi volto, il sangue raccolto nelle tempie, che pulsano dolorosamente. Il cuore a mille.
Mi volto di nuovo, veloce come un topo in trappola. Sto per piangere.
Poi sento una risata.
L’ho già sentita, questa risata.
Nel mio sogno, è la stessa.
 Accompagna questa musica, cosi felice e struggente da dividere in due il mio cuore.
Mi rintano in un angolo, nella penombra, come un animale.
Mi guardo attorno disperato, con i vestiti ancora in mano, cercando al contempo di dare un senso alla situazione e di ignorare la voce terribilmente bella che sta ridendo  di me.
Solo in quel momento capisco da dove proviene la musica di campane.
L’orologio argentato batte l’una.
 Dentro allo specchio, una donna mi guarda, e ride.

 

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Capitolo 5
*** Luce! ***


È bellissima. Mora, con i capelli raccolti in una complessa coda di cavallo che le fa ricadere delle ciocche sulle spalle. Gli occhi sono chiari, talmente azzurri da tendere al bianco. È vestita solo di un velo nero, semi trasparente, che copre il busto fino a metà coscia. Sono terrorizzato e affascinato.
Ride, e il suo viso diventa una maschera di luce, i suoi denti bianchissimi ipnotizzano i miei occhi e rimango a guardarla, incapace di dire nulla.
Poi la sua risata, come nel sogno, diventa sguaiata. Ride troppo, troppo forte. Sembra la risata di un folle che ha appena compiuto la sua vendetta, la risata di un omicida condannato a morte. Il suo viso ora ha un ombra, che trasforma i suoi lineamenti da divini a grotteschi in pochi secondi.
Solo ora mi accorgo che tutti i suoi denti sono appuntiti.
Mi metto i pantaloni, sempre con lo sguardo rivolto verso lo specchio.
Metto anche la felpa termica, cercando di infilarla in modo da poter continuare ad osservarla costantemente. I vestiti asciutti mi danno nuova energia.
Improvvisamente smette di ridere.
E cosi sei tornato.”  mi chiede.
Troppo tempo che non parlo, troppo tempo che non apro la bocca.
“Chi…cosa..sei?” riesco ad articolare.
Riprende a ridere sguaiatamente.  “Quindi non ricordi” dice “Effettivamente per te sono passati anni”.
La sua voce è come il cinguettio di un uccello e il ruggito di una montagna fusi insieme. Alle sue parole, l’aria crepitava come di fianco ad un fuoco.
“Non capisco, come fai a conoscermi?”
Il mio istinto si agita, sotto pressione, cercando in qualche modo una via di fuga da quella situazione. La mia immaginazione, nel frattempo, alimenta il panico. Può farmi del male?Posso contrastarla?Posso fuggire?I muscoli tesi nello sforzo di rimanere vigili.
“Oh piantala Marco!Non posso credere che sei dimenticato ogni cosa!Specie dopo quello che ti ho fatto.”
Confusione, cosa dovrei ricordare?
“La tua faccia è rimasta candida come un tempo, ci leggo perfettamente il tuo stupore. Quindi davvero non ricordi nulla”  mi dice, abbozzando un ghigno felino.
Sto andando in svantaggio, lei sa troppo e io non so nulla.
“Come vedi, non ricordo. Forse hai sbagliato persona, io sono arrivato qui per caso, ieri pomeriggio, e l’unica cosa che voglio fare è andarmene. Se fossi cosi gentile da lasciarmi andare… “
Ricomincia a ridere ancora più forte. Mi viene voglia di colpirla con una sberla e rovinare quei lineamenti cosi sensuali.
“No, non mi sbaglio, quella cicatrice ce l’ha solo una persona. Solo tu. “ dice osservandomi la mano.
Ha ragione, ho una profonda cicatrice sulla mano, che ne attraversa il dorso diagonalmente da parte a parte.
“Questa?L’ho da quando sono bambino, mia madre ha detto che me la sono fatta giocando con un legno appuntit..”
Questa volta la sua risata satura l’aria della stanza. “Tua madre dice che?!Ah, quella vecchia ha sempre avuto paura. Troppa paura per affrontare la realtà.”  Pausa, torna seria.
“Te l’ho fatta io quella cicatrice, tredici anni fa. “
Il mio viso tradisce il mio stupore. Impossibile. Nuovi interrogativi: come conosce mia madre, come mia ha fatto la cicatrice, ma soprattutto Chi cazzo è?
“Credo che dovresti presentarti a questo punto. Magari sapendo il tuo nome, mi tornerà in mente chi sei” le dico, sperando che mi prenda sul serio e non noti le mie ginocchia tremanti.
Mi guarda, per un lasso di tempo infinito, poi mostra i canini.
“Io non ho nome. Non l’ho più da centinaia di anni. Ora sono parte di questo mondo tanto quanto lo è lo spazio o il tempo. Se proprio devi chiamarmi in qualche modo, chiamami Aden. “
Rimango perplesso. Non mi dice nulla.
“No, mi spiace, davvero non ricordo. Credo di essere la persona sbagliata, potresti gentil..”
“Luce ti dice niente?”
Il cuore manca un battito. Dove l’ho sentito?

Luce, Luce torna qui, Luce!”

È famigliare, non solo il ricordo del sogno, ma per la sensazione che mi provoca.
Mi sento molto triste all’improvviso, e la nostalgia mi assale.
La donna, Aden, vede le emozioni attraversarmi gli occhi, e sogghigna.
“Bene, allora ricordi ancora qualcosa.”
Deglutisco un groppo di ansia. “Chi è Luce?”
I suoi occhi luccicano “Sarà molto più facile mostrartelo”
Detto questo, prima che io possa anche solo pensare di scappare, la donna spalanca gli occhi e invade la stanza di una luce blu. Mi sento trascinare verso lo specchio, velocemente, inesorabilmente. Davanti a me, i suoi occhi iniziano a girare in senso orario, formando una spirale che mi attrae verso di lei.
Mi sento svenire e chiudo gli occhi, mentre la sua voce e la sua risata risuonano nella mia mente:
“Lasciati andare Marco, e ricorda..”

Mi sveglio e mi ritrovo nel giardino della villa, davanti al cancello, aperto.
Per un attimo il cuore prova sollievo: era tutto un sogno!
Mi sono addormentato sul prato e ho sognato questa storia surreale spinto dalla mia fervida immaginazione!Niente di cui preoccuparsi, posso tornarmene a casa.
Sospiro e faccio per camminare verso il cancello, quando sulla mia destra, in mezzo al prato, vedo lo specchio con l’orologio.
“Tic tac Marco, tic tac” ride Aden vicino a me.
È uscita dallo specchio e ora sta alla mia destra, corporea. È alta almeno due metri e mezzo.
“Non ti sarai mica illuso che fosse solo un sogno, eh, stupidino?” ride “Qua le cose finiscono quando lo decido io, e ora guardati quanto eri bello!”
Mi volto verso il cancello e vedo quattro persone arrivarvi davanti.
Mia madre, mio padre, io e una bambina bionda.
La bambina bionda inizia a correre all’interno del giardino della villa, giocando  fra gli alberi. Il piccolo-me la segue, correndo. Mio padre urla 
“Luce…..Luce!Torna qui Luce, non correre!” in tono giocoso, poi guarda mia madre, che sorride incerta.
Non mi vedono, probabilmente io sto solo osservando, non sono davvero li.
Non ci seguono, rimangono fermi a parlare, non sento più quello che dicono.
Invece seguo i due bambini (“mi” seguo). La differenza di età non esiste, entrambi sembriamo avere all’incirca 5 anni. Mi somiglia tanto da poter essere....

No.

“Saluta tua sorella, Marco.”

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Capitolo 6
*** Pareti di vetro ***


Sono troppo sconvolto per rispondere come si deve a quella stronza di Aden. Non riesco a smettere di osservare Luce –mia sorella- e il suo modo cosi semplice nell’essere simile a me. Il modo in cui osserva la luce filtrare fra gli alberi mentre gioca, la forma degli occhi, le sue scarpette rosa. Come, come ho fatto a dimenticarla, tutto questo tempo?
Mi scende una lacrima mentre gli occhi mi bruciano. È salata.
Guardo Aden con una rabbia che mai avrei pensato di poter provare.
“Cosa le hai fatto?” dico, mentre la mia voce sfrigola nello sforza di mantenere la calma.
Aden non dice nulla, fa solo un cenno verso mia sorella, come per dire “guarda”.
Mi volto e osservo la scena.
Il piccolo-me è contro un albero, sta contando con la faccia rivolta verso la corteccia.
-Uno....due....tre...-
Luce mi guarda e ride, poi corre ancora di più verso il fondo del giardino, verso la casa.
La seguo, con Aden che resta alla mia destra.
La osservo scoprire e prendere atto dell’esistenza della casa, nella stesse condizioni in cui l’ho trovata io. Il tempo che ci mette a scoprire e digerire qualcosa è spettacolare, lontanissimo da me, che sarei fuggito a gambe levate da un edificio così tetro. È la più forte fra i due.
La porta della casa non è sbarrata però, anzi, è socchiusa. Luce fa due più due.
Si avvicina alla porta della casa e la apre, poi entra. Subito dopo la porta si chiude di scatto.
Riesco a notare solo l’orologio argentato e una luce azzurra, poi più nulla.
Sotto, le campane iniziano a suonare quella melodia.
All’improvviso tutto si fa ovattato, e vedo e sento solo “pezzi” di storia. Sento la mia preoccupazione nel non trovare mia sorella, sento la paura nella voce di mio padre, mia madre che piange, il mio viso caldo di lacrime. “Dov’è Luce??Dov’è??”.

Silenzio. Tutto si ferma, come se avessi premuto il tasto pausa durante un film. La realtà è sfocata. Mi giro e vedo Aden seria. Mi scopro con le guance bagnate, ho pianto.

“Che le hai fatto?” chiedo. Non so nemmeno cosa provare. Rabbia, stupore, nostalgia, tristezza. Tutto si somma e da zero.
“Io ho bisogno di Tempo per vivere” mi risponde Aden, senza aria di scherno, “Tempo potenziale. Tua sorella ha una vita lunga, Marco, e tantissimo tempo a sua disposizione, la sto usando, cosi come da sempre uso giovani vite umane per continuare la mia esistenza. Ogni tanto sparisce un bambino, in una qualche parte del mondo. Sono io. Non ha nulla di speciale Luce, è una batteria, e si è trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato.”
Cerco di immaginarmelo, non ci riesco. Ma ho capito a cosa le serve.
“Come sta ora?L’hai uccisa per il suo tempo?”
Aden mi guarda severa
“Io non uccido nessuno. Lei ora vive qui, nello specchio, con me. Non mi ha mai visto, la tengo in una riproduzione del vostro mondo, nel quale può ottenere ciò che vuole semplicemente desiderandolo. É felice”.
Come può essere felice?
Come posso essere stato io felice fino ad ora, con una parte di me perduta per sempre?
Aden mi vede, come al solito capisce al volo cosa sto pensando, anche fra le lacrime.
“Non sentirti in colpa. Ti ho cancellato la memoria.”
A quelle parole alzo la testa e la guardo dritto negli occhi, che ora hanno perso il loro fascino e la loro carica ipnotica.
“Come?Quando?COME TI SEI PERMESSA!”Le urlo in faccia.
Sta per rispondermi ma la anticipo “PERCHÈ NON HAI PRESO ANCHE ME?!COME HAI OSATO ENTRARMI NELLA TESTA!!”
Aden muove una mano e mi alza verso l’alto, tappandomi la bocca in qualche modo. Sono sospeso a diversi metri da terra.
“TACI STUPIDO IMBECILLE!Non ti ho preso perchè la tua vita è BREVE!Sei destinato a morire fra 30 anni!Assorbire richiede energia, e con te sarebbe stato uno spreco!Luce invece, ha anni davanti a se, talmente tanti che non puoi nemmeno immaginare. Perchè ti ho cancellato la memoria?Perchè avresti continuato a venire a cercare tua sorella. Il taglio, sulla mano,  te l’ho fatto chiudendoti i cancelli in faccia dopo che tu e i tuoi genitori siete venuti per la millesima volta a cercarla. L’ho cancellata a tutti, ho avuto pietà di voi. Una debolezza che non avrò più.”
La guardo mentre cerco di divincolarmi dall’energia che mi tiene sospeso. Ora sono io a leggere il suo viso. Per qualche secondo vedo pietà e malinconia in quegli occhi cosi chiari. Ma sparisce subito dopo, rimpiazzata dall’ombra che ho visto nella stanza.
“Va bene, fammi scendere, sono calmo” le dico, tirando su con il naso e asciugandomi una lacrima.
Lei aspetta qualche secondo, poi mi fa planare delicatamente a terra.
“Ora so la verità, cosa vuoi da me?”
Mi guarda, con un sopracciglio alzato. Poi ride.
“Non voglio nulla da te. Mi ha stupito trovarti nella villa, dopo così tanti anni.”
“Perchè farmi vedere tutto questo allora?Mi hai già fatto dimenticare tutto una volta, perchè farmi ricordare per poi doverlo fare di nuovo?”
Si volta di scatto.
“Non uscirai mai più da qui, non ho bisogno di farti dimenticare nulla, non hai vie di fuga.”
Pugno nella pancia. “...mai più da qui..”
Intrappolato, per sempre. Mamma Claudia Papà Mamma Claudia Claudia.
Respiro. Mi riprendo dallo shock.
Le sue parole hanno un tono cosi severo e risoluto che non penso nemmeno a protestare. In che modo, poi?No, devo solo rimanere calmo, repirare e pensare.
“Ok, va bene. Ma voglio stare con mia sorella ora. Mi hai detto che vive in una riproduzione del nostro mondo no?Fammi vivere con lei.”
Ci pensa un po’ su, pensa che potrei crearle problemi forse, che non ha motivo di tenermi qui, di essere clemente nei miei confronti. Poi quel lampo di umanità, di nuovo. Chissà chi è stata.
“E sia.”
Luce azzurra, lascio il giardino come se mi trascinassero verso l’alto attaccato ad un filo. Vedo che il giardino non è altro che un luogo piccolo, delimitato da pareti che sembrano fatte di vetro. Un rettangolo, come un set di un film. Mano a mano che mi alzo, noto che il rettangolo fa parte di un quadrato, formato da altri “set” che non riesco a distinguere. Sono miliardi, più mi allontano più ne vedo.
É tutto il Tempo.
Sono al massimo dell’altezza ora, e posso distinguere bene la forma del Tempo.
Un labirinto quadrato, con all’interno altri quattro quadrati più piccol....
Intuizione. Mi tocco la tasca.
La chiave è ancora li.



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Capitolo 7
*** Bianco. ***


Sospeso a centinaia di migliaia di metri da terra, vedo il Tempo muoversi, cambiare, creare nuovi spazi e sacrificarne altri. È caotico, ma credo che solo a me appaia cosi. Vedo Aden, alla mia sinistra, sospesa ma padrona della situazione. Legge il mondo sottostante.
Si accorge che la sto osservando, si volta e mi guarda. Una lacrima solitaria sembra scenderle dalla guancia, ma come è comparsa, sparisce, e il suo viso torna ironico e sensuale.
“Ti piace la vista?” mi chiede, come se volesse offrirmi da bere.
“...è il Tempo, vero?”
Mi guarda ammirata
“Hai un buon intuito.. No, non è il Tempo, ma quasi. Questo posto è la vostra percezione. Si volta ad osservare la mia bocca guardarla, spalancata. Poi si mette a ridere. “Voi non vedete tutto allo stesso modo, ogni essere umano ha un modo unico e personale di vedere il mondo. Vedi come cambia il labirinto?Ogni volta che un essere umano nasce, il labirinto crea un nuovo spazio, per ospitare il suo modo di vedere la realtà. Puoi interagire con altri esseri umani in un altro livello dimensionale, ma nessuno potrà vedere il mondo esattamente uguale a te. Sei solo, siete soli..”
La guardo. Prova pena per noi, ed è come se provasse pena per se stessa.
“È molto triste..” le dico. Ma l’emozione non c’è già più.
“Lo è per voi, a me non importa.”  mi dice ridendo. Intanto, inizio ad abbassarmi di quota. “Addio, mio caro Marco..” mi saluta Aden sorridente, prima di sparire e lasciarsi dietro l’eco di quella sua terribile risata.

E inizio a cadere.
Mi aspettavo una caduta controllata, come la era stata la ascesa, ma dopo i primi secondi, capisco che non c’è più Aden a manovrare lo spazio. Cado a velocità inumana. Percorro centinaia di kilomentri in pochi secondi, ma è come se restassi fermo. Vedo intorno a me lo spazio che sfreccia, ma non devo lottare contro l’attrito dell’aria ne faccio fatica a respirare.
Ma non dura molto. Sono vicino ai rettangoli di vetro ora e inizio a sentire l’aria che mi taglia le guance. Sento tutta l’atmosfera sbattere contro di me, come un getto d’acqua di straordinaria potenza, che mi comprime il petto e mi sfonda il cranio. Non posso nemmeno urlare. L’aria entra prepotentemente nei polmoni ma non sa come uscirne. Sto per morire soffocato.  Guardo sotto di me: se non morirò soffocato, morirò per lo schianto. Ormai sono vicinissimo al terreno, l’adrenalina rimbomba nelle tempie. Un secondo prima dello schianto, il mio corpo cede. Svengo.

“Sveglia, ehi!Dai, su, non fare questi scherzi, sveglia!!Tanto lo so che sei ancora vivo, suu!”
POP!
“Ecco, la vuoi una brioche alla nutella?Annusa, senti che buona.. “
POP!
“Magari preferisci un cappuccino, è ancora caldo, se ti svegli..”
Mi risveglio tossendo e sbatto la testa contro una tazza di caffelatte, che mi finisce addosso e mi scotta terribilmente.
“Aaaahh!Bruciabruciabruciabruciaaaa!”
Vedo una ragazza bionda della mia età mortificarsi e saltellare di qua e di là dispiaciuta.
“Oddio mi dispiace, tantissimo!Io volevo solo.. certo che anche tu con quella testaccia.. non potevi solo aprire gli occhi??.. oooh, come faccio adesso, cosa mi invento.. “
Io intanto mi sono già calmato e la osservo correre di qua e di là in quel posto così... Mi devo strofinare gli occhi, non credo a ciò che vedo.
Siamo in mezzo al nulla. Tutto intorno a noi è bianco, un bianco abbacinante e irreale.
Anche la ragazza è vestita completamente di bianco, il che rende visibili solo i suoi piedi (scarpe da ginnastica di un bianco differente dalle pareti), le sue mani e la testa, dai capelli biondi. Non sembra fare caso al posto in cui siamo, e si comporta come se stesse cercando qualcosa dentro a scaffali immaginari. Si volta verso di me. “Sono davvero una stupida!” mi dice, poi sbatte le ciglia.
POP!
I miei vestiti sono passati dall’essere cosparsi di cappuccino, all’essere morbidi e asciutti.
La guardo spaesato, e lei guarda me.
“Beh, hai intenzione di alzarti da quel letto, o preferisci che ti porti la colazione li?Stavolta il cappuccino non te lo rovescio addosso, promesso..” ridacchia.
Letto?Sotto di me solo bianco.
“Ho capito” mi dice “sei ancora sotto shock. Aspettami qui.”
Rimango fermo nella stessa posizione, osservandomi attorno. Faccio fatica a ricordare perchè sono qui e che posto sia questo. Non saprei nemmeno dire se sono appena arrivato, non ricordo nulla del mio passato e intorno alla mia mente aleggia una nebbia densa e fitta. Così mi concentro sul presente.
Le dimensioni di questo luogo non esistono. O meglio, esistono ma sono infinite. Sotto di me potrebbe esserci un burrone, per quanto ne sappia. Se allungo la mano, non trovo ostacoli. Eppure resto sospeso, come appoggiato al pavimento. Intanto, osservo la ragazza in bianco muoversi per la stanza indaffarata, cercando qualcosa come prima. All’improvviso si ferma, e si batte la mano sulla fronte come per darsi della stupida (di nuovo). Sbatte le ciglia e in mano le compare un vassoio con sopra cappuccino e brioche.

“Ah ti sei alzato vedo!” mi dice.
Perplesso “Non mi sono mosso..”
Lei sembra non farci caso e appoggia il vassoio sopra ad un tavolino, che non c’è. Il vassoio, a mezz’aria, resta fisso al suo posto. Allungo la mano e prendo la brioche, mentre lei mi guarda.
La addento. È buona.
“Ti piace?Mi sono impegnata tanto, per farla, se ne vuoi un’altra basta dirmelo!”  
“Chi sei?” le chiedo gentilmente “e dove siamo?”
Ora è lei a guardarmi corrucciata. “Siamo a casa mia, non vedi?L’ho arredata con tanto amore, ho perfino scelto le lenzuola più rosse che si possano trovare!Non ti piacciono?”
Dice, mentre tocca il nulla assoluto ai miei piedi –ai piedi del letto-.
All’improvviso capisco che la mia idea iniziale è vera, lei non vede ciò che vedo io.
Ma come è possibile?
“Non mi hai ancora detto chi sei..”
Non risponde “...questo tavolino invece l’ho dipinto io a mano, e anche questi piatti, vedi le roselline rosa sullo sfondo?le ho attaccate con il decoupage, ci ho messo un po’ ma grazie a questa guida” svoglia un giornale immaginario “posso finalmente...”
“Ok, ok, ok ma chi sei tu??”
“....e i fornelli sono a piastra elettrica, cosi posso tenere la temperatura...”
Sono decisamente irritato. Le vado incontro e le prendo la mano mentre tenta di afferrare qualcosa nel nulla. “OK!MA CHI SEI?!COME TI CHIAMI!?”
La sua faccia diventa improvvisamente seria..
“Io sono... mi chiamo...” i suoi occhi guardano l’orizzonte, come scrutando dentro ad un pozzo senza fondo. Poi all’improvviso smette di muoversi. Rimane così, ferma immobile, in piedi. All’inizio cerco di scuoterla per le spalle, schiaffeggiarla leggermente sulle guance, chiamarla a voce alta, tutto sperando che si svegli, ma sembra non collaborare. È come se il suo cervello fosse entrato in confusione, cercando la risposta ad una domanda che non conosce.
Dopo un paio d’ore (tanto mi sembra essere passato) decido che non posso fare nulla per lei, e decido di aspettare che si svegli da sola, esplorando lo spazio intorno a me.
Che gran passatempo, eh? È tutto talmente bianco da risultare insopportabile alla vista per più di dieci minuti, dopo di che inizio ad essere nervoso. Vorrei tanto che ci fosse un secchio di vernice rossa per rovinare tutto quel biancore terribil..
POP!
Mi giro di scatto sulla mia sinistra e vedo un secchio di vernice rossa. Densa, vivace, pronta per essere usata. Lo raggiungo e metto la mano nella vernice. La tiro fuori dal secchio completamente rossa. La vernice è vera!
Come ho fatto?L’ho desiderato?Basta
desiderare per ottenere??
Quindi se io desiderassi, che ne so, un letto gigante e dei vestiti puliti potrei....
...
Ripeto, se io desiderassi un letto gigante e dei vestiti puliti dovrei trovarmeli proprio sull..
Mi giro, niente.
Perchè non funziona?Li sto desiderando tantissimo, è quello che voglio!
Si però non sono stato specifico... Dovrei desiderare un letto a tre piazze, con le lenzuola di seta azzurre e i cuscini bianchi...
POP!
Alla mia destra, in un punto imprecisato dello spazio, appare il letto. Esulto internamente.
E se volessi dei jeans comodi, una t-shirt nera e una felpa blu dovrei solo desiderare per...
POP!
Mi vesto, godendo dei nuovi vestiti sulla pelle. Poi mi corico sul letto e guardo la mia nuova amica ferma immobile nello stesso punto da più di tre ore. Forse se le buttassi una secchiata d’acqua fredda addosso si sveglierebb..
POP!
Nemmeno il tempo di desiderarlo concretamente che mi appare davanti.
Questo posto non accetta ripensamenti quindi...
SPLASH!
“Luce!!Mi chiamo Luce!!”





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