Our time apart, like knives in my heart.

di Rachel_Daae
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Parte 1 ***
Capitolo 3: *** Parte 2 ***
Capitolo 4: *** Parte 3 ***
Capitolo 5: *** Parte 4 ***
Capitolo 6: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Non appena sono approdata in questa sezione mi sono accorta che il mio personaggio preferito della saga non appariva in alcuna fan fiction, così mi sono in qualche modo ripromessa di dargli nuova dignità. Non sono affatto sicura di essere riuscita nell’intento, ma eccomi qui. Vi propongo qualcosa di “sdolcinato” rispetto a quello a cui ci ha abituati Dashner, ma spero possa piacervi comunque.
Si tratta di una long fic molto breve (ho previsto di dividerla in quattro parti, dato che l’ho conclusa).
L’ispirazione per questa fan fiction mi è venuta ascoltando la canzone “Trying Not To Love You” dei Nickelbak. Il titolo viene dal testo del brano ed esprime il punto di vista del protagonista maschile della storia. Per quanto riguarda il personaggio femminile, del tutto assente nell’universo di Dashner, mi rifaccio ad un’altra canzone: “It’s All Coming Back To Me Now”, in particolare la versione eseguita da Celine Dion.
Altra, ma non meno importante, fonte di ispirazione, è stata la lettura rapidissima di un “Imagine” su Tumblr, il cui protagonista era Newt.
La Fan Fiction si basa molto liberamente sull’opera “The Maze Runner”, di cui ho letto il romanzo mesi fa. Mi perdonerete se non è fedelissima ad esso, ma la visione del film mi ha influenzata molto nella stesura, soprattutto per quanto riguarda la figura di Gally, che nelle pagine del romanzo è un personaggio molto più “difficile”. Il Gally  che ci ha dato il regista del film era molto più semplice da trattare come spunto per le fan fiction.
Noterete parecchi dettagli dal film e parecchi altri dal romanzo. Spero che questa mia scelta non vi provochi troppi pruriti.
Vi lascio alla lettura del Prologo (parte che, in sé, non contiene grandi novità rispetto all’opera alla quale mi rifaccio, ma che spero vi incuriosisca).
Buona lettura e ricordate che consigli e critiche costruttive sono sempre ben accetti!
Rachel

 
Our Time Apart,
Like Knives In My Heart.

 
Prologo
 
Seguiamo tutti i passi di Thomas attraverso i corridoi bui ed asettici di quello che sembra un laboratorio sotterraneo. È qui che devono nascondersi i Creatori, coloro che ci hanno studiati e messi nel labirinto; coloro che ci hanno privati delle nostre vite per metterci alla prova per uno scopo che ancora ci è oscuro.
Non capisco per quale motivo le nostre gambe, nonostante ci siamo lasciati i Dolenti alle spalle, continuino a correre esattamente come facevano nel Labirinto, spinte da una cieca necessità.
Siamo liberi, ma abbiamo ancora paura di quello che potrebbe aspettarci oltre questi corridoi. Temiamo i Creatori e temiamo le risposte che potrebbero darci.
Siamo sopravvissuti in pochi alla fuga. Tanti di noi sono rimasti alla Radura, troppo spaventati per avventurarsi nell’ignoto della tana dei Dolenti alla ricerca di una via d’uscita; la sicurezza rappresentata dallo spiazzo verde nel quale hanno vissuto per anni, come in una gabbia dorata, li ha cementati laggiù. Altri di noi sono morti, trascinati nell’oblio dai Dolenti.
Thomas ci conduce in fondo al corridoio illuminato soltanto da una luce d’allarme rossa che, con la sua intermittenza, rischiara i nostri passi rapidi ma incerti.
Ci fermiamo quando incappiamo in una porta socchiusa che il ragazzo apre cautamente.
Davanti a noi si profilano strani macchinari, teche di vetro alte e vuote e…cadaveri.
Corpi riversi contro le pareti, sulle poltroncine, sui tavoli da lavoro.
In essi riconosciamo i Creatori, le persone che ci hanno coinvolte in tutto questo. Lo sgomento è forte in me come in qualsiasi altro membro del gruppo. Leggo nelle espressioni di Minho, Teresa, Chuck, Thomas, Newt e degli altri, le stesse domande che fioriscono nella mia testa:
Cosa è successo? Perché i Creatori sono morti? Come usciremo di qui?
Di certo ci aspettavamo di trovare qualcosa di sconvolgente, al di là di quella porta, ma ci aspettavamo anche delle risposte. Risposte che non arriveranno mai, ora che i Creatori sono morti, sterminati chissà come, chissà per mano di chi.
Ci aggiriamo con circospezione per il laboratorio, tutti visibilmente sconvolti dall’orrore della scena; è come se l’aver perso, per mesi ed anni, tutti quei compagni dilaniati dai Dolenti, non fosse nulla a confronto della prospettiva di non poter davvero uscire dal Labirinto; perché al Labirinto, a quanto sembra, non c’è soluzione.
È Thomas a smuovere la situazione, posizionandosi incuriosito davanti ad uno schermo lampeggiante e recante codici e frasi che non riesco a decifrare. Ci raccogliamo tutti intorno a lui, davanti al macchinario, quando Thomas allunga esitante un dito e preme sullo schermo che ne attiva un altro, posizionato al centro della stanza, e ci viene rivelato il volto di una donna in camice. È un filmato registrato da quella che, in apparenza, è una dei Creatori, anche se non riesco a riconoscerla.
La donna parla, si rivolge a noi e dice di essere a capo del W. C. K. D., un dipartimento che si occupa delle catastrofi nel mondo. La stessa organizzazione le cui iniziali figuravano su ogni oggetto venuto a noi nella Radura attraverso la Scatola, nonché su ogni Dolente e su ogni Scacertola.
Continuiamo ad ascoltare la donna complimentarsi con noi, dire che siamo i sopravvissuti della Prova del Labirinto ed assicurarci che tutto quello a cui lei ed i suoi colleghi ci hanno sottoposto è stato fatto per una ragione:
La popolazione della Terra è stata decimata da un’innaturale innalzamento delle temperature del sole, che ha causato condizioni estreme in ogni angolo del Pianeta.
Come se ciò non fosse bastato, l’apparizione di un’epidemia, chiamata l’Eruzione, ha piagato ciò che rimaneva del genere umano finché, con l’avanzare stentato delle generazioni, apparvero degli individui in grado di combattere l’epidemia incurabile che portava alla pazzia, alla perdita totale del controllo di sé fino ad uno stato di mostruosa primitività ed alla morte.
Studiare questi individui alla ricerca di una cura non fu facile. Molti di loro dovettero perire in ambienti ostili, fronteggiando test sulla propria psiche, e nacque così la necessità di trovare, fra questi soggetti “speciali”, chi fra di essi fosse davvero forte, davvero in grado di affrontare il mondo esterno e le sue condizioni estreme.
Queste persone siamo noi. Noi che abbiamo affrontato il Labirinto e siamo sopravvissuti ed esso. Noi che non abbiamo genitori o famiglia a causa delle catastrofi e che comunque non abbiamo alcun ricordo di loro. Noi che portiamo i nomi con i quali i Creatori ci hanno ribattezzati, prendendoli da quelli dei grandi personaggi della storia, da coloro che hanno contribuito, con il loro operato, al progresso del genere umano. Premi Nobel, scienziati, letterati, economi, leader religiosi … cavie. Ecco cosa siamo.
Purtroppo i metodi del W. C. K. D., ci dice la donna, non sono stati da tutti considerati come atti di progresso. Colori i quali li hanno visti come delle barbarie si sono mossi con ogni mezzo per ostacolare il progetto e al momento della registrazione del video, li vediamo muoversi alle spalle della Creatrice che ci ricorda che per noi non è troppo tardi, che il mondo ci aspetta, che le prove sono appena iniziate e che “W. C. K. D. è buono”, prima di puntarsi una pistola alla tempia e porre fine alla sua esistenza.
La visione del filmato ci ha sconvolti. Finalmente abbiamo le risposte che cercavamo, ma non sono risposte rassicuranti.
Ci guardiamo intorno. In fondo al laboratorio, appena vicino alla porta dalla quale siamo entrati, c’è la postazione dalla quale la donna ha registrato per noi il filmato. Il suo corpo giace sul pavimento pieno di cocci di vetro infranti, con un braccio allungato sopra la testa ed una pistola pochi centimetri più in là.
- E ora che facciamo? – domanda Chuck, allungandosi per vedere il viso di Thomas, al quale è legato come ad un fratello maggiore.
- Quella donna ha detto che siamo fondamentali…- fa Newt, subito interrotto da Minho.
- Che cosa intendeva dire?-.
- Non lo so, - risponde Thomas, che sembra essere il meno confuso tra noi, forse a causa della Mutazione appena subita che gli ha aperto la mente sul nostro destino.
Io, nonostante il mio incidente altrettanto recente, non ho idea di cosa sarà di me ora che finalmente sono libera dall’incubo del Labirinto.
- comunque muoviamoci. Andiamo via di qui.- termina Thomas, indicando un portone di fronte a noi, dalla parte opposta rispetto alla quale siamo giunti.
Desolati e spaesati, diamo tutti le spalle ai cadaveri, pronti a fare un altro balzo nel vuoto attraversando quella porta, ma una voce rotta interrompe il nostro moto.
- No.- è una voce forte, seppure non decisa; un timbro che conosco fin troppo bene e che mi provoca all’istante una sensazione di vuoto all’altezza dello stomaco
Riesco appena a sussurrare il suo nome, mentre mi volto, confusa e speranzosa, a guardarlo.
- Gally…-.
- Gally!- Thomas scatta verso il ragazzo, pallido in viso, allarmato. Io mi guardo intorno e non ho che pochi istanti per realizzare che quello non è Gally. O meglio, lo è, ma non è lui. È stato punto dai Dolenti e non è in sé.
Tra le mani tremanti tiene la stessa pistola che ha decretato la fine della Creatrice. Punta l’arma su di noi, su Thomas, e sul suo viso leggo la disperazione del gesto che vuole compiere, mista al fantasma della Mutazione che lo sta portando con sé verso l’oblio.
- Non possiamo andare via. - dice improvvisamente.
- Lo abbiamo già fatto, siamo liberi, non capisci?- Thomas tenta di convincerlo.
- Liberi? Pensi che sarai libero là fuori?!- il tono di Gally si fa più disperato ed arrabbiato, man mano che il veleno si impadronisce del suo corpo.
Da qui, da dietro le spalle di Minho e Newt, posso vedere le sue iridi farsi più scure, la sua pelle macchiarsi, i suoi muscoli tremare ad ogni parola.
- No, non si può scappare da questo posto…-.
Quando Gally impugna meglio l’arma e si prepara a sparare su Thomas, non posso trattenermi, scosto Minho e Newt e mi faccio avanti, cauta ma decisa.
- Gally…- pronuncio il suo nome ed osservo la sua reazione. Probabilmente non si era accorto della mia presenza, perché mi guarda come se mi vedesse solo ora e per un momento mi sembra di percepire in lui un barlume di esitazione, come se stesse realizzando l’errore compiuto nel non seguirci nella fuga dal Labirinto.
- Pearl…-.
- Sì, Gally. Sono viva. Sono qui.-
- Pearl…- la disperazione sembra ora sopraffare la rabbia, cosa di cui mi devo rallegrare. Non voglio perderlo, non adesso che l’ho ritrovato.
- Gally, vieni con noi. Siamo liberi adesso…- . Gli tendo la mano, avvicinandomi di più a lui e notando che ha abbassato la pistola.
Devo sperare che la mia presenza lo convinca a scappare insieme al gruppo; che lo porti indietro, almeno di un pochino, dalla Mutazione e gli permetta di ragionare e di capire che insieme possiamo farcela.
- Pearl…- ripete lui. - … siamo liberi, Pearl…-.
- Gally, vieni con me. Il mondo non sarà ospitale, ma non lasciare che io lo affronti da sola. Vieni, te ne prego.-
Gally cade in ginocchio, abbassa il capo ed inizia a singhiozzare.
Ormai sono a pochi centimetri da lui, decisa a salvarlo, ma timorosa di fare una mossa che possa catapultarlo nella pazzia nuovamente.
- Pearl, ti ho fatto del male…- la sua voce è rotta dal pianto. È solo questo, allora, che lo attanaglia adesso: la paura di avermi ferita.
- Non sei tu, Gally. Non sei tu quella persona.- mi affretto a consolarlo. - Tu sei diverso. Del male non mi importa nulla, è passato.-
Mi inginocchio anche io, tentando senza toccarlo di fargli sentire la mia presenza.
Lui tiene ancora la testa bassa, così io posso fare un cenno al gruppo, nel tentativo di domandare soccorso, qualcuno che mi aiuti a rimettere in piedi Gally e portarlo fuori con noi.
L’ho tranquillizzato, fuori di qui lo cureranno, tornerà quello di prima. Poi potremo pensare a come affrontare quello che ci aspetta…
Quando però Thomas si piega, insieme a Minho e Newt, per sollevare il corpo indifeso di Gally, mi accorgo che la mano del ragazzo è ancora salda sulla pistola e che la vista del Velocista gli provoca un moto improvviso che ci fa allontanare tutti di qualche passo.
Gli occhi di Gally sono tornati scuri, il suo viso infuriato scruta Thomas.
Colto da un’improvvisa scarica di energie, il ragazzo si rialza, scuotendo la testa lievemente e stiracchiandosi le spalle prima di puntare l’arma contro Thomas.
- E’ colpa tua- ringhia. – Tu l’hai portata via…-.
Thomas alza le mani, mostrandone i palmi, ma è inutile tentare di calmare Gally. Vedo Minho aggrapparsi alla lancia rudimentale che si è portato dallo scontro con i Dolenti nella Tana, e capisco che la situazione si sta facendo precaria molto più di prima.
- No, Gally. Thomas ci ha salvati…- anche il mio implorare non sembra avere alcun effetto.
Si fa spazio in me di nuovo l’idea desolante di perderlo, la paura di non poterlo salvare.
- Io appartengo al Labirinto…- il tono di Gally è strano. Risulta quasi recitativo attraverso le lacrime. È come se stesse pronunciando un mantra.
- E anche tutti voi.-
- Gally, per favore…- non trovo argomenti a cui aggrapparmi.
Lui incrocia il mio sguardo per un attimo. Sono supplichevole, disperata quasi quanto lui.
- Mi dispiace, Pearl…ti amo.-
Attraverso la patina di lacrime, con gli occhi perduti nel veleno e il viso contratto dal dolore, Gally spara il colpo su Thomas.
 

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Capitolo 2
*** Parte 1 ***


Eccomi qui!
Diversamente da quanto avevo detto, ho deciso di dividere ulteriormente la storia, così da ottenere più capitoli brevi, invece che due parti molto lunghe, un prologo ed un epilogo ridicolmente corti, e poter aggiornare la storia due volte a settimana. Diciamo pure che non resistevo e che non mi sembrava giusto lasciarvi con il prologo privo di contenuti nuovi.
Come vedrete, ho fatto una precisa scelta di stile nel raccontare la vicenda che ho in mente, perciò vedrete i fatti principali volare via e il racconto soffermarsi di più su altri aspetti della vita nella Radura. Dopotutto abbiamo tutti letto il libro e abbiamo tutti, credo, visto il film, quindi mi è sembrato una perdita di tempo soffermarmi troppo su alcuni eventi.
Fatemi avere qualche parere se volete!
Ciao bellissimi Pive! 
Rachel
Parte 1
 
Mi svegliai all’interno della sferragliante Scatola, in ascesa verso l’ignoto. Ricordo di essermi aggrappata a quello che avevo trovato, ben poco, a dire il vero, non appena aperti gli occhi, e che il senso di salita mi provocò vertigini e nausea. A stento trattenni il vomito, senza neanche sapere se il mio stomaco fosse pieno o meno. Avevo addosso una sensazione di vuoto, non solo causata dalla salita vertiginosa, ma anche dal fatto che non avevo alcuna memoria di me e della mia vita. L’unica cosa che sapevo era il mio nome: Pearl.
Una sirena squillante accompagnò la mia “emersione” dalle profondità dalle quali provenivo.
Smarrita ed accecata dal sole, davanti a me avevo un gruppo di volti oscurati dalla luce e sentivo voci dai toni sorpresi e stupiti.
- E’ una ragazza!- diceva qualcuno.
- E ora che ne facciamo?- chiedeva qualcun altro.
Una sagoma si staccò dal gruppo e si mosse saltando agilmente nella Scatola. – Fate silenzio, teste di sploff! La spaventerete!- intimò agli altri, prima di avvicinarsi a me e mostrarsi.
Era un ragazzo piuttosto alto e dall’aspetto sano e forte. Pelle scura ed occhi vivaci.
- Benvenuta nella Radura, Fagio. Io sono Alby, vieni con me…-. Mi aiutò a sollevarmi e mi portò fuori, all’aria aperta.
Davanti a me si estendeva una pianura verdeggiante costellata di costruzioni rudimentali, piccoli orti, un bosco e…delle mura. Altissime mura grigie tutto intorno alla natura rigogliosa, interrotte soltanto da altrettanto enormi aperture, come porte spalancate.
Tutto ciò che riuscii a dire, in quel momento, fu che mi chiamavo Pearl, non Fagio, e questo causò l’ilarità di tutto il gruppo, che sembrava molto divertito nel vedere quanto fossi spaventata e disorientata.
Persino Alby, che prima li aveva rimproverati, rise con loro, battendomi amichevolmente una mano sulla spalla. – Piacere di conoscerti Pearl. Purtroppo per te qui sei nuova, quindi fino al mese prossimo sarai la nostra Fagio, pivella.-
Risero di nuovo tutti, meno un grosso individuo dall’aspetto corrucciato che rimase a breve distanza dal gruppo, con le braccia incrociate al petto, osservando concentrato il mio arrivo.
Al momento, e per i seguenti mesi, non me ne spiegai il motivo, ma la vista di quel ragazzo che, come me e come gli altri presenti, poteva avere al massimo diciannove anni, con le sopracciglia aggrottate e l’espressione severa che mi scrutava, mi provocò un improvviso moto d’ira.
Presa da una cieca foga scattai, lasciando Alby e gli altri interdetti ed incapaci di intercettarmi per tempo, corsi fino a raggiungere il ragazzo, il quale aveva sciolto le sue braccia e mi guardava allarmato.
Quello che seguì è ancora piuttosto confuso. Lo aggredii. Ricordo che sferravo calci e pugni e che gridavo ingiurie verso di lui, che opponeva una certa resistenza al mio impeto, ma non rispondeva né alla mia violenza fisica né a quella verbale.
Probabilmente lo fece perché ero una ragazza e perché, me ne resi conto solo dopo, superato lo choc iniziale, ero anche la prima, forse l’ultima, ragazza che entrava nella Radura.
Avrebbe potuto ridurmi a piccole briciole, ma non lo fece. Si limitò ad afferrarmi, frenando la mia aggressività e tenendomi ferma per i polsi, dopo aver fatto passare le mie braccia dietro la mia schiena, in modo da impedirmi di toccarlo ancora.
Tra i denti, con disprezzo misto ad una  ironia, disse ai compagni: - Guardate un po’, la nuova Pive vuole farsi già bandire dalla Radura. Direi che come primo giorno non è male! Che ne dici, Alby, una notte in gattabuia le farà bene?-.
Nel parlare non mi guardò mai in viso, mentre io, per quello che mi era permesso di fare, immobilizzata come ero, osservai bene l’espressione seria del suo e iniziai a chiedermi perché lo avevo aggredito e perché la sua presenza mi provocava così tanto disagio ed astio.
Alby mi condusse in gattabuia, una piccola cella costruita appositamente per punire chi non rispettava la semplice ma fondamentale legge della Radura: non far del male ai compagni, fai il tuo dovere, non fare troppe domande. (La regola primaria del gruppo, quella la conobbi solo più tardi…)
Passai la mia prima notte nella Radura transitando dal pianto al sonno, sfinita e sconvolta per quello che mi era successo. Nessuno si era preoccupato di portarmi qualcosa da mettere sotto ai denti e nessuno si era preso la briga di spiegarmi dove mi trovavo e perché.
Perché non sapevo altro che il mio nome? Dove ero capitata? Perché questi ragazzi vivevano in uno stato poco più avanzato rispetto a quello degli uomini della pietra? Che razza di linguaggio usavano? Come mai se ne stavano così tranquilli? Cosa erano quei muri colossali che segnavano il perimetro della Radura?
- Buongiorno, Fagio.- fu un altro ragazzo a svegliarmi il giorno seguente. Era alto, biondo, e aveva un fisico meno costruito di quello di Alby e del raduraio che avevo aggredito, ma almeno aveva un’espressione molto più amichevole.
- Mi dispiace di non avere un’ambasciatrice del gentil sesso da mandarti, ma a quanto pare i Creatori ieri ci hanno giocato un bel tiro mandandoti su con la Scatola. Una ragazza! Chi se lo immaginava? E per di più aggressiva come un gattino spaventato!- disse, prima di aprire la porta della cella che mi teneva isolata dal mondo esterno.
- Non ti sei comportata bene ieri, eh? Hai fatto rincaspiare Gally, lo hai riempito di graffi e Alby ha dovuto davvero farti chiudere in gattabuia. Per il futuro ricordati di non aggredire nessuno qui, d’accordo?-.
Annuii, ancora confusa a causa delle informazioni che il ragazzo mi stava dando così rapidamente.
I Creatori? Probabilmente le persone che ci avevano messo qui. Una ragazza? Allora ero davvero l’unica componente femminile del gruppo. Avevo in qualche modo rivoluzionato il loro equilibrio sbucando da quella Scatola?
E poi Gally? Era quello il nome del ragazzo su cui avevo riversato con tanto slancio la mia rabbia immotivata?
- Io sono Newt. Dai, vieni, ti mostro la Radura.-
Durante il breve tour del luogo, Newt mi informò circa ciò che mi sarebbe stato utile conoscere sul gruppo e sul suo stile di vita. Mi presentò ai membri che incontravamo strada facendo, dicendomi che la maggior parte di loro li avrei conosciuti col passare del tempo.
La loro, anche se avrei dovuto dire nostra, piccola società, si suddivideva in gruppi di lavoratori, guidati da intendenti che li rappresentavano nelle riunioni importanti.
Newt era parte del gruppo degli Agricoltori, e braccio destro di Alby, il capo del gruppo, nonché il primo ad essere salito nella radura con la Scatola; L’intendente degli Agricoltori era Zart; poi c’erano gli addetti alla cucina, con Frypan alla loro testa, i Medicali, che si occupavano di guarire i feriti, i Macellai per il bestiame, gli Spalatori, i Costruttori, di cui Gally era l’intendente, ed infine i Velocisti.
Appresi che il loro ruolo era quello di percorrere ogni giorno ciò che il grande muro separava da noi: un immenso labirinto del quale nessuno aveva mai trovato l’uscita. Il loro intendente era Minho, un ragazzo asiatico molto prestante, amichevole quanto lo era Newt.
Minho ogni giorno portava un gruppo di velocisti nel Labirinto, tornava prima di sera e si chiudeva con loro nella sala delle mappe, un edificio al quale solo loro avevano accesso, per segnare su fogli di carta il percorso quotidiano e studiarlo.
- Sai, potresti anche diventare uno di loro.- mi disse Newt ad un certo punto. – Una velocista, sì. Non che qui un posto da Velocista sia tanto ambito, ma il tuo scatto di ieri su Gally non è stato affatto male. Sono sicuro che Minho ti terrà d’occhio.-
Non compresi se si stesse prendendo gioco di me o se dicesse sul serio. Appresi da lui soltanto che il mio compito per i giorni seguenti, sarebbe stato quello di affiancare un intendente per volta nel suo lavoro, alla ricerca della vocazione che mi avrebbe fatto trovare il mio posto in quel microcosmo che era la Radura.
- Newt, cosa ci facciamo qui? Cosa c’è là fuori, nel Labirinto? Perché non ricordo nulla di me?- non riuscii a trattenere la mia curiosità. Dopotutto il ragazzo mi aveva spiegato tutto meno ciò che davvero mi interessava.
Lui mi guardò severamente.
- Non devi per nessun motivo allontanarti dalla Radura. Il Labirinto, toglitelo dalla testa. Non ci puoi entrare, chiaro?- sbuffò, poi tornò a sorridere. – Basta con le domande per oggi, devi riposarti. Domani inizia la tua nuova vita da raduraia.-

 
***
 
Quella sera presi parte ad una festa. Appresi che i radurai organizzavano spesso queste riunioni sotto il cielo stellato, con lo scopo di alleggerire le tensioni dovute alla loro situazione.
Comunque, più che dire che partecipai alla festa, dovrei dire che la osservai da lontano. Non avevo ancora tutta questa voglia di mescolarmi al gruppo di maschi inneggianti davanti al fuoco. Molti di loro ridevano, altri cantavano, altri ancora bevevano e gozzovigliavano, ma io non avevo nessuna intenzione di unirmi a loro. Ero una ragazza ed ero ancora spaventata.
Newt mi raggiunse a più riprese per portarmi del cibo o farmi compagnia, ma non insistette mai sul farmi partecipare alla festa, cosa della quale gli fui grata.
- Alby dice che dovresti iniziare provando a lavorare con i Costruttori…- fece lui, interrompendo il filo dei pensieri nei quali mi ero persa, osservando il fuoco da lontano. -…ma secondo me non è una buona idea, dopo quello che è successo con Gally ieri.-
- Gally mi fa paura.- fu tutto quello che riuscii a dire.
Newt rise di gusto e finse persino di strozzarsi con la bevanda che stava sorseggiando da una bottiglietta di plastica. – Sei seria, Fagio? Non avevo mai visto nessuno aggredire Gally in quel modo. Oggi ti ho presa in giro dicendoti che sembravi un gatto, ma la verità è che sei sembrata a tutti molto forte e che quelli che hai procurato a Gally non erano graffi innocenti, ma lividi.-
- E questo cosa dovrebbe significare?- chiesi scettica e confusa.
Newt ammiccò. – Che secondo Alby potresti essere utile come costruttrice.-
- Non intendevo quello. Cosa significa…quella cosa che hai detto su Gally?-.
- Oh, beh…che Gally non è tipo da farsi aggredire. Lo hai colto alla sprovvista. Non l’ho mai visto così confuso. Gli ci è voluto un po’ prima di reagire. Ma forse era solo perplesso perché sei una ragazza. Dopotutto non avrebbe potuto dartele di santa ragione.-
- Già.- concludo io, ancora non troppo convinta dalla sua spiegazione.
Tornata ad osservare la scena della festa, mi accorsi che il soggetto della nostra conversazione non si trovava tanto distante da noi.
Gally, il torso scoperto ed i piedi nudi, era in piedi al centro di un cerchio di sabbia contornato da lanterne rudimentali, l’espressione trionfante, i muscoli tesi e lucidi di sudore. Steso a terra a pochi metri da lui c’era un ragazzo che si teneva lo stomaco, contorcendosi e prodigandosi in espressioni di dolore. Attorno a loro vi era un gruppo di radurai che ridevano ed incitavano il ragazzo a terra ad alzarsi.
- Come vedi, Gally non è un tipo delicato.- mi disse Newt, probabilmente dopo essersi accorto di cosa aveva attirato la mia attenzione.
Pensai che prima o poi avrei dovuto sistemare la situazione nella quale mi ero messa il giorno precedente e, comprendendo che quello di Gally nel cerchio di sabbia non era che un gioco, decisi di approfittare dell’opportunità che mi veniva offerta. Dopotutto ero una raduraia anche io, no?
Mi alzai e mi diressi a passo deciso verso il cerchio, con Newt che sbraitava chiedendomi spiegazioni e tentando di starmi dietro. Non mi era improvvisamente venuta voglia di partecipare alla festa. Le mie intenzioni erano diverse.
Mi posizionai in mezzo al cerchio, sotto gli occhi di tutti, pronta a misurarmi con Gally che ancora mi voltava le spalle, intento a pulirsi le mani con della sabbia appena raccolta da terra. Non so per quale motivo, ma sentivo di poterlo fronteggiare ad armi pari.
Il gruppo, fino a quel momento rumoroso, si zittì al mio arrivo, ma lui non se ne accorse.
Presi un respiro e parlai:
- La prossima sono io, Gally.-
Vidi le sue spalle irrigidirsi al suono della mia voce. Il ragazzo si voltò, rosso in viso ed affannato per la fatica appena compiuta, ma anche palesemente infastidito dal mio intervento.
- La nostra Fagio vuole il secondo round!- sentii qualcuno gridare.
- Non se ne parla.- disse Gally, categorico. – La Pive femmina non può partecipare a questi giochi.-
- E quale regola lo vieta?- chiesi io, sbeffeggiandolo. Forse, se l’avessi provocato, lui avrebbe cambiato idea. Non avevo paura di misurarmi con lui, oltretutto più tempo passavo guardando il suo viso, più in me cresceva l’astio che avevo percepito la prima volta che lo avevo visto e con esso cresceva anche la smania di rompergli un osso o due. Sentivo che avrei potuto metterlo al tappeto e che, se l’avessi fatto, lo avrei allontanato da me per sempre e mi sarei liberata di questo problema.
- La mia regola lo vieta!- gridò lui, battendosi il petto.
- Hai paura che ti faccia male?-.
Gli sfuggì una risata sarcastica che fu seguita dal suo scuotere la testa, segno che stava cercando di mostrare a tutti quanta pena gli facessi. Io, la nuova arrivata, debole e stupida, che lo sfidava nella lotta libera a quel modo.
- Ok, basta così!- fu Alby ad interrompermi prima che potessi reagire e dire a Gally il fatto mio. – La festa è finita, tutti a dormire!-.
- Ah, avanti, Alby! Vogliamo vedere la Fagio che fa un occhio nero al nostro costruttore!- gridò qualcuno dei presenti.
Gally scoppiò: - Non avete sentito Alby?! La festa è finita! Andatevene tutti, prima che sia io a fare neri voi!-
Il cerchio si svuotò presto. I radurai, Gally e Newt compresi, mormoranti andarono verso i loro giacigli, nel dormitorio accanto ai campi ed io rimasi sola.
Quella sera Minho, l’intendente dei Velocisti, mi accompagnò al mio giaciglio, un angolo riparato ben lontano dal luogo in cui dormivano gli altri radurai, ma abbastanza vicino da consentir loro di tenermi d’occhio in caso mi fosse successo qualcosa o in caso avessi deciso di nuovo di aggredire qualcuno.
Era proprio vero: avevo sconvolto il loro ordine. Non sapevano nemmeno dove mettermi a dormire.
Prima di darmi la buona notte, Minho mi intimò di non provocare mai più Gally, se le mie intenzioni erano quelle di sopravvivere nella Radura e di vivere in pace con tutti.
Visto che con Newt avevo esaurito la scorta di domande, tentai di farmi illuminare dal Velocista:
- Perché Gally si comporta così?-.
- Così, come?- chiese lui, fingendo indifferenza. – Oggi ha solo tentato di evitare che ti facessi male. Dopotutto sei stata tu a farlo nero, ieri.-
- E’ scostante, sembra spietato, mi intimorisce.- confessai.
Minho scosse la testa abbassando lo sguardo. Lo sentii respirare più rumorosamente, segno che forse le mie domande lo avevano stufato.
- Non era così prima.-
- Prima di cosa?-
Minho sbuffò. – D’accordo, te lo dirò. Ma tu prometti di tacere e di non provocarlo per i prossimi giorni?-
Annuii, troppo curiosa per non abboccare.
Il ragazzo indicò il grande muro. Lo osservai attentamente: le porte non c’erano più.
- Laggiù, dentro il Labirinto, ci sono i Dolenti. Nessuno di noi sa cosa siano davvero. Sappiamo solo che sono letali e che nessuno che abbia passato una notte nel Labirinto è sopravvissuto ad essi. I Creatori probabilmente un po’ ci amano, perché ogni sera, al tramonto, chiudono le porte che separano la Radura dal Labirinto. Forse te ne sei accorta, è successo anche oggi.-
Non mi ero accorta di nulla, presa come ero nello sforzo di ambientarmi e capire qualcosa della situazione in cui ero capitata, ma annuii per indurlo a continuare.
- In questo modo i Dolenti non ci raggiungono mentre riposiamo. Noi Velocisti percorriamo il Labirinto ogni giorno, ma di giorno i Dolenti non si fanno vedere, né nel Labirinto, né qui fuori… Tuttavia fanno eccezione degli episodi sporadici. Gally lavorava nei pressi della porta occidentale quando un Dolente lo ha sorpreso e lo ha punto in pieno giorno, avvelenandolo. Fortunatamente i Creatori ci muniscono anche di alcune dosi di siero contro il veleno dei Dolenti, ma ciò che succede a chi subisce quella che noi chiamiamo la Mutazione, cambia il soggetto per sempre. C’è addirittura chi dice che la Mutazione ci faccia vedere come era la nostra vita prima della radura. Ecco perché Gally si comporta così. Nessuno sa cos’abbia visto durante la sua Mutazione. Lui non ne parla, ma quello che è certo è che lo ha cambiato moltissimo.-
Subito dopo mi mandò a dormire, dicendomi che l’indomani mi avrebbe aspettato una giornata insieme a lui, poiché ero una Velocista in prova.

 
***

Lavorai una settimana, passando di intendente in intendente. Alla fine conquistai un posto come Velocista, un po’ perché me la cavavo e un po’ per la simpatia che Minho provava nei miei confronti.
Alby volle comunque indirizzarmi verso i Costruttori e, sebbene non fossi tanto male nemmeno in quel settore, Gally non ne volle sapere di avermi con sé. Disse che se nel gruppo doveva esserci una “Pive femmina inutile” non voleva di certo averla lui addosso come un peso morto.
Quando seppe che ero entrata a far parte dei Velocisti, ebbe ulteriori polemiche da snocciolare, perché secondo lui ci avrei messi tutti nei guai.
Cercai di ignorarlo per quanto mi era possibile. Dopo il racconto di Minho mi ero convinta a lasciarlo perdere, a non provocarlo. Se Gally voleva vivere in pace, chi ero io per rompere il suo equilibrio? Non avevo intenzione di essergli amica, ma mi era passata quasi subito la voglia di infastidirlo, anche se in me ancora si manifestava quella strana e violenta sensazione ogni volta che incrociavo il suo sguardo.
Man mano che il tempo passò, mi ambientai nella Radura, feci conoscenza con tutti i membri del gruppo e mi adattai ai ritmi di vita del posto, esattamente come avevano fatto gli altri prima di me.
I primi tempi da Velocista furono duri, ma non entrai mai nel Labirinto, perché ero l’ultima arrivata e la meno esperta. Per più di un mese non feci altro che correre e correre lungo il perimetro della Radura, allenandomi, a volte aiutando gli altri intendenti nei loro lavori. Mi veniva concesso di assistere alla mappatura del Labirinto e passavo molto tempo ad essere istruita da Minho, ma nulla più di questo.
 

 

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Capitolo 3
*** Parte 2 ***


Ciao bellissimi pive! Dunque è deciso: aggiorno di lunedì e di giovedì! Così oggi, appena tornata da un esame in università, aggiorno!
Ecco la seconda parte della fic. Come al solito vi invito a tener conto delle modifiche che ho apportato ai personaggi, sperando di non averli sconvolti del tutto, rifacendomi al film e soprattutto vi ringrazio per le recensioni!
Rachel
 

Parte 2
 
Un mese dopo il mio arrivo, la sirena nella Radura suonò di nuovo e a noi si unì Chuck.
Se io ero la prima donna a raggiungere il gruppo, lui fu sicuramente il più giovane di tutti a salire attraverso la Scatola. Aveva sì e no undici anni ed era perennemente spaventato.
Alby lo affidò a me, pensando che, visto che ero l’unica ragazza fra i radurai, avrei avuto la sensibilità adatta ad accogliere il giovane. Finalmente non ero più una Fagio. Tutti gli altri iniziarono a chiamarmi con quello che sapevo essere il mio nome, Pearl. Tutti tranne Gally, ovviamente, che a dire il vero non mi rivolgeva la parola affatto.
Nel suo primo giorno alla Radura, Chuck mi fece da ombra, trotterellando al mio fianco mentre lo introducevo alla nuova vita. Mi ci volle un po’ per calmarlo, dopo che se la fece addosso due o tre volte per lo choc di essere approdato qui, ma quando si convinse che non ero una minaccia, ci mise poco a fidarsi di me.
- Chuck, ti presento Newt, Jeff, Zart e Frypan…- gli dissi in prossimità dell’orto presso il quale i ragazzi si erano incontrati per pranzare.
Il sole era alto nel cielo e faceva caldo, ma nessuno di loro pareva accorgersi della fatica del lavoro.
Dei costruttori, comunque, non c’era traccia. Da alcuni giorni erano impiegati in un qualche cantiere importante e lavoravano senza freno anche durante la pausa pranzo, così ringraziai la mia buona stella per aver tenuto Gally ed i suoi lontani da me, o sarei stata costretta a presentare a Chuck l’unica persona con la quale non volevo avere a che fare.
Incontrare Gally per la Radura o durante i pasti mi provocava ancora qualche problema di contegno, soprattutto perché lui non si risparmiava dal mostrare il suo astio nei miei confronti con aspri sguardi di disappunto o, talvolta, con commenti maligni.
- Wow!- esclamò Chuck, riportando la mia attenzione su di é. – Allora è vero!-.
- Vero cosa?- domandai confusa.
- Che sei l’unica femmina qui! Forte!-.
Ridemmo tutti. – Beh, Fagio, sono contenta di vedere che la cosa ti ha tirato un po’ su il morale-. Battei sulla sua spalla, esattamente come aveva fatto Alby con me alla mia prima apparizione nella Radura.
- Ti lascio nelle mani di Frypan. Sono sicura che andrete molto d’accordo!- gli dissi, alludendo alla passione per il cibo, palese nelle rotondità di entrambi.
Quel giorno, l’arrivo di Chuck e la mia “promozione” non furono le uniche novità, almeno per me.
Lasciai il nuovo arrivato con Frypan perché dovevo riprendere il mio allenamento e compiere una ventina di giri del perimetro della Radura prima del ritorno di Minho e degli altri. Ci tenevo particolarmente, ora che ero tornata ad essere solo Pearl, ad essere considerata un po’ di più anche all’interno del gruppo dei Velocisti. Volevo mostrare a Minho quanto mi stessi impegnando e quanto meritassi di affiancarlo nel Labirinto. Volevo vedere cosa c’era fuori dalla Radura.
Probabilmente in me si era fatta spazio anche la piccola speranza di uscire da qui, di ottenere risposte, di capire chi fossi e da dove provenissi.
Nessuno ne faceva mai alcun cenno, ma ero sicura che ogni raduraio nel proprio intimo coltivasse l’idea di poter un giorno salvarsi. Anche se la Radura era un posto sicuro e anche se dopo anni senza alcuna risposta, Alby e gli altri erano riusciti a costruire una piccola società pacifica e funzionante, non potevo davvero immaginare che si potessero essere arresi a vivere per sempre così, lavorando e affrontando i Dolenti con stoicismo, come se fosse tutto ordinario, come se fosse quella la vita vera.
Andai a correre, motivata e piena di vita. Dopo un paio di giri avevo detto addio al fiatone e raggiunto l’equilibrio nel ritmo del respiro e nei passi. Possedevo persino un nuovo paio di scarpe da corsa, giunte nella Scatola insieme a Chuck, e questo mi rendeva in qualche modo più felice.
Arrivata in prossimità del casolare che ci faceva da dormitorio, dove i costruttori erano al lavoro; approfittai di un albero dietro al quale passai per tenermi lontana dalla vista di Gally e proprio l’albero fu la causa di quello che ogni Velocista non si augura di dover mai affrontare: inciampai in piena corsa in una radice sporgente, caddi rovinando sulla terra battuta e sull’erba e mi slogai una caviglia.
Dovetti ringraziare che non mi fosse successo nel Labirinto, ma mi maledissi per aver urlato a causa del dolore lancinante al piede. Se qualcuno mi avesse sentita e mi avesse soccorsa, per me e per il mio ruolo nei Velocisti sarebbe stata la fine. Dovevo rialzarmi, darmi un contegno, trascinarmi in infermeria, sperare che nessuno dei Medicali fosse presente, fasciarmi da sola la caviglia e continuare a comportarmi come se nulla fosse.
In poche parole puntavo all’impossibile, poiché, anche se fossi riuscita a curarmi da sola, avrei destato i sospetti di tutti, Minho in primis, non avendo alcun modo per nascondere eventuali fasciature, dolori o camminate zoppicanti.
Non potevo nemmeno rimettermi a correre o avrei solo peggiorato lo stato della mia caviglia e comunque il dolore era troppo forte perché riuscissi a mettermi in piedi. Mi ci voleva del tempo e, quando anche il tramonto sarebbe passato, i Velocisti sarebbe venuti a cercarmi e mi avrebbero scoperta qui, dietro l’albero.
Chiusi gli occhi e strinsi le mani attorno alla caviglia, concentrandomi ed imponendomi di non emettere alcun suono per non attirare l’attenzione di nessuno mentre facevo mente locale alla ricerca di una soluzione al guaio nel quale mi ero appena cacciata.
Sentii comunque i passi affrettati dirigersi verso di me e lo scrocchiare di foglie al passaggio di una persona decisa e pesante. Quando riaprii gli occhi, Gally era davanti a me e si stava chinando.
- Ti sei fatta male?- chiese atono, evitando di guardarmi.
- No, non è nulla. Lasciami in pace, devo tornare ad allenarmi.-
L’ultima persona che avrei voluto accorresse in mio soccorso era con me e stava allungando le sue mani per afferrarmi la caviglia slogata. Mi ritrassi per tempo e non mi trattenni dal gridargli contro:
- Non toccarmi! Stammi lontano! Non voglio che ti avvicini…-.
Gally alzò le mani, mostrandomi i palmi. – D’accordo, d’accordo! Vuoi calmarti? Sei caduta, ti sei fatta male, devi permettermi di guardare in che condizioni è il tuo piede.-
- Non mi fido di te.-
- Non importa, Fagio. Non mi importa quello che pensi di me. Non ti ho chiesto di fidarti di me. Ti aiuto solo perché sono leale al gruppo e perché so che la mia coscienza non mi lascerebbe in pace se ti lasciassi qui dolorante.-
- Ti ho detto che non mi sono fatta nulla!-.
La mia voce decisa finalmente gli fece alzare lo sguardo. Quelli che incontrai furono occhi furenti e, forse fu a causa del dolore, per la prima volta da quando ero giunta qui, non provai quella forte necessità di avventarmi su di lui e fargli del male.
Gally mi intimoriva, questo era vero, ma ora la paura che provavo nei suoi confronti si era mescolata ad un altro genere di sensazione, meno violenta, ma comunque difficile da decifrare.
Continuò a guardarmi negli occhi, mentre allungava ancora una volta una mano e afferrava con decisione il mio piede, stendendo la mia gamba per poterla osservare. Poi distolse lo sguardo e lo abbassò sulla mia caviglia ormai gonfia. Iniziò a massaggiarla con le dita forti e decise, provocandomi fitte di dolore che trattenevo a stento serrando i denti con forza.
- Pearl.- gli dissi.
- Cosa?- domandò lui, confuso, dopo che lo avevo distratto dall’esame attento che stava dando al mio piede.
- Mi chiamo Pearl ora. Non Fagio. Oggi è arrivato uno nuovo, si chiama Chuck. È lui il Fagio adesso.- lo informo.
- Già…Beh, come ti ho già detto non mi importa molto di te, ma grazie per l’aggiornamento. Ho avuto da fare nel costruire la parte di dormitorio che ti spetta, visto che i Creatori sono stati così generosi da mandarci un essere che non può nemmeno adattarsi alle nostre condizioni di vita…- disse con una punta di disprezzo nella voce.
- Io mi adatto benissimo.- ribattei. Non avevo idea del fatto che Alby avesse messo Gally ed i suoi al lavoro per munire me di un posto in cui dormire, di un angolo sicuro in cui avere anche un po’ di privacy e una pausa dal mondo interamente maschile nel quale ero capitata.
- Questo si vedrà. Adesso ti aiuto ad alzarti. Devi venire con me al dormitorio. Lì nessuno ti vedrà.-
- Vuoi dire che non hai intenzione di dirlo agli altri?-. Fui sinceramente sorpresa di sentirgli dire una cosa simile. Fra tutti i radurai, Gally era quello sul quale non avrei mai fatto affidamento. E in quel momento mi stava dicendo che avrebbe tenuto un segreto del genere con Alby, Minho e gli altri, suoi amici fidati da tre anni ormai.
- Non sono quel genere di persona. Continuo a pensare che l’idea di mandarti nel Labirinto sia pessima, ma non sono una spia e se tu ci tieni a suicidarti correndo in braccio ai Dolenti, tanto meglio. Sarai una bocca in meno da sfamare.-
Così dicendo fece passare il mio braccio attorno al suo collo, mi cinse il fianco e mi sostenne, accompagnandomi attraverso il limitare del bosco fino al dormitorio.
Lì mi fece adagiare su un giaciglio che non era il mio, si assentò per qualche minuto e tornò con un unguento e delle garze pulite, materiale probabilmente appena sottratto all’infermeria.
- Questo dovrebbe alleviare il dolore. Ora, per favore, ‘sta calma. Devo solo fasciarti.- e con una tranquillità ed una precisione che mi parvero innaturali, finì il lavoro in pochi minuti.
Strinsi i denti qualche istante per il dolore e, prima che lui si alzasse e se ne andasse, trovai il coraggio di domandargli: - Gally, perché mi detesti così tanto?-.
Lui parve sorpreso, accennò un sorriso sarcastico e mi rispose: - E tu perché odi tanto me?- si voltò e mi lasciò sola nel dormitorio a fronteggiare il dolore alla caviglia.
Gally non aveva risposto alla mia domanda, ma nel suo essere evasivo mi aveva dato l’impressione non solo di avere ben chiari in mente i motivi che lo spingevano a detestarmi, ma anche di sapere, in qualche modo che mi era oscuro, le cause del mio odio nei suoi confronti.
Lui aveva risposte che io non avevo e che forse non avrei mai avuto.

 
***
 
Gally non disse nulla del mio infortunio, né ad Alby e nemmeno a Minho. Gliene fui grata, ma non ebbi mai davvero l’occasione di ringraziarlo per il favore che mi aveva fatto gratuitamente, poiché, sebbene il suo atteggiamento nelle settimane che seguirono si fosse acquietato un po’, lui si tenne comunque alla larga da me, riducendo i contatti ai saluti di cortesia e alle frasi di facciata.
Riuscii in qualche modo a tenere Minho allo scuro di tutto. La slogatura non era così grave come mi sembrò all’inizio ed ogni mattino mi fingevo occupata in esercizi di stretching aspettando che Minho entrasse nel Labirinto, per evitare di camminare davanti ai suoi occhi. Indossavo pantaloni lunghi che nascondessero la fasciatura e ogni notte sistemavo la caviglia con gli unguenti che Gally mi aveva lasciato e che io avevo portato al mio giaciglio e nascosto con cura. I medicali lamentarono la mancanza di alcuni rifornimenti, ma questo genere di cose erano così frequenti nella Radura, dove spesso ci si faceva male lavorando e dove chiunque si permetteva di non disturbare i Medicali e servirsi da solo per curarsi le piccole ferite, che nessuno fece caso ad una garza scomparsa insieme ad un po’ di pomata per le contusioni.
Continuai ad allenarmi, evitando di correre ed evitando di farmi cogliere a zoppicare davanti agli altri. Mi capitava di incrociare lo sguardo di Gally, intento a fissarmi dalla sua postazione di lavoro o durante i pasti e mi pareva a volte di vedere in lui un po’ di quella complicità che mi dava la speranza di riuscire in poco tempo a riprendere la mia scalata nei velocisti.
Buffo era come, sia con il suo disprezzo che con il suo apparente sostenermi, Gally mi spronasse a dimostrare a tutta la Radura quanto valessi come velocista e come compagna.
Dopo l’episodio della caviglia, entrambi fummo protagonisti di un “incidente” alquanto strano.
Devo ammettere che una parte molto grande della colpa fu mia. Messa davanti al fare criptico di Gally, avevo già cambiato idea sul mio comportamento futuro nei suoi confronti e cercai con ogni mezzo di essere amichevole, con il solo scopo di estorcergli le informazioni di cui avevo un gran bisogno.
Volevo risposte e non mi facevo scrupoli per ottenerle. Persino gli altri radurai si accorsero del mio cambiamento e solo Newt ebbe il coraggio, o semplicemente la voglia, di chiedermi come mai avessi seppellito l’ascia di guerra con Gally; domanda alla quale, ovviamente, rifiutai di rispondere.
Il costruttore, dal canto suo, non fece altro che assecondare la mia cortesia senza sbilanciarsi mai.
Come ho già detto, a più riprese mi parve di cogliere il suo sguardo in mezzo al gruppo durante i pasti o seguirmi mentre camminavo per riabilitare il mio piede in prossimità dei suoi cantieri.
In una di quelle occasioni pensai che finalmente stavo per ottenere le risposte che cercavo, quando vidi Gally, in una mattina soleggiata e promettente, abbandonare la postazione di lavoro e correre verso di me, che intanto avevo rallentato il passo per permettergli di raggiungermi.
Mi accorsi presto che quello che pensavo essere uno sguardo amichevole, in realtà era un’espressione di esasperazione ed insofferenza nei miei confronti.
- Ehi, Gally!- lo salutai, cercando di mantenermi cordiale, mentre ansimavo a causa dello sforzo.
Lui non mi guardò nemmeno, mi afferrò per un gomito e mi condusse nel folto del campo di granturco, a pochi passi da dove mi ero fermata. Fu solo lì, in mezzo al fogliame, che placò il suo moto e mi fissò intensamente.
- Si può sapere a che gioco stai giocando?!- mi chiese, evidentemente scocciato dal mio comportamento.
- Non sto giocando, Gally! Perché devi essere sempre così sospettoso? Mi hai aiutata con la caviglia, così ho pensato che forse potevamo…-
- Cosa?! Che potevamo essere amici? No, grazie; io non sono come Minho e Newt, non mi faccio abbindolare da te.-
Non capivo nemmeno a cosa alludesse. I due raduai passavano molto tempo con me, ma l’uno lo faceva in qualità di mio intendente e l’altro perché, essendo vice di Alby, si sentiva in dovere di proteggere e far sentire chiunque al sicuro all’interno della Radura.
Alzai le mani in segno di resa, sospirando rumorosamente. – Sai che ti dico? Ok, mi sta bene! Continua pure a non volermi dare spiegazioni. Da oggi smetterò di sforzarmi di piacerti, visto che nella Radura ci sono tante altre persone che…-
Gally non mi permise di finire lo sproloquio dettato dalla confusione e dalla rabbia del momento, perché in meno di un secondo annullò la distanza che ci separava, mi prese il viso fra le mani e, con una certa urgenza, appoggiò le sue labbra sulle mie, chiudendo gli occhi in un’espressione di sforzo sovrumano, come se stesse cercando di contenere l’ra.
Rimasi impietrita e lo lasciai fare, non so nemmeno perché. Quello era il mio primo bacio, almeno nella mia nuova vita, e per cause che non mi spiegai, mi ritrovai dopo qualche secondo a partecipare con trasporto.
Sapevo baciare, questo era chiaro, ma perché stavo baciando Gally? E perché, mi sorpresi ad ammettere, mi stava piacendo?
Mi aggrappai alla sua maglietta, alzandomi sulle punte nel tentativo di raggiungere la sua altezza vertiginosa, e, quando non ebbi più le forze per continuare “l’esercizio” nel quale ci eravamo cimentati, mi appoggiai al suo petto, incurante del fatto che Gally fosse completamente sudato a causa del duro lavoro sotto il sole.
Tornata in me, appoggiando i palmi delle mani sulle sue spalle, mi allontanai da lui con un sonoro “No!”. Lui parve subito imbarazzato e a disagio; si portò una mano ai capelli castani cortissimi, segnalandomi che anche per lui quello che era appena accaduto era qualcosa di nuovo ed inaspettato.
Tossicchiò per schiarirsi la voce. – Mi dispiace…ehm…non so cosa mi sia preso.-
Fissai la terra arata ai miei piedi, ringraziando che il granturco fosse cresciuto tanto in alto da impedire agli altri di vederci, e tentando di nascondere il fatto che ero arrossita parecchio.
- Già, dispiace anche a me…- iniziai io, ma Gally non mi permise di continuare:
- A dire il vero volevo solo che stessi zitta; a voi ragazze piacciono queste schifezze, no? Ora, se non ti dispiace, torno al lavoro.-
Lo osservai uscire dal campo a falcate decise e testa bassa.

 
***

Passato il mio secondo mese nella radura, dovetti assistere insieme agli altri all’arrivo del nuovo pivello.
Thomas giunse a noi quando ormai il mio piede si era ripreso ed io avevo iniziato a smettere di preoccuparmi che qualcuno mi scoprisse o di aver paura di incappare in Gally, Minho o Alby.
Purtroppo per noi quel poco di pace raggiunta dopo la mia aggressione a Gally e portata anche dall’arrivo di Chuck, che sapeva farsi voler bene da chiunque, fu spezzata da Thomas.
Il ragazzo si dimostrò difficile da contenere fin dal suo arrivo e a me fu subito chiaro che avevamo moltissimi punti in comune. Come me, anche lui tempestava gli altri di domande e, cosa non meno importante, come me anche lui suscitava in Gally un aperto ed inspiegabile astio.
Fu a causa di Thomas che ebbi la possibilità di fare un altro passo avanti nella comprensione di questo sentimento così radicato in me e nel costruttore da spaventarmi.
Il Fagio, affidato alle cure di Chuck, ben contento di passare a lui il testimone di nuovo arrivato, dopo un tentativo di fuga andato a vuoto (oltretutto, dove sarebbe potuto andare?), si era avvicinato pericolosamente ad una delle porte del Labirinto, incurante dei richiami del compagno che non riusciva a stargli dietro.
Lo osservai mentre mi avvicinavo alla porta, seguendo il mio abituale percorso di allenamento per la Radura e notai subito il suo stato confusionale, la sua ansia di ricevere risposte. Evidentemente i ragazzi erano stati con lui molto più criptici e brevi che con me.
- Non puoi entrare lì- gli intimò Chuck.
Mi avvicinai con l’intento di aiutare il mio amico.
- Ha ragione, non puoi. Quello è il Labirinto, solo i Velocisti vi accedono. Non preoccuparti…- mi sbrigai ad aggiungere, notando la sua espressione interrogativa -… lo so che adesso ti sembra tutto strano, ma col tempo le cose cambieranno, ti abituerai alla Radura. È successo ad ognuno di noi.-
Thomas mi guardò ancor più smarrito. Le mie parole, invece che rassicurarlo, lo avevano reso ancor più dubbioso.
- Chi siete voi? Perché siamo qui? Perché non mi ricordo nulla?-.
- Ti dico che è normale. Ora allontanati dalla porta.-
Notai che Thomas non faceva che muovere passi cauti verso il Labirinto. Presto la situazione mi sarebbe sfuggita di mano. Dovevo farlo ragionare.
Allungai una mano nella sua direzione, pronta a scattare nel caso in cui avesse deciso di gettarsi oltre le porte. Mi ero allenata molto, forse avrei saputo gestire il Fagio.
Un raduraio più veloce e più forte, tuttavia, precedette le mie azioni. A dir la verità precedette anche quelle di Thomas, che non si era mosso ancora dalla sua postazione a pochi passi dalla porta.
Era Gally che, gettatosi sul nuovo arrivato, lo aveva immobilizzato a terra con semplici gesti.
- Devi smettere di disobbedire.- gli ringhiò, rosso in volto per lo sforzo nel tenerlo fermo.
Chuck chiamò a gran voce Alby, ma un gruppo di radurai era già accorso, richiamato dagli schiamazzi. Newt tentò invano di far calmare Gally, il quale però non ne voleva sapere di lasciar andare Thomas.
Non resistetti a lungo e mi buttai su Gally, spingendolo via dal nuovo arrivato e provocando in lui ulteriore ira.
- Si può sapere che ti è preso? Avevo tutta la situazione sotto controllo!- gridai.
- Sotto controllo?!- sibilò lui – Io conosco questo dannatissimo pive! Lo conosco!- gridò, lasciandoci tutti impietriti.
- Cosa vuoi dire, Gally?- chiese Newt, avvicinandosi un po’ di più al costruttore che ansimava per lo sforzo di contenere la rabbia.
- Che l’ho visto nella mia Mutazione!-.
Improvvisamente il suo volto, da rabbioso, divenne, se possibile ancor più scuro, mentre la sua mente pareva realizzare qualcosa di importante. Si voltò e con sorpresa notai che si stava rivolgendo a me:
- E tu… Ho visto anche te! C’eri anche tu! Io non mi fido di voi due!-.
Senza dare ulteriori spiegazioni, si allontanò a passo deciso e spedito verso il casolare.
Cosa significavano le sue parole? Era quello il motivo per il quale mi detestava? Mi aveva vista durante la mutazione e non poteva fare a meno di diffidare di me? Gally sapeva cose di me che io non conoscevo?
Non potevo lasciarlo andare, non dopo aver appreso parte della verità che tanto desideravo avere.
Lo rincorsi e, raggiunto il suo passo, lo spintonai nuovamente, per fermare il suo passo.
- Cosa significa tutto questo?! Perché hai detto di averci visti nella mutazione?-.
- Perché è così!- gridò lui, esasperato. – Ora lasciami in pace!-.
- Non ci penso nemmeno. Dovrai spiegarmi tutto. È per questo che mi odi, perché mi hai vista nella Mutazione? Gally, ho bisogno di sapere cosa hai visto. Voglio sapere qualsiasi cosa su di me, sul mio passato.-
- Credimi, è meglio per te non sapere nulla. È questa la tua caspio di vita adesso, fattene una ragione!-.
- Voglio sapere perché mi detesti così tanto!- insistetti.
Il suo sguardo rabbioso si posò su di me, zittendomi ed interrompendo il mio moto, poiché nel frattempo lui aveva continuato a camminare ed io a seguirlo.
- Ora rispondi tu a qualche mia domanda, Pearl…- pronunciò il mio nome con un tale disprezzo che mi fece venire i brividi. – Ti è sembrato ch’io ti abbia perseguitata mai, da quando sei uscita da quella scatola? Che abbia cercato di parlarti? Ti è parso che io sia mai venuto a domandarti come mai tu mi abbia aggredito un secondo dopo essere arrivata?! Il perché di tutti quei tuoi sguardi di odio? Sì, mi pare di aver capito che ci detestiamo a vicenda, ma io non ti tormento per conoscere i tuoi fantasmi, quindi lasciami in pace!-.
- Gally, mi dispiace, non volevo davvero…è solo che…- non seppi come giustificarmi dinnanzi al suo ragionamento.
Era vero: lui non mi aveva mai chiesto spiegazione alcuna riguardo il mio comportamento, ed ero stata io ad essere stata colta per prima da un moto di inspiegabile ira; ma per qualche strana ragione non riuscivo a fare a meno di domandarmi da dove provenisse questo sentimento ed ero quasi certa che Gally sapesse cose che io neanche immaginavo.
- Credimi, è molto meglio per te se mi stai lontana.- concluse lui.
Non seppi trattenerlo e quella fu la fine di ogni contatto fra noi due per le seguenti settimane. Gally mi lasciò così, con qualche idea in più sul mio passato ad occuparmi la testa, ma moltissimi cavilli da risolvere. Il mio problema era che non potevo farlo da sola e che Gally fu l’unico a darmi l’impressione di potermi aiutare, anche se qualcosa in me ancora mi faceva ribollire di rabbia ogni volta che lo vedevo; anche se avrei dovuto dare retta al suo consiglio spassionato e mettere da parte ogni sogno di uscire da questo posto.
 
 

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Capitolo 4
*** Parte 3 ***


Scusate se non ho pubblicato giovedì. E' stata una settimana abbastanza difficile, ma adesso sono qui!
Un grazie a chi recensisce e un abbraccio.
Rachel

 
Parte 3
 
Fu Thomas a riportare un po’ di speranza alla radura. Speranza mista a confusione, chiaramente.
Il gruppo si divise presto e, come sospettai da subito, quella parte di noi che non aveva intenzione di dare corda al suo gironzolare curioso per il luogo e tentare di spingere Newt e gli altri a farlo entrare nel Labirinto, era capitanato da Gally, che sosteneva con fermezza la necessità che tutti noi avevamo di sottostare alle regole che fino a quel momento avevano mantenuto la pace nella Radura.
Era evidente il suo attaccamento alla quotidianità e questo pareva spiazzare solo me e Thomas, gli ultimi arrivati (eccezion fatta per Chuck, che si mostrava sempre incline alla tranquillità ed alla rassegnazione), ancora pieni di speranza.
Se c’era una possibilità di uscire da questo posto, ci saremmo impegnati a fondo per trovarla. Ma evidentemente eravamo gli unici a pensarla a quel modo.
Quello che seguì l’arrivo di Thomas, comunque, sconvolse in parte anche noi.
Ben, un costruttore, fu sorpreso e punto da un Dolente, esattamente come era successo con Gally e, una volta iniziata la Mutazione, scappò dall’infermeria per aggredire Thomas, additandolo come responsabile di tutto quello che ci stava succedendo. Non capii se si riferisse all’improvviso disequilibrio che si era creato nel gruppo o se davvero pensasse che Thomas fosse in qualche modo coinvolto nel disegno dei Creatori.
La zuffa fra di loro fu così violenta che Alby e Minho faticarono parecchio per separare un Ben indiavolatissimo da uno spaventato Thomas. Gally non mosse un dito per il Fagio; rimase immobile, le braccia conserte e l’espressione corrucciata, ad osservare la scena. Fu come se l’intera faccenda non lo toccasse minimamente, forse perché detestava Thomas quanto detestava me.
Quello che era certo era che Gally odiava che la sua autorità venisse messa in discussione, errore che il Pive aveva commesso sin da subito, e fu contento di vedere che Ben gli stesse dando una lezione, risparmiando a lui la fatica.
Ben, però, era in piena Mutazione e si era mostrato violento con un raduraio. Con immenso rammarico di tutti, la faccenda dell’importanza che la legge aveva per Gally si ritorse contro di lui, e Alby e gli altri “anziani”, Gally compreso, dovettero decidere di bandire Ben dalla Radura per sempre.
Quello fu uno dei momenti più dolorosi della mia esperienza con i radurai. Sapevo che Ben e Gally avevano lavorato fianco a fianco per mesi, forse anni, e potevo immaginare solo in minima parte quanto fosse difficile per Gally dire addio ad un amico.
Assistemmo tutti, quella sera, alla cacciata di Ben, che con sguardo supplichevole ci guardava con gli occhi iniettati di sangue a causa del veleno del Dolente ancora in circolo nel suo corpo. Fu la prima volta che vidi una mutazione portare via uno di noi.
- Ben adesso appartiene al Labirinto.- disse Alby mestamente, dopo aver spinto il nostro compagno al di là delle porte in chiusura.
Vedendo Ben sparire dietro quegli altissimi e pesanti muri che si muovevano, mi tornarono in mente le parole di Minho la prima sera che passai qui. Nessuno sopravvive ad una notte nel Labirinto. Ben era perso per sempre; sarebbe morto a causa della mutazione o sarebbe stato dilaniato dal Dolenti. In ogni caso non lo avremmo visto più.
Gally non cenò con noi né quella sera, né le sere che seguirono. Immaginai che fosse ancora fortemente scosso dalla sparizione di Ben.
Non passò molto tempo e toccò ad Alby essere punto. Un Dolente morto era stato rinvenuto nel Labirinto e il nostro capo era uscito con Minho dalla Radura per studiare l’essere e raccogliere indizi. Secondo il racconto di Minho, il Dolente si era rianimato improvvisamente ed aveva punto Alby.
Minho ed Alby non riuscirono a rientrare nella Radura quella sera. Tutti noi eravamo ormai pronti a dir loro addio come avevamo fatto con Ben.
Sotto gli occhi di tutti, quel giorno al tramonto, le porte si chiusero davanti al volto disperato di Minho che trscinava il corpo di un Alby tramortito. Sotto gli occhi di tutti, prima che anche l’ultimo metro di spazio rimasto a darci accesso al Labirinto si serrasse, Thomas si gettò verso i due sventurati, svanendo con loro nell’oscurità.
Ne avevamo persi tre, non più due.
Gally, che fino a quel momento era rimasto accanto a Newt ad osservare nervosamente la scena, consapevole di non poter fare nulla per salvare i suoi amici, osservò che era un bene che Thomas si fosse tolto di mezzo, perché non era altro che un inutile ammasso di scarto.
L’indomani fu Chuck a svegliarci, gridando dinnanzi alle porte non appena queste iniziarono ad aprirsi sul Labirinto. Accorremmo tutti e quello che vedemmo ci lasciò di sasso: Thomas e Minho stavano tornando. Uscivano dal Labirinto, interi, trascinando Alby fino a noi. Erano vivi. Erano sopravvissuti.
Alby fu ricoverato e messo subito sotto siero e quella stessa sera si tenne una riunione speciale degli intendenti. Seppi da Minho che Gally aveva insistito affinché Thomas fosse punito per aver violato una regola ed essere fuggito nel Labirinto. Parecchi dei rappresentati dei radurai si opposero a questa scelta e Minho stesso, sottolineando il fatto che il Pive avesse salvato sia lui che il nostro capo, insistette perché Thomas fosse fatto Velocista, cosa della quale mi rallegrai parecchio.
- Lo so che questi sono tempi duri, - mi disse poi, quando stavamo seduti accanto al grande focolare. Nessuno dei radurai quella sera aveva voglia di festeggiare, ma il falò era stato acceso lo stesso e molti di noi si erano riuniti attorno ad esso mestamente, parlando a bassa voce e discutendo per lo più del guaio nel quale eravamo incappati.
- ma abbiamo discusso anche della possibilità di aggiungere te alla mia squadra. Ci servono tanti Velocisti ora che sembra che le cose si mettano male. Domattina presto verrai con me, dopo che avremo tolto Thomas dalla gattabuia.-
Credere alle parole di Minho mi risultò difficile. Sarei entrata nel Labirinto. Lo avrei seguito e lo avrei aiutato a trovare una soluzione a questo casino. E Thomas sarebbe venuto con noi.
Sollevai la testa per sorridergli e mostrargli la mia gratitudine, ma incontrai lo sguardo di Gally che, qualche metro più in là, se ne stava in piedi nella sua solita posa a braccia conserte e mi osservava scuro, scuotendo la testa lentamente, come a rimproverarmi per qualcosa.
Minho intercettò il mio sguardo interrogativo e si voltò a osservare le reazioni di Gally. Dopo aver sospirato mi spiegò:
- Non c’è bisogno che ti dica che Gally è stato fra coloro i quali si sono opposti alla tua promozione. Anzi, a dirla tutta è stato quello che ha espresso categoricamente il suo disappunto. Mi ha dato del pazzo. Mi ha detto che se davvero pensavo di portarti con me, allora ero messo peggio di Alby in piena Mutazione. È convinto che farai qualcosa di sbagliato, ma io mi fido di te. Non preoccuparti, domani entrerai nel labirinto con me.-
Ringraziai Minho per la fede che riponeva in me. Dissi di avere sonno e me ne andai dopo aver lanciato un’occhiata di disprezzo a Gally, ancora intento ad osservarci e a pensare, probabilmente, al miglior modo per far finire anche me in Gattabuia, o peggio, per farmi bandire come Ben.
Non mi accorsi che mi aveva seguita finché, giunta all’angolo del dormitorio che lui stesso aveva costruito per me sotto ordine di Alby, lo scorsi muoversi fra gli alberi appena fuori il casolare. Dapprima pensai che stesse solamente andando a dormire, ma poi mi accorsi che stava camminando proprio verso di me, con gli scarponi da lavoro che facevano scricchiolare l’erba ad ogni suo passo.
- Non ti lascerò entrare nel Labirinto.- disse, ancora semi nascosto nel buio.
Fece qualche passo avanti e finalmente potei vedere il suo viso sotto il raggio di luna che penetrava da un piccolo lucernario sul soffitto.
- Minho ha detto che la decisione è stata presa. Puoi opporti quanto ti pare, ma da quando Thomas è tornato, questa mattina, Alby è ancora il nostro capo, quindi tu non hai alcun potere. E, a proposito, dovresti ringraziarlo… Thomas, intendo. Ha salvato lui e Minho dai Dolenti.-
- Ringraziare un pazzo che è sopravvissuto misteriosamente al Labirinto? Ti ho già detto che non mi fido di lui; chi mi dice che non sia d’accordo con i Creatori?! Che non l’abbiano risparmiato di proposito?-
- Osi davvero mettere in dubbio la parola di Minho?!- gli ringhiai contro. – Se Minho dice che Thomas lo ha salvato, io gli credo! E domani andrò nel Labirinto con lui e Thomas!-
- Non ci andrai. Non lo permetterò. Dirò a Minho del tuo incidente con la caviglia; mi prenderò la responsabilità di averlo tenuto nascosto; sono disposto anche a passare una notte o due in Gattabuia e pagare per l’errore di non averlo detto agli altri. Cascassero anche i muri del Labirinto, non ti lascerò andare là fuori!-.
Il suo volto pallido, schiarito ancora di più dal candidi raggi che lo accarezzavano, era più minaccioso del solito.
- Gally, sei stato tu a dirmi che non ti avrebbe fatto alcun effetto sapere che volevo entrare nel Labirinto. Che se volevo “suicidarmi” potevo farlo tranquillamente. Ora hai cambiato idea?-
- Sì, d’accordo?!-
- Questa è bella…-
- Senza contare il fatto che Minho è il nostro miglior Velocista e non voglio che tu lo faccia ammazzare. Ne ho abbastanza di matti che non rispettano le regole. Tu e Thomas dovete darvi una calmata e lo dovete fare da adesso!-
- La discussione per me è conclusa in ogni caso- gli dico io, dandogli le spalle e fingendo di sistemare il mio giaciglio per la notte. Non volevo discuterne con lui. – Domani andrò nel Labirinto e tu non farai niente per impedirlo.-
- Non credo proprio…-.
Mentre non lo vedevo, Gally si era avvicinato pericolosamente a me. Con uno scatto rapido mi aveva afferrato un polso e mi aveva fatta voltare, costringendomi a guardarlo in faccia. Avevo cercato di divincolarmi, ma più mi muovevo più lui faceva aderire il mio corpo al suo.
- Gally, lasciami. Stai superando il limite…-
- Dimmi che non andrai nel Labirinto.- mi scosse lievemente i polsi che ancora teneva ben saldamente.
Chiusi gli occhi e distolsi lo sguardo, un po’ per il dolore e un po’ perché speravo di suscitare in lui un qualche tipo di compassione che lo inducesse a mollare la presa.
- Dimmelo! Dimmelo, Pearl, o andrò da Minho…-.
- No!-.
- Caspio, Pearl!- esclamò lui, staccandosi da me. Non potevo credere che la mia stentata disperazione lo avesse davvero convinto.
Gally fece qualche passo indietro, poi iniziò a percorrere il piccolo perimetro della stanza, mettendosi le forti mani nei capelli. Era attanagliato dai suoi pensieri. A tratti alzava lo sguardo iroso su di me, per poi tornare a camminare a testa bassa.
Le sue falcate iniziavano a rendermi nervosa e quando si fermò tirai un sospiro di sollievo.
- Caspio…- disse ancora, poi spalancò le braccia e mi guardò. – Come fai a non capire che non voglio che tu ti faccia male?-.
Di certo non ero pronta per questo genere di…confessione. Dopo mesi di astio e guerra, Gally mi diceva che non voleva ch’io mi facessi male nel Labirinto e tutto questo mi pareva assurdo.
Certo, c’era stato quel bacio al quale io avevo dato il suo peso. Ero rimasta sveglia più di una notte a pensarci, a cercare di capire cosa significasse, ma ciò che più mi premeva era sempre e comunque trovare una soluzione alla situazione nella quale ero, mio malgrado, capitata. E come potevo sapere se anche Gally si era spremuto le meningi cercando di spiegare a sé stesso il bacio che mi aveva dato?
Entrare nella sua psiche non era così semplice come lui voleva dare a vedere in quel momento.
- No, Gally, non posso capirlo! Non abbiamo fatto che odiarci da quando sono arrivata, come puoi davvero pretendere che io mi accorga di una cosa simile?-.
Sospirai. – E comunque questo non cambia nulla. Va’ pure, parla con Minho. Io non cambierò idea.-
Il suo sguardo, fino a pochi momenti prima raddolcito, tornò serio ed astioso.
- Aaah! Sei solo una dannata testa di caspio!- calciò con forza il rinforzo di legno di uno dei letti a poca distanza da lui e se ne andò sbattendo la porta e lasciandomi, per l’ennesima volta da quando lo conoscevo, da sola.
 
 
***

Corsi con Minho e Thomas nel Labirinto. Corsi a perdifiato, studiai le mappe, non mi fermai un momento, neanche per ripensare a quello che mi era successo con Gally. Ormai non mi importava molto di sapere il suo parere. Volevo uscire di qui e mi sarei impegnata nel mio ruolo.
Il Labirinto era un intricato alternarsi di muri di cemento altissimi, qua e là abbracciati da edere e altri tipi di piante. Minho e Thomas mi dissero che, durante la loro notte all’interno della trappola, erano riusciti a farsi inseguire da un Dolente fino allo strapiombo nel quale l’essere era caduto eclissandosi però nel nulla. Quello, secondo loro, era il punto dal quale dovevamo iniziare ad indagare. Il primo vero indizio da quando Alby aveva messo piede nella Radura, ormai tre anni fa.
Non era fisicamente possibile che il Dolente fosse caduto nel nulla, risucchiato dall’atmosfera appena oltre il bordo del Labirinto.
Non era nemmeno possibile che il Labirinto terminasse in uno strapiombo, a dirla tutta. Era come se i Creatori si prendessero gioco di noi, dando alla loro trappola un’uscita tangibile, attraverso la quale, però, non potevamo passare. Nessuno era mai stato tanto pazzo da gettarsi nel vuoto per lasciare che gli altri vedessero cosa sarebbe accaduto.
Tuttavia quel Dolente era stato inghiottito, non aveva continuato a cadere e questo doveva significare qualcosa.
Studiammo per un paio di giorni il percorso, cercando tracce dei Dolenti e alla fine giungemmo alla conclusione che quello strano fenomeno che aveva inghiottito la creatura doveva anche essere la porta dalla quale i suoi simili sbucavano nel Labirinto ogni notte.
Dovevamo solo capire se fosse una possibile uscita anche per noialtri e, se così fosse stato, come avremmo affrontato i Dolenti oltre l’uscita.
Ogni sera prima del tramonto tornavamo alla Radura. Alle porte c’erano sempre i nostri compagni ad aspettarci. Newt e Chuck in prima linea, pronti a darci notizie circa lo stato di salute di Alby, che pareva essere sul punto di riprendersi, o circa ciò che era successo durante la nostra assenza.
Gally non era mai presente. Lavorava senza sosta, incurante di ciò che stavamo facendo. Se non gli importava nulla di uscire da questa prigione, io non avrei fatto alcuno sforzo per convincerlo ad appoggiarci. E comunque non avevo molto tempo da spendere con gli altri Radurai, poiché le mie giornate si erano ridotte ad una sveglia molto presto, una breve corsa di riscaldamento prima dell’apertura delle porte e poi un giro frenetico per il Labirinto, dietro al passo esperto di Minho, e infine ad una mappatura che ci teneva svegli fino a tarda notte dopo il nostro rientro.
Una settimana dopo l’arrivo di Thomas, al ritorno dal Labirinto, Zart e Newt ci accolsero dicendo che la Scatola era salita di nuovo e che dentro essa avevano trovato una ragazza che, subito dopo aver pronunciato il nome di Thomas, era svenuta e caduta in uno stato di incoscienza dal quale non era ancora uscita.
Una ragazza. La cosa mi sconvolse. Dopo tre anni dall’inizio di questo incubo per persone come Alby, Gally e Newt, dalla scatola sbucavo io. Alla mia presenza ancora non tutti avevano fatto l’abitudine. A me aveva seguito Thomas, che aveva sconvolto un’altra volta gli equilibri. E ora questo: un’altra ragazza.
Ed era in coma per cause a noi sconosciute.
Nel raccontarci ciò che era successo quella mattina, Newt ci fece leggere un pezzo di carta che avevano trovato in una delle mani della ragazza. “Lei sarà l’ultima di voi”. Dopo il suo arrivo, ci disse, la scatola non era più scesa.
Questo significava molte cose. Che i Creatori non ci avrebbero più mandato mensilmente oggetti e tutto quello che non potevamo produrre nella radura, per esempio. Che le cose sarebbero cambiate, forse in maniera ancor più radicale.
Andai a trovare la ragazza in infermeria, ma i guaritori non seppero dirmi molto più di quello che aveva già detto Newt.
Era una bella ragazza. La pelle candida e i capelli nerissimi e lisci. Riposava sul letto accanto a quello dove Alby stava ancora assorbendo i postumi del suo incidente.
Mi ritrovai a domandarmi se anche io potessi essere così bella. Avevamo alcuni specchi nella Radura e qualche volta mi capitava di indugiare sulla mia fisionomia, ma la vita che stavo vivendo di certo non lasciava che il mio riflesso mi restituisse delle fattezze delicate e dolci come quelle che vedevo nella nuova arrivata, e comunque non avevo tempo per curare il mio aspetto.
Non avevo molto da fare, lì in infermeria, con la ragazza che non dava segni di vita e Alby ancora incosciente. Visto che Minho mi aveva dispensata dalla mappatura, e visto che tutti i radurai presenziavano ad una riunione speciale per discutere della ragazza, andai dritta a dormire nella speranza di racimolare energie sufficienti per la giornata che avrebbe seguito.
***

Uscimmo dalla Radura molto più presto del solito, il giorno seguente, con qualche mela negli zaini da corsa e tutto il necessario per sperimentare sulle condizioni di quella che avevamo ribattezzato la Tana dei Dolenti.
Ben presto ci trovammo ansimanti ed un po’ stanchi, a tentare di lanciare pietre nel punto esatto in cui Thomas e Minho avevano visto il Dolente eclissarsi. Quando finalmente lo trovammo, iniziammo a sperimentare con delle corde legate a rami robusti di edera, ma i risultati non ci portarono molto lontano, così all’ora di pranzo, quando il sole era alto nel cielo ed il caldo non ci lasciava lavorare, Minho decretò che potevamo fare una pausa.
Ci sedemmo tutti e tre a mordere le nostre mele fresche, fissando con perplessità il dirupo.
- Usciremo mai di qui?- domandai, più a me stessa che agli altri due.
Vidi Minho accanto a me, fare spallucce. – Lo spero. Abbiamo mappato ogni angolo del Labirinto, disegnato ogni suo cambiamento… questa tana è la nostra ultima speranza.- decretò, rialzandosi per andare ad osservare meglio lo spazio vuoto che si apriva davanti ai nostri occhi.
Thomas ed io lo seguimmo e, mentre eravamo tutti e tre assorti nei nostri pensieri, presumibilmente sul Labirinto, fummo colti da un rumore improvviso.
La sirena della Radura stava suonando, ma non era un suono attutito dai possenti muri del Labirinto.
No, se la sirena avesse suonato dove i nostri amici stavano lavorando, noi non l’avremmo nemmeno sentita; eravamo lontani dalla Radura ed il suono era troppo nitido, assordante.
Proveniva dalla Tana.
Superata la confusione iniziale ci raccogliemmo in una formazione abbastanza sicura perché nessuno avesse le spalle scoperte. L’allarme smise di suonare e, quando i nostri sguardi si concentrarono su quel punto invisibile che avevamo stabilito essere la porta, un paio di grossi artigli meccanici sorsero dal vuoto.
Realizzai in pochi istanti che avrei visto un Dolente per la prima volta e che non sarei stata in grado di combatterlo.
Era la mia fine. Ero uscita nel Labirinto con grinta e decisione, mi ero allenata per settimane per potervi accedere e ora temevo davvero la morte.
Minho ci intimò di scappare prima che il Dolente fosse uscito completamente dal buco dal quale si stava trascinando fuori, ma io scoprii il mio corpo paralizzato dal panico e non seguii lo scatto dei due Velocisti alle mie spalle.
- Pearl!- gridò Thomas. – Cosa fai?! Scappa! Corri!-.
Quando la mia mente si riprese e realizzai che dovevo correre, che avevo una possibilità di sopravvivenza ed era nei miei piedi e nella mia forza, era già troppo tardi.
Il Dolente stava avanzando verso di me, conficcando rumorosamente le zampe semi meccaniche nel duro cemento. Sentii lo stridere dei suoi denti e scattai verso Thomas, che ancora mi tendeva la mano per incitarmi a seguirlo.
Feci pochissimi disperati passi, perché il Dolente aveva acquistato terreno verso di me nel momento in cui mi ero paralizzata e ormai non avevo molte speranze di seminarlo.
Minho e Thomas erano a molti metri da me. Continuavano a correre, ma si voltavano spesso ad intercettare il mio sguardo, per vedere se fossi ancora con loro.
Non mi accorsi degli artigli del Dolente finché non li sentii allungarsi sul mio polpaccio e squarciarlo. Il dolore fu talmente forte che caddi a terra, rovinando sul terreno. Sentivo il sangue della ferita sulla gamba che colava caldo fino alla mia caviglia e la faccia che pulsava e che lentamente si gonfiava per l’impatto col terreno.
Fui sollevata con forte impeto e capii che il Dolente mi aveva afferrata. Poi un dolore atroce, anticipato da uno strano rumore viscido, mi trafisse lo stomaco.
Il Dolente mi aveva punta. Ero spacciata.
Attraverso la nebbia che si impadronì dei miei occhi, vidi le sagome di Minho e Thomas che si avventavano sul Dolente.
Non ce l’avrebbero mai fatta ad ucciderlo, dovevano scappare.
“Andate via, lasciatemi qui!” avrei voluto gridare, ma non avevo fiato in gola e sentivo che la mente mi stava già abbandonando.
Il mio corpo inerme fu sbalzato più volte durante la colluttazione, finché alla fine, accompagnata da un grido di dolore non umano, rovinai a terra e sentii la stretta del Dolente abbandonare il mio addome.
Quello che seguì fu molto confuso, ma per tutto il tragitto dalla Tana alla Porta riuscii a catturare le parole dei miei compagni e alcune sporadiche immagini.
Minho e Thomas mi avevano sollevata e mi reggevano esattamente come avevano fatto con Alby la prima volta che li avevo visti tornare dopo la notte nel Labirinto. Ad un certo punto Thomas fece un’osservazione, mantenendo un tono che mi pareva disperato ma deciso, e io smisi di essere trascinata per finire sulle spalle di Minho, che correva tenendo i miei polsi ben saldi in prossimità del suo collo, affinché non cadessi.
Seppi solo tempo dopo che il ragazzo aveva sciolto le fibbie del suo zaino e le aveva usate per assicurare il mio corpo alla sua schiena.
Alternai momenti di lucidità, durante i quali il dolore alla gamba e allo stomaco, dove il Dolente aveva infilzato il suo pungiglione, mi facevano gridare disperatamente, a momenti in cui la mia mente pareva perdersi in una sofferenza che andava al di là della sopportazione fisica. Era un dolore che veniva da dentro. Un dolore che non mi potevo spiegare, ma che mi dava una forte sensazione di desolazione e mi rimandava a ricordi che sentivo di essere miei, ma che mi rendevo conto di non aver mai provato.
Abbandono, solitudine, necessità,… amore, persino.
Sprazzi di muri e di edere si affollavano nei miei occhi, mentre combattevo per rimanere cosciente e mi abbandonavo alla disperazione.
Sentii Thomas gridare: - Ci siamo quasi, Pearl! Non mollare, ti portiamo fuori di qui!-
Sentivo il corpo di Minho contrarsi e rilassarsi nel ritmo della corsa. I muscoli della sua schiena lavoravano a contatto con il mio corpo madido di sudore.
Chiusi gli occhi e ad un certo punto il suo moto si fermò e io realizzai che ero tornata alla Radura.
Vidi il cielo. Poco tempo prima era di un azzurro limpido e in quel momento stava assumendo sfumature di rosa ed arancione.
Era quasi il tramonto, ma non sapevo come fosse possibile che le ore fossero passate così velocemente da quando avevo sgranocchiato la mia mela nei pressi della Tana.
Stesa a terra sentivo che i sensi mi stavano abbandonando e segretamente mi auguravo di chiudere gli occhi presto, di morire persino, perché il dolore era insopportabile e la mia mente soffriva anche più del mio corpo.
- Newt, presto, l’antidoto!- qualcuno gridò.
Vidi dei volti, ma per lo più erano sagome indistinte. Dei passi pesanti fecero vibrare il terreno accanto a me e martellare la mia testa.
I volti sparirono e davanti a me si erse l’unica figura che fui capace di distinguere. Mi parve un gigante: le spalle ampie, il torso e l’addome imponenti, le braccia gonfie di muscoli fibrosi e tesi, le gambe potenti allargate e ben salde sul terreno.
La sensazione di cieca ira che mi aveva scossa al mio arrivo alla Radura, e in molti altri momenti, si impossessò di nuovo di me. Era una rabbia che non aveva nome, un istinto incontrollabile. Era come se percepissi il pericolo venire da quella persona, la minaccia che rappresentava per me in quel momento. Se davanti al Dolente non avevo reagito e mi ero bloccata, dovetti realizzare che avevo un’ingiustificata, ma forte paura di quell’individuo e che lo avrei aggredito, se le forze non mi fossero venute meno a causa delle ferite e se qualcuno non mi avesse, con scarsa delicatezza, conficcato un ago nel collo.
L’ultima cosa che vidi fu Gally, il gigante spaventoso, scaricare un gancio in faccia ad uno dei radurai. Forse Thomas.
Sentii la mia voce, proveniente da chissà quale angolo della mia mente, pronunciare un debole “No” e poi fu il buio.
Poi fu la Mutazione.

 

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Capitolo 5
*** Parte 4 ***


Chiedo scusa per il grossissimo ritardo. Mea culpa.
In realtà, come vi avevo anticipato, la fic è già conclusa ed aspetta solo di essere pubblicata, ma sulla pubblicazione di questo penultimo capitolo ho avuto un po' di dubbi che mi hanno fatto pensare di rivedere il testo e così ho rimandato finché non mi sono sentita in colpa, cioè fino ad oggi.
Spero vi piaccia.
Come al solito vi abbraccio e vi ringrazio.
Rachel

Parte 4
 
La prima cosa che vidi fu la Radura completamente deserta. Non solo non c’era traccia dei ragazzi, ma non c’erano nemmeno i campi, gli orti e le costruzioni. Non c’era nulla a parte il bosco, l’immenso prato e i muri del Labirinto.
Fluttuavo e osservavo la Radura con occhi non miei. Il fatto che fosse disabitata non mi disturbava affatto, non mi provocava nessun tipo di disagio.
Eppure una parte di me sapeva che lì dentro avrei dovuto scorgere i miei amici.
Poi sentii una voce di donna parlarmi da un punto a me ignoto. – Fra poco toccherà a te, Pearl.-
A quelle parole percepii una strana sensazione di panico, di urgenza, mista ad un senso di dovere spiazzante.
- E’ proprio necessario?- domandai preoccupata.
- Non preoccuparti, non ricorderai nulla. Non ti faremo entrare lì con i tuoi vecchi ricordi. Lui non ci sarà più, non devi temere.-
Non me lo spiegai, ma la mia mente sapeva esattamente di chi stava parlando la donna.
- Sì invece…- constatai tristemente. – Sarà là dentro con me. Solo che io non mi ricorderò di lui.-
- Pearl, prima ch’io ti mandi laggiù, voglio che tu comprenda quanto sei fondamentale ai fini del nostro esperimento. Hai un ruolo da giocare in quel posto ed è ben diverso da quello che dovranno giocare gli altri.-
Il suo tono suonava più minaccioso che conciliatorio.
Il flusso di quei pensieri si interruppe e, di colpo, non vidi più la Radura.

Ero in uno strano laboratorio. Attorno a me uno scenario fatto di macchinari, luci soffuse e computer iper tecnologici. Persone in camice si aggiravano a passo sicuro fra i tavoloni da lavoro in vetro.
Stavo seduta ad una postazione di quel laboratorio, fissavo concentrata lo schermo davanti a me.
Quando realizzai che quelli che abitavano la stanza insieme a me erano i Creatori, mi ritrovai a gridare assalita dal panico.

Il laboratorio si dissolse davanti ai miei occhi ed al suo posto apparve un grosso stanzone dall’aspetto crudo. Rigidi tavoloni di metallo, sgabelli consunti, luci al neon e una sola, piccola finestra con sbarre.
I Creatori non c’erano più, così smisi di gridare. O almeno lo feci nella mi mente. Davanti ai miei occhi, seduti con le schiene piegate e i visi concentrati su quello che doveva essere un pasto, c’erano i miei compagni. I Radurai che conoscevo e molti altri che non avevo mai visto.
Mi avvicinai a loro. Newt, Ben, Zart, Alby, Frypan, Chuck, Thomas e con  lui c’era persino la ragazza bellissima che era entrata nella Radura dopo di me. Un istante dopo averla vista, nel mio cervello si materializzarono le lettere che formavano il suo nome: Teresa.
Tutti mangiavano e conversavano animatamente.
- Scusami…?- una voce mi sorprese alle spalle. Mi voltai e mi trovai a contemplare un Gally più giovane di quello che avevo conosciuto, meno consumato e... diverso.
Era sereno, sorrideva cordialmente. Era persino vestito bene ed era pulito. Non era il Gally scontroso e musone al quale ero abituata.
La cosa mi lasciò impietrita e mi fece pensare che probabilmente nemmeno io in quell’istante fossi la persona che pensavo di essere. La Pearl della Radura, l’unica che conoscevo. Non ero lei.
Avevo sentito la voce di una donna, presumibilmente una Creatrice, avevo visto un laboratorio e ora vedevo i miei compagni e li accettavo per come mi si presentavano.
- Ehi…ehm…- la voce di Gally mi riportò a lui. – Scusa, approfitto del fatto che ti sei piantata davanti alla porta costringendomi a chiederti di farmi passare per presentarmi, visto che ormai conosco quasi tutti qui dentro eccetto te.-
Allungò una mano nella mia direzione ed io, ancora una volta, mi ritrovai a notare che non era la mano del Gally che conoscevo. Questa non era callosa, sporca o piena di graffi.
- Mi chiamo Gally. Sai, da Galileo Galilei.- strinsi la sua mano e la trovai confortevole.
- Io sono Pearl. Sai, da Pearl Buck.- lo imitai.
Lui sorrise e mi provocò un’improvvisa vampata di calore sul viso. Ero arrossita.
- Oh, abbiamo una letterata fra noi!- esclamò con divertita sorpresa.
Fu solo in quel momento che, con una punta di panico, capii che la presenza di Gally non mi stava procurando quell’odiosa smania di rompergli il naso che conoscevo fin troppo bene.  Al contrario, mi stava causando strane palpitazioni ed imbarazzo.
- Beh, Pearl, ti va di pranzare con me? Vado a prendere qualcosa per entrambi e poi ti presento gli altri.-
Gally era gentile con me. Gally sorrideva. Gally era sano, stabile,… felice, persino. 
E, cosa non meno importante, Gally mi piaceva.


Buio e caldo. Ero nel mio letto.
Non nella Radura, ma nel luogo in cui la mia testa era approdata qualche pensiero più indietro. Il luogo in cui c’erano il laboratorio e quella immensa mensa.
Questo era il mio letto, nella mia stanza, ed io giacevo su di esso, avvolta dalle mie coperte, la testa appoggiata sul mio cuscino caldo.
Mi ci volle un po’ per realizzare che tutto quel calore non poteva provenire dalle coperte e dal mio corpo e che il cuscino sul quale ero assopita era un corpo umano. Era il petto di Gally che saliva e scendeva cullandomi al ritmo del suo respiro.
Come ogni volta in cui ero stata catapultata nella me di cui non ricordavo nulla, mi misi a parlare con una tranquillità che disarmava e spaventava la me della Radura e che allo stesso tempo la confortava e la faceva sentire meglio.
- Gally, sei sveglio?- lo chiamai.
Lo sentii muoversi appena. Era steso sulla schiena, mentre io stavo appoggiata a lui ed il suo braccio era posizionato sulla mia spalla e la carezzò delicatamente, facendomi sentire i brividi nonostante il pigiama, le coperte ed il calore del suo corpo.
- Sono qui. Non riesci a dormire?-
Scossi lievemente la testa, sfregando il mio viso sul tessuto morbido del suo pigiama nel tentativo di coccolarmi.
- Stavo pensando…- iniziai. Lui mi strinse un po’ di più a sé e mi diede un bacio sulla testa. Ancora una volta me ne sorpresi, ma sentii che era stata un’azione più che lecita e maledettamente bella.
- Secondo te lo sanno? Intendo loro: i Creatori. Secondo te sanno che… sì, insomma… di noi due?-
- Non lo so…- lo sentii sospirare, mentre pensava ad una risposta da darmi. – Lo abbiamo nascosto, ma mi sembra di sottovalutarli nel credere che davvero non si siano resi conto di nulla. Ho paura che lo sappiano, Pearl. Ho paura che lo sappiano e che, in qualche modo, stiano pianificando di farci qualcosa.-
Mi sollevai facendo forza con il mio palmo sul suo petto. Lo fissai nel buio, anche se non potevo vederlo.
- Cosa possono farci ancora? Cosa può essere peggio di questo?! Il mondo che va a rotoli e quel dannatissimo esperimento! Ci separeranno comunque, Gally! Ci prenderanno e ci metteranno là dentro come hanno fatto con gli altri, e quando tu mi raggiungerai io sarò probabilmente già morta!-.
- Non se mettono dentro prima me e muoio io.- mi dice lui, in tono canzonatorio.
- Non prendermi in giro! Non voglio perderti.-
- Non ti prendo in giro. Ho parlato con un Creatore, ieri. Dovevo solo trovare il coraggio di dirtelo.-
Trattenni a stento le lacrime. Non volevo sapere quello che aveva da dirmi. Non volevo che se ne andasse.
Gally prese un grosso respiro e poi parlò con voce bassa, ma sicura. Come se la cosa non lo toccasse più di tanto. Come se si fosse già rassegnato all’idea di rinunciare a me.
- Da domani inizierò il periodo di osservazione. Dicono che sono maturato abbastanza per affrontare la prova e che sarò il prossimo ad entrare in quel luogo.-
- No, Gally…- fu tutto quello che riuscii a dirgli con voce rotta.
- Mi dispiace. Non volevo che lo sapessi. Volevo passare con te questi ultimi giorni serenamente.-
Si sollevò a sedere anche lui, poi spinse le gambe fuori dal materasso e si alzò, seguito a ruota da me, che lo abbracciai con urgenza e spinsi forte il mio viso sul suo petto.
- Ti amo, Gally.-
Mi accarezzò teneramente i capelli.
- Ti aspetterò là dentro e quando arriverai mi prenderò cura di te, lo giuro.- sussurrò dolcemente.
Mi lasciò andare. Lo persi nell’oscurità della stanza con la consapevolezza che avrei dovuto rinunciare a lui di lì a poco. Un orologio nella mia mente segnava un rapido conto alla rovescia, la testa mi doleva e persi di nuovo contatto con la realtà.

Quando tornai ad abitare i miei pensieri, sedevo nella grande sala con la testa abbassata su un piatto semi vuoto. Mi voltai e notai che Gally sedeva accanto a me.
Sospirai. Non se n’era ancora andato.
Fui pervasa da uno strano senso di tristezza, probabilmente dovuto alla prospettiva di doverlo vedere andare via e mettere a rischio la sua vita.
Incontrai il suo sguardo pochi istanti dopo e fu una pugnalata al cuore. Vidi il Gally della Radura, quello scontroso, in lotta col mondo, quello che mi odiava profondamente.
- Smetti di fissarmi, mi rendi nervoso.-
- Scusami-.
- E smetti anche di scusarti, sembri una mammoletta.- poi il suo pugno batté con forza sul tavolo. Sussultai e notai subito la rabbia crescere nei suoi occhi, mentre in me nasceva una sensazione che sentivo completamente mia e realizzai che quella Pearl già aveva avuto a che fare con quel Gally.
- Ora basta!- gridò lui contro di me.
- Gally, calmati!- cercai di convincerlo, mentre lo vedevo alzarsi con impeto e perdere le staffe. – Non sei in te!-
- Oh no. Sono in me. Non sono mai stato così tanto me stesso come lo sono adesso!-. Sembrava pazzo.
Tutti gli altri radurai si voltarono a guardarci, evidentemente attirati dalla violenza con la quale la voce atona di Gally si abbatteva su di me.
E la voce non fu l’unica cosa ad abbattersi su di me, perché dopo avermi afferrata per il colletto della camicia e avermi sollevata da terra, mi sferrò un potente montante alla bocca dello stomaco.
Gli altri intervennero tempestivamente e io caddi a terra senza più respiro.
Non era la prima volta che io e Gally ci prendevamo a cazzotti. Nella mia coscienza sapevo che ci eravamo allenati tanto insieme e che la lotta libera era la nostra attività preferita, nonché l’esperienza grazie alla quale ci eravamo avvicinati così tanto da esserci… innamorati.
Ero forte, ma non abbastanza da reggere un colpo del genere, e comunque Gally non mi aveva mai fatto davvero del male.
Seppi solo dopo che mi aveva rotto un paio di costole.


Fu di nuovo la voce della Creatrice a riportarmi coi piedi per terra.
- Lui se n’è andato. Lo abbiamo mandato alla prova.-
- Lo so.-
- Ho bisogno di te, Pearl. Ora che lui non c’è più, ho bisogno di te.-
- Per cosa?- domandai, diffidente.
- Quanto male ti ha fatto Gally?- rispose alla mia domanda con un’altra domanda.
Non risposi subito. Gally mi aveva fatto male, molto male. Non solo fisicamente, ma anche emotivamente.
- Abbastanza da farmi dubitare di questo progetto.-
- Lo immaginavo. Non devi temere. Ascoltami, ho la soluzione al tuo problema-.
Mentre piangevo in silenzio la donna mi spiegò che quello che avevo visto non era il Gally che conoscevo; che i sieri che gli avevano iniettato durante il periodo di osservazione lo avevano reso violento e che tutto era stato calcolato perché lui aggredisse proprio me.
Era una spiegazione malata. Quello che gli avevano fatto era un gesto barbarico e quello che mi sorprese fu che non intervenni mai una volta per interrompere la spiegazione della dottoressa, né trovai il coraggio di sputarle addosso il mio disprezzo per quello che aveva fatto a noi due.
I Creatori sapevano del nostro amore e lo avevano utilizzato per il loro esperimento. Io e Gally eravamo parte del progetto fin dall’inizio e questo mi portò a dubitare immediatamente anche della sincerità e della spontaneità del mio rapporto con lui.
Se il nostro amore era qualcosa di vero, di tangibile, cosa alla quale non potevo non credere, le situazioni grazie alle quali esso era nato non erano altro che artificiose fasi di un esperimento più grande di noi. E chissà se anche tutti quegli atteggiamenti e quelle simpatie che ci avevano avvicinati non fossero frutto di condizionamenti farmacologici. I Creatori avrebbero potuto in qualsiasi momento somministrarci i loro sieri e indurci all’amore reciproco. Ormai non sapevo più di cosa fossero capaci.
Ero rassegnata, arrabbiata e, soprattutto, bisognosa di pace.
- Vuoi dimenticare, non è vero?-
Annuii.
- Posso portare via ogni ricordo di lui dalla tua mente. Ma prima tu lo devi odiare. Lascia fare a me.-

 
*** 
Dormii, preda della Mutazione, per due giorni interi. Al mio risveglio, all’alba del terzo giorno, mi ritrovai nell’infermeria da sola.
La prima cosa che notai fu che Alby e Teresa (avevo appreso il suo nome durante la Mutazione) non c’erano più; dovevano essersi svegliati.
Pensai che era vero quello che mi avevano detto della Mutazione: ti cambia. Io ero cambiata. Ora sapevo ogni cosa. Sapevo cosa facevo là dentro, cosa ognuno di noi faceva là dentro, e questo mi faceva guardare con occhi diversi la Radura e tutto ciò che c’era attorno ad essa.
Sapevo quasi ogni cosa di ogni mio compagno e sapevo tutto di Gally e di me. Solo non sapevo come avrei fatto ad affrontare la situazione del Labirinto e della nostra prova, con questa prospettiva davanti agli occhi.
Avevo dimenticato ogni cosa e ora ricordavo tutto. Ero condannata.
- Ti sei svegliata, eh? Ci hai fatto prendere un bel colpo Pearl!- era Jeff, il medicale di turno, che veniva a controllare il mio stato e mi trovava sveglia.
Cercai di mettermi a sedere, ma mancavo ancora di energie e mi lasciai cadere immediatamente sul cuscino.
- Hai bisogno di riprenderti, fra un’oretta sarai in piedi. Non preoccuparti.-
- Jeff…- lo chiamai – cosa…cosa è successo mentre dormivo?-. Lui mi parve sorpreso.
- Dormivi? Quello non lo avrei chiamato “dormire”. Ti sei dimenata talmente tanto che abbiamo dovuto legarti. Non facevi che urlare. Hai urlato così tanto che gli altri sono venuti a protestare da me. Non che io potessi fare molto, comunque ad un certo punto hai smesso. E per quanto riguarda la Radura: Alby si è svegliato, ma è ancora piuttosto scosso, non parla a nessuno della Mutazione, ma non lo si può biasimare. Anche la ragazza si è svegliata…-
- Teresa…-.
- Sì, Teresa. No, aspetta un attimo…come lo sai?-
- L’ho vista nella Mutazione.- ammisi, senza troppo preamboli. – Continua, per favore.-.
Jeff fece spallucce e parlò: - Nessuno si è fatto male, ma abbiamo rischiato che il gruppo si sfasciasse di nuovo. Gally se l’è presa con Thomas; credo l’abbia fatto per quello che è successo nel Labirinto quando sei stata punta. Sai com’è Gally, quando si parla di regole e condotta… Thomas e Minho hanno comunque continuato ad uscire dalla Radura per cercare una via d’uscita, ma temiamo tutti che se la dovessero trovare dovrebbero anche affrontare Gally ed i suoi prima di convincerci tutti a scappare. Ah, a proposito: inspiegabilmente Gally è stato il raduraio che ha passato più tempo di tutti al tuo capezzale. Ti giuro che non ho idea di cosa gli prenda, certe volte è proprio…-
Ma ormai non stavo più ascoltando il continuo parlare di Jeff. Ero ferma all’informazione che avevo ritenuto più importante in quel momento: Gally era rimasto accanto a me durante la Mutazione.
Alla luce di quanto avevo appena appreso, mi ritrovai più confusa che mai. Che fosse anche lui al corrente di tutto? Dopotutto aveva detto di avermi vista nella sua Mutazione.
Fu l’arrivo di Teresa a interrompere i miei pensieri.
- Jeff, scusami, per caso non è che avresti della pomata per…- si interruppe non appena vide che ero sveglia.
- Tu sei Pearl…-
- Ciao Teresa.- dissi io, con estrema tranquillità.
Lei parve subito perplessa. – Come fai a sapere…?-
- Me l’ha detto Jeff poco fa.- mentii io. Lei sorrise e si avvicinò al letto.
Conoscere Teresa fu un toccasana per me, anche se uscivo dalla Mutazione e vivevo l’incubo del Labirinto. Una presenza femminile non poteva che giovarmi e così fu.
Parlammo per quasi tutta la mattina e quando Jeff tornò in infermeria per mandare Teresa a pranzo, mi dispiacque molto lasciarla andare.
Rimasi sola a fare i conti con i ricordi di quello che avevo appena vissuto, di quella seconda vita di cui non avrei dovuto sapere nulla e che ora premeva insistentemente nella mia testa, procurandomi una forte emicrania.
- Ehi Jeff, come sta…?-. Con mia immensa sorpresa, Gally era appena entrato di gran carriera in infermeria chiedendo palesemente al medicale della mia condizione.
Vederlo mi provocò un moto di emozioni contrastanti molto simile ad un’onda che mi avesse investita in tutto il corpo, trascinandomi con sé.
Non sapevo se volevo fargli del male o se mi faceva pena, Se volevo vederlo o se volevo soltanto che sparisse per sempre, perché il suo ricordo mi procurava un gran dolore all’altezza del petto.
- Oh, non sapevo che ti fossi svegliata. Tolgo il disturbo.- dichiarò voltandosi ed incamminandosi verso la porta.
Allungai, per quanto me lo concessero le forze, una mano nella sua direzione. – Gally…- lo chiamai.
Lui si fermò, mosse appena la testa, ma non si voltò, né mi rispose. Aveva letto nei miei occhi che sapevo tutto e non voleva parlarmi o affrontare di nuovo la sua Mutazione sul mio volto sconvolto. Perché era evidente che lui, almeno in parte, aveva visto quello che avevo visto io.
Supplicai Jeff con lo sguardo e lui subito si alzò e corse da Gally, prendendolo per un braccio e portandolo appena fuori la portata del mio occhio per parlargli.
Potei comunque sentire il loro discorso e vedere Gally muovere la testa ripetutamente in segno di diniego.
- Avanti, sei stato qui tutto il tempo… si può sapere che ti prende adesso? Giuro che non ti capisco. Falle un saluto, almeno.-
- Gally, per favore…- alzai la voce in modo da attirare l’attenzione di entrambi. Gally incontrò i miei occhi e nei suoi vidi la disperazione che gli causava la mia vicinanza in questo momento. Fece un cenno a Jeff, il quale uscì dall’infermeria lasciandoci soli.
Era giunto il momento di affrontare la verità. Di scoprire le carte e fare luce su una parte fondamentale del mistero della nostra presenza in questo casino di Labirinto.
Gally si avvicinò cautamente al letto, mentre io mi mettevo a sedere, raccogliendo le energie che a poco a poco si facevano risentire. Mi sorpresi nel notare che forse influenzata dalle visioni, iniziavo a vederlo meno minaccioso.
- Come stai?- mi chiese pacatamente.
Mi sfuggi una piccola risata di sarcasmo. Non per lui, quanto per il fatto che il mio essermi ripresa dalla Mutazione non comportava affatto che stessi meglio.
- Mi dispiace. Non volevo che accadesse anche a te, non volevo che andassi nel Labirinto…-
- Grazie, ora lo so. Ora ti credo.- lo rassicurai.
Lui parve sorpreso e mise da parte l’atteggiamento difensivo che aveva fino a pochi istanti fa.
- Cosa hai…cosa hai visto durante la Mutazione?- tentennò.
- Credo di aver visto le stesse cose che hai visto tu.- tagliai corto.
Lui annuì e per qualche minuto restammo in completo silenzio.
Fu lui a romperlo:
- Siamo una parte del loro esperimento.- disse – Con noi hanno messo alla prova la parte del cervello umano dedicata alle emozioni e ai sentimenti e probabilmente ci stanno ancora studiando. Quando hanno visto che le cose tra noi avevano assunto quelle proporzioni mi hanno mandato qui. All’inizio non ricordavo nulla, esattamente come te quando sei arrivata. Poi sono stato punto (e non credo che sia successo per caso), ho subìto la Mutazione e ti ho vista. Ci ho visti insieme ed ho pensato che in fondo il veleno del Dolente mi stesse facendo un favore, regalandomi ricordi di momenti felici. Non volevo svegliarmi, avevo trovato un po’ di respiro e di pace. Le visioni sono cambiate presto ed ho visto come ti avevo trattata, l’effetto che avevano avuto gli esperimenti su di me, la mia violenza, tutto… e quando mi sono svegliato ho capito che avrei dovuto vivere con questo rimorso temendo al contempo il momento in cui i Creatori avessero deciso di darmi il colpo di grazia mandandoti qui. E quando sei arrivata e mi hai aggredito ho creduto che stessi davvero cercando vendetta in qualche modo; non sapevo cosa ti avessero fatto i Creatori dopo che si erano disfati di me; potevano averti addestrata per uccidermi, potevano averti sottoposta a qualsiasi tipo di tortura sperimentale. Solo dopo ho capito che non mi avevi riconosciuto, che la Pearl che era uscita dalla scatola non era quella che avevo lasciato. Ho pensato che se ti fossi stato lontano, cosa che non sono riuscito a fare, ti avrei protetta. Ma non potevo fare i conti con tutti i Radurai e spiegar loro come stavano le cose. Non potevo impedirti di andare nel Labirinto.- soffiò dalle labbra una specie di risata.- è buffo. I Creatori hanno permesso che ci innamorassimo a beneficio dei loro progetti, poi hanno cambiato me, hanno fatto in modo che il nostro amore si rovinasse, ci hanno separati, messi qui ed infine ci hanno restituito i ricordi masticati e corrotti. Tutto quello che ci resta non è altro che un mucchio di sentimenti dei quali non sappiamo che fare.-
Mi erano finalmente chiari tutti gli strani comportamenti di Gally da quando ero entrata a far parte della sua seconda vita. Mi era chiaro il suo rifiuto di combattere con me, il suo bacio, il suo soccorrermi quando mi slogai la caviglia, il suo tentare di tenermi lontana a suon di minacce e il suo categorico divieto di entrare nel Labirinto.
E tutto quello che diceva era vero. Non sapevo più se amare Gally o desiderare che morisse. L’unica cosa che sapevo era che non volevo i ricordi che avevo ottenuto. Li avevo rincorsi per mesi e ora non li volevo più.
- Fa male, Gally.- gli dissi. – Hanno fatto esperimenti anche su di me, dopo che te ne sei andato.- ammisi poi.
Lui si allarmò all’istante, ma continuò a fissarmi senza dir nulla, così continuai a parlargli.
- Dopo che…insomma, dopo la tua partenza, la Creatrice mi fece partecipare alla stessa serie di esperimenti che toccarono te. Solo che tu non eri lì ed io non potevo tentare di farti del male. Mi assicurarono che erano utili per la preparazione alla Prova, ma non mi dissero che, una volta tolti tutti i miei ricordi, mi sarebbe rimasto quell’istinto di farti del male e di vendicarmi. Mi dispiace di averti procurato tanti fastidi dal mio arrivo alla Radura…-.
- Pearl! – lui alzò la voce. – Io ti ho ferita! Sono stato violento! Ho lasciato che ti facessero del male… che lo facessero attraverso me!-.
- Non eri tu quello! Li ho visti anche io, i bei ricordi. Stavo fra le tue braccia e mi sentivo bene; sentivo che la mia esistenza aveva uno scopo, oltre a quello di servire i Creatori. Ti amavo e stavo bene. Non posso obbligarti a cambiare idea, ma posso assicurarti che in me non c’è più alcuna traccia di quell’odio, adesso che ho aperto gli occhi. Quindi, ti prego, non in nome di quello che c’è stato fra noi, ma in nome della libertà e delle risposte che stiamo cercando: non tormentarti più.-
Gally abbassò lo sguardo e andò a fissarsi le grandi mani appoggiate alle ginocchia.
- Non è così semplice. Io ti amo ancora Pearl.-
Mi dispiacque che me lo avesse detto così, ma non avevo alcun potere né su quello che provavo io, né tantomeno su quello che sentiva lui.
- Gally…- lo chiamai. Lui sollevò di nuovo la testa e questa volta incontrai il suo sguardo pieno di rammarico ed i suoi occhi rossi dal pianto trattenuto. – Io credo in questa cosa. So che ci siamo amati. So che ti ho amato tanto da rinunciare a te.- allungai la mia mano e lui la prese un po’ esitante. Era tremante e spaventato. – Promettimi che usciremo di qui insieme e che sistemeremo questo casino.-
- Non posso. Fuori di qui non c’è niente, solo morte. Non saremo liberi.-
- Io non rimarrò qui, Gally. È importante che tu lo capisca. Ora che conosco almeno in parte il mio passato, sono più che convinta della necessità di uscire di qui.-
- Non pensarci adesso.- si chinò su di me e mi concesse pochi attimi per perdermi nei suoi occhi, mentre le nostre mani si intrecciavano e lui appoggiava la sua fronte alla mia, sussurrando dolcemente “Mi dispiace”. Le mie labbra toccarono le sue prima che potesse ripeterlo. Quello fu il primo bacio che diedi con sentimento e, anche se era dettato dall’urgenza di fargli capire che lo volevo con me, seppi che glielo stavo dedicando con la stessa passione con la quale lo avevo amato in un passato non tanto distante. Non sapevo se gli volevo bene, non sapevo se davvero desideravo tornare ad amarlo. Quello era un bacio dalla vecchia Pearl al vecchio Gally, trasportato attraverso questi due corpi che ormai non si conoscevano più, se non nel dolore.
- Gally!- Newt corse dentro l’infermeria, cogliendoci nel bel mezzo del bacio. Ci affrettammo a separarci, ma fu subito evidente che ci aveva visti. – Ma vuoi due non vi detestavate?- ci indicò sospettoso.
- Lascia stare, Newt!- esclamò Gally, tornato serio e scuro come sempre. – Che c’è?-.
- Minho e Thomas sono tornati.- annunciò il ragazzo. - Thomas si è punto di proposito.-

 
 
***
 
Thomas era alla ricerca di risposte ed aveva pensato che l’unico modo per ottenerle era provare quello che avevamo provato io, Gally, Alby, Ben ed altri compagni. Passò un giorno e una notte a lottare contro gli spasmi della Mutazione, mentre io mi ero ripresa del tutto e mi preparavo al peggio. Se Thomas avesse trovato una soluzione al Labirinto, lo avrei seguito e avrei dovuto con ogni probabilità dire di nuovo addio a Gally.
Dopo il nostro incontro in infermeria, entrambi abbiamo evitato di affrontare l’argomento e, come legati da un tacito accordo, abbiamo fatto in modo di passare del tempo insieme, pur senza alcuna pretesa di tipo sentimentale.
Gally si rese conto che ero ancora piuttosto confusa circa ciò che ci legava e probabilmente in cuor suo sapeva di non poter riavere indietro la Pearl di quel tempo felice.
Mi faceva male vederlo sorridermi malinconicamente e mi faceva ancor più male il pensiero che di lì a poco sarei stata costretta ad abbandonarlo di nuovo.
Quando Thomas si svegliò i Creatori decisero di giocarci il tiro peggiore e le porte non si chiusero al tramontare del sole.
Fummo attaccati per tutta la notte dai Dolenti, i quali presero molti di noi, compreso Alby, la nostra guida. Ci fu subito chiaro che i Creatori avevano intenzione di farci fuori tutti e che l’unica soluzione era quella di seguire Thomas nel Labirinto e tentare la fuga attraverso la Tana.
Lui e Minho trovarono che il Labirinto nascondeva un codice in lettere. Passarono una notte intera nella sala delle mappe e lo decifrarono, dopo di che decisero che l’indomani saremmo partiti.
Gally si oppose, ci fu una rissa. Thomas fu accusato con ogni tipo di ingiuria, ma il succo della polemica era sempre lo stesso: non era sicuro per noi allontanarci dalla Radura ed avventurarci una missione suicida.
Tentò di convincere anche me ed io tentai di convincere lui, ma quando la mattina seguente ci preparammo per la fuga, Gally ed un piccolo gruppo di radurai rimasero a guardarci sparire fra i corridoi del Labirinto.
- Non te lo chiederò più, Pearl: rimani con me! È un suicidio, quello che state facendo.-
Ma io non potevo rimanere. Volevo uscire e lo volevo con tutte le mie forze, esattamente come lo volevano Minho, Thomas, Newt, Chuck, Frypan, Teresa e molti altri.
Tra l’amore che forse provavo per Gally e l’idea di essere finalmente liberata da questo incubo, scelsi la libertà, come avevo previsto.
- Mi dispiace, Gally. Forse l’idea della mia morte ti aiuterà a fare pace con i ricordi. Ma sappi comunque che uscirò di qui e che ti aspetterò alla fine del Labirinto.-
Lo baciai senza nemmeno avere paura o vergogna, sotto gli occhi degli altri che ancora non sapevano nulla di noi due, entrai nel Labirinto e andai incontro alla fine della Prova.

 
 

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Capitolo 6
*** Epilogo ***


 


Epilogo
 
C’è un trambusto tremendo. Gally ha sparato su Thomas, ma Thomas è ancora in piedi al centro del gruppo. È questione di secondi e mi rendo conto che Chuck si è buttato sul suo amico per proteggerlo, diventando così la vittima della pazzia di Gally.
Minho, guidato dall’istinto, ha impugnato la sua lancia e l’ha scagliata con decisione su Gally.
Mi bastano pochi attimi per realizzare: Gally è stato trafitto, i suoi occhi tornano lucidi e supplichevoli, le sue gambe cedono davanti a me. Corro nella sua direzione, incurante di ciò che sta succedendo accanto a me.
- No, Gally!- mi chino e raccolgo il suo corpo fra le mie braccia, prima che anche il suo busto si arrenda al pavimento.
Osservo il suo petto: la lancia lo trafigge proprio all’altezza del cuore. Deglutisco e lo guardo negli occhi. Estrarre la lancia significherebbe dargli una morte più rapida, ma non c’è niente che io possa fare per salvarlo. Sul suo viso le tracce della Mutazione stanno scomparendo esattamente come hanno fatto poco fa, quando gli ho parlato. Temo che stavolta sia davvero la fine. Gally sta morendo.
Allunga debolmente una mano e raccoglie una lacrima che è scesa a rigarmi le guance. Fatico ad inghiottire il nodo che ho in gola.
- Gally, non preoccuparti…- gli sussurro, la voce rotta dal pianto. – Ti porto via con me. Vedrai, ti guariremo e staremo insieme.-
- No Pearl, è tardi. Pearl, dimmi che mi perdoni…- tossicchia un po’ e mi costringe a posare una mano sul suo petto ansimante.
- Gally, non morire.-
- Loro vogliono che sia così.-
- I Creatori sono morti. Non c’è più nessuno che ci controlli. Stai con me…-.
Lo vedo perdere lucidità sempre più. L’idea di perderlo così, all’improvviso, mi fa impazzire dal dolore.
Dietro di me gli altri radurai soccorrono il piccolo Chuck e capisco che anche lui ci sta lasciando.
Due in una notte: ecco il prezzo da pagare per la Libertà. I Creatori hanno proprio pensato a tutto.
- Voglio andarmene così…Guardami, Pearl…ti amo.-
- Gally...-
Mi regala un sorriso, l’ultimo. E poi i suoi occhi si spengono e la sua mano smette di poggiarsi sulla mia guancia bagnata. Sento il suo corpo farsi più pesante quando la vita lo lascia e allora libero tutto il mio dolore.
Piango e grido e in me sento montare una rabbia incontrollabile, ma non c’è più alcun Creatore su cui riversarla.
Ho passato metà della mia vita a voler bene a qualcuno che non conoscevo più: i miei genitori, la mia famiglia, i miei amici. Non so nulla di tutti loro. Ho amato Gally e l’ho fatto oltre ogni limite imposto da chi ha creduto di essere più forte persino del sentimento più puro di tutti. Se questo fa parte dell’esperimento, credo di aver superato la prova brillantemente.
Ne esco temprata, perché ora devo affrontare il mondo da sola e l’unico sentimento che anima questi miei ultimi istanti col corpo senza vita di Gally è l’odio che provo nei confronti di chi mi ha fatto questo. Sono pronta ad affrontarlo, chiunque egli sia, e a morire. Per Gally, per Chuck, per Ben, per Alby, per i miei genitori, per i miei amici, per la libertà e per me stessa.
La stanza è improvvisamente invasa da una luce spettrale. Un gruppo di soldati irrompe nel laboratorio e ci annuncia di essere venuto a salvarci, a strapparci dalle grinfie del W.C.K.D.
Ce ne vogliono due di loro per staccarmi da Gally e portarmi via per sempre da quel posto.
 
Fine

 
Eccomi qui. Siamo giunti alla fine dell'avventura di Pearl per quello che riguarda il primo episodio della saga. Nelle settimane che sono passate da quando ho iniziato a scrivere a quando ho terminato di pubblicare, ho finito anche di leggere tutta la saga di Dashner ed ho acquisito informazioni utili sia alla mia storia che ad eventuali prossimi scritti, quindi vi voglio dire che non escludo l'arrivo di una nuova onda di ispirazione e di un proseguio.
Confesso che mi sono anche affezionata a Pearl, oltre che ai lettori e recensori, e che quindi non mi dispiacerebbe includere qui una sua versione di "The Scorch Trials" e "The Death Cure", così come ho fatto in breve con "The Maze Runner".
Vi abbraccio e vi ringrazio per il supporto e per le belle parole che mi avete scritto.
Rachel

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