The Wrong Side of Heaven and the Righteous Side of Hell

di The_red_Quinn_of_Darkness
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Red Doll ***
Capitolo 2: *** Decisioni forzate ***
Capitolo 3: *** Partenze ***
Capitolo 4: *** Here I am, Los Angeles! ***
Capitolo 5: *** Risveglio promettente ***
Capitolo 6: *** Five Finger Death Punch ***
Capitolo 7: *** Welcome to the Pride ***



Capitolo 1
*** Red Doll ***


°RED DOLL°

Passi.
Solo passi…
Tanti, frenetici passi.
Luci abbaglianti e sagome sfocate.
Voci sommesse ed agitate che non riuscivo a capire.
Sentii una mano stringere la mia, forte.
-Herie, non mollare!! MI HAI SENTITO?! NON DEVI MOLLARE HERIE!!!!!!
Urlava.
Qualcuno urlava il mio nome.
Sentivo il petto bruciare…respiravo piano…
Faceva tanto male…troppo…
Qualcosa sbattè forte e non sentii più la mano sulla mia…
Solo un urlo.
-HERIE!!!!!!

Mi svegliai di soprassalto.
Mi guardai intorno, sudata e tremante.
Ero nel mio letto, nella mia stanza buia… non era successo niente.
Presi gli occhiali dal comodino e li indossai.
I miei occhi puntarono la sveglia nera.
Anche se le luci verdi fluorescenti mi bruciarono via una retina, riuscii a leggere 5.30 sul display.
Sbuffai alzando la testa verso il soffitto con gli occhi chiusi.
Sentii uno zampettare abbondante arrivare dal corridoio, poi un enorme massa bianca saltò sul mio letto.
Accarezzai il pelo della mia cagnolona e la salutai facendole un sorriso.
-Ciao Ivy…- biascicai mezza addormentata.
Mi passai una mano nei capelli rosso scuro per provare a sistemarli un po’.
Senza successo, ovviamente.
Il grosso pastore dei Pirenei mi leccò felicemente la faccia per darmi il buongiorno.
-Noooo ti prego, bava di cane appena svegliata no… - piagnucolai alzando gli occhi al cielo.
Presi tra le mani il grosso musone di Ivy e la guardai dandole un bacione sul naso.
-Ho capito tesoro, buon giorno anche a te… ora mi alzo e ti vengo a dare la pappa.
La cagnona emise un guaito interrogativo, mentre mi alzavo dal letto stiracchiandomi davanti alla finestra.
Aprii le tende e feci entrare la leggera luce dell’alba.
Mi girai e notai il testone di Ivy inclinato da un lato…un po’ come per dire “amica…che cazzo fai?”.
La guardai e scrollai le spalle.
-Oggi siamo mattinieri purtroppo… mi spiace Ivy.
Mi infilai i pantaloncini corti e una felpa nera e iniziai a dirigermi verso la cucina con la cagnona che mi seguiva a ruota.
Arrivai in sala e iniziai ad aprire le tapparelle illuminando la stanza, una per una, poi passai ad aprire le finestre per fare un po’ di aria corrente.
Inspirai profondamente, sentendo i primi profumi del mattino.
L’aria fredda, il profumo del forno sotto casa mia e anche l’odore pungente di foglie secche e di autunno inoltrato.
Un mix che mi inebriava la mente.
Ivy mi risvegliò con un lamento e poi un sonoro “BAU”.
Mi scrollai da capo a piedi, rigirai su me stessa e mi diressi verso la cucina.
Dopo aver preparato la colazione di Ivy, iniziai a riscaldare il caffelatte e a tirare fuori dalla credenza di legno i biscotti.
Dopo essermi accucciata come un avvoltoio sulla sedia iniziai a fare la mia buona colazione, in compagnia di Ivy che cercava di elemosinare qualche biscotto dopo aver finito tutta la pappa.
Era molto strano vivere da soli in un appartamento.
Quando stavo per trasferirmi ero eccitata all’idea di una vita tutta mia, senza genitori che dettavano le regole e gli orari che dovevo rispettare quando ero fuori con gli amici.
Mi aspettavo la pacchia totale in carne ed ossa…
Invece eccomi qua, in una casa silenziosa e talvolta colma di monotonia.
Lavoro, casa, pulizie, lavoro, casa, pulizie…
Meno male che ho Ivy al mio fianco, che fa una buona guardia… ma anche un eccellente compagnia, non vedo l’ora di tornare a casa alla sera solo per vederla corrermi incontro scodinzolante e con la lingua penzolante.
E beh, nel tempo libero ho anche lei, Natasha, la mia migliore amica.
Ma lavorando, anche lei, riesco a vederla solo due sere a settimana e i fine settimana.
Andiamo a fare un giro in centro se ci va, se fa brutto rimaniamo chiuse in casa a sfondarci di play-station, film e montagne di cibo…
Nulla di speciale, ma almeno non sono sola.
Finii di sorseggiare il mio caffelatte e di smangiucchiare i biscotti, poi mi alzai e misi tutto nella lavastoviglie.
Ivy scodinzolava frenetica e mi faceva segno con la testona pelosa di voler uscire.
Avrei iniziato a lavorare alle 9…
-Va bene, oggi riusciamo a fare un giretto bello lungo, che ne dici? – le chiesi sorridendo.
Ivy andò verso il guinzaglio, lo prese in bocca e me lo porse in mano.
Sorpresa, guardai per un attimo il guinzaglio lunghissimo nero, poi scoppiai a ridere.
-Bene allora, vado a cambiarmi.
Mi diressi verso il bagno stropicciandomi gli occhi e sbadigliando senza contegno, poi mi diedi una bella lavata, con acqua esclusivamente tiepida, per svegliarmi meglio.
Dopo quella alzataccia, la giornata non sarebbe stata leggera…
Mi misi le lenti a contatto e una volta fatto ciò, iniziai a truccarmi, esagerando con l’eyeliner nero e sfoderando tutta la mia abilità di truccatrice per incorniciare al meglio i miei occhi scuri.
La carnagione diafana aiutava a far risaltare il trucco…ma a volte mi sembrava davvero di non avere sangue in corpo.
La mia salute non brilla molto…quindi il colore della mia pelle era più che un simbolo di bellezza, un segno di scarsa salute.
Per non parlare della mia anemia...
Mi sistemai la chioma rossa, lisciandola con piastra e spazzola e poi misi la mia collana portafortuna.
Non potevo stare senza di lei… 
Dal cordone nero pendevano tre ciondoli: una mano di Fatima argentata, un grosso anello e un gufo nero.
Ogni volta che uscivo senza, ne capitavano di tutti i colori.
Mi guardai un attimo, fissa, senza pensare nulla, poi scossi la testa e mi diressi in camera.
Mi tolsi la felpa e la canottiera e mi infilai il reggiseno.
Per colpa del mio seno grosso e pieno, ogni volta faccio fatica ad infilarlo.
Mi infilai i leggins di eco pelle neri, una felpa nera con il marchio della Monster verde fluo stampata sul davanti e per finire le mie immancabili New Rock nere lucenti.
Mi ammirai in tutta la mia metallonaggine e fui soddisfatta del risultato.
Mi infilai gli occhiali da sole in testa e imbracciai la mia borsetta di eco pelle.
Dopo aver messo il guinzaglio ad Ivy, chiusi la porta di casa a chiave e iniziammo a scendere le scale di marmo bianco.
Appena fuori dal portone del palazzo, mi accesi una sigaretta e dopo aver sorriso ad Ivy, iniziammo il nostro giretto mattiniero.


Rientrammo in casa alle 8, giusto in tempo per prendere le cose del lavoro.
Appena entrata, Ivy corse a bere in cucina, mentre io accesi il cellulare.
Con il dito, scorsi tutti i messaggi che mi erano arrivati durante la notte.
Chiamate insistenti, messaggi in segreteria, notifiche…solo ed esclusivamente sue.
Sbuffai lanciando il cellulare nella borsa.
-Fanculo stronzo…- sibilai.
Mi massaggiai le tempie facendo uscire per un poco le dita dalla felpa sospirando.
Ivy entrò in camera e venendomi incontro, strusciò il muso sulla mia gamba e guaì dolcemente.
La guardai triste, con un groppo di lacrime in gola, mi chinai e la strinsi forte, dandole un bacio sulla testa.
-Forza cucciolona, devo andare o se no farò tardi a lavoro.
Mi si stringeva il cuore ogni volta che la lasciavo sola… ma non sapevo come altro fare.
Accesi la tv e socchiusi le tapparelle, lasciando accese un paio di luci.
Presi le chiavi della macchina e aprii la porta.
-Ciao Ivy, ci vediamo dopo, fa la guardia e azzanna tutti eh? – mi raccomandai con lei stropicciandole il musone.
Chiusi la porta e chiamai l’ascensore a malavoglia.
Mentre scendevo verso il garage, appoggiai la testa alla parete fredda e scura della cabina e feci sospiri lunghi e profondi, in modo da calmarmi un po’.
Scesi e mi diressi verso la mia Audi bianca, la aprii e iniziai a collegare l’auricolare wireless infilandomelo in un orecchio.
Il rombo del motore mi caricò e stringendo forte il pomello delle marcie, partii verso il cancello automatico grigio.
Mi rilassava guidare, mi sentivo potente e potevo andare dove ne avevo voglia, quando ne avevo voglia.
Immediatamente, accesi la musica a palla e mi accoccolai meglio sul sedile bianco, adagiando la testa al poggiatesta.
Partirono in quinta i Nightwish, il mio gruppo preferito, con “I want my tears back”.
-Si cazzo si…- sussurrai facendo un mezzo sorriso.
In quel momento mi sentii calma e quasi felice.
Sfrecciavo tra le strade intricate di Milano, con 1000 pensieri in testa e, nonostante ciò, stranamente tranquilla.
Guardavo fuori dal finestrino gli alberi e gli edifici che sfrecciavano, muti, grigi e tristi come al solito.
Non mi piaceva quel posto, ma dopo 2 anni di permanenza, mi ero abituata all’idea di vivere in una città monotona e con fin troppo casino, per i miei gusti.
Arrivata al parcheggio dell’edificio dove lavoro, parcheggiai con eleganza la macchina buttando fuori dal finestrino il mozzicone di sigaretta che mi stavo fumando, pestandola subito dopo con la pesante New Rock.
Scesi, richiusi l’auto e mi diressi verso le porte scorrevoli dell’entrata.
Lavoravo come truccatrice e grafica presso un’azienda molto popolare, specialmente presso il mondo della moda e della musica.
Io ero specializzata per il secondo, moda e modelle mi davano decisamente il voltastomaco…
Ho lavorato con molte band e cantanti, purtroppo per la maggior parte italiani ed ero abbastanza richiesta sia per trucchi per video, concerti e spettacoli, sia per realizzare copertine di CD, pubblicità di concerti ed eventi.
Insomma… sono una specie di factotum!
Non è affatto un brutto lavoro…
Il problema è che non ascolto affatto la musica italiana, tralasciando due o tre artisti vecchi che ascoltavo da piccola con i miei genitori.
Quindi lavoro, si, ma con indifferenza.
Avevo avuto molte possibilità per iniziare a lavorare anche all’estero…ma non avevo mai avuto le palle per buttarmi e provare.
Solo da pochi mesi sto rivalutando la cosa, con il piccolo particolare che non è più arrivata richiesta di personale fuori dal continente.
Quindi, mi attacco allegramente a sto cazzo. 
Arrivai alla porta del mio piano di lavoro, entrai e mi diressi verso la mia scrivania, salutando i colleghi con un sorriso.
Appena appoggiai la borsa alla sedia e tolsi gli occhiali da sole, mi venne incontro Lola, la segretaria del capo, con un mucchio di cartelle in braccio.
Lola, era una donna semplice, carina, con dei buoni modi di fare che a volte mi lasciavano di stucco, senza molte pretese o ambizioni…era assolutamente genuina e spontanea.
-Buongiorno Herie. – disse facendomi un enorme sorriso.
Ricambiai il sorriso con occhi stanchi.
-Hai avuto una brutta nottata?
-No, Lola, ho solo avuto un alzataccia. – dissi scrollando le spalle.
Mi appoggiò una mano alla spalla.
-Vuoi che ti faccio un caffè? – chiese gentilmente.
Sorrisi.
-Grazie, mi servirebbe…
-Va bene, ti volevo anche dire che ti vorrebbe vedere Gian, ha detto che è urgente.
Stropicciai gli occhi e annuii.
-Beh certo, per che ora devo presentarmi nel suo ufficio?
-Ha detto il prima possibile, tesoro, deve essere una cosa importante.
Scattai in piedi, quasi sull’attenti.
-Va bene, ti ringrazio Lola. – dissi dirigendomi verso il corridoio.
-Herie, fammi sapere quando torni qui così ti porto il caffè caldo!
Le feci il segno dell’OK con la mano e corsi da Gian.
Non so perché ero così agitata, solitamente ogni volta che mi chiamava nel suo ufficio ci andavo con comodo, scialla da Dio… oggi correvo come un’assatanata.
Non potevo crederci.
Sfrecciavo nei corridoi e sulle scale facendo casino con le mie New Rock, tant’è che appena passavo davanti ad una porta le persone s’affacciavano per vedere che succedeva.
Altri, senza proprio alzarsi dalla sedia, urlavano –Buongiorno Herie!
Ed anche se ero già lontana, ricambiavo il saluto urlando come una scaricatrice di porto.
Ormai c’erano tutti abituati, ero popolare perché ero quella strana, coi gusti strani e i modi di fare strani.
Non mi dispiaceva affatto distinguermi dalla massa.
Arrivai dietro la porta bianca dell’ufficio di Gian e senza fermarmi la aprii entrando nella stanza con fare da carro armato.
Uno Sherman, per la precisione.
Il capo si fermò mentre si stava per portare alla bocca un tazzone di caffè e mi guardò da sopra gli occhiali con occhi sgranati.
-Buongiorno tesoro, ti avevo riconosciuta dal passo pesante…
Ansimando, feci un cenno di saluto con la testa.
-Eccomi qua…- dissi con il fiatone.
Gian guardò fuori dalla finestra e scrutò il cielo.
-Sei decisamente puntuale alla mia chiamata oggi… ma non vedo ancora i nuvoloni da tempesta di neve in giro…- disse tornandomi a guardare.
Lo fissai con una faccia impassibile, alzando un sopracciglio.
Lui sorrise.
-Beh, arriveranno più tardi.
Mi sedetti sulla poltrona rossa, di fronte a lui, ed appoggiai le braccia incrociate sul legno d’ebano scuro.
Gian mi accarezzò i capelli.
-Nottataccia tesoro?
Io per tutta risposta mugugnai, annuendo con la testa.
-È ancora lui?
Tentennai un secondo, pensando che anche se avessi raccontato una palla colossale, mi avrebbe sgamata subito…
Quindi annuii più lentamente.
Gian, per tutta risposta, fece una faccia rassegnata e scosse la testa, abbassando gli occhi.
Sapeva benissimo cosa ho passato e cosa stavo tutt’ora passando… mi conosce da quando ero bambina…
Giancarlo (detto anche Gian) è un caro amico di mio padre, per questo ho l’enorme fortuna di lavorare qua dentro.
Mi ha accolta subito, perché sapeva delle mie grandi doti artistiche e creative e sapeva anche che avevo voglia e bisogno di lavorare.
Se ho una bella macchina e un bell’appartamento, lo devo specialmente a loro due.
Lui è come un nonno per me, non un secondo padre, perché per me ne esiste solo uno.
Anche se lo facevo arrabbiare, arrivavo tardi a lavoro o alle sue chiamate, oppure gli facevo degli scherzetti infami… gli volevo un gran bene, è un santo con me.
Paziente e buono, faceva finta di arrabbiarsi un sacco e sgridarmi, ma alla fine mi prendeva da parte e mi faceva la predica come se fosse stato mio padre.
Molti colleghi infatti di questa speciale “relazione”, ne erano gelosi marci.
Le lacrime mi stavano salendo disperatamente, ma siccome non volevo assolutamente piangere sul lavoro, decisi che era meglio cambiare argomento.
-Perché mi hai fatta chiamare? - chiesi dandomi un contegno.
Gian si sistemò gli occhiali e sorrise, come se mi stesse nascondendo un enorme segreto.
Guardai per un secondo il suo ghigno malefico mentre mi porgeva una carta da fotocopie davanti a me.
-Tesoro mio, parti per l’America.

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Capitolo 2
*** Decisioni forzate ***


°DECISIONI FORZATE°
 
Sentii il cuore sobbalzare allegramente dentro al petto.
Socchiusi la bocca e guardai con occhi increduli Gian.
-Come scusa? - bisbigliai.
Gian sorrise e mi mise una mano sulla spalla.
-Non posso urlare, anche se lo farei all’istante, ma posso ripetertelo finchè vuoi… Herie, te ne vai in America.
Lo fissai e assunsi un’espressione drammatica.
-Ma… ma io non posso…
-No, stavolta non voglio sentire palle… ne ho già parlato con tuo padre e tua madre e loro sono d’accordo con me… volente o nolente, è meglio che te ne vai per forza per un po’…
Non sapevo cosa dire… da una parte Gian aveva perfettamente ragione, dall’altra me ne sarei andata all’istante… ma dall’altra parte ancora, avevo una fottutissima paura che mi stava facendo tremare le gambe.
Gian mi sollevò il viso e mi guardò dritta negli occhi.
-Capisci quello che intendo, vero? – chiese con tono segreto e riservato.
Annuii nervosamente, capendo benissimo ciò che mi voleva dire.
Ma rimasi ancora zitta.
-È arrivata questa richiesta ieri sera, fresca di e-mail, e io ho colto la palla al balzo immediatamente… te l’avrei detto prima, ma te ne eri già andata e avevi il cellulare spento.
Mentre stavo leggendo l’e-mail stampata, Gian si riprese il foglio e lo strinse maliziosamente tra le mani.
-Hai rifiutato la richiesta di Kylie Minogue, di Justin Timberlake, di Pink e di Lady Gaga… per non parlare degli altri… tutto quello che potevi rifiutare, l’hai rifiutato… - disse con una sfumatura di rimprovero.
- Ma ho pensato che questa band rispecchiasse anche i tuoi gusti musicali, a differenza degli artisti precedenti…- disse mostrandomi il foglio.
Lessi e stropicciai il naso.
-Non li conosco.
-Beh, io li ho sentiti… e fanno decisamente al caso tuo.
-Ma come faccio con la mia casa qui? Ho un mucchio di lavoro da sbrigare e di cose da fare! E Ivy?? Io non parto senza di lei!
Gian sorrise.
-Ho già pensato a tutto io.
-Cioè? – chiesi preoccupata.
-Loro han chiesto assistenza trucco per video, concerti e photoset, nonché anche consulenza di immagine… in più sono stati attirati come mosche dalle tue grafiche e han chiesto aiuto anche per quello… in pratica, fai parte del loro staff.
-Bene, fantastico, alle domande che ti ho fatto invece quando pensi di rispondere?
-Tranquilla tesoro! Tranquilla! – disse portando le mani in vanti.
Non sono affatto tranquilla…
-In casa tua puoi chiamare Natasha, che se non sbaglio, è anche più comoda per andare al lavoro… per i lavori che stai svolgendo qui, li posso distribuire tranquillamente tra gli altri dipendenti… per le tue cose da fare, beh ti consiglio di farle al più presto possibile e per Ivy, farò in modo che tu parta con lei! Ti ho trovato un piccolo appartamento a Los Angeles, confortevole e con l’essenziale, visto che la maggior parte del tempo la passerai con loro a girovagare per il mondo!
-COSA?! Io dovrei seguirli durante i tour?! Gian, è una pazzia!! E se poi non mi fanno prendere su Ivy? È un pastore dei Pirenei ricordi?! È un cane di 70 fottuti chili!!!! Non un chiuaua!!!
-Ho già fatto presente tutto, per loro non c’è problema.
Lo guardai minacciosa.
-Gian… se non mi lasciano portare Ivy con me, torno qui e salta l’accordo, chiaro?
Gian cercò qualcosa sul pc, lo girò e mi mostrò una foto di un cane della razza di Ivy.
-Ivy è questa, no?
-S…si… - risposi perplessa.
-Bene, ho mandato questa foto, specificando il tuo attaccamento quasi morboso a lei… se non parte lei, non parti tu… e loro han detto che il cane si può portare tranquillamente sul bus della band, non dà fastidio, anzi a quanto pare ne vanno tutti matti…- disse sorridendo come un pazzo.
Alzai le mani come segno di protesta e feci per dire qualcosa ma venni bloccata da Gian.
-Tesoro mio, non hai scuse stavolta, tra due giorni, hai il volo prenotato per Los Angeles e sarai accompagnata da un nostro collaboratore del caso.
Mi veniva da piangere… ma alla fine, non aspettavo altro.
Rassegnata, volsi gli occhi al cielo e incrociai le braccia.
-E va bene, hai vinto tu stavolta.
-Me le sono giocate bene le mie carte, eh? –disse Gian facendomi l’occhiolino.
-Fin troppo…- borbottai.
Gian si alzò dalla sedia e battendosi le mani, mi venne incontro.
-Bene! Io direi che è ora di iniziare a fare le valigie e preparare gli strumenti del mestiere…
-Appena arrivo a casa inizierò…
-Tanto questo è il tuo ultimo giorno di lavoro.
-Come?
-Ti concedo gli altri prima della partenza per preparare al meglio le tue cose.
Gian mi abbracciò forte.
-Herie io non l’ho fatto per metterti in difficoltà… ma per salvarti dall’incubo che stai vivendo… credimi…
Mi sentii confortata da quelle parole…
Mi sentii anche un po’ merda per aver provato a sviare anche questa volta…
-Non avercela su con me, ti prego…
Lo guardai e mi cinsi la vita con le braccia.
-Gian io non sono arrabbiata con te…
Lo guardai con le lacrime agli occhi.
-È che ho solo tanta paura.
Mi prese per le spalle e mi fissò.
Non voleva che io piangessi, era una cosa che odiava…
-Herie ascoltami ora… stare qui è pericoloso per te, tanto… questa è un’occasione per stare alla larga da lui…e anche per sfondare all’estero e per mostrare al mondo chi cazzo sei… e sei una ragazza talentuosa che può andare dove diavolo vuole… è normale che ti stai cagando sotto dalla paura… ma sono sicuro che una volta che ti sarai abituata, ti divertirai anche… e poi potrai lavorare anche per i gruppi che piacciono a te, pensa! Ora devi solo tirare fuori le unghie e digrignare i denti, combatti sia per te stessa, sia per l’orgoglio mio e dei tuoi genitori…Sei tu la stella che fa brillare questa azienda… e la farà brillare ancora di più dopo questa impresa.
Annuii ricacciando indietro le lacrime.
-Hai capito?
-Si…
-Bene… ora torna alla tua postazione… passerò a vedere come va più tardi.
Uscii dalla stanza senza dire più nulla, sentendomi gli occhi di Gian puntati addosso.
Non ricordo come tornai a sedere alla mia scrivania, né come c’ero arrivata…
Avevo la testa completamente in pallone.
Ero agitata, avevo il cuore che batteva fortissimo.
Lola mi si avvicinò premurosa.
-Herie, ti porto il tuo caffè? - chiese preoccupata.
La guardai con gli occhi lucidi.
-Meglio se mi fai una camomilla abbondante Lola…
 
E dalle 9 di mattina, arrivarono anche le 7 di sera.
Staccai mezz’ora prima, non reggevo più e tutto il giorno, avevo avuto la testa da altre parti.
Appena salii in macchina, mi misi addosso l’auricolare wireless e chiamai Natasha.
Quando la sua voce rispose dentro al mio orecchio, mi tranquillizzai un po’.
-Herie! Ti stavo per chiamare anche io! Come stai?
-Ciao Naty, sto veramente da merda… stasera ti va di venire da me?
-Si certo tesoro, hai in mente qualche programma?
-Si… devo fare le valige…
-COSA? Sei impazzita? Le valige?!
-Lunga storia Nat…
-Ti ha fatto ancora qualcosa?
-No, lui stavolta non c’entra… cioè… non direttamente.
-Va bene, per che ora devo essere lì?
-Quando vuoi…
-Prepara per due, stasera ceno con te.
Detto questo riattaccò il cellulare.
Conoscendola starà uscendo dal lavoro mollando lì una cliente con ancora la tinta sulla testa.
Non mi importa… ho bisogno di parlare con lei.
Appena arrivai a casa, ricominciai a gonfiarmi di lacrime in ascensore… e nel momento in cui vidi Ivy corrermi incontro… scoppiai a piangerle addosso.
Lei guaì preoccupata, leccandomi via le lacrime, io per tutta risposta cercavo di nascondere il viso nel suo pelo, come se fosse una persona… non volevo farmi vedere in lacrime anche da lei.
Poco dopo ero in bagno sotto la doccia, fredda, per cercare di calmarmi un po’.
Ero rannicchiata a terra, con il viso incastrato fra le ginocchia piegate, che respiravo piano.
Avevo finito di lavarmi già da 5 minuti, ma rimasi lì… in silenzio, sperando che l’acqua portasse via tutti i miei pensieri.
 Ma non aveva effetto, a quanto pare…
Sentii il campanello suonare e Ivy abbaiare.
Spensi l’acqua e mi avvolsi nell’accappatoio bianco.
Mi diressi verso la porta e guardai dallo spioncino, dove scorsi il volto di Natasha.
Le aprii e nel momento in cui lei vide il mio viso, sbiancò.
-Diavolo Herie, che ti è successo?
Scossi la testa con gli occhi bassi e la feci entrare.
-Vieni di là con me, devo asciugarmi i capelli…
-Ci penso io, tu raccontami.
Passò una buona oretta, dove spiegai tutta la storia a Natasha, sfogandomi come se non ci fosse stato un domani.
Il suo tocco sulla testa mentre mi asciugava i capelli mi aveva rassicurata, in un qualche modo sedata.
Nemmeno lei poteva credere che io, fra due giorni, sarei partita per l’America e sarei andata ad “abitare” con persone che nemmeno conoscevo.
Quando gliel’avevo detto, era diventata paonazza, nemmeno ci dovesse andare lei…
Era basita…
Era triste.
Cenammo con hamburger e patatine, e una volta finito di mangiare, andammo in camera mia, dove con calma e in modo quasi surreale, tirai fuori tutte le mie valige.
-Herie… sei sicura di volerlo fare? – chiese tutt’in un colpo Natasha.
-Devo, Nat… ormai è già tutto programmato… e da una parte, Gian ha anche ragione a volermi mandare il più lontano possibile da qui…
-Si ma Herie, ti doveva avvisare… non doveva prendere una decisione così importante senza prima chiedere il tuo parere…
Scrollai le spalle.
-Purtroppo non l’ha fatto perché sapeva che il mio parere sarebbe stato semplicemente un “no”.
Natasha si sedette sul letto e fissò un attimo il vuoto, mentre io ero impegnata a mettere scarpe e vestiti in una valigia.
Ne avevo pochi, ma di grande effetto e a me tutti cari.
-Ascolta Herie, ho una proposta da farti.
La guardai, aspettando una delle sue idee pazze uscire dalla sua bocca.
-Mia sorella si è appena diplomata, sta cercando una buona università e dovrebbe trasferirsi qua a Milano…Io invece, non voglio lasciarti partire da sola… Se per te non è un problema lasciare casa tua nelle sue mani, io vengo con te a Los Angeles.
Come sospettavo… ma stavolta, è uscita una follia.
-Naty… tu hai un lavoro qui… non è facile come sembra purtroppo… e poi, io non starò nell’appartamento che mi ha trovato Gian…io dovrò letteralmente vivere con loro… già mi fan portare Ivy…non so se accetteranno anche te… Sia chiaro, non che a me dispiaccia o che non voglia…anzi.
-Non verrei subito via con te, ma potrei raggiungerti quindi ho anche il tempo di chiedere al mio capo se mi fa trasferire la… lo sai, la catena di parrucchieri dove lavoro, ha sedi iternazionali…
La guardai rassegnata.
-No Nat… è troppo complicato…
-Ti prego Herie… non ti sarò d’impiccio, starò a Los Angeles e quando potrò venire con te, verrò in auto e con i miei soldi mi prendo una stanza in hotel.
-È rischioso…
-Non hai capito… io non ti lascio da sola.
Ci guardammo per un secondo, poi lei scoppiò in lacrime.
-Io non ti lascio sola in America… non ti lascio perché ormai io e te siamo una famiglia e io non ho intenzione di vederti andare via senza fare nulla, non posso vivere col pensiero fisso di sapere che sei lontana e di non poter fare un cazzo se stai male! – sbottò.
Io la abbracciai forte, commuovendomi fino alla morte.
Sapevo che era la risposta sbagliata, sapevo che stavo per far finire nella merda anche lei… ma l’unica cosa che mi uscì dalla bocca in quel momento fu: -Va bene Naty, ti porto via con me…
Sono una testa di cazzo.
Proprio per il bene di Natasha dovevo dire di no.
E invece ho fatto una stronzata pazzesca.
-Tu parti fra due giorni? Bene… tempo una settimana e sono a Los Angeles con te Herie… promesso.
-Ti aspetterò Naty… preparerò tutto e quando arriverai sarà tutto a posto, vivremo in una casa come piace a noi due.
Gli occhi verdi cangianti di Natasha si posarono sui miei, colmi di lacrime.
-Promesso?
Sorrisi commossa.
-Promesso.
Natasha quella sera rimase a dormire a casa mia.
Per distrarci dal pensiero del lungo viaggio che ci si para davanti, giocammo fino alle 2 con la play-station, ridendo come matte per tenere alti gli umori.
Una volta toccato il letto, Natasha prese sonno subito… io invece rimasi con gli occhi spalancati a fissare fuori dalla finestra, girata da un lato, stringendo Ivy che mi si era accucciata di fianco.
Come facevamo a stare tutte e tre su un letto?
Semplice.
Avevo il morbido letto matrimoniale che, in questi casi, risultava più che comodo.
Anche se a me in quel momento, sembrava fatto di marmo.

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Capitolo 3
*** Partenze ***


°PARTENZA°
 
La mattina seguente fui svegliata dal cellulare che squillava insistentemente alle 8.30.
Mi alzai e lo cercai a tastoni sul comodino, non riuscendo a vedere nulla perché ero senza occhiali.
Ma appena portai lo schermo del cellulare vicino agli occhi, lessi chiaramente il nome di chi mi stava chiamando.
Senza pietà, buttai giù la linea e misi in silenzioso il cellulare.
Ringhiai grottescamente, stropicciandomi gli occhi, poi mi girai verso Natasha.
Ma lei non c’era.
Mi alzai ciondolando con la stanchezza a pelle d’orso addosso e mi diressi in cucina.
Lì, trovai Ivy che aveva appena finito di mangiare la pappa e un post-it attaccato al microonde.
Sono andata al lavoro, scusami! Non volevo svegliarti. Ho già dato la pappa ad Ivy, è tutto a posto! Ci vediamo stasera! Bacioni”
Sorrisi e buttai il post-it nel sacco della carta.
Mi stiracchiai da capo a piedi e iniziai a prepararmi il caffelatte.
-Bene… si ricomincia a fare le valigie… - dissi fra me e me.
Una volta finito di fare colazione, passai la mattinata a preparare in una seconda valigia gli strumenti del mio lavoro, pc portatile compreso, e una terza valigia con il resto delle cose che dovevo portarmi dietro.
In più, preparai anche uno zainetto con dentro le cose di Ivy.
Tutto “pronto” per ora.
Mancavano solo un paio di cose da comprare nel pomeriggio.
Improvvisamente sentii vibrarmi qualcosa nella tasca dei pantaloni della tuta.
Il cellulare.
-Dio ma che cazzo vuoi ancora?!!- urlai.
Ma stavolta, la chiamata veniva da Gian.
-Pronto?
-Finito le valigie?
Ma tipo un “buongiorno” o un “come stai oggi?” no?
-Praticamente si, devo solo andare a comprare un paio di cose…
-Bene, perché il volo è stato spostato a domani …
-Oh… bene…- dissi con poco entusiasmo.
-Alle 5 di domani mattina, ti verrà a prendere Thomas, il collaboratore di cui ti parlavo ieri. È già informato di tutto: volo, indirizzo della casa, indirizzo dello studio della band, taxi e quant’altro…capito? Domattina, alle 5. Non un minuto di più.
-Ehi, oggi saresti proprio da chiamare “Mister Simpatia” lo sai? – dissi con un acido sarcasmo.
Si sentì un abbozzo di risata.
-Anche mettendomi di impegno, non riuscirei mai a battere te, tesoro mio.
-Bene, grazie per l’informazione, scusa ma devo finire di preparare.
Detto ciò riattaccai.
Non perché mi aveva fatto girare le palle, ci mancherebbe…
Ma perché pensavo di evitare partenze con acqua alla gola.
Guardai Ivy e le accarezzai il muso.
-Domattina si parte per Los Angeles, tesoro… mi dispiace farti fare l’ennesima alzataccia.
Pensandoci bene però, era molto meglio avere l’acqua alla gola piuttosto che una pistola puntata alla testa…
 
 
Alle 9 in punto ero già a letto.
A letto, si, ma senza riuscire a dormire.
Natasha era rannicchiata di fianco a me, immersa già nel mondo dei sogni.
Beata lei.
Aveva insistito tanto per accompagnarmi in aeroporto.
Nonostante dovevamo alzarci alle 4 per riuscire a fare tutto con calma, lei non ha voluto sentire scuse.
Il pomeriggio era passato fin troppo alla svelta per i miei gusti.
Nel momento in cui sono uscita per andare a fare le ultime compere, mi resi conto che era già ora di tornare indietro.
E nel momento in cui rincasò Natasha, mi resi conto che era già ora di spegnere la tv per andare a letto.
Era passato così velocemente il tempo, che non me ne ero nemmeno accorta.
E sarà così anche ora.
Nel momento in cui chiudo gli occhi, è già ora di alzarsi per andare via.
Ed è stato così.
Alle 4 in punto la sveglia suonò insistentemente.
Cazzo avevo appena chiuso gli occhi.
Natasha ed io ci alzammo dal letto.
-Buon di… - biascicai.
Natasha scrutò fuori dalla finestra mentre si legava con una coda i lunghi capelli neri, poi mi guardò con un sopracciglio alzato.
-Ti pare giorno? – chiese indicando la finestra.
-No affatto…
Detto ciò sparii in cucina a preparare la colazione mentre Natasha si vestiva.
E dopo aver mangiato si invertirono i ruoli, io a vestirmi, lei in cucina a pulire.
Ivy aveva ancora gli occhietti che si chiudevano, ma non capendo come mai l’avevo svegliata così presto, si sforzava di guardare i nostri movimenti incuriosita, scodinzolando appena.
Mi rifiutai di mettere le lenti a contatto a quell’ora… avevo ancora gli occhi gonfissimi.
Quindi mi truccai molto più alla svelta.
Una volta pronta, mi diressi in salotto, dove c’era Natasha seduta sullo schienale del divano, con le gambe a penzoloni e gli occhi chiusi.
Guardai l’orario: le 5 meno 10.
Perfetto.
-Naty… mi dispiace disturbarti, ma dobbiamo scendere…
Natasha si tirò su come una molla e mi fece un sorriso.
-Sono pronta.
Insieme riuscimmo a portare giù tutte e tre le valigione ed infine Ivy con la pettorina e lo zainetto sulla schiena con le sue cose.
Si, il mio cane ha uno zainetto da attaccare alla pettorina, problemi?
È comodo, provare per credere.
Prima di richiudere la porta di casa, diedi un ultimo sguardo al salotto.
Uno sguardo malinconico…
Nonostante vivessi da sola e la casa fosse costantemente in silenzio, era comunque la MIA casa… e non sapevo quando l’avrei rivista.
Con il magone a mille, feci un cenno con la testa per salutarla e poi, chiusi la porta alle mie spalle.
Porsi le chiavi a Natasha.
-Tu torni qua dopo, vero?
Lei mi guardò con gli occhi tristi.
-Già… penso che per questa settimana, la tua casa non sarà sola.
Sorrisi.
-Meno male…
Scendemmo dall’ascensore e arrivate dietro la porta di ingresso, intravedemmo un tizio alto che ci salutò con la mano.
Tentennai un secondo, poi mi avvicinai.
Era un ragazzo fin troppo alto, con i capelli biondi mossi e lunghi fino sotto al collo, con gli occhi castani, vestito con anfibi, jeans, camicia bianca e giacca di pelle nera.
-Buon di… tu devi essere Thomas giusto? – biascicai tendendogli la mano.
-Esatto! Piacere di conoscerti Herie. – disse lui sorridendo a 32 denti e stringendomi la mano.
-Forza ti do una mano a caricare le valigie! – esultò tutto contento afferrando due valigie.
Come diavolo fa ad avere tutta questa energia alle 5 di mattina? Come??
-Grazie.
Natasha intanto fece salire Ivy sui sedili posteriori della grossa Subaru Forrester.
-Io sto dietro con lei!
-Va bene! Tanto ora saliamo anche noi! – disse Thomas chiudendo il baule.
Salii in macchina e allacciai titubante la cintura.
Il ragazzo accese il motore e poi mi guardò sorridente.
-Pronta per il nostro delizioso viaggetto?
Lo guardai con un sorriso sarcastico (se non quasi isterico) stampato sul volto.
-Si certo! Non vedo l’ora guarda! – sibilai.
-Bene! Allora partiamo!!
Detto ciò, partì sgommando dal parcheggio sotto casa mia, dirigendosi verso l’aeroporto.
 
 
Arrivammo a destinazione dopo una buona mezz’oretta.
-A che ora abbiamo il volo? – chiesi scaricando i bagagli.
-Alle 6 e mezza dobbiamo iniziare a salire a bordo. – disse Thomas chiudendo la macchina.
Lo guardai un secondo e poi realizzai.
-Scusami… ma se tu vieni con me… chi porta la macchina e Natasha a casa? – chiesi.
-Io, ovviamente.
Mi girai verso l’entrata dell’aeroporto e spalancai gli occhi.
-Gian! Che ci fai qui?
L’uomo sbuffò e si mise la mani sui fianchi.
-Sono venuto a salutarti no? Che domande…
Ci fu un attimo di silenzio, poi lo abbracciai forte.
-Non potevo lasciarti partire senza salutarti…
-Grazie Gian…
Ci dirigemmo poi a fare colazione all’aeroporto.
Gian ci aveva già preso i biglietti, ci aveva fatto acquistare un po’ di tempo…
Era quasi vuoto l’aeroporto a quell’ora, ma per i pochi bambini che passavano, Ivy ne era l’attrazione.
Si fermavano tutti a coccolarla, a farle i complimenti e lei scodinzolava contenta.
Gian mi guardò un attimo da capo a piedi e realizzò in che modo mi ero vestita.
New rock alte fino al ginocchio, calze velate nere, pantaloncini corti a quadretti rossi e neri e felpa col cappuccio degli Heaven Shall Burn…
Aveva già notato come i maschietti mi guardavano, perciò si rivolse a Thomas con fare complice.
-Tieni d’occhio il suo culetto, non vorrei che qualcuno allungasse le mani. – a Thomas suonò più come una minaccia, che come una richiesta.
Lo sentii e scoppiai a ridere.
-Prima che un uomo allunghi le mani su di me ce ne passa di acqua sotto ai ponti… faccio più paura che altro Gian!
Gian fece per ribattere ma poi si morse la lingua e decise di non rispondere.
Infatti... ad un solo uomo non facevo paura… ed era pure quello sbagliato.
Thomas guardò l’orario sul cellulare.
-Signori… direi che è ora di andare.
Erano le 6 e un quarto…
L’ansia che mi era sparita lentamente tornò a farsi sentire man mano che ci avvicinavamo all’entrata dell’aereo.
Le valigie passarono sotto ai raggi x tranquillamente, lo zainetto di Ivy pure e sia io che Thomas superammo il controllo sotto al metaldetector.
Vidi le mie valigie e quelle di Thomas sparire sull’aereo.
Lentamente, realizzai che era giunto il momento di andare.
Guardai Natasha negli occhi, trattenendo le lacrime.
La abbracciai forte.
-Ci vediamo fra pochi giorni Nat… tieni d’occhio la mia casa, mi raccomando…
Lei annuì piangendo come una fontana.
-Mandami un messaggio appena arrivi…
Sorrisi e annuii.
Poi guardai Gian e lo strinsi forte.
-Abbi cura di te… - mi sussurrò altro pezzo della frase in un orecchio.
-Lo farò Gian… grazie…
Feci per girarmi quando Gian mi fermò.
-Herie aspetta!
Si frugò un attimo nella tasca del cappotto e mi porse una busta bianca.
-Tieni, leggila appena arrivi a casa tua a Los Angeles.
La presi e la guardai.
-Di chi è? Non c’è scritto… - dissi rigirando la busta fra le mani.
-Vai ora, appena arrivi, chiama anche me, mi raccomando.
Lo guardai per un attimo, poi gli sorrisi, mettendo la busta in borsa.
Mentre salivamo gli scalini per arrivare all’aereo, mi guardai un attimo indietro.
Da dietro la vetrata che dava sulla pista di partenza, scorsi Natasha che mi salutava sbracciandosi con la faccia inondata dalle lacrime e Gian che mi sorrideva…
Era un sorriso mai visto prima sul suo volto…
Era molto… molto strano…
Lui alzò una mano e mi fece il saluto militare.
Sorrisi gonfiandomi ancora di lacrime, ricambiando il saluto assumendo la posizione dell’attenti.
Una volta salita, non vidi più i loro volti.
Sentii i motori dell’aereo accendersi, mentre mi sedevo e mi allacciavo la cintura.
Mentre iniziava decollare, Gian sorrise commosso guardando fisso il cielo.
-Buona fortuna, Herie… buona fortuna…
Pian piano l’aereo iniziava a sparire dentro la luce dell’alba, lasciandosi dietro la mia casa e portando con se la mia vita.


Ok... ragazzi, siamo arrivati alla pausa di pubblicazione! XD Sapete...in realtà la storia c'è fino al capitolo 19... Se vi piace, per stavolta farò la cattiva e vi lascerò in suspence per un pò ;) Fatemi sapere se fino a questo punto, la storia vi piace ma sappiate una cosa... dopo questi tre capitoli...PARTE IL DELIRIO assieme alla nostra Herie :) Bacioni, da Herie, Ivy, Nat, Gian e da me, ovviamente! The_red_Quinn_of_Darkness

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Capitolo 4
*** Here I am, Los Angeles! ***


°HERE I AM, LOS ANGELES!°
 
Eccomi qua… in prima classe.
Stavo viaggiando in prima classe… e mi sentivo totalmente fuori luogo.
Erano tutti così… così….
Vediamo… come posso definirli?
Snob.
Perfetto, snob moltiplicato per 3000.
Belle donne in tailleur, collane di perle, anelli enormi, tacchi alti, capelli per la maggior parte biondi o castani raccolti in acconciature praticamente impossibili, ciglia finte, rossetti cangianti e soprattutto… pochette brillantinose fino all’orlo.
Poi, ci sono uomini profumati più di una puttana, camicie che ti sparavano via 24 diotrie solo per il bianco, cravatte rigorosamente nere, quelle proprio da uomini d’affari, scarpe nere lucide, pantaloni di tela dello stesso colore della giacca, valigetta da lavoro e Rolex ovunque…
E poi, ci sono io, con a fianco un cane enorme di 35 chili con uno zainetto sulla schiena, che se la dormiva beatamente sbattendosi la minchia di tutti gli sguardi interrogativi che le arrivavano, ma soprattutto, che arrivavano a me.
Eh certo! Come poteva una ragazzina strana come me essere in prima classe?
La prima classe! Stiamo parlando di Champagne servito in bicchieri di cristallo, toilette costantemente linde e disinfettate, sedili di velluto, minibar e televisore!
In pratica, ero finita in un covo di ricconi e uomini d’affari che puzzavano di marcio e di superficialità da diecimila chilometri di distanza, nonostante la quintalata di profumo pregiato che si erano spruzzati addosso prima di uscire di casa.
Mi schiacciai nel sedile in modo da non aver la tentazione di mandare a fanculo il prossimo che vedevo che mi guardava e commentava con l’amichetto riccone nel sedile a fianco.
Ormai ero diventata parte materiale del sedile… ero un tutt’uno con lui!
Ivy alzò il testone e sbadigliò sonoramente.
Gli animali in prima classe si potevano portare, erano serviti e riveriti e soprattutto controllati se accusavano di qualche malore… ma il personale, secondo me, non aveva mai avuto a che fare con un cane di quelle dimensioni prima d’ora.
Dagli sguardi allucinati che lanciavano ad Ivy quando passavano nel corridoio o, semplicemente, quando arrivavano per darle da bere, deducevo solo quella conclusione.
Quando un signore o una signora si alzava per andare in bagno o al mini bar, Ivy alzava la testa e guardava, in modo da cercare un po’ di coccole in giro; ma nel momento in cui appena muoveva una zampa, chi passava scattava in alto come una molla, poi la guardava e poi guardava me… e solo allora mi facevano un sorrisetto falso dicendo “Non l’avevo visto!” oppure “Accidenti, ho preso paura!” e se ne andavano ridendo in modo molto… snob.
Ok…gli animali erano ammessi e tollerati per il personale, ma non per i passeggieri di quel tipo, a quanto pare.
Una donna bionda con un tailleur viola che ritornava a sedere col compagno (secondo me, più che compagno, era l’amante visto che lei aveva la fede nuziale al dito e lui…no.) dopo essere andata al minibar, non si accorse di Ivy.
Appena la vide fece un salto all’indietro e guardò la cagnona con uno sguardo paurosissimo.
Io masticando rudemente una cicca, la guardai da capo a piedi e la fissai fino a che lei non mi guardò e fece per dire qualcosa.
-Non morde. – mi limitai a dire mettendo a tacere la donna.
Lei fece una smorfietta acida e passò col suo leccapiedi al seguito.
-Troia… - sibilai mimetizzando l’insulto facendo rumore con la cicca.
Thomas se ne stava tranquillamente appollaiato di fianco a me scrutando l’orizzonte fuori dal finestrino.
Maledetta me e quando gli ho detto “Tranquillo! Siedi pure tu vicino al finestrino non ci sono problemi!” … una bella merda non ci sono problemi…
Il ragazzo mi grattò la testa.
-Tutto bene?
Io scrollai le spalle.
-Si si certo, è che c’è solo tanta snobbaggine qui sopra! – dissi accarezzando la testa ad Ivy.
Thomas si mise a ridere.
-Nemmeno io ci sono abituato, ma vedo di non badarci più di quel tanto!
-Io non ce la faccio… litigherei con tutti qua sopra… - gracchiai.
Thomas mi guardò un attimo e mi sorrise.
-Assomigli tanto ad una mia vecchia amica… solo che tu sei molto più carina di lei.
Non riuscii a spiccicare parola…
Mi limitai a fare un mezzo sorriso e a guardarmi le unghie lunghe smaltate di nero.
-Io vado al minibar… vuoi venire? – chiese Thomas sganciandosi la cintura.
-Oh… no grazie devo tenere Ivy, non vorrei stia male…
-Allora ti porto qualcosa!
Stavo per dire “no grazie” quando il mio stomaco protestò sonoramente.
In effetti erano già 6 ore e mezzo di viaggio e io avevo fatto colazione con solo un cappuccino e uno snack ai cereali.
-Va bene, grazie mille…
-Figurati! Tanto fra una mezz’oretta dovremmo atterrare a Los Angeles, non starai male te l’assicuro!
 
Appena scendemmo all’aeroporto, corsi nella toilette più vicina e mi cacciai due dita in gola.
Buttai via poco, praticamente solo la birra che mi aveva preso Thomas al mini bar.
E la birra mi crea acidità quando ho lo stomaco vuoto.
Non lo sopporto.
Ma perché una cazzo di birra?!?!
Non avrei vomitato scesa dall’aereo… ma sarei praticamente stata ubriaca solo alle 14.30 di pomeriggio.
E non sapendo quando mi sarei dovuta presentare alla band nè come era il programma, decisi che arrivare ubriaca al “colloquio” di lavoro, non mi avrebbe aiutata affatto.
Quindi, meglio vomitare ora che dopo.
Mi diedi una rinfrescata con l’acqua e mi lavai la bocca, poi uscii e fulminai con lo sguardo Thomas, che faceva la guardia alle valigie e ad Ivy.
-Perdonami, scusami, non avevo pensato che eri a stomaco vuoto…- disse il ragazzo flebilmente.
Presi il guinzaglio di Ivy e le valigie.
-Tranquillo, non c’è di che…- dissi quasi isterica.
Con la testa che girava e lo stomaco che era più vuoto di prima, mi diressi alla cieca verso il bar dell’aeroporto.
Si postò davanti al bancone una cassiera coi capelli castani raccolti dentro un cappellino a righe azzurro e bianco, con la pelle abbronzatissima e un sorriso abbagliante che per un attimo mi accecò.
-Hello! Can I help you? Would you like something?
La guardai con un’espressione aliena.
-CHE?!
La cassiera mi guardò stranita e ripetè paziente.
-Wolud you like something?
La fissai un po’, poi mi ricordai di essere appena arrivata in America.
Alzai gli occhi al cielo e mi passai una mano sul volto.
-Yes, i’d like a sandwich and a bottle of water please… - dissi arrancando sul bancone.
La cassiera pigiò i tasti sulla cassa e poi, sempre sorridendo, mi guardò.
-Can I offer a coffee to you?
Sapendo che non poteva capirmi, sorrisi, annuii con la testa e le dissi: -Si si, caffè caffè…
La guardai allontanarsi per andare a preparare il caffè con un sorriso assatanato in faccia.
Sibilai una bestemmia a denti stretti e mi massaggiai la pancia.
-Vado a prendere posto Herie, tanto ci aspetta una macchina alle 21.30 davanti al parcheggio…
-Perfetto… - sibilai.
Era… davvero un buon inizio.
Mal di stomaco a bomba, per colpa di una cosa che io amo, ma bevuta fuori orario…
-Ecco a lei. – disse la cameriera porgendomi un vassoio con su il panino, l’acqua e il caffè.
La guardai un secondo sorpresa.
-Lei…parla italiano?
La cameriera sorrise.
-È una lingua poco usata qui in California, ma può essere sempre d’aiuto impararla.
Io arrossii.
-Mi…mi dispiace per prima davvero… è che è stato un atterraggio ecco… sofferto?
Lei rise.
-Tranquilla, l’ho capito subito!
-Bene, meglio così! – dissi sorridendo.
-Quant’è? – chiesi bella come il sole prendendo fuori il portafoglio.
- 3 dollari… - disse la cameriera facendosi scappare una mezza risata.
-Cos…dollari? – ripetei io a pappagallo.
Merda… il cambio di valuta…
Guardai la cameriera con un aria dispiaciutissima.
-Ho ancora gli euro…
Lei rise sonoramente e mi fece cenno di andare.
-Non c’è problema! Offro io! Benvenuta a Los Angeles!
Mi stavo mettendo a piangere per l’esasperazione quando arrivai al tavolino.
Infilai il guinzaglio sotto al piede della sedia e mi misi le mani nei capelli.
-Dimmi che questa giornata ha una fine ti prego…
-Beh, contando che l’ora di cena è già passata…
Guardai Thomas con gli occhi sgranati e poi guardai il cellulare.
-Ma cosa dici? Sono le 14.40!!
Thomas mi fissò un attimo indeciso se dirmi o meno la triste verità, poi indicò un orologio sopra al bar.
-Vedi? Si chiama jet lag.
Nel sentire quelle parole, sentii i brividi scorrermi sulla schiena.
Mi girai e lessi 21.05 sull’orologio.
E non contento, Thomas mi indicò fuori dalla finestra.
-E…non so se hai guardato fuori…
Girai lentamente la testa e notai il buio più totale della notte calata su Los Angeles, illuminata solo dalle luci dell’aeroporto.
Appena scesa dall’aereo, non mi ero nemmeno accorta che è sera.
Ero troppo impegnata a cercare una toilette.
Guardai Ivy che guaì piegando la testa di lato, poi guardai Thomas, che mi fissava con le sopracciglia alzate e le mani chiuse a pugno sulla bocca.
E si vedeva lontano un miglio che mi stava per scoppiare a ridere nei denti.
Al che, una lacrimuccia di disperazione mi scappò.
DOVE STRA CAZZO SONO FINITA?!?!?!?!
 
 
Poco dopo aver mangiato al volo, uscimmo nel parcheggio con me mezza morta e psicologicamente turbata ad aspettare i tizi che dovevano arrivare a prenderci.
Mi sedetti in terra e mi accesi immediatamente una sigaretta.
-Stai meglio? – chiese Thomas accucciandosi di fianco a me e ad Ivy.
-No… - risposi secca.
Offrii una paglia a Thomas, che ne prese una maliziosamente.
-Grazie Herie.
-Nulla…- dissi porgendogli l’accendino.
Rimanemmo lì in silenzio per alcuni minuti.
-In pratica tu saresti il mio segretario? – saltai su così, guardandolo.
Lui rimase un attimo di stucco e poi si grattò la testa.
-Beh… in un certo senso…
-Ti ha scelto Gian o sei voluto venire tu di tua spontanea volontà con me?
-Mah, in realtà ti conoscevo di nome e di vista fino a qualche ora fa… ma ho accettato io di fare questo viaggio con te.
Lo guardai negli occhi color cioccolato, ringraziandolo con un sorriso.
Poi tornai a guardarmi in giro.
-Davvero scusa per prima… pensavo di farti chissà che… e invece ti ho fatta stare male...
-Non c’è problema tranquillo! Ora sto bene!
Balle, avevo un bruciore di stomaco da far spavento…
Una Land Rover rossa si fermò davanti a noi.
Thomas si alzò e si sistemò la giacca.
Dall’auto scesero due tizi alti e grossi, uno castano e l’altro di colore.
Thomas si presentò e poi presentò me, che ero in terra che li guardavo con la faccia da pesce lesso.
Dopo di che, caricammo le valigie.
Io andai nel sedile posteriore con Ivy e Thomas mi seguì a ruota.
L’uomo di colore, al volante, sistemò lo specchietto retrovisore.
-Mettetevi comodi, ci vorrà una mezz’oretta per arrivare a destinazione.
Io mi accoccolai su Ivy, che mi leccò il viso dolcemente.
Thomas mi guardava di sottecchi.
Ero una ragazza strana… molto strana… ma simpatica.
Gli piacevo.
Non era dispiaciuto della scelta che aveva fatto.
Sapeva che saremmo diventati buoni amici.
Io guardavo la luminosa città con gli occhi socchiusi, vedendo tutto sfrecciare via veloce.
Avevo troppa sonno…
Strinsi Ivy e chiusi gli occhi…
Lentamente.
Sentivo solo il rombo della macchina che si allontanava, le voci dei ragazzi sembravano metalliche…
E poi delle luci rimase solo un flebile ricordo nella mia testa, sfocato.
Poi, per me, ci fu solo buio.


Riccomi alla carica ragazzi! Finalmente Herie è arrivata a destinazione!
Viaggetto poco simpatico, vero?
Benissimo, preparatevi... da qui parte la storia vera e propria! (e, ribadisco, il delirio XD)
Recensite e commentate, spero vi piaccia! :)
Ce la sto mettendo tutta x3
Un bacio e un abbraccio!
The_red_Quinn_of_Darkness

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Capitolo 5
*** Risveglio promettente ***


° RISVEGLIO PROMETTENTE°
 
Mi svegliai, dopo aver dormito veramente da dio, richiamata dall’abbaiare insistente di Ivy.
Mi rigirai nel letto per stiracchiarmi un po’…
Ma non l’avessi mai fatto.
Rotolai rovinosamente a terra.
Fissai il letto con le lenzuola ancora in testa e realizzai che non era il mio matrimoniale bellissimo… ma un semplice letto a una piazza e mezzo.
Non me ne ero accorta.
Anzi, non ricordavo proprio di essere andata a letto.
Mi guardai e notai che ero ancora vestita come la sera prima.
Mancavano all’appello solo le mie amatissime New Rock…
Poi mi guardai attorno.
Mobili neri, uno specchio enorme, un letto e un pouf rotondo zebrato, una tv a schermo piatto appoggiata su un mobiletto in fondo al letto, una grossa finestra con le porte scorrevoli che davano su un balcone… tende bianche che svolazzavano leggere al vento e il rumore del mare che invadeva la stanza.
La mia borsa e le mie valigie erano appoggiate in un angolo, immobili e in ordine.
Scossi un po’ la testa e mi alzai, uscendo dalla stanza ed infilandomi in un corridoio.
E appena uscii trovai un enorme salotto, con un divano di pelle bianca con penisola che circondava un tavolino basso di vetro, con un piatto nero pieno di sassi lucidi e fiori appoggiato sopra; poco distante dal tavolino, c’era una grossa libreria con al centro l’apertura con il televisore piatto a muro e un bel tappeto nero accoccolato vicino al divano e sotto al tavolino, poi per finire un lungo tavolo scuro con attorno 6 sedie era fermo sotto una finestra che dava sul giardino all’ingresso.
Ivy abbaiava verso la porta nera in fondo al salotto, affiancata da un’alta piantana argentata e lucida.
Andai verso la porta e la aprii.
-Buon di! – disse Thomas grattandosi la testa.
-Pensavo che Ivy mi riconoscesse dopo tutto il tempo passato assieme ieri.
-Lei abbaia sempre quando qualcuno bussa o suona il campanello… infatti ora che ti ha visto non abbaia più.
La cagnolona saltò addosso a Thomas, leccandogli felicemente la faccia.
-Ho notato!
Mi sporsi fuori e vidi una scala di legno scuro alla mia sinistra che portava al piano di sopra, una porta nera di fronte a me semi aperta e una porta a vetri Americana alla mia destra, che conduceva all’esterno.
-Wow… - bisbigliai.
Le pareti erano ricoperte con una deliziosa carta da parati e il pavimento era in mattonelle di marmo.
-Gian ha trovato questa casa a schiera divisa però in due appartamenti. Quello che c’è al piano di sopra, è una sorta di attico con un bagno e un ripostiglio, più una terrazza che dà sul giardino del retro. –disse Thomas alzandosi.
Io mi guardavo attorno imbambolata.
-È… è figo non c’è che dire…
-Già… beh, dormito bene?
-Si certo grazie… non mi sono nemmeno accorta di essere crollata.
-Si infatti ti ho portata in camera in spalla…
Arrossii di botto.
-Scusami! Perché non mi hai svegliata?!
-Ci ho provato, ma per tutta risposta hai blaterato qualcosa mentre dormivi…
-Oddio…
-Eri stanca, che problema c’è stato? – disse Thomas ridendo.
-Beh, hai già fatto colazione? – chiesi.
-Si sono venuto proprio per questo. – disse Thomas porgendomi un sacchetto e un termos.
-Ti ho portato del caffelatte e una brioche! Purtroppo sono dovuto andare a comprarle perché in casa mia non c’è ancora nulla…
Presi il sacchetto con imbarazzo.
-Beh ti ringrazio… immagino non ci sia nulla nemmeno da me… Dobbiamo andare al supermarket in giornata che ne dici?
-Decisamente!
Aprii la porta e feci segno a Thomas di entrare.
-Vieni dentro, accomodati!
Ci andammo poi a sedere in terrazza e rimanemmo lì a chiacchierare mentre io facevo colazione.
Era strano.
Il profumo del mare e della spiaggia, lo stridio dei gabbiani, l’aria fresca che giocava con le foglie delle palme… e il profumo di caffelatte.
Anche Ivy si godeva il sole e l’arietta accucciata di fianco a me.
Mi sentivo… bene.
C’era pure una bella giornata, un po’nuvolosa, ma non avevo mai visto il sole splendere così allegramente.
-Hai già disfatto le valigie? – chiese Thomas legandosi i capelli in una graziosa crocchia sulla testa.
Assomigliava tanto al cantante dei Nickelback, solo con gli occhi scuri e senza barba.
-A dire la verità no… mi sono appena svegliata…
Lui guardò l’orario sul cellulare.
-Scusa se non ti ho lasciata dormire di più… ma dovevo svegliarti per le 8.30.
-Dovevi? Perché?
-Lavoro tesoro… alle 10 hai l’incontro coi ragazzi.
-Oh, ti ringrazio, sono molto lenta nel prepararmi. – dissi finendo l’ultimo goccio di caffelatte.
Thomas si battè le mani e mi prese per mano.
-A proposito! Vieni! Ti devo far vedere il regalo di Gian per te!
-Regalo? –borbottai scendendo le scale di corsa per mano a lui.
Nel momento in cui Thomas aprii la porta di casa, la mia bocca si aprii a dismisura.
-Un buon inizio, non trovi?
Parcheggiata nel vialetto di ghiaia di fronte al nostro garage, risplendeva sotto al sole la carrozzeria nera lucente di un Audi Q7, con i cerchioni argentati e le ruote nuove di pacca che si vedevano lontano un miglio.
-Stai scherzando? Quel mostro è la mia macchina?!
-Esatto!
Iniziai a urlare come una scema attorno alla macchina, con gli occhi fuori dalle orbite e con un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
-ODDIO NON CI CREDO!!!!! NON CI CREDO, NON CI CREDO, NON CI CREDOOOO!!!!!!!
Thomas se la rideva appoggiato al cornicione della porta di casa, guardando me e Ivy che saltavamo all’unisono attorno alla macchina, rotolandoci anche sull’erba verde.
Saltai al collo a Thomas e lo strinsi forte.
-Grazie, grazie, grazie, grazie, grazie!!!!
-Hahaha ma non devi ringraziare me!
-Ti ringrazio per tutto, anche perché sei qui con me. – dissi sorridendogli.
Thomas arrossì imbarazzato mentre io sparii in casa, poi ritornai fuori con il mio mp3 e preparai di tutta fretta l’impianto musica.
Poi sfrecciai di nuovo in casa.
-Vado a prepararmi!!! Non vedo l’ora di premere l’acceleratore di quel gioiellino!!!
Il ragazzo rimase fuori in giardino con Ivy a giocare con la palla e a sistemare i nomi sulla cassetta della posta.
Dopo una mezz’oretta buona, uscii dalla porta di casa.
Thomas si girò e rimase a bocca aperta.
-Ma… ma da bo?! – disse.
-Che c’è? Sono forse troppo esagerata?
Il ragazzo mi guardò da capo a piedi arrossendo.
Partendo dal basso, avevo le mie immancabili New Rock alte fin sopra al ginocchio, le gambe nude totalmente lisce, una minigonna di pelle lucida che mi arrivava appena sotto al sedere, la canotta degli Heaven Shall Burn nera, la mia collana porta fortuna, bracciali neri, occhi liberi dagli occhiali e incorniciati da un trucco nero sfumato perfetto e i capelli rosso scuro piastrati fino alla morte lasciati liberi al vento.
E per finire, sigaretta in bocca, occhiali da sole e labbra sexy grazie al lucida labbra.
-No no sei… perfetta!
-Hai tutto? Posso chiudere?
-Oh, sì certo!
Thomas guardò Ivy e poi la indicò.
-Ma… tu hai intenzione di portarti dietro anche lei?
Sorrisi.
-Ovvio, voglio che la vedano subito, così che non saltino fuori casini in futuro.
-Oh… giusto… - disse guardandomi mentre mettevo le borse in macchina.
Feci salire Ivy nei sedili posteriori e poi, accorgendomi che Thomas mi stava guardando, lo fissai.
-Che c’è?!
Salimmo in macchina e mentre si agganciava la cintura il ragazzo mi fissò.
-Toglimi una curiosità… ma tu alle riunioni e ai colloqui di lavoro vai sempre vestita così?
Accesi la macchina e sorrisi.
-Che domande… certo!
Detto questo feci retromarcia, mi accesi la sigaretta, accesi l’mp3 e partii sgommando assieme a “Back in Black” che scoppiò in tutta la sua carica Rock nella macchina.
Thomas, schiacciato nei sedili accese ed impostò il navigatore con ancora gli occhi fuori dalle orbite.
Non riuscivo a capire se era per come mi ero vestita o se semplicemente lo avevo traumatizzato.
Ivy aveva la testa fuori dal finestrino con la lingua a penzoloni che le sbatacchiava ai lati della bocca.
Era strano guidare in America… se al volante a Milano mi sentivo potente… beh, qui mi sento un Dio.
E Los Angeles era bellissima, anche se la vidi di sfuggita: una città piena di vita, di stranezze e di persone che facevano un mucchio di cose diverse.
Negozi enormi, fast food, insegne coloratissime e un mare da sogno.
Sorrisi e premetti l’acceleratore, sfrecciando in libertà sulla statale.
-Ti stai orientando bene con la guida! Non pensavo!
-Già è stato più traumatico scendere dall’aereo ed entrare nell’aeroporto! – dissi ridendo.
Quella mattina ero anche molto contenta perché accendendo il cellulare, non trovai nessuna chiamata sua.
Thomas mi guardò ancora.
-Hai un sacco di tatuaggi! – disse stupito.
-Eh già! E non li hai ancora visti tutti tesoro!
In tutto ne ho 5.
E ne voglio fare altri.
-Mi devo preoccupare?
Rimasi un attimo in silenzio e poi guardai Thomas da sopra gli occhiali.
-Direi di sì!
Lui scoppiò a ridere sfoderando i denti bianchissimi.
-Allora, hai già dato un occhiata ai membri della band?
Mi pietrificai.
No… Non avevo la minima idea di come fossero fatti, di cosa suonassero e di come si chiamassero.
-No… non ho avuto il tempo materiale e a dirla proprio tutta mi sono scordata…
-Oh… bene, siamo messi bene entrambi!
-Bene! Lo scopriremo una volta arrivati a destinazione!
Ci voleva mezz’oretta per arrivare allo studio della band.
Avevo tutto il tempo per rilassarmi e arrivare il più calma possibile all’incontro.
Ma più l’indicatore della destinazione sul navigatore si avvicinava, più sentivo battere forte il cuore.
Ma perché?
È una band come tutte le altre! Perché mi sto emozionando così?
Sentivo dei formicolii e dei brividi alla nuca e al petto.
Avevo una strana sensazione addosso…
Scrollai la testa e cambiai canzone.
E venne proprio fuori “Dark Chest of Wonders” dei Nightwish, ovviamente.
Non poteva esserci canzone migliore di quella per quel momento.
-Vediamo un po’… - dissi.
Thomas mi guardò.
-Che cosa? – chiese assorto nei suoi pensieri.
Fissai l’orizzonte con un occhiata di sfida e un mezzo sorriso sulle labbra.
-Voglio proprio vedere come mi sorprenderanno questi Five Finger Death Punch.

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Capitolo 6
*** Five Finger Death Punch ***


°FIVE FINGER DEATH PUNCH°
 
Arrivammo a destinazione alle 10 meno 10.
Arrivai davanti al cancello automatico e mi fermai.
Un signore ci venne incontro e volle vedere i nostri documenti e la richiesta di lavoro firmata.
Mentre controllava le carte alzò la testa e si trovò davanti il musone di Ivy con la lingua penzolante in cerca di coccole, che scodinzolava dentro all’abitacolo come se non ci fosse un domani.
Subito indietreggiò ma poi, capendo che la cagnona era grossa, si, ma buona come il pane, sorrise e le fece le coccole.
Appena finì di verificare tutto, ci salutò e fece segno al collega di aprire il cancello.
Passando vidi che c’era un gruppetto di persone fermo davanti all’entrata, che stava sghignazzando mentre alcuni di loro fumava una paglia.
Entrai e parcheggiai elegantemente la macchina in un posto all’ombra.
Scesi dalla macchina, mi girai e feci un profondo respiro, molto zen, poi aprii la portiera ad Ivy e la feci scendere, tenendola per il guinzaglio.
Lo zaino stavolta, lo lasciai in auto…
Thomas mi venne incontro infilandosi una camicia nera sopra la canotta bianca.
-Sei agitata? – chiese guardandomi negli occhi.
Lo guardai.
Gli volevo tanto dire che sarei risalita in macchina e sarei tornata indietro subito, ma mi limitai a guardarlo e a fare segno di sì con la testa.
-Anche se mi sto cagando sotto per la paura, mi devo dare un contegno.
Da dietro i finestrini oscurati della mia macchina vidi 5 volti che si sporsero per guardare il Q7 appena entrato in parcheggio.
Tornai a guardare Thomas ed emisi uno strano verso ansioso mentre facevo un sorriso isterico.
-Appicciati una paglia va… - disse ficcandomi in bocca una delle sue sigarette.
-Forse è meglio…
-Dai su, non vorrai mica ritardare all’incontro? – disse prendendo la mia borsa del lavoro.
-Oh no… ci mancherebbe altro…- sibilai.
Non so perché, sentii una frase provenire dal gruppetto che mi fece tornare la mia grinta che stava facendo le valigie per andarsene.
-No ma davvero? È una vecchia davvero??
Mi gonfiai di figaggine e assunsi un’espressione provocante… se non omicida.
Vecchia… a me?
Adesso ti faccio vedere io brutto… brutto tizio!
-Herie? – bisbigliò Thomas con un sopracciglio alzato, non riuscendo a capire quell’improvviso cambio di umore.
Iniziai a muovermi.
Sbucai da dietro il culo della macchina prima con una gamba e poi con il resto, avanzando verso i ragazzi con passo da femme fatale, con la sigaretta in bocca, con Ivy al guinzaglio e Thomas che mi seguiva a ruota.
Mentre mi sollevavo gli occhiali sulla testa, vidi la bocca dei 5 ragazzi spalancarsi lentamente man mano che mi avvicinavo.
Mi stavo immaginando la scena a rallentatore e mi stava per uscire una risata malefica dal profondo del cuore.
Feci un sorrisetto seducente e l’unica cosa che riuscii a pensare a 5 metri da loro non fu “ora come mi presento?” bensì “Cazzo che entrata in scena da figa pazzesca che ho fatto”.
Appena mi fermai davanti a loro, tenni gli occhi fissi su quello che praticamente avevo di fronte.
Lui guardò prima Ivy e poi me, poi ancora Ivy e poi ancora me.
-Ma…tu non sei vecchia! – disse stupito.
-Chi sarebbe la vecchia, scusa? – chiesi sorridendo.
Il ragazzo mi guardò e sorrise arrossendo.
-Ci avevano detto che la nuova consulente d’immagine è una vecchia! Non è colpa mia…
-Ho 23 anni… ti sembro vecchia? – dissi ridendo.
Lui mi guardò un po’ da capo a piedi con aria da intenditore.
-No… direi decisamente di no tesoro!
Gli tesi la mano tenendo la sigaretta con le labbra.
-Piacere, mi chiamo Herie.
Il ragazzo la strinse energicamente.
-Io sono Ivan, il cantante, piacere mio dolcezza!
Mi piaceva.
Era un ragazzone, con gli occhi azzurri, una cresta bionda al centro e la testa rasata ai lati, un piccolo tatuaggio che ritraeva una lacrimuccia nera ornava il lato sinistro del suo volto.
Un volto di per se strano, perché incuteva un po’ di timore… sembrava un pazzoide a prima vista… ma nel momento in cui mi fece un sorriso e rivelò il suo volto da pacioccone, mi sciolsi.
Aveva le braccia muscolose, il braccio sinistro era coperto di tatuaggi, dalla spalla alle dita della mano.
Dalla canotta smanicata rossa vedevo così, non so se poi sotto aveva altri tatuaggi…
Rimase a fissarmi un secondo.
Poi scoppiò.
-WHEN I SAY “FIVE FINGER” YOU SAY “DEATH PUNCH” !!!!!!!! – urlò tutt’ in un colpo.
Sbiancai improvvisamente saltando su me stessa come un gatto.
Cos’è, uno schizofrenico?!?!
Rimasi a fissarlo mentre a lui scappava da ridere.
Eh ci credo… ho fatto un contorsionismo niente male quando ha urlato… sarei scoppiata a ridere anche io.
Continuò imperterrito.
-FIVE…FINGER…- urlò.
Io schiacciai la testa nelle spalle.
-…Death punch…? – sibilai.
-I CAN’T HEAR YOU!!!! FIVE FINGER?!?!
-Death Punch! – dissi un po’ più ad alta voce.
-FIVE FINGER?!?!?!
-DEATH PUNCH!!!! –urlai capendo il giochetto.
-FIVE FING-
-DEATH PUNCH !!!!!!!!!!!! – mi uscii un urlo che sovrastò quello di Ivan.
Ci fissammo, poi sentimmo un guaito interrogativo di Ivy che mi guardava con la testa piegata di lato.
Scoppiammo a ridere tutti quanti ed io mi chinai ad abbracciare Ivy.
-Non ce l’ho con te cucciola! – le dissi dandole un bacio.
Quando alzai lo sguardo, vidi un ragazzo dietro ad Ivan che mi fissava intensamente…
Mi fissava senza battere ciglio, aveva incollato i suoi occhi di ghiaccio su di me.
Mi persi per un secondo a guardarlo anche io, mentre continuavo a coccolare Ivy, quando Ivan tornò alla carica.
-Bene, sei forte ragazza, mi piaci! Hai urlato persino più forte di me! – disse il cantante mettendomi una mano sulla spalla.
Wow, che confidenza che hanno questi Americani…
-Beh grazie mille Ivan!
Tirai fuori dalla mia borsa il mio diario nero ed estrassi anche la penna.
-Bene! Mi devo scrivere i vostri nomi perché sono sicura che fra una quindicina di minuti me li scordo tutti! – dissi, iniziando a scrivere su una pagina dell’agenda.
-Allora… abbiamo detto che tu sei Ivan…
-Yes! Ivan Moody! Detto anche Ghost! –disse Ivan orgoglioso.
*Cantante - Ivan Moody (Ghost) -> lo schizzato col crestino biondo…
-Bene… poi? – dissi sorridendo.
Si fece avanti un colosso altissimo, con lunghi rasta scuri che arrivavano fin sotto al culo, con occhietti scuri piccoli e attenti e una barbetta a punta; gli enormi avambracci palestrati ornati da grossi tatuaggi tribali spuntavano da sotto una camicia da arti marziali nera, chiusa in vita da una fascia bianca.
-Io sono Zoltan Bathory, secondo chitarrista… piacere di conoscerti. – disse il ragazzo tendendomi una mano ed abbozzando un mini… ma molto mini… sorriso.
Solo che rimasi a guardarla dal tanto che era grossa e rimasi di stucco stringendogliela.
-Piacere mio! – dissi mascherando il terrore nei miei occhi.
Guardai la pagina di diario e provai a scrivere.
Il chitarrista attento mi corresse.
-Mi chiamo Zoltan…
Sentii i brividi scorrermi su per la schiena e tirai una riga, scrivendo di nuovo.
-Zoltan… - ripetè lui.
Tirai un'altra riga e provai a riscrivere.
-Z-o-l-t-a-n …- disse lui trattenendo una risata.
Non finii di scrivere il nome che lui mi si avvicinò, prese la penna e mi scrisse nome e cognome ridacchiando come una nonnetta.
-Scusami… - mormorai.
-Tranquilla! Non è un nome facile il mio…
*2° chitarra – Zalton Zolten Zho ZOLTAN Bathory -> il tizio coi rasta paiura…
Mentre finivo di scrivere la mia osservazione, si avvicinò un'altra montagna, stavolta però con un barbone ramato infinito.
-Io sono il bassista, Chris Kael, molto piacere di conoscerti!
-Grazie, anche per me! – dissi sorridendogli.
Lui sembrava un boscaiolo dal collo in giù e Devy Jones dal collo in su.
Era una cosa inquietante, ma aveva un sorrisone dolcissimo.
-Complimenti per la maglia, vedo che sei sulla buona strada coi gusti musicali! – disse indicando la mia canotta degli Heaven Shall Burn.
Gli altri dietro di lui annuirono con molto entusiasmo.
Non so se per la maglia o per le mie tette.
Mi limitai a sorridere e a scrivere.
*Basso – Chris Kael -> il boscaiolo.
Guardai bene e mi parve molto triste come descrizione.
*Basso – Chris Kael -> il boscaiolo Il Devy Jones formato boscaiolo…
Completai il tutto facendo un piccolo disegnino di lui con il barbone.
Guardai compiaciuta la mia opera d’arte e puntai gli occhi su chi mi stava davanti.
E mi trovai davanti un ragazzo non tanto grosso come gli altri… né tanto alto.
Sorrise.
Aveva la faccia strana.
Ed era coperto di tatuaggi coloratissimi, in entrambe le braccia, collo e spalle compresi.
Una cresta mezza bionda e mezza nera si ergeva imponente sulla sua testa.
-Io sono Jeremy Spencer, il batterista, piacere tesoro.
Gli sorrisi ma poi alla vista del ragno tatuato sul collo, sbiancai vistosamente.
Lui mi guardò con un sopracciglio alzato.
-Non mi lamenterei se ti dovessi fare una respirazione bocca a bocca, ma sai, vederti stare male davanti a me non rientra nei miei piani… tutto bene?
Indicai il collo.
-È un ragno quello? – balbettai.
Lui se lo coprì con la mano.
-Si! Ti fanno paura?
Annuii ridendo istericamente.
-Si ma non ti preoccupare!!! Prima o poi ci farò l’abitudine! – dissi concentrandomi a scrivere.
*Batteria – Jeremy Spencer -> il tizio con il ragno tatuato sul collo…
Sapevo già che lui me lo sarei ricordato proprio perché mi faceva paura il tatuaggio…
Alzai lo sguardo dal diario e mi pietrificai.
Davanti a me c’erano gli occhi ghiacciati e intensi di prima che mi guardavano ancora.
Sembrava che mi stesse guardando l’anima… cercava qualcosa…
Lui era un ragazzo abbastanza alto, un po’ muscoloso, con le braccia coperte di tatuaggi colorati che sbucavano da sotto la maglietta a mezze maniche verde e nera.
Anche il collo era tatuato, ma in modo più leggero di quello di Jeremy, e da lì scendevano due catene argentate, una semplice e l’altra da dove pendeva una spada argentata.
Le mani erano belle… con le vene in risalto e le dita lunghe, con un tatuaggio sul fianco della mano destra.
Ma quello che più mi colpiva di lui… era il suo viso.
Era bello.
Aveva il pizzetto nero curato, che si collegava alle basette con un filo sottile di barba scura, la pelle lievemente abbronzata e una folta chioma nero corvino che gli incorniciava il viso.
Iniziava con due ciuffi che gli ricadevano in modo sexy intorno al viso e finiva con un taglio lungo scalato che arrivava alla base del collo.
E poi… gli occhi.
Erano talmente tanto azzurri che sembravano fatti di ghiaccio davvero.
Io non sapevo cosa dire, ero rimasta come stregata.
Lui continuava a fissarmi negli occhi, non abbassava lo sguardo nemmeno per un secondo.
-Lui è Jason Hook, primo chitarrista nonché membro più grande del gruppo! – intervenne Ivan per accendere una scintilla di discorso.
Jason alzò gli occhi al cielo e poi lo guardò.
-Ivan… so presentarmi anche da solo, non sono un bambino di due anni che ha bisogno del baby sitter… - ringhiò.
Wow… incazzoso direi…
Ivan rimase impassibile e poi si avvicinò a me con fare furtivo.
-No… infatti ne ha 43… - bisbigliò.
Thomas sgranò gli occhi e lo guardò.
-Cosa?! 43 anni?! Ma stai scherzando!!!
Il chitarrista si passò una mano sulla faccia e fulminò Ivan con un occhiataccia.
Poi alzò il dito come se fosse un maestrino.
-Per l’esattezza, ne ho 42. – disse guardando Thomas con un sopracciglio alzato.
Poi i suoi occhi tornarono a guardare me.
Io per tutta risposta ero arrossita come un pomodoro.
Ma ero rimasta shockata nel profondo.
Lui aveva 43 anni?!? Ma dove?!?!?!?! Sembrava un mio coetaneo!!!!
Ivan rimaste un attimo zitto, poi tornò alla carica.
-Ne ha 43, tanto li compie fra pochi giorni. – bisbigliò.
-IVAN!!! – urlò esasperato Jason.
-Ah… - iniziai una frase ma nel momento in cui Jason si girò di nuovo verso di me, mi morirono di nuovo le parole in bocca.
Lui notò le mie guance rosse e fece un mezzo sorriso, tendendomi la mano.
-Jason Hook… piacere.
Nel momento in cui provai a stringergliela, lui la tolse e mi guardò ancora con il mezzo sorriso stampato sulla faccia.
-Ah ah ah… non vorrei che ti facessi male… Hai le mani giovani molto più delicatine delle mie.
In quel momento, a quelle parole, mi morì tutta quanta la poesia del momento.
Figo… ovvio.
Ma era un fottuto sbruffone.
Lo guardai con un occhiatina di sfida.
-Oh, non ti preoccupare, sono più forte di quanto sembro. – risposi secca.
Lui sorrise guardandomi negli occhi.
Non so perché avevo detto quella frase… probabilmente perché più forte di lui la ero davvero… Ma non come pensava.
Più che una frecciatina rivolta a lui… era una frecciatina rivolta a… all’altro.
-Hai la risposta sempre pronta, vero?
-Io sono sempre pronta, è una cosa diversa.
-Come pensavo… - disse facendo un mezzo sorriso inarcando un sopracciglio.
Arrossii di nuovo.
E non volendo farlo notare, mi misi a scrivere sul diario.
*1° chitarra – Jason Hook -> il tizio con la faccia da schiaffi…
Mentre finii di scrivere, Thomas si illuminò.
-Un momento… scusate ma se lui ha 43 anni-
-42…- disse Jason correggendolo acidamente.
-Va bene, 42 anni ed è il più grande…voi altri quanti ne avete?
Ivan si fece avanti.
-Zoltan ne ha 36, Jeremy 41, Chris 39 ed io – disse indicandosi – ne ho 34!!!
Thomas aveva gli occhi sgranati.
Io pure.
Sembravano tutti dei pischelloni… e invece erano degli uomini adulti!!!!
Ivan per tutta risposta, si gonfiò di orgoglio e allargò le braccia.
-Ragazzi… benvenuti a bordo dei Five Finger Death Punch, la band dei vecchiacci!!!!
 
 
Ed eccomi risorta dalle tenebre dello studio ragazzi!
Scusate se per un po non ho pubblicato, ma purtroppo il peso degli esami si fa sentire forte e chiaro! (tanto non frega a nessuno, ma volevo specificarlo XD)
Signori e Signore... finalmente i FIve Finger si sono fatti vivi! Era ora! *-*
Herie è rimasta un po’… spiazzata... ma vi assicuro, che questo è solo una parte di inizio per lei.
Un inizio vero e proprio... e un inizio di guai, risate, follie, batticuore, frecciatine e ... coccole per Ivy!
Cosa ne pensate fino ad ora? Se avete domande o curiosità scrivetemi, fa sempre piacere dialogare con qualcuno! :D
 ... anche perché ... nessuno mi ha ancora scritto T_T *forever alone*
Anche se non vi sono mancata... voi mi siete mancati! >-<
Beh, gente, ci si rivede al prossimo capitolo!!!! ;D
Baci e abbracci da me, Herie, Thomas, Ivy e i Five Finger Death Punch ( più il simpatico omino della guardiola dello studio, che non è stato degnato... ma esiste!  *forever alone 2*) SEE YOU GUYS \m/
The_red_Quinn_of_Darkness

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Capitolo 7
*** Welcome to the Pride ***


°WELCOME TO THE PRIDE°
 
Poco dopo le presentazioni, ci dirigemmo all’interno dello studio.
Enorme… pieno di cose e di strumenti musicali.
Io mi guardavo attorno con comodo perché ad ogni metro qualcuno veniva a coccolare Ivy, band compresa.
Mi sembrava di essere in un altro mondo, ero un estranea, eppure mi trattavano tutti quanti benissimo.
Gli occhi di Jason non mi si erano ancora staccati di dosso.
Quando incrociavamo lo sguardo, io tendevo sempre a guardare subito da un’altra parte.
E lui, sorrideva.
Sorrideva in modo… strano.
Non so nemmeno come definirlo, dannazione!
Sapevo solo, che l’avrei tanto voluto prendere a schiaffi.
Gli altri ragazzi della band mi erano tutti attorno, facendo domande su domande.
Ivan mi venne di fianco e mi guardò il tatuaggio sulla spalla.
-Che figo! Hai tatuaggi??? – chiese con un mega sorrisone.
Distaccai un attimo la mia attenzione da Jason e sorrisi ad Ivan.
-Ovvio! Ti piace?
Era un tatuaggio colorato, che partiva dalla spalla per finire quasi a metà braccio.
Rappresentava un volto di donna, mezzo coperto da un teschio, con la mano scheletrica che sfiorava le labbra rosse, lunghi capelli neri sciolti, con grosse rose rosse che li ornavano.
-È troppo bello! Ti assomiglia… Sei tu?
Io lo guardai con un mezzo sorriso triste.
-In parte sì… il mio ritratto è sulla schiena.
Ivan mi guardò senza capire.
-Un giorno ti farò vedere! È un tatuaggio che mostro a poche persone…
Jason incuriosito osservò la mia schiena, intravedendo un pezzo nero uscire alla base del collo… ma non poteva vedere il resto.
-Deve essere un tatuaggio importante allora! E… ne hai altri?
Sorrisi e mi girai verso di lui abbassando gli spallini della canotta, mostrandogli le due zampe di lupo nere che avevo su entrambe le clavicole.
Il cantante rimase a guardarle incuriosito.
-Che bella idea! Sono molto carine!
-Gli altri sono coperti! – dissi rimettendomi a posto la canotta.
-Quanti ne hai?
-5! Ma ne voglio fare altri. – dissi sfacendo l’occhiolino complice ad Ivan.
Thomas cercava di starmi vicino, ma tutta la band mi stava appiccicata, tranne Jason che mi osservava da lontano.
Mi stavo stranamente divertendo con loro, ma la sensazione dei suoi occhi addosso a me era snervante.
Arrivammo in una sala prove, con un palchetto in fondo alla sala dove erano posati tutti gli strumenti lucidati dei ragazzi.
Ivan salì sopra, seguito a ruota dagli altri, poi si sedette con le gambe a penzoloni sul bordo del palco e mi guardò con gli occhioni.
-Che canzone vuoi che ti facciamo? – chiese con una strana luce negli occhi.
Rimasi un attimo a guardarlo, perplessa.
-Ehm… - sussurrai imbarazzata.
Il cantante mi guardava senza battere ciglio, sempre col sorriso stampato in faccia.
-Ecco vedi… io… non… - balbettavo.
Intravidi Jason dietro ad Ivan che sistemava i volumi della sua chitarra, mentre mi dava occhiate fugaci e sentii il cuore sobbalzare.
-Non sono riuscita ad ascoltare le vostre canzoni prima di partire… non ho avuto tempo e con quel poco preavviso della partenza avevo così tante cose da preparare che mi sono dimenticata… - dissi con un filo di voce.
Ivan rimase un attimo a fissarmi.
Poi senza dire niente si alzò e urlò.
-FACCIAMO “THE PRIDE”, RAGAZZI, FORZA!!!
Non riuscivo a capire, ma Ivan mi guardò e mi sorrise.
-Accomodati pure tesoro. – disse facendomi segno di sedere nella sedia davanti al palco.
Zoltan mi fece segno dell’ok con una mano, Jeremy si sporse dalla batteria per salutarmi, Chris fece un sorrisone a 32 denti e Jason mi guardò, sorrise e poi mi fece la linguaccia.
Rimasi un attimo lì a fissarlo stranita con la bocca semi aperta e poi ricambiai facendogli la linguaccia a mia volta.
Ivan strinse in mano il microfono e si avvolse il cavo nell’altra mano.
-HERE WE GO!!! – urlò.
Detto ciò partì Jason a fare un intro con la chitarra in effettistica.
Rimasi a guardarlo con i brividi che mi stringevano la gola, lenti…
E mentre finiva l’intro, lui mi guardò di nuovo dritta negli occhi, intensamente.
Poi partì come una bomba “The Pride”, lasciandomi letteralmente a bocca aperta.
Quando Ivan iniziò a cantare sentii la pelle d’oca alzarsi dalle gambe alle braccia…
Aveva una voce splendida, aggressiva e graffiante, ma allo stesso tempo intonata e limpida.
Era… spettacolare…
Poi per i cori, partirono a cantare anche Jason e Chris.
Chris aveva un vocione profondissimo… Jason… beh… era fantastico.
Anche lui aveva una voce splendida, una via di mezzo fra Chris e Ivan.
Erano tutti bravissimi…
Rimasi ad ascoltarli a bocca aperta, non riuscivo a muovere un muscolo.
Ivy mi venne vicino e abbaiò felice, scodinzolando e saltando.
Rimasi stupita perché quando faceva così, significava che le piaceva qualcosa…
E quel qualcosa erano loro.
Ivan sorrise e cantando si sporse dal palco per “cantare” con Ivy mentre lei gli andò incontro e si alzò su due zampe abbaiando contenta.
Poi Iy si girò e mi venne incontro, euforica, facendomi alzare.
Risi e la seguii fin sotto al palco poi le presi le zampe anteriori, la sollevai e iniziammo a ballare assieme, anche se lei in piedi era più alta di me.
Tutto il gruppo sorrideva incredulo, guardando me ed Ivy fare le sceme sotto al palco.
-WE’VE GOT TWO NEW FANS!!!!!!! –urlò Ivan indicandoci.
Ivy lo guardò con la lingua penzolante ed abbaiò felice.
Io ridevo.
Ridevo e mi veniva da piangere perché… era da tanto che non stavo così bene.
Era da tanto che non ridevo così…
Anche Jason era stupito…
Non riuscivo a capire come mai si limitava solo a fissarmi...
E non riuscivo a capire nemmeno cosa fissasse.
Ma alla vista di quella scena, sorrise…
E non fece un sorrisetto sfottente come quelli che aveva fatto fino ad ora…
Fece un sorriso dolce, divertito… ed era ancora più bello quando sorrideva in modo… sereno.
Sentivo il calore assalirmi ogni volta che lo guardavo…
Perché, dannazione?!
Quando i ragazzi finirono di suonare, nella saletta risuonò solo il mio urlo, l’abbaiare contento di Ivy e l’applauso di Thomas.
-YAHOOO RAGAZZI SIETE FANTASTICI!!!! – urlai emozionata.
-Modestamente… avevi dubbi dolcezza? – disse Ivan facendo un faccino soddisfatto.
Jeremy scese dal palco e mi venne incontro con le mani alzate.
-Ehi ehi ehi ma quanto siete state fantastiche voi due?! Datemi un 10!!! – disse sorridendo, mentre gli davo il 10.
Si girò verso Ivy, seduta di fianco a me e gli tese le mani.
-E tu? Mi dai un 10?
Ivy alzò le zampe posteriori rimanendo seduta e diede il 10 a Jeremy, poi gli saltò addosso coprendolo di baci.
Io imbarazzata la presi per la pettorina e la provai a tirare indietro.
-Oddio scusami… è che le piacete molto a quanto pare! – dissi sorridendo, mentre il batterista si tirò su con la cresta scompigliata.
-È stato… un momento di passione estrema fra me e lei… emozionante!!! – disse lui tirandosi su ridendo come un pazzo, per poi tornare a fare le coccole alla cagnolona.
Scesero tutti dal palco, a parte Jason che stava sistemando i cavi della sua chitarra con cura.
Ivan si sedette a gambe incrociate e mi guardò.
-Allora? Ti siamo piaciuti?
Mi sedetti di fronte a lui.
-Fantastici è dir poco ragazzi, siete formidabili! Mi avete lasciata a bocca aperta!
-Ho visto! – disse ridendo Zoltan.
-Sembrava ti si fosse slogata la mandibola! – continuò Chris sghignazzando sotto alla barba.
Io arrossii grattandomi la testa.
-Scusatemi, è che mi siete piaciuti davvero un sacco.
-Toglimi una curiosità… ma tu e il tuo cane siete per caso uscite da un circo? – intervenne Jason avvicinandosi a braccia conserte.
Lo guardai.
-Anche se fosse? Almeno io e lei non abbiamo il musone.
Lui mi squadrò.
-No, ho notato… siete carine. – disse sorridendo.
Mi spiazzò.
Non sapevo se interpretare l’ultima frase come un complimento o una frecciatina acida.
Lui si chinò fino a quando il suo viso non fu all’altezza del mio.
Quando ebbi i suoi occhi così vicini sentii il cuore fermarsi per un secondo.
-Allora non hai la risposta sempre pronta, eh? –sussurrò divertito, vedendo le mie guance colorarsi di rosso.
Sentivo alcune gocce di sudore scendere lente sulla mia schiena, avevo paura che sentisse il battito del mio cuore e avevo paura che vedesse le mie mani tremare.
Perché mi stava facendo questo strano effetto?
-Jason cuccia… -disse Ivan guardandolo.
-Mi sto divertendo un po’… ora la smetto. – disse senza staccare gli occhi dai miei.
Mi scostai di scatto e indietreggiai, finendo contro alle gambe di Zoltan.
Lui si mise a ridacchiare divertito.
Ma non fece in tempo a fare altro, perché Ivy gli piombò addosso per farsi fare le coccole.
Lui colto alla sprovvista cadde all’indietro con tutti il peso di Ivy addosso e mentre lei gli leccava la faccia lui cercava di scostarla.
-Ehi! Basta! Dai! Ivy!!!! – urlacchiava mentre si dimenava come un verme.
Io lo fissai un attimo e sorrisi in modo sexy.
Jason mi guardò con la faccia rossa.
-Richiamatela indietro anziché startene lì a ridere!!!
Gli andai vicino e lo guardai negli occhi.
-Perché? Alla fine si sta solo divertendo un po’! – dissi con una punta di malizia.
Lui spalancò gli occhi e provò a ribattere, ma iniziò a ridere come uno scemo perché Ivy gli stava iniziando a fare il solletico.
-No!!! Ti prego il collo no!!!! HAHAHAH!!!!
Tutto il gruppo si mise a ridere, mentre il chitarrista cercava invano di far smettere la cagnolona di leccargli la faccia.
Almeno lei, a quanto pare, gli stava simpatica.
 
 
Poco dopo entrammo in una saletta, dove ci sedemmo tutti attorno ad un tavolino basso con su dei documenti e scartoffie varie.
Jason mi continuava a fissare con occhi mezzi assassini e mezzi divertiti.
Io per tutta risposta gli sorridevo.
-Bene ragazzi, ora che ci siamo tutti, possiamo iniziare a fare la tabella di marcia. – disse Ivan sorridendo.
Poi si voltò verso di me.
-Già sai che praticamente inizierai a vivere con noi, no? Ti hanno già spiegato un po’ come funziona la cosa?
Io annuii.
-Sono rovinato… - borbottò Jason mettendosi una mano sulla faccia.
Feci finta di non sentire, annuendo ancora ad Ivan con un sorriso isterico sul volto.
-Parto dicendoti una cosa… - disse Ivan, poi indicò il chitarrista rannicchiato su se stesso:
 -… non so che diamine gli è preso.
-Fatti i cazzi tuoi… - disse Jason nascosto fra le mani.
-Seconda cosa – continuò Ivan –Il tour che faremo quest’anno è molto corto, purtroppo, perché dobbiamo continuare il progetto per il prossimo album... quindi per ora puoi stare tranquilla e sistemare casa. Partiamo dall’America.
Sorrisi trascrivendo le tappe sul diario.
-Poi nel momento in cui inizieremo a spostarci in Canada e in Sud America, inizierà anche la tua vita sul bus.
-Perfetto! – dissi annuendo.
Ivan mi sorrise.
-La tua prima missione è sistemarci per il concerto che faremo la settimana prossima qui a Los Angeles.
-Agli ordini!
-Per ora, prenditi una pausa e goditi la città.
-Grazie mille…
Anche Thomas stava parlando, con lo staff e la direzione della band, per stare al passo con eventi, interviste e photoset.
Ivan mi guardò e mi sorrise.
-È sabato oggi… che fai stasera?
Stropicciai un attimo gli occhi e lo guardai.
-Non so… credo che passerò la serata in casa a sistemare le mie cose.
Il cantante mi fissò un attimo e poi, sostenendosi il viso con le mani, sorrise.
-No non credo proprio!
-Come scusa?
-Nulla! – disse con un sorrisino sadico.
Rabbrividii.
Mi stavano fissando tutti in modo sadico…
Chris si alzò e si stiracchiò.
-Signori, io avrei un certo languorino… che ne dite di andare a mettere qualcosa sotto ai denti?
Jeremy lo seguì a ruota.
-Andiamo. – disse sparendo fuori dalla porta, per poi rientrare ridendo come un pirla.
-Dove andiamo? – chiese ridendo.
-Sushi? – propose Zoltan leccandosi i baffi.
Jason storse il naso.
-Ci siamo già stati ieri!
Il secondo chitarrista guardò Jason in cagnesco.
-Messicano? – propose Ivan.
Poi si girò verso di me.
-Ti piace il Messicano?
Io stavo facendo su la mia roba di spalle, mi girai come se fossi stata colta in flagrante e sgranai gli occhi indicandomi.
-A me? Ma io sto andando vi-
-No non vai via. – disse Ivan sorridendomi.
-Ma Ivan io ho ancora da fare il cambio di valuta, come cazzo faccio?
-Offro io!
-A tutti? – chiese Jeremy con uno strano bagliore negli occhi.
-No ovvio! –rispose Ivan secco.
Imbarazzata lo guardai.
-Ma no, non mi va di farti spendere soldi per me!
-Non dire fesserie tesoro!! Tanto alla fine offre lui! – disse indicando Jason, che sgranò gli occhi voltandosi verso Ivan.
-Cosa? – chiesi.
-COSA?! – chiese quasi urlando il chitarrista.
-TUTTI AL MESSICANOOOO!!!!!! –urlò Ivan correndo fuori dallo studio, con Jason che gli stava dietro al culo cercando di colpirlo.
-CAZZO CORRI, CHE SE METTI MALE UN PIEDE TI DA Giù L’ERNIA, VECCHIACCIO?????!- sbraitò il cantante spanciandosi dalle risate.
-TI AMMAZZO, GIURO CHE TI AMMAZZO!!!!!!!!!- gracchiò Jason sventolando un pugno in aria.
Io rimasi a fissarli, non capendo ancora cosa dovevo fare.
Thomas mi venne vicino e mi spintonò fuori.
-Andiamo, pago io, mi faccio perdonare per ieri!
Zoltan mi si avvicinò sorridendo e mi diede una leggera pacca sulla spalla.
-Abituatici, siamo tutti dei pazzi.


TALKING SPACE :D
 
GOOOODMORNING PEOPLE!! \m/
Visto? Sono sopravvissuta agli esami, anche se non sono ancora terminati XD
Però… ho trovato il tempo per tornare su efp e aggiornare le avventure della nostra Herie!
Buahahah, sto ancora ridendo per la perla finale che ho scritto… “Cazzo cossi che se metti male un piede ti dà giù l’ernia, vecchiaccio?!” X,D
Povero Jason, marchiato a fuoco dal passare del tempo che, nonostante ciò, non lascia segni sul suo corpo XD
Eh già, Il signor Hook ha realmente 43 anni e (a meno che io non sia l’unica deficiente che a momenti lo vede come un 28enne, in questo caso compatitemi) non li dimostra per niente e aggiungerei anche che se li porta molto bene XD
Perdonatemi, sono stressata e stranamente euforica XD
Bando alle mie futili osservazioni… spero vi sia piaciuto anche questo capitolo, in cui ho scelto di inserire una canzone, ovvero “The Pride”, che penso sia un piccolo riassunto di ciò che sono i Five Finger Death Punch e che sia ottima per descrivere l’ambiente in cui è stata catapultata la nostra protagonista.
Magari è un impressione mia, se avete osservazioni, ditemi pure ;)
Un consiglio che vi do, è sicuramente di ascoltare la canzone… oltre che il gruppo INTERO!! XD
È arrivato il momento di levare di nuovo le tende :,(
Commentate, osservate, esprimete opinioni e pareri ed i consigli… sono sempre ben accetti! ;)
Spero come al solito, che vi piaccia e che sia una piacevole lettura :)
Alla prossima ragazzi, un bacio e un abbraccio da me e da tutti i personaggi della ff! ;)
See you soon, and STAY FIVE FINGER DEATH PUNCH \m/
 
The_red_Quinn_of_Darkness

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