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Occhi color nocciola scrutavano con
curiosità crescente quella distesa di alberi avvolti dall’oscurità. Un
espressione calma sul volto e una tempesta nella mente.
Avete presente quella sensazione,
quella sensazione di vuoto e di smarrimento che un luogo come quello,
circondato solo da alberi, poteva causare sulla mente di una persona normale
causandole confusione.
“Perfetto, sono capitata in un
episodio di ai confini della realtà … “ pensò sconsolata mentre valutava il da
farsi. “Oppure … “ dalla tasca dei jeans estrasse un piccolo pacchetto di
sigarette, certo, nell’oscurità non poteva vedere bene e dopo aver sospirato
delusa li rimise nella tasca di prima. “Il pacchetto mi sembra normale e quindi
non sono drogata. Bene, un passo avanti ma che non mi aiuta a uscire da questa
situazione”.
Accanto a lei vedeva solo oscurità e
nient’altro. Una bella luna piena illuminava il cielo coperto di stelle e
quando le guardò rimase sconcertata da quanto fosse luminoso, senza segni
d’inquinamento atmosferico e anche l’aria sembrava più limpida e pura.
Indossava una giacchetto Denim e da
esso estrasse un telefono cellulare abbastanza moderno, non era uno di quelli
dell’ultima generazione, certo, ma se non altro aveva incorporata dentro di se
un’applicazione “torcia”. Consumava la batteria, certo, ma dato che non c’era
campo poteva anche usarlo così per il momento.
Questo pensava mentre cominciò a
camminare in quell’intricato groviglio di alberi.
Una mano sul cellulare, l’altra
stretta attorno alle spalline di pelle scura che appartenevano a una custodia
per chitarra sulla schiena.
“Come ci sono finita qui?” continuò a
pensare sempre più preoccupata “Ricordo che stavo correndo in un vicolo
inseguita da alcuni tirapiedi, ho girato in un vicolo e ho tagliato per un
tempio abbandonato e poi … “
Nulla.
Si sforzava di ricordare cosa fosse
accaduto, ma senza il minimo risultato. Era come se avesse una sorta di
black-out, come dopo una sbornia pesante, non riusciva a focalizzare niente a
parte la certezza di aver visto una figura nascosta nel tempio.
“Mi avranno drogata e trascinata
fuori dalla città. Non c’è altra spiegazione”.
Annuì con il capo cercando di
convincersi; la logica era la sola cosa che le impediva di avere un attacco di
panico proprio in quel momento.
“Concentrati … Stai calma … Lo zio
non ci metterà molto a scoprire che sei sparita e a mandare qualcuno a cercarti”.
Si fermo un istante prendendo un
profondo respiro e placando l’ansia che sentiva salire dentro di sé.
Nell’oscurità più fitta rischiarata
solo dalla luce delle stelle e della luna non vi era nessun rumore particolare,
solo il vento che accarezzava debolmente i ciuffi d’erba e il ronzio di qualche
insetto potevano essere definiti come rumori ma a parte lei, in quel momento,
sembrava non ci fosse nessuno.
“Certo che per essere un rapimento si
sono dati molto da fare. Perché diavolo portarmi in una montagna e mollarmi qui
da sola? E’ forse un nuovo gioco perverso o cosa?!”
Non riusciva a venire a capo di
quella situazione. Pensava, pensava e ancora pensava ma non sembrava esserci
una spiegazione e lei aveva bisogno di una logica per restare calma.
Fu allora che sentì dei rumori più
chiari.
Qualcosa si stava avvicinando a lei,
spense la torcia al vedere una luce avanzare nella sua direzione e mentalmente
ringraziò ogni divinità conosciuta. Era salva. Finalmente era salva.
Dalle tenebre emersero alcuni uomini,
sei per la precisione, vestiti con delle armature tipiche di un epoca remota e con
delle katane posizionate saldamente ai loro fianchi.
Due di loro avevano in mano delle
torce e i loro sguardi non promettevano niente di buono. Lentamente mise le
mani nella tasca della giacchetta, in una di esse teneva un piccolo coltello a
serramanico, niente di eccezionale, ma sapeva usarlo bene e se qualcuno si
fosse avvicinato ci avrebbe ben pensato a fargli cambiare idea.
« Guardate … sembra che abbiamo
trovato qualcuno con cui passare questa splendida serata, non trovate? »
Esordì uno di loro mentre gli altri
annuivano.
“Bene, almeno so chi è il capo della
banda” pensò con freddezza mentre la luce di quelle torce delineavano i suoi
lineamenti.
Era abbastanza alta per i suoi
diciotto anni e i capelli scuri erano corti e decisamente fuori controllo,
sulla guancia sinistra c’era una voglia a forma di drago che risaliva verso l’occhio
donandole un aspetto quasi misterioso.
« Ma siamo sicuri che è una donna,
capo? Indossa uno stranissimo kimono … sembra più un ragazzino. »
Uno degli uomini che reggevano la
strana fiaccola parlò esprimendo quel suo pensiero mentre gli occhi nocciola
della loro “preda” li studiavano con attenzione. Quelle parole non erano
lusinghiere, nessuno l’aveva mai scambiata per un ragazzo e la cosa non le
piacque ma non era il momento, pensò, per preoccuparsi di questi dettagli.
Quei tizi erano veramente strani.
Il loro capo, nel frattempo, si era
avvicinato ancora di più alla ragazza e la guardava con una strana luce in
quegli occhi scuri.
« I vestiti sono l’ultima cosa di cui
mi preoccuperei, ragazzi, quando avremo finito … sarà un miracolo se riuscirà
ad alzarsi ancora in piedi. »
La mano di quell’uomo si avvicinò a
lei ma prima che potesse anche solo pensare di toccarla la ritrasse dolorante
mentre alcune gocce di sangue macchiavano il terreno sottostante, al riflesso
della luna piena brillava una piccola la argentea ora coperta di sangue.
« Dannata … » mugugnò dolorante il
capo mentre si ritraeva e i suoi uomini avanzavano verso di lei.
“Ci mancavano solo gli ubriachi usciti
da una fiera del fumetto” pensò mordendosi piano le labbra e tenendo ben in
vista il coltello mentre quegli uomini cominciavano ad estrarre le loro armi
dai foderi.
“E’ meglio scappare prima di
scoprirlo!”
Era una follia, lo sapeva bene, ma
non aveva nessuna intenzione di farsi “prendere” da quei tizi e correre nell’oscurità
non era di certo una cosa furba.
“Ma cosa posso fare?! Non posso certo
sperare che qualcuno venga a salvarmi. Se la situazione diventa pericolosa,
allora … “
Aumentò la stretta attorno alla
spallina che reggeva al corpo la custodia della chitarra. In quel momento si
spostò di lato e veloce cominciò a correre in direzione del bosco.
« Bastarda! Inseguitela, presto! »
Cercava di correre più diritta
possibile e mettere maggiore distanza dai suoi inseguitori, fortunatamente a
piedi come lei, dalla sua parte aveva il peso della chitarra sulle spalle a
rallentare la sua corsa.
Era la serata delle corse, pensò
amaramente, correndo ora in direzione di una luce poco più distante da lei. Una
strada? Qualunque cosa fosse, pensò, era la sua salvezza e con un movimento
preciso richiuse il coltello per nasconderlo in tasca.
Nel correre si sbilanciò in avanti
alcune volte a causa del peso della chitarra, le dita sfioravano il terreno
morbido sotto di se per un leggero istante prima di rialzarsi e riprendere così
la sua folle corsa verso la salvezza.
Era vicina, vicinissima al pari delle
voci degli uomini alla sua schiena. Li sentiva, vedeva proiettarsi la propria
ombra sul terreno.
Era arrivata e davanti a se non vide
una strada, come sperò, ma bensì quello che sembrava un accampamento con dei
cavalli. Si guardava attorno, spaventata e stavolta seriamente preoccupata. Il petto
si alzava e abbassava ritmicamente mentre la mente si svuotava.
Fu in quel momento, quando girandosi
di lato per cercare un'altra via di fuga, il suo corpo sbatté contro qualcosa
di resistente ma anche soffice.
L’impatto fu immediato e atterrò
malamente con il fondoschiena sul terreno, alzò lo sguardo, spaventata e
davanti a se trovò il muso di una creatura che non aveva mai visto prima. Era
un gatto, ma molto più grande, dal pelo color crema con qualche striatura nera
e denti a sciabola come le tigri dell’era preistorica. La sua mente non poteva
credere a quello che i suoi occhi stavano vedendo, una certezza aumentata
quando vide scendere da quella creatura un giovane ragazzo che non doveva avere
altro che la sua età. Indossava una veste scura con delle protezioni di un
leggero colore ambrato, legata alla schiena vi era un arma davvero strana e
molto grande.
« … Va tutto bene? » Domandò il
giovane ma lei non aveva nemmeno la forza di rispondere in quel momento, per
sua fortuna il ringhiare di quella creatura demoniaca
attirò la loro attenzione sugli inseguitori della ragazza.
Il misterioso ragazzo, l’unico finora
con un aspetto vagamente normale, sembrava guardarli con una calma pacata ma
senza cedere di fronte al loro sguardo minaccioso.
« Ragazzino fatti da parte e
consegnaci quella puttanella! »
A parlare non fu altro che l’uomo
ferito da lei stessa, il capo a quanto sembrava, lei si limitò a guardare il
giovane davanti a lei chiedendosi quali potevano essere le sue intenzioni.
L’avrebbe salvata? Oppure no?
Salve a tutti!
Sì, sono proprio una pessima persona.
Sebbene io abbia una storia in corso in un altro fandom
mi sono buttata a capofitto in questa mia nuova idea. Tuttavia, essendo lo
sprazzo di un momento, non so bene se vale la pena continuarla oppure no. Devo
decidere.
In ogni caso mi rimetto alle vostre critiche e ai vostri commenti. Ditemi
quello che pensate e quello che vi aspettereste di vedere perché le ritengo le
recensioni migliori ♫ Un grazie di cuore in anticipo a
tutti coloro che sono arrivati fino in fondo.
In quel momento si sentiva come una
condannata a morte in attesa del giudizio divino.
Aveva smesso di credere in una
qualche esistenza superiore che potesse venire in suo aiuto molti, molti anni
prima di quel giorno, eppure, in quel momento, avrebbe volentieri pregato per
un miracolo qualsiasi che la salvasse da quella situazione. Sentiva quasi dei
rivoli di sudore freddo percorrere il suo viso, dalla fronte scivolando sino alla
guancia mentre il suo corpo tremava leggermente per la paura.
Non riusciva a capire. E non capire
qualcosa non le piaceva.
Si concentrava sul viso del ragazzo,
sembrava davvero avere la sua età, ma in quegli occhi castani non riusciva a
leggere niente di particolare; erano vivi, ma allo stesso tempo velati da
qualcosa che nemmeno riusciva a immaginare.
Nel frattempo quella strana creatura
si era messa in posizione difensiva e ora che la guardava bene poteva notare le
due code, oltre ai denti che aveva già avuto modo di scorgere prima.
“Se questo è un incubo dovuto alle
droghe … voglio svegliarmi”.
« Kirara … »
La voce del ragazzo era calma ma il
suo sguardo si era fatto più serio, quella specie di gatto demoniaco, si
rivolse agli uomini che la stavano inseguendo ringhiando minacciosa. Gli uomini
indietreggiarono, nascondendosi dietro il loro capo che non sembrava
altrettanto intenzionato a lasciarla perdere.
Aveva un taglio abbastanza profondo alla mano dominante ma in quel momento la
rabbia, il desiderio di vendicarsi e il dolore avevano toccato il punto critico
e ora non sentiva più niente. Per questa ragione gli fu facile stringere la
mano attorno all’impugnatura della katana, estraendola e puntandola contro il misterioso
salvatore e il suo compagno.
« Non metterti in mezzo ragazzino! »
Aveva già messo la mano in tasca per
tirare fuori il proprio coltello da lanciare addosso a quell’uomo, ma il suo
misterioso salvatore fu più rapido nel liberare quella strana arma dalla sua
schiena. Sembrava proprio un kusarigama, ma
molto più grande e articolato in questo senso ed era il tipo di arma che aveva
visto solo nei libri di storia.
Non si spostò, si limitò a fermare i
movimenti dell’uomo con rapidità avvicinando la sua lama al suo collo e il
ringhiare minaccioso di quella creatura, Kirara, aveva creato la situazione
ideale per ribaltare il risultato.
I compagni dell’uomo dopo un attimo
di esitazione scapparono, arrivando ai cavallie cominciando a scappare nell’oscurità sempre più fitta del bosco.
L’uomo sembrò farsi sempre più
pallido mentre decideva anch’egli di allontanarsi in gran fretta dopo essere
stato abbandonato anche dai suoi uomini.
La situazione di pericolo sembrava
passata, almeno per il momento.
Il ragazzo allora si volse verso la
ragazza e le porse la mano per aiutarla a rialzarsi ma lei lo guardava ancora
con gli occhi sbarrati, il respiro più regolare ma ancora troppo scossa e la
mano stretta attorno all’impugnatura del suo coltello nella tasca della giacca.
Il giovane sembrò notare il passare incessante del suo sguardo da Kirara a lui,
un cenno di assenso alla gatta
demoniaca e questa si rimpicciolì divenendo molto più graziosa e meno
minacciosa.
Deglutì un po’ di saliva e afferrò la
mano del ragazzo, alzandosi in piedi e ritrovando una certa stabilità nelle
gambe.
« Grazie. » rispose infine la ragazza
mentre la misteriosa gatta di nome Kirara saliva sulla spalla del ragazzo,
miagolando felice e strappandogli un sorriso sincero che la lasciò sorpresa. Il
ragazzo aveva da prima posato la propria arma a terra e ora fissava la giovane,
incuriosito mentre con una mano accarezzava la nuca di Kirara.
« Hai dei vestiti molto strani. »
esordì quasi immediatamente il ragazzo lasciando di nuovo ammutolita la sua
controparte.
« Cos’hanno di strano si può sapere?
»
A quel punto quella domanda era
lecita. “Cos’ho addosso di così strano? Non posso credere che in un paesino di
campagna non conoscano i pantaloni. Posso capire il mio giacchetto, ma il non
riconoscere una maglietta scura e i pantaloni mi sembra proprio assurdo”. Pensò
con una certa preoccupazione mentre un pensiero, per quanto assurdo, aveva
cominciato a farsi strada nella sua mente.
Un sospiro e fece scivolare la
custodia della chitarra dalla spalla, ora particolarmente dolorante,
poggiandola delicatamente a terra e vicino alle sue gambe di modo da
sorreggerla. Il fuoco crepitava leggero, riscaldandola dal freddo della sera.
« Non sono cose che si vedono tutti i
giorni. Un po’ di tempo fa ho conosciuto una ragazza che indossava vesti strane
come le tue; è una sacerdotessa. »
“Fantastico”, pensò sospirando mentre
si andava a sedere a terra, nuovamente, accompagnando la propria chitarra e
passandosi una mano tra i capelli.
« Senti, io non capisco niente di
quello che sta succedendo ora. Vorrei soltanto sapere dove mi trovo e tornare a
casa il più in fretta possibile … »
Non capiva, non riusciva a capire
quello che stava succedendo e sentiva la testa prossima allo scoppio se non
trovava un filo di logica in quello che succedeva.
Il ragazzo la guardava, non trovando
parole per aiutarla a quietarsi e l’unica cosa che fece fu di sedersi sul
terreno, dal lato opposto del fuoco mentre Kirara scendeva dalle sue spalle e
andava verso la ragazza appena salvata.
Non capiva il motivo, ma guardandola
provava una strana sensazione di familiarità e lo stesso Kirara. Si era subito
avvicinata a lei, miagolando per attirare la sua attenzione e chiedendo di
essere accarezzata – cosa che agli estranei non veniva permesso con facilità.
Quando la giovane rialzò lo sguardo
trovò il suo salvatore, chiunque egli fosse in realtà, intento a guardarla in
modo diverso da prima. Sospirò mentre con due dita picchiettava la voglia a
forma di drago che aveva sul volto.
« E’ vera, non me la sono fatta da
sola. »
Tutti quelli che la conoscevano
finivano per fissare quel segno inebetiti fino a quando, esaurita, si affrettava
a specificare che non era un tatuaggio fatto sul volto per qualche strano
rituale o desiderio masochistico.
« Ah, scusa dicevi? » rispose il
ragazzo, riavendosi dai suoi pensieri. « In realtà non ci stavo facendo caso, mi
stavo chiedendo se non ci fossimo già incontrati … prima. »
« Se hai detto di non aver mai visto
abiti come i miei non pensi di esserti risposto da solo? »
Una punta di sarcasmo nel tono della
voce mentre rassegnata afferrava la custodia della sua chitarra, poggiandola
piano a terra e aprendo la cerniera. Prima mise una mano nella tasca dei
pantaloni e si affrettò a spegnere il cellulare, decisa a risparmiare almeno sulla
batteria.
Il ragazzo non sembrava un grande
amante delle conversazioni, lo stesso si poteva dire per lei stessa sebbene non
amasse l’eccessivo silenzio, chiaro, ma faticava a parlare con persone non
familiari e sconosciute.
Kirara si spostò, tornando vicino al
ragazzo che si premurò di carezzare la sua schiena mentre osservava la ragazza
armeggiare con quello strano strumento, anch’esso mai visto prima, con una
concentrazione ancora maggiore.
Anche in quei gesti c’era qualcosa di
familiare ai suoi occhi, ma non riusciva a capire cosa di preciso dal momento
che si trattava di una sensazione molto lontana.
Le dita della ragazza passarono sulle
corde della chitarra producendo un suono leggero, attirando l’attenzione di
entrambi che ora più che mai la guardavano incuriositi – nemmeno loro avevano
avuto modo di fare conversazioni con altre persone da molto tempo.
« Cosa stai facendo? »
I suoi occhi nocciola non si
staccarono dalle chiavi sulle quali stava lavorando da prima.
« Cerco di sistemare la mia chitarra.
»
Sospirò ancora, prima ancora che il
suo interlocutore potesse dire qualcosa si girò verso di lui, accennando un
sorriso e posizionò la chitarra sopra le sue gambe incrociate. Una mano sulla
tastiera, le dita premute contro le corde e l’altra, passando sopra la sua
struttura si posizionavano più in basso.
« Visto che mi hai salvato posso
suonare qualcosa per te. Non ho denaro con me e non posso sdebitarmi in nessun
altro modo. »
« Ma no, non c’è bisogno che … »
« Invece sì, sono in debito e mi
piace saldarli come meglio posso. »
« Non occorre, davvero. E’ stato un
caso che mi sia trovato qui; non riuscivo a riposare e così … »
Il sorriso rispuntò sulle labbra
della ragazza.
Era stato solo un attimo, vero, ma non le era sfuggita quella reazione del suo
corpo: era dolore.
Stava mentendo, evidentemente c’era
anche qualcos’altro in ballo; ma non era un suo problema.
« Allora non siamo poi così diversi. Io
mi chiamo Reiko, a proposito. »
Rispose con tranquillità mentre
faceva scorrere le dita sulle corde per ricreare quelle note di una canzone che
aveva sentito in un videogioco, era un ritmo malinconico e stranamente la
vedeva adatta alla serata.
« Our Hero, our Hero, claims a warrior's heart.
I tell you, I tell you, the Dragonborn comes.
With a Voice wielding power of the ancient Nord arts Believe,
believe, the Dragonborn comes … »
Le dita scivolavano sulle corde in modo leggero
e preciso. Davanti al fuoco che danzava quella canzone sembrava prendere vita,
gli occhi nocciola di Reiko sembravano persi in un mondo diverso mentre
continuava a cantare.
Il ragazzo, ovviamente, non aveva capito
assolutamente niente delle parole che stava pronunciando. Erano un incantesimo
per le sue orecchie, pensò, dal momento che non aveva mai sentito un suono e
una voce simile.
La guardava dall’altra parte delle fiamme, il
viso illuminato da riflessi arancioni ne segnava i tratti risaltando quei
capelli color ebano così corti e scompigliati e anche gli orecchini d’oro che
portava; due su un orecchio e uno solo dal lato opposto.
A guardare la sua espressione mutare con la
canzone per un momento l’immagine di Reiko e di sua sorella si sovrapposero.
Scosse velocemente il capo sotto lo sguardo
perplesso di Kirara che inclinò leggermente il muso miagolando.
Era solo una sua impressione, si ripeté
mentalmente, una sensazione generata dalla troppa stanchezza e da quello strano
incontro.
La musica lentamente cessò.
Reiko allontanò le dita dalle corde e poggiando entrambe le braccia sul corpo
della chitarra si sporse in avanti, sorridendo appena e aspettando qualcosa.
« Allora? Che ne pensi? »
« Ecco … In verità, non ho capito niente di
quello che dicevi e anche il suono di quello strumento mi è poco familiare. »
« Questa tua onestà mi piace molto. »
La risposta così diretta di Reiko lo colse alla sorpresa.
Temeva che quel suo modo di fare potesse averla in qualche
modo offesa, magari delusa, ma non quella reazione così placida e soddisfatta.
Persino Reiko si sorprese della sua reazione ma l’onestà
del suo misterioso salvatore era sufficiente a placare il suo lato sarcastico,
ogni volta che era circondata da persone, soprattutto sconosciuti, non poteva
fare a meno di trattenersi nell’esporre quello che pensava e su quanto palesi
potessero essere le loro menzogne. Queste conoscenze erano generate da anni di
studio intenso e approfondito sull’argomento.
Per farsi perdonare l’aver cantato in una lingua
incomprensibile alle sue orecchie si diede da fare per tradurre il testo,
spiegandolo, usando parole chiare e semplici per arrivare al concetto.
Si picchiettò la guancia a quel punto, ridacchiando e
scuotendo il capo per l’ironia del testo.
« Dunque, esisterebbe a questo mondo una sorta di progenie
dei draghi? »
La domanda fu posta con tanta serietà che all’inizio Reiko
scoppiò a ridere, ma accortasi che il ragazzo la stava fissando abbastanza
intensamente e con fare serio e senza nascondere una certa preoccupazione si
affrettò a dire.
« In verità no.
E’ una canzone, dopotutto, è stata pensata per dare senso
alla trama di una storia che non ha niente di reale. Mi piaceva e ho deciso d’impararla,
tutto qui. »
Il ragazzo non sembrava ancora convinto e allora aggiunse:
« e’ solo una canzone e i draghi non esistono. Non sono mai esistiti, sono solo favole e
leggende. Se fosse vero, cosa che non è, sarebbe sicuramente un guerriero e non
una ragazza che non sa nemmeno scappare da una banda di pervertiti. »
Una vocina nella sua mente le ricordava che anche quello
strano gatto, accoccolato accanto al ragazzo, doveva essere una favola e una
leggenda.
« Se lo dici tu … » rispose distrattamente il ragazzo
ancora più confuso di prima.
« Piuttosto, signor salvatore, io ti ho detto come mi
chiamo ma tu non hai risposto. »
Non aveva ancora saputo il suo nome e chiamarlo sempre “signor
salvatore”, pensò, era una vera e propria seccatura.
« Kohaku. » rispose a quel punto, accennando un leggero
sorriso. « Mi chiamo Kohaku. »
Salve a tutti!
Con questo primo capitolo abbiamo
finalmente dato un nome alla nostra protagonista e al suo “misterioso”, ma non
troppo, salvatore. Come avrete capito la storia parte dal finale del manga e da
esso riprende le mosse. Cercherò di essere quanto più fedele mi è possibile, ma
abbiamo tutti dei limiti e per questa ragione ho aggiunto altri quattro anni
dal finire della storia.
Troverete tanti, tanti riferimenti ad altre opere e canzoni che la nostra
protagonista citerà. La canzone che ha cantato per Kohaku è “Dragonborn” una theme di Skyrim che trovate
tranquillamente online e vi consiglio di sentire, in particolare, la versione
di Malukah che mi ha molto ispirato.
Ultima cosa e poi ho finito, giuro, in questa storia troverete anche diversi
riferimenti a “Over the Garden Wall”
– una miniserie animata che raccomando vivamente a tutti.
Come sempre, o meglio come dal prologo, v’invito a lasciarmi qualcosa scritto
per avere i vostri pareri sul continuare o meno.
Alla fine si era deciso che l’avrebbe accompagnata nel
luogo dove risiedeva quella persona che portava vesti simile alle sue, le aveva
detto Kohaku, sicuramente avrebbe potuto trovare delle risposte più
soddisfacenti in sua compagnia. Reiko non sembrava ancora convinta ma alla
fine, suo malgrado, si trovò costretta ad accettare un ulteriore favore da
parte del ragazzo davanti a lei e che prima le aveva salvato la vita.
L’idea di parlare con una sacerdotessa non la entusiasmava
poi molto, dopotutto, lei che aveva rinnegato ogni divinità e non credeva che
potesse esistere una forza superiore a guidare il mondo, era proprio l’ultima
persona a voler ricevere consigli da qualcuno che lavorava in un tempio – ma
non c’era altra scelta.
La serata trascorse così, accompagnata dalle note della sua
chitarra e da qualche domanda, di tanto in tanto, su quello che doveva
aspettarsi da questa sacerdotessa ma Kohaku si limitava a dire che avrebbe
potuto valutare da sé una volta arrivata al villaggio.
Alla fine giunse l’alba che rischiarava con i suoi raggi
dorati le cime degli alberi, aprendo il cielo a un nuovo e luminoso mattino.
“Se qualcuno mi avesse detto che un giorno avrei viaggiato
in groppa a una specie di gatto gigante gli avrei riso in faccia”, pensò
divertita mentre guardava Kohaku salire in groppa a Kirara e farle segno di
seguirla.
Sistemò la chitarra su entrambe le spalle questa volta,
dividendo equamente il peso e assicuratasi di non aver perso niente salì
anch’ella.
Strinse la presa attorno alla vita del ragazzo ma stando
attenta a non appoggiarsi troppo per via di quella strana arma legata sulla
schiena, chiuse gli occhi e dopo un sobbalzo si trovarono a volare nel cielo.
Riaperti gli occhi nocciola si trovò completamente rapita
dallo scenario davanti ai suoi occhi, così diverso e lontano da quello della
città e più quieto – faceva uno strano effetto, ma non per questo era cosa
sgradita.
Kohaku la osservava con la coda dell’occhio e nel vedere i
suoi lineamenti, tralasciando quello strano segno a forma di drago sul viso,
sembrava davvero avere qualcosa in comune con sua sorella.
“Ma no, è impossibile” si ripeté mentalmente, “è soltanto una mia impressione”.
Era solamente quello: una banale sensazione.
Forse, pensò ancora, era per il fatto che non vedeva sua
sorella da tantissimo tempo e con lei il monaco che aveva scelto come marito e
i suoi nipoti.
La mente di Reiko, invece, aveva lasciato da parte la
sensazione di familiarità che sentiva provenire dal ragazzo per concentrarsi su
qualcosa di più attuale: tornare a casa.
Se non fosse rientrata subito, o almeno non avesse fatto
una chiamata, suo zio avrebbe smosso tutti i suoi uomini per ritrovarla e non
faticava a immaginare le conseguenze vista la tensione che c’era in quei giorni
a casa.
Senza accorgersene quei pensieri avevano fatto aumentare la
stretta delle mani attorno alla vita di Kohaku, il quale piegò appena il viso
in direzione della ragazza e domandò se andava tutto bene ma Reiko annuì, meno
sorridente di quando erano partiti, confermando che non aveva altri problemi se
non quello di tornare in fretta a casa.
Viaggiarono per circa un ora quando Kirara cominciò
lentamente a ridiscendere fino ad atterrare in prossimità di un pozzo, allentò
la stretta attorno alla vita di Kohaku e scese a terra continuando a guardarsi
in giro.
« Se vai in direzione di quel grande albero troverai il
villaggio di Musashi. »
Aggiunse Kohaku indicando un albero altissimo, più alto di
tutti gli altri e che di certo attirava l’attenzione con la sua maestosità. Non
aveva mai visto un albero simile in città.
Solo dopo diversi
attimi di contemplazione si rivolse a Kohaku, visibilmente a disagio e
passandosi una mano tra i corti capelli con una certa foga. Odiava sentirsi in
debito, le avevano sempre insegnato che ogni debito e favore andava ripagato,
dare e avere, le leggi del mondo in cui viveva e della società nella quale era
cresciuta.
« Kohaku, senti, ti ringrazio davvero per tutto quello che
hai fatto per me. L’ho apprezzato molto. »
Accennò un leggero sorriso senza spostare lo sguardo da
quello di Kohaku.
Per qualche ragione che non capiva si sentiva in imbarazzo,
tant’è che un leggero color porpora si propagò sulla punta delle orecchie,
abbassò il viso e tornò a guardare avanti a se.
« Non mi devi niente.
Se proprio vuoi sdebitarti … Non dire che sono stato io a
salvarti, d’accordo? »
Era davvero passato molto, molto tempo da quando era andato
a trovare la sorella e il passare dei giorni aveva reso la sua visita sempre
più difficile.
Reiko lo guardava, o meglio cercava di decifrare la sua
espressione.
In due cose si reputava davvero brava: con le mani e con
l’osservazione attenta e meticolosa. Questi erano i suoi vanti.
In quel momento si accorse che c’era qualcosa che
preoccupava il ragazzo, qualcosa che andava al di là della semplice richiesta,
alla quale, acconsentì e dopo averle ricordato il nome della ragazza a cui
doveva rivolgersi se ne andò via.
Rimase un po’ ferma, mani in tasca e gli occhi puntati al
cielo.
“Kagome, eh? Speriamo sia ancora da queste parti.”
Tolse una spallina dalla spalla e fece scivolare davanti,
almeno per metà, la custodia della chitarra. Vi erano due tasche, una piccola e
più grande. Aprì quella piccola dove erano contenuti gli spiccioli e anche
l’accendino e un posacenere in pelle portatile. Dalla tasca dei pantaloni,
invece, prese il pacchetto di sigarette ancora intatto e una volta aperto
estrasse una sigaretta. Tratteneva l’accendino con i denti per qualche secondo,
il tempo di risistemare il pacchetto di sigarette nella tasca dei pantaloni e
finalmente poteva accendersi la sua prima sigaretta di giornata. La nicotina
aveva davvero un potere calmante, pensò mentre tirava la prima boccata
rilasciando una leggera nuvola di fumo grigio, ispirò a fondo e sistemò nuovamente
la chitarra sulle spalle prima di cominciare la sua camminata.
“Forse questo è un segno. Una prova per dirmi che devo
smettere di fumare una buona volta, eh?”
A quel suo pensiero le venne da sorridere.
Smettere di fumare? Sarebbe stato bello, certo, ma per il
momento non era tra i suoi principali obbiettivi di vita. La sua camminata
proseguì tenendo sempre le mani nel giacchetto e la sigaretta tra le labbra. Si
sentiva quasi in colpa a fumare in un posto tanto verde e piacevole, un posto
così lontano dal caos della città, ma il suo bisogno superava di gran lunga i
sensi di colpa.
Dopo diversi minuti raggiunse uno spazio aperto dal quale
si ergeva il grande albero che prima Kohaku le aveva indicato, si fermò
incantata dalla sua bellezza, gli occhi nocciola fissi sulle fronde più alte
dalle quali qualche raggio di sole filtrava per giocare con le ombre sul
terreno.
La corteccia dell’albero, tuttavia, appariva danneggiata e
nella parte più scavata riusciva quasi a scorgere un buco, come se vi fosse
stato conficcato qualcosa.
Una leggera folata di vento si alzò da terra, giocando con
i suoi capelli e con le foglie del grande albero.
Un ultimo tiro e anche la sua sigaretta era finita, un
sospiro e la spense nel posacenere portatile, come faceva sempre, gettandovi il
mozzicone al suo interno e risistemandolo nel luogo dove doveva stare.
« Aspetta Inuyasha! Qui non c’è traccia di fumo o di
qualcos’altro. Magari ti sarai sbagliato. » proruppe una voce maschile alla
quale si accompagnava uno strano tintinnio in avvicinamento. Sistemò in fretta
la chitarra sulla schiena ed estrasse nuovamente il coltello dalla tasca della
giacca, questa volta,pensò, non aveva
nessuna intenzione di farsi trovare impreparata.Si morse le labbra avvertendo un leggero
fastidio all’occhio sinistro che socchiuse un poco.
« Il mio fiuto non sbaglia mai, Miroku. Sento uno strano
odore di fumo … »
Aggiunse una seconda voce, e mentre valutava se nascondersi
o meno dietro quell’albero fu raggiunta dai due misteriosi interlocutori. Il
primo indossava una specie di kimono, una tunica per lo più, scura e violacea e
si accompagnava a un bastone che aveva visto solo nelle fotografie di alcuni
monaci.
Fissava entrambi, sbalorditi anche loro evidentemente dalle
espressioni ebeti che avevano assunto tutti e tre, il secondo ragazzo, perché
un ragazzo doveva essere per forza, indossava degli sgargianti abiti rossi e
oltre ai lunghi capelli argentei aveva delle bellissime e soffici orecchie
canine.
« Beh … » esordì Reiko, gli occhi puntati su quelle
orecchie così strane e l’espressione ancora più sconcertata di prima mentre
continuava a tenere in mano il suo coltello, « questa situazione è alquanto
assurda. »
Sia Miroku che Inuyasha fissavano la ragazza senza
nascondere il loro stupore.
Indossava uno strano abito, molto simile a quello che
spesso avevano visto indosso a Kagome, senza contare che aveva anche uno strano
oggetto appeso alla schiena e dalle dimensioni abbastanza voluminose.
L’attenzione di entrambi venne catturata da quello strano marchio che Reiko
aveva sulla guancia sinistra – un drago che risaliva verso l’occhio e la cui
testa si poteva scorgere solo per un secondo, un battito di ciglia
letteralmente poiché il resto continuava sulla palpebra.
« Emani uno strano odore per essere un umana. » esordì
Inuyasha poggiando la mano sull’impugnatura della sua katana, Tessaiga, pronto
a sguainarla nel momento opportuno ma così facendo mise sulla difensiva Reiko
che memore della notte appena trascorsa fece alcuni passi indietro.
« Allora tappati il naso, Pochi. »
« C-Come hai detto ragazzina?! » stava già per estrarre
Tessaiga al culmine della rabbia quando fu colpito alla nuca, in modo per
niente gentile, da Miroku che lo fissava con un’espressione seria che
contrastava quella di sconcerto che gli rivolgeva.
« Miroku, dannato! »
« Calmati Inuyasha! la ragazza è chiaramente spaventata e
offenderti non era nei suoi interessi. »
“Veramente io mi sono divertita”.
Era strano.
Non conosceva quello strano ragazzo con le orecchie, ma
stuzzicava quella parte sarcastica di lei e prima ancora di riflettere aveva
risposto, pungente e anche offensiva, compiacendosi della reazione avuta. Era
un tipo divertente, a modo suo.
Inuyasha rispose stizzito allontanando le mani dalla katana
e incrociandole al petto come farebbe un bambino contrariato, Reiko fissava la
scena senza lasciare la presa dal suo misero coltello che di certo non avrebbe
potuto fare niente da solo.
« Però è vero che ha addosso uno strano odore … » ribatté
Inuyasha in una smorfia di puro disgusto.
Il monaco si girò verso di lei, sorridendo e compiendo
qualche passo nella sua direzione ma Reiko, ancora incerta, ne fece altrettanti
indietro e mostrò con più decisione il coltello.
« Guarda che ho una buona mira … »
« Non lo metto in dubbio. » rispose Miroku in modo
piuttosto pacato e cercando di creare un atmosfera più rilassata attorno a
loro. « Possiamo conoscere il tuo nome e come sei arrivata qui? »
« Mi chiamo Reiko. Ieri sera mi sono trovata nel bel mezzo
del bosco, fuori dalla mia città, senza sapere ne il come e nemmeno il perché.
Voglio solo tornare a casa mia. »
A quel punto, pensò, nascondere qualcosa non aveva senso e
magari quei tizi potevano aiutarla.
« Mi hanno parlato di una sacerdotessa di nome Kagome … »
gli occhi di Reiko non persero tempo a captare i movimenti delle orecchie di
Inuyasha, ora più attento al discorso tant’è che spostò appena il viso nella
sua direzione guardandola in modo poco amichevole.
“Bingo”, pensò soddisfatta Reiko.
« E che cosa desiderate dalla Divina Kagome? » continuò Miroku, interrompendo
il flusso dei pensieri di Inuyasha.
« Quello che ho detto. » sottolineò nuovamente Reiko mentre
richiudeva il coltello sistemandolo nella tasca della giacca. « Voglio soltanto
tornare a casa, e da quello che mi hanno riferito è l’unica in grado di
aiutarmi. »
Nessuno di loro sentiva provenire da Reiko energia
negativa, a parte l’odore di fumo, avvertito anche da Miroku ora che le era più
vicino, alquanto fastidioso e pungente. Non era un demone, di questo ne erano
sicuri basandosi solamente sui vestiti che portava, abiti che avevano visto
indosso solamente a Kagome – Inuyasha li conosceva bene, dal momento che molti,
dall’altra parte del pozzo, si vestivano in quel modo. Come Kagome, questa
ragazza non apparteneva alla loro epoca.
« Se è così allora vi prego, seguiteci. »
« Siete sicuro signor monaco? Il vostro amico non mi sembra
della stessa opinione. »
Un cenno della mano e indicava Inuyasha, visibilmente
contrariato per la decisione presa da Miroku e quest’ultimo, sospirando esausto
passò un braccio attorno al collo del mezzo demone per attirarlo un poco più
giù e dato le spalle alla ragazza, disse:
« Ascolta, la situazione è alquanto strana. Lo confesso.
Tuttavia, per quanto la situazione sia strana, non possiamo fare altro che
lasciar scorrere gli eventi. »
« Vuoi davvero portarla da Kagome? »
« Hai qualche idea migliore, Inuyasha? Che non comprenda
spaventare a morte una ragazza già spaventata … » si affrettò ad aggiungere
Miroku.
« Allora? Avete preso una decisione? »
Domandò Reiko, le mani strette attorno alle spalline della
custodia per la chitarra, aspettando con impazienza di essere condotta da
questa Kagome per poter finalmente tornare a casa.
Lasciato andare Inuyasha, ancora visibilmente seccato per
il commento di prima, si portò avanti a loro ancora con le braccia conserte
mentre Reiko si avvicinava a Miroku.
« Mi sembra di capire di sì. »
Aggiunse senza attendere una vera e propria risposta, accennando un sorriso di
pura cortesia e aspettando che si mettessero in marcia. A guidare quel piccolo,
e strano, gruppo era Inuyasha seguito da Miroku e Reiko.
Come Kohaku prima di lui, anche Miroku, accanto a Reiko,
provava una strana sensazione di familiarità ma non riusciva bene a
identificare quella sensazione.
« Se ve lo chiedete … » esordì Reiko, chiaramente accortasi
dello sguardo del monaco, « quello che ho sul viso è una voglia. Sono così
dalla nascita. »
Era una persecuzione, pensò, ma ormai si era abituata a
quel genere di domande e di sguardi tanto che si limitava a rispondere in modo
atono e distaccato.
« Mi avete frainteso, » si affrettò a spiegare Miroku
mentre Inuyasha, diversi passi avanti a loro, ascoltava la conversazione dei
due con un certo interesse. Quello strano odore di fumo poteva servire per
mascherare la sua natura demoniaca, dopotutto, non sarebbe stata la prima volta
che accadeva qualcosa del genere – seppure in questo caso si fossero dati molto
da fare.
« In realtà, mi chiedevo come mai avete addosso questo strano
odore. »
« Ho fumato una sigaretta mentre camminavo, tutto qui, non
mi sembra una tragedia. »
« Sigaretta? »
Sembrava alquanto perplesso mentre le porgeva quella
domanda, così, decisa a chiarire la situazione, mise una mano in tasca per
estrarre il pacchetto di sigarette che mostrò al monaco.
« Sono queste. »
Miroku fissò curioso il pacchetto rettangolare, ma senza
davvero capire.
« E’ solo un brutto vizio che mi porto dietro, in effetti
dovrei smetterla ma sai com’è: non si rifiuta mai un pasto. »
Entrambi, sia Inuyasha che Miroku, si fermarono di colpo a fissare
con stupore la loro misteriosa ospite.
Il modo tranquillo e pacato con cui lo espose ricordava
tanto, anzi più di tanto, quello di Miroku.
« Ho detto qualcosa di strano? » domandò Reiko passando lo
sguardo da Inuyasha a quello di Miroku, ma senza ricevere davvero una risposta.
Un sospiro mentre scuoteva il capo e passava avanti,
raggiungendo Inuyasha e superandolo prima di voltarsi nella sua direzione.
« Ehi, come fai a sapere i nostri nomi?! » sobbalzò
Inuyasha, scattando nella sua direzione mentre Reiko si limitò a muovere
leggermente le spalle prima di riprendere a camminare.
« Fate un gran casino quando parlate e a me piace
ascoltare. »
Ora che si trovava davanti, non potendo essere vista, si
lasciò scappare una debolissima risata rilassando il suo viso sebbene sentisse
ancora un leggero fastidio vicino all’occhio.
Dopo diversi istanti raggiunsero il villaggio che Kohaku le
aveva indicato, nel vederlo, alla fine, accettò l’idea che dalla sera
precedente balenava in un angolo della sua mente: ormai non era più a Tokyo,
meno che mai nel suo tempo.
Era talmente assurda come ipotesi che l’aveva subito
cacciata dalla sua mente, ma vedendo il villaggio, così semplice con i suoi
campi, gli uomini e le donne che vi lavoravano, era una prova più che
sufficiente per lei.
Avrebbe voluto lasciarsi andare a un sano attacco di panico
ma non poteva, non poteva farsi prendere dal pessimismo e rinunciare alla
lucidità logica che le avrebbe permesso di trovare una soluzione per tornare a
casa.
Passando per le stradine del villaggio sentiva lo sguardo
dei suoi abitanti su di se, i loro bisbigli alle sue spalle e le parole appena
sussurrate.
Erano infine arrivati davanti a una piccola casa nei pressi
di una grande scalinata che conduceva sicuramente a un tempio, in quel punto si
fermarono e vennero raggiunti da una giovane donna che scendeva proprio da
quegli scalini. Quest’ultima indossava gli abiti di una normalissima
sacerdotessa, casacca bianca e degli hakama rossi, lunghi capelli scuri come l’ala
del corvo erano lasciati sciolti sulle spalle e Reiko si trovò a pensare che
fosse davvero molto, molto bella in quel suo essere semplice.
« Inuyasha! » il viso della ragazza si fece più luminoso,
come il suo sorriso, aumentando il passo e avvicinandosi al gruppetto. « Mi
stavo preoccupando, e … Per tutte le Divinità! » esclamò la giovane guardando
sorpresa Reiko.
« Speriamo di no. »
La risposta di Reiko era velata da una punta di sarcasmo ,
come sempre, ma la reazione della donna non era stata la stessa degli altri e
poté ben vederlo subito.
“Sì, questa persona deve essere senza dubbio Kagome”.
Salve a tutti!
Prima di cominciare con qualsiasi cosa ci tengo a fare una piccola
precisazione, per chi non lo sapesse chiaro: Pochi, il nome che Reiko usa verso
Inuyasha, è in realtà uno dei modi giapponesi per rivolgersi a un cane .. un po’
come il nostro “fido”, insomma. Inoltre, la chitarra che Reiko ha con se e di
tipo classico ~.
Dopo questa formalità torniamo a noi.
Ringrazio di cuore KagomenoTaisho per
aver recensito e aver fatto di me un’autrice felice. Risponderò alla tua
curiosità dicendoti che sì, la storia sarà su di loro, ma ognuno avrà i suoi
spazi come è giusto che sia ma avrai modo di valutarlo nel corso dei prossimi
capitoli.
Mi auguro solamente di essere rimasta più IC possibile, erano davvero
tanti, tanti anni che non rimettevo mano alla storia di Inuyasha.
Passati gli attimi di iniziale sorpresa il gruppo entrarono
nella casa della vecchia Kaede, al momento fuori con Rin, decisi a sentire per
bene la storia di Reiko. Dal suo arrivo nel bosco, all’inseguimento con un
gruppo di samurai disertori e al suo salvataggio, sino all’arrivo nella loro
zona. Aveva fatto una promessa a Kohaku, per cui non fece mai il suo nome e si
limitò a dire che un “buon samaritano” l’aveva salvata da una fine quasi certa.
Davanti al fuoco che scoppiettava pigramente nel centro
della stanza i quattro si guardavano, incerti e valutando la veridicità del suo
racconto, nel frattempo Reiko aveva poggiato sul pavimento di legno la sua
chitarra e si era tolta la giacchetta di Denim rivelando una maglia scura dal
tessuto leggero e con il disegno di una rosa bianca sulle maniche. Il gambo
lungo e pieno di spine avvolgeva le braccia mentre due fiori, intrecciati tra
di loro, si trovavano sulla schiena all’altezza delle scapole.
« E’ strano » esordì Kagome, rompendo quegli attimi di
silenzio. « Non riesco a capire come sia possibile il tuo arrivo qui. »
« Andiamo bene … » fu la risposta celere di Reiko. Le mani
erano poggiate sul pavimento poco dietro di lei, il peso del suo corpo indietro
e gli occhi nocciola ora rivolti alle travi del soffitto. « Speravo che tu
conoscessi un modo per farmi tornare a casa. »
« Divina Kagome, non sarebbe possibile utilizzare ancora il
pozzo? »
« Non credo. Il pozzo ha funzionato per l’ultima volta quattro
anni fa, quando sono tornata per restare. »
E di nuovo calò il silenzio.
Reiko si sentì pervadere dalla stanchezza, dalla delusione
e dalla preoccupazione per quello che poteva accadere a causa sua a casa.
“Di sicuro non chiameranno la polizia, figuriamoci, lo zio
mi farà cercare ovunque sicuramente da domani e poi … “
Kagome la osservava senza nascondere la sua preoccupazione.
Quando l’aveva vista per un momento aveva creduto fosse una
sua allucinazione, una punizione divina o qualcosa di simile, per ricordarle la
vita che aveva lasciato alle spalle. Era felice dove si trovava con suo marito,
questo era un dato di fatto, ma la nostalgia rimaneva comunque – era umano. Era
normale.
« Ad ogni modo non ha senso stare qui a rimuginarci sopra.
»
La voce di Inuyasha riportò il gruppetto alla realtà,
riscuotendolo dal torpore e dai pensieri che si stavano accumulando sempre di
più.
« Tu, piuttosto, sei proprio sicura di non ricordarti
niente? »
« Se mi ricordassi qualcosa ti pare che avrei perso tempo a
trovarvi? » rispose con poca cortesia Reiko, cominciava ad accusare i primi
segni di stanchezza e il desiderio di ripetersi non era tra i suoi passatempi.
« Davvero, non lo so come ci sono finita nel bosco! Non
ricordo niente di preciso anche se, lo ammetto, quando sono entrata nel tempio
sono sicura che ci fosse qualcuno. Non so altro, e questo è tutto. »
Poggiò il gomito sopra la gamba mentre chinava il capo,
sospirando stanca e poggiando la nuca contro il palmo della mano.
« Potrebbe anche trattarsi di un demone … » propose Miroku,
valutando ogni ipotesi possibile in base a quello che Reiko aveva detto.
« Impossibile, non esiste demone abbastanza potente da
creare un passaggio fino al vecchio mondo di Kagome. »
La voce di Inuyasha, le parole di risposta di Miroku e
Kagome apparivano sempre più lontane mentre la sua mente si annebbiava sempre
di più. Sentiva un gran fastidio al suo occhio, un calore intenso che si
sprigionava da sotto la pelle fino nell’occhio. Non si era mai sentita così.
Mai, mai in tutta la sua vita.
« Reiko? Reiko, va tutto bene? »
La voce di Kagome, premurosa e rassicurante, si sforzò di
alzare lo sguardo per rispondere che non c’era niente che non andava ma sarebbe
stata bugia.
Stava per dire qualcosa quando il dolore divenne più
intenso, strappandole un gemito di dolore mentre il suo corpo scivolava di
lato.
Inuyasha e Miroku osservavano la scena, preoccupati e
sconcertati nello stesso istante, fu Kagome la prima ad avvicinarsi ma quando
fece per sfiorare il suo viso la sua mano venne come respinta indietro da una
leggerissima scarica elettrica.
« Kagome! » il primo ad avvicinarsi fu Inuyasha,
preoccupato afferrò la mano della moglie e la ritrasse da Reiko. Sorrise,
felice nel vedere quel lato premuroso di suo marito ma in questo caso, da
quello che poteva vedere, completamente inutile.
« Divina Kagome, cos’è accaduto? »
Gli occhi del monaco si puntarono su quello strano segno
che la ragazza chiamava “voglia”.
Non era qualcosa di comune, non qualcosa di così chiaro
almeno, qualcosa sfuggiva alla loro comprensione e forse la presenza della
ragazza in quell’epoca era proprio causato da quel segno sul viso.
Kagome scosse il capo alla domanda di Miroku e tornò a
fissare preoccupata Reiko, ansimante sul pavimento e una mano premuta contro il
viso nel tentativo di placare il dolore in un qualsiasi modo.
« Non lo so. Qualcosa m’impedisce di avvicinarmi oltre. »
« Non scherzare … Non dovrebbe esistere forza, in questo
mondo, capace di tanto. »
Da quando il sigillo sui poteri di Kagome era venuto meno i
suoi poteri non avevano fatto che crescere, negli anni trascorsi con la vecchia
Kaede aveva imparato a dominarli meglio e ora l’aiutava con qualche esorcismo.
Stavano ancora valutando la situazione quando qualcun altro
entrò nella piccola casa; era Sango.
In braccio aveva un bambino di circa quattro anni, Komori,
l’espressione preoccupata e il respiro affannoso.
« Sango, che succede? » domandò Miroku, apprensivo mentre
si avvicinava alla donna che amava.
« Meno male che siete tornati! Alcuni briganti si stanno
dirigendo in questa direzione … »
Reiko non riusciva a sentire altro.
Solo un gran trambusto e delle voci concitate che uscivano
da quella casa. Lei rimaneva lì, a terra, la donna che per ultima era arrivata
rimase con loro poggiando a terra il bambino che subito andò a guardarla con
evidente curiosità. Altre due bambine la raggiunsero spaventate e preoccupate.
Reiko, dal canto suo, non sapeva se ridere o piangere per
quella situazione assurda che stava vivendo.
Un'altra fitta e sentì l’intero suo corpo contorcersi,
rannicchiandosisu stessa mentre le
sembrava che il liquido contenuto all’interno dei suoi occhi andasse
letteralmente in ebollizione. Lanciò un urlo, incapace di trattenerlo oltre e
riprese a contorcersi sotto lo sguardo preoccupato di Sango e spaventato dei
bambini.
Inuyasha, Kagome e Miroku avevano appena raggiunto il
limite opposto del villaggio, dalla parte opposta all’ingresso del bosco
dell’Albero Sacro, e non erano i soli a quanto pare; alcuni uomini del
villaggio si erano armati di lance ed erano pronti a difendere il loro
villaggio da chiunque.
La presenza del mezzo demone li rassicurava in un certo
senso, ma non volevano restare a nascondersi, come conigli impauriti, senza
provare a difendere loro stessi le loro case e le loro famiglie.
Il rumore di cavalli in avvicinamento fece scattare tutti
sull’attento.
Kagome si trovava poco dietro a Inuyasha, l’arco e le
frecce a portata di mano, per precauzione, mentre Miroku si trovava in prima
linea accanto al compagno.
Pochi istanti e una dozzina di cavalli si pararono davanti
a loro, a cavalcarli erano davvero una banda di briganti anche se, forse, il
termine più esatto era samurai disertori. Tutti uomini di una certa età,
l’espressione ricolma di superiorità e un sorriso beffardo da fare invidia al
peggiore dei demoni.
« Guardate ragazzi, ci hanno preparato l’accoglienza! »
Alle parole del capo tutti gli altri scoppiarono a ridere
mentre quegli occhi scuri carichi di malvagità si posarono su Kagome, la sola
donna abbastanza vicina al gruppo di assalitori e, nonostante l’abito da
sacerdotessa, sembrava aver suscito le attenzioni del capobanda.
« Certo che sei proprio un bel bocconcino sacerdotessa … »
disse, passando la punta della lingua sulle labbra mentre Kagome rabbrividì,
disgustata come poche volte, mentre Inuyasha stava per saltare al collo di
quell’uomo e ucciderlo con i propri artigli solo anche per i semplici pensieri
che aveva fatto sulla propria compagna.
« Vi conviene girare i tacchi e andarvene, altrimenti … »
fece schioccare in modo sinistro le dita della mano, evidenziando gli artigli
affilati.
Un qualsiasi essere umano si sarebbe spaventato, ma questi
si limitò a ridere sguaiatamente accompagnato dal resto dei suoi uomini
aumentando, purtroppo, l’ira del mezzo demone e attirando su di loro la
curiosità dei suoi compagni.
« Abbiamo ucciso un sacco di demoni in questi giorni e da
quello che vedo tu sei solo un mezzo
demone … » marcò con disprezzo quell’ultima parola e con un sorriso
beffardo sulle labbra « Cosa potresti fare ora che abbiamo questa? »
Da un piccolo spazio dell’armatura estrasse un ciondolo a
cui era attaccata una piccola sfera scura, un cerchio perfetto, su cui era
incisa l’immagine di un drago.
« Ragazzi! Andate a cercare la fanciulla con la voglia a
forma di drago, ci aspettano bei soldi se la portiamo viva! »
Il lampo che attraversò le menti dei tre fu istantaneo:
volevano Reiko, quindi non era un caso che si trovasse lì nell’epoca Sengoku.
Alcuni uomini scesero da cavallo, sguainando le loro katane
e cominciando a camminare incuranti delle persone che si preparavano ad
attaccare se avessero avanzato oltre.
Inuyasha sguainò Tessaiga, la potente spada che gli aveva
permesso, a suo tempo, di distruggere per sempre Naraku.
« Non credo che vi convenga fare un altro passo. »
Gli uomini lo ignorarono ridendo divertiti, lo stesso fece
il capo mentre continuava a tenere in bella vista quella pietra misteriosa ma
Kagome, sebbene non ne fosse sicura, le era sembrato di vedere gli occhi del
drago illuminarsi.
« Ma che avete da ridere?! » domandò in tono seccato e fu
in quel momento che si accorse di cosa stava accadendo. La sua lama, Tessaiga,
era tornata alla sua forma originale e priva di qualsiasi potere demoniaco.
L’uomo rise ancora più forte dei suoi compagni mentre
osservava il volto stupito del mezzo demone. « Te l’avevo detto! Non puoi
nemmeno sperare di toccarci, mezzo demone! »
« Dannati … ! »
Un urlo più forte squarciò l’aria catturando l’attenzione
di tutti.
Era la voce di Reiko. Non vi era dubbio.
Tutti gli uomini del villaggio si girarono verso la
direzione da cui proveniva, la casa della vecchia Kaede, si sentirono delle
voci bisbigliate ma a nessuno degli uomini interessò oltre tant’è che passarono
senza problemi nel muro di persone buttando qualcuno di loro a terra e correndo
in direzione della casa.
Miroku si mosse per fermare quegli uomini con il suo
bastone, decisamente lo strumento meno adatto per attaccare degli esseri umani,
ma efficace quanto bastava per metterli fuori combattimento.
La spada di Inuyasha, anche senza poteri demoniaci, poteva
ancora essere usata per contrastare gli attacchi di alcuni di quei samurai che
si erano gettati addosso a lui come ad altri uomini per tenerli occupati mentre
alcuni di loro andavano verso l’obbiettivo che si erano prefissati.
Kagome, intuito quello che stava accadendo, si era
allontanata per prima e ora aveva raggiunto Sango che cercava di tenere Reiko
ferma mentre i suoi bambini, spaventati dalle sue urla, si erano rannicchiati
nell’angolo della stanza.
Spiegata velocemente la situazione all’amica decise di
darle il cambio, annuendo con il capo e lasciando l’amica uscire per dare
manforte al suo compagno che sapeva non poteva resistere a lungo senza
rischiare di uccidere qualcuno.
Nessuno si sarebbe arreso, ne da una parte e nemmeno dall’altra,
ma soprattutto non potevano cedere quella ragazza senza prima capire cosa stava
accadendo.
Aveva sentito ogni cosa.
Sentiva ancora un dolore lancinante ma non poteva restare
ferma. Non poteva rimanere lì, lasciando che le persone di quel villaggio fossero
coinvolte nei suoi problemi.
Non era certo un eroina, ma avrebbe fatto qualsiasi cosa in
suo potere.
Con gran fatica si ruotò sul fianco poggiando così la mano
destra sulle assi di legno del pavimento, usando quella mano come leva, unita
alle ginocchia si tirò almeno in parte in piedi.
« Reiko, non dovresti muoverti! » la rimproverò Kagome,
osservandola preoccupata e immaginando cosa desiderasse fare.
A modo suo, tanti anni prima, aveva cercato di fare la
stessa cosa per proteggere il villaggio dall’attacco di un demone mille piedi.
Era stato allora che aveva incontrato Inuyasha.
Reiko non l’ascoltò.
Lentamente aveva raggiunto la sua giacca mentre sentiva il
suo occhio come trapassato da piccoli spilli, mille aghi pungevano la sua pelle
e sentiva solo il fuoco che la bruciava.
Tremante estrasse il coltello dalla tasca della giacca e lo
fissò, dovette sforzarsi moltissimo solo mettere a fuoco la visione di quello
che aveva tra la mani e dovette fare altrettanta fatica solamente per
rimettersi in piedi. Kagome, per fortuna, corse in suo aiuto.
« Reiko, non ti preoccupare, non lasceremo che ti portino
via. »
La sorreggeva come meglio poteva, aiutata anche dalle
pareti della casa mentre la sua mano sinistra sembrava non volersi staccare dal
volto.
« Non puoi capire. » mormorò con voce bassa mentre con i
denti si mordeva le labbra.
Sapeva fin troppo bene com’era fatta.
Da quando i suoi genitori erano morti quando aveva solo
quattro anni la sua vita era stata in balia della corrente, suo zio l’amava
come se fosse davvero figlia sua ma lei, da parte sua, sentiva sempre il
bisogno di ripagare gli sforzi fatti per crescerla; dallo studio, al prendere
parte alle attività dell’impresa familiare gestita da suo zio.
“Non posso permettere che altri siano coinvolti in questa
faccenda”.
La stretta attorno al suo coltello si fece più salda e
nonostante le parole di Kagome questa uscì fuori, scostando la sottile tenda
che faceva da ingresso.
Dallo spazio tra la mano e il viso cominciò a scendere un
liquido scuro. Non era sangue, si ripeté mentalmente, mentre avanzava verso il
suo obbiettivo sotto lo sguardo sconcertato e preoccupato di tutti i presenti.
« Razza di stupida! Hai forse un desiderio di morte?! »
sbraitò Inuyasha mentre metteva fuori combattimento, per la seconda volta, uno
dei briganti che a quanto pareva sembravano instancabili.
Non importava quante volte lui e Miroku, aiutati da Sango,
li mettevano fuori combattimento questi continuavano a rialzarsi in piedi e a
combattere come se non avvertissero più il dolore.
Ci vollero alcuni minuti prima che Reiko riuscisse a
raggiungere il capobanda, sceso da cavallo con un sorrisetto soddisfatto in
faccia, mentre la ragazza, al contrario, sembrava chiusa in un assurdo mutismo.
« Fammi vedere il tuo viso, ragazzina! »
Le dita della mano si chiusero sotto il mento della ragazza
alzando con poca grazia e costringendola a togliere la mano dall’occhio, erano
entrambi chiusi e quando li riaprì l’uomo si trovò a gridare inorridito mentre
ritirava la mano. Tremava, tremava terrorizzato da quella visione.
« Ma cosa … Cosa diavolo è quello?! »
« … E io che ne so … ! » ribatté seccata la ragazza e con
un movimento preciso, forse persino troppo preciso per i suoi gusti, riuscì a
tagliare il filo che reggeva quella pietra che i banditi usavano per
restringere le abilità dei demoni e diventare instancabili.
La piccola sfera scura rotolò a terra e un istante dopo
anche l’uomo cadde, trafitto dal coltello di Reiko nello spazio tra collo e
spalla.
Caddero insieme, lei sopra di lui teneva le mani serrate
sul coltello e il viso vicino al suo orecchio mentre l’uomo, ora, si contorceva
dal dolore sputando sangue.
« Sai … Non si muore subito in questi casi. Appena toglierò
questo coltello, sappilo, ti lascerò annegare nel tuo sangue e non farò niente
per aiutarti. »
Detto ciò, girò lentamente il coltello nella ferita
strappandogli un urlo di dolore. La sua voce era un basso sussurro, un sibilo
minaccioso e inquietante quasi quanto il suo viso in quel momento.
« Basta Reiko! Non è il caso di torturarlo! »
La voce di Miroku arrivava distante e in quel momento non
le importava più di tanto, il suo obbiettivo era spaventare gli uomini che
stavano mettendo a soqquadro il villaggio e, ascoltando le voci concitate
attorno a loro, ci stava riuscendo anche molto bene.
« Dimmi chi ti ha dato quel gioiello … e chi mi vuole così
tanto da assoldare tipi come te. »
Un altro colpo di tosse e la vita che lentamente lo stava
abbandonando, ormai quell’uomo, per quanto facesse il gradasso, non aveva molto
tempo a disposizione.
« U-Un monaco … Un villaggio a circa … Tre … Tre giorni … a
Ovest. »
« Grazie … » un sussurro più dolce mentre con movimento
fulmineo si spostò da sopra l’uomo estraendo il coltello, fu questione di pochi
attimi prima che dalla bocca dell’uomo uscì altro sangue e spirasse
completamente.
Si accasciò a terra, esausta, le mani ancora macchiate di
sangue ma la mente sgombra e lentamente richiuse gli occhi.
Era strano, ora il dolore sembrava essere sparito del
tutto.
Salve a tutti!
Non so che dire, questo capitolo è davvero strano e mi spiace se alcune
parti sembrano stranose.
Cosa avrà visto quel bandito quando ha guardato Reiko in viso? Bella
domanda, vero?
KagomeNoTaisho, al solito ti ringrazio per commentare. L’ho già detto, vero, ma sono
una persona più felice al vedere che qualcuno mi segue con tanta curiosità.
La reazione di Kagome era dettata più dalla sorpresa e per Kohaku, eh,
diciamo che era una mia idea da qualche tempo. Si, dalla fine del manga le cose
sono tornate a posto ma credo, più per rispetto a sua sorella, vada a trovarla
poche volte.
Sono tutte mie teorie e supposizioni, ovviamente.
Ci vediamo al prossimo capitolo che conto di pubblicare domani pomeriggio
(sabato).
Non sapeva con
precisione il momento in cui riprese conoscenza, ma attorno a lei sentiva un
gran trambusto e la sua mente, ora sveglia, avvertiva più distintamente i suoni
e le voci attorno a se ma non aveva voglia di riaprire gli occhi; così rimase
ferma, in silenzio, ascoltando quello che succedeva.
« Ho applicato una
mistura sull’occhio, sebbene non ci fossero ferite particolari era meglio non
correre rischi. »
La voce della vecchia
sacerdotessa, Kaede, pronunciò quelle parole con tono serio. Kagome aveva
provato diverse volte a sfiorare il suo viso, così come anche Miroku, ma
vennero entrambi respinti da quella stessa scarica elettrica che aveva colpito
la prima volta Kagome.
Reiko giaceva a terra
su un giaciglio improvvisato per lei, avvolta da una grande veste bianca che le
faceva da coperta per proteggerla dal freddo della sera, l’occhio sinistro
coperto da una benda bianca e il viso completamente rilassato.
Il ritorno di Kaede con
Rin fu provvidenziale. Fu lei, infatti, la prima a sostenere un possibile
legame tra quella sfera e il blocco che si era creato e che impediva loro di
sfiorare il viso della ragazza. Distruggere la sfera richiese l’aiuto di una
freccia sacra di Kagome, quando questa si ruppe svanì, una nuvola di polvere
scuro che venne trascinata lontano da una corrente impetuosa di vento.
Davanti al fuoco che
scoppiettava Inuyasha, Sango, Miroku, Kagome e Kaede cercavano di dare un senso
agli avvenimenti di quella giornata. Rin non era presente a quella “riunione di
cervelli”, su richiesta di Sango era andata a casa loro, occupandosi dei
bambini, vegliando sul loro riposo fino al loro ritorno.
« In effetti,
guardandola bene, ha qualcosa di molto familiare » continuò la vecchia Kaede accomodandosi
al suo posto, dopo aver sistemato l’anfora con l’unguento usato per Reiko.
« Ho provato anche io
questa sensazione, sebbene la possibilità di averla incontrata prima sia quanto
mai impossibile. »
Il commento di Miroku
fu accompagnato da un comune cenno di assenso.
Fu Sango, stavolta, a
soffermarsi a studiare il suo viso, osservando quei lineamenti che scatenavano
in lei una sensazione familiare; era come guardare un membro della sua
famiglia.
« Non pensate che … somigli un po’ a Miroku? »
Domandò di getto, senza davvero pensarci, catturando
l’attenzione di tutti quanti che a quel punto tornarono a fissare la ragazza
priva di sensi.
« In effetti, ora che me lo fai notare, è vero … somiglia
un pochino a Miroku. » disse Kagome, annuendo con un cenno del capo per dare
maggiore enfasi alle sue parole.
Era una somiglianza giusto a pelle, pensò Kagome, ma forse
non era poi del tutto casuale e per il momento preferì tenere alcuni pensieri
solamente per se stessa.
« Mah, infondo non è importante a chi assomiglia … »
continuò Inuyasha tornando ad un’espressione più seria. « Quello che non capisco
è per quale motivo una piccola sfera insignificante abbia creato tanta
confusione. Inoltre, cosa potevano volere da una ragazzina di un’epoca diversa?
»
« Quell’uomo, quel brigante, aveva parlato di una
ricompensa … » aggiunse Miroku, ricordando bene le parole dette in quella
circostanza. « Probabilmente la persona che cerchiamo è il monaco di cui ha
parlato quando Reiko lo ha trafitto, la persona che gli ha donato quella strana
sfera e che ha messo questi uomini sulle sue tracce. »
Kagome si soffermò a pensare mentre guardava il volto
rilassato della ragazza che riposava accanto a loro, ripensava alla scena che
si era consumata davanti ai suoi occhi e all’urlo del brigante quando aveva
guardato Reiko in viso.
« A cosa stai pensando, Kagome? » domandò Sango, accortasi
per prima dell’espressione pensierosa della sua amica.
« Quell’uomo si era spaventato a vedere il volto di Reiko
eppure, quando siamo arrivati da lei, non c’era assolutamente niente di strano.
Mi domando cosa potesse averlo spaventato tanto … »
Quel suo pensiero aveva trovato nei suoi amici degli ottimi
ascoltatori, persino in Reiko, ancora assopita ma con la mente abbastanza
lucida da seguire il filo dei loro discorsi.
Nessuno la rimproverava per quello che aveva fatto, molti
uomini del villaggio sembravano, anzi, colpiti dal suo gesto avventato ma
efficace.
Kagome, però, era preoccupata per come potesse sentirsi una
volta che si fosse svegliata e avesse ricordato cos’era accaduto.
Come si sarebbe sentita?
« Non importa cosa l’abbia spaventato. »
Esordì Inuyasha interrompendo quell’improvviso silenzio che
era calato sul gruppo.
« Dobbiamo capire per quale motivo vogliono proprio lei. »
« A questo, forse, posso rispondere io! » esordì una voce
che prima non era presente nel gruppo.
Apparteneva sicuramente a una persona anziana, almeno in
apparenza, a seguire la voce fu il suono leggero di uno schiaffo.
Sul palmo della mano di Inuyasha c’era una piccola pulce,
un po’ anziana in effetti, schiacciata dallo schiaffo che aveva appena
depositato sul collo.
« Vecchio Myoga, era un pezzo che non ti facevi vedere! »
Commentò Inuyasha mentre la piccola pulce si riprendeva,
scuotendo il capo e ritornando a dimensioni più “normali” e subito, nel palmo
della mano di Inuyasha si mise subito seduto radunando intorno a se tutto il
gruppo.
« Ero passato per avvisarvi di alcuni fatti preoccupanti,
ma vedo che sono arrivato troppo tardi. »
« Che intendi dire, vecchio Myoga? » domandò Kagome,
decisamente incuriosita dall’affermazione della vecchia pulce – allo stesso
modo degli altri.
« Kagome, è un piacere rivederti. In questi anni siete
diventata ancora più bella, mi ricordate moltissimo la signora quando … »
« Myoga! Arriva al punto. »
Inuyasha lo fermò appena in tempo prima che si perdesse in
inutili divagazioni.
Kagome lo fissò sorridendo appena, il corpo più vicino a
quello del marito abbastanza da poggiare la spalla contro la sua, gli occhi
nocciola tornavano a fissare la piccola pulce che nel frattempo si era ripresa.
« Vi chiedo scusa, signorino Inuyasha.
E’ da qualche mese, ormai, che alcuni esseri umani girano per la zona portando
con loro delle piccole sfere scure con sopra incisa l’immagine di un drago in
grado di annullare ogni potere demoniaco e aumentare la resistenza degli
uomini. »
« Sì, le abbiamo viste in azione. » aggiunse Inuyasha
mentre i suoi compagni annuivano.
« Tutti coloro che le portano sono alla ricerca della
ragazza che ha su di se il marchio del
drago. »
Myoga scese dalla mano di Inuyasha e saltellando
velocemente, stando attento al fuoco del focolare, arrivò si posizionò sopra il
volto della ragazza.
« Boing! potreste togliere la benda dal suo viso? Devo
controllare una cosa. »
Kaede non sembrava del tutto convinta, ma per il momento,
visto il desiderio di capire di più su quello che stava accadendo, aveva preso
il sopravvento e molto delicatamente sciolse le bende che coprivano parte del
viso di Reiko scoprendolo completamente.
La voglia a forma di drago era ancora lì. Gli occhi chiusi
di lei permettevano di ammirarne appieno le fattezze, i minuscoli dettagli che
componevano quella figura quasi demoniaca.
« Era come pensavo! »
Un salto e poi un altro ancora fino ad arrivare sulla
spalla di Inuyasha.
« Questa ragazza ha il marchio del drago, ne sono sicuro! »
« Vecchio Myoga … » lo interruppe Sango questa volta «
Avete detto anche prima “il marchio del drago”, ma cosa sarebbe esattamente?
Non ne ho mai sentito parlare. »
« Nemmeno io. » aggiunsero in coro Miroku e Inuyasha.
« Mn, la cosa non mi sorprende. Tutti coloro legati a
questa storia sono morti, ma sarà bene spiegarvi la situazione dall’inizio. Voi
ricordate sicuramente Ryūkotsusei, signorino Inuyasha. »
Un cenno
di assenso confermò la sua domanda.
Sì,
ricordava eccome quel demone. Tanti anni prima era stato sigillato in una valle
da una zanna di suo padre, liberato da Naraku era tornato finalmente in vita ma
grazie a Tessaiga, al suo attacco speciale Bakuryūha, era riuscito a
distruggerlo e a superare anche suo padre che era morto per le ferite riportate
nella battaglia contro quel gigantesco demone.
« Egli non
era l’unico grande demone drago presente su questa terra. Ne esistevano altri
ed erano venerati come divinità dagli esseri umani, i quali richiedevano la
loro protezione e il favore in caso di pericolo e questo, per quanto possa
sembrare assurdo, non era considerato disdicevole da questi demoni superiori.
Tuttavia un giorno i draghi cominciarono ad essere sterminati e una leggenda
narra che uno di loro riuscì a fuggire intrappolando la propria energia, la sfera cuore, all’interno di ragazze prescelte.
Solo le donne, a quanto pare, sono in grado di sopportare il potere di quel
talismano demoniaco. »
« … il
marchio del drago … » commentò Kagome, spostando lo sguardo su Reiko che ancora
riposava tranquillamente.
« Ma
perché proprio in questa ragazza? » domandò Kaede, cominciando a ricordare
alcune voci che aveva sentito molti, molti anni prima e a cui non aveva mai
dato importanza.
« In
realtà non ne ho proprio idea. » rispose pacatamente il demone pulce mentre
spostava lo sguardo sul viso addormentato di Reiko. « Non ho mai sentito di
nessuna ragazza che sia arrivata viva a quest’età. »
Per un
momento il silenzio calò sul gruppo intuendo il resto del discorso di Myoga a
riguardo; le ragazze erano state uccise, oppure erano morte ancora prima di
arrivare alla maggiore età.
Ormai non
c’era molto altro da dire e così la “riunione” terminò.
Sango e
Miroku salutarono Inuyasha e Kagome augurando loro buona notte, congedandosi
per tornare dai propri figli e dare cosìtregua alla povera Rin che si era offerta di badare a loro per tutto il
tempo necessario.
Passeggiavano
insieme al chiaro di luna diretti verso la propria abitazione, lui con le
braccia conserte e le mani nascoste nelle ampie maniche del suo kimono rosso,
lei, invece con un’espressione preoccupata e triste.
«
Tranquilla Kagome … » esordì Inuyasha riscuotendo la moglie dai pensieri che si
erano aggrovigliati nella sua mente; ormai aveva imparato a capire anche le
parole che lei non diceva chiaramente. « Non lasceremo morire quella
ragazza.»
Un sorriso
più dolce increspò gli angoli delle sue labbra mentre osservava il proprio
compagno con sorpresa.
« Certo, »
continuò Inuyasha « è una ragazza alquanto seccante e fastidiosa - per non
parlare di quel fastidioso odore che si porta appresso. Sarà una vera
scocciatura. »
Dopo il
sorriso di prima, adesso, dalle labbra di Kagome sfuggì una leggera risata che
colse di sorpresa il marito che la fissava con una certa sorpresa.
« E adesso
perché ti metti a ridere?! »
« Nulla,
nulla … pensavo a quanto fossi cambiato in questi anni. »
« Tsk . »
Persino la
sua risposta orgogliosa che negava la realtà del suo cuore molto più gentile di
quanto non volesse ammettere la fece sorridere, ma la reazione che maggiormente
catturò la sua attenzione fu il braccio che Inuyasha protese verso di lei,
addolcendo il suo sorriso mentre faceva passare una mano in quello spazio
avvicinandosi ancora di più a Inuyasha.
Erano passati quattro anni da quando era tornata nell’epoca
Sengoku, ma non rimpiangeva affatto la sua scelta; era quello il mondo in cui
aveva deciso di vivere.
La notte trascorse in fretta lasciando il posto a un
pallido sole del mattino, il manto celeste si era rischiarato nascondendo le
stelle e la luna, inaugurando l’inizio di una nuova giornata.
Reiko fu la prima ad alzarsi; non aveva dormito molto.
Nella sua mente riecheggiavano ancora le parole di quella
strana piccola creatura, Myoga se non ricordava male, ma soprattutto rammentava
bene il dolore e la pace che aveva provato durante l’attacco di quei briganti.
Scostò la tendina di filamenti di paglia intrecciati e uscì
fuori tenendo in mano la custodia della sua chitarra; la sola vera consolazione
che aveva in quel momento.
Prese a camminare sino a raggiungere il limitare del bosco
dell’Albero Sacro, si sedette sull’erba umida di rugiada e aprì la custodia per
estrarre la sua fedele compagna di viaggio cominciando a sistemare le chiavi.
“Ci vorrebbe proprio una sigaretta ora” pensò con un
sospiro, sconsolata come poche volte. “Immagino che dovrò imparare a razionare
la mia scorta e forse, chissà, magari potrei cominciare seriamente a lasciar
perdere questo vizio”.
Prese il plettro dalla custodia aperta e cominciò a
suonare, strimpellando qualche accordo a caso per poi, invece, passare a una
canzone vera e propria e che conosceva molto bene.
Si sistemò meglio con la chitarra, sorridendo e cominciando
a far scorrere le dita sulla tastiera, premendo le corde per creare gli accordi
quella canzone che tanto amava.
« fukai fukai mori no oku ni ima mo kitto
okizari ni shita kokoro kakushite'ru yo. »
Cominciò a bassa voce, cercando di
non fare troppa confusione a giudicare dal silenzio che regnava sovrano in quei
luoghi, socchiudendo gli occhi e lasciandosi guidare solamente dalla sua
memoria.
« sagasu
hodo no chikara mo naku tsukarehateta
Hitobito to wa eien wo yami ni kieru.
chisai mama nara kitto ima demo mieta kana?
boku-tachi wa ikiru hodo ni
nakushite'ku sukoshi zutsu
itsuwari ya uso wo matoi
tachisukumu koe mo naku. »
Lasciò andare le note per diversi
istanti e poi, quando finalmente, stava per riprendere a cantare sobbalzò sul
posto trovando proprio Kagome a fissarla con un gran sorriso sulle labbra.
Arrossì vistosamente, imbarazzata
dall’essere stata sorpresa a cantare proprio la sua canzone preferita e,
sebbene non avesse avuto problemi a cantare davanti a Kohaku, le faceva sempre
uno strano effetto avere gente che ascoltava le sue esibizioni di medio
livello.
« Sei davvero brava, Reiko, perché ti
sei fermata? » domandò Kagome sinceramente dispiaciuta per quell’interruzione;
erano tanti anni che non sentiva più una canzone della sua epoca.
« Ero convinta che non ci fosse
nessuno … » rispose ancora un po’ imbarazzata, rendendosi conto di quanto
stupida fosse stata la sua reazione, ma Kagome non le disse niente di più. Si
limitò a sorridere e a sederle accanto.
Voleva chiederle qualcosa, ne era
sicura e l’aveva notato dal comportamento, ma la domanda che arrivò le fece
capire che non era sicura di come affrontare l’argomento:
« Reiko … tu che scuola superiore hai
frequentato? »
Voleva chiederle come si sentisse
dopo quello che era accaduto ieri sera, voleva parlarle di quello che avevano
scoperto, omettendo l’ultima parte del discorso di Myoga chiaramente, ascoltando
la sua decisione avrebbero valutato come muoversi.
Ma come iniziare una simile
discussione? Ci aveva pensato parecchio e non aveva trovato una soluzione che
la soddisfaceva, così, alla fine, aveva optato per fare qualche piccola domanda
per conoscerla meglio.
« L’istituto privato Eirin. »
A quella risposta Kagome sbiancò,
letteralmente.
Quella era una scuola privata, una
delle più facoltose che c’erano in città, senza contare che anche gli esami di
ammissione erano considerati tra i più difficili.
« A-Accidenti … Non me l’aspettavo,
davvero! Devi essere sicuramente un genio! »
Una leggera sfuggì dalle labbra di
Reiko mentre incrociava le braccia sopra la chitarra, poggiando il viso sopra
di esse e stando attenta a non fare danni.
« Niente affatto, Kagome, non sai
quante notti in bianco ho passato per poter superare gli esami e i compiti che
mi venivano assegnati. Geniale non lo sono, mi sono solo impegnata duramente
per non deludere mio zio che ha voluto investire così tanto nel mio futuro. »
« Tuo zio? »
« Sì, è lui che mi ha cresciuto. Gli
devo moltissimo. »
I suoi occhi, per un momento,
sembrarono oscurarsi perdendosi in ricordi lontani che portavano con se un velo
di malinconia.
« Se non sono troppo indiscreta che
lavoro fa tuo zio? » domandò Kagome sempre più curiosa. Quella scuola privata
non era alla portata di tutti, dopotutto.
Reiko parve ammutolirsi, indecisa se
parlare o meno e con una strana espressione dipinta sul viso mentre passava un
dito sopra la guancia.
« Ecco … diciamo che gestisce una
piccola azienda famigliare di recupero crediti … »
In quel momento Reiko si pentì di
aver parlato, soprattutto dopo che l’espressione di Kagome mutò completamente
da tranquilla a sgomenta, gli occhi decisamente spalancati nella sorpresa e le
parole che sembravano uscire sconnesse.
« … Guarda che sta diventando
imbarazzante … » borbottò Reiko, decisamente a disagio per quella situazione,
ma d’altronde non era la prima volta: lei era pur sempre una “signorina”,
nipote di un capo della yakuza.
Occorsero diversi minuti prima che
Kagome si riavesse da quella sorpresa, seppure ora riusciva a capire perché
andasse in giro con un coltello a serramanico come se fosse la cosa più normale
del mondo,tuttavia la situazione era
davvero bizzarra e fu Reiko a infrangerla ancora una volta con un tono più serio.
« Non serve che tu dica niente, Kagome. » esordì la ragazza
mentre rialzava il viso e tornava ad armeggiare con la propria chitarra. « Ieri
sera ho sentito il vostro discorso. So tutto. »
Nella sua voce non c’era incertezza e nemmeno esitazione,
era calma e perfettamente padrona di se stessa e Kagome la fissava, incapace di
pronunciare qualsiasi altra parola.
« Vorrei poter dire che non ero padrona di me ma purtroppo
non è così, mi dispiace. Ho ucciso quell’uomo nel pieno possesso delle mie
facoltà. »
« Reiko … »
« Non spetta a me decidere chi deve vivere e chi deve
morire, lo so.
La mia famiglia … beh … come avrai capito non è insolito
per me finire coinvolta in situazioni pericolose, ma la cosa che non tollero è
il coinvolgimento di altre persone; se il bersaglio sono io, allora devono
venire da me soltanto. Vivo nell’ansia costante di quello che potrebbe accadere
alle persone a cui sono vicina, amici e parenti, per questo io … »
Le mani tremavano mentre cercava di sistemare le chiavi,
imprecando un paio di volte verso quelle sue mani che quella mattina, proprio a
causa dei suoi sentimenti, sembravano incapaci di compiere il loro dovere.
Si mordeva le labbra quasi convulsamente cercando di
fermare i tremiti quando una mano dalle dita affusolate si posò sulla sua; era
Kagome, che cercava di rincuorare il suo animo anche non conoscendo le parole
più adatte per farlo.
« Suona ancora, Reiko. La tua voce è davvero molto bella. »
Fu la sola cosa che le disse.
Non c’erano parole in quel caso, non c’era davvero niente
che potesse dirle, ma sperava che cantando potesse trovare un po’ di
tranquillità.
Gli occhi nocciola di Reiko divennero più lucidi a quelle
parole, sorpresa e decisamente più ora; persino il suo animo sembrava essere
diventato più tranquillo.
Erano passati tantissimi anni dall’ultima volta in cui
aveva parlato così apertamente con qualcuno che non fosse parte della famiglia,
persino a scuola, dove nonostante parlasse con molti compagni, poteva dire di
aver mai aperto il suo cuore così tanto.
Non se lo fece ripetere due volte, accennando un sorriso, e
un po’ in imbarazzo di prima, ricominciò a suonare la stessa canzone di prima
mentre Kagome l’ascoltava con molto piacere.
Molti uomini e donne diretti al lavoro sentirono il suono
della chitarra di Reiko e vi si avvicinarono, incuriositi e per nulla timorosi,
lo stesso si poté dire per Sango e Miroku che raggiunsero la ragazza con tutta
la famiglia al completo. Nessuno mancava all’appello, nemmeno la vecchia Kaede
e la piccola Rin, alzando lo sguardo verso gli alberi al limitare del bosco
Kagome poté scorgere su uno dei rami il rosso del proprio compagno.
Anche lui, ad occhi chiusi, ascoltava la canzone di Reiko e
senza la sua solita espressione imbronciata per giunta.
L’alba portò con se una strana atmosfera, ma soprattutto le
premesse per cominciare un nuovo viaggio.
Salve a tutti!
Sono di nuovo qui, pronta a deliziarvi (o annoiarvi) con un nuovo
capitolo di questa piccola storia.
Avete riconosciuto la canzone che canta Reiko? No?? Se è no la risposta,
vergognatevi!! Tutti quanti! Pentitevi!
Scherzo, scherzo … ma per chi (davvero? C’è qualcuno che non la conosce?)
non sa di cosa parlo la canzone è “Fukai Mori” dei Do As Infinity,
e non è altro che la seconda sigla di chiusura di Inuyasha.
KagomeNoTaishoche dire se non che sei
un tesoro? Sono felice di vedere che la storia ti sta piacendo, dico sul serio,
ogni volta che posto faccio una pausa per sbirciare sempre e vedere se sei
passata. Oggi però non posso rispondere a tutte le tue domande senza farti uno
spoiler grande come una casa. Posso solo dirti, però, che non avevi visto male da come hai letto
qui. Reiko non è una ragazza fredda e scostante, ma soltanto poco abituata a passare
il suo tempo con persone della sua età – non è dolcissima, come vedrai dalle
future scenette con il nostro caro Inuyasha, ma nemmeno così insensibile ~
Bene, gente, attendo i vostri commenti come sempre e un grandissimo
saluto
p.s. l’immagine che vedete qui è l’ufficiale
marchio del drago!
La mattinata venne persa solo per i preparativi per la
partenza.
Il brigante aveva parlato di un villaggio a tre giorni da
dove si trovavano loro verso Ovest, ormai avevano capito, Reiko compresa, la
necessità di raggiungere quel posto e trovare una spiegazione o almeno degli
indizi che potessero aiutarli a chiarire quell’assurda situazione in cui si
trovavano.
Miroku si unì al gruppo, approfittando dell’occasione per
guadagnare qualcosa in più per la sua famiglia, ora più numerosa che in passato
e desiderando non gli mancasse mai niente e oltre a lui si unì anche Kagome,
preoccupata per la salute di Reiko e ovviamente non poteva mancare Inuyasha.
Sango non avrebbe voluto restare indietro, ma non poteva
nemmeno lasciare soli i bambini e così, a malincuore, lasciò che i suoi amici e
suo marito partissero per quel viaggio senza di lei.
Kaede aveva insistito affinché portasse con se abiti meno
“vistosi” ma Reiko si era rifiutata categoricamente, a sostegno della sua
teoria era proprio il marchio del drago che spiccava sul suo volto e di cui,
purtroppo, senza dei trucchi adeguati, non poteva sperare di nascondere e
quindi tanto valeva continuare a indossare i suoi abiti.
E così si misero in viaggio.
Trovandosi particolarmente a suo agio con Kagome le chiese
come avesse conosciuto i loro compagni di viaggio, Reiko adorava ascoltare le
persone che parlavano e raccontavano la storia che si portavano con loro era
più facile, in un certo senso, lo preferiva al parlare di se stessa ma in quel
luogo non aveva niente da temere; nessuno la conosceva, nemmeno il suo cognome.
La storia che raccontò era davvero variopinta e molto
particolare tanto che per un momento dubitò della sua veridicità, ma non
c’erano segni in Kagome, nemmeno sul suo volto, che potessero far pensare a una
bugia e così si convinse che quella storia della Sfera dei Quattro Spiriti era
vera.
« Ne hai passate un sacco, Kagome, mi sorprende che tu sia
riuscita a superare gli esami di ammissione per le scuole superiori. »
« Non me lo dire! E’ stata una corsa sulle montagne russe
nel vero senso della parola. »
Qualche passo avanti a loro c’erano Miroku e Inuyasha che
lanciavano qualche occhiata alle loro spalle, osservando le due ragazze ridere
e scherzare come se niente fosse, il mezzo demone dovette imporsi un certo
controllo per non ascoltare davvero quello che stavano dicendo arrivando a
borbottare frasi incomprensibili.
« Dai, Inuyasha, non essere così nervoso. »
Miroku cercava di placare quella punta di nervosismo che
Inuyasha faticava a nascondere, soprattutto quando si trattava di Kagome,
immaginava solo lentamente quale poteva essere il motivo di quei suoi borbottii
sommersi
« Non sono affatto nervoso! »
Ribatté Inuyasha punto sul vivo dall’affermazione di
Miroku. Era nervoso, in effetti, da quando era arrivata Reiko provava uno
strano senso d’inquietudine.
Kagome non gli aveva mai dato motivo di apprensione da
quando era tornata quattro anni prima, ma i tre anni in cui era mancata dopo la
battaglia di Naraku, quegli anni, non potevano essere cancellati e ogni tanto
si chiedeva se pensava alla sua famiglia e se ne sentiva la mancanza. Era
naturale, gli ripeteva la parte razionale della sua mente, ma forse l’arrivo di
quella ragazza della sua epoca poteva risvegliare in Kagome la nostalgia di
casa.
Miroku scrollò le spalle, sospirando rassegnato davanti
alla testardaggine dell’amico e deciso a non toccare ulteriormente l’argomento
per non farlo innervosire; un Inuyasha nervoso era una pessima compagnia.
Reiko continuava ad ascoltare i racconti di Kagome, sempre
più incuriosita, le mani strette sulle spalline che sorreggevano la custodia
della sua chitarra. Si era portata dietro tutto, di certo non avrebbe lasciato
quella al villaggio incustodita.
« Non avrei mai pensato che Inuyasha potesse essere così
forte. » commentò Reiko quando Kagome ebbe finito il suo racconto sulla
battaglia finale contro Naraku, la sacerdotessa annuì con il capo e a quel
punto anche il mezzo demone, sentendosi chiamare in causa, piegò appena il capo
verso di loro con un’espressione che a stento celava il suo reale stato
d’animo..
« E’ stato merito di tutti quanti se Naraku è stato
sconfitto. » specificò Kagome.
Naraku era stato sconfitto grazie all’aiuto che tutti i
loro amici, nel corso del tempo, avevano dato loro.
« E io che pensavo fosse bravo solamente a ringhiare. »
« Ehi tu! »
Si fermò di scatto, girandosi completamente verso le
ragazze e osservando la nuova arrivata con una vena pulsante sulla fronte.
« Che cosa vorresti insinuare, dannata? »
Sia Miroku che Kagome sospirarono rassegnati mentre Reiko,
dentro di se, si stava divertendo più del dovuto; quel ragazzo era davvero
divertente.
« Io? Insinuare qualcosa? Non sia mai, sarebbe contro ogni
cosa in cui credo. »
Le parole che uscirono dalle sue labbra non nascondevano la
vena di sarcasmo e ironia, nemmeno ci provava con un’espressione seria, ma
finta, scuotendo il capo e superando il mezzo demone che in quel momento
avrebbe davvero voluto colpirla – anche se era una donna.
Trattenendo a stento le risate affiancò Miroku, invitandolo
a proseguire il cammino e ignorando il ringhiare sommesso e il borbottio di
Inuyasha alle sue spalle.
« Non te la prendere Inuyasha, penso che Reiko volesse solo
scherzare. » esordì Kagome cercando di rabbonire suo marito, ma senza ottenere
l’effetto desiderato.
Ottenne solamente un verso di stizza mentre incrociava le
braccia come al solito, le mani nascoste nelle pieghe della veste rossa.
« A me non sembrava proprio. »
Borbottò in risposta Inuyasha mentre osservava le schiene
del monaco e della ragazza avanti a lui, innervosito da tanti pensieri diversi
e che non riusciva in nessun modo ad articolare con la compagna.
Kagome sorrise cercando di rabbonirlo come meglio poteva,
ma per ora con scarsi risultati.
Avanti loro, Miroku e Reiko, erano immersi nel silenzio più
totale interrotto solamente dal tintinnio degli anelli del bastone del giovane
monaco.
Ormai erano ore che camminavano e di quel bosco non vedeva
l’uscita. Era un vero e proprio oceano di alberi, alti e robusti e con i rami
protesi verso il cielo nella speranza di raggiungerlo mentre il sole, al
contrario, giocava a rincorrersi con le ombre sul terreno. Miroku, con la coda
dell’occhio, osservava il suo incedere e intanto pensava alle parole di Sango.
“In effetti, mi somiglia ma non è solo questo: in lei
rivedo moltissimo anche Sango”.
« Ho qualcosa di strano sulla faccia?» domandò improvvisamente Reiko facendo
sobbalzare il monaco, ripresosi in fretta dai suoi pensieri per poter scuotere
il capo lasciando la ragazza alquanto perplessa.
« Toglimi una curiosità, Miroku, ma quei due … » un leggero
cenno del capo in direzione di Kagome e Inuyasha, « sono per caso sposati? »
« Beh sì, in effetti sì. »
« Allora avevo indovinato. » rispose con un sorriso
vittorioso sulle labbra; indovinare i rapporti tra le persone era uno dei suoi
passatempi, dimostrava così tutta la sua attenzione per i piccoli dettagli che
spesso restavano indifferenti. « Sono proprio una bella coppia e anche se non
conosco da molto Kagome sono molto, molto felice per lei. »
Miroku la osservava con una certa sorpresa, adesso, tanto
da suscitare in Reiko una leggera risata per l’espressione buffa che aveva
fatto.
« Scusa, scusa … La verità è che mi piace osservare le
persone, mi diverto a chiedermi cosa fanno per vivere e quali sono i loro
legami personali; mi piace anche di più che raccontare di me stessa. »
Prima della partenza, approfittando dell’assenza di Reiko
per qualche minuto, aveva raccontato alcune cose che lei gli aveva rivelato
sulla sua famiglia e sulla ragione per la quale aveva attaccato senza
esitazione quel brigante, uccidendolo come se nulla fosse.
« La vostra famiglia deve incutere un certo timore nel
vostro mondo, per costringervi a rinunciare a molti legami personali. »
Asserì Miroku mentre Reiko annuì con alcuni cenni del capo.
« Beh immagino che … AH! Kagome vi ha raccontato tutto,
vero? Accidenti … » si passò nervosamente la mano tra i capelli, imbarazzata e
con la punta delle orecchie appena colorata di rosso. « Mio zio non è una
persona cattiva, alla fine, ma sa bene come sfruttare le debolezze degli altri
per ottenere quello che desidera; e nel suo ambiente è la cosa che più conta.
E’ sempre stato così per la sua famiglia. Mio padre, infatti,voleva che le cose cambiassero e per questo
motivo aveva lasciato la sua “famiglia” per sposare mia madre, e non la donna
alla quale era promesso. Una storia carina, vero? Certo … Non può essere
paragonata alle vostre avventure. »
Una piccola risata nervosa da parte di Reiko e chiudeva
quel racconto.
Non aveva mai parlato con nessuno di quella storia prima di
quel giorno eppure, da quando era arrivata in quel mondo, si sentiva
completamente diversa. Libera, in pace e completamente a suo agio.
Miroku e Sango, in modo particolare, avevano suscitato in
lei una forte sensazione di familiarità e sentiva di potersi fidare
istintivamente di loro. Lo stesso si poteva dire con quel ragazzo, Kohaku, ma
il suo pensiero le lasciava addosso una strana malinconia. Una parte di lei
desiderava rivederlo, parlargli ancora e ascoltare anche la sua storia. Scosse
il capo leggermente mentre cacciava quei pensieri dalla sua mente.
« Non diminuite così la vostra storia, Reiko. »
La rincuorò con una pacca gentile sulla spalla e lei
rispose con un sorriso. Sì, accanto a tutti loro si sentiva stranamente a suo
agio.Inuyasha, spazientito come non
mai, s’intromise nella discussione alla quale ottenne come risposta un’ennesima
battuta di Reiko al quale seguirono alcuni ringhi sommessi e risate appena
accennate da Kagome e Miroku.
Si accamparono solo quando arrivò la sera.
Erano ancora in quel bosco ma a sentire Miroku e Inuyasha
l’indomani avrebbero incontrato un altro villaggio abbastanza grande, una sorta
di via di transito per i commerci e lì avrebbero potuto ottenere qualche altra
informazione sull’ubicazione del misterioso monaco che distribuiva quelle
fastidiose sfere.
Le ragazze si dedicarono alla ricerca di legna per
accendere il fuoco e Reiko prestò volentieri il suo accendino per questo,
evitando di perdere tempo con delle pietre focaie, sorprendendo ancora i suoi
compagni di viaggio – eccezion fatta per Kagome.
« E tu perché non avevi dietro uno di quei cosi? » domandò
Inuyasha rivolto a Kagome mentre questa, sospirando abbattuta, si affrettò a
rispondere:
« Perché quell’oggetto lo usano solo i fumatori, come
Reiko. »
« Esatto e credimi: è meglio se tua moglie non abbia il mio
brutto vizio. »
A quella sua constatazione notò che il viso di Inuyasha era
diventato un poco più acceso e lo stesso Kagome, il mezzo demone rivolse
all’amico di vecchia data una sottile e velata minaccia ma che non ebbe nessun
effetto sul monaco che rispose che non aveva visto niente di male nel dirlo a
Reiko; dopotutto lei lo aveva già capito.
La cena fu abbastanza misera e a base di onigiri e acqua,
ma per il momento, dato che non sapevano quante sfere ci potevano essere nella
mani di esseri umani, avevano deciso di non andare a caccia di altro cibo.
Terminato il magro banchetto Reiko afferrò la sua chitarra,
come faceva ogni sera, ignorando gli sguardi di tutti almeno per i primi
minuti.
« C-Cosa c’è? » domandò un pochino a disagio per via di
tutti quegli sguardi che la fissavano.
Kagome la fissava con ammirazione, mentre Miroku e Inuyasha con una punta di
curiosità e anche il mezzo demone, alla fine, riconosceva a quella piccola
impertinente qualche merito.
« Vi prego, Reiko, potreste cantare ancora quella canzone?
» domandò Miroku che aveva molto apprezzato l’esibizione della ragazza.
Erano note e musiche che nessuno, Kagome esclusa, poteva
aver mai conosciuto eppure li trovava ugualmente gradevoli e interessanti.
« Sì, ti prego Reiko. »
Davanti a due richieste, fatte in modo così sincero,
persino lei non sapeva rifiutare e anche se preferiva non cantare davanti alle
persone per via della sua tecnica ancora mediocre decise che li avrebbe
accontentati fintanto che avevano piacere. Loro la stavano aiutando moltissimo,
troppo in effetti, se cantare e suonare poteva ripagare il debito che aveva nei
loro riguardi lo avrebbe fatto ogni volta che fosse necessario.
La mattina seguente arrivarono al villaggio in questione.
Era più grande di quello in cui si era stata prima, dove
aveva incontrato tutti, questo sembrava un centro più caotico e movimentato.
Il gruppo si era diviso: Kagome e Reiko avrebbero cercato
informazioni, Inuyasha e Miroku, invece, oltre a cercare informazioni avrebbero
fatto qualche “lavoretto” per guadagnare qualcosa.
« Ehi, Miroku … » la voce di Inuyasha celava a stento il
nervosismo che aveva accumulato in quelle due giornate. « Hai per caso
intenzione di ricorrere a uno dei tuoi imbrogli? »
« Ma cosa dici? Non potrei mai imbrogliare il mio prossimo.
» replicò il monaco con un’espressione di falsa innocenza dipinta sul volto.
Sì, in effetti aveva proprio pensato di ricorrere a uno dei
suoi vecchi “imbrogli” e, infondo, vista la situazione era la cosa migliore che
si potesse fare.
Passarono diversi minuti ma niente, nessuna informazione
rilevante e Miroku, dalla vendita di alcuni falsi talismani, aveva guadagnato
davvero poco.
“E dire che speravo di portare a casa qualcosa”, pensò sconsolato mentre veniva
raggiunto da Inuyasha e nemmeno lui, purtroppo, aveva sentito niente riguardo
quelle sfere e nemmeno di qualcuno che stesse cercando Reiko.
Quando entrambi tornarono da Kagome, trovata grazie al
fiuto di Inuyasha, si trovava appoggiata alla parete di una casa mentre accanto
a se aveva la chitarra e il cappotto di Reiko, ma di quest’ultima non c’era
traccia.
« Meno male che siete tornati! »
Esclamò sollevata nel vederli.
« Divina Kagome, dov’è Reiko? »
« Ecco lei … »
Un cenno del capo e indicò la “casa da the” in cui era
entrata e sia Miroku che Inuyasha sbatterono la mano sul viso, Kagome aveva
cercato di fermarla ma lei si era intestardita e così aveva lasciato qui ogni
cosa, a parte il suo coltello, entrando nella locanda con la sola richiesta di
aspettarla fuori.
Non era stato difficile convincere una delle ragazze a
cederle uno yukata e qualche trucco, fu quello il momento in cui ringraziò di
cuore suo zio e la fissazione per gli abiti tradizionali, sospirando sistemò il
leggero obi mentre stava attenta a mostrare le sue forme e a risaltarle con
quegli oggetti.
In un pezzo di stoffa chiuse la sua maglietta e il
coltello, invece, lo nascose in una delle ampie maniche del suo abito. Non era
bellissima, lo sapeva, soprattutto le mancavano quei lunghi capelli che le
altre ragazze possedevano ma di certo non si sarebbe tirata indietro.
Un nuovo cliente era arrivato e lei, prendendo il posto
della ragazza che aveva “sostituito”, si affrettò a seguire le altre ragazze
che lo avrebbero intrattenuto con danze e servendo loro da bere.
La porta scorrevole si aprì e le ragazze entrarono,
sorridendo svenevoli e facendo imbarazzanti complimenti all’uomo davanti a
loro, un signore di una certa età completamente anonimo e ben vestito – il suo
kimono doveva valere quanto l’intero villaggio, pensò Reiko mentre si
avvicinava anche lei.
Un sorriso dolce, ma falso come Giuda, accomodandosi accanto
all’uomo e cominciando a servirgli il saké.
“L’epoca sarà anche diversa, ma i pervertiti sono uguali”.
L’uomo beveva,
rideva sguaiatamente a battute che improvvisava in quel momento, beandosi dei
complimenti che le ragazze gli elargivano solo per avere una parte dei suoi
soldi.
Versò altro saké nella sua tazza ma questa volta mancò
l’obbiettivo versando parte del contenuto sulle gambe dell’uomo, questi,
contrariato, si voltò verso di lei mal celando la sua rabbia.
« Ehi, sta un po’ attenta ragazzina! Questo è un tessuto
molto pregiato e vale più di te … »
« Perdonate mio signore, non volevo recarvi offesa. »
rispose Reiko, emulando un tono dolce e stucchevole, gli occhi lucidi mentre
prendeva un pezzo di stoffa e si protendeva verso l’uomo.
Questi la guardò con maggiore curiosità, ora, soffermandosi
sulle aggraziate forme di lei che si fondevano pienamente con quel viso un po’
da maschiaccio ma carico di un’incredibile forza seducente.
Le dita affusolate di Reiko si posarono sulla gamba
dell’uomo che la guardava con fare lascivo, poggiando una mano sul fondoschiena
della ragazza mentre le altre ragazze, ignorando quello che accadeva,
cominciarono a suonare e danzare per intrattenere il loro ospite.
Farsi toccare da un vecchio schifoso non era nei suoi sogni,
era chiaro, ma per il momento sopportava solo per un bene superiore; quello era
il tipo di uomo che poteva aver saputo qualcosa, ed era più pratico che girare
come delle trottole.
Avrebbe voluto farsi accompagnare da Kagome, ma essendo
sposata, intuendo il caratteraccio del marito, aveva pensato bene di evitare la
proposta per cominciare.
« Certo che sei davvero carina, sai? Sono proprio disposto
a perdonarti … »
Il fiato di quell’uomo puzzava di alcool in maniera
indicibile, forse era per questo, pensò, che non aveva notato il segno sul suo
volto.
« Voi mi lusingate, mio signore, ultimamente sono molto
spaventata … » mormorò con voce bassa mentre, con la mano poggiata sopra lo
straccio saliva verso il cavallo delle gambe e stando sempre ben attenta a lasciare
che lo sguardo dell’uomo si posasse sulla sua scollatura.
« E cosa mai ti turba, piccola? »
La voce di quell’uomo era peggiore di quella di tutte le
ragazze stucchevoli che potevano esistere nel suo mondo, le dava il
voltastomaco e ora, in effetti, avrebbe tanto voluto disinfettarsi.
« Le voci sulla fanciulla con il marchio del drago … E se
arrivassero a rapire anche me? » nel suo tono di voce vi si aggiunse una nota
di paura, la mano poggiata sulla gamba dell’uomo aumentò la stretta quanto
bastava per sostenere la sua recita.
« Ahahahaha! Non devi preoccuparti, piccola, a quanto ne so
quel monaco è convinto che la ragazza abbia delle vesti assurde. »
Mentre parlava sentì il viso storcersi in un sorriso
malevolo, la mano libera si piegava appena indietro, torcendo il polso e
avvicinando il coltello nascosto nelle manica al suo palmo.
« Ma è orribile! »
« Vero? Per la verità non capisco perché quel monaco si sia
intestardito così tanto … Ma non parliamo di questo ora. »
La lussuria che vedeva brillare nei suoi occhi le procurò
un conato di vomito che dovette mandare giù a forza, seccata come poche volte
accennò un sorriso mentre stringeva la mano libera attorno al suo coltello e
avvicinava il volto a quello dell’uomo.
Il suo respiro che sapeva di alcool era più fastidioso di
quanto credesse ma dei passi concitati, il rumore di una porta che si apriva di
scatto la distrassero e prima che quell’uomo potesse dire alcunché venne
tramortito da un pugno di Miroku.
Miroku, Inuyasha e Kagome la guardavano arrabbiati e forse
anche delusi dal suo comportamento.
« Razza di stupida! Come ti è saltato in mente di fare una
cosa tanto pericolosa?! »
Il primo a rompere quel silenzio fu proprio Inuyasha.
Le ragazze che erano nella sala, dal terrore, erano fuggite
vie e ora non c’era nessuno a disturbare la conversazione.
« Era il modo più rapido per avere informazioni! »
« Era un modo stupido per rischiare! Volevi forse farti
violentare da questo vecchio?! »
« Stai un po’ a cuccia, tu! » sbottò seccata causando nel
mezzo demone un brivido di freddo a quella parola.
Era da parecchio che non veniva pronunciata, ma ancora
sentirla gli faceva gelare il sangue nelle vene.
L’uomo a terra cominciò a mugugnare, segno che si stava
riprendendo e fu Miroku il primo ad avvicinarsi mentre Kagome affiancava Reiko
e le porgeva le sue cose.
« Riparleremo di questa sciocchezza più tardi, adesso … »
la voce di Miroku era dura, severa, per un momento la ragazza trasalì
sentendosi davvero colpevole.
Nemmeno lui capiva perché si stava arrabbiando così tanto,
dopotutto non la conosceva così bene e non si sentiva in diritto di giudicarla,
ma, forse, era colpa di quella sensazione familiare che provavano tutti a
starle accanto.
Il monaco s’inginocchiò dietro all’uomo, passando il
bastone sotto il suo mento e tirando la presa per dargli l’idea di soffocare.
« Avanti! Dicci tutto quello che sai sul monaco che vuole
ragazza con il marchio del drago? »
L’uomo gemette per il dolore mentre portava le mani al
bastone in un inutile tentativo di liberarsi.
« S-So solo che si trova in un villaggio a un giorno di
cammino … V-Vuole soltanto la ragazza marchiata per un certo rito, è disposto a
pagare una bella somma a chiunque gliela porti Lo giuro! Non so altro! Non
uccidetemi! »
« Per quale rituale?! » domandò Miroku, al limite della sua
pazienza.
« N-Non lo so … Ha … Ha detto che avrebbe ricevuto un
grande potere. Un potere tale da risvegliare anche le divinità. »
Salve a tutti!
Siamo arrivati a un momento cruciale, o forse no, ma in ogni caso il
gruppo è ormai quasi arrivato dal monaco e forse scopriremo qualcosa di più
sulla vera ragione per cui Reiko è arrivata in epoca Sengoku.
AVVISO: da domani, lunedì 26 gennaio, fino
a giovedì sarò impegnata a lavoro e non potrò aggiornare fino a sabato circa.
Vi saluto adesso e vi auguro un buon inizio settimana.
Le parole di quell’uomo scossero i presenti, in particolare
Reiko che nonostante le apparenze, nonostante la stupidaggine che aveva appena
compiuto, cominciava seriamente ad avere paura per se stessa.
Nella sua mente infuriava una tempesta, una fila di parole
confuse, frasi solamente a metà e tutte destramente negative.
Si pentiva di aver dovuto coinvolgere altre persone, le
gambe, seppure incollate sul pavimento, sembravano in procinto di muoversi per
poter scappare da quel luogo infausto.
L’uomo non poteva dire nient’altro a loro e per questa
ragione, dopo averlo messo fuori combattimento, se ne andarono da quel luogo
per proseguire il viaggio.
Reiko impiegò alcuni minuti per cambiarsi, decise, però, di
tenere quello yukata semplice perché sentiva le sarebbe tornato utile in un
momento meno problematico.
Una volta fuori dal villaggio, tuttavia, l’atmosfera nel
gruppo non sembrava proprio cambiare e la stessa Reiko cominciava a
innervosirsi per questo.
Nessuno parlava di quanto era accaduto erano tutti molto
delusi da quanto era accaduto, ma soprattutto, e forse a maggior peso, del
fatto che la stessa Reiko non si fosse resa conto del pericolo che correva
gettandosi in braccio a un potenziale nemico.
Dal canto suo si rendeva conto dei rischi che aveva corso,
ma, vista la situazione, li aveva giudicati accettabili pur di arrivare in
fretta a una soluzione.
Doveva tornare a casa. Doveva tornare in fretta nella sua
epoca.
Quando si accamparono quella sera la situazione era
divenuta troppo insostenibile, quel pesante silenzio cominciava a lederla, e
così, irritata, raccolse la sua chitarra sistemando tutto il peso su una spalla
e fece per allontanarsi.
« Dove pensi di andare adesso? » domandò Inuyasha, ancora
visibilmente seccato da quello che era accaduto.
« Vi ho già chiesto scusa, mi pare, ma visto che la
situazione non cambia me ne vado un po’ per i fatti miei! »
« Reiko … ! »
La voce di Kagome che chiamava la ragazza fu a malapena
udita, troppo innervosita da quella situazione in quel momento, per la sua
salute, necessitava di stare un po’ da sola a riflettere su quanto accadeva.
La guardarono sparire nell’oscurità senza poter fare nulla
per fermarla.
« Tsk! Fosse la volta buona per imparare qualcosa. »
borbottò Inuyasha, sistemando la sua katana contro la spalla e godendosi
placidamente il tepore del fuoco. Kagome, accanto a lui, non era dello stesso
parere e conoscendo solo per sentito dire l’ambiente in cui viveva, poteva
immaginare che fosse una scelta naturale per arrivare più velocemente
all’obbiettivo. La cosa che più l’aveva turbata, però, non era tanto l’azione
in se quanto la non curanza con cui l’aveva detto e ricordava ancora bene le
sue parole: « non occorre che ti preoccupi
Kagome, non ti fa bene e poi sarò fuori in pochi minuti. Nemmeno vi accorgerete
che sono andata via. »
“E’ come se non pensasse che ci potremo preoccupare per lei
… “
Si morse appena le labbra mentre cercava di non essere
troppo pessimista quando Miroku, ignorando le parole di Inuyasha, ma
soprattutto i pensieri che si alternavano sul volto di Kagome, si alzò dalla
sua posizione e si avviò nel punto in cui era sparita la ragazza.
« A cosa stai pensando, Kagome? » domandò improvvisamente
Inuyasha mentre passava un braccio attorno alle spalle della ragazza,
attirandola a se mentre i suoi occhi ambrati restavano incollati sulle fiamme
che danzavano davanti al loro sguardo.
« Nulla … Pensavo che … »
« Tsk! Starai pensando a quella stupida, vero?
Quell’incosciente, la prossima volta che farà qualcosa di stupido non esiterò a
picchiarla anche se è un donna. »
« Inuyasha! »
Kagome non esitava ad immaginare quella scena, anche se,
conoscendo il marito, non era strano pensare che stesse solamente esagerando.
« Che c’è? Non ho detto proprio niente di male, dopotutto
quella ragazza non ha nessuna fiducia in noi. »
« Sì, temo tu abbia ragione. »
Nelle parole di Kagome non vi era alcuna severità, ma
soltanto una profonda malinconia per quello che poteva essere.
« Non credo che lo faccia con cattiveria … » si affrettò ad
aggiungere « Solo … Penso che voglia fare certe cose da sola perché non vuole
sentirsi un peso, da quello che ho potuto ascoltare da lei credo che la stessa
cosa avvenga a casa sua: non vuole essere un intralcio per gli altri. Le fa
onore, ma in questo caso si ritorce contro di lei. Se non fossimo entrati in
tempo cosa sarebbe accaduto? Non voglio che le sue mani si macchino ancora di
sangue innocente. »
La scena al villaggio la ricordava ancora in modo vivido.
Ricordava le sue parole, il gelo nella sua voce e la
freddezza con la quale pose fine alla vita di quel bandito. Nessuno l’aveva
rimproverata, perché sapevano che infondo l’aveva fatto solo per proteggerli e
anche lei, infondo, la pensava esattamente come gli altri ma non voleva che
compisse altri atti del genere: non voleva che il suo spirito ne risentisse.
« Se dovesse fare una cosa del genere ancora le taglieremo
il braccio, poco ma sicuro. »
Davanti a una tale testardaggine Kagome non poteva restare
indifferente, sapendo che non intendeva letteralmente si lasciò scappare una
piccola risata prima di alzare lo sguardo verso il marito, incrociando così i suoi
profondi occhi color ambra.
Infondo, pensò, in quel momento erano da soli. Non che si
vergognasse di farsi vedere mentre baciava il marito, chiaro, ma era bello poter
condividere dei momenti intimi come quelli dove erano soli nell’intero mondo.
Lentamente le labbra del mezzo demone si posarono su quelle
di Kagome, sfiorandole delicatamente mentre le braccia di lei passavano dietro
il suo collo.
Nel frattempo, Miroku aveva raggiunto Reiko. Non era andata
molto lontano, alla fine, ma la sua posizione era abbastanza distante da non
dover sentire le discussioni.
« Sei qui per farmi la predica? » domandò Reiko, gli occhi
fissi sullo schermo del proprio telefono cellulare mentre faceva scorrere delle
foto.
Miroku la guardava incuriosito inclinando appena il capo
prima di negare con un cenno e sederle accanto.
« No, immagino che tu ti stia colpevolizzando abbastanza da
sola. »
Con la coda dell’occhio osservava quegli strani dipinti,
ritratti di Reiko e di altre persone, scorrere al semplice tocco della mano di
lei; sembrava davvero una magia.
« … Lo so … Che quello che ho fatto è sbagliato. » esordì
improvvisamente Reiko interrompendo la scia d’immagini.
I suoi occhi nocciola erano velati da un profondo rimorso,
ma anche da una forte malinconia che nemmeno Miroku poteva quantificare.
« Ne
sono ben consapevole, credimi, ma non sono abituata ad affidarmi ad altre
persone e soprattutto non potevo chiedere a Kagome uno sforzo del genere … »
Si morse appena le labbra mentre raccoglieva le gambe al
petto cingendole con le braccia, sospirando poggiò il mento sopra di esse.
« Quello che hai fatto è stato indubbiamente stupido. »
constatò Miroku « Tuttavia, io per primo non mi sento in diritto di giudicarti,
poiché ho commesso molte azioni stupide durante la battaglia contro Naraku e
per poco non perdevo ciò che avevo di più prezioso. »
Ricordava bene tutte le volte che aveva sconsideratamente
aperto il vortice sulla sua mano destra, soprattutto durante la battaglia
finale, avvelenandosi e rischiando davvero di porre fine alla sua vita
prematuramente e trascinando nella sua fine anche la donna che amava.
Reiko inclinò lo sguardo e non le fu difficile leggere il
rimorso nel suo viso, riflesso in quegli occhi scuri come il cielo di notte.
Comprese subito che non stava mentendo e quell’emozione non era dettata dalla
compassione; era sincera e spontanea.
Accennò un sorriso prima di poggiare la propria spalla
contro quella del monaco, il braccio passò dietro la schiena e la mano sul
terreno la sosteneva mentre attivava la macchina fotografica sul proprio
cellulare.
« Senti … Facciamo una fotografia. »
Notando l’espressione confusa del monaco mentre guardava il
suo cellulare, tenuto stretto in una mano e con il braccio teso davanti a se,
decise di dare qualche altra spiegazione della situazione.
« E’ come un ritratto, un dipinto, ma più veloce e
istantaneo. »
« Cosa devo fare? »
« Nulla di che: sorridi, fai una smorfia o resta come sei.
A volte non sai quello che potrebbe capitare domani, o il giorno dopo ancora e
quindi è importante avere delle fotografie. Sono dei bellissimi ricordi. »
Miroku sembrava ancora più incerto di prima, ma ormai non
sembrava possibile tirarsi indietro e così decise di aspettare e vedere cosa
accadeva.
Un piccolo lampo di luce abbagliò i suoi occhi per qualche
secondo e un istante dopo Reiko si ritrasse, sorridendo soddisfatta e mostrando
al monaco la misteriosa “fotografia”.
« Accidenti, è un ritratto davvero perfetto e realizzato in
così poco tempo. »
Certo, la sua espressione era seria, appena sconcertata,
rispetto a quella di Reiko che era completamente a suo agio tanto da sorridere.
« Vero? I migliori, però, sono quelli realizzati senza che
le persone se ne rendano conto.»
« In che senso? »
Un sorriso malizioso apparve ora sulle labbra di Reiko
mentre si avvicinava a sussurrare qualcosa all’orecchio di Miroku, quest’ultimo
annuiva e sembrava parecchio interessato da quello che proponeva la ragazza
tanto che si alzò, porgendole la mano per aiutarla e senza fare rumore
tornarono al campo.
Era ormai da qualche minuto, non di più, in cui i due
avevano indugiato in qualche bacio approfittando dell’assenza di Miroku e
Reiko.
Le loro labbra sembravano ancora unite, incapaci di
separarsi, come se per lungo tempo non avessero fatto altro che cercare quel
contatto.
La mancina di Kagome era poggiata sulla guancia del marito
e risaliva lentamente su di essa sfiorando le sue ciocche argentee mentre la
mano destra, invece, era indissolubilmente unita a quella di Inuyasha e
sembrava non avere nessuna intenzione di separarsi tanto presto.
Se solo fossero stati a casa, pensò Inuyasha, non avrebbe
desiderato niente di più in quel momento.
La sua mano libera era corsa sul fianco della sacerdotessa
avvicinandola maggiormente a lui, deciso a non lasciarla andare via per nessuna
ragione al mondo, come spesso accadeva in effetti, spingendola delicatamente
contro il terreno. Solo allora separò le loro labbra, accennando un sorriso e
avvicinando la fronte alla sua per sfiorarla piano mentre con le mani, ora,
teneva fermo il suo viso. Un sorriso dolce era comparso anche sulle labbra di
Kagome mentre poggiava una mano sopra quella di lui, socchiudendo lentamente
gli occhi e avvicinando maggiormente il volto contro il palmo della sua mano.
In quel momento si sentì un rumore, un leggero gemito di
dolore che ruppe quella magica atmosfera e delle voci fin troppo familiari
emersero dalla quiete.
« Scusami, Miroku, non ti sei fatto troppo male? » domandò
Reiko mentre osservava il monaco che si teneva dolorante un piede; dopotutto
Reiko indossava ancora delle specie di scarponi.
« Non fa niente … anzi temo che tra poco non saranno solo i
miei piedi a fare male … !»
La constatazione di Miroku non poteva essere più
appropriata dato che dietro di loro, inferocito come poche volte, c’era
Inuyasha e mentre Reiko nascondeva il cellulare e le foto che aveva fatto
assieme a Miroku prese a scappare inseguita dal monaco e dal mezzo demone.
« Eddai! Non mi sembra il caso di prendersela così tanto …
» disse Reiko, ridacchiando mentre continuava a scappare, evitando la furia di
Inuyasha sotto lo sguardo imbarazzato e divertito di Kagome. Era difficile da
spiegare, ma quella piccola interferenza aveva creato un’atmosfera diversa
rispetto a prima; meno pesante e opprimente.
Il mattino seguente ripresero a camminare Inuyasha, senza
grandi risultati, stava ancora cercando di far confessare Reiko e Miroku su
quello che stavano facendo ieri sera mentre li spiavano ma i due, stranamente
più coalizzati di prima, non rispondevano e si limitavano a sviare le sue
domande con altre risposte senza alcun senso logico.
Kagome li osservava, Reiko e Miroku, sentendo uno strano
pensiero picchiettare sul fondo della sua mente: e se fossero davvero parenti?
Dopotutto, volendo guardare, questo spiegava la forte
sensazione di somiglianza e le affinità tra i loro modi di fare; persino gli
orecchini che portava Reiko erano uguali a quelli di Miroku.
La sera prima di entrare nel villaggio dove risiedeva il
monaco Kagome lo aveva fatto notare, mentre Reiko stava suonando una melodia
casuale con la sua chitarra, ma lei rispose semplicemente che si trattava di
oggetti ereditati dalla famiglia di sua madre e che erano molto antichi.
Quell’affermazione non faceva che crescere la sua supposizione, ma ancora non
se la sentiva di esporla a tutti, senza prove e magari causando preoccupazioni
in Miroku.
Adesso avevano un altro obbiettivo: trovare il monaco e fermare la diffusione
di quelle sfere con il drago.
Sulla soglia del villaggio fu Reiko la prima a porre il
problema principale:
« E io adesso cosa faccio? Quel tizio, l’altro giorno, ha
detto che sanno come sono vestita e anche cambiandomi non posso certo
nascondere la mia faccia. »
I tre annuirono.
Era un problema, pensò Kagome, dopotutto non potevano fare
molto nascondere il suo volto a parte coprire l’intero suo occhio con delle
bende ma sarebbe stato ancora più sospetto.
« In questo caso non c’è scelta … » continuò Inuyasha. « Tu
ci aspetterai qui, senza fare niente di incredibilmente stupido, intanto noi
andiamo a fare qualche domanda. »
Reiko lanciò una profonda e minacciosa occhiata verso il
mezzo demone, ma questa volta, pur suo malgrado, si trovò costretta ad annuire
e si sedette su una piccola roccia che adornava il sentiero che conduceva al
villaggio ormai distante solo poche miglia.
L’attesa sarebbe stata lunga.
Si strinse nelle spalle passando le mani lungo le braccia
sfregandole, sentiva crescere dentro di se una strana sensazione di gelo e l’occhio,
quello su cui si trovava il marchio del drago cominciava a pulsare in modo
anomalo.
Una mano si posò sul viso mentre si mordeva le labbra.
« No … Non di nuovo … » mormorò sentendo il dolore che si
faceva sempre più intenso.
Non lo capiva. Era come se tutto di lei bruciasse, ma non
era solo quello e adesso, dopo averlo provato una volta, capiva che non era
solo avvertire un forte bruciore ma era come se tutto di lei stesse cambiando e
adattandosi a quella sensazione.
Il proprio respiro diventava più incerto mentre si passava
la lingua sulle labbra ora secche, segno di una possibile disidratazione e
avvertendo sempre più freddo alla punta delle dita, come se il suo corpo stesse
combattendo una dura battaglia contro un’invasore esterno e potenzialmente
pericoloso.
Era talmente concentrata sul dolore che non si accorse
della persona alle sue spalle, armata di una rudimentale cerbottana e che colpì
il suo collo con una piccola freccia intrisa di un veleno particolare.
La sua mente si annebbiava e il corpo divenne più pesante,
spostando lo sguardo, cercando di capire cosa accadeva, le sembrò di scorgere
delle figure che si raccoglievano attorno a lei.
« E’ lei. » disse una di quelle voci, infantile e quasi
innaturale.
« Mi chiedo, mi chiedo … cosa dovremo fare con questa
ragazza? » aggiunse una seconda voce, innaturale e infantile come la prima.
« Non è ovvio? La portiamo dal nostro signore, al tempio,
così la Bestia potrà finalmente
ottenere quello che desidera. »
Salve a tutti!
Cosa dire? Questo capitolo non è un granché, me ne rendo conto, ma
essendo solo una prima parte di una trilogia non potevo fare di più. Ho
aggiornato tardi rispetto a quanto avevo detto e me ne dispiace, davvero, ma
dopo aver lavorato per dodici ore filate in piedi ho passato quasi tre giorni a
riposare e a sopportare gli effetti collaterali! Ahahaha!
Scherzi a parte, al solito non posso che ringraziare la mia fedelissima KagomeNoTaisho che mi recensisce sempre e mi
rallegra l’umore: almeno non mi sento tanto pessima a scrivere.
La foto non si vedeva? E che diamine … devo studiare la faccenda ma per
ora lascio qui un link dove potrete visionarla senza problemi (ovviamente
dovete immaginare l’immagine rivolta verso destra, scusate non ho avuto tempo
per sistemarla io stessa): http://lucisettembre.tumblr.com/post/109868079372
Al prossimo capitolo che conto di far uscire presto!
Non scordate di lasciare qualche recensione se passate, ve ;)
« Avremo fatto bene a lasciare Reiko da sola? » domandò
Kagome mentre entravano nel villaggio.
« Non ti preoccupare. Quella ragazza è talmente coriacea …
» rispose Inuyasha accompagnando le parole con un ampio gesto delle braccia,
indicando che non c’era da preoccuparsi e che quella ragazzina, per quanto
facesse cose stupide, sapeva badare a se stessa per qualche ora.
« Inoltre, divina Kagome, non sarebbe stato sicuro portarla
con noi se qui c’è davvero la persona che vuole farle del male. »
Kagome annuì alla constatazione corretta di Miroku, eppure
non poteva frenare quella strana ansia che la pervadeva; era certa che sarebbe
accaduto qualcosa, qualcosa di molto brutto e non potevano fare niente per
frenare quella tempesta.
Il villaggio non era poi diverso dagli altri che avevano
incontrato finora, anche lì c’erano campi da coltivare e piccole case, eccetto,
ovviamente, quella del capo villaggio che era piuttosto grande e lì si erano
diretti per avere maggiori informazioni.
Il capo villaggio li accolse con enorme entusiasmo,
invitandoli nella sua dimora e accogliendogli con tutti gli onori possibili e
la massima cortesia.
« Le chiediamo scusa, capo villaggio, ma siamo giunti qui
per avere informazioni riguardo una faccenda alquanto preoccupante … » disse
Miroku, interrompendo l’uomo e cercando di arrivare quanto prima al punto.
Normalmente non si sarebbe azzardato, soprattutto per poter
trarre il massimo vantaggio dalla situazione, ma in questo caso non avevano
molto tempo a disposizione e credeva che la preoccupazione di Kagome per Reiko
fosse più che giustificata; anche lui aveva uno strano presentimento a
riguardo.
« Dite pure, onorato monaco. »
« Recentemente sono stati avvistati parecchi briganti che
portavano con loro delle sfere scure con sopra inciso il marchio di un drago.»
« Oh sì … » Il capo villaggio si andò ad accomodare sulla
veranda, sorridente come prima e continuando il discorso da dove era stato
interrotto. « Quelle sono le sfere che il nostro monaco, il venerabile Akashi,
concede ai viandanti per proteggersi dai demoni durante le loro peregrinazioni.
Sono tempi difficili, sapete, ma non credo che il venerabile Akashi abbia
consegnato quelle sfere anche a dei volgari briganti. »
Scosse più volte come per cacciare quel pensiero,
impensabile, dal suo punto vista, ma in contrasto con quanto sapevano loro tre.
Inuyasha si limitò a fare una smorfia, nascosta solamente
da una gomitata ben assestata di Kagome, lasciando che fosse ancora Miroku, il
più diplomatico dei tre, a parlare al capo villaggio.
« Sono d’accordo. Tuttavia, date alcune spiacevoli
circostanze, ci troviamo costretti a chiedere qualcosa al venerabile Akashi.
Sapete dirci dove risiede? » domandò con la massima cortesia.
L’uomo annuì, chiaramente entusiasta all’idea di poter
aiutare altre persone, come il monaco faceva con loro ogni giorno e indicò loro
la strada che conduceva fuori dal villaggio verso una piccola collinetta.
« Lì si trova un piccolo tempio. Niente di eccezionale,
chiaro, è solo una vecchia costruzione abbandonata ma il monaco vi ha preso
dimora ugualmente. Parola mia, è l’uomo più umile che abbia mai conosciuto. »
« La ringraziamo per la cortesia. »
Un piccolo inchino e
lasciarono quella casa ancora più pensierosi di prima.
Tutti e tre si erano accorti che in quel luogo c’era
qualcosa di sbagliato, qualcosa di anomalo e non sapevano bene come spiegare
quella sensazione dal momento che non si percepiva nessuna aura demoniaca o
negativa. Era tutto fin troppo tranquillo e quieto, come sul monte Hakurei.
« Inuyasha … »
« Sì, me ne sono accorto: qui c’è qualcosa che non va. »
Restare in quel luogo era inutile, inoltre, anche volendo,
era meglio non portare Reiko fino al mausoleo del monaco: se era vero che la
cercava, non era il caso di servirla su un piatto d’argento e visto che non
conoscevano davvero la natura di quelle sfere era meglio non sfidare la sorte.
La collina indicata dal capo villaggio non era poi molto
distante e con il loro passo non ci avrebbero messo più di un’ora per arrivare,
Inuyasha controllava il villaggio che lasciavano alle spalle con la coda
dell’occhio e incapace di togliersi dalla mente quella sensazione di fastidio.
Quando furono lontani abbastanza gli abitanti del villaggio
si fermarono, i loro movimenti erano completamente bloccati e in pochi istanti
crollarono a terra come le statue di creta che erano in realtà. Nessuno era
davvero vivo in quel luogo, niente era davvero reale.
Nel vuoto del villaggio emersero delle ombre, due figure e
sembravano possedere un aspetto quasi umano.
« Mi chiedo … »
« … Mi chiedo … Se il gruppetto abbia capito qualcosa? »
Le voci che parlavano erano innaturali e sebbene dalle
ombre si poteva dedurre che fossero, almeno in parte, umane, esse non si
rivelarono mai alla luce e guardavano la scena da una posizione riparata e
distante.
« Se non l’avessero capito sarebbe un problema. la Bestia non terrebbe nemmeno in
considerazione degli stupidi. » constatò una delle voci, infantile e poco
naturale come la compagna.
« E se ci metteranno i bastoni tra le ruote … »
« … Sarà nostro compito uccidere tutti coloro che hanno di
più caro a questo mondo. »
Nel frattempo Inuyasha, Kagome e Miroku erano giunti al
piccolo tempio sulla collina. Era una costruzione fatiscente, il legno marcio e
le travi cadenti erano coperte da un sottile strato di edera e muschio.
Una persona poteva davvero vivere in quel luogo? Era
difficile da crederlo, ancora più difficile accettare che fosse vero.
« E’ tutto molto fastidioso! » sbottò Inuyasha mentre
portava la mano sull’impugnatura di Tessaiga, gli occhi che scattavano in ogni
direzione e le orecchie tese per captare il minimo rumore. « Qui attorno non si
avverte niente! Niente di niente! Nemmeno la presenza di un essere umano! »
La situazione innervosiva anche Miroku e Kagome,
quest’ultima, infatti, aveva già l’arco in mano e si sentiva pronta a scoccare
una freccia dopo tanto tempo. Si era allenata molto in quegli ultimi anni, ma
l’assenza della sfera aveva diminuito gli attacchi al villaggio al minimo sindacale
e quindi, alla fine, non c’era quasi più bisogno che prendesse parte a qualche
battaglia.
Non dissero altro e velocemente entrarono nel tempio
decadente.
Inuyasha sguainò Tessaiga ma in quel momento si accorse di
essere solo, i suoi compagni, una volta entrati nel tempio, erano completamente
spariti dalla sua vista.
L’interno non sembrava nemmeno quello di un tempio.
La struttura sembrava più grande, più robusta e
maggiormente resistente rispetto all’esterno decadente e ora avvertiva più
chiaramente una presenza.
Davanti a lui comparve una figura, un ombra vera e propria,
a sua immagine e somiglianza con tanto di copia di Tessaiga. Un ghigno
divertito allungò gli angoli delle labbra del mezzo demone mentre la lama della
sua spada cambiava ricoprendosi di tanti piccoli diamanti.
« Un trucco patetico, ma vedi di non annoiarmi! »
E senza pensarci troppo lanciò un primo fendente con la sua
Tessaiga.
Nel frattempo Miroku e Kagome, separati da Inuyasha, si
trovavano in uno spazio comune ma non diverso dall’altro.
Kagome si guardava attorno, preoccupata per l’assenza del
marito, da un lato, ma fiduciosa nella sua forza e certa che presto si
sarebbero ritrovati.
Davanti a loro c’era solo un dipinto. Un lungo rotolo sul
quale erano ritratte alcune figure che giocavano ad “acchiappa demone”, o
“Kagome Kagome”, nella stanza non c’era nient’altro.
« L’aura maligna sembra provenire da questo dipinto.»
constatò Miroku mentre si avvicinavano e Kagome annuì, avvertendo lei stessa
quella presenza malvagia provenire proprio da quel dipinto.
Uno strano impulso s’impadronì di lei e con le dita sfiorò
la carta del dipinto, una leggera scarica elettrica attraverso il suo corpo,
obbligata a ritirare la mano con gli occhi nocciola fissi sui disegni in
questione ora più vivi che mai.
Nella mente sentiva ancora le parole di quella filastrocca,
quella usata dai bambini per prenderla in giro e dalla quale, in parte,
derivava il suo nome:
L’ultima strofa rimbalzò nella sua mente e subito si voltò,
seguita da Miroku e davanti a loro vi era un uomo con indosso gli abiti di un
monaco accanto a lui,sopra un piccolo
altare e circondata da una corda sacra, c’era Reiko.
« Reiko! »
Kagome si mosse istintivamente per cercare di raggiungere
la ragazza, ma Miroku la fermò. Una mano si strinse attorno al suo polso
trattenendola, con sguardo serio portò la sua attenzione verso il monaco che
sembrava non aver fatto alcun movimento e nemmeno risposto da quando erano lì.
« Siete voi il venerabile Akashi, dico bene? »
Quest’ultimo, alla fine, si mosse.
Erano movimenti artificiali e meccanici, il corpo si
piegava in modo innaturale in quello che doveva essere un inchino e quando alzò
il volto, alla fine, inorridirono entrambi. Era umano, non c’era niente da
dire, ma il suo sorriso era innaturale ed era come se fosse bloccato in quella
posizione per sempre; una paresi inquietante.
In mano reggeva un bastone molto simile a quello di Miroku,
ma invece che un cerchio con dentro degli anelli al suo posto vi era una
piccola sfera. Era scura, come altre che avevano visto, ma al suo interno
Kagome riusciva a vedere un fuoco che bruciava.
« Mi chiedo … Mi chiedo … » la voce del monaco era bassa e
calma, deturpata da quel sorriso innaturale mentre il corpo si muoveva,
teatralmente, quasi fosse una marionetta nelle mani di qualcun altro.
« Perché volete questa ragazza? Essa appartiene alla Bestia, come il suo potere. » il capo
s’inclinò pericolosamente di lato facendo trasalire Kagome e inorridire Miroku.
« Mi chiedo … Mi chiedo … Quanto impiegherete a morire come
il vostro mezzo demone? »
Non fece nemmeno in tempo a dire altro che una freccia
aveva sfiorato quel volto perennemente sorridente, cogliendo di sorpresa i suoi
burattinai e lo stesso Miroku che non si aspettava di vedere una tale reazione
da parte di Kagome.
« Se volete saperlo allora fatevi vedere in volto, dannati
codardi! »
Le figure che manovravano il corpo del monaco erano
appostate all’esterno, nascoste nell’ombra e decisamente soddisfatte della
reazione della sacerdotessa davanti alla provocazione riguardante il marito.
Miroku non attese altro.
Scattò in avanti, pronto a colpire quell’uomo, o quello che
restava di lui, con il suo bastone ma questi lo scansò con un balzo laterale.
Il momento era propizio.
Miroku era posizionato davanti a Reiko, proteggendola e
permettendo a Kagome di raggiungerla per liberarla dalle corde sacre che la
imprigionavano. Al tocco delle sue mani queste si dissolsero e la ragazza cadde
tra le sue braccia, la sorresse appena in tempo ma, anche così, continuò a
riposare come se niente fosse accaduto e sembrava non potersi svegliare.
Dopo essersi assicurato che Reiko fosse al sicuro ripartì
all’attacco, affrontando il monaco davanti a se che respingeva i suoi attacchi
con quello strano bastone.
« Sei bravo, ma non basta ancora … »
Non fece in tempo a finire la frase poiché Kagome,
approfittando di quel momento di distrazione, aveva lanciato un’altra freccia
che sfiorò il volto del monaco, ritrattosi solamente all’ultimo istante e
conficcandosi, lasciando dietro una scia luminosa, contro la parete opposta.
All’esterno, tuttavia, i misteriosi burattinai osservavano
la scena al sicuro e ancora si sorpreso dalla forza spirituale di quella
sacerdotessa.
« Lei … »
« … E’ davvero potente. Potrebbe … »
« … Rivelarsi problematico. »
L’attacco, per quel breve momento, sembrava essersi
interrotto ma Miroku e Kagome sembravano non voler rinunciare alle loro
posizioni difensive.
La situazione era ferma, quando una risata bassa, lugubre e
maligna uscì dalle labbra del monaco Akashi che con quel suo sguardo vuoto e il
perenne sorriso riusciva a inquietare i suoi avversari.
« Ehi, che ti prende? »
Miroku stava per attaccare nuovamente quando qualcosa
fendette l’aria cogliendolo di sorpresa, bloccatosi poté vedere il coltello di
Reiko, quello con cui li aveva minacciati anche al loro primo incontro,
infrangere al suo passaggio la strana sfera luminosa che si trovava in cima al
bastone del monaco e conficcarsi nella parete antistante.
Kagome la guardava, sorpresa da quella sua improvvisa reazione
e sconcertata da quello che stava guardando.
Reiko aveva una pessima cera, respirava affannosamente e
sembrava stesse soffrendo molto, ma quello che attirava più l’attenzione non
erano questi aspetti quanto il suo occhio. L’occhio sinistro, quello su cui si
trovava il marchio, ora era completamente dorato. Una patina scura copriva
l’area che solitamente era bianca e l’iride, invece, era ora dorata con una
fessura a forma di pupilla. Era lo sguardo di un demone.
« Reiko! » la voce di Kagome e Miroku giunse in coro quando
la videro darsi qualche schiaffo in faccia, forti abbastanza da lasciare un
segno rosso sulle guance e poi, senza che potessero fermarla, tentò di alzarsi.
Il monaco, con la distruzione della sfera, era caduto a
terra con un’espressione di puro terrore dipinta sul volto. Infrangendola, alla
fine, avevano liberato il suo corpo ormai privo di vita dal controllo dei loro
veri avversari.
« … Fate silenzio … Fate silenzio! Uscite dalla mia testa! »
gridò Reiko continuando a prendersi a schiaffi.
Cadde a terra, rannicchiandosi su se stessa e tenendo le
mani sopra la nuca mentre si sentiva come spaccare in due.
Miroku e Kagome si guardarono preoccupati, consapevoli, a
quel punto, che la ragazza non si stava rivolgendo a loro e che non aveva la
minima idea di quello che stava accadendo.
« Inu … Yasha … Dov’è Inuyasha? » domandò Reiko, la voce a
malapena celava il dolore che sentiva nel corpo e il fuoco che le bruciava
dentro.
« Ci hanno divisi una volta entrati … » spiegò Miroku,
Kagome nel frattempo si era avvicinata a Reiko e l’aiutava a rimettersi seduta.
« Siamo intrappolati. » Aggiunse lei ma Reiko scosse il
capo, negando con forza quell’ultima affermazione.
« No ... Inuyasha … Ci serve la sua lama che infrange le
barriere. »
« Reiko, ma tu come … »
Kagome non poté finire la frase poiché la ragazza aveva
cominciato a chiamare il nome del mezzo demone, urlando con quanto più fiato
avesse in corpo nella speranza vana di essere in grado di raggiungerlo.
Reiko si sentiva confusa, la testa che vorticava era ricolma
d’informazioni e non sapeva come gestirle dal momento che passavano nella sua
mente a grande velocità e senza nessun controllo.
Solo alcune parole, alcune immagini, sembravano catturare
la sua attenzione in quel vorticare e se ne avesse avuto modo probabilmente
avrebbe rimesso tutto quello che aveva mangiato in quei giorni.
« Reiko … Reiko … »
La voce di Kagome giungeva in quel labirinto come un raggio
di luce, guidandola all’uscita e aiutandola a concentrarsi. Reiko riusciva a
sentire il suo calore, così dolce e delicato che quasi riusciva a capire come
Inuyasha, Miroku e Sango le fossero così tanto affezionati.
Lei aveva uno strano potere anche su di lei. Voleva
restarle vicino, parlarle di tutto quello che la preoccupava ed era certa che
in qualche modo, forse, lei l’avrebbe sempre accolta a braccia aperte e con un
grande sorriso.
Reiko aveva perso i sensi dopo qualche minuto accasciandosi
a terra, ma prima che vi ci arrivasse Miroku e Kagome la sorressero, guidandola
sulle travi del pavimento e aspettando pazienti che si riprendesse.
Li riaprì dopo alcuni minuti. Il suo occhio era rimasto
tale e quale a prima.
« Kagome … Devi dire a Inuyasha di smettere di combattere e
fare a pezzi … » deglutì con fatica prima di riprendere a parlare. « Deve fare
a pezzi il dipinto. Non importa come, basta che lo distrugga e poi si deve
guardare … alle spalle. Altrimenti … Altrimenti loro … »
« Loro, chi? Reiko? » la voce di Miroku era gentile, ma non
celava una certa preoccupazione e ansia.
« Lo uccideranno … »
Gli occhi di Reiko si chiusero lentamente e la nuca andò a
poggiarsi contro il petto di Kagome che la sorresse, la guardavano entrambi
preoccupati da quello strano scorrere degli eventi e poi, come colpiti da un
fulmine, entrambi guardarono il dipinto che era appeso in quel tempio
decadente. I soggetti ritratti stavano giocando a “acchiappa demone”, o “Kagome
Kagome”, lo scopo finale di quel girotondo era indovinare la persona che si
metteva dietro alle tue spalle.
« Miroku, occupati di Reiko per favore. »
Con delicatezza si scambiarono le posizioni e ora toccava a Miroku sostenere il
corpo di Reiko, scosso da leggeri brividi e con la fronte madida, ancora seduto
a terra la strinse appena per cercare di placare almeno la sua sensazione di
freddo.
« Cosa volete fare, divina Kagome? » domandò il monaco, ma
senza ottenere una vera risposta.
Lei non rispose, non subito almeno, aveva avuto una sorta d’illuminazione
quando Reiko aveva parlato del dipinto e su come fare per contattare Inuyasha.
“Divinità, vi prego … Fate che funzioni”.
La sua era una preghiera. Era una supplica.
Poggiò lentamente il palmo della mano contro il rotolo
dipinto e chiuse gli occhi.
“Inuyasha … “
Salve a tutti!
Eccoci qui con la seconda parte. Nel prossimo capitolo, l’ultimo di
questa trilogia, scopriremo qualcosa in più sul reale motivo della
presenza di Reiko nell’epoca Sengoku.
Immaginavo ora abbiate le vostre idee su chi lei possa essere in realtà,
vero? Non pensate troppo in grande, mi raccomando, io sono una persona semplice
e a volte le cose più semplici sono le più ovvie ♫
Dai prossimi capitoli tornerà in scena anche
Kohaku e vedremo anche altri personaggi che abbiamo imparato tantissimo ad
amare nel corso della serie, per quanto mi concerne spero che questa storia vi
stia piacendo. A me molto, scrivere così è molto rilassante e mi auguro di
riuscire ad arrivare sino in fondo senza deludere nessuno. Non sono bravissima,
ma spero di poter migliorare ancora.
Oramai erano passati diversi minuti da quando Inuyasha
aveva cominciato a combattere contro l’ombra. Le tecniche di Tessaiga
sembravano inefficaci, persino la Tessaiga “scaglie di drago” si era rivelata
incapace di trovare il vortice demoniaco di quella strana cosa. Era avventato,
ma non così tanto stupido da capire che usare il Meido, in quel luogo
sconosciuto, avrebbe potuto generare qualche problema.
La sua copia sembrava anche maggiormente veloce, più agile
e precisa nell’attaccarlo impedendogli, molte volte, anche solo di reagire e
limitandolo alla semplice difesa nella quale non era molto ferrato.
In quel momento avrebbe voluto ci fosse Kagome accanto a
lui, era la sola in grado di dargli equilibrio e quando era coinvolta, odiava
ammetterlo, ma dava il meglio di se stesso.
Aveva appena respinto l’ennesimo attacco, la sua schiena,
ora, dava le spalle proprio al rotolo dipinto dell’ “acchiappa demone”.
In quel momento lo sentì. Una scarica elettrica attraversò
il corpo del mezzo demone e lo fece voltare, i sensi concentrati e tesi
nell’attesa di avvertire ancora una volta la voce della persona che più amava
al mondo.
« Kagome! Dove sei?! » gridò a quel punto rivolto al vuoto.
“Inuyasha! Io sono al
sicuro, non ti preoccupare, ma tu devi ascoltarmi adesso … “
La voce di Kagome arrivava direttamente nella sua mente,
stordendolo per la sorpresa ma non abbastanza per rimanere inerme davanti a un
nuovo attacco, stavolta sferrato con più forza, dal suo avversario.
Quest’interruzione l’aveva distratto impedendogli di
sentire il resto del messaggio di Kagome, allontanare la voce da lei,
dopotutto, era il vero obbiettivo degli autori di quel piano assurdo che
temevano quella sua arma: l’unica arma in grado di fendere anche l’aldilà.
La situazione però non andava a genio a Inuyasha con il
sangue che ormai gli aveva raggiunto la testa, innervosito come poche volte si
scagliò contro la sua ombra, sorprendendola con il suo attacco. Un pugno, un
semplice “pugno da rissa” come li chiamava Kagome, ma abbastanza efficace per
mandare fuori combattimento quell’ombra. Non era morto, chiaro, ma il pugno era
ben assestato per permettergli di guadagnare qualche minuto.
« Kagome! Kagome! Riesci a sentirmi?! »
La chiamava, sperando di ripristinare quella sorta di
connessione che prima si era interrotta bruscamente. Non aveva molto tempo a
disposizione.
“Inuyasha … Devi
distruggere il rotolo dipinto!”
« Il rotolo dipinto? »
Inuyasha piegò il capo e osservò il rotolo a cui dava le
spalle da prima; possibile che fosse tutto tanto semplice?
Questo si domandava la sua mente, ma le parole di Kagome
continuarono ancora per qualche istante.
“Quando l’avrai
distrutto, voltati subito e guarda dietro di te Inuyasha … “
Stava per chiedergli ulteriori spiegazioni quando un
fendente di Tessaiga, quella avversaria, per poco non gli tranciava via un
braccio come aveva fatto tempo addietro con Sesshomaru. Un balzo laterale e un
altro ancora.
Niente, quella sua copia sembrava volergli impedire di fare
quello che Kagome aveva detto. Non aveva idea di come sapesse quelle cose, ma
in quel momento, si disse, la cosa più importante era liberarsi di quella sua
maledetta ombra e distruggere il rotolo con un colpo solo.
« Ora mi hai davvero stufato! Vedi di stare buono e non
infastidirmi oltre! »
La lama di Tessaiga venne nuovamente ricoperta di smeriglio
mentre la sua ombra, il suo avversario, si preparava a reagire per impedirgli
di attaccare ma questa volta fu Inuyasha a prendere l’iniziativa e passò
immediatamente al contrattacco.
Un balzo e si portava sopra il suo avversario e con un
fendente della tecnica di Tessaiga, Kongosoha, scagliando centinaia di dardi di
smeriglio proprio contro il dipinto in questione che Kagome gli aveva indicato.
Una volta che quel rotolo fu distrutto la sua ombra sembrò
bloccarsi, la spada ancora alzata e pronta a colpire e in un istante cadde a
terra. Era scomparso.
Inuyasha fece come Kagome aveva detto, una volta distrutto
il rotolo si volse subito a guardare alle sue spalle e trovò lei, Kagome, gli
occhi lucidi e le braccia protese verso di lui per stringerlo.
Non disse niente, non c’erano parole da dire in questo
caso, si limitò a stringerla nel suo abbraccio sotto lo sguardo più sereno di
Miroku. Reiko, al contrario, era ancora priva di sensi tra le braccia del
monaco e non dava segni di ripresa.
Kagome spiegò velocemente quello che era accaduto con Reiko
e ciò che lei aveva confidato loro prima di svenire, nuovamente.
Inuyasha la fissò, sorpreso ma forse non più di tanto. Era
una stupida, faceva cose sconsiderate e non le importava di loro. Eppure, in
quel momento, aveva deciso di salvarlo chiedendo aiuto proprio a Kagome perché
sapeva che poteva raggiungerlo.
« Bene! Ora andiamocene da questo posto! »
La lama di Tessaiga si tinse di rosso, come il sangue,
attivando il suo potere per rimuovere le barriere. Non seppe con certezza il
motivo per cui si volse ancora verso il rotolo dipinto, ma senza indugi scagliò
un potente attacco, la cicatrice del vento, proprio in quella direzione. Il
potere demoniaco della sua spada, unito al potere d’infrangere le barriere,
funzionò a dovere e il tempio in cui si trovavano scomparve alla loro vista
dissolvendosi come cenere al vento.
L’unica cosa che rimase a terra fu il rotolo ma anche
quello, dopo poco, svanì completamente come se non fosse mai esistito. Fu
soltanto allora che ripose la sua spada nel fodero; la battaglia era infine
conclusa.
« Meno male, è tutto finito … » commentò Kagome,
visibilmente sollevata e spostando nuovamente lo sguardo su Reiko che sembrava,
almeno per quel momento, addormentata tra le braccia di Miroku.
« Quei maledetti … Devono averla rapita dopo che ci siamo
allontanati da lei. »
« E’ così! » constatò Miroku, ormai abbastanza sicuro di
quello che stava per dire. « In realtà, sono convinto che tutto questo fosse
una messi in scena per metterci alla prova. Scommetto che persino gli abitanti
del villaggio non sono reali, ma marionette manovrate da qualcuno per ottenere
qualcosa non solo da noi ma anche da Reiko.
Soltanto a pensarci sentiva la rabbia crescergli dentro.
Non capiva il motivo, ma si sentiva stranamente affezionato a quella ragazza;
era come una delle sue figlie, voleva proteggerla.
« Povera Reiko … » la voce di Kagome era carica di
tristezza e compassione nei confronti della giovane ragazza, della sua nuova
amica, perché ormai la considerava tale.
Avrebbe voluto darle delle risposte, aiutarla a tornare a
casa eppure, alla fine, non era stata in grado di mantenere la sua promessa.
« Mi dispiace, Reiko. » mormorò con voce bassa, allungò una
mano per sfiorarle il viso quando quest’ultima aprì il suo occhio sinistro,
ancora nel suo aspetto demoniaco e costringendola a fermarsi.
Inuyasha si parò davanti a Kagome, una mano già pronta sull’impugnatura
di Tessaiga e Miroku lentamente si allontanava da lei. Una strana tensione
vibrava nell’aria e dall’occhio della ragazza, ora, avvertivano più chiaramente
una strana aura demoniaca che mal si accostava con l’aspetto umano di lei.
Solamente il suo occhio marchiato era aperto, ma si alzò
ugualmente e con curiosità prese a guardare le sue stesse mani e poi il resto
del corpo come se non l’avesse mai visto prima.
« Dov’è Reiko? » domandò Kagome, pronta a fare tutto il
necessario per salvare la vita della ragazza. Il volto di lei era sereno, si
volse verso di loro e accennò un piccolo sorriso.
« … Anche lei è qui. »
dalle labbra di Reiko uscirono quattro tipi di voci diverse.
Una era profonda e bassa, tipicamente maschile e
appartenente a un uomo adulto.
L’altra, invece, era più leggera e acuta e sembrava
appartenere a una bambina.
Una terza, invece, sembrava appartenere a una donna anziana
e infine c’era quella di Reiko che si mescolava con le altre.
« Muoversi in questo
corpo è così strano. E’ la prima volta che riusciamo a comunicare. »
Quelle voci continuavano ad alternarsi sotto lo sguardo
preoccupato dei tre compagni di viaggio, Inuyasha, anche se non del tutto,
aveva cominciato ad allentare la presa della sua mano attorno alla lama di
Tessaiga. Se anche fosse accaduto il peggio, usando la sua arma avrebbe
solamente rischiato di ferire anche Reiko.
« E voi chi sareste di grazia? »
La voce calma e pacata di Miroku era quello che serviva per
cercare di mantenere una via diplomatica aperta.
« Noi siamo i draghi
che abitano all’interno della sfera cuore custodita da questa ragazza.
Le informazioni
che vi abbiamo dato vi sono state utili? »
« Quindi … Siete stati voi a dire a Reiko cosa fare … »
Fu il turno di Kagome per prendere parola, sorprendendosi
lei stessa come non accadeva spesso e guardando diritto negli occhi di Reiko
mentre una mano si poggiava sulla spalla del marito, ancora in tensione,
cercando di placarlo.
« Sta tranquillo, Inuyasha, non credo che vogliano farci
del male … »
« La sacerdotessa
dice il vero. Mezzo demone, onorato monaco … Non abbiamo nessun interesse a
causarvi alcun danno. Al contrario, anzi, dobbiamo chiedervi aiuto. »
« E perché mai dovremo aiutare dei parassiti come voi? »
Inuyasha non poteva celare i suoi pensieri. Non quella
volta.
Reiko era una ragazza normale, un pochino fastidiosa e
spesso stupida, ma quello che non poteva sopportare era vederla alla stregua di
una marionetta nelle mani di demoni che casualmente vivevano dentro di lei.
Il silenzio calò attorno a loro, soltanto il vento,
accarezzando le punte più alte degli alberi, sembrava davvero scuoterlo e per
un momento interminabile sia Reiko che Inuyasha si fissarono negli occhi.
« Non avete scelta. Senza
il vostro aiuto Reiko morirà presto. »
Le voci che uscivano dalle labbra di lei, ora, sembravano
alternarsi continuamente per finire le frasi e permettere ai loro interlocutori
di comprendere meglio la situazione in cui si erano trovati coinvolti.
« Cosa … Cosa volete dire? » domandò Kagome, temendo di
udire la risposta.
« In principio,
quando venne creata la prima sfera cuore, il nostro desiderio era quello di
dimorare nei corpi di giovani fanciulle per accumulare abbastanza potere e poi
rinascere ancora. » esordì la voce maschile.
« Eravamo troppo deboli per continuare a
vivere nel mondo umano nei tempi che correvano, ma il nostro nemico di sempre,
la Bestia, ha sempre ostacolato questo processo costringendoci a cambiare corpo
di volta in volta. »
A concludere quella frase ci pensò la terza voce che
avevano udito, quella più infantile e semplice, ma il gruppo non sembrava farci
troppo caso in quanto erano concentrati unicamente sulle parole.
« La Bestia? E
cosa sarebbe? Un demone? » chiese Inuyasha, curioso a questo punto.
Cosa poteva essere da spaventare a quel punto dei demoni
maggiori?
L’espressione sul volto di lei cambiò a quella domanda,
scurendosi e affilandosi mentre la voce femminile prese il posto delle altre.
« Non è niente di
ciò. E’ carne e ossa. E’ anime unite tra di loro. E’ tenebra e oscurità.
Tuttavia, come
sicuramente penserete, egli non è come Naraku. »
Quell’ultimo nome fece sobbalzare i tre amici, Kagome passò
lo sguardo da Miroku a Inuyasha, visibilmente turbata e preoccupata per loro.
« Come siete a conoscenza di questa storia? Se è vero ciò
che dite, allora non è possibile che sappiate di Naraku. »
« Onorato monaco, noi
conosciamo ogni cosa di voi solamente guardandovi. E’ il nostro potere. E’ il
potere di questo occhio. »
La mano di Reiko si poggiò contro la propria guancia. L’indice
e il medio carezzavano appena il contorno dell’occhio mentre le altre dita,
invece, erano poggiate contro il marchio che segnava il volto della ragazza.
« Non abbiamo molto
tempo a disposizione, per cui, vi preghiamo, ascoltateci senza interrompere. »
Tornarono a parlare tutti insieme e il tono usato era
serio, deciso e non lasciava spazio ad obbiezioni di nessun genere.
Avevano tutti molte domande da fare, soprattutto Kagome, ma
per il bene di Reiko decise di non aggiungere altro e lasciare che
comunicassero il loro messaggio.
« Per lungo tempo la
Bestia ha perseguito la nostra discendenza, ma questa volta, nel tentativo di
proteggere la nostra sfera cuore, abbiamo usato quanto rimaneva del nostro
potere per cercare di sfuggire alla sua presa violando il tempo e lo spazio.
Alla fine, abbiamo trovato Reiko. »
Nelle ultime parole c’era una sorta di venerazione.
Era come se quei demoni drago, così potenti e dalla grande energia demoniaca,
fossero commossi anche solo pensando alla ragazza della quale stavano usando il
corpo.
« La sua discendenza
è antica e potente, ospite già nel passato di antiche maledizioni, era la
candidata ideale e per diversi anni siamo rimasti quieti all’interno del suo
corpo. E lì saremo rimasti, se non fosse stato per la Bestia e per i suoi
seguaci che ci hanno ricondotto qui. »
I tre ascoltavano con molta attenzione il racconto dei
demoni senza interrompere, come avevano chiesto, ma non potevano celare a lungo
la curiosità che si dipinse più chiaramente sui loro volti tanto che questa
dovette essere così evidente da spingere Reiko a sospirare.
« I nostri poteri, un
tempo sopiti, si stanno risvegliando e se non raggiungeremo presto il tempio di
Ama la vita di Reiko sarà in grave pericolo. La nostra ospite è umana, come
umana, seppure dotata di una grande forza, non è in grado di sopportare per
intero la nostra aura demoniaca. Deve raggiungere il tempio di Ama prima della
prossima luna piena. Tuttavia, per poter entrare nel tempio, occorre l’amuleto
della Dea Amaterasu custodito in un tempio nella regione ove dimorano gli Yoro.
»
A sentire nuovamente quel nome Inuyasha non poté fare a
meno di sentire un nervo sulla sua fronte cominciare a pulsare, Kagome, dal
canto suo, si lasciò scappare una risata divertita mentre si beccava un’occhiata
truce da suo marito. Non avevano dimenticato Koga e tutte le sue avance a sua
moglie, questo sicuro, anche se si era sposato non sarebbe mai cambiata l’immagine
ai suoi occhi: era il demone che più volte aveva cercato di portargli via
Kagome.
« Vi preghiamo,
aiutateci e aiutate Reiko. Noi faremo di tutto per proteggerla. Le conferiremo
parte dei nostri poteri, ma dovrete essere cauti e non farle mai abusare della
nostra forza o potrebbe perdersi … per sempre. »
Quelle parole fecero scattare qualcosa nella mente di
Inuyasha.
Guardando l’occhio dorato di Reiko, ora così simile a
quello di un demone, avvertì uno strano brivido e l’immagine di lui
completamente soggiogato al suo aspetto demoniaco.
Quindi era quello il destino di Reiko se non l’avessero
salvata? Diventare un demone e rinunciare per sempre alla sua anima.
« Non lo permetteremo … ! » sbottò Inuyasha, sorprendendo
in positivo sia Kagome che Miroku.
Il volto di Reiko, da diversi minuti serio e distaccato,
parve rilassarsi e il sorriso tornò a farsi spazio sulle sue labbra.
Mosse qualche passo verso di loro, fermandosi davanti a
Miroku e annuendo con un cenno del capo.
« Onorato monaco,
sacerdotessa, giovane mezzo demone … Vi affidiamo Reiko, e assieme a lei tutte
le nostre vite. Non abbassate la guardia, poiché la Bestia veglierà sempre sul
vostro cammino. »
In quel momento chiuse gli occhi e il suo corpo cadde a
peso morto addosso a Miroku, quest’ultimo fece appena in tempo a sorreggerla
senza cadere ma questa volta sembrava che non ci fossero problemi particolari.
Non molto distante, nascoste dagli alberi, due figure
avevano assistito a tutta la scena.
« Mi chiedo … »
« … Mi chiedo … Dovremo riferire quanto accaduto alla
Bestia? » domandò una delle voci, chiaramente rivolta alla compagna.
« La lama del mezzo demone è la zanna che cercavamo,
tuttavia … »
« … La sacerdotessa e il monaco potrebbero rivelarsi problematici.
Mi chiedo … Mi chiedo … Dovremo eliminarli? »
« Solo se la Bestia lo vorrà.Al momento gioiamo … »
« … gioiamo del risveglio dei poteri dell’ancella ospite! »
Una folata di vento si alzò dal terreno per poi salire
decisa verso l’alto scuotendo le chiome degli alberi, Inuyasha si voltò a
guardare alle sue spalle mentre sentiva uno strano odore nell’aria. Era un
odore acre, come il rame, ricordava il sangue ma anche qualcosa che non sentiva
da parecchio tempo: carne putrefatta e terra tombale.
« Qualcosa non va? » domandò Kagome.
Aveva notato la strana espressione del suo compagno,
pensierosa ed eccessivamente seria, tanto da farla preoccupare che ci fossero
altri nemici nei dintorni.
« No Kagome, è tutto a posto. Non c’è niente che non va. »
Salve a tutti!
Alsolito, prima di cominciare,
ringrazio di cuore KagomeNoTaisho e tutte le
persone che hanno messo questa storia tra le “seguite”. Un grazie di vero
cuore.
Finalmente abbiamo scoperto qualcosa in più, ma sarà davvero tutto? Non
dimenticate che non ci si può davvero fidare dei demoni, meno che mai quelli
che pretendono di essere divinità.
In ogni caso si vedrà, giusto?
Nel prossimo capitolo tornerà Kohaku e la storia, come potrete
immaginare, prenderà una nuova piega e assisteremo ad altre piccole
rivelazioni.
Un grazie di cuore a voi che leggete e commentate.
Reiko non si svegliò per tutto il viaggio di ritorno.
Viaggiarono più velocemente possibile: Kagome, sulle spalle
di Inuyasha mentre Miroku, invece, avrebbe trasportato Reiko e la sua chitarra
che purtroppo per lui era molto pesante unita al peso del suo corpo.
Alla fine, per facilitare il compito al monaco, Inuyasha
decise di lasciare che fosse Kagome a trasportare quello strano strumento che
suonava Reiko.
Il ritorno fu più rapido rispetto al viaggio di andata.
Affidarono la ragazza alle cure di Kaede e Kagome, ma c’era poco che si poteva
fare, come ripeteva la sacerdotessa, non potevano fare altro che aspettare che
ella si risvegliasse autonomamente. Rin, dal canto suo, cercava di fare quello
che poteva per assistere le sacerdotesse e promise che avrebbe vegliato lei su
Reiko mentre loro avrebbero discusso cosa fare.
La “riunione”, per così dire, si spostò a casa di Miroku e
Sango, la presenza del mezzo demone e di Kagome aveva reso la loro umile casa
alquanto affollata. Le bambine e il piccolo Komori riposavano tranquille,
ignorando quanto i grandi stavano dicendo poco distanti da loro. Spiegarono
velocemente quanto accaduto anche a Sango, speravano, forse troppo, nella sua
esperienza come sterminatrice di demoni e che magari avesse potuto udire
qualcosa di un demone che si faceva chiamare solamente la Bestia.
« Mi dispiace, ragazzi, purtroppo non ho mai sentito di una
creatura simile. » rispose infine, annullando le loro speranze causando un
sospiro generale.
« Di questo passo non faremo che girare attorno come degli
stupidi. » brontolò Inuyasha, seccato per tutta quella situazione ma ancora di
più per non avere nessun indizio su dove trovare questo misterioso demone.
Kagome, dal canto suo, stava ancora riflettendo su quanto
Reiko aveva detto riguardo la sua discendenza e il pensiero che da tempo
l’assillava sembrava concretizzarsi.
« Forse … La risposta che cerchiamo è proprio in quello che
lei ha detto. »
« Hai in mente qualcosa, Kagome? » domandò Sango,
osservando l’espressione pensierosa della sua amica non si era potuta
trattenere dal fare quella domanda; una domanda che aveva attirato l’attenzione
dell’intero gruppo.
« Quelle creature, i demoni dentro di lei, hanno detto di
averla scelta perché la sua discendenza era antica e aveva ospitato al suo
interno una maledizione. Quindi, alla fine, non possiamo proprio escludere che
la Bestia e Naraku non siano collegate del tutto. »
Il discorso cominciava a prendere un suo senso e tutti,
nessuno escluso, decise di dare la piena attenzione alla ragazza che sembrava
avere una propria idea su quella storia assurda.
« Se davvero la Bestia è un demone, o qualsiasi entità essa
sia, non è strano che Naraku non abbia mai cercata per assorbirla? »
« Non è strano. » replicò rapido Inuyasha. « Ricordi cosa
accadde quando Naraku scomparve dietro la barriera del monte Hakurei? Tutti i
demoni che avevano paura di lui hanno cominciato a tirare fuori la testa dalla
sabbia, e probabilmente ha fatto lo stesso anche questo demone. Ha atteso il
momento opportuno per cominciare ad accrescere il suo potere. »
« Per quanto sembri strano … » continuò Miroku, incrociando
le braccia e facendosi pensieroso improvvisamente. « Sono pienamente d’accordo
con il ragionamento di Inuyasha, divina Kagome. »
« Kagome, tu invece cosa pensavi? » domandò Sango,
avvertendo una certa punta di curiosità. Tutto quello che era accaduto durante
il viaggio, in un certo senso, le mancava ma non poteva ancora rimettersi a
sterminare demoni come in passato. Non ancora, almeno.
« Non so come dirlo, non sono nemmeno sicura, ma io penso …
anzi sono convinta che Reiko sia una tua discendente, Sango. Una discendente
tua e di Miroku! »
Le sue parole uscirono di getto e con una convinzione
maggiore di quella che credeva possibile. Su di se aveva tutti gli sguardi
possibili, dallo stupore all’accigliato, non mancava niente eppure non cedette
nella sua convinzione.
Il silenzio calò nuovamente su quella piccola riunione,
interrotta solo dal crepitio del fuoco nel braciere.
« Lo so, sembra assurdo. » continuò Kagome, stanca di quel silenzio e chinando
appena il capo per osservare le sue mani – improvvisamente molto più
interessanti. « Però, anche se sembra assurdo, sono convinta che non sia un
caso che sia stata scelta proprio lei. Miroku, tu stesso, per molti anni, hai
portato su di te il peso della maledizione di Naraku e forse … Forse è proprio
questo che ha guidato Reiko sino a noi. »
Il silenzio tornò a farsi pesante in quella piccola casa ma
alla fine, con un sospiro quasi liberatorio, fu Sango a interromperlo e quando
Kagome incrociò il suo sguardo le sembrò che i suoi occhi si fossero fatti
improvvisamente più lucidi. Accennò un leggero sorriso e voltò il capo verso
Miroku il quale, dopo un cenno di assenso prese a stringere la mano della
compagna, sorridendo in modo lieve decisero di esporre finalmente anche agli
altri ospiti i pensieri che albergavano nelle loro menti in quel preciso
momento.
« Sarebbe davvero bello se fosse così … » commentò Sango
mentre Kagome, scuotendo il capo, ribadiva quanto quell’ipotesi potesse essere
veritiera.
« In effetti, a pensarci, in lei ritrovo moltissime cose di
te, Sango, e sotto alcuni aspetti ti somiglia. Gli occhi, soprattutto gli occhi
ti ha rubato. »
Avevano ragione.
Questo pensava Kagome mentre sorrideva rivolta ai suoi
amici, si sentiva più sollevata ora che finalmente, dopo giorni, aveva esposto
quel pensiero che campeggiava deciso nella sua mente e non le dava più nessuna
tregua.
Persino Inuyasha era d’accordo con lei, ammettendo,
finalmente, quello che lui stesso pensava dopo aver sentito le parole di Reiko
e il suo modo di fare avventato che gli ricordava un Miroku del passato.
« Questo però non spiega come fare a trovare la Bestia. »
aggiunse Inuyasha, finalmente, interrompendo il flusso di pensieri riguardo a
Reiko e riportando la questione sul nodo principale. Le bambine, nel frattempo,
si erano mosse nel sonno e aveva scacciato malamente la coperta che le teneva
al riparo dal fresco della sera. Sango, sorridendo davanti all’abbraccio delle
gemelle, si affrettò a ricoprirle per evitare che anche il piccolo Komori ne
risentisse.
« Forse sì, invece. » replicò Miroku, stavolta più sicuro
di se stesso. Le parole di Kagome gli avevano appena dato una buona idea di
dove andare a cercare qualche informazione. « La divina Kagome ha ragione: non
possono esserci coincidenze. Se davvero questa storia è legata alla maledizione
che Naraku scagliò sulla mia famiglia, allora è meglio cominciare a cercare da
dove tutto è cominciato. Intendo andare a parlare con Mushin, e poi, se
necessario, a visitare la tomba di mio nonno. »
L’intero gruppo annuì con alcuni cenni di assenso a quella
proposta parecchio ragionevole, Sango, dal canto suo, chiese di potersi unire
al marito ma questi le spiegò che non era necessario dal momento che si
trattava solo di pochi giorni e che avrebbe fatto ritorno quanto prima. A quel
punto la riunione era finita, Inuyasha e Kagome si congedarono lasciando da
sola la famiglia appena riunita.
Camminarono l’uno accanto nella sera ormai inoltrata, gli
occhi di Kagome erano fissi sul cielo stellato di quella notte – un cielo che
non esisteva da nessun’altra parte. Inuyasha, accanto a lei, sembrava essere sempre
silenzioso ma il suo viso, in realtà, era un libro aperto ai suoi occhi. Non le
fu difficile intuire che c’era qualcosa che voleva dirle.
« Qualcosa non va, Inuyasha? »
« Nulla … »
« Mn … Non sembra che sia “nulla”. »
Quando Kagome era insistente quasi non riusciva a
sopportarla.
Non era per cattiveria, lo sapeva che era solamente
preoccupata per lui, come in passato, ma in quel momento non se la sentiva di
condividere quello che si agitava nella sua mente.
Durante il loro breve viaggio, lei e Reiko avevano stretto
amicizia e spesso, alle loro spalle, avevano parlato del mondo che Kagome aveva
lasciato alle spalle e sentiva un sacco di parole che non capiva. Una parte di
lui non sopportava quelle conversazioni avvolte dal mistero.
Kagome, intuendo che non sarebbe riuscita a cavare niente
dalle labbra del marito, sospirò affranta e decise di lasciar perdere
l’argomento, almeno per quella sera.
Aveva notato che qualche giorno suo marito era più nervoso
del solito, irritabile sarebbe stata la parola giusta ma, pensò, visto il
carattere di Reiko e la sua tendenza al sarcasmo non ci aveva dato molto peso.
Sapere che c’era qualcosa che non voleva dirle riportava la mente indietro nel
tempo, la faceva tornare al loro viaggio alla ricerca dei frammenti della Sfera
e a un tempo in cui le cose non erano per niente facili.
Camminarono ancora, ancora e ancora fino a raggiungere una
piccola casa appena fuori dal villaggio, ma abbastanza vicino da farne comunque
parte. Quella era la loro casa, il loro rifugio personale.
Il fuoco era spento e senza perdere altro tempo lo accese,
sfregando le mani appena sopra di esse quando, senza far rumore, Inuyasha la
raggiunse e prese le mani della moglie nelle proprie per stringerle in una
morsa delicata.
Kagome piegò appena il viso incontrando gli occhi ambrati
del marito, sapevano catturarla, come in passato, non riusciva in nessun modo a
sottrarsi a quella sorta d’incantesimo.
Lentamente si sentì attirare verso di lui, le palpebre si
abbassavano un poco e la distanza che separava le loro labbra venne meno mentre
le sue mani venivano liberate.
Era come una calamita alla quale non poteva resistere. Non
si rese conto di aver trattenuto il fiato, se non dopo aver ispirato
profondamente nel momento in cui era rimasta sospesa in quelle pozze color oro.
Dietro di lui, le mani risalivano il suo collo e s’insinuavano tra le ciocche
argentee, stringendo le dita e catturando alcune di esse con fare possessivo.
Il suo respiro era così invitante da non riuscire a
sottrarvisi, e la sua lingua sembrava essere diventata una preda ambita per
Kagome che, impavida, si faceva spazio tra le labbra schiuse del marito per
incontrarla. Tocchi dapprima leggeri contro la gemella, per poi unire
nuovamente le labbra alle sue e ricercare nella sua bocca la compagna di quel
gioco. Si spingeva in avanti, premendosi maggiormente contro il petto di
Inuyasha, il quale aveva posato una mano contro il suo fianco per trattenerla
in quella posizione e non farla allontanare, ma era un piano inutile. Le
piccole mani di Kagome, ancora strette dietro la nuca, lo sospingevano verso di
lei in un bacio che nulla poteva avere di innocente.
Quando si separarono, la stretta attorno alla vita di lei
non diminuì e, al contrario, si fece maggiormente più intensa mentre la
obbligava a sedersi sopra le sue gambe per stare maggiormente comoda.
Inuyasha teneva il capo chino, una mano ferma sul braccio
della ragazza e l’espressione seria che ancora non l’abbandonava.
« Inuyasha … » la voce di Kagome lo richiamò, così calda e
dolce da fargli abbassare completamente la guardia.
« … Ne senti la mancanza? » domandò, incapace di alzare lo
sguardo e incontrare quello sorpreso di lei davanti a quel quesito. « Senti la
mancanza della tua epoca, non è così? »
« Cosa dici …? »
« Reiko … Da quando Reiko è arrivata non fai che parlare
con lei di cose che non capisco, cose che non conosco e che so appartenevano al
tuo mondo … »
« Inuyasha … Ti sei tormentato tutto questo tempo su questa
cosa? » domandò Kagome, quasi sorpresa dal sentire il proprio compagno così
aperto e sincero con lei.
Lui non rispondeva, ma ormai non era necessario che lo
facesse. Non più ormai.
Un sorriso molto dolce allungò gli angoli delle sue labbra
mentre una mano, sciogliendo l’intreccio dietro la nuca del marito, passava a
sfiorargli la guancia e con il palmo sulla guancia lo costringeva ad alzare il
viso per poterla così guardare negli occhi.
« Sei davvero uno stupido, Inuyasha! »
« Ehi … ! »
Stava per replicare qualcosa, come suo solito, ma
l’espressione serena del viso di lei lo fermò dal rovinare quel momento con una
loro litigata “vecchio stile”.
Sorrideva, ma non era uno di quei sorrisi semplici. No.
Il sorriso di Kagome contagiava anche i suoi occhi,
rendendoli lucidi e se possibile anche cristallini, trovandosi senza parole non
poté fare altro che rimanere in silenzio completamente ammaliato.
« Non vorrei essere in nessun altro luogo al mondo.
La mia famiglia mi mancherà sempre ma questo è normale, no?
Inuyasha, io … Inuyasha io voglio stare qui, con te, perché è questo il luogo
dove voglio stare. Non vorrei essere in nessun altro posto al mondo. »
Possibile che in tutti questi anni non l’abbia mai capito,
pensò Kagome, illuminata da quel sorriso mentre Inuyasha la guardava diritto
negli occhi decisamente sollevato.
I suoi occhi, invece, erano ancora una volta lucidi e
ricolmi di sentimento. Poggiava la fronte contro la sua e chiudeva gli occhi,
ispirava a fondo prima di chiudere ancora una volta la distanza che separava i
loro volti unendo le loro labbra in un bacio.
Inuyasha non tardò a schiudere nuovamente le labbra sotto
le sue, schiudendole e accarezzandole dapprima con il respiro e poi con la
punta della lingua mentre portava una mano sulla schiena della compagna per
risalire lungo di essa.
Avvertiva tutta la sua tensione correre lungo la spina
dorsale, ma anche così, senza interrompere quel loro bacio, la spinse sul
pavimento di legno della loro piccola casa. La mano destra risaliva delicatamente
sulla nuca e la mancina rimaneva sul fianco per aiutarla a stendersi.
Le braccia di Kagome assecondavano i movimenti del suo
corpo e si allacciavano intorno alle sue spalle per far di lui il suo appiglio,
il suo sostegno, fino a che non raggiunsero la loro “meta”. Distanziatasi dalle
sue labbra tornò a mostrargli quel sorriso dolce, grato, amorevole,
socchiudendo le palpebre sugli occhi ora più lucidi. Inuyasha la guardava,
incapace di distogliere lo sguardo mentre spostava la mano dal suo fianco sino
al nodo che reggeva gli hakama di lei.
« Anche se fossi tu a volerlo, Kagome, non penso … Non
penso di poterti lasciare andare via. »
Tre anni. Tre anni dalla battaglia di Naraku l’aveva attesa
e ora che finalmente, dopo tanto penare, lei era tornata da lui non l’avrebbe
mai più fatta allontanare. Non avrebbe sopportato la solitudine, non ora che
conosceva la gioia di averla accanto.
Scostava il tessuto che copriva il corpo della moglie,
della sua compagna di vita, niente sfuggiva al suo sguardo nemmeno le guance di
lei colorarsi appena di rosso sotto il suo sguardo intenso e indagatore.
Le labbra si posavano ora sulla sua pelle candida,
accarezzandola con piccoli baci scoprendola lentamente e avvertendo i piccoli
brividi del suo corpo mentre il suo respiro si fermava quando raggiunse una
delle sue mete, almeno per quel momento. La punta della lingua tracciò un
contorno della linea del suo seno, Kagome trattenne nuovamente il respiro,
sussultando appena sotto di lui. Era sempre così, pensò in un momento di
lucidità, la trattava come se fosse il più prezioso dei tesori, qualcosa di
grande valore e completamente inestimabile. La sua mano destra si mosse verso l’alto
arrivando a sfiorare una delle delicate orecchie del mezzo demone, soltanto con
la punta dell’indice, all’inizio, per poi accarezzarle come aveva fatto la
prima volta che l’aveva visto. Erano così sensibili, delicate al massimo, ed
erano solamente sue da poter toccare adesso – almeno senza causargli il solito
nervosismo.
Una volta gli aveva detto che essere soli in un mondo del
tutto sconosciuto le causava solamente tristezza, ma lui, forse senza pensarci
davvero, le aveva chiesto se era insoddisfatta che a starle vicino fosse
proprio lui. Non era così. Non lo era mai stata, era la sua sola presenza a
salvarla e a distruggerla allo stesso tempo. Essere così leggeri, ma allo
stesso tempo pesanti.
Un gemito sfuggì dalle sue labbra quando lo sentì afferrare
tra i denti, seppure con estrema delicatezza, uno dei suoi capezzoli causandole
ulteriori brividi.
Aveva alcune cose da dirgli, qualcosa che l’arrivo di Reiko
aveva rimandato ma in quella sera, quando anche il suo corpo non rispondeva,
decise di non dire niente e aspettare. Aspettare solamente.
Nel frattempo, non lontano dal villaggio, il vecchio Myoga
aveva portato a termine la propria missione e ora stava facendo ritorno dai
suoi vecchi amici.
« E’ stata una fortuna averti trovato di strada, Kohaku,
avremo bisogno di tutto l’aiuto possibile. »
La vecchia pulce saltellava sulla spalle del giovane
sterminatore di demoni, Kohaku, in groppa a Kirara mentre si dirigevano verso
la loro destinazione: il villaggio di Musashi.
« La situazione è davvero così grave, vecchio Myoga? »
« Decisamente! Bisogna assolutamente avvertire il signorino
Inuyasha prima che sia troppo tardi! »
Salve a tutti!
Avete notato l’aggiornamento nella pagina della mia biografia? No? Bene,
vi consiglio di dargli un occhiata ~
Torniamo a noi, un capitolo un po’ particolare (chiedo scusa se non è
venuto bene, ma io e le scene romantiche abbiamo qualche problema) per festeggiare
Febbraio e la festa degli innamorati. Spero vi sia piaciuto.
In tutto questo, come sempre, ringrazio di cuore KagomeNoTaisho
e Medea Astra per aver recensito.
Ringrazio anche tutti coloro che hanno letto, aggiunto ai preferiti e via
scorrendo la mia piccola oneshot
“Maou – Il Diavolo”.
Quella notte Reiko riprese i sensi solamente due volte.
Una prima volta per chiedere un po’ di acqua, la seconda
volta per vomitare qualsiasi cosa le fosse entrata nello stomaco negli ultimi
giorni.
La vecchia Kaede e Rin si presero cura di lei durante tutto
quel tempo, tenendo la sua fronte e preparando qualcosa per aiutarla a
riposare. Reiko, dal canto suo, non riusciva nemmeno a chiudere gli occhi senza
che i ricordi di centinaia di anime invadessero la sua mente.
Avrebbe voluto piangere, urlare e sfasciare ogni cosa
attorno a lei se questo avesse potuto aiutarla a far tacere quelle maledette voci
nella sua mente.
Non sentiva altro che sussurri, parole vuote e
incomprensibili e tante, troppe, informazioni che si ammassavano nella sua
mente.
Riusciva a vedere il passato, aveva volato con la mente
indietro di moltissimi secoli e poi, improvvisamente, era tornata al presente.
Quando riaprì gli occhi si accorse di essere da sola. Nella
casa non c’era nessuno, nemmeno la vecchia Kaede.
Puntellandosi con il gomito si tirò a sedere, con sua
grande gioia si accorse che non sentiva più il dolore di prima, nemmeno le voci
nella mente, al contrario avvertiva come una certa tranquillità davanti a
quello che doveva accadere.
Quando i demoni avevano parlato attraverso di lei li aveva
ascoltati, aveva assimilato ognuna di quelle parole eppure, senza spiegarselo,
sentiva che non era stato detto. Qualcosa mancava, ma lei non voleva pensarci.
Con una mano si sistemò i capelli alla buona, sospirando
appena e cercando con lo sguardo la sua chitarra, l’oggetto più prezioso che
aveva al mondo e sorridendo nel ritrovarla.
Era l’unico ricordo di sua madre.
Si mise in piedi con fatica, oscillando e costringendosi a
fare affidamento alle pareti della casa per non perdere l’equilibrio.
“Cielo … Mi sento così stupida … “
Infilò nuovamente le sue scarpe e afferrò la sua chitarra,
poggiata vicino alla stuoia che fungeva da ingresso, avvertendo una strana
sensazione nelle mani al tocco con il tessuto delle spalline della custodia.
Allontanò la mano, preoccupata, cominciando ad aprila e
chiuderla davanti ai suoi occhi ma nulla; non c’era assolutamente niente che
non andasse in lei.
Sistemò la custodia su una spalla sola e uscì.
La luce del sole la colpì come uno schiaffo, obbligandola a
chiudere gli occhi e a proteggerli con una mano, passò a setacciare l’area con
lo sguardo ma non trovò nessuno che conosceva. Attorno a lei, fin dove poteva
guardare, c’erano solo gli abitanti del villaggio intenti a svolgere i loro
compiti ma di Inuyasha, Kagome, Sango e Miroku nemmeno l’ombra.
Un sorriso dalle tinte malinconiche prese a farsi spazio
sulle sue labbra, allungandole in una linea triste mentre andava a raggiungere
le scalinate del tempio per poi sedersi sotto i Tori.
Chiuse gli occhi ispirando a fondo l’aria fresca di quel
pomeriggio, un vento leggero le accarezzava il viso giocando con i corti ciuffi
dei suoi capelli e portando con se il profumo della stagione che cambiava.
Guardò ancora una volta le sue mani, incerta sulla strana
sensazione che avvertiva sulla punta di esse, decisa a non pensare al passato
afferrò la sua chitarra e cominciò a sistemare le corde.
Quella chitarra apparteneva a sua madre.
Non aveva molti ricordi di lei, era morta quando aveva solo
quattro anni, eppure ricordava ancora le sue canzoni e le ninna nanne che
intonava per lei. Era tutto ciò che aveva. Tutti i suoi ricordi prendevano vita
solo quando sfiorava quelle corde, cantando melodie distanti e immergendosi
nella musica. Occhi chiusi, un sorriso sereno sulle labbra e le dita che
cominciava a scivolare sulle corde della chitarra.
« Hush now … »
Quella era la canzone che sua madre cantava sempre, la sua
preferita, l’aveva imparata ad orecchio e non era ancora del tutto perfetta a
detta sua. Aveva appena cominciato quando, aprendo appena gli occhi, trasalì
nel trovarsi di fronte due bambine dall’aspetto quasi identico.
Dove le aveva già viste?
I grandi occhi nocciola non facevano che guardarla,
inginocchiate davanti a lei con le mani che reggevano il mento, sembravano
decise a voler dire qualcosa ma lei era come paralizzata dall’imbarazzo.
Non le piaceva essere fissata, soprattutto quando cantava quella canzone. Le orecchie erano
diventate completamente rosse e calde mentre cercava di rimettere insieme la
linea dei suoi pensieri le bambine si erano avvicinate, inginocchiandosi come
prima e sorridendo come prima e aspettando qualcosa.
« Canta ancora, per favore! »
« Sì, ti prego, quello strano strumento ha un suono
bellissimo … Per favore. »
Lei le guardava, un pochino imbarazzata e chinando il capo.
« E’ … E’ una canzone che mi cantava sempre mia madre … Cer
… Cercherò di tradurla per voi. »
Alla fine, non era tipo da resistere a delle richieste così
accorate.
Gli occhi delle bambine presero a brillare mentre lei, un
po’ impacciata per l’avere attorno a se un pubblico così giovane, sistemò
nuovamente la chitarra contro il suo corpo. Tradurre quella canzone
dall’inglese non sarebbe stato facile, adattarla al momento ancora meno, ma
avrebbe fatto un tentativo.
« Ascolta, è la mia
storia.
Dormi, chiudi
gli occhi.
Danza nelle
onde del mare.
Immergiti nel
profondo.
Le stelle
brillano nel cielo.
Si alza il
vento,
sussurrando
parole di una perduta melodia.
Perché non
vieni con me, dove la luna è fatta d’oro.
Alle prime luci
dell’alba, salperemo.
Perché non
vieni con me, dove mare e cielo s’incontrano
E mentre le
nuvole si diradano
Canteremo
insieme la canzone del mare. »
Era tanto tempo che non cantava più quella canzone.
Era difficile. Era doloroso.
Le dita accarezzavano con nostalgia le corde della
chitarra, gli occhi lucidi bruciavano di lacrime che a stento tratteneva,
alcune, infatti, capricciose erano scivolate lungo le sue guance catturando
l’attenzione delle bambine che ora la guardavano preoccupate. Nel frattempo,
mentre la canzone andava avanti, altri bambini si erano fatti più vicini e
accovacciandosi a terra ascoltavano la canzone di Reiko completamente rapiti.
« Ho fatto un sogno
l’altra sera
E udito il più
dolce tra i suoni.
Ho visto una
grande luce bianca
E persone che
danzavano in cerchio.
Castelli nella
sabbia.
Culle sopra gli
alberi.
Non piangere,
ci rivedremo presto.
Perché non
vieni con me, dove la luna è fatta d’oro.
Alle prime luci
dell’alba, salperemo.
Perché non
vieni con me, dove mare e cielo s’incontrano
E mentre le
nuvole si diradano
Canteremo
insieme la canzone del mare.»
Mentre la canzone procedeva si sentiva più rilassata e in
pace.
Nella sua mente sentiva ancora la voce di sua madre,
lontana e distante, frammenti di memoria che credeva non avrebbe mai più
ritrovato. Il vento si alzò improvvisamente, nell’aria, però, avvertiva uno
strano profumo che colse di sorpresa anche tutti i bambini attorno a lei.
« Che cos’è questo profumo? E’ strano … »
I bambini inspiravano a fondo, incuriositi mentre lei,
riconoscendolo, si lasciò sfuggire ancora qualche lacrima.
« E’ salsedine … E’ il profumo del mare … »
Non capiva come fosse possibile, ma da qualche giorno,
ormai, aveva deciso di mettere da parte la parola impossibile e di accettare
gli eventi per come procedevano.
I draghi non erano solo favole per bambini.
I demoni non appartenevano solo a leggende e folklore.
Tutto era possibile, l’importante era avere occhio per
guardare.
La sensazione sulla punta delle dita era come scomparsa
mentre i bambini, soddisfatti, erano tornati a guardarla chiedendole di suonare
ancora qualcosa per loro.
« Spiacenti bambini, Reiko ora deve parlare con noi. »
La voce calma e pacata di Miroku interruppe quel momento di
gioco, i bambini, soprattutto le due gemelle, sembravano davvero dispiaciuti
per quell’interruzione improvvisa e tornarono ai loro giochi abituali. Le due
gemelle, le figlie di Miroku, riconoscendole solo ora, salutarono il padre
prima di tornare con gli altri bambini.
Rimasti da soli, Reiko si lasciò scappare una risata
leggera e cristallina, sistemando velocemente la chitarra nella sua custodia.
« Scusa, sembravi un padre venuto a rimproverare la figlia
disobbediente … »
Esordì lei, trattenendo le risate e cercando di velare il
suo imbarazzo evidente. Lei, ora, sapeva chi fosse Miroku ma lui cosa sapeva?
“Non posso certo esordire con: ehi ciao, sai ho scoperto
che sono una tua lontana discendente grazie a delle voci nella mia testa. Chi mi
crederebbe?”
Pensò lei, senza celare un po’ di amarezza per quel
pensiero che aveva valicato la sua mente, le mani poggiate contro la nuca
mentre cercava di mettere ordine nei suoi stessi pensieri.
Il monaco dovette intuire cosa stava pensando, non era poi
così difficile quando i pensieri scorrevano sul viso come pagine di un libro,
si lasciò scappare un sorriso colmo di tenerezza mentre andava poggiare la mano
grande e calda sopra la nuca della ragazza per un carezza.
Reiko sembrò sorprendersi davanti a quel gesto, tant’è che
alzò lo sguardo, colpita, incontrando immediatamente gli occhi scuri come la
notte di Miroku e sentì un leggero colore prendere posto sulle sue guance;
erano passati anni da quando qualcuno l’aveva trattata così.
« Dobbiamo parlare, Reiko, adesso che sei sveglia possiamo
decidere cosa fare. »
La ragazza annuì, consapevole che non c’era tempo da
perdere: aveva nemmeno un mese di tempo. Soltanto un mese prima della prossima
luna piena.
Sistemata la chitarra nella custodia seguì Miroku fino alla
sua casa, accomodandosi accanto a Kagome e Sango, quest’ultima, in particolare,
non faceva che guardarla elargendole tantissimi sorrisi facendola imbarazzare
non poco. Inuyasha, invece, la guardava in modo strano ma sembrava meno nervoso
del solito nei suoi riguardi e questo le faceva piacere.
Velocemente le spiegarono quanto era accaduto durante la
loro riunione precedente, esponendo i loro pareri e tutte le loro congetture e
alla fine, dopo che avevano concluso, Reiko si trovò ad annuire per confermare
tutto quanto.
« Sì, la parte relativa alla mia discendenza … E’ vera. »
Sentiva un grande peso nelle sue parole. Troppo grande per
le sue spalle.
Gli occhi di Sango si fecero più luminosi improvvisamente,
ignorando la cautela, decisa dall’intero gruppo, sfiorò la guancia di Reiko con
la sua mano e la fece voltare nella sua direzione. Reiko aveva ancora le guance
arrossate mentre fissava quegli occhi così simili ai suoi, il disagio che
percepiva svanì quando sentì la sua mano risalire la guancia, sfiorandole
alcune ciocche di capelli.
« Adesso basta! Vogliamo tornare a parlare di cose serie?!
»
« Inuyasha! »
Nella voce di Kagome vi era una forte nota di rimprovero
che obbligò il mezzo demone a retrocedere un pochino, imbronciandosi come
sempre. Reiko si era riscossa da quella sorta d’incantesimo sotto il quale era
piombata per girarsi verso di loro. Senza che potesse controllarlo il suo
occhio sinistrò mutò, la pupilla si allungò mentre l’iride si tingeva del
colore dell’oro del sole e il resto dell’occhio diventava nero. Istintivamente
portò una mano a coprire l’occhio, infastidita da quella reazione
incontrollata.
« Ti senti bene, Reiko? » domandò Kagome, esprimendo a
parole la preoccupazione generale ma quando lei annuì seguì un sospiro
generale.
« … Da quel giorno non ho fatto altro che sognare. Ho visto
il passato, ascoltato nella mia testa l’eco di centinaia di anime che gridavano
… » si morse appena il labbro, la mano libera si serrava in un pugno mentre
cercava le parole per esprimere quello che accadeva. « Vi ho … Vi ho visto
combattere la vostra battaglia contro un demone chiamato Naraku e … Ho … »
Attraverso lo spazio tra le dita il suo sguardo si posò su
Kagome, arrossendo un pochino al pensiero di quello che aveva scoperto quasi
per caso e involontariamente, ma decisa a non dire niente davanti al gruppo
sviò il discorso.
« … Ho … Ho capito cosa sono quelle sfere che hanno bloccato
i poteri della tua spada … » un cenno e indicava Tessaiga, tenuta sempre
accanto a Inuyasha.
« Dicci tutto quello che hai saputo, Reiko. »
Le parole di Miroku erano gravi di preoccupazione.
Non voleva forzare la ragazza, ancora convalescente, ma
dall’altro lato sapeva che non avevano molta scelta: soltanto lei aveva delle
risposte.
Forse, pensò, i demoni che albergavano nel suo occhio le
avevano davvero donato dei poteri e se pensava a quel vento di prima non aveva
molti dubbi. Era straziante, vedere un membro della sua famiglia, quella
famiglia costruita con fatica, ancora sotto le mire di un demone. Gli Dei dovevano
volerlo punire per qualcosa.
« In realtà ho soltanto visto delle immagini nella mia
mente.
Quelle sfere, proprio come quella che si trovava sul
bastone del monaco, sono state ricavate dalle ragazze sacrificate nel corso dei
secoli. »
« Vuoi dire che sono … state ricavate dalla sfera cuore? » domandò Sango, incerta e
osservando preoccupata la ragazza che sembrava diventare sempre più pallida,
più cupa e spenta sotto i loro stessi occhi.
« Sì. Ogni piccolo occhio
del drago viene generato da una sfera cuore, il numero esatto non lo
conosco … mi dispiace. »
« Per questo sei stata male quando i briganti hanno
attaccato il villaggio … » osservò Kagome, cominciando a ricollegare tutti i
pezzi di quel mosaico. « I demoni hanno detto che quell’occhio che hai tu, ora,
si chiama Occhio del drago. »
« Pare di sì.
Non so ancora cosa posso fare, però. Immagino che dovrò
scoprire da sola come usare questi “poteri” d’ora in poi. »
Nella sua voce c’era una certa amarezza e nessuno, nemmeno
Inuyasha, sembrò ignorare quel fatto e stupendo tutti fu proprio il mezzo
demone a replicare a quella sua affermazione.
« Hanno detto che non devi abusarne quindi dovrai limitare
le stupidaggini! Inoltre, tanto per la cronaca, dovresti cominciare a fare
affidamento anche su di noi. »
Quelle parole, pronunciate proprio da Inuyasha, colsero
tutti di sorpresa. Infatti, ogni persona, Reiko compresa, lo guardavano
meravigliati e con gli occhi ben spalancati.
Inuyasha, accortosi di quegli sguardi, arrossì
leggermente e cominciò a balbettare una qualche risposta.
« C-Che avete da fissarmi così?! »
« Nulla, nulla … Siamo solo colpiti dal tuo
spirito di gruppo, Inuyasha, fa un certo effetto ogni volta. » replicò Miroku
con un gran sorriso compiaciuto mentre il mezzo demone, nel vano tentativo di
nascondere l’imbarazzo, rispose solamente con un sonoro “tzé” causando
solamente delle vivaci risate.
Reiko all’inizio era rimasta sorpresa, anche
dopo lo scoppio d’ilarità generale, ma non passò molto prima che si unisse agli
altri mentre questi si fermavano per osservarla. Quando incrociarono il suo
volto lo videro sorridente, un sorriso più rassicurante e ricolmo di pace.
« Hai ragione, Inuyasha. Hai perfettamente
ragione. »
I suoi occhi non erano ancora tornati normali,
ma questo non voleva dire che non poteva più piangere e infatti, dopo quelle
parole, sentì alcune lacrime pizzicarle i bordi degli occhi e cominciarono a
scendere copiose sulle guance.
« Ho paura … Ho davvero molta paura, anzi
sarebbe giusto dire che sono terrorizzata. Non … Non mi sono mai trovata in una
situazione simile. E’ davvero troppo per me … Ma … Ma non volevo causare
problemi anche a voi, così io … io … »
Non aveva ancora pianto da quando era arrivata
nell’epoca Sengoku, o meglio non si era ancora sfogata da quando quella storia
era cominciata e adesso, improvvisamente, si trovava completamente esposta e
debole davanti a quelle persone che conosceva da neppure una settimana.
Non voleva usare se stessa come una scusa, ma
quella situazione, l’intera storia, ogni cosa che vedeva si abbatteva su di lei
con forza e ora c’erano anche questi strani “poteri” che doveva capire e
controllare.
Kagome la capiva, la capiva anche troppo bene.
Non fece in tempo ad andarle incontro però, infatti Sango l’aveva preceduta e
l’aveva stretta tra le sue braccia come se fosse una delle gemelle. Una mano
passava sulla sua nuca, accarezzandola e cercando di placare le sue lacrime.
« Non ti preoccupare, Reiko, ci siamo noi qui
con te. Non sei da sola. »
Si lasciò cullare da quel piacevole calore che
riceveva e per un istante chiuse gli occhi.
Da qualche tempo non riusciva più a ricordare
bene il volto di sua madre, anche vedendolo nelle fotografie le appariva
distante, estraneo quasi, e di questo si sentiva responsabile poiché aveva
permesso che il suo ricordo cominciasse a svanire dalla mente. Eppure, in quel
momento, stretta nell’abbraccio rassicurante di Sango per un momento pensò che
sarebbe stato bello se fossero stati i suoi genitori a condurla lì,
permettendole di conoscere quella famiglia e sentire meno il peso della
solitudine.
Le orecchie di Inuyasha si mossero leggermente
quando captarono il rumore di qualcosa che colpiva il tetto della casa, era un
suono leggero e appena accennato e quando si alzò incuriosito per dare un
occhiata all’esterno si accorse che stava piovendo. Il cielo era sereno,
pochissime nuvole, ma una leggera pioggerellina stava cadendo sorprendendo gli
uomini nei campi e i bambini che erano intenti a giocare anche sotto di essa.
Inuyasha spostò lo sguardo verso Reiko, meravigliato e sconcertato nello stesso
momento.
Era mai possibile che il cielo stesse piangendo
perché lei era triste?
Tuttavia, a richiamare la sua attenzione, non
fu soltanto quel pensiero assurdo ma l’approssimarsi di un’aura demoniaca che
conosceva molto bene. Infatti, in quel momento, era appena arrivato Kohaku
accompagnato da Kirara e Myoga.
Gli occhi erano fissi sul cielo, sorpreso anche
lui da quella pioggerellina che gli accarezzava il volto e poi di nuovo si
abbassò, cercando con lo sguardo il demone pulce.
« E’ cominciato? »
« Temo proprio di sì! »
Salve a tutti ~
Eccoci qui, puntuali come sempre, con un nuovo capitolo di questa storia.
La canzone cantata da Reiko si chiama “Song of
the sea (lullaby)” di NolwennLeroy, vi do un
consiglio: correte a sentirla perché è qualcosa di sublime. Tratta da uno dei
film candidati agli Oscar, ho voluto darle uno spazio speciale.
Tornando a noi, come sempre ringrazio KagomeNoTaisho
per tutti i commenti che lasci, anche se corti, ti posso garantire che mi
rendono immensamente felice.
E ora, a tutti coloro che ascoltano, piccolo sondaggio: se Reiko usasse
un arma (anche di epoca moderna) quale pensate sia la più adatta a lei?
Furono le gemelle le prime ad accorgersi del
ritorno di Kohaku, il loro adorato zio.
Era da tanto che non lo vedevano e lui, dal
canto suo, aveva cercato di passare da sua sorella il meno possibile: la casa
si sarebbe affollata troppo.
Sango aveva la sua vita ora, una bellissima
vita, e non voleva intromettersi più del necessario e per questo cercava di
diminuire le sue visite nel corso del tempo.
Il suo arrivo non passò inosservato poiché
quando raggiunse la casa di Sango fu accolto calorosamente dalla sorella, per
cominciare, e poi da Miroku e dal resto dei vecchi compagni di viaggio e di
avventure.
La più entusiasta, forse anche più di Sango, fu
proprio Reiko che non appena varcò la soglia della casa se la ritrovò tra le
braccia sotto lo sguardo stupito di tutti.
Durò solamente pochi istanti, Reiko, infatti,
si separò quasi subito rendendosi conto di quello che aveva fatto con
un’espressione imbarazzata.
Si sedettero tutti.
Le gemelle sequestrarono Kirara per giocare e
farle le coccole, il suono sordo di uno schiaffo seguì poco dopo.
« Vecchio Myoga … ! » esordirono tutti in coro
mentre guardavano la piccola pulce, ormai completamente schiacciata, nel palmo
della mano di Inuyasha.
« Dov’eri sparito si può sapere? » domandò
Inuyasha mentre il piccolo demone si riprendeva, scuotendo il corpo e
riacquistando parte della sua consistenza.
« Ero andato a fare ricerche e ho scoperto
qualcosa di terribile! »
Tutti quanti, nessuno escluso, cercarono di
farsi più vicino a Inuyasha per ascoltare le parole di Myoga che se usava un
tono così serio non si poteva esserci niente di buono in vista.
« E cosa hai scoperto? Parla e ti lascerò
succhiare il sangue di Kagome! »
« Ehi! Ancora con questa storia?! Perché
proprio il mio? »
« Purtroppo niente di buono, come ho detto. La
ragazza con il marchio del drago … »
« Guarda che sono qui! E per la cronaca, mi
chiamo Reiko. »
« … Deve recarsi al tempio di Ama prima della
prossima luna piena. »
« Questo lo sappiamo … » aggiunse Miroku,
scuotendo il capo e sospirando.
Se le notizie erano solo quelle, pensò, allora
non c’era motivo di preoccuparsi inutilmente. « Sappiamo anche che deve recarsi
a un altro tempio, prima, recuperare il talismano di Amaterasu. »
« Non è solo questo! » continuò Myoga,
saltellando nervoso per attirare l’attenzione.
« I poteri sopiti nella sfera cuore si stanno risvegliando. Vi sarete accorti che stanno
accadendo fenomeni alquanto strani di recente? »
Fu Inuyasha ad annuire a nome del gruppo.
« A quanto pare la sfera cuore è direttamente
collegata al cuore umano di Reiko e i suoi poteri vengono influenzati dalle sue
emozioni, tuttavia, trattandosi di poteri demoniaci il corpo dell’ospite deve cambiare per sopravvivere all’impatto. »
« Cambiare … ? » domandò Reiko con voce
tremante. La piega che quel discorso stava prendendo non le piaceva molto.
« Esattamente! Lentamente, anche se non sarà
subito visibile, il corpo cambierà per sopportare l’impatto della forza
demoniaca. Se dovesse abusare delle sue capacità prima di raggiungere il tempio
di Ama il suo corpo verrà divorato
dai demoni che vi dimorano, resuscitando in ogni caso. Lo stesso accadrebbe se
non arrivasse al tempio entro la prossima luna piena, ma questa parte, a quanto
ho capito, già ne eravate a conoscenza.»
Lo sguardo di tutti fece grave e spostarono la
loro attenzione Reiko, ma quest’ultima sembrava paralizzata e il suo sguardo,
seppure visibilmente spaventato, era vuoto e a stento respirava. Nella sua
mente riusciva quasi vedere quello che poteva accadere. Vedeva il suo corpo
dilaniato dall’interno, la carne si squarciava e tutto sarebbe finito. Non
sarebbe mai più tornata a casa. Non avrebbe più rivisto suo zio e i suoi amici.
Il panico cominciò ad impossessarsi di lei, il
respiro si faceva più veloce e sentiva un gran vuoto nella mente mentre il
cuore batteva così forte da farle temere che uscisse dal petto. Il suo occhio
si era trasformato ancora mentre lei cadeva indietro, reggendosi appena in
tempo con le mani sul pavimento e con il respiro che usciva solamente dalle
labbra ma senza inspirare aria.
Le mancava aria. Aveva bisogno di aria, ma
respirare stava diventando sempre più faticoso e doloroso.
Fu Kohaku il primo a raggiungerla, ancora prima
di Miroku o Sango, poggiando le mani sulle sue spalle e cercando di calmarla e
capire cosa poteva fare.
« Reiko! Reiko! »
La ragazza sembrava non ascoltarlo, la sua voce
non riusciva a raggiungerla e la situazione stava diventando sempre più
preoccupante. Fu Kagome a prendere in mano la situazione.
Raggiunse le spalle di Reiko e poggiò una mano
contro le sue labbra e coprendo parte del naso senza fare troppa pressione,
lasciandole lo spazio necessario per respirare e intanto, con la mano libera,
strofinava la stoffa della sua maglietta per cercare di calmarla.
Lentamente, il respiro di Reiko si faceva più regolare e calmo, il corpo in tensione
si rilassava mentre Kagome allontanava la mano dal suo viso, ancora una volta,
intervallando questi movimenti ancora per un po’.
Kohaku osservava Kagome mentre si prendeva cura
della ragazza, sorrideva in modo così dolce, quasi materno, e i suoi gesti
esprimevano tutte quelle emozioni.
Ci vollero alcuni minuti, ma alla fine Reiko si
calmò e tornò a respirare normalmente per la gioia di tutti, almeno
letteralmente.
Reiko sentiva di aver toccato il fondo. “Ci
mancava pure l’attacco di panico con iperventilazione … Evviva”.
Quando alzò il viso i suoi occhi incontrarono
quelli di Kohaku si sentì ancora più mortificata, senza davvero capire perché,
alla fine, ma non sopportava di farsi vedere in quello stato anche da lui che
già l’aveva salvata in passato.
Ora che la situazione di panico era cessata
tutti tornarono a guardare Myoga, ancora nella mano di Inuyasha, saltellò fino
a raggiungere la gamba della ragazza che fissò il piccolo demone con curiosità.
« Non volevo turbarti, Reiko, ma la situazione
è alquanto grave.
Tu sei un essere umano, sei giovane e molto
graziosa, ma devi imparare a dominare il tuo cuore per poter controllare i poteri
che ti sono stati affidati. »
Un altro paio di balzi e andava verso Kagome.
« I problemi potrebbero essere altri, però.
Il tempio di Ama è stato circondato da una
costruzione imponente di un qualche Daimyo locale: il posto è una fortezza. Non
sarà facile avvicinarsi, meno che mai entrare. »
« Che vuoi che sia? Potremo farci strada con il
vecchio sistema! » esordì Inuyasha mentre spostava lo sguardo su Tessaiga, la
sua spada, ma Kagome e Miroku scossero il capo in segno di negazione.
« No Inuyasha, se usassi Tessaiga morirebbero
anche delle persone innocenti. No, temo che per entrare in quel posto dovremo
pensare a qualcos’altro. »
Kagome annuì e riportò lo sguardo su Myoga, ora
fermo nel palmo della sua man.
« Vecchio Myoga, hai sentito niente di un demone
che si fa chiamare la Bestia? » la
domanda di Kagome era un po’ quella generale, di tutti quanti.
Il vecchio Myoga si sedette, incrociando le
“braccia”, tutte quante, al petto e scuotendo mestamente il capo.
« Non molto, purtroppo. Non è un demone, di
questo sono sicuro, ma non saprei come altro descriverlo. »
« L’hai visto?! »
A parlare, questa volta, fu proprio Reiko.
Voleva capire cosa, o chi, fosse questa Bestia
dal momento che si stava dando un gran da fare per avere la sua vita. Sentiva
una gran rabbia dentro di se, le mani strette in un pugno con le unghie che si
conficcavano nella carne mentre il suo occhio sinistro sembrava farsi più
acceso. In lontananza, nonostante il cielo sereno, si potevano udire dei tuoni;
una tempesta in avvicinamento. Kohaku, sempre accanto a lei, posò una mano
sulla sua spalla e un’altra sopra a quella di lei stretta in pugno.
Lei si girò a guardarlo, lui scosse appena il
capo, come se avesse intuito i suoi pensieri e la sua voce, un po’ bassa e
profonda, la riscosse completamente.
« Avrai la tua occasione per vendicarti … »
Un leggero colpo di tosse da parte di Myoga e
l’attenzione torno di su di lui.
« Purtroppo no, ma mentre facevo ritorno, prima
d’imbattermi in Kohaku, ho avvertito una presenza nascosta nell’ombra che mi
seguiva. Non c’era nessuno, ma lo sentivo chiaramente e, confesso signorino
Inuyasha, mi ha dato i brividi lungo la schiena. »
Il vecchio Myoga non era mai stato un cuor di
leone, questo era risaputo, ma provare una sensazione del genere non doveva essere
una cosa normale. Nel frattempo, il demone pulce era salito sul collo di Kagome
e si teneva con le piccole braccia. Gli occhi grandi lucidi, colmi di emozione
mentre pregustava un bel banchetto.
« … E ora, a me il sangue Kagome. »
Non ebbe nemmeno il tempo per cominciare a
banchettare che Kagome, prontamente, lo schiacciò contro il suo collo.
Le parole di Myoga avevano generato ancora più
domande e preoccupazioni di prima.
Reiko si alzò, sorridendo appena e chiedendo di
restare un po’ da sola, il gruppetto annuì mentre la guardavano uscire dalla
casa e dirigersi verso chissà dove.
Kohaku la osservò allontanarsi, indeciso se
seguirla o meno. Voleva parlare un po’ con sua sorella, salutare le nipoti, ma
in quel momento la sola cosa che pensava era raggiungerla inconsapevole che
questo era il desiderio comune di tutti quanti.
La ragazza camminò a lungo ignorando il mondo
attorno a se, la mente chiusa in centinaia di pensieri diversi e l’animo
completamente oscurato dal pessimismo. Non era da lei. Nemmeno quella
situazione, pensò, ma oramai era stata tirata sul palcoscenico e doveva
recitare la sua parte.
Camminando così, immersa nel suo mondo, non si
accorse di essere ormai arrivata fuori dal villaggio trovandosi davanti al
grande albero sacro.
Era lì che aveva incontrato Inuyasha e Miroku,
pensò con un leggero sorriso ad incresparle le labbra, era il luogo dove ogni
cosa era cominciata anche nel passato. Il destino l’aveva condotta da loro.
La corteccia dell’albero era un po’ scavata in
un punto e la fissò incuriosita, avvicinandosi poggiò la mano contro la
superficie liscia del tronco e una sensazione nostalgica l’avvolse,
accompagnata dalla carezza del vento sul suo volto.
Ritrasse la mano, sorridendo malinconica e
sedendosi su una delle radici con la schiena poggiata contro il tronco del
grande albero. Non lo sapeva, non capiva il motivo, ma era come se avesse
toccato qualcosa che non andava sfiorato. Qualcosa che non le apparteneva, e
dal canto suo non aveva nessun desiderio di scoprire cosa fosse.
Il vento continuava, leggero e delicato,
risvegliava ricordi che credeva sopiti per sempre e la sua mente vagò libera e
senza nessuna costrizione.
Pensò a suo zio, alla sua famiglia e a tutte le
persone che avevano incrociato il suo cammino. Nel bene e nel male. Aveva paura
di perdere se stessa in questo viaggio, non soltanto il suo corpo che sarebbe
stato divorato dai demoni, tra le altre cose, ma temeva di perdere la sua
stessa anima. Lei voleva rimanere Reiko, sempre e comunque.
Riaprì lentamente gli occhi fissandoli sulle
fronde più alte dell’Albero Sacro, osservando il sole che giocava con le
foglie, illuminandole con i suoi riflessi per poi infrangersi sul terreno.
Il rumore di passi che si avvicinava infranse
la quiete del bosco. Le mani si poggiarono sulle radici dell’albero,
spingendosi un poco in avanti per osservare meglio il sentiero che conduceva al
villaggio e lì li vide. Erano venuti tutti. Inuyasha, Kagome, Sango, Miroku e
anche Kohaku che aveva sulla spalla il vecchio Myoga.
Rimase sorpresa, piacevolmente.
“Sono venuti tutti … per me? Perché erano in
pensiero … per me?”
Quasi non riusciva a capacitarsi di quello che
aveva appena pensato, tanto che scosse il capo e aspettò che fossero vicini
abbastanza per parlare senza dover urlare.
Sango le si sedette accanto, sorridendo
comprensiva e poggiando una mano sulla sua spalla.
« Va tutto bene, Reiko? » domandò gentilmente,
un tono di voce così dolce e affettuoso che per un attimo vide la sua immagine
sovrapporsi con quella di sua madre.
« Ecco … Sì … Sto bene adesso, grazie. »
rispose, balbettando per l’imbarazzo.
« Reiko, abbiamo deciso che per completare
questo viaggio dobbiamo dividerci. Almeno per adesso.» continuò Miroku e Reiko
annuì con il capo.
Ci aveva pensato anche lei mentre parlavano, prima,
ma poi il peso delle rivelazioni di Myoga era arrivato come un macigno sul suo
stomaco.
« Io andrò a fare qualche ricerca su mio nonno.
Se sei stata scelta per colpa della maledizione di Naraku sulla nostra
famiglia, allora è bene controllare alla fonte per scoprire qualcosa su questa Bestia. »
Reiko annuì.
Accanto a lei rimaneva Sango, sorridendo
affettuosamente e carezzandole la spalla per cercare di trasmetterle fiducia e
un po’ di ottimismo.
« Noi invece … » continuò Inuyasha, uno strano
sorriso spuntava dalle sue labbra. Sembrava molto soddisfatto per qualcosa,
Reiko lo guardò incuriosita senza immaginare cosa lo rendesse tanto entusiasta.
« Andremo dagli Yoro al tempio di Amaterasu. »
Kagome sospirò pesante, scuotendo il capo
mentre immaginava molto bene, forse anche troppo, il motivo per cui il marito
voleva andare proprio in quella zona.
Reiko li guardò, incerta all’inizio, ma poi
scosse il capo per negare con forza quell’affermazione.
« Preferirei di no, in verità. »
« Cosa hai detto, ragazzina?! »
« Ho detto che non mi pare il caso che tu e
Kagome mi accompagniate, tutto qui. »
Aveva le sue ragioni per rifiutare il loro
aiuto, l’espressione sorpresa e sollevata di Kagome, le fece intuire che non
era andata molto lontana dalla verità. Lei sapeva, quindi.
« Se per Kohaku non è un problema, vorrei fosse
lui ad accompagnarmi … »
« Non c’è problema. Sono venuto qui per dare
una mano, dopotutto.»
Si era sentito un po’ in imbarazzo quando Reiko
lo aveva chiamato, ma, alla fine, Myoga lo aveva portato con lui proprio per
quella ragione.
« Ehi, aspetta un momento! Mi dici che cosa ti
passa per la testa?! Perché non dovremo venire con te?! »
La reazione di Inuyasha sorprese non poco
Reiko.
Possibile che non sapesse? Le sue parole, però,
mal si accostavano con quello che pensava di lui e quindi era più logico
pensare che Kagome non gli avesse ancora detto niente.
Fece pressione con le mani sulle radici
dell’albero per alzarsi in piedi, superando Sango, alla quale sorrise
dolcemente, e si avvicinò a Kagome. L’afferrò per una mano e cominciò a
trascinarla lontano da quel gruppetto.
« Se qualcuno ci segue si ritroverà incapace di
avere figli in futuro! » gridò Reiko, marcando bene le ultime parole.
I ragazzi del gruppo sbiancarono a quella
velata minaccia, convincendoli, almeno per il momento, a non seguire le due
ragazze. Sango era curiosa, ma decise di non provocare ulteriormente Reiko.
“Forse dovranno parlare di qualcosa della sua
epoca”.
Sì, pensò Sango, quella doveva essere la
risposta più logica a tutto e così decise di esporre anche a voce alta quel
pensiero.
Erano abbastanza lontane dal gruppo e solo
allora Reiko si fermò, liberando la mano di Kagome che la guardava incerta e
curiosa.
Lei, dal canto suo, si passò una mano sulla
nuca sfiorando i corti capelli e sospirando a disagio.
« Scusa, non so da che parte cominciare il
discorso …»
« C’è qualcosa che vuoi dirmi che non vuoi che
sentano gli altri? »
« Penso che l’unica persona che non vuoi che
senta il nostro discorso sia Inuyasha, giusto? »
Kagome trasalì a quel confronto diretto, chinò
il capo, imbarazzata, torturandosi le mani e le labbra.
« Da quanto tempo lo sai? »
« E tu? Tu come fai a saperlo? »
« Non siamo in democrazia, Kagome, la domanda
l’ho fatta prima io e tu mi devi rispondere. »
Non voleva essere così severa.
L’espressione seria, le braccia conserte e gli
occhi puntati in quelli della sacerdotessa. Non voleva, ma non poteva fare
nient’altro. Se le fosse accaduto qualcosa mentre combattevano al tempio, anche
solo qualcosa di minimo, non si sarebbe mai perdonata una cosa del genere. Mai.
Kagome, invece, sembrò comprendere la ragione
di quel suo comportamento improvvisamente più severo e distaccato. Sospirò
appena mentre un piccolo sorriso si formava sulle labbra, la mano destra
scivolava sul ventre in un gesto istintivo.
« Un mese, circa. »
« Dannazione … » una mano tornò alla nuca e
cominciò a sfregare con più forza. « Mi dispiace, Kagome. Mi dispiace di averti
coinvolta in questa storia. »
« No, Reiko, non devi scusarti. Sono io che ho
accettato di aiutarti nonostante tutto. »
Quando aveva sentito la storia di Reiko aveva
deciso di mettere da parte se stessa, almeno per quel momento, preoccupandosi
solamente di aiutare lei.
« Era la cosa giusta da fare, ma tu come … ? »
La domanda di Kagome, ora, poté avere una
risposta più concreta. Reiko non perse tempo in chiacchiere, picchiettò
solamente l’occhio sul quale si trovava il marchio e lei comprese.
« E’ stato impossibile non saperlo, scusa. E’
una faccenda privata tra te e tuo marito, non volevo impicciarmi. »
« No, anzi, è stato provvidenziale. Vorrei
davvero rivedere Koga e Ayame, ma Inuyasha sarebbe capace di rendere la
situazione stressante con la sua assurda competizione. »
Reiko sospirò non faticando minimamente ad
immaginare la cosa.
Alla fine, entrambe le ragazze sorrisero e
Reiko promise di mantenere il suo segreto ancora per un po’, il tempo
necessario perché trovasse il momento opportuno per parlarne anche con Inuyasha
senza che desse di matto.
« Comunque, Kagome, Inuyasha a parte … Parlane
con Sango. Lei ha già avuto figli, sono certa che potrà aiutarti molto più di
me. »
Kagome annuì con un cenno del capo. « Sì, hai
perfettamente ragione. »
« Bene, è ora di tornare indietro. Dobbiamo
prepararci e partire al più presto; non manca molto alla prossima luna piena. »
Salve a tutti!
E alla fine, anche se non del tutto, abbiamo scoperto cosa accadrà a
Reiko se non arriverà in tempo al tempio di Ama, ma i problemi non sono finiti.
I nemici peggiori in questa storia, più che i demoni, saranno appunto gli
esseri umani. E’ nel cuore umano che si annidano luce e oscurità.
I prossimi capitoli, avviso, saranno spesso suddivisi in “parte uno” e “parte
due” per esigenze di trama. I segreti dei draghi saranno presto rivelati tutti.
Al prossimo capitolo, in uscita, come sempre, ogni mercoledì.
Inoltre, se non avete da fare, vi consiglio caldamente anche altre mie
storie come la nuovissima Totally Captivated, in uscita con un nuovo
capitolo domani, e 9 persons; 9 hours; 9 doors con uscite casuali –
anche due volte in una settimana.
Direi che ho detto tutto e ora vi saluto con un abbraccio fortissimo ~
Reiko e Kohaku, alla fine riuscirono a partire
come lei stessa aveva deciso.
Inuyasha si era opposto per tutto il tempo,
lamentandosi continuamente, ma bastò un occhiataccia di Kagome a farlo
desistere definitivamente. Quest’ultima lasciò a Reiko un messaggio per Koga e
Ayame, ma lo stesso fece Inuyasha che si fece promettere, anzi giurare, di
riferirlo al “lupastro”.
Per più di un ora Reiko provò ad immaginarsi
cosa potesse essere accaduto tra di loro, ma poi ci ripensava. Aveva visto le
loro battaglie contro Naraku, ma soltanto quelle. Nient’altro.
I draghi dentro di lei erano demoni, dopotutto,
non erano interessati alle mere relazioni tra esseri umani e creature
demoniache.
Salutato Miroku, partito anche lui per
raggiungere il maestro Mushin, e Sango, alla fine presero congedo dal villaggio
di Musashi.
Myoga, il vecchio demone pulce, aveva deciso di
andare a controllare nuovamente la situazione al tempio di Ama; tutto da una
posizione rigorosamente sicura e priva di pericoli.
Reiko indossava nuovamente i suoi abiti seppure
Sango si fosse offerta di prestarle uno dei suoi kimono, ma aveva rifiutato.
Una maglia semplice, pantaloni e scarponcini, senza dimenticare il suo
giacchetto erano le cose che rendeva Reiko se stessa e non voleva lasciarle
indietro. Una cosa, però, non poté portare con se: la sua chitarra.
L’aveva affidata a Sango facendosi promettere
che nessuno, nemmeno i bambini, l’avrebbero toccata con un dito.
« Come mai hai deciso di lasciare indietro
quello strano strumento? Mi sembrava di aver capito che non te ne separi mai. »
domandò improvvisamente Kohaku, piegando appena il capo in direzione della
ragazza alle sue spalle.
Erano partiti da qualche ora ormai, viaggiando
in groppa a Kirara per cercare di risparmiare tempo e giorni di marcia.
« E’ un ricordo di mia madre … » rispose semplicemente
senza guardarlo in viso, gli occhi nocciola erano intenti a guardare lo
scenario sotto di loro dove il verde degli alberi spesso e volentieri lasciava
il posto a terreni e campi coltivati.
« Questo viaggio potrebbe essere pericoloso,
più del primo, non posso rischiare che si rovini o peggio … »
Kohaku annuì, incapace di aggiungere altro.
Reiko, dal canto suo, cercava di non pensare
troppo o fissarsi su una sola emozione per evitare di causare piogge improvvise
o altro. Myoga le aveva detto che anche il vento che odorava di salsedine era
causato da lei, così come quella pioggerellina che aveva preceduto il loro
arrivo, l’unico modo per controllare quei fenomeni fuori controllo era cercare
di non soffermarsi troppo su una sensazione particolare.
Avrebbe voluto fare conversazione con Kohaku,
parlargli ancora come la prima sera in cui l’aveva conosciuto, ma sembrava
essere diventato difficile fare anche quello e le parole morivano ancora prima
di raggiungere la punta della lingua.
Lui, invece, non sapeva che argomento
affrontare con la ragazza che aveva scoperto essere una discendente di sua
sorella e del monaco Miroku. Quando lei era andata via dalla casa della sorella
aveva spiegato, rispondendo ad una precisa domanda, le circostanze che
l’avevano portato a conoscere Reiko e da lì aveva scoperto la loro “parentela”.
Non sapeva spiegarlo, ma la cosa non gli aveva
fatto molto piacere.
Da quando l’aveva conosciuta aveva sempre
sentito quel legame invisibile, quella strana rassomiglianza con sua sorella e
quella sensazione di familiarità. Eppure non ne era felice. La stessa Sango
glielo fece notare al punto che dovette mentire pur di chiudere l’argomento.
La sera arrivò prima di quanto non si
aspettassero.
Si accamparono nel bosco, proprio accanto a una
sorgente termale naturale. Quando Reiko la vide i suoi occhi s’illuminarono.
“Posso farmi un bagno caldo! Posso farmi un bagno caldo!”
Kohaku aveva, nel frattempo, acceso un piccolo
fuoco e Kirara aveva ripreso il suo aspetto di piccolo demone gatto e non quello
feroce che mostrava abitualmente.
Stava per sedersi quando Reiko afferrò il suo
braccio, sorridendo solare come non l’aveva mai vista al punto da lasciarlo per
un momento senza parole, ma fu proprio lei a riprendere in mano il discorso.
« Vieni dai, facciamo il bagno insieme! »
« C- Cosa … ? »
« Facciamo il bagno insieme … Coraggio! »
Reiko non sembrava capire pienamente quello che
stava dicendo, o meglio, si rendeva conto delle implicazioni ma non era
qualcosa sucui si soffermava.
Il giovane sterminatore era completamente rosso
in viso, mentre Reiko, invece, sembrava a suo agio nonostante tutto. In realtà
non era così.
Persino Reiko si era imbarazzata per quella
proposta, ma era uscita così spontanea e naturale che ormai non poteva
rimangiarsela.
Kohaku era come un suo “parente”, si ripeteva,
sarebbe stato come fare il bagno con suo zio ma lei stessa notava quanto quei
pensieri fossero falsi.
Kohaku era solamente Kohaku. E lei era
solamente Reiko.
« Ecco … Non penso che sia il caso. » rispose Kohaku,
spostando lo sguardo e liberando con uno strattone il braccio dalle mani di
lei.
« Non è appropriato. »
« E allora? Io non sono tipo da badare a queste
cose, e poi … » si morse le labbra, rendendosi conto che era stupido e futile
continuare ad insistere a quel modo con lui.
« E poi … Sono parte della famiglia, dopotutto,
sarà come fare il bagno con una sorella … »
Kohaku la osservava, osservava i cambiamenti di
espressione sul suo volto e ancora non capiva il motivo di tanta testardaggine
solo per un misero bagno.
Non la capiva, probabilmente non l’avrebbe mai
capita. Lei era diversa in tutto rispetto alle ragazze della sua epoca e da sua
sorella, veniva da un mondo che nemmeno poteva immaginare con la fantasia e le
regole tra uomo e donna dovevano essere altre.
Alla fine, seppure non fosse completamente
d’accordo, decise di accettare.
La sorgente termale era abbastanza ampia e
divisa al suo interno da alcune piccole rocce che delimitavano una sorta di
percorso naturale con la parte meridionale del bosco, Kohaku si appoggiò con la
schiena a una roccia dalla parte opposta rispetto a Reiko deciso a non pensare
a quella strana situazione.
« Allora? E’ un’esperienza così malvagia? »
domandò la ragazza, completamente rilassata e intenta a giocare con l’acqua.
Kohaku non sapeva più se era rosso per via del
calore delle terme, oppure perché dalla parte opposta di una piccola roccia
c’era una ragazza completamente svestita.
Reiko sorrise, immaginando bene l’imbarazzo del
suo compagno di viaggio.
« Qui siete davvero molto pudici, ma infondo
dovevo aspettarmelo. Non conosco ragazzi, dalle mie parti chiaro, che non
farebbero il diavolo a quattro pur di fare un bagno con una bella ragazza. »
« Non sei molto modesta … »
« Dovrei? Insomma, marchio sul viso a parte, so
bene come sono fatta e fingere di non apprezzarmi fisicamente sarebbe alquanto
sciocco. »
Ci fu un leggero rumore di acqua che scrosciava
contro la parete della roccia. Kohaku piegò appena il capo per osservare alle
sue spalle, la vide allontanarsi dalla sua posizione per poi tornare accanto a
lui con la schiena sempre rivolta alla parete di roccia. In quel breve lasso di
tempo, seppure coperta dall’acqua e in parte dai vapori che fuoriuscivano,
riuscì quasi a scorgere meglio le forme del suo corpo. Trasalì girandosi
nuovamente dalla parte opposta, teneva gli occhi spalancati mentre cercava di
cacciare quell’immagine anche se, ormai, era chiaramente incastrata al suo
interno e non se ne sarebbe andata tanto presto. Avrebbe voluto girarsi,
ignorare ogni buon senso e tenerla vicino a lui. Un sentimento contrastante con
quello che doveva provare verso di lei.
« Io non ti capisco, Reiko. » esordì Kohaku,
interrompendo quel leggero silenzio che si era venuto a creare tra di loro.
« Tu sei … Lontana da quello che potrei essere
io, o qualsiasi altra persona che conosca; e non parlo solo del marchio. »
Reiko aveva piegato il capo in direzione di
Kohaku, osservandolo perplessa e senza davvero capire perché le stava parlando
in quel modo e, alla fine, nemmeno il ragazzo capiva perché diceva quelle cose.
Da quando aveva accettato di fare il bagno con
lei sentiva che qualcosa nel suo animo era cambiato, una serie incontrollata di
pensieri negativi si erano affacciati sulla mente proprio nel momento in cui
aveva pensato, nel silenzio, quanto loro due potessero avere in comune.
Si mosse nell’acqua, veloce e rapida, poggiando
una mano sulla spalla del ragazzo e obbligandolo a guardarla in volto.
« Noi non siamo diversi! Te l’ho detto anche
quando ci siamo conosciuti, ricordi? La tua sincerità l’ho molto apprezzata
Kohaku, davvero, ma adesso perché mi stai mentendo. »
Le parole uscivano come un fiume in piena dalle
sue labbra.
Quella strana sensazione sulla punta delle dita
si fece nuovamente sentire, e quando toccò la spalla di Kohaku, aumentando la
presa, qualcosa fluì nella sua mente.
Erano ricordi. Ricordi lontani.
C’era un villaggio nascosto tra le montagne
dove gli abitanti praticavano lo sterminio dei demoni, lì, assieme a Sango, lui
viveva. Questo fino a quando Naraku non corruppe la sua anima costringendolo a
uccidere la sua famiglia, e ferire a morte sua sorella. Tutto questo fluì nella
sua mente come uno tsunami, e non poté fare niente per controllarlo.
Istintivamente ritrasse la mano, osservando Kohaku con un’espressione
indecifrabile e il respiro che moriva nella gola.
Il ragazzo aveva sentito qualcosa quando lo
aveva sfiorato, aveva sentito la sua mano delicata e le dita affusolate
irrompere nel suo cuore e stringerlo con delicatezza, frugando nella parte più
oscura della sua anima dove i ricordi rimanevano sopiti.
Gli occhi sbarrati di lei confermarono la sua
teoria: aveva visto tutto. Ora sapeva.
Myoga lo aveva informato di quella possibilità,
eppure aveva deciso di non darci troppo peso. Fece schioccare la lingua seccato
e uscì dall’acqua, non disse nulla a Reiko che invece rimase indietro ancora
per qualche minuto a riflettere.
Nella sua mente risuonava come una eco la voce
di suo zio.
“Reiko,
lo vuoi un consiglio su come mantenere i segreti? Non farteli mai rivelare, per
cominciare. E’ difficile mentire a qualcuno se lui si aspetta che tu menta. Se
si aspettano che tu racconti una bugia non puoi assolutamente dirne una. In
questo nostro ambiente è importante non rivelare mai a qualcuno i segreti più
intimi, se li scopri sarai coinvolta e il coinvolgimento non porta mai a nulla
di buono”.
Una lacrima scivolò lungo la guancia bruciando
gli occhi e pizzicando la punta del naso.
“Zio … Che cosa ho fatto?”
Si portò una mano al viso poggiandola
delicatamente. Avvertiva chiaramente un nodo alla gola per quello che aveva
scoperto, e per il peso che quel segreto comportava.
Nell’oscurità della foresta alcune figure si
ammassavano, i loro occhi di ghiaccio, privi di vita, si fissarono su Reiko che
rimaneva ignara di essere l’oggetto dell’attenzione di quelle creature.
« La giovane ancella … » esordì una voce,
infantile e alterata.
« … Sembra stare soffrendo molto. Il suo cuore è ancora debole. »
« Mi chiedo … Mi chiedo … Perché non l’aiutiamo
a fortificarlo. »
La notte com’era arrivata alla fine passò.
Quando sorse l’alba ne Kohaku ne Reiko ebbero
voglia di riprendere il discorso della sera precedente, così rimasero in
silenzio proseguendo a piedi verso un villaggio che sapevano non essere molto
distante dalla loro posizione.
Respirava profondamente cercando di placare i
battiti nervosi del suo cuore, ma la sua anima sembrava voler gridare qualcosa
che la mente non riusciva a percepire. Era ansia, forse? Reiko non riusciva
davvero a inquadrare quel sentimento, più ci pensava e meno riusciva ad
afferrare quella paura.
All’improvviso, la loro marcia ebbe sosta.
Kirara si era posizionata davanti a Kohaku, il
pelo ritto mentre ringhiava debolmente contro qualcosa nell’oscurità. Un
istante, e il suo piccolo corpo venne invaso dalle fiamme diventando molto più
grande e minacciosa.
La mano di Kohaku era corsa alla sua arma,
posizionata sulla schiena, preparandosi a combattere contro quel rumore che si
avvicinava a gran velocità verso di loro.
« Reiko … Stai indietro! »
Un cenno di assenso che probabilmente non venne
colto, ma non fece in tempo ad obbedire a questa richiesta poiché dalla foresta
emerse un gigantesco demone millepiedi. Una parte del corpo era quella di un
insetto, la parte superiore, invece, era umanoide.
La creatura si gettò contro di lei, paralizzata
dalla sorpresa e incapace di spostarsi, sarebbe stata attaccata sicuramente se
Kirara non si gettò contro il demone deviandone di poco la traiettoria.
La coda colpì il terreno generando un pesante
onda d’urto che la spinse via.
Finora non aveva mai visto demoni simili,
nemmeno uno l’aveva attaccata quando era vicino al villaggio di Musashi e
nemmeno durante il suo viaggio di tre giorni. Non una volta i demoni si erano
fatti avanti.
Poteva capire il villaggio dove viveva
Inuyasha, ma per quale motivo nessuno li aveva mai attaccati prima di quel
momento?
Osservava Kohaku mentre immobilizzava con la
catena della sua arma il demone, aiutato da Kirara che si occupava della parte
posteriore e poi, con un colpo preciso, lo spezzo a metà per poi finirlo in
tanti piccoli pezzi sotto lo sguardo stupito di Reiko.
Lo sguardo di Kohaku mentre combatteva era
completamente diverso. Era concentrato, i suoi occhi due pozze scure e profonde
in cui perdersi; persino i suoi lineamenti sembravano trasfigurarsi, donando al
giovane sterminatore un’aura completamente diversa.
« Tutto bene? » domandò avvicinandosi a lei,
porgendole la mano per aiutarla a rialzarsi.
Guardò prima la mano, poi il ragazzo davanti a
lei visibilmente preoccupato e sorrise.Afferrò la sua mano senza indugi, stringendola forte e tirandosi in
piedi. Avrebbe voluto parlargli, spiegargli quanto fosse mortificata per aver
frugato nei suoi ricordi, avrebbe così messo una pietra sopra la faccenda e
tutto sarebbe tornato alla normalità. O quasi, almeno.
« Perdonate … » una voce esterna giunse
improvvisa, riscuotendoli dai loro pensieri.
Si voltarono entrambi, imbarazzati e ancora con
le mani strette l’una con l’altra, davanti a loro stavano alcuni abitanti del
villaggio.
« Siete stati voi a uccidere questo demone? »
« Sì. » rispose Kohaku, sistemando l’arma
dietro la sua schiena com’era solito fare.
Si sentiva un po’ in colpa quando gli abitanti
avevano detto “siete”, ignorando completamente Kirara che nel frattempo si era
ritrasformata apparendo come una semplice gattina.
« Erano diversi giorni che quella creatura
tormentava il nostro villaggio. » continuò uno degli uomini, appena dietro al
più anziano che aveva parlato all’inizio.
“Sicuramente è il nonno il capo villaggio”.
« Vorremmo che vi fermaste nel nostro villaggio
per la sera. Non abbiamo molto da offrirvi, ma sarebbe il minimo per ripagarvi.
»
Reiko stava per rispondere che non era
necessario e che non potevano fermarsi quando una voce tra il gruppo del
villaggio l’interruppe, era un grido di terrore di uno degli uomini che teneva
lo sguardo fisso in quello della ragazza.
Spaventato, terrorizzato, i suoi occhi erano
completamente spalancati. Nel fare qualche passo indietro cadde, urtando il
terreno con il fondoschiena e indietreggiando ancora.
« Che ti prende Rikuji? » domandò il capo
villaggio, preoccupato della reazione del suo compagno al pari dei due ragazzi.
« Quella … Quella ragazza … Quella ragazza ha
il marchio dei demoni sul volto! » disse, additandola come se fosse una strega.
Lo sguardo di tutti gli abitanti del villaggio,
almeno di quelli venuti ad accoglierli, si fissò improvvisamente su di lei
causandole un leggero moto di stizza. Sentiva il suo cuore accelerare i battiti
mentre si ritirava un poco, le mani serrate in pugni e lo sguardo di chi non ha
intenzione di farsi spaventare da nessuno.
Kohaku allungò il braccio davanti a lei, deciso
a proteggerla anche dagli esseri umani.
« Avete qualche problema con me? » domandò
Reiko, precedendo ancora una volta Kohaku mentre anche Kirara si posizionava
davanti a lei in atteggiamento difensivo.
« Nessuno, anche se forse … sarete voi a volere
qualcosa da noi, ora. »
Due occhi spenti e vuoti stavano osservando
quell’incontro da lontano.
L’oscurità della foresta li proteggeva donando loro il beneficio
dell’anonimato, al riparo dal fiuto del demone gatto che accompagnava lo
sterminatore di demoni e abbastanza distanti per non essere scoperti
dall’occhio del drago di Reiko. Una risata lieve ma inquietante si levò da
quelle tenebre mentre il vento si alzava da terra, muovendo le cime degli
alberi portando messaggi infausti sulle sue ali.
Salve a tutti!
Da non credere, quasi mi dimenticavo di aggiornare oggi … Che testa ho.
Comunque, gente e popolo, oggi abbiamo fatto dei passi avanti. Piccoli,
piccoli, ma li abbiamo fatti.
Il capitolo in questione è molto inutile e serve per introdurre il nuovo
arco della storia dove i protagonisti saranno, per l’appunto, Kohaku e Reiko.
Finalmente scopriremo qualcosa sulla Bestia, informazioni importanti, e il
cuore della protagonista sarà messo a dura prova.
Tutto quanto è generato da esso, e al cuore farà sempre ritorno.
Un ringraziamento speciale a KagomeNoTaisho
che nonostante tutto non mi ha mai abbandonata <3 e AikoInochi per aver commentato e lasciato tutte quelle
fantastiche informazioni.
Al momento, per l’arma, sono ancora indecisa e vedrò di tenere conto di
tutti i suggerimenti possibili <3 <3
Capitolo 14 *** Una storia di cinquant'anni fa ***
-Capitolo 13-
La situazione non lasciava spazio a molte
decisioni: dovevano seguire gli abitanti del villaggio e scoprire cosa sapevano
del suo marchio e della Bestia.
La mente di Reiko però era distante, ripensando
all’attacco del demone di poco prima, anche se Kohaku l’aveva informata che in
quei tempi era qualcosa di naturale lei non poteva fare a meno di pensare che
ci fosse qualcosa al di sotto che sfuggiva alla loro attenzione.
Nulla erano valsi i richiami del ragazzo per
cercare di riportarla alla realtà, dimenticando quanto accaduto, l’espressione
sul suo volto rimaneva sempre pensierosa e meditabonda.
Al passare nel villaggio alcune persone
sembravano spaventarsi alla vista di Reiko, altre, invece, s’inginocchiavano e
pregavano chiedendo l’aiuto delle Divinità per proteggerli dalle sventure.
Non era la prima volta che assisteva a simili
eventi, in quell’epoca, dove le morti abbondavano, erano quasi la routine
quotidiana, ma associate a Reiko perdevano completamente valore ai suoi occhi.
La casa del capo villaggio accolse entrambi i
viaggiatori con perfetta cortesia.
Rispetto alle altre dimore era molto più
grande, nella sala in cui sedettero vi erano persino dei tatami, ma essendo un
villaggio poco numeroso non vi erano oggetti che regalassero particolare
prestigio.
Sedettero sopra dei morbidi cuscini mentre gli
occhi di Reiko vagavano per la stanza, osservando i paraventi e le porte
scorrevoli in carta di riso fino ad essere catturata da una strana lancia posta
dietro il capo villaggio sopra un’apposita mensola – o qualcosa che si
avvicinava.
Era sostenuta da un paio di aste ricurve che la
tenevano sollevata dal pavimento.
Sulla lama era inciso il simbolo di un drago
che ascendeva verso l’alto avvolgendo il corpo dell’arma sino all’impugnatura
di legno. Gli occhi di Reiko furono completamente rapiti da quello strano
oggetto e per un lungo istante non riuscì a pensare a nient’altro.
« Vi prego di scusare i miei compagni. L’ultima
volta che una ragazza con il marchio è stata qui, questo villaggio ha sofferto
terribilmente. » esordì l’uomo, sistemandosi seduto davanti ai due giovani.
« Ci racconti quello che sa. »
Fu Kohaku a porre quella richiesta a nome anche di Reiko completamente divisa
sulla questione, da un lato avrebbe voluto ascoltare ogni cosa, mentre
dall’altro sentiva che era meglio rimanere nell’ignoranza più totale.
Il capo villaggio incrociò le braccia davanti
al proprio corpo, sospirando paziente e chiudendo gli occhi immergendosi nei
ricordi di fatti accaduti in un lontano passato.
« E’ stato circa cinquant’anni fa, più o meno.
Nel nostro villaggio nacque una bambina con il
volto marchiato da un drago. Inizialmente gioimmo, benedicendo quel segno come
se fosse stata toccata da una divinità e tale fu il suo nome. Keiko (bambina benedetta). »
« Esattamente. Tuttavia, capimmo ben presto che
quel marchio non era un dono degli Dei, ma una maledizione. »
Il tono nella voce del capo villaggio era
cambiato, passando da una tenue calma ad uno più profondo e colmo di rabbia e
risentimento.
Sul suo volto si erano formate delle piccole
rughe di espressione e le mani si chiusero a pugno sulle ginocchia. Non ci
voleva molto a capire che questa ragazza, Keiko, doveva essere importante per
quest’uomo.
« Scusate la domanda, ma Keiko era vostra
figlia giusto? » domandò, incapace di trattenere ulteriormente la propria
curiosità.
L’espressione cambiò nuovamente in una
sorpresa, ma si rabbuiò in pochi istanti e tornò ad essere seria.
« Sì. Keiko era mia figlia, la mia povera
disgraziata figlia. »
« Cosa le accadde? » domandò Kohaku.
In realtà, guardando le reazioni del capo
villaggio, non c’era nemmeno bisogno di domandarlo e Kohaku lo sapeva anche fin
troppo bene.
« … E’ morta, quando ha compiuto quattordici
anni. »
Nella stanza calò il silenzio più totale mentre
lasciavano a quell’uomo, a quel padre, il tempo per rielaborare quel dolore
sopito e che probabilmente non si sarebbe mai spento.
Passarono diversi istanti, ma nessuno parlò. Il
silenzio era divenuto una pesante veste che opprimeva persino l’aria che
respiravano, alla fine il capo villaggio riprese a parlare.
« Era sempre stata una bambina dolce, solare e
molto generosa. Quando compì dieci anni, nel nostro villaggio arrivò un monaco
che lasciò quell’alabarda » girò appena il busto, indicando l’arma che da prima
aveva catturato l’attenzione di Reiko.
Una strana sensazione la pervadeva ogni volta
che il suo sguardo si posava su di essa, era come se il suo corpo, ogni cellula
del suo essere, gridasse a gran voce. Scosse il capo, allontanando gli occhi da
quell’oggetto.
« Disse che serviva per proteggerla dalla Bestia, una creatura che mirava a
impadronirsi di un potente artefatto demoniaco custodito nel cuore della mia
bambina. Non passò molto tempo che le parole del monaco si rivelarono
veritiere. Ricordo ancora quella notte in cui la Bestia venne da me … »
A quell’affermazione il corpo di Reiko scattò
in avanti.
Tentò di alzarsi, ma dopo diversi minuti seduta
inginocchiata ottenne solamente l’effetto contrario, le mani si poggiarono così
sul tatami mentre il suo occhi si trasfigurava lentamente alimentato dalla
rabbia che provava.
Il capo villaggio lo notò immediatamente,
sorprendendosi. Una reazione che stupì persino Kohaku, ma per il momento non
fece domande. Non era ancora il momento opportuno.
« Ero in questa stessa stanza, solamente una
fioca luce illuminava le tenebre e in quelle stesse vidi due occhi che mi
fissavano. Erano come lame di ghiaccio … Non saprei spiegarlo, ma sentivo come
se la mia anima diventasse più oscura davanti a quello sguardo. Non l’ho mai
visto in volto, poiché rimase sempre nelle tenebre, mi disse solamente che
voleva ciò che mia figlia possedeva e che era disposto a fare un patto con me. Avrebbe potuto esaudire
qualsiasi desiderio, compreso quello di riportare indietro dal mondo dei morti
l’anima della mia defunta moglie. »
Si fermò un istante, scuotendo il capo
rassegnato.
Reiko cercava di calmarsi, di placare la sua
rabbia e di tornare ad essere la persona calma e razionale che era sempre
stata. Non mentiva quell’uomo, lo sapeva e lo vedeva sul suo volto, ma sentiva
che il racconto non era ancora finito.
Tenne una mano sopra l’occhio, ancora
trasformato, nascondendolo alla vista mentre Kohaku la osservava di soppiatto
senza celare la sua preoccupazione.
Le parole di Myoga rimbombavano nella sua mente
creando possibili scenari negativi, scosse nuovamente il capo, cacciando quei
pensieri e tornando a guardare davanti a se con sicurezza e determinazione.
“No … Non voglio che muoia. Non voglio più …
vedere morire delle persone a cui tengo … “
« Ovviamente … » esordì il capo villaggio,
riprendendo il discorso da dove si era interrotto. « … Ho rifiutato
quell’assurda offerta. Non importava quanto mi mancasse mia moglie, per me
niente valeva più del sorriso di Keiko. La Bestia
se ne andò da questa casa, non prima di aver minacciato terribili sciagure se
non gli avessi consegnato mia figlia. E così avvenne. Il giorno seguente
diversi demoni attaccarono il villaggio, animati da strane piccole sfere scure
che donavano loro una immensa energia. »
« Gli occhi del drago … » mormorò Reiko,
sorridendo amara e chinando il capo.
« L’alabarda che il monaco lasciò per la mia
bambina si rivelò molto utile. Era in grado di bloccare gli effetti devastanti
di quelle sfere, impedendo ai demoni di recuperare le loro energie ma solamente
Keiko poteva manovrarla adeguatamente. Nessuno di noi, passati gli anni, è mai
stato in grado di usarla a dovere. »
« Cosa significa? »
A porre la domanda fu nuovamente Kohaku, ma
l’uomo non ripose portando una mano al viso per nascondere alla vista dei suoi
ospiti delle lacrime.
« Era un peso troppo grande per una bambina, ma
il villaggio aveva bisogno di lei e il suo animo generoso ha avuto la meglio …
Gli Dei mi perdonino, non ho nemmeno provato a fermarla. Nemmeno una volta in
quattro in anni. »
Reiko rimase in silenzio, abbassando la mano che teneva
sull’occhio, ora tornato normale, osservando l’anziano capo villaggio. Il peso
del senso di colpa aveva incurvato la sua schiena più che l’avanzare degli
anni.
« Questo villaggio era stremato dopo quattro anni di lotte
continue con i demoni. Alla fine, mia figlia, Keiko, ha ceduto alle parole
della Bestia e ha stretto un patto
con lui. »
« Un patto? » domandarono in coro Kohaku e
Reiko.
Il capo villaggio annuì con fare grave.
« Sì. Mia figlia s’immolò come sacrificio e da
quel giorno i demoni smisero di attaccarci, questo fu il patto che strinse con
quell’immonda creatura! »
Questa fu la fine del racconto del capo
villaggio mentre questi si alzava con faticava, poggiando una mano sul
ginocchio indebolito e avvicinandosi alla mensola sulla quale era risposta con
cura l’alabarda che Keiko usava per combattere.
Una cosa era chiara da quel racconto: quella
non era una semplice arma, donata da un monaco per combattere la Bestia. No, quell’oggetto le
apparteneva.
Una strana energia vi scorreva al suo interno, quando il suo occhio si era
risvegliato aveva potuto vederlo molto chiaramente, ma c’era qualcosa di
sbagliato. Lo sentiva.
L’uomo afferrò l’arma con entrambe le mani,
sollevandola dal rialzo, girandosi nuovamente verso i suoi ospiti.
I suoi sguardi erano tutti per Reiko, la
fanciulla del marchio che tanto ricordava sua figlia, fu davanti a lei che
s’inginocchiò tendendo le braccia per porgerle l’alabarda.
« Nessuno di noi può usare quest’arma, oramai
ha perso il suo potere, ma sono convinto che tu possa riuscirci. »
« … Non ne sono molto convinta … » mormorò
Reiko, ancora assorta nei suoi pensieri ma con lo sguardo catturato da
quell’oggetto.
L’uomo scosse il capo mestamente prima di
rispondere.
« Il monaco pronunciò queste parole quando
affidò l’arma a noi: “fintanto che la fanciulla marchiata dai draghi non
vacillerà nello spirito, e nel cuore, quest’arma non fallirà”. Io lo credo con
tutto me stesso … »
Kohaku la osservo mentre incerta afferrava
l’arma tra le mani.
La storia dell’uomo aveva chiarito loro alcuni
punti, ma c’erano altre ombre che rimanevano ancora presenti. La prima, e la
più importante, l’identità di questa misteriosa creatura che si faceva chiamare
solo Bestia.
Una mano si poggiò contro il mento mentre
rifletteva su quanto avevano scoperto, in particolare sullo strano accordo che
aveva proposto. In passato, quando ancora Naraku era in vita, aveva assistito a
scene simili ma il tramite era sempre un frammento della sfera dei Quattro
Spiriti. Un oggetto davvero potente, in grado di compiere qualsiasi prodigio –
come riportare in vita anche i morti.
“In qualche modo, potrebbe essere davvero
collegato a Naraku … “
Quel pensiero non rendeva certo le cose più
facili.
Il capo villaggio offrì loro un posto dove
fermarsi per quella sera, come aveva inizialmente promesso, ma invitando Reiko
a non lasciare la dimora per nessun motivo al mondo. Il villaggio non aveva mai
dimenticato i lunghi anni di attacchi contro i demoni, voleva evitare che la
giovane pellegrina fosse vittima di qualche occhiata poco benevola o peggio
ancora.
Non era il tipo di donna che amava celarsi, ma
non aveva molta scelta: voleva evitare di causare meno danni possibili.
« Ti arrendi così facilmente? » domandò Kohaku,
una volta che furono accompagnati nella loro camera.
Era una stanza spaziosa impreziosita dai tatami
posti sul pavimento, un paravento decorato con immagini naturali, invece, era
nell’angolo opposto alla porta accanto all’armadio a muro dotato di porte scorrevoli.
Reiko poggiò l’alabarda a lato della stanza, sospirando e sedendosi a terra.
« Non è che ci sia molta scelta. »
« Vuol dire che ti fidi di quanto ci ha detto
il capo villaggio? »
« Ho detto che non c’è scelta, ma questo non fa
di me una persona stupida. » lo rimproverò Reiko, rivolgendogli un occhiata
severa e dispregiativa.
« E’ chiaro che non ci ha detto tutto. Per
esempio … Come faceva a sapere che la figlia ha stretto un patto con la Bestia? La sua vita per il villaggio …
E’ tutto molto romantico, ma non me la bevo. No. » incrociò le gambe a terra,
afferrando le caviglie con le mani e tenendole vicino al suo corpo.
« No, ci deve essere qualcos’altro in questa
storia. Non penso che Keiko si sarebbe arresa senza nemmeno provare. Il cuore
può cedere, questo è vero, ma se stava davvero combattendo per il bene del
villaggio allora non avrebbe mai gettato via la sua vita e inoltre … »
Si fermò, bloccando le parole sulla punta della
lingua e ricacciandole indietro.
Erano solamente suoi pensieri, per altro privi
di fondamento, i suoi occhi incontrarono quelli scuri e profondi di Kohaku e
chinò nuovamente il capo.
Il capo villaggio aveva raccontato la verità,
sempre, non aveva scorto nessuna traccia di menzogna in lui. Eppure, qualcosa
non tornava.
« Inoltre, cosa? » domandò Kohaku,
inginocchiandosi vicino a lei e scrutando con attenzione il suo sguardo. Era
l’unico modo che conosceva per capire quando nascondeva qualcosa, in quel breve
tempo che l’aveva conosciuta era il solo indizio per comprenderla.
« … Non è niente, davvero. »
« A me non sembrava. Le tue intuizioni sono molto sensate …
»
« E sono solo questo. Intuizioni. Se non ho nemmeno una
prova a sostenere quello che dico sono utili come un sasso in una scarpa, cioè
a niente. » sbottò Reiko, alzandosi in piedi di scatto e rivolgendogli
un’occhiata dura e inflessibile.
« Questo non puoi saperlo … » replicò Kohaku, alzandosi e
tornando a fissare il suo sguardo in quello di lei.
Rispetto a quando la conobbe nel bosco poco tempo fa, e la
notte precedente, le sembrò completamente diversa. Non aveva mai incontrato una
persona come lei, qualcuno che cambiasse così repentinamente umore e in maniera
così radicale.
« Se vuoi accusare qualcuno devi avere delle prove. Io non ne
ho, ho soltanto una versione della storia e sai cosa succede quando senti solo
una versione? » domandò lei senza retrocedere, scrutandolo con fare indagatore.
« No, dimmelo tu. »
« Hai ascoltato solo quella
versione. Io non mi fido al cento per cento, ma quell’uomo non mentiva, sono
sicura, e se non stava mentendo vuol dire che qualcun altro gli ha detto
qualcosa. E io non lo so, Kohaku … Odio non sapere cosa accade. Anche prima era
così, quando sono arrivata qui. Ho sempre cercato di tenere tutto assieme nella
mia mente sforzandomi di sapere, di capire … »
Quando l’aveva incontrata la prima volta era sola,
spaventata e chiaramente confusa ma aveva visto anche un incredibile dose di
sangue freddo. In quel momento capì di avere sbagliato.
Lei non era sicura, doveva esserlo per sopravvivere.
Qual’era stata la sua vita prima di quel giorno? Cosa aveva
visto?
Voleva conoscere molte più cose, voleva sapere tutto di quella ragazza che
vedeva lontano come una bellissima luna.
« Ho bisogno di capire, Kohaku … E di te solo mi posso
fidare. Soltanto tu puoi aiutarmi in questa storia. »
A quelle improvvise parole sobbalzò, il respiro morì in
gola e gli occhi si spalancavano dallo stupore.
Reiko, la fanciulla che tutti credevano portatrice di
sventura in quel villaggio, la stessa ragazza che doveva dominare il suo cuore
per non essere divorata dai demoni si mostrava ai suoi occhi con le gote appena
colorate di rosso.
Sentì la sua mano muoversi lentamente in avanti, attirata
inesorabilmente verso di lei, sfiorandole il viso con la punta delle dita. Tanto
quanto Kohaku, anche Reiko rimase sorpresa da quel gesto che non si aspettava,
si limitò a guardarlo con stupore crescente nel constatare che la sua mano non
si ritirava e che, anzi, si appoggiò meglio contro la sua guancia.
Istintivamente portò la sua mano sopra quella di lui,
stringendola nella propria e chiudendo gli occhi si lasciò andare a quella
carezza.
« Mi aiuterai? » domandò con voce flebile, quasi temesse di
rompere quella sorta di legame che somigliava più a un filo sottile.
« Non dovresti nemmeno chiederlo … » rispose lui,
accennando un sorriso e ritirando la mano.
Le aveva detto molto chiaramente che era lontana,
probabilmente in senso metaforico, per questo quel gesto sembrò avere un
qualche significato particolare ai suoi occhi.
“Adesso, sono un po’ più vicina a te?” un sorriso increspò
gli angoli delle sue labbra a quel pensiero.
“E’ davvero uno sciocco … “
Si decise che Kohaku avrebbe fatto qualche domanda al
villaggio, chiedendo qualche informazione, senza menzionarla direttamente, dei
fatti accaduti anni prima e sul destino di Keiko. Lei, dal canto suo, avrebbe
cercato qualche informazione in quella ampia dimora e magari qualche indizio in
più per scoprire l’origine di quella creatura che da tempo la perseguitava.
Kohaku non si sentiva tranquillo a lasciarla da sola, ma
aveva capito che poteva difendersi anche da sola e per maggiore sicurezza aveva
lasciato Kirara con lei. Sembrava essersi molto affezionata alla ragazza,
rivelandosi ancora una volta come un’inesauribile fonte di sorprese.
Il tempo, però, era la sola cosa che non avevano a
disposizione e che non potevano permettersi di perdere. Reiko cominciò a
guardarsi intorno, perlustrando la casa da cima a fondo e facendo qualche
domanda alle donne e agli uomini che lavoravano ma senza ottenere nessuna
risposta. La evitavano, era evidente.
Teneva il capo chino, mormoravano preghiere al suo
passaggio oppure, come in alcuni casi, si nascondevano. Il capo villaggio le
aveva spiegato che il ricordo di quanto accaduto nel corso degli anni aveva
influenzato l’animo della gente, cambiandolo in peggio.
“Sono solo scuse … “ pensò Reiko, tornando in camera e
chiudendo la porta alle sue spalle.
“Cosa potevo aspettarmi in un epoca dove è facile essere
superstiziosi?”
Scosse il capo, cacciando quei pensieri e concentrandosi invece sull’arma che
quell’uomo le aveva dato.
Non mentiva quando diceva che non era certa di poterla
usare.
Non tanto per mancanza di abilità, quanto per una strana
sensazione che aveva avuto quando le fu più vicina. Non era la forma giusta,
aveva immediatamente pensato, sorprendendosi lei stessa, e anche quando l’aveva
sfiorata non c’era stato il solito formicolio alle dita.
« Se questa non è la tua forma … Allora qual è quella vera?
»
Salve a tutti!
Allora, come al
solito, vorrei ringraziare tutti voi che avete commentato e che state seguendo
questa storia.
Di recente ho
avuto una sorta di visione mistica e quasi non mi ricordavo di scrivere …. ….
Poche balle, ho scoperto come far andare la playstation sul mio pc e la mia vita sociale è andata! Ahahaha!
In questo
capitolo abbiamo scoperto qualcosa, non molto, sulla bestia e prima che me lo
chiediate: l’arma finale non sarà quella lancia, ma qualcosa di più pratico per
Reiko.
Nei piccoli
villaggi si celano sempre oscuri segreti, voi cosa ne dite?
Vi ricordo,
inoltre, le altre storie in elaborazione tra cui “9 persons; 9 hours; 9 doors”
e “Totally Captivated”. Non dimenticate di dargli un occhio.
Capitolo 15 *** Il segreto della Bestia (Parte 1) ***
-Capitolo 14-
Kohaku, accettando di aiutare Reiko, aveva deciso di
chiedere qualche informazione agli abitanti del villaggio ma li aveva trovati tutti
piuttosto restii a far trapelare qualsiasi informazione.
Si limitavano a scuotere il capo, asserivano di non sapere
niente di fatti così lontani nel tempo e che li avevano segnati e altri ancora,
invece, avevano paura persino a pronunciare il nome di Keiko convinti che
avrebbero attirato altri demoni al villaggio.
Nessuno voleva aiutarlo.
Nessuno sembrava preoccupato per la sorte della ragazza
marchiata dai demoni.
Scosse il capo più volte cacciando i cattivi pensieri.
Non poteva arrendersi, aveva promesso a Reiko di aiutarla a
trovare una pista, un qualche indizio e non aveva certo intenzione di tirarsi
indietro proprio ora.
« Ehi … » una voce leggera, un mormorio trasportato dal
vento attirò la sua attenzione.
Accanto a una piccola casa sul confine del villaggio c’era
una bambina, era nascosta da una specie di mantello che copriva il suo corpo,
tendeva la piccola mano verso di lui e gli faceva cenno di avvicinarsi.
Si guardò attorno ancora un momento, assicurandosi che
nessuno stesse guardando nella sua direzione e l’avvicinò.
Era molto minuta e aveva le vesti logore, fu solamente dopo
che si era avvicinato che Kohaku poté notare qualcosa che prima, da troppo
distante, non aveva guardato: era la lunga coda morbida, come quella di un
animale.
“Questa bambina … “
« Seguimi … La nonna vuole vederti. » disse a bassa voce,
come se temesse di essere spiata e infatti, prima di allontanarsi dalla casa
dove si era appostata, controllò che non ci fosse nessuno.
Quella bambina era una mezzo demone, come Inuyasha.
Teneva sul capo una specie di mantello che la copriva,
proteggendola dal mondo esterno, guidano i passi del ragazzo fuori dal
villaggio e lungo un sentiero tracciato in tanti anni da uomini e animali.
Non gli piaceva l’idea di lasciare Reiko da sola, ma non
aveva altra scelta in quel momento.
Si ripeteva che sarebbe andato tutto bene, che Reiko non
correva pericoli, ma sapeva anche che il suo animo si sarebbe quietato
solamente quando l’avrebbe rivista.
Camminarono per almeno un’oretta buona distanziando di
molto il villaggio, allontanandosi dalla strada e inoltrandosi a fondo tra gli
alberi.
Era un labirinto, Kohaku faticava a memorizzare la strada
percorsa ma finalmente una piccola casa venne scorta.
Da una delle “finestre” fuoriusciva del fumo, trasportato dal vento.
La bambina si avvicinò saltellando quasi verso la porta,
scostò lentamente la stuoia di canne di riso che fungeva da porta ed entrò, si
annunciò con voce entusiasta mentre Kohaku la raggiungeva.
« Nonna, ho portato il ragazzo come mi avevi chiesto. »
Solo al sicuro di quelle mura si tolse il copricapo
rivelando una foltissima massa di capelli scuri scompigliati, gli occhi azzurri
come il cielo li aveva già notati prima, vero, ma nella penombra della casa
risaltavano ancora di più.
Seduta davanti a un fuoco scoppiettante stava un’anziana
donna, forse anche più avanti con gli anni di Kaede, pensò Kohaku mentre
osservava i suoi abiti vecchi e logori come quelli della ragazzina.
Quest’ultima sorrideva mentre andava a sedersi accanto alla
nonna che le sorrise di rimando carezzandole la nuca, la coda, nel frattempo,
aveva preso a muoversi delicatamente a destra e sinistra.
« Lei si chiama Sora … E’ la mia nipotina.» esordì la
donna, la sua voce era ruvida e bassa, continuando a carezzare la nuca della
nipote mentre lasciava entrare nella sua dimora Kohaku.
« La nonna si prende cura di me da quando i miei genitori
sono morti. » continuò la bambina, perfettamente a suo agio nonostante la
gravità della sua rivelazione.
Kohaku l’ascoltò attentamente, sedendosi dalla parte
opposta del fuoco mentre la donna, con un bastone di metallo sottile muovendo
la cenere all’interno del braciere.
« Posso sapere perché mi avete mandato a chiamare? »
domandò Kohaku in tono serio, osservando la bambina mezzo demone e spostando
poi lo sguardo verso la donna davanti a lei. Era molto in là con l’età e i suoi
lunghissimi capelli avevano ormai da tempo perso il loro colore originale
lasciando posto al grigio argento come la luna, la pelle scavata e le dita
nodose segnate dal duro lavoro nei campi e la schiena ricurva su stessa
sembrava doversi spezzare da un momento all’altro.
« Ho sentito da Sora che al villaggio è arrivato una
fanciulla con il marchio del drago. »
« Sì, è così. »
« Allora è bene che ripartiate subito. Non fermatevi a
lungo in questi luoghi, altrimenti la vita della ragazza sarà in grave
pericolo. »
Il tono della voce di lei non ammetteva repliche, era duro
e inflessibile come una roccia. Kohaku la guardava incuriosito senza capire la
ragione di tale monito.
« Perché dite questo? » domandò, sperando di ottenere una
spiegazione più che convincente.
La bambina, tenendo le gambe incrociate davanti a lei,
ascoltava con attenzione la storia mentre muoveva la coda sulle assi del
pavimento di legno.
« Il mio nome è Amane … » disse la donna, alzando il capo e
squadrando il giovane sterminatore di demoni con i suoi profondi occhi scuri
come l’ossidiana.
« Ho vissuto nel villaggio di quegli idioti per tutta la
mia vita, almeno una parte della mia vita, e quando ancora ero una bambina
conobbi Keiko. »
Gli occhi di Kohaku sembrarono sbarrarsi al sentire
nominare l’ultima ragazza marchiata dai draghi, la figlia del capo villaggio e
che era morta nel tentativo di proteggere tutti quanti.
Non disse nulla, non osò fiatare e lasciò alla donna il
compito di continuare il racconto.
« A quel tempo il villaggio non conosceva pace.
Gli attacchi dei demoni continuavano giorno e notte, senza
mai davvero fermarsi, e tutti pregavano la povera Keiko come se fosse una
divinità scesa in terra e la maledivano allo stesso tempo come causa di quella
sventura. » dalle labbra della donna sfuggì quella che doveva essere una
risata, annientata però da diversi colpi di tosse che sfiguravano il suo
sorriso sarcastico.
« Un giorno, quella stessa ragazza che molti consideravano
la causa delle sventure, mi salvò la vita rischiando la sua per proteggermi da
un demone. Questo mi diede modo di conoscerla meglio e di assistere impotente
alla sua fine. »
« Il capo villaggio ha detto … » disse infine Kohaku, intrufolandosi
nel discorso della donna. « … Che la morte di Keiko fu causata dal suo
desiderio di proteggere il villaggio dalla Bestia.
»
Le bacchette di metallo con le quali Amane stava rovistando
nel braciere s’infransero nella cenere, il viso si alzò velocemente e Kohaku
poté vedere il fuoco della rabbia che ardeva dentro di lei.
« Menzogne! Keiko non si è sacrificata, è stata venduta da
uno degli abitanti del villaggio! » sbottò con rabbia, ansimando per la fatica
che quelle parole costavano al suo corpo.
La nipote, Sora, si alzò immediatamente e corse a prendere
un po’ di acqua da una delle giare poste accanto alla porta.
In mano reggeva un piccolo mestolo di legno con dentro il
liquido cristallino che porse all’anziana donna, quest’ultima ringraziò con un
sorriso la nipote e prese piccoli sorsi prima di calmarsi e riprendere il suo
racconto.
« Immagino avrai sentito parlare della Bestia. »
« Sì, ma ancora non ho capito se sia o meno un
demone. »
« Un demone? Sarebbe molto più facile. »
commentò la donna in tono grave. « Quella creatura è oscurità pura e non ha
forma. Si nasconde nelle tenebre, ammalia gli uomini con le sue bugie e le sue
false promesse e se accetti un suo patto sei perduto per sempre. »
« Non comprendo … » disse Kohaku, mostrandosi
effettivamente confuso dall’argomento.
La donna sospirò come rassegnata, alzò il capo
e fece un cenno alla nipote che annuì appena con il capo e si volse verso di
lui per continuare la discussione.
« Nel cuore di ognuno di noi vivono luce e
ombre, giusto? Ecco, la Bestia è
quell’oscurità dentro di noi. I suoi occhi sono in grado di vedere le tue
debolezze, ma è anche un qualcosa di reale e necessita di nutrimento ed è per
questo che cerca le ragazze marchiate. »
Quando Sora concluse la sua spiegazione si
volse verso la nonna, sorridendole e lasciandole nuovamente la parole.
In quel momento Kohaku si sentiva come lo
“stupido” di turno.
Sospirò appena e ascoltò con maggiore
attenzione il resto della storia, una volta alla fine, si disse, avrebbe fatto
alcune domande.
« Ti starai chiedendo come faccio a sapere
tutto queste cose, vero? » domandò retoricamente Amane, sorridendo in modo
strano e ambiguo.
Kohaku non rispose, non era necessario per quel
tipo di domanda almeno.
« Ero presente quando quello sciocco ha venduto
Keiko alla Bestia.
Alla fine, la ragazza marchiata morì e io lasciai quel villaggio di idioti per
vivere qui da sola. Beh, almeno fino all’arrivo di Sora. »
Il sorriso che rivolgeva alla nipote era
davvero molto dolce e affettuoso, quasi faticava a rivedere quell’occhiata di
fuoco, carica di rabbia e disgusto, che aveva animato poco prima il suo
sguardo.
« Chi è stato, e cosa ha chiesto in cambio? »
domandò Kohaku.
Il capo villaggio aveva detto che la Bestia aveva offerto loro qualcosa in
cambio di Keiko, quindi, se era vera la storia della donna, chi aveva tradito
doveva aver ottenuto qualcosa dal suo accordo.
Lo sguardo della donna tornò nuovamente serio
mentre rievocava quegli eventi del passato.
« A vendere Keiko non è stato altro che Rikuji,
allora bambino, desiderando solamente che i demoni smettessero di attaccare il
villaggio. Era piccolo, vero, ma quello sciocco non aveva capito niente. Viveva
nel terrore. »
Scosse più volte il capo e la mano andò a
sorreggere la fronte.
Kohaku rifletté un istante e ricordò di aver
sentito quel nome prima di entrare al villaggio, era uno degli uomini, quello
più spaventato da Reiko.
Stando al racconto della donna doveva essere molto giovane
quando accadde, forse un bambino per davvero, ma non riusciva comunque a giustificare
le sue azioni.
Improvvisamente un fulmine attraversò la sua mente e scattò
in piedi, gli occhi sbarrati dal terrore mentre la consapevolezza di quello che
poteva accadere cominciava a farsi strada dentro di lui.
« Ora hai capito ragazzo? Questo non è un luogo sicuro,
dovete andare via subito! » ripeté la donna, mentre anche la bambina mezzo
demone lo guardava preoccupata.
« Sora, riaccompagnalo al villaggio e poi torna subito qui.
»
« D’accordo! »
La bambina si alzò dal pavimento e saltellando andò a
riprendere il mantello che usò per coprirsi fino alla nuca, voltandosi poi
verso l’anziana donna e salutandola con un cenno veloce.
« Ragazzo … » disse la donna, fermando Kohaku che già aveva
messo una mano sulla stuoia di canne di riso. « Proteggi quella ragazza … E’
importante. »
Non rispose. Non era necessario.
Si limitò ad annuire e uscì da quella casa.
Doveva tornare in fretta da Reiko, voleva assicurarsi che
stesse bene e che nessuno le avesse fatto del male approfittando della sua
assenza. Sapeva difendersi, lo aveva visto dal modo in cui brandiva quell’arma
che si portava dietro, ma non voleva rischiare troppo.
« Sai … La nonna vive così isolata anche perché ha scelto
di prendersi cura di me …» esordì Sora,
piegando appena il capo indietro mentre camminava sorridendo malinconica per
poi tornare a guardare la strada.
« Non ho mai conosciuto mio padre e mia madre è morta
quando ero ancora piccola.
Così la nonna ha deciso di prendermi con se, nonostante
tutto, allontanandosi definitivamente da quel villaggio. La nonna ripete sempre
che l’ombra non si è mai allontanata da quel luogo. »
Kohaku la ascoltava mentre finalmente tornavano sul
sentiero per animali che riconduceva al villaggio.
Fu a quel punto che Sora lo lasciò, sorridendo e scusandosi
per il modo in cui si allontanava. Non voleva avvicinarsi ancora a quel
villaggio, non finché la persona che aveva fatto un patto con la Bestia era ancora lì.
Non perse tempo, anche se era sicuro che le avrebbe riviste
molto presto: Reiko avrebbe voluto fargli delle domande, sicuramente.
Ora che il villaggio era più vicino accelerava il passo,
ansioso, passava attraverso le strette strade sterrate fino ad arrivare alla
dimora del capo villaggio.
Aveva sentito diversi sguardi su di se, alcune parole
sussurrate, ma non era importante. In quel momento voleva solo assicurarsi che
Reiko stesse bene.
Superò il lungo corridoio che dava sul giardino interno e finalmente
arrivava alla stanza della ragazza, fece scorrere la porte scorrevole in carta
di riso trovandola seduta con le bacchette in mano e una ciotola di riso nell’altro.
« Oh ciao … sei già tornato? » domandò lei, guardandolo
sorpresa e ugualmente felice che fosse già lì.
Quel luogo era davvero deprimente.
Aveva usato l’intero pomeriggio per cercare di venire a
capo del mistero dell’alabarda, ma niente. Non aveva ottenuto nemmeno il più
piccolo risultato.
Le persone in quella casa la trattavano come una sorta di
appestata, mormorando alle sue spalle; persino la donna che era venuta a portarle
la cena non aveva fatto altro.
Kohaku riprese fiato, sospirando appena e andandole
incontro a grandi falcate. Ebbe appena il tempo per posare sul piccolo vassoio
le bacchette e la ciotola di riso, le sue braccia la cinsero all’altezza del
collo attirandola contro di lui.
Arrossì sulle guance quasi immediatamente mentre tratteneva
il fiato, imbarazzata ed emozionata per quel gesto improvviso che non si
sarebbe mai aspettato dal giovane sterminatore di demoni.
« K-Kohaku … Cosa è successo? » domandò lei, deglutendo
pesantemente e cercando di calmare il proprio cuore che sembrava in procinto di
esplodere dal suo petto.
Lui non rispondeva, si limitava a stringerla.
Con la coda dell’occhio cerca di vedere la sua espressione,
ma era inutile poiché Kohaku, abbracciandola a quel modo, aveva affossato il
viso nello spazio tra volto e spalla impedendole di vedere la sua espressione.
« … Ho avuto paura … » mormorò solamente, voce bassa e l’espressione
tesa.
Cos’era accaduto?
Una mano istintivamente saliva alla schiena del ragazzo mentre quello strano
formicolio alla punta delle dita tornava a farsi sentire, usò tutta la sua
concentrazione per evitare di avere altre visioni del passato che non potevano
in alcun modo influenzare il futuro.
A quel gesto, la stretta attorno alle sue spalle aumentò
ancora.
« … Non lascerò che ti facciano del male … »
« Kohaku … cosa ti prende? » domandò di nuovo, stavolta con
un tono di voce più preoccupato mentre lui allentava la stretta per permetterle
di guardarlo in viso.
I suoi occhi nocciola erano velati da una profonda
malinconia e da una preoccupazione che non poteva nascondere, sembrava perso in
qualche ricordo di un passato che poteva solamente immaginare e questo,
naturalmente, influiva sui suoi gesti e le azioni. Non poteva, si ripeté
mentalmente, dare troppo peso a quell’abbraccio.
« Reiko, dobbiamo andarcene da questo villaggio. Subito. »
Nell’oscurità della foresta, dove nemmeno i pallidi raggi
del sole arrivavano, due figure osservavano con distacco la scena con i loro
occhi di cristallo e che potevano vedere molto lontano.
« Il cuore è ancora debole … » esordì una delle due figure.
« Mi chiedo, mi chiedo … cosa sceglierà di fare la ragazza
marchiata? »
« Salverà tutti, sacrificandosi per il villaggio … »
« … Oppure morirà difendendoli … »
Salve a tutti!
Premetto: non sono molto soddisfatta di questo capitolo, ma vi prometto
che nel prossimo torneremo al solito standard.
Ad ogni modo, nonostante tutto, spero di avervi chiarito alcuni dubbi in
caso vi allegherò un immagine che vi permetterà di vedere come realmente è la
Bestia. Ispirata, come dissi nel prologo, a una serie che raccomando vivamente
a tutti “Over the garden wall”.
Ringrazio ancora una volta tutti voi lettori, voi che recensite e che
avete deciso di seguirmi fino a questo momento.
Capitolo 16 *** Il segreto della Bestia (Parte 2) ***
-Capitolo 15-
Kohaku raccontò a Reiko quello che aveva saputo della Bestia da Amane, la misteriosa donna che
viveva fuori dal villaggio, confermando in questo modo i sospetti di lei sulla
vera ragione della morte di Keiko.
Non era mai stata convinta dalle parole del capo villaggio,
ma si stupiva come avesse potuto credere, anche se in buona fede, alle parole
di un bambino.
C’era ancora qualcosa che non capiva.
« Non c’era altro? » domandò a quel punto Reiko,
pensierosa.
La storia di Amane era molto più credibile di quella che avevano saputo dal
capo villaggio. Se non altro, pensò Reiko, riusciva a colmare i buchi sul
passato di Keiko.
Era strano.
Non si era mai interessata molto agli altri.
Guardare gli altri le piaceva, lo trovava molto rilassante
e istruttivo, ma il suo interesse si fermava a quello e non scivolava oltre la
fantasia, conoscendosi abbastanza bene non capiva quindi il suo interesse per
Keiko. Non lo capiva.
« Sora, prima di tornare indietro, mi ha detto che secondo Amane l’ombra non ha
mai davvero lasciato questo villaggio. »
Gli occhi di Kohaku si erano fermati sull’espressione
pensierosa di Reiko.
La paura che aveva provato quando era tornato da lei era
ancora lì, la sentiva dentro il suo cuore come una sorta di scarica elettrica e
quando l’aveva vista, senza nessuna ferita e incolume, non aveva potuto fare
niente.
Doveva darsi un contegno, si ripeteva nella mente, doveva
assolutamente calmare quella sensazione pungente nel suo animo.
Lei era una discendente di sua sorella. Un membro della sua
famiglia e doveva proteggerla, nient’altro.
“Non posso guardarla in nessun altro modo … “
E mentre pensava ciò i suoi occhi si fissarono sui lineamenti del viso, sul
contorno delle sue labbra e sui piccoli e involontari movimenti che compiva.
Sobbalzò a quel punto riscuotendosi velocemente dai suoi pensieri e dandosi
mentalmente dello stupido.
“Cosa mi salta in mente … Lei non può … “
Fu in quel momento, proprio quando il suo sguardo fu preso da un profondo
sconforto, che gli occhi di Reiko si fissarono su Kohaku.
Aveva sentito quei suoi occhi scrutarla a lungo e
attentamente, mantenere la calma nel suo cuore che batteva all’impazzata era
più difficile di quanto pensasse. In passato, quando frequentava qualcuno, non
si era mai preoccupata di niente. Non aveva mai avvertito quella scarica
elettrica che ora attraversava il suo corpo annebbiando i suoi sensi, si
sentiva spezzata a metà tra il giusto e lo sbaglio più grande che poteva
commettere in quel momento. Per questo, si limitava a ignorare quegli occhi, fingendo
sorpresa e curiosità. Un sorriso gentile allungò gli angoli delle sue labbra
causando un leggero imbarazzo in Kohaku, colto sul fatto mentre la stava
guardando e costringendolo a voltarsi.
« Co – Comunque dovremo andare via da qui, al più presto. »
si fermò, risposando gli occhi nocciola verso Reiko mentre le mani si serravano
in stretti pugni. « Non voglio … Che ti accada qualcosa. »
« Capisco, ma dobbiamo aspettare che cali la notte. Se ce
ne andassimo subito attireremo l’attenzione, e poi … »
Si fermò, incapace di proseguire,
Da quando aveva finito di fare il suo giro di domande una
strana sensazione si era impadronita di lei. Era come quando tornava a casa da
scuola e i pesci piccoli di qualche organizzazione rivale cercavano di rapirla
per chiedere un riscatto, in quei momenti aveva sempre la sensazione che
qualcuno la spiasse e ora si sentiva allo stesso modo.
Kohaku la fissò incuriosito, ma lei scosse il capo e
ricacciò indietro quell’affermazione a metà.
« In ogni caso, quando ce ne andremo, vorrei fermarmi a
qualche domanda ad Amane. C’è qualcosa che non mi ha del tutto convinto. »
« Sembri sempre così sospettosa … » aggiunse Kohaku,
sorridendo appena. « Nulla ti convince mai completamente. »
« Le persone mentono sempre, Kohaku. » rispose lei, gli
occhi nocciola si fecero più duri e severi mentre si rivolgeva al ragazzo.
« Siamo tutti bugiardi. Una volta imparato questo, cercare
la verità in un mare di menzogne diventa piuttosto naturale. »
In quel momento, pronunciando quelle parole, il suo occhio
cambiò completamente colore tingendosi di nero con una pupilla dorata nel
centro dal taglio netto e bestiale.
« Se nascondono qualcosa … Io lo scoprirò. »
Quando era insieme a Reiko non faceva altro che rimanere
sorpreso, e quel momento non era certo diverso dagli altri che l’avevano
preceduto.
Voleva capirla.
Voleva conoscere il mondo in cui era cresciuta, capire
davvero quello che vedevano i suoi occhi e forse, pensò, una volta svelati
questi misteri sarebbe stato più facile rimanerle vicino.
Alla fine, il piano era più o meno deciso: avrebbero atteso
la sera per poi andare via da quel villaggio senza attirare maggiormente
l’attenzione.
Reiko, dal canto suo, avrebbe portato con se quella
misteriosa alabarda che da prima non faceva che attirare la sua attenzione.
Non avvertiva quel normale formicolio alla punta delle
dita, doveva capire ancora molte cose e non sapeva a chi chiedere.
“Quelle voci non si fanno sentire sempre … “ pensò
scoraggiata, ricordando lo scontro al tempio del monaco e quando i briganti
avevano attaccato il villaggio di Musashi.
La punta delle dita sfiorò appena la lama affilata
dell’alabarda, studiandola con sguardo assorto e attento.
“Mi hanno mostrato quello che mi serve sapere, incluso
frammenti del futuro, ma tutto quello che so non ha nemmeno a che fare con me.
A che pro, dunque?”
Era immersa nei suoi pensieri in modo tanto profondo da non
accorgersi che le dita avevano toccato con più energia la punta della lama,
tagliandosi leggermente quanto bastava per far uscire un po’ di sangue.
Sentendo il bruciore causato dal graffio si riprese
completamente guardando allibita la piccola ferita.
Stava per avvicinare il dito alle labbra quando Kohaku le
afferrò il polso allontanando la mano dal viso. Reiko si girò verso di lui,
perplessa, ma il ragazzo non disse nulla e si limitò ad avvicinare egli stesso
il polpastrello leso contro le labbra.
Se fosse stato qualcun altro, un ragazzo qualunque,
probabilmente avrebbe reagito in modo diverso da quello che aveva appena
assunto. Probabilmente avrebbe ritirato la mano dalla sua sostituendola con le
labbra, ma questo non era una situazione “normale” e quello davanti a lei non
era un ragazzo qualunque: era Kohaku.
Nel frattempo lui l’aveva liberata, per così dire,
spostando lo sguardo imbarazzato per quel suo gesto improvviso. Reiko sentì una
strana fitta all’altezza del cuore, come un coltello che la trapassava da parte
a parte togliendole il respiro impedendole così di parlare.
Deglutì un po’ di saliva sentendosi per la prima volta in
difficoltà davanti a lui.
« Kohaku, ascolta … io … »
Le sue parole vennero interrotte da un grido che proveniva
dall’esterno.
Aperta velocemente la porta scorrevole, la prima cosa che videro fu il cielo
fattosi improvvisamente più scuro e carico di una forte aura maligna e anche
Kirara, placidamente addormentata in un angolo della stanza, sembrò svegliarsi
di colpo con il pelo arruffato per la tensione.
« Tu resta qui! » esordì Kohaku, alzandosi e raccogliendo
la sua arma.
Dalle nuvole più alte alcuni demoni inferiori cominciavano
la loro lenta discesa verso il villaggio, attaccandolo e seminando distruzione
ovunque andassero.
« Te lo puoi proprio scordare! »
« Non capisci che quei demoni vogliono te! »
« Proprio per questo non posso rimanere qui! » sbottò
determinata, i suoi occhi fissi in quelli del ragazzo non avevano il minimo
segno di esitazione o di paura.
Era inutile combattere contro la testardaggine di quella
ragazza, per questo non rispose e si limitò a correre fuori dalla stanza
assieme a Kirara mentre Reiko afferrava l’alabarda e andava verso il corridoio.
Il capo villaggio era già fuori dalla sua dimora e
osservava con terrore la devastazione che i demoni stavano provocando. Nella
sua mente rivide gli eventi di molti anni prima, quando aveva rifiutato di
cedere sua figlia alle mani della Bestia,
e ora, nuovamente, il suo villaggio era attaccato e non poteva fare niente per
fare quelle creature.
Kohaku, in groppa a Kirara, si era diretto verso gli ultimi
demoni che stavano discendendo per ucciderli sul posto mentre altri uomini
difendevano come meglio potevano le loro case e le loro famiglie.
Reiko dava una mano a questi.
Almeno, questa era la sua idea. Ogni volta che tentava di
aiutare qualcuno riceveva solo sguardi freddi e parole sconvenienti appena
sussurrate.
Nelle mani reggeva l’alabarda che un tempo apparteneva alla
ragazza che aveva sacrificato tutto per loro, eppure, nonostante questo,
sembrava essere solo considerata una portatrice di sventura.
« … E’ colpa tua … » sussurrò una voce maschile alle sue
spalle.
Quando si voltò, sobbalzando sul posto, si trovò davanti lo
stesso uomo impaurito che l’aveva additata all’ingresso del villaggio. Era
Rikuji, il bambino che in passato aveva venduto Keiko alla Bestia.
I suoi occhi erano iniettati di sangue e il suo viso era
una maschera di terrore. Alcune gocce di sudore freddo scivolavano sulla fronte
stempiata dell’uomo mentre reggeva in mano una vanga piuttosto vecchia, ancora
sporca di terreno, avvicinandosi sempre di più a Reiko.
« E’ colpa tua … Non saresti dovuta venire qui! Per colpa
tua … Per colpa tua ora è tutto perduto! E tu … »
La stretta tremolante attorno all’arma si fece più salda,
ora, parlando non poté trattenere alcuni sputi che andarono a colpirla ma senza
farle distogliere lo sguardo da lui.
Lo vedeva.
Riusciva a vedere la sua anima con il suo occhio e oramai
non poteva più salvarlo: era perduto.
Un sibilo si perse nell’aria squarciandola, un suono come
un tonfo e gli occhi dell’uomo ruotarono all’indietro per poi cadere avanti sul
terreno. Nella schiena, all’altezza del cuore, era conficcata una freccia e
poco distante vide una ragazzina con in mano un arco e una lunga e folta coda
che si muoveva nel vento.
L’arma era ancora alzata, abbassandosi qualche istante dopo e accennando un
semplice inchino verso la ragazza che venne prontamente ricambiato con un
sorriso semplice.Non si dissero nulla,
semplicemente la bambina si allontanò con il suo arco per andare verso il luogo
della battaglia.
Reiko rimase un momento impietrita, osservando il cadavere
dell’uomo davanti a lei.
Le sue mani si strinsero con maggiore forza attorno all’alabarda.
Di nuovo quella sensazione che l’arma tra le sue mani non
fosse davvero giusta, come se quell’aspetto fosse solamente una facciata e ci
fosse qualcos’altro ancora da scoprire.
« Dannazione … ! » sibilò a denti stretti, spostandosi
verso il centro del villaggio e aiutando a tenere a bada i demoni come meglio
poteva.
Quell’arma, anche se non era ancora completa, sarebbe stata
sufficiente per il momento; avrebbe pensato a cosa fare solamente in seguito.
Kohaku, dal canto suo, aiutato da Kirara, stava svolgendo
perfettamente il suo compito di sterminatore ma per quanti demoni riusciva ad
abbattere molti altri ne rispuntavano e la battaglia sembrava continuare
infinita.
Le braccia cominciavano a farsi più pesanti mentre
sollevava la sua arma per colpire i demoni, gocce trasparenti di sudore
imperlavano la sua fronte.
Fu allora che non si accorse di un demone, alle sue spalle,
pronto ad aggredirlo quando una freccia vibrò rapida nell’aria e si conficcò
nel corpo del demone salamandra bloccandone i movimenti.
A colpire era stata, come nel caso di Reiko, proprio Sora
sorprendendo Kohaku come poche volte capitava.
« La nonna ha detto di venire a dare una mano alla ragazza
con il marchio del drago! »
Esordì la giovane
mezzo demone, sorridendo appena e recuperando una freccia dalla faretra che
scagliava per tenere a bada altri demoni che si stavano avvicinando.
I suoi sensi acuti l’aiutavano a centrare sempre il
bersaglio sorprendendo il giovane sterminatore; dopotutto, Sora era solamente
una bambina.
« Reiko sta bene? » domandò a quel punto, speranzoso di
poter ottenere una risposta dalla bambina che lo aveva appena aiutato.
« E’ nel centro del villaggio dove si stanno radunando i
demoni. » rispose lei rapidamente.
Un cenno verso Kirara e si allontanava lasciando la
compagna di molte imprese indietro per aiutare Sora, in difficoltà, ora, per il
diminuire delle frecce a sua disposizione.
La giovane mezzo demone aveva ragione.
Nel centro del villaggio i demoni si stavano radunando a
poco a poco, in maniera quasi impercettibile per occhi che non prestavano
attenzione e tra questi c’erano anche quelli di Reiko.
Quest’ultima, decisa a proteggersi, si limitava a
respingere gli attacchi che arrivano contro di lui mulinando l’alabarda con
destrezza.
In quel momento, pensò con amarezza, ringraziò le lezioni di
autodifesa dei suoi “fratelli” unite a quelle richieste esplicitamente da suo
zio.
Ad un certo punto, però, i demoni smisero di attaccare.
Sembravano come pietrificati sul posto, incapaci di compiere qualsiasi azione,
mentre gli abitanti del villaggio rimanevano sconcertati e con ancora le armi
in pugno.
« Reiko! »
La voce di Kohaku la raggiunse pochi istanti dopo che
quelle creature si erano fermate.
« Che cosa è accaduto? »
« Bella domanda … » rispose lei, scuotendo le spalle e il
capo in modo leggero. « All’improvviso si sono fermati da soli. »
Un brusio in sottofondo seguì la constatazione di Reiko.
Alcuni si domandavano il motivo di quel blocco, altri, ancora, sospettavano
fosse stata opera della ragazza con il marchio e altri ancora un sortilegio.
« Mi chiedo … Mi
chiedo … »
Una voce bassa, gelida come il vento d’inverno, infranse quella situazione di
stallo.
A parlare era stato uno demoni il cui corpo sembrava mosso da fili invisibili a
occhio umano, Reiko lo guardò con rabbia crescente mentre se ne faceva avanti
un altro, dalle fattezze più animali, ma anch’esso si muoveva in quel modo
strano.
« Ragazza con il
marchio, perché non vieni con noi? »
« Tu non vuoi questa
distruzione, vero? Sarebbe terribile se delle creature innocenti morissero a
causa tua … Tanto sangue versato che potrebbe essere risparmiato al dolore
della perdita … » A parlare, come prima, era stato un altro demone ancora.
Probabilmente, pensò Kohaku, era una strategia dei loro
inseguitori per impedirgli di capire da quale parte i fili partivano e dove si
trovavano loro veramente.
Le parole che pronunciavano quei demoni sembrarono scuotere
l’animo di Reiko che si fece di pietra, mentre Kohaku, furibondo per quella
proposta, si stava preparando a reagire al minimo segno di pericolo.
« Mi chiedo … »
« Mi chiedo …
Verrai con noi, fanciulla prescelta, per salvare la vita di queste persone a te
care? »
Reiko si voltò appena con il capo e guardò gli abitanti del
villaggio.
Era difficile decifrare i loro sguardi in quel misto di
speranza e paura, ma alla fine Reiko accennò un sorriso e si voltò verso i
demoni mostrando loro la sua espressione più rilassata e serena.
« Fate pure, non me ne importa niente se anche questi
uomini dovessero morire. »
E dalle lande desolate della Terra di Mezzo …
No, sto scherzando: eccomi anche qui gente!
Sì, non mi sono dimenticata è solo che ho avuto alcuni problemi personali
e la mia voglia di scrivere era scemata completamente.
Adesso, con fatica e pazienza, sto cercando di rimettere insieme tutti i
frammenti delle mie idee.
Che dite, dunque? La risposta di Reiko vi ha preoccupato?
Nel prossimo, e ultimo di questa parte, capitolo scopriremo finalmente qual
è la motivazione per le sue parole e quale sarà davvero la forma della sua
arma.