Doppelgänger

di Holly Rosebane
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ouverture ***
Capitolo 2: *** First Shot ***
Capitolo 3: *** Second Shot ***
Capitolo 4: *** Third Shot ***
Capitolo 5: *** Finale ***



Capitolo 1
*** Ouverture ***


Warning!: Questa storia era già stata pubblicata precedentemente sotto un altro account, "Aethereal". Si trattava del mio profilo provvisorio, tutte le storie che erano state cominciate lì, verranno ripostate sul mio attuale accout, ovvero questo. Perdonate l'inconveniente.











Ouverture



“L’occhio è il più autonomo dei nostri organi. Lo è perché gli oggetti della sua attenzione si trovano inevitabilmente all’esterno. L’occhio non vede mai sé stesso, se non in uno specchio. […] L’occhio continua a registrare la realtà anche quando non vi è ragione apparente per farlo, e in tutte le circostanze. […] Questo spiega la predilezione dell’occhio per l’arte in generale […]. Questo spiega l’appetito dell’occhio per la bellezza, e l’esistenza stessa della bellezza. Perché la bellezza è sollievo, dal momento che la bellezza è innocua, è sicura.”
 IOSIF BRODSKIJ
 
 
 
 

 
Lunedì, ore 8:05
 
 
Era una fresca giornata di inizio maggio, non una nuvola sembrava stingere il terso cielo azzurro chiaro. Il sole, disco dorato ancora semi-argenteo, splendeva dietro uno dei numerosi ed alti palazzi che costeggiavano la strada.
Una bicicletta imboccava solitaria il vialetto d’accesso dell’università, facendo lo slalom fra studenti e macchine già parcheggiate. Il rumore della catenella e delle ruote sottili che divoravano l’asfalto si fondeva con il cicaleccio delle persone e i cinguettii degli uccelli sugli alberi antistanti.
Il giovane smontò dal suo mezzo con un agile balzo, atterrando silenziosamente e procedendo a passo svelto insieme alla bici, che ancora si muoveva per forza d’inerzia. Giunse al suo solito posto e si fermò, inginocchiandosi e armeggiando con il lucchetto che aveva tirato fuori dalla tasca, per cercare di sbrogliarlo dal mazzo di chiavi.
Osservandolo meglio, sarebbe tranquillamente passato per il classico secchione da liceo, quello sempre seduto al primo banco, con gli occhiali dalla spessa montatura e la mano perennemente rivolta verso l’alto, in previsione di una qualsiasi domanda del docente. Indossava una t-shirt assolutamente anonima su un paio di jeans stinti altrettanto scialbi e un paio di mocassini logori e consumati, che avrebbero fatto invidia ai calzari della prima guerra mondiale. Un’accozzaglia di cattivo gusto, insomma. A condire il tutto, poi, vi erano anche la postura leggermente ingobbita e i modi sgraziati, goffi, assolutamente fuori luogo.
Ai tempi del liceo, lo chiamavano tutti “Giacomo Leopardi”, per prenderlo in giro. Ma lui non coglieva mai alcuna provocazione. Passava letteralmente inosservato, come un attaccapanni all’angolo di una stanza. Le prime volte, ci si faceva caso. Poi, ci si abituava e alla fine lo si dimenticava.
Peccato, perché sotto ogni strato d’inadeguatezza e abiti fuori luogo, si nascondeva un bel corpo alto e ben proporzionato, dalle spalle larghe e le mani affusolate. Il suo viso, nascosto dietro quegli occhialoni tondi a fondo di bottiglia, avrebbe potuto essere molto bello. Occhi azzurri dalle lunghe ciglia, naso interessante, bocca sottile dalle scarlatte labbra morbide e sopracciglia ad ali di gabbiano che ben definivano uno sguardo penetrante. Il quale, per abitudine, tendeva a non interessare mai a nessuno. I suoi capelli, se non fossero stati così duramente disciplinati dal gel in una dritta e noiosa riga laterale e appiattiti a spregiudicato suon di pettine, sarebbero stati ricci. Voluttuosi. Color cioccolato. Chiunque avrebbe provato il desiderio di affondarci le dita dentro. E invece no.
In quel momento, il ragazzo venne distratto dal rombo del motore di un’auto che si parcheggiava al posto poco distante da lui. Una lucida Volvo blu, che dava istintivamente un’idea di lusso e pulito in chi la guardasse. Si aprì uno sportello e al di sotto di esso, lui poté scorgere il sinuoso profilo di una caviglia femminile, stretta in un cinturino color ebano che apparteneva ad una scarpetta con tacco alto, la quale fasciava un esile piede dall’incarnato pallido. Gli sembrò la cosa più bella che avesse mai visto.
A quell’unica opera d’arte se ne affiancò un’altra, perfettamente identica, che toccò terra con un sonoro ticchettio, persosi nell’aero. Alla fine, la figura che uscì dall’auto si rivelò per intero, chiudendo lo sportello con un colpo secco e inserendo la sicura schiacciando un bottone sulla chiave.
 La ragazza alzò lo sguardo, dedicandogli una fugace occhiata, come quando ci si rende conto di avere un anonimo prato verde dinanzi agli occhi. Non era molto alta e benché le sue caviglie non lo facessero intuire, era anche abbastanza formosa. Indossava un trench primaverile color caramello e una camicetta azzurra di cotone leggero, aperta fino alla seconda asola. Una gonna scozzese blu scura a pieghe frusciava seguendo ogni suo movimento. Alla sua spalla pendeva una grande borsa nera. Quella gamma di colori metteva in risalto il suo colorito eburneo e la grazia con cui si muoveva la faceva sembrare quasi eterea.
Lui non fece in tempo ad incrociare i suoi occhi che lei era già andata via. Lasciandolo lì imbambolato con un lucchetto semiaperto nella mano destra e i due capi della catena di sicurezza nella sinistra.
 
 
 
 
Ore 8:20
 
 
Caso volle che il giovane capitasse a sedere nella stessa fila della ragazza che aveva incontrato quella mattina, dall’altro lato della serie orizzontale di bancate. Mentre il docente di Analisi 1 continuava a sproloquiare sulle derivate e su quanti atroci modi ci fossero di provare a risolverle, lui lanciò un’occhiata di sottecchi nella sua direzione.
Aveva la testa china sul suo quaderno, un gomito poggiato sul banco e giocherellava con la penna nera, facendola volteggiare fra le dita. Il profilo che disegnava il suo volto la faceva sembrare ad una di quelle dive del cinema anni ’50, con nasino alla francese, labbra scure e carnose, occhi nocciola dalla forte espressione e sopracciglia accuratamente disegnate da madre natura. Il tutto, incorniciato da una cascata di riccioli castano chiaro lunghi fino alla vita.
Si accorse di essere osservata e si voltò verso di lui, con espressione neutra. Il giovane distolse immediatamente lo sguardo e finse di focalizzarsi sui suoi preziosi appunti. Invano. Non resistette alla tentazione di lanciarle un’ultima occhiata e scoprì, agitandosi, che lei era ancora fissa su di lui. Le sue labbra parvero accennare ad un sorriso, mentre accavallava lentamente le gambe, mozzandogli il respiro e accelerando il suo battito cardiaco.
La campanella di fine lezione suonò improvvisamente, interrompendo quel momento e facendo sì che tutti i presenti nell’aula si alzassero, producendo baccano e rompendo il silenzio. La ragazza stessa sciolse l’intreccio e si alzò, raccattando la sua borsa e uscendo senza degnare il giovane di un altro sguardo. Quando fu fuori, il ragazzo si lasciò sprofondare sulla sedia con aria insofferente, sbuffando infastidito. Si guardò attorno e notò che lei aveva lasciato qualcosa sul suo banco. Riemerse dal suo scoramento momentaneo e balzò in piedi, raggiungendo il posto che fino a qualche minuto fa era stato suo, vedendo di cosa si trattasse. Sembrava un’agenda, o un diario personale. Le sue mani lo strinsero in un gesto istintivo, non ebbe nemmeno il tempo di pensare a cosa stesse facendo.
Lo aprì, sentendosi vagamente in colpa, come se avesse infranto un divieto non detto. Ma era una vaga protesta ai recessi della sua coscienza, troppo fievole per darle retta. Vide una pagina a caso, dove era attaccata una fotografia con alcuni cuoricini rosa disegnati a mano tutt’attorno. Ritraeva lei, languidamente stretta ad un ragazzo dall’aria sfuggente, i profondi occhi azzurri e i morbidi riccioli color cioccolato, che fissava l’obiettivo con aria di sfida. Le sottili labbra rosso scuro piegate in un mezzo sorriso ironico. Allora capì.
 






Nota: Questa vicenda ha avuto una storia un po' sfortunata. E' stata spesso eliminata e ripubblicata, prima di riuscire a trovare il posto giusto nell'account appropriato. Ebbene, meglio tardi che mai! Sarà un'avventura non troppo breve ma neanche eccessivamente lunga (4 capitoli in totale), che aggiornerò con regolarità ogni tre/quattro giorni. Questa si avvicina maggiormente al mio vero stile attuale, e l'idea di un Harry "sfigato" era troppo ghiotta per non servirmene. Vi faccio notare che la storia è anche pubblicata sul mio profilo Wattpad, che vi allegherò in basso insieme al banner della mia ultima long che sta per terminare, "The Paper Boy" (per chiunque volesse farci un salto). Vi ringrazio per l'attenzione, per essere arrivati fino a qui e per aver letto il capitolo! Sarebbe carino che mi lasciaste qualche parere in merito, che sia positivo, negativo, sono aperta a dialoghi e confronti con qualunque opinione. Bene, ora mi dileguo. Alla prossima!



The Paper Boy
 


Wattpad

 
 

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Capitolo 2
*** First Shot ***







First Shot
 
 
 
"Bisogna essere davvero un grand'uomo per saper resistere anche contro il buon senso."
FËDOR DOSTOEVSKIJ
 


 
 
Qualche giorno prima (venerdì), ore 15.00
 


«E questo è quanto, signori. È chiaro?»
«Sì, mr. Bloom».
«Allora levate le tende, la lezione è finita».
Quasi come se avesse sentito le parole del professore, la campanella suonò rumorosamente, trillando in ogni recesso udibile del plesso universitario. Bloom fu il primo a seguire il suo stesso consiglio e a schizzar via, imbracciando la ventiquattrore, dando l’esempio ai numerosi giovani che frequentavano la lezione. Harry Styles, il pluripremiato nerd secchione del corso di architettura, famoso presso ogni studente o docente per la sua media di 30 e lode inanellati senza colpo ferire ad ogni esame, sospirò, posando la penna sul quaderno. Anche in quella lezione aveva scritto molto. Infaticabilmente. Scoccò una timorosa occhiata alla sua sinistra, verso la giovane che aveva appena infilato il suo astuccio esile nella borsa scura. Lei ricambiò il suo sguardo per qualche istante, e poi alzò un sopracciglio con freddezza e una punta di disgusto, alzandosi e uscendo dall’aula. Lasciando solo una sensuale scia del costoso profumo che usava solitamente come segno tangibile della sua presenza. Ora mutata in desolante assenza. Juliet Collins, una delle più belle ed inavvicinabili ragazze del corso. Lui aveva un debole per lei da quando erano iniziate le lezioni. Ma, come di consueto, si era sempre e solo limitato ad osservarla da lontano. Non avrebbe mai potuto mirare a ben più alti obiettivi. Non con la sua andatura alla “Leopardi” e i modi sgraziati da sfigato quattrocchi. Si sfilò gli occhiali, massaggiandosi con due dita le cavità che i naselli gli avevano impresso attorno alla radice del naso, stanco. Erano due ore che immagazzinava sapere scientifico e ingaggiava lotte psicologiche con se stesso per non voltarsi a guardare Juliet ogni tre minuti.
«Carina, eh?»
Harry sussultò malamente, minacciando di gettare all’aria quaderno, penne ed occhiali, facendoli volare dal suo banco. A pochi centimetri dal suo braccio, vide una pretenziosa e soda coscia maschile fasciata in un jeans blu scuro dall’aria nuova e costosa, la quale apparteneva ad un busto stretto in una maglietta Hollister a righe sormontato da un collo e una testa. Guarda caso, quella di Louis Tomlinson. Harry non seppe se sentirsi esaltato perché uno come lui gli avesse appena rivolto la parola, oppure seccato, per lo stesso identico motivo.
Vispi occhi azzurri, sottili labbra rosate quasi perennemente piegate in un sorriso strafottente, volto ovale contornato da un’ombra di barbetta castano chiaro regolata ad arte, nasino alla francese. Lisci capelli castano chiaro acconciati verso l’alto in maniera sapiente, incarnato abbronzato 365 giorni su 365. Se non fosse per i suoi ventitré anni suonati, chiunque avrebbe benissimo potuto prenderlo per un teenager spensierato, dagli oscuri processi mentali, che spesso faceva strambe pazzie. Era molto esuberante, ironico e con un gusto particolarmente eclettico per la moda, dato che amava abbinare i suoi capi secondo coppie molto a contrasto. Insieme a tre dei suoi amici, costituivano il quartetto più famoso del campus. La gente ideale da frequentare per avere le feste migliori, i vestiti più all’avanguardia, le compagnie più giuste. Tutti elementi da cui Harry si era sempre tenuto a debita distanza, come gli aracnofobici dai ragni. E si dava il caso che quel Louis costituisse una tarantola, per l’intollerante sanità morale del ragazzo. Neanche a farlo di proposito, alle spalle del moretto comparvero gli altri due amichetti di quella sorta di semaforo bipede, mentre un terzo si limitò ad accendersi una sigaretta alla porta d’ingresso.
«Ehi, è proibito fumare qui dentro!» Esclamò Harry, inforcando nuovamente gli occhiali e sbraitando verso la figuretta che stringeva il pallido cilindro fra le labbra, a metri di distanza.
«Infatti, io non sono nella classe» rispose Zayn Malik con un’alzata di spalle, sfilandosi la bionda di bocca e tenendola fra indice e medio con un gesto molto maschile e virile. Sbuffò un algido serpentello grigiastro, del tutto noncurante. Styles gl’invidiò con ferocia lo charme e la sicurezza che gli stava volutamente sbattendo in faccia. Quelle e il suo fascino mediorientale dal sapore arabo, testimoniato dall’incarnato color ambra e i seducenti occhi neri come il carbone, contornati da lunghe ciglia. Con tutto quel ben di Dio, i modi da sceicco alla Rodolfo Valentino e il corpo ben disciplinato da anni di palestra e kick boxing, Juliet Collins non avrebbe mai alzato un sopracciglio con disgusto, rispondendo ad una sua occhiata.
«Rilassati, amico», commentò Niall Horan dandogli una lieve pacca sulla spalla.
«Qui dentro non c’è nessuno», aggiunse Liam Payne, sbracandosi con i piedi sul banco e allacciando le dita dietro la testa. Con quelle due battute, lo spettacolino era ufficialmente iniziato. Tutti i personaggi principali avevano fatto il loro ingresso. Nella sua testa, Harry li paragonò alle streghe di Macbeth, che danzavano strillando anatemi attorno al pentolone. Dove lui stesso stava, sfortunatamente, dentro a bollire.
Niall Horan era l’irlandese biondino tutto pepe e musica hip hop, che strimpellava la chitarra in ogni dove e ammaliava le ragazze con la sua aria da dolce putto dublinese con i grandi occhi azzurro cielo. All’inizio dell’anno, portava un apparecchio per i denti con le piastrine trasparenti. Di recente, l’aveva tolto. Esibendo un sorriso da spot della Mentadent che aveva fatto guadagnare cento punti alla sua già perfetta immagine.
Liam Payne era il classico ragazzo della porta accanto, con l’aria protettiva ed amichevole, che esibiva un’infinita serie di camicie a quadri e buon senso. Pareva il più normale in mezzo a tal festival della pazzia umana che era quello strambo quartetto. Si accompagnava a Niall come fossero gemelli siamesi, ancora faticava Harry a capire cosa potesse avere a che fare uno come lui con Louis e Zayn.
«Comunque, non mi hai risposto» disse Tomlinson, piantando i suoi trasparenti occhi azzurri sul suo interlocutore. Styles, a disagio, si spinse ancor di più gli occhiali sul naso, con un gesto nervoso.
«A cosa ti riferisci?» Chiese, con tono distaccato. La sua voce morbida e profonda stonava in modo quasi malsano con il suo aspetto e i modi scoordinati.
«La ricciolona tutte curve. Juliet», scandì. Al pronunciare quel nome, il moro sussultò di nuovo. Gli sembrava quasi un insulto, sentirlo uscire dalle sue labbra. Uno come lui, che profanava la soavità di quelle sei lettere perfette.
«Oh, lei…» mormorò. «N-normale», aggiunse, abbassando gli occhi. Zayn scoppiò a ridere, ancora fermo allo stipite della porta. Si allungò verso il cestino, dando un colpetto di pollice al filtro della sigaretta, per far cadere la cenere in eccesso.
«Dimmi, Styles… sbavi sempre due ore, dietro ogni ragazza che tu definisci “normale”?» Domandò, pungente. Il moro arrossì violentemente, in silenzio. Era quello, che volevano? Prenderlo in giro come i bulli del liceo, quando tutti erano andati via? Bene. La storia si ripeteva.
«Ascolta, è da settembre che la contempli in adorazione», intervenne Liam, quasi intuendo i suoi pensieri e scongiurando quell’inizio di ipotesi per niente allettante nei confronti del ragazzo.
«Per quanto possa essere esilarante notare come lei non abbia neanche la minima considerazione, per te… ho deciso» e Louis s’interruppe, dopo che Payne gli ebbe assestato un calcetto e un’occhiata risentita. «Abbiamo», si corresse, con tono seccato. «Deciso di darti una mano. Questa commedia deve finire».
«In che senso, scusa?» Harry cadde dalle nuvole. Si era già aspettato le solite frasi di sarcasmo acuminato, che sarebbero saltate sulla punta della lingua a chiunque. Non certo una proposta di aiuto, apparentemente gratuita. Men che meno da loro.
«Oh cavolo, questo qui prende tutti trenta ed è proprio tonto», Louis si coprì con insofferenza il volto con le mani. «Svegliati, Styles. Vogliamo che Juliet si accorga di te. E per far sì che ciò accada, abbiamo preparato un piano!»
«Cosa ti fa anche lontanamente pensare che io possa fidarmi di voi? Voglio dire, mi hai guardato? Hai presente la tua notorietà all’interno del campus? Siamo come due linee parallele. Andiamo lungo due percorsi differenti», spiegò Harry, con fermezza.
«In geometria descrittiva», disse allora Zayn, «due linee parallele s’incontrano. All’infinito».
«E si da il caso che Juliet sia “l’infinito” che faccia per noi», aggiunse Niall.
«Ma perché volete aiutare proprio me? Non ci siamo mai parlati in tutto l’anno…» riprese Styles, ma Louis alzò una mano, zittendolo.
«Sono…» altro calcio. «Siamo», sibilò allora, incenerendo Liam con lo sguardo, «convinti che sotto tutta questa robaccia nerd, ci sia del materiale notevole. E raramente ci sbagliamo», concluse. Esibendo uno dei suoi allegri sorrisi contagiosi con retrogusto di pazzia latente.
Harry lo fissò, ancora scettico. Trascorsero attimi di pregno silenzio, in cui ogni parola veniva soppesata e analizzata affondo in ogni sua sfumatura.
«Non mi farete fare cose umilianti, nudo nel bagno del campus… per poi mettere il video su YouTube e indurmi al suicidio, vero?» Chiese, in ultimo. Dopo due secondi di scioccato mutismo, scoppiarono tutti e quattro in fragorose risate. Mentre il ragazzo rimaneva serissimo, impassibile.
«Ci prendi per dei terroristi solo perché abbiamo un sacco di tatuaggi?» Domandò Malik, spegnendo la sigaretta sotto la suola della Chuck Taylor vissuta.
«Tu devi aver avuto un’adolescenza molto traumatica», decretò Louis, stranamente serio.

 

 
 
Ore 16.00
 

Arrivarono nell’appartamento che Harry aveva subaffittato in pochissimo tempo, sulla Maybach di Zayn. Styles aveva avuto timore anche solo a metterci piede dentro, in quella macchina. Sapeva tutto di lussuoso, proibito, trasudava ricchezza e potere da ogni cucitura, in ogni briciola che stazionava sul tappetino per i piedi. Decisamente inadeguato per uno come lui. Dopo che Louis ce lo ebbe ficcato quasi a calci, sul sedile posteriore, spararono musica elettronica a tutto volume, sgasando nel parcheggio e uscendo dal campus.
Quei momenti parvero frutto di una visione, per il giovane occhialuto. Un altro mondo. Appena Tomlinson e le sue dame di compagnia si fecero indicare la stanza da letto con relativo armadio, corsero tutti e quattro nella camera. Harry si coprì la faccia con le mani, pentendosi già di aver accettato di fidarsi di loro e seguendoli trascinando i piedi. Zayn calciò via le scarpe e si distese sul letto, mentre Niall e Liam si appollaiarono su entrambe le sponde.
«Oddio, eccolo che ricomincia», mormorò il castano, fissando Harry con dolore. Il giovane non capiva, appoggiandosi allo stipite della porta e osservando la scena.
«Bene. Il momento è sacro», esordì Louis, in piedi dinanzi alle ante in noce ben chiuse. Sembrò quasi raccogliersi in preghiera, tant’era concentrato.
«Quando si tratta di vestiti, fa sempre così. Non capisco questo suo lato da omosessuale isterico», commentò Zayn chiudendo gli occhi, mentre il biondo accanto a lui soffocava una risata.
«Per favore, fa’ che non sia come mi aspetto», sussurrò Louis, voltando la testa a sinistra e stringendo le dita attorno alle due maniglie. In un colpo solo, spalancò entrambe le porte, e cacciò un urlo di dolore.
«Sorreggetemi!» Esclamò, vacillando scenicamente. Notando che nessuno dei suoi tre amici accennava ad alzarsi dal letto di Styles, s’inalberò. «Ho detto: sorreggetemi», ringhiò. Niall e Liam scattarono in piedi sbuffando e tendendo un paio di braccia per uno, mentre Louis poteva mimare gioiosamente uno svenimento degno delle migliori attrici del cinema.
«Dobbiamo fare questa cretinata ogni santa volta, fratello?» Commentò il biondo con insofferenza. Il suo amico scacciò quella domanda con un gesto della mano, come fosse stata una mosca fastidiosa e tornò in piedi.
«Silenzio, plebei. Non capite l’arte profanata, lo scempio!» Quasi urlò, «che ho dinanzi agli occhi!», allungò una mano e pescò a caso un pullover a scacchi con scollo a V. Il preferito di Harry.
«Orrore!» Esclamò, lanciandolo via. Afferrò quindi un paio di pantaloni di velluto a righine. Li squadrò arricciando il naso, come se si trovasse dinanzi ad un brutto quadro.
«Pena!» E tirò via anche quelli. Dunque pescò un maglione natalizio con un’adorabile renna kitsch con il naso in rilievo. Rosso ruggine. Con inserti bianchi e fiocchi di neve ricamati tutt’attorno alle maniche. Fu la goccia che fece traboccare il vaso.
«Panico», sussurrò, lasciandolo cadere come se fosse infetto. Chiuse gli occhi, inspirando profondamente e massaggiandosi le tempie con le dita, cercando di calmare i suoi istinti come gli insegnavano al corso di yoga. Ma poi decise che il melodramma aveva la sua considerevole componente scenica, e addio all’autocontrollo di Osho.
«Tu!» Disse con imperiosa solennità, puntando un indice abbronzato contro Harry, che intanto si era precipitato a raccattare il suo maltrattato vestiario per terra. Scattò in piedi con gli occhiali sbilenchi sul naso e le braccia cariche di indumenti, come se avesse ricevuto una scossa elettrica.
«Cosa?» Balbettò.
«Fuori! Dobbiamo salvare il buongusto, resuscitare la dignità della moda! Versace non ti ha insegnato nulla?! Posa quelle pezze, forza! Il tempo è denaro, e il denaro è shopping!» Cianciò monologando con ampi e ariosi gesti e uscì dalla stanza, dirigendosi all’ingresso sbattendo la porta. Styles si voltò a bocca aperta verso gli altri tre ragazzi, incredulo. Si aggiustò gli occhiali, cercando di recuperare un minimo di dignità. Loro non facevano una piega. Sembravano del tutto indifferenti a quella furia omicida della moda che rigurgitava insulti nei confronti del guardaroba di Harry. Perfettamente abituati e composti.
«Devi capirlo. È cresciuto con un sacco di femmine in casa. Gliel’hanno inculcato in vena a suon di tacchi e Real Time», lo giustificò Liam, passandosi una mano fra i capelli con lieve disagio.
«Credo che ci convenga seguirlo. Altrimenti si altererà ancora di più», aggiunse Niall, alzandosi.
«Che palle», sentenziò Zayn.

 


 
Ore 18.50
 

«Sì, prendiamo questo e questo e anche questo… oh, come ho fatto a non notarlo prima? Anche quel giacchetto di pelle proprio lì. Addebiti tutto sulla carta, non si faccia scrupoli».
La commessa, visibilmente scossa, strisciò la luccicante Visa senza capacitarsi di quello che accadeva sotto i suoi occhi. Sapeva soltanto che quel ragazzo abbronzato dagli occhi azzurri aveva comprato una quantità incredibile di indumenti e accessori maschili, tutti in un colpo solo. In barba a Paris Hilton. E non erano nemmeno per lui.
«Ah, e i vestiti che sta indossando, vorrebbe tenerli dove sono. Harry, porta le tue chiappe da ex nerd qui in cassa e fatti togliere l’antitaccheggio».
Quando un giovane avvenente dall’aria imbarazzata e i modi impacciati si avvicinò all’altro, la commessa batté le palpebre cadendo dalle nuvole. Era davvero bello, morbidi riccioli color cioccolato, profondi occhi color del mare, bella bocca dalle linee finemente definite. E quel corpo. Meravigliosamente proporzionato, fasciato in jeans stinti ad arte e maglietta dimessa ad hoc, come se fossero state cucite addosso a lui. Avvolgente e vibrante desiderio dall’aria ingenua e inconsapevole. Che camminava come se non fosse cosciente di avere degli arti tutti suoi.
La donna s’imbarazzò da morire quando dovette sfilare l’oggetto di plastica grigia dai suoi pantaloni e dal bordo della t-shirt, sfiorandogli la pelle con le dita. Quando lui la salutò con un mezzo sorriso, ebbe appena la coscienza di alzare la mano e smuovere indice e medio nella sua direzione. Soprattutto dopo che i tre ragazzi che lo seguirono le rivolsero occhiolini e parole di ringraziamento. Parevano altri modelli spuntati fuori da una rivista per teenagers. Troppa bellezza in un colpo solo, quella sera.

 
 

Ore 19.00
 
 
«Molto bene», sentenziò Louis stringendo parte degli acquisti che aveva fatto per Harry. Il quale, dopo il suo trattamento, sembrava una persona completamente diversa. Le ragazze si voltavano per strada a guardarlo, le più audaci gli scattavano anche foto di nascosto con lo smartphone. Gli occhialoni a fondo di bottiglia erano stati rimpiazzati da lenti a contatto giornaliere graduate. I capelli stile famiglia Addams, lasciati liberi di esprimere la loro natura scomposta e selvaggia, voluttuosa e sensuale. Gli avevano suggerito di osservare bene Zayn e copiarne il portamento e i modi. Si stava sforzando così tanto da tutto il pomeriggio, che parte della sua insicurezza cronica era ormai scomparsa. Anche la schiena stava già molto più dritta.
«Su con quel mento, non devi rilassarti! Manderai i miei sforzi in fumo!» Sbraitò Louis, notando che Harry si stava lievemente incurvando di nuovo. Il riccio scattò sull’attenti come se avesse ricevuto una bacchettata nelle reni. Ottenendo un cenno di capo d’approvazione.
«A ben guardarti…Tomlinson aveva ragione. Non sei affatto male come ragazzo», intervenne Malik, posando le buste da shopping e accendendosi con soddisfazione una sigaretta. Harry rise, passandosi una mano fra i capelli. Gli faceva un certo effetto sentire quelle morbide onde sotto le dita e non avvertire più la compatta compostezza del gel. Per non parlare del peso degli occhiali sul naso. Tutto il mondo gli sembrava più leggero e sciolto. Libero da ogni vincolo. Era come se stesse camminando sull’aria.
«E adesso… l’atto finale» disse Niall, rovistando nella tasca posteriore del jeans ed estraendo il flyer di una serata in una discoteca abbastanza rinomata. Lo sventolò sotto il naso di Styles, sorridendo furbescamente.
«Stasera niente libri. Si va qui!» Disse, entusiasta. Il ragazzo strinse le dita attorno al solido pezzo di carta plastificata, osservando la locandina e leggendo qua e là con rapidità. La serata cominciava a mezzanotte in punto. Orario nel quale lui era già bello che sprofondato nel momento più dolce dei suoi sogni notturni. Da un pezzo.
«Perché…?» Si arrischiò a chiedere, e Tomlinson gli assestò una gomitata nel costato. Dolorosamente.
«Juliet ci va sempre! Oggi compreso, l’ho sentita mentre ne parlava ad una sua amica», lo informò.
«È la tua occasione, Harry! Stasera è la sera», gl’intimò Liam. Tutte quelle parole iniziarono a galvanizzarlo, esaltandolo lievemente. Però la vecchia insicurezza tornò ad affiorare in superficie, attanagliando la morbida aspettativa come dei denti acuminati d’acciaio che straziavano un fiore profumato tranciandolo in due. No, non poteva mica farcela. Lui, il nerd secchione del corso di architettura. Giacomo Leopardi. Assolutamente negativo.
«E se rovinassi tutto? E se andasse male? Non posso stare zitto tutta la sera!» Cominciò a dire lui, avvertendo il panico farsi strada nel suo essere, strisciando dalla periferia del corpo. Louis scosse la testa sorridente.
«Calmati, Sheldon Cooper dei poveri. Ci prendi per dei pivelli? Abbiamo ancora un paio di cosette da insegnarti… vedrai». 




Nota: non mi aspettavo minimamente tutto questo interesse! E invece devo ricredermi, accidenti! La cosa non mi spiace per nulla, devo essere sincera, hahahah!
Parlando del capitolo, questo è quello vero e propriamente detto, dove si srotolano diverse matasse che segneranno il filo conduttore della storia e andranno a confluire nel prossimo capitolo e nell'epilogo. Come potete notare, l'Harry di questa storia è molto diverso dall'usuale (spero...?) e i suoi rapporti con i ragazzi sono ben differenti da quelli comunemente contemplati. Chiarisco subito, Louis non è gay, hahahaha! E' soltanto molto molto interessato all'aspetto estetico delle persone, ecco! Spero di aver risvegliato un po' di teste dormienti, con questo capitolo e di avervi colti un po' di sorpresa! Non mi resta che ringraziare tutti quelli che mi hanno seguita fino a questo momento e chi ha letto la vicenda oggi per la prima volta! Alla prossima!

 

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Capitolo 3
*** Second Shot ***







Second Shot

 
“Fai attenzione alla tua ombra. Ogni uomo ha un fratello che è la sua copia esatta. È muto e cieco e sordo ma dice e vede e sente tutto, proprio come lui. Arriva nel giorno e scompare la notte, quando il buio lo risucchia sottoterra, nella sua vera casa. Ma basta accendere un fuoco e lui è di nuovo lì, a danzare alla luce delle fiamme, docile ai comandi e senza la possibilità di ribellarsi. Sta disteso per terra perché glielo ordina la luna, sta in piedi su una parete quando il sole glielo concede, sta attaccato ai suoi piedi perché non può andarsene. Mai. Quest’uomo è la tua ombra. È con te da quando sei nato. Quando perderai la tua vita, la perderà con te, senza averla vissuta mai. Cerca di essere te stesso e non la tua ombra o te ne andrai senza sapere che cos’è la vita.”
GIORGIO FALETTI
 
 
 
 
 
Ore 0.00
 
Il parcheggio di una rinomata discoteca. La notturna musica forte e provocante spandeva il proprio eco dalle porte d’ingresso fino a lì, dove un ovattato silenzio ne accoglieva gli stralci fra i rumori del traffico poco lontano. Improvvisamente due lussuose macchine nere tirate a lucido si posizionarono in due fortuiti posti liberi, parcheggiandosi a spina di pesce. Davano tutta l’aria di potenza, ricchezza e sicurezza, stillata da ogni riverbero della luna sulle cromature argentate.
Dalla Jaguar fece capolino con eleganza una figura maschile. Giubbetto di pelle perfettamente calzato, pantaloni neri dal taglio alla moda, con una sottile catenella in acciaio che pendeva da uno dei passanti, tintinnando seguendo le oscillazioni del bacino. Una maglietta dall’aria raffinata e volutamente vissuta stringeva con il suo fine tessuto due belle spalle larghe, ricadendo morbidamente su d’un allenato ventre piatto. Al collo, una sottile catenina con una piastrina rifletteva i guizzi evanescenti delle luci circostanti. Benché fosse notte, il giovane ventenne proprietario di quel corpo da urlo, indossava due spessi occhiali da sole, dalle lenti più scure della notte stessa. Sottraevano parte di quel volto angelico alla vista, come l’ultimo boccone mancato di un dolce squisito. Aveva dei lineamenti fini e ben marcati allo stesso tempo, con una rassomiglianza a certi quadri dell’Italia barocca nel Cinquecento. Con una mano ampia, dalle dita affusolate e l’incarnato marmoreo, si ravviò gli scomposti riccioli che gli incorniciavano il volto, in un gesto consumato. Richiuse lo sportello e inserì la sicura, avviandosi verso l’ingresso della discoteca con falcate sicure e felpate, la mano destra infilata nella tasca anteriore del pantalone con nonchalance. Sembravano i fotogrammi di un eclettico video musicale trasmessi in slow motion.
Alle sue spalle, altri giovani dall’aria ugualmente ricercata e contraddittoria stavano scendendo dalla ruggente Maybach parcheggiata accanto alla sua. Scandì bene un cognome ai due buttafuori, che rimossero la cordicella rossa di sicurezza per lasciarlo passare. La musica lo travolse, inglobandolo nel suo sinuoso corpo di fascinazione e misteri proibiti.
 
 

Ore 0.15
 
Una giovane donna ballava solitaria al centro della pista seguendo il ritmo imposto dal deejay, contornata da molti altri avventori della discoteca. I lunghi riccioli castano chiaro enfatizzavano con elasticità ogni movimento della sua testa e delle spalle nude, un vestitino nero in tessuto stretch ne fasciava il corpo dalle forme generose fin sopra il ginocchio. Alte scarpette alla francese nascondevano i suoi piedi, permettendole di acquistare altezza e slancio. Sembrava quasi annoiata, mentre si guardava attorno alla ricerca di qualcosa di più interessante. Finché i suoi occhi non focalizzarono il gruppetto fermo al piano bar.
Una serie di ragazzi appollaiati sui costosi sgabelli in pelle. Al centro, un giovane ricciolino dall’aria maledetta aveva appoggiato ambo i gomiti sul ripiano in acciaio, con il corpo rivolto verso la pista e il capo piegato sulla destra, annuendo furbescamente al biondo che chiacchierava con lui. La sorpresa nel vedere cotanta avvenenza le fece perdere il ritmo per qualche istante, facendo apparire lenti e slegati i suoi movimenti nei confronti della canzone che pulsava dagli altoparlanti. Non aveva mai visto una persona simile, lì dentro. Ed era solita passarci quasi tutte le sere.
Riacquistò il senso della musica e continuò a danzare, mantenendo il contatto visivo. Ma il giovane non voleva accennare a guardare dalla sua parte. Quasi come se l’evitasse di proposito. Allora si fece coraggio ed attraversò la pista lentamente, in equilibrio sui suoi tacchi vertiginosi, mantenendo un’andatura sicura e magnetica. Quando gli fu dinanzi, gli prese una mano, attirandolo a sé. Solo in quel momento i due profondi occhi verde mare del ricciolo scostante incontrarono i suoi. Mantenendo un’espressione perfettamente neutra. Come se stessero osservando un prato in un parco.
La ragazza si sentì trapassare da quelle due gemme di topazio che rilucevano ai guizzi delle stroboscopiche. Nessuno ostentava così tanta indifferenza con Juliet Collins. Gli si strinse addosso, danzando in maniera provocante e sensuale, aspettando che lui posasse le sue mani da pianista sui suoi fianchi e la seguisse. Ma invano. Lui rimase quasi perfettamente immobile, ondeggiando lievemente a ritmo della musica. Quasi come se non la considerasse alla sua altezza. Juliet lo fissò contrariata, e strinse fra le dita la fredda piastrina che il giovane portava al collo, tirando con decisione verso di sé, rompendone il gancio della catenina. Sorrise soddisfatta, arretrando di pochi centimetri, mentre osservava la reazione del giovane dinanzi a lei. Questi la fissò, alzando un sopracciglio. Sollevò con impertinenza un angolo delle labbra e si calò gli occhiali da sole sul naso.
Quindi si volse, cominciando a camminare con passo lento e sicuro. Certo che gli occhi di lei fossero ancora fissi su di lui, alzò un braccio, protendendo l’indice verso l’alto. Lo scosse piano da sinistra a destra, mimando un gesto di muta negazione. Quasi a voler dire “così non si fa”, con strafottente impertinenza, misurando ogni gesto e respiro caricandolo di significato. Poi sparì, inghiottito dalla folla.
 Juliet rimase lì ferma, fissando il punto dove i suoi riccioli scuri e il giubbetto di pelle nera erano scomparsi nel mare di corpi danzanti, stringendo la fredda catenina nella mano destra e contando i battiti del suo cuore che le risuonavano nelle orecchie meglio dei bassi.
 
 

Ore 0.20
 
Sprofondò sullo sgabello di pelle dove poco prima si era seduto quel ragazzo, ordinando un triple sec e fissando assente la collanina. Chi era quel giovane angelo maledetto? Era la prima volta che s’imbatteva in lui, altrimenti avrebbe sicuramente ricordato il suo sguardo profondo e freddo, con una nota canzonatoria. Quelle labbra morbide e ben disegnate, l’atteggiamento sicuro, i modi alla Vincent Cassel, tutto.
Lei non aveva mai faticato nell’ottenere ciò che voleva, soprattutto quando si trattava di ragazzi. Ma lui sembrava opporle una fiera resistenza, il che lo rendeva ancor più splendente ai suoi occhi. L’aveva quasi rifiutata. E quel gesto, dopo che era riuscita a strappargli la catenina. Un attimo prima era lì, l’attimo dopo un’evanescente ricordo seducente nella sua memoria. I suoi amici, però, occupavano ancora i loro posti al bar, chiacchierando animatamente e facendo tintinnare il ghiaccio nelle loro bevande.
«Vorresti rivederlo, vero?»
Juliet sussultò, avvertendo quel lieve sussurro nell’orecchio sinistro. Si voltò e vide nientemeno che Louis Tomlinson, sorriderle furbescamente da sopra il suo cocktail azzurrognolo. Lo conosceva di fama, al campus. Era stata anche ad un paio delle sue feste. Serate memorabili per parecchi versi. Quindi quel magnifico riccio era suo amico. Non si sorprese più di tanto. Bevve un sorso del suo triple sec e soppesò l’espressione di Louis con lo sguardo.
«Cosa accadrebbe se ti dicessi di sì?» Concesse, scegliendo con cura le parole per non tradire alcuna smania o bramosia. Il ragazzo ridacchiò, posando il cocktail sul ripiano ed estraendo un mazzo di chiavi dalla tasca del jeans. Fece tintinnare i pendagli dinanzi agli occhi di Juliet come poco prima lei stessa aveva osservato la catenina del tipo misterioso.
«Ti proporrei di venire con me».
 

 
Ore 0.40
 
Juliet sedeva al banco di un’enoteca lussuosa e di classe aperta tutta la notte solo per lei. Il proprietario era parente stretto di Liam Payne e Louis aveva richiesto il favore appositamente per quell’occasione al suo amico. La ragazza continuava ad interrogarsi su quale piega stesse prendendo la serata, accavallando le gambe con un fruscio e attendendo chissà cosa. Aveva ordinato un Porto e osservava l’addetto mescere con sapienza il vellutato liquido vermiglio nel leggero calice dinanzi a lei.
Quasi come evocato dall’odore corposo del vino, dalla porta d’ingresso apparve il fantomatico giovane dai ricci scuri, che si sfilò gli occhiali da sole e le sorrise lievemente, avvicinandosi a lei. Ora che non erano più all’oscuro nella discoteca, ma nella sensuale penombra dell’enoteca deserta, lei poteva distinguere meglio i tratti del suo volto, e avvertire il profumo maschile e ricercato che accompagnava ogni suo movimento. Lui ordinò un secondo calice di Porto e si sedette accanto a lei. Che voce profonda e vibrante che aveva. Le suonava stranamente familiare, ma pensò che fosse solo un’impressione.
«Come ti chiami?» Gli chiese, facendo ondeggiare con maestria il vino all’interno del suo bicchiere. Lui spostò lo sguardo su di lei, percorrendo la sua intera figura con calma e lentezza, quasi stesse memorizzando ogni recesso del suo corpo. Poi scosse la testa, ridacchiando.
«Ha forse importanza?»
«Potrebbe».
«Sei amico di Louis Tomlinson. In caso tu non me lo dicessi, chiederei a lui», disse allora Juliet, imbastendo un sorriso furbesco, certa di aver incastrato la preda. Invece, questa si divincolò con scioltezza, liberandosi dal giogo dei suoi ammalianti trucchetti psicologici. Il ragazzo ci sapeva fare.
«Potresti», le rispose, con un sorriso e un’alzata di spalle. Lei rimase senza parole.
«Vieni, facciamoci un giro», propose il giovane, lasciando il bicchiere intatto di Porto sul bancone e uscendo dalla porta principale senza nemmeno pagare. Juliet lo seguì, imitandolo con incertezza.
 


Ore 1.10
 
Avevano guidato per un po’ lungo strade secondarie e panoramiche, che permettevano di ammirare il panorama notturno della città in lontananza. Juliet si era stretta a lui, che procedeva senza battere ciglio. Ogni tanto parlavano, ma il ragazzo sembrava sempre restio a sbottonarsi sulle sue faccende personali. Si limitava a piazzare qualche battutina impertinente qua e là, lasciando la giovane con un forte desiderio inappagato e l’amaro in bocca. Quando tornarono al punto di partenza, poco lontano dall’enoteca, lui spense l’auto.
«Balla per me», disse, fissando Juliet negli occhi. Lei si scostò un poco, lievemente confusa.
«Come… dove?» Chiese, notando che la strada era deserta e c’erano solo loro due e la Jaguar. Il ragazzo alzò il mento con lieve insolenza, indicando dinanzi a sé.
«Qui. Davanti all’auto. Sotto la luce dei fari», spiegò. Protese l’indice e schiacciò un pulsante sul cruscotto, facendo partire una sensuale musica da club che capitava fortuitamente al caso loro. Juliet scoppiò a ridere e si strinse nelle spalle.
«Va bene. Perché no».
Scese dalla macchina, raggiungendo un punto in cui i due coni di luce potevano illuminarla in modo giusto. Il riccio tirò fuori una sigaretta e l’accendino dal taschino del giubbetto di pelle. S’infilò il bianco cilindro fra le labbra, illuminando il virile profilo del suo volto con la fiammella dell’acciarino per qualche attimo. Quindi, la prese fra indice e medio, sbuffando sinuose volute grigiastre, con tutta la calma del mondo, senza staccare mai gli occhi da lei.
Juliet aveva cominciato ad ondeggiare e a seguire il ritmo incalzante della musica, lasciandosi pian piano possedere dal flow e dai beat trascinanti, accompagnando i suoi movimenti con appropriata gestualità. Al culmine di quel balletto improvvisato, il ragazzo riaccese il motore dell’auto e partì, avendo cura di rallentare di fianco a lei e mandarle un bacio da dietro il finestrino, prima di sparire nuovamente rombando nella notte. Per la seconda volta in quella serata.
Lei rimase impotente a fissare la macchina sportiva che mangiava asfalto e vento sferzante, allontanandosi in velocità da lei. Si passò una mano fra i lunghi capelli ricci, con evidente nervosismo. Era sola, in una strada deserta. Al buio. L’unica che le rimaneva, era pregare che qualcuno si fermasse e la portasse a casa. Quasi avessero sentito i suoi pensieri, la Maybach di Zayn Malik che Louis Tomlinson guidava si accostò alla sua figura, anch’essa con la musica a tutto volume. Quelle casualità erano fin troppo benevole per poter essere frutto di un generoso destino, cominciò a pensare la ragazza.
«Salta su, piccola. Ti riportiamo in discoteca» le disse il giovane, trattenendo una risata e aprendole la portiera, allungandosi verso il sedile libero di fianco a lui.





Nota: eccomi anche di qua, ta-daaaah! Siamo a metà dell'opera, se escludiamo l'epilogo! In questo capitolo Harry ha messo in mostra tutto ciò che ha imparato dai suoi amici... ma poi vedremo se gli sarà servito a scacciare Giacomo Leopardi una volta per tutte!
Sarò rapidissima e non indulgerò oltre nel tediarvi, se non per ringraziarvi infinitamente per il vostro sostegno e l'affetto che mi date, sperando che la storia vi stia comunque piacendo e non deluda le aspettative! Lentamente aggiungerò tutte le mie longs e one-shots anche su Wattpad, con mooooolta calma. Vi lascio il banner di The Paper Boy e... alla prossima! :)




The Paper Boy
 

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Capitolo 4
*** Third Shot ***







Third Shot




"Essere sosia è qualcosa che si desidera," spiegava Pereira, "te l'ho detto cento volte. La somiglianza è un atto di fede, come avrebbe detto il tuo gesuita. Ho voluto che tu mi assomigliassi, tu hai voluto assomigliarmi, ci siamo assomigliati, ecco tutta la nostra storia... non c'è il minimo spazio per la tua innocenza, in tutto questo." 
DANIEL PENNAC
 

 
 
 
Di nuovo lunedì, ore 10.10
 
 
Harry uscì in giardino, stringendo fra le mani il diario che Juliet aveva dimenticato in aula qualche ora prima. La ritrovò seduta su una panchina, assorta nei propri pensieri, mentre fissava un punto imprecisato del prato sottostante. Pensò bene di raggiungerla e, quando le fu abbastanza vicino, le tese l’oggetto. In silenzio. Lei alzò lo sguardo, focalizzando prima il parallelepipedo e poi la mano che glielo porgeva. Dunque, il volto nascosto da pesanti e spessi occhiali dalla montatura passata e quei capelli tristemente tirati a lucido dal gel. Allora sospirò, insofferente.
«L’avevi lasciato dentro, sai… prima…» cianciò Styles, mentre lei si riappropriava di ciò che era suo, con aria paurosamente annoiata. Il ragazzo si sedette accanto a Juliet, con evidente imbarazzo. Stringeva le spalline dello zaino a disagio, cercando il coraggio di rivolgerle la parola, per interrompere il grave silenzio. Stava per dire qualcosa, ma la giovane era già scattata in piedi, imboccando il sentiero all’interno del giardinetto. Lontano da lui.
Harry non poté far altro che osservare la sua figura di spalle rimpicciolirsi mano a mano per effetto della prospettiva, per poi sparire dal suo campo visivo. Dunque, si lasciò sprofondare sulla panchina, coprendosi il volto con le mani. Possibile che gli esseri umani fossero così… ciechi?

 
 
 
 
Ore 12.10
 

«...E mi ha fantasticamente evitato, capisci? Si è alzata e se n’è andata!»
«Amico, se non ti rispettassi, starei già per terra a rotolare dalle risate».
Harry sospirò con aria triste, di fronte al suo sandwich al tonno con patate, nella caffetteria dell’università. Zayn Malik stava facendo degli sforzi evidenti per non scoppiare a ridere, mentre Louis Tomlinson girava con il cucchiaino lo zucchero di canna nel suo caffè con un goccio di latte. Era sorprendentemente serio e assorto, la filosofia della perfetta mistura con cinque giri in senso orario e cinque in antiorario non c’entrava molto. Aveva ascoltato le parole di Harry fino alla fine, elaborando con calma il tutto. In quel momento, Niall e Liam erano ancora a lezione, li avrebbero raggiunti solo da mezzogiorno e mezza in poi.
«Stasera devi tornare in discoteca, Harry. Come l’altra volta», sentenziò allora Louis, posando il cucchiaio nel piattino con un lieve tintinnio. Sorbì la sua bevanda con aria solenne, mentre il diretto interessato contorceva i suoi bei lineamenti facciali in una brutta smorfia di terrore e indignazione.
«Che cosa?! Assolutamente no! Io ho chiuso con l’altro Harry», esclamò, tignoso. Zayn sbuffò.
«La pianti di chiamarlo “altro Harry”, Styles? Eri… o meglio, sei, sempre tu!»
«E invece no! Non avrei mai lasciato una ragazza sola in mezzo ad una strada di notte, se fossi stato veramente io!»
«Accidenti, ma c’eravamo noi, con lei! È da sabato che insisti su questa storia, non è successo niente di male», si giustificò Zayn, passandosi una mano fra i lisci capelli corvini fonati verso l’alto. Dopo quella performance in cui Dio solo sapeva cosa era riuscito a far tramutare Harry da sfigato anatroccolo a fascinoso bastardo, erano andati tutti e cinque in un pub a tirare le somme della serata.
Niall aveva assicurato che la ragazza era cotta a puntino e che lui era stato magnifico. “Un’interpretazione degna di Oscar, quello che Leonardo Di Caprio non avrebbe mai avuto”, come aveva amato definirla Louis. Styles aveva sollevato tutta una serie di questioni sul suo discutibile atteggiamento da menefreghista tendente al misogino, ma erano state affogate in traboccanti bicchieri di cocktails più o meno analcolici. Poi, quasi come fosse stato un sogno, quel ricciolino dall’aria sbattuta e maledetta era sparito. Un po’ come tutti gli acquisti che Louis aveva fatto in quel famoso pomeriggio: accantonati sotto il letto.
«Sai, io però non capisco perché tu ti ostini a girare ancora conciato così», riprese Tomlinson, di punto in bianco. «Ho speso una fortuna per rifarti il guardaroba -non che mi sia pesato-, ma tu indossi ancora queste schifose magliette insipide», seguitò, sciogliendo con lo sguardo quella sgualcita t-shirt che lui definiva “pezza vecchia” indossata da Harry. Il ragazzo si strinse nelle spalle.
«Non lo so, non sono ancora pronto a cambiare radicalmente. Vorrei che Juliet mi riconoscesse anche così», rispose, stringendosi nelle spalle. Non gli sembrava giusto ingannarla a tal punto. Il fatalone della discoteca era una copertura, una maschera pirandelliana che nascondeva ben altro, al di sotto. Ed era corretto che lei lo sapesse. O almeno che ci arrivasse con la logica.
«Ascolta, stasera farai un ultimo tentativo. Vedila così», propose Zayn, agguantando il sandwich al pomodoro che Harry aveva lasciato intatto per metà sul piatto dinanzi a sé.
«Prego, fai pure», commentò, osservando con cipiglio infastidito il rapido gesto felino con cui il ragazzo prendeva il tramezzino.
«Scusa, ho fame… e tu non sembravi volerne più», biascicò, con la bocca piena. Il giovane lo liquidò con un cenno del capo.
«Ha ragione Malik, Sheldon» lo appellò Louis. «Stasera è l’ultima. Dopodiché, o lo capisce o lo capisce», concluse, aprendo entrambe le mani sul tavolino della caffetteria.
«E adesso scusatemi, ma ho un certo affare da sistemare con il Nuovo Manuale dell’Architetto», disse, alzandosi e scostando la sedia che grattò sonoramente il parquet. Uscì dalla caffetteria, lasciando qualche spicciolo per pagare la sua ordinazione accanto al piattino da caffè.
«La nuova aiuto-bibliotecaria. Ha un debole per le intellettuali», spiegò Zayn, pulendosi le dita su una salviettina di carta monouso.
«Forse perché sono il suo opposto», convenne Harry, pensieroso.

 
 
 
 
Ore 0.15
 
 
Il giovane che fissava lo specchio aveva una luce insicura nelle fredde pupille verde oceano. Come se stesse compiendo una decisione difficile, con la quale avrebbe cambiato il proprio futuro. Sistemò il colletto della sua camicia bianca e inamidata, come a volerne rendere ancora più giusta la piega già di per sé impeccabile. Afferrò la giacca rossa, stringendola con l’indice per un lembo e adagiandosela sulla spalla con charme, il tutto sempre fissandosi allo specchio. Come un attore che controlla la propria gestualità ed espressività poco prima di registrare una scena importante. Sospirò, chiedendosi a cosa l’avrebbe portato una serata del genere.
Si volse, osservando gli abiti smessi accuratamente piegati sul letto. La maglietta sgualcita, i pantaloni datati e i mocassini sul pavimento. Tutto perfettamente ordinato. Quasi un sinonimo del suo stesso essere. Semplice, un po’ logoro, anonimo e… normale. Poi pensò a com’era in quel momento e a cosa stava indossando. Ricercata camicia di marca. Pantalone dalla piega perfetta. Giacca rossa impeccabile.
Vivo.
Pulsante.
Sensuale.
L’esatto opposto.
Era duplice ed unico allo stesso tempo. Styles di giorno, il misterioso uomo senza nome di notte. Però, quella sarebbe stata la sua ultima serata. Era ben deciso a mettere la parola “fine” alla vita del suo alter ego. I due capi opposti del filo dovevano ricongiungersi in un’unica circonferenza.
 Con quella consapevolezza, il giovane uscì dalla sua camera, spegnendo la luce. Agguantò il mazzo di chiavi nello svuota tasche all’ingresso e si tirò dietro la pesante porta che si chiuse con un rumore secco. Sentendo una marea di invisibili fili che gli legavano testa, polsi e caviglie rompersi e frammentarsi in mille scintillanti pezzetti.

 
 
 
Ore 0.30
 
 
Juliet sedeva con aria svogliata al ripiano bar, tenendo sotto gli occhi la massa di giovani che danzavano ondeggiando in pista. Nonostante la gran quantità di corpi, avrebbe potuto riconoscerne uno fra centinaia. Ed erano due giorni che lui non si mostrava da quelle parti, lasciandola sola a languire, struggendosi la mente di domande e lo spirito di tormentato desiderio.
Proprio quando stava per mollare tutto e tornarsene a casa, vide una familiare testa riccia aggirarsi con lentezza al centro della pista. Si muoveva piano, quasi come se stesse cercando qualcuno o qualcosa. D’impulso, Juliet balzò in piedi e si fece largo fra la calca, raggiungendolo con tormentata consapevolezza. Quando gli fu dinanzi, non ebbe nemmeno il tempo di salutarlo o scambiare qualche convenevole. Le sue dita corsero fra quei morbidi ricci, stringendoli piano e gentilmente, attirando il suo volto al proprio, mentre le mani di lui le circondavano la schiena con tocco sicuro, azzerando ogni distanza. Il lento bacio che si scambiarono valse più di ogni parola gettata a caso.



Nota: dipendere non dal proprio modem è qualcosa di fuorviante. Perdonate il lungo ritardo, ma io son sempre vittima della tecnologia (con calma risponderò a tutte le vostre recensioni, il tempo di riavere Internet come si deve). Ora, veniamo al punto! Questo, dear people, è l'ultimo atto della nostra storia. Manca solo l'epilogo e sarà completa. Non vi nascondo che sia stato uno dei più divertenti viaggi letterari che abbia mai creato e che l'Harry di questa vicenda mi è stato davvero molto a cuore, al pari di Louis (non ammetterò mai di essermi ispirata ad Enzo Miccio, per il suo carattere, e voi non lo saprete di certo... anche se l'ho appena detto)!
Ciò detto, non mi resta che aggiungere il penultimo pezzo del puzzle anche a The Paper Boy, rassicurandovi tuttavia sul materiale nuovo che vedrà la luce in questi giorni. Intanto, vi allego già il link per la nuova long sui 5 Seconds of Summer che ho appena postato e... grazie, come sempre, per il sostegno e per avermi accompagnato anche durante la mia assenza! Ci sentiamo nell'altra storia!



x    2 Doors Down

 

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Capitolo 5
*** Finale ***







Finale




“Un misero mucchio di piccoli segreti, ecco cosa siamo.”
G. MUSSO


 
 
Martedì, ore 16.30




Tutta la mattinata era trascorsa allo stesso identico modo. Harry aveva ancora i suoi adorati abiti da nerd, e Juliet si aggirava per la struttura come un’anima in pena, alla perenne ricerca di qualcosa che non poteva avere per ovvi motivi. Finirono entrambi per caso davanti ai loro rispettivi armadietti. Numeri 103 e 105. Styles aprì il suo, posandovi all’interno il pesante testo di progettazione. Rimase qualche istante fermo ad osservare Juliet, mentre rifletteva su quale oggetto estrarre con aria assorta. Sentì gli occhi di lui sulla pelle ed alzò lo sguardo, ricambiando l’occhiata in silenzio. Mosse impercettibilmente la testa, come a volergli porre una muta domanda, con un cenno lievemente insolente del mento. Harry scosse piano il capo, richiudendo l’armadietto. Strinse le dita attorno alle spalline del suo zaino e si volse dandole le spalle, muovendo qualche passo. Juliet continuava a fissarlo senza comprendere, mentre d’improvviso lui si fermò.
Protese un braccio, sollevando l’indice verso l’alto, facendolo oscillare a destra e a sinistra. Due visioni si sovrapposero in una sola. Un riccio e avvenente ragazzo misterioso illuminato dalla notte stessa, stretto nel suo giacchetto di pelle nera. Uno studente dall’abbigliamento improponibile, lo zainetto issato in spalla e i capelli indiscriminatamente disciplinati dal gel in una pettinatura anteguerra. Uniti nello stesso corpo.
La musica sinuosa e la psichedelica luce che si riversava nella discoteca in quella fatidica serata, si confuse con il suono della campanella e i neon azzurrati del plesso universitario, che altrimenti sarebbe stato silenzioso.
Con un verso di sorpresa, il suo respiro si mozzò per qualche istante.
E allora capì.





Nota: e anche questa è finita. Mi fa molto strano concludere due storie nella stessa serata. Oh beh. Ora che tutto è stato fatto, posso dirvi che l'ispirazione per questa long mi è venuta guardando il video "Last Farewell", dei Big Bang. E' un gruppo kpop coreano, non posso pretendere che vi piaccia, ma... se voleste dare un'occhiata alla clip, potreste visualizzare meglio tutto quanto è accaduto all'interno della vicenda! Non l'ho detto prima perché magari avreste visto il video e vi sareste spoilerati la fine. Sono malfidata, lo so. Io l'avrei fatto
Passo ai consueti ringraziamenti, a chi mi ha seguito dall'inizio, a chi è giunto qui per caso, a chi sta semplicemente leggendo al volo. Vi allego la lista delle mie opere in corso, aggiungendo anche qui un bell'arrivederci e sperando che questa storia vi sia piaciuta e abbia contribuito ad alleggerire le vostre giornate!



• 2 Doors Down



• La Rue Inconnu



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