Monster and a girl:together?

di pewdiekairy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo:la leggenda ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1: Una strana filastrocca ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2: Vita di tutti i giorni ... o quasi ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3: Non c'è un solo modo ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4: I don't want to hurt you ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5: Non esiste soluzione ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6: Storie ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7: Betrayal? ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8: Sensi di colpa ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9: Broken down ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10: Who am I? ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11: Prima che finisca ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12: Free ***



Capitolo 1
*** Prologo:la leggenda ***


Ehyyyyyyyyy è la mia prima fan fiction su efp e volevo farla su Slender perché mi piace fare spaventare le persone XD

Prologo: la leggenda

Era una bella serata d’autunno e Adam era seduto sul divano a guardare la televisione sul canale sportivo, il suo preferito. Era un uomo sulla quarantina, con corti capelli scuri e occhi azzurri che tutti i ragazzi a scuola gli invidiavano, pensando che un ragazzo talmente bello era sicuramente destinato ad avere una bellissima vita piena di felicità, ma… non era così. La casa non era nemmeno la sua. Era vecchiotta e tutto, dai mobili chiari alla moquette beige alla cucina striminzita, gli risultava estraneo.”E’ normale, per ora”, sospirò. Erano trascorsi appena tre mesi dalla sua separazione e cercava di convivere con quello stile di vita e con Jamie, il figlio che sua moglie aveva insistito per non tenere con sè. Era minuto per la sua età, e aveva preso gli occhi verdi della madre e i suoi capelli scuri. Lui lo amava con tutto il cuore e cercava di prendersene cura nel miglior modo possibile, ma a volte il piccolo piangeva disperato e Adam pensava che dopotutto, una madre è sempre una madre. Lui non poteva esserne il sostituto per sempre, ma non voleva che nessun altro si intromettesse tra lui e il suo bambino. Bambino... aveva già dieci anni ma Adam si ostinava a pensare a lui come al suo piccolo. Jamie stava riposando nella sua cameretta. Era piccola, come tutto il resto in quell’angolo sperduto di mondo, ma Adam aveva portato qualche mobile dalla vecchia casa per non farlo sentire troppo a disagio, come la cesta che conteneva tutti suoi giochi, o la scrivania alla quale era tanto affezionato e sul quale piano aveva imparato a scrivere e a leggere. La carta da parati era chiara ed impersonale, mentre il pavimento era ricoperto dalla solita moquette beige che infestava tutta la casa. Adam stava proprio pensando a quanto gli sarebbe piaciuto strapparla e fare un bel pavimento nuovo, quando sentì qualcosa che non andava: uno strano odore di… fumo, forse. No, gas. Gas? ”Oh,no!!”, pensò Adam. Si precipitò su per le scale ma il bambino aveva sentito l’odore e si era avvicinato all’interruttore per accendere la luce e scoprire cosa stava succedendo. ”Jamie, non accendere la luce!!”, gridò Adam in preda al panico. Ma era troppo tardi. Con uno scoppio fortissimo, Adam venne catapultato giù dalle scale, in un inferno di fuoco, mentre l’urlo del suo adorato figliolo gli rimbombava nelle orecchie. Adam era stordito, ma provò ugualmente ad alzarsi, con un solo pensiero in mente: ”Devo trovarlo, devo salvarlo! A costo di morire, ma devo farlo!”. Le scale erano però inaccessibili, bloccate da detriti che avevano già cominciato a crollare dopo l’esplosione. Adam non si perse d’animo e cominciò a scalarle, scottandosi le mani e temendo che gli potesse crollare l’intera costruzione addosso. Scivolò un paio di volte e addirittura rischiò di cadere a faccia in giù sul legno ardente, ma alla fine giunse nel corridoio.”Jamie! JAMIE!”, Adam gridò e gridò, ma si rese conto che a parte l’urlo che il bambino aveva emesso all’inizio, non aveva udito più un fiato. ”Che sia… no, il mio Jamie non può essere morto!”, pensò Adam. Voleva controllare disperatamente tutte le stanze alla ricerca del suo bambino, ma non ne ebbe l’occasione. Accompagnato da uno scoppio assordante, il corpo carbonizzato di Adam Willer cadde sul pavimento. La tubatura difettosa che aveva rilasciato gas ed era esplosa aveva incontrato nel suo malaugurato percorso di distruzione i cavi dell’elettricità, riducendo Adam Willer ad un cadavere. Eppure, nella sua testa continuava ad echeggiare: ”Devo trovarlo, devo salvarlo, ho perso la vita, ma devo farlo…”. Nella sua mente crebbe l’odio per il proprietario della casa che l’aveva venduta a buon prezzo senza curarsi di revisionarla prima per vedere se era tutto regolare, visto che non veniva usata da un po’ di anni. E per il mondo, che aveva costretto suo figlio e lui a relegarsi in una foresta sperduta per non soccombere al dolore. L’odio sconvolge un’anima, ed è pericoloso se in mano a quella sbagliata che decide di nutrirsene per fare di esso la sua forza. L’ultimo desiderio di Adam fu di diventare talmente forte grazie al suo odio in modo da poter salvare suo figlio e vendicarsi degli uomini. Il suo volto sfigurato diventò bianco come la neve, dal nulla vide che era vestito di un completo da uomo d’affari nero con camicia bianca e cravatta rossa. Sentì una forza nuova, e dalla schiena partirono dei tentacoli affilati come rasoi. Era diventato Slenderman, il mostro senza volto, nato dall’odio e potente grazie ad esso. La sua leggenda attraversa gli anni e il tempo non la scalfisce. Si dice che possa interferire con gli apparecchi elettronici perché la sua aura genera un campo di forza molto potente. Non sembra malvagio, ma provoca terrore. Una volta era un uomo come te, caro lettore, e ora è diventato un mostro. Non lasciarti dominare dall’odio. La vendetta genera solo altra vendetta, in un circolo vizioso che mai si spezza. Questa è la leggenda, ora tocca alla storia.

*Angolo dell’autrice* Ciao a tutti XD volevo sapere se il primo capitolo vi è piaciuto. Volevo impostare bene le origini del mito,prima di passare alla storia vera e propria. Ditemi cosa ne pensate e avvertitemi se c’è qualcosa che non va o che non capite. Questa fic la dedico ad Amekita,la prima che ho recensito,la prima autrice che ho seguito e la mia prima amica su efp!!!

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Capitolo 2
*** Capitolo 1: Una strana filastrocca ***


Voglio pubblicare ogni settimana ma non so se ce la farò a causa di beghe scolastiche :( comunque spero che vi piaccia il secondo capitolo anche perché qui si comincia ad entrare nel vivo :D

Capitolo 1: Una strana filastrocca

La prima cosa che Ethany sentì svegliandosi fu la maglietta del pigiama impregnata di sudore e l’atavica certezza di aver fatto un sogno terribile. Non proprio un bel modo per iniziare la giornata, ma rientrava nella classifica dei risvegli “normali” di Ethany. Era abbastanza raro che riuscisse a passare una notte dormendo come si deve, considerato che andava a letto molto tardi e che si sentiva osservata ogni minuto della giornata: tutto questo era iniziato da quando sua madre l’aveva portata da quella stupida zingara e a poco a poco quello che aveva sentito aveva condizionato la sua vita fino a farla diventare paranoica. Poi ci aveva fatto l’abitudine, o quasi. Ma non era una sensazione normale, di questo era certa. Ethany cercò di rilassarsi e di far passare la brutta sensazione legata al sogno, facendo vagare lo sguardo sulla scrivania in cedro sulla quale era accatastata in bella vista la più vasta collezione di penne, matite e gomme dell’intero universo, sul suo meraviglioso letto in legno con le nuvolette azzurre dipinte sulla testata, sulle tende di mussola bianca con i ricami a punto croce e sul suo computer ultramoderno, ma il suo sguardo si appuntò su un cassetto della scrivania dove era custodito un foglietto di carta che conteneva una bizzarra filastrocca. Ethany si passò la mano tra i capelli biondi, sospirò e si mise seduta sul letto, poi vide l’ora che segnava la sveglia sul comodino: 5:45. ”Al diavolo”, pensò.
Proprio un bel modo per iniziare la giornata. Si distese e chiuse gli occhi per un attimo, poi ci ripensò e si catapultò al computer per scoprire, sperava, il senso di quella dannata poesia. Non potè fare a meno di ripensare a quella serata, immersa nel caos e nel profumo.
* 1 anno prima, alla fiera di paese *
“Guarda Nyny! C’è di tutto! Anche le ciambelle per bambini golosi!”, disse Johanne. ”Mamma, evita, ti prego. E poi ti ho detto che non sono più una bambina! Vuoi mettermi in imbarazzo davanti a tutti?”, sbuffò Ethany indignata. Aveva detto “tutti” ma in realtà intendeva solo il ragazzo che le stava davanti. Kiam ridacchiò. “Va bene, allora ci vediamo dopo”, disse, strizzò l’occhio a Ethany, salutò sua madre e con noncuranza si avviò verso la foresta. Ethany sorrise. Sarebbero andati nella vecchia foresta con tutti i suoi amici e avrebbero dimostrato che le leggende che circolavano su di essa erano solo dicerie. O almeno così avevano intenzione di fare. Doveva solo dire a sua mamma che avrebbero fatto un giro lì attorno tutti insieme, e lei non si sarebbe preoccupata. Sua madre si tranquillizzava sempre quando diceva che era con Kiam. Forse perché aveva già 17 anni e quindi lo considerava maturo e responsabile. Non sapeva, né lo sapevano i suoi genitori, che dietro quei capelli neri e gli occhi verdi si nascondeva un vero e proprio ribelle. Fecero ancora un giro e ammirarono le vasche dove, con solo un dollaro, potevi pescare dei pesciolini e se ci riuscivi te li portavi a casa. Poi passarono anche dal gelataio e dal venditore di maschere di cartapesta. Quando Ethany vide che si stavano avvicinando ad un antro scuro, istintivamente si fermò. “Tesoro, che c’è?” ”N-niente mamma. Vieni, andiamo dal venditore di pretzels”, disse Ethany mentre la prendeva per un braccio e scuotendo la testa si avviava verso la bancarella dalla quale proveniva un delizioso profumo. Ma sua madre continuava a dirigersi verso l’antro. “Perché non andiamo di qua invece? Ho sentito che prevedono il futuro e l’ho sempre evitata prima perché c’era troppa fila, ma ora non c’è nessuno!”, sorrise lei entusiasta. Ethany aveva una brutta sensazione, ma pensò che era meglio assecondarla se voleva ottenere il permesso di gironzolare.
L’insegna fuori recitava: ”Madame Du Font, lettura della mano e profezie”. L’interno era buio. La luce che filtrava dall’esterno non era sufficiente a rischiarare l’ambiente, ma Ethany poteva distinguere le pareti della tenda e un tavolino con qualcosa appoggiato sopra. Ethany sbattè gli occhi incredula: dove prima c’era solo oscurità si era materializzata letteralmente dal nulla una figura che lentamente avanzava verso una sedia. L’ingresso si chiuse con un morbido fruscio e agli angoli avvamparono dei bracieri, illuminando il volto della donna. Ethany si trattenne dallo spalancare la bocca: sembrava vecchia di cento anni, ma c’era un guizzo nei suoi occhi azzurri che sembrava denunciare una muta sfida al tempo che l’aveva ridotta in quello stato. Il volto era una ragnatela di rughe e quando sorrise quelle si incresparono, facendola assomigliare sempre più alla nonna brutta di Dracula. Indossava una bandana avvolta sul capo e una tunica nelle stesse tonalità psichedeliche, che assecondò le sue movenze mentre camminava. Si sedette e invitò loro due a fare lo stesso. Ethany e sua madre si accomodarono mentre lei poneva le mani su una sfera che si accese di riflessi verdognoli. Silenziosi sussurri parvero levarsi da essa, e quando Ethany si avvicinò potè distinguere chiaramente alcune figure che vorticavano lì dentro, per poi disfarsi e riformarsi come in una macabra danza. Il suo cuore cominciò a galoppare, mentre sua madre sembrava rilassata e tranquilla, addirittura le sorrise. Sua madre cominciò: “Vorrei sapere cosa mi riserva il futuro, Madame”. Quella non la ascoltò nemmeno e appuntò gli occhi su Ethany, che in preda al terrore distolse lo sguardo. Il sorriso della vecchia parve accentuarsi. “E’ lei”, mormorò con una voce che sarebbe potuta appartenere ad un morto redivivo, indicando Ethany. “Cosa? No, mia figlia è troppo piccola per saperlo. Voglio che legga il mio futuro”, insistè, ma la donna proseguì imperterrita a sussurrare cose incomprensibili e ad un certo punto parve cadere all’indietro sulla sedia, senza più vita. Ethany urlò e sua madre fece per alzarsi per verificare le condizioni della donna, ma quella si riprese subito: aveva un’espressione terrificante, spiritata.
“E’ lei che vedrà sorgere chi pace non ha,
vedrà l’uomo senza volto e resisterà.
La attende un compito epocale:
segnare la sconfitta o la vittoria del male.
Non disperare, giovane fiore:
tu sarai il giudice che forse farà sbocciare in lui l’amore.”
Detto questo, la stanza sembrò venir risucchiata via ed Ethany e sua madre si videro catapultate in strada senza sapere come ci fossero arrivate. “Mamma…”, singhiozzò Ethany. Sua madre era sconvolta. “Ethany, shhh, va tutto bene, io non immaginavo… calmati, ti prego…”, continuava a sussurrare mentre le asciugava le lacrime. A poco a poco, Ethany si calmò. “Forza, cerchiamo di far decollare questa bella serata!”, cercò di farla sorridere sua madre. Ethany sfoderò il miglior sorriso del suo arsenale e disse: “Posso andare con Kiam e i suoi amici qui intorno?”, chiese, sapendo che sua madre non avrebbe detto di no. ”Mi raccomando state attenti. E divertitevi!”, urlò mentre lei si allontanava trotterellando.
Ethany si avviò verso il limitare della foresta dove aveva appuntamento con Kiam e gli altri. Ma loro non erano lì. Ethany voltò la testa da una parte e dall’altra per vedere se fossero in un altro punto, ma non vedendoli trasse le sue conclusioni. “Se ne sono andati senza di me!”, pensò, “E grazie a loro ora farò la figura della fifona che ritardato apposta per non andare!”. Sbuffò. Non se lo aspettava proprio da Kiam. Va bene, lei era solo una ragazzina, ma lui l’aveva sempre rispettata e non sarebbe mai andato via senza di lei! Ethany si avvicinò ancora di più alla foresta. Gli alberi fitti e l’oscurità non permettevano di vedere più di qualche metro di foresta e lei cominciava a spaventarsi sul serio. Ad un certo punto udì un grido dietro di lei e si voltò spaventata. Kiam e la sua banda si erano sicuramente appostati lì per spaventarla! Fece una pernacchia nella loro direzione e disse: ”Se pensate che mi spaventi per così poco, allora avete preso un granchio!”. Ben, un moretto con gli occhi nocciola che si era sempre distinto per la stupidità, le lanciò un’occhiata: ”Non si sa mai che livello di paura possono raggiungere le ragazzine”, disse con un sorriso da sadico. Forse era uno di quelli che dopo aver fatto gli esperimenti di dissezione sulle rane ci si era appassionato ed era passato a soggetti più interessanti. Ethany rabbrividì. Si avviarono verso la foresta e subito avvertì un gelo che non aveva niente a che fare con l’autunno. Era paura, di quella che ti fa rizzare i capelli e tremare le ossa. Era successo qualcosa di terribile in quel bosco e ora l’aura maligna di quell’episodio si ripercuoteva su tutto il territorio circostante. Un ragazzo gridò. Tutti accorsero per vedere quello che era successo. Il ragazzo era bianco come un lenzuolo. “Qualcuno… ho sentito come una mano che mi afferrava la spalla!”. Tutti trasalirono e Ethany sentì una sorta di lamento, come un uomo che piangeva. “Un uomo … ANDIAMO VIA!!! DOBBIAMO SCAPPARE SUBITO!”, Ethany cominciò ad urlare e a correre verso le bancarelle della fiera, ma un grido disumano la fece voltare: il ragazzo che prima aveva urlato ora giaceva in una pozza di sangue, trapassato da un … tentacolo che apparteneva ad una figura molto alta, vestita di un completo nero con camicia bianca e cravatta rossa. Il volto era bianco come la neve e privo di qualsiasi espressione nonché dei tratti somatici. Ethany rimase a guardare scioccata il sangue che impregnava la terra del bosco. La pozza si allargava a poco a poco ed era ovvio che per il ragazzo non c’era più niente da fare. La creatura si voltò verso di lei ed Ethany sentì l’impulso di scappare, ma prima che potesse fare qualsiasi cosa sentì la voce dell’essere che le parlava. Era dentro la sua testa, e lei era raggelata. “Così sei tu. E tu dovresti decidere la mia sorte? Che ironia … nessuno che ho deciso di uccidere si è mai salvato, e tu non farai eccezione”. Ethany si voltò e cominciò a correre, ma non ce ne fu bisogno. Una strana figura luminescente apparve accanto a lei mentre correva e le disse di fermarsi. Ethany non sapeva perché, ma decise di ascoltarla. Si voltò e vide a pochi metri da lei la creatura. I suoi amici erano scomparsi. La figura luminescente si avvicinò all’essere e parlò: “Anche se volessi, non puoi farle del male, è inutile che ci provi”. Slender – Ethany adesso l’aveva riconosciuto dalle leggende popolari – rispose infastidito: “Mi stai sfidando? Non ti conviene. La squarterò pezzo per pezzo e la aggiungerò alla mia collezione, e farò lo stesso con i suoi amici nel bosco”. Ethany sussultò: “Papà …” ”Ciao Ethany. Non devi preoccuparti di quello che succederà ora: tu puoi vedermi perché sei speciale. Fino ad adesso non ti eri resa conto delle tue capacità, ma adesso la profezia ha reso tutto chiaro. Non devi avere paura, anche se il nostro amico, qui, non è molto …” Slender si era stancato di aspettare e si avventò contro Ethany: lei rimase allibita vedendo uno scudo trasparente bruciare le mani del mostro mentre cercava di forzarlo. “… paziente”, concluse James. Il mostro urlò di frustrazione: un verso che non aveva niente di umano. Ethany si voltò e scappò, piangendo per gli amici che non poteva salvare. Aveva troppa paura ed erano troppi per proteggerli tutti. Non sapeva nemmeno se poteva estendere la sua protezione a loro e non era il momento di fare esperimenti. Avvicinandosi a loro li avrebbe messi in pericolo a prescindere. Corse a perdifiato fino al limitare della foresta. Ritrovò sua madre e tornarono a casa. Durante il viaggio di ritorno si chiese come avrebbe fatto a spiegare quello che era successo, ma nei giorni seguenti nessuno sembrava ricordare Kiam o Ben o gli altri. Ethany era sconvolta e piangeva sempre nel suo letto, risvegliata da incubi orribili. Sua madre attribuiva il tutto allo spavento che avevano subito e non fece mai domande su dove era andata. E un anno era passato.

*Angolo dell’autrice *

Ciaooooo XD spero che questo capitolo sia di vostro gradimento come il prologo. Volevo citare in questa fic anche DarkInk e i nostri sogni assurdi XD ed EternalSunrise perché mi ha proposto il gioco migliore del mondo (e Riku *^*) in chiave “mondo normale” che io non sarei mai riuscita ad immaginare :D

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Capitolo 3
*** Capitolo 2: Vita di tutti i giorni ... o quasi ***


Mi scuso se non ho pubblicato questa settimana ma la fine del quadrimestre mi ha esaurita T_T continua la storia di Ethany in modo abbastanza normale ma sempre sotto l’occhio vigile di zio Slendy ...
 

Capitolo 2: Vita di tutti i giorni … o quasi

Ethany navigò su internet per un’ora, ma non trovò niente. Le solite leggende metropolitane, dettagli assurdi sulla dieta del Bigfoot e nemmeno. Una. Parola. Su. Slenderman. Niente che spiegasse la sua profezia, almeno. Ethany aveva trovato solo un sito di invasati che ipotizzavano in quale parte del mondo si potesse nascondere senza venirne a capo, perché era comparso in almeno mezzo mondo. Ethany sospirò. Forse la sua domanda era destinata a rimanere senza risposta. Sbadigliando cominciò a vestirsi, rabbrividendo per il freddo. Era novembre, e nessuno si spiegava perchè quella cappa di freddo sembrava durare da un anno. Anche l’estate era stata abbastanza fresca. “Io lo so”, aveva pensato Ethany quando i meteorologi si erano interpellati a vicenda per ottenere una teoria valida, senza ovviamente cavarne un ragno dal buco. “Ma se lo dicessi non mi crederebbero mai”, aveva concluso, dato che gli adulti davano poca retta a quello che esce dalle bocche dei ragazzi. Sempre con la testa tra le nuvole continuò a vestirsi, e fece talmente poco caso a quello che stava indossando che si ritrovò a uscire dalla sua stanza con un paio di pantaloni viola fluo e un maglioncino di cachemire rosa cipria. Ridacchiando, cambiò i pantaloni con un più appropriato paio di jeans, afferrò la sciarpa blu e il cappotto, si allacciò le scarpe e si diresse in cucina, chiudendo piano la porta. Attraversò il salotto con i mobili in pelle chiara e i lampadari minimalisti e si diresse in cucina. Questa era molto accogliente, con il suo tavolo di legno chiaro e la cucina che sembrava un rompicapo, tanti erano gli scaffali e le credenze sopra e a fianco dei fornelli. Su queste mensole Ethany aveva allineato i suoi lavori di quando era bambina: la coccinella di cartapesta fatta all’asilo, un rametto mezzo segato, ricordo di quando si era messa in testa di fare il falegname, e varie piccole opere che contenevano ricordi felici o meno. Una gliel’aveva regalata suo padre, poco prima di morire. Sua madre era al lavoro come sempre e lei la mattina non la vedeva mai perchè si recava al tribunale prestissimo per svolgere il suo lavoro di avvocato. Ethany vide che erano già le sette e decise di bere un po’ di cioccolata riscaldata al microonde. Poi uscì di casa, chiuse a chiave e la ripose nello zaino insieme alle cuffie. Si diresse verso la fermata dell’autobus imbiancata di neve e intanto avviò una playlist a caso. Mentre una canzone famosa partiva a tutto volume, Ethany vide che oltre alle persone normali alla fermata gironzolavano anche delle figure evanescenti, che si confondevano con l’aria. Ethany evitò di fissarle troppo. Da quel giorno malaugurato aveva cominciato a vederle dappertutto. Erano semplicemente anime, e dopo qualche tempo in quella condizione si erano abituati a non essere visti da nessuno, perciò, se lei li avesse fissati, rischiava che si accorgessero di lei e che cominciassero ad assillarla di richieste assurde: ”Il mio orsetto di peluche, ci ero tanto affezionato. Potresti portarmelo?”, le aveva chiesto una volta un’anima con le sembianze di un nonnetto di cinquant’anni. Ethany non lo aveva mandato a quel paese solo perché era educata. E anche perchè le facevano pena, e potevano diventare vendicativi se non ti comportavi bene. Una volta si era ritrovata legata al letto, ed era riuscita a liberarsi solo perchè il tizio che l’aveva impacchettata non era abile con i nodi. Mentre era assorta in queste riflessioni, una mano le diede una pacca sulla spalla e la fece sobbalzare. Si tolse le cuffie ed apostrofò il nuovo arrivato: ”ZACK!! Mi vuoi far morire di paura?”, lui sghignazzò. “Come se non sapessi che ci vuole ben altro per spaventarti”, ma Ethany non si lasciò distrarre: ”E se fosse stato LUI? Avrei avuto ragione a spaventarmi!!”. Zack rise, ma poi si fece subito serio: ”Allora in questo momento non avrei più un’amica”. Ethany sbuffò. Zack era l’unica persona al mondo in assoluto a sapere che cosa era successo un anno prima. Si erano conosciuti dopo le vacanze di Natale, quando lei si era appena ripresa da quell’esperienza traumatica. Zack era scuro di capelli e stranamente più alto di lei, dato che nessuno nella loro classe poteva guardarla dall’alto in basso. I suoi occhi verdemare lo avevano reso famoso tra quelle della loro classe, che per dirla in termini socialmente accettabili erano ragazze di alquanto facili costumi. Lei era la più taciturna e tutti tendevano ad evitarla, a prescindere da quello che era successo. Nessuno poteva sapere, perchè tutti si erano dimenticati dei suoi amici. Fu proprio grazie a questo atteggiamento dei suoi compagni che potè avere Zack come compagno di banco. Infatti l’unico banco libero in classe era quello accanto al suo, e fu proprio a quello che si sedette Zack, su invito della prof. Non sembrò dargli fastidio che tutti lo subissassero di domande impedendo lo svolgimento della lezione, ma il ragazzo che era nel banco davanti al suo gli disse di stare attento, perchè stando con lei gli sarebbe successo qualcosa di brutto. Ethany aveva smesso già da tempo di ascoltare. Era l’unico modo. Non ascoltare per dimenticare. Tuttavia Zack non aveva dato peso alle parole del suo vicino. Aveva sorriso e annuito, ma quando si era voltato verso di lei aveva l’espressione dubbiosa di chi non sa cosa pensare, non il terrore di vedere capitare qualcosa di orribile. Durante l’intervallo aveva cercato di smuoverla dal suo mutismo, ma con scarsi risultati. Nei giorni successivi passavano l’intervallo a guardarsi e Zack rideva, ma lei si chiedeva cosa c’era da ridere. Lei non era esattamente di compagnia. Ma a poco a poco lui la conquistò. La aiutava con i compiti, la difendeva dai bulli, e proprio da lui Ethany aveva imparato a difendersi da sola. Un giorno di primavera aveva preso il coraggio a due mani e gli aveva raccontato tutto. “Ecco, ora sai di chi sei amico”, aveva concluso, quasi piangendo. Ma lui, sconvolto, l’aveva abbracciata e aveva cominciato a carezzarle la testa. Lei lo aveva spinto indietro, rossa in volto. Erano in un posto riparato del cortile della scuola, ma se qualcuno di avesse visti allora Ethany era sicura che avrebbero preso in giro Zack per il resto della vita, e non voleva che qualcun altro avesse la vita rovinata. Aveva già causato troppe vittime. D’altronde, lui se l’era cercata. Ethany, dopo essersi assicurata che nessuno li avesse visti, aveva sentito montare la rabbia. Lo schiaffo era arrivato, lasciando sulla guancia di Zack un segno rosso ben visibile. Ad Ethany era mancato il respiro. Poi si era resa conto di quanto era stupido quello che aveva fatto. “Oddio, Zack io … scusami, non so cosa mi sia preso …”, aveva bisbigliato mortificata. Aveva ferito Zack, l’unico che avesse mai cercato di fare amicizia con lei dopo quella terribile esperienza di cui aveva sentito il racconto senza battere ciglio. Le aveva creduto subito e aveva cercato di consolarla nell’unico modo che conosceva, e lei lo aveva ferito. Lui strinse le labbra. “Me lo dovevo aspettare. Scusami, non lo farò mai più, se questo ti turba”. Ma dalla sua voce si capiva che era arrabbiato. Era stato il turno di Ethany di abbracciarlo, singhiozzando e premendo il volto contro la sua maglietta. “Sono stata una stupida, mi dispiace … non andare via, ti prego …”. Zack aveva ricambiato l’abbraccio, ma in quel momento di era udito un verso di scherno e una torma di ragazzini aveva fatto irruzione nel cortile. “Guarda un po’ chi si vede. Allora non ascolti i consigli di chi ne sa più di te, vero?”, disse il capo, quello che aveva avvertito Zack. “Ascoltare i consigli e seguirli sono due cose diverse”, aveva risposto lui. Ethany intanto si era staccata frettolosamente da lui e si era asciugata le lacrime. Erano usciti piuttosto male dalla rissa, ma niente ossa rotte o ferite irreparabili. Avevano detto ai genitori che erano caduti dalla bici mentre lui la riportava a casa, e da quel giorno avevano trascorso molto tempo insieme. L’autobus arrivò, distogliendo l’attenzione di Ethany. Salì con Zack e si sistemò in fondo. Per tutto il tragitto rimasero in silenzio, e quando scesero dall’autobus diretti a scuola Ethany si voltò per guardare Zack che era rimasto indietro. Il suo cuore mancò un battito. Nella vicina macchia di alberi, una figura alta la osservava, immobile.

*Angolo dell’autrice*

Terzo capitolo *-* mi dispiace se non ho pubblicato mercoledì  scorso ma non ho avuto proprio tempo :( questo capitolo è stato scritto di fretta proprio mercoledì scorso, ma non ho voluto pubblicarlo perchè volevo rivederlo :) spero che la parte dei ricordi di Ethany non sia troppo pesante e sono cosciente che la storia presente va a rilento, ma secondo me è importantissimo definire il passato per basarsi sul futuro ;) ho cambiato il rating in parte perchè pensavo che non fosse così cruento e in parte per DarkInk, che voleva leggerla ma è minorenne :D

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Capitolo 4
*** Capitolo 3: Non c'è un solo modo ***


Finalmente un altro capitolo!!Spero che lo troviate interessante e all’altezza degli altri :D mi dispiace di non aver pubblicato ieri, ma la rete ha cominciato a funzionare quando le pare -.-
 

Capitolo 3: Non c’è un solo modo

Ethany sentì un brivido partire dalla schiena e irradiarsi in tutto il corpo, finchè si sentì così malferma che quasi cadde. Zack se ne accorse e lanciò un’occhiata verso il bosco. Sentì i capelli rizzarsi sulla nuca mentre una risata antica quanto il tempo lo scuoteva dentro. Scosse Ethany e si mise a correre, ma lei non reagiva, era come in trance, quella visione era stata talmente potente da ipnotizzarla.
Trascinandola di peso riuscì a portarla fino all’ingresso della scuola e da lì in classe. Era molto presto e non c’era nessuno. Lei respirava affannosamente, Zack non aveva mai visto niente del genere, anche perchè dal momento in cui Ethany gli aveva rivelato tutto non era mai successo che Lui si mostrasse così improvvisamente e così vicino a lei. Lentamente aprì gli occhi e si riprese. Si mise seduta sul banco sul quale Zack l’aveva sdraiata: “Zack … oddio ...”, mormorò. Era sconvolta e il cuore le batteva così forte che sembrava volerle schizzare fuori dal petto. Zack si sedette sul banco accanto a lei e disse: ”Bè, l’abbiamo scampata bella. Ethany … cos’hai?”, si interruppe, vedendo scorrere sulle sue guance lacrime trasparenti. Era disperata. La lasciò sfogare per un po’, poi le asciugò le lacrime con le dita, maledicendosi per non essersi portato dietro un fazzoletto. Ethany si appoggiò a lui: ”Non capisci Zack? Non finirà mai. Non finchè Lui sa che sono viva. Non è strano avere paura di qualcuno che non può farti del male, anche volendo?”, gli chiese guardandolo con un sorriso triste. Zack non rispose. Sapeva che la paura non c’entrava niente con il male fisico che qualcuno può infliggerti. Lo Slender avrebbe potuto farle del male comunque, anche se non fisicamente. Forse la famosa profezia non sapeva che non c’è un solo tipo di ferita, quella fisica: esistono anche le ferite dell’anima, generate dalla morte o dalla perdita di persone care. E Slender non era particolarmente abituato a non usare il male fisico per far del male alla gente. Forse, con un po’ di fortuna, non l’avrebbe mai scoperto. Ma erano … secoli? O forse millenni che osservava il genere umano? Lo conosceva abbastanza da sapere anche quello. Ethany alzò la testa e incontrò lo sguardo perso nel vuoto di Zack. “A che pensi?”, le venne spontaneo chiedergli, ma Zack scosse la testa: “Cercavo di riflettere su quello che è successo”. “E non pensi che dovremmo riflettere insieme?”, gli disse lei con un sorrisino. Era ovvio che stava pensando ad altro. Zack sorrise: “Va bene, mi hai scoperto. Ma non posso dirtelo qui. Ci sono troppe orecchie indiscrete”, le sussurrò. Ethany strabuzzò gli occhi. Ora anche lei sentiva le risatine fuori in corridoio. Si staccò subito da Zack e si sedette. Il suo banco era vicino alla finestra e non c’erano tende, perciò evitò di guardare fuori nel timore di scorgere di nuovo la pallida figura in mezzo agli alberi.
Il suono della campanella spinse anche Zack a sedersi mentre una torma di ragazzini entrava in classe gridando, le ragazze truccate e con le minigonne facevano il loro ingresso nel modo più plateale possibile, in modo che le potessero ammirare tutti. Ethany si mise due dita in bocca e fece finta di vomitare. Zack rise ma le diede un pizzicotto di avvertimento sulla gamba che quasi le fece toccare il soffitto dallo spavento. Nessuno l’aveva mai toccata, a parte sua madre e la sua famiglia, lei non era particolarmente espansiva, solo quando era spaventata o molto felice. Lanciò un’occhiataccia a Zack che ben lo sapeva, ma lui le diede un altro pizzicotto. “Smettila o ti picchio”, sibilò Ethany. Zack continuava a guardarla in modo strano. Ethany si accigliò e diede uno sguardo alla classe. Stavano guardando tutti lei. Eppure non aveva fatto niente! Aveva parlato a voce bassissima! Solo allora si rese conto che il capo delle oche della sua classe, Madison Black, si era alzata e la fissava, dicendo qualcosa che Ethany non aveva afferrato bene. “Scusa, non ho sentito. Puoi ripetere?”, disse con il sorriso più angelico del suo repertorio. Madison si imbufalì: “Dicevo che è strano che voi due non siate ancora fidanzati. Da come vi comportate sembrate due piccioncini”, ripetè con la sua vocetta stridula. Ethany la fulminò con lo sguardo. Per fortuna la sua aura di mistero incuteva più paura che curiosità e quindi, in sostanza, tutti avevano paura di lei, ma non abbastanza da torturare lei e Zack cinque ore al giorno per sei giorni. Sei per cinque trenta. Trenta ore. “Trenta ore della mia settimana sprecati a parlare con questi idioti”, pensò Ethany. Stava per rispondere a tono, quando la porta si aprì e lasciò entrare una figura grassottella. “Black, siediti. E che non vi peschi mai più a parlare di faccende personali a scuola. Ethany Cole, ti assicuro che gli sguardi non possono uccidere, quindi girati. E cominciamo la lezione”. Ethany si girò e Madison si sedette, non prima di averle lanciato un’occhiata omicida che l’altra ricambiò. In tutto questo, la classe era rimasta muta come un pesce. Il professore di matematica non era particolarmente alto, ma sapeva imporsi sulla classe in modo che nelle sue ore non volasse una mosca e che gli studenti parlassero solo se interpellati. Sarebbe potuto essere tranquillamente un direttore di banca: il completo impeccabile, i baffi spuntati con la riga millimetrata e le sopracciglia luccicanti di brillantina, come i pochi capelli sul cranio mezzo pelato. Insomma: Slender obeso e con la faccia. Sapeva incutere lo stesso terrore, oh sì. Il professore si tolse il cappotto e lo appoggiò alla sedia, aprì il registro e cominciò a fare l’appello. Mancavano molti studenti, dato che erano vicine le vacanze di Natale e che molti di loro erano poco di buono. “Un’epidemia oggi eh? Cos’hanno i vostri compagni?”, chiese il prof col suo vocione cavernoso. Una ragazza in fondo disse: “Sanders è malato professore”. Chi aveva parlato era Becky Donne, e Jim Sanders era il suo fidanzato. Ovvio che sapesse come stava, e sicuramente lui aveva marinato la scuola e lei lo copriva. Purtroppo Becky si era fidanzata con la più spietata carogna del mondo: Jim Sanders era il ragazzo a capo della banda che aveva picchiato Ethany e Zack quasi un anno prima. Dopo aver saputo che lui con la sua marmaglia avevano picchiato i due ragazzi Becky non gli aveva parlato per settimane. Becky era una brava ragazza, sembrava quasi destino che le ragazze educate trovassero i più grandi pezzi di merda del mondo. Il professore proseguì e non fece altri commenti. La lezione si svolse nella solita aria di terrore e ansia. All’intervallo Ethany bruciava di curiosità: voleva sapere a cosa stava pensando Zack qualche ora prima. Lui la sentiva, sentiva l’urgenza che aveva di parlarle, ma sarebbe stato pericoloso con tutte le orecchie in giro. Alla pausa bagno ne approfittò e la condusse con sé nel bagno dei maschi. Ethany non provò a divincolarsi e strinse la mano di Zack anche se avrebbe preferito tornare in classe piuttosto che entrare nel bagno dei maschi. Zack la tirò verso uno stallo che non usava mai nessuno e chiuse a chiave. Ethany deglutì. C’era una puzza terribile. “Ethany, sali con i piedi sul water”, ordinò Zack. “Che cosa?”, a Ethany quasi mancava il respiro. Vedendo che non accennava a muoversi, Zack la prese in braccio e la depose lì sopra, stando attento a non farla scivolare. Ethany stava andando a fuoco. “Se vedono che siamo qui ci sospendono come minimo, per questo non dobbiamo farci vedere”, disse scrutandola dubbioso. Poi salì anche lui e si ritrovarono con le schiene appoggiate alle pareti e le ginocchia di uno contro quelle dell’altra per mantenersi in equilibrio. Zack le sussurrò all’orecchio: “So che non ti piace, ma dobbiamo parlare così o ci sentiranno”. “Ok. Adesso vuoi dirmi a cosa stavi pensando?”, chiese Ethany con il cuore in gola. Zack sospirò prima di cominciare: “Non esiste un solo modo per far del male alla gente, non esiste solo il dolore fisico, ma anche quello emotivo. Lo Slender non dovrebbe saperlo, perchè è abituato a far soffrire solo con ferite fisiche. Ma è sulla Terra da molto più tempo di noi, e potrebbe saperlo, anche se preferisce l’altro metodo, forse lo ritiene più …”, trattenne il respiro mentre un paio di piedi si avvicinavano, per poi proseguire e uscire dal bagno, “… convincente”, terminò in un soffio. Ethany non capiva più niente. Odiava quella situazione, si sentiva male per la puzza ed era sicura di essere rossa fino al midollo. Tuttavia aveva capito dove Zack voleva andare a parare: avrebbe potuto far del male a lui o a sua madre e farle malissimo. “Zack, ti prego, basta, non ce la faccio più”, disse. Stava iperventilando di brutto. “Lo so che è orribile pensarlo, ma devi tenerlo bene in mente: nessuno è al sicuro da lui. Scommetto che oggi … ti stava studiando, come fa da più di un anno, per scoprire i tuoi punti deboli e farti più male possibile”. Zack tappò all’improvviso la bocca ad Ethany che quasi soffocò. “Non. Fiatare.” , le disse a voce bassissima. Ethany si sentiva del tutto impotente: desiderava solo allontanarsi da Zack, che le aveva aperto gli occhi, ma le stava offuscando la mente. Quando Zack fu sicuro che non ci fosse più nessuno scese dal water ed Ethany avrebbe voluto fare lo stesso, ma le gambe le tremavano e stava scivolando sul pavimento. Zack era incerto su cosa fare, ma alla fine la prese in braccio e la depose a terra. Si reggeva a malapena in piedi. “Ti odio ti odio ti odio ti odio”, continuava a imprecare Ethany. Ormai era andata in panico totale. Sapeva cos’era quella sensazione. Ma non poteva permettersi di farlo. Avrebbe ucciso Zack, anche se indirettamente. Il suo sentimento avrebbe ucciso Zack, perchè lo Slender era spietato e sapeva come farle del male. Ethany si alzò e uscì di soppiatto dal bagno, mescolandosi ad un gruppo di ragazze. Non vedeva più Zack, ma forse era meglio così. Se l’avessero trovato non l’avrebbero sospeso, era per lei che aveva rischiato, e sempre per lei avrebbe subito una sorte infinitamente peggiore dell’espulsione. Ethany rientrò in classe e si sedette. Doveva allontanarlo, vivere da sola. Solo in questo modo Lui non avrebbe fatto del male a nessuno. L’aspettava una vita orribile, ma almeno non avrebbe condannato a morte nessuno. Zack tornò poco dopo e evitò di guardarla fino all’uscita da scuola.
Lo Slender era nel bosco a sorseggiare un Martini che aveva rubato al bar locale e intanto rifletteva su quello che aveva visto. Odiava aspettare e soprattutto pianificare, ma quello che aveva visto quel giorno era stato un enorme passo avanti. Avrebbe preparato una trappola e stavolta non avrebbe fallito. Ma occorreva scegliere il momento giusto, e anche se ci sarebbero voluti anni, doveva attenderlo. Il momento in cui lei avrebbe ceduto a lui ...

*Angolo dell’autrice*

Ciao a tutti :3 sono molto soddisfatta di come sta andando la storia e già comincio ad adorarla *-* avevo pensato all’inizio di dare ad Ethany il cognome Weasley perchè Harry Potter è la mia vita ma poi ho pensato che sarebbe stato un riferimento troppo ovvio e allora ne ho messo un altro che è più nascosto: vediamo se lo trovate :D la figura del professore di matematica è ispirata alla mia prof di matematica che ha lo stesso brutto carattere XD e inoltre potete aderire alla petizione per il diritto dei cattivi di sorseggiare alcolici :D

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Capitolo 5
*** Capitolo 4: I don't want to hurt you ***


Spero che il capitolo vi piaccia la scuola mi sta uccidendo spero di riuscire a postare almeno una volta a settimana :(
 

Capitolo 4: I don’t want to hurt you

Il suono della campanella fu un balsamo per l’animo di Ethany. Si alzò e velocemente mise nella cartella tutte le sue cose, si alzò e corse, corse per evitare di fare quello che non avrebbe mai dovuto fare, per evitargli una morte orribile. Schizzò come un fulmine sull’autobus e occupò un sedile accanto ad una vecchietta scorbutica, che tuttavia continuò a lavorare a maglia come se non l’avesse vista. Zack si sedette dietro di lei e le sussurrò piano: “So quello che stai cercando di fare, e non te lo permetterò”. Ethany aveva voglia di piangere. Lei non correva nessun pericolo, ma gli altri, ed in particolare quelli a cui era affezionata, sarebbero morti tutti se lei non avesse dimostrato di non provare niente per nessuno. Un ultimo abbraccio a sua madre, e poi sarebbe finito tutto. Non si sarebbe fatta trovare. Avrebbe anche vissuto nel bosco per proteggerli, ed era una buona idea, perchè raramente la gente vi si inoltrava in inverno. Quando la stagione rigida sarebbe passata, avrebbe camminato a piedi fino ad un posto lontano, si sarebbe trovata un lavoro e nessuno l’avrebbe trovata mai. La sola idea la riempiva di tristezza, ma nemmeno quella doveva far parte di lei adesso.
Zack non scese alla sua fermata, ma accompagnò Ethany fino a casa, cosa che la fece irritare moltissimo. Non capiva che lo stava facendo per tutti loro? “I tuoi ti staranno aspettando a casa, vai da loro”, disse Ethany, cercando di far suonare la sua voce in modo neutro. “I miei sono al lavoro, oggi non torneranno. E tua madre è sempre molto felice di vedermi”, rispose lui con uno strano tono. Ethany sospirò. Se era così testardo da desiderare la morte, allora ben venga! Il suo cellulare cominciò a squillare, ma lei quasi non ci fece caso. Prese le chiavi ed entrò in casa. Stava per chiudere la porta, quando Zack la fermò con il piede. Varcò la soglia a forza, bloccandole le mani e con un’espressione decisa in volto. Il cellulare smise di squillare ed Ethany corse in camera sua, chiudendosi a chiave. Zack si sistemò sul pianerottolo, deciso a saltare il pranzo pur di fermarla. Nessuno dei due notò l’assenza della madre di Ethany.
Teresa sospirò. Non era la prima volta che Ethany non rispondeva al telefono, ma ogni volta la faceva preoccupare. Le lasciò un messaggio dicendole che non sarebbe tornata per pranzo a causa di alcuni processi importanti. Odiava lasciare sola la figlia, ma quel lavoro era molto impegnativo e se voleva mantenere entrambe doveva faticare. Il suo non era un lavoro facile: gli avvocati c’erano anche per i criminali e tessevano trame convincenti su come l’imputato avesse sparato alla moglie perchè pensava fosse un ladro, o come il direttore della banca fosse molto miope e non avesse letto bene un estratto-conto … i criminali poi spesso se la cavavano con pene leggere e pochi anni dopo erano fuori di prigione. Per non parlare dei pirati della strada: si dileguavano e giuravano di aver fatto il possibile quando la polizia li braccava. Molti omicidi non avevano un colpevole grazie a loro. La sua collega venne a portarle un caffè: “Ancora niente?”, le chiese. “Janet, l’ho chiamata solo una volta! Riproverò più tardi”, sorrise Teresa. “Tua figlia è davvero molto particolare, sarei curiosa di sapere cosa mi direbbe di lei mio cugino psicologo … le menti degli adolescenti sono affascinanti, dice lui. Ce l’hanno con il mondo ma alla fine è solo una maschera. Bah.”
Ethany rimase sul letto a fissare il vuoto. Non aveva fame, e se Zack aveva voluto seguirla tanto peggio per lui. Sarebbe rimasto a digiuno. Ma sua madre l’avrebbe rimproverata come non mai per aver lasciato a digiuno un ospite, per di più l’unico che fosse mai venuto di sua spontanea volontà, a parte le sue amiche adulte. Ethany alzò il viso e valutò se alzarsi o meno, ma rimase bloccata. Una figura trasparente la fissava con espressione vacua. Ethany abbassò il capo di nuovo. “Non se ne accorge se non lo guardi, non se ne accorge se non lo guardi …”, se lo ripeteva come un mantra, ma il copriletto la stava soffocando e respirare diventava ogni secondo più difficile. Se non ci fosse stato Zack lei sarebbe potuta comodamente scendere in cucina e prepararsi le provviste per un po’ di tempo, preparare le sue cose e scappare. Ma non poteva seguirla in eterno. Presto o tardi sarebbe crollato. Ethany si ricordò che il cellulare aveva squillato: si avvicinò fissando la tasca del cappotto nel quale lo teneva e scoprì che sua madre l’aveva chiamata. Le inviò un messaggio dicendole di stare tranquilla. Poi, vedendo che la presenza non se ne era andata, si lanciò a peso morto sul letto cercando di non guardarla.
Zack si mise il volto tra le mani e provò l’impulso di sbattere la testa contro il muro. Con il suo comportamento aveva ottenuto solo il risultato di intestardirla, inoltre lui non poteva seguirla dappertutto e sua madre non era presente quasi mai a casa. Sarebbe scappata e lo avrebbe lasciato solo ad affrontare la gente che non lo capiva, non lo aveva mai capito nessuno, a parte lei … quel giorno di primavera aveva provato per lei un affetto sconfinato e aveva cercato di dargli quel calore che lui non aveva mai avuto. Si era arrabbiato quando lo aveva schiaffeggiato, ma lei aveva dato prova di volergli bene e lui l’aveva perdonata all’istante. Non poteva lasciarla andare via, solo per finire i suoi giorni in qualche paese sperduto, dove magari lo Slender non l’avrebbe mai trovata, ma nemmeno lui. E allora con chi avrebbe condiviso la propria esistenza? Aveva paura di perderla, più della paura di affrontare quel mostro per sancire il diritto di entrambi di avere una vita normale, esclusi dalle mire di un mostro millenario che aveva preso Ethany per un rompicapo, niente più del prossimo problema indispensabile da risolvere per affermare ancora il proprio potere e per vivere ancora, sempre sulla morte degli innocenti.

Zack si alzò e bussò alla porta di Ethany.

Ethany alzò la testa e gridò: “Avanti!”, sempre evitando di guardare quella presenza che, alla fine, si era stancata e se ne era andata. Aveva girato la chiave quando si era alzata la prima volta. Zack entrò nella stanza. In volto aveva scritta la determinazione di non lasciarla andare. “Ethany, non puoi pensare di mollare tutto di punto in bianco. Io ti conosco, e sei tutto fuorchè una stupida. Tua madre potrebbe non morire a causa dello Slender, ma di crepacuore quando scoprirà che sei scappata sì”. Quelle parole si infilavano come aghi appuntiti nel cuore di Ethany, e lei sapeva che Zack lo stava facendo a posta a farla sentire in colpa, faceva tutto parte del suo piano. “Lo stupido qui sei tu. Proprio a causa tua mi è venuta in mente questa idea, dopo che mi hai detto quella cosa in bagno.” Mentre lo diceva, Ethany arrossì lievemente al ricordo, ma continuò a fissarlo imperterrita, osservandolo mentre si sedeva sul letto davanti a lei. Zack sorrise e disse: “Se non te lo avessi detto, un giorno avresti avuto una bruttissima sorpresa. Non sottovalutarlo, Ethany. Pensi che solo perchè ti allontani lui ti lascerà in pace, o lascerà in pace noi? Potrebbe farti arrivare la notizia in qualunque momento, magari quando ti sei pentita di essere partita e torni solo per ritrovare un cumulo di macerie”. Quelle parole. Facevano male. Dette da lui. Sì, le stava dicendo proprio lui. “E cosa dovrei fare allora? Lasciare che uccida tutti per poi uccidermi comunque? Aspettare qui, solo per prolungare l’agonia?”, chiese Ethany, ormai in lacrime. Zack si sarebbe voluto strappare il cuore per non sentire quanto la stava facendo soffrire. “Cercare una soluzione”, disse lui apparentemente impassibile, anche se dentro gli si agitavano mari e oceani.  

*Angolo dell’autrice*

Lo so che è un pochino da gasati dirlo ma amo la mia storia alla follia! Ho scritto questo capitolo e il precedente in un giorno solo perchè ho tantissima voglia di continuare la storia e sono a mille *-*

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Capitolo 6
*** Capitolo 5: Non esiste soluzione ***


Capitolo 5: Non esiste soluzione

Ethany non aveva mai visto Zack così deciso. Credeva davvero che una soluzione ci fosse? Si asciugò le lacrime e guardò fuori dalla finestra per un tempo che le sembrò infinito. “Non c’è una soluzione”, disse, con voce così sottile che dubitava di aver persino pronunciato quelle parole. “L’hai cercata?”, le chiese Zack, con malcelata ironia. “Se vuoi solo farmi incazzare puoi anche uscire”, disse allora Ethany con voce atona. Continuava a guardare fuori, e quando si girò vide che Zack non c’era più. Bene. Se n’era andato. Improvvisamente sentì un formicolìo sui fianchi che la fece piegare in due dalle risate, e anche se voleva restare seria non ce la fece: cadde di faccia sul letto ridendo a più non posso. “Zack! Smettila!”, riuscì a dire tra le risate. Le mancò il fiato: Zack aveva smesso di farle il solletico e ora la guardava, la guardava come se non ci fosse niente di più bello al mondo. “Zack … no …”, tentò di fermarlo, ma lo voleva, come se fosse l’ultima persona sulla terra. Zack si avvicinò e la baciò, un bacio delicato e tenero, che quasi le fece fermare il cuore. Inarcò la schiena per baciarlo di nuovo, e ancora, e ancora, come se fosse l’ultimo giorno sulla terra. “Dimmelo adesso che non c’è una soluzione”, le disse lui contro le sue labbra. “Non c’è”, disse Ethany, divertita. Zack la spinse sul letto e le tenne ferme le spalle, continuando a baciarla. “Dimmelo ora”, e le sigillò le labbra con le sue per impedirle di parlare. Ethany cercò di divincolarsi, ma quando era finalmente riuscita a liberarsi dalla sua stretta, lui la abbracciò così forte che sentiva il suo cuore battere contro il petto. Spesso sua madre l’aveva presa in giro perchè era piatta come una tavola, ma Ethany aveva il sospetto che a Zack non importassero queste cose, altrimenti non le avrebbe nemmeno rivolto la parola. Rimasero abbracciati per molto tempo, finchè Ethany non sentì il suo cuore accelerare di nuovo. “Resta, ti prego”, le mormorò Zack. “Troveremo una soluzione, secondo te, restando così?”, gli chiese Ethany, ma lui non la lasciò andare. “Magari se restiamo così abbastanza a lungo il mondo si fermerà e resteremo solo noi due”, ridacchiò Zack. Ethany VOLEVA restare in quel modo per sempre, ma il suo stomaco brontolò. “E se prima mangiassimo?”, gli mormorò emozionata. Lui si sciolse dall’abbraccio e si mise a gambe incrociate di fronte a lei. “Mi devo sempre ricordare che quando si tratta di bulli posso proteggerti in ogni modo, ma questo è un problema più complicato. Tu devi proteggere me. Sembra quasi una barzelletta. E non dimentichiamoci di tua madre”, sorrise Zack, un sorriso un po’ amaro. Ethany deglutì. “Quella sera ... non sono riuscita a salvare nessuno, tranne me stessa”, disse con rammarico. “Credo fosse perchè loro non avevano questi con i quali convincerti”, le rispose Zack, e la baciò di nuovo. Ethany rise ma tornò subito seria. Non sarebbe stato facile, ma non si sarebbe arresa. Aveva ancora paura per Zack, ma stavolta non voleva scappare, al contrario, voleva affrontare i suoi problemi, per quanto un mostro che voleva ucciderti non poteva essere classificato come un banale “problema”.
Mangiarono, e mentre Ethany cucinava Zack non la smetteva di guardarla e di trafficarle attorno, come se non si stancasse mai. Quando rischiò di far cadere il piatto che le stava porgendo, Ethany sbuffò: “Zack, se continui così non mangerai mai più!”, lui abbassò la testa come un cucciolo bastonato e le disse: “Scusami. Ma non posso fare a meno di pensare ...””A cosa?”, gli chiese Ethany, mentre salava la pasta. “Cosa siamo noi, adesso?”, le mormorò in un orecchio, come se potesse sentirlo qualcun altro. Era esattamente dietro di lei, e l’aveva abbracciata mentre poggiava il mento sulla sua spalla e le bisbigliava quella domanda. “Cosa ... siamo ...”, ripetè Ethany, stordita. La sua vicinanza la metteva ancora un po’ a disagio. Lui parve capirlo dal brivido che le attraversò la schiena e si ritrasse. “Voglio solo capirlo con certezza, tutto qui. Non voglio una risposta subito, anche se ti senti obbligata a darmela”, precisò. Ethany voleva rispondergli, ma non era sicura di cosa dirgli. Che ormai, dopo quel passo, non voleva essere niente di meno della sua fidanzata? Che l’aveva baciata lui, e doveva quindi rispondersi da solo? Ethany non sapeva abbastanza dell’amore, ma per lei quello che sapeva su come la gente se lo dimostrava era abbastanza. Certo, l’amore non si riduceva solo a quello, ma il sesso era anche un passo importante in una relazione. Non che lei stesse pensando di ... non lo stava pensando vero? “Sono troppo giovane e stupida”, si disse, “e non sono pronta”. “Perchè mi hai baciata?”, le sfuggì dalle labbra, una domanda allo stesso tempo neutrale e pericolosa. Zack alzò lo sguardo su di lei. “Io ... sentivo già di volerti baciare da un pò e ... non sopportavo di lasciarti andare da sola”. Tenero, ma comunque non si era sbilanciato troppo. Ethany pensò che non le aveva detto cose come “ti amo” o roba del genere, ma lo sguardo con cui la fissava era più che eloquente. Sentiva già di sciogliersi, solo perchè lui la stava guardando. “Dov’è finito il tuo orgoglio da donna? Un’occhiata di un qualsiasi ragazzo e ti senti in paradiso? Mostra che ti deve meritare!”, sbraitò la sua voce interiore. Si avvicinò a lui e appoggiò un mano sul suo petto, mentre il suo cuore accelerava. Lo sentiva distintamente sotto il palmo. “Perchè?”, ripetè. “Io non sono una ragazza, sono un mostro. Ho abbandonato al loro destino i miei amici solo per salvarmi e la gente ormai non mi considera più un essere umano, per le atrocità che avrei potuto commettere. Perchè qualcuno”, e qui arrivò sull’orlo delle lacrime, ”dovrebbe volermi baciare?”. La sua mano cadde, ma Zack l’afferrò. Poi prese fiato e cominciò: “Io non mi fido di nessuno, nemmeno di me stesso. So di essere impulsivo e di dovermi meritare la tua fiducia prima di fare qualsiasi cosa che ti riguardi, ma sono anche il ragazzo che fa tutto alla rovescia. Io ero alla fiera un anno fa, ma ho solo sentito che una bambina si era sentita male e che sua madre aveva detto a tutti che sarebbero andati a casa. Ma io ti ho visto piangere e il mio cuore tenero si è spezzato in due. Quando ci siamo incontrati a scuola non potevo credere che tu fossi la stessa bambina piena di vita che solo un anno prima aveva combattuto qualcosa di terribile. Te l’ho visto negli occhi che eri terrorizzata. Ma quando ho sentito la vera storia ho avuto ancora più paura per te e ho cominciato a difenderti. E più andavo avanti, più mi accorgevo che non ... riuscivo a starti lontano. Sentivo che il mio non era semplice affetto”. Ethany durante tutto il discorso lo aveva guardato, sempre più incredula. “Pensi di essere peggiore di me? A dieci anni ho detto a mia madre di andarsene perchè faceva soffrire mio padre. Lo tradiva continuamente e non se ne preoccupava. Lui la amava troppo per chiedere il divorzio. E quando gliel’ho detto mia madre ha quasi cercato di tagliarmi una mano”, terminò, mostrando a cicatrice che gli segnava l’interno del polso. “Sono quasi morto dissanguato quel giorno, e mio padre credeva che non ce l’avrei fatta. Anche io lo credevo. I giorni seguenti ho creduto di essere morto, non mangiavo e non dormivo. Non trovavo una ragione per vivere e le attenzioni delle compagne che mi facevano visita in ospedale mi infastidivano soltanto”, disse guardandola in modo esplicito. “Oh Zack ... io credevo ...” ”... di essere l’unica a portare un grosso fardello? Ero distrutto dopo l’ospedale e quando ti ho vista, altrettanto distrutta da qualcosa di addirittura più logorante, ho deciso che non potevo lasciare che affrontassi tutto questo da sola”. Ethany era meravigliata che le stesse accordando tutta quella fiducia. Intanto il pranzo si stava raffreddando sul tavolo, ma lei non ci fece caso. “Nessuno di noi vive completo. Tutti siamo distrutti da qualcosa, finchè non troviamo qualcuno distrutto come noi. E’ la tenebra che ti porti dentro, quella che io stesso ti voglio togliere, a farmi desiderare di baciarti”, le confessò, ed Ethany posò le sue labbra su quelle di Zack, sentendolo respirare veloce mentre portava le braccia dietro il suo collo e lo stringeva fortissimo, più di quanto avrebbe immaginato di stringere una persona. Ethany lo sentì piangere e gli asciugò le lacrime con le dita, come aveva fatto lui pochi minuti prima. Lo sentì ridere. Forse, se quella maledizione non fosse entrata nella sua vita, lei non avrebbe avuto Zack, a stringerla ed accarezzarla e consolarla.
Passarono il pranzo a mangiare e guardarsi, uno di fronte all’altra, e subito dopo salirono in camera. Zack si limitò a camminarle accanto. “Queste cose ... non le hai mai dette a nessuno?”, disse Ethany, svicolando dalla vera domanda che voleva porre. Zack si fermò. “Secondo te di chi mi sarei potuto fidare abbastanza?”, disse. Stava sorvolando sul fatto che era stato solo per la maggior parte della sua vita e che quindi la sua domanda era inopportuna. “Mi dispiace”, disse Ethany, continuando a salire le scale, “non era questo che volevo domandarti”. Ormai arrivato alla porta della sua camera, Zack chiese: “Cosa, allora?”. Già, cosa? “Hai detto che ... è la tenebra che porto dentro che ti spinge a ...”, evitò di soffermarsi troppo sulla parte del baciare, perchè una parte del suo cervello era ancora connessa a quel momento in cui le labbra di Zack avevano trovato le sue e ... oddio, stava iperventilando. “Con questa intendi la profezia che mi ha cucito questo destino addosso o qualcos’altro?”. Zack la stava scrutando con occhi pieni di dolore. “Pensi che io vada a caccia di ragazze che hanno un destino orribile solo per farle innamorare di me prima che compiano il loro destino?”, le chiese disgustato. “Cosa? No, assolutamente no! Volevo solo chiarire la faccenda del motivo”, disse Ethany, mortificata. Zack le sorrise e si avvicinò. “Ho sempre vissuto praticamente solo, visto che mio padre era sempre fuori per lavoro. Quindi ho imparato a badare a me stesso e a pensare solo a me stesso. Al mio dolore. Quando ti ho incontrata a scuola, ho capito che c’era qualcosa più importante dei miei problemi e ho cominciato a legarmi a te, e a desiderare di far scomparire il tuo, di dolore. Il tuo rifiuto di essere toccata, la tua riservatezza, invece di farmi allontanare mi avvicinavano, e riguardando indietro mi sono chiesto da quando ero diventato così schifosamente egoista. Sei diventata il mio motivo per vivere. E vivere senza baciarti è come non ringraziarti mai per quello che mi hai fatto diventare. Ti basta?”, concluse, tutto d’un fiato. “Basta e avanza ... grazie a te anche io sono cambiata, per una volta una persona che non fosse della mia famiglia mi ha fatto sentire come se non portassi il malocchio ovunque vada ... a prescindere di quello che dice la gente ... di quello non me ne importa più, se posso avere te”, gli disse Ethany, probabilmente confessando quello che non aveva nemmeno ammesso a se stessa. Zack appoggiò la fronte alla sua. “Sono qui, e sono tuo, ma le risposte che cerchi io non te le posso dare. Le possiamo cercare insieme però”, aggiunse.
Lo Slender stava guardando la finestra della camera di Ethany. Esultò quando i due ragazzi si baciarono, ma le sue aspettative furono deluse quando si alzarono e andarono di sotto, probabilmente per mangiare. In fondo se l’era aspettato che non arrivassero al punto, ma era stanco di aspettare. Per seguire Ethany, conoscerla, studiarla, aveva abbandonato le sue uccisioni abituali e quasi gli mancavano le urla dei bambini. Era come una droga, dalla quale però si stava disintossicando perchè spiare Ethany occupava tutto il suo tempo. Odiava così tanto dover abbandonare il suo compito ...                                                                                                               Perchè era un compito. Non ricordava chi gliel’avesse dato, non ricordava niente del suo passato, ma dato che gli piaceva procurare dolore non era stato a rimuginarci troppo tempo sopra. E a forza di seguire quella ragazzina conosceva i suoi abiti preferiti, la sua routine quotidiana e le persone che frequentava. E non poteva fare a meno di pensare che fosse un essere umano molto insulso. Ma allora perchè quel ragazzo le si era avvicinato? E l’aveva baciata, poi. Doveva indagare anche su di lui. Sapeva che era l’arma giusta, ma non voleva farsi trovare impreparato.

*Angolo dell'autrice*

E sulle note dei pensieri allegri di Slender concludiamo questo capitolo :D ammetto di aver perso un po’ l’ispirazione ma sono convinta di voler continuare :D la storia non sarà molto lunga, non voglio farla tediosa e tuttavia sembra che descrivendo ogni minimo particolare i capitoli diventato lunghissimi D: magari da autrice ho questa impressione, mentre da lettori a voi sembrano corti :/ comunque, vi voglio bene perchè guardate e recensite e pensate anche solo di dare un’occhiata :D mi rendete felice :D

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Capitolo 7
*** Capitolo 6: Storie ***


Perdonatemi ma ho avuto la febbre e starnutivo e tossivo a più non posso :( spero che il capitolo sia di vostro gradimento :D
 

Capitolo 6: Storie

Si avvicinarono insieme al computer ma dato che c’era una sola sedia e che era grande a sufficienza Ethany si sedette in braccio a Zack, tremando di imbarazzo. “Cos’è, ora sei diventata intraprendente?”, le disse divertito. Le fece spazio in modo che lei non dovesse stare più in alto e non vedesse bene il monitor. Poi cominciarono.
Fu una ricerca estenuante, che li lasciò senza fiato per la marea di supposizioni che internet offriva. A detta di quegli svitati che lo popolano, lo Slender volava, sentiva tutto nel raggio di cento miglia, poteva ucciderti con lo sguardo , sapeva spegnere le fonti di illuminazione e far calare il silenzio, o anche ucciderti dalla paura e fermarti il cuore. Sommerso da quell’ondata di informazioni, Zack disse: “Come hai fatto a non impazzire davanti a tutto questo?”, e subito dopo desiderò tapparsi la bocca. Non era proprio il caso di rievocare momenti simili. “Scusami, non volevo ...”, disse, ma lei si era voltata e si era incupita: “Sinceramente non lo so”. “Ok, allora ... ehm ... direi che sapere qualcosa di più sul passato dello Slender ci aiuterebbe. In fondo, lui ormai saprà tutto di te, ma noi ... non sappiamo praticamente nulla su dove venga o da quanto tempo esista o altro”, disse Zack per togliersi d’imbarazzo. Ethany lo guardò. “Pensi davvero che non ci abbia provato sul serio? Ho cercato di tutto ma non ho mai trovato niente”, disse affranta e un po’ risentita. “Non dubito che tu abbia fatto qualsiasi cosa per trovare informazioni ma forse ... hai semplicemente cercato nei posti sbagliati. Dal quel che vedo, sei andata su blog frequentati esclusivamente da nerd o idioti che non hanno niente di meglio da fare, siti di leggende, addirittura sul sito della Chiesa ...”, e mentre lo diceva aveva sempre più difficoltà a credere che avesse cercato seriamente. Ethany si era girata a guardarlo, ma un dubbio le attraversò la mente: “Come fai a sapere che ...”, balbettò, finchè non guardò il monitor e vide che Zack aveva aperto la cronologia. Prese il mouse per evitare che scendesse ancora e vedesse i siti su come conquistare un ragazzo. Ci era andata spesso, fantasticando di avere un fidanzato. Mentre muoveva disperatamente il mouse in cerca di una via d’uscita, si accorse di aver appoggiato la mano sopra quella di Zack, esattamente sopra il mouse. “Ethany, se c’è qualche problema preferisco che tu me lo dica invece di nascondere palesemente la verità”, disse offeso. “Ha ragione. E poi ora che siamo ... quello che siamo, non posso nascondergli niente”, pensò Ethany. “Il problema non c’è ... almeno non più”, disse Ethany, ma quando Zack la guardò sospettoso, proseguì “Prima di ... quello che è successo oggi, mi sentivo molto sola e sentivo il bisogno di qualcuno che mi stesse accanto in modo più ... forte. Per questo ho frequentato molti siti per ragazze che insegnano come conquistare l’anima gemella o riconoscere i segni dell’innamoramento di qualcuno ... ma evidentemente tu mi hai colto di sorpresa”, terminò. “Va bene, non parliamone più. Vorrei conquistare la tua fiducia e non sono nemmeno capace di fidarmi io stesso ...” ”Zack, le abitudini sono difficili da sradicare. Anche se ora stiamo insieme, siamo rimasti sempre il ragazzino coraggioso e affascinante e la ragazzina spaurita”. Ethany non ci poteva credere. L’aveva detto. “Se continui a dirmi quanto sono coraggioso e affascinante non usciremo da questa camera per il resto della vita”, ridacchiò Zack, sollevato. “ZACK!!! Ti sembra il momento?” ”Scusa, prometto che farò il bravo, ora andiamo a farci un tuffo nella storia del sedicente Slenderman ...”
Navigarono fino a tardo pomeriggio. Ethany si era addormentata, cullata dal respiro di Zack, e lui cercava di muoversi il meno possibile per non svegliarla, ma pesava e Zack non era mai stato particolarmente forte. Decise di fare un ultimo tentativo negli archivi della polizia, e trovò un quotidiano che recitava: INCENDIO SCOPPIA IN CASA: PERDONO LA VITA UN UOMO E IL SUO BAMBINO. In quel momento sentì suonare il campanello. Cominciò a tremare, svegliò Ethany che, dopo qualche secondo, spalancò gli occhi sentendo suonare di nuovo: “E’ mia madre!”, disse precipitandosi giù dalle scale, impaurita. Doveva essere sua madre. Appena Ethany aprì la porta, sua madre la guardò stupita: “Ethany! Hai fatto un incontro di lotta libera con dei cuscini?”, solo in quel momento Ethany si rese conto del suo aspetto, guardandosi nello specchio dell’ingresso: i capelli erano arruffati ed erano ben visibili su una guancia le grinze lasciate dal maglione di Zack. “Ethany, chi c’è con te? Sento l’odore di profumo da uomo”, disse sua madre sospettosa. Era sempre terribilmente sospettosa. Ethany si schiarì la voce: “Nessuno mamma, solo Zack”.
Teresa finse di non aver capito e di bersi quello che aveva detto Ethany, ossia che l’aveva invitato per pranzo e stavano facendo una ricerca per un compito. Ma le grinze sulla sua guancia, i capelli in quello stato e l’aria da zombie testimoniavano che aveva dormito fino a poco tempo prima. E se veramente dovevano fare una ricerca, perchè si era addormentata? Con Zack nella stanza poi ... inoltre il profumo da uomo che sentiva non era nella casa, era lei che profumava in quel modo. E ciò poteva solo significare che poco prima erano stati a contatto.
“Ciao Teresa! Che bello rivederti! Come stai?” ”Bene Zack, tu?” ”Non c’è male”
Il letto non era disfatto o rifatto in tutta fretta (di questo una mamma se ne accorge!! ) e non c’era niente sul pavimento. Teresa sorrise. “Vi porto la merenda e poi vi lascio a ‘studiare’”, disse scendendo le scale. Ethany si voltò per osservare l’espressione di Zack: era pallido come Slender. “Dici che ha capito qualcosa?”, sussurrò Ethany per non farsi sentire. “A giudicare da come ha guardato il letto e da come ha sorriso poi, direi che qualcosina ha capito”, le sussurrò di rimando Zack. “Chiamerò i servizi segreti per avere un po’ di privacy, mi ha fatto gelare il sangue”, disse Ethany, poi si sedette sul letto, mentre Zack ritenne più prudente sedersi al computer. Teresa risalì con in mano un vassoio pieno di dolcetti e due spremute di succo d’arancia. Zack si precipitò a prenderne uno. Teresa, vedendo con quale velocità si era fiondato sulla merenda, cominciò indignata: “Ethany ...”, ma lei guardava imbufalita Zack, che a sua volta si girò. Con la bocca piena di panna era uno spettacolo buffissimo, voleva scattargli una foto. No, voleva ucciderlo, perchè a pranzo non aveva quasi mangiato e ora lei sarebbe stata quella che lo aveva fatto morire di fame. “Mamma, chiedi a lui prima di accusarmi”, disse, trattenendosi per miracolo. Zack ingoiò il pasticcino prima di soffocare. “Non avevo molta fame a pranzo e non ho mangiato molto, così ora sono affamato”, concluse, come se stesse spiegando ad un bambino di un anno che due più due fa quattro. “Basta, io mi arrendo”, disse Ethany ridendo e prendendo un croissant.
Zack mostrò il quotidiano a Ethany e lei si mise a leggerlo: “Non sappiamo se è lui, ma il corpo non è mai stato ritrovato e da allora sono stati riportati moltissimi rapimenti di bambini”, ragionò Ethany. Il quotidiano diceva che l’incendio era scoppiato a causa di una fuga di gas, e che il proprietario precedente era stato indagato e condannato a cinquant’anni. Un modo palese per dire che non sarebbe mai uscito di prigione, visto che cinquant’anni li aveva già all’epoca della condanna. “Potremmo cercare di parlargli ...”, suggerì Zack, “... ma non siamo parenti e non abbiamo nessuno che possa intercedere per noi...”                                          

“Potremmo chiedere a mia madre”, disse Ethany, poi ci pensò su: non glielo avrebbe mai concesso. Ma lei aveva fatto un bel favore alla sua amica Janet, coprendola una volta che non si era presentata in aula perchè era uscita con il suo fidanzato. Ethany sorrise: “No, ho un’idea migliore ...”
La madre di Ethany aveva insistito perchè Zack rimanesse a dormire da loro, e lui, avvisato suo padre, accettò. Ethany quasi rabbrividiva al pensiero di lui che dormiva in casa sua. “Non ti farò dormire sul divano, è scomodissimo e poi il letto di Ethany è matrimoniale”, disse Teresa. Vedeva la sua bambina molto triste e preoccupata, e il minimo che potesse fare era lasciarla sola con Zack. “Per ogni problema sono nella stanza accanto, e ho il sonno leggero, quindi se mi chiamate sarò felice di aiutarvi”, parlava al plurale, ma era un velato avvertimento rivolto a Zack. “Certo”, sorrise lui, con uno strano ghigno. La cena trascorse tranquilla. Ethany prese il suo pigiama e si cambiò in bagno, mentre Zack si cambiava in camera sua. Sovrappensiero, Ethany si accorse di aver dimenticato il pigiama, e totalmente dimentica della presenza di Zack, entrò e lo vide di spalle, a torso nudo e mentre SI STAVA SLACCIANDO I PANTALONI. Immediatamente diventò di tutti i colori e ignorandolo andò a prendere il pigiama e tornò in bagno. Si appoggiò alla porta e si cambiò. Quando tornò in camera, Zack la stava aspettando. “Non si bussa?”, disse malizioso. Lei lo ignorò e si mise sotto le coperte, raggiunta subito dopo da Zack. “Dai, sto scherzando. Ma perchè sei entrata?”, insistè. “Avevo dimenticato una cosa”, bofonchiò Ethany. Lui non disse niente e si girò. “Zack ...” ”Mh?” ”Da quando ho ... insomma, da quasi due anni, non faccio altro che avere incubi, la notte” ”Quindi?” ”Ma te lo devo proprio spiegare?”, sbuffò Ethany stizzita. “No, lo so già”, disse Zack girandosi e abbracciandola. “Dormi. Stanotte non ci saranno incubi. Te lo prometto”.
Invece ci furono. Ed erano orribili. Si svegliò sfinita, con Zack che la abbracciava. “Shhh, va tutto bene, ci sono io”, continuava a ripetere. Ethany piangeva a dirotto, e Zack cominciò a baciarla. Stava iperventilando a soli cinque minuti da un incubo, un record. Tutto merito di Zack. Se avesse potuto averlo lì per tutte le notti a venire ... i pensieri si affollavano, e vide che la maglietta era sparita, e lei era rimasta solo in reggiseno. “Scusa, ma eri tutta sudata, e non potendo uscire da questa camera senza sembrare sospetto, ti ho tolto la maglietta, e per fortuna ti sei svegliata”, disse, stranamente imbarazzato. “Va tutto bene”, disse abbracciandolo.
Dimentichi di tutto ciò che non fosse loro due, il giorno dopo scoprirono che Janet era morta, investita da un’auto. Ethany non sapeva da che parte sbattere la testa. Sua madre era sconvolta e lei non poteva crederci. Il pirata che l’aveva investita non era ancora stato trovato. I loro tentativi di elaborare un piano per parlare al proprietario della casa fallirono miseramente, e così, tre anni passarono, senza che lo Slender facesse sentire la sua ingombrante presenza.
Ma era davvero finita ... ?

EternalSunrise ti sei sbagliata XD Slendy non è in questo capitolo ma tranquilli, ci sarà nell’altro promesso :D

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Capitolo 8
*** Capitolo 7: Betrayal? ***


Scusate tantissimo se non ho aggiunto capitoli ma con i compiti e il mio compleanno di mezzo non ho trovato un attimo :( spero che gradiate il capitolo, personalmente è il mio preferito :D

Capitolo 7: Betrayal?

Ethany era a scuola, di nuovo. Era passato così tanto tempo da quando aveva dormito con Zack ... il ricordo di quella notte la fece rabbrividire, tanto che non si accorse che l’insegnante di arte la stava richiamando. “Mi scusi professoressa”, tentò, ma quella non si fece prendere in giro. “Sei sempre con la testa tra le nuvole, mi sai dire di cosa stavamo parlando?”, proseguì lei, quasi con soddisfazione nel vederla impreparata. Per fortuna ci pensò Becky, che questa volta aveva accanto quel gran bastardo del suo ragazzo, che insieme a i suoi amici aveva picchiato lei e Zack in giardino. Rispose con una velocità sorprendente, in modo da non lasciar passare troppo tempo così la prof non si sarebbe accorta che Ethany non sapeva niente. Inutile, visto che era già palese. Zack non era lì. Quella mattina le aveva telefonato, dicendole di andare subito da lui non appena fosse uscita da scuola. Ethany lo aveva detto a sua madre, che era parsa molto preoccupata. Uscita da scuola le toccò sentire le battute di Madison per l’ennesima volta. “Senti, brutto gallinaccio, non te ne frega una mazza di chi frequento, quindi se vuoi farti Zack evita di sembrare interessata a queste cose solo perchè sai che ci conosciamo”, sbottò. Poi le mostrò un bel dito medio e attraversò la strada. Non si voltò a guardarla, ma era sicura che avrebbe presto pagato le conseguenze delle sue azioni.
Sua madre parcheggiò  davanti casa di Zack. “Sicura di aver preso tutto?”, disse Teresa preoccupata. “Mamma, sono a dieci minuti di strada da casa, se mi dimentico qualcosa non muoio, vengo a piedi e me la prendo”, le rispose nervosa. “Dai, andrà tutto bene”, rispose sua madre abbracciandola. Ethany le sorrise, non del tutto convinta, e bussò alla porta. Le aprì Zack, calmo, ma Ethany poteva vedere che era sconvolto. La tirò svelta in casa e la fece salire in camera sua. Ethany non l’aveva mai vista: la carta da parati era chiara, ma la camera sembrava impersonale, anche se arredata con maestria. Si sedette sul letto, e dopo qualche attimo lui fece lo stesso. “Zack, che cosa c’è?”, disse lei dopo un secondo. “Ethany, in tre anni non siamo diventati più saggi. Abbiamo solo fatto una cosa sbagliata: innamorarci. Io ti amo tantissimo ma ...” “Zack, che cosa stai dicendo?!”, gridò Ethany. Lui fece una faccia stupita e ferita. “Pensi che io ti lascerei dopo tutto quello che ho fatto per te? Dopo che ho speso questi tre anni a curarti, a curarci insieme e non ci siamo lasciati soli un istante, nemmeno per respirare? Abbiamo fatto un errore perchè eravamo due incoscienti che non possono permettersi di ignorare il passato, perchè prima o poi lui torna ... e stavolta è tornato per finire il lavoro”, terminò amareggiato e spaventato insieme. Ethany avvertì il cuore palpitare selvaggiamente. Zack non voleva lasciarla. Voleva solo che si rendesse conto che la spensieratezza di quegli anni stava per finire. “Zack, non può essere tornato ... come fai a saperlo?”, disse, attanagliata da un terribile dubbio. “L’ho visto. Stamattina. Era terribile. Ho sentito la sua voce, direttamente nella testa. Mi diceva che ormai sa tutto quello che c’è da sapere e che stavolta non si permetterà sbagli”, disse, e la guardò. Lacrime di rabbia e di impotenza cominciarono a sgorgare dai suoi occhi. “Io non posso proteggerti e questo mi manda in bestia, sono solo un peso”, ripeteva, mentre vagava per la stanza come un leone in gabbia. “Zack, se tu fossi solo un peso mi sarei già sbarazzata di te da tempo! Io TI AMO, dannazione! Non smetterò di cercare una fottutissima soluzione dovessi finire in capo al mondo e darò qualsiasi cosa perchè quel mostro non ti faccia del male!”, gridò Ethany fino a farsi male alla gola. Zack le sorrise. “Anche io ti amo e non smetterò mai, ma penso di comprenderlo. Cosa faresti se della tua vita passata non ti fosse rimasto niente a parte l’immagine di tuo figlio, se fossi eternamente solo e tutti ti considerassero un mostro per via del tuo aspetto? Penso che anche io inizierei ad uccidere, prima per far tacere tutte quelle cattiverie, e poi perchè l’omicidio è come una droga, una volta che assaggi il sangue non riesci a fermarti”, parlò con voce roca, e quando Ethany parlò, le sembrò che un immenso peso fosse sul suo cuore: “Come fai a saperlo? Hai ucciso qualcuno? Zack, che cosa mi nascondi?” ”Ti ho detto che mia madre ha tentato di uccidermi, ma non che io ero sconvolto, che pensavo che una persona come lei non meritasse di vivere. L’ho stordita con un pugno e poi l’ho uccisa con lo stesso coltello con cui lei aveva cercato di uccidere me”, rivelò Zack, buttando fuori le parole e alla fine si coprì il volto con le mani, disgustato da se stesso. Ethany gli scoprì il viso e mormorò: “In fondo anche io ho fatto la stessa cosa, forse sembra meno brutale, ma anche io ho ucciso, e non una sola persona. So che stai pensando che non è la stessa cosa, ma tu ti sei difeso, io non ho nemmeno provato a difendere i miei amici, li ho condannati a morte, e loro mi hanno visto, nei loro ultimi istanti gridavano, mi chiamavano ... io sono una vigliacca, ma devo ucciderlo. Per loro”, terminò Ethany, ed entrambi singhiozzavano, abbracciati. Dopo qualche minuto, Zack disse: “Dopotutto, conoscerti ha avuto qualche vantaggio: non porto più questo fardello da solo, e ho ottima compagnia ...”, sogghignò, mentre posava la mano sulla schiena di Ethany. Ethany avvicinò la bocca all’orecchio di Zack: “Anche io ho compagnia, e mi sembra piuttosto felice di vedermi ...”, disse, poggiando una mano sul fianco di Zack, e sempre più giù, fino al ginocchio. Zack strofinò la punta del suo naso sulla sua guancia. “Mmmm ... adoro quando fai l’intraprendente ... nononono ti prego basta no basta!!!”, disse mentre si sbellicava e Ethany gli faceva il solletico senza tregua, proprio come aveva fatto lui quella sera ... se ci pensava le venivano pensieri poco consoni alla situazione disperata in cui erano ... ma era pur sempre un’adolescente! “Che ne dici se giochiamo un po’? Mi mancano le tue coccole ...”, disse Zack, mettendo il broncio. “No, hai fatto il cattivo e quindi non ti meriti niente”, rispose Ethany. Era imbarazzata e allo stesso tempo divertita. “E se per caso mi venisse voglia di stare con te, stanotte?”, le sussurrò Zack. Come faceva quel benedetto ragazzo a rendere così sensuale una frase? Mistero. “Allora preparati ad affrontare mia madre”, sorrise Ethany. Zack si fiondò a telefonare e la convinse, con il suo speciale tono di voce stile tua-figlia-non-corre-pericoli-sono-un-bravo-ragazzo, non solo a farla restare a cena, ma anche a dormire. Ovviamente disse che ci sarebbe stato suo padre, bugia colossale dal momento che suo padre era in ufficio e ci sarebbe rimasto fino a notte fonda.
Più tardi Ethany si stava facendo una bella doccia e non si era chiusa a chiave di proposito, volendo constatare quanto “bravo” fosse. Ethany sapeva di sbagliare a provocarlo, però era troppo divertente. Era sadica? Un pochino. Avrebbe smesso? Mai. Sentì il suo cellulare che squillava, ma sicuramente era sua madre e la ignorò. Di tutt’altro avviso sembrava Zack, che rispose: “Ehm ... si Teresa, tutto a posto, ho risposto io perchè Ethany è ... in bagno. Quando esce ti faccio richiamare subito, tranquilla”. Quanto lo amava. Sapeva anche calmare sua madre, che certe volte era ossessiva fino all’inverosimile. Ma il cellulare squillò un’altra volta, e stavolta Zack lo lasciò squillare per un po’. Arrivò un messaggio. Ethany non ebbe il tempo di coprirsi con un telo che lui entrò come una furia senza nemmeno bussare e ... stava per dire qualcosa, ma si bloccò con la mascella aperta alla visione del suo corpo, che diciamocelo, in tre anni non era rimasto poi tanto piatto. Ethany prese svelta un telo e si coprì, ma sfortunatamente nella fretta aveva preso un telo per il viso. Cercò di coprirsi, ma lui disse semplicemente: “Vestiti, dobbiamo parlare”. Il suo sguardo però diceva tutt’altro. Ethany si vestì, pensando distrattamente a cosa volesse dirle. Una volta salita in camera, lo vide arrossire per un attimo, ma l’espressione imbarazzata cedette subito in favore di una inequivocabilmente incazzata. “Voglio sapere chi è. Perchè ti conosce e soprattutto, da quanto va avanti questa storia”, e mentre parlava la guardava di sottecchi. “Cosa? Di chi stai parlando?”, balbettò Ethany senza capire. Prese il suo cellulare e vide una chiamata persa e un messaggio. Entrambi provenivano da un contatto sconosciuto. Ethany strabuzzò gli occhi e lesse il messaggio. “Appena vedi il messaggio chiamami. Non vedo l’ora di vederti! L’ultima volta non ti sei divertita molto ma prometto che stanotte faremo scintille!”
Ethany si buttò sul letto e cominciò a ridere. “Non c’è proprio niente da ridere. Voglio sapere che cosa sta succedendo. ADESSO. E cerca di essere convincente, perchè ho già tratto le mie conclusioni”, disse Zack, palesemente ferito dal suo comportamento. “Il messaggio è stato inviato niente poco di meno che da Brad, con cui sono andata ad una festa qualche tempo fa. Mi aveva invitato visto che ero sola un sabato sera e insieme a un gruppo di suoi amici ... e amiche”, proseguì, “... insomma, abbiamo bevuto un po’, e lui ha cercato di baciarmi. Io gli ho immediatamente detto che ero fidanzata, ma lui ha insistito che il suo era solo un bacio della buonanotte. Sono riuscita ad andarmene e lui mi ha detto che sarei sempre rimasta il suo sogno proibito. Credo fosse un po’ troppo brillo”, ridacchiò lei. “Comunque, da quella sera ogni tanto mi chiama, ma ho capito che è interessato solo a portarmi a letto e quindi declino cortesemente ogni suo invito. Ma lui ci spera sempre”, concluse. Zack esplose: “Quando pensavi di dirmelo? Tutti conoscono Brad e sanno che tipo di persona egoista e strafottente sia. Poteva violentarti lì davanti a tutti, e io cosa avrei fatto?”, disse, e dal suo tono di voce si capiva che era serissimo. “Zack, io non ti ho mai preso in giro. Non conoscevo Brad, se lo avessi saputo non sarei mai uscita, ma visto che tu eri in viaggio con tuo padre e io mi sentivo sola ho accettato il suo invito. Conoscevo alcuni ragazzi e ragazze del suo gruppo e abbiamo passato una bella serata. Non mi ha toccato, e ha detto quelle cose solo perchè era mezzo ubriaco.”, disse tutto d’un fiato Ethany. “Non me lo hai mai detto. E se ti fosse successo qualcosa, io non sarei nemmeno potuto essere lì per aiutarti! Ma ti rendi conto? E ha continuato a darti fastidio per tutto il tempo, e tu non mi hai mai detto niente di niente, avrà pensato che vai con lui perchè il suo fidanzato se ne fotte di te! Sei un’egoista, pensi solo a te stessa e a come passare i sabati, mentre io mi preoccupavo da morire!”, proruppe, e all’istante, desiderò tagliarsi la lingua.
Ethany fece un passo indietro. Zack era completamente fuori di sé. “E’ questo che pensi di me? Che mentre sei via vado a spassarmela solo perchè non ho niente da fare? Sono egoista, è vero, ma perchè volevo che non te ne andassi, perchè se ti fosse successo qualcosa sapevo che sarebbe stato per colpa mia, solo mia! E mentre ero angosciata da morire per te, ho visto un’occasione per non passare la giornata a deprimermi e l’ho colta. La gente che conoscevo lì non avrebbe permesso che mi accadesse qualcosa, perchè il proprietario della discoteca dove siamo andati è mio zio e non mi staccava gli occhi di dosso! Quando Brad ha tentato di baciarmi è corso da me e mi ha aiutato! E poi non ho mai accettato le sue proposte indecenti, nonostante mi chiedesse almeno tre volte al mese di scopare! Sempre a dirgli che sono fidanzata! Ha minacciato di picchiarti perchè gli dicevo che non mi lasciavi andare da nessuna parte come scusa!”.
“Mi ... dispiace, io non lo sapevo, scusami. Perchè non me lo hai detto prima? Avrei trovato una soluzione, incluso picchiarlo a sangue”, disse Zack dispiaciuto. “Ah, ora ti dispiace?! Pensaci due volte prima di parlare! Non sono un’incosciente, l’avevo bloccato e per sicurezza avevo cambiato numero, ma qualche idiota dei ragazzi che erano lì quella sera gli ha dato anche quello nuovo!”. Zack si era avvicinato, ma lei era così arrabbiata che fece un passo avanti a sua volta. “Non sai quanto mi senta una merda in questo momento. Ti prego, perdonami: non avrei mai dovuto dire quelle cose stupide. Io mi fido di te, ma se penso a quello che avrebbe potuto fare se avesse avuto campo libero ...”, la pregò, mentre stringeva i pugni al pensiero. “Tu ... sei geloso? Geloso ... di uno come Brad?”, Ethany non riusciva a crederci. Aveva fatto tutto quel gran casino perchè era geloso? Zack si avvicinò ancora di più, fino a sfiorarle il fianco dicendo: “Io sono geloso di TE. Tu sei mia. E non sto parlando del mio zaino, della mia stanza, ma della mia FIDANZATA”, scandì bene l’ultima parola, facendo scivolare la mano in alto. Ethany cominciò a sentire il cuore accelerare i battiti, il respiro farsi affannoso e quando sentì la consistenza delle labbra morbide di Zack sulle sue credette di sognare. Niente era più sconvolgente di sentirlo mentre la baciava. Non ci sarebbe stato niente di più bello al mondo. Mai. Ad un tratto Ethany sentì che Zack stava scivolando sul pavimento e l’abbraccio in cui erano avvinti la fece cadere sopra di lui. Ma quello non era più Zack. Aveva gli occhi vuoti, un’espressione malvagia si stava facendo strada sul suo viso e le sorrideva con un ghigno distorto. Ethany sentì il cuore accelerare ancora di più, ma per la paura. Zack era rigido come uno stoccafisso, continuava a stringere le braccia sui suoi fianchi e ad un certo punto le chiuse sulla sua gola, facendole mancare l’aria. Ethany annaspò, cercando di graffiarlo, ma si sentiva debole e stordita. Prima di svenire raccolse le forze e balbettò: “Z-zack combattilo ....” Poi, il buio.
Nel limbo dell’incoscienza, Ethany sentì una voce sottile e fredda che le parlava. “Sei cresciuta, vecchia amica ... quello che ho fatto prima era solo un assaggio, e Zack sa che cosa lo aspetta ... ha solo paura di lasciarti sola e ferita, con me che ti guardo dal bosco mentre mi preparo ad ucciderti e tu resti inerme davanti a me, pronta a raggiungerlo ovunque sia ... mi ha offerto la vittoria su un piatto d’argento, ma non mi accontenterò. Ti ucciderò con le mie mani e dopo ti esibirò davanti alla casa di tua madre”, disse, le parole taglienti come lame. Ethany pensò alla profezia. Aveva visto chi non aveva pace, le stesse anime che ora non davano pace a lei, aveva visto l’uomo senza volto. Per quanto riguardava il compito epocale che la attendeva, si trattava di uccidere o essere uccisa. Ma vedere sbocciare l’amore in Lui ... Ethany non aveva mai capito quel verso. Se lo avesse ucciso, non si sarebbe certo pentito all’ultimo secondo. E se Lui l’avesse uccisa, niente lo avrebbe fermato.
Ethany tossì. Si svegliò sul pavimento, con gli occhi che le lacrimavano. Strisciò verso Zack con cautela, per paura che fosse ancora sotto l’influsso dello Slender. Lui aprì gli occhi, se li strofinò e solo allora si accorse dei graffi che aveva sulle mani. La guardò e immediatamente andò a strisciare in un angolo della stanza, con gli occhi sbarrati e sussurrando: “No ... NO! Non ti avvicinare, Ethany, vai via!”, lei si avvicinò lentamente e gli prese le mani. “Zack, guardami. STO BENE. Sapevamo che sarebbe successo. Mi serve che tu stia con me, devi aiutarmi, ti prego ...”, disse, mentre lacrime calde le scendevano lungo le guance. Zack la allontanò. “Ethany, mi dispiace. Non posso. Sono un pericolo. Ha trovato l’arma perfetta! Sono forse l’unico umano che può controllare nel raggio di cento chilometri! E sono il più vicino a te ... se ti dovesse succedere qualcosa per mano mia, non potrei sopportarlo. VAI VIA”, continuò implorandola. Ethany pensò a quello che aveva detto lo Slender. “Zack, mi ha detto che non si fermerà. Non servirà a niente cercare di proteggermi! Devi spiegarmi! Io non posso farcela da sola!”, si disperò Ethany, e in quel momento, suonarono alla porta.

Cominciano a volare i piatti in questa casa ahaahahahahah :D che parto indolore questo Zack gelosone :D

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Capitolo 9
*** Capitolo 8: Sensi di colpa ***


Ora potete uccidermi perchè non ho pubblicato niente per due settimane :D giuro che non l’ho fatto apposta, ma prima non avevo idee e adesso sono a letto senza nemmeno la forza di alzarmi :( stranamente le idee mi vengono quando sono nello stato peggiore. Mah.

Capitolo 8: Sensi di colpa

Il suono del campanello era quanto di più estraneo potesse sentire in quel momento, come una melodia in mezzo al baccano. Ethany andò ad aprire come in trance e si vide davanti quella smorfiosa di Madison, che ovviamente notò le sue lacrime e i suoi capelli arruffati. Sfoderò un ghigno: “Sono venuta a vedere come sta Zack. Spero che tu non l’abbia maltrattato. Soffre già abbastanza ad essere costretto a stare con te”, concluse con una smorfia. Ethany sentì un calore che la rimescolava e senza pensarci troppo le tirò un pugno dritto sul naso. L’impatto la fece sentire bene. Quasi come se avesse picchiato quel vigliacco dello Slender, che aveva preferito agire tramite Zack. Non che avesse problemi a sporcarsi le mani, comunque.
 Madison corse in casa precipitosamente gridando e chiamando Zack, che dalla sua camera scese di sotto per vedere quello che era successo. Vide Madison che si teneva il naso gonfio e spalancò gli occhi. Lanciò un’occhiataccia a Ethany che lo ricambiò. Se non voleva spiegarsi, tanto meglio. Lui intanto stava prendendo del ghiaccio dal freezer e lo stava applicando sul naso di Madison, che continuava ad agitarsi come se avesse il naso rotto. “Mi dispiace molto Madison. Dimmi, perchè eri venuta?”, disse Zack, evitando di guardare Ethany. “Volevo vedere come stavi. E’ da un po’ che non ti fai vedere a scuola”, disse lei con voce piagnucolosa. “Inoltre, Ethany mi aveva detto che sarebbe venuta a parlarti, e che voleva rompere con te. So quanto tutto questo possa essere destabilizzante e volevo solo offrire il mio aiuto. Ho sempre voluto conoscerti meglio”, proseguì con un sorriso smagliante. Ethany fece un passo avanti, pronta a sfondarle la faccia con un altro pugno, ma Zack la fermò. “Madison, per quanto apprezzi il fatto che tu sia venuta e che ti preoccupi per me, dubito che tu dica tutta la verità. Spara quello stai pensando”, la esortò. Lei non chiedeva di meglio. “So che stai con lei solo per compassione e volevo mostrarti cosa ti perdi”, disse alzando le sopracciglia e lanciando a Zack uno sguardo carico di sottintesi. Che troia. Ethany serrò la mascella e sentì i denti scricchiolare. “Madison, sei davvero carina a volermi aiutare ad ampliare i miei orizzonti, ma ti assicuro che non perdo niente. Anzi, ci guadagno, e non nel modo in cui stai pensando”, la avvertì, con tono minaccioso. Lei lo guardò schifata. “Pensavo avessi più buonsenso, Zack. Non pensare che sia finita qui”. Detto questo, infilò la porta furibonda, ancora con la borsa del ghiaccio sul naso.
Ethany si era miracolosamente trattenuta dallo spalancare la bocca. Quell’affermazione suonava così fuori luogo rispetto alla situazione in cui erano prima ... se doveva essere accorto anche lui, perchè tossì, imbarazzato. “Adesso andrà in giro a raccontare che l’hai colpita tu”, disse, con un tono strano. “Non mi sembra che sia vietato picchiare una ragazza a casa di qualcuno, a meno che non si faccia a scuola. Quindi non mi sento colpevole”, precisò Ethany, con un tono acido. Dopodichè se ne andò nella stanza degli ospiti e lo lasciò solo.
La cena fu molto silenziosa. Appena Ethany finì quello che aveva nel piatto, si alzò e si rifugiò nella sua stanza per quella notte, perchè aveva deciso di non dormire con Zack. Lui era troppo sconvolto e lei troppo arrabbiata per dormire come si deve. Si appoggiò contro la porta e respirò affannosamente finchè il dolore non si sciolse in lacrime, poi raggiunse il letto e si addormentò. Si svegliò in un bosco. Il cuore cominciò a batterle forte. “No, non voglio essere qui ...”, pensò lei, mentre esplorava intorno a sé. Avvertiva un odore strano, metallico, quasi come ... sangue. Era dappertutto, ma non si vedevano cadaveri. Tranne uno. Il suo corpo era appeso in croce ad un albero, e il sangue colava da uno squarcio sul suo petto. Per terra sul un foglio c’era una frase, scritta con il suo sangue. Ethany rimase senza fiato. Gli occhi vitrei di Zack la scrutavano. Non erano più verdi, ma bianchi, come svuotati. Le sue vesti erano macchiate e strappate. Ethany si costrinse ad abbassare lo sguardo e a leggere. “Ti aspetto ...” “NOOOOOOOOOOOOOO!!!!”, gridò Ethany, e sentì due braccia che la tenevano stretta, cercavano di stritolarla, di soffocarla tra le loro grinfie. Le lenzuola si erano fatte un peso insostenibile e tutto il suo corpo era ricoperto di sudore appiccicoso. “Ethany, svegliati! E’ solo un sogno!”, disse una voce. Ethany riconobbe Zack e scoppiò a piangere tra le sue braccia. Lui la abbracciò e sentì che il suo cuore batteva fortissimo. Dopo alcuni minuti Ethany si calmò e si sedette sul letto. Per qualche minuto stettero in silenzio, poi Ethany decise che non ne poteva più, ma prima che potesse fare qualsiasi cosa, Zack le disse: “Dovresti farti una doccia. A volte aiuta”. Il tono con cui lo disse era così partecipe che Ethany si chiese se non avesse avuto anche lui incubi del genere. “Ti vedevo”, disse lui, come rispondendo alla sua implicita domanda. “Dopo che mi ha ucciso, ho visto la scena con i miei occhi, ma sono riuscito a svegliarmi prima di te”, proseguì, come se stesse raccontando un fatto di normale cronaca. “In questo caso dovresti farti una doccia anche tu”. “Sei sicura?”, le disse lui. “Si, anche tu sei sudato”, disse lei, facendo finta di non capire. Si vergognava troppo a chiederlo apertamente. Lui fece un ghigno. “Vediamo se ho capito bene. TU vuoi entrare nella stessa doccia con ME? Nello stesso momento? Cioè, nel senso che ...” ”SI, Zack. E se non arrivi entro cinque secondi, ti chiudo fuori”, sbuffò lei furibonda. Corse rapida verso il bagno ed era quasi riuscita a chiudere la porta, quando il piede di Zack bloccò la porta. “Dove credi di andare, piccolina?” ”In un posto dove non ci sei tu”, gli rispose Ethany. Zack spalancò senza fretta la porta e la chiuse a chiave dietro di sé. Poi la infilò nella tasca posteriore dei jeans. Ethany lo guardò stupita. Era sicura di essere diventata di almeno venti tonalità di rosso. Lui si tolse la maglietta del pigiama, rivelando il suo petto nudo. Poi si avvicinò lentamente a Ethany e le prese con cautela il bordo della maglietta, per avere il suo consenso. Sapeva quanto poteva essere pericolosa. “Vai”, gli disse lei. Con un movimento veloce le sfilò la maglietta e la canottiera e lentamente le sganciò il reggiseno, mentre lei alzava le braccia. Si tolsero i pantaloni e Ethany gettò via il reggiseno, girandosi subito di spalle per la vergogna. Zack non disse niente. Nessuno dei due guardò quando si sfilarono la biancheria restante. Ethany tremava. Zack le si avvicinò da dietro e la costrinse ad appoggiarsi su di lui. Ethany smise di respirare per un attimo, poi si girò e si lasciò andare all’estasi di Zack che la baciava ovunque e con una passione che non aveva mai sperimentato prima. Sembrava un’altra persona. “Almeno aspetta di essere sotto la doccia, pervertito”, sghignazzò. Zack sbuffò e la lasciò andare. Poi, appena Ethany aprì l’acqua, ricominciò a baciarla, ad accarezzarla. E mentre la sentiva respirare si sentiva vivo. Quello era il suono più bello del mondo. Dopo essersi sentito solo tutta la vita, la prova inconfutabile della presenza di una persona accanto a lui, presente non solo con il corpo. Lei si imponeva con così tanta forza che probabilmente non se ne accorgeva neanche. Le sensazioni di Zack che la toccava avvolgevano Ethany come una coperta, e quando prese il bagnoschiuma e lo versò sulla sua schiena si accorse che stavano tremando di freddo, non si erano accorti che l’acqua era gelida. Ethany girò velocemente la manopola e sentì un getto di acqua calda scorrere sui loro corpi. Rabbrividì di piacere e inchiodò Zack contro il muro. Andarono avanti così per un po’ quando Zack disse: “Mi farai impazzire un giorno, lo sai?” ”Hai già perso la testa per me ormai”, scherzò lei. Quando uscirono e lei fece per avvolgersi nell’accappatoio dopo essersi asciugata, Zack la interruppe: “Non farlo. Sei bellissima”, e mentre lo diceva i suoi occhi luccicavano. Ethany si lasciò scivolare l’accappatoio sui gomiti e si avvicinò mentre Zack era seduto sul mobile del bagno. Sfiorò le sue labbra con le sue, come a sfidarlo a prenderla. “Non mi provocare, o fai una brutta fine”, le disse, ma lei continuò imperterrita. Allora Zack la prese in braccio e salì le scale verso la sua camera. “Le gattine dispettose devono essere punite”, le sussurrò all’orecchio, ed Ethany si sentì avvampare. Ma non mollò. “Credo che mi piacerà molto questa punizione, o forse mi aspetto troppo”, gli disse in risposta. Touchè. Lo aveva colpito nell’orgoglio, e questo fu l’ultimo incentivo di cui Zack aveva bisogno. La stese sul letto e cominciò a muoversi su di lei, mentre lei passava le mani sulla sua schiena e lo stuzzicava con le labbra. Sapeva che aveva un debole per le sue labbra, glielo diceva lo sguardo che gli riservava prima di baciarle. Stavolta Ethany voleva fare sul serio, voleva che si appartenessero prima di rischiare di perdersi. Poi ci avrebbero pensato i suoi sensi di colpa a fargli sputare il rospo. Prima o poi le avrebbe detto quello che lo angustiava. “Non fermarti, Zack”, ansimò. I suoi occhi ... nel momento stesso in cui lei finì di parlare, scese dal letto e frugò in un sacchetto, prima di tornare da lei. Allora si inginocchiò e cominciò a spingere, prima lentamente, poi sempre più velocemente. Ethany sentiva solo le sue carezze e i suoi baci, e dopo pochi secondi, le sensazioni furono troppo inebrianti per tutti e due. Zack cadde su di lei, poi si girò e rimasero così, abbracciati nel letto, per il resto della notte.
Ethany si svegliò di colpo al suono della porta che si chiudeva. Il padre di Zack! “Oh, merda, porca merda”, cominciò a imprecare lei tra i denti, mentre si infilava al volo una maglietta di Zack e un paio di pantaloncini. Lo scosse delicatamente, lui continuò a dormire. Allora prese a scrollarlo fino a che non si svegliò, tenendogli una mano sulla bocca in modo che non potesse parlare e tradirli. Lentamente Zack aprì gli occhi e, sentendo gli inequivocabili rumori del ritorno di suo padre, li spalancò sempre di più, poi si alzò e prese a radunare i suoi vestiti sparsi ai quattro capi della stanza, nella quale il disordine regnava sovrano. Una volta che si furono resi presentabili e che Ethany ebbe rifatto il letto, scesero per dare il buongiorno. “Ciao Tom”, sorrise Ethany, mentre Zack andava ad abbracciarlo. Era davvero un bambinone. Appena Zack lo ebbe liberato dalla sua stretta, Tom si avvicinò e le strinse la mano: “E’ sempre un piacere vederti, bambina”, disse con la sua voce calda. “Zack, esattamente, quando avevi intenzione di dirmelo? Non che io abbia qualcosa in contrario, ma avrei potuto lasciarvi qualcosa di pronto per cena, dato che so che vivi di schifezze”, lo rimproverò mentre si allentava il nodo della cravatta. “Infatti ho una cuoca personale. Sai, quella che hai appena salutato”, rispose lui con un sorriso che sembrava andare da un orecchio all’altro. “Io non sono la cuoca personale di nessuno. Dopo questa, puoi anche morire di fame per me. Oppure ti decidi e impari a cucinare”, sorrise Ethany prendendo il suo borsone e salendo di sopra per cambiarsi. Una volta scesa, notò l’espressione tesa di Tom. Salutò e fece per uscire. “Ti accompagno io, Ethany. Non vorrei far preoccupare tua madre”, si offrì Tom. Ethany tentò di rifiutare, ma le sue deboli proteste furono presto messe a tacere. Quando Tom disse a Zack che ci avrebbe messo poco e che lui poteva tranquillamente stare a casa, Ethany capì che c’erano problemi, eccome se c’erano.
Ethany non fece nemmeno in tempo a chiudere lo sportello che cominciò l’interrogatorio. Tom non era cattivo e nemmeno morbosamente curioso, ma dopo che Zack aveva passato mesi in ospedale senza mangiare e dovevano alimentarlo con il sondino, era abbastanza ovvio che si preoccupasse per lui. Aveva quasi rischiato di perderlo come con sua moglie e  il suo lavoro non gli consentiva di stargli vicino abbastanza da capire cosa gli passava per la testa. Mentre facevano un giro assurdamente lungo per arrivare a casa, Tom cominciò: “Ethany, io sono molto contento che finalmente mio figlio abbia trovato una persona di cui fidarsi e che si sia innamorato, ma ultimamente lo vedo molto teso. Quando sono a casa salta su ad ogni minimo rumore e se gli chiedo cosa sta succedendo, mi liquida come se niente fosse. Tu sai cosa sta succedendo?” ”Si, una leggenda metropolitana mi perseguita e tuo figlio ne sta facendo le spese nonostante avessi provato in tutti i modi a non innamorarmi di lui”, avrebbe voluto rispondere Ethany, ma suonava assurdo perfino nella sua mente. “In effetti ho notato il suo comportamento strano, ma non vuole dirmi che cos’ha”, disse con voce tremante. In fondo, era la verità. Tom sospirò. “Non era stato sempre così, sai? Quando vivevamo insieme eravamo molto felici. Zack adorava sua madre. Sapevo che lei mi tradiva, eppure la amavo. Anche Zack lo aveva scoperto. Un giorno io ero uscito per una riunione di lavoro e lui è rimasto in casa con Sally. Le ha detto che non si meritava un uomo come me e che era solo una sgualdrina”. Ethany vide una lacrima farsi strada sulla guancia rugosa dell’uomo, e potè quasi avvertire il suo dolore. “Lei ha afferrato un coltello da cucina e stava per tagliargli la mano, ma Zack era piccolo e molto svelto, per cui riuscì a strapparglielo di mano e la pugnalò. Avendo dieci anni non era imputabile di alcun reato, perchè non poteva comprendere realmente ciò che aveva fatto. Mi sono offerto di pagare la colpa al posto suo e lo affidai a mia sorella. Quando uscii scoprii che era ancora in ospedale per curarsi, dato che si rifiutava di mangiare e dormire. Aveva tredici anni. Decisi di mandarlo a scuola nella speranza che i suoi coetanei potessero aiutarlo a ritrovare la voglia di vivere. E una di loro in effetti c’è riuscita”, disse sorridendole. A quel punto si fermò davanti a casa di Ethany e lei entrò.
Zack era davanti al computer. Aveva trovato quello che cercava, ma non per questo era soddisfatto. Si accasciò sulla sedia, sfinito. Ethany aveva avuto ragione sin dall’inizio. E lui non aveva fatto altro che assecondare le trame di quell’essere mostruoso. Forse quel giorno non sarebbe dovuto essere così attaccato alla vita. Sarebbe stato centomila volte meglio che sua madre lo avesse lasciato a morire dissanguato sul pavimento della cucina. Avrebbe fatto meno male di adesso. Eppure non riusciva a trovare una soluzione a quella stupida situazione nella quale si era cacciato. Aveva rimproverato Ethany per aver pensato di scappare, ma adesso che ci pensava lui non poteva biasimarla. Era l’unica via d’uscita. Lei avrebbe vissuto sempre con la speranza di trovarlo, un giorno. E non sarebbe morta di dolore. Ma si meritava una spiegazione. Zack poteva solo sperare che questa non la facesse intestardire ancora di più.
Ethany passò tutto il pomeriggio a ripassare per il test di matematica del giorno dopo. Non avrebbe chiuso occhio sapendo che lo Slender poteva escogitare qualcosa da un momento all’altro. Mentre si girava e si rigirava nel letto senza trovare una posizione comoda per studiare, sentì un toc toc alla finestra che la fece sussultare. Una figura la guardava dalla finestra. Le scappò un grido prima di accorgersi che era solo Zack. Evidentemente era uscito di casa senza che suo padre se ne accorgesse, ma questo voleva dire che aveva scoperto qualcosa. O che i sensi di colpa cominciavano a rodergli la testa. Aprì la finestra e Zack entrò, cupo in volto. “Volevi una spiegazione? Te la darò, ma tu devi starmi a sentire senza interrompermi. E accettare la mia decisione”, le disse, guardandola negli occhi. Ethany pensò che avrebbe voluto così tanto starlo a sentire, se solo quell’espressione avesse abbandonato il suo viso. Erano in arrivo brutte notizie. Ma d’altronde, erano mai buone quelle che riceveva? Annuì e si mise a sedere sul letto. “Ho cercato su internet gli effetti che l’omicidio provoca. Ho scoperto che quando uccidi consapevolmente, e cioè non sei costretto e di tua volontà scegli di uccidere, la tua anima viene marchiata con il cosiddetto ‘marchio dell’omicidio’ ed è una sorta di metodo attraverso il quale le entità maligne possono rintracciarti. Io ho ucciso consapevolmente, tu lo sai, e anche tu lo hai fatto, ma tu sei protetta, io invece sono un pericolo adesso, perchè se sa dove sono può controllarmi. E come vedi quando sono sotto il suo influsso posso ferirti o addirittura ucciderti, e lui vincerebbe. Per il nostro bene Ethany, tu devi essere protetta anche da me. Da quando mi ha controllato la prima volta, posso sentire che cerca di insinuarsi nella mia testa, a volte mi parla, e ho paura che alcune cose che dice siano anche vere. A volte non sono nemmeno più sicuro di essere me, ma solo una sua succursale”, qui Zack fece una pausa per riprendere fiato e la guardò. “Se mi allontanerò, la sua influenza dovrebbe essere minore, ma non lo posso garantire. Però tu puoi risolvere questo mistero. Tra qualche giorno ci sarà la fiera, e tu dovrai tornarci. Torna da quella maga e cerca di capire. Ti giuro che se potessi aiutarti, lo farei. Ma in questo momento rappresento solo un pericolo e per il tuo bene, non devo ostacolarti. Se tu sei salva, lo sarò anche io”. Ethany si alzò dal letto: “Ricordi che cosa mi hai detto quando volevo andarmene per non farti uccidere? Non ti lascerà in pace lo stesso, e tu mi lascerai con il cuore a pezzi!” ”Tu non puoi andartene perchè sei la chiave per risolvere il mistero, e metteresti in pericolo noi. Ma se io scappo lontano, dovrei prima avvicinarmi a te per farti del male. In questo caso i suoi poteri sono limitati, per questo è più logico che me ne vada io, e se tu non risolvi questa cosa, lui continuerà per sempre e noi due non avremo mai un futuro, mi capisci? Non lo sto facendo perchè ho voglia di fare l’eroe”, replicò lui. “E a tuo padre non pensi? È preoccupatissimo per te e ha paura”, disse Ethany, con le lacrime che le scorrevano lungo le guance. “Ci penso io a mio padre, tu però gli devi dire che non ne sai nulla”, le assicurò Zack. “Come puoi pensare che mi crederebbe anche solo per un momento? Ha notato come ti stai comportando e ho già mentito, dicendogli che non mi hai detto niente”, gli urlò contro lei. “Anche se gli dicessimo la verità non ci crederebbe, lo sai, e lo esporremmo solo a maggior pericolo”. “Potrebbe vendicarsi sulle nostre famiglie per il tuo gesto, ma a te importa solo di me. Io non posso vivere senza mia madre”, disse Ethany, sconquassata dai singhiozzi. Ormai le sembrava che tutto puntasse a quello. Separarsi. Come se fosse già prestabilito. “Potrei estendere il mio scudo, o almeno ci posso provare”, tentò la sua ultima carta. “Non sai se funzionerebbe e non possiamo permetterci di perdere tempo. E per quanto riguarda le nostre famiglie, è un rischio che dobbiamo correre. Io non vorrei mai lasciarti qui da sola, ma tu sei forte, e se riuscirai a farcela, ti giuro sulla mia vita, che ormai è l’unica cosa che mi rimane dopo di te, che io tornerò. Io troverò sempre il modo di tornare da te.”, disse, e si inginocchiò per abbracciarla. “Devi accettarlo, Ethany. È il tuo destino”. La baciò sulle labbra e uscì dalla finestra. Ethany si voltò per guardarlo. Per qualche minuto rimasero a fissarsi, lui sul davanzale, lei sul pavimento. Poi Zack scomparve alla sua vista. Ethany era annientata. Lo odiava il suo destino, quello che la strega le aveva cucito addosso, e sentiva un disperato bisogno di conforto. “Papà ...” All’improvviso una luce calda invase la sua stanza. “Sono qui. Non ti lascerò sola. Io sono sempre qui”. “Aiutalo, ti prego, o morirà. Non ce la faccio senza di lui”, mormorò Ethany. Poi andò di sotto e telefonò a sua madre per avere qualcuno con cui parlare, me lei era impegnata e scattò la segreteria telefonica. Ethany sospirò. Era sola.

Ora si che si ragiona :D mi è dispiaciuto per Zack, ma vedete che se la caverà. Voi pensate che ci sarebbe potuta essere qualche altra soluzione? Scrivetemi i vostri pensieri :) bye <3

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Capitolo 10
*** Capitolo 9: Broken down ***


Sono quasi due mesi che non pubblico, avete il diritto di uccidermi. Ma intanto per farmi perdonare ecco un nuovo capitolo :D la storia sta per finire...

Capitolo 9: Broken down

Zack non era esattamente sicuro di cosa avrebbe fatto una volta varcata la soglia di casa. Non aveva un piano, ma doveva rischiare. Per lei. Rientrato dalla finestra, si accorse appena in tempo che suo padre stava salendo le scale e si liberò dei vestiti per rifugiarsi in bagno. ‘Zack, dove sei? ti troverò, lo sai. La tua mente è come un libro aperto per me... o per chiunque altro, visto che hai avuto il buon gusto di uccidere la cara Sally. Sai, ogni tanto la vedevo mentre si divertiva con i colleghi di lavoro di tuo padre... gentile da parte sua istigarti a ucciderla. Mi devo ricordare la prossima volta che passo dall’inferno di dirle che suo figlio la raggiungerà presto... in un modo o nell’altro...’ ‘Sono molto contento di averla finalmente uccisa. Almeno non ha potuto più ferire mio padre. Ma perchè ne sto parlando con te, che probabilmente non sai neanche cos’è, un padre?’ ‘Oh, no caro Zack, ti sbagli. Io sono cos’è un padre, so com’è avere dei figli, e so anche cosa vuol dire PERDERLI. Quindi stai attento a quello che fai, o forse dovrei dire, stai attento a quello che LE fai...’
“Zack dove sei? Stai dormendo?”. Zack sbattè le palpebre. Suo padre stava bussando alla porta della sua camera. Per un attimo aveva pensato che lo Slender avesse cominciato un perverso giochetto che consisteva nel ripetere il discorso appena finito finchè non l’avesse preso per stanchezza. Un po’ contorto, ma in effetti, chi poteva sapere cosa gli passava per la testa? “Mi sto lavando, papà. Un attimo ed esco”, disse lui in risposta. Dopo essersi messo il pigiama, trovò suo padre in camera. Doveva comportarsi normalmente o avrebbe destato sospetti, ma non poteva fare a meno di pensare che forse quella sarebbe stata l’ultima volta che lo vedeva. Scosse la testa. “C’è qualcosa che ti preoccupa? So che magari dirlo al tuo vecchio padre potrebbe essere motivo di vergogna, ma mi devi un grosso debito, Zack. Non ho mai voluto farti pesare questa cosa, ma io ho scontato i tuoi anni di galera. E adesso voglio sapere la verità. Ti vedo così angosciato che mi si spezza il cuore, figliolo”, concluse suo padre con gli occhi lucidi. Zack era così tentato... eppure l’ultima conversazione che aveva avuto con lo Slender confermava che non poteva, ancora una volta, dire come davvero si sentiva dentro. “Papà, io ed Ethany stiamo avendo qualche problema abbastanza serio, e preferiamo sbrigarcela da soli, dato che ormai siamo adulti e vaccinati”, rispose Zack serio. “È incinta? Perchè se lo è sappi che puoi contare su di me, nonostante avreste potuto usare qualche precauzione”, disse suo padre un po’ alterato. Zack saltò letteralmente sul letto. “COSA? No, certo che no”, disse con un sospiro. “Sicuro? Zack, ti conosco da quando sei nato, posso sapere se è un problema grave?” ”No, non lo è. Normale routine”, rispose evasivo Zack. “Se è normale routine, mi spieghi perchè sei così nervoso?”. Cazzo. Lo aveva messo con le spalle al muro. Ci voleva una scusa megagalattica, di quelle strappalacrime. “Lei...” Più veloce! “Lei... vorrebbe che la accompagnassi a visitare la tomba di suo padre, ma io... credo che lei non sia pronta e che la farebbe solo soffrire. Ma nonostante questo lei vuole andare, è così testarda... è per questo che litigavamo”, buttò fuori tutto d’un fiato. “E perchè esattamente non potevi dirmelo?”, proseguì imperterrito suo padre. “Papà, è un argomento delicato per lei e non mi sento pronto nemmeno io. Ho paura”. Suo padre sorrise: “Questo è assolutamente normale, Zack, ma se lei ci vuole provare, tu devi esserci. Non reggerebbe da sola, gliel’ho letto negli occhi. Lei ha bisogno di te”.
Slender stava passeggiando vicino ad un parco giochi nei pressi della casa di Ethany. Ormai aveva preso questa abitudine, dato che doveva osservarla tutti i giorni per perfezionare il suo piano. Guardare i bambini era così bello... poteva seguirli, osservare i loro giochi, ma alla fine era sempre qualcun altro che gli rimboccava le coperte. Li odiava. Tutti. Il figlio del proprietario della sua vecchia casa si era laureato, viveva felice, o forse non molto, dopo che lui aveva ucciso il suo primogenito. Si era accontentato di lui. Era stato così appagante vedere la vita fuggire dal suo sguardo... e indirettamente aveva ucciso anche Chris e Beth, i due bellimbusti che si vantavano di esserne i genitori. La verità è che nessuno diventa genitore finchè non è costretto a tirare fuori le palle per relazionarsi con i suoi figli in modo serio. Per loro quel bambino era come un giocattolo, un nuovo pezzo da aggiungere alla collezione. Forse gli aveva fatto anche un favore, uccidendolo. Una folata di vento fece volare la bombetta rosa di una signorina allampanata e Slender la afferrò al volo con un tentacolo. Forse avrebbe fatto meno paura se si fosse presentato ai bambini con quella sul capo. La indossò e si specchiò nel lago più vicino. No. Rimaneva sempre un mostro. E questo gli fece ricordare Ethany. Il carillon che teneva sul comodino quando era piccola. Quella musica poteva suonare inquietante alle orecchie degli altri, ma per lui era la dolce ninnananna che lo portava verso la fine. Doveva ucciderla. Fu allora che la sentì. Cantava. E quello gli riportò alla mente Jamie. Lui cantava sempre. Era il suo modo per esorcizzare il mondo, per escludere tutto quello che stava fuori. Si avvicinò con cautela. Era affacciata alla finestra aperta, e la sua voce scivolava fuori come una brezza leggera. La sua voce... era ancora quella di una bambina. Se avesse potuto, lo Slender si sarebbe commosso. ‘Ma non posso. Io vivo di questo. Non posso vivere diversamente. E quindi uccido. Ti ucciderò, e riporterò indietro mio figlio’.
Ethany stava cantando, ma non potè continuare perchè una voce nella testa le tagliò il respiro in gola. Era la sua voce. Sembrava che continuasse un discorso interrotto. Ma le conclusioni erano sempre le stesse. L’avrebbe uccisa, in un modo o nell’altro. “Zack, mi sa che avevi ragione. Papà aiutalo, ti prego”, disse in lacrime. Ma lo Slender aveva rivelato qualcosa che Ethany sapeva sicuramente essere segreto. Voleva chiedere la sua vita in cambio di quella di suo figlio.
Ethany aveva deciso di andare alla fiera. Doveva assolutamente farlo. Per Zack. Per un attimo sperò di non trovare la zingara. Provò anche a passeggiare un po’, ma era inutile rimandare e quando vide l’ingresso del bosco, proprio dove Kiam l’aveva aspettata, si sentì stringere il cuore. Forse a quest’ora sarebbe stata fidanzata con lui. Il pensiero era solo poco confortante. Non avrebbe conosciuto Zack. E per quanto continuava a ripetersi che stava bene, non poteva fare a meno di pensare allo Slender. Lo avrebbe costretto a tornare? Ethany avrebbe preferito vederlo morto che posseduto da quell’essere. Che però un tempo era umano. Forse la zingara poteva spiegarle anche questo. Come era possibile che un uomo diventasse così di sua spontanea volontà?! Doveva essere accaduto qualcosa. Era un essere pieno di odio, rancore  e solitudine. Come lei. Per anni aveva dovuto sopportare le angherie dei suoi compagni che non capivano la sua autoreclusione, e quando aveva finalmente trovato Zack, tutto il resto aveva cominciato a fare ancora più schifo di quanto non facesse già. Ethany si incamminò verso la piccola tenda che aveva evitato per tutto il tempo e fece un respiro profondo. Non sapeva quanti gliene restavano ormai.
L’odore di stantio la prese alla gola quasi subito. La tenda non sembrava così piccola dall’esterno, ma una volta entrati instillava un graduale senso di soffocamento. Ad Ethany sembrò di fare un tuffo nel passato: ma stavolta sua madre non c’era per dirle che sarebbe andato tutto bene. “Lo so che sei qui. Fatti vedere!”, gridò Ethany, più per farsi coraggio che per altro. “Qui non è concesso dare ordini, tantomeno a te. Perchè non hai assolto al tuo compito? Credevo di averti detto cosa dovevi fare. La vita di quel mostro è nelle tue mani, e tu devi distruggerlo!”, cantilenò una voce incorporea, che però Ethany era sicura fosse della vecchia zingara. Ma perchè adesso quella voce era piena di odio? Quando le aveva sconvolto la vita, non aveva specificato “Oh sai, mi sono dimenticata di dirti che dovrai ucciderlo, in un modo o nell’altro”. Sembrava piuttosto un’opinione personale, MOLTO personale. Ethany la vide materializzarsi e strinse forte il ciondolo di legno che aveva al collo. Zack glielo aveva donato prima di andarsene. Era un cerchio con all’interno dei rametti piegati in forme strane, senza un significato preciso. “Non c’è stato mai niente di definitivo e stabile nelle nostre vite. Questo è il simbolo del nostro passato, la lotta che condividiamo, e ogni volta che lo guarderai, ti ricorderai che ci può essere più di un finale a questa storia”, le aveva detto, prima di calarsi giù dalla finestra. Intanto la vecchia si era completamente mostrata e sembrava che non fosse passato nemmeno un attimo dall’ultima visita di Ethany, perchè era vestita allo stesso modo, ma stavolta c’era una smorfia di evidente fastidio sul suo volto. “Sono qui per avere delle risposte. E non intendo andarmene finchè non le avrò avute”, disse Ethany, ostentando più coraggio di quanto non ne avesse. “Mi sembrava di avere detto tutto il necessario, o mi sbaglio? Hai tutto quello che ti serve, eppure ti rifiuti di usarlo”, replicò quella disgustata. “Come fai a vivere ogni giorno sapendo che potrebbe uccidere ancora, e che tu non stai facendo niente per fermarlo? Ha ucciso mio figlio, e tu devi ucciderlo per vendicare tutte le sue vittime! Cosa non capisci?!”, a questo punto la donna stava praticamente urlando. Ethany fece qualche passo indietro spaventata, poi sentì la rabbia ribollire. Come si permetteva di darle ordini, dopo tutto quello che aveva passato proprio per colpa sua? “Io non ho proprio niente! Ho cercato qualsiasi cosa e non ho trovato nulla. Continua a tormentare anche me, cosa crede?!? L’idea che sto condannando centinaia di innocenti ad una fine orribile! Ma io non ci posso fare niente!”, gridò Ethany. “Non puoi, o non vuoi? Tu vorresti vivere la tua vita felice con il tuo fidanzato, ma non pensi a tutte le famiglie che ha già distrutto? Hai un’intera legione di fantasmi al tuo servizio, eppure non li hai mai sfruttati! Non li hai mai asserviti in modo che lo uccidano!” ”L’intera legione di fantasmi di cui parli mi rispetta meno di un topo morto, e comunque non potrei mai schiavizzare un’intera popolazione solo per la tua vendetta!”, concluse esasperata la ragazza. La vecchia sospirò. “Avevo ragione. Non VUOI. Se potessi lo farei io, ma tu sei l’unica che puoi farlo. Non chiedermi perchè, è così e basta. E poi, mia cara, non sarebbe solo la mia vendetta, ma anche la tua. Potresti fargliela pagare per tutti gli anni in cui ti sei sentita sola, in cui gli altri ti emarginavano e ti sentivi uno scherzo della natura”. Ethany spalancò gli occhi. Era forse quella l’unica soluzione? Sua madre le aveva sempre detto che l’odio non porta da nessuna parte e che la vita è troppo breve per riflettere su cose per cui non vale la pena. Ma lei era venuta lì per delle risposte, e la donna gliene aveva data solo una possibile. Ma lei non poteva farlo. C’ERA PIÙ DÌ UN FINALE ALLA STORIA. Ethany prese un bel respiro: “Hai ragione, non ci avevo pensato. Sarebbe molto più facile se fosse anche la MIA vendetta. Ho però sentito lo Slender mentre mi spiava e credo che si sia lasciato sfuggire qualcosa... di molto importante” ”Che cosa? Qualunque cosa può essere utile per batterlo!” Ethany si morse le labbra: “Dopo che mi uccide lui vuole... scambiare la mia anima con quella di suo figlio! Può effettivamente farlo? È una cosa impossibile!” ”Quando eri piccola credevi che lo Slender fosse una leggenda, eppure lo hai visto, hai osservato di cosa è capace. E ancora ti stupisci? Può farlo eccome. Un’anima per un’anima. Ma se tu riuscirai a convincere gli spiriti delle persone uccise da lui a vendicarsi loro non rifiuteranno certo di aiutarti!”, disse la vecchia con un sorriso stiracchiato. “Ce la farò”, disse Ethany. E se ne andò.
Ethany decise di andare a casa. Sua madre sarebbe sicuramente stata preoccupata. Il giorno dopo decise che avrebbe agito. E avrebbe chiuso quella storia. Per sempre.

Mi scuso se il capitolo è un po’ corto, ma lo avevo lasciato in sospeso prima della fine della scuola e con tutto il casino della fine non l’ho completato D:

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Capitolo 11
*** Capitolo 10: Who am I? ***


Capitolo 10: Who am I?

Zack stava scalando una montagnola di sassi. Aveva in mente di rifugiarsi in una caverna che aveva visitato durante una gita con suo padre. Si sarebbe guadagnato da vivere facendo lavoretti e rubando giornali. Sì, era una prospettiva piuttosto allettante. Tutto per lei. In attesa di Ethany. Non sapeva come avrebbe fatto ad avere notizie né come si sarebbero potuti ritrovare, ma aveva fiducia. Era tutto quello che gli restava. Doveva fidarsi di lei.
 All’inizio partì lentamente, come un mal di testa passeggero. Ma poi si intensificò ancora di più, fin quasi a spaccargli la testa dal dolore. Zack si accasciò. Stava cercando di resistergli, per questo gli faceva così male. Prese dei grossi respiri e buttò fuori l’aria dalla bocca, ma non servì. Allora si diede un ceffone e Cristo, se faceva male. Toccò terra con un tonfo. ‘Cavolo, sei testardo. Mi piaci. Ma non è questo il punto. Sappiamo entrambi perché sono qui. Pensavi davvero che non ti avrei trovato? Che non avessi già intuito che la chiave per arrivare a lei eri tu? Questi giovani...’, sussurrò la voce fredda dentro la testa di Zack. ‘Vai...affanculo...’, rispose lui. ancora sdraiato a terra. ‘Be’, in effetti ho sempre odiato i monologhi lunghi. Mi fanno venire sonno, e perlopiù nessun cattivo ha mai capito che il momento di gloria viene sempre rovinato dall’eroe’, pronunciò l’ultima parola con malcelata ironia. Zack pensava freneticamente: come proteggerla? Non avrebbe mai aiutato quell’essere nel suo percorso di distruzione... o forse era proprio questo che doveva fare! Smise di resistergli ed entrambi per un attimo condivisero i pensieri, forse anche troppo per i gusti dello Slender. Zack vide immagini di distruzione, fuoco ovunque e un grido insistente, acuto, che sembrava quello di un bambino. Vide se stesso trapassare con i tentacoli corpi inermi di bambini, le loro urla gli si insinuavano nella mente. Per un attimo desiderò morire.
Lo Slender era allibito. Non pensava che quell’omuncolo avesse così tanta forza. Gli aveva appena offerto libero accesso a tutto quello che voleva nascondere, e il mostro trascorse vari minuti a guardare scene che avrebbe preferito non vedere mai. Era trascorso un minuto o forse un’ora, non avrebbe saputo quantificare, quando Slender si accorse che il processo era a doppio senso. Interruppe il contatto e vide il ragazzo con gli occhi spalancati. Lentamente Zack si alzò in piedi. “Io sono come te. Non puoi distruggere qualcuno di così simile a te. Anche io ho ucciso perché odiavo vedere gli effetti della noncuranza di mia madre su mio padre. Magari tu hai ucciso per un motivo diverso, ma il succo è quello”. “Mi stai sfidando?”, disse lo Slender alterato. “No, ti sto proponendo un affare. Tu guadagni un adepto e se serve sterminerò tutta la popolazione di bambini del circondario, ma non devi toccare Ethany,” disse Zack con le ultime parole che uscivano fuori in un ringhio. Lo Slender parve riflettere. Il ragazzo sembrava sicuro di sé, e poi avrebbe potuto controllarlo più facilmente. “E sia,” disse, “ma dovrai fare esattamente ciò che ti chiedo. Un solo errore, e porterò il tuo cadavere davanti a lei”. Zack annuì. Non riusciva a credere di essere stato così fortunato. Non si fidava completamente, ma sarebbe stato attento. Tutto, avrebbe fatto di tutto per saperla al sicuro.
Ethany stava respirando. Già, una novità. Eppure, fino a trenta secondi prima, le era sembrato un miracolo riuscirci. Aveva cercato di evocare uno spirito per chiedergli informazioni sul bambino, che a quanto pareva si chiamava Jamie (informazione, questa, ottenuta dallo spirito di un uomo che sembrava immerso in un fiume di sangue bollente), ma senza esito. All’ultimo tentativo si era sentita risucchiare in un vortice scuro ed era andata in apnea per qualche secondo, annaspando e agitandosi mentre il suo campo visivo si anneriva. Non era stato niente di grave, solo qualche secondo, ma la sua agitazione aveva fatto peggiorare il fenomeno. Ora prendeva grosse boccate d’aria mentre una forma luminescente vagamente umana le fluttuava intorno, con un’espressione preoccupata. ‘Ti sei sforzata troppo. Direi che è ora che ti riposi. Per oggi abbiamo scoperto abbastanza’. Ethany si alzò in piedi, ma rimase fermamente al suo posto. ‘Papà, ho i minuti contati. Se non raccolgo presto abbastanza informazioni e non li convinco a combattere con me, Zack è condannato’, pensò, e a quel pensiero sentì nuove forze scorrere in lei come adrenalina. Doveva farcela. Pensò intensamente al suo nome, a quello che aveva potuto rappresentare per un padre solo, alla sua solitudine e alla sua tristezza. ‘Mi hai trovato. Adesso però potresti dire a quell’omone di smetterla di guardarmi di traverso?’
Erano davanti ad un’enorme villa a tre piani, maestosa ed incredibilmente opulenta. ‘Ecco quello che devi fare. In quella casa abitano due ragazzi, fratello e sorella, ma in questo momento non sono in casa. Dovrai aspettare il loro ritorno a notte fonda. Dovrai ucciderli a sangue freddo, e io ti aiuterò a fare in modo che i loro genitori li vedano e non possano fare niente. Solo così sarò soddisfatto. Capito bene?’ “Capito”, sussurrò Zack. Dio, aveva acconsentito, doveva farlo. Sapeva come, svuota la mente, pensa solo a quello che devi fare, con ferma determinazione e freddezza. Eppure non avrebbe mai pensato di doverlo rifare. Era stato in qualche modo giusto che avesse provato una sorta di ebbrezza quando aveva ucciso sua madre, ma adesso, al pensiero di rifarlo, gli si rivoltava lo stomaco e gli si attorcigliavano le budella. Zack partì all’esplorazione della casa, più che altro per avere una scusa per allontanarsi da quel mostro. Si arrampicò dal portico fino al secondo piano, fino a posizionarsi sul cornicione, e sbirciò dentro. Poteva vedere dalla finestra una scena quantomeno disgustosa, a parer suo: la coppia felice che faceva di tutto e di più a letto. Fin qui tutto “normale”, finchè non notò un piccolo particolare: sul cassettone c’era una foto della donna il giorno del suo matrimonio, ma l’uomo con cui era stata fotografata non aveva niente a che fare con quello con cui era a letto. Inoltre sentiva i discorsi di quei due porci, e poteva giurare di aver sentito la donna che si preoccupava del ritorno di suo marito.
Non ci vide più. Il suo metro di giudizio sembrava essersi annullato. Non poteva stare a guardare mentre quella scena si ripeteva. Mentre altri bambini, come lui all’epoca, soffrivano per quello che sapevano. Una voce gli sussurrava di fare ciò che era giusto, non solo per la sua vendetta ma anche per il bene dei loro figli. Sfondò la finestra e cadde dentro la stanza, scuotendosi via le schegge di vetro dai capelli, uno sguardo omicida negli occhi. Entrambi gli amanti proruppero in un grido di stupore, ma lui non gli diede tempo di meravigliarsi: con un sol colpo tagliò la gola all’uomo, che si accasciò sulla donna, privo di vita. L’aveva bloccata con il suo peso, e lei continuava a supplicarlo mentre il sangue le intrideva la pelle, e poi scivolava sulle lenzuola, sul pavimento. Zack vedeva solo quel rosso. Respirava affannosamente, come se avesse corso per mille chilometri. Si avvicinò alla donna e le disse: “Tutti voi. Smettetela di pensare così. Che solo perché avete creato una famiglia avete anche il diritto di distruggerla dall’interno, di far soffrire i vostri figli in un modo così egoista che persino un verme sarebbe più virtuoso. Ricordati di questo giorno, sarà anche il tuo ultimo” e terminando con queste parole, la afferrò per i capelli e le tirò la testa all’indietro, fino a scoprire il suo collo. La donna continuava a piagnucolare di risparmiarla, ma lui la ignorò. “Risparmiatelo per quando avrai imparato la lezione”, disse, e passò il coltello che aveva in mano (da quando?) sulla sua gola, per poi sedersi a terra. Solo allora notò una piccola sagoma sulla soglia della camera da letto. Un bambino. Aveva gli occhi colmi di terrore mentre correva a scuotere sua madre disperato, con un’espressione in viso completamente stravolta. Le sue urla gli perforavano il cervello, e pregò che la smettesse. Non capiva che gli aveva fatto un favore? Una donna che si comportava come sua madre non aveva alcuna speranza di poterlo crescere come si deve.
Si rese conto del suo errore solo quando il bambino gli si avventò contro e cominciò a prenderlo a pugni, urlando: “Mostro! Sei un mostro, proprio come lui!” Zack indietreggiò atterrito. “Ho fatto lo stesso con mia madre, lei ha tentato di uccidermi! Ma non capisci che ti ho fatto un grandissimo piacere? Come credi che sarebbe andata a finire? Avrebbero divorziato e vi avrebbero lasciati soli, trattato come oggetti da dividere! Forse sei troppo piccolo per capire...” “Ripetimelo quando ti avrà lasciato”, disse il bambino. Cosa? Chi diavolo avrebbe dovuto lasciarlo? Improvvisamente si ritrovò di nuovo al suo posto, dov’era prima di scalare la casa, e si rese conto di aver disubbidito a ciò che lo Slender gli aveva detto. Oh mio Dio. Solo per una stupida vendetta si era lasciato trasportare dall’altra parte, in un mondo di assassini, e ora avrebbe perso Ethany. Appena vide che lo Slender si avvicinava gli si gettò ai piedi maledicendosi tra sé. “Farò quello che mi hai detto, te lo giuro, ma non farle del male...” il suo sproloquio venne interrotto dalla sua voce fredda e tagliente dentro la sua testa: ‘Non mi sarei aspettato niente di meno da te. Hai fatto un ottimo lavoro’.
Ethany era sconvolta. Sapeva che un tempo lo Slender era stato umano, ma sentire che era addirittura un padre dolce e amorevole era troppo. Eppure quell’ombra di bambino le aveva raccontato proprio questo. ‘Perché vuoi sapere del mio papà?’ aveva chiesto perplesso. Ethany gli aveva detto che volevano aiutarlo. Lo aveva detto come scusa, ma dopo aver ascoltato di come la loro casa era saltata in aria perché lui aveva acceso la luce e di come non aveva mai saputo se suo padre era riuscito a farcela, si sentì mancare l’aria. Era stato qualcuno, dopo tutto. E non un qualcuno da buttare, o da uccidere, o da odiare. Qualcuno che cercava di prendersi cura di suo figlio. Pazzesco, eh? “Senti Jamie, non è che hai qualche amico, lì dove ti trovi? Perché ce ne servirebbero parecchi per aiutare il tuo papà...” ‘Qui sono tutti gentili con me’, rispose il bambino, la faccia che si increspava in un’imitazione di sorriso. ‘Ma perché? Cos’ha il mio papà?’, proseguì preoccupato. “Sai, in tutti questi anni gli sei mancato tanto, mi ha detto che vorrebbe rivederti. Posso portarti da lui, ma ci servono anche i tuoi amici per...” ‘Hanno detto di sì’, la interruppe Jamie. Ethany si guardò intorno incredula. ‘Dicono di conoscerlo, e di conoscere te. Dicono che combatti per una causa importante. Non so cosa significa, voglio solo rivedere il mio papà’. “Va benissimo, lo rivedrai. Però...ecco, sono passati molti anni, e tuo papà è...cambiato. Si è arrabbiato molto perché non ha potuto vederti più, quindi quando lo vedrai sarà un po’ diverso.” ‘Diverso? Ma è il mio papà, lui è sempre allegro con tutti, tranne quando parla con la mamma...con lei diventa sempre cattivo.’ “Ecco, è come se tuo papà in questo momento sia davanti alla tua mamma. E’ molto arrabbiato, ma appena ti vedrà sono sicura che non lo sarà più. Di’ ai tuoi amici di presentarsi domani all’ingresso della foresta, al calar del sole. Io sarò lì”.
Dopo che la figura di Jamie si dissolse, Ethany crollò a terra. Era troppo stanca persino per pensare, e forse era un bene. Dopo un periodo di tempo indefinito si alzò in piedi. Suo padre era ancora là. ‘Hai fatto bene a dirgli la verità. Non lo avrebbe sopportato. In fondo, è sempre un bambino’. Ethany fece un respiro profondo. “Mentire non sarebbe servito a niente. Lo avrebbe solo sconvolto di più. E mi serve il suo appoggio se non voglio perdere quello degli altri fantasmi,” terminò, con una voce fredda e incolore. ‘Ethany, lo sai che l’ultima decisione su questa faccenda spetta a te, vero? E’ un enorme fardello da caricare sulle spalle di una giovane come te, ma in qualche modo solo tu puoi farlo, nessun altro è...’ “So perfettamente che cosa mi aspetta. Se non lo uccido, questa storia non finirà mai. Non avremo mai una vita normale, ma se il bambino lo distrae a sufficienza sono sicura di potergli scagliare contro il mio scudo”. Non udendo risposta, Ethany si girò lentamente verso suo padre, che la guardava con un’espressione che poté identificare come delusione, pura e semplice. ‘Vuoi uccidere un padre davanti a suo figlio? Anche se ormai è morto non ti perdonerà mai. E non smetterai di vedere le anime solo uccidendo Slender. Io sono qui per guidarti, ma vedo che ormai hai fatto la tua scelta.’ Ethany adesso stava cominciando a innervosirsi. “Ma qualcuno ha mai pensato ai miei sentimenti? Se non lo uccido non avrò pace. Continuerà a perseguitarmi per sempre. Tu sai cosa vuol dire non dormire perché ti senti osservata, senti che qualcuno fruga nei tuoi sogni, avere incubi ogni notte? Lui vuole suo figlio. E non si fermerà davanti a niente per riportarlo indietro. Quindi non vedo perché dovrei farlo io.” ‘Ti ricordavo migliore di così, ma non posso interferire nelle tue decisioni. Ti chiedo solo di pensare. Di pensare molto bene a quando è cominciata.’ Detto questo, scomparve.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11: Prima che finisca ***


Capitolo 11: Prima che finisca

Ethany sapeva a cosa si riferiva. Per un attimo anche lei aveva sperato di fare leva sulla compassione di Slender, ma la sua preoccupazione per Zack l’aveva portata su tutt’altra linea d’azione. Tutto quello che ronzava nella sua mente era lui e come liberarlo dalle grinfie di quell’essere orribile. Poteva essere egoista, ma aveva vissuto la maggior parte della sua vita a sentirsi uno scherzo della natura, e quando finalmente aveva trovato una persona che la facesse sentire bene, gliela portavano via. Dire che Ethany sentiva un profondo senso di ingiustizia era un eufemismo. Ormai non le interessava più. Non le interessava abbassarsi al livello di un assassino, meritava anche lei una vita.
Zack avrebbe voluto passare le ore seguenti a riprendersi dallo shock, ma Slender non glielo concesse. La sua anima si stava corrompendo, ma non abbastanza in fretta. Lo riportò vicino casa. Zack non gli domandò nemmeno il motivo del loro ritorno, o forse era troppo sconvolto per notare che era di nuovo a casa. Il sole era tramontato quasi del tutto, e suo padre stava tornando proprio in quel momento da lavoro. ‘Vai da lui. Fallo sentire di nuovo al sicuro. Fagli sentire che suo figlio è di nuovo a casa. E poi torna da me.’ Zack si sentiva non più padrone delle sue azioni. Sentiva che qualunque cosa avesse fatto, anche un gesto di ribellione, sarebbe andato a favore dello Slender. Ormai non gli interessava più. Doveva proteggerla. Avrebbe ferito suo padre, ma non l’avrebbe ucciso.
Tom era al settimo cielo. Suo figlio, suo figlio era tornato! Voleva stritolarlo in un abbraccio fortissimo, ma si accorse da subito che c’era qualcosa che non andava. Aveva gli occhi spenti, sembrava tornato al periodo in cui era all’ospedale. “Zack, figliolo, cosa succede? Cos’hai?” “Sono tornato. Avevo bisogno di un po’ di tempo per riflettere da solo.” “Riflettere su cosa? E perché non mi hai detto nulla? Mi hai fatto spaventare così tanto!” Zack ebbe un breve sussulto a quelle parole. Risvegliavano dentro di lui delle sensazioni familiari. Qualcuno si preoccupava per lui. Sorrise, un sorriso che assomigliava di più a un ghigno. “Allora ti mancherò ancora di più adesso,” disse con una voce quasi per niente umana. Suo padre fece un passo indietro. “Non considerarmi più tuo figlio. Io non esisto per te. Non sei mai stato un buon padre. Solo un buono a nulla. Ed io che mi chiedevo perché la mamma ti tradiva.” Negli occhi di suo padre vide passare mille emozioni contrastanti, che culminarono in lui che cercava di avvicinarsi.  “Zack, che diavolo stai dicendo?” “Non avvicinarti. Io sono cresciuto da solo, non ho avuto un padre. Tu non esisti per me.”               Si voltò e corse fino a sparire alla vista. Non aveva più lacrime da versare, anche quelle se le era prese lo Slender.
La notte trascorse placida, beatamente ignara dello scontro che stava per avvenire la sera seguente. La popolazione si svegliò sotto un cielo plumbeo e gonfio di pioggia, carico di oscuri presagi. Sembrava quasi di essere sospesi nel tempo, come muoversi in una melassa densa e appiccicosa che rallentava i movimenti e i pensieri.
Prima della fine di quella giornata, il mondo sarebbe cambiato.
Prima della fine, c’è un’ansia che attanaglia lo stomaco, non meglio definita.
Prima di un evento importante, sai che ci sarà anche un dopo.
Ma il prima non si può cancellare. E’ una parte da vivere.
Ethany era pronta a diventare un’assassina, per quanto si potesse definire assassinio eliminare una leggenda metropolitana.
Zack era stanco, ma di cosa, non ricordava.
Slender era pronto a riavere indietro suo figlio, in qualunque modo.
Nessuno era pronto a vedere in faccia le conseguenze delle proprie azioni.

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Capitolo 13
*** Capitolo 12: Free ***


Capitolo 12: Free

Ethany camminava lentamente verso il bosco, all’entrata del quale vedeva un mucchio di figure luminescenti. Se ne staccarono tre dal gruppo, due alte e una più bassa. La figura bassa era Jamie, che le sorrise entusiasta. Buon per lui che ancora conservava l’innocenza dei bambini. Le altre due erano suo padre e un’altra donna che non conosceva. Suo padre le rivolse un cenno del capo. Era palesemente arrabbiato. Non le importava. La donna le rivolse uno sguardo attento, come se volesse analizzarla. ‘Saremo molto felici di aiutarti. Sappiamo che vuoi il nostro aiuto, ma in cosa consiste esattamente?’ “Posso parlarle in privato?”
Mentre si allontanavano dal gruppo, Ethany cominciò a recitare il suo discorso ben preparato: “Conoscerete sicuramente la leggenda e in che modo si connette a me, qual è il mio compito e così via. Non ho ancora deciso quello che voglio fare, ma la mia priorità assoluta è fare in modo che lo Slender non possa più minacciare nessuno con la sua presenza.” ‘Qualcuno in particolare?’ le disse la donna con un sorriso comprensivo. Ethany sentì il sangue affluire con forza alle guance. “Può darsi. Ma non è questo il punto. Mi serve che mi proteggiate, che facciate parlare Jamie con suo padre.” ‘Sarà fatto. Ma dovremo portare via Jamie. Non voglio che assista. Alcuni di noi non riescono a controllarsi. Ha distrutto talmente tante vite che l’odio di quegli spiriti verso di lui è ancora molto forte.’ “Non troppo presto, però. Deve distrarlo. Vi farò un cenno io. State pronti.”
Ethany si inoltrò nel bosco, seguita da suo padre, Jamie e un codazzo di spiriti luminescenti. Giunsero ad una radura con al centro un solo, solitario albero spoglio, i cui rami sembravano contorcersi in preda agli spasmi dell’agonia. Ethany raccolse le forze. Vedeva il suo scudo attorno a sé, un lucore confortante che presto avrebbe scagliato contro la creatura più abominevole dell’intero universo. “Jamie, avvicinati.” Il bambino corse da lei, affiancandola. Ethany abbassò lo scudo. Si alzò un vento fortissimo che scosse i rami degli alberi, rendendo il luogo ancora più sinistro. Ethany ebbe appena il tempo di sbattere le palpebre che una figura si era materializzata ad una ventina di passi da lei e Jamie. Una figura che conosceva fin troppo bene.
“Zack?” ansimò Ethany. Le sembrava di aver corso per migliaia di chilometri. Era proprio lui, con gli occhi vuoti e assenti, e subito dietro vedeva il mostro che gli sussurrava all’orecchio. Vide un tentacolo scivolare intorno a Zack, che si accasciò a terra e non si mosse più. “ZACK!” ‘Prova a salvarlo se vuoi, ragazzina, ma a rischio della tua vita,” sibilò freddamente Slender nella sua testa. ‘Papà?’ si udì una vocina sottile pronunciare quell’unica parola. ‘Sei tu, papà?’. Se lo Slender avesse avuto gli occhi, Ethany era certa che gli si sarebbero spalancati per la sorpresa. Adesso vedeva Jamie, ma il resto degli spiriti era occultato, perciò non poteva vederli né sentirli. Aspettavano il suo segnale. Jamie aveva evidentemente riconosciuto il padre, nonostante non ci fosse più niente in quella figura che ricordasse Adam Willer, e cominciò a correre verso di lui. Slender sentiva avverarsi il sogno di una vita. Il figlio che gli correva incontro. Ma c’era un problema. Non appena lo Slender fece per accogliere Jamie tra le sue braccia, il bambino lo attraversò. ‘Non posso stringerti, non posso...’
Tutto accadde molto velocemente. Jamie si voltò. Ethany scagliò il suo scudo contro lo Slender. Ma non lo colpì. Tra lui e lo scudo si era frapposto qualcun altro.
E quel qualcuno era Zack, che atterrò con un tonfo, il sangue che si spargeva a inzuppare la terra.
“NO!” L’urlo di Ethany sembrò scuotere l’aria che li circondava, frantumarla in mille schegge. Corse verso Zack, ma prima di riuscire a raggiungerlo notò che anche lo Slender non era esattamente in condizioni ottime. Non capiva perché, ma il colpo aveva influenzato entrambi. Ethany si voltò. Vide un’enorme barriera di luce, e dietro di essa, quella che sembrava un’orda feroce. Gli spiriti erano usciti allo scoperto, spronati dal desiderio di vendetta e vedendo lo Slender in difficoltà, ma la barriera li tratteneva. Ethany vide suo padre dal lato opposto della barriera rispetto a quello degli spiriti. L’aveva eretta per proteggerli. A Ethany vennero le lacrime agli occhi. Alzò lo scudo. Avrebbe dovuto terminare quella storia molto prima. Prima che potesse calare il colpo ricordò le parole di suo padre: ‘Vuoi uccidere un padre davanti a suo figlio?’
Guardò Jamie, che ricambiò il suo sguardo, terrorizzato. Doveva avere un’espressione spaventosa. Non era per fare questo che Ethany era nata. Non voleva tutto questo sin dal principio. Quindi perché accettarlo?
“RINUNCIO!” La parola suonò strana perfino alle sue orecchie. “Rinuncio al mio destino, rinuncio a tutto quello che per paura e per dolore sono stata costretta a fare. Rivendico la mia libertà. Sono un essere libero, e oggi la mia scelta è questa. Permettete a questo bambino di riabbracciare suo padre.”
Calò il silenzio. Gli spiriti non c’erano più. Era come se li avesse messi in fuga. La barriera era scomparsa, e suo padre le si avvicinò. Ethany sentì Jamie singhiozzare. Sembrava di nuovo corporeo, vivo, e così anche lo Slender che, beh, non era più come lo ricordava. Era un uomo, lo stesso uomo che era prima di trasformarsi in un mostro. Passarono un paio di minuti. Ethany era inginocchiata accanto a Zack, che ad un certo punto si mosse. Ethany non osava nemmeno respirare. Possibile che...?
“Pensavate di avermi messo fuori gioco, eh?” riuscì a dire con fatica mentre spalancava gli occhi, che splendettero ancora di più in quel volto pallido. “Per fortuna che sono bravo con gli atterraggi.” Ethany lo abbracciò tra i singhiozzi. Adam e Jamie si stavano facendo sempre più luminosi. Ogni secondo che passava assomigliavano sempre di meno a esseri terreni e molto di più a spiriti come suo padre, che li affiancò. ‘Per noi è ora di andare’, gli spiegò con un sorriso. “Papà? dove dovete andare?” domandò preoccupata Ethany. ‘Sono potuto rimanere qui solo in via eccezionale, per quello che sei. Ma ora che hai compiuto questo gesto, è ora di tornare. E con me verranno anche loro due, che mancano all’appello da troppo tempo.’ “Papà...” ‘Il tempo che ci è concesso qui sembra sempre così poco, vero? Prenditi cura di lei, Zack.’ Detto questo, si incamminò con Adam e Jamie verso l’interno del bosco e scomparve. Prima di scomparire con lui, Adam si voltò e le rivolse un sorriso. ‘Ci vediamo dall’altra parte.’ Ethany crollò contro la spalla di Zack, che la abbracciò. “Shh, va tutto bene. Ehi, guardami. E’ tutto a posto. Tuo padre non è andato per sempre. Ci vedremo dall’altra parte prima o poi, no?” Ethany annuì. “Adesso andiamo a casa.” Ethany gli rivolse un timido sorriso. “A casa, finalmente.”
 
---------------------------------------------------------- Fine -----------------------------------------------------------------

Dopo anni finalmente l'ispirazione è tornata e adesso potrete leggere la storia completa <3

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