Angelus Dominus - Alone in the dark - di zippo (/viewuser.php?uid=36831)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una notte senza stelle ***
Capitolo 2: *** L'idolo d'oro ***
Capitolo 3: *** Un oscuro presagio ***
Capitolo 4: *** Prendere quota ***
Capitolo 5: *** Lo specchio dell'anima ***
Capitolo 6: *** Regina di cuori ***
Capitolo 7: *** L'Eden da riconquistare ***
Capitolo 8: *** Vicino al cuore ***
Capitolo 9: *** L'elefante e la farfalla ***
Capitolo 10: *** Amore, non piangere ***
Capitolo 11: *** Disturbia ***
Capitolo 12: *** Raggio di sole ***
Capitolo 13: *** La banalità del Male ***
Capitolo 14: *** Il sottile gioco di pazzia ***
Capitolo 15: *** Lontana dal paradiso ***
Capitolo 1 *** Una notte senza stelle ***
Cap. 1 - UNA NOTTE
SENZA STELLE -
[Ti
agiti perché ami,
sanguini
perché sei stato ferito,
muori
perché hai vissuto.
Crea
il paradiso,
il
paradiso al posto dell’inferno]
Elisa
- Heaven out of hell -
***
L’aria
quel giorno era calda, afosa, pesante. Il sole brillava nel cielo e non
c’era una nuvola. Era estate, era la stagione del caldo
torrido e dei bagni nel fiume. La natura era rinata da poco con la
primavera, e l’estate stava dando il massimo della sua
bellezza. Si potevano sentire in sottofondo il rumore degli insetti che
cantavano o degli uccelli in volo. Il calpestio degli zoccoli dei
cavalli o la corsa veloce e rumorosa dei centauri. Delle verdi colline
coprivano il terreno e c’erano anche dei pini verde smeraldo
di quando in quando. Un sentiero di terra battuta ondeggiava muovendosi
attorno alle piante e ai pendii, il sentiero era una scia marroncina e
dei cespugli bassi lo affiancavano. Al di là del sentiero,
che lo costeggiava, un ruscello scorreva placido, le sue acque
brillavano sotto i raggi cocenti del sole. Lo spettacolo era talmente
bello da mozzare il fiato.
Nella calma
apparente però, qualcuno si stava muovendo silenziosamente
nel bosco, si acquattava e cercava di mimetizzarsi dietro ad un pino.
Il respiro era regolare, i movimenti erano controllati e attenti, un
sorrisino divertito le incorniciava il volto. Sentì un
fruscio e subito si appiattì contro l’albero, si
morsicchiò il labbro inferiore e pregò
mentalmente che non l’avesse sentita. Sgattaiolò
via dal tronco e andò ad cucciarsi dietro ad un cespuglio.
Si aprì un varco tra le foglie con le mani per sbirciare.
Aveva un occhio chiuso mentre l’altro era sbarrato, pronto ad
intravedere ogni più piccolo movimento. Il cipiglio era
innalzato, si stava divertendo un mondo a fare quel gioco.
Strisciò
nella terra e si spostò di parecchi metri. Cercò
di fare il più piano possibile ma non riuscì ad
evitare di far rumore scuotendo le foglie cadute o i sassolini che si
impigliavano nella sua divisa. Imprecò sottovoce e
proseguì. Intravide a pochi metri di distanza un grosso
albero con un grosso tronco. Guardò che ci fosse via libera
e con uno scatto si alzò in piedi e corse fino
all’albero. Il tutto senza creare rumore. Peccato che nella
corsa il respiro si era accelerato e il cuore martellava.
L’avrebbe sentita, lei stessa sentiva come il suo cuore
batteva nel petto e sembrava che stesse echeggiando in tutto il
sottobosco. Controllò a destra. Controllò a
sinistra. Aggirò il tronco per cambiare postazione e se lo
trovò davanti, il suo viso a pochi centimetri dal suo e un
sorrisino inquietante stampato in faccia.
Rebecca
balzò indietro dallo spavento e cacciò un urlo.
Gabriel scoppiò a ridere.
La ragazza
cominciò a correre e lui la rincorse. Scansava gli alberi e
saltava via i tronchi per terra, voltava continuamente la testa per
tenerlo d’occhio. Sperava di poterlo seminare ma lui era
troppo bravo e troppo veloce nella corsa.
In meno di
dieci secondi le fu addosso. Rebecca lanciò un altro urlo e
il ragazzo le prese il polso e la fece cadere. Una volta che si
ritrovò per terra tentò di sgusciare via e di
rialzarsi ma la forza di Gabriel la tenne ben piantata al suolo. Le
bloccò i polsi con le mani e le bloccò le gambe
racchiudendole tra le sue. Rebecca si agitò sotto di lui ma
non riuscì a toglierselo di dosso né tantomeno a
spostarlo. Il bacino del ragazzo spingeva contro il suo e lei rimaneva
a terra contro la sua volontà. Aveva iniziato a sudare
freddo e tutt’un tratto si sentiva esausta.
Sospirò frustrata e si accasciò, inerme. Uno
sorriso vittorioso si dipinse sul volto del ragazzo, scoprendo una fila
di denti bianchissimi e perfetti. Le fece l’occhiolino e lei
per tutta risposta gli mise il broncio. Gabriel scese a baciarle il
collo. La guardò esterrefatto quando sentì dei
mugolii uscirle dalla bocca aperta. Inarcò le sopracciglia e
lei scrollò le spalle come a dire: “che ci posso
fare se mi fai impazzire?”.
Gabriel si
alzò e le tese una mano per aiutarla a rialzarsi. Una volta
in piedi Rebecca si scrollò la divisa verde scuro e si
lisciò i capelli. Gabriel la guardava rapito. Lei gli
sorrise. Lo prese a braccetto e uscirono dal bosco uniti.
Si videro
arrivare incontro due marmocchi di quasi un anno. La bambina buttava la
testa da una parte all’altra cosicché i lunghi
capelli castani svolazzassero al vento, aveva due occhi verdi intensi e
caldi. Il bambino invece correva brandendo una spada di legno, i
capelli biondi erano color del grano e gli occhi grigi erano profondi e
glaciali. Rebecca sorrise e si piegò sulle ginocchia per
prendere al volo la bambina che si era gettata tra le sue braccia.
Gabriel teneva il bambino in braccio e rideva con lui su qualcosa che
si erano detti.
“Emma”
disse Rebecca. “Cosa fate qui da soli? Non sapete che
è pericoloso avventurarsi nel bosco? L’uomo
cattivo è sempre pronto a mangiarvi, è
là, in agguato che vi aspetta…”
Rebecca fece
il solletico alla bambina che cominciò a dimenarsi tra le
sue braccia. La guardò negli occhi e le toccò il
naso con una mano. “L’uomo cattivo?”
domandò divertita.
Rebecca
finse una faccia allarmata. “Emma, non hai mai sentito
parlare dell’uomo cattivo che mangia i bambini?” la
prese in giro.
Emma scosse
la testa divenendo improvvisamente seria. Il fratello la
rimproverò. “Emma, non credere a quello che ti
dice! Non esiste l’uomo cattivo, vero zio?” chiese
con l’aria da “so-tutto-io”.
Gabriel se
lo strinse a sé. “Certo che non esiste,
Ian” lanciò un’occhiata severa alla
ragazza vicino a lui. “La zia è molto brava a
raccontare storie inventate”
Emma si
divincolò dalle braccia della ragazza e scappò
via, seguita a ruota dal fratello che era sceso dalla schiena di
Gabriel. “Lo sapevo che non era vero!”
urlò Emma a Rebecca mentre lei e Ian si rincorrevano sulle
colline.
Rebecca la
guardò e le sventolò la mano. “State
attenti!” urlò a squarciagola perché la
sentissero. Poi i due bambini sparirono oltre un pendio.
Gabriel le
fu vicino e le circondò i fianchi. Rebecca alzò
lo sguardo su di lui. “Non è che sia pericoloso,
vero?” domandò preoccupata, lanciando occhiate
furtive nel punto dove Emma e Ian erano scomparsi.
“Non
si faranno niente, e poi guarda” disse, indicandole con un
dito le due figure dietro di loro.
Denali e
Rosalie li salutarono, si tenevano per mano.
“Avete
visto la mia prole?” domandò Denali con un sorriso
carico d’affetto.
“Sono
andati di là” Rebecca gli indicò il
punto esatto sulla collina.
Rosalie
alzò gli occhi al cielo ma non potè trattenersi
nel ridere. “Mi faranno morire di spavento quei due, non
stanno fermi un attimo. Non ho tutto il tempo, io, di starli
dietro”
Gabriel
battè una mano sulla spalla della sorella.
“Sorellina, immagino che sia dura tenere a bada due mocciosi
ma non puoi permetterli di andarsene in giro da soli”
La ragazza
incrociò le braccia al petto e fulminò il
fratello con gli occhi. “Mi stai dando della madre
irresponsabile?”
Denali, con
timore reverenziale, si avvicinò alla compagna e le
circondò le spalle per calmarla. “Andiamo, Rose.
Andiamo a prenderli”
Rosalie
sospirò e incrociò lo sguardo con il suo ragazzo.
Si diedero un leggero bacio a stampo (Gabriel sussultò e
fece una smorfia schifata) e poi se ne andarono.
Rebecca gli
si avvicinò e gli diede un leggero pizzicotto al gomito.
“Sbaglio o è questa sera che Bastian ha
organizzato una festa in paese?”
Gabriel era
distratto. “In realtà l’idea
è partita da Alan. Non che io ne sia
d’accordo…”
“A
te non va mai bene niente”
“Non
è vero. Dico solo che sarà una
seccatura”
Gli occhi
della ragazza cominciarono a luccicare, il suo sguardo era sognante.
“Ma come fai a dirlo? I vestiti, le danze, i cavalieri, le
dame, gli incontri…”
“Soprattutto
gli incontri, giusto?” sbottò il ragazzo
adombrandosi.
Lei gli fece
la linguaccia. “Guarda che prima che ti conoscessi io ero una giovane
fanciulla scapestrata e libera, che andava a feste e discoteche con le
amiche pazze”
Gabriel
incrociò le braccia al petto e le fece un sorrisino
beffardo. “Questo accadeva prima, ora che sei mia non ti
conviene far tanto la ragazza libera altrimenti ti toccherà
dormire fuori stanotte”
“Giù
le armi, guerriero” gli bisbigliò suadente
all’orecchio premendoglisi contro.
Gabriel fu
attraversato da una scarica elettrica che lo fece fremere.
Amava,
adorava quella ragazza.
La sua era
quasi una devozione divina. Era sacra, pura e buona.
***
Quando
Rosalie e Denali tornarono a casa i bambini erano stanchi e affamati.
Denali si lamentava a tavola del fatto che i suoi figli fossero troppo
vivaci e selvaggi, Rosalie lo ascoltava senza commentare, non la
pensava come lui. Per lei i suoi figli erano così
spensierati e allegri che si divertivano come meglio potevano,
ridevano, si rincorrevano e non stavano mai fermi. Erano felici, che
c’era di male in questo?
Rosalie
stava preparando la cena mentre Denali, seduto su una sedia, la
osservava.
“Potresti
anche darmi una mano, lo sai?” gli disse la ragazza
mescolando con disinvoltura il contenuto nella pentola.
Un forte
profumo di carne e minestra colpì il naso del ragazzo.
Si
alzò e le diede una pacca sul sedere. “Tesoro,
dovresti sapere quanto odio
far da mangiare”
“Per
favore, vai a chiamare i bambini, è quasi pronto”
disse, introducendo un dito nella pentola della minestra e portandoselo
alla bocca.
Denali si
avvicinò silenziosamente e le circondò i fianchi
con le braccia. “Sei incredibilmente bella in questo momento.
Come faccio ad andare dai bambini con te in questo stato? Non posso
certo lasciarti qui da sola” le sussurrò con il
fiato mozzato dal desiderio.
Gentilmente
Rosalie lo scansò. Denali si staccò, il suo
sguardo era un misto tra l’eccitato e il deluso.
“Ok, vado a prendere i tuoi figli”
Lasciò
la cucina con grandi falcate, salì al piano di sopra e
subito sentì degli urletti provenire dalla camera da letto
dei figli. Quando aprì la porta vide che Emma era sotterrata
dal peso di Ian e che questo le stava tirando i capelli fino a farla
gridare.
“Ian,
smettila subito!” tuonò la voce del padre. Il
bambino ebbe un fremito e scappò in fondo alla stanza a
nascondersi dietro la tenda.
Emma, al
suolo e piangente, tese le braccia con fare disperato verso il padre.
Con profonda commozione il ragazzo la prese in braccio e se la strinse
al petto, lanciando occhiate di fuoco al bambino che era ancora
nascosto infondo alla camera. Le accarezzò i lunghi capelli
castani così simili ai suoi, perforando gli occhi grigi di
Ian che erano uguali ai suoi per colore e intensità.
“Ian,
ti ho detto mille volte di non dare fastidio a tua sorella. Lo sai che
puoi farle male, lei è una signorina, non devi essere
cattivo con lei”
Ian fece il
beccuccio e si ciondolò sui piedi. “Non volevo,
lei mi ha chiamato brutto stupido”
Denali
guardò con aria sconvolta la sua piccola figlia adorata che
ora aveva trattenuto il fiato. “Emma, è vero
quello che dice?”
Il silenzio
della bambina parlò da sé. Il ragazzo
sospirò pesantemente. “Ragazzi, non vi voglio
sentir dire quelle parolacce”
“Ma
tu e la mamma lo fate!” lo rimbeccò il bambino.
“Sì,
ma io e la mamma siamo grandi e alcune cose che ci diciamo non stanno
bene che voi le ripetiate. Quando sarete grandi potrete fare e dire
quello che vorrete ma ora, finchè siete piccoli e sotto la
nostra custodia, non dovete azzardarvi ad essere maleducati. Dovete
volervi bene, capito?”
I due
bambini annuirono con pentimento.
Denali mise
già la bambina che ora si succhiava il pollice e la
guardò con amore. “Emma, vai e chiedi scusa a tuo
fratello” il suo sguardo era dolce e adorante. Le tolse il
dito dalla bocca e con una piccola spinta la mandò verso
Ian.
Emma
raggiunse Ian e lo abbracciò.
“Bravi
ragazzi, così vi voglio” disse il ragazzo con
orgoglio, gonfiando il petto. “Ora venite a mangiare, la
mamma ci aspetta”
Il ragazzo
si alzò in piedi e si sentì strattonare i
pantaloni sia da una parte che dall’altra. Alzò
gli occhi al cielo e con un braccio andò a prendere Ian
mentre con l’altro prese Emma. Se li caricò uno su
una spalla una sull’altra.
“Guarda
cosa mi tocca fare” brontolò Denali arrivando in
cucina con i figli in groppa che ridevano come matti.
La cena era
pronta così come anche la tavola.
Rosalie li
osservò divertita e lo aiutò prendendo Ian. Il
bambino, che adorava particolarmente la madre, le riempì il
volto di baci.
“Sapevi
a cosa andavi incontro facendo il padre” disse la ragazza una
volta che furono tutti e quattro a tavola.
Denali la
guardò intensamente. “Non potrei mai pentirmene,
tesoro”
***
Delia e
Kevin camminavano mano per la mano lungo le vie del villaggio.
Entrarono dentro una taverna e presero posto ad un tavolo. Una donna
prorompente di mezza età, volgare e grottesca, li
servì. Erano una di fronte all’altro e per un
po’ rimasero zitti. Delia lanciava sguardi carichi di
ostilità verso la donna della taverna e Kevin seguiva
interessato lo spostamento dei suoi occhi sulla sala. Non
c’erano molte persone, era quasi sera e tutti si stavano
sicuramente preparando per la serata di festa al villaggio.
“Che
donna vergognosa” si decise alla fine a parlare la ragazza.
“Non dovrebbero lasciare ad una donna del genere la gestione
di una taverna”
Kevin prese
il boccale di vino in mano e bevve un lungo sorso. “Glielo
lasciano gestire solo perché porta le api al miele, gli
uomini vengono per lei, intanto bevono e pagano, e i proprietari si
arricchiscono”
“Anche
a me avevano proposto di lavorare qui” disse Delia con
nonchalance.
Il ragazzo
sputò fuori in un getto quello che stava bevendo.
“Cosa?!” urlò sconvolto.
La ragazza,
imbarazzata, abbassò gli occhi. Tenne lo sguardo basso e si
contorse le mani sotto la tavola di legno.
“Che
cosa hai appena detto?” fece lui.
“Me
l’avevano chiesto. Dato che mio padre è il
proprietario della locanda pensavano che me le sarei cavata nel gestire
una taverna”
“E
beh certo! Basta muovere il sedere e far vedere le tette!”
esclamò Kevin completamente fuori di sé.
“Non
parlare così! E comunque ho rifiutato, non sono posti per
me”
“Dico
bene” brontolò.
“Dovresti
smetterla di essere così protettivo nei miei confronti,
Kevin. Sono grande e so risolvermela benissimo da sola quando mi
capitano situazioni simili”
“È
successo altre volte che qualcuno ti importunasse?”
domandò con tono incolore.
La ragazza
scrollò le spalle. “Mah, non mi sono state fatte
proposte indecenti o scandalose però…”
si bloccò nel vedere lo sguardo omicida del ragazzo.
Tossì. “Nessuno mi ha mai rotto le scatole. Sono
stata fortunata” concluse con un sorriso tirato.
La
verità era che quando aiutava suo padre col lavoro capitava
spesso che degli uomini la importunassero. Ma queste seccature non
andavano oltre a delle battute. Ma questo era meglio non dirlo a Kevin.
Delia sapeva, dopo la morte della compagna e della figlia, quanto lui
fosse possessivo con le persone che amava. Dopotutto non le dispiaceva.
La faceva sentire amata.
“E
comunque ora che vivi con me nessuno oserebbe venire a bussare a casa
nostra”
“Praticamente
ringhi ogni volta che uno sconosciuto bussa!”
“Io
mi preoccupo per te, amore. Non dire che non è vero,
sarò anche oppressivo ma lo faccio perché non
voglio che qualcuno ti dia fastidio. Mi irrito altrimenti. Ti lamenti
ora che sono geloso, aspetta di rimanere incinta, sarò
doppiamente geloso!”
Delia
sorrise. “Non sarebbe una cattiva idea”
“Quella
di rimanere incinta?”
“Sì”
“E
ammazzo tutti gli uomini che proveranno ad avvicinarsi a te o a mio
figlio”
“Ma
dimmi, parli tanto di me…hai conquistato qualche cuore
ultimamente?” lo minacciò facendosi avanti con il
corpo.
Kevin si
slacciò il primo bottone della camicia, gli era venuto
improvvisamente caldo. Cercò di assumere un’aria
spavalda. “Apparte il tuo nessuno”
Delia
socchiuse gli occhi fino a ridurli a due fessure.
“Chissà perché non la bevo”
Il ragazzo
buttò le mani in aria e cominciò a parlare come
una macchinetta. Le uniche, poche, parole che lei aveva capito erano
state: “non centro niente”, “non
è colpa mia se le donne mi adorano” e
“non ti ho mai tradita”.
Beh, questo
poteva bastare, no?
Delia lo
interruppe. “Kevin?”
“Sì”
rispose con uno stridulo acuto.
Gli occhi
della ragazza erano due pozzi di profonda dolcezza. “Ti
amo”
***
La piazza
era in fermento, la gente passava apposta lungo la via per poter
così sbirciare il lavoro che Bastian a Alan stavano facendo.
I due fratelli si sentivano continuamente osservati e più di
una volta Alan aveva perso la pazienza.
“Smettetela
di gironzolarci intorno! Stasera vedrete con i vostri occhi cosa vi
abbiamo preparato!” sbraitò ad un certo punto nel
vedere un gruppo di ragazze che si erano fermate e spettegolavano
eccitate sui preparativi. Queste se n’erano andate via
sconcertate e offese. Bastian se la rideva sotto i baffi, continuando a
tagliare la legna. Si asciugò la fronte sudata e
guardò il fratello ancora di schiena che lanciava sguardi
selvaggi nel punto in cui le ragazze erano sparite.
“Alan,
non è così che dovresti trattare la gente del mio
villaggio” lo rimproverò Bastian tirandosi dritto
per sgranchire la schiena a pezzi.
Alan
tornò ad aiutarlo piegandosi con noncuranza sul mucchio
della legna. Prese in mano il machete e spaccò una legna con
violenza. Bastian fece qualche passo indietro, intimorito.
Lo guardava
esitare. “Penso proprio che tu debba trovarti una donna con
cui sfogare i tuoi istinti animali, sai?”
Alan lo
guardò malissimo. “Lo sai che a me non serve la
compagnia di una donna”
Alan era
più giovane di Bastian ma comunque abbastanza grande da
dover mettere la testa apposto e fare l’uomo di famiglia.
Aveva quarantatrè anni.
Prese il
pezzo di legna e lo buttò nella catasta insieme agli altri
già tagliati.
Bastian
schioccò la lingua. “Comunque questo non ti
permette di essere così scortese”
Il fratello
roteò gli occhi, mise per terra il machete e si
pulì le mani sui pantaloni. Guardò il fratello
negli occhi, era un po’ più alto, più
bello e molto più affascinante. “A quanto pare il
mio carattere non è cambiato granchè durante gli
anni passati rinchiuso in una cella”
“Se
posso dirtelo sei diventato ancora più
insopportabile” rise Bastian.
Anche Alan
rise. “Forse hai ragione, mi serve una donna”
Bastian gli
diede una pacca sulla spalla e risero come due bambini. Poi Bastian
puntò lo sguardo verso la legna e quindi verso
l’impalcatura che stavano costruendo. Tornò serio
e pensieroso.
“È
da giorni che ci lavoriamo, speriamo solo di riuscire a finire per
questa sera”
Alan, che
non si scoraggiava mai, finse un’espressione terrorizzata.
“E se non dovessimo riuscirci?! Non voglio pensare alla
mandria di ragazzine che ci inseguirebbero a vita per averle rovinato
la serata del ballo! Dopotutto manderemo all’aria una notte
di rimorchi” disse con un sorriso furbetto.
“Ma
smettila” sbraitò il capo-villaggio. “Ce
la faremo, dobbiamo solo evitare di fare continue pause”
“Non
possiamo chiamare Rebecca?” domandò con occhi
vispi e allegri. “Quella ragazza è una forza della
natura, ci spezzerebbe tutta la legna in meno di venti secondi,
costruirebbe il palco con la magia in due minuti e tutti gli addobbi e
le luci gli farebbe in tre secondi. Senza contare che il tocco elegante
di una ragazza raffinata è perfetto per la serata del
rimorchio”
Bastian
scrollò la testa. In realtà ci aveva pensato
anche lui. “Rebecca è andata ad allenarsi con
Gabriel, come ogni pomeriggio”
“E
quando rientra? Potremmo chiamarla se è già a
casa”
“Non
so se è a casa, in ogni caso possiamo benissimo arrangiarci
da soli”
Alan
sospirò pesantemente. “Tu puoi arrangiarti da
solo, io sono sfinito. È tutto il giorno che taglio legna e
preparo addobbi. Insomma, sono pur sempre un uomo con una
dignità maschile! Che figura che faccio nel farmi vedere a
intagliare roselline e fiocchetti!”
“Finiscila
di lamentarti, è solo per una sera”
“Hai
detto che hai organizzato questa festa in paese per far divertire la
gente del villaggio. È tutto o c’è
dell’altro?” chiese l’uomo.
Bastian
prese un profondo respiro. “In parte è vero, in
parte l’ho fatto perché fra qualche giorno ho
intenzione di mandare gli uomini in una spedizione al di là
dei nostri territori. Pensavo di farli divertire prima di parlargli
della battaglia”
“Battaglia?
Spedizione? Vuoi mandarli in territorio nemico a morire?”
esclamò Alan confuso.
Bastian gli
fece cenno di abbassare la voce. “Dopo la morte di Dark
Threat i suoi seguaci sono scomparsi e fino a qualche tempo fa non
abbiamo più avuto notizie di loro. Però due
giorni fa mi è arrivata una lettera da parte di un nostro
villaggio alleato che vive nei territori una volta appartenuti a
Mortimer. Nella lettera che mi ha spedito il capo-villaggio
c’era scritto che a quanto pare i seguaci rimasti si sono
radunati formando un gruppo armato. Vanno ad attaccare i villaggi con
l’intenzione di riunire i territori di Dark Threat, terre che
sono andate perse dopo la sua scomparsa”
“Ma
non capisco, che senso avrebbe riprendersi tutti i territori dal
momento in cui il loro signore è morto? Loro di certo non
sono in grado di comandare”
Bastian
sembrava preoccupato per qualcosa. “Infatti, non sono in
grado di farlo. Quello che io temo è che lo stiano facendo a
nome di qualcuno” sussurrò gravemente.
Alan
spalancò gli occhi inorridito. “Vuoi dire a nome
di Mortimer? È impossibile, lui è morto! Rebecca
lo ha ucciso!”
“Non
penso sia Dark Threat il loro nuovo signore” disse.
“E
chi allora?” domandò il fratello con una nota di
panico nella voce.
“Io
credo che sia Atreius. Il nuovo erede”
Alan
barcollò indietro e dovette aggrapparsi ad una trave per non
cadere a terra. Le gambe gli tremavano, inarcò le
sopracciglia ed emise un gemito soffocato.
Dovette
sforzarsi molto per aprir bocca e parlare. “Gabriel non
ha…? Non l’ha ucciso?”
Bastian
scosse la testa. Gabriel gli aveva detto che l’aveva visto
lanciarsi dalla finestra del palazzo e cadere nel vuoto. Ma mai lui
aveva messo in dubbio il fatto che fosse ancora vivo, che fosse
riuscito a salvarsi dopo essere precipitato nel baratro del fossato.
Dopo un po’ aveva dimenticato la questione della presunta
morte di Atreius, ma successivamente alla lettura della lettera il
primo pensiero che aveva avuto era stato quello di un Atreius vivo e
potente che prendeva il posto del padre sul trono della casata. Sarebbe
stata l’unica spiegazione plausibile, Atreius era
l’unico uomo che poteva prendere quella
responsabilità. Conosceva il padre ed era stato addestrato
da lui, perciò era logico che avrebbe ereditato tutto dopo
la sua morte.
Se Gabriel
ne fosse venuto a conoscenza sicuramente si sarebbe infuriato, e non
solo per un fatto personale (non aveva ancora digerito la relazione che
c’era stata tra Rebecca e Atreius), ma anche per un fatto di
odio. Gabriel odiava Atreius, non sarebbe stato contento di saperlo
ancora vivo. Anche perché avrebbe significato che lui aveva
perso.
“Non
devi farne parola con nessuno Alan, mi raccomando” lo
avvisò Bastian. “Non finchè non ne
siamo sicuri al cento per cento”
Alan, che
sembrava aver ripreso un po’ di colorito, annuii.
“E quindi tu vuoi mandare un esercito a sterminare i seguaci
di Mortimer in modo da fermare la loro conquista?”
“In
questo momento i seguaci si sono fermati tutti nel villaggio di Numbia,
pare che dopo averlo conquistato e saccheggiato si stiano prendendo un
momento di pausa e riposo. Se mando in tempo un esercito nel villaggio
riusciremo ad ucciderli cogliendoli di sorpresa. Il capo-villaggio,
Hedger, mi ha assicurato il loro aiuto. Numbia è il
villaggio più vicino al castello di Mortimer, potrei
scoprire più facilmente chi sta dietro a questa guerra, se
è Atreius o qualcun altro”
“Intendevi
dirmelo o no? Se è un no immagino che tu mi volessi a
casa”
“Infatti
l’idea di portarti con me non mi eccitava granchè,
dopo quello che ti è successo non vedevo di buon occhio la
tua presenza nel campo di battaglia”
“Non
devi preoccuparti per me, io vengo”
Bastian
tirò su col naso e lasciò cadere le braccia lungo
i fianchi, afflitto e vinto.
“Chi
intendi portare nella spedizione?” naturalmente intendeva
dire chi voleva portare di “speciale”.
“Di
sicuro Rebecca, poi chiederò anche a Gabriel”
“E
pensi che accetteranno?”
“Lei
sì. Lui non so”
***
Dopo la
morte di Dark Threat il castello non era stato ristrutturato,
né tantomeno ripulito. Da fuori sembrava vecchio di secoli,
dentro invece la maggior parte delle stanze, dei corridoio erano stati
distrutti e grossi massi caduti dal soffitto ostruivano i passaggi. La
sala del trono era rimasta uguale nell’arco di parecchi mesi.
Era passato quasi un anno, quasi perché in realtà
erano alcuni mesi. La presenza di Dark Threat sembrava non volersene
andare dal castello, dalla sua casa. Nonostante fosse morto era come se
continuasse a vivere in quelle mura, in quelle sale, in quei corridoi.
Il peso della sua scomparsa gravava sui suoi uomini. Il più
rilassato e tranquillo di tutti rimaneva comunque il figlio. Vezzen, il
fidato servo di Mortimer, aveva affrontato la morte del suo padrone
richiudendosi in un oscuro silenzio, serviva e riveriva
l’erede ma non era più la creatura che era prima.
Non era più fidata, non era più riconoscente
né entusiasta di servire il Male. Ricopriva Atreius di
piaceri e attenzioni ma non appena se ne andava dalla sua camera
digrignava i denti e stringeva i pugni.
Atreius
stava architettando qualcosa, ne era sicuro, anche se non sapeva cosa.
Ogni qual volta che lo faceva chiamare compariva sul suo volto un
odioso sorrisino maligno. Era accerchiato da una congrega di generali e
maghi che lo aiutavano nel suo compito di governare e conquistare.
Atreius parlava sempre molto con i maghi della sua congrega, prestando
meno attenzione ai generali. Vezzen non capiva il perché.
Non capiva come mai Atreius mettesse in secondo piano la guerra e le
tattiche di conquista, privilegiando la compagnia di tre maghi oscuri.
A che potevano servirli?
Ormai stava
scendendo la sera, era quasi buio quando Vezzen fu chiamato dal suo
signore. Lo raggiunse di corsa nella sua stanza. Le sue gambe basse e
tozze lo facevano rallentare, non riusciva ad arrivare prima che il
ragazzo si arrabbiasse per il suo ritardo. Bussò tre volte
alla porta della sua camera da letto e aspettò con magra
consolazione che lui rispondesse e gli permettesse di entrare.
L’ultima volta che era entrato senza bussare gli aveva
ustionato tutte e dieci le dita della mani.
Guardò
le sue mani fasciate da una bianca garza e lo sentì chiamare
il suo nome.
Entrò
un po’ titubante, chiuse la porta dietro di sé e
si portò qualche passò avanti. Si
ciondolò sui piedi, in attesa. “Comandi,
signore?”
Atreius era
di spalle e guardava fuori dall’enorme finestrone. Era il
tramonto, momento ideale per le creature della notte che aspettavano
con bramosia il calare delle tenebre. Il mantello gli copriva il corpo,
il cappuccio la testa.
Si
voltò molto lentamente. A Vezzen mancò il
respiro. Era, se possibile dirlo, diventato ancora più bello
dalla morte di Dark Threat. La magia che aveva sviluppato (nonostante
rimanesse comunque limitato dato che era un Nim e non un angelo) gli
aveva reso i lineamenti del viso molto più raffinati ed
eleganti. Sembrava un principe, ad un felino leggiadro e sadico. Era il
Male che rendeva le persone capaci di diventare talmente tanto belle da
possedere una bellezza inquietante e allo stesso tempo affascinante.
Si era
cacciatori, non prede.
Quando
Atreius parlò la sua voce venne fuori calma e melodiosa.
Faceva davvero paura il suo innaturale controllo. “Questa
notte non devo essere per nulla al mondo disturbato, sono stato
chiaro?” tuonò.
“Certo”
deglutì Vezzen.
Non
prometteva nulla di buono.
“Stanotte
avverrà qualcosa di molto importante, mio caro amico.
Nessuno, e dico, nessuno deve entrare nella mia camera”
Vezzen era
indeciso se parlare o meno. “Signore, se non sono
inopportuno, posso sapere che intendete fare?”
Atreius lo
squadrò da cima a fondo con uno sguardo affilato e duro.
“Sei inopportuno” sibilò. “Lo
verrai a sapere, lo verrete a sapere tutti quanti quando
verrà il momento giusto. Ma per ora ti basti sapere che
potrei diventare molto cattivo se qualcuno dovesse entrare o mi dovesse
disturbare”
“Stia
tranquillo, Signore. Io non lo permetterò”
“Ora
vai e non farti vedere fino a domani mattina” disse il
ragazzo e con un cenno della mano lo congedò.
Vezzen si
trascinò fino alla porta e poi sparì dalla stanza
lasciando dietro di sé il rumore della serratura che si
richiudeva.
Atreius
tornò ad ammirare il tramonto dalla finestra ad arco, il
respiro lento e regolare, il petto che si abbassava e si alzava quasi
impercettibilmente. Non era più il ragazzo impulsivo e
bellicoso di una volta, ora era quello che si poteva definire
“un re”.
Sorrise.
Da una porta
segreta dietro di lui comparvero tre figure incappucciate. Erano i tre
maghi della congrega.
“Ho
sentito il vostro odore quando ancora stavate salendo le
scale” disse il ragazzo non voltandosi.
I tre maghi
si lanciarono tra di loro delle occhiate preoccupate e disorientate.
“Ci
avete fatto chiamare per cosa, nostro signore?”
domandò uno dei tre, quello in mezzo.
“Dovreste
sapere il motivo per cui vi ho fatti chiamare”
Altre
occhiate terrorizzate.
“Ho
intenzione di eseguire con voi il rito questa notte”
Atreius
potè benissimo sentire l’agitazione e la tensione
materializzarsi nei loro corpi. Questi smisero per un attimo di
respirare e il primo che parlò aveva la voce rauca ed
esitante.
“Ma
signore, così presto? Dopotutto è un rito molto
difficile da eseguire”
“Non
voglio sentire storie, signori. Questa notte avverrà la
svolta per tutto il regno della magia e non voglio più
aspettare, sono impaziente di concludere i miei piani”
“Potremmo
sapere almeno a chi intende indirizzare lo spirito?”
Un ghigno
terrificante comparve sul volto pallido e perfetto del ragazzo.
“All’angelo. Rebecca, o Aidel, dipende da come la
chiamate voi. Comunque è lei che voglio”
***
Gabriel
picchiò la fronte altre tre volte contro la porta del bagno.
I palmi erano aperti e una mano di tanto in tanto tentava di aprire la
porta sperando di non trovarla ancora chiusa a chiave. Sentiva dei
rumori provenire dal bagno e tentava di capire che stesse facendo di
così importante da non permettergli di entrare a vederla.
“Rebecca?”
la chiamò con stanchezza. “Mi vuoi
aprire?”
Da
quant’era appoggiato lì, alla porta del bagno a
chiamarla?
Si
tirò su le maniche dello smoking. “Guarda che
facciamo tardi” era seccato.
Sentì
la sua voce che gli rispondeva dal bagno, tranquilla e felice.
“Ma come? Non sapevi che i vip arrivano sempre in ritardo per
poter così attirare l’attenzione di
tutti?”
Gabriel
sbuffò. “Non mi interessa attirare
l’attenzione di nessuno, voglio solo andare a quella
maledetta festa in modo da tornare a casa prima”
La porta del
bagno si aprì tutt’un colpo e per poco Gabriel non
cadde in avanti. Barcollò sul posto e si ritrovò
il volto della ragazza a pochi centimetri dal suo. Tutto ciò
che vedeva erano i suoi occhi truccati di marrone, la sua pelle chiara
e pulita e le sue labbra carnose tinte da un rossetto color albicocca.
Per un attimo il suo cervello non connesse. Poi lei lo baciò
sulla bocca con un bacio a stampo, veloce e leggero, probabilmente non
voleva che il rossetto scomparisse.
“Sei
bellissimo” gli disse con occhi dolci e orgogliosi.
Il
mio ragazzo.
Gabriel non
aveva più fiato in corpo, faticò a ritrovare
l’ossigeno. “Anche tu”
Rebecca
sorrise e alzò gli occhi al cielo. Le sue ciglia erano
lunghissime e nere, definite dal mascara che rendevano il suo sguardo
ancora più magnetico. “Ma se non mi hai neppure
guardata”
Gabriel
lasciò scorrere gli occhi sul suo corpo e man mano che
scendeva con la visuale la bocca si apriva sempre di più.
Rebecca
indossava un vestito color avorio che le arrivava leggero a sbalzi fino
alle ginocchia. Le spalline erano spesse e ripiegate fra loro a formare
delle pieghe, legate poi all’altezza del seno da dei nastri
marroni. La scollatura era abbastanza generosa ed era a V. Il vestito
nel busto era attillato e dalla vita in giù scivolava ampio,
la vita era fermata da un nastro marrone che richiamava quelli delle
spalline. I capelli erano sciolti ed erano tutti a boccoli, dei ricci
morbidi e luminosi che risaltavano il suo colore cioccolato. Ai piedi
indossava dei sandali dorati, aperti e che risalivano alla greca con
dei lacci fino a metà polpaccio. La sua pelle era
così perfetta che con quel vestito così candido e
puro la faceva sembrare una ninfa.
Anzi, una
dea.
La
mia ragazza.
“Sono
contenta che ti piaccia” sorrise, visibilmente compiaciuta
dal modo in cui il suo ragazzo la stava guardando.
Gabriel
sbattè le palpebre un paio di volte prima di riprendere
conoscenza. Per un attimo non ci aveva più capito niente.
Era disarmante la sua bellezza, niente a che vedere con la
volgarità o la semplicità, era talmente elegante
e raffinata che pareva essere fatta di luce.
Era
fortunato ad averla, era stato davvero fortunato che una ragazza unica
come lei avesse scelto lui come il suo compagno. Che avesse scelto lui
per donare il suo cuore. Naturalmente era troppo tardi per tornare
indietro, era diventato troppo possessivo e geloso nei riguardi di
tutti e vederla in quelle condizioni lo fece avvampare.
Avrebbe
dovuto tenerla d’occhio quella sera. Non avrebbe tollerato
nessun tipo di approccio da parte di nessuno.
Maledizione,
era davvero arrivato a quei livelli di amore?
Come si
poteva volere così tanto per sé una persona?
Tanto che ti sentivi soffocare se c’era qualcun altro che
respirava la vostra stessa aria?
Cercò
di sorridere anche se il groppo che aveva in gola gli faceva sentire un
macigno sul petto. “Mi piaci, dico davvero. Sei
stupenda”
Rebecca
aggrottò la fronte, vedeva molta sofferenza nel volto
combattuto del ragazzo. “C’è qualcosa
che non va, Gabriel?” mormorò vedendolo
così triste.
“Sei
così bella che mi fai male”
Rebecca
serrò la bocca e assunse un’aria confusa.
“Ti faccio male? Che stai dicendo?”
Gabriel le
prese una mano e se la portò al cuore. “Mi fai
male qui”
I loro
sguardi si incatenarono e i loro occhi erano talmente colmi di affetto
e sentimento che rimasero parecchi secondi uno di fronte
all’altra senza parlare né muoversi, leggendosi
fin dentro l’anima. Rebecca appariva spaventata mentre
Gabriel era tutto un dolore straziante che lo faceva bruciare.
Dio, quanto
l’amava.
Poi lui
parlò. “Dobbiamo proprio andare questa sera alla
festa?” la sua voce era bassa e roca.
“Che
cosa ti spaventa?” domandò la ragazza che pendeva
dalle sue labbra.
Gabriel si
lasciò andare ad una risata isterica. Lei non rideva. Lui si
staccò da lei, fece dei passi indietro e la fissò
da lontano, il suo volto era nascosto nella semioscurità
della casa. La luce del bagno dietro Rebecca la faceva invece
risplendere.
“Ho
paura persino dell’aria che respiri!”
urlò Gabriel che continuava a ridere nonostante fosse
arrabbiato. “Ho qualcosa di sbagliato? È sbagliato
che io sia così possessivo al punto da diventare
paranoico?!”
“Gabriel,
non è colpa tua” sussurrò Rebecca
completamente sconvolta dinnanzi il suo patimento. “Non
è sbagliato amare troppo una persona”
“Non
mi lasciare” sussurrò con voce rotta.
Rebecca
gemette e gli corse incontro. Lo abbracciò con rabbia, lo
tenne stretto e nascose il volto nel suo petto, sperava che lui non la
vedesse piangere. Sentiva il suo corpo inerme, fermo, pietrificato, non
rispondeva al suo abbraccio, sembrava morto, fissava il soffitto e i
suoi occhi azzurri erano vuoti, inespressivi.
Lei lo
scorlò con forza. “Che diavolo blateri?! Non ti
potrei mai lasciare, mai! Non voglio più sentire questi
discorsi! Ti amo, sei tutta la mia vita, sei il mio migliore amico, la
mia unica famiglia! Come potrei andarmene? Perché mi dici
questo?!”
“Perché
sento che tu te ne andrai”
Rebecca
singultò e per poco non si soffocò con il suo
stesso pianto. Smise di scrollarlo e sbarrò gli occhi a
dismisura.
Da qualche
giorno strani incubi invadevano i suoi sogni, le sue notti, il suo
riposo. Da qualche giorno le era crollato addosso un bruttissimo
presentimento, come un senso di perdita, di distacco. Come se si
sentisse in procinto di partire. La sensazione atroce di un imminente
addio. Era una sensazione strana, vera, palpabile. Rebecca non aveva
mai fatto parola dei suoi sogni a Gabriel, sogni nei quali si vedeva
con due occhi rossi mentre gli ringhiava contro. Sogni nei quali il
letto in cui dormiva non era il suo, e Gabriel non era accanto a lei.
Aveva cercato di non darci peso, di non pensarci su, dopotutto erano
solo incubi. Brutti presagi. Ma ora che anche Gabriel sentiva quella
sua stessa sensazione…come spiegarla? Cosa dire?
Un freddo
glaciale la invase. Sciolse l’abbraccio e con il volto
segnato dalle lacrime se ne andò senza guardarsi indietro,
senza prestare attenzione alla figura del ragazzo che era rimasto a
braccia aperte nel corridoio, silenzioso, confuso, sconvolto.
È
così che inizia la fine?
Con uno
scontro che pian piano ti allontana sempre di più.
***
Gabriel
aprì l’uscio della porta per andare alla festa,
non appena l’aprì un vento gelido lo invase e lo
fece rabbrividire. Aveva sentito Rebecca uscire prima di lui,
probabilmente era già arrivata alla festa. Un moto di
sconsolazione lo attanagliò quando pensò che
poteva aspettarlo, in modo da fare la strada insieme, per essere
insieme.
Sospirò
e si strinse nel suo smoking blu scuro impeccabile. Dire che era
bellissimo era poco. Si lasciò trascinare
dall’aria fredda mentre percorreva a piedi da solo la strada.
Mise le mani dentro le tasche e cercò di farsi caldo
nascondendo la faccia nell’interno del colletto della
camicia.
Era
più buio del solito, notò.
Alzò
gli occhi in alto e rimase basito quando vide che il cielo era nero,
completamente scuro. Non c’era neppure una stella che
brillava. Soltanto tre volte negli ultimi tempi era accaduto che le
stelle mancassero di risplendere. La prima, quando Rebecca era
arrivata. La seconda, quando Rebecca era stata crocifissa. Terza,
quando Mortimer era morto.
E pensare
che le stelle non brillavano quando accadeva qualcosa di veramente
terribile.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** L'idolo d'oro ***
Cap.
2 - L’IDOLO D’ORO -
[Se
fossi un ragazzo
penso
che potrei capire
come
ci si sente ad amare una ragazza.
Giuro
che saprei essere un uomo migliore.
L’ascolterei,
perchè so come fa male
quando
perdi qualcuno che volevi,
perchè
lui l’ha data per dovuta
e
ogni cosa che aveva fatto è stata distrutta]
Beyonce
- If I were a boy -
***
Quando Gabriel arrivò alla festa vi trovò
moltissime persone, tante non le aveva neanche mai viste nel villaggio.
Cercava con lo sguardo Rebecca tra la massa, non soffermandosi neppure
ad ammirare lo scenario generale. Scostava e spingeva le persone che si
trovava davanti, cercando di aprirsi un varco tra la folla. Non appena
uscì dall’ingorgo (probabilmente era la pista da
ballo) vide di fronte a lui una serie di tavole con cibo, bevande,
sedie e sgabelli. Erano tutti in piedi che chiacchieravano, non li
prestava attenzione finchè non si sentì
strattonare da una parte.
Bastian gli sorrideva con una faccia da ebete, doveva aver alzato un
po’ il gomito. Gabriel notò la strana bevanda che
teneva in mano. “Pensavo non saresti venuto! Ti piace come ho
creato lo scenario?”
Gabriel, con cipiglio seccato, si guardò attorno. Dietro di
sé c’era la pista da ballo da dove era arrivato,
era circolare ed enorme. Ragazze e ragazzi, donne e uomini, ballavano
tra di loro sulle note di una melodia sdolcinata e lenta. Si tenevano
vicini, gli uomini facevano volteggiare e girare su sé
stesse le donne, cosicché i loro vestiti lunghi si potessero
aprire come una tenda. Un arco di rose bianche sovrastava la pista e ai
lati c’erano delle poltrone bianche dove delle giovani
ragazze dall’aria stufa aspettavano che qualcuno le
invitassero a ballare. Altre spettegolavano. Altre erano intente a
darsi da fare con dei ragazzi. Ai lati della pista da ballo erano stati
innalzati due grandi tendoni verdi e colorati dove la luce
all’interno proiettava sfumature all’esterno.
Dentro i capannoni c’erano dei divani, dei tavoli dove si
poteva bere e giocare a carte.
Bastian l’aveva messo in guardia, dentro a quei tendoni le
cameriere che lavoravano e i baristi che davano da bere erano alquanto
alticci e pericolosi.
“Delle puttane e dei gigolò” disse
Gabriel.
Bastian storse il naso.
Infondo alla pista da ballo, dove si trovava Gabriel, c’erano
delle tavole rotonde a quattro posti ciascuna, si poteva mangiare, bere
e rimorchiare. Il ragazzo osservò con interesse tutte le
coppiette, si vedevano corpi avvinghiati in piedi, addosso ad un
albero, sugli sgabelli. Là non c’era molta luce,
perciò non si vedevano bene, s’imboscavano tra le
piante. Con gli occhi serrati fissò ogni coppietta. Sperava
certo di non trovare Rebecca lì in mezzo.
“È tutto molto bello Bastian, complimenti, falli
anche ad Alan. Dov’è in questo momento tuo
fratello?” domandò, accettando di buon grado un
bicchiere offertogli dal capo-villaggio.
“C’è alcool?” chiese, ma lui
non gli rispose.
“Mio fratello sarà dentro ad un tendone con la
bava a terra nel tentativo di rimorchiare una cameriera”
sbottò con una scrollata di spalle.
Risero entrambi, poi Gabriel tornò serio. Bevve un lungo
sorso della bevanda, era molto forte. “Hai visto
Rebecca?” era la domanda che gli premeva di più.
“Non l’ho vista”
“Uhm”
“Prova a vedere se è dentro ad uno dei
tendoni”
Gabriel si rigirò tra le mani il bicchiere.
“Sì, vado a vedere. A dopo” disse
salutandolo.
Lasciò Bastian alle prese con i suoi alcolici e si
avviò nel primo capannone. Entrò e subito un
odore intenso di alcool e fumo lo colpì al naso,
vagò con lo sguardo. C’erano per lo più
uomini, ubriachi oltretutto, giovani soldati che flirtavano apertamente
con le cameriere. Vide infondo alla stanza Delia e Kevin, appartati e
intenti a parlare fra di loro. Decise di non andare a salutarli.
Controllò nel secondo tendone e l’impressione che
ebbe fu quella di ritrovarsi in un bordello. Era peggio
dell’altro, due guardie ai lati dell’entrata si
accertavano che non entrassero minorenni. Lo lasciarono passare, aveva
compiuto da pochi giorni ventun’anni. Rebecca doveva essere
per forza lì, non l’aveva vista né
nella pista da ballo, né nello spazio all’aperto,
né nel primo tendone. Aveva diciannove anni,
l’avevano sicuramente fatta entrare.
Non appena Gabriel mosse un passo in avanti due ragazze bellissime gli
si avvicinarono. Indossavano dei bustini attillati con delle calze a
rete nere, si reggevano su dei tacchi altissimi e laccati di rosso. Si
sfrusciarono su di lui che con un gesto seccato le
allontanò.
Una di loro gli parlò. “Tu sei Gabriel,
l’angelo”
Gabriel la fulminò con gli occhi. Lei sghignazzò,
probabilmente alle donne piacevano i suoi modi tenebrosi. Dovevano
trovarlo molto affascinante. “E allora?”
domandò con voce glaciale.
Gli occhi di lei brillavano. “Niente, niente” il
suo sguardo scese in basso e subito Gabriel si sentì
infastidito.
Un ringhio silenzioso gli uscì dal petto. Le due ragazze
indietreggiarono di fronte al suo sibilo, erano impaurite ma al tempo
stesso sorridevano meravigliate e rapite. Sicuramente lo vedevano come
una specie di super-eroe. Peccato per loro, non sapevano quanto si
sbagliassero.
Gabriel si strofinò le mani un paio di volte e poi se le
mise in tasca. Avanzava lungo il passaggio con sguardo tenebroso e
intimidatorio. I suoi occhi erano puntati su una sagoma poco distante
da lui. Tutta la gente che lo vedeva passare rimaneva a fissarlo con la
bocca leggermente aperta, timorosi e invidiosi di tanta sicurezza. Era
un tipo molto rispettato e tenuto a distanza.
Si fermò e serrò i pugni.
Rebecca alzò gli occhi su di lui.
Gabriel guardò prima lei e poi lo sconosciuto con cui era
seduta insieme. Avevano sopra il tavolo sei bicchieri vuoti ed erano
uno di fronte all’altra. L’aveva vista con il volto
sorridente, buttava indietro la testa facendo scostare i capelli
boccolosi. Probabilmente aveva riso per una battuta che il ragazzo le
aveva fatto. Sembravano molto a loro agio, il ragazzo era abbastanza
attraente e virile, sedeva con le gambe aperte e il corpo proteso verso
di lei. Rebecca invece, pure mantenendo le distanze, accavallava di
tanto in tanto le gambe, gesto che poteva essere facilmente frainteso.
Lei gli sorrise. “Ciao. Gabriel, ti presento il mio amico
Charles” guardò Charles e poi di nuovo lui.
“Charles, questo è Gabriel”
Il ragazzo gli tese amichevolmente la mano per stringergliela ma lui
non si mosse.
Rebecca tossì e Charles abbassò la mano
imbarazzato. “Charles mi ha tenuto compagnia
finchè ti aspettavo. È stato molto gentile, ha
anche pagato da bere” la buttò sul ridere
accennando i sei bicchieri vuoti.
Gabriel non parlava. Charles era visibilmente a disagio e lanciava
continue occhiate allarmate alla ragazza di fronte a lui.
Balbettò qualcosa e poi se la svignò.
Rebecca si passò una mano sulla faccia e poi la
posò sul mento. Fissava il tavolo. Quando guardò
Gabriel vide che era rosso come un peperone. Si alzò di
scatto come scottata.
“Io…”
“Vieni con me” ruggì prendendole il
polso e trascinandola via.
Gabriel camminava velocissimo e con grandi passi, la ragazza faticava a
stargli dietro, cercava di correre ma non ci riusciva con i tacchi che
portava. Gabriel la portò fuori, percorsero lo spiazzo
attorno alla pista da ballo, superarono la zona
“rimorchi” fino a trovarsi a pochi passi dal bosco,
non erano né troppo lontani dalle persone, né
tantomeno troppo vicini affinché tutti li potessero sentire
o prestare attenzione.
Gabriel si fermò e la strattonò fino a farla
girare su sé stessa e quindi la sbattè contro un
tronco. Rebecca soffocò un gemito quando il suo corpo
rimbalzò con violenza contro l’albero, si
appiattì addosso al tronco mentre guardava sconvolta il
volto deformato del ragazzo.
Gabriel era paonazzo, respirava a malapena e si vedeva benissimo che si
stava trattenendo dall’urlare.
“Avanti” lo esortò lei.
“Sfogati”
Ebbe appena il tempo di finire la frase che un pugno colpì
il tronco mancandole per un soffio l’orecchio. Chiuse gli
occhi e subito gli riaprì. L’aria dovuta al
movimento del suo braccio le aveva scompigliato i capelli, il tronco di
fianco a lei si era aperto a formare un buco. Gabriel tolse la mano
insanguinata e rotta, aveva delle schegge di legno conficcate nella
pelle. Le nocche erano squarciate.
La fissava con odio.
Lei deglutì. “Non osare, non osare guardarmi
così!” esclamò. “Non ho fatto
niente, è inutile che ti arrabbi con me, togliti subito
dalla faccia quello sguardo perché sono l’ultima
persona che dovresti avere il coraggio di odiare!”
Mai avrebbe creduto che la gelosia potesse ridurlo in quello stato.
Gabriel si spinse con forza contro di lei, fece aderire completamente i
loro corpi e con rabbia si precipitò sulle sue labbra. Con
le mani le imprigionò i polsi al tronco,
all’altezza del capo, la baciò con furia sulla
bocca, respirava il suo stesso respiro caldo che sapeva di alcool.
Insinuò la lingua e approfondì il bacio in un
modo talmente profondo che la ragazza credette di morire soffocata.
Gabriel le liberò i polsi e passò le mani sulla
sua schiena, alzò il vestito per toccarle la pelle. Scese a
baciarle il collo con avidità, Rebecca mise le mani sulla
sua testa, tra i suoi capelli biondi fino a spettinarli, lo spingeva
verso di lei, il volto alzato, gli occhi socchiusi, la bocca
leggermente aperta. Fece uscire una gamba facendosi spazio come meglio
poteva e andò a racchiudere i fianchi del ragazzo.
Ripetè la stessa cosa con l’altra gamba e si
ritrovò sollevata da terra, entrambe le gambe cingevano
Gabriel. Una mano di Gabriel lasciò la sua schiena e
andò a sollevarle il vestito scoprendole la coscia. Il tocco
della sua mano fredda a contatto con la pelle calda di lei
provocò in entrambi una reazione potentissima.
Si stavano spingendo troppo oltre.
“Gabriel…” lo chiamò con dei
mugolii che mandarono il ragazzo in estasi.
“Fermati”
“Io no di certo”
Rebecca si premette la testa del ragazzo nell’incavo del suo
collo e sbirciò con la coda dell’occhio la pista
da ballo. Qualcuno li stava osservando? Se così fosse stato
sarebbe sprofondata dalla vergogna. Cercò di spingerlo via
dal suo corpo ma lui era talmente pressato a lei, talmente appiccicato
che fu un tentativo inutile.
“Ti prego” lo implorò con gli occhi
chiusi, troppo eccitata per vedere nitidamente.
Sentì le mani del ragazzo fermarsi improvvisamente e il suo
corpo bloccarsi diventando di pietra. Rebecca mise le gambe a terra e
si tirò giù il vestito che era salito
pericolosamente. Avevano entrambi il fiato corto e il volto infiammato.
I capelli di Gabriel erano uno spettacolo: tutti spettinati, lo
rendevano ancora più bello e dannato. Il primo bottone della
sua camicia era aperto e la giacca dello smoking era finita
(chissà come) per terra. Gabriel raccolse la giaccia blu e
la indossò, aiutò la ragazza a risistemarsi i
capelli e le passò una mano sulla guancia per controllare
che il trucco non fosse colato. Le sue labbra erano gonfie e rosse, il
rossetto se n’era andato. Fu soddisfatto nell’aver
constatato che era stato il primo a toglierlelo.
Era stato contento di aver fatto quella scenata, si era eccitato nello
sbatterla contro il tronco, i suoi occhi imploranti lo avevano fatto
impazzire. Ora però si sentiva uno schifo. Ma averla vista
con un altro ragazzo lo aveva mandato in bestia, non ci aveva capito
più nulla. E all’inizio gli era sembrato giusto
punirla, farla soffrire, farle del male.
Inspirò profondamente e s’incamminò con
lei al suo fianco verso la pista da ballo. Provò a guardarla
di sfuggita, non sembrava arrabbiata.
Meglio.
Forse era delusa, offesa ma almeno non era incazzata. Infondo le era
anche piaciuto quello che le aveva fatto. Dopo un attimo di smarrimento
e orrore si era lasciata andare con passione e trasporto. Le cinse i
fianchi con un braccio e si abbassò a baciarle la testa,
inspirò il profumo dolce dei suoi capelli.
Controllò che anche il suo vestito fosse apposto, non gli
andava a genio l’idea che lei mostrasse troppo del suo
corpo a tutte quelle persone.
La spinse verso la pista da ballo e racchiuse il suo corpo con il
proprio, la fece ballare su una musica d’amore straziante e
triste.
“Gabriel, io non ci ho fatto niente con quel
ragazzo” gli disse. Lo colpì il modo sofferente e
pentito con cui gliel’aveva detto.
Sembrava un cucciolo bastonato sull’orlo delle lacrime.
Gabriel smise di respirare. “Lo so, tesoro. Sono io che
rovino sempre tutto”
Appoggiò la bocca sulla sua fronte e rimasero
così finchè la musica non finì.
Lei gli prese con premura infinita una mano e la tenne stretta tra le
sue più piccole e affusolate. La guardò e la
riguardò. Fece un sorriso. “È
guarita”
In effetti la mano che aveva spaccato, colpendo il tronco, aveva fatto
presto a rigenerarsi.
“Mi dispiace” mormorò a voce bassa il
ragazzo.
“Ti va se andiamo a casa?”
Gabriel la scrutò allungo, poi fece una risata.
“Sei folle”
Un sorrisetto malizioso comparve sul faccino angelico della ragazza che
si strinse a lui per provocarlo. Sapeva che anche lui la voleva come
lei voleva lui. Lo prese per mano e un po’ alla volta si
avviarono verso casa.
***
Gabriel scivolò via dal corpo di Rebecca e rimase ansante in
posizione supina con le mani lungo i fianchi. Fissava il soffitto con
un’espressione sfinita e attirò a sé la
ragazza che appoggiò la testa sul suo petto.
Ricoprì entrambi con le coperte e la tenne abbracciata.
“Dormi?” le domandò ad un certo punto.
La sentì distendere un sorriso appagato. “Ci sto
provando, sono distrutta” mugulò.
A Gabriel scappò una risata. “Pure io lo sono ma
non riesco ad addormentarmi”
“Provaci in silenzio”
Gabriel storse la bocca. “Dormi?”
La ragazza sospirò pesantemente e ad un certo punto Gabriel
credette che volesse conficcargli le unghie nel petto. “No,
non sto dormendo. Finiscila”
Il ragazzo puntellò le dita sul materasso e cercò
di trovare qualcosa di divertente da fare mentre aspettava che il sonno
arrivasse. Canticchiò una canzone a bassa voce, dopo un
po’ un pugno lo colpì in pieno stomaco. Rebecca si
mosse accanto a lui.
“Guarda che divento cattiva, smettila di fare
rumore” sibilò con rabbia.
“Ma se non dormi allora perché non
parliamo?”
Rebecca imprecò. Stava prendendo in seria considerazione la
possibilità di strangolarlo con un cuscino. “Vuoi
che parliamo?!” esclamò esasperata. Si
tirò a sedere tenendosi coperta con il lenzuolo e
incrociò le gambe al petto. “Avanti, che devi
dirmi di così importante?”
Il ragazzo si imbronciò. “Beh, se la metti
così…io volevo solo dire qualcosa tanto per non
annoiarmi. Non serve che tu ti metta seduta, torna qui” le
disse, indicando lo spazio vuoto dove prima era rannicchiata.
Rebecca sbuffò e con un ghigno gli cadde sopra.
“L’uomo di ghiaccio mi desidera?”
Lui le baciò la bocca e poi la punta del naso.
“Forse non riesco a prendere sonno perché sono
ancora troppo sveglio. Devi trovare il modo di farmi stancare ancora di
più” le bisbigliò con occhi vispi e
furbetti.
La guardava con quel suo sorriso da mascalzone mentre si mordeva il
labbro inferiore.
Rebecca finse un’aria sconvolta. “Ancora?! Non ti
bastano due volte in una notte sola?”
Gabriel fece finta di pensarci su. “Ehm…no.
Facciamo tre? Solo per questa notte”
La ragazza si sporse su di lui e lo baciò mordendogli le
labbra. “Solo per questa volta, guerriero”
***
Era notte fonda quando Rebecca si svegliò con il fiatone.
Dovette mettersi seduta per riuscire a riprendere aria, si
massaggiò la testa e si spettinò i capelli.
Lasciò cadere pesantemente le braccia e guardò
Gabriel che dormiva in posizione fetale di fianco a lei. Aveva tutto il
corpo tremante e sudato. La finestra era spalancata e l’aria
fredda inondava la camera. Il vento faceva vibrare i vetri e i rami
degli alberi sbattevano contro i balconi. Subito ebbe freddo.
Cercò di coprirsi, ora tremava. Vide il corpo del ragazzo
muoversi e rintanarsi sotto le coperte.
Sentiva una strana agitazione addosso. L’incubo che
l’aveva svegliata era stato orribile, ed era ancora parecchio
scossa. Indossò la vestaglia bianca di seta,
allacciò la cinghia e strinse. Mise un paio di ciabatte
comode e uscì dalla camera silenziosamente. La casa era
buia, Rebecca non aveva voglia di accendere le luci perciò
la lasciò nella penombra. Solo la luna rischiarava le stanze
e le permetteva di vedere dove metteva i piedi. Andò in
cucina e prese un bicchiere d’acqua fresca, lo bevve in meno
di cinque secondi. Era ancora sudata, aveva ancora sete. Bevve
un’altra volta e con gusto. Si appoggiò al ripiano
della cucina e mentre finiva di bere ciondolava i piedi.
Buttò il bicchiere vuoto nel lavabo e sbadigliò
stiracchiandosi le braccia. Ci voleva proprio una bella rinfrescata,
l’acqua fredda l’aveva calmata e tranquillizzata.
Decise di tornare a letto. Ebbe giusto il tempo di fare un passo in
avanti quando una visione s’intromise nella sua testa,
prepotente e violenta. Spalancò la bocca e si
tappò le orecchie.
“Basta…” sussurrò.
Il suo corpo divenne rigido, dritto e immobile.
Tutto era buio. Era come
se ci fosse una nebbiolina scura che aleggiava intorno a lei. Non
capiva dov’era finita, non c’era niente e nessuno,
era completamente sola. Guardò a terra e vide che il
pavimento sul quale poggiava i piedi era una condensazione di nebbia,
di fumo che scorreva nella stessa direzione. Si guardò e con
orrore vide che la sua vestaglia era sparita, indossava
un’uniforme nera con il mantello scuro che le scendeva fino a
terra. Portava degli stivali troppo sexy e minacciosi, con il tacco
alto e in pelle. Alla fibbia era legata una spada con la lama rossa e
le mani erano racchiuse da un paio di guanti neri che lasciavano
scoperte le dita. Le unghie erano lunghe e affilate. Si
toccò con mano tremante i denti e sentì due
canini lunghi e taglienti.
Cercò di aprire gli occhi ma non ci riuscì. La
testa le scoppiava, credeva di morire.
La visione continuò e lei si accasciò a terra,
finendo distesa sul pavimento della cucina.
Il suo corpo era
pietrificato dalla paura, si guardava a destra e a sinistra. Avrebbe
tanto voluto piangere. Sentì dei passi e subito si
voltò in quella direzione. Le mancò il fiato in
gola quando riconobbe la sagoma incappucciata di Mortimer venirle
incontro. Cominciò a scrollare il capo con frenesia,
indietreggiò e un singulto disperato le uscì
dalla bocca aperta e tremante. Lui si tolse il cappuccio e due occhi
rossi la fissarono intensamente.
Perché non si svegliava? Non riusciva ad aprire gli occhi,
voleva scappare da quell’incubo…sembrava tutto
così vero.
Si sforzò di
non piangere ma era pressoché impossibile. Cercò
comunque di non dimostrarsi debole. Serrò i pugni e
mandò giù il groppo che aveva in gola. Mortimer
non smetteva un secondo di guardarla, sembrava soddisfatto, contento.
Si tolse il mantello e Rebecca vide che indossava la sua stessa
uniforme. Il mantello, a terra, s’infuocò tutto un
tratto. Le ceneri che restarono vennero spazzate via dal vento. Lei
fece lo stesso e anche il suo mantello bruciò. Una cosa
capì in quel momento: Mortimer non aveva intenzione di farle
del male. Lo vide sorridere.
Lo sentì
parlare dentro la sua testa.
“Non ti
vergogni ad avere ucciso tuo padre?”
La sorpresa di sentire
la sua voce acida dentro i suoi pensieri la fece scuotere. Non sapeva
che dire, eppure c’era molto da dire a riguardo.
“Non potevo
lasciarti in vita” pensò e il suo pensiero
andò a finire direttamente dentro la testa di Mortimer che
annuì.
Era sempre stata
addestrata da Gabriel a sconfiggere il Male. Il suo compito era stato
quello di uccidere Dark Threat, non suo padre. Nella sua missione non
era inclusa la postilla: “sterminare la propria
famiglia”. Ora, mentre guardava il suo vero padre,
pensò che in fin dei conti non era giusto avergli tolto la
vita. Magari Mortimer, nello scoprire che era sua figlia, avrebbe
potuto comportarsi diversamente, forse avrebbe saputo insegnargli ad
essere un uomo migliore. Va bene uccidere un estraneo ma con che
coraggio aveva lasciato morire suo padre? Suo padre! Rebecca non era un
mostro e nonostante sapesse benissimo quanto Dark Threat fosse
pericoloso e cattivo non riusciva più a vederlo come prima:
con odio e rancore. Ora lo vedeva come suo padre, una parte di lei non
poteva non provare dell’affetto per lui. Avrebbe voluto
conoscerlo, salvarlo, aiutarlo, farlo rinascere come una persona buona.
Ma forse era impossibile. Ma lei era ingenua e credulona, un schiava
dell’amore e della famiglia. Si accorse troppo tardi che
Mortimer nel frattempo le aveva letto tutti i suoi pensieri. Si
avvicinò a sua figlia e le tese una mano.
“Puoi sempre
riscattarti”
“Non tornerai
mai in vita, io non lo permetterò”
sibilò tra i denti.
“E se io e te
nella vita restassimo insieme? Aidel, sei pur sempre mia
figlia”
Rebecca
vacillò e perse molte delle sue sicurezze. Diavolo, era suo
padre quello che le parlava?! Per un attimo le venne in mente Jonathan,
il bene che gli aveva voluto nonostante fosse stato per lei un padre
adottivo.
Stava soffrendo e questo
lui l’aveva capito. Appariva tranquillo, affabile,
protettivo. Possibile che lei l’avesse sempre visto
così malvagio, spietato e insensibile? Da come la guardava
le si scaldò il cuore.
I suoi occhi erano persi
totalmente dentro quelli del padre, appariva ipnotizzata e vacua. Tese
con una calma innaturale la mano verso di lui e gliela strinse. Un
dolore allucinante la colpì in tutto il corpo,
potè sentire il sangue esplodere dentro le vene e il cuore
cominciare a battere all’impazzata. Le sembrava di andare a
fuoco. Staccò la mano da Mortimer e lui scomparve con quel
suo sorrisetto soddisfatto. Guardò il proprio corpo e non
vedeva niente di strano, eppure si sentiva le fiamme di un fuoco
ardente e scottante invaderla completamente.
Rebecca sbarrò due occhi gialli verso il soffitto.
Quando la sensazione di
ardere svanì Rebecca era in piedi. Il cuore non batteva, la
sua pelle era fredda. Si sentiva l’aria nei polmoni pesante,
come se qualcuno fosse dentro di lei. Come se stesse ospitando
un’anima dentro il suo corpo.
Cacciò un urlo e con le mani si tenne la testa in fiamme.
Con una luce nuova negli
occhi osservò diversamente da prima il luogo buio in cui si
trovava. Strano ma non aveva più paura, si sentiva a suo
agio lì nelle tenebre. Sfilò la spada dalla
cinghia e vide il proprio riflesso sulla lama. Era più bella
di quanto ricordava, gli occhi erano di un rosso acceso e la pelle era
più bianca del solito. Si portò una mano sul
petto e cercò di sentire il battito del cuore.
Ghignò compiaciuta. Non c’erano battiti.
Riaprì gli occhi e il ritorno alla realtà fu
brusco e spiacevole. Era afflosciata a terra e delle braccia muscolose
stavano tentando di rialzarla. Sentì la voce preoccupata di
Gabriel che le stava dicendo qualcosa. Si dibatté come una
matta, urlò delle parole incomprensibili finchè
non sentì il corpo del ragazzo allentare la presa. Si
divincolò un’altra volta e Gabriel la
lasciò andare. Si alzò da sola velocemente con le
mani di Gabriel a pochi centimetri dalla sua pelle, pronte a prenderla
nel caso avesse avuto un cedimento.
Gabriel non l’aveva mai vista tanto sconvolta. Il suo volto
era bianco come un lenzuolo, aveva delle occhiaie nere e pesanti che le
cerchiavano gli occhi mentre le iridi erano nere e infossate. Tremava
ed era scossa da brividi, il sudore scorreva lungo tutto il suo corpo
facendoglielo risplendere. Aveva il fiatone, non riusciva bene a
respirare.
Il ragazzo provò incerto ad avvicinarsi. “Che ti
è successo?” mormorò, il suo cuore gli
martellava nel petto.
“Niente” disse col fiato corto.
“Non prendermi in giro, dimmi che ti è successo,
non ti ho mai vista così!”
E ora che scuse poteva inventargli?
Una voce parlò nella sua coscienza e lei ripetè
quelle parole. “Ho avuto una visione”
Gabriel parve calmarsi. “Cos’hai visto?”
Una guerra,
disse la voce.
“Una guerra” ripetè lei.
“Stavi combattendo? Contro chi eri?”
Era una guerra tra
villaggi, il nostro e un villaggio di nome Numbia. Ci hanno attaccati
loro, di notte, dicevano che gli avevamo tolto tutto, le case, le
proprietà, il cibo…tutto.
“Era una guerra tra villaggi, il nostro e un villaggio di
nome Numbia. Ci hanno attaccati loro, di notte, dicevano che gli
avevamo tolto tutto, le case, le proprietà, il
cibo…tutto” la voce parlava, lei ripeteva
fidandosi cecamente.
“Era solo un brutto sogno” disse con gentilezza
accennando un sorriso. “Ti posso assicurare che abbiamo un
rapporto pacifico con quel villaggio. Non significa nulla, stai
tranquilla” si avvicinò e le accarezzò
una guancia.
“Ma tu mi hai detto che non devo sottovalutare le mie
visioni” disse Rebecca, non la voce.
La voce rimase zitta, sembrava che se ne fosse andata. O forse si era
soltanto assopita.
“Le tue visioni non azzeccano sempre, Rebecca. Non dovresti
credere cecamente a tutto quello che ti passa per la testa”
La ragazza arricciò il naso. Si fece abbracciare da Gabriel
e gli baciò il petto nudo.
“Mi fai sempre morire di paura” le
sussurrò il ragazzo all’orecchio.
Lei rise e lo guardò negli occhi. “Io muoio sempre di
paura. Sarebbe tutto molto più semplice se non fossi
così speciale”
“Se tu non fossi così speciale non mi sarei mai
innamorato di te” le disse seriamente.
“Ti amo”
Rebecca accostò le sue labbra contro quelle del ragazzo. Si
baciarono allungo, si fecero trasportare dalle emozioni,
dall’amore. Finirono distesi per terra, due corpi avvinghiati
e pronti a concedersi. Rebecca premette con forza la testa del ragazzo
sulla sua bocca, stava cercando di non dare ascolto alla voce che le
stava parlando. Era appena udibile, ma lei la sentiva forte e chiara.
Liberati
dall’amore.
Ecco cosa diceva.
***
Atreius attendeva impaziente accanto ad una colonna, il suo grande
letto giaceva in un angolo, era stato spostato per permettere alla
congrega di maghi di riunirsi nel centro esatto della stanza. Gli
serviva spazio e Atreius gliel’aveva dato. Nonostante il suo
aspetto non lasciasse trapelare nulla il suo corpo fremeva per
l’attesa. Fissava uno ad uno i maghi incappucciati seduti sul
pavimento con le gambe incrociate. Sembrava stessero facendo yoga.
Passarono diversi minuti e durante il rito alcuni maghi morirono,
Atreius gli vide crollare a terra privi di vita, con gli occhi sbarrati
e vuoti. Erano rimasti i tre maghi maestri e altri due maghi.
Si stava facendo tardi, ormai era quasi l’alba.
Finalmente uno dei tre maghi maestri aprì gli occhi e si
rilassò. Un sorriso vittorioso comparve sui loro volti. Il
ragazzo si avvicinò.
“Allora? Ce l’avete fatta?”
Sapeva già la risposta, la vedeva stampata a caratteri
cubitali sulle loro fronti, ma voleva sentirselo dire.
“Sì, mio signore. Come avevate chiesto lo spirito
è entrato ospite nel corpo dell’angelo”
“Quanto dovremo aspettare affinché lei lo
liberi?” chiese Atreius.
“Tutto dipende da quanto è corruttibile il suo
animo, mio signore”
“È sua figlia” ghignò il
ragazzo, consapevole di quanto peso avessero le sue parole.
I maghi ammutolirono. “Allora accadrà anche prima
delle nostre aspettative”
“Quando?” ruggì.
“Entro l’anno, una data precisa non sappiamo
dirgliela”
***
Quella mattina allenarsi era più difficile del solito,
Rebecca non ci stava proprio con la testa. Non ci era stata a
colazione, lungo il tragitto e neppure ora, mentre Gabriel la guardava
torvo.
“Stai bene?” le chiese.
Lei fece un gesto come a voler scacciare una mosca fastidiosa e si mise
in posizione di attacco. “Sì. Forza,
cominciamo”
Il ragazzo appariva titubante e tentennò sul posto. Fece per
procedere e avanzare quando si bloccò. Allargò le
braccia e la guardò come se fosse stupida.
“Rebecca, sono io che ti assalgo. Perché ti metti
in posizione di attacco?”
“Giusto” rispose mordendosi la lingua.
“Che idiota, scusa” cambiò posizione e
si mise sulla difensiva.
Gabriel appariva perplesso. “Vuoi attaccare tu per prima? Non
c’è problema, se vuoi…”
“Perché dovrei?”
“Sembravi pronta a saltarmi addosso, basta che lo
dici”
“No, no! Lascia perdere, fatti avanti, andiamo”
Gabriel cominciò con una camminata blanda, man mano che
procedeva verso di lei aumentava il passo fin quando non si
ritrovò a correre velocissimo. Quando le fu vicino fece un
balzo e andò a colpirla sulla spalla, Rebecca
scivolò piano verso terra spinta dal colpo e subito
parò un altro colpo che le stava colpendo lo stomaco.
Si diede il via ad un corpo a corpo, erano entrambi agili, precisi, i
loro movimenti erano talmente rapidi che un occhio umano non sarebbe
stato in grado di capire nitidamente quello che stavano facendo. Il
ragazzo si smaterializzò davanti ai suoi per comparirle
dietro, lei lo colpì con una sfera magica e lo
catapultò infondo al campo. Gabriel non fece in tempo ad
alzarsi che lei lo assalì bloccandolo a terra, le prese i
fianchi con le mani e alzò il bacino in modo da farla volare
sopra la propria testa. Rebecca cadde e rotolò sul terreno,
con uno scatto di addominali il ragazzo si alzò mentre lei
frenò la caduta distendendo una gamba e girando su
sé stessa. Gabriel l’attaccò con una
serie di calci rotanti e lei si protesse con le braccia, fece una ruota
in aria per scappargli. Toccò terra e subito dovette usare
lo scudo per evitare che delle lance di metallo le si conficcassero nel
torace.
Lasciò cadere lo scudo.
Improvvisamente si sentì inquieta, arrabbiata, frustrata.
Quel giochetto dello “scappa e scansa” le stava
diventando pesante.
Avvertì qualcosa smuoversi dentro di lei.
La voce parlò e lei senza pensarci obbedì, forse
perché era proprio quello che avrebbe potuto calmarla.
Aprì le braccia dal basso verso l’alto e una
folata di aria gelida li invase. Il cielo diventò grigio e
sembrò sera. Dallo sforzo per l’incantesimo che
stava compiendo i suoi capelli erano sparati in aria e volteggiavano
nella spirale di vento. Gabriel la fissava inorridito e
indietreggiò.
Il corpo di Rebecca era circondato da una strana aurea rossa che
scintillava, quando scaricò la forza una sfera potente e
iridescente le partì dal centro del petto e
schizzò verso il ragazzo.
Gabriel ebbe appena la forza per creare uno scudo, troppo debole
paragonato a quella magia, che la sfera lo centrò in pieno e
lo scagliò indietro con prepotente forza. Gabriel si
accasciò al terreno e rimase fermo, tentò di
alzarsi, alzò la testa, ebbe un sospiro e si
afflosciò.
Rebecca gli vedeva solo la schiena immobile, come tutto il resto del
corpo, e fu pervasa da un brivido di terrore. Tornò in
sé. Si portò a rallentatore una mano sulla bocca
per non gridare.
Che aveva fatto? Che magia aveva usato?
Il sangue le si congelò nelle vene e corse verso Gabriel che
ancora non dava cenno di alzarsi. Si lasciò cadere vicino al
suo corpo e lo girò supino per controllare le ferite,
respirava e per fortuna non aveva né tagli né
ematomi. Sembrava solamente sconvolto, stralunato, catatonico. Fissava
il cielo scuro ed era bianco come un lenzuolo. Rebecca si
buttò sul suo petto e lo strinse forte a sé.
“Oddio, cos’ho fatto…mi
dispiace!”
Gabriel doveva aver trovato improvvisamente la forza per reagire
perché si mise seduto, era comunque molto debole e
affaticato. La guardò come se la vedesse per la prima volta.
“Cosa ti salta per la testa, dannazione?”
domandò con voce sconcertata.
“Io non pensavo che…non so come mi sia
venuto…” cominciò a piangere dal
nervosismo.
Gli occhi del ragazzo si fecero duri e glaciali. “Ti rendi
conto di quello che hai fatto?”
“No!” esclamò la ragazza esasperata.
Non aveva idea di cos’aveva evocato, non sapeva come spiegare
l’origine di quell’incantesimo così
potente e distruttivo, era solo conscia del fatto che le era venuto
spontaneo e praticamente automatico. Avrebbe tanto voluto che lui le
desse qualche spiegazione.
“Vuoi sapere cos’hai evocato?”
ringhiò.
Lei annuì, incapace di sostenere il suo sguardo. Aveva avuto
una paura folle di avergli fatto del male.
Gabriel serrò la mascella. “Mi hai scagliato
contro una potente magia oscura, come potevo, anche solo lontanamente,
prevederlo? Non ti ho mai insegnato niente di tutto ciò, non
ha nulla a che fare con la magia buona, Rebecca! È male!
Devo dedurre che hai per caso un altro maestro oltre al
sottoscritto?” c’era cattiveria nella sua voce.
“No! Non ho nessun altro maestro! Non so da dove mi sia
venuto quest’incantesimo, io non l’avevo mai fatto
prima!” lo implorò con occhi colmi di lacrime.
“Oddio, ho avuto così paura…stai
bene?” domandò, e lo abbracciò.
“Sai cos’era?”
“No…” sussurrò affondando la
testa nella sua spalla.
Sentirlo vivo vicino a lei la faceva sentire bene. Per un attimo aveva
creduto di averlo ucciso. Non sarebbe stata più in grado di
vivere altrimenti.
“Era un concentrato di energia solare, una sfera di luce con
la stessa distruttività del sole stesso. Una palla infuocata
radioattiva, potente e molto difficile da richiamare”
“Richiamare?”
“Rebecca, quella sfera l’hai rubata al
sole”
“Oh”
“Saprai bene quanto forte è l’energia
del nostro sole, tu me ne hai scagliato addosso una parte”
“Non so che dire” biascicò.
“Ha scalfito addirittura il mio scudo. È magia
nera, solo gli angeli del male se ne servono, loro usano spesso magie
che hanno a che fare con il loro elemento naturale: il fuoco.
È una tattica ignobile e degna di cattiveria, per questo non
viene insegnata agli angeli buoni”
Rebecca si coprì gli occhi con le mani.
Che diavolo le stava succedendo?
Sentì la voce dentro di lei esultare.
Gabriel la scansò e si mise in piedi con
difficoltà, barcollò un attimo e
schiaffeggiò la mano che lei gli aveva teso per aiutarlo.
Era deluso, peggio che vederlo arrabbiato.
“Gabriel…” Rebecca mormorò il
suo nome ma lui ormai se n’era andato.
Il cielo ritornò azzurro.
***
Eccoci
qua...spero vivamente che anche questo capitolo vi sia piaciuto!!!!
Leggo con interesse i vostri commenti e vi ringrazio
moltissimo!!!!
Fatemi sapere che ne pensate, commenti e recensioni sono sempre
gradite!!!!
Il prossimo capitolo: "UN
OSCURO PRESAGIO"
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Un oscuro presagio ***
Cap. 3 - UN OSCURO
PRESAGIO -
[Guarda
il diavolo sulla soglia di casa ora.
Il
tempo passa e non possiamo tornare indietro.
Cosa
ne dici del mondo oggi?
Cosa
ne dici del posto che chiamiamo casa?
Non
siamo mai stati così tanti
e
non siamo mai stati così soli]
Ana
Johnsson - We are -
***
Rebecca era
andata nella vecchia fabbrica piena di rabbia. Il magazzino abbandonato
non aveva neppure un po’ di luce, i finestroni erano troppo
in alto, c’era molta polvere e lo stanzone assomigliava tanto
ad un garage in disuso. Nel centro della stanza era stato appeso da
Gabriel un “sacco da boxe”, le aveva detto di
usarlo come valvola di sfogo, e lei ridendo gli aveva risposto che
sarebbe stato più divertente picchiare lui che non un sacco
di patate. Gabriel aveva storto il naso alla parola
“patate”. Non la pensava allo stesso modo ora,
mentre colpiva con calci e pugni il sacco traballante. Non aveva messo
i guantoni né nessuna protezione e con piacere masochista
sentiva già le nocche sbucciarsi.
Ogni volta
che colpiva il sacco pensava: “Al
diavolo!” era talmente incazzata con
sé stessa e con il mondo intero che non ne poteva
più di vivere così. Ripensò con
nostalgia al suo arrivo a Chenzo, a com’era tenera,
impreparata, traboccava d’amore e di vivacità,
coraggiosa, solare, felice, piena di speranza. E guarda come si era
ridotta adesso. Negli ultimi tempi era sempre scostante, rabbiosa,
indifferente, inquieta, passiva.
Rebecca si
fermò un attimo per riprendere fiato.
Passiva.
Vivere
passivamente la vita, non provare mai la voglia di essere felice, di
amare e di aiutare il prossimo. Essere egoisti e solitari, pensare a
sé stessi, a salvarsi, a non fare affidamento su nessuno.
Sopravvivere.
È
questo che faccio ogni giorno? Sopravvivo?
In quel
momento sperava tanto di piangere. Si sforzò. Niente da
fare, le lacrime non scendevano.
“Non puoi combattere
contro le lacrime che non scendono” le disse la
voce melliflua.
La ragazza
si riscosse e picchiò forte il sacco digrignando i denti. Si
sentiva bruciare dall’odio.
“È
tutta colpa tua!” sibilò ad alta voce.
“Sei
sicura che non sia ciò che vuoi veramente?”
Rebecca fece
una smorfia schifata. “Cosa?! Voler sentirsi soli, odiati da
tutti, ferire le persone che si amano, allontanarle, provocare dolore e
sofferenza? Non è questo che voglio, stronzo!”
“Uhm,
la rabbia ti fa bene, ragazza mia”
“Va’
al diavolo”
“Io
ti voglio solo aiutare”
“Che
cosa vuoi da me?” domandò con voce rotta.
“Non
voglio più vederti soffrire, io ci tengo a te”
Rebecca
sbuffò. “Neppure io, se è per questo,
vorrei soffrire. Non vorrei mai dover star male, non esiste un posto
nel quale non ci sia niente apparte l’amore e la
gioia?”
“Non esiste e mai
potrà essere diversamente. L’uomo è
condannato a vivere con entrambe, sia con l’amore che con la
sofferenza. Eppure…un modo ci sarebbe”
la voce lasciò la frase in sospeso.
“Esiste
un modo per non soffrire?” disse la ragazza ironicamente.
“Beh, ti prego, dimmelo! Dimmelo che lo provo
subito!”
La voce non
rispose subito, ci fu un minuto di silenzio che a Rebecca parve
un’eternità. Era in attesa col fiato sul collo, se
c’era un modo per non provare dolore nella
vita…forse era il caso di prendere in considerazione la
cosa.
“Tu
lo conosci il modo”
“No!
Non lo so!” esclamò al massimo della frustrazione.
“Lo
sai invece, devi solo accettarlo”
La voce
melodiosa e penetrante svanì, scomparve così
com’era venuta lasciando Rebecca profondamente delusa e
seccata. Come mossa da una forza estranea e potente la sua mano prese
la spada e la strinse nel palmo chiuso, una forza sconosciuta e
primitiva le circolò nel corpo facendola fremere
di…cos’era? Trepidazione? Sì. Fece
roteare la spada intorno al proprio corpo e poi la fece vorticare in
aria, la prese al volo e l’ammirò con meraviglia.
La lama era lucente e di un rosso vivo, l’elsa era stata
disegnata con eleganza e sfarzosità. Se doveva paragonare la
sua spada ad un tipo di donna l’avrebbe definita sexy e
accattivante. Sensazioni ben diverse da quando l’aveva
impugnata la prima volta, allora le era parsa raffinata, semplice e
dolce nelle curvature. Era un donna materna, protettiva e premurosa.
Come potevano queste due donne coesistere nella stessa anima? Si
sarebbero scannate a vicenda e chi avrebbe vinto?
La buona o
la cattiva?
O, se
vogliamo generalizzare, il Bene o il Male?
Quando fu
stufa la rimise nella fodera, ben attaccata alla cinghia della divisa.
Alzò gli occhi verso gli enormi finestroni e vide che era il
tramonto. Con passo aggraziato e veloce uscì dal fabbricato
e tornò verso casa. Non andava matta all’idea di
rivedere Gabriel ma di certo non poteva allungare di troppo
l’ora del rientro. Conosceva il ragazzo, si sarebbe
preoccupato. Per niente, tra l’altro, perché lei
stava bene e non era stata né rapita, né ferita,
né uccisa.
Eppure lo amo,
pensò con sentimento concedendosi di sorridere.
La voce
dentro di lei grugnì.
Che frigni, pensò,
non m’importa.
Io lo amo e farò di tutto per farmi perdonare.
“Io
ti avevo avvertita, liberati dell’amore prima che sia lei a
liberarsi di te”
Rebecca
sospirò e alzò gli occhi al cielo.
Perché doveva badarle? Che importanza avevano le sue parole,
i suoi avvertimenti? Era la frase più stupida che avesse mai
sentito.
“Liberati
dall’amore prima che lei ti fotta”
ripetè con sarcasmo. “Ma fammi il
piacere!”
Improvvisamente
si sentiva di buon umore.
***
Spalancò
la porta con esultanza mostrando una faccia allegra. Solo qualche
minuto prima tremava al pensiero di tornare a casa ma ora,
inspiegabilmente, si sentiva come se non fosse mai accaduto niente di
tanto tremendo da farle temere la sua presenza lì. Il
salotto e la cucina erano deserti, nonostante fosse tramonto cominciava
già ad essere scuro in casa. Rebecca avanzò e
accese un paio di lampade per rischiarare l’ambiente.
Andò
verso il lavabo e vide che era vuoto. Strano, Gabriel non faceva mai i
piatti una volta finito di mangiare. Aprì la dispensa, i
piatti non c’erano quindi non erano stati neppure lavati. In
conclusione: non aveva toccato cibo.
“Gabriel!”
lo chiamò con lo sguardo verso le scale. “Ci
sei?”
Sentì
dei passi scendere le scale, teneva gli occhi fissi sul primo gradino
in alto finchè non vide comparire un piede. Alzò
il volto e incrociò quello serio e cupo del ragazzo.
“Non
hai mangiato” disse torturandosi le mani in grembo.
Improvvisamente tutta la sua spavalderia era svanita, si sentiva
impaurita. “Vuoi che ti prepari qualcosa?”
Lui non
smetteva un attimo di fissarla. Le si parò davanti e Rebecca
giurò di sentirlo trattenere il respiro. I suoi occhi
azzurri la perforarono fin dentro l’anima,
indietreggiò con cautela. Lui le prese con uno strattone il
polso e lei si divincolò finchè non
riuscì a liberarsi.
“Che
ti prende?” domandò con voce stridula.
Gabriel
inarcò le sopracciglia. “Che prende a me?”
Rebecca si
morse il labbro e abbassò gli occhi mentre si massaggiava il
polso con la mano. Gabriel doveva averle visto i lividi sulle nocche
perché tornò alla carica. Si avventò
su di lei e le alzò un braccio all’altezza degli
occhi, le sue iridi scure guardavano le sue nocche devastate e
sanguinanti.
“Che
ti è successo?” a cosa si riferiva? Alle mani o al
fatto che l’aveva quasi ammazzato?
Decise che
era più saggio rispondere alla prima, anche
perché della seconda non aveva risposte. “Ho fatto
a botte con il sacco da boxe che mi hai regalato l’anno
scorso, ti ricordi?”
Nonostante
la situazione Gabriel emise uno sbuffò divertito.
“Sì, che mi ricordo. Mi hai rotto le scatole per
mesi perché ne volevi uno come quello di Denali”
Rebecca
sorrise. “Lasciami” gli sussurrò
dolcemente. “Mi fai male”
Gabriel le
mollò il polso. “Quando ti tocco non voglio che tu
mi rifiuta”
“Mi
dispiace”
“Per
cosa?”
“Per
tutto, non so cosa mi sia preso prima nel campo ma devi credermi che
non volevo farti del male. Lo sai che ti amo, vero?”
Emozioni
contrastanti e potenti erano in combutta tra di loro nel corpo di
Gabriel e il suo volto ne esprimeva tutta l’agonia. Sembrava
indugiare su qualcosa.
Si
passò una mano sui capelli. Brutto segno. “Mi
ami?”
Rebecca
assunse un’aria sconvolta, avrebbe tanto voluto tirargli un
pugno in faccia…
“Stai
scherzando, vero?”
Silenzio.
“Sei
un’idiota! Come puoi anche solo dubitarne? Oh!”
esclamò frustrata lanciando le braccia in aria.
“Non sai quanto mi fai arrabbiare quando dici
così! Che altre prove ti servono? Non ti basta che io ti
dica che ti amo per credermi? Appena le cose si mettono male tu subito
mi crolli e con te casca anche la fiducia! Lo so di aver sbagliato, ho
fatto una sciocchezza, sono stata avventata e sconsiderata ma non per
questo in cinque secondi i miei sentimenti sono cambiati tanto
radicalmente dallo smettere di amarti! Non ti sopporto quando fai
l’imbecille in questo modo, mi prendi in giro!”
“Sei
stata tu che per poco non mi lasciavi stecchito al suolo, cosa dovrei
pensare? Che ami tanto? Beh, signorina saputella, da quel momento
è vero, ho iniziato a dubitare del tuo amore, a dubitare di
te e delle tue buone azioni!”
“Ti
ho detto che ho sbagliato, cos’altro dovrei fare per te?
Mettermi in ginocchio e baciarti i piedi?” gli
urlò contro, rossa in viso.
In un gesto
scattoso il ragazzo si tirò su le maniche della camicia,
stava sudando in maniera assurda. “Mi basterebbe che mi
spiegassi perché è successo!”
“Mi
prendi per stupida? Te l’ho detto che non lo so!”
“Questo
non basta a spiegare le cose, e se dovesse succedere un’altra
volta? Ok che ti amo Rebecca, ma io devo anche pensare alla mia
incolumità fisica! No per dire ma non ci tengo a morire
così giovane!”
Rebecca gli
diede un urtone. “Idiota! Come se potessi farti ancora del
male!”
“Beh
sai, mai si sa! Una volta che lo fai chi mi assicura che non
risuccede?”
“Dovresti
avere fiducia in me!”
“La
fede non è il mio forte, mocciosa. Preferisco affidarmi ai
dati reali o su ciò che vedo con i miei occhi, vivi con me
da più di un anno e ancora non hai capito come
ragiono!”
“È
così difficile per te perdonare?”
“Sì,
soprattutto se la persona in questione sei tu. Ci tengo troppo a te e
se mi fai del male ci sto male il doppio”
Non sapeva
che rispondere. “Beh! Questo
perché…perché…!”
“Perché
ti amo troppo? Lo so, me l’hai già ripetuto molte
volte” disse con l’ombra di un sorriso spento.
Rebecca mise
il broncio e incrociò le braccia al petto. “E
allora perché devo sempre ripetertelo?”
“Perché
sono un idiota, imbecille, stupido e sono duro di comprendonio. Manca
qualcos’altro?”
Il viso di
Rebecca si sciolse in un sorriso. “Beh, ti poteva andare
peggio”
Gabriel
aggrottò la fronte. “Cosa c’è
di peggio nell’essere pessimo?”
“Non
credere di esserlo” gli rispose con un ghigno compiaciuto.
Gabriel
serrò la mascella, i suoi lineamenti divennero duri.
“Vorrei odiarti per quello che hai fatto”
Rebecca ebbe
un tuffo al cuore. “No…”
Sospirò.
“Ma non ci riesco. Come posso lasciarti andare?”
C’era
un qualcosa di…addolorato nella voce del ragazzo. Rebecca si
domandò come poteva continuare a ferirlo così.
Sapeva quanto lui l’amasse come persona, quanto credeva in
lei come angelo, e lo stava deludendo sia come persona sia come
allieva. L’aveva perdonata ma si vedeva benissimo che era al
limite della sopportazione, un altro passo falso e tutto sarebbe
finito. L’agitazione del momento la costrinse ad
indietreggiare fino alla porta.
“Che
fai?” domandò Gabriel in un sussurro.
Sei troppo per me,
pensò Rebecca.
Tutti nel
villaggio non facevano altro che adorare lei, credere in lei,
idolatrare lei…era lei il massimo che fosse mai esistito,
per molto tempo si era sentita al di sopra di tutti e osservava con
dispiacere i disagi di Gabriel nel sentirsi sempre inadeguato. Ma ora
la situazione si era capovolta, ora era lei a sentirsi inferiore e
indegna. Lui non la meritava, meritava di meglio. Meritava una ragazza
solare e buona che non avesse continui sbalzi d’umore, una
persona affidabile e costante. Un groppo le serrò la gola.
Gabriel avanzava lentamente, lo sguardo perso nei suoi occhi scuri.
Rebecca non
si fermò finchè non sentì la schiena
sbattere contro la porta. Gabriel le fu presto a pochi centimetri dal
viso.
“Perché
fai questo?”
Gabriel
parve divertito dalla sua domanda. “Fammi capire, prima mi
implori di perdonarti e poi vuoi che ti lasci?”
La ragazza
posò le mani sul petto del ragazzo e bloccò la
sua avanzata. Si stava facendo troppo vicino. “Dico solo che
sei troppo consenziente”
“L’amore
è cieco ed è una fregatura”
“L’amore
è buono ed è felice” lo corresse.
“Stai
cercando di farti lasciare?”
“Sto
solo cercando di sentirmi meno in colpa”
Gabriel
passò una mano sul suo viso e le accarezzò la
guancia. “Hai la pelle morbidissima…”
Rebecca
avvampò. “Tu non mi stai ascoltando!”
“Tu
non ti stai lasciando toccare”
Rebecca
deglutì. Non era in grado di ragionare razionalmente con lui
così vicino, rischiava di perdersi in discorsi illogici. La
mano del ragazzo scese dalla sua guancia e le circondò il
collo, lei alzò la testa per permettergli di stringerla
meglio.
Ecco,
ora mi strozza.
“Tranquilla
che non intendo strozzarti” le sussurrò il ragazzo
all’orecchio.
Gabriel
premette il suo corpo contro quello della ragazza e la sentì
fremere, avvicinò la sua bocca a quella di lei e proprio
quando si stavano per dare un bacio la porta bussò.
Un Gabriel
molto seccato aprì la porta non prima di aver messo Rebecca
dietro di sé in modo da separarla dall’uscio, di
quei tempi mai si poteva sapere. Sbuffò quando vide che era
Bastian.
Il
capo-villaggio diede un’occhiata incerta prima a lui e poi
alla figura di Rebecca protetta dietro la schiena del ragazzo.
Gabriel lo
precedette. “Non.Una.Domanda” sillabò.
“Devo
parlarvi”
***
Si erano
riuniti attorno ad un tavolo rotondo, occupavano cinque posti: erano
Rebecca, Gabriel, Bastian, Alan e (con enorme stupore del ragazzo)
Adele.
“Non
dovevi essere in missione?” le bisbigliò
all’orecchio, attento a non farsi sentire.
“Sono
tornata” ripose sua madre.
Gabriel la
guardò di sottecchi e prese posto tra Rebecca e Alan.
Nessuno fiatava, apparte i due fratelli nessuno era a conoscenza del
perché fossero riuniti lì. Adele era stata
chiamata durante una missione oltre i valichi ed era tornata a casa
seduta stante. L’ignoranza di non sapere la questione rendeva
tutti e tre tesi e sull’attenti. Erano rigidi e scomodi in
quelle sedie, la schiena di Gabriel era dritta come un palo mentre
Rebecca era afflosciata e per poco non scivolava giù. Adele
teneva accavallate le gambe e appariva impassibile. Alan le lanciava
occhiate fugaci e poi tornava a guardarsi i piedi sotto il tavolo. Gli
occhi di Bastian li osservava uno ad uno. Poi schioccò la
lingua e si alzò in piedi.
“Vi
ho fatti chiamare per parlarvi di una questione urgente”
disse in tono solenne. “Come ben sapete siete le sole persone
delle quali mi fido ciecamente, quello che sto per dirvi lo
dirò successivamente al villaggio. Prima però mi
serve un vostro giudizio al riguardo. Lo so che ora che Dark Threat
è morto…” Rebecca si mosse a disagio
nella sedia. “…vi sembrerà assurdo che
ci siano dei problemi ma è così. Sono sorte delle
complicazioni con i seguaci di Dark Threat, a quanto pare si stanno
mobilitando in gruppi per conquistare le vecchie terre del loro
signore. A mio avviso il loro obbiettivo è quello di riunire
i territori sotto un unico re”
“E
come?” intervenne Gabriel. “Nessuno di loro
è in grado di comandare un popolo, sono creature impulsive,
inutili e stupide. Di certo gli serviranno qualcuno di
potente”
“È
a questo che volevo arrivare, Gabriel” disse il
capo-villaggio con voce grave. Alan era tutto un agitamento e non stava
fermo un attimo, Adele era perplessa e incuriosita, Rebecca invece
sbarrò gli occhi a dismisura.
Gabriel,
vedendo la reazione di tutti, cominciò ad agitarsi sul
posto. “Non ti capisco” borbottò.
Bastian
socchiuse gli occhi un attimo prima di rispondergli, vide il volto
sconvolto di Rebecca che lo stava implorando di non dirglielo.
“Ho parlato con il capo-villaggio di Numbia, un villaggio che
è tuttora sotto l’assedio dei seguaci di Mortimer.
Nelle prime lettere che mi ha scritto mi informava delle condizioni del
popolo e dei nemici, inviandomi una richiesta di aiuto”
“Quindi
vorresti che noi quattro andassimo a Numbia”
“Esatto.
Ma nelle ultime lettere che mi ha scritto pochi giorni fa ha dato
conferma a ciò che sospettavo e temevo: mi ha confessato che
è Atreius il loro capo, nonché il nuovo signore
del Male”
Gabriel si
alzò di scatto dalla sedia facendola ribaltare, Rebecca vide
tutti i suoi muscoli irrigidirsi e tendersi pericolosamente.
“Non
può essere!” abbaiò. “Atreius
doveva
essere morto!”
“A
quanto pare non lo è” disse ironicamente Adele.
“Atreius
non è un angelo e perciò non ha la
capacità di dirigere un esercito con dignità e
grandezza. Ho motivi per credere che questa sia solamente una
situazione momentanea, ovvero che non intenda essere il loro signore
per sempre ma che stia aspettando qualcosa o qualcuno per poi passare
la palla”
“Mi
stai dicendo forse che il figlio sta cercando di richiamare in vita il
padre?” urlò Gabriel. Rebecca gli tirò
la manica del gomito per farlo calmare, lui si sedette ma era un fascio
di nervi.
Bastian
scosse la testa. “Non credo, insomma, richiamare in vita un
morto è una questione molto complicata e delicata da
eseguire. Voglio sempre ricordarvi che Atreius non è un
angelo e perciò non ha neppure metà dei poteri
che spetta ad un angelo, mi riesce difficile credere che sia in grado
di compiere una tale magia”
“Non
pensi che possa essere affiancato da qualcuno che lo aiuti?”
domandò Adele con tranquillità.
“Non
metto in dubbio il fatto che possa essere aiutato da una congrega di
creature magiche, magari dei maghi o degli stregoni, ma è
comunque impossibile per chiunque riportare in vita un
defunto”
Alan
sbattè le palpebre un paio di volte. “Quindi non
è Dark Threat che Atreius intende avere al suo fianco. E
allora chi?”
Lo sguardo
di quattro persone si posò su Rebecca.
La ragazza
ebbe una brutta sensazione. “Andiamo, non può
essere! Atreius sa come la penso e sa da che parte sto, non potrei mai
stare al suo fianco e comandare un’orda di depravati. Penso
che a questo punto sia più semplice per lui richiamare in
vita mio padr…Mortimer” si corresse giusto in
tempo ma ricevette ugualmente delle occhiate sconcertate.
Gabriel
aveva smesso di parlare.
Bastian si
sedette e tamburellò le dita sul tavolo. “Non
è così come pensi, Rebecca. In realtà
ad Atreius basterebbe molto meno avere te che non vostro
padre” Rebecca sussultò. Vostro padre.
“Esistono molti incantesimi contorti e micidiali che sono in
grado di manovrare, manipolare e sopraffare una mentre umana senza che
questa se ne renda conto”
Rebecca
doveva essere impallidita parecchio perché Gabriel
accostò la sedia alla sua e le cinse le spalle con un
braccio. Sembrava preoccupato e allo stesso tempo consapevole.
“Ma
io non sono un’umana!” esclamò.
Pessima
giustificazione.
“Trovane di
migliori” le sussurrò la voce.
“Taci
tu” sbottò.
“Come
scusa?” le chiese Gabriel.
“No,
niente, parlavo da sola”
“Ti
stavo dicendo, Aidel, che non devi sottovalutare la cosa. Ti posso solo
dire che per i poteri che ha Atreius c’è una
minima possibilità che riesca a manipolare una mente ben
protetta come la tua. È più probabile che
fallisca, ma devi sempre stare all’erta”
“Secondo
me, Bastian, non è assolutamente questo che sta cercando di
fare Atreius. Ha un altro piano in pentola ma di sicuro non
questo”
“Non
pensi che stia cercando di averti al suo fianco?”
“No”
rispose prontamente la ragazza.
“Ma
Rebecca, ne sei sicura?” intervenne Alan. “Non puoi
esserne certa al cento per cento, a mio avviso aspettiamo di
raggiungere il villaggio di Numbia prima di emettere sentenze. Una
volta arrivati là capiremo molte cose ma non ora, ora
è difficile conoscere la verità, possiamo solo
fare delle supposizioni”
Rebecca
grugnì e si appoggiò allo schienale.
“Non è giusto, perché le cose non vanno
mai bene?”
Gabriel la
guardò apprensivo. Adele parlava con Alan e Bastian era
uscito un attimo dalla stanza.
“Non
è che per caso ti senti un po’ stanca, spossata,
confusa?” domandò Gabriel, scrutandola con occhio
vigile.
“Che
cosa? Non ci posso credere, mi stai analizzando?”
“Ultimamente
hai avuto vuoti di memoria o comportamenti dei quali non ti ricordi?
Hai fatto qualcosa contro la tua volontà?”
Per un
attimo ad entrambi balenò in mente l’immagine di
Rebecca che attaccava Gabriel ferendolo. Lei si drizzò come
punta da un ago. “Se stai pensando a quello che penso io
sappi che ero nel pieno delle mie consapevolezze. Ho fatto una gran
cazzata ma l’ho fatta io, nessuno me l’ha
ordinato…” la frase le morì in gola.
Gabriel non si era accorto di nulla e ora le parlava teneramente.
“Io
non ti ho ordinato niente, ti ho solo suggerito cosa fare”
Perché
ogni volta che vengono fuori casini centri sempre tu? Chi diavolo sei? pensò con
rabbia.
“Non
posso dirti chi sono perché lo sai già”
Rebecca
strinse i pugni e Gabriel s’interruppe quando Bastian
entrò di nuovo nella sala. Appariva pensieroso e distaccato,
Gabriel schioccò forte la lingua e lui fece un balzo
spaventato.
“Ho
appena ricevuto una lettera dal capo-villaggio di Numbia, mi ha chiesto
tra quanto arriveremo a salvarli” Bastian fece un pausa e poi
prese un bel respiro. “Mi serve sapere chi di voi
è disposto a venire”
“Conta
su di me” disse Alan con un ghigno compiaciuto stampato in
faccia.
“E
su di me” intervenì Adele prontamente.
Gabriel
guardò allungo Rebecca. “Vengo pure io”
disse la ragazza con meno sicurezza rispetto gli altri due.
Tutti
sentirono Gabriel sospirare. “A questo punto è
scontato che verrò anch’io”
sbottò con antipatia.
Rebecca si
impose di stare calma, in realtà aveva una voglia matta di
abbracciarlo e di riempirlo di baci. Con lui accanto non doveva temere
niente.
“Ne
sei sicura?”
Sì, pensò
con fierezza.
“Sei
destinata a compiere grandi cose, ragazza mia. Il tuo destino io lo
conosco, è stato scritto e l’ho letto. Fidati se
ti dico con assoluta certezza che il tuo posto non sarà mai
qui con loro, il tuo posto, il posto in cui il destino ti ha messa a
sedere, è lontano. Sarai dannata per
l’eternità se rinnegherai il tuo
fato…il potere, dopotutto, è piacevole”
***
“Gabriel?”
“Sì?”
“Ora
Bastian lo dirà all’esercito, non è
vero?”
“È
più probabile che lo dica domani, ormai è
notte”
Stavano
tornando a casa, camminavano vicini senza neppure toccarsi. Tenevano
tutti e due lo sguardo basso, Rebecca gli diede una spintarella con la
spalla che lo fece spostare. Risero entrambi.
Bec si fece
improvvisamente seria. “Gabriel, non mi avevi detto che
Atreius era vivo”
Lo vide
serrare la mascella. “Speravo, credevo che fosse morto. A
quanto pare ha le ossa dure il tizio”
Rebecca
stava per dire: “è mio fratello! Certo che ha la
pelle dura!” ma si trattenne dal dirlo. “Vedrai che
le cose si sistemeranno, tutto trova sempre il modo per ritornare dove
deve stare”
“E
tu dove devi stare?”
Non voleva
mentirgli, decise di essere sincera. “Non ne ho idea, so solo
che non ho ancora trovato il luogo a cui appartengo”
Gabriel
parve incupirsi ma non replicò né tantomeno
rimbeccò. “Spero tanto che un giorno tu possa
trovarlo”
“Dovunque
sarò vorrò sempre esserti vicina” gli
disse, con una voce così carica di sentimento che lui si
sentì infuocare.
“Rebecca,
devi ancora trovare la tua strada ma sappi che per te io ci
sarò sempre. Non dovrai mai aver paura di venire a chiedermi
aiuto”
La ragazza
si strinse al suo braccio. “Lo so, grazie, per me conta
molto”
Gabriel le
diede un baciò sulla testa e la prese per mano. Ad un certo
punto si sentì spingere con forza, le mani della ragazza
erano appoggiate sul suo petto, il suo volto sorrideva birichino
finchè non lo sbattè contro un muro. Gabriel vide
che era il muro di una casa, peccato che la casa non fosse la loro,
neanche sapeva chi ci abitava. Rebecca si mise sulle punte e lo
baciò con trasporto.
“È
la prima volta che mi sbatti contro un muro per baciarmi” le
disse il ragazzo con un’eccitazione sempre crescente.
Chissà perché gli piaceva.
La risata
cristallina di lei lo fece gemere contro la sua bocca. “Io lo
trovo molto emozionante”
“Dì
pure eccitante, dannazione” esclamò con la voce
bassa e roca dal desiderio.
Rebecca si
avventò famelica contro la sua bocca e passò le
mani dal petto ai fianchi muscolosi e scolpiti del ragazzo. Gabriel le
teneva ferma la testa con entrambe le mani ma dovette staccarle quando
sentì il bacino della ragazza premere contro il suo. Le fece
scorrere avidamente dietro la sua schiena e le strinse la maglia per
averla più vicina. Stava per svenire, lo sentiva, doveva al
più presto fare qualcosa. Aveva anche già perso
la vista. Se non si fossero mossi l’avrebbe presa in quel
vicolo buio e deserto.
Si
staccò da lei controvoglia, il suo corpo la pensava
diversamente a riguardo. “Rebecca,
dobbiamo…andiamo a casa, non posso stare qui un
minuto di più”
Tanto per
complicargli la cosa lei scese a baciargli il collo toccandolo in
maniera quasi straziante al torace.
Respiro,
respiro…
Dov’è
il mio respiro?
“Ti
prego, prima che…” non terminò la frase
perché un rauco gemito rischiava di uscirgli dalla bocca.
Basta, il
minuto di autocontrollo era passato. Ormai era andato tutto a farsi
benedire, lui l’aveva avvertita. Peggio per lei.
Gabriel la
prese in braccio e lei allacciò le gambe dietro la sua
schiena senza smettere un secondo di baciarlo.
L’adagiò sull’erba umida e bagnaticcia e
in un baleno le fu sopra.
Al diavolo,
per quella sera non gli importava un accidenti che qualcuno potesse
vederli.
***
Olà!! Grazie a tutti coloro che mi seguono costantemente!!!
Per me significa molto...
Come potrete vedere sto proseguendo MOLTO velocemente la storia, il
fatto è che ho tutta la storia in testa
e sono talmente presa dal
continuarla che mi ritrovo a scrivere ogni giorno!!! Per fortuna che mi
piace
e che lo faccio con spensieratezza altrimenti impazzirei!!! Devo
ammettere che la trama si infittisce
sempre di più...eheh..vedremo come finirà!!!!
Vi aspetto con il prossimo capitolo: "PRENDERE
QUOTA"
I THANKS:
OASIS:
ci stai andando vicina!!! vedrai che non manca molto a
quando lei diventerà...................
CHICCA90:
ti posso solo dire che Rebecca non diventerà cattiva in
questi capitoli o alla fine, è tutto un insieme, una
continuità che poi alla fine la porta alla scelta decisiva!!
naturalmente non posso svelarti il finale!!! anche perchè
poi ci sarà un altro sequel e sarà l'ultimo e
conclusivo della storia!!!
NIKKITH:
devo VERAMENTE deluderti!!! Gabriel e Rebecca come vedrai non se la
passeranno bene...il fatto è che avendo deciso di farla
diventare cattiva inevitabilmente si devono lasciare, ma aspetta di
leggere il finale per demoralizzarti!!! fammi sapere che ne pensi anche
di questo capitolo, bacioni.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Prendere quota ***
Cap.
4 - PRENDERE QUOTA -
[Lascia
che la pioggia cada e porti via le mie lacrime,
lascia
che riempia la mia anima e anneghi le mie paure,
lascia
che frantumi le pareti per un nuovo sole.
Dove
c’era il buio adesso c’è luce,
dove
c’era dolore ora c’è gioia,
dove
c’era debolezza ho trovato la mia forza…
tutto
negli occhi di un ragazzo]
Celine
Dion - A new day has come -
***
Gabriel camminava a testa bassa per il villaggio, era pieno giorno e si
trovava al mercato del lunedì mattina, la folla lo rendeva
irrequieto ed era troppo vigliacco per andarsene in giro a testa alta.
Non appena incrociava lo sguardo penetrante di qualche passante si
sentiva arrossire dalla vergogna. Passò davanti al banco del
pesce e finse di dimostrarsi interessato anche se realmente non
focalizzava niente in particolare, lasciava scorrere lo sguardo sulle
bancherelle senza però prestare attenzione a qualche
articolo. Diede parecchie spinte ad alcune vecchiette affaccendate che
non prestavano attenzione a dove andavano, si lanciavano nelle spese e
trascinavano con loro persino qualche passante sfortunato. Gabriel non
sopportava la folla, a meno che non si trattasse di una
rissa…e quindi spingeva con seccatura tutte le vecchiette
che trovava. Con le altre persone invece cercava di essere il
più invisibile possibile.
Il suo occhio vigile scrutava tutti e si spostava quando intercettava
lo sguardo di qualcun altro sul suo. Non capiva neppure lui
perché si comportasse così, si faceva ridere da
solo. Era patetico, lo sapeva, ma non riusciva a trattenersi dal farlo.
Temeva che qualcuno sapesse.
Dopotutto non erano stati molto attenti.
Un passante gli andò addosso e lui indispettito si
voltò. Stava per rispondergli in malo modo ma richiuse la
bocca quando riconobbe il panettiere. Si sforzò di sembrare
simpatico.
“Jared, ma qual buon vento?”
Il panettiere scrollò le spalle e rise. “Vento di
soldi a quanto pare! Sono con Sarah, la vedi? È
laggiù” l’uomo gli indicò una
figura poco distante posizionata dietro ad una bancarella. Era una
donna abbastanza grossa e brutta, stava servendo una bambina mostrando
paurosamente la sua lunga fila di denti gialli. Lei lo vide e
salutò entrambi. “Tu come stai?”
Gabriel tossicchiò. “Va abbastanza bene, non mi
lamento”
Jared si fece più vicino e gli diede una pacca amichevole
sul gomito. “E con la ragazza? Ti crea problemi?”
sghignazzò a bassa voce.
Gabriel si rimise dritto e lo guardò con un leggero accento
interrogativo. “Con lei va bene, mi fa arrabbiare molto ma
poi la perdono sempre. È come se tra noi due fossi io il
buono e lei quella che imbroglia, strano a dirsi, no?”
“Rebecca deve avere un bel caratterino!” disse
l’uomo, con una risata che non piacque per niente a Gabriel.
“Come ognuno” ribattè stando rigido.
Jared gli diede un’altra pacca. “Senti, se ti stufi
o non la sopporti più puoi sempre mandarla da me. Sarah
è un amore ma la tua ragazza è veramente troppo, non so se
mi spiego” sorrise il bastardo mimando con le mani le curve
morbide di una donna.
In quel momento Gabriel ci vide doppio e senza nemmeno rendersene conto
lo afferrò al collo con un unico velocissimo gesto. Jared
provò a divincolarsi e sbattè i piedi per terra,
il suo viso stava diventando bordeaux e faceva fatica a respirare.
Alcune persone si erano fermate ad osservagli, Gabriel fu costretto ad
abbassare le mani. Rimase immobile e ritto mentre il panettiere si
massaggiava con mani tremanti il collo gonfio e rosso.
Lo guardò strabuzzando gli occhi.
“Ma che diavolo ti è preso?!”
sbraitò con una faccia da assatanato.
Non lo so neppure io,
Jared.
Ma sai,
l’amore è una cosa strana. Ti è mai
capitato di amare qualcuno?
Gabriel prima di avere Rebecca non aveva mai prestato né
attenzione né fatto peso alle battutine oscene che gli
uomini facevano alle giovani donne, ma da quando si era innamorato
della ragazza più bella, perfetta e voluta del villaggio non
riusciva più a reggere i loro discorsi provocatori. Sapeva
benissimo che loro lo facevano per scherzare e fare quattro risate ma
lui proprio non riusciva a far finta di niente. La rabbia lo assaliva
ogni qualvolta qualcuno scherzava su Rebecca, non gli piaceva leggere
nella mente i loro desideri erotici né tantomeno sentire ad
alta voce le fantasticherie che facevano su di lei.
Jared lo fissava ancora incredulo e arrabbiato.
E ora che gli diceva a questo?
“Scusa, non so cosa mi sia preso. Il fatto è
che…” una scusa, una scusa qualsiasi, accidenti!
“Per caso sai chi abita nella casa infondo alla
via?”
Se la mascella di Jared avesse avuto dei poteri di estensione avrebbe
sicuramente toccato terra. “Che domande mi fai?”
“Tu rispondi”
“E mi stavi soffocando per questa domanda?!”
esclamò, paonazzo in volto.
Gabriel gli fece cenno di abbassare la voce, stavano attirando un
po’ troppo l’attenzione generale. Persino Sarah
aveva abbandonato il lavoro e si stava avvicinando ai due uomini.
“Stà zitto e dimmi se sai di chi è la
casa poco distante da qui”
“Perché vuoi saperlo? A che ti serve?”
“Ma mi vuoi rispondere sì o no?!”
Rebecca lo
sbattè contro il muro di una casa e prese a baciarlo con
passione.
Erano in un vicolo
buio…quando lui perse il controllo la stese a terra per poi
posizionarsi sopra il suo corpo fremente.
“E se qualcuno
ci vede?” mormorò con voce rauca Gabriel, che
stava impazzendo nel provare tutta quella sorta di ribellione e
perversione. Il senso piccante di infrangere le regole lo rendeva
ancora più spinto e avido di lei.
Rebecca emise una
risatina roca e gli circondò il collo con le braccia. Pure a
lei stava piacendo quella situazione tanto inconcepibile. Non disse
nulla e si limitò a baciarlo.
Il buon senso di Gabriel
tornò alla carica. “E se ci sentissero?”
“Infatti
è più probabile che ci sentano invece che
vederci, lo sai che non riesco a rimanere zitta” disse con
aria da birichina.
Il ragazzo
avvampò. “Cerca di ragionare, Rebecca. Non pensi
alla figura che potremmo fare se qualcuno venisse fuori e ci
vedesse?”
La ragazza in tutta
risposta cominciò a spogliarsi e, senza staccare i suoi
occhi febbricitanti da quelli del ragazzo, fece lo stesso con lui.
Gabriel storse la bocca ma si lasciò spogliare dalle mani
sicure e tenere della sua ragazza.
“Smettila di
essere razionale, soldato. È un ordine”
Gabriel regalò a Jared un sorriso tirato.
“Perché sei arrossito?” intervenne il
panettiere.
“Non sono arrossito, ho solo tanto caldo”
“In inverno?”
“Non è inverno” brontolò.
“È fine autunno”
“Come vuoi, sappi che in ogni caso là infondo non
ci abita nessuno”
Il volto di Gabriel s’illuminò.
“Davvero? E neanche nelle case intorno?”
“Quella casa col muro in pietra è disabitata ma le
altre no, che io sappia”
Quella casa
era l’unica casa del villaggio ad avere i muri in pietra
senza contare quella di Gabriel e Rebecca. Tutte le altre erano di
legno.
La faccia di Gabriel ritornò ad incupirsi. “Ok, ti
ringrazio”
“Io comunque ci abito in una di quelle case
laggiù. La mia e quella di Sarah è a pochi metri
da quella in pietra che mi hai appena descritto. Ho dei vicini ma non
gli vedo mai, non so neanche se sono morti”
Gabriel cominciò a sudare freddo.
“E…per caso, ehm, ieri notte hai
sentito…uhm…qualcosa di strano?”
“Ad esempio?”
Oddio, che imbarazzante, avrebbe tanto voluto sprofondare sottoterra.
“Non so, degli urli?”
Il panettiere mise una mano sotto il mento e assunse un’aria
pensierosa, poi spalancò la bocca con un:
“oh!” puntando l’indice contro il cielo.
“Ora che mi ci fai pensare mi è sembrato di
sentire qualcosa di sospetto, più che altro rumori e
lamenti. Ma sai, tutti mi dicono che sono pazzo da legare
perciò pensavo…”
“Lamenti?” ripetè il ragazzo con una
smorfia tra lo schifato e lo sconvolto.
“Ah, sarà stata qualche bestia” lo
rasserenerò con un’altra pacca sul braccio.
Gabriel si coprì la faccia con la mani.
“Bestia?”
“Ehi, che ti prende? Ora la tua cera mi preoccupa sul serio,
sei di un bianco cadaverico, amico!”
“S-Sarà meglio che torni subito a casa”
Salutò con un gesto della mano il panettiere e si
defilò dal mercato. Maledizione, lui non era il tipo da fare
quelle cose. Che vergogna…era stato un incosciente, come
aveva potuto assecondare Rebecca a fare l’amore con lui in
mezzo ad una strada con delle persone che abitavano lì
vicine? Il solo pensare che qualcuno potesse averli visti, anche solo
sentiti, gli faceva venire la pelle d’oca. Non vedeva
l’ora di ritornare a casa e di raccontarglielo,
chissà la faccia che avrebbe fatto Rebecca. Lei che era
convinta che nessuno se ne sarebbe accorto.
Bene amore, sappi che
abbiamo dato spettacolo a dieci persone.
***
Gabriel non fece in tempo a mettere piede in casa che Rebecca gli
saltò addosso aggrappandosi alla sua schiena, si mise in
groppa e gli stampò un bacio sulla nuca. Assomigliava molto
ad un koala, troppo tenera.
Gabriel andò in cucina con lei addosso e prese da bere.
“Smettila, per favore!” esclamò
divertito non appena sentì che la ragazza aveva preso a
baciargli il collo. “Non riesco a bere, vuoi che
m’ingozzi?”
“Mi stai minacciando?” lo provocò.
“Vuoi che lo faccia?”
“Forse”
Gabriel rise e rise ancora più forte quando gli venne in
mente quello che stava per dirle. “Tesoro, ti ricordi cosa ti
avevo detto a proposito di ieri sera, del fatto che stavamo facendo un
grosso errore?”
“Uhm, diciamo che la tua paura più grande era
quella che qualcuno ci potesse sentire”
“Per l’appunto” precisò con
aria solenne.
Con uno scatto la ragazza smontò dalla sua schiena e
inciampò sui suoi stessi piedi. Gabriel prontamente si
voltò e la prese per i fianchi appena in tempo.
“Che cosa?!”
“Oggi ho parlato con il panettiere, Jared, ti
ricordi?”
“Parla!” lo assalì con un urlo.
“E…beh, mi ha detto che abita lì vicino
e che ieri notte lui, la sua compagna e i suoi vicini in effetti hanno
sentito dei lamenti, degli spasmi, dei rantoli che hanno attribuito ad
un animale”
“Un animale?”
“Dolcezza, volevi per caso che gli dicessi che eri tu sotto
di me?”
Rebecca gli mollò una sberla sul braccio. “Sei
osceno!”
“Guarda che la femme fatale sei tu! Mi hai abbindolato con il
tuo bel faccino e il tuo corpo grazioso, sei una seduttrice nata. Io
avrei anche resistito ma poi mi hai convinto con la storia della magia,
che uomo debole che sono” e si mise una mano sul cuore come
se fosse stato colpito.
“Non sono una nonsocomesidice fatale! Semmai sei tu che mi
hai trasformata in una ninfomane! Prima di conoscerti pensa che neppure
ci pensavo a fare sesso in un vicolo, nonostante sia la fantasia
proibita di metà adolescenti!”
“Sarebbe colpa mia?!” disse indignato.
“Tu e le tue storie da una botta e via! Dimmi, dato che non
abbiamo mai affrontato apertamente l’argomento, si
può sapere dove te le sbattevi le ragazze? Addosso ad un
muro o dietro ad una pianta? Perché in tal caso non dovresti
far tanto lo schizzinoso!”
“Non osare paragonarti con quelle! Tu sei diversa e la storia
è diversa, non puoi arrabbiarti con me perché ho
avuto altre storie al di fuori della tua!”
“Storie le chiami? Hai mai avuto una storia? Con chi andavi
Gabriel, posso saperlo? Erano ragazze sane e di buoni principi o erano
puttane? Sì, quelle che lavorano nelle locande dove voi
ragazzi andate a bere la sera?”
“Finiscila” disse a bassa voce.
Rebecca iniziò a piangere e neanche se ne accorse.
Com’erano finiti in quel discorso?
“Scommetto che erano molto brave, non è vero? Le
frequenti ancora? Magari ogni tanto ti piace fare qualche scappatella e
andare a trovarle, hai bisogno di avventura? Di altri stimoli? Del
piacere del rischio?”
“Ho detto basta” ripetè Gabriel in un
sussurro straziante.
L’abbracciò sussurandole dolci parole di conforto.
“Ne ho avute ma da quando ti ho conosciuta non ho
più sentito il bisogno di andare con altre donne,
c’eri tu a farmi sentire pieno e realizzato. Smettila di
torturarti, loro non sono minimamente alla tua altezza, tu sei tutto
ciò che voglio. Non loro. È con te che voglio
trascorrere l’eternità, ricordi?” la
sentì singhiozzare e fare un cenno del capo.
“È stato comunque bello vederti gelosa. Ti lamenti
di me ma pure tu ci dai giù di brutto”
Rebecca lo colpì con un pugno alla schiena ma non
potè trattenersi dal ridere. “Scusami”
gli sussurrò.
“Rebecca Burton, ti va di venire di sopra nel letto con me ad
amoreggiare?”
“Sì” disse arrossendo. Si nascose nel
suo petto troppo imbarazzata per guardarlo in faccia.
Ma che le era preso? Fare quella scenata di gelosia e mettersi a
piangere! Che bambina…
“E non ti devi vergognare se sei diventata una ninfomane, a
me fa solo piacere. E che piacere…” le
strizzò l’occhio e si beccò un altro
pugno.
“Ma che ho detto?”
***
Il suono di una tromba fece svegliare di soprassalto Rebecca che
scoprì di avere un enorme mal di testa, si passò
una mano sui capelli lamentandosi sottovoce e ritornò con la
testa sul cuscino in posizione prona. Un secondo suono, più
forte e intenso del primo, la fece sussultare tanto che cadde dal letto
tirandosi dietro tutte le coperte. Gabriel, che nel frattempo dormiva,
dovette aprire furtivamente un occhio per poter capire come mai
tutt’un tratto aveva freddo, si scoprì essere nudo
e senza uno straccio di lenzuolo sul letto. Vide un ciuffo di capelli
castani spuntar fuori dal fondo del letto e gattonando in quella
direzione si sporse oltre il bordo del materasso.
“Che ci fai per terra?” domandò,
tentando di reprimere una forte risata che lo picchiettava nella gola.
Rebecca lo fulminò con gli occhi. Non fece in tempo a
spiegargli che la tromba riprese a suonare, ormai il frastuono era
talmente alto e assordante che la ragazza si tappò
istintivamente le orecchie e urlò dal dolore. Il gomito che
sorreggeva Gabriel dal letto cedette nel momento in cui il ragazzo si
prese uno spavento e pure lui perse l’equilibrio cadendo
addosso alla ragazza. Un groviglio di corpi e coperte creava un caos
assurdo, Rebecca gli urlava di spostarsi dato che la stava schiacciando
e Gabriel si lamentava del fatto che la sua gamba fosse incastrata tra
quelle di lei. Rotolarono per tutto il pavimento finchè
Rebecca non sbattè la schiena contro qualcosa di molto duro.
Con il volto coperto d’orrore fissarono entrambi due paia di
piedini che stavano sull’uscio della porta aperta della loro
camera da letto. Risalirono con lo sguardo incontrando lo sguardo
perplesso e meravigliato di Ian. Come se non bastasse dietro la porta
gli occhietti indiscreti di Emma li stavano spiando.
Rebecca divenne bordeaux e veloce come un fulmine raccolse le lenzuola
intorno a lei per coprirsi. Gabriel le diede una mano e poi
guardò i nipoti. “Si può sapere che ci
fate a casa nostra senza bussare?”
I due bambini li fissarono per un tempo che a loro parve interminabile
e poi, come scottati, cominciarono a correre fuori urlando come pazzi.
L’occhio di Gabriel ebbe uno strano tic mentre guardava
sconvolto l’uscio della porta ormai vuoto.
S’infilò frettolosamente un paio di boxer e corse
come un disperato fuori nel corridoio, sentì al piano di
sotto la voce di Rosalie dire: “Che succede,
ragazzi?”
E quella di Ian che ancora urlava a squarciagola. “Mamma!
Mamma! Lo zio vuole uccidere la zia!”
Sentì sua sorella gridare un: “che
cosa?!” ma riuscì ad arrivare in tempo in cucina
prima che tutta la famiglia si precipitasse in camera muniti di
coltelli e pentole. Fece il suo ingresso in mutande e mezzo nudo, era
rosso per la corsa e alzò le mani al soffitto in segno di
innocenza.
“Posso. Spiegarvi. Ogni. Cosa” scandì
bene le parole.
Rosalie lo fissava a bocca aperta. “Ma
che…?”
S’intromise Emma questa volta tirando la manica di Denali.
“Papà, pure io l’ho visto! Lo zio era
sopra la zia e la zia non sembrava tanto contenta. Stava
urlando!”
I volti di Rosalie e Denali sbiancarono nello stesso istante. La faccia
della ragazza passò dal rosso al viola e poi dal blu al
verde. “Gabriel!” urlò.
Gabriel si difese parandosi con le mani. “Non è
come pensi, loro non hanno visto niente! Te lo giuro!”
“Sono così piccoli i miei figli e già
devono vedere queste cose! Ma prego fratello, ora grazie a te sanno
pure come si fanno i bambini!”
“No! Io ero solo caduto dal letto per via…e
Rebecca era già a
terra…non…!”
Rosalie puntò gli occhi sui suoi boxer. “Stavi
dormendo, eh?!”
“Erano nudi. Bleah! Che schifo!” mormorò
Ian disgustato da dietro la figura della madre.
Per un momento a Gabriel parve di veder uscire dalle orecchie della
sorella una nuvoletta di fumo. Fortuna volle che in
quell’attimo scese le scale Rebecca, avvolta in una vestaglia
lilla molto graziosa. Passò davanti a Gabriel senza nemmeno
prestagli attenzione e andò dritta al sodo rivolgendosi a
Rosalie. “Ti posso assicurare che ieri sera io e tuo fratello
abbiamo…beh, sai cosa. Stamattina stavamo dormendo quando
una tromba ci ha fatto prendere un colpo e siamo caduti entrambi dal
letto. I tuoi figli sono entrati proprio nel momento in cui eravamo a
terra incapaci di alzarci perché le lenzuola si erano tutte
aggrovigliate ai nostri corpi. Naturalmente non devi arrabbiarti con
noi dato che questa è casa nostra e che, con un minimo di
cortesia, avresti dovuto avvertirci per darci il tempo di renderci
presentabili”
Finito di parlare Rosalie grugnì e poi tese una mano verso
la ragazza. Rebecca gliela strinse e Gabriel fece un sospiro di
sollievo. “Volevo soltanto avvisarvi che Bastian ha suonato
per la partenza”
Dovevano partire, lo sapevano. Bastian la sera prima gli aveva
avvertiti.
Ma chi poteva immaginare che avrebbe avvertito il villaggio suonando
una tromba?!
Gabriel fece la linguaccia a Ian che ancora lo guardava come se volesse
sbranarlo. Che pensava? Che aveva fatto male alla cara zia?! Mica era
un maniaco sessuale!
“Ad ogni modo…” proruppe Denali.
“Siamo venuti a salutarvi, i bambini lo volevano
tanto”
“Tu non vieni?” domandò Gabriel
ignorando lo sguardo assassino della sorella.
Denali parve a disagio. “Veramente…”
puntò gli occhi su Rosalie.
“Lui ha di meglio da fare” concluse la ragazza con
un sorriso smagliante.
“Rose, andiamo in missione per combattere”
“Appunto”
“Quindi…è
ovvio che gli uomini che prendiamo hanno donne e figli, ed è
logico che si allontanano da casa per il bene del villaggio. Ho
già chiuso un occhio quando eri incinta lasciando a casa
Denali dalla missione ma ora ci serve, insomma, è forte e
molto potente e noi abbiamo bisogno di soldati come lui. Non puoi
prenderti il lusso di tenerlo a casa solo perché sei mia
sorella! Altrimenti sai quanti altri uomini dovrebbero restare a casa?!
Per favore, cerca di ragionare…si tratta di una battaglia,
non si può scegliere, si è reclamati ad andare e
basta”
Rosalie diede un’occhiata ai suoi figli e poi al suo compagno
di fianco a lei che la guardava con tenerezza e compassione.
“Tu ci vuoi andare?” gli chiese con la voce che
tremava.
Il volto di Denali era molto profondo e sicuro.
“Sì”
Emma si mise a piangere e Ian e si attaccò con forza alla
gamba del padre non volendosi più staccare, Rosalie si
accucciò a prendere Emma in braccio. Ian minacciò
tutti che non si sarebbe staccato dall’adorato
papà, sarebbe andato con lui in battaglia aggrappato alla
gamba se non l’avessero lasciato a casa.
Fu Gabriel a prenderlo in braccio dopo vari tentativi.
“Andiamo ometto, terrò d’occhio io il
tuo papà” gli disse facendogli
l’occhiolino.
Intervenne Rebecca dal fondo della stanza. “Ian, tuo padre
è in buone mani. Lo zio e la zia sono molto forti e gli
faranno da scudo, ok? Non hai niente da temere”
Ian circondò il collo di Gabriel e gli accarezzò
tutta la faccia come se fosse stato un gattino da coccolare. Rebecca si
avvicinò e stampò un bacio sulla fronte del
bambino che allargò un debole sorriso.
“Promesso” gli sussurrò lei.
Ian annuì. Con loro non c’era da temere che Denali
corresse rischi. L’avrebbero riportato a casa sano e salvo.
***
Il gruppo di uomini ingaggiati per la missione partì quella
mattina stessa con un ritardo di circa un’ora. Denali non
prese parte alla spedizione, come illuminato da una consapevolezza
mistica Gabriel decise all’ultimo momento di lasciarlo a
casa. Rosalie gli era corsa incontro in lacrime, probabilmente era
stato quello il motivo della sua decisione, non voleva far soffrire la
sorella come stava soffrendo lui in quel momento. Bastian non aveva
radunato moltissimi soldati ma erano quel numero giusto da poter
vincere la battaglia, senza contare che al loro arrivo avrebbero
trovato anche il villaggio di Numbia come alleato. Marciarono verso
est, i soldati camminavano a piedi mentre Bastian, Rebecca e Gabriel
procedevano a cavallo. Rebecca aveva voluto cambiare il suo unicorno
bianco con uno stallone nero, dicendo ad un Gabriel stupefatto che quel
cavallo era più adatto a lei. Gabriel si era risparmiato dal
chiederle se per caso ultimamente i suoi gusti andavano più
verso i colori scuri che su quelli chiari, sarebbe stata una battuta a
doppio senso: “preferisci l’oscurità
alla luce divina?” Gabriel aveva scosso la testa e fatto
finta di niente. Ora che si erano ritrovati non aveva nessuna
intenzione di litigare di nuovo con lei. Non dopo la stupefacente
intesa sessuale che avevano scoperto di avere…
Gabriel rise tra sé e sé.
“Che c’è?” chiese la ragazza
che gli trotterellava accanto.
Lui mimò una tosse. “Niente. Pensieri
maschili”
Il viaggio sarebbe durato tre giorni di cammino, Bastian aveva ritenuto
più saggio fermarsi una volta al giorno per la notte in
qualche villaggio vicino. I suoi uomini che erano a piedi non ce
l’avrebbero fatta, altrimenti.
Prima di partire aveva creato un’apposita mappa con i punti
esatti in cui dovevano ristorarsi, fermarsi, sostare e dormire
(possibilmente in qualche locanda a buon prezzo, chissà che
non fosse scappato uno sconto comitiva). Marciarono tutto il giorno ad
un ritmo incessante, non si fermarono neppure una volta per bere o
mangiare, come prima giornata erano ancora abbastanza forti e sostenuti
per dover far rallentare il passo. Rebecca di certo non si lamentava,
seduta sul suo cavallo nero stava divinamente, così come
Gabriel e Bastian (anche se loro non lo davano a vedere). I due uomini
infatti apparivano spossati e affaticati, e lei non capiva come
potessero esserlo se per tutto il giorno non avevano fatto altro che
star seduti. Rebecca aveva sempre considerato gli uomini delle
pappemolli. Non tutti, ma la maggior parte sì. Appena li
capitava un improvviso mal di testa subito piagnucolavano e ti
stressavano per ore intere! Si facevano un taglio o li veniva un crampo
e giù a chiamare la mamma. Le donne sì che erano
forti, si lamentavano pochissimo e con sé stesse, non
facevano pesare i loro problemi, le loro sofferenze e i loro dolori.
Senza contare che gli uomini hanno una sopportazione dei dolori che
è minore rispetto alle donne. Insomma, Gabriel e Bastian
erano delle vere femminucce. Lasciando perdere il fatto che comunque
restavano due grandi guerrieri: uno un capo-villaggio molto valido e
l’altro un ex angelo alquanto sexy.
Arrivarono in un villaggio tetro e denso di nebbia. Era quasi sera,
c’era molta umidità nell’aria ed era
buio pesto. Bastian scese dal suo cavallo con una smorfia di dolore
(probabilmente aveva le gambe addormentate) e si parò
davanti al suo gruppo di guerrieri. Non erano in molti, erano un gruppo
abbastanza ristretto ma buono. Si poteva benissimo leggere la
stanchezza e la fame sui loro volti marcati e scarni.
Bastian ordinò a tutti di non muoversi mentre lui andava a
chiedere ristoro per la notte. Lasciò il comando a Gabriel
con ogni contrarietà da parte di Rebecca.
Quando Bastian sparì oltre la coltre di nube tutti i soldati
caddero a terra per riposarsi, alcuni tirarono fuori delle borracce per
bere altri si sgranchirono le gambe e la schiena distendendosi
sull’erba scura. Rebecca si avvicinò al ragazzo
che era ancora a cavallo.
“Credi che ci ospiteranno per questa notte?” gli
chiese.
Gabriel non la guardava nemmeno, fissava un punto oltre il muro di
nebbia. “Penso di sì, infondo non siamo in molti,
dovrebbero averle delle camere da dieci persone”
“Così tante?”
“Qui non esistono gli hotel come gli intendi tu, nei quali le
stanze ospitano al massimo cinque persone e forniscono di minibar. Da
noi le locande sono state costruite inizialmente apposta per i soldati,
quindi per forza
ci staremo tutti”
Rebecca impallidì. “Devo dormire con nove uomini
nello stesso letto? No perché sai, l’astinenza
è una brutta faccenda…”
Gabriel posò i suoi occhi profondi e audaci su di lei.
“Tu dormi con me, punto e basta”
“Speravo lo dicessi, anche perché la maggior parte
di questi ragazzi c’hanno provato con me in questi anni. Non
vorrei che diventassero pesanti o sconvenienti, non voglio dover
rompere il braccio a qualcuno di loro, ci servono tutti integri per la
battaglia a Numbia”
“Qualcuno ci ha provato con te?” sembrava cascare
dalle nuvole lo scemo.
“Sì, ma non…”
“Chi” sibilò.
“Smettila di essere possessivo” lo
rimproverò la ragazza con una voce che non ammetteva
repliche.
“E dopo questa…! Tu dormi con me, e ti chiudo
anche a chiave in camera” Gabriel scese elegantemente dal
cavallo e toccò terra con un tonfo. Rebecca pensò
che volesse uccidere qualche soldato perciò lo tenne fermo
per un braccio.
Gabriel le passò il braccio attorno alle spalle e
l’attirò a sé. “Ti proteggo
io” le sussurrò.
“Come se avessi bisogno di protezione” si
lagnò lei.
Un giovane soldato si fece avanti e tossì un paio di volte
prima di ottenere l’attenzione di Gabriel e Rebecca. Era
molto alto e ben piantato, capelli scuri a spazzola e occhi verdi con
qualche pagliuzza dorata. Gabriel lo squadrò da cima a fondo
e quando vide che i suoi occhi fissavano insistentemente Rebecca
s’irritò non poco. “Che vuoi,
soldato?” lo interrogò con
professionalità.
“Beh, ecco…io volevo sapere
dov’è andato Bastian”
Gabriel aggrottò la fronte e poi capì. Contrasse
i muscoli così fortemente che la ragazza vicino a lui ebbe
un brivido. “È andato a prenotare delle camere in
una locanda. L’aveva detto, comunque. Non avevi
sentito? Forse eri occupato a fare qualcos’altro”
Il ragazzo divenne bordeaux e si allontanò molto
imbarazzato.
Rebecca guardò il profilo di Gabriel e la sua mascella tesa
per la tensione.
“Era uno di quelli che c’ha provato con
te?”
“Sì” disse lei con timore, poi si
affrettò ad aggiungere: “Ma è
perché giovane, povero! Non ci sono molte ragazze della sua
età che gli vanno bene, mi ha detto, per questo gli piacevo.
Diceva che ero diversa dalle altre ma naturalmente io gli ho fatto
capire chiaro e tondo come stanno le cose”
“Quello lo voglio distante di almeno un piano dalla nostra
camera”
La ragazza alzò gli occhi al cielo. “Che
palle…”
Gabriel la fulminò con gli occhi. “Non ti ha
baciata, vero?”
Per poco lei non si soffocò con la saliva. “Che
cosa?! No! Certo che no!”
“Ti ha per caso toccata?”
“Mi stai irritando”
“Comunque quel tizio era venuto qui solo per ottenere la tua
attenzione, ma io ovviamente l’ho liquidato in meno di dieci
secondi”
“Tipico di te” sbottò.
“Chi sono gli altri che ci hanno provato?”
Rebecca lo spintonò con uno sbuffo e si allontanò
da lui. “No, non gli ammazzi!”
Bastian tornò dopo mezzora e annunciò ai soldati
che era riuscito ad ottenere la prenotazione nella locanda
gratuitamente, e che c’era spazio per tutti. Disse
già in principio di non far caso al posto, che dopotutto
erano in missione.
“Che cosa voleva dire Bastian con quella frase?”
domandò Rebecca a Gabriel non appena furono montati a
cavallo.
“Ti ho detto che le locande sono state costruite per i
soldati inizialmente.
Ora sono pressoché dei bordelli”
La ragazza ebbe un tuffo al cuore. Sbirciò con lo sguardo
Gabriel al suo fianco e pregò che andasse tutto bene. Era a
conoscenza delle ex fiamme del ragazzo. Tutte puttane.
Rebecca spronò le redini e il cavallo galoppò
avanti superando Gabriel che la guardò interrogativamente
restando al suo posto. Scrollò il capo e divenne di pessimo
umore.
Che aveva fatto ora? Di certo non era colpa sua se andavano in una
specie di bordello. Ma sotto sotto capiva le paure di Rebecca
perché erano le stesse che aveva lui.
Dopo dieci minuti di cammino arrivarono di fronte alla locanda. Lo
spirito di alcuni uomini si sollevò, altri sembravano
incapaci di aspettare oltre per entrare, altri avevano sonno, altri
sbuffavano perché erano già impegnati
sentimentalmente. Solo Rebecca teneva un pesante muso. Il suo broncio
non era passato inosservato a Gabriel e a Bastian che la tenevano a
distanza di sicurezza.
“Ma perché proprio in un bordello?”
brontolò con i denti serrati la ragazza.
Un uomo sulla quarantina si avvicinò e le diede una pacca
sulla spalla. Il corpo di Gabriel si fece diritto e teso, pronto a
scattare se l’uomo si fosse spinto oltre. Ma l’uomo
si limitò a dirle con voce da ubriacone: “Scherzi,
vero? Cosa c’è di meglio di una bella donna prima
di andare in battaglia?”
“Ma per piacere…” borbottò.
“Non capisco cosa ci trovate di bello in una donna che la da
gratis a tutti”
Un altro ragazzo l’affiancò e con un sorriso da
ebete le circondò i fianchi con un braccio.
“È proprio quello il bello, dolcezza! Lo chiederei
a te ma so già che sei super impegnata, infatti in questo
momento il tuo ragazzo mi sta uccidendo con gli
occhi”
Rebecca guardò Gabriel e vide che osservava la scena da
lontano con uno sguardo omicida stampato in fronte.
“Motivo in più per girarmi alla larga,
bello” gli disse togliendoselo di dosso. “Andate
pure a divertirvi con quelle donnacce da quattro soldi, io vado a
letto”
Spinse e urtò chiunque le capitò a tiro,
aprì la porta della locanda e andò come una furia
dritta al bancone. Una donna sulla trentina con un osceno vestitino
rosso attillato l’accolse un po’ troppo
calorosamente per i suoi gusti. Il rossetto rosso acceso che portava le
aveva sporcato la fila dei denti davanti, le unghie erano laccate di
nero ed erano lunghe e appuntite. Sembravano a degli artigli. Tutto di
quella donna faceva pensare ad un felino. Non le diede una buona
impressione. Sbattè le mani sul bancone di legno scuro e
quasi le urlò addosso di dirle qual era la sua camera da
letto. La donna le diede un mazzo di chiavi e lei se ne andò
indispettita per le scale che portavano al piano superiore. Non si
voltò neppure una volta a guardare la faccia sconvolta dei
soldati che erano tutti schierati nell’entrata. Gabriel era
il primo della fila e la vide andare via a gran passi,
sbattè le palpebre e una manata solidale da parte di Bastian
lo scosse dallo stupore.
“Noi andiamo a dare un’occhiata in giro prima di
andare a letto. Non so se mi sono spiegato” gli fece
sottintendere chiaramente che erano diretti nella sala davanti a loro
dalla quale si sentiva provenire della musica e degli urli maschili
alquanto esaltanti e concitati. Gabriel annuì con la testa e
salutò i soldati che lo guardavano come se fosse impazzito.
Non riuscivano a capire come potesse un ragazzo del genere perdersi un
incontro di quel tipo. Con aria mesta Gabriel si congedò e
fece finta di non vedere la donna dietro il bancone che si stava
sbracciando per attirare la sua attenzione. Salì le scale e
bussò alla porta. Aveva letto nel pensiero della donna il
numero della sua camera.
Sentì dei passi avvicinarsi alla porta e udì la
serratura sbloccarsi. Davanti ai suoi occhi si presentò la
figura stanca e cupa di Rebecca, era già in pigiama e lo
fece entrare con una certa lentezza. Gabriel si tolse la giacca e la
buttò per terra, lei gliela raccolse e la posò su
una sedia. Il letto era a due piazze e le lenzuola erano stropicciate.
“Stavo dormendo” gli disse lei a mo di spiegazione.
“Ho fatto presto a infilarmi a letto”
“Mi sa tanto che stanotte saremo le uniche persone a dormire
in questo posto”
“A me importa solo che ci sia tu”
Si baciarono, dapprima con dolcezza e tenerezza poi il respiro si fece
sempre più corto e necessario, e il bacio sempre
più profondo ed esigente. Rebecca passò le mani
tra i capelli morbidi e spettinati del ragazzo e lui le cinse i fianchi
facendo aderire il suo corpo al suo. La fece arretrare verso il letto
e…
La porta bussò. Entrambi guardarono sbalorditi la porta
chiusa a chiave e ascoltavano con irritazione quei battiti continui.
Andò Gabriel ad aprire e tirò un sospiro di
sollievo quando vide Bastian. Prevedeva già di dover fare a
botte con qualche cascamorto idiota e pretenzioso.
“È successo qualcosa?”
domandò la ragazza che si nascondeva dietro la schiena di
Gabriel.
“Veramente sono venuto a cercarvi perché sette dei
nostri uomini sono scomparsi”
“Ma vi abbiamo lasciato meno di dieci minuti fa! Come possono
essere spariti?” disse Gabriel esasperato.
Bastian socchiuse gli occhi ed espirò. “Io ero con
gli altri, non facevo niente di male, veramente, gli stavo solo tenendo
d’occhio nel caso qualcuno avesse creato dei problemi. Poi un
soldato mi ha fatto notare che non trovava da nessuna parte suo
fratello che, fatalità, fa parte del gruppo che non si
trova. Ho provato a cercarlo ma non c’è nella
locanda, né lui né gli altri sei”
“Vuoi che controlliamo fuori?” gli chiese Rebecca
infilandosi già la tuta da combattimento.
Gabriel sembrava preoccupato. “Non possiamo aspettare che
tornino?”
“E rischiare che si caccino in qualche casino? No, grazie,
è l’ultimo dei nostri problemi”
“Magari tornano” tentò.
Rebecca uscì dalla porta con la spada in mano che poi si
allacciò alla cinghia dei pantaloni. “Vado
io” fece per percorrere il corridoio quando la voce di
Bastian e la mano di Gabriel la fermarono. “Ehi, non sono una
bambina, me la caverò benissimo. Gli trovo e gli riporto a
casa, semplice”
Il ragazzo esitava ma Bastian gli disse di lasciarla andare, che loro
avrebbero aspettato nell’atrio. Rebecca fece un cenno del
capo e poi se ne andò. Ripercorse il bancone vuoto e
uscì dalla locanda. L’aria era più
calda, afosa, la nebbia era comunque un blocco che impediva la vista.
Strinse l’elsa della spada e i suoi occhi divennero neri, con
un incantesimo efficace aveva dilatato a dismisura le pupille e le
aveva dato la vista di un gatto. Così si poteva muovere
più facilmente nella notte.
Perse quasi un’ora per ritrovare il gruppo di uomini che
avevano abbandonato l’edificio, gli aveva cercati in tutte le
stradine, nascondigli, ripari e vicoli possibili e immaginabili. Alla
fine capì di averli trovati perché in
quell’inquietante silenzio sentì
all’improvviso delle risate maschili seguite a ruota da
alcune femminili. Grugnì e si diresse in quella direzione.
Svoltò l’angolo e si ritrovò in un
vicolo ceco. Infondo, addossati al muro di pietra, c’erano
due dei sette uomini che erano avvinghiati a due donne sconosciute. Le
donne erano schiacciate contro la parete, il loro vestito era alzato
fino alle cosce, sotto erano nude e davano libero accesso agli uomini
che stavano con i pantaloni abbassati davanti a loro. I due uomini si
muovevano dentro il corpo delle giovani donne su e giù in un
ritmo frenetico e martellante. Gli unici rumori che si sentivano era lo
sbattere ritmico della schiena delle donne contro il muro e i sospiri,
oltre ad alternate urla. Loro non potevano vedere Rebecca con quella
nebbia ma lei li vedeva bene, eccome.
Non sapeva come comportarsi, avrebbe tanto voluto tornare indietro e
dire semplicemente a Bastian che stavano bene e che non dovevano
preoccuparsi per loro. Ma dall’altra parte non sopportava
quella mancanza di rispetto che avevano avuto nei loro confronti e
perciò voleva con tutto il cuore rovinarli la festa.
Si avvicinò con cautela e quando fu abbastanza vicina
tossì un paio di volte. Le due donne sbarrarono gli occhi e
con dei piccoli gridolini si abbassarono il vestito e allontanarono gli
uomini. Si misero vicine e si abbracciarono come due amiche impaurite e
intente a proteggersi. Come se avessero dovuto difendersi.
I due uomini invece guardarono di cattivo occhio la ragazza.
Rebecca si schiarì la voce. “Bastian non vi
trovava, vi stavamo cercando. Naturalmente la nostra missione non
comprendeva anche controllare i soldati. Non siete neppure capaci di
ragionare nonostante siamo in guerra, sono dovuta venire a cercarvi
come se foste due bambini immaturi. Vi sembro in vena di fare la
madre?” disse con grande serietà. “E ora
tornate subito alla locanda che domani mattina dobbiamo alzarci presto
e ci aspetta un intero giorno di cammino. Salutate le vostre compagne e
seguitemi che dobbiamo riprendere anche i vostri amici
sperduti”
Le due donne parvero offese, Rebecca sentì una di loro
sussurrare all’altra: “Ma chi si crede di essere
questa verginella?”
Un lapsus omicida l’assalì. Avrebbe tanto voluto
strozzarle, giusto per riprendersi una rivincita personale. Beh, tanto
se le avesse uccise nessuno sarebbe stato in grado di risalire a lei,
avrebbe fatto passare il decesso come un semplice infarto. Era facile
ordinare al cuore di smettere di battere negli esseri umani. Anche se
l’idea era molto allettante optò di lasciar
perdere, ma questo non significava che non poteva divertirsi un
po’ con loro. Si facevano vedere così forti,
indipendenti, superiori…in realtà erano solo
degli insetti piccoli e insignificanti. Avanzò verso di loro
e tanto per far scena fece cambiare il colore dei suoi occhi in rosso.
Alla vista dei suoi occhi rossi le due donne gridarono di spavento.
Rebecca si avvicinò finchè non furono tutte e tre
a pochi centimetri di distanza.
Come se non bastasse i suoi occhi divennero gialli e fece
materializzare la spada tra le sue mani che puntò alla gola
di una di loro. “Vi sembro abbastanza sprovveduta?”
In un coro balbettante ripeterono una serie di disperati
“no”. Rebecca fece scomparire la spada e i suoi
occhi tornarono quelli neri di un gatto. Si voltò e
raggiunse gli uomini che prese per braccetto e portò via con
forza.
“Ragazzi, dovete dirmi dove sono andati a finire gli
altri” non appena finì di dire la frase cinque
figure barcollanti avanzarono verso di loro.
Erano gli altri superstiti. Soli, tra l’altro. Rebecca si
voltò indietro e vide le due donne ancora ferme nello stesso
punto di prima che la fissavano impaurite. Non osavano muoversi.
Rebecca andò incontro al gruppo di soldati con aria
minacciosa. “Prima che mi arrabbi sul serio andiamo a
dormire” disse mettendosi le mani sui fianchi per apparire
più sicura.
Uno di loro rise, gli altri lo seguirono a ruota. La ragazza
sentì una forte ondata di alcool invaderle le narici, erano
ubriachi marci. Peggio di quanto si aspettasse perché non
poteva parlare seriamente con loro e di certo loro non
l’avrebbero ascoltata tanto facilmente. Sarebbe passata alle
mani se fosse stato necessario. Gli lasciò ridere e quando
finirono aveva il cipiglio inarcato. “Beh?”
sbottò. “Andiamo o devo costringervi con la
forza?”
Uno di loro rise sguaiatamente, un altro le arrivò da dietro
e la fece alzare da terra tendendola stretta per i fianchi. Ripeteva
continuamente: “vieni a divertirti con noi,
bellezza!” e un altro rispose urlando: “o
direttamente facci divertire tu!”
Non ebbe il tempo di tirare un pugno al ragazzo che la teneva in
braccio che qualcuno si buttò a capofitto contro un uomo di
fronte a lei facendolo cadere per terra e tramortendolo. Quando la
persona si rialzò vide che era Gabriel. A dire il vero era
un Gabriel mai visto prima, sembrava veramente arrabbiato, tanto che
ringhiò contro tutti facendoli indietreggiare. La presa che
teneva Rebecca si sciolse e non appena toccò terra
sferrò un potente pugno in faccia al ragazzo che
barcollò sul posto e poi cadde.
“Vi conviene girare alla larga da lei e tornare alla
locanda” un ringhio profondo gli uscì dal petto.
Rebecca non lo aveva mai visto perdere il controllo in quel modo.
“Vi conviene fare quello che vi dice” aggiunse poi.
Uno alla volta gli uomini (non prima di averli fulminati con lo
sguardo) se ne andarono finchè non rimasero solo Rebecca,
Gabriel e le due donne infondo al vicolo.
“Andatevene anche voi due!” sbraitò alle
prostitute. Queste sussultarono e con gli occhi adoranti puntati su
Gabriel pian piano si incamminarono.
“Lui è mio! Sia ben chiaro!” le
gridò dietro Rebecca che non sopportava le sfrecciatine che
le due donne stavano facendo al suo ragazzo.
Ci mancavano solo loro a complicarle la vita già di per
sé complicata. Si girò verso il ragazzo con un
sorriso tirato ma lui non rideva. Era in piedi e nessun muscolo del suo
corpo si muoveva, fissava il terreno con occhi vacui e stringeva i
pugni. Se non fosse stato per la sua innaturale immobilità,
Rebecca avrebbe detto che tremava da capo a piedi.
Andò da lui e lo abbracciò teneramente.
“Andiamo a letto” mormorò.
Gabriel si sforzò di sorridere ma poi il sorriso si spense e
tornò serio come prima. “Se quei
soldati…” cominciò con il labbro che
gli tremava.
Rebecca gli posò un dito sulle labbra e lo interruppe.
“Ma non è successo niente. Non mi hanno fatto
niente, per fortuna sei arrivato in tempo. Io comunque mi sarei
difesa”
Gabriel tirò un lungo e sofferente sospiro. “Ho
voglia di ammazzarli”
“Beh, siamo in due”
Lui rise e la guardò intensamente negli occhi.
Dio, quanto l’amava…
Si chinò su di lei e la baciò con rabbia, tanto
che lei perse il controllo e cadde indietro ma le mani ferme e
protettive di Gabriel la tennero stretta e al sicuro. Quando si
staccarono rimasero con i volti vicini, le loro bocche si sfioravano e
le loro fronti erano appoggiate una all’altra.
“Torniamo indietro” le disse lui. “Ho
voglia di fare l’amore con te”
Rebecca non se lo fece ripetere due volte.
***
Il mattino seguente fu tragico. Alzarsi con la prospettiva di camminare
per un altro giorno intero, dopo la notte insonne e intensa che si era
appena conclusa, era un potente sonnifero. Tutti nel gruppo erano
assonnati, doloranti e ancora più pigri di quando erano
arrivati la sera prima. Quando Rebecca si svegliò e si
ricordò che era in missione e non più nel suo
comodo e caldo letto ebbe la tentazione di tornare a dormire e darsi
per malata. Per fortuna Gabriel, che si era alzato prima di lei,
l’aveva stressata finchè la ragazza, allo stremo
della sopportazione, aveva buttato in aria le coperte e maledicendolo
in tutte le lingue del mondo era andata in bagno a lavarsi. Pure per
Bastian la mattina non era stata facile, non aveva chiuso occhio
durante la notte, era troppo preoccupato per quello che sarebbe
accaduto il giorno dopo. Li aspettava infatti un giorno di cammino tra
le gole dei monti dove non si poteva trovare né cibo
né acqua. Non c’erano villaggi nei dintorni e
avrebbero dovuto dormire all’aperto, accampati con le tende
in quei precipizi scuri e tenebrosi dove neppure la luce fioca delle
stelle e della luna riusciva ad illuminare le pietre nere delle
montagne. Senza contare che era molto deluso dei suoi soldati, quando
Rebecca era tornata alla locanda scortata da uno scontroso Gabriel
capì che doveva essere successo qualcosa di spiacevole. La
ragazza gli aveva spiegato in poche e brevi parole quello che era
accaduto, dopodichè i due ragazzi erano andati a
“dormire”. Bastian era rimasto un altro
po’ nell’atrio a rimuginare. Ora i postumi della
nottata bianca lo facevano assomigliare ad uno zombie. Con uno sforzo
sovrumano raggiunse l’entrata e aspettò che tutti
arrivassero per partire. Erano solo le cinque di mattina. La nebbia non
accennava ad andarsene, sembrava fossero piuttosto le cinque di
pomeriggio che non di mattina.
Dopo pochi minuti fu raggiunto da Rebecca e Gabriel che arrivarono mano
nella mano, lo salutarono con degli sbadigli enormi, tanto che Bastian
sbadigliò a sua volta. C’era uno strano silenzio
che stava mettendo Bastian in soggezione, forse era perché
lo sguardo di Gabriel era talmente assorto e affilato che sembrava
esplodere da un momento all’altro. Ma d’altronde
quei soldati se l’erano cercata: mai toccare o provarci con
la ragazza di Gabriel davanti ai suoi occhi.
Così ingenui.
Così audaci.
Rebecca era molto brava a tenerlo a bada e tranquillo. Gabriel era un
ragazzo molto affidabile, fedele e umile ma quando perdeva le staffe
aveva il vizio di diventare insopportabilmente crudele e micidiale. Non
era il genere di persona esplosiva, che picchiava e mandava a fuoco
tutto. Semmai agiva a sangue freddo, era lento, letale, proprio come il
ghiaccio: ti colpiva e tu neppure te ne accorgevi. Rebecca per lui era
una sorta di antidoto, di cura, lo guariva da tutti i suoi mali e
Bastian questo l’aveva notato molto bene. Si era creato tra i
due un tale rapporto che con la mancanza di uno l’altro non
avrebbe più potuto sopravvivere. Si amavano molto, questo
era certo, ma il modo in cui Gabriel amava Rebecca era qualcosa di
divino, qualcosa di potente e raro da trovare. Certo, anche lei lo
amava ma in un modo diverso. Lui l’adorava, la idolatrava, la
venerava, era così possessivo, protettivo e geloso di
lei…come se fosse un tesoro che nessuno poteva toccare
eccetto lui. L’amore di Rebecca invece era molto
più libero e tollerante. Forse Rebecca era più
indipendente di lui, meno ossessionata dal suo stesso sentimento.
Vederli così, mano nella mano, uniti e innamorati, suscitava
in Bastian un’emozione quasi spirituale, sacra.
L’amore che legava due angeli bianchi era un amore perfetto e
puro, eroico e platonico.
Quando il gruppo di guerrieri scese, subito Gabriel reagì
negativamente alla loro vista. Probabilmente aveva riconosciuto nei
ragazzi in prima fila qualcuno che gli aveva dato filo da torcere la
sera prima. Per fortuna non lo diede a vedere, strinse ancor di
più la mano della ragazza tra la sua e si finse assente da
tutto.
Bastian avanzò e disse, rivolgendosi all’esercito:
“Il nostro cammino oggi si estenderà a nord,
supereremo le gole delle montagne Aguzze e passeremo oltre i valichi.
Stanotte accamperemo in una gola perciò tenete da conto i
vostri attrezzi e le vostre armature. Non si sa mai chi potremmo
incontrare in quei baratri oscuri” Gabriel lanciò
un’occhiata preoccupata a Rebecca. “Cammineremo
fino a sera, ci fermeremo solo per mangiare due volte al giorno e
domani, con ogni probabilità, arriveremo a Numbia. Sono
stato chiaro?”
Un coro di “sì” emerse
nell’atrio.
Bastian uscì dalla porta seguito a ruota da Rebecca e
Gabriel. Con un fischio il ragazzo richiamò i cavalli, tre
bellissimi cavalli (uno nero, uno bianco e uno marrone) arrivarono
galoppando con un innata eleganza. I tre montarono in sella, Bastian
andò davanti a guidare il gruppo di soldati mentre i due
ragazzi rimasero indietro a chiudere la fila. Gabriel non sembrava
affatto contento di essere ritornato a dorso del suo cavallo.
È proprio un
bambino, pensò la ragazza con una risatina
silenziosa.
Ora che ci pensava era da molto tempo che non sentiva più la
voce parlarle, probabilmente se ne stava assopita, pronta ad
intervenire quando tutto si metteva male. Beh, non che a lei desse
fastidio, apparte l’incidente di Gabriel la voce si era
sempre dimostrata molto saggia e azzeccata nelle situazioni, ed era di
ottimi consigli. Anche se l’ignoranza della sua origine non
permetteva ancora a Rebecca di fidarsi di lei. Quella voce aveva un
ché di inquietante e oscuro, non riusciva a controllarla e
perciò era anche imprevedibile. Ma la sensazione di
famigliarità che le dava giustificava in qualche modo la sua
presenza.
In quel momento pensò pure ad Atreius, al suo fratellastro
che aveva scoperto essere in vita. Ah, e che stava tramando qualcosa di
orribile contro di lei.
Quante
preoccupazioni…
Troppe preoccupazioni.
Prima o poi
esploderò.
La giornata trascorse molto tranquillamente, non fecero altro se non
avanzare verso nord. Si fermarono una volta a mezzogiorno per mangiare
in un campo d’erba dorato, il sole picchiava nel cielo e le
gocce di sudore imperlavano la fronte di tutti. Ripartirono e non si
fermarono finchè non fu sera, sostarono vicini ad un lago
piatto e ghiacciato, erano ai piedi di un’imponente catena
montuosa dove le vette erano coperte di neve e ghiaccio. Si erano
vestiti pesantemente con indumenti di pelle e lana, ad ogni loro
respiro una nuvoletta di vapore si condensava nell’aria
fredda e pungente. Avevano lasciato i campi d’oro e il sole
scottante per raggiungere luoghi desolati, freddi e spogli. Dopo aver
proceduto per metà giornata in salita iniziarono a scendere,
la discesa era molto ripida e portava all’interno di due
montagne innevate. Arrivarono a trovarsi in quella che chiamavano
“la gola della morte” in quanto non era presente
nessuna forma di vita. La percorsero con estrema lentezza, i soldati
erano talmente impauriti che camminavano a rilento, troppo intenti a
guardarsi alle spalle e ai lati. Il problema sarebbe arrivato con il
calare della notte, quel posto aveva tutta l’aria di essere
un covo di spiriti dannati. Rebecca non capiva come Bastian avesse
potuto farli attraversare quella gola di notte, non sarebbe stato
meglio aspettare il giorno seguente? Così avrebbero avuto a
disposizione la mattina e il pomeriggio invece che il pomeriggio e la
notte. Ma Bastian li aveva rassicurati dicendo loro che il valico era
protetto e sicuro, che nessuno li avrebbero attaccati. Affermazione
molto estrema dato che quel posto sembrava tutto fuorché ad
un rifugio sicuro.
Ben presto venne scuro e Bastian ordinò a gran voce di
fermarsi, era arrivato il momento di accamparsi e di dormire, sarebbero
partiti la mattina dopo all’alba. La tenda di Bastian era
davanti a tutti mentre quella di Gabriel e Rebecca era infondo, al
centro invece c’era un ammasso di tende troppo vicine
l’una all’altra. Rebecca ammirava da lontano i
soldati che, indaffarati e impauriti, correvano di qua e di
là per accaparrarsi i posti migliori: quelli centrali. A
quanto pareva nessuno voleva stare ai lati, dicevano (anzi, si urlavano
addosso) che stare ai margini era troppo rischioso: si veniva attaccati
per primi.
E allora cosa avrebbe dovuto dire lei, che la sua tenda era
l’unica a distanza di metri? Erano dei vigliacchi, ecco
cos’erano. Qualcuno per forza doveva
finire nei lati, era inutile che litigassero.
Gabriel era già dentro la tenda che l’aspettava,
diede un’ultima occhiata alla disposizione delle tende e poi
lo raggiunse. Chiuse la tenda con l’apposita cerniera e si
sfregolò le mani per il freddo, con calma si mise sotto le
pesanti coperte e si appoggiò sul petto di Gabriel,
abbracciandolo. Era vestita molto eppure tremava ancora dal freddo.
Portava tre paia di calze e gli stivali, i pantaloni erano di pelle
scura e oltre alla canottiera aveva una flanella di lana a maniche
lunghe, una felpa e la corazza della divisa. Lo stesso (circa)
indossava Gabriel. Quella notte nessuno dei due aveva voglia di fare
l’amore, per la prima volta dopo tanto tempo (da quando si
era scoperta una ninfomane) decisero solamente di dormire.
Le palpebre di Rebecca erano talmente pesanti che si
addormentò subito tra le braccia del ragazzo. Come
posò la testa su di lui chiuse gli occhi e si
addormentò.
***
All’alba la voce squillante e alta di Bastian fece svegliare
tutti quanti di soprassalto. Con i musi lunghi misero apposto le tende
e raccolsero le loro cose, finalmente sarebbero arrivati a Numbia e il
tutto in meno di poche ore di viaggio. La nottata in quella gola non
era stata pericolosa per nessuno, durante la notte niente aveva
interferito tra loro e il sonno. Erano stati veramente fortunati,
tenendo conto del posto in cui avevano dormito. La nostalgia di casa
era tanta, tutti speravano di finire in fretta la missione per poi
tornare al villaggio e rifare la vita allegra e ripetitiva di sempre.
Era stato un bene che Denali non fosse venuto, avrebbe patito troppo la
lontananza che lo separava da Rosalie e i suoi figli.
Ripresero a marciare con le stesse formazioni del giorno precedente:
Bastian davanti, Gabriel e Rebecca ultimi.
Fu proprio mentre erano infondo al gruppo che si parlarono per la prima
volta dalla notte precedente.
Il primo fu Gabriel. “Vedrai che annienteremo facilmente i
seguaci di Mortimer. Nella lettera il capo-villaggio di Numbia aveva
scritto che erano in pochi”
“E perché allora hanno avuto bisogno di
noi?”
“Perché gli uomini sono stati fatti tutti
prigionieri e di certo le donne del villaggio non possono mica
competere contro i demoni”
Rebecca sbuffò. “Io se fossi una di loro li
tirerei i sassi addosso, li prenderei per i capelli e li morderei in
tutto il corpo”
Il ragazzo rise di fronte alla sua insensata affermazione.
“Come se a loro passasse per l’anticamera del
cervello! Sono donne senza mordente, probabilmente passano tutta la
loro vita a farsi mettere i piedi in testa dagli uomini”
“Questo spiegherebbe come mai non reagiscono. Io lo
farei”
Gabriel le sorrise dolcemente. “Questo dimostra che tu sei
diversa da loro”
“Dimostra che sono pazza”
“Anche” la sua risata cristallina le strinse il
cuore.
Tornò seria e si morse il labbro. “Mi sta
distruggendo questo viaggio. Spero di finire presto e tornare a casa,
ritornare alla mia bella vita quotidiana. Non sopporto l’idea
di sapere tutte queste persone in pericolo”
“Lo stesso vale anche per me però è
così, dal momento in cui diventi un eroe ti metti a
disposizione del tuo popolo e cerchi di proteggerli e
aiutarli”
“Lo so, lo so, dicevo solo che è dura. Tutto
qui”
“Ti capisco, ma il premio che ci spetta compensa tutti questi
sforzi” allo sguardo confuso di Rebecca proseguì.
“Un angelo bianco che presta i suoi servizi per il Bene
superiore viene ripagato in due modi: con
l’immortalità e la pensione”
“Pensione?!” esclamò perplessa la
ragazza.
“È una sorta di mandato che ti da il consiglio, ti
ringrazia per la tua contribuzione e i tuoi aiuti e ti assicura il
paradiso”
“In che modo i pezzi grossi mi assicurano il
paradiso?”
“Nel momento in cui ti danno
l’immortalità ti assicurano anche il paradiso
terreno. L’eternità equivale ad una esistenza
senza fine, un angelo che ha servito il suo popolo una vita intera e
vuole godersi la sua meritata immortalità in santa pace e
beatitudine corre sempre il rischio di rincappare in battaglie future,
in altre guerre nella quali si richiede il suo servizio. Con quel
mandato in un certo senso l’angelo viene esonerato dal resto
del mondo, conduce una vita solitaria, infinita e serena. Il suo
“staccarsi dal resto del mondo” non gli permette
più di essere reperibile e passa
l’eternità nel riposo e nella pace più
assoluta. Niente più guerre, né conflitti
né interventi. Poi se è stato particolarmente
eroico durante la sua vita mortale ha la possibilità di
unirsi al consiglio come assistente nel vero paradiso”
“Oddio” disse con orrore. “Ma
è orribile!”
“Perché?”
“Perché se divento un angelo bianco e
vorrò andare in pensione non potrò più
restare con gli altri! Dovrò isolarmi e condurre una vita
immortale nella più totale solitudine?! Non me
l’avevi mai detto! Non voglio
l’immortalità, piuttosto muoio di
vecchiaia!”
“Guarda che se diventiamo angeli bianchi, con la scusa che
tutti e due siamo immortali, possiamo decidere di farci esonerare
insieme. Faremo una vita eterna insieme, lontani dal resto del mondo,
vivremo in un paradiso terreno”
“Ora torna tutto” concluse tirando un sospiro di
sollievo, per un attimo era entrata in panico.
“Però…”
“Però cosa?” la incalzò.
Però se fuggo
con te e divento immortale non potrò mai avere quei bambini
e quella famiglia che tanto desidero. È
nell’istinto di una donna avere dei figli, come puoi
chiedermi di farne a meno? Come posso vivere una vita infinita se la
sensazione di un vuoto da colmare mi accompagnerà per
sempre? È normale che amandoti io voglia tutto questo,
è normale che voglia costruire con te una famiglia.
Saprò rinunciare e non avere rimpianti?
“No, non voglio…non volevo dire niente”
si affrettò a dire.
“Sei strana ultimamente” le disse il ragazzo con
un’ostentata tranquillità.
Beh, non me la sto
passando alla grande, in effetti. Non so se lo sai ma una voce ogni
tanto mi parla e mi dice di fare delle cose assurde come liberarsi
dall’amore, attaccare i deboli e trovare più
potere per diventare invincibile.
“È solo che sono molto stanca. Vedi, dopo aver
ucciso Mortimer ero convinta di aver chiuso con questo genere di cose,
sognavo già la meritata pace. Ora che mi ritrovo in
battaglia, la prima di una lunga serie probabilmente, non sono al
massimo dell’entusiasmo. Sembrava più facile ed
eccitante la vita di un eroe in televisione, io mi divertivo un mondo a
guardare film d’azione, pensavo che mi sarebbe piaciuto
essere uno di loro”
“Sì, da guardare è fantastico,
è vero. Il brutto e viverci in queste situazioni”
Rebecca si offese. “Ma guarda che io mica mi lamento! Se
dovessi tornare indietro non cambierei niente di quello che ho e che
sto avendo! Ni.En.Te” scandì bene le parole, il
volto triste del ragazzo l’aveva fatta scattare come una
molla. Per poco non cadde dal cavallo, si dimenò sulla sella
e il cavallo nitrì infastidito.
“Quello che mi fa paura è che tu non sia ancora
sicura di quello che vuoi” disse gravemente, si
umettò il labbro e la sua faccia divenne una maschera di
pietra. “Sei sicura di voler diventare un angelo
bianco?”
La ragazza agitò una mano come a voler scacciare una mosca
fastidiosa. “Tzè, e che altro potrei diventare se
non un angelo bianco? Insomma, mi ci vedi a fare la parte di un angelo
nero?” Gabriel non rispose e lei, sentendosi gelare,
continuò imperterrita. “Gabriel,
l’avevamo deciso tempo fa: io diventerò un angelo
bianco con te e tutti e due avremo l’immortalità.
Prima di ricevere l’immortalità però
voglio avere dei figli e sposarmi” concluse facendogli
l’occhiolino.
Gabriel arrossì e distolse lo sguardo.
“Figli…” brontolò.
“Ti ricordo che se diventiamo immortali non potremo averne,
il fatto che il nostro corpo non potrà essere sottoposto a
cambiamenti fisici esclude in precedenza la possibilità di
una gravidanza dato che dovrò gonfiarmi come una
mongolfiera”
“Vorresti averli prima, quindi”
“Beh, sì. Diventiamo angeli bianchi e prima di
accettare l’immortalità mi metti
incinta!” esclamò con ovvietà facendo
diventare bordeaux le guance del ragazzo, lui non approvava certi suoi
modi di esprimersi e si imbarazzava sempre quando lei lo faceva.
“Facciamo due o tre figli e poi diventiamo
immortali”
“E tu saresti in grado di restare giovane per sempre, vedere
i nostri figli crescere, invecchiare e poi alla fine morire?”
“Mi sono informata: è già successo un
caso analogo al nostro secoli fa. Una coppia di angeli aveva avuto un
figlio poco prima di diventare immortali, il bambino, ovviamente, era
un angelo. Questo bambino era cresciuto fino ai sedici anni
dopodichè, una volta diventato angelo bianco a tutti gli
effetti, aveva automaticamente acquistato
l’immortalità!”
“Sì, ma…”
“Quindi, se noi faremo i nostri tre figli in quattro o cinque
anni e arriviamo ai venticinque anni loro si fermeranno ai sedici e non
saranno mai più grandi di noi!” disse con un
sorriso smagliante.
Gabriel si sbattè una mano sulla faccia.
“Avrò dei figli più giovani di me di
nove anni?”
“Sì, tesoro. Non è
fantastico?”
“Ti detesto”
“Anch’io ti amo”
“Comunque non è detto che io accetti”
“Allora troverò qualcun altro che mi metta
incinta”
“NO! L’idea mi piace, ci sto!””
***
Arrivarono con alcune ore di anticipo nei pressi del villaggio di
Numbia. Il panorama era cambiato di nuovo, il suolo era sassoso e
rossastro, gli abitanti vivevano nelle prossimità di un
grosso vulcano attivo. Tirava un filo di vento e l’aria era
secca e calda, il paesaggio era deserto e inospitale, c’erano
pochi alberi e si potevano vedere da lontano le cupole appuntite delle
case. L’esercito di Bastian ammirava dall’alto di
una collina il villaggio sottostante, si intravedeva la presenza di
qualche donna camminare per strada, il resto erano creature deformi,
demoni orribili e oscuri.
Di uomini non c’era la benché minima traccia, con
ogni probabilità gli tenevano rinchiusi e segregati in
qualche zona del villaggio. Rebecca si chiese in un lampo di panico
come avrebbero potuto gli uomini del villaggio aiutarli se erano
imprigionati. Il colmo sarebbe stato trovarsi da soli a combattere
senza nessun tipo di aiuto, Bastian non aveva portato con sé
molti uomini, il capo-villaggio di Numbia aveva assicurato a loro
sostegno e aiuto da parte dei suoi abitanti.
E se si trattasse di una trappola?
E se la lettera nella quale veniva detto a Bastian di non portare
troppi uomini nella battaglia fosse stata scritta da uno dei nemici?
In tal caso avrebbero perso, non potevano competere sia numericamente
che fisicamente. Per quanto i guerrieri che Bastian aveva arruolato
fossero bravi e preparati non avrebbero resistito allungo contro un
demone delle tenebre, molto più astuto, micidiale e magico.
I demoni infatti avevano a loro favore la magia, e di certo non era
poca cosa.
Bastian si voltò verso i suoi uomini, a volte la sua
capacità di restare calmo in momenti come quelli era
disarmante. Rebecca sentì la mano di Gabriel cercare
insistentemente la sua, lo guardò, il suo volto appariva
come quello di un condannato: arreso e paralizzato dalla paura. Non
dissero niente, non ne avevano motivo. Forse loro non avrebbero corso
rischi, forse loro (essendo molto potenti) ce l’avrebbero
fatta. Chi voleva sfidare d’altronde un ex angelo e un futuro
angelo bianco? Si parlava molto di loro tra la gente di malaffare, i
demoni e i diavoli ripetevano i loro nomi con rispetto e timore,
nessuno sarebbe stato contento di trovarsi in battaglia contro uno dei
due.
Mortimer aveva sottovalutato Gabriel ed era stato sconfitto da Rebecca.
Ma la possibilità di non tornare a casa c’era lo
stesso, i due ragazzi non potevano fare a meno di provare una fottuta
paura, un’ansia sconvolgente e tempestosa.
Si sarebbero ritrovati alla fine della battaglia, la morte non poteva
separarli. Non era quello il giorno giusto per morire. Quel giorno non
doveva arrivare tanto presto.
“Ci siamo, soldati” disse il capo-villaggio aprendo
un discorso da vero comandante. “Dopo le fatiche del viaggio
siamo arrivati a destinazione. Ora quello che vi chiedo come ultimo
sforzo è di andare là e di ammazzarli tutti, quei
bastardi. Vi voglio attivi e precisi, non intendo trasportare a casa
nessuno dei vostri cadaveri putrefatti, sono stato chiaro? Fategli
vedere chi domanda tra il Bene e il Male, noi siamo migliori e
più forti, più umani, più motivati.
Questa notte festeggeremo la nostra vittoria perché dobbiamo
vincere!” urlò alla fine.
Gabriel si avvicinò all’orecchio della ragazza e
le sussurrò: “Ci ritroveremo alla fine, non
è oggi il giorno giusto per morire”
Rebecca gli buttò le braccia al collo e lo baciò
con passione.
Ci
ritroveremo…
Interruppero il bacio con tristezza e rassegnazione, e insieme scesero
a cavallo la collina spronando le redini, veloci come il vento.
Cominciarono a vedere sempre più nitidamente il villaggio,
le case diventavano sempre più grandi, la collina alle loro
spalle sempre più piccola.
…alla fine.
Quando tutto sarà finito.
***
Oh
yeah!!! Finito un altro chap!!! Beh, sono solo all'inizio comunque, ci
vorrà ancora molto!!!!
..sigh..
Spero
veramente che vi sia piaciuto, le recensioni sono sempre ben accette!!
è bello perchè le recensioni
stanno
cominciando a divenire delle sottospecie di email, no chicca90???
Botta
e risposta!!!
Mi
fa sul serio piacere leggere le vostre recensioni e vedere che mi
seguite costantemente!!!
Fatemi
sapere che ne pensate di questo capitolo!!!
Bacioni
a tutti!!
Il
prossimo capitolo sarà: "LO SPECCHIO DELL'ANIMA"
e
vedremo chi affiancherà Rebecca nella battaglia e sopratutto
se Rebecca tornerà a casa!!!!
I
RINGRAZIAMENTI:
CHICCA90:
guarda, neanche ti rispondo perchè abbiamo preso l'abitudine
di scriverci per recensioni!!! eheheheh!!! tanto alla fine secondo me
rimarrai stupita dal finale!! te lo dico io, parola di
scrittrice..hihhii
OASIS:
giusto, il bene deve trionfare ma vedrai vedrai come
trionferà alla fine!!! alla prossima!!! buona lettura del
cap, spero ti piaccia!!!
NIKKITH:
hai detto che questo capitolo è strano...oddio,
spero ti sia piaciuto!!! era un complimento o una critica??? le
critiche sono sempre ben accette ma era tanto per capire, mi
interessano le vostre opinioni quindi fammi sapere al + presto!!!
bacioni
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Lo specchio dell'anima ***
Cap. 5 - LO SPECCHIO
DELL’ANIMA -
[E
vorrei smettere per sempre di toccarti
perché
so che tu mi senti in qualunque modo,
sei il
più riservato del paradiso che io mai
vedrò
e
non voglio andare a casa ora
perché
prima o poi finirà.
Non
voglio che il mondo mi veda
perché
non credo mi possa capire
visto
che ogni cosa è fatta per essere distrutta.
Non
puoi combattere contro le lacrime che non scendono.
Tu
sanguini solamente per capire se sei vivo]
Ronan
Keating - Iris -
***
I seguaci di
Mortimer non ci misero molto ad accorgersi di due cavalli scendere la
collina, diedero l’allarme nello stesso istante in cui se li
trovarono davanti. Gabriel prese la sua spada e dopo averla fatta
ruotare tra le mani uccise brutalmente il demone che aveva gridato
aiuto per primo, ma inutilmente, l’avviso era arrivato chiaro
e tondo. I seguaci corsero in gruppo per vedere cosa succedeva e
tirarono un sospiro di orrore quando videro la testa mozzata del loro
compagno rotolare per terra.
Ci fu caos
generale.
I demoni si
buttarono a capofitto contro Gabriel e Rebecca brandendo le armi che
innalzarono al cielo accompagnando un coro di urla. I soldati e Bastian
li raggiunsero in un baleno e la barriera che divideva gli amici contro
i nemici si ruppe e ci fu un miscuglio di corpi che lottavano tra loro.
Rebecca scese da cavallo con un balzo che atterrò un Sentore
di passaggio, tirò fuori la spada e lo uccise
conficcandogliela nel petto. La lama della spada si illuminò
di rosso. Da tempo non usava più la sua spada bianca e
azzurra, da quando l’aveva rubata al generale di Mortimer
dopo averlo ucciso. Si spostò agilmente a piedi, vide il suo
cavallo nero allontanarsi sempre di più dal campo di
battaglia. Anche Gabriel doveva essere sceso perché vedeva
il suo cavallo bianco ma non vedeva il ragazzo seduto nella sella. Lo
cercò tra la massa ma non riuscì a vederlo,
appena in tempo riportò gli occhi di fronte a sé
prima che un demone la colpisse. Rebecca eseguì una serie
impeccabile di affondi con la spada finchè non fece volar
via dalle mani del nemico la sua arma, allora gli diede un pugno in
faccia e con la spada lo colpì di striscio aprendogli la
pancia. Il corpo del demone cadde a terra pesantemente e lei lo
scavalcò con un salto prima di mettersi a correre.
Aveva visto
Gabriel poco distante da lei, era preso in un corpo a corpo con una
strana creatura zoppicante e alta il doppio. Non perdeva di vista un
attimo la figura del ragazzo mentre correva e se qualcuno
s’intrometteva nella sua strada lo uccideva senza esitazioni.
Gabriel
schivò un colpo abbassandosi a terra e girando su
sé stesso gli tirò un calcio che andò
a colpirgli il torace facendolo indietreggiare. Gli corse incontro ed
elevandosi da terra gli sferrò una serie di calci e pugni
sul petto e sul viso. Non ebbe neppure la soddisfazione di ammazzarlo
che vide uscire dal petto del demone una lama rossa, questo
sbarrò gli occhi e cadde al suolo morto. Da dietro la sua
schiena comparve l’immagine di Rebecca, teneva in pugno la
spada sporca di sangue che aveva trapassato il corpo della creatura. La
ragazza si avvicinò in fretta.
“Gabriel,
io vado a cercare gli uomini del villaggio”
“Saranno
tenuti prigionieri in qualche parte”
“Lo
so, gli troverò, non ti preoccupare”
“Stà
attenta”
“Tu stà
attento”
Rebecca fece
dietro-front e sparì tra la folla, Gabriel prese la sua
spada che era finita a terra e si guardò intorno alla
ricerca di qualcuno su cui concentrarsi. Poco lontano vide un soldato
accerchiato da due Nim, era palesemente in difficoltà e
Gabriel corse ad aiutarlo.
Il centro
del villaggio di Numbia era diventato un campo di massacro, un
centinaio di uomini si stavano confrontando a suon di botte e di armi,
si vedevano uomini volare da una parte all’altra e sbattere
addosso alle case, si vedevano corpi morti cadere con un tonfo al
suolo, si poteva sentire l’odore del sangue e provare nausea.
Gabriel ne aveva già uccisi parecchi e tra questi anche
qualche Nim, che erano i più difficili da abbattere. Il suo
esercito aveva subìto molte perdite, molti uomini erano
morti, alcuni anche troppo in fretta e troppo stupidamente. Confidava
nel fatto che Bastian stesse bene, non riusciva a scorgerlo da dove si
trovava ma sapeva che stava bene, non poteva lasciarli, sarebbe stato
troppo assurdo. Bastian doveva
stare bene.
Come
avrebbero fatto altrimenti senza di lui?
Le case del
villaggio erano vuote.
Dov’erano
finite le donne?
Gabriel
spintonò chiunque gli si parasse davanti e andò
dentro una casa, era vuota, in fiamme, i mobili erano stati spostati
disordinatamente e tutto era a soqquadro. Sbattè con
irritazione un pugno sulla porta e fece per uscire quando un lamento
attirò la sua attenzione. Ritornò dentro e con
passi cauti si mosse verso la piccola cucinetta. Il tavolo era stato
ribaltato e le sedie erano sparpagliate a terra. Aggirò il
tavolo e con uno scatto velocissimo si chinò minacciosamente
sulla figura che era nascosta dietro prendendola per il collo e
digrignando i denti. Mollò immediatamente la presa e
balzò indietro quando vide che era una ragazza appena
più piccola di lui.
“Mi
dispiace, non volevo farti male, noi siamo venuti a salvarvi”
La ragazza
sembrava molto confusa e impaurita, tremava e si proteggeva con le
braccia circondandosi le gambe rannicchiate sotto il petto. Aveva i
capelli rossi, spettinati e arruffati, il volto era sporco ma si
potevano intravedere perfettamente due grandi occhi verdi. Gabriel le
tese la mano ma lei non si mosse.
“Mi
puoi dire dove quei mostri tengono i vostri uomini?” la
ragazza non parlava e non sembrava dar segno di averlo capito.
“Per favore” la scongiurò.
La ragazza
sbattè le palpebre e si schiarì la voce.
“Gli tengono nel bosco” sussurrò con
voce roca. “Dentro un’enorme capanna
abbandonata”
“Grazie”
disse con voce adorante. “Ora vieni”
La prese in
braccio e la portò fuori. Fuori infuriava ancora il
pandemonio ma per fortuna nessuno si accorse di lui.
“Tieniti”
disse alla ragazza, e lei gli passò con la poca forza che le
restava in corpo le braccia intorno al collo. Gabriel se la
sistemò meglio e percorse con lei appresso il campo di
battaglia.
Si
sentì strattonare da una mano che si posò sulla
sua spalla. Si voltò e vide che era Rebecca.
Rebecca
appariva confusa e perplessa, lasciò cadere la mano dalla
spalla del ragazzo lungo i fianchi. Lo sguardo si concentrò
sulla sconosciuta che abbracciava beatamente il suo ragazzo, non
sembrava poi tanto ferita o indifesa, aveva un sorriso che andava da un
orecchio all’altro. Rebecca sollevò
l’angolo destro della bocca e aggrottò la fronte.
“Che
fai?” domandò al ragazzo alludendo alla
sconosciuta che aveva soccorso.
Gabriel le
indicò con gli occhi la ragazza che teneva in braccio.
“Mi sembra abbastanza ovvio, sto aiutando questa ragazza,
l’ho trovata in una casa sola e tremante”
“Oh,
povera…” sbottò Rebecca sarcasticamente
incrociando le braccia al petto.
Gabriel
ridusse gli occhi a due fessure. “Non ho tempo per le tue
scenate di gelosia perciò vengo al punto”
ribattè duramente. Rebecca inarcò il sopraciglio.
“Gli uomini gli tengono in una capanna dentro il bosco, vuoi
che venga con te?”
La ragazza
lasciò vagare il suo sguardo prima su Gabriel e poi sulla
stronza che gli stava appiccata, quindi gli voltò le spalle
e se ne andò. “Mi arrangio!”
“Era
la tua ragazza?” mormorò l’altra ad un
passo dallo sfiorargli il mento con la fronte.
“Sì”
grugnì il ragazzo. “Vieni, ora ti porto al
sicuro”
La ragazza
non disse niente ma si morse il labbro per il nervoso.
“Tu
non sei umano” non era una domanda, era
un’affermazione.
Gabriel era
indeciso, non sapeva che dire. “No, non lo sono”
mentre diceva quella parole temeva per la reazione che aveva avuto
Rebecca.
Forse era il
caso che andasse a darle una mano, non gli piaceva quando era
arrabbiata. Meglio prevenire che curare, si ripeteva spesso.
Scappò
dalla battaglia, evitò che pugni volanti o corpi in caduta
lo ostacolassero. Raggiunse l’inizio del bosco, la fitta
vegetazione confondeva la vista e pensò che il modo migliore
per nascondere la ragazza era quello di nasconderla dentro qualche
basso cespuglio, poi le avrebbe dato uno scudo protettivo.
Proseguì per un po’ nel bosco finchè
non sentì le grida e le urla dei soldati affievolirsi sempre
di più. L’adagiò per terra facendola
entrare in una radura, l’arbusto la raccoglieva tutta
rendendola invisibile, spostò qualche rametto in modo che le
foglie le coprissero i capelli.
Si
accucciò alla sua altezza e la trafisse con gli occhi.
“Non muoverti da qui per nessun motivo. Aspetta che la
battaglia sia finita per uscire, ti aiuterò proteggendoti
con uno scudo che si spezzerà quando tu lo vorrai. Sono
stato chiaro?”
La ragazza
boccheggiò, era incantata a guardare le iridi azzurre del
ragazzo e le sue spalle larghe e muscolose. Le sua mani erano grandi e
affusolate, morbide ma ruvide allo stesso tempo. Non aveva mai visto
dei capelli così biondi in vita sua, sembravano ai fili
dorati del granoturco. Aveva un qualcosa di diverso, l’aveva
capito che non era umano. Sembrava una creatura divina, celestiale.
“Sì”
riuscì a dire in un sussurro che le mozzò il
fiato.
Era quella
la reazione che tutti gli umani avevano quando si trovavano di fronte
una creatura sovrannaturale. Prima c’era
l’incredulità, non riuscivano a farsi una ragione
della loro sconvolgente bellezza, e poi c’era la venerazione,
l’attrazione che ti spingeva come una potente calamita verso
la loro perfezione.
Gabriel le
mandò un’altra occhiata di ghiaccio e lei per poco
non si sentì svenire. Avrebbe tanto voluto che quel ragazzo
non se ne andasse. Poi si ricordò della sua ragazza e una
fitta la pervase. Anche lei, come lui, era di una bellezza, eleganza e
femminilità impressionante. Se non dava errato si trattava
dell’angelo Rebecca, questo spiegherebbe come una ragazza
come lei era riuscita a tenersi un ragazzo come lui. Con sguardo carico
di dispiacere lo vide alzarsi e andarsene via, si chiese se
l’avrebbe mai rivisto.
***
“Non
ho tempo per le tue scenate di gelosia…”
ironizzò Rebecca. “Ah!” buttò
le mani in aria e la mano con la quale reggeva la spada andò
a colpire dei rami spezzandoli in due.
Si faceva
strada nel fitto bosco falciando con la spada le piante, era alquanto
nervosa e procedeva a passo spedito senza mai svoltare né
abbandonare il sentiero che si stagliava di fronte a lei. Era conscia
del fatto che era sola, sola contro quanti?
Quanti
potevano essere dentro la capanna?
Avrebbe
trovato gli uomini del villaggio che li avrebbero aiutati ma non sapeva
quante guardie c’erano a sorvegliare l’entrata.
Beh, peggio per loro. Nessuna pietà, nessun ripensamento.
Per difendere sé stessa doveva prima essere sicura di
riuscire ad affrontare gli altri, ma su questo punto non
c’erano dubbi. Aveva ucciso molti uomini prima di quel
giorno, non avrebbe fatto la differenza quanti ne avrebbe uccisi ora.
Dieci? Venti? Cinquanta? Infondo erano solo numeri, solo demoni, non
potevano essere ritenuti umani, nonostante avessero gli stessi diritti.
Camminò
con decisione finchè non percepì
dell’odore umano poco distante. Drizzò le orecchie
nel vero senso della parola e rimase in ascolto. L’onda
sonora raggiunse le voci degli uomini e fece capire alla ragazza che
erano due umani. Corse nella loro direzione rapidamente, gli occhi
erano ridotti a due fessure, non capiva che diavolo ci facessero due
dei suoi soldati nel bosco, lontani dalla battaglia. Si
slanciò in avanti facendo un salto e atterrò
sulle gambe ammortizzando il colpo, si rialzò con
compostezza e ammirò con interesse i due ragazzi davanti a
lei. Sicuramente non si aspettavano di veder comparire
dall’alto di una siepe la ragazza e perciò
rimasero a fissarla incapaci di nascondere lo spavento che avevano
avuto.
“Che
ci fate nel bosco? Dovreste essere a combattere”
abbaiò Rebecca.
I due
ragazzi indietreggiarono impauriti. Rebecca lesse nella loro mente ed
emise un profondo e rabbrividente ghigno. “Stavate cercando
di darvela a gambe”
Ricordò
di aver visto quei due la notte alla locanda quando era stata costretta
ad andare a cercare il gruppo di soldati scomparsi. Erano due di loro,
due per i quali la guerra era meno importante di una botta di sesso a
ridosso di un muro sudicio e sporco. Un’improvvisa rabbia la
invase.
Uno dei due
cercò di parlare ma riuscì solo a balbettare
qualcosa. “N-Noi? No! No! Ci
eravamo…eravamo…” si guardò
intorno disperato e il compagno venne in suo aiuto rispondendo:
“Ci eravamo persi”
Rebecca
sogghignò. “Pensate di prendermi in
giro?”
I soldati
buttarono le mani in aria facendo dei segnali negativi.
“NO!
NO! Come potremmo?”
“Noi
non lo faremo mai!”
“Noi
stavamo solo…”
Rebecca gli
zittì con uno schiocco delle dita. “Sapete chi
sono, vero?”
I due
annuirono.
“E
sapete anche che riesco a leggere nella mente?”
Un pesante
ed imbarazzato silenzio calò nel bosco. I corpi dei due
ragazzi cominciarono ad essere percossi da brividi e loro volti
sbiancarono all’improvviso.
“Uccidili”
Rebecca
voltò di scatto la testa e ringhiò. Era da molto
tempo che la sua coscienza non si faceva sentire.
“Perché
dovrei?” disse ad alta voce.
I soldati
rimasero a guardarla sconvolti. “Stai bene?” chiese
uno.
“Sono
dei disertori, due buoni a nulla, pronti a lasciar morire i tuoi amici
pur di mettersi in salvo. Non dimostrano coraggio, né
valore, né tantomeno capacità. Devi fargliela
pagare”
“Non
sono un’assassina”
“Però
uccidi”
“Uccido
i miei nemici e loro non lo sono”
“E
tu sai sempre con esattezza chi sono i tuoi nemici e chi i tuoi amici?
Dovresti capire cos’è bene e
cos’è male in base al tuo istinto. Lasciati
guidare e possedere dal tuo freddo istinto”
Rebecca
puntò minacciosamente gli occhi sui soldati, la stavano
guardando come se fosse impazzita, non se l’erano data a
gambe perché credevano che la ragazza stesse male. Dopotutto
non era normale che una persona parlasse da sola.
“Ricordati:
l’istinto”
“Perché
mi fai questo?”
“Vuoi
essere sì o no forte e invincibile? Io ti sto solo aiutando
ad esserlo, però tu devi fidarti di me, devi obbedire ai
miei ordini”
Una strana
sensazione la pervase, come se un caldo liquido denso le stesse
scorrendo dentro tutto il corpo. Si sentì fremere in quei
punti dove lo sentiva defluire, era come un veleno lasciato scivolare:
contaminava e oscurava ogni centimetro del suo corpo che riusciva a
bagnare.
“Che
cosa devo fare?” chiese fissando il vuoto sotto di
sé.
Uno dei due
soldati le si avvicinò con sospetto. “Tutto bene?
Non hai una bella cera, vieni che…”
“Uccidi”
Un guizzo
spaventoso balenò sugli occhi della ragazza e in
un’esplosione di ferocia si avventò sul ragazzo
colpendolo alla giugulare. Caddero entrambi a terra e fu
così che per la prima volta Rebecca assaggiò il
sangue umano. Non appena il ragazzo cascò gli fu sopra e con
un gesto automatico affondò i denti nella carne.
Sentì i canini allungarsi, la sete aumentare, gli occhi
tingersi di rosso. Bevve finchè non fu sazia, il ragazzo
ebbe all’inizio alcuni spasmi violenti, tentò di
sottrarsi più volte ma poi si afflosciò e smise
di vivere. Il suo cuore di traditore cessò di battere.
Quando Rebecca si distaccò dal suo corpo sentiva ancora il
sangue colarle sul mento e sul collo. Si girò verso
l’altro ragazzo.
Questo
gridò in un modo raccapricciante.
“Liberati
di tutto fuorché di te stessa”
Le urla
cessarono in uno strillo strozzato e poi il nel bosco tornò
la quiete.
***
Rebecca era
accasciata a terra e stava piangendo. Si teneva la testa fra le mani e
singhiozzava per l’orrore che aveva causato. I suoi occhi
quando non erano chiusi o accecati dalle lacrime guardavano con
raccapriccio i corpi privi di vita dei soldati, immersi in una pozza di
sangue scuro. L’atto di follia era durato pochi minuti, poi i
denti erano ritornati normali così come il colore degli
occhi. Una profonda e straziante colpa le pesava sul petto, si sentiva
sporca, contaminata, un mostro. Eppure le era piaciuto. Per questo si
odiava. Gemeva per la sofferenza consapevole del fatto che si sarebbe
portata dentro l’accaduto per il resto della sua vita.
“Devi essere
più distaccata e fredda la prossima volta”
la rimproverò la voce con una nota di soddisfazione.
Rebecca non
era capace di fermare i tremiti che la percuotevano, era sconvolta.
“Che mi stai facendo?!” urlò con la voce
incrinata dal pianto.
“Stai facendo tutto da
sola” disse aspramente.
“No…”
gemette. “Cosa mi stai facendo?! Stai usando un incantesimo
su di me? Mi stai manipolando il cervello?!”
“Devi
essere forte, possente, potente, dura, impetuosa, inarrestabile,
violenta, preparata, coraggiosa, tenace, fredda, razionale, distaccata,
spietata, indifferente, crudele, gelida. Sii tutto questo e diventerai
un vero eroe, sarai talmente invincibile che non dovrai più
provar dolore. Non vorresti provare?”
Altro veleno
nel suo corpo.
La sua vita
era uno schifo, si ammazzava di lavoro, metteva in pericolo la sua vita
per delle persone che neanche la consideravano, che neppure conosceva.
Lottava ogni giorno contro la morte per restare viva e nessuno si
preoccupava di esserle vicino, di aiutarla. Tutti davano per scontato
che lei era intoccabile, pronta a qualsiasi cosa. E invece nessuno
sapeva che soffriva e aveva tanto bisogno di amore e di
tranquillità. Anche un semplice “grazie”
o dei riconoscimenti per quello che faceva le erano negati. Non erano
riconoscenti con lei. Lei, che si sfiancava pur di trovare una
soluzione ai loro
problemi.
Era forse
giunto il momento di pensare di più a sé stessa?
La voce
dopotutto non aveva tutti i torti. Era stufa di essere sfruttata e
usata per lo scopo di altri. Era una persona e aveva dei sentimenti,
non era un oggetto né un burattino da comandare a bacchetta.
Voleva libertà, potere, autonomia e autogestione.
Smise di
singultare e portò una mano alla bocca per mettere a tacere
i continui singhiozzi. I capelli erano tutti spettinati e insudiciati,
era pallida e le sue iridi erano profonde e scure come un pozzo di
petrolio.
Poteva
sentire la voce in attesa, come se stesse cercando di uscire dal suo
corpo. Batteva e picchiava la parete di pelle, urtava gli organi e
spostava le vene. Si sentiva frastornata e trasformata. Sapeva di non
essere più la stessa.
“Sì”
bisbigliò sotto voce.
Se la voce
avesse potuto avrebbe fatto un ghigno. “Cosa?”
Le venne in
mente Gabriel. Lui era l’unico che poteva ancora tenerla
aggrappata alle sue origini e a quel mondo, solo per Gabriel avrebbe
detto di no. Ma in quel momento il suo amore per Gabriel appariva
lontano, separato, distante, era adirata con lui per una serie di
motivazioni. La missione non prevedeva di portare in salvo giovani
sfigate che elemosinavano aiuto con i loro occhioni dolci. E lui, come
sempre, doveva fare il cascamorto. Lo irritava da morire in quel
momento. Motivo in più per accettare l’offerta.
“Voglio
essere forte. Non voglio dipendere dai sentimenti umani, devo staccarmi
dalla mia condizione di anello debole della catena”
“Io
ti renderò un vero angelo, degno di rispetto e di
considerazione. Però dovrai obbedirmi”
La ragazza
tirò su col naso. Ora si sentiva meglio. “Basta
che non mi dici di fare cose brutte”
“Come
potrei, bambina mia?”
Nell’attimo
in cui Rebecca acconsentì un dolore dilaniante le
penetrò in corpo. La sensazione era la stessa di essere
squarciata a metà. Dal male cadde indietro e si contorse
spaventosamente a terra rotolando e facendo movimenti scattosi, gridava
per lo strazio. Ad un certo punto non ebbe neanche più la
forza di urlare, la sua bocca rimase aperta a formare una
“o” muta. Sfinita si abbandonò al suolo
e rimase immobile, ogni tanto sussultava o singhiozzava ma per il resto
sembrava morta. Gli occhi erano sbarrati e puntati come due fari
luminosi di fronte a sé, faceva paura. Sembrava posseduta.
Sentì
da lontano i richiami frenetici di Gabriel che invocava in una
preghiera il suo nome. Non ebbe la forza di rispondere, di dare un
qualsiasi segno di vita. Aveva paura che muovendosi di un solo
millimetro il dolore avrebbe ripreso a torturarla. Il suo respiro era
regolare, fin troppo passivo. Gabriel continuava a chiamarla a gran
voce. Chiuse gli occhi e una lacrima le solcò la guancia.
Fece riposare gli occhi, tutto del suo corpo le doleva. Era
sopravissuta ad un incendio che l’aveva arsa viva e ora di
lei rimanevano solo poche ceneri disparse. La voce di Gabriel si
affievoliva sempre di più finchè ad un certo
punto smise di sentirlo. Se n’era andato, la stava cercando
altrove.
Da quanto
tempo era stesa a terra?
Da quanto
tempo aveva perso conoscenza?
Probabilmente
Gabriel e i suoi soldati erano già riusciti a liberare i
prigionieri dalla capanna in mezzo al bosco e ora stavano setacciando
ogni perimetro della foresta per ritrovarla. Si erano accorti che
mancava all’appello. Bene, voleva dire che qualcuno pensava a
lei ogni tanto.
Ogni
tanto, sottintendo.
“Tesoro, che cosa ci
fai ancora per terra?” domandò la
voce.
Sto aspettando che il dolore
passi, pensò.
Per
comunicare con la voce bastava pensare, parlare richiedeva troppa
fatica.
“Alzati”
ordinò.
Rebecca
provò ad alzarsi facendo leva su entrambi i gomiti ma
crollò a terra con un forte tonfo finendo di nuovo distesa.
Con sorpresa constatò che il dolore era svanito.
Cos’era?
“A
cosa ti riferisci?”
Alle
fitte che mi hanno colpita. Non è stata opera mia, qualcuno
deve essere stato dato che godo di ottima salute.
“Mi
stai accusando?”
Ci
siamo solo tu ed io in questo bosco dimenticato da Dio.
“Lascia
stare Dio, lui non centra”
Cos’era?
“Era
soltanto la conseguenza alla reazione che il tuo corpo ha
subìto nell’adattarsi ad un nuovo
cambiamento”
Che
genere di cambiamento?
“Lo
scoprirai” disse vagamente.
Mi
sento stanca, ho le forze prosciugate.
“Alzati”
Non ce la faccio,
nel pensare ciò la ragazza esalò una smorfia di
dolore.
“Fallo”
sibilò.
La
colpì una fitta violenta al cuore. Sussultò.
Riprovò a sollevarsi, le braccia tremavano per lo sforzo, i
muscoli tiravano e si infiammavano. Un po’ alla volta si mise
in ginocchio e lentamente riuscì ad alzarsi. Quando fu in
piedi, dritta e sofferente, allargò un sorriso. Ce
l’aveva fatta, il peggio era passato. Provò ad
aprire gli occhi ma vide tutto annebbiato.
“Non
sforzarti, sei molto debole”
“Già”
sbottò. “E vorrei anche sapere
perché”
Guardò
in alto e vide che il cielo era rosso.
Era quasi
sera! Oddio, erano sul serio passate molte ore!
Fece per
muovere in avanti un piede quando percepì la presenza di
qualcuno. La stava spiando, era fermo e attento a guardare. Non si fece
prendere dal panico, semplicemente gli fece capire che lei sapeva della
sua presenza.
“Chi
sei? Vieni fuori” comandò con voce autoritaria.
Il cespuglio
davanti a lei prese a oscillare, i rametti si dibattevano e le foglie
cascarono come sparate in aria. Con un balzo una figura incappucciata
le piombò addosso. Evitò il pugno con
un braccio ma indietreggiò perché era
troppo debole per combattere. Mise a fuoco la persona che aveva
d’innanzi e il fiato le morì in gola.
Cominciò
a sudare, non riusciva più a muoversi. Trovò
giusto le parole per balbettare un: “Atreius”
Il ragazzo
sorrise, felice che l’aveva riconosciuto. Contento nel
vederla in difficoltà, spaventata, messa in soggezione dalla
sua figura.
Anche lei lo
credeva morto. Peccato che il suo adorato angelo non aveva finito bene
il suo lavoretto sporco da assassino.
La ragazza
sembrava in trance, non accennava a parlare. Atreius si
schiarì la voce e fece un inchino.
“Non preoccuparti, non
ti farà del male” la
confortò la voce.
Rebecca
emise una risata isterica.
E tu come fai a saperlo? pensò,
lo sguardo omicida del fratellastro la inquietava non poco.
“È
tuo fratello, non è così malvagio. Ti
risparmierà la vita anche per una serie di altri
motivi”
“Sorellina…”
la chiamò con un sorrisetto beffardo e falso.
“Come stai?”
“Stavo
meglio quando ti sapevo morto, fratello” sputò
quelle parole con cattiveria.
“Vedo
con gioia che in questi anni non hai perso il tuo bel
caratterino” la punzecchiò.
“Che
vuoi?” lo aggredì.
Rebecca
tirò fuori la spada e la puntò contro il ragazzo
usando entrambe le mani per sorreggerla. Ok che non era proprio nel
massimo della forma ma non era ancora così debole. Il
sorriso di Atreius si ampliò ancor di più.
Spalancò
le braccia in segno di resa. “Non ti voglio fare del male,
stà tranquilla”
“Fammi
capire, sono tua nemica, ho appena vinto contro i tuoi demoni,
rappresento l’unica persona in grado di sconfiggerti e tu non
mi vuoi morta?”
Cos’era?
Uno scherzo
di pessimo gusto?
“Non
voglio ucciderti!” esclamò divertito.
“Sul serio! Devi credermi! In realtà ho dei piani
ben precisi e in questi piani non è previsto il tuo decesso,
sorellina”
Rebecca
ringhiò. “Vattene”
“Altrimenti
che mi fai? Mi sculacci? Guarda che ti ho vista, sai? Non stai molto
bene, sei fiacca, sei debole. Non ti conviene scontrarti con me,
rischieresti di farti male”
Lo
ammazzo.
Strinse i
pugni attorno all’elsa e digrignò i denti.
“No,
non farlo”
Rebecca
spalancò gli occhi profondamente delusa.
Perché,
scusa?!
“Ho
detto di no, mandalo via e basta”
“Vai
via” disse come le aveva comandato la voce.
Abbassò
la spada ma non la mise via. Non si fidava di lui.
“Te
l’ha ordinato lui, non è vero?” chiese.
Rebecca lo
guardò con perplessità, inarcò gli
angoli della bocca e sentì il cuore cominciare a batterle
all’impazzata.
Atreius
sapeva?! Come poteva saperlo? Non l’aveva capito neppure
Gabriel!
Si accorse
di essere a disagio, un bramoso desiderio di sapere la portò
ad implorare il ragazzo. “Che cosa sai di lui?
Dimmelo!”
“È
così che la fine ha inizio” disse con uno sguardo
tra l’incredulo e il meravigliato.
“Che
vuoi dire? Che sai della voce che sento? Ti
prego…” si ritrovò a supplicarlo.
Pietoso. “Se sai qualcosa dimmelo, lui mi sta facendo fare
delle cose, mi controlla…ti implorando in ginocchio! Tu lo
sai, ne sono sicura, non…dove vai?!”
domandò impaurita.
Il corpo
avvolto di Atreius stava svanendo un po’ alla volta, si stava
dissolvendo. Se ne andava. L’unica possibilità di
sapere la verità scompariva gradualmente, a pezzi. Non aveva
mai avuto il coraggio di parlarne con Gabriel, l’avrebbe
fatta rinchiudere. Ma Atreius, schietto e diretto com’era,
poteva dirglielo senza problemi! Perché scappava?!
Rebecca gli
corse incontro con le braccia tese, sperava di riuscire a prendergli un
lembo del mantello e di tenerlo lì con lei ma quando
cercò di toccarlo lo trapassò. Era aria, ormai.
Era andato.
“Atreius,
perché te ne vai?”
Il ragazzo
la salutò un ultima volta prima di svanire. Le
mandò un bacio con la mano e sorrise. “Ci
rivedremo, sorellina. Quando vorrai saprai come chiamarmi”
Era una
promessa.
Lei
manteneva sempre le promesse.
Doveva
essere un segreto.
Nessuno
avrebbe saputo.
Nessuno.
***
Rebecca
correva spedita attraverso il bosco. Non si ricordava che fosse
così lontana dal villaggio. Il vento le schiaffeggiava la
faccia e quasi pareva che volesse tagliarla in due. Non sentiva la
stanchezza della corsa, avrebbe potuto continuare a correre in eterno.
Per quello aveva avuto un ottimo maestro. Ricordava con esasperazione
tutte le volte che la faceva correre, ore intere in giro per vallate e
monti, tutti i benedetti giorni. Tornava a casa che era talmente tanto
stanca da doversi trascinare su per le scale a carponi. Poi, ci aveva
fatto l’abitudine. Per fortuna. E ora, mentre faceva muovere
ciclicamente le gambe neanche si accorgeva della stanchezza. Gabriel le
aveva insegnato pure a trattenere il respiro per ore intere. Aveva
imparato a non respirare. Anche se per un tempo non duraturo. Le
sarebbe piaciuto in futuro imparare a fare a meno di respirare, a suo
avviso era utile e vantaggioso.
Era quasi
notte, il cielo era di un color cobalto e le stelle brillavano
così vicine al pianeta…
Intravide le
case del villaggio, gli alberi cominciarono a diradarsi e finalmente
giunse ai margini del bosco. Rallentò la corsa
finchè non si ritrovò a camminare a passo
spedito. Non stava andando alla rinfusa, sapeva dove trovare Gabriel,
ne percepiva l’odore, si muoveva sicura e inarrestabile.
Poggiava i piedi su un terreno brullo e arido, era sporco di sangue in
varie chiazze scure, nessuno si era ancora preso la briga di
trasportare via i cadaveri. Giacevano ancora lì, per terra,
con quegli occhi spalancati, quelle bocche sbarrate, quei toraci che
non si abbassavano e si rialzavano. Notò con soddisfazione
che erano morti più nemici che alleati. Riconobbe comunque
nel volto inespressivo di alcuni di loro qualche suo amico. Gli
scavalcò senza problemi, non si fermò neppure una
volta a rimpiangergli. Si promise, una volta parlato con Gabriel, di
mettergli al loro posto: in una fossa comune.
Si
scansò alcuni ciuffi dal viso ed entrò dentro una
tenda gialla enorme. Spostò le tende e vi si introdusse. In
mezzo alla tenda nel terreno desertico c’era un tavolo
rettangolare con attorno, in piedi, delle persone che stavano chinate
in avanti su un pezzo di carta. Distinse tra le varie figure quella di
Gabriel e di Bastian. Gli altri probabilmente erano abitanti del
villaggio di Numbia.
Non appena
si resero conto della sua presenza un silenzio totale invase lo spazio.
Le loro facce non potevano fare a meno di esprimere stupore e
sbigottimento. Con la sua vista da falco studiò la cartina
sopra la tavola: era una mappa dettagliata del bosco. La stavano
cercando. Era ovvio. Dopotutto Gabriel l’aveva anche chiamata
mentre lei era catatonica al suolo. Sicuramente stavano organizzando
una spedizione di ricerca per ritrovarla.
Chissà
cos’avranno pensato della mia assenza.
Povero
Gabriel, guarda com’è distrutto, mi
avrà creduta morta.
Il viso
della ragazza rimase piatto e imperscrutabile, la linea delle labbra
non accennava né ad un sorriso né ad una smorfia.
Era semplicemente una linea piana. Dopo quello che le era successo era
come se non riuscisse più a provare nessun tipo di emozione.
Si sforzò di sorridere ma riuscì soltanto a
squadrare tutti con occhi glaciali.
Alcuni
trattennero il fiato.
Dopo un
attimo di smarrimento e dopo un colpo al cuore, Gabriel si
buttò su di lei abbracciandola in una morsa stritolatrice.
Non appena l’aveva vista era caduto in trance, ora gli pareva
impossibile averla di nuovo tra le sue braccia, al sicuro, quando solo
cinque minuti prima si era fatto sopraffare dalla disperata
consapevolezza di averla persa in quel bosco.
La
sensazione del suo corpo esile e femminile contro il suo era un
tocca-sano. Si staccò da lei con il volto carico di
emozione.
Subito dopo
arrivò Bastian che la scosse prendendola per le spalle.
“Dov’eri?! Ti abbiamo cercata ma non ti trovavamo!
Come stai?!”
Rebecca fece
dei passi indietro per riprendere fiato, si sentiva soffocare dai due
che l’opprimevano in quel modo. “Sto bene, sto
bene” disse muovendo le mani in un gesto ondeggiante e
tranquillo.
Gabriel la
guardava con perplessità e agitazione. Le
accarezzò le braccia nude con la mano. “Sei sicura
di star bene? Dov’eri finita? Che hai fatto?”
Eccola. La
fatidica domanda.
Che
hai fatto.
Ho
concesso alla voce che mi perseguita di essere il mio maestro. Ho
scambiato il dolore con la durezza di una pietra. Ho incontrato mio
fratello e non ho voluto ucciderlo. Mi ha promesso di vederci e io non
ho detto nulla. Ma sai, chi tace acconsente.
No, non
poteva parlargliene.
Alzò
gli occhi per guardarlo lo trafisse con lo sguardo. “Sono
stata attaccata”
Il volto di
Gabriel impallidì. “Da chi?”
Respirò
un paio di volte prima di parlare. “Da Atreius”
Il ragazzo
boccheggiò mentre tutti gli altri echeggiarono un
“oh” rapito.
Gabriel
cominciò a camminare avanti e indietro per la tenda, le mani
racchiuse a pugno dietro la schiena, lo sguardo basso e gli occhi
furiosi. Rebecca seguiva i suoi spostamenti con preoccupazione ma fu
costretta a posare l’attenzione sulla figura di Bastian di
fronte a lei.
“Allora
non è morto come si credeva?”
La ragazza
scosse la testa. “No, è vivo. Pure io ne sono
rimasta consapevolmente scioccata, non immaginavo di trovarmelo nel
bosco ad aspettarmi”
“Ti
ha attaccata, hai detto?” volle sapere il capo-villaggio.
“Menti”
“Sì,
o meglio, ha tentato di attaccarmi. L’ho ferito con la spada
ed è svanito in una nebbia di
fumo”
“Bene,
ottimo”
Rebecca si
spostò una ciocca di capelli dal viso. Gabriel si era
fermato e la fissava di traverso con sospetto. “Sei molto
tranquilla, mi sembra”
“Non
vedo dove stà il problema nel mantenere la calma”
gli rispose a tono.
“Ne
parli come se ti avesse fatto piacere rivederlo!”
“Ma
per piacere! Mi rifiuto di sentire queste stronzate!” disse
alzando la voce.
Gabriel
sembrava lottare contro qualcosa di molto forte e prepotente.
“Avrei dovuto ammazzarlo davanti ai miei occhi, ora non
saremmo in questi casini”
“Non
dare la colpa a te stesso, è andata così.
Troveremo un modo per liberarcene, almeno ora sappiamo chi
stà dietro a tutto questo”
“Già”
disse Bastian puntellandosi il dito sul mento in fase di riflessione.
“Sicuramente starà tramando qualcosa contro di te,
altrimenti non avrebbe tentato di ucciderti nel bosco. Rebecca, quello
che voglio ora più di tutto e che quel bastardo muoia. Pensi
di essere in grado?”
“Ovviamente
non lo farai”
“Certo,
Bastian. Me ne occuperò personalmente”
Bugia.
La
prima di una lunga serie?
“È
quel personalmente
che non mi piace tanto” borbottò Gabriel dopo il
suo mutismo.
Rebecca
tralasciò la sua provocazione. “Sentite, Atreius
è affar mio e sarò io stessa a prendermi la
responsabilità di eliminarlo. Dopo quanto è
successo ho avuto modo di constatare che dopotutto il suo circo di
demoni non è così forte come si possa pensare.
Posso tranquillamente attaccarlo mentre dorme e lui neppure se ne
accorgerebbe. Quello che voglio dirvi è che non dovete
preoccuparvi per me. Tutti” sottolineò lanciando
uno sguardo a Gabriel che era imbronciato. “Nessuno escluso.
E ora, per cortesia, qualcuno mi potrebbe spiegare
cos’è successo mentre ero via?”
“Sono
fiero di te: diplomazia, astuzia e giudizio. Diventerai leggenda,
ragazza mia”
Rebecca
gonfiò il petto per l’orgoglio. Stranamente le
piaceva quando la voce l’ammirava.
“Abbiamo
vinto contro il nemico. Abbiamo avuto molte perdite, però.
La maggior parte dei nostri soldati sono morti sul campo di battaglia.
Gabriel e un ristretto gruppo di uomini sono andati nella capanna a
liberare gli uomini del villaggio. Ci hanno dato tutti una mano,
stavamo perdendo numericamente ma grazie al loro intervento siamo
riusciti a vincere questo conflitto armato. Ci eravamo riuniti qui per
decidere meglio insieme ad alcuni abitanti di Numbia quale strada ci
conveniva fare per il ritorno”
Rebecca
focalizzò le altre persone che erano presenti in quella
“stanza”. Non gli aveva mai visti, non sapeva
neanche chi fosse tra loro il capo-villaggio del paese
finchè questo non le fece un inchino al quale non rispose se
non con un cenno del capo. Era un ometto basso, tozzo e grosso. Aveva
la barba folta e bianca, sulla sua testa pelata c’erano
alcuni ciuffi bianchi intorno alle orecchie e dietro il collo.
Personaggio alquanto bizzarro, avrebbe detto.
Si
massaggiò le mani e schioccò la lingua.
“Bene, allora io vi lascio”
Aveva
già iniziato a prendere la direzione dell’uscita
quando la voce roca e vibrante di Gabriel la fermò.
“Non
rimani qui con noi?”
Si
voltò verso lui e gli sorrise. “No, penso che
andrò fuori e mi sbarazzerò dei corpi che
invadono la piazza. Quando partiamo, comunque?”
“Stanotte
stessa, non vedo perché dobbiamo trattenerci
oltre” disse Bastian.
“E
gli altri del gruppo?”
“Sono
fuori in giro a case, controllano che tutto vada bene e che tutto sia
apposto”
“Ah,
ok. Io vado allora, a dopo” e scomparve.
“Non
ti sembra…insolita?” domandò Bastian
sottovoce rivolto a Gabriel.
La faccia di
Gabriel divenne triste. Addolorata. Delusa. Afflitta. Forse tra loro
c’era qualche problema, magari stavano passando un momento di
crisi. Era da molto che Bastian lo vedeva così: con quel suo
muso lungo e depresso.
“Non
so dirti se è insolita, l’unica cosa che posso
dirti di certo è che cambiata” mormorò.
“Mi
dispiace” lo disse senza pensarci, come se si sentisse in
dovere di dispiacersi per lui.
“Lo
so. Anche a me dispiace” sussurrò il ragazzo con
voce flebile.
“Perché
non gliene parli?”
Gabriel lo
guardò e Bastian vi lesse tutta l’agonia che lo
stava divorando. Sembrava un cane bastonato.
“Perché non credo che capirebbe. Perché
ho paura di quello che potrebbe dirmi”
“Secondo
me dovresti farlo, invece. Non puoi continuare a dannarti in questo
modo non sapendo che le succede!” abbaiò il
capo-villaggio.
Subito
Gabriel gli fece cenno di abbassare il tono di voce.
“Perché no?” si accigliò.
Bastian
grugnì. “Perché magari è
qualcosa di brutto e ha bisogno che tu l’aiuti”
Il ragazzo
tentennò sul posto. “Non credo che abbia bisogno
del mio aiuto”
“Pensi
che possa essere qualcosa al di fuori di noi? Di me, di te, del suo
villaggio?”
“Ho
paura che sia così. Ogni volta che prova ad introdurre
l’argomento lei, bravissima, schiva le domande e innalza un
muro protettivo. Si nasconde dietro a battute, scherzi e frasette
fatte. Pensa che io non l’abbia capito ma so che
c’è qualcosa che non va”
“Sei
scemo se non le parli”
Gabriel
sospirò. “Mi sentirei più scemo se lei
mi rifiutasse”
“E
non riesci neanche a staccarti da lei? Pensare razionalmente, fare un
ragionamento obbiettivo senza essere influenzato da quello che
provi?”
“No,
penso di amarla troppo”
“Quando
dici troppo, intendi…?”
“Troppo”
lo interruppe. “Troppo da farmi star male quando non
è con me, troppo da non farmi capire nulla per la
felicità quando mi sta vicino. Due fuochi mi bruciano,
è l’amore. Imperfetto e irrazionale. Quindi, per
favore, non chiedermi di pensare razionalmente perché niente
di me è razionale quando si tratta di lei. Passo la palla a
te, Bastian. Io mi considero fuori”
“Quando
ho deciso di far di te il suo maestro temevo che poteste innamorarvi.
Ho sperato però fino infondo che ciò non si
avverasse. Avrei dovuto essere più prudente”
“Perché
mi dici questo?”
“Perchè
un angelo deve mettersi al servizio del suo mondo, non deve avere nulla
da perdere, se non ha nulla da perdere è più
facile per lui sacrificarsi e rischiare la vita. Ma se un angelo
è troppo attaccato a qualcuno non riesce più ad
essere libero, avrà sempre paura di dividersi dalla persona
amata, tanto da lasciar morire degli innocenti pur di non
staccarsene”
“Ormai
è troppo tardi. Non puoi più chiedermi di tornare
indietro”
“Che
facciamo ora con Atreius?”
“Non
lo voglio sentire più nominare per oggi, sono già
abbastanza arrabbiato”
“Ok,
come vuoi”
Mi chiedo solo se il motivo
della sua rabbia sia dovuto o meno all’antica gelosia che lo
massacra ogni volta che lo vede.
***
Guarda che casino,
pensò Rebecca alla vista dei corpi ammucchiati e sparsi a
caso nel campo arido e brullo.
Sebbene
fosse notte e si vedesse poco o niente l’odore fetido di
sangue coagulato era asfissiante. La repulsione per
quell’odore disgustoso portò la ragazza a non
respirare. Si avvicinò trattenendo il respiro, era capace di
vivere senza ossigeno per un mese. Ce l’avrebbe fatta a
sopportare alcuni minuti. Si abbassò su un corpo coperto di
sangue secco che riconobbe essere uno dei suoi alleati. Era molto
giovane, forse più di lei. Ma non sarebbe stata in grado di
definire l’età. Era comunque ingiusto il modo in
cui era morto, aveva tutta la vita davanti e invece la sua anima si era
spenta nell’adolescenza. Gli fece il segno della croce sulla
fronte, non aveva dimenticato le sue tradizioni umane. Era stata
cristiana, una volta. Ora non sapeva più a che credere, dopo
tutto quello che aveva visto si domandava se potesse esistere un Dio.
Ma il gesto le venne spontaneo, mossa da una profonda tristezza e
commozione, cercò il coraggio nella fede. Lo benedisse con
una preghiera sotto voce e poi si allontanò dal suo corpo
per andare a visitare gli altri. Non sapeva neanche lei
perché lo stesse facendo, poteva benissimo prendere tutti i
cadaveri e sbattergli dentro una fossa comune. Forse era la sua
coscienza che glielo suggeriva.
Aveva
ragione Bastian nel dire che avevano avuto molte perdite, di tutti i
corpi che benediva la maggior parte erano del suo gruppo.
Ritornò al punto di partenza e con occhi tristi
guardò la scena, forse sperava stupidamente che qualcuno ad
un certo punto si svegliasse, si alzasse e andasse a salutarla. E
invece nessuno viveva, erano tutti morti. Pensò a quando
sarebbero ritornati a casa, al dolore che avrebbe accolto tutte le
famiglie che avevano subìto un’amara perdita. Una
strana sensazione di angoscia si impadronì di lei.
Accigliata, si accorse che non aveva nessuna voglia di ritornare al
villaggio, non voleva tornare a casa. Il solo fatto di ritrovarsi in
quel posto, con tutte quelle facce note, con la sua vita quotidiana che
riprendeva il solito flusso, le dava disagio.
C’era
forse qualcosa che doveva fare prima di ritornare a casa?
Cercò
le risposte dentro di sé ma non le trovò.
Tutto
taceva.
Inspirò
profondamente e una folata di vento le mandò i capelli
davanti la faccia. Faceva freddo, era freddo. I sassolini di sabbia
rotolavano sotto i suoi piedi e correvano sul terreno desertico. Un
laser di luce verde fosforescente partì dai suoi occhi e
andò a colpire in pieno il corpo di un soldato steso a
terra. Il fascio di luce battè sul suo petto e poi si
espanse in tutto il corpo, avvolgendolo in una nuvola di gelatina
verde. La testa di Rebecca si alzò di pochi centimetri e di
riflesso anche il corpo dell’uomo si sollevò, come
se i suoi movimenti dipendessero dallo spostamento degli occhi della
ragazza. Infatti Rebecca girò su sé stessa e
buttò la testa di lato, il corpo si spostò a
distanza con lei. Contemporaneamente mosse la mano ad artiglio e una
profonda fossa comparve sul terreno, la terra schizzò in
aria per permettere al buco di formarsi e atterrò ai
margini.
Indirizzò
lo sguardo dentro la fossa e la macchia verde che copriva il corpo si
mosse in quella direzione fino ad appoggiare il corpo dentro la fossa
per poi sparire nel nulla. Ripetè la stessa operazione
finchè tutti i corpi, di amici e nemici, non furono stati
messi dentro la buca. Richiuse il fossato con uno schiocco delle dita.
Ora era tutto pulito e in ordine. Si avvicinò nel punto dove
prima sorgeva la fossa e, chinandosi e toccando terra con le mani, fece
crescere una pianta. Dal terreno si videro comparire delle foglioline
con degli arbusti argentati. Era un albero speciale, era un albero
argentato. Adatto per quella tomba di giovani creature. Sarebbe
cresciuto entro breve, lei aveva messo solo le radici. Magari un giorno
sarebbe tornata a Numbia per vederlo bello e cresciuto.
“È
bellissimo”
Era Gabriel.
Lo
guardò di traverso e poi si voltò ad ammirare
l’alberello. “Grazie, è il mio ultimo
dono per loro”
“Hai
seppellito i nostri uomini con i nemici”
“Nella
vita siamo tutti amici-nemici, nella morte troviamo la vera
alleanza”
Sentì
la mano del ragazzo posarsi sulla sua spalla. “Tra poco
partiamo. Devi salutare qualcuno?”
“Chi
vuoi che saluti? Il capo-villaggio mi sta antipatico”
Gabriel
rise. “Sì, beh, anche a me”
Anche
Rebecca sorrise. La mano del ragazzo si spostò dalla sua
spalla alla sua schiena, dalla schiena al fianco.
L’attirò a sé e lei si
appoggiò con la schiena sul suo petto incastrando la testa
nell’incavo del suo collo. Gabriel le passò le
braccia sul ventre e racchiuse le mani a preghiera, posò la
testa sulla sua spalla e respirò il suo profumo. Dolcemente
Rebecca si fece spazio tra le sue braccia per potersi voltare e
guardarlo negli occhi, come scottato il ragazzo tirò via la
testa dalla sua spalla. Rebecca si mise in punta di piedi e lo
baciò. Lo baciò con tenerezza e con foga, con
quei baci profondi e inebrianti che solo lei sapeva dare.
“Ehm-ehm,
ragazzi?”
Si divisero
immediatamente. Bastian era davanti a loro da solo, sembrava
dispiaciuto di averli interrotti. Gabriel era visibilmente scocciato.
“Sì?”
disse la ragazza. “È ora di partire?”
“A
quanto pare sì, ce ne andiamo. Torniamo a casa”
“Hai
parlato con capo-villaggio di Numbia?”
“Ovviamente.
Ci ringrazia tutti per il nostro aiuto, se vuoi
salutarlo…”
“No,
no” lo interruppe. “Ho voglia di andare a casa,
Bastian. Gli scriverò una lettera con i miei
saluti”
Bastian
allargò le braccia. “Certo, come vuoi, dolcezza.
Venite?” si rivolse a tutti e due ed entrambi acconsentirono.
Camminarono
fino a trovarsi di fronte una lunga fila di cavalli.
“È
un regalo del villaggio” spiegò Bastian indicando
le splendide creature. “Così potremmo fare il
viaggio di ritorno tutti comodi in groppa”
Rebecca
battè le mani entusiasta. “Sono bellissimi,
è un regalo fantastico” indirizzò lo
sguardo verso il capo-villaggio che era poco distante da loro.
Sillabò un “grazie” con le labbra. Lui
chiuse gli occhi e sorrise. Solo ora si accorgeva del resto del gruppo,
i suoi soldati erano nascosti dietro ai cavalli e non aspettavano altro
se non salire in sella.
Aspettavano
che lei si decidesse a muoversi?
Sì,
può essere.
Perché
no?
Montò
sul suo cavallo nero e prese le redini. Guardò Gabriel che
stava salendo anche lui sul cavallo bianco accostato al suo. Il resto
del gruppo fece lo stesso, tranne Bastian. Bastian si
avvicinò al capo-villaggio (che Rebecca ne ignorava il nome)
e gli strinse la mano. Si dissero qualcosa e poi risero entrambi. Il
capo-villaggio gli diede una pacca sulla spalla e poi pure Bastian
prese posto sul destriero davanti a Rebecca e Gabriel. Si
voltò verso di loro con il volto contento.
“Si
torna a casa”
“Si
torna a casa” disse con voce mesta Rebecca.
“Si
torna a casa” ripetè Gabriel.
***
Marciavano
imperturbabili a dorso dei loro magnifici destrieri, una fila di uomini
che parevano tanti piccoli puntini visti dall’alto. La fila
serpentina si allungava a ridosso di un sentiero di montagna, da una
parte la parete rocciosa si innalzava fino a quasi toccare il cielo,
dall’altra parte il sentiero finiva in un baratro oscuro, in
un precipizio senza fine. Sebbene fosse pomeriggio inoltrato il sole
stava già scomparendo oltre le vette innevate dei monti
dietro l’esercito in cammino, i raggi coloravano il paesaggio
di rosso, arancione, dorato e marrone scuro. Rebecca sentiva il pigro
calore del sole che stava calando sulla testa, i capelli sciolti
ricadevano sulla schiena ed erano illuminati riflettendo una
moltitudine di riflessi che andavano dal rosso al biondo, dal
cioccolato al rame. Gabriel ne ammirava il profilo rischiarato con
sguardo perso e incantato. Tutto di lei lo faceva palpitare, la sua
aria assorta, quel velo triste che tanto attrae e piace, la sua
eleganza nel stare seduta o nel tenere le redini, le ciocche dei
capelli che ondeggiavano ai lati del suo visto formando delle onde
setose e morbide. Senza rendersene conto guardò la sua
schiena immaginando in una fantasia mistica le sue ali piumose e
soffici racchiuse in un piccolo e stretto involucro.
Immaginò quelle ali spiegate e splendenti al sole del
tramonto…fu colpito da una tale emozione che trattenne il
fiato.
La testa di
Rebecca ciondolò e poi si voltò a guardarlo. Gli
sorrise beata con gli occhi socchiusi per l’abbaglio e rimase
a crogiolarsi per un po’ con le palpebre abbassate per
assaporare il tepore del sole sul suo viso stanco e freddo. Fece un
altro sorriso e poi riaprì gli occhi, mandò un
bacio a Gabriel con la mano e questo ripagò con una risata
felice. Gabriel spronò le briglie e
l’affiancò, ora poteva osservarla meglio.
“È
stupefacente il tramonto” le disse.
Rebecca
piegò la testa di lato e ammiccò. “Ha
sempre la capacità di farci emozionare. Tra tutti i momenti
che il giorno ci riserva il tramonto è senz’altro
l’istante che io prediligo. Senza nulla togliere
all’alba”
“L’alba,
per quanto bella, è snervante” ammise il ragazzo.
“Perché,
scusa?” domandò divertita Rebecca.
“Perché
si comincia una nuova giornata e tu vorresti solo restartene a letto a
dormire. Il tramonto invece è rilassante, hai sonno e sei
stanco…sei vivo. Pensi ad andare a letto a dormire e ti
senti appagato per la giornata che hai concluso con successo. Hai fatto
quello che dovevi fare e ti godi il meritato riposo”
“La
penso come te, è questa la sensazione che ti suscita il
tramonto”
“Sebbene…”
continuò Gabriel puntiglioso. “…il
tramonto sia considerato male e l’alba bene”
scacciò via quei pensieri e sorrise. “Che
sciocchezza…”
“Sono
solo storie popolari che hanno come unico obbiettivo quello di tenere
rinchiusi in casa i bambini la notte. Non credo che il tramonto abbia
qualcosa di maligno o malvagio. È così
bello…”
“Quando
torniamo a casa ti devo parlare di una cosa” il suo tono cupo
e affranto provocò dei brividi alla ragazza che si
immobilizzò sulla sella.
Gabriel,
Gabriel…dovresti saperlo ormai che io riesco a leggerti nei
pensieri quando voglio. In un umano è più
semplice ma se mi concentro anche con te ci riesco. Le tue
preoccupazioni oggi sono così evidenti e martellanti nella
tua mente che riesco a sentirle gridare e scalpitare.
Subito
abbassò la testa, sconvolta per quello che aveva appena
letto nella sua mente.
E
così Bastian gli aveva detto di darsi una regolata con lei,
lo aveva intimato a limitarsi di essere solo il suo insegnante. Lo
aveva avvertito dicendogli che se avesse ricoperto allungo la parte
dell’amante sarebbe stata per entrambi la fine. Un angelo
bianco non può permettersi il lusso di amare altrimenti
diverrebbe troppo vulnerabile e condizionabile.
Liberati
dell’amore prima che sia lei a liberarsi di te.
Ingoiò
un groppo amaro in gola. Per quanto avrebbe voluto in quel momento
spaccare la faccia a Bastian sapeva che quello che diceva era vero.
D’altro canto lei lo sapeva fin dall’inizio, sin
dall’attimo in cui si era resa conto di amare il suo maestro.
Avevano deciso di restare insieme, di iniziare una storia sebbene fosse
sbagliato, pericoloso e compromettente per la vita di entrambi.
Detta
così sembrava una condanna
all’infelicità.
Gabriel
aspettava teso come una corda di violino di fianco a lei. Lei non se la
sentì di dirgli che sapeva già tutto.
“Certo,
spero solo non siano cose gravi”
Gabriel
aggrottò la fronte e si leccò le labbra.
“No, te lo direi subito, altrimenti”
“Posso
stare tranquilla?”
Che
finta ingenua.
“Sì,
non ci pensare. Riguarda delle questioni che dobbiamo prendere in
merito alla costruzione o meno delle mura recintate attorno al
villaggio”
Che
bugiardo.
Che
rabbia.
Non
tornerò a casa per sentirmi dire che tra noi non funziona.
Non tornerò perché mi facciano sentire in colpa.
Anche
ora, in questo istante, non è capace di essere sincero con
me.
Non
tornerò per sentirmi dire che devo cambiare vita, che devo
staccarmi da lui, che non posso amarlo. Dover fare quello che mi
dicono, obbedire come fossi un premio da gestire.
Andate
a quel paese.
Rebecca
bloccò le redini del cavallo, questo nitrì preso
dallo spavento di sentirsi strozzare tutt’un tratto. Fece
girare il cavallo nella parte opposta a quella dove stavano camminando
fermando tutta la fila dietro di uomini, i quali cavalli cominciarono a
scalciare e sbuffare.
“Che
fai?!” urlò Gabriel vedendola tornare indietro.
Rebecca
spronò il suo cavallo ad andare contro-corrente, passando
accanto agli altri destrieri fermi e impacciati. Lo sguardo dei suoi
uomini era di perplessità e paura, avevano le bocche
spalancate e gli occhi che schizzavano fuori per
l’inconcepibilità di quel gesto.
Si
sentì chiamare dal ragazzo ma non ci fece caso. Percorse
tutta la fila fino ad uscirne. Bastian, che era davanti, si era voltato
e la guardava scioccato. Vide Gabriel che stava cercando un passaggio
tra i cavalli per raggiungerla. Rimase in sella al suo cavallo e lo
fece indietreggiare per allontanarsi sufficientemente dal resto del
gruppo. Tutti si erano fermati, i cavalli dritti e le loro schiene
voltate a fissarla.
Aspettò
che Gabriel arrivasse. Era agitato, in preda al panico, confuso,
terrorizzato.
“Ma
che ti è preso?!” sbraitò.
“Torna indietro! Dove vuoi andare?”
urlò, indicando le cime innevate alle sue spalle.
“Non
tornerò a casa” disse a bassa voce. “Non
ora”
“Perché?”
era un lamento, un insopportabile lamento.
Fu preso in
contro-piede.
“Perché
sento che devo fare qualcosa prima, non…” faticava
a trovare le parole, non sapeva come spiegare al ragazzo la sua agonia.
“Non sono più la stessa persona che è
partita qualche tempo fa. In qualche modo mi sono persa, non riesco
più a ritrovare me stessa. Mi serve tempo, del tempo su cui
riflettere, ragionare e capire chi sono. La mia strada ora mi si
presenta oscura, annebbiata, piena di bugie e calunnie. Gli unici
sentimenti che provo in questo momento sono la rabbia e la
frustrazione. Devo sbollirmi e pensare, devo cercare la mia anima e
chiederle un paio di cose. Quindi qualsiasi tuo tentativo di riportami
a casa sappi già in precedenza che sarà vano e
inutile”
“Te
ne vuoi andare da sola?!” l’aggredì, le
vene del suo collo pulsavano e quasi esplodevano. “Vuoi
prenderti un momento di pausa?! Sei pazza!”
Rebecca,
diversamente da Gabriel che era bordeaux in viso, era calma e non
lasciava trasparire nessuna emozione. “Sì, me ne
andrò da sola nelle montagne innevate per prendermi una
pausa. E per rispondere all’altra tua domanda, sì:
sono pazza ma almeno non sono disonesta”
“Non
vedo come questo possa centrare con me. È colpa
mia?”
Voleva
essere sincera con lui fino infondo. “Sì, anche,
ma non solo”
Gabriel
tentò di prendere le redini del suo cavallo per riportarla
con lui ma lei si allontanò e la sua mano afferrò
l’aria. “Ti prego, non fare sciocchezze. Non posso
lasciarti qui sapendoti da sola”
“Sono
in grado di difendermi, ho avuto un buon maestro”
Il tono
distaccato e glaciale con cui lo disse fece gelare il sangue nelle vene
di Gabriel che indietreggiò come colpito e ferito.
“Sapevo che c’era qualcosa che non andava, eri
cambiata ma non volevo accettarlo”
Rebecca si
sentì dispiaciuta e lacerata nel profondo, ci teneva a
precisare che non era lei ad essere cambiata. Era il mondo che non
girava più nello stesso modo di prima. “Gabriel,
io non sono cambiata. Sono maturata. In questo momento mi sento molto
confusa, dammi la possibilità di rimediare alle mie
insicurezze”
“Ho
sempre cercato di farti sentire a casa, protetta e amata. Vedo che non
ha significato nulla se poi senti il bisogno di andartene”
disse pungente.
“Non
me ne vado per sempre. Tornerò non appena avrò
ritrovato me stessa”
“Non
posso venire a trovarti?” domandò con voce
incalzante.
“Gabriel…”
“O
semplicemente posso venire con te?” un bagliore di speranza
trapassò i suoi occhi afflitti.
“No,
ora basta”
Fece per
voltare il cavallo e andarsene quando lui, in un richiamo disperato, la
costrinse a fermarsi. Appariva esitante. “Pensi di andare a
cercare Atreius mentre sei via?”
La domanda
la lasciò interdetta e basita.
Si
arrabbiò.
La stava
accusando?
Non credeva
in lei?
Lui, lui che le
mentiva su questioni così importanti come il loro futuro?
Atreius era
un tasto delicato e pericoloso, un campo minato. Bastava poco per far
saltare in aria la bomba.
“Sono
costretta a non rispondere ad una tale domanda”
ringhiò. “Ora lasciami andare e spiega tu al caro
Bastian le mie motivazioni di questo abbandono”
Questa volta
il ragazzo non la fermò. Rebecca esortò il
cavallo a correre e la creatura, sotto comando, cominciò a
galoppare lungo il ripido sentiero. Le redini, ben strette in mano, non
accennavano a smettere di essere spronate. Girò la curva e
si lasciò il gruppo indietro, percepì
l’essenza dei suoi amici farsi lontana e ormai invisibile.
Davanti a
sé il sole tramontava tra la conca di due montagne, nel
dirupo iniziavano a scendere le tenebre e le ombre erano sempre
più frequenti e scure. I raggi del sole la colpivano giusta
in faccia ma non le davano fastidio.
Si sentiva
libera, scaldata da quel calore fiacco e ormai prossimo alla fine. Si
sentiva indomata e felice. L’aria fredda le schiaffeggiava il
viso e i capelli volavano al vento, selvaggi e bellissimi. Il cavallo
respirava e inspirava, e correva veloce. L’aria usciva dalle
sue grosse narici e si condensava nella sua maestosa criniera color
ebano. Il corpo di lei, accucciato in avanti, chinato come se volesse
scavalcare il suo cavallo, era l’emblema del guerriero
errante. Del continuo vagabondare alla ricerca dell’oggetto
dei propri desideri.
Grazie alla
velocità del suo cavallo lasciò ben presto il
sentiero in discesa e roccioso delle catene montuose che portava a
casa, intraprendendo un viaggio tutto nuovo che si diradava tra i campi
verdi e profumati che sapevano di gelsomino.
***
Tanti
auguri di buon Natale!!!! Evvai le feste!!! In questo periodo non so
voi ma son sempre
stra-piena
di impegni, e di dolci..eheheh..
Bona,
spero che (come sempre) il capitolo di sia piaciuto!! Fatemi sapere
(come sempre) che ne pensate
che
le recensioni sono sempre super gradite!!!
Il
prossimo capitolo s'intitolerà: "REGINA
DI CUORI" e vi aspetto alla prossima!!!
Bacioni
grossi a tutti!!
--->
Scusate se non rispondo alle vostre recensioni ma non ho
al
momento il tempo per farlo, sto aggiornando il capitolo
in
fretta e furia!! Però le ho sempre lette le vostre
recensioni!!!
Parola
mia!! <---
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Regina di cuori ***
Cap.
6 - REGINA DI CUORI -
[Isolata
dall’amore
non
avevo bisogno del dolore.
Il
tempo inizia a passare
prima
che tu sappia che sei congelato.
Ma
qualcosa è successo
per
la prima volta con te.
Ho
trovato qualcosa di vero
e
tutti guardandosi attorno
pensano
che sto diventando pazza.
Ma
non m’interessa cosa dicono,
sono
innamorata di te.
Loro
cercano di allontanarmi
ma
non sanno la verità,
il
mio cuore è reso invalido dalle vene che continuo a
chiudere,
tu
mi hai aperto ed io
sanguino
amore]
Leona
Lewis - Bleeding love -
***
Quando Gabriel tornò in prima linea si accorse che Bastian
lo stava fissando con espressione truce. Voltò la testa non
appena incontrò i suoi occhi. Agitò le mani e
mosse il cavallo finchè questo non prese a galoppare come da
ordine. Bastian attendeva al suo fianco una qualche spiegazione,
sbirciò dietro di sé e vide la lunga fila
dell’esercito, guardò infondo ma lei se
n’era già andata. Ritornò con lo
sguardo sul profilo di Gabriel, lui non sembrava accorgersi delle
occhiate che gli lanciava, fissava la strada serpentina senza mostrare
la benché minima reazione. La linea dritta delle labbra era
trattenuta dalla mascella contratta e ogni tanto le narici del naso si
allargavano pericolosamente come a voler buttar fuori del fumo. Se
Bastian non l’avesse conosciuto così bene avrebbe
detto che non gliene importava nulla di Rebecca, appariva indifferente,
come se l’abbandono della ragazza non l’avesse per
nulla toccato. In realtà bastava guardare attentamente i
piccoli segnali del suo corpo per rendersi conto che si stava
trattenendo dall’esplodere.
“Che c’è?!” sbottò
rivolto a Bastian. Finalmente lo guardò in faccia.
“Perché continui a fissarmi? Ho qualcosa in
faccia?”
Bastian sobbalzò per il suo improvviso attacco verbale,
colto in flagrante abbassò il capo e arrossì.
“No, niente. Scusa”
“Se vuoi dirmi qualcosa fallo. Ora”
Intimorito dalla ferocia della sue parole balbettò le prime
cose che gli vennero in mente. “I-Io volevo solo sapere se
stai bene…vorrei che mi spiegassi cos’è
successo ma capisco che ora…sì,
insomma…non è il momento migliore.
Forse”
“Infatti” rispose acidamente.
Bastian sgranò gli occhi poi tornò a fissare per
terra.
Si schiarì la voce. “Non starà via per
molto, vedrai che entro breve tornerà. Avrà
bisogno di riacquistare i suoi spazi, di riflettere. Forse è
meglio così, aveva troppa confusione in testa, ha fatto bene
a prendersi una pausa da tutto questo” disse, indicando il
tutto attorno a sé. “Rebecca non è una
ragazza cattiva, per qualche brutto scherzo del destino è
stata contaminata e macchiata dalle tenebre, ora vuole ricercare
sé stessa per tornare ad essere la ragazza pura e pulita che
è sempre stata. Non è sbagliato, Gabriel,
staccarsi dal resto del mondo per capire la propria anima”
Gabriel per tutta risposta grugnì. “Quello che non
capisco è come faccia ad essere così confusa
quando per tutto questo tempo non ho fatto altro che darle certezze e
stabilità. L’ho integrata in questo mondo,
l’ho addestrata con giudizio e le ho trasmesso
l’amore per la felicità degli altri. Ho sempre
fatto tutto quello che c’era da fare per far sì
che fosse buona e corretta” sembrava improvvisamente stanco e
molto più vecchio. Increspò la fronte
finchè qualche ruga non gli incorniciò il volto
perfetto. “Ho fallito” sospirò con
frustrazione.
“Gabriel, smettila di torturarti. Hai insegnato
meravigliosamente a Rebecca tutto quello che doveva sapere. Tu forse ti
dimentichi come funziona il passaggio da apprendista ad angelo, e
questo è strano perché ti interessa in prima
persona: l’angelo iniziato per diventare un vero angelo viene
messo continuamente a dura prova verso la fine del suo percorso. Il
Male e il Bene se lo contendono e come tu sai il Male sa essere molto
più persuasivo e invitante del Bene. Tutti gli angeli
apprendisti passano questa fase, l’oscurità non fa
altro che punzecchiarli e confonderli, gli invita ad unirsi al Male
mostrando loro una vita eccitante fatta di potere e di fama. Solo chi
è veramente destinato ad essere un paladino del Bene
saprà rifiutare e rinnegare il Male ma, ahimè,
molti di loro hanno scelto la strada opposta a quella che gli era stata
insegnata. Cerca di capire lo stato d’animo della tua
ragazza, stà passando un periodo molto delicato e decisivo.
Per lo meno cerca di non metterle pressione”
“Ma questo discorso non vale per Rebecca! Lei deve scegliere
il Bene, non dovrebbe neanche avere questi dubbi esistenziali!
È scritto nel libro degli angeli che è il suo
destino stare con noi, e allora perché si stà
sempre più allontanando?! L’antico libro parla
chiaro, scrive ogni vita e percorso di ogni angelo e la vita di Rebecca
è stata definita come “dedita al Bene”,
non al Male. Non dovrebbe farmi queste scenate”
Bastian si accigliò. “Mi dispiace Gabriel, ma non
sono della tua stessa idea. Rebecca è ancora
un’umana nell’animo, nelle emozioni, ed
è normale per un umano avere queste indecisioni, fanno parte
del suo corredo di sentimenti”
Anche Gabriel era stato tanto tempo prima un mezzosangue. Nonostante
gli fosse stato tolto il titolo di angelo era comunque rimasto un puro
di sangue, non era più tornato umano. Non c’era
traccia di sangue umano in lui. Magari era per quello che non la
capiva, da troppo tempo non si sentiva più umano. Aveva
dimenticato come ci si sentiva: sempre tempestato dalle passioni. Non
che lui non provasse emozioni, semplicemente ne provava la
metà.
Rimase spiazzato per un po’, preso dai forti sensi di colpa
che cominciavano a farsi sentire. Imprecò sottovoce e
tornò a guardare la strada con il broncio.
Bastian si rilassò e distolse lo sguardo dal ragazzo, era
riuscito a fargli capire la situazione. Ora lo vedeva più
calmo e tranquillo, la rabbia era stata sbollita tutta.
Rimaneva solo il rimorso.
Un sorriso amaro contornò le sue labbra.
“A che pensi ora?” domandò il
capo-villaggio.
“Spero per lei che non sia andata a cercare Atreius
perché ti giuro che questa è la volta buona che
rischio di metterle le mani addosso”
Bastian fu colpito da un brivido che gli corse lungo la schiena.
“Non dire così, non potresti mai farle del
male”
Gabriel inarcò le sopracciglia. “Tu
dici?”
L’uomo sentì un gran caldo intorno.
“N-Non mettermi nella condizione di doverti tener
d’occhio!”
“Tu cosa faresti se la donna che ami andasse con un altro
uomo?” disse cupamente e si sentì trafiggere da
una stoccata di gelosia.
Bastian rimase di stucco, il cuore stesso cessò di battere
per un istante. Non poteva crederci. Non lei. Non con lui. Era uno
scherzo. Fece una risatina isterica e poi tornò di colpo
serio. “Rebecca è stata con suo
fratello?” sgranò gli occhi per la sorpresa.
“Fratellastro” lo corresse il ragazzo. “E
comunque che io sappia c’è stato solo un bacio
ma…diamine! È palese l’attrazione che
provano l’uno per l’altra! Se Rebecca dovesse
rivederlo non avrebbe mai il coraggio di ucciderlo e se lui le
risparmiasse la vita non oso immaginare cosa farebbero insieme da
“non nemici”.”
“Dai!” farfugliò il capo-villaggio.
“Non può essere! Non…non riesco a
credere che Rebecca faccia una cosa simile, scampassi
cent’anni! Non è che stai viaggiando troppo con la
fantasia?”
Gabriel sbuffò. “Lo spero Bastian, ma rimane
comunque una forte sensazione di avvertimento. Se dovesse succedere,
chissà perché, non ne sarei sorpreso”
“Smettila di parlare così, Gabriel!” lo
rimproverò con rigore. “Ti stai facendo del male
da solo, è naturale che provano attrazione…sono
fratelli! Si sentono molto vicini perché sanno di essere uno
la metà dell’altra, nel loro corpo scorre lo
stesso sangue! Rebecca in questo momento è piena di domande,
se dovesse andare a cercarlo sarà esclusivamente per avere
informazioni sulla loro famiglia e non, come dici tu, per finire a
letto insieme!”
Le mani del ragazzo strinsero con talmente tanta forza le redini del
suo cavallo che le nocche divennero bianche. “Hai ragione,
è inutile parlarne ora. Aspetterò il suo ritorno,
solo allora sapremo com’è andata”
Bastian voleva tanto fargli una domanda ma sapeva che
l’avrebbe solo fatto star male. Rimase a torturarsi il labbro
inferiore con dei piccoli morsi, indeciso se parlare o meno. La domanda
premeva sulla sua bocca affinché la facesse uscire con le
parole. Esalò un gemito soffocato e buttò fuori
una generosa manciata d’aria. “Tu pensi che se
Rebecca vada a letto con Atreius te lo venga poi a dire?”
Come stroncato il ragazzo boccheggiò e poi serrò
la mascella. “Saprò leggerle nella mente, anche se
sarà molto difficile”
“Non dovresti permetterti di invaderle
l’intimità mentale senza il suo
consenso”
“Oh, andiamo! Lo fanno tutti in battaglia per anticipare le
mosse del nemico, per sapere se una persona sospettata mente o per
scovare delle spie!”
“Appunto” disse aspramente. “In
battaglia. È così ora che vedi il tuo amore? Una
continua lotta per la sopravvivenza?”
Gabriel lo trafisse con lo sguardo. “Se è
così che è diventato il mio amore ragione in
più per leggerle nella mente”
“Ti fai troppe pare mentali, ragazzo mio. Lei ti ama
più della sua stessa vita e tu ancora non sei riuscito ad
avere fiducia in lei” brontolò Bastian.
“Lo sai come son fatto, è nel mio corredo genetico
essere sospettoso, geloso e paranoico. È la prima volta in
vita mia che m’innamoro, sento di dover difendere questo
rapporto con tutta la mia forza e di renderlo sincero senza inganni
né menzogne”
“Tu pensala come più ti piace ma ascolta le mie
parole, lei non ti tradirà mai. Non ci tradirà,
nessuno escluso”
Gabriel grugnì. “Le conviene. Non sono disposto a
dividerla con un altro”
“Devi ammettere però che per lei Atreius
è molto importante” di fronte l’occhiata
assassina che Gabriel gli rivolse si sforzò di continuare.
“Cerca di capire quello che voglio dirti. Atreius
è l’unica persona in vita che ha con lei un legame
di sangue, è la sua famiglia! Per quanto quei due si possano
odiare non riusciranno mai ad essere i fautori della morte
dell’altro, un briciolo di bene devono volersene. Il solo
fatto di sapersi fratelli li unisce”
“A patto che il bene che provano si limiti ad essere quello
tipico di due fratelli” disse digrignando i denti.
“Rebecca non potrebbe mai farlo. Ti ama troppo,
Gabriel”
Un Gabriel più rilassato rilasciò la presa che
teneva da un bel po’ sulle briglie. Le nocche che fino a
pochi secondi prima erano di un bianco latteo si chiazzarono di macchie
viola e rosse. Bastian fissò con apprensione le mani
infiammate del ragazzo. “Ti fa male?”
domandò.
Gabriel scrollò le spalle in un gesto indifferente.
“Più che altro non me le sento”
Bastian fece un ghigno e scosse la testa. Spronò il cavallo
e superò Gabriel. Si mise primo della fila e
proseguì lungo lo stretto sentiero di montagna. Girarono la
curva e videro davanti a loro lo specchio di un immenso lago. La
superficie piatta e calma del lago mandava una miriade di bagliori nei
punti in cui l’acqua veniva colpita dai raggi pigri e tiepidi
del sole al tramonto. Il lago luccicava di riflessi arancioni, verdi e
gialli. Era un incanto, una meraviglia che toglieva il fiato.
Si lasciavano alle spalle il paesaggio desertico e brullo di quelle
vallate per addentrarsi in confini verdeggianti, colorati e armoniosi.
Mancavano poche al loro ritorno, gli uomini esultavano, felicemente
appagati al pensiero di essere entro breve nella loro casa, accolti
dalle persone che amavano e che gli aspettavano impazienti.
Solo Gabriel pareva essere estraneo a tutta quella bellezza, guardava
intensamente il lago e nessuna emozione gli traspariva dal volto. Era
come se, mentre tutti gli altri guardavano il lago nelle parti
illuminate dal sole e quindi si sentivano trasmettere calore, lui
guardava le parti in ombra del lago, la superficie scura e fredda che
non veniva toccata dal riverbero. La sensazione era la stessa di essere
trafitto da mille coltelli.
***
Dopo aver viaggiato fino a sera Rebecca decise che era arrivato il
momento di trovare un buon posto per dormire. Aveva galoppato con il
suo cavallo per ore lungo vasti e infiniti campi verdeggianti con il
sole arancio che tramontava di fianco a lei in uno spicchio tagliato
dal paesaggio. Cominciava a sentire la stanchezza, avrebbe potuto
continuare a viaggiare ma i piedi e la schiena le dolevano troppo.
Frenò il cavallo e questo smise di correre,
trotterellò tranquillamente verso un’oasi fiorente
racchiusa da dei salici piangenti. Rebecca spostò con
ammirazione i cadenti rami dei salici ed entrò dentro la
radura con il cuore che le batteva all’impazzata.
Smontò dal suo cavallo e legò le redini attorno
al grosso tronco di un salice. Fece qualche passò in avanti
con gli occhi spalancati per lo stupore. L’oasi nella quale
era entrata era di una meraviglia struggente, il verde smeraldo
dell’erba corta e morbida, il tocco suggestivo dei rami
cascanti dei salici, il piccolo e ovale specchio d’acqua
dolce al centro della radura, la luna che si alzava nel cielo, il sole
calante che moriva oltre i campi d’oro.
S’inginocchiò sulla placida superficie del
laghetto e raccogliendo le mani a coppa bevve lunghe sorsate di
un’acqua fresca e inebriante che le saziò subito
la sete. Si pulì la bocca con una mano e raggiunse il suo
cavallo che aveva iniziato a nitrire e a scalciare. Gli diede una mela
che teneva dentro la sua sacchetta legata in vita e subito
l’animale si fece calmo, dopo aver mangiato il frutto si
sedette sulle zampe posteriori e poco a poco si accucciò con
tutta l’intenzione di dormire per riprendersi dalla fatica
del viaggio.
Rebecca andò a prendere dei rametti secchi per accendere un
fuoco, tornò dopo pochi minuti e gli mise a terra vicino al
laghetto. Con un incantesimo appiccò il fuoco che pian piano
si espanse e divenne una grande fiamma. Si crogiolò accanto
al fuoco e si scaldò le mani, battè i piedi per
terra e si dondolò sul posto. Era scesa la notte, ormai era
buio. Il cielo era sereno, puntellato da una moltitudine di stelle
brillanti e argentate, l’aria era fresca e sapeva di
libertà.
Fece per chiudere gli occhi, sopraffatta dal sonno, quando
sentì lo scricchiolio di un ramo spezzarsi. Alzò
di scatto la testa verso il punto in cui aveva sentito il rumore. Con
la mano toccò l’impugnatura della spada che
portava sempre allacciata alla cinghia dei pantaloni, trattenne il
fiato e aspettò.
Comparve la figura di un vecchio viandante. Rebecca rilassò
i muscoli e riprese a respirare regolarmente. Era soltanto un vagabondo
che come lei approfittava di quell’angolo di paradiso per
sostare durante la notte. Aveva una faccia simpatica, rugosa e smilza,
con un grande e generoso sorriso che gli scavava delle tenere fossette
agli angoli della bocca. Gli occhi verdi esprimevano allegria e tutto
di lui faceva pensare ad un artista, infatti il corpo slanciato e
troppo magro portava alle spalle un vecchio mandolino in legno scuro.
Nonostante il viandante l’avesse vista non sembrava per nulla
sospettoso o impaurito, con un caro sorriso la salutò e si
avvicinò a lei.
“Posso sedermi accanto a te?” le chiese indicando
il fuoco.
Rebecca acconsentì con piacere. “Certo, vieni pure
a godere di questo calore”
Il vecchio si lasciò cadere pesantemente a terra e con un
sospiro esausto si tolse dalla schiena il mandolino che
appoggiò dolcemente a terra, come fosse un prezioso tesoro
di cui andava fiero.
“Dove è diretto?” gli domandò
la ragazza visibilmente incuriosita.
“Nel più grande e florido villaggio di Chenzo: la
contea di Moonlight” rispose solennemente.
Rebecca mormorò un “oh” ammirato.
“Ne ho molto sentito parlare ma non ho mai avuto la fortuna
di andarci. Dicono che sia un regno bellissimo, pacifico e
allegro”
“Esatto! Ed è la che mi aspettano”
“Che ruolo ricopri in quella contea?”
Il vecchio gonfiò il petto in un gesto fiero e orgoglioso.
“Sono il menestrello della famiglia Colton”
“Colton?”
Il menestrello la guardò accigliato come se fosse pazza.
“La famiglia Colton è la più ricca e
antica famiglia della contea. Ne detiene il potere ed è
vista come una sorta di famiglia reale, se così si
può dire. Viene trattata e onorata con lo stesso rispetto al
quale si mostrerebbe ad un re”
“Rimane comunque un pensiero inutile per me. Ho altro a cui
pensare che andare a cantare e suonare alla corte di una ricca
famiglia”
Il vecchio abbassò lo sguardo e ingoiò un groppo
amaro in gola. “Parli come se fossi una regina in questo
regno”
Rebecca puntò gli occhi sull’uomo con sguardo
offeso e infuriato. “Tu nemmeno ti rendi conto con chi stai
parlando, vecchio” sibilò.
“E con chi sto parlando? Se mi è consentito
sapere?”
Rebecca grugnì e spostò lo sguardo per posarlo
sul fuoco. “Stai parlando con qualcuno che non vuole che si
giochi col fuoco”
“Io comunque mi chiamo Yago” disse con un sorriso e
tese cordialmente una mano verso la ragazza che rifiutò di
stringere.
“Io sono Rebecca”
Con un solenne assenso del capo il vecchio abbassò gli
occhi. Yago ammirò il suo duro profilo pensieroso e febbrile
e si portò una mano alla bocca come a voler trattenere una
risata. Si morse la lingua per non ridere e scaldò le mani
ghiacciate davanti al fuoco, massaggiandosele di tanto in tanto.
Dopo quelle che alla ragazza parvero ore il menestrello
parlò. “Dove stai andando, lontana da
casa?”
Rebecca inarcò le sopracciglia. “Come fai a sapere
che sono lontana da casa? Per quello che ne sai potrei anche essere una
vagabonda senza tetto né casa”
Senza volerlo Yago fece scorrere lo sguardo dal suo viso fino alla
cinghia dei pantaloni che reggeva la spada. Imbarazzato, distolse
subito lo sguardo. “Lo dicevo per dire, hai
ragione”
“In ogni caso la tua osservazione era esatta. Sono lontana da
casa e prima di tornarci devo intraprendere un viaggio per conto
mio”
“A quale scopo? Se non sono troppo
invadente…”
“Lo sei”
“Scusami, ora me ne sto zitto”
“Il fatto è che sono stufa. Stufa! Stufa di dover
far sempre quello che mi dicono di fare, non ne posso più!
Mi sento frustrata, in gabbia! Sebbene tutte quelle persone mi vogliano
bene non fanno altro che innervosirmi, con i loro discorsi, le loro
pretese, i loro divieti…lo sai qual è la loro
ultima esigenza? Che io mi stacchi dal ragazzo che amo! Mi vogliono
privare dell’amore perché pensano che possa essere
una sorta distrazione, di debolezza! Come possono chiedermi di essere
gentile, carina, ubbidiente se loro mi tolgono tutte le mie
libertà? Compresa la voglia di amare e di vivere a modo
mio?”
“Quindi te ne sei andata per…?”
“Far chiarezza su quello che secondo me è giusto
che faccia”
“Te ne vai sulle montagne innevate?”
Rebecca si fece stupita. “Come lo sai?”
Yago sorrise. “È il posto ideale per pensare ed
avere degli attimi di pace. Peccato solo che sia praticamente un posto
desolato, gelido, che non permette all’uomo comune di
dimorarvi”
“Io non sono una persona comune” ci tenne a
sottolineare. “Potrò finalmente trovare un angolo
di pace tra quelle montagne inospitali senza il bisogno di patire la
fame, la sete, la stanchezza o il freddo”
“Forse sei davvero una regina per questo pianeta”
“Se fossi davvero una regina non mi sentirei un mostro in
questo momento”
“Perché ti senti un mostro?”
domandò con voce gentile. “Cos’avrai mai
fatto per essere così crudele?”
“La domanda corretta non è cos’ho fatto
io di tanto crudele ma cosa gli altri hanno fatto di tanto meschino su
di me da rendermi crudele come loro” disse, con una tale
tristezza negli occhi che impietosì il menestrello.
Yago le mise una mano sulla spalla e l’accarezzò
per un po’, finchè non vide che poteva. Al minimo
segnale della ragazza abbassò la mano e la lasciò
appoggiata a terra. “C’è tanto di quel
dolore a questo mondo che neanche t’immagini, ragazza mia.
Per le persone è più facile essere sottomesse,
provare odio, disprezzo…da tempo si sono arresi tutti ed
è più facile così. Perseguire per la
via del Bene richiede un enorme sacrificio. Bisogna essere forti,
immensamente buoni, ci si deve mettere al servizio della gente.
Potrà sembrare un lavoro inappagato, ingrato, un intervento
inutile poiché nessuno verrà a ringraziarti ma la
fierezza che provi nell’essere un paladino del Bene, la
bontà che senti scorrere nelle vene, l’amore
platonico verso questo pianeta corrotto e in decadenza…sono
sentimenti indescrivibili che rendono di te un vero eroe e non un
mostro che obbedisce ad un altro mostro. Essere amati per il bene che
si fa e non essere temuti per il male che si commette”
Rebecca rimase a guardare il vecchietto di fianco a lei con il volto
stupito. La bontà che emanava il suo viso pieno di rughe, i
suoi occhi luccicanti per l’amore traboccante che
trasmetteva, il respiro rauco e affannoso per la fatica di portare
tutti quegli anni sulle spalle. Era una persona meravigliosa, saggia e
paterna.
La ragazza si sentì salire un groppo in gola,
percepì i suoi occhi inumidirsi e sciogliersi in quelli
acquosi e vecchi di Yago. Gli prese la mano tra le sue e con tutta la
sincerità di cui era capace gli mormorò un
“grazie”. Yago sorrise e scosse la testa.
“Non c’è di ché, a questo
mondo fanno sempre bene i consigli di un vecchio pazzo”
“I tuoi consigli non possono essere considerati quelli di un
pazzo, grazie a te ho già riacquistato una parte di me
stessa. Grazie ancora, Yago”
“Spero vivamente che tu possa trovare quello che stai
cercando, Rebecca” le disse, e con uno scricchiolio di ossa
si alzò in piedi e si stiracchiò le gambe.
“Dove vai?” domandò allarmata la ragazza
vedendolo prendere il mandolino e caricarselo sulle spalle.
Yago le regalò un generoso sorriso. “Me ne vado.
Proseguo sulla mia strada, il mio compito qui è stato
portato a termine”
Detto ciò la salutò con un cenno della mano e se
ne andò. Poco prima che sparisse oltre il folto della
vegetazione Rebecca gli chiese: “Tu mi conosci,
vero?”
“Sei l’angelo. Come potrei non averti
riconosciuta?”
“Un’altra domanda! Sei davvero un
menestrello?” urlò.
Il vecchio sorrise e intonando una vecchia canzone scomparve oltre i
salici piangenti.
***
Era passata una settimana da quando Gabriel era tornato a casa. La
solitudine che provava ogni giorno, in ogni singolo momento, era pari
ad un’agonia soffocante che lo rendeva passivo e scontroso.
Quando arrivò a casa dopo la missione e gli zoccoli del suo
cavallo toccarono i ciottoli delle strade del villaggio un moto di
ansia lo invase, tanto che scese da cavallo con un balzo e
scappò via. Nessuno lo vide per tutto il giorno. La faccia
sbalordita che Rosalie rivolse a Bastian nel vedere il fratello
andarsene portò il capo-villaggio a scuotere la testa e a
mormorare il nome di Rebecca. La ragazza impallidì e si
portò una mano alla bocca. Bastian ebbe un tremito e,
animatamente, mosse le braccia come per dire: “no,
stà bene. Non è morta”. Rosalie ebbe la
saggia pazienza di aspettare Gabriel prima di fare domande.
Abbassò la testa e tornò a casa accompagnata dai
figli e da Denali che borbottava continuamente frasi come:
“che succede?”, “si tratta di
Rebecca?”, “non è ferita,
vero?”, “cos’ha tuo fratello?”
o “perché diavolo non mi vuoi
rispondere?!”.
Bastian sospirò gravemente e guardò il punto in
cui Gabriel era scomparso, oltre i pini che circondavano il villaggio.
Spronò il cavallo e marciò a gran furia verso la
sua capanna, ignorando le domande allarmate della gente o gli inni di
gioia al suo passaggio. Avevano vinto ma nessuno sembrava riuscire a
godersi appieno il successo. Soltanto il giorno dopo arrivarono alle
orecchie di Bastian richieste di colloquio per sapere come mai non si
vedeva Rebecca dal ritorno della missione e, soprattutto,
perché non era rientrata con loro. Il capo-villaggio
negò a tutti il permesso di essere ricevuti e
parlò a gran voce la sera stessa nel centro della piazza
gridando che Rebecca se n’era momentaneamente andata. Aveva
voluto essere franco e sincero con la gente del villaggio, non gli
andava di raccontare bugie per coprire la sua fuga. Disse chiaro e
tondo il motivo di quell’abbandono e ci tenne a sottolineare
che era una situazione temporanea. Che sarebbe tornata, entro breve.
Per calmare la paura e il caos che si era creato tra la folla, Bastian,
si fece aiutare da Gabriel che parlò a nome di Rebecca a
tutti i presenti, ripetè le stesse identiche parole che lei
gli aveva detto poco prima di lasciarlo per i monti innevati. Gli animi
spaventati delle persone si calmarono e la maggior parte di loro
capirono le sue motivazioni e apprezzarono Rebecca per la sua
sensibilità. Altri invece rimasero zitti con le labbra
serrate per la rabbia, probabilmente si sentivano troppo feriti.
Avvertirono quel gesto di abbandono come un segno definitivo
dell’orribile destino che gli attendeva e dal quale non
potevano più scappare. Dopo aver parlato Gabriel scese dal
palchetto e se ne andò a casa a dormire, ogni tentativo dei
suoi amici di fermarsi a parlare con loro fu vano e inutile. Era
tornato il giorno prima e n’ancora aveva parlato con loro.
Rosalie, Denali, Kevin, Delia, Emma, Ian…avevano dovuto
apprendere l’accaduto come tutti gli altri e come tutti gli
altri erano stati colti da una profonda pena e compassione per Gabriel.
Durante i primi giorni si poteva vedere nel villaggio un alone nero che
vi vorticava intorno, tanto cupo e nero era l’umore della
gente. Il lutto delle famiglie dei soldati morti, l’abbandono
di Rebecca, la depressione di Gabriel, la tristezza dei suoi amici, lo
sconforto di Bastian…tutte queste cose crearono
un’aria di amarezza che si abbatté
sull’intero villaggio. Passata una settima la situazione
parve cambiare leggermente, ma non di molto. Rosalie passava ogni
maledetto giorno davanti alla casa di Gabriel e i balconi erano sempre
chiusi, la serratura bloccata e il cancelletto del vialetto incatenato.
Con grande felicità della ragazza tre settimane dopo Gabriel
la venne a trovare a casa. Lo fece entrare con un sorriso a
trecentosessantacinque denti, tanto che si sarebbe messa a piangere
dalla contentezza. Cenò da loro e dopo aver mangiato
giocò con i figli sul tappeto del salotto, e con una scusa
se ne andò la sera verso le nove. La ragazza non aveva
voluto entrare nell’argomento “Rebecca”
ma il fatto che finalmente si era deciso ad uscire da quella casa
troppo piena di ricordi e profumi era già qualcosa.
Salutò la famiglia della sorella con un sorrisino divertito,
poi sbattè la porta prima di uscire. Rosalie
riaprì la porta e lo sbirciò dalla fessura, lo
vide camminare con le mani in tasca e il passo prepotente lungo il
vialetto. Richiuse la porta e andò ad abbracciare Denali che
la stava fissando dal bancone della cucina.
Il giorno seguente Gabriel invitò tutti i suoi amici a casa
sua per mangiare qualcosa, arrivarono in gruppo verso mezzogiorno,
ciascuno con qualcosa di buono da mangiare. Delia aveva fatto una torta
ai mirtilli mentre Rosalie aveva portato delle tartine con delle salse
per gli antipasti. A tutto il resto ci aveva pensato Gabriel che si era
improvvisato cuoco all’ultimo momento, doveva aver letto da
qualche parte che l’arte culinaria aiutava a scacciare i
cattivi pensieri. La giornata trascorse tranquillamente, Gabriel si era
dimostrato allegro e un gran chiacchierone. Ogni tanto il pensiero su
dove fosse in quel momento Rebecca c’era, e allora tutti
abbassavano lo sguardo intimoriti dalla profonda carica emotiva degli
occhi del ragazzo. Rebecca doveva essere già da un pezzo
arrivata alle montagne innevate.
La domanda che picchiettava la testa di Rosalie era come diavolo aveva
fatto a scegliere quel posto. Non era altro che un luogo di morte,
bianco dalle cime fino al profondo delle tenebre sotterranee, rocce
scure appuntite e chiazzate di neve, un grande fiume ghiacciato e il
cielo piovigginoso.
Anche Gabriel, come la sorella, non si spiegava il motivo della scelta
di quella meta. Tamburellava con le dita la superficie del tavolo
quando calava un improvviso silenzio, era in quei momenti che si
sentiva addosso una rabbia sconvolgente. Fremeva dalla voglia di
partire e di andare a cercarla, anche solo per vedere come stava. Anche
solo per rivedere il suo viso. Dopo aver parlato a Bastian di questo
suo desiderio il capo-villaggio l’aveva messo in guardia, gli
aveva suggerito di non partire prima dei tre mesi. Anche Bastian era in
pena per la ragazza, approvava in pieno l’idea di andare a
riprendersela seduta stante ma s’impose di aspettare.
Consigliò a Gabriel di fare lo stesso ma se entro tre mesi
non sarebbe tornata gli aveva dato il permesso di partire.
Tre mesi.
Ormai era passato un mese. Un mese buttato al vento perché
non aveva fatto altro se non starsene in casa a meditare e a dormire.
Solo negli ultimi giorni aveva tirato fuori le unghie. Si era sempre
reputato un ragazzo forte che non perdeva mai la testa, questo
però al di fuori del suo rapporto con Rebecca. Se veniva
ferito o allontanato dagli altri poteva sopportarlo e mettersela via ma
se veniva lasciato, respinto o deluso da Rebecca era come se tutto il
suo corpo e la sua anima si frantumassero in mille pezzi. E non aveva
neanche la voglia di alzarsi dal letto. Lo sconvolgeva sempre questa
verità.
Si alzò da tavola e andò al lavabo per fare i
piatti. I suoi amici parlavano e ridevano ma lui aveva smesso di
ascoltarli.
Meno due
mesi.
***
Rebecca si sentì come aveva immaginato: congelata. Si
trovava nel bel mezzo di un valico racchiuso dalle cime innevate.
L’aria era talmente fredda e pungente che le sembrava di
sentire la pelle sgretolarsi e staccarsi dalla faccia. Gli angoli della
bocca erano pieni di tagli e il naso era di un rosso cremisi.
L’aria che buttava dentro i polmoni quando respirava sapeva
di ghiaccio e di lama affilata, la gola iniziava a pruderle e a dolerle
immensamente. Sulle sue ciglia lunghe e scure si erano formati dei
cristalli di brina che andavano ad incorniciare anche le sopracciglia
inarcate. Le nocche delle mani erano infiammate e raggrinzite, se le
chiudeva a pugno la pelle si apriva e uscivano puntini di sangue. Il
cambiamento di clima era avvenuto senza preavviso, questo per cogliere
di sorpresa il povero viandante che mai si sarebbe aspettato di
trovarsi, dopo un cammino in salita tra freddo e neve, in un posto
ancora peggiore.
Con sguardo tra il misto e l’incazzato Rebecca
squadrò il paesaggio. In alto vedeva le cime delle catene
montuose, di lato a destra e a sinistra s’innalzavano le
pareti rocciose, davanti a sé un passaggio dritto che si
perdeva all’orizzonte. Sotto di lei, un fiume ghiacciato.
Mosse i piedi per spostare il basso strato di neve e vide
l’acqua scorrere sotto il blocco di ghiaccio. Non aveva paura
di cadere dentro l’acqua, confidava che il ghiaccio non
sarebbe ceduto al suo passaggio.
Emise un debole ringhio. A quanto pareva la natura voleva prendersi
gioco di lei, era sempre felice di portarsi via qualche vita umana. Il
fiume congelato, il freddo assiderante e l’assenza di acqua e
di cibo assicuravano una morta certa.
La natura era crudele e meschina.
E poi parlano tanto
della cattiveria degli uomini…
Rebecca cominciò a sentire i propri polmoni bruciare e al
tempo stesso congelare. Faceva sempre più fatica a mandar
giù l’aria dalla gola riarsa e secca.
Qui è dove
finisce la vita di un uomo, pensò mentre
cadeva a terra priva di forze e di fiato.
Fece scivolare la faccia sulla lastra di ghiaccio, poco a poco si
distese per terra con un’innaturale lentezza.
Abbandonò la facoltà del movimento e si
afflosciò al suolo come morta, poteva percepire la gelida
fitta del freddo succhiarle la vita che aveva in corpo. Con gli occhi
pesanti e sofferenti guardava dritto davanti a sé, erano
persi a fissare chissà cosa.
Poi, tutt’un tratto, sbattè le palpebre un paio di
volte e si alzò in piedi pulendosi la divisa dalla neve. I
suoi occhi erano tornati vispi e attenti, un grazioso colorito rosato
le imperlava le guance, le ciglia erano pulite e le sopracciglia
disegnavano un arco perfetto e nero. Le mani erano calde
così come tutto il resto del corpo, le sue labbra erano
piene e morbide, rosse come una rosa. Respirava regolarmente e con
tranquillità, i polmoni si gonfiavano e si contraevano,
liberi da un peso schiacciante come quello del freddo. La gola era
calda e non le faceva più male. Si tolse il mantello che
aveva addosso e lo lasciò cadere a terra.
Qui è dove
continua la vita per una come me, pensò, piena
di un sinistro orgoglio selvaggio.
Era bello essere speciale ma ancor di più era bello sentire
di esserlo. Per quanto le mancava casa, per quanto volesse toccare il
corpo di Gabriel e stringerlo forte, era sicura che avrebbe saputo
resistere. Il viaggio per arrivare era stato più lungo del
dovuto, ormai era quasi passato un mese. Non aveva ancora fatto conto
di quanto sarebbe rimasta.
Incrociò le gambe e si sedette in posizione di meditazione:
i gomiti appoggiati alle ginocchia, la schiena ritta, le gambe
incrociate e gli occhi chiusi. Non sentiva il freddo della neve sotto
il corpo, il vento non le graffiava il volto, e così
riusciva a pensare e a concentrarsi meglio.
Perché sei
venuta qui?
Ho bisogno di pensare,
è da troppo tempo che la mia anima è spezzata in
due parti. Provo desiderio a ritornare me stessa, a sentirmi integra e
intatta.
Come ti senti, ragazza
mia?
È come se il
mio corpo ospitasse due forze opposte e nemiche. Per quanto io riesca a
far prevalere la parte buona c’è sempre
l’altra parte, quella cattiva, che spinge con prepotenza
sull’altra per sovrapporsi ad essa. So di essere un angelo
del Bene, dentro di me scorre amore, obbedienza, disciplina e
bontà. Ma alcune volte sento anche di voler evadere, di
sentirmi più libera, c’è quel bisogno
di infrangere, di ribellione che preme per venir fuori. In poche
parole, il Bene e il Male mi stanno contendendo.
E tu lo sai
perché?
Certo. Una volta Gabriel
mi ha detto che per diventare angeli bianchi si viene messi sotto
esame. Ogni angelo, essendo un essere potente e carico di magia,
è continuamente contrastato dalle due forze benigne e
maligne. Solitamente il lato oscuro è molto più
gettonato, e qui la voce si mise a ridere, è così
affascinante che è dura resistergli.
Lo so.
E quindi un apprendista
diviene angelo bianco se riesce a superare la prova delle due forze.
“Rinnega il Male, abbraccia il Bene”,
pensò Rebecca con un ridolino.
Quindi tu credi che io,
simbolo del peccato mortale, sia la tua prova personale da superare?
Sì, credo che
tu sia frutto del Male. Non sei altro se non un suo messaggero di morte
che è venuto a tormentare la mia coscienza per convincermi
ad unirmi a voi.
La voce emise uno sbuffo divertito.
Ti prendi gioco di me?
pensò con tranquillità la ragazza.
Penso solo che tu stia
andando completamente fuori strada.
Non è forse
così? E se così non fosse, cosa saresti?
Sentiamo.
La voce non si fece sentire e lei continuò con i suoi
pensieri. Appunto. Non
parli. Chi tace acconsente. Ecco perché sono venuta qui,
fuori dal mondo e in pace con me stessa.
Perché?
Perché
sarà in questo posto dimenticato da Dio che io ti
sconfiggerò. E poi tornerò a casa completamente
pulita e pura, diventerò un angelo bianco. Di te, del Male,
non ci sarà più nessuna traccia. Hai fallito.
Che sciocca ragazza che
sei…io non sono un messaggero del Male. Non sono
imprigionato dentro il tuo corpo per metterti alla prova. Il mio
compito è fine a me stesso ma durante il mio viaggio tu
cambierai e verrai con me. Sei solo una pedina Rebecca, ma una pedina
utile dato che quando avrò finito di abusare del tuo corpo
tu sarai incondizionatamente un’alleata del Male.
In uno scatto d’ira Rebecca si alzò da terra, i
muscoli talmente tesi che vibravano. Stava compiendo uno sforzo immenso
nel trattenersi dal prendere a calci tutto.
Tu non oseresti,
lo minacciò.
Per quanto ormai sono
costretto a tenere alla tua vita sono una creatura molto egoista e
crudele. Perciò non volermene se penso prima di tutto ai
miei affari che non alla tua vita, tesoro. Ma non preoccupartene, sarai
felice con me.
“Ora basta”
Rebecca si voltò e fece per andarsene quando i suoi piedi
vennero bloccati. Provò con tutte le sue forze a camminare,
ad ordinare ai suoi piedi di muoversi ma niente da fare. Rimase ferma
con un piede davanti all’altro.
“Che mi hai fatto?!” urlò fuori di
sé.
Per quanto difficile sia
posso in minima parte controllare il tuo corpo. Se lo voglio, posso
manipolare le tue azioni.
Lasciami andare o ti
ammazzo!
Lasciarti andare?
Affinché tu ritorna al villaggio e dica a tutti quello che
hai appena scoperto? No, non ci penso nemmeno. D’ora in
avanti se proverai solo a parlare a qualcuno di questa storia
sarò costretto ad intervenire controllando il tuo corpo in
modo che te ne stia buona e zitta.
“Ma che vuoi? Non sei un messaggero, non sei la mia
coscienza, non sei la voce di uno spirito né di un mago. E
allora chi diavolo sei?!” esclamò con tutta
l’aria che aveva in corpo.
Sentirsi minacciata e attaccata in quel modo la fece tremare di paura.
La voce non parlò ma ghignò.
Rebecca si buttò a terra e pianse. Battè un paio
di volte la fronte contro la dura lastra di ghiaccio e mentre si
copriva gli occhi con le mani dava sfogo al suo tormento. Ormai scossa
dai singulti e annebbiata dalle lacrime ascoltò la voce
più cattiva che mai.
Smettila di piangere.
La ragazza pensò a Gabriel, al fatto che era rimasta zitta
fino a quel momento. A quanto avrebbe voluto raccontargli tutto e
ricevere il suo protettivo e rassicurante aiuto. Al casino in cui si
era cacciata mantenendo il silenzio. A tutte le persone che avrebbe
deluso e abbandonato, all’amore che avrebbe dovuto rinunciare
e rifiutare. Alla vita solitaria e sofferente che avrebbe intrapreso.
Era in trappola, nessuno poteva più aiutarla. Era destinata
a seguire quell’oscuro destino e l’impotenza
nell’agire la faceva impazzire.
Smise di piangere e puntò gli occhi dritta di fronte a
sé. Le sue iridi erano due pozzi neri e furiosi,
inarcò il labbro superiore in un ringhio.
Ho capito chi sei,
bastardo.
Ora sfotti, pure?
Non avrò
più il controllo del mio corpo, sarò anche
obbligata a non farne parola con nessuno ma sappi che in un modo o
nell’altro farò sì che qualcuno venga a
conoscenza del nostro segreto. Se non potrò essere io ad
ucciderti lo farà un’altra persona. Se mi vuoi al
tuo fianco ci sarà qualcuno che mi ucciderà prima
che distrugga con te questo mondo. Se il mio destino sarà
quello di diventare un angelo nero per colpa tua ci penserà
Gabriel a porre fine alla mia vita. In ogni caso, hai perso.
Dipende dai punti di
vista, Aidel. Per quello che mi riguarda ho vinto. Ti conosco
abbastanza per poter affermare con assoluta certezza che nessuno,
né in cielo né in terra, sarà mai in
grado di ucciderti. Farò di te il più grande
angelo mai esistito e neppure l’arcangelo Gabriele
riuscirà a fermare le tue piaghe: o sarà troppo
debole per sconfiggerti o l’amore non gli
permetterà di mettere fine alla tua vita.
Spaventata dalla verità di quelle parole, conscia di poter
diventare quell’essere così forte e promettente,
abbassò le mani in segno di resa. La guerra che stava
avvenendo dentro di lei e che vedeva come nemici due anime potentissime
non si sarebbe conclusa tanto presto.
Era solo l’inizio.
L’inizio della fine di un’era.
Rebecca vacillò sul posto, svuotata di ogni emozione. La
voce sembrò muoversi, quasi stiracchiarsi, dentro il suo
corpo di donna. Le parve ridicolamente di sentirla sbadigliare.
Posso sapere le tue
teorie a proposito della mia identità? Sono sicuro che ogni
hai capito chi sono ma voglio sentirtelo dire ad alta voce.
Sarò la tua condanna e il tuo biglietto per
l’immortalità.
“Sei mio padre”
***
Camminando come se niente fosse in mezzo al fiume ghiacciato con
parecchi gradi sotto lo zero, Rebecca tentava di raggiungere un posto
in cui rifugiarsi. Dopo aver rivelato l’identità
di suo padre nella voce che da mesi la stava assillando era in uno
stato di shock. Si sentiva tanto un topolino indifeso braccato dal
gatto selvaggio e affamato.
Quanto avrebbe voluto chiedere aiuto…
Si morse l’interno della guancia per non urlare.
Spostò gli occhi ancora lucidi di pianto per controllare il
territorio attorno a lei, non c’era nessuno grazie al cielo.
Stava calando la sera e avvertì per la prima volta, dopo
l’incantesimo, un brivido di freddo. Indossò il
suo mantello candido e rilegato di strisce marroni con il cappuccio e
l’interno in puro pelo caldo e morbido. Sembrava una regina
delle nevi, il suo pallore (dovuto in parte all’orrore che
provava) faceva apparire la sua pelle una superficie di liscio e freddo
marmo. Raccolse i capelli in una coda alta e i ciuffi le ricaddero
morbidi fino alla schiena. Strinse con forza l’elsa della
spada per farsi coraggio e sentirsi meno inerme, meno disarmata.
Guardò con un moto di speranza e abbandono il sole che
calava oltre le montagne, lo vedeva tramontare tra due picchi e i raggi
che penetravano dal valico inondavano la pianura ghiacciata
riflettendosi sui cristalli di neve. La sensazione di solitudine la
portò a desiderare di essere a casa sua ma non poteva
andarsene senza scatenare l’ira di suo padre. Gli ordini
erano stati chiari: avrebbe lasciato le montagne innevate solo quando
gliel’avrebbe concesso lui. Rebecca non capiva ancora il
motivo per cui Mortimer voleva tenerla lì ma ovviamente
doveva avere le sue ottime ragioni per farlo. Dalla loro ultima
conversazione nella quale la ragazza gli aveva detto apertamente chi
era, suo padre si era successivamente fatto sentire più
volte, ma ogni volta lei lo aveva ignorato. Sperava che con
l’indifferenza l’avrebbe lasciata in pace, credeva
(stupidamente) che con la giusta dose di apatia se ne sarebbe andato. E
in più, in tutta franchezza, non aveva per niente voglia di
ascoltarlo. In quel momento lo odiava.
La costrinse a fermarsi. Rebecca fece una smorfia contrariata.
Lassù.
C’è una caverna.
Con scocciatura guardò alla sua destra e notò
che, incavata dentro la parete della montagna, si trovava una grotta.
Era piuttosto in alto e non c’erano né scale
né appigli per salirvi. Schioccò la lingua con
disprezzo e sollevò le sopracciglia. Corse incontro al muro
di pietra e si slanciò in avanti con le mani protese, pronte
ad afferrare la parete di roccia. Con una serie di balzi si
arrampicò fino in cima e quando toccò con le mani
il suolo piatto e rientrante della caverna fece una verticale e
finì in piedi a guardare l’entrata
dell’antro. Le ci vollero pochi istanti per capire che la
grotta non era un tunnel o un cunicolo: a pochi metri da lei la caverna
terminava con una frana. Si appoggiò con la schiena alla
parete umida e scivolosa e si lasciò cadere lentamente fino
a racchiudere la testa dentro le ginocchia tenute strette al petto.
Sapeva con certezza che quella altro non era se non una prova sadica di
Mortimer. Gli doveva infatti far piacere l’idea di tenere
rinchiusa sua figlia dentro una cavità senza cibo
né acqua. Senza contare che l’incantesimo per
tenerla al caldo l’avrebbe poco a poco indebolita e allora
sarebbe stata costretta ad annullarlo pur di non esaurire le forze.
Così si sarebbe trovata a morire di freddo senza la minima
forza in corpo, affamata e assetata.
***
Trentacinque giorni erano passati da quando Rebecca aveva trovato
rifugio dentro alla caverna e da allora non si era mossa da quel posto.
Il suo corpo non aveva cambiato posizione, era rimasta contro la dura
parete rocciosa con la testa fra le ginocchia, impasse. Sapeva di dover
aspettare per andarsene e aveva deciso di farlo nella totale
passività e agonia. Non mangiava né beveva da
più di un mese. Non si sentiva più i muscoli
delle gambe e faticava a credere di riuscire a camminare una volta in
piedi. Con uno sforzo sovrumano alzò la testa e
aprì gli occhi. Non c’era luce ma rimase comunque
abbagliata, gli occhi le bruciarono e fu costretta a richiuderli in
fretta prima di iniziare a lacrimare. Fece un paio di conti mentali e
gemette quando calcolò il tempo che aveva passato in quelle
condizioni. La voglia di alzarsi era tanta ma le mancava la forza per
farlo. Ormai l’incantesimo che la stava tenendo al caldo
andava via via scomparendo. Sentiva sempre più freddo ogni
giorno che passava.
La magia che continuamente da un mese la proteggeva iniziava a
richiedere troppa energia. Rebecca tremò quando
tentò di aumentare la potenza dell’incantesimo, un
rivolo di sudore le scivolò sulla tempia. Si
afflosciò e rinunciò a continuare con quella
sofferenza.
Stanca di sentirsi sempre più debole annullò
d’istinto l’incantesimo. Un getto di gelo la
raccolse e la micidiale morsa del freddo la lasciò senza
fiato in gola. Sperava di riuscire a riacquistare le forze perdute
prima che il freddo la congelasse a morte. Si distese sul terreno della
caverna e cercò di farsi caldo soffiando dentro al mantello.
Così ti
ucciderai. Morirai assiderata entro la notte.
Meglio così,
ringhiò con il pensiero, almeno morirai con me.
È questa la
tua tattica? Cercherai di farti ammazzare per poter uccidere anche me?
È sempre
meglio di niente.
Allora ti ordino di
ritornare a casa. Ora.
Stringendosi ancor di più dentro l’interno peloso
del mantello scosse la testa.
Ammetto che sei forte,
padre. Ma ho affermato la mia potenza su di te quando ti ho ucciso una
volta. Puoi controllare in parte il mio corpo ma non quando vuoi, ogni
volta che lo vuoi. Ho pur sempre più padronanza di te con il
mio corpo.
Quindi io rimango qua e se sarà necessario
morirò. Accetto con gioia il mio destino.
Bah! Non
permetterò che una stupida ragazzina rovini entrambe le
nostre vite! Non stà a te decidere per me!
Rebecca non aveva mai
sentito la voce così infuriata come in quel momento.
Sai
com’è, sono una creatura egoista e crudele. Prima
della tua vita penso alla mia.
Ah, quanto ti
adoro…è così che si dice.
Piantala.
Senti tesoro, fa quello
che credi. Ci penserò io a farci tirar fuori di qui.
Potrebbe essere troppo
tardi quando…
La voce della ragazza si smorzò nel momento in cui una fitta
la colpì allo stomaco facendola contorcere per terra come in
preda ad uno spasmo. Le scappò un grido.
Ecco vedi, stai
già morendo. Il freddo sta bloccando le tue funzioni vitali.
Riaprendo gli occhi più volte per riacquistare la vista
Rebecca piagnucolò tenendosi una mano premuta contro
l’addome. Un bruciore insopportabile la stava divorando, il
suo stomaco vuoto reclamava del cibo e dell’acqua. Per il
freddo continuava a tremare e rotolava da una parte all’altra
per non far addormentare gli arti.
Stava morendo.
Mancavano poche ore ormai. Poteva sentire il sangue, le vene e gli
organi congelarsi e immobilizzarsi. Udiva il pompare sempre meno
frequente del cuore e la fatica che faceva tra una contrazione e
l’altra. Smise di lottare e restò a terra
paralizzata in posizione prona con la guancia destra premuta contro il
suolo gelato. Le parve di percepire i tentativi di suo padre di
impossessarsi del suo corpo per farla alzare e scappare a gambe levate.
Quando anche Mortimer si accorse che non c’era più
nulla da fare, che sua figlia stava per esalare l’ultimo
respiro, ricorse all’unico, immediato metodo che gli venne in
mente.
***
Gabriel era a letto che dormiva già da un po’ di
ore. Non aveva nulla da fare quella sera ed era stufo, senza la minima
esitazione si era buttato a letto vestito e aveva preso sonno nel giro
di pochi minuti. Subito un flusso di ricordi, pensieri e immagini si
materializzarono a formare un sogno. Era un sogno particolare,
piacevole.
Stava
correndo in un campo verde con l’erba alta che gli
solleticava i polpacci, davanti a sé il sole stava calando e
tutto il paesaggio era un insieme di colori che andavano
dall’arancione, al verde, al dorato, al marrone. Un tramonto
che toglieva il respiro. E lui correva, felice, e rideva tanto che gli
facevano male i muscoli della pancia. Non correva dritto ma saltellava
da una parte all’altra come per aggirare qualcuno che cercava
di colpirlo da dietro. Con in volto un sorriso raggiante si
voltò e guardò Rebecca. La ragazza
ricambiò con un solare sorriso, i denti scoperti e la bocca
tirata mentre rideva. Tentò di allungare un braccio per
prenderlo ma Gabriel aumentò la velocità e la
presa mancò il suo maglione.
Allora
il ragazzo si girò e tese una mano verso di lei. Rebecca
gliela prese e corsero affiancati.
“Mi
sento una stupida!” urlò Rebecca al cielo con quel
sorriso che non smetteva di illuminarle il viso.
“Perché?”
“Perché
stiamo correndo in mezzo ad un campo come degli scemi!”
Gabriel
rise più forte. “Che importa? Io mi sto divertendo
un mondo!” esclamò allargando le braccia e
chiudendo gli occhi, crogiolandosi sotto i raggi del sole.
Rebecca
mollò la sua mano e gli circondò le spalle, con
un saltino gli montò in groppa. Gabriel smise di correre e
passò le sue braccia sotto le gambe della ragazza per
tenerla meglio sulla schiena. Lei gli baciò
l’orecchio provocando uno schiocco al quale lui
reagì urlando di dolore. Per un po’
continuò a sentire il rimbombo dello schiocco dentro la
testa.
Era
tremenda.
Poi
Rebecca affondò il viso nel suo collo tempestandolo di baci.
Scoppiarono a ridere come due bambini e per dispetto Gabriel la fece
cascare. La ragazza crollò a terra atterrando con il sedere.
Non se l’era aspettato, infatti rimase a guardarlo dal basso
verso l’alto con una faccia sconvolta, la bocca spalancata e
gli occhi che schizzavano fuori dalle orbite. Gabriel si
piegò in due dal ridere.
Massaggiandosi
il sedere la ragazza si alzò e gli si scaraventò
addosso trascinando entrambi per terra. Gabriel cadde indietro e per
fortuna l’erba attutì il colpo alla schiena mentre
Rebecca gli era sopra e non smetteva di sorridere. Gabriel
accostò le sue labbra a quelle di lei e si baciarono. In un
baleno il ragazzo le fu sopra, senza staccarsi un attimo dalla sua
bocca. Quando si tirò indietro per ammirarla fu nauseato da
ciò che vide.
Rebecca
stava sotto di lui, immobile e pietrificata. La sua pelle era fredda e
bianca, le sue labbra non erano più rosse e morbide ma
increspate e cianotiche. Gli occhi erano chiusi e non accennavano ad
aprirsi. Non respirava. Con una mano Gabriel le cercò il
battito cardiaco tastandola prima sul petto e poi prendendole il polso.
Non aveva battiti.
Gabriel
sbiancò e cominciò a scuoterla urlando il suo
nome. Quando vide che la ragazza non si muoveva né apriva
gli occhi balzò in piedi. Fu sorpreso e al tempo stesso
inorridito di vedere che si trovava nel bel mezzo di una tempesta di
neve. Riconobbe le cime innevate e il fiume ghiacciato sotto di
sé. In preda al panico cercò con lo sguardo la
ragazza, come se non riusciva a credere a quello che stava vedendo. Gli
morì il fiato in gola quando non la vide più. La
cercò, la chiamò ma era sparita. Un movimento
sotto il ghiaccio catturò la sua attenzione. Si mise a terra
in ginocchio e spazzò via la neve. Sotto la lastra di
ghiaccio, dentro l’acqua del fiume ghiacciato, il corpo di
Rebecca veniva trasportato via dalla corrente. I suoi capelli
fluttuavano nell’acqua e il suo vestito estivo vorticava come
una ruota. Gli occhi sbarrati lo stavano implorando di salvarla.
Con un respiro agonizzante si svegliò. Era completamente
sudato e gli mancava il fiato. Spostò la testa a destra e a
sinistra, e guardò fuori dalla finestra aperta: era ancora
notte. Gettò via le coperte e corse fuori dalla stanza con
una furia selvaggia.
***
Rebecca fissava il vuoto con gli occhi ormai rovesciati.
C’era una tale pace intorno a lei…
Dicono che quando il tuo cuore smette di battere puoi vivere ancora per
pochi secondi. Il suo cuore di angelo era un po’
più forte ma aveva smesso ugualmente di battere. Le
rimanevano da vivere non pochi secondi ma pochi minuti. Le leggi della
natura con lei facevano strani giochi. Sentiva suo padre fare un gran
trambusto dentro di lei, era come se stesse ribaltando tutte le sue
viscere, come se stesse cercando di scappare o stesse rovistando in
qualche parte per trovare qualcosa. Se lo immaginava come una luce o
una nuvoletta di vapore denso che correva da una parte
all’altra, dalla testa ai piedi, in preda al panico. Non
voleva forse accettare l’idea che stava per morire anche lui?
Beh, ben gli stava. Rebecca si sarebbe sacrificata molto volentieri.
Piuttosto che continuare a sentirsi come prima (sempre instabile, alla
continua ricerca di potere e fama, attratta dalle tenebre) preferiva
morire.
Sì, era meglio così. Se avesse continuato a
vivere Mortimer se ne sarebbe approfittato e una volta preso
l’intero controllo del suo corpo e della sua mente
l’avrebbe portata a fare cose mostruose. Avrebbe distrutto
l’amore e la stima di Gabriel, sarebbe passata per la cattiva
e l’assassina di innocenti.
No, decisamente meglio la morte.
Per quanto il piacere che provava nel sentirsi invincibile
l’attraeva irresistibilmente non si definiva un mostro. Aveva
un cuore e intendeva usarlo. Il cuore di suo padre e di suo fratello
avevano smesso da tempo di battere.
Ma anche il suo, in fin dei conti, stava smettendo di pulsare.
Fece per chiudere definitivamente gli occhi quando una luce abbagliante
colpì l’intera caverna e rimbalzò sui
muri un boato assordante. Dopo essersi allargato in tutto il perimetro
come un fuoco d’artificio il bagliore andò a
restringersi attorno ad una figura accucciata per terra. Non del tutto
incapace di ragionare Rebecca mise faticosamente a fuoco la scena. Ebbe
un colpo al cuore quando vide Gabriel a pochi centimetri da lei. Il
ragazzo si alzò e corse immediatamente da lei, il suo viso
che non vedeva più da due mesi era una maschera di collera e
preoccupazione. Si abbassò sul suo corpo e la prese in
braccio racchiudendola nel suo petto caldo.
Rebecca provò a ribellarsi.
No…lasciami
qui. Se mi salvi sarò la vostra condanna, vi
tradirò, mi piacerà uccidervi, mi odierai.
Oddio…no, ti prego…lasciami morire…
“N-No…” mormorò la ragazza
spingendosi lontana dal petto di Gabriel.
Il ragazzo aumentò la presa e la strinse ancor di
più.
“No
cosa?! Non voglio più sentirti parlare. Ora torni a casa con
me e guai a te se provi a dire qualcosa Rebecca, dico sul
serio” abbaiò.
“Devi lasciarmi qui!” urlò
all’improvviso. Il contatto con il corpo caldo di Gabriel, la
sua innaturale ripresa fisica e gli incantesimi ricostituenti che il
ragazzo le aveva appena applicato con la mente le diedero subito la
forza di rispondere. “Stai commettendo un errore!”
Rosso per la rabbia dalla testa ai piedi Gabriel la mise per terra poco
delicatamente e si inginocchiò di fronte a lei.
“Non ti lascerò qui, scordatelo. Se me ne vado
porterò via con me il caldo che mi accompagna e che ti
scalda e gli incantesimi che ti ho fatto si annulleranno,
così tu ti ritroverai mezza morta come quando ti ho
trovata!”
“Appunto! Devi andartene!” disse disperatamente.
Un pugno allo stomaco avrebbe fatto meno male. “No-Non ti
capisco”
“Devo morire!”
Uno schiaffo partì dalla mano aperta di Gabriel andando a
colpire la guancia di Rebecca. Per il colpo la testa della ragazza
scattò di lato e cadde con il corpo in quella direzione.
Non potendo credere a quello che le aveva fatto Rebecca si
toccò con mano tremante il punto in cui lo schiaffo aveva
battuto la guancia. Avvertiva un gonfiore e notò con
riluttanza che un rivolo di sangue le scendeva dal labbro inferiore.
Non appena si voltò a guardarlo con quel suo viso
sconcertato e ferito il ragazzo cadde indietro come colpito allo
stomaco. La sua guancia era bordeaux e gonfia, e la sua bocca era
sporca di sangue.
La voce tuonò con un grido spaventoso che ruggì
dentro il petto della ragazza e automaticamente Rebecca si mise in
posizione di difesa come se temesse un altro attacco.
Come ha osato quel
mentecatto ad attaccarti?! Sbranalo, affogalo, soffocalo, provocagli un
arresto cardiaco!
Mantenendo la calma la figlia rispose.
Non lo farò
fuori, semplicemente lo metto in guardia.
Si era ripresa da pochi secondi e già si rendeva conto di
quanto suo padre la influenzasse. Mortimer riusciva ad avere su di lei
un enorme potere persuasivo.
Fulminò Gabriel con gli occhi.
Innalzò il labbro superiore con un ringhio.
Era un avvertimento.
***
Solo
una cosa (per la fretta non posso aggiungere altro!!):
RECENSITE!!!!!
Bacioni, la vostra zippo...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** L'Eden da riconquistare ***
Cap.
7 - L’EDEN DA RICONQUISTARE -
[Non
potevo dirti perché lei si sentisse in quel modo,
si
sentiva così ogni giorno
ed
io non potevo aiutarla, potevo solo
guardarla
mentre faceva sempre gli stessi errori.
Non
so a quale posto appartiene,
lei
vuole andare a casa ma la casa di nessuno
è
dove lei sta: distrutta dentro.
Sii
forte.
Sii
forte, adesso]
Avril
Lavigne - Nobody’s home -
***
Furono secondi interminabili. La scena sembrava procedere a rilento,
come a voler calcare la gravità di quello che era successo.
Mai. Mai prima di allora Gabriel le aveva messo le mani addosso, sia
pure per uno schiaffo. Si erano sempre spiegati e chiariti a parole e
Rebecca trovava riluttante l’idea di dover passare alle mani
per farsi capire. Non era stato il colpo sulla guancia o il sangue sul
labbro a farla star male, semplicemente il fatto che era stato lui.
Si alzò in piedi con un unico, fluido, movimento e
sfilò la spada dalla fodera. Come di riflesso anche Gabriel
si levò e mise una mano sulla cintura pronto a tirar fuori
la spada al minimo segnale di attacco. Mai avrebbe pensato di dover
stare all’erta da Rebecca. Eppure le cose cambiano. Basti
pensare che si trovavano uno di fronte all’altra con le armi
puntate contro.
Il ragazzo alzò le braccia in segno di resa. “Non
facciamo sciocchezze. Metti giù la spada”
“Perché dovrei farlo?” sibilò
flettendo il polso e facendo ruotare la lama.
“Perché ho una voglia pazzesca di abbracciarti ma
non posso farlo se mi punti una spada al cuore”
Con tentennamento Rebecca abbassò la spada e la rimise nella
fodera.
Suo padre grugnì.
Gelosia paterna o sete di sangue?
Gabriel, incapace di starle lontano, si mosse in avanti e Rebecca
arretrò.
Gabriel sospirò, frustrato. “Mi dispiace, Rebecca.
In quel momento l’unica cosa che volevo era portarti via con
me, mi sei mancata così tanto, ti amo così
tanto…che quando mi hai detto di voler morire sono scoppiato
dalla rabbia e dall’incredulità. Tu non devi
morire, non tanto per gli altri ma per me. Non puoi lasciarmi. Che
discorsi sono che vuoi morire?!”
Non penserai di
perdonarlo, vero?
È
così impossibile non volergli bene, guarda che faccia da
cucciolo che c’ha.
Moccioso impertinente
con gli occhi da cerbiatto…
Sono sicura che ti
roderà a morte l’idea di aver avuto tra le mani la
possibilità di uccidere l’angelo Gabriele e di
essertela fatta scappare. Ma finchè sarò padrona
del mio corpo tu non lo tocchi.
Eppure lo stavi per
attaccare.
Un piccolo cedimento,
niente di irrecuperabile.
Farò in modo
di farti abbassare la guardia più spesso, allora.
Gabriel era in attesa, trepidante, leggermente confuso e stordito
dall’immobilità della ragazza. Quando vide la sua
superbia crollare la raggiunse a grandi falcate e
l’abbracciò.
Disse parole a caso che Rebecca non capì ma fu ugualmente
contenta. Gli prese il viso tra le mani e lo baciò, Gabriel
ricambiò in un modo squisitamente appassionato.
“Non saresti dovuto venire” lo
rimproverò.
Gabriel le accarezzò i lisci capelli e glieli
baciò. “Ma sei contenta che l’abbia
fatto”
Nonostante non volesse ammetterlo, annuì imbarazzata.
“Vieni, siediti, così ti posso riscaldare e quando
starai meglio torneremo a casa”
La ragazza fece come gli aveva detto e si sedette accanto a lui nel
duro pavimento. Gabriel le passò un braccio intorno alle
spalle e l’attrasse a sé. Le toccò la
fronte con una mano e Rebecca potè percepire il flusso di
energia scorrere dal palmo aperto del ragazzo alla sua testa,
infondendole un piacevole senso di calore, senza contare che si
sentì le forze aumentare. Con un gesto della mano
allontanò la mano di Gabriel dalla sua fronte interrompendo
il flusso di energia.
“Ora basta, non voglio farti sprecare altre energie, ne hai
già disperse abbastanza venendo qua”
Gabriel la guardò contrariato ma abbassò
ugualmente la mano. “Non sono venuto a piedi”
Rebecca si accigliò. “E allora come hai fatto a
venire fin quassù?”
“Dimentichi che ho acquistato da tempo i miei poteri di
angelo. Ho usato quello che voi umani chiamate teletrasporto”
“Figo!”
“Non l’hai mai usato?”
“No, non ho mai avuto modo di farlo. Di solito faccio
spostamenti molto veloci ma non balzo mai da un posto
all’altro: troppa energia”
“Sì, in effetti dovrebbe essere l’ultima
risorsa, specialmente se il punto da raggiungere è molto
distante”
“Vedi che ho fatto bene a non farti sprecare altre energie?
È molto lunga la strada dal villaggio a alle montagne
innevate”
Gabriel scrollò le spalle. “Se si tratta di te non
mi preoccupano le forze che vado a consumare”
“È questo che mi fa paura”
Il ragazzo le diede un bacio a stampo sulla tempia e socchiuse gli
occhi. “Tu faresti lo stesso per me quindi smettila di fare
tanto la ragazza saggia”
“E tu smettila di fare l’idiota”
sbottò aggrottando la fronte.
“Un idiota che ti ha salvata”
“Avevo tutto sottocontrollo”
“Oh, certo”
Rebecca gli diede una spallata, il volto dipinto da un broncio.
“Tu non puoi neanche capire come mi sento”
Il ragazzo corrugò la fronte. “Allora
dimmelo”
Rebecca fece per aprire bocca, sapeva che suo padre l’avrebbe
bloccata ma volle comunque fare un tentativo. Provò a
parlare ma le parole non vennero fuori.
Appunto, come aveva immaginato. Mortimer la stava frenando,
schiacciava, premeva sulla sua gola affinché il flusso di
parole non potesse uscire dalle sue labbra. Chiuse la bocca e
serrò i denti.
“Non posso” riuscì a dire alcuni secondi
dopo.
“Pensi che me lo dirai?”
“Penso che dovrai scoprirlo da solo, io non posso
parlarne”
Era un’ottima idea. Gabriel era sicuramente un ragazzo molto
intelligente e ingegnoso, sapendo quanto gli stava a cuore la sua vita
non avrebbe tardato molto a scoprire cosa la turbava. Se suo padre le
impediva di parlarne con qualcuno allora sarebbe stato più
semplice far sì che qualcuno ci arrivasse di sua spontanea
volontà. E la furbizia di Gabriel era cosa assai nota.
Rebecca alzò la testa e incontrò il mento del
ragazzo, posò le labbra ormai più calde sul suo
mento e poi le premette contro la sua gola. Sentiva le sue vene
pulsare. Abbandonò la testa sulla sua spalla.
“Qualcuno…” iniziò esitante
il ragazzo. “…ti sta minacciando?”
Dato che non poteva vederla Rebecca si morse il labbro inferiore per
trattenersi e fece una smorfia di dolore. “No,
nessuno”
“Rebecca, ti prego, se qualcuno ti sta mettendo pressione, ti
sta ricattando o spaventando, vieni a dirmelo, lo sai che non
può farti niente se ci sono io a proteggerti”
“Lo so, lo so, ma nessuno mi sta facendo niente”
Gabriel parve trattenere il fiato e poi sospirò.
“Per prima…mi dispiace”
Ci volle un po’ perché Rebecca capisse che si
stava riferendo allo schiaffo. “Non fa niente,
anch’io l’avrei fatto”
“Ma è diverso! Se me l’avessi fatto tu
non mi avrebbe ferito più del dovuto ma è
vergognoso che sia il ragazzo ad alzare le mani contro la sua
ragazza” disse serrando i pugni e contraendo i muscoli.
“Dimentichiamo, ok?”
“Non posso dimenticare. Dio! Avessi visto la tua faccia,
Rebecca! Eri sconvolta, mi guardavi come se fossi un assassino o,
peggio ancora, uno stupratore!”
“Mi hai colta impreparata” sghignazzò
cercando di sdrammatizzare.
“Ti prometto che non accadrà
più” le promise, con gli occhi che luccicavano dal
turbamento.
“Gabriel, anche se per una volta mi hai dato uno schiaffo
rimani comunque la persona della quale mi fido di più. Non
sarà certo un simile errore a cambiare le cose. Sei
l’unica persona alla quale affiderei la mia vita, anche se mi
dovessi prendere a schiaffi ogni giorno”
Gabriel rabbrividì all’idea. “Non potrei
mai farlo ogni giorno”
“Infatti, è stato un caso isolato, smettila di
torturarti. Piuttosto, come hai fatto a capire che avevo bisogno di
aiuto?”
Il ragazzo sorrise in un modo strano e preoccupante. “Ti
sembrerà strano ma è successo mentre stavo
dormendo”
“Dormendo?”
“Sì, ho fatto un sogno e in questo sogno tu eri
nelle montagne innevate, bianca e fredda. Ho visto il tuo corpo privo
di vita venire inghiottito dalla corrente del fiume ghiacciato. Nel mio
incubo eri morta e per quanto ho provato a chiamarti non rispondevi. Te
n’eri andata, per sempre. Quando mi sono svegliato ero in un
lago di sudore, ho capito che non era stato un sogno qualsiasi, non con
una tale carica emotiva. La gola mi bruciava come se avessi veramente
continuato ad urlare il tuo nome, le mie mani erano fredde e il mio
respiro si condensava in una nuvoletta di vapore, proprio come se mi
fossi trovato davvero in mezzo ad una tempesta di neve. Mi sono
semplicemente lasciato guidare dal mio istinto e il mio istinto mi
diceva che eri in pericolo, che il sogno non poteva essere altro se non
un avvertimento. Quindi sono corso da Bastian e dopo avergli raccontato
ciò che avevo visto mi ha dato il permesso di
partire”
Qualcosa non andava.
Suo padre aveva detto che pur di non lasciarla morire avrebbe fatto di
tutto.
Questo era accaduto poche ore fa.
Schiarendosi la voce Rebecca gli chiese: “Quando hai fatto
questo sogno?”
“Questa notte” disse risoluto.
“Questa notte…? Questa?”
“Sì”
“Oh”
Con il viso in fiamme Rebecca si voltò verso la parete vuota
e fulminò un punto impreciso del muro.
Sei stato tu a fargli
avere quelle visioni!
Non essere in collera
con me, non era ancora arrivato il tuo turno per morire. Se mai dovrai
morire, figlia mia, sarà in modo eroico, in un campo di
battaglia, e non in mezzo alla neve, da sola, dimenticata da tutti.
È questo che
ti preoccupa?! Che il mio nome venga dimenticato in queste montagne?
Non ti meritavi una
simile fine.
Spetta a me decidere
della mia vita, maledizione! Tu devi morire, creatura dannata del Male,
e io dovevo morire con te! Ora per colpa tua sarò costretta
a vivere un destino orribile e infame!
Chiami orribile il tuo
destino?
Se è quello
che mi presenti davanti agli occhi, sì.
Ma per
piacere…
“Rebecca?” la chiamò Gabriel.
La ragazza sussultò. “Mi hai chiamata?”
“Se per chiamata intendi dire ripetere il tuo nome venti
volte allora sì: ti ho chiamata”
“Dimmi”
“Beh, io volevo sapere…” Rebecca
guardò accigliata il disagio di Gabriel, si stava
contorcendo nel suo posto e le sue mani non smettevano di picchiettare
le ginocchia. Gli fece cenno di continuare. “Volevo sapere se
in questi due mesi hai visto Atreius”
Si lasciò andare contro la fredda parete e scosse la testa.
“No, non l’ho mai visto e neanche ci tengo a
vederlo quel traditore” lo studiò attentamente in
viso e poi sorrise. “Geloso, Jonhson?”
Era da molto che non lo chiamava con il suo cognome umano. Gabriel
avvampò e distolse lo sguardo rosso come un peperone.
“Finiscila!”
Rebecca gli puntellò l’indice contro la guancia e
non smise di prenderlo in giro. “Gabriel è
geloso…”cantava in una tiritera irritante.
“Gabriel è geloso…Gabriel è
geloso…Gabriel è geloso…Gabriel
è…”
Non fece in tempo a finire la frase che Gabriel la buttò a
terra e le montò sopra bloccandole le braccia sopra la
testa.
“La vuoi smettere?!” abbaiò.
Immediatamente il sorriso si spense dal volto di Rebecca e questa
assunse un’espressione sbigottita, poi ritornò a
ridere come prima, se non peggio. Con una velocità e una
forza impressionante staccò i polsi da terra aggirando le
mani del ragazzo e lo prese per il bavero della giacca avvicinando il
viso al suo.
Il suo fiato caldo soffiò sulle labbra di Gabriel facendolo
fremere di desiderio. “Smettila
a me non lo dici. Sono stata chiara?”
Impotente, Gabriel fece di “sì” con il
capo.
Con una rapida successione di movimenti Rebecca riuscì a
liberarsi del corpo di Gabriel e tornò in piedi con le mani
sui fianchi, le gambe leggermente divaricate e il cipiglio innalzato.
“Sono stufa di rimanere qui, quando partiamo?”
Ancora un po’ scombussolato il ragazzo sbattè le
palpebre un paio di volte. “Q-Quando vuoi”
“Bene” disse trionfante. “Io allora direi
di partire adesso. Che ne dici se collaudiamo insieme il
teletrasporto?”
Gabriel sbiancò. “No, sei troppo debole. Sarebbe
un enorme rischio usare il teletrasporto nelle tue condizioni, ti
mancano troppe forze ed energie”
“Bah!” imprecò a voce alta.
“Me ne infischio delle energie, sono abbastanza forte da
sopportare una tale pressione. Avanti, ti muovi o no?”
Per nulla contento il ragazzo le passò accanto e la
fulminò con gli occhi. “Se dovessi farti del male
o dovesse accaderti qualcosa, giuro che aspetto che ti rimetti dalla
clinica e poi ti ammazzo di botte”
La risata cristallina e innocente di Rebecca echeggiò tra le
valli. Si prepararono ad uscire dalla caverna, i piedi ben saldi a
terra e il corpo proteso in avanti. Erano molto in alto, sotto di loro
il suolo distava di parecchi piedi.
Gabriel non smetteva di fissarla di sottecchi.
“Pronto?” domandò Rebecca piegando le
ginocchia, pronta allo slancio.
Il ragazzo fece lo stesso. “Pronto. E tu?”
Rebecca si buttò a braccia aperte nel vuoto. Si
girò con il corpo e incrociò le braccia al petto
mentre procedeva con la caduta, e lanciò uno sguardo a
Gabriel che era ancora fermo nell’imbocco della grotta.
Aprì le ali vantandosi di aver creato una visione
spettacolare e incantevole.
“Pronta a tutto!”
Un attimo dopo scomparve.
Gabriel roteò gli occhi. “Esibizionista”
***
Rebecca non aveva mai realmente provato il teletrasporto ma fu felice
di averlo fatto. La sensazione struggente di essere inghiottiti dentro
uno spazio troppo stretto per il tuo corpo era un brivido di piacere
che la stordì. Aveva la testa leggera e non sentiva il peso
opprimente della gravitazione, tutto sembrava sospeso in un campo di
follia, irrazionale e virtuale. Il risucchio, che le
scompigliò i capelli fino a renderglieli alti,
durò pochi secondi e atterrò con un impatto
fragoroso sul terreno fangoso di un campo coltivato. Il corpo
ammortizzò il contatto con il suolo e Rebecca si
ritrovò con le ginocchia che toccavano terra, in una
perfetta posa da felino. Quando si rialzò, con ancora il
sorriso stampato in faccia, barcollò sul posto e per poco
non cadde. Si sentiva come un ubriaco dopo che il gin era finito:
l’effetto di piacere provocato dal teletrasporto aveva
lasciato il posto ad un senso di nausea e di scombussolamento generale.
Strizzò gli occhi più che poteva per farsi
passare il mal di testa e cercò di riacquistare
l’equilibrio. Si guardò intorno e vide il
villaggio al di sotto della collina.
Si trovava nelle colline che circondavano la contea, venivano
utilizzate per la coltivazione e il pascolo del bestiame. Emise uno
sbuffo quando notò che i suoi stivali erano ricoperti di
terra fangosa. Si passò velocemente una mano sui capelli e
girò sé stessa alla ricerca di Gabriel. Vide in
lontananza una macchia di luce che si ingrandiva sempre di
più e poi la figura del ragazzo uscirne. Gli corse incontro
con dei piccoli balzi e gli buttò le braccia al collo.
Gabriel rimase sorpreso ma poi sorrise e
l’abbracciò a sua volta.
Con il volto che sprizzava gioia da tutti i pori la ragazza
guardò con occhi luccicanti il villaggio poco distante. Che
sciocca che era stata a dubitare di tutto questo, la sua
stupidità per poco non la faceva morire in quella caverna
silenziosa e tetra privandola di tutta la bellezza che non pensava di
poter mai rivedere e che invece le veniva sbattuta in faccia in quel
momento. Credeva di non riuscire più a provare sentimenti
come la speranza, l’amore, la pace, la completezza, il
benessere…ma per fortuna si era acceso un barlume di
speranza e lei poteva ancora sorridere.
Forse non tutto era andato perduto.
La mano di Gabriel toccò la sua e si sentì uno
schiocco che sferzò l’aria. Rebecca si
ritrovò nella piazza del villaggio, subito una miriade di
occhi si puntarono su di lei. Lanciò uno sguardo al ragazzo
di fianco a lei che aveva il viso più bello che avesse mai
visto. Una nota di soddisfazione, di orgoglio e di protezione gli
illuminava il volto. La mano aveva abbandonato la sua e Gabriel
avanzò di un passo verso la folla improvvisamente
ammutolita.
“Come potete vedere è tornata, Rebecca non
c’ha mai abbandonati!” disse a voce alta rivolto al
gruppo di persone che si era fermato.
Come colpita al petto Rebecca indietreggiò portandosi una
mano al cuore.
È questo
quello che pensavano di me? Pensavano che gli avessi abbandonati?
Improvvisamente si sentì molto mortificata.
In fin dei conti
è quello che hai fatto.
Ma l’ho fatto
per salvargli! Se fossi rimasta non avrei capito niente di quello che
mi stava succedendo e tu avresti continuato a farmi il lavaggio del
cervello!
Io penso che le cose non
siano cambiate più di tanto. Io sono ancora qui, non sei
riuscita a scacciarmi ed entrambi sappiamo quanto il tuo umore dipenda
da me.
Rebecca guardò la schiena di Gabriel, stava ancora parlando,
con ardore ed esultanza. Nessuno sembrava notarla, i loro occhi erano
solo per Gabriel. Se nessuno la guardava non doveva preoccuparsi di
nascondere le sue emozioni che in quell’attimo erano di
smarrimento e inquietudine. Sapeva di apparire pallida e
sull’attenti perciò fece un altro passo indietro.
Non tanto quanto credi.
Sono sempre più forte.
O più stolta.
È la stessa
cosa.
Mortimer sorrise e la sua felicità
s’irradiò in tutte le cellule del suo corpo. Di
rimando anche Rebecca sorrise senza accorgersene.
Santo cielo, siamo
legati fino a questo punto?
Stava per scappare via a gambe levate quando Gabriel si
voltò verso di lei. Si stupì di trovarla
più distante. Le fece cenno di avvicinarsi e lei si
avvicinò.
Sorrise e poi parlò con voce controllata e posata.
“Sono mortificata di essermene andata via così:
senza dirvi nulla. Posso immaginare lo sgomento e le accuse che mi
avete riservato e non vi biasimo, l’avrei fatto
anch’io al vostro posto. Avrete sicuramente sentito la mia
paura come se fosse la vostra ma non dovete temere più
nulla. Me ne sono andata che ero una ragazza debole e insicura e ora
che sono tornata sono più forte e responsabile. Sono sicura
che capirete che il motivo della mia partenza è strettamente
legato alla vostra salvezza, non potevo salvare delle vite quando
riuscivo a malapena a salvare me stessa. Confido che Bastian e Gabriel
vi abbiamo riferito le mie ultime parole prima dell’abbandono
e quindi non c’è motivo per ripetermi. Conto nel
vostro appoggio e nel vostro perdono, è molto importante per
me”
Le mani della folla cominciarono a battere in un applauso mentre le
loro teste annuivano compiaciute. Rebecca lo prese come un sano
benvenuto e lanciò a Gabriel un chiaro messaggio con gli
occhi: “andiamo a casa”. Il ragazzo
acconsentì e le passò un braccio attorno al
fianco, l’altro braccio si levò in aria e
salutò la massa riunita. Anche Rebecca sorrise e
salutò, si sentiva tanto una stella del cinema mentre era
inquadrata dalle telecamere e salutava i fans, girò sui
tacchi e circondò i fianchi di Gabriel.
Aveva bisogno di lui. Ora più che mai sentiva che il suo
amore era indispensabile.
***
C’era un qualcosa di incredibilmente tenero nel vedere un
arcangelo forte e potente, i cui muscoli tonici brillavano sulle
braccia, proteggere il corpo esile e delicato di una ragazza
all’apparenza innocente e indifesa. Il viso scolpito di un
predatore che guarda con meraviglia quello tenue e fresco di un fiore.
Un cacciatore che incantato dalla sua preda abbassa le armi. Sembrava
che Gabriel stesse aiutando Rebecca a camminare dal modo in cui la
teneva abbracciata e da come le stava addosso. La ragazza gli aveva
sussurrato all’orecchio che aveva un bisogno disperato di
sentirlo vicino e lui subito si era prestato in suo soccorso. Percepiva
una sofferenza quasi palpabile in lei e non capiva il
perché.
Prima sembrava così felice di essere tornata a casa mentre
ora…
La fiamma che l’aveva tanto scaldata si era spenta rivelando
il freddo che c’era attorno. Gabriel non le aveva chiesto
niente e aveva accettato di starle vicino per farle capire che lui
c’era e ci sarebbe sempre stato. Anche se, vederla
così turbata, non faceva altro che alimentare in lui
preoccupazioni e timori.
Poi la sofferenza, veloce com’era arrivata, se ne
andò altrettanto velocemente. Rebecca sollevò la
testa e ammirò la strada che stavano percorrendo come se la
vedesse per la prima volta, incontrò gli occhi di Gabriel e
poi guardò a terra i propri piedi avanzare, prima uno e poi
l’altro, e sorrise. Gabriel fece finta di non notare quel
bizzarro cambiamento d’umore e andò oltre il suo
comportamento. Con la mano le massaggiò il fianco e parte
della schiena come a dire: “ci sono, sono qui”.
Rebecca parve accorgersi delle sue coccole perché
alzò la testa e lo baciò. Dovettero staccarsi in
fretta altrimenti sarebbero andati a sbattere contro qualcosa.
Rebecca appoggiò la testa sulla spalla del ragazzo e si
accigliò. “Questa strada non porta a casa
nostra”
Casa
nostra…che belle parole.
Nostra.
“Infatti stiamo andando a trovare Rosalie. È stata
molto in pensiero per te, Rebecca. Dovremmo andare a salutarla, farle
vedere che stai bene e che sei di nuovo tra noi come un
tempo”
Rebecca sbuffò. “Parli come se fossi stata via per
un tempo infinitamente lungo”
“Taci” brontolò.
“Perché non andiamo a casa? Sono stanca e
affamata. Sono sicura che Rosalie non se la prenderà se
andiamo a trovarla domattina, le diremo la verità: che ero
sfinita e che sono corsa e letto sotto le coperte crollando dal
sonno”
“E così vuoi andare a casa per dormire?”
c’era un ché di malizioso nel suo sguardo acceso.
Rebecca si sentì arrossire ma non distolse gli occhi dai
suoi. “Tutto dipende da come mi assecondi. Se torniamo a casa
adesso non sarò poi così
stanca…”
Ma non completò la frase. Gabriel l’aveva
già presa fra le braccia e le sue labbra misero a tacere le
sue, mentre teletrasportava entrambi a velocità disumana
nella loro stanza da letto.
Non appena la sensazione di essere inghiottiti svanì,
Rebecca e Gabriel si ritrovarono sbattuti nella loro camera da letto.
Presero a baciarsi con foga e Rebecca lo spingeva tenendolo saldamente
per le spalle. Percorsero tutta la stanza camminando uno avvinghiato
all’altra finchè Rebecca non lo sbattè
con forza contro il muro. Pezzi di soffitto si sgretolarono e caddero
sopra le loro teste. Gabriel non si accorse di niente, neanche quando
un pezzo di muro lo colpì in pieno. Le loro ossa, le loro
membra, erano molto più forti e resistenti dei comuni
mortali e perciò la sensazione era la stessa di essere
toccati da leggere piume. Il corpo di Rebecca premeva un po’ troppo contro
quello di Gabriel e quando lui non ce la fece più la prese
per le spalle e sbattè lei contro il muro. Il colpo
aprì uno squarciò sulla parete, la crepa zigzava
dal basso fino a metà muro. Il ragazzo prese a baciarle
avidamente il collo e le mordicchiò il lobo
dell’orecchio provocando in lei un gemito. Spinto dai suoi
sospiri e dal suo stesso desiderio la sollevò da terra e lei
prontamente gli circondò i fianchi con le gambe. La baciava
sulle labbra gonfie e pareva divorarla, per Rebecca era una fatica
terribile respirare. Lo allontanò e rannicchiò le
gambe al petto per poi distenderle colpendolo con un calcio. Gabriel
barcollò indietro e urtò la trave del letto a
baldacchino che si ruppe spezzandosi in due. La mancanza di spartizione
del peso fece crollare l’intero letto che si chiuse su
sé stesso con un tonfo da far tremare il pavimento.
Ancora intontito per la botta in pieno petto Gabriel si
appoggiò ad una trave che era caduta in verticale. Rebecca
si slanciò in avanti con uno scatto di addominali e gli fu
di nuovo addosso. Gli buttò le braccia al collo e caddero
per terra. Gabriel lasciò che Rebecca stesse sopra di lui
solo per qualche secondo poi invertì i ruoli con una forza
stramazzante che mise la ragazza al tappeto. Rebecca sbattè
la testa contro il pavimento che si spaccò aprendo delle
schegge di legno che le provocarono dei tagli sulla schiena e sulle
braccia. Cominciando a sentire del dolore pungente provenire da alcune
parti del suo corpo si distaccò scaraventando il ragazzo
lontano. Una volta in piedi si alzò anche lui e per qualche
istante rimasero a fissarsi negli occhi con il respiro affannato, il
corpo tremante, i vestiti strappati e le iridi degli occhi scurite dal
desiderio.
Gabriel fece per parlare, allarmato e inorridito alla vista del sangue
che le colava dalla spalla fino al gomito ma Rebecca puntò
il palmo aperto della mano sinistra contro di lui e Gabriel si
ritrovò disteso sul letto rotto e polveroso. Come una gatta
sinuosa e pronta ad attaccare Rebecca salì con grazia sul
letto, graffiando quasi le coperte sotto le sue dita. Gabriel rimase
paralizzato alla vista del suo volto e trattenne il fiato quando la
sentì pian piano arrampicarsi sul suo corpo. Non fece nulla
per fermarla. Era convinto che sarebbe impazzito se non
l’avesse avuta subito, immediatamente. Nel momento in cui
Rebecca arrivò a posare le sue labbra su quelle di lui,
Gabriel sentì che stava per toccare l’apice del
piacere.
La desiderava così tanto, così disperatamente,
così ardentemente che gli doleva lo stomaco. Il cuore era
attorcigliato e contratto per l’attesa, tutto il suo corpo
era sotto-sopra. Prese il suo viso tra le mani con violenza facendole
capire di sbrigarsi o sarebbe scoppiato. Rebecca gli diede un ultimo,
tenero, bacio sulla punta del naso prima di iniziare a sbottonarli i
pantaloni.
***
La puzza insistente di legno, di polvere e di detriti fece svegliare
Rebecca dal sonno. Si mise a sedere tenendosi il lenzuolo
all’altezza del seno e soffocò un gemito di dolore
nel sentire i muscoli del proprio corpo pulsare e bruciare. Era tutta
indolenzita, le faceva male dappertutto: le gambe erano pesanti e
addormentate, la schiena scricchiolava e le ossa parevano rompersi al
minimo movimento. Ma ciò che più
l’atterrì fu di ritrovarsi le braccia
completamente coperte di tagli. Il sangue per fortuna si era
già coagulato e non sembrava aver riportato ferite gravi, ma
non riusciva ad alzare bene il braccio e se solo sfiorava i graffi un
bruciore sconvolgente le faceva venire le lacrime agli occhi.
Controllò Gabriel steso al suo fianco che dormiva beato con
un sorriso appagato sulle labbra. Sperò di trovare anche a
lui delle piccole ferite ma sembrava star bene. Era sano come un pesce.
Rebecca grugnì e incrociò le braccia al petto. Si
lasciò cadere indietro con l’intento di appoggiare
la schiena alla testiera del letto ma la sua schiena non
toccò niente che non fosse il vuoto. Con un grido spaventato
Rebecca cadde dal letto e andò a sbattere la testa contro la
testiera del letto. Imprecò ad alta voce quando vide il
pezzo di legno che avrebbe dovuto sostenerla ai piedi del letto
spaccato in due. Si alzò lanciando occhiate omicide alla
testiera e andò verso l’armadio per cambiarsi.
Fece soltanto tre passi quando urlò di dolore. Questa volta
Gabriel si svegliò di soprassalto e si mise a ridere
ricadendo sul letto. Rebecca saltellava su un piede solo da una parte
all’altra della stanza come un’ossessa mentre
teneva stretto tra le mani l’altro piede. Chinata in avanti
guardava con odio puro la scheggia di legno che si era conficcata nella
pianta del piede. La staccò con forza e la gettò
a terra ignorando la fuoriuscita di sangue dalla ferita appena aperta.
Si diresse zoppicando fino al guardaroba e aprì
l’anta con un ringhio spaventosamente animalesco. Prese i
primi vestiti che le capitarono a portata di mano e gli
indossò senza troppe cerimonie. Gabriel era ancora allungato
nel letto che moriva dal gran ridere.
“Cha hai da ridere tu?!” sbraitò.
Gabriel rotolava sul materasso e si sbellicava dalle risate.
“Smettila o te le tirò in testa!” lo
minacciò con un paio di scarpe.
Corse in bagno per pulirsi il piede dal sangue e fece un incantesimo di
guarigione. Gabriel la vide scomparire oltre la soglia e mentre rideva
un singhiozzo gli si fermò in gola. Deglutì e
fece scorrere gli occhi lungo tutta la camera. La stanza era distrutta.
Travi pendevano dal soffitto, pezzi di muro erano caduti dal soffitto
lasciando dei grossi buchi sul tetto, una parete era stata squarciata a
metà mentre sulle altri pareti c’erano delle
enormi crepe, il pavimento era stato raschiato, le gambe del letto
erano cedute e le assi di legno che reggevano il baldacchino erano
sopra il letto spaccate in due. Ma quello che più lo
colpì furono le tracce di sangue sul copriletto, delle
strisce rosse all’altezza del cuscino. Stava per alzarsi
quando tornò in camera Rebecca, leggermente più
calma e rilassata. Distese un sorriso e si buttò sul letto
accanto a lui con un sospiro sognante.
“Che nottata…” mormorò
osservando la camera.
“Fammi vedere dove ti sei fatta male”
ordinò il ragazzo con voce rotta.
Rebecca arrotolò le maniche fino alla spalla e Gabriel
guardò con orrore il braccio coperto di tagli.
Scattò a sedere e allungò una mano verso di lei
come a voler toccare quelle ferite sperando che siano solo un incubo.
All’ultimo la ragazza tolse il braccio e lo
ricoprì con la manica del maglione.
“Non è niente”
“Niente di grave, spero!”
“Niente di grave, sono solo dei graffi”
“Dio…” Gabriel si passò una
mano sulla faccia. “Che abbiamo fatto?”
Con un gesto teatrale Rebecca finse di strozzarsi. “Oddio, ci
uccideranno per questo!” poi scoppiò a ridere. Gli
diede un colpetto sulla spalla. “Dai Gabriel, non
è successo niente. Beh…”
alzò gli occhi verso il soffitto. “Apparte qualche
disastro edile”
“Sei sicura che non ti facciano male i tagli?”
“Certo, ho controllato prima e grazie alla mia guarigione
precoce spariranno in meno di due giorni. Contento?”
“Uhm”
“Senti ma…” si avvicinò a lui
gattonando nel letto. “…non è che io
sia l’unica tra noi due ad avere un corpo pieno di lividi,
vero?”
Il ragazzo non potè non ridere. Guardò Rebecca
con gli occhi che brillavano al ricordo della notte appena trascorsa e
le indicò la schiena. Rebecca lo aggirò e gli
guardò la schiena. Si portò una mano alla bocca
per trattenere una risata. La schiena di Gabriel era ricoperta di
lividi di varie dimensioni e di un colore blu-violetto. Senza contare
che nel suo petto c’era un ematoma a forma di piede.
“Ops” balbettò.
“Scusa”
“In effetti sono rimasto scandalizzato quando mi hai tirato
quel calcio ma devo dire che è stata l’esperienza
più eccitante della mia vita”
Era vero e i suoi occhi lo confermavano.
“È stata la cosa più strana che abbiamo
fatto” disse la ragazza.
“La più strana e la più
eccitante” la corresse.
“Oh! Ce l’hai con sta storia
dell’eccitante!”
Gabriel l’afferrò e le strofinò la
testa. Rebecca urlò e lo pregò di fermarsi ma
più lei invocava pietà più lui
continuava.
In un modo o nell’altro si ritrovarono tutti e due nel letto,
avvinghiati, intenti a baciarsi. Gabriel sollevò la maglia
di Rebecca ma dovette fermarsi quando la sentì trattenere un
lamento. Probabilmente i tagli le facevano ancora male.
Riabbassò la maglia e le baciò la fronte. Si
sedette sull’orlo del letto e si infilò i boxer
che erano finiti per terra. Andò verso la finestra e
osservò il sole in lontananza. Era una bella giornata,
sembrava che tutto stesse rinascendo. Non vedeva l’ora di
fare un po’ di allenamento con Rebecca, giusto per sgranchire
le gambe.
Gli scappò una risata.
“Perché ridi?” domandò
Rebecca.
“Perché ho pensato a quanto vorrei fare un
po’ di allenamento questa mattina” disse, e si
indicò le gambe. “Ho i muscoli
atrofizzati”
Gli occhi della ragazza si spalancarono. “Sei pazzo?! I miei
muscoli hanno fatto anche troppo
allentamento! Sono così ben allenata che sono inchiodata a
letto e non riesco più a muovermi!”
“Eri proprio fuori allenamento” la
provocò arricciando le labbra in un ghigno.
Rebecca si materializzò. Un secondo prima era adagiata sul
letto e ora gli stava davanti a pochi centimetri di distanza con due
occhi furiosi.
“E tu? Tu hai fatto tanto allenamento mentre ero
via?” sibilò.
Gabriel ghignò e la incatenò con lo sguardo.
“Diciamo che mi sono tenuto in forma”
Rebecca gli diede una spinta e s’incamminò verso
la porta con i pugni serrati lungo i fianchi. Gabriel le corse dietro
con quel suo sorriso biricchino stampato in volto. La bloccò
prendendole un polso e la fece girare malamente.
“Ehi!” esclamò Rebecca sentendosi
afferrare così bruscamente. Alzò le mani in alto
affinché il ragazzo non potesse toccarla ma lui si
chinò in avanti e la baciò.
Le mani di Rebecca rimasero alzate a mezzaria anche quando Gabriel si
staccò da lei.
“Sei troppo bella quando sei gelosa” le
mormorò con voce suadente.
“Ah-Ah, divertente. Peccato che se lo faccio io tu non mi
parli più per un giorno intero. Tu sì e io no?
Dov’è la parità dei sessi? Non ho il
diritto di divertirmi anch’io?”
“Questo è scorretto!” disse puntandole
un dito contro.
“Scorretto tu, scorretta io” gli disse e gli fece
la linguaccia.
Gabriel avanzò verso di lei impetuosamente e la prese in
braccio, ignorando le proteste di Rebecca di rimetterla giù.
La mise sul letto e si posizionò tra le sue gambe. Gli
teneva le mani strette sui polsi in modo che non potesse scappare o
svignarsela.
La faccia di Rebecca era imbronciata. “Mi fanno male le
braccia e tutto il corpo”
“Ma così ti risparmio l’allenamento
mattutino”
“L’allenamento è importante, non
possiamo saltarlo. Mi aiuterà a distendere i
muscoli”
Gabriel prese a baciarle il collo e scese verso il suo seno.
“Ho io un modo per distendere i tuoi muscoli”
Rebecca fu assalita da un fremito di eccitazione che la
portò involontariamente a spingere il bacino verso i fianchi
di Gabriel. “Beh, se insisti tanto…”
Un sorriso trionfante baluginò sulle labbra impegnate del
ragazzo.
***
Rebecca osservò Gabriel dal divano. Stava bevendo: un gomito
era appoggiato al lavabo mentre con la mano teneva alto il bicchiere
colmo di acqua fresca. Gabriel non si era accorto che lei lo stava
fissando da più di cinque minuti. Quando si girò
lei abbassò gli occhi fingendosi presa a leggere un libro.
Le passò accanto e gettò un’occhiata a
ciò che stava leggendo, poi si bloccò e
ritornò a guardarla.
“Rebecca?”
“Shh!” Rebecca gli fece cenno di star zitto, che
era molto concentrata sul racconto.
“Rebecca, come fai a leggere un libro scritto nella lingua
dei nani?”
Il sangue le si congelò nelle vene. Ora che guardava meglio
la scrittura era una lingua mai vista e incomprensibile. Il cervello le
andò in tilt.
“Ehm…” spalancò un sorriso
mettendo in mostra una fila di denti bianchissimi.
Gabriel scrollò la testa come a dire: “questa
è matta, che problemi ha?”
“Sai la lingua dei nani, per caso?”
Con un tonfo Rebecca chiuse il libro e si alzò per
rimetterlo a posto nella scansia.
“Non vedo perché ogni volta che sto leggendo tu
debba rompermi le scatole. Non dovevi fare qualcosa? Uscire, per
esempio?”
Gabriel alzò le spalle e se ne andò in bagno.
Rebecca tirò un sospiro di sollievo. Quella mattina Bastian
l’aveva chiamato per parlare. Chissà di cosa, poi.
Non sapeva che era tornata. Nessuno lo sapeva e Gabriel stava andando
da lui proprio per annunciare la lieta notizia, ma non volle portare
anche lei. Aveva detto che alla notizia del suo ritorno Bastian avrebbe
cominciato a fare domande su domande e poi Rosalie, Kevin, Delia,
Denali e i bambini l’avrebbe asfissiata fino
all’ora di cena. Voleva lasciarla tranquilla a casa, doveva
riposarsi. Erano stati due giorni intensi.
A Rebecca parve strano come da quel pomeriggio nessuno avesse
spifferato a Bastian che era tornata. Sembrava che la gente del
villaggio oltre alle qualità che già possedeva
era anche riservata. Meglio così, era stufa e dolorante, e
non avrebbe sopportato di passare un’intera mattinata di
interrogatorio e giustificazioni da dare al capo-villaggio. Si
rilassò sul divano e aspettò che Gabriel uscisse
dal bagno. Sentì l’acqua della doccia scrosciare e
quel rumore la calmò. Non appena Gabriel ebbe finito di
lavarsi venne fuori dal bagno che era uno splendore, soprattutto i
capelli: tutti bagnati e spettinati in aria, scintillanti di quel
biondo angelico.
“Io vado. Non so a che ora tornerò a casa, tu fai
qualcosa per distrarti ma non affaticarti, mi raccomando. Hai i muscoli
a pezzi” e cominciò a ridere deliberatamente
sull’ultima affermazione.
La ragazza incrociò le braccia al petto e grugnì.
Lui allora, con il sorriso sempre impresso sulla faccia, si
chinò su di lei e la baciò. Le diede un buffetto
sulla guancia e poi se ne andò.
Rebecca schioccò la lingua e fece scorrere lo sguardo dal
salotto alla cucina, dondolandosi sul divano in cerca di uno svago. Il
silenzio la stava opprimendo e non pensava di potercela fare a restare
in casa per mezza giornata senza far nulla. Sfogliò qualche
libro a caso, andò nella dispensa e preparò una
torta, si mise addirittura a ballare nel salotto mentre canticchiava
una famosa canzone di Nelly Furtado. Rifece il letto e prese appunti
dei danni che avevano causato per la ristrutturazione della stanza.
Pulì il bagno e spolverò la libreria,
trasportò il guardaroba e i loro effetti personali dalla
loro stanza da letto in disuso alla sua vecchia camera.
Spazzò le scale e quando finì l’ultimo
grandino guardò con sguardo furioso l’orologio
appeso alla parete.
Le undici.
Gettò la scopa in malo modo nel ripostiglio e decise di
uscire per prendersi una boccata d’aria. Si mise il mantello
sulle spalle e tirò su il cappuccio, era una brutta
giornata, nuvolosa e umida. Sembrava che potesse mettersi a piovere da
un momento all’altro, le goccioline parevano addirittura
sospese sopra le loro teste. C’era un odore acre di muffa
lungo il vialetto e senza pensarci due volte prese la strada che
portava al bosco.
Forse cercava la pace e la quiete all’aria aperta
perché si ritrovò nella radura ai piedi dello
specchio d’acqua che era il laghetto. Si tolse il mantello e
si sedette sull’erba umidiccia assaporando la sensazione di
libertà che la stava invadendo. I suoi occhi dorati
luccicavano di riflessi verdi e argentati mentre osservavano il
laghetto. Se solo poteva sarebbe rimasta lì per sempre, si
stava così bene…
Fece per allungare le gambe quando un dolore al muscolo la
paralizzò. Imprecò e graffiò il
terreno con le unghie per il male.
Non sai come fare per
star bene quando non stai bene.
Devo dire, padre, che mi
mancavano le tue perle di saggezza. Possibile che io non riesca mai a
stare completamente sola?
Mi sembra di essermene
rimasto anche un po’ troppo in disparte in questi giorni.
Il viso di Rebecca avvampò per l’imbarazzo e
Mortimer ghignò.
Che pretendi?
È il mio ragazzo, sbottò.
Oh sì,
l’ho visto. Devo ammettere che ho visto delle prestazioni da
parte tua, figlia mia, che non credevo possibili per una ragazza
all’apparenza così innocente e pudica come te.
Rebecca stava per tirarsi uno schiaffo da sola in faccia.
Solo perché
sono una ragazza con dei sani principi e sto dalla parte del bene,
questo…questo non vuol dire che non possa piacermi fare
sesso con il mio ragazzo!
Se quello lo chiamavi
sesso…a me sembrava più che altro un tentativo
animalesco di accoppiamento.
Pure le orecchie le andarono a fuoco.
Smettila! Lo stai
facendo solo per farmi incavolare! È la cosa che ti riesce
sempre meglio! Parli tanto di me ma devi solo rimproverare te stesso!
Me stesso?
Sì, per aver
messo al mondo una figlia che ha metà del tuo corredo
cromosomico! Se critichi me allora critichi indirettamente anche te
stesso dato che siamo praticamente uguali, a quanto pare!
La risposta parve in qualche modo compiacere Mortimer.
In effetti hai ragione,
siamo uguali.
Non intendevo dire
completamente uguali. Diciamo…solo per certi aspetti.
Solo gli aspetti che
riguardano il sesso? Avrai ereditato qualcos’altro da me
spero, o devo pensare di aver generato da parte mia una bomba del sesso?
Piantala con questa
storia. Ognuno ama a modo suo e io sono sempre stata una ragazza
particolarmente passionale. Non trovo che sia sbagliato.
Certo, a meno che non ti
ritrovi a distruggere una casa…
Pensa per te, almeno io
distruggo case e non famiglie, idiota.
Oh-oh, siamo
arrabbiatine questa mattina?
Mah, forse
perché qualcuno mi sta facendo prendere in considerazione
l’idea di mettere la testa dentro l’acqua e di
contare fino a mille!
E chi è?
Rebecca sbuffò ma sotto sotto si stava divertendo. Suo padre
non le parlò più e lei ne fu grata, a volte
capiva davvero sua figlia. Fantasticò per quelle che le
sembrarono ore finchè non udì la voce di suo
padre ruggire spaventosamente dentro di lei facendola impaurire.
Arriva.
“Chi?!” disse sia ad alta voce che mentalmente.
Mortimer si ritirò nei meandri della sua coscienza e lei
rimase ferma come una statua, i sensi all’erta e una mano sul
pugnale che teneva infilato dentro la larga tasca dei pantaloni. Si
morse il labbro per il nervoso, si era dimenticata a casa la spada e
poteva far conto solo su un misero pugnale che pareva più un
coltello da cucina.
Pensò di esplodere dall’ansia quando
buttò fuori una generosa manciata d’aria dai
polmoni e rilassò i muscoli. Raddrizzò le spalle
e lasciò la presa sul pugnale per mettere le mani sui
fianchi, in attesa. In volto, un sopraciglio inarcato.
“Ma bene, vedo che pedinarmi in mezzo ai boschi sta
diventando la tua ossessione”
Atreius uscì da dietro un albero e fece qualche passo verso
di lei. Aveva un sorriso straffottente e amichevole allo stesso tempo.
“Sono venuto qui solo per ordine dei miei consiglieri
stregoni”
“A che riguardo?”
“Secondo loro dovrei dirti una cosa molto importante.
Scommetto che nostro padre non la penserà allo stesso
modo” disse, puntando gli occhi all’altezza del
cuore di Rebecca. “In ogni caso anch’io credo che
possa aiutarti”
“Dipende chi usufruisce del mio aiuto. Tu? Lui?
Voi?”
“Diciamo tu”
Rebecca si accigliò e gli fece cenno di continuare. Atreius
le sorrise e mise le mani dietro la schiena. “Voglio che tu
sappia quello che realmente ti sta accadendo”
“Se sei venuto a dirmi che la voce che sento è
nostro padre allora risparmia fiato perché lo so
già”
“Non intendevo quello. Ora io parlerò e tu dovrai
ascoltarmi attentamente senza interrompermi, ok?” la ragazza
annuì deglutendo. “Come ben saprai ogni angelo
apprendista al momento dell’esame per passare ad angelo
bianco viene messo a dura prova da parte del Male, che naturalmente lo
vorrebbe con sé. Il Male fa vedere, mostra, a questi angeli
provetti delle immagini, delle visioni ad occhi aperti o degli incubi
su come sarebbe la loro vita se passassero dalla loro parte. Sono
visioni allettanti di una vita gloriosa, potente ed eroica che riducono
l’angelo debole ad una creatura attratta da queste promesse
di fama epica. Naturalmente c’è anche chi non
casca in questi tranelli di celebrità. Queste visioni
vengono inviate direttamente nella mente dell’angelo
violentandola, e sono ripetute continuamente per mesi e mesi
finchè il ragazzo non cede. Ora, anche tu essendo un angelo
apprendista, dovresti essere messa alla prova ma dato che ormai il Male
è diventato un tutt’uno, si è
amalgamato con Mortimer, è stato nostro padre stesso a
decidere la tua prova”
Avevi detto che non eri
la mia prova!
Ho solo omesso delle
cose ma è vero, non sono la tua prova. Sono molto di
più.
Atreius continuò: “Nostro padre ha deciso che per
rinascere deve prima alimentarsi con le forze di altro angelo
altrettanto potente, potente tanto quanto lui, in modo da non
ucciderlo. Ha deciso di essere il parassita del tuo corpo, sorellina,
perché per tornare in vita deve cibarsi di una forza in
particolare: la magia oscura”
“Ma io non ho magia oscura! Non mi è mai stata
insegnata! Come posso possederla?!”
“E qui è dove volevo arrivare fin
dall’inizio. Mortimer appropriandosi del tuo corpo ha messo
qualcosa di suo, un carattere o un connotato, dentro di te. Essendo
nostro padre l’emblema del Male ti ha trasmesso il Male.
Dimorando in te sta pian piano infettando il tuo corpo con un veleno
che è il suo stesso veleno, in modo da espanderlo. Una volta
che il veleno verrà espanso in tutto il tuo corpo lui si
ciberà di questa sostanza e rinascerà. Non
causerà la tua morte, anzi, sarai anche tu un essere del
Male: completamente contaminata da cima a fondo dalla droga
dell’oscurità che ti renderà una
schiava della notte. Ha scelto te su tutti noi perché ti
vuole dalla sua parte più di chiunque altro al mondo, una
volta che avrà terminato il suo lavoro non potrai fare
più niente per salvarti e senza rendertene conto sarai la
sua principessa e siederai sul trono del suo castello. Lui non ti
permetterà di parlarne ad anima viva e, per favore, cerca di
mettertela via e di convivere con questo tuo destino. Più i
giorni passano più lui ti infetta e quando il veleno
raggiungerà l’ultimo organo che è la
sede del tuo amore e della tua bontà sarai condannata per
l’eternità. È il cuore
l’ultima ancora che ti tiene legata a questo mondo di
speranza e di sogni”
Il volto della ragazza era devastato dalle lacrime, gli occhi
inespressivi e rassegnati facevano sgorgare grosse lacrime salate che
scendevano impetuose lungo la sua guancia, bagnandole il colletto della
maglia.
“N-Non c’è niente c-che posso
fare?” domandò ormai percossa da forti singulti.
Atreius scosse la testa. “Mi dispiace ma non potrai fare
più niente. Volevo che lo sapessi, volevo che fossi
cosciente di quello che ti sta accadendo. Nostro padre preferiva
l’effetto a sorpresa ma…” il ragazzo
abbassò lo sguardo e per un attimo Rebecca vi scorse
l’ombra di un affetto fraterno. “…non
volevo che soffrissi. Voglio che tu ti goda gli ultimi giorni, gli
ultimi mesi che ti rimangono. Tieniti stretta le persone che ami
Rebecca, perché tra poco gli tradirai tutti condannandoli a
morte”
Atreius mosse un braccio verso di lei come a volerle accarezzare la
guancia bagnata ma poi lo riabbassò e scomparve
così com’era venuto.
Tieniti stretta le
persone che ami, Rebecca…
La voce di suo fratello riecheggiava con una prepotenza lancinante.
…prima che tu
gli uccida tutti.
***
Ed ecco qua in
fretta e furia finito un altro capitolo!!
Mi sono lasciata
trasportare dal computer in questa settimana, diciamo che ero molto
ispirata e per questo
ho scritto molto!!!
Spero che vi sia
piaciuto perchè io mi sono divertita un sacco a scriverlo!!!
Recensite, sempre alla
ricerca di commenti...hihihi...
Ringrazio tutti
quelli che mi commentano, veramente, è molto incoraggiante
per me!!!
Il prossimo
capitolo si intitolerà: "VICINO
AL CUORE"
e ne vedremo delle
belle!!!!
Alla prossima, zippo...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Vicino al cuore ***
Cap.
8 - VICINO AL CUORE -
[Ma
tu sai
che
io volevo stare con te,
io
ho bisogno che sentissi che ti dicessi
che
io ti amo.
Ti
ho amata tutto il tempo
e
ti perdono
per
essere stata lontano così tanto tempo.
Allora
riprendo a respirare,
stretta
a me e senza lasciarmi più andare via]
Nickelback
- Far away -
***
Il bosco quella mattina appariva tranquillo e pacifico. I rami degli
alberi oscillavano creando una dolce melodia e le acque del laghetto
s’increspavano in piccole onde azzurrine. Tutto era immobile,
quasi morente. Nessuno poteva immaginare che in mezzo a quella quiete
una persona correva senza meta e senza fiato, calpestando e rompendo
tutto ciò che si trovava davanti. Le calde lacrime erano una
testimonianza della sua sofferenza e la bocca era semiaperta per far
passare l’aria che dal naso non usciva. Il suo piede
s’incastrò nella radice di una grossa pianta e
cadde rumorosamente a terra, rotolando su sé stessa e
scendendo lungo un pendio. I rametti affilati, i ricci e le foglie
scalpiccianti graffiarono il suo bel volto rendendoglielo una maschera
di sangue. Non appena la discesa terminò crollò a
terra con le braccia elevate a coprirsi il viso. Rimase qualche secondo
a terra, stanca e sconvolta, incapace di reagire a qualsiasi stimolo.
Era disgustata da sé stessa e da ciò che portava
come un’eredità dentro il suo sangue.
Le era sempre parso di essere una ragazza responsabile, buona e
ammirata.
Come poteva anche solo immaginare che un veleno terribile e la
coscienza di suo padre la stessero pian piano divorando?
Atreius aveva detto che non poteva fare più nulla per
salvarsi, che era destinata a subire quel destino, quella vita
terrificante dedita alle tenebre. E lei in cuor suo lo sapeva,
l’aveva sempre saputo ma non era mai riuscita ad accettarlo.
Quale mostro stava diventando?
Che bestia rischiava di risvegliare?
Avrebbe saputo rimettere in gabbia la bestia una volta che questa fosse
uscita?
No. La risposta era un no.
Doveva chiedere aiuto. Subito, immediatamente. Prima che fosse troppo
tardi, prima che condannasse tutti ad una morte certa e spietata. Ma
chi? Chi poteva salvarla? Mortimer non le avrebbe permesso di parlarne
né con Bastian né con Gabriel. Ma
forse…forse se riusciva a dirlo a qualcuno del villaggio che
non fossero loro due…forse il potere di suo padre nel
controllarla sarebbe stato minore e più facile da
respingere!
Ma chi?
Chi?
***
“Così è tornata” non era una
domanda bensì un’affermazione.
Bastian si massaggiò il mento, in volto gli era cresciuta un
po’ di barba. Era quasi irriconoscibile. Andava avanti e
indietro per la stanza e di tanto in tanto lanciava occhiate a Gabriel
che era seduto su una sedia: i suoi occhi vuoti seguivano attentamente
i suoi spostamenti. Poco dopo entrò Alan, non
guardò in faccia nessuno, prese un foglio sopra la tavola e
uscì. Pure lui era strano ultimamente, evitava sempre
Gabriel e se poteva non lo salutava. Anche sua madre, Adele, era
diversa da quando era tornata dall’ultima missione.
“Già”
“Perché non me l’hai detto prima? E come
mai non è qui con noi?”
Gabriel fece ruotare la penna sulle ginocchia e schioccò la
lingua. “Aveva bisogno di riposare, è tornata
scombussolata e a terra. L’ho costretta a restare a
letto” sorrise di quella frase a doppio senso e poi riprese:
“Non volevo affaticarla, mi ha detto lei stessa che entro
breve ti verrà a trovare così parlerete di
tutto”
“E certo che dobbiamo parlare! Le ho permesso di andarsene
perché aveva bisogno di schiarirsi la mente ma mi deve
qualche spiegazione, senza contare che voglio sapere se ci sono stati
miglioramenti. Me la ricordavo molto indecisa riguardo ai suoi
doveri”
“Oh Bastian, è così
cambiata…” disse Gabriel in un lamento. Strinse la
penna tra le mani e prese un profondo respiro per tranquillizzarsi.
“L’ho notato pure io”
“Ma non è cambiata totalmente, è sempre
la solita Rebecca, la ragazza che amo,
però…c’è qualcosa in lei
che…non so, non mi convince. Qualcosa che non riesco a
controllare, che non mi aspetto di vedere ma che vedo”
“Pensi che abbia sviluppato una doppia
personalità?”
Gabriel sbarrò gli occhi e per un attimo parve cadere dalla
sedia. Si ricompose in fretta. “Non vedo come possa essere
possibile, non ha nessun tipo di crisi con i suoi poteri”
Bastian mosse la mano davanti al viso come a voler scacciare una mosca.
“Sì, hai ragione. Che idea
stupida…”
“A questo punto l’unica cosa che mi possa venire in
mente è che Rebecca stia affrontando la prova per diventare
angelo bianco”
“Ha incubi durante la notte?”
Gabriel scosse la testa.
Bastian continuò: “Durante il giorno la vedi
assente, come se facesse un sogno ad occhi aperti?”
“No”
“Ti ha mai raccontato di aver fatto un viaggio
astrale?”
“No, neanche quello”
“Ti è mai parso di percepire un distacco magico
tra la sua anima e il suo corpo?”
“Come?” domandò accigliato il ragazzo.
“Se tu, ad esempio, vieni colto da una visione malefica,
questa visione può staccare la tua coscienza, la tua anima,
dal corpo e portarla in un sogno o in un campo magico al di fuori del
mondo reale. Il risultato è che il corpo rimane inattivo
sulla terra mentre l’anima viaggia in un altro
mondo”
“No!” esclamò Gabriel, schifato
all’idea di pensare a una Rebecca “spaccata in
due”.
“Senza dubbio non la sta mettendo alla prova nessuno,
tantomeno il Male in persona. Detto ciò non ho la
più pallida idea di cosa le stia capitando”
“Che facciamo?” la voce di Gabriel uscì
malinconica e rassegnata.
Bastian si sedette e trascinò la sedia fino ad avere la
faccia del ragazzo a pochi centimetri dalla sua.
“Prima di tutto togliti dalla faccia
quell’espressione sofferta da cane bastonato. In secondo
luogo l’attacco è la difesa migliore”
Con un movimento lento e stanco Gabriel si sfregò una mano
sulla fronte come a voler allontanare un forte mal di testa.
“Parla chiaro e potabile Bastian, non sono
dell’umore adatto per capire le tue battute”
Un po’ imbronciato Bastian si tirò indietro e
incrociò le braccia al petto. “Voglio dire,
l’unico modo per capire cos’ha Rebecca è
quello di starle appiccicato ventiquattro ore su ventiquattro. Prenditi
un diario o un’agenda, annota tutti i comportamenti strani o
inconsueti che le vedi fare. Una volta alla settimana ci troviamo per
leggere il diario e così possiamo capire la causa del suo
turbamento”
“Non lo so…Bastian, non mi sembra una buona idea.
Sarà come vivere con una paziente in casa della quale
bisogna riportare salute mentale e farmaci curativi. Non voglio essere
per la mia ragazza un dottore ma una spalla su cui fare affidamento.
Possibilmente confidandosi”
“Su questo hai perfettamente ragione ma…”
“Niente “ma”. Piuttosto la inchiodo ad un
muro e la minaccio di parlare ma niente finzioni e
stratagemmi”
“Non stai valutando la cosa con la testa, Gabriel. Se solo
guardassi da un punto di vista oggettivo e imparziale capiresti che
l’unico rimedio è l’analisi del suo
stato mentale. Ma tu sei così cieco da non capire niente,
segui il tuo cuore e non ti fermi a riflettere”
“Ora basta. Me ne vado” sbattè una mano
sul tavolo facendo traballare la candela che spanse della cera.
Raccolse la sua giacca e la indossò. Finito di abbottonare
l’ultimo bottone salutò Bastian con un freddo
sguardo e un “grazie” biascicato, e se ne
andò di gran fretta.
Bastian rimase a guardare la porta chiusa dove poco prima era uscito
Gabriel. Lo raggiunse alle spalle il fratello Alan che reggeva ancora
tra le mani il foglio.
“Pensi che Rebecca sia malata?” chiese Alan
fissando le spalle rigide del fratello.
“Non penso che sia malata, penso che sia stata traviata. E
lui non lo capisce, non lo vede. Non può vederlo altrimenti
impazzirebbe”
“Forse ci siamo, è arrivato il momento in cui la
nostra ragazza dovrà scegliere da che parte stare. Primo o
poi il Male la metterà di fronte a questa scelta”
“Speriamo solo che non si faccia ingannare”
“O speriamo solo che non prenda un abbaglio”
***
Gabriel tornò a casa più che nervoso che mai. Non
appena strinse la maniglia della porta per entrare avrebbe tanto voluto
stritolarla tra le mani e romperla in mille pezzettini.
La fanno facile loro:
smettila di seguire il cuore, usa la testa.
Che assurdità.
Tutta quella situazione era assurda. La vita stessa era una pazzia. Era
pomeriggio, si era fermato da Bastian anche più del dovuto.
Apparte l’ultima conversazione che avevano avuto su Rebecca
il resto era stato superfluo e inutile.
Fece per chiamare a gran voce la ragazza quando una fitta al cuore lo
costrinse a piegarsi in due. Il cuore si stava strappando, lo sentiva.
Se respirava il torace si squarciava. Si portò una mano sul
petto e la premette nel punto in cui si trovava il cuore. Le ginocchia
cedettero e toccarono terra. Con il corpo proteso in avanti, chiuso a
riccio, Gabriel non poteva chiamare nessuno perché lo
venissero ad aiutare.
Non si intendeva molto di malattie terrestri ma quello che stava
provando gli faceva venire in mente qualcosa con il nome di: infarto.
Durante l’ora di scienze la sua professoressa aveva detto che
si poteva morire per arresto cardiaco.
Ma era stato molto tempo fa.
Viveva un vita diversa.
Fingeva di
avere una vita da vivere sulla Terra.
Ma…perché non stava morendo? Eppure i sintomi
erano chiari: fitte fortissime al petto, cuore che scoppia, vene che
esplodono, mancanza di ossigeno, cedimento del corpo.
Una fitta, la più dolorosa e violenta tra tutte, lo
portò a distendersi sul pavimento. Uno spasmo lo fece
voltare in posizione supina. Sembrava ad un pesce fuor
d’acqua: si dibatteva per terra in preda
all’affanno, tremava e sudava.
Così come il dolore era arrivato, una visione, reale e quasi
palpabile, gli si insinuò nella mente costringendolo a
vedere un sogno ad occhi aperti. Gli spasmi finirono e lui rimase a
terra floscio e debole mentre un’immagine partiva nella sua
testa a mo di filmato.
Il sogno appariva sfuocato, i movimenti erano scattosi e si vedeva bene
a tratti. I colori del paesaggio non erano vivi e accesi ma spenti e
giallognoli, come una vignetta vecchia e consunta dagli anni.
Si trovava in un bosco, guardava dal basso verso l’alto.
Doveva essere molto piccolo o molto basso. Una ragazza correva davanti
a lui, indossava una veste larga che toccava terra. La veste era di un
bianco sporco, il cappuccio le copriva la testa.
L’abito le svolazzava intorno da quanto le era
enorme…
Un colpo di vento le fece calare il cappuccio sulle spalle e Gabriel si
sentì trattenere il respiro quando vide una folta chioma di
capelli scuri caderle sulla schiena.
Rebecca…
Anche i capelli le volavano in aria, verso destra e verso sinistra, in
una massa liscia e compatta. Con le mani si teneva l’orlo
della tunica all’altezza dei fianchi in modo da non
inciampare. Gabriel la seguiva da dietro, se solo il sogno
gliel’avesse permesso avrebbe potuto allungare un dito verso
di lei e le avrebbe toccato la curva morbida della schiena. Poi un
rumore, un ululato, gli ghiacciò il sangue nelle vene. Come
disperato cercò il volto di Rebecca, per trovare conforto,
per farle capire che l’avrebbe protetta. Ma lei continuava a
correre e non si accorgeva di niente. Non si rendeva conto che qualcosa
la stava raggiungendo e non era così lontano da lei. Gabriel
guardò con orrore il movimento tra i cespugli farsi sempre
più vicino.
Perché non lo vedeva né lo sentiva? Cosa
aspettava?
Quando ormai fu troppo tardi e la bestia mostrò i suoi occhi
gialli e indemoniati, Rebecca rallentò e girò su
sé stessa. La scena divenne a rallentatore, i capelli le
fluttuarono e le ricoprirono il viso in uno schiaffo, gli occhi
sbarrati e sconvolti per la paura, rossi e lucidi per il pianto. La
bocca con le labbra secche e screpolate aperta in un grido muto.
La bestia esibì due affilati e sporgenti canini.
È tardi.
E poi tutto fu buio.
Soltanto quando il sogno e il dolore bruciante al cuore smisero,
Gabriel si rese conto che Rebecca non era in casa. Per un istante gli
venne in mente il sogno e fu attanagliato dalla paura.
Doveva trovarla.
Dov’era?
Forse era troppo tardi.
È tardi.
***
Poteva rivelarsi una perdita di tempo, un inutile tentativo di salvarsi
ma Rebecca doveva provarci. Era l’unica persona che le era
venuta in mente, una persona affidabile che, ne era convinta, non le
avrebbe sbattuto la porta in faccia. Correva affannosamente e senza
rallentare. Doveva fare in fretta.
Fretta.
Cos’era la fretta?
Un modo per scappare dal
destino che ti rincorre.
E se non sei abbastanza veloce?
Rimpiangerai di non aver
corso più forte.
Vide la casa in lontananza: il vialetto colorato e la porta chiusa. Si
lasciò condurre dalla foga dei suoi stessi passi e quando si
ritrovò la porta di fronte per poco non ci andò a
sbattere contro. Picchiò i pugni un paio di volte mentre
tendeva gli occhi imploranti verso la maniglia aspettando di vedere la
serratura scattare.
Un giro di chiavi e la porta si aprì.
Denali fu sorpreso di vederla. Diede un’occhiata fugace
all’interno.
“Ciao, Rebecca! Senti, Rosalie non è in casa,
è uscita a fare una passeggiata con i bambini. Se vuoi
accomodarti e aspettare finchè non
torna…?”
Rebecca lo mise a tacere e lo trafisse con lo sguardo. “Non
è Rosalie che cerco. Ho bisogno di parlare con te”
Imbarazzato, Denali si dondolò sui talloni. “In
cosa posso esserti utile?”
“Per prima cosa non tenermi sull’uscio della porta
e fammi accomodare. C’è una questione di estrema
importanza che voglio discutere con te”
Il ragazzo le fece cenno di entrare, lei mosse un piede e subito si
sentì bloccata, in trappola.
“Rebecca…?”
Gli occhi di Rebecca si dilatarono esageratamente. Il suo cuore prese a
galopparle in gola e si portò una mano sul petto. Era come
se tutto il suo corpo sfuggisse ai suoi comandi, ebbe
l’impulso di scappare, di andare lontano. Via, via da quel
volto compassionevole e sincero. Lui non voleva che chiedesse aiuto,
non voleva che ne parlasse con nessuno e ora stavano lottando per
decidere chi dei due doveva avere il monopolio del suo corpo.
Ti avevo detto di non
parlarne con nessuno! Come osi disubbidire?!
Facendo mente locale e attingendo ai suoi poteri Rebecca
cercò di sconfinarlo in un angolo remoto del suo essere.
Non ce la farai tanto
facilmente. Non ti permetterò di svelare il nostro segreto
ad anima viva.
Io sono forte.
Perché non
accetti con gioia il futuro che ti sto presentando? Smettila di lottare
contro di me, figlia. Possiamo collaborare, è meglio che
farci la guerra.
Ma io non voglio la tua
vita da dannata!
Ormai non
c’è più niente da fare per rimediare al
veleno che ti scorre nel sangue. Non faresti prima ad arrenderti?
Mai.
È
così difficile per te abbracciare una vita fatta di gloria,
forza e potere? Adori così tanto lavorare per un capo che ti
controlla e ti dà ordini? Provi piacere nel vedere il tuo
potere che acquisti giorno dopo giorno andare nelle mani di un altro?
Ti struggi per la compassione e la pietà? A te, per prima,
farebbe piacere essere trattata come una che ha bisogno di
pietà?
Vedi le cose da una
prospettiva sbagliata. Non puoi capire il Bene perché non lo
hai mai realmente seguito.
Quindi rimani della tua
idea?
Fino alla fine.
In tal caso
dovrò impedirtelo.
Posso batterti.
Ed era vero. Il potente flusso di energia che Rebecca stava evocando
sembrava prosciugare le forze di Mortimer. Lo sentiva sempre meno,
sempre più distante come se se ne stesse andando da qualche
altra parte. Suo padre ruggiva, tirava fuori denti e unghie per
rimanere attraccato a quella che era la sua volontà.
Lo udì un’ultima volta prima di scacciarlo
definitivamente dalla sua testa.
Stava recitando un incantesimo nell’antica lingua. Rebecca
captò alcune parole ma capì perfettamente cosa
stava facendo.
Potrai parlare di questo
segreto ad una persona soltanto e questa persona sarà
vincolata al silenzio nel momento stesso in cui le sarà
svelato il mistero. La magia sarà custode di tale arcano:
non permetterà mai che si apra bocca.
Un altro modo per
mettermi in difficoltà
In un modo o
nell’altro devo salvaguardarmi.
Denali non
potrà farne parola con nessuno e sarà costretto a
portare sulle spalle un peso insopportabile. È la cosa
più giusta?
Da come vedo stai
già iniziando a rovinare le loro vite.
Lo sentì gioire del suo turbamento. Rebecca serrò
la mascella per scacciare il dolore dovuto al torpore delle sue membra.
Senza esitare entrò in casa. Era scappata al suo controllo.
Aveva ragione: su una persona insignificante come Denali, Mortimer, era
più debole poiché il suo potere non trovava
abbastanza appigli o influssi magici sui quali attaccarsi.
Denali la seguì in salotto restando a qualche metro di
distanza.
“Ti senti bene? Sei tutta sudata e molto pallida. Vuoi che
chiami un curatore? Ti aiuto a distenderti?”
Le ossa scricchiolavano ad ogni passo e le pareva di aver le gambe
fatte di gelatina.
“No…” mormorò.
“Devo solo sedermi”
Denali scattò come un molla e l’aiutò
con premura a stendersi sul divano. Le si sedette davanti e racchiuse
le mani sotto il mento, sembrava stesse pregando tra sé e
sé. La cosa turbò Rebecca, non era mica una
malata da compiangere.
Non ancora, almeno.
“Denali, ho un grosso favore da chiederti. Non appena
avrò finito di parlare potrai anche buttarmi fuori di casa a
calci nel sedere ma devi, devi,
qualcuno deve,
sapere ciò che sto per dirti. Ho un bisogno disperato di
condividere questo segreto e se accetterai di aiutarmi dovrai starmi
veramente accanto”
Il nervosismo del ragazzo era tangibile. Si sistemò meglio
nel divano e prese un profondo respiro.
“Sai che qualunque cosa tu abbia da dirmi non mi
tirerò indietro. Sono pronto ad ascoltarti”
Rebecca era così felice che dalla contentezza le scapparono
delle lacrime. Le asciugò in fretta, imbarazzata. Sapeva di
non doversi illudere tanto presto ma non poteva farci niente, le venne
automatico provare ancora speranza.
Non è il
dolore che uccide l’uomo. È la speranza che lo
distrugge.
Strano come tali aforismi le venissero in mente.
Parlò con voce bassa e fluida. Non tralasciò
nessun particolare, gli raccontò tutto dal principio fino a
quella mattina. Riportò i suoi aneddoti delle montagne
innevate, di quando tornò a casa, dell’incontro
con Atreius, del meccanismo di trasformazione ad opera del veleno e di
suo padre, di quello che stava diventando e di come funzionava la
“contaminazione” del corpo.
Gabriel aveva ragione nel dire che Denali era il suo migliore amico in
quanto era la persona più affidabile e responsabile che
avesse mai incontrato.
Nonostante le atrocità e gli orrori che gli stava narrando
lui non trapelò nessun’ombra di dubbio, di
disgusto o repulsione. La guardava con tenerezza e dolcezza, pur
mantenendo sempre quell’aspetto autoritario e serio tipico di
un capo. Rebecca gli parlò della sua conversazione con
Atreius, ripetendo le stesse identiche parole che si erano detti, e
quando confessò che gli avrebbe uccisi tutti
scoppiò a piangere senza ritegno. Denali le posò
una mano sulle gambe tremanti in un significativo gesto di protezione e
conforto. Ian ed Emma erano fortunati ad avere un padre così
premuroso e combattivo. Provò un senso di invidia nei
confronti dei due bambini perché avevano un tale amore.
Denali non battè ciglio neanche quando la ragazza gli
dichiarò con voce addolorata che sarebbe stato vincolato
dalla magia al silenzio per la loro conversazione.
“Ti aiuterò. Da quello che ho capito non posso far
appello a nessuno ma cercherò un modo per tirarti fuori da
questo imbroglio. Tuo padre ti controlla se vede che cerchi un modo per
sconfiggerlo?”
“Sì, l’ultima volta che ho tentato di
cavarmela da sola è stato nelle montagne innevate. Pensavo
di riuscire io stessa ad ucciderlo ma non mi ha permesso di portare a
termine il mio compito. Ha controllato il mio corpo e la mia mente per
inviare un sogno a Gabriel. Se trovassi un modo per sbarazzarmi di lui
mi farebbe smettere immediatamente”
“Ho capito. Quindi ti serve un aiuto esterno, Mortimer non ha
poteri di manipolazione su nessuno che non sia tu e io posso agire
indisturbato”
“Esatto”
“Che cosa ti serve?” le domandò.
Una piccola sensazione di resistenza la fece traballare. Suo padre non
demordeva. Non si fece intimidire.
“Mi serve che trovi tutte le informazioni possibili riguardo
ad un veleno in grado di corrompere l’animo. Devo sapere come
agisce, dove e quanto tempo impiega a infettare il corpo. Quando
saprò di più dovremo cercare una cura, un rimedio
alla trasformazione. Un antidoto, una pozione, che fermi il veleno e lo
estirpi dal mio corpo. Mortimer non mi permetterà neppure di
avvicinarmi ad un libro che reputa gravoso per la sua vita
perciò dovrai farlo tu al mio posto”
“Ok, va bene”
“Potrei avere delle ricadute Denali, dei giorni in cui
sarò scontrosa e cattiva, in grado persino di attaccare
qualcuno del villaggio. Ti prego, se dovessi ferire Gabriel o Rosalie
senza rendermene conto…”
“Non preoccuparti, sarò il tuo sostegno e la tua
copertura”
“Spero solo di avere abbastanza autocontrollo…e
tempo”
Ci fu un attimo di silenzio. Denali la scrutava attentamente e Rebecca
fu sollevata nel vedere che il suo sguardo era curioso e non
angustiato.
“Come ci si sente?” chiese il ragazzo sollevando il
mento.
“Impotenti” sussurrò tristemente.
“Senti che il tuo corpo non ti appartiene più, che
non sei l’unico ad averlo per sé. Alcune volte
agisco contro la mia volontà e allora è come se
fossi spaccata in due, due forze che mi tirano e mi danno tormento.
Raramente, durante il giorno, posso percepire il veleno mentre scorre
nelle mie vene, nel mio sangue, infettandomelo. Ci sono mattine che mi
sveglio e ho le membra intorpidite come se quel pezzo di corpo non
fosse mio e allora devo pregare per sentirmi di nuovo le gambe. Ogni
tanto il veleno raggiunge una parte del mio corpo e
l’irruzione è così violenta che vengo
colta da improvvisi malori, l’aria che respiro diventa
pesante e sa di catrame. A volte mi chiedo cosa succederà
quando il veleno raggiungerà il cervello. O peggio ancora,
il cuore”
Denali la fissava impietosito. Boccheggiò un paio di volte e
poi nascose la testa fra le mani. Forse era troppo anche per lui.
“Oddio…Rebecca, che ti è
successo?” mormorò con voce rotta.
“Non è detto che ad una persona infinitamente
buona debbano capitare sempre cose infinitamente buone. Io ho avuto la
sfortuna di discendere da un ramo malato della famiglia”
Gli occhi di Denali erano spalancati per la paura. “Non posso
credere che stia succedendo proprio a te. Come faremo
se…?” gli mancò la voce.
“Abbiamo delle possibilità di vittoria,
almeno?”
Le vennero in mente le parole di suo fratello. La cruda e vera
verità la fece tremare.
“Non penso ma dobbiamo tentare
ugualmente”
“Sono orgoglioso che tu ti sia rivolta a me. Scartando
Gabriel e Bastian potevi chiederlo a chiunque. Perché hai
scelto me?”
Rebecca si sentì un groppo in gola.
“Perché sei il padre che non ho mai
avuto”
Denali si lasciò scappare una risata sincera. “Ti
ringrazio”
“Ian ed Emma sono fortunati ad avere te come padre”
Il ragazzo si addolorò per la profonda tristezza che lesse
dentro gli occhi abbassati di Rebecca. Sicuramente soffriva molto per
la maledizione che il suo stesso genitore le aveva inferto. Doveva
essere una ferita che bruciava e che lasciava continue cicatrici.
Di colpo Rebecca si alzò dal divano. Fissava con occhi
terrorizzati la finestra che dava sul vialetto. Si voltò
verso Denali e lui vide che tremava.
“Sta arrivando”
“Chi?” domandò alzandosi a sua volta,
non sapendo che fare.
“Gabriel. Non devi dirgli che sono qui, ti prego!”
“O-Ok…va bene. Và a
nasconderti!”
Le indicò una porta nel corridoio. Rebecca vi ci si
catapultò dentro e la richiuse. Era uno sgabuzzino dove
tenevano le scope e gli stracci, lo spazio era quadrato e molto
ristretto. Si appiattì contro la parete e cercò
di tranquillizzare il battito del suo cuore che andava a mille. Se
continuava a battere così forte Gabriel l’avrebbe
sicuramente sentita.
Udì dei battiti frenetici sulla porta e la voce di Denali
che andava ad aprire.
L’irritava non poter vedere niente perciò, facendo
attenzione, appoggiò un orecchio contro la porta dello
sgabuzzino per ascoltare. Non appena lo accostò
sentì la voce arrabbiata di Gabriel.
“Come non sai dov’è?! L’ho
cercata dappertutto! Ho messo a soqquadro l’intero villaggio
per trovarla e l’unico posto che mi manca da guardare
è casa tua!” era fuori di sé.
La voce di Denali era leggermente impacciata. Non era capace di
mentire.
O forse era lei che stava diventando una maga del fingere?
“M-Mi dispiace, Gabriel. Non l’ho vista, n-non
è passata da casa mia. Te lo direi, altrimenti”
“Me ne sbatto di quello che vedi! Ho bisogno di sapere
dov’è!”
“Perché ti scaldi tanto?”
Rebecca sentì il rumore dell’aria che sferzava il
vuoto e poi il frastuono di qualcosa che si rompeva e cadeva a terra.
Immaginò Gabriel colpire con un pugno un vaso e romperlo in
mille pezzi.
Le corse sulla schiena un brivido di freddo. L’aveva fatto
arrabbiare, e parecchio.
“Mi scaldo tanto perché l’unica
giustificazione che mi viene in mente per la sua scomparsa è
che se ne sia andata un’altra volta!”
urlò.
“Non lo farebbe mai un’altra volta! Aspetta che
venga sera e poi se non è ancora tornata mobilita un
esercito, parti con mezzo villaggio, scomoda tutta Chenzo, ma abbi
fede!”
Non aveva mai sentito Denali alzare la voce in quel modo. Un sorriso
compiaciuto le incorniciò il volto pallido e teso.
Bravo Denali,
così si fa. Hai capito come và preso Gabriel.
“Fede?!” le parve di vederlo sputare al suono di
quella parola. “Non è di certo la fede che mi
aiuta a guarirla!”
“Guarirla?”
“Rebecca non sta bene, Denali! È importante per lo
stato in cui si trova che io sappia dove sia. Non aspetterò
fino a stasera”
“Dalle il tempo di tornare, magari è
andata…”
“Dove? Ho controllato e non c’è traccia
di lei. Vuoi che aspetta mentre lei va a trovare il suo caro paparino
defunto e il suo fratello adorato?! Me ne sto qui con le mani in mano
finchè Rebecca si congiunge con la sua famiglia di
pazzi?!”
Per uno strano e sconosciuto motivo non le piacque per niente il modo
in cui Gabriel aveva definito la sua famiglia. Strinse forte i pugni
lungo i fianchi per non urlare.
“Aspetta che arrivi sera. Fidati,
arriverà”
Denali sapeva che sarebbe tornata e la sua bugia stava diventando molto
credibile.
“Perché dovrei fidarmi di lei?”
Sapeva che Gabriel non lo pensava sul serio, che era troppo accecato
dall’ira per ragionare lucidamente, ma la sua espressione fu
quella di chi aveva appena ricevuto un pugno. Non potè
trattenersi dal sentirsi ferita e umiliata.
Perché dovrei
fidarmi di lei?
Ricacciò indietro le lacrime ma non ci riuscì con
il groppo in gola che stava diventando un macigno soffocante.
“Non dovresti dire queste cose, Gabriel” la voce di
Denali esprimeva tutta la sua incredulità.
“Ne ho abbastanza. Vedo che qui Rebecca non
c’è. La cercherò altrove”
“Aspettala a casa”
Non si sentì la risposta, in cambio la porta si
aprì e sbattè con forza.
Udì i passi di Denali farsi vicini e poi la porta si
spalancò. La faccia del ragazzo era scombussolata,
imbronciata, e i suoi occhi erano spenti. Rebecca sapeva di non avere
un aspetto migliore, doveva sembrare ad un cadavere. Uscì
dal ripostiglio e abbracciò Denali con disperazione. Pianse
sulla sua spalla come una bambina, voleva sprofondare per il dolore.
Denali la consolò come meglio poteva: dandole colpetti sulla
schiena e ripetendole una serie di: “shh”.
“Mi odia!” piagnucolò tra le lacrime.
“No, non ti odia e tu non gli darai motivo per
odiarti”
“Oh Denali, come farò a sopravvivere a tutto
questo?”
Denali non parlò. Un singulto la scosse da capo a piedi e
pianse ancora più forte.
Ho rovinato tutto.
Chi si è
preso la mia felicità?
Tornerò mai a
sorridere ancora?
***
Sarò
stata brava a terminarlo in quasi dieci giorni!!!!
Ora
devo dire che vado molto più spedita dato che la storia mi
sta prendendo...e non riesco a smettere
di
scrivere!!!
Dovrei
studiare, andare fuori con gli amici, fare altre cose ma mi ritrovo
sempre
a scrivere sta storia!!!
Spero
veramente che vi sia piaciuto anche questo
capitolo!!!
Diciamo che stiamo arrivando a metà racconto tra breve!!!
Recensite, mi raccomando che son sempre
stra-contenta
quando lo fate!!
(pazza
chicca90!! che è diventata dipendente
--->facciamo
un applauso!! hihhi <---
Il prossimo capitolo si
intitolerà: "L'ELEFANTE
E LA FARFALLA"
e
devo dire che Gabriel nel prossimo capitolo sarò MOLTO ma
MOLTO stronzo!!!! e vedrete perchè...
vi
dico solo che ci sarà un'altra
ragazza...
"I
THANKS":
CHICCA90: sono
contenta che questo capitolo ti sia molto piaciuto, questo è
sicuramente meno bello ma devo far accadere le cose con calma!!!
è strabiliante la meticolosità con cui segui la
mia storia per questo ti ringrazio tantissimo!!!! fammi sapere di
questo cap, mi raccomando..bacioni
ANGELOFLOVE:
eh miseriaccia, Gabriel arriverà sì a capire che
Mortimer è in Rebecca ma lo farà troppo tardi!!!
sarà proprio la lentezza nel capire di Gabriel che
farà crollare un po' tutto!! ma per fortuna Rebecca ha
trovato Denali perchè se aspettiamo Gabriel.....!!! hihihih
alla prossima!!!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** L'elefante e la farfalla ***
Cap. 9 -
L’ELEFANTE E LA FARFALLA -
[Un
periodo difficile stava scorrendo,
i
miei occhi non riuscivano a vedere le stelle brillare,
il
mio cuore non riusciva a sentire la bellezza del sole che sorgeva.
Perché
si è rotto, rotto.
Qualcosa
si è rotto, come rubato.
Ho
sofferto ed ora
solo
il tempo lo dirà.
Il
tempo curerà]
Elisa
- Broken -
***
Con la testa
china Rebecca tornò a casa quella sera. Per tutta la via del
ritorno si era torturata le mani e pensava con affanno quale reazione
avrebbe avuto Gabriel nel vederla. Che era arrabbiato era palese, ma
questa volta un altro tipo di timore, diverso dalla paura di
confrontarsi, la rendeva incapace di calmare i propri fremiti. Era il
terrore di essere lasciati ed era la cosa più spaventosa e
agghiacciante che avesse mai provato in tutta la sua vita. Non sapeva
dire con esattezza che avrebbe fatto se Gabriel l’avesse
mollata, non poteva sapere se sarebbe esplosa dall’urlare o
ammutolita finendo per svenire dal dolore.
Era appesa
ad un filo lungo e sottile, bastava poco perché cadesse
verso pozzi più profondi e oscuri.
Con passo
strascicato ed esitante barcollò fino alla porta di casa e
bussò tre volte. Per fortuna che la notte e la luna alle sue
spalle le nascondevano gli occhi rigati di lacrime. Non appena
sentì dei passi affrettati giungere verso la porta si
coprì il volto con le mani, piangeva così tanto
che era scossa dai singulti e non voleva che lui la vedesse in quello
stato. Pianse ancora più forte quando vide tra la fessura
delle mani la porta spalancarsi.
Si
sentì afferrare con forza per il polso, la mano di Gabriel
la stringeva con brutalità e la tirò dentro casa.
La mollò con uno strattone e il suo braccio
ciondolò inerme lungo il fianco mentre l’altra
mano scendeva dagli occhi fino alle guancie in un’espressione
disperata. I suoi occhi spalancati incontrarono quelli di Gabriel che
bruciavano di collera. Il suo petto si alzava e si abbassava come
quello di una bestia ferita, le labbra formavano una linea dritta e
rigida e i pugni erano serrati.
La delusione
che lesse nel suo sguardo la fece crollare.
“Dove
sei stata?” domandò.
Aveva
pianto, ne era sicura. La sua voce vibrante era talmente roca da
risultare commossa, sebbene stesse facendo di tutto per apparire
distaccato e impassibile.
“I-Io…”
“Ho
perlustrato tutto il villaggio quindi evita di raccontarmi stronzate,
per favore. Faresti prima a dirmi la verità”
Durezza.
Era freddo
come il marmo.
Rebecca
esitò. “Mi dispiace”
Mi
stai tradendo con Atreius, non è vero Rebecca?
È
lui che vedi quando te ne vai via di nascosto?
Gabriel
sospirò.
Tutte le
volte che non riusciva a trovarla, che spariva per ore o per un giorno
intero…il dubbio stava diventando conferma, altrimenti come
si spiegava le sue fughe improvvise e i suoi silenzi? Il fatto che non
volesse dirgli la verità implicava che nascondesse qualcosa
di losco e di proibito.
Subito
sentì il sangue andargli al cervello.
“Non
dispiacertene, tesoro. Basta che mi dici dove sei stata”
Rebecca
indietreggiò.
Non
posso dirtelo! Lui non me lo permette! Cosa posso raccontarti
affinché tu creda alla mia bugia?
“Non
posso” sussurrò.
Capì
di aver detto la cosa sbagliata nel momento in cui il ragazzo la
urtò contro il muro e le circondò il collo con la
mano. La presa che aveva su di lei la stava soffocando.
“Sono
stufo di sentirti dire che non puoi dirmi dove vai. Si può
sapere dove sparisci? Con chi ti vedi?” urlò.
“Smettila
Gabriel, mi stai facendo male”
“E
tu mi stai uccidendo da quando sei tornata! Non ne posso più
delle tue scuse, delle tue assenze, dei tuoi comportamenti ambigui e
dei tuoi sbalzi d’umore! Mi sono stufato, Rebecca! Sono un
uomo ormai e principi come la fedeltà, il dialogo e la
collaborazione sono essenziali per me. Ora basta giocare, dimmelo
altrimenti…” lasciò la frase in sospeso
e aumentò la stretta attorno al suo collo.
Per la prima
volta, da quando Rebecca lo conosceva, ebbe paura di
lui.
Si
portò le mani sul collo cercando di allentare la presa ma
Gabriel non dava segno di voler abbassare le mani.
“Basta…così
mi uccidi…” disse con voce soffocata.
Gabriel
digrignò i denti e si chinò su di lei. La
fissò intensamente e con un odio talmente profondo che la
ragazza si sentì mancare il respiro.
“Ti
vedi con Atreius, vero?” sibilò.
“Che
cosa?! No! N-No…! No!” esclamò,
indignata da tale idiozia.
“Ti
vedi con lui. È così, giusto? Quante bugie e
falsità…non t’importa che io possa
morire di gelosia, a te basta che qualcuno ti renda felice! Scommetto
che vi vedete di nascosto, magari in mezzo al bosco così
nessuno può vederlo mentre ti sbatte!”
“Non
è vero! Come puoi dire una cosa simile?!” disse
cercando di allontanarlo.
“Cosa
ti dà Atreius più di me? Il brivido del peccato
oppure è semplicemente più bravo di me nel
portarsi a letto le ragazze?!”
Contro ogni
buon senso Rebecca lo colpì con una ginocchiata
all’inguine. Gabriel si piegò su sé
stesso imprecando e poi gli diede un calcio che lo fece volare infondo
alla stanza. Il ragazzo sbattè la schiena contro la porta e
le chiavi caddero dalla fessura con un tonfo metallico.
Non
può essere vero.
Da
quando siamo diventati così?
Perchè
non potevo vivere tenendomi stretta la mia felicità?
Ora
posso anche smettere di sognare.
Ormai
è tutto fumo che appanna gli occhi.
“Che
cosa ti sembro?!” sbraitò Rebecca rossa in volto,
avvicinandosi minacciosamente verso di lui. “Una
puttana?!”
Gabriel si
alzò in piedi tremolante e si mise a ridere.
“È questo il nome per una ragazza che fa sesso con
più uomini oltre al suo ragazzo”
La violenza
delle sue parole la lasciarono turbata. “Io non faccio sesso
con nessuno che non sia tu! Perché diavolo non mi
credi?!”
“Questa
è la stronzata che più ti è riuscita
di dire, Rebecca! Vuoi per caso negare che in questi giorni non hai mai
visto Atreius?!”
“Io…”
Pur
di mantenere il mio segreto sono costretta a ferirti.
Dovrò
farti credere quello che vuoi sentirti dire per salvare me stessa.
Ma
a che prezzo…
“Rispondimi,
maledizione!” tuonò il ragazzo.
Rebecca
abbassò la testa mortificata. “Non posso. Mi
dispiace, io…non posso”
“Bene!
Bene!” esclamò buttando le braccia in aria.
“Sai che ti dico?”
“No…”
piagnucolò lei, scuotendo la testa.
Sapeva bene
dove stava andando a parare e doveva fermarlo a qualsiasi costo.
Fece per
correre verso di lui e tappargli la bocca ma fu troppo tardi.
“Continua
a fare l’amore con il tuo amante ma non chiedermi
più il mio corpo. Non provare a trovare conforto nel mio
calore perché mi hai deluso” fece un respiro
agonizzante. “Mi hai tradito”
Rebecca lo
prese per le spalle e lo scrollò con violenza.
“Non ti ho mai tradito! Non l’ho mai fatto!
Gabriel, sei stato l’unico ragazzo con il quale io abbia mai
fatto l’amore! Devi credermi, io non posso farne parola con
nessuno ma tu devi
avere fiducia in me o tutto andrà perduto!”
“Allora
neghi di averlo visto? Lo neghi?!”
La ragazza
scoppiò a piangere. Era impossibile per lei dire a Gabriel
cosa le stava succedendo, suo padre era pronto ad intervenire mentre
mascherava una finta indifferenza.
Con
espressione tormentata dovette negare.
“No”
disse tra le lacrime.
Gabriel
barcollò indietro e dovette appoggiarsi alla porta per non
cadere. “Quindi hai visto Atreius”
“Sì”
Mi
dispiace ma è l’unica cosa che mi è
dato dire. La verità è sepolta dentro di me e
morirà con me e Denali poiché nessuno dei due
potrà mai parlarne. Posso solo fingere, anche se questo mi
costerà il tuo amore.
Ma
questa volta, Gabriel, non posso essere sincera.
Una smorfia
schifata dipinse il volto di Gabriel. I suoi occhi squadrarono il corpo
della ragazza con un’aria disgustata. Immaginava Rebecca nuda
tra le braccia di Atreius mentre lui la toccava. Si sentì
corrodere dalla gelosia e dall’ira.
“Con
Atreius” boccheggiò. “Mi hai tradito con
il mio peggior nemico”
Rebecca
fissava con occhi acquosi il pavimento, troppo sconvolta per parlare,
per salvare la situazione con un’altra bugia. Ma Gabriel era
convinto che lei lo tradisse e forse questa era una realtà
meno dolorosa del confessargli il suo destino accanto al Male.
“Io.Non.Ti.Ho.Tradito”
sillabò con voce ferma.
Gabriel
aggrottò la fronte in un gesto spavaldo e spaccoso.
“E che cosa avresti fatto con Atreius?
Sentiamo…gli avresti parlato, fatto la predica? Forse avete
fatto qualche lotta insieme! Ma certo! Vi trovavate puntualmente e
regolarmente da qualche parte nel bosco per fare la lotta! Che scemo
che sono stato a non esserci arrivato prima!”
“Sei
uno stupido se non ti fidi di me”
Gabriel si
abbassò e raccolse il mazzo di chiavi che era caduto per
aprire la porta.
Stava
uscendo.
Di notte. A
quell’ora.
“Dove
vai?” domandò allarmata Rebecca.
“Fermati! Dobbiamo ancora finire di parlare! Non puoi
andartene nel bel mezzo di una discussione!”
“Ti
lascio la casa libera! Così non occorre che tu e il tuo
amante facciate sesso distesi sul terreno sassoso e graffiante. Sai
altrimenti che mal di schiena?” disse con quel suo sorrisino
falsamente divertito.
Uscì
e sbattè la porta con così tanta violenza che i
quadretti appesi al muro oscillarono e crollarono a terra spaccando il
vetro della cornice. I pezzetti di vetro si sparpagliarono lungo il
pavimento e rotolarono finchè non decisero di fermarsi.
Trattenendo
a stento le lacrime Rebecca si voltò e corse a letto.
Non appena
si lasciò andare contro il materasso e subito il calore
delle coperte le infuse un senso di protezione diede libero sfogo alla
sua sofferenza.
È
orribile…
“È
troppo…” pensò a voce alta.
Avvertì
come una scossa il veleno muoversi nel suo corpo. Lo sentì
salire e avvicinarsi fluidamente al suo cuore. Dove scorreva come un
liquido denso e corrosivo percepiva quel tratto di corpo intorpidirsi e
diventare di ghiaccio.
Che
succedeva se il veleno infettava il cuore?
***
Erano
passate due o tre ore da quando Gabriel se n’era andato e
Rebecca fu svegliata di soprassalto nel cuore della notte da un rumore
in corridoio. Amplificò le sue capacità uditive
estendendole sull’intero piano. Era un rumore di passi,
c’era qualcuno in casa che si stava dirigendo in camera sua,
poteva cogliere alcuni frammenti dei suoi pensieri. Tornò a
dormire con una triste rassegnazione.
Che sia anche un Nim, non
m’interessa. Che mi uccida pure, se dovessi morire in questo
momento non m’importerebbe.
Ma i passi
si fermarono davanti alla porta della sua camera e Rebecca, leggendo
con più chiarezza i suoi pensieri, capì che non
era né un nemico né un malintenzionato.
Lo
sentì avanzare nella stanza e salire sul letto, poteva
percepire la pressione dovuta alle sue ginocchia mentre si sollevava.
Rimase rannicchiata sul fianco facendo finta di niente.
Una bocca le
baciò la guancia e sensualmente discese fino a mordicchiarle
il lobo dell’orecchio. A quel contatto la ragazza
scattò a sedere trovandosi faccia a faccia con Gabriel.
Rimase inorridita per quello che vide.
Gabriel era
ubriaco, lo si vedeva benissimo dai suoi occhi umidi e appannati. Il
suo alito puzzava di alcool, le sue guancie erano di un bel rosso
acceso mentre le labbra erano bianche per il freddo.
Allungò
una mano verso di lei e le accarezzò la guancia con
devozione.
“Non
ce l’ho fatta, non sono riuscito a starti lontano”
biascicò con la voce impastata.
Rebecca
schiaffeggiò la mano del ragazzo e si allontanò
da lui. “Stammi distante, sei ubriaco” lo
minacciò dal fondo del letto.
L’unica
cosa che mancava per rendere quella serata ancora più
deprimente era che lei si lasciasse sedurre da un ubriaco.
Gabriel
gattonò verso di lei, gli occhi incupiti dal desiderio. La
prese per il gomito e l’attirò verso di
sè con decisione, dopodichè si mise sopra di lei
e cominciò a baciarla con foga. Toccò il suo
corpo con mani ruvide e senza dolcezza, assaggiò con la
bocca il suo seno e il suo ventre piatto. La sentì
trattenere un gemito e allora spinse con irruenza il bacino contro di
lei mozzandole il fiato in gola.
Ma per
quanto eccitanti fossero quelle carezze c’era un qualcosa di
disgustoso nel suo modo di toccarla, qualcosa di volgare e di rozzo.
Rebecca
scivolò via dal suo corpo e scese dal letto, non fece fatica
a spostarlo, il suo stato di ubriacatezza lo rendeva debole. La ragazza
respirava con affanno, si abbassò la camicia da notte che le
era salita fino a metà busto e si morsicò il
labbro inferiore per il nervosismo.
“Basta
Gabriel, te ne potresti pentire”
Gabriel rise
forte. “Non sono mai stato così sicuro di volerti
come in questo momento. Non mi vuoi?”
“Non
è questo il punto. Hai bevuto e io non voglio stare con te
questa notte. Vuoi violentarmi? È questo che vuoi?
Perché ti puoi scordare che io faccia l’amore con
te da ubriaco, non sono una puttana, diversamente da come la pensi
tu”
Il sorriso
si spense dalla faccia del ragazzo. “Ma che ragazza sei se
non vuoi accontentare il tuo uomo? Per Atreius non ti faresti pregare
così tanto”
Un conato di
vomito rischiò di salirle in gola. Le stava parlando proprio
come un uomo parla alla sua prostituta di turno.
“Mi
fai schifo” sibilò. “Ora
esci!”
“E
dai! Neanche un bacetto?” la implorò.
“Fuori!”
urlò con il volto in fiamme per lo sforzo di controllarsi.
Gabriel
gettò via le coperte e, come un animale respinto e
inappagato, se ne andò furiosamente nel silenzio
più totale. Non appena lo sentì uscire
un’altra volta di casa Rebecca corse in bagno e
vomitò.
Non riusciva
a descrivere il dolore che stava provando in quel momento. Era tutto
così irreale, così diverso da com’era
abituata…
Non
c’erano mai state liti così accese e sofferte come
quella che avevano appena avuto, e non era mai successo che Gabriel
tornasse a casa ubriaco marcio.
Tirò
l’acqua e abbassò la tavoletta del water, le mani
sudate lasciarono aloni sulla superficie liscia della tavoletta.
Continuava a tremare e i suoi muscoli erano talmente tesi da farle
male. Arrancò fino alla sua camera da letto e chiuse la
porta a chiave. Era brutto dirlo ma così si sentiva
più al sicuro.
***
Gabriel
tornò alla locanda che aveva lasciato. Dopo essersi scolato
delle birre e degli strani infusi, con la testa che non ragionava,
aveva sentito il disperato bisogno di andare a casa e fare
l’amore con la sua ragazza.
Era tornato
da ubriaco e in un istinto masochista sperava pure di trovarla a letto
con Atreius. Ma lei stava dormendo, immobile e bella come sempre.
L’unica
cosa che ricordava era che lei lo aveva scacciato dal suo letto, che lo
tradiva e che non voleva più stare con lui. Tre biglietti di
sola andata per l’inferno. Tre punti per mandare
all’aria una vita.
Con
l’umore a terra Gabriel si trascinò verso il
bancone. Cercò di non badare alla gente che aveva attorno,
non aveva voglia di vedere altri volti afflitti e disperati. La cosa
più fantastica di un uomo ubriaco che vuole dimenticare i
suoi mali è che si fa sempre i propri affari. Gabriel poteva
affogare nell’alcool i suoi problemi senza che nessuno lo
contraddisse.
Fu raggiunto
dal barista che parve sorridere sotto i baffi. Probabilmente era
stupito di vederlo ancora lì a chiedere birra.
“Ancora
qui?” domandò mentre puliva con uno straccio
bianco un bicchiere appena lavato.
Gabriel
sospirò. “A quanto pare sì, oggi non
dev’essere la mia giornata fortunata”
“Mi
sembravi molto più allegro prima” notò.
“Ah,
donne” brontolò. “Prima ti vogliono e
poi ti mandano a quel paese!”
“Vuoi
qualcosa da bere? Offre la casa”
Il barista
appoggiò sul bancone una tavoletta di legno scuro con
dentro, in fila, sei bicchierini stra-colmi di una sostanza verdognola
e schiumosa. Gabriel inarcò le sopraciglia.
“Bevilo!”
lo esortò. “È buonissimo”
“Che
cos’è?”
“La
cosa più pesante che ho” gli disse. “Se
vuoi dimenticare questo ti aiuta. Non fare complimenti,
amico”
Dopotutto…se
si vuole dimenticare…
Perché
no?
Gabriel
bevve il primo bicchiere, l’effetto immediato
dell’alcool gli bruciò la gola e scendendo gli
fece provare un senso di piacevole calore. Strizzò gli occhi
e per poco non cadde dallo sgabello.
Guardò
paonazzo il barista.
“Ma
è fortissimo!” esclamò.
“Tu
chi sei?” chiese l’uomo avvicinandosi e appoggiando
i gomiti sul bancone in modo da rendere la conversazione privata.
Quell’uomo
abitava nei bassifondi del villaggio, viveva di notte e dormiva di
giorno. Gabriel non si meravigliò del fatto che non sapesse
chi fosse.
Sono
l’arcangelo Gabriele.
Mai
sentito?
No?
Beh, leggiti la Bibbia, in quel libro sono famoso.
Come non
conosceva lui non poteva neanche sapere che Rebecca era la sua ragazza, che
era lei la causa delle sue sofferenze.
Il ragazzo
strinse il secondo bicchierino pieno nella mano.
Era
mia.
“Io
sono solo un uomo con il cuore spezzato”
“E
questa famigerata donna chi è?”
“Lei
è una che non scherza. È bellissima,
intelligente, simpatica, a volte anche pazza dato che mi
picchia” cominciò a ridere, un po’ per
l’alcool, un po’ perché adorava parlare
di lei. “Non provare mai a metterle i piedi in testa
perché riesce sempre ad averla vinta. Ti incanta con i suoi
occhi, con il suo corpo aggraziato e slanciato. È una
ragazza forte, ha sulle spalle il peso del mondo. Quando ride le si
illumina il volto e quando piange è come assistere ad una
visione straziante e dolce allo stesso tempo. È unica,
veramente. Non ho mai conosciuto una come lei, non ho mai amato
così tanto una donna in vita mia. Con lei posso essere un
uomo migliore, diverso. Con lei sono diventato responsabile di
un’altra vita…e sono possessivo. Niente a che
vedere con le vostre puttane, con loro la gelosia, la
protettività, non esistono” diede
un’occhiata torva a delle belle e giovani ragazze di
malaffare che con i loro vestiti attillati e corti circuivano gli
uomini. Altre ballavano sopra i tavoli mettendo in mostra dei glutei
perfetti e tonici.
“E…?”
lo incalzò il barista.
“E cosa?”
“Perché
sei finito qui?”
“Ha
un altro” era ancora più doloroso ammetterlo ad
alta voce. Ammetterlo davanti a qualcuno.
“Oh,
brutta cosa, ragazzo mio. Proprio brutta! Passi una vita ad amare una
donna e lei come ti ripaga? Dandola al primo che capita!”
Gabriel
s’infiammò. “Attento a come
parli”
L’uomo
alzò le braccia in un gesto drammatico di scuse e poi
sorrise. “Chiedo umilmente perdono, signore”
“Tu
hai mai amato…?”
“Jessie”
“Jessie.
Tu hai mai amato?”
“No,
a noi, gente di malaffare, non è concesso il lusso di amare.
Penserai che siamo dei sadici o dei folli ma possiamo anche farne a
meno se vogliamo”
“Ho
come l’idea che siamo noi più matti e sadici di
voi. Noi ci illudiamo di amare per sempre qualcuno ma la
verità è che anche l’amore, prima o
dopo, è destinato a morire. E allora piangiamo e ci
disperiamo. Con che coraggio continuiamo ad amare pur sapendo che
finirà? Dobbiamo essere molto masochisti, a mio
avviso”
“Continua
a bere, ragazzo. È molto più grave di quello che
pensavo” osservò il barista seriamente.
Si mise
dritto e andò a servire un altro cliente che era appena
arrivato, lasciando Gabriel da solo con i suoi due bicchierini rimasti.
Ad un tratto la porta della locanda si aprì e ci fu un
accompagnamento solenne del campanello e di un dolce aroma speziato.
Gabriel notò che Jessie era arrossito in maniera vistosa.
Dato che dava la schiena all’entrata dovette girarsi sullo
sgabello per vedere chi era entrato di così interessante.
Subito non
la riconobbe ma poi capì chi era.
Era la
ragazza rossa dai grandi occhi verdi che aveva salvato durante
l’attacco al suo villaggio. L’aveva trovata
impaurita e accucciata dietro il tavolo di una casa abbandonata e
distrutta. Se l’era caricata sulle spalle e l’aveva
messa al sicuro dentro un cespuglio nel bosco. Da allora non
l’aveva più rivista e mai, mai e poi mai, avrebbe
pensato di ritrovarla alla locanda, a miglia e miglia dal suo
villaggio.
Pulita,
vestita con un abito svolazzante e leggero, con le palpebre truccate e
il rossetto rosso sulla bocca carnosa appariva bellissima. I suoi
capelli di un rosso fiamma la rendevano fin troppo fatale e provocante.
Gli occhi della ragazza scrutarono la folla, impassibili e leggermente
maliziosi. Non appena il suo sguardo incontrò quello
perplesso di Gabriel si bloccò e rimase a fissarlo a bocca
aperta. L’aveva riconosciuto. Mostrò senza
problemi un sorriso soddisfatto e trionfante. Lo raggiunse al bancone e
si sedette sullo sgabello di fianco al suo.
“Ma
guarda chi si vede! Sei il ragazzo che mi ha salvata! Non avrei mai
pensato di rivederti” disse traboccante di una gioia che
faticava a contenere.
“Io
ci abito in questo in villaggio. Semmai tu che ci fai qui”
“Ci
lavoro” i suoi occhi lampeggiarono verso il barista che fece
finta di niente.
“Oh”
mormorò Gabriel che aveva colto il loro scambio di sguardi.
“Ho capito” prese in mano il quinto bicchierino e
buttò giù tutto d’un fiato.
“Sai,
dopo che il mio villaggio è stato raso al suolo non avevo un
posto dove andare così ho viaggiato. Sono stata in parecchi
posti e ho sempre lavorato. Quando sono arrivata in questo villaggio
Jessie mi ha subito offerto un lavoro” disse indicando il
barista che per tutta risposta le sorrise. “So che non
è il massimo come lavoro ma in qualche modo devo pur vivere!
Non credi?”
No,
penso che si possano trovare i soldi per vivere anche senza fare la
puttana o la ballerina di can-can. A meno che non ti piaccia come
lavoro e non lo vuoi ammettere.
“Hai
ragione, per vivere ci si adatta a tutto”
“Esatto!
Vedi come noi due ce la intendiamo?! Allora, come stai? Lavori in
questa locanda? La mia camera da letto è al secondo
piano” Gabriel finse di non aver colto
quell’avance. “Sono arrivata da pochi giorni ma
faccio già una gran fatica ad adeguarmi a questi orari! Tu
pensa che di notte lavoro, di giorno lavoro…e io quando
dormo?”
“Io
sto da schifo, non lavoro in questa locanda, sono contento che hai
trovato un posto dove dormire anche se, che sfortuna, non puoi mai
chiudere occhio”
“Com’è
che ti chiami?”
“Gabriel”
borbottò.
“Io
sono Fiona, grazie per avermelo chiesto” guardò in
giro e poi sospirò. “Dov’è la
tua ragazza? Non è con te?”
Gabriel
scattò in piedi e frugò nelle tasche, prese
alcuni spiccioli e gli porse al barista. Bevve fino a finire
l’ultimo bicchiere e indossò la giacca.
Jessie gli
rimise in mano i soldi. “Offre la casa amico, te
l’avevo detto. Questo servizio non richiede soldi”
Questo
servizio? E l’altro servizio che devo pagare
cos’è?
Jessie e
Fiona si guardarono allungo, comunicando con gli occhi.
Gabriel
intascò le monete e fissò con desiderio i
bicchierini vuoti sopra il bancone. Gli mancava già
l’alcool, gli piaceva la sensazione pungente di sentirlo
scivolare dentro il proprio corpo. Era un tocco di fuoco dentro un
corpo freddo come il ghiaccio.
Fiona si
alzò a sua volta e lo raggiunse danzando. “Devo
dedurre che tu abbia chiuso con la tua ragazza”
Gabriel la
incenerì con gli occhi. “Ti
piacerebbe…”
“In
ogni caso…ti va di fare un giro?”
domandò speranzosa.
“No”
rispose seccamente.
Fu Jessie a
fermarlo. “E dai, ragazzo! La tua ragazza se la fa con un
altro e tu fai il prezioso? Fiona sa essere molto allegra e di
compagnia, lavora molto bene e i clienti
l’adorano!”
“La
tua ragazza ti tradisce?” domandò Fiona ampliando
un sorrisino che sapeva di vittoria. “Allora non puoi
rifiutarti di fare un giro con me”
Lo prese
sottobraccio e lo condusse verso un’uscita di sicurezza
dietro il bancone. Fiona si aggrappò al suo braccio e per
poco Gabriel non la sentì fare le fusa. La vide scambiarsi
un’occhiata complice con Jessie che non gli piacque per
niente. Era una prostituta, immaginava su cosa si stavano accordando
quei due.
Quando
uscirono all’aria aperta Gabriel faticò a trovare
il respiro. Era rimasto chiuso dentro la locanda per troppo tempo e
aveva assaporato troppo allungo l’odore dolce-amaro del fumo
e dell’alcool. Si sentiva uno straccio, il corpo era pesante
e la testa leggera. Poteva anche essere una sensazione piacevole se non
fosse stato per il senso di vertigine e la nausea. La vista
cominciò ad appannarsi. Udì la ragazza sorridere
a bassa voce.
“Devo
sedermi” disse staccandosi da Fiona e raggiungendo una sedia.
Si trovavano
in uno spiazzo verde dietro la locanda, nella zona del capannone dove
mettevano le casse vuote, le panche in più e i tavoli rotti.
Fiona rimase in piedi, le braccia al petto e le gambe divaricate.
“Hai
intenzione di rimanere lì seduto?”
“Che
vuoi che faccia?!” si lamentò apertamente.
Un conato di
vomito gli salì in gola e fu costretto ad alzarsi in piedi
per non vomitare seduta stante. Solo ora sentiva gli effetti di quei
sei bicchierini e rimpianse di avergli bevuti tutti e sei dietro fila.
Chiuse gli occhi e gli riaprì un paio di volte ma la vista
non tornava ancora. Cominciò a preoccuparsi, aveva una
brutta sensazione.
Infatti…
“Se
vuoi posso farti vedere come sono brava a lavorare” era Fiona
a parlare.
La piccola e
dolce Fiona che aveva salvato qualche mese prima. La ragazzina
spaventata che chiedeva aiuto e pietà per non essere uccisa
brutalmente come la sua famiglia. Doveva essersi maturata parecchio
durante quei suoi viaggi.
“Facciamo
un’altra volta, eh?”
Barcollando
Gabriel si posò contro lo stendardo del capannone per
reggersi in piedi. Fiona gli fu vicino e lo fece voltare dolcemente. Le
sue piccole mani spinsero il ragazzo contro la parete finchè
non sentì che la sua schiena aveva toccato lo stendardo e
lasciò scorrere le sue mani dal petto
all’ombelico. Gabriel ebbe un fremito che non
riuscì a controllare.
E la cosa
terribile era che gli piaceva come lei lo toccava.
Dall’ombelico
spostò le mani sui suoi fianchi e giù, verso il
sedere.
“So
che ti piace, non m’inganni”
Fiona si
alzò in punta di piedi e avvicinò la sua bocca a
quella di Gabriel che la fissava sempre più inorridito.
***
Senza farlo
apposta Rebecca si svegliò. Non aveva più sonno
perciò si alzò e andò in bagno. Rimase
qualche secondo a fissarsi allo specchio. Appariva scialba e molto
pallida, gli occhi erano infossati e rossi per il pianto. Faceva
schifo, in poche parole.
Una volta in
corridoio tese l’orecchio verso le scale ma non
sentì né fiutò nessuno.
Entrò nella stanza da letto di Gabriel, la camera che un
tempo condividevano e che ora era stata distrutta. Non avevano mai
avuto tempo di ristrutturarla, non dopo le cose che erano successe.
Allibita, Rebecca, guardò l’ora
nell’orologio che portava al polso.
Le tre di
notte.
Perché
Gabriel non era tornato?
Era molto
confusa, magari aveva guardato male l’ora…
Oh-oh,
brutto presentimento. L’aveva lasciato uscire ubriaco e
respinto, due mix troppo pericolosi e potenti perché andasse
tutto per il verso giusto.
Doveva
trovarlo, non poteva lasciarlo mezzo moribondo in giro a
quell’ora di notte. E poi era a conoscenza della brutta gente
che si trovava alla locanda a tarda nottata: ubriachi in cerca di una
vita migliore e più movimentata, e prostitute che vendevano
il proprio corpo per non patire la fame.
Non poteva
sopportare di vederlo in mezzo a quella gentaglia. Non Gabriel, non con
una ballerina del Moulin Rouge 2 che gli sbatteva le tette in faccia.
C’era un limite di sopportazione a tutto, maledizione!
Si
cambiò alla velocità della luce e fece le scale
tre alla volta per fare più in fretta. Arrivata sulla soglia
prese il suo mantello nero e calò il cappuccio per non farsi
riconoscere. Non voleva diventare il pasto prelibato di qualche maniaco
sessuale, non quel suo visino attraente e dolce. Afferrò il
mazzo di chiavi e uscì nell’oscurità
della notte.
Se Gabriel
era depresso e voleva bere c’era solo una locanda dove poteva
andare.
Spero
solo di non vedere qualcosa che non voglio vedere.
Prego
solo che non abbia fatto qualcosa di troppo stupido.
***
Stava
cedendo.
La voglia di
cancellarsi Rebecca dalla testa lo stava rendendo talmente tanto pazzo
da portarlo ad agire contro la sua volontà, contro ogni suo
stesso principio. Era al massimo della frustrazione. Voleva una
distrazione, anche una falsa felicità purché non
sentisse il peso opprimente che gli schiacciava il petto.
Ma era
così difficile accettare di baciare un’altra
ragazza che non fosse lei…così strano e
squallido.
Quando la
bocca di Fiona toccò la sua la spinse via poco gentilmente.
Improvvisamente gli parve di essere ritornato lucido.
“Ma
che fai?!”
“Come
che faccio? Ti pare che abbia scritto “scema” sulla
fronte?”
“Senti,
sono stufo dei tuoi trucchetti. Ho voglia di tornare a casa, non mi
reggo in piedi. Tu dovresti fare lo stesso”
“Faccio
il mio lavoro!”
“Và
a farlo da un’altra parte Fiona, non ho tempo di badare ad
una come te né c’ho i soldi”
“Ti
ho mai chiesto di pagarmi?!” urlò.
“Voglio solo portarti a letto, ok?! Non ti è mai
passato per la testa che io lo stia facendo anche perché
mi piaci?”
Il suo tono
era così ferito che Gabriel rimase interdetto. Poi
scrollò la testa. “Tu sei pazza”
“Perché?
Perché ti voglio? Mi sei piaciuto da subito, da quando ti ho
visto a Numbia. I tuoi occhi glaciali, il tuo sguardo magnetico e
tenebroso, i tuoi capelli biondi, il tuo corpo…sei stato una
rivelazione per me, è stata la prima volta che ho guardato
un uomo con occhi diversi. Invidiavo a morte la tua ragazza e non
sopportavo il modo in cui la guardavi: con quella faccia piena di amore
e di devozione! In questo momento ti voglio da farmi star male,
possibile che tu non pensa ad altro se non al tuo grande
amore?!”
“Mi
dispiace Fiona, ma è lei che amo”
“Al
diavolo anche l’amore! E dov’è lei in
questo momento? Magari c’è un altro a farla gemere
al posto tuo!”
Gabriel ci
vide doppio. Le fu addosso in meno di un secondo. “Guai a te
se parli ancora”
“L’hai
detto tu che lei ha un altro. E allora perché tu non puoi
avere me? Dov’è la giustizia se non nelle nostre
ribellioni?”
“È
diversa la situazione, lei…”
Lei
non paga gli uomini per avere del sesso.
Lei
non è come in questo momento: sporca.
Fiona
battè i piedi a terra dal nervoso. “Falle pagare
tutto quanto, dannazione! Mandala a quel paese e divertiti con me, ti
prego…solo per una notte, Gabriel. Ti
voglio…” sussurrò sfrusciandosi contro
il suo corpo.
Gabriel
l’allontanò.
“Non
ti capisco, Gabriel. Lei ti spezza il cuore, ti fa ubriacare e
distrugge la tua felicità. È giusto che sia
punita, non dico fisicamente o per tutta la vita finchè non
muore ma semplicemente pagandola con la sua stessa moneta. Come puoi
permetterle di farti questo? Sei una persona, non sei il suo schiavo
né tantomeno il suo gigolò! Non faresti niente di
male, se lo fa lei non vedo perché non debba farlo tu. Non
hai la rabbia che ti esplode dentro? Non hai voglia di
ferirla?!”
“Io
le ho dato tutto” sussurrò Gabriel.
“Lo
so, e lei ti ha preso in giro”
“Dove
ho sbagliato?” implorò con voce rotta.
“Ha
sbagliato lei, non tu. Non pensi che debba pagarla?”
“Sì”
Fiona gli
accarezzò la guancia e fece per baciarlo quando Gabriel
l’afferrò per le spalle trattenendola.
“Non
penso che sia giusto, io non credo di potere…”
“Sì
che puoi” mormorò con voce leziosa leccandosi le
labbra.
Finalmente
Fiona riuscì a baciarlo. Gli cinse il collo con un braccio
mentre con l’altra mano libera gli sbottonava i pantaloni,
lasciandola indugiare sul suo corpo. Ci sapeva fare per essere
così giovane, l’esperienza sicuramente
l’aveva aiutata parecchio. Dal modo in cui lo toccava Gabriel
non potè trattenersi dal gemere contro la sua bocca.
Tenendola per le spalle invertì le posizioni e
sbattè lei contro la parete dello stendardo.
Gabriel,
reso audace dall’alcool e inebriato, sollevò il
vestito della ragazza e ne toccò l’interno coscia
mentre premeva con urgenza il suo bacino contro quello di lei. Fiona
agganciò le gambe attorno ai suoi fianchi e
mugugnò di piacere. La sua lingua
s’insinuò nella bocca di Gabriel facendolo
sussultare. Con un solo gesto Fiona gli tolse la giacca e la maglietta
lasciandolo a petto nudo. Lo toccò con avidità e
gli baciò la pelle all’altezza del cuore.
“Oh
mio Dio…ti supplico, fa presto…” lo
pregò. Allargò leggermente le gambe e gli fece
capire chiaramente di muoversi altrimenti sarebbe impazzita.
Se Fiona non
vedeva l’ora di possederlo, Gabriel al contrario stava
lottando contro sé stesso per fermarsi in tempo. Era in
agonia, confuso. Si sentiva sbagliato, tutta la situazione era
sbagliata.
Se la
baciava era perché voleva ferire e far del male a Rebecca ma
non pensava che far sesso con Fiona sarebbe stato giusto. Forse era
meglio se si fermava al bacio, forse…
In ogni caso
aveva tradito Rebecca e questo era un dato oggettivo.
Con o senza
il sesso.
***
Rebecca
entrò nella locanda con la testa abbassata per non farsi
riconoscere, trattenne il respiro quando un’ondata di tanfo
le invase le narici. C’era un odore nauseabondo di alcool,
fumo e sudore.
Da sotto il
cappuccio diede un’occhiata ai tavoli: erano per la maggior
parte uomini. Le loro facce esprimevano al meglio il loro stato di
ubriacatezza: le guance erano imporporate di un rosso cremisi e gli
occhi luccicavano da quanto erano acquosi. Giovani e belle ragazze gli
ballavano attorno mettendo in mostra il loro sedere, il loro seno e tal
volta tutti e due insieme. Rebecca ne vide alcune trascinare gli uomini
verso le camere da letto al primo piano.
Che
volgarità.
Arrivò
al bancone tenendo sotto controllo quello che stava accadendo attorno a
lei. La sua camminata aggraziata e ondeggiante faceva presumere che
sotto il mantello ci fosse un corpo di donna. Era lampante, e infatti
attirò su di sé parecchi sguardi curiosi.
Osservò
la stanza ma di Gabriel non c’era traccia.
“Vuole
qualcosa da bere, signora?”
Rebecca
alzò gli occhi e vide un uomo proteso verso di lei con un
gran sorriso di benvenuto. Era il barista. Un tipo insolito, dovette
ammettere.
“Ad
essere sincera mi servirebbe un’informazione molto semplice.
Ha visto per caso un ragazzo, alto, biondo e con gli occhi azzurri,
aggirarsi da questa parti?”
Il barista
si fece immediatamente serio. “Chi lo cerca?”
“Tu
dimmi se l’hai visto”
“Beh,
è stato qui, sì”
“Ti
ha detto come si chiama?”
“Gabriel,
se non sbaglio”
“Dove
lo posso trovare?”
“E
tu cosa mi dai in cambio?” domandò con un
sorrisino sornione.
Rebecca
emise un ringhio e l’uomo indietreggiò come
scottato. Gli era parso di vedere sotto il cappuccio gli occhi di
quella ragazza tramutarsi in due sfere gialle e scintillanti, ma fu
solo un attimo.
Non era
normale per un umano, era il volto di un demone.
Lei non era
umana.
“Dimmi
dove lo posso trovare”
“N-Non
posso” balbettò l’uomo lanciando sguardi
allarmati verso la porta di sicurezza alle sue spalle.
“Povero
umano…” lo canzonò Rebecca.
Il tono
della sua voce raggelò Jessie che la guardò con
occhi spalancati.
“Chi
sei?”
Rebecca si
scansò un ciuffo di capelli ribelli dal viso e
ghignò. “Ti basta sapere che potrei con uno
schiocco delle dita porre fine alla tua miserabile vita”
Poi, come se
non bastasse, Rebecca gli mostrò i denti innalzando il
labbro superiore: i canini si allungarono diventando affilati come due
rasoi.
L’uomo
urlò e balzò indietro andando a sbattere contro
la scansia degli alcolici, la sua bocca tremava dalla paura.
“O-Ok,
stai calma! Ti dirò tutto quello che vuoi sapere!”
***
Era stato
facile convincere il barista: con un paio di occhi gialli, due canini
sporgenti…se si fosse trovata in un’altra
situazione, diversa da quella che stava vivendo in quel momento,
sicuramente sarebbe scoppiata a ridergli in faccia.
L’espressione dell’uomo era stata impareggiabile.
Sì, si sarebbe fatta quattro risate…insieme a
Gabriel.
Però
non riusciva a trovare nulla di divertente quella notte
perché il pensiero di lui la faceva star male.
“È
fuori, devi uscire dalla porta di servizio”
“È
da solo o c’è qualcuno con lui? Sai
com’è, non vorrei scandalizzarlo con una scenata
tra uomo e donna, non so se mi ha capita…” disse
facendogli l’occhiolino.
L’uomo
impallidì.
Rebecca
si paralizzò. “Non è solo?”
Jessie
scosse la testa come ipnotizzato.
“Con
chi è? Un ubriaco?”
“Vada
fuori signorina per favore, così mi spaventa i
clienti”
La porta di
servizio conduceva in un lungo corridoio privo di finestre o mobili.
L’unica luce che illuminava l’androne era quella
artificiale del salone che passava da sotto le fessure della porta di
servizio invadendo il passaggio con flebili bagliori giallastri.
Infondo c’era un’altra porta, chiusa e a prima
vista devastata. Non appena se la ritrovò davanti
notò che la maniglia penzolava dal pezzo di metallo e che
era perforata da dei piccoli buchi rotondi, come se le avessero sparato
addosso una serie di proiettili. Aprì la porta e un cigolio
metallico accompagnò i suoi movimenti.
Si
ritrovò in uno spiazzo verde delimitato dal bosco.
Guardò prima a destra e vide un alto steccato che metteva
fine alla proprietà del locale. Voltò la testa a
sinistra e constatò che il sentiero continuava girando in
dentro. Probabilmente portava al capannone.
Fece un paio
di passi quando sentì uno strano rumore. Sembravano dei
sospiri, dei battiti accelerati e affannati di un cuore che pompava
all’impazzata.
Appoggiò
una mano sullo stendardo muovendosi silenziosamente e
percepì un continuo scuotimento, un tremore sulla parete.
Qualcuno stava sbattendo contro lo stendardo facendolo vibrare. Erano
dei ritmi frenetici e martellanti.
Procedendo
con cautela e senza far rumore si appiattì contro lo
stendardo. Mosse la testa di lato per sbirciare. Man mano che
il suo occhio usciva per guardare riconobbe la schiena nuda di un
ragazzo. Subito non capì che stava facendo né chi
fosse.
Continuando
ad uscire con lo sguardo vide che era Gabriel. Ebbe un tonfo al cuore
quando lo riconobbe. Poi si accigliò. Aggrottò la
fronte e improvvisamente si sentì la gola secca.
Che
sta facendo?
Solo quando
ebbe tutto l’occhio scoperto mise a fuoco l’intera
scena.
Fu come
ricevere un pugno allo stomaco.
La schiena
nuda del ragazzo brillava alla luce della luna e il suo corpo spingeva
contro quello di una ragazza. Vide una chioma di capelli rossi e un
viso lentigginoso, due labbra carnose e rosse come il sangue divorare
la bocca di Gabriel. Se la ricordava quella ragazza, era la stessa che
tempo prima aveva fatto la cascamorta con lui durante
l’attacco a Numbia. E ora era lì, tra le sue
braccia, avviluppata alle sue gambe, al suo bacino.
Non si erano
accorti di lei. Per fortuna.
Rebecca
scappò via, temeva che il suo respiro potesse tradire la sua
presenza. Il battito cardiaco era troppo
forte, il respiro troppo
veloce, la gola troppo
arida e il suo pianto era troppo rumoroso
per non essere sentito.
***
Finish!!! Come
vi è sembrato quest'altro capitolo????
Forse un po' troppo
sconvolgente??? Eh, non tanto per le parti ma per la tristezza verso
Rebecca...
non so voi ma io lo
prenderei a calci uno che mi fa na roba del genere!!!
Recensite,
all'occhio, che ci tengo sempre ai vostri commenti!!!
Il prossimo capitolo
s'intitolerà: "AMORE,
NON PIANGERE"
e vedremo come
Rebecca reagirà al tradimento di Gabriel...
I "THANKS":
"VALESPX78":
l'hai detta: "ah, gli uomini!!!" in effetti lei
è in combutta con sé stessa, sta lottando per
rimanere con i piedi salda al suo presente e lui che fa??? pensa che lo
tradisca, certo che i ragazzi ci arrivano sempre
dopo...hiihhiih...senza offesa, pure noi arriviamo sempre dopo con i
loro ragionamenti!!!! Spero che ti sia piaciuto questo capitolo,
commentalo, mi raccomando!!! bacioni...
"CHICCA90":
mi chiedi se è recuperabile??? eheheheh, aspetta a leggere
più avanti!!! grazie del commento, a presto...
"ANGELOFLOVE":
eh già, un'altra...ed è proprio la rossa che lui
ha salvato e che a dirla tutta ho cercato di farla più
stronza che poteva perchè mi stava già antipatica
da quando ancora dovevo delineare la storia!!! fammi sapere che ne
pensi di questo capitolo, che sono sempre super felice di leggere le
vostre idee, commenti o riflessioni!!!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Amore, non piangere ***
Cap.
10 - AMORE, NON PIANGERE -
[Voglio
restare in buoni rapporti con il mio dolore.
Oh
ma Dio, voglio lasciarlo andare.
Non
voglio che si adagi su di me,
questa
volta ho affogato la mia voglia di volare.
Qui
nell’oscurità conosco me stessa]
Evanescence
- Lithium -
***
Un ricordo in particolare lo colpì, proprio mentre Fiona
stava per abbassargli i pantaloni, armeggiava con la sua cinghia e i
bottoni. Era un ricordo di qualche tempo fa, un ricordo che lo
colmò di gioia e di pace. E per un attimo Gabriel si
sentì felice.
“Che ne
pensi?” domandò il ragazzo cingendole la vita con
le braccia.
Rebecca era sbalordita.
Quando Gabriel le aveva proposto di visitare Chenzo insieme
considerandolo un viaggio di riposo dopo la loro vittoria, mai avrebbe
pensato di assistere ad una tale visione. Per poco non si
lasciò commuovere. I pantaloni e la camicia a maniche corte
di Gabriel erano bianchi come i granelli di sabbia e il suo vestitino
leggero, svolazzante, era dello stesso colore del cielo al tramonto.
“Te lo sei
ricordato…”
“Non me ne
sono mai dimenticato”
Rebecca aveva da sempre
confidato a Gabriel la sua passione per il mare e di quanto le mancasse
vedere l’oceano. Quando era sulla Terra era solito per la sua
famiglia fare lunghe gite in barca e lei adorava quei momenti, amava
soprattutto il mare di quel pianeta. E lui l’aveva portata in
una spiaggia al tramonto. L’aveva bendata e condotta per mano
in quell’angolo di paradiso.
A Chenzo era raro
trovare una simile costa dato che il mare veniva sempre fiancheggiato
da scogli aguzzi e da precipizi pericolosi. Ma quella era una veramente
una spiaggia: deserta, immensa, calda e sabbiosa.
Rebecca
inspirò profondamente l’aria che sapeva di
salsedine e di alghe.
“Penso che sei
un dono del cielo” gli disse, ed era vero. Gabriel era un
miracolo.
Il ragazzo la
cullò tra le sue braccia. “In questo caso sono
contento di essere il tuo dono”
“Dico davvero
Gabriel, non so come farei senza di te al mio fianco. Sei
così importante per me che sei diventato la stessa aria che
respiro: se te ne dovessi andare morirei soffocata”
“Non
succederà” la tranquillizzò.
Rebecca si
voltò e lo guardò intensamente negli occhi.
“Promettimelo”
Gabriel rise.
“Che cosa?”
“Prometti che
non mi lascerai mai”
“Rebecca
Burton, giuro su tutto ciò che ho di più caro al
mondo che non ti lascerò mai né tantomeno
permetterò che tu te ne vada da me”
Rebecca
arricciò il naso in un modo squisito e dolcissimo.
“Anche a costo di segregarmi in casa?”
“Anche a costo
di segregarti in casa” concluse lui con un sorriso
smagliante.
Rebecca, visibilmente
soddisfatta, tornò a guardare l’oceano.
Gabriel osservava il suo
profilo ammirato, gli occhi di lei scrutavano con così tanta
attenzione ogni increspatura delle onde che parevano innamorati e la
sua pelle abbronzata emanava calore.
“Se faccio una
cosa tu non ti arrabbi, vero?” le domandò Gabriel
ad un certo punto.
Rebecca
aggrottò le sopraciglia e sorrise. “Se la fai tu,
non penso proprio”
Allora Gabriel si
chinò improvvisamente su di lei e la prese in braccio.
Rebecca emise degli urletti divertiti e si aggrappò al collo
del ragazzo per non cadere. Gabriel cominciò a correre verso
l’oceano con lei tra le braccia che sgambettava e
ridacchiava. Non appena l’acqua salata del mare
arrivò a toccargli le ginocchia mollò la presa e
Rebecca cadde in acqua provocando un getto di goccioline che
andò a lavare il ragazzo.
Quando riemerse si
ritrovò faccia a faccia con Gabriel.
Era completamente
bagnata, i capelli e il prendisole erano zuppi e gocciolanti.
Battè le palpebre per alleviare il bruciore agli occhi
dovuto al sale marino. Rideva come mai aveva fatto in vita sua.
Gettò le braccia attorno al collo di Gabriel e lo
baciò con passione. Lo sentì lamentarsi contro la
sua bocca, in effetti lo stava bagnando con il contatto del suo corpo.
Quando si staccarono Gabriel le spruzzò dell’acqua
in viso facendola sghignazzare.
“Così
impari a fare i dispetti”
“Io trovo che
ti dona l’effetto bagnato sui capelli”
“Mi prendi in
giro?” ghignò.
Rebecca gli fece
l’occhiolino. “Quando mai?”
“Vieni
qui” le ordinò.
Rebecca nuotò
verso di lui e si fece abbracciare con trasporto. Gabriel la
baciò dolcemente sulla bocca e lei ricambiò con
tutta sé stessa.
“Secondo te
riusciremo ad essere felici per sempre, come adesso?” le
chiese il ragazzo facendosi serio.
“Io penso che
ognuno di noi abbia dei momenti belli e dei momenti brutti da
condividere con chi ama. I momenti belli passano velocemente e ti
riempiono di felicità. I momenti brutti devono essere
superati con l’aiuto di entrambi, ci si aiuta e si va avanti.
Avremo anche noi, Gabriel, i nostri momenti brutti ma dovremo essere in
grado di superarli”
“Hai ragione,
tesoro”
“L’importante
è parlarsi. Dobbiamo avere fiducia l’uno
dell’altro, qualsiasi cosa succeda. Io crederò in
te e tu crederai in me. Per quanto le cose possano andare male ne
verremmo fuori solo con la fede. Tu avrai fede, vero
guerriero?”
“Ti
crederò sempre se è questo che vuoi sapere, anche
se tutti dovessero dire che menti io avrò fiducia in
te”
Rebecca
affondò la testa nel suo petto e chiuse gli occhi.
“Allora vedrai che niente potrà portarti via da
me”
Gabriel le
baciò i capelli che sapevano di sale e fragola.
“Sono innamorato di te, Rebecca. Mai avrei pensato che
potesse succedermi una cosa simile. Sono pazzo di te” disse
con un sorriso.
“Ho sempre
avuto il sospetto che fossi pazzo”
Così, con il
sole calante alle spalle, i capelli con i riflessi dorati e la pelle
che brillava, solcata da una miriade di goccioline, Rebecca era
bellissima. Uno spettacolo che tolse il fiato a Gabriel, che rimase a
guardarla con la bocca leggermente aperta e due occhi aperti impietriti
e adoranti.
La sua risata gli
arrivava melodiosa e leggera fin dentro le ossa.
Se si sforzava, forse,
poteva ancora sentirla…
Con un balzo Gabriel si allontanò da Fiona. Emise un rantolo
soffocato, come se fosse appena uscito da una lunga e sofferta apnea.
Guardò sconcertato la ragazza che lo fissava smarrita.
Improvvisamente tornò lucido, o almeno così gli
parve. Era incredibile come si sentisse padrone di sé,
quelle immagini nella mente erano state uno schiaffo in viso, un pugno
in pieno stomaco. Guardò con orrore le sue mani che fino ad
un attimo prima avevano toccato e stretto con disperazione il corpo di
un’altra. Si sentiva spaesato, impotente, immaginava di
essere impallidito.
Si mise a posto i pantaloni e ne richiuse la cerniera.
Fiona fece qualche passo in avanti, con timore. “Va tutto
bene?” domandò, notando il suo pallore.
“Ma tu avrai
fiducia in me?”
“Ce
l’avrò sempre”
“Anche quando
tutto sarà grigio?”
“Anche quando
tutto sarà nero e i miei occhi non vedranno altro che
l’oscurità”
Gabriel sentì il gusto della bile salirgli in gola.
Che aveva fatto?
Com’era possibile che non si fosse fermato a ragionare, a
pensare, a capire lo sbaglio che stava commettendo? E perché
quei ricordi bellissimi e fantastici di lui con Rebecca gli avevano
invaso la mente troppo tardi?!
Prima di fare un gesto così sconsiderato avrebbe dovuto
ascoltarla di più.
“Non ti ho mai
tradito! Non l’ho mai fatto! Gabriel, sei stato
l’unico ragazzo con il quale io abbia mai fatto
l’amore! Devi credermi, io non posso farne parola con nessuno
ma tu devi avere fiducia in me o tutto andrà
perduto!”
“Sei uno
stupido se non ti fidi di me”
Maledizione, perché non le aveva dato retta?
Perché non le aveva creduto?! Lui e la sua stupida gelosia!
Lui e la sua possessività! Ecco dove l’avevano
portato quei sentimenti: alla rovina.
Fiona gli toccò un braccio con la mano. Gabriel
ringhiò e lei la ritrasse subito, spaventata.
“Cosa ti succede? Non hai una bella faccia, vuoi che
rientriamo dentro?”
“Io, penso che…andrò…a
casa”
Fiona si mordicchiò il labbro inferiore.
Ok che tutt’un
tratto è diventato uno straccio ma non voglio rinunciare a
passare una notte con lui.
Tentò di dissuaderlo a restare.
“Se vuoi puoi fermarti da me. Il mio letto è
matrimoniale e staremo comodi in due”
Gli occhi di Gabriel saettarono su di lei. “Quello che mi
serve in questo momento è tornare a casa e pagare le
conseguenze di quello che ho fatto”
“Oh, che sciocchezza…”
esclamò con una risata. “Non è successo
niente di così grave da scappare a gambe levate!”
Il ragazzo la fulminò con lo sguardo. “Niente di
grave, dici?”
“È per questo che te ne vai? Perché hai
capito che stavi sbagliando ad andare con una come me?”
“Non ho sbagliato ad andare con una come te. Ho sbagliato ad
andare con una”
“Poco male, ora tanto vale finire quello che hai
iniziato” disse incrociando le braccia al petto e
aspettandolo con un sorrisino provocante stampato in faccia.
“Fiona, posso farti una domanda?” chiese lui con
voce incolore.
“Certo” lo sfidò con
un’occhiata.
“Sei mai stata innamorata?”
Non le ci vollero neppure due secondi per rispondere. “No,
mai. Io agisco d’istinto, seguo le mie passioni e quello che
mi dice il mio corpo. Diciamo però che tu sei stato il primo
e l’unico a farmi battere il cuore così
forte”
Gabriel sbuffò. Non sapeva se ridere o piangere.
“Che peccato…” mormorò.
“Io non credo”
Il ragazzo le voltò le spalle e prese a camminare con le
mani in tasca.
“Dove vai?!” gli urlò dietro Fiona.
“Dove tu non puoi seguirmi, non saresti ben
accolta”
“Certo!” imprecò. “Ritorni a
casa, bravo! Con una che dice di amarti mentre ti tradisce!”
“Ah Fiona, che ne puoi sapere tu
dell’amore?” la canzonò mentre si
allontanava da lei. “Dovresti avere più fede,
ragazza”
La sentiva urlare, bestemmiare e sputare cattive parole su di lui. Che
facesse pure. Non l’avrebbe più rivista. Il dolore
che portava in corpo per aver tradito Rebecca era niente in confronto
alle sue maledizioni. Già vedeva gli occhi color cioccolato
di Rebecca riempirsi di lacrime e la sua forza cedere facendola
crollare a terra. Si sforzò di sorridere ma venne fuori solo
un ghigno grottesco.
Alzò la testa al cielo e sperò che
l’aria pungente della notte gli penetrasse in corpo
depurandolo.
Aveva sempre considerato gli uomini che piangono delle mezze calzette.
Strano, in quel momento aveva una gran voglia di piangere.
***
Rebecca non era mai riuscita realmente a prendere sonno. Si sentiva
svuotata, a pezzi. Avvertiva una forte pressione all’altezza
del cuore, a forza di piangere aveva la gabbia toracica dolorante e la
gola in fiamme. Senza contare che il naso aveva continuato a colarle.
Ma ora aveva smesso di piangere, forse perché non aveva
più lacrime da consumare. Immobile sul letto faceva riposare
gli occhi distesa su un fianco e non pensava minimamente a muoversi di
un centimetro. Sperava che restando ferma in eterno il suo corpo si
pietrificasse permettendole di diventare una statua di marmo fredda e
insensibile.
Strofinò la guancia contro il cuscino e sentì che
la stoffa era bagnata. Battè le palpebre e quando le
riaprì guardò il cielo dalla finestra aperta. La
voglia di aprire le ali, alzarsi dal letto e spiccare il volo per
andarsene lontano era tanta ma in quel momento era così
affranta da non trovare neanche la forza di reagire.
L’immagine di Gabriel con quella ragazza, addossati al muro
mentre si baciavano avidamente e furiosamente, era un ricordo troppo
nitido e scottante per essere rimosso dalla mente così
facilmente.
Ad un certo punto sentì un giro di chiavi e la porta
d’ingresso aprirsi.
Era lui. Lo stronzo che tornava dopo la sbronza e la scopata con una
puttana facendo finta di niente, che rientrava e sorrideva alla sua
ragazza come se tutto andasse nel migliore dei modi.
Quanto si sbagliava…
Non andava affatto bene. L’aveva visto con quella ragazza e
non l’avrebbe mai perdonato per il male che le aveva fatto.
Gabriel socchiuse la porta della sua camera da letto e
sbirciò dentro. Rebecca sentì con il suo olfatto
eccezionale che l’alito del ragazzo non puzzava
più di alcool. Doveva essere sobrio. Questo però
non cambiava le cose, non cancellava il dolore. Riprese a piangere
silenziosamente.
Lo sentì sospirare e richiudere la porta.
Calò il silenzio più totale.
Mi dispiace,
disse suo padre.
Se avesse avuto la forza di ridere Rebecca l’avrebbe
sicuramente fatto.
Ma non farmi
ridere…non ti è mai importato niente
né di me né tantomeno di Gabriel. Dentro di te
stai gioendo per quello che mi è successo, non vedevi
l’ora che mi arrivasse il colpo di grazia.
Vuoi che ti aiuti?
So già che
tipo di aiuto vuoi darmi.
E non lo vuoi?
Funziona.
Lasciami indovinare,
vuoi espandere la tua coscienza su di me per farmi trasmettere un
po’ del tuo odio. Una volta che mi avrai ceduto parte del tuo
odio, l’ unico sentimento che sai provare, questo
avrà potere e controllo su di me per circa mezza giornata.
Ti farà star
bene, l’odio è l’unico rimedio contro
quell’amore che ti spezza il cuore. L’odio ti rende
padrona di te stessa, ti da la forza di continuare, di dimenticare e di
andare avanti. Ricorderai ciò che Gabriel ha fatto ma non
proverai né dolore né amarezza, ripenserai alla
scena di loro due e avrai la forza di sorridere.
Dura solo mezza giornata
o una vita intera? pensò con sarcasmo.
Purtroppo mezza
giornata, non sono abbastanza forte per tenerti in vita con i miei
sentimenti di angelo nero. Ma se avrai pazienza, quando il veleno ti
avrà consumata interamente, allora sarai inscalfibile per
l’eternità.
Voglio smettere di
soffrire, è sempre la stessa cantilena. Sempre lo stesso
lamento. Oh Signore, sono così stufa di star male ogni
volta, così stanca di ricevere continuamente batoste e
legnate in testa!
Allora lascia che ti
aiuti. Accetta di provare come sarebbe la tua esistenza se fossi come
me: un angelo nero. Voi giudicate solo perché non avete mai
provato l’altra faccia della medaglia, solo gustando un
soffio della nostra vita potrai capire cosa si prova.
Voglio tornare a
sorridere.
Mi permetti di entrare
nella tua mente? Ci metterò poco, solo il tempo di espandere
un pezzo del mio essere.
Ok, ti do il mio
permesso. Fai di me ciò che vuoi, purché arresti
il mio dolore.
E sarà fatto,
figlia mia.
Che devo fare?
Dormi, chiudi gli occhi,
io penserò a tutto.
Lentamente Rebecca abbassò le palpebre e si
addormentò, priva di qualsiasi volontà.
Era diventato così insopportabile provare qualsiasi tipo di
emozione da indurla ad accettare una simile proposta.
***
[Sia maledetto quel
giorno che,
in mezzo a tanta gente,
ho perso la mia strada]
***
La mattina dopo Gabriel si svegliò tardi, non era riuscito a
chiudere occhio per tutta la notte e soltanto all’alba aveva
preso sonno. Più che altro, era crollato. Aveva dormito
nella sua camera, distrutta e con le pareti cadenti, e questo lo faceva
sentire profondamente a terra. Da quando lui e Rebecca avevano fatto
l’amore la prima volta non era mai successo che passassero
una sola notte in stanze separate. Avevano sempre condiviso la camera e
il letto.
Durante la notte era andato a trovarla parecchie volte. Non sapeva
neanche lui che aspettarsi quando entrava e la vedeva stesa su un
fianco che gli dava la schiena. Forse sperava di entrare, di scoprirla
sveglia e felice come un tempo, magari pronta a chiedergli di fermarsi
da lei. E invece dormiva, immobile e silenziosa, quasi morta. Gabriel
si era avvicinato più di una volta a controllare che
respirasse. Il suo battito era molto debole e lento. Con amarezza ogni
volta usciva, chiudeva la porta il più piano possibile e
tornava in camera. Si sentiva un’anima in pena con la
coscienza sporca, era triste ammettere di aver rovinato un
così bel rapporto. L’amava eppure
l’aveva tradita. Che stupido. Che perfetto idiota.
Non ricordava neanche lui quante volte era andato in bagno quella notte
per scaricare la tensione: lavarsi con l’acqua ghiacciata il
volto in fiamme e guardare con odio la sua immagine riflessa allo
specchio. Era l’immagine di una persona triste, di un
perdente che aveva peccato. Il suo torso nudo rispecchiava la vile
nudità della sua anima e le braccia muscolose indicavano la
potente brutalità delle sue azioni. Il viso era spento,
scialbo, rivelava un tormento interiore troppo grande per essere
mascherato.
“Gabriel…”
lo chiamò dal sonno profondo.
“Uhm?”
“Quando hai
intenzione di sposarmi?”
Il ragazzo
spostò la testa sul cuscino e la fissò con il
cipiglio inarcato. Rebecca si teneva alzata con un gomito e si stava
mordicchiando le labbra. Aggrottò la fronte quando
notò i suoi capelli castani tutti spettinati e arruffati.
Anche dopo aver fatto l’amore era bellissima.
“Come
scusa?” non pensava di aver capito bene.
Rebecca
arrossì e sprofondò con la testa nel cuscino. La
sentì ridere mentre premeva la faccia contro
l’imbottitura.
“Ti ho chiesto
quando hai intenzione di sposarmi” borbottò.
Gabriel si mise ridere,
sinceramente colpito e meravigliato.
Rebecca si mise seduta.
“Non ci trovo niente di divertente”
grugnì.
Anche il ragazzo si
sedette e scosse la testa incontrando gli occhi feriti di lei.
“Stavo ridendo perché mi sorprende questa tua
voglia improvvisa di sposarti. Fino a qualche giorno fa, quando te
l’ho proposto, mi sembravi spaventata a morte”
“Mi hai colta
di sorpresa, non è da tutti ricevere una proposta di
matrimonio a diciotto anni!”
“Infatti avevo
capito che era quello il problema e ho pensato di sposarti
più avanti, quando sarai pronta…e possibilmente
non minorenne”
Rebecca gli
lanciò addosso un cuscino colpendolo in pieno viso.
“Non sono minorenne, deficiente che non sei
altro!”
Gabriel
scoppiò in una fragorosa risata. “Sì,
sì, scusa. Mi sono confuso con la tua età
mentale”
La ragazza
strabuzzò gli occhi a dismisura e allargò un
enorme sorriso. “Come ti permetti?! Io sono
matura!”
Gli si buttò
addosso atterrandolo contro il materasso, poi lo bloccò per
le spalle. Gabriel non tentò nemmeno di liberarsi dalla sua
stretta, gli piaceva parecchio stare in quella posizione, con lei sopra
a cavalcioni.
I suoi occhi azzurri
luccicavano per la felicità. “Questa mi giunge
nuova, non pensavo che i koala della giungla avessero un cervello
così sviluppato. Sai per caso se sono in estinzione o si
sono evoluti?”
“Ah-Ah,
divertente! Puoi prendermi in giro quanto vuoi, tanto lo so che mi
adori!”
“Ti adoro come
un padrone ama il suo cucciolo di koala”
“Stronzo”
“Koala in
estinzione”
“Smettila!”
“Porca
miseria, che permalosa che sei!”
“Allora,
perché non mi sposi?”
Gabriel la
guardò come se fosse impazzita. “Hai mai sentito
parlare di discorsi logici? Cosa centra adesso il matrimonio quando
stavamo parlando dei koala?!”
La ragazza assunse un
tenerissimo broncio e imitò il becchetto dei bambini
piccoli. Gabriel imprecò mentalmente per quella sua
debolezza.
“Gabriel, non
vuoi sposarmi?” domandò lei in un sussurro.
“No, perché se è così basta
che me lo dici e io non mi arrabbio”
“Piantala di
essere idiota, io ti voglio sposare ma non subito. Hai la pazienza di
aspettare qualche anno?”
Rebecca fece finta di
pensarci su e poi sorrise mostrando una fila di denti bianchissimi.
“Ok, aspetterò ma ricorda: uomo avvisato, mezzo
salvato!”
“Cos’è,
un detto americano?”
Si avvicinò
pericolosamente verso Gabriel e lui trattenne il respiro. Lo
baciò lentamente, dolcemente, con una tale delicatezza che
il ragazzo si sentì sciogliere.
Poi si staccò
da lui e lo guardò con due occhi birichini che ridevano.
“Hai mai sentito dire che i koala sono gli animali
più vendicativi che esistano al mondo?”
Gabriel roteò
gli occhi e sbuffò. “Ma non raccontarmi
stronzate…”
Quei tempestosi ricordi che gli riempivano la mente lo facevano star
troppo male. La sua immagine era ancora riflessa allo specchio, bianca
e sciupata come la prima volta che si era guardato negli occhi.
Finalmente si era svegliato quella mattina e poteva dire con certezza
di aver dormito almeno un po’, quel tanto che gli permettesse
di smaltire definitivamente la sbornia e riacquistare le forze.
Buttò in aria le coperte e si vestì in fretta e
furia. Aveva molte cose da sistemare quel giorno e poco tempo per
farlo. Uscì in corridoio e si ritrovò la camera
di Rebecca proprio di fronte. Con decisione afferrò la
maniglia e aprì la porta.
Rimase sconcertato quando trovò la stanza vuota. Il letto
era stato rifatto e le finestre erano aperte per far arieggiare la
camera. Si sentì molto afflitto e deluso, il bisogno urgente
di parlare con lei non poteva essere rimandato troppo oltre.
Dato che non sapeva dove Rebecca potesse essere decise di fare un salto
da Rosalie per ingannare il tempo. Era da un pezzo che non
l’andava a trovare e un po’ gli mancava quella
famiglia chiassosa e movimentata. Doveva anche scusarsi con Denali per
la maleducazione che aveva mostrato l’ultima volta che era
stato a casa sua.
Bussò tre volte alla porta e quando si aprì
comparve dal basso il ghigno divertito di Ian. Era cresciuto parecchio,
Ian era molto alto e intelligente per la sua età. Emma
invece era minuta e incredibilmente aggraziata. Il bambino aveva la
stessa faccia ribelle del padre. Sarebbe diventato un affascinante e
irresistibile sciupafemmine da grande.
“Ciao, zio” lo salutò spalancando una
bocca sdentata.
“Oh Ian, vedo che ti sono caduti dei denti. Mi lasci
entrare?” domandò dandogli un colpetto in testa ed
entrando comunque.
Ian mise il broncio. “Non mi sono caduti”
grugnì.
Gabriel venne assalito da Emma che gli corse incontro gettandogli le
braccia al collo. Il ragazzo la prese in braccio e le
schioccò un grosso bacio sulla guancia. Emma stravedeva per
lui, Denali era molto geloso per questo, temeva che sua figlia avesse
un debole per l’amico. Come del resto Ian adorava Rebecca,
lasciando ogni volta Rosalie in cucina a brontolare sottovoce.
“Zio, la zia non c’è?”
domandò speranzoso Ian torturandosi le mani in grembo come
se stesse aspettando un dono o una caramella.
Emma non smetteva di scalciare e lui dovette rimetterla a terra,
dopodichè andò dal padre a farsi fare un
po’ di coccole.
“Ian, la zia non è potuta venire oggi”
disse Gabriel e guardò Denali che prontamente distolse lo
sguardo.
“Come mai non c’è? Da quanto ne so avete
finito gli allenamenti, ormai è una professionista del suo
mestiere. Non mi dirai che l’hai mandata a correre o a far
jogging mentre tu sei venuto qui a rubare qualche fetta di torta?! Oh,
non posso credere che la nostra Rebecca stia per diventare un angelo
bianco!” esclamò la sorella con impetuoso affetto
materno.
Gabriel sbuffò. “Se è per questo io non
la obbligo più a far niente”
“Vuoi un thè caldo?” gli chiese Rosalie
già pronta con un pentolino in mano.
Il ragazzo annuì e si sedette nel divano tra Denali ed Emma.
La bambina gli si accoccolò al braccio mentre Denali
s’irrigidì. Gabriel gli lanciò uno
sguardo stupito.
Lo stava evitando come se fosse un lebbroso, un appestato, eppure non
gli pareva di essere stato così scortese da non meritarsi
neanche le sue attenzioni.
Gli avrebbe parlato prima possibile.
Da dietro il tavolo della cucina Rosalie bolliva il pentolino con
l’acqua.
“Hai una preferenza per il tipo di thè?”
“Rosalie, in questo momento non m’interessa
granchè il gusto del thè. Decidi tu, per me
è lo stesso, mi basta bere qualcosa di caldo”
“Non vuoi una fetta di torta? Stamattina sono uscita al
mercato e ho comprato delle ciliegie buonissime! Ian e suo padre ne
hanno già fatta fuori metà. Ho incontrato Delia
al mercato, le cose con Kevin vanno alla grande. Ora Kevin lavora con
il padre di lei, aiuta a gestire la locanda. Ho sentito che hanno molta
concorrenza, anche l’altra locanda sta avendo ultimamente
molti clienti. Ma forse quella non conta, è più
un bordello, o no? La locanda della famiglia di Delia è
più un…uhm…hotel a cinque stelle, come
direbbero sulla Terra. Comunque quei due vivono insieme da un bel pezzo
ormai, chissà fra quanto il primo bambino!”
Gabriel guardò Denali con esitazione.
“È incinta?”
“No, che io sappia”
“No che non sono incinta!” esclamò a
gran voce la ragazza dalla cucina.
“Mamma!” la chiamò Ian da sotto il
divano. “Stai per darmi un fratellino?”
Denali scattò in piedi preoccupato. “Ian, che
diavolo ci fai sotto il divano?! Esci subito da
lì!”
“Mamma, io ed Emma possiamo andare a giocare con la barca
nuova fuori in cortile? Prometto che avrò cura della mia
sorellina e che non succederà niente di brutto!”
disse sbucando fuori dal divano con in mano una barca di legno.
Rosalie si diede uno schiaffo in faccia, Emma si mise a ridere e Denali
fissò il figlio sbigottito.
“Ma perché la tua barca era sotto il
divano?”
“Tesoro, non mi sembra il caso di sgridarlo, se ha preso
anche solo metà dei tuo geni sono sicura che sai come ci
è finita quella barchetta sotto il nostro divano. Ian, puoi
andare in giardino a giocare con tua sorella purché non vi
facciate male, d’accordo? Niente giochi violenti come fare la
guerra e non toccate gli attrezzi nel capannone che servono al
papà per l’orto”
“Ti sei messo a coltivare l’orto?”
mormorò Gabriel a Denali cercando di trattenere una risata.
Denali grugnì.
Ian si fece il segno della croce sul petto e come un razzo
scappò fuori, seguito a ruota dai passetti incerti e
più lenti della sorella.
Denali si avviò verso la cucina. “Ma Rose, non hai
visto dov’era Ian? Il divano poteva cedere! Senza contare che
è vecchio e sotto è pieno di chiodi sporgenti!
Poteva tagliarsi! E se un chiodo…?”
“Oh, taci tu!”
Il ragazzo incrociò le braccia al petto e sbuffò
sonoramente.
Rosalie sospirò e si mise le mani sui fianchi.
“Gabriel, te lo devo dire, se mai ti deciderai a darmi dei
nipotini ti sconsiglio di avere due gemelli. Amo i miei figli ma il
difficile lavoro che devi fare con uno solo si raddoppia quando sono
due, portando te e la tua testa alla pazzia! Se poi hai anche un uomo
che assomiglia per metà ai tuoi diabolici
figli…”
Denali rise e strinse affettuosamente la mano di Rosalie tra la sua.
Gabriel abbassò gli occhi e scacciò la brutta
sensazione che lo stava assalendo.
Parlare di figli, di matrimonio, del futuro…erano tutte cose
che gli riportavano alla mente Rebecca. E in quel momento la loro
situazione non era certo quella festosa e gioiosa in cui pensare a dei
bambini o ad una cerimonia nuziale.
“Che succede?” gli domandò Rosalie.
“Problemi con Rebecca? A dir la verità
è da molto che non vi vedo più venire a trovarmi
insieme, come ai vecchi tempi”
Gabriel cercò con gli occhi Denali e lui ancora
deviò il suo sguardo.
Gli stava nascondendo qualcosa, ne era certo. Poteva essere qualcosa
che riguardava Rebecca? Denali era a conoscenza di quello che le stava
accadendo? Era lui a custodire la chiave che apriva tutte le risposte
alle sue domande?
C’era qualcosa che non andava. Denali era il suo migliore
amico e si era sempre confidato con lui. Se sapeva il segreto di
Rebecca perché non avrebbe dovuto dirglielo? Cosa lo teneva
vincolato al silenzio?
“Io e Rebecca non stiamo avendo un bel periodo”
dovette ammettere suo malgrado.
“Oddio, spero niente di grave!” scattò
la ragazza.
“Questo non posso dirlo Rose, per me è sempre
più difficile” poi, apposta, aggiunse:
“Se solo sapessi che cosa le frulla in quel
cervello…”
Denali si alzò dal divano un po’ pallido e con una
certa agitazione disse che andava un attimo in bagno.
“Che gli è preso?” mormorò
Rosalie a Gabriel aggrottando la fronte. “Quello è
pazzo”
“Rose, ti dispiace se vado un momento al bagno
anch’io?”
“Cos’è, la processione? Non vuoi neanche
aspettare che esca?”
“Aspetterò fuori. Ci metto poco”
Non appena Denali uscì dal bagno, bianco come un cadavere,
dovette bloccarsi alla vista di Gabriel che lo stava aspettando
appoggiato al muro del corridoio.
“Non me lo vuoi dire?”
Denali scrollò la testa. “Non so di cosa stai
parlando”
“Non fare il finto tonto con me” sibilò
il ragazzo fronteggiandolo. “Ti conosco da una vita ormai,
dovresti saperlo”
Si trovavano faccia a faccia, i loro nasi quasi si sfioravano. Denali
tremava ed era sempre più pallido. Non pensava che la magia
impiegata per tenerlo al silenzio fosse così potente. Se
solo provava a parlare del segreto di Rebecca un violento flusso di
magia nera gli bloccava la gola, ustionandogliela. Cominciava a
sentirsi veramente male, la testa gli girava e una forte emicrania gli
stava spaccando il cranio.
“G-Gabriel, non mi sento molto bene, ti dispiace se vado a
buttarmi giù?”
La faccia di Denali aveva preso a sudare.
Gabriel indietreggiò. “Sì, vai. Scusami
se ti ho disturbato, e…scusa anche per l’ultima
volta”
Vederlo in quello stato lo fece preoccupare non poco.
“Non scusarti, non me la sono presa. Posso capire la tua
rabbia, anch’io avrei perso le staffe se fossi stato al tuo
posto”
“I-Io allora andrei a casa. Ma sei sicuro di star
bene?”
“Non vuoi fermarti? Sono certo che a tua sorella e ai bambini
farebbe piacere se rimanessi a pranzare da noi. E anche a me,
ovviamente”
“No, voglio andare a casa, magari Rebecca è
tornata e se non mi trova…non voglio che pensi a
chissà cosa. Però vorrei parlarti, più
avanti, quando starai meglio”
“Certo, passa a trovarci quando vuoi. È sempre un
piacere avervi in casa, sia te che Rebecca”
Tutti e due.
Detta così
sembra un insieme.
In realtà,
Denali, siamo così divisi da non essere più un
due.
Gabriel fece per andarsene.
In un ultimo stremante tentativo Denali cercò di buttar
fuori tutto quello che sapeva su Rebecca ma ancora una volta la morsa
dell’incantesimo gli provocò uno spasmo e non
potè far altro che boccheggiare e vedere il suo amico
allontanarsi.
***
Tornando a casa Gabriel aveva deciso di fare un giro per il mercato. Le
strade erano affollate e piene di voci festanti, urlanti, e di una
folla concitata, troppo indaffarata per soffermarsi e prestarti
attenzione. Gli faceva bene stare in mezzo alla gente, almeno
così colmava di poco l’enorme vuoto che sentiva
dentro il cuore.
La voce di un uomo lo fece fermare davanti alla sua bancarella.
“Ehi, ragazzo! Sì, proprio tu!”
Gabriel si arrestò e controllò che stesse
parlando davvero con lui. “Parla con me?”
“Certo che parlo con te! Dimmi, non sei interessato a
comprare dei bellissimi fiori?”
“Le sembro un tipo da fiori?”
“Ho qui delle rose meravigliose e costano
pochissimo!” esclamò l’uomo con enfasi.
Gli mostrò un mazzo con tre rose e subito Gabriel
ricordò di aver visto quei fiori sulla Terra. Non crescevano
rose a Chenzo e dovette ammettere con franchezza che era un vero
peccato. Era il fiore più bello e incantevole che avesse mai
visto. Abbinò immediatamente quel fiore rosso, passionale,
aggraziato e seducente a Rebecca.
Scosse la testa disgustato.
Odio le rose,
pensò con rabbia.
“Mi dispiace ma non ho intenzione di comprarle. Grazie
comunque” tagliò corto.
Fece per riprendere il cammino quando andò a sbattere contro
qualcuno. Si accorse dopo che era Delia. La ragazza gli fece un
generoso sorriso di saluto.
“Gabriel! Che bello rivederti! È da molto che non
ci troviamo tutti insieme a fare una bella festa, eh?” disse,
facendogli l’occhiolino. “Prima ho chiacchierato un
po’ con Rosalie, è sempre più pazza
ogni giorno che passa!” sorrise.
Era molto contenta. Le cose con Kevin dovevano andare veramente a
gonfie vele.
“Sono felice anch’io di trovarti, Delia. Come
stai?”
“Io sto benissimo, non sono mai stata meglio! E
tu?”
Il suo sorriso era luminoso e splendente come il sole in cielo. Per un
attimo Gabriel ne rimase accecato.
Cos’era che in quel periodo tutti erano felici tranne lui?
Che ingiustizia era mai quella?!
“Io…” fece parlare ma poi la ragazza lo
interruppe bruscamente.
“Aspetta!” esclamò.
“Cosa c’è?”
Delia sembrava molto preoccupata. Ora non rideva più.
“Prima…ora che mi ricordo, prima ho visto Rebecca
passare per il mercato. L’ho vista stamattina, poi io sono
andata da mio padre e non l’ho più
incrociata”
Al suono di quel nome Gabriel sussultò.
“È qui al mercato?”
“No, no, l’ho vista passare, era da sola. Camminava
a passo deciso, teneva in mano la sua spada e sembrava che andasse al
caseggiato abbandonato, nella vecchia fabbrica sul campo. Oh Gabriel,
era spaventosa!”
Il ragazzo ebbe un tuffo al cuore. “In che senso?”
si rese conto che la sua voce tremava.
“Mi è passata davanti e non mi ha neanche degnata
di un saluto. Eppure mi ha vista, ne sono certa. Mi ha guardata in
faccia e…devo dire che mi ha molto turbata il suo sguardo.
Poi ha fatto finta di niente e ha girato la testa, superandomi. Oh, ma
i suoi occhi…i suoi occhi erano davvero strani, Gabriel. Non
erano del solito colore castano chiaro: erano neri, completamente neri,
come se avesse avuto le pupille dilatate. Cosa pensi che le sia
successo?”
“Non ne ho idea ma devo assolutamente trovarla. Alla vecchia
fabbrica, hai detto?”
“Sì, mi sembra che la strada fosse quella ma non
posso sapere se ha girato in un’altra direzione
più avanti”
“Grazie Delia, in ogni caso andrò a vedere
là. Ora vado, scusa, ci vediamo” le diede un
fugace bacio sulla guancia e la passò via correndo.
Delia si voltò a guardarlo e si portò una mano
sul cuore. I problemi per loro non erano mai finiti. Soffriva nel
vedere il suo amico così in pena, così in bilico
tra la felicità e il dolore.
Oh Signore, ti prego, fa
che non sia niente di grave.
Gabriel non riuscirebbe
a sopportare un altro dolore.
***
Atreius stava rigirando tra le mani il pugnale di famiglia.
La famiglia Douglas.
La nobiltà,
il sangue reale.
Gli scappò una risata quando pensò alla sua
situazione. Era l’unico figlio maschio di Dark Threat e
ancora non era stato in grado di diventare re. Non aveva nemici e
nemmeno rivali. Doveva essere molto semplice allora salire al trono.
Eppure…
I suoi consiglieri lo avevano avvertito, per loro il suo sangue non era
abbastanza
puro. Volevano aspettare l’arrivo di Rebecca al castello, non
appena sarebbe passata dalla loro parte l’avrebbero accolta
con un caloroso benvenuto. Lei sì che era degna di regnare,
a loro avviso. Aveva quello che definivano: sangue puro, nata
dall’unione di due potenti angeli. Non come lui, nato da un
angelo e una ninfa. Era troppo inferiore.
I suoi consiglieri avevano già calcolato tutto nei minimi
particolari e dietro a tutto questo doveva per forza esserci un piano
già architettato precedentemente da Mortimer. Suo padre
aveva programmato come sarebbero dovute andare le cose nel caso in cui
fosse morto, aveva lasciato una sorta di testamento.
Rebecca, una volta giunta al castello come angelo nero, avrebbe preso
il nome di sua madre: Aidel, che nell’antica lingua
significava: “stella del mattino”. Ed era con quel
nome che volevano incoronarla, sarebbe diventata la guida e la padrona
del regno delle tenebre. Al suo arrivo avrebbe portato con
sé Mortimer, liberato dalla prigionia della morte e del
corpo, e di nuovo tra i vivi. Dark Threat avrebbe rifatto la sua
comparsa nel mondo e avrebbe reclamato il suo diritto di regnare come
sovrano indiscusso del Male.
Mortimer era il re, mancava al suo fianco una regina. Dato che non si
era mai sposato e non aveva mai voluto una donna sul trono ad
affiancarlo (riteneva di non aver ancora incontrato una donna degna di
tale potere) sarebbe stato compito di sua figlia appoggiarlo come
regina.
Atreius sapeva quanto suo padre sotto sotto andasse fiero di Rebecca.
Era la sua unica gioia, il suo unico apice di orgoglio.
L’unico sentimento simile all’amore che poteva
provare era quello per sua figlia. Dopo aver scoperto di essere suo
padre si era più volte confidato con lui su quanto gli
avrebbe fatto piacere averla al suo fianco. L’aveva sempre
ritenuta una ragazza intelligente, scaltra, astuta e potente per
natura. Secondo lui era la sola degna del titolo di: “signora
delle tenebre”.
E anche Atreius lo pensava così in fin dei conti.
Aveva sempre provato una certa simpatia per Rebecca. Fisicamente ne era
molto attratto e non potendosi innamorare né provare
sentimenti come l’amore o l’affetto si faceva
comandare dai suoi istinti e dai suoi impulsi, e le sue passioni gli
dicevano che Rebecca era l’unica donna adatta a lui. Era una
ragazza che non si faceva mettere i piedi in testa e che sapeva il
fatto suo, e ad Atreius piaceva da morire quel genere di donna.
Si sistemò meglio sul trono di suo padre e mise il pugnale
in una tasca interna della sua divisa. Sospirò e si
guardò intorno, si stava annoiando a morte. Sperava che una
volta arrivata Rebecca si sarebbe potuto divertire di più,
magari stressandola o imparando a conoscerla meglio. In ogni modo,
aveva voglia di fare qualcosa, qualcosa di diverso e di spassoso. Ad un
tratto gli venne in mente un’idea fantastica.
Osservò il cielo dalle enormi finestre aperte ad arco e vide
che il sole era ancora alto nella volta celeste.
Bussarono al portone.
Atreius si mise subito composto come un vero re.
“Avanti”
La porta cigolò e comparve Vezzen, il suo servitore. Per un
attimo Atreius sperò che fosse qualcun altro di
più piacevole o interessante. Sprofondò nella
morbidezza del trono e arricciò le labbra.
“Che vuoi, Vezzen? Hai qualcosa di importante da
dirmi?”
La creatura storpia e deforme si inchinò fino a toccare con
la punta del naso il pavimento freddo della sala. Si
raddrizzò come meglio potè e congiunse le mani a
preghiera.
“Mio Signore, mi manda Salazar”
Salazar era il suo più fidato consigliere. Come lo era stato
per suo padre.
“Cos’ha da chiedermi Salazar?”
“Vuole incontrarvi per una riunione privata questa notte,
nella sala dei trofei. Ha detto di avere delle informazioni importanti
con cui vorrebbe discutere con lei”
“Mi dispiace Vezzen, ma dovrai declinare a Salazar
l’invito da parte mia. Questa notte non sarò al
castello, ti prego di avvertire i miei consiglieri e di dir loro di non
preoccuparsi che farò ritorno domani mattina.
Ho…un’altra specie di invito” disse con
un ghigno divertito.
Vezzen ciondolò sul posto come se stesse aspettando
qualcos’altro.
“Vai, ho finito” gli ordinò il ragazzo
con un gesto secco della mano.
Il servitore zoppicò fino al portone e poi uscì.
Atreius si alzò dal trono e sgranchì le gambe che
si erano nel frattempo intorpidite. Sbadigliò sonoramente e
discese la rampa di scale che permetteva ai due troni di sovrastare il
resto della sala. Percorse la navata camminando sul lindo tappetino
rosso e prima di andarsene non potè non trattenere una
risata.
Sì, si sarebbe divertito parecchio quella notte.
***
Suo padre le aveva promesso un miracolo e durante la notte un miracolo
era avvenuto. Non appena Rebecca aveva aperto gli occhi ad una nuova
giornata si era sentita subito di buon umore. Non provava
più sofferenza. La consapevolezza di quello che era successo
la notte precedente c’era ma quei ricordi non la ferivano
più. Ripensava a quando aveva visto Gabriel con quella
ragazza e non sentiva più le lacrime salirle agli occhi, il
dolore spaccarle il petto o le fitte squarciarle il torace. Era tutto
magnifico, divino. Non provava più niente se non un profondo
odio verso il ragazzo ma non era un odio distruttivo, semmai un odio
sadico e quindi piacevole.
Si era alzata dal letto in perfetta forma, era prestissimo e aveva
voglia di allenarsi con le spade. Voleva abbattere qualcosa. Si
vestì e molto tranquillamente uscì di casa. Non
le era passata neppure per l’anticamera del cervello
l’idea di andare a vedere come stava Gabriel.
Nel momento in cui inspirò l’aria fresca e pulita
di prima mattina si sentì piena e soddisfatta.
C’era sempre quella sensazione di odio e di potere che la
divorava ma era una sensazione talmente gradevole che non la turbava.
Passò via velocemente il mercato e andò dritta
verso il vecchio caseggiato. Quando entrò nella fabbrica
poco illuminata tirò fuori la spada dalla fodera e la fece
volteggiare sopra la propria testa con un agile movimento.
Vedo che stai bene,
era Mortimer.
Rebecca sogghignò.
Divinamente. Avevi
ragione, non provare nessun’emozione al di fuori
dell’odio e della brama di potere non è niente
male. Mi sento così completa e forte che potrei conquistare
il mondo intero! Non ho mai sentito il mio corpo appartenermi come ora.
Da questa tua
affermazione possiamo dedurre che le mie teorie sono sempre state
fondate.
Padre, ho solo un
po’ del tuo odio in corpo, posso ancora ragionare con la mia
testa. Sono convinta che quando questa sensazione appagante se ne
sarà andata tornerò ad avere le stesse
convinzioni di prima.
Il Male non ti attira
neanche un pochino?
Un pochino, come a
tutti, credo.
Sei molto saggia, anche
in questi momenti dove la tua anima è corrotta.
Io sono sempre
obbiettiva con me stessa e con gli altri.
Non con tutti.
Che vorresti dire?
Con Gabriel no.
Rebecca rinfoderò la spada con un gesto frustrato e
cominciò a prendere a pugni il sacco da boxe che stava
appeso al centro della stanza.
Che intendi fare con lui?
Non lo so, anche se
posso ragionare lucidamente senza scoppiare a piangere mi è
comunque difficile dire come mi comporterò. Sicuramente non
la passerà liscia. Insomma, mi ha tradita, porca miseria! Ok
che era parecchio ubriaco e che era convinto che io lo tradissi a mia
volta, e in un certo senso il suo è stato un gesto estremo,
però…boh, non so. Io sono sicura che non
l’ha fatto apposta ma ha sbagliato e su questo non ci piove.
E poi, dannazione, lui non è mica l’unico ad
impazzire di gelosia! Anch’io sono gelosa eppure non rispetta
questo mio sentimento come io devo fare con lui!
Quindi lo perdonerai.
Prima voglio parlargli,
anzi, lui dovrà venire a parlarmi, poi si vedrà.
In questo momento la questione non mi tocca minimamente.
Cosa farai appena lo
vedi?
La ragazza rimase qualche secondo in silenzio, interdetta. Poi riprese
a picchiare il sacco con ancora più forza di prima.
Ascolterò se
ha qualcosa da dirmi. Sono curiosa di vedere se farà il
bastardo fino in fondo mentendomi oppure se avrà almeno le
palle per dirmi la verità.
Ora come ti senti?
Vuoi la pura
verità?
Sì.
Mi sto scaldando.
Parlare di questi discorsi mi hanno fatto montare in corpo una tale
rabbia…se solo penso a quello che mi ha fatto mi viene
voglia di strozzarlo con le mie stesse mani!
Vuoi che ti passi ancora
un po’ del mio odio?
Ancora?
pensò allibita.
Questa volta
è odio misto ad una spietata freddezza. Ti ci vorrebbe,
secondo me, figlia.
Stai insinuando che non
sono razionale?
Non abbastanza. Se
dovrai diventare un angelo nero non è concepibile che tu sia
soggetta a sbalzi d’umore, scatti d’ira e liti
furiose. Niente che abbia a che fare con comportamenti istintivi e
animaleschi. Se vuoi divenire una regina delle tenebre devi imparare ad
essere controllata, fredda, razionale, spietata, impassibile. Le
persone che ti vedono o che parlano con te non devono capire quello che
provi, né tantomeno devi renderti ai loro occhi prevedibile.
In poche parole devo
essere una macchina di ferro: dura fuori, vuota dentro.
Esatto, una macchina che
non risponde a nessuno stimolo esterno ma che segue unicamente i propri
obbiettivi. Detto questo figlia, ti ripeto, vuoi ancora un
po’ del mio essere?
Certo, va bene. Vediamo
se la razionalità è migliore della rabbia.
Oh, sicuramente lo
è. Lo è, fidati.
Mortimer fece appena in tempo a finire la sua trasformazione su di lei
che la porta del caseggiato si aprì. Rebecca dava le spalle
all’entrata ma capì subito chi era, il suo odore
era inconfondibile. Rimase di schiena a fissare il sacco da boxe che
stava ancora oscillando a destra e a sinistra.
Lo sentì venire avanti con passo indeciso.
Sospettava qualcosa?
Quella mattina non aveva fatto in tempo a guardarsi allo specchio ma
immaginava di apparire molto diversa. A cominciare dalla divisa che
stava indossando. Non aveva mai portato un’armatura nera, la
configurava con il Male e per questo aveva sempre preferito indossarne
di bianche, beige o azzurre. Ma questa volta era nera. Percepiva
inoltre uno strano prurito agli occhi, se gli sentiva troppo grandi e
incavati nelle orbite.
Gabriel parlò.
“Rebecca…” la chiamò, la sua
voce era instabile. “Ho incontrato Delia al mercato, mi ha
detto che ti ha vista e che non ti ha trovata molto bene. È
tutto apposto?”
Lei non rispose.
Lui sospirò. “Senti, lo so che in questo momento
non vuoi parlarmi e ti capisco. Quello che ti ho fatto ieri notte
è stato orribile, mi vergogno per essere entrato in camera
tua ubriaco e di averti detto quelle cose bruttissime. Ti chiedo solo
di perdonarmi e di dimenticare. Io ti amo”
Il suo tono di voce speranzoso e afflitto le fece andare il sangue al
cervello. S’impose di calmarsi.
“E quindi sei venuto qui per farti perdonare”
Rebecca percepì i muscoli del ragazzo irrigidirsi. Forse non
era abituato a sentirla parlare così pacatamente e con
freddezza.
“Sì, voglio dirti che mi dispiace”
“C’è forse qualcos’altro di
cui vorresti farti perdonare?”
Gabriel deglutì. Rebecca rise e la sua risata
congelò Gabriel. Era una risata pericolosa, micidiale e
demoniaca.
“Che ti prende, Bec?” domandò allarmato.
“Non osare chiamarmi così. Per te sono
Rebecca” tuonò con voce imperiosa.
“Rebecca, così mi stai facendo paura. Si
può sapere che ti prende?”
La ragazza sogghignò. “Io sto benissimo, non sono
mai stata meglio di così. Ho sperimentato un’altra
dimensione del piacere, un altro modo per sopravvivere a questo mondo.
È un vero peccato che tu sia rimasto indietro con i tempi,
Gabriele”
Gabriele.
Lui si sentì morire. “Gabriele? Da quando mi
chiami così?! Cos’è, ora sono diventato
un perfetto sconosciuto, una persona lontana dal tuo cuore?!”
urlò con tutte le sue forze.
“Dopo quello che hai fatto non ti meriti la mia
pietà”
“Voltati” le ordinò.
Lei rise, cosa che lo mandò in bestia.
Si stava prendendo gioco di lui?
“Voltati, ho detto” sibilò Gabriel.
“Fatti guardare in faccia!”
Lentamente Rebecca girò su sé stessa, il suo viso
era incorniciato da un orribile ghigno sfrontato ma non era quello che
lasciò sconvolto Gabriel, bensì furono i suoi
occhi.
Gabriel indietreggiò come colpito, come in balia delle onde
o di un forte stato di ubriacatezza. Dovette aggrapparsi alla parete
per non crollare a terra.
Mentre Gabriel si piegava su sé stesso e pian piano scendeva
a terra, Rebecca gli camminò incontro bellissima e
accattivante. Aveva un ché di diabolico e di affascinante
allo stesso tempo. Si muoveva sinuosamente dentro la sua divisa in
pelle attillata e non smetteva un secondo di guardare negli occhi il
ragazzo.
“Ora non dici niente, vero? Ora che mi hai guardata in faccia
non fai più lo spavaldo”
Con fatica Gabriel riuscì a rimettersi in piedi, rimanendo
comunque incollato alla parete.
Rebecca gli andò vicinissima, si fermò a pochi
centimetri dal suo viso e Gabriel riuscì a bere il suo
respiro che sapeva di buono e di dannato.
“Mio Dio, che ti è successo?”
sussurrò in trance.
“Perché quella faccia lunga? Io sto benissimo, non
sono mai stata meglio in vita mia e questo lo devo soltanto a te,
Gabriele”
“Io?! Non sono stato io a ridurti così! Oh
Signore, guardati!” esclamò inorridito.
“Oh sì che sei stato tu e se sforzi il tuo
cervellino riesci anche a capire il perché”
Gabriel si sentì soffocare.
Respiro,
respiro…
Dov’è
il mio respiro?
Lei sapeva.
Lei sapeva e ora lui voleva morire.
“Mi dispiace” mormorò con voce rotta.
“I-Io non volevo, sono stato un idiota. Tu lo sai quanto ti
amo e sai che non ero in me! Dannazione, ero disperato!”
“Non devi incolpare la tua disperazione, Gabriele! Quello che
hai fatto l’hai fatto perché volevi ferirmi,
volevi che io provassi il tuo stesso dolore! Per cosa, poi? Io non ti
ho mai tradito, stupido umano”
Un gemito gli sfuggì dalla bocca aperta e il cuore prese a
martellargli in petto fino a scoppiare. Poteva sentire il sangue
defluire dal suo corpo e abbandonarlo.
“Umano…”
sussurrò con la faccia contorta da un’orrenda
incredulità.
“Io non ti ho tradito” ripetè lei con
dura ostinazione.
“Non mi hai mai tradito?” domandò.
“No, neanche una volta, neppure una dannata volta!”
disse alzando la voce. Stava perdendo il controllo. La rabbia le stava
riaffiorando in corpo.
Gabriel per un attimo sembrò più sereno, a
Rebecca parve di scorgere nei suoi occhi uno scintillio di contentezza.
“Perché fai quella faccia?!”
sbraitò lei. “Ora che ti ho detto che non ti ho
tradito ti metti a ridere?! Non c’è niente da
ridere! Niente! Dovrei essere io quella che ride e tu quello che
sprofonda per la vergogna di aver tradito ingiustamente la sua
ragazza!”
“Ho sbagliato, non ho avuto fiducia in te. Ho pensato che il
tuo silenzio ostinato nascondesse per forza qualcosa di terribile come
un tradimento! E poi quando ti ho chiesto se ti vedevi con Atreius tu
mi hai detto di sì! Come mi sarei dovuto sentire se non come
uno che viene messo da parte, sostituto da un altro?”
“Avresti dovuto avere fiducia in me” lo
accusò.
Gabriel emise un sospiro di frustrazione. “Lo so! Lo so! E
solo ora me ne rendo conto, questa notte purtroppo l’alcool e
la rabbia non mi hanno permesso di ragionare come avrei
voluto!”
Rebecca scosse la testa in un gesto teatrale. “Gabriele,
Gabriele…” lo canzonò.
“Smettila di chiamarmi con quel nome!”
“Oh Gabriele, mi dici ora che devo fare con te?”
Il ragazzo ringhiò. “Gabriel. No
Gabriele”
“Ah, è uguale”
Gabriel si staccò dalla parete e inchiodò Rebecca
al muro bloccandola con entrambe le braccia ai lati della testa.
“Parli tanto di me, grande donna, ma anche tu a quanto pare
hai qualcosa da confessare” disse, squadrandola da capo a
piedi.
Lei si limitò a sorridere. “Dato che hai molta
immaginazione nel dedurre le cose prova ad indovinare anche questo.
Peccato però che giungi sempre a conclusioni
errate”
Gabriel battè con forza un pugno sul muro e si fece
più vicino a lei. “Non giocare con il
fuoco”
“E tu non disturbare la mia anima, potrebbe svegliarsi e
dartele di santa ragione”
“Correrò il rischio. Voglio sentirti dire a voce
alta che mi perdoni”
Rebecca strabuzzò i profondi occhi neri.
“Come?!”
Gabriel accostò la sua bocca all’orecchio di lei
inspirando avidamente il profumo dei suoi capelli. “Dimmi che
mi perdoni e poi voglio che mi baci”
“Sei ancora ubriaco? Perché mi è parso
di sentirti vaneggiare”
“Nient’affatto, non sono mai stato così
serio” sussurrò, baciandole con trasporto il collo
e toccandole possessivamente i fianchi.
Con un solo gesto Rebecca lo allontanò. Gabriel la
guardò come se fosse impazzita.
“Io non potrò mai dimenticare, Gabriele”
“Ti sto scongiurando di perdonarmi”
“Pensi che sia così semplice?!”
“Provaci” la implorò.
Gabriel non poteva sapere che a lei non importava niente di trovarsi in
quella situazione. Lo straordinario potere che suo padre le aveva
concesso le stava dando la forza di non reagire a nessuna emozione.
Così poteva gestire Gabriel e pensare razionalmente. Se
fosse stata la Rebecca di sempre avrebbe già da un pezzo
gettato le braccia al collo del ragazzo e l’avrebbe perdonato
tra le lacrime e un sorriso atteso. Ma questa volta non era
intenzionata a passare sopra la questione. Voleva giocare con lui
ancora un altro po’.
“La tua determinazione mi spaventa Gabriele, devo dedurre che
quella puttana non era un granchè come amante”
“No, ti prego, basta…”
“Dimmi la verità,
visto che è di questo che stiamo parlando. Sei stato a letto
con lei o l’hai solo baciata?”
“L’ho solo baciata, e anche mentre la baciavo nei
miei pensieri c’eri solo tu! Eri te che vedevo nella mia
mente, nei miei occhi chiusi! Sei sempre stata tu!”
“Commuovente, davvero. Sai, stavo pensando al ragionamento
che hai fatto quando credevi che io ti tradissi. Hai detto che volevi
farmela pagare con la stessa moneta: tradendomi a tua volta. In questo
caso, allora, dato che da parte mia il tradimento effettivamente non
c’è stato…”
Gabriel intuì quello che stava per dire e
impallidì. “No…”
“…ora tocca a me ripagarti allo stesso
modo” concluse con un sorriso, come se fosse la cosa
più ovvia del mondo.
Gabriel avanzò, bianco come un lenzuolo, con le mani alzate.
“No! No!”
“Sarebbe giusto non trovi? Magari se chiamo con il pensiero
Atreius, lui mi risponde e sarebbe anche felice di aiutarmi in
quest’impresa. Correrebbe qui immediatamente e con il
sorriso”
Gabriel la prese con entrambe le mani per i polsi e la fece
indietreggiare fino a sbatterla nuovamente contro il muro. Questa volta
però, in un bisogno disperato di sentirla sua, premette il
suo corpo contro quello di lei, facendolo aderire completamente.
Rebecca non sembrava per nulla turbata dalla sua collera, né
dalla sua vicinanza. “A differenza di te, lui, saprebbe
trattarmi con rispetto e fedeltà”
“Non ci provare nemmeno a chiamare Atreius, Rebecca. Ti
prego, non puoi farmi questo” la supplicò
sull’orlo di una crisi.
“Perché non dovrei?” ruggì.
Accadde tutto inaspettatamente.
Rebecca fu assalita da un attacco d’ansia e le venne un
groppo allo stomaco che la fece tremare e sudare freddo.
Che mi succede?
Perché mi sento così agitata?
Il potere oscuro che ti
ho concesso se ne stà andando, l’incantesimo
stà finendo.
Fa qualcosa! Mi sento
sempre più male! Ridammi un po’ del tuo essere,
veloce!
Mi dispiace ma non posso
trasferirti ancora pezzi della mia anima, potrei rischiare di
disgregarmi.
Oh mio Dio, mi sento
come un drogato che patisce l’astinenza della cocaina,
pensò con rabbia, scossa dai tremiti.
Brividi di freddo le percorsero la schiena facendola sussultare ad
intermittenza, la sua fronte s’imperlò di sudore e
percepì quell’orribile sensazione di soffocamento,
di asfissia. Doveva prendere aria, stava male, sapeva che sarebbe
svenuta se non fosse uscita immediatamente da lì.
Cercò di spostare Gabriel che la teneva inchiodata al muro
ma era troppo debole, troppo accecata dalla frustrazione per impegnarsi
di più. Gabriel la guardava con la fronte aggrottata,
seriamente preoccupato e un tantino spaventato dalla sua reazione.
Rebecca era così stanca e così confusa che si
stava mettendo a piangere. Le sembrava di non riuscire più a
prendere aria, la sua bocca era aperta in un disperato tentativo di
respirare e le sue mani sudate spingevano le spalle del ragazzo.
“Lasciami…” gli mormorò.
“No, non ti lascerò scappare”
Rebecca sbarrò gli occhi, sconvolta. “Ti prego! Il
mio corpo sta tornando…non voglio che tu mi
veda…” Rebecca non voleva che Gabriel vedesse la
sua trasformazione.
In quel momento le importava di lui. L’odio profondo e
confortevole che aveva provato fino a qualche secondo prima era
svanito, lasciando il posto ai suoi veri sentimenti, alla sua vera
identità.
Si stava innervosendo, l’ansia le metteva fretta e urgenza.
Non pensava di riuscire a calmarsi, doveva andarsene dal quel posto
chiuso e claustrofobico. E Gabriel, come sempre, non la stava affatto
aiutando. Non capiva, lo si vedeva benissimo dalla sua faccia dispersa.
“Ma che stai dicendo?! Non vuoi che io ti veda? Rebecca, sono
qui! Cos’è che ti far star male in questo
modo?”
“Ti supplico, ti imploro, fammi uscire! Spostati!”
disse lottando contro il corpo del ragazzo che la racchiudeva.
Gabriel prese il suo viso tra le mani e la guardò
intensamente negli occhi. Per un attimo Rebecca smise di lottare.
“Voglio sentirti dire che mi perdoni”
Lei fece per rispondere ma un dolore acuto le perforò il
cranio. Sentì gli occhi andare in fiamme, bruciare come
fuoco. Ritornò a lottare per uscire, questa volta con
più forza e pressione.
Ma non doveva durare
mezza giornata la mia personale sensazione di piacere?!
pensò con furia rivolta a suo padre.
A quanto pare il tuo
corpo ha rifiutato metà dose del mio odio. Non
l’avevo previsto ma avrei dovuto immaginarmelo, sei protetta
bene.
“No…no…”
piagnucolò.
Stai ritornando quella
di prima figlia mia, lascia che ti dia un suggerimento: Gabriel non
dovrebbe partecipare alla tua trasformazione. Potrebbe capire o, peggio
ancora, rimanerne orripilato. Vuoi che ti veda come un mostro? Come un
animale feroce da abbattere?
Rebecca aveva fretta.
Suo padre le stava mettendo fretta.
Gabriel le stava mettendo fretta.
Doveva scappare.
Doveva trasformarsi in un posto nascosto affinché nessuno la
vedesse.
Doveva dare una risposta a Gabriel.
Era troppo fare queste tre cose contemporaneamente, anche per una
creatura come lei.
Allora la tensione accumulata sfociò nel delirio
più totale e lei si sentì esplodere. Letteralmente
esplodere.
Senza rendersi conto delle sue azioni Rebecca colpì Gabriel
con un incantesimo. Il suo corpo prese ad infuocarsi di una luce
azzurra e sprigionò dal suo petto, e dalle sue mani aperte,
una fiamma potentissima che si scagliò con la
velocità della luce sul ragazzo. Gabriel emise un rantolo di
dolore e venne sbattuto a terra.
Ci fu il rumore di un lampo che squarcia il cielo e poi, infine, il
silenzio.
Rebecca tremava ancora quando il suo corpo smise di bruciare e
barcollò sul posto. La figura di lui era stesa sul pavimento
e non si muoveva.
Doveva sbrigarsi.
Velocemente uscì all’aria aperta e si
trascinò dietro a delle siepi. Cadde per terra e
cominciò ad urlare per il male. La trasformazione si stava
compiendo e non era un bello spettacolo. Era l’anima
inquietante e orrenda di un diavolo che veniva soppiantata da quella
candida e dolce di un angelo.
Quando tutto finì gli occhi di Rebecca erano tornati
castani, i suoi canini non erano più affilati e sporgenti e
la sua pelle, da bianca e incavata che era, era ritornata rosa e viva.
Non si ricordava molto di quello che era successo, ricordava di aver
chiesto a suo padre di aiutarla, rammentava di aver provato per la
prima volta il lato oscuro, di aver litigato furiosamente con
Gabriel…e di aver ferito Gabriel.
“No!” urlò improvvisamente.
Si mise a correre più forte che poteva ed entrò
come una furia nella fabbrica. Dove prima giaceva il corpo immobile di
Gabriel ora non c’era più nulla.
Era riuscito a scappare, ce l’aveva fatta a mettersi in salvo.
A mettersi in salvo da me,
pensò con riluttanza.
***
Gabriel si stava trascinando a carponi verso l’unico luogo in
cui potevano aiutarlo. Era stato costretto a scappare dalla fabbrica,
strisciando come un verme. Se fosse rimasto in quel posto
c’era la probabilità che Rebecca lo riattaccasse.
Se pensava a lei sentiva il dolore del sangue pulsargli nelle ferite
aperte.
Chinava il capo in avanti quando non ce la faceva a proseguire e guaiva
come un cane ferito non appena un muscolo si sforzava troppo. Andava
più veloce che poteva, aveva sempre il timore che lei, in
un’ira distruttiva e vendicativa, lo stesse seguendo. Tremava
al solo pensiero di trovarsela dietro, forse perché non era
in grado di combatterla. Forse perché sarebbe, molto
probabilmente, morto con un altro incantesimo come quello appena
ricevuto. Forse perché se Rebecca avesse attaccato lui le
avrebbe lasciato fare. Non avrebbe reagito, non l’avrebbe
aggredita a sua volta.
Piuttosto abbracciava la morte.
Nel momento in cui entrò nell’edificio addetto
alle cure (paragonabile ad un ospedale) arrivarono subito tre curatori
ad assisterlo. Indossavano tutti e tre dei camici bianchi e per Gabriel
fu come vedere la luce per la prima volta. La sua vista si stava
spegnendo e tutto quel chiarore attorno a lui lo avvolgeva dandogli la
sensazione di essere in paradiso. Si sentì afferrare per le
ascelle e trascinare lungo il corridoio, le sue gambe erano molli e
intorpidite mentre strascicavano sul pavimento.
I curatori si erano risparmiati la briga di fargli domande, avevano
capito che era sotto shock, oltre ad essere stato fisicamente ferito.
Parlavano tra di loro con voce concitata e affrettata, si lanciavano
occhiate complici da sotto la montatura degli occhiali.
Gabriel fu deposto in un lettino dentro una stanza singola. Non appena
fu adagiato con delicatezza arrivò un altro curatore che
indossava una mascherina bianca che gli celava la bocca e parte del
mento. L’uomo gli toccò la fronte e poi disse
qualcosa ai suoi colleghi, qualcosa come: “andate, ora ci
penso io. Sta bene, ha solo bisogno di cure”
Quando Gabriel sentì la puntura di una siringa bucare il suo
braccio fece per alzarsi ma il curatore lo spinse indietro.
“Andrà tutto bene, vedrai, non è
niente. Ora però devi dormire”
“Sto morendo, vero?” mormorò con la voce
impastata per il sonno improvviso.
L’uomo scosse la testa e gli sorrise. “Non morirai
ragazzo, hai solo bisogno di dormire. Hai preso una bella botta, il tuo
corpo è stato sottoposto ad uno stress enorme. Hai avuto una
compressione della gabbia toracica, alcune costole si sono rotte e hai
danneggiato dei legamenti. Niente che non si possa curare con una bella
dormita e una buona cura”
Per niente rassicurato Gabriel dovette suo malgrado chiudere gli occhi.
L’anestesia che il curatore gli aveva fatto in tutto il corpo
lo stava pian piano addormentando contro la sua volontà. Ma
il sonno era troppo forte e la fermezza troppo vacillante.
Si appisolò e non sentì più nulla,
solo un piacevole senso di pace e di tranquillità.
Il curatore fece il suo dovere: gli salvò la vita.
Passò quasi tutta la notte al capezzale di Gabriel a curarlo
e medicarlo. Quando finì era già buio pesto. Si
asciugò la fronte sudata con una mano guantata e
abbassò la mascherina scoprendo un sorriso.
Si tolse i guanti sporchi di sangue e gli gettò nel cestino.
Le ferite alle gambe le aveva cucite con i punti e le costole risanate
con una fiala magica e un paio di fasciature. L’uomo fu
contento del proprio lavoro, aveva ancora
una volta salvato un angelo.
Gettò via anche le siringhe che aveva usato per la
trasfusione di sangue e per l’iniezione di antidoti. Si
soffermò a guardare la siringa adoperata per
l’anestesia, con la dose che ci aveva messo il ragazzo
avrebbe dormito di brutto per tre o quattro giorni di fila. Lo
osservò dormire e fu contento di vederlo sano e con il
respiro regolare e rilassato. Quando era arrivato nella stanza era in
pessime condizioni, senza contare che il suo sguardo perso e vitreo lo
aveva fatto sembrare già morto.
Il curatore si domandò chi potesse essere stato a fargli
tutto questo. Le ferite di Gabriel avevano origini magiche
perciò non era stato aggredito da un semplice essere umano o
da un animale. Qualcosa di orribile collegava lo stato fisico di
Gabriel al suo, al loro, di tutto il villaggio.
Si riscosse non appena qualcuno tossicchiò.
Era il suo assistente, la sua faccia sbucava dalla porta semi-aperta.
“Scusi se la disturbo dottore, ma dobbiamo avvertire i
parenti?” chiese il giovane parlando sottovoce.
“Sì, avvisa i suoi famigliari, devono sapere in
che condizioni si ritrova”
“Quando posso dire che vengano a trovarlo?”
“Quando vogliono, tanto il ragazzo dormirà fino a
quattro giorni ed è fuori pericolo. Se vengono a trovarlo
possono farlo a meno che non facciano casino, è
ovvio”
“Ok signore, sarà fatto” fece per uscire
ma poi intrufolò un’altra volta la testa.
“Signore, è fuori pericolo davvero?”
Il curatore sospirò e guardò Gabriel con immenso
rispetto. Conosceva la sua storia e aveva sempre avuto un debole per
lui e per la sua triste adolescenza. Aveva anche curato la sua ragazza,
Rebecca, un paio di volte. Era l’unico dottore che avesse la
competenza di assistere e curare degli angeli e per lui era diventata
una vera e propria passione.
Per questo quando i suoi occhi si posarono sul ragazzo le sue iridi si
addolcirono e luccicarono di un bagliore affettuoso.
“Sì, è fuori pericolo”
L’assistente voleva sapere di più. “Cosa
gli è accaduto?”
“Qualcuno gli ha scagliato un potentissimo incantesimo.
L’hanno colpito al petto fratturandogli delle costole, ha dei
legamenti rotti, probabilmente venendo gettato a
terra…l’impatto è stato molto forte.
Senza contare che l’incantesimo lo ha indebolito e, se
vogliamo per così dire, gli ha congelato degli organi
interni. Venendo qui a piedi ha perso molto sangue, si è
procurato dei tagli profondi cadendo. Ha sbattuto la testa e ha
riportato un taglio dietro il cranio, per questo quando è
arrivato era sotto schok” concluse con un’aria
molto pacata e professionale.
Il ragazzo era esterrefatto. “Ma, signore, io non capisco.
Dovrebbe essere morto, nessuna persona normale sarebbe sopravissuta ad
un simile attacco. Se l’incantesimo gli ha congelato parte
degli organi e ha perso molto sangue dalle ferite…insomma,
come fa ora a
star bene?”
“Caro mio, tu sottovaluti le capacità di chi
è superiore a noi umani. Gabriel, anche se non ha le ali e
le sua immortalità, rimane comunque un angelo bianco e
fidati, io studio queste splendide creature da tutta la vita, loro non
hanno un corpo come il nostro. Il loro fisico è fatto
apposta per sopportare di tutto, dove noi moriamo loro continuano a
vivere. Per noi anche una malattia può essere fatale mentre
loro non si prendono neppure un raffreddore. Senza contare che le loro
membra una volta ferite hanno la capacità di rigenerarsi e
guarirsi da sole”
“E allora perché gli ha dato dei punti?”
domandò il giovane indicando le gambe scoperte di Gabriel
che erano ricoperte di cicatrici fresche.
“Colpa dell’incantesimo. In qualche modo quella
magia gli ha congelato, freddato, la capacità di rigenerarsi
e chiudere i tagli”
“Oh Signore, chi è in grado di una simile
atrocità?”
“Un angelo nero, forse?” disse con sarcasmo.
Il suo collega impallidì e deglutì. Il dottore
gli posò una mano sulla spalla e gli diede delle pacche
fraterne.
“Su, avanti, la vita continua. Torniamo a fare il nostro
lavoro”
***
Rebecca tornò a casa sconvolta e arrabbiata.
Sbattè la porta con forza quando la richiuse, percepiva una
profonda e crescente ira salirle in corpo. Si sarebbe messa ad urlare
se solo fosse stata in grado di parlare.
Suo padre le stava mettendo pressione perché lo ascoltasse
ma lei aveva chiuso la mente e non era intenzionata a sentirlo parlare.
Era furiosa. L’aveva abbindolata fin dall’inizio,
il suo unico obbiettivo era quello di uccidere Gabriel e dato che lui
non poteva più farlo aveva scelto lei. Voleva che lei
continuasse la sua opera. E lei, da stupida, ci era cascata.
Sperava soltanto che Gabriel stesse bene e che si fosse salvato
perché se solo fosse venuta a sapere che era morto o che era
in coma si sarebbe uccisa. Poco le importava che Mortimer
l’avrebbe bloccata, non si sarebbe fermata finchè
non avesse trovato un modo per ammazzarsi.
E lo perdonava.
Rebecca perdonava Gabriel.
Poteva capire come Gabriel si era sentito tradito e preso in giro.
Comprendeva il suo dolore e la sua furia, la sua voglia di sfogarsi e
farle del male. Sapeva quanto l’amasse e quanto aveva fatto
per lei, il modo in cui gli era sempre rimasto accanto e come la
toccava, la baciava…in ogni suo bacio le trasmetteva amore e
non poteva non essere vero. Si pentiva di non avergli detto che lo
perdonava alla fabbrica, se solo avesse potuto tornare indietro nel
tempo l’avrebbe scusato e l’avrebbe baciato come
lui le aveva chiesto. Ora che poteva perderlo per causa sua non le
importava più che lui avesse baciato un’altra, le
bastava soltanto averlo ancora vicino a sé.
Cominciò a piangere nel silenzio più totale. Si
sedette sul divano e s’impose di non dormire. Non si meritava
più niente, neppure il riposo. Avrebbe aspettato con
fermezza il suo ritorno, avrebbe implorato disperatamente il suo
perdono e tutto sarebbe ritornato come prima. Perché lui
doveva perdonarla. Doveva. Lei aveva perdonato lui.
Un rumore la distrasse dai suoi pensieri. Alzò lo sguardo e
guardò infondo alla sala, nell’angolino
più buio di tutta la stanza. Una figura avanzò
nell’ombra e Rebecca non lo riconobbe finchè il
suo corpo non fu sotto la luce della luna che filtrava dalle finestre.
Aveva sempre quel suo sorrisino strafottente stampato in faccia.
Rebecca scattò in piedi, sull’attenti, e si
pulì il viso bagnato dalle lacrime.
“Ogni volta che ti vedo mi porti brutte notizie. Devo
preoccuparmi anche questa volta?”
Atreius le mostrò un sorriso smagliante. “Questa
volta no. Sono venuto a trovarti, non avevo niente di bello da fare e
per sfuggire alla solita routine mi sono detto: “ehi,
perché non andare ad infastidire la mia
sorellastra?”.”
“Non è serata, Atreius. Vattene” gli
disse e con un cenno del capo gli indicò la porta.
“Oh andiamo!” la supplicò con lo sguardo
innocente di un bambino. “Ti prometto che vengo in
pace”
A Rebecca venne da ridere e non si trattenne dal farlo.
“Pace…cos’è la pace se non
l’esito di una lunga guerra?”
“Dev’essere proprio una brutta giornata”
disse il ragazzo mettendosi comodo nel divano di fronte a lei. Anche
Rebecca ritornò a sedersi, con una calma reverenziale.
“Ti diverti a provarmi?” non c’era astio
nella sua voce semmai una profonda rassegnazione.
“Adoro eccitare le donne con le mie provocazioni”
disse sfacciatamente accavallando le gambe e allungando le braccia
sulla testiera del divano.
Rebecca fece finta di non averlo sentito. “Cosa ti porta qui?
Hai scoperto che sono da sola in casa e così vuoi rendermi
la vita ancora più impossibile?”
“Ah giusto, ho fiutato l’intera casa ma della tua
dolce metà non c’è neppure traccia.
Dove l’hai lasciato quel simpaticone del tuo
ragazzo?”
“Lui non è affar tuo, al momento ti basti sapere
che non è qui” disse con la mascella serrata, poi
aggiunse con un sibilo: “Per tua fortuna”
“Peccato, mi sarei divertito un po’ con lui.
È un ragazzo che sta al gioco”
“Ora basta, parliamo di cose più serie”
lo interruppe bruscamente.
Atreius la guardò intensamente e Rebecca fu costretta ad
abbassare gli occhi.
“Cosa vuoi sapere? Cosa posso sapere più di lui?”
“Il tempo. Ho bisogno di sapere i tempi della
trasformazione”
Atreius scosse la testa e rise, stupefatto. “Come faccio a
saperlo? Mai nella storia del pianeta si è verificato un
simile evento, nessuno sa con precisione come funziona, i tempi o le
conseguenze sulla persona”
La ragazza si sistemò meglio sul divano, improvvisamente
agitata. “Ma…ma circa? Un mese, due mesi, tre
mesi, un anno?”
“Bellezza, non lo so! Davvero. Ora, se non ti dispiace, io
sarei venuto a trovarti per fare qualcosa di alternativo, cavati dalla
faccia quell’aria ombrosa e fammi vedere un po’ di
strip”
Rebecca divenne bordeaux e boccheggiò un paio di volte.
“Che cosa?! Un cavolo marcio Atreius, mi rifiuto di farti lo
spogliarello solo perché tu possa divertiti! N.O.! Anzi, vai
proprio via per favore che sono stufa e voglio andare a
letto!” esclamò indignata.
Una smorfia maliziosa e affascinante si dipinse sul suo viso scolpito.
“Ok, allora andiamo a letto” mormorò con
gli occhi neri febbricitanti.
Rebecca si accorse di trattenere il respiro. “Stai
scherzando?” chiese con incredulità.
“Per niente, tesoro. Sei stufa e vuoi riposare quindi io ti
accompagno a letto e ti faccio compagnia mentre tu dormi”
Lei fece per aprir bocca e dirgli chiaramente di andarsene quando una
vocina dentro di lei le disse di non farlo. Che fosse stato suo padre o
la sua coscienza a parlare non poteva saperlo, l’intruso e la
sua interiorità non erano molto distanti
dall’essere un’unica entità.
Deglutì con forza dato che un groppo le premeva la gola.
“Non mi soffocherai nel sonno?” gli chiese.
“No”
“Non tenterai di uccidermi?”
“Anche se l’idea mi alletta non penso che lo
farò”
“Non pensi?!” esclamò alzando la voce
nelle ultime sillabe.
“Ehi, ti ricordo che sei mia sorella, metà del mio
sangue scorre nelle tue bellissime vene, inoltre il tuo corpo ospita
mio padre. Pensi sul serio che cercherei di ammazzarti? Insomma, ormai
non siamo più nemici, siamo una famiglia e siamo
alleati!”
“Parla per te, io vi farei fuori entrambi! Prima te e poi
nostro padre” brontolò dirigendosi su per le
scale.
Atreius la seguiva fedelmente come un cagnolino che insegue il suo
amato padrone.
“Ci odi così tanto?”
Rebecca si fermò a metà scalinata e si
voltò per guardare la faccia di Atreius che le arrivava al
mento. “Vi odio”
Atreius non sembrava per niente disturbato dalla sua affermazione.
“Perché?”
“Perché costituite una minaccia, siete il mio
punto debole perciò non riesco e non posso uccidervi, e
questo mi fa rabbia. Volete fare del male a questo mondo e alle persone
che amo solo per la bramosia del potere. Voi rappresentate tutto
ciò che io ogni giorno combatto, siete ciò che io
ho giurato di non diventare”
“Rebecca, è perché la guardi dalla
prospettiva sbagliata. Parli tanto del tuo mondo, dici che è
bello, perfetto, buono, felice, ma in realtà è il
tuo mondo che causa più sofferenza: l’amore, la
speranza, le illusioni, gli affetti…sono tutti sentimenti
bellissimi, è vero, ma sono anche emozioni che possono
scivolare o spegnersi nel tempo causando la sofferenza di coloro che si
vedono rifiutati, abbandonati, delusi o traditi. Pensaci bene, se
l’amore non esistesse non ci sarebbe l’odio. Se non
ci fossero le illusioni non ci sarebbe la delusione”
Perché detta così suonava dannatamente bene?
Rebecca si schiarì la voce. “Il Bene e il Male si
possono paragonare alla vita e alla morte. La morte è
serena, facile, la vita è molto più
difficile”
Un ghigno di immensa soddisfazione incorniciò le labbra
piene e rosee del ragazzo. “Ben detto, vedo che hai capito
come funziona il nostro mondo”
Rebecca battè le palpebre e come stordita riprese a salire
le scale. Sentiva i passi del ragazzo dietro di lei e il calore del suo
corpo che per poco non le toccava la schiena. Era molto provocante e
sapeva l’effetto che aveva sulle donne. Quei suoi occhi neri,
profondi e tenebrosi, i capelli scuri ribelli e accattivanti. Oltre al
suo corpo che pareva scolpito nel marmo. Era più magro
rispetto a Gabriel ma incuteva comunque timore. Erano sicuramente due
bellezze diversissime tra loro ma anche molto simili da certi punti di
vista, entrambi infatti erano dannatamente belli e affascinanti.
Avevano quel fascino tipico delle persone potenti e misteriose, i loro
occhi, seppure un paio scuri e l’altro paio azzurri,
trasmettevano una certa freddezza e impassibilità che
attiravano inevitabilmente chiunque avesse l’occasione di
avere a che fare con loro.
Rebecca trattenne il fiato quando la mano di Atreius le
sfiorò con le dita la cordicella della divisa sulla schiena.
“Mi chiedo che faccia farà il tuo ragazzo non
appena entrerà in camera e mi vedrà vegliare su
di te mentre dormi tra le mie braccia” disse ad un certo
punto il predatore alla preda.
La preda tremò, in trappola e spaventata. “Gabriel
non tornerà questa notte e non voglio che tu mi tenga tra le
tue braccia”
“Sei sicura?” la provocò.
“Mai stata così sicura in vita mia”
ribadì la ragazza fermamente.
Entrarono nella camera di Rebecca e lei scomparve in bagno.
“Dove vai?” le chiese.
“Vado a cambiarmi in bagno, non voglio certo che tu mi veda
in biancheria intima!” sbottò diventando rossa in
volto.
Atreius fu felice della sua reazione. “Beh, siamo fratelli,
tecnicamente io posso vederti anche nuda”
Le orecchie di Rebecca andarono a fuoco.
Ma che le prendeva?!
Possibile che Atreius le facesse quest’effetto?
“Taci! È solo una scusa per vedermi nuda, maiale
che non sei altro! E poi non siamo fratelli al cento per cento,
c’è sempre quel cinquanta per cento che mi
impedisce di spogliarmi davanti ai tuoi occhi, idiota!”
Il ragazzo scoppiò a ridere. “Maiale?!”
ripetè con stupore e sbalordimento.
“Sì, maiale! Sei un maiale che non ha niente di
meglio da fare se non disturbare le persone che non vogliono essere
disturbate proponendogli di spogliarsi solo per allontanare dai suoi
occhi la noia che gli gira intorno ogni ora del giorno!”
“Ma se sono qui per questo: per scacciare la noia!”
protestò con una nota divertita nella voce.
Lanciandogli occhiate omicide la ragazza andò in bagno a
cambiarsi e lasciò Atreius nella sua camera. Quando
tornò lo trovò a letto sotto le coperte che le
faceva segno di avvicinarsi.
Rebecca grugnì. “Guarda che non ti devi aspettare
niente da me questa notte”
Un bagliore baluginò nelle iridi scure del ragazzo.
“Mi hai fatto intendere chiaro e tondo che questa notte non
mi vuoi ma, dopotutto, ci sono molte altre notti più
avanti…”
“Atreius?” lo chiamò con una smorfia
schifata e ironica. “Prenditi la testa, sbattila contro il
muro e conta fino a un milione!” sbraitò
ficcandosi a letto.
Rebecca si voltò su di un fianco dandogli la schiena e si
tirò le coperte fino in cima. Atreius la sentì
borbottare qualcosa. Si sistemò mettendosi in posizione
supina ed inspirò sonoramente gustandosi tutta
l’aria che stava mettendo in corpo come se solo quella che
respirava lì fosse pulita e rigenerante. Sorrise beato e si
girò ad osservare Rebecca che stava ancora imprecando.
***
[Così oscuro
l’inganno
dell’uomo.
Voi sapete che siete
stati
tutti ingannati]
***
Sono sempre un
missile nell'aggiornare i capitoli!!!!
Spero di via
piaciuto anche questo, un po' lunghetto devo dire e difficoltoso!!!!
Recensite che
a me fate solo piacere!!!
Il prossimo
capitolo: "TRA DUE
FUOCHI"
ma il nome
del prossimo capitolo non è sicuro, ultimamente per i nomi
non sono
molto portata ad inventarne alcuni...
I
"THANKS":
"ANTHY":
grazie per la recensione comunque sì, farò una
terza serie dove Rebecca sarà veramente tremenda e ci
saranno parecchi casini con Gabriel che naturalmente non
accetterà la nuova Rebecca...vedrai come evolverà
la storia, sono ancora indecisa per il finale dell'intera saga ma
magari mi verrà naturale alla fine quando mi
ritroverò a scriverlo...fammi sapere che ne pensi di questo
capitolo, bacioni e grazie ancora..
"ANGELOFLOVE":
guarda, è vero che il tradimento è sempre una
cosa imperdonabile però questa volta ho deciso che Rebecca
dovesse per forza perdonare Gabriel perchè in fin dei conti
il tradimento non era avvenuto per mancanza d'amore ma per una serie di
casini e fraintendimenti che hanno portato il ragazzo al delirio
più totale!! e poi adoro il personaggio che ho creato di
Gabriel perciò non posso mentre scrivo essere troppo cattiva
con lui.. :-)
"VALESPX78":
ehehe, sarai felice di vedere che Rebecca gliele
ha date di santa ragione!! diciamo che non lo ha preso a calci nel
sedere come mi hai scritto però penso che il suo modo di
vendicarsi sia stato lo stesso terribile e soddisfacente!!! e comunque
non penso che dopo questo capitolo ti sia ancora in disgrazia Gabriel,
o no???? dopotutto non è cattivo, vedrai che cambierai idea
su di lui!!! spero...
"CHICCA90":
bella recensione, complimenti. comunque sì, cambiato titolo
alla storia...il titolo precedente era troppo lungo e non diceva
niente...penso che la frase in latino dia più un senso di
potere e dominio tipico di un angelo...ora sarai soddisfatta di vedere
che Gabriel non è andato con Fiona!! per fortuna si
è fermato al bacio!!!!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Disturbia ***
Cap.
11 - DISTURBIA -
[Ho
cercato di andare avanti
come
se non avessi mai saputo.
Sono
sveglio ma il mio mondo
è
mezzo addormentato.
Prego
affinché questo cuore non si spezzi
ma
senza di te tutto quello che sarò è
incompleto]
Backstreet
boys - Incomplete -
***
Nel cuore della notte Rebecca fu svegliata da Atreius. Le stava
picchiettando la spalla, all’inizio fece finta di niente
sperando che alla fine si stufasse di chiamarla ma lui continuava a
darle colpetti. Aprì un occhio e lo ridusse a due fessure.
“Che vuoi?” esclamò in tono irritato.
“Parlare”
“Tu vuoi parlare e io voglio dormire. Vinco io quindi
lasciami in pace”
“Perché dovresti vincere tu, scusa?”
“Perché sono la padrona e quindi comando
io” puntualizzò.
“E io sono l’ospite”
“Un ospite indesiderato” grugnì, pronta
e riaddormentarsi.
Atreius si chinò su di lei e le baciò la fronte.
A quel contatto Rebecca scattò a sedere. Lo fissò
con due occhi sconvolti e increduli.
“Cos’hai fatto?!” sbraitò.
Atreius sorrise. “Mi è sembrato piuttosto
palese”
“Beh, non farlo mai più”
Il ragazzo fece spallucce e rimase a guardarla. Rebecca, che proprio
non si fidava di lui, si appoggiò alla testiera del letto e
si torturò le mani in grembo.
“Sai a che pensavo?” le chiese Atreius.
“Non voglio saperlo”
“Pensavo che tra poco sarai al mio fianco, spero solo di non
aspettare troppo a lungo”
La ragazza ebbe un tuffo al cuore. “Smettila, per
favore”
“Pensavo a quando arriverai a casa nostra, al
castello”
“Chi ti dice che verrò?” lo
sfidò con odio.
Atreius ghignò. “Hai altra scelta?”
“Non vedo perché non posso più essere
padrona di me stessa! Dopotutto è il mio corpo e sono io a comandare il
mio corpo. Dannazione, è giusto che sia così! Non
mi sembra corretto che qualcun altro disponga del mio corpo,
è mio!”
“Io non parlerei di possessione, Rebecca. Ti stai solo
trasformando, diciamo che ti stai preparando per diventare un angelo
nero. Sarai capace di essere padrona delle tue azioni quando sarai
un’altra persona?”
Perché Atreius doveva demoralizzarla in quel modo?
Perché ogni volta che Rebecca tentava di chiudere gli occhi
per sognare qualcuno la obbligava ad aprirli bruscamente riportandola
alla realtà?
E la realtà era brutta, invivibile, insopportabile. Molto
meglio i sogni.
È
più facile illudersi.
“Tu e nostro padre siete degli ingenui se credete che
sarò dei vostri. Io non verrò con voi,
finchè il mio cuore non sarà completamente
ammalato io continuerò a lottare perché continui
a battere, perché continui a risplendere” disse
Rebecca con un groppo in gola.
“La tua stupida illusione ti condurrà alla
delusione più totale”
“Dimmi Atreius, il tuo cuore batte?”
Il ragazzo si accigliò per un istante. “Poco.
Batte poco perché non sono così cattivo, di
solito soltanto i sovrani del Male hanno il cuore fermo. Gli angeli
neri, come lo sarai te”
“Che ingiustizia…” disse la ragazza con
dispiacere. “Il mio cuore superficiale è
l’unica cosa che batte”
Atreius vide improvvisamente gli occhi di Rebecca inumidirsi e per la
prima volta nella sua vita si sentì a disagio, quasi
timoroso di trovarsi dinnanzi ad una simile dimostrazione di
afflizione. Si ritrovò impreparato in quella situazione, non
sapeva che fare. Mai gli era capitato di provare compassione per
qualcuno.
Cercò di dire qualcosa ma in realtà aveva la
mente completamente annebbiata. “Non devi dire
così, il tuo cuore batte e non stai morendo”
Rebecca socchiuse gli occhi e fece un sorriso amaro, triste, pieno di
dolore. “E invece sì che sto morendo, giorno dopo
giorno mi sto spegnendo. Non vedrò più la luce
che riflette il mio sorriso, né non proverò
più amore o felicità. Mi sto preparando per
diventare una macchina di morte e di Rebecca Burton rimarrà
soltanto un patetico ricordo”
“Che ti importa?” disse Atreius che ora si pentiva
di essere entrato in quel discorso ed era arrabbiato con sé
stesso per la sofferenza di Rebecca. “Quando sarai diventata
un angelo nero non avrai più la tua anima! Non passerai il
tempo a rimpiangere i tuoi giorni felici!”
Ormai la voce di Rebecca era talmente bassa e tremante che il ragazzo
dovette avvicinarsi per ascoltarla. “Non è nel
domani che piangerò, è ora, adesso. Vivere questi
giorni sapendo che sono gli ultimi. Ci sarebbero state tante cose che
avrei voluto fare…” mormorò, con un
sorriso che però non raggiunse gli occhi. “Sai,
avrei voluto davvero sposare Gabriel e avere dei figli da lui. Pensare
alla vita che perdo, alle cose che dovrò rinunciare, alle
persone che abbandonerò…”
“Io non ti capisco, stai male per una cosa che deve ancora
succedere”
“Prima di andarmene vorrei che tu dicessi a Gabriel che lo
amo”
Atreius assunse una faccia schifata e si tirò indietro.
“Non puoi farlo tu? A me il tuo ragazzo proprio non piace
neanche un po’”
Rebecca sospirò e tirò su col naso.
“Quando me ne andrò dal villaggio sarà
perché sono diventata un angelo nero e non penso che mi
passerà per la testa di dirglielo, sarò troppo
impegnata ad odiare il mondo intero. Mi prometti che glielo
dirai?”
Il ragazzo non potè non accettare. “Sì,
sì, glielo dirò, va bene?”
borbottò contrariato.
Atreius sentì un singhiozzo e subito si voltò
verso di lei. Vide che stava piangendo.
Fu una visione così addolorante, infelice e tenera che
Atreius percepì il battito del proprio cuore aumentare.
Rebecca scosse la testa tenendo gli occhi chiusi, le lacrime
continuavano a scenderle sulle guance. “Io non voglio che il
mio cuore cessi di battere, non voglio smettere di amare Gabriel e non
posso sopportare l’idea che i miei piedi cammineranno su
terre oscure e fiumi di sangue. Io voglio la
luce…” disse tra i singulti. “Non voglio
morire”
Rebecca pianse più forte e i suoi singulti raggiunsero ogni
angolo della casa, si accasciò in avanti con le mani sul
viso. Atreius era paralizzato, non osava muoversi. Ogni volta che il
pianto di Rebecca raggiungeva le sue orecchie era un pugno allo
stomaco. Era il rumore raccapricciante di una creatura che non ce la
faceva più a vivere e che cercava rifugio nella morte.
Peccato che Rebecca non avrebbe trovato pace neanche nella morte.
Atreius era profondamente turbato dalla sua fragilità. Si
scoprì voglioso di abbracciarla. Lui, il figlio del Male,
stava provando affetto per una ragazza.
“Non morirai, Rebecca. Ti giuro che non appena sarai arrivata
al castello mi prenderò io cura di te, vedrai che ti
aiuterò, non sarai triste, davvero. Voglio renderti la vita
più facile”
Rebecca alzò la testa verso Atreius e per un momento
guardò la luna oltre le finestre. Il pallore del suo colore
le infuse un’intensa malinconia. Puntò i suoi
occhi rossi e gonfi di pianto sul fratellastro. Doveva apparire come
una specie di pulcino bagnato e abbandonato perché non aveva
mai visto sul volto di Atreius una simile faccia. Si era fatto
improvvisamente protettivo, sicuro, dolce e…premuroso?
“Grazie”
“Rebecca, smettila di piangere” le disse, non
smettendo un attimo di guardarla negli occhi.
Con il corpo proteso verso di lui Rebecca emise un rantolo soffocato,
una mezza via tra un sorriso e uno sbuffo. “Non ce la
faccio”
“Ti prego, smettila” la implorò,
incapace di vederla in quello stato.
“Atreius, io voglio restare. Ti supplico, aiutami”
singhiozzò e poi si buttò tra le sue braccia.
Pianse tutta la notte, quando alla fine si ritrovò senza
più lacrime in corpo si addormentò tra le braccia
di Atreius. Il ragazzo l’adagiò sul letto e la
ricoprì premurosamente con le coperte. Le
accarezzò le guancie e la fronte, le spostò i
capelli dal viso e rimase a contemplarla a lungo. Il suo respiro si era
regolarizzato ed era così bella che Atreius non si accorse
neppure di avvicinarsi al suo viso. Quando le loro labbra si sfiorarono
capì che la stava baciando. Fece incontrare la sua
bocca con quella morbida e calda di Rebecca. Si posò su di
lei e la baciò dolcemente, con un bacio a stampo.
Non appena si staccò da lei comprese di aver fatto un grosso
errore. Per fortuna dormiva e non si era accorta di nulla.
La sua reputazione era salva.
***
Rebecca si svegliò che era mattina. Sbadigliò
sonoramente e si stiracchiò allungandosi sul letto.
Aprì gli occhi sbattendoli un paio di volte per abituarli
alla luce del sole che entrava prepotente dalle finestre. Pigramente
spostò la testa per poi aggrottare le sopraciglia. Al suo
fianco il letto era vuoto. Atreius se n’era andato. Dove
prima il ragazzo aveva riposato il coprimaterasso aveva preso la forma
del suo corpo. Le pieghe sulle lenzuola erano la prova che era stato
lì con lei, che aveva dormito con lei.
Rebecca si tirò su ma restò ugualmente seduta sul
letto. Faceva ciondolare i piedi nudi sfiorando il pavimento e cercava
di ricordare quello che era successo durante la notte. Quando tutto le
fu chiaro e ricordato, sbuffò.
La sua vita non era certo delle migliori: si trovava a metà
strada tra il Bene e il Male, stava per liberare suo padre
nonché la più grande minaccia mai esistita sulla
faccia della terra, aveva concesso al suo fratellastro troppe
confidenze e aveva spedito Gabriel all’ospedale. Si
soffermò a riflettere sull’ultimo punto. Non aveva
il coraggio di uscire di casa e neppure di andare a vedere come stava.
Non era morto, altrimenti Rosalie gliel’avrebbe subito
riferito facendole visita. E da lì, la paura di vederlo. Si
sentiva un’idiota a non andare a trovarlo ma proprio non ci
riusciva. Preferiva restare dov’era: a casa, e fare quello
che era più conveniente fare: niente.
Bussarono alla porta.
Del tutto presa alla sprovvista Rebecca sobbalzò e scese in
picchiata giù per le scale. La sua corsa fu così
veloce che arrivò ad aprire alla porta dopo due secondi che
avevano bussato.
Le comparve dinnanzi Denali con il volto stanco. In quello sguardo vi
lesse anche un tacito rimprovero. Gli voltò le spalle ed
andò a sedersi in una delle sedie disposte attorno alla
tavola in cucina, il ragazzo la seguì silenziosamente. Pure
lui prese posto fronteggiandola, non parlava ancora.
Rebecca si appoggiò allo schienale e incrociò le
braccia al petto.
“Avanti, spara”
“Non posso credere che sia stata tu a ridurlo
così” disse a bassa voce.
Era incredulo e sbalordito. Il suo dolore trapelava dai suoi occhi e
scosse la testa come spaventato.
“Gabriel ha già raccontato a tutti la sua pietosa
sfortuna?” disse lei con aria strafottente.
Si stupì lei stessa del suo cambiamento d’umore.
Un attimo prima era preoccupata e pentita, e l’attimo dopo
era pronta per attaccare e dire crudeltà. Era più
forte di lei, non era in grado di controllare le sue emozioni e queste
la soggiogavano come meglio potevano.
Denali parve schifato. “Ma che cosa stai dicendo? Gabriel
è finito all’ospedale per colpa tua e tu lo
giudichi pietoso?”
La ragazza si accaldò. “Non ho mai sopportato i
vittimismi, questo è il punto. Dimmi come sta e poi
vattene”
“E lui che
ti controlla, vero?”
Rebecca inarcò un sopracciglio. “Molto
astuto…” disse con uno sguardo divertito.
“Non mi prendi in giro e se le tue intenzioni sono quelle di
farmi scappare a gambe levate ti sbagli di grosso. Sono qui anche per
aiutarti ma prima voglio che tu capisca lo sbaglio che hai
commesso”
“Tu forse ignori la sottile differenza che separa me stessa
da mio padre. È un confine così esile che se
fossi in te non sarei così sicuro di attribuire tutto
ciò all’entità che ospito”
“È impossibile che tu l’abbia ferito di
tua spontanea volontà”
“Come sempre sottovaluti l’ambizione”
sghignazzò.
“Cosa centra?”
La testa della ragazza parve cadere in avanti e subito i capelli
andarono a ricoprirle il volto. Quando alzò la testa e
puntò i suoi occhi su Denali il ragazzo barcollò
e cadde dalla sedia. Erano diventati neri. Sembrava un demonio.
“Cosa faresti se un persona rappresentasse l’unico
ostacolo per raggiungere ciò che di più vuoi al
mondo?”
Denali si rialzò da terra e le fu addosso con rabbia. La sua
voce tremava ed era stridula ma la sua espressione era ferma e
controllata. Non aveva paura di guardarla in quegli occhi spaventosi e
diabolici.
“Cosa vuoi di più al mondo?”
domandò scrollandola con quanta più forza aveva
nelle braccia, nel disperato tentativo di farla ritornare in
sé.
“Il potere” gli disse con voce tombale.
“E uccideresti Gabriel per ottenerlo?”
La ragazza ridusse gli occhi a due fessure maligne e fece un sorriso
sghembo. “Sì” sussurrò.
Denali le mollò un poderoso schiaffo sulla guancia e la
testa di Rebecca venne sbattuta per l’impatto
dall’altra parte. La ragazza spalancò gli occhi a
dismisura e con mano tremante si portò due dita a toccarsi
la guancia infiammata. Ora non appariva più cattiva e
provocante, assomigliava piuttosto ad una bambina confusa e spaventata.
Con una lentezza disarmante voltò la testa e
fissò con due occhi feriti e angosciati la figura in piedi
del ragazzo. Le sue iridi erano ritornate castane e la sua pelle aveva
ripreso colore.
Denali smise di respirare e senza accorgersene indietreggiò.
“M-Mi dispiace, io non…non l’ho fatto
apposta, non intendevo…ho perso il controllo, lo sai
com’è quando succede…”
balbettò Rebecca. “Io non pensavo davvero quelle
cose, non devi credere che…” la sua voce si
affievolì e scoppiò a piangere.
“…che io voglia uccidere
Gabriel…”
Denali, leggermente scosso, si avvicinò e
l’abbracciò strettamente.
Rebecca continuava a piangere disperatamente. “Oh Dio, che ho
fatto…e ora che faccio? Perché non
c’è nessuno che può aiutarmi? Sono un
mostro! Sono una persona orrenda, non merito di vivere!”
Denali la strinse più forte. “Se dici
così non puoi essere un mostro, vedo in te ancora tanta
luce, Rebecca. Tieni duro, non mollare” le mormorò
in tono amorevole.
“Le cose non cambieranno mai! Non capisci che neppure tu puoi
aiutarmi? Nessuno può!” esclamò con
rabbia. “E io non sono abbastanza forte! Dannazione, ho solo
diciott’anni!”
“Tu sei forte e sebbene i tuoi anni hai passato cose che un
vecchio non si sarebbe mai sognato di vedere. Ce la faremo,
insieme” le disse e con la punta delle dita le
asciugò le lacrime che le solcavano le guancie.
“Tu non puoi capire” sospirò con il
cuore straziato.
“Cosa?” domandò Denali, perplesso e
tenero, continuando ad accarezzarle le guancie bagnate.
“È peggio di quello che pensavamo, Denali. Io sto
cambiando ma non è una trasformazione dovuta ad un veleno,
ad un lavaggio del cervello o ad un incantesimo che mi fa diventare
cattiva, non è contro la mia volontà”
“In che senso?”
“Nel senso che quello che sto diventando non è
opera di mio padre né di un trucco. Mortimer sta solo
stimolando la mia parte oscura perché venga fuori ma dipende
da me. Ho sempre creduto che fosse mio padre la causa di tutto questo
ma ora mi sono accorta che sono io a cambiare me stessa. Tutti noi
abbiamo dei lati negativi e dei lati positivi, è come se
quelli negativi stessero lottando per venir fuori ma non sono esterni
da me. Sono parte di me. Io sono anche
questo”
Il ragazzo impallidì. “Stai dicendo
che…?”
“Sì, che fa parte del mio carattere e che non
posso combatterlo. L’unico modo
è…”
Denali scattò indietro e fece cenno di no con le mani come
un forsennato. “No! No! Non dirlo neanche per
scherzo!”
Rebecca abbassò il capo ed emise un’espressione
rassegnata, arresa. “Dovrai uccidermi”
“È fuori discussione” ribattè
Denali in tono irremovibile.
A quel punto la ragazza balzò in piedi dalla sedia e
battè un pugno sulla tavola. “Maledizione, non
capisci la gravità della situazione? Io non posso cambiare
la mia natura e se dentro di me c’è anche questo
lato del mio carattere che mi farà diventare cattiva non
vedo perché tu debba fare il prezioso! È tutto
inutile!”
Anche Denali alzò la voce. “Non sarò io
il tuo carnefice! Non oserò mai porre fine alla tua vita!
Dev’esserci un altro modo!” ribattè
esasperato.
“Allora non lamentatevi tutti voi quando ucciderò
le vostre famiglie”
Una fitta colpì Denali al petto e lo lasciò senza
fiato. Vide nella sua testa i volti felici e sorridenti di Ian, Emma e
Rosalie. “Tu non lo faresti mai”
“Apri gli occhi Denali, ho appena attaccato Gabriel! Gabriel!
La persona che amo più di tutti! Credi che
m’importerebbe qualcosa di un bambino che non conosco o di
una vecchia mai vista?” disse, e si avvicinò a lui
quasi correndo. Gli prese una mano e Denali si accorse che gli aveva
messo tra le dita la sua spada.
Rimase inorridito da ciò che capì. Con un altro
movimento Rebecca portò la mano del ragazzo che stringeva la
spada sul proprio petto.
“Affondala, ora” disse premendosi ancora di
più la lama contro la pelle.
Non c’era paura nel suo sguardo, semmai un’intensa
stanchezza della vita.
Non hai più
voglia di restare aggrappata alla vita, Rebecca?
“No”
“Puoi farlo solo tu! Gabriel non lo farebbe mai e neanche gli
altri! Io non posso andare contro la volontà di mio padre ma
posso controllare, per quel poco, il mio corpo affinché
rimanga fermo così tu mi puoi uccidere!”
Rimasero a fissarsi negli occhi per quella che a Denali parve
un’infinità di tempo. Alla fine, con
un’imprecazione, gettò la spada a terra e se ne
andò senza dire una parola.
La faccia allibita di Rebecca esprimeva tutta la sua delusione.
Perché volevano aspettare che fosse troppo tardi?
Finchè poteva permettere a qualcuno di ucciderla, quel
qualcuno doveva farlo!
E lei ne era sicura. Quando il suo lato oscuro avrà preso il
pieno controllo nessuno sarebbe riuscito a fermarla.
Nessuno.
***
Gabriel all’ospedale si era ripreso notevolmente. Dopo una
lunga giornata e due notti era riuscito ad aprire gli occhi. Le prima
parole che udì furono quelle sbalordite e sorprese del
dottore.
“Ma…ma avrebbe dovuto dormire per quattro giorni!
Il farmaco doveva agire non per un giorno e mezzo!”
Sentì subito dopo la voce della sorella, calma e stanca,
quasi appassita. “Dottore, dovrebbe sapere
cos’è mio fratello. Al suo posto non rimarrei
così meravigliata, c’era da aspettarselo che il
suo corpo non avrebbe seguito pienamente le cure mediche”
Finalmente Gabriel ebbe la forze di aprire gli occhi. Il volto sereno e
felice di Rosalie riempì il suo campo visivo. Una parte di
lui, seppur remota, rimase delusa da quel viso. Sperava di vedere
qualcun altro al suo risveglio. Qualcuno che in quel momento non era
con lui. Qualcuno che era stato l’artefice del suo
“incidente”.
Cercò ugualmente di sorridere alla sorella. Quando
spostò lo sguardo notò che c’era anche
Denali. Lo stava guardando ma non lo vedeva realmente, la sua
espressione era persa, lontana, meditabonda.
Gabriel non poteva sapere che Denali era appena stato da Rebecca. Non
comprendeva appieno quello che era successo né che Rebecca
desiderasse disperatamente di morire.
Rosalie gli accarezzò la fronte. “Ti sei svegliato
finalmente, ben tornato”
“Rebecca…?” domandò a fatica,
non riusciva ancora a costruire una frase di senso compiuto.
Vide la sorella scambiarsi un’occhiata con Denali. Quando
tornò a parlare con il fratello il suo sorriso vacillava e
non era più tanto sicuro.
“Gabriel, io non credo che sia il momento
adatto…”
“Dov’è?”
“È a casa” disse Denali con quegli occhi
profondi e penetranti.
Gabriel tentò di parlare ma Denali lo precedette
rispondendogli. “No, non è mai venuta a
trovarti”
Rosalie gli tirò una gomitata alle costole.
“Denali! Per favore! Era proprio il caso?”
esclamò indignata. “A volte mi chiedo se sto
insieme ad una persona o ad un animale!”
“Spero la prima” ghignò il ragazzo.
Rosalie lo incenerì con gli occhi e fece un sorriso tirato
verso Gabriel. “Mi dispiace ma Rebecca non è mai
passata, a dir la verità non penso che sia mai uscita di
casa in questi due giorni” ammise con un sospiro.
Qualcosa simile ad una lama tagliente stava lacerando il petto di
Gabriel. Il cuore presa a battergli all’impazzata e dovette
regolarizzare il respiro per sentir meno dolore. Si limitò a
spostare la testa di lato e chiuse gli occhi, improvvisamente la luce
gli faceva male.
“Io sono andato a trovarla” disse d’un
tratto Denali.
Gabriel spalancò gli occhi e rimase a fissare la parete.
Aspettò che proseguisse carico d’attesa.
“Non l’ho vista molto bene Gabriel, devo essere
sincero. Soffre molto per quello che ti ha fatto, temo che
abbia…” Denali sentì la magia che lo
sigillava al silenzio stringere i vincoli. “…avuto
uno stato mentale piuttosto confusionario. È esplosa,
probabilmente per lo stress”
“Stress” ripetè per nulla convinto
Gabriel.
“Sì, dai, quella cosa che hanno tutte le
ragazze”
Denali si vide arrivare un altro pugno da parte di Rosalie.
Per un attimo Gabriel sorrise. Poi tossì e si
riafflosciò nel letto.
La voce strillante ed elettrizzata di sua sorella gli spaccò
i timpani e lo fece sobbalzare. “Gabriel! Non sai che notizia
ho da darti!”
“Ho vinto alla lotteria?” ipotizzò lui
con sarcasmo.
Denali si tappò la bocca per non ridere.
“No! Adele, nostra madre, si è
fidanzata!”
Uno strano tic colpì gli occhi di Gabriel. “Come,
prego?”
“Si è fidanzata! Assurdo, vero?”
esclamò concitata.
“Assurdo. E con chi?” domandò.
Poi, un altro inquietante tic colpì il labbro superiore del
ragazzo. Si ammutolì. “Non dirmi
che…?”
La sorella buttò fuori il nome con un grido eccitato.
“È Alan!”
La pelle di Gabriel divenne prima bianca come il latte e poi bordeaux
come in procinto di prendere fuoco. Si mise seduto, improvvisamente
sano e pieno di energia.
“Lo sapevo!” disse puntando un dito accusatore
contro Rosalie. “Lo sapevo!” ripetè.
“Che centro io? Io l’ho saputo ieri!”
“Alan teneva qualcosa di nascosto ultimamente, non appena mi
vedeva o restava zitto tutto il tempo,o faceva finta di non vedermi!
Senza contare che quando vado a trovare Bastian è come se
non ci fossi! E nostra madre…ah! È tornata e non
si è più vista in giro!”
“Sono contenta per lei, era ora che trovasse
qualcuno”
“Concordo” disse Denali.
“Io no” grugnì Gabriel.
Rosalie si voltò verso Denali e gli disse:
“Gelosia”
“Non è vero!” sbraitò il
ragazzo.
Rosalie si avvicinò e accarezzò con una mano le
pieghe delle lenzuola su cui suo fratello giaceva. Sorrise e
scrollò la testa.
“Sono felice per lei e lo sono anche per te”
“Per me? La mia vita fa così schifo da venire
compianto?”
“No stupido, dicevo solo che sono contenta che ti sia
svegliato, che stai bene. Non sono state delle belle ore, vegliamo su
di te da un bel po’”
“Grazie”
“Quando pensi che ti dimetteranno?” volle sapere
Denali.
Gabriel scrollò le spalle. “Penso domani mattina.
Con la mia capacità di rigenerarmi farò presto a
mettere apposto ciò che rimane da curare.
L’importante è stato scampare
all’incantesimo congelatore, ora viene la parte
facile”
“Tu pensi che lei…?”
“Per favore Rose, ho sonno. Vi dispiace se dormo un
po’?”
Rosalie incassò il colpo e si alzò in piedi.
“No, certo che no. Ti veniamo a trovare più
tardi”
“Non fa niente, non venite più. Tanto domani mi
dimetteranno”
“Ok, allora ciao” lo salutò Denali dalla
porta.
Rosalie si chinò su Gabriel e gli diede un bacio sulla
guancia. Gli fece un saluto con la mano e poi anche lei se ne
andò.
La stanza cadde nel silenzio.
***
Rebecca vagava per casa bianca come un cadavere e con lo sguardo
assente. Non ce la faceva più a reggere quella situazione.
Era riuscita ad accantonare suo padre nei meandri della coscienza e da
un bel po’ non lo sentiva più parlare
né appellarsi al suo nome. Grazie a questo intuì
come i suoi poteri stavano accrescendo: per riuscire ad avere la meglio
su Mortimer bisognava essere una specie di dio. E lei ci stava
riuscendo fin troppo
facilmente.
Stava diventando un gioco da ragazzi farlo tacere. E pensare che
all’inizio, oltre ad assillarla, non faceva che prendere il
controllo del suo corpo. Ora era più debole di lei. Ora era
lei la creatura più forte, che dominava.
E non capiva se era un bene o un male. Sapeva solo di essere molto
stanca e depressa.
Perché sono
ancora viva?
Perché ancora
m’inganno?
Perché
continuo a sognare?
I sogni sono per gli
illusi.
Eppure…
Fa male.
Eppure soffro,
perché sto
cambiando…
e non mi piace
ciò che sto diventando.
Non mi rimane che
perire, perdere.
Forse dovrei.
Ormai sono finiti i
sogni, tutti quanti.
L’unica cosa
che mi resta è andarmene.
***
L’attesa per il ritorno finì ma non come Gabriel
aveva programmato. Lo lasciarono andare, incuranti delle sue proteste,
dopo una settimana. Avevano voluto tenerlo sotto osservazione ancora
qualche giorno, giusto per evitare effetti collaterali ritardatari. Ma
Gabriel si era ripreso del tutto già dal terzo giorno e per
questo si arrabbiò. Non capiva
l’utilità e l’emergenza di tenerlo
inchiodato sette giorno ad un letto. Lui stava bene, almeno.
Non appena uscì dall’ospedale era talmente bello e
riposato che non pareva neanche lontano un miglio un ex ricoverato.
Lasciò l’edificio e
s’incamminò verso casa, le mani in tasca e una
maglietta maniche corte che metteva in risalto i muscoli delle braccia.
Erano capibili i comportamenti ammirati delle ragazze che lo vedevano
passare. Era bello da togliere il respiro.
E in ogni faccia veneratrice di ogni singola ragazza lui vedeva lei. E
ce l’aveva a morte per questo perché se fosse
stato meno preso, meno innamorato, meno perso si sarebbe comportato con
più severità e lucidità. Se
l’avesse amata un po’ meno non avrebbe permesso che
accadessero certe cose. Ma il suo cuore era completamente cieco e
confuso, non sapeva che aspettarsi una volta giunto a casa. Gli sbalzi
di umore di Rebecca avevano il potere di metterlo in crisi.
Ma al diavolo, lui l’amava troppo.
Riconobbe la sua casa dal fondo del sentiero. Gli sembrava uguale a
come l’aveva lasciata una settimana prima: niente ragnatele,
né scope, né ragni. All’apparenza era
tutto normale. Eppure quelle mura lasciavano trapelare una tale
sofferenza che Gabriel deglutì prima di aprire la porta. Il
cuore gli martellava in petto, automaticamente entrò furtivo
e pronto ad attaccare. Non dimenticava il male che Rebecca gli aveva
fatto. Perché lei era cambiata.
Ma come?
Perché?
Dopotutto…era importante, forse, saperlo? Lui non ci capiva
più niente e non poteva fare altro se non crederle.
Era ancora mattina presto perciò andò dritto al
piano superiore, sicuro di trovarla a letto. Tutto, i profumi, i
rumori, gli odori, l’atmosfera, gli faceva sentire che era
davvero tornato a casa. Sentì il solito gradino
scricchiolare sotto i suoi piedi salendo le scale e vide sul muro in
corridoio la macchia di caffè che Rebecca aveva fatto
inciampando nel tappeto. Erano tutte cose famigliari che lo facevano
star bene, al sicuro. Sebbene mentre apriva la porta della camera da
letto aveva il fiato corto e affannoso non aveva paura, qualcosa gli
diceva che tutto sarebbe andato alla perfezione, nel migliore dei modi.
L’aria dentro la stanza sapeva di chiuso e di polvere. I
balconi erano chiusi ma la luce entrava comunque dalle fessure del
legno piroettando giochi di luce e ombra sul pavimento e sulle pareti,
illuminando qualche mobile, qualche angolo, qualche chiazza di muro.
Vide Rebecca stesa sul letto, in posizione fetale, il suo corpo si
alzava e si abbassava a ritmo del suo respiro regolare e lento. Gli
dava le spalle e l’unica cosa che riusciva a vedere erano i
suoi lunghi capelli scuri che ricadevano scomposti e morbidi sulle
lenzuola bianche.
Sorrise senza accorgersene.
Come poteva essere arrabbiato? Aveva desiderato così tanto
rivederla. Un po’ ce l’aveva con lei, non era mai
venuta a trovarlo all’ospedale, ma la consapevolezza che lei
ora riposava tranquilla e dolce come una bambina gli sollevava il
cuore. Non era cattiva, era quella di sempre, e per Gabriel era la
felicitazione più grande che potesse esserci.
Nei giorni che era rimasto all’ospedale aveva avuto modo di
riflettere. Lui aveva sbagliato a tradirla ma lei lo perdonava. Lei
aveva commesso un enorme errore nell’attaccarlo ma lui la
perdonava.
Cosa c’era di più semplice di questo?
Gabriel ebbe una voglia spasmodica di svegliarla. Voleva vedere il
sorriso nei suoi occhi nel momento in cui l’avesse rivisto di
nuovo a casa, e la sorpresa nel vederlo sano e felice.
Camminò silenziosamente verso di lei. Rebecca non si
muoveva, apparte il respiro era completamente immobile. Mise un
ginocchio nel letto e si sollevò spingendosi in avanti con
le braccia, gattonò fino ad averla a pochi centimetri di
distanza.
Mosse una mano per toccarle la schiena mentre uno splendente sorriso
non accennava ad abbandonarli il volto. Proprio quando le sue dita
fecero per sfiorarle la pelle queste vennero fermate, bloccate, come se
avessero incontrato una parete dura e fredda. Appoggiò con
smarrimento il palmo aperto della mano contro una parete invisibile e
capì. Il suo sorriso pian piano svanì e si
spense.
Gabriel rimase inorridito, terrorizzato.
Era una barriera magica quella che racchiudeva Rebecca. Gabriel
tastò l’intero scudo seguendone le curve e
capì che circondava completamente il corpo della ragazza.
Era un bozzolo potente e indistruttibile, e lei ne stava prigioniera
all’interno.
“Oddio…”
Con un balzo Gabriel scese dal letto e lo aggirò per
guardare in faccia Rebecca. Prese spavento per quello che vide:
dormiva, era vero, ma i suoi occhi erano sbarrati, vacui, assenti e il
colore della sua pelle era spento, pallido.
Da quanto era lì in quelle condizioni?
Gabriel cadde in ginocchio e gemette come se stesse piangendo.
Portò le sue mani tremanti a toccare la barriera e
cercò, con tutte le sue forze e i suoi poteri, di spezzare
l’incantesimo. Una forza spaventosa lo scaraventò
via dallo scudo facendolo finire a terra privo di energie. Le sue mani
erano percosse da scariche elettriche di un blu intenso e
tremò quando cercò di rialzarsi.
È troppo
potente, non ho mai visto una tale magia.
Ed era stata lei ad ergerla, riconosceva la sua aurea, la sua magia.
Gabriel scosse la testa, sconvolto, incapace di accettarlo.
Cominciò a prendere a pugni la barriera, stava cercando di
soffocare il suo dolore ma era impossibile.
“Perché! Perchè l’hai fatto?
Perché?” urlò, fuori di sé.
“Cosa vuoi da me? Cos’altro vuoi?”
Si accasciò sul pavimento e indietreggiò come un
animale impaurito. “Mi dici che diavolo vuoi ancora da
me?” ripetè, con voce rotta dalla commozione.
Per un momento Rebecca parve guardarlo, a Gabriel sembrò di
vedere i suoi occhi posarsi su di lui ma fu questione di un secondo. La
porta della camera si aprì.
“Gabriel” disse Denali correndogli incontro e
aiutandolo ad alzarsi.
Rosalie andò invece a vedere Rebecca e Gabriel la vide
portarsi una mano sulla bocca.
Con uno strattone si liberò dalla presa di Denali.
“Tu sei l’ultimo che l’ha
vista” non era una domanda.
Denali si meravigliò. “Mi stai accusando? Io
quando l’ho vista non era così, è la
prima volta che la vedo in questo stato!”
“Tu sai qualcosa! Smettila di fingere con me!”
disse dandogli un violento spintone in pieno petto.
“Ehi!” intervenne Rosalie. “Avete
intenzione di fare a botte o di aiutare Rebecca?”
Gabriel ringhiò. “Aiutarla come? È una
magia troppo potente e io non sono in grado di annullare la barriera.
Senza contare che è stata lei a crearla!”
Sua sorella sbarrò gli occhi. “Rebecca
è stata? Ma perché, scusa?”
“Io non lo so!” disse a gran voce il ragazzo.
“La prima cosa che mi viene in mente è che abbia
deciso di punirsi per quello che mi ha fatto. La conosco benissimo e so
quanto deve esserci rimasta male, avrà creduto di meritare
una punizione, dannazione!”
“Cosa pensi che voglia fare?” sussurrò
Rosalie fissando il corpo della ragazza che non accennava a muoversi.
“Non è difficile da capire! Questa deficiente ha
deciso di imprigionarsi dentro una barriera magica per lasciarsi morire
di fame e di sete!” urlò Gabriel fuori di
sé. “Si lascia morire, ecco cosa sta
facendo!”
“Oh Signore, sarà da una settimana che
è qui”
“Da una settimana no, magari da qualche giorno”
disse Denali seriamente.
Lui era l’unico che comprendeva appieno le ragioni per le
quali Rebecca aveva deciso di lasciarsi morire di una morte lenta e
tremenda.
“Quanto tempo abbiamo?” chiese la ragazza.
“Che vuoi dire?” era Gabriel.
“Quanto tempo abbiamo prima che muoia di fame?”
“Prima morirà di sete se non ci sbrighiamo a
tirarla fuori di lì. E comunque è fondamentale
sbrigarsi”
“È inutile, ragazzi” Gabriel si
appoggiò stancamente al muro. “Noi non possiamo
fare niente per aiutarla, spetta a lei decidere se salvarsi oppure
no”
“Ma Gabriel…!”
“È così Rose, veramente, fidati. Se ci
fosse un modo sarei il primo a muovermi per fare qualcosa
ma…non c’è niente, davvero. Rebecca
è l’unica in grado di spezzare
l’incantesimo”
Rosalie divenne bordeaux in viso. “E tu pensi di stare qui a
far niente?!”
Denali si avvicinò alla ragazza e la tenne stretta a lui,
abbracciandola. Rosalie lo allontanò. “Smettila
Denali, non toccarmi! Non possiamo restare qui a far niente!”
urlò.
Denali si scambiò un’occhiata con Gabriel e prese
Rosalie per i fianchi, conducendola verso la porta. “Vieni
Rose, andiamo via. Gabriel penserà a tutto, noi non siamo di
grande aiuto” le disse costringendola a camminare dove voleva
lui.
“A dir la verità…” intervenne
Gabriel cupamente. “…il tuo aiuto, Denali,
potrebbe risultarmi utile”
Vide il volto del ragazzo impallidire. Capì di aver fatto
centro.
Tu sai qualcosa, vero?
avrebbe voluto chiedergli.
Ecco perché
sei così tranquillo, tu sai perché lei si
è ridotta così.
“Se ti serve il mio aiuto Gabriel, fammi un fischio. Porto a
casa tua sorella e poi verrò a trovarti domani, non ti
preoccupare”
“Ci conto”
Contro le proteste di Rosalie, Denali, la portò via e chiuse
la porta della camera da letto lasciando dentro un Gabriel pieno di
collera e una Rebecca in fin di vita.
Chi è
quell’idiota che ha detto che la vita è bella?
Se lo trovo in giro lo
ammazzo.
***
Gabriel ammirava il viso di Rebecca da tutto il giorno, da quando
Denali e Rosalie se n’erano andati. Si era seduto per terra e
teneva appoggiato il mento sul materasso costringendo i suoi occhi a
non lasciare quelli sbarrati e sofferenti della ragazza, nonostante il
sonno lo stesse divorando.
“Ti prego, salvati” le mormorava di tanto in tanto.
Per tutta risposta gli occhi di Rebecca smettevano di fissare un punto
impreciso e si posavano su quelli di Gabriel, le sue iridi sembravano
trapassarlo fin dentro l’anima. Poi ritornavano a guardare il
vuoto, il nulla.
Rebecca era cosciente del fatto che lui fosse lì e una volta
soltanto quella notte, quando lui le aveva sussurrato con voce
commossa: “Che farò se te vai? Io non riesco a
vivere senza di te…”, lei aveva sorriso. Un
sorriso piccolo e angosciato. Ma aveva sorriso. Lei capiva quello che
stava accadendo ma non sembrava d’accordo a fermare quella
tortura. Era decisa fino in fondo a lasciarsi morire.
Il mattino seguente Denali si fece trovare come promesso.
Passò con Gabriel tutta la giornata, parlarono e Gabriel
ebbe modo con lui di sfogarsi ma mai riuscì ad estrapolare
all’amico una qualche informazione. Denali tornò
il giorno dopo ancora con tutta la sorpresa di Gabriel. Tentarono, la
pregarono di abbassare la barriera, cercarono di farla mangiare o
almeno bere. Ma niente da fare, o si prendeva gioco di loro restando a
fissargli attonita o crollava nel sonno.
Passarono quattro giorni e la situazione era stazionaria. Rosalie aveva
smesso di venire a trovare Rebecca perché aveva capito che
se ci fosse stato qualcosa di nuovo l’avrebbe saputo subito.
Gabriel le aveva detto che era inutile che venisse da loro e lasciasse
i bambini a casa da soli, dato che Denali era sempre lì.
Kevin e Delia era stati informati ed erano passati due volte ma anche
loro avevano deciso di seguire l’idea di Rosalie. Gabriel
restava via via sempre più basito dalla presenza costante e
assillante di Denali.
Sospettava che sapesse qualcosa ma quella
cosa era così orribile da portarlo ogni giorno
a casa sua?
Non osava chiederglielo più.
Eppure…
“Denali, senti, non occorre che vieni qui ogni
giorno” gli aveva detto una volta Gabriel mentre si stavano
preparando una tisana per allontanare il sonno.
Denali strinse le mani attorno alla tazza. “Ci devo venire,
ha bisogno di noi”
“Sì…già…hai
ragione” mormorò lentamente guardandolo storto.
“Ma temo che anche tu abbia bisogno di aiuto, non
è vero?”
Gabriel abbassò lo sguardo e per un momento parve tornato
bambino. “Io ce la faccio se anche lei ce la fa.
Tu…” non trovava le parole adatte per esprimere la
sua agonia. “Tu non puoi neanche lontanamente immaginare come
mi sento, sono impotente e paralizzato dalla paura che possa andarsene
via da me. Se Rebecca dovesse morire…”
inspirò. “…sarebbe una perdita
impareggiabile per Chenzo”
“Parli di Chenzo Gabriel, ma tu cosa faresti?”
“Io ho fatto una promessa tempo fa alla mia ragazza,
nonché futura moglie, e cioè che se mai se ne
fosse andata io l’avrei seguita prima possibile”
“È tutto così triste” disse
Denali con sguardo truce. Lo faceva star male il tormento
dell’amico.
Ringraziava il fatto che Gabriel fosse forte perché lui, al
suo posto, non sapeva che avrebbe fatto. Probabilmente avrebbe perso il
controllo.
“È tutto così inutile” lo
corresse Gabriel.
“Che posso fare per te?” gli domandò
l’amico con premura.
“Aiutami a non impazzire Denali, ti chiedo solo
questo”
“Ho una cosa da confidarti, Gabriel. Vengo qui tutti i giorni
perché ho promesso a Rebecca di prendermi cura di
lei”
“Lo immaginavo che voi due complottavate qualcosa alle mie
spalle”
***
Passarono sette giorni: una settimana. L’umore di Gabriel era
spaventoso, arrivò a sbattere la porta in faccia ad Alan, il
poverino era passato per vedere come stava Rebecca e lui non
l’aveva lasciato entrare. Doveva ancora digerire il fatto che
stesse con sua madre. Un’altra volta aveva scacciato con
rabbia Bastian, il capo-villaggio aveva avuto il coraggio e la
stoltezza di osare un consiglio sulla ragazza: trasferire Rebecca
all’ospedale dove poteva essere seguita con più
professionalità. Gabriel, più che gridare che non
si poteva fare nulla per lei, non sapeva più come dirlo. Si
era reso antipatico anche a sua sorella e si era dimostrato scontroso
con i suoi amici che avevano avuto la sventura di passare a trovarlo.
Solo Denali riusciva a starci vicino ma a lui poco importavano i
comportamenti dell’amico, lui pensava a Rebecca. Era quasi
sempre lì, durante il giorno tentava con Gabriel di
convincere Rebecca a mangiare e si fermava anche di sera per studiare
dalla loro biblioteca in salotto pesanti e grossi tomi, nella disperata
ricerca di trovare un qualche antidoto al veleno. Forse, se avesse
trovato qualcosa e gliel’avesse detto lei avrebbe smesso di
punirsi e avrebbe abbassato la barriera con una nuova speranza.
Una sera, mentre Denali leggeva nel divano, Gabriel, dal nervoso, si
alzò con furia e scaraventò la tazza di
thè fumante che stava bevendo contro la parete. La tazza
andò in mille pezzi e il ragazzo cadde a terra coprendosi il
volto. Denali lo sentì piangere, nessuno sapeva
più che fare.
Anche a distanza di una settimana non erano riusciti ad ottenere dei
risultati.
Non appena Gabriel smise di tremare andò a raccogliere i
pezzi caduti sul pavimento e poi sparì in bagno. Non
uscì dal bagno per un bel po’.
Con stanchezza Denali approfittò dell’assenza
silenziosa di Gabriel per andare a trovare al piano superiore Rebecca.
Quando la vide stentò a riconoscerla.
Era da così tanto che non mangiava, non beveva e non si
muoveva, che ormai era sempre fiacca, stanca. Non faceva altro che
dormire.
Il suo viso era incavato, giallognolo e con due orbite nere, infossate
e cupe. Non c’era felicità né
vitalità nella sua espressione, i suoi occhi erano
così tristi e spenti…
Denali ingoiò a fatica un groppo in gola. Era la visione
orribile, abominevole, di un corpo che si stava spegnendo, consumando,
marcendo. Lentamente Denali si sedette sul bordo del letto, era molto
vicino a lei, la poteva guardare in faccia.
Sospirò.
“Come vedi sono qui per proteggerti” le disse
premuroso. Lei aprì gli occhi e sbattè le
palpebre, nessun tipo di reazione baluginò nel suo sguardo.
“Sono l’unico che posso capire la tua decisione e
per quanto agghiacciante sia quello che ti stai facendo ti trovo di un
coraggio ammirevole. Scommetto che questa era l’unica
soluzione che avevi per lasciarti morire senza che tuo padre ti
fermasse. Tu stessa mi hai confessato tempo fa quanto il tuo potere sia
cresciuto e che riuscivi a controllare Mortimer con più
facilità. Sono sempre dell’idea che stai
sbagliando ma è perché io non sono
d’accordo al fatto di stroncare una vita come la tua. Non
riuscivi a trovare nessuno che mettesse fine alle tue agonie e
così hai fatto tutto da sola, sei stata capace di ribellarti
alle imposizioni di tuo padre. Mi si spezza il cuore a pensare che
morirai, ormai eri una della famiglia, i miei figli ti adorano, io ti
adoro, sei un’amica eccellente e fidata per la mia compagna e
il mio migliore amico è perso per te. Ed è per
questo che ti imploro in ginocchio di salvarti. Fallo per lui se non
vuoi farlo per te stessa o per noi. Per Gabriel, che ha promesso di
seguirti nella morte se tu te ne fossi andata” disse
gravemente.
L’espressione negli occhi di Rebecca si addolcì.
Aprì la bocca e a Denali parve che volesse parlare, dire
qualcosa, ma poi la richiuse e si accoccolò con un gemito di
dolore a fondo tra le coperte.
“Ti supplico, non posso perdere anche il mio migliore amico.
Rosalie non può perdere suo fratello. Pensaci bene,
è questo che vuoi?”
Rebecca si mise in posizione supina e si passò una mano
tremante sulla fronte. Denali notò la magrezza quasi
scheletrica del suo polso e del suo braccio. Sperava di non dover
vedere il resto del corpo altrimenti ne sarebbe rimasto sconvolto.
Chissà quanti chili aveva perso in quelle due settimane
senza cibo.
La ragazza sorrise, un sorriso amaro, straziante. Per la prima volta
dopo giorni di silenzio parlò.
“Dov’è?”
Dire che Denali ne rimase contento è troppo poco. Vedere che
aveva reagito, seppur di poco, era per lui un passo avanti, una
vittoria. Magari entro breve avrebbe ceduto.
Il ragazzo cercò di contenere la propria eccitazione.
“È in bagno da un bel po’, ha rotto una
tazza scaraventandola contro il muro e poi si è chiuso in
bagno”
“Tipico di lui”
Denali sorrise.
“Io…”
“So cosa vuoi dire, a te sembra giusto quello che stai
facendo e difficilmente cambierai idea,
però…cerca di non pensare per un attimo a te
stessa, pensa anche alle persone che ti vogliono bene e che sono
costrette a vedere queste scene macabre”
Per un attimo Rebecca sembrò sorpresa. “Io lo sto
facendo per voi”
“No” scosse la testa. “Se veramente lo
facessi per noi allora staresti in piedi e cammineresti”
“È difficile…”
mormorò.
“Non ci trovo niente di così difficile, hai il
potere di abbassare questa dannata parete invisibile e non capisco cosa
aspetti a farlo! Ti aiuterò con tuo padre, te l’ho
promesso. Gabriel ti è vicino, che vuoi di
più?”
“Tu lo sapevi che lui mi ha tradita?” gli disse,
con una tale sofferenza nella voce che Denali si paralizzò
sul posto. Credette di non aver capito bene. Il cuore prese a pompare
più sangue.
“Gabriel?” domandò confuso.
“Già”
“Come…?”
“L’ho visto con un’altra, è
uno dei motivi per cui ora sono qui. È uno dei motivi per
cui ho perso il controllo e l’ho attaccato. La
verità è che non riesco a fidarmi più
di nessuno e il mio cuore è stato così tante
volte calpestato che non ha più voglia di reagire. Mi sono
arresa, e forse nella morte troverò quel conforto che cerco,
quell’amore fedele che mi manca”
“Io non lo sapevo” ammise con tristezza.
“Ma davvero ancora non ti capisco”
Rebecca chiuse gli occhi e poco prima addormentarsi fu percorsa da un
brivido di freddo che la fece tremare sotto le coperte.
Stava per morire?
La morte era sempre più vicina?
“Ho tanto freddo…” sussurrò.
Denali sbiancò e guardò con paura le forze
affluire dal corpo della ragazza. Era magrissima, debole, malata.
Quanto avrebbe resistito?
Il panico, freddo e micidiale, lo fece alzare di scatto. Il suo volto
era deformato dal terrore.
“Oh mio Dio…” disse con un fil di voce.
“Oh no…”
Con un unico lento movimento Rebecca abbassò definitivamente
le palpebre, non prima di emettere un sospiro straziato.
Denali corse giù per le scale a chiamare Gabriel. Lo
trovò in bagno seduto sulla tavoletta del water, le mani
congiunte sulle ginocchia e il corpo proteso in avanti. Il volto
nascosto dai ciuffi biondi. Al rumore della porta che si apriva
alzò la testa con un’espressione interrogativa.
I suoi occhi si dilatarono alla vista dell’amico.
Denali aveva il fiato corto. “Dobbiamo fare in
fretta!”
Gabriel lo raggiunse con poche falcate e lo prese per le spalle.
“Che succede?”
“Ho paura che Rebecca…oh, io…non le
manca molto! Dobbiamo…noi dobbiamo…”
Con un ringhio soffocato Gabriel lo spinse da un lato per farsi strada
e uscì dal bagno.
“Torna a casa, Denali. Da qui in avanti ci penso
io” gli urlò mentre era a metà del
corridoio.
Denali si portò una mano sul cuore mentre cercava di
regolarizzare il respiro. Si fece il segno della croce.
***
Gabriel entrò in camera da letto come una furia. Se in quei
giorni si era sempre dimostrato avvilito e sofferente ora i suoi occhi
ardevano di rabbia.
Sbattè dietro di sé la porta con un tonfo sordo.
“Eh no, carina…” disse in modo
minaccioso mentre si avvicinava al letto su cui giaceva Rebecca.
Diede un pugno alla barriera e la sua mano rimbalzò.
“Cosa pensi di fare?!” urlò.
Un po’ alla volta la ragazza aprì gli occhi.
“Ciao, amore” disse lui in tono ironico, la sua
faccia era deformata dalla rabbia.
Rebecca mise a fuoco la figura possente di Gabriel e quando
capì che era arrabbiato arrossì di vergogna. I
suoi occhi solcati dalle profonde occhiaie cominciarono a lacrimare.
Non ebbe la forza di rispondergli, sapeva che se solo lo avesse
ascoltato avrebbe ceduto. Gli faceva così
pena…ebbe un tuffo al cuore e quasi smise di respirare.
“Sto perdendo veramente la pazienza. Perché tu
prova compassione non basta farmi vedere annientato e triste, devo
anche farmi vedere infuriato! Ti decidi a salvarti, o no?”
Gabriel si sedette e appoggiò le mani sul materasso. I loro
occhi si incatenarono. “Sono quasi due settimane che non
tocchi né cibo né acqua, il tuo corpo non si
muove da quindici giorni e se non fai qualcosa rimarrai paralizzata.
Morirai e la tua morte non servirà a salvare nessuno. Ma
quello che non riesco a capire è: perché lo stai
facendo? Illuminami, illustrami il tuo grande piano divino!”
Lei non poteva parlargliene. Non aveva la forza di inventare una scusa
plausibile. Era stanca di mentire.
Si morse il labbro ed espirò, voltando la testa.
“Io credo che il nostro amore abbia un potere immenso
Rebecca, posso giurare che sarà lui a salvarti. Anche se tu
vorrai morire, se hai già mollato e non riesci a trovare la
luce…ti troverà e quando ti avrà presa
non ti lascerà andare e ti strapperà da queste
tenebre che ti sei creata. Io sono qui che aspetto, aspetto te
dall’altra parte della strada” disse il ragazzo con
la voce piena di sentimento. “Perché, Rebecca, non
attraversi la strada?”
Lei lo guardava, incapace di rimanere impassibile, di nascondere i suoi
veri sentimenti.
Perché era così tenero?
Gabriel sorrise. “Sono così innamorato di
te…e mi dispiace di averti tradita. Se puoi, se vuoi, io
vorrei che tu mi aiutassi a pulire la mia anima. E io ti
proteggerò, mi prenderò cura di te senza
chiederti niente. Ti difenderò dalle tue paure e dagli
spiriti che ti assillano. Ti voglio sposare, abbiamo
l’immortalità che ci aspetta, perché
non cammini per prendertela?”
“Gabriel…” lo chiamò con un
sussurro.
“Sono qui”
“Perché non te ne vai e mi lasci morire in
pace?”
Proprio ora che riesco
ad annientarmi, avrebbe voluto aggiungere.
“Smettila di piangere amore, fuori c’è
il sole. Non lo vuoi vedere?”
Rebecca adagiò la testa sul cuscino e pianse sommessamente.
Gabriel accarezzava la barriera pigramente.
“Sei un miracolo Rebecca, sei un dono del Signore. Lui ti ha
mandata per redimerci tutti, se muori finirà tutto nel caos
il mondo. Mi credi, vero?”
Lei annui.
“Mi perdoni?” le chiese con la voce rotta dalla
commozione, dal desiderio, dalla rabbia.
Lo scudo magico ebbe un fremito e una luce azzurra piroettò
sulla sua superficie, come una piccola scarica elettrica.
Rebecca chiuse gli occhi e sorrise. Il suo cuore martellava nel petto
ed era gonfio di sentimento, di amore.
“Sì, sì che ti perdono”
La barriera cadde e subito Gabriel non se ne rese conto. Se ne rese
conto quando, con mani tremanti, toccò per la prima volta
dopo due settimane le spalle nude di Rebecca. Le sue dita non
incontrarono nessun ostacolo e andarono lentamente ad appoggiarsi
contro la sua pelle. A quel contatto Gabriel gemette. Si
alzò da terra e sedette accanto a lei, nel letto. Lei rimase
stesa su un fianco, in attesa. Per un attimo le parve di essere
ritornata la solita Rebecca.
Le mani di Gabriel premettero contro le sue spalle e poi
l’abbracciò con trasporto, mozzandole il respiro.
“Perché? Perché l’hai
fatto?” le disse nell’orecchio. “Non
farlo mai più, mi hai capito? Credi che mi diverta saperti
in fin di vita?”
Lei strofinò la guancia contro il petto di lui, stringendosi
a sua volta con forza. “Mi dispiace, non lo farò
mai più”
Se dovessi diventare un
angelo nero…
…sarai tu il
nuovo paladino del Bene.
E sarà tuo
compito uccidere me.
Ma la morte è
cosa dolce se sarai tu a porvi fine.
Con calma Gabriel, attento a non farle del male, si stese sopra di lei.
“Lo so che dovrei farti mangiare ma pensi di riuscire a
resistere per un po’?”
“Certo” disse Rebecca, sorridendo.
“Mi sei mancata così tanto
che…” non riuscì a continuare.
Le baciò gli occhi, la fronte, le poche lentiggini che aveva
nel naso, le labbra.
Lei gemette. Gabriel si staccò e la guardò con
ansia.
“Ti faccio male? Dio, sei diventata così
magra…”
Rebecca gli sorrise e scosse la testa, stringendo i denti per non
urlare. La verità era che le ossa sembravano stessero per
spezzarsi e ogni parte del suo corpo incendiarsi. Ma poco le importava,
le labbra di Gabriel erano troppo
calde sul suo viso. Lui continuava a baciarla, a tenerla stretta, non
aveva nessuna fretta. Sembrava volesse aspettare, aspettare
qualcosa…la sua bocca non lasciava di un secondo il suo
collo, il suo viso, la parte alta del petto vicino al cuore. Lei
mugulò di piacere.
Morirò, pensò
Rebecca.
Come se le avesse letto nel pensiero Gabriel la guardò e
disse: “Se continui così muoio,
però”
“Tu morirai?”
Lui le sorrise.
Con grazia, poco a poco, pian piano, Gabriel le tolse i vestiti,
attento a non farle male. Il contatto con il suo corpo nudo gli
provocò un fremito di piacere. Sperò che nessuno
venisse ad interromperli. Gli avrebbe ammazzati di botte.
“Sono felice che sia finita” le disse il ragazzo
con amore.
Questi giorni di guerra
finiranno.
La voce appena udibile era quella di suo padre. Ritornò a
tacere, se ne andò com’era arrivato.
E io con loro,
pensò Rebecca.
***
Era notte fonda, avevano appena finito di fare l’amore quando
Rebecca si svegliò. Guardò con aria assonnata e
sfinita il volto preoccupato di Gabriel che la stava fissando.
“È meglio che tu vada a mangiare qualcosa, per
favore” le mormorò.
Rebecca roteò gli occhi e si rannicchiò
nell’incavo del suo braccio. “Domani”
Gabriel sospirò. “No, adesso, per favore”
ripetè.
Lei rise. “Sto benissimo, mangerò qualcosa domani
mattina ti ho detto. Non preoccuparti”
Gabriel si divincolò finchè Rebecca non si
staccò da lui e si girò, dandole la schiena. Si
era arrabbiato.
“Ok, vado! Sei contento?” esclamò la
ragazza alzandosi e vestendosi.
Lui non le rispose e lei se ne andò. Aveva addosso una
maglietta con maniche a tre quarti, grigia, che le arrivava fin sopra
le ginocchia. Era enorme, non era sua. Data la sua lunghezza di un
vestito, sotto, portava un paio di culotte grigio perla. Prima che
uscisse Gabriel la sbirciò. Era bellissima. E viva. I
capelli le erano cresciuti parecchio da quando era arrivata a Chenzo,
prima le arrivavano alle spalle ed erano tutti scalati, con la
frangetta spostata da un lato. Ora erano lunghi, lucenti, tutti uguali
senza scalature e il ciuffo più lungo era sempre spostato da
un lato. Quando si muoveva e i suoi capelli incontravano la resistenza
dell’aria fluttuavano come onde. Senza contare che anche il
suo corpo era maturato. Gabriel l’aveva incontrata che era
poco più di una ragazzina mentre adesso era una giovane
donna con un fisico perfetto.
Gabriel stava per richiamarla perché tornasse indietro ma
poi lasciò perdere e lei andò a
mangiare.
Mentre era in cucina Rebecca fece per addentare un pezzo di pane quando
un pensiero, una voce, s’insinuò prepotente nella
sua testa. Sbarrò gli occhi e fece cadere sul tavolo il
pane. Suo fratello la stava chiamando. La stava pregando di
raggiungerlo.
Da quando era in grado di entrare nella sua mente?
Mollò all’istante quello che stava facendo e si
precipitò fuori. Si fermò sul primo gradino e
piroettò i suoi pensieri verso Gabriel. Stava dormendo.
Bene. Nonostante la sua debolezza le sue gambe cominciarono a correre,
trovarono la forza per muoversi, veloci e silenziose nella notte. Ben
presto Rebecca raggiunse il bosco, la solita radura che il fratellastro
usava per parlare con lei senza essere visto.
Arrivò e lo chiamò con voce affannosa.
Atreius comparve dal buio. Non l’aveva riconosciuto con il
mantello nero lungo e il cappuccio alzato sul viso.
“Cosa c’è?” chiese con una
certa urgenza.
“Non ti chiedi come ho fatto a chiamarti con la mente quando
questo potere spetta agli angeli?”
Rebecca indietreggiò, non capì perché.
Paura?
“Anche, certo” prese un bel respiro.
“Come hai fatto?”
Atreius sorrise e si calò il cappuccio. Il suo volto era
radioso, bellissimo. “I miei consiglieri sono molto
preoccupati. Temono che i tempi per riportare nostro padre al suo
originario splendore si stiano allungando quindi mi hanno concesso dei
poteri per comandare”
“Sei diventato re?” esclamò con
un’espressione attonita.
“No, però la mia posizione è molto
simile. Il regno deve avere un comandante che lo diriga e
finchè aspettiamo Mortimer io sono l’unico erede
maschio. Peccato per i poteri”
“Perché?”
“Sono temporanei, fino al momento in cui lui non
tornerà” inspirò.
“È questo che provi?”
“Non capisco”
“I poteri. Sentirgli dentro che scorrono nelle tue vene,
sentirti potente, invincibile. È questo che si prova? Io ne
ho solo una parte ma un essere come te, un vero angelo, che ha poteri
infiniti, come si sente? Come ti senti, sorellina, ad essere la
più forte?” la guardò. “Io mi
sento un dio con poco”
“Mi sento come se potessi sempre fare di
più” ammise.
“Ecco perché il tuo nome sarà
leggenda” le disse il ragazzo con gli occhi che brillavano.
“Basta. Dimmi perché mi hai chiamata,
Atreius”
“Oh, giusto” disse Atreius. “Sono venuto
per dirti una cosa importante. Ora che ho preso parte un po’
dei vostri poteri angelici mi è arrivata chiara la tua
situazione. Tu non puoi vederti né capire a che punto sei ma
chi sta fuori da te e dal tuo corpo contaminato lo vede
eccome”
Rebecca non capiva un accidenti. “Parla potabile”
“Tu lo sai vero che il veleno ti sta…diciamo:
“annerendo” il corpo”
“Ovvio”
“E questo si vede”
La ragazza assunse un’espressione sorpresa e orripilata al
tempo stesso. “Si vede quanto il veleno ha contagiato il mio
corpo e dove?”
“Sì”
Con il cuore che batteva come una mitragliatrice in petto, gli chiese,
con agitazione: “E…a che punto
è?” voleva e non voleva sentire la risposta.
Le sarebbe piaciuta come risposta?
“Il tuo corpo è per metà contagiato.
Non ha ancora toccato il cervello e non è arrivato ancora al
cuore, per tua fortuna”
“Ma se tu puoi vederlo allora anche Gabriel mi può
vedere!” esclamò con terrore.
“Lui no”
“Perch…?”
“Troppo cieco” tagliò corto lui.
Rebecca richiuse la bocca, più sollevata e tranquilla.
“Quindi è a metà”
Atreius annuì con la testa. “Sembra proprio di
sì”
“Perché me l’hai detto? Tu vuoi farmi
dannare!”
“Te l’ho detto affinché tu ti regoli con
i tempi. Fa un conto di quanto ti resta”
Rebecca inspirò profondamente cercando di trattenere le
lacrime. “Proprio ora che iniziavo a sperare”
“Fede?!” ripetè Atreius con un moto di
schifo nella voce. “Devi smetterla di avere fede. Non ti
porterà da nessuna parte” fece per andarsene. Lei
lo fermò.
“Che vuoi?” disse con lentezza Atreius.
“No, no, niente” si affrettò a dire, era
arrossita. “Niente, niente”
Atreius le sorrise. “Se mi vuoi, pensami”
La ragazza alzò la testa e gli occhi verso di lui e
ricambiò il sorriso. “Ciao, Nim”
“Ciao, regina delle tenebre”
***
Tornata!!! (o
arrivata???..O__o boh..)
Mi scuso per il ritardo, di solito non ci metto molto ma sto giro,
ragazzi, veramente non sapevo
che santi chiamare né che inventare in questo capitolo!!!
Come sempre (soliti convenevoli) spero che vi sia piaciuto e fatemi
sapere!!!
(---> come sempre!!!)
Il prossimo capitolo si intitolerà: "AL
PASSO CON LA FOLLIA"
e devo dire che le cose tra questi due poveri innamorati non finiscono
mai!!!
penso che se fossi stata lei mi sarei già da tempo buttata
giù dal balcone!!!
Questa notte ho sognato adirittura come sarà il seguito, la
terza storia di Angelus Dominus. Oh, penso di
essere soddisfatta!!!
Dei bei colpi di scena!!!
La fine è sempre però un dilemma: Rebecca
(cattiva) muore o si salva?????
Boh.......non lo so neanche io....
I THANKS:
"ANTHY":
sì, in effetti magari queste situazioni le passiamo tutti!!!
spero che ti sia piaciuto anche questo capitolo, forse meno bello
però...grazie per la recensione, a presto...
"VALESPX78":
no!!! e tu che non trovi convincente Gabriel...mmh...l'ho reso
più convincente ora???? :-)
"CHICCA90":
solo una cosa: "ci sei andata vicina, cazzarola!!!!" ehehe..bacioni, a
presto.
"ANGELOFLOVE":
sì infatti l'ha conciato male però
lui si è già rimesso in sesto!!! guarda, per la
storia dei capitolo, sono arrivata con questo a 11 capitoli e in teoria
di questo secondo Angelus Dominus ce ne sono in tutto 22
(metà!!!!). poi sì, farò anche il
terzo e ultimo della serie ma non so ancora come farlo finire, sia che
rebecca muoia che si salva...non so..mah...cercherò
un'illuminazione divina..
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Raggio di sole ***
Cap. 12 - RAGGIO DI
SOLE -
[Io
posso amare
ma
ho bisogno del suo cuore.
Io
sono forte anche da sola
ma
da lui non voglio mai separarmi.
È
stato qui da sempre,
il
mio angelo Gabriele.
Benedetto
il giorno che, nascendo,
le
ali degli angeli lo portarono da me.
Io
posso volare
ma
voglio le sue ali.
Io
posso brillare anche nell’oscurità
ma
invidio la luce che emana
il
mio angelo Gabriele]
Lamb
- Gabriel -
***
Quando
Rebecca tornò a casa le si era chiuso lo stomaco. Dovette
comunque mangiare qualcosa altrimenti chi l’avrebbe sentito
Gabriel se fosse svenuta. Ma nonostante la fame e la sete, a tavola,
non riusciva a trovare sollievo né nel pezzetto di pane
né nel bicchiere pieno d’acqua. Il cibo faticava a
scendere e si bloccava a metà, lasciando a Rebecca una
spiacevole sensazione d’ansia. Finito di mangiare quel poco
che si era presa si alzò da tavola spazzolandosi la
maglietta larga. Si bloccò con le mani a mezzaria e
avvampò. Era uscita nel bosco mezza nuda e neanche se
n’era accorta. Presa com’era dalla fretta e dalla
voglia di sapere cosa voleva suo fratello non si era neppure cambiata.
Ecco perché quegli sguardi languidi da parte del
fratellastro.
“Porco”
disse fra sé e sé.
“Spero
che tu non stia pensando a me” le disse Gabriel.
Era in piedi
a metà scalinata, fermo e attento che la guardava.
Rebecca
arrossì e abbassò lo sguardo. “Che fai,
mi spii?”
“Mi
assicuravo che mangiassi qualcosa”
“Ma
se hai dormito un’ora! Dì la verità, ti
sei addormentato quando me ne sono andata e ora ti senti in colpa per
non essere rimasto sveglio”
Gabriel fece
un sorriso splendente. “Oh, la mia ragazza che è
rimasta la stessa di sempre: una rompi palle uguale”
“Devi
andare in bagno?” gli chiese aggirando il tavolo e mettendo
il bicchiere nel lavabo per lavarlo.
Non lo
sentì arrivare. Sentì la sua bocca sul collo.
Come
scottata, Rebecca, si spostò.
Lui sorrise.
“Paura?”
Lei si
voltò e lo guardò con aria saccente e per niente
intimorita. “Certo, mi hai fatto prendere un colpo. Non
montarti la testa, non sei tu che fai paura” gli disse e con
un passo aggraziato lo superò. Gli occhi ardenti di Gabriel
non smettevano un attimo di seguirla. “Un gattino col fiocco
rosa in testa fa più paura di te” lo prese in
giro.
Gabriel
scoppiò a ridere. La rincorse, la prese tra le braccia
alzandola da terra e la fece volteggiare. Rebecca gli ordinò
di metterla giù immediatamente.
“No”
disse lui, irremovibile.
Con una mano
Rebecca cercava di abbassarsi la maglietta che continuava a salire e
con l’altra stava aggrappata al collo di lui. Gabriel la
buttò come un sacco di patate sul divano. Aspettò
di vederla rimbalzare e cadere a terra prima di andare in bagno.
“Lo
sapevo che andava in bagno” brontolò la ragazza
alzandosi da terra. Aveva tutti i capelli arruffati.
“Sai
che fine ha fatto la cuffietta gialla con la paperella?”
urlò Rebecca da una stanza all’altra.
Non le
giunse la risposta di Gabriel ma in compenso lo sentì
ridere.
Lui
uscì dal bagno.
“Perché
me lo chiedi?” domandò con un sorriso luminoso che
gli incorniciava il viso.
Lei era
ancora seduta per terra con la schiena appoggiata al divano.
“Mi piaceva quando ti facevo lavorare in casa. Tu, con la tua
cuffietta in testa, la traversa e la scopa in mano” scosse la
testa al ricordo. “Un perfetto idiota”
“Attenta
a come parli” l’avvisò avvicinandosi.
“Potrei fartela pagare”
Rebecca fece
una risata forzata. “Sì, certo, anche Dumbo
volava…”
Lui
aggrottò la fronte. “Chi è Dumbo, un
tuo ex umano terrestre?”
Rebecca
stava per scoppiargli a ridere in faccia. “Togli pure
l’“ex”” gli disse.
Gabriel si
fermò come paralizzato e la guardò allibito.
Rebecca vide la sua faccia sbiancare. Ricadde a terra e rise
rotolandosi sul tappeto fino a farsi venire il mal di pancia.
“Oddio, dovevi vedere la tua faccia!”
esclamò. Picchiò un pugno contro il tappeto.
“Dumbo è un elefante dei cartoni
animati” rise. “Un ex amante…”
stava rischiando di morire soffocata.
Alzò
la testa e vide che Gabriel non stava affatto ridendo. Era fermo in
piedi e stringeva i pugni lungo i fianchi.
“Ridi!
Fa ridere!” esclamò la ragazza con le lacrime agli
occhi.
Nel momento
in cui si sentì afferrare con forza il gomito e si
alzò, tirata da quell’incredibile strattone, smise
di ridere pure lei. Si ritrovò faccia a faccia con un
Gabriel furioso.
“E
ora che ho fatto di male?” sussurrò con un filo di
voce.
“Pensi
che mi sia piaciuto come scherzo?” la lasciò
andare scuotendo la testa. “Sei tremenda” le disse.
Lei gli si
avvicinò e gli posò le mani sul petto. Lo
baciò sulle labbra e gli succhiò il labbro
inferiore. Gabriel gemette contro la sua bocca.
“Era
uno scherzo, credi davvero che ti tradirei con un elefante?”
Questa
volta, più tranquillo, Gabriel sorrise. “Mi hai
fatto prendere un colpo, non capisco mai quando sei seria o
scherzi”
Lei si
tirò più indietro e lo guardò come se
fosse stupido. “Ma anche se fosse, credi davvero che verrei a
dirti che ho l’amante?”
“Devi”
grugnì.
“Oh,
sì, certo…” si fece più
vicina e lo baciò un’altra volta.
Quando si
staccarono Gabriel le diede un bacio sulla fronte. “Lo sai
che mia madre sta con Alan?” c’era irritazione
nella sua voce.
Rebecca fece
un bel sorriso. “Oh, sono felice per lei. Era ora che
trovasse un uomo con il quale passare la sua vita solitaria. Forse ora
che ha trovato l’amore smetterà di andare in giro
per il pianeta”
Gabriel
storse la bocca. “Ma perché proprio
Alan?”
“Smettila,
lo sappiamo tutti e due che adori Alan. Dì piuttosto che non
ti va giù il fatto che Adele abbia un compagno. Questa si
chiama gelosia del complesso edipico” gli disse con uno
sguardo da sapientona.
“Mai
sentito”
“Mai
sentito Freud? Eppure sei venuto a scuola sulla Terra”
Lui scosse
la testa e lei scrollò le spalle. “Beh, non ti sei
perso niente”
Gabriel le
strinse i fianchi e la fece arretrare fino al divano. “Lo
immaginavo…” sospirò
nell’incavo del suo collo.
La fece
stendere sul divano e con un balzo si mise sopra di lei. I loro corpi
aderivano alla perfezione. Rebecca incrociò le sue gambe
attorno ai fianchi di Gabriel e sbuffò.
“Gabriel,
intendi continuare così? Non possiamo farlo in
continuazione…”
“Parla
per te” borbottò lui con la bocca impegnata a
baciare la sua pelle. “Devo ancora cominciare, ci sono andato
piano con te” le sue mani non smettevano di cercare il suo
corpo.
“Gabriel,
è troppo? Mi stringi come
sé…”
Lui la
teneva così stretta che Rebecca faticava a respirare.
“Sì,
è troppo” sussurrò.
Lei lo
abbracciò ancora più forte, per fargli sentire
che era lì con lui, viva. Lui temeva che scappasse ma gli
fece capire che non se ne sarebbe andata da nessuna parte.
“Gabriel?”
Lui bevve il
suo respiro. “Sì?”
“Ti
amo e…smettila di cercarmi, sono qui”
***
La mattina
seguente Gabriel uscì all’alba per prendere un
po’ d’aria. Lasciò Rebecca nel divano,
stesa a pancia in giù, che dormiva beata. La
coprì lasciandole scoperta un po’ della schiena
nuda e le baciò le scapole. Indossò i pantaloni
che erano finiti per terra e rimase a petto nudo, si avvolse attorno
alle spalle una lunga coperta blu di lana. Non appena aprì
la porta inspirò quell’aria mattutina che sapeva
di fresco e di acqua piovana, tipica delle mattine uggiose
d’estate. C’era il sole che stava sorgendo oltre il
monte, era ancora troppo presto perché fosse caldo.
Era soltanto
l’alba, dopotutto.
Chiuse
dietro di sé la porta e si sedette sul primo scalino in
sasso grigio. Gli venne da ridere, pensò che quello era
proprio un momento perfetto per fumare una sigaretta. Ma naturalmente a
Chenzo non se ne trovavano di pacchetti di sigarette.
Guardò
con aria assente il vialetto di casa e l’inizio della
foresta. Non seppe quanto rimase così: a fissare il vuoto e
a pensare, seppe solo che ad un certo punto sentì un forte
tonfo provenire da dentro casa.
Corse dentro
col fiato sospeso e molto preoccupato ma poi le sue labbra si
incurvarono in un sorriso stupito. Rebecca nel divano doveva essersi
girata dalla parte sbagliata perché era finita per terra. Le
coperte erano arrotolate attorno al suo corpo e lei continuava a
dormire sul tappeto morbido con un sorrisino appagato in volto. Non
voleva svegliarla, per quanto gli sarebbe piaciuto rimanere a
contemplarla, uscì senza far rumore.
Più
tardi vide arrivare Denali con sua sorella. I due ragazzi aprirono
leggermente la bocca, stupiti, nel vederlo fuori sulle scale. Si
avvicinarono e Gabriel non diede loro il tempo di parlare.
“Si
è svegliata” disse con un enorme e splendente
sorriso.
Rosalie si
sciolse dalla felicità con moderazione e Denali
buttò fuori un enorme quantità di aria dai
polmoni.
“Dov’è?”
volle sapere Rosalie.
Gabriel
indicò con la testa. “È dentro, sta
dormendo”
“Possiamo
vederla?”
Il ragazzo
aggrottò la fronte, contrariato. “No”
disse in tono deciso.
Cadendo
Rebecca si era fatta scendere le coperte e sebbene dormiva ancora in
posizione prona aveva completamente la schiena scoperta.
Gabriel
guardò Denali squadrandolo.
Non voleva
certo che il suo amico la vedesse conciata in quel modo. Neanche sua
sorella. Lei era sua e solo lui poteva vederla così.
Rosalie
parve delusa. “Oh, come mai?”
Gabriel
arricciò le labbra in un modo squisito. “Non
è nelle condizioni di essere ricevuta, fidati che non
vorresti vederla”
La ragazza
arrossì furiosamente e gli tirò un pugno sul
braccio. “Sei un maiale, Gabriel! Possibile che debba avere
un fratello pervertito che pensa solo al sesso? Oh, povera ragazza, non
ha mangiato per settimane e tu l’unica cosa che le dai appena
si riprende è…” non riuscì a
terminare la frase.
Gabriel le
andò vicino col viso. “Finisci la frase”
la intimò.
Rosalie
avvampò. “Piantala! Hai capito cosa voglio dire!
Ma da chi hai preso in famiglia?” esclamò,
completamente imbarazzata.
Gabriel rise
forte e diede un pacca amichevole all’amico. “Come
mai siete passati? È un po’ presto, o
no?”
“È
mattina” grugnì la sorella. “Non
è mica l’alba”
Gabriel la
guardò ma poi lasciò perdere. Si
risparmiò dal chiederle se era normale. Erano le sette,
porca miseria!
“Bastian
ha chiesto di Rebecca” gli disse Denali seriamente.
“No…”
a Gabriel si mozzò il fiato in gola.
“Sì,
penso che abbia una missione da darle”
“È
stata male, ha rischiato di morire, è venuta a trovarla
sì e no due volte. Non abbiamo mai avuto notizie di lui,
è stato di un disinteresse schifosamente odioso e ora manda
voi due a dirmi che Rebecca va in missione? Non poteva venire lui di
persona, troppo difficile?” era arrabbiato, lo si vedeva
benissimo.
Rosalie
abbassò lo sguardo, dispiaciuta per il fratello.
“Mi dispiace Gabriel, ma è così che
funziona, è il suo compito fare queste cose. Ok che
è stata male ma ora sta bene e dovrebbe incontrare Bastian
prima di oggi pomeriggio, così che lui le spieghi il
piano”
Gabriel
avrebbe voluto urlare. “No! Lei non lascerà questo
villaggio!”
Denali gli
fece cenno di abbassare la voce. Gabriel si morse la lingua ma non si
calmò. Respirava con affanno.
La sorella
lo accarezzò con gli occhi. “Ehi, lei è
forte, apparte sé stessa non c’è
nessuno che possa farle del male. Bastian ha ragione, Gabriel, sei
cieco quando si tratta di lei. Se fossi rimasto solamente il suo
maestro concorderesti con lui a farle fare più missioni
possibili ma il fatto che tu sia ora innamorato di
lei…” scosse la testa. “Vorresti tenerla
in casa lontana da tutti per proteggerla ma lei è nata per
combattere per noi, non puoi lasciarla dentro una campana di cristallo
per sempre. Lei deve andare, è il suo lavoro, la sua
responsabilità”
“Lei
non ha mai chiesto niente del genere” ribattè
aspramente Gabriel.
“Come
non hai chiesto tu di nascere un angelo. Voi due siete nati con un dono
ma avete anche il dovere di sfruttare questo vostro dono”
“È
un dono e una maledizione, semmai. Oh, sono così stufo!
Esiste la pace? Se esiste perché io non posso averla? Sono
stanco di dover sempre lottare ”
“Lo
sappiamo Gabriel, ma devi tenere duro. Questi giorni e questa vita
passeranno. Hai l’immortalità che ti aspetta, hai
davanti a te una vita infinita da vivere con Rebecca. Cosa vuoi che
siano un paio di mesi?”
Gabriel la
guardò come se fosse impazzita. “Può
morire, Rose!” disse, come se fosse la cosa più
ovvia del mondo.
“Non
morirà: è invincibile” rispose
sorridendogli.
Gabriel non
sembrava così convinto ma almeno si era calmato dalle parole
confortanti della sorella. Anche lui credeva che Rebecca fosse
diventata talmente tanto forte da risultare imbattibile. Forse la sua
potenza l’avrebbe salvata. Forse non era così
sprovveduta come pensava lui.
Forse
non ha così bisogno di me come penso io.
“Siete
passati solo per questo?” chiese, rivolto più a
Denali che era rimasto in un silenzio sacrale per tutto il tempo.
Il ragazzo
annuì e fece un sorriso tirato, poi ritornò
serio. “Lei sta bene?”
Gabriel lo
guardò con il cipiglio innalzato.
Alludi
forse a qualcos’altro, Denali?
C’è
dell’altro che dovrei sapere riguardo la sua salute?
“Sì,
ha mangiato, ha bevuto, ora sta molto meglio”
Denali lo
guardò e Gabriel ricambiò
l’intensità del suo sguardo. Poi guardò
la sorella e la vide dispiaciuta.
“Cosa
c’è?” le chiese un po’
sgarbatamente.
Rosalie
sorvolò sul tono villano del fratello. “Volevo
vederla”
“Oh,
ma che impiastro che sei! Vieni a trovarla oggi pomeriggio se vuoi
vederla, ora dorme ed è…”
Rosalie gli
fece segno con le mani di fermarsi e si tappò le orecchie.
“Ah! Non voglio sentirti!”
Gabriel si
voltò scioccato verso Denali. “Ma fa sempre
così?”
Denali parve
trattenere una risata. “In che senso?”
“Beh”
si accigliò il ragazzo. “Si scandalizza sempre
quando parlo di sesso, mi fa venire dei dubbi in proposito”
“Che
genere?” domandò, visibilmente incuriosito.
“Conosco
mia sorella da quando sono nato ed è proprio
perché sono suo fratello che non posso parlare ma, se fossi
un ragazzo qualsiasi, la giudicherei una bomba del sesso”
Rosalie
strabuzzò gli occhi che divennero due palline da golf.
Denali emise un ghigno, probabilmente si ritrovò
d’accordo con Gabriel.
“Che
cosa hai detto? Che cosa sono io? Una bomba de
che…?”
“Oh
andiamo Rose, quando eri più giovane mi ricordo
com’eri, sai? Mi ricordo delle orde di giovanotti che ti
venivano a trovare e con i quali uscivi insieme la sera. Non sei mai
stata una brava ragazza di casa pudica e innocente”
“Ma
guarda te cosa mi tocca sentire”
“Quindi
evita di farmi la predica quando faccio l’amore con la mia
ragazza, tu eri uguale a me” le disse, e poi aggiunse con un
sorrisetto provocante: “Se non peggio”
Lei prese
Denali per la manica della giacca e s’incamminò
tirandoselo dietro come un animale. Era furiosa, camminava spedita e
sembrava un carro armato in azione.
Denali
cercò di liberarsi dalla sua morsa fatale. “Ma che
fai? Lasciami!”
“Ce
ne torniamo a casa, Denali!” sbraitò la ragazza.
“E guai a te se solo ti azzardi a fiatare!”
Gabriel si
piegò in due dal gran ridere mentre guardava la faccia
spaventata e rassegnata di Denali che seguiva come un cagnolino una
Rosalie bordeaux in volto e a dir poco adirata. Era sempre stata molto
permalosa, una sorta di dea in collera quando si toccava la sua
bellezza o la sua persona.
Quando
Denali raggiunse il cancelletto, infondo al viale di casa, si
voltò per salutare Gabriel con una mano alzata. Lui
ricambiò il gesto con uno sguardo che sembrava dire:
“sei fottuto, amico mio”.
Rosalie
abbaiò come un cane. “Muoviti, non
bighellonare!”
Quando i due
ragazzi furono in strada Gabriel sentì Denali che chiedeva
sottovoce a Rosalie: “Veramente avevi un branco di ragazzi
che ti venivano a trovare?”
Lei gli
gridò di starsene zitto e a cuccia.
***
Aveva
sentito delle voci provenire dai gradini fuori casa. Subito non ci fece
caso, era troppo assonnata e stanca per prestare attenzione a dei
semplici chiacchierii. Si teneva raggomitolata su di un fianco e
stringeva a sé le coperte per trarne ogni più
piccolo spicchio di calore. La coperta di lana le prudeva la pelle nuda
ma la faceva sentire riparata e protetta. Aprì un occhio e
sbirciò con sguardo divertito il vano della porta. Dalla
finestra capì che era mattina presto, il sole era lontano,
doveva ancora brillare nel cielo. Uno strano odore che sapeva di
polvere, tappeto e lana la fece starnutire.
Sentì
la voce di Gabriel che parlava con qualcuno. Tese le orecchie e
proiettò i suoi occhi oltre la soglia, trapassarono la porta
e misero a fuoco la scena esterna. Vedeva ogni cosa, come se fosse
lì con loro. C’erano Denali, Rosalie e Gabriel.
Gabriel
rideva, non capì perché. Rosalie sembrava
indispettita mentre Denali assecondava Gabriel prendendo in giro la
ragazza. Dato che la conversazione non le interessava particolarmente
ritirò la propria mente e la riportò nel salotto
con lei. Si mise seduta e con una manata si lisciò i capelli
arruffati e spettinati. Con un tocco della mano trasformò la
coperta in un mantello in modo da non aver la fretta di mettersi
qualcosa addosso, poteva restarsene tranquillamente così.
Era felice,
quasi poteva sentire la felicità correrle dentro tutto il
corpo. Ogni particella, ogni cellula del suo essere sprizzava gioia.
Stava per mettersi a cantare quando, per lavarsi le mani,
notò il colore della sua pelle. Ebbe un tale spavento che
per poco non urlò dalla paura. Il cuore smise di battere e
le salì in gola con prepotenza. Cominciò a
tremare convulsamente. Si avvicinò agli occhi una mano
tremante. Non poteva essere vero, non ci credeva. La sua mano era nera,
sembrava ad una sfera trasparente contenente dell’acqua
scura. Un liquido nero e denso scorreva, scivolava e fluttuava dentro
il suo corpo donandole un colore scuro e intenso. Le pareva di essere
macchiata, sporcata da un inchiostro liquido che colava sulla pelle.
Era malata.
Quello era il segno di una brutta malattia.
Con affanno
si ricordò della notte precedente. Atreius le aveva fatto
intendere che soltanto chi possiede due occhi maligni, demoniaci e
oscuri poteva vedere il mutamento a carico del veleno su di un corpo.
Ed ecco perché solo Rebecca e Atreius vedevano la sua
trasformazione.
Ora lei
stava guardando con occhi sconvolti la presenza del veleno nel proprio
corpo. Era ovunque. Suo fratello le aveva detto che il veleno, per il
momento, l’aveva infettata per metà. Ed era vero.
Era nelle gambe, nelle braccia, nella pancia, nella schiena e nella
parte alta del petto. Con orrore vide che solamente il cuore e la testa
erano ancora candidi e puri.
Cos’è
che le aveva detto ancora Atreius?
Ah
si.
Per
completare la trasformazione di angelo nero serviva una delusione per
il cuore e una sconfitta per la mente. Se il suo cuore si fosse
spezzato per il dolore e la sua mente si fosse arresa sarebbe stata la
fine.
È
l’ultimo passo per la dannazione eterna: la corruzione dei
due organi più importanti.
Le venne in
mente subito Gabriel. Lui era l’unico fra tutti che poteva
farla soffrire fino a quei punti. Spaventata e con la mente totalmente
in tilt scivolò sul pavimento e si appoggiò con
la schiena ad una gamba della tavola. Si teneva la mano macchiata in
grembo e la cullava con l’altra, come se questo bastasse per
far andar via il nero.
Gabriel
aprì la porta ed entrò in casa, il suo viso
accennava ad un sorriso. Era bellissimo quando sorrideva. Appena la
vide si bloccò. L’ombra del sorriso si spense e
indietreggiò come colpito al petto. Tempo due secondi di
ripresa e subito le fu vicino. Corse e si inginocchiò sul
pavimento.
“Rebecca,
stai bene? Che hai fatto?” la scorlò.
Rebecca
spalancò la bocca, stupita.
Possibile
che lui non vedeva il veleno scuro che le scorreva dentro la pelle?
Ah,
giusto. Lui non è cattivo e i suoi occhi non riescono a
vedere le tenebre.
Non
è come me, lui.
Rebecca
mosse una mano a toccare il braccio teso del ragazzo e lo
accarezzò lentamente. “Sto bene, sto bene. Ho solo
avuto un piccolo svenimento”
Gabriel era
molto preoccupato, aveva tutti i nervi tesi come corde di violino.
“Sei sicura che sia stato solo un piccolo svenimento? Oddio,
se stai male dimmelo che ti porto da un curatore”
“No,
sto bene, ti ho detto. Può succedere, non sono ancora nel
pieno delle mie forze. Probabilmente devo ancora riprendermi, non ho
mangiato molto ultimamente” mentì. Gli sorrise.
“Sarà stato un calo di zuccheri”
Gabriel la
guardò come se non le credesse per niente. Si
alzò e l’aiutò ad alzarsi in piedi. Una
volta in piedi Gabriel l’attirò verso di
sé e l’abbracciò con disperazione.
Nascose la faccia tra i suoi capelli e le strinse i fianchi
possessivamente. Rebecca gli circondò il collo con le
braccia e fece un sospiro.
Gabriel
sciolse l’abbraccio e, prendendola per mano, la fece sedere
su una sedia.
“Devi
mangiare, sono stato un idiota a non dartene subito. Ora stai ferma
lì che ti faccio un bel pranzo come si deve”
Rebecca lo
guardò malissimo. “Gabriel, è mattina.
Se hai tutta questa voglia di cucinare per me almeno fammi la
colazione”
“Uova
e pancetta?” le propose.
Rebecca
storse il naso.
“Verdura
e arance?”
La ragazza
si portò un dito in bocca e fece finta di vomitare.
“Frittelle
e latte?”
La ragazza
sfoderò un sorriso smagliante e battè le mani.
“Sì! Vada per le frittelle e il latte,
allora!”
Gabriel si
voltò verso i fornelli e prese una pentola, la prima che
trovò nel ripiano. Rimase qualche secondo con la pentola in
mano.
“Accidenti,
e ora come si fanno le frittelle?” lo sentì
borbottare.
“Ehm,
vuoi che ti dia una mano? Io so farle, se ti va le facciamo
insieme”
Gabriel
girò la testa di scatto e la fulminò con gli
occhi. “Tu stai ferma al tuo posto, ci penso io a farti la
colazione. Non è possibile che sia sempre tu quella che fa
da mangiare, servirò pure io a far qualcosa in questa casa,
o no?”
Rebecca
tossicchiò e, volutamente, alzò gli occhi verso
il soffitto. Era arrossita. Gabriel la guardò basito.
“Oh,
grazie tante! Servo solo a quello per te?”
“Beh,
a tua discolpa bisogna dire che lo fai bene”
Gabriel mise
giù la pentola sul ripiano e puntò i suoi occhi
esterrefatti verso la ragazza. “Ma stai zitta! Allora potevi
trovare chiunque che venisse a letto con te!”
Rebecca fece
segno di no con l’indice assumendo un’aria da
saputella. “No, io volevo il più carino”
Gabriel
ghignò. “Questa mi pare una scusa
cretina”
“Giusto,
hai ragione” gli disse e si alzò dalla sedia. Gli
andò incontro camminando molto sensualmente. Gabriel si
accorse di trattenere il respiro. Non smetteva di seguire i suoi passi
fluidi e leggeri. Quando Rebecca fu a quindici centimetri dal suo viso
gli sussurrò: “La verità è
che quando ti ho visto la prima volta non ho potuto non pensare a come
sarebbe stato bello stare con te”
“Stare
con me…?”
“Sì”
finì per lui. “Nel senso intimo del
termine”
Gabriel
sentì improvvisamente un gran caldo intorno. Ma la cosa gli
piaceva, eccome se gli piaceva…
Giocò
un po’ con lei. “E io che pensavo che ti stessi
antipatico”
“Erano
preliminari, angelo. Proprio tu dovresti saperlo”
“Senti
angelo, sono stati preliminari lunghi un anno intero. Non potevi
velocizzare i tempi, ad esempio, farmi delle avances
prima?”
Lei
corrucciò la fronte. “E a quale scopo?
Così ti ho reso la caccia molto più difficile ed
eccitante”
“Hai
ragione” mormorò, completamente perso dentro i
suoi occhi profondi.
Rebecca
passò una mano tra i suoi capelli e lo attirò
verso di lei. Fece incontrare le loro bocche in un bacio appassionato.
Sentì il respiro di Gabriel farsi sempre più
veloce, via via che approfondivano il bacio.
Gabriel le
circondò i fianchi e la sollevò da terra mentre
Rebecca agganciò le gambe attorno al suo bacino. Il ragazzo
la depose sopra al bancone da cucina e si piazzò tra le sue
gambe. Il mantello che Rebecca indossava le lasciò scoperte
le gambe e anche parte delle cosce. Gabriel passò una mano
sulle sue cosce aperte e lei gemette contro la sua bocca. Lui la
guardò con smarrimento.
“Non
riuscirò a sopravviverti, Rebecca” le disse e poi
riprese a baciarla.
Ora anche il
respiro di Rebecca era irregolare e affannoso. Le mancava
l’aria, non riusciva a respirare con lui così
addosso. Gabriel era ovunque sul suo corpo. Con le gambe se lo
attirò più vicino. Gabriel appoggiò i
palmi aperti delle mani sul freddo bancone e lei si aggrappò
alle sue spalle. Rebecca si distese sul ripiano e trascinò
Gabriel con sé.
“Devo
farti le frittelle” disse ad un certo punto il ragazzo.
“Chi
se ne importa delle frittelle ora!”
“Devi
mangiare”
“Mi
sto già nutrendo”
Gabriel si
staccò e le diede un bacio a stampo sulla tempia.
“Dai tesoro, avremo tempo dopo”
Detto
ciò si allontanò e riprese la terrina fra le mani
lasciando Rebecca sul tavolo con le gambe aperte e il mantello che le
era sceso sul davanti, coprendo di poco il seno.
Lui la
fissò con sguardo adorante. “Guardati, sei
bellissima”
“E
allora ritorna qui, per favore” lo pregò Rebecca.
Lui fu
irremovibile. “No, ora mangi”
Con uno
sbuffo Rebecca scese dal bancone e si sistemò il mantello.
Ritornò a sedersi sulla sedia di prima con il broncio.
Gabriel scoppiò a ridere.
“Che
c’è?” sbottò la ragazza.
“No,
stavo pensando che è un controsenso: ti faccio mangiare le
frittelle e poi facciamo l’amore così bruci le
calorie appena prese e siamo di nuovo da capo”
Anche
Rebecca rise. “Ecco perché io avevo proposto di
farlo subito, prima delle frittelle” incrociò le
braccia al petto.
Si
baciarono. Gabriel se la caricò in braccio e
ritornò ad adagiarla sopra al bancone.
“Vedo
che ti attira l’idea di farlo sopra il bancone!”
disse Rebecca.
Gabriel le
torturava il collo con le labbra. “Sì
perché qui non l’abbiamo mai fatto”
“Un
giorno dovremmo collaudare l’intera casa”
“Io
ci sto!” esclamò con enfasi.
Rebecca non
smetteva di ridere. Poi, mentre Gabriel scendeva a baciarle il corpo e
pian piano la spogliava, aprì gli occhi e si accorse di
com’era il suo corpo nudo. Le labbra di Gabriel erano posate
sul suo ventre e le sue mani le toccavano i fianchi.
Ancora una
volta si chiese come faceva a non vedere che la sua pelle era quasi
completamente nera.
***
“Bastian
vuole che tu lo raggiunga” le disse Gabriel dopo che ebbero
finito di fare l’amore.
Rebecca si
appoggiò con il gomito e guardò il ragazzo.
“Davvero? Pensi che voglia darmi una missione?”
Gabriel non
fu contento di leggere nel suo sguardo una certa trepidazione ed
eccitazione. Si incupì. “Sì, anzi, sono
sicuro che ti darà una missione. Stamattina sono venuti
Rosalie e Denali apposta per dirmelo. Che farai?”
“Come
che farò? È ovvio che andrò da lui!
È da troppo che sono ferma e non sto facendo niente,
sarà bello ricominciare ad essere
d’aiuto”
“Detta
così suona bene” brontolò.
“Oh,
Gabriel…”
Gli prese la
testa fra le mani e lo baciò dolcemente. Poi lo
abbracciò e lo tenne cullato tra le sue braccia.
“Non ti preoccupare, andrà tutto bene”
“Posso
accompagnarti da Bastian?”
Rebecca si
tirò indietro e lo osservò meglio. “Ne
sei proprio sicuro?”
“Sì,
almeno sentirò per intero di cosa tratta la tua
missione”
“Perché?”
si mise a ridere lei. “Io non ti racconto mai
niente?”
“Mi
dici sempre il mimino indispensabile, tanto perché io sappia
le cose fondamentali. Hai paura che di nascosto ti insegua per tenerti
d’occhio?”
“Diciamo
che ho preso in considerazione l’ipotesi,
sì”
“E
che ne pensi?” domandò guardandola di traverso.
“Che
se solo ti azzardi a seguirmi ti inforco con la spada, dico sul
serio”
Gabriel
sbuffò e assunse un’espressione frustrata e
dispiaciuta. Rebecca gli tirò una sberla sul petto.
“Ma
stai scherzando, vero? Gabriel, vado in missione, mica a divertirmi! Te
ne starai a casa ad aspettarmi, proprio come i mariti aspettano le
mogli di ritorno dal lavoro”
Il ragazzo
inarcò le sopraciglia e puntò i suoi occhi
incuriositi e divertiti al tempo stesso su Rebecca. “Hai
detto mariti?”
non credeva di aver sentito bene.
Rebecca si
ritrovò a boccheggiare un paio di volte. “No, non
l’ho detto”
“Sì,
hai detto che devo aspettarti a casa come fanno tutti i bravi mariti.
Vuoi così tanto essere mia moglie, Rebecca?”
chiese, con un tono talmente divertito da far arrossire la ragazza.
“Ho
avuto un lapsus” esclamò, a mo scusa.
“Tu
che parli tanto di Freud, lo sapevi che questo simpatico uomo affermava
che i lapsus linguae non sono soltanto errori verbali ma indicano i
veri desideri e le passioni nascoste di una persona? Quello che ha
parlato al posto tuo era il tuo desiderio inconscio più
grande. Questi lapsus sono determinati tutti, naturalmente, da fattori
sessuali”
“Imbroglione
che non sei altro! Lo conoscevi allora Freud!”
esclamò con aria offesa. “Ti diverti tanto a
prenderti gioco di me?”
“Qualche
volta succede”
“Sai
che ti dico? Soffocati con il cuscino!”
“Oh,
andiamo! E sai, la cosa interessante è che i lapsus derivano
da fattori sessuali repressi” la guardò con occhi
ardenti e pieni di voluta provocazione.
Rebecca
grugnì. “Guarda che arriva il cazzotto entro sera,
Gabriel”
“Facevo
per dire, anche perché…” si
avvicinò al suo viso, il suo sguardo era di
un’intensità mai vista. “…non
mi sembra che tu abbia istinti sessuali repressi. Devo dire che vengono
sempre fuori, infatti non ti ho mai sentita lamentarti”
“Potrei
iniziare da ora a lamentarmi, e allora vedrai come ti lamenti anche
tu”
“Tremo
di paura” disse il ragazzo roteando gli occhi.
Rebecca
schioccò la lingua. “Niente sesso fino al
matrimonio. Vedrai ora come diventerai represso”
Detto
ciò fece per alzarsi dal letto ma non appena Gabriel vide
che si stava allontanando da lui la bloccò per un braccio e
lei gli ricadde addosso. Le mani del ragazzo le strinsero i fianchi
più forte che poterono. Con un unico movimento la
inchiodò sul materasso. Una mano si spostò dai
suoi fianchi alle sue gambe e gliele aprì. Si fece spazio
tra le sue gambe aperte e spinse il bacino contro quello di lei.
Rebecca mugolò di piacere e dovette mordersi il labbro
inferiore per non gridare.
“Allora,
sei ancora dell’idea del sesso dopo il matrimonio?”
la stuzzicò Gabriel col respiro rotto.
Lei non
poteva più parlare. Ogni volta che sentiva il corpo di
Gabriel su di sé fremeva e non capiva più nulla.
Ormai era da molto tempo che facevano l’amore ma ogni volta
era come se fosse la prima. Il fuoco e la passione che li bruciava non
sembrava volersi spegnere mai. Così quando Gabriel, pochi
secondi dopo, entrò in lei, Rebecca sospirò. Era
una pace divina che le toglieva sempre il respiro e la rendeva
completa.
E lei era
sua, e non c’era verità più bella di
questa.
Fecero
l’amore e nel momento dell’orgasmo Rebecca lo
sentì gemere come se cercasse di non piangere.
Gabriel
ricadde sul letto e si coprì gli occhi con un braccio.
“Dio,
si può amare più di così?”
“Hai
mai amato di più?”
“No.
No, Rebecca”
Lei si
accoccolò di fianco a lui e gli posò la testa
sulla spalla.
***
Nel
pomeriggio andarono entrambi da Bastian. Rebecca era da molto che non
lo vedeva, ormai anche lui, come tutti gli altri, stava diventando un
contorno di quella che era divenuta la sua nuova vita. Lei stessa non
si sentiva più al sicuro in nessun luogo che non fosse casa
sua e non riusciva più a stare con le persone che non
fossero Gabriel. Si era allontanata dai suoi amici, tutti avevano paura
di lei. Pure Bastian aveva preso le distanze, i suoi legami con il
capo-villaggio si erano incrinati e irrimediabilmente compromessi.
Era normale
che non si sentisse più a casa?
Possibile
che passeggiava per le strade del suo villaggio e tutto le era
indifferente, lontano e sconosciuto?
Dentro di
lei si svolgeva un conflitto interiore che l’aveva cambiata,
per sempre. Suo padre, addirittura, aveva smesso di parlarle,
poiché dipendeva dalla sua volontà.
La scoperta,
inoltre, di poter vedere il suo vero aspetto l’aveva
demoralizzata. Poteva vedere a che punto era la trasformazione da parte
del veleno ma era un’immagine troppo repellente e
agghiacciante per essere richiamata quotidianamente alla mente. Il
più delle volte preferiva non vedere. Ed era una fortuna che
Gabriel fosse cieco a tutto ciò. Per una volta ringraziava
la sua cecità.
Rebecca era
così presa dal suo monologo interiore da non accorgersi
neppure che Gabriel le stava parlando. Si riscosse, perplessa e
immediatamente sull’attenti.
Fece una
smorfia quando sentì ciò che il ragazzo le stava
dicendo.
“…e
se qualche soldato ti importuna tu non farti problemi a scagliargli
addosso una qualche maledizione, ok? Gli conosco quegli uomini e sanno
essere molto pesanti a volte, diciamo che non resistono ad una bella
ragazza…poi se questa ragazza sa anche prendergli a calci
nel culo ai loro occhi è ancora più appetibile.
Quindi non farti problemi, minaccia verbalmente tutti quelli che vuoi e
se solo uno di loro ti tocca hai il mio permesso personale di
ammazzarlo. Rebecca, mi stai ascoltando?”
“Sì,
e stai dicendo un mucchio di cavolate”
“Non
dire così. Guarda che succede di continuo che i soldati si
approfittano di ragazze come te”
“Non
ragazze come me, Gabriel. Si approfittano di ragazze in generale, ma
non ragazze come me. Se ci tengono alla loro vita è bene che
non avvicinino un dito verso di me”
“Io
comunque starei attento” ribadì.
Rebecca
saltellò sul posto e imprecò. “Mamma
mia, possibile che tu non ti fida mai di me?”
“Io
mi fido di te” disse in tono sorpreso, come se fosse
più che palese ciò che intendeva dire.
“È degli altri che non mi fido”
“Taci
e cammina” lo spintonò.
“Sono
un po’ troppo geloso?” chiese in tono innocente.
“No!”
esclamò sarcasticamente la ragazza. “Gabriel, tu
sei troppo geloso, troppo protettivo e troppo possessivo!”
Gabriel le
diede un colpetto con il gomito. “Beh, ma dì la
verità che ti piace”
Lei lo
fulminò con gli occhi. “Se è un modo
per pararti il didietro non funziona con me”
“Si
dice pararsi il culo, signorina so-tutto-io”
“L’ho
detto solo per non essere maleducata” sbottò.
“Ma tu non hai niente di meglio da fare che rompermi le
palle?”
Gabriel la
prese per le spalle e la baciò con passione. Rebecca si
sentì svenire, per fortuna le braccia forti di Gabriel la
sostenevano. Quando si staccarono Gabriel aveva stampato in faccia un
enorme sorriso.
“Ci
sarebbe questo, di meglio da fare”
Ripresero a
camminare, Rebecca teneva la testa bassa e lasciava ciondolare le
braccia lungo i fianchi. Gabriel non parlò. Arrivarono
davanti alla casa di Bastian e lo scorsero dietro ai cespugli. Stava
parlando con Alan. Rebecca sentì i muscoli del suo ragazzo
irrigidirsi. Gli diede un pizzicotto sul braccio.
“Non
fare cazzate” lo avvertì.
Gabriel
soffiò, senza lasciare che i suoi occhi si allontanassero da
Alan.
“Ciao,
Alan” lo salutò Rebecca andandogli incontro con un
largo sorriso. Gabriel la guadò sbalordito.
Rebecca
abbracciò Alan con immenso affetto, dandogli delle pacche
sulla schiena. Alan le diede un bacio sulla guancia e lasciò
vagare i suoi occhi su di lei.
“Fatti
guardare” disse lui. Rebecca girò su sé
stessa con una piroetta. Alan allargò ancora di
più il suo sorriso. “Sei in forma, e sempre
più bella a quanto pare” le fece
l’occhiolino.
La ragazza
udì Gabriel sbuffare.
“Alan,
è da tanto che non ti vedo. Come stai? Ciao,
Bastian!” urlò Rebecca sbracciandosi per salutare
il capo-villaggio che era ancora intento a lavorare tra i cespugli.
Bastian drizzò la schiena e la salutò con la
mano.
“Arrivo!”
le disse.
Rebecca
annuì e lui tornò a lavorare tra le erbacce.
Alan le
diede un buffetto sulla guancia. “Io sto bene, ma tu? Ho
sentito che non te la sei passata stupendamente”
“Ne
ho passate di peggio, ora mi sento super in forma. Non vedi?”
aprì le braccia e volteggiò, il suo viso era
così luminoso da creare luce.
“Sì,
lo vedo” le rispose l’uomo.
Inaspettatamente
Rebecca gli gettò le braccia al collo e lo
abbracciò. Preso in contro piede Alan rimase con le braccia
a mezzaria e lo sguardo confuso. Gli bastò puntare un attimo
gli occhi su Gabriel per vederlo infastidito.
Rebecca
avvicinò le labbra all’orecchio di Alan e
sussurrò: “Sono contenta che tu e Adele abbiate
trovato la felicità. Non badare Gabriel, è sempre
stato molto geloso verso le persone che ama e sua madre è
una di queste. Lui ti vuole molto bene ma dagli il tempo di digerire la
cosa” detto ciò si staccò e gli fece un
sorriso incoraggiante.
“Grazie”
sillabò Alan.
“Di
niente” sillabò a sua volta la ragazza, senza
emettere alcun suono dalla bocca.
Si
voltò verso Gabriel e gli andò incontro. Lo prese
per mano e lo condusse verso Alan. Prima che i loro discorsi venissero
uditi da tutti Gabriel le disse sottovoce:
“Non
è molto carino da parte tua avere queste confidenze con il
nemico”
“Non
è un nemico, è soltanto il tuo futuro
padre”
Per poco
Gabriel non si ingozzò. Tossì talmente tanto e
forte che quando raggiunse Alan lui lo guardò con
preoccupazione.
“Tutto
bene, Gabriel?”
Gabriel
prese fiato. “Sì, Alan” si
sforzò nel dire il suo nome. “Va tutto a
meraviglia”
L’imbarazzo
dell’uomo era palpabile. Abbassò gli occhi.
Rebecca si strinse al braccio di Gabriel e guardò Alan con
compassione.
Il ragazzo
diede un bacio sulla nuca a Rebecca. “Sono contento per te,
Alan. Ho saputo che ti sei innamorato di mia madre, abbi cura lei, mi
raccomando”
Dire che
Alan ne rimase contento è troppo poco. Quasi quasi si
metteva a fare i salti di gioia, e anche Rebecca rimase molto
soddisfatta del suo ragazzo. Incontrò gli occhi di lui e gli
sorrise teneramente. Gabriel si piegò su di lei e la
baciò.
Arrivò
anche Bastian con le maniche arrotolate fino al gomito, la pelle
abbronzata e i pantaloni sporchi di terra.
“Cosa
mi sono perso? Fate felice anche me” disse, riferendosi
all’allegria generale che aleggiava negli sguardi di quelle
tre persone.
Rebecca si
strinse a Gabriel e lui le circondò i fianchi.
“Ogni cosa va come deve andare, Bastian. Sono così
contenta di vederti…non sei mai passato a
trovarmi”
Lanciò
un’occhiata a Gabriel prima di rispondere. “Casa
vostra, mentre eri nel letto catatonica, era praticamente invivibile.
Gabriel era un mastino, non faceva altro che abbaiare e sbattere porte
in faccia. Alla fine ci ho rinunciato” fece spallucce.
Rebecca si
voltò con la bocca aperta verso il ragazzo. “Hai
dato di matto?”
“Beh,
succede sai quando non sai più che santi chiamare per
salvare la ragazza che ami” sbottò Gabriel.
“Mi
pare di vederti: nervi a fior di pelle e appena qualcuno osa parlare tu
gli salti addosso urlando”
“Infatti
è successo proprio così” disse Bastian,
poi aggiunse. “Scommetto che sei venuta qui per sapere della
tua missione”
“Sì”
rispose lei seriamente.
Gabriel le
afferrò ancora più saldamente i fianchi. Bastian
le fece cenno di seguirla. Non appena anche Gabriel si avviò
con loro, Bastian lo fermò.
“No
Gabriel, dobbiamo parlare io e lei da soli”
La cosa non
piacque proprio per niente al ragazzo che indietreggiò con
aria minacciosa. La delusione nei suoi occhi intenerì
Rebecca che dovette trattenersi dall’abbracciarlo e
confortarlo.
“Ci
vediamo dopo” gli disse Rebecca con amore, lo
incoraggiò con occhi dolci e premurosi.
Poi
sparì oltre la soglia di casa.
***
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** La banalità del Male ***
Cap.
13 - LA BANALITÀ DEL MALE -
[Oggi
potrebbe essere
il
giorno più bello delle nostre vite.
Prima
che tutto finisca,
prima
che il nostro tempo scada
resta
vicino a me, resta vicino a me.
Il
mondo inizia a tornare in vita
quando
tu resti vicino a me]
Take
That - Greatest day -
***
Rebecca osservava Bastian che la osservava a sua volta. Erano seduti
uno di fronte all’altra e si guardavano come se si vedessero
realmente per la prima volta. Bastian tamburellava le dita sopra il
tavolo provocando un fastidiosissimo rumore mentre Rebecca vagava con
gli occhi per tutta la stanza, nella disperata ricerca di trovare
qualcosa di interessante su cui soffermarsi.
Ad un certo punto, ormai stanca di quel silenzio, si schiarì
la voce.
“Uhm, sì…ehm, mi avevi
chiamata…?”
“Per la missione”
“Sì, già”
Bastian scosse la testa come per riprendersi da uno stato di
incoscienza. “Scusa,
allora…vediamo…sì, beh, intanto la
partenza è domani”
“Domani?!” esclamò la ragazza sgranando
gli occhi a dismisura. “Possibile che io venga a saperlo
sempre il giorno prima?”
“Sì, partirai domani con un gruppo di uomini,
sarete pressappoco una ventina. Come sempre si parte all’alba
e il ritrovo è nella piazza del villaggio. Portati dietro il
minimo indispensabile, ovviamente più armi che viveri o
effetti personali. Il villaggio che dovrai
raggiungere…” mise sopra la tavola una vecchia e
impolverata cartina geografica. “…dista dal nostro
circa un mese di cammino”
Rebecca spalancò anche la bocca. “Un mese per
raggiungerlo? E un mese per tornare! Senza contare i giorni che
passeremo là. Bastian, è davvero tanto tempo, non
sono mai stata così lontana da casa. Sarebbero quasi tre
mesi di lontananza! No, è troppo pericoloso”
“Pericoloso per cosa?” chiese meravigliato.
“Se doveste venire attaccati io mi troverei
all’altro capo del mondo e non potrei raggiungervi in tempo!
È un rischio, Bastian. Non penso che tu debba correrlo, io
servo più qui che in altri villaggi. È questo, il
villaggio di Chenzo, la più importante offensiva contro il
nemico, che io devo proteggere”
“Questa missione è fragile e delicata, solo una
persona come te può portarla a termine. Per questo non posso
chiamare nessun altro”
“Ma io posso farcela” gli disse, e i suoi occhi si
accesero di una strana luce. “Da sola”
Bastian ricadde sullo schienale della sedia e si passò le
mani sulla faccia con un gesto esausto. “No, da sola
è ancora più rischioso”
“Ma Bastian, se mi fai partire con un gruppo di uomini mi
rallenteranno il passo. Io posso volare e volando ci metterei la
metà del tempo. Sono i tuoi soldati ad intralciarmi e io non
posso lavorare se vengo ostacolata”
“E anche se fosse? Arrivi là volando da sola e poi
come fai a portare qua Salazar? Lo trasporti in braccio mentre
voli?”
“Come? Chi è Salazar?”
domandò Rebecca. “Dopo questi discorsi noto che
non mi hai ancora spiegato in cosa consiste la mia missione”
“Hai ragione, ora te lo dico. Salazar è un potente
stregone che vive nel villaggio di Primo, il primo villaggio che fu
costruito a Chenzo. Si dice che questo stregone sia in vita dalla sua
costruzione”
“È immortale, quindi. Cos’è?
Una creatura del paradiso che ha deciso di scappare sulla
terra?” sorrise.
“Non ne ho idea, la sua storia…” Bastian
parve misurare le parole. “Sarebbe molto interessante sapere
la sua vita, peccato che lui l’abbia tenuta un suo segreto.
Comunque questo Salazar dimora a Primo ed è considerato il
più potente stregone di tutti i tempi” dopo di me, avrebbe
voluto aggiungere Rebecca. “Io voglio che tu lo porta al
nostro villaggio, le sue capacità magiche ci saranno
d’aiuto”
“In cosa può esserci d’aiuto?”
“Può divinare la mente dei sacerdoti di Atreius.
Grazie a lui potremmo capire cosa sta succedendo e cos’ha in
mente il tuo fratellastro”
Un vampata di freddo e caldo fece rabbrividire la ragazza. Strinse i
pugni sotto il tavolo fino a farsi venire le nocche bianche. Se solo
fossero venuti a sapere i piani di Atreius avrebbero anche scoperto
ciò che lei stava con cura tenendo nascosto. E doveva
impedirlo a tutti i costi, non si sarebbe macchiata di vergogna e di
tradimento. Non avrebbe visto sul volto di Gabriel lo sconforto e la
delusione.
“Ragion per cui è meglio che vada da
sola” pensò la ragazza a voce alta.
Bastian parve improvvisamente stanco di discutere, fissava il vuoto e
per un attimo Rebecca credette che stesse dormendo ad occhi aperti. Poi
lui parlò. “Non lo so…”
Lei vide un briciolo di speranza farsi sempre più vicino.
“Oh, andiamo! Ti fidi di me, no?”
Era una domanda retorica?
Era una battuta sarcastica?
“Sì, ma non è questo il
punto…”
Lei lo interruppe. “Allora è perfetto! Parto
domani mattina da sola e mi arrangio io a portarti Salazar”
“Come farai a tornare indietro?”
Anche a questo ci aveva già pensato. “Posso usare
i miei poteri, ho imparato da poco ad usare il teletrasporto”
“Ma hai imparato a teletrasportare te stessa! Portare
un’altra persona con te richiede il doppio della fatica,
delle forze e delle energie”
“Appunto, teletrasporterò me e Salazar per brevi
tratti e mi riposerò ogni volta per riprendere le forze
necessarie ad affrontare il successivo spostamento”
“Se dovessimo procedere così…”
“In un mese sarei di ritorno, al massimo”
terminò Rebecca in tutta la sua fierezza e contentezza per
essere riuscita a raggirare Bastian.
Ma Bastian scosse la testa, quasi impaurito. “Gabriel mi
ucciderà” la verità di quelle parole lo
fece tremare.
“A Gabriel ci penso io, e se solo tira fuori storie
è la volta buona che lo attacco ad un pilastro”
sbottò la ragazza.
Bastian rise. “Già, eh, sarebbe veramente forte da
vedere”
Anche Rebecca sorrise e si alzò dalla sedia. Porse la mano
al capo-villaggio e lo aiutò ad alzarsi,
dopodichè gli diede un bacio sulla guancia.
“Ce la farò, hai fatto un affare con me”
Bastian la guardò con sarcasmo. “Sì,
come no”
Lei si finse offesa ma non potè non ridere.
“Guarda che io sono brava!”
“Sì, sì. Dai, và dal tuo
ragazzo che ti aspetta fuori” disse spingendola verso la
porta d’uscita.
***
Gabriel era fuori in giardino, in piedi e con le gambe divaricate. Le
braccia incrociate al petto e lo sguardo torvo che non smetteva di
fissare la porta in legno. Alan se n’era andato. Via con sua
madre, concluse lui con acidità.
Non appena vide la porta aprirsi e la figura di Rebecca uscire le
andò incontro. Non gli piaceva l’occhiata
rassegnata che gli lanciò Bastian, come a dire:
“io ci ho provato a farla ragionare ma niente”
“Che succede?” chiese guardando la ragazza.
Rebecca si strinse a lui in un abbraccio ma Gabriel era talmente teso
da non riuscire neppure a ricambiare quel gesto. Continuava a vedere
nel volto di Bastian quella strana sottomissione.
“Che succede?” ripetè, stavolta
indirizzato al capo-villaggio.
Sembrò quasi che Bastian indietreggiasse, prendesse una
distanza di sicurezza. Se era timoroso della sua reazione significava
che si sarebbe incazzato. E si sarebbe incazzato solo uno era il
motivo.
“Rebecca partirà per Primo domani
mattina…” vedere la faccia di Gabriel trasformarsi
pian piano gli fece perdere per poco la capacità di
continuare. “…da sola”
Ecco, l’ho
detto, pensò Bastian.
Il petto di Gabriel si gonfiò dallo sforzo di trattenersi.
Rebecca, che era appoggiata a lui, sentì i battiti del suo
cuore accelerare. Si staccò da lui e incontrò due
occhi furiosi.
Gli occhi furiosi di Gabriel si posarono glaciali su Bastian.
“Ti dispiace se la porto via un attimo?”
“No” disse con un filo di voce il capo-villaggio e
lanciò un’occhiata di riguardo a Rebecca.
“Te l’avevo detto” le mormorò
a bassa voce.
Gabriel prese Rebecca per il polso e se la trascinò con
sé. Continuarono a camminare e lui non faceva altro che
tirarla con forza, poi Gabriel si fermò.
Si trovavano in un sentiero secondario, vuoto e nascosto dagli alberi.
Gabriel la lasciò andare e mise tra di loro una distanza di
almeno tre metri. Poi si voltò verso di lei con il corpo
scosso e in fermento. Era scioccato, prima di parlare dovette cercare
accuratamente le parole.
“Cosa c’è che non va in te?”
Il cuore di Rebecca prese a martellarle nel petto.
“Niente” si difese.
“Non ti ho forse supplicata di stare attenta, di salvarti, di
non correre rischi?”
Lei annuì.
“E allora perché questo? Sei impazzita?”
disse alzando la voce. “Tu lo sapevi che le missioni
così finiscono sempre male? Quando parte una persona
soltanto il più delle volte non ritorna! Cosa ti costava
andare con il resto della truppa? L’esercito ti avrebbe
protetta, sareste stati in di più! Vuoi ogni volta farmi
morire di paura?”
“No!” esclamò Rebecca, indignata dalle
sue ingiuste accuse.
“E allora perché? Lo sai che mi agito solo saperti
lontana in missione. Come pensi che mi sentirò nel saperti
da sola in una missione? Da sola! Non sei pronta,
dannazione!”
“Mi è parsa la soluzione migliore. Preferivi che
stessi via tre mesi?” urlò per sovrastare la sua
voce.
“Sì, avrei preferito tre mesi con i soldati che
due mesi da sola!”
“Un mese”
“Come?” esclamò.
“Ci metterò un mese, non due”
“Me ne sbatto di quanto ci metti!” urlò
e con un pugno fendette l’aria.
“Maledizione!” imprecò cominciando a
camminare sul posto, incapace di restare fermo.
Rebecca ciondolò sul posto, combattuta tra il buttarsi tra
le sue braccia e il rimanere ferma come una statua al suo posto. Aveva
fatto la cosa migliore per lei ma non per lui. Non era stupida, era a
conoscenza del rischio che correva nell’andare da sola in un
posto così lontano e pericoloso. Così vicino al
territorio nemico e a suo fratello. Ma d’altronde non poteva
neppure permettere a Salazar di svelare i suoi segreti. Qualcosa si
sarebbe inventata, qualche soluzione. L’importante era che
andasse da sola, senza orecchie indiscrete. Solo lei e il mago.
“È inutile che ti arrabbi, la mia scelta
l’ho già fatta” gli disse e si
meravigliò di sé stessa per l’audacia
delle sue parole.
Infatti Gabriel si bloccò. I suoi occhi azzurri erano freddi
e impenetrabili. Parevano, da quella distanza, di un grigio, di un
grigio duro e intenso.
“Sì infatti, con te è inutile che mi
arrabbia, fai sempre quello che vuoi. Non t’importa niente
degli altri” sibilò con voce graffiante.
Per qualche ragione le sue parole la ferirono. “Non
è vero, io ci tengo a te”
“Se davvero ci tenessi a me non saresti contenta del fatto
che mi vengano gli infarti ogni volta. Non ti importa di Bastian, non
t’importa di questo pianeta né di questo
villaggio. Gli amici non ti toccano e…” con
falcate minacciose si avvicinò a lei.
“…non t’importa niente neanche di
me”
La vicinanza di Gabriel le diede le vertigini. Tentò di
allontanarlo premendo i suoi palmi aperti sul suo petto ma lui la prese
per i gomiti tenendola stretta.
“Smettila, non è vero, lo sai che ti
amo”
“Lo so che mi ami, ed è per questo che non capisco
le tue decisioni”
“Se mi rispettassi davvero come dici di amarmi allora
dovresti avere un po’ più di fiducia” lo
sgridò.
“Oh! Siamo in guerra, Rebecca! La fiducia, la fede, la
speranza…sono belle parole ma quando combatti, quando vedi
donne e bambini morire per strada, quando ogni colpo di spada che
scagli spezza una vita…sì, hai capito bene,
queste belle parole vanno a quel paese. Conta solo la tua sopravvivenza
e quella delle persone che ami. Una macchina di morte non ha tempo per
pensare alla speranza”
“Non sono una macchina di morte. E ora lasciami”
Gabriel la lasciò e fece qualche passo indietro.
“Senti, fa come ti pare” disse buttando in aria le
braccia, chiaro segno di resa.
Fece per andarsene ma lei si aggrappò alle sue braccia.
“No, dove vai?”
Gabriel lesse nei suoi occhi la paura. Si sentì sciogliere
sotto il tocco delle sue piccole mani che gli premevano il petto.
Sbuffò, irritato.
Lei gli passò le mani tra i capelli biondi. “Non
andartene”
Gabriel appoggiò la sua testa fiacca sulla spalla della
ragazza e solo i suoi occhi azzurri erano visibili, la schiena di
Rebecca copriva il suo naso e la bocca. Sembrava quasi che lui si
volesse nascondere tra la figura della ragazza e mostrasse solo gli
occhi angosciati. I raggi del sole rendevano le pupille di un azzurro
ancora più chiaro, e quegli occhi fissavano con sfida il
sole senza rimanerne accecati. Le sue mani, posate sulla schiena di
Rebecca, strinsero forte i vestiti.
Sentendo il respiro di Gabriel accelerare Rebecca lo guardò.
Lui fissava il sole, o meglio, un punto lontano, impreciso,
impalpabile.
Gli accarezzò la guancia. “Che succede?”
“Guardo il sole” rispose con voce inespressiva.
“Davvero?”
“Lo sapevi che il sole per certi popoli è fonte di
vita? Sono gelosi, del loro sole. Traggono dai suoi raggi calore,
conforto, amore. Esso diviene quasi un tesoro, come una cassa
contenente degli oggetti inestimabili e ben racchiusa in un
museo”
“E quando arriva la sera?”
“Quando arriva la sera e il sole sparisce si sentono derubati
del loro più grande amore”
“Oh, Gabriel…tu stai guardando il sole”
non era una domanda, senza accorgersene cominciò a piangere
contro il suo petto.
“Guardo le mie casse che vengono portate via dal
museo” sospirò.
Rebecca si chiese perché faceva così male.
Perché ogni suo respiro era una fitta tagliente e le causava
qualche livido dentro. Guardò anche lei il sole ma a
differenza di Gabriel i suoi occhi bruciarono subito e dovette
richiudergli.
***
Quella notte Rebecca sognò, dopo tanto tempo. Tra le sue
coperte, avvolta nelle lenzuola di seta bianca, con il braccio
protettivo di Gabriel che le circondava i fianchi morbidi. La
sensazione orribile, nervosa e assillante arrivò come
un’esplosione di emozioni. Ma non poteva fare nulla per
aprire gli occhi, era condannata a vedere quelle visioni nella sua
testa. Così nitide, così reali, così
famigliari…
Era il tramonto, Rebecca stava camminando lungo i corridoi di casa sua:
il castello di Dark Threat. Scendeva sempre di più, le
scale, le rampe, parevano volerla portare sottoterra, dentro una fossa
oscura e fredda. I muri di pietra ad entrambi i lati erano solcati da
goccioline d’acqua che scorrevano fino al pavimento,
disperdendosi in un piccolo fiumiciattolo silenzioso e viscido. Il
soffitto odorava di muffa e il pavimento era scivoloso, ripido.
E Rebecca odiava la
strada per le segrete. Di norma le celle si trovavano
all’ultimo torrione del castello ma per quella creatura
trovarsi all’ultimo piano era una benedizione, era fin troppo
facile saltare dalla finestrella e volare via. Era più
sicuro tenerla intrappolata sottoterra, in una cella protetta e ben
sorvegliata. Rebecca portata addosso un lungo mantello nero, il
cappuccio era alzato e le copriva il volto. Era più grande e
largo rispetto agli altri mantelli che portava, forse per coprire
qualcosa. Forse perché nessuno sapeva apparte suo padre e
Atreius. E ora l’avrebbe saputo anche lui. Perché
doveva sapere, sarebbe stato divertente vedere come la sua faccia
avrebbe reagito ad una simile notizia.
Da sotto il cappuccio Rebecca sorrise, una smorfia bassa e penetrante.
Sollevò la testa di scatto quando sentì la
presenza davanti a lei delle due guardie che sorvegliavano la cella. I
suoi occhi neri squadrarono le sentinelle, una ad una, e queste si
guardarono a vicenda in preda al panico.
“Lasciatemi sola” un unico sibilo per farle
scappare a gambe levate.
Rebecca ghignò. Era sempre un piacere vedere come metteva in
soggezione le persone, come agli occhi degli altri appariva
così potente.
Guardò la porta blindata di fronte e lei. La finestrella che
mostrava l’interno della stanza era aperta, e lei vide la
creatura ferma, immobile contro il muro. Non le servivano le chiavi,
strizzò gli occhi e la serratura si aprì.
Aprì la porta, accompagnata da un lento cigolio. Lui
alzò la testa. Rebecca lesse nel suo sguardo un susseguirsi
impetuoso di emozioni: rabbia, collera, dispiacere, passione,
pentimento, nostalgia, desiderio…
Con passi controllati e inumani Rebecca si avvicinò alla
figura.
“Gabriele” lo chiamò.
Il volto del ragazzo si deformò al suono di quella voce.
Troppi ricordi, troppo amore, un’altra vita,
un’altra persona.
Troppo tempo.
Gabriel era incatenato al muro. Delle manette gli bloccavano entrambi i
polsi ed era posto sopra una pedana di sassi, accanto ad un tavolo
logoro e distrutto. Per andare da lui Rebecca fece un paio di scalini e
guardò le manette per controllare che fosse imprigionato per
bene. Lui provò a liberarsi, si divincolò con le
braccia, ma la magia che lo teneva stretto a quelle catene era stata
una sua magia e lei era più forte di lui. Gli
andò così vicino che Gabriel si sentì
inebriato dal suo profumo, che era rimasto sempre lo stesso di prima.
Non riusciva a parlare, lei lo guardava da sotto il cappuccio,
provocante e sensuale, e lui non riusciva più a connettere
il cervello.
La odiava, questo era vero. Era diventata una sua nemica, un soggetto
pericoloso da abbattere. Una macchina di morte e sangue. Ma non poteva
riuscire a controllare il desiderio bruciante che provava per lei.
Sebbene si era imposto di dimenticarla, di non amarla, non aveva ancora
smesso di esserne attratto. E tutto di lei, forse anche più
di prima, l’attraeva.
Si sentì mancare il respiro quando la vide farsi sempre
più vicina.
Sempre più vicina…
Rebecca premette il suo corpo contro quello di Gabriel e non appena il
suo seno toccò il petto del ragazzo, lui si
paralizzò. Era troppo, bruciava tutto e troppo. Gabriel
sentì chiaramente il sangue defluire dalla testa verso il
basso. E lei si strofinava contro di lui in un modo che gli fece
perdere il senno. Doveva odiarla, ma aveva un così disperato
bisogno di lei che se solo Rebecca gli avesse dato una
possibilità l’avrebbe posseduta lì sul
tavolo.
Come l’ultima volta che era venuta a trovarlo.
Rebecca gli mise le mani sul petto e le fece scivolare fino ai fianchi.
La camicia che Gabriel indossava era sporca e strappata, lasciava nudo
gran parte del busto. E questo la eccitava come non mai.
Passò la bocca e la lingua sul collo del ragazzo tracciando
delle scie infuocate sulla pelle. Gabriel gemette così forte
che lei lo guardò negli occhi. Rimasero a fissarsi in
silenzio per pochi secondi e poi Rebecca ritornò a baciarlo,
questa volta sulla bocca.
Le labbra di Rebecca, dopo tanto tempo, sapevano di dolce e di salato
allo stesso tempo. Di amaro e di frizzante. Erano morbide, piene e
sensuali. Si muovevano su quelle di Gabriel sicure e avide. Gli mise
una mano sul collo, sulla guancia, tra i capelli e lui fremette di
nuovo.
Lei si staccò un’altra volta, perplessa.
Camuffò immediatamente il suo sconcerto con una maschera di
freddezza e di indifferenza.
Il suo cuore aveva smesso da tempo di batterle nel petto ma era sicura
che, se solo avesse avuto un cuore, avrebbe preso a batterle
all’impazzata per quello che stava per fare.
Si portò una mano sul primo laccio del mantello. I suoi
occhi fissavano quelli confusi e desiderosi di Gabriel che a sua volta
guardava i lacci del mantello sciogliersi. Rebecca fu, ad avviso di
Gabriel, di una lentezza frustrante ma non appena si tolse il mantello
e la veste cadde sul pavimento lui sperò che non
l’avesse mai fatto.
Guardò con un’espressione orripilata e incredula
il lieve, ma già visibile, gonfiore sul ventre. Era incinta.
Non riusciva a crederci. Eppure quel pancione,
quell’arrotondamento era lì davanti ai suoi occhi,
reale e vero. Gli venne da vomitare. Voltò la testa di lato
per non guardare. Non voleva pensare ad Atreius dentro di lei, a loro
mentre facevano l’amore. A lei a letto con lui, tra le sue
braccia. Non gli pareva possibile che lei stesse per avere un bambino
dalla persona che odiava di più al mondo.
Era corroso dalla gelosia più nera, voleva una Rebecca
incinta di suo figlio.
Non di un altro uomo. Tremando, osservò l’anulare
sinistro di Rebecca. La fede nuziale era ancora lì, un
cerchietto d’oro che brillava nella mano. Poi
guardò il suo dito e vide la sua fede. Erano sposati, e un
matrimonio magico non si poteva sciogliere una volta dati i voti. Ma
lei aspettava un bambino da un altro. E a lui sembrò di
morire.
Rebecca gli prese la testa fra le mani e lo obbligò a
guardarla negli occhi. Non c’era fretta né odio
nel suo sguardo, per un attimo parve tornata umana. Così
Gabriel fu costretto a guardarla. Rebecca mise una mano su quella
incatenata di Gabriel e liberò quella mano. La mano non
più imprigionata cadde come un peso morto lungo i fianchi
del ragazzo. Gli occhi di Gabriel non smettevano di fissare quelli di
lei e, in una muta preghiera, supplicavano. Rebecca portò la
mano di Gabriel sul suo ventre rotondo e gliela tenne posata sopra.
Sussurrò con il respiro caldo, contro il suo orecchio:
“Sei tu il padre. Io porto in grembo tuo figlio,
Gabriele”
Il sogno cambiò e mutò anche scenario.
Ora si trovavano lei e Gabriel su una rupe rocciosa, da soli. Entrambi
impugnavano le loro spade, erano esausti, stanchi e madidi di sudore.
Da quanto stavano combattendo?
Da quanto durava quella guerra?
I respiri erano affannosi, i corpi sfiniti e martoriati. Le ali bianchi
di Gabriel erano aperte, pronte per spiccare il volo. Dietro di lui
c’era il sole e il suo corpo era invaso dai raggi, la sua
pelle pareva emanare luce. Anche Rebecca aveva le ali aperte: nere e
graffianti come quelle di un rapace. Ma dietro di lei non
c’era nessun sole ad illuminarla. La notte, oscura e
tenebrosa, le dava la schiena e la rappresentava.
Si trovavano uno di fronte all’altra. Gabriel la
guardò un’ultima volta prima di attaccare, con
eterno amore, con rassegnazione e con un’immensa commozione.
Poi, tutto avvenne troppo in fretta: corpi che si ammassavano, spade
che si incrociavano, colpi che partivano. E Rebecca si
ritrovò infilzata contro la parete rocciosa, perforata
all’addome mentre la spada di Gabriel affondava ancora nella
sua carne grondante di sangue.
Rebecca si svegliò come nel suo sogno: sudata e sconvolta.
Si toccò con una mano fredda e tremante la pancia. Era
piatta: non era incinta. Era intatta: non era stata trapassata da una
lama. Prese un bel respiro e si strofinò la faccia con le
mani, per riprendersi da quell’incubo. Si portò
una mano al cuore e lo sentì battere come una
mitragliatrice. Era stato orribile, non voleva più fare un
sogno simile. La sensazione di essere incinta, l’odore delle
prigioni e il sapore della bocca di Gabriel, l’impressione
della spada nella sua carne e il dolore acuto al ventre. La percezione
di sentire il flusso di vita scorrere via dal suo corpo fino a portarla
alla morte. Per mano di Gabriel. Corse in bagno a vomitare, quel sogno
l’aveva sconvolta. Le sembrava di aver realmente vissuto quei
momenti, e ora aveva il rigetto.
Ma ancora più sconvolgente fu sentire, dopo secoli di
silenzio, la voce di suo padre dentro la sua coscienza.
Non avevo mai
partecipato a delle visioni così ben definite.
“Era un sogno!” gridò con rabbia, poi si
ricordò di Gabriel che dormiva ancora nel suo letto e
abbassò la voce. “Era soltanto un sogno”
Sì, un sogno
che mostra il futuro.
“È un sogno” ribadì, stava
perdendo la pazienza.
Un sogno che mostra il
tuo futuro, cantilenò la voce di Mortimer e fu
così insopportabile da sentire che Rebecca si
tappò con forza le orecchie e scivolò verso il
basso.
Cadendo, andò a sbattere contro il lavandino e
l’ultima cosa che vide prima di svenire fu il pavimento
tingersi di sangue.
***
La mattina seguente Gabriel trovò Rebecca in bagno, era
seduta sopra la tavoletta del water e si teneva premuto un panno sul
labbro inferiore. Ciondolava avanti e indietro con il corpo e il suo
sguardo era vacuo, assente. Gabriel entrò in bagno e la
salutò, lei non rispose. Allora lui la guardò
meglio. Profonde occhiaie, pelle bianca e cadaverica. Il panno che
teneva tra le mani era sporco di sangue.
“Oh santo cielo, che hai fatto?” prese dalle mani
di Rebecca lo straccio e fissò impietrito il profondo taglio
che le aveva squarciato metà labbro. La ferita era ancora
aperta.
Impallidì. “Quando te lo sei fatto?”
domandò con voce tremante.
Lei non lo guardò neppure negli occhi.
“Stanotte”
Gabriel alzò la testa verso la finestrella e vide che era
l’alba.
“Stanotte?” era scioccato. “Non
può essere, a quest’ora il taglio dovrebbe essersi
già richiuso” non capiva, gli angeli non avevano
forse il potere dell’autorigenerazione?
“Non so come mai ma non si è richiuso. Il taglio.
Continua a sanguinare”
“Vuoi che ti faccia un incantesimo?” le mise una
mano sotto il mento e le accarezzò dolcemente la guancia.
Senza farlo apposta lo sguardo di Rebecca cadde sui boxer che Gabriel
stava indossando. E tutto le ritornò alla mente. Il bambino,
la guerra, l’odio. La morte. E provò rabbia,
irritazione, inquietudine di vivere. Velocissima si alzò e
prese lo straccio dalle mani del ragazzo, lo riportò a
tamponarsi il labbro e si avviò verso la porta.
“Dove vai?” le urlò dietro lui.
Rebecca scese le scale e andò in cucina. Sentì
che Gabriel la stava seguendo.
“Forse non dovresti andare in missione, sei un po’
scombussolata. Posso parlare io con Bastian, e spiegargli”
disse Gabriel. “Non ti conviene fare un viaggio
così lungo da sola, oggi”
Lei gesticolò con la mano. “Ci vado. Devo solo
trovare una garza” rispose, secca.
“Ma non puoi farti un incantesimo?”
“No”
“Vieni qui con me, ti pulisco io la ferita”
“No!” gridò voltandosi furiosa verso di
lui.
L’espressione di Gabriel si corrucciò come non
mai. “Ma che ti succede?”
Un’altra
ricaduta? avrebbe voluto chiederle.
“Niente” sbottò. “Niente. Devo
solo trovare una maledetta garza, infilarmi la divisa, prendere le armi
e andarmene da questo villaggio”
“Ti posso aiutare” si offrì il ragazzo,
cominciando a sentire un nodo allo stomaco.
“Non mi serve il tuo aiuto” gli passò
davanti e lo fulminò con gli occhi, cercò le
garze tra gli armadietti in salotto.
Gabriel rise, una risata amara, triste.
“Perché ridi?” domandò la
ragazza sbirciandolo da sopra la sua spalla.
“Rido per non piangere”
“Sono contenta per te” brontolò.
Come poteva dirgli ciò che aveva visto nel suo sogno?
Sarebbe andata da lui e gli avrebbe detto: “ciao, tesoro.
Sai, io diventerò cattiva e farò una strage di
innocenti. Farò sesso con il mio fratellastro nel castello
di mio padre che sarà la mia nuova casa ma mi
prenderò incinta di te. Nell’ultima battaglia tu
mi impianti una spada sulla pancia e mi uccidi. Allora, ti piace il
nostro futuro? Non lo trovi elettrizzante?”
No, certo che non poteva dirglielo. E questo la rendeva una belva, non
sopportava di avere altri segreti, di dire altre menzogne.
Trovò le garze e non potendo farne a meno diede un pugno
alla mensola, più per sfogo che per resto.
L’intera mensola si ruppe, il legno si spaccò come
carta sotto la sua mano racchiusa.
“Maledizione” imprecò Rebecca.
Ora, oltre ad avere il labbro sanguinante, aveva anche le nocche
lacerate.
“Lascia che ti aiuti” Gabriel venne in suo soccorso
ma lei gli schiaffeggiò la mano quando lui tentò
di prendere la mano ferita tra le sue.
“Faccio da sola” le mani le tremavano.
“Quando parti?” chiese Gabriel, e il nodo si
attorcigliò così forte alle sue budella da
lasciarlo per un attimo senza fiato.
“Ora. Subito. Appena riesco a fasciarmi”
Riuscì a mettersi la benda sul labbro ma non ce la fece con
la garza da mettere sulla mano poiché tremava troppo.
Un’altra volta Gabriel riprovò ad aiutarla. Con un
sospirò frustrato Rebecca si lasciò toccare.
Quando Gabriel ebbe finito abbandonò per qualche secondo la
sua mano sulla bocca fasciata di Rebecca. Si chinò e la
baciò teneramente, facendo attenzione a non farle male.
Mormorò sottovoce un incantesimo guaritore per richiuderle
il taglio sulla bocca.
“Puoi toglierti la fascia sul labbro, ora”
Rebecca se la tolse e la fece scomparire con un battito di mani.
Gabriel ritornò a baciarla senza chiederle il permesso.
Però, prima che il bacio si approfondisse, Rebecca si
tirò indietro. Gabriel ne rimase deluso e un tantino
spaesato da quel distacco.
“Sarebbe meglio che vada a cambiarmi”
“Ora?” c’era ansia nella sua voce e un
pizzico di terrore.
“È l’alba, arriverò in
ritardo altrimenti”
“Ah, già”
“Bene”
“Vuoi che ti accompagni?”
“No, vado da sola” era infastidita. Da cosa?
“Allora…mi raccomando. Stai attenta, e torna
presto”
“Sì”
Lei se ne andò sbattendo la porta nel giro di cinque minuti.
***
Mentre Rebecca correva verso il punto di partenza, che aveva
astutamente spostato dalla piazza del villaggio al confine est del
bosco, fece mente locale di quello che si era portata dietro. Armi,
armi, armi, una bussola, armi, una cartina geografica presa da casa,
armi, armi, armi e armi. Poteva sopravvivere senza mangiare o bere per
almeno quattro giorni, e grazie all’allenamento quotidiano
sperava di poterne fare a meno per tempi molto più lunghi.
Aveva imparato a non respirare, poteva trattenere il respiro per
più di una settimana (aveva fatto una scommessa con Gabriel
e aveva vinto lei), ora mancava solo il record
sull’alimentazione.
Si sentì a disagio, le sue gambe correvano ad una
velocità disumana. Qualcosa in lei la spingeva ad
affrettarsi, a muoversi e andarsene via di lì. Non pensava
le sarebbe mai successo, ma aveva una voglia spasmodica di partire.
Forse cambiare aria le avrebbe aperto gli occhi su alcuni aspetti della
sua vita: le bugie e i segreti che doveva tenere nascosti a Gabriel, la
sua condizione attuale, il veleno che si muoveva sempre più
velocemente. Si accorse di trattenere il respiro, così fece
un bel respiro profondo e si fermò al confine del bosco est.
L’attendeva Bastian, appoggiato ad un albero nella sua
salopette, non appena la vide la salutò con una smorfia poco
convinta in volto.
Rebecca smise di correre e camminò velocemente verso di lui.
Bastian teneva tra le mani uno zaino che, a parere della ragazza,
doveva essere bello pieno.
Infatti…
“Ti ho portato una sacca con del cibo, dell’acqua e
una tenda per la notte”
“Sei riuscito a farci entrare una tenda?”
domandò lei con un sorriso accigliato.
“Ehi, non vivi sulla Terra! Ricordati che siamo in un pianeta
magico e la magia può fare qualunque cosa, persino farci
stare una tenda da campeggio in uno zainetto scolastico”
Lei lo guardò e sorrise scuotendo la testa. “Non
mi serve”
Bastian notò che non aveva nessuna borsa o zaino appresso.
“E come pensi di partire? Con solo le tua armi?”
“Era quello che avevo in mente, in effetti” con uno
scatto fulmineo tirò fuori dalla fodera la sua magnifica
spada e la rigirò tra le mani. “Questi gioielli mi
servono più del cibo e dell’acqua. Ma grazie del
pensiero”
Il capo-villaggio grugnì. “Vedo che fai sempre
quello che vuoi”
“Sempre” rispose con un sorriso luminoso e
larghissimo.
“Vedo che è cambiata” disse Bastian
facendo un cenno del capo verso la spada che Rebecca teneva
accuratamente tra le mani.
“Cambiata? Davvero?”
“Sì, una volta era blu, se non sbaglio”
Il cuore di Rebecca cominciò a mancare dei battiti.
“Ah, ti riferisci al colore! Sì, già,
potendo cambiare il colore l’ho fatto. Mi piaceva la lama blu
ma questa rossa è ancora più bella e
accattivante”
“Sembra che lanci dei messaggi provocatori a tutti coloro che
la vedono”
“E cosa dice?” chiese lei seriamente e con una nota
di cedimento nella voce.
“Mah, pare che dica: “chiunque mi guardi
assaggerà il sapore della mia lama”! Un rosso
veramente inquietante, Rebecca. A me non piace” disse in
tutta sincerità con una scrollata di spalle.
“Trovo molto più adatto per un angelo bianco un
colore un po’ più tenue, come l’azzurro,
il bianco o il blu”
Lei si risparmiò dal dirgli che la sua spada si era cambiata
colore da sola. Chissà che infarto che avrebbe fatto
Bastian. Si limitò a sorridere, un po’ troppo
forzatamente forse.
“Lo terrò a mente, ma per come mi sento combattiva
ora il rosso è il colore che più mi
rappresenta!”
“Sono felice che tu ti senta in vena di combattere. Peccato
che la tua missione non comprenda attacchi o sabotaggi ma soltanto
portare qui un uomo. In teoria”
“La teoria manca della pratica! Per questo mi sono attrezzata
come si deve. Mai sottovalutare un viaggio all’altro capo del
mondo”
Bastian assunse un’espressione angustiata e sofferente.
“Oddio, non farmi pensare a queste cose! Mi vengono i brividi
se penso a quanto andrai distante!”
“Ti ricordo, tra virgolette, che mi ci hai spedita
tu”
Bastian emise un ghigno tra il divertito e il colpevole.
“Allora piccolo impiastro, ricordati di andare a Primo, evita
di fare molte deviazioni per strada. Arrivata là prenditi il
tempo necessario per riposarti e poi torna con Salazar. Dai poca
confidenza alla gente, quelli sparlano, te l’assicuro. Non
fare gli occhioni dolci a nessun ragazzo altrimenti se si viene a
sapere Gabriel mi incolpa e mi ammazza. Durante la via del ritorno bada
a Salazar, lui non è forte come te e avrà bisogno
di più attenzioni e pause”
“Tornerò con il teletrasporto” aggiunse
con noncuranza.
“Se ce le fai, altrimenti non sforzati. Torna pure a cavallo
o a piedi”
“Ce la farò” era sicura di quello che
diceva, per questo Bastian sorvolò sull’argomento.
“Se ti serve aiuto…” prese dalla tasca
dei suoi pantaloni una tastiera con due bottoni: uno rosso e uno
giallo. “…premi quello giallo se sei ferita o in
difficoltà e quello rosso se ti trovi in casi
disperati”
“Tipo?” domandò, cercando di soffocare
una risata.
“Tipo se ti hanno catturata, se sei prigioniera in qualche
segreta o se hanno ammazzato Salazar”
“Bastian!” esclamò Rebecca scoppiando in
una risata.
“Che c’è?”
“Ti pare il caso di portare sfiga?!”
intrecciò il dito indice con l’anulare in segno di
anti-sfiga e sbandierò la mano davanti agli occhi del
capo-villaggio che subito rise.
“Cercavo di essere il più chiaro
possibile”
“Non mi sono mai piaciuti i tuoi modi chiari e
tondi”
“Lo puoi ben dire, come quella volta che tu e Gabriel vi
siete rinchiusi in casa tre giorni per far sesso e non siete mai venuti
alle mie riunioni”
Rebecca avvampò, divenne tutta rossa. “E questo
cosa centra? Oddio, che imbarazzo…” si
coprì il viso con le mani.
“Per farti capire che quella volta il mio discorsetto chiaro
e schietto ha fatto sì che voi due non abbiate
più saltato una riunione”
“Sì, sì, ok! Ho capito dove vuoi
parare!” brontolò. “Sei il genio del
villaggio e il miglior sofista mai esisto”
Bastian le sorrise poi i suoi occhi si spostarono e fissarono un punto
preciso dietro la schiena della ragazza. Quando ritornò a
guardarla Rebecca lesse nei suoi occhi ciò che stava
succedendo.
“Sarà meglio che vada” si
caricò lo zaino in spalla e le diede la tastiera SOS.
“Fai buon viaggio. Ci vediamo tra un mesetto”
“Anche meno, spero” disse lei, mettendosi in tasca
l’aggeggio.
Bastian le mandò un bacio con la mano e pian piano
s’incamminò. Rebecca si voltò e vide
Gabriel infondo alla strada che le stava correndo incontro.
“Ciao” gli disse Rebecca quando lui la raggiunse.
“Ciao” rispose Gabriel, un po’ teso.
“Sei venuto a salutarmi?”
Gabriel annuì, lei capì che non aveva neppure il
fiato per parlare.
“Vedo che stai bene, sei felice. Sono contento”
“Scusa per prima”
“Eri arrabbiata con me o con le garze?”
Rebecca rise e si ciondolò sul posto. “Con me
stessa. Con me stessa” ripetè suo malgrado.
“Come potrei arrabbiarmi con te? Sei così dolce e
tenero…”
Gabriel fece una risata amara. Alzò lo sguardo per non
guardarla negli occhi. “Stai cercando di fare la smorfiosa
con me prima di andartene?”
“È quello che avevo in mente” ammise lei
facendosi più vicina.
“Quando torni?” la paura era stampata a grandi
caratteri sulla sua fronte.
“Un mese o anche meno, non starò via
molto”
Lui sbuffò e i suoi ciuffi biondi oscillarono al vento.
“Che palle” la guardò. “Non ti
porti via niente?”
“Ho tutto” indicò con un dito il cuore e
la tempia.
Quando lui inarcò le sopraciglia Rebecca indicò
anche la fodera e la serie di pugnali legati alla cintola. Lui parve
approvare. Rebecca storse il naso.
“Gli uomini e le armi”
Lui si chinò in avanti e la baciò.
“L’ho fatto solo per essere sicuro che fossi
protetta”
“Lo sono”
“La mia offerta di venire con te è sempre
valida”
“No, grazie, è una cosa che devo fare da sola.
Diciamo che mi metterò alla prova con questa missione, tu
hai già fatto in passato delle missioni da solo. Ora tocca a
me, è il mio turno” questa volta fu lei a mettersi
in punta di piedi e a baciarlo sulle labbra.
Gabriel acconsentì di buon grado quel bacio inaspettato.
Non appena si staccarono Rebecca vide sulla faccia di Gabriel un
sorrisino che non le piacque per niente.
“Che trami?” gli chiese riducendo gli occhi a due
fessure.
Gabriel rise forte. “Ma niente!”
“Ti ordino di dirmelo” gli puntò un dito
contro.
“Dammi un altro bacio e te lo dico” disse con
strafottenza e in tono di sfida.
Come se non sapesse già che lei l’avrebbe fatto!
Infatti Rebecca gli gettò le braccia al collo e
attorcigliò una lunga gamba attorno ai suoi fianchi. Lo
baciò profondamente, con passione. Fu un bacio che fece
venire le vertigini al ragazzo, tanta era
l’intensità di quel gesto. Gabriel
barcollò indietro, lei non sospettava minimante
l’effetto che aveva su di lui. Rebecca gli
morsicchiò esasperatamente il labbro inferiore e poi si
staccò.
Avevano entrambi il fiato corto.
“Credo di essermi meritata la verità”
Gabriel sbarrò gli occhi. “Altrochè!
Porca miseria…”
“Su, avanti!” lo incitò con un gran
sorriso che le incorniciava il viso allegro.
“No, niente, stavo pensando che…”
Gabriel cadde in imbarazzo e si grattò la testa con una
mano. “Insomma, tu stai via un mese, no?” lei fece
segno di sì con la testa. “Ecco, allora pensavo
che in questo mese, approfittando della tua assenza, potevo fare un
salto da Ares”
Cadde il silenzio. Rebecca scivolò in una sorta di coma
apparente, in uno stato di trance che non le fece capire più
nulla. Pian piano arrivò la consapevolezza di quelle parole
e allora si portò sconvolta una mano alla bocca.
Ingoiò un groppo che le ostruiva la gola. “Mi stai
forse dicendo che…?”
“Sì” disse Gabriel con una
serietà nello sguardo che Rebecca si sentì le
gambe molli.
“Proprio quell’Ares? Quello quello?”
“Sì” era incredibile come in quel
momento Gabriel apparisse così possente e forte.
“Oh”
“Era un “oh” felice o un
“oh” da farti prendere in considerazione il
suicidio?” scherzò.
“Oh! Era un “oh” felice!” disse
con la bocca spalancata in un sorriso tremolante. “Vai a
prendere gli anelli!”
“Sì, gli anelli nuziali”
“Ci sposiamo!”
“A quanto pare…” la osservò
meglio per capire se stava delirando.
“Quando torno!”
“Quando torni” ormai la guardava con la fronte
aggrottata. “Sei sotto shock?” le chiese.
“Sì!” urlò.
“Riesci a respirare?”
“Non tanto, ad esser sincera”
Gabriel si abbassò e scrutò con occhio attento il
suo viso. “Questo spiega il colore cianotico della tua
faccia”
Rebecca gli si buttò addosso e lo abbracciò
forte. “Non sai che contenta che sono”
“Sono felice di aver provocato la reazione che
speravo”
“E ora chi me la fa fare di partire?!”
“Sei un’idiota, te l’avevo detto o
no?”
Gli tirò un pugnetto sul petto. “Taci,
Gabriel”
“Per te sarò marito, moglie mia” disse
gonfiando il petto per l’orgoglio e la contentezza.
“Sposati” sussurrò tra sé e
sé. “Quanto durerà?”
Gabriel le prese il mento tra le mani e le fece alzare lo sguardo.
“Un’eternità” la
baciò dolcemente e senza fretta. Intrecciarono le dita e
bevvero il loro stesso respiro.
Quando si staccarono Rebecca non potè non osservare il sole.
Si era alzato di molto, la mattina si avvicinava e l’alba era
già passata.
A malincuore si sistemò i capelli e le armi legate alla
divisa nera. “È tardi, devo andare”
Lui l’attirò prendendola per la nuca e
accostò un’ultima volta le sue labbra sulle sue.
“Guarda che quando torni ci sarà una bella
sorpresa, quindi fai in fretta, ok?”
“Solo sapendo che mi aspetta un anello, un futuro marito
stra-figo e la consumazione della prima notte di nozze vedrai come
corro. Tra tre giorni sono a casa”
“Esagerata” disse con una smorfia.
“Il solo pensare alla prima notte di nozze mi mette le ali
anche ai piedi”
Gabriel le diede una pacca sul sedere e lei fece un saltino in avanti.
“Muoviti, ci vediamo tra un mese”
“Ci vediamo, Gabriel”
Si guardarono con immenso amore, poi Rebecca spalancò le ali
e volò veloce come una saetta verso il cielo. Gabriel rimase
impasse ai margini della radura, fissando il punto in cui lei era
sparita.
***
Finito,
mi scuso se nell'altro capitolo non ho fatto in tempo a scrivere il
commento
finale ma, come ho già scritto, il tempo scarseggiava!!
Questo e il precedente capitolo sono stati dei capitoli che ho
aggiunto, altrimenti il capitolo veniva
troppo lungo e a me non piacciono i capitoli troppo lunghi, rischiano
di essere pallosi
oh, è un mio pensiero ;-)
Il prossimo capitolo si intitolerà (questa volta
è giusto il nome): "AL
PASSO CON LA FOLLIA"
e vedremo cosa combina Rebecca con questo Salazar!!!
Anche ora non ho molto tempo per commentare e rispondere ai vostri
commenti,
ma ringrazio tutti voi che recensite
e che leggete o seguite la mia storia!!!
Fatemi sapere, come sempre prego, che ve ne pare...sono importanti le
vostre
recensioni e giudizi...
Alla prossima, a non fra tanto...fede.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** Il sottile gioco di pazzia ***
Cap. 14 - IL SOTTILE
GIOCO DI PAZZIA -
[Trattengo
il mio respiro,
mi
nascondo dietro un sorriso.
Mi
sono svegliata adesso per cercare me stessa.
Nelle
ombre di tutto sono stata creata.
Strisciando
attraverso questo modo, come la malattia fluisce nelle mie vene.
Guardo
dentro me stessa ma il mio cuore è stato cambiato,
non
posso andare avanti così.
Ho
ribrezzo di tutto ciò che sono diventata]
Evanescence
- Away from me -
***
A Rebecca
piaceva la sensazione di libertà che provava ogni qual volta
apriva le ali e si librava in cielo. Aveva migliorato la sua
qualità di volo, ora andava più veloce, era
più precisa e aveva imparato delle acrobazie niente male da
eseguire durante uno scontro. Volava alta, non sopportava di stare a
pochi metri da terra, aveva bisogno di vedere il mondo farsi piccolo
sotto i suoi occhi. Volava incontro al sole, quasi volesse
abbracciarlo.
Ritornò
con il pensiero alla sua missione. Bastian le aveva consigliato di
volare un giorno intero e di fermarsi per dormire e mangiare quando
calava la sera.
Rebecca
storse il naso, non le piaceva come consiglio. Non era entusiasta
dell’idea di fermarsi di notte per rifocillarsi.
Ma,
dopotutto, era stato pur sempre un consiglio quello di Bastian, no?
E non era
obbligatorio seguire un consiglio, giusto? Altrimenti non si
chiamerebbe consiglio ma ordine.
E lei
infatti non intendeva seguirlo. Avrebbe volato ininterrottamente fino
al villaggio di Primo, non si sarebbe concessa neppure una sosta. Al
posto di impiegare una settimana ci avrebbe messo pochi giorni. Poteva
trattenere la fame e la sete, la fatica non sapeva più cosa
fosse e il sonno riusciva a controllarlo.
Quindi,
perché perdere tempo?
Sorrise.
Aveva un
matrimonio e un bellissimo anello che l’aspettavano a casa.
Ah, giusto, e anche un bel pezzo di ragazzo.
Non appena
pensò all’anello, a quel cerchietto
d’oro giallo, così sottile e carico di sentimento,
ricordò il sogno che aveva fatto. Le immagini di lei,
incinta e sposata con Gabriel, le spensero il sorriso sulle labbra. In
quell’incubo era sposata, il suo anulare sinistro e quello di
Gabriel era circondato da una fede, ma non era felice.
Rischiò
di perdere quota, sbattè le ali più velocemente
per riprendere altitudine.
Sperò
vivamente che quel sogno non si avverasse e che quel destino non si
compiesse.
O forse gli
stava andando incontro?
Suo padre le
aveva detto che era stata una visione del futuro. E ora quella visione
stava diventando un’ossessione. E se fosse diventata reale?
Se fosse quello il vero futuro che l’aspettava? E lei non
stava facendo niente per ribellarsi. Il primo passo verso la
realizzazione di quel sogno sarebbe stato sposarsi con Gabriel. Con il
secondo passo lei lo avrebbe abbandonato e sarebbe diventata cattiva.
Nel terzo passo c’era la gravidanza e la sua doppia relazione
con Gabriel e Atreius. Durante il quarto e ultimo passo avrebbe perso
la vita. Erano quattro sequenze, quattro momenti chiave del suo
avvenire. Avrebbero seguito un ordine cronologico, sarebbero state
l’una l’effetto dell’altra.
Sembrava
quasi che questa successione di eventi avesse iniziato a prendere corso
perfettamente in sintonia con quella che era la sua vita.
Quell’orrendo futuro aveva ormai piantato le radici sul suo
presente.
Rimase
sbalordita per la sua stupidità e per i suoi pensieri.
Dannazione,
era solo un sogno! Un sogno! E da quando Rebecca Burton si faceva
condizionare così da un sogno idiota?
Rebecca non
voleva annullare il matrimonio per un incubo che aveva fatto una notte.
Non si sarebbe lasciata intimidire, per avere la sua
felicità non avrebbe mollato. Il destino non era ancora
scritto, non poteva essere già stato espresso da una
premonizione.
Rebecca
cercò di non pensarci, tentò di rimanere
concentrata sulla direzione da seguire per arrivare al villaggio. Prese
un bel respiro ma l’aria era fredda, le sembrò
quasi che le tagliasse la gola. Non si era accorta del cambiamento
climatico dal caldo al freddo. Tossì un paio di volte, si
portò una mano davanti alla bocca e sputò sangue.
“Vai
a quel paese” sibilò, pulendosi la macchia di
sangue sulla divisa.
A
quanto pare il veleno sta rigettando fuori il sangue che non riesce ad
infettare, disse la voce di Dark Threat. E non penso che fuori ci sia
veramente stato un cambiamento climatico.
“Vuoi
dire che…?” non terminò la frase,
mandò giù la saliva che sapeva di sangue.
Il suo
stomaco bruciò, sembrò andare a fuoco.
È
il tuo corpo che sta diventando così freddo. Dì
addio al tuo appellativo di animale con il sangue caldo, stai
diventando più un serpente…
Le parve di
sentirlo ridere.
“Sempre
meglio! Ora sputo anche sangue?” sbottò ad alta
voce, rischiando di ringhiare come un animale in procinto di attaccare.
E
questo è niente in confronto a quello che verrà
dopo. Sarà interessante, sai? Non per te, ovvio, ma per me.
“Possibile
che tu non accetta il fatto di essere morto? Devi trovare a tutti i
costi un modo per rivivere aggrappandoti alla vita così?
Nemmeno tu sei riuscito a sconfiggere la morte, non ti è
stata concessa l’immortalità. Il tuo lavoro
l’hai fatto, ora vattene, non sono un burattino da
manovrare”
E dove vuoi che vada?
Rebecca lo
sentì sghignazzare malvagiamente e provò
un’irritazione incontenibile. Si morse il labbro inferiore
per non gridare. La rabbia le fece ribollire il sangue nelle vene.
***
Gabriel
aveva deciso di andare a caccia. Quella mattina si era alzato dal letto
con un profondo senso di vuoto, non gli piaceva dormire in quel grande
letto da solo. Contro ogni logica si vestì
all’alba e scese a far colazione. Trovò una torta
in cucina, probabilmente Rosalie era venuta a casa sua per salutarlo ma
lui era già a letto. Lo inquietava non poco il fatto che sua
sorella avesse le sue chiavi di casa. Lui di certo non possedeva altri
mazzi di chiavi e neanche ci teneva ad averli. Rosalie entrava in casa
sua spesso, così, senza avvertire, e capitava sempre nei
momenti più inopportuni, per non dire imbarazzanti.
Gabriel
trangugiò due fette di torta ai mirtilli e lamponi mentre
osservava, in piedi, il paesaggio al di là della finestra.
Bevve il suo indispensabile caffè mattutino e
uscì di casa. Prima di partire andò sul retro
della casa e aprì il capannone dove teneva le armi da
caccia. Rebecca non aveva voluto partecipare all’investimento
di quelle armi, diceva che la caccia non era uno sport interessante. E
così era stato sempre lui a comprare e a lucidare quegli
splendidi gioiellini. Si caricò in spalla un arco
dall’impugnatura massiccia e infilò nella fodera
della spada un lungo e affilato pugnale con l’elsa
incastonata di pietre blu, viola e bianche. Si arrotolò le
maniche della camicia grigia e spettinò i capelli biondi per
darsi un’aria più minacciosa e intimidatoria.
Cominciò a correre lasciandosi alle spalle il capannone ben
chiuso a chiave, diretto verso la foresta.
Aveva
bisogno di svagarsi, di prendere tempo prima di andare da Ares. Era un
po’ emozionato, a dirla tutta. Gabriel non aveva mai avuto
una relazione così seria e così importante.
Dannazione, le aveva proposto di sposarlo! E non era poco. Lui, che si
era sempre reputato un duro dal cuore di pietra, capace solo di
incontri sfuggevoli e deciso a restare un single a vita stava facendo
il primo passo verso l’altare. Si stava per sposare, e di sua
spontanea volontà! Ci era proprio cascato con lei.
Ad un certo
punto si sentì chiamare da Kevin. Sbuffò, un
po’ perché odiava essere interrotto mentre faceva
una cosa e un po’ perché sapeva com’era
fatto Kevin. Infatti, quando si voltò a guardare la sua
figura infondo alla via, aveva un sorrisetto diabolico stampato in
faccia che fece procurare a Gabriel una serie di brividi.
“Speravo
di beccarti, grande uomo saggio!” esclamò Kevin
con fare plateale, inchinandosi leggermente mentre avanzava.
“Come
va, Kevin?” Gabriel era leggermente
felice di vederlo.
Kevin
sorrise furbescamente. “Come va a me? Porca vacca,
sei tu quello che ti sposi!”
Dopo aver
ripetuto sottovoce il “porca vacca” di Kevin,
Gabriel arrossì. “Ah, l’hai saputo. Come
hai fatto a saperlo?”
“Le
voci girano, tua sorella non è mai stata capace di tenersi
gli affari degli altri per sé…”
scrollò le spalle. “Non posso credere che ti
sposi. Questo ci fa sembrare incredibilmente grandi! Ti ricordi
quand’eravamo bambini?”
“Come
potrei dimenticarmelo” rispose il ragazzo con un ghigno.
“Eravamo i teppisti e i più fighi del
villaggio”
“E
quando siamo diventati dei ragazzi alti e pieni di
ormoni…”
“…era
bravo chi riusciva a tenerci in casa la sera” concluse
Gabriel con un gran sorriso.
“Denali
era uguale ad adesso fisicamente: sempre super affascinante, attorniato
da ragazzine che gli correvano intorno e più lui le trattava
male più loro si attaccavano come sanguisughe”
“Denali
era l’anima perfida del gruppo, in fatto di ragazze non gli
andava mai bene nessuna. Eppure ce n’erano di così
carine…”
“Ah,
e mi ricordo di te! Eri il biondo da favola, il principe azzurro, se
Denali le cacciava tutte le ragazze tu te le…”
“Sì,
sì, ok! Abbiamo capito, eh?” lo interruppe Gabriel
gesticolando con le mani. “Tu piacevi perché eri
il più simpatico” cambiò discorso.
Kevin si
rabbuiò. “Oh, grazie tante! Denali il cattivo da
urlo, tu l’angelo dei sogni proibiti e io il simpatico? Che
reputazione sarebbe questa di me?”
“Beh,
eri anche figo”
Kevin
gonfiò il petto e si guardò attorno come se si
aspettasse di vedere tanti ammiratori battergli le mani. “Oh,
così sì che si ragiona!”
“Peccato
che ora siamo tutti incastrati, mi pare”
“Non
farmici pensare. Se solo me l’avessero detto anni fa non ci
avrei mai creduto! Io, te e Denali, il fantastico trio, condannati
servire delle ragazze”
“Va
tutto bene quindi con Delia”
“Sì,
ma ora anche lei vuole degli anelli e pretende che sia io ad
andarglieli a prendere” Gabriel sorrise e lo
guardò come a dire: “Beh, che
c’è di male?”. Kevin continuò
mogiamente: “Gabriel, tu puoi andare da Ares, tu puoi
superare le prove che ti darà il dio del fuoco, ma se vado
io da solo mi ammazzo! Delia vorrebbe sposarsi quindi le ho fatto
credere che andrò da Ares prima o poi”
Gabriel
rise. Kevin era un tipo veramente strano, pur di fare felice qualcuno
che amava si autoflagellava.
“Ma
tanto so già come finirà”
“Come
finirà?” domandò Gabriel.
“Non
ci sposeremo, vivremo insieme per sempre e faremo dei bambini.
Aiuterò suo padre con la locanda e lei farà la
casalinga e la madre indaffarata”
“Mi
sembra una bella cosa”
“A
me va più che bene! Quando parti per andare da
Ares?”
“Domani
pensavo, starò via per un po’. Le prove che
dovrò superare per meritare il sacro vincolo magico del
matrimonio saranno lunghe, molte e difficili. Ma ne vale la
pena”
“Chi
altri lo sa?”
“Non
saprei, Rose mi ha fatto una torta oggi e temo che per il pomeriggio lo
saprà tutto il villaggio”
“Sicuramente”
“Come
sempre”
“Andavi
a caccia?” chiese Kevin alludendo alla scorta di armi che
Gabriel si stava portando appresso.
“Sì,
tanto per fare qualcosa” sbottò con noncuranza,
come se fosse la cosa più normale del mondo.
Infatti
Kevin lo fissò basito. “Sì, cacciare
bestie minacciose e mostri sanguinari è una cosa che faccio
spesso quando non so come ingannare il tempo”
“È
questione di allenamento” disse il ragazzo sistemandosi
meglio l’arco sulla schiena. “Ginnastica, lezioni
di combattimento e tiro con l’arco. Una cosa da
niente”
“Diciamo
che per noi umani è più consono bere una tazza di
thè con gli amici quando non sappiamo che fare”
“Voi
umani” borbottò Gabriel e Kevin lo vide incupirsi.
“Che
c’è?” domandò
l’amico.
Gabriel lo
guardò con gli occhi ridotti a due fessure. “Cerco
sempre di non pensarci e il più delle volte mi riesce bene
ma questa situazione…” sospirò
frustrato. “…mi sta facendo impazzire”
“Quale
situazione?”
Gabriel lo
fissò come se fosse imbecille e per poco la mascella non gli
cadeva a terra.
Come faceva
a non capire?
“Kevin,
non sono né un umano né un angelo. Stare a
metà strada tra due mondi completamente diversi mi causa una
profonda crisi di identità”
“Oh,
giusto” mormorò annuendo con la testa.
“Non
sono un angelo bianco perché non ho le ali ma non sono
neppure un umano perché ho i poteri di un angelo. Che cosa
sono? Un ibrido? Un mezzosangue?”
“Gabriel,
io sono convinto che ritornerai ad essere un angelo bianco. Devi solo
aspettare che quelli…” e indicò il
cielo. “…ti diano le ali. E comunque non
lamentarti, vedi il lato positivo delle cose”
“Non
c’è!” intonò Gabriel con
frustrazione.
“Oh”
mormorò, colpito in pieno. “Beh, chi ammazzi
oggi?”
Ci volle un
po’ prima che Gabriel capisse che si riferiva alla caccia.
“Oh, pensavo un centauro”
Kevin gli
diede un colpetto sulla spalla. “Conigli, cervi o cinghiali
no, eh?”
“Così
mi togli il gusto del pericolo”
“Ho
sempre sospettato che fossi strano”
“E
mi sto anche per sposare!”
“Anche
questo è da mettere sulla lista delle tue cazzate”
Risero tutti
e due mentre pian piano si incamminavano verso il bosco.
Gabriel si
voltò verso l’amico, un po’ sorpreso.
“Vuoi venire con me?”
Kevin
fissava il sentiero per terra e gli angoli della sua bocca si tirarono
in un sorriso. “Perché no? Non è da
tutti i giorni vedere un centauro, magari è anche
femmina”
Gabriel si
schiaffeggiò la faccia. “Oh,
signore…”
***
Rebecca
atterrò in una radura. Nella caduta
s’inginocchiò a terra, ebbe il tempo di passare un
dito sui ciuffi d’erba e poi si alzò nella sua
bella figura che, diciamolo, incuteva timore. Poco distante si trovava
un villaggio che sulla cartina era segnato con il nome di
Erden. Non a caso si era fermata in quel posto nascosto e
dimenticato da Dio. Non a caso aveva interrotto la sua marcia. Mentre
era in volo, in alto nel cielo, al di sopra delle nuvole, aveva sentito
un pensiero in particolare e ne era rimasta colpita. Era
così facile percepire i pensieri di una mente umana,
soprattutto se questo umano era impaurito, spaventato. I suoi pensieri
erano un’ondata inarrestabile di preghiere, ricordi e
speranze. E lei sentiva quelle preghiere come se fossero sue.
Sentiva
anche le voci, i singhiozzi, il respiro mozzato in gola, le minacce.
Si
avvicinò silenziosamente all’unico spiazzo
d’erba presente, rimanendo comunque nascosta dietro un albero
dal grande tronco. Davanti a lei c’erano quattro ragazzi che
potevano avere dai venti ai venticinque anni, si muovevano
tranquillamente a loro agio e con strafottenza, in mano tenevano
ciascuno dei bastoni. C’era un’altra persona con
loro, un ragazzetto che a Rebecca parve molto più piccolo
rispetto agli altri. Il ragazzino era legato ad un albero, la sua
faccia era ricoperta di lividi e i lembi della maglia erano strappati.
Lesse in quegli occhi spalancati tutta la sua paura e il suo dolore.
Non era
forse compito suo aiutare i meno fortunati? Le persone bisognose e in
pericolo di vita?
Ecco
perché, non appena vide uno dei ragazzi alzare in alto il
bastone pronto per colpire, si fece avanti.
“Fermo”
disse.
L’eco
della sua voce risuonò nelle teste dei ragazzi come uno
squillo d’allarme e di avvertimento. E infatti il ragazzone
si fermò, il braccio a mezz’aria, i muscoli tesi.
Tutti si voltarono verso di lei. Le facce dei quattro ragazzi, dapprima
spaventate, emisero un sorriso di sollievo. Il ragazzo che Rebecca
aveva fermato, e che lei stessa giudicava essere il capo del gruppo,
abbassò lentamente il bastone all’altezza dei
fianchi ma non lo gettò a terra.
Il ragazzino
legato all’albero aveva gli occhi sbarrati, pieni zuppi di
lacrime. Rebecca lo sentì trattenere il respiro, la sua
espressione sprizzava speranza, forse non era ancora troppo tardi per
essere salvato. Peccato che gli altri non la ritenevano un pericolo. I
tre ragazzi indietreggiarono e accerchiarono il ragazzino attorno al
tronco, quasi volessero fare da barriera tra lei e la loro vittima.
Soltanto il capo avanzava verso di lei, per nulla spaventato. Faceva
oscillare il bastone avanti e indietro e non smetteva di fissarla negli
occhi. Ghignava con arroganza.
Si
fermò a pochi passi da lei. La squadrò come si
squadra un dolce zuccherino e fece un fischio. “E tu da dove
salti fuori?”
Rebecca lo
guardò con tutta la freddezza di cui era capace.
“Lasciatelo andare” spostò i suoi occhi
sul ragazzino tremante.
Il ragazzone
scoppiò a ridere. “Non ci penso proprio. Senti
ragazzina, vattene e non ti faremo niente”
“Che
ha fatto?” volle sapere.
“I
mocciosi del nostro villaggio devono sapere chi comanda, devono sapere
che non si risponde male ad uno di noi” e con uno sguardo di
fuoco si girò a guardarlo. “Sono dei ladruncoli,
feccia che ci ruba il pane e che si ribella ai nostri ordini. Noi
facciamo le regole, loro le seguono e se non le
seguono…” lasciò la frase in sospeso.
“Ci penseranno su due volte prima di offenderci”
“Non
mi sembra un buon pretesto per picchiarlo. Tu piuttosto, chi ti credi
di essere?”
Il ragazzo
aprì la bocca e poi la richiuse, non credeva alle proprie
orecchie. I ragazzi dietro di lui si pietrificarono sul posto. Il capo
non sapeva neppure se ridere o mettersi ad urlare.
“Cos’hai
detto?” balbettò.
“Ti
ho chiesto chi sei. Non sei un re, non sei un ricco potente
né un comandante e neppure un soldato semplice.
Perché fai leggi se non ne hai il diritto?”
sorrise. “E neppure il potere, a me sembra”
“Ora
sto veramente perdendo la pazienza” la minacciò
puntandole un dito contro.
“Non
è affar mio” rispose Rebecca tranquillamente. Non
si era spostata neanche di un centimetro dal suo posto. Fece un cenno
con la testa verso il ragazzino. “Lui è
affar mio”
“Lui
è affar nostro”
abbaiò il ragazzo sputando.
“Così
mi obblighi a farvi del male” disse Rebecca scuotendo la
testa.
Senza che
nessuno se ne accorgesse posò una mano sull’elsa
della spada che teneva dietro la schiena.
Al ragazzo
non era scappato il plurale di quella minaccia. Sputò per
terra e rise. “E che ci faresti? Siamo quattro contro
uno” sorrise scuotendo la testa. “Sei solo una
ragazza. Semmai, cosa noi possiamo fare a te” e si
voltò ridendo apertamente verso i suoi compagni che
annuirono. “Ci staresti bene anche tu là,
attaccata a quel palo, ma a quel punto subiresti un altro tipo di
tortura”
Tutti risero
apparte Rebecca e il ragazzino.
“Non
credo che ce la faresti” disse lei.
Il suo tono
di voce lo paralizzò. Non era la voce di una giovane
ragazza, semmai di una giovane guerriera. Il ragazzo temette per un
istante che sotto quel bell’aspetto e quel suo fragile corpo
si nascondesse dell’altro. E poi, quegli
occhi…erano diventati improvvisamente così
gelidi…
Ma non per
questo si lasciò intimidire.
“Vuoi
vedere?” la provocò e la presa sul bastone si fece
più salda.
Rebecca si
guardò attorno, una smorfia divertita in volto. Quando
puntò i suoi occhi sul capo egli ebbe un attimo di
cedimento. Non gli piaceva per niente quello sguardo, era paragonabile
ad un mostro, una di quelle creature che uccidono a sangue freddo.
“Tu
non sai chi sono” non era una domanda.
Il ragazzone
per un momento ebbe paura. “Chi sei?”
Rebecca
emise un ringhio soffocato. “Sono la predatrice
più pericolosa che ci sia al mondo”
Mentre la
stava osservando uno dei suoi compagni lo chiamò.
“Sebastian, muoviti! Non abbiamo tutto il giorno da perdere!
Mandala via e finiamola con questa storia”
“Sebastian
ti chiami?” domandò la ragazza con un sorriso
divertito. “Un nome da vero sovrano” lo prese in
giro.
A quel punto
il ragazzo divenne bordeaux. “Ora sono stufo, hai veramente
superato il limite” alzò il braccio con cui
reggeva il bastione, pronto a colpirla con tutta la forza di cui era
capace.
Sebbene il
suo movimento fu veloce quello di Rebecca lo fu ancor di
più. Sguainò la spada e con un unico colpo
spezzò in due il bastone di Sebastian che cadde a terra con
un tonfo sordo. Appena il ragazzo si rese conto di quello che era
successo non ebbe il tempo di riprendersi che Rebecca gli
puntò la spada alla gola. Lo tenne fermo e premette la lama
contro la sua pelle.
Il resto del
gruppo avanzò in un boato di imprecazioni. Rebecca gli
paralizzò e gli tramutò in delle statue.
“Chi
sei?” boccheggiò il capo con il labbro tremante.
La guardava
con i suoi occhi sconvolti, come se non potesse credere a quello che
gli stava succedendo o a chi avesse davanti.
Rebecca
digrignò i denti e girò il polso facendo ruotare
la punta della spada sul suo collo. “Sono l’unico
angelo rimasto, io combatto tutti i giorni per salvarvi”
sibilò. “E voi non fate niente per facilitarmi
questo compito”
A quelle
parole Sebastian sbiancò. Rebecca rimise via la spada.
Ruotò con il corpo su sé stessa e lo
colpì in pieno petto con un calcio. Il ragazzo
volò, sbattuto indietro dalla potenza di quel colpo, e
atterrò lontano. Si rialzò tremante e con il
respiro affannoso. La paura gli era stampata in faccia. Ora non era
più provocante, rabbrividiva come un verme. Fece segno ai
suoi compagni di scappare ma loro non si potevano muovere.
Rebecca
schioccò le dita e i suoi amici ripresero a muoversi.
Scapparono tutti e quattro a gambe levate. Non si voltarono indietro
neppure una volta. Rebecca camminò verso l’albero
e strappò con le mani la corda che legava il ragazzino. Lui
si inginocchiò a terra e pianse.
“G-Grazie”
sussurrò tra le lacrime.
Rebecca si
accucciò per guardarlo negli occhi. Gli prese il mento tra
le dita e glielo alzò. Il ragazzino rimase sconvolto da
tanta bellezza. Rebecca sospirò nel vedere i suoi lividi.
Posò una mano, delicatamente, sulla fronte e quando la tolse
i lividi se n’erano andati.
“Grazie”
questa volta la voce era più ferma.
Lei lo
fissò. “Tu ringrazi troppo” gli
accarezzò una guancia. “Torna a casa”
Veloce il
ragazzino se ne andò, si girò un’ultima
volta per salutarla.
***
Rebecca
arrivò al villaggio di Primo dopo soli tre giorni di
viaggio. Volare l’aveva aiutata ad arrivare prima: niente
deviazioni, né pause e non aveva sbagliato strada neppure
una volta.
Decise di
non atterrare nel villaggio, non voleva dare nell’occhio.
Atterrò in un piccolo boschetto e camminò a piedi
fino all’entrata. Il villaggio era come se l’era
immaginato. Primo era il più vecchio e antico villaggio
esistente a Chenzo, era un centro importante, un punto di sviluppo, di
storia e di cultura. Era completamente recintato da mura di pietra e si
poteva entrare solo tramite un enorme e imponente portone. Si sentiva
da fuori il gran trambusto e il gran chiacchiericcio tipico delle
città caotiche. Bussò tre volte al portone e
restò in attesa, poco dopo comparvero due guardie armate.
“Salve”
salutò Rebecca sfoderando un sorriso smagliante.
“Chi
sei?” chiese uno di loro squadrandola con sospetto.
“Sono
venuta in missione top secret. Devo vedere Salazar”
“Sei
l’angelo?”
A quanto
pareva a Primo la sua missione non era poi così tanto
“top secret”. Se le guardie erano a conoscenza di
un segreto allora potevi stare ben certo che lo sapeva
l’intero villaggio quel segreto.
“Sì”
confermò la ragazza lentamente. “Sono Rebecca, mi
manda Bastian, il mio capo-villaggio”
“Entra
pure, verrai accolta da lui” indicò un uomo dietro
una colonna, era avvolto nel suo mantello con la testa china e coperta
dal cappuccio. “Ti aspettava, ti porterà da
Salazar”
“Ok,
grazie”
Le guardie
annuirono e si fecero da parte. La guardavano con una strana devozione
negli occhi, quasi timorose di avvicinarsi troppo. Quando Rebecca
passò accanto ai due uomini sorrise ad entrambi e questi
ricambiarono con un sorriso ebete. Non era da tutti i giorni vedere una
tale bellezza, tutto di lei attraeva: il suo fascino misterioso ed
enigmatico, i suoi movimenti così agili e felini, la sua
eleganza, la sua storia.
La prima
impressione che Rebecca dava era quella di una donna potente e forte. E
chiunque impazziva per un po’ di potere. E lei ne era piena.
Rebecca si
avvicinò all’uomo che l’aspettava in
disparte, questi alzò la testa e lei vide il volto di un
vecchio.
“Ciao,
Rebecca”
“Mi
stavi aspettando” non lo salutò nemmeno.
“Sì,
io ti stavo aspettando”
“Come
facevi a saperlo?” c’era una nota di stizza nella
sua voce.
“Salazar
ti ha vista arrivare”
Rebecca si
sentì a disagio. La inquietava il fatto che quel mago
controllasse e sapesse tutte le sue mosse. Non osò
immaginare cos’altro potesse conoscere di lei.
“Mi
puoi portare da lui?”
“Certo,
certo” si affrettò a dire il vecchio.
Camminarono
fianco a fianco lungo le vie del villaggio. Primo era un paese antico,
le case e tutti gli edifici erano costruiti in pietra. Sembrava a
quelle vecchie città italiane della Toscana ricoperte di
negozietti grossolani con bancherelle e stradine di sasso. Pareva di
essere tornati al Medioevo, era tutto
così…antiquato. Rebecca era riuscita a sopportare
il distacco dalle grandi città, dalla tecnologia e dai mezzi
di comunicazione ma quello era veramente troppo. Era peggio che stare
nel set di un film parigino ambientato negli anni ‘80.
“Conosci
bene Salazar?” domandò la ragazza al vecchio.
“Oh
sì, sono il suo fidato aiutante”
Rebecca
sorrise. “Buffo, pensavo che un uomo leggendario come lui
potesse vivere da solo senza il bisogno di un apprendista”
Il vecchio
parve prendersela perché bofonchiò.
“Non sono un’apprendista”
“Come
vuole”
“Dammi
del tu”
“Come
vuoi”
L’uomo
ridacchiò. “Tu, invece, vivi benissimo da
sola?”
“Non
vivo da sola ma so badare a me stessa. Di certo il mio compagno non mi
rimbocca le coperte”
Il vecchio
fece una smorfia. “Certo hai un bel caratterino”
“Ci
si può convivere”
“Da
quanto tempo lavori per noi?” volle sapere.
Rebecca
inarcò un sopraciglio. “Un paio d’anni,
se non erro”
“Mi
sorprende che tu non sia ancora diventata un angelo bianco. Sei ancora
un’apprendista” c’era una nota
vendicativa nella sua voce, forse si stava rifacendo dei commenti poco
carini che Rebecca gli aveva fatto.
“Almeno
non pulisco il culo di un vecchio” disse con una cattiveria
che mai aveva usato in vita sua. I suoi occhi si tinsero per un secondo
di rosso, ardevano di rabbia come due fiamme infuocate, poi ritornarono
castani e lei spalancò la bocca, sconvolta.
Gli occhi
erano spalancati. Emise un gridolino strozzato e si portò
una mano sulla bocca per paura che le scappasse un’altra
parola scortese.
“Scusa!
Non volevo dirlo!” esclamò, rossa per la vergogna
e l’imbarazzo. “Non so come mi sia potuta scappare
una cosa del genere! Non lo penso davvero!”
Il vecchio,
un po’ accigliato, scosse la testa e rise. “Tu sei
davvero strana, ragazza” prese a camminare.
Rebecca gli
corse di fianco in preda allo schok. “Davvero, non
l’ho fatto apposta! Mi dispiace!” congiunse
addirittura le mani, come se stesse pregando o supplicando il suo
perdono.
“Lo
pensavi?”
“No!”
urlò con una nota isterica nella voce.
“Bene,
allora facciamo finta che non sia successo niente” ma lui non
poteva dimenticare lo sguardo di lei tramutarsi per un attimo in quello
di un diavolo.
Rebecca
tirò un sospiro di sollievo. “Grazie, non so
proprio…”
“Ho
detto che va bene” disse il vecchio.
“Come
ti chiami?”
Fece
spallucce. “Che importanza ha un nome? Non diamoci pensieri.
Tu, piuttosto, ti capita spesso di fare come prima?”
Rebecca lo
fulminò. “Avevi detto di metterci una pietra sopra
o sbaglio?”
Il vecchio
dovette mordersi l’interno della guancia per non parlare,
moriva di curiosità. “Sì, hai
ragione” chinò la testa in segno di profonde
scuse.
“Questo
posto non mi piace” disse Rebecca, massaggiandosi le braccia
quasi a volersi riscaldare da un freddo che la intorpidiva.
“Ti
senti a disagio?”
Rebecca si
risparmiò dal dirgli che ultimamente in nessun luogo si
sentiva a proprio agio. “Qualche volta succede”
“Non
è la prima missione che fai, vero?”
Il vecchio
svoltò all’improvviso in un vicolo a sinistra e
Rebecca girò all’ultimo secondo. Ripresero a
camminare, un po’ più vicini di prima. Il
vicoletto si trovava tra due alte mura di pietra.
“No,
certo che no”
“Allora
dovresti smetterla di agitarti. Vedrai che Salazar non è poi
così male”
“Non
è certo il suo carattere che mi preoccupa”
È
altro. È la paura che qualcuno possa leggermi dentro.
È il terrore che qualcuno veda la mia anima corrotta.
“Lo
vedremo, come vedremo subito se gli piaci”
ridacchiò fra sé e sé.
Tossì
rumorosamente e indicò a Rebecca una vecchia casa in sassi
davanti a loro, infondo al vicolo. Un gatto nero tagliò loro
la strada.
“Non
è un buon segno se un gatto nero ti attraversa la strada da
sinistra” disse Rebecca.
Il vecchio
si accigliò. “E questo chi lo dice?”
Rebecca rise
per quella stupida credenza terrena. “È una nostra
leggenda metropolitana”
“Nostra?”
“Della
Terra, dei terrestri” precisò con una non voluta
punta di nostalgia.
Era da tanto
che aveva smesso di pensare ai suoi genitori adottivi. Agli amici e
alle belle persone che aveva perso trasferendosi su un altro pianeta.
Chissà se sua madre, Marta, era riuscita finalmente ad
ottenere una promozione e se suo padre, Jonathan, aveva finalmente
ritrovato la pace in famiglia che da tempo cercava.
Doveva
essere così bella Phoenix in quel periodo
dell’anno…
“Siamo
arrivati”
Il vecchio
tirò fuori dalla tasca della sua giacca un mazzo di chiavi
vecchie e arrugginite e con un rumore ferroso girò la chiave
nella serratura. La porta si aprì, cigolando. Rebecca rimase
sulla soglia d’entrata finchè l’uomo non
le fece cenno di entrare.
“Vieni,
accomodati”
Accomodati? Non sono mica un
ospite venuto a bere il caffè. Sono un missione,
pensò con scocciatura.
Aveva voglia
di tornare a casa. Si sentiva così distante dal villaggio di
Chenzo, da Gabriel, dalla sua casa. Le sembrava di essere in viaggio da
un’eternità, e l’infinità
è un tempo dannatamente lungo.
“Dov’è?”
domandò la ragazza con una certa urgenza.
“Vado
a chiamarlo” rispose lui.
Con i passi
strascicati di un povero vecchio s’incamminò
zoppicando verso una porta. Non fece in tempo ad afferrare la maniglia
d’ottone che questa ruotò su sé stessa
e si aprì.
Salazar era
alto, vecchio, con una corporatura slanciata, la barba bianca che gli
arrivava fin sotto il mento e capelli bianchi un po’ lunghi,
scompigliati e incolti. Quello che più colpì la
ragazza fu il suo sguardo. Il grigio intenso dei suoi occhi emanava una
tale saggezza, un tale potere, una tale magia che chiunque ne sarebbe
rimasto ammaliato. Tutto di lui era perfetto, la sua perfezione era
saggia, tranquilla, pacifica, pura. Ma non rideva, il suo volto era
serio e austero. Non doveva essere molto simpatico.
Ma,
dopotutto, da quando un uomo saggio e combattivo era anche simpatico?
Mai.
“Ti
ho vista partire, ti ho vista arrivare e ti ho vista sulla soglia della
mia porta”
“Sono
qui per te, come protezione”
Salazar
spostò lo sguardo e fissò un punto lontano,
sembrava incantato. “Sei arrivata”
“O
mi sono appena fermata”
Lo stregone
inarcò le sopracciglia.
“Spero
non ci metteremo molto a partire, dobbiamo essere al mio villaggio il
prima possibile. Ovviamente questo esclude possibili giri turistici per
il paese, il che mi spezza il cuore” secca, concisa e
diretta.
A Salazar
piacque questa sua intraprendenza.
“Dobbiamo
partire subito?” chiese, aprendo le braccia con fare
teatrale. Non nascose di certo un sorrisino sghembo.
“Appena
possibile” ripetè Rebecca.
“Come
faremo a viaggiare?”
A quel punto
il suo assistente, il vecchio che attendeva in disparte, la
guardò con due occhi penetranti e ansiosi. Forse non si
fidava di lei.
Dopotutto
chi si fidava completamente di lei?
Gabriel.
Solo
Gabriel.
E infatti è
l’unico ad essere cieco, pensò.
“Teletrasporto”
Salazar la
guardò ammirato. “Ne sei capace?” il suo
tono era canzonatorio, probabilmente la stava prendendo in giro, si
faceva beffe di lei.
“Come
potrei non esserlo?” si divertiva a ribattere alle sue
provocazioni.
Salazar
forse non lo sapeva ma aveva inaspettatamente trovato in lei un osso
duro. “A quanto pare ti ho sottovalutata”
Rebecca
alzò fiera il mento. “Spesso lo fanno in molti.
L’importante è riconoscerlo alla fine”
“Alla
fine…” mormorò sottovoce Salazar
abbassando gli occhi.
“Alla
fine” ripetè lei calcando quelle parole che
avevano assunto un inquietante significato.
“Come
dico sempre io: le persone o sono cieche o sono stupide”
“Stupide?”
gli domandò con un cipiglio interrogativo.
“Che
non ci arrivano” concluse in risposta.
Rebecca
indietreggiò senza rendersene conto.
Ma
perché la metteva così tanto in soggezione quel
vecchio?
Quegli occhi
non smettevano un secondo di fissarla e per quanto le sue barriere
cercavano di proteggerla lui premeva per entrare. E non doveva
permettergli di entrare, avrebbe visto troppe cose, capito troppe
bugie. La maschera doveva rimanere attaccata al volto.
“Questa
è buona, devo dire che sono d’accordo con te,
Salazar” disse la ragazza. “Andiamo?”
“Devo
prendere le mie cose”
“Allora
fallo e poi raggiungimi fuori”
Con un giro
di tacchi si avviò verso la porta. Voltò la testa
per salutare il vecchio assistente e questo mostrò un
sorriso vacillante. La sua figura in nero sparì oltre la
soglia.
Rebecca si
appoggiò pigramente contro il muro della casa e dopo dieci
secondi uscì Salazar, non aveva niente tranne un bel pastone
da passeggio.
“Non
ti porti via niente?” gli chiese lei.
“Cosa
vuoi che me ne faccia degli effetti personali, quelle sono cose per
umani”
“Pensavo
ti portassi via qualche calderone, qualche provetta o erba
magica”
“Scoprirai
ben presto che i miei poteri non sono decisamente legati ad oggetto
materiale”
“Ah
no?”
“No”
si portò un dito alla tempia e la trafisse con lo sguardo.
“Sono tutti qui dentro”
Rebecca rise
e si staccò dal muro. Lo precedette e cominciò a
camminare a passo spedito.
“Non
dovevamo usare il teletrasporto?” le chiese il vecchio.
“Fuori
dalla città. Ci sono troppi occhi indiscreti”
Sopra di
loro, da dietro le finestre chiuse delle case del vicolo, delle persone
spiavano attraverso il vetro. La notizia dell’arrivo
dell’angelo doveva essere arrivata a tutti e tutti erano
curiosi di vederla.
Salazar
sorrise. Rebecca si girò verso di lui.
“Perché
ridi? È vero”
“Dev’essere
molto divertente avere tutto sottocontrollo”
“Ti
riferisci…?”
“Mi
riferisco al fatto che riesci a sentire una persona respirare anche
attraverso i muri e a distanza di chilometri. Tutte le mosse, gli
spostamenti, le occhiate o le parole che si scambiano
sottovoce…tu riesci a sentire e vedere
tutto”
“Leggo
anche nel pensiero” ci tenne a precisare lei.
“Lo
stai facendo anche adesso?”
“Posso
decidere chi, quando e dove voglio io. Ma lo faccio solo raramente, ho
rispetto per i pensieri altrui e quindi no, non lo sto facendo ora con
te”
“Questo
mi solleva”
“E
tu? Lo sai fare?”
“Sì,
ma ci impiegherei sicuramente molto più di te. Diversamente
da te, che sei una creatura fatta di magia, io ho dovuto
conquistarmela. Noi nasciamo umani e abbiamo la possibilità
di diventare magici studiando moltissimo. In pochi ce la fanno, la
magia è molto pericolosa” la guardò e
lei sentì il cuore accelerare nel petto.
“La
magia è pericolosa se non la sai usare” gli disse.
“Tu
sai usarla?”
La stava
provocando ancora?
“Sono
quasi giunta alla perfezione” rispose con distacco.
“Non mi manca molto per completare il mio
addestramento”
“Uhm,
ma dimmi, cosa aspiri a diventare?”
Rebecca ci
pensò un attimo, osservò la strada dritta di
fronte a sé, i suoi piedi che camminavano sul terreno
sassoso. I raggi del sole al tramonto la abbagliarono e distolse lo
sguardo.
Qualcosa
dentro di lei si mosse.
Quando
guardò Salazar non aveva dubbi.
“Voglio
essere come la paura”
***
Salve,
salve e salve...mi stra-scuso per il ritardo
ma, non tutti sapranno, sono sotto esami di maturità e
quindi il tempo scarseggia per fare dell'altro
che non sia studio...
uff, mamma mia...
ma alla fine ce l'ho fatta comunque dopo mesi ho finito anche questo
capitolo!!!
spero solo di non metterci troppo anche con il prossimo ma prometto che
sarò il più veloce possibile!!
ehm, recensite,
eh...
so thank you
Il prossimo capitolo: "LONTANA
DAL PARADISO"
Non ho tempo per i ringraziamenti e quindi ringrazio generalmente
tutti quelli che mi seguono
e che
recensiscono ----> un grazie veramente speciale...
___fEDE___
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** Lontana dal paradiso ***
Cap.
15 - LONTANA DAL PARADISO -
[Tutto
ciò per cui sto vivendo,
tutto
ciò per cui sto morendo…
volevo
solo di più.
Chiudo
l’ultima porta aperta,
i
miei fantasmi stanno guardando a distanza.
Pensavo
che avrei cambiato il mondo.
Dovrebbe
far male amarti?
Dovrei
chiudere l’ultima porta aperta?]
Evanescence
- All that I’m living for -
***
Le soppraciglia di Salazar erano così aggrottate che
sembravano formare un grande arco increspato. Si sentì
piombare addosso un fastidioso disagio, che non presagiva niente di
buono. Osservò le mani di Rebecca chiuse a pugno, la sua
postura dritta e autoritaria, i suoi occhi profondi e scuri, la sua
bocca incurvata in un ghigno. Gli parve di vederla per la prima volta,
non aveva notato prima queste sue fredde e aguzze fattezze.
Senza pensarci, guidato dal cieco istinto, tentò di leggerle
la mente. Rebecca camminava e non sembrava accorgersi di nulla. Voleva
vedere cosa c’era sotto quella pelle, quel corpo, cosa
nascondeva, se c’era qualcosa di buono o di cattivo. Fece
appena in tempo a sfiorarla che lei se ne accorse.
Con un gesto velocissimo, la mano di Rebecca andò a
circondare il collo di Salazar mentre l’altro braccio gli
bloccò il torace e lo spinse indietro. Salazar venne
sbattuto con una forza inaudita contro il muro di pietra. La mano della
ragazza lo teneva ancora saldamente al collo.
“Che fai?” sembrava perplessa più che
arrabbiata.
Salazar provò a liberarsi ma né la sua forza
fisica né la sua magia riuscirono a vincere contro di lei.
Rebecca lo lasciò andare ma rimase con uno sguardo acido e
minaccioso.
“Perché l’hai fatto? Non farlo mai
più”
Salazar rimase a bocca aperta. Un uomo come lui, saggio e potente come
lui, venne messo a tacere. Improvvisamente si sentì
terribilmente debole e piccolo. Rebecca lo stava fissando e pareva
triste.
“Andiamo” gli disse e riprese a camminare.
“Scusami” disse Salazar ad un certo punto sbattendo
le palpebre. “Non volevo”
Rebecca sbuffò. “È solo che non mi
và”
“Perché?” si ritrovò a
chiedere stupidamente.
“Perché quello che sta dentro di me, rimane
mio”
Salazar ghignò. “Hai molta forza” poi
aggiunse: “Per essere una ragazza di…”
“…diciannove anni” lo guardò.
“Sono arrivata a Chenzo che ne avevo diciassette”
Salazar annuì. “Deve essere stato
difficile”
“Che cosa?”
“Vivere per diciassette anni con una famiglia, in una casa,
con degli amici, con una determinata tradizione e poi cambiare tutto,
radicalmente. Sei qui a Chenzo da soli due anni e dubito che tu ti sia
già ambientata”
“Alcune volte mi capita di ripensare alla mia vecchia vita, a
quando ero ancora…” strinse forte i denti.
“…umana”
“E ti manca quella vita?”
Rebecca sospirò e guardò la strada davanti a
sé. “Apparte poche persone che ho amato
veramente…non penso che ritornerei là. Ormai ho
capito che il mio posto è questo, è sempre stato
questo, solo che non lo sapevo”
“Sai, le voci corrono…”
La ragazza sorrise. “Sì, ne so qualcosa. Quando
hai vissuto abbastanza tempo sulla Terra per conoscere affondo i
giornalisti capisci che la privacy di certe persone è un
optional”
“Mi è giunta notizia che tu e l’angelo
Gabriele vi unirete presto in matrimonio”
Gabriel, no Gabriele,
avrebbe voluto puntualizzargli, ma si trattenne.
“Sì, infatti, è vero”
“Non ho mai conosciuto quel ragazzo ma più di una
volta mi è capitato di percepire la sua aurea. Una volta per
esempio, viaggiando, si è fermato per poche ore nel nostro
villaggio e subito, io ero a casa, ho avvertito la sua presenza. La sua
aurea speciale in effetti risaltava molto rispetto alle
altre”
Rebecca si voltò verso di lui e lo guardò con uno
strano cipiglio interrogativo. “Tu vedi le nostre
auree?” e con quel “nostre”
intendeva proprio tutti.
“Sì. Interessanti sono i bagliori di luce che esse
emanano. Possono cambiare colore in base all’umore ma il
colore finale, quello che vedo, è dato
dall’insieme, dal miscuglio, di tutti i colori che
caratterizzano le emozioni di una persona. Quando ho visto Gabriele la
sua aurea era bianca, leggermente sfumata di grigio” disse
con un leggero sorriso che gli incorniciava il volto rugoso.
“E che significa? È un bene, no?”
“Basta pensare che il bianco è il colore della
purezza” si spiegò. “Ovviamente,
più una persona è buona, solare, generosa,
più i suoi colori saranno luminosi, calorosi. Più
una persona è cattiva, triste o perversa, più i
suoi colori saranno scuri”
“E il grigio?”
“Il grigio è il colore della stabilità,
dell’equilibrio e della saggezza. È un colore
molto sensibile e raffinato il grigio, solo poche persone sono
così eleganti e nobili da possederlo nella loro
aurea”
Questo spiegava perché Gabriel ce l’avesse, il
grigio.
“Hai mai conosciuto Mortimer?” la domanda le
uscì involontaria. “Dark Threat”
aggiunse la ragazza a mo di spiegazione.
Il viso dell’uomo si oscurò.
“Sì che l’ho conosciuto, ho avuto la
sfortuna di imbattermi un giorno sul suo cammino”
“E com’era la sua aurea?”
Rebecca, Rebecca, da
dove viene questa tua perversa ossessione per tuo padre?
Rebecca notò che Salazar contrasse la mascella e
s’irrigidì. “Molto
interessante”
“Io sono…” cominciò la
ragazza.
Si erano entrambi fermati in mezzo alla strada e stranamente non
c’era nessuno intorno a loro. Il cuore di Rebecca
cominciò a batterle velocemente nel petto. Salazar le era di
fronte e aveva uno sguardo impassibile, celava la sua impazienza sotto
quella figura rigida e diritta.
“Chi sei?”
“Sono sua figlia”
La mascella di Salazar parve spostarsi in avanti mentre serrava i
denti.
Rebecca si avvicinò a lui di un passo e sussurrò:
“E ora dimmi, di che colore era la sua aurea?”
Salazar ne rimase profondamente colpito. “Nera. Come la
tua”
“Tu lo sapevi?”
“Non sapevo che foste imparentati”
“Dannazione! Lo sanno tutti! Era mio padre”
sibilò con rabbia Rebecca. “Ecco perché
hai cercato di leggermi nella mente: non capivi cosa ci
collegasse”
Salazar alzò il mento, per nulla intimorito. “Tu
non sei cattiva come tuo padre ma il colore e la forza che emani ti
fanno assomigliare moltissimo a lui”
“Pensi che ci possa essere una
possibilità…” dirlo ad alta voce era
molto peggio che pensarlo. “…che io diventi come
lui?”
Salazar ridusse gli occhi a due fessure. “Sicuramente
metà del suo patrimonio genetico è racchiuso in
te”
“Non posso essere punita per i suoi peccati, non è
colpa mia se, portandosi dietro metà inferno, una parte
l’ha lasciata a me”
“Tu stai sfidando il destino, ragazza”
“Detesto quando mi dicono che il mio destino è
già stato scritto” ribattè lei con
freddezza.
“A volte le persone si incazzano quando le cose non vanno
come desiderano, bestemmiano e maledicono il destino ma quando arriva
la fine non resta che mollare”
Quando arriva la fine
non resta che mollare.
Chissà perché quelle parole continuarono a
rimbombarle in testa. Era molto scossa, ma non lo diede a vedere.
Quell’uomo parlava per aforismi e su di lei avevano un grande
effetto.
La ragazza continuò per la sua strada. Riconobbe la via
principale dalla quale era arrivata. Senza che il suo protetto le
dicesse niente si avviò verso il portone. Presto sarebbe
uscita da quell’assordante villaggio. Una farfalla le
svolazzò attorno e lei la scacciò via muovendo
fastidiosamente le mani. Si era irritata, lo sapeva, non era un gran
bel giorno.
Salazar l’affiancò. Lei lo guardò
malissimo.
“Comunque, come facevi a non sapere che era mio
padre?”
Era?
O sarebbe meglio dire:
“è”?
“Ultimamente sono stato impegnato, ho viaggiato molto e mi
sono perso le ultime notizie”
Arrivarono al portone e le stesse guardie di prima li fecero passare
per uscire. Riconobbero Salazar ma, stranamente, invece di salutarlo o
inchinarsi si limitarono a fissarlo, impassibili e leggermente
distaccati, come se stessero osservando qualcosa di pericoloso, temuto
e sconosciuto. Rebecca sapeva bene che certi umani guardavano la magia
come un qualcosa di oscuro, più forte di loro e dannatamente
indomabile.
A lei invece le guardie riservarono un trattamento ben diverso: fecero
un profondo inchino e quando rialzarono la faccia le sorrisero in modo
un po’ troppo invadente. Se solo avesse potuto si sarebbe
girata e avrebbe vomitato.
“A chi lo dici” sbuffò la ragazza.
“Questo mondo è un casino, possibile che Dio non
esista qui?”
C’aveva pensato molte volte: Dio esisteva? E, se esisteva,
perché non aiutava quel pianeta soffocato dal Male?
Lei era un angelo, tecnicamente era una Sua inviata. Possibile che Lui
non ci fosse?
Alla fine arrivò alla conclusione che forse non esisteva
affatto. Altrimenti non ci sarebbe stata lei ad eseguire tutti i Suoi
compiti.
Tutto un tratto Salazar la bloccò per il polso. Rebecca si
irrigidì a quel contatto e tolse immediatamente la mano.
“Non sei ancora riuscita a superarla” la
guardò con un’espressione triste.
Aveva perso il filo del discorso. Un attimo.
“Non so di cosa stai parlando. Ora, se non ti dispiace vorrei
teletrasportarci a casa” Rebecca scostò la testa
per non incontrare i suoi occhi.
“La morte di tuo padre ancora non ti fa dormire la
notte”
Rebecca arrossì di rabbia.
Come si permetteva?
Lei aveva ucciso suo padre, se solo non avesse voluto ucciderlo non
l’avrebbe fatto. La morte di Mortimer era stata una sua
responsabilità e non si vergognava, né tantomeno,
si dispiaceva.
Era qualcos’altro che la teneva sveglia la notte. Qualcosa
che stava cercando disperatamente di tenere nascosto al mondo intero.
Non gli disse ciò che pensava. Lo scrutò con uno
sguardo impassibile e quasi lo incenerì con gli occhi.
“Ti sbagli”
“Allora perché continui a soffrire in questo modo
se la morte di tuo padre la desideravi e il matrimonio con Gabriele
dovrebbe essere una gioia?”
Rebecca trattenne la rabbia più forte che potè e
strinse i pugni lungo i fianchi.
“Io non soffro”
“Strano, quando guardo i tuoi occhi è il dolore
che vedo, non la felicità”
“Gabriel,
provo tanto dolore” gli disse una notte.
“Non
è dolore, tesoro: è amore”
“Qualsiasi cosa sia non è affar tuo, razza di mago
ficcanaso” incrociò le braccia al petto, a dir
poco irritata. “Andiamo al mio villaggio?”
“Preferirei farla a piedi”
Rebecca strabuzzò gli occhi. “Stai scherzando,
vero? Saranno giorni di viaggio! Se hanno mandato me sarà
anche perché ho le possibilità di accorciare
questo maledetto viaggio!”
“Come vuoi” fece spallucce.
“Mago” lo ammonì lei, come se stesse
parlando con un demente. “Sbaglio o la tua dedizione consiste
nel coltivare la magia? Allora, per favore, lascia che sia la magia a
portarci a casa. Eviteremo giorni di cammino, fermate inutili e assalti
improvvisi. Non so te ma io sono abbastanza famosa e ricercata da
queste parti”
“Da chi sei ricercata?”
La ragazza boccheggiò, prese un bel respiro e fece finta di
parlare con un bambino duro di comprendonio, alla soglia dei suoi primi
perché. “Forse perché ho ammazzato il
più grande esponente del Male ora ho tutti i suoi seguaci
alle calcagna, no?”
Salazar sorrise. “E perché ti vogliono?”
Rebecca impallidì. Veloce, velocissima, arrivò a
capire dove il mago stava andando a parare. E prima ancora che potesse
rispondergli, o anche solo trovare la forza di mascherare le sue paure,
una vocina dentro di lei echeggiò ripetendole
all’infinito: lui sa.
Mi vogliono
perché, tutto sommato, non sono poi tanto diversa da loro.
Infondo, non sono poi
così buona.
“Mi vogliono per uccidermi, ovviamente. Che domanda
stupida” borbottò.
“Allora sarà meglio tornare a casa con il
teletrasporto” disse alla fine il mago.
Dentro di sé Rebecca tirò un sospiro di sollievo.
“È quello che ho detto io”
“Ce la farai?” domandò Salazar.
“Non ho mai provato con un’altra persona e nemmeno
da una distanza così lunga. Posso provare, mal che vada mi
farò male io”
“Non ti conviene fare una piccola pausa? A metà
strada? Conosco un posto, nel bosco, è perfetto”
“Ok, va bene” lo guardò di sottocchio.
“Ma non mi rompere le palle più del
dovuto”
Salazar rise, meravigliato. “Per tutti i cieli! Non sapevo
che avessi un linguaggio così scurrile! E anche un bel
caratterino, a quanto vedo”
“Sì, beh, ammetto di non essere il massimo del bon
ton” grugnì lei. “L’eleganza
l’ho mandata a quel paese nel momento in cui ho dovuto
impugnare una spada e indossare una tuta”
“Oh, non ti preoccupare! Io le ragazze le preferisco molto di
più così: sfacciate e piene di fuoco”
Rebecca si ripromise di raccontarlo a Gabriel. Sorrise, immaginando la
scena.
“Ce
l’hai fatta a portare il mago. Come è
andata?”
“Bene,
tornando a casa ci ha provato con me”
Le parve di vedere la faccia del suo ragazzo arrossire per il fastidio.
“Non sei un po’ vecchio per me?” lo
schernì la ragazza con un ghigno ironico.
Salazar schioccò le dita come un colpo di bacchetta magica.
“Non si è mai troppo vecchi, né troppo
giovani”
“Non voglio
morire, sono ancora troppo giovane”
“Non si
è mai troppo giovani per morire, Rebecca”
La ragazza scrollò il capo. Prese per mano il mago e
richiamò a sé la magia.
***
Se c’era una cosa che irritava Atreius più della
bontà d’animo era il ritardo. Ormai non sapeva
più come intrattenere il tempo, al castello.
All’inizio era stato entusiasta del piano ma ora la sua
felicità era stata tramutata in noia mortale e
passività. Pensava che la sua
“sorellina” sarebbe arrivata prima, sperava che suo
padre fosse riuscito a tornare, che la sua solitudine fosse stata ben
presto sostituita da un nuovo, oscuro, quadretto famigliare.
“Signore” la guardia entrò nella sua
camera senza bussare, cosa che lo irritò non poco.
“Che c’è?”
Per fortuna la guardia non poteva vederlo in faccia altrimenti avrebbe
capito l’errore madornale che aveva appena commesso. Atreius
socchiuse le palpebre e guardò il sole tramontare dalla
ristretta fessura dei suoi occhi, dando liberamente la schiena alla sua
guardia.
“Sono stato informato da…”
“Avanti, parla” disse Atreius in malo modo.
Inconsciamente la guardia indietreggiò. “Ancora
nessuno sviluppo, sono desolato”
Il ragazzo dovette tenere a freno la rabbia. Appariva disinteressato,
calmo e impassibile ma dentro di sé urlava, scalciava e
fremeva per l’impazienza.
Con quello che gli parve il giusto tono di voce, congedò la
guardia.
Da dietro la colonna in legno del suo grande letto a baldacchino
comparve la testa tonda e squamosa di Vezzen, suo ormai fidato
tirapiedi.
“Oh signore, mi dispiace!” sembrava veramente in
pena per il suo giovane padrone.
Atreius si liberò del mantello e sospirò. Per un
breve istante pareva essere tornato il solito ragazzo insicuro e vivace
di un tempo. “Non ne posso più, Vezzen. Dico sul
serio. Sto facendo del mio meglio per gestire questo inferno in attesa
che ritorni mio padre con mia sorella ma…”
strizzò gli occhi per la stanchezza. “Se non
dovessero tornare?”
“Ritorneranno, ne sono sicuro” si
avvicinò lentamente zoppicando, stringendo tra le mani uno
straccio vecchio e macchiato. “Dobbiamo solo avere un altro
po’ di pazienza”
“È solo che pensavo che mio padre fosse
più forte, ecco” disse, fissando il cielo dalla
finestra aperta.
“Vostro padre è
forte” lo corresse Vezzen, poi
abbassò gli occhi. “Solo che vostra sorella
è ancora più forte” disse con
imbarazzo.
Vezzen sussultò nel sentire la risata forte e cristallina di
Atreius.
“Chi l’avrebbe mai detto?” gli occhi di
Atreius brillavano. “Rebecca si è dimostrata
imprevedibilmente un osso duro. È io che pensavo che fosse
un semplice angelo troppo ingenuo ed inesperto, ero convinto che ci
sarebbe cascata subito. Devo ammettere invece che è
dannatamente furba e dotata” esclamò con una
profonda nota di ammirazione.
A Vezzen sembrò di scorgere qualche altro sentimento nella
voce di Atreius, oltre che all’ammirazione, ma non ci fece
caso. Non gli era concesso sapere più del minimo
indispensabile, né fare troppe domande, anche se ultimamente
il suo padrone si era confidato sempre più spesso con lui e
Vezzen non poteva che esserne onorato, appagato.
“Ma signore, secondo lei, quanto dovremmo
aspettare?”
“Conosco mia sorella abbastanza per poter affermare in tutta
onestà la sua debolezza verso il lato oscuro. Siamo molto
simili, per certi aspetti. Avrà fatto parecchie storie
all’inizio, la sua forza addirittura potrebbe essere stata
maggiore di quella di Mortimer, sicuramente l’avrà
sottomesso, eclissato. Ma mio padre deve aver cambiato tattica con lei,
ecco perché ora sta cedendo. Ecco perché entro
breve tornerà qui strisciando”
“E il consiglio?”
Il ghigno di Atreius fu spaventoso. “Gli ho scacciati, quegli
incompetenti. Avevano un unico compito: quello di servire mio padre
nella sua rinascita, ma hanno miseramente fallito. Non sono stati in
grado di fare niente. Niente! Oltre ad essere stati tremendamente lenti
ed esasperanti cominciavano a chiedere troppo: troppo potere, troppa
attenzione, troppi privilegi. Cosa penserebbe mio padre se, tornando,
venisse a sapere che ho diviso il nostro potere con una congrega di
maghi incapaci? Sicuramente, come minimo, mi diserederebbe”
“Quindi…”
“Quindi ho dovuto affidarmi ad un uomo. In realtà,
questa persona, è un vecchio amico di famiglia, si
è gentilmente offerto di tenere d’occhio la
ragazza e di mandarci costantemente un resoconto piuttosto
soddisfacente. Forse lo conosci, si chiama
Heidger”
Le orecchie di Vezzen si fecero diritte e attente, come quelle dei cani
in ascolto. “Oh sì, sì, che lo
conosco”
“Gli ho chiesto di fare le cose in assoluta segretezza e
finora non è mai stato scoperto. Davvero ammirevole,
quell’uomo. Non capisco solo una cosa, come mai mio padre lo
cacciò?”
“Heidger si era fatto troppo pericoloso”
“Pericoloso?” chiese il ragazzo inarcando il
sopraciglio.
“Nel senso che, con tutto il potere accumulato e il prestigio
offertogli dal signore, divenne pretenzioso, arrogante, feroce. Vostro
padre lo bandì per sempre dalle sue terre nel momento in cui
Heidger tentò di ucciderlo, molti, molti anni fa, prima che
voi nasceste”
“Non sapevo queste cose” disse il ragazzo sedendosi
sul suo letto e stravaccando le gambe. Mise le braccia dietro la testa
e si sistemò meglio tra i cuscini. “Come mai
tentò di ucciderlo?”
Vezzen lo guardò, come se il motivo fosse ovvio.
“Perché voleva il suo potere. Ve l’ho
detto, era diventato troppo affamato di gloria. Io me le ricordo le
liti che scatenava e gli atti che faceva in pubblico, era matto, dico
sul serio”
“Era così potente?”
“Beh, era a capo dell’esercito di Dark
Threat”
“Uhm…” Atreius si leccò le
labbra. “Abbiamo a che fare con un generale ben
addestrato”
Vezzen rimase in silenzio e poi fece per chiedere qualcosa ma
arrossì furiosamente. “Signore,
come…c-come avete fatto a ripescarlo dal suo esilio? Se non
sono troppo invadente”
Gli occhi grigi e freddi del ragazzo si posarono sul servitore. Alcune
volte era difficile capire cosa stesse pensando Atreius, era
così misterioso…
“Quando ho chiesto a quell’idiota di guardia di
trovarmi qualcuno di valido per controllare Rebecca ha pensato bene di
organizzarmi un incontro con lui. Evidentemente sapeva della sua
esperienza, tutti lo sapevano, per questo la maggior parte mi ha
appoggiato in questo piano. Ignoro, comunque, dove si trovasse prima di
essere richiamato”
“E quando la ragazza arriverà al
castello…lei…”
Di colpo Atreius di mise seduto. “Mi aspetto che le
riserviate un trattamento speciale, degno di una regina”
Vezzen annuì immediatamente e con vigore. “Certo,
era ovvio!”
Il ragazzo si morse il labbro inferiore.
“Lei…spero solo che arrivino in fretta”
concluse leggermente impacciato.
“Sì signore, lo speriamo tutti. Abbiamo investito
molto in queste speranze”
“Non ti preoccupare Vezzen, presto saremmo come un tempo,
molto presto ritorneremo alle antiche glorie e nulla potrà
fermarci. Potremmo vantare di avere un trio formidabile”
ghignò.
“E l’angelo Gabriele, mio signore? Ho sentito che
lui e la ragazza sono…” sembrò cercare
le parole giuste. “…intimamente legati”
Atreius gli scoccò un’occhiata gelida.
“Se mio padre riuscirà a portarla dalla nostra
parte, allora vedrai che non le interesserà più
quello smidollato”
Vezzen non aveva mai visto il suo padrone infervorarsi in quel modo per
una persona. Colpito da tanto rancore sbattè le palpebre,
impaurito. “S-Sì, certo, come ho fatto a non
arrivarci prima?” fece un sorriso tirato.
Atreius sbuffò e ritornò ad affacciarsi alla
finestra. “Gabriel si ritroverà da solo contro
tre, sarà la sua fine e con lui moriranno per sempre quegli
sdolcinati ideali di pace e di bene che mi fanno venire la nausea, se
non il diabete addirittura”
Vezzen era molte cose (alcune cose erano imbarazzanti per la loro
semplicità) ma non era stupido. Sapeva dare un nome al
sentimento impetuoso e violento che il suo padrone provava ogni qual
volta si facesse il nome di Gabriele. Anche ora, guardandolo dal letto,
giurava di vederglielo stampato in faccia.
Ne era sicuro: era gelosia.
***
“…ma
ci sono veleni che non permettono alla vittima di guarire. Alcuni
veleni, infatti, vengono trasmessi nel sangue della vittima senza che
lei se ne accorga e il loro effetto non sempre è visibile
sotto chiare manifestazioni di sintomi. I veleni oscuri, per esempio,
erano in voga nei primi anni ed erano usati da potenti stregoni o
creature infernali per poter dar vita a nuovi gruppi o seguaci:
è noto come il veleno che non uccide corrompe
irrimediabilmente l’animo di una persona. Un tempo, le
tenebre, si servivano di questi veleni per affiancarsi di seguaci,
costringendoli ad abbandonare la via del Bene
per…”
Il libro cadde pesantemente dalle mani rigide di Denali facendo un gran
rumore. Il suo tentativo di passare inosservato fallì
miseramente. Sulla soglia della porta, appoggiata allo stipite,
c’era Rosalie che lo guardava torva.
“Che stai facendo? Ti ho cercato per tutta la casa”
Denali raccolse il libro e lo tenne stretto tra le mani.
“Avevo voglia di leggere un po’”
La ragazza aggrottò la fronte. “Ma per piacere,
Denali. Sappiamo tutti e due che non entri mai in questa stanza: tu odi
leggere” diede un’occhiata cupa alla piccola
biblioteca.
Schioccò la lingua e tenendo le braccia incrociate al petto
raggiunse il suo compagno che era rimasto fino a quel momento in piedi,
rigido come un palo di legno.
“Che cosa stavi leggendo?” Rosalie
allungò il collo per sbirciare la copertina. Il titolo era
nascosto dalle grandi mani di Denali e lei non riuscì a
leggerlo. “Avanti, fai vedere”
Molto infastidito il ragazzo spostò le dita e le permise di
leggere il titolo. Subito la ragazza alzò la testa per
incontrare i suoi occhi, pareva curiosa.
“Come mai ti interessa? Nessuno è stato
avvelenato” poi aggiunse, lentamente: “Che io
sappia”
Con uno sbuffo Denali lo rimise al suo posto, sullo scaffale
impolverato. La scritta in oro saltava agli occhi rispetto agli altri
libri vecchi e anneriti. “Rimedi
efficaci contro ogni tipo di veleno o droga”.
Denali gli lanciò un’ultima occhiata prima di
incamminarsi verso l’uscita. Non sentì i passi di
Rosalie che lo seguivano e si voltò a guardarla: stava
ancora fissando quel libro e sembrava triste, preoccupata.
Denali sentì lo stomaco contorcersi spiacevolmente.
Rosalie teneva lo sguardo basso, ora. “Mi stai nascondendo
qualcosa?” chiese, cercando di dare un po’ di voce
al suo tono debole.
Gli dispiaceva vederla così.
Dio, faceva così male…
“No, certo che no. Perché dovrei?”
Denali era bravissimo a mentire.
All’inizio Rosalie aveva giudicato questa sua
capacità affascinante, aveva il potere di confonderla,
piacevolmente. Ora però ne provava timore, paura. Non erano
più ragazzini, adesso lei era una madre, era adulta. E lei
voleva soltanto delle sicurezze, non più delle bugie.
“In questi ultimi mesi sei diverso” le
tremò la voce. “Alcune volte mi sveglio durante la
notte e tu non ci sei, il posto accanto a me nel letto è
vuoto. Allora mi alzo e vengo a cercarti, e ti ritrovo qui”
con una mano toccò lo scaffale. “Leggi, sembri
concentrato, attento, sfinito, ma appena il giorno dopo ti domando
qualcosa…mi racconti una bugia”
“Sto solo facendo delle ricerche” disse con
innocenza.
La ragazza fece una smorfia. O era un sorriso?
“Sì, certo”
“È la verità”
sussurrò Denali in un soffio.
“Sei malato?”
“Oddio, no che non sono malato” stancamente si
strofinò la fronte con la mano, aveva un tremendo mal di
testa. “Lo so che al momento ti sembrerà strano ma
ho bisogno che tu ti fida di me”
Rosalie avvampò e con un gesto violento si portò
le braccia al petto stringendo la vestaglia. “Fidarmi di te?
Ho solo bisogno di sapere se quello che stai facendo è
qualcosa di brutto o no!”
“No” scosse la testa. “Io sto
solo…”
La magia lo bloccò. Non poteva parlare.
Rosalie lo vide ammutolire e fece un sospiro esausto. “Stai
aiutando qualcuno?”
Il ragazzo annuì, troppo in colpa per guardarla in faccia,
vergognoso dei suoi segreti, del suo modo brusco e freddo.
Rosalie gli fu vicina e gli prese il viso tra le mani. Lo costrinse a
guardarla negli occhi e Denali, perso nei suoi occhi blu, smise di
respirare. Lei lo baciò teneramente, in punta di piedi.
“Ti chiedo solo di stare attento, ok? Io mi fido di
te” lo baciò ancora, più profondamente.
Denali strinse le mani sui suoi fianchi e strizzò gli occhi
fino a farsi male.
Ci sono veleni che non
permettono di guarire.
Trasmessi nel
sangue…
Ciò che non
uccide corrompe l’animo.
Servono ad alimentare
l’odio, costringendo ad abbandonare la via.
***
Un vento di polvere ed erba si alzò a spirale non appena
Rebecca toccò il suolo con il teletrasporto.
L’onda magnetica, in realtà, non era stata causata
dal teletrasporto quanto piuttosto dall’intensità
dei suoi poteri. Salazar rimase ancora aggrappato a lei per il braccio.
“Come sapevi che volevo portarti qui?”
Rebecca inarcò le sopracciglia. “So leggere nel
pensiero, sai?” si guardò ammirata le mani, come
se si aspettasse di veder comparire un enorme magia.
Elegantemente mosse un dito all’altezza del suo collo e la
sua divisa da viaggio lasciò il posto ad un paio di comodi
jeans e ad una felpa bianca con il cappuccio peloso color caramello. Un
paio di scarpe basse sostituirono gli stivali. Fece un movimento
circolare del collo e i lunghi capelli si raccolsero in una crocchia
composta. I ciuffi ribelli che le incorniciavano il viso la rendevano
ancora più bella e graziosa.
“Questa…” disse Rebecca indicandosi i
vestiti. “…è la nostra moda, Salazar. I
terrestri hanno uno stile diverso per ogni tipo di occasione”
sorrise.
Il mago sembrava accigliato. “E questa che occasione
sarebbe?”
“Jeans e felpa: per stare semplici, comodi e al caldo. Non
vedo perché dovrei indossare quella specie di tuta da sub,
ora non sono mica in campo di battaglia. Adoro Chenzo, veramente, ma in
fatto di vestiti non ci sapere proprio fare”
“Noi non abbiamo bisogno di impressionare nessuno”
borbottò Salazar lisciandosi la veste.
“Anche questo è vero!” disse Rebecca
puntigliosamente con il dito. “Ma dopo anni che indossi i
jeans fai fatica a perdere il vizio di portarli sempre, sia benedetta
la persona che gli ha inventati”
“Sembri diversa”
Rebecca sorrise e ciondolò sul posto. “Mi sento
diversa”
“Sembri più…”
esitò. “…umana”
Rebecca scoppiò in una risata. “Mi conforta
tornare alle origini ogni tanto”
“Già” bofonchiò il mago.
“Non pensavo che al primo colpo sarei stata in grado di
teletrasportare entrambi” ammise la ragazza, incamminandosi
per stare dietro al mago.
Salazar si stava addentrando nella foresta.
“Io non avevo dubbi”
“Io ne ho avuti, un po’,
all’inizio”
“Sono molto stanco”
“Mi dispiace, questo tipo di magia attinge la forza dalle
energie di chi è dentro il raggio. Ho cercato di fare in
modo che non la prendesse dal tuo corpo ma evidentemente è
stato necessario per la lunghezza del tragitto che abbiamo
fatto”
“Mi sembra che tu stia bene” non era una domanda.
“Beh, sì, diciamo che mi tengo sempre allenata,
ogni giorno. Ormai raramente mi ritrovo senza forze o senza energia.
Sono diventata una specie di pozzo senza fondo, non so quanto mi possa
far piacere” rise lei.
Sembri più
umana.
Rebecca si adombrò e tossì. “Dove
stiamo andando?” schivò un ramo che
rischiò di colpirla in testa. “Possibile che passo
più tempo in mezzo alla foresta che non tra la
civiltà?”
Il mago rise. “Cosa pretendi di trovare qui? Praticamente
viviamo in un’enorme foresta, è come se la
vegetazione ricoprisse l’intero pianeta”
“Non esattamente: il terreno dove sorge la fortezza di
Mortimer è deserto”
“Sì…” la guardò
incerto. “Ma dopotutto là è impossibile
che una creatura riesca a trovare un modo per poter vivere. Intorno a
quelle lande desolate non c’è
nient’altro che morte”
Ma non era alla morte che Rebecca pensava quando ricordava casa, semmai
l’immenso potere e grandezza che si ergevano intorno ad essa.
Se ricordava casa.
Casa.
Non si era accorta neppure di aver pensato a quel luogo come ad una
casa. Alla sua casa. Si portò una mano sul cuore, nella
speranza di calmarne i battiti, di guarirlo dalle profonde ferite, di
pulirlo dal veleno. Si rese conto con stupore che non batteva. In preda
al panico premette più forte la mano contro il petto e
bloccò i suoi passi. Salazar si voltò a
guardarla.
“Che stai facendo?”
Rebecca si accorse che era tutta sudata in fronte, mentre cercava
disperatamente di sentirsi i battiti. Tastava e continuava a spostare
la mano. Alla fine lo sentì, un lieve e debole battito le
batteva contro il petto nel punto in cui il palmo della sua mano
premeva. Tirò un sospiro di sollievo.
Quando i suoi occhi incontrarono quegli allarmati di Salazar si
sentì mancare il respiro.
“Come?”
“No, stavo dicendo, che stai facendo? Perché ti
sei fermata? E perchè ti colpisci il cuore con la
mano?”
Rebecca scoppiò in una risata ma sembrò
più un urlo agonizzante. “Ah! Mi è
successa una cosa incredibile! Pensavo di avere un insetto schifoso
dentro la felpa” mostrò i denti in un sorriso
troppo tirato.
Salazar indicò la sua fronte.
“Sei tutta sudata”
Con un gesto brusco la ragazza si asciugò la fronte
imperlata di sudore. “Odio gli insetti. Ora continuiamo,
abbiamo già perso troppo tempo”
Continuarono per altri diversi minuti e poi Salazar le fece cenno di
fermarsi. Sembrava tranquillo, a suo agio, come se quei posti lo
confortassero, o anche solo lo facessero sentir bene. Si sedette
accanto ad un grosso albero e appoggiò la schiena contro la
dura corteccia. Rebecca osservò il paesaggio intorno,
stizzita e un po’ infastidita, non ci trovava niente di
confortante. Era solo una foresta, con degli alberi e un placido
ruscello azzurro. La foresta che circondava la sua casa era decisamente
molto più bella: con quella cascata e lo specchio
d’acqua.
“Che stai facendo?” il tono che le uscì
era acido, non lo fece apposta.
Imbarazzata, incrociò le braccia al petto e si diede
un’aria austera.
“Mi riposo, sua altezza. Sono stanco, non ho più
il fisico di una volta” le rispose, come se stesse parlando
con una bambina.
Rebecca sbuffò a quel “sua
maestà” e bofonchiando si sistemò
vicino a Salazar, attenta comunque a mantenere le giuste distanze da
lui. La inquietava, quell’uomo. E non capiva, inoltre, come
facesse ad essere stanco se neppure aveva camminato.
Cominciò a strappare con un po’ troppa foga le
erbacce che le stavano attorno. Stava per strappare un fiore dal suo
lungo gambo quando una mano la fermò.
La ragazza alzò lo sguardo e incontrò gli occhi
quieti del mago.
Lui le sorrise dolcemente. “Non farlo, non strapparlo. Non ti
ha fatto niente”
Con riluttanza Rebecca tornò al proprio posto, lanciando
delle occhiatacce a Salazar che lui prontamente ignorò.
“Non ti capisco” esclamò ad un certo
punto.
“Cioè?” domandò lui, con
calma.
“Come puoi passare una vita così: da eremita? Come
puoi stare a guardare le persone che ti fanno male senza reagire? Dopo
tutta la cattiveria di questo mondo come fai a mantenere la calma? A
far finta che tutto vada bene?” parlò serrando i
denti. “Anche ora, qui, con me. Ti stai rendendo cieco,
ecco”
Salazar non era stupito. Osservò con amore il bastone bianco
stretto tra le sua mani. Era davvero molto vecchio,
molto…vissuto. “Secondo te sono cieco?”
“Sto solo dicendo che non tutto è come
sembra” gesticolò con le mani.
“Stai cercando di mettermi in guardia da qualcosa,
ragazza?”
Il suo tono di voce le mise i brividi. Mantenne uno sguardo basso e
indifferente. La magia stava già premendo contro i suoi
tentativi di svelargli la verità. Una forza oscura le
impediva di parlare, quando si trattava di quel segreto. E
anche suo padre poneva resistenza, l’aveva sottovalutato.
L’aveva sempre
sottovalutato.
Come aveva fatto a sottovalutarlo?
Da quanto tempo aveva abbassato la guardia?
L’unica cosa positiva, in tutto questo, era che Mortimer
aveva smesso da tempo di parlarle frequentemente. Di rado si
intrufolava nella sua testa per esprimere i suoi commenti o le sue
opinioni sprezzanti.
“Da tutto ciò che ci circonda. Dopotutto non
è un caso se io sono qui e tu sei qui con come. Ci servi,
servi al mio villaggio per capire cosa stanno tramando al
castello”
“E cercherò con tutto me stesso di soddisfare le
vostre aspettative”
“Già” mormorò.
“Non mi sembri entusiasta”
Dovrei esserlo?
Prima regola: evitare di dire la prima cosa che viene in mente.
“Non vedo perché dovrei esserlo. Ti porto al mio
villaggio per consegnarti a Bastian, dopodichè io
avrò portato a termine la mia missione. Io non centro niente
in tutto questo” abbassò gli occhi troppo in
fretta e lui se ne accorse.
Seconda regola: dire meglio le bugie.
Salazar scrollò le spalle. “Pensavo invece che ti
interessasse sapere cosa sta accadendo”
Idiota, lo so
già!
Terza regola: moderare il linguaggio.
“Bastian me lo dirà”
Il mago assunse un’espressione seria, reverenziale.
“Non capisco se questo tuo disinteressamento alle sorti del
mondo derivi proprio da un tuo freddo menefreghismo o dalla
consapevolezza di sapere già cosa ci aspetta”
A quelle parole Rebecca scattò in piedi. “Come ti
permetti? Mi stai accusando?”
“In realtà ho spiegato due possibili cause del tuo
comportamento, se tu ora stai parlando di accusa vuol dire che la
seconda osservazione era quella giusta” la sua voce era come
sempre calma, pacata ma questa volta aveva anche
un’incrinatura velenosa.
Rebecca rimase a bocca aperta, senza più parole.
“Tu non sai niente. Non sai niente di me”
sibilò, e strinse i pugni con tanta forza che
sentì le unghie entrarle nella pelle.
Anche Salazar si mise in piedi. Nessuno rideva più. Mentre
si preparavano a fronteggiarsi un pesante gelo si abbatté su
di loro. L’intera foresta parve rabbrividire di freddo.
“Sin da quando sei arrivata a casa mia ho sospettato che
c’era qualcosa di strano, di inquietante in te. Speravo che
non fosse così” sembrava deluso, più
che spaventato.
“E come sarebbe?”
“I tuoi continui cambiamenti d’umore mi hanno
insospettito: il tuo viso dapprima felice si trasformava di punto in
bianco in una faccia minacciosa, terrificante. E lo stesso vale per il
tuo sorriso, il colore degli occhi, la voce”
“Osservazione molto arguta” ghignò.
“E poi quando ho visto la tua aurea, così simile a
quella di tuo padre, non ho potuto non accorgermi quanto, una parte di
te, chissà quale, assomigliasse a loro”
“Loro?”
“Le creature delle tenebre, e non parlo di quei mostri
deformi, stupidi e brutti. Mi riferisco ad angeli neri, demoni che
controllano gli elementi, vampiri, draghi antichi e altre bestie dotate
di una spietata intelligenza. Non tutte le divinità sono
buone, alcune scelgono il Male, pur restando degli dei. Tu sei come
loro, sei bella e affascinante come loro”
Rebecca tremò. Quando qualcuno la minacciava o la metteva in
pericolo, la parte irrazionale, cattiva e latente di lei veniva fuori.
E succedeva sempre così. Con prepotenza esplodeva,
schiacciando la ragazza buona che c’era in lei.
“Se lo sapevi, perché non hai fatto niente per
fermarmi? Perché non mi hai uccisa? Ti saresti risparmiato
questo banale tentativo di farmi ragionare”
Salazar indietreggiò, sconvolto. Praticamente Rebecca aveva
appena ammesso ciò che lui sospettava. Ora, poteva avere
paura di lei.
“In realtà speravo di arrivare prima al tuo
villaggio, per smascherarti” tanto valeva dire la
verità fino alla fine.
E per fine, intendeva proprio la sua fine.
Rebecca sentì la rabbia montarle dentro, come una vampata di
fuoco che le fece tremare i muscoli e incendiare il sangue nelle vene.
Questo proprio non l’avrebbe permesso.
“Non te lo permetterò, loro non devono
sapere”
“Loro potrebbero aiutarti” le disse il mago, con
una tale compassione che, invece di calmarla, la fece imbestialire
ancora di più.
“Ti sembro malata? Ho qualcosa che non va? Mi credi pazza? Ti
sembra che io abbia bisogno del loro aiuto?”
sbraitò, facendo scattare il corpo in avanti come se volesse
attaccare. “Non ti sei chiesto che, forse, è
questo ciò che voglio?”
“Vuoi davvero diventare come tuo padre? Vuoi davvero condurre
una vita vuota, solitaria e infelice? Rinunceresti per sempre
all’amore del tuo ragazzo, all’affetto della
gente?” era incredulo, Salazar non capiva come lei potesse
accettare un tale prezzo in cambio del potere.
Lei ringhiò. “Quello che voglio è un
po’ di riconoscimento! Devono rispettarmi, non trattarmi come
una bambina piccola”
“Ma dovrai dire addio a coloro che ami, ne saresti
disposta?”
“Non ti sei chiesto che magari è questo il mio
destino? Sono nata da due angeli purosangue e mio padre è il
signore delle tenebre, in me scorre il suo sangue! Sono nata per essere
come lui, era inevitabile, sono una macchina da guerra! Sono nata per
questo, per fare questo!”
“Ma puoi sempre non seguire le orme di tuo padre!”
esclamò con esasperazione il mago. “Non devi per
forza seguire la via del Male!”
Rebecca ora appariva svuotata, gli occhi presero a luccicarle.
“Non capisci? È l’unica strada che posso
intraprendere” mormorò con voce rotta, senza
speranza.
“No! Non è vero!” gridò
Salazar, fece per avvicinarglisi con le braccia tese, pronto per
abbracciarla, quando lei lo bloccò alzando le mani.
“Per favore…” piagnucolò. Era
ritornata la solita ragazzina, bella e fragile. Salazar
sentì il cuore spezzarsi dal dolore e dalla compassione.
“T-Tu non capisci…è impossibile per me
tornare indietro, posso solo accettarlo, andare avanti”
“Ti posso aiutare”
“Come?” si accigliò, un briciolo di
speranza baluginò nei suoi occhi vitrei e cupi.
“Vieni con me, torniamo a Primo e vedrai che
riuscirò a guarirti”
Rebecca si nascose il volto tra le mani. “Nessuno
può aiutarmi…”
“Qualcosa mi inventerò! Te lo prometto”
le disse e allungò una mano verso di lei. “Prendi
la mia mano e fammi contento, salverai te stessa e milioni di
innocenti”
Per un attimo la ragazza osservò quelle mani, erano
invitanti, le offrivano la libertà, la pace
dell’anima. Ripensò a quello che aveva detto e la
verità delle sue stesse parole la fece stare ancora
più male. Una parte di lei voleva il potere, voleva essere
forte come suo padre. Non sapeva più che fare. Poi,
tutt’un tratto, l’immagine di un volto sereno le
comparve nella mente.
Gabriel.
Staccò una mano dal suo viso e la mosse verso quella di
Salazar.
Tutto successe improvvisamente, troppo velocemente perché
lei potesse capirne il senso. La voce allarmata di suo padre
urlò; vide la propria mano tirarsi indietro; il viso di
Salazar impallidì; sentì la rabbia di poco prima
tornarle in corpo più forte che mai; gli occhi cambiarono
colore.
Non si rese neppure conto che la sua mano, a velocità
disumana, era saettata attorno all’elsa della sua spada e che
ora la stringeva con rinnovata ferocia. Nella foresta, una lama
sferzò l’aria.
***
Uff, troppo difficile terminarlo... :)
sono sempre stata impegnata e la voglia o l'ispirazione non c'erano!!!
Ringrazio tutti quelli che mi seguono, cioè, veramente,
grazie..
Non ho tempo (mi dispiace) per rispondere o dare dettagli del prossimo
capitolo,
me ne vado lasciando la promessa di aggiornare il prima possibile!!
Buone vacanze a tutti, un bacio..
Il prossimo capitolo: "LA
RIVOLTA DI ARES"
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=299595
|