Trust Me di DalamarF16 (/viewuser.php?uid=98962)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rise Again ***
Capitolo 2: *** Solo 48 ore ***
Capitolo 3: *** AVVISO: ***
Capitolo 4: *** Ritorni - Parte I ***
Capitolo 5: *** Ritorni - parte II ***
Capitolo 6: *** Ricordi ***
Capitolo 7: *** Attesa. ***
Capitolo 8: *** liquirizia ***
Capitolo 9: *** colpevole o innocente? ***
Capitolo 10: *** Famiglia ***
Capitolo 11: *** 22 ore. ***
Capitolo 12: *** Finzione o realtà? ***
Capitolo 13: *** What's next? ***
Capitolo 14: *** Ritorno a casa. ***
Capitolo 15: *** Fino alla fine ***
Capitolo 16: *** no more ***
Capitolo 1 *** Rise Again ***
cap1 recluta2
PERSONAL SPACE: Tremate, tremate, i vendicatori son
tornati XD
Ok, primo capitolo e già sto
delirando...andiamo bene! Dunque dunque...bentrovati e benvenuti, a
seconda che siate nuovi lettori o meno XD
Se siete già miei fedeli
lettori, allora saprete che questo è il seguito de: "la recluta", che
potrete trovare cliccando QUI , se siete nuovi...bè ora lo sapete
quindi magari cliccate XD
Riassunto delle puntate
precedenti, se proprio siete pigri:
Dopo i fatti di NY (The avengers),
Clint vive con il perenne senso di colpa di quello che ha fatto, e le
cose peggiorano quando tra i suoi allievi compare il figlio di uno
degli agenti che l'arciere ha ucciso mentre era sotto il controllo di
Loki; Natasha nel frattempo lo aiuta come può, tra una missione e
l'altra. In una di queste missioni viene scoperta catturata, e
torturata proprio dal suo obiettivo. Mentre Clint a NY decide di
raccontare la verità alla recluta, Tommy, Nat riesce a scappare e a
tornare negli States, dove si rifugerà, ferita e sconvolta, proprio da
Occhio di Falco, che dovrà mettere da parte i suoi sensi di colpa per
aiutare l'amica.
In suo aiuto interviene anche Capitan
America, che sarà fondamentale per la ripresa psico-fisica di Natasha e
del suo rientro alla piena operatività.
Lo sceicco, rapitore di Natasha,
riesce a vendicarsi catturando Clint: i vendicatori (e Tommy) si
troveranno così coinvolti in una missione di salvataggio. Qualcosa però
è successo: Clint ha problemi di visione. Mentre Tony Stark e Bruce
Banner cercano di capire come risolvere il tutto e far tornare Occhio
di Falco Occhio di Falco, Steve viene trasferito a Washington, dove
ritroverà Peggy Carter e farà la conoscenza di Sam Wilson.
Sì, la storia finisce all'inizio di
capitan america The Winter Soldier.
Questa era, in pochissime righe,
"la recluta", ovviamente se andate a leggerla scoprirete tutti i
dettagli, ma più o meno ora avete il background per leggere questa.
Nei primi 2-3 capitoli ci
muoveremo in contemporanea con The Winter Soldier, quindi ci saranno
dei pezzi che racconteranno molto brevemente il film, con l'aggiunta di
pensieri e riflessioni dei protagonisti, poi prenderà ovviamente una
sua trama, in un seguito ideali che allo stesso tempo cercherà di
spiegare cosa diamine stavano facendo gli altri vendicatori mentre lo
SHIELD veniva distrutto. E' la prima volta che mi cimento in una storia
del genere, qualche volta dilateò un po' i tempi, e me ne scuso, ma
proverò a essere il più fedele possibile, promesso!!
Mi son già dilungata anche
troppo quindi...vi lascio al primo capitolo. Buona lettura!!
RISE AGAIN
We were living separate
lives
With no room for
compromise
Falling down again
See you Rise Again
This is not the
end, my friend
Rise Again - The Rainband ft, James
Toseland
Tony Stark riguardò per l'ennesima volta i risultati delle analisi
sugli occhi di Clint Barton, incrociandole di nuovo con quelli
precedenti l'operazione che aveva tentato per ripristinargli la vista.
Tentato. Non diciamo stronzate. Era un'idea sua e le sue idee
funzionavano sempre.
Il nuovo controllo non era dettato da esigenze mediche, quanto da un
momento di puro autocompiacimento.
Tutti i valori erano rientrati nella norma e il cristallino aveva
riacquistato la sua naturale elasticità e trasparenza. Di fatto i
sintomi di Clint erano un misto tra una presbiopia (un irrigidimento
del cristallino di norma dovuto all'età) e un'opacizzazione dello
stesso, molto simile a una comune cataratta, con la differenza che non
era bastato un normale intervento correttivo a eliminarlo.
L'opacità aveva infatti la straordinaria capacità di riformarsi
praticamente nell'istante in cui veniva il cristallino veniva
sostituito da quello chirurgicamente innestato, rendendo di fatto
inutile l'intervento.
Alla fine Tony si era inventato un cristallino di un materiale che
aveva creato in laboratorio, completamente privo di elementi biologici
(aveva stabilito infatti che erano quelle le molecole che venivano
attaccate) e aveva di fatto effettuato un trapianto. Era stata
un'operazione complessa e delicata, con parecchi rischi di rigetto (a
detta dei medici, Tony non aveva dubbi di aver creato il materiale
antirigetto per eccellenza) e la possibilità della cecità assoluta
(“Meglio cieco che questa via di mezzo” aveva sentenziato Clint, quando
gli avevano elencato i rischi dell'intervento), ma alla fine era
riuscita.
E una volta risolto il problema principale, per eliminare
definitivamente la tossina dal corpo dell'arciere era bastato un
bombardamento a base di antibiotico.
Tony rimirò ancora una volta il suo capolavoro.
Nemmeno un valore sballato, e capacità visive ancora intatte.
Ed era finalmente il momento di liberare gli occhi di Barton dalle
bende che lo avevano tenuto al buio per i tre giorni successivi
all'intervento.
-Hai intenzione di toglierti quel sorriso compiaciuto dalla faccia?-
-Assolutamente no, Pepper. Sono un ingegnere, non un medico eppure
guarda: la perfezione-
Pepper Potts sorrise e scosse la testa, mentre gli porgeva un flute
riempito di costosissimo champagne. Tony lo prese delicatamente e il
cristallo toccò il suo gemello con un melodioso “plin”, in un brindisi
silenzioso alla riuscita dell'ennesima “invenzione” del miliardario.
-Pronto, Legolas?-
-Ma Occhio di Falco ti fa così schifo?- non potè fare a meno di
chiedergli di rimando l'agente steso sul lettino.
Finalmente il momento era arrivato. Clint faticava a trattenere
l'eccitazione, condita da un pizzico di paura. I medici che l'avevano
operato e Tony lo avevano rassicurato: la tossina era stata debellata e
tutto era tornato a essere nella norma, tuttavia non osava sperarci
davvero prima di vedere di persona (nel vero senso della parola) i
risultati. Come si suol dire: non aspettarti niente e non resterai
deluso.
-No, solo che non mi piace usare soprannomi che non ho inventato io-
-Mi scusi, signor Tolkien-
Tony intascò la sagace replica con un sorrisetto divertito, Clint ne
era certo: niente poteva scalfire il suo buon umore. Percepiva
distintamente che il miliardario era su di giri, sicuramente eccitato
all'idea di vedere i risultati delle proprie ricerche.
Barton era grato all'amico (Quando aveva iniziato a pensare a Tony
Stark come a un amico?), che si era dannato l'anima e aveva sacrificato
molte ore della propria vita per far sì che non perdesse l'unica cosa
che aveva: la sua vista.
Lo sentì armeggiare con le bende, che caddero con una lentezza che gli
parve infinita, un giro dopo l'altro, fino a quando anche l'ultimo
centimetro non fu nelle mani dello scienziato.
Ora tra lui e la verità c'erano soltanto due grandi cerotti
rettangolari bianchi.
Strinse i palmi, improvvisamente sudati, mentre il cuore prese a
battergli a mille. Uno sottile strato di tessuto e cotone lo separava
dalla sua intera vita.
-Legolas?-
-Eh?- si riscosse dal suono del suo cuore che sembrava volesse uscirgli
dal petto e si accorse di non aver sentito quello che gli era stato
detto
-Tieni le palpebre socchiuse, l'ambiente è quasi buio, ma ti darà
fastidio lo stesso, ok?-
-Sarò... subito in grado di vedere?-
-Sì, ma le prime ore non saranno piacevoli-
Clint annuì e fece un respiro profondo, mentre serrava le palpebre. Il
primo spiraglio di luce lo fece lacrimare, ma allo stesso tempo, quando
riuscì a tenere gli occhi aperti, lo avvolse il sollievo.
Poteva tornare in pista!
Aveva rovinato tutto. Di nuovo.
Era ufficiale. Natasha Romanoff nei rapporti umani faceva schifo.
Era tornata dalla missione di salvataggio degli ostaggi con il morale
sotto i piedi. Come sempre più spesso ormai accadeva, Fury le aveva
assegnato una missione segreta, il backup di tutti i database
contenenti informazioni su ogni singolo agente dello SHIELD, lei
inclusa ovviamente; l'unica differenza era che questa volta era stata
assegnata a una missione di salvataggio, e si era trovata a svolgere
una missione nella missione comandata da Steve Rogers.
Gli ordini sono ordini, si era detta quando, poco prima di partire,
erano rimasti soli per un attimo e lei aveva accarezzato per un secondo
l'idea di rivelargli il vero motivo della propria presenza su
quell'helicarrier. Aveva deciso di tacere, preferendo concentrarsi
sulla vita sociale del Capitano.
La missione non era stata esattamente una passeggiata: i soldati
presenti sulla nave avevano opposto una strenua resistenza, ma niente
che non fosse riuscita ad affrontare da sola.
Tutto era andato per il verso giusto, almeno fino a quando Steve non
l'aveva scoperta a trafficare con i computer di bordo della nave.
Mentre attendeva il completamento del trasferimento dei dati, aveva
cercato di spiegare a Steve che la missione del capitano era quella di
salvataggio, mentre la sua era quella di sottrarre quei dati.
A complicare le cose erano stati scoperti e la missione era quasi
andata a farsi benedire, così come quell'inizio di rapporto di amicizia
con Rogers, che da quando erano tornati a Washington a fatica le
rivolgeva la parola.
Non poteva nascondere, per lo meno a sé stessa, che la situazione le
pesava non poco. Se ne era sempre più o meno fregata di quello che la
gente pensava di lei, le importava poco o nulla perfino di quello che
pensava Clint. Era una spia, un'assassina provetta, un'arma micidiale,
con un passato costellato di omicidi compiuti a sangue freddo;
nonostante questo, da quando si era scoperta compromessa, aveva deciso
che voleva cambiare, e per una qualche malsana ragione di cui ancora
non si capacitava, voleva dimostrarsi degna della fiducia e
dell'amicizia di Steve.
Lei era nera. Lui era bianco.
Una l'incarnazione delle menzone, dei sotterfugi, del marcio che
governava il mondo, l'altro quella della lealtà, degli ideali e della
verità sopra ogni cosa.
Per un qualche motivo, quando Capitan America era nei paraggi,
desiderava disperatamente cercare di entrare in quella luce che
emanava, in qualche modo essere degna della sua amicizia; voleva
riparare alle azioni del passato votandosi al bene supremo. Come
sempre, tutto era andato in fumo.
A questo ripensava la Vedova Nera mentre si trovava su un volo di linea
che l'avrebbe riportata da Washington DC alla grande Mela, dove stava
facendo ritorno all'appartamento di Clint.
Clint.
Si ricordò improvvisamente che quello doveva essere il giorno della
verità. Stark aveva parlato di 72 ore di buio assoluto prima di
togliergli le bende e verificare se il tentativo era andato a buon
fine.
Da parte sua, Natash era fiduciosa: prima di partire, quando avevano
parlato dell'operazione, Iron Man emanava quell'aura che aveva imparato
a conoscere come l'estrema soddisfazione dell'uomo tipica di quando
creava qualcosa che funzionava esattamente secondo i suoi progetti.
Durante i precedenti tentativi non l'aveva mai emanata,e questo era
bastato a rincuorarla.
Fece due conti, e realizzò che quello era il giorno designato e
all'improvviso si ritrovò impaziente di atterrare per poter avere
notizie dell'amico.
Non appena fu all'interno del terminal prese il telefono.
Clint si trovava nella stanza a lui riservata alla Stark Tower, quasi
completamente buia per quel primo giorno di ripresa di contatto dei
suoi occhi con il mondo esterno. Tony gli aveva spiegato che poiché
l'intervento che aveva subito era qualcosa di straordinariamente
delicato e mai tentato prima, era fondamentale che non bruciassero le
tappe, ma che lasciassero al suo corpo il tempo di riabituarsi
gradualmente alla luce del sole.
Capì cosa voleva dire con “potrebbe essere un po' traumatico tornare
alla luce di colpo” quando lo schermo del suo cellulare si illuminò
all'improvviso, segnalandogli insieme alla vibrazione, l'arrivo di una
chiamata. Sebbene lo sfondo fosse nero, il che diminuiva drasticamente
la potenza dell'illuminazione, il fatto che fosse intermittente lo
accecò per un istante.
Serrò gli occhi con un gemito mentre allungava una mano per prendere il
telefono.
-Natasha-
-Clint, ehi. Come è andata?-
-Ci vedo di nuovo, anche se per ora sono in modalità vampiro-
-Cioè? Luccichi al sole?- (un momento...Natasha conosce certi film?
Clint ebbe appena un secondo per realizzare la cosa)
-No, non sono gay!- rise lui -Il sole mi brucia. Stark dice che
ci vorrà un po' di tempo e che ci vorrà qualche giorno prima che io
possa tornare alla vita-
-Ottimo, partner-
-Dove sei?-
-Aereoporto-
-La Guardia?-
-JFK. Sto tornando a casa. Tommy?-
-A casa, credo. Steve?-
-Sta bene-
-Che è successo?-
Dannato Occhio di Falco. Non mancava il bersaglio nemmeno da cieco.
-Niente, non preoccuparti. Adesso pensa a rimetterti. A dopo-
Attaccò e prese un taxi che l'avrebbe riportata a casa.
Tony l'aveva fatto avvisare che gli occhi di Clint avevano risposto
come previsto e Tommy non vedeva l'ora che il suo turno finisse per
poter passare da casa. Non essere più in accademia era una cosa
positiva, i turni erano molto più interessanti, così come le
esercitazioni, tuttavia, sapeva che era solo questione di tempo prima
che fosse trasferito in qualche altra città. Sarebbe avvenuto nel
momento in cui Natasha e il capitano Rogers avessero deciso che era
pronto per camminare sulle sue gambe.
Non sapeva se era più eccitato o rattristato dall'idea di iniziare una
nuova vita lontano da New York ora che aveva trovato una sorta di
equilibrio con Natasha e Clint.
Quei due erano certamente le persone più difficili con cui convivere,
ma dopo un periodo di assestamento le cose avevano iniziato a girare
bene. Non era esattamente come avere due genitori in casa, era più come
avere dei coinquilini che all'occasione gli facevano un po' da fratelli
maggiori e da insegnanti: sapeva di aver ancora molto da imparare
nonostante la promozione ad agente effettivo.
Finito il turno, fece un salto alla Stark Tower; Clint era seduto nella
sua stanza in penombra, ma aveva un sorriso da un orecchi all'altro, di
quelli che non si vedevano da molto tempo sul volto dell'arciere.
-Tutto ok?-
-Presto sarò pronto per ricominciare- annunciò il suo superiore -e non
vedo l'ora di averti nella mia squadra-
A riprova delle ultime parole, Tommy notò che vicino a Clint era posato
un bellissimo arco nudo in legno, dall'aria “antica” ma allo stesso
tempo tenuto maniacalmente e una boccetta di olio. Capì subito che
Barton stava preparando il suo arco preferito per una sessione di
allenamento.
L'olio serviva infatti a scaldare le fibre del legno un po' come lo
stretching scaldava i muscoli prima dell'attività fisica e serviva a
fare in modo che con la tensione non si creassero danni interni
all'arma.
Tommy sapeva che Clint adorava quell'arco, era il più vecchio che
avesse e quello con cui preferiva allenarsi, nonostante fosse
oggettivamente meno efficiente, maneggevole e letale di quello che
utilizzava durante le missioni con lo SHIELD, tuttavia, lo utilizzava
ogni volta che poteva. Era utile, gli aveva spiegato, a volte tirare
con l'arco nudo, senza alcun aiuto per la mira, in modo da non perdere
l'occhio. Non potevi mai sapere quando il puntatore laser avrebbe fatto
cilecca, costringendoti ad affidarti solo all'occhio: una teoria che
gli aveva inculcato anche durante l'addestramento.
Nell'aula di Clint non esisteva l'acquisizione del bersaglio assistita,
non prima, almeno, di aver raggiunto delle buone capacità e velocità
utilizzando solo i propri occhi.
Accanto all'arco c'erano delle bellissime frecce, anch'esse in semplice
legno (ben lontane dal carbonio leggerissimo e perfettamente
equilibrato dai mille poteri più o meno distruttivi), evidentemente
“impennate” di fresco. Una manciata di punte in ferro attendevano poco
distanti di essere incollate.
-Quando potrai ricominciare ad allenarti?-
-Anche domani, secondo Stark, a patto che i bersagli non superino i 10
metri di distanza-
Tommy sorrise, nonostante gli facesse strano pensare a un Clint in
possesso della sua vista (aveva deciso di eliminare l'estenuante
periodo di allenamenti con vista annebbiata) che tirava a soli 10
metri, era contento che si rimettesse in moto.
Non era solo questione di mira: in quelle settimane ogni allenamento
era stato smesso, e anche la forma fisica di Clint ne aveva risentito.
Non che si fosse trasformato in Homer Simpson, ma i muscoli avevano
perso un poco della loro tonicità; niente di allarmante o di
irreparabile, ma sufficiente da far fremere Tommy di impazienza:
adorava allenarsi con Occhio di Falco e la Vedova Nera e non vedeva
l'ora di cominciare.
-Ottimo. Sarai presto in pista allora-
-Esatto. Come sta il mio appartamento?-
-Tutto ok, gli acari ti salutano e gli abitanti del frigo protestano
perchè non vogliono pagare l'affitto-
-Tutto nella norma allora-
-Sì, almeno finchè non torna Natasha e gli darà lo sfratto-
I due si guardarono e scoppiarono a ridere. Nonostante il tocco
femminile della donna, non appena Nat si allontanava dall'appartamento
per una qualche missione, il disordine tornava a regnare sovrano nella
casa, tanto che più di una volta li aveva minacciati di morte se non
avessero riordinato all'istante, e dato che “all'istante” era comunque
un lasso di tempo ragionevolmente lungo (la quantità di roba che quei
due riuscivano ad immagazzinare sfuggiva a ogni legge fisica), era
andata a dormire a casa sua per protesta.
-A che ora preferisce venga servita la cena, signor Barton?-
La voce meccanica e gentile di J.A.R.V.I.S. Interruppe le loro risate.
Clint guardò Tommy
-Resti?-
-Se non è un problema-
-J.A.R.V.I.S., cena per due per le 19.30, grazie-
-Come desidera, signor Barton-
Clint sorrise un po' in imbarazzo. Il lusso sfrenato e le comodità di
casa Stark (o meglio, dell'Avengers Tower) riuscivano a metterlo ancora
a disagio. Gli faceva davvero strano essere servito e riverito, quando
nella sua vita al massimo aveva dato ordini a un qualche plotone dello
SHIELD, e non certo per farsi portare la cena; proprio non riusciva ad
abituarsi a tutto questo e ai robot delle pulizie che ogni giorno
rendevano la sua stanza pulita e splendente, e non vedeva l'ora di
poter tornare al suo appartamento in perenne disordine.
Sospirò e si sistemò meglio sul letto, lasciando spazio a Tommy per
mettersi comodo e farsi raccontare le ultime novità e gli ultimi
pettegolezzi dallo SHIELD.
La vita di Steve Rogers a Washington aveva ormai preso la piega
abitudinaria che lo illudeva di fare una vita normale, di non essere
Capitan America al servizio di una qualche entità che agiva in maniera
discutibile per, a suo dire, preservare la pace e la libertà degli
americani.
Dopo la missione su quella nave, aveva fatto irruzione nell'ufficio di
Nick Fury, accusandolo di averlo tenuto all'oscuro. Per tutta risposta,
il direttore dello SHIELD lo aveva portato con sé nei laboratori
dell'organizzazione e gli aveva mostrato il progetto Insight.
Questo non l'aveva aiutato a sentirsi meglio: le immagini di quegli
helicarrier pronti a eliminare potenziali minacce sulla base di non
sapeva quali ipotesi prima che potessero agire e compromettere la
stabilità degli Stati Uniti (o del mondo intero). Per Steve si trattava
di omicidi a sangue freddo, condanne a morte di persone che ancora non
avevano fatto nulla, e probabilmente nemmeno si immaginavano che in un
futuro (prossimo o remoto che fosse) avrebbero commesso atti di
terrorismo.
Dove stava la giustizia in tutto questo?
Per cosa lui, Capitan America, stava lottando?
Era questa l'organizzazione che Peggy aveva aiutato a fondare? O come
spesso accadeva poi le cose erano peggiorate?
O forse era lui che non riusciva a concepire che era stata l'evoluzione
naturale delle cose a far sì che la giustizia diventasse una questione
di segreti e spionaggio?
Ogni volta che si soffermava a pensarci gli veniva un gran mal di testa.
E il tradimento di Natasha non lo aiutava. Era consapevole che Natasha
fosse una spia, certo, lo sapeva fin dall'inizio. L'aveva saputo fin
dalla prima volta che l'aveva incontrata, o quasi, su
quell'helicarrier, quando era stata mandata a estorcere informazioni a
Loki. L'agente Coulson l'aveva descritta come la migliore degli agenti
segreti dello SHIELD, con i suoi contatti sparsi per tutto il globo.
Era stato avvisato: non era una persona degna di fiducia.
E all'inizio era stato diffidente. Poi l'aveva vista combattere,
rischiare la vita con tutti loro per salvare New York e il mondo. La
prima di molte altre missioni “pulite” che avevano portato a termine.
L'aveva vista ridere, sorridere, scherzare con lui e con Occhio di
Falco. L'aveva sentita gridare, terrorizzata, quella notte dopo la
missione con lo sceicco e aveva sentito la gratitudine nella sua voce
quando l'aveva invitata nel suo appartamento con la scusa
dell'insonnia. Una scusa talmente debole che non aveva dubitato per un
istante sul fatto che lei l'avesse scoperto mentire.
L'aveva vista rimanere accanto a Clint Barton per tutto quel periodo di
difficoltà senza mai perdere la pazienza, senza mai cedere a un moto di
nervosismo di fronte agli scatti di rabbia dell'arciere.
Si erano avvicinati in quei mesi e avevano parlato. Lui era arrivato a
fidarsi di lei.
Poi aveva scoperto che era solo un'agente. Una spia. La spia di Fury.
Ed era ripiombato nella paranoia.
Fury l'aveva tradito. Natasha pure. Stark era Stark, ed era una
personalità che di per sé non ispirava una grande fiducia.
Di chi poteva fidarsi?
Sam Wilson sembrava una valida alternativa, al momento. Gli ricordava
molto Bucky, per certi versi. Non aveva paura di dirgli quello che
pensava e mai, finora, l'aveva trattato da leggenda vivente. Il soldato
era spontaneo e con lui riusciva finalmente a trovare una propria
quotidianità.
Non era raro che si ritrovassero dopo la corsa per una sana colazione a
base di uova e bacon, prima di dirigersi ai propri posti di lavoro.
Anche la sua vicina, l'infermiera della porta accanto, aveva sapore di
tranquillità e di casa, per questo finora aveva ignorato i suggerimenti
della Vedova Nera di chiederle di uscire con lui.
Probabilmente avrebbe accettato, ma quanto sarebbe durato?
Non molto, come avrebbe avuto modo di scoprire quando una sera,
tornando a casa, si ritrovò un malconcio Nick Fury semi-steso su una
poltrona, poco prima che venisse ucciso e lui si ritrovasse a
combattere un nemico micidiale quanto invisibile e misterioso.
PERSONAL SPACE:
Un paio di note... ovviamente Era un'idea sua e
le sue idee funzionavano sempre. è una citazione di Howard Stark, se
qualcuno di voi sta seguendo Agent Carter sa di cosa sto parlando...se
non la state guardando, guardatevela perchè non ve ne pentirete XD
Rise Again se siete appassionati di moto (o
seguite Revolver di Ringo su Virgin Radio) la conoscerete, è la canzone
dedicata a Marco Simoncelli, qui si parla di nuovi inizi e mi piaceva
l'idea di metterci questi versi, comunque se vi capita ascoltatela,
perchè è meravigliosa.
Eh niente, spero che il primo
capitolo vi sia piaciuto, e che continuerete a seguirmi...e ovviamente
spero che mi lasciate (?? è italiano??) una recensioncina -ina -ina per
dirmi cosa ne pensate di qeusto primo capitolo...
Per adesso, grazie di essere
arrivate fin qui e... alla prossima, spero!
Dalamar (in overdose da caffè)
PS; Spero che nessuno si offenda
per il rimando alla Saga di Twilight
|
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Capitolo 2 *** Solo 48 ore ***
PERSONAL SPACE: Rieccomi!!
Scusate il ritardo, ma per colpa dello studio non ho molto tempo per
scrivere, quindi gli aggiornamenti, almeno fino a Marzo, saranno un po'
saltuari, anche se cercherò di pubblicare più o meno un capitolo a
settimana o giù di lì, dopo gli esami giuro che mi regolarizzo!!!
Come al solito, grazie mille a
tutti quelli che hanno letto, e a chi mi ha recensito. Sono
contentissima che tanti abbiate deciso di seguirmi nel proseguo delle
avventure di questi scapestrati!!! Vi lascio al capitolo, e ci vediamo
in fondo!
SOLO 48 ORE
I've combed this town
from top to bottom
I try to get
around but my legs are broken
Every
time I miss it 'cos I ain't got a ticket
Clash - 48 Hours
Solo 48 ore.
Da eroe era passato a fuggitivo, era stato arrestato, liberato, aveva
dato il via a una rivolta contro lo SHIELD, l'HYDRA o chiunque ormai
governasse davvero l'andamento degli Stati Uniti e del mondo intero.
Fury era morto davanti ai suoi occhi, e poi era riapparso, malconcio ma
vivo, per unirsi alla sua lotta.
Quarantotto ore prima si trovava in un ospedale, con nel pugno una
chiavetta che gli aveva rivelato la vera natura dello SHIELD, e aveva
guardato morire il Direttore davanti ai propri occhi. Ora quello steso
su un letto era lui, vivo per non si sapeva bene quale miracolo.
Quarantotto ore prima, il Soldato d'Inverno era solo un nuovo, potente
nemico da combattere, da abbattere per vendicare l'uccisione di Fury.
Quarantotto ore prima, James “Bucky” Barnes era solo un lontano ricordo
che gli faceva stringere il cuore.
Quarantotto ore prima era un agente dello SHIELD, ora era un agente del
nulla.
Quarantotto ore prima, non riusciva a guardare negli occhi la Vedova
Nera senza sentirsi tradito, il che forse era l'unica cosa buona che
quei maledettissimi due giorni avevano portato con loro. Era tornato a
fidarsi di Natasha a tal punto da affidarle la propria vita.
Quarantotto ore sembravano una vita intera, ora che aveva tempo di
ripensarci a mente fredda. Erano successe troppe cose, e troppe erano
ancora sopite sotto la coltre di antidolorifici e calmanti che stavano
aiutando il suo corpo a recuperare dall'ultimo scontro con Bucky e la
successiva caduta.
Ancora non si spiegava come aveva fatto a sopravvivere all'impatto, né
come fosse ritornato a riva.
Ricordava ben poco da quando era svenuto subito dopo l'impatto con
l'acqua, anzi praticamente non ricordava niente.
Una parte di sé sperava, si illudeva, che le sue parole avessero fatto
breccia nella coltre di gelo che era stata impiantata nel cervello di
Bucky, fossero arrivate al cuore, scongelandoglielo e restituendogli
attimi di vita che l'avevano indotto a salvarlo dalla morte certa.
Non osava esprimere quel pensiero ad alta voce, né con Sam, né con
Natasha: non gli avrebbero mai creduto, argomentando con logiche
affermazioni ogni sua congettura. Avrebbero avuto ragione, e lui non
era pronto a perdere quel filo di illusione che gli diceva che Bucky
esisteva ancora, da qualche parte, che quello non era solo il suo corpo
rattoppato e rinforzato.
Quarantotto ore prima, la sua vicina di casa era solo un'infermiera del
reparto malattie infettive.
Quarantotto ore prima, stava cercando di farsi una vita negli anni 2000.
Adesso doveva ricominciare. Di nuovo.
Da solo.
Di nuovo.
***
Quarantotto ore.
Da quel messaggio di Natasha erano passate solo quarantotto ore.
48 ore prima.
“Non presentarti al turno domani, vai
da Clint e preparati a scappare. Non fare domande e non fidarti di
nessuno”.
Tommy aveva ricevuto quell'SMS sul cellulare solo al termine del suo
turno allo SHIELD. Sapeva che c'erano state delle agitazioni al
Triskelion, e che Steve era coinvolto in un qualche modo che non
riusciva nemmeno a concepire. Sapeva anche che dovunque fosse ora,
Steve era con Natasha e che le cose per loro non andavano bene.
Aveva letto il messaggio appena uscito dallo spogliatoio e si era
affrettato a rientrarci per raccogliere il cambio di vestiti che vi
teneva, in modo da non dover ripassare per l'appartamento.
Due agenti erano entrati proprio mentre richiudeva lo zainetto.
All'inizio aveva fatto finta di niente, non era raro che altri
entrassero a quell'ora: il turno era finito da poco e c'era sempre
qualche ritardatario. I due erano agenti veterani, più o meno dell'età
di Clint, anche se non allo stesso livello dell'arciere.
Tommy si limitò a ignorarli, pur tenedoli d'occhio. Dalla missione
negli Emirati tutti sapevano del suo legame con Steve, anche perchè era
uno dei suoi supervisori, e se Capitan America era nei guai, non ci
avrebbero messo molto a venire da lui.
E infatti lo bloccarono prima che potesse mettere un piede fuori dal
locale
-Thomas Artowood?-
Tommy non rispose subito. Per un secondo sondò le possibilità che
aveva.
Rispondere era un'opzione valida fino a un certo punto. Se l'avessero
per caso preso prigioniero sarebbe stato solo l'ennesima merce di
scambio per catturarlo.
Scappare all'istante era impossibile. Anche se fosse stato abbastanza
forte, agile e fotunato da uscirne sano e salvo, a quel punto sarebbe
stato un fuggitivo al pari di Steve, e avrebbe dato l'ennesima prova
della colpevolezza di Steve.
Prendere tempo. Ecco l'alternativa corretta.
-Sì, sono io-
-Devi venire con noi, l'agente Hill vuole parlarti-
Giusto. La Hill. Di lei poteva fidarsi, giusto?
L'eco delle parole di Natasha gli risuonò nelle orecchie: non fidarti
di nessuno.
Fury era dato per morto; qualcuno lo aveva tradito e gli aveva teso una
trappola. Qualcosa fece scattare una molla in testa a Tommy. No. Non
poteva fidarsi nemmeno della Hill, tuttavia, al momento non aveva
scelta.
-Va bene-
I due lo scortarono fuori, accompagnandolo come due carcerieri.
-Conosco la strada- cercò di dire
-Abbiamo istruzioni precise-
Tommy annuì in silenzio, il cervello che lavorava freneticamente alla
ricerca di una qualunque idea. Sentiva i palmi delle mani sudati, li
apriva e chiudeva in continuazione.
Stai calmo. Fa un respiro profondo e
calmati. Solo così sarai lucido a sufficienza da agire. Non pensare
troppo. Affronta quello che accade istante per istante.
Gli insegnamenti di Natasha agirono sul suo cervello per un riflesso
condizionato, e all'improvviso si ritrovò calmo, pronto ad affrontare
qualunque cosa la Hill avesse in serbo per lui.
Alla fine aveva scoperto che di Maria Hill poteva fidarsi. Gli aveva
dato una busta contenenti passaporti e documenti falsi per lui e per
Occhio di Falco, e gli aveva affidato la missione più delicata della
sua vita: recuperare Clint e riuscire a fuggire prima che l'intero
sistema crollasse.
Era importante che non si facessero trovare: Clint era uno dei bersagli
primari del progetto Insight modificato dall'Hydra. Dovevano diventare
invisibili.
E da buon agente, Tommy non si era tirato indietro, ma l'aveva fatto
secondo gli insegnamenti della Vedova Nera: fai qualcosa di sospetto
senza fare niente di sospetto.
Appena uscito dal quartier generale dello SHIELD a New York, si era
diretto come al solito all'appartamento che condivideva con i due
Vendicatori.
Come faceva dopo ogni turno pomeridiano, si fermò a cenare in una
piccola trattoria. La ragazza al bancone gli sorrise, cordiale come
sempre. Era una bella ragazza, forse della sua età visto che lavorava
solo in orari pomeridiani o comunque post-scolastici. Aveva i capelli
lunghi e castani, con le punte rosso fiamma. Era anche intelligente e
non era raro che si fermasse con lui a chiacchierare se arrivava alla
fine del suo turno
-Il solito?-
-Sì, ti ringrazio. E mi fai anche un paio di pezzi di torta di mele da
portar via-
-Appuntamento galante?-
-Eh? No, no figurati- Tommy si trovò all'improvviso in imbarazzo. Per
un qualche motivo gli dava fastidio che quella ragazza, Julie, pensasse
che comprava la torta per un'altra. Ma che gli stata succedendo? Aveva
fretta e aveva una missione importante da compiere, non aveva tempo di
chiacchierare.
Fai qualcosa di sospetto senza fare
niente di sospetto.
Appunto.
-Sono per Clint, sai, il mio coinquilino- Fantastico. Così sembrava
gay. -Cioè, è come un fratello per me, e ultimamente ha avuto un grave
problema agli occhi. Ora è tornato a vedere e volevo festeggiare con
lui-
-Il biondino dici?-
-Sì, esatto. Proprio lui-
-Sono contenta che stia meglio. Quindi, adesso sarai più libero?-
Oh. Oh.
-Per la verità, tra due giorni mi trasferiscono alla sede di Chicago-
Bugia volante in arrivo.
-Ah- Tommy percepiva la delusione della voce della ragazza, ma non
poteva dirle che probabilmente nel giro di due ore sarebbe stato un
fuggitivo ricercato da...beh in effetti non lo sapeva nemmeno lui.
-Come mai?-
-Non sono più una recluta; ormai sono un agente effettivo e non posso
restare dove ho fatto l'addestramento, per evitare che i miei
supervisori facciano favoritismi-
-Capisco...allora... non ci rivedremo... più?-
-Cercherò di tornare ogni volta che posso, promesso- Almeno questo era
vero, forse.
-Va bene..ti...ti lascio mangiare allora, io...devo andare-
Tommy agì d'istinto e le diede un lieve bacio sulla guancia. Grazie di
avermi sfamato. Julie sorrise e scrisse qualcosa sul taccuino
delle ordinazioni, poi gli porse quello che aveva scritto.
-Chiamami quando torni in città-
Tommy sorrise, davvero felice, e per un attimo ignorò la spada di
Damocle sulle loro teste.
-Contaci. Ciao-
Finì di mangiare con calma, poi tornò all'appartamento e dopo una
doccia si mise a letto.
48 ore dopo.
-Sei pronto, Tommy?-
-Pronto-
Se il ragazzino perdeva tempo a pensarci, gli sembrava impossibile che
solo due giorni prima si trovava in una tavola calda di New York a
parlare con una ragazza.
Da allora avevano girato tre stati, cambiato altrettante identità e
raccontato più balle di quante ne aveva probabilmente dette in tutta la
sua vita.
Lui e Clint, con i loro capelli biondi e i loro occhi azzurri,
passavano facilmente per fratelli, così come confermavano i documenti
falsi preparati per loro da Maria Hill.
In quel momento i due si trovavano in un piccolo paesino italiano in
provincia di una delle città più antiche d'Italia, Ravenna, e
stranamente non erano in fuga, almeno non per il momento.
La penisola (o almeno quella parte) sembrava ignara di quello che era
successo a Washington il giorno prima, così avevano modo di fare i
turisti almeno per qualche ora.
Tommy chiuse lo zaino e lo gettò sul letto, preferendo prendere con sé
soltanto un marsupio nero con dentro cellulare e macchina fotografica.
Ovviamente non mancavano le armi: pistola ben nascosta in una fondina
sotto un'ampia felpa e coltelli alle caviglie, nascosti sotto i jeans.
Clint indossava una camicia scura sopra una t-shirt, e portava arco e
frecce di ultima generazione in uno zaino il primo, e in un orologio da
polso.
Prima di lasciarli partire, Tony aveva consegnato le nuove armi a
occhio di falco: l'arco si richiudeva su sé stesso in una scatola poco
più grande e pesante di un libro tascabile, mentre le frecce
sfruttavano un meccanismo simile a quello del manico di un ombrello
portatile per ridursi a bastoncini abbastanza piccoli da essere
nascosti in un orologio.
-Colazione e autobus?-
-Ok....uhm...- Tommy consultò la carta d'identità dell'amico per
verificare il nome -Samuel-
-Forza Ryan-
-Ma come diavolo fai a ricordarti sempre le nostre identità? Io sbaglio
una volta sì e l'altra pure!-
Clint si sedette accanto a lui.
-Ehi. Io sono più esperto-
-E infatti non ci hai costretti a fuggire da Seattle, né da Tijuana-
Le precedenti fughe erano state infatti colpa di Tommy. In entrambi i
casi aveva scordato l'identità sua e di Occhio di Falco, ed erano stati
scoperti e costretti a fuggire. Per questo la loro terza destinazione
era stato un paese ben lontano dagli Stati Uniti: la speranza era
quella di capitare in un posto lontano da centri di potere dove nessuno
aveva mai sentito parlare dello SHIELD o dell'Hydra, in modo che anche
se si fossero sbagliati di nuovo, avrebbero avuto un ampio margine di
manovra per non far precipitare la situazione.
-Tommy. E' tutto ok. La Hill ti ha dato un compito che nessuno con la
tua esperienza avrebbe svolto così bene. Lo so che Natasha e io lo
facciamo sembrare facile, cambiare identità come i calzini, ma non è
così, te lo assicuro. Ce la farai, col tempo. Adesso non pensarci, ok?-
Tommy annuì poco convinto e gli passò gli occhiali da sole. Gli occhi
di Clint erano perfettamente guariti, ma era necessario che l'arciere
si prendesse cura della propria vista proteggendosi sempre con degli
occhiali in giornale soleggiate come quelle. Le probabilità che con la
luce solare i cristallini sostituiti si danneggiassero erano minime, ma
Stark aveva consigliato prudenza, e Clint obbediva.
Dopo una colazione abbondante a base di brioche (5 o 6 a testa) e
cappuccino, i due presero il primo autobus che li avrebbe portati dal
paesino di mare dove si trovavano fino alla stazione della città
romagnola. Da lì al centro storico una passeggiata avrebbe evitato loro
di incartarsi nell'intrico di sensi unici che faceva uscire pazzo
chiunque non fosse pratico della zona, come avevano avuto modo di
capire la sera prima, quando il taxi che li aveva portati
dall'aeroporto di Bologna a Ravenna, si era alla fine dovuto arrendere
a chiedere indicazioni per smettere di girare in tondo attorno al
centro della città senza trovare una via d'uscita. Il tutto ovviamente
tra le risate malamente nascoste dei clienti, che dopo la fuga
roccambolesca dal Messico sentivano la necessità di trovare divertente
qualunque altro intoppo li ostacolasse.
Passavano i giorni, dopo la distruzione dell'Hydra e dello SHIELD. La
notizia aveva sconvolto il mondo: l'esistenza di un'organizzazione
segreta che vantava tra i suoi militari un superuomo che sembrava
uscito direttamente dai fumetti, un'assassina russa e chissà cos'altro,
aveva lasciato interdetti tutti. Fortunatamente per loro, gli speciali
televisivi, con le interviste ai diretti protagonisti della vicenda,
non mancavano, e Tommy e Clint (Sam e Ryan) non facevano fatica ad
avere notizie sui loro amici.
Natasha era sotto i riflettori, accusata di tutti i propri crimini
anziché ringraziata per aver salvato (di nuovo) il mondo da
un'organizzazione filo-nazista.
“Sì, potreste, ma non lo farete. Saprete dove trovarmi”
Clint non potè fare a meno di scuotere la testa e sorridere. Natasha
era sempre la solita, fredda, glaciale, implacabile nel suo dire la
verità senza nascondersi dietro false ipocrisie, nel mettere di fronte
all'impossibilità di replicare chi aveva di fronte senza costringerlo
ad arrampicarsi su degli specchi insaponati.
-Che ne sarà di lei, adesso?-
Tommy aspettò a porgli la domanda fino a quando non furono al sicuro
nella stanza dell'appartamento che avevano preso in affitto pochi
giorni dopo essere arrivati nella città. Lì nessuno conosceva il volto
di Clint, lui non aveva più fatto casino con le loro identità e di
conseguenza ormai erano abbastanza al sicuro da potersi fermare fino a
quando non si sarebbero calmate le acque e avessero capito cosa fare
della loro vita ora che non erano più agenti dello SHIELD.
-Natasha ha molte risorse- lo rassicurò l'amico -Ha gente che le deve
favori praticamente in ogni parte del mondo e Dio solo sa quante
identità ancora intatte da giocarsi. Si inventerà qualcosa-
-Non la rivedremo mai più, quindi?-
-Non per ora, ma di sicuro si farà viva appena possibile, ne sono
certo. Deve solo lasciar sgonfiare tutta questa faccenda per potersi
muovere senza mettere tutti in pericolo-
-E Steve?-
-Steve? Con il suo curriculum nessuno lo accuserà di nulla, a parte la
distruzione di qualche bene del governo dal valore di svariati miliardi
di dollari, si intende. Se hai come nome di battaglia Capitan America
la scampi in qualche modo-
Tommy annuì e si stese sul proprio letto.
-Pensi...che possa chiamare la mia famiglia? Saranno preoccupati-
Clint aspettò un attimo prima di rispondergli, e questo fece salire
l'ansia dentro di lui. Il mondo non sapeva chi era, ma se l'Hydra era
davvero entrata nei piani alti dello SHIELD sicuramente erano a
conoscenza del suo legame con alcuni dei Vendicatori. Avrebbe messo in
pericolo la sua famiglia se li avesse contattati? O erano già stati
presi come ostaggio per uno scambio?
-Aspetterei ancora qualche giorno, se fossi in te. Però puoi mandargli
un messaggio da un numero usa e getta, in modo da non essere
rintracciabile-
Tommy (Ryan) annuì e prese uno dei telefoni vergini che avevano
comprato negli States prima di partire e compose un SMS per la propria
famiglia, e anche uno per Julie, per rassicurarli sulle sue condizioni
senza dare dettagli su dove fosse.
***
Era la prima volta che aveva il tempo di fermarsi a pensare a quelle
fatidiche quarantotto ore che avevano completamente disintegrato quel
po' di vita che era riuscita a costruirsi da quando aveva accettato di
entrare nello SHIELD.
Tutto il percorso che aveva fatto, trasformandosi da macchina della
morte a essere umano, gli sforzi di Clint di aiutarla ad adattarsi alla
sua nuova vita, tutto ciò che di buono aveva fatto in quegli anni era
stato spazzato via quando aveva reso pubblici tutti i dati di tutti gli
agenti dell'organizzazione segreta.
Tra quei dati c'erano anche le cose buone, ovviamente, ma come aveva
sentito dire da uno di quei film del cavolo di Clint, una buona azione
non basta a perdonare una persona, ma ne basta una malvagia per
condannarla, o qualcosa di simile.
E le sue esecuzioni superavano di gran lunga le volte che aveva salvato
il mondo, quindi ovviamente l'immagine che era uscita era quella di una
spietata assassina, quindi era stata costretta a fuggire.
Pierce gliel'aveva predetto, e lei se ne era fregata in nome di quello
che era giusto, in nome del suo proposito di cancellare la famosa
“macchia rossa sul registro”. E ora ne pagava le conseguenze.
Era stata prelevata fuori dall'ospedale dove avevano ricoverato Capitan
America dopo averlo recuperato dal fiume e portata a quello che una
volta era il triskelion. Lì aveva dovuto rispondere delle sue azioni
davanti a
Dopo aver salutato Fury, Sam e Steve era volata a Cuba, dove un vecchio
amico che le doveva un grossissimo favore le aveva procurato l'ennesima
identità fittizia.
In quel momento si trovava a Vienna, e passeggiava tra le vie del
centro. Era entrata allo Stefan Dom, la bellissima cattedrale posta nel
centro della città, ed era salita sul suo tetto, ovviamente
intrufolandosi al di fuori dell'orario di visita. Giocherellava
distrattamente con le punte dei capelli, tinti di un biondo che
sembrava naturale, molto simile al suo colore originario, mentre stesa
a terra guardava il cielo godendosi quel momento di solitudine e relax.
Non l'avrebbe mai ammesso a voce alta, ma le mancava rientrare in casa
e rimanere esasperata dal disordine cronico di Tommy e Clint. Ogni
santa volta trovava il frigo in uno stato di civiltà indipendente, si
aspettava un giorno o l'altro di venire arruolata nella guardia
personale del re del Latte, che di solito rimaneva a scadere per un
tempo sufficiente lungo da permettere all'evoluzione di fare il suo
corso e da sviluppare una civiltà organizzata e tecnologicamente
avanzata. Non aveva trovato altra spiegazione quando aveva trovato nel
frigo il cellulare di Clint.
I suoi pensieri andarono per un momento a Tommy. L'avrebbero catturato
e interrogato? Era riuscito a fuggire con Clint dopo aver letto il suo
messaggio?
Non era riuscita a scoprirlo, ma il fatto che mai nessuno avesse fatto
il suo nome la rassicurava non poco. Probabilmente era al sicuro.
Guardò per l'ennesima volta il telefono spento nella sua borsa da
viaggio. Era la sua linea sicura con Clint. Sapeva che se l'avesse
acceso avrebbe trovato sicuramente qualche avviso di chiamata, ma anche
che era ancora troppo presto per sentire l'amico. No. Doveva resistere.
***
Natasha era fuggita, Clint e Tommy anche. Alla balla della morte di
Fury non aveva creduto nemmeno per un secondo. Maria Hill era venuta a
chiedergli lavoro come capo della sicurezza.
Tra tutti loro, probabilmente Tony Stark era quello che se l'era cavata
con il minore dei danni.
Sebbene tutti sapessero che fosse IronMan e che aveva collaborato con
Capitan America alla battaglia di New York, non esisteva un fascicolo
SHIELD su di lui, se non quello di ex fornitore di armi per
equipaggiare le truppe, così come ogni altro reparto militare degli
Stati Uniti; di conseguenza non era stato toccato dalla divulgazione
dei segreti degli agenti, se non per quello che era già risaputo da
anni.
Aveva potuto continuare il corso della propria vita senza stravolgerla,
e anzi aveva aiutato quanti aveva potuto assumendo nel campo della
sicurezza privata per sé stesso o per altri imprenditori di successo
chiunque fosse venuto a chiedergli un lavoro.
Nel suo cuore, era però in angoscia: che ne sarebbe stato dei suoi
amici? Sarebbe stata necessaria un'altra disgrazia perchè potessero
riabilitarsi?
Non la sapeva, ma nel frattempo si era dato un'altra missione.
Si mise al PC e aprì uno dei fascicoli dell'Hydra, che si era procurato
in forma integrale per vie non esattamente legali.
Il Soldato D'Inverno.
Iron Man aveva una nuova missione: trovare l'assassino dei suoi
genitori e fargli pagare il conto più salato della sua vita. Con gli
interessi.
***
Quarantotto ore prima era un'arma.
Quarantotto ore prima era il Soldato d'Inverno, e Steve Rogers, aka
Capitan America era la sua missione.
Quarantotto ore prima ucciderlo era la sua sola missione.
“Sarò con te fino alla fine”.
Si trovava nello Smithsonian Museum a Washington, le armi e il braccio
metallico nascosto sotto jeans e felpa, i capelli e il volto oscurati
dalla visiera di un berretto scuro.
“Ti chiami James Barnes”
Le parole di Rogers gli risuonavano nella mente, insieme alle immagini
confuse che tormentavano il suo sonno.
Immagini confuse di feste, di guerra, di battaglie. Di una caduta in un
precipizio.
Flash che si rincorrevano nei suoi sogni, facendolo svegliare di
soprassalto, sudato e tremante.
L'emicrania lo tormentava da quando aveva preso la decisione, arrivata
da chissà quale angolo recondito della propria mente, di salvare la
vita a quel soldato nemico che doveva uccidere.
Davanti a lui, un video in pessima risoluzione documentava le gesta di
Capitan America e degli Howling Commandos, a caccia di nazisti durante
la seconda guerra mondiale.
Una foto di sé stesso in divisa lo guardava con un sorriso storto sul
viso, uno sguardo ammaliante e sincero.
“James Barnes era il migliore amico di Steve Rogers” stava dicendo la
voce narrante del museo.
Il migliore amico di Steve Rogers.
Un altro flash lo colpì come una freccia, spaccandogli in due il cranio
dal dolore.
Un'immagine soltanto, statica come una fotografia. Un mingherlino
biondo e asmatico che sognava di difendere il proprio paese in guerra.
Non appena fu in grado di rimettersi dritto senza che il mondo girasse
attorno a lui, uscì all'aria aperta a grandi passi.
Chi era davvero?
Cosa avrebbe fatto adesso?
Il mondo riprese a girare e il Soldato d'Inverno si accasciò all'ombra
di un albero.
PERSONAL SPACE: rieccomi! Alla
fine ho preferito saltare agli istanti immediatamente successivi al
finale del film, io non volevo, ma la storia ha deciso così! Niente,
dal prossimo capitolo saremo ufficialmente dentro la storia! Iron Man
troverà il soldato d'inverno? E Steve e Sam? Dove porterà la loro fuga
Natasha, Clint e Tommy? Lo scoprirete seguendomi! Alla prossima!!!
|
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Capitolo 3 *** AVVISO: ***
Volevo solo comunicarvi che non ho abbandonato la fanfic...ma sono in un periodo incasinato e non riesco ad aggiornare...scusate!!! mA tornerò presto!!! |
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Capitolo 4 *** Ritorni - Parte I ***
PERSONAL SPACE: Eccomi qui, a
pochi giorni da quell'avviso, con un nuovo capitolo. Ho preso una
decisione, vista la velocità con cui sto aggiornato. Ho deciso di
pubblicare mezzo capitolo alla volta, in modo da poter esser eun po'
più presente, per rispetto di voi che mi aspettate, ma soprattutto
perchè così posso concentrarmi e scrivere meno, ma curando meglio il
tutto. Spero che la cosa vi stia bene...nel caso fatemelo ssapere e
tornate ad aspettare e sperare che io pubblichi prima o poi XD
Vi lascio alla prima parte del
terzo capitolo!
Ciaooo.
CAPITOLO 3: RITORNI
Parte I
Return to God with all
your heart, the source of grace and mercy;
Come seek the
tender faithfulness of God
Now the time of
grace has come, the day of salvation;
Come
and learn now the way of our God.
RETURN TO GOD - Marty Haygen
Nick Fury era morto. E poi era resuscitato.
Esattamente come lui, ma senza la complicazione del DNA alieno.
Phil Coulson un po' lo invidiava, per questo. Cioè, non che preferisse
rimanere morto, però non era stata una bella cosa scoprire di essere
stato perennemente sotto osservazione.
L'HYDRA al momento stava governando il paese, loro erano più o meno
bollati come i nemici numero uno degli Stati Uniti, oh e Nick aveva
pensato di passargli la patata più bollente della storia: ricostruire
lo SHIELD dalle sue ceneri.
No. Al momento Phil non invidiava l'uomo con un occhio solo: lo voleva
uccidere.
Fury aveva dato loro la collocazione di qualche rifugio
dell'organizzazione segreto a tutti tranne che a Nick stesso (e forse
alla Vedova Nera. Natasha Romanoff in qualche modo sapeva sempre
tutto), e un cubo col lato più o meno di 5 centimetri contenente chissà
cosa.
Dopo il primo momento di smarrimento, Phil aveva capito che non aveva
senso rimettere in piedi lo SHIELD. Doveva ricominciare da zero e
assicurarsi che chi veniva introdotto nella versione 2.0
dell'organizzazione non fosse un agente dell'HYDRA.
Era partito con la sua squadra, salvo poi accorgersi che uno dei suoi
uomini, Ward, era il braccio destro del Big Boss del mostro a nove
teste.
Questo aveva minato un po' della sicurezza dell'agente: se in tutti
quei mesi non era riuscito a smascherare Ward, vivendoci insieme nei
pochi metri quadrati del grande, ma allo stesso tempo molto piccolo,
pulmino, come avrebbe potuto arruolare degli sconosciuti ed essere
certo della loro fedeltà?
Il suo agente era stato bene addestrato a confondersi e a mentire, al
punto tale da arrivare a ingannare una macchina della verità contro cui
nemmeno la Romanoff aveva potuto nulla. Come poteva riconoscerli?
Come se non bastasse, aveva quasi ucciso Fitz e Simmons, persone con
cui aveva condiviso quasi un anno di vita, che aveva salvato e da cui
era stato salvato. Vero, non li aveva uccisi a sangue freddo, ma li
aveva quasi fatti annegare in mare, e ora Leo giaceva in coma di fronte
a lui, in una camera sterile con tubi e fili attaccati ovunque.
Non era stato ferito nel fisico, ma si era sacrificato per
permettere all'amica di sopravvivere, e la mancanza di ossigeno gli
aveva causato ipossia.
I danni che questa aveva provocato al brillante cervello dell'ingegnere
non erano quantificabili a priori: l'avrebbero saputo solo se e quando
si sarebbe svegliato. L'unica cosa certa, era che non sarebbe mai più
stato il genio di prima.
Tutti questi pensieri giravano nella sua mente mentre osservava in
silenzio il più giovane dei suoi agenti, il meno preparato,
militarmente parlando, ma forse il primo quando si trattava di fedeltà
e coraggio.
I macchinari che lo tenevano in vita, aiutandolo a respirare, ronzavano
sommessamente e un suono regolare monitorava i battiti del suo cuore.
Quello di Coulson sembrava sintonizzato con quello dell'agente.
-Resisti, Leo - Non potè fare a meno di sussurrare con un filo di voce,
mentre lo guardava.
Alla fine trovò la forza di staccarsi da quel vetro per andare a
controllare come procedeva l'addestramento di Skye.
Anche se non lo dava a vedere, la ragazza, Coulson lo sapeva, era
quella rimasta più scottata dal tradimento di Ward. Per lei non era mai
stato facile fidarsi di qualcuno, figuriamoci innamorarsi. Eppure, con
il suo sergente istruttore, era successo, e l'ennesima batosta l'aveva
fatta reagire in un modo completamente nuovo.
Anziché rinchiudersi in sé stessa, trasformava la rabbia in energia che
sfruttava per allenarsi a tempo pieno con May, il suo nuovo supervisore.
Un altro pensiero era impresso a fuoco nella mente del neo direttore
dello SHIELD: Sapeva che Natasha e Steve Rogers erano usciti
tutti interi dal disastro di Washington, così come la Hill, che si era
trasferita a lavorare per Tony Stark, che ovviamente non aveva
risentito delle conseguenze dei cambiamenti politici: lo SHIELD non era
mai stato affar suo nel vero senso della parola.
Thor ovviamente se ne stava ad Asgard, e probabilmente li stava
osservando scannarsi con quela leggera aria di superiorità.
All'appello mancavano però Occhio di Falco e Bruce Banner.
Il secondo poteva essere chissà dove, probabilmente in qualche
villaggio sperduto ad aiutare persone in difficoltà e con, allo stesso
tempo, ampi spazi dove poteva trasformarsi senza fare del male a
nessuno; oppure era con Stark, a lavorare a una qualche diavoleria.
Ma che ne era stato di Clint?
Phil non sapeva nulla di lui, e nessun canale di informazione ne aveva
parlato: l'arciere sembrava sparito dalla circolazione, e Coulson si
augurava che, dovunque fosse, fosse al sicuro, per quanto ciascuno di
loro poteva esserlo in quel particolare periodo.
Se fosse riuscito a localizzarlo, avrebbe dovuto chiamarlo?
Clint era qualcuno che Phil considerava un amico, uno dei primi che
avrebbe voluto chiamare per comunicargli che era vivo. Non l'aveva mai
fatto, perchè Fury l'aveva convinto a mantenere il segreto, ma ora le
cose erano cambiate, e se qualcuno era fedele allo SHIELD, quello era
Clint Barton.
Nel momento in cui formulava quel pensiero, si rese conto di aver già
deciso.
Alla lista di persone da reclutare nel nuovo SHIELD, aggiunse un nome.
***
C'era una cosa che in quelle settimane Tommy non aveva ancora detto a
Clint, una cosa che Maria Hill si era raccomandata caldamente di non
rivelare fino a quando l'arciere non si fosse completamente rimesso.
I giorni passavano, e la loro vita in Italia aveva assunto dei
connotati di normalità: Tommy iniziava a masticare un po' di quella
difficile lingua, che usava moltiplici parole per esprimere concetti
brevissimi e che aveva una quantità innumerevole di tempi verbali,
mentre Clint aveva trovato per loro un appartamentino semplice ma
economico, e soprattutto, che non dava nell'occhio.
La notizia della caduta dello SHIELD alla fine era arrivata anche lì,
ma la quantità esorbitante di turisti da tutto il mondo aveva
contribuito al fatto che nessuno aveva, finora, associato i due
“fratelli” all'organizzazione militare finita nell'occhio del ciclone.
Clint ne aveva approfittato per riposare la vista e rimettersi
completamente.
Una telefonata di Iron Man li aveva raggiunti non si sapeva bene come
(né avevano provato a capirlo, tra l'altro) e aveva dato all'arciere
l'indirizzo di un oculista specializzato di sua fiducia, in modo che
potesse sottoporsi a controlli regolari per assicurarsi che tutto
stesse andando come previsto.
La visita del giorno prima (in videoconferenza con Tony Stark) aveva
definitivamente dichiarato Clint clinicamente guarito. Poteva
ufficialmente riprendere l'attività di agente e soprattutto quella di
arciere, che poi era quello che premeva di più al paziente.
Mentre l'amico era sotto la doccia, Tommy prese in mano un semplice
post-it giallo pallido, scritto a mano. Su di esso era scritto soltanto
un numero di telefono, di provenienza indefinibile (probabilmente una
di quelle famigerate linee fantasma satellitari di Fury), e la
raccomandazione della Hill di chiamare quando si fosse rimesso
pienamente.
La recluta sospirò.
Consegnò il biglietto a Clint non appena questo uscì dalla doccia, e
sopportò in un silenzio per niente pentito il suo sfogo rabbioso.
Avrebbe dovuto consegnargli subito il biglietto, non aspettare mesi che
lui guarisse.
Tommy pensava che l'agente avesse ragione solo in parte: se il numero
fosse stato un biglietto di sola andata per i guai, Clint non sarebbe
stato in grado di affrontarli senza rovinare, forse irrimediabilmente,
il suo percorso di guarigione, senza contare che un bersaglio mancato
al momento sbagliato avrebbe potuto decretare la loro condanna a morte.
L'HYDRA non faceva prigionieri, e Tommy non aveva voglia di scoprire
quale tra le varie filosofie e religioni avesse ragione sull'aldilà,
non ancora, per lo meno.
Non cercò nemmeno di spiegare tutto questo a Clint; sapeva che, una
volta che si fosse calmato, tutto questo gli sarebbe venuto in mente.
***
Tra tutte le possibili ipotesi che gli erano balenate alla mente su chi
avrebbe risposto una volta composto quel numero, la voce che sentì
dall'altro capo del telefono lo lasciò allo stesso tempo felice,
furioso, sgomento e un qualche altro sentimento che ben non sapeva come
definire.
Una cosa era certa: poche erano le cose che lasciavano Occhio di Falco
senza parole (o meglio, senza battute di spirito), e questa era
decisamente una nuova opzione.
-Clint?- la voce ora sembrava stesse esitando -Sei ancora lì?-
-E' passato più di un anno. Più di un anno-
-Lo so-
-Lo so? E' tutto quello che hai da dire? Che lo sai?-
-Clint...-
Ma Clint aveva già riattaccato ed era uscito da quella angusta cabina
telefonica, una delle poche rimaste abilitate per effettuare chiamate
in quegli anni dove i cellulari facevano da padroni.
Tommy lo aspettava lì fuori, e l'agente più anziano capì subito che
probabilmente aveva una di quelle espressioni che sconsigliavano la
formulazione di domande, perchè prese a camminargli accanto senza
rivolgergli una parola.
Per distrarsi dalla rivelazione appena ricevuta, che non gli aveva
permesso di proseguire la conversazione, l'arciere riflettè che così
come Natasha e.... quell'uomo, Tommy, nonostante la sua giovane età,
era capace di capire al volo quando aveva bisogno di restare con sé
stesso. Era, del resto, uno dei motivi perchè la loro strana convivenza
a tre funzionava perfettamente a New York, così come stava funzionando
la loro nuova vita in incognito.
Solo una volta tornati in albergo, il ragazzino si azzardò a fargli una
domanda, ma ancora una volta, una di quelle che gli lasciava ampio
spazio di risposta.
-Tutto ok?- Fu tutto quello che gli chiese.
Clint meditò per qualche manciata di secondi prima di rispondere, non
tanto perchè non si fidasse di Tommy, quanto perchè dargli una risposta
sincera implicava l'ammettere un bel po' di cose che non aveva
particolarmente voglia di affrontare.
La prima era che quell'uomo era vivo, il che in sé non era in effetti
una brutta notizie, se non fosse stato per il fatto che indirettamente
era stato lui, quel maledetto giorno, su quell'helicarrier, a causarne
la morte.
Lui aveva praticamente ucciso uno dei suoi pochissimi amici, ed era una
delle cose che avevano mandato KO la sua psiche dopo gli eventi di New
York.
Quando, ripresosi, aveva chiesto a Natasha quante persone aveva ucciso,
lei lo aveva zittito, ma si era anche ben guardata dal dirgli che, tra
le vittime, c'era anche Phil.
Lo aveva saputo soltando dopo, quando IronMan, facendo la conta di
tutti quelli che Loki aveva fatto incazzare, aveva pronunciato anche
quella dannata frase: “Si chiamava Phil”.
Quelle parole, più di tutto il resto, l'avevano motivato a voler
abbattere a tutti i costi il semi-dio.
Di tutte le morti che aveva sulla coscienza, quella di Coulson era
l'unica che non era mai riuscito a perdornarsi. Non tanto perchè fosse
suo amico, quello ovviamente aggravava già di per sé la cosa, quanto
perchè Phil Coulson era una di quelle poche persone che nonostante
avesse una posizione di potere, non si era fatto mai sopraffarre e
aveva mantenuto la sua morale. Quando c'era Coulson in giro, era un po'
come avere uno Steve Rogers senza superpoteri: volevi a tutti i costi
fare la cosa giusta, comportarti secondo una moralità superiore. Non
per niente aveva convinto un ragazzino scapestrato, che rubava per
vivere utilizzando arco e frecce, a votarsi alla causa dello SHIELD.
E quel ragazzino l'aveva fatto uccidere,
Poi era finito in terapia, e tutto il resto era seguito a ruota. La
vita era ricominciata, le missioni anche, ma quel rimorso, Clint lo
aveva sempre saputo, non se ne sarebbe mai andato.
E ora veniva a sapere che quel figlio di puttana era vivo e vegeto. E
voleva il suo aiuto.
Decisamente, non era pronto ad affrontare tutto questo.
Da un lato, voleva ammazzare Phil Coulson una volta per tutte, in modo
da non aver sofferto invano; dall'altro stava ancora cercando di capire
a quale santo, Dio, semi-dio o pratica medica ringraziare per il fatto
che il mondo, con lui di nuovo in giro, non faceva più così schifo.
-Ricordi di un'altra vita- fu tutto quello che alla fine rispose a
Tommy. -Ho bisogno di dormirci su, prima di rifare quel numero-
La realtà era che avrebbe voluto dormirci sopra solo dopo essersi preso
una di quelle sbornie colossali, ma con un diciassettenne (molto in
gamba, ok, ma pur sempre un diciassettenne) a cui badare, si sentiva in
dovere, per una volta, di fare l'adulto responsabile che non affronta i
dispiaceri in un mare di alcol.
-Va bene- Rispose Tommy prima di defilarsi per andare a recuperare del
cibo che fosse vagamente commestibile.
Diversa nazione, diversa vita, ma vecchie abitudini invariate: la
civiltà frigorifera aveva appena scoperto la ruota ed il fuoco.
PERSONAL SPACE: Lo confesso.
Non vedevo l'ora di scrivere questo pezzo. Avevo una voglia matta di
scrivere la reazione di Clint alla notizia della "resurrezione" di Phil
Coulson...spero che tutti voi abbiate visto agents of shield, in modo
da poter seguire la trama.
Comunque tutto quello che
dovete sapere è qui: Coulson è vivo, ha una sua squadra e Fury l'ha
incaricato di riformare lo SHIELD dopo la fine di Cap 2. Purtroppo
nella squadra di Phil c'era anche una spia dell'HYDRA. Per il resto, vi
rimando alla pagina di Wikipedia della serie...oppure vi invito a
recuperarla perchè è davvero carina!
Niente...per il resto spero che
abbiate gradito....fatemelo sapere e a presto!
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Capitolo 5 *** Ritorni - parte II ***
PERSONAL SPACE: Ciao a tutti!
Come promesso eccomi con la seconda parte del terzo capitolo, con nuovi
personaggi introdotti... che spero siano di vostro gradimento!
Grazie mille a winterlove97 e
td98 che mi hanno recensita...spero continuatie a seguirmi...e grazie a
tutti quelli che leggono e che mi seguono in silenzio!
Buona lettura!!
CAPITOLO
3: RITORNI
Parte II
L'incontro con Bruce Banner avvenne per caso.
Natasha si trovava in Cina, alla ricerca di un suo vecchio contatto
della Triade (la mafia cinese) che le avrebbe assicurato, volente o
nolente, una nuova identità con cui poter viaggiare.
Il suo obiettivo primario era quello di ritrovare Tommy e Clint. Un
breve contatto con la Hill le aveva assicurato che i due erano fuggiti
insieme dalla Stark Tower e si erano messi in salvo.
Natasha non sapeva e essere sollevata o allarmata dalla cosa: da una
parte, New York non era un posto sicuro: non appena avesse messo il
naso fuori dalla torre di Tony sarebbe stato molto probabilmente
arrestato, se non giustiziato sul posto, dall'altra non aveva idea di
quali fossero le condizioni degli occhi di Clint: aveva completato il
processo di guarigione? Sarebbe stato in grado di badare a sé stesso e
a Tommy?
Non lo sapeva, e questo, più di ogni altra cosa, l'aveva convinta a
smetterla di vagabondare per il mondo e trovarsi un'identità che le
permettesse di raggiungere la sua... famiglia. Sì. Iniziava seriamente
a pensare a quei due come a una sgangherata famiglia. Alla SUA
sgangherata famiglia.
Si era quindi spostata da Mosca verso la Cina, e ora si trovava a
Boading Hebei, una cittadina non molto lontana da Pechino e dove era
stato rilevato per l'ultima volta il suo contatto. Da Mosca, poiché
l'HYDRA controllava più o meno tutti i canali di comunicazione e ogni
stazione e aeroporto, si era mossa sui mezzi più improbabili: camion,
treni merci...asini. Ci aveva messo in totale una decina di giorni, ma
alla fine era arrivata a destinazione. Ci aveva messo poco a ritrovare
il suo amico e a costringerlo a crearle un nuovo alias...con un
generoso sconto.
Stava cercando di comprare un biglietto per l'Europa quando voci di un
dottore che faceva miracoli avevano attirato la sua attenzione.
Chiedendo qualche semplice informazione, era arrivata alla conferma dei
suoi sospetti: era a poca distanza da Banner.
Poteva, e forse avrebbe dovuto, fregarsene e proseguire il suo viaggio,
ma era stanca e un qualche istinto la convinse a contattarlo.
Lo trovò in un angolo di un villaggio sperduto poco fuori dalla città,
una cittadina così piccola e povera che probabilmente non aveva nemmeno
un nome. Allungò un paio di dollari americani al ragazzino che l'aveva
accompagnata fin lì, poi si diresse verso la capanna attorno alla quale
si era radunata gran parte della popolazione del villaggio.
Istintivamente, vedendo un'occidentale, diedero tutti per scontato che
fosse l'assistente del dottor Banner e le aprirono un varco.
Lei entrò e si appoggiò a una parete, silenziosa fino a quando lui non
finì di curare l'anziana donna di cui si stava occupando. Non era
sicura che lui l'avesse sentita entrare, ma ne ebbe la conferma quando
lui, senza nemmeno voltarsi, le parlò:
-Lo SHIELD ha di nuovo bisogno di me?- nella voce dell'uomo c'era
appena una punta di ironia, ma anche quel briciolo di serietà che di
solito lo contraddistingueva.
-Non hai saputo?- gli chiese di rimando
-Qui le informazioni non arrivano molto facilmente-
-Lo SHIELD non esiste più-
Lo shock della rivelazione fu tale per Banner che si voltò di scatto a
guardarla, per un attimo dimentico di quello che stava facendo.
-Cosa?-
Natasha non potè fare a meno di lasciarsi sfuggire un sorriso, mentre
nello stesso tempo si chiedesse se fosse una bella o una cattiva
notizia per l'uomo. Probabilmente entrambe, visto che l'organizzazione
aveva sempre avuto il desiderio di controllarlo, ma allo stesso tempo
era anche l'unico posto dove si sarebbe trovato davvero al sicuro, dove
c'erano delle strutture (da lui stesso costruite) in grado di arginare
la forza di Hulk nel caso fosse sfuggito al suo controllo.
Aspettò tuttavia che Bruce finisse di sistemare le sue cose prima di
raccontargli tutto mentre tornavano in città insieme.
Fu un sollievo, per lei, poter finalmente raccontare tutto a qualcuno
che la conosceva davvero, al di fuori delle aule di tribunale o dalle
sale interrogatori. Il dottor Banner la ascoltò praticamente in
silenzio, assorbendo le nozioni senza lo scopo di decidere se fosse
colpevole o meno.
Non sapeva né come né perchè, ma la russa si ritrovò anche a
confidargli tutte le sue preoccupazioni nei riguardi di Tommy e Occhio
di Falco...e si riscoprì perfino preoccupata per Steve e Sam Wilson.
I due erano infatti sulle tracce del Soldato d'Inverno, nel tentativo
di salvarlo e restituire a Capitan America il suo migliore amico.
-Beh- commentò l'uomo quando ebbe finito, mentre se ne stavano seduti
nell'umile casetta del dottor Banner a sorseggiare un tè -Se non altro
almeno adesso sappiamo dove sia il nemico-
-Già... il problema è che sta in una posizione per noi molto scomoda.
Non puoi abbattere un governo se non puoi fare un passo senza che lui
lo sappia-
-Vero-
Rimasero in silenzio per un po' e per quella notte Natasha rimase con
Bruce, senza però riuscire a convincerlo ad unirsi a lei. Il dottore
preferiva di gran lunga rimanere nel suo anonimato ad aiutare le
persone, piuttosto che unirsi a un qualcosa che poteva portarlo a
perdere il controllo e a fare più danni che altro. Non era adatto allo
spionaggio, e non era un soldato.
Si lasciarono però con la consapevolezza che era comunque uno dei
vendicatori e come tale sarebbe stato della partita nel momento in cui
ci sarebbe stato bisogno di lui.
Quando si rimise in viaggio (questa volta su un comodo aereo) per
l'Europa, Natasha si sentiva un po' più leggera, ma anche un pochino
sola. Per quanto lei non fosse un'amante della compagnia, quella
di Banner, con la sua onnipresente gentilezza, un po' le mancava.
***
-Ho una pista-
Sam Wilson entrò nella camera di quello squallido albergo che al
momento ospitava lui e Steve.
I due non erano riusciti a trovare di meglio, erano troppe le persone
che temevano di passare dei guai con il governo per aver accettato di
dare alloggio a Capitan America e che rifiutavano loro qualunque tipo
di aiuto.
Alla fine avevano convinto l'oste di quell'albergo fuori Chicago a
cedere loro una camera, dopo un generoso aumento del prezzo a notte.
Non appena avevano messo piede nella stanza, avevano ringraziato il
cielo che per lo meno, seppur fatiscente, l'ambiente era abbastanza
pulito da poterci vivere senza rischiare di prendersi qualche malattia
rara o scoprire qualche nuova specie sconosciuta perfino
all'appartamento di Clint Barton.
-Dove?-
Qualunque cosa stesse facendo prima di quel momento Steve Rogers, smise
nel momento in cui l'amico rientrò con quella notizia.
Da quando si erano separati dagli altri davanti alla tomba di Nick
Fury, i due amici si erano spostati per gli Stati Uniti nella speranza
di trovare una qualche traccia del Soldato D'Inverno.
Ma quello che una volta era Bucky Barnes sembrava completamente sparito
nel nulla dopo gli eventi di Washington, quando, Steve ne era convinto,
il Soldato lo aveva salvato da una morte certa nel fiume Potomac.
Era stato questo, più di ogni altra promessa che si erano fatti in
passato, a convincerlo che Bucky era ancora vivo, e aspettava solo di
essere liberato dalla gabbia della propria mente, e che spettava a lui,
Steve, riportarlo indietro. Lui era l'unico che aveva una qualche
possibilità di farcela, perchè era l'unico ponte tra il Soldato
D'inverno e James Barnes.
Sam Wilson non aveva esitato un secondo ad assecondarlo in quella che
probabilmente si sarebbe rivelata una vera e propria pazzia, ma l'aveva
subito capito: come Steve, anche lui aveva perso il suo migliore amico
in battaglia, e se ci fosse stata anche una minima possibilità di
riaverlo con sé, l'avrebbe colta al volo.
Adesso, dopo svariate settimane, finalmente, forse, era saltato fuori
qualcosa.
-Pare sia in Europa-
-Europa?-
-Esatto. Uno dei miei contatti mi ha inviato queste foto. Sono
sgranate, le videocamere di sorveglianza non hanno una grande
risoluzione, ma ho confrontato le immagini con la foto che mi hai
dato... e mi sembra lui-
Sam gli mise in mano un fascicolo, il secondo che ricevevano sul
Soldato dopo quello fornitogli dalla Vedova Nera, quel giorno al
cimitero.
Nel primo vi erano le schede ufficiali dello SHIELD, del KGB e di altre
società di servizi segreti di tutto il mondo. Avevano trovato
informazioni, missioni, omicidi e vittime delle missioni del
Supersoldato, più due preziosissime facciate scritte a computer da
Natasha, dove raccontava per filo e per segno il suo primo scontro con
Bucky, quello a cui aveva già accennato con Steve quel giorno
all'ospedale.
Il suo rapporto ufficiale era presente anche nella scheda dello SHIELD,
naturalmente, ma il racconto di Natasha era molto più
particolareggiato, senza alcune omissioni che mancavano dal rapporto,
probabilmente per salvaguardarsi la reputazione.
Steve aprì il secondo fascicolo, quello che Sam gli aveva appena dato:
era, ovviamente, molto più sottile rispetto al primo, ma contenenva una
decina di immagini originali e qualche altra foto ingrandita e tagliata.
I pixel messi in evidenza dalle manipolazioni grafiche avevano
diminuito drasticamente la qualità delle foto, rendendo meno nitido il
volto dell'uomo, ma a Steve non servì vedere la sua faccia per
riconoscere l'amico d'infanzia: la postura, quella sicurezza che non
veniva cancellata nemmeno quando, come ora, cercava di passare
inosservato.
-E' lui- Confermò. -Sappiamo dove era diretto?-
-Abbiamo le immagini fino ai Check-in, e successivamente quelle del
controllo passaporti per i voli in partenza per l'Europa, ma le nostre
tracce si fermano qui. Non abbiamo idea di che nome stia utilizzando,
perciò non sono riusciti a dirmi su che volo si sia imbarcato-
-E' possibile ottenere informazioni da tutti gli aeroporti?-
Sam non potè fare a meno di sorridere di fronte all'ultima domanda di
Steve, e all'improvviso ricordò quanto i due fossero cronologicamente
distanti.
Ovviamente, il Capitano si era fatto l'idea che con le tecnologie del
21esimo secolo tutte fosse possibile, che non ci fossero limiti. Sam
non se ne stupiva troppo, probabilmente l'avrebbe pensato anche lui
trovandosi di fronte a un mondo dove l'Europa era a sole 8 ore di volo
dall'America (5 o anche meno, se si usavano i velivoli supersonici
dello SHIELD), le lettere arrivavano nel giro di secondi, e le
telecamere rendevano facile rintracciare chiunque nel giro di poco
tempo.
Probabilmente anche lui avrebbe pensato che la tecnologia fosse una
sorta di Dio onnipresente e onnipotente al servizio di tutti.
-Sarebbe bello- rispose cercando di non assumere l'atteggiamento di un
insegnante di fronte a un alunno un po' tardo, una cosa che gli veniva
abbastanza facile da quando teneva gli incontri di gruppo per veterani
-Ma sarebbe difficile anche se potessimo accedere alle strutture dello
SHIELD, cosa che ovviamente non possiamo fare-
-Pensavo che il tuo contatto potesse mandarci altre foto...-
-Potrebbe, certo, ma da quando i voli commerciali sono diventati
economici gli aeroporti si sono moltiplicati a vista d'occhio. Ormai
ogni città mediamente grande ne ha uno, e le capitali ormai anche due o
tre. Anche con le risorse di Tony Stark sarebbe impossibile.-
-Capisco- E a Sam quasi pianse il cuore per la leggera nota di
delusione che sentì in quell'unica parola pronunciata da Rogers.
Cercò di pensare a qualcosa, qualsiasi cosa, che potesse evitare di far
cadere nel nulla quell'unica, debole traccia che avevano.
-Perchè Bucky dovrebbe andare in Europa?- chiese alla fine
-Che vuoi dire?-
-Se, come sospettiamo, un qualcosa si è riacceso in lui, e, assumento
come vera l'ipotesi che sia riuscito a sfuggire all'HYDRA, e quindi a
un ennesimo lavaggio del cervello, perchè dovrebbe andare in Europa, o
meglio: dove? C'è qualcosa che potrebbe spingerlo lì? Oltre al fatto di
esserci morto, ovviamente-
-Beh – iniziò Steve dopo aver raccolto un po' le idee e aver fatto
mente locale sulla sua vita negli anni 40. Dio. Era passata
un'eternità. Un'eternità durante la quale lui aveva dormito mentre
L'HYDRA trasformava il suo migliore amico in una macchina da guerra e
si insinuava nell'organizzazione che Howard Stark e Peggy avevano
fondato con tanta fatica. Scosse la testa per evitare che quei pensieri
si installassero nella sua mente, sommergendolo di sensi di colpa che
non dovevano appartenergli e distraendolo dalla sua missione primaria.
-Siamo stati praticamente ovunque in Europa: Germania, Italia, Polonia.
Ovunque trovavamo basi dell'HYDRA.
-C'è un qualche luogo particolare dove potrebbe essere andato? Dove
avete condiviso qualche emozione particolarmente intensa?-
-Dio, non lo so, Sam. Che importanza ha?-
-Ne ha invece- rispose il soldato di colore con un tono meno
incalzante. Aveva capito che più si agitava, peggio era per Steve
-Ascoltami- riprese -Lavorando con i veterani, all'ospedale militare ne
ho viste di tutti i colori. Amnesie, stati confusionali. E tutto si
riconduceva a particolari episodi. Episodi forti. Esplosioni,
sequestri, esecuzioni a sangue freddo, corpi bomba. Se riesci a isolare
un qualche episodio successo in Europa, forse avremmo la possibilità di
restringere il campo.-
-Non sono Bucky-
-Sei stato tu a dirmi che eravate come fratelli. Avete condiviso
insieme troppe cose. Steve, sei l'unico che può aiutarlo. Pensa.-
Steve annuì e iniziò a pensare...
***
Si trovava su un lettino di quelli da
laboratorio, di quelli che aveva imparato a riconoscere e ad odiare con
tutte le sue forze.
Ma era un'altra vita. Si sentiva
ripetere all'infinito una serie di numeri, poi un nome : James Buchanan
Barnes, seguito da: Esercito degli Stati Uniti D'america.
Era la sua voce che parlava, ma allo
stesso tempo non era lui.
O sì?
Poi una voce, una voce amica che lo
chiamava, chiamava quell'uomo che aveva il suo corpo e la sua parlata.
Parole che lasciarono il soldato allibito, convinto che fosse
l'ennesima allucinazione:
-Sono io! Sono Steve!
Mani forti lo slegarono, e i suoi
occhi misero a fuoco un volto famigliare.
-Steve?- ora lo stava aiutando a
rimettersi in piedi
-Andiamo!-
-Steve...-
-Pensavo fossi morto-
Nell'uomo che era lui, e allo stesso
tempo non era lui, si risvegliò qualcosa, il senso dell'umorismo,
quello che non lo abbandonava mai.
-Pensavo fossi più piccolo-
Il Soldato d'Inverno si risvegliò di soprassalto. Si trovava in volo,
su un aereo con un biglietto di classe economica diretto verso l'Europa.
Non sapeva cosa l'avesse spinto a imbarcarsi proprio su quella
destinazione, ma qualcosa gli diceva che se voleva liberarsi di quegli
incubi (o abbracciarli e accettare l'identità di quello sconosciuto,
suggerì una voce latente dentro di sé) la soluzione era nel vecchio
continente.
Si era appisolato mentre sfogliava uno dei giornali di bordo, che
stringeva ancora in pugno aperto all'ultima pagina che aveva visto
prima di chiudere gli occhi.
Una foresta, nei boschi della Toscana, in Italia.
Quelle parole, risvegliarono nella sua mente il ricordo del sogno, o
meglio dell'incubo, in cui quell'uomo con il suo corpo e la sua voce,
veniva liberato da Capitan America.
Altri flash arrivarono a colpirlo come lame.
Un plotone di almeno 200 uomini.
L'imboscata dei nazisti.
Lo sterminio e la cattura.
Il lettino di laboratorio.
Il liquido azzurro che gli veniva iniettato nelle vene.
Steve Rogers, Capitan America.
Ogni immagine era una fitta alla testa, tanto che un gemito uscì dalle
sue labbra, fortunatamente tanto lieve da essere soffocato dal rumore
costante dei 4 motori dell'Airbus A-340-600 (come lo aveva informato la
scheda con le istruzioni in caso di emergenza) che riempivano la
cabina, ovattando ogni altro suono.
-Si sente bene?- La mano gentile dell'assistente di volo lo colse alla
sprovvista, tanto che, veloce come un fulmine, le afferrò il polso,
prima di rendersi conto che non si trattava di una minaccia.
Evidentemente doveva essere molto pallido, o molto sudato.
-Sì... la ringrazio. Mi scusi-
Gentile e cortese come era stato addestrato a fare le lasciò la mano,
permettendole di tornare a svolgere le proprie mansioni.
Il soldato si appoggiò allo schienale e chiuse gli occhi, cercando di
rilassare la mente e scacciare il dolore e quelle immagini.
Quando le ruote del carrello toccarono terra, all'aeroposto Charles De
Gaulle di Parigi, sapeva quale sarebbe stata la sua prossima meta.
Non sapeva ancora cosa avrebbe fatto, ma sapeva che almeno alcune delle
risposte erano in Italia.
Appena giunto all'interno del terminal, cercò il modo di arrivare nel
bel paese.
PERSONAL SPACE: Rieccomi!
Grazie di essere arrivati fin qui! Spero che abbiate gradito la prima
apparizione "seria" del soldato d'inverno.
Che sarà ora dei nostri amici?
Stay tuned! A presto!
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Capitolo 6 *** Ricordi ***
PERSONAL SPACE: rieccomi! e
questa volta con ben un capitolo intero tutto pe voi! (miracoloooo!!!)
Voglio ringraziare Winterlove97 ed Ella Rogers per le loro recensioni e
tutte coloro che leggono anche senza commentare...spero che anche se
non me lo dite, questa cosa sia di vostro gradimento!
E niente...vi lascio il
capitolo! ciao!!!
CAPITOLO
4: RICORDI
Memory
All alone in the
moonlight
I can dream of the
old days
Life was beautiful
then
I remember the
time I knew what happiness was
Let the memory
live again
Memories - Cats (il musical)
Il mattino successivo Clint trovò la
forza di richiamare quel numero solo dopo un'abbondante colazione e un
caffè corretto (o forse sarebbe meglio dire un cognac corretto col
caffè) e, nonostante questo, mentre componeva le cifre sul tastierino
di una cabina telefonica (una delle poche rimaste ancora attive)
faticava a restare calmo. Non riusciva proprio a capacitarsi del fatto
che Phil non gli avesse rivelato di essere ancora vivo. Lui, che lo
aveva reclutato e, bene o male, gli era sempre stato vicino.
Il giorno in cui aveva conosciuto
Coulson, non era stato che un giorno di normale routine per Clint
Barton. Persa ormai da tempo la speranza di ritrovare suo fratello,
finito chissà dove, e praticamente impossibilitato dal trovarsi un
lavoro regolare a causa dell'assenza di documenti legalmente validi
(beh, tecnicamente essendo un sedicenne orfano non avrebbe nemmeno
dovuto vivere al di fuori di un istituto, e invece aveva passato anni a
lavorare in un circo) aveva deciso di sfruttare la sua innata
abilità con le armi da taglio a scopo di lucro, se così si poteva
definire la sua nuova attività.
Si era scoperto molto abile
nell'infilarsi nelle case altrui per rubare e ben presto aveva capito
che era più redditizio lavorare per conto di altri (e farsi
pagare profumatamente per farlo) piuttosto che intrufolarsi nelle
abitazioni per qualche spicciolo.
Si trovava a New York per un furto
che rientrava pienamente nella categoria “La gente è strana. Ruba,
prendi i soldi e non farti troppe domande”. Gli era stato chiesto di
infilarsi nell'appartamento di un uomo e rubare un portafogli, di cui
gli era stata fornita una foto in modo che potesse riconoscerlo.
Il biondino, seppur perplesso dalla
richiesta (chi cavolo paga un ragazzino 3000 dollari per un dannato
borsellino di pelle nera?), si era messo subito al lavoro. L'uomo era
quanto di più ordinario di potesse immaginare. Sulla trentina, faceva
un lavoro probabilmente d'ufficio. Entrava e usciva di casa a orari
regolari, quasi ogni giorno, sempre vestito in abito scuro, camicia e
cravatta. Al solo pensiero di finire così Clint ebbe un brivido,
soprattutto perchè l'uomo sembrava pienamente realizzato. Viveva da
solo e, apparentemente, non aveva famiglia. L'arciere lo seguì per una
settimana, per studiarne le mosse e l'eventuale pericolosità (come se
una persona del genere potesse costituire davvero una minaccia):
lavorava in un anonimo ufficio, probabilmente per una qualche
multinazionale o una qualche banca, non era riuscito a capirlo; era
comunque uno di quei posti pieni di colletti bianchi.
L'uomo teneva il portafogli quasi
sempre con sé, e aveva notato che lo utilizzava per poter entrare in
alcune aree dell'edificio in cui lavorava. Lo appoggiava a una piastra
nera e la porta si apriva, come se fosse una specie di chiave.
Evidentemente chi voleva quell'affare meditava, forse, di riuscire a
introdursi in uno di quegli uffici. Ad ogni modo, non erano affari suoi.
Ma quando, finalmente, aveva deciso
di mettere in atto il suo piano, si era trovato di fronte a una bella,
quanto sgradita, sorpresa, che però gli aveva cambiato la vita.
Probabilmente fu una fortuna che all'altro capo della linea rispose una
giovane voce.
-Servizio meteo nazionale-
Sul serio utilizzavano ancora le vecchie conversazioni in codice delle
linee sicure dello SHIELD? Si chiese l'uomo, rimanendo per un attimo
interdetto, chiedendosi se doveva rispondere con la frase in codice che
chiedeva la linea diretta col direttore o quella per parlare con
Coulson (solo quest'ultimo e Maria Hill avevano una frase
personalizzata, almeno per quanto ne sapeva). Alla fine decise di usare
la seconda, per precauzione.
-Servizio meteo, posso aiutarla?- ripetè la voce.
-Buongiorno- rispose -E' possibile sapere dove cadrà la neve? Vorrei
andare a sciare-
L'agente dello SHIELD che aveva preso la telefonata rimase per un
attimo spiazzata. L'uomo dall'altra parte del telefono chiedeva di
parlare direttamente con Coulson. Skye non ci mise molto a fare due più
due e a capire che molto probabilmente si trovava a colloquio con uno
dei vendicatori: Capitan America o Occhio di Falco, considerando il
fatto che era a conoscenza dei codici militari dell'organizzazione.
Dubitava che Banner li conoscesse, la Vedova Nera era una donna... e
Tony Stark o Thor non sarebbero certo passati dalle normali linee dello
SHIELD, senza contare che non avevano idea del fatto che l'ex agente
fosse sopravvissuto all'attacco di Loki.
-Il mio nome è Skye- rispose velocemente -Le passo subito gli
specialisti dell'alta quota. Buona giornata.-
Mise la chiamata in attesa e corse velocemente all'ufficio del neo
direttore.
-Coulson?-
-Sì, Skye?-
-Una chiamata per lei. Linea sicura.-
-Da dove?-
La ragazza estrasse il tablet e in pochi minuti rintracciò la chiamata
-Italia-
-Passamelo-
-Sì, signore-
Skye era appena uscita dal suo ufficio, e all'improvviso Coulson si
ritrovò a essere molto nervoso.
Lui e Clint non si potevano certo definire amici nel senso più
tradizionale del termine, ma il loro legame era qualcosa che di certo
ci si avvicinava molto. Era stato lui a reclutare quel giovane ladro
scapestrato che era Barton ormai una ventina di anni prima.
Non aveva avuto subito la certezza
che qualcuno lo stesse seguendo. Per andare al lavoro in una struttura
segreta dello SHIELD, Phil Coulson faceva di tutto per non attirare
l'attenzione: si vestiva come un qualunque uomo d'affari, di quelli che
al mattino riempivano le strisce pedonali di New York: un esercito di
24 ore e bicchieri del caffè di varie dimensioni e varie catene di bar
che si metteva in marcia allo scattare della luce bianca del semaforo
che rappresentava un uomo in movimento.
Lui non faceva eccezione. Il caffè
gli piaceva, senza contare che il bicchiere di carta nelle mattine
d'inverno era fonte di un piacevole tepore.
Insieme a tutti gli impiegati,
naturalmente incontrava una mezza marea di studenti diretti a scuola.
Per questo, all'inizio, non aveva fatto molto caso al giovanotto che
era comparso un mattino qualche giorno prima. Capitava tutti i giorni,
nella Grande Mela, che arrivasse un qualche studente nuovo trasferitosi
da un'altra scuola, città o addirittura da un altro stato. Solo dopo un
po' aveva notato che non prendeva la strada per la scuola, ma
soprattutto che il suo atteggiamento era ben diverso da quello dei suoi
coetanei.
Non parlava mai con nessuno, non
ascoltava musica, non leggeva.
Da quel momento ci erano volute meno
di due ore perchè Phil Coulson capisse che, chiunque fosse, stava
seguendo lui. Proseguì la sua vita come se niente fosse accaduto,
circondandosi di una noiosa quanto rassicurante routine di colletto
bianco, attendendo la mossa successiva del suo pedinatore.
Accadde di notte,e probabilmente Phil
non si sarebbe accorto di nulla se il caso non avesse voluto che la sua
vescica lo svegliasse per un impellente bisogno di svuotarsi. Solo un
leggero fruscio della tenda aveva tradito il ragazzino, che per il
resto era straordinariamente silenzioso. Phil prese la pistola dal
cassetto, ma decise poi di lasciar correre.
Osservò il biondino girare silenzioso
per la casa, ma senza toccare o prendere nulla. Era come se stesse
facendo soltanto un'ispezione, e infatti pochi minuti dopo uscì come
era entrato, dalla finestra della cucina.
Il mattino dopo, fu l'agente a
ribaltare la situazione.
Attese che il ragazzo gli passasse
davanti (a volte lo faceva, in un tentativo abile, ma inefficace, di
dissimulazione) prima di afferrarlo per lo zainetto e piantargli una
pistola al fianco, nascosta proprio dalla borsa del suo inseguitore.
-Cammina. Non fiatare. Obbedisci e
forse non ti ucciderò-
L'altro annuì appena e seguì le sue
istruzioni fino a un vicolo isolato. Solo lì, capendo di essere
arrivato al capolinea cercò di ribellarsi e fuggire.
Coulson non dovette impegnarsi molto
per immobilizzarlo a terra in pochi secondi. Il ragazzo era veloce, ma
mancava di tecnica.
-Chi sei?- gli chiese.
-Chi diavolo sei tu?- fu la risposta
diretta del biondino -il cugino sfigato di James Bond?-
-Qualcuno che non ti conviene fare
incazzare-
Phil lo voltò e gli inchiodò le
spalle al muro, tenendolo saldamente per la collottola. Gli puntò la
canna della Beretta d'ordinanza allo stomaco -Non te lo chiederò
una seconda volta. Chi sei?-
-Occhio di Falco-
-Occhio di Falco?-
-Problemi a riguardo?-
-Che facevi ieri in casa mia?-
-Ma che cazzo dici?- L'agente
premette più a fondo la pistola, fino a strappargli un gemito di
dolore. Non voleva ucciderlo, non ancora perlomeno.
-Ok. Ok.-
-Allora?-
Mentre Occhio di Falco parlava,
confessandogli la sua missione (Evidentemente teneva più alla pelle che
hai soldi che gli erano stati promessi per quel colpo o, forse, aveva
capito che probabilmente l'unica ricompensa che avrebbe visto una volta
consegnato il distintivo sarebbe stata una pallottola in testa o nel
cuore), Phil lo guardava.
Fino al pochi minuti prima gli
avrebbe dato circa 18 anni, ma, guardandolo da vicino, si accorse che a
malapena arrivava ai 16, forse. Era esile, e aveva i capelli in
disordine e un po' sporchi, come se non avesse una fissa dimora in cui
lavarsi con regolarità. Era in salute, ma molto magro, probabilmente
non sempre riusciva a mettere qualcosa sotto i denti.
Ma a colpirlo furono quegli occhi
azzurri, immensi, ma allo stesso tempo pieni di tristezza. Quasi gli
venne l'istinto di abbassare la pistola, ma poi si ricordò che i russi
addestravano i loro agenti a essere provetti attori, dei veri e propri
maestri dell'inganno, e con i suoi tratti somatici, quello che aveva
davanti poteva benissimo essere parte del KGB.
Tuttavia, si accorse ben presto che
il ragazzo non aveva idea di chi avesse davanti, né di che cosa era
stato mandato a rubare. Ben presto si convinse che era solo un
disperato che aveva trovato il modo di sfruttare quello che la vita gli
aveva dato per sopravvivere.
Abbassò la pistola.
Da allora ne era passata di acqua sotto i ponti, e Clint era cresciuto
sotto la sua ala protettrice fino a quando non era stato in grado di
camminare sulle proprie gambe, ma non si erano mai persi di vista.
Da quando era stato reclutato, aveva sempre dimostrato un sincero
attaccamento al distintivo e all'organizzazione che gli aveva cambiato
la vita.
Non si erano mai persi davvero di vista, nemmeno quando il ragazzo (ben
meno portato di Phil al “lavoro d'ufficio”) aveva iniziato a girare il
mondo compiendo missioni di ogni genere. Quando non si sentivano,
seguiva attentamente i suoi spostamenti basandosi sui rapporti che
arrivavano alla base, e quando era stato il momento di trovare qualcuno
su cui fare affidamento per sorvegliare il dottor Selvig e i suoi studi
sul Tesseract, non aveva avuto dubbi. Al suo fianco doveva esserci
Clint Barton.
Poi lui era morto e resuscitato, senza che l'altro lo venisse mai a
sapere.
Non si era stupito dalla reazione che aveva avuto quando aveva sentito
la sua voce al telefono, anzi, Occhio di Falco aveva straordinariamente
mantenuto una calma che non gli apparteneva davvero (influsso della
Vedova Nera?), e ora temeva questa nuova comunicazione.
Skye non gli aveva detto chi era ma istintivamente, Phil sapeva che
all'altro capo della linea avrebbe trovato l'arciere.
-Phil Coulson-
-Figlio di puttana-
-Ciao, Clint-
-Ciao-
Un silenzio irreale calò su di loro.
Era raro, secondo l'esperienza di Coulson, che il biondo rimanesse in
silenzio per più di un minuto quando si trovava in una situazione che
lo metteva in qualche modo a disagio. Il fatto che al momento l'unica
cosa che sentisse dall'altra parte della cornetta era il respiro
dell'altro (evviva le vecchie cornette telefoniche senza i filtri
passabasso, componenti che escludevano dalla comunicazione suoni a
bassa frequenza, quali appunto quelli emessi dalla respirazione) e
qualche macchina che passava, era indicativo di uno stato d'animo che
non sapeva come esprimere. Rabbia? Delusione?
-Delle scuse basterebbero?- disse alla fine, incapace di sopportare un
altro istante di quel silenzio carico di attesa.
Ancora nessuna risposta.
Clint non riusciva a spiaccicare parola. Non che non ne avesse sulla
punta della lingua. Anzi.
Parole rabbiose, cariche di rancore. Parole che sentiva crescere nella
gola, pronte a uscire come lava da un vulcano in eruzione.
E poi un dubbio.
-Chi altri lo sa?-
-Clint...-
-Chi. Altri.- la voce gli uscì bassa e roca, come se non bevesse da
molto tempo.
-Solo Fury. E la Hill-
E in qualche modo la risposta lo rassicurò, sapere che Natasha e Steve
ne erano all'oscuro. Non per sentirsi il prediletto che sapeva più di
altri, ma perchè questo gli dava la certezza di non essere stato
ingannato dai suoi amici.
-Bastano- rispose.
Un sospiro di sollievo.
-Dopo che ti avrò infilato almeno una freccia per occhio-
Una battuta. Coulson rise, finalmente rilassato. Quando Clint
scherzava, il peggio era passato, anche se Phil sapeva che era ben
lontano dal farsi perdonare. Per quello ci sarebbe voluto del tempo,
come quando gli aveva proposto di reclutarlo.
-Che farai ora? Mi denuncerai?-
Il ragazzino lo guardava un po' di
sottecchi. Non lo temeva, questo Phil lo percepiva bene, sembrava più
che altro che temesse per il proprio futuro. Ovviamente, non poteva
lasciarlo andare, ma, per un qualche motivo, decise di non chiamare il
911.
Lo prese e lo fece voltare verso la
parete, ammanettandolo abilmente.
-Ma chi cazzo sei tu?!- ora nella
voce di Clint c'era un briciolo di paura.
-Phil Coulson. Agente dello SHIELD-
Il ragazzino si lasciò andare,
appoggiando, quasi picchiando, la fronte contro la casa.
-Cazzo- e l'imprecazione gli uscì di
bocca come un sussurro disperato.
Cercando di non attirare troppo
l'attenzione, lo condusse al quartier generale, dove lo fece sedere in
una stanza degli interrogatori.
Non avvisò nessuno della presenza del
ragazzo. Chiuse la porta e si diresse al computer più vicino.
Clinton
Francis Barton, fuggito dall'orfanotrofio,
da allora si sono perse le tracce.
La scheda del ragazzino era
decisamente corta, ma qualcosa gli diceva che non aveva l'anima del
criminale.
Tornò da lui.
-Clinton Francis Barton-
-Clint- corresse il giovanotto.
-Ok, Clint. Allora?-
-Allora che?-
-Cosa hai fatto negli ultimi anni?-
-Cazzi miei-
-Ragazzino. Sto cercando di capire se
vale la pena aiutarti-
-Aiutarmi a fare cosa?-
-A tirarti fuori dal mare di merda in
cui nuoti e darti una vita decente, dannazione!-
- Questa l'ho già sentita-
Erano serviti almeno una decina di
colloqui inconcludenti, prima di riuscire a penetrare lo scudo di
diffidenza del ragazzo e riuscire a capire qualcosa di lui,e una
ventina circa prima di convincerlo a farsi offrire una seconda
possibilità. Il resto era storia.
-Non abbiamo molto tempo.- come sempre quando si trattava di lavoro,
Coulson non perse tempo in parole superflue -La faccio breve. Sto
ricostruendo lo SHIELD,e ti voglio a bordo appena possibile.-
-Affare fatto-
Clint rispose e chiuse la comunicazione. L'obiettivo ora era chiaro:
dovevano tornare in America, e riunirsi a Phil Coulson. Lo SHIELD non
era sconfitto del tutto, e con l'agente alla guida, avrebbero
probabilmente fatto il culo a ogni agente dell'HYDRA che avesse avuto
il coraggio di sfidarli.
Tommy lo aspettava nel loro appartamento. Aveva ingannato il tempo
facendo un po' di ordine tra le loro cose, buttando in lavatrice quei
vestiti che stazionavano sulle sedie da abbastanza tempo da averne
preso la forma e lavando qualche piatto, visto che ormai mangiavano sui
cartoni e sulle confezioni in plastica delle cose che compravano.
Per un riflesso condizionato, quando sentì scattare la serratura la sua
mano corse alla pistola posizionata sulla sua schiena.
-Sono io, Tommy-
La voce di Clint lo calmò, e lui tornò a rilassarsi, almeno un poco.
Gli bastò un'occhiata all'amico per capire che qualunque cosa fosse
successa durante quella telefonata, non era niente di particolarmente
brutto. Sembrava quasi di buon umore.
-Tutto ok?- Gli chiese quindi, senza temere di essere sbranato o di
ricevere in risposta un muro di silenzio.
-Sì.- Fu la risposta -Abbiamo una missione-
-Una missione?-
-Sì. Per lo SHIELD. Dobbiamo rientrare negli USA-
Lo SHIElD? La risposta lasciò il ragazzino un po' interdetto, ma aveva
anche capito che non avrebbe saputo altro. L'arciere non era uno che si
faceva pregare quando si trattava di lavoro,per cui probabilmente lui
stesso non era al corrente di altri dettagli.
-Quando ci muoviamo?-
-Il prima possibile.-
-Allora prepariamo i documenti-
***
-Ti ricordi quando ti ho portato
sulle montagne russe a Coney Island?-
Steve Rogers, aka Capitan America, si
voltò verso di lui e sogghignò.
-Sì. Ho vomitato.-
-Non ti stai vendicando, vero?-
-No. Perchè dovrei?-
Si trovavano sul bordo di un dirupo,
pronti a lanciarsi con un filo metallico sul tetto di un treno in
corsa.
Gli altri erano lì per seguire
Capitan America, ma per quanto lo riguardava, stava seguendo il suo
migliore amico. Niente era cambiato.
Steve si cacciava nei guai più
improponibili, in un letale mix di coraggio e incoscienza, e lui lo
aiutava a tirarsene fuori, come accadeva fin dai tempi delle elementari.
Le cose si erano solo leggermente
ingigantite. Leggermente.
Si aggrappò alle maniglie e si buttò
nel vuoto dietro l'amico, atterrando con un po' meno grazia di lui.
Poi un flash.
Un combattimento. Lui appeso per
miracolo a una sporgenza per gli addetti della manutenzione, a decine
di metri di altezza, mentre cercava disperatamente di afferrare la mano
di Steve.
-Bucky!!!!!-
La sensazione di cadere nel vuoto.
Il Soldato d'Inverno si svegliò di soprassalto per l'ennesima volta,
con l'ormai familiare fitta al cervello che era il segnale che quello
che aveva sognato non era frutto della sua immaginazione.
Un'altra persona, dentro di lui, lottava disperatamente per tornare in
superficie.
La personalità della macchina da guerra dell'HYDRA era ancora troppo
forte per il sergente Barnes, ma evidentemente, le barriere si
assottigliavano durante il sonno, e il subconscio veniva alla luce,
raccontandogli la propria vita e lasciandolo stordito, febbricitante e
confuso più che mai.
Solo una volta James era venuto alla luce, anche in quel caso mentre
lui era incosciente, dopo la lotta sull'Helicarrier con Capitan America.
Aveva ripreso i sensi per pochi istanti, gli attimi necessari a tirare
la sua missione fuori dall'acqua e a salvargli la vita prima che la
programmazione dell'HYDRA prendesse il controllo.
Per un qualche motivo che ancora non riusciva a spiegarsi, quella volta
il Soldato aveva assecondato l'uomo, abbandonando il biondo al proprio
destino anziché approfittarne e finirlo definitivamente.
Era arrivato in Italia il giorno prima, all'aeroporto Guglielmo Marconi
di Bologna, e da allora aveva dormito sulle varie poltroncine sparse
nelle aree pubbliche della struttura, confondendosi tra i vari turisti
in attesa del proprio volo.
Sentiva di essere vicino a qualcosa, perchè la personalità dell'altro
si faceva sempre più viva, sempre più presente. O forse, gli effetti
dei molteplici lavaggi del cervello iniziavano a perdere il loro
effetto, come già in passato era accaduto quando non riusciva a
rientrare con regolarità alla base.
A volte gli arrivavano anche sprazzi di quei momenti, ricordi della
propria resistenza, i suoi tentativi di ritardare il rientro con
qualsiasi scusa.
Le punture di sedativo.
E poi il risveglio.
Di nuovo una macchina, pronto per la prossima missione.
Tutto questo gli diceva che forse per lui c'era ancora qualcosa di
buono, forse, quello che aveva visto al museo a Washington era tutto
vero. Lui era ancora James Barnes, e, se avesse voluto, avrebbe potuto
tornare a esserlo. Avere una vita normale.
Quello che doveva fare era smettere di lottare contro la persona
nascosta nel suo subconscio, che, giorno dopo giorno, cercava di
emergere. Sarebbe stato anche facile.
E allora, che cosa lo frenava?
A distoglierlo dalle sue riflessioni, fu una persona.
Qualcuno che per un attimo, lo riportò indietro di qualche anno. Si
alzò e iniziò a seguirlo a distanza di sicurezza, invisibile e
silenzioso.
Forse avrebbe avuto qualche risposta in più.
Notò subito che non era sola, e che avrebbe potuto sfruttare la cosa a
proprio vantaggio.
Non appena le due persone si separarono, si avvicinò al più giovane e
gli puntò un coltello alla schiena, la punta premuta contro il fianco
ma senza ferirla, per ora.
-Seguimi e taci-
Tommy si immobilizzò, mentre pensava ad almeno una decina di
contromosse made in Natasha per tirarsi fuori da quella situazione
parecchio scomoda.
Si lasciò trasportare nel bagno degli uomini prima di fare qualunque
cosa, per evitare di coinvolgere inutilmente dei civili, se non era
necessario. Protocollo standard dello SHIELD.
Clint l'aveva lasciato momentaneamente solo, mentre andava a comprare i
biglietti. La loro prima meta sarebbe stata l'Ucraina. Natasha era
stata avvistata lì l'ultima volta secondo le fonti dell'arciere, e
prima di rientrare, volevano almeno cercare di riunirsi con lei per
proseguire insieme il viaggio.
Se c'era un nuovo SHIELD che cercava di eliminare ciò che era
sopravvissuto dell'HYDRA, avrebbe avuto bisogno di quanti più uomini
fidati possibile.
La punta del coltello si fece pericolosamente pressante, arrivando a
penetrare il tessuto e far sentire la punta acuminata sulla schiena del
ragazzo, ora bloccato contro la parete, tra due asciugamani elettrici.
Alzò le mani, salvo voltarsi, fulmineo.
L'uomo fu più veloce di lui.
Tommy si ritrovò bloccato da una presa ferrea, forte come quella di
Steve Rogers, che lo ributtò violentemente faccia al muro, tanto da
strappargli un gemito involontario di dolore e sorpresa,
-Non riprovarci- l'uomo lo schiacciò pesantemente contro la parete,
mentre i restanti viaggiatori, incuranti, ignoravano la lotta impari in
corso in quel momento a una parete di distanza dalle loro vite
perfette, o quasi. -O sei morto-
Il ragazzino non riusciva a muoversi, a malapena poteva respirare, così
attaccato, il braccio dello sconosciuto appoggiato sul collo e sulle
spalle, che lo spingeva senza apparente sforzo. Non era riuscito a
vederlo in faccia: per i pochi secondi in cui era riuscito a
ribellarsi, aveva solo notato che un cappuccio e un berretto tenevano
in ombra il suo viso.
Chi era questo tizio?
Poche cose sfuggivano a Clint Barton, anche quando era apparentemente
distratto, e un tizio che trascinava si portava via Tommy non era tra
queste.
Imprecò sottovoce, mentre attendeva che l'operatore della compagnia Low
Cost con cui intendevano viaggiare stampava con esasperante lentezza le
loro carte di imbarco. Avrebbe voluto piantare tutto e seguirli, ma si
impose di restare calmo e sopportare.
Non avevano altri documenti in bianco, e al momento F. Magliani, come
diceva la targhetta, era in possesso dei loro passaporti.
-436 euro, please- Il ragazzo parlava un pessimo inglese, ma Clint
riuscì a capire la cifra leggendola a schermo. Estrasse una manciata di
banconote e gliele porse, impaziente di prendere le sue cose e
soccorrere Tommy, le dita che esitavano sul bottone posto sul cinturino
dell'orologio, pronte a far fuoriuscire una delle sue frecce letali.
Ostacoli su ostacoli.
Come a voler esaurire tutta la poca pazienza dell'arciere, l'impiegato
si mise a controllare che le banconote non fossero falsi o derivanti da
una qualche rapina.
Dannazione. Non potè fare a meno di imprecare a denti stretti. Si
impose la calma. Tommy era un soldato addestrato. Sarebbe riuscito a
cavarsela, almeno per un po'.
-Senti, perchè non mi togli quel coltello dalla schiena?-
Tommy ormai faticava a mantenere il sangue freddo. Con tutti gli
addestramenti fatti con Nastasha, Steve e i vari istruttori che si
erano alternati nel corso della sua formazione militare, mai si era
capitato in una situazione simile.
Si sentiva del tutto impotente, in balia di quello sconosciuto che lo
teneva fermo con una facilità estrema.
Sentiva la paura e la frustrazione montare dentro di lui. Cercò di
sfruttare il muro per sollevarsi, approfittando di un istante in cui la
punta del coltello aveva person la sua presa su di lui, puntando le
mani e facendo forza, ma, di nuovo, il suo aggressore lo spinse, con
più violenza, e lo ridusse all'impotenza.
-Non ho contanti- esalò ansimando il ragazzino, in un ultimo, disperato
tentativo
-Non voglio i tuoi soldi- si sentì rispondere.
-Non voglio i tuoi soldi- gli rispose mentre lo teneva fermo contro il
muro.
Il ragazzino era molto giovane, e il Soldato iniziava chiaramente a
percepire la paura crescere in lui, dopo i primi minuti in cui si era
dimostrato freddo e coraggioso.
-Che vuoi?-
-Il tuo amico-
-Sono qui, figlio di puttana. Adesso lascialo-
Una voce matura, più matura di quella che ricordava, ma senza dubbio
della stessa persona, intervenne in auto del giovanotto che teneva come
ostaggio.
Non ebbe bisogno di voltarsi per sapere che gli stavano puntando
addosso una freccia, perfettamente incoccata e che, lo sapeva, non
avrebbe mancato il bersaglio.
Quando finalmente l'uomo si decise a voltarsi, senza allentare la presa
sul ragazzino, Clint rimase pietrificato. Erano fottutamente fottuti.
Una fitta lo trafisse su un fianco, lungo la cicatrice che gli
ricordava il precedente incontro con il Soldato d'Inverno, e il recente
scontro con Capitan America, di cui aveva avuto qualche vaga notizia,
gli ricordarono che si trovavano in guai molto più che grossi.
-Ok- si costrinse a dire con la gola improvvisamente secca -Lascia il
ragazzino, così sistemiamo le cose tra di noi, ok?-
Per tutta risposta, il soldato afferrò il collo di Tommy e lo trascinò
davanti a se, serrandogli la gola e utilizzandolo come scudo umano.
Clint si concesse non più di dieci secondi per assicurarsi che l'amico
non fosse ferito prima di riportare l'attenzione sull'altro.
-Cosa vuoi?- Chiese
-Abbassa l'arco-
-Lascia Tommy-
La presa si strinse sul collo.
-Abbassa. L'arco-
-Lascialo-
Ora il volto del ragazzino stava cambiando colore, mentre Tommy
iniziava ad ansimare, mentre lottava per liberarsi, senza ottenere
risultati.
-Abbassa. L'arco.-
Clint ignorò i gesti dell'amico, che lo invitavano a non cedere, e
accompagnò la corda tesa in posizione di riposo, mentre
contemporaneamente abbassava la freccia.
-Buttalo a terra. Lontano da te.-
Di nuovo, tenendo le mani bene in vista, Clint obbedì agli ordini,
muovendosi lentamente, ben conscio che se solo avesse voluto, avrebbe
potuto uccidere Tommy con un gesto non più difficile di un respiro.
-Lascialo. Sono disarmato.- mise quella punta di supplica appena
sufficiente a far trapelare ansia e preoccupazione.
Finalmente il Soldato lasciò la presa sul più giovane, che si accasciò
a terra tossendo disperatamente in cerca d'aria. Clint avrebbe voluto
raggiungerlo, ma in un attimo il nemico lo aveva immobilizzato,
legandogli le braccia dietro la schiena. Occhio di Falco si costrinse a
rimanere fermo. -Tommy?-
-Sto... sto bene.- rantolò in risposta mentre ancora cercava di
riprendere fiato.
-Respira. Respira, andrà tutto bene- lo incoraggiò, registrando nello
stesso tempo che il Soldato non lo stava più trattenendo e che non lo
fermò mentre cercava di aiutare Tommy a calmarsi. -Respira-
Si voltò poi verso il loro sequestratore.
-Che vuoi?-
Ma il Soldato, Clint se ne accorse, era a malapena cosciente. Stava
sudando copiosamente ed era pallidissimo.
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Capitolo 7 *** Attesa. ***
PERSONAL SPACE; Allora, giusto
poche parole, poi vi lascio alla lettura.... prima di tutto devo delle
scuse grandi come una casa a TD98 per non averla menzionata tra i miei
recensori nonostante sia una fedelissima...ti chiedo SCUSA!!! *si mette
in ginocchio*
In secondo luogo, di nuovo
grazie, grazie grazie a chi ha recensioto lo scorso capitolo: td98,
Winterlove97, Ella Rogers e Ragdoll_cat, spero vivamente di non essermi
scordata di rispondervi...nel caso...Scusate!!! Per me sapere che
apprezzate e avete voglia di recensirmi è una grande gioia, e anche una
soddisfazione...grazie ancora!!!
Ah una comunicazione di
servizio, passate al capitolo ora se NON avete visto AGE OF ULTRON, sto
per fare SPOILER.
Ok avvisati. Ultima possibilità
per saltare sotto la copertina.
Ok. Per me Clint è quello di
tutti i fumetti tranne l'ultimate (da cui hanno preso la storia della
famigliola felice), quindi non lo farò diventare un casalingo che vuole
allargare la cucina, nè il padre dell'anno... e ZIA NATASHA non le
sentirete mai in modo serio in questa e nelle prossime FF... detto
questo...mettetevi il cuore in pace XD
Vi lascio al capitolo.
A dopo!
Capitolo
5: Attesa.
Waiting
for the end to come
Wishing I had strength to stand
This is not what I had planned
It's out of my control
Linkin Park - Waiting For The End
Nel momento in cui aveva visto che la prima preoccupazione di Occhio di
Falco era stata quella di assicurarsi che il ragazzino stesse bene,
qualcosa era scattato dentro di lui.
James Barnes era esploso, risalendo in superficie con la potenza di un
uragano.
Immagini di susseguivano nella sua testa, come tante fucilate.
Il sergente non era stato diverso dall'arciere.
Si portò una mano alla fronte, mentre cercava di scacciare la sequenza
di episodi in cui si vedeva soccorrere un mingherlino biondo in qualche
quartiere di Brooklyn dopo un pestaggio da parte dei compagni di
scuola, o lo trascinava fuori da un locale dopo l'ennesima rissa
scatenata.
Bucky cercava di venire a galla, e, per la prima volta, il soldato, ne
accettò la presenza. Era troppo forte.
-Chi è... Bucky?- chiese in risposta alla domanda di Occhio di Falco.
Bucky?
Un cane?
Un gatto?
Come diavolo doveva fare a sapere chi diamine era Bucky?
Ma non ebbe il tempo di pensare una risposta.
Il soldato d'inverno si era accasciato ed era svenuto.
Immediatamente, Clint passò all'azione.
-Tommy? Tommy?-
-Sto bene. Sto bene- il ragazzino si alzò in piedi, un milione di
domande che gli ronzavano in testa, e tagliò le fascette con
imprigionavano i polsi del suo ex istruttore, che immediatamente si
alzò in piedi.
-Stai bene?-
-Sì, Clint, non preoccuparti. Non mi ha fatto niente. Chi è questo
tizio? È come se fosse Cap, solo...cattivo-
Non era quello il momento di perdere tempo a dare spiegazioni.
-Via da qui, Tommy, forza. Muoviti-
Bastò l'urgenza nella sua voce per fargli capire che, chiunque fosse,
quel tizio spaventava Occhio di Falco a sufficienza da consigliare una
rapida fuga fintanto che era privo di sensi.
In un attimo erano fuori dall'aeroporto, a passo svelto ma senza
correre per non attirare inutilmente l'attenzione dei civili attorno a
loro.
***
Steve aspettava con impazienza il ritorno di Sam.
L'ex soldato era andato alla ricerca di qualche suo contatto di dubbia
provenienza e moralità (ricordo del suo periodo difficile, se così si
poteva definire il periodo in cui affogava i ricordi della guerra in
fumo e alcol) per ottenere nuovi passaporti per poter lasciare il paese.
Wilson aveva già fatto tre viaggi a vuoto, che avevano fatto perdere
loro almeno una settimana. Ovviamente non era colpa sua, Steve lo
sapeva. Le conoscenze di Sam o erano morte oppure in carcere, oppure
non volevano rischiare di immischiarsi con un ex soldato che
all'improvviso commissionava documenti falsi presentando la foto di
Capitan America.
Sapeva che ogni giorno che perdevano, erano chilometri in più che lo
separavano dal Soldato d'Inverno, da Bucky.
Lo scatto della serratura lo avvisò del rientro dell'amico.
-Allora?-
-Dopodomani avremo tutto-
-Così tanto?-
Sam sorrise.
-La qualità richiede tempo, e si paga, soprattutto-
Steve sospirò. Altre 72 ore di attesa.
***
Il Soldato d'Inverno riaprì un occhio in tempo per vedere la porta di
quel bagno chiudersi dietro le due figure bionde che uscivano in fretta.
Si rimise in piedi a fatica, combattendo l'emicrania.
La personalità di Bucky questa volta era lì, alla pari con quella del
Soldato d'Inverno, l'uno che condivideva qualcosa dei ricordi
dell'altro, come due persone distinte unite in un solo corpo.
Non più una lotta, ma una convivenza.
Entrambi si misero all'inseguimento dei due. Entrambi volevano risposte.
Li vide infilarsi su un autobus, cercando di confondersi tra la gente
comune.
Grazie al corpo potenziato del Soldato, Bucky, o meglio, quel mix che
era nato dalla fusione delle due coscienze (uno confuso dal mondo che
lo circondava, l'altro impaziente di sapere qualcosa di più sul passato
di... no, sul suo passato, era ora che cominciasse ad accettare l'idea
di essere quel Bucky, quel soldato degli anni 40, amico di Capitan
America, di cui tutti parlavano e che quel museo nella capitale degli
Stati Uniti elogiava tanto come un eroe), non fece fatica a seguirne il
percorso e a mettersi all'inseguimento dei due, che erano scesi in
Piazza Maggiore e si erano infilati, come due perfetti turisti nella
Basilica di San Petronio.
Dopo appena un attimo di esitazione, il Soldato decise di seguirli e
provare un nuovo approccio.
Certo, lui e l'arciere non avevano dei gran trascorsi, ma sperava che
avvicinandosi pacificamente, in un luogo sacro, lo avrebbe aiutato a
instaurare un dialogo civile.
Mise piede nella chiesa e rimase per un secondo incantato dalla
maestosità del posto. La grande costruzione a tre navate con cappelle
laterali, aveva poco in comune con le chiese medioevali in cui era
stato di recente (era stato in chiese? E di recente? Beh, se con
recente intendeva i ricordi del sergente Barnes risalenti alla seconda
guerra mondiale... una fitta di mal di testa gli sconsigliò di
percorrere quella strada senza uscita, quell'intrico di ricordi senza
un filo logico, di cui riceveva sprazzi), che avevano come
caratteristica principale quella di essere molto buie. Le pareti erano
color panna, con i bordi delle colonne in color mattone.
E poi quell'altare, quegli organi...le piccole cappelle laterali,
ognuna col proprio altarino per l'accensione delle candele votive.
Il soldato ci mise qualche secondo a tenere a bada la meraviglia del
sergente. Secondi preziosi.
Troppo preziosi.
Clint non ci aveva fatto subito caso, ma fu mentre con Tommy visitava
la cappella dedicata ai Re Magi che notò la ormai nota figura del
soldato d'inverno, in piedi poco dopo l'ingresso, intento a guardarsi
intorno come un normale turista.
Fingeva meglio di lui e Tommy messi insieme, questo doveva concederlo.
Per un secondo giurò di aver visto del sincero stupore illuminare gli
occhi del più spietato dei killer dell'Hydra.
Prese il compagno per una spalla e lo diresse verso l'altare, nella
speranza di rendersi invisibile e cercare in qualche modo un'uscita
secondaria, foss'anche a costo di passare dal tetto.
Purtroppo per loro, l'unica uscita disponibile era quella da dove erano
entrati.
Senza proferire parola, Occhio di Falco cercò di condurre Tommy
all'esterno senza allarmarlo troppo. L'ora era tarda e la chiesa
praticamente deserta a parte loro tre. Nell'aria aleggiava ancora
l'odore vagamente fastidioso dell'ìncenso utilizzato poco prima durante
la messa.
Non fece in tempo.
Aveva perso l'effetto sorpresa, ma grazie alla sua velocità (e alla
consapevolezza di generare nel maggiore dei due una paura quasi
irrazionale) riuscì a bloccarli.
Dentro di lui, mentre pensava a un approccio che non portasse a uno
scontro fisico, non subito, almeno, le emozioni erano tante e
contrastanti.
Il soldato programmato dall'Hydra vedeva l'intera faccenda come una
missione: raccogliere informazioni. Contemporaneamente sentiva crescere
anche paura, impazienza e attesa. Il sergente Barnes fremeva per capire
qualcosa di più della sua vita, di quegli spezzoni che dovevano avere
un significato profondo, ma che non riusciva a decifrare.
I continui lavaggi del cervello avevano danneggiato pesantemente la
memoria del soldato americano, ne avevano annullato ogni traccia, e
quel poco che rimaneva, veniva ogni volta soppresso non appena si
affacciava al mondo. Ora, quello spettro voleva sapere, voleva
rimettere insieme i pezzi del puzzle, mettendoli insieme con un filo
conduttore, che era proprio l'elemento che gli mancava.
Quanto al Soldato, non sapeva esattamente perchè stava seguendo Occhio
di Falco. Sapeva solo che nel momento in cui l'aveva intravisto,
qualcosa era scattato dentro di lui. Non ricordava perchè, ma era certo
che lui e quel biondino armato di arco e frecce si fossero già
incontrati, con un esito che era scolpito a chiare lettere nella paura
che l'altro emanava in sua presenza.
Dovette però riconoscere, che aveva del fegato.
Nonostante i chiari segni di paura, vide l'uomo mettersi davanti al
ragazzo, per fargli scudo col suo corpo, una pistola in mano puntata
verso il suo petto.
In risposta, il Soldato d'Inverno alzò le braccia, nell'universale
gesto di chi cercava di dimostrare le sue buone intenzioni.
Ma che... ?
Sto vaneggiando. Fu l'unico pensiero di Clint mentre guardava il loro
avversario, colui che nemmeno due ore prima aveva quasi soffocato
Tommy, alzare le mani in segno di... resa?
Nel dubbio (non sarebbe stata la prima volta che qualcuno tentava il
vecchio trucco dell'arrendevolezza per far abbassare la guardia ai
nemici e poi colpirli alle spalle) non si spostò da dov'era: tra il
Soldato e Tommy.
-Cosa vuoi?- trovò la forza di dire, la voce bassa e roca che venne
amplificata dall'acustica della chiesa.
-Parlare- la risposta, secca e semplice, detta a bassa voce, ebbe il
potere di lasciarlo di stucco.
Che razza di trucco era questo?
-Butta tutte le armi- più che il suo cervello, fu il suo istinto che lo
costrinse a dire quelle parole, l'addrestramento che prendeva il
sopravvento sullo stupore e sulla paura, e su qualunque altra cosa
stesse provando l'arciere in quel momento.
Con sua enorme sopresa, il nemico non si oppose, e con gesti lenti, di
quelli che insegnano all'accademia per non allarmare l'avversario,
estrasse dai pantaloni una Beretta 9mm (l'arma standard in dotazione
alla maggior parte delle forze di polizia mondiali) e dagli anfibi un
paio di coltelli a lama lunga.
Non aveva altro, non che gli servissero delle armi per essere letale,
come Clint non aveva certo dimenticato.
-Lanciale verso di me- ordinò di nuovo, e di nuovo venne obbedito. Si
abbassò senza perderlo un secondo di vista, le mani pronte a scattare
alla doppia fondina dietro la schiena, nascosta sotto la felopa, dove
teneva 4 coltelli, mentre la pistola di riserva era nella fondina al
polpaccio, al sicuro sotto i jeans e le raccolte, passandole poi a un
Tommy straordinariamente calmo, almeno all'apparenza. -Molto bene-
disse senza accennare ad abbassare la propria arma.
Se era, come lo SHIELD aveva sempre sospettato, un risultato del siero
del supersoldato, non avrebbe esitato un secondo a piantargli una
pallottola in fronte, era l'unica sua assicurazione.
Non aveva ordine di prenderlo vivo, questa volta. -Ora dimmi cosa vuoi-
Cosa voleva?
L'arciere non lo sapeva, ma gli aveva appena fatto la famigerata
domanda da un milione di dollari.
Tante erano le cose che avrebbe voluto: informazioni, prima di tutto,
sapere chi fosse in realtà, i suoi ricordi, cosa l'aveva portato a
questo punto.
E, soprattutto, perchè gli sembrava di aver già visto questo biondino
quando non ricordava affatto di averlo mai incontrato.
Decise di partire dalla cosa più semplice, una risposta che sicuramente
avrebbe avuto.
-Ci conosciamo?- disse a bassa voce.
***
Da quando aveva visto al telegiornale la notizia della ricomparsa del
Soldato d'Inverno, apparente responsabile di gran parte della
distruzione di Washington in contemporanea alla caduta dello SHIELD,
Tony Stark si era messo a fare una ricerca dietro l'altra.
Nessuno era mai stato molto chiaro con lui sulla morte dei suoi
genitori, ma, tramite vie traverse, nonché la stessa Peggy Carter,
vecchia fiamma di Capitan America, nonché collaboratrice di suo padre,
Howard, aveva saputo che l'incidente d'auto che aveva strappato le loro
vite, non era poi un fatto così casuale.
Da molti anni, fino a prima di venire annullata dall'Alzheimer a dire
il vero, il che corrispondeva a circa tre anni prima, Peggy sospettava
che dietro la scomparsa del genio ci fosse qualcuno, qualcuno con
abbastanza agganci da impedire qualunque tipo di indagine e allo stesso
tempo in grado di sparire nel nulla, senza lasciare tracce.
Davano tutti per scontato che l'HYDRA fosse scomparsa per sempre.
Mai, in tutte le volte che avevano parlato, quando Tony aveva raggiunto
un età in cui potevano parlarsi in tutta libertà, avevano avuto il
sospetto che qualcosa dell'organizzazione filonazista fosse
sopravvissuto, aggrappandosi alla vita fino a risorgere, letteralmente,
dalle ceneri in un trionfo di potere, come quello che sarebbe stato se
Steve Rogers non fosse riuscito a sventare i loro piani.
Mai, nei suoi diari, Howard aveva sospettato che dietro alle letali
donne che aveva incontrato nel loro cammino, ci fosse qualcosa di più
dei servizi segreti russi, sempre bisognosi di informazioni sulle
tecnologie militari americane, eppure così timorosi di far diventare la
guerra fredda una guerra aperta al capitalismo statunitense.
Donne che Tony aveva poi assocciato alla Vedova Nera: Russe,
bellissime, letali, abili nell'arte dell'inganno, così come in quelle
della seduzione; macchine per strappare informazioni e uccidere.
Donne che ora, inevitabilmente, Tony associava al Soldato d'Inverno, a
una sua evoluzione naturale quanto pericolosa.
Solo quando aveva visto con i propri occhi i luoghi in cui lui e Rogers
si erano scontrati, dopo aver esaminato attentamente i danni fatti a
quelle auto, Iron Man aveva capito.
Non erano finiti contro un albero, quella notte. Suo padre non aveva
bevuto.
Quella sagoma, che ricordava, nera come la pece, immobile come una
statua, non era un sogno, non era la visione distorta di un bambino di
8 anni sotto shock.
Era sempre stato lui.
Da quando Occhio di Falco era fuggito con Tommy, rifiutando qualunque
tipo di rifugio Tony avesse loro offerto, il magnate aveva concentrato
tutte le sue attenzioni su una sola missione: trovare il Soldato
d'Inverno e distruggerlo.
Non si era messo a girare il mondo per cercare di inseguirlo, ci
sarebbe voluto troppo tempo e le probabilità che si trovassero nello
stesso posto nello stesso momento erano così basse anche solo a
pensarci che non aveva nemmeno chiesto a Jarvis di calcolarle in modo
esatto.
Si era piuttosto introdotto nel sistema di videocamere della città di
Washington e aveva spulciato fotogramma per fotogramma le registrazioni
fino a quando non aveva trovato un frame che gli mostrasse chiaramente
l'immagine dell'uomo, seppure a distanza e in pessima qualità, due
ostacoli che non sono un grande ostacolo se hai il cervello di Tony
Stark.
Ci aveva messo mezza giornata per tirare fuori da quel fotogramma
sgranato un'immagine accettabile da dare in pasto a tutti i software di
riconoscimento facciale in uso in tutti i servizi segreti del mondo.
Non gli interessava un nome. Non gli interessava il suo passato.
Voleva una posizione.
Possibilmente che potesse seguire.
Proprio per questo, non si soffermò a leggere le generalità e la data
di nascita quando gli iniziarono ad arrivare i primi riscontri.
Proprio per questo, in lui nessuna lampadina si accese.
***
Erano le tre del mattino di due giorni dopo, e Steve era ancora in
quella squallida stanza di motel, che stava imparando a riconoscere
come sua.
L'odore di muffa delle pareti, l'orribile carta da parati arancione con
discutibili decori marroni mezza staccata e che lasciava intravedere
l'intonaco sottostante. Il letto, scomodo, con le reti mezze andate,
con le sue lenzuola pulite ma ormai ingiallite e rese sottili dai
troppi lavaggi in candeggina.
La prostituta dell'appartamento accanto, e i rumori che provenivano
dalla sua stanza: una donna non più bella di mezza età, che dopo aver
sgobbato tutto il giorno a ripulire i bagni pubblici, la sera vendeva
il suo corpo per mettere via i soldi per il college di suo figlio.
Avevano parlato, una notte, dopo che l'aveva salvata da un cliente che
non voleva pagare.
Il suo bambino, il suo Maximilian, 12 anni, era il migliore della
classe, e da grande sognava di diventare un grande avvocato come quelli
che si vedevano alla TV, che vincevano qualunque causa con estrema
facilità.
Steve aveva passato con lei due ore, e il mattino successivo le aveva
lasciato il compenso in una busta sigillata alla reception, anonima.
Il poliziotto della narcotici all'angolo della strada, ormai in
appostamento da una settimana, nella speranza di cogliere qualche
spacciatore in flagrante.
Tutto questo era ormai non gli faceva più senso. Era parte della sua
routine.
Si soprese a pensare alla facilità con cui iniziava ad adattarsi ai
nuovi ambienti in cui si trasferiva.
Un tempo mai avrebbe trovato il coraggio di parlare con quella donna,
lo avrebbe ritenuto vergognoso.
Sam era uscito ormai da parecchie ore, con i soldi per i documenti
falsi che era riuscito a rimediare scommettendo sulle partite di
biliardo. Era un ottimo giocatore, e intuiva facilmente chi poteva
permettersi di sfidare senza paura di indebitarsi.
Anche queste erano abilità che aveva sviluppato appena tornato dalla
guerra, quando lo stipendio dei veterani non gli bastava per le sue...
necessità.
Erano d'accordo che Steve sarebbe stato autorizzato a preoccuparsi solo
dopo il sorgere del sole.
Chi faceva trattava questo genere di...affari non aveva una postazione
fissa, non poteva permetterselo per ovvi motivi, e Sam gli aveva
predetto che probabilmente avrebbe dovuto girare tutti i bassifondi
prima di riuscire a effettuare lo scambio.
Aveva nascosto bene i soldi, e il Capitano sperava che nessuno si
accorgesse che non era più uno dell'ambiente: del denaro gli importava
poco, ma non voleva che Sam ci rimettesse per averlo seguito in quella
folle impresa.
Aprì una birra ormai calda (il mini frigo presente nella stanza aveva
smesso di funzionare almeno un decennio prima, probabilmente) e lasciò
che un lungo sorso gli scivolasse in gola.
Si sentiva inutile e cercava in tutti i modi di frenare la sua
impazienza.
Sam riuscì a fare lo scambio solo in tarda nottata, o forse sarebbe il
caso di dire nelle prime luci del mattino.
Il suo contatto era stato pizzicato dalla narcotici, e ora doveva
operare non solo in altre zone, ma anche bene nel buio, e raggiungerlo
era stata una specie di caccia al tesoro, estenuante e pericolosa, che
l'aveva portato a contatto con una realtà da cui sperava di essere
uscito definitivamente.
Un paio di volte si era costretto, letteralmente, a ignorare ragazzini
probabilmente non ancora maggiorenni stesi nei vicoli, forse già morti,
o forse ancora in attesa della Signora Vestita di Nero.
Overdose. O forse un pestaggio un po' troppo energico da parte di
qualcuno che si era stufato di fare credito.
Ragazzine ai bordi delle strade, poco più che bambine, nell'età in cui
si dovrebbero scoprire le prime cotte, dove un bacio a stampo le
avrebbe dovute far sentire grandi, con negli occhi le esperienze di
donne adulte, adulte e tristi.
Aveva smesso di fare caso ai brividi che tutto ciò gli comportava.
Dio.
Uno di quei corpi avrebbe potuto essere lui, una di quelle ragazzine
una figlia che non sapeva di avere, avuta durante una scopata sotto
l'effetto dello sballo.
A metà del suo percorso, non aveva più resistito, e aveva vomitato
anche l'anima piegato in due su un cumulo di spazzatura.
Era contento che Steve non fosse con lui.
Era troppo puro, troppo innocente per una simile realtà.
Era una parte del mondo moderno che sperava che l'amico non dovesse mai
conoscere.
Alla fine, verso le 5 o giù di lì, era finalmente arrivato all'uomo dei
documenti.
Non disse una parola e, mentre l'altro contava i soldi, l'ex soldato
controllava la qualità con l'occhio esperto di chi, tra le altre cose,
al fronte aveva controllato decine di passaporti e carte d'identità di
chi cercava di entrare nella Zona Verde o in altri territori di
giurisdizione americana.
La fattura era ottima, la carta palesemente originale: evidentemente
qualche agente costretto alla fuga si era preso la liquidazione rubando
materiale vergine da rivendere al mercato nero.
-Siamo a posto?- chiese.
L'uomo si limitò ad annuire, il volto nascosto nell'ombra.
Fu con un sospiro di sollievo che, con la luce che già faceva capolino,
Sam vide l'ormai nota insegna del motel dove Steve lo stava aspettando.
PERSONAL SPACE: Rieccomi con un
altro capitolo, spero abbiate gradito...
Ah sono consapevole di
distanziarmi forse un po' dai fumetti sulla faccenda dei genitori di
Stark, ma in fondo non viene mai detto con certezza, quindi mi sono
presa un filo di libertà...spero non vi dispiaccia!
Come sempre, le recensioni sono
bene accette, se volete!
|
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Capitolo 8 *** liquirizia ***
PERSONAL SPACE: Ciao a tutti/e!
Rieccomi con un nuovo capitolo...e ci tenevo davvero a ringraziare td98
ed Ella Rogers che hanno recensito, ma anche tutti voi che leggete,
ricordate, prefeirte questa storia, e anche chi addirittura mi ha messo
tra i tuoi autori preferiti! Ne sono davvero onorata!
Niente... vi lascio il
capitolo, buona lettura!
Capitolo 6:
Liquirizia
More
than this whatever it is
Baby, I hate days like this
Caught in a trap I can't look back
Baby, I hate days like this
When it rain and rain and rain and
rains
MIKA - Rain
Aveva capito bene?
Quell'uomo (?), il Soldato d'Inverno, gli stava davvero chiedendo se si
conoscessero?
Beh, ovvio, riflettè un istante dopo. Con tutti quelli che ha ucciso,
figuriamoci se si ricorda di me.
Forse dovrebbe, dato che gli sono sfuggito.
Cercò di pensare in fretta, ben consapevole che quella fosse la
specialità di Natasha, mentre con il proprio corpo faceva da scudo a
Tommy, che intravedeva solo con la coda dell'occhio.
Ancora una volta, ne ammirò la capacità di mantenersi apparentemente
calmo, nonostante stringesse con un po' troppa forza il calcio della
Beretta e l'impugnatura del coltello di colui che li stava
fronteggiando.
Tornò a spostare l'attenzione sull'uomo di fronte a sé.
Era rimasto praticamente immobile da quando aveva consegnato loro le
armi, le braccia alzate, le mani con i palmi aperti rivolti verso di
lui, il respiro breve ma regolare.
Emanava allo stesso tempo paura e... era smarrimento quello che vedeva
in quegli occhi azzurri, in quelle labbra lievemente dischiuse, come se
avesse parole sospese che non osava pronunciare?
Tutto questo lasciava Clint molto, molto interdetto, a tal punto che,
per la seconda volta in pochi giorni, rimase senza una risposta.
-Ci...conosciamo?- ripetè dopo un poco il soldato senza nessun accenno
di rabbia nella voce, semmai con una punta di... ansia?
-Non ricordi?- chiese di rimando, pur sapendo che non era cosa saggia
provocarlo -mi hai quasi ucciso-
-Mi... dispiace-
Che?
Non sapeva perchè lo aveva detto, in fondo, non ricordava assolumente
cosa gli avesse fatto, probabilmente niente di anormale, magari gli
aveva sparato, o lo aveva colpito mentre erano impegnati in un corpo a
corpo, tuttavia, qualcosa dentro di lui gli diceva che se voleva il suo
aiuto, quelle erano le parole da usare, anche se forse non sarebbero
state sufficienti.
L'uomo dentro di lui, lo sapeva bene.
Aspettò in silenzio una reazione della persona che aveva davanti,
mentre flash di una sparatoria sotto la pioggia, parecchi anni prima,
gli tornavano alla mente.
Alle frecce rispondeva con gli spari.
Non un rumore si sentiva oltre all'acqua che cadeva, il fruscio
leggerissimo dei dardi lanciati dal suo avversario, e il pop della
pistola su cui aveva montato un silenziatore.
Poi un grido soffocato di dolore.
Era andato a controllare, ma non aveva trovato corpi.
Aveva eseguito gli ordini ed era tornato alla base.
Non aveva un luogo, non aveva un perchè. Solo sequenze di immagini,
come vecchi video che aveva registrato su un nastro troppo vecchio che
si era rovinato.
Era questo che era?
Un nastro rovinato?
-Pioveva?- chiese con un filo di voce, più per farlo parlare che per
altro. Per qualche motivo, il suo silenzio lo metteva a disagio.
Se pioveva? Quella notte era venuto giù il diluvio universale. Tutti i
quaranta giorni e notti di pioggia concentrati in poche ore,
probabilmente.
Quando fai un incontro del genere,
non importa quante cose tu abbia visto nella tua vita, quante
stranezze, quanti fatti incredibili ti sono comparsi davanti. Non lo
dimentichi.
Come sempre, Clint era di copertura
ai suoi colleghi.
La missione non era poi difficile,
anche se gliene sfuggiva il senso, ma, del resto, lui non era mai stato
un pensatore. Era un soldato, e come tale eseguiva gli ordini.
Inoltre, era appena stato ammesso
nelle file dello SHIELD come agente effettivo, finalmente, dopo 2 anni
di addestramento, l'ultimo del quale passato in attesa di compiere il
diciottesimo anno di età. Avrebbe obbedito anche all'ordine di comprare
i preservativi a Fury, se fosse stato necessario.
Si trovavano in un magazzino vicino
al porto, in uno dei moli di uno dei quartieri più malfamati della
città, il vecchio Hell's Kitchen, ora chiamato Lincoln nel tentativo di
farlo sembrare una zona rispettabile, perchè la Cucina del Diavolo non
era proprio un nome che attirasse.
Lui si era appostato, come sempre, su
uno dei palazzi nelle vicinanze, abbandonato, come quasi tutti quelli
della zona. Una fortuna per lui, che poteva starsere appollaiato con il
suo arco e le sue frecce a fare la guardia senza venire disturbato.
La pioggia era iniziata più o meno il
secondo successivo al suo appostamento, e in pochi minuti si era
trasformata in un diluvio, uno scorrere incessante che in un attimo
aveva inzuppato il tessuto semi-impermeabile della divisa e lo aveva
bagnato fino alle mutande.
Un'imprecazione gli sfuggì dai dentri
mentre lottava contro il freddo che gli stava penetrando nelle ossa.
La missione dei suoi colleghi era
quella di fare irruzione e rubare pile di documenti di non aveva bene
capito cosa, ma che risalivano a prima della seconda guerra mondiale.
La sua personale missione era
assicurarsi che nessuno li uccidesse nel tentativo, come se a qualcuno
potesse seriamente importare qualche pila di scatoloni pieni di carta
straccia.
Era all'erta, perchè così doveva
fare, ma a dire il vero lo faceva soltanto per non addormentarsi.
Poi era iniziato il finimondo.
Una persona.
Una sola. Fottuta. Persona.
Era entrato, silenzioso come
un'ombra, così silenzioso e invisibile che Clint l'aveva scambiato per
un gatto, e per questo non aveva dato l'allarme.
Dalla radio aveva sentito dei colpi e
delle grida. Qualche colpo sporadico e poi il silenzio assoluto, come
in un cartone animato, quando si sentivano dei colpi, e poi il
protagonista rimaneva l'unico in piedi mentre tutti gli altri erano
riversi a terra
Solo che questa volta non era stato
l'eroe a vincere.
Clint aveva immediatamente messo mano
ad arco e frecce e si era preparato a colpire quel figlio di puttana.
Con suo sommo orrore, quel tizio
aveva, per Dio, afferrato al volo la freccia con una mano e gliel'aveva
rispedita proprio mentre la carica esplosiva nascosta al suo interno si
attivava, accendendo una palla di fuoco a mezz'aria.
Clint si buttò a terra per ripararsi,
ma tempo zero si sentì sollevare da terra.
Non si spiegava come fosse possibile,
ma quella... cosa era salita sul tetto a tempo di record e lo stava
impegnando in un corpo a corpo.
Si erano scambiati parecchi colpi,
entrambi zuppi, entrambi decisi a finire l'avversario, ma ben presto
l'arciere si era dovuto rendere conto che quella lotta lo avrebbe
portato solo a una morte lenta e dolorosa. Non aveva speranza contro il
suo oppositore, senza contare che la pioggia che aveva preso e i lunghi
momenti passati immobile lo avevano reso intirizzito e rigido nei
movimenti, senza contare che l'acqua gli aveva appesantito non poco i
vestiti.
Il soldato aveva una forza sovrumana,
e ben presto l'arciere non ebbe altra soluzione se non quella di
buttarsi e utilizzare una delle sue frecce per cercare di passare da un
edificio all'altro. La fuga, arrivati al punto in cui erano più i colpi
che riceveva che quelli che metteva a segno, era l'unica opzione
rimasta.
Dichiarò la missione ufficialmente
andata a puttane (del resto era piuttosto sicuro che i suoi camerati
non fossero sopravvissuti all'attacco di questa...macchina?) e se ne
diede una nuova: portare a casa la pelle.
L'altro lo seguiva da vicino.
Da troppo vicino.
In volo percepiva i proiettili
passargli accanto mentre l'uomo saltava senza sforzo di tetto in tetto,
inseguendolo e sparandogli a mezz'aria. Cercava di rispondere come
poteva, le dita che scivolavano sulle aste bagnate.
Non sapeva nemmeno se lo stava
colpendo, diamine, vista la forza che aveva dimostrato probabilmente
non percepiva dolore a meno di non colpirlo con un fucile a canne
mozze, ma continuava a difendersi strenuamente.
Fino a quando il Falco non era stato
abbattuto.
Un proiettile l'aveva colpito al
fianco destro, lui aveva perso la presa ed era precipitato nel fiume.
Clint si riscosse, mentre in un angolo della propria mente riviveva
quella terribile notte. Aveva davvero temuto di non arrivare a vedere i
21 anni quella volta, e di non poter realizzare il sogno di una vita:
prendersi una sbronza colossale in piena legalità.
Rabbrividì per un momento, ancora indeciso su come affrontare
l'apparente cordialità del Soldato d'Inverno (che, per la cronaca,
all'epoca non sapeva chi fosse. Era stata Natasha, anni dopo, tornata
malconcia, a fare le ricerce del caso e a scoprire l'autore di
parecchie delle morti di agenti dalla fondazione dello SHIELD a oggi).
-Non ricordi?- fu quello che chiese al soldato, un pizzico di genuina
curiosità che scavalcava con facilità (un po' troppa facilità, in
effetti) tutti gli istinti razionali che lo volevano prendere Tommy e
fuggire il più lontano possibile.
Doveva dirglielo? O evitare? Alla fine la sua bocca si collegò al
cervello, o al cuore o quello che era, e si attivò prima che potesse
effettivamente arrivare a una conclusione.
-So a malapena chi sono- fu quello che si sentì dire.
Quella doveva essere decisamente la “lasciamo
Clint Barton senza parole world week” e si prese un
appunto mentale di trovare e uccidere chi l'aveva inventata e diffuso
l'evento su Facebook.
Non c'erano altre spiegazioni logiche.
Insieme allo SHIELD era andato a puttane anche il comune andare delle
cose?
Sia chiaro, non che gli dispiacesse avere il Soldato d'Inverno in
versione pacifica, e magari dalla sua parte, per una volta, ma
certamente la cosa era spiazzante.
Non pensò nemmeno per un secondo che si trattasse di un imbroglio. Dopo
la possessione di Loki, ogni volta che si vedeva allo specchio, aveva
visto per molto tempo lo sguardo che aveva adesso l'uomo che stava di
fronte a lui, forte, e allo stesso tempo fragile, come avevano avuto
modo di constatare poche ore prima nei bagni dell'aeroporto.
-Come ti chiami?-
Ma questo tizio aveva un talento innato per le domande da un milione di
dollari? Si trovò a pensare con un'ironia che non apparteneva al
soldato, ma che era propria del sergente dentro di lui.
Cosa doveva rispondere? Soldato? Bucky? Non si sentiva né uno né
l'altro.
Alla fine, il passato prevalse sul presente, e riuscì a mormorare
“Bucky” con un filo di voce.
Dovette fare due tentativi, perchè il primo andò a vuoto. Le labbra si
mossero, ma nessun suono uscì da esse. Poi andò un pochino meglio.
Come suonava strano quel nome associato alla sua persona.
Bucky sapeva di... di casa, di qualcosa di intimo, di personale.
Il Soldato non era niente di tutto questo, ma forse, lo voleva? O era
solo una tattica per arrivare a Capitan America? Non ne aveva idea, era
come se il suo corpo agisse per i fatti propri, guidato da un istinto
che prevalicava le due coscienze che facevano a botte nella sua testa.
Un istinto che, molto probabilmente, aveva già capito che non era più
né Bucky, né il Soldato.
Era una persona nuova, integra, con parte dei ricordi del primo e le
esperienze del secondo.
A pensarci razionalmente, gli veniva un mal di testa di quelli con i
fiocchi.
-Non mi hai chiesto prima chi era Bucky?-
-E'... complicato- riuscì a dire alla fine dopo aver cercato
disperatamente una risposta migliore per svariati minuti.
La conversazione, se così si poteva chiamare quella che stava avvenendo
tra Clint e... Bucky, procedeva a una lentezza esasperante.
Tommy si chiedeva che cosa trattenesse Clint dal prendere l'altro per
le spalle e scuoterlo, lui che sapeva che l'arciere e la pazienza non
si erano mai incontrati nemmeno di striscio, se non si trattava di tiro
con l'altro.
Questa doppia natura di Clint l'aveva sempre affascinato: poteva stare
le ore in attesa del bersaglio perfetto, ma quando si trattava di
rapporti umani non sopportava per più di dieci secondi un'esitazione,
ed essendo stato sua recluta, Tommy ne sapeva ben più che qualcosa.
Lo prese come un segno di quanto fosse sconvolto da quello che stava
accadendo.
Quanto a lui, faceva capolino da dietro le spalle dell'amico, la
pistola e il pugnale ancora stretti nelle mani, pronti all'uso, se
fosse stato necessario. Non riusciva a farsi un'idea.
Solo poco prima questo tizio l'aveva preso in ostaggio e quasi ucciso,
e ora, come se fosse una persona completamente diversa, cercava un
dialogo civile?
Cercò di guardarlo negli occhi, ben nascosti sotto la visiera del
berretto che portava, per capire che cosa gli passasse per la testa, ma
tra il cappello e Clint, ancora davanti a lui come a proteggerlo, non
riuscì che a vedere una parte del volto.
-Prova a spiegare- intervenne a sorpresa, tenendo la voce pacata come
se si trovasse di fronte a un animale molto, molto pericoloso, e
spuntando da dietro la schiena del mentore. Dal tronde, non sembrava
che avesse intenzione di colpirli, almeno per ora, e comunque, aveva
provato personalmente la forza sovrumana del loro avversario: davanti o
dietro, se avesse deciso di ucciderli sarebbero morti comunque.
Clint vide Tommy uscire allo scoperto e, dopo un attimo di esitazione,
lo aveva lasciato fare, arrivando alle stesse identiche conclusioni a
cui il più giovane era arrivato pochi secondi prima.
Il Soldato spostò l'attenzione da lui al ragazzino, che pur mantenendo
un tono di voce tranquillo e le braccia rilassate lungo i fianchi,
teneva ancora in mano le armi, sebbene puntate a terra.
Vide il soldato fare un sospiro (ne era davvero in grado? Di fare
qualcosa di così... umano?)
-Sono stato... resettato- disse esitante, come se faticasse a trovare
le parole, se non fosse più abituato a dire qualcosa a meno che non
fosse più che necessario -parecchie... volte-
-Dall'HYDRA?-
-Sì-
-Cosa è cambiato?- chiese Clint a questo punto.
Cioè, lo sapeva che cosa era cambiato, ma perchè proprio ora stava
avvenendo questa...trasformazione?
-Niente più...- era un brivido quello che l'aveva appena fatto
trasalire? -...reset-
-Lo facevano per tenerti sotto controllo?- chiese delicatamente,
iniziando a sentirsi fastidiosamente solidale con lui. Controllo
mentale. Ne sapeva qualcosa.
Un cenno con la testa.
-Sai chi sei?-
-Bucky. Credo-
-James Buchanan “Bucky” Barnes?-
Il suono di quel nome li fece sussultare entrambi, arciere e soldato.
-Chi?- chiese cautamente Clint, voltandosi verso Tommy, che guardava
con rinnovata attenzione quell'uomo, come se avesse appena avuto
un'illuminazione.
-Steven Rogers! Adesso basta!-
Era seduto nel banco di una scuola
elementare, sulla lavagna un'espressione che un suo compagno stava
cercando di risolvere.
Una donna dall'aria severa, con
occhiali tondi e i capelli stretti in uno chignon si avvicinò a un
ragazzino mingherlino seduto due posti avanti a lui, una bacchetta di
legno in mano, flessibile quanto dolorosa.
Steve, come al solito, si era fatto
beccare con il bigliettino che lui gli aveva mandato, probabilmente nel
tentativo di lanciargli la risposta.
-Maestra!- si alzò in piedi, il
grembiulino con il fiocco azzurro come sempre storto. - E' colpa mia!-
-James Buchanan Barnes!-
Le mani della donna tremavano dalla
rabbia. Ancora, di nuovo, sempre lui. Sempre a combinarne di tutti i
colori.
Alzò lo sguardo e la guardò lasciar
perdere Steve per dirigersi verso di lui.
-Ancora tu! E' la terza volta che ti
riprendo oggi! In piedi, forza!-
Sapeva che sarebbe stato punito
questa volta, ma non gli importava. Aveva salvato Steve e l'occhiata
riconoscente e dispiaciuta che quest'ultimo gli aveva lanciato con i
suoi occhi azzurri e innocenti bastava e avanzava per lui.
Senza alcun tipo di preavviso, il Soldato si era accasciato a terra, le
mani premute sulla testa come se un dolore improvviso l'avesse colpito,
come se il suono di quel nome lo stesse assordando.
-Che facciamo, Clint?- Tommy era decisamente pallido, e quanto a lui...
la domanda era ottima, e l'istinto di tentare una nuova fuga molto
forte, ma alla fine, come sempre, vinse la parte di lui che
puntualmente lo cacciava nei guai.
L'arciere fece cenno a Tommy di stare indietro e si accucciò vicino al
soldato.
-Ehi!- provò a chiamarlo, ma era come se stesse rivivendo un qualche
evento del passato.
Aveva forse 13 anni, non di più.
Si trovava dovanti a una casa nel
quartiere di Manhattan, e stava bussando con insistenza alla porta.
-Vattene!-
-Steve, apri!-
-Va via!-
-Andiamo! Come se non ti avessi mai
visto con un occhio nero! Apri! Ho portato i fumetti e le caramelle
alla liquirizia!-
James sapeva bene che quella era la
parola d'ordine per farsi aprire, qualunque fosse l'umore o lo stato di
umiliazione che provasse in quel momento.
Il viso gonfio e ferito del biondino
fece presto capolino dallo spioncino, prima di togliere la sicura e
aprire la porta.
Il giorno prima, tanto per cambiare,
si era infilato in una rissa per una discussione di cui Bucky non aveva
proprio seguito il filo. Aveva prestato attenzione solo quando
l'atmosfera si era scaldata troppo. I due amici erano comunque stati
sopraffatti, ma, come sempre, era Steve che ne aveva pagato le maggiori
conseguenze, con il suo fisico così mingherlino.
-Le liquirizie-
Eh? Liquirizie? Clint, nonostante lo stupore, prese coraggio e cercò di
sostenerlo come poteva.
Il berretto scivolò via, rivelando il volto di un ragazzo che
probabilmente sfiorava appena i trent'anni, coperto di sudore freddo,
gli occhi serrati come a scacciare (o trattenere?) qualunque cosa
stesse avvenendo dentro di lui, qualunque cosa stesse rivivendo.
Aveva i capelli lunghi fino alle spalle, un po' sporchi, come se non
fossero esattamente curati, appiccicati alla fronte e al collo. Le
mani, una reale e una meccanica, che premevano forte contro la nuca, in
un disperato tentativo di esorcizzare il dolore, le mascelle serrate,
che ogni tanto si lasciavano sfuggire dei gemiti, o mozziconi di parole
che si perdevano nel rimbombare della chiesa.
L'arciere non sapeva cosa fare per aiutarlo; temeva anche che con il
supersoldato in quello stato, una mossa avventata, un gesto imprudente,
potessero scatenare una reazione involontaria che li avrebbe fatti
finire tutti molto male.
Si guardò intorno, sperando che, ormai, dato il tramonto ormai vicino,
nessun altro entrasse nella cattedrale. Come avrebbe potuto,
altrimenti, spiegare perchè un uomo grande e grosso con un braccio
meccanico stesse su quel pavimento piegato in due da non si sapeva bene
se un dolore fisico o psicologico?
-Steve...-
Steve?
Poi l'illuminazione colpì anche lui. Cazzo. Non potè fare a meno di
pensare, poco prima di iniziare a chiedersi, se Steve sapeva di aver
combattuto contro quello che era stato il suo migliore amico.
Lui aveva lottato contro Natasha, sotto il controllo di Loki, e una
delle cose a cui pensava spesso, era a cosa ne sarebbe stato di sé
stesso se non fosse riuscito a conquistare quel briciolo di lucidità
che aveva dato il tempo alla donna di metterlo KO, se fosse riuscito a
ucciderla.
Scacciò il brivido e i ricordi scrollando le spalle. Non era il momento.
-C...Clint?-
-Tommy. Non ora. Non andare in panico. Respira. Sta calmo-
-Ma...-
-Tommy!-
L'interruzione fu più brusca di quanto avrebbe voluto, ma con il
soldato, James, in quelle condizioni, non era il momento migliore per
un attacco di insicurezza della recluta. Respirò per calmarsi.
-Tommy- ripetè più calmo -Esci dalla chiesa, fuori, qui a destra, ho
visto un bar. Prendi dei soldi e compra dell'acqua per favore-
-Te la caverai?-
-Tranquillo. Vai-
Lo guardò uscire con la coda dell'occhio, mentre cercava di stendere a
terra l'uomo, che stava gradualmente riacquistando la presa sul
presente.
-Ehi. Ehi. Piano- gli disse stando bene attento a non dare
l'impressione di volerlo costringere a terra. Gli guidò le braccia
delicatamente, e gli sostenne il capo -Respira. È tutto a posto.
Respira-
-James Buchanan Barnes- Il soldato soffiò quelle parole con un sospiro.
Galleggiarono per un momento nell'aria, e Clint avrebbe davvero voluto
potergli dare una certezza a riguardo.
Anche quando Loki gli aveva tolto tutto, ogni capacità di azioni
indipendenti, aveva sempre saputo chi era e da dove veniva. Riconosceva
luoghi, cose e persone (certo li vedeva come nemici, ma sapeva chi
erano, e cosa avevano fatto per lui).
Non osava pensare a come potesse essere ritrovarsi d'un tratto senza
una propria identità, magari con visioni, incubi o sogni, di una vita
precedente. Represse, per l'ennesima volta, un brivido.
Cercò disperatamente di mettere a fuoco con gli occhi della mente la
vecchia foto che Steve teneva appesa nel salotto di casa sua, ma senza
successo.
Vedeva benissimo il bel volto di Peggy, ma quello del soldato gli
sfuggiva.
-Respira- sussurrò di rimando, mentre accoglieva con un sospiro di
sollievo lo spiraglio di luce aranciata che indicava che Tommy (o
almeno sperava fosse lui) che rientrava con l'acqua.
Il suo udito reagì prima di lui.
C'erano un paio di passi di troppo. E... un ticchettio regolare, quasi
quanto quello di un metronomo. Un bastone?
Doveva averlo percepito anche James, perchè cercò subito di mettersi
seduto, allarmato dal rumore estraneo. -Sta giù- gli ripetè Occhio di
Falco, a voce a malapena udibile, mentre si sporgeva per vedere chi
fosse. Respirò di sollievo quando vide un bastone bianco, mosso
ritmicamente da destra a sinistra. Sapendo di rischiare una reazione
violenta, ma senza altre idee in testa, mise una mano sulla bocca
dell'altro, sillabandogli le parole: è cieco.
Il soldato annuì e Clint lo lasciò andare, mentre accoglieva Tommy, che
gli porse una bottiglietta di plastica.
-Tranquillo, Clint. Questo signore mi ha prestato dei soldi per
l'acqua...incredibile, 2 euro e 50!-
L'occhiata di Occhio di Falco sarebbe bastata da sola ad abbattere il
nemico. Non solo si era fidato di uno sconosciuto (ok, cieco, ma pur
sempre uno sconosciuto), ma ora lo chiamava pure col suo vero nome?! Ma
cos'era, impazzito?
-Il suo amico, mi ha detto che il vostro compagno di viaggio non sta
bene- intervenne l'uomo con un perfetto accento americano. Clint lo
guardò senza badare troppo alla discrezione (che diamine, era cieco!):
era un bel ragazzo, anche lui sulla trentina (l'arciere iniziava quasi
a sentirsi vecchio, eppure, se aveva ragione, era in compagnia di un
novantenne!!), vestito elegantemente, con i capelli corti, curati, e un
completo che probabilmente costava quanto tutti i suoi vestiti messi
insieme, non che ci volesse molto visto che andava a jeans e t-shirt
che utilizzava fino a quando non scomparivano, letteralmente,
probabilmente biodegradandosi.
-Sì, un piccolo mancamento, sa, il jet lag, forse. Lei è americano?-
-Sì, Matt Murdock-
Dove aveva già sentito quel nome?
-L'avvocato di Hell's Kitchen?-
Lo vide sorridere, piacevolmente compiaciuto
-Mi conosce?-
-Abito nei dintorni del quartiere, si parla molto di lei. In bene.-
-Ne sono lusingato-
L'uomo aveva dei modi affabili, e il tono di voce pacato. Clint teneva
una mano appoggiata sulla spalla del Soldato, che però, almeno per il
momento, sembrava voler stare al gioco. Si rilassò e si alzò per
stringere la mano allo sconosciuto.
-Grazie per il prestito. Ecco. Tenga- restituì subito le monete,
ansioso soprattutto di scollarselo di dosso.
L'avvocato prese i soldi con un sorriso e, scusandosi, si congedò per
dirigersi verso il confessionale.
Clint riportò l'attenzione sul soldato.
-Dobbiamo uscire da qui, James-
PERSONAL SPACE: Ebbene sì...non
è che volessi proprio metterlo, ma i personaggi fanno di testa loro e
quindi...Matt Murdock sia. NOn so se sarà una sola apparizione o se i
nostri amici lo incontreranno ancora, fanno quel che vogliono con la
mia storia...niente...spero che abbiate apprezzato. Come al solito...se
si va, fatemelo sapere con un commentino ino ino!
Ciao!
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Capitolo 9 *** colpevole o innocente? ***
PERSONAL SPACE: Eccomi qui!
Scusate per l'attesa ma è stato un periodo un po' incasinato e non
riuscivo a finire il capitolo successivo per essere certa di non dovere
più modificare questo...però ora eccomi qui...e spero di farmi
perdonare XD
Niente come sempre ringrazio
tutti quelli che mi leggono, che hanno messo questa storia tra le
seguite, tra le preferite, e sopratttutto ttutte coloro che mi hanno
recensita e mi fanno sentire orgogliosa di questa cosa che sto
scrivendo.
Le recensioni per me sono
davvero importanti, perchè mi aiutano a capire dove sbaglio, dove vado
bene, e soprattutto mi fanno capire se quello che voglio trasmettere
arriva, quindi davvero, GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE.
(E un pacchetto di liquirizia a
tutti XD)
Niente, mi son già dilungata
anche troppo, vi lascio al capitolo. A dopo!
Capitolo
7: Colpevole o Innocente?
And I want a
moment to be real,
Wanna touch things
I don't feel,
Wanna hold on and
feel I belong.
I'm still here - John
Rzeznik
Main theme de: "Il pianeta del
tesoro"
James era ancora a terra, ancora scosso dai flash che gli avevano
ancora una volta fatto perdere lucidità. Man mano che riprendeva
contatto con la realtà, e il dolore alle tempie di attenuava fino a
raggiungere livelli accettabili, si era lasciato guidare dalla mano di
Occhio di Falco, che lo aveva fatto stendere a terra.
Non più in posizione fetale, era finalmente riuscito a respirare, e
adesso si limitava ad ansimare, riprendendo fiato e coscienza di sé.
Evitò, almeno per il momento, di pensare troppo a quello che aveva
visto. La testa gli girava ancora troppo per mettere insieme i pezzi.
Esalò piano quel nome, quello che aveva sentito gridare
dall'insegnante, lo stesso che aveva pronunciato il ragazzino, privato
del nomignolo, e che aveva scatenato la crisi.
Percepì distrattamente anche lo scambio di battute tra l'agente dello
SHIELD e quell'altro tizio, non sapeva chi fosse; non si mosse mai,
concentrato solo a respirare.
-Dobbiamo uscire da qui, James-
A quanto pare il biondo era certo della sua identità, o per lo meno
aveva deciso di esserlo.
Annuì e cercò di mettersi seduto, la testa che girava pericolosamente.
Lo sentì mettergli un braccio attorno alle spalle (il che era
abbastanza ridicolo, visto che era di una testa abbondantemente più
basso di lui) per aiutarlo a rialzarsi.
-Ce la fai?-
Non gli andava di parlare, sentiva in bocca un sapore sgradevole, ma
annuire sembrava un'impresa titanica.
-S...sì-
Si appoggiò con la mano libera (quella sana) a una delle colonne che
dividevano la cattedrale in navate, e piano piano, arrivarono alla
porta e da lì, dopo aver preso il pullman, a quella che in apparenza
era una normale villetta appena fuori dalla città, leggermente in
collina.
Si stupì nel vedere che Occhio di Falco avesse le chiavi, e che vi
entrasse come se fosse il padrone di casa.
Lo aiutò a stendersi, o meglio a lasciarsi cadere sul divano.
Erano in una delle migliaia di case sicure dello SHIELD sparse per
tutto il globo. Non in una qualunque, ma in una di quelle che non
figuravano nei registri ufficiali: erano stati acquisti fatti sotto
prestanome, e solo Nick Fury e una manciata di agenti potevano
accedervi.
Nonostante la caduta dell'organizzazione, Clint sapeva che lì sarebbero
stati al sicuro.
Era una casetta di periferia, abbastanza vicina all'inizio dell'area
urbana da essere servita dai mezzi pubblici, ma sufficientemente
lontana da garantire una certa privacy. Niente vicini nel raggio di
almeno 20 metri e un cortile circondato da una siepe. L'ideale per chi
non voleva essere spiato.
Vetri e pareti erano rinforzati con particolari materiali polimerici,
studiati e creati appositamente per assorbire senza danni proiettili e
alte concentrazioni di energia (il che, quando c'era in giro Hulk o un
qualche semidio che voleva distruggere la terra non era poi male), e
l'accesso era garantito non solo dalla chiave, ma anche da un controllo
incrociato del DNA, una cosa progettata da Stark che si era rifiutato
di capire: si era accontentato di apprendere che non era necessario un
prelievo del suo campione di saliva (anche se un po' era deluso, si
sarebbe divertito a sputare su un bersaglio, probabilmente), che una
telecamera sofisticata a quanto pare spulciava la sua pelle o i suoi
capelli e in base a quello tirava fuori dei geni o quel che erano.
La strada dalla cattedrale fortunatamente non si era rivelata
lunghissima, e un pullman provvidenziale aveva evitato loro di farsela
tutta a piedi, considerate le condizioni del Soldato d'Inverno.
Appena arrivati, lo aveva aiutato a sistemarsi sul divano, in modo che
potesse finire di riprendersi senza il terrore che qualche curioso
arrivasse a ficcanasare.
Guardò il giovane uomo cercare di rilassarsi, gli occhi chiusi e le
dita che massaggiavano le tempie.
Clint si alzò e si diresse in bagno, dove sapeva che avrebbe trovato il
necessario per una medicazione d'urgenza. La trovò, come previsto, in
uno degli armadi, e non potè non notare che era mediamente più fornita
di quelle delle case sicure standard: c'era tutto il necessario anche
per un rudimentale intervento chirurgico. Fury le aveva ben
equipaggiate, del resto, quelle erano le case per gli agenti di livello
più elevato, e di conseguenza aumentavano anche le probabilità di
uscire malconci dalle missioni.
Mise da parte garze, siringhe, aghi e bisturi sterili e arrivò ai
medicinali: anestetici, morfina (per i casi estremi), e infine
gli antidolorifici.
Non sapeva quali potessero essere le dosi consigliate per i
supersoldati e, nel dubbio, le raddoppiò, basandosi sul fatto che a
Steve servivano almeno il doppio delle birre per sbronzarsi rispetto a
loro comuni mortali.
Vide Tommy che stava aiutando James a bere un sorso d'acqua, a cui
aggiunse al volo le pastiglie.
-Sono per il mal di testa- spiegò in risposta allo sguardo vagamente
allarmato che ricevette in risposta. -Ne hai, vero?-
-Sì- fu la semplice risposta. Non era uno che parlava molto, a quanto
sembrava. Cercava di comunicare molto con lo sguardo: domande, paure,
speranze (?)
-Ci sono passato. Riposa, adesso-
Fu con un sospiro di sollievo che vide in poco tempo le rughe sulla
fronte distendersi e il soldato d'inverno chiudere gli occhi e
addormentarsi.
Sospirò e si voltò verso Tommy. Se c'era qualcosa che odiava di più che
fare l'adulto responsabile, era fare l'addestratore di reclute. E ora
doveva essere entrambi. Per il bene di tutti.
Come Tommy aveva visto lo sguardo che Clint gli aveva riservato in
quella chiesa, aveva capito immediatamente che alla prima occasione
utile sarebbe arrivato il rimprovero.
Sapeva di essere stato imprudente, soprattutto per aver chiamato
l'amico col proprio nome, ma, come sempre, non ci aveva proprio pensato
(ma perchè certe cose non gli restavano in testa? Quante volte gli era
stato detto?).
Aveva scelto un cieco proprio per evitare di essere visti in faccia,
poi si era tradito con il medesimo errore che li aveva costretti a
scappare all'inizio della loro clandestinità.
E ora il momento era arrivato.
-Mi dispiace, Clint- disse ancora prima che l'altro parlasse
-Prendere un cieco è stata una bella mossa- disse inaspettatamente
l'altro -intelligente...peccato per...-
-Lo so, ho fatto un errore da principiante. Mi dispiace, sul serio-
-Tommy. Lo sai, non mi piace fare l'istuttore cattivo, ma non puoi
tradirci così ogni volta. Non ora. Non con lui così vicino.-
-Useremo false identità anche con lui?-
-No. Sa chi sono. Non serve.-
Un involontario sospiro di sollievo gli sfuggì dalle labbra. Era già
difficile fingere con gli altri, ma farlo nella quotidianità della loro
vita era una prospettiva che non riteneva sopportabile.
-Per fortuna Clint non è un nome tanto raro. Fila a procurarci la
pappa.-
-Agli ordini.-
Tommy prese i soldi (una bella scorta questa volta) e uscì di casa con
il cuore più leggero: alla fine, se l'era cavata solo con una mezza
sgridata.
***
Gli eventi erano contro di lui.
Per forza.
Perfino il paziente Steve Rogers iniziava a scalpitare.
Prima i documenti.
Poi il tizio che non si trovava.
Il treno si era guastato.
E ora lo sciopero del personale di bordo?
Ma cos'era? Uno scherzo?
Ogni volta che arrivava ad accorciare finalmente la distanza dal suo
amico d'infanzia, da suo fratello, qualcosa si intrometteva lungo il
suo cammino. Iniziava a essere veramente stufo.
Una mano gentile gli toccò la spalla.
-Non agitarti, Steve. Tranquillo-
Cap annuì, un po' sconsolato, meravigliandosi ancora una volta della
capacità di Sam di leggergli dentro, e di riuscire a sostenerlo
praticamente senza che avesse bisogno di parlare.
Era una cosa che non credeva sarebbe mai stata possibile con qualcuno
del ventunesimo secolo.
Finora, gli unici con cui aveva avuto una qualche affinità erano Clint
e Natasha, ma più per la loro inclinazione alla solitudine che altro.
Invidiava il loro legame perchè gli ricordava moltissimo quello tra lui
e Bucky, e ne aveva avuto la prova dopo la cattura di Natasha: come
aveva spesso fatto il suo migliore amico, Clint non l'aveva mai
compatita, mai trattata come una vittima.
James aveva sempre fatto lo stesso con lui, soprattutto quando aveva
perso anche sua madre. Dopo essersi offerto di ospitarlo, il giorno
dopo si era presentato come al solito con due ciambelle e un nuovo,
folle progetto per cacciarsi nei guai, che ovviamente avevano messo in
atto.
Con Sam succedeva più o meno la stessa cosa.
Non lo faceva mai sentire un imbranato, e se lo metteva in difficoltà
col mondo moderno era al puro scopo di strappargli una risata. Ma non
era Bucky.
Avrebbe potuto abituarsi a vivere senza suo fratello, in realtà lo
aveva già fatto, come si impara a vivere senza un genitore. Lo si porta
nel cuore, ogni singolo giorno, come un dolore sordo che non sparisce
mai del tutto, ma con cui si impara a convivere, ma da quando lo aveva
visto in faccia, da quando lo aveva salvato da morte certa, ritrovarlo
era diventato il suo chiodo fisso.
Poteva vivere in un mondo in cui piangere James Barnes su una lapide
nel cimitero dei caduti di guerra, ma non in uno nel quale l'altro era
vivo e bisognoso di aiuto.
Doveva almeno accertarsi che l'anima del suo amico fosse perduta
definitivamente: in caso affermativo, si sarebbe abituato all'idea, ma
se un briciolo della sua coscienza era ancora in vita, allora avrebbe
smosso mari e monti per farla riaffiorare.
-E' solo che- rispose con un sospiro -Non lo so. Sembra che tutto sia
contro di me. Che la natura non voglia che io lo incontri-
-Magari ha ragione- suggerì sommessamente l'altro, una conversazione
che avevano già avuto.
-Può darsi. Ma devo saperlo con certezza. Bucky è sempre stato per me.
È morto per seguirmi, quando avrebbe potuto rassegnare le dimissioni e
tornare a una vita normale a New York. Glielo devo.-
-Lo so-
-Non sei obbligato a venire-
-So anche questo-
Naturalmente.
Aveva provato a convincerlo a rinunciare, a unirsi a Tony Stark nel
campo della sicurezza privata, ma Sam aveva messo bene in chiaro un
unico punto: Aveva ricominciato con lui e avrebbe finito con lui. A
ogni costo.
In cuor suo, si era ripromesso di abbatterlo lui stesso, pur di
salvargli la vita.
Aveva già Bucky sulla coscienza.
***
-Signore, abbiamo un riscontro.-
La voce metallica di J.A.R.V.I.S risuonò nel silenzio di uno dei
laboratori sterili delle Stark Industries, dove Tony stava lavorando
alle nuove unità di memoria delle proprie armature, che avrebbero
contenuto la coscienza del maggiordomo virtuale del magnate.
Poiché si trattava in sostanza di Hard Disk potenziati, era di vitale
importanza trattarli in ambienti ad atmosfera protetta, per evitare che
polvere indesiderata li danneggiasse.
In particolare stava lavorando sull'alimentazione di questi, cercando
di inserire da qualche parte un accumulatore di energia proveniente dal
reattore ark, che non solo fungesse da riserva nel caso di
danneggiamenti di quello principale, ma che assorbisse anche i picchi
che spesso ricevevano durante i combattimenti: erano questi, in
particolare, ad aver più spesso danneggiato i dischi rigidi, e riuscire
ad assorbirli altrove ne avrebbe per lo meno allungato la vita.
Era così concentrato, che l'Intelligenza Artificiale dovette ripetere
due volte il messaggio prima di venire percepito.
-Come?- Chiese come emergendo da una trance
-C'è stato un riscontro da alcune telecamere di sorveglianza. Sul
Soldato d'Inverno.-
-Dove?-
-Aeroporto Guglielmo Marconi di Bologna, in Italia-
Gli occhi marroni dell'uomo si illuminarono di un inquietante lampo che
aveva tutto il sapore della sete di vendetta. Finalmente avrebbe saputo
perchè erano morti i suoi genitori, chi era stato il mandante, e
avrebbe avuto il piacere di trattate personalmente con l'esecutore
materiale della condanna che era stata emessa nei loro confronti.
-Perfetto, prepara il mio jet privato. Infiltrati in tutte le
telecamere della città e trovalo. Voglio la sua posizione al più presto
possibile. Partenza in massino tre ore.-
Avrebbe trovato quel figlio di puttana.
***
Erano in quel dannato aeroporto da ormai sette ore.
Sette ore di dannata, lunghissima attesa, con il loro volo cancellato
dallo sciopero.
Gli era stato detto che al termine della protesta, avrebbero cominciato
a smaltire le persone non imbarcate sui voli non completi per le
rispettive destinazioni, e Steve pregava di riuscire a salire sul primo
aereo diretto in Europa, per poi trovare un qualunque modo per cercare
di localizzare nella maniera più precisa possibile il suo amico.
Avrebbe girato il continente a piedi, se ce ne fosse stato bisogno.
Finalmente, due ore dopo, ebbero la prima certezza: il giorno dopo
sarebbero stati su un volo diretto in Ucraina.
Non era la migliore delle destinazioni, ma gli aerei in partenza per
mete più gettonate erano o già pieni da precedenti prenotazioni oppure
avevano così pochi posti dispobili che erano subito stati completati da
famiglie con bambini (a cui era stata, giustamente, data la priorità).
Tutto sommato non gli spiaceva la cosa: aeroporto meno commerciale
significava, forse, controlli meno approfonditi, per la ridotta
probabilità di attentati terroristici, e, inoltre, sperava di rivedere
almeno per un minuto Natasha, per assicurarsi che stesse bene. Sapeva
che si era diretta verso la sua vecchia madre patria alla ricerca di
nuove identità per poter viaggiare al sicuro.
-Coraggio, amico. Ci siamo quasi-
Steve annuì. Finalmente.
***
Era notte fonda quando il Soldato d'Inverno riaprì gli occhi.
Si voltò appena e vide che Occhio di Falco era raggomitolato su due
poltrone, profondamente addormentato.
Si prese un attimo per cercare di capire se la sua testa collaborava a
suffficienza da permettergli di alzarsi. Sentiva l'impellente bisogno
di aria fresca. Doveva uscire da lì.
Cercò di mettersi seduto, ma iniziò a barcollare nel momento esatto in
cui si mise in piedi.
Il rumore svegliò immediatamente l'altro uomo, che subito cercò di
soccorrerlo.
-Ehi. Ehi-
-Aria... aria-
-Ok. Ok. Fa piano-
Il soldato non aveva una bella cera, per niente. Sembrava che stesse
per vomitare anche l'anima, per questo non oppose resistenza quando gli
disse di aver bisogno di aria.
Sostenendolo, lo condusse fuori di casa, nel piccolo giardino sul retro
al riparo da occhi indiscreti.
James si lasciò andare e si accovacciò a terra, respirando l'aria
frizzante della notte sulle colline poco fuori Bologna.
Clint rimase in piedi vicino a lui, non osando nemmeno voler provare a
immaginare come si sentisse. Lui era stato sotto il controllo di Loki
per una manciata di giorni, e ci aveva messo settimane a riprendersi.
Ma quel ragazzo era stato ripescato, riprogrammato e tenuto sotto
controllo per quai 60 anni.
Represse l'ennesimo brivido.
Non si stupì quando lo vide vomitare, si limitò ad aiutarlo a
sostenersi, pregando che Tommy non si svegliasse.
-Grazie-
In risposta, gli passò una maglietta per pulirsi, la prima cosa che era
riuscito ad afferrare in quel momento.
-Non preoccuparti. È normale. Va meglio ora?-
-Un po'-
-Passerà, vedrai-
E all'improvviso, di fronte a quell'uomo gentile, ebbe l'impulso di
parlare, di cercare di spiegarsi, nell'illusione che magari tutto
questo lo avrebbe aiutato a mettere ordine nella sua testa.
-A volte. Quando vedo o sento qualcosa... è come se si risvegliasse
qualcosa, dentro di me. Ho questi... spezzoni di vita in testa...-
-Probabilmente è solo la tua personalità che cerca di riemergere. Non
opporre resistenza-
Trovò la forza di fare un cenno affermativo con la testa, annuire era
ancora una cosa che non si sentiva di fare.
Chiuse gli occhi, mentre raccoglieva le ginocchia contro il petto, e
cercò di rivivere quei flash, di provare a sentirli suoi, mentre li
raccontava piano a bassa voce, come se fosse solo.
Sentì una fitta di calore al cuore, che sciolse un pochino del gelo che
lo avvolgeva.
-Steve- sussurrò, e questa volta c'era una punta di affetto nella sua
voce.
Ma erano d'avvero ricordi suoi?
-E... se non fossero miei? Se... me li avessero impiantati?- trovò il
coraggio di chiedere.
Ancora una volta, si stupì che quella macchina per uccidere (doveva
decisamente smetterla di vederlo così) potesse provare paura. Quello
che aveva davanti era un ragazzo spaventato.
-Non so cosa ti abbiano fatto, ma prima, mentre dormivi, ho fatto
qualche ricerca. Di certo la tua faccia è quella di James Barnes. I
tuoi ricordi sono legati a Steve. A me basta per decidere che sono tuoi
e che tu eri il migliore amico di Capitan America-
Trovò il coraggio di mettergli una mano sulla spalla (non aveva ancora
superato la paura che gli impediva di comportarsi normalmente, ma,
diamine, l'aveva quasi ucciso!).
Lo vide stringere la mano sinistra a pugno, mentre guardava il braccio
meccanico
-Non sono comunque più quella persona-
-E Steve non è più il ragazzino degli anni 40-
-Sono... un mostro-
Clint fece un respiro profondo, forse era il suo turno di parlare di sé
stesso. Deglutì un paio di volte prima di riuscirci.
-Ti stavano controllando. Forse non eri nemmeno cosciente-
-Non mi giustifica-
-Sì che lo fa. Devo credere che sia così-
Lui doveva crederlo?
James si voltò verso l'arciere, e lo vide come perso in un altra
dimensione, e per un attimo gli sembrò di guardarsi allo specchio.
-Tu, devi?-
-Sì. Altrimenti non mi perdonerò mai di aver ucciso il padre di quel
ragazzino-
La rivelazione, fatta così, tutta d'un fiato, a voce sommessa, lo colse
alla sprovvista
-Come?-
E si ritrovò ad ascoltare di come Clint (si chiamava Clint, giusto? Il
ragazzino l'aveva chiamato così, o almeno gli sembrava) si fosse
ritrovato a essere lo schiavo di un semidio che lo aveva convinto a
tradire lo SHIELD e quasi a uccidere tutti i suoi amici, oltre a un
numero non precisato di civili e militari in servizio, tra cui il padre
di Tommy (o almeno, lui lo aveva chiamato così)
-Ma tu sapevi ancora chi eri, dopo-
Clint annuì.
-Sì, e non so se fosse un bene o meno, probabilmente lo è stato-
-Io non so chi sono. Tu mi dici James Barnes, io ti dico che va bene.
Ci sto. Ho un nome e una faccia. Ho letto qualcosa su di me allo
Smithsonian. Bene. E poi?-
Vide l'altro stendersi sull'erba in silenzio, dopo aver sospirato. Non
sapeva dire se stesse pensando a una risposta o semplicemente fosse
seccato perchè non gli bastava aver avuto un nome.
-Hai ragione- disse invece alla fine -Probabilmente al posto tuo darei
fuori di matto anche io, e, credimi, mi riesce bene-
Quando si era sdraiato, per un momento aveva ripensato a sé stesso, non
quando era stato preso da Loki, ma quando si era ritrovato quasi cieco.
Aveva un nome, un cognome, una faccia, ma non aveva idea di cosa fosse
la sua vita se non poteva esercitare l'arte in cui eccelleva.
Alla sua battuta, vide le labbra dell'uomo incurvarsi in un mezzo
sorriso.
-Ma credo che solo tu abbia le risposte-
-Voi potete aiutarmi?-
-Lo SHIELD avrebbe potuto, ma tu, il tuo migliore e la mia migliore
amica avete pensato bene di farlo fuori. Però sono sicuro che Steve
possa aiutarti-
-Mi vorrà ancora?-
-Quello è peggio di Luke Skywalker. Morirà pur di salvarti-
-Questo Skywalker... è amico tuo?-
Non ridere, Clint. Non ridere. Non rid...
Ci volle un po' a Clint per calmarsi, momento in cui James non riusciva
a capire cosa ci fosse di tanto divertente nella sua domanda.
-No... no. È un personaggio di un film- poi si bloccò -Tu sai cos'è un
film, sì?-
Lo sapeva?
Annuì per evitare di fare la figura dello stupido.
-Non temere. Steve ti aiuterà-
-E se non tornerò quello che lui ricorda?-
-Non devi tornare te stesso per lui. Probabilmente quel James Barnes, o
almeno parte di lui, è davvero morto in quel dirupo. Qualcosa è
rimasto, qualcosa no. E' normale. Come una parte di Steve è rimasta nel
ghiacciaio. Sii te stesso perchè tu lo vuoi essere.
James Barnes, il Soldato d'Inverno, una ballerina di tip tap.
Ma sii quello che TU vuoi essere. Non quello che io, Steve o chiuqnue
altro vuole che tu sia-
-E se non mi accettasse?-
-E allora si fotta. Ci sono 6 miliardi di persone su questo mondo. Non
sarai solo-
Rimase in silenzio un attimo, a riflettere sulle parole che gli erano
state dette, e capì che Clint aveva ragione, che forse non aveva senso
continuare a dannarsi per cercare di essere il James del 1945.
-Grazie...-
-Clint, comunque. Mi chiamo Clint-
-Grazie, Clint-
Clint si alzò e gli porse la mano per alzarsi.
-Forza. In cucina-
-Perchè?-
-Essere saggio mi mette a disagio. Devo compensare con una sonora
sbronza-
Questa volta fu James a ridere. Una risata spontanea, un po' roca. Ma
senza dubbio sincera.
Prese due bicchieri e una bottiglia di whisky invecchiato 20 anni.
Fury aveva sempre un ottimo gusto.
PERSONAL SPACE: Altro capitolo
introspettivo, ma giuro che dal prossimo gli eventi si metteranno
finalmente in movimento. So che mi sono soffermata a lungo sulla lotta
interiore di Bucky, però è un personaggio che mi ispira davvero molto,
e ho voluto immaginare come possa essere per lui cercare di capire chi
è davvero, e cosa vuole fare della sua vita. Spero non vi siate
addormentati tutti ^__^
Alla prossima! (se lo vorrete).
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Capitolo 10 *** Famiglia ***
PERSONAL SPACE: perdonate l'immenso ritardo, è stato un periodo folle!
Grazie a tutti quelli che hanno recensito (e anche a chi ha soltanto letto!)
CAPITOLO 8: FAMIGLIA.
Il mattino dopo Clint si pentì amaramente di aver aperto e finito quella bottiglia di whisky.
Si alzò barcollando e con l'aiuto di qualche santo riuscì ad arrivare alla scatola degli analgesici che si trovava in bagno.
Sbornia da whisky. Che botta, ragazzi.
Però aveva riflettuto sul fatto che se voleva davvero aiutare James, doveva trovare il modo di ricongiungerlo con Steve, e se voleva trovare Steve, doveva chiamare Natasha, che era stata l'ultima tra le sue conoscenze a vederlo.
Prese il cellulare usa e getta dalla tasca dello zaino e compose il numero della sua linea sicura con la Vedova Nera.
-Sei tu?- Rispose la voce amica della ragazza, che gli diede una piacevola sensazione di casa, anche se erano probabilmente a migliaia di chilometri di distanza.
-Chi altri?-
-L'ultima volta era uno sceicco sadico-
Clint rise. Finalmente riuscivano a scherzare su quella brutta avventura che li aveva sconvolti entrambi, ma che aveva anche fatto capire loro, che gli Avengers non erano un gruppo solo quando c'era in ballo la sicurezza del mondo, ma anche quando si aveva bisogno di aiuto.
-Touchè- rispose -Come stai?-
-Bene, direi. Mi sono rifatta una vita-
La loro frase in codice per indicare che tutto andava bene, che viveva sotto falsa identità e nessuno le dava la caccia. -Come sta il bambino?-
Ci mise un attimo per capire che si riferiva a Tommy.
-Si sta ambientando nella nuova scuola, ma ha voti altissimi- fu la prima risposta che gli venne in mente. E, già che c'era, cercò un modo per buttarle lì che erano in compagnia del Soldato d'Inverno e che avevano bisogno che lei recuperasse Steve e li raggiungesse.
-Sai, abbiamo incontrato un vecchio amico. Di quelli che lasciano il segno-
***
Natasha si irrigidì immediatamente a quelle parole.
Non erano molte le persone che erano state così abili da lasciare una cicatrice visibile dopo anni nel corpo della vedova nera. E lui c'era riuscito addirittura due volte, entrambe con dei proiettili.
Il Soldato d'Inverno.
-Davvero?- si costrinse a chiedere mentre la mano stringeva convulsamente la mano della cornetta del telefono.
-All'inizio non ci ha riconosciuti, ma poi ha capito. Al momento dividiamo l'affitto, sai, qui gli appartamenti costano!-
Che? Cosa? Come? Perchè?
Le stava davvero dicendo che, dovunque fossero, stavano facendo comunella?
-Potevi mettere un annuncio sul giornale-
-Lo so, ma tutto è successo all'improvviso, e poi lui sta cercando di raggiungere un nostro vecchissimo amico.-
Steve?
-Come mai?-
-Pensa che abbia delle foto di suo nonno in divisa. Vorrei aiutarlo a recuperarle.-
Ok, i casi erano due.
O Clint sapeva quello che faceva, o si era definitavamente bevuto il cervello.
Quello che la lasciava perplessa era che non stava lanciando nessun allarme, nessuna frase indicava in qualche modo che fossero in pericolo o che avessero bisogno di aiuto.
Stava solo cercando di dirle che avevano bisogno di Steve, e che in qualche modo c'entrava la memoria del Soldato.
Forse Capitan America questa volta non aveva rivolto le sue speranze al nulla. Forse qualcosa di Bucky c'era ancora in lui, e senza l'HYDRA a controllando stava riemergendo.
-Penso di avere ancora il numero. Parli di quello di Manhattan,vero?-
-Sì lui. Se lo trovi mi contatti per favore?-
-Assolutamente. A presto-
-Ciao-
-Ciao-
Natasha sospirò. Doveva trovare Steve e Sam. E al più presto.
***
Erano appena atterrati (finalmente) all'aeroporto di Kiev, dopo un viaggio durato 8 lunghissime ore.
Sam si era addormentato non appena aveva toccato il sedile, ma per Steve non era stato così facile.
Era su un volo per l'Europa.
Si stava avvicinando a Bucky, ammesso e non concesso che nel frattempo non si fosse mosso altrove, suggerì una vocina pessimista dietro di lui che si ostinò a far tacere all'istante.
Dentro di lui era un misto di emozioni, paura, ma anche aspettativa.
Ogni parola che gli aveva detto Sam era vera: dopo 60 anni di lavaggi del cervello e fasi di ibernazione, la mente del suo amico poteva essere stata cancellata definitivamente, o, nelle migliori delle ipotesi, danneggiata gravemente, a tal punto che anche se si fosse ricordato la propria identità, c'erano forti possibilità che non avesse più i suoi ricordi.
Francamente, a Steve non importava.
Lui, e lui solo era presente su quel dannato helicarrier. Ed era certo che quando aveva pronunciato quelle parole, “Sarò con te fino alla fine”, qualcosa era cambiato negli occhi del suo nemico.
C'era stato un barlume, appena un'istante prima che la struttura crollasse e lo facesse precipitare nell'acqua.
Forse Bucky non sarebbe più stato quello che era una volta (come se lui stesso non fosse cambiato), ma a lui bastava mettergli quel poco di dubbio in testa che lo spingesse a farsi delle domande.
-Non ci credo-
La voce di Sam lo fece all'improvviso sobbalzare. Erano nel terminal degli arrivi dell'aeroporto, e il suo nuovo amico si era improvvisamente bloccato, sorpreso da qualcosa.
-Che succede?- chiese uscendo dalla sua schiena per riuscire a vedere quello che lo aveva bloccato.
Non era possibile.
Era bionda, e i capelli erano corti, ma non c'erano dubbi.
-Nat?-
Natasha si era messa in moto non appena aveva attaccato il telefono.
Di aiutare il Soldato d'Inverno, onestamente, gliene fregava ben poco, ma voleva evitare che Clint e Tommy rimanessero troppo a lungo con quella macchina da guerra.
Natasha sapeva che Clint era una brava persona, in fondo, nonostante mantenesse sempre una certa distanza dalle persone.
Era solo una facciata, per non soffrire, e lei lo sapeva.
Era anche un ottimo soldato, e un'ottima spia.
Ma aveva il pessimo difetto di lasciarsi trasportare dall'istinto, da quello che gli diceva il cuore.
E non sempre era stata una scelta vincente.
Per quel che ne sapeva lei, doveva assumere che quella del Soldato fosse una messa in scena per arrivare più facilmente a Steve e terminare la missione che gli era stata data: ucciderlo.
Il lato positivo di tutta la faccenda era che fino a quando non si fossero ricongiunti con Capitan America, i due amici non correvano un concreto rischio di venire uccisi, ammesso e non concesso che non li terminasse nell'istante in cui avessero avuto in mano un punto d'incontro.
Natasha aveva cercato di pensare a come si sarebbe comportata lei prima del suo arrivo nello SHIELD, e aveva concluso che aveva pochissimo tempo.
Questo, almeno, prima di ricordarsi che Clint, nonostante fosse istintivo e a volte un po' imprudente, non era solo, e sapeva per certo che non avrebbe mai messo Tommy in pericolo.
Decise che doveva dargli un po' di fiducia.
Il risultato delle due operazioni diametralmente opposte era che aveva un po' di tempo.
Si era subito messa in moto per rintracciare Steve Rogers.
Hackerando i computer della sicurezza nazionale, era riuscita ad avere accesso a una serie di dati che le avevano fatto individuare il capitano in una bettola alla periferia di Washington, nota per i suoi traffici illegali.
Poiché escludeva a priori la possibilità che si fosse messo in un traffico di droga, le restavano altre due possibilità: armi e documenti falsi.
Ma se sei Steve Rogers non è che ti serva un grande arsenale.
Documenti.
Steve cercava una nuova identità.
Quindi voleva volare.
L'aeroporto.
Questa volta non si preoccupò di andare per il sottile. Si era infiltrata direttamente di tutte le compagnie aeree che avevano voli per l'Europa dall'aeroporto internazionale di Washington e aveva controllato le liste passeggeri. Ci aveva messo poco a trovare gli unici due che partivano per un volo intercontinentale senza bagaglio in stiva.
Era certa, infatti, che se Steve aveva ceduto all'illegalità era perchè aveva avuto una pista sicura, e dalla telefonata di Clint (o meglio dal suo costo) aveva capito che era nel vecchio continente.
L'aveva trovato, e si era fatta trovare al loro arrivo.
-Ciao, bei fusti- Li salutò con un sorriso e un abbraccio, ignorando completamente (anzi in realtà godendosi un pochino) la loro incredulità nel trovarla lì. -Fatto buon viaggio?-
-Sì. Lungo ma bene- il primo a riprendersi fu Falcon -Come sapevi che saremmo arrivati? Doveva essere una sorpresa-
Si meravigliò dello spirito di iniziativa dell'uomo di colore: era (quasi) come avere a che fare con una spia.
-Mio fratello non ha resistito. Ha vuotato il sacco-
E lei non poteva assolutamente trattenersi dal mettere Steve in imbarazzo. Lo strinse a sé e lo coinvolse in un bacio appassionato. Vide, divertita, le guance del soldato diventare rosse come peperoni. Si staccò con un sorriso furbo sul viso che sapeva che lo avrebbe indispettito.
-Ciao, amore!- esclamò civettuola.
-Andiamo a casa. È meglio-
Le rispose mettendole un braccio attorno alle spalle e lanciandole uno sguardo che era a metà tra l'esasperato, l'irritato e il divertito.
Beh. Almeno aveva imparato a mentire. Quasi.
Li infilò su un taxi e li portò in quella che al momento era casa sua: un appartamentino in una cittadina 60 km da Kiev. Viveva in centro, in un monolocale in cui, in perfetto stile Vedova Nera, non c'era molto altro oltre l'essenziale, una cosa a cui Steve era abituato, ma che lasciò Sam un attimo spiazzato. Non c'era niente, in quell'abitazione, che desse una minima indicazione su chi lo abitasse.
Niente quadri, libri o suppellettili.
Niente armi.
-Non conto di viverci per molto- spiegò Natasha di fronte all'espressione dell'ex soldato. - Sto solo aspettando che si calmino le acque, poi cercherò il modo di tornare in America.-
Li fece accomodare e mise a bollire l'acqua per il tè.
-Come sapevi dove trovarci?- chiese alla fine Steve, in piedi appoggiato contro il lavandino.
-Ho fatto delle ricerche-
-Ti mancavamo così tanto?-
-Ti piacerebbe, Wilson- rispose con un mezzo sorriso seducente, mentre si allungava per prendere i filtri dalla credenza. -No, mi ha chiamato Clint-
-E' nei guai?-
-Non lo so. Spero di no.-
-Non ti seguo...- Sam non era esattamente a conoscenza del rapporto tra i due, ma la risposta di Natasha fece sollevare un sopracciglio anche a Steve, e questo lo fece abbastanza pensare.
-E' con il Soldato d'Inverno- buttò fuori tutto in un colpo una bomba a cui nessuno dei due era preparato.
-Con Bucky?-
Sam percepì distintamente il cambio di tensione nel corpo di Steve Rogers. Trasparente com'era (almeno per Sam) era chiaro che aspettava di sentire il resto. Erano ostaggi o alleati?
Da quella risposta, Sam lo intuiva, dipendeva tutta la loro missione.
Poiché sentiva che Capitan America, l'uomo più coraggioso di tutti i tempi, non avrebbe mai avuto la forza di continuare la frase, fu lui a porre la fatidica domanda.
-Alleati od ostaggi?-
Sam Wilson le aveva appena passato una patata di quelle che definire bollenti era poco.
Era sempre stata una schietta, che non aveva mai usato mezzi termini, e senza troppe parole di conforto, tuttavia, questa volta, sentiva che non poteva (se doveva essere onesta con sé stessa, doveva ammettere che non voleva) perdere di nuovo la fiducia di Steve, che aveva riconquistato a stento durante i fatti di Washington.
Inoltre, non sapeva con certezza come stavano le cose. Optò per la verità, anche se questa era fatta di mezze risposte intuite da messaggi in codice inventati sul momento, al di là dei classici schemi che usavano di solito lei e Occhio di Falco.
-Non so dirlo- rispose -Io e Clint parliamo in codice di solito, mi ha detto che sono coinquilini, il che potrebbe voler dire alleati, visto che non ha aggiunto altro che facesse pensare a una situazione scomoda. Mi ha solo detto di aver bisogno di Steve-
-Potrebbe essere tornato in sé-
Natasha si scambiò un'occhiata al volo con Sam, prima di parlare.
-Non mi sento di escludere nessuna ipotesi, al momento. Potrebbe anche essere tutta una finta al solo scopo di finire la missione-
-Ma perchè Clint?- Chiese Sam -Voglio dire, perchè non te, o addirittura perchè non venire a cercarci direttamente-
-E' una delle cose che non mi spiego- confessò la donna.
-Ad ogni modo, dobbiamo raggiungerli- decise Capitan America, e Natasha capì che il suo scopo era doppio: assicurarsi che i due amici stessero bene, e salvare il suo più vecchio amico.
Le restava un dubbio: a quale delle due cose avrebbe dato priorità se le cose si fossero messe male?
***
-Perfetto, a presto allora, salutami il nonno.-
Clint chiuse la telefonata sotto gli occhi ansiosi del Soldato d'Inverno, anzi di James.
-Allora?- chiese Tommy, rannicchiato sulla poltrona con una tazza di latte in mano
-Arrivano il prima possibile- Confermò l'arciere
James annuì, silenzioso come sempre.
Dalla chiacchierata notturna con Clint le cose per lui erano parecchio migliorate.
Forse perchè aveva accettato i “buchi” nella sua mente, forse perchè aveva visto come si era ripreso Occhio di Falco dopo il controllo di Loki, i mal di testa erano meno intensi, anche se le visioni continuavano ad arrivare quando una parola o un'immagine gli facevano scattare “l'interruttore di Bucky” come amava chiamarlo l'arciere di New York.
Si era deciso a darsi una sistemata, e ora portava i capelli un po' più corti, anche se indossava spesso il berretto, anche in casa. Si era abituato ad averlo addosso e senza si sentiva esposto, una probabile conseguenza del fatto che negli ultimi... 60 anni? (davvero ne erano passati così tanti??) si era sempre mostrato in pubblico completamente a volto scoperto.
Sotto quella visiera si sentiva... al sicuro.
-Per ora restiamocene qui e restiamo al sicuro. James, se vuoi venire vado a comprare qualcosa di commestibile-
-Per far sì che dia inizio a una nuova civiltà? Fai in modo che paghi l'affitto, almeno!-
-Zitto, moccioso, o ti offro come loro vittima sacrificale!-
-No, penso che...resterò qui- rispose il Soldato, leggermente divertito dallo scambio di battute tra i due, anche se non aveva idea di cosa intendesse Tommy con quelle parole, ma supponeva che lo avrebbe scoperto presto.
-Tommy?-
-Resto. Ma comprami qualcosa da leggere!-
-Sì, signore.-
Clint prese la giacca e uscì di casa, diretto alla fermata dell'autobus che l'avrebbe riportato in città.
James rimase seduto sulla sedia dove si trovava, mentre Tommy si accomodò sul divano e aprì uno dei libri che avevano trovato in quella casa.
Il supersoldato si ritrovò a guardare quel ragazzino, così concentrato nella lettura, e non potè evitare di pensare che poteva essere un suo nipote, se non addirittura pronipote.
Ogni volta che lo guardava si meravigliava di quanto bravo fosse: indipendente, scaltro e intelligente, ma a volte così fragile.
L'aveva intravisto qualche volta guardare una foto di una donna che aveva nel portafogli, e altre indugiare con in mano un telefono; avrebbe voluto parlargli, in qualche modo, ma finora non ne aveva mai trovato l'occasione.
Questa volta, attese che il ragazzino si prendesse una pausa prima di parlargli.
-Cosa... stai leggendo?-
Tommy sobbalzò, così abituato al suo silenzio da non aspettarsi che gli rivolgesse la parola.
-Ehm... E'...un romanzo. Si chiama “Il padrino”-
-Di che cosa parla?-
In poche parole, gli spiegò la trama del libro da cui era stato tratto anche un famoso film: parlava di una famiglia mafiosa a Manhattan, che aveva fatto la fortuna mettendosi in giri illegali, ma cercando di mantenere sempre un certo “onore”.
-Ti manca?- gli chiese all'improvviso
-Cosa?-
-La tua... famiglia-
-A volte. Ma cerco di non pensarci, di solito-
Tommy poi prese coraggio:
-Tu... ce l'avevi una famiglia?-
-Non lo so. Forse. Forse no. Per adesso non me lo ricordo, anche se...-
Anche se?
Dopo un attimo di esitazione, gli raccontò che quando aveva queste...visioni della sua vita passata, raramente Steve Rogers era assente.
-Forse siamo parenti- concluse
-A volte non serve essere parenti per essere una famiglia-
Fu la risposta del ragazzino, che lo fece parecchio pensare.
Sentì di nuovo quelle parole nella sua testa: “Io sarò con te: fino alla fine”.
Lui e Steve erano una famiglia?
Sperava di avere presto delle risposte.
***
L'aereo privato di Tony Stark atterrò nel terminal di Bologna dedicato all'aviazione generale dopo appena 5 ore di volo. Ancora una volta, il magnate si beò dell'incredulità di quelli che vedevano il rapporto del piano di volo.
Essere un genio in ingegneria gli aveva infatti permesso di progettarsi e costruirsi il velivolo, che superava di due volte la barriera del suono ed era così in grado di far sembrare un volo transoceanico una gita fuori porta per il weekend.
Il tutto, tra l'altro, a quasi zero emissioni.
In compenso di zeri ne aveva tantissimi l'assegno di coloro che avrebbero voluto comprare un gioiellino simile, ecco perchè finora il suo era l'unico esemplare esistente.
-J.A.R.V.I.S, avvia la procedura standard di manutenzione mentre siamo fuori per favore.
-Sì, signore- rispose immediatamente l'intelligenza artificiale, che avviò un check sull'elettronica e i motori mentre inviava richiesta all'aeroporto per la manutenzione ordinaria delle parti meccaniche.
-Hai noleggiato l'auto?-
-La aspettano nel parcheggio taxi, signore. Una Ferrari Enzo nera, con possibilità di eventuale acquisto-
-Perfetto. Passiamo a cose serie. Le telecamere di sorveglianza-
-Non abbiamo rilevamenti del soldato, ma niente esclude che possa essersi camuffato in qualche modo. Inoltre, non è segnalato niente nei registri della polizia italiana. Se è stato qui, non ha attirato l'attenzione su di sè-
-Continua a cercare. Estendi la ricerca a corporature simili-
-Ai suoi ordini-
-Tienimi aggiornato. E...-
-Le ho prenotato il miglior ristorante della città, signore. La attendono in 40 minuti-
-Sei il migliore!-
Tony, rassegnato al fatto di dover attendere un qualunque riscontro che gli indicasse dove si nascondeva il Soldato d'Inverno, prese in consegna l'auto, che era praticamente nuova visto anche gli elevati costi di noleggio, e si diresse verso il ristorante più lussuoso, nel pieno del centro storico, seguendo le indicazioni che l'AI gli aveva preventivamente scaricato nel cellulare.
La 24 ore che aveva con sé conteneva la sua fedele armatura, che aveva deciso di tenere al proprio fianco nel caso la fortuna avesse voluto che si ritrovasse di fronte il proprio obiettivo all'improvviso.
-Tony?-
Il miliardario si voltò, solo per trovarsi davanti il viso famigliare di Occhio di Falco.
-Ehi, Legolas. Come va la vista?-
-Pienamente recuperata, grazie ancora.-
-Figurati. Un boccone?-
-No, ti ringrazio. Tommy mi aspetta a casa. Che fai qui?-
-Sto cercando qualcuno-
-Se mi fai una descrizione, terrò gli occhi aperti. Abito fuori città-
Tony annuì e lo fece salire in auto, da dove tirò fuori il fascicolo che ormai sapeva a memoria.
Lo aprì parzialmente e gli mostrò la foto del colpevole.
Clint era pronto a trovarsi davanti chiunque, più o meno (cioè, dopo l'invasione aliena dei chitauri, chiunque fosse umano e senza superpoteri non è che lo inquietasse più di tanto), ma rimase per un secondo paralizzato quando vide la foto che Iron Man gli stava porgendo.
Era James.
Fortunatamente per l'arciere, Tony interpretò il suo momento di tensione come il ricordo dell'incontro che aveva avuto quella notte di molti anni prima, per cui non indagò oltre.
-Il... Soldato d'Inverno?- trovò la voce di chiedere mentre la mia mente lavorava in fretta.
-Sì. L'ho scoperto dopo la caduta dello SHIELD, quando ho avuto accesso a materiale cartaceo prima irraggiungibile.-
-Capisco ma...sta attento. Quel...coso è una macchina-
-Ho visto i rapporti. Non si è mai trovato davanti Iron Man incazzato nero-
-Che intenzioni hai?-
-Occhio per occhio...-
Clint annuì.
Da una parte capiva i sentimenti di Tony e ricordava perfettamente con quanta leggerezza e sollievo lui e suo fratello avevano accettato la notizia della morte del padre violento e ubriacone che aveva come passatempo quello di riempirli di botte (un po' meno quella della madre, vittima quanto loro degli eventi, colpevole di non essere forte abbastanza da prendere i figli e andarsene); però aveva visto che James era responsabile involontario delle proprie azioni, e più lo vedeva cercare di adattarsi a una vita normale, più si convinceva della sua sincerità.
-Se lo trovi, e se avrai bisogno, non hai che da chiamare- riuscì ad articolare
-Grazie, ma questa è una cosa che devo fare da solo-
Di nuovo, l'arciere assentì' con un cenno del capo, prima di salutare l'amico e infilarsi sul primo autobus diretto a casa.
Scese alla fermata precedente la propria, per avere il tempo di chiamare Natasha. I nuovi sviluppi richiedevano un nuovo approccio. Dovevano stare lontani da tutto ciò che era tecnologia, videocamere e quant'altro.
-Che succede?-
-L'ingegnere sta cercando di rompere tutto, come al suo solito- fu la breve frase che disse, sperando che Natasha capisse.
-Ok, prenderemo l'autobus. State attenti-
Clint chiuse il telefono e in una decina di minuti arrivò a casa.
Trovò Tommy che giocava con la Play Station (sì Fury aveva dotato quella casa anche dei videogiochi), mentre James era, come spesso accadeva, sul prato del giardinetto dietro casa.
Indossava un paio di jean, una t-shirt nera e una semplice felpa dello stesso colore, abiti nuovi che avevano trovato nei vari armadi. L'unica cosa che rimaneva dei vestiti che aveva indossato prima di incontrarli era quel berretto blu scuro, ormai malconcio, perennemente calcato sugli occhi.
L'uomo non reagì quando Occhio di falco si sedette vicino a lui, e per un istante pernsò che stesse dormendo, ma con la coda dell'occhio vide un leggerò movimento delle palpebre da sotto il berretto.
Guardando meglio, si accorse che aveva gli occhi aperti.
-Abbiamo un problema- annunciò quindi, e quando sentì che aveva la sua attenzione, passò a raccontare del suo incontro con Iron Man. -Ricordi niente a riguardo?-
Aveva davvero ammazzato due persone davanti al loro figlio?
Era questo che gli avevano fatto fare nel corso degli anni?
Per quanto si sforzasse, non riusciva a richiamare alla mente quei ricordi, probabilmente cancellati (per sempre?) dalla sua mente da uno degli innumerevoli trattamenti che gli erano stati riservati.
Non che ricordasse quello a cui veniva sottoposto, ma si era accorto di non sopportare a lungo gli spazi chiusi troppo piccoli, e se poteva evitava di stendersi su un letto, quindi dava per scontato che non fossero cose piacevoli.
-No. Nulla.- Rispose piano.
Poi arrivò a una conclusione. Non gli importava cosa aveva fatto in passato, né se lo avesse fatto volentieri o talmente controvoglia da costringere i vertici dell'HYDRA a spappolargli il cervello per farlo obbedire. Non sapeva con certezza chi era stato prima di allora, prima del siero del supersoldato (così Tommy gli aveva detto che si chiamava il trattamento che l'aveva reso così forte e resistente). Sapeva solo che non avrebbe più ucciso, se non fosse stato strettamente necessario, e che non voleva che nessuno rischiasse la propria vita per lui.
-Dovreste andarvene-
-Come?-
-Non voglio...mettervi in pericolo-
-Non esiste- la voce di Tommy lo fece sobbalzare, tanto che d'istinto si mise in posizione di difesa. Vide che anche Clint era stato colto di sorpresa dal ragazzino. Ma da dove era spuntato?
E soprattutto, quanto aveva sentito?
-Tommy...- iniziò
-No. Tu potrai anche aver premuto il grilletto, o il detonatore, o quello che era. Ma non eri in te. James Barnes non l'avrebbe mai fatto. E Tony farà meglio a capirlo. Con le buone o con le cattive. Io resto-
-E io pure- fu la conclusione di Clint.
Ma cosa aveva di tanto speciale questo Bucky da far sì che si mettessero contro un loro amico per aiutarlo?
Il Soldato d'inverno non era la prima volta che si faceva questa domanda, e ogni volta cercava di spremersi le meningi, di rievocare delle immagini, dei ricordi o qualcosa che giustificassero questa fedeltà che non si meritava, ma senza successo.
Se non c'era qualcosa ad accendere l'interrutore, era un guscio vuoto, un computer senza nessun dato inserito.
Sospirò mentre l'ombra di un sorriso gli appariva sul volto.
***
-Problemi?-
Natasha aveva appena attaccato il telefono dopo una delle conversazioni più brevi che gli avessero mai visto fare.
Non c'era bisogno di chiederle chi fosse, era ovvio. Una sola persona aveva quel numero.
-Stark- fu la risposta della russa, che parlò a voce bassa, guardando Steve dritto negli occhi -ha scoperto che il Soldato d'Inverno ha ucciso i suoi genitori-
Le sue parole lo sconvolsero, costringendolo a fare un passo indietro per mantenere l'equilibrio.
Bucky?
Uccidere Howard e sua moglie? Dopo tutto quello che aveva fatto per lui, per aiutarlo a rimettersi in sesto?
Quando aveva riportato i prigionieri del centosettesimo alla base, non si era certo aspettato un improvviso crollo del suo migliore amico, che, da quando lo aveva tirato giù da quel lettino, era stato al suo fianco, aiutando tutti gli altri a uscire da quell'inferno, facendosi sorreggere solo quando era sicuro che non ci fossero pericoli che necessitassero l'intervento di Capitan America.
Solo una volta arrivati al campo, quando l'adrenalina della fuga era scemata, si era accasciato contro un fuoristrada, privo di sensi.
Insieme a Peggy, l'aveva subito fatto riportare negli Stati Uniti, dove Howard Stark aveva messo a sua disposizione i migliori medici di New York, pagati da lui personalmente dove non arrivava il governo.
Per sei lunghe settimane avevano lavorato per rimetterlo in sesto e farlo ristabilire, in modo che potesse tornare alla propria vita.
Bucky si era rimesso in piedi e aveva ricominciato da dove aveva lasciato, fino a quel maledetto giorno.
-Non è possibile. Non l'avrebbe mai fatto. Non Howard- scattò immediatamente in difesa del suo migliore amico, indignato dall'accusa che gli era stata mossa.
-Amico- intervenne Sam mettendogli una mano sul braccio per cercare di calmarlo -Non ha riconosciuto nemmeno te-
-E' diverso. Sono passati anni e io ero morto...-
-E lui non poteva sapere che tu lo fossi. Se, e dico se, diamo per buona l'ipotesi del controllo mentale, allora tutto è possibile. Anche che abbia ucciso un amico- Rispose Natasha -Stava per farlo anche con te-
A questo proprio non riuscì a trovare una risposta, perchè era la verità. Se non aveva riconosciuto lui, con cui aveva condiviso quasi ogni istante della propria vita da quando erano bambini; se a quel “Bucky” aveva risposto: “chi diavolo è Bucky?”, allora tutto effettivamente diventava possibile.
-Non è stata colpa sua- sussurrò alla fine, sconfitto -lo stavano controllando-
-La mano che ha premuto il grilletto, o qualunque cosa abbia fatto, era la sua- obiettò Sam, quasi spietato
-Non se lo stavano controllando- intervenne Natasha -Non è colpa sua, come non è stato volontario in tradimento di Clint quando Loki lo controllava-
-Dobbiamo raggiungerlo. Prima di Stark-
-Mettiamoci in marcia. La strada è lunga, e dovremmo farla in macchina- rispose immediatamente Vedova Nera, e non ci fu bisogno di spiegare il perchè.
Davano per scontato che Tony avesse fatto due più due e capito che dietro al Soldato d'Inverno ci fosse il sergente Barnes, e se li avesse visti arrivare di gran carriera in Italia, non ci avrebbe messo molto a seguirli fino a trovarlo. E, per il momento, era una cosa che volevano evitare a tutti i costi.
Chiamò Clint e fece il nuovo recordi di durata della chiamata.
-Siamo lì tra 22 ore- poi chiuse la telefonata e guardò i suoi compagni di viaggio -Guideremo a turno, faremo meno soste possibile. Dobbiamo muoverci in fretta e mantenere un profilo basso. Non supereremo mai il limite di velocità. Intesi?-
-Intesi- risposero i due all'unisono mentre già preparavano gli zaini con le provviste e l'occorrente per il lungo viaggio. Li aspettavano quasi 2000km, passando per altri due stati prima di varcare la dogana italiana.
“Arrivo, Buck. Resisti.”
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Capitolo 11 *** 22 ore. ***
PERSONAL SPACE: Sono
una persona bruttissima, lo so. So che non aggiorno da secoli, ma è
stato davvero un periodo nero, tra esami e problemi personali. Voglio
scusarmi per non aver ancora risposto alle recensioni e non essere
passata a leggere le vostre storie, giuro che rimedierò al più presto.
Grazie a tutti per la fedeltà, comunque!
Vi lascio al capitolo, che è cortissimo, me ne rendo conto....
Capitolo 9: 22 ore
Furono le 22 ore più lunghe della loro vita.
Steve aveva contato quasi ogni secondo del tempo che era trascorso dal
momento in cui Natasha aveva chiuso la telefonata con Clint e quello in
cui erano arrivati alla casa sicura fuori dal capoluogo di provincia.
A differenza dei suoi due compagni non era riuscito a chiudere occhio,
mentre un turbinio di emozioni gli giravano per la testa: ansia, paura,
attesa, impazienza, insicurezza.
Per 22 ore, 1320 minuti, 79200 secondi, non aveva praticamente aperto
bocca, se non per prendere la guida o chiedere acqua o cibo.
Continuava a pensare, a cercare di immaginarsi come sarebbe stato
incontrare di nuovo il suo migliore amico dopo 70 anni.
Sapeva come si sarebbe comportato ai vecchi tempi: un secondo di
imbarazzo, poi si sarebbero abbracciati dopo una battuta squallida di
Bucky, di quelle capaci di sciogliere ogni tensione.
Ma il Bucky che avrebbe rivisto di lì a poco non era quello che aveva
perso nel 46.
Si sarebbe trovato davanti una persona spezzata, confusa, non
propriamente certa della propria identità.
Come approcciare una persona della tua famiglia passata da un trauma
del genere?
Avrebbe voluto avere il carattere di James, per una volta: lui al posto
suo avrebbe saputo esattamente cosa dire, forse perchè raramente si
preparava dei discorsi. Usava soprattutto il cuore.
Ricordava il giorno che aveva perso anche sua madre, dopo la morte di
suo padre risalente ad anni prima.
Per Steve erano state giornate caotiche quelle successive alla morte
della signora Rogers. Un via vai continuo di gente che spuntava da
tutte le parti: a casa, in ospedale, nella camera mortuaria.
Un mare di strette di mano e abbracci.
Parole dette a vuoto: “ti capisco”, “so cosa provi”, “ti sono vicino”,
a cui lui rispondeva con la consueta educazione: un “grazie” appena
sussurrato, quasi commosso, ma dentro di sé sapeva che erano tutte
stronzate.
Cosa potevano saperne loro, di come poteva essere ritrovarsi soli al
mondo?
Affrontare il dolore della perdita di una persona che per lui era un
punto di riferimento, una roccia sempre pronta a sostenerlo. Per tutto
il tempo, Bucky gli era rimasto accanto, come un soldato fedele, una
guardia del corpo pronto a sostenerlo, ma non aveva quasi proferito
parola.
Aveva ascoltato il suo dolore, asciugato le sue lacrime, e anche dopo
il funerale aveva capito che non gli servivano vuote parole di conforto.
Si era presentato con il solito pacchettino di liquirizie e lo aveva
trascinato al cinematografo per assistere al nuovo film di animazione
della Walt Disney, “Pinocchio”, trasposizione a quanto aveva sentito
dire di un libro italiano pubblicato pochi anni prima che aveva subito
riscosso un enorme successo.
Solo dopo aveva insisito perchè dormisse a casa sua, e quando non aveva
accettato, aveva comunque cominciato a presentarsi puntualmente a casa
sua ogni mattina con una scusa diversa.
Questo era Bucky, e Steve non aveva dubbi che anche in una situazione
come questa, avrebbe trovato il modo di non rendere le cose più strane
di quel che già erano.
Lui non era Bucky.
E aveva paura.
-Cap?-
Natasha dovette chiamare Steve almeno un paio di volte prima di
riuscire a farlo uscire dalla trance in cui era caduto nelle ultime due
ore di strada, dopo il suo ultimo turno di guida.
Non era sicura di cosa passasse per la mente del capitano ma,
conoscendolo (o almeno pensava di conoscerlo almeno un po' ormai, dopo
le avventure passate insieme) stava sicuramente proiettandosi in
improbabili scenari, facendosi mille paranoie su cosa avrebbe detto e
come si sarebbe comportato una volta arrivati alla casa sicura.
Natasha non riusciva davvero a immaginare anche solo lontanamente come
potesse sentirsi Steve, finalmente a un passo dal riavere il suo
migliore amico (o quel che ne restava, probabilmente, conoscendo
l'Hydra di certo non era uscito indenne dal mezzo secolo di schiavitù).
Lei non ne aveva mai avuti, a parte Clint, e, nonostante ci avesse
provato (davvero) non era riuscita a immedesimarsi nella situazione:
una simile eventualità la mandava letteralmente in confusione.
Non potendo essere di aiuto, aveva fatto quello che sapeva fare meglio:
si era chiusa in un silenzio rilassato (almeno da parte sua) e aveva
ripreso la guida, lasciando che fosse il leader degli Avengers a
parlare, qualora ne avesse voluto voglia.
Per tutto il resto, c'era Sam Wilson.
Quel ragazzo parlava davvero troppo, per i gusti della russa: aveva
un'opinione o un consiglio (o entrambi) su praticamente ogni cosa, ma
in qualche modo era più bravo di lei a leggere nel cuore di Steve (non
che ci volesse molto, a malapena arrivava a capire Clint) e le sue
parole gli erano di conforto, quindi non aveva mai protestato,
nonostante le continue rassicurazioni ripetute più o meno identiche per
la quasi totalità della giornata di viaggio (le sue corde vocali
avevano trovato pace solo quando si era addormentato per un paio d'ore
dopo un turno di guida particolarmente stressante) le avessero
procurato un mal di testa con i fiocchi e un'esasperazione tale da
farle agognare almeno 24 ore chiusa in una cella di detenzione: per lo
meno sarebbe stata silenziosa.
-Che c'è?-
-Ci siamo-
Forse non erano le parole migliori da dire in quel momento: non sarà
stata una grande lettrice dell'animo umano, ma il linguaggio del corpo
non aveva segreti per lei.
Anche se all'apparenza niente era cambiato, era riuscita a percepire
un'improvvisa tensione che si era diffusa nel corpo dell'amico,
manifestata con un leggero raddrizzamento di colonna verticale, spalle
e capo, che ora scrutava la strada che stavano percorrendo quasi come a
voler scandagliare le case una per una alla ricerca della presenza del
Soldato d'Inverno.
Il Soldato d'Inverno.
Solo in quel momento, la Vedova Nera realizzò a pieno che quello che
stavano per incontrare era forse il nemico più pericoloso con cui si
fosse mai sfidata (di origine terrestre, i semidei pazzi e Hulk non
contavano) e la spalla a cui era stata ferita le mandò una fitta che
con il dolore fisico non aveva niente a che fare.
Mentalmente ispezionò le proprie armi: Steve poteva dirle qualunque
cosa, ma lei non aveva la minima intenzione di farsi trovare
impreparata. Si scambiò uno sguardo con Sam e vide che anche l'ex
soldato si stava preparando per un'eventuale battaglia.
Solidarizzava con Cap, ma evidentemente non sottovalutava la potenziale
minaccia.
***
21 ore 50 minuti e 18 secondi.
Questo era il tempo che era passato da quando Clint aveva fatto
l'ultima telefonata alla sua misteriosa amica, che gli aveva confermato
non solo di essere riuscita a mettersi in contatto con il famigerato
Capitan America (la sua missione, il suo forse amico, sicuramente la
sua salvezza in un modo o nell'altro) ma anche che erano in viaggio
verso il loro rifugio e che sarebbero arrivati circa tra 22 ore.
Il Soldato d'Inverno non sapeva bene perchè, ma una parte di lui,
quella che iniziava a sospettare fosse rimasta intatta o quasi
nonostante i lavaggi del cervello e i reset per quasi 60 anni, aveva
iniziato a leggere l'orologio praticamente ogni mezzo minuto.
Aveva riposato soltanto un paio d'ore: il suo corpo non aveva bisogno
di molto riposo, ma alla fine, nonostante tutto, era crollato.
Mancavano meno di dieci minuti.
-Potrebbero metterci di più, come di meno- gli fece notare Tommy, che
aveva notato come ormai il suo sguardo fosse puntato fisso all'orologio
appeso alla parete, uno di quelle grigi, digitali, che riportavano
oltre ai secondi anche la data e la temperatura esterna.
James posò lo sguardo sul ragazzino che, tanto per cambiare, era chino
su un qualche libro di armi che stava leggendo.
Tommy in qualche modo riusciva a non rimanere mai senza qualcosa da
leggere per le mani.
Poi il rumore di ruote sulla ghiaia appena fuori dall'abitazione li
immobilizzò entrambi: Tommy per la paura che fossero truppe dell'Hydra,
il Soldato per la promessa di risposte.
-Clint! Sono arrivati!-
Tommy non gli lasciò il tempo di rispondere. Prese la porta e corse
subito da Natasha, che non vedeva ormai da mesi e che gli era mancata
tanto.
Clint si divertì a spiare dalla finestra la reazione impacciata
dell'amica di fronte all'abbraccio spontaneo del ragazzino che, prima
di fare strada perso l'interno, salutò anche i compagni di avventura.
Vide con la coda dell'occhio che il Soldato aveva completamente
cambiato espressione: alla calma tesa degli ultimi giorni si era
sostituito un improvviso pallore, gli occhi erano spalancati e le
pupille dilatate, mentre le braccia circondavano le ginocchia piegate
contro lo sterno.
Sorrise, quasi intenerito: l'uomo che aveva davanti era stato un'arma
vivente (e lo era ancora: anche se non era più sotto il controllo
dell'HYDRA restava comunque un soldato potenziato e addestrato, con un
tasso di mortalià delle sue vittime che sfiorava il 100% (e questo solo
perchè non era riuscito a uccidere Capitan America e la Vedova nera).
Il Soldato d'Inverno era tutto questo, ma ora nei suoi occhi vedeva
soltanto un ragazzo sperduto, in attesa di un verdetto.
Clint non potè evitare di tornare con la mente ai giorni in cui si era
trovato in orfanotrofio: per quanto poco fosse durata quell'esperienza,
la cosa che gli era rimasta più impressa e che non avrebbe mai
dimenticato era l'espressione di qualcuno dei ragazzi già grandicelli
(non grandi come lui, a 10 anni era escluso che qualcuno volesse
adottarlo, abbastanza da avere consapevolezza di quello che stava
succendendo) il mattino in cui sapevano che una qualche famiglia
sarebbe venuta a prenderli per portarli nella loro casa: un misto di
paura e speranza che li rendeva immobili e silenziosi, come se
inconsciamente pensassero che se si fossero resi il meno fastidiosi
possibile le cose per loro sarebbero andate bene.
Rivide l'espressione di quei bambini negli occhi azzurri e adulti del
Soldato d'Inverno.
Non potè fare a meno di mettergli una mano sulla spalla e di
stringergliela lievemente mentre la porta si apriva e Natasha e Tommy
entravano nella stanza chiacchierando.
L'ultimo a entrare fu proprio Steve: i suoi si zittirono all'istante,
solo il suono attutito della televisione in sala da pranzo arrivava
alle loro orecchie.
Capitan America rimase fermo, un passo appena entro l'uscio della porta.
I muscoli di James si irrigidirono sotto la sua mano.
Nessuno osava fiatare.
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Capitolo 12 *** Finzione o realtà? ***
PERSONAL SPACE: CE L'HO FATTAAAAAA!!!
Eccomi è scusate per il ritardissimo! Ebbene sì, è stato un parto lungo
e doloroso, ma alla fine sono riuscita a tirar fuori il decimo
capitolo. Non è lunghissimo, ma finalmente siamo arrivati al momento
fatidico! Io vi ringranzio immensamente tutti per le recensioni,
davvero siete fantastici!!
E niente. Momento Marchetta prima di lasciarvi al capitolo: Se siete
fan di Matt Murdock (e se non lo siete....diventatelo!!) ho scritto una
One Shot, Fever, e una long, Friendship
& loyalty, se vi va di passare a darci un'occhiata e dirmi cosa
ne pensate.
Niente. Mi son dilungata anche troppo. Buona lettura!
Capitolo
10: Finzione o realtà?
Il silenzio era quasi irreale e perfino Clint, che per attitudine
amava i luoghi dove regnava la quiete iniziava a sentirsi vagamente a
disagio.
Lo sguardo dell'arciere andava alternativamente su Natasha, Sam e
Steve, mentre la sua mano, ancora appoggiata sulla spalla integra del
Soldato D'Inverno, percepiva tutta la tensione di quest'ultimo.
Nat non era meno tesa, e teneva il proprio corpo tra Tommy e Bucky,
come per essere pronta a difendere il ragazzino; Clint riusciva ad
avvertire anche un minimo di paura proveniente dalla sua migliore
amica, e non se ne stupiva. Lui stesso era stato testimone della
violenza di quell'arma micidiale, e anche ora, nonostante tutto, temeva
che la missione inculcatagli in testa dall'Hydra prendesse il
sopravvento alla vista di Steve Rogers. In quel caso, probabilmente
quello sarebbe stato l'ultimo giorno di vita per tutti loro.
Incrociando lo sguardo della ragazza, cercò di farle arrivare un
messaggio tranquillizzante, se lui si fidava (più o meno), allora
poteva fidarsi anche lei.
Sam Wilson non era da meno. Era la prima volta che Clint lo vedeva dal
vivo (e se doveva ammetterlo non vedeva l'ora di vedere, e magari anche
provare, le sue ali, cioè A-L-I! Quell'uomo poteva volare senza
armatura!) e tutto in lui gridava il suo passato da soldato... e il
fatto che non aveva la più pallida idea di cosa aspettarsi. I suoi
occhi erano fissi su Steve, e in essi Clint poteva leggere soltanto
preoccupazione. Se fosse rivolta a Steve o all'arma umana seduta sul
divano, non riusciva a dirlo.
Steve... bè guardare Steve era come guardare Bucky allo specchio. Si
era abituato a vedere il capitano come una persona sempre abbastanza
fredda, anche se forse quella non era la parola giusta per descriverlo.
Fuori dal tempo, sarebbe stato molto più appropriato. Il suo sguardo
era quello che spesso riconosceva negli anziani: erano lì, catapultati
in un terzo millennio che non riuscivano pienamente a capire: vivevano,
parlavano, usavano cellulari e quant'altro, ma in qualche modo il loro
cuore era fermo all'epoca in cui tutto era più semplice, e anche in
guerra la cosa peggiore di cui ci si doveva preoccupare era di non
incappare in un campo minato, non certo di ritrovarsi colpiti da un
missile dotato di GPS lanciato da chissà dove, o da alieni che
decidevano di venire a fare le vacanze a New York.
Ora invece vedeva un ragazzo spaventato e insicuro, ed era la stessa
cosa che vedeva negli occhi del soldato. I due erano immobili, a
malapena respiravano, e semplicemente si guardavano, l'uno il riflesso
dell'altro, aspettando che l'altro parlasse, o colpisse...o...
probabilmente qualunque cosa sarebbe andata bene.
Quel silenzio e quella tensione non si potevano più sostenere. Clint
poteva giurare che avrebbe potuto tagliarne un pezzo e spalmarseli su
una fetta di pane per colazione, così prese lui l'iniziativa.
-Nat, Sam, Tommy. Usciamo a fare due passi, forza- e senza dare loro
tempo di rispondere, li trascinò tutti nel giardino sul retro.
***
Steve non riusciva a muovere un muscolo.
Avrebbe voluto dire o fare tante cose, e durante il viaggio aveva visto
e rivisto quella scena nella propria mente, con tutte le variazioni
possibili, compresi gli scenari peggiori in cui si rendeva conto che
Bucky era morto davvero e di lui era rimasto solo un corpo martoriato,
riprogrammato per uccidere.
Aveva pensato a cosa dire, a cosa fare, e ora era semplicemente
pietrificato.
Clint aveva avuto la brillante idea di far uscire tutti dalla casa, e
questo probabilmente era un bene, non sapendo cosa sarebbe uscito dal
loro incontro.
Bucky era seduto sul divano, la schiena dritta staccata dallo schienale
e le mani appoggiate sulle cosce, e lo guardava intensamente, senza
muovere un dito. Semplicemente lo guardava con i suoi occhi azzurri
puntati su di lui, come in attesa di una sua mossa.
Steve aprì la bocca per parlare, poi la richiuse, rendendosi conto che
il vero ostacolo era che non aveva idea di come rivolgersi all'ex amico.
Bucky? James? Soldato? Tutte le opzioni gli sembravano allo stesso
tempo buone e pessime, perchè mentre lo osservava si era reso
conto che non si trovava davanti nè al Soldato d'Inverno, ma nemmeno a
Bucky. Quello che aveva davanti era una persona nuova, che
probabilmente racchiudeva entrambe le personalità, ma allo stesso tempo
era anche qualcun altro, completamente estraneo.
-Steve?- Capitan America non era una persona che sobbalzava, non quando
aveva l'avversario davanti, eppure la voce dell'uomo, così inaspettata
e permeata di uno spettro dell'affetto che Bucky aveva un tempo provato
per lui lo aveva preso totalmente in contropiede.
-B... Bucky?-
Quel nome, a furia di sentirlo ripetere, di ripeterselo nella mente,
non gli causava più flash da un po', ma quando venne pronunciato da
quella voce, la violenza e la vividezza delle immagini lo colpirono con
inaudita violenza.
Fino ad allora, i flash erano stati confusi, come se avesse guardato un
vecchio film su una televisione ancora più antica che iniziava ad avere
qualche problema di funzionamento, ora invece era tutto in HD, e il
cambiamento era stato uno shock.
Erano frammenti brevissimi, ma vividi e intensi: lui che giocava a
battimuro insieme a un ragazzino biondo, la signora della drogheria
vicino a casa che regalava loro caramelle quando andavano a comprare
qualcosa per i loro genitori, il cane del signor Schultz, che impazziva
e nessuno sapeva perchè... nessuno tranne le due piccole pesti che si
divertivano ad attirarlo con un pezzo di salsiccia che probabilmente
era andato a male già da diversi giorni. Marachelle a scuola.
Le prime fidanzate (le sue, perchè Steve era troppo piccolo, gracile e
timido per attirare l'attenzione delle ragazze), la lotta per essere
ammessi nell'esercito.
-Bucky! Che ti succede?-
Clint oltre a vederci benissimo aveva un altro pregio: ci sentiva, e
come aveva udito Steve alzare il tono di voce, chiamare allarmato
l'amico, aveva subito capito che il Soldato d'Inverno aveva appena
avuto un altro dei suoi flash. Si rimise in piedi all'istante e rientrò
in casa.
-James!- chiamò raggiungendo il divano e accovacciandosi vicino al
ragazzo. -James. Avanti. Calmati-
-Che gli succede?- la voce di Steve era un concentrato di
preoccupazione e angoscia quasi doloroso da sentire.
-A volte ha dei flash, quando vede o sente qualcosa o qualcuno
collegato al passato. E' come se a tratti i ricordi di Bucky lo
sommergessero all'improvviso- spiegò l'arciere mentre cercava in
qualche modo di far sentire la propria presenza all'ex killer, anche se
aveva ormai imparato che era inutile: finchè i flash non fossero
passati (o lui non fosse svenuto) non sarebbe tornato al presente.
-Che possiamo fare?-
-Aspettare- fu la secca risposta, forse anche troppo brusca, ma stava
cercando di evitare che cadesse dal divano a furia di contorcersi. In
qualche modo riuscì a sedersi sul torso del ragazzo, immobilizzandolo
in una presa ferrea. -Si calma appena le visioni svaniscono- poi spostò
di nuovo l'attenzione -James. Avanti!-
La voce di Clint lo aiutò a riaggrapparsi alla realtà.
Questa volta era stato molto più difficile uscire dai flash. Erano
stati troppo vividi, troppo reali e staccarsi gli era costato un grande
sforzo mentale, forse perchè una parte di lui voleva vederli, studiarli
e assorbirli, ora che finalmente sembravano davvero suoi, davvero reali.
Si era ritrovato alla fine sul divano, l'arciere seduto sul suo petto
che cercava evidentemente di tenerlo fermo. Aveva il respiro corto e la
testa gli pulsava doloramente, come non gli capitava più da un po'.
-Bucky?- Una mano calda e insicura gli sfiorò il braccio sano, e fu
come se un falò avesse sprigionato calore in tutto il suo corpo, ma non
un calore fastidioso e ustionante; un calore che sapeva di castagne
cotte sulla fiamma viva, di risate e di giochi.
Il peso sul suo petto diminuì e scomparve quando Clint decise che era
abbastanza tranquillo da poter essere liberato, e sentì appena che
mormorava qualcosa sul tornare in giardino. Lo guardò
allontanarsi prima di voltarsi e trovare la forza di incrociare il suo
sguardo con quello del Capitano, una parte di lui terrorizzata al
pensiero che gli ordini dell'HYDRA prendessero il sopravvento ancora
una volta.
I suoi muscoli si tesero all'improvviso; eccolo, il Soldato d'Inverno,
quella parte di lui che era ancora consapevole di trovarsi di fronte
alla sua missione e determinata a portarla a termine. Ma Bucky, il
Bucky del 1946 era lì, ed era forte come la sua controparte... e
finalmente, dopo una breve lotta, riuscì a sopraffare la macchina da
guerra.
Quello a cui stava assistendo era qualcosa di decisamente al di fuori
delle sue capacità di comprensione: quando si erano guardati negli
occhi, l'espressione del suo migliore amico era improvvisamente
cambiata: le sue pupille si erano ristrette e la sua espressione aveva
perduto quel po' di calore a favore della freddezza spietata di
Washington.
Il suo corpo si era visibilmente teso, pronto a combattere, e Steve
reagì di conseguenza, preparandosi a sua volta a difendersi.
E poi era stato come guardare un film. C'era una lotta in corso
all'interno di quel corpo, come due coscienze ugualmente presenti che
si scontravano, l'una che cercava di sedare l'altra, e Steve sapeva che
dall'esito di quella guerra silenziosa sarebbe dipeso il futuro suo e
dei suoi amici.
-Steve...- E alla fine, all'improvviso, Bucky era lì, gli occhi caldi,
la fronte imperlata di sudore e il respiro di nuovo affannoso, ma
c'era. Avrebbe potuto riconoscerlo ovunque. Bucky.
-Ehi, Buck...- trovò il coraggio di sussurrare dopo quelli che
sembrarono ere di interminabile silenzio.
E non ci fu bisogno di altre parole.
Finalmente sul volto dell'altro si formò quel mezzo sorriso da canaglia
che era il suo tratto distintivo. Certo, era incerto e insicuro, ma era
lì, e per adesso, a Steve bastava.
-Tutto ok?- sussurrò ancora, sfiorandogli appena il braccio sano con la
propria mano.
-Mi...scoppia la testa- fu la risposta che ottenne, debole e tremante,
come se il suono stesso della propria voce fosse sufficiente ad
aumentare l'emicrania. -Quei... flash... mi... hanno scombussolato-
James cercò di mettersi seduto, ma Steve lo afferrò per una spalla e lo
spinse di nuovo contro i cuscini del divano.
-Sta giù. Aspetta che passi, ok?-
Bucky annuì stancamente, una mano che andava a coprirsi la fronte
imperlata di sudore. Steve rimase in silenzio, aspettando che avesse
una cera migliore prima di parlare di nuovo, cogliendo l'occasione per
riordinare le idee. C'erano così tante cose che avrebbe voluto dirgli,
chiedergli e fare, ma si erano tutte mescolate nel suo cervello
nell'istante in cui aveva rivisto quel sorriso famigliare.
Alla fine, fu l'altro a parlare, sollevandolo dall'imbarazzo.
-Sono... reali?-
-Che cosa?-
-Le cose... che vedo. Clint... dice che lo sono. Io... non lo so-
-Ti va.. di scoprirlo?- all'improvviso, Bucky non era l'unico insicuro
nella stanza. Se davvero fossero stati ricordi impiantati? Immagini
generiche in qualche modo generate nei laboratori dell'HYDRA basate su
quello che dicevano i fascicoli della città di New York su di loro.
Steve gli stava chiedendo se gli andava di scoprire se le immagini che
gli avevano trafitto il cervello nelle ultime settimane erano vere o
erano delle mere invenzione.
Era meglio sapere la verità o vivere nell'illusione di essere davvero
James Barnes?
Dentro di sè, qualcosa gli diceva che la risposta doveva essere
scontata, ma dall'altra la prospettiva di sapere con certezza lo
spaventava: che cosa sarebbe successo se avesse scoperto che era tutto
falso? Cosa ne sarebbe stato di lui?
Da un certo punto di vista, la speranza di essere stato un tempo il
migliore amico di Steve era rassicurante, perchè se non altro gli dava
l'illusione di essere stato qualcuno, di avere avuto un passato e, di
conseguenza, di poter avere un futuro che non comprendesse missioni,
omicidi e ordini da eseguire senza poter obiettare.
Si cullò in quella prospettiva, quella di vivere per sempre
nell'illusione, solo per qualche manciata di secondi: James Barnes non
era un codardo, perciò si ritrovò ad annuire e a chiedere come
avrebbero potuto scoprirlo.
-Perchè non mi racconti qualcosa? Quello... che fa meno male. Sapevo
tutto di te, forse posso aiutarti-
Steve gli stava offrendo un'altra via d'uscita, una seconda possibilità
di rimanere nell'incertezza. Tra i flash, c'erano anche momenti passati
in solitudine o con i suoi genitori. Avrebbe potuto raccontargli uno di
quelli, magari Steve non avrebbe saputo rispondergli e la cosa sarebbe
finita lì.
Ma, ancora una volta, scelse la via più difficile, quella che poteva
essere la più dolorosa.
E così raccontò di quando aveva bussato alla sua porta con dei fumetti
e le liquirizie dopo un pestaggio che aveva lasciato Steve ferito
nell'orgoglio, oltre che nel viso... e si ritrovò a pregare con tutte
le sue forze che l'altro confermasse.
Steve ricordava perfettamente non solo quel giorno, ma anche la rissa
del giorno prima. Era stato un pestaggio diverso dagli altri, più
umiliante perchè non riguardava l'America o un qualche ideale in cui
già credeva.
Aveva da poco perso anche suo padre, e lui e sua madre stavano ancora
cercando di riprendersi dal lutto, ed era stata una cattiva battuta su
di lei a scatenare in lui l'ira che lo aveva portato ad attaccare per
primo. Alla beffa di averle prese di santa ragione (il che non era poi
una gran novità in effetti) si era aggiunta anche l'umiliazione, ben
più dolorosa, di non essere riuscito a difendere la loro dignità.
La doppia sconfitta aveva bruciato così tanto nel suo petto che non era
riuscito nemmeno a guardare negli occhi Bucky quella sera. Era corso a
casa e si era chiuso in camera sua.
Il mattino dopo sua madre era uscita quando ancora era buio, ben prima
dell'ora di inizio della scuola, e con quella scusa lui non si era
mosso dal letto. Bucky si era presentato nel primo pomeriggio, appena
finite le lezioni, ed era rimasto con lui fino all'ora di cena.
Quando si erano separati, Steve stava molto meglio.
-Il giorno dopo avevamo entrambi mal di pancia- ricordò quando Bucky
finì di raccontare -Mia madre non era tornata a casa per cena e abbiamo
deciso di farci da mangiare da soli. Non c'era niente in casa, quindi
abbiamo deciso che sarebbe stata una buona idea mischiare il latte con
le liquirizie per condirci la pasta-
Bucky riuscì a ridere.
-Non esattamente una buona idea...- commentò.
-Per niente-
Erano reali.
La testa aveva ripreso improvvisamente a girargli, questa volta per il
sollievo.
I suoi ricordi erano reali.
Era stato una persona normale.
Aveva avuto una vita, degli amici, non era stato sempre un assassino.
E all'improvviso si ritrovò seduto, completamente circondato dalle
braccia di Steve, che lo stavano stringendo con tutta la sua forza.
I suoi muscoli si tesero per un millisecondo, prima che riuscisse
finalmente a contraccambiare.
Il sollievo era tanto che si sentì quasi mancare. Forse per lui c'era
ancora speranza.
-Chi sono?- trovò il coraggio di chiedere quando finalmente il Capitano
riuscì a lasciarlo andare, rilassando piano piano le sue braccia, come
se il stesse lottando contro il suo istinto, come se avesse paura che
se avesse interrotto il contatto lui sarebbe sparito di nuovo nel nulla
e non l'avrebbe più rivisto. Non gli importava se a ogni parola di
Steve sarebbero arrivati nuovi flash. Sarebbe stato disposto a morirci
se questo voleva dire conoscere la verità su sè stesso.
Fu l'inizio di una lunga giornata.
I due si chiusero in una delle stanze, quella che Clint gli aveva
assegnato e che di solito condividevano (L'arciere infatti aveva
escluso la possibilità di farlo dormire da solo o con Tommy nel caso in
cui avesse deciso di fuggire o, peggio, attaccarli). Si stesero sul
letto del Soldato d'Inverno (come avevano sempre fatto, ma solo Steve
ne aveva memoria, anche se il gesto era venuto spontaneo a entrambe le
parti) e insieme ricomposero il puzzle della sua vita che l'HYDRA aveva
non solo frantumato in mille pezzi, ma che si era anche divertita a
nascondere sotto strati e strati di nuove istruzioni da eseguire.
***
-Cosa sapete dirmi di Stark?-
Mentre i due supersoldati erano in casa a cercare di trovare un senso
in tutta quella faccenda, Natasha e Sam erano usciti nel giardino
posteriore per ricevere notizie dal mondo americano.
-Sappiamo solo che sta cercando il Soldato d'Inverno. Vuole vendetta
per i suoi genitori- rispose Tommy in tono tranquillo, anche se la
tensione delle sue spalle e i pugni stretti tradivano quanto la cosa lo
facesse infuriare.
Natasha non era poi molto sorpresa dall'atteggiamento del ragazzino:
lui stesso aveva perso il padre e non in maniera molto diversa rispetto
a Tony. Certo, Clint non era stato mandato a ucciderlo
specificatamente, l'uomo aveva solo avuto la sfortuna di trovarsi al
momento sbagliato nel posto sbagliato, e aveva pagato con la vita;
tuttavia, la russa riusciva a capire quale fosse il pensiero di Tommy:
anche lui era stato furioso con Clint, almeno fino a quando non era
venuto a conoscenza della verità: l'arciere non l'avrebbe mai ucciso se
avesse avuto il controllo delle proprie azioni, e non capiva perchè
Stark non riuscisse ad arrivare alla stessa conclusione.
-E' comprensibile- Clint cercò di calmarlo -Anche tu eri arrabbiato con
tuo padre. Tony ancora non sa chi sia il Soldato d'Inverno o il perchè
abbia compiuto quell'azione...-
-Ma anche se glielo dicessimo, capirebbe?- non potè fare a meno di
pensare ad alta voce Wilson, polverizzando le parole rassicuranti delle
due spie.
-Potrebbe o no- rispose la donna, perchè effettivamente Tony era
difficile da prevedere, ed era per questo motivo che Fury inizialmente
l'aveva scartato per il progetto Avengers: Stark poteva essere molto
comprensivo, ma allo stesso tempo, e con le stesse probabilità, anche
senza scrupoli, ed era praticamente impossibile sapere quale strada
avrebbe percorso.
-Dobbiamo proteggerlo- dichiarò Clint. Nat gli sorrise, sapendo quanto
l'argomento pungesse l'amico sul vivo, e lei non potè fare altro che
annuire. Era sostanzialmente d'accordo, a patto che non si rivelasse
tutto un piano per ucciderli, ovviamente.
Aveva studiato bene l'uomo finchè erano stati in casa, e la sua
tensione e la sua paura non l'avevano lasciata indifferente,
soprattutto perchè era la prima volta che vedeva un'emozione su quel
volto.
Anche l'idea che fosse tutta una trappola in realtà non è che la
convincesse molto, perchè in tutti quei decenni mai si era comportato
così. Lui non era una spia.
Infiltrarsi, recitare, conquistare affetti e fiducia con le menzogne:
quello era il campo in cui si era specializzata Natasha. Certo, tutto
era volto principalmente all'omicidio e alla raccolta di informazioni,
ma era un processo articolato, che non si imparava in un paio di giorni
o con la programmazione celebrale.
No, lui era sempre stato il killer perfetto: arriva, ammazza e scappa.
Se li avesse voluti morti, sarebbero già morti. Inoltre, anche se il
ragazzo ogni tanto poteva commettere azioni discutibili (tipo
risparmiarle la vita e farla ammettere nello SHIELD), Natasha si fidava
del suo istinto, e se Clint era riuscito a conviverci senza farsi
ammazzare (il che effettivamente la diceva molto lunga, a ben pensarci)
probabilmente quella che avevano di fronte era la verità. Si voltò e
guardò quello che, tra loro, era il più scettico, nonostante avesse
accettato di seguire Capitan America nella sua ricerca.
-Sam?-
Sam Wilson aveva visto letteralmente di tutto da quando lavorava agli
affari dei veterani e, per questo, sapeva riconoscere un disturbo da
stress post traumatico quando ne vedeva uno.
Tuttavia, non sapeva se poteva catalogare l'intera faccenda sotto quel
nome, perchè non aveva idea di quello che era successo al Soldato
D'Inverno. Le loro erano solo ipotesi, e certo, Clint poco prima li
aveva informati di quel poco che James gli aveva raccontato in quei
giorni, e se era anche solo un decimo della verità, trauma era una
parola che nemmeno si avvicinava a quello che gli avevano fatto.
Ma Natasha non gli stava chiedendo cosa ne pensasse perchè tra tutti
era lui l'esperto di reduci di guerra; glielo stava chiedendo perchè
era quello che fin da subito aveva cercato di mantenere basse le
aspettative di Steve.
-Di sicuro è passato attraverso un trauma di un qualche tipo- rispose a
bassa voce -E se i ricordi sono veri, allora non è che una vittima
degli eventi, e sono con voi. Ma al minimo cenno di minaccia, gli sparo
in fronte-
-Magari passiamo prima al metterlo ko, ok?-
Sam sorrise a Tommy. Il ragazzino gli piaceva.
-Va bene-
PERSONAL SPACE: Grazie di aver letto!
Cosa succederà? Stark sarà comprensivo? Riusciranno i nostri eroi a
ricongiungersi con Coulson? Al prossimo capitolo!!
PS: Come sempre non mordo i recensori, promesso!
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Capitolo 13 *** What's next? ***
PERSONAL
SPACE: Buongiorno, buongiorno! Eccomi qui con un nuovo capitolo,
finalmente! Ma prima... momento ringraziamenti! Grazie mille a
Ragdoll_cat per i messggi notturni e le consulenze, senza dimenticare
le recensioni! E poi un grazie mille anche a Ella Rogers e td 89 per le
loro recensioni!
Piccolo
annuncio: Questa cosa... che comprende La recluta e Trust me...
diventerà una trilogia, quindi il mio viaggio con Tommy & co. non è
ancora finito, e spero mi seguirete fino alla fine!
Detto
questo... momento marchetta. XD
Vi ricordo
che se (per colpa mia o meno) vi siete appassionati a Daredevil della
Netflix, sto pubblicando qualcosina anche, lì. In particolare una
long, (Friendship
& loyalty) e due one shot (fever e Don't go away,
appena appena sfornata XD)
E niente...
Buona lettura!
CAPITOLO
11: What's Next?
Era notte fonda e, a rigor di logica, il Soldato d'Inverno avrebbe
dovuto essere profondamente addormentato, se non altro per il livello
di stress che il suo corpo aveva sopportato durante la giornata.
Invece era ben lontano anche solo dal minimo torpore.
Ancora non riusciva a credere che fosse tutto reale, che quei ricordi
gli appartenevano per davvero, che non c'era modo che l'HYDRA glieli
avesse impiantati artificialmente. Erano memorie condivise, private,
che Steve non aveva mai raccontato a nessuno, perchè appartenevano a un
passato a tratti doloroso, e farle riaffiorare riapriva ferite che non
si erano mai del tutto chiuse, specialmente dopo la morte di Bucky.
Tutto questo avrebbe dovuto tranquillizzarlo, no? Non era più solo una
faccia. Il suo nome era davvero James Barnes e, a quanto pare, aveva un
vero passato che attendeva solo di essere sbloccato. Era quello che
voleva, giusto?
E invece no.
Perchè ora avrebbe dovuto combattere con i propri rimorsi e con le
proprie azioni. Clint, che di essere controllato ne sapeva qualcosa,
gli aveva detto di stare tranquillo, che non era stata colpa sua, che
lui non ne era responsabile. Era tutto molto bello, ma non poteva fare
a meno di chiedersi se l'arciere ci credesse davvero o se stesse solo
ripetendo parole che qualcun altro gli aveva detto quando aveva ripreso
coscienza di sè stesso.
Bucky girò piano la testa, verso l'altro letto della stanza, dove
dormiva Steve Rogers, Capitan America, il suo più vecchio e migliore
amico, almeno in un'altra vita. Mentre raccontava, aveva visto qualcosa
cambiare negli occhi dell'altro: era comparsa una gioia genuina, di chi
ha appena realizzato che le sue più belle speranze si erano appena
realizzate.
-Bucky?- la voce lo fece sobbalzare. Non si era accorto che Steve fosse
sveglio -Tutto ok?-
-Sì... credo- rispose sinceramente, e quasi se ne pentì. Avrebbe dovuto
suonare sicuro di sè nella risposta, e magari che lasciasse che dopo
tutti i trattamenti di potenziamento per lui dormire fosse diventato
superfluo. Invece no. Era stato sincero. E la sua bocca lo tradì
ancora: -Eh che... non so chi sono. Cioè sono Bucky, ma sono anche
quest'altra cosa, il Soldato d'Inverno. E ora non so cosa voglio
essere, chi voglio essere tra i due. Conosco entrambi così poco...-
-Bucky...- Steve si alzò dal letto e camminò silenziosamente fino al
suo -Non posso capire quello che provi. Posso capire che tu sia
spaesato, lo ero anche io quando mi sono svegliato e mi sono ritrovato
in un mondo che non riconoscevo più, ma io sapevo chi ero, e da dove
venivo. Non riesco nemmeno a immaginare cosa si provi a non sapere
niente di sè stessi, se non che la gente è terrorizzata perchè ti ha
visto uccidere senza battere ciglio. Ho solo un consiglio che mi sento
di darti, ed è quello di non rimuginarci troppo sopra. Scopriremo chi
sei solo man mano che ti troverai davanti a situazioni nuove. Insieme,
se lo vorrai.-
Il mattino dopo, il primo ad alzarsi, come sempre, fu proprio James.
Era incredibile quanto poco potesse dormire, indipendentemente da ciò
che gli succedeva. Si chiese distrattamente se era un cambiamento
dovuto al potenzialmento e ai lavaggi del cervello o se invece era
sempre stato una persona mattiniera mentre preparava la colazione per
tutti.
Sapeva che Clint non si sarebbe svegliato almeno per un paio d'ore
ancora (se c'era qualcuno che non era assolutamente mattiniero era
proprio l'arciere), mentre si aspettava l'arrivo del ragazzino a minuti.
Invece si trovò davanti Sam Wilson, colui che, tra tutti, era il più
diffidente nei suoi riguardi. Istintivamente, lasciò cadere il coltello
dalle proprie mani sul tavolo e fece un passo indietro, per dimostrare
che non era armato e non aveva intenzione di fargli del male. Non
sapeva bene perchè lo stesse facendo, non erano certo affari dell'uomo
di colore quello che faceva, ma, per un qualche motivo, voleva a tutti
i costi evitare di fare una brutta impressione.
-Buongiorno- lo salutò per primo Sam, non esattamente cordiale, ma
nemmeno ostile, James giudicava il suo tono cautamente cortese.
-Buongiorno- rispose, più o meno nello stesso tono, sempre stando ben
lontano da ogni cosa che potesse fungere da arma -Stavo... preparando
la colazione-
-Vedo- constatò l'altro mentre si avviava verso il frigorifero alla
ricerca probabilmente di latte o succo di frutta.
James cercò dentro di sè la forza di fare una di quelle battute idioti
sul possibile sviluppo di vita che aveva sentito fare a Tommy, ma
proprio non ci riusciva. Si sentiva come in equilibrio sull'orlo di un
precipizio, e temeva che una parola sbagliata detta alla persona
sbagliata o al momento meno opportuno avrebbe distrutto quel fragile
equilibrio, facendogli perdere il poco che finora era riuscito a
mettere insieme così faticosamente.
Così rimase zitto, e sostanzialmente immobile, mentre guardava Sam
aggirarsi per le cucina in cerca di quello che gli serviva.
***
Sam non era certo uno stupido, e sapeva esattamente cosa stava
facendo il Soldato d'Inverno, ma ancora non riusciva a trovare la forza
di parlargli normalmente. Cosa si dice a una persona che appena pochi
mesi prima aveva cercato di ucciderlo e che ora, stando a quanto gli
avevano detto, era in uno stato di confusione mentale?
Il silenzio e la tensione erano palpabili, riusciva ad avvertirli
mentre tirava fuori il succo di frutta e afferrava un bicchiere ancora
sul lavandino probabilmente dal giorno prima.
-Posso... prendere un po' di uova?- chiese alla fine, appigliandosi
all'aspetto e al profumo di quello che James aveva appena finito di
cucinare. Non era molto un tipo da uova e bacon, ma l'immobilità
assoluta di quell'uomo iniziava a metterlo seriamente a disagio.
James quasi sobbalzò alla domanda, ma alla fine riuscì a balbettare un
sì talmente timido che Sam lo guardò negli occhi, davvero, per la prima
volta... e vi lesse uno sguardo che conosceva bene. Fin troppo bene. Lo
vedeva ogni volta che entrava in quell'aula e iniziava un nuovo
incontro con i reduci di guerra.
-Scusa- sussurrò alla fine, tendendogli la mano. -Sono Sam-
L'altro lo guardò per un secondo, come stranito, poi allungò a sua
volta la mano per accettare la stretta.
-Buc... James.... James... o almeno credo-
Sam riuscì a fargli un mezzo sorriso
-Lo scopriremo, suppongo... ma prima...- Sam si tuffò sulle uova
-inizieremo a scoprire quanto sei bravo con la colazione-
Finalmente riuscì a ottenere quello che voleva, e il ragazzo si mosse
dalla sua immobilità per sedersi accanto a lui e servirsi la colazione.
Parlarono poco, anzi quasi per nulla.
Gli altri arrivarono scaglionati: per primo Tommy, con una vitalità e
una gioia di vivere che alle 8 del mattino erano sicuramente illegali
in una qualche parte del mondo, se non in tutte; poi Natasha e Steve,
la prima già irritata dal fatto di essere inciampata più volte nelle
cose di Clint sparse ovunque, ovviamente, e il secondo che la ascoltava
divertito.
Quanto all'arciere... fino a mezzogiorno non diede segni di vita.
Natasha era andata un paio di volte a cercare di tirarlo giù dal letto,
ma aveva ottenuto soltanto grugniti incoerenti, per cui aveva desistito.
Alla fine anche Clint comparve nel mondo dei viventi, verso l'ora di
pranzo, e nessuno sapeva esattamente dire se fosse stato un risveglio
naturale o il profumo delle lasagne che Tommy era riuscito a rimediare
insieme a James in un'incursione al più vicino supermercato.
L'atmosfera era leggera, almeno apparentemente, ma tutti sapevano che
presto o tardi avrebbero dovuto affrontare la spinosa questione Soldato
d'Inverno, senza contare che alla lunga la loro permanenza nella casa
sicura avrebbe destato qualche sospetto, per cui dovevano anche
stabilire le loro prossime mosse a livello di sopravvivenza.
Clint e Tommy lo aggiornarono su quello che era stato il percorso che
li aveva portati fino a lì, anche se Natasha ebbe la netta sensazione
che avessero tralasciato un bel po' di dettagli sulla dinamica esatta
del loro incontro con il supersoldato.
Poi fu il suo turno, e la fece molto breve a riguardo, anche perchè non
è che avesse effettivamente fatto molto: dopo la conferenza stampa che
l'aveva vista protagonista, e l'addio di fronte alla tomba di Fury, era
salita sul primo aereo diretto in Russia. Da lì, si era spostata
prevalentemente via terra, a volte in treno, a volte da clandestina,
altre sotto le vesti di una ragazza che voleva fare il giro del mondo
in autostop, copertura, quest'ultima, che aveva abbandonato molto
presto una volta constatato quanti maniaci ci fossero in circolazione:
una viaggiatrice che lasciava una scia di feriti sulla propria strada
prima o poi avrebbe fatto notizia. Si era procurata diverse nuove
identità, e più o meno aveva passato il tempo cercando di passare
inosservata: aveva svolto parecchi lavori in altrettante città,
scomparendo quando intuiva che la sua copertura potesse saltare. Aveva
anche perso il conto della quantità di colori che aveva messo sui
capelli (aveva avuto la cattiva idea di mostrare una sua foto in
versione punk-rocker con capigliatura nera e verde, e sapeva che Clint
l'avrebbe presa in giro perfino nella prossima vita, se era fortunata e
non l'avesse incontrato in quelle successive ancora), per non parlare
degli pseudo-fidanzati.
Per quanto riguardava Steve e Sam, i due sembravano aver fatto coppia
fissa: nonostante quello che era successo a Washington, gli americani
continuavano ad adorare Capitan America, e gli avevano perdonato ben
presto la distruzione della loro capitale; avevano accolto la loro
personalissima visione di quello che era successo: il Vendicatore a
stelle e strisce aveva smascherato sia i segreti dell'Hydra che dello
SHIELD, liberando gli Stati Uniti dal pericolo dello spionaggio che
aveva come scopo la distruzione del paese.
I media dopo un po' avevano iniziato a dare credito a questa versione,
e le cose per il biondino si erano risolte nel migliore dei modi:
Capitan America era decisamente una posizione migliore di quella di
spia russa in un mondo dove, a quasi 30 anni dalla fine della guerra
fredda, ancora America e Russia facevano a gara a chi l'aveva più
grosso, anche se, alla fine della fiera: "Componenti americani,
componenti russi: tutti fatti a Taiwan!". Lei era guardata con sospetto
da entrambi i continenti: per l'uno era russa e quindi sospetta a
prescindere, per l'altro era una russa che aveva tradito lavorando con
il nemico, e quindi sospetta. La posizione ideale, no?
Comunque, non c'era bisogno che raccontasse quello che lui e Sam
avevano fatto non appena si erano separati: si era dato la missione di
salvare il suo migliore amico, e ci si era tuffato anima e corpo. E
Sam... Sam aveva fatto quello che faceva Steve, solo più lento.
-E adesso?- chiese Steve alla fine dei racconti, quando ormai tutti
erano a conoscenza dello status degli altri presenti. -Voglio dire...
che ne sarà di noi?-
Natasha vide Clint e Tommy scambiarsi uno sguardo, che era un misto tra
il dubbio, l'indecisione e... c'era anche qualcos'altro, che non riuscì
bene a definire immediatamente. Sembrava quasi he fossero consapevoli
di avere tra le mani una bomba, e che l'esplosione sarebbe stata
inevitabile se avessero iniziato a parlare.
Non sapeva se esserne preoccupata o rasserenata.
Anche se finora non se l'era cavata male, questo continuo girare, senza
una stabilità o uno scopo se non quello di restare viva, la stava
snervando; certi giorni le sembrava che non sarebbe mai finita, che
avrebbe passato la propria vita girando da una città all'altra, senza
mai potersi fermare, perciò, se quei due decelebrati dei suoi amici
avevano un piano concreto, era ben lieto di sentirlo.
-Sputate il rospo- li esortò.
-Beh...- Cominciò Clint, prima di prendere un bel respiro - Comincerò
col dire che Phil Coulson è vivo.-
Ok, bene... Un attimo...
-Che cosa?!- Ma la sua voce non era stata l'unica a parlare. Steve le
aveva fatto un eco così perfetta che le loro voci si erano
perfettamente fuse l'una con l'altra, creando un mix inquietante. -Da
quanto lo sai?- chiese, lei cautamente calma, pronta a esplodere se la
risposta non le fosse piaciuta.
Non è che lei e Coulson fossero migliori amici, anzi, non era niente di
più che un collega, anche se non le era mai stato chiaro se le fosse
superiore in grado o meno; i compiti di Natasha erano sempre stati
prettamente di spionaggio, mentre Coulson agiva più alla luce del sole,
anche se i due avevano collaborato all'inizio del progetto Avengers,
quando era stata mandata in incognito per valutare se Tony Stark
potesse essere o meno una buona scelta per il team.
In quei mesi in cui lei gli aveva fatto costantemente rapporto, avevano
creato una specie di legame: niente a che vedere con quello che c'era
sempre stato tra lei e Clint, ma sufficientemente stretto per farle
salire la voglia di abbattere Loki nel momento in cui lo aveva ucciso.
E ora le stavano dicendo che era stato tutto un inganno: che Fury gli
aveva mentito per anni e, per quanto ne sapeva Natasha finora,
probabilmente anche Clint.
-Non molto tempo- stava rispondendo l'arciere -La Hill ha dato un
numero di telefono a Tommy insieme all'ordine di sparire, comandandogli
di darmelo solo quando mi fossi pienamente ripreso. Quando me l'ha
consegnato e ho chiamato, c'era lui in linea-
Natasha tirò un interiore quanto involontario sospiro di sollievo.
-Come si è salvato?- chiese Tony
-Non ne ho idea. Non abbiamo avuto tempo per i convenevoli e le storie
di resurrezione, anche perchè erò così incazzato che gli ho riattaccato
il telefono. L'ho richiamato solo il giorno dopo-
-Cosa vuole da noi?-
-Che lo aiutiamo a ricostruire lo SHIELD. Dobbiamo rientrare il più in
fretta possibile.- rispose Clint -Possibilmente senza farci arrestare-
Natasha rimase in silenzio. La cosa la attirava sì e no, ma una parte
di lei non voleva perdere di nuovo Clint e Tommy, senza contare che non
aveva una vera e propria alternativa, e aiutare a ri-fondare lo SHIELD
poteva essere la dimostrazione del fatto che non era una spia russa
traditrice.
Annuì.
-Io ci sto-
Clint aveva lanciato una di quelle bombe che, come gli ordigni nucleari
lanciati su Hiroshima e Nagasaki, stavano per far vacillare il suo
intero mondo. Di nuovo.
Phil Coulson era una persona impossibile da odiare.
A Steve era piaciuta fin da subito la genuinità dell'uomo, anche se la
venerazione che provava nei suoi confronti lo aveva messo, in un primo
momento, un po' a disagio, e sì, in fondo l'aveva anche divertito.
Fury gliel'aveva presentato come il responsabile del progetto Avengers,
e gli aveva assicurato che si sarebbe trovato bene a lavorare con lui.
E così era stato, almeno per il poco tempo che avevano passato insieme.
Coulson era stato genuinamente entusiasta del progetto, come un bambino
a cui era stato detto che si sarebbe trasferito nel suo parco giochi
preferito, e Steve era rimasto quasi commosso dalla tenerezza con cui
gli aveva chiesto se avesse potuto autografargli le sue figurine,
soprattutto perchè aveva pensato che Natasha scherzasse quando gliele
aveva menzionate.
Poi era morto, principalmente a causa della superbia di tutti loro,
impegnati a fare a gara a chi fosse il più forte e il più intelligente
invece di concentrarsi su quello che era davvero importante: Loki.
E ora scopriva che alla fine anche quella persona che gli era sembrata
a posto, gli aveva mentito per due anni.
Ma c'era mai stato qualcosa di vero nella sua nuova vita? O negli anni
2000 il mondo si era rovesciato e la menzogna e l'inganno avevano preso
il posto dell'amicizia e della verità? Cosa diavolo era andato storto
nei settant'anni in cui aveva dormito?
Tuttavia, Coulson e le sue menzogne non erano la vera preoccupazione
del supersoldato.
Che fine avrebbe fatto Bucky se loro fossero tornati alla base?
Il nuovo direttore sarebbe stato disposto a dare una seconda
oppurtunità anche a lui come aveva fatto con Clint e con Natasha? O nel
suo nuovo mondo non c'era spazio per i buonismi?
E se l'avessero arrestato? Giustiziato?
I delitti commessi sarebbero stati sufficienti per far condannare James
alla sedia elettrica (o qualunque fosse il metodo adottato oggi per
l'esecuzione della pena di morte, Steve non si era dato la pena di
cercarlo, a dire il vero), senza contare che se davvero si sarebbero
trovati contro Stark, qualunque processo sarebbe già stato perso in
partenza, perchè nessuno avrebbe osato mettersi contro Ironman.
-Veniamo, ma vogliamo garanzie per James-
Steve era sicuro che la sua bocca non si fosse mosse. Assolutamente
sicuro. E allora...?
Il suo cervello ci mise un secondo di troppo a capire che era stato Sam
a parlare. E quasi volle baciarlo.
Clint annuì.
-Sono d'accordo. Torniamo in America, poi penseremo al resto.-
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Capitolo 14 *** Ritorno a casa. ***
PERSONAL SPACE: SONO VIVAAAAAA!!
Ciao a tutti! Rieccomi con un nuovo capitolo! Ringrazio tutti per le
vostre recensioni e mi scuso se ancora non ho risposto, ma la mia vita
al momento è un po' caotica, lo farò il prima possibile, promesso!
Grazie in particolare a Ragdoll_cat perchè sopporta pazientemente i
miei scleri... ti faranno santa!!
Per il momento marchetta, proseguono
le mie avventure a Hell's Kitchen con Friendship&Loyalty, così come
la mia serie di one-shot ambientata al college... l'ultima arrivata è A
family for Christmas, se volete darci un'occhiata!
Biscotti e recensioni sono sempre
apprezzati ^_^
CAPITOLO
12: RITORNO A CASA.
-Grazie-
La voce di James lo fece sussultare. Dio, quell'uomo era l'equivalente
meno inquietante (ma nemmeno troppo) di Darth Vader eppure riusciva a
muoversi con la silenziosità di un gatto. Sam ci mise un attimo a
riprendersi dall'improvvisa presenza nella sua stanza, un tempo
tuttavia sufficientemente lungo da far inserire la retromarcia al
Soldato d'Inverno, che fece un passo indietro e alzò subito le mani.
Sam non potè evitare di notare che stava davvero provando a non passare
per aggressivo, e decise che avrebbe cercato di ricambiare il favore
evitando di mettersi in guardia ogni volta che era nei paraggi.
-Ehi, tranquillo- gli rispose facendo un passo verso di lui -Mi hai
solo... spaventato. Sei... molto silenzioso-
-Scusa...-
-No... Va bene...- beh, se non altro era meglio del silenzio
imbarazzato del mattino precedente.
-Dico davvero, grazie- riprese James -so che non eri obbligato a farlo-
-Steve si fida di te, il minimo che io possa fare è darti una
chance...- per un secondo fu tentato di tentare un approccio simile a
quello che aveva usato proprio con il biondino, uno di quelli da
militare appena tornato da una missione, ma sentiva che non era ancora
il caso.
-Spero di meritarmela...- il sussurro gli arrivò come appena
percepibile, e questo gli fece cambiare idea in un nano-secondo.
-Senti, lo so che non ti abbiamo riservato una bella accoglienza,
specialmente io, e mi dispiace. Ed è vero, Steve tende a essere un po'
troppo buono, in generale, ma questo non significa che non ti meriti
l'occasione di redimerti, se davvero lo vuoi- James alzò lo sguardo
verso di lui, e la curiosità che vi lesse gli diede il coraggio per
andare avanti. -Non voglio paragonarti ai normali soldati, perchè
quello che ti è successo è decisamente al di là di ogni cosa io abbia
mai sentito, però in anni al supporto veterani sono arrivato alla
conclusione che chiunque, se vuole, merita una seconda possibilità-
-Anche chi ha commesso metà degli omicidi politici della storia?-
-Da quel che so di te, ti hanno preso, smontato e rimontato e fatto il
lavaggio del cervello. Non credo ti si possa ritenere responsabile a
pieno titolo- rispose -Perciò sì. Anche tu. Soprattutto tu-
-Grazie... davvero.-
Sam riuscì a fargli un mezzo sorriso prima di tornare a sistemare la
poca roba che aveva portato con sè nella borsa.
Tommy non stava nella pelle. Finalmente avrebbero smesso di scappare in
giro per il mondo e avrebbero ricominciato a fare qualcosa di utile, o
almeno così sperava.
Era stato il primo a terminare di preparare la propria borsa, complice
anche il fatto che avendo vissuto come zingari per gli ultimi mesi non
aveva poi molto da portarsi dietro: qualche vestito (non molti, in
realtà) e l'ebook reader, principalmente.
-Tommy? Ti serve aiuto?- Natasha fece capolino nella loro stanza,
facendo bene attenzione a dove metteva i piedi.
-No, ti ringrazio. In realtà ho già finito. Tutta questa roba...-
-E' di Clint. Ovvio- sorrise la donna. -Come stai?-
-Bene. Non vedo l'ora di tornare in America... sai... fare qualcosa di
utile di nuovo...-
-Sì, ti capisco. Viaggiare è bello, ma essere sempre in fuga perde il
fascino al secondo giorno...-
-Già, non è proprio come nei film-
-Di certo non come quelli della discutibile biblioteca di Clint-
sorrise Natasha che tra Fast & Furious, Mission Impossible e
l'altra valanga di roba di cui si rifiutava categoricamente di
ricordare i titoli ne aveva avuto ben più di un assaggio.
-I mattoni russi non sono per tutti- ritorse il ragazzino ridendo. Ok,
forse nemmeno la sua parte di videoteca era molto adatta a un
sedicenne, ma che poteva farci? Tommy era capitato loro dal nulla, e
nessuno si era aspettato che sarebbe diventato parte integrante del
team.
-Sei rimasto per troppo tempo in compagnia di Clint, ragazzino-
-Ammettilo che ti siamo mancati!-
-Nemmeno sotto tortura!- rise lei, lasciando la stanza. Lei e Clint
avevano un trasferimento da organizzare, e non sarebbe stato facile con
i radar di Tony Stark puntati addosso. Il vero problema, non era, come
si poteva pensare, solo James. Tutti loro erano un problema. Dovevano a
tutti i costi cercare di evitare di attirare su di sè troppe attenzioni.
In sè far arrivare James negli States poteva non essere un grosso
problema. Sarebbe bastato far partire lui e Tommy da soli, sotto false
identità; del ragazzino si erano perse le tracce dopo la caduta dello
SHIELD, e tutti avevano dato per scontato che fosse rimasto ucciso
durante gli scontri oppure che fosse scappato dalla propria famiglia, e
nessuno si era poi dato così da fare per smentir e o confermare le
voci, quindi nessuno lo stava davvero cercando.
Quanto al soldato d'inverno, ovviamente un assassino non si sarebbe mai
portato in giro un ragazzino durante una fuga, o una caccia a qualcosa,
non era certo un romanzo di Stephen King questo. Di conseguenza, due
ragazzi che viaggiavano insieme non avrebbero destato molti sospetti.
Ma c'era da fidarsi?
Tommy era in gamba, e con Clint se l'era cavata alla grande, ma, oltre
ai problemi con le false identità di cui le aveva parlato l'arciere,
c'era anche l'incognita della missione in solitaria. Anche con metà
della vista operativa, Clint restava comunque una delle spie più
esperte e capaci in circolazione, e ci aveva messo poco a prendere in
mano la situazione, tenendo entrambi (più o meno) al sicuro. Ora la
faccenda era nettamente diversa: avevano già avuto modo di scoprire
quanto instabile fosse Barnes, e Natasha, dal canto suo, seppur
convinta che meritasse una seconda possibilità (del resto, chi era lei
per giudicarlo?), aveva ancora qualche remora.
Era prudente mandare un agente appena operativo in una missione sul
campo in compagnia di un pericoloso assassino?
-Una piadina per i tuoi pensieri- Clint si sedette accanto a lei con in
mano un pezzo di quello che sembrava del pane molto sottile, piegato in
due e con all'interno quello che sembrava del prosciutto con del
formaggio. La spezzò in due e gliene porse metà.
-Sto cercando di capire come andarcene da qui... e le prospettive non
sono belle- rispose mettendo cautamente in bocca l'alimento per
saggiarne il sapore prima di dare un morso più deciso.
-Spara-
-Ok, premesso che mi pare ovvio che non possiamo partire tutti da
Bologna, Tony ci troverebbe in un istante, e non voglio ritrovarmi in
uno scontro a fuoco in un posto pieno di civili e dove non hanno
assolutamente idea di chi siamo, apparentemente-
Clint annuì, masticando silenziosamente; fin lì ci era arrivato anche
lui, ovviamente.
-Ok. Steve e James non possono essere visti insieme, ovviamente. Tony
farebbe subito due più due se li vedesse, specialmente senza Sam...-
-D'altronde, anche vedere te con o Sam con James...-
-Esatto... il che ci porta a cercare di fare accoppiamenti che non
facciano sollevare sospetti... Steve e Sam sono mesi che girano
insieme, sarebbe strano il contrario...-
-E io e te siamo io e te... Il che lascia...-
-Tommy e James...- concluse Clint in tono quieto. Non c'era bisogno di
aggiungere altro.
-Posso farcela- La voce di Tommy li fece sobbalzare entrambi. Quando
aveva imparato a essere così silenzioso? E da quanto tempo era lì? Li
aveva sentiti dubitare delle sue capacità di portare a termine una
missione?
-Tommy...- Partì Natasha, in un tono scandalosamente vicino a quello di
una madre preoccupata... quando era diventata così protettiva nei
confronti del ragazzino?
-Nat... lo so che non ti fidi di James, ma finora non mi ha mai fatto
del male, nemmeno quando avrebbe potuto. Davvero. Fidati-
E dove o meglio da chi aveva imparato a spalancare gli occhi in quel
modo? Qualcuno le doveva delle spiegazioni... e parecchie.
Si scambiò uno sguardo con Clint, che in risposta alzò le spalle
-Che altra scelta abbiamo, 'Tasha?-
La scelta di buttarvi entrambi giù da un burrone, pensò sospirando e
annuendo.
-Ok...- sospirò alla fine -Ora, pensiamo a come partire da qui e
soprattutto a come ritrovarci una volta là. Siediti, Tommy-
Il ragazzino obbedì.
-Ok truppa di disperati, tutti a rapporto nel giardino dietro casa-
chiamò Clint, comparendo con un foglio in mano e una matita appoggiata
dietro l'orecchio e l'atteggiamento da intellettuale convinto. Sam
riflettè che gli mancavano solo un paio di occhiali da sfigato sul naso
e poi forse avrebbe anche potuto esser convincente.
-Abbiamo un piano?- chiese Steve, alzandosi dal divano dove si era
seduto a disegnare, una cosa che faceva spesso e che aveva abbastanza
stupito Falcoln. Pensava che la passione per il disegno fosse parte
della leggenda associata a Capitan America, una di quelle cose che di
solito venivano inventate per rendere il personaggio ancora più
appetibile per le folle (non che ce ne fosse davvero bisogno, tra
l'altro), e invece aveva scoperto che non solo era più reale che mai,
ma anche che era dannatamente bravo, mentre lui a malapena riusciva a
mettere insieme due righe.
-Più o meno. E' ancora un po' da definire, ma è senza dubbio un piano-
-In realtà non sapremo se sia realizzabile o meno fino a quando non
chiameremo Coulson e gli diremo del sergente Barnes- puntualizzò
Natasha, e Sam era contento che non fosse l'unico ad avere ancora
qualche remora a riguardo. Certo, aveva deciso di dargli una
possibilità, ma tra loro e la riabilitazione del Soldato d'Inverno
c'era un abisso chiamato non solo Tony Stark, ma anche Governo degli
Stati Uniti D'America e, a quanto sembrava anche lo SHIELD, ora. Giusto
perchè le cose non erano già abbastanza complicate.
-Nat, lo sai che Coulson non farà problemi. Lui è il re delle seconde
possibilità, lo sai-
-Forse non quando si tratta di assassini...- mormorò James, la voce
appena un tono sopra il sussurro.
-Tranquillo... non ha mandato me e Nat a ucciderti, sei ancora entro il
raggio di perdono, direi- lo rassicurò l'arciere, prima di guidarli
tutti fuori sul prato, dove lui e Tommy avevano passato il pomeriggio
con un paio di computer sulle ginocchia a studiare chissà cosa.
Nessuno aveva obiettato quando le due spie si erano offerte di tirare
fuori un piano di rientro alla base: la situazione era delicata, e il
loro nemico (anche se era molto triste pensare a Tony Stark come a un
avversario, in effetti) era molto (troppo) ben equipaggiato. Se
qualcuno era in grado di tirarli fuori senza entrare nel raggio
d'azione del miliardario, quelli erano proprio loro due.
Tommy, ovviamente, aveva fatto loro da supporto.
Sam non capiva pienamente il ragazzino, anche se Steve gli aveva
raccontato la sua storia, o almeno, quello di cui era a conoscenza: non
gli sembrava poi strano che avesse cercato di attaccarsi a Clint, alla
fine l'arciere era una persona abbastanza simpatica e con un
particolare magnetismo che invitava alla socializzazione, nonostante
poi fosse una persona abbastanza chiusa; no, quello che davvero lo
stupiva era come fosse riuscito a fare breccia nel cuore dei due.
O meglio, in quello di Natasha.
Per Occhio di Falco riusciva facilmente a trovare una spiegazione nel
senso di colpa: aveva ucciso suo padre, e ora si sentiva in dovere di
proteggere e guidare il ragazzino. Ma la Vedova Nera?
Non fingeva di nascondere il suo attaccamento al ragazzino, non così
tanto, almeno, anche se cercava di assicurarsi di non essere vista da
nessuno mentre si affacciava ogni sera alla sua porta per assicurarsi
che dormisse.
Istinto materno? Preoccupazione? Era un qualcosa nato di riflesso per
solidarietà a Clint?
Sam trovava l'argomento molto stimolante.
-Ok, gente- Natasha lo riportò alla realtà -Non possiamo muoverci in
gruppo, e nemmeno partire tutti dallo stesso aeroporto o nazione- Aveva
senso. Che due di loro fossero in Italia era un conto, ma che tutti
loro lo fossero, sarebbe stato a dir poco sospetto. -Quindi, ci
divideremo-
-Steve, tu e Sam viaggerete in treno fino a Milano, su un anonimo
regionale in classe economica. Tenete un profilo basso, e tutto andrà
bene. Da lì, prenderete la coincidenza per Monaco di Baviera. Da lì,
prenderete il volo diretto per Philadelphia. Tutto chiaro?-
I due annuirono.
-Io e Clint partiremo da Malpensa, volo diretto per New York. Tony ha
già incontrato Clint qui in Italia, per cui non desteremo sospetti.
Staremo semplicemente volando a casa- proseguì la donna.
-Infine, Tommy e James. Voi due dovrete mantenere un profilo molto
basso: voi prenderete l'auto con cui sono arrivati Nat, Steve e Sam.
Viaggerete verso sud, e a Ravenna vi imbarcherete per la Croazia. Da
lì, continuerete a muovervi, e raggiungerete Cracovia. Per voi, volo
con scalo: Cracovia-Berlino e da Berlino diretti a Chicago. Tutto
chiaro?-
Mandare Tommy da solo in giro per mezzo mondo con James? Natasha si era
forse bevuta il cervello?
-Siete sicuri... che sia una cosa saggia?- con enorme sorpresa di Sam,
era stato proprio James a dar voce sicuramente alla domanda che era
balenata nelle menti di tutti. Beh, tutti tranne Steve, probabilmente,
perchè Steve era Steve ed era l'unico che non nutriva alcun tipo di
dubbio, ovviamente.
-Non abbiamo altra scelta- fu la risposta di Clint, succinta quanto
realistica e Sam si rese conto che aveva ragione e non era difficile
capire perchè. -Sai guidare, vero James?-
-Sì- fu la risposta del diretto interessato.
-Ok allora- concluse Natasha. -Partiremo scaglionati. Tommy. Tu e
Barnes partirete entro un'ora. In ogni caso, torniamo in America. Vi
faremo avere notizie non appena avremo parlato con Coulson-
Un'ora? Una sola ora? Era così poco il tempo che aveva per prepararsi?
Tommy sapeva, ovviamente, che i tempi sarebbero stati ristretti, ma non
pensava che sarebbero stati così ristretti.
Pensava che avrebbe avuto tempo di prepararsi a gestire la cosa, di
organizzare tutto perchè niente andasse male. Sarebbe stata la sua
prima, vera, missione in solitaria e non voleva fallire. Ma così...
-Tommy, respira- due mani forti e gentili si posarono sulle sue spalle.
Aprì gli occhi che non si ricordava di avere chiuso e si rese conto di
essere andato in iperventilazione. Davanti a lui c'era Steve,
leggermente piegato in avanti perchè i loro occhi fossero alla stessa
altezza. -Andrà tutto bene, non preoccuparti-
-Steve ha ragione. Sei stato il migliore all'accademia, e hai imparato
tanto anche da noi-
-Cercherò di aiutarti come posso, Tommy. Te lo prometto- aggiunse
James, e il lieve tremore nella sua voce quasi lo commosse. Deglutì e
allungò il pugno chiuso verso di lui.
-Ce la faremo.- Non era proprio così sicuro, ma doveva farsi forza e
provarci, almeno.
Tommy e James erano partiti un'ora prima, e gli era appena arrivato un
messaggio che li informava che erano al termine dell'autostrada
dell'antica città d'arte romagnola. Da lì al porto, stando alle loro
ricerche, non ci avrebbero messo molto: dovevano solo attraversare la
zona industriale e arrivare a porto Corsini, da dove partivano gli
imbarchi per la Croazia.
Clint riportò la notizia agli amici, che tirarono un sospiro di
sollievo. La falsa sicurezza di Tommy non aveva ingannato nessuno, ma
se non era successo niente finora, probabilmente le cose non potevano
che migliorare. Il ragazzino poteva essere insicuro all'inizio, ma se
vedeva che tutto andava bene, prendeva presto confidenza, una
caratteristica che Clint aveva di nascosto confidato al Soldato, che
gli aveva assicurato che se ne sarebbe stato buono e non avrebbe creato
problemi, non di sua spontanea volontà, per lo meno.
Steve aveva assicurato loro che erano luoghi che non avevano mai
visitato durante le loro incursioni durante la guerra, per cui
escludeva la possibilità di ulteriori flash.
Clint si attaccò al telefono, e, finalmente, dopo innumerevoli passaggi
tra centralini, segretari e chissà chi altro, riuscì a parlare con
Skye, prima, e successivamente con Coulson stesso.
-Agente Barton- il tono di Phil era straordinariamente gioviale per uno
che aveva finto di essere morto per tutti quegli anni.
-Direttore Coulson-
-Come procede?-
-Abbiamo riunito la banda, ma abbiamo un nuovo elemento, e vogliamo
assicurarci che non gli venga fatto del male- Clint arrivò dritto al
punto.
-Spiegati-
Clint gli raccontò del soldato d'inverno. Tralasciò qualche piccolo
particolare ma, per il resto, non disse altro che la verità, anche
perchè Steve lo aveva redarguito a dovere a riguardo prima della
telefonata. Non voleva ingannare l'uomo che li aveva ingannati per così
tanto tempo (sul serio? Non potè fare a meno di chiedersi. Lui può,
mentre noi non possiamo mentire nemmeno un briciolo per alleggerire la
posizione di Barnes? Dannato Capitan America con la sua cavolo di
morale.) sulla reale pericolosità del soggetto, ma allo stesso tempo
voleva che gli venisse data una seconda possibilità.
-Passami l'agente Romanov- fu l'unica cosa che rispose l'altro non
appena ebbe finito il suo racconto, e Clint decise di ritenerlo un buon
segno. Tutti sapevano che Natasha era la più affidabile quando si
trattava di giudicare le persone.
Gli piacque meno quando la rossa prese il cellulare e uscì di casa per
continuare la conversazione. Cosa non poteva dire di fronte a Rogers?
Natasha non poteva mentire, non questa volta, e non perchè gliel'aveva
chiesto Capitan "nonmentomai" America, ma perchè il Soldato era
oggettivamente un potenziale pericolo, e non se la sentiva di gettare
una bomba a orologeria tra le braccia di Coulson spacciandola per una
candela votiva.
Tra l'altro, non era esattamente a favore della possibilità di
redenzione dell'uomo; vero, lei non era in posizione di giudicare, le
sue azioni in passato erano state deplorevoli almeno quante quelle del
Soldato, con l'unica differenza che lei non veniva resettata. Ok, era
effettivamente stata addestrata a essere una macchina da guerra, e non
aveva avuto più scelta di lui, ma era comunque sempre stata cosciente
di quello che faceva.
Appunto. Una vocina fastidiosamente simile a quella di Clint le risuonò
nella testa. E dove saresti ora se Clint non ti avesse offerto la
possibilità di riscattarti, di cambiare vita?
La risposta era abbastanza facile, in realtà. In una tomba, visto che
anche i servizi segreti russi per cui lavorava avevano iniziato a darle
la caccia.
Forse, James aveva solo bisogno di un Clint Barton, che nel suo caso
aveva la faccia e il carattere di Steve Rogers (e sì, Nat lo invidiava
sotto questo punto di vista).
Allo stesso tempo, lo SHIELD non era più quello che era stato quando
era stata arruolata lei, dove la potenza di fuoco presente in una sola
delle loro aule dell'accademia sarebbe stata più che sufficiente ad
annientarla, e lui era leggermente più forte di lei. Era come avere uno
Steve Rogers con la mente della Vedova Nera, e se a questo si univa che
non aveva idea di quanti uomini avesse Coulson (molto pochi,
probabilmente, altrimenti qualcuno avrebbe già fiutato la loro
presenza) la prospettiva volgeva al disastroso. Per questo, riteneva
che dovesse non solo sostenere Bucky, ma allo stesso tempo anche
mettere l'uomo al corrente dei rischi che questo comportava. Ah, e
anche che gli avrebbe spaccato il culo una volta giunti alla base dello
SHIELD. Sul serio? Finta morte? Per tutto quel tempo?
Steve e Sam partirono non appena Tommy aveva inviato un secondo
messaggio: si erano imbarcati e ora li aspettava una traversata di
qualche ora fino alla costa opposta del mar Adriatico. Tutto stava
andando bene.
I due soldati si trovavano ora su un treno che con una lentezza
esasperante li avrebbe portati a Milano, e ancora non avevano avuto un
responso sulla decisione di Coulson, il che rendeva Steve parecchio
nervoso. Odiava le attese, le detestava fin da quando era piccolo, ma
era consapevole che non fosse una decisione da prendere a cuor leggero,
nemmeno con Capitan America a fare da garante. Il direttore era
responsabile della sicurezza di svariate vite all'interno dello SHIELD
e aveva il compito di tenere il mondo al sicuro, non poteva assoldare
tra le proprie fila una tale minaccia.
Era in ansia anche per Bucky. Si erano ritrovati meno di 24 ore prima,
e ora erano già stati costretti a separarsi. Non riusciva a
sopportarlo. Sembrava che il mondo facesse di tutto per impedire loro
di stare insieme: prima li aveva separati la guerra, poi la prigionia.
Infine la morte e il ghiaccio. E adesso quel dannato Tony Stark che
dava loro la caccia.
Non poteva fare a meno di chiedersi, tra l'altro, cosa sarebbe successo
se il magnate avesse rintracciato Bucky e Tommy. Il suo istinto gli
diceva niente di buono.
-Ehi. Tutto ok?- gli chiese Sam, il volto parzialmente nascosto dal
cappuccio della felpa
-Sì... Sono solo preoccupato...-
-Come tutti noi. Continuo a sostenere che non sia stata una grande idea
mandare Tommy con James. Voglio dire... sono sicuro che il
ragazzino sia in gamba, ma in uno scontro a fuoco con Tony...-
-Potrebbe succedere di tutto, lo so- sospirò il supersoldato. -Dobbiamo
solo pregare che tutto vada bene-
***
Trovarono la chiamata di Coulson non appena misero piede all'aereoporto
di New York, e Clint si prodigò subito per richiamarlo in attesa di
avere notizie.
La durata chiamò pochissimo, giusto il tempo di pochi dettagli, poi
l'arciere chiuse il telefono e si voltò verso Natasha.
-Allora?- chiese lei.
Grazie per aver
letto fin qui. Cosa avrà deciso Coulson? E saranno passati davvero
inosservati agli occhi di Stark?
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Capitolo 15 *** Fino alla fine ***
A/N: Sono
vivaaaaaaa! Scusate l'immenso ritardo...e siccome mi voglio malissimo,
vi dico anche che questo capitolo era pronto da mesi, ma non sono mai
riuscita a pubblicarlo prima... ecco l'ho detto.
Sarò
rapidissima questa volta perchè non voglio rubarvi altro tempo...
voglio solo davvero ringraziare tutti coloro che mi leggono e chi ha
speso qualche minuto per recensirvi. GRAZIEEE
E buona
lettura!
Capitolo
13: FINO ALLA FINE
Tommy non era mai stato così teso in vita sua prima d’ora. Era
seduto sul sedile del passeggero di quel fuoristrada mentre Bucky
guidava ormai da una mezz’oretta. Si trovavano sulla via Emilia, stando
al loro navigatore, e presto si sarebbero immessi sulla superstrada che
li avrebbe condotti al porto e, da lì, al traghetto.
Tommy avrebbe voluto poter guidare, se non altro per avere qualcosa da
fare e impedire alla propria mente di di mostrargli i peggiori scenari
possibili e immaginabili. Ovviamente era in grado di guidare
un’automobile, lo SHIELD lo aveva addestrato ai vari stili di guida, da
quelli più spericolati per non perdere il soggetto durante un
inseguimento a quelli più anonimi da utilizzare durante la sorveglianza
e i pedinamenti, tuttavia lo SHIELD non esisteva più, e il suo
distintivo non sarebbe stato un permesso valido di guida nemmeno in
America, figuriamoci in un paese straniero dove l’età minima per
condurre un’auto erano i 18 anni. Quindi, Bucky si prendeva tutta la
parte divertente del viaggio e a lui restavano i film mentali.
-Cercherò… Di non cacciarci nei guai- la voce del compagno di viaggio
lo fece sobbalzare. Bucky non era stato un chiacchierone nemmeno quando
erano nella casa sicura, ed erano le prime parole che diceva da quando
erano partiti. Per Tommy, che si era ormai abituato a viaggiare con
Clint, che non taceva nemmeno quando dormiva, era un bel cambiamento.
-Tranquillo- gli rispose con una sicurezza che non sentiva. -Andrà
tutto bene. Come dice Clint, nessuno sospetterà che viaggi con un
ragazzino, nemmeno Tony Stark-
Bucky non rispose subito, ma rimase con gli occhi puntati dritti sulla
strada, concentrato sulla guida.
-Che succede…- chiede dopo un po’ -se dovessi avere un flash?-
-Lo affronteremo. Come sempre. Io non sono Clint, o Steve, lo so, ma
sarò con te, te lo prometto-
L’auto sbandò all’improvviso mentre Bucky si portava le mani alla
testa, probabilmente in preda a uno dei suoi attacchi. Tommy agì prima
ancora di pensare. Sperando di non finire in un burrone, si lanciò in
braccio al Soldato d’inverno e premette disperatamente il piede sul
freno mentre raddrizzava il volante.
Bucky urlò di dolore, ma fortunatamente era completamente perso nel
vortice del flash che gli instinti del Soldato d’Inverno non si
manifestarono; Tommy si costrinse a ignorarlo e ad accostare l’auto a
bordo strada prima di provocare incidenti.
Solo una volta fermatosi scivolò di nuovo sul sedile del passeggero.
Con uno scatto dell’apposita leva, abbassò lo schienale del sedile,
mettendo, di fatto, il soldato in una posizione quasi distesa; gli
prese la mano e cercò di parlargli, di riportarlo alla realtà.
***
Sarò con te.
Erano bastate tre semplici parole a procurargli una fitta lancinante
alla testa.
Si trovava di nuovo su
quell’helicarrier a Washington, e aveva una sola missione: uccidere
Captain America e liberare l’Hydra dal loro più grande nemico, in modo
che potessero rendere gli Stati Uniti un posto migliore, governato
dalla pace e dalla giustizia.
Doveva ammetterlo, il suo nemico era
abile e dotato di una testardaggine davvero fuori dal comune, ma non
sarebbero bastati a salvargli la vita, non questa volta.
Avrebbe solo voluto sapere per quale
motivo non lo stava combattendo.
Quest’uomo sosteneva di essere suo
amico.
“Perchè io sarò con te fino alla fine”
La scena cambiò.
Due amici, due ragazzini. Steve.
Steve era molto più piccolo di quello che era oggi, e aveva gli occhi
tristi.
Sua madre era appena morta.
Bucky andava da lui ogni mattina, e
lo tirava giù dal letto a suon di bicchieri di latte, pane raffermo e
qualche biscotto rotto, tutto ciò che riusciva a farsi dare dal
panettiere dietro casa.
La cosa positiva era che Steve, con
la sua perenne gentilezza ed educazione, era ben voluto da tutti, e,
ora che non aveva più nessuno al mondo a occuparsi di lui, tutti erano
più che felici di dargli una mano come potevano, e Bucky lo apprezzava.
Non erano tempi facili per nessuno,
ma ognuno dava più volentieri tutto ciò che poteva.
Si aprì la porta di casa dell’amico
con la chiave nascosta sotto lo zerbino e si diresse a rapidi passi
nella sua camera da letto.
“In piedi” gli diede uno scossone
giocoso buttandosi sul letto insieme a lui per svegliarlo.
“Vattene”
“Nemmeno per sogno. Fino alla fine,
ricordi? Non ho intenzione di rompere quella promessa. Sarò con te.
Qualunque cosa accada”
Steve si era cacciato nell’ennesima
rissa, ma questa volta con le persone sbagliate.
Quattro ladruncoli stavano cercando
di rapinare la vecchietta che abitava all’angolo della strada e, Steve,
essendo Steve, ovviamente era intervenuto per aiutarla.
E ora Bucky era steso su una barella
del pronto soccorso a farsi ricucire il fianco. Uno di quei ragazzi era
armato di coltello, ma nessuno dei due lo aveva notato nella
concitazione del momento fino a quando la lama non si era infilata
nelle sue carni.
I ragazzi erano scappati, e loro due
erano ora in un mare di guai. Bucky sorrise quando sentì da fuori la
porta Steve che insisteva perchè lo facessero entrare.
Il solito testone.
“Sei a posto” gli sorrise
l’infermiera aiutandolo a sedersi prima e a rivestirsi poi. “Fa piano
quando ti muovi e non fare sforzi, intesi?
“Sì, signora. Grazie”
“Ci rivediamo tra una settimana per
togliere i punti”
Trovò Steve seduto a terra accanto
allo stipite della porta; il biondo saltò in piedi nel momento stesso
in cui uscì, e fu subito al suo fianco per sorreggerlo. Riuscì
miracolosamente ad arrivare a casa prima di lasciare libero spazio alla
furia.
“Non dovevi metterti in mezzo!” lo
aggredì “Guarda cosa ti è successo per colpa mia!”
“Se non fossi intervenuto
probabilmente ti avrebbero ucciso di botte, Steve!”
“Me la stavo cavando benissimo!”
“Ah sì? Quell’occhio nero è l’ultima
moda in fatto di make-up?”
Steve sapeva essere testardo, ma
James non era da meno, non quando si trattava dell’incolumità del suo
migliore amico che aveva un istinto di autoconservazione praticamente
inesistente.
“Non voglio che tu venga ferito”
ammise alla fine, quasi controvoglia, Steve. “Sei l’unica famiglia che
mi rimane…”
“Appunto. E in famiglia ci si
protegge. Sarò con te. Sempre”
“James! James!”
Qualcuno lo stava scuotendo, trascinandolo fuori dal vortice dei
ricordi. L’atmosfera di fine anni ‘30 si dissolse, e si ritrovò a
fissare il soffitto di un automobile.
Si alzò di scatto, ignorando l’emicrania.
“Sta giù. Sta giù!” Tommy lo spinse delicatamente contro il sedile. “Va
tutto bene. Siamo fermi a bordo strada. Non è successo niente”
“Come… cosa?” chiese, confuso, ma allo stesso tempo sollevato.
“Ho preso il volante quando è iniziato il flashback” spiegò
tranquillamente Tommy, il respiro solo un poco affannoso forse per la
tensione e James riuscì di nuovo a respirare. Non aveva fatto del male
a nessuno, questa volta.
La sua mano andò d’istinto al fianco destro, dove un dolore sordo si
stava facendo vivo. Alzò la felpa con fare assente e le sue dita
trovarono una cicatrice, là dove l’infermiera gli aveva messo i punti
nella sua visione.
“Tutto a posto?” chiese Tommy preoccupato, sporgendosi appena per
assicurarsi che non fosse ferito.
“Sì…” sussurrò il soldato, poi prese un respiro e mostrò la cicatrice a
Tommy. “Ho rivisto… il momento in cui mi sono fatto questa… ero con
Steve”
“Eri in guerra?”
James sentì un timido sorriso che gli si formava sulle labbra mentre
scuoteva la testa.
“Un vicolo di New York. Steve ha… difeso una vecchietta… e io gli ho
dato una mano”
“Sembra una di quelle cose stupide che farebbe Clint” fu il commento
del ragazzino.
“Guida tu per un pochino” gli chiese James, chiudendo gli occhi
sperando invano di ridurre il martello che gli stava uccidendo la
testa. Sapeva che era un rischio, ma non se la sentiva di rimettersi al
volante con un’emicrania di tali proporzioni. Perfino la luce gli dava
fastidio.
“Va bene” acconsentí il ragazzo, forse rendendosi conto delle sue
condizioni e scese per raggiungere il sedile del guidatore mentre lui
scivolava su quello del passeggero. Abbassó lo schienale e si calcó il
suo fedele berretto e il cappuccio della felpa sugli occhi. “Stai
bene?” gli chiese “Vuoi che ci fermiamo?”
“Prima usciamo dall’Italia, poi avremo tempo. Gli altri aspettano che
noi siamo sani e salvi per partire. Non possiamo perdere troppo tempo”
Tommy annuí e prese il raccordo della superstrada che li avrebbe
portati fin quasi al porto.
Tommy guidava prudentemente, restando sempre al di sotto dei limiti di
velocitá ed evitando di attirare l’attenzione con manovre azzardate.
James chiuse gli occhi e si lasció scivolare in un sonno leggero.
La crisi era scampata. Fortunatamente il flashback non era durato
molto, anche se aveva lasciato il Soldato con una brutta cera. Ora peró
si era addormentato e Tommy era libero di rilassarsi.
Arrivati al porto, si occupó dell’imbarco del traghetto, scegliendo tra
le biglietterie quella con l’impiegato più svogliato per non rischiare
di incappare in problemi. Tornó all’auto e mando un sms a Clint. James
dormiva ancora.
Lo sveglió una volta imbarcati, ma solo x evitare che si svegliasse in
preda al mal di mare.
***
-Siamo nella cacca nera fino al collo- esordì Clint e Natasha roteò gli
occhi. Era sempre così melodrammatico…
-Spiegati- lo incoraggiò, quando fu evidente che non aveva intenzione
di dare ulteriori spiegazioni.
-Coulson non ammetterà Barnes nello SHIELD.
Nella voce di Clint c’erano amarezza e sorpresa, insieme a una punta di
tradimento, forse, ma Natasha non era poi così sorpresa dalla notizia.
Certo, forse una parte di lei sperava che gli fosse subito concessa una
seconda possibilità, ma dall’altra capiva che Coulson era probabilmente
una persona diversa da quella che avevano conosciuto, o, se non altro,
si trovava in una posizione diversa rispetto a quando aveva accettato
di correre il rischio e dare a loro due una seconda possibilità.
Coulson non era più un semplice agente che poteva permettersi mosse
azzardate perchè lo SHIELD era una delle organizzazioni più potenti
sulla terra; adesso era il capo di ciò che stava rinascendo dalle
ceneri di quello SHIELD, con l’aggravante dei fatti di Washington.
Nessuno, dopo ciò che era stato reso pubblico, si sarebbe fidato della
rinascita di quell’organizzazione che era stata così cieca da non
vedere che stava venendo divorata dall’Hydra dall’interno. Assoldare il
Soldato d’Inverno sarebbe stata una mossa suicida a dir poco, e
Natasha, razionalmente, poteva capirlo. Si era anche aspettata la furia
di Clint. Il suo amico era un idealista, uno che credeva profondamente
nei valori che gli erano stati insegnati, e, soprattutto, nelle persone.
Clint era quello che chiamavi se ti serviva un soldato fedele, ma allo
stesso umano, ma quello che scartavi a priori se la missione prevedeva
l’arte della diplomazia, o se riguardava la politica. Clint non capiva
la politica, e non voleva nemmeno capirla, e la stessa cosa poteva
applicarsi ai regolamenti, questo Natasha l’aveva capito ormai da
tempo, e non era poi sicura che fossa una cosa così malvagia, da un
certo punto di vista.
Non sempre essere come lei era un vantaggio; certo, gli permetteva di
vedere le cose in maniera più oggettiva e distaccata, dividendo
nettamente missioni e vita privata, ma si era chiesta spesso,
specialmente dopo gli ultimi eventi, se ragionare col cuore come
facevano Steve e Clint fosse poi così sbagliato.
In fondo, era proprio grazie a un ragionamento del genere se era andata
a riprendersi Clint solo con l’aiuto dei vendicatori e senza
minimamente preoccuparsi del fatto che lo sceicco minacciasse di
scatenare la terza guerra mondiale.
La vecchia Vedova Nera, quella di non poi troppi anni prima, a ben
pensarci, sarebbe andata direttamente dal Fury e avrebbe probabilmente
deciso che lasciare che lo sceicco uccidesse Barton sarebbe stata la
soluzione migliore per la salvaguardia della sicurezza internazionale.
La nuova Natasha era nauseata dal solo pensiero.
-Te lo aspettavi, vero?- le chiese Clint all’improvviso, forse
insospettito dal suo silenzio, o dalla sua mancanza di indignazione.
-Non posso dire che non avessi preso in considerazione la possibilità-
ammise la donna, alla fine. -Coulson non è più la stessa persona, è
direttore dello SHIELD ora, e come tale deve comportarsi-
-Fury ha ammesso te-
-Io sono brava, Clint, ma Barnes è un supersoldato a cui è stato fatto
il lavaggio del cervello. Il livello di pericolosità è ben diverso, e
lo sai-
-Ma Steve…-
-Steve non ucciderebbe mai il suo migliore amico, nemmeno in caso di
estrema necessità- lo fermò subito la rossa, e non c’era bisogno di
andare oltre. Entrambi sapevano che era la verità.
-E ora che si fa?- sospirò l’arciere.
-Chiama Coulson, fatti dare l’indirizzo di una casa sicura e riuniamoci
là. Quando arriveranno gli altri, decideremo cosa fare.-
***
Il viaggio di Steve e Sam fu sostanzialmente tranquillo, se non fosse
stato per Steve coi nervi a fior di pelle. Sam non faceva fatica a
capirlo. Se avesse avuto la possibilità di riunirsi con Riley dopo
averlo letteralmente cercato per mezzo mondo, anche lui non avrebbe
preso bene la prospettiva di separarsene dopo poche ore.
Lui stesso non si sentiva tranquillo. Temeva che Tommy non riuscisse a
contenere uno dei flashback di Bucky o che, peggio, qualcosa durante il
viaggio risvegliasse la macchina da guerra nascosta dentro di lui. Non
era tanto preoccupato per un’eventuale fuga, quella, se mai, avrebbe
reso le loro vite un po’ più facili, almeno fino a quando l’Hydra non
avesse ritrovato il Soldato, ma a quel punto sarebbero stati comunque
in grave pericolo, quanto per la reazione che avrebbe potuto avere
Steve.
Aveva passato gli ultimi mesi in giro per il mondo, spremendosi fino
allo stremo delle proprie forze per seguire ogni traccia che potesse
condurlo al suo migliore amico, e temeva non avrebbe retto di fronte
alla prospettiva di ricominciare tutto da capo.
Al momento, tuttavia, doveva solo cercare di non mostrare niente a
quello che ormai considerava il suo migliore amico. Steve aveva già
abbastanza problemi così.
Quando si riunirono con gli altri, mancavano solo Bucky e Tommy, ancora
in viaggio per raggiungere il loro aeroporto di partenza.
Sarebbero arrivati, alla meglio, il giorno dopo in serata.
Ad attenderli non c’erano solo Steve e Natasha, ma anche un uomo sulla
quarantina avanzata, vestito elegantemente, ma allo stesso tempo con la
faccia più colpevole che potesse essere espressa da viso umano, e di
colpa Sam ne aveva una grande esperienza.
-Phil Coulson- L’uomo gli tese la mano e gli fece un mezzo sorriso.
-Sam Wilson- si presentò a sua volta.
E così, questo era il famoso Coulson. Sam non potè evitare di chiedersi
per quale motivo uno come Fury l’aveva ritenuto così in gamba da
resuscitarlo (a quanto gli avevano detto) e farlo nuovo direttore dello
SHIELD.
L’uomo non emanava nessuna aura di potere, anzi, in mezzo a una folla,
sarebbe probabilmente passato inosservato. Non aveva nemmeno il fisico
e l’atteggiamento di un soldato, non parliamo poi di vederlo come
direttore dell’organizzazione. Fury era fatto di tutta un’altra pasta,
la sola presenza era sufficiente per ricondurre tutti all’obbedienza,
beh tutti tranne Steve Rogers, ovviamente, ma questa era un’altra
storia.
Sam si ritrovò a chiedersi se invece Steve avrebbe obbedito o meno
volentieri al nuovo arrivato, che sembrava, se non altro, molto più
genuino e meno spia rispetto all’uomo con un occhio solo. Quando guardò
l’amico con la coda dell’occhio, però, lo vide teso, e quasi furibondo.
Coulson notò, evidentemente, la stessa cosa (non che fosse poi così
difficile, Steve era un libro aperto, come amava ricordare loro
Natasha), perchè sembrò improvvisamente piuttosto a disagio.
-Mi scuso per l’inganno, Capitano. E anche con te, agente Romanoff, ma…-
-Beh, non potevi certo dirci che saresti morto e risorto… nemmeno Gesù
è arrivato a tanto.- lo interruppe Natasha, pratica come al solito
-Anche se… perchè non dircelo subito? Perchè aspettare tutto questo
tempo?-
-Ordini di Fury- fu la risposta -Probabilmente si aspettava, o aveva
già avuto informazioni, riguardo gli agenti dell’Hydra infiltrati, e
probabilmente ero il suo piano B-
-Compartimentazione- fu l’unico commento di Steve a tutto ciò,
l’amarezza a malapena celata.
-Ti devo ancora un pugno- fu l’unico commento di Clint, che se ne stava
appoggiato alla parete con le braccia conserte. L’affermazione fece
sollevare le estremità delle labbra dell’uomo in un brevissimo sorriso.
-Vogliamo arrivare al dunque?- tagliò corto il direttore.
-Non ci uniremo a te- dichiarò l’arciere, più diretto delle sue frecce.
-Come?- fu la risposta, evidentemente perplessa, dell’uomo, e Sam non
potè non farsi la stessa domanda.
-Mi hai sentito. Non ci uniremo a te…-
-... a meno che tu non accetti anche il Sergente Barnes- completò
Natasha.
Era decisamente un bene che Tommy e Bucky non fossero ancora arrivati.
***
Come? Coulson non voleva accettare Bucky tra le fila dello SHIELD?
Steve si sentì come se lo avessero appena preso a schiaffi. Non era
possibile.
Bucky aveva dato, letteralmente, la vita per salvare gli Stati Uniti
durante la seconda guerra mondiale. Era stato catturato, e non si era
spezzato. Poi, nonostante i capi dell’esercito avessero deciso di
abbandonarlo ad Azzano, era tornato in servizio, dopo le torture, dopo
tutto quello che aveva passato.
Era precipitato in un dirupo; era stato preso, torturato, gli avevano
fatto un cazzo di lavaggio del cervello e l’avevano trasformato in
un’arma letale. E tutto questo, fondamentalmente, perchè un bel giorno
aveva deciso che era suo dovere arruolarsi per la salvezza del loro
futuro.
E ora, quello stesso governo, sotto forma di un’organizzazione militare
clandestina, lo rifiutava? Forse Natasha aveva ragione, forse non era
tagliato per quel lavoro, ma semplicemente non. Era. Giusto.
***
Sì, Clint sapeva che il piano era quello di parlarne prima di prendere
una decisione, ma, sul serio, c’erano poi decisioni da prendere?
Lui era fermamente convinto che fosse un’ingiustizia. Se lui aveva
avuto diritto a una seconda possibilità dopo New York (anzi, una terza,
se si considerava il suo arruolamento come seconda), perchè non doveva
averla Bucky?
Se era stata concessa a lui, un ladruncolo di strada cresciuto in un
circo, perchè non doveva averla lui, un soldato pluridecorato la cui
unica colpa era stata morire in guerra?
Ovviamente, il voto di Steve sarebbe stato scontato, e probabilmente
anche quello di Sam, che sicuramente avrebbe appoggiato il
supersoldato. Tommy… era Tommy, e non c’era bisogno di aggiungere altro.
L’unica incerta era Natasha, che sicuramente aveva dato delle ottime
motivazioni in sostegno di Coulson, ma Clint era quasi certo che alla
fin della fiera, avrebbe preso la decisione giusta.
E quando l’aveva spalleggiato ne aveva avuto la conferma.
Clint sospirò di sollievo e si staccò dalla parete per affrontare
Coulson faccia a faccia. Phil era decisamente sorpreso dalla piega che
avevano preso gli eventi.
-Come?-
-Ci ha sentito- anche Steve fece un passo avanti. Tutto in lui gridava
il rispetto che provava nei confronti dell’uomo, o per lo meno del suo
grado, ma aveva lo sguardo deciso e testardo tipico di chi non ha
intenzione di smuoversi dalla propria posizione.
-Il Sergente Barnes è stato una vittima dell’Hydra- si intromise anche
Sam, pacato e razionale. Probabilmente era quello che aveva più
speranze di tutti di ottenere un assenso. -E’ un soggetto pericoloso-
Soggetto.
Non criminale.
Non assassino.
Clint riconobbe il protocollo standard delle squadre speciali. Il
centro dell’azione non era mai definito criminale, nemmeno se uccideva
o prendeva ostaggi. Era sempre e comunque un soggetto.
-Senta- sospirò Falcon -Ho lavorato con i veterani, ma sono sicuro che
questo lei lo sappia già- Coulson si limitò a un mezzo sorriso con la
scritta “colpevole” a caratteri cubitali sopra. -Riconosco un disturbo
da stress post traumatico quando ne vedo uno. Il sergente Barnes è un
prigioniero di guerra, non certo un loro complice-
-Ha ucciso più persone di quante riusciamo a contarle - obiettò Phil,
ma se non avesse parlato sarebbe stata la stessa cosa, perchè Sam andò
avanti come se lui non avesse aperto bocca.
-Anche le pistole- fu la replica -Eppure loro non vengono messe sotto
processo. Direttore Coulson, non le chiedo di dargli fiducia
incondizionata, ma, come responsabile del gruppo di supporto dei
Veterani, le chiedo di prendere in considerazione di esaminare almeno
il caso alla luce di una mia perizia-
Nella stanza calò un silenzio colmo di tensione. Perfino Clint stava
pregando affinchè gli venisse data una possibilità.
Phil estrasse un cartoncino dalla tasca e lo porse a Sam.
-Domani. Ore 10:00. Da solo. E non faccia tardi-
Sam si lasciò scappare un sorrisino soddisfatto dei suoi.
-Sissignore-
Phil salutò e uscì proprio nell’istante esatto in cui Natasha
rispondeva a un messaggio di Tommy. Inspiegabilmente, erano appena
atterrati all’aeroporto La Guardia.
A/N: E per
il capitolo 13 è tutto... secondo voi come prenderà la notizia il
nostro Bucky? E Tommy? Quali conseguenze porterà sui nostri amici la
decisione di Phil?
Lasciatemi
un commentino se vi va!
Alla
prossima!
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Capitolo 16 *** no more ***
Personal
Space: sì, ok. Sono imperdonabile. Ma sono tornata...e per restare!
Buona lettura
Capitolo 14: No more.
James capì subito qual’era stata la risposta di
Coulson nel momento stesso in cui guardò Clint negli occhi. Clint, e
non Steve, perchè per quanto lui e Steve fossero stati amici qualcosa
come settant’anni prima, in quel momento era con l’arciere che aveva il
legame più forte.
Non era cattiveria, Dio solo sapeva quanto una parte di lui avrebbe
voluto recuperare il rapporto con Steve, ma era finalmente anche
arrivato alla vera, profonda consapevolezza che tutto quello che Clint
gli aveva detto era vero: anche se il suo nome e la sua faccia erano
ancora quelli di James Barnes, lui non lo era più, non del tutto, per
lo meno. Era una cosa che si era ripetuto spesso, da quando Clint aveva
iniziato a cercare di inculcarglielo in testa, ma solo ora sentiva di
esserne convinto.
Aveva l’opportunità di essere una persona nuova, che usava le proprie
capacità al servizio delle persone innocenti, invece che per uccidere.
E, se ne stava rendendo conto solo ora, non l’avrebbe fatto al servizio
degli Stati Uniti, nè di qualunque altro governo o agenzia segreta o
qualunque altra cosa. No, signore.
Non gli interessava più far parte di qualcosa, e se ne era accorto
perchè mentre Clint e gli altri erano arrabbiati e delusi, lui sentiva
solo sollievo crescere dentro di lui.
Aveva già dato una volta, anzi due, la propria vita per il governo
americano, e ne aveva ottenuto cosa? Niente.
Ora basta.
Non avrebbe più preso ordini. Da nessuno.
Ma non poteva permettere che il mondo perdesse degli ottimi agenti come
Clint, Natasha e gli altri. Se era vero che le organizzazioni statali
erano ormai perse nella corruzione, il rinato SHIELD sembrava posare
sulle spalle di una persona genuina, che aveva a cuore la sicurezza dei
cittadini, ed era di uomini come Clint che aveva bisogno: onesti,
coraggiosi e giusti. Non dei ciechi soldati, ma persone che pensavano,
obiettavano e si ribellavano di fronte alle ingiustizie.
No, non poteva permettere che per causa sua gli Stati Uniti, le persone
per cui aveva dato la vita, perdessero persone come loro.
E poi c’era Steve.
Steve sarebbe andato a fondo con lui se fosse stato necessario, ma a
che pro? L’America aveva bisogno di Capitan America, ora più che mai.
-A che pensi?- la voce di Sam era pacata, ma bastò a distoglierlo dal
turbine di pensieri in cui era entrato.
Si rese conto in quel momento che era da molto che non riusciva a
pensare così lucidamente. Si chiese se fosse o meno un buon segno, ma
si concentrò per rispondere alla domanda. Non era facile mettere ordine
nei propri pensieri ed esprimerli a voce, soprattutto perchè era da
tempo ormai che non era più abituato a fare discorsi. Negli anni
passati da arma, quando doveva parlare lo faceva con frasi secche,
ordini composti da al massimo cinque o sei parole, nessuna delle quali
di sua iniziativa. Aveva la missione da compiere e una serie di ordini
preimpostati tra cui scegliere. Vietato pensare. Quando iniziava a
pensare, la ricompensa era sempre e solo una: ricalibrazione cognitiva
e congelamento.
-Penso… - iniziò, poi esitò, non sapendo da dove cominciare. C’erano
così tante cose che voleva dire, che non sapeva nemmeno da dove
cominciare. Iniziò da quello che gli sembrava più facile - che non
dovreste lasciare lo SHIELD. Nessuno di voi.-
-Non ci rientriamo senza di te- dichiarò Clint, e non per la prima
volta.
-Concordo- gli fece subito eco Steve.
-Io nemmeno-
Solo Natasha e Sam rimasero in silenzio, e James sospirò. Ora veniva la
parte difficile.
-Voi ci rientrate, invece- dichiarò lui, e di fronte alle loro facce,
articolò. -Io non rientrerò in ogni caso. Non farò mai più parte di un
esercito-
-Buck…-
-No, Steve, niente Buck- lo interruppe, reprimendo a stento il brivido
che gli aveva percorso la schiena. Mai interrompere un superiore. Mai
interrompere. Punto. Si fermò per un attimo, irrigidendosi in attesa di
una punizione che però non venne. Ovvio che non sarebbe venuta, non era
più con l’hydra. Forzò il suo corpo a rilassarsi (o meglio a tornare in
quello stato di non tensione estrema) e riprese a parlare. -Non voglio
più farmi controllare. Non voglio più prendere ordini- deglutì, prima
di proseguire -Non voglio più uccidere nessuno, non mi importa se sia
colpevole o innocente. Non toccherò più un’arma-
***
E d’un tratto, Sam si chiese se non avesse solo perso tempo dopo il suo
rientro dal fronte, quando si era messo a studiare psicologia per poter
poi essere d’aiuto ad altri soldati.
Come era possibile che lui, proprio lui, un professionista nel campo
dei reduci, non si fosse accorto che Bucky era arrivato a quel punto di
saturazione oltre il quale subentrava il rifiuto totale della propria
vita precedente. Non solo, ma era anche in quella fase in cui anche il
solo pensiero di prendere di nuovo in mano un’arma lo terrorizzava e lo
disgustava allo stesso tempo.
Non era la prima volta che lo vedeva accadere, e lui stesso, fino al
momento in cui Steve aveva bussato alla sua porta, si era fermamente e
definitivamente ritirato dal servizio attivo.
Non avrebbe sopportato di tornare a combattere, non dopo Riley. Non
senza Riley.
Eppure, nonostante tutto, non si era minimamente reso conto dello stato
di rifiuto in cui si trovava James.
Avevano tutti dato per scontato che volesse unirsi allo SHIELD,
continuare a proteggere gli innocenti come aveva sempre fatto, che
volesse riscattare le proprie colpe rimettendosi al servizio degli
Stati Uniti D’America.
Come avevano potuto non chiedersi se, dopo essere morto, essere stato
catturato dall’Hydra e ridotto a un’arma, se la sentisse ancora di
riprendere, per l’ennesima volta, le difese di chi lo considerava un
pericoloso assassino senza minimamente porsi il problema del perchè
fosse passato dall’essere un eroe di guerra all’essere il terrorista
numero uno al mondo.
Erano tutti quanti stati, in fondo, egoisti, ognuno a modo proprio. No,
non era del tutto vero.
Clint, in fondo, era sempre stato l’unico ad accettare Barnes per
quello che era, residui del Soldato d’Inverno e uomo dalla personalità
frantumata in mille pezzetti di ricordi che affioravano di continuo
senza un vero legame.
Si erano tutti abituati al modo di pensare dei vendicatori, che, nel
bene o nel male, avevano sempre e comunque accettato di scendere in
campo, nonostante quello che gli era stato fatto precedentemente,
compreso essere accusati di tradimento dopo essere stati controllati da
un alieno con manie di protagonismo.
Steve in fondo, e non per cattiveria, rivoleva il suo migliore amico,
qualcuno con cui condividere il ricordo degli anni ‘40, di un mondo che
non era nemmeno l’ombra di quello che era adesso. Rivoleva l’amico che
lo capiva e lo sosteneva, non perchè era Capitan America, ma per
affetto genuino. E quel qualcuno non sarebbe mai stato altri che Bucky.
Sam non si sentiva tradito o messo da parte, era ben cosciente che non
avrebbe mai seguito Steve Rogers se non fosse stato Steve Rogers.
Probabilmente quell’amico era ancora lì, e col tempo sarebbero
sicuramente tornati a condividere le loro esperienze, ma probabilmente
non avrebbero più condiviso un campo di battaglia e, ora che le cose
erano state palesate, tutto era sempre stato davanti ai loro occhi,
semplicemente non avevano voluto vederlo.
***
Per quanto fosse convinto che lo SHIELD avesse appena perso una risorsa
validissima, Clint era fiero della presa di posizione di James.
Per la prima volta, aveva preso una decisione spontanea e in totale
autonomia sulla propria vita, e Clint poteva solo parzialmente capire
quanto fosse liberatorio per lui.
Il giorno che aveva deciso di scappare dal circo insieme a suo fratello
era stato come tornare a respirare, così come il momento in cui aveva
deciso di prendere le armi contro Loki.
E ora, James aveva deciso in totale autonomia, senza chiedere consigli
a nessuno, e senza farsi influenzare dall’entusiasmo altrui, di dire
basta alla vita militare; che fosse solo una cosa momentanea, dovuta
alla delusione e alle vicende passate, o una decisione definitiva, a
Clint al momento non importava. Era solo contento che James stesse
finalmente ricominciando a prendere in mano la propria vita.
Era un piccolo passo, certo, ne era consapevole, ma gli sarebbe
sicuramente servito a riprendere sicurezza in sè stesso e a fargli
capire che loro gli sarebbero stati accanto qualunque cosa avesse
deciso di fare, o almeno così sperava.
Clint si scambiò un’occhiata con Natasha, trovando subito il sostegno
della ragazza nella sua tacita approvazione della decisione, e la
stessa cosa valeva per Tommy.
Sam sembrava volersi prendere a schiaffi da solo, per non riusciva bene
a immaginare quale motivo, mentre Steve… Clint riusciva a vedere
chiaramente la lotta interiore in corso nel cervello di Capitan America.
Non sembrava arrabbiato, ma sicuramente le parole di Bucky l’avevano
preso un po’ di sorpresa, probabilmente perchè ricordava ancora il
giorno in cui aveva risposto con entusiasmo alla chiamata di Capitan
America, dopo che lo aveva liberato dalla prigionia di Azzano; Clint
non gliene faceva una colpa: ricordava ancora bene la faccia di suo
fratello quando gli aveva detto che voleva fermarsi e crearsi una vita
allo SHIELD invece che continuare a vivere di furti su commissione.
Barney non gliel’aveva perdonato.
Gli mancava suo fratello? Ovvio.
Gli dava fastidio quando si presentava alla sua porta chiedendo soldi?
Assolutamente sì.
Tornando indietro, avrebbe preso una decisione diversa? Nemmeno morto.
La verità era che, Barney o no, non si era mai pentito della propria
scelta, e ora era piuttosto fiero del proprio percorso, anche se era
ancora uno sbandato che non era in grado nemmeno di gestire il proprio
frigorifero.
***
Steve era sconvolto.
Mai si sarebbe aspettato una reazione del genere da parte di Bucky. Mai.
Certo, sapeva che James aveva sempre voluto arruolarsi più che altro
per fare un favore a Steve, per guardare le spalle a quel ragazzino
mingherlino che aveva come unico ideale quello di difendere la propria
patria. Sapeva però anche che Bucky non si era mai risparmiato sul
campo di battaglia, non si era mai tirato indietro.
E allora perchè adesso non voleva più saperne?
Poi la verità lo colpì come un fulmine.
Per lo stesso motivo per cui mesi prima aveva confessato a Sam di non
sapere cosa volesse fare della propria vita.
Steve sorrise e fece un passo verso il suo amico.
-Va bene, Bucky- disse - Se questa è la tua decisione, la rispetteremo.
Tutti. Permettici però di aiutarti-
-Ha ragione- intervenne subito anche Clint -lo SHIELD possiede
tecnologie all’avanguardia ed è sempre aggiornato sui nuovi ritrovati
della medicina. Loro ti aiuteranno-
-Potrebbero anche aiutarci a ripulire il tuo nome, Bucky- intervenne
Tommy -Se riusciamo a provare che non eri cosciente durante le tue
azioni, nessuno potrà più giudicarti colpevole delle tue azioni-
***
Tommy teneva molto che il nome di James Barnes fosse riabilitato.
In pochi mesi era passato dall’essere un eroe di guerra a un
supercriminale, un killer professionista colpevoli di innumerevoli
omicidi. Tommy sapeva bene quanto questo genere di cose potessero
impattare sulla reputazione di una persona.
Lui stesso aveva disprezzato profondamente Clint dopo la faccenda di
suo padre, salvo poi doversi ricredere quando l’arciere gli aveva
svelato la verità.
-Grazie, Tommy- rispose Bucky, regalandogli un sorriso storto -Ma sono
pronto ad assumermi la responsabilità delle mie azioni, e a scontare
qualunque pena mi sarà inflitta dal governo-
-In ogni caso, finchè non ti starai stabilizzato non potranno
processarti, questo è sicuro- Sam intervenne al volo. Finalmente un
argomento su cui poteva dire qualcosa. -E’ già successo ai veterani, di
oltrepassare il limite tra legale e illegale… e in caso venga
riconosciuta anche una sola momentanea incapacità mentale, il processo
viene posticipato-
-In parole povere- chiarì Clint - vogliono che ti renda conto della
pena, esatto?-
-Sì… più o meno una cosa del genere-
Tommy sentì nascere un po’ di speranza dentro di sè, e anche un
qualcosa che non sapeva ben definire. Sapeva solo che negli ultimi
giorni aveva imparato a conoscere un po’ meglio il mistero che era
James/Soldato D’Inverno.
Come con Clint, aveva distintamente percepito tutto il rimorso per le
azioni compiute, indipendentemente dal fatto che fossero state compiute
sotto costrizione (a dir poco!) o che non avesse alcuna possibilità di
scelta a riguardo.
Ma c’era dell’altro.
C’era una cosa che Tommy riusciva ad associare soltanto alla paura, per
non dire terrore. Ogni volta che si accingevano a fare qualcosa al di
fuori dell’ordinario (che per due persone in fuga come loro poteva
essere banalmente entrare in un bar a mangiare un boccone o dormire
nascosti in qualche buco nei sobborghi cittadini), leggeva in James un
terrore quasi primordiale, come se temesse che un qualsiasi nuovo
stimolo riattivasse il Soldato d’Inverno in pieno, portandolo a
uccidere Tommy e chiunque cercasse di fermarlo.
Era una cosa che scatenava in Tommy una pena infinita, perchè vedeva
chiaramente come James si muovesse come sulle uova, timoroso di tutto e
tutti.
Ora forse avrebbe avuto la possibilità di essere seguito da
professionisti, di capire come funzionasse la propria mente, e magari
di recuperare la propria identità. E chissà, magari col tempo gli
sarebbe anche tornata la voglia di far parte dello SHIELD, o della
polizia, o qualcosa del genere.
-Per adesso- intervenne Sam interrompendo il corso dei suoi pensieri -
Dobbiamo concentrarci sul mio incontro di domani con Coulson. Da quello
dipenderanno un bel po’ di cose credo-
-Di che parli?- fu la domanda spontanea di Tommy. Cosa c’entrava
Coulson in tutto questo?
-Coulson aveva nettamente riufiutato la possibilità di ammettere Bucky
nello SHIELD, ma Sam è riuscito a convincerlo per lo meno a incontrarlo
da solo, in modo da sottoporgli la propria perizia- spiegò allora
Steve, guardando Tommy e avvicinandosi però a James.
-Ma ora a cosa può servire?- chiese Clint -Non vuole rientrare nello
SHIELD-
-Posso spostare il tiro. Cambiare le richieste- fu l’immediata risposta
di Sam, che in effetti ci stava pensando fin dal momento in cui James
aveva dichiarato di non essere interessato a entrare nello SHIELD, o
negli Avengers per quanto ne potevano sapere. -Posso chiedere che ti
venga data la possibilità di riabilitazione, in modo da poter stabilire
a tutti gli effetti in che entità possa essere ritenuto responsabile
delle tue azioni e di conseguenza, la gravità e le imputazioni di un
eventuale processo- specificò quando l’attenzione del Soldato si
spostò su di lui.
***
James si limitò ad annuire, incerto su cosa dire.
Non riusciva a permettersi di sperare di liberarsi degli istinti del
Soldato d’Inverno, di poter vivere una vita normale una volta espiate
le proprie colpe.
Certo, probabilmente non avrebbe mai avuto una vita normale nel vero e
proprio senso della parola. Sarebbe sempre stato un soldato potenziato,
con tutto ciò che ne derivava, e la gente l’avrebbe sempre visto con
sospetto, almeno finchè non si fosse convinta della sua non
pericolosità. James, vedendo Natasha, iniziava a capire che ciò non
sarebbe avvenuto solo con un’eventuale assoluzione agli occhi della
legge. Cavolo, Natasha aveva salvato il mondo almeno un paio di volte
(almeno per quel che ne sapeva lui), e non sapeva quante vite aveva
contribuito a salvare con il suo lavoro per lo SHIELD, eppure dopo i
fatti di Washington non avevano esistato a puntarle il dito contro e ad
accusarla di tradimento, riportando alla luce tutto il suo passato di
spia russa.
Quindi, non si aspettava certo un bentornato, o una vita con un lavoro
normale, senza contare che aveva ucciso i genitori di uno dei
personaggi preferiti dagli americani, che ora gli dava la caccia senza
tregua. Anche questo non avrebbe aiutato.
Nonostante tutto, si sarebbe anche solo accontentato di non essere più
un fuggitivo. Anche una vita da recluso era pur sempre meglio di quella
che aveva vissuto finora.
-Bucky?- chiese alla fine Steve, forse preoccupato dal suo silenzio.
-Va… bene- riuscì ad articolare, prima di seguire Sam in una stanza
separata.
***
Per poter fare una perizia, Sam non poteva e non voleva basarsi solo
sul comportamento avuto in Italia, ma voleva indagare un po’ più a
fondo sulle condizioni di James, e non poteva certo farlo in una stanza
dove almeno due persone sarebbero saltate in piedi al minimo accenno di
domanda scomoda.
Aveva paura di finire con l’osso del collo spezzato a metà intervista?
Abbastanza, ma se non altro quello avrebbe dato una chiara risposta ai
dubbi di Coulson.
Credeva che sarebbe finito con l’osso del collo spezzato a metà
intervista?
Probabilmente no.
Sam, per quel che aveva visto, confidava nella voglia di James di
redimersi, o per lo meno di evitare di far del male ad altra gente. E,
soprattutto, aveva un disperato bisogno di non sentirsi una minaccia,
di questo Sam era certo fin dai primi momenti in cui lui e il soldato
si erano ritrovati nella stessa stanza: tutto nel linguaggio del corpo
gridava alla resa, al non voler far del male, al di là degli episodi
nella casa sicura, quando James si liberava di ogni possibile arma
contundente nel momento in cui lui o Natasha entravano nella stanza in
cui si trovava.
Sam invitò James a mettersi comodo, e il soldato obbedì sendendosi a
terra, con una gamba ripiegata col ginocchio che quasi toccava il mento
e l’altra ripiegata sotto di essa, a formare una L.
L’ex pararescue si sedette invece sul letto, con un quaderno recuperato
poco prima appoggiato su un ginocchio e una matita con cui stava
giocherellando quasi distrattamente tra le mani.
Si prese un momento, lasciando al soldato il tempo di calmarsi, e
radunando allo stesso tempo le idee. Aveva qualche domanda da fare, e
non voleva turbarlo più di quanto fosse necessario.
Personal Space: non ho molto da
dire... la storia volge verso la fine... fine che è già scritta... e il
3 capitolo della saga è in corso... io ve lo dico...
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