La recluta di DalamarF16 (/viewuser.php?uid=98962)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nello spogliatoio ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Il passato che ritorna ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: incontri ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: home ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5: missioni ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6: ricordi ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7: La verità ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8: Mistero ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9: Natasha ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10: notti tormentate ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11: qualcosa di reale ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12: rapporti ***
Capitolo 13: *** Capitolo 14: Debole? ***
Capitolo 14: *** Capitolo 15: Routine ***
Capitolo 15: *** Capitolo 16: Lavora per me ***
Capitolo 16: *** Capitolo 17: uniti ***
Capitolo 17: *** CApitolo 18: avviso! ***
Capitolo 18: *** Capitolo 19: trattiamo ***
Capitolo 19: *** Capitolo 20: tieni duro! ***
Capitolo 20: *** Capitolo 21: via di qui ***
Capitolo 21: *** Capitolo 22: Chi sono? ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22: nuovi occhi ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23: nuovi inizi ***
Capitolo 24: *** Avviso 2: SEQUEL ***
Capitolo 1 *** Nello spogliatoio ***
Personal
Space: Ciao a tutti e a tutte! Eccomi qui con una nuova fanfic, nuova
per chi avesse già letto qualcosa di mio, ma è la prima a tema
Avengers/clint Barton o come preferite chiamarla...dunque che dire...vi
lascio il primo capitolo...spero vi piaccia e che qualcuno mi faccia
sapere le proprie opinioni!
Buona
lettura!!!
Se c'era una cosa che Clint odiava con tutto il cuore erano le reclute.
Le aveva sempre odiate. Ancora di più da dopo New York, quando si era
ritrovato a combattere una guerra disperata per salvare il mondo. La
missione brillantemente compiuta, con tanto di sventato attacco
nucleare sulla città, gli aveva dato una popolarità inedita allo
SHIELD. Non era più Clint Barton, quello strano che usava un arco al
posto di un bel fucile di precisione (come il classico M40 in dotazione
ai marines, o a un ben più efficace M95 calibro .50BMG silenziato e con
una precisione che arrivava fino ai 1500m) e con una mira infallibile.
Ora era Clint Barton, o Occhio di Falco se preferite, l'eroe . Colui
che con Iron Man, Captain America e gli altri, forte solo del suo
mitico arco (sì ora non era nemmeno più quello strano che usava un'arma
ridicola come l'arco) aveva sconfitto Loki e fermato l'invasione aliena.
Quello che gli altri non sapevano però, poichè per ovvi motivi di
immagine non era stato divulgato al pubblico, era che era stato lui a
fornire a Loki i mezzi per dare il via a quell'invasione. Lui aveva
tradito lo SHIELD, gli amici, i colleghi. Lui aveva ucciso innocenti
per arrivare all'obbiettivo del semidio, o quel che era, asgardiano.
Lui aveva liberato Loki dopo la cattura.
Lui aveva, di fatto, ucciso Coulson.
Ma questo quelle stupide reclute non lo sapevano.
Non lo sapevano, e lo ammiravano, quasi lo veneravano.
E più lo facevano, più lui si detestava.
Per questo cercava di evitarle.
Evitare tutti i colleghi non era possibile, il suo lavoro era pur
sempre allo SHIELD, ma alcuni di loro, fortunatamente, provavano solo
invidia per lui, per l'occasione che gli era capitata tra le mani, e
quindi erano loro ad evitare lui. E a lui stava bene così.
Se solo sapessero che invidiavano un traditore!
"Non darti colpe che non hai. Non sei
stato tu. E' stato Loki"
Le parole di Natasha, quel giorno, lo avevano rassicurato sul momento.
Erano vere.
Quando Loki lo aveva toccato col suo scettro, era stato come se ogni
neurone responsabile del libero arbitrio, della coscienza, del
pensiero, gli fossero stati spenti. Come un improvviso blackout.
Sapeva chi era, come si chiamava. Ma era il soldato perfetto, eseguiva
gli ordini senza farsi domande, senza esitazioni. Loki era il suo re, e
lui era un suo uomo.
Ma allo stesso tempo, non servivano a rassicurarlo, a calmarlo. A
dargli pace.
"Non siamo stati addestrati per
questo. Qui si tratta di magia..."
Altre parole, altrettanto vere, altrettanto inutili.
-Dieci dollari per i tuoi pensieri-
La voce di Narasha questa volta proveniva dall'esterno, dalla sua
destra nello specifico.
-Non era un penny una volta?- le chiese con un lieve sorriso sulle
labbra mentre la donna prendeva posto accanto a lui sulla panchina
dello spogliatoio maschile
-Con quell'espressione sul tuo volto? A chiederti 10 dollari ci sto già
rimettendo, contando che dovrò farti da psicologa-
La colpì piano con una gomitata, ridendo. Ma era una risata triste,
anche se spontanea. 'Tasha sapeva sempre farlo sorridere. Sempre.
-Pensavo...-
-Ok, 20 dollari-
-Nat...-
-Scusa-
Quando l'aveva visto seduto da solo nello spogliatoio, la sua postura
le aveva detto tutto ciò che aveva bisogno di sapere.
Da New York, Clint si era chiuso in sè stesso. Gli Avengers si erano
dispersi, ognuno impegnato in progetti personali, in altri mondi o in
altre missioni dello SHIELD. L'arciere non era mai stato uno molto
aperto. Certo, era allegro e sempre con la battuta pronta, sempre
disposto a una birra con i colleghi, ma non aveva molti amici. Anzi,
nessuno. Esclusa lei, forse.
Non era certa di poter definire amicizia il loro rapporto. Erano due
esseri umani, che si erano conosciuti in circostanze a dir poco
roccambolesche, entrambi con un passato di cui non avevano troppa
voglia di parlare; entrambi mai stati bambini, catapultati troppo
presto in un mondo dove l'alternativa alla sopravvivenza era la morte
certa. Entrambi un po' in difficoltà di fronte alle vite normali, o
quasi, delle persone che li circondavano.
Lui non faceva domande, e lei altrettanto.
La loro complicità era nata di conseguenza.
Se erano andati a letto insieme? Ovviamente.
Avevano avuto una relazione? No, almeno non nel senso classico del
termine.
Qualunque cosa fosse, il loro legame era indissolubile, ed era stato
quello che l'aveva spinta ad affrontarlo quel giorno, ad andarlo a
cercare con l'unico scopo di salvarlo, o morire nell'impresa.
Perchè in Clint c'era una bontà d'animo nascosta nel profondo, una
purezza sopravvissuta a tutte le sofferenze e le azioni (non sempre
lodevoli) commesse che lei non voleva venisse intaccata.
Una bontà d'animo che ora lo stava tormentando.
Lo aveva saputo prima ancora che lui aprisse bocca, interrompendo la
sua bonaria presa in giro.
-Che cosa ti tormenta, Clint?-
Ma anche ora, non aveva davvero bisogno di sentire le parole uscire
dalla sua bocca per sapere la risposta.
Aveva notato che ultimamente cercava di evitare la compagnia di
chiunque, che le pause caffè erano drasticamente diminuite e limitate
ai momenti in cui nessun altro era alla macchinetta.
-Tutti mi credono un eroe. Ma quale eroe? Sono io la causa di tutto. Io
che ho permesso a Loki di aprire quel portale. Io che l'ho fatto
arrivare alla Stark Tower...
-...Tu che non hai esistato un secondo a rimetterti in piedi, a salire
su un jet e ad abbattere alieni a suon di frecciate. Tu a coordinarci,
a dire dove andare per fare il più danni possibile. Tu ad aver
atterrato Loki-
-Nat...-
-No, ascoltami. E' vero. Hai tradito. Hai aiutato quel megalomane. Ma
sei anche tu che non hai esitato a salvare la città, a cercare di
riparare a quello che avevi fatto mentre un semidio aveva usato il suo
potere su di te per farti obbedire a ogni suo ordine. Quei ragazzi
fanno bene ad ammirarti-
Le sue parole erano tutte vere. Senza ombra di dubbio. E infatti non
sapeva cosa risponderle.
Di fronte alle affermazioni di Natasha, i suoi sensi di colpa, quel
peso che gli attanagliava il petto ormai da settimane, sembravano senza
senso.
Ma la sensazione non era mai troppo duratura.
-Devo andare- disse alzandosi -Le reclute mi aspettano-
Natasha si alzò insieme a lui, accompagnandolo alla porta dello
spogliatoio.
-Se vuoi vengo io a metterti al tappeto...la smetterebbero subito di
idolatrarti-
Clint rise di nuovo, dandole una spinta giocosa, il buon umore
recuperato.
Ma ci sarebbe voluto del tempo prima che il suo cervello si decidesse a
credere davvero alle parole dell'amica.
Si separarono all'ingresso del grande hangar che fungeva da campo delle
esercitazioni di tiro.
Clint fece un bel respiro e aprì la porta, entrando a testa alta.
Una quindicina di ragazzi lo stavano aspettando,
-Salve a tutti. Sono l'agente Barton-
Le reazioni dei ragazzi non gli furono nuove, ormai ci era abituato.
C'era chi rischiava il collasso, chi strabuzzava gli occhi, qualche
ragazzina a cui si accendevano gli ormoni e tirava degli urletti da fan
isterica (le reazioni peggiori a suo parere, se non altro perchè
avevano la straordinaria capacità di irritarlo a morte), chi alzava la
mano e iniziava a tempestarlo di domande.
Niente di nuovo sotto il sole anche questa volta.
Esaurite le chiacchiere di rito, li mise subito al lavoro.
PERSONAL
SPACE PARTE II: eccoci a fine capitolo. Non si capisce nulla? Sì e
vero. L'ho scritto di getto, senza pensarci veramente. La trama al
momento è vaga anche nella mia testa, ma questo è abbastanza normale XD
Per ora ho voluto solo chiarire da dove voglio partire. Da qui. Da
Clint e da quello che può sentire a mente fredda dopo gli avvenimenti
di New York. Per ora non è un Clintasha, e non penso lo sarà, ma il
legame tra i due non è ignorabile, e pur non essendo una coppia,
sicuramente i due saranno motlo vicini anche qui...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Capitolo 2: Il passato che ritorna ***
capitolo 2
PERSONAL SPACE: Eccomi di nuovo
qui! Nessuno ha commentato e i casi son due, o è talmente bella che
siete rimasti senza parole ( cosa di cui non sono convinta nemmeno un
po', giusto perchè lo sappiate) oppure vi ha fatto talmente schifo che
non avete il coraggio di dirmelo (io scommetto su questa seconda
ipotesi...). Però voglio ringraziare MUMMA, che ha inserito questa
cosina nelle seguite, spero continuerai a farlo!
Per il resto...vi lascio al
secondo capitolo, spero vi piaccia e che abbiate il coraggio di
recensire, così giusto per farmi sapere cosa ne pensate!
CAPITOLO 2: IL PASSATO CHE RITORNA
Non sapeva perchè, ma dopo che lui aveva
messo piede nell'hangar, lei non se ne era andata.
O forse lo sapeva.
Voleva assicurarsi che stesse davvero bene.
Istinto di protezione.
Da quando si erano conosciuti, i due
avevano sempre sentito il bisogno di guardarsi le spalle, di
proteggersi e aiutarsi. Così, quando l'aveva visto avviarsi verso il
gruppetto di ragazzini in attesa dell'istruttore del giorno, aveva
notato una lieve rigidezza nella camminata, nella postura, che l'aveva
messa sul chi va là. Nessun altro se ne sarebbe accorto, ma lei non era
certo tipo da farsi sfuggire certi dettagli. Per questo non
l'aveva abbandonato.
Natasha uscì dalla porta dell'hangar, per
poi salire rapida e silenziosa dalla scala della manutenzione e
rientrare, non vista, sedendosi su uno dei grossi tralicci che
sorreggevano l'impianto di illuminazione dell'immenso capannone.
Non era preoccupata di una possibile
caduta: lei aveva un equilibrio eccellente, ed era certa che
quell'impalcatura sospesa, ancorata solo alle pareti laterali e fissata
al soffitto con cavi d'acciaio, non avesse problemi a reggere i suoi
50kg scarsi di peso. Era progettata per permettere la manutenzione
delle luci, e i tecnici dello SHIELD erano ben più pesanti di lei.
Guardò svariati metri più in basso, dove un
Clint molto piccolo stava tenendo una lezione teorica sulle armi e il
modo corretto di usarle.
L'acustica del locale fece sì che la voce
dell'amico arrivasse, sebbene distorta da un rimbombo quasi fastidioso,
fino a lei.
-Un'arma da fuoco non è un giocattolo-
stava dicendo l'uomo, probabilmente a delle reclute che stavano vedendo
per la prima volta un'arma reale dal vivo -Per questo è importante che
la canna sia sempre rivolta verso il basso e con la sicura inserita.
Non puntatela mai contro qualcuno, nemmeno per gioco, e nemmeno con la
sicura inserita. Uno scherzo di può trasformare in tragedia in pochi
istanti-
"Esagerato" non potè fare a meno di pensare
la donna, mentre continuava ad ascoltarlo.
Con abilità Clint aveva appena smontato
l'arma, una Beretta 9mm, dotazione standard di tutti gli agendi dello
SHIELD, illustrandone dettagliatamente ogni parte, sottolineando
l'importanza di tenerla sempre in buono stato-
Lascio che la voce dell'amico sfumasse,
mentre i suoi ricordi tornavano indietro di parecchi anni.
Bovisa,
quartiere periferico di Milano, Italia.
Fingersi una
studentessa straniera in Erasmus non le era stato facile. Il grande
Politecnico di Milano, che ospitava una quantità di ingegnerie che mai
avrebbe pensato che potessero esistere, aveva il dipartimento di
Aerospazio alla sua sede più periferica, quella di Bovisa, situata in
una zona industriale.
Aveva sperato di
trovarsi in un ambiente più grande, con migliaia di studenti, dove
nessuno avrebbe fatto caso a lei, una ragazza russa che aveva deciso di
trascorrere un anno di studi all'estero.
Invece si era ritrovata
in quella dannatissima Bovisa, in un posto isolato nel mondo, lontano
dalla metropoli a tal punto da non essere collegata con la
metropolitana.
Nel polo di Bovisa, le
ingegnerie erano poche, Aerospaziale, Meccanica, Energetica e
Gestionale. Gran parte dello spazio era dedicata a capannoni dove si
svolgevano attività di ricerca e sperimentali, per lo più su velivoli
ed elicotteri.In più in un
dipartimento dove non è che le ragazze fossero
proprio merce comune, soprattutto quelle carine come lei (sì era
conscia di essere decisamente una bella ragazza), e si era subito
trovata circondata da ragazzi pronti ad aiutarla ad ambientarsi.
L'ideale no?
La sua missione era quella
di infiltrarsi e rubare informazioni su un progetto che il governo
americano stava portando avanti da qualche anno, ma che solo adesso era
diventato abbastanza concreto da impensierire i russi.
Alla schermatura
mimetica ci erano arrivati già da anni, ma la vera novità constava di
un nuovo motore ultrasilenzioso, che avrebbe di fatto concesso agli
americani di avvicinarsi e attaccare senza essere intercettati.
E data la sua giovane
età, quale copertura migliore del fingersi una studentessa straniera?
Si era quindi iscritta
al terzo anno di Aerospaziale (dopo essere stata indottrinata per
essere alla pari), e aveva iniziato a seguire le lezioni, che si erano,
tra l'altro, rivelate più interessanti di ogni sua più rosea
previsione. L'obiettivo era colui che, stando alle loro informazioni,
era uno dei pezzi grossi del progetto, in collaborazione con le
migliori aziende del territorio italiano in materia di aerospazio e il
governo USA, ovviamente, e che il caso (o meglio un oculata scelta
dell'identità di copertura) aveva voluto fosse non solo il suo
professore di Analisi di missioni spaziali, ma anche colui che la stava
seguendo passo passo nella sua integrazione nell'ateneo italiano.
Il professor Mandelli
sembrava un individuo comune. Alto, sulla cinquantina, ben piazzato ma
non grasso.
L'idea era quella di
sfruttare il vecchio clichè della donna a ingegneria, ma aveva capito
subito che un bel paio di tette e qualche scollatura con lui non
bastavano. Aveva visto ragazze cercare questo approccio venire
congedate con tanto di gesto di sdegno.
Ovviamente l'unico
incorruttibile con le sue doti di natura capitava a lei. Un classico.
Quindi aveva deciso di
sfruttare al massimo il fatto che lui fosse il suo tutor, chiedendogli
almeno un appuntamento a settimana con le scuse più varie: chiarimenti
sull'ultima lezione, un consiglio su qualche lettura per migliorare il
suo italiano, un pianto di nostalgia verso la sua famiglia tanto
lontana in Russia.
E contro ogni sua
aspettativa, la tristezza aveva messo in moto qualcosa. Quell'uomo
aveva un istinto paterno incredibile. Gli era bastato vederla in quello
stato per portarla a casa sua a cena, insieme alla moglie e ai figli
(di cui la maggiore aveva pressapoco l'età di Natasha) nel tentativo di
distrarla e sollevarle il morale.
Il tutto senza mai, MAI
fare un solo, misero, tentativo di sedurla.
Una cosa che le era a
dir poco inedita.
Da lì, il passo era
stato breve. Lui l'aveva presa sotto la sua ala protettrice, e lei
aveva iniziato a tessere la sua tela. Era spesso a cena da lui, era
diventata amica della figlia, che frequentava architettura, sempre al
Politecnico, sempre a Bovisa, con cui passava spesso le pause e pranzo
e i weekend (ogni invito era buono per spiare in casa dell'uomo).
Ci erano voluti pochi
mesi per capire che il professor Mandelli non aveva la più pallida idea
di quello che stava progettando. Lui era convinto di stare disegnando
pale di elicotteri meno rumorose per una questione di inquinamento
acustico, ma niente di più. Quello che lei aveva riconosciuto subito
come il vice direttore della CIA, per lui era solo un ingegnere
americano mandato da una società statutinense, la Aeroshuttle Inc., a
controllare l'avanzamento del progetto.
Come aveva fatto
rapporto, nello stesso giorno le arrivò l'ordine di ucciderlo, insieme
alla sua famiglia, e farlo sembrare un incidente.
Ovvio che finisse così.
Lui ormai l'aveva vista in faccia, e non avrebbe avuto esitazioni a
riconoscerla in un futuro. La stessa cosa poteva dirsi di Michela, la
figlia, con cui era arrivata anche a confidarsi su cose parecchio
intime, che avevano creato con poche difficoltà alla spia, che non era
una campionessa di socializzazione.
E così si era messa al
lavoro, pronta a eseguire l'ennesimo ordine senza discutere. Non
provava rimorso. Non a livello cosciente almeno. Quello era il suo
lavoro, ed era la sua vita contro la loro.
Quindi quella notte si
era messa all'opera. Era venerdì e l'indomani l'ingegnere e la sua
famiglia sarebbero partiti per un weekend in montagna, insieme ad
Aliona (alias Natasha), per due giorni di libertà e divertimento.
Si draiò sotto l'auto,
completamente al buio, solo una penna-torcia a illuminare il fondo
della Ford Focus. Era stata attentissima, ed era sicura che nessuno
l'avesse vista. Per questo sussultò quando una voce maschile le arrivò
in poco più che un sussurro.
-Vuoi farlo davvero?
Dopo tutto quello che hanno fatto per te?-
La sorpresa la fece
sobbalzare, mandandola a colpire la scocca con la fronte. Ahio.
-Non devi farlo se non
vuoi...- di nuovo la voce le parlò.
Non rispondergli, si
disse, ignoralo e stai al coperto. Non. Deve. Vederti. E trova un modo
per ucciderlo, già che ci sei.
-Non puoi uccidermi, se
lo fai, addio incidente...-
-Posso sempre infilarti
nel bagagaglio- risposte istintivamente. Che cazzo fai?
-Natalia. Sei morta
comunque-
Che? Cosa? Conosceva il
suo nome?
-Sei stata scoperta due
mesi fa- proseguì la voce -Da allora cercano di ucciderti, a volte
sfuggi per la tua buona stella, a volte perchè, modestamente, ci sono
io a pararti il culo-
-Sì certo...a chi la
racconti?-
-Natalia. Ti sto
dicendo la verità. Esci da lì-
Spinta da una forza
sconosciuta, lei, che non si fidava di nessuno, decise di fidarsi di
quella voce e uscire. L'uomo che le si parò davanti era sulla trentina,
aveva i capelli corti e portava occhiali da sole (???) nonostante fosse
piena notte. E sulle spalle aveva....una faretra? Le tese una mano, che
lei rifiutò categoricamente, mettendosi in piedi da sola.
-Cosa...- cominciò, ma
lui le mise un dito sulle labbra e le mostrò un cellulare.
Era una ripresa video.
Era lei, al politecnico, nel dipartimento di spazio. Aula L09. Fece due
calcoli, il video era di due giorni prima, lo stesso giorno dell'arrivo
dell'ordine di omicidio di Mandelli.
La ripresa era fatta
dall'alto, forse, anzi sicuramente, dal tetto del palazzo che ospitava
il bar dove aveva preso l'abitudine di fare colazionea al mattino. La
ripresa zoomò sul palazzo alla sinistra dell'edificio dove era
collocata la sua aula. Era un posto che sempre aveva pensato ottimo per
posizionare un cecchino. E non venne tradita.
Un uomo con un fucile
di precisione era appostato e puntava proprio verso la classe. Verso di
lei. O verso Mandelli. No. Scartò quell'ipotesi. L'ordine di terminare
il professore era arrivato a lei. E lei era la migliore. Nessuno
che avesse un po' di sale in zucca avrebbe mandato un altro dopo averle
assegnato il lavoro.
-Questo non prova che
siano i miei a volermi uccidere-
-Guarda meglio-
Non aveva avuto bisogno
di dirle cosa guardare meglio. Il cecchino vestiva di grigio, quasi
perfettamente mimetizzato con il cemento del terrazzino su cui era
appostato, e portava un passamontagna. L'attenzione di Natasha,
Natalia, si focalizzò sul fucile. Un SVD Dragunov. Fabbricazione russa.
Gettata 800m, caricatore da 10 colpi. Non utilizzato dalle forze
americane.
Quello non era il solo
video. Gliene mostrò altri ancora, in tutti la stessa scena. Ma perchè
ucciderla prima che uccidesse il suo obbiettivo? Che senso aveva?
A meno che...
La realtà la colpì come
un macigno, togliendole il fiato. Era una distrazione. Non volevano che
lo terminasse perchè era un possibile pericolo. Lui era solo l'esca, la
distrazione per permettere loro di colpirla.
-Ho eliminato tutti i
cecchini, compreso quello di stasera- Con il pollice lo sconosciuto
indicò la casa antistante quella del professore.
Ma lei non lo stava più
ascoltando. Se i suoi la volevano morta...che cosa restava di lei?
-Natalia..- il tono di
lui le fece capire che aveva detto qualcosa che lei si era
completamente persa. -Dobbiamo andare. Ora-
Non sapeva perchè, ma
lo seguì. Chi era questo sconosciuto armato di arco e frecce? E
perchè la stava proteggendo?
-E mi raccomando- la voce di Clint dal
basso la riportò al presente. Stava congedando i ragazzi, dandogli
appuntamento al giorno successivo per la prossima lezione, pratica
questa volta, sulle armi da fuoco -attenti ai ragni, si nascondono
ovunque in questa base operativa-
Natasha non potè fare a meno di
sogghignare, sentendo appena il fastidio di essere stata scoperta, e
attese che l'ultimo studente fosse uscito prima di calarsi a terra con
un salto acrobatico.
All'inizio non era certo della sua
presenza, ma poi si era mossa, e la luce aveva colpito per un attimo il
suo stivale.
Natasha.
Avrebbe dovuto saperlo che, dopo averlo
visto in quello stato, non l'avrebbe mai lasciato solo. Per lo meno
aveva avuto il buon senso di non stenderlo come si era offerta di fare.
Non riusciva a essere stizzito dal fatto
che lei lo spiasse, avrebbe dovuto esserlo, ma proprio non ci riusciva.
Anzi, questo gli fece pensare di essere messo peggio di quanto
pensasse, se la russa arrivava a invadere così i suoi spazi.
Chiuse la porta e si volse a guardarla
mentre scendeva armoniosamente a terra. Un salto perfetto, che avrebbe
fatto invidia ai migliori acrobati del circo dove aveva lavorato e si
era formato da bambino.
-Soddisfatta dalla lezione?-
-Troppo disprezzo verso le armi da fuoco,
signor Arciere-
Clint sogghignò. Non poteva farci nulla.
Per lui non c'era niente di più armonioso ed elegante di una freccia
tirata con precisione millimetrica.
Le armi da fuoco avevano i loro
indiscutibili vantaggi, tra cui il minor ingombro e la minor
delicatezza, ma niente poteva distorglierlo dal primo amore.
Lei gli sorrise di rimando, e tra loro calò
un silenzio rilassato.
Clint all'improvviso si rese conto che
quella sera non aveva voglia di restare da solo. Odiava ammetterlo
perfino con sè stesso, ma aveva paura. Gli incubi, le immagini di quei
giorni di schiavitù gli tornavano alla mente non appena si stendeva a
letto. Non importava se fosse esausto, ubriaco, o riposato. Quei
frammenti di memoria tornavano inesorabilmente a tormentarlo, vividi
come se li stesse vivendo in quei momenti.
Non sapeva se era il residuo del potere di
Loki o solo il suo senso di colpa. Sapeva solo che ogni volta gli
sembrava di impazzire. Non dormiva bene da non ricordava nemmeno lui
quando (no atterrare il semidio non l'aveva aiutato a dormire meglio
come immaginava), e non era raro che uscisse da quelle visioni con
brividi e ricoperto di sudore freddo. E nemmeno che vomitasse la cena.
-Pizza da me?- le propose
-Va bene. Ma il film lo porto io-
-No no no ti prego...un altro dei tuoi
mattoni non lo sopporterei-
-Troppo tardi, Barton. Tu hai scelto la
cena. Io scelgo il film- replicò la donna mentre già si allontanava
verso lo spogliatoio.
Clint alzò gli occhi al cielo, prevedendo
l'ennesimo mattone filosofico che l'amica gli avrebbe propinato quella
sera, poi si fece una doccia e andò a casa, comunque lieto che lei
avesse capito il suo bisogno di compagnia...
-Perchè mi stai
proteggendo?-
La domanda l'aveva
colto all'improvviso, spingendolo a farsela a sua volta. Già. Perchè?
Lei era la sua missione. Lui doveva tenerla d'occhio, capire cosa stava
cercando, e successivamente tenderle una trappola, dove lui e i suoi
colleghi l'avrebbero uccisa una buona volta.
Natalia Romanova aveva
dato del filo da torcere a tutti, nessun agente era riuscito anche solo
a metterla in difficoltà, non parliamo poi di ucciderla.
Quindi si era deciso
per un agguato.
Ma quando l'aveva
vista, vista davvero, non aveva avuto il coraggio di portare a termine
quella missione.
Perchè lui era convinto
che la ragazza che aveva fatto amicizia con Vanessa Mandelli fosse la
VERA Natalia, non l'assassina spietata, la spia perfetta che era stata
addestrata a essere.
Nei suoi occhi, quando
chiacchierava spensierata, aveva visto il desiderio di una vita normale
attraversarla. Conosceva la luce che regalava allo sguardo. Lo aveva
visto nei suoi stessi occhi ogni volta che vedeva i bambini al circo.
Lui a 13 anni scarsi
era già una star, era già Occhio di Falco. Con l'arco, o con i
coltelli, non sbagliava un tiro. Era l'orgoglio del direttore (quando
non lo faceva pestare a sangue) decantare le sue doti.
Tutti quei bambini con
una vita normale lo invidiavano, avrebbero voluto essere lui.
Non sapevano che lui
avrebbe dato ogni cosa per un quarto d'ora della loro vita.
Aveva deciso
all'istante di toglierla da quella vita, e l'occasione gli si era
presentata quando erano stati inviati i primi cecchini. Li aveva
abbattuti ancora prima che si rendessero conto di cosa era successo.
Ed era uscito allo
scoperto prima che facesse qualcosa che avrebbe rimpianto per tutta la
vita.
-Credi nelle seconde
possibilità?-
-No-
-Bene, perchè te ne sto
offrendo una-
PERSONAL SPACE: PARTE II: Eccomi
qui, alla fine del secondo capitolo, che spero vi sia piaciuto. Ho
scelto una location un po' particolare per l'incontro tra Clint e
Natasha, ma volevo che fosse ambientato in un posto che conosco...e
ahimè vedo più la triste sede del poli che casa mia ;( ;(
Niente, spero vi sia piaciuto, e
che continuerete a leggermi...e ah se volete recensire io non mi
offendo eh! :)
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Capitolo 3: incontri ***
PERSONAL SPACE: Rieccomiiiii!!!!
Sono esaltatissima perchè hanno dato l'ufficialità della quarta
stagione di Sherlock, cosa di cui non vi fregherà sicuramente nulla, ma
io amo profondamente la serie e questo mi lascia molto pimpante...però
va bè, sherlock qui dentro non c'entra...indi per cui... GRAZIE a
GINGER e ALEXISSLYTERIN, che mi hanno recensita...mi fa davvero piacere
che state apprezzando questa fanfiction e spero continuerete a seguirmi!
Bando alle ciance e... buona
lettura! Ci si rilegge in fondo!
CAPITOLO 3: Incontri
Natalia se ne era andata. Aveva
ignorato la sua offerta di una seconda possibilità e si era dileguata
nell'oscurità, chissà dove.
Ed era toccato a lui trovare una
scusa per averla persa. Gli era costato una bella lavata di capo da
parte di Fury, ma tutto sommato se l'era cavata con poco: la Vedova
Nera non era oggettivamente un bersaglio facile da gestire, e Clint non
era il primo a cui era sfuggita dalle mani. Anche se non tutti avevano
le capacità dell'arciere.
Di lei non aveva saputo più niente
per qualche anno, fino a quando non si era letteralmente trovato con la
lingua di lei nella sua bocca alla Grand Central Station di New York,
qualche mese dopo.
Good Bye Lenin le sembrava una
scelta azzeccata. Un bel film non troppo pesante sulla caduta del muro
di Berlino.
Poi però pensò anche a Clint, e decise, per una volta, di accontentare
l'amico, almeno in parte. Visto il suo stato d'animo, quasi se lo
meritava.
Si spostò nella sezione dei film d'azione, guardando orde di titoli che
per lei erano uno meno significativo dell'altro. Sospirò, meditando
quasi quasi di chiudere gli occhi e prenderne uno a caso. O di chiedere
aiuto a quel commesso che non riusciva a togliere gli occhi dal suo
fondoschiena.
-Non ti facevo da film d'azione-
La voce la fece sobbalzare, non tanto per averla presa di sorpresa, ma
quanto per averne riconosciuto subito il proprietario.
-Non ti facevo da videonoleggio. Almeno sai come si usa un lettore dvd?-
Steve Rogers fece una risata divertita. Sì salvare il mondo ti
autorizzava a prendere per i fondelli Capitan America.
-Touchè- rispose avvicinandosi a lei.
Non si vedevano dalla mega mangiata di Shawarma a cui Tony Stark li
aveva obbligati post salvataggio del mondo, riunione a cui Clint non
aveva potuto partecipare, ricoverato all'ospedale dello SHIELD per
controlli, analisi e test sui possibili postumi che il controllo di
Loki avrebbe potuto lasciare su di lui. -Sei riuscita a digerire quella
roba dopo?- le chiese
-Sì...con qualche litro di Vodka- rispose -cercavo un film per
accontentare Barton, ma per me è arabo questa roba. Siamo agenti
segreti, la nostra vita è già abbastanza piena di azione...che cosa ci
troverà mai in questi agglomerati di effetti speciali...-
-Come sta l'agente Barton?-
Tutti naturalmente sapevano che lei e Clint erano molto uniti, quasi
come fratelli
-Sta bene... qualche senso di colpa di troppo, ma si riprenderà. Presto
tornerà sul campo, credo-
-Non deve sentirsi in colpa. Di quello che ha fatto non era
responsabile, e con le sue azioni si è già fatto più che perdonare-
-Dillo a lui- rispose la donna.
Il pensiero di Cap era quello che cercava di inculcare nella testa
dell'amico da quasi due settimane, ma senza risultati. E se quella sera
le aveva addirittura chiesto compagnia, bè allora la faccenda era più
seria del previsto. Nonostante il loro rapporto, non erano il genere di
amici che si trovano a casa a vedersi un film, non andavano mai oltre
una birra dopo il lavoro, di solito.
-Comunque- Steve arrivò alla lettera M dello scaffale dei film d'azione
e prese un Dvd dalla copertina bianca -Questo dovrebbe piacerti. Lui
sicuramente l'avrà già visto-
Natasha lo prese. Mission Impossible.
Sì, ne aveva sentito parlare.
-Graz...- il ringraziamento le morì in gola. Dio. Si era appena fatta
consigliare in materia di film da uno che fino a poche settimane prima
era un surgelato? I suoi pensieri dovevano leggersi come un libro,
perchè Steve rise.
-Non c'è di che. Mi ricambi il favore?-
Lei in risposta prese una seconda copia di Good Bye Lenin e gliela porse.
-Una donna attivista della DDR (Deutsche Demokratische Republik, o
Germania Est se preferite ndr.) cade in coma, e si risveglia dopo la
caduta del muro. Per non traumatizzarla i figli fanno di tutto per
farle credere che tutto sia ancora come prima. Può andare?-
-Perfetto. Non è facile recuperare 70 anni di storia-
Natasha gli sorrise e insieme si diressero alla cassa. Ora il commesso
sembrava decisamente infastidito dalla presenza dell'uomo al suo
fianco. Pagarono e uscirono.
-Bè...ci si vede, Capitano-
-A presto, Natasha-
I due si separarono, e la ragazza proseguì verso la seconda tappa del
suo viaggio, dopo aver nascosto per bene il film d'azione nella borsa,
in modo che se avesse frugato nei suoi effetti per scoprire il film
della serata, non l'avrebbe visto. E' vero che voleva accontentarlo, ma
non dopo averlo fatto soffrire un po'.
Entrò poi in un supermercato. Gelato era quello che ci voleva. Sì, lo
stava decisamente viziando, ma era anche vero, che se le meritava tutte
le sue attenzioni, anche per quello che aveva fatto per lei in passato.
Dopo Milano, lei era sparita.
Davanti a quello sconosciuto non
l'avrebbe mai ammesso, ma l'idea di essere braccata dai suoi stessi
capi, peraltro senza un valido motivo da quel che poteva ricordare a
memoria facendo mente locare, la spaventava a morte.
Loro erano l'unica cosa che lei
avesse. Certo non poteva considerarli una famiglia, ma nel bene o nel
male si erano presi cura di lei, crescendola (anche se in modo
piuttosto discutibile) e dandole un tetto sopra la testa.
Ora che cosa le restava?
Non perse troppo tempo a chiederselo.
Ora doveva sparire, far perdere le sue tracce.
Solo più tardi, dopo essersi tinta e
tagliata i capelli e essersi infilata su un volo per la grande Mela, si
era chiesta se forse non fosse stata un po' troppo precipitosa a
fuggire dall'invito dello sconosciuto.
E' vero, si era fidata di lui e delle
sue parole, ma il fatto che conoscesse il suo nome la disturbava
abbastanza da chiedersi cosa volesse veramente da lei. Avrebbe sempre
potuto chiedere no?
Ma ormai era fatta, e non l'avrebbe
mai più rivisto.
O almeno era quello che pensava.
Si sarebbero incontrati di nuovo, più
avanti. Complice la sua identità nuova, Natalia era riuscita a restare
nell'anonimato. Si era presa un appartamento anonimo in affitto e aveva
trovato da lavorare come cameriera in un ristorantino a gestione
famigliare.
Si era dovuta adattare a una vita
completamente nuova. Aveva adottato lo stesso approccio di una missione
sotto copertura. Ma questa poteva durare in eterno.
All'inizio si annoiava.
Dopo il lavoro e le pulizie non le
restava niente di meglio da fare che mettersi sul divano e poltrire. La
televisione la annoiava, ed erano davvero pochi i film che non la
facevano addormentare dalla noia dopo 10/15 minuti.
Per cui aveva iniziato a leggere.
Leggeva di tutto.
Quindi era questa, la vita normale?
Vedeva persone attorno a lei
innamorarsi, fare amicizie. Lei non se lo poteva permettere.
Per quanto si illudesse, sapeva
benissimo che sarebbe arrivato il giorno in cui qualcuno sarebbe
entrato nel locale o l'avrebbe vista al supermercato, o incrociata in
metro e tutto sarebbe finito. Lei sarebbe stata di nuovo in fuga. O
morta.
E un giorno qualcuno effettivamente
entrò nel locale.
L'aveva visto solo di notte, ma la
sua voce le era rimasta impressa a fuoco nella mente.
-Un caffè da portar via-
Al bancone c'era la sua collega, e
lei si era voltata a pulire un tavolo appena in tempo per non farsi
riconoscere. Non era possibile.
New York vantava circa 8 milioni di
abitanti, sparsi in cinque distretti. E lui entrava proprio nel locale
dove lavorava lei?
Rientrò in cucina con i piatti
sporchi da lavare, e diede uno sguardo al suo viso, per sapere per lo
meno che faccia avesse, nel caso fosse servito. Per poterlo riconoscere
in futuro ed evitare che diventasse una minaccia, o il suo assassino.
Lui, fortunatamente, non si accorse
di niente, e lei non uscì dal retro finchè non fu certa che se ne fosse
andato.
Da allora però si era ufficialmente
trovata un hobby.
Un po' per sospetto, un po' per
deformazione professionale, un po' per noia, e un po' per curiosità,
aveva iniziato a seguirlo.
Abitava non molto distante da lei, e
per fortuna non metteva spesso piede nel suo posto di lavoro.
Non era una cosa morbosa,
semplicemente quando lo incrociava lo agganciava e lo seguiva. Era
anche un ottimo allenamento per non perdere le vecchie abitudini.
Anche quel giorno, lo stava seguendo.
Era presto e lei aveva appena staccato dal lavoro. Non aveva troppa
voglia di andare subito a casa, così si era concessa un giro al centro
commerciale per comprare una nuova tintura per capelli. Dio solo sapeva
quanta voglia aveva di tornare al rosso, ma sapeva di non poter
rischiare una mossa del genere. Sicuramente era la ricercata numero uno
sulla lista.
Optò per il solito, anonimo, castano
scuro, che ben si sposava con i suoi occhi.
Poi però lo aveva intravisto, vestito
in borghese, jeans, allstar e una felpa col cappuccio. E gli
immancabili occhiali da sole.
Si era subito messa a seguirlo,
fortunatamente senza deviare dal suo obiettivo primario della tinta,
visto che anche lui aveva fatto una tappa al supermarket.
Poi li aveva visti.
E loro avevano visto lei.
Aveva però letto nei loro occhi
l'incertezza. I capelli erano diversi, il trucco le cambiava
leggermente i connotati grazie a un sapiente uso di fondotinta, terre e
quant'altro. I primi tempi faceva fatica a riconoscersi guardandosi
allo specchio.
Non. Andare. In. Panico. Sta. Calma.
Si disse. Stai in pubblico, in mezzo alla gente, e tieni le distanze.
Aveva visto Mr. Occhiali da sole
entrare alla Grand Central Station, e immediatamente aveva deciso di
seguirlo. Non perse tempo ad ammirare la grandiosità dell'edificio.
Fece il giro, e gli corse incontro come se stesse arrivando
direttamente dai binari.
-Amore!- Lo strinse a sé e lo
coinvolse in un bacio appassionato.
Sorrise al ricordo mentre passava proprio davanti a quella stazione che
le aveva cambiato la vita.
PERSONAL SPACE: Eccoci qui,
continua il flashback, così come la mia personalissima versione
dell'inizio dell'amicizia tra Natasha e Clint, non mi piaceva l'idea di
finire tutto con Milano perciò...niente, spero che vi sia piaciuta.
Nel prossimo capitolo vedremo
che succederà! Un grazie ancora a chi a recensito e un grazie
anticipato a chi deciderà di farlo, di nuovo o da zero!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Capitolo 4: home ***
PERSONAL SPACE: Rieccomi!
Studiare mi rende molto produttiva (ingegneria fa malissimo,
sappiatelo!!!) e quindi eccomi qui! Di nuovo Grazie ad AlexisSlyterin e
a Ginge per le recensioni, mi rendete felicissima!! *_*
grazie anche a STARKEXPO, che ha
messo questa schifezzuola tra le seguite!
Vi lascio al capitolo...buona
lettura!
CAPITOLO 4: Home
Clint si buttò sotto la doccia di casa sua.
Niente era come il bagno di casa propria. Specialmente se questo aveva
una radio.
Aveva scoperto che la musica o uno speaker potevano essere un ottimo
rimedio contro i vagabondaggi del proprio cervello che inevitabilmente
iniziavano sotto la doccia.
E in quel periodo era una manna dal cielo.
Cercava di convincersi a ogni costo che tutto andava bene, che non
doveva sentirsi in colpa. Perfino il dottor Banner era stato a
trovarlo, ancora quando era in ospedale, per cercare di dargli sollievo.
Del resto, chi meglio di Bruce poteva sapere cosa stava provando?
Come era stato per Natasha, anche le parole del genio non erano servite
a molto a lungo termine.
La verità era che non si sentiva solo in colpa.
La verità era che aveva paura.
La paura che il controllo sarebbe tornato, di non averlo
definitivamente sconfitto. Paura di tornare a essere il burattino di
Loki.
Certo, il semidio ora era ad Asgard, ma chi gli diceva che non lo
potesse controllare anche a distanza? Che non avrebbe potuto riprendere
il comando del suo cervello premendo un bottone o con chi sa quale
altra diavoleria?
Non aveva il coraggio di pensarci, e nemmeno aveva trovato la forza di
chiederlo a Thor. Aveva l'impressione netta che il semidio non tenesse
in alta considerazione i semplici umani (a parte quella Jane che lo
aveva aiutato in New Mexico, ovvio, e il dottor Selvig, per ovvi,
innegabili, meriti scientifici) e quindi aveva evitato di importunarlo.
Nemmeno Natasha sapeva nulla di questo suo terrore.
Non riusciva a dirglielo, e non capiva perchè. Lei del resto, era
riuscita a confidarsi con lui.
Quando una bella ragazza ti prende e
ti bacia, così, dal nulla, non è che ci stai troppo a pensare, se sei
una persona normale.
Ma Clint non era una persona normale,
e sul momento aveva avuto la tentazione di respingerla, sospettoso di
una trappola. Non conosceva quella ragazza, e dubitava di un banale
scambio di persona.
Ma poi aveva sentito un dito
picchiare sulla sua schiena, mentre lei lo stringeva. Picchiettava in
modo ritmico, con uno schema. A volte si soffermava per più tempo sul
tessuto sulla sua felpa. A volte meno. A volte si fermava.
Tre contatti brevi. Pausa. Contatto
lungo, contatto lungo, contatto corto, contatto lungo. Pausa. Tre
contatti brevi.
Gli si gelò il sangue nelle vene.
Codice morse. SOS. Lo stava “scrivendo” a ripetizione. Strinse la presa
un attimo, a farle capire che aveva capito.
Ma il messaggio non era finito.
Contatto lungo, contatto lungo.
Pausa. N. Contatto breve, contatto lungo. Pausa. A. Contatto lungo.
Pausa. T. Contatto breve, contatto lungo. Pausa. A. Contatto breve,
contatto lungo, contatto breve, contatto breve. Pausa. L.
-Natalia- Soffiò sulle sue labbra,
staccandosi appena per darsi il tempo per guardarla.
Il suo aspetto era cambiato, ma non
fece fatica a riconoscerla, ora che ci faceva caso e la vedeva così da
vicino.
Non sapeva cosa lei volesse da lui, o
quali pericoli stesse correndo, ma se era lì, ora, a chiedergli aiuto,
lui certo non poteva negarglielo. Non se lo aveva trovato tra tutti gli
abitanti di New York, dopo averlo visto per pochi minuti una notte di
qualche mese prima.
E allora rispose a quel bacio,
stringendola forte a sé mentre, coperto dalle lenti scure, cercava di
individuare la minaccia.
Perchè per spingere la Vedova Nera a
quell'azione plateale, una minaccia doveva esserci, e doveva
essere nelle vicinanze.
Si guardò intorno, scandagliando
velocemente ma accuratamente la folta popolazione della stazione.
Pendolari: stanchi operai o uomini
d'affari entravano e uscivano a passo svelto. Qualche famiglia, con
delle valigie, in partenza o in arrivo da un viaggio. Un nonno che
teneva la nipotina per mano. Non doveva prendere il treno, l'aveva
semplicemente portata a vedere i convogli che passavano, non prima di
averle comprato un palloncino rosa a forma di unicorno.
Cerca Clint. Cerca.
Continuava a baciarla, mentre
esplorava i dintorni. Eccoli. Niente valigie, niente ventiquattro ore.
Nessun segno di stanchezza sul viso. Due uomini a ore 20. A stento
riusciva a vederli con la coda dell'occhio. Ruotò di poco su sé stesso,
senza staccarsi da lei, fino ad averli quasi di fronte.
-Amore...- disse alla fine
staccandosi e raccogliendo da terra il borsone posato poco prima da un
tizio che era andato a fare i biglietti senza l'ingombro del bagaglio
-Come è andato il viaggio? Sei stanca?-
Lei aveva alzato gli occhi e l'aveva
guardato con una punta di riconoscenza
-Esausta. Andiamo a casa?-
Lui le aveva avvolto un braccio
attorno alle spalle stringendola a sé e l'aveva portata fuori dalla
stazione. Solo quando si fu assicurato che quelli non li avevano
seguiti abbandonò il borsone in un cassonetto e la prese per mano,
guidandola in un vicolo.
Lì fece scendere la scala antincendio.
-Su. Sali. Fino in cima-
La istruì, e fu lieto che lei
obbedisse senza fiatare. Lui si arrampicò dietro di lei.
La fece arrivare su un tetto, poi la
prese per mano e iniziò a guidarla sicuro sui tetti di Brooklyn. Ogni
tanto guardava di sotto, mentre saltavano da un edificio all'altro, ma
nessuno li seguiva. Si fermò solo quando atterrò sopra palazzo
malandato.
Casa sua.
Anche questo non era decisamente da
lui. Sapeva benissimo chi, o meglio, cosa era Natalia. Poteva essere
tutta una trappola per eliminarlo, del resto, ultimamente aveva fatto
parecchio arrabbiare i russi, e non solo loro.
Ma per un qualche motivo, sentiva che
lei non era lì per ucciderlo.
La fermò un istante prima che lei
iniziasse la rincorsa per il salto al tetto successivo. Aprì del tutto
la finestra della mansarda e la fece entrare, richiudendola poi dietro
di sé.
-Dove siamo?-
-Bè...questa è...casa mia- disse con
il respiro appena un poco affannato -Chi era che ti inseguiva?-
-Mi hai portato...a casa tua?-
-Bè tu mi hai cacciato la lingua in
bocca...-
Fu lieto di vederla sorridere alla
sua pronta risposta.
-Giusto...quindi tu vivi qui? A New
York?-
-Sì...quando non sono in missione. A
proposito. Clint Barton-
-Natalia Romanova, ma dubito che tu
non lo sappia-
Stavolta toccò a lui sorridere,
mentre la faceva accomodare in quel monolocale diversamente ordinato.
Ok. Diciamo pure disordinato all'ennesima potenza.
Non era spesso a casa, per lo più
preferiva farsi spedire in giro per il mondo dallo SHIELD. Non si
diventava il migliore stazionando in ufficio troppo a lungo, almeno
questo era quello che amava ripetersi.
Ma era rimasto solo abbastanza a
lungo da conoscersi piuttosto bene: quello che odiava era il vuoto di
quella casa una volta rientrato dal lavoro. L'essere sempre solo.
Certo, gli bastava andare in un bar,
fare il carino, e rimorchiare non gli era difficile. Ma per qualche
motivo, niente durava più di una o due scopate, tre se proprio la
storia era duratura.
Non riusciva a legarsi a qualcuna, e
anche sulle amicizie non era proprio una cima. O certo, qualcuno con
cui bere una birra l'aveva sempre trovato, qualche leccaculo voglioso
di farselo amico per fare carriera, qualche recluta del cazzo che
voleva sentire le avventure di Occhio di Falco. Ma amici veri? Con cui
condividere...bè qualcosa di più, nessuno.
La voce di Natalia lo riportò alla
realtà. Gli spiegò come era scappata dall'Italia, rifugiandosi a New
York, dove aveva provato a rifarsi una vita. Si era trasformata in Lana
Roberts, una giovane brunetta con un appartamento in affitto e un
lavoretto in un ristorantino che lui conosceva per il pessimo caffè che
facevano.
Aveva mantenuto un basso profilo, ma
oggi aveva riconosciuto quei due, e loro avevano avuto un sospetto su
di lei, tanto da inziare a seguirla.
-E poi hai visto me-
-Beh...non esattamente-
Lui la guardò curioso. E poi
sbalordito quando lei gli confessò che ormai lo seguiva da mesi, tipo
stalker, ma con casualità.
Era inseguito e non se ne era
accorto.
Non sapeva se far finire la propria
autostima sotto i piedi o congratularsi con lei per essere stata così
brava. Nel dubbio rimase zitto.
-Che farai ora?- le chiese
sinceramente preoccupato
-Non lo so. Non so nemmeno chi sono
veramente. Non so chi erano i miei genitori, se ho ancora una famiglia
la fuori che mi aspetta-
Per la seconda volta gli era sembrata
totalmente indifesa, quasi spaventata. E per istinto sapeva che a lei
faceva strano quanto a lui avere un contatto così sincero con un altro
essere umano che non fosse il proprio riflesso allo specchio.
-Ci sono io. Se vuoi- disse di getto,
più spontaneo verso qualcuno di quanto non lo fosse stato da...bè da un
sacco di tempo.
Cosa aveva questa ragazza? Perchè
voleva proteggerla a tutti i costi?
-Non credo nelle seconde possibilità,
lo sai-
Lui per tutta risposta le aveva messo
in mano un bigliettino.
-Io ora devo andare, Nat. Il lavoro
mi chiama. Questa casa è sicura. Resta pure qui questa notte. Pensaci
su ok? Se decidi che vale la pena tentare, allora ci vediamo domani a
quell'indirizzo-
Lei aveva annuito, poi lui l'aveva
lasciata per partire. Missione lampo in California.
Quando era tornato al mattino,
Natalia se ne era andata.
Sorrise al ricordo, e decise di mettere un po' di ordine prima
dell'arrivo dell'amica.
No, con gli anni non era diventato più ordinato, anche se finalmente
era un po' meno solo.
Natasha come sempre spaccò il minuto, arrivando 5 minuti prima delle
pizze.
Anche se non era una cosa che facevano spesso, anzi, di fatto quasi
mai, avevano una loro routine.
Solite pizze (quando si mangiava pizza), solita ora.
Il loro solito silenzio rilassante dopo il fracasso di una giornata
allo SHIELD. Non avevano mai avuto bisogno di molte parole per
comprendersi, sia sul campo che nella vita, forse perchè nessuno dei
due era mai molto bravo a comunicare.
Gli sguardi, la postura, i gesti.
Era con quelli che riuscivano davvero a parlarsi, ad arrivare l'uno al
cuore dell'altra.
-Wow hai portato il gelato-
-Non ti ci abituare, Barton-
Mise la vaschetta nel congelatore, mentre Natasha si metteva comoda sul
divano, spostando senza battere ciglio una sua felpa spiegazzata.
Probabilmente tutto quel caos la irritava. L'appartamento di Natasha
poteva definirsi quasi asettico. Niente fuori posto, niente polvere.
Tutto in perfetto ordine.
L'esatto opposto del suo.
Come d'abitudine mise la mano nello zaino dell'amica, estraendo
l'ennesimo mattone. Good Bye Lenin. Alzò gli occhi al cielo,
ripromettendosi di non scegliere mai più la cena.
-Come sono le nuove reclute?-
Avevano finito le loro pizze, mangiate rigorosamente rannicchiati sul
divano, le schiene sui braccioli e le gambe semi-distese incastrate tra
di loro al centro, il cartone sulle ginocchia e le bottiglie di birra a
portata di mano.
-Mah. Qualcuno di loro sembra avere una vaga idea di come si tiene in
mano una pistola...per gli altri..bè spero che nessuno di loro riesca a
spararsi su un piede. Per domani ho scelto le pistole ad aria compressa-
Natasha sorrise
-Non sarai un po' troppo duro? Nessuno nasce imparato. Eccetto noi,
forse-
Clint annuì, distratto.
Stava ripensando a uno dei ragazzi più giovani, di quelli ancora sotto
l'età legale per possedere una pistola.
Gli era saltato all'occhio perchè non appena aveva detto il suo nome si
era rabbuiato. Certo, non aveva dato segno di non voler lavorare con
lui, ma nemmeno si era dimostrato così entusiasta.
Lo raccontò a Natasha.
-Forse preferisce IronMan- ironizzò subito la ragazza, liquidando
l'episodio come il capriccio di un ragazzino che probabilmente si era
arruolato solo con la speranza di poter vedere il suo Vendicatore
preferito.
Clint annuì, lasciandosi convincere, mentre inseriva il film del
lettore Dvd, rassegnato all'ennesima dose di gomitate e calci che
Natasha gli rifilava per impedirgli di cadere addormentato.
Alla fine nessuno dei due arrivò a fine film, e il suono insistente del
cellulare di Natasha li svegliò entrambi che era già giorno.
La ragazza rispose al volo, un po' assonnata, e subito dopo sparì, non
dopo aver rubato una ciambella dal frigo di Clint. Una nuova missione
la chiamava.
L'arciere sospirò, chiedendosi quando Fury si sarebbe mai deciso (se
mai l'avesse fatto) a rimandarlo in azione sul campo.
Guardò l'ora.
Le reclute lo aspettavano.
PERSONAL SPACE: Eccomi di nuovo!
Alexis va bene così? XD Niente, spero vi sia piaciuto...qualcosina su
questa recluta inizia ad arrivare (e dopo 4 capitoli mi sembrava anche
ora XD), ma questo non metterà fine al racconto del passato tra i
due...alla prossima e se vi va recensite!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Capitolo 5: missioni ***
PERSONAL SPACE: Eccomi qui!
Prima di tutto grazie alle mie fedelissime, Ginge e la mia stalker
AlexisSlyterin, che non mancano mai di farmi avere le loro recensioni
sempre molto gradite!
Grazie anche a chi sta leggendo
questa fiction senza recensirla, spero vi stia piacendo!
CAPITOLO 5: Missioni
Natasha era su un volo privato dello SHIELD da ormai 5 ore e mezza.
La notte precedente si era addormentata senza accorgersene sul divano
insieme a Clint, o almeno questo era quello che gli aveva lasciato
credere.
La verità era che quando l'aveva visto crollare per la decima volta,
anziché rifilargli il decimo calcio aveva deciso di lasciarlo riposare.
Sospettava che non dormisse un granchè bene di recente.
Alla fine del film aveva deciso, spinta da non sapeva nemmeno lei quale
ragione, di restare lì. La posizione non era poi scomoda, e i suoi
piedi erano tenuti al caldo da quelli dell'amico, che dormiva così bene
che non aveva voluto svegliarlo per tornare a casa. Per cui aveva
lasciato accesa la tv e si era addormentata, facendogli credere che la
sua permanenza fosse stata un incidente.
Non era preoccupata che lui si facesse strane idee per il fatto che lei
fosse volontariamente rimasta, i due erano già finiti a letto in
passato e avevano convenuto che una relazione tra di loro non era cosa
da fare, e non per i regolamenti dello SHIELD, semplicemente non
funzionavano come coppia, semplicemente non voleva che lui pensasse che
lei non lo ritenesse in grado di restare da solo.
E' vero, lui le aveva chiesto compagnia proprio per quel motivo, ma un
conto era accettare di vedersi un film e mangiarsi una pizza, su
invito, un conto dirgli: guarda sono rimasta perchè volevo assicurarmi
che se ti fossi svegliato non saresti stato da solo.
Sarebbe stato troppo umiliante per lui, anche se magari, anzi quasi
certamente, il suo subconscio l'avrebbe ringraziata.
Clint aveva passato una notte abbastanza tranquilla, si era solo
agitato un paio di volte, ma niente che l'avesse indotta a svegliarlo.
Contava di chiamarlo più tardi, o meglio ancora mandargli un messaggio
quando da lui sarebbe stata sera, se non altro per sentire come era
andata con le reclute.
Sperava davvero che Fury lo rispedisse in azione al più presto, era
disposta perfino a prendersene la responsabilità; la sedentarietà gli
lasciava troppo tempo per pensare.
Quanto a lei, il suo programma prevedeva una missione di routine, più o
meno.
Infiltrarsi in un albergo, sedurre il solito maiale sceicco riccone,
estrapolargli qualche informazione su delle nuove armi che stava
sviluppando da vendere agli occidentali dopo che un attentato avesse
casualmente causato un'invasione in un paese mediorientale a caso
(niente di difficile, bastava una scollatura, un bicchiere di vino e
fingersi di fronte a un eroe per far partire l'ego, e la lingua, di
questi uomini, specialmente se gli si permetteva di allungare un
pochino le mani) e poi svignarsela, possibilmente senza fare troppi
morti.
Easy.
Scese dall'aereo e subito si fece accompagnare in albergo.
Ovviamente, trattandosi di uno sceicco in viaggio d'affari, il
prescelto era niente meno che il Burj
Al Arab a Dubai, meglio conosciuto come le vele. Una cosina da
nulla, solo circa 2000 dollari a notte, a persona.
L'arrivo di una ricca, giovane, affascinante, donna sola con abbastanza
soldi da permettersi quel genere di sistemazione, una Suite Panoramic
vista mare con tutti i confort, non era certo passato inosservato.
Il suo obbiettivo l'aveva inquadrata (o meglio, radiografata) quasi
subito, e lei non aveva mancato di notare che lui era tanto attratto da
lei quanto lei era disgustata da lui. Finse di ignorarlo e si registrò
con il nome di Linda Bellini, italiana di Venezia, dopodichè si fece
accompagnare in camera.
Se da fuori l'albergo era un sogno, con la famosa forma a vela che lo
caratterizzava e la struttura che si reggeva su un isolotto artificiale
praticamente sul bagnasciuga della spiaggia, dentro non era certo da
meno, con i suoi 8 lussuosi ristoranti, arredati uno più elegantemente
dell'altro, di cui uno affacciato su un imponente acquario da togliere
il fiato.
Palestre, piscine, tavoli da biliardo, sale giochi: qui chiunque
avrebbe trovato il divertimento a lui più congeniale.
La suite che le avevano assegnato era gigantesca, circa 200 metri
quadri da quello che riusciva a calcolare. Al centro della camera,
tutta ricoperta di un immacolata moquet, vi era un sontuoso letto
matrimoniale, e ai lati ampio spazio per ricevere gli ospiti, incluso
un tavolo da 6 per una cena intima. Il maggiordomo che le era stato
assegnato 24h attendeva pazientemente le sue istruzioni, dopo averla
aiutata a togliersi la costosissima giacca. Gli chiese, cortesemente,
ma con decisione (l'atteggiamento di una persona abituata ad avere a
che fare con il personale di una casa, a cui si doveva comandare, ma
allo stesso tempo portare rispetto), che le venisse preparato un bagno
ristoratore. Acqua tiepida, ma non fredda, e sali da bagno agli agrumi.
Ovviamente accompagnò il tutto con una lauta mancia.
Mentre attendeva si lasciò il tempo di godersi la luce della luna
riflettersi sul mare. Era piena e chiara, e il cielo era sereno. La
spiaggia vicina riluceva di una luce bianca. Una vista mozzafiato.
Decisamente, lavorare per lo SHIELD aveva i suoi vantaggi.
-Signorina, il vostro bagno è pronto- il cameriere le si rivolse in
italiano perfetto, seppur con un po' di accento
-La ringrazio. Può andare. Mi svegli però domattina non dopo le 9 per
favore-
-Sarà fatto. Buona serata-
Natasha sorrise e finalmente sola si spogliò. Godendosi il piacere di
spogliarsi di quegli eleganti quanto scomodi vestiti e di godersi la
soffice moquet sotto i piedi nudi.
Il bagno non era meno lussuoso. Ovunque c'era marmo, colorato di verde
acqua,e la vasca da bagno poteva comodamente ospitare due persone, e
forse anche un bambino.
Il maggiordomo, decise, si meritava una lauta mancia il mattino dopo.
L'acqua era calda al punto giusto, e i sali da bagno talmente buoni da
spargere un delicato profumo di agrumi per tutto il locale. Si infilò
nella vasca con un sospiro di piacere.
Agente segreto o meno, il viaggio era stato massacrante, e quel bagno
caldo era una manna dal cielo.
Fece quattro conti e decise che Clint doveva essere nei dintorni della
pausa pranzo. Un ottimo momento per farlo arrabbiare un po'.
Prese il telefono e compose il numero dalle chiamate rapide.
Le lezioni del mattino erano finite da poco, e Clint si stava godendo
un tristissimo panino con dentro qualcosa di cui preferiva non sapere
con certezza l'origine, quando il suo cellulare iniziò a vibrare.
Natasha, naturalmente.
-Pronto-
-Buongiorno, agente Barton-
-Buongiorno a te-
-Io mi direi buonanotte, a dire il vero-
-Dove sei?-
-Dubai-
-Vaffanculo-
-Alle vele-
-Muori-
Risero entrambi, anche se Clint trovava decisamente crudele il fatto
che lei gli spiattellasse in faccia che era in un posto del genere
quando lui era relegato al quartier generale dello SHIELD
-Come vanno le cose?-
-Passabili. Nessuno si è ancora sparato su un piede, mi ritengo
soddisfatto. Tu, piuttosto? Spero che il tizio che dovrai sedurre puzzi-
-Guarda, l'ho intravisto oggi nella hall, mentre arrivavo...se puzza
soltanto mi riterrei già una donna fortunata-
Clint storse il naso. Bleah.
Di solito invidiava Natasha, con quel suo corpo mozzafiato faceva un
quarto della fatica di chiunque a farsi dire quello che voleva, ma
ammetteva che a volte ci voleva del coraggio a farsi toccare da certi
individui.
Anche nel periodo in cui andavano a letto insieme, lui non era mai
stato geloso, sapeva bene come andava nel loro lavoro, e anche a lui
era capitato di dover sedurre qualche donna e, anche se non lo avrebbe
mai confessato nemmeno sotto tortura, sì anche qualche uomo. Solo che
certe volte, effettivamente ci voleva molto, molto sangue freddo.
-Be dopo potrai goderti comunque un bagno in una di quelle piscine che
loro chiamano vasche da bagno-
-Come sto facendo ora, avvolta dalla schiuma di un fantastico
bagnoschiuma agli agrumi e un leggero idromassaggio?-
-Natasha, sto per andare in mano a farmi una sega con questa tua
immagine in testa-
-Porco schifoso-
-Te lo se meritata, ammettilo-
Natasha rise.
-Devo andare ora...il maial...ehm l'obiettivo mi aspetta-
-Fattelo alla griglia-
-Ciao-
Mise via il telefono e mentre finiva il panino si prese una bella tazza
di caffè fumante. Non l'avrebbe mai ammesso, ma Natasha gli mancava
quando non c'era.
Non erano innamorati, quello l'avevano decisamente appurato, ma in
qualche modo, averla vicino lo faceva sentire meno solo, come se avesse
avuto una parvenza di famiglia.
Immerso in quei pensieri, non si accorse che il ragazzino che da due
giorni lo guardava malissimo gli si era avvicinato.
-Posso fare qualcosa per te, Tommy?- gli chiese affabile mentre beveva
un sorso dal bicchiere
-Hai mai ucciso qualcuno?-
Quella domanda gli arrivò diretta al petto. Cosa rispondere? Contavano
quelli che aveva ucciso sotto il comando di Loki? Optò per una risposta
diplomatica.
-E' inevitabile nel nostro lavoro. A volte ci viene ordinato di
uccidere qualcuno per il bene di tutti-
-Ma hai mai ucciso qualcuno che non se lo meritava?- insistette il
ragazzino
Meditò a lungo su cosa rispondergli. La domanda non era banale, e
iniziava a sospettare che l'ipotesi di Natasha fosse del tutto
sbagliata. Tuttavia, di nuovo, optò per una risposta più soft.
-Può succedere di commettere errori. Siamo umani, e a volte può
succedere che chi dà l'ordine sbagli, o che nell'istante in cui hai
sparato, o lanciato una freccia, qualcuno si sposti, e venga colpito.
La vita è imprevedibile-
Il ragazzino tacque per un po', come indeciso su cosa rispondere. Clint
lo guardò per bene. Non poteva avere più di quindici anni, decisamente
era uno dei più giovani dell'accademia dello SHIELD.
Si chiese il perchè del suo arruolamento. Certo, lo SHIELD non aveva
esitato a prendere lui, o Natasha, quando erano poco più grandi di
Tommy, ma loro erano casi particolari: orfani, disadattati, addestrati
a essere armi umane fin dalla più tenera età.
Tuttavia Tommy vestiva sempre bene, non aveva l'aria di un orfano.
L'aveva visto, inoltre, socializzare durante la lezione.
Il ragazzino mise una mano in tasca, e ne tirò fuori una piuma. Il suo
cuore perse un battito. L'avrebbe riconosciuta ovunque.
Probabilmente era sbiancato, perchè Tommy non gli chiese se apparteneva
a una delle sue frecce. La sua domanda fu molto più diretta.
-E mio papà? Meritava di morire?-
E nell'istante in cui il ragazzo pronunciava queste parole, mentre
Clint lo guardava negli occhi, la sua mente tornò a due settimane
prima.
Stoccarda.
La prova generale di Loki di
conquista dell'umanità. Un cecchino dello SHIELD era appostato sul
tetto. Clint, per un qualche motivo, non l'aveva colpito da lontano.
Gli si era avvicinato, aveva attirato la sua attenzione. E guardandolo
negli occhi, gli stessi occhi che ora, più giovani, erano piantati nei
suoi, gli aveva ficcato la punta della freccia dritta nel cuore. Senza
arco, a mano.
E in quell'istante, mentre lui
imprigionato in un angolo della propria mente gridava di orrore, aveva
sentito tutto il sadismo di Loki, il suo senso di onnipotenza che
cresceva man mano che la vita lasciava il corpo di quel soldato. E il
godimento di Loki nel farglielo vedere, dell'uccidere qualcuno usando
le sue armi, il suo corpo, senza che Clint potesse fare niente per
evitarlo.
-A...agente B..Barton?-
La voce di Tommy lo riportò alla realtà. Ora non era più arrabbiato. Il
tono di voce era basso, esitante, quasi spaventato.
Clint tornò alla realtà, il viso del ragazzino reso offuscato da un
velo di quello che, si rese conto pochi istanti dopo, erano lacrime.
Si sforzò di recuperare il controllo, mentre lottava contro sé stesso.
Cosa dire a quel ragazzino?
I file che riguardavano la sua possessione erano riservati.
E' colpa mia.
Non darti colpe che non hai, Clint.
E' colpa mia.
Si tratta di mostri e magia, non siamo addestrati per questo.
E' colpa mia.
-S...signor Barton?-
Senza rendersene conto si era preso la testa fra le mani e aveva chiuso
gli occhi. Si rendeva conto che lo stava spaventando, ma allo stesso
tempo i ricordi, la confusione, il senso di colpa, le voci di chi
cercava di aiutarlo, si mischiavano dentro di lui rischiando di fargli
esplodere il cervello.
Ma ancora non sapeva cosa rispondergli.
Poteva prendersi la colpa, la colpa per quello che il suo corpo, sotto
il controllo di Loki, aveva fatto.
O poteva mentire, dire che sì. Suo padre era stato un brutto errore di
tiro.
Clint scartò subito questa seconda opzione. In un modo o nell'altro, il
ragazzino doveva sapere che suo padre non era morto per caso, perchè si
era trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato.
-Mio padre...era un traditore?-
-No, tuo padre non meritava di morire- Disse infine, recuperando la
calma -Queste sono informazioni riservate, di cui non posso parlare, ma
sappi, che è morto da eroe, facendo il suo dovere-
-Perchè l'hai ucciso?-
-Beh...- iniziò Clint, indeciso su come continuare.
-Agente Barton. Nel mio ufficio per favore-
La voce di Nick Fury non fu mai tanto gradita.
-Ne riparleremo Tommy- Quando avrò capito come darti una spiegazione
logica terminò fra sé -Adesso torna nell'hangar. Vi raggiungo tra poco-
-Sì, signore-
Clint lo guardò andare via e tirò un sospiro. Poi si voltò ed entrò
nell'ufficio del direttore dello SHIELD, chiedendosi cosa volesse da
lui.
Solo in un secondo momento si ricordò che aveva appuntamento con la
seconda perizia, che doveva decidere se poteva o meno tornare sul
campio.
Aveva scordato l'appuntamento e probabilmente Fury aveva appena visto
la sua reazione.
Merda.
PERSONAL SPACE: A sto giro
niente flashback sulla vita di Natasha e Clint, ma come vedete, non ce
ne è stata l'occasione. Inoltre, ho preferito, finalmente dare spazio a
questa nuova recluta e alle missioni del presente.
quindi: Riuscirà Natasha nella
sua missione? CLint passerà la perizia? Che cosa dirà Clint a Tommy? Lo
saprete solo rimanendo connessi. Alla prossima!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Capitolo 6: ricordi ***
PERSONAL SPACE: Rieccomiii! Ci
ho messo un po' perchè volevo pensare bene a cosa mettere in questo
capitolo, e volevo anche tornare per un po' al passato di Clint e
Natasha...e...be ecco il risultato...
Di nuovo, un grande grazie alle
mie fedelissime Ginge e Alexis, che recensiscono più puntuali di un
orologio svizzero, e a DBCLAUDIA e LEDY LEGGY che hanno inserito questa
storia tra le seguite e le preferite, spero di non deludervi!
Buona lettura! A dopo!
Capitolo 6: Ricordi
Ovviamente la perizia non era andata un gran che bene. Il suo non
presentarsi non aveva fatto una bella impressione, e Fury non poteva
negare quello che vedeva ogni giorno.
Forse, se ci fosse stato Coulson, Clint l'avrebbe scampata. Ma Phil non
c'era più, e il direttore, giustamente, non poteva permettersi di
mandare sul campo un uomo nelle sue condizioni. Lui stesso non si
sarebbe mai affidato una missione.
L'arciere si conosceva a fondo, e sapeva, razionalmente, di non essere
in grado di affrontare lo stress di una missione, seppure morisse dalla
voglia di tornare sul campo, se non altro per avere qualcosa che gli
impedisse di pensare.
Il ragazzino non era stata sicuramente una prova. Pur freddo che fosse,
anche l'uomo con un occhio solo aveva un cuore, e mai avrebbe
sottoposto un giovane appena diventato orfano di un genitore a una
simile tortura psicologica.
Però aveva sicuramente influito.
Non sapeva quanto il direttore avesse visto e/o sentito, ma il suo
pallore e il sudore sulla fronte, lo sapeva, erano stati subito
evidenti.
-Agente Barton, mi dispiace informarla che non è ancora idoneo al
servizio-
Appunto.
Rimase in silenzio, assimilando quelle parole, aspettate, ma che
comunque gli lasciavano l'amaro in bocca.
-Mi dispiace- continuò il direttore -Quello che hai passato ti ha
sconvolto, lo capisco. Ma devi andare avanti-
Di nuovo non rispose. Non era niente di nuovo. Natasha glielo ripeteva
almeno quattro volte al giorno, gliel'aveva detto Bruce Banner, e
perfino Tony Stark, quel giorno, quando l'aveva portato su quel tetto a
New York, quando aveva balbettato una timida scusa.
-Hai sbagliato- gli aveva detto -Ora sei un vendicatore. Vendicati
anche per questo-
A nessuno dei due uomini aveva avuto il coraggio di rispondere (più che
altro Tony Stark era volato via come un fulmine senza che lui avesse
avuto il tempo anche solo di assimilare la frase), esattamente come ora
non aveva la forza di rispondere a Fury.
Inconsciamente, sapeva che l'uomo aveva ragione, ma per qualche motivo,
non riusciva a non pensare ai soldati come il padre di Tommy, che si
erano trovati uccisi da un fuoco che ritenevano amico.
Perchè il padre del ragazzo era stato
solo il primo di una lunga lista, quella notte in Germania. Una notte
in cui Loki si era particolarmente divertito a giocare col suo cervello.
Delle volte, Clint era incosciente di
quello che faceva, ma poi il semidio aveva deciso che era più
divertente lasciare che si accorgesse di quello che faceva, che se ne
rendesse conto e allo stesso tempo non potesse disobbedire.
Aveva lottato con tutte le sue forze,
cercato di combattere quel potere che lo teneva prigioniero. Ma senza
successo. Almeno fino a quando Natasha non era riuscita a tenergli
testa, a metterlo in seria difficoltà.
Quando aveva colpito l'inferriata,
aveva sentito per un attimo di essere libero, almeno momentaneamente,
dal controllo di Loki. Aveva alzato gli occhi verso l'amica che fino a
pochi istanti fa era così determinato a voler uccidere. Aveva
sussurrato il suo nome, con l'intento di chiedergli di finirlo. Non
aveva avuto dubbi in quel momento: meglio la morte a una vita da
schiavo. Poi lei lo aveva colpito, e si era risvegliato legato, con la
testa che gli esplodeva: la sua coscienza che lottava contro il potere
del semidio.
Aveva lottato per mantenere il
controllo, solo la voce di Natasha a dargli la forza di tenersi
attaccato alla realtà. Al dolore che si stava procurando ai polsi
mentre si dibatteva per schiarirsi la mente.
-Vedrai che ti rimetterai-
-Devo respingerlo...-
E ci era riuscito. L'aveva respinto...
-Agente Barton!-
La voce di Fury lo riportò alla realtà. Si rese conto di essersi
estraniato completamente. Ora era accasciato su una sedia dell'ufficio
del direttore, che era accanto a lui un po' preoccupato.
-Mi...mi scusi- borbottò recuperando il controllo
-Stai bene?-
-Sì...sì-
Fury lo lasciò solo qualche minuto. Clint si accorse di essere coperto
di sudore freddo e di avere il respiro accelerato. Cercò di scacciare i
ricordi e riprendere il controllo.
Quando il direttore tornò in ufficio gli porse una bottiglietta
d'acqua, che acccettò con piacere, in parte bevendola, in parte
vuotandola sulla testa. Il freddo lo aiutò a tornare in sé -Mi scusi-
disse quasi timidamente -Ho...a volte ho dei momenti in cui rivivo...-
-Come è accaduto prima con quella recluta?-
Poteva assolutamente giustificarsi, ma decise di mentire. Non era con
Fury che si sentiva di parlare di certe cose, così si limitò ad
annuire, rischiando di fare la figura di quello che non sapeva gestire
delle situazioni critiche.
-Capisco...- Fury si alzò -Va a casa, Barton. Ci rivediamo domani-
-No...ce la faccio. Le reclute mi aspettano-
-Ne sei sicuro?-
-Assolutamente, signore-
Fury lo squadrò un secondo, sicuramente valutando se era il caso di
lasciarlo da solo con dei ragazzi inesperti che maneggiavano armi, ma
poi decise di dargli fiducia, così annuì e lo congedò.
Dopo aver chiuso la telefonata con Clint, Natasha si concesse ancora
dieci minuti di quel bagno rilassante prima di uscire e mettersi
all'opera.
Dopo essersi adeguatamente asciugata e profumata, prese un altro dei
vestiti che aveva con sé. Lei non era molto per quel genere di
abbigliamento, ma ammise tra se che quell'abito era splendido. Un abito
artigianale italiano di alta moda, un pezzo unico di un sarto veneziano
che aveva il proprio laboratorio proprio sopra il ponte dei sospiri.
Era un abito semplice, di un verde bottiglia che andava magnificamente
a contrastare il rosso dei suoi capelli, con una spallina sola con il
sostegno tutto affidato al bustino, che esaltava le sue forme in
maniera egregia.
Il tutto terminava con una gonna che arrivava a terra, con un leggero
strascico. Sperò ardentemente di non essere costretta a una fuga
precipitosa, quella “coda” avrebbe segnato la sua fine.
Prima di mettersi le scarpe (un paio di sandali abbinati al vestito,
fatti con la stoffa fornita dal sarto a un abilissimo calzolaio) di
acconciò i capelli e si truccò lievemente con dell'ombretto verde
sfumato con un rame. Un tocco di rossetto dal colore tenue e il mascara
terminarono la sua opera.
In un ultimo momento di crudeltà Si fece una foto e la mandò a Clint.
-Perchè non sono uno sceicco grasso e puzzolente?-
Rise al suo sms di risposta, e lasciò la stanza.
Il riccone era ancora al bar della hall, e mentre lei si dirigeva verso
il ristorante, non mancò di notare come l'uomo stesse apprezzando lo
spettacolo che lei gli stava concedendo.
Si sedette, sola, e sfogliò distrattamente il menù.
-Mi scusi, signora-
Il signora, pronunciato in
italiano, le fece alzare gli occhi. Di fronte a lei stava un uomo di
chiare origini mediorientali, vestito con un completo elegante, e
tuttavia non abbastanza costoso da essere un uomo d'affari.
-Sì?- rispose educatamente in italiano
-Mi manda lo sceicco Rayhan, che avrebbe il piacere di invitarla al
proprio tavolo per la cena, se le aggrada-
Le aggradava? Ma proprio per niente.
Avrebbe rifiutato? No, ovviamente.
-Lo sceicco mi fa un grande onore- rispose in arabo con un inchino
-Accento con gioia-
-La signora parla la nostra lingua, vedo-
Natasha arrossì e sorride timidamente
-Non bene come vorrei- rispose umilmente mentre li lasciava condurre
dal tirapiedi al sontuoso tavolo dello sceicco, apparecchiato nel
ristorante adiacente, quello con l'acquario, ovviamente completamente
riservato all'ospite d'onore.
La spia entrò e fece un inchino al proprio ospite. -Vi ringrazio per
l'invito, sayyid1-
Lui sorrise e si presentò come lo sceicco Rayhan Assad Al'lah, il
“leone di Dio”, ma la invitò, ovviamente a chiamarlo semplicemente
Rayhan.
Finite le presentazioni, l'uomo si alzò personalmente a porgerle la
sedia accanto alla propria.
Si poteva dire tutto, ma non che la cena fosse stata orribile.
Lo sceicco, fino a quel momento, si era dimostrato un perfetto
gentiluomo, e un musulmano perfetto: non aveva toccato infatti una
goccia di alcol. Era una persona profondamente conscia del potere che
aveva, ma allo stesso tempo non così stupida da sbandierare alla prima
persona che gli capitava a tiro i suoi affari.
Tutto ciò che riuscì a scucirgli era quello che già sapevano allo
SHIELD, né più, né meno.
A dispetto della prima impressione, nonostante l'aspetto non
particolarmente gradevole, non fu viscido, e le sue mani rimasero bene
a posto nonostante i nascosti trucchi di seduzione di Natasha, che
avrebbero fatto crollare perfino uno con l'autocontrollo di Fury.
Dopo la cena, vedendola stanca, la riaccompagnò in camera, con la
speranza di poter passare con lei la giornata successiva.
La donna si stese sul letto, liberandosi di tacchi e vestito in favore
del proprio, comodo, pigiama, maledicendo la politica dello SHIELD che
prevedeva l'uso delle buone maniere, prima di quelle cattive, per
ottenere informazioni.
Fece un rapporto succinto, che inviò subito a Fury, prima di trovare
sul cellulare un sms di Clint. La cosa la turbò.
Al di là della telefonata di prima, che però proveniva da lei, e della
foto, proveniente sempre da Natasha, avevano il tacito accordo di non
contattarsi in missione, a meno che, appunto, non fosse quello in
missione a farsi avanti per primo. Entrambi sapevano bene che anche un
solo sms poteva mandare tutto a puttane in un nanosecondo.
Lo richiamò all'istante.
-Natasha, ciao-
-Ciao- rimase zitta un attimo, cercando una frase che non tradisse il
fatto che il suo messaggio l'avesse quasi mandata in panico. Disse la
prima cosa che le passò per la mente -Hai finito di masturbarti con la
mia foto in abito da sera?-
-Non ancora...anzi mi aiuteresti facendo una voce sexy?-
Lei sorrise, lieta che almeno non fosse così a terra da non rispondere
alle sue battute.
Solo in quel momento si ricordò della perizia.
-Come è andata?- chiese, ma già conosceva la risposta. Se tutto fosse
andato bene, non avrebbe ricevuto nessun sms.
E Clint, infatti le raccontò tutto, includendo però anche la
conversazione con Tommy.
-Non dirmi che non è colpa mia- la prevenne -Non cominciare. Il
problema è: cosa dico a quel ragazzino?-
Lei tacqua, conscia della situazione. Non era giusto che Clint si
prendesse la colpa, e l'odio di quel ragazzino, ma tutto era top secret.
-Prendi tempo, appena torno ci pensiamo- rispose
-Quando torni? Come va col maiale?-
-Non si lascia arrostire, ed è più pulito del previsto-
Fatto, avevano iniziato a parlare in codice. Nessuno dei due si
azzardava a parlare troppo liberamente di una missione una volta
ufficialmente iniziata. I telefoni potevano non essere sicuri, anche se
stavano utilizzando una linea che era solo loro, una coppia di telefoni
identici che avevano comprato apposta per tenersi in contatto, anni
prima, quando Natasha si era presentata all'indirizzo che Clint le
aveva indicato.
Clint Barton aveva preso la
telefonata, quattro cose e se ne era andato, dicendole che era libera
di restare e lasciandole un bigliettino con un indirizzo e un'ora.
La ragazza rimase per un po' ferma
immobile al centro della stanza che fungeva da salotto e cucina,
indecisa sul da farsi.
Cercava di negare, o meglio, di
ignorare, la sensazione che l'aveva presa quando lui aveva capito il
suo SOS e aveva ricambiato il suo bacio, conducendola poi al sicuro. Si
era sentita protetta, come se per una volta non avesse dovuto guardare
in faccia la morte da sola. Non era una brutta sensazione.
Smettila. Si disse. Tu sei tu. E lui
potrebbe anche essere una trappola per ucciderti.
Chi sarebbe mai potuto essere
così...umano, sì umano, con lei, sapendo chi era in realtà? Sapendo
cosa faceva per vivere?
“Credi alle seconde possibilità?”
Le sue parole di quella notte a
Milano le tornarono in mente. La sua risposta era stata sincera. Era
vero. Non ci credeva. Sapeva che per lei non ci sarebbe mai stata la
redenzione. Nella sua vita non aveva fatto altro che uccidere,
torturare, e ancora uccidere.
Ma una parte di sé stessa sperava,
anzi agognava, la possibilità di tirarsi fuori da tutto questo. Ed era
per quel motivo che era finita a fare la cameriera in un ristorante
quando si era vista tradita dalla sua stessa gente.
E quanto è durata? Chiese a sé stessa.
Tuttavia decise di restare. Spostò
frecce (??? questo tizio sul serio nel 2000 usava ancora arco e
frecce??) e abiti (fortunatamente puliti) dal divano facendo attenzione
a non rompere nulla e si stese. Si addormentò in pochi minuti.
Il mattino successivo si alzò
all'alba e si lasciò quella casa alle spalle, non dopo aver imparato a
memoria l'indirizzo.
Le ore passarono in fretta.
Colazione, e poi via dal primo parrucchiere che aveva trovato aperto.
Con non un po' di dispiacere, fece un taglio netto ai capelli, dandosi
un taglio un po' punk. Molto corti, ma con il ciuffo lungo e liscio. E
ovviamente nuovo colore. Questa volta optò per un nero corvino
riflessato blu e la punta della frangia blu elettrico.
Il suo abbigliamento poco dopo seguì
l'inclinazione dei capelli. Comprò un paio di jeans neri, ovviamente
elasticizzati per non venire ostacolata nei movimenti, e un paio di
anfibi (finalmente dei cari, vecchi, anfibi). Una felpa col cappuccio
un po' più grande di un gruppo che non conosceva (linkin pirk, pork,
qualcosa del genere) e infine un giubbino da motociclista di finta
pelle.
Entrò poi in un negozio di Make up.
Eyeliner, matita e mascare, rigorosamente neri.
Fingendo di provarli, prima di
acquistarli si tracciò una perfetta linea nera sugli occhi, non troppo
spessa, ma nemmeno invisibile, si passò la matita nella rima inferiore,
costruendo una linea sottile, e infine si passò generosamente il
mascara.
Una perfetta punk-rocker, si disse,
accorgendosi di riconoscersi a stento e constatando di dimostrare
almeno 5 anni in meno. Perfetto.
Guardò l'ora. Mezzogiorno.
Clint le aveva dato appuntamento alle
13.00. Aveva un'ora per decidersi.
Iniziò a incamminarsi verso il luogo
dell'appuntamento. Ancora non aveva deciso, ma se era una trappola,
quella era l'ora in cui le cose avrebbero iniziato a muoversi.
Era l'incrocio tra la 32esima e la
33esima strada, un luogo decisamente affollato.
Non l'ideale per un'imboscata, si
disse, ma forse ottimo per uccidere qualcuno con una siringa passando
inosservati.
Mentre diversi scenari possibili le
passavano per la testa, si guardò intorno. Sembrava tutto a posto.
Il suo stomaco diede segnali di fame,
perciò si tuffò nello Starbucks all'angolo e pranzò con due fette di
torta e un frappuccino caldo.
Si avvicinava l'ora X.
Eccolo, infatti.
Barton era a meno di 5 metri da lei,
e si guardava intorno, cercandola. Lei lo studiò per un attimo. Le
labbra non si muovevano, non faceva cenni con le mani, e non batteva i
piedi in modo ritmico a terra. Niente che lasciasse pensare che le
stesse organizzando un agguato.
L'uomo si guardava intorno, scrutando
la folla, forse chiedendosi quale aspetto avesse preso questa volta. Il
suo sguardo vagava intorno all'incrocio, nei vari negozi, nei vari bar.
Per un attimo si fissò anche su di lei, che prontamente si nascose
dietro alla tazza evitando di incrociare i suoi occhi.
Le sembrava sulle spine, quasi
speranzoso che lei si facesse vedere.
Al diavolo. Si disse. Che ho da
perdere?
Si alzò e si avvicinò a lui da
dietro, facendosi appena sentire per far si che si voltasse senza che
lei dovesse parlare. Lui per un secondo non la riconobbe, poi rimase
imbambolato in un muto stupore che la fece sorridere.
-Allora?- gli chiese
Lui la condusse allora per le strade
di New York. Le disse chi era, per chi lavorava.
Ovvio. Lo SHIELD.
-E che vuoi da me?-
-Darti una seconda possibilità. Con
lo SHIELD. Non sarà facile, il passato non si cancella, ma potrai
scriverti un nuovo futuro-
Lei non credeva alle seconde
possibilità, ma lo seguì.
PERSONAL SPACE:
prima di tutto:
1-Signore, in arabo
Grazie per essere arrivati fin
qui, spero che il capitolo via sia piaciuto e non vi abbia troppo
annoiato...nel caso, come sempre, fatemelo sapere con una
recensione...alla prossima!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Capitolo 7: La verità ***
PERSONAL SPACE: Eccomi qui, con
un altro capitolo. So che sono ripetitiva, ma di nuovo grazie mille a
Ginge e Alexis, che come sempre hanno commentato! Grazie ancora anche a
chi questa storia la sta solo leggendo, spero che prima o poi vincerete
la timidezza e mi diciate cosa ne pensate!
Ah, un'altra cosa. Ho iniziato
lo spin off di questa fanfiction, dove approfondisco in una vera e
propria storia a sè stante, l'inizio dell'amicizia tra Clint e Natasha.
Il primo capitolo è già online, con il nome "Sento che questo sarà
l'inizio di una lunga amicizia", se vi interessa, sapete dove andarlo a
pescare XD
Niente, mi sono dilungata anche
troppo...buona lettura!
CAPITOLO 7: La verità
Clint prima di entrare nell'hangar si fermò nei bagni.
Diede appena un'occhiata allo specchio, ma gli bastò. Dio, ecco perchè
Fury gli aveva proposto di prendersi il resto della giornata libero.
Era tutto sudato, i capelli corti bagnati e gli occhi iniettati di
sangue. No, decisamente non aveva un bell'aspetto.
Mandò un sms a Natasha.
Sapeva che non avrebbe dovuto farlo, che era in missione. Ma aveva un
assoluto bisogno di parlare con lei, anche solo di farsi mandare al
diavolo. Utilizzò la loro linea sicura, certo che quel telefono sarebbe
in ogni caso rimasto nella camera del lussuoso albergo dove si trovava.
Solo quando prese in mano il cellulare vide la foto che lei gli aveva
mandato. Wow e sta-wow. Natasha era davvero superba in quel vestito, il
contrasto con i suoi capelli lasciava senza fiato, decisamente. Se
quello sceicco non cedeva...bè o era cieco o era gay.
Si sciacquò il viso e poi uscì dal bagno, pronto per la lezione del
pomeriggio. Rimandò l'invio dell'sms. La foto era stata mandata pochi
minuti prima, quindi era decisamente nel pieno della missione.
“Perchè non sono uno sceicco grasso e puzzolente?” le inviò come
risposta prima di mettere via il telefono a raggiungere l'hangar.
I ragazzi lo aspettavano ordinati, e si misero sull'attenti quando lui
entrò.
-Riposo- ordinò in tono quieto, mentre li faceva sedere a terra attorno
a lui.
Iniziò a spiegare, sentendo lo sguardo di Tommy su di lui. Non lo
sfuggiva, sforzandosi di fare lezione come se niente fosse, ignorando
il ragazzino se non per questioni puramente didattiche. Non gli
sembrava il caso di affrontare un discorso così delicato, o anche solo
accennare qualcosa di fronte ad altre persone, e soprattutto, ancora
non non sapeva cosa dirgli.
Era sua la colpa di quello che era successo?
Sì.
No. Era sotto il controllo di Loki. Dio solo sapeva quanto aveva
lottato, cercando di opporsi a quel potere, inutilmente.
Era vero. Non. Era. Colpa. Sua. Fine della storia.
Doveva convincersene.
Tommy lo avvicinò alla fine della lezione, rimanendo l'ultimo a
consegnare la pistola mentre i suoi compagni avevano già lasciato
l'hangar.
-Te la cavi bene-
-Grazie, signore-
Entrambi rimasero in silenzio per un attimo... alla fine Clint prese
fiato.
-Tuo padre non meritava di morire-
-Perchè le hanno ordinato di farlo allora, signore?-
-Vorrei poterti dare una risposta, Tommy. Purtroppo non la ho-
Perchè Loki è un sadico bastardo.
Il ragazzo annuì. Non gli chiese, fortunatamente, perchè non avesse
disobbedito agli ordini. Era nell'accademia dello SHIELD da abbastanza
tempo da sapere la risposta senza doversela sentire dire a voce alta.
Gli ordini sono ordini.
-Tommy. Mi dispiace davvero. Se avessi avuto altra scelta, non avrei
mai obbedito...-
-...Ma gli ordini sono ordini...lo so-
Il tono tranquillo gli fece più male di un pugno.
In un attimo decise che gliel'avrebbe detto, gli avrebbe detto la
verità a costo di farsi cacciare dall'organizzazione. Ma non oggi.
Doveva riflettere bene e consultarsi con Natasha, prima, se non altro
per sentire il parere di qualcuno che non aveva il cervello annebbiato
dai sensi di colpa.
-Prendi tempo, quando torno ne parliamo-
Gli aveva detto così, tre giorni prima. Ed era stato l'ultimo contatto
che aveva avuto con Natasha. Certo, non era la prima volta che spariva
per giorni, specialmente durante una missione, ma non era nemmeno da
lei non mandare nemmeno un sms.
Tra loro funzionava così, da sempre, o almeno, da quando lei era
arrivata allo SHIELD.
L'aveva avvertita che non sarebbe
stato facile, che l'avrebbero in un primo momento arrestata e
interrogata, e successivamente, forse, ammessa nello SHIELD.
Lei aveva annuito e aveva accettato
la cosa, d'altra parte non aveva niente da perdere. Non più.
L'aveva accompagnata nell'ufficio di
Coulson, che, di norma, era quello più umano tra i loro superiori,
nonché colui che l'aveva convinto a smettere la vita da microcriminale
per ambire, per dirla con le parole di Phil, a un bene superiore. Quale
fosse il bene superiore, era ancora un mistero.
Non era però preparato a vedersela
strappare via in un istante, ammanettata e trascinata in una stanza per
gli interrogatori.
-Coulson, la prego...-
-E' una terrorista. Un'assassina,
Barton. C'era un motivo se la volevamo morta- lo interruppe durò -E
adesso scopriamo che siete ottimi amici, magari anche complici da
chissà quanto tempo-
-Infatti. È in arresto.- Fury era
entrato di soppiatto, il suono dei suoi passi nascosto dalla voce del
suo supervisore.
Clint accettò in silenzio le manette;
sapeva che al momento parlare, cercare di discolparsi, non sarebbe
servito a niente, se non, forse, a complicare la sua situazione.
Per una volta tenne a freno il suo
istinto ribelle, quell'indole che l'aveva cacciato in più guai di
quanti potesse ricordare, incluso quello, e si lasciò trascinare nella
stanza degli interrogatori, dove lo fecero sedere su una scomoda sedia.
Non dovette aspettare molto, Maria
Hill entrò nel giro di pochi minuti.
Clint alzò lo sguardo su di lei, e
immediatamente capì che doveva stare molto, molto attento a quello che
diceva, e che probabilmente avrebbe dovuto parlare a cuore aperto.
Facile con una che sembra voglia
incenerirti con lo sguardo, no?
-Da quanto tempo lavori con lei?-
-Non lavoro con lei-
-Ah no?-
-No-
-Spiegati-
-L'ho incontrata per caso, alla Grand
Central Station. Mi ha...- si poteva definire bacio? -...baciato-
-Ah quindi una pericolosa terrorista
ti avrebbe visto in stazione, avrebbe apprezzato il tuo bel visino e
baciato? Non diciamo stronzate, Barton-
Clint sospirò, e alla fine decise, a
malincuore, con immensa fatica per uno che faceva fatica a dire perfino
quale fosse il suo colore preferito, di raccontare tutto.
Iniziò da Milano, da quando l'aveva
avvertita del pericolo. Non tralasciò niente, come si era sentito, cosa
aveva visto in lei, come le avesse ricordato lui stesso qualche anno
prima.
Come avesse pensato che forse, così
giovane, meritava una seconda chance come Coulson l'aveva data a lui
anni prima.
Poi raccontò di New York, di quello
che lei le aveva detto, di come, sì, gli aveva infilato la lingua in
bocca, di come l'aveva portata da casa sua.
Cercò di farle capire quanto Natalia
gli fosse sembrata sperduta e spaventata, di come era riuscito a
leggere dietro lo sguardo freddo della ragazza.
-Ah davvero?- la Hill era molto
scettica a riguardo.
Clint prese un bel respiro e chiuse
gli occhi, e li tenne chiusi mentre sussurrava:
-Non è facile da spiegare, signora-
cominciò, la voce incerta -Ma quando lo vedi, riconosci un altro
orfano. Non ho visto oltre il ghiaccio. Ho visto il ghiaccio. Era la
stessa maschera che indossavo io. Sii spietato, o muori. È la legge
della strada, la prima regola di chi non vive una vita normale. Non so
cosa abbiano fatto a quella ragazzina, ma so cosa hanno fatto a me.
Avevo una buona mira, mi permetteva di vincere le figurine più rare
lanciando le monete, ma crede davvero che un bambino scelga da solo di
iniziare a lanciare coltelli?-
Non aprì gli occhi, ma sentiva lo
sguardo della Hill su di sé. Non voleva vedere. Sapeva a questo punto
la gente cosa provava: pena, dispiacere. Non voleva fare pena a
nessuno, non gli aveva mai fatto piacere che la gente lo guardasse in
quel modo. Deglutì, aprì le labbra quando sentì il freddo di un
bicchiere che vi si appoggiava sopra e bevve un sorso.
-Non volevo diventare Occhio di
Falco. Non volevo lanciare coltelli, né tirare con l'arco. Mi ci
obbligarono: minacciavano la mia incolumità, mi riempivano di botte.
Minacciavano mio fratello. E alla fine cedevo. Sopravvivi o muori. E
tutto doveva venire nascosto: il dolore per le botte, la tristezza, la
voglia di una casa vera. Il...- Clinti si interruppe per un secondo,
incapace di mantenere salda la voce. Strinse le mani a pugno,
conficcandosi le unghie nella carne e recuperando il controllo di sé.
Proseguì- il dolore al cuore che mi prendeva ogni volta che vedevo un
ragazzino della mia età venire al circo, felice con mamma e papà. Lo
sguardo di Natalia, l'avevo anche io quando Coulson mi ha trovato-
Finalmente riaprì gli occhi, guardò
in faccia la donna che ora lo ascoltava in silenzio. Fu lieto di non
vedere altro che attenzione nello sguardo della donna.
-Vuole sapere perchè non l'ho uccisa?
Perchè ho voluto portarla qui? Perchè lei è me. E non dirò altro,
perchè non ho altro da dire-
Dopo poche ore era stato rilasciato,
senza, per il momento, nessuna indagine in corso su di lui. A quanto
sembrava Natalia l'aveva scagionato.
Non gli fu però possibile vederla per
altre due settimane, quando finalmente qualcuno aveva preso la
decisione di ammetterla nello SHIELD, ovviamente sotto la diretta
responsabilità di chi ce l'aveva portata.
-Stai bene?-
Sapeva che non era abitudine
dell'organizzazione far del male alle persone, ma voleva esserne certo.
Lei annuì.
Lavorare con Natalia, anzi Natasha,
perchè era così che si chiamava ora, non era stato facile, ma tra loro
era nata subito una complicità strana, e quando per la prima volta gli
fu assegnata una missione in solitaria, che l'avrebbe costretto a
separarsi da lei, non aveva esitato a infilarsi in un negozio di
cellulari e comprare una coppia di telefoni puliti.
Gliel'aveva fatto scivolare in tasca
mentre le dava le ultime istruzioni prima di partire. Non uccidere
nessuno e non fare danni.
Da allora era il loro canale di emergenza, la loro rete di sicurezza.
Chi era in missione almeno una volta al giorno si faceva sentire. Non
era raro che saltasse qualche giorno, ma non era proprio da
Natasha non farsi viva. Specialmente non durante una missione di
routine come quella. Specialmente non quando sa in che stato mi trovo,
completò tra sé.
Nel frattempo, aveva comunque preso una decisione.
Tommy meritava la verità.
O meglio, lui non meritava di prendersi la colpa per Loki. Si diceva,
tra sé, quando si sentiva in vena di dare retta a Natasha, o meglio, a
quello che gli avrebbe detto se si fosse degnata di farsi viva.
Quindi, al termine dell'ennesima lezione, chiese al ragazzino di
aiutarlo a riportare le pistole in armeria.
Da tempo erano passati alle armi vere, almeno per esercitarsi al
poligono. Tommy sparava davvero bene, aveva una mira decisamente buona,
che migliorava di lezione in lezione con l'esercizio.
Restituite le Berette, Clint lo invitò a pranzo.
Niente di lussuoso. Un self-service, che aveva di tutto e di più, ma
soprattutto aveva quello che serviva a lui: folla.
Dopo pranzo, decise che non poteva più rimandare. Durante il primo si
era detto che il locale non era ancora abbastanza pieno, al secondo
aveva deciso che Tommy meritasse di mangiare in santa pace...al dolce
aveva finto un'urgenza in bagno.
Ma ora non poteva più scappare.
Erano usciti dal ristorante e si erano seduti su una panchina a Central
Park.
-Tommy... ricordi quello che ti ho detto su tuo padre?-
Il ragazzino, stupito, annuì.
-Ora ti dirò la verità. Ti sembrerà assurda, penserai che sono un
codardo che vuole solo pararsi il culo, che tanto è tutto riservato
quindi non potrai verificarlo. Ma ti giuro, sul mio arco, che è tutto
vero, fino all'ultima parola. Ma prima devi promettere che non ne farai
parola con anima viva o morta. Quello che ti dirò, resta tra noi due.
Se qualcosa trapela, io sono fuori dallo SHIELD con l'accusa di
tradimento, e tu verrai spedito da qualche parte dove non potrai
intralciare le operazioni. Mi hai capito?-
Il ragazzino non rispose subito. Rimase fermo, a guardarlo, un po'
stranito, forse, dall'urgenza con cui aveva parlato, a voce bassissima,
chinato verso di lui.
-Mi hai capito?- ripetè.
Tommy annuì solennemente
-Sì...sì, signore-
E così Clint gli raccontò tutto: di come Loki l'avesse posseduto,
spinto a tradire lo SHIELD e a procurargli quello che gli serviva. E
arrivò alla fatale notte di Stoccarda. Parlò come un fiume in piena,
senza avere il coraggio di fermarsi, senza staccare gli occhi da quelli
di Tommy. Se si fosse fermato, probabilmente non avrebbe più avuto la
forza di continuare.
Alla fine del racconto, semplicemente tacque.
Si sentiva svuotato. No, svuotato non era la parola giusta. Libero? Ma
non scherziamo. Più leggero? Naaa. Non bastava raccontare quello che
era successo.
Sollevato? In parte, forse.
Raccontare la verità a Tommy, dargli la certezza che l'ordine della sua
morte non era venuto dallo SHIELD ma da un nemico, gli aveva in parte
dato sollievo. Lui stesso avrebbe pagato perchè qualcuno gli avesse
detto, da piccolo, che suo padre si ubriacava per una motivazione in
più che non fosse la paga bassa al lavoro o la preoccupazione che gli
davano i suoi figli.
Non osava nemmeno immaginare cosa potesse pensare Tommy da quando aveva
raccolto quell'impennaggio della sua freccia che l'aveva ucciso. Occhio
di Falco era famoso anche prima allo SHIELD, un assassino perfetto, un
soldato fedele. Ora per lo meno sapeva che non aveva tradito, che il
fuoco che lo aveva ammazzato non era amico.
Guardò per la prima volta il ragazzino, che l'aveva ascoltato in
silenzio, senza mai interromperlo, assorbendo le informazioni con la
stessa attenzione con cui lo ascoltava in quell'hangar.
Non lo forzò a parlare, approfittò per bere un po' d'acqua dopo il
lungo monologo.
-Quindi... non...sei stato tu...- Tommy aveva la voce incerta ed era
passato a dargli del tu in maniera quasi inconscia -...Cioè...non è
stato lei...signore-
-Io l'ho colpito-
-Ma...papà...non era un traditore...-
-No, Tommy, è morto facendo il proprio dovere. Nessuno dello SHIELD ha
mai dato l'ordine di ucciderlo-
Probabilmente era tutto quello che bastava al ragazzino, perchè in un
istante perse tutta la sua calma, gli occhi gli si inumidirono e ben
presto iniziò a piangere.
Clint non sapeva che fare. Lo strinse, un po' goffamente,a sé,
lasciandogli il tempo di sfogarsi. Notò che molte gente iniziava a
guardarli, perciò lo fece alzare.
-Vieni Tommy, spostiamoci da qua-
PERSONAL SPACE: Eccomi qui!
Dunque, per ora abbiamo il silenzio stampa di Natasha, ma in compenso,
ho voluto dare molto più spazio alla nostra recluta, Tommy, e contiuare
un po' il flashback.
Spero vi sia piaciuta...come
sempre sapete come farmelo sapere! Alla prossima!
Dalamar_f16
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Capitolo 8: Mistero ***
PERSONAL SPACE; Eccomi qui, come
al solito a un'ora indecente... come sempre grazie ad Alexis (che è
bravissima a mettermi ansia) e Ginge, fedelissime e a Ledy Leggy, che
in due giorni mi ha recensito il mondo *___* cioè, wow! grazie! giuro
che piano piano ti rispondo a tutte, per ora GRAZIE; GRAZIE GRAZIE
Niente...buona lettura!
Capitolo 8: Mistero
Poiché Tommy non accennava a calmarsi, Clint decise in un lampo di
portarlo a casa propria. L'appartamento all'ultimo piano del palazzo
era, come sempre, sottosopra, con ancora i resti delle pizze sue e di
Natasha a fare da arredamento sul pavimento.
Li tolse di mezzo con un calcio mentre faceva sedere il ragazzino sul
divano.
Non sapendo che altro fare, si mise vicino a lui e lo strinse forte a
sé.
-Mi dispiace, Tommy. Mi dispiace tanto- Sussurrò non sapendo nemmeno
bene di cosa si stesse scusando -Se fossi riuscito a combatterlo...-
-N...no...- Tommy lo interruppe subito -Non...non è stata...colpa
sua... le...le credo...sig..signore-
Clint tacque, mentre nella sua testa una vocina molto simile a quella
di Natasha gli diceva una cosa tipo: “vedi? Nemmeno lui ti ritiene
responsabile, ora che scuse hai, Barton, per non perdonarti?”
Lo lasciò sfogare, tenendolo stretto come lui avrebbe voluto che
qualcuno avesse fatto a suo tempo, dopo che suo padre l'aveva pestato
per l'ennesima volta, riducendolo a un ammasso di lividi.
Per lui non c'era stato nessuno. Le maestre a scuola facevano finta di
niente, i vicini diventavano tutti improvvisamente sordi alle grida
della madre che implorava il marito di lasciarlo stare, mentre lui
sopportava in silenzio botte e insulti. E dopo, non c'erano stati gli
assistenti sociali. C'erano solo lui e suo fratello. E dopo, anche
Barnie se ne era andato, rivoltandoglisi contro.
Decise, in quel momento, che lui per Thomas ci sarebbe stato.
Sapeva bene che la situazione del ragazzo non era come la sua: Tommy,
probabilmente, aveva una madre (anche se non ne era certissimo, non era
sua abitudine scavare nel passato delle reclute, anche perchè
normalmente sperava che uscissero dalla sua vita nel più breve tempo
possibile) e una famiglia pronta a sostenerlo, ma ad ogni modo, avrebbe
fatto tutto il possibile per essergli di aiuto.
Alla fine Tommy riprese il controllo di sé. Si alzò dalla posizione
semi sdraiata in cui si era lasciato guidare dall'abbraccio di Clint e
si staccò da lui.
-Mi...mi scusi- balbettò arrossendo, rendendosi conto di quello che era
successo
-Ma no, Tommy. Va tutto bene.-
-Eh che... non ci dicevano niente, dicevano che era morto in servizio.
Poi, quando...ho trovato...l'impennaggio, che era stato un
incidente...che lei...aveva mancato il bersaglio...non...capivo più
nulla-
-Come ti ho detto, Tommy, tutto questo è riservato. Tutta la faccenda
di New York è in gran parte top secret, perchè ci sono troppe cose in
ballo, cose che l'umanità non è pronta ad affrontare, come gli dei
Asgardiani, come Loki, ad esempio- cercò di spiegare Clint -E poi c'è
ovviamente tutta la faccenda della possessione-
-Lo capisco...la gente andrebbe in panico-
-Esatto. Per questo ti chiedo di mantenere il segreto. Ad ogni costo.
Se avrai bisogno, io sono qui. Questo è il mio numero, e sai dove
abito, ok?-
-G...grazie, signore-
-Fuori dallo SHIELD sono solo Clint-
-Va bene, sign...Clint-
Clint gli fece un sorriso incoraggiante, mentre con la scusa di usare
il bagno lo lasciava da solo a ricomporsi. Mentre si asciugava il viso,
con una mano aprì una delle ante, prendendo il telefono.
Ancora nessuna notizia da Natasha.
Iniziava a essere preoccupato sul serio.
E' una superspia. Si disse. Non essere apprensivo. Sa come cavarsela da
sola. Se non ti chiama avrà i suoi buoni motivi. E' una missione di
routine, probabilmente starà godendosi un mattino/pomeriggio/sera quel
cavolo che era negli Emirati Arabi in piscina con lo sceicco gentiluomo.
Fece dei respiri profondi, poi tornò dal ragazzo.
Tommy aveva una capacità di dominarsi a dir poco pazzesca. Erano
passati solo pochi minuti, ma si era già ricomposto. Clint gli indicò
il bagno, in modo che potesse lavarsi dal visto gli ultimi residui di
pianto.
-Ti riaccompagno a casa. Dove abiti?-
-Sto dormendo al dormitorio dello SHIELD. Posso tornare da solo se
vuoi, non è un problema-
-No tranquillo. Come mai allo SHIELD?-
Fachesuamadrenonsiamorta. Fachesuamadrenonsiamorta.
Fachesuamadrenonsiamorta.
-Mamma è andata a stare dalla nonna dopo...dopo la morte di mio padre.
Io ho voluto arruolarmi-
Clint non si rese conto di aver trattenuto il respiro fino a quando non
lo aveva rilasciato dopo la risposta di Tommy. Per un attimo, aveva
temuto di averlo reso orfano. La notizia che fosse solo troppo lontana
per tornare a casa lo rincuorava.
-Vuoi restare qui questo pomeriggio, magari a studiare?-
L'offerta gli era uscita spontanea, anche perchè sapeva bene, essendoci
passato, quanto rumorosi potessero essere quei dormitori, e non solo
per via degli altri abitanti. L'intera base era di per sé una giungla
di rumori, e se capitava qualche imprevisto, era anche peggio.
Tommy esitò per qualche minuto, poi si lasciò convincere e rimase a
casa dell'arciere fino alle 22, ora entro la quale chiudevano
tassativamente i dormitori.
Solo dopo essere tornato a casa, e aver guardato per l'ennesima volta
il cellulare, Clint si rese conto di essere davvero preoccupato per
Natasha, cosa che non gli succedeva da anni ormai, dalla prima missione
da solista della ragazza.
-Nat, accidenti, che fine hai fatto?-
Lo sceicco era stato di parola. Il giorno dopo la raggiunse per la
colazione, e si dimostrò, di nuovo, un perfetto gentiluomo, ma anche
una persona molto riservata.
Rimase con lei, ma senza essere appiccicoso, e la prima giornata
terminò senza che Natasha quasi se ne rendesse conto. Presero il sole,
fecero il bagno, pranzarono e passarono il pomeriggio insieme.
La spia quasi iniziava a rimpiangere i soliti maiali.
Con loro bastava una serata, una scollatura, e un bicchiere in più di
vino.
La missione si faceva più dura del previsto.
Non funzionando le tecniche di seduzione (e ormai aveva fatto cose che,
ne era certa, avevano arrapato tutti gli uomini non omosessuali nelle
vicinanze), e non potendogli fare bere alcol, stava quasi meditando
l'uso del sodio pentathol, detto anche il siero della verità.
Si concesse altre 24 ore, poi avrebbe agito.
Quella sera riuscì a convincerlo a cenare nella suite. E se ne pentì
amaramente. Quell'uomo non era solo riservato: era prudente al limite
del paranoico.
Sì, aveva un dannato assaggiatore.
Come se tutti volessero carpirgli informazioni.
Calma Natasha, calma. Si disse. Troverai un modo.
-Sei uno prudente tu, vero?- chiese con un sorriso
-Tu no?- rispose lui
Lei abbassò lo sguardo e annuì.
-Abbastanza. Il mio autista in effetti di solito viaggia armato- ammise
imbarazzata
Rayhan sorrise e annuì, comprensivo. Era normale che una giovane, ricca
e bella imprenditrice come lei fosse in costante pericolo.
-Tu sei sempre così prudente?- gli chiese
-Bè quando fai un lavoro come il mio, non sei mai al sicuro,
specialmente qui dove tutti vedono complotti e giochi politici dietro
ogni tua azione-
-Ed è davvero così?- chiese con aria innocente sfruttando il momento
-Voglio dire, questi complotti, si fanno davvero?-
-Sei interessata?-
-Ad investire qui? Assolutamente. Ma vorrei capire cosa mi aspetta,
sai, valutare i pro e i contro...-
-Bè, alcuni effettivamente lo fanno. Sai, le nostre maggiori
esportazioni riguardano il petrolio, che è un bene molto prezioso per
voi occidentali. Si può quasi dire che chi controlla il petrolio,
controlla l'economia mondiale. E inoltre, gli Emirati sono un paradiso
fiscale, tanto che molte nazioni limitano gli scambi di denaro liquido
con noi-
-Non che questo vi mandi in rovina- sorrise Natasha, che cercava in
qualche modo di sfondare il muro di diffidenza dell'uomo.
Continuarono a parlare dell'economia ancora per qualche ora, durante e
poi anche dopo la cena. La rossa sondava, punzecchiava, cercava uno
spiraglio, ma lo sceicco era sigillato. Dava risposte esaurienti per
qualcuno intenzionato a investire, ma non parlava mai del suo impero
economico.
Natasha si allontanò con la classica scusa della cipria.
In bagno sospirò silenziosamente, valutando se fosse o meno il caso di
affrontare direttamente l'argomento.
Da quello che aveva visto durante la cena, non c'era verso che bevesse
o mangiasse qualcosa che non fosse stato prima assaggiato, anche a
costo di sfiorare la maleducazione, come quando si era assentata ed era
tornata con una bottiglia di liquore di prugna artigianale, un prodotto
tipico di Venezia fatto con succo di prugna e grappa veneziana, con un
tocco di caramello e zucchero.
Si era scusato, e nonostante la bottiglia sigillata, aveva atteso che
l'assaggiatore, e anche Natasha, ingerissero il liquido prima di
procedere a sua volta all'assaggio.
Fin qui riteneva già una vittoria l'essere riuscita a fargli ingerire
dell'alcol.
Il pentathol, per ora, era escluso.
Decise di rispettare il tempo limite che si era data. Si sistemò il
trucco e tornò sul divanetto dove Rayhan l'aspettava. L'uomo sembrava
davvero interessato a lei, almeno per ora, solo dal punto di vista
degli affari.
Intorno a mezzanotte, vedendola stanca, la fece riaccompagnare nella
sua stanza.
Finalmente potè liberarsi di quegli abiti, e di quei maledettissimi
tacchi a spillo.
Il giorno dopo sarebbe stata una nuova giornata a parlare di cose
noiosissime, di cui ormai aveva anche esaurito le idee.
Si alzò a piedi nudi, con l'idea di chiamare Clint. Quel maledetto
telefono non prendeva, così si prese i suoi rischi e scese nella hall,
intenzionata a chiamarlo da uno dei telefoni a scheda, ugualmente
puliti.
Un movimento alle spalle la avvertì troppo tardi che qualcuno la stava
seguendo molto da vicino.
Ebbe solo una frazione di secondo per rendersi conto che stava per
essere colpita.
Buio.
PERSONAL SPACE: Capitolo molto
corto, lo so, ma volevo lasciarvi un po' col fiato sospeso. Ora che la
faccenda di Tommy è abbastanza definita...che sarà successo a Natasha?
State con me e lo saprete!
alla prossima!
Dalamar
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Capitolo 9: Natasha ***
PERSONAL SPACE: Rieccomi! Come
sempre grazie a tutti coloro che hanno commentato, mi fate davvero
felice! Sono contenta che questa cosuzza vi piaccia!
Niente, vi lascio al capitolo e
ci vediamo in fondo!
Capitolo 9: Natasha
Natasha aprì gli occhi lentamente, e la prima cosa di cui si rese conto
era che aveva un mal di testa di quelli che non vengono tutti i giorni.
La seconda che non era nella sua stanza alle Vele.
La terza era che non aveva la minima idea di cosa fosse successo.
Cercò di alzarsi, ma un cerchio alla testa le suggerì che era meglio
non mettere troppo alla prova il suo fisico.
Fece un respiro profondo e con molta, moltissima cautela, voltò la
testa a destra e a sinistra. Era in una stanza senza delle vere e
proprie finestre. La luce proveniva da delle feritoie disposte a pochi
centimetri dal soffitto, larghe pochi centimetri e alte anche meno,
messe a distanza regolare su due dei quattro lati. Evidentemente quelli
che coincidevano con le mura di cinta di quel...qualunque cosa fosse
quel posto.
Non riusciva a vedere la porta dalla sua posizione, probabilmente era
dritta davanti ai suoi piedi, ma non ce l'aveva fatta ad alzarsi a
sufficienza senza che la nausea l'assalisse, per cui non aveva un
quadro completo della stanza.
Istintivamente cercò a tastoni nella tasca degli shorts che indossava
la presenza ormai familiare della sua linea con Clint. Ovviamente
gliel'avevano tolto.
Dannazione.
Non che avesse intenzione di chiamarlo, Occhio di Falco non era
assolutamente nella condizione di poterla venire a salvare. Tra i sensi
di colpa e la sua impulsività si sarebbe fatto ammazzare in meno di
dieci secondi netti.
Ma in qualche modo l'aveva sempre rassicurata il fatto di averlo con
sé. Era come se avesse sempre una via d'uscita, per quanto la maggior
parte delle volte che se ne servivano implicava che erano in missioni
separate, probabilmente a mezzo mondo di distanza l'uno dall'altra.
Smise di pensare a Clint per provare a concentrarsi su sé stessa.
Iniziò un vecchio giochino, forse inutile, ma che la aiutava a mettere
a fuoco la situazione
Dove sei? aveva appurato di non saperlo, ma probabilmente in una
prigione o un qualche magazzino. Era ancora negli Emirati? La domanda
non aveva risposta. Non aveva idea di quanto fosse rimasta priva di
sensi.
Cosa è successo? Questo era già più difficile. Cercò di ricordare. Era
stata tutto il giorno con lo sceicco, avevano parlato, di affari per lo
più. Poi era scesa per cercare di mettersi in contatto con Clint.
Questi erano gli ultimi ricordi più o meno lucidi che arrivavano pian
piano alla sua mente.
E poi? E poi... un uomo. Da dietro. Una botta. Fine delle trasmissioni.
Cercò di focalizzarsi su quell'uomo. Di richiamare alla mente ricordi
sbiaditi, ma niente, non riusciva a metterne a fuoco il viso, forse
nemmeno aveva avuto il tempo di vederlo.
Lo sforzo mnemonico le provocò un nuovo attacco di nausea e giramenti.
Questa volta non riuscì a ricacciarlo indietro ed ebbe appena il tempo
di voltare il viso prima di vomitare quelli che erano i resti
dell'ottima cena avuta con lo sceicco. Fortunatamente la
barella/lettiga su cui era sdraiata era abbastanza stretta, e gran
parte del rigurgito finì per terra. Non un bello spettacolo, ma
sicuramente meglio che impregnare un materasso.
Solo quando fece per sollevare la mano sinistra e pulirsi la bocca si
rese conto di essere legata mani e, scoprì non appena cercò di
muoverli, piedi. Aveva solo pochi centimetri di movimenti concessi.
Giusto quello che bastava per toccarsi le tasche, altrimenti si sarebbe
subito resa conto di non potersi muovere, invece era riuscita a cercare
la presenza del telefono senza problemi.
Imprecò tra sé.
Odiava non sapere cosa stesse succedendo.
Da quando aveva rimesso, non passò molto tempo che entrasse una
persona. Era un uomo, da quello che potè intuire. Non le parlò, non
fece cenno di vederla e/o sentirla quando provò a chiamarlo, a fargli
notare la sua presenza.
Sembrava molto imponente, le spalle erano larghe (anche se la sua
visuale poteva essere distorta dalla sua prospettiva di prigioniera) e
aveva il volto coperto da un passamontagna che copriva anche gli occhi
con una fitta rete nera, molto simile a quella presente sul
tradizionale burqa portato dalle donne in Afghanistan. L'uomo le era
del tutto irriconoscibile.
Lo guardò attentamente, cercando di carpire eventuali zoppie o
movimenti caratteristici, ma doveva essere stato ben addestrato. Non
traspariva nulla.
Lui pulì dove aveva sporcato, poi la lasciò di nuovo sola.
Natasha conosceva la tattica: lascia solo il prigioniero a cuocere nel
suo brodo, fallo cedere al panico, e dopo farlo parlare non sarebbe
stato un problema.
Cercò di stare calma, di non agitarsi. Chiuse gli occhi e cercò di
recuperare le forze.
Era spaventata? Ovviamente.
Poteva permettersi di cedere? Mai.
Non era diventata una delle migliori sul campo comportandosi come una
qualunque. Lei era la Vedova Nera, e chiunque fossero quegli uomini,
presto avrebbero assaggiato un po' delle sue capacità.
Il riposo è un arma.
Natasha si costrinse a dormire.
Venne svegliata da una secchiata di acqua che definirla gelida non era
sufficiente.
Un grido le salì spontaneo alla bocca, mentre iniziava a tremare di
freddo. Era ancora vestita come era scesa da quella stanza. Shorts di
cotone e una t-shirt a maniche corte con il cappuccio. Cubetti di
ghiaccio misti ad acqua erano posati sulla sua gola, e uno le era
penetrato nella scollatura, fermandosi nell'incavo del reggiseno.
Aprì gli occhi azzurri, indossando subito quella che Capitan America
definiva “la sua armatura” da Vedova Nera. Si finse più spaventata di
quel che era: le pupille dilatate, il respiro affannato, un naturale
tentativo di liberarsi.
Non tutti questi sentimenti erano falsi, ma la paura che provava era
perfettamente sotto il suo controllo, pronta a essere usata a suo
piacimento.
-Chi...chi siete? Che...cosa volete?- La sua voce aveva un tono
innaturalmente più alto, con una nota di isterismo che di norma non le
apparteneva. Cercò di muoversi, per tentare di vedere chi fossero i
suoi carcerieri, ma chiunque l'avesse catturata sapeva fare il proprio
lavoro: restavano costantemente al di fuori della sua vita.
-Basta con le finte, Natalia-
Il suono del suo vero nome le provocò un brivido gelido lungo la spina
dorsale.
Natalia Romanova era morta quel giorno allo SHIELD, quando avevano
deciso che l'avrebbero ammessa nell'organizzazione.
Rimase comunque lucida, cercando di giocare bene le proprie carte.
-Natalia? Ma che? Chi? Che volete da me? Chi è questa Natalia?-
Ma capì che la sua commedia era finita nel momento in cui qualcuno le
mise davanti agli occhi la sua foto segnaletica. Anzi no, era il suo
file al KGB. Il curriculum di un passato che credeva lasciato alle
spalle e che ora rientrava, prepotentemente, nella sua vita.
A quel punto mise da parte la recita della donna spaventata per
iniziarne subito un'altra: quella dell'impenetrabile Vedova Nera.
I suoi occhi si fecero freddi come il ghiaccio, e assunse una posa
tranquilla, immobile.
-Cosa volete- Chiese di nuovo.
-Solo sapere cosa vuoi dallo sceicco, signorina Romanova-
L'aver scoperto di essere ancora nelle mani di Rayhan in qualche modo
là rinfrancò.
Per un attimo, aveva temuto di essere finita di nuovo in Russia, sotto
il controllo di quello che era nato dalle ceneri del KGB. Non avrebbe
retto l'idea di un nuovo addestramento, di nuovi condizionamenti
mentali. Di nuovi omicidi senza apparente motivo.
-Avete fatto i compiti...i miei complimenti-
Osò rispondere con la faccia tosta che la contraddistingueva e che le
aveva salvato la pelle più volte di quante potesse ricordare.
Lo schiaffò arrivò imprevisto e forte, lasciandole una spiacevole
sensazione di bruciore sulla guancia.
-Tutto qui?- Rincarò la dose -Un misero schiaffo?-
-Rayhan si è raccomandato: non dobbiamo farti troppo male-
-Che gentile-
Rispose con un sorriso strafottente.
-No- Finalmente la voce conosciuta dello sceicco le arrivò alle
orecchie -Voglio solo avere il piacere di farti urlare ed estrarre
personalmente tutte le informazioni che vorrai darmi suoi tuoi capi-
La voce dell'uomo era pacata, ma aveva una nota glaciale che le lasciò
non poca inquietudine addosso. Fin dal loro primo incontro aveva capito
che era un professionista, ma mai le aveva dato l'impressione di essere
un torturatore. Bè, evidentamente Natasha non era l'unica brava a
fingere.
Ed, evidentemente, lo SHIELD era molto bravo a nascondere le
informazioni sui propri agenti, se quello che era riuscito a trovare
era il suo file al KGB. Oppure, ora che ci pensava, era trapelato solo
quello che Fury aveva voluto che trapelasse. Il suo passato. Non il suo
presente.
Poiché aveva imparato che nessuna informazione è davvero segreta,
l'ultima conclusione era quella più plausibile.
-Accomodati- rispose -Se hai letto quel file sai che non è facile farmi
parlare... per cui...buon divertimento-
Lui le si avvicinò e finalmente Natasha potè vederlo in faccia. Il suo
volto era impassibile. Non la odiava per l'inganno, né era disgustato.
Sembrava...il volto di un uomo prima di cominciare una riunione di
affari: interessato, concentrato eppure lievemente annoiato.
Questo non le sollevò il morale.
Una persona arrabbiata, o delusa, tendeva a sfogare le proprie emozioni
subito, con inaudita violenza, salvo poi crollare e allentare le cose,
oppure uccidere la propria vittima una volta raggiunto un livello di
frustrazione tale da non volerla più nemmeno sentire respirare. Ma se
era solo una questione di affari, Natasha non aveva dubbi: avrebbe
fatto un lavoro minuzioso e costante, e tendenzialmente, poteva andare
avanti all'infinito.
Le cose non si mettevano per nulla bene.
Non fu smentita.
Gli interrogatori si susseguivano con una cadenza irregolare. C'erano
giorni in cui non le lasciavano un minuto per respirare. La
interrogavano per ore e quando pensava fosse finita, ricominciavano.
Oppure le lasciavano ore che sembravano infinite prima di ricominciare.
Decisamente sapeva come far cedere i propri aguzzini.
Ai suoi silenzi corrispondevano torture sempre peggiori. Avevano
iniziato con le classiche minacce di chi aveva visto troppi film
polizieschi. Dalle minacce di dolore fisico a quelle di stupro.
Inutile dire che le minacce le erano scivolate addosso come l'acqua
della doccia.
Ben presto le minacce avevano avuto seguito. Tutte quante. Stupro
incluso.
Aveva cercato di estraniarsi, di ignorare quegli uomini che la
toccavano ovunque, i loro membri ovunque. Non era niente di nuovo. Il
KGB l'aveva sottoposta a torture ben peggiori per prepararla a quella
che era inevitabilmente la fine di una spia donna catturata, prima di
venire uccisa.
Ma l'umiliazione, la voglia di mandare a fare in culo tutti e tutto,
l'aveva colta più di una volta. Alla fine, cosa le aveva dato Fury? Un
addestramento, un lavoro che alla fine non era molto diverso da quello
che faceva prima. Tutto questo valeva l'essere violata?
Decisamente no.
Ma poi aveva pensato a Clint. E successivamente Steve e Bruce. La loro
delicatezza nei suoi confronti. La sensibilità e la tenerezza del
primo, catapultato in un mondo per lui irriconoscibile; i sensi di
colpa del secondo, dopo che aveva perso il controllo rischiando di
ucciderla. Tony, insopportabile e, doveva ammetterlo, irresistibile. E
sì...perfino Thor, il semidio imperscrutabile ma che si era esposto in
prima persona per salvare la Terra. Clint. Coulson. Clint.
Loro valevano il suo silenzio. Al cento per cento.
Quindi aveva resistito. A ogni pausa, allentava un po' le corde,
massacrandosi i polsi, resistendo al dolore.
Alla fine riuscì a estrarre una mano. E con calma anche l'altra. Aveva
già appurato che non c'erano telecamere nascoste, gridando più di una
volta, disperata, che non ce la faceva più, che era pronta a parlare.
Nessuno aveva reagito, e nessuno le aveva chiesto niente gli
interrogatori successivi. E soprattutto, nessuno aveva mai accennato a
controllare i legacci.
Si mise finalmente a sedere, la schiena indolenzita dalla lunga degenza
forzata e dalle multiple ferite.
Si guardò, shorts e slip erano spariti e la t-shirt era strappata in
più punti. Del reggiseno nemmeno l'ombra, ovviamente.
Non perse poi molto tempo.
Facendosi strada dolorante ma caparbia riuscì a guadagnare l'uscita.
PERSONAL SPACE: Capitolo
abbastanza Natashoso, lo ammetto, ma dopo averla piantata per un po' mi
ha telefonato minacciandomi per cui... XD
Niente spero vi sia piaciuto,
nel caso fatemelo sapere! (Anche
se non vi è piaciuto eh? )
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Capitolo 10: notti tormentate ***
PERSONAL SPACE: Prima di
tutto...scusate! Scusate se ancora non ho risposto alle vostre
recensioni fantastiche ed entusiastiche (Anche se Alexis mi fai un po'
paura XD XD), giuro che appena ho un minuto rimedio!! Grazie anche a
chi ha inserito questa ff nelle seguite, sono piccole soddisfazioni per
me!
Vabbè...vi lascio al capitolo
Capitolo 10: Notti tormentate.
Respirò per un momento la fresca aria della notte non appena riuscì a
mettere piede fuori da quel...lo guardò per un attimo. Sembrava un
rifugio antiatomico in mezzo al deserto. Una nemmeno troppo grande
struttura in cemento armato. Evidentemente il caro Rayhan non era così
estraneo a certe pratiche.
Non perse tempo e iniziò a correre, ignorando il dolore ai piedi nudi e
quello alle sue parti intime.
Vedeva delle luci non molto distanti...che si rivelarono più distanti
del previsto, tanto che solo allo spuntar del sole riuscì a raggiungere
i margini di quel villaggio. Con non pochi sensi di colpa, sottrasse a
una casa un abito da donna, che seppure la intralciava nei movimenti,
aveva il pregio di nasconderla egregiamente.
Con la scusa di una donna americana che si era lasciata abbindolare da
un Emiro troppo gentile, che si era poi rivelato un vero e proprio
padrone (i lividi sul suo volto fecero un egregio lavoro), riuscì a
convincere un ignaro uomo d'affari inglese a darle un passaggio sul suo
jet privato fino all'aeroporto di Londra.
James, questo il suo nome, fu molto gentile. Le diede degli abiti
puliti e le lasciò la cuccetta del suo aereo per permetterle di
riposare. Ma il vero shock lo ebbe quando si guardò alla specchio,
subito dopo essersi fatta una doccia. Sì, su quel dannato aereo c'era
una doccia.
Natasha lo annotò tra le cose da far aggiungere a Fury. Niente docce
sugli aerei dello SHIELD.
Finalmente potè darsi un'occhiata clinica, ora che si era quasi
calmata.
Quasi non credeva all'immagine riflessa nello specchio. Il suo corpo
era cosparso di lividi e ferite quasi ovunque, un occhio era molto nero
e un lato della faccia gonfio, ma questo la aveva immaginato.
I seni riportavano qualche livido, dove gli uomini l'avevano palpata e
morsicata. Il solo contatto la faceva gemere di dolore. Le sue zone
intime erano assolutamente fuori servizio. Il dolore era tanto che
anche solo orinare le aveva fatto venire le lacrime agli occhi. Aveva
immediatamente chiesto al suo ospite una pastiglia blocca diarrea in
modo da evitare assolutamente ogni altro fabbisogno.
I polsi erano scorticati e facevano male, così come le caviglie, ma
combattè il dolore e si costrinse a lavarsi per bene le ferite, per
evitare che fibre di corda le provocassero un'infezione con i
controfiocchi.
Si rivestì con un paio di jeas da uomo e una t-shirt che le andava più
che larga, ma che allo stesso tempo non restava a contatto con le
ferite, e quindi andava benissimo.
Si stese sul letto e vi rimase, rannicchiata su sé stessa, gli occhi
spalancati. Non aveva voglia di parlare e James capì, anche se
scambiava il suo silenzio con lo shock che quella giovane donna aveva
subito.
Shock solo in parte finto.
Natasha teneva duro, ma ora che l'adrenalina e la tensione della
prigionia stavano svanendo, si rese conto di quello che aveva passato.
Si costringeva a non tremare, a restare lucida, ma avrebbe voluto
piangere e urlare. O uccidere qualcuno.
Le ore di volo passarono interminabili. Non voleva dormire e iniziava
pensare che la sua fuga fosse stata troppo tranquilla.
Certo, aveva steso una decina di guardie armate, che per quel posto
così piccolo volevano come una legione, ma si era stupita anche che
nessun'altro fosse all'interno di quel “carcere”.
Per ora non voleva porsi il problema. L'unica cosa che voleva era
tornare negli Stati Uniti, anche se non sapeva come spiegare a Fury il
proprio fallimento. Ne sarebbe stato furioso, e forse l'avrebbe perfino
punita.
Al diavolo, Nat. Cazzo, ti hanno torturata!
La voce di Clint, non richiesta ma assolutamente veritiera, le rimbombò
in testa. Sebbene la inquietasse il fatto che la sua coscienza avesse
preso da discutibilissima voce di Clint Barton, non poteva negare la
verità.
Fanculo a Fury. Non aveva scelto lei di fallire.
Lo sceicco aveva fatto i compiti, aveva cercato informazioni, e aveva
scoperto chi era.
Non aveva fatto errori.
James bussò piano alla porta.
-Lisa. Tra pochi minuti atterriamo, il comandante chiede se puoi venire
a sederti in cabina, per una questione di sicurezza-
-Sì. Arrivo- Natasha si tirò cautamente in piedi, prontamente sorretta
dall'uomo.
Lui le aveva già proposto di fare denuncia e a chiedere a qualche
organizzazione internazionale un intervento ma lei, fingendosi troppo
spaventata anche solo per pensare di doverlo rivedere, aveva scosso la
testa in segno di diniego, insistendo per tornare al più presto negli
USA, a casa dei suoi genitori.
James l'aveva accontentata. Un secondo volo privato l'attendeva per
portarla a casa.
Un rumore gli fece aprire un occhio. La serratura di casa che scattava
gli fece aprire l'altro. Recuperò silenziosamente il coltello da sotto
il materasso e si alzò.
Nonostante il caos, sapeva esattamente che cosa abitava il suo
pavimento, e riuscì ad arrivare alla porta di casa senza emettere un
suono.
Come questa si aprì, fu lesto ad immobilizzare l'intruso puntandogli il
coltello alla gola. Per ritrovarsi tra le braccia Natasha.
Quasi gli cadde addosso.
Aveva i capelli scuri, tinti, non più rossi, e sembrava a dir poco
esausta.
-Natasha...- la sorresse e la portò direttamente nella camera da letto,
facendola stendere sul materasso -Nat...ehi...-
-Sto...bene. La missione è...fallita-
Non disse altro. Chiuse gli occhi e si addormentò di sasso, lasciando
Clint indeciso sul da farsi.
Poi il suo istinto agì per lui. Mise una pistola nella mano dell'amica,
assicurandosi che fosse carica, poi, preso l'arco, uscì dalla finestra
e si arrampicò sul tetto. Sapeva che Natasha non era così stupida da
farsi seguire, aveva troppa esperienza per commettere un simile errore,
ma era più che stanca, e abbastanza disperata se aveva deciso di andare
direttamente da lui e non al quartier generale.
Rimase basso, nascondendosi nella notte e guardò in strada. Non c'era
nessuno che desse segni di essere sospetto.
Vide Mitch, il solito barbone all'angolo, addormentato sotto il suo
cartone. Accanto a lui il suo cane, un vecchio incrocio tra un pastore
tedesco e un qualcos'altro che non era bene in grado di definire. Quel
cane era molto diffidente e protettivo, non c'era pericolo che qualcuno
potesse prendere il posto del suo padrone senza lasciarci la carotide.
La strada era quieta, i bar già tutti chiusi, e nessuno camminava nei
dintorni. Cambiò tetto e fece il giro dell'isolato.
Solo quando si fu assicurato che non era stata seguita si azzardò a
tornare nell'appartamento.
Come mise piede nella stanza, si trovo con la propria pistola a due
centimetri dalla fronte.
-Nat...sono io-
-Dio, Clint- Subito lei abbassò la pistola -Scusa-
-Sono uscito ad assicurarmi che non ti avessero seguito. Che è
successo?-
-Ricordi la missione di routine? Bè il maiale gentiluomo è stato
parecchio sottovalutato-
Clint accese la luce e chiuse bene le finestre. E solo allora vide i
lividi sul suo volto e sui polsi.
-Dio...che ti ha fatto Natasha?-
E fu allora che accadde qualcosa che avrebbe lasciato Occhio di Falco
sconvolto per molto, moltissimo tempo.
La Vedova nera inizio a tremare. Prima lievemente, poi sempre più
forte. Poi scoppiò in un pianto spaventato.
Per un istante non seppe che fare.
La cosa gli sembrava tanto assurda che non per un attimo pensò che lo
stesse prendendo in giro.
-Nat...- sussurrò mentre si sedeva sul letto accanto a lei e la
stringeva dolcemente, cercando di non farle del male. La donna si
strinse a lui, nascondendo il viso nel suo petto mentre piangeva. La
sentì affondargli le unghie nella carne, come a cercare un appiglio
solido e reale.
Ma che le era successo?
Decise che, per il momento, non aveva importanza. Rafforzò la presa a
sua volta, e la tenne stretta.
-Sono qui, Natasha. Va tutto bene. Sono qui-
Non sapeva nemmeno lei cosa le stesse succedendo.
All'improvviso, ritrovarsi a casa di Clint, al sicuro, aveva fatto
crollare tutte le sue difese mentali.
Il suo corpo aveva deciso che era ora di sfogare tutta la sua paura. E
quando l'uomo la strinse forte a sé, non riuscì a fare altro se non
ricambiare, cercare un appiglio, qualcosa che fosse uno spiraglio di
luce nell'incubo di quei giorni.
Sei al sicuro, si disse, prima di alzare gli occhi pieni di lacrime e
metterlo a fuoco.
-Non lasciarmi...- gli sussurrò prima di cedere al sonno.
-Non lasciarmi...- E lui non la lasciò. Dopo quella disperata
richiesta, Natasha si era addormentata tra le sue braccia. Lui non
riuscì a fare altro se non a farla stendere, lentamente, sul materasso.
Dopodichè la vegliò tutta notte, senza avere il coraggio di chiudere
gli occhi.
Natasha passò una notte agitata, tormentata dagli incubi e da violenti
attacchi di panico.
L'unica cosa che ogni singola volta la riportava alla realtà e la
calmava, era il trovare in ogni istante gli occhi azzurro/grigio di
Clint accanto a lei.
Lui non le diceva poi molto: la teneva stretta, la accarezzava e
cercava in qualche modo di rassicurarla. E ogni volta, rinfrancata,
riusciva ad addormentarsi.
All'ennesimo attacco di panico, sentì salirle la febbre, una normale
reazione corporea, che subito schizzò alle stelle.
Questo la stordì definitivamente, facendola finalmente crollare in un
sonno senza sogni.
Finalmente Nat sembrava definitivamente crollata, e Clint non potè non
tirare un sospirone di sollievo. Non che avesse intenzione di dormire,
ma vederla svegliarsi così spesso in preda al terrore, lo stava
destabilizzando non poco.
Di missioni finite male ne avevano affrontate un sacco, ed erano stati
anche catturati di più volte, ma lei non aveva mai perso così il
controllo.
Sicuramente era stata torturata, e nemmeno ci erano andati leggeri, su
questo non aveva dubbi. I segni sui polsi e sulle caviglie non
lasciavano spazio a dubbi, e la fuga sicuramente non era stata
rilassante.
Ma che cosa poteva far andare fuori di testa la Vedova Nera?
Guardò Natasha che dormiva tra le sue braccia. Tremava lievemente e dal
calore crescente che emanava sentiva che le stava salendo la febbre.
Forse era meglio così, riflettè, almeno la metterà ko e riuscirà a
dormire.
Non era preoccupato. Sapeva che sarebbe arrivata dopo gli attacchi di
panico. Sapeva altrettanto bene che il giorno dopo sarebbe scesa da
sola, così come era arrivata. E comunque non si sarebbe mosso. Non
l'avrebbe lasciata. Sentiva di essere l'unica cosa che le impediva di
perdere definitivamente il controllo.
Natasha riaprì gli occhi all'alba, non appena il sole fece capolino
dalla finestra della camera da letto di Clint. Sul momento cercò di
divincolarsi dal suo abbraccio, ancora spaventata, ma poi come lo
riconobbe si rilassò.
-Grazie- Gli sussurrò facendogli un mezzo sorriso, che lo rincuorò.
Sembrava almeno in parte la vecchia Nat.
Con un qualche gemito di dolore, la sciolse dal suo abbraccio,
mettendosi seduto per lasciarle spazio. La posizione “abbraccio
antipanico” non era definitivamente comoda. Si stiracchiò, rimettendo
in moto i muscoli.
-Come stai?- le chiese
-Hai presente una merda calpestata?-
Clint sorrise. Lo stava citando.
Era stato lui a dirle quella frase quando finalmente lei aveva avuto il
permesso di vederlo dopo New York
-Sì, conosco la sensazione- rispose mentre si alzava. Vide lei cercare
di fare lo stesso -Stai giù. Non sembri in gran forma. Ti porto la
colazione, ok?-
-Niente che sia bianco e cremoso per favore- gli rispose senza
guardarlo, e nella sua testa si accese una lampadina che lui si
affrettò a spegnere, troppo disgustato anche solo per prendere in seria
considerazione l'idea. Fece una riverenza e sorrise.
-Ai suoi ordini, principessa- fu ricompensato da un timido sorriso
della ragazza, che scorse con la coda dell'occhio mentre si dirigeva
verso la cucina.
Era incredibile come Clint riuscisse ad affrontare ogni cosa con
naturalezza, senza mai farlo pesare, senza mai far sentire un peso
nessuno.
Non ricordava esattamente come fosse finita a casa di Clint, non era la
cosa più logica da fare. La cosa più logica era correre dall'aeroporto
al quartiere generale dello SHIELD e fare rapporto.
Ma il viaggio verso New York le era sembrato interminabile, l'aveva
vissuto col terrore di stare tornando indietro, di essere stata
ingannata, di essere caduta nella trappola dello sceicco che l'aveva
lasciata scappare solo per infliggerne l'ennesima, umiliante, tortura.
Il terminal del JFK non le era mai sembrato così accogliente, non aveva
mai avuto il sapore di casa che l'aveva accolta appena aveva messo
piede giù dal volo privato.
Aveva ringraziato pilota e hostess, che si erano presi cura di lei
rispettando il suo bisogno di solitudine e poi si era infilata nel
dedalo di persone che transitavano. Al primo parrucchiere aveva
cambiato taglio e colore dei capelli, così per stare sul sicuro. Si era
comprata dei pantaloni e una t-shirt, abbandonando quelli in prestito
in uno dei bagni dell'aeroporto.
Poi al momento di decidere la prossima meta, il suo istinto aveva agito
per lei.
Era ferita e, lo sapeva bene, molto scossa.
Non ricordava esattamente il momento in cui aveva deciso di andare da
Clint e nemmeno la strada che aveva percorso. Non ricordava nulla, e
questo in parte la inquietò e in parte le diede un'idea dello stato in
cui si trovava.
Il resto era venuto da sé. Appoggiarsi a lui, sfogarsi, implorarlo di
non lasciarla sola.
E lui non l'aveva lasciata. Aveva vaghi ricordi della notte tormentata,
ma l'unico vivido, sicuro, reale, era la sua presenza. Le sue braccia
strette attorno a lei, forti, ma delicate, come se avesse avuto paura
di farle del male, i suoi occhi sempre aperti, le sue parole che la
rassicuravano.
E ora l'unica cosa che faceva era prendersi cura di lei con il sorriso
sulle labbra.
Clint tornò con un bicchiere di succo di frutta e un pacco di biscotti.
-Non ho altro- si scusò
-No...va bene. Grazie- prese il bicchiere e praticamente lo trangugiò
senza sentirne il sapore. Lui per tutta risposta le portò il cartone,
invitandola a servirsi a suo piacimento.
Natasha aveva sete, forse una conseguenza della febbre, e si sentiva il
sudore asciugatosi sulla sua pelle. Non vedeva l'ora di farsi una
doccia.
Clint si sedette sul pavimento di fronte a lei, una tazza di caffè
caldo in mano. Lo guardò e si sentì un po' in colpa. Aveva gli occhi
iniettati di sangue, e un gran bel paio di occhiaie nere.
-Scusami-
-Per cosa?-
-Per la crisi. Per non averti fatto dormire-
L'arciere posò il caffè a terra e si alzò, avvicinandosi a lei. Le mise
un braccio attorno alle spalle e la attirò a sé dolcemente, baciandole
i capelli.
-Va tutto bene. Crolliamo tutti prima o poi- Lei annuì in risposta,
godendosi quell'abbraccio dolce e goffo allo stesso tempo mentre
prendeva un biscotto e se lo portava alle labbra.
Si era reso conto che entrambi stavano evitando il discorso...lei per
rimandare il momento, lui forse per non volere conferme alle ipotesi
che la sua richiesta di prima gli aveva sicuramente messo in testa.
Per ora, andava bene così. Voleva solo sentirsi al sicuro.
PERSONAL SPACE: rieccomi!
dunque, grazie, come sempre, a chi è arrivato a leggere fin qui...spero
che nessuno mi linci per aver sconvolto un po' la nostra Natasha, ma ho
pensato che un'esperienza del genere avrebbe senz'altro scosso anche
lei. Niente, fatemi sapere se devo ripararmi dietro lo scudo di Cap!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Capitolo 11: qualcosa di reale ***
PERSONAL SPACE: eccomi qui!
altro capitolo abbastanza clintashoso, almeno dal punto di vista
dell'amicizia...come sempre grazie alle mie fedelissime, che mi leggono
e recensiscono e anche a chi legge e basta, a chi mette questa ff tra
le preferite e le seguite...buona lettura!
Capitolo 11: qualcosa di reale
Clint continuò a tenerla abbracciata a sé, lieto finalmente di vederla
calma o, perlomeno, non più così sconvolta. Rimase in silenzio,
guardandola svuotare piano piano il contenuto del pacco di biscotti,
chiedendosi da quanto tempo non toccasse cibo, visto la nota avversione
della Vedova Nera per i dolci. Guardò l'ora, ben sapendo di doversi
presentare alle 10.00 al quartier generale per l'ennesima lezione con
le reclute. Era ancora presto. L'orologio segnava le 5.45.
Lasciò che fosse lei a staccarsi da lui, per essere sicuro che fosse
emotivamente stabile prima di lasciarla andare.
Solo dopo si alzò per recuperare il kit di pronto soccorso che teneva
in bagno.
Non le avrebbe fatto domande. Sapeva, per esperienza personale, che
forzare qualcuno a parlare era la cosa peggiore che si potesse fare, e
inoltre tra loro due aveva sempre funzionato proprio per il rispetto
che avevano degli spazi reciproci, fisici e psicologici.
Le si avvicinò cauto.
-Posso?-
Lei annuì semplicemente e si spostò un poco più sotto la luce per
permettergli di vedere meglio. -Per il ghiaccio dovrai aspettare, ho
messo l'acqua in freezer mentre preparavo la colazione-
Di nuovo, lei fece un cenno affermativo con la testa, senza proferire
parola.
Non aveva voglia di parlare, e stava letteralmente amando il fatto che
lui rispettasse il suo bisogno di silenzio, parlando solo per chiederle
se poteva occuparsi di lei.
Lo guardò mentre lui iniziava a medicarle delicatamente le ferite sul
viso. Venne via molto sangue, e quando finì, vide con sollievo che non
erano ferite così drammatiche come aveva pensato. Sorrise quando lui
fece una battuta sul fatto che era comunque decisamente figa.
Notò però, che non aveva fatto una delle sue solite battutacce. Prima
non avrebbe avuto scrupoli a dire che si sarebbe...Dio non riusciva
nemmeno a pensarla quella parola... con una sua foto.
Che avesse capito qualcosa?
Francamente, non le importava, anzi, forse lo preferiva.
Non si vergognava di quello che le era accaduto, ma non si sentiva
pronta a raccontarlo, o almeno credeva, e temeva il momento in cui
avrebbe dovuto scriverlo sul rapporto.
Non aveva paura di dirlo a Clint, semplicemente non aveva idea di come dirglielo. Temeva la sua
reazione e non voleva che si buttasse in una vendetta solo perchè
accecato dalla rabbia.
Perchè sarebbe stato furioso, di questo era certa.
Era loro già capitato qualche volta di trovarsi di fronte a donne
stuprate o costrette alla prostituzione, a anche con le sconosciute le
sue reazioni erano tutt'altro che pacate.
Sarebbe sicuramente esploso ora che era successo a lei.
Come lei si era infuriata nel vederlo ridotto come uno straccio...
Era riuscita a entrare nello SHIELD,
alla fine. Aveva coperto Clint, evitando di dire cose che non sapeva,
come, ad esempio, per quale dannato motivo a Milano l'aveva salvata.
Per lei lavorare in squadra non era
semplice. Non l'aveva mai fatto. Il KGB l'aveva sempre addestrata a
operare in solitaria, a guardarsi le spalle da sola. E ora si ritrovava
a fare coppia con Clint.
I due insieme lavoravano bene. Si
parlavano poco e agivano tanto. E, cosa non da poco, era la prima
persona a cui riusciva ad affidare la propria vita.
Certo le prime missioni erano state
uno schifo, ed era una fortuna vera e propria che loro fossero
abbastanza in gamba da uscirne indenni nonostante la totale mancanza di
coordinazione.
Poi, piano piano, avevano trovato un
equilibrio.
Iniziarono anche a scherzare tra di
loro, a riconoscere le debolezze e i punti di forza dell'altro e a
sfruttarli al meglio.
Ma quanto tenesse veramente a Occhio
di Falco lo capì solo un anno dopo, quando erano stati catturati
durante una missione in Canada.
Nessuno dei due aveva potuto fare
niente per evitarlo, erano finiti entrambi dritti nella trappola.
Clint si era offerto volontario per
l'interrogatorio. Non l'aveva fatto per galanteria. Era una questione
di tattica. Dei due, quella fredda e calcolatrice era lei, lui era
quello istintivo. Natasha era quella più adatta a tirarli fuori vivi.
Era stato lontano per ore, mentre lei
pensava a una via di fuga, a possibili soluzioni, inclusa la
confessione di alcune cose abbastanza irrilevanti ma che sarebbero
state vere e proprie rivelazioni per i loro aguzzini. Quando era
tornato non era in grado nemmeno di restare seduto. Era esausto, non
ferito, ma bagnato fradicio e tremava come una foglia al vento.
Aveva subito riconosciuto la tattica
tipicamente americana della tortura con l'acqua. Erano in Canada ed era
gennaio. Il vero supplizio per Clint sarebbe stato sopravvivere al gelo
della notte tra quelle quattro mura umide.
Si era tolta subito la felpa,
ignorando il freddo e le sue deboli proteste, ed era rimasta con una
canottiera aderente. Aveva freddo, ma tolse i vestiti bagnati all'amico
e dopo averlo asciugato come poteva, gliela fece indossare, e
contemporaneamente si era stesa su di lui per scaldarlo col proprio
calore.
Il terrore che non sopravvivesse alla
notte l'aveva letteralmente mandata fuori di testa.
Il mattino successivo, quando
entrarono per riprendere l'interrogatorio, li aveva uccisi senza pietà
e aveva trascinato fuori Clint a suon di omicidi, come non faceva dai
tempi del KGB, dove un morto in più o in meno non faceva differenza. Si
era calmata solo quando l'aveva portato in un ospedale e le avevano
assicurato che non sarebbe morto congelato.
Lei e Clint erano come una famiglia.
E se lei, così fredda aveva reagito così dopo pochi mesi, cosa avrebbe
fatto lui dopo così tanti anni e una pseudo storia d'amore?
-Nat?-
Si scosse dai suoi pensieri e si accorse che lui la stava guardando un
po' preoccupato
-Eh?-
-Mi dai i polsi, per favore?-
Lei obbedì e lo guardò lavorare con calma, pulirle e disinfettarle bene
le escoriazioni che si era provocata con quelle maledette corde.
Gemette di dolore quando lui con una pinzetta sterilizzata sul fornello
e poi fatta raffreddare, le estrasse qualche filamento di spago
-Stringi i denti, Nat-
Una parola. Faceva un male d'inferno. La pelle aveva già ricominciato a
rimarginarsi attorno alla corda e l'operazione la fece di nuovo
sanguinare. Ma strinse i denti e tenne duro, costringendosi a restare
immobile mentre lui lavorava.
Finita l'operazione la fasciò per bene e ripetè il tutto con le
caviglie, che erano davvero un uno stato pietoso complice lo sforzo
fatto per arrivare negli USA. Clint sussultò quando le vide. Il sangue
si era rappreso sopra il calzino, imprigionandolo di fatto nella
ferita. Decisamente non un bello spettacolo. Inoltre piede e polpaccio
erano un livido unico.
I suoi occhi incontrarono quelli dell'amico.
-Nat...questo farà parecchio male- le disse -Stenditi, torno subito-
-Dove vai?- chiese con urgenza. Improvvisamente seppe di non voler
essere lasciata sola. Non in quello stato.
-Voglio solo salvaguardare il materasso. Tranquilla. Non ti lascio-
Dio. Ora si che era inquietato.
Nel tono di Natasha c'era una nota di panico autentico. I suoi sospetti
prendevano sempre più forma, mentre raccattava un sacchetto
dell'immondizia e un paio di asciugamani dal bagno.
Mise il sacchetto e sopra di esso l'asciugamano, poi cominciò a
toglierle, aiutandosi con le forbici, i calzini, mentre Natasha si
sforzava di non gridare dal dolore.
Il tempo che impiegò per la medicazione gli sembrò infinito, ma alla
fine completò l'opera con una bella fasciatura fresca. Sentì l'amica
stendersi cautamente, con un sospiro di sollievo e si alzò per portarle
dell'acqua.
Doveva dirglielo. Ormai non poteva aspettare di più, anche perchè si
rendeva conto della necessità di dover alleviare l'infiammazione e, suo
malgrado, di un test di gravidanza, senza contare la necessità di una
medicazione alla zona perianale che non era certo in grado di fare da
sé.
Aspettò che Clint tornasse e si prese il tempo di bere con calma prima
di parlare
-Clint- disse alla fine cercando di tenere la voce ferma. Le uscì poco
più che un sussurro e istintivamente la sua testa si abbassò, i suoi
occhi fissarono il bicchiere che teneva distrattamente tra le mani.
E il modo in cui pronunciò il suo nome, gli fece capire tutto. Le mise
un dito sulle labbra, invitandola a tacere, a non parlare se non se la
sentiva.
-Dimmi solo di cosa hai bisogno, Natasha-
-Un...test di...di...g..- la vide nettamente in difficoltà e annuì
solamente.
-Qualcosa per le irritazioni?- le chiese dolcemente.
Un nuovo cenno affermativo.
L'avrebbe abbracciata, ma sapeva che Nat non voleva la sua pena o il
suo dispiacere, così si era buttato sulle cose pratiche, sperando di
evitare che si soffermasse troppo su quel che le era successo.
Clint guardò l'ora, era ancora prestissimo, le farmacie non avrebbero
aperto ancora per un'oretta, almeno.
-Vuoi...non lo so, qualcosa per rinfrescarti? Per farti degli impacchi?-
Sì, era pessimo e lo sapeva. Ma stava cercando di domare una bestia che
si era svegliata dentro di lui al solo pensiero di quello che le era
accaduto. Certo, entrambi sapevano che è quasi inevitabile per una
donna catturata venire stuprata, ma tra la consapevolezza e la realtà
c'era una abisso, e tra la realtà e il fatto che la realtà fosse
Natasha c'era un universo. Una distanza che si era improvvisamente
azzerata e l'aveva lasciato prima incredulo, poi l'aveva raggelato, e
infine aveva scatenato l'istinto rabbioso che c'era in lui.
Lo stesso istinto che l'aveva spinto più di una volta a scagliarsi
contro suo padre per proteggere sua madre.
Natasha. Si disse. Concentrati. Su. Natasha. Ci sarà tempo per la
vendetta. Natasha ora è qui e le serve aiuto. Natasha.
Lei annuì solamente.
Le sembrava... svuotata, insicura.
E ciò gli rendeva ancora più difficile restare calmo.
Prese una bacinella e la riempì di acqua fresca, cercando poi un
qualcosa di morbido per far sì che non si facesse male. Alla fine
rimediò una spugna rettangolare e sottile, di quelle senza la parte
ruvida. Quando tornò da lei, vide che si era tolta slip e pantaloni.
-Te la lascio...ehm...qui- disse esitando, decisamente per niente
preparato a trovarsela mezza nuda davanti. Certo non era niente che non
avesse già visto, ma mai la situazione era stata tanto delicata.
-Mi...mi...aiuteresti?-
Doveva dire qualcosa di stupido. Ora. Troppa tensione. E non sopportava
quel tono di voce su Natasha
-Solo se me lo chiedi con voce sexy-
Non era una gran battuta. Natasha lo sapeva. E non era nemmeno
appropriata.
Ma funzionò.
La voce con cui aveva parlato non le sembrava nemmeno sua tanto era
insicura.
Iniziò all'improvviso a ridere.
Quella penosissima battuta di Clint le era sembrata qualcosa di davvero
reale. Qualcosa di normale in quella situazione che di normale non
aveva niente.
-Ti lascio toccare la mia vagina. Accontentati- Riuscì a rispondere
ridendo mentre lo colpiva scherzosamente con un pugno sulla spalla.
-E il lato B?- Il tono continuava a essere scherzoso, anche se la
domanda era abbastanza seria.
-Vada per il lato B, poi però ti chiudi in bagno e ti dai al fai da te.
Io non ti aiuto-
Era di questo che aveva bisogno.
Di qualcuno che non la guardasse come una vittima. Di qualcuno che non
provasse pena per quello che era successo. Che facesse finta di niente
pur non lasciandola sola.
Aveva bisogno di Clint.
La sua pessima battuta aveva funzionato meglio del previsto. La
tensione si era sciolta e Natasha aveva iniziato a ridere, dando vita a
uno dei loro soliti scambi di battute.
Rise anche lui mentre sigillavano l'accordo con una stretta di mano.
Quando entrambi si furono calmati (e lui aveva anche vinto due lividi
nuovi nuovi sulla spalla) inzuppò per bene la spugna e dopo averla
strizzata iniziò a tamponarla delicatamente, timoroso di farle del
male, tesissimo, pronto a ritirarsi alla prima avvisaglia di disagio da
parte di Natasha.
Ma la ragazza era perfettamente rilassata, stesa sul letto, una mano
posata sullo stomaco, l'altra sulla fronte. Ben presto Clint passò a
tamponarle le gambe, lavandola dallo sporco del viaggio.
-Clint?-
-Sì?-
-Avvisami quando tornerai a essere un dodicenne alla prima volta che
vede una donna nuda-
Per tutta risposta le tirò in faccia la spugna bagnata di acqua fredda,
facendola ridere e gridare allo stesso tempo.
Alla fine dell'operazione entrambi tirarono un sospiro di sollievo.
Lei, perchè si sentiva davvero meglio, e lui perchè era riuscito a
farlo senza terrorizzarla a morte.
Guardò l'ora.
Si erano fatte le 8.30. E lui era a dir poco esausto. Se voleva
riuscire a passare anche in farmacia doveva uscire ora.
-Natasha? Te la senti di stare sola?-
-Sì. Tranquillo, Clint. Vai-
Lui uscì di casa e tornò con quello che gli aveva chiesto. Si era
procurato anche un telefono usa e getta. Lo lasciò a Natasha,
strappandole la promessa di chiamarlo in caso di bisogno. Poi si mise
la divisa e uscì, diretto a lezione.
Se la sentiva davvero di stare sola?
Non lo sapeva, ma doveva essere forte. Clint non poteva assentarsi dal
lavoro, e lei doveva iniziare a pensare a come dire a Fury di aver
fallito la missione.
Ma prima pensò a sé stessa.
Ignorò il test. Non era pronta a farlo, non da sola per lo meno. Se
fosse stato positivo, da sola sarebbe impazzita. Probabilmente
l'avrebbe fatto anche con Clint, ma per lo meno ci sarebbe stato lui
accanto a lei, pronto a farla ridere o a darle un sostegno.
Si occupò per prima cosa della sua intimità. La sensazione di fresco
data dalla crema scacciò per un po' il bruciore.
Finalmente si decise a farsi una doccia. Si prese tutto il tempo del
mondo, immaginando che l'acqua potesse far scorrere via insieme a lei
tutto l'accaduto. Trovò in bagno un enorme telo ancora piegato,
probabilmente preparatole da Clint. Vi si avvolse completamente e si
mise sdraiata sul letto, lasciandosi cullare dal tempore della spugna.
Piano piano scivolò in un sonno tranquillo.
-E' tutto ok, signore?-
Tommy gli si era avvicinato alla fine della lezione del mattino, alla
fine della pausa pranzo.
Era tutto ok? Ovviamente no.
Come non aveva più avuto Natasha sotto mano, da rassicurare e aiutare,
la sua mente aveva divagato, la rabbia era montata in lui, a stento
controllata. Sapeva bene che non serviva a niente incazzarsi, che alla
meglio quello sceicco era nel suo palazzo, circondato dalle sue
ricchezze, probabilmente con l'unico rammarico di non avere più il
corpo di Natasha a sua disposizione.
Eppure il rancore covava dentro di lui, rendendolo particolarmente
severo e scorbutico, specialmente con le reclute.
Anche il sonno faceva la sua parte. La notte insonne, passata tenendo
stretta l'amica, con l'ansia di non sapere cosa le stesse succedendo,
l'aveva sfibrato. E ora stava pagandone le conseguenze.
-Sì, Tommy, non preoccuparti. Ho solo avuto una nottataccia-
-Ne è sicuro?-
-Sì, ora approfitto della pausa per farmi una dormita-
-E'...colpa mia?-
Per un attimo, troppo preso dalla Vedova Nera, si era scordato delle
rivelazioni di Tommy. Scosse la testa, e optò per una mezza verità
-Una mia amica non è stata troppo bene...e le sono rimasto vicino-
Tommy annuì e salutandolo si diresse verso la mensa. Clint non aveva
nemmeno fame. Si buttò su un materassino e in un istante già dormiva.
Venne svegliato da Capitan America in persona. Si astenne mordendosi la
lingua dal mandarlo al diavolo. Mugugnò un qualcosa che nella sua mente
era un “che posso fare per te”, ma che sicuramente non era arrivato
così chiaramente.
Steve Rogers si sedette vicinissimo a lui, e parlò in qualcosa che non
poteva nemmeno definirsi un sussurro.
-Che succede a Natasha? Credevo fosse negli Emirati-
-Niente- Rispose un po' troppo in fretta, un po' troppo sveglio
rispetto a qualche secondo prima.
-Bugiardo-
-Cosa ti fa pensare che io sappia qualcosa?-
-Ti ho sentito parlare con quella recluta-
-E allora?-
-L'unica persona con cui passeresti una notte insonne è Natasha-
Dannatamente vero. Decise in un istante. Mentire a Cap non gli avrebbe
portato nessun giovamento, e, inoltre, se con qualcuno doveva parlare,
preferiva fosse con lui. Per lo meno avrebbe avuto la sensibilità
adatta ad affrontare una cosa del genere.
-Ok, ma non una parola a nessuno. Fury incluso-
-Ma..-
-Capitano...non glielo chiederei se non fosse importante...-
-Va bene-
Clint quindi gli raccontò di come aveva accolto una Natasha sconvolta e
ferita. Non fece parola dello stupro, ovviamente.
Steve lo ascoltò in silenzio, poi lo mandò dritto a casa a starle
vicino o a dormire. Alle reclute avrebbe pensato lui, e anche a Fury.
Occhio di Falco non osò ribellarsi, e si trascinò a casa, dove crollò
sul divano non appena si era assicurato che Nat stesse dormendo
tranquilla.
PERSONAL SPACE: Ora anche Cap sa
qualcosa..e Fury? lo scoprià? come Finirà per Natasha? Lo sceicco sarà
davvero un capitolo chiuso? Al prossimo capitolo!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Capitolo 12: rapporti ***
PERSONAL SPACE: Rieccomi!!! Sono
tornata con un po' di ritardo, ma sono di nuovo qui! Grazie di nuovo a
tutti quelli che mi commentano, Mumma, Ledy Leggy e Alexis in
particolare, e tutti coloro che hanno inserito questa storia tra le
preferite!
Vi lascio al capitolo...buona
lettura!
Capitolo 12: Rapporti
Natasha si svegliò che erano quasi le quattro del pomeriggio, ancora
avvolta nell'asciugamano che aveva trovato in bagno e che l'avvolgeva
completamente. Il sole penetrava diretto nella finestra, scaldandola
piacevolmente.
Si stiracchiò con cautela, cercando di non riaprire le ferite sulla
schiena. Finalmente era riuscita a dormire tranquilla, senza la febbre
o gli incubi a tormentarla. Sorrise nel vedere che Clint le aveva
lasciato accanto una pistola e un cellulare.
Non era mai stato un tipo da rose, in effetti.
Si alzò e aprì l'armadio, alla ricerca di qualcosa che non fossero i
vestiti comprati in aeroporto. La facevano sentire sporca ed erano
ormai abbastanza lerci.
Trovò i pantaloni di una tuta che sembravano provenire dal secolo
scorso, ma facevano al caso suo, e una felpa di non sapeva nemmeno lei
quale film/fumetto/videogioco. Era calda, e questo le bastava.
Solo quando mise piede fuori dalla stanza per entrare nel salotto con
angolo cottura si accorse della presenza di Clint, che dormiva
beatamente sul divano. Iniziò a fare molto piano, anche se dormiva così
profondamente che probabilmente non sarebbe riuscita a svegliarlo
nemmeno se gli avesse fatto esplodere una delle sue frecce esplosive a
mezzo metro di distanza.
Sorrise e iniziò a cercare cosa poteva fungere da pranzo.
Clint era il solito disorganizzato: in casa non c'era niente che non
fosse scaduto da almeno un mese, eccetto lo scatolame, ma solo perchè
avevano data di scadenza così lunga che solitamente Natasha riusciva a
rubarglieli quando era a corto di provviste.
Trovò miracolosamente una scatola di pasta e una confezione di un sugo
pronto alla bolognese che portava la dicitura: più buono di quello
fatto in Italia.
Sbuffò, divertita: probabilmente quel condimento aveva visto dei
pomodori solo lungo il trasporto in camion, ma il casa non c'era niente
di meglio (non osava aprire il frigorifero) per cui si sarebbero dovuti
accontentare.
Mise su l'acqua e mentre aspettava che bolliva raccolse un po' di cose
sparse in giro. Si stupiva di come la sera prima fosse riuscito ad
avvicinarsi alla porta tanto silenziosamente che lei non se ne fosse
accorta, probabilmente quella roba stazionava sul pavimento da talmente
tanto tempo che lui ne conosceva a memoria l'abitazione.
Sapeva che non era suo compito farlo, ma aveva notato che se restava
inattiva la sua mente risvegliava ricordi spiacevoli, per cui preferiva
riordinare casa di Occhio di Falco, sperando che nel frattempo non si
fosse creata vita sufficientemente sviluppata da morderla.
Solo quando la pasta fu pronta si decise a svegliare Clint.
Lui aprì gli occhi di soprassalto, ci mise qualche secondo a fare mente
locale e a svegliarsi del tutto.
-Ehi-
-Ciao, Natasha...che ore sono?-
-Quasi le quattro. Credevo avessi lezione-
-Sì, beh...Cap mi ha spedito a casa, non riuscivo a tenere gli occhi
aperti- si mise seduto mentre parlava, le mani che andavano a
stropicciargli gli occhi ancora pieni di sonno e ridotti a due fessure.
-Scusa-
-Va tutto bene, ti sei fatta ripagare-
Capì subito a cosa si riferiva e gli piantò scherzosamente la forchetta
che aveva in mano in una gamba
-Porco-
-Ahi! Sì ok, ma non di quelli da mangiare- replicò lui sottraendo la
gamba.
Risero entrambi.
-Ho fatto un po' di pasta. Mangiamo?-
-L'hai avvelenata?-
-Non lo so, sei tu che hai il frigo che ormai è un microsistema!-
-Ehi non insultare la mia popolazione frigorifera! Mi paga l'affitto!!-
L'indignazione di Clint la fece ridere.
La maggior parte delle volte l'avrebbe ucciso per come sembrava
prendere comicamente qualunque cosa, incluse le missioni. Aveva giurato
che l'avrebbe fatto, e prima o poi l'avrebbe realizzato: mettere un
qualcosa che desse delle scosse comandabile a distanza nella tasca dei
pantaloni di Clint e farla scattare a ogni battuta inopportuna durante
una missione in cui lei andava sotto copertura e lui le offriva
supporto dall'esterno.
La scena di solito era così. Lei andava a sedurre o comunque a
conquistare la fiducia del magnate di turno, e lui la sfidava a restare
seria mentre sparava stronzate a raffica via auricolare.
Ogni tanto, a random, gli partiva un complimento, o una battuta che
doveva essere un complimento, e lì lei avrebbe voluto poterlo zittire.
Una scossa le sembrava una buona mossa.
Ora però ringraziava l'amico burlone.
Averlo accanto con la sua allegria la metteva di buon umore.
Mangiarono punzecchiandosi a vicenda, o meglio, lei commentava il
perenne disordine in casa dell'amico e lui cercava in qualche modo di
giustificarsi. Non gli riusciva molto bene, ma era buffo.
Solo dopo, quando andò in bagno, ne tornò abbastanza tesa, con il test
in mano. Era uno di quelli classici, non digitali, e gli serviva
qualche minuto per agire. Clint la guardò, improvvisamente serio e teso
quasi quanto lei.
Natasha non disse niente, semplicemente gli passò, con mano tremante,
lo stick con il responso girato verso terra. Clint lo prese.
-Giro?-
Mordendosi un labbro, annuì, studiando ansiosa la reazione dell'amico.
Occhio di Falco lo voltò, studiandolo per un minuto prima di stringerla.
-E' tutto ok, Natasha. E' negativo-
Fu lieta di essere tra le sua braccia, perchè il sollievo le provocò un
capogiro che quasi le fece venire un mancamento. La prima buona notizia
da giorni. Clint la sorresse prontamente portandola sul divano e
dandole un bicchiere d'acqua.
Nessuno dei due parlò per un po', finchè non vennero interrotti dal
suono del campanello.
Si guardarono in faccia per un attimo, mentre Occhio di Falco andava
allo spioncino.
-E' Cap- disse aprendo la porta mentre la Vedova Nera faceva sparire il
test nascondendolo sotto il cuscino dal divano.
La visita di Steve fu un vero toccasana per entrambi.
Il test fortunatamente si era rivelato negativo, e Clint ne era davvero
sollevato. Natasha non avrebbe retto la notizia che oltre ad averla
violentata, era anche incinta del suo stupratore.
Capitan America fu come sempre un signore.
Lo scagionò, raccontando che era stato lui a spingere perchè gli
raccontasse cosa fosse successo, e si dimostrò sensibile e disponibile.
Ma il problema restava. Ora bisognava dirlo a Fury, che secondo Cap
iniziava a essere molto molto preoccupato dal silenzio di Natasha.
La russa annuì
-Sì, ci stavo pensando...domani mi presenterò a fare rapporto.
Rimandare non serve a nulla-
-Sai che noi ti copriamo se vuoi- le disse Steve -Nessuno a parte noi
sa che sei tornata-
-Lo so...però è un peso che mi porto dentro. Prima me ne libero, prima
mi lascerò questa storia alle spalle, se non mi tolgono dal servizio
attivo-
-Hanno già me fuori, non ti toglieranno. Tu sei più brava a fingere di
star bene-
Non era più tanto sicura che di essere pronta, non ora che era davanti
all'ufficio di Fury, la cartellina con il rapporto dettagliato degli
avvenimenti più o meno veri (Clint aveva insistito nel dire che lui
l'aveva incontrata per caso e costretta a stare da lui per rimettersi
in sesto) e la richiesta di un test dell'HIV.
-Sicura che non vuoi che entri?-
-No, Clint tranquillo. Sei già abbastanza nei guai. Va pure dalle tue
reclute-
-Ah, a proposito di reclute, poi dobbiamo parlare-
Lei lo guardò curiosa, ma annuì. Aspettò che Clint fosse lontano prima
di bussare all'ufficio di Fury, più sicura di quanto non si sentisse in
realtà.
La voce del direttore dello SHIELD la invitò ad entrare. Fece un bel
respiro e aprì la porta.
-Agente Romanoff- la accolse con non poco sollievo nella voce- Iniziavo
a preoccuparmi. Problemi?-
Ci siamo. Pensò prima di parlare.
-La missione è fallita- esalò in un respiro prima che il coraggio le
venisse meno, e poggiò la cartellina con il rapporto e il materiale
raccolto sulla scrivania di Fury. Ebbe la tentazione di abbassare lo
sguardo, ma poi si ricordò di quello che Steve e Clint le avevano detto
solo il giorno prima.
Non aveva niente di cui vergognarsi. La missione era finita male, ma
chi ci aveva rimesso era lei.
L'uomo con un occhio solo non disse nulla, iniziò semplicemente a
leggere le carte, dopo averla fatta accomodare. Rialzò gli occhi solo
quando ebbe finito di esaminarle, richiesta medica inclusa. Solo dopo
alzò lo sguardo.
-Sta bene?-
-Sì- Nessuna esitazione.
-Ne è sicura?-
-Il KGB mi ha addestrato anche per questa eventualità. Facevamo delle
simulazioni, quindi sapevo come comportarmi. Sono rimasta dall'agente
Barton solo perchè lui ha insistito-
Fredda, calma. Stava parlando del proprio stupro come se niente fosse.
L'avevano preparata così.
Fury annuì, forse non pienamente convinto, ma nelle parole di Natasha
c'era la pura verità, almeno in metà di essa. La congedò invitandola a
prendersi un paio di giorni per le analisi e un check-up completo al
centro medico dello SHIELD.
Clint venne chiamato nell'ufficio di Fury in pausa pranzo. Non era
riuscito a sentirsi con Natasha, ma era sicuro che si fosse attenuta al
piano. Era la cosa più giusta da fare.
Entrò composto nell'ufficio del direttore.
-Ho ricevuto il rapporto dell'agente Romanoff-
Clint annuì.
-Dice che è stato lei a insistere perchè passasse qualche giorno a casa
sua e si ristabilisse, pur sapendo che la priorità di un agente è
venire a fare rapporto-
-Sì, signore, conosco il regolamento-
Fu la semplice risposta di Occhio di Falco, che non aveva intenzione di
aggiungere altro. Ci fu qualche minuto di silenzio.
-Ha intenzione di darmi una spiegazione?-
-Ho incontrato Natasha alla stazione. Era ferita, mezza nuda e faticava
a stare in piedi. Non potendola portare in ospedale, l'ho portata a
casa mia, dove l'ho medicata e aiutata a ristabilirsi. È stata
catturata e stuprata, mi sembrava giusto darle respiro-
-E fare rapporto a me non le sembrava giusto?-
-Posso parlare liberamente?-
-Prego-
-No. Non mi sembrava giusto. Sarà anche una macchina da guerra,
l'avranno anche addestrata, avranno anche simulato una cosa del genere.
Ma tra una simulazione e la realtà c'è un abisso. E io ho visto una
ragazza sull'orlo di una crisi di nervi che aveva bisogno di riposare.
La missione è andata comunque a puttane, quindi no signore, non mi
sembrava giusto farle rapporto-
Si rese conto solo dopo di essersi spinto forse troppo oltre, di aver
dato contro non solo a Fury, ma ai regolamenti dello SHIELD, quei
regolamenti che aveva accettato e giurato di rispettare, ma proteggere
Natasha veniva prima.
Vide Fury mordersi la guancia dall'interno, forse per evitare di
esplodere, mentre rifletteva su quelle parole.
Alla fine lo lasciò andare senza dirgli altro, il che non lasciò Clint
particolarmente tranquillo.
La sua tortura non era finita. Natasha lo braccò a fine lezioni, mentre
con Tommy andava a riconsegnare le armi.
-Ehi-
-Ehi. Nat lui è Tommy, il ragazzino di cui ti ho parlato, Tommy,
Natasha-
-Buongiorno, signora-
-Ciao Tommy. Clint, hai un minuto?-
-Sì, ho finito...Tommy se vuoi dopo le 17 sono a casa-
-Va bene, signore, la ringrazio-
L'occhiata che gli scoccò la collega fu più che eloquente. Rimandò le
spiegazioni però a mezz'ora dopo, quando erano a casa.
-Che cosa hai fatto? Clint dannazione ti si è fottuto il cervello?-
-Senti non volevo che pensasse che suo padre fosse un traditore!-
-Da qui a spiattellargli segreti militari ci passa un oceano, Clint!-
-Sei tu quella che dice che non devo prendermi colpe che non ho. Bene,
non voglio essere disprezzato per qualcosa che ho fatto mentre un cazzo
di semidio si divertiva a giocare col mio cervello!-
-Non usare le mie parole contro di me!-
Clint sospirò e si passò una mano tra i capelli. Non poteva negare che
Natasha avesse ragione su tutti i fronti, ma riteneva le sue
argomentazioni più che valide.
Finalmente anche l'uragano Natasha tacque per un secondo. Alla fine
sospirò
-Che intenzioni hai?- gli chiese infine
-In che senso?-
-Con Tommy-
-Non lo so- rispose con sincerità
Natasha odiava quando Clint agiva prima di pensare, anche se ormai si
era rassegnata a quel lato del suo carattere. Ma ciò non toglieva che
questa volta aveva passato il limite.
Un conto era cercare di superare i propri sensi di colpa, un altro
spiattellare informazioni riservate al primo ragazzino che gli faceva
notare che aveva seccato suo padre.
Sospirò e guardò l'amico.
Era vero, però, che Clint non aveva avuto molte altre alternative.
Prendersi la colpa per qualcosa che non aveva fatto non lo avrebbe
certo aiutato a star meglio, né avrebbe facilitato le cose a quel
ragazzino, e capiva come non volesse che Tommy pensasse che il padre
fosse un traditore.
Accidenti a te, Clint!
Se non altro, questo nuovo grattacapo le teneva impegnato il cervello.
Ora era vitale che nessun altro venisse a conoscenza di quello che
Clint aveva fatto.
PERSONAL SPACE: E rieccomi.
Tommy è tornato di nuovo...che succederà ora? Natasha si mangerà il
buon Clint? Lo scoprirere nella prossima puntata!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Capitolo 14: Debole? ***
PERSONAL SPACE: Rieccomi!!
sempre ad orari indecenti, lo so, ma sono di nuovo qui. Giuro che il
primo giorno che pubblico senza che la mia testa ciondoli sulla
tastiera vi nomino uno per uno, am per ora voglio solo dire GRAZIE a
chi mi legge, a chi ha inserito questa cosa nelle seguite, preferite e
da ricordare, spero la stiate apprezzando! E ovviamente grazie a Ledy
Leggy e all'Unicorna che mi recensiscono!
Vi lascio al capitolo!
Capitolo 14: Debole?
Tommy era ormai un abituè a casa Barton.
Il ragazzino non era particolarmente fastidioso. Arrivava, si sedeva al
tavolo della cucina e studiava. Studiava un sacco.
Natasha aveva dato un occhio alla sua scheda, ed era il migliore del
suo corso. Evidentemente la morte del padre lo aveva spinto a dare il
meglio di sé per arrivare il più in alto possibile.
I medici dell'ospedale militare l'avevano messa a riposo per un mese:
ferite multiple, due costole incrinate e stress post-traumatico. E lei
che aveva sperato di cavarsela con i due, tre giorni che le aveva
consigliato Fury.
La russa stava impazzendo, ma non avrebbe mai ammesso, nemmeno sotto
tortura, che avere Jimmy tra i piedi la stava aiutando.
Aveva provato a tornare a casa sua, qualche giorno dopo, ma nel cuore
della notte si era ritrovata a gridare dal terrore al risveglio di un
incubo.
Dopo aver finito il libro (iniziato
solo 5 ore prima), era riuscita finalmente a costringersi a dormire.
Subito i sogni avevano avuto il
controllo sul suo sonno, e lei si ritrovava sveglia ogni quarto d'ora,
coperta di sudore freddo e tremante.
Credeva di stare bene, ma
evidentemente la presenza di Clint faceva molto più bene alla sua
psiche di quanto immaginasse.
All'ennesima rivisitazione di quei
giorni negli Emirati, evidentemente aveva urlato un po' troppo.
Aveva sentito bussare alla porta e si
era trovata davanti Steve Rogers, che abitava nello stesso complesso ma
nella palazzina accanto.
Si era sentita morire.
-Ehi-
-Ehi-
-Non..riuscivo a dormire...ho visto
la luce e mi chiedevo se avessi voglia di fare due passi, o guardare un
film...non lo so-
Il lieve rossore sulle guance,
l'insicurezza di chi non si era preparato una bugia e non era abituato
a dirle, l'aveva subito smascherato. Evidentemente il super soldato
aveva anche un super udito, decise però di non farglielo notare. Il
pensiero di non dirle direttamente che l'aveva sentita gridare era
davvero carino e decisamente...bè, old style, ma le aveva fatto molto
piacere.
-Non ho un lettore dvd...- si scusò,
ed era vero. Non era una gran appassionata di cinema, e quando aveva
voglia di un film sfruttava o la sala riunioni dello SHIELD oppure
l'appartamento di Clint.
-Ehm...Possiamo andare da me, se ti
va...Stark mi ha regalato qualche apparecchiatura-
Natasha prese una felpa che si infilò
sopra il pigiama, si mise le scarpe e lo seguì nel suo
appartamento.
Natasha non se ne intendeva molto, ma
l'impianto di Steve Rogers avrebbe facilmente fatto invidia a ogni
appassionato di film. Decisamente era opera di Tony Stark.
Il resto dell'appartamento era
arredato in modo molto semplice, e non vi era traccia del disordine che
regnata a casa di Clint.
-Posso offrirti qualcosa?-
-Un...bicchiere d'acqua, grazie-
Steve l'accontentò subito, mentre la
faceva accomodare sul divano di pelle bianco.
Senza volerlo si accoccolò tirando le
ginocchia vicino al busto, prima di ricordarsi di non essere a casa
propria, o da Clint e spostarli
-Stai pure...non mi dà fastidio...-
-Grazie...-
-Stai meglio?-
-Preferirei lavorare...stare ferma
non mi aiuta-
-Lo so...lo immagino per lo meno...-
-Lo fai spesso?-
-Cosa?-
-Stare sveglio la notte-
-Ho dormito per 70 anni...direi che
ho parecchie ore di veglia in arretrato-
Natasha sorrise.
-Cosa proponi, uomo degli anni 40?-
-Tempi moderni?-
-Charlie Chaplin?-
-E' un classico-
-Va bene-
Il mattino dopo si era ripresentata a casa di Clint, con una borsa e la
richiesta implicita di poter stare da lui ancora per un po', un favore
che Occhio di Falco non le aveva certo negato.
-Tommy- lo chiamò quando lo vide alzarsi per prendersi un bicchiere
d'acqua
-Sì?-
-Come sei messo col corpo a corpo?-
-Non sono un campione-
-Bene. Andiamo a fare pratica-
-Che?-
E prima che il ragazzino potesse rendersi pienamente conto di quello
che era appena successo, si trovò sulla terrazza del palazzo con
Natasha, pronto al combattimento.
Non potendo mettere piede allo SHIELD, non aveva accesso nemmeno alle
palestre e questo le impediva di fatto uno sfogo, e il sacco di Clint
si era già sacrificato per la patria.
Ci andò piano, un po' per Tommy, un po' perchè le ferite non ancora
rimarginate e le costole protestavano non poco.
Dopo un po' iniziò a dargli qualche consiglio utile, quando il suo
corpo aveva deciso che non avrebbe più collaborato a un altro
combattimento.
Clint rientrò e non trovò nessuno, il che era strano.
Tommy di solito restava fino all'ora di cena, per approfittare il più
possibile dell'ambiente tranquillo e Natasha..bè lei in effetti avrebbe
potuto essere ovunque.
-Nat?-
Si mise in ascolto, cercando di percepire qualche suono, e solo dopo un
po' sentì dei rumori provenienti da sopra la sua testa.
Salì in terrazza, dopo aver recuperato l'arco e un coltello.
Quando li vide combattere, con Natasha che dava consigli a Tommy, posò
tutto e si sedette per terra a godersi lo spettacolo.
Sapeva che a Natasha mancava l'azione, ma non era in disaccordo con le
decisioni prese dall'ospedale militare (anche se sospettava che ci
fosse lo zampino di Fury dietro queste). Aveva bisogno di riprendersi,
fisicamente, ma soprattutto psicologicamente.
Parlando con Steve aveva saputo di quell'unica, disastrosa notte che
aveva passato a casa propria, e da allora dormiva con i sensi all'erta,
ma fortunatamente il letto (o la presenza) di Clint bastavano a
rassicurarla e a farla dormire decentemente.
Solo quando ebbero finito si azzardò ad applaudire, una battutina già
sulle labbra che aspettava solo che Tommy tornasse al dormitorio.
-Non. Dire. Una. Parola- Lo avvisò non appena il ragazzino lasciò
l'appartamento
-Ok...mammin...ehi!- Un coltello si era arrestato sulla parete dietro
di lui, dopo essere passato così vicino al suo volto tanto da
accorciargli quella peluria bionda che si ostinava a chiamare barba.
Per tutta risposta lei fece un sorrisino disarmante, che lo fece ridere
-Ah quanto era bello quando dividevo la casa con gli abitanti del
frigorifero- Sospirò alzando gli occhi al cielo prima di parare una
cuscinata.
-Domani devo partire per qualche giorno, Nat- le buttò lì l'indomani
mattina mentre facevano colazione insieme, un'abitudine che avevano
preso più per giustificare le levatacce di Natasha che per spirito di
famiglia.
-Dove vai?-
-Londra. Devo guardare le spalle al principe William, che ha deciso che
deve provare in anteprima la nuova Ducati 998 Superleggera o come
diavolo si chiama-
-Sembra divertente-
-Sì, per lui forse...-
Poi si rese conto che Natasha avrebbe pagato oro pur di andare al posto
suo. Tutto pur di non restare di nuovo a casa.
-Non se ne parla-
-Ma, direttore, l'ha detto lei che è una missione di routine, con
niente di complicato se non il cercare di evitare che mi si frantumino
le palle dalla noia-
-Il linguaggio!- Lo riprese subito Maria Hill, ma aveva il netto
sospetto che stesse cercando di nascondere un sorriso dopo quella sua
uscita.
-Barton, l'agente Romanoff è ancora convalescente e, cito a memoria,
“psicologicamente inadatta a portare a termine una qualunque missione”-
-Lo so cosa dice il referto dell'ospedale, ma Natasha ha bisogno di
ricominciare, e questa è una missione perfetta. In più sarà con me, e
potrò sopperire a lei in caso di combattimento. Andiamo, Fury. Sa anche
lei che più sta fuori più difficile sarà riprendere il ritmo-
-Le farò sapere. Sparisca-
-Che ne pensi, Hill?-
Chiese il direttore alla sua vice. Per un qualche motivo, non appena
Barton aveva chiesto di vederlo, aveva fatto chiamare il suo secondo.
Quell'agente era in grado di fargli perdere le staffe per la sua
insolenza, ma doveva ammettere che era stata proprio quel lato del suo
carattere a fargli decidere di ammetterlo nell'organizzazione dopo che
Coulson gliel'aveva portato.
Quel ricordo lo faceva sorridere e incazzare allo stesso tempo.
-Potrebbe avere ragione, anche perchè non credo alle parole della
Romanoff-
-Che intendi?-
-Signore, io sono una donna, e può dirmi quello che vuole. Non esiste
che esca linda e rosea da uno stupro, come se fosse una normale
missione finita male-
-Quindi a maggior ragione dovrebbe stare a casa-
-No, penso sia meglio che rientri al più presto in servizio. Rimanere a
casa a pensarci non la aiuterà. E questa è la missione adatta:
semplice, a rischio nullo, e con Occhio di Falco a guardarle le spalle-
-Dannazione. Mi farete uscire pazzo- sbottò alla fine mentre prendeva
il telefono e chiamava Natasha Romanoff.
Non appena aveva ricevuto la chiamata, Nat si era infilata la divisa e
si era precipitata nell'ufficio del direttore.
Vi trovò sia Fury che Maria Hill, e questo per un momento la fece
preoccupare.
-Ha chiesto di vedermi?-
-Sì. Come si sente, agente Romanoff?-
-Meglio...ancora un po' dolorante, ma sto meglio-
-Senti, lo so che i medici ti hanno dato un mese di stop ma...se te la
senti vorrei mandarti in missione-
Quasi non credeva alle proprie orecchie. Tornare in missione? Magari,
dannazione! Non vedeva l'ora.
Si costrinse a non assumere nessun atteggiamento in particolare, mentre
rispondeva
-Se ritiene necessaria la mia presenza, signore, va bene-
-Non la ritengo necessaria, ma penso che ricominciare le possa far bene-
-Che missione-
Maria Hill le diede un fascicolo.
Non appena lo vide lo chiuse con uno scatto rabbioso.
-Con permesso- riuscì a mormorare prima di lasciare l'ufficio.
Trovò Clint nello spogliatoio e non esitò un secondo ad attaccarlo al
muro.
Ohi. Ohi.
Quando la Vedova Nera ti attacca al muro non si è mai in una bella
situazione, a meno di non avere i vestiti addosso. Ma una Vedova con
quello sguardo...Clint riuscì solo a deglutire.
Sospettava il perchè di quella visita non troppo di piacere.
-Tu. Ora. Mi. Segui. Senza. Dire. Una. Parola.-
Obbedì senza nemmeno cercare di fare una battuta: probabilmente
l'avrebbe portato dritto dritto alla morte.
Camminavano uno affianco all'altra, a passo tranquillo. Natasha lo
guidò sul tetto. Chiaro. Voleva parlare dove nessun altro potesse
sentirli.
Scacciò un paio di agenti intenti a fumare prima di lanciargli uno
sguardo che gli fece ringraziare il cielo che non avesse superpoteri.
-Pensi forse che non sia in grado di restare sola??- lo attaccò
-Nat...-
-Niente Nat, cazzo!- lo interruppe bruscamente senza lasciargli il
tempo di finire il suo nome. Si rassegnò a farla sfogare.
Gliene disse di ogni: che lei non era una donnicciola, che sapeva
badare a sé stessa, che era in grado di restare da sola e via dicendo.
Smise dopo un po' di ascoltarla per iniziare a pensare a come spiegarle
quello che aveva davvero pensato.
Finalmente, dopo un tempo che gli sembrò infinito, Natasha smise di
gridare.
-'Tasha. Pensi davvero che ti farei una cosa del genere?- le chiese -So
bene chi sei, e so anche che sei in grado di gestirti, che un modo per
sopravvivere lo trovi-
-E allora per quale cazzo di motivo hai chiesto a Fury di portarmi con
te?-
-Perchè ho pensato che fosse la missione giusta per ricominciare. A
casa stai impazzendo, di giorno sembri un leone in gabbia, e la notte
non dormi bene. E' chiaro che non sei ancora pronta per una missione
delle nostre, soprattutto da sola. No, non interrompermi. Lo sai che è
vero. Questa è una missione facile, senza rischi e che probabilmente
non metterà sotto sforzo il tuo corpo, così ho chiesto a Fury di
convocarti. E sai bene che se ha accettato è per i miei stessi motivi-
La prese per le spalle e la guardò negli occhi.
-'Tasha sei la donna più forte che io conosca. Nessuno ti ritiene una
debole. Voglio solo rimetterti in pista, perchè un'altra partner non la
voglio-
Se stava mentendo, lo stava facendo abbastanza bene da convincerla.
Però ammetteva che aveva ragione. Se non si rimetteva in pista con
queste missioni, non sarebbe mai tornata quella di prima.
Annuì e prese un bel respiro
-Scusa-
-Va bene. Avremmo reagito tutti così. Adesso accetti quella missione e
vieni a evitare che mi si disintegrino le palle a suon di tè e
riverenze, ok?-
Il solito, raffinato, Clint Barton.
-Andiamo a prepararci-
PERSONAL SPACE: Ebbene sì, nel
prossimo capitolo...si va in missione! Stay tuned per sapere che
accadrà!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** Capitolo 15: Routine ***
PERSONAL SPACE! RIeccomi!
scusatemi ma mi sono bloccata! Non sapevo più come continuare, mentre
nel frattempo mi è venuto in mente un possibile seguito (ovvio), però
alla fine eccomi con questo nuovo capitolo!
Come empre grazie alla mia
Unicorna preferita e a Ledy Leggy per le loro recensioni...scusate se
non vi ho risposto ma non ho avuto tempo! Rimedeierò presto!
Grazie anche a dbclaudia, Frigga,
Ginge, GjXD, Mumma, Neko483, starkexpo che hanno inserito questa storia tra
le seguite, a Ledy Leggy e
MeryLaRosa che l'hanno
messa tra le preferite e a Slytherine_ in_
love che l'ha inserita
tra le seguite, per me vuol dire tanto!
Basta, vi lascio al
capitolo...buona lettura!
Capitolo 15: Routine
Non esisteva una parola per descrivere quella missione.
Noiosa era troppo poco, non rendeva l'idea. Il principe William e
sua moglie erano già circondati da un numero più che sufficiente di
guardie del corpo. In effetti la loro missione era tenerlo
d'occhio quando guidava in pista, con il risultato che a parte
due tranche da 20 minuti al giorno la loro presenza era prettamente
inutile.
-Clint hai finito?-
-Di fare che?-
-Lo sai-
-Non sto facendo nulla-
-E' almeno mezz'ora che hai quel binocolo piantato sul seno della
contessa di Cambridge-
-Non c'è niente di meglio da vedere. Non è colpa mia se il caro Willy è
bruttino e un po' stempiato-
Ahio.
Natasha gli aveva appena tirato una gomitata.
Le cose piano piano tornarono alla normalità. Natasha piano piano
iniziò ad affrontare missioni su missioni fino a tornare pienamente
operativa, anche se per un qualche motivo non ben definito passava le
notti a casa di Clint, il che a lui andava benissimo visto che la
popolazione del suo frigo era drasticamente diminuita, così come la
quantità di roba sparsa per il pavimento, senza contare che anche se
era costretto a dormire sul divano e facevano settimane senza vedersi,
l'idea di avere un'altra persona in casa lo faceva sentire un po' meno
solo.
Tommy diventava ogni giorno più bravo. La Vedova Nera, forse per una
qualche sottospecie di istinto materno, aveva iniziato piano piano ad
occuparsi di lui, e le loro sedute di allenamento sul terrazzo erano
sempre più frequenti, mentre Clint ormai non l'aveva più come allievo
ufficiale, dato che il corso era ormai finito.
Nessuno dei due Vendicatori l'avrebbe mai ammesso nemmeno sotto tortura
ma loro tre formavano un qualcosa che era molto simile a una famiglia.
-Clint quale sarebbe la tua definizione di “fuoco di copertura”?- la
voce di Natasha, tagliente, tesa e ironica allo stesso tempo, gli
arrivò chiarissima nell'auricolare che portava all'orecchio.
Loro due e Steve erano in missione. Steve l'aspettava come rinforzo sul
lato sud di quella vecchia villa, mentre Occhio di Falco era,
ovviamente, sul tetto dell'edificio opposto, questa volta armato di un
caro, vecchio fucile di precisione, oltre al suo arco.
-Lo stesso tuo, Nat, ma se non vi levate da quell'ammasso di gente farò
una strage-
-Non sparare se non hai visuale libera!- lo ammonì subito Steve
-Lo so, lo so!-
Mentre ancora parlava, estrasse l'arco e, seguendo un movimento visto
con la coda dell'occhio scoccò una freccia che andrò dritta ad
atterrare con un'esplosione due cecchini che si stavano posizionando su
un palazzo alle sue ore 4, più o meno.
Sapevano fin dall'inizio che quella missione era un rischio.
I presidenti di USA, Italia, Germania nonché la regina Elisabetta si
erano riuniti insieme ai capi di stato di mezzo mondo per discutere
importanti manovre che avrebbero inciso sull'economia e la politica
mondiale degli anni a venire.
Era un evento assai raro, il che né faceva una perfetta occasione per i
terroristi di gettare nel panico buona parte della popolazione
mondiale, lasciandola priva dei proprio capi di stato e di una delle
più alte guide spirituali al mondo: il Papa.
Il tutto ovviamente alla sede dell'ONU a Ginevra, che si era offerta di
ospitare come territorio neutrale questo evento.
Con un rischio del genere, lo SHIELD aveva pensato bene di affidare il
comando dell'operazione di sicurezza a Capitan America, che si era
trascinato dietro Clint e Natasha invece di un contingente di uomini.
I ruoli erano stati ben delineati fin dall'inizio. Natasha all'interno,
Clint cecchino e Steve come Jolly appena fuori dall'edificio.
Ma nessuno di loro si sarebbe mai aspettato un attacco di quelle
proporzioni.
Era cominciato tutto con dei cecchini, che Clint aveva neutralizzato
senza troppe complicazioni, mentre Steve si occupava della “fanteria”
che stava cercando di penetrare il perimetro via terra. La prima ad
accorgersi che erano solo delle distrazioni era stata Natasha, quando
aveva visto, troppo tardi per poter fare qualsiasi cosa sa non buttarsi
sul papa con tutto il suo peso mentre gridava l'allarme, una bomba
rotolare sul pavimento.
L'esplosione non era stata forte, non aveva mietuto vittime,
fortunatamente, ma era stata sufficiente per generare il panico.
Ora Clint vedeva distintamente nemici farsi largo tra la folla, ma non
poteva fare fuoco. La sua mira era precisissima, al limite
dell'impossibile, la folla in panico, che correva ovunque in modo
disordinato sperando di raggiungere le uscite, costituiva una variabile
del tutto imprevedibile e non poteva permettersi di ammazzare qualcuno.
-Steve, che dici se entro?-
-C'è troppo caos, Clint!-
-Ma Nat..-
-Clint, resta fuori e abbatti tutto quello che riesci! Qui me la cavo!-
Clint lì dentro non avrebbe potuto fare nulla. Lui era molto più
preciso sulla distanza che nello scontro corpo a corpo, senza contare
che entrare non avrebbe portato molti vantaggi.
Lei era intenta a cercare di portare verso l'uscita dove la aspettava
Cap il Papa e un altro paio di politici che si era trovata attorno.
Sapeva di essere inseguita, sentiva i terroristi correre dietro di loro
e benediceva il caos che impediva loro di seguirli agilmente. Non puoi
pretendere una fuga rapida da un ultraottantenne.
Si fece largo a spintoni tra la folla, voltandosi ad ogni passo per
assicurarsi che i suoi protetti continuassero a seguirla. Abbattè con
una gomitata un uomo vestito di scuro che aveva cercato di afferrare il
Santo Padre, mentre con l'altro braccio sospingeva l'uomo invitandolo a
non fermarsi.
-Steve, veniamo verso di te!- avvertì mentre un grido di dolore e
un'imprecazione poco ortodossa la informavano che Clint era finalmente
riuscito a fare fuoco o tirare una freccia o quel che era.
Non perse tempo a chiederselo.
-Nat! Dobbiamo cercare di fare uscire quante più persone possibile!-
Grandioso. Il che implicava portare fuori questi, ributtarsi nella
mischia, convincere quella gente che non era una terrorista e condurli
in salvo.
-Ricevuto- Rispose mentre finalmente guadagnava l'uscita.
Lei e Steve ebbero solo pochi secondi per guardarsi negli occhi, prima
di essere impegnati in un corpo a corpo.
-Natasha! Rientra!-
Le urlò l'amico e superiore mentre assestava una botta con lo scudo a
uno degli inseguitori
-Sicuro di farcela?-
-Vai!-
Non perse tempo ed eseguì l'ordine.
Una lunghissima ora dopo era tutto finito. Le forze speciali erano
intervenute a dar loro una grossa mano, finalmente, e nessuno si era
fatto troppo male.
Clint li raggiunse nella piccola infermeria dove li stavano medicando.
Lui stava tutto sommato bene.
-Siete feriti?-
-Non più di qualche graffio...-
Clint annuì.
-Ho mandato il rapporto a Fury, verranno a prenderci domattina alle 6
con un quinjet, fino ad allora, siamo liberi-
-A che serve essere libero se sei esausto?- esalò Natasha mentre un
paramedico le ricuciva un taglio sul gomito.
I due uomini si sorrisero mentre la tensione si alleviava per il
sollievo di aver portato a termine la missione ed esserne usciti vivi.
La missione successiva li vide separati, lui in Italia, lei in Ucraina
a fare non aveva ben capito cosa.
Poi ci furono altre missioni in coppia, niente di particolarmente
difficile, le solite cose.
Clint piano piano aveva cominciato a dormire decisamente meglio, gli
incubi erano quasi del tutto scomparsi e in generale tutto andava
meglio.
Alla fine aveva accettato di incontrare la madre di Tommy, se non altro
per assicurarle che il marito non era un traditore. Non era stato
facile per lui.
Era stato all'inizio contrario, poi spaventato e a 10 minuti
dall'incontro avrebbe voluto essere altrove, ma alla fine l'aveva fatto
e non era andata male.
Clint era in missione per conto suo da ormai una settimana. Non si
sentivano da qualche giorno, ma non era preoccupata. Il compito di
Occhio di Falco era tutt'altro che semplice ed era importantissimo che
non si facesse scoprire, quindi avevano ridotto i contatti al minimo.
Era stata segnalata la presenza di Hulk in un piccolo villaggio cinese,
dove il dottor Banner stava lavorando per trovare una cura a non aveva
ben capito quale malattia, e Clint era stato mandato in incognito a
verificare le condizioni dell'uomo e, soprattutto, del villaggio.
La location già non favoriva le comunicazioni via telefono, e inoltre
non avevano dubbi che l'attrezzatura di Banner avrebbe rilevato
all'istante la presenza di altri oggetti tecnologici, e non avevano
dubbi del risultato della scoperta di essere spiato dallo SHIELD.
Certo, Bruce capiva le preoccupazioni di Fury, l' “altro”, come amava
definirlo, era decisamente pericoloso, specialmente quando la
trasformazione non era controllata e il dottore perdeva definitivamente
il controllo del proprio corpo, ma essere spiati non piace a nessuno, e
la sua rabbia rappresentava un contrattempo decisamente letale.
Fu Tony Stark ad accenderle una lampadina.
Aveva finito il suo allenamento quotidiano alla palestra dello SHIELD
quando il magnate aveva fatto il suo ingresso, ovviamente raccogliendo
strilla di ammirazione da tutte le (poche, fortunatamente) donne
presenti.
Natasha non potè evitare di alzare gli occhi al cielo.
-Non c'è bisogno di ringraziare il Signore, lo sai, se mi chiami, io
arrivo-
-Molto divertente- commentò sarcastica, mentre iniziava a chiedersi
cosa volesse da lei
-Hai mica visto Legolas di recente?-
-Clint? E' in missione- rispose, evitando almeno per il momento di
scendere nei dettagli. Non sapeva quale fosse esattamente il rapporto
tra le due persone col QI più altro tra i Vendicatori, ma era sicura
che Stark non avrebbe gradito la natura dell'incarico dell'amico.
-No, la sua missione in Cina si è conclusa due giorni fa, ha fatto
rapporto dicendo che sarebbe rientrato-
Ok, ora era preoccupata. Non era da lui sparire così, nemmeno per
motivi personali. Magari si sarebbe limitato a comunicare che per un
tot di giorni sarebbe stato assente, senza dare nessuna spiegazione sul
perchè né sul percome, né tantomeno sul dove, rendendosi, di fatto,
inrintracciabile, ma non così.
-Puoi provare a cercarlo?-
-Forse. Mi metterò subito al lavoro, vediamo cosa posso fare-
-Grazie-
Dove cavolo si era cacciato?
PERSONAL SPACE: Eccomi qui di
nuovo, capitolo noioso e inutile, lo so, ma mi è servito per
sbloccarmi, perchè ero davvero a un punto morto e non sapevo come
continuare...ma dal prossimo di torna in pista! Alla prossima!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** Capitolo 16: Lavora per me ***
PERSONAL SPACE: Rieccomi! Di
nuovo, come sempre, grazie all'unicorna, ma anche a tutti coloroc he
leggono e mi seguono!
Buona lettura!
Capitolo 16: LAVORA PER ME
Quando riprese i sensi la prima cosa che sentì furono le morse che gli
stringevano i polsi.
Per un attimo tornò a quei minuti nell'infermeria dell'helicander
mentre lottava per riprendere possesso della sua mente, poi ricordò.
Aveva concluso la sua missione in Cina, Bruce Banner non l'aveva
scoperto e per il mese in cui l'aveva controllato non aveva dato alcun
segno di voler perdere il controllo, anzi avrebbe pagato chissà quanto
per avere la disciplina dell'uomo, a lui bastava molto meno per perdere
le staffe, e i continui richiami di Fury ne erano una testimonianza
vivente.
Era arrivato all'aeroporto, in attesa del quinjet che l'avrebbe
riportato finalmente a New York, dove sperava di godersi almeno qualche
giorno di tranquillità prima della missione successiva.
Ma alla pista non ci era mai arrivato.
L'auto su cui viaggiava aveva sbandato all'improvviso; ricordava poco
altro, ma doveva esserci stata un'esplosione, o qualcosa di molto
simile, che l'aveva fatta ribaltare più volte su sé stessa.
Da quel momento tutto era molto confuso: era riuscito in qualche modo a
slacciarsi la cintura e a scivolare fuori dalla macchina capovolta,
passando per il finestrino forse, e poi aveva cercato di rimettersi in
piedi.
Poco dopo aveva sentito le rassicuranti sirene dell'ambulanza e delle
forze dell'ordine, chiamate forse da qualcun altro lungo la strada.
L'avevano raccolto da terra e caricato su una barella spinale, poi una
puntura.
La puntura.
L'ambulanza.
Non ci mise molto a realizzare che l'ambulanza non era una vera
ambulanza.
Chi aveva tanti soldi da poter fare una roba del genere?
Preferì non chiederselo. La lista dei suoi nemici era decisamente
lunga, e tutti avevano ampie risorse e conoscenze per riuscire a
organizzare il tutto, tra l'altro senza lasciare alcuna traccia.
Si guardò intorno, e quando notò alcuni dettagli, ricordò tutto quello
che Natasha gli aveva detto sulla sua recente prigionia.
E seppe da chi era stato catturato.
Merda.
Non dovette attendere a lungo per una conferma. L'obiettivo di Nat, lo
sceicco Rayhan sa il cavolo cosa di Dio, entrò ben presto nella sua
cella.
Clint fu costretto ad ammettere che alla collega non era poi andata
tanto male. L'uomo era sulla cinquantina, non bello e decisamente non
affascinante, ma aveva un aspetto pulito e affabile: le era capitato
decisamente di peggio.
Mentre l'uomo si avvicinava, gli occhi azzurri dell'arciere non si
spostarono per un attimo da lui, come se fosse un bersaglio in
movimento da colpire con una freccia, mentre con la mente tornava a
rivivere conversazioni e a rileggere rapporti nel tentativo di
ricordare quante più informazioni possibili sul suo carceriere.
Tutto era reso più difficile perchè non poteva fare a meno di ricordare
anche le condizioni della Vedova Nera al suo ritorno. La rabbia montò
dentro di lui, che serrò le mascelle e si impose una calma apparenza
per non far trapelare nulla: una cosa decisamente più da Natasha che da
Clint, visto che lui era il fuoco e lei il ghiaccio.
-Clint Barton, vero?- finalmente l'uomo si decise ad aprire bocca.
L'agente dello SHIELD invece la tenne ben chiusa, deciso a non
proferire parola. -Ho avuto il piacere di avere ospite presso di me una
tua collega, che mi dicono essere una tua cara amica-
Silenzio. Le unghie si impiantarono nel palmo delle mani strette a
pugno.
-Conosci la Vedova Nera, vero?- L'uomo non attese risposta -E' stata
scortese ad andarsene, stavo giusto iniziando a divertirmi con lei sai?
È una vera lottatrice, piegarla è una sfida...eccitante-
Sta. Zitto. Clint.
Lo sceicco gli si fece più vicino, parlando ora a pochi centrimentri
dal suo orecchio, con una voce calma ma eccitata, che tradiva la sua
eccitazione -Costringerla ad aprire le cosce, sentirla irrigidirsi,
lottare, e alla fine cedere, sconfitta. Usarla a mio piacimento...-
-Porco schifoso-
Clint non era riuscito a trattenersi oltre, e aveva parlato a voce
bassa, arrochita dalla secchezza che gli aveva preso la gola
-Sono sicuro che ti eccita il pensiero...chissà quante volte hai
sognato di scopartela-
Clint non riuscì più a stare fermo e cercò di ribellarsi, strattonando
i legacci che lo tenevano ancorato a quella maledetta sedia, mentre
sentiva la rabbia montargli dentro, rompere gli argini che aveva
costruito con tanta fatica quando lo sceicco era entrato in quella
stanza
-Non preoccuparti, Barton, se collabori avrai la tua occasione quando
la riavrò fra le mani-
-Pensi davvero che verrà?-
-Sì, Barton. Come a New York. È venuta per te-
Come cavolo faceva a sapere di New York? Ogni file di quel giorno era
riservato. Nemmeno lui sapeva le vere ragioni che avevano spinto
Natasha a mettersi in quella situazione, lei gli aveva detto di essere
compromessa e di voler togliere quella macchia sul registro.
Che gli fosse stata poi vicina, era innegabile e inevitabile, erano
sempre stati molto uniti, lui stesso sarebbe corso in suo soccorso, ma
da lì a mollare una missione per lui ne passava di acqua sotto i ponti.
-Ah davvero?- riuscì a tirare fuori, più spavaldo e sarcastico di
quanto sperasse
-Certo, e verrà ancora- L'uomo tirò fuori un telefono. -Adesso
faremo una chiamata, e tu le parlerai-
-Puoi scordartelo-
L'uomo non disse altro. Fece un cenno con la mano e un paio di
energumeni entrarono nella stanza.
-Faremo in modo che il nostro ospite si faccia sentire anche senza
parlare- disse mentre già componeva il numero di cellulare di Natasha
usando proprio quello di Clint.
Cazzo. La loro linea sicura. Nat avrebbe saputo subito che si trattava
di lui.
Si cucì comunque la bocca, pronto a resistere a tutto.
Il suono del telefono la distolse dalla seduta di allenamento con
Tommy. Gli fece cenno di aspettare mentre rispondeva. Era la linea
privata.
Finalmente.
-Credevi davvero che non avrei scoperto che lavori per lo SHIELD,
Natalia?-
Quella voce la agghiacciò, tuttavia cercò di fare la finta tonta mentre
inseriva la funzione registrazione sul cellulare.
-Scusi ma chi parla?-
-Non fare così, Natalia, o il tuo amico soffrirà molto, e tu sai di
cosa sono capace-
Era vero, lo sapeva maledettamente bene. Si morse un labbro mentre
cercava di mantenere la calma, anche per non spaventare Tommy.
-E' tra me e te. Lascialo andare-
-Mi piacerebbe molto ma sai, un agente dello SHIELD è sempre una merce
preziosa. Ma, ti propongo un lavoretto semplice, semplice, dopodichè,
come pagamento, lo riavrai indietro, forse non tutto intero, ma vivo-
-Scordatelo-
Pensa, Natasha, pensa.
Natasha doveva aver rifiutato, perchè a un gesto dello sceicco uno
degli energumeni gli posò un ferro rovente su una scapola.
Prima di riuscire a dominarsi cacciò un urlo di dolore, che cercò
di soffocare non appena si rese conto che volevano che lui gridasse,
che facesse sentire alla Vedova Nera che ogni suo rifiuto equivaleva a
una tortura per lui.
L'urlo di Clint, sebbene subito spento, le aveva fatto montare
un'angoscia che si era estesa fino allo stomaco, provocandole un
fastidioso senso di malessere.
-Lascialo. Ora-
-Lavora per me-
-No-
Si sentì l'ordine di ripetere il trattamento, qualunque esso fosse, ma
questa volta non sentì l'amico urlare.
-Lavora per me-
-Fottiti-
Vide Steve entrare in quel momento, insieme a Tony Stark e a Bruce
Banner. Tutti gli uomini si bloccarono vedendo il suo corpo teso, le
sue parole dure. Capitan America fu il primo ad avvicinarsi,
chiedendole con lo sguardo cosa stesse succedendo, senza osare parlare
dopo che lei si era messa un dito sulle labbra.
Il supersoldato prese Tommy da parte e lo guidò fuori dalla palestra.
Un gemito di occhio di Falco la riportò alla telefonata. Chiuse gli
occhi mentre, più coraggiosamente di quanto si sentisse, chiuse la
comunicazione.
Si passò una mano sui capelli mentre si sedeva su uno dei materassini,
completamente svuotata e per niente sicura della sua ultima azione.
Bruce le si sedette accanto
-Che succede?-
-Ha preso Clint-
-Chi?-
Natasha aspettò il rientro di Steve prima di raccontare tutto
dall'inizio, quella missione disastrosa che ormai risaliva a mesi
prima, per finire con la missione in Cina di Occhio di Falco, di cui
Tony già sapeva, e della perdita dei contatti.
-Dobbiamo avvisare Fury-
-No- rispose Tony -Natasha. Richiama quel tizio. Pretendi di parlare
con Clint, e senti cosa devi fare per lui, poi decidiamo-
-Vuoi scendere a compromessi?-
-No, Rogers, voglio riportare a casa le chiappe di Legolas, vive
possibilmente, per cui prima di avvisare Fury preferisco sapere cosa
vuole che faccia. Se è questione di sicurezza nazionale stai pur sicuro
che piuttosto Clint lo uccide lui-
-Fury non...-
-Steve, Tony ha ragione. Fury è un brav'uomo, ma deve pensare prima
alla nazione e dopo ai propri soldati- si intromise mesta Natasha, il
pollice sospeso sulla cornetta verde che l'avrebbe rimessa in contatto
con lo sceicco.
-Fallo. Fa un bel respiro, stai calma e fallo. Hai affrontato di peggio-
Natasha riuscì a fare un mezzo sorriso a Bruce, poi guardò Steve, che
annuì e premette il pulsante.
Le rispose un altro grido disperato di Clint, che le arrivò dritto al
cuore e fece rimanere sbalorditi anche gli altri tre.
-Lo farai?-
-Prima voglio parlare con lui-
-E va bene-
Clint ormai non ci vedeva più da un occhio, che era pesto e gonfio. Le
ustioni pungevano e pulsavano, facendolo tremare. Era a petto nudo ora,
la maglietta che indossava ridotta a brandelli.
-Dille che stai bene- lo sceicco lo prese per i capelli e gli tirò
indietro la testa mentre gli appoggiava il suo telefono all'orecchio
-Clint?-
-Natasha...- gli uscì un filo di voce. Aveva sete. Cercò di attivare
almeno la salivazione, ma con scarso successo -..Non...cedere-
-Stai bene?-
-Sì-
Lo sceicco lo lasciò andare e riprese la conversazione.
-Non toccarlo di nuovo- minacciò a voce bassa.
Sentire Clint le aveva fatto montare una furia cieca, quella stessa
furia che tante volte le aveva fatto commettere azioni che avrebbe
preferito dimenticare. Natasha non c'era più, c'era solo la Vedova
Nera, che era molto, molto arrabbiata e quindi molto, molto pericolosa.
-Lavorerai per me?-
-Cosa devo fare-
-Le armi che cercavi, esistono. Non sono solo progetti, le ho
realizzate. Ti darò una bomba, e voglio che tu la metta al cremlino.
Gli USA rivendicheranno l'attacco.
-Scatenerai una guerra-
-Esatto. E le guerre portano soldi. Ci vediamo alle vele, domani alle
14.00 ora di Dubai-
Un bip l'avvisò che lo sceicco aveva interrotto la comunicazione.
PERSONAL SPACE: Grazie per
essere arrivati fin qui...ora che succederà? I vendicatori parleranno
con Fury? La Vedova Nera si presenterà? Stay tuned e lo saprete!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** Capitolo 17: uniti ***
PERSONAL SPACE: Eccomi!!! Non so
quanti capitoli pubblicherò ancora, Berlino mi aspetta, quindi magari
sarò un po' latitante, spero di non ritrovarmi infilzata da un corno di
unicorno...nel caso saprei a chi dare la colpa XD Comunque grazie
ancora a chi mi legge, soprattutto all' e a unicornadoppiaE221 che mi hanno recensita.... buona
lettura!!
Capitolo 17: UNITI
-Avvisiamo Fury?-
Natasha aveva appena attaccato il telefono, e ora guardava le persone
accanto a sé. Sembravano tutti molto tesi. Steve era in piedi, le
braccia incrociate al petto, e guardava alternativamente Tony e la
Vedova Nera, forse cercando di capire cosa frullava loro in testa.
Per quanto la riguardava la questione era semplice. La sua priorità era
tirare fuori Clint dal pasticcio in cui lei l'aveva involontariamente
ficcato quando era fuggita dagli Emirati. Al momento, degli USA gliene
fregava ben poco.
-Non se ne parla, Rogers, farà uccidere Barton senza battere ciglio. E'
questione di sicurezza nazionale-
Tony era del suo stesso avviso, e tutto sommato era contenta di averlo
dalla sua parte. Poteva essere spaccone, arrogante e quando ci si
metteva era la persona più irritabile del mondo, ma sotto sotto era un
brav'uomo e, cosa ben più importante, era abbastanza distaccato dallo
SHIELD da non vedere nel direttore un proprio superiore. Poteva
percepire che la mente del miliardario era già all'opera, forse
calcolando rischi e tempistiche mentre cercava una via d'uscita da
quella situazione che probabilmente salvasse Clint, Natasha e la
nazione intera.
Banner taceva.
Era seduto per terra, la schiena contro il muro, le ginocchia
raccolte contro il petto. Sembrava avesse tutto sotto controllo e
probabilmente stava solo elaborando una sua teoria.
-E allora che facciamo?-
Natasha non aveva dubbi che Steve Rogers volesse quanto loro salvare
Clint, ma sapeva anche quanto l'uomo fosse un soldato fin nell'anima.
Si era arruolato negli anni 40 per puro patriottismo, e sempre per
l'amore della nazione si era sottoposto al siero del supersoldato.
Aveva dato la vita per salvare i propri uomini, e lo SHIELD ora, quella
vita gliel'aveva restituita, tirandolo fuori dal ghiaccio. Capiva e
comprendeva quanto lui si sentisse in debito verso Fury, era lo stesso
sentimento che in fondo lei nutriva verso Clint.
Quella riconoscenza si era evoluta nel tempo. C'erano stati momenti in
cui l'aveva profondamente odiato per averla reclutata, altri in cui gli
era grata. Clint era l'unico vero amico che avesse mai avuto, che per
lei c'era sempre stato; le aveva insegnato cos'era la vera amicizia,
quella senza secondi fini, completamente disinteressata. Con lui aveva
scoperto l'amore. Non il sesso, quello lo conosceva fin da quando era
piccola, anche troppo. Prima di Clint non aveva mai pensato che il
sesso potesse essere qualcosa di più di uno strumento per ottenere
quello che voleva, fossero informazioni o soldi o, occasionalmente, una
via di fuga.
Era la loro prima missione che non
prevedesse soltanto fucili e pistole. Certo, li prevedeva ovviamente,
ma non nel senso classico del termine.
Il loro compito era quello di
proteggere la regina d'Inghilterra e il presidente degli Stati Uniti da
eventuali attacchi terroristici. Fin qui niente di nuovo, se non che
l'occasione era una serata di gala in Buckingham Palace.
Era una di quelle serate che si
vedevano solo nei film, con sontuosi vestiti, nobili che spuntavano da
tutte le parti. Appostarsi fuori come cecchini sarebbe stato
impossibile e anche abbastanza inutile, lo sapevano ancor prima di fare
un sopralluogo travestiti da turisti. Non c'erano postazioni che
avrebbero dato loro la certezza di dare una copertura a 360 gradi,
senza contare che la quantità di persone presenti comportava il grande
rischio di ferire o uccidere qualche innocente.
Era rimasta un'unica opzione.
Infiltrarsi.
Si era preparata nello squallido
bagno del motel che era stato loro assegnato come casa sicura. Il
vestito era blu notte, senza spalline, lungo fino ai piedi ma con la
gonna che si sarebbe staccata con un gesto in caso di necessità. Il
bustino era tempestato di piccoli Swarovsky che le incorniciavano il
decolltè e scendevano come una cascata di stelle, fitti alla scollatura
e via via più radi fino a sparire all'altezza della vita.
Completò il tutto con un paio di
scarpe col tacco, dello stesso colore del vestito. Il tessuto era
scamosciato e la scarpa le copriva il piede, lasciandole però scoperte
le punte e la caviglia. All'altezza del collo del piede, partiva un
filamento argentato che le circondava la caviglia riallacciandosi
dietro, dove altro tessuto nascondeva il tallone.
Si truccò lievemente con quel poco
che aveva. Un filo sottilissimo di eyeliner, un filo di matita e tanto
tanto mascara. L'effetto era quello di incorniciarle gli occhi,
facendone risaltare il colore in contrasto con i capelli, tornati quasi
lunghi e rossi.
Mise trucchi e un teaser nella
pochette e uscì.
Nessuno aveva mai avuto la reazione
di Clint senza che lei facesse nulla per provocarla.
L'amico era rimasto letteralmente a
bocca aperta, senza riuscire a proferire parola.
-Sei...sei bella da togliere il
fiato- riuscì a boccheggiare quando il suo corpo ricominciò a
obbedirgli.
Quel complimento era arrivato così
spontaneo e così goffo che era arrossita per la prima volta in vita sua
senza ordinarselo. Mai prima di allora qualcuno le aveva detto qualcosa
di simile, e ora vedeva Clint guardarla come se fosse davvero speciale,
come se non fosse una donna letale, ma soltanto una bellissima donna
che stava per avere l'onore di accompagnare a una serata importante.
Le porse il braccio e lei lo prese di
buon grado.
Tutto era filato liscio.
Non c'erano stati attentati e la
gonna era rimasta attaccata al vestito, fortunatamente. Clint era stato
un gentiluomo per tutta la serata, e lei per la prima volta si era
sentita donna. Non aveva mai amato particolarmente il proprio corpo.
Certo, era bella e lo sapeva visto il suo successo come seduttrice, ma
non ci stava particolarmente dietro. Il suo corpo era un'arma. Lo
teneva in forma e pronto all'uso, nulla di più.
Ma lo sguardo di Clint ogni volta che
le sorrideva, che le parlava, avevano acceso qualcosa in lei, qualcosa
che li aveva uniti, più che mai. In quell'albergo, per la prima volta,
aveva fatto l'amore solo per la gioia di farlo. Non c'erano missioni,
non c'erano secondi fini. Amava Clint? Non lo sapeva, non con certezza,
ma quella notte c'erano stati solo loro due.
Da quel giorno aveva iniziato a scoprirsi, a conoscere sé stessa.
E lo doveva solo a Clint.
Tra loro poi non aveva funzionato, troppi i rischi, e troppe le
preoccupazioni, ma il loro legame restava comunque qualcosa di speciale.
Tra Fury e Rogers non c'era un legame così forte, ma Natasha
riconosceva un'oggettiva difficoltà di Steve di nascondere qualcosa di
così importante al direttore, nonostante a New York Stark gli avesse un
po' aperto gli occhi: Fury non era il santo che credeva. Era una spia e
come tale si comportava.
-Steve- disse a bassa voce guardandolo negli occhi -Non vogliamo far
scoppiare una guerra, e nemmeno agire all'ombra di Fury. Voglio solo
assicurarmi di portare Clint fuori da lì vivo, e Stark ha ragione: se
lasciamo la scelta a Fury, Clint è spacciato-
Il supersoldato annuì una volta, ma non rispose. Probabilmente stava
cercando una qualche risposta che scagionasse l'uomo con un occhio solo.
-Capitano Rogers- a parlare, per la prima volta, era stato Bruce,
mostrando il consueto rispetto verso il supereroe a stelle e strisce –
Si metta nei panni di Fury per un secondo. Lei è il direttore dello
SHIELD e uno di noi le viene a dire che per salvare un altro agente,
per quanto in gamba, deve far scoppiare una guerra. Come reagiresti?-
Il supersoldato stette per ribattere istintivamente, ma poi si fermò e
ragionò.
-Avete ragione, Fury non avrebbe altra scelta, anche se volesse- ammise
infine -Come agiamo?-
Clint non poteva credere che Natasha avesse ceduto al ricatto.
Lui stesso si sarebbe suicidato piuttosto che dare il via a una guerra
con l'unico scopo di arricchire uno sceicco megalomane.
Non che le altre guerre fossero diverse. Alla fine ci si riduce sempre
alla smania di potere. Hitler voleva riunire tutte le popolazioni di
lingua tedesca sotto il suo dominio. Le guerre in medio oriente non
erano altro che il voler accaparrarsi quanti più pozzi di petrolio
possibile, nascondendo il vero intento con pseudo armi chimiche da
debellare e quant'altro.
Se non altro, avevano smesso di torturarlo.
L'avevano tolto da quella sedia e buttato letteralmente in una piccola
cella. Un soldato gli aveva portato qualcosa da mangiare e dell'acqua
tremendamente calda. Non era riuscito a toccare cibo, ma aveva finito
l'acqua in un batter d'occhio. Non ricordava quando era stata l'ultima
volta che aveva bevuto, ma la gola gli bruciava e accolse con sollievo
il liquido caldo che gli era scivolato giù in pochissimo tempo.
Si era steso a terra, sulla pancia per evitare di andare ad appoggiare
il peso sulle ustioni ricevute, e aveva cercato di dormire un po'. Il
pavimento era fresco e gli diede un po' di sollievo, oltre a farlo un
po' preoccupare. L'ultima cosa che gli serviva era che le ferite si
infiammassero e gli procurassero una febbre che l'avrebbe debilitato e
stordito. Doveva restare lucido e cercare una via di fuga.
Sì sentì sollevare di peso e aprì gli occhi di soprassalto.
Doveva essersi addormentato durante la sua degenza nella cella.
Prima ancora che avesse il tempo di svegliarsi del tutto gli venne
messa una benda sugli occhi mentre contemporaneamente qualcun altro gli
legava le mani dietro la schiena. Il movimento a cui questo lo
costrinse gli fece lanciare un gemito di dolore: le ustioni sulle
scapole gli diedero delle fitte che per un attimo lo stordirono.
Niente di tutto questo sembrò muovere a compassione i suoi carcerieri,
che senza troppi complimenti lo tirarono in piedi e lo sospinsero lungo
un percorso sconosciuto mezzo trascinandolo mezzo sorreggendolo.
Alla fine lo caricarono su quello che sembrava il cassone di un camion
e avviarono il motore. Cercò di fare forza e di liberarsi le braccia,
ma il dolore era troppo e ben presto desistette. Provò a cercare a
tentoni qualcosa che lo aiutasse a liberarsi, un cacciavite, un chiodo,
un qualsiasi cosa di quelli che gli eroi trovano SEMPRE nei film.
Lui era un eroe, o così gli dicevano, ma non di quelli da pellicola, o
forse era semplicemente molto sfigato (come se non avere superpoteri
non fosse sufficiente) perchè intorno a sé trovò solo il nulla.
Dopo il camion fu la volta di un altro mezzo di trasporto, che non
riuscì a identificare fino a quando il rumore di un motore a turbofan
non gli svelò la verità.
Era su un areo.
Per un attimo andò nel panico, mentre il rumore del fan, quella specie
di ronzio molto rumoroso e fastidioso, gli riempiva completamente le
orecchie, poi però riflettè che avevano dato appuntamento a Natasha
alle vele a Dubai, quindi forse era là che erano diretti.
Bene.
Sfruttò il tempo di volo per un'altra dormita. Doveva recuperare le
forze.
Erano tutti a bordo del jet privato di Tony Stark, e per la prima volta
Natasha fu veramente disposta a dimenticare l'inferno che aveva passato
nel breve periodo che aveva passato sotto copertura come sua segretaria
privata.
Senza l'aereo privato non aveva idea di come avrebbe fatto a
raggiungere Dubai in così poco tempo senza farsi scoprire.
Quello che non avrebbe mai ammesso nemmeno sotto tortura era che avere
i Vendicatori accanto le faceva davvero bene. E lo faceva anche a
Tommy, che ora dormiva pacificamente su una delle brandine dell'aereo.
Il ragazzino era rimasto a origliare e si era ostinato ad
accompagnarli, a costo di andare a spifferare tutto a Fury. Con un
sospiro e la raccomandazione di non combinare casini, dopo che Natasha
aveva raccontato loro la sua storia, Tommy era stato accettato nel
gruppo, e ora era in viaggio per la sua prima missione.
Iniziare con qualcosa di illegale. Se la storia era destinata a
ripetersi quel ragazzino ne avrebbe fatta di strada, sempre che non
finissero tutti ammazzati in poche ore, ovviamente.
La presenza di Bruce, Steve e Tony la costringeva a restare calma e a
ricordarsi che non era sola in questa missione potenzialmente suicida.
Aveva una reputazione da difendere, e mai avrebbe mostrato a Stark il
suo lato più umano.
Senza Iron Man tra i piedi probabilmente avrebbe già dato fuori di
matto.
-Dovresti riposare un po', Natasha- Steve si sedette accanto a lei, che
si era accoccolata per terra contro la fusoliera dell'aereo -Devi
essere in forma se vuoi uscirne viva-
Lei annuì, ma proprio di dormire non le riusciva.
Da quando aveva ricevuto la prima telefonata, sentiva un'inquietudine
dentro di sé che le faceva venire voglia di spaccare tutti, e ora, su
quell'aereo, si sentiva in gabbia. Gli Emirati sembravano su un altro
pianeta, e quell'affare sembrava volare troppo lentamente per i suoi
gusti, anche se era uno dei più veloci jet subsonici in commercio e non.
-Vedrai che lo riporteremo a casa. Abbiamo affrontato di peggio. Uniti
ce la faremo-
Finalmente Natasha riuscì a sorridere. Era vero. Uno sceicco megalomane
non era niente in confronto a quello che avevano passato a New York,
doveva solo convincersene.
-Te la senti di affrontarlo? Sei sicura?-
Se la sentiva davvero?
Era da un po' che ci pensava. Tante volte, quando sentiva nominare
anche solo gli Emirati come nazione, un brivido le percorreva la
schiena, e i suoi ricordi tornavano a quella cella. Ora stava di nuovo
per incontrare, in una stanza da sola, il suo aguzzino.
Sarebbe riuscita a mantenere la calma?
Devi farcela. Si disse. Per Clint.
-Penso di sì- rispose abbastanza sinceramente -Devo stare calma, per
Clint-
-Va bene, e ricordati che ci siamo noi a coprirti le spalle. Se osa
toccarti, se la vedrà con noi-
-Grazie...-
Steve le fece un sorriso gentile, poi si alzò per andare a controllare
gli altri.
Tony era in cabina di pilotaggio insieme a Bruce Banner.
I due stavano chiacchierando riguardo a un qualcosa che avrebbe
assorbito le vibrazioni molecolari scatenate dalla rabbia dello
scienziato e quindi impedito la trasformazione. Secondo Stark la cosa
poteva funzionare, mentre Banner era più reticente.
Li lasciò continuare senza disturbarli.
Agitazione molecolare, radiazioni, meccanica quantistica...non era roba
alla sua portata.
Controllò per un momento Tommy, chiedendosi non per la prima volta se
avessero fatto bene a portarselo dietro.
Il ragazzino li aveva messi alle strette, e senza dubbio era molto
legato a Clint. Natasha aveva mostrato loro la sua scheda, che era
assolutamente invidiabile. Tra i primi in tutte le categorie, e questa
era una rarità. Ogni agente per quanto eccellente che fosse aveva un
proprio punto debole, una materia in cui non brillava, mentre Tommy era
costante in tutto.
Sembrava non avere difficoltà con niente, probabilmente perchè si
impegnava sempre al massimo.
La Vedova Nera li aveva assicurati inoltre che nel corpo a corpo si era
addestrato con lei, mentre Clint nei tempi morti lo aveva aiutato ad
affinare la mira già ottima.
Senza dubbio poteva essere un valido alleato, ma sarebbe stato in grado
di affrontare una vera missione, o dovevano aspettarsi un crollo?
Certo, il fatto che stesse dormendo probabilmente era già un buon segno.
Gettò uno sguardo a Natasha: si era finalmente decisa a stendersi un
po', ma probabilmente non stava dormendo. Decise di non disturbarla
oltre e andò a sedersi.
-Siamo pronti per l'atterraggio-
La voce di Tony risuonò in cabina, resa un po' più metallica dagli
altoparlanti.
Si comincia.
PERSONAL SPACE: grazie a chi è
giunto fin qui...quindi sono rispuntati i Vendicatori, e anche i
flashback (a proposito, se volete saperne di più vi ricordo di leggere
"Sento che questo sarà l'inizio di una lunga amicizia", spin off che
racconta in modo più completo l'inizio dell'avventura tra Natasha e
Clint (momento marchetta XD) eh niente... vi ringrazio ancora, e se vi
è piaciuto o anche no, recensite!!!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** CApitolo 18: avviso! ***
AVVISO: Ciao a tutti!
Volevo solo rassicurarvi, non ho abbandonato questa storia, sono
semplicemente in vacanza e riaggiornerò dopo il 18 di agosto, quando
ritorno!!!
BUONA ESTATE!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 18 *** Capitolo 19: trattiamo ***
PERSONAL SPACE: eccomiiiii!!!
Sono tornata finalmente dalle vacanze, mi sono sbloccata e quindi ecco
il nuovo capitolo, un po' lunghetto per farmi perdonare
dell'assenza...come sempre grazie a chi mi ha letto e recensito, a chi
mi segue e mette tra i preferiti, ne sono davvero contenta! Basta
cianciare e vi lascio al capitolo!!
CAPITOLO 19: Trattiamo
Tony aveva prenotato il meglio del meglio per loro. Finora Natasha ne
aveva visti di posti lussuosi, ma la megavilla affittata dal
miliardario era decisamente oltre ogni sua più rosea immaginazione,
nonché esperienza.
In confronto Le Vele sembravano una bettola da due soldi, il che era
tutto dire.
Le Stark Industries avevano ovviamente commercio anche con gli Emirati,
e Tony aveva scomodato tutti i suoi contatti affinchè facessero in modo
che la sua solita sistemazione fosse libera per il loro arrivo. Aveva
degli affari urgenti da sbrigare e non poteva permettersi ritardi.
Erano atterrati nella pista di atterraggio privata della proprietà che
il magnate era solito affittare come abitazione nei suoi viaggi di
lavoro e subito la maestosità di quella casa si era rivelata ai loro
occhi, come se la possibilità di entrare direttamente nell'hangar e la
pista privata non fossero già un indizio sufficiente.
Finora l'unica cosa che Natasha aveva visto che più si avvicinava a
quella magnificenza era la casa di John Travolta, famoso per l'accesso
diretto alla pista di decollo per i suoi amati giocattolini, due Boeing
707 SP, giusto due cosine da circa 200 passeggeri. E tutto questo la
russa lo aveva visto solo su internet, non certo dal vivo, e
sicuramente mai aveva avuto la possibilità di “toccare con mano”
-Ti tratti bene, Stark- osservò Steve, non senza una punta di stupore
nella voce. Che fosse un megalomane era cosa nota a tutti, ma questo
era decisamente spiazzante, specialmente per qualcuno proveniente dagli
anni 40, quando gli aerei erano ancora un qualcosa di mitico e
irraggiungibile, almeno per la gente comune, figuriamoci la possibilità
di tenerne uno in garage!
-Sono pur sempre un miliardario-
L'unico che non sembrava particolarmente turbato dalla cosa era Tommy.
Con tutta l'innocenza dei suoi quindici anni scarsi, si era attaccato
al finestrino e ora si godeva l'atterraggio e tutto il lusso con gli
occhi spalancati per la meraviglia.
Natasha sorrise, intenerita. Il ragazzino era ancora innocente, non
aveva ancora assaggiato con mano la cruda realtà del loro mondo, ma
sospettava che ben presto ne avrebbe avuto un assaggio.
Certo, aveva subito la morte del padre, e l'invasione di New York era
cosa nota, ma la differenza tra l'averlo visto e l'esserci passato
attraverso era decisamente abissale. Un po' come era accaduto a lei
durante la prigionia. Non importava quante volte l'avessero stuprata
durante l'addestramento. Tra i suoi “insegnanti” e la realtà ci era
passato un abisso, e questo l'aveva sconvolta. Scosse la testa, come
per scacciare i ricordi e lasciò che Tommy si godesse tutta la parte
migliore del viaggiare con Iron Man. Doveva ammetterlo: finchè non
iniziavano i guai (ed era una cosa che succedeva abbastanza presto)
vivere al fianco di Tony era una figata, e Nat l'aveva sperimentato
sulla propria pelle quando gli faceva da assistente personale. Peccato
che la tranquillità in quel periodo durava meno di dieci minuti di
solito prima che Stark ne inventasse qualcuna delle sue o venisse
attaccato.
Tony fece loro toccare terra con tutta la dolcezza di un atterraggio da
manuale, e pilotò poi il piccolo aereo con facilità disarmante
all'interno dell'hangar annesso alla villa. La manovra venne facilitata
dal fatto che il garage era stato studiato per ospitare aerei ben più
grossi e meno agili, quindi non era stato difficile per l'uomo
parcheggiare anche senza assistenza da terra.
Come mise i piedi a terra, Natasha si affrettò a posizionare i blocchi
alle ruote, dei prismi a base triangolare che, posti sotto le ruote del
carrello, aiutavano il velivolo a rimanere fermo sul posto.
Iron Man li fece presto entrare in casa.
Sembrava una reggia, e non aveva niente da invidiare alla defunta Stark
Tower (al momento in ristrutturazione dopo che Hulk e Loki l'avevano
pesantemente danneggiata) o alla villa a Malibu del CEO della
Stark Industries.
Piscina interna ed esterna, un numero indicibile di stanze da letto,
ognuna col proprio bagno privato dotato di idromassaggio e sauna,
nonché cucina, salotto, sala cinema e biblioteca, il tutto altamente
automatizzato.
Il tutto terminava con una passerella lunga un centinaio di metri che
portava a un bungalow completamente in legno, posto in mezzo al mare e
sostenuto da palafitte, con anche un terrazzino da cui era possibile
tuffarsi e risalire senza ripassare dalla spiaggia.
-Wow- non potè fare a meno di lasciarsi sfuggire Natasha -Perchè non mi
hai mai portato in un posto del genere quando lavoravo per te?-
-Perchè non volevi venire a letto con me-
-Bastava dirlo subito- ribattè la donna, divertita -Se mi avessi
portato qui subito avresti ottenuto tutto senza sforzo, invece del
nulla che ti è toccato-
Tony sospirò e fece uno sguardo del tipo “a saperlo prima mi sarei
risparmiato un sacco di fatica” me non ribattè alla giovane, anche
perchè Tommy era appena entrato in casa dopo aver fatto un giro del
perimetro insieme a Bruce Banner, senza contare che Capitan America
sembrava a dir poco shockato dalla leggerezza con cui Natasha parlava
della propria vita sessuale. Alla sua epoca, solo le prostitute avevano
il coraggio di parlare a quel modo. Il mondo era cambiato, ma per certe
cose, riflettè l'ex spia russa, Steve restava ancora un gentiluomo
degli anni 40.
I due fecero cadere l'argomento e iniziarono i preparativi per
l'incontro di Natasha con lo sceicco.
Quando Clint si risvegliò era di nuovo sulla terraferma, o almeno così
gli sembrava. Non sentitva più i motori dell'aereo e nemmeno quello di
un furgone, segno che o era fermo da qualche parte, forse per una sosta
di rifornimento carburante, oppure il suo viaggio era momentaneamente
finito.
Quando sentì una porta aprirsi, capì che si trattava dell'ultima
opzione.
Due energumeni entrarono nella stanza/cella/qualunque cosa fosse e gli
tolsero finalmente, dopo ore interminabili, la benda dagli occhi.
Non che la visuale migliorasse. Un'occhio era completamente chiuso: non
riusciva ad aprire la palpebra e lo sentiva gonfio, con una
fastidiosissima sensazione, come se pulsasse e fosse intorpidito allo
stesso tempo.
L'altro, il sinistro, quello che con cui prendeva la mira, era messo
leggermente meglio e, anche se la sua vista era appannata, per lo meno
si apriva. Uno dei due lo prese per i capelli e lo costrinse a voltare
la testa verso l'alto, fino a fargli fissare il soffitto, mentre il
secondo gli apriva l'occhio sano e vi faceva cadere delle gocce. Ecco
spiegata la vista. Erano delle stramaledettissime gocce di quelle che
usano gli oculisti per vedere meglio in fondo all'occhio. Gridò di
dolore quando lo stesso trattamento venne riservato anche all'occhio
chiuso. Evidentemente volevano assicurarsi che non potesse usare le
proprie armi, o per lo meno, non quelle in cui era un fenomeno.
Pensavano veramente a tutto.
Non si stupiva più che quello sceicco avesse scoperto la vera identità
di Natasha e fosse riuscito ad ingannarla a tal punto da riuscire a
catturarla senza che lei nutrisse il minimo sospetto.
Sembrava conoscere tutti i punti di forza anche di Clint, e sapeva
inoltre che era lui il vero punto debole di Nat, almeno tanto quanto la
russa era il suo.
Da dove cavolo aveva preso tutte quelle informazioni?
Tralasciando la sua passione per l'arco, che era stata sotto gli occhi
di tutti a New York, il suo essere mancino, il suo legame con Natasha,
le conoscenze della russa in fatto di spionaggio non erano certo di
dominio pubblico, e anche se Fury avesse voluto far arrivare qualcosa
per dare il contentino alle ricerche dell'emiro, di certo non avrebbe
rivelato quelle più delicate.
Clint arrivò all'improvviso a una sconcertante verità. Lo sceicco (o
chiunque egli fosse in realtà, ormai Clint non era più sicuro di nulla)
aveva una talpa all'interno dello SHIELD, e non una persona qualunque,
ma qualcuno che fosse abbastanza in alto da poter avere accesso a
informazioni riservate. Si sentì gelare il sangue nelle vene, mentre
cercava di ricordare qualche comportamento anomalo da parte dei vertici
con cui era stato in contatto, Fury incluso.
Niente. Era ancora troppo confuso e sconvolto per pensare.
Assurdamente, ebbe perfino il sospetto che la talpa fosse Tony Stark,
con tutte le sue risorse e il suo cervello non avrebbe fatto
sicuramente fatica a entrare nei file dell'organizzazione. Scartò però
l'ipotesi nel momento esatto in cui gli venne in mente. Si era fatto il
culo anche più di loro per salvare New York dai Chitauri, e chi ama a
tal punto la terra da lanciarsi nello spazio con una bomba nucleare tra
le braccia, non avrebbe certamente la voglia di scatenare una guerra
nucleare. Non aveva nessun senso.
Ovviamente scartava a priori Steve Rogers, Natasha e Bruce Banner e sé
stesso.
Steve era un patriota convinto, la seconda era appena stata catturata e
violentata, e niente al mondo poteva convincerlo che il suo
sconvolgimento non fosse reale (o almeno era quello che si augurava il
suo cuore, anche se ammetteva che la Vedova Nera era diventata famosa
proprio per il suo donate tutta sé stessa alla missione) e Banner non
aveva certo bisogno di un'arma nucleare. Lui stesso era una delle armi
più potenti esistenti al mondo (anzi nei mondi).
Scosse la testa per scacciare quei pensieri.
Per prima cosa doveva uscire di lì e cercare di radunare i Vendicatori,
o almeno la parte terrestre di essi. A questo punto non sapeva più di
chi fidarsi. Quanto era addentrata questa talpa? Era solo una? O tutto
lo SHIELD era compromesso?
Basta! Si impose. Trova il modo di uscire da qui!
Natasha stava tremando. Impercettibilmente, ma era quanto bastava per
farle pensare di abbandonare tutto. Non era pronta per affrontare di
nuovo quell'uomo. Per niente.
Si era messa la sua divisa dello SHIELD. Pantaloni neri aderenti e
giubba dello stesso colore. Una cintura in vita conteneva tutto ciò che
poteva servirle, tranne la pistola, che era ben riposta all'interno
dello stivale.
I capelli rossi erano sciolti, e aveva scelto un trucco leggero che
tuttavia le induriva i lineamenti. Ne aveva dannatamente bisogno.
Mancavano due ore all'appuntamento, e la donna stava controllando
l'equipaggiamento per l'ennesima volta mentre Tony apportava le ultime
modifiche alla propria armatura (più che altro per evitare che vi si
infilasse della sabbia non richiesta).
Bruce era seduto a un terminale pc, e controllava i loro trasponder. A
lui spettava il compito di controllare costantemente le loro reciproche
posizioni, nonché di far rimbalzare ciò che il microfono sottocutaneo
di Natasha (una nuova invenzione di Tony Stark, a suo dire a prova di
qualunque rilevazione) avrebbe registrato a Tony, Steve e Tommy, che
sarebbero stati appostati poco lontano.
Quanto al miliardario, aveva finalmente studiato un sistema di
mimetizzazione molto simile a quello utilizzato dallo SHIELD per
occultare gli Helicarrier, ma molto meno potente dato che le emissioni
della sua armatura avevano entità ben minori a quelle delle enormi
portaerei volanti dell'organizzazione. Questo gli permetteva di
volteggiare nell'intorno dell'albergo di lusso, e la sua idea era
quella di fare quanto più possibile da bodyguard a Natasha,
appostandosi direttamente fuori dalla finestra, in volo a punto fisso.
Erano piuttosto sicuri che non sarebbe stato scoperto dallo sceicco,
che se anche aveva fatto delle ricerche su tutti loro (e non avevano
dubbi in proposito) di certo non poteva sapere qualcosa di cui solo
Tony Stark era a conoscenza, come ad esempio le ultime migliorie
apportate all'armatura.
Rimaneva fuori solo Steve, che aveva risolto la cosa prenotandosi una
stanza all'albergo. Lui e la sua sposa erano in viaggio di nozze. Con
sommo sdegno del supersoldato, la sua amata era niente di meno che una
squillo di alto borgo, di quelle da qualche migliaio di dollari a
notte.
Inutile sottolineare che aveva accettato solo per Natasha.
Ora Steve stava controllando le ultime cose insieme a Tommy, dandogli
gli ultimi consigli su come agire. Certo, Clint sarebbe stato un
migliore insegnante per le tecniche di tiro a distanza, ma Capitan
America cercava di arrangiarsi come poteva, e non se la stava cavando
male. Natasha tuttavia percepiva lo sguardo del biondo su di sé. Lui
sapeva, ovviamente, ed era visibilmente preoccupato per lei, pur non
osando affrontare l'argomento. Ne era grata e irritata allo stesso
tempo.
Alla fine Natasha non ne potè più, e chiamato un taxi, si fece portare
sul luogo dell'appuntamento.
Tra il tragitto e le varie cose arrivò che era appena appena in
anticipo, di cinque minuti.
Si costrinse a sembrare più spavalda del previsto e si avvicinò alla
reception.
-Ho un appuntamento con lo sceicco Rayhan Assad Al'lah- disse con una
disinvoltura che quasi stupì anche sé stessa.
-Sì, mi aveva avvisato del vostro arrivo, la signora Bellini, dico
bene?-
Natasha era meravigliata da tanta astuzia. Ovviamente i due erano stati
visti insieme mesi prima, e due persone così facoltose non passano
certo inosservate, specialmente in un albergo che viveva di clienti del
genere.
-Esatto, lo sceicco e io dobbiamo discutere di alcuni affari molto
importanti-
Si rese improvvisamente conto che il suo abbigliamento non era poi così
adatto a una ricca donna d'affari, ma si impose di non dire nulla a
riguardo se nessuno faceva domande esplicite. Del resto, avrebbe potuto
inventarsi una qualunque scusa, inclusa una ben poco animalista battuta
di caccia a un qualche animale esotico e probabilmente in via di
estinzione. Ce n'era sempre qualcuno.
La signorina alla reception compose un numero di telefono,
probabilmente l'interno della camera del suo ospite, e parlò brevemente
in arabo prima di riattaccare e sorriderle affabilmente, in un sorriso
tanto falso quanto credibile. Chissà se prima di essere assunto il
personale veniva mandato a fare un corso di teatro, o di sopravvivenza
ai clienti particolarmente esigenti e viziati, si chiese, mentre
tornava a concentrarsi sulle parole della donna.
-Lo sceicco le manderà subito il suo assistente personale, lo attenda
all'ascensore 24, grazie-
Restituì il sorriso e dopo aver ringraziato si avvicinò alla postazione
indicatole dalla ragazza. L'ascensore non si fece attendere, e lo
stesso uomo che l'aveva avvicinata la prima sera al ristorante fece
capolino, indicandole educatamente di entrare nel cubicolo. A metà
della corsa lo fermò e la bloccò abilmente contro il muro,
perquisendola velocemente.
Inutile dire che tutte le armi le vennero sequestrate, non che avesse
dubbi a riguardo.
L'ascensore aveva l'ingresso diretto alla stanza dello sceicco,
all'ultimo piano del palazzo che ospitava l'albergo.
La stanza non era meno lussuosa delle altre, ed era impreziosita da un
acquario tropicale che ricopriva interamente le quattro pareti della
camera da letto.
-Signora Bellini- la accolse lo sceicco con una gentilezza così
naturale che Natasha quasi stentava a credere che fosse lo stesso uomo
che l'aveva fatta violentare da più persone di quante volesse ricordare.
-Sayyid- rispose altrettanto educatamente, prima che la sua espressione
diventasse di ghiaccio. -Dov'è l'agente Barton?- chiese, mentre con la
coda dell'occhio cercava il familiare luccichio che le avrebbe rivelato
la presenza rassicurante (anche se ad alta voce non l'avrebbe mai
ammesso) di Tony Stark. Non ci mise poi molto a trovarlo.
-Tutto a suo tempo, Natasha. È così che ti fai chiamare ora, vero?-
Nell'istante in cui le porte si erano chiuse dietro Natasha e l'uomo
che era venuto a prenderla, Steve Rogers aveva fatto il suo ingresso
nell'albergo insieme a Michelle, la squillo che avrebbe impersonato sua
moglie.
La prenotazione era di quelle da far invidia a qualunque sposina: una
suite vista mare con accesso diretto alla stanza. Di quelle stanze ne
esistevano pochissime, ed erano tutte posizionate nella parte alta.
Tony l'aveva prenotata apposta supponendo che lo sceicco non volesse
niente di meno.
In realtà aveva riservato una stanza per tipo, di quelle più lussuose,
per essere pronto a ogni evenienza, e aveva suggerito via radio quale
nome dare solo dopo aver visto dove era stata portata la loro amica.
Vedendolo per un istante sbigottito e anche perso in quell'eccesso di
lusso, Michelle si avvicinò al bancone, chiedendo che le venissero
consegnate le chiavi della loro stanza. Ripresosi dal momento di
smarrimento, Steve si sorprese a guardare quella ragazza. Era davvero
molto giovane e molto bella, di sicuro non superava i 23-24 anni. Il
viso era di quelli dolci e delicati, e anche il loro primo incontro non
era stato traumatico come temeva. Michelle aveva subito percepito
l'imbarazzo del Capitano e aveva iniziato a comportarsi come una
semplice fanciulla della porta accanto, cosa che l'aveva decisamente
sollevato.
C'erano cose del XXI secolo a cui proprio non riusciva ad abituarsi,
tra cui il nuovo ruolo della donna. Aveva inizialmente pensato che
Maria Hill e Natasha fossero delle eccezioni, come Peggie lo era stata
a suo tempo, nella vita militare, salvo poi scoprire (con estrema
sorpresa, doveva ammetterlo) che ora il gentil sesso era pienamente
integrato nella vita militare in tutti i campi, da quello burocratico
fino alla prima linea. E poi, ovviamente, c'era l'abbigliamento, cosa a
cui preferiva non pensare per non ricordare tutte le brutte figure
fatte nelle prime settimane della sua nuova vita.
-Hai intenzione di prendermi in braccio per portarmi in camera?- la
voce di Michelle lo fece sobbalzare e ripiombare bruscamente alla
realtà. Aveva uno sguardo divertito e un sorriso sincero sul volto,
così decise di stare al gioco e ridendo la prese in braccio, attirando
lo sguardo invidioso di un'altra donna presente sul pianerottolo e le
fece varcare la soglia della porta della...stanza?
Per lo stupore quasi la fece cadere.
Quella non era una camera d'albergo. Quella era almeno il doppio del
suo appartamento e quello di Natasha messi insieme.
Si riprese subito e ridendo con Michelle caddero entrambi sul letto.
Bruce sentiva Steve ridere sul canale privato della radio, da cui aveva
pensato bene di escludere Tony e Natasha. Per il primo era solo
questione di battute, era sicuro che Stark avrebbe preso in giro a
lungo il capitano se avesse saputo una cosa del genere, cosa di cui
Rogers non aveva proprio bisogno. Nat invece doveva restare concentrata
sulla missione. Il suo era il compito più delicato, e il fatto che
l'ostaggio fosse Clint complicava solo le cose. La Vedova Nera non ne
parlava, ma il suo stato di tensione era evidente, e ben ricordava come
durante l'avventura che li aveva uniti, la sua preoccupazione fosse
stata solo per l'arciere prima di tutto il resto.
Si detestò quando premette il pulsante che l'avrebbe messo in
comunicazione con il supersoldato.
-Capitano, ho dato uno sguardo alle stanze di questa classe economica.
L'arredamento è diverso, ma la planimetria è tutta uguale. Se posso
permettermi, ti suggerisco di studiare bene quella in cui ti trovi per
prenderci familiarità-
-D'accordo, ti ringrazio Bruce. Natasha e Tony?-
-Natasha è nella stanza con lo sceicco, stanno parlando in toni ancora
molto civili. Tony è fuori, perfettamente mimetizzato-
-Tommy?-
-In posizione e al sicuro. Sto scandagliando l'edificio e i dintorni
per cercare di localizzare l'agente Barton-
-Perfetto, grazie Bruce-
Bruce cambiò canale, mettendosi in comunicazione privata con il più
giovane del gruppo
-Thomas?-
-Sì, signor Banner?- sorrise nel sentirsi chiamare così, ma non lo
corresse. Se lo faceva sentire più sicuro di sé, poteva chiamarlo anche
Mr Coso Verde per quanto lo riguardava. La recluta era la vera
incognita. Non solo era il meno esperto di tutti loro, anzi, nemmeno se
si voleva essere precisi. Bruce non era un soldato, ma uno scienziato,
e se avesse preso in mano qualcosa di più complicato di un'automatica
probabilmente si sarebbe sparato su un piede senza accorgersene.
Tuttavia Tommy non era mai stato in battaglia, e come avrebbe reagito
era un qualcosa di imprevedibile che avrebbe anche potuto portare alla
disfatta totale
-Come va lassù? Hai una buona visuale?-
-Vedo Natasha, signore, ma non so se potrei sparare, non vedendo Iron
Man ho paura di centrarlo-
-Tranquillo, quell'armatura può sopportare più di qualche proiettile-
-Va bene-
La comunicazione si chiuse e Tommy rimase di nuovo solo su quel tetto,
isolato più o meno da tutti. La visuale sulla stanza era praticamente
perfetta grazie al mirino telescopico con infrarossi realizzato da Tony
Stark nell'arco di qualcosa come un quarto d'ora.
La recluta non poteva fare a meno di essere affascinata dal modo di
lavorare dei Vendicatori. Erano tutti molto diversi tra loro, ma
insieme sapevano essere un'ottima squadra.
Non ci aveva messo molto a capire che tutti si sarebbero fatti in
quattro pur di riportare Clint a casa, prima di cercare di fermare
definitivamente lo sceicco e il suo folle piano per arricchirsi.
Da parte sua, si sentiva straordinariamente calmo. Era consapevole
delle sue capacità, soprattutto da quando si allenava con Natasha, che
quando decideva che era ora di impegnarsi non risparmiava nessuno. Non
riusciva ancora a batterla, ma per lo meno per un po' le teneva testa.
Inoltre, i consigli e l'addestramento di Occhio di Falco avevano
decisamente affinato la sua mira.
Tuttavia, sapeva anche che i vendicatori ancora non si fidavano di lui:
lo capiva e lo accettava. In accademia sono tutti bravi, ma aveva
sentito più di una volta racconti di persone che avevano perso il
sangue freddo alla loro prima missione.
E quella in cui si era cacciato non era una missione, era un qualcosa
di clandestino che metteva a rischio l'incolumità del mondo intero.
Decisamente un compito poco adatto a una recluta come lui.
Scacciò il pensiero prima che si installasse nella sua mente. Se
iniziava a pensarci era finito.
Per ingannare il tempo fece una panoramica dei dintorni alla ricerca di
qualche altro cecchino prima di tornare su Natasha.
-Prima l'agente Barton, dopo parliamo del lavoretto che devo fare con
te-
Natasha si stava dimostrando irremovibile su quel punto. Non era solo
questione di tattica. La sua priorità era quella di vedere Clint vivo e
metterlo al sicuro, dopo avrebbe pensato a cosa fare per evitare di far
scoppiare la terza guerra mondiale.
-Ho la tua parola che lavorerai per me?-
-Sì, se sarà in condizioni sufficientemente buone-
Fu la decisa replica
-O si o no. Niente condizioni-
-Questi sono affari. Pago se la merce è in buono stato-
-Ho un riscontro sull'impronta genetica di Clint- la voce di Banner
arrivò all'improvviso nelle orecchie di tutti quelli che erano
all'esterno.
-Mi stai dicendo che ha funzionato davvero? Sono impressionato-
Bruce sorrise al complimento fattogli dal collega. Mentre erano in volo
aveva pensato di poter analizzare l'impronta di calore visibile agli
infrarossi e metterla in relazione con una simulazione del sudore fatta
a partire dal DNA di Clint. Se avesse avuto ragione, l'impronta, così
come il DNA, sarebbe stata peculiare per ogni individuo, permettendogli
quindi di localizzarlo.
Poiché non avevano la certezza che potesse essere a portata di visore,
uno scetticissimo Tony aveva modificato l'algoritmo di ricerca dei
propri satelliti affinchè scandagliassero la terra alla ricerca di
quella particolare impronta genetica. Era stata una cosa che gli aveva
portato via pochissimo tempo, ma che aveva fatto più per accontentare
Banner che per una reale fiducia nel progetto.
Per loro fortuna, per una volta Tony aveva sbagliato i calcoli, e ora
avevano la posizione di Clint.
-Quanto accurata è?- chiese
-Direi circa un raggio di 100m-
Accidenti. Doveva darsi una mossa per convincerlo a lavorare per lui.
-Perfetto. Dove-
-In un villaggio a circa 100km da Dubai. E' mediamente grande, direi
circa 5000 abitanti, non so dirti quanto fedeli allo sceicco. La
traccia è debole, quindi probabilmente si trova da qualche parte
sottoterra. Di più al momento non posso dirti finchè non faccio qualche
ricerca approfondita-
-Falla. A Natasha pensiamo io e Tommy-
Steve aveva ascoltato la conversazione in silenzio, rifiutandosi
categoricamente di capire cosa avesse di tanto straordinario l'impresa
di Banner. Certo, si rendeva conto che era una cosa fuori dal comune,
ma quello che a lui importava era ritrovare Clint e togliere Natasha
dalle mani dello sceicco prima che lui scoprisse di un'eventuale fuga
del suo prigioniero.
-Ragazzi. Prima di fare qualunque cosa, tiriamo fuori Natasha- si
decise a dire, e la sua voce aveva un tono a dir poco categorico.
-Non so quanto possa essere una cosa fattibile, Steve...- cercò di
iniziare Tony ma Cap, dopo aver escluso Tommy, lo interruppe
-Senti, ho visto cosa le ha fatto e come l'ha ridotta. Io non ho
intenzione di lasciarla di nuovo nelle sue mani. Non stava quasi in
piedi e non ha dormito per settimane. Ti basta a farti un'idea?-
Questo fece per lo meno riflettere Tony Stark. Sapeva che Natasha
probabilmente l'avrebbe ucciso per quello che aveva appena rivelato, ma
riteneva la sua salute mentale e fisica superiore a un segreto dato
solo dal non voler sembrare debole.
-Va bene- rispose Iron Man alla fine, per poi reinserire Tommy nella
conversazione -Banner, trova tutto quello che puoi, poi mediteremo il
da farsi.
PERSONAL SPACE: Grazie per
essere arrivate fin qui. Dal prossimo capitolo inizia l'azione e
vedremo chi andrà dove e soprattutto come Tommy reagirà una volta
arrivati al dunque.
Mi scuso per la dissertazione
sulla villazza di Travolta e sulla mia fissazione sugli aerei, ma voi
non potete capire quanto io vorrei un aereuccio uccio uccio tutto per
me qui in garage, cioè non un aereo grosso, mi basta un ultraleggero,
cioè chiedo troppo? XD Vabbpè sto divagando, spero che non vi siate
addormentate leggendolo, ma ho voluto dare spazio a tutti i
personaggi...niente fatemi sapere qualcosa con una recensione se vi va!
Alla prossima!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 19 *** Capitolo 20: tieni duro! ***
PERSONAL SPACE: rieccomi! come
sempre grazie a chi mi legge e alla mia fedele unicorna che non manca
mai di commentare!
CAPITOLO 19: TIENI DURO
Natasha non era più spaventata. Era stanca ed esasperata. Erano ormai
tre ore che parlava quasi ininterrottamente, portando avanti una serie
di trattative con Rayhan al fine di ottenere il rilascio di Clint.
-Hai provato sulla tua pelle che mantengo le mie promesse, Natasha-
stava dicendo l'uomo in quel preciso istante -Non appena avrai
terminato il lavoro, inclusa ovviamente la rivendicazione
dell'attentato, libererò l'agente Barton, che sarà libero di tornare a
una vita da civile a New York-
Quell'accento su “vita civile” non le piacque nemmeno un po'.
-Non accetterà mai di lasciare lo SHIELD, e io non posso promettere per
lui-
-Cosa resta di un arciere con le mani deformate e la vista alterata?-
fu la semplice risposta dello sceicco.
Natasha sentì rabbia e angoscia salirle in petto. Per prendere tempo e
cercare di calmarsi, prese dal tavolino che li divideva (un bellissimo
pezzo unico in legno di ebano intarsiato in oro) la propria tazza di
tè, e ne bevve un sorso. L'aroma di mela, dattero e cannella le invase
il palato e le narici, ottenendo l'effetto di calmarla, mentre cercava
le parole giuste per prendere tempo, sperando che gli altri vendicatori
trovassero un modo per rilevare la posizione del loro amico.
Lo SHIELD e il suo arco erano tutto per Clint. Se Rayahn fosse riuscito
a toglierglielo, Occhio di Falco ne sarebbe stato più che devastato.
L'avrebbe annientato in una maniera che nemmeno si avvicinava a quello
che gli era stato fatto da Loki, e questa volta nessuno avrebbe potuto
impedirgli di cadere in un baratro di disperazione e smarrimento.
Nessuno di loro poteva permettere una cosa del genere.
Le parole dello sceicco arrivarono chiarissime a Tommy, grazie alla
trasmittente che Natasha aveva accettato di portare sottopelle.
Il ragazzino non sapeva molto del suo mentore e amico, ma si era
accorto dello sguardo che Clint aveva quando a lezione posava le armi
da fuoco per istruirli sulle armi da lancio. Veniva preso da un
entusiasmo genuino, quasi infantile, che arrivava al suo apice quando
si trattava di tiro con l'arco.
Era l'unico momento in cui quell'uomo sempre serio e solitario,
finalmente mostrava un'emozione che non fosse controllata o repressa.
Era gioia allo stato puro.
Non osava immaginare cosa ne sarebbe stato di lui se fosse stato
privato della sua mira, o delle sue mani.
Fu lui questa volta a escludere Natasha dalla trasmissione.
-Mi ricevete?-
-Forte e chiaro, Tommy-
-Avete sentito tutti?-
-Sì- rispose Tony con voce insolitamente grave -Più tempo passa, più
aumentano le possibilità di perdere Legolas-
-Quanto ti manca, dottor Banner?-
Capitan America si espresse con la solita educazione, che Tommy trovava
al tempo stesso ammirevole e divertente. Steve Rogers aveva sempre una
parola gentile e rispettosa per tutti, e se poteva chiamava tutti con
l'appellativo che gli spettava, in un misto di linguaggio colloquiale e
formale che non si sentiva spesso.
-Non molto. Potremmo anche iniziare a muoverci, volendo-
-Non possiamo lasciare Natasha là dentro senza copertura-
-Non possiamo lasciare Natasha là dentro e basta- rimarcò Cap per
l'ennesima volta -quell'uomo è pericoloso-
-Non per sminuirlo, ma Natasha non è da meno- rispose cautamente Bruce.
-Concordo. Nat sa cavarsela benissimo da sola, anche contro più
avversari, se necessario-
-Non se ne parla ho detto!-
-Dobbiamo portare Legolas fuori da là, Capitano, dando per scontato che
non sia in grado di aiutarci-
-Non lascio Natasha!-
-Non è la prima missione che affronta!-
Tommy decise che ne aveva decisamente abbastanza. Quei tre ora stavano
battibeccando, ognuno fermo sulle proprie convinzioni, e nessuno di
loro aveva intenzione di dare una spiegazione logica.
Capiva il desiderio di Steve di proteggere Natasha, ma così non poteva
continuare.
-LO SCEICCO L'HA VIOLENTATA!- intervenne quasi gridando per sovrastare
la voce degli uomini.
Ottenne l'effetto voluto. Tutti e tre smisero di parlare nello stesso
istante. Il silenzio si protasse per un lunghissimo minuto, fino a
quando non fu Tony a romperlo.
-Tu lo sapevi, Steve, non è vero?- il suo tono era pacato, quasi un
sussurro, e c'era ben poco di interrogativo in quella domanda
-Sì- fu la semplice risposta che dava una spiegazione a tutti i
comportamenti che finora aveva giudicato anormali.
Ora si spiegava la cocciutaggine di Steve, deciso a non lasciare mai da
sola Natasha, ma anche quell'alone di insicurezza che aveva intravisto
attorno alla donna fin dal principio, da quella telefonata che aveva
dato inizio a tutto.
Nella sua mente aveva cercato di minimizzare la cosa, relegandola alla
mera preoccupazione nei confronti di Clint. Nessuno sapeva con certezza
cosa ci fosse stato tra quei due, l'unica certezza era che sarebbero
morti pur di salvare l'altro se ce ne fosse stato bisogno.
Ma ora che ci pensava, non poteva smettere di chiedersi come avesse
potuto essere così cieco da non vedere che c'era dell'altro, qualcosa
di più profondo che la costringeva a combattere ogni secondo per
mantenere la lucidità necessaria, quando probabilmente tutto quello che
voleva era stare lontana da quello sceicco.
-D'accordo- riprese a parlare in tono pratico -Resto io con Natasha.
Steve, tu vai a prendere Clint-
-Vengo anch'io- si propose Tommy a quel punto -Qui non servo poi a
molto, c'è già il signor Stark-
-Tommy...-cercò di iniziare il Capitano
-Lo so che non ho esperienza, ma come ha detto Tony non sappiano in che
condizioni sia Clint. Non può combattere e sorreggerlo allo stesso
tempo, Capitano-
Steve rimase silenzioso per un bel po'
-Ha ragione- intervenne a quel punto Bruce, che dalla rivelazione su
Natasha non aveva ancora aperto bocca -Inoltre, Tommy ha la visuale
coperta proprio da Stark, potrebbe sparare e ottenere solo il risultato
di centrare l'armatura, col rischio di far crollare il sistema di
mimetizzazione-
-E va bene- cedette il supersoldato -Sto arrivando. Bruce fammi trovare
un mezzo di trasporto appena sarò sceso-
-E Michelle?- chiede Tony ricordandosi solo in quel momento della
squillo
-E'...ehm ecco...impegnata, diciamo così, qualche piano più sotto-
-Buona fortuna, ragazzi-
Steve si tolse l'abito da matrimonio per infilarsi dei jeans, una
t-shirt e una felpa leggera col cappuccio, prima di precipitarsi al
piano terra, dove trovò ad aspettarlo un dipendente dell'albergo che
stazionava accanto a una bellissima moto da enduro.
Una KTM 450 RALLY, perfetta per l'ambiente desertico e utilizzata in
una delle gare più dure al mondo, la Dakar, una corsa a tappe che
partiva dall'Europa per spostarsi poi nel nord Africa in una serie di
percorsi che l'avrebbero portata ad attraversare il deserto fino
all'arrivo, nell'omonima capitale del Senegal. Aveva visto parecchi
filmati della corsa, che negli ultimi anni aveva spostato il proprio
percorso in Sud America per motivi di sicurezza, in quanto i territori
nord Africani si trovavano ora a rischio attentati terroristici, un
pericolo che aveva portato anche all'annullamento di una delle edizioni
della famosa corsa a tappe.
-E' pronto per la sia gita nel deserto, signore?-
-Non vedo l'ora, la ringrazio- rispose il Capitano con un sorriso
affabile mentre sedeva sulla moto e si infilava il casco, attento a non
far cadere l'auricolare nell'operazione.
Fece un paio di giri di prova e poi si fermò a prendere Tommy.
-Pronto?-
-Sì, Capitano!-
Ovviamente non lo era, ma Steve apprezzò l'atto di coraggio del cercare
di tenere la voce il più ferma possibile. Sentì il ragazzo aggrapparsi
a lui e sotto la guida di Bruce Banner diede gas per avventurarsi nel
deserto.
Resisti, Clint. Stiamo arrivando.
-Non stai rispettando i patti- Natasha, terminata la tazza di tè, aveva
finalmente trovato un'argomentazione. Aveva percepito di essere stata
esclusa dalla comunicazione radio degli amici, ma non se ne preoccupò
più di tanto.
L'importante era che sapessero come stavano le cose, e non si sarebbe
meravigliata se il loro silenzio fosse dovuto al fatto che stavano
mettendo a punto un piano per recuperare l'amico e non volevano
distrarla con le loro chiacchiere.
O almeno, si augurava che fosse così.
Sperava anche che almeno uno di loro rimanesse accanto a lei,
proprio non se la sentiva di restare da sola con quell'uomo
-Ah no?-
-L'accordo era che io lavorassi per te e tu in cambio avresti
liberato Clint, sano e salvo-
-No, Natasha, tu non mi hai ascoltato. Io avevo detto esplicitamente
“forse non tutto intero, ma vivo”-
E a riprova di questo fece un gesto al suo secondo, che fece
immediatamente partire una registrazione contenuta in un normalissimo
Ipod. Era la loro conversazione, quella in cui le era stato comunicato
il luogo dell'appuntamento.
E potè constatare di persona che lo sceicco aveva ragione.
Bruce non credeva ai propri occhi e orecchie.
Non pensava sarebbe mai arrivato il giorno in cui Natasha sarebbe
finita in posizione di netto svantaggio contro un qualsivoglia nemico.
Eppure era successo.
Ora che lo sceicco le aveva dimostrato con non le aveva mai garantito
l'incolumità di Clint, la donna era in evidente difficoltà,e il suo
silenzio prolungato un po' troppo lo dimostrava.
Decise di darle qualche informazione, così che potesse decidere come
agire. Era importante che prendesse tempo.
-Natasha- le disse -abbiamo trovato Clint. Tony è rimasto con te, Steve
e Tommy sono andati a recuperarlo. Prendi tempo. Ce la faremo-
Ovviamente la donna non gli rispose, ma il sensibilissimo microfono
percepì un lievissimo sospiro.
Non avrebbe mai voluto farlo, o meglio rifarlo, ma non le venne in
mente un'idea migliore per cercare di contrattare la salute di Clint.
-E se aggiungessi un piccolo...extra?- disse abbassando lievemente la
zip della divisa, quanto bastava a far capire le sue intenzioni
-Dovrà essere un po' più che piccolo, se vuoi che il tuo amico torni a
casa senza danni permanenti. E' uno dei migliori agenti dello SHIELD,
nonché uno dei vendicatori. Capisci che averlo fuori gioco per sempre
sarebbe un bel vantaggio-
-Clint è il più innocuo tra di noi, lo sai meglio di me- ribattè mentre
la cerniera scendeva ancora un po'.
Le costava molto dire quelle parole. Clint non avrà avuto la forza di
Hulk e Thor o la tecnologia di IronMan, ma la sua forza stava
nell'osservare le cose sempre con un certo distacco. E insieme loro due
davano il meglio, senza contare che il loro addestramento come soldati
e spie dava loro una marcia in più quando si trattava di tattica.
Thor e IronMan erano più per il: prima buttiamoci poi pensiamo a cosa
fare. Steve era un ottimo capitano, ma il suo addestramento era un
po'... troppo datato per essere di aiuto nel mondo della tecnologia
moderna. Ai suoi tempi bisognava preoccuparsi di mine antiuomo,
cecchini e soldati di guardia, al massimo di qualche aereo da
ricognizione. Ora c'erano telecamere, infrarossi, sensori di movimento,
rilevatori di temperatura. Tutte cose che lui non era in grado di
valutare contemporaneamente. Hulk...vabbè se sei Hulk non hai bisogno
di un piano.
Inoltre, nessuno era più abile di lui come pilota, specialmente quando
era più importante l'approccio visivo più di quello strumentale. Tante
volte lo aveva visto ignorare palesemente altimetro, radar e GPS e
trovare spazi che solo la sua vista acuta poteva vedere e valutare,
alla faccia dei più sofisticati sistemi di rilevamento.
E come dimenticare come era riuscito a tenerli tutto sott'occhio a New
York? In quell'occasione non li aveva mai persi di vista, coordinandoli
e mandando rinforzi prima ancora che loro stessi si accorgessero di
averne bisogno.
No, Clint non era innocuo, per nulla, ma al momento era quello di cui
doveva convincere lo sceicco se voleva uscirne con un briciolo di
dignità ancora integra. Mai. Mai si era spinta così in là per qualcuno.
Ormai lo sceicco guardava più il suo corpo. Ancora qualche centimetro e
i suo generoso decolltè fu in piena vista. L'uomo le si avvicinò,
posandole una mano sul seno, mentre l'altra scendeva più giù
-Allora le mie attenzioni non ti sono state poi così sgradite qualche
mese fa- commentò divertito e, Natasha lo percepiva mentre restava
ferma e si lasciava toccare senza opporsi, la mente concentrata sul
controllare la propria paura.
-Natasha- la voce di Tony le arrivò preoccupata e tesa -Fin dove vuoi
arrivare?-
Fin dove sarà necessario. Fu la risposta che formulò la mente della
giovane donna.
Clint Barton mi devi uno di quei favori che ti lascerà in debito con me
per tutta la vita se non oltre.
Ci misero una buona mezz'ora ad arrivare a destinazione. Con la moto i
due arrivarono fino a fuori Dubai, dove, nascosto da un sistema di
mimetizzazione, li aspettava il jet con cui erano arrivati negli
Emirati.
Fu Tommy a mettersi spontaneamente ai comandi, mentre Steve prendeva
posto accanto a lui.
-Dottor Banner, check list 1 e 2 completate. Pronto al decollo- disse
il ragazzino in cuffia mentre finiva i controlli pre-decollo con occhi
e mani che sembravano abbastanza esperte.
-Ricevuto. Buona fortuna-
Il jet, che era l'ultima evoluzione del convertiplano, (un aereo a
motori in grado di operare sia a punto fisso, con decollo verticale,
simile agli elicotteri, ma anche in una configurazione di turboelica,
che gli permetteva di volare a velocità ben maggiori) fu presto a una
quota abbastanza accettabile per volare in sicurezza evitando dune,
palazzi e quant'altro, ma anche sufficientemente bassa per non essere
visualizzato dal radar. Per maggiore sicurezza attivò ogni schermatura
possibile.
Tommy non aveva mai guidato un aereo di quel tipo, ma trovò i comandi
abbastanza standard e per quello che non capiva, si limitava a evitare
di toccare, volando quanto più possibile utilizzando la navigazione a
vista.
Steve passò dei momenti non troppo tranquilli, quando il ragazzino si
era messo ad armeggiare col velivolo, ma aveva anche riconosciuto la
propria incompetenza in materia di volo e l'aveva lasciato fare,
sperando che sapesse quello che faceva.
Quando però l'aveva visto familiarizzare coi comandi e parlare sicuro
alla radio, le sue preoccupazioni si erano attenuate di molto. Sembrava
che sapesse cosa stava facendo e il decollo filò via liscio e senza
intoppi.
In pochi minuti arrivarono a destinazione
-Si tenga, capitano- si raccomandò Tommy -Con gli atterraggi non sono
un granchè-
-Iniziavo a chiedermi in effetti se ci fosse qualcosa che non sai fare-
fu il commento di Steve, che però gli sorrise -Tranquillo. Andrà bene-
Tommy riportò i motori in configurazione verticale e in qualche modo
portò giù l'aereo. Non fu il migliore degli atterraggi, ma nemmeno il
peggiore a cui Steve aveva preso parte.
-Bruce, siamo atterrati. Guidaci-
-Ho fatto di meglio, Capitano. Se guardi il cellulare troverai che sto
trasmettendo quello che vedo il mio schermo direttamente a te-
-Sei un genio-
-Grazie. Lo so-
Steve rise a quella risposta così tanto da Tony da fargli pensare che
il miliardario stesse avendo una brutta influenza sullo scienziato, ma
non aveva il tempo di pensare a queste cose.
Clint li aspettava.
Prese con sé Tommy e seguì la traccia che il cellulare gli stava
fornendo.
Clint si era addormentato. O forse era svenuto. Non ne era del tutto
certo.
Era ancora legato a quella maledetta sedia, le membra ormai erano
anchilosate e lui era stufo marcio.
La vista era ancora molto, molto offuscata e nemmeno strizzando gli
occhi riuscì a liberarsi della fitta nebbia che sembrava avvolgerlo.
Per questo quando sentì del trambusto fuori dalla sua cella, fu preso
dal panico. Non era assolutamente in grado di difendersi.
-Clint!-
Ok, si disse. Sto ufficialmente delirando. Quella non può essere la
voce di Tommy. Non può e basta.
-Clint. Siamo noi. Sta calmo-
La voce di Steve Rogers ebbe il suo solito, dannato effetto calmante.
Si permise il lusso di rilassarsi mentre cercava di articolare qualche
parola, che uscì roca e sconclusionata.
Gli venne messo qualcosa vicino alle labbra e istintivamente si
ritrasse, diffidente ormai a qualunque cosa
-Clint. È solo acqua. Bevi. Bevi-
Obbedì al capitano in uno stato che era una sorta di trance. Sentì il
liquido scorrergli giù per la gola e contemporaneamente ogni fibra del
suo corpo sembrò ringraziare. I polsi e le caviglie all'improvviso
furono di nuovo liberi, anche se si accorse di non avere la forza di
fare nulla. Senza più le corde a tenerlo in posizione sulla sedia, si
sentì scivolare a terra, e sarebbe caduto se Steve non l'avesse
prontamente sostenuto.
-Clint. Mi senti?-
-S...sc...sì- La voce gli uscì molto roca, e ogni lettera gli procurò
un dolore indicibile alla gola.
-Ascolta. Dobbiamo andarcene da qui ok? E alla svelta. Prima che si
accorgano di noi-
Annuì a far capire che aveva sentito e compreso, e cercò di mettersi in
piedi, con l'unico risultato di finire in ginocchio a terra.
Non si metteva bene. La lucidità di Clint lasciava parecchio a
desiderare, senza contare che l'arciere era completamente senza forze.
Accompagnò la sua caduta solo per guardare Tommy. No, il ragazzino era
troppo esile per poter sostenere Barton.
-Tommy. Devi farci uscire tu-
Gli consegnò anche la sua pistola e guardò il ragazzino. Lo stava
caricando di un'enorme responsabilità e lo sapeva, ma non potevano fare
altrimenti; d'altra parte doveva riconoscergli un sangue freddo fuori
dal comune. Niente tradiva la sua agitazione
-Va bene, Capitano-
-Forza. Andiamocene- Steve si caricò l'amico in spalla senza troppi
complimenti -Tieni duro, Clint-
PERSONAL SPACE; Finalmente pare
che abbiamo recuperato il poverò Clint...come finirà con lo sceicco? Lo
saprete solo leggendo! alla prossima!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 20 *** Capitolo 21: via di qui ***
PERSONAL SPACE! Eccomi qui con
un nuovo capitolo! Come al solito, grazie alla mia fedele unicorna e
anche a Ella Rogers che mi ha letto questa schifezzuola e l'ha pure
apprezzata XD Niente, vi lascio al capitolo
Capitolo 21: Via Da Qui
Tommy si sporse leggermente dalla porta della cella di Clint, per
vedere se arrivava qualcuno.
Si era aspettato una prigione, o un qualcosa di molto più sofisticato,
di molto più difficile da violare; invece si erano ritrovati davanti a
un vecchio bunker sotterraneo, che era coperto in superficie da una in
apparenza poverissima casa di quel paesino sperduto che probabilmente
non aveva nemmeno un nome, o se ce l'aveva, non gli importava poi
molto.
Il villaggio era davvero piccolo, abitato da povera gente, che non
sembrava nemmeno troppo fedele allo sceicco, poiché nessuno aveva
tentato di fermarli quando si erano diretti alla periferia (se poi si
potesse effettivamente parlare di un “centro” e di una “periferia” in
quel luogo formato da case tutte ugualmente povere e disposte un po' a
caso sul territorio. Evidentemente era uno di quei posti dove bastava
fare un nome perchè la casa corrispondente ti venisse indicata, o,
molto più probabilmente, era un posto dove non c'erano molti visitatori
al di là, forse, di qualche turista un po' curioso disposto ad
avventurarsi a una così grande distanza dalla rassicurante Dubai.
Il bunker però era tutt'altro che povero. Si estendeva per una grande
distanza sottoterra tramite un tunnel. La vera sorveglianza iniziava
con l'arrivo alle celle.
Arrivando ne aveva contate almeno sei, tutte con le porte di metallo
pieno, che impediva di vedere se ci fosse qualcuno all'interno, a meno
di uno spioncino. Avevano trovato quella di Clint poiché era l'unica da
cui proveniva uno spiraglio di luce, probabilmente indizio del fatto
che al momento l'arciere dello SHIELD fosse l'unico ospite.
Avevano messo fuori uso il sistema di telecamere che li aveva accolti
lungo il tunnel e successivamente anche le guardie che si erano
preparate a dar loro il benvenuto a seguito dell'improvviso
malfunzionamento. Non erano molte persone e, prima di scoprire in che
stato fosse il loro amico, si erano stupiti del fatto che solo dieci
uomini, seppur bene armati e addestrati, fossero stati messi a
sorveglianza.
Ora Tommy capiva che ne sarebbe bastato anche uno solo, o nessuno.
Clint era a stento in grado di articolare qualche sillaba, e ora
rimaneva praticamente inerte sulle spalle di Steve Rogers. Non aveva
chiesto di Natasha, e questo lo riteneva un segno della sua poca
lucidità. Avrebbe chiesto di lei se fosse stato pienamente cosciente,
anche solo per sentirsi dire che era sul jet ad aspettarli.
Li aveva riconosciuti, e aveva sentito quello che gli aveva detto
Steve, ma oltre a quello, nulla.
Le ultime due guardie che avevano eliminato erano ancora a terra,
svenute e probabilmente con una gran bella commozione cerebrale dovuta
allo scontro tra i loro crani operata da Steve. Anche se avessero
ripreso i sensi, non sarebbero stati in gradi di essere una vera e
propria minaccia. Per sicurezza, prese le trasmittenti che i due
portavano e le lanciò su un armadio in legno posto in un angolo. Era
alto circa due metri e fece in modo che si infilassero nel punto più
lontano, dove l'angolo aderiva alle pareti.
Poi tornò nella cella.
-Via libera, Capitano- sussurrò
Prima di avventurarsi verso l'uscita.
Sentiva Steve dietro di sé, che camminava piano, cercando di evitare di
sballottare troppo il suo prezioso carico.
Gli fece segno di mantenere una certa distanza da lui. In caso di
attacco, avrebbe avuto bisogno di spazio e il capitano l'avrebbe solo
intralciato.
Infatti un paio di guardie lo attaccarono appena al di fuori del cono
di luce della sala delle celle, all'ingresso di quello che sembrava il
centro di controllo delle telecamere e l'area relax delle guardie
insieme.
I due erano coraggiosi, ma ancora storditi dalla dose di botte presa
poco prima da Rogers e Tommy ci mise pochissimo a neutralizzare i loro
attacchi e rispedirli nel mondo dei sogni.
Ora che era impossibilitato a combattere, Steve potè soffermarsi a
guardare, o meglio ammirare, le capacità di Tommy.
C'erano tutte le tecniche di combattimento standard dell'accademia
dello SHIELD, le riconosceva dopo essere rimasto per qualche tempo dopo
il suo risveglio insieme agli allievi per recuperare la piena capacità
motoria.
Anche se sei un supersoldato, 70 anni di immobilità si fanno sentire.
Ma c'era di più nel suo modo di combattere.
C'era l'irruenza non priva di precisione tipica degli attacchi di
Barton, che aveva avuto modo di sperimentare in qualche sessione di
allenamento, ma anche l'eleganza felina della Vedova Nera.
Non c'era dubbio, quei due avevano fatto un ottimo lavoro con il
ragazzino, che era anni luce avanti rispetto ai suoi compagni di corso.
Le due guardie erano state ben presto neutralizzate in maniera
piuttosto silenziosa e anche le loro radio avevano fatto una brutta
fine, in modo che non potessero avvertire chi ancora fosse stato in
grado di opporre resistenza.
Tommy li condusse fuori a colpo sicuro, fermandosi solo quando si
ritrovarono di nuovo nella vecchia casa che copriva l'accesso a quel
luogo di reclusione.
Lì si concessero un attimo per riprendere fiato.
-Cosa devo fare, Banner?-
La voce di Tony era, una volta tanto, incerta. Bruce era allibito tanto
quanto il collega e amico. Natasha aveva preso tempo con una serie di
condizioni che aveva posto pur di dar loro il tempo di salvere Clint,
ma dopo un po' lo sceicco si era fatto più pressante, e la donna era
stata costretta a passare dalle parole ai fatti.
Anche lì, stava cercando di rimandare quanto più possibile l'atto
sessuale vero e proprio, con una serie di giochini preliminari che
stavano mandando decisamente lo sceicco fuori di testa.
-Non lo so- fu la risposta.
La notizia dello stupro li aveva lasciati entrambi interdetti, e ora
Banner ascoltava le mosse di Natasha con un sentimento che era un misto
tra stupore, preoccupazione e ammirazione pura, e anche un pizzico di
invidia nei confronti di Clint. Chi poteva vantare un amico fedele fino
a quel punto?
-Non sei di aiuto-
-Non lo so, Stark-
Per fortuna la voce di Tommy entrò come una frecciata nelle sue
orecchie proprio in quel momento.
-Abbiamo ritirato il pacco-
-Hai sentito Tony?-
Ma a rispondergli fu il sonoro schianto della finestra della stanza del
costoso albergo andare in frantumi.
Clint stava cercando di ritrovare la lucidità, ma non era facile. Si
sentiva a pezzi, completamente senza forze e la vista sembrava
peggiorare anziché migliorare.
Dalla macchia blu sotto di sé aveva capito che Capitan America lo stava
trasportando senza troppi complimenti verso l'uscita, e il movimento
non contribuiva ad aiutarlo a riprendersi.
Infatti, come lo misero a terra, si voltò e vomitò quel poco che aveva
nello stomaco. Erano giorni che non riusciva a mangiare quasi nulla di
quello schifo che gli portavano, anche perchè aveva il sospetto che ci
fosse qualcosa al suo interno che contribuisse a renderlo ancora più
debole.
-Clint!- la voce di Tommy gli arrivò preoccupata e piena d'ansia, anche
se a basso volume, probabilmente per non farsi scoprire.
-Clint. Coraggio. Siamo quasi fuori- di nuovo, la voce calma di Steve
di diede la forza di annuire debolmente. Cercò di articolare una frase,
un grazie, un qualunque cosa, ma senza successo. La prolungata
astinenza da acqua gli aveva devastato la gola, che bruciava da morire,
anche se non ci aveva più fatto caso da giorni, ovvero da quando
avevano smesso di fargli domande e si limitavano a usarlo come
pungiball.
Alla fine fece una specie di saluto militare, sperando che fosse
interpretato nel modo giusto.
-Capitano, dovremmo muoverci-
-Aspetta, Tommy. Dagli un minuto-
La mano gentile di Steve lo spinse a stendersi a terra, rigorosamente
su un fianco, dove faceva meno male, ma Clint oppose resistenza,
scuotendo la testa e mormorando dei fiacchi ma decisi “no”. Tommy aveva
ragione. Non c'era tempo, e ora che era quasi fuori da quell'incubo,
l'ultima cosa che voleva era ripiombarci.
Non era il coraggio che lo spingeva ad appoggiare il suo ex allievo.
Era la paura.
-Va bene. Va bene, Clint.- Steve si arrese, per farlo stare buono più
che altro. Era in condizioni pietose -Tommy. Daremmo troppo nell'occhio
portandolo fuori così e non possiamo mascherarlo in nessun modo. Puoi
portare l'aereo quanto più vicino possibile?-
-Non è un problema, Capitano, ma rischieremmo di venire scoperti-
Steve pensò un attimo, chiedendosi se potesse rischiare esponendo Tommy
a un compito così delicato in solitaria, ma poi si accorse di non avere
scelta. Lui aveva pilotato degli aerei in passato, ma la tecnologia
dagli anni 40 si era evoluta a un livello tale che in un primo momento
gli era sembrata provenire da un altro universo, nonostante si fosse
già trovato davanti alle avanzate tecniche dell'Hydra. Quello che a
Tommy era sembrato del tutto naturale, a lui era completamente
sconosciuto. Non c'era possibilità che riuscisse a manovrare
quell'affare.
Si prese un appunto mentale di farsi dare qualche lezione di volo
finita quella missione.
-Non importa. Appena sali sull'aereo comunica che abbiamo Clint e dì a
Tony di mettere Natasha al sicuro-
-Sissignore-
Tommy controllò le armi poi partì con il passo tranquillo di chi fa una
passeggiata. Era perfettamente calato nella parte. Steve lo guardò
sparire prima di tornare ad occuparsi di Clint.
-Come stai?- gli chiese ben sapendo che non era in condizioni di
parlare, anche se a gesti se la cavava bene.
E infatti l'arciere fece un cenno con le mani, indicandosi gli occhi e
scuotendo la testa.
-Non ci vedi?-
Clint alzò una mano, col palmo aperto in orizzontale, e la fece
ondeggiare, nell'universale segno che stava per “così e così”, poi
piegò le tre dita centrali e chiese da bere.
Steve si guardò intorno, cercando qualcosa che fosse potabile, ma senza
successo. Quella casa era completamente vuota.
-Pazienta. Appena sarai sull'aereo mi occuperò di te-
Si rese conto solo in quel momento che non aveva ancora chiesto di
Natasha. Brutto segno.
In quel momento la voce di Tommy gli risuonò nell'orecchio.
-Sono dietro la casa, a circa 3 metri di altezza. Ce la fai a salire o
atterro?-
-Tu tieni fermo quell'affare e io non avrò problemi- rispose mentre
riprendeva Clint e già si dirigeva fuori. Gli bastarono una rincorsa e
un bel salto per riportarsi a bordo -Vai, vai vai!-
In quella camera d'albergo si era scatenato l'inferno, e proprio nel
momento in cui aveva dato fondo all'ultimo gioco erotico che conosceva
e che non prevedesse un rapporto.
IronMan aveva lanciato un raggio laser che aveva mandato la finestra in
mille pezzi, che si erano riversati nel salottino.
Contemporaneamente, Natasha diede corpo alla fantasia sessuale che
l'aveva conquistata nell'ultima ora della sua vita. Allungò un piede
dotato di un tacco 15 a spillo (che era attaccato a uno stivale di
pelle nera che lo sceicco aveva acquistato per dar vita al loro
ennesimo giochino per un qualche migliaio di dollari americani giusto
poco prima) e lo piantò direttamente nei genitali dell'uomo, che si
piegò in due e la liberò dal suo poco gradito abbraccio.
Non contenta pesò bene di piantargli anche un calcio in piena gola, che
lo mandò dritto e filato contro la vetrinetta del bar, infrangendo
vetro e bottiglie di liquori che non avrebbe potuto permettersi nemmeno
investendo tutta la paga mensile dello SHIELD.
Il tutto mentre Tony si occupava senza troppi problemi della sicurezza
dello sceicco, comprese un paio di guardie armate che si fecero un bel
tuffo in mare.
Tony aveva neutralizzato la fiera resistenza delle guardie dello
sceicco, e si voltò verso Natasha giusto in tempo per vederla in preda
a una fredda furia, controllata eppure incontenibile allo stesso tempo.
Quella che vedeva accanirsi sull'uomo che tanto l'aveva fatta star male
era ancora la Vedova Nera, ma allo stesso tempo non era lei. Gli occhi
azzurri erano gelidi mentre con una mossa decisa delle mani spezzava il
collo dell'uomo, che si ruppe con uno schiocco che risuonò come
un'esplosione nel silenzio nella camera.
Tony si tolse l'armatura, che si richiuse su sé stessa a formare
un'anonima 24ore.
-Natasha...- disse cautamente avvicinandosi a lei come se fosse un
animale selvaggio
-Ho eliminato la minaccia- furono le calme parole della donna prima che
crollasse svenuta.
La prese al volo prima che cadesse a terra, ignorando le richieste di
spiegazioni di Banner e la portò dall'altra parte del corridoio, nella
camera di Steve, dove la adagiò delicatamente sul letto.
-Stiamo bene, Banner. Lo sceicco è morto-
-Morto? Come morto?-
-Lascia perdere-
Tony aprì una frequenza comune
-Cap?-
-Siamo sul jet- Steve rispose all'istante -Stiamo tornando-
-Come sta Legolas?-
-Non bene. Ha bisogno di cure immediate-
-Allora dì a quel ragazzino di fare rotta per l'ospedale dello SHIELD a
Washington. Noi vi raggiungiamo lì-
-Sicuro?-
-Sicuro-
-Va bene-
Tony chiuse la comunicazione e guardò verso Natasha, svenuta sul letto.
E questo come lo dovrei spiegare, ragazza?
Steve aveva messo Clint su una brandina, dove l'arciere si era lasciato
andare finalmente a un sospiro di sollievo, che subito divenne una
tosse convulsa.
Il Capitano lo sollevò leggermente e gli posò una bottiglia sulle
labbra. Non era acqua, ma un integratore di quelli per gli sportivi.
Con suo enorme sollievo, l'amico riuscì a bere e piano piano mandò giù
tutto il contenuto dalla bottiglia da mezzo litro, ritrovando anche la
voce
-Nat...Natasha?- chiese debolmente
Di norma dopo aver salvato la vita a una persona, da questa la prima
parola che ci si aspetta sarebbe un grazie, eppure sentire finalmente
che Occhio di Falco aveva accennato a preoccuparsi per l'amica lo rese
la persona più felice della terra.
-Sta bene- lo rassicurò subito -Ci raggiungerà a Washington con Tony e
Banner dagli Emirati-
Al sentire il nome di quello stato, vide il corpo di Clint irrigidirsi
-Lo sceicco ha cercato di ricattarla per riaverti- gli spiegò -ma
l'abbiamo aiutata noi. Ora sta bene, stai calmo-
-E...Tommy?-
-Tommy non ne ha voluto sapere di rimanere fuori da questa cosa, ed è
stato provvidenziale per portarti fuori da lì. Ora ci sta riportando a
casa, ti servono cure-
-Non...ci vedo...bene. È tutto...offuscato-
-Andrà bene, sei solo un po' malconcio. Ora rilassati e cerca di
dormire- gli disse più per tenerlo tranquillo che per vera convinzione.
Che Clint gli avesse creduto o meno, gli obbedì e si stese, cadendo in
un sonno rilassato-
Steve si sedette al posto del copilota, accanto a Tommy, che aveva
sentito tutto grazie alla radio.
-Washington?-
-Sì, ordini di Tony. La priorità e farlo curare ora-
-Va bene- fu la risposta del ragazzino che stava già pre-impostando le
coordinate sul computer di bordo per poter finalmente inserire l'auto
pilota. -Starà bene?-
-Lo spero, ragazzino. Lo spero-
-E Natasha? Lei sta bene?-
-Pare di sì-
Tommy annuì una sola volta, poi si concentrò sulle manovre che lo
avrebbero portato sulla rotta verso casa.
PERSONAL SPACE: E....finalmente
di torna a casa....e si giunge verso la fine di questa storia, penso
tra due o tre capitoli...ma non temete...il seguito è già in
lavorazione per vostra (s)fortuna!! Niente, se vi è piaciuto fatemi
sapere qualcosa! ciau!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 21 *** Capitolo 22: Chi sono? ***
PERSONAL SPACE: Eccomi! Nuovo
capitolo! come sempre grazie alla mia fedele unicorna e ad ella rogers
per le vostre recensioni, veramente grazie davvero! Grazie come sempre
anche a chi legge senza recensire e a chi mi ha inserito tra le
preferite, seguite, da ricordare e addirittura tra gli autori preferiti
*__* grazie davvero a tutti!
Vi lascio al capitolo e, come
sempre, ci vediamo in fondo!
Capitolo 22: Chi sono?
Trovò Clint che dormiva profondamente nel letto dell'ospedale militare
dello SHIELD. Non aveva indosso il camicione classico perchè
fondamentalmente non gli serviva. Ogni parte del suo corpo (o almeno
della sua parte superiore) era ricoperto di bende che coprivano la
pelle ustionata e ferita dalle torture subite.
Una flebo gli partiva dal braccio destro, probabilmente per reintegrare
liquidi e nutrimentro.
Da quello che Steve aveva detto loro, non c'erano lesioni gravi, ma
dalle analisi del sangue era risultata presente una qualche droga che,
unita alla totale o quasi mancanza di acqua, avevano portato allo
stremo il corpo dell'agente, che però ora si era stabilizzato.
L'unica incognita rimaneva la vista.
Nessuno sembrava in grado di spiegare che cosa stesse causando
quell'anomalia nella visione dell'arciere, ma le speculazioni ora si
basavano solo sulle parole di Clint riportate da Steve, poiché il
diretto interessato ancora faticava a parlare ed era importante che
riposasse.
Un primo esame non aveva rilevato danni cerebrali e/o oculari visibili,
ma quel posto non era specializzato in oculistica e il timore di
rovinare l'eccezionale vista del paziente aveva fatto desistere i
medici dal fare esami più invasivi prima che si fosse rimesso.
Natasha era rimasta silenziosa per tutto il viaggio e anche adesso,
seduta fuori dalla stanza dell'amico in attesa che le dessero
finalmente il permesso di entrare. Si era chiusa in sé stessa,
impenetrabile a qualunque tentativo di conversazione, specialmente se
questo riguardava quello che era accaduto.
Perchè rivivere quegli eventi la faceva sentire male dentro.
Aveva ucciso di nuovo. Questa non era una novità. Nonostante le
politiche dello SHIELD, le era capitato di essere costretta a mietere
qualche vittima.
Ma questa volta era diverso, perchè lo aveva fatto a sangue freddo, per
mera vendetta, ignorando deliberatamente il fatto che quell'uomo, se
posto sotto un severo interrogatorio, sarebbe sicuramente stato una
miniera di informazioni per lo SHIELD.
Era una cosa che si era ripromessa di non fare mai più.
Le ricordava ciò che era stata prima di Clint, prima dello SHIELD.
All'epoca, le piaceva la sua vita, ma ora, guardandosi indietro, non si
era pentita della scelta che aveva fatto accettando quell'appuntamento
con Clint, quel giorno di qualche anno prima.
Si era trasformata da robot da guerra a una persona in grado di creare
legami sinceri di amicizia o, quantomeno, di rispetto e collaborazione.
Si era illusa di aver finalmente trovato un equilibrio, ora più che mai
con Clint e anche Tommy, che era stato una manna dal cielo per entrambi
i vendicatori, che da solitari si erano ritrovati a condividere la
propria vita con quel ragazzino.
Aveva pensato, questa volta per davvero, di poter finalmente cancellare
quella macchia rossa sul suo fascicolo che più che agli occhi dei suoi
capi pesava sulla sua coscienza.
Eppure era bastata una missione finita male, Clint preso in ostaggio,
perchè tutti i suoi buoni propositi, la persona che era diventata, che
credeva di essere diventata, venissero spazzati via da un'ondata di
gelo, che come una tormenta di neve aveva soffiato via ogni sentimento,
ogni scrupolo, ogni cosa che non fosse la gioia di vedere finalmente
morta tra le proprie mani la persona che tanto le aveva fatto del male.
Quello che la faceva soffrire era il ricordo della gioia che il rumore
di quel collo spezzato le aveva provocato. Una gioia istintiva,
animalesca, che non provava più da quando era una macchina da guerra
per il KGB.
-Natalia!-
-Mi chiamo Natasha-
-Sì, sì come vuoi, ma possibile che
non riesci nemmeno per sbaglio a risparmiare una vita umana?-
Lei e Clint erano in piedi fuori
dall'ufficio di Fury, Era nello SHIELD da pochi mesi, e quella era la
sua sesta missione tale da essere chiamata con quel nome. Aveva
superato ogni test, ogni interrogatorio. Aveva dato informazioni utili
per il governo degli Stati Uniti e si era addestrata come l'ultima
delle reclute.
L'unica pecca sul suo invidiabile
curriculum era il lavoro di squadra. Abituata fin da bambina ad agire
da sola,si sentiva ostacolata da quelle reclute che le erano pari o
superiori per grado, ma decisamente inferiori per preparazione.
Finiva sempre per perdere i suoi
compagni durante le esercitazioni. Chi veniva catturato, qualcuno
ucciso, altri invece li usava come vere e proprie esche a loro insaputa.
Era la disperazione dei suoi
istruttori, oltre a causare un moto di antipatia che l'aveva ben presto
vista trovarsi di nuovo completamente da sola.
Non che questo le dispiacesse,
riusciva benissimo a portare a termine ogni esercitazione con un
successo, ma evidentemente lavorare allo SHIELD comportava l'obbligo di
avere dei compagni d'armi, almeno uno, in ogni missione.
Un mattino si era trovata Clint ad
attenderla all'inizio dell'ennesimo test. E le cose erano andate
decisamente bene. Finalmente aveva trovato qualcuno alla sua altezza, a
livello di esperienza e capacità, ma soprattutto un suo pari a livello
di solitudine.
Due solitari che lavoravano in coppia.
Aveva ben presto passato la fase
dell'addestramento, quello delle missioni inutili e finalmente il
direttore aveva cominciato ad assegnarla a qualcosa di veramente
corposo.
L'unico problema era che lei in sei
missioni aveva fatto più vittime di metà degli agenti SHIELD in sei
anni messi insieme.
-Non erano risorse. Inutile lasciarli
in vita-
-Natalia...-
-Natasha!- Con la nuova vita,
ovviamente le serviva un nuovo nome, e aveva optato per una leggera
modifica alla propria vera identità. Era un modo come un altro per dare
un taglio netto col passato.
-Natasha...- Riprese Clint, in un
discorso che non era certa di voler ascoltare -Lo so che per te è
sempre stato così però...ci sono altri modi per mettere KO qualcuno,
senza ucciderlo-
Lo sapeva, naturalmente, ma era più
forte di lei. Uccidere, in fondo, le piaceva.
E finalmente si era decisa a dirlo a
Clint apertamente, a spiegarglielo, o almeno ci aveva provato. Lei, che
non metteva insieme frasi più lunghe di 10 parole (quando si sentiva
chiacchierona), aveva parlato per quasi un'ora.
E Clint l'aveva poi difesa davanti a
Fury, a Coulson e alla Hill a spada tratta, incurante delle
conseguenze, del fatto che era lui il suo diretto superiore e quindi
responsabile quanto Natasha stessa delle azioni della ragazza.
Natasha aveva ricambiato impegnandosi, cercando di reprimere la gioia
selvaggia che la prendeva quando uccideva, convincendosi che fosse
sbagliata. E ora, probabilmente, aveva appena mandato tutto alle
ortiche.
Si alzò di colpo in piedi, oppressa da un senso di nausea che la
costrinse a correre in bagno nel più breve tempo possibile, dove vomitò
anche l'anima, in una mera illusione di far uscire con quei conati
anche il ricordo di quella sensazione.
Si ripulì con dell'acqua e delle salviette e si guardò allo specchio.
Guardò i suoi occhi, e vide una ragazza tormentata, divisa tra un
passato che a quanto pare era sepolto sotto uno strato molto sottile e
fragile di vetro e un presente che ancora non sapeva dove l'avrebbe
portata, ma che tutto sommato le piaceva.
Chi sono? Non potè fare a meno di chiedersi. Riuscirò mai a liberarmi
di Natalia?
Ora capiva il significato dell'espressione: gli occhi sono lo specchio
dell'anima. Quello che vedeva era esattamente quello che sentiva dentro
di sé. Si sentiva spezzata, colpevole e confusa allo stesso tempo. E,
se doveva essere sincera, anche appagata per averla fatta pagare a
colui che l'aveva violentata e torturata, e aveva osato toccare la sua
famiglia.
Sì. l'unica certezza che aveva al momento, era che Clint era la sua
famiglia.
Non sarebbero mai stati una coppia, figuriamoci sposati, ma essere
famiglia era proteggersi, condividere esperienze e sentimenti, starsi
accanto nei momenti difficili, consolarsi ma anche riprendersi a
vicenda, almeno questo era quanto le avevano sempre detto. E allora sì.
Lei e Clint erano una famiglia.
Aprì di nuovo l'acqua, sul getto più freddo, e se lo gettò sul viso,
per cercare di mandare via la stanchezza e l'espressione sconvolta, poi
tornò fuori.
Un'infermiera le andò incontro.
-Signorina, il suo amico è sveglio se vuole vederlo-
Annuì con un sorriso e si avviò verso la stanza. Mise la mano sulla
maniglia, e all'improvviso esitò. Cosa avrebbe detto Clint di quello
che aveva fatto? Come l'avrebbe giudicata? Avrebbe potuto ancora
fidarsi di lei?
-'Tasha...- la voce venne da dentro la stanza, evidentemente con molto
sforzo -So...che sei...lì-
l'ultima parola le arrivò quasi inudibile e, di fronte a tanta fatica,
non potè fare altro che fare pressione sulla maniglia ed entrare.
Clint era molto pallido, da quello che riusciva a intravedere tra un
livido e l'altro, e ancora molto debole.
Si avvicinò al letto, sedendosi sulla sedia sistemata li vicino
-Stai..bene?- le chiese, e quasi le venne da ridere.
Lui, ridotto in quello stato, chiedeva a LEI se stava bene. Buon,
vecchio, Clint.
-Sì...sono un po' stanca ma sto bene- gli rispose
-Non... mentirmi. Steve... mi ha...detto...cosa...hai fatto-
Ovviamente non poteva sapere di come aveva ucciso lo sceicco. Di quello
erano a conoscenza, per ora, solo lei e Stark.
-Non mi ha fatto nulla... e mi sono anche tolta la soddisfazione di
piantargli un tacco 15 nei genitali...- rispose con una disinvoltura e
una leggerezza sincere. Da quello aveva effettivamente tratto una
soddisfazione che sia la nuova che la vecchia Natasha condividevano, e
per quello non avrebbe chiesto scusa.
Fu ricompensata da un sorriso sghembo
-'Tasha...-
-Sì?-
-Cos'hanno...i miei occhi?-
Ancora una volta, preferì rispondere sinceramente, pur cercando di
tranquillizzare l'amico.
-Non lo sappiamo ancora. Qui non hanno i macchinare adeguati a capire
che cosa ti hanno fatto, ma lesioni visibili non ce ne sono, e questo
fa ben sperare. Appena ti sarai ripreso Tony vorrebbe farti qualche
esame in più-
Occhio di Falco annuì in silenzio e Natasha vide passare una marea di
dubbi ed emozioni nell'unico occhio che riusciva a tenere aperto. In
quell'unica iride grigio/azzurra vide dubbio, disperazione...e paura.
Istintivamente gli prese la mano, percependo in lui il bisogno di
sicurezza che lei stessa aveva cercato quella notte, tornata dagli
Emirati. La strinse piano, per non fargli male, sentendosi addosso
tutta la colpa per quello che gli era successo...se solo non fosse
scappata...
-Guarirai, Clint. Davvero- trovò la forza di dire mentre con l'altra
gli accarezzava il dorso della mano
-E se non potessi essere più Occhio di Falco?-
-Saresti comunque uno dei migliori agenti dello SHIELD. Ma vedrai che
tornerai come nuovo, abbi solo pazienza-
Lui annuì di nuovo e cercò di arrivare alla bottiglia d'acqua alla sua
destra. Natasha lo lasciò fare, aiutandolo solo quando vide che l'ago
della flebo non gli permetteva di far arrivare la bottiglia alla bocca.
-Grazie. Tommy?-
-Sta bene. E' stato fantastico in missione, anche se adesso Fury lo ha
sospeso per aver partecipato a una missione clandestina. Ha sospeso
anche me e Steve, se ti può interessare, anche se ho il sospetto
che la nostra non durerà a lungo-
La presenza di Natasha lo tirò fuori dal limbo in cui era precipitato.
Per un po' non si preoccupò della sua vista, delle sue ferite e del
tempo che lo aspettava a letto prima di rimettersi, per non parlare di
quello ancora più lungo che gli sarebbe servito per ritornare
pienamente operativo.
Sapeva che la strada sarebbe stata lunga e senza certezze. Stava a lui
reagire e metterci tutto sé stesso per tornare quello di prima.
Sapere che Tommy era andato con loro lo faceva infuriare e lo rendeva
felice allo stesso tempo, anche se sperava che Fury non li massacrasse
troppo per quella bravata.
Si chiese vagamente cosa ne fosse stato dello sceicco; in fin dei
conti, non gliene importava poi molto, purchè rimanesse al di fuori del
loro campo visivo (e quello di Occhio di Falco era decisamente ampio).
I giorni passarono lentissimi e noiosissimi. Man mano che il suo corpo
smaltiva la droga, le ferite guarivano e lui, finalmente, riprendeva le
forze. La sua mobilità era molto ridotta, specialmente per quanto
riguardava la zona delle spalle e delle braccia, ma quello era l'ultima
delle sue preoccupazioni. Si sarebbe rimesso e lo sapeva. Dopo era solo
questione di riabilitazione e allenamento.
Quelli che non sembravano dare cenni di miglioramento erano i suoi
occhi.
Tutti cercavano di rassicurarlo, lo avevano fatto fin dall'inizio.
Stai tranquillo, Clint, appena passeranno i lividi tornerà anche la
vista. Tommy
Non ci sono lesioni, Legolas. Appena ti riprendi faremo altre visite.
Stark
Sono sicuro che è solo un fenomeno passeggero. Steve.
Potrebbe essere un effetto collaterale della droga. Banner.
Ti rimetterai. E in ogni caso saresti sempre un ottimo agente. Natasha.
La verità era che Clint iniziava seriamente a temere che questa volta
la sua carriera di arciere fosse giunta al termine, e questo lo gettava
sull'orlo della pazzia ogni volta che indugiava a pensarci.
Non era tanto il suo ruolo nello SHIELD a preoccuparlo. Nat aveva
ragione a riguardo: anche senza l'arco restava uno dei migliori agenti
di Fury, e non ci avrebbe messo molto a riprendere il suo posto.
Ma l'arco era tutto ciò che aveva.
Era stato l'unica costante della sua vita, da quando da bambino era
stato preso a lavorare nel circo.
Aveva avuto donne, amiche, amici, nemici.
Tutti erano passati.
Era consapevole che perfino Natasha, prima o poi, se ne sarebbe andata.
Magari non l'avrebbe fatto per cattiveria, o crudeltà, anzi,
probabilmente l'avrebbe fatto per salvarlo.
E se ora anche la sua costante veniva a mancare, che gli sarebbe
successo? Come si sarebbe sfogato?
Tante, troppe volte, aveva sfogato rabbia, frustrazione e dolore in
quella corda tesa, perforando paglioni, spezzando singoli rami lontani,
seminascosti da altri.
Si era distratto dalle preoccupazioni progettando nuovi dardi, ognuno
con una propria peculiarità, alcune al limite del ridicolo (ricordava
benissimo quello che liberava un potentissimo odore di letame,
soprattutto perchè Natasha lo aveva rincorso sui tetti di mezza New
York dopo che lui gliel'aveva scagliata mentre faceva la doccia,
prendendo la mira dal palazzo di fronte).
Arco e frecce avevano sempre fatto in modo che non affogasse (troppo) i
dispiaceri nell'alcol e avevano mantenuto insieme i pezzi del suo
animo, che troppe volte era stato spezzato.
Senza di esso, come sarebbe riuscito a rimanere sé stesso?
-Signor Barton?-
La voce di un'infermiera arrivò gentile alle sue orecchie,
interrompendo il corso dei suoi pensieri. Portò lo sguardo sulla donna,
ottenendo un'immagine del tutto fuori fuoco: il suo corpo tarchiato era
una macchia azzurro, il colore dei camici della struttura, e il viso un
ovale roseo circondato da una macchia marrone, che dovevano essere i
capelli.
-Sì?-
-Il dottore ha firmato le carte, domani mattina potrà lasciare
l'ospedale. Verrà trasferito al laboratorio medico della Stark
Industries per controlli più accurati alla vista-
-La ringrazio- Riuscì a dire con non poca agitazione.
Finalmente era arrivato il momento della verità. Se Stark non capiva
cosa lo stesse accecando, era fottuto.
-Romanoff, ne abbiamo già parlato! Clint resterà qui alla Stark Tower
per tutto il tempo della sua riabilitazione!-
Era vero. Le discussioni riguardo a come avrebbero gestito Occhio di
Falco c'erano già state.
Era chiaro come il sole che Clint non fosse in grado, al momento, di
restare da solo. Aveva gravi problemi alla vista e non solo. Le ferite
non erano ancora del tutto guarite, e anche la mobilità dell'agente era
limitata.
Tuttavia, ora che era in procinto di essere dimesso, Natasha era
fermamente convinta che il posto migliore per Clint fosse il suo
appartamento di Brooklyn. Era vero, avrebbe avuto bisogno di assistenza
continua, questo Natasha glielo concedeva (ed era anche vero, però che
lei, Steve e Tommy erano sospesi quindi non è che avessero molto da
fare in quel periodo), ma per lo meno in casa sua sarebbe riuscito a
muoversi senza problemi, e questo gli avrebbe fatto pensare un po' meno
al suo problema.
-Stark, per favore! Non è un topo da laboratorio! Posso portartelo qui
ogni volta, anche ogni giorno, ma lasciamolo andare a casa!-
Quel giorno nella stanza c'era anche Steve, che però finora non era
entrato nel dibattito. Appunto. Finora.
-Scusatemi- disse con la consueta educazione -ma penso che Clint sia
grande abbastanza per decidere da solo cosa fare...-
-Non credo debba stare con un'assassina- fu al replica di Tony, che
ignorò completamente l'intervento di Capitan America. Guardò la ragazza
dritta negli occhi -Cos'è, Romanoff, se ti fa incazzare ammazzi pure
lui a sangue freddo?-
Un silenzio gelido calò sul gruppetto.
Steve non osava fiatare, forse più incredulo che altro, mentre Natasha
chinò il capo appena per un attimo, prima di rialzare gli occhi azzurri
sul magnate e scattare fulminea verso di lui, con la chiara intenzione
di colpirlo.
Ma il suo pugno non arrivò mai a destinazione. Si sentì afferrare da
mani forti e gentili allo stesso tempo. Senza degnare Stark di
un'occhiata, Steve la portò fuori. Cercò di lottare e ribellarsi, ma
alla fine la superforza del ragazzo ebbe la meglio.
Non aveva mai visto Natasha scattare in quel modo, eppure non era la
prima volta che qualcuno le dava dell'assassina.
-Nat?- le chiese dolcemente mentre la lasciava finalmente andare. Erano
sull'eliporto della Stark Tower, ora ricostruita dopo i danni
infertagli da Loki durante la battaglia. Tony l'aveva ricostruita per
tutti loro, lasciando solamente la A come lettera impressa
sull'edificio, eppure Steve faceva molta fatica a credere che un giorno
avrebbe mai considerato la torre come casa propria.
La ragazza si staccò dalle sue braccia e camminò fino al bordo della
struttura, gli occhi che guardavano le svariate decine di metri che li
separavano da terra.
-Natasha...lascialo perdere. Lo sai come è fatto...-
-Ha ragione-
-Tutti abbiamo i nostri trascorsi, l'importante è quello che siamo ora.
Quello che sei ora-
-Ho ucciso lo sceicco-
-Lo sappiamo, Natasha, Tony ce lo ha detto. Non hai avuto scelta, ti
avrebbe ucciso-
-No-
E con voce pacata e controllata, guardando le minuscole auto scorrere
sotto di loro, nel caos del traffico della grande mela, raccontò a un
incredulo Steve Rogers che non era stato un atto dettato dalla
necessità di salvarsi la vita, ma un gesto di deliberata e calcolata
vendetta.
-Ora lo sai- concluse alla fine del suo breve racconto.
Si aspettava di vederlo andarsene, ma invece Steve le si avvicinò
-Nat... quell'uomo ti ha violentata. E ha fatto del male all'unica
persona a cui tieni a questo mondo. Quello che hai fatto non è stato
giusto, ma è comprensibile. E nessuno deve giudicarti per questo.
Vieni. Andiamo da Clint-
-Non mi va di rivedere Tony-
-E chi ha detto che dobbiamo rientrare per scendere?-
Non le lasciò il tempo di realizzare. La strinse a sé e si lanciò nel
vuoto.
PERSONAL SPACE: Grazie a chi è
arrivato fin qui senza addormentarsi! Ho voluto mettere l'accento su
Natasha, non è un caso e siccome il mio fine ultimo è ricollegarmi con
Cap 2 per poi far partire il seguito da dopo TWS, ho pensato di
iniziare a mostrare a Steve il "lato oscuro" di Natasha, che io
immagino lei voglia anche dimenticare...e poi mi piaceva l'idea di un
senso di colpa dopo l'omicidio a sangue freddo dello sceicco...niente,
fatemi sapere se queste cose vi sono arrivate, e che ne pensate...al
prossimo capitolo!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 22 *** Capitolo 22: nuovi occhi ***
PERSONAL SPACE: Eccomiii!!! So
che è tipo passato un secondolo, ma pare che io stia diventando una
studentessa modello. Scherzi a parte, mi mancano 4 esami, e il mio
obiettivo ora è solo il pezzo di carta, quindi ho lasciato un po' da
parte il resto. Però scrivere mi manca, e Clint e Natasha meritano un
finale, senza contare che ho il seguito che preme e spinge per
uscire...quindi, io mi scuso profondamente per il ritardo e ringrazio i
ben 5 recensori del capitolo scorso: la mia unicorna, Ledy Leggy, anche
lei fedelissima, Ella Rogers (finirò di leggere la tua fanfic,
giuro!!!) e le due nuove, BatmAndyDaryl e winterlover97, non finirò mai
di ringraziarvi!
Mi scuso con tutti di nuovo per
il ritardo...e spero che qualcuno mi legga nonostante sia passato mezzo
secolo! Vi lascio al capitolo.
Capitolo 22: NUOVI OCCHI
-'Tasha-
-Dimmi, Clint-
-Che hai?-
Era passata qualche settimana dal giorno delle dimissioni di Clint
dall'ospedale, e ancora non avevano avuto notizie certe riguardo la sua
vista.
Dall'ospedale era voluto andare a casa propria, andando contro ogni,
doveva ammetterlo, logica e ragionevole obiezione di Tony Stark. Non
poteva certo dargli torto. Qualunque cosa avesse agli occhi era da
affrontare nel più breve tempo possibile, e la ex Stark Tower era il
posto ideale. Il miliardario gli aveva offerto praticamente un intero
piano dell'edificio come abitazione, provvisoria o permanente. Era così
che l'aveva pensata durante la ricostruzione: ogni Vendicatore avrebbe
avuto una vera e propria casa all'interno del grattacielo; l'idea era
stata di Pepper: ora che avevano cominciato a collaborare, era
importante che un team come il loro legasse, e quella le era sembrata
l'opzione migliore.
La verità era, però, che erano tutti troppo diversi tra loro, e che
ognuno aveva la propria vita.
Clint non aveva declinato l'invito per disprezzo. Quel loft avrebbe
sicuramente avuto tutti i confort possibili, senza contare che
sarebbe stato immediato per Stark e i suoi collaboratori
occuparsi di lui e della sua vista. Tra palestre, laboratori e sale
operatorie, avrebbe avuto a portata di mano tutto l'occorrente per
rimettersi completamente. Non era un lusso che tutti potevano
permettersi, anche se lavoravano per lo SHIELD.
Tuttavia, non se l'era sentita. Aveva voglia di stare nel suo
appartamento di New York, in mezzo al caos (ora un po' meno caotico
grazie a Natasha) delle sue cose buttate ovunque, del suo divano mezzo
sfondato e macchiato di tutto ciò che fosse possibile mangiare senza un
piano rigido su cui appoggiarsi, della sua tv e dei suoi film stupidi.
In una parola, aveva bisogno di casa.
Natasha e Steve l'avevano riaccompagnato all'ultimo piano di quel
palazzo, e Nat si era definitivamente trasferita da lui, di giorno e di
notte. Anche Tommy aveva ormai una postazione fissa in quel monolocale,
che ora più che mai si dimostrava minuscolo e inadeguato per più di una
persona, come a sottolineare, ancora una volta, la solitudine
intrinseca di quell'uomo a prima vista tanto socievole e rubacuori. La
sua abitazione era un chiaro messaggio per le ragazze che abbordava:
una notte, non di più.
Ovviamente, c'erano state delle eccezioni, tra cui Natasha, ma il suo
stato attuale non lasciava spazio a dubbi su come le cose si erano
concluse. Clint incasinava sempre e irrimediabilmente tutto.
Natasha era come sempre un'ottima attrice, eppure, fin dal primo giorno
in ospedale, quando aveva esitato fuori dalla sua porta prima di
entrare, dopo suo invito, aveva capito che c'era qualcosa che la stava
turbando profondamente.
Probabilmente, se avesse potuto vederla senza quella ormai perenne
coltre di nebbia, dai suoi gesti impercettibili, dalle sfumature del
suo corpo e dei suoi occhi, avrebbe già anche capito di cosa si
trattava, così come gli era bastato il suo atteggiamento a indovinare
cosa le era stato fatto durante la prigionia dallo sceicco.
Ora che non la vedeva chiaramente, percepiva però una certa tensione
nella sua voce, che affiorava a tratti, quando Natasha non riusciva a
trattenerla.
-Niente- fu la risposta che ricevette alla domanda.
-Sarò anche momentaneamente cieco, ma ti conosco. Che è successo negli
Emirati?-
Di questo era abbastanza certo: qualunque cosa fosse successa,
riguardava la missione che l'aveva riportato in America.
Alla sua frase seguì un minuto o forse più di silenzio. Un silenzio
pesante, carico di preoccupazione , che sembrò durare anni. Ma non lo
interruppe, nonostante gli facesse venire in mente pensieri assordanti.
Natasha era fatta così. Avrebbe risposto solo nel momento e nel modo
che più le sarebbe sembrato opportuno. Inutile insistere.
La domanda di Clint aleggiava nell'aria, come sospesa.
Natasha taceva, e lui anche. Come sempre le dava tutto lo spazio di cui
aveva bisogno, come aveva sempre fatto, fin dal loro primo incontro.
Una presenza rassicurante, ma mai ingombrante, mai opprimente.
Aveva parlato con Steve di quello che aveva fatto allo sceicco, e anche
Tony alla fine era andato a scusarsi con lei per quella battuta
infelice di ormai cinque settimane prima, ma, se doveva essere onesta
con sé stessa, l'unica persona con cui avrebbe potuto parlare e
sentirsi davvero meglio (o davvero peggio) era seduto accanto a lei,
che la guardava attraverso una spessa coltre di nebbia.
La sua vista non aveva sbagliato nemmeno questa volta.
Aveva colpito l'ennesimo bersaglio.
-L'ho rifatto, Clint- disse semplicemente, e sapeva che lui avrebbe
capito subito.
Lui non disse niente, ancora una volta.
-Sono un mostro, Clint, lo so-
-No, non lo sei-
-Mi piace uccidere. Mi fa sentire
appagata. Questo che cosa fa di me? Un mostro-
Erano nella mensa, dove lui aveva
cercato di farle capire per l'ennesima volta che non era necessario
lasciare una sia di cadaveri in ogni posto dove andassero. E lei
finalmente era riuscita ad aprirsi quel tanto che bastava per esprimere
quello che provava quando toglieva una vita.
Non era qualcosa di cui andare fiera,
lo sapeva benissimo, ma allo stesso tempo sapeva che nessuna bugia
avrebbe più convinto il suo supervisore. Inoltre, era conscia del fatto
che il suo comportamento stava facendo venire qualche dubbio al
direttore Fury riguardo la possibilità che le stava dando, e che se
avesse continuato in quel modo, per lei c'era solo la prigione, se non
la pena di morte. E, da quando Clint era nei paraggi, all'improvviso
non era più così ferma sul suo pensiero riguardo alla morte. Non era
più così convinta che vivere o morire fosse la stessa cosa.
-Natasha- Clint si prese una pausa,
forse per pensare a cosa dire, per non essere retorico o superficiale.
Non lo era mai, sulle cose che contavano. Era sempre sincero, a
qualsiasi costo. Non le avrebbe mai detto nulla solo per farla contenta
-Io credo che tu sia così perchè non hai mai avuto altro dalla vita. Ti
hanno cresciuta e programmata così-
Una qualunque altra persona si
sarebbe meritata una morte violenta per una frase del genere. Ma non
Occhio di Falco. Le stava parlando con franchezza e calma, senza
giudizi di sorta.
-Ma scoprirai che ci sono altre cose
che contano, che ti facciano sentire realizzata. Finora vivevi per le
tue missioni. Eri in pace solo se la portavi a termine. Lo so. Anche
per me era così, al circo-
-Del tipo? Il vero amore? La
famiglia? -
-Anche. Ammesso che trovi quello
giusto. Ma anche portare a casa la pelle e poterlo raccontare davanti a
una birra. Portare a termine qualcosa di nuovo, che non sai come
uscirà, ma lo vuoi fare. Il sesso-
Clint come sempre la stava mettendo
davanti a cose concrete. Non le stava propinando stronzate riguardo il
vero amore, il principe azzurro e tutte quelle cose che si dicevano
comunemente per mettere in pace il cuore di una persona.
Sorrise senza rispondere all'arciere
che, come spesso accadeva, si limitò a chiudere la bocca e a starle
vicino, in attesa che dicesse o facesse qualcosa.
-C'è davvero speranza, per me?-
-Dipende solo da te, Nat-
Di nuovo, niente stronzate mistiche.
Niente destino, niente filosofie sulla purezza dell'anima. Solo una
lapidaria verità.
Era lei che premeva il grilletto. Lei
che spezzava il collo alle spalle.
Sua la scelta di non sparare. Sua la
decisione di far perdere i sensi a qualcuno piuttosto che togliergli la
vita.
Doveva solo compierle, quelle scelte.
E l'avrebbe fatto.
-Come stai?-
Come anni prima. Nessun giudizio, nessuna sentenza.
-Uno schifo-
-Definisci schifo-
-Appagata. Non sono pentita. Non per la morte di quel bastardo. Delusa,
perchè credevo che Natalia non esistesse più-
-Ed è così. E' stata Natasha ha fare quello che hai fatto. Ed era
quello che chiunque avrebbe fatto-
-Non voglio tornare quella di prima-
Percepì una lieve insicurezza nella voce della donna, quasi una nota
di...paura? Le mise un braccio attorno alle spalle, un gesto che non
faceva da non sapeva nemmeno quando.
-Non tornerai. Ci sono almeno un milione di attenuanti che ti
scagionano. Starai bene, Nat. E alla prima missione te ne accorgerai-
-Signor Stark, il capitano Rogers la attende nella sala comune-
La voce di Jarvis lo distrasse momentaneamente da quello che stava
facendo, cioè cercare di incrociare i dati delle analisi del sangue di
Clint con i campioni prelevati dalla leggera patina che si era formata
sulle iridi di Occhio di Falco per cercare di trovare un filo
conduttore.
Sapeva che era lì, da qualche parte. Doveva solo trovarlo.
-Offrigli un drink, e digli che sarò subito da lui- rispose
distrattamente, gli occhi fissi sul microscopio.
-E' urgente-
-E quando mai non è urgente con quell'uomo?- sbuffò il CEO delle Stark
Industries mentre raddrizzava la schiena e si avviava verso l'ascensore
che l'avrebbe portato al quindicesimo piano, dove aveva organizzato una
sala comune per i Vendicatori.
Steve Rogers era in piedi di fronte all'enorme vetrata che dominava La
Grande Mela. Portava dei jeans e una camicia scozzese sui toni
dell'ocra e del verde, sobriamente allacciata fino agli ultimi tre
bottoni vicino al collo, dai quali si intravedeva una t-shirt bianca.
Le scarpe erano un incrocio tra un mocassino e una scarpa da tennis, e
riprendevano il colore marroncino della camicia.
Tony scosse mentalmente la testa. Anche con abiti moderni, nel Capitano
restava sempre e comunque qualcosa di antico, che lo faceva davvero
sembrare fuori dal tempo, quasi come se una tenda invisibile gli
permettesse di interagire con gli anni 2000 ma contemporaneamente gli
impedisse di integrarsi pienamente nella nuova civiltà in cui era
capitato.
Si soffermò per un momento per mettersi nei panni di Steve. Cercò di
immaginarsi catapultato all'improvviso negli anni '40. E smise subito
altrimenti sarebbe impazzito. Oggi internet era alla portata di tutti,
le informazioni e le conoscenze venivano catapultate in un istante su
tablet, smartphone, pc e quant'altro. Tutto era alla portata di tutti,
non si moriva più per una bronchite, e più che di stenti si periva di
troppo cibo. All'improvviso capì. Scacciò i pensieri dalla propria
mente prima di diventare sentimentale e interruppe il corso dei
pensieri di Rogers.
-Che succede di tanto urgente, Capitano?-
-Stark. Buongiorno-
-Buongiorno a te. Allora?-
-Notizie di Occhio di Falco?-
-Era questa l'urgenza?-
-Ho provato a prendere appuntamento, ma i tempi di attesa erano troppo
lunghi, ho pensato di approfittare del pass Vendicatori-
-Sapevo che me ne sarei pentito-
-Allora?-
-Sto ancora cercando di capire cosa cavolo gli abbiano fatto. Qualunque
cosa sia non viene via chirurgicamente, e non svanisce da sola a quanto
pare-
-Quindi non c'è speranza?-
-Mi inventerò qualcosa, Capitano. Fossero anche delle lenti collegate
al cervello-
-E' davvero possibile?-
-Probabilmente sì. Non mi importa come, ma ridarò gli occhi a Legolas-
PERSONAL SPACE: Eccoci qui, il
capitolo è finito e ormai l'avrete capito, quasi anche la storia, penso
che il prossimo sarà l'ultimo capitolo, salvo deviazioni. Come al
solito vi invito a recensirmi, se lo volete, e vi dò appuntamento al
prossimo capitolo!
Ciao!!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 23 *** Capitolo 23: nuovi inizi ***
PERSONAL SPACE: Eccomi! E dunque
siamo alla fine...che non è una fine!! io ringrazio davvero la mia
unicorna, Ella Rogers, Mumma, winterlove97, regdoll_cat, ledy_leggy,
batmandyaryl e tutte/i coloro che mi hanno recensito, che hanno messo
questa storia tra le preferite, le seguite, e le ricordate, chi ha
letto finora in silenzio ed ha apprezzato, chi non ha
apprezzato...insomma GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE,
Fine che non è una fine perchè
il seguito è già qui, inizierò a scriverlo...beè sono le 6:18 AM non
ora XD, ma più tardi sicuramente, e spero che vorrete seguirmi anche di
là!.
A dopo!!
Cap 23: NUOVI INIZI
-Mancato di nuovo-
-Dannazione!- la frustrazione di Clint era ormai alle stelle.
-Clint! Accidenti è già tanto che tu riesca a localizzarli con
precisione!-
-Non mi basta! Non più!-
-I tuoi occhi torn...- ma Steve non potè finire la frase, perchè
l'agente dello SHIELD aveva lasciato la palestra dove si stavano
allenando. Era passato un altro mese, e i miglioramenti sulla vista
erano pochi. Tony continuava a lavorare in laboratorio, affiancato da
Bruce, mentre Natasha girava il mondo in cerca di tutti i possibili
veleni che potessero causare un danno simile.
Nel frattempo, Barton si era ripreso, e ci era voluto molto poco prima
che iniziasse e mostrarsi insofferente allo stop forzato. L'arco gli
mancava ccome l'aria, e così pure il servizio attivo.
Con la vista ridotta in quello stato, Fury aveva deciso di metterlo
completamente a riposo, togliendogli anche l'incarico di addestratore
delle reclute.
Steve e Natasha si erano imposti a quell'ultima decisione. Sebbene non
fosse il lavoro dei sogni di Barton, quel semplice incarico sarebbe
bastato a riempirgli, almeno in parte, le giornate, senza contare che
non l'avrebbe fatto sentire come se fosse già completamente escluso
dallo SHIELD.
Il tutto aveva portato al pazzo progetto che era venuto in mente
all'arciere: tornare operativo nonostante la vista praticamente
dimezzata. L'idea (secondo Steve malsana a dir poco) gli era venuta
poiché a casa e in giro per New York aveva iniziato a muoversi quasi
come se fosse sano nonostante la perenne nebbia davanti ai suoi occhi.
Aveva quindi preteso (e Natasha, mannaggia a lei, l'aveva appoggiato)
di iniziare un allenamento di tiro con l'arco e armi da fuoco in modo
da poter sfruttare quello che aveva per essere ritenuto operativo.
Ovviamente Steve, essendo Steve, non aveva saputo dire di no, e ora si
trovava con Clint nella palestra alla Stark Tower. Il luogo era stato
scelto perchè ad appoggiare la follia non era stata solo Natasha, ma
anche Tony, che ne stava approfittando per fare gli ennesimi test sul
paziente in modo da trovare una tecnologia che gli restituisse la vista.
Per il momento si stavano allenando su bersagli fissi, posti ad appena
5 metri di distanza. Non erano nulla per Clint al massimo della forma,
ma finora aveva mandato molte frecce fuori dal paglione, e questo certo
non contribuiva all'umore dell'uomo, nonostante tutti cercassero di
rassicurarlo: mancava sempre di poco il paglione, e questo era già un
buon inizio, o almeno lo sarebbe stato se lo standard di Clint non
fosse stato decisamente al di fuori del normale.
Ora, per l'ennesima volta, l'irruento agente stava dando sfogo alla sua
rabbia, e Steve aveva imparato che in questi casi era opportuno
lasciarlo solo.
Con il passare dei giorni, le condizioni di Clint non miglioravano,
anche se doveva ammettere che l'allenamento a cui si sottoponeva stava
dando graduali frutti.
-Clint-
-Sì?-
-Io... mi dispiace, ma...-
-Il dovere ti chiama, lo so. Vai. Lo SHIELD ha già perso me, non può
perdere anche te e Natasha-
-Devo trasferirmi a Washington-
Questo per un momento spiazzò l'arciere, che rimase momentaneamente
senza parole, almeno fino a quando il soldato che era in lui non
riemerse in superficie. Qualunque sentimento stesse provando in quel
momento (gratitudine? Tristezza? Delusione? Senso di abbandono? Secondo
Steve poteva essere una di queste o tutte insieme), venne scacciato per
far posto a una composta mano tesa.
-Grazie di tutto, Steve, anche per Natasha-
-Sono sicuro che ti rimetterai, Stark sta lavorando giorno e notte-
-Lo spero. Buona fortuna, Capitano-
-Buona fortuna, agente Barton-
Gli strinse la mano, poi uscì dall'edificio e fece i bagagli. Il suo
sguardo volò a dove quella notte lui e Natasha avevano condiviso il
film e un divano. Da quella sera ne era passato di tempo, e Rogers
aveva quasi iniziato a sperare di aver visto qualcosa oltre la cappa di
ghiaccio che era la Vedova Nera.
Negli ultimi tempi, tuttavia, non ne era poi più così sicuro.
Natasha rientrò dall'ennesima missione per Nick Fury. Non sapeva cosa
aveva in mente il direttore dello SHIELD in quel periodo, e da agente
qual'era si guardava bene dal chiederglielo, ma le sue missioni
diventavano sempre più segrete: spesso e volentieri ormai non sapeva
nemmeno cosa andava a recuperare.
Chiavette usb, files, dati, sabotaggi anche all'interno di agenzie
governative.
Lei obbediva e portava a termine le proprie missioni. Raccontava bugie
a tutti, ormai, inclusi Steve e Clint. Un po' le spiaceva farlo,
specialmente quando si fermava a pensare che un tempo quelle missioni
quasi sicuramente le avrebbe portate a termine insieme all'arciere, e
che Rogers era un soldato esemplare, convinto di combattere per
qualcosa di giusto, che portasse benessere all'umanità.
Natasha non ne era più così convinta.
Dal rapimento suo e di Clint sapeva che Fury, come tutti loro, aveva
fiutato la presenza di una talpa nella loro organizzazione, ma le
attività recenti dell'uomo con un occhio solo suggerivano che lui
stesso ne avesse messe in più o meno ogni reparto del governo: CIA,
Sicurezza Nazionale, FBI, Esercito e Marina, tanto per cominciare. Cosa
stava succedendo?
Ad ogni modo, al momento le sue preoccupazioni a riguardo terminavano
quando “timbrava il cartellino”: Clint aveva ancora bisogno di lei.
-Tommy?-
-Bentornata, Natasha! Clint è alla Stark Tower per un altro allenamento-
Niente “come è andata la missione?” o convenevoli. Il ragazzino aveva
subito imparato che era più opportuno non fare domande sulle missioni
della Vedova Nera, mentre lei ovviamente sapeva tutto sulla sua
attività di agente di livello 1.
Il ragazzo si era infatti diplomato all'accademia dello SHIELD per
meriti sul campo: gli Avengers infatti avevano spinto per l'immediato
inserimento di Tommy tra gli agenti operativi per il comportamento
lodevole tenuto negli Emirati, nonostante il piccolo dettaglio del
fatto che si trattasse di un'operazione clandestina.
Come suoi garanti, Natasha e Steve ricevevano una copia di ogni
operazione a cui prendeva parte e dovevano loro stessi stilare un
rapporto mensile sui miglioramenti e sul comportamento del loro allievo
sul campo: Inutile dire che finora non avevano avuto niente da ridire.
Il comportamento di Tommy era eccellente sotto ogni aspetto: ottimo
lottatore, buon elemento sia in squadra che da solo, senza contare i
continui miglioramenti.
-Qualche sviluppo?-
-Nessuno, ma adesso 9 volte su 10 centra il bordo del centro. Non che
gli basti, ovviamente-
Natasha sorrise sardonica alla battuta del ragazzino. Ovviamente a Cint
non sarebbe bastato.
Il suono del telefono interruppe il loro scambio di battute. Natasha si
ritrovò, sorpresa, a fissare sullo schermo del cellulare il numero di
Tony Stark. Il suo cuore ebbe un tuffo. Iron Man l'avrebbe chiamata
solo per un motivo. Ricorse a tutto il suo sangue freddo prima di far
scorrere il pollice sulla scia verde che l'avrebbe fatta rispondere.
-Ho trovato la cura-
Una seconda chiamata in attesa la salvò dal dover esprimere una qualche
emozione, o un qualche dubbio. Il nome che lampeggiava questa volta era
quello del direttore dello SHIELD. Senza una parola fece il cambio,
passando sulla telefonata del superiore.
-Romanoff, recupera Rogers e presentatevi a Washington nel più breve
tempo possibile. Avete degli ostaggi da recuperare e tu dei file da
copiare-
-Sì, signore-
Essere un buon soldato. Sempre.
Tornò alla conversazione con il miliardario.
-Stark, devo andare. Se sei certo, procedi-
-Va bene, agente Romanoff-
La comunicazione si chiuse. Natasha incontrò gli occhi curiosi di
Tommy, che aveva assistito in silenzio a entrambe le telefonate.
-Thomas- il suono del suo nome intero spinse il ragazzino a irrigidirsi
in una posizione che era quasi sull'attenti. Natasha lo chiamava così
solo quando aveva un incarico che riteneva molto serio e importante da
affidargli. - Io devo partire per un'altra missione, devo essere a
Washington il prima possibile. Tony mi ha appena chiamato: ha trovato
la cura per Clint. Io ora vado da lui, prima di partire. Al resto pensi
tu?-
-Puoi stare tranquilla. Buona fortuna-
Non sapeva che per uscirne viva, questa volta, la semplice fortuna non
sarebbe bastata.
Trovò Clint sul letto della stanza a lui riservata alla Stark Tower,
con una benda a coprire e tenere fermi dei cerotti posti su entrambi
gli occhi. Evidentemente, qualunque cosa Stark avesse fatto richiedeva
almeno un periodo di totale oscurità.
-Nat?- come sempre, l'aveva riconosciuta nonostante non vedesse
completamente nulla.
-Ciao-
-Tony dice che fra due o tre giorni potrò togliermi la benda, e
iniziare la riabilitazione-
-Ottimo. Hai una settimana per tornare operativo-
Clint rise, vagamente ironico, ma senza dubbio sollevato.
Sarebbe stato di nuovo Occhio di Falco.
Non sapeva, che presto avrebbe avuto disperato bisogno dei propri
occhi.
Ormai erano una decina di giorni che si trovava a Washington in pianta
stabile. Finora, si era sempre limitato a presentarsi al Triskelion per
ricevere le missioni e per fare rapporto, facendo il pendolare da New
York. Poi era arrivato l'ordine di trasferimento. Fury l'aveva voluto a
Washington, costringendolo a lasciare il proprio appartamento, che
finalmente aveva iniziato a sembrargli un po' più casa e un po' meno un
tetto sopra la testa, e ricominciare tutto da capo.
Non si era posto troppe domande a riguardo, aveva, di nuovo, come
sempre, obbedito agli ordini, anche se questa volta doveva ammettere
che gli era pesato.
La sua vita stava iniziando a prendere una sorta di strana routine.
Missioni, appartamento, Clint, allenamenti, missioni, Natasha, Tommy.
Non era certo tornato ai tempi in cui viveva in una simbiosi fraterna
con James “Bucky” Barnes, ma se non altro sentiva di stare per uscire
dal tunnel della solitudine, di stare abbattendo, giorno dopo giorno,
mattone dopo mattone, il muro invisibile che lo separava dal terzo
millennio.
E ora doveva ricominciare da zero.
Non era mai stato bravo a farsi degli amici, nemmeno dopo la
trasformazione del suo corpo, se di tale processo si poteva parlare.
Aveva avuto i suoi commilitoni, e Peggy ovviamente, ma per il resto,
non era mai riuscito a trovare qualcun'altro che riuscisse a riempire
almeno un minimo il vuoto lasciato dalla scomparsa del suo migliore
amico.
Il nuovo appartamento era in uno stabile abbastanza nuovo, arredato con
un modernità dal gusto vagamente retrò, che secondo chi aveva avuto il
compito di preparargli l'alloggio doveva forse metterlo a suo agio, e
subito Natasha (con cui aveva condiviso qualche missione ultimamente)
gli aveva fatto notare quanto fosse carina la sua vicina di casa,
un'infermiera Washington General.
Da allora, godendo del suo pale imbarazzo, la russa non aveva mancato
un'occasione di fargli da agente matrimoniale, inducendolo a rifarsi
una vita sentimentale.
Naturalmente, sapeva che forse prima o poi avrebbe potuto incontrare
qualcun'altra, tuttavia, il cuore batteva ancora per Peggy.
Trasferendosi nella capitale aveva scoperto che era ancora viva,
seppure malata di Alzheimer, e che viveva nella struttura dedicata ai
veterani di guerra che avevano portato lesioni permanenti.
Ancora adesso non sapeva descrivere la sensazione che aveva provato
quando l'aveva rivista, quella mattina. Era presto, era appena tornato
dalla sua corsa mattutina, e finalmente aveva trovato il coraggio di
vederla.
Gli avevano spiegato la dinamica della malattia e quello che
comportava: perdita della memoria a breve e medio termine,
allucinazioni, frasi ripetute e ripetute. L'unica cosa in grado di
rassicurarlo, era stata la certezza quasi scientifica della permanenza
dei ricordi della gioventù. Per un malato di questa malattina non era
raro ritrovarsi a rivivere nell'epoca della propria infanzia o della
propria giovinezza, in uno stato quasi allucinogeno in cui tornavano a
una realtà passata, che li portava a non riconoscere ambienti
famigliari come la propria casa. Il progredire della malattia l'avrebbe
portata a un progressivo e mediamente rapido degeneramento delle
capacità cognitive, causando un progressivo distacco totale dalla
realtà, fino a quando non fossero stati colpiti i centri neuronali che
regolavano il buon funzionamento di uno o più organi vitali: reni,
polmoni, cuore.
Il tutto poteva avvenire in fasi contemporanee e non del tutto
permanenti. Una voce, un viso, potevano risvegliare brevi momenti di
lucidità, un risveglio dell'io cosciente, che per un attimo poteva
riaffiorare. Una pena, gli avevano spiegato, che faceva soffrire più
chi era accanto al malato, che il malato stesso.
Fortunatamente, Peggy era ancora a uno stato non troppo avanzato. Pur
essendo a letto, momenti di lucidità e non si alternavano con una
velocità tale che il cambiamento era in un primo momento invisibile
all'occhio dell'interlocutore.
Quella mattina l'aveva semplicemente guardata. Era molto presto, e
l'anziana donna dormiva ancora. Il cuore di Steve battè forte, mentre i
palmi delle mani iniziarono a sudargli all'improvviso. Si sentiva
nervoso, emozionato e spaventato allo stesso tempo.
Nonostante i capelli candidi e le rughe, era ancora la sua Peggy. Ed
era ancora bellissima. I primi riflessi dell'alba proiettavano una luce
morbida e aranciata sulla donna, facendola risplendere agli occhi
dell'ex soldato.
-Sono in ritardo- si sorprese a mormorare a fior di labbra.
Da quella mattina, aveva deciso che finchè fosse stata viva, non
avrebbe lasciato Washington. Anche se non l'avesse riconosciuto, se
l'avesse insultato, o se fosse rimasta un vegetale, lui le sarebbe
stato accanto fino alla fine, per sempre. Come aveva sempre voluto che
fosse.
Nel pomeriggio si camuffò ed entrò allo Smithsonian, il più grande
museo del mondo, che vantava un'intera area dedicata a Capitan America
e alle sue imprese durante la guerra. Rimase per un tempo indefinito a
fissare la biografia, le foto, e i video riguardanti Bucky, poi,
finalmente, tornò a casa.
Il mattino successivo cominciò a cercare di socializzare, e poiché gli
eventi mondani non facevano per lui, decise di farlo con l'altra sola
persona che come lui si alzava prima dell'alba per una corsetta
liberatoria.
Lo vide davanti a sé: un soldato di colore che correva a un ritmo
costante. Accelerò
-A sinistra!- gli gridò passandogli accanto a una velocità che andava
ben oltre le capacità umane.
-Sam Wilson-
-Steve Rogers-
-Il sospetto ce l'avevo avuto-
Schietto, onesto, senza peli sulla lingua. Questa fu la prima
impressione che Cap ebbe di quel soldato di colore, con cui condivideva
molto più che il bisogno di correre. Venivano da due guerre diverse, ma
il dolore della perdita, e il trauma di riadattarsi a una vita normale,
erano gli stessi.
Un rombo li fece voltare. Un'auto sportiva, nera, si fermò sgommando di
fronte a loro.
L'abbassarsi del finestrino oscurato rivelò il sorriso sornione e
vagamente compiaciuto di Natasha.
Missione in arrivo.
-Ehi, bei fusti, qualcuno di voi sa dov'è lo Smithsonian? Devo
recuperare un fossile!-
PERSONAL SPACE II: Ebbene sì,
come avevo anticipato questa FF si conclude con l'inizio di Cap II, e
proseguirà parallela/dopo il film, vedremo che cosa hanno fatto intanto
quegli altri mentre natasha e steve salvavano/distruggevano il
mondo...ci saranno molte più cose: ci sarà bucky, sam ovviamente, e poi
Tommy, e forse anche la squadra di agents della serie tv... e poi il
passato tornerà un po' per tutti...vedremo!
Io intanto mi scuso se ho
scritto malissimo la parte sull'alzheimer, ma è una malattia con cui ho
dovuto convivere ahimè e quindi mi è difficile parlarne, però i
produttori han voluto così e io ho dovuto adeguarmi...e niente... spero
vi sia piaciuta...e di rivedervi tutti nel seguito!!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 24 *** Avviso 2: SEQUEL ***
Ciao!
Volevo avvisarvi che ho pubblicato il sequel di questa fanfiction: lo
trovate cliccando sull'immagine!
Grazie ancora a tutti quelli che mi hanno
seguito fin qui e che mi seguiranno nelle nuove avventure dei nostri
amici...e di quelli nuovi che incontreranno!
A presto (spero!)
Dalamar_f16
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=2685561
|