I'll be fine.

di Anmami
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo- Empty ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1- I'm a curse ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2- Walking dead ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3- Please don't save me ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4- I'm only a trouble ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5- Only her name ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6- Everybody needs somebody ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7- Desperate housewives ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8- That's what friends are for. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9- Don't worry be happy. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10- Loneliness ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11- Fu**ing rules ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12- Gender ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13- Damn Jam ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14- Truly Madly Deeply ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15- You don't scare me ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16- Look at me ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17- Keeping promises ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18- You are the best thing ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19- Always on my mind ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20- Shining Armor ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21- You are right ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22- Josephine ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23- Together ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24- Leader ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25- Do the right thing ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26- We'll be fine ***
Capitolo 28: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo- Empty ***


Ciao! Scusate! Ho dovuto cancellare e ripubblicare il prologo, mi sono accorta di aver fatto dei gran pasticci (mai mettersi a scrivere con il mal di testa). Comunque eccomi qua... nuova avventura! Storia un po' diversa dalle mie precedenti. Questo è solo un piccolo prologo, il capitolo vero e proprio arriverà tra un paio di giorni, salvo imprevisti. Impaziente di leggere il vostro parere a riguardo, vi saluto!
A presto!!!
 


I'LL BE FINE


Prologo


EMPTY

 

Vuoto. Aridità. Desolazione.

Dopo aver lasciato il Grady Memorial, dopo essersi allontanati dal centro di Atlanta, queste le sensazioni che albergavano nel cuore di tutti i membri del gruppo di sopravvissuti guidati dallo sceriffo Grimes.
Quando si erano imbarcati in quell'operazione di salvataggio, spinti dalla speranza, non potevano immaginare un simile epilogo. La loro fiducia nel futuro e nel prossimo si era spenta come la fiamma di una candela in assenza di ossigeno, era morta nell'istante in cui quel proiettile si era conficcato nel cranio di Beth. 

Niente sarebbe stato più lo stesso.

Un mese era trascorso da quel giorno, un mese era trascorso da quella specie di farsa che Padre Gabriel aveva chiamato "commemorazione funebre in ricordo di Beth". Avevano partecipato quasi tutti a quel momento di raccoglimento, si erano uniti alla preghiera, accompagnati dal pianto incessante di Maggie. Riuniti intorno a quella croce improvvisata, stretti nel comune dolore. 
Presi da quella immensa tristezza, quasi nessuno si era accorto di un'assenza importante. Era sparito non appena Padre Gabriel aveva iniziato a parlare.

Daryl mancava all'appello. 

Qualche minuto prima, aveva preso tra le braccia il corpo senza vita di Beth, senza permettere a nessuno di aiutarlo e l'aveva adagiato, avvolto in un telo bianco, nella buca che aveva precedentemente scavato. 
Dopo essersi occupato della sepoltura, si era diretto verso il bosco, senza degnare nessuno di uno sguardo e senza voltarsi, tenendosi ben lontano dal funerale

Non lo avrebbe sopportato.

Beth finalmente riposava, avrebbe passato l'eternità in quel prato, circondata da fiori e all'ombra di un albero secolare. Da viva avrebbe adorato quel luogo.
Daryl aveva scelto con cura il posto, senza nemmeno interpellare Maggie. Un comportamento così tanto egoista non era nella sua natura, ma in quel frangente sentiva di dover agire così. Spettava a lui prendersi l'onere di seppellire la ragazza, dopotutto non riusciva a smettere di pensare che la sua morte fosse stata colpa sua.
Tutte le persone a lui care lo abbandonavano prima o poi. Si sentiva totalmente inutile, un inetto, non poteva fare a meno di considerarsi un portatore di sventure e null'altro.

Tutto ciò che toccava finiva per rompersi.

Quando la celebrazione si concluse, Glenn strinse a sé Maggie, scortandola all'interno della villetta che era diventata il loro rifugio, seguiti da tutto il resto del gruppo. 
L'arciere, si accampò all'aperto, a pochi metri di distanza, senza rivolgere la parola a nessuno e così fece, ogni sera, per tutto il mese successivo. Ogni notte si rifugiava nella sua solitudine, isolandosi e cercando di impedire ai suoi rimpianti di avere la meglio. Gli altri si sostenevano a vicenda, trovando conforto gli uni nelle parole e nella vicinanza degli altri. Lui no, lui passava le giornate evitando ogni forma di contatto umano, a meno che non strettamente necessario e,  quando finalmente la notte lo avvolgeva, accogliendolo e nascondendolo con il suo nero manto, solo in quel momento poteva tirare un respiro di sollievo.

Solo le stelle sembravano comprenderlo.

Aveva alzato un muro di silenzi, quei trenta giorni erano passati nel mutismo più totale.
Schivare gli attacchi frontali di Carol e Rick non era stato per niente semplice, ma nonostante Daryl comprendesse le loro intenzioni e preoccupazioni, non era in condizione di intavolare una conversazione. Non che prima fosse mai stato un tipo logorroico, ma gli ultimi avvenimenti lo avevano svuotato di ogni energia e di ogni briciolo di fiducia nel prossimo.

Il suo futuro non gli era mai sembrato così nero.

Rick dopo essersi fermato per qualche minuto davanti alla tomba di Beth, come era ormai sua abitudine ed aver adagiato su di essa un piccolo fiore giallo accanto alla croce, si diresse verso la villetta, passando vicino a Daryl.
Lo sceriffo osservava con una punta di apprensione ogni mossa dell'arciere, il quale sembrava quasi infastidito dalle attenzioni ricevute.
Rick si affiancò all'amico, seduto a pochi centimetri dal piccolo fuocherello, e poggiandogli una mano sulla spalla, gli augurò la buonanotte. Ciò che ottenne in risposta però, fu solamente un cenno del capo. 

Daryl sembrava aver perso le parole.

La sensazione era quella di un viaggio nel tempo. Tutti avevano l'impressione di essere stati catapultati indietro, il vecchio Daryl era tornato, se possibile ancora più scontroso e asociale di quanto non fosse in passato.
L'uomo capace di grandi gesti di generosità, il braccio destro dello sceriffo, non esisteva più, era svanito, lasciando il posto a quell'involucro senza vita in cui si era trasformato Dixon.
Il cambiamento non poteva essere attribuibile soltanto alla morte di Beth, era molto più probabile che quell'evento devastante fosse stato la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
La misura era davvero colma. Prima Sophia, poi Merle, infine Beth. I sensi di colpa per le loro perdite lo avevano logorato fino ad arrivare a consumarlo del tutto. 

Daryl ormai era il vuoto.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1- I'm a curse ***


Eccomi! Capitolo 1. La storia non ha avuto molto successo, ma per rispetto a chi l'ha letta ho deciso comunque di continuare a pubblicarla. Capitolo piuttosto triste, come lo sarà anche il prossimo. 
Aspettando una vostra opinione in merito, vi saluto e colgo l'occasione per ringraziare chi ha letto il prologo ed un grazie specialissimo ad Ale78 che ha recensito e aggiunto alle preferite! Grazie grazie!!!
A presto.
 



Capitolo 1
 
I'M A CURSE

In quel mese trascorso nella villetta, o meglio, nel cortile, Daryl era giunto soltanto ad una conclusione. Nulla di tutto quello sarebbe successo se lui non fosse tornato.
Se avesse seguito suo fratello, se non avesse deciso di tornare alla prigione, le cose sarebbero andate in maniera ben diversa.
Oppure se fosse andato avanti a cercare il governatore, se lo avesse ucciso in tempo, Hershel e Beth avrebbero continuato la loro vita, anzi molto probabilmente sarebbero tutti rimasti al sicuro all'interno della prigione. Anche la scomparsa di Bob era da attribuire a lui.
Si sarebbe portato sulla coscienza ognuna delle loro morti per tutta la vita.
Sembrava come se si trascinasse appresso un grosso nuvolone nero carico di sfortuna e che questa sventura, colpisse ogni persona che tentava di avvicinarsi a lui.
Aveva fatto fin troppi danni, fin troppe vittime. 

La solitudine era l'unica soluzione. 

Ci aveva pensato ad ogni secondo del giorno e della notte e quella sembrava essere sempre di più la decisione migliore per tutti.
Sparire nel bosco. Far perdere le sue tracce. Allontanarsi il più possibile portandosi dietro la sua maledizione.
Sarebbe stato un gioco da ragazzi. Certo, Rick lo avrebbe cercato e quello era l'unico ostacolo che si frapponeva tra lui e la realizzazione dei suoi propositi di fuga.
Rimuginò a lungo sul da farsi, fino a quando gli venne un'idea.

Quella notte, dopo che tutti si furono rintanati in casa, afferrò il suo zaino e raccattò i suoi pochissimi effetti.
All'interno della villetta era riuscito a trovare dei fogli ed una matita.
Aveva deciso di lasciare un messaggio, sperando che ciò facesse desistere Rick dal cercarlo.
Scrisse poche parole. "STARO' BENE, NON CERCATEMI. ADDIO." Voleva essere brutale, voleva far capire chiaramente il messaggio. Non dovevano cercarlo né tanto meno preoccuparsi per lui.
Prese il biglietto e si incamminò verso il prato, fermandosi accanto all'albero secolare e inginocchiandosi sull'erba umida, stringendo tra le mani quel foglio di carta.
Era certo che Beth lo avrebbe rimproverato per quelle sue folli intenzioni, ma lei non c'era più. Lei non era più lì a farlo ragionare, lui non poteva più vedersi attraverso i suoi occhi.
Allungò una mano e tracciò con le dita il contorno di quel nome che lui stesso aveva inciso nel legno della croce, come se quel gesto potesse sostituire in qualche modo la carezza che non era mai riuscito a darle.
Si voltò verso il prato, deciso a voler raccogliere un fiore per lei, ma la banalità di quel gesto  lo fece desistere.
Afferrò una delle sue frecce e la conficcò nel terreno, accanto alla croce, voleva lasciarle qualcosa di speciale, voleva che un pezzo di sé rimanesse per sempre accanto a lei.

Continuando a tenere in mano il foglio, si alzò e guardò, ancora una volta, l'ultima dimora della piccola Beth Greene.
Si diresse vero la villetta e, facendo attenzione a non fare rumore, appese il biglietto ad un chiodo attaccato ad uno dei pilastri di legno del portico.
Dopo un veloce sguardo a ciò che stava per abbandonare, si incamminò verso la boscaglia, con la convinzione che quella fosse l'unica cosa da fare, l'unico modo per evitare altro dolore a quelle persone che, ormai, erano diventate la sua famiglia.
Con il suo fagotto di frasi non dette e di affetto mal dimostrato, si lasciò alle spalle la sua vecchia vita, per buttarsi, anche se con il cuore completamente inaridito, in ciò che il destino aveva riservato per lui, convinto che il fato avesse in serbo solo sofferenza per punirlo di tutto il male che aveva involontariamente causato.

Anche se camminare nel bosco di notte non era certo consigliabile, non aveva tempo per fermarsi a pensare alla pericolosità di ciò che stava facendo e sembrava non importargli poi molto di rischiare la vita. Doveva mettere più distanza possibile tra lui e la villetta, non voleva che Rick e gli altri avessero la minima possibilità di trovarlo.
Destreggiarsi in mezzo al fitto della boscaglia era il suo forte ed era sicuro di poter far perdere le sue tracce senza troppe difficoltà.
Un errante lo raggiunse e lui lo colpì con il coltello, uccidendolo, ma con poca convinzione. L'impressione che dava di sé era quella di un uomo in cerca di un modo per farla finita, ma senza il sufficiente coraggio per farla finita davvero.

Il mattino seguente, dopo una notte passata a correre in mezzo agli alberi, si fermò qualche minuto, appoggiandosi ad un grosso tronco in mezzo ad una piccola radura.
Era una zona piuttosto arida e deprimente, molto probabilmente un incendio aveva devastato quella parte di bosco. 

Perfetta rappresentazione del suo stato d'animo.

Il pensiero andò alla villetta ed al suo biglietto, chissà se quel pezzo di carta sarebbe stato abbastanza forte da fermare Rick.
Bevve un sorso d'acqua e ripartì di corsa continuando a dirigersi verso sud.
Non aveva sufficienti provviste per sopravvivere molti giorni nei boschi, doveva fare qualcosa a riguardo.
Sempre con poca convinzione, prese un appunto mentale. Era assolutamente necessario trovare cibo e acqua.

Dopo tre giorni, tuttavia, non mantenne ciò che si era prefissato. Il cibo era finito e all'acqua stava per toccare lo stesso destino. 
Molti animali, quando sentono l'avvicinarsi della loro ora, si allontanano da casa, per andare a morire distante da essa. Non si sa se lo facciano per risparmiare un dolore a chi rimane o per chissà quale istinto, ma Daryl era esattamente come uno di loro in quel momento. 

Si era arreso.

Lui, l'uomo che diceva di non aver paura di nulla, si era infine inginocchiato sotto il peso del suo senso di colpa, fardello troppo grande da portare per chiunque.
In quei tre giorni aveva già rischiato la vita almeno dieci volte. Proseguiva per inerzia, senza prestare poi tanta attenzione, come se sperasse di vedere presto la fine, come se sentisse di essere ormai giunto al capolinea.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2- Walking dead ***


Capitolo 2. Non ho molto da dire a riguardo, piuttosto triste e deprimente. La storia sembra non piacere quasi a nessuno e quindi sono piuttosto dubbiosa sul continuarla o meno... vi terrò aggiornati comunque.
Grazie a chi ha recensito, a chi ha messo la storia tra le preferite ed anche a chi legge in silenzio.
A presto.


Capitolo 2
 
WALKING DEAD


Non aveva intenzione di fermarsi. Proseguiva imperterrito il suo cammino. Sei giorni erano passati da quando aveva abbandonato gli altri ed il groppo che gli si era formato in gola non accennava a volerlo abbandonare.
Non toccava cibo ormai da settantadue ore e la debolezza iniziava a farsi sentire.
Avrebbe potuto cacciare, avrebbe potuto raccogliere qualche frutto di bosco o allontanarsi dal sentiero e raggiungere il centro abitato, ma non erano quelle le sue intenzioni. Nutrirsi e mantenersi in forze non erano parte dei suoi piani.

Voleva solo continuare a camminare.

Era stanco, disidratato e affamato, perfino un uomo con un fisico forte come il suo non avrebbe potuto reggere molto in quelle condizioni.
Tuttavia a Daryl non sembrava importare. Il dolore ed il senso di impotenza lo avevano portato a disinteressarsi completamente di sé stesso e della sua incolumità.
Quella sera poi, il destino sembrava volersi prendere gioco di lui. Oltre il danno la beffa.
Mentre arrancava, ormai stremato, tra la fitta ed intricata rete di rami e arbusti, un violento acquazzone si scatenò, arrivandogli addosso come il colpo di grazia di un crudele aguzzino.

Gocce gelide lo investirono, indebolendo ancora di più il suo corpo intirizzito. I capelli, fradici un po' per la pioggia ed un po' per il sudore, gli si appiccicarono alla fronte, arrivando a coprire quasi  del tutto gli occhi ed impedendogli di vedere con chiarezza il percorso da seguire.
Un uomo distrutto, sia nello spirito che nel corpo. Un uomo incapace di trovare una motivazione che lo spingesse a non arrendersi, che gli desse ancora un briciolo di speranza.
Sconvolto e al limite delle forze, si fermò nel bel mezzo del bosco ed alzò lo sguardo verso il cielo.
La pioggia lo colpì in viso e, finalmente, dopo tre giorni riuscì anche a dissetarsi.
La situazione era davvero drammatica e Daryl sembrava davvero aver esaurito tutte le energie.

-Cosa aspetti eh? Cosa aspetti? Hai deciso di farmi soffrire ancora per molto? Cosa cazzo aspetti?- urlò con la voce rotta dalla disperazione e dalla fatica, inveendo contro il cielo.

Con quello sfogo, lasciò andare ogni cosa. Cadde in ginocchio scoppiando in un pianto incontrollato.
Lacrime salate gli solcarono il viso, mischiandosi alla pioggia che, battente ed incessante, pareva volersi unire al suo dolore.
Riacquistando un minimo di lucidità, però, si accorse del nutrito gruppo di erranti che lo stava raggiungendo.
Mettersi ad urlare nel mezzo del bosco, era stata una pessima idea e tutto quel rumore aveva attirato una mandria che ora si stava dirigendo, spalancando le fauci fameliche, nella sua direzione.
D'istinto inizio a correre, ma il suo stato psicofisico, lo rallentava parecchio.
Si muoveva in modo scomposto, continuando ad arrancare ed inciampare, somigliando molto più ad un vagante che ad un essere umano.

Ormai era uno di loro: un uomo morto che camminava.

Continuò a scappare, consumando ogni riserva di energia che gli era rimasta, riducendosi a gattonare e strisciare pur di proseguire.
Sebbene non gli importasse granché della sua vita, di una cosa era assolutamente certo: non voleva concluderla diventando uno di loro.
Non voleva andarsene per poi ritornare e passare le sue giornate a ciondolare in giro in cerca di qualche essere vivente di cui nutrirsi. 
La paura di trasformarsi in un mostro funzionò da spinta per aiutarlo ad andare avanti.
Corse a perdifiato, urtando rami e inciampando in radici sporgenti, sperando di riuscire ad allontanarsi a sufficienza dal pericolo.
Il buio della notte e quel violento temporale riducevano di molto la sua visuale ostacolandolo e rendendogli quasi impossibile evitare eventuali intoppi presenti sul suo cammino.

La mandria alle sue spalle, nonostante i suoi sforzi, stava riuscendo a mantenere il suo passo ed un altro piccolo gruppo sopraggiunse da sinistra obbligandolo ad affrettare ulteriormente il passo.
Quella fuga, diventata rocambolesca, aveva abbassato notevolmente il suo livello di attenzione, portandolo a voltarsi continuamente per controllare la situazione dietro di sé.
Una serie di sfortunati fattori, l'assenza di luminosità, la pioggia, la fretta e la paura, furono fatali.
Arrivato al limite di una scarpata ripida e scoscesa, non fu in grado di fermarsi in tempo.
Il terreno reso cedevole e scivoloso dalla pioggia, si sgretolò sotto il suo peso, facendolo precipitare nel vuoto.
Non appena toccò il suolo, le ferite, che si era procurato cadendo, iniziarono a sanguinare colorando di rosso il fango sul quale era atterrato.

La sua ora era finalmente giunta.

Una sola immagine apparve davanti ai suoi occhi. Una ragazza, Beth, quell'angelo biondo che gli aveva cambiato la vita. 
Convinto che quella fosse la fine della sua vita terrena, con un filo di voce, pronunciò le sue ultime parole

-Sto arrivando, aspettami...- 

E fu buio.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3- Please don't save me ***


Capitolo 3
 
PLEASE DON'T SAVE ME


Capelli biondi, certo sembravano un po' più corti di come li ricordasse, ma il colore era quello. Occhi chiari, o almeno così gli sembravano.
Lineamenti forse leggermente più spigolosi, ma poteva anche sbagliarsi. Fisico minuto, ma coperto da vestiti dal taglio decisamente maschile che non le aveva mai visto addosso.
Ricordava di essere precipitato in quel burrone e altrettanto chiaramente avvertiva il dolore alla gamba ed al braccio destro, conseguenti alla caduta.
Aveva aperto gli occhi anche se, per qualche motivo che non riusciva ancora spiegarsi, gli era impossibile muoversi.
Davanti al suo viso l'immagine di Beth, gli aveva dato una sola certezza.

Era morto e quello era il Paradiso.

-Beth?- azzardò Daryl sottovoce aspettando una risposta.
Si sentiva terribilmente sollevato, finalmente libero da quel calvario che tutti chiamavano vita.
-Oh Reno! Finalmente ti sei svegliato!- rispose la ragazza accanto a lui.

L'arciere cadde in uno stato di confusione più totale. Quella non era la voce di Beth e, a guardarla bene, quella persona, nonostante la vocetta leggermente stridula, sembrava più un ragazzo che una ragazza.
Un altro punto di domanda lo assalì, il suo nome era Daryl, non Reno.
Ruotando appena il collo e osservando bene la figura accanto a lui, constatò, senza ombra di dubbio, che si trattasse di un ragazzo.
Capelli biondi a spazzola, occhi chiari, corporatura esile. Vestiti di almeno tre taglie più grandi ed un'espressione strafottente stampata in viso.
Non chiese nulla, troppo confuso per capire e troppo stanco per continuare a tenere gli occhi aperti, si riaddormentò, o forse svenne, non lo capì perfettamente.

Dopo quelle che a lui sembrarono ore, ma che in realtà avrebbero potuto benissimo essere giorni, riaprì gli occhi e si trovò davanti di nuovo lo stesso ragazzo con quel suo maglione informe.

-Doc! Reno è tornato tra noi!- disse il biondino rivolto ad una terza persona presente in quella stanza.
Dopo qualche secondo si avvicinò un uomo con un lungo camice bianco che aveva tutta l'aria di essere un medico.
Aveva dei buffi occhiali con una montatura nera e le lenti piuttosto spesse, che a giudicare dallo scotch con il quale erano avvolti, dovevano aver avuto un qualche guaio.

-Reno? Che nome è Reno?- rispose l'uomo guardando il ragazzo con aria interrogativa.
Il biondo, dopo aver udito la domanda del dottore, scosse la testa incredulo e si colpì la fronte con il palmo della mano.
-Il gilet di pelle, l'aria tormentata da motociclista triste e solitario... andiamo Doc! Non ti ricorda niente? Renegade! Reno Raines! Ma la guardavo soltanto io la TV prima di tutto questo schifo?- spiegò il ragazzo come se fosse la cosa più ovvia e banale del mondo.
-Certo... che sciocco... grazie Jordan.- disse il dottore, ironico.
Daryl osservò la scena sempre più confuso, ma a quel punto più consapevole.

Era vivo e quello non era assolutamente il Paradiso.
 
Prima che potesse azzardarsi a parlare il dottore lo precedette.
-Salve, sono il Dottor Reynolds e quel patito di serie TV è Jordan. Come si sente?- chiese con voce gentile.
Non ottenendo nessuna risposta da parte del suo paziente, si rivolse al ragazzo esortandolo ad uscire per permettergli di visitare il nuovo arrivato.
-Ci vediamo tra poco Reno!- disse Jordan uscendo dalla stanza.

Daryl tentò di muoversi, ma non riuscendoci, si accorse di avere braccia e gambe legate al letto.
-Mi dispiace per quello, una precauzione. Quando Jordan l'ha trovata in quel fosso era in un lago di sangue e non sapevamo se fosse stato morso, lei capisce no...?- spiegò il dottor Reynolds.
Come risposta ottenne soltanto un cenno del capo. 
-Allora... posso sapere il suo nome o preferisce che continui a chiamarla Reno?- chiese il medico allentando le cinte per liberare l'arciere e accennandogli un sorriso.
-Daryl.- rispose lui, secco.

Il dottore lo visitò, cambiandogli la benda intorno al polpaccio destro e ricucendo un punto che si era strappato sul braccio.
Quando ebbe finito, il ragazzo tornò nella stanza sedendosi accanto al letto di Daryl ed iniziò a fissarlo.
L'uomo, sentendosi a disagio, si voltò dall'altra parte e solo allora si rese conto di non sapere dove si trovasse né dove fosse la sua balestra.
Agitato si mise a sedere, con una certa fatica e si guardò intorno in cerca di risposte.
-Che ti prende Reno? Non è abbastanza comodo il tuo letto?- chiese Jordan, parandosi di fronte a lui.
-Dov'è la mia balestra?- si limitò a domandare Daryl ignorando completamente il quesito ricevuto.
-Tranquillo, è di fianco a te, vedi? Lì a destra, sul pavimento. Non siamo quel genere di persone.- rispose Jordan tentando di tranquillizzarlo.

Si voltò verso la direzione indicatagli e, trovandovi la sua arma ed i suoi effetti personali, si calmò leggermente, anche se il non sapere dove si trovasse faceva sì che il senso di inquietudine non si placasse del tutto.
Jordan, forse vedendolo in difficoltà, decise di fornirgli ulteriori spiegazioni.
-Vedi Reno, ero in spedizione con un gruppo e ti ho trovato agonizzante in mezzo a sangue e fango, non eri un bello spettacolo ad essere sincero, ti ho portato qui, il dottor Reynolds ti ha curato e... beh... eccoti! Tu però ti starai domandando: esattamente dov'è qui? Dico bene? Beh ci troviamo in una vecchia zona militare, era un centro di addestramento o una cosa del genere, cancelli, spessi muri di cinta, un posto sicuro insomma. Il capo, nonché il fondatore di tutto si chiama Patrick, lo conoscerai presto. Sai, era un patito di alieni e roba così ed ha deciso di chiamare questo posto "Area 51", una stupidaggine secondo me. All'inizio erano solo in cinque, ora siamo in sessanta, anzi sessantuno contando anche te.- spiegò Jordan, parlando talmente tanto velocemente da far quasi girare la testa a Daryl.

Non aveva mai conosciuto nessuno che parlasse così tanto o forse la sua percezione era leggermente sfalsata dopo i giorni passati da solo nel bosco.
Avrebbero fatto bene a lasciarlo in quel burrone, avrebbe senz'altro preferito morire piuttosto che ritrovarsi in mezzo a gente che non conosceva.
Tuttavia doveva arrendersi all'evidenza, lo avevano salvato e ciò voleva dire essere in debito, che voleva dire riconoscenza che significava doversi sdebitare.

L'ultima cosa che avrebbe voluto.

-Oh che scemo! Non mi sono presentato! Sono Jordan.- disse il ragazzo allungando la mano verso l'arciere.
Lui però non accolse l'invito a stringerla, si limitò a sdraiarsi ed iniziò a fissare il soffitto.
-Avresti dovuto lasciarmi morire.- affermò Daryl con un filo di voce.
Jordan non osò ribattere, forse offeso dalla totale mancanza di gratitudine, o forse colpito da quelle parole e dalla profonda tristezza che sembravano nascondere. Si avviò verso l'uscita, ma prima di lasciare l'uomo solo con i suoi pensieri, fece un ultimo tentativo.
-Le cose accadono sempre per un motivo, Reno, non dimenticarlo.-

-Daryl.- disse l'arciere, forse stanco di quel nomignolo, per lui senza senso, affibbiatogli da Jordan.
Il ragazzo restò in silenzio, rifletté per qualche secondo e poi scosse la testa.
-Daryl eh? No, non hai per niente la faccia da Daryl, credo che continuerò a chiamarti Reno.- affermò il biondo, sghignazzando e lasciando la stanza prima di ricevere una qualsiasi risposta.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4- I'm only a trouble ***


Capitolo 4
 
I'M ONLY A TROUBLE

Rimasto solo, Daryl, rimuginò a lungo sugli eventi dell'ultima settimana.
Niente era andato secondo i suoi piani. Aveva deciso di allontanarsi da tutti, non avere più alcun contatto umano ed invece si ritrovava lì, in debito con quelle persone sconosciute che, almeno fino a quel momento, si erano dimostrate gentili e disponibili con lui. 
Gli eventi del passato gli avevano insegnato a non fidarsi mai della prima impressione, troppe ne erano successe e troppo persone ci avevano rimesso la vita.
In quel tragico capitolo della storia del genere umano, non si poteva fare affidamento  su nessuno, ogni uomo per sé era quella la regola fondamentale per sopravvivere.
Era un uomo d'onore e avrebbe sicuramente ricompensato quelle persone per l'aiuto che gli avevano dato, anche se la sua considerazione di sé era ai minimi storici.

Avrebbe preferito morire in quel fosso.

Chissà come se la stavano cavando Rick e gli altri? Chissà se avevano provato a cercarlo? Chissà come avevano interpretato la sua decisione di allontanarsi? Chissà se sarebbero mai riusciti a perdonarlo?
Ripensare a loro, alla sua famiglia, a ciò che aveva lasciato alla villetta, faceva male. 

Un dolore che poche volte nella vita aveva provato.

Dal suo letto, non riusciva a vedere fuori e quindi non poteva stabilire né dove si trovasse né che ore fossero. Non sapeva quanto fosse rimasto privo di sensi e alzarsi era fuori discussione, la ferita alla gamba era troppo profonda e ancora troppo fresca per potersi reggere in piedi.
Non poteva far altro che attendere l'arrivo di qualcuno al quale chiedere spiegazioni.
Ad essere sincero non aveva molta voglia di conversare e non era troppo entusiasta di trovarsi in quel luogo, le persone avrebbero fatto bene a  tenersi alla larga da lui.

Portava soltanto problemi.

Se il dolore alla gamba glielo avesse permesso, avrebbe lasciato quel luogo senza pensarci due volte, ma non era uno sciocco, in quelle condizioni non sarebbe riuscito a fare nemmeno un passo.
Non gli restava altra scelta se non aspettare. Una volta guarito avrebbe cercato di sdebitarsi in fretta per poter proseguire il suo viaggio il prima possibile.
Era impaziente di conoscere il capo di quel posto, quel Patrick del quale gli aveva parlato Jordan, ed era altrettanto impaziente di poter lasciare il letto.
Non era certo di potersi fidare di quelle persone e stare chiuso in quella stanza non gli permetteva di farsi un'idea in merito.
Gli avevano lasciato le armi e non lo avevano derubato dei suoi, seppur limitati e poco preziosi, effetti personali, quello doveva voler dire qualcosa.

-Disturbo? Ti ho portato la cena.- disse Jordan entrando nella stanza con un vassoio in mano.
-Quanto mi costerà?- domandò l'arciere voltando le spalle al ragazzo ed ignorando la sua gentilezza.
-Di che parli?-  chiese il biondo, piuttosto confuso.
-Nessuno fa niente per niente in questo mondo, perciò... quanto mi costerà?-  ribadì Daryl.
-Reno... mi spieghi che cosa ti è successo lì fuori? Non siamo quel tipo di persone. Abbiamo molto, siamo riusciti ad assicurarci un luogo sicuro e dei pasti caldi. La comunità sta crescendo ogni giorno di più.
Sai cosa stavo facendo quando ti ho trovato? Ero in spedizione con un gruppo di uomini, il nostro compito era quello di cercare sopravvissuti. Facciamo questo qui, accogliamo le persone e ci aiutiamo a vicenda.- spiegò il ragazzo, poggiando il vassoio sul comodino.
-Dove sta la fregatura?- domandò l'arciere.

Aveva smesso di credere alle favole.

Il profumo di quella che, ad occhio e croce, doveva essere una zuppa di verdure, investì le sue narici ed i morsi della fame iniziarono a farsi sentire. Odiava aver bisogno di qualcuno, ma in quel momento il suo stomaco che brontolava era un prova troppo evidente.
Sperò con tutto sé stesso che Jordan non avesse sentito quel rumore imbarazzante ma, dal suo sghignazzare, tutte le sue speranze furono vane.
Il ragazzo gli porse il cucchiaio e gli poggiò il vassoio sulle ginocchia facendo attenzione a non toccare la sua ferita.
-Coraggio Reno, mangia. Puoi abbassare la guardia per un po'.- disse il biondo accomodandosi sulla sedia accanto al letto.

Solo in quel momento, Daryl realizzò che i piatti di zuppa sul vassoio erano due.
Jordan afferrò un cucchiaio ed una delle scodelle ed iniziò ad ingurgitare la minestra con gusto.
L'uomo non riusciva a capire perché quel tizio avesse deciso di cenare insieme a lui, ma in quel momento non aveva nessuna intenzione di approfondire l'argomento. Si limitò a mangiare in silenzio guardando di sottecchi quello strano tipo biondo che non era ancora riuscito ad inquadrare.
I suoi pensieri erano sempre più confusi, aveva una sola cosa ben chiara nella mente. Avrebbe dovuto allontanare da sé quel ragazzo. Essere suo amico era terribilmente rischioso ed aveva conseguenze devastanti.

Lui era solo un guaio.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5- Only her name ***


Capitolo 5

ONLY HER NAME

Cenarono in completo silenzio e, una volta finito il pasto, Jordan uscì dalla stanza portando via il vassoio ed augurando la buonanotte a Daryl.
L'uomo, di poche parole come sempre, salutò il ragazzo con modi poco garbati e si sistemò tra le lenzuola cercando una posizione comoda.
Pochi minuti più tardi il dottor Reynolds entrò nella camera per visitarlo.
Scusandosi per il ritardo, iniziò a sbendargli la gamba per controllare la medicazione.
Il braccio era messo molto meglio rispetto all'arto inferiore e la ferita si stava rimarginando bene, senza correre alcun rischio di infezione.
Dopo essersi occupato dei bendaggi, il medico tentò di scambiare qualche parola con l'uomo, ma senza ottenere niente più di qualche grugnito di risposta.
Non era in vena di fare conversazione ed il dottore sembrò capirlo perché non insistette.

Rimasto solo, l'arciere, maledì il suo orgoglio. 

Un bisogno impellente di andare in bagno lo obbligò a tentare di alzarsi, ma con il solo risultato di farlo ruzzolare sul pavimento trascinando con sé il porta flebo e la boccetta di antibiotico attaccata ad esso.
La sua caduta provocò un gran fracasso e dopo pochi istanti, Jordan spalancò la porta ed entrò di corsa.
-Cosa diavolo cercavi di fare eh Reno? Volevi fare compagnia al pavimento?- chiese il ragazzo avvicinandosi a tirando su la flebo.
-Devo pisciare.- disse Daryl, piuttosto brusco. 

Era infastidito dalla continua ironia di quel tipo e non gli sembrava proprio il momento di scherzare.
Jordan, gli sollevò un braccio e se lo passò intorno alle spalle aiutandolo ad alzarsi, nonostante la reticenza incontrata.
Quando lo ebbe rimesso in piedi lo guidò fino al bagno e, una volta sicuro della sua stabilità, si allontanò per lasciargli la sua privacy.
A Daryl sembrò di notare un leggero imbarazzo in Jordan, ma non ci badò poi molto, convincendosi che fossero solo sue congetture.
Il ragazzo lo riaccompagnò nella stanza e lo aiutò a risistemarsi sotto le coperte.
Ringraziare non era nell'indole dell'arciere e quella situazione non faceva certo eccezione. 
Il massimo che riuscì a fare fu un veloce cenno con il capo.
Se Jordan avesse conosciuto Daryl da più tempo, avrebbe saputo interpretare quel gesto come un grazie. Tuttavia, al contrario, il ragazzo sembrò capire.
-Di niente, Reno.- disse il biondo sorridendo.

Daryl si aspettava di essere lasciato solo a quel punto, ma smentendo le sue previsioni, il ragazzo prese una coperta e si sdraiò sull'altro letto presente in quella sorta di infermeria.
-Non ho bisogno della balia.- disse l'arciere, glaciale.
-Si, ho notato... te la cavi benissimo senza aiuto. Dormi Reno.- affermò ironico, Jordan.
L'uomo non rispose, tentò di ignorare la presenza di quel fastidioso ragazzino e soprattutto di respingere l'impulso irrefrenabile di spaccargli la faccia.
Non appena la sua gamba fosse guarita, sarebbero stati guai grossi, gli avrebbe fatto sparire quel sorrisetto irritante dalla faccia una volta per tutte.
Avvertì uno strano calore nascergli dentro, non era più abituato ad essere arrabbiato. Da più di un mese era vuoto e apatico, l'ira e l'odio non erano certo i migliori tra i sentimenti, ma...

erano comunque sentimenti.

Daryl restò sveglio per un po', convinto che l'altro stesse dormendo ma, a sorpresa, Jordan spezzò quel momento di silenzio.
-Chi è Beth?- chiese all'improvviso.
Ad udire il suo nome, l'arciere si irrigidì e la rabbia nei confronti di quel ficcanaso aumentò ancora di più.
Provò ad ignorare la domanda, sperando che si arrendesse e che lasciasse cadere l'argomento, magari credendolo addormentato, ma il ragazzo non si perse d'animo e ritentò.
-Lo so che non stai dormendo. Allora chi è Beth? Quando hai aperto gli occhi mi hai...- 
Un rumore bloccò Jordan e le parole gli morirono in gola. Daryl si era sporto verso il pavimento e aveva afferrato la sua balestra e la stava puntando verso il ragazzo. 
Il biondo riuscì a percepire perfettamente la rabbia dell'uomo nonostante fosse illuminato soltanto dalla luce di un paio di candele appoggiate sul comodino.

-Ascoltami bene coglione, perché non lo ripeterò. Non parlare di lei, mai più. Non nominarla e non chiedermi nulla sul suo conto se non vuoi una freccia conficcata in quella tua testa di cazzo. Non sto scherzando, non ho niente da perdere.- disse Daryl con fare minaccioso, continuando a puntare l'arma in direzione di Jordan.
Il ragazzo deglutì e cercò di riacquistare un po' di lucidità. 
Quella ragazza doveva aver lasciato un solco profondo nel cuore dell'uomo per farlo scattare in quel modo. Magari era sua moglie, o la sua fidanzata. Probabilmente era morta e per quel motivo vagava da solo nei boschi.
Resosi conto di aver toccato un tasto delicato e dolente, decise che fosse il caso di scusarsi.
-Scusa... non avrei dovuto impicciarmi dei fatti tuoi. Non so nulla di te né della tua famiglia, quindi non... beh scusa. Ora puoi abbassare la balestra, non affaticare il braccio.- disse Jordan alzando le mani in segno di resa.
Daryl lo osservò ancora per qualche secondo e poi mise giù l'arma, ritornando ad appoggiare la testa sul cuscino.
Sperò di essere stato abbastanza chiaro e che una situazione del genere non dovesse mai più ripetersi.

Udire il suo nome era come ricevere una pugnalata.

-Sai, anch'io ho perso qualcuno di speciale. Beh in realtà ho perso molti, come tutti credo, ma quella persona in particolare mi ha lasciato un vuoto incolmabile. Ho dovuto finirla io. Ho perso un pezzo di cuore quel giorno. Non ti chiederò nulla di lei, di Beth... scusa, non volevo dire di nuovo il suo nome. Dicevo, non ti chiederò nulla di lei, solo che... io... come hai fatto? Come hai superato la sua mancanza? Io non riesco a...- disse Jordan interrompendosi a metà frase.
Daryl ascoltò con attenzione le parole del ragazzo, aveva detto "qualcuno di speciale", ma era chiaro come il sole che stesse parlando di una ragazza. Non voleva proprio affrontare quell'argomento, ma qualcosa nel tono di voce di Jordan lo convinse a rispondere alla domanda, ammettendo, anche a sé stesso per la prima volta, quanto sentisse la sua mancanza.

L'arciere soffiò sulle candele e fece cadere la stanza nell'oscurità più totale.
-Non l'ho fatto.- disse con voce carica di malinconia, protetto dal buio della notte.

E mai l'avrebbe fatto.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6- Everybody needs somebody ***


Capitolo 6
 
EVERYBODY NEEDS SOMEBODY

Il mattino seguente si svegliò piuttosto riposato. Pensò di trovare Jordan già in piedi, pronto a riempirlo di domande e stordirlo con il suo chiacchiericcio fastidioso, ma quando aprì gli occhi, il letto accanto al suo era fatto e del ragazzo non c'era traccia.
Si aspettò di vederlo entrare da un momento all'altro con la colazione, ma ciò non avvenne. 
Voltandosi verso il comodino trovò un barattolo di plastica trasparente con vicino un biglietto scritto con una calligrafia disordinata.

"RENO, SONO IN SPEDIZIONE, NON ALZARTI. 
FALLA QUI DENTRO. 
JO"

Avrebbe dovuto fare un bel discorsetto con quel tipo. Quella storia del soprannome gli era sfuggita di mano, stava iniziando a seccarlo. 
Non riusciva a spiegarsi perché il biondo continuasse a ronzargli intorno, era come se non avesse nessun'altro da scocciare, come se fosse solo. Come se tra quel gruppo di persone non avesse amici.

Come se fosse uguale a lui.

Pochi minuti dopo essersi svegliato, il dottor Reynolds lo raggiunse portando con sé la colazione.
Gli misurò la temperatura, per assicurarsi che non avesse infezioni e poi gli porse una tazza di latte con qualche biscotto.
Daryl non ricordava nemmeno più l'ultima volta in cui aveva bevuto del latte e faceva fatica addirittura a rammentarsi come fosse fatta una mucca. 
Era molto strano che fossero riusciti ad ottenere tutte quelle risorse ed a mantenerle e difenderle in modo onesto.
Doveva tenere gli occhi aperti, con lui si erano dimostrati disponibili, ma ancora non aveva conosciuto il capo di quel posto.
Lo spettro del Governatore aleggiava intorno a lui, l'idea che quel Patrick potesse essere un bastardo della stessa risma, non gli faceva dormire sogni tranquilli.
Lui era lì dentro, abbastanza al sicuro per quanto ne sapesse, ma Rick e gli altri erano ancora in quella villetta o in giro per i boschi chissà dove.

Doveva, prima di tutto, pensare a loro.

Proprio quando stava per chiedere informazioni al dottore riguardo al capo, un uomo sulla quarantina si presentò nella stanza, annunciando a gran voce il suo arrivo.
Era alto e muscoloso, con i capelli rasati e gli occhi sproporzionatamente piccoli rispetto alla grandezza della faccia.
Un tipo abbastanza ordinario, quello che attirò l'attenzione di Daryl fu il suo strano abbigliamento. Indossava un paio di jeans strappati e delle scarpe da ginnastica, forse più adatte ad un adolescente che ad un uomo fatto, ma la cosa che saltava subito all'occhio era la sua bizzarra t-shirt.
Una maglietta grigia di cotone, con sopra stampata l'immagine di E.T .
Ricordandosi che Patrick, il capo, era un patito di alieni e cose del genere, Daryl intuì quasi subito di chi si trattasse.

-Ehi Doc! Come stai bello?- chiese il tizio, dando una pacca sulla spalla al dottor Reynolds.
Senza aspettare che rispondesse, si avviò verso l'arciere allungando una mano con fare amichevole.
-Tu devi essere il nostro nuovo ospite, non è vero? Io sono Patrick, scusa se non mi sono fatto vedere prima, ma sai la baracca non si manda avanti da sola.- disse.
-Daryl.- fece l'altro, stringendogli la mano. 
Jordan era un tipo strano, quasi impossibile da inquadrare, ma il capo, sembrava esserlo ancora di più. Differiva parecchio dall'idea che si era fatto di lui e, tra le altre cose, tutto aveva fuorchè l'aspetto di un leader.
-Allora Daryl? Come procede la tua permanenza qui? Doc si occupa bene di te? Hai già fatto un giro?- gli domandò Patrick.
-Non posso ancora alzarmi.- rispose indicandosi la gamba e la vistosa fasciatura.
-Oh certo! Il tuo incidente, mi avevano informato delle tue condizioni, ma non sapevo nel dettaglio quali ferite avessi riportato. Beh se non fosse passato Jordan, a quest'ora saresti cibo per zombie, eh amico mio?- disse facendogli l'occhiolino.
Daryl annuì, senza sapere esattamente cosa rispondere. Quel tipo era più bizzarro di quanto pensasse.

-Beh Doc! Cerca di farlo uscire presto da qui. Dovremmo procurarci una sedia a rotelle... sì sì... devo segnarmelo.- affermò Patrick, parlando più a sé stesso che ai suoi interlocutori.
Dopo questa frase, salutò tutti e due e si congedò gentilmente, lasciando la stanza.
L'incontro con Jordan era stato surreale, ma quello lo batteva di gran lunga. 

Ecco dov'era finito, in una gabbia di matti.

Rimasti soli, il dottor Reynolds si avvicinò al letto sul punto di scoppiare a ridere.
-E quello era il nostro capo! Svitato come un tappo se dai retta a me, ma anche assolutamente geniale. In fondo genio e pazzia vanno spesso a braccetto no?- disse il medico.
Daryl fece spallucce. Sul fatto che fosse svitato, poteva essere d'accordo, ma doveva ancora avere conferma del lato geniale di quel tipo.
-Sai, è piuttosto stravagante, ma ci tiene al sicuro ed è grazie a lui se abbiamo cibo fresco ed acqua pulita. Sa il fatto suo, anche se a vedere la sua t-shirt non si direbbe proprio.- spiegò il dottore, cercando di smentire le apparenze.

Le ore passarono e, a pomeriggio inoltrato, Daryl continuò a fissare la porta dell'infermeria. 
Qualcosa lo preoccupava. Non sapeva capacitarsi del perché fosse preoccupato, ma l'unica cosa che riusciva a fare era girarsi tra le lenzuola, per quanto la ferita lo permettesse, mantenendo lo sguardo fisso in direzione dell'entrata.
Nella stanza c'erano soltanto lui ed il dottore e non scambiarono più una parola dopo la visita di Patrick.
Il tempo sembrava aver deciso di non scorrere e Daryl, immaginando che il cielo stesse iniziando a scurirsi, anche se non poteva vederlo data l'assenza di finestre, iniziò seriamente ad essere in ansia.
Quel ragazzino petulante gli aveva salvato la vita e, anche se non valeva davvero la pena di essere salvata, da un lato sentiva di dovergli molto. 
Era in missione, fuori dalle mura, lontano dalla sicurezza e dagli agi di quella specie di oasi felice. Doveva essere partito all'alba ed il fatto che al calar del sole non fosse ancora tornato, inquietò parecchio Daryl.

Forse più di quanto avrebbe potuto immaginare.

Il dottor Reynolds, forse notando il suo sguardo fisso sempre nella stessa direzione, si avvicinò al suo letto e si sedette sulla sedia lì accanto.
-Non preoccuparti, Jordan è in gamba. Saranno qui a breve. Tra qualche minuto entrerà qui e tornerà a seccarti.- disse il medico sorridendo.
-Di che parli?- domandò Daryl cercando di nascondere la sua ansia.
-Di Jordan e del fatto che è fuori in missione.- rispose il dottore.
-Non vedo perché dovrebbe essere affar mio.- affermò l'arciere sulla difensiva.
Il medico non provò nemmeno a ribattere, ma Daryl notò nei suoi occhi una strana luce, sembrava carica di tristezza e amarezza, come se il, peraltro finto, disinteresse nei confronti di Jordan lo colpisse personalmente.

Daryl lasciò cadere l'argomento, provando ad ignorare la porta, ma nonostante i suoi sforzi, fugaci ed involontarie occhiate sfuggivano spesso al suo controllo, tradendo la sua falsa indifferenza.
All'ora di cena, una ragazza, che non aveva mai visto, portò un vassoio con due piatti per lui ed il medico e poi andò via così com'era arrivata.
Il dottor Reynolds la fissò come incantato, ma distolse immediatamente lo sguardo per paura di essere scoperto.
I due uomini consumarono quel pasto ai due lati opposti dell'infermeria, senza degnarsi di uno sguardo o di una parola.
Non era mai stato molto bravo ad iniziare una conversazione ed in quei giorni aveva parlato già fin troppo, ma, forse la noia o forse il bisogno di distrarsi, lo spinsero a dire qualcosa.
-Allora...? E' carina.- buttò lì Daryl.
-Sì, lo è.- affermò il dottore mangiando un ultimo cucchiaio di riso.
-E' la tua...?- chiese l'arciere lasciando a metà la frase, ma facendo un cenno piuttosto eloquente con il capo.
-No, non lo è. Lei è... dai, l'hai vista? Ed hai guardato bene me? E poi... è così giovane.- fece l'altro piuttosto sconsolato.
-L'età non conta un cazzo.- disse Daryl con convinzione.
-La fai facile tu, ma è molto complicato, non si può capire se non ci si è passati.- sbuffò il medico, sempre più in preda allo sconforto.
Ciò che non sapeva è che nessuno più dell'uomo che aveva di fronte poteva capirlo, nessuno meglio di lui poteva comprendere a pieno le sue riserve ed i suoi scrupoli.

Nessuno meglio di lui che si era trovato nella stessa situazione.

Finito quello scambio di battute, senza che Daryl rivelasse troppo di sé, il dottore controllò la ferita e, dopo tutti gli accertamenti del caso, si congedò augurandogli la buonanotte.
Stare a letto tutto il giorno voleva dire non consumare energie e di conseguenza arrivare a sera con pochissima stanchezza.
Quella notte poi, sarebbe stato ancora più complicato addormentarsi.
Soffiò sulle candele sperando che il buio conciliasse il sonno.
Chiuse gli occhi e, dopo essersi spostato parecchie volte sotto le coperte, Morfeo si decise ad accoglierlo tra le sue braccia.

-Reno? Dormi? Per questa volta ti è andata male, non sei riuscito a liberarti di me.- disse Jordan sghignazzando e svegliando Daryl all'improvviso.
L'uomo aprì gli occhi e d'istinto si chinò verso il pavimento per cercare la sua balestra.
-Ehi! Sta calmo, non vorrai puntarmela di nuovo contro non è vero?- fece il ragazzo sbuffando.
-Cazzo... avrei potuto ucciderti! Sei impazzito?- lo rimproverò Daryl.
Jordan ignorò l'insulto, com'era solito fare, e si sistemò sul letto sul quale aveva dormito la sera prima.
L'uomo non ne capiva il motivo, non era sicuro di volerlo tra i piedi, quella vicinanza lo disturbava, anche se doveva ammettere che vederlo lì, sano e salvo, gli aveva tolto un gran peso.
-Ah giusto! Ho un regalo per te!- affermò il biondo alzandosi dal letto e avvicinandosi a quello di Daryl con una candela in mano.
Dopo aver riacceso i due lumini sul comodino, porse all'uomo il suo presente.
-Sai siamo andati in un'armeria poco lontano da qui, non pensavamo di trovare molto, ma siamo riusciti a portarci via qualche coltello, dei proiettili e questa... gli altri volevano lasciarla lì, a nessuno interessava, ma io ho voluto prenderla. Ho detto loro: "ehi ragazzi, io ho un amico che saprebbe cosa farne!"- spiegò Jordan.
Daryl strinse tra le mani quell'oggetto. Una faretra di cuoio con parecchie frecce all'interno. Non era sicuro che fossero adatte alla sua arma, ma forse avrebbe potuto adattarle e comunque qualche dardo in più non poteva che fare comodo, li avrebbe usati in un modo o nell'altro.
La cosa che sconvolse l'uomo però, non fu il regalo, ma la parola "amico" riferita a lui.
Conosceva quel tipo da pochi giorni, come poteva già considerarlo un amico? La sua concezione di amicizia doveva essere piuttosto limitata se era arrivato a definire amico uno stronzo come lui che gli aveva addirittura puntato un'arma in faccia.
Decise di non ringraziarlo, si limitò al suo solito cenno con la testa, divenuto ormai il suo cavallo di battaglia. Era il campione mondiale di cenni, spallucce e grugniti.
Il ragazzo sorrise, interpretando quel gesto nel modo corretto e, dopo aver spento le candele, tornò sul suo letto.
-Sai, non devi ringraziarmi. Ora hai molte più frecce da puntarmi in faccia. 'Notte Reno.- disse Jordan con la sua solita ironia.
Una sola parola però continuava a girare per la testa di Daryl dandogli il tormento.

Amico.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7- Desperate housewives ***


Capitolo 7

DESPERATE HOUSEWIVES

-Oh avanti Doc! Lasciamelo fare!-
-Jordan, non è ancora in condizioni! Tu non hai visto la sua ferita, potrebbe infettarsi.-
-Ma dai! Lo vedi anche tu, è un leone in gabbia, se lo terrai chiuso qui dentro ancora per molto impazzirà. Non lo farò stancare, lo porterò io.- 
-E... sentiamo, come intendi fare? Vuoi caricartelo sulle spalle?-
-Mmmm... no... ecco... ci sono! La sedia! Quella specie di poltrona che c'è nell'ufficio, quella con le ruote! Starà seduto li sopra ed io lo spingerò. Non potrò portarlo al piano superiore, ma almeno potrà vedere il cortile e conoscere gli altri.-
-Oh d'accordo! Ma sarà sotto la tua responsabilità, se gli succederà qualcosa sarai tu a pagarne le conseguenze, sarai tu a dovertela vedere con Patrick, è chiaro?-

Daryl fu svegliato da quella conversazione. Ci mise un po' a capire che si stessero riferendo a lui e, a dire il vero, non ne ebbe la certezza fino a quando Jordan non si avvicinò al suo letto saltellando e chiamandolo a gran voce con quel suo tono stridulo.
Di primo mattino era molto più difficile sopportare lui e quell'odiosissimo soprannome. Prima di aprire gli occhi una domanda gli passò per la testa: come mai continuava a tollerare in silenzio quello stupido nomignolo?
Non era da lui un comportamento del genere. Forse il suo momento di apatia più assoluta non era finito come pensava, forse il suo stato d'animo non gli consentiva di arrabbiarsi, eppure... 

...era successo quando Jordan aveva pronunciato quel nome.

O forse, cosa che lo lasciava piuttosto perplesso, si sentiva particolarmente in sintonia con il biondino ed in lui rivedeva parecchio di sé.
Erano accomunati dalla solitudine, avevano entrambi perso qualcosa di prezioso e, fondamentalmente, era poi così grave essere chiamati in quel modo? 

-Sveglia Reno! E' ora di alzarsi. Devi vestirti e darti una ripulita, andiamo a fare un giro!- disse Jordan lanciandogli in faccia i pantaloni.
Daryl disse qualcosa di incomprensibile, qualcosa di più simile ad un verso piuttosto che ad una parola vera e propria e si voltò dall'altra parte.
-Oh coraggio! Togli quel camice ed infilati i vestiti!- strillò il ragazzo saltellando intorno al letto dell'uomo come un bambino la mattina di Natale.
L'arciere, piuttosto contrariato da tutta quella esuberanza, lo accontentò sollevandosi e togliendosi il camice.
Si infilò la camicia, ma dovette arrendersi all'evidenza di aver bisogno di aiuto per indossare i pantaloni.
Il dottor Reynolds, che aveva osservato la scena dal suo angolo, si avvicinò offrendosi di aiutarlo e  nel frattempo Jordan lasciò la stanza.
Daryl non capì il senso di quel comportamento fino a quando non lo vide rientrare nell'infermeria con una poltrona di pelle nera con le ruote. Era una di quelle che usano i capi delle aziende, quel genere di sedie da ufficio che possono permettersi solo quelli con un conto in banca a sei zeri.
Jordan lo aiutò a sedersi e, salutando il dottore, iniziò a spingere la sedia verso il corridoio.

Doveva ammettere che quella camera stava diventando troppo angusta e soffocante, non era abituato a restare al chiuso per così tanto tempo e quella piccola boccata d'aria non poteva che giovare al suo fisico, ma soprattutto al suo spirito.
Attraversarono il corridoio, le pareti erano grige e davano a quel posto un aspetto deprimente. L'ambiente era illuminato solo dai pochi raggi di sole che riuscivano a filtrare dalle finestre e ciò gli ricordò il periodo passato alla prigione.
I muri di quel colore triste, erano interrotti da una fila di porte sull'azzurro che avevano tutte un cartellino appeso sopra.
-Vedi? Questo è l'edificio dei servizi, così lo chiamiamo noi. C'è L'infermeria, l'armeria, la cucina, la lavanderia, uno degli uffici di Patrick, robe così.- lo informò Jordan continuando a spingere la sedia, stando ben attento a non dare scossoni.
Daryl ascoltò la spiegazione e proseguì la sua osservazione.
Raggiunto il fondo di quel lungo corridoio, si trovarono davanti ad una porta, anch'essa azzurra come le altre, con un grosso maniglione anti panico al centro.
Il ragazzo lasciò la sua posizione per qualche secondo e abbassò la maniglia spalancando la porta.
I raggi caldi del sole investirono il viso di Daryl che, dopo i giorni passati al chiuso, dovette strizzare gli occhi a causa del fastidio provocatogli da quella luce improvvisa.
Jordan ricominciò a spingere la sedia e finalmente lasciarono l'edificio.

L'uomo non lo avrebbe mai ammesso, nemmeno sotto tortura, ma l'idea del biondo era stata davvero come una manna da cielo. Era impaziente di uscire e potersi finalmente guardare intorno.
Arrivarono nel cortile, che somigliava molto più ad una piazza a dire il vero e Daryl iniziò ad analizzare ogni centimetro di quel posto, memorizzò tutto, individuando almeno dieci vie di fuga possibili. 

Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio.

Scrutò con attenzione il luogo ed i volti di quelli che gli passavano davanti.
Jordan salutava tutti in modo cortese, ma ciò che saltò immediatamente all'occhio fu il fatto che quasi a nessuno faceva piacere ricambiare quel saluto. Quel ragazzo era davvero solo e sembrava che a nessuno andasse a genio. 

Daryl si sentì, per quel motivo, ancora più vicino a lui.

Il cortile era circondato, oltre a quello dal quale erano usciti, da cinque edifici grigi dall'aspetto molto solido e sicuro, tutti di tre piani. 
In totale erano sei grossi parallelepipedi di cemento armato con tante finestre una in fila all'altra.
-Allora, quelli sono gli alloggi. Sai, Patrick ha avuto delle idee geniali. Ogni centimetro di questo posto è sfruttato al meglio. Un edificio è riservato ai servizi, tre agli alloggi, uno alla lavorazione e conservazione delle materie prime ed uno all'istruzione e all'addestramento. Ma non è finita qui. E' sopra i tetti che avvengono le magie. Lì sopra si coltiva, si alleva e si produce, così è più sicuro. Abbiamo serre e recinti. Patrick si è dato un gran da fare in questi anni.- spiegò Jordan indicando qui e là come una perfetta guida turistica.
L'uomo immagazzinò ogni informazione, voleva essere pronto in caso di problemi, voleva studiare al meglio il campo di un'eventuale battaglia.
Attraversarono tutto il cortile, girando in tondo, affiancando tutti e sei gli edifici. Daryl era piuttosto scomodo su quella sedia, ma non osò lamentarsi tanto era il senso di libertà che quella ora d'aria gli stava procurando.
Era stanco di quelle quattro mura, da giorni non faceva altro che starsene sdraiato sul letto ad ascoltare le chiacchiere di Jordan e ad ignorare quasi del tutto il dottor Reynolds.
Giunti all'ora di pranzo, il ragazzo lo scortò davanti al quarto edificio. Lì avevano sistemato una specie di gazebo, dove il gruppo era solito riunirsi per mangiare.
Mentre stavano per raggiungere la fila per prendere un piatto, incontrarono Patrick.
Aveva gli stessi jeans strappati sulle ginocchia e le scarpe da ginnastica, ma la t-shirt era cambiata.
Niente più ET, ne indossava una verde con sopra disegnato un disco volante ed una scritta in una strana lingua piena di segni.

-Oh Jordan. Fai gli onori di casa?- esordì Patrick salutandoli con un cenno.
-Stava impazzendo chiuso in quella camera.- rispose il ragazzo ricambiando il saluto.
-Beh ma non parliamo come se lui non fosse qui... allora Daryl? Come ti sembra la nostra Area 51? Spero che deciderai di fermarti un po' con noi una volta che Doc ti avrà rimesso in piedi. Abbiamo bisogno di uomini forti come te. E poi questo posto ha tutto ciò di cui puoi avere bisogno. Cibo, riparo, protezione... donne a disposizione quando vuoi!- disse il capo strizzandogli l'occhio.
-Sono in debito con voi.- affermò semplicemente Daryl.
-Beh immagino che questo sia un sì allora! Comunque, ora vi lascio al vostro pranzo.- fece Patrick voltandosi nella direzione opposta alla loro.
Dopo due passi, però, si arrestò e si girò di nuovo verso Jordan.
-Oh Jordan stavo pensando che sarebbe meglio se Daryl dividesse l'alloggio con te per i primi tempi, sai... casa nuova, nuove regole da imparare. Lo facciamo ambientare e poi gli assegniamo un posto tutto suo. Spero non sia un problema.- disse Patrick, anche se quella sua richiesta somigliava molto più ad un ordine.

Il ragazzo annuì e Daryl non si oppose a quell'idea, poteva comprendere la diffidenza del capo, lui che del non fidarsi aveva fatto quasi una religione.
Dopo mangiato continuarono il loro giro, completamente in silenzio, ma ad un tratto una domanda balenò nella mente dell'arciere.
Jordan dormiva nell'infermeria insieme a lui perché aveva il compito di sorvegliarlo? 
L'unica cosa da fare era chiedere al diretto interessato, ma i modi gentili ed i giri di parole non erano mai stati il suo forte, perciò, senza troppi fronzoli, andò dritto al punto.
-Quello vuole che divida l'alloggio con te perché non si fida di me... è per questo che hai deciso di farmi da balia vero?- disse Daryl.
-Oh Reno Reno... sei proprio uno spasso. Un giorno dovrai dirmi cosa ti è successo per farti diventare così diffidente.- rispose Jordan ridendo e poggiandogli una mano sulla spalla.
Quel gesto, così amichevole, gli ricordò molto Rick e ciò, in un certo senso, lo spaventò. 
L'idea che si stesse avvicinando così tanto in così poco tempo a quel ragazzo ficcanaso e irritante gli procurava un certo timore. Si era allontanato dal suo gruppo per non essere un peso, per tenerli al sicuro, non era in grado di doversi preoccupare ancora di altre persone. 
Legare con Jordan voleva dire soltanto avere una persona in più da piangere al momento della sua inevitabile morte.

Avrebbe sicuramente perso anche lui prima o poi.

Il ragazzo spinse la sedia in lungo ed in largo, facendo visitare a Daryl ogni centimetro di quella specie di piazza.
L'uomo, guardandosi intorno, notò soltanto una cosa che lo lasciò piuttosto perplesso.
Patrick aveva parlato di donne, ma, da quello che poteva vedere, la comunità sembrava quasi interamente formata da uomini.
Una volta rientrati nell'edificio dei servizi, ripercorsero il corridoio a ritroso e Daryl ignorò quella sua idea, almeno fino a quando Jordan lo riportò nell'infermeria. 
Raggiunta di nuovo la stanza, decise di provare a domandare spiegazioni a riguardo. 

La stessa ragazza della volta precedente entrò nella camera e portò loro la cena. Daryl mangiò, per la prima volta dopo parecchio tempo, seduto ad un tavolo e quella gli sembrò l'occasione migliore per indagare un po'.
-Dove sono le donne?- chiese, diretto come al solito.
Jordan si schiarì la voce e parve sorpreso della domanda appena ricevuta.
Sapeva che l'uomo non avrebbe lasciato in sospeso quel suo quesito e tentò di trovare le parole giuste per spiegare la situazione.
-Beh...vedi... le donne hanno altre mansioni, meno pericolose, sono preziose per la sopravvivenza della nostra specie. E' una delle regole, le donne stanno a casa, al sicuro all'interno delle mura, ad occuparsi dei figli, mentre gli uomini escono in missione. Patrick non transige su questo punto, è convinto di poter ripopolare la terra in questo modo. Il dottor Reynolds ha fatto nascere quattro bambini questo mese.- spiegò il ragazzo.
Daryl ascoltò con attenzione le parole del biondo, ma non lo convinsero del tutto.
Lui era abituato a donne piuttosto forti e combattive, come Carol, lei non avrebbe mai accettato di essere relegata al ruolo di casalinga disperata, o meglio, lo era stata per troppo tempo per permettere ad un uomo di costringerla ad esserlo ancora.
Per il momento poteva prendere per buona quella spiegazione, una volta guarito ed in grado di camminare avrebbe potuto approfondire e andare a fondo della faccenda.

Più tardi, il dottore entrò nella stanza e aiutò Daryl a indossare di nuovo il camice e sdraiarsi, mentre Jordan portava la sedia al suo posto in ufficio.
La ferita alla gamba stava guarendo bene e fortunatamente non c'erano tracce di infezioni o di lesioni gravi e permanenti.
Dopo aver cambiato il bendaggio, l'uomo fu lasciato solo nel suo letto ed iniziò a fissare il soffitto.
Avrebbe dovuto ringraziare il ragazzo, quel giro gli aveva fatto un gran bene, ma per un tipo come lui trovare le parole non era mai semplice.

Jordan rientrò nella stanza e, ormai come da abitudine, si sdraiò sul letto accanto a quello di Daryl e soffiò sulle candele.
Una volta al buio, l'arciere pensò che fosse il momento giusto per dire qualcosa o almeno per provarci.
Si sentiva sempre meno in imbarazzo protetto dall'oscurità, forse il fatto di non dover guardare in faccia il suo interlocutore gli dava il coraggio necessario per affrontare il compito per lui più difficile, esprimersi.
-Ehi senti...- iniziò, impacciato come un bambino.
-Oh Reno, ma dai! Ancora non l'hai capito? Non c'è bisogno di ringraziarmi. Io sono un gran chiacchierone, ma tu non lo sei da quello che ho potuto capire, perciò va bene così. Ognuno ha il suo ruolo. Manteniamo le cose come stanno. Ti sdebiterai con me quando sarai in grado di farlo, fino ad allora...- disse Jordan, come al solito parlando come un fiume in piena.
-Bene.- rispose solamente Daryl, leggermente sollevato come se il ragazzo gli avesse tolto un gran peso.
Quel tipo era davvero strano, lo capiva al volo senza bisogno di troppe parole e quell'empatia che si era creata in così pochi giorni lo lasciava perplesso e lo spaventava oltre misura. 
-...comunque prego. Buonanotte amico.- affermò Jordan, muovendosi sotto la coperta e mettendosi su un fianco.
-'Notte.- fece l'uomo, ancora una volta spiazzato dal candore che il biondo sembrava possedere.

Molte cose non lo convincevano del tutto in quel luogo. L'ospitalità, la generosità apparentemente senza chiedere nulla in cambio, le donne, la stranezza di Patrick e per finire Jordan. E fu proprio pensando all'ultimo punto della sua lista, stanco per quella intensa giornata, che si addormentò.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8- That's what friends are for. ***


Capitolo 8

THAT'S WHAT FRIENDS ARE FOR.

Altri giorni passarono identici ai precedenti. Le ferite di Daryl erano guarite quasi completamente e finalmente era arrivato il momento di lasciare l'infermeria. 
Jordan si era prodigato parecchio in quel periodo, portandolo sempre in giro spingendo la poltrona di pelle. 
L'uomo si sentiva pronto anche a camminare, ma il ragazzo non voleva assolutamente che facesse sforzi perché il dottor Reynolds aveva raccomandato di fare attenzione ai punti, potevano strapparsi ed il rischio di infezione era sempre dietro l'angolo.
La mattina del grande giorno, Jordan entrò di corsa nella stanza, svegliando Daryl con la sua solita allegria. All'inizio quella sua vitalità lo aveva infastidito parecchio, ma dopo quei giorni trascorsi insieme, stava diventando tollerabile.
Certo, non faceva ancora parte delle sue dieci persone preferite anche perché molto probabilmente il numero di quelle persone era di gran lunga inferiore al dieci, ma vuoi per la riconoscenza per averlo salvato, vuoi per l'amicizia che gli aveva dimostrato, cominciava ad abituarsi a lui e, quando andava in missione, spendeva anche qualche grugnito e sporadiche parole per raccomandargli di fare attenzione.
Molte volte aveva avuto la tentazione di chiedergli il perché dell'aiuto che continuava a dargli, ma i suoi soliti problemi di comunicazione lo avevano fatto desistere. Era strano come le parole fossero così poco collaborative con lui ed invece così disponibili con Jordan.

Quella mattina, appunto, il dottor Reynolds e Jordan entrarono nella stanza con buone notizie, il momento era arrivato, poteva tornare a camminare.
Orgoglioso com'era, sentendo quella notizia, pensò bene di provare a mettersi in piedi da solo, ottenendo come risultato solo un capogiro.
-Sei stato molto a letto, devi fare con calma.- disse il dottore afferrandolo prontamente per un braccio.
-Reno, non ti va proprio a genio essere aiutato vero?- domandò Jordan piazzandosi dall'altro lato e porgendo la spalla a Daryl per invitarlo ad usarla come appoggio.
-Non sono mai dipeso da nessuno, non inizierò ora.- rispose l'arciere, preferendo reggersi al letto piuttosto che accettare l'aiuto del ragazzo.
-Beh, ma noi siamo qui per sostenerti, anche se da come ti comporti pare tu abbia conosciuto solo stronzi nella tua vita, devi convincerti del fatto che esistono ancora persone buone nel mondo.- disse il biondo, con aria da saputello.

Daryl... esistono ancora persone buone.

Quella frase gli gettò un tale peso sul cuore, tanto da somigliare molto ad un macigno.
Serrò il pugno intorno al metallo della spalliera del letto, tentando di non far notare il suo disagio agli altri due.
Lei e Jordan sarebbero andati molto d'accordo, erano simili in molte cose, una su tutte la capacità di fargli saltare i nervi.
Sorrise sommessamente dopo quel pensiero e, spinto da non capì quale forza, poggiò una mano sulla spalla del ragazzo per tentare di fare qualche passo.
Una mezz'ora più tardi, riacquistato del tutto l'equilibrio, era già vestito e pronto per raggiungere il suo nuovo e, certamente temporaneo, alloggio.
Aveva deciso di restare per un po', quelle persone lo avevano salvato, curato e nutrito, lui non era certo il tipo di uomo che dimentica l'aiuto ricevuto. Avrebbe trovato il modo di sdebitarsi e poi sarebbe andato per la sua strada.
Salutò e ringraziò il dottor Reynolds e, dopo aver raccolto la sua balestra e la sua nuova faretra, si avviò attraverso il grigio corridoio, verso la porta d'ingresso.
Uscì nel cortile e ad aspettarlo trovò Jordan che sembrava impaziente di mostrargli la loro sistemazione.
Entrarono in uno degli edifici degli alloggi e salirono un piano di scale. 
Faceva ancora fatica a camminare, ma riuscì comunque a stare dietro a Jordan, stringendo i denti per evitare di far trasparire la sua difficoltà. 

Orgoglioso come sempre.

Un lungo corridoio, anch'esso grigio, li condusse alla loro stanza.
Il ragazzo aprì la porta e fece accomodare Daryl, da perfetto padrone di casa.
Era una camera stretta, lunga e piuttosto buia. All'ingresso vi erano due poltrone malmesse, un tavolino di vetro sgangherato, un paio di sedie ed una specie di comò che aveva sicuramente visto giorni migliori.
A lato del mobile, vi erano due porte di legno bianche. Jordan spiegò che dietro a quella di sinistra c'era il bagno, mentre l'altra era la cabina armadio.
Prima del loro arrivo, quelle stanze potevano ospitare cinque uomini ognuna, mentre dopo erano state trasformate dai nuovi inquilini, in modo da sembrare dei piccoli appartamenti.
Il ragazzo era piuttosto fiero delle migliorie che aveva apportato. Era riuscito a raccattare quei pochi mobili nelle case vicine alla base e aveva diviso in due la camera con una tenda blu con dei disegni dorati , che in origine doveva essere stata un lenzuolo, separando così la zona notte dal resto.
Daryl poggiò la sua balestra ed il suo zaino in quella specie di salotto improvvisato e si lasciò cadere su una delle poltrone, constatando quanto fosse scomoda.
Jordan si avvicinò alla tenda e la scostò, mostrando il resto al suo nuovo compagno di stanza.
-Beh... ecco. Questo è tutto. Dobbiamo dividere il letto, spero non sia un problema. Ho lottato tanto per ottenere un matrimoniale, mi auguro di non doverci rinunciare, ma se non sei d'accordo cerchiamo un'altra soluzione...- disse il ragazzo quasi con occhi imploranti.
-Non fa differenza.- rispose Daryl facendo spallucce.

Non c'erano spedizioni in programma ed i due passarono la giornata riuscendo finalmente a completare il giro turistico dell'Area 51.
Una cosa sbalordì parecchio l'arciere. Sui tetti avvenivano davvero magie come gli aveva detto Jordan. Un pollaio, una stalla con tre mucche e due capre, un porcile, quattro serre piene di verdure e frutta. Non riusciva ad immaginare che sforzo immane avessero dovuto fare per costruire tutto. Se le idee erano state davvero di Patrick, forse lo aveva giudicato troppo in fretta, a quanto pareva era davvero un genio come aveva detto il dottor Reynolds.

La sera, dopo cena, tornarono nel loro appartamento e Daryl si sedette immediatamente appoggiando la gamba sull'altra poltrona. Aveva esagerato, per essere il primo giorno aveva davvero fatto troppi passi e ne stava pagando le conseguenze. 
-Ti fa male? Potevi dirlo, maledetto orgoglio!- disse Jordan con sguardo di rimprovero.
-No, sono apposto. Non sono una donnicciola.- sbuffò Daryl stiracchiandosi.
Il ragazzo scosse la testa e si avvicinò al comò, ne aprì un'anta e ne tirò fuori una bottiglia con due bicchieri. 
Afferrò una delle sedie e si sedette accanto alla poltrona dov'era sistemato l'altro.
Versò quello che a vista sembrava rum e ne porse un bicchiere al suo coinquilino.
-Salute!- disse buttando giù quel liquido e facendo una smorfia indecifrabile.
-Non sei troppo giovane per bere?- chiese Daryl sorseggiando il suo rum, come se tentasse di gustarselo il più possibile.
Jordan lo guardò per qualche secondo e, si versò ancora da bere sorridendo.
-Quanti anni credi che abbia?- domandò il ragazzo.
-Sedici?- fece distrattamente l'arciere svuotando il suo bicchiere.
Il biondo ridacchiò, rischiando di soffocarsi con il liquore e scosse la testa, sembrando particolarmente divertito.
-Eh Reno! Ne ho giusto dieci in più, sono meno moccioso di quanto pensi.- rispose Jordan scolandosi anche il secondo bicchiere.

La loro conversazione si limitò a quello scambio di battute, almeno fino a quando non raggiunsero il letto. Dopo essersi accordati sul lato dal quale preferivano dormire, si coricarono, con Jordan apparentemente in imbarazzo.
Daryl soffiò sulle candele ed il buio li avvolse.
-Perché lo fai?- chiese l'arciere all'improvviso.
-Faccio cosa?- domandò il biondo a sua volta.
-Perché ti dai tanta premura per me?- fece l'uomo.
-Reno... Reno... sei proprio strano sai? Ti aiuto perché ne hai bisogno, sono certo che tu faresti lo stesso per me. Fai il duro, ma è chiaro come il sole che sei una brava persona. E poi è a questo che servono gli amici. Buonotte amico.- rispose Jordan.
-'Notte.- disse Daryl, anche se la sua voce uscì molto più simile ad un bisbiglio.

I suoi timori si erano rivelati fondati, quello stupido non avrebbe dovuto iniziare a considerarlo un amico, se ne sarebbe pentito molto presto e Daryl, dal canto suo, avrebbe iniziato a sentirsi responsabile per lui. 

Una persona in più della quale preoccuparsi.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9- Don't worry be happy. ***


Capitolo 9
 
DON'T WORRY BE HAPPY.

Il mattino seguente Daryl si svegliò pieno di energia. Era tempo che non gli succedeva. Quando aprì gli occhi era solo nella stanza e di Jordan non c'era nemmeno l'ombra.
Si alzò e si guardò un po' intorno.
Entrò in bagno e osservò il suo riflesso allo specchio dopo molto tempo. Non sembrava più lui. Le occhiaie si erano attenuate, il colorito era più sano ed i lividi che aveva sul viso fino a poco prima erano completamente spariti. Un uomo nuovo. Si sentiva in forze e pronto per dare il suo contributo, non voleva essere un peso, odiava sentirsi in debito. Doveva restituire il favore il più in fretta possibile per poter finalmente continuare il suo viaggio.
Sul bordo del lavandino trovò un rasoio e del sapone da barba. 
Erano mesi che non ne vedeva e  ne fu sorpreso. Tutto quel tempo passato a doversi occupare solo di sopravvivere, gli aveva fatto dimenticare le cose più banali della vita. 
Accanto a quei due oggetti c'era un biglietto con su scritto "RENO".

"RENDITI PRESENTABILE.
COME SEI ORA FINIRAI PER SPAVENTARE I BAMBINI. 
JO."

Avrebbe soffocato nel sonno quel ragazzino. Era cosa certa. Iniziava ad averne le scatole piene. Lo avrebbe eliminato e fatto passare il tutto come un incidente. Quella sua gentilezza era innaturale, specialmente per il mondo e per il tempo nel quale si trovavano. Era disponibile in maniera quasi irritante e non riusciva a capire cosa ci guadagnasse.
Nessuno faceva niente per niente. Continuava a ripetersi quelle parole come una preghiera, doveva tenerle bene a mente. La vita, con lui, era stata una maestra severa, ma gli aveva insegnato una lezione importante: mai fidarsi, di nessuno in nessun caso. Anche la persona migliore al mondo, prima o dopo, finiva per rivelare il suo lato oscuro, era solo questione di tempo.

Dopo essersi rasato, doveva ammettere di averne davvero bisogno, decise di scendere in cortile per cercare di rendersi utile in qualche modo, voleva trovare Patrick e farsi assegnare qualcosa da fare.
Le persone lo osservavano con un misto di timore e curiosità. In pochi si avvicinarono per presentarsi, ma lui dimenticò i loro nomi pochi istanti dopo.
Raggiunto il centro del cortile, sotto il gazebo dove venivano serviti i pasti nei giorni di sole, incontrò il capo e lo salutò con un cenno.
-Oh buongiorno amico mio, prego accomodati, hai già fatto colazione?- chiese Patrick, con il suo solito tono amichevole.
-Sono appena sceso.- rispose Daryl sedendosi sulla panca accanto a lui.
-Rimediamo subito. Sarah muoviti! Un piatto al mio amico, veloce.- ordinò, in modo sgarbato, ad una ragazza intenta a riempire piatti di uova e pane.
Lei eseguì con una certa premura e dopo aver servito la colazione all'arciere, il capo la congedò con un gesto della mano.
-Cucina bene, ma è stupida.- fece Patrick, scuotendo la testa.
Daryl avrebbe voluto mollargli un cazzotto sul naso, ma si limitò a mangiare un pezzo di pane tostato e bere una tazza di quella brodaglia che loro chiamavano caffè.

Quel tipo non era geniale come dicevano, era un coglione, la sua impressione era stata esatta fin dall'inizio. 
Non sembrava conoscere la differenza tra capo e padrone. Poteva anche essere lui a comandare in quel posto, ma non possedeva di certo le persone. Aveva la presunzione di sentirsi un essere superiore, solo perché aveva piantato qualche patata ed allevato qualche maiale. Se era vero che le idee per far progredire la base erano le sue, altrettanto vero era che il merito del corretto funzionamento delle cose, era da attribuire agli abitanti e non a lui. Si limitava ad impartire ordini senza esporsi, senza correre mai un rischio. Il modo in cui si era rivolto alla ragazza era un esempio lampante di quando fosse retrograda e bigotta la sua mentalità. Con il mondo andato a rotoli, le distinzioni ormai erano soltanto da fare tra i vivi ed i morti. La razza, la religione ed il sesso non contavano nulla, la morte non faceva discriminazioni  e quindi a maggior ragione, Patrick non era nessuno per poterne fare. Daryl detestava i tipi come lui.

Un misogino coglione.

-Ehi bello ho un compito per te. Laggiù dietro l'edificio dell'istruzione ho allestito un piccolo campo pratica. Ti dispiacerebbe aiutare i più giovani ad allenarsi? Hanno bisogno di qualcuno che insegni loro a difendersi, tu sei sopravvissuto tanto fuori da qui, quindi mi sembri la persona adatta e poi per ora non posso mandarti in missione, la tua gamba ti rallenta. Ti suona bene la cosa?- disse il capo restando in attesa che l'arciere si esprimesse.

Un misogino coglione che si esprimeva come uno ancora più coglione.

-Conta su di me.- affermò Daryl alzandosi, impaziente di abbandonare quella conversazione.
Afferrò la sua balestra e prese il piatto vuoto avvicinandosi alla ragazza che lo aveva servito poco prima.
Non si sarebbe fatto riverire come un lord, non era abituato ad un simile trattamento e nemmeno lo considerava il giusto modo di vivere.
Aveva conosciuto donne più forti e cazzute di tanti uomini che in confronto a loro facevano la figura dei peggiori stronzi. 
Si immaginò Carol o Maggie alle prese con un uomo come Patrick e non poté far altro che sorridere all'idea degli insulti che gli avrebbero riservato. Quel suo atteggiamento di superiorità basato sul nulla avrebbe avuto vita breve con loro. Per non parlare di Michonne, ci avrebbe messo pochissimo a decapitarlo con la sua katana se si fosse rivolto a lei in quel modo. 
Si fermò un secondo cercando di ricacciare indietro all'istante quel pensiero, troppo doloroso da sopportare. Fermarsi a riflettere su ciò che aveva lasciato lo sconvolgeva sempre nel profondo. Non riusciva a pentirsi di essersi allontanato da loro, ma essere all'interno di quella zona sicura lo faceva sentire tremendamente in colpa, loro erano là fuori, all'aperto per quanto ne sapesse a patire la fame e la sete mentre lui dormiva in un letto comodo e conduceva una vita da nababbo.

Si sentiva a disagio dopo aver assistito in silenzio alla maleducazione di Patrick nei confronti della ragazza, quindi con i modo più gentili che conoscesse, le porse il piatto e lei, a quel gesto, lo fissò un po' incredula.
-Grazie, molto buono.- disse educatamente.
Lei annuì soltanto e abbassò lo sguardo quasi intimorita da quella gentilezza, come se non fosse abituata ad essere ringraziata.
Le voltò le spalle e si avviò verso il campo pratica, in attesa dei suoi allievi.
Le donne in quel posto sembrava vivessero in un clima di terrore, era bastata solo una frase gentile per mettere in difficoltà quella ragazza e la colpa era da attribuire soltanto al capo.
Raggiunto il campo pratica, si appoggiò ad un palo di legno con le braccia incrociate aspettando l'arrivo dei ragazzini. 
Avere a che fare con dei mocciosi non era esattamente la sua idea di rendersi utile, ma dopo quei giorni di riposo forzato, aveva bisogno anche lui di riprendere confidenza con il suo corpo.

Dopo circa un'ora di allenamento, constatò, come aveva previsto, che quei ragazzini erano dei perfetti incapaci. Fuori da quelle mura sarebbero morti in men che non si dica.
Scoordinati e privi completamente della convinzione necessaria per affrontare i pericoli.
Addestrarli e renderli anche solo in grado di non lasciarci le penne dopo dieci minuti, sarebbe stata un'impresa piuttosto ardua.
Daryl non era noto per la sua pazienza né tanto meno per le sue capacità come insegnate. 
Pensò che la soluzione migliore fosse una dimostrazione pratica.
Afferrò la sua balestra e con la freccia colpì, senza troppe difficoltà, la corda alla quale era legato uno dei sacchi che usavano come bersaglio. Quest'ultimo cadde per terra provocando un tonfo e lui con un balzo gli fu vicino e chinandosi conficcò il suo coltello nella parte superiore, esattamente come avrebbe fatto con il cranio di un vagante.
-Dovete essere rapidi e precisi, potreste non avere una seconda occasione.- spiegò ai ragazzi che lo guardavano rapiti e con ammirazione.
Qualche passo più indietro qualcuno aveva osservato la scena ed ora stava battendo le mani.
Prima che potesse rendersi conto di chi fosse, un grosso tomahawk si conficcò nel palo che prima sorreggeva il sacco, a pochi centimetri dalla sua testa.
Era una strana arma, una specie di ascia con il manico di legno, con attaccate delle piume rosse e nere e delle perline.
Aveva visto una cosa del genere solo nei film western, dove gli indiani combattevano contro i cowboy.
-Ragazzi, mai abbassare la guardia. Se avessi voluto colpirlo il mio tomahawk ora sarebbe conficcato nel suo cranio e lui sarebbe a terra a far compagnia al sacco.- disse Jordan avvicinandosi a Daryl.

Quando gli fu a pochi passi, allungò una mano per aiutarlo ad alzarsi, ma l'uomo non la afferrò guardandolo in cagnesco.
-Non te la prendere Reno!- fece il biondo sorridendo e recuperando la sua arma.
L'arciere non si scompose, raccolse la sua balestra ed il coltello e, annunciando la fine della lezione, si allontanò, dirigendosi furibondo verso l'edificio degli alloggi.
Non sapeva cosa lo facesse più incazzare, se il pavoneggiarsi del ragazzo o la figura da idiota che aveva appena fatto, ma il punto era uno solo: era furioso.

Probabilmente era stato solo un caso, per pura fortuna non si trovava con una lama conficcata in testa. Infastidito oltre ogni limite, pensò bene di ritirarsi nella stanza, sperando che Jordan non lo seguisse.
Era parecchio tempo che non provava una rabbia così grande e, una volta in camera, sfogò questa sua frustrazione scagliando diverse frecce sulla porta del bagno, rendendola molto simile ad un bersaglio. Tali scatti d'ira facevano parte del vecchio sé stesso, di quel Daryl del quale ogni tanto si dimenticava, o meglio che pensava non esistesse più, ma che faceva la sua ricomparsa in momenti come quello.
Il suo orgoglio ferito bruciava come se stesse andando a fuoco. 
Avrebbe fatto vedere a quel ragazzino idiota di che pasta era fatto, aveva firmato la sua condanna.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10- Loneliness ***


Capitolo 10
 
LONELINESS.

Quando Jordan entrò nella stanza, aprendo la porta con un certo timore, non sapendo esattamente quale reazione aspettarsi dall'arciere, lo spettacolo che si trovò davanti aveva quasi del ridicolo.
La balestra giaceva abbandonata in un angolo, così come la faretra che gli aveva regalato. La stanza era immersa nel caos più totale. Era tutto sottosopra. A quanto poteva vedere, la rabbia di Daryl era di gran lunga superiore a quella che si sarebbe aspettato. Evidentemente aveva deciso di sfogarsi lì dentro ed a pagarne le conseguenze era stata la porta del bagno, ricoperta da frecce e buchi, come se fosse entrato un Robin Hood psicopatico in preda ad un attacco di follia.
Jordan esaminò bene quello che lo circondava, e scuotendo la testa si voltò verso il letto trovando finalmente ciò che stava cercando.
Daryl era sdraiato sul letto con le braccia incrociate dietro la testa e stava fissando il soffitto.

-Chi ha vinto? Tu o la porta?- domandò il biondo sfottendo palesemente l'altro.

Non ottenne nessuna risposta e ciò fu abbastanza per capire, lo scherzetto al campo pratica non doveva essere stato di suo gradimento.
Era loro dovere far capire ai ragazzini quanto il mondo fuori dai cancelli fosse duro e pericoloso, cose del genere erano molto frequenti. Non tutte le persone erano amichevoli, lui stesso si era trovato spesso in mezzo a situazioni spiacevoli. Uomini che uccidono altri uomini per accaparrarsi un'arma o del cibo, ormai quella era la normalità, quindi non capiva per quale motivo avesse reagito in quel modo. Forse tratteneva la rabbia da troppo tempo, forse quella era stata solo l'ultima goccia, evidentemente il vaso era traboccato.
Il tormento di quell'uomo era decisamente più grande di quanto pensasse, se era bastata una sciocchezza del genere per farlo scattare così.

-Andiamo! Non dirmi che te la sei presa? Volevo solo dare una dimostrazione ai ragazzi, non ti avrei mai colpito, ho una buona mira.- disse Jordan appallottolando un pezzo di carta e lanciandolo addosso a Daryl per attirare la sua attenzione.

La reazione che provocò, però, fu qualcosa di imprevisto.
L'uomo di alzò e si portò ad una distanza veramente minima da Jordan, con fare minaccioso. Gli occhi, due pozze roventi, lo guardavano con rabbia. Era molto più alto di lui, ma in quel momento lo sembrò ancora di più. 
Jordan conservò il suo spirito battagliero anche in quel caso e non si fece intimidire dall'atteggiamento aggressivo dell'altro.

-Se vuoi pavoneggiarti davanti a quei bambocci, fallo usando la testa di qualcun'altro come bersaglio, mi sono spiegato, coglione?- sputò Daryl con rabbia.

Il biondo, spostò lo sguardo e sembrò sul punto di scoppiare a ridere. Quell'aria da cattivo ragazzo, gli ricordò molto i bulletti della sua scuola, quelli che rubavano la merenda ai secchioni e li obbligavano a fare i compiti al posto loro.

-Wow... sono veramente colpito... dico davvero! Sei proprio un duro. Sono terrorizzato.- fece il ragazzo trattenendo a stento le risate.

Daryl dovette fare violenza su se stesso per non prenderlo a pugni e sinceramente non seppe nemmeno lui cosa lo trattenne dal farlo. Con uno sbuffo esasperato, si allontanò da lui per evitare di perdere il controllo.
Si fece indietro di qualche passo e si sedette sgraziatamente su una delle poltrone accendendosi una sigaretta, sperando così di riuscire a calmarsi.

-Me ne offri una?- domandò Jordan sedendosi sull'altra poltrona.

L'uomo lo fissò per qualche secondo mantenendo il suo sguardo truce e poi gli porse il pacchetto facendo spallucce.
Il ragazzo afferrò una sigaretta e la accese. Erano anni che non fumava. Aveva smesso quella volta perché suo padre l'aveva beccato.
Ricordò quell'episodio e pensò di condividerlo con Daryl, per cercare di ripristinare la pace.

-Sai sono anni che non fumo. La mia prima sigaretta è stata a dodici anni. Al parco con gli amici. Poi ho continuato a fumare di nascosto fino a sedici. Ho smesso per mio padre. Un giorno all'uscita della palestra, il pacchetto mi è caduto dalla tasca e lui si è messo a piangere. Era un brav'uomo il mio vecchio, ma aveva il cuore troppo tenero. Mi ha fatto promettere di non toccarne più una fino a che lui fosse rimasto in vita, non voleva seppellire un figlio morto di cancro ai polmoni. Beh... nel caso te lo stessi chiedendo è morto prima che arrivassi qui, si è sacrificato per permettermi di raggiungere i cancelli e mettermi in salvo. Il mio tomahawk era suo. Fissato con i film western, indiani e cowboy per lui non avevano segreti. Lui ed un gruppo di suoi amici organizzavano degli spettacoli a tema come passatempo, l'arma viene da lì, è una riproduzione fedele, solo che l'ha dovuta affilare un po' per il suo nuovo scopo.- raccontò Jordan tra un tiro e l'altro della sua sigaretta.

-Ti ha insegnato lui ad usarlo?- chiese Daryl parlando per la prima volta dopo la sua sfuriata.

-Sì e no. Mi ha insegnato qualche trucchetto, ma più che altro ho imparato assistendo alle sue dimostrazioni. Ti ha insegnato tuo padre ad usare la balestra?- disse il ragazzo.

-Sì e no.- rispose l'altro cercando di far cadere l'argomento.

Jordan capì di aver toccato un tasto dolente e, avendo ormai compreso a grandi linee il carattere dell'uomo, pensò che scusarsi fosse la cosa migliore. Non voleva certo che si infuriasse ancora, ormai nella stanza non c'era più nulla da distruggere.

-Non volevo essere indiscreto.- fece il biondo, con tono colpevole.

Daryl scosse la testa ed alzò le spalle per fargli capire di non essere in collera, o meglio di esserlo meno di prima. Erano settimane che non gli capitava un tale scatto d'ira e dopo essersi sfogato, doveva ammettere di sentirsi decisamente meglio.

-Non sono abbastanza sbronzo per parlarne.- disse l'arciere spegnendo la sigaretta sul tavolino di vetro che divideva le due poltrone.

-A questo possiamo rimediare.- affermò il biondo spegnendo anche lui la sigaretta e alzandosi.

Andò verso il comò come la sera precedente e ne estrasse ancora la bottiglia ed i due bicchieri. Era chiaro che la loro comunicazione migliorava di molto dopo un paio di bicchieri e Jordan voleva cercare una strada per arrivare al suo nuovo amico. Non era un chiacchierone e quello lo aveva capito, ma sperava che con un piccolo aiutino si aprisse nei suoi confronti.

Dopo poche ore una bottiglia fu svuotata.
Jordan, barcollando, ormai vistosamente brillo, si alzò e tirò fuori una seconda bottiglia dalla cabina armadio.

-Sono pieno di risorse.- disse mostrandola a Daryl come se stesse sollevando la coppa della vittoria.

Versò altri due bicchieri e la serata continuò su quella strada. 
L'uomo sembrava reggere molto meglio l'alcol rispetto al biondo ed iniziò a domandarsi se forse non fosse meglio farlo smettere di bere. 
Non era certo una sua responsabilità, ma l'idea di passare la nottata a reggergli la testa per impedirgli di annegare nel suo vomito era tutto fuorché allettante.

-Allora? Sei abbastanza sbronzo ora per parlarmi di te, Reno?- chiese Jordan con il tipico tono di chi ha alzato troppo il gomito.

-Che vuoi sapere?- domandò l'altro schiarendosi la voce e buttando giù tutto d'un fiato il suo liquore.

-Qualcosa.- rispose il ragazzo facendo spallucce.

-Qualcosa... vuoi forse sapere come mio padre, o per meglio dire quel coglione alcolizzato che mi ha messo al mondo, è stato la rovina di mia madre e mi ha fatto subire le peggiori torture che si possano raccontare? Vuoi forse sapere che delle sue cinghiate porto ancora i segni sulla schiena? Oppure vuoi che ti racconti del mio caro fratellino Merle, un uomo altrettanto coglione che mi ha invischiato ripetutamente nei suoi loschi traffici, facendomi rischiare la pelle più di una volta? O sennò posso raccontarti di come quel cazzone si sia sacrificato per salvare me ed il mio vecchio gruppo e di come io abbia dovuto farlo fuori quando ha cercato di mordermi? Vuoi che ti spieghi come ci si sente a non avere nessuno al mondo?- raccontò Daryl con rabbia scagliando lontano il bicchiere che ancora stringeva in mano.

Jordan non seppe cosa rispondere in quel momento riuscì a comprendere meglio il perché di quell'alone di tristezza che si portava appresso l'amico. 
La sua infanzia era stata meravigliosa, con un padre molto presente ed una famiglia amorevole, quindi non riusciva bene ad immedesimarsi nell'uomo che gli stava davanti, però su una cosa poteva capirlo, sapeva perfettamente cosa si provasse ad aver perso tutti.
Anche lui aveva dovuto dire addio a tutta la sua famiglia e se si era attaccato in quella maniera al nuovo arrivato, era perché in lui aveva visto molto di sé stesso, una persona ugualmente sola.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11- Fu**ing rules ***


Capitolo 11
 
FU**ING RULES.

Il mattino seguente si svegliarono con i postumi di una potente sbornia.
Avevano dormito vestiti, tenendo anche le scarpe, tanto erano ubriachi.
Daryl aprì gli occhi e si ritrovò un braccio di Jordan a circondargli la vita.
Lo spostò con poca grazia e svegliò malamente il ragazzo.

-Forse ti ho dato l'impressione sbagliata, ma non sono un finocchio.- disse alzandosi dal letto.

Il biondo affondò il viso nel cuscino, tentando di nascondere l'imbarazzo e poi scoppiò a ridere. 

-Oh Reno! Sei così irresistibile.- scherzò mettendosi a sedere.

La testa gli doleva parecchio ed aveva un senso di nausea che gli contorceva le budella.
Daryl lo ignorò ghignando per quella situazione e scuotendo la testa, domandandosi quanto realmente avessero bevuto per svegliarsi in quella maniera.
Si passò una mano sul viso per cercare di ricomporsi e si avviò verso il bagno.
Jordan con un balzo saltò giù da letto e lo precedette, entrando per primo tenendosi una mano sulla bocca. 
Dai rumori che provenivano dall'interno, l'uomo capì perfettamente cosa stesse succedendo.
Busso con forza alla porta e sghignazzando prese in giro il ragazzo per i suoi problemi di stomaco.

-Bevuto troppo eh?- disse continuando a ridacchiare.

Il ragazzo rispose qualcosa di incomprensibile tra un conato e l'altro e Daryl lo lasciò ai suoi postumi precedendolo in cortile per la colazione.

Quando raggiunse il gazebo, salutò con qualche cenno le persone che erano già lì e si avvicinò alla stessa ragazza del giorno prima per prendere un piatto ed una tazza di caffè.
Lei arrossì vistosamente e gli porse le sue uova tenendo lo sguardo fisso sulle sue scarpe.
Sembrava come se fosse intimorita da lui, come se si sentisse inferiore.
Lui la ringraziò e si avviò verso uno dei tavoli. Iniziò a mangiare e dopo qualche minuto anche Jordan lo raggiunse.
Aveva un pessimo aspetto e si sedette di fronte a lui senza nemmeno passare a prendere un piatto.
Daryl vedendolo veramente a pezzi si alzò e tornò dalla ragazza per farsi dare un'altra tazza di caffè e del pane tostato.
Li portò al ragazzo e ricominciò a mangiare la sua colazione diventata ormai fredda.

-Non dovresti scomodarti, le ragazze sono qui per questo, per servire noi uomini. Hanno questo compito, vuoi togliere loro il lavoro?- chiese Patrick che si era appena unito a loro.

Daryl fece finta di non averlo sentito o meglio, di non aver capito che si stesse rivolgendo a lui e continuò ad ingurgitare le sue uova in silenzio, sotto lo sguardo disgustato di Jordan che a fatica riuscì a sbocconcellare un po' di pane e bere la sua tazza di caffè.

-Daryl hai capito?- domandò ancora Patrick avvicinandosi all'uomo.

Lui si voltò nella sua direzione con un'espressione confusa, come se realmente con avesse udito le sue parole.

-Ero distratto.- si giustificò sorseggiando quel disgustoso caffè.

-Dicevo che Sarah e le altre ragazze sono qui per servire noi uomini, non dovresti scomodarti. Jordan spiega bene al nostro amico come funzionano le cose qui, l'ho affiancato a te per questo no?- disse il capo, rivolto ai due.

Poi dopo essersi congedato, si allontanò e proseguì il suo giro.
Daryl scosse la testa e, una volta rimasto solo al tavolo con Jordan, diede libero sfogo ai suoi pensieri.

-Quello è un coglione, altro che genio. E' così che vanno le cose qui? Le donne sono cameriere e cos'altro? Puttane?- chiese alterato.

-Ti ho spiegato, Patrick non è cattivo, ha le sue idee. Per ora ha funzionato, ti prego sta calmo.- rispose Jordan implorante.

L'uomo non disse nulla, si alzò prese la sua tazza ed il piatto e li portò alla ragazza, ignorando senza problemi quello stupido ordine mascherato malamente da richiesta gentile.
Se in quel posto la normalità era quella, non aveva nessuna intenzione di assecondare le cazzate malsane che frullavano per la testa di quel tizio.
Un uomo di quel tipo e, soprattutto con quelle magliette, non poteva essere il capo di nulla. Non aveva mai tollerato i bastardi abituati a trattare le donne in quel modo, forse perché suo padre non aveva una considerazione molto alta di sua madre e non faceva altro che denigrarla e insultarla, arrivando anche alle mani, specialmente quando aveva alzato un po' troppo il gomito.

Serrando i pugni per la rabbia, si avviò verso il campo pratica e aspettò l'arrivo dei suoi allievi.
Jordan si unì a lui prima di partire per la spedizione.
Mostrarono ai ragazzini qualche tecnica per abbattere gli erranti e, al momento di partire, Daryl si raccomandò, a suo modo, con il biondo di fare attenzione.
Lui continuò la lezione, osservando bene i movimenti di quella banda di mocciosi. Tra tutti uno solo si distingueva per le sue capacità. Era già molto abile con il coltello, buona base sulla quale poter lavorare.
La lezione si interruppe per il pranzo per poi riprendere nel pomeriggio e concludersi verso sera.

Un ragazzino gracilino con i capelli neri e la frangetta, si avvicinò a Daryl, a lezione finita, per parlare con lui.
Con un certo timore chiese all'uomo se fosse disposto ad insegnargli ad usare la balestra. 
Spiegò che le armi da fuoco lo spaventavano perché, a causa di un colpo di pistola troppo ravvicinato, aveva perso completamente l'udito dall'orecchio sinistro. 
L'uomo ci pensò un po' sopra e poi decise di aiutarlo. Ammirava la volontà di quel giovane che aveva voglia di imparare a difendersi nonostante le sue paure.
Si posizionò alla sua destra per permettergli di sentirlo meglio e gli posò tra le braccia la sua balestra dopo averla caricata.
Con un cenno lo invitò a provare a colpire il sacco. Voleva vedere a che livello fosse e se avesse un minimo di mira.
I primi tentativi furono disastrosi, ma il ragazzo continuò a provare, senza arrendersi e senza spazientirsi.
Quando la sera calò del tutto e la visibilità raggiunse lo zero, il ragazzo salutò Daryl e si avviò verso una donna che doveva essere sua madre che, da lontano, fece un cenno di ringraziamento all'arciere prima di entrare in uno degli edifici.

L'uomo raccattò le sue frecce e constatò con piacere che una era riuscita, al contrario di quanto credesse, a raggiungere il sacco.
Dopo aver sistemato i suoi dardi nella faretra si avviò all'alloggio, saltando la cena.
Quando raggiunse la sua stanza, vi trovò un Jordan profondamente addormentato.
Sul comò notò due nuove bottiglie di liquore con altrettanti bicchieri.
A quanto pareva la sbronza della sera prima non era bastata al ragazzino, di quel passo sarebbero diventati due alcolizzati.
Si tolse le scarpe cercando di non fare rumore e raggiunse anche lui il letto stendendosi e spegnendo le candele che Jordan aveva dimenticato accese.

Con il passare dei giorni Daryl trovò il suo equilibrio e, finalmente, arrivò il momento in cui anche lui poté unirsi a Jordan nelle spedizioni.
Fuori da quelle mura erano una squadra vincente. Coordinati e precisi senza bisogno di parlare. Si guardavano le spalle a vicenda. Un affiatamento del genere era piuttosto singolare per due persone che si conoscevano solo da poche settimane.
Patrick assegnava loro missioni complicate nelle zone più pericolose, dove nessun'altro osava addentrarsi.
Recuperarono numerosi oggetti utili per la comunità ed anche un paio di persone che vagavano per i boschi.
Daryl uscendo dal rifugio, sperava di incontrare Rick e gli altri e magari di poterli portare al sicuro nell'Area 51, ma tutte le sue speranze furono vane. Non vi era nessuna traccia nemmeno del loro passaggio. Quando, in una delle missioni, dopo tre ore di auto, raggiunsero la villa che aveva ospitato il gruppo, l'uomo sperò di trovarli ancora lì, ma tuttavia la casa era vuota.
Probabilmente si erano mossi nella direzione opposta, allontanandosi di parecchio. L'unica cosa che poteva fare era augurarsi che fossero al sicuro e stessero bene. Magari un giorno li avrebbe rivisti. 
L'idea di abbandonare il campo a quel punto non gli sembrò più così sensata.
Forse avrebbe dovuto fermarsi, lasciarsi alle spalle il passato e le persone che ne facevano parte e guardare avanti, verso il futuro nella sua nuova casa.

Quel giorno il capo li aveva mandati in una vecchia fabbrica tessile per cercare indumenti e stoffe. L'inverno precedente era stato molto rigido e non volevano rischiare di far patire il freddo alla comunità, avevano bisogno di vestiti caldi.
Jordan, con il suo fedele tomahawk, stava a sinistra. Daryl copriva il fianco destro ed al centro c'era A.J, uno spaccone che l'arciere non riteneva per nulla degno di nota. Era un idiota, spavaldo e incosciente, senza nessun rispetto per la vita degli altri.
Un tipo tutto muscoli e niente cervello, capace solo di fare rumore e con la convinzione di essere superiore a tutti.
Durante il viaggio in macchina per raggiungere la meta della loro esplorazione, quel tizio non fece altro che parlare, elogiando sé stesso e le sue capacità di amante.

All'interno di quella struttura il tempo sembrava essersi fermato.
Era in una zona piuttosto pericolosa, dove erano state avvistate numerose mandrie di zombie e forse per quel motivo, all'apparenza, sembrava che nessuno fosse riuscito ad entrarci.
I macchinari, perfetti e probabilmente ancora funzionanti, parevano in attesa dell'arrivo degli operai. Stoffe di ogni colore e fantasia erano accatastate in un angolo e, dei grossi carrelli bianchi erano sistemati in fila dall'altro lato.
Daryl ne afferrò uno ed iniziò a caricare tutto ciò che gli sembrò utile, aiutato da Jordan, mentre l'altro si muoveva intorno a loro controllando che non ci fossero problemi. 

-Sapete, ieri ho battuto ogni record. Due in un giorno solo, conto di riuscire a farmele tutte prima della fine dell'anno. Jordan dovresti prendere esempio da me. Sai, la gente parla... sono convinti tutti che tu sia un finocchio.- disse A.J tirando un calcio ad una bottiglia di vetro abbandonata sul pavimento.

L'oggetto rotolò facendo un gran rumore, che si diffuse nel silenzio di quel luogo. 
Dopo pochi istanti, grugniti fin troppo famigliari giunsero all'orecchio dei tre.
Si affrettarono a riempire il carrello e spingendolo si avviarono verso l'uscita con un sempre più contrariato Daryl.
Quel tipo aveva deciso di farsi ammazzare ed il suo comportamento da idiota avrebbe finito per mettere in pericolo tutti quanti.
A qualche metro di distanza dalla porta, tuttavia, furono costretti a fermarsi perché una decina di erranti si trovavano davanti a loro, bloccando il passaggio.
A.J si scagliò contro l'ostacolo, brandendo la sua spada e muovendola in modo scomposto.
Jordan, al contrario padroneggiava perfettamente la sua arma ed ogni suo movimento era elegante, come se stesse seguendo il ritmo di una danza. Daryl scagliò un paio di frecce e conficcò la lama del suo coltello nel cranio di uno di quegli esseri rivoltanti.
Quando finalmente li ebbero eliminati, il ragazzo spinse il carrello, mentre l'arciere afferrò per un braccio l'altro e, dopo aver aperto la porta con cautela, lo trascinò fuori con rabbia strattonandolo e facendolo cadere a terra.

-Coglione! Hai deciso di farci ammazzare?- sputò Daryl furibondo un po' per l'azione da irresponsabile, ma, forse e soprattutto, per l'affermazione che aveva appena fatto sul ragazzo.

Non aspettò la risposta di A.J, lo abbandonò a sé stesso raggiungendo Jordan ed aiutandolo a caricare il pick-up.
Il rumore della lotta all'interno della fabbrica, come era prevedibile, aveva attirato altri erranti ed ora una mandria si stava dirigendo nella loro direzione.
All'interno dell'edificio c'erano ancora molti oggetti utili e molte cose ancora da recuperare, ma dovettero arrendersi all'evidenza e scappare via. Rimanere in quel posto era decisamente troppo pericoloso.
Decisero di portare via anche il carrello e ripartirono in fretta verso il campo.
Nell'abitacolo regnò il silenzio più assoluto per tutto il viaggio di ritorno. Daryl era a dir poco furioso e ciò era piuttosto evidente, bastava semplicemente vedere il mondo in cui stringeva il volante, sembrava come se stesse immaginando di avere il collo di qualcuno tra le mani.
Il biondo lo osservava spesso, lanciandogli occhiate di traverso, sicuro che stesse per esplodere, convinto che avrebbe fermato il mezzo da un momento all'altro e avrebbe preso a pugni A.J lasciandolo tramortito.
Si immaginava nitidamente la scena e poteva vedere perfettamente il volto dell'uomo tumefatto e lo sguardo di odio sul viso di Daryl.
Si era comportato da idiota e per colpa sua tutta la missione era stata pressocché un buco nell'acqua.

Una volta giunti davanti all'entrata del rifugio, i cancelli furono aperti ed entrarono tra lo stupore di tutti.
Nessuno si aspettava di vederli rientrare così presto, ma era stata sicuramente la decisione migliore.
L'arciere non avrebbe sopportato la presenza di A.J un secondo di più, sarebbe finita male se fossero rimasti lì fuori.
Patrick si avvicinò a loro con sguardo interrogativo e Daryl, vedendolo, scese dal pick-up sbattendo lo sportello con forza, in preda ad un attacco d'ira e si scagliò contro il capo.

-Dovresti scegliere meglio gli uomini, a momenti quel coglione ci faceva ammazzare.- disse rabbioso.

-Cosa è successo?- domandò Patrick, desideroso di vederci chiaro.

-Fattelo spiegare da quel cazzone, io per oggi ho finito con questa merda.- fece Daryl dando le spalle a tutti e avviandosi verso gli alloggi.

Jordan seguì con lo sguardo ogni passo del suo compagno fino a quando non scomparve oltre la porta.
Dopo aver spiegato meglio la situazione al capo ed aver assistito ad un rimprovero da manuale all'indirizzo di A.J, il ragazzo decise di andare nella loro stanza per controllare la situazione.
Daryl era piuttosto alterato e voleva verificare che la porta del bagno non ne avesse di nuovo pagato le conseguenze.
Se fossero usciti soli come gli altri giorni, la missione avrebbe dato sicuramente i frutti sperati, erano una gran bella squadra loro due.
Badavano a loro stessi, ma sempre con un occhio verso l'altro, pronti a difendersi e darsi sostegno in caso di necessità. 
Quando raggiunse la camera, fu sorpreso di trovarla stranamente vuota. Non riusciva a capire dove si fosse diretto l'altro ed iniziò a cercarlo per tutto il piano.
Alla fine del corridoio, vi era una stanza più piccola che molto probabilmente doveva essere stata un ufficio o una cosa del genere.
Una scrivania, una poltrona ed uno schedario malconcio, nulla di più.
Trovando la porta aperta, Jordan capì di essere sulla pista giusta e, entrando, vide Daryl seduto sul davanzale della finestra con i piedi a penzoloni nel vuoto, intento a fumarsi una sigaretta.

-Hai deciso di completare l'opera di quell'imbecille?- domandò ad alta voce più che altro per annunciare il suo arrivo.

-Forse.- rispose l'uomo alzando appena le spalle, compiendo quel suo solito gesto ormai tanto famigliare.

L'arciere porse il pacchetto di sigarette verso il biondo, come un'implicita richiesta di compagnia.
Jordan rifiutò l'offerta e si avviò verso la porta.

-Ho un'idea migliore, andiamo!- disse facendo un cenno e fermandosi a metà strada.

L'uomo rifletté sul da farsi e, dopo aver spento la sigaretta sul davanzale della finestra, seguì il ragazzo nel loro alloggio.
L'idea migliore era presto detta. Le due nuove bottiglie aspettavano solo di essere scolate.

Dopo qualche bicchiere, un po' alticci, tuttavia, decisero che forse fosse il caso di darsi una calmata. 
Passarono la serata a parlare. Daryl non aggiunse molto di più al suo racconto di qualche sera prima, ma, per la prima volta, fece un piccolo accenno a Beth, delineando a grandi linee la personalità della ragazza.
Jordan intuì, dalle poche parole del suo interlocutore, quanto lei fosse stata importante per lui e quanto la sua mancanza si facesse sentire. Non sapeva i dettagli della sua morte, né il rapporto che li legava, ma il dolore che traspariva dagli occhi di lui era una spiegazione più che eloquente.
Stanchi per la giornata impegnativa decisero di andare a letto.
Jordan fu il primo ad usare il bagno, mentre Daryl sistemava le bottiglie ed i bicchieri all'interno del comò.
Complice il liquore, Daryl avvertì il bisogno impellente di andare in bagno.
Con poca gentilezza si avvicinò alla porta e la spalancò.

-Devo pisciare, non farti strane idee.- disse una volta all'interno del bagno.

Stava per aggiungere dell'altro, ma ciò che si trovò davanti bloccò ogni parola.

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Capitolo 13
*** Capitolo 12- Gender ***


Capitolo 12

GENDER.

Restò qualche secondo in silenzio, a cercare di capire se ciò che aveva davanti era solo un'allucinazione dovuta all'alcol. Non aveva bevuto poi così tanto e quei pochi bicchieri non potevano certo esserne la causa.
Jordan era lì, senza maglia, immobile, una statua, incapace di muovere un muscolo o emettere un fiato.
Daryl, svegliatosi dallo shock iniziale, indietreggiò di qualche passo, ritornando nella stanza e tentò di trovare la forza di parlare.

-Che cazzo di storia è questa?- chiese con un misto di rabbia e stupore.

Jordan si infilò in fretta la maglietta e lo raggiunse, con una marea di spiegazioni da dare.

-Te lo avrei detto.- disse abbassando lo sguardo.

L'uomo serrò i pugni, e provò ad impedire alla rabbia di avere la meglio sulla ragione.

-Non dire stronzate.- sputò l'arciere con una punta di disprezzo nella voce.
-Daryl ascolta io...- provò a spiegarsi Jordan.

-Tu cosa? Per la puttana Jordan... o forse non dovrei chiamarti così? E' questo il tuo vero nome o anche questa è una balla?- urlò a dir poco furioso.

-Lascia che ti spieghi, per favore...- lo implorò.

-Spiegarmi cosa? Mi pare che ciò che ho visto sia abbastanza. Cazzo... tu sei una ragazza, non pensi che dovessi saperlo dal momento che dividiamo la stanza ed il letto? O forse era quello che volevi eh? Volevi qualcuno dal quale farti sbattere? Hai sbagliato persona.- fece con rabbia.

Gli occhi di Daryl si scurirono fino quasi a sembrare neri, la delusione e la rabbia erano talmente evidenti che pareva quasi di poterle toccare. 

-Tu razza di coglione! Non sai un cazzo di me, Non osare giudicarmi solo perché ho preso una posizione, non ti permetto di parlarmi così. Avrei dovuto dirtelo forse, ma non riuscirai a farmi sentire uno schifo soltanto perché ho voluto scegliere cosa fare del mio futuro. Hai visto come trattano le donne qui? Hai visto, sottospecie di idiota, che cazzo di vita conducono le altre? Cucinano per gli uomini e crescono i figli come se fossero delle fottute incubatrici viventi. Scusa tanto se desidero di più per me, scusami davvero se non voglio passare gli anni che mi restano a fare da serva a qualche cazzone come te. Ed ora ti sarei grata se la piantassi di urlare, non voglio far sapere i fatti miei a tutti. Ti giuro su cos'ho di più caro al mondo che se questa storia uscirà di qui ti ritroverai la mia lama conficcata nel cranio, è una promessa.-  spiegò la ragazza puntando il dito verso di lui ed avvicinandosi minacciosa.

L'uomo fu spiazzato da quella sua spiegazione e non seppe come ribattere. In quel momento la delusione prese il sopravvento. Era stato piuttosto sincero con lei, ma la fiducia era stata mal riposta ed a senso unico.
Si sentiva tradito, aveva il diritto di saperlo dal momento che passavano così tanto tempo insieme.
Lei restò in attesa di una sua reazione che, tuttavia non ottenne. 
Daryl afferrò la sua balestra e, senza degnarla di ulteriori sguardi, la lasciò da sola nella stanza, uscendo sbattendo la porta.

Arrancando nel buio della notte, riuscì a raggiungere l'ufficio dove si era rifugiato la sera prima e decise di passare lì il resto della notte. 
Il mattino seguente avrebbe chiesto di cambiare stanza, non poteva continuare a stare lì con lei.
Un altro problema si parò davanti a lui, più che altro una decisione da prendere. Avrebbe dovuto coprirla o andare di corsa a raccontare tutto a Patrick? 
Lei lo aveva aiutato e si era occupata di lui, ma non era certo che essere complice della sua bugia fosse il modo migliore di iniziare la sua nuova vita.

Il giorno dopo cercò di tenersi il più possibile alla larga e, dalle occhiate stupite che gli lanciavano gli altri, doveva sembrare piuttosto strano non vederlo insieme al suo fedele braccio destro.
Ormai tutti erano abituati a vederli come una squadra e quella specie di "rottura" non era passata inosservata.
Quel giorno niente spedizioni, Daryl aveva in programma una lezione con il ragazzino, Paul. Faceva dei progressi con la balestra e l'uomo era intenzionato a procurargliene una al più presto.
Purtroppo il suo stato d'animo limitava di molto la sua, già pressocché nulla, pazienza e si ritrovò a rimproverare il suo povero allievo più del dovuto.
Il ragazzo incassò il colpo, ricaricò la balestra e, forse guidato dalla frustrazione per le parole dure appena ricevute, colpì il centro perfetto del bersaglio.
L'arciere non era solito scusarsi, ma dopo quel colpo così preciso fece un sorriso, più simile ad una smorfia a dire il vero,  molto compiaciuto a Paul e lo congedò dalla lezione.

Senza le chiacchiere assillanti di Jordan il momento dei pasti passò molto più lentamente e Daryl iniziò a domandarsi se forse non fosse stato troppo duro con la ragazza. Le sue motivazioni dopotutto erano valide e comprensibili. La bugia era difficile da mandare giù, ma molto probabilmente anche lui avrebbe agito allo stesso modo.
Quando fu ora di ritirarsi negli alloggi scelse di tornare nell'ufficio. 
Aveva preso una decisione, il giorno dopo avrebbe chiesto di poter dormire lì e in caso di risposta affermativa, si sarebbe trasferito subito.

Prendere sonno, forse per la scomodità del pavimento, si rivelò più difficile del previsto.
Si sedette sul davanzale della finestra e si accese una sigaretta, sperando che la luna e l'aria fresca della sera gli fossero di qualche aiuto.
Iniziò a pensare. Solitamente la prima immagine che gli appariva davanti agli occhi quando iniziava a pensare era quella di Beth, ma quella volta fu qualcosa di nuovo. Il ricordo di un evento successo poco tempo prima.
Svegliarsi con le braccia di Jordan intorno alla vita. 
Alla luce delle novità che aveva appena scoperto, non poté fare a meno di sentirsi in imbarazzo ripensandoci.
Credendola un ragazzo, le aveva dato del finocchio per quel gesto e l'aveva presa in giro anche se la colpa di tutto era da attribuire all'alcol.
Come avrebbe fatto, a quel punto, a dormire ancora insieme a lei senza sentirsi a disagio? 
L'unica cosa certa era che prima di lasciare l'alloggio avrebbe dovuto parlarle o per lo meno tentare di trovare un punto di incontro.
Il loro rapporto non sarebbe più stato lo stesso, ma, prima di mettere un punto a quella faccenda, voleva capire perché non si fosse fidata di lui, perché non lo avesse ritenuto degno di sapere la verità.
Anche se con una certa riluttanza, lasciò l'ufficio e raggiunse la stanza che divideva con Jordan.
Trovando ancora un paio di candele accese, pensò che lei fosse sveglia, ma guardando meglio, si accorse che la ragazza si era addormentata dalla parte di letto che di solito occupava lui.
Facendo attenzione a non svegliarla si sedette su una delle poltrone e appoggiò i piedi sull'altra, tentando di trovare una posizione confortevole, impresa assai ardua data la scomodità di quelle due sedute.
Non ebbe il coraggio di fare altro se non aspettare che lei si svegliasse e notasse la sua presenza.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13- Damn Jam ***


Capitolo 13
 
 
 
DAMN JAM.

Erano passate diverse ore dal momento della verità.
Lui non le aveva più rivolto la parola e, dopo aver scoperto il suo imbroglio, era uscito dalla stanza ascoltando a malapena le sue spiegazioni. L'aveva trattata molto male e l'aveva guardata come avrebbe fatto con la peggiore delle traditrici.
Voleva seguirlo e parlargli, voleva che sentisse le sue ragioni. Aveva delle valide motivazioni per il suo comportamento.
Si sentiva ferita ed arrabbiata, si era dimostrata un'amica per lui, perché non cercava di comprenderla? 
Poi, d'un tratto, una risposta le arrivò, colpendola come uno schiaffo.
Le aveva parlato di molte cose del passato, erano rimasti svegli fino a notte fonda a bere e raccontarsi, ma lei non era riuscita a trovare il coraggio di confessargli la verità.
Quello sguardo, il suo modo di guardarla come se fosse una traditrice era la perfetta espressione di ciò che sentiva.

Lui si sentiva tradito da lei.

Lo aspettò per diverse ore sveglia, girando impaziente per la stanza, ma di lui nessuna traccia.
Non scese neanche a cena, lo stomaco le si era chiuso, voleva solo che lui tornasse per potergli parlare, per potersi magari scusare.
Decise di attendere il suo arrivo sdraiata, convinta che non sarebbe riuscita ad addormentarsi, ma dopo poco crollò in un sonno popolato solo da incubi.
Dopo un paio d'ore circa, si svegliò di colpo, preoccupata di non aver spento le candele prima di dormire come le succedeva spesso.
La tenda era scostata e, in penombra, scorse la sagoma di qualcuno seduto su una delle poltrone.
Si alzò dal letto e, portando una delle candele con sé, si avvicinò, sicura che quella sagoma fosse Daryl.

-Che fai qui al buio?- disse una volta raggiunto l'uomo.

Lui la ignorò, dopo aver scoperto la verità le cose tra loro erano notevolmente cambiate. Non sarebbe più riuscito a guardarla allo stesso modo, il loro rapporto di amicizia e quell'intesa che avevano raggiunto era stata cancellata con un colpo di spugna. Poteva in un certo senso comprendere le sue ragioni, ma il fatto che non lo avesse ritenuto all'altezza di custodire il suo segreto, la diceva lunga su che tipo di persona fosse. Un'egoista. Lui si era aperto con lei, come ricordava di aver fatto soltanto con un'altra persona in tutta la sua vita ed il ringraziamento era stato solo un ammasso di bugie.
Non l'avrebbe giudicata, l'avrebbe magari aiutata, avrebbe potuto trovare una soluzione, ma lei aveva preferito mentire piuttosto che fidarsi.
Le aveva raccontato molte cose, di Merle, di quell'uomo ubriacone e violento che definire padre sarebbe stata un'eresia, della sua vita da sbandato... si era esposto, forse troppo e quello era il prezzo da pagare.

Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio.

-Daryl io... so cosa stai pensando. Probabilmente ti sentirai tradito ed a disagio e questo imbarazzo che si è creato tra di noi ne è la prova. Ma io sono la stessa persona, la prima che hai visto quando hai aperto gli occhi in infermeria, la stessa che ti dava il tormento chiamandoti Reno. Sono io, questo non è mutato, o forse sei tu che sei cambiato nei miei confronti...- disse Jordan sedendosi sul bracciolo della poltrona.

L'uomo si irrigidì tentando di allontanarsi il più possibile, ma restando comunque a sedere.
La ragazza notando quel gesto si alzò e, senza dire una parola, si diresse verso l'armadio a muro.
Aprì la porta e, una volta dentro, la richiuse alle sue spalle.
Daryl restò da solo, illuminato dalla flebile luce della candela.

Jordan in versione ragazza era nettamente più complicata da capire.
La fragilità, prima nascosta da abiti da uomo e dal quel modo di brandire il suo tomahawk, stava venendo fuori lasciando intravedere la donna che era sepolta sotto quel maglione informe.
Il gesto di nascondersi nell'armadio era la dimostrazione lampante di quanto il suo precedente modo di fare fosse tutta una recita. Non era certo una dura e probabilmente era entrata in quella specie di sgabuzzino per allontanarsi da lui, per non mostrarsi debole ai suoi occhi.

Era un esperto in quel campo: nascondere il vero io.

Daryl scosse la testa cercando di allontanare quel pensiero, ma un sorriso amaro si fece timidamente spazio sul suo viso.
Jordan era molto più simile a lui di quanto credesse.
Forse avrebbe dovuto cercare di comprenderla prima di emettere un verdetto. Era stato lui stesso vittima di giudizi affrettati e prime impressioni sbagliate e sapeva cosa si provasse.
Fare uno sforzo, un piccolo passo nella sua direzione non lo avrebbe certo ucciso.
Rifletté per qualche secondo sul modo migliore di avvicinarsi a lei e poi si ricordò di quel panino e del barattolo di marmellata di fragole che gli aveva regalato di nascosto la mamma di Paul per ringraziarlo dell'aiuto che stava dando a suo figlio. 
Si sentì un totale idiota, ma tirò fuori quel panino dal suo zaino e lo divise a metà e, dopo aver pulito il suo coltello, spalmò uno strato di marmellata sopra le due fette di pane.
Poggiò il barattolo sul tavolino accanto alla poltrona e si avvicinò all'armadio portando pane e marmellata come calumet della pace.
Bussò alla porta usando i piedi, perché aveva le mani occupate e aspettò un segno dall'interno.

-Spuntino?- disse restando in attesa.

Solo a quel punto si accorse dei singhiozzi che provenivano da dentro quel bugigattolo che, non appena si era avvicinato, si erano fatti più silenziosi.
Jordan non aprì e lui pensò di sedersi lì sul pavimento ad aspettare. 
Non era da lui un simile comportamento, ma doveva ahimè ammettere di essere stato troppo duro con la ragazza. Lui non era nessuno per giudicare.

Timidamente lei aprì la porta tenendo gli occhi bassi per non farsi vedere in viso.
Daryl si alzò e spinse il tavolino accanto a lei con sopra la candela ed il barattolo di marmellata.
Senza parlare le porse il panino e Jordan lo afferrò, sempre evitando il suo sguardo.
Lui si accomodò di nuovo sul pavimento, questa volta di fronte a lei, e la osservò di sottecchi.
Finì il suo panino e la ragazza non accennò a voler sollevare il capo.
Daryl le lanciava occhiate di sfuggita, non era bravo con le parole e sperava che quel suo gesto parlasse per lui.

-Josephine.- disse lei all'improvviso.
-E' questo il mio vero nome, mio padre era un appassionato di basket e beh... sai? Michael Jordan. Ha iniziato a chiamarmi così da bambina, ho giocato, ero anche piuttosto brava. Pensavo che quello sarebbe stato il mio futuro ed invece...- continuò lei.

-...invece sei qui a mangiare pane e marmellata con un coglione.- disse lui completando a suo modo la frase.

Lei sorrise e lui non poté fare altro che sorridere a sua volta. Era la seconda persona a riuscirci.

Fu a quel punto che Jordan, finalmente alzò gli occhi ed incontrò quelli dell'uomo.
Il sorriso si spense all'istante e fu sostituito da un'espressione seria e colpevole.
Lui, resosi conto di quel cambiamento repentino, allungò la mano ed infilò un dito nel barattolo della marmellata, portandolo alle labbra e succhiandolo, accompagnando tutto con una buffa espressione ed un verso altrettanto esilarante.
Lei scosse la testa e non riuscì a trattenere le risate che, però, furono immediatamente sostituite da lacrime.
Daryl non capì il motivo di quella crisi di pianto e restò immobile, senza sapere come comportarsi.
Dopo qualche minuto la situazione non cambiò e decise di chiedere spiegazioni.

-Che ti prende?- chiese risultando forse un po' più brusco di quanto avesse voluto.

-Niente...- rispose lei tra i singhiozzi, tenendosi il viso tra le mani.

-Che ti prende?- domandò di nuovo.

Lei a quel punto allontanò le mani dal viso e, quasi con timore, alzò ancora gli occhi, gonfi ed arrossati e li posò di nuovo sul viso dell'uomo.
Restò seria per pochi secondi e poi scoppio nuovamente a ridere.
Quella situazione era grottesca. Daryl non aveva mai visto nessuno capace di tali sbalzi d'umore.
Jordan senza pensarci allungò una mano e raggiunse il viso dell'uomo.

-Hai della marmellata qui...- disse lei passandogli un dito sotto al labbro inferiore.

Raccolse la marmellata e poi si portò l'indice alla bocca come se volesse assaggiare anche il sapore dell'uomo, oltre a quello di fragola.
Lui si schiarì la voce, imbarazzato per quel gesto, e si alzò di scatto dicendo di dover rimettere il tavolino al suo posto. 

Cosa si era messa in testa?

Daryl ritornò a nascondersi, erigendo nuovamente il suo muro, quella barriera in grado di proteggerlo da chiunque tentasse di avvicinarlo, in quel caso da lei e dal momento che avevano appena vissuto, fin troppo intimo per i suoi gusti.

-Dovremmo dormire.- disse lanciandosi sul letto vestito.

-Ok.- fece lei, tentando il più possibile di nascondere la sua delusione.

Aspettò qualche secondo prima di raggiungerlo e, sperando che non notasse il suo imbarazzo, si sdraiò anche lei, cercando di occupare il lato più estremo del letto, il più possibile lontano da lui.
Era una donna dopotutto e lui era un uomo, rozzo e burbero, ma, doveva ammetterlo, dannatamente intrigante. 
Quando pensava di averlo capito, lui faceva qualcosa di assolutamente inatteso, qualcosa in grado di spiazzarla. 
Sapeva benissimo che non sarebbe rimasto e forse per quello aveva deciso di non dirgli la verità e sarebbe riuscita a tenergliela nascosta se non fosse entrato in bagno senza bussare. Il rapporto tra loro sarebbe certamente cambiato. Daryl, credendola un ragazzo, non aveva avuto l'occasione di vederla con occhi diversi, di interessarsi a lei, mentre Jordan... beh... lei non poteva dire lo stesso nei confronti di lui.

Quella notte nessuno dei due dormì molto. La marmellata, al contrario di quanto si potrebbe pensare, aveva lasciato un sapore dolce-amaro sulle loro labbra. Da quel momento in poi, alla luce della strana piega che avevano preso gli eventi, tra loro sarebbe stato tutto più complicato.
Daryl, cercando di occupare l'angolo del materasso, continuava a tormentarsi il mento con le dita a causa delle mille idee che affollavano i suoi pensieri. Era preoccupato di non essere in grado di reggerle il gioco, ma più di ogni altra cosa era disorientato dalle sue sensazioni, spaventato di iniziare a vedere altri occhi in quelle vispe e luminose iridi azzurre della ragazza che gli dormiva accanto.

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Capitolo 15
*** Capitolo 14- Truly Madly Deeply ***


Capitolo 14

TRULY MADLY DEEPLY.

Quando aprì gli occhi si sentì subito meglio.
Ci sarebbe voluto del tempo per appianare del tutto le cose con Daryl, ma lui era lì e le dormiva accanto come aveva fatto nei giorni precedenti, apparentemente tranquillo e senza traccia di disagio.
Ciò che ignorava, però, era che dentro la testa dell'uomo un turbine di emozioni contrastanti girava vorticosamente ed aveva continuato a dargli il tormento per tutta la notte, impedendogli quasi completamente di chiudere occhio.
Lei dal canto suo, non aveva fatto altro che preoccuparsi di stare lontana da lui. Svegliarsi abbracciandolo come era già successo, sarebbe stato davvero troppo imbarazzante quella volta e sdrammatizzare con una battuta non sarebbe bastato.

Notando un movimento da parte dell'uomo, Jordan chiuse immediatamente gli occhi fingendo di essere ancora addormentata.
Daryl, che era sveglio da più tempo di lei e aveva anche lui finto di dormire, accorgendosi del tranello scosse la testa e si alzò dal letto dirigendosi in bagno.
Lui non avrebbe certo fatto il primo passo verso di lei, se la ragazza avesse avuto voglia di affrontare l'argomento, sarebbe stato compito suo prendere l'iniziativa.
Non aveva alcuna intenzione di fare altro, il gesto della sera prima era stato il massimo che avrebbe consentito a sé stesso. La situazione rischiava di sfuggirgli di mano e c'era la possibilità che lei fraintendesse la sua semplice gentilezza con qualcosa di diverso.
Pensare a Jordan riferendosi ad una lei era davvero strano. Era convinto che fosse un tipo un po' effeminato e si era incazzato a morte con A.J quando lo aveva insinuato, lo aveva offeso ed era stato naturale per lui difenderlo.
Ma le cose stavano in maniera un po' diversa.
Dopo essersi lavato la faccia con l'acqua fredda, sbucò fuori dal bagno, trovando la ragazza seduta a gambe incrociate sul letto che guardava il cielo dalla piccola finestra.

-Ora sai che non sono un finocchio.- disse lei continuando a fissare le nuvole.

Daryl sghignazzò, abbastanza sorpreso da quella battuta, credendo che lei fosse troppo imbarazzata anche solo per rivolgergli la parola.

-Oggi dobbiamo portare Paul con noi.- aggiunse Jordan.

-Non è pronto.- affermò l'uomo convinto.

-Ordini di Patrick, ha detto che il tuo addestramento deve dare i suoi frutti.- spiegò la ragazza continuando a non guardarlo.

-Fanculo pure a Patrick! Lo farà ammazzare e mette in pericolo anche noi. Devo già badare a te, non posso preoccuparmi di salvare il culo anche a quel moccioso.- sbottò lui parecchio alterato.

-Per quanto non abbia bisogno che tu ti preoccupi per me, questa cosa la risolveremo in seguito, per ora lascerò cadere il tuo commento. Una cosa posso dirtela... abbiamo te, non può succederci nulla là fuori.- disse lei voltandosi per la prima volta ed incontrando gli occhi di lui.

Daryl non disse nulla, sperando di riuscire a mascherare l'inquietudine che le ultime parole gli avevano provocato.
Lei si fidava di lui, a quanto pareva tutti i suoi sospetti si erano rivelati falsi. Lei aveva fiducia in lui, tanto da mettere la vita nelle sue mani. Con lui si sentiva al sicuro stando a quanto diceva e ciò provocò un certo fastidio nell'arciere.
Doversi preoccupare di qualcuno oltre a sé stesso era una sensazione che in quelle settimane aveva dimenticato. 
Paul, forse ancora più di Jordan, era una sua responsabilità. Era lui che aveva iniziato ad addestrarlo e sempre lui che gli aveva promesso una balestra.
La madre del ragazzo era sempre molto gentile con Daryl e dimostrava come poteva la sua gratitudine. Quando toccava lei stare al servizio pasti, gli riempiva sempre il piatto più che agli altri e gli allungava di nascosto ciò che riusciva a mettere da parte.
Era molto legata a suo figlio e glielo avrebbe riportato sano e salvo.

-Ci vediamo al cancello.- disse uscendo dalla stanza e lasciando Jordan da sola.

Voleva darle la sua privacy e soprattutto aveva un compito da svolgere.
Attraversò il cortile, salutando facce divenute ormai conosciute e raggiunse Patrick che stava facendo colazione sotto al gazebo.

-Voglio una balestra.- affermò senza preamboli.

-Oh Daryl buongiorno. Accomodati, facciamo colazione insieme.- fece l'altro come se non avesse ascoltato la sua richiesta.

-Se devo portare con me quel ragazzino, dovrai fornirgli armi che è in grado di usare. Devi dargli almeno la chance di potersi difendere.- disse accompagnando le sue parole con un pugno sul tavolo.

-Paul avrà la dotazione standard. Una pistola ed un coltello. E' così per tutti. Non possiamo fare distinzioni.- spiegò Patrick sorseggiando il suo caffè senza lasciarsi scomporre minimamente dall'atteggiamento dell'arciere.

-Ma Jordan ha un tomahawk, io ho una balestra, siamo in tanti con armi diverse, per noi la regola non vale?- chiese Daryl abbassando un po' il tono, non volendo dare spettacolo.

-Sono le vostre armi. Le avevate quando siete arrivati qui, non posso togliervi una cosa che vi appartiene. Paul, come gli altri ragazzini, non ha armi di sua proprietà, deve prendere quelle comuni a tutti. Gli verrà assegnata una pistola ed un coltello. Non ho altro da aggiungere.- rispose il capo facendo un cenno come se volesse congedare l'arciere.

-Sentimi bene coglione! Stai mandando a morire quel ragazzino te ne rendi conto? Non sa nemmeno da che parte si tenga in mano una pistola. Se ci lascerà le palle sarà soltanto una tua responsabilità, dovrai risponderne in prima persona. Forse a quel punto questa folla adorante vedrà davvero che razza di idiota sta al comando.- sputò rabbioso Daryl afferrando per il collo Patrick e parlandogli a pochi centimetri dal viso.

Jordan arrivò al momento giusto e riuscì a togliere il capo dalle mani del suo compagno prima che la situazione degenerasse.
Un piccolo gruppo di persone aveva circondato i due e stava guardando con curiosità ed apprensione ciò che stava succedendo.
Quando i due furono separati, Patrick si sistemò la maglietta e facendo un gesto con le mani tranquillizzò tutti i presenti.

-Tutto bene miei cari, io e Daryl abbiamo avuto solo un vivace scambio di opinioni. Questo è ciò che succede quando si mettono insieme due caratteri forti. Ma ora è tutto risolto, gli amici litigano, è normale. Tornate pure ai vostri compiti.- affermò per calmare gli animi.

L'arciere si allontanò per evitare di scagliarsi ancora contro di lui e si andò a sedere a due tavoli di distanza.

-Daryl...- fece Jordan raggiungendolo e poggiandogli una mano sulla spalla quando le acque si furono calmate.

Con un gesto brusco lui scostò la sua mano e si alzò.

-Non toccarmi.- ringhiò palesemente infastidito.

La lasciò lì sola e si avviò verso il campo pratica, dove trovò Paul che armeggiava con la sua pistola.
Era impacciato e si vedeva lontano un miglio che non sapesse assolutamente da che parte cominciare.
Fuori da quelle mura, un momento di esitazione poteva essere fatale, la velocità e la reattività potevano fare la differenza tra la vita e la morte.

Non credeva nemmeno lui a ciò che stava facendo, ma allungò la sua balestra verso il ragazzo e gliela porse.

-Per oggi userai questa, non posso occuparmi di te e cercare di non morire.- disse togliendogli la pistola dalle mani.

-Grazie signor Dixon.- fece Paul timidamente.

-Se le fai qualcosa di male ti uccido. Tutto chiaro?- lo minacciò Daryl puntandogli contro il dito e parlando della sua balestra come se fosse una donna. 

Il suo atteggiamento minaccioso tuttavia era chiaramente una recita, gli occhi erano limpidi e lo sguardo sereno, simbolo che l'ostilità che stava dimostrando nei confronti del ragazzo era tutta una finta.

-Andiamo.- disse l'uomo spingendo Paul verso il cancello.

La sua arma, nelle mani di quel tipo gracilino, sembrava più grande di quanto in realtà non fosse.
Quando anche Jordan li raggiunse con il mezzo di trasporto a loro assegnato, furono pronti per partire. Quella volta niente pick-up. Patrick le aveva ordinato di prendere una delle auto. Era una macchina sgangherata e piuttosto vecchia, piena di ruggine e con parecchi tagli nella pelle dei sedili. A guardarla così sembrava soltanto un catorcio, un rottame che non era in grado nemmeno di uscire dal cancello.
Daryl non poté far altro di vedere in quell'ordine una punizione per lui, ma decise di tenere per sé le sue congetture. Non voleva coinvolgere nella sua guerra personale anche gli altri due.

Erano diretti verso un centro abitato a poche miglia di distanza, sicuramente qualcun'altro era passato di lì prima di loro, ma il capo aveva deciso che fosse necessario fare un giro in ogni caso.
Dopo circa un'ora giunsero a destinazione.
Doveva essere stato un quartiere di lusso un tempo. Una strada dritta, circondata da aiuole intervallate da villette tutte uguali. Ognuna aveva il suo giardino recintato da staccionate bianche. Quel posto rappresentava in tutto e per tutto ogni cliché dei film.
Parcheggiarono la macchina accanto alla prima casa e iniziarono la loro esplorazione.
Jordan era in testa, Paul nel mezzo e Daryl chiudeva la fila.
Senza la sua arma non si sentiva totalmente a suo agio, ma sapeva che il ragazzino non sarebbe sopravvissuto se avesse dovuto contare sulla protezione che poteva dargli la pistola.
Aveva anche il coltello ed in ogni caso sapeva destreggiarsi decisamente meglio dell'altro con le armi da fuoco.

La prima casa si rivelò un buco nell'acqua. Le uniche cose utili o per lo meno le sole risparmiate dai precedenti visitatori, furono due torce ed una scatola di candele.
Daryl le infilò nel suo zaino e si diressero verso la seconda villetta.
Era tutto stranamente calmo e silenzioso e, al di là di un paio di erranti che si aggiravano ciondolando per la strada, il posto era completamente deserto.
Jordan indietreggiò di qualche passo affiancandosi a Daryl e lasciando Paul in testa per un po'.

-Sei stato carino.- disse lei imbarazzata.

-Carino?- domandò lui continuando a tenere d'occhio il ragazzino.

-Si, con lui. E' stato carino da parte tua prestargli la balestra.- rispose Jordan sorridendogli.

-Non posso stargli dietro tutto il giorno. Sarebbe stato un peso con la pistola, sto facendo solo i miei interessi.- spiegò Daryl, freddo.

-Ma a chi vuoi darla a bere? Ti importa di lui. Lo sai tu come lo so io, perciò vai pure avanti con la tua recita, ma è questa la verità.- sussurrò lei facendogli l'occhiolino e tornando alla sua posizione.

Dopo aver ispezionato otto delle dodici villette presenti, il bottino fu piuttosto deludente.
Era pomeriggio inoltrato ormai e Paul si stava comportando egregiamente, riuscendo anche ad eliminare un vagante al primo colpo.
Le lezioni erano servite e Daryl si sentì orgoglioso di lui, anche se nascose la sua soddisfazione sotto la sua solita espressione indecifrabile.
All'undicesima casa quattro grosse pellicce si erano aggiunte al tesoro che erano riusciti a scovare.
Si sarebbe fatto buio molto presto, ma decisero ugualmente di ultimare il giro dato che mancava una sola abitazione alla fine.

A pochi metri dalla porta dell'ultima villetta, però furono costretti ad indietreggiare.
Ciò che prima era rimasto nascosto alla loro visuale, si mostrò in tutta la sua pericolosità.
Una mandria di erranti, circa cinquanta, si stava avvicinando verso di loro, annusando l'aria e grugnendo.
Si voltarono per dirigersi verso la macchina, ma un altro gruppo di vaganti, decisamente più piccolo dell'altro, ma non meno pericoloso, stava giungendo dalla direzione opposta.
Erano circondati.
Daryl disse di correre e ordinò a Paul di stare dietro di lui.
Per raggiungere il loro mezzo non avevano altra scelta, dovevano affrontare la mandria più piccola. Dovevano essere rapidi e precisi, prima che quella più grande li raggiungesse ed a quel punto sarebbe stato troppo tardi.
Il ragazzo era decisamente spaventato ed aveva già sprecato un paio di frecce, obbligando Daryl a difenderlo più di una volta.

-Balestra in spalla ed usa il coltello.- urlò l'uomo sperando di riuscire a scrollarlo dal suo torpore.

Jordan, come al solito, si muoveva con destrezza tra un mostro e l'altro, brandendo il suo tomahawk e assestando colpi precisi e forti.
Il suo modo di combattere era aggraziato, quasi come una danza e Daryl si era fermato spesso ad osservarla quando ancora la credeva un ragazzo. Solo in quel momento realizzò che, molto probabilmente, aveva sempre sospettato che quello strano tipo biondo nascondesse qualcosa.
Quando mancavano pochi passi alla macchina, tuttavia, qualcosa andò storto. 
La ragazza si accasciò a terra e fu immediatamente circondata da quattro vaganti. L'uomo corse immediatamente in suo aiuto seguito da Paul.
Conficcò la lama del suo coltello nel cranio di quegli stronzi e sperò con tutto se stesso che Jordan non fosse stata morsa.
Erano troppi e, con lei ridotta in quelle condizioni, la possibilità di salvarsi era ridotta al minimo.
Daryl la afferrò per le spalle e la tirò su. 

-La caviglia.- disse lei con il fiatone.

Erano ancora circondati e la mandria si faceva sempre più vicina. Il ragazzo cercava di tenere indietro gli erranti come poteva, ma Daryl realizzò che la soluzione possibile fosse soltanto una.

-Prendi Jordan e andate alla macchina, io li rallenterò.- disse l'uomo rivolto a Paul.

Lei cercò di divincolarsi e, urlando, provò a farlo desistere dal mettere in pratica quel piano suicida.

-Ti farai ammazzare, non te lo permetto!- esclamò lei con disperazione.

-Paul tu vai, io resto con Daryl.- aggiunse.

Il ragazzo aveva ormai raggiunto la macchina e stava salendo a bordo.
Daryl la afferrò con rabbia, sorreggendola in malo modo e iniziando a farsi strada sparando.

-Stupida puttana! Dovevi andare con lui.- disse a denti stretti.

-Non ti lascio qui, Reno.- fece lei allo stremo delle forze, saltellando su un piede solo reggendosi a lui.

Paul mise in moto e partì sgommando. Diede gas e investì un gruppo di vaganti che stava per raggiungere i due. Si affiancò a loro con l'auto e,  con un certo sforzo, aprì la portiera posteriore.

-Coraggio salite! Presto!- urlò dall'interno dell'abitacolo.

Daryl spinse sul sedile Jordan e si lanciò anche lui all'interno dell'automobile.
Ripartirono a tutta velocità. Paul cercò il più possibile di evitare gli erranti per non peggiorare la già precaria situazione della loro automobile, ma la sua inesperienza al volante non gli consentiva la prontezza di riflessi che avrebbe avuto un automobilista veterano.
Daryl scavalcò i sedili e si posizionò sul lato passeggero.

-Non togliere il piede dall'acceleratore fino a che non te lo dico, ora passa al mio posto, guido io.- disse l'uomo allungandosi verso il posto di guida.

Paul era terrorizzato e non faceva nulla per nasconderlo.
Continuava a passarsi le mani in faccia scostando la sua frangetta che si era ormai appiccicata alla fronte madida di sudore.
Quando si furono allontanati a sufficienza dalla zona di pericolo, la loro folle corsa poté rallentare.
L'uomo continuava ad osservare l'espressione sofferente della ragazza attraverso lo specchietto.
Si stava massaggiando la caviglia ed aveva un rivolo di sangue che le colava da un taglio che si era procurata sulla fronte.
Daryl infilò una mano in tasca e ne estrasse una bandana rossa, non era il massimo della pulizia, ma poteva assolvere a quel compito egregiamente, una volta a casa Doc si sarebbe occupato di lei.

-Tieni, devi fermare il sangue.- disse porgendo il fazzoletto alla ragazza.

-Grazie, ma pensa a guidare. Sto bene.- affermò afferrando quel pezzo di stoffa cencioso e appoggiandoselo sulla fronte.

Durante il viaggio verso il rifugio, un'idea martellante non accennò a voler dare pace a Daryl.
Quel quartiere era chiaramente invaso. E se Patrick li avesse mandati appositamente lì per punirlo? 
Si stava dimostrando poco rispettoso di quelle stupide regole dettate da quel coglione e quello poteva essere stato solo un avvertimento, oppure sperava davvero di riuscire a liberarsi di lui.
Non fece parola con nessuno dei suoi sospetti, ma decise di mantenere alto il livello di guardia, Patrick sapeva che Jordan gli era vicino e sicuramente non avrebbe esitato ad usare lei per colpire lui.

Entrati all'interno del cortile, Paul restituì la balestra a Daryl, il quale afferrò Jordan e, sostenendola la portò dal dottore.
Lontano da occhi indiscreti, che avrebbero potuto interpretare male quel gesto, l'uomo si fece passare un braccio della ragazza dietro la testa e la prese in braccio, trasportandola fino all'infermeria.
Con un piede spalancò la porta e la adagiò su uno dei lettini.

-Oh Jordan ragazzo mio! Che ti è successo?- esclamò il dottor Reynolds avvicinandosi.

-Doc... Daryl lo sa, puoi smettere con la recita.- disse Jordan arrotolandosi la gamba dei pantaloni per mostrare al medico la caviglia.

Il dottore fissò incredulo la ragazza e poi il suo sguardo andò a posarsi sull'arciere che stava rimettendo in tasca la sua bandana intrisa del sangue di Jordan.

-Gliel'hai detto?- chiese Doc sorpreso.
-Veramente l'ho scoperto.- si intromise Daryl.
-E come?- domandò ancora il medico.
-Le ho visto le tette.- rispose lui alzando le spalle e facendo un sorriso di traverso.

La ragazza arrossì vistosamente e lui, dopo averle lanciato un'ultima occhiata, la lasciò alle cure del dottore, dicendole che avrebbe aspettato fuori.
Socchiuse la porta e si sedette sul pavimento in corridoio. Solo in quel momento poté finalmente tirare un respiro di sollievo.
Credeva davvero che quello sarebbe stato il suo ultimo giorno di vita.
Distrattamente tese l'orecchio verso l'infermeria e captò una conversazione che avrebbe sicuramente preferito non ascoltare.

-Jo... non ti senti meglio ora?- disse il dottore.

-A dire il vero è un inferno da quando lo sa. Non riesco nemmeno a guardarlo in faccia.- fece la ragazza.

-Ti imbarazza?- domandò lui.
-Terribilmente.- rispose lei.
-Perché? Ti piace forse?- chiese il dottor Reynolds.

Daryl dal corridoio trattenne il fiato aspettando quella risposta. L'imbarazzo che avvertiva lei nello stargli vicino era reciproco, ma per lui non si trattava di attrazione e di quello ne era assolutamente certo.
Ci fu un attimo di silenzio e poi, timida e appena percettibile, arrivò la risposta.

-Sì...- disse Jordan senza aggiungere altro.

Quel semplice monosillabo arrivò addosso all'arciere, investendolo come una valanga. Non volle ascoltare altro, si alzò e iniziò a passeggiare avanti ed indietro per il corridoio riflettendo.

Jordan versione ragazza era decisamente più complicata da gestire.

Non sapeva come comportarsi riguardo quello che aveva sentito, ma il sentimento che stava di nuovo avendo la meglio era la rabbia. Lui non voleva piacerle. Lui non voleva che lo guardasse con quegli occhi, altri occhi lo avevano guardato così.
Quando Jordan uscì dall'infermeria, con qualche punto in fronte ed una fasciatura alla caviglia, si avvicinò saltellando a Daryl, forse credendo che lui la prendesse di nuovo in braccio, ma ciò che ottenne fu solamente un po' di appoggio per evitare di cadere.
Si limitò ad aiutarla ad attraversare il cortile e a salire le scale e lentamente arrivarono nella loro stanza.
Daryl fu il primo ad usare il bagno e dopo essersi tolto la sporcizia della missione almeno dal volto e dalle mani, si lanciò a letto sgraziatamente, senza nemmeno degnare di una parola la ragazza.

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Capitolo 16
*** Capitolo 15- You don't scare me ***


Capitolo 15

YOU DON'T SCARE ME.

-Svegliati, è tardi!- disse Daryl, tentando di alzarsi.

Avrebbe voluto mettersi a sedere, ma qualcosa gli impediva i movimenti. Era Jordan, serenamente addormentata, con la fronte appoggiata sulla sua spalla ed una mano sul suo petto. 
Si erano sfiorati spesso nel sonno quando ancora la credeva un ragazzo, era capitato anche che si svegliassero dalla stessa parte del letto il mattino seguente, ma quella era la prima volta che avevano un contatto così intimo e, dopo la conversazione che aveva ascoltato la sera prima, provò parecchio imbarazzo per quella vicinanza. 
Per una frazione di secondo, l'uomo fu tentato di lasciarla esattamente lì dove si trovava. Ma quel pensiero, sfuggì al suo controllo per il tempo di un battito di ciglia. 
Ritornato immediatamente in sé, sfilò il braccio da sotto la testa della ragazza e balzò giù dal letto di corsa, urlandole di alzarsi.
Non poteva permettersi di essere gentile con lei, non voleva che si facesse strane idee, non voleva lasciarla avvicinare troppo. Stava valutando se andare via da quel rifugio e non aveva assolutamente intenzione di lasciare una scia di cuori spezzati dietro di sé. Era solo un ospite e le cose dovevano rimanere così, per il bene di tutti.

Jordan aprì gli occhi, sentendosi mancare l'appoggio ed il calore di poco prima e, sbuffando, si convinse che quel momento di pace con Daryl fosse stata tutta una sua fantasia.
Non che avesse fantasie su di lui, ma averlo vicino le provocava una piacevole sensazione. Era come se la alleggerisse da tutte le sue pene.
Erano tutti e due piuttosto soli e per quel motivo lei sentiva di esserlo di meno da quando poteva dividere il peso della solitudine con lui.
Sentiva che tra di loro c'era una connessione, lo aveva visto nelle spedizioni e nel modo che avevano di guardarsi le spalle a vicenda, uno completava le azioni dell'altro, senza bisogno di parlare o di accordarsi.
Non era sicura che anche lui avvertisse le stesse sensazioni e, soprattutto, era assolutamente certa di non aver alcuna speranza con lui. Troppe le ferite da rimarginare nel suo animo, troppi i fantasmi che si portava appresso, uno su tutti: Beth. Sapeva poco e niente di lei, Daryl non sembrava minimamente intenzionato a parlarne e Jordan si sentiva in una continua battaglia contro i mulini a vento.
Come poteva competere, come poteva anche solo sperare che lui le facesse spazio nel suo cuore malandato se, a quanto pareva, era ancora completamente occupato da un'altra.
Il Dottor Reynolds, unico suo amico in quel posto, la sera prima le aveva suggerito di portare pazienza, di non arrendersi. Aveva cercato di convincerla a non perdere le speranze, era fiducioso, ma Jordan non riusciva a far altro che dargli torto.
Lui l'avrebbe sempre e solo vista come quel ragazzino biondo che lo aveva salvato tirandolo fuori da quel fosso.

Si alzò pigramente e, dopo essersi stiracchiata, si vestì e si infilò le scarpe. Approfittando del fatto che Daryl fosse in bagno e non potesse vederla, tentò di sgattaiolare, zoppicando, fuori dalla stanza, ma non aveva fatto i conti con la scaltrezza del suo coinquilino.
In una frazione di secondo lui uscì dal bagno e bloccò la porta con il palmo della mano, impedendole di uscire.
Sperava che non volesse affrontare l'argomento e le risparmiasse l'imbarazzo di parlare di quello strano risveglio, ma purtroppo le cose non andavano mai come voleva.

-Non sono un fottuto cuscino, chiaro?- sputò Daryl con risentimento continuando a bloccare lei e la porta. 

I suoi occhi, glaciali come sempre, tentavano di nascondere ogni emozione, ma a Jordan sembrò che quella rabbia fosse appositamente forzata.

-Scusa...- disse la ragazza abbassando lo sguardo, incapace di sostenere quello del suo interlocutore.

Fuori da quelle mura era una leonessa. Impavida e risoluta. Sapeva farsi rispettare e non si faceva intimorire da niente, aveva imparato ad essere forte e non dover dipendere da nessuno, era diventata una guerriera, capace di sopravvivere e difendersi contando solo sulle sue forze, ma, per la prima volta dopo circa due anni, la paura era tornata.
Era bastata quell'occhiata, quelle iridi di tempesta, a farla capitolare, una disfatta così misera, una resa incondizionata. Non poteva nulla contro la potenza di quegli occhi.
Se da una parte ne era affascinata, dall'altra la spaventavano. Il potere che esercitavano su di lei era inspiegabile.
Mai prima di allora, nessuno l'aveva fatta sentire così al sicuro, ma anche allo stesso tempo così vulnerabile ed esposta.

Solo lui ne era stato capace.

 Raccogliendo tutta la sua forza, trovò il coraggio di rialzare la testa e di piantare gli occhi in quelli di Daryl, fissandolo con aria di sfida.
Aveva esagerato, lei non aveva fatto nulla di così grave, non meritava quel trattamento.

-Non ho paura di te!- disse Jo riuscendo, anche se con uno sforzo immane, a fronteggiare l'occhiata spietata dell'uomo.

Daryl non disse nulla, la afferrò per i polsi e la trascinò con se, spingendola malamente sul letto e intrappolandola sotto il suo peso.
Le liberò le braccia, ma continuò ad impedirle i movimenti bloccandola con il suo corpo.

-Ripetilo ora.- ringhiò lui a pochi centimetri di distanza dal viso di lei.

Il cuore sembrava dovesse esploderle nel petto. Non aveva mai visto quella luce nei suoi occhi. Non voleva ammetterlo, ma era riuscito ad intimorirla e non per la sua evidente superiorità fisica, ma per quegli occhi, quei due laghi nei quali tante volte si era persa, diventati improvvisamente ghiaccio.

-Non ho paura di te.- disse anche se la voce le uscì meno sicura di prima, segno che stava iniziando a vacillare.

Daryl si avvicinò ancora di più, tanto che le punte dei loro nasi finirono per sfiorarsi.

-Ah davvero?- bisbigliò lui con un misto di malizia e cattiveria.

Non si era mai rivolto a lei in quel modo, tanto che il tono con il quale aveva pronunciato le ultime parole, la confuse parecchio.
Non riusciva a capire le sue intenzioni, non riusciva ad interpretare il suo comportamento.
Decise di rispondere alla provocazione, con l'unica arma che aveva a disposizione, l'unico aspetto della vita che sembrava essere sconosciuto all'uomo, l'unica cosa che avrebbe potuto metterlo in difficoltà. 

La dolcezza.

Jordan alzò una mano e Daryl fece per scansarsi, convinto che stesse per colpirlo, ma quello che successe dopo fece sicuramente più male di uno schiaffo.
La ragazza poggiò una delicata carezza sulla guancia dell'uomo resa ruvida dalla barba e gli sorrise.

-Daryl... io non ho paura di te.- sussurrò lei dolcemente.

Restarono fermi così per un tempo difficile da quantificare. L'imbarazzo era alle stelle, ma più che altro da parte di lui.
Era riuscita a fronteggiarlo e sconvolgerlo. 
Sconfitto e sorpreso dalla sua reazione, la lasciò libera, alzandosi.

-Bene.- disse allontanandosi da lei.

Rimasta sola, Jordan si raggomitolò sul letto, mentre una lacrima silenziosa le solcava il viso. Cercò di regolarizzare il battito cardiaco, ma le ci volle parecchio tempo prima di riuscirci, a causa del ricordo di quello sguardo e del calore del corpo che l'aveva avvolta tra le braccia, all'apparenza con violenza, ma senza la minima intenzione di farle del male e di quello ne era più che certa.

Quando trovò la forza di alzarsi dal letto, andò in bagno e guardandosi allo specchio notò le guance arrossate e gli occhi gonfi e lucidi.
Doveva scendere a fare colazione, non poteva dargliela vinta. Lui voleva metterla in difficoltà, era palese cosa stesse cercando di fare, stava tentando di spingerla lontano da sé il più possibile.
Si rinfrescò il viso e, sfoderando il suo miglior sorriso fasullo, si avviò verso il gazebo.
La caviglia le faceva male ed un po' di aiuto sarebbe stato gradito, ma, stringendo i denti, avrebbe portato avanti la sua commedia fino in fondo. 
Camminò ostentando una sicurezza che non le apparteneva e cercando di mantenere un'andatura il più regolare possibile, l'ultima cosa che desiderava era che Daryl la vedesse zoppicare o in difficoltà.
Senza far trasparire la fatica che in realtà stava facendo, giunse finalmente a destinazione e, dopo aver preso un piatto, si sedette ad uno dei tavoli.

Guardandosi intorno però scopri che tutto lo sforzo che aveva fatto per arrivare fino a lì era stato vano: Daryl non era ancora arrivato.
Stava mangiando, rassegnata, il suo pane tostato quando sentì una voce famigliare alle sue spalle.

-Toast e caffè grazie.- disse Daryl rivolto alla donna dietro al buffet.

Lei rispose qualcosa che non riuscì a capire e Jordan voltandosi scoprì che si trattasse della mamma di Paul.
Era una donna piuttosto sola da quando aveva perso il marito in una spedizione. Non dava mai confidenza a nessuno, ma da quando l'arciere aveva iniziato a dare lezioni a suo figlio, si era dimostrata molto gentile nei suoi confronti cercando di ricompensarlo come poteva.
L'uomo si attardò al tavolo del buffet, continuando a parlare con lei
Sarah, la ragazza che di solito stava al servizio, sostituì la mamma di Paul la quale prese un piatto e si accomodò ad uno dei tavoli con Daryl. 
Jordan fu molto infastidita dal non riuscire a sentire cosa si stessero dicendo e soprattutto, nel vedere che lui non l'avesse degnata di uno sguardo.

L'arciere, a due tavoli di distanza, stava conversando tranquillamente con Rebecca, la mamma del suo allievo.
Lui a dire il vero non parlava molto, ma lei sembrava aver bisogno di sfogarsi. Era sola e molto preoccupata per il ragazzino. Quando Paul le aveva raccontato di ciò che stava per succedere in missione era a dir poco morta di paura, ma la cosa che l'aveva colpita maggiormente era stato il gesto dell'uomo di prestare la sua arma al figlio per assicurarsi che sopravvivesse.
Ed era proprio quello l'argomento della loro conversazione. La donna era molto grata nei confronti di Daryl per avere riportato a casa Paul sano e salvo e non smetteva di ringraziarlo e domandargli come potesse sdebitarsi.
Quando ebbero finito la colazione lei fece per alzarsi a sparecchiare, ma lui con un gesto della mano la invitò a restare seduta e portò i piatti al loro posto.
Dopodiché tornò da Rebecca, la salutò e la donna si congedò da lui posandogli un delicato bacio su una guancia.
Quel gesto inaspettato lo fece irrigidire e, solo a quel punto si voltò incontrando gli occhi di Jordan che non lo avevano perso di vista nemmeno un attimo.
Alzò appena la testa nella sua direzione in segno di saluto e poi si avviò verso uno degli edifici per scoprire quali fossero i piani per quel giorno.

La ragazza non gli stacco gli occhi di dosso neanche per un secondo. Ciò che era successo quella mattina l'aveva scossa profondamente e il ricordo di Daryl sopra di lei, continuava a tormentarla e andò avanti a farlo per tutto il giorno, nonostante i vari impegni che avrebbero dovuto tenerle la mente occupata.
Sfortunatamente lei non poté prendere parte alla missione a causa del suo infortunio alla caviglia e vedere l'arciere uscire dal cancello con A.J e Paul le provocò una certa inquietudine.
Sapeva che lui era in grado di badare a sé stesso, ma il non essere là fuori a guardargli le spalle, le gettò addosso un'ansia incredibile.
La caviglia le doleva parecchio e pensò che l'unica cosa da fare fosse quella di andare nel suo alloggio a riposare, in attesa del ritorno del suo coinquilino.

Tentò di dormire, ma fu tutto inutile. Era troppo agitata per riuscire a rilassarsi a sufficienza, perciò decise di leggere un libro, non aveva molti titoli tra i quali scegliere, ma non le era mai pesato rileggere un testo, se le era piaciuto particolarmente.
In mezzo ai suoi oggetti personali trovò un libro di favole, quelle che le leggeva suo padre da bambina facendola sedere sulle sue ginocchia.
Aprì una pagina a caso e capitò sulla favola di Raperonzolo. Decise di leggerla, almeno fino a quando la luce lo avesse permesso.
E fu con il libro aperto sul petto che si addormentò.

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Capitolo 17
*** Capitolo 16- Look at me ***


Capitolo 16

LOOK AT ME

Il mattino seguente si svegliò piena di energia, come se quel sonno fosse stato rigenerante per lei. 
Si ricordava con chiarezza di essersi addormentata leggendo e l'idea di aver lasciato le candele accese tutta la notte la spaventò. Era capitato ad altri e le conseguenze erano state piuttosto gravi, con incendi e alloggi distrutti.
Non appena aprì gli occhi però, notò il libro appoggiato sul comodino, le candele spente e si rese conto di avere una coperta di lana addosso.
L'unica spiegazione plausibile era che Daryl fosse arrivato a notte fonda e, trovandola addormentata, aveva provveduto a coprirla ed a spegnere i lumini.
Si mise a sedere e passò in rassegna tutta la stanza, ma del suo coinquilino non vi era nessuna traccia.
L'unico segno lasciato dal suo passaggio era un bicchiere appoggiato sul tavolino accanto alle poltrone, molto probabilmente si era concesso un drink senza di lei.

Nel campo pratica, già dalle prime luci dell'alba, l'arciere si stava accanendo su uno dei sacchi, come se stesse cercando di sfogarsi.
Il giorno precedente era stato devastante. Prima Jordan ed il loro strano scontro, poi quel coglione di A.J che aveva rischiato per la seconda volta di farlo morire trascinando con sé anche quel moccioso di Paul ed infine di nuovo lei. Lei ed i suoi dannatissimi capelli biondi, lei e la sua stramaledetta espressione rilassata. Lei che riposava beata con un libro in grembo, lei e la strana inquietudine che aveva provato nel guardarla addormentata.
E forse era per quella vista che aveva deciso di tornare a dormire nel piccolo ufficio, anche se, prima di lasciare la stanza, si era assicurato che non morisse di freddo coprendola con una coperta di lana. 
La preferiva di gran lunga quando la credeva dotata di pene. Da quando aveva scoperto la verità gli risultava impossibile guardarla con gli stessi occhi. Ci provava, tentava con tutte le sue forze di tenerla a distanza, ma non sembrava riuscirci poi molto.
Jordan lo capiva al volo e lo leggeva come un libro aperto e la cosa lo faceva incazzare parecchio, impedendogli di essere completamente sé stesso.
La conversazione tra lei e Doc lo aveva messo ancora più in difficoltà. Non sapeva più come comportarsi ed evitarla gli sembrava la soluzione migliore anche se forse era soltanto la più facile.

Quando la piazza iniziò ad affollarsi si avvicinò al gazebo. Quella mattina fu uno dei primi ad arrivare per la colazione ed accanto al buffet trovò Rebecca che lo salutò con un gran sorriso.
Quella donna si stava comportando in modo fin troppo amichevole con lui ed era deciso a mettere un freno a qualsiasi cosa lei avesse in mente. Per ora si erano solo limitati a parlare di Paul, ma Daryl era preoccupato che potesse fraintendere il suo interesse per il ragazzo, leggendo un trasporto anche nei suoi confronti.
L'uomo si limitò ad un rapido cenno e, dopo aver preso la sua colazione, si accomodò ad uno dei tavoli.
Dopo pochi minuti Jordan si sedette di fronte a lui senza dire una parola.
Daryl continuò la sua colazione in silenzio, tendendo gli occhi bassi, ma sentendosi osservato.
La ragazza, sperando di non dare nell'occhio, continuava a lanciargli occhiate sbocconcellando un biscotto.

-Che c'è?- chiese lui forse stanco di quel silenzio.
-Che c'è?- ripeté lei fissandolo.

-Piantala di fissarmi.- disse lui alzando finalmente lo sguardo.

-Ti sopravvaluti.- fece la ragazza, mentre le sue guance si coloravano un poco.

-Devi dirmi qualcosa?- domandò Daryl smettendo di mangiare ed incrociando le braccia al petto.
-Forse.- sussurrò appena la ragazza.

Lui fece un gesto con la mano per invitarla a proseguire e restò in attesa, aspettando che lei si decidesse a parlare.

-Beh... volevo solo dirti grazie per...- iniziò lei giocando con la forchetta.

-Non ho fatto nulla che meriti un grazie.- disse lui brusco. 

Afferrò il suo piatto e si alzò, lasciandola lì sola a chiedersi dove avesse sbagliato.
Stava di nuovo superando il confine. Se l'avesse lasciata finire avrebbe dovuto inevitabilmente spiegare perché si fosse preoccupato di coprirla, il discorso avrebbe toccato argomenti che stava accuratamente cercando di evitare.
La osservò da lontano e notò che la sua caviglia sembrava andare meglio. Sperava fosse costretta a stare al rifugio anche quel giorno, sperava di non dover passare tutta la giornata a stretto contatto, ma purtroppo non sarebbe andata così.

Si ritrovò con lei e Paul accanto al cancello, in attesa di istruzioni da parte di Patrick.
Quando l'uomo li raggiunse, con addosso una delle sue solite t-shirt, un moto di rabbia colpì Daryl. 
Non era ancora riuscito a digerire il suo atteggiamento ed il modo che aveva di trattare le donne proprio non gli andava a genio.

-Signori buongiorno! Oggi vi spingerete a sud, abbiamo bisogno di medicinali. Le farmacie e gli ospedali sono già stati presi d'assalto, ma ad un paio di ore di viaggio da qui c'è una ditta di trasporti, erano incaricati di rifornire le cliniche della zona. Andate lì e frugate ovunque, potreste trovare qualcosa di utile. Tutto chiaro?- ordinò Patrick senza dare troppe spiegazioni.

-Cristallino.- rispose l'arciere seccato.

Quella volta poterono servirsi del pick-up e Daryl iniziò a pensare che forse le sue erano tutte congetture e che Patrick non stesse davvero cercando di sabotarlo.
Non era in pensiero per sé stesso, la sua vita valeva poco e niente secondo la sua opinione, era preoccupato per Paul e Jordan. 
Erano settimane che non avvertiva quello strano senso di protezione nei confronti di un altro essere umano. Forse era più che altro la sua coscienza ad avere qualcosa da obbiettare, non voleva essere responsabile di nessuno.

Il viaggio in macchina fu piuttosto silenzioso, Daryl guidava tendendo la mano destra sul volante e appoggiando il braccio sinistro sul finestrino lasciato aperto, con lo sguardo assorto, ed un'espressione quasi accigliata. Sulla sua fronte era ben visibile una ruga, segno che stesse pensando intensamente a qualcosa. 
Jordan, che era seduta sul sedile posteriore, stando ben attenta a non farsi scoprire, lanciava delle occhiate al viso dell'uomo attraverso lo specchietto retrovisore. 
Dopo la confessione fatta a Doc, non riusciva più a nascondere la sua attrazione per lui. Era evidente che quei suoi intensi e profondi occhi blu l'avessero sconvolta parecchio ed era altrettanto evidente che lei non avrebbe mai avuto lo stesso effetto su di lui.
Con un fremito che le percorse la schiena lasciandola disorientata, ricordò il corpo di Daryl premuto su di lei, il suo alito caldo che le soffiava sul viso quelle parole cariche di rabbia, il contatto del palmo della sua mano sulla guancia ruvida di lui e poi gli occhi. Quelle iridi che l'avevano inchiodata, incatenata senza possibilità di fuga. Persa nei suoi pensieri, non si accorse che il suo sguardo si era attardato sul riflesso del viso dell'arciere. Lui, dando una rapida occhiata nello specchietto retrovisore, si accorse di essere osservato da lei che nel frattempo, forse inconsapevolmente, si stava passando la lingua sulle labbra, lascivamente. 

Fu un attimo, la macchina sbandò e fortunatamente i riflessi di Paul furono piuttosto rapidi. Afferrò il volante rimettendo il mezzo sulla strada e facendo tornare in sé Daryl.
L'uomo fece un cenno con il capo al ragazzo per ringraziarlo e si passo una mano sul viso come se cercasse di riprendere il controllo. Scosse impercettibilmente la testa e si ritrovò a trattenere a stento ghigno.
La situazione ritornò alla normalità, almeno fino a quando il ragazzino, frugando nel portaoggetti, trovò la custodia di un CD. Lo girò un po' tra le mani e lesse ciò che c'era scritto sopra alla copertina.

-Per il mio orsetto.- disse Paul ridacchiando e sventolando il disco creando dei brillanti giochi di luce nell'abitacolo.

Continuando a ridacchiare inserì il CD nell'autoradio del pick-up e le note di una vecchia canzone riempirono l'interno del mezzo. 
Paul non sembrò apprezzare particolarmente le tracce presenti in quel disco. Premette un tasto ripetutamente mandando avanti quasi tutti i brani dopo un ascolto di pochi secondi. Arrivato al quinto però, si fermò e si accomodò meglio sul sedile tamburellando con le dita sulla portiera a ritmo di musica.

Mentre la voce di un uomo alla radio cantava di "Occhi famelici", Daryl lanciò una rapida occhiata allo specchietto, incontrando lo sguardo di Jordan, la scena di poco prima gli era decisamente bastata, non voleva che ricapitasse. Ricominciò a concentrarsi sulla guida e sulla spedizione che li attendeva relegando le labbra e la lingua di Jordan nella parte della sua mentre dedicata alle distrazioni.

Con il sottofondo di I will always love you, Paul si ricordò di avere qualcosa di importante da raccontare agli altri due.

-Avete sentito le voci alla base? Il malcontento nei confronti di Patrick sta crescendo ogni giorno di più.- disse il ragazzo.

-Di che parli?- domandò Jordan sedendosi a metà del sedile posteriore e sporgendosi in mezzo ai due anteriori.
Facendo ciò, allungò una mano e la appoggiò sulla spalla di Daryl che si irrigidì visibilmente. 

-Beh... ciò che è successo tra lui ed il Signor Dixon a causa mia è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Le donne sono stanche del modo in cui lui le tratta e anche molti degli uomini sono d'accordo con loro. Tanti dicono che ha fatto il suo tempo. Almeno questo è ciò che mi ha raccontato mia madre.- spiegò il ragazzo gesticolando.

-E' un coglione.- affermò l'uomo, spostandosi leggermente verso sinistra ed interrompendo il contatto con la mano della ragazza.

-Daryl!- lo redarguì lei, per l'insulto nei confronti di Patrick, ma forse, anche e soprattutto, per essersi allontanato da lei.

-Ah giusto! Per te è un genio.- disse Daryl scuotendo la testa con aria strafottente.

-Non è la persona migliore del mondo, ma neanche la peggiore.- spiegò la ragazza stringendosi nelle spalle.

-Svegliati Jordan! Fai quello che fai per colpa sua.- ringhiò l'uomo.

-Potremmo rimandare il discorso? Non siamo soli.- disse lei cercando di mantenere la calma.

-Oh tranquillo Jordan! Io sono un tipo discreto.- la rassicurò Paul, accompagnando le sue parole con un gesto della mano.

-Già, tranquiLLO Jordan! Paul è uno che si fa i cazzi suoi! Vero ragazzo?- fece Daryl rimarcando molto la o della parola tranquillo.

-Certo Signor Dixon.- rispose il ragazzino abbassando lo sguardo un po' intimidito.

Jordan sbuffando contrariata si lasciò andare sul sedile e lanciò un'occhiata a Daryl, carica di rabbia, attraverso lo specchietto. Lui come risposta si stampò un ghigno bastardo sulla faccia e lo mantenne per tutto il resto del tragitto in macchina.
Daryl si congratulò molto con sé stesso per quello scherzetto, l'aveva ripagata con la stessa moneta. 
Doveva evitare di guardarlo in quel modo, erano in missione, non in una gita di piacere, una minima distrazione poteva voler dire rischiare la pelle e lui aveva promesso a Rebecca di riportare il ragazzino a casa sano e salvo.

Giunti davanti al magazzino, una fila di grossi camion sbarrava l'ingresso e quindi dovettero lasciare il pick-up e proseguire a piedi.
Paul stava davanti a Daryl e Jordan chiudeva la fila.
Superato l'ostacolo si trovarono dentro ad una specie di cortile recintato e fortunatamente i vaganti non sembravano essere riusciti ad accedere a quella zona.
Daryl, sempre tenendo d'occhio il ragazzino, rallentò un po' per permettere a Jordan di raggiungerlo e quando lei si affiancò e fece per superarlo, lui allungò un braccio e le sbarrò la strada facendola rallentare bruscamente.

-Un'altra stronzata come quella di prima e vado dritto da Patrick a raccontare la verità, chiaro?- mormorò sottovoce per non farsi sentire da Paul, ma con un tono carico di fastidio.

-Non ho fatto nulla di così grave, sei tu ad essere distratto a quanto pare.- disse lei abbassandogli il braccio e ricominciando a camminare distanziandolo di qualche passo.

A quel punto la ragazza si voltò e gli fece una linguaccia. Era dannatamente brava a sdrammatizzare ed a togliersi dagli impicci, Daryl si ripromise di tenerlo a mente. Le parole erano sue alleate e riusciva sempre a dire la cosa giusta al momento giusto, riuscendo il più delle volte a spiazzarlo e zittirlo.

In due rapide falcate la raggiunse e iniziò a camminarle accanto.

-Non ci riuscirai.- disse lasciando appositamente la frase a metà.

Lei lo guardò con aria interrogativa senza fare domande, aspettando che lui continuasse la sua spiegazione.

-Non riuscirai a fottermi il cervello!- affermò lui picchiettandosi la tempia con un dito e ricominciando a camminare raggiungendo Paul.

Paul era un ragazzino silenzioso e che sapeva farsi gli affari suoi, ma quella conversazione lo aveva incuriosito. Al rifugio si spettegolava sul rapporto che legava Jordan ed il Signor Dixon, in molti insinuavano che quei due avessero una relazione, ma lui non aveva mai dato adito a quelle voci, catalogandole appunto come dicerie senza senso dettate dalla noia, invece vedendo il modo in cui quei due interagivano, non poté fare a meno di domandarsi se gli abitanti dell'Area 51 avessero ragione.
Il loro punzecchiarsi gli ricordò molto quello dei suoi genitori  e poco gli importava se fossero due uomini, quelli erano palesemente bisticci tra innamorati.

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Capitolo 18
*** Capitolo 17- Keeping promises ***


Capitolo 17

KEEPING PROMISES.

Raggiunta la porta d'ingresso di quel magazzino ed una volta riusciti ad entrare all'interno dopo averla forzata, si trovarono davanti un immenso deposito di scatoloni.
Quel posto era davvero troppo grande per essere ispezionato solo da tre persone.
Daryl si guardò un po' intorno, per quanto gli fosse possibile con la luce limitata prodotta dalla sua torcia e contò dodici file di grossi scaffali di ferro alti fino al soffitto, con sopra impilate centinaia di scatole.
Dovevano mettersi a lavoro il più in fretta possibile per sperare di poter ispezionare tutta l'intera struttura in un giorno solo, era fondamentale che tornassero prima del calare del sole, Paul non era pronto per passare una notte fuori dal rifugio.

Ancora una volta Daryl si stupì dell'attenzione che metteva nel proteggere quel ragazzino. Ormai si era impossessato della sua balestra e la cosa che più lo lasciava perplesso era che fosse stato lui stesso a proporglielo. Quel suo attaccamento a Paul non poteva solo essere giustificato dalla promessa fatta a Rebecca. Quel ragazzino lo aveva colpito, se lei fosse stata lì gli avrebbe propinato una delle sue stronzate del tipo: "Daryl ti importa di lui perché tu sei fatto così, aiuti le persone che ne hanno bisogno.", ma non era con lui, non più, ora con lui c'erano il moccioso e la travestita. Come si era ridotto. Erano il trio più strano che si fosse mai visto, ma ciò nonostante, anche se faticava ad ammetterlo, avrebbe sacrificato volentieri la sua vita per salvare quella degli altri due.

-Signor Dixon, come procediamo?- chiese Paul in attesa di ricevere istruzioni da quello che era diventato il suo mentore.

-Non possiamo dividerci.- rispose pensieroso.

-Perché no? E' la soluzione migliore, questo posto è immenso, ci sono dodici scaffali, noi siamo tre quindi...- spiegò Jordan, non riuscendo però ad ultimare il suo discorso perché interrotta bruscamente dall'arciere.

-Non ci divideremo!- disse Daryl, alterato.

-Non finiremo mai prima di sera. Daryl ragiona che diamine! Sappiamo badare a noi stessi, lo sai.- tentò di convincerlo lei.

La pazienza dell'uomo però, era giunta al limite. Non potevano dividersi, era fuori discussione, il senso di protezione che sentiva nei confronti dei due gli impediva di prendere in considerazione quell'opzione. Non voleva dover tornare da Rebecca con il corpo del figlio tra le braccia o doverle raccontare che il ragazzino era stato sbranato davanti ai suoi occhi, no, non ne sarebbe stato in grado.
Con gli occhi ridotti a due fessure, si avvicinò minaccioso a Jordan e, quando le fu ad un palmo dal naso, le parlò fissandola e puntandosi la torcia sotto al mento per farle vedere bene la sua espressione.

-Ho perso troppe persone, è chiaro? Non ci divideremo.- disse con una sincerità disarmante.

Jordan a quel punto non osò ribattere. Non poteva niente contro quegli occhi e quelle parole. Si limitò ad annuire e, quando lui si allontanò, lasciò andare il respiro che aveva trattenuto avendolo così vicino.

Era lei ad avere il cervello fottuto da lui, non viceversa.

Con i sensi ben all'erta, iniziarono la loro ispezione, avevano tre grossi zaini da riempire con più medicinali possibili.
Con loro grande sorpresa scoprirono che gli scaffali erano ben organizzati. In alto c'erano dei cartelli che indicavano il tipo di prodotto presente in quella sezione, sembrava di essere in un supermercato.
Il primo corridoio era quello delle bende e delle medicazioni, poi arrivarono a quello dei medicinali da banco ed a quello degli antibiotici.
Aprirono gli scatoloni svuotandone il contenuto nei loro zaini, riempiendoli il più possibile. Daryl caricò il suo zaino con i flaconi più pesanti, lasciando a Jordan e Paul gli oggetti più leggeri come siringhe e garze.

Quello piccole attenzioni, che sarebbero passate inosservate ad un occhio poco attento, non sfuggirono alla ragazza che, con il suo animo sentimentale, non poté far altro che leggere una qualche forma di interesse nei suoi confronti. Probabilmente l'interesse che lui aveva per lei era ben lontano dall'essere di tipo romantico, ma Jordan non riuscì ad impedirsi di sorridere. Non voleva volare troppo di fantasia e costruire castelli in aria che sarebbero crollati in fretta scontrandosi con la realtà, ma quell'uomo dagli occhi blu l'aveva colpita, arrivandole dritta alla testa prima ancora che al cuore e quel genere di attrazione, quella mentale, era dannatamente più difficile da ignorare di quella fisica.

Doveva concentrarsi e tentare di ignorare i brividi che le correvano lungo la schiena ogni volta che lui le sfiorava, di sicuro involontariamente, la spalla, aiutandola ad indossare il suo zaino dopo aver aggiunto un nuovo carico.
Doveva ignorare la visione dei suoi muscoli delle braccia tesi e ricoperti da un sottile strato di sudore che sembravano brillare ogni volta che la luce della torcia li colpiva.
Doveva evitare di tornare con la mente a quando si era svegliata accoccolata a lui, quella era la cosa più difficile da fare. 
Una piccola distrazione avrebbe potuto esserle fatale, ma averlo così vicino le stava facendo perdere ogni traccia di buon senso.

Fu proprio perché aveva la testa tra le nuvole che non si accorse di quella spranga di ferro che sporgeva da uno degli scaffali e fu proprio per il suo momento di disattenzione che, passandoci accanto, si procurò una ferita al fianco destro.
Faceva un male insopportabile, ma per evitare di fare la figura dell'idiota, strinse i denti e nascose lo squarcio chiudendosi il giacchetto nero che indossava.
Sperando che Daryl non notasse la sua andatura scomposta ed il suo sguardo sofferente, proseguì il cammino, seguendo gli altri due e tentando di tenere il passo.

Verso l'ultimo corridoio, la vista della ragazza iniziò ad annebbiarsi, ma tenne duro, convinta che sarebbero presto tornati a casa. Con la consolazione di quel pensiero, raccolse tutte le sue forze e fece un ultimo sforzo.
Quando anche il dodicesimo scaffale fu ispezionato e gli zaini riempiti al massimo, si avviarono verso l'uscita per raggiungere il loro pick-up. 

Paul, da ragazzino un po' sprovveduto quale era, aprì la porta di fretta, senza prima controllare la situazione all'esterno.
Un errore da principiante. Immediatamente una decina di erranti che si erano accalcati davanti all'ingresso, si riversarono all'interno del magazzino, scagliandosi sui tre pronti a banchettare con le loro membra.
Daryl si lanciò contro la porta, provando a bloccarla con il suo corpo per impedire ad altri vaganti di entrare. Paul con il coltello, come gli aveva insegnato il suo maestro, si difese in maniera egregia, piantando la lama nel cranio e abbattendone un paio.
Jordan, affaticata sia dal peso dello zaino, ma soprattutto dalla ferita, brandì il suo tomahawk, ma i suoi movimenti erano scoordinati e non aggraziati come al solito. 
L'arciere notò quel suo cambiamento, ma lo attribuì al carico che stava trasportando e non ci diede molto peso, continuando a sbarrare la porta. Quando gli altri due riuscirono, anche se con una certa fatica ad eliminare gli erranti, Paul afferrò una cassa e chiedendo aiuto a Jordan riuscirono a spostarla davanti all'ingresso sbarrandolo.

La ragazza era allo stremo delle forze e si mise a sedere sul pavimento, dicendo ai suoi compagni di aver bisogno di un attimo per riprendersi.
Daryl iniziò ad agitarsi, percorse il perimetro del magazzino, ispezionando tutti i muri in cerca di un'altra via d'uscita. Paul restò accanto alla ragazza a sorvegliare la porta, pregando che la cassa reggesse ed impedisse alla mandria di attaccarli.

Quando l'uomo raggiunse la parte opposta della struttura, un urlo ed uno sparo lo obbligarono a tornare indietro.
Corse più veloce che poté e si trovò davanti Jordan sdraiata per terra e ansimante con la pistola in mano ed un errante con ancora la testa sulla sua caviglia.

Daryl, sgranò gli occhi e con aria sconvolta si accasciò su Jordan scostando il cadavere che le bloccava la gamba e controllando minuziosamente la sua caviglia in cerca di morsi.
Era agitato, la ragazza non l'aveva mai visto in quello stato, sembrava in preda al panico.

-Ha morso lo scarpone. Daryl... sto bene...- disse posando una mano su quella di lui, infischiandosene di Paul e di quello che avrebbe potuto pensare.

L'arciere fece un cenno con il capo e si alzò, ricomponendosi immediatamente e riassumendo il suo atteggiamento glaciale.
Il ragazzino allungò una mano e aiutò la ragazza ad alzarsi e restarono in attesa di sentire il piano di Daryl.
Nessuno lo aveva eletto loro capo, ma la naturale evoluzione delle cose, lo aveva messo al comando del gruppo.

-C'è una porta laggiù, dietro potrebbero esserci le scale che portano a quell'ufficio lassù. Da lì potremmo riuscire a raggiungere le scale esterne.- spiegò l'arciere indicando verso sinistra.

Con i loro zaini in spalla seguirono l'uomo fino alla porta di cui aveva parlato e, con molta più cautela di prima, la aprirono e si trovarono davanti ad una rampa di scale esattamente come aveva previsto lui.
Salirono con attenzione, puntando la torcia in tutti gli angoli per evitare spiacevoli sorprese e raggiunsero effettivamente l'ufficio.
Fu lì che, appesa ad una delle pareti, faceva bella mostra di sé una balestra. Paul non la notò immediatamente, spaventato com'era, ma un fischio di Daryl gli fece scoprire quel tesoro.

-Ti ho trovato una balestra.- disse l'arciere sogghignando e staccandola dal chiodo sul quale era fissata.

-Per me?- domandò Paul timidamente.

-Ora quel coglione di Patrick non potrà avere nulla da obbiettare, è tua, l'hai trovata.- affermò Daryl armeggiando con quella nuova arma e controllandone le condizioni.

-Funziona?- chiese Jordan, con un certo affanno nella voce.

-Avrà bisogno di manutenzione, ma sarà perfetta.- disse l'uomo porgendo la nuova arma al ragazzo.

La ragazza era veramente arrivata al limite e, per quanto le facesse piacere che Paul avesse una balestra tutta sua, l'unica cosa che desiderava al momento era tornare a casa e riposare. La sua ferita era piuttosto grave, se ne stava rendendo conto ad ogni secondo che passava.
Daryl si affacciò dalla finestra e apprese che circa un metro più a sinistra del davanzale, c'era la scala antincendio.
Era un piccolo salto, nulla di pericoloso, da lì sarebbero riusciti a scendere ad a raggiungere il loro mezzo. La fila di camion che sbarravano l'ingresso si trovava a pochi metri di distanza dalla scala. Era tutto piuttosto semplice.

Paul fu mandato per primo e senza difficoltà saltò raggiungendo la piattaforma di metallo che traballò un poco.
Daryl lanciò gli zaini al ragazzo e fece saltare per seconda Jordan. 
Era spaventata e completamente esausta. Con un balzo poco convinto tento di raggiungere il ragazzo, ma mancò la piattaforma di un soffio, restando appesa con le gambe a penzoloni.
Paul allungò immediatamente le mani e facendo appello a tutte le sue forze, la sollevò portandola in salvo.

L'arciere che aveva assistito alla scena, prima di saltare si passò una mano sul viso.
Aveva rischiato di morire davanti ai suoi occhi per due volte nel giro di pochi minuti, stava arrivando al limite.
Vedendola scossa e stanca, si caricò anche il suo zaino e, uno alla volta, scesero la scala mettendosi finalmente in salvo.
Daryl iniziò ad intuire che qualcosa non andava nella ragazza, ma la loro priorità era raggiungere al più presto il pick-up.
Corsero a perdifiato superando la fila di camion ed arrivarono al loro mezzo, fortunatamente illesi.

Per Jordan, quell'automobile rossa con la vernice scrostata e piena di ammaccature, fu una visione celestiale.
Si affrettò a salire sul mezzo sistemandosi sul sedile posteriore, accasciandosi stremata e dolorante.
Paul salì, come all'andata sul lato del passeggero e Daryl, dopo aver caricato i loro zaini, si mise al posto di guida e partirono diretti verso casa.

Paul teneva stretta fra le braccia la sua balestra, osservandola come se fosse un tesoro prezioso e lanciando occhiate piene di gratitudine all'uomo che gli stava seduto accanto.
Aveva perso suo padre in una missione, prima che avesse il tempo di insegnarli a difendersi ed era certo che ovunque si trovasse, sarebbe stato fiero di suo figlio e molto riconoscente al Signor Dixon che se ne stava occupando.
L'arciere si voltò verso il ragazzino e notò il modo in cui stava stringendo l'arma e sorrise. Non un ghigno, non la sua solita espressione strafottente, un sorriso vero e sincero.

"Ragazzina hai il merito o forse dovrei dire la colpa, di questo." pensò tra sé rivolgendo lo sguardo alle nuvole, ma continuando a sorridere.

Jordan non disse una parola per tutto il viaggio di ritorno, restò accasciata sul sedile, lottando con le unghie e con i denti per non svenire, ma nonostante i suoi sforzi, perse conoscenza.

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Capitolo 19
*** Capitolo 18- You are the best thing ***


Capitolo 18
 
YOU ARE THE BEST THING

-Non vorrei mai interrompere il pisolino di Vostra Maestà, ma siamo arrivati.- disse Daryl scuotendo con forza la ragazza e facendola tornare tra loro bruscamente.

Il fianco le faceva un male terribile, era debole e stanca, aveva solo voglia di dormire. Con uno sforzo immane si sedette sul sedile e si passò una mano sul viso per tentare di svegliarsi per bene.
Era a pezzi e la ferita doveva essere davvero più grave di quanto aveva pensato all'inizio, sentiva la t-shirt che indossava sotto il giacchetto bagnata ed appiccicata alla pelle, molto probabilmente aveva perso più sangue del previsto.
Barcollando appena, ma cercando di mantenere una certa disinvoltura, scese dalla macchina e salutò tutti dicendo di non sentirsi troppo bene.
Salendo le scale che la dividevano dal suo tanto agognato riposo, a quattro zampe, raggiunse finalmente la stanza, buttandosi sul letto, dal lato che di solito occupava il suo compagno ed avvolgendosi malamente in un coperta.
Fu così che si addormentò e così che la trovò Daryl un'ora più tardi.

Non osò svegliarla, sembrava davvero esausta. Si era addormentata con ancora addosso i vestiti e addirittura con la giacca e le scarpe.
Con attenzione, l'uomo decise di toglierle almeno gli scarponi e delicatamente iniziò a sciogliere i nodi dei lacci, riuscendo a liberarle i piedi senza svegliarla.
Si girò tra le mani la scarpa della ragazza, osservando le macchie di sangue su di essa e ringraziando lo spessore del cuoio che aveva impedito a quel bastardo di morderla. 
Se fosse stata morsa non era certo che avrebbe avuto il coraggio di finirla, aveva visto morire troppe persone a lui care, perdere anche lei, quella fastidiosa palla al piede che si portava appresso, sarebbe stato veramente troppo.
Vedendola tremante e infreddolita, le posò addosso un'altra coperta assicurandosi che stesse al caldo e si stese accanto a lei, prendendo sonno in breve tempo.

Qualche ora più tardi qualcosa lo svegliò.
Una mano che dire calda sarebbe stato un eufemismo. Una carezza bollente sul suo bicipite. Un tocco infuocato.
Si svegliò di colpo avvertendo un una sensazione di calore al braccio.

Accese le candele sul comodino e ne sollevò una per illuminare il viso di Jordan.
Era pallida, tremante e sudata. Era chiaro che avesse la febbre.
Le poggiò una mano sulla fronte, scostandole un ciuffo di capelli un po' più lungo degli altri, per sentire quando realmente scottasse.
La sua temperatura era davvero troppo alta. Quando tolse la mano, pensando a cosa fosse opportuno fare, la ragazza iniziò ad agitarsi pronunciando frasi sconnesse e muovendo le mani come se stesse scacciando un nemico invisibile. Stava avendo le allucinazioni e Daryl le tolse la coperta e la sollevò dal letto prendendola tra le braccia,  doveva portarla alla svelta dal dottor Reynolds.
Prima di spegnere le candele, diede un'occhiata al letto e notò una grossa macchia di sangue proprio dove prima era sdraiata lei. 

Senza aspettare oltre, spense i lumini con un soffio e, stringendola a sé il più possibile per ripararla dall'aria fresca della notte, corse fuori e raggiunse l'edificio dove si trovava l'infermeria.

Spalancò la porta con un calcio e adagiò la ragazza sul primo letto disponibile che trovò.
Di Doc, però, non vi era nessuna traccia e, senza perdere un minuto di più, uscì in corridoio diretto verso la stanza del dottore.
Lui non stava nell'edificio dove dormivano tutti, aveva un alloggio lì vicino all'infermeria per essere sempre facilmente reperibile.

Daryl bussò con forza sulla porta e chiamò il dottore a gran voce per diversi minuti, impaziente di tornare accanto a Jordan.
Improvvisamente un lampo gli attraversò la mente. Il sangue, la febbre... 
Con ancora più disperazione di prima, continuò a bussare usando pugni a calci, rischiando di buttare giù la porta per tutta la forza che ci stava mettendo.
Finalmente il dottore si decise ad aprire e, trovandosi davanti un Daryl a dir poco sconvolto, capì all'istante di chi si trattasse.

Insieme raggiunsero immediatamente l'infermeria e Doc iniziò a liberare Jordan dai vestiti e, quando le slacciò il giacchetto, vide quell'estesa macchia di sangue sulla maglietta della ragazza.

-Come si è ferita?- chiese il medico a Daryl mentre con delicatezza sollevava il tessuto che si era appiccicato alla pelle.

-Ferita?- domandò l'arciere confuso.

Doc non perse tempo in spiegazioni, sollevò la t-shirt e tagliò il tessuto con le forbici esponendo il fianco della ragazza.

-E' un...- azzardò Daryl impietrito.

-Un morso? No, sembra di più una ferita di un'arma da taglio, ma non posso dirlo con certezza, possiamo solo aspettare che la febbre scenda, si svegli e sia lei a dircelo.- spiegò il dottore armeggiando con una boccetta di disinfettante e pulendo la ferita con una garza.

Al contatto con il liquido, Jordan sussultò per il dolore. 
Daryl era accanto alla porta della stanza ad osservare la scena. Non l'aveva mai vista così vulnerabile. Avrebbe voluto rendersi utile, ma non riusciva a muoversi di un centimetro, sembrava che i suoi piedi fossero inchiodati al pavimento.

Il dottore era indaffarato a pulire la ferita della ragazza e nel frattempo aveva preparato una siringa, del filo da sutura ed un ago.
Le iniettò quello che Daryl pensò essere un anestetico e le ricucì lo squarcio che aveva sul fianco. 
Avrebbe dovuto lasciarle la sua privacy, era su quel lettino, mezza nuda ed esposta, senza possibilità di coprirsi, ma l'idea di andarsene da quella stanza non era contemplata. Voleva restare lì, lei non lo aveva abbandonato quando era ferito, lei era rimasta con lui nonostante i suoi modi bruschi.

Il Dottor Reynolds infilò un ago nel braccio di Jordan e le attaccò una flebo, doveva farle scendere la febbre al più presto.

Appoggiò una benda bagnata con dell'acqua fredda sulla fronte della ragazza e si sedette su una sedia poco distante. 
Aveva fatto tutto ciò che era in suo potere. L'aveva pulita e ricucita e le stava iniettando degli antibiotici e degli antipiretici. Potevano solo aspettare.
Daryl si sedette, girando la sedia al contrario, accanto al letto della ragazza, ma dal lato opposto a quello del dottore, con le braccia incrociate sullo schienale ed il mento poggiato su di esse.

Lo sguardo fisso. Non si muoveva nemmeno di un centimetro. Concentrato su di lei come se nella stanza non ci fosse nessun'altro. Il dottore si era alzato, spostato, mosso, durante la notte, ma Daryl non si era distratto neanche per una frazione di secondo. 

Alle prime luci dell'alba, Doc si sdraiò su uno dei letti vuoti, stanco di stare seduto su quella scomoda sedia, dicendo all'arciere di fare lo stesso, ma lui non volle sentire ragioni, era esattamente dove voleva essere.

Quando anche il dottore crollo in un sonno profondo, si alzò per sgranchirsi un po' le gambe e poi avvicinò la sedia il più possibile al letto della ragazza e si sedette, prendendole una mano tra le proprie. 
Era incosciente ed in quella stanza non c'era nessuno che potesse essere testimone di quel gesto, forse fu proprio per quello che decise di farlo.
-Non un'altra volta...- sussurrò con un filo di voce per non svegliare nessuno.
Mentre una lacrima, silenziosa e traditrice, gli scivolò sul viso.

-Daryl! Ehi Signor Dixon?-
 Una luce accecante.
-Signor Dixon? Hai intenzione di svegliarti o devo prenderti a calci?-
Una voce famigliare.
-Oh! Buongiorno! Ce l'hai fatta finalmente!-
Beth! 
-Come...? Cosa? Sto sognando?-
-Beh... mi pare evidente no? Io sono morta.- 
-E allora cosa...?-
-Non chiederlo a me, siamo nella tua testa.-
-E che diavolo ci facciamo qui?-
-Ah non lo so! Sei tu che mi hai chiamata.-
-Io?-
-Certo, sennò perché sarei qui altrimenti?-
-Non capisco...-
-Io penso che sia per lei.-
-Rischia di morire.-
-Lo so, mi dispiace molto. Hai ancora l'abitudine di darti le colpe?-
-Come?-
-Non è colpa tua, né per lei né tanto meno per me.-
-Io non ne sono così sicuro.-
-Lei ti piace non è vero?-
-Figurati, non diciamo cazzate.-
-Lei ti piace, questo è sicuro, è sveglia, intelligente ed è bella.-
-Perché te ne sei andata?-
-Affinché tu incontrassi lei, mi pare evidente.-
-Sei stata un sciocca!-
-E' stato il destino, Signor Dixon, osi dare dello sciocco al destino?-
-Fanculo anche al destino!-
Un suono meraviglioso, la sua risata.
-Daryl...lei ti piace ed è per questo che ora ti sveglierai.-
-No, non ancora, io...-


-Reno? Non sono ancora morta, mi pare prematuro metterti a piangere.- sussurrò Jordan, svegliatasi con una mano stretta in quella di Daryl.

L'arciere non capì immediatamente le parole della ragazza, ma passandosi una mano sulle guance le trovò umide, aveva pianto, per lei e per la paura di vederla morire. Era piombata nella sua vita come un uragano, proprio quando la porta era chiusa e sigillata, ma lei si era fatta strada, l'aveva abbattuta ed era entrata prepotentemente, ignorando il suo brutto carattere, infischiandosene delle sue resistenze.
Lo aveva investito con la delicatezza di un panzer, riportandolo a vivere ed a fidarsi.

-Sei stata morsa?- chiese senza aggiungere altro, ma continuando a tenerle la mano.

-No, un incidente banalissimo, una spranga di ferro, non l'ho vista e mi sono ferita. Ero distratta, pensavo ad... altro...- spiegò lei diventando rossa in viso.

Daryl sospirò, lasciando finalmente andare la paura di quella notte. Aveva seriamente creduto che quello fosse un addio e, quello stupido soprannome non gli era mai piaciuto così tanto come in quel momento.

-Sai... mi sbagliavo.- disse lui, lasciando la presa sulla mano della ragazza ed alzandosi dalla sedia.

-Riguardo cosa?- domandò Jordan confusa.

L'uomo non rispose, la guardò e si picchiettò la tempia con un dito, proprio come aveva fatto dopo la loro conversazione durante l'ultima missione.
Lei sorrise, capendo perfettamente cosa volesse dirle e come risposta imitò il gesto dell'uomo.

Si erano entrati nella testa vicendevolmente ed era inutile continuare a negarlo. 
Gli era capitato altre volte di sognare Beth e di solito si svegliava di umore pessimo e con una grande angoscia, ma quella volta era stato diverso, era stato come un modo per salutarsi. 
Se Merle lo avesse visto gli avrebbe detto una cosa tipo: "Hai un debole per le biondine eh fratellino?" e pensando a quanto lo avrebbe deriso in una situazione del genere, gli venne spontaneo sorridere.

Jordan tossì appena e Daryl, apprensivo e protettivo come al solito, le fu vicino in un batter d'occhio con un bicchiere d'acqua in mano.
La ragazza ne bevve un sorso ed iniziò a ridere, tenendosi una mano sul fianco per paura che le si strappassero i punti.

-Che diavolo hai da ridere?- chiese l'arciere.
-Tu!- rispose la ragazza continuando a ridere.

-Io che cosa?- domandò ancora lui.

-Eri preoccupato per me. Allora un po' di piaccio... ammettilo Reno, è inutile continuare a negarlo!- affermò lei ammiccando divertita.

Daryl sbuffò, allontanadosi dal letto e avviandosi verso la porta. Voleva passare in camera a farsi una doccia, sarebbe ritornato da lei più tardi.
Stava bene e si sarebbe rimessa quanto prima, poteva finalmente lasciarsi andare, dopo aver passato tutta la notte, teso come una corda di violino, ad osservarla.

Prima di lasciare la stanza però, senza voltarsi, le disse un'ultima frase e quella fu la condanna definitiva per la ragazza, con pochissime parole toccò le corde più profonde dell'animo romantico di Jordan.

-Non andartene, tornerò più tardi.- 

Quel non andartene suonò alle orecchie della ragazza come un "ho avuto una paura fottuta di vederti morire e non lo avrei sopportato, ma non sono in grado di esprimere i miei pensieri a parole" e a lei tanto bastava, sapeva di non potersi aspettare nulla di più dall'uomo, ma a dirla tutta, quel suo essere così burbero contribuiva ad accrescere il suo fascino.

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Capitolo 20
*** Capitolo 19- Always on my mind ***


Capitolo 19

ALWAYS ON MY MIND.
 
Jordan era viva. La febbre era scesa e il peggio sembrava essere passato, certo avrebbe dovuto riposarsi molto e Doc aveva insistito affinché rimanesse qualche giorno in infermeria, ma stava bene ed era quello l'importante.
Daryl andava a trovarla ogni giorno e la ragazza non vedeva l'ora di poter finalmente tornare nella loro stanza. Durante la notte sentiva terribilmente la sua mancanza, ovviamente, a lui non lo avrebbe mai detto per paura di spaventarlo, ma il non averlo vicino la faceva sentire vuota.
L'uomo faceva il suo ingresso nell'infermeria solitamente verso le prime ore del pomeriggio e Jordan, dopo pranzo, iniziava ad agitarsi, pettinandosi i capelli e dandosi dei leggeri pizzicotti sulle guance per cercare di riprendere un po' di colore.
Il dottor Reynolds rideva di lei molto spesso, prendendola in giro e definendola una "scolaretta alla prima cotta" e, fondamentalmente, doveva ammettere che era esattamente così che si sentiva. Ogni volta che lo vedeva entrare da quella porta, si sentiva leggera. Lo stomaco sottosopra, le gambe molli ed un brivido che partiva dal collo e si estendeva per tutta la sua colonna vertebrale.

Quel pomeriggio non faceva eccezione. Dopo aver consumato il pranzo, portatole da Rebecca, Jordan iniziò ad agitarsi. La salivazione azzerata ed un tremolio alle mani che la faceva impazzire.
Si passo le dita tra i capelli, cercando di districare quei suoi ricci, stavano crescendo ed iniziavano a somigliare sempre di più ad un cespuglio e poi, come al solito, si pizzicò le guance.

-Come ti sembro?- domandò la ragazza al dottore.

-In preda al panico.- rispose lui sghignazzando.

-No, voglio sapere se ti sembro carina!- esclamò lei alzando gli occhi al cielo.

-Sei la solita Jordan, non vedo poi molta differenza rispetto a ieri.- fece lui dopo averla osservata per qualche secondo.

Lei, sconsolata si affossò sul cuscino, incrociando le braccia al petto ed iniziando a fissare la porta in attesa che lui arrivasse. 
Dopo un paio d'ore, tuttavia, di Daryl ancora nessuna traccia.
Non era da lui tardare così tanto, qualcosa doveva averlo trattenuto ed un terribile presentimento si fece strada nella mente della ragazza.
Ora che lei era fuori combattimento, l'uomo aveva molta più libertà, avrebbe potuto approfondire la sua conoscenza con Rebecca senza averla tra i piedi.
Era una bella donna, senza ombra di dubbio molto più di lei e, sebbene lui non dimostrasse poi molto interesse, era comunque un uomo ed aveva degli istinti. 
Tra di loro non era successo nulla di vincolante, lui si stava soltanto dimostrando amichevole nei suoi confronti, quindi era liberissimo di frequentare un'altra donna senza che lei avesse alcun diritto di sentirsi tradita, almeno teoricamente avrebbe dovuto essere così. Ma la realtà era ben diversa, Jordan non avrebbe sopportato di vederlo con nessuna, aveva faticato tanto per raggiungerlo, per farlo aprire con lei, almeno un po', doveva pur valere qualcosa!

Passò un'altra ora e Jordan iniziò davvero a credere che quel giorno non si sarebbero visti. Avrebbe voluto alzarsi dal letto, sgattaiolare fuori ed andare a cercarlo.
Era arrabbiata. Il giorno prima le aveva detto: "Ci vediamo domani". Non avrebbe dovuto prometterle che sarebbe andato a trovarla per poi non presentarsi, era scortese, quello non era il modo di comportarsi con una ragazza.
Sbuffò rumorosamente battendo i pugni sul letto e distogliendo il dottore dalla sua lettura.
L'uomo alzò la testa dalle sue scartoffie e guardò con aria divertita la ragazza che sembrava veramente sull'orlo di una crisi di nervi.

-Lui non verrà. Oggi è in missione con A.J e Paul. Negozio di elettrodomestici a quanto ho sentito.- spiegò Doc ritornando a guardare i suoi documenti.

-A che diavolo servono gli elettrodomestici se non abbiamo l'elettricità?- chiese lei scocciata.

-Beh a quanto pare, poco lontano da qui hanno trovato dei pannelli solari e Patrick crede che in qualche modo potrebbero riuscire a farli funzionare, anche se secondo me è una stronzata bella e buona.- disse lui scuotendo la testa.

-Parli come Daryl.- brontolò la ragazza.

-Beh sai... inizio a credere che lui abbia ragione e poi, con tutte quelle voci sul conto di Patrick. La gente non è felice, nessuno è soddisfatto del suo modo di gestire le cose, c'è chi parla di un colpo di stato.- affermò il medico ridacchiando.

Jordan alzò gli occhi al cielo. Aveva già affrontato quel discorso con un'altra persona e non voleva certo riprenderlo anche con il dottore.
Per quel giorno probabilmente non lo avrebbe visto e la cosa la rese veramente triste. Saperlo là fuori senza di lei aggiunse una certa ansia alla tristezza. 

-Vuoi qualcosa da leggere per passare il tempo?- le chiese Doc porgendole un grosso librone con la copertina di pelle.

-Che roba è?- domandò la ragazza osservando il pesante tomo che stringeva tra le mani l'uomo.

-Le opere di Shakespeare, l'ho trovato in uno degli uffici. Allora lo vuoi o no?- disse lui sventolandole sotto il naso il libro.

Lei annuì e lo afferrò, aprendo una pagina a caso ed iniziando a leggere.
La scena del balcone, Romeo e Giulietta, giusto ciò che le serviva in quel momento.
Il suo Romeo era in missione e lei era obbligata a restare a letto, aspettando che quella stupida ferita guarisse.
Il suo Romeo. Si diede della sciocca anche solo per averci pensato e, ridacchiando, andò avanti a leggere.

Quando i due giovani amanti descritti da Shakespeare esalarono l'ultimo respiro, Jordan chiuse il libro con un sonoro tonfo che fece sussultare Doc.
Diverse ore erano passate e ormai la penombra della sera aveva sostituito la luce delle ore pomeridiane. Daryl non si era fatto vivo e l'idea che non fosse ancora tornato dalla spedizione le mise addosso un opprimente senso di inquietudine che la scosse terribilmente. Doveva tornare, glielo aveva promesso.

Quando il buio della notte scese sull'Area 51, la ragazza si rassegnò. L'arciere non sarebbe andato a trovarla, probabilmente aveva trovato qualcosa di meglio per occupare il tempo, una persona migliore con la quale intrattenersi.
L'ultima cosa che avrebbe voluto fare era mettersi a piangere come una bambina idiota, ma una lacrima, dispettosa e disubbidiente, sfuggì al suo controllo, scendendole lungo la guancia ed andando a depositarsi sul cuscino.
Investire troppe emozioni su quel poco che avevano condiviso non era per niente salutare, dopotutto lui non le aveva garantito nulla ed a quel punto non era neanche del tutto certa di aver interpretato bene il suo gesto, quel picchiettarsi la tempia che per lei era stato così importante, forse in realtà era stato solo un... niente, una cosa senza importanza che lei aveva caricato di significati profondi che in cuor suo sperava avesse.

Facendo molta attenzione, per paura che i punti le saltassero, si alzò dal letto e si diresse in bagno, sotto lo sguardo di disapprovazione di Doc. Aveva bisogno di stare da sola qualche secondo, quelle lacrime non sembravano avere intenzione di smettere di solcarle le guance. Il giorno prima avevano passato diverse ore insieme. Non che avessero parlato chissà quanto, Daryl non era particolarmente loquace o un tipo di compagnia, ma era stato con lei, era lì. 
Aveva promesso che sarebbe tornato, "Ci vediamo domani" le aveva detto e lei, sciocca sentimentale, ci aveva creduto, aveva creduto che lui avesse davvero piacere a passare del tempo con lei.
Per quel poco che lo conosceva però, non era tipo da non rispettare una promessa, era un uomo leale, perciò doveva esserci sicuramente una spiegazione alla sua assenza. Che gli fosse successo qualcosa?

Le aveva decisamente mandato a puttane il cervello. Non erano da lei simili pensieri irrazionali e tali paranoie. Non era mai stata quel genere di ragazza, eppure Daryl... lui aveva un effetto devastante sulla sua razionalità e sulla sua sicurezza, era pazzesca la sua capacità di mandarla in crisi non solo con la sua presenza, ma, anche e soprattutto, con la sua assenza.
Quella missione, peraltro secondo lei completamente inutile, poteva anche essere potenzialmente mortale. Conosceva quel negozio ed era in una zona pericolosa dove erano state avvistate numerose mandrie di passaggio.
Sapeva badare a sé stesso, ma la presenza di A.J non la faceva stare tranquilla. Sperava con tutto il cuore che quel coglione non facesse qualcosa di stupido e che Daryl non perdesse le staffe, lei non era lì a fermarlo e calmarlo e non era certa che Paul fosse in grado di fare le sue veci.
Era spaventata e preoccupata. Dopo essere entrata in bagno ed aver appoggiato la candela sul lavandino, era indietreggiata fino a scontrarsi con il muro. Il freddo delle piastrelle a contatto con la sua pelle, coperta solo dal sottile camice, la fece sussultare un poco. Si porto le mani sulle ginocchia, come se cercasse di riprendere fiato dopo una corsa, mentre le lacrime continuavano a sgorgare inesorabili ed apparentemente inarrestabili.

Dopo essersi asciugata il viso ed essersi rinfrescata, ritornò nella stanza, sempre sotto lo sguardo apprensivo di Doc.
Voleva soltanto stendersi ed addormentarsi il prima possibile. Lui stava bene, ne era certa. Stava bene ed il giorno dopo sarebbe andato a trovarla con una motivazione seria per aver saltato la visita. Teneva molto a lei ed i fatti lo avevano dimostrato. Lo aveva trovato in lacrime mentre stringeva la sua mano. Era in preda al panico quando pensava che l'avessero morsa. Era cosa certa il fatto che lui l'avesse a cuore. Forse non nello stesso suo modo, ma era comunque qualcosa.
Si stese a letto rannicchiandosi il più possibile sotto le coperte, con un braccio sotto al cuscino ed iniziò a fissare, per quanto la parziale oscurità lo permettesse, la sedia vuota accanto al suo letto, la sua sedia, quella che lui occupava tutti i giorni.
Con quell'immagine davanti agli occhi ed una certa inquietudine nel cuore, si addormentò, cadendo in un sonno popolato solo da magnetici occhi di ghiaccio.

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Capitolo 21
*** Capitolo 20- Shining Armor ***


Capitolo 20

SHINING ARMOR

Un raggio di sole le colpì il viso, infastidendola. Doveva essere mattina inoltrata, altrimenti una luce così forte sarebbe stata innaturale.
Aprì gli occhi con un certa eccitazione. Sperava di trovarlo lì, accanto a lei sulla sua sedia o su uno dei letti vuoti dell'infermeria. Oppure di vederlo entrare da un momento all'altro con la colazione. 
Tuttavia le sue speranze furono presto disilluse, facendole fare i conti con la realtà.
Al suo risveglio la camera era completamente vuota, fatta eccezione per Doc e le sue mille scartoffie. 
Non appena il medico si accorse che la ragazza fosse sveglia, la salutò e la avvisò che dopo pochi minuti Sarah avrebbe portato loro la colazione.
Non doveva essere la ragazza a portarle la colazione, desiderava che ad entrare con il vassoio in mano fosse Daryl, non lei.

Terribilmente abbattuta, si mise a sedere, iniziando a girarsi i pollici in attesa dell'arrivo del pasto.
Ogni tanto lanciava qualche occhiata speranzosa alla porta, ma dell'arciere nemmeno l'ombra.
Quando la porta dell'infermeria si aprì, nonostante razionalmente sapesse che si trattasse di Sarah, il suo cuore perse un battito. Si immaginò di vederlo entrare con quel suo sguardo perennemente corrucciato e quella sua aria da duro ed un'espressione delusa le si dipinse sul volto non appena si rese conto che fosse tutta una sua fantasia.
Consumò la sua colazione in silenzio, continuando a lanciare occhiate verso la porta.

-Dobbiamo cambiare la benda e medicare la ferita.- disse Doc una volta che ebbe finito il suo pane tostato.

La ragazza si slacciò il camice, restando con il reggiseno e si mise a sedere sul letto per agevolare le operazioni al medico.
Dopo aver tolto la vecchia fasciatura, l'uomo medicò la ferita e controllò che tutti i punti fossero al loro posto, prima di applicare una nuova benda.
Fu proprio mentre la ragazza stava per infilarsi il camice, dopo aver finito la medicazione, che un uomo fece irruzione nella stanza.

L'uomo si bloccò a pochi passi dal letto di Jordan, con lo sguardo fisso sul suo petto.
Aveva un seno piuttosto piccolo ed era stato abbastanza semplice nasconderlo con dei vestiti larghi, più grandi di almeno due taglie rispetto alla sua.

-Bene, bene, bene... molto interessante.- disse lui con un'espressione indecifrabile.

-Sono nel bel mezzo di una medicazione, nessuno può entrare qui.- disse Doc parandosi davanti alla ragazza.

-Dottor Reynolds, si sposti immediatamente! Io e Jordan dobbiamo fare due chiacchiere.- disse Patrick con una strana luce negli occhi.

La ragazza era a dir poco terrorizzata. Doc si voltò nella sua direzione e lei gli fece un sorriso tirato e annuì. Non sapeva cosa aspettarsi. Non era mai successo nulla del genere, quindi senza nessun termine di paragone e priva di qualsiasi idea, restò in attesa di conoscere quale genere di punizione avrebbe dovuto subire.
Neanche nella peggiore delle sue ipotesi si era immaginata ciò che successe dopo.

Patrick non le permise neppure di rimettersi in ordine il camice, la afferrò per un braccio e, strattonandola malamente, la trascinò fuori dall'infermeria tra le urla contrariate del dottore e i singhiozzi di lei.
Non avrebbe voluto piangere, ma tutta quella violenza l'aveva presa alla sprovvista e la ferita era ancora fresca e faceva male.
Attraversarono il corridoio, uscirono e giunsero nel cortile.

-Venite tutti! Ho una cosa importante da comunicarvi.- urlò Patrick attirando l'attenzione su di sé.

L'uomo arrestò la sua folle corsa accanto al gazebo e spinse avanti la ragazza mostrando a tutti la sua scoperta.
Jordan era sconvolta. Il camice abbassato sotto l'ombelico, completamente esposta ed infreddolita. Gli occhi persi e vuoti e le guance segnate dalle lacrime. Tremava visibilmente ed era a dir poco terrorizzata. Impietrita. Incapace anche solo di compiere il gesto di tirarsi su quell'unico indumento per nascondere il suo corpo alla curiosità della gente.
Un folto gruppo di persone si affollò intorno a loro, tra i quali anche un inorridito Paul che, non appena realizzò la situazione, si fiondò verso l'edificio degli alloggi correndo come un matto. 
Nessuno sembrava aver intenzione di intervenire in difesa di Jordan.

-Vedete amici? Le bugie hanno le gambe corte.- disse Patrick ridendo sguaiatamente, piuttosto compiaciuto per essere stato l'artefice della pubblica umiliazione della ragazza.

Jordan si lasciò cadere in ginocchio iniziando a piangere e tremare ancora più di quanto stesse già facendo, affondando il viso tra le mani per tentare di nascondersi, mentre da lontano vide la figura del dottor Reynolds immobile in un angolo, anch'egli impietrito.

Dall'altra parte del cortile, un ragazzino con la frangetta correva a perdifiato  in direzione degli alloggi diretto verso l'unica persona che avrebbe avuto il coraggio di affrontare Patrick.
Raggiunse le scale e, come una furia, le salì e attraversò un corridoio giungendo finalmente alla sua meta.
Bussò con forza alla porta di quell'alloggio, tanto che le sue nocche si colorarono di rosso, fino a quando qualcuno non aprì.

-Signor Dixon! Deve correre al gazebo!- disse Paul con il fiatone.

-Che succede ragazzo?- chiese Daryl sorpreso da quell'irruzione.

Era tranquillo, si stava preparando per la colazione e poi sarebbe andato in infermeria. Il giorno prima era mancato alla visita a Jordan ed aveva la sensazione di doverle delle scuse e delle spiegazioni. La missione si era protratta più del previsto, erano rientrati a notte fonda e non gli era sembrato opportuno raggiungerla e magari svegliarla, nonostante, durante tutto il giorno, non avesse fatto altro che pensare a lei e domandarsi come stesse.

Con apprensione, aspettò la spiegazione del ragazzo che non tardò ad arrivare.

-Si tratta di Jordan.- affermò semplicemente il ragazzino.

Non ci fu bisogno di aggiungere altro. Daryl afferrò la sua balestra ed uscì dalla stanza di corsa, superando Paul e percorrendo il corridoio con grandi falcate, raggiunse le scale, le scese e si ritrovò davanti alla porta.
Con una certa ansia la aprì e uscì in cortile correndo verso il gazebo, trovandosi la strada sbarrata da un gruppo di persone che sembravano riunite intorno a qualcosa.
Si fece spazio tra la folla e, quando riuscì a superare quel muro di gente, raggiunse il centro e la vide.
Inginocchiata per terra, mezza nuda e con le mani sul viso, tremante e spaventata. 

-Un simile imbroglio non può essere tollerato! Guardatela, ci ha presi in giro tutti, rinnegando ed infrangendo una delle nostre regole fondamentali, sarò costretto a prendere provvedimenti seri per questa grave mancanza.- disse Patrick con voce solenne.

Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Il capo aveva davvero esagerato. Le sue parole, la sua espressione di godimento e Jordan in quelle condizioni furono davvero troppo.
Daryl si scagliò con violenza contro Patrick colpendolo in pieno viso con un gancio destro ed atterrandolo senza possibilità di reagire. 
La gente, troppo intimorita per fare qualunque cosa, si limitò a guardare la scena. Spettatori di un film.
L'arciere riempì di calci e pugni il capo, sfogando la sua rabbia e nessuno pensò di intervenire.
I colpi sembravano non essere mai abbastanza per lui e stava seriamente rischiando di ucciderlo. 
Patrick tossì appena, cercando di fermare la mano di Daryl pronta a sferrargli l'ennesimo cazzotto, ma una flebile voce lo immobilizzò.

-Daryl... basta... così lo uccidi...- sussurrò Jordan tra i singhiozzi.

Fu a quel punto che l'uomo si bloccò. La sua priorità era lei, doveva portarla via da lì, al sicuro, doveva proteggerla. Non valeva davvero la pena perdere tempo con un coglione del genere e soprattutto sperava vivamente che la lezione che aveva ricevuto fosse sufficiente per fargli cambiare atteggiamento.
Lasciò la presa sul collo del capo e si diresse verso la ragazza che era rimasta pietrificata nella medesima posizione di prima.
Si tolse il gilè e con delicatezza lo avvolse intorno alle spalle di Jordan, le scostò le mani dal viso e la guardò negli occhi per qualche secondo, prima di prenderla tra le braccia e sollevarla come se fosse un fuscello.
Non era mai sembrata tanto piccola a nessuno degli abitanti dell'Area 51.

Lei si lasciò andare sulla spalla di lui, allacciandogli le braccia al collo e facendosi cullare dall'andatura regolare dei passi dell'uomo.
Tra la folla si aprì un varco per permettere il passaggio dei due, mentre Patrick alle loro spalle tentava di rimettersi in piedi dopo le botte ricevute.
Un uomo, che aveva assistito a tutta la scena accanto alla moglie, iniziò a battere le mani, seguito dalla donna che aveva vicino e da tutto il resto delle persone presenti nel cortile. 
Daryl con in braccio quel corpicino avvolto nel suo gilè decisamente troppo grande per lei, attraversò il corridoio di gente che accompagnò il suo percorso con un fortissimo applauso.
Giunti davanti alla porta dell'edificio degli alloggi, ad aspettarli trovarono Paul che la aprì permettendo loro di passare.

Senza dire una parola, Daryl portò la ragazza nella loro stanza, la adagiò sul letto e la coprì con una coperta, lasciandole addosso il suo gilè.
Dopo averla sistemata in modo che stesse comoda, fece per alzarsi ed uscire dalla stanza, ma una mano spuntò timidamente da sotto quel pesante strato di lana e lo fermò.

-Non lasciarmi sola.- balbettò Jordan imbarazzata e ancora piuttosto scossa.

Lui senza dire nulla si stese sul letto, accanto a lei con le braccia incrociate dietro la nuca e restarono così per tutto il giorno, in silenzio, ma insieme. Saltarono addirittura il pranzo, dividersi non era contemplato.
La ragazza riuscì anche a riposare qualche ora, avvolta dal calore e dall'odore di Daryl impresso sul suo gilè. 

Verso sera qualcuno bussò alla porta e l'uomo si alzò dal letto per andare a controllare di chi si trattasse. 
Ricevettero due visite. Prima Paul preoccupato per loro e poi Rebecca che aveva portato la cena, abbondando con le fragole.

Consumarono il pasto in silenzio, scambiandosi solo qualche occhiata. Daryl, alterato per ciò che era successo, si domandava se davvero sarebbe arrivato ad uccidere quell'uomo. Quando aveva visto Jordan inginocchiata per terra così fragile ed esposta, la rabbia più cieca si era impossessata di lui e della sua razionalità. Quel bastardo doveva pagare e senza sconti, se la ragazza non l'avesse fermato sarebbe arrivato certamente fino in fondo, l'avrebbe ucciso a mani nude.

Dopo cena l'uomo tornò a sdraiarsi accanto a lei.
Erano entrambi stesi su un fianco, uno di fronte all'altra. Si fissarono per diversi minuti, fino a quando la ragazza, spossata per quella giornata infernale e lo stress che ne era scaturito, si addormentò molto più serena di quanto non fosse prima.

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Capitolo 22
*** Capitolo 21- You are right ***


Capitolo 21

YOU ARE RIGHT.

Quando la notte li avvolse, Daryl spense la candela con un soffio e si trovò a pensare.
Accanto a sé aveva una ragazza speciale. La Beth del suo sogno aveva ragione, era sveglia, intelligente e bella. 
Non aveva mai fatto davvero caso a quanto fosse bella, strano a dirsi, ma se n'era accorto vedendola sul pavimento del cortile, per la prima volta si era davvero reso conto di trovarsi davanti ad una donna.
I capelli ricci che iniziavano a crescere ricadendole un po' sulla fronte, le spalle strette, le braccia sottili ma muscolose, il seno piccolo, ma, almeno all'apparenza sodo, il ventre piatto e quegli occhi. Quegli occhi azzurri come il cielo. Sinceri, furbi e birichini, era colpa loro, gli avevano mandato il cervello a puttane.

Un movimento delle coperte gli fece capire di non essere il solo ad essere sveglio nella stanza.
Probabilmente era arrivato il momento di parlare. Aveva imparato a conoscere un po' Jordan e sapeva bene che non avrebbe lasciato le cose a metà, avrebbero parlato ed analizzato tutto, ogni dannato singolo dettaglio e non era così sicuro di volerlo, o meglio non era così certo di esserne in grado.

-Sei sveglio?- domandò Jo tentando di attirare l'attenzione di Daryl.
-Mmmh...- grugnì lui in risposta.

-Possiamo parlare?- azzardò lei non sapendo esattamente cosa aspettarsi.
-Di cosa?- fece lui, dando l'impressione di essere piuttosto seccato.

Il momento della conversazione era arrivato per davvero, come lui aveva immaginato. Quella ragazza era troppo testarda e determinata, non si sarebbe accontentata di qualche monosillabo. Tutta la loro comunicazione si era svolta tra i monologhi di lei e le mezze risposte di lui, ma a quel punto la ragazza si sarebbe decisamente aspettata di più e lui non era poi così sicuro di essere all'altezza, di essere capace di darle quel di più.

-Ascolta, se non vuoi, non devi parlare. Parlo già abbastanza per tutti e due... vorrei solo che...-  fece lei, traendo coraggio dal fatto che la stanza fosse immersa nel buio più totale.

-Non chiedermi nulla. Non pretendere più di questo.- la interruppe Daryl rigirandosi nel letto.

-Ehi! No, non fraintendermi. Ho capito come sei, quello che abbiamo, qualunque cosa sia, mi sta bene e soprattutto mi basta.- affermò lei provando ad essere convincente.

La sua capacità di dire la cosa giusta al momento giusto aveva fatto di nuovo la sua comparsa, per l'ennesima volta. Sembrava come se avesse una linea diretta con i suoi pensieri e ciò lo agitava oltremodo.

-Jordan, non prendiamoci in giro. Sei una ragazza, prima o poi avrai bisogno di una qualche stronzata romantica. Sarebbe più giusto dire che ti basta per ora.- puntualizzò lui.

-Posso finire il mio discorso?- disse Jo senza prestare la minima attenzione alle ultime parole pronunciate dall'uomo.
-Prego.- acconsentì Daryl con una punta di ironia nella voce.

-Come ti dicevo, parlo già abbastanza per tutti e due, non voglio che tu mi faccia grandi discorsi. Ho capito. Ti ho capito. Non mi aspetto di ricevere fiori o fantastiche dichiarazioni d'amore da parte tua, non lo farai, lo so. Un gesto romantico, fatto da te, perderebbe la sua magia perché non fa parte della tua natura, non fa parte di Daryl. Quello che hai fatto oggi...- spiegò lei con una sincerità disarmante.
-Non era niente.- si intromise lui.

-Lasciami finire! Dunque... quello che hai fatto oggi per me, il modo in cui mi hai difesa, il modo in cui mi hai avvolta nel tuo gilè...- disse lei.
-Jordan...- la bloccò Daryl. 

Non era pronto ad udire quel discorso, sapeva perfettamente dove avrebbe portato e non era sicuro di saperlo gestire.

-Tempo fa ho rinunciato ad essere una ragazza. Dovevo prendere una decisione, stabilire da che parte volessi stare. Non sono proprio il genere di donna che rimane a casa a sfornare figli mentre gli uomini vanno là fuori in spedizione. Sarei impazzita in pochissimo tempo. Ma oggi... oggi tu mi hai fatta sentire di nuovo una donna. Mi sono sentita protetta ed in quel tuo gesto non ho potuto far altro che leggere la conferma di ciò che pensavo già da un po' di tempo, più o meno da quando hai scoperto la verità, più o meno da quella sera della marmellata... sbaglio?- confessò la ragazza, parlando come un fiume in piena.

Lui si passò una mano sul viso senza riuscire a risponderle. In cuor suo sapeva quanto lei avesse ragione, ma non si sentiva in grado di affrontare l'argomento e di certo una relazione era l'ultima cosa alla quale voleva dedicarsi. Poi tra l'altro, cosa ne sapeva lui dell'amore?

-Sbaglio?- domandò di nuovo lei.
Ancora silenzio.

-Sbaglio?- chiese Jordan per la terza volta.
Mutismo più assoluto.

-Daryl! Sbaglio?- provò ancora, facendosi forza e, cercando nella penombra il viso dell'uomo, lo prese tra le mani e lo obbligò a voltarsi verso di lei.

Era piuttosto spaventata dalla sua possibile reazione, ma doveva sapere. Venire a capo di quella situazione, avere una conferma, per quanto piccola potesse essere, era di vitale importanza per lei. Si erano avvicinati molto e ciò che era successo quella mattina li aveva uniti ancora di più, almeno da parte sua e desiderava sapere se quella sorta di sentimento non ben identificato fosse a senso unico o corrisposto anche da lui.

-Daryl... sbaglio?- sussurrò Jo vicinissima al viso di lui.

Restarono così per un po'. Terribilmente vicini, i loro respiri l'uno sul viso dell'altra. Le parole sembravano tutte superflue, ma Jordan sperava con tutta sé stessa che lui trovasse il coraggio di rispondere a quella domanda, non desiderava altro da lui, non pretendeva niente di più, solo una risposta, un segno che la invitasse a continuare che le facesse capire di non essersi immaginata ogni cosa.
Interpretando la sua scena muta come una risposta affermativa, la ragazza lasciò la presa sul suo viso e si rannicchiò nell'angolo opposto del letto. Era la prima volta che provava un tale senso di disagio a dormire insieme a lui, nonostante fosse stata la normalità dell'ultimo periodo. Cercò di allontanarsi il più possibile dall'uomo, quel materasso non le era mai parso così piccolo, ma allo stesso tempo la distanza che li separava sembrava abissale.

Daryl, sopraffatto da tutte quelle novità ed ancora scosso per la giornata appena trascorsa, sapeva di dover fare o dire qualcosa, sapeva di non potersi più nascondere, ma era anche consapevole di non poterle dare più di quello che avevano. Era riuscita ad entrargli dentro, a coinvolgerlo in una maniera sconosciuta e spaventosa. Non si era mai sentito così, quando aveva conosciuto quel ragazzino fastidioso e strano che non faceva altro che dargli il tormento, mai avrebbe potuto immaginare la piega che avrebbero preso gli eventi.
Si sentiva parecchio confuso riguardo le sensazioni che provava nei confronti di Jordan, ma su una cosa era più che sicuro, vederla in quello stato era stato insopportabile. Patrick avrebbe fatto bene a starle alla larga, se avesse anche solo provato a sfiorarla ancora con un dito, non se la sarebbe cavata con qualche pugno, sarebbe stata la sua fine.
Dopo aver preso un respiro profondo e, sperando che davvero le bastasse almeno per il momento, decise di fare un passo verso di lei, di dimostrarle che, no, non si sbagliava.
Con un certo timore, del tutto innaturale per lui che diceva di non aver paura di nulla, allungò una mano e le sfiorò appena un fianco, prestando molta attenzione a non toccarle la ferita.

-No, non sbagli.- disse tirandola delicatamente a sé e facendo scontrare il suo petto con la schiena della ragazza.

Lei non si voltò né tanto meno parlò, per paura di interrompere quel contatto, per paura di dover rinunciare a quella piacevole sensazione di protezione e calore che solo lui era riuscito a darle.

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Capitolo 23
*** Capitolo 22- Josephine ***


 

Capitolo 22

JOSEPHINE.


Si era addormentata così quella notte, nel suo abbraccio e con il suo respiro caldo che le solleticava il collo. 
Al suo risveglio aveva un braccio intorpidito per aver mantenuto la stessa posizione per tutta la notte ed una gran sete, tuttavia l'idea di doversi spostare e lasciare quel suo rifugio sicuro era tutto tranne che allettante.
Facendo molta attenzione, si sdraiò a pancia in su, sempre restando tra le braccia dell'uomo che le dormiva accanto ed iniziò ad osservarlo.
I suoi lineamenti induriti dal tempo e dalla sofferenza in quel momento erano più distesi e la sua espressione rilassata. I capelli, ormai troppo lunghi, gli ricadevano sulla fronte. Un raggio di sole li raggiunse, rivelando qualche riflesso biondo. Il suo profilo, con quel naso un pochino storto, il neo sopra al labbro superiore che tanto le piaceva, l'accenno di pizzetto e di barba. E poi le sue orecchie. Le aveva trovate molto sexy, dal primo momento in cui le aveva viste. Ridacchiò per quel pensiero, portandosi una mano alla bocca cercando si soffocare la risata, per non svegliarlo.

-Che diavolo stai facendo?- borbottò Daryl ancora ad occhi chiusi e con la voce impastata dal sonno.

-Shh... nulla, dormi pure.- rispose la ragazza, imbarazzata per essere stata colta sul fatto.

Lui grugnì e la attirò ancora di più a sé, forse inconsapevolmente, ma Jordan non ebbe nulla da ridire a riguardo.
Il respiro dell'uomo tornò regolare, segno che quel momento di apparente lucidità era stato solo un momento appunto e che lui fosse ritornato a dormire.
Convinta di non essere vista, la ragazza ricominciò la sua osservazione. Si puntellò con il gomito sul cuscino, limitando i movimenti per non disturbare il suo sonno ed iniziò una minuziosa analisi del volto dell'uomo. 
Era attraente, ma non come gli uomini che una volta si vedevano nelle pubblicità alla TV, era attraente in un modo tutto suo. Aveva delle labbra invitanti e Jordan si chiese se prima o poi avrebbe avuto l'occasione di poterci poggiare sopra le proprie. Era capitato raramente che le sorridesse, ma quando era successo, aveva notato il suo sorriso, quel ghigno pieno di significati e di sottintesi, i suoi canini un po' pronunciati e le piccole rughe intorno alla bocca.

-Dannazione Josephine... vuoi smetterla di fissarmi mentre dormo?- affermò Daryl all'improvviso facendola sussultare.

Gli occhi della ragazza, si scontrarono con quelli lui che iniziarono a fissarla divertito dal rossore delle sue guance. 
Quel nome... lui l'aveva chiamata per nome, con il suo vero nome: Josephine. Era un sacco di tempo che nessuno lo usava più e, pronunciato da quelle labbra, le sembrò ancora più bello.
Una lacrima, impossibile da controllare, le rigò la guancia. Per l'ennesima volta si stava dimostrando una debole e per l'ennesima volta lo stava facendo davanti a lui.
Era la prima volta dopo tanto in cui davvero si sentiva libera di essere sé stessa.

-Per cosa?- chiese l'uomo indicando le sue lacrime.

Lei non riuscì a parlare, senza pensarci troppo sopra si rannicchiò nel suo abbraccio e lasciò andare ogni cosa. Troppe emozioni tutte insieme, troppe le novità da metabolizzare.
L'unica cosa di cui aveva bisogno era stare lì, tra le sue braccia forti, senza domande e spiegazioni.
Daryl si sistemò meglio sul letto e le fece passare un braccio dietro la testa, consentendole di appoggiarsi alla sua spalla e con l'altra mano le accarezzò il fianco.

Quando i singhiozzi cessarono, l'uomo spostò l'attenzione sui capelli di lei iniziando a giocare con uno dei suoi ricci. Erano cresciuti tantissimo e cominciava ad intravedersi quella che Jordan doveva essere stata un tempo: Josephine.
Daryl se la immaginò, una ragazzina con i capelli biondi, una cascata di ricci e gli occhioni azzurri, una specie di Shirley Temple. 

-Non dovresti più tagliarli.- disse lui, rompendo il silenzio.
-Come?- chiese Jo un po' confusa.

-Ormai non devi più nasconderti, la verità è venuta a galla, dovresti farti crescere i capelli.- spiegò Daryl con tranquillità, come rare volte era successo.

-Patrick ci caccerà via entrambi. Dove andremo? Ci hai pensato?- domandò la ragazza alzando gli occhi ed incontrando quelli dell'uomo.

-Potremmo essere noi ad andarcene per primi.- rispose lui continuando a mantenere la sua tranquillità.

-E chi si occuperà del gruppo? Non pensi a Paul, a Rebecca, a Doc? Non possiamo lasciarli qui con quello psicopatico, Daryl dobbiamo trovare una soluzione!- disse lei con aria preoccupata.

L'uomo soppesò bene le parole della ragazza e, dopo averle scostato un ciuffo di capelli dalla fronte, cercò di rassicurarla.

-Potrebbero venire via con noi.- propose lui, stupendo anche sé stesso.

Quella biondina riusciva sempre a fargli dire ciò che voleva con una facilità imbarazzante.
Non pensava di essere così facilmente influenzabile. Era dannatamente brava a ribaltare le situazioni a suo vantaggio, sapeva premere i tasti giusti e ormai aveva capito quali fossero i suoi punti deboli.
L'idea di avere un nuovo gruppo, persone per le quali preoccuparsi, gli mise addosso un gran senso di inquietudine. Si era allontanato dagli altri perché non sopportava di dover dire addio ad altre persone assistendo completamente impotente davanti alle loro morti e il pensiero di ricominciare da capo era difficile da sopportare.

Doc, Rebecca, ma in particolar modo Paul erano entrati nella sua vita in un modo strano ed in circostanze bizzarre, ma ormai ne facevano parte. Quella che però lo impensieriva di più era lei, la biondina che aveva lì vicino a sé, abbarbicata sulla sua spalla.
Perderla sarebbe stato davvero insopportabile. Non lo avrebbe superato, non di nuovo.
Non era abituato a tutto quel contatto fisico prolungato, ma lei aveva bisogno di lui, il giorno prima era stato devastante ed umiliante per Josephine e Daryl era intenzionato ad aiutarla a dimenticare. 

-Reno sei migliore di quanto pensassi.- disse la ragazza allungandosi verso il viso dell'uomo e lasciandogli un delicato bacio sulla guancia.

Imbarazzato da quel gesto inaspettato, lui si schiarì la voce e con delicatezza si alzò dal letto con la scusa di dover andare in bagno.
Erano di nuovo su una strada pericolosa. Era un uomo e quella vicinanza avrebbe finito per mandare al diavolo tutte le sue remore. Ancora non era certo di potersi lasciare andare, ancora non era sicuro di essere in grado di darle ciò che lei si meritava. Per qualche strano motivo che proprio non riusciva a comprendere, lei aveva scelto lui. Tra tutti gli uomini presenti in quel rifugio, Josephine si era avvicinata a lui.
Giunto ai piedi del letto le lanciò una rapida occhiata prima di dirigersi verso il bagno, come se volesse tranquillizzarla, come se volesse dirle "torno subito".

Si fissò allo specchio per qualche secondo e poi si sciacquò la faccia con l'acqua fredda. Doveva tornare in sé, la situazione era gestibile, ma sarebbe bastato un passo falso per far cadere il muro che si era costruito intorno, molto più simile ad un delicato castello di carta da quando Josephine gli ronzava intorno.
Aveva deciso di iniziare a chiamarla con il suo vero nome. La reazione di poco prima era stata la conferma che quella fosse stata la scelta giusta. Lei voleva essere Josephine e lui l'avrebbe accontentata, era una delle poche cose in cui era certo di poterlo fare.

Quando ritornò nella stanza la trovò seduta sul bordo del letto, si era tolta il suo gilè ed era in reggiseno con il camice ancora abbassato intorno alla vita. Sembrava intenta a guardarsi la fasciatura sul fianco. La benda era colorata di rosso, segno che probabilmente qualche punto fosse saltato.
Si avvicinò, si inginocchiò davanti a lei e osservò meglio la situazione. Era necessario tornare in infermeria. La ragazza arrossì e spostò lo sguardo verso la finestra. Daryl non capì immediatamente il perché di quell'imbarazzo, ma, alzando gli occhi, si rese conto del fatto che lei fosse mezza nuda lì a pochissimi centimetri da lui.
L'aveva già vista in quel modo, ma in situazioni completamente diverse.
Raccogliendo tutto il suo autocontrollo, si alzò scrollando la testa e ghignando appena, voltandole subito le spalle per non essere visto.

-Devi tornare da Doc.- disse lui cercando di riprendere il controllo di sé.

-Forse hai ragione.- balbettò lei, con il cuore che le faceva le capriole nel petto.

Josephine si infilò il camice e si alzò lentamente dal letto, facendo attenzione a non peggiorare la situazione della sua ferita.
Raggiunse Daryl a pochi passi da lei e lo superò senza guardarlo, troppo imbarazzata per farlo.
Lui senza dire una parola la sollevò e la portò, nel più completo silenzio, verso l'infermeria.

Attraversare il cortile non era certo nella lista delle dieci cose che la ragazza avrebbe desiderato fare, ma era necessario.
Tentando di nascondersi il più possibile tra l braccia dell'uomo, riuscì a raggiungere l'edificio indenne.
La ragazza avvertì lo sguardo incuriosito di tutti e sentì alcune conversazioni che la riguardavano. Nessuno di loro, tuttavia, sembrava arrabbiato o deluso, parevano più che altro dispiaciuti ed in pena per lei.

Arrivati in infermeria, l'arciere lasciò delicatamente andare la ragazza e  Doc corse verso di lei buttando per aria le sue solite mille scartoffie e l'abbracciò forte. Era un comportamento insolito per l'uomo, ma a quanto pareva doveva essere anche lui molto in pena.

-Jordan sono un mostro... perdonami se puoi! Avrei dovuto fare qualcosa, fermare Patrick. Sono rimasto imbambolato ed incapace di reagire.- disse il dottor Reynolds con guardo colpevole.

-Doc non è colpa tua, non ho nulla da perdonarti. E poi avevo già qualcuno pronto a difendermi.- disse lei scoccando un'occhiata complice a Daryl che abbassò immediatamente lo sguardo verso le sue scarpe.

-Dovresti dare un'occhiata alla sua ferita, io torno più tardi.- intervenne l'arciere salutando i due con un cenno del capo e lasciando la stanza.

Quando uscì dall'infermeria, una parte di lui restò comunque all'interno di quelle quattro mura. Era una sensazione molto strana e totalmente inedita. Lasciare un pezzetto di sé stesso attaccato ad un'altra persona poteva rivelarsi un'arma a doppio taglio.
Se da una parte l'idea di avere qualcuno ad aspettarlo, qualcuno dal quale tornare era piacevole, dall'altra era tremendamente pesante da sopportare. Ciò che sperava non succedesse era capitato ancora. Non poteva più semplicemente limitarsi a sopravvivere, doveva anche preoccuparsi di vivere e doveva farlo non solo per sé stesso, ma anche per lei. 
Diamine, come l'aveva ridotto. E lei? Beh lei non sembrava messa molto meglio rispetto a lui. Non che tra loro fosse successo chissà cosa, però erano indubbiamente legati e per quanto lui tentasse di restare al di sopra di tutto, come al solito, era innegabile che non stesse riuscendo nel suo intento.

Sceso nel cortile si guardò un po' intorno. Le persone lo scrutavano riservandogli dei grossi sorrisi e dei saluti amichevoli.
Strinse moltissime mani. Quel cambiamento nascondeva qualcosa e lo lasciò perplesso.

Quando giunse nei pressi del gazebo, notò la presenza dell'ultima persona che avrebbe voluto vedere quel giorno.
Se ne stava seduto ad uno dei tavoli, con un gran vuoto intorno, gli occhi pesti, pieno di lividi e con un labbro tagliato. Daryl gli lanciò un'occhiataccia e poi tornò sui suoi passi, non riuscendo però a mascherare la sua soddisfazione per averlo conciato in quel modo.

Aveva deciso di andare un po' in giro per i suoi amati boschi, aveva bisogno di uscire un po' da lì. 
Non era certo di dover avvisare Josephine del suo spostamento, ma decise di farlo comunque.
Dopo aver preso una tazza di caffè, tornò all'infermeria.
Al suo ingresso trovò la ragazza addormentata e lasciò il messaggio a Doc. Quell'uomo la sapeva troppo lunga per i suoi gusti, lo guardò con complicità come se fossero vecchi amici, come se condividessero un segreto e lo rassicurò sul fatto che non appena lei si fosse svegliata, l'avrebbe avvisata.

Con un cenno lo ringraziò e tornò al cortile, diretto verso il cancello.
Patrick era ancora seduto in un angolo, completamente solo e le persone non facevano altro che guardarlo con astio.
Tutto il finto rispetto che provavano per lui sembrava essere svanito in un giorno, con Daryl al contrario, si erano dimostrati tutti molto gentili e amichevoli.
Era come se avessero appena iniziato a giocare a carte scoperte, come se quel cazzone si fosse finalmente dimostrato per quello che era davvero.
Ciò che aveva fatto a Josephine era solo l'ultima delle sue stronzate. Il malcontento dei giorni precedenti si era evoluto fino a diventare quasi odio. 
La situazione poteva essere potenzialmente problematica, quel posto aveva bisogno di un capo, di una guida, ma in quel momento non c'era nessuno all'altezza del ruolo.
Daryl sperò vivamente che A.J non prendesse il posto di Patrick perché sarebbe stato come passare dalla padella alla brace.

A pochi passi dal cancello, c'era Paul, con le braccia incrociate, appoggiato contro al muro con la sua nuova balestra in spalla.

-Allora dove andiamo Signor Dixon?- chiese il ragazzino speranzoso.

-Io vado a caccia.- rispose Daryl rimarcando molto sul concetto di IO.

Paul scosse la testa e si apprestò a seguirlo, senza curarsi di ciò che aveva detto. Era intenzionato ad andare con lui e nulla gli avrebbe fatto cambiare idea. Aveva molte cose da imparare dal suo mentore ed era impaziente di farlo.

-Ma non rompermi le palle, ok?- disse l'uomo, acconsentendo a modo suo ad essere seguito.

Uscirono dal cortile e si avviarono verso la boscaglia. Paul davanti e Daryl dietro. Non poteva dire di essere entusiasta di portarlo con sé, ma quel ragazzino gli ricordava molto lui alla sua età e l'idea di essere per lui una specie di "Merle", lo fece ridere.
Sperava di non avere un'influenza negativa su di lui e sperava anche di potergli insegnare a difendere sé stesso e sua madre.
Quella donna aveva bisogno di qualcuno che si occupasse di lei e poteva farlo solo suo figlio.

-Come sta Jordan?- domandò Paul un po' incerto.

-Josephine.- rispose Daryl facendosi strada attraverso un cespuglio.

-Oh... non lo sapevo.- disse il ragazzo immagazzinando l'informazione appena ricevuta.

Daryl annuì con un grugnito e riprese a camminare. Non aveva risposto alla domanda, ma ad essere onesto, non aveva alcuna voglia di affrontare l'argomento, anche perché pensare a lei era una distrazione, un lusso che in quel momento, in mezzo al bosco, non poteva permettersi.

-Allora come sta?- domandò ancora Paul.

Un verso fin troppo famigliare, giunse alle orecchie dei due e l'uomo ringraziò l'arrivo di quel vagante che gli aveva evitato la conversazione.
Superata una radura, raggiunsero un sentiero circondato da cespugli di rose selvatiche.
Oltre gli alberi, sbucava quello che sembrava essere il tetto di una casa.
Daryl con un gesto della mano indicò a Paul il loro prossimo obbiettivo e, cercando di fare meno rumore possibile, si avviarono verso il margine del bosco, raggiungendo dopo pochi minuti l'abitazione.
Una villetta di due piani, con i muri bianchi ed il tetto grigio, un portico con sopra il balcone, circondata da un giardino che ad occhio e croce, una volta doveva essere stato molto curato.
Daryl si avvicinò con cautela verso la porta d'ingresso facendo un gesto a Paul per farlo stare indietro. 
Con una spinta riuscì ad aprire il portoncino, probabilmente nessuno doveva essersi preso la premura di chiuderlo a chiave.

L'uomo batté un pugno sul muro e fischiò per fare rumore ed attirare eventuali vaganti presenti all'interno, ma almeno all'apparenza nessuno si fece vedere.
Paul entrò nella villetta al via libera del compagno e richiuse la porta alle sue spalle.

Un salone con mobili dall'aspetto rustico, quadri con scene di caccia alle pareti, un pesante strato di polvere a coprire tutto.
A sinistra dell'ingresso, una scala di legno verniciata di bianco portava al piano superiore.
Con cautela i due decisero di salire per controllare le camere.

Paul entrò nella prima stanza, quella matrimoniale. Alle pareti foto di quella che un tempo doveva essere stata una famiglia invidiabile. Un uomo, una donna ed una ragazza giovane e bella, probabilmente la figlia.
Sorrisi smaglianti, ritratti della felicità. Scene di quotidiana serenità, il primo giorno di scuola, il diploma.

Il ragazzo uscì da quella camera un po' scosso e seguì Daryl nella successiva.
La stanza da letto che doveva essere appartenuta alla ragazza ritratta nelle foto.
Frugarono un po' tra gli effetti personali di quelle persone, ma non trovarono nulla di così interessante.

Paul tornò di sotto, intenzionato ad ispezionare la cucina, con la promessa di urlare in caso di pericolo, mentre Daryl si attardò in quella camera.
Aprì l'armadio e lo trovò pieno di vestiti da donna. Uno in particolare attirò la sua attenzione. Un abito leggero a maniche corte, color lavanda con sopra disegnate delle piccole farfalle colorate. 
Ad occhio e croce pensò che potesse essere della taglia giusta e, senza pensarci troppo sopra, lo infilò nello zaino. Continuando la sua ricerca, si imbatté in una collanina. Era un oggetto semplice, con un ciondolo a forma di freccia. 
Dandosi del coglione da solo, mise la catenina in tasca e raggiunse Paul al piano di sotto ed insieme ritornarono a camminare nel bosco dirigendosi verso casa.

 

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Capitolo 24
*** Capitolo 23- Together ***


Capitolo 23

TOGETHER.

Doveva essersi addormentata. In quel periodo di forte stress le capitava spesso di crollare ed i suoi sogni erano sempre popolati da una sola persona. Un uomo ed i suoi occhi azzurri, occhi che l'avevano stregata fin dal primo sguardo. Nascondevano una malinconia incredibile ed erano spietati indagatori, capaci di guardarti dentro perforandoti l'anima.
Quando si era svegliata, poche ore più tardi, si aspettava di trovare Daryl al suo fianco e restò piuttosto delusa quando le sue speranze non furono esaudite. La delusione fu duplice quando scoprì chi c'era seduto accanto al suo letto in infermeria.
Aprì gli occhi e se li stropicciò per controllare di essere davvero sveglia e di non avere le allucinazioni.

-Che diavolo ci fai qui A.J?- domandò Jordan seccata.

Non lo voleva lì. L'aveva messa in pericolo più di una volta e l'arciere non sarebbe stato affatto felice di trovarlo al suo arrivo, dato che tra i due non correva buon sangue. Il giorno prima aveva assistito al teatrino organizzato da Patrick senza muovere un muscolo e lei aveva notato uno sguardo divertito nei suoi occhi.
La sua sola presenza la faceva inorridire, le dava il voltastomaco. Era un viscido verme senza cervello e lei  non voleva avere nulla a che fare con lui.

-Ti ho portato questi. Spero che tu stia meglio. Sono qui per scusarmi per non essere intervenuto ieri, sai credo che siamo partiti con il piede sbagliato.- spiegò A.J porgendole un mazzolino di margherite gialle.

-Non voglio né i tuoi fiori né tanto meno le tue scuse e soprattutto non ti voglio qui!- strillò la ragazza alterata.

-Hai ragione ad avercela con me, sono un coglione, anch'io ce l'avrei con me al tuo posto.- fece lui tranquillo.

-Sei un coglione, pienamente d'accordo.- disse lei, stupita dalla sua ammissione.

Senza che quasi se ne accorgesse, si ritrovò a parlare con lui del più e del meno, per quasi tutto il pomeriggio.
Era un coglione senza cervello, l'opinione che aveva non era cambiata, ma non era poi così cattivo come credeva. Limitato ed idiota, ma non cattivo.
Quando Doc entrò nella stanza, con l'intenzione di cambiare la medicazione alla ragazza, A.J la salutò con un bacio in fronte e uscì promettendole che sarebbe sicuramente tornato a trovarla.

-Hai ricevuto visite oggi.- affermò il dottore mentre le disinfettava la ferita.

-Solo lui, mi ha portato questi.- spiegò lei indicando le margherite.

-Daryl è uscito nei boschi, è venuto a trovarti mentre dormivi e mi ha detto di avvisarti.- fece lui sistemandosi meglio gli occhiali sul naso.

Daryl era nei boschi, era passato da lei per dirglielo, ma lei dormiva. 
Sentiva il bisogno di avvertirla dei suoi spostamenti, pensava che fosse giusto farle sapere dove si trovasse.
La ragazza fu colpita da tanta premura e la strana visita di A.J passò immediatamente in secondo piano.
Un urletto da ragazzina isterica le partì dalla gola ed iniziò a sorridere come un'ebete. Lui le pensava. 

Il dottore scosse la testa, evitando di commentare la reazione di Jordan a quella notizia e riprese ad occuparsi della sua medicazione.
Quando ebbe finito, lei si risistemò bene sul letto, ma l'eccitazione per ciò che aveva appreso era troppo grande, non riusciva a contenerla.
Per una persona estranea ai comportamenti di Daryl, quello sarebbe stato soltanto un gesto di cortesia, ma per lei, per lei valeva come oro.
Con il rischio che le si strappassero nuovamente i punti, si alzò dal letto iniziando a volteggiare per l'infermeria, saltellando e ballando. 
Si sentiva una perfetta imbecille anche perché non era sola in quella stanza, ma il giudizio della gente non le era mai importato poi molto. L'avevano considerata sempre tutti un po' matta, fin da ragazzina, non era certo una novità.

Certo avrebbe preferito che Daryl non la vedesse in quel momento, ma ahimè lui fece il suo ingresso in infermeria proprio nell'esatto secondo in cui lei stava finendo una piroetta.
Doc con una scusa uscì e li lasciò soli.
La ragazza avrebbe voluto nascondersi sotto terra per l'imbarazzo. Si fermò e si sedette sul letto schiarendosi la voce.

-Allora... Doc mi ha detto che sei uscito nel bosco.- affermò lei cercando di ricomporsi.

-Sei di buonumore a quanto pare.- disse Daryl avvicinandosi con ancora lo zaino e la balestra in spalla.

Era andato direttamente da lei dopo essere tornato dal giro con Paul, impaziente di portarle i suoi regali. Si sentiva un idiota, con il cervello completamente bollito. Quella strana biondina aveva un effetto devastante su di lui, era come perdere il terreno sotto i piedi e cadere. Un salto nel vuoto, lontano da tutte le sue certezze e dai suoi schemi.

Si sedette sulla sua solita sedia accanto al letto e lei si voltò verso di lui poggiandogli i piedi sulle ginocchia. Non era un gesto premeditato, sembrava solo bisogno di contatto. 
Una delle gambe dei suoi pantaloni, aveva uno strappo proprio all'altezza del ginocchio e Josephine appoggiò delicatamente le sue dita dei piedi nude, sul lembo di pelle lasciato scoperto dallo squarcio nella stoffa.
Daryl la lasciò fare, rendendosi conto che il contatto della loro pelle gli stava provocando un brivido lungo la schiena.

Senza allontanare i piedi di lei, si abbassò verso il suo zaino, che aveva poggiato a terra e ne tirò fuori una busta di carta.
Era un sacchetto molto simile a quelli dei negozi di liquori e Jordan pensò che avesse trovato un'altra bottiglia da usare per una delle loro sbronze serali.

Mentre stava per porgerle quel sacchetto, sul comodino della ragazza notò un bicchiere di vetro con dentro un piccolo mazzetto di margherite.
Qualcuno le aveva fatto visita.

Josephine accorgendosi di dove fosse rivolto lo sguardo di Daryl, si affrettò a spiegarsi, come se avesse fatto qualcosa di male, come se parlare con A.J fosse una sorta di tradimento.

-Me li ha portati A.J, è passato a trovarmi prima.- disse la ragazza tranquilla.

-Quel coglione? Cosa voleva?- domandò lui irrigidendosi.

-Solo farmi visita per vedere come stessi.- rispose Jo.

-Certo, come sei stupida, è talmente evidente...- borbottò Daryl scostandosi da lei.

-Non azzardarti a darmi della stupida! Cosa c'è di così evidente?- chiese lei contrariata.

-Vuole aggiungere una tacca alla sua cintura!- sputò l'uomo con una smorfia.

-E' passato solo per scusarsi di non essere intervenuto in mia difesa, abbiamo soltanto parlato un po'.- si giustificò la ragazza, non sapendo nemmeno lei perché lo stesse facendo.

-Dannazione Josephine! Come fai a non capire?-

-Cosa stai insinuando Daryl?- 

-Mi sembra talmente chiaro! Lui è venuto qui perché vuole infilarsi nelle tue mutande, sei una sfida divertente! Si è scopato metà delle donne presenti al rifugio ed ora vuole riuscire anche con te. Ed a quanto pare è sulla buona strada, vero? Ecco perché eri così felice quando sono entrato.- sbottò lui, mentre i suoi occhi si facevano scuri come la notte.

Senza darle possibilità di ribattere, uscì dall'infermeria scuotendo la testa. Si sentiva un fottuto coglione e doveva allontanarsi da lei, se l'avesse lasciata parlare sarebbe stata la fine definitiva. 

Josephine restò pietrificata. Mai si sarebbe aspettata una conclusione del genere per quella giornata. 
Era stanca di piangere, stanca di soffrire. 

Abbandonato sul pavimento accanto alla sedia, giaceva il sacchetto di carta che Daryl stringeva tra le mani poco prima.
Arrabbiata lo afferrò senza nessuna grazia e ne rovesciò il contenuto sul letto.
Un pezzo di stoffa e qualcosa di metallico caddero sulla sua coperta di lana beige.
Passò le dita sul pezzo di stoffa. Sembrava seta e guardandolo con più attenzione capì che si trattasse di un vestito.
Un abitino color lavanda, ricoperto di farfalle.
La cosa che più colpì la ragazza però, fu l'altro oggetto che uscì dalla busta.
Una catenina con un ciondolo a forma di freccia. Non sapeva dove Daryl lo avesse trovato, ma sembrava fosse stata opera del destino.
Mai regalo sarebbe stato più azzeccato. La freccia. Girava tutto intorno alla freccia.
Quelle incoccate sulla sua balestra, quella puntata sulla sua faccia, le frecce dentro la faretra che gli aveva regalato. 
Le aveva pensato, aveva raccolto quegli oggetti pensando a lei, quindi cosa gli era preso? Cosa lo aveva fatto comportare a quel modo? Il solo odio nei confronti di A.J non poteva giustificare un tale scatto d'ira. La gelosia. La gelosia avrebbe potuto.

Indossò la catenina ed andò in bagno per specchiarsi. Afferrò anche il vestito e se lo appoggiò addosso per farsi un'idea di come le sarebbe stato. Non aveva scarpe adatte, i suoi vecchi scarponi non avrebbero reso giustizia ad un abito così carino e femminile.
Femminile. Sembrava la parola d'ordine.
Le aveva detto di non tagliarsi più i capelli, le aveva detto di lasciarli crescere e poi quel regalo. 
Forse era davvero arrivato il momento di tornare ad essere se stessa, ricominciare ad essere Josephine e Daryl con quei regali, sembrava volerle dire "ti starò vicino in questo momento" e lei gli era terribilmente grata per quello.

Accarezzando con le dita il tessuto morbido dell'abito, ripensò alla scenata che le aveva fatto lui poco prima, ma soprattutto alle sue parole. Vedendola si era convinto del fatto che fosse felice per la visita di A.J. Come poteva essere così cieco? Come faceva a non accorgersi che la sua felicità era strettamente legata ad ogni sua piccola parola o gesto?
Era stanca, a pezzi. Non tanto fisicamente, quanto mentalmente. 
Ritornò nella stanza portando con sé il suo regalo e poggiandolo sulla sedia in modo che non si sgualcisse. La catenina, invece, la tenne al collo.
Si sdraiò sul letto accoccolandosi il più possibile sotto le coperte e fu così che si addormentò, tenendo il pugno stretto intorno al ciondolo a forma di freccia.

Quando aprì gli occhi, il mattino seguente, la notte le aveva portato consiglio.
Fu svegliata dal profumo della colazione che le era stata portata da Doc e da una buona notizia. Poteva tornare nel suo alloggio.
Doveva essere cauta ed astenersi da fare cose folli, almeno fino a quando la ferita non si fosse rimarginata del tutto, ma stava bene e poteva lasciare l'infermeria.
Felice decise di indossare il vestito e di andare a cercare Daryl, voleva che fosse il primo a vederla con addosso il suo regalo.
Si alzò dal letto, mangiò del pane tostato e bevve quello schifo di caffè al quale non si sarebbe mai veramente abituata e poi afferrò l'abitino e si diresse in bagno, dopo aver posato un leggero bacio sulla guancia al dottore, lasciandolo perplesso, ma divertito dal suo evidente buonumore.
Si guardò allo specchio... i suoi capelli. Erano un disastro, una specie di nido per uccelli. Li districò con le dita ed i suoi ricci biondi presero una forma che le ricordava quella di tanti cavatappi. La lunghezza della sua chioma, rendeva la sua testa molto simile ad un fungo. Con uno sbuffo contrariato, cercò di ignorare quell'ammasso catastrofico ed informe e si concentrò sul vestito.
Era molto morbido ed aveva la chiusura lampo sul lato sotto l'ascella. Aveva le maniche corte ed una piccola cintura in vita che si legava dietro formando un fiocco. Il color lavanda non si sposava benissimo con i suoi scarponi di pelle marrone, ma purtroppo non aveva nient'altro di più adatto.
Indossò l'abito e si guardò allo specchio ancora. Era dimagrita e le ossa del bacino che sporgevano leggermente, si intravedevano attraverso la seta leggera, ma doveva ammettere di essere carina.
Dopo tutto quel tempo, vedersi di nuovo così le provocò una certa emozione, che tuttavia cercò di reprimere. Era impaziente di scendere in cortile e di mostrare a Daryl il suo abito.

Tornò nella stanza e salutò Doc, il quale la guardò sbalordito, come se fosse la cosa più bella e strana che avesse mai visto.
Attraversò il corridoio e, una volta davanti alla porta principale, prese un respiro profondo, spinse il maniglione anti panico e si ritrovò in cortile.
Al suo passaggio tutti si bloccarono a guardarla. Gli uomini come se stessero guardando una preda in una battuta di caccia e le donne con un misto di invidia ed ammirazione.
Tutta quell'attenzione la imbarazzò, ma andò dritta per la sua strada. Doveva trovare Daryl. Probabilmente avrebbero litigato ancora, ma voleva che lui la vedesse, sperava che indossare quell'abito fosse sufficiente per fargli capire.

Arrivata al gazebo, salutò Rebecca, che le riservò un sorriso tirato e poi incontrò Paul.
Il ragazzino, stupendola, la abbracciò stretta e le chiese scusa per non aver piantato una freccia in testa a Patrick.
Resosi conto di ciò che stava facendo, si stacco ed iniziò a fissare il pavimento piuttosto in imbarazzo.
Vedendo il disagio di Paul, lo tranquillizzò con un sorriso e lo invitò a sedersi con lei per bere una tazza di caffè insieme.

-Josephine quindi?- domandò il ragazzino grattandosi la testa.

-Te l'ha detto lui vero?- rispose Jo con un sorriso.

Paul annuì e portò la tazza alle labbra, guardando la ragazza, come se si aspettasse di ricevere una domanda da parte di lei.

-Ha detto che voleva stare un po' solo, è uscito prestissimo.- disse lui, interpretando perfettamente i pensieri di lei.

-Oh... e tu non sai dove possa essere andato?- chiese speranzosa.

-Forse.- rispose lui. Sembrava che avesse deciso di farla morire di curiosità. 

Josephine lo guardò implorante. Era chiaro che morisse dalla voglia di sapere dove trovare Daryl, ma lui non era certo che l'uomo avrebbe gradito una visita da parte sua. Prima di uscire gli aveva detto che sarebbe stato per un paio di giorni in quella casa che avevano trovato il giorno prima ed alla sua richiesta di spiegazioni, si era limitato a dire che era necessario mettere un po' di distanza.
Subito Paul non era riuscito a comprendere a pieno quel discorso, ma vedendo l'interesse della ragazza, le tessere del puzzle erano andare al loro posto.
Era lei che stava evitando, anche se non gli era completamente chiaro il perché.
Ciò che gli era chiaro, nonostante fosse molto giovane, era il legame che univa quei due era molto forte. Fu in quel momento che decise di fare il cupido della situazione.
Sperando di non fare una sciocchezza, spiegò a Josephine come raggiungere la casa nel bosco e si offrì anche di accompagnarla, ma la ragazza rifiutò.
Con un sorriso a trentadue denti si avviò verso la sua stanza per recuperare le armi.
Quell'abitazione non era molto distante dal rifugio e decise di andarci con addosso il vestito, sperando di non strapparlo in mezzo agli arbusti.
Armata del suo tomahawk e con in spalla un piccolo zaino con lo stretto necessario, uscì dal cancello, diritta verso la direzione indicatagli da Paul, sperando che Daryl gradisse la sua visita.

Ciò che indossava non era certo l'abbigliamento adatto ad un giro nel bosco e sperò vivamente di non incontrare erranti sul suo cammino, l'ultima cosa che desiderava era che il suo bellissimo abito venisse imbrattato di sangue e marciume.
Il fato, almeno per quella volta, sembrava aver deciso di andarle in contro e di collaborare con lei. Sul suo cammino incontrò un paio di vaganti che con qualche stratagemma riuscì ad evitare, facendoli allontanare.
Dopo l'ennesima svolta a destra, si trovò davanti il sentiero di cui le aveva parlato Paul e, da lontano, scorse il tetto grigio della casa che stava cercando.
Felice per essere arrivata a destinazione, ma con una certo timore, percorse tutto il sentiero, giungendo nel giardino davanti all'abitazione, rifugio di Daryl e aguzzò la vista cercando di notare la sua presenza.

Dell'uomo, tuttavia, non vi era nemmeno l'ombra. Guardandosi intorno notò chiaramente i segni del suo passaggio, qualcuno si  era accampato lì intorno e l'erba del giardino era schiacciata in alcuni punti, traccia evidente che qualcuno fosse appena transitato da quelle parti.
Respirò per cercare di calmare il suo cuore impazzito e si avvicinò alla porta di ingresso.

Con una leggerezza da dilettante, non si accorse dello spago che l'uomo aveva posizionato davanti al portone e, urtandolo, i barattoli che vi erano stati legati fecero un gran fracasso annunciando il suo arrivo.
Si maledì mentalmente e aspettò di vedere la porta aprirsi, tentando di ricomporsi. 

Quando Daryl aprì la porta, puntando la sua balestra verso l'esterno pensò di trovarsi davanti un errante desideroso di nutrirsi di lui, ma ciò che l'attendeva sul portico era in un certo senso peggio.
Lei era lì, con i suoi capelli ricci e gonfi, più lunghi di quando l'aveva conosciuta e addosso aveva il vestito che le aveva regalato. 
Era decisamente bella, nonostante i lividi sulle gambe, nonostante i suoi scarponi inadatti a quell'abbigliamento, l'uomo doveva essere onesto: era bella.
Un dettaglio attirò la sua attenzione, sul suo collo faceva bella mostra di sé il ciondolo a forma di freccia che le aveva portato. 
Vedendo i fiori di A.J sul suo comodino, si era pentito immediatamente di averle fatto quei regali ed aveva deciso di non consegnarglieli, ma evidentemente lei doveva aver trovato la busta. 

-Dovrei uccidere quel dannato ragazzino!- esclamò Daryl abbassando l'arma.

-Oh non prendertela con Paul, è colpa mia.- disse lei facendo spallucce.

-Avrebbe dovuto tenere la bocca chiusa.- ringhiò lui, profondamente seccato.

-So essere molto convincente quando voglio.- scherzò la ragazza con un occhiolino.

-Specialmente con quel vestito addosso.-  si lasciò scappare l'uomo, pentendosene nello stesso istante in cui quelle parole erano uscite dalla sua bocca.

Josephine, a disagio, abbassò lo sguardo, incredula per quell'inaspettato complimento e spostò il peso da un piede all'altro giusto per cercare di non stare ferma e impalata.
Era strano il modo in cui l'uomo che aveva di fronte riusciva a metterla in crisi anche con delle parole all'apparenza innocue e prive di significato.
Restarono per qualche minuto a scambiarsi fugaci ed imbarazzate occhiate, senza che nessuno dei due trovasse il coraggio di dire ancora qualcosa.
Come al solito la prima a rompere quel silenzio assordante fu la ragazza che, raccogliendo tutto il suo coraggio, cercò di mettere insieme una frase di senso compiuto per toglierla da quell'impaccio.

-Allora... non mi fai entrare?- domandò guardandosi intorno.

Daryl si spostò dall'ingresso il tanto che bastava per consentirle di passare e, una volta che lei fu all'interno, chiuse la porta alle sue spalle, ragionando su ciò che fosse meglio fare.
Erano soli in mezzo al bosco e quella situazione gli riportò alla mente un'altra casa ed una altra biondina.
Stava cadendo di nuovo in quel fatale errore. Erano due persone diverse, completamente, eppure tutte e due avevano una cosa in comune oltre ai capelli biondi, non si erano mai arrese con lui, avevano scavato a fondo nella sua anima, analizzando ogni sua piccola sfumatura e donandogli un'immagine di sé di gran lunga migliore rispetto a ciò che pensava essere la realtà.

-Avevi bisogno di una vacanza?- chiese lei girando per il salotto ed osservando ciò che la circondava.

-Una specie.- rispose lui facendo il vago, mentre dentro la sua testa era in atto una battaglia interiore, l'ennesima.

Non era certo di volerla lì con lui, ma doveva essere onesto con se stesso ed ammettere che quando aveva aperto la porta e l'aveva vista ne era stato entusiasta.
Certo la situazione era pericolosa per lui. Non poteva permettersi il lusso di lasciarsi andare per poi scoprire di averlo fatto per i motivi sbagliati.
Era attratto da lei e gli era piuttosto chiaro, ma non era convinto di esserlo proprio dalla ragazza che aveva di fronte o dall'idea che si era fatto di lei.
Il suo timore più grande era quello di essersi avvicinato a Josephine perché in qualche modo gli ricordava qualcun'altra. 
Quella consapevolezza lo investì facendogli mancare il respiro.
Aveva paura di ferirla oppure era soltanto spaventato all'idea di perderla?
La Beth del suo sogno aveva cercato di farlo riflettere e, considerando che quella era una proiezione della sua mente, a conti fatti erano suoi pensieri quelli che la ragazza gli aveva esposto. Josephine gli piaceva, quello era un fatto inequivocabile.
Mascherando il suo tumulto interiore con la sua solita espressione indecifrabile, Daryl si avvicinò alla ragazza e le piantò gli occhi addosso come se stesse cercando di perforarle l'anima con quelle iridi di ghiaccio.

-A.J sa che sei qui?- domandò in tono ironico accendendosi una sigaretta.

-Non vedo perché dovrebbe.- affermò la ragazza tranquilla.

-Beh visto che siete intimi. Sarà stato molto felice di questo vestito, toglierlo sembra molto facile.- disse Daryl soffiandole il fumo in faccia.

Lei tossì e appena e sventolò la mano per allontanare quella nuvola da sé e si perse qualche secondo ad osservare l'uomo che aveva davanti. Le piaceva, Dio solo sapeva quanto e la destabilizzava ogni volta con la sua finta indifferenza e la sua mascherata gelosia. Le faceva girare la testa quel suo modo di fare. Era imprevedibile. Un attimo prima gentile ed un secondo dopo il più grande stronzo sulla faccia della terra.
Daryl era quello. Un uomo indecifrabile, ma, ciò che sarebbe stato insopportabile per un'altra persona, per lei era qualcosa di intrigante e affascinante. L'aveva conquistata quasi subito. Erano bastati pochi sguardi per farle battere il cuore. 
Non era certa che anche lui provasse lo stesso tipo di attrazione nei suoi confronti, ma aveva tutta l'intenzione di scoprirlo.

-A.J è un coglione. E' passato da me, si è scusato, abbiamo parlato e non credo che ricapiterà ancora. Non siamo intimi e non lo diventeremo e vorrei che questo punto ti fosse chiaro. Anche se ad essere onesta non capisco perché ti interessi così tanto. Non credo siano affari tuoi le mie amicizie a meno che...- spiegò Jo lasciando, di proposito, la frase a metà.

-A meno che?- domandò Daryl avvicinandosi a lei, lasciando tra di loro uno spazio minimo.

-...a meno che tu non sia geloso di me perché non vuoi che un altro uomo mi ronzi intorno.- rispose la ragazza fronteggiandolo sicura della sua affermazione.

-Io geloso? Puttanate!- mormorò lui allungando il viso verso la ragazza e parlandole dritto all'orecchio.

Le sue parole le solleticarono il lobo, provocandole dei piccoli brividi lungo la schiena. Sapeva perfettamente che gioco stava facendo. Voleva punzecchiarla e ci stava riuscendo benissimo. Tra loro era così dopotutto. Un continuo punzecchiarsi.
Se Daryl aveva deciso di giocare, Josephine non si sarebbe tirata certo indietro. 
Protendendosi verso di lui gli sfiorò appena il collo con le labbra e gli sorrise maliziosa, in attesa della sua reazione.
L'uomo restò pietrificato e Jo, vittoriosa, decise di infierire con un ultimo affondo.

-Non ho mai ricevuto un regalo così bello.- disse giocherellando con il suo ciondolo ed allargando un po' il colletto del vestito.

Daryl deglutì vistosamente e lei dovette trattenersi dal ridere. 
Bastava davvero poco per trasformarlo in un ragazzino impacciato. Quando erano in missione era molto simile ad un leone, coraggioso e fiero, ma quando lei si avvicinava un po' più del solito si trasformava immediatamente in un gattino spaventato.
Non sapeva definire il sentimento che provava per lui, ma una cosa era certa, si sentiva legata e se A.J ci avesse davvero provato con lei, come insinuava Daryl, non si sarebbe mai lasciata andare. Dal suo punto di vista era sentimentalmente impegnata ed era sempre stata una ragazza fedele.
Si diede mentalmente della stupida per quel pensiero. Era un po' come una bambina, innamorata di un ragazzino più grande, ma ovviamente non ricambiata. Le ricordava molto una di quelle scene alla "sono fidanzata ma lui non lo sa", patetica a dir poco.

-Ti sta bene.- bofonchiò lui grattandosi la nuca con fare imbarazzato.

A quel complimento, così sincero ed inaspettato, la ragazza avvampò. L'arciere non era il tipo di uomo che ti riempie di lusinghe, era piuttosto uno abituato a lasciar parlare i gesti e gli sguardi, ma quella volta e contro ogni previsione, si era sbilanciato. Doveva essergli costato uno sforzo immane farlo, ma per Josephine fu un regalo di gran lunga superiore al vestito e la collanina. 
In quella strana corsa, stava partecipando anche Daryl e sapere di non essere la sola in gara le sollevò il morale e sciolse quasi del tutto i numerosi dubbi che le avevano fatto venire il mal di testa in quei giorni.

-Grazie.- rispose lei timidamente scoccandogli un bacio sulla guancia e abbassando lo sguardo.

L'uomo grugnì qualcosa, un verso più che una vera e propria parola e si passò una mano sul viso come se cercasse di cancellare il disagio di quel momento.

-Possiamo sederci? Mi sento un coglione qui in piedi in mezzo alla stanza.- chiese Daryl indicando il divano.

Non era il massimo della pulizia, anzi era piuttosto malconcio ed impolverato e, per evitare che il vestito della ragazza si sporcasse, Daryl girò al contrario uno dei cuscini, sperando che dall'altro lato la situazione fosse migliore.
Josephine lo ringraziò un po' imbarazzata e lui le fece segno di accomodarsi sedendosi a sua volta, lasciando tra loro lo spazio di una seduta.
La ragazza, si poggiò le mani in grembo ed iniziò a guardarsi intorno. Spesso i loro occhi si incontravano e, dopo essersi scambiati un mezzo sorriso, distoglievano immediatamente lo sguardo. 

-Sai... non mordo...- affermò Jo all'improvviso.
-Ne sei proprio sicura?- scherzò lui prendendola un po' in giro.

La ragazza soffocò una risata, sapeva essere divertente quando voleva anche se capitava di rado. Aveva sempre quell'aria triste ed accigliata, come se tutti i mali del mondo gravassero sulle sue spalle e si sentisse il responsabile di ogni maledetto problema dell'umanità. Josephine aveva ormai imparato a rapportarsi con lui e sapeva che c'era molto altro oltre quella facciata da uomo rude e tormentato. Per quanto si sforzasse di nasconderlo, era indubbiamente una brava persona, plasmata nel tempo dalla sofferenza e dalle perdite, era evidente, ma comunque tutto ciò che doveva essergli successo non era riuscito a cancellare completamente la sua vera essenza.

Daryl non sembrava aver colto la sua frecciatina e, con calma come se avesse paura di spaventarlo, allungò una mano verso di lui raggiungendo una delle sue, mollemente appoggiata sul ginocchio destro.
Sapeva che quelle dimostrazioni di affetto lo irrigidivano, ma ormai tra loro c'era una certa confidenza e sperava vivamente che bastasse a non farlo tirare indietro. 
Raccogliendo tutto il suo coraggio, tirò a sé la mano di Daryl e la portò, stretta nella sua, a cingerle le spalle.

L'uomo, dovette per forza avvicinarsi a lei, diminuendo la distanza che li separava e sistemandosi meglio sul divano.
Era ancora seccato per ciò che era successo con A.J, ma averla così vicina gli aveva fatto dimenticare, come al solito, ogni cosa.
Accanto a Josephine si sentiva subito meglio, alleggerito dal suo fardello, di nuovo capace di credere alle cose belle della vita perché lei era una di quelle. Uno come lui non meritava certo le attenzioni di una ragazza del genere, ma, contro ogni previsione, lei era lì e non sembrava intenzionata a volersene andare. Lo aveva raggiunto nel momento più oscuro di tutta la sua vita, quando voleva decisamente farla finita, se n'era presa cura riportandolo verso la luce a poco a poco. Non c'era nessun dubbio a riguardo, era un bastardo fortunato.

-Non devi essere geloso di quel coglione.- sussurrò la ragazza, giocando con le dita callose di lui che teneva ancora intrecciate con le proprie.

-Ti ho già detto che non lo sono.- rispose lui sbuffando appena.

-Invece lo sei, ma non devi. Non ne hai motivo. Quello stupido ed insulso mazzetto di margherite non cambia nulla. Per me non significa niente.- affermò lei convinta e si voltò a guardarlo.

-Sembravi piuttosto felice della sua visita quando sono arrivato.- disse Daryl alzando appena le spalle.

Aveva frainteso ogni cosa. A volte Jo si dimenticava di quanto fossero strani gli uomini. Era parecchio tempo che non aveva a che fare con uno di loro, anche se quelli incontrati prima di Daryl, non potevano davvero definirsi uomini ed aveva scordato quanto potesse essere complicato far capire loro le cose.
Era sempre stata ipercritica nei confronti del sesso maschile e dover interpretare uno di loro per tutto quel tempo, le era risultato piuttosto difficile, forse per quel motivo nel rifugio tutti pensavano che fosse gay.
Con un sonoro sbuffo, si girò completamente verso di lui e decise che fosse arrivato il momento di mettere le carte in tavola. 

-Questo perché non leggi tra le righe.- disse senza interrompere mai il contatto visivo.

Daryl la guardò confuso, ma non disse nulla, sembrando in attesa di una spiegazione. Spiegazione che non tardò ad arrivare. 
Josephine era stanca di nascondersi, tra di loro c'era qualcosa e girarci intorno stava diventando ridicolo.

-A volte dimentico di avere a che fare con un uomo!- disse lei sogghignando. 

Un attimo di silenzio, si gustò per qualche secondo l'espressione di lui sempre più basita e poi continuò.

-Pochi istanti prima che tu entrassi nella mia stanza Doc mi ha detto una cosa, mi ha informata del fatto che tu fossi passato a trovarmi per avvisarmi che avresti fatto un giro nel bosco. Per questo ero felice, ero felice perché mi avevi pensata. Ritieni opportuno informarmi dei tuoi spostamenti, dammi pure della sciocca sentimentale, ma per me è importante.- spiegò candidamente Jo.

L'uomo la fissò con un misto di sorpresa ed imbarazzo. Tutta quella sincerità lo sconvolse.
Invidiava Josephine e la sua capacità di esprimere a parole tutto ciò che le passasse per la testa, lui non era mai stato capace; il suo collegamento pensieri-bocca doveva essere interrotto.
Per l'ennesima volta era riuscita a stupirlo.
Senza quasi accorgersene la strinse di più a sé e le poggiò le labbra in fronte baciandole appena una tempia.
Lei si accoccolò tra le sue braccia ed in quel preciso istante capì di essere esattamente dove voleva stare.

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Capitolo 25
*** Capitolo 24- Leader ***


Capitolo 24

LEADER

Restarono fermi nella stessa posizione, per minuti o forse ore, stretti in quell'abbraccio che sapeva di infinito. Il mondo chiuso fuori dalla porta pareva non poter minimamente intaccare il loro momento di pace. Il contatto dei loro corpi li aveva caricati di energia, donando loro una nuova forza in grado di superare avversità che sarebbero state insormontabili se affrontate da soli.
Josephine si sentiva leggera. Finalmente poteva abbandonare la sua maschera e concedersi qualche attimo di debolezza, con la consapevolezza di avere qualcuno accanto pronto a sollevarla in caso di caduta. 
Lo aveva tirato fuori da quel fosso, ma per quanto la storia raccontasse che fosse stata lei a salvare lui, per la ragazza la realtà era ben diversa, si erano salvati a vicenda, camminando insieme per mano attraverso l'oscurità e raggiungendo la luce.
Senza di lui avrebbe passato i suoi ultimi anni nascondendosi dietro una falsa identità e rinunciando alla vera se stessa. Senza quel testone burbero e scontroso, senza quell'uomo all'apparenza freddo e scostante non avrebbe mai trovato il coraggio di uscire allo scoperto e di mostrarsi esattamente per quella che era.

Daryl dal canto suo aveva abbassato tutte le sue difese. Si sentiva terribilmente vulnerabile, ma allo stesso tempo forte con lei accanto.
Aveva affrontato molte difficoltà in quegli anni, perdendo persone a lui care e dovendo compiere azioni delle quali non avrebbe mai smesso di pentirsi, ma se tutto ciò che aveva dovuto sopportare era servito a portarlo da lei, lì in quel momento, su quel divano, sarebbe stato disposto ad affrontare tutto da capo.
In una piccola zona buia della sua testa avrebbe conservato per sempre il ricordo di quei momenti difficili, per tirarli fuori ogni tanto e sfogliarne le pagine.
Era deciso ad uscire a cercare gli altri e portarli al sicuro nell'Area 51, voleva parlarne a Josephine da parecchi giorni, ma l'idea di portarla con sé e metterla in pericolo rischiando di perderla, lo aveva fatto desistere dal raccontarle delle sue intenzioni.
La soluzione migliore sarebbe stata partire da solo senza metterla al corrente o scrivendole una lettera, anche se l'idea di lasciarla era insopportabile. Andarsene di nuovo com'era successo in passato, quella volta sarebbe stato un po' come morire. Il pensiero che lei potesse trovare consolazione tra le braccia di un altro in sua assenza, era doloroso ed insopportabile.
Era suo dovere almeno tentare di riunirsi al suo gruppo, ma non era così sicuro che Jo avrebbe compreso le sue motivazioni. 

-Rebecca è molto bella.- disse Josephine all'improvviso.

Daryl si voltò verso di lei con un'espressione tra il sorpreso ed il divertito. Quell'affermazione sembrava tanto un test, un modo per capire quanto lui tenesse a lei.
Vedere i fiori di A.J sul suo comodino, l'aveva fatto andare fuori di testa e quella frase pronunciata da Josephine pareva dettata dai suoi stessi timori. La paura di non essere abbastanza, il terrore di essere sostituiti. Conosceva bene quelle sensazioni e mai avrebbe pensato di poter suscitare tali emozioni in un altro essere umano, a maggior ragione in una ragazza come lei.
Rifletté attentamente su quale fosse la risposta più giusta da darle, non voleva che si sentisse in quel modo, sapere di aver in qualche modo contribuito a quelle sue insicurezze gli fece contorcere le budella.
Non sapendo bene cosa dire, rispose con un'alzata di spalle. 

-Penso che tu le piaccia.- aggiunse la ragazza dopo qualche minuto di silenzio.

-Non dire idiozie.- disse Daryl, irrigidendosi.

-E' innegabile che sia molto bella.- affermò lei.

-Non mi importa.- rispose lui rafforzando la presa sulle spalle della ragazza.

-Beh è strano che non ti importi.- sussurrò Josephine con aria triste.

-Sono un cane fedele.- disse Daryl stampandosi in faccia il suo solito ghigno.

Un'altra donna al suo posto avrebbe trovato strana quella sua affermazione, ma Josephine sapeva. Ormai aveva compreso che sotto ogni sua frase sibillina si nascondesse un mondo di sottintesi. 
Sono un cane fedele. Quattro sciocche parole messe in fila, apparentemente una stupida battuta, ma con un grande significato.
Ancora una volta l'animo romantico della ragazza ebbe la meglio, facendo fare le capriole al suo cuore.
Ciò che Daryl aveva appena detto era semplicemente "Sono un cane fedele", ma all'orecchio di Josephine suonò più come "Mi basti tu".


Mentre Daryl e Josephine trascorrevano quei momenti di pace, rari in quel periodo, al rifugio le cose erano degenerate.
Sarah, la ragazza addetta ai pasti, non avrebbe mai pensato di potersi trovare in una situazione del genere. 
Quando Patrick le si era rivolto in quel modo, non aveva trovato nulla di nuovo, niente al quale non fosse ormai abituata, ma ciò che successe dopo l'aveva sconvolta.
Erano tutti al gazebo, intenti a pranzare. Lei e Rebecca stavano al tavolo e riempivano i piatti, tutto come al solito.
Il dottor Reynolds, uomo per il quale la ragazza aveva una cotta da diverso tempo che non aveva mai avuto il coraggio di dichiarare, era appena arrivato e le aveva chiesto delle patate con il suo usuale tono gentile. La ragazza ignorava completamente che la sua cotta fosse totalmente corrisposta, ma a causa della timidezza, il dottore non era mai riuscito a farle capire cosa provasse. 
Lo aveva colpito dal primo momento in cui era arrivata al rifugio, ma essendo lei molto più giovane di lui, l'idea che avesse potuto colpirla allo stesso identico modo non lo aveva nemmeno sfiorato.
Era bella e nel fiore degli anni, mentre lui era vicino alla quarantina ed un po' imbranato e forse proprio quello aveva attirato la ragazza. Il suo essere impacciato ma gentile, i suoi occhi sinceri nascosti dagli occhiali spessi, ma più di ogni cosa la sua intelligenza e competenza. 

Come ogni giorno, si era attardato accanto a lei qualche minuto per scambiare quattro chiacchiere, discorsi banali, niente di compromettente, ma fu a quel punto che la situazione degenerò.

Patrick iniziò ad insultarla, provocando lo sdegno di tutti i presenti, lamentandosi per la lentezza con la quale stava procedendo la fila e rimproverandole il fatto che stesse perdendo tempo con Doc.
L'uomo venne subito in suo aiuto, frapponendosi tra lei ed il capo, beccandosi però un gancio destro che lo mise K.O. 
Patrick si avventò con la stessa violenza sulla ragazza, colpendola con uno schiaffo e ribadendo i suoi insulti a pochi centimetri dalla sua faccia.
La gente del rifugio, come al solito troppo spaventata all'idea di contraddire il proprio leader, non mosse un dito in difesa della ragazza.
Rebecca tentò di scagliarsi su Patrick per tentare di allontanarlo da Sarah, ma con uno spintone fu anche lei scaraventata a terra.

L'uomo, in preda alla rabbia più cieca, prese tra le mani il collo della ragazza stringendolo con forza e rischiando seriamente di soffocarla.
Nessuno pensò di intervenire, nemmeno uno degli uomini che stavano assistendo alla scena si era mosso per andare in soccorso di Sarah.
Una sola persona mantenne il sangue freddo necessario per fare qualcosa. Paul.
Il ragazzino, memore degli insegnamenti del suo mentore, non si separava mai dalla sua balestra, il regalo più bello che avesse mai ricevuto e, mai come quella volta, il suo attaccamento a quell'oggetto gli venne in aiuto.
Con decisione incoccò un dardo, prese la mira, respirò a fondo e colpì.
La freccia partì a gran velocità colpendo l'uomo alla schiena che si accasciò al suolo con un gemito di dolore.

Sarah tossì e si massaggiò la gola, dove le mani dell'uomo avevano lasciato vistosi segni violacei.
La gente si voltò nella direzione dalla quale proveniva quel dardo, aspettandosi di vedere Daryl e furono tutti piuttosto sorpresi di trovarsi davanti Paul.

L'adrenalina che l'aveva spinto ad un gesto del genere, stava via via scemando, lasciando il posto solo all'orrore per ciò che aveva appena commesso. Patrick era morto ed era stato lui ad ucciderlo.
Rebecca, notando l'espressione di suo figlio, si alzò a fatica dal pavimento per cercare di raggiungerlo, ma Paul scappò via nella direzione opposta. Si sentiva un mostro e nessuno mai avrebbe cancellato dalla sua mente quell'idea.
C'era un solo posto dove avrebbe potuto rifugiarsi, una sola persona con la quale avrebbe voluto parlare in quel momento.
Senza curarsi delle grida di sua madre che chiamava il suo nome tentando di fermarlo, corse verso il cancello ed uscì, dirigendosi verso il bosco.
Lo shock per ciò che aveva commesso gli annebbiò la vista. Procedeva per inerzia, quasi come se nel suo cervello fosse stato inserito il pilota automatico.
Corse, corse a perdifiato senza curarsi della presenza di eventuali pericoli. Dopo diversi minuti di quella folle traversata del bosco, si ritrovò in un luogo famigliare, i cespugli di rose selvatiche, il sentiero, il tetto grigio. Finalmente era giunto a destinazione.
Arrancando salì i tre scalini che portavano al portico e urtò i barattoli appesi da Daryl per segnalare la presenza di qualcuno.
In preda al panico si accasciò sul pavimento di legno e si lasciò andare ad un pianto incontrollato.
E fu in quello stato che l'arciere lo trovò.

Quando sentì il rumore dei barattoli, Daryl corse alla porta con la sua balestra ben salda tra le mani. Con delicatezza aprì e guardandosi intorno notò il corpicino del ragazzo accartocciato su sé stesso come una foglia secca.
Senza esitare, lo prese per le spalle e lo aiutò ad alzarsi, trascinandolo in casa. Chiuse la porta e lo portò fino al divano.
Josephine osservava la scena preoccupata e confusa, così come Daryl.
Nessuno dei due riusciva a spiegarsi il motivo di tale disperazione, ma il primo pensiero andò al rifugio.
L'arciere porse al ragazzo una bottiglia d'acqua costringendolo a bere un sorso e si sedette sul tavolino posto davanti al divano in modo da essergli di fronte. Gli lasciò qualche secondo per riprendersi, ma i singhiozzi che lo scuotevano sembravano inarrestabili.

-Che diavolo è successo?- chiese Daryl, forse in modo un po' brusco.

Paul lo osservò attraverso la sua frangetta nera, tenendo la sua balestra in grembo, ben stretta tra le mani.
Sembrava non riuscisse a parlare e nemmeno la carezza delicata di Josephine pareva riuscire a calmarlo.

-Ragazzo devi tornare in te e dirmi cos'è successo!- affermò l'uomo addolcendo un po' il tono.

-L'ho ucciso.- mormorò Paul abbassando lo sguardo come se cercasse di nascondersi.

-Tesoro chi hai ucciso?- domandò Josephine usando tutta la dolcezza della quale fosse capace.

-Patrick.- rispose il ragazzino dopo un lungo silenzio.

Daryl e la ragazza si guardarono un momento senza riuscire a dire nulla. Paul non era certo un assassino e se era arrivato a compiere un gesto del genere, sicuramente doveva essere successo qualcosa di grosso.
L'uomo fece cenno alla ragazza di lasciarli soli, per quanto i modi delicati di una donna facessero comodo alle volte, in quel caso era certo che Paul preferisse parlare con lui.
Josephine annuì e si allontanò dirigendosi al piano di sopra.

-La mamma, Sarah, Doc!- sbottò il ragazzo tra i singhiozzi.

-Sono morti?- domandò Daryl temendo la risposta.

-No, Patrick li ha aggrediti. Ha spinto la mamma, stava per soffocare Sarah, ha messo K.O. il dottore. Ho dovuto farlo Signor Dixon, non avevo altra scelta, nessuno voleva intervenire. Sono un assassino!- spiegò Paul scoppiando di nuovo a piangere con ancora più disperazione di prima.

Ammettere ad alta voce ciò che aveva fatto era piuttosto duro da affrontare. Il senso di colpa per aver messo fine alla vita di un altro essere umano non sarebbe sparito in poco tempo e Daryl lo sapeva bene.

Si sentì un perfetto idiota. Se non fosse scappato da Josephine, se non avesse lasciato il rifugio per le stronzate che aveva per la testa, il lavoro sporco sarebbe toccato a lui e non a Paul.
Ancora una volta le sue scelte avevano provocato sofferenza ad una persona cara. Si fidava di lui e lo aveva preso ad esempio, era una sua responsabilità.
Senza che quasi se ne accorgesse, Daryl si accomodò sul divano accanto al ragazzo, poggiandogli una mano sulla spalla e stringendo leggermente per tentare di infondergli sicurezza. Non era capace di grandi gesti d'affetto, ma cercò di sforzarsi. Paul contava su di lui ed il fatto che fosse immediatamente corso nel bosco per cercarlo, la diceva lunga su quanto contasse per quel ragazzino.
Essere una specie di figura paterna non era certamente nei suoi piani, specie considerando l'esempio che aveva avuto nella sua vita, ma era successo e Paul era diventato una sua preoccupazione. 

Quando i singhiozzi del ragazzo si placarono, Daryl si alzò dal divano ed avvisò Josephine di preparare le sue cose. Era essenziale raggiungere il rifugio il prima possibile. Per quanto fosse un bastardo, Patrick rappresentava comunque qualcosa, per la comunità era essenziale avere un leader, senza una guida abbastanza forte sarebbe andato tutti in malora in pochi giorni. Gli abitanti dell'Area 51 necessitavano di qualcuno che dicesse loro cosa fare e quando farlo, un capo giusto, ma in grado di prendere scomode decisioni, uno come Rick. Pensare a lui, pensare a tutti loro faceva ancora male e quello non era il momento per lasciarsi andare a stupidi sentimentalismi, c'erano questioni ben più importanti da sistemare.
Dopo aver preparato gli zaini, i tre si avviarono attraverso il bosco percorrendo a ritroso la strada verso il rifugio, ignorando ciò che stava succedendo all'interno delle mura. A causa del gesto di Paul la vita all'Area 51 non sarebbe stata più la stessa, in particolar modo per uno di loro.

A casa le cose stavano rischiando seriamente di degenerare. Dopo la morte di Patrick e la fuga di Paul, la gente era nel panico più totale. 
Sebbene l'uccisione del capo fosse stata, in un certo senso, una liberazione, la fine di quella sorta di dittatura aveva lasciato scoperto il posto di comando. Gli abitanti del rifugio, abbandonati a loro stessi, erano rimasti impietriti ad osservare il corpo del loro leader steso a terra privo di vita. In cerchio intorno al gazebo, incapaci di fare qualsiasi cosa. Quell'uomo, la persona che li aveva tenuti al sicuro e sfamati, nascondeva un lato oscuro che nessuno aveva mai visto prima di allora. Da quando Daryl si era unito a loro le cose erano cambiate. Prima del suo arrivo nessuno mai aveva osato contraddire Patrick o mettere in discussione le sue regole, ma dopo, le persone avevano iniziato ad aprire gli occhi ed accorgersi che non era tutto oro quello che faceva luce.

In assenza di qualcuno sufficientemente forte per prendere il suo posto, il dottor Reynolds si fece coraggio e cercò di intervenire per sistemare le cose. Doc sapeva bene che se il comando fosse passato nelle mani di A.J, le cose non sarebbero cambiate di una virgola e gli abitanti non avrebbero mai accettato di sottostare alle stesse regole dopo aver scoperto la verità.
Con un coraggio ed una risolutezza che non facevano certo parte del suo carattere, prese la parola sovrastando i brusii della gente. La faccia livida e l'occhio pesto per il pugno ricevuto, gli occhiali mezzi rotti sul naso, non certo un'immagine in grado di infondere sicurezza, ma in ogni caso sentì che fosse necessario esprimere la sua opinione.

-Gente abbiamo un problema e questo è evidente. Tuttavia stare qui intorno al corpo di Patrick non lo risolverà. Sappiamo tutti che genere di persona fosse, lo abbiamo capito tutti chi prima e chi dopo. Il tempo della sua dittatura è finito. Sapete, le persone hanno lottato e combattuto guerre per un'idea: la democrazia e credo sia arrivato il momento di mettere in pratica l'insegnamento di chi ci ha preceduto. L'Area 51 ha bisogno di un leader, ma questa volta non si autoeleggerà a nostro capo, saremo noi a decidere chi dovrà prendere il posto di Patrick.- disse Doc attirando l'attenzione di tutti su di sé.

-E come dovremmo fare?- domandò una donna.

-Con delle elezioni!- rispose il dottore.

Il brusio della gente si fece più intenso e Doc restò lì al centro in attesa che le persone esprimessero la loro opinione in merito alla sua idea.

-Io mi candido.- affermò A.J con la sua solita aria strafottente.

-Qualcun altro?- chiese il dottor Reynolds, sperando che altri si facessero avanti.

In un angolo, una donna osservava la scena con gli occhi colmi di angoscia. Rebecca era in ansia sia per le sorti del rifugio, ma anche e soprattutto per la fuga di suo figlio. Era sicura che Paul fosse corso a rifugiarsi da Daryl dopo ciò che era successo, ma non vedendolo rientrare la preoccupazione le stava togliendo il respiro.

Nessun altro si fece avanti per candidarsi come leader e Doc vide avvicinarsi sempre di più ciò che temeva. A.J a capo del rifugio avrebbe significato un passo indietro, l'inizio di un altro regno del terrore.

Nel bel mezzo di quella riunione, Daryl, Josephine e Paul varcarono i cancelli avvicinandosi a quel gruppo di persone per capire cosa stesse succedendo e fu proprio in quel momento che Patrick si alzò. Nessuno dei presenti aveva pensato di piantargli un coltello in testa per evitare che si trasformasse e, quando iniziò a camminare verso il dottore con l'intenzione di nutrirsi di lui, il panico attraversò il volto di tutti.
Non subivano un attacco da diverso tempo e la vista di quell'essere li sconvolse parecchio. 
Paul in quell'istante realizzò di dover finire il lavoro. Era stato lui ad ucciderlo, toccava a lui eliminarlo del tutto.
Il dottore fece qualche passo indietro per cercare di sfuggire alle fauci fameliche di quello che un tempo era Patrick e Paul si frappose tra i due, puntando la sua balestra in avanti.
Daryl non poteva permettere che un tale peso gravasse sulle spalle del ragazzino, non un'altra volta. Con due rapide falcate, raggiunse lo zombie e gli piantò il coltello in testa.
Quando si voltò verso Paul e lo vide abbassare l'arma con le mani tremanti, capì di aver fatto la scelta giusta.

Rebecca corse ad abbracciare suo figlio, mentre Josephine si affiancò a Daryl con aria confusa. 

Ad un tratto la donna, sempre tenendo tra le braccia Paul, prese coraggio e parlò.

-E' lui! Non A.J... è… è perfetto!.- 

Le persone annuirono e parlottarono tra loro sorridendo ed indicando l'arciere. Josephine osservò l'uomo accanto a sé rispondere alle occhiate delle persone con aria smarrita.
Non riuscirono a capire cosa stesse succedendo fino a quando Doc prese la parola.

-Allora, chi è d'accordo ad eleggere il Signor Dixon come nostro capo alzi la mano e dica sì.- affermò ad alta voce lasciando Daryl impietrito.

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Capitolo 26
*** Capitolo 25- Do the right thing ***


 
Ehilà gente! Volevo ringraziavi per le recensioni e l'entusiasmo che state dimostrando per la storia, siete mitici! Comunque il prossimo sarà l'ultimo capito se si esclude l'epilogo, perciò mancano ancora due aggiornamenti alla fine!!!! Grazie mille del sostegno! Alla prossima!

Capitolo 25

DO THE RIGHT THING

Restò in silenzio, completamente senza parole ad osservare quelle mani alzate e ad ascoltare quel coro di Sì urlati con convinzione.
Josephine, forse ancora più basita dello stesso Daryl, si aspettò con un certo timore, la reazione dell'uomo che sapeva non sarebbe stata delle migliori. Aveva imparato a conoscerlo e l'idea di fare il capo era tutto tranne che allettante per lui. Era certa che avrebbe sbottato e li avrebbe abbandonati e il pensiero che quella situazione lo facesse allontanare da lei, le fece perdere un battito. Rinunciare alla sua presenza sarebbe stato insopportabile, ma temeva che una tale responsabilità fosse davvero troppo per lui. Non perché non ne avesse le capacità, ma a causa di quel passato del quale non voleva mai parlare, la ragazza aveva la sensazione che il ruolo di leader gli stesse particolarmente stretto. 
Sarebbe stato un capo fantastico, severo ma giusto e responsabile, tuttavia ciò che avrebbe potuto essere un bene per l'Area 51 avrebbe finito per essere deleterio per l'animo tormentato di Daryl. Da un punto di vista puramente egoistico, Josephine sperava che fosse A.J ad assumere il comando, ma pensando al futuro della comunità sarebbe stata una scelta pessima.
Per una frazione di secondo pensò anche di proporsi al posto suo per alleggerirlo di quel fardello, ma la gente stava votando lui, nonostante i suoi modi bruschi e l'aspetto da duro era riuscito a guadagnarsi il rispetto di quelle persone che, dopo ciò che era successo, erano arrivate addirittura ad affidargli la loro vita. 
Fu vedendo gli sguardi ed i sorrisi della gente che la ragazza decise di provare a convincerlo, sarebbe stato sicuramente difficile, ma si disse che valesse davvero la pena di fare un tentativo.
Quando Doc, dopo aver constatato che la decisione fosse stata presa all'unanimità, gli chiese se intendesse accettare, Daryl non rispose. Non disse nulla e non fece niente, si trincerò per l'ennesima volta dietro il suo silenzio, si nascose dietro la sua solita espressione indecifrabile e si avviò verso l'edificio degli alloggi, lasciando tutti in attesa di una sua parola.
Il dottore guardò la ragazza come una tacita richiesta di aiuto e Jo annuì, intenzionata ad andare lei ad intercedere con l'uomo.

Non appena varcò la porta della stanza, un secondo dopo di lui, Daryl la fermò prima che potesse dire qualsiasi cosa.

-Non dire niente.- affermò a dir poco furioso.

-Se pensi che io sia qui per cercare di convincerti ad accettare ti sbagli.- disse la ragazza raggiungendolo.

-Ah no? E che cazzo vuoi allora?- chiese seccato.

-Sapere se stai bene...- sussurrò lei arrivando dietro di lui e alzandosi in punta di piedi per poggiargli il mento su una spalla.

Daryl si stupì, la rabbia di pochi secondi prima sembrava essere completamente sparita non appena lei si era avvicinata. Per l'ennesima volta era riuscita a calmarlo con un solo stupido gesto. Quando poi le braccia di lei gli avvolsero la vita, capì di non avere più scampo. Non sapeva nulla dell'amore, ma, stando a quello che dicevano gli altri, avrebbe potuto tranquillamente essere qualcosa di simile a ciò che lo legava a Josephine.
Non cercò di scostarsi da lei, non provò a divincolarsi dal suo abbraccio, si sentì al posto giusto e nel momento giusto.
La ragazza non lasciò la presa e Daryl non seppe dire con esattezza quanto tempo restarono così, isolati dal mondo, nel loro piccolo angolo di paradiso in mezzo all'inferno.

Sarebbero rimasti così probabilmente per l'eternità se delle urla non li avessero riportati bruscamente alla realtà, aggiungendo altri problemi a quella giornata già di per sé assurda.
Si staccarono anche se a malincuore ed uscirono dalla loro stanza dirigendosi verso la fonte di quelle grida. Il corridoio del secondo piano era immerso nel fumo e fu abbastanza semplice capirne la provenienza, la stanza del vecchio Signor Jones. 
Era uno dei più anziani lì al rifugio ed aveva la pessima abitudine di addormentarsi senza spegnere le candele.
Durante il pomeriggio era solito leggere a letto, non gli rimaneva poi molto da fare nella vita e rifugiarsi tra le pagine scritte gli faceva compagnia. 
Daryl con il coraggio e l'altruismo che l'avevano sempre contraddistinto, si lanciò all'interno della camera, portando in salvo l'uomo prima che le fiamme lo raggiungessero. Con lo stesso coraggio e la stessa abilità, diresse l'operato degli altri finché non riuscirono a spegnere l'incendio evitando che si trasformasse in qualcosa di ben più grave.

Quando il pericolo fu scongiurato e la situazione ritornò alla normalità, Josephine osservò Daryl stringere mani ed raccogliere tutti i ringraziamenti ed i complimenti delle persone. Una bambina che viveva con la sua famiglia accanto al Signor Jones, gli strattonò una gamba dei pantaloni per attirare la sua attenzione e, quando l'uomo si abbassò alla sua altezza, gli scoccò un bacio sulla guancia sorprendendolo.
La ragazza sorrise del suo imbarazzo e della sua reazione all'affetto della gente e quando gli fu vicino continuò a guardarlo con orgoglio.

-Che hai da guardare?- domandò l'arciere.

-Non ti rendi conto?- chiese Josephine sorridendo.

Daryl restò in attesa di una spiegazione incamminandosi insieme a lei verso la loro stanza. Era sporco e sudato e desiderava soltanto farsi una doccia e andare a letto. Quella era stata la giornata più folle che avesse mai passato dal suo arrivo all'Area 51.
Raggiunta la loro camera, la curiosità per il discorso iniziato dalla ragazza ebbe la meglio e, prima di sparire in bagno decise di domandarle a cosa si riferisse, non riuscendo proprio ad intuire di cosa dovesse rendersi conto.

-Cosa volevi dire?- chiese togliendosi le scarpe.

-Non ti rendi conto?- ripeté ancora lei sorridendo.

-Di cosa dovrei rendermi conto?- domandò lui.

-Ti sei comportato da capo e l'hai fatto senza rendertene conto.- rispose lei, con gli occhi luccicanti per l'orgoglio.

E fu così che, per l'ennesima volta, Josephine riuscì a fregarlo. Era brava a parlare, brava a farlo ragionare ed incastrarlo. Daryl si era ripromesso di tenerlo a mente, ma ogni volta quella sua espressione e quegli occhi furbi lo mettevano con le spalle al muro.
Se suo fratello fosse stato con lui gli avrebbe sicuramente domandato dove avesse messo le palle e probabilmente avrebbe avuto ragione a chiederglielo. Il modo in cui quella ragazza gli era entrata in testa, lo aveva trasformato profondamente, ancora non sapeva dire se in meglio o in peggio, le sue opinioni in merito erano contrastanti. Da una parte c'era il vecchio sé stesso e la sua fortissima voglia di abbandonarli tutti e scappare nei boschi, dall'altra invece c'era la voce prepotente ed assordante del nuovo Daryl che gli intimava di restare, di lottare per ciò che amava. Ormai negarlo sarebbe stato stupido, nonostante non sapesse perfettamente che genere di sensazione desse essere innamorato di qualcuno, era quasi sicuro di esserlo di quella strana ragazza bionda che gli aveva sconvolto l'esistenza.


Nel suo primo mese a capo dell'Area 51, Josephine fu essenziale per lui, consigliandolo e calmandolo come solo lei sapeva fare. Senza dirle nulla iniziò le ricerche di Rick e gli altri, augurandosi vivamente di ritrovarli vivi e di portarli con sé al sicuro nella sua nuova casa. 
Sperando che capissero disseminò il bosco di pezzi di spago con attaccate delle orecchie di zombie per tutto il percorso che portava al rifugio. Aveva pensato di scrivere dei cartelli per indicargli la direzione, ma il rischio che altre persone, con intenzioni poco onorevoli, li trovassero e si presentassero davanti al cancello era troppo alto. 
Il passato gli aveva insegnato che non si era mai troppo prudenti e la paura che ciò che era successo alla prigione potesse ripetersi, lo aveva portato ad essere attento in maniera quasi maniacale a tutto ciò che succedeva intorno al rifugio. Ogni minimo movimento lo faceva scattare, aveva istituito il coprifuoco e costruito una postazione di guardia accanto al cancello. 
Josephine, con i suoi soliti modi molto convincenti, era riuscita ad appianare le divergenze tra lui ed A.J ed anche se non godeva proprio della sua stima, aveva deciso di delegargli qualche compito e di dargli una seconda possibilità.
Le persone si sentivano al sicuro e lui, nonostante la mole di responsabilità, per la prima volta in vita sua poteva affermare di essere felice. Anche se il suo ruolo all'interno della comunità era cambiato, non si risparmiava, usciva ancora in missione portando con sé Paul e Josephine. L'affiatamento che si era creato tra quei tre era tale da essere diventati ormai un'unica entità, fuori da quelle mura si muovevano in modo coordinato e preciso ed il ragazzino era diventato molto abile con la balestra, rendendolo un insegnante fiero.
Divideva ancora la stanza con Josephine, nonostante quella destinata al capo fosse molto più grande, aveva scelto di non abbandonare il suo vecchio alloggio e, svegliarsi con i suoi ricci biondi, sempre più lunghi e vaporosi, che gli solleticavano il naso, era diventata una bella abitudine.
Sebbene il loro rapporto durante il giorno si limitasse solo a qualche sporadico e quasi involontario contatto e di notte la ragazza avesse l'abitudine di dormire arrampicata sulla sua spalla, tra i due non vi era mai stato niente di più. 
Daryl non era certo di quali sentimenti provasse la ragazza nei suoi confronti e l'idea che potesse essersi innamorata era inconcepibile. Non era mai stato un tipo da prima mossa, perfino da ragazzino ed il fatto che lei paresse non curarsene, non faceva che rafforzare la sua idea, ignorando completamente che nel letto, accanto lui, dormisse una ragazza con i suoi stessi tormenti ed una voglia matta di perdersi sulle sue labbra.

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Capitolo 27
*** Capitolo 26- We'll be fine ***


Ciao a tutti! Siamo arrivati alla fine se non si conta l'epilogo. Non posso crederci è finita! Comunque chiedo scusa per il ritardo ma sono stata presissima tra la casa nuova ed i primi preparativi del matrimonio! A presto.
 
Capitolo 26

WE'LL BE FINE.

-Io e la mia famiglia abbiamo camminato per giorni attraverso il bosco, non vogliamo guai, solo un posto dove far riposare la bambina, mia figlia. Se poteste farci entrare ve ne sarei molto grato.- disse un uomo davanti all'entrata del rifugio.

-Aprite il cancello!- ordinò Paul ai due uomini di guardia.

Il cancello si aprì ed un piccolo gruppo formato da uomini e donne, di diverse età ed etnie entrò nel cortile. Tra di loro vi erano anche un ragazzino ed una bambina che doveva avere poco meno di due anni.
Paul si avvicinò all'uomo che sembrava il leader di quelle persone e gli disse di attendere qualche istante l'arrivo del capo.
L'uomo sembrò accettare di buon grado la richiesta e restò in attesa.

-Se la bambina ha fame abbiamo del latte appena munto.- disse Paul con fare gentile.


All'interno di quello che ormai era diventato il suo ufficio, Daryl rifletteva su ciò che lo aveva portato ad essere il capo di quel posto, con tutte le responsabilità che ne conseguivano, quando Jo arrivò di corsa spalancando la porta e avvisandolo del fatto che c'era bisogno di lui al cancello.

-Dannato ragazzino! C'è A.J con lui, non possono cavarsela da soli?- chiese alzandosi dalla sua sedia e raggiungendo la porta.

-Dai, sei il capo ora! Ehi... stavo pensando... questo fa di me una first lady?- disse Jo affiancandolo e accarezzandogli un braccio con sguardo malizioso. 

Quei gesti, nonostante ormai fossero diventati abituali, gli provocavano ancora un brivido lungo la schiena. Tra di loro non era mai  successo nulla di concreto, ma il sentimento che li legava era innegabilmente qualcosa che andava oltre l'amicizia. Josephine non perdeva occasione per lanciargli battutine allusive e sguardi languidi. 
Flirtavano tutto il giorno e non facevano altro che punzecchiarsi. Daryl, dal canto suo, dimostrava il suo affetto nei confronti della ragazza nell'unico modo in cui era capace di farlo, come aveva fatto dall'inizio, quando ancora la credeva un ragazzo: la proteggeva e se ne prendeva cura ed a lei tanto bastava, non poteva chiedere di meglio. 
Avevano raggiunto un loro equilibrio ed era certa che prima o poi l'attrazione evidente che c'era tra di loro, sarebbe sfociata in qualcosa di più.
Daryl non aveva ancora cambiato alloggio ed il fatto di dormire così a stretto contatto lo aveva messo alla prova molto spesso. Tuttavia non voleva affrettare le cose, ne aveva passate troppe per potersi permettere di lasciarsi andare.

Attraversarono il corridoio, fianco a fianco e finalmente arrivarono nel cortile. 
L'uomo, sempre attento più all'incolumità di Josephine piuttosto che alla propria, si parò davanti a lei, in modo da poterla proteggere in caso di pericolo.
A pochi passi dal cancello, però, Daryl dovette fermarsi, lo shock per quello che aveva davanti fu troppo grande.

Senza che nessuno ne capisse il motivo e, senza che nessuno riuscisse a spiegarselo, cadde in ginocchio, completamente sconvolto.
Gli occhi fissi, una strana espressione che andava dallo smarrito al sorpreso.
La ragazza si fermò accanto a lui chiedendogli spiegazioni e volgendo lo sguardo verso il gruppo dei nuovi arrivati, in cerca di risposte.
Uno degli uomini, dopo essersi passato una mano sugli occhi si avvicinò a grandi passi verso l'arciere inginocchiandosi davanti a lui.
Si studiarono per qualche secondo e poi si abbracciarono scoppiando in lacrime.

La ragazza tentò di vederci più chiaro in quella faccenda, ma si spostò di qualche passo per non intaccare la profondità del momento.
Una donna dai capelli corti e grigi corse come una furia verso i due uomini e, non appena Daryl si accorse della sua presenza, si divincolò dall'abbraccio dell'altro e strinse con tutte le sue forze la nuova arrivata.
Jo provò una certa sensazione di fastidio nel vedere quella scena e si domandò chi fosse quella donna che era riuscita a strappare un gesto così affettuoso e spontaneo all'uomo. Non era un tipo incline a slanci di affetto così plateali e l'idea che il vero problema fosse lei le fece storcere la bocca.
La donna dopo aver risposto alla stretta, si spostò di un passo e schiaffeggiò con forza Daryl.
Lui non si mosse, incassò il colpo per poi tornare a stringerla tra le braccia ricominciando a piangere.
Non pensava che lo avrebbe mai visto piangere in quel modo, era un uomo duro e burbero, ma dopo aver visto quella scena arrivò alla conclusione che forse, quella era solo una maschera. Un camuffamento indossato per proteggersi e non permettere a nessuno di vedere quanto meraviglioso fosse.

Fu in quel preciso istante che Josephine capì di essere perdutamente innamorata di lui.

Continuò a tenersi in disparte mentre Daryl, guidato dai due si avvicinava al resto del gruppo elargendo abbracci e strette di mano.
Quando raggiunse il ragazzino che teneva in braccio quella bellissima bambina bionda, la afferrò e la strinse tra le braccia accarezzandole la testa.
Senza lasciare la piccola, si diresse verso Josephine e, come raramente gli aveva visto fare, le sorrise.

-Vorrei presentarti una persona. Lei è la Piccola Spaccaculi.- disse Daryl guardando intensamente la bambina.

Poi rivolto alla folla che si era riunita, incuriosita per quella scena, disse le poche parole che l'emozione del momento gli consentì di articolare.

-Questa è la mia famiglia.- affermò indicando il gruppo appena arrivato.

C'era chi batteva le mani, chi piangeva commosso da quel quadretto, chi si avvicinava per presentarsi e dare il benvenuto.
Daryl fece cenno a Josephine di seguirlo e le fece conoscere tutti.
L'uomo, che era il padre della bambina, si chiamava Rick Grimes e Daryl lo aveva definito "fratello".
Conoscere la sua famiglia, fu per Jo abbastanza strano. Si sentì di troppo in quel momento e, per la prima volta da quando lui era lì, anche piuttosto sola.
Con una scusa si allontanò e lo lasciò libero di godersi la gioia del loro arrivo.
La sua presenza era fuori luogo e si sentiva a disagio in mezzo a tutti quei convenevoli.

Si avviò verso il retro del cortile, nel campo pratica ed iniziò a fare qualche lancio con il suo tomahawk.
Lui era stato educato a presentarla, ma si trattava solo di quello, di educazione. Tutte le sue idee erano, appunto, solo e soltanto idee; elucubrazioni di una donna romantica e stupida. Credeva di essere superiore a quella roba ed invece ci era caduta.
Si allenò da sola per diverse ore, ciò che però non sapeva era che qualcuno la stava fissando, non perdendola di vista nemmeno per un secondo.

Daryl se ne stava seduto sul davanzale della finestra del suo ufficio, fumando una sigaretta e guardando Jo, tentando di spiegarsi il motivo del suo comportamento. Anche lui aveva spesso bisogno di stare solo, ma quella volta non poteva far altro che sentirsi responsabile, una voce gli diceva di essere colpevole di quel cambiamento di umore della ragazza.
Rick entrò nella stanza e si sistemò accanto a lui in silenzio.

-Mi spieghi come hai fatto a diventare il capo di questo posto?- chiese Rick sorpreso.

Di tutte le domande, quella era proprio l'ultima che Daryl si aspettava di ricevere dall'amico.

-Mi hanno eletto.- rispose facendo un tiro dalla sigaretta.
-Ti hanno eletto...- disse Rick sorpreso.

Daryl annuì continuando a fissare Josephine.
Ciò non sfuggì all'altro che capì immediatamente la verità che si nascondeva dietro a quella decisione.

-Quindi quella biondina laggiù non c'entra nulla, giusto?- domandò lo sceriffo ridendo.

Daryl fece spallucce alzando appena le sopracciglia, sperando che l'altro capisse il senso senza bisogno di parole.

-Che ti è saltato in mente?- chiese Rick facendosi serio.

L'arciere lo guardò negli occhi, cercando una spiegazione che potesse bastare, qualcosa che potesse far capire a lui, suo fratello, cosa lo aveva spinto ad abbandonarli.
Il senso di colpa lo investì obbligandolo ad abbassare lo sguardo.

-E' stata dura senza di te, ma più dura è stata la convinzione di trovarti prima o poi trasformato in un vagante. Daryl... ti abbiamo cercato, non hai idea quanto. Poi eravamo sfiniti e le speranze ci avevano abbandonato quando abbiamo visto quei segnali nel bosco, abbiamo sperato davvero che fossero stati opera tua, perciò abbiamo deciso di seguirli e ci hanno condotti qui. Poteva essere un azzardo, ma Judith aveva fame ed abbiamo deciso di avvicinarci al cancello e provare ad entrare. E non ti sto dicendo questo per farti sentire in colpa, voglio solo farti capire che dobbiamo stare insieme, siamo una famiglia.- spiegò lo sceriffo e poi poggiò una mano sulla spalla di Daryl.

Lui si voltò un attimo nella sua direzione e poi ricominciò a fumare la sigaretta e guardare Josephine che conficcava la sua arma dentro un pezzo di legno.

-Va tutto bene quindi?- domandò Rick continuando a tenergli la mano sulla spalla.

L'arciere sorrise, fece l'ultimo tiro e con un cenno del capo indicò la ragazza.

-Starò bene.- disse semplicemente.

 
Ed era vero. Sarebbe stato bene, tutti loro lo sarebbero stati.

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Capitolo 28
*** Epilogo ***


ODDIO... non posso crederci... è davvero finita! *va in un angolino a piangere*
Comunque vi ringrazio tantissimo per le recensioni e l'entusiasmo, sono proprio felice che questa storia sia piaciuta! Siamo arrivati all'ultimo capitolo, la storia è conclusa, anche se...
grazie mille! Alla prossima! 

 
EPILOGO

-Quindi adesso come devo chiamarti? Capo? Presidente? Governatore?- domandò Carol ridacchiando e affiancandosi a Daryl e Josephine che stavano facendo colazione seduti ad uno dei tavoli accanto al gazebo.

-Smettila...- mormorò Daryl alzandosi e andando a prendere una tazza di caffè e del pane tostato per la nuova arrivata.

Vedere quel gesto così gentile riservato ad un'altra, fu per Josephine motivo di gelosia. 
Il giorno prima Rick ed il resto del vecchio gruppo di Daryl erano arrivati al loro rifugio e da quel momento lei si era sentita un peso per lui. Non era nemmeno tornato in camera a dormire e l'idea che avesse passato la notte con lei, con Carol, non le aveva fatto chiudere occhio.
La ragazza consumò la sua colazione nel silenzio più completo, mentre la donna che le stava seduta di fronte parlava con lui prendendosi delle libertà per lei inconcepibili. Lo prendeva in giro, rideva di lui, gli teneva testa e Daryl non sembrava per niente infastidito dall'atteggiamento della donna.
Non aveva avuto il coraggio di chiedergli chi fosse per lui Carol ed in cuor suo sapeva che il motivo per il quale non lo aveva fatto era per paura della risposta.
Lei e l'arciere non avevano mai condiviso nulla di intimo, mai un bacio o cose simili ed il timore che ciò non fosse mai successo a causa di quella donna, le fece perdere l'appetito facendole lasciare quasi l'intera fetta di pane tostato nel suo piatto.

-Che c'è?- domandò Daryl avvicinandosi a lei in maniera quasi impercettibile.

-Non ho molta fame. Scusatemi, mi sono ricordata di una cosa importante, a dopo.- rispose la ragazza allontanandosi dai due e avviandosi verso il campo pratica.

Carol osservò prima lei e poi il modo in cui lui la seguì con lo sguardo fino a quando la ragazza non sparì dietro ad uno dei palazzi e non poté fare a meno di ridere. Cercò di trattenersi, ma vedere il suo amico sotto quella nuova luce fu per lei piuttosto strano. Era palese che la sua presenza avesse infastidito Josephine, procurandole una certa gelosia, ma dal suo sguardo interrogativo, sembrava che Daryl non avesse capito affatto cosa la avesse spinta ad allontanarsi così.
Quando la risata diventò evidente, l'uomo si voltò verso la sua direzione aggrottando le sopracciglia.

-Cosa c'è di divertente?- domandò seccato.

-Allora che effetto fa'?- chiese Carol sempre più divertita.

-Non capisco dove tu voglia andare a parare.- fece Daryl sbuffando.

-Che effetto fa essere innamorati?- lo incalzò lei.

-Come dici?- disse l'uomo con stupore.

-Oh insomma hai capito benissimo. E non viverla come una condanna, è molto bello.- affermò la donna sorridendo.

Senza dargli modo di ribattere, gli scoccò un'ultima occhiata e lo lasciò alla sua colazione. C'era un'altra persona con la quale doveva fare una chiacchierata al più presto, era necessario spiegarsi prima che si facesse strane idee.
Attraversò il cortile e raggiunse il campo pratica, dove trovò esattamente chi stava cercando.

-Sei brava.- esordì mentre Josephine lanciava il suo tomahawk esattamente al centro di un bersaglio di legno.

-Ci provo.- rispose la ragazza, senza interrompere comunque il suo allenamento.

-Sai... lo conosco da molto tempo, non hai davvero motivo di sentirti minacciata da me. Ci siamo guardati le spalle più di una volta, siamo amici.- spiegò Carol tentando di rassicurare la ragazza.

-Sei fuori strada.- disse la ragazza dopo aver fatto l'ennesimo lancio.

-Ti ama.- fece la donna sorridendo.

Josephine si fermò all'istante. Come faceva a saperlo? Che Daryl avesse parlato con lei? L'idea che avesse discusso dei sentimenti che nutriva nei suoi confronti con un'altra donna le faceva torcere le budella dal nervoso.

-Non dubitare nemmeno un secondo di essere importante per Daryl. Lo conosco da molto tempo e posso garantirti di non averlo mai visto così.- disse Carol continuando a sorridere.

-Come fai ad esserne così sicura?- chiese Josephine abbassando lo sguardo con aria sconfitta.

-E' talmente evidente... così com'è evidente che tu provi lo stesso per lui.- affermò la donna con dolcezza.

-Sono senza speranza...- mormorò la ragazza rilassandosi un po'.

-E' felice e per questo non potrò mai ringraziarti abbastanza. L'hai salvato.- rispose Carol con gli occhi lucidi, prima di salutare Josephine e ritornare dagli altri.

Jo elaborò le informazioni ricevute ed un sorriso spontaneo le illuminò il viso. Non riuscì più a concentrarsi sul suo allenamento, anche se Daryl non le avrebbe mai detto di amarla, il fatto che una persona che lo conosceva bene affermasse di non averlo mai visto così con nessuna la fece esplodere di gioia.
Spinta da quella nuova consapevolezza, decise di non potere più aspettare. Il suo animo romantico spingeva per essere lasciato libero di esprimersi.
Corse in camera, rovistò tra le sue cose e finalmente trovò il suo vestito, si sistemò i capelli e centrò per bene la collana con il ciondolo a forma di freccia che non toglieva mai. Durante la sua ultima spedizione era riuscita a trovare un paio di ballerine grigie, decisamente più adatte al vestito rispetto ai suoi vecchi scarponi, le indossò e con un sorriso raggiante si diresse verso l'ufficio di Daryl, sperando vivamente di trovarlo lì.

Dovette cercare ovunque prima di riuscire a raggiungerlo. Quel giorno sembrava che tutti avessero bisogno di lui, rendendo i suoi propositi ancora più difficili da realizzare. Non aveva preparato un discorso, sperando che vedendolo le parole venissero fuori da sole, ma all'idea che lui potesse rifiutarla le gambe le iniziarono a tremare.
Un passettino alla volta lo raggiunse sul tetto in una delle serre e, gli chiese se avesse qualche minuto per parlare.

Daryl non riuscì ad articolare nemmeno una frase. Quel vestito gli faceva perdere la ragione. La seguì fuori dalla serra e si ritrovarono in mezzo al tetto con un sacco di gente intorno. Lei avrebbe sicuramente preferito parlargli in privato, ma in quel momento decide di infischiarsene di tutto ciò che li circondava. 
Daryl restò in attesa di sentire cosa avesse da dirgli non riuscendo a staccarle gli occhi di dosso nemmeno per un attimo.

-E' sui tetti che avvengono le magie.- disse Josephine facendo un passo verso di lui.

-Così mi ha detto qualcuno.- sussurrò lui.

La ragazza si avvicinò ancora intrecciando le sue dita a quelle di lui.
Il cuore le galoppava nel petto e sperò vivamente che lui non lo notasse, non si era mai sentita così stupida ed imbranata come in quel momento. Tremante e timorosa che lui potesse respingerla, si alzò in punta di piedi e con delicatezza poggiò le sue labbra su quelle di Daryl.

L'uomo non si mosse, si gustò quel momento e delicatamente le passò un braccio intorno alla vita avvicinandola di più a sé. Assaggiò le sue labbra con lentezza, come se con quel bacio la stesse studiando e la stesse vedendo per la prima volta. 
Quando si resero conto di non essere soli, Daryl si scostò da lei sempre tenendo le dita intrecciate alle sue e la guardò con un sorriso imbarazzato.

-Giochi sporco con questo vestito.- disse l'uomo sorridendo.

-E' un tuo regalo, io non c'entro.- affermò la ragazza con un grazioso rossore sulle guance.

-Devo congratularmi con me allora.- fece lui continuando a tenerle la mano.

-Dovresti tornare alle tue questioni.- sussurrò Josephine.

Daryl annuì anche se avrebbe preferito di gran lunga restare con lei, aveva parecchie cose da fare, si ripromise di ricordarsi per il futuro di delegare qualcuna delle sue incombenze a Rick e allontanandosi dalla ragazza le riservò un'ultima occhiata per fissare il ricordo e portarlo con sé per tutto il giorno.

Lei gli sorrise, gli mandò un bacio e lo salutò con tono malizioso.

-Ci vediamo stasera Reno.- 


 
FINE...?

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