A-N

di Chains_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A girl with a secret. ***
Capitolo 2: *** Her guardian angel. ***
Capitolo 3: *** Gypsy. ***
Capitolo 4: *** "I'm yours." ***
Capitolo 5: *** Fall in love. ***
Capitolo 6: *** Blackout. ***
Capitolo 7: *** "Where are you?" ***
Capitolo 8: *** "One day, we'll stay together." ***
Capitolo 9: *** Drops of memory. ***
Capitolo 10: *** Castle of cards. ***
Capitolo 11: *** Kidnapping. ***
Capitolo 12: *** Runaway. ***
Capitolo 13: *** The storm. ***
Capitolo 14: *** A blind alley. ***
Capitolo 15: *** Reflected in the stars. ***
Capitolo 16: *** From the inside. ***
Capitolo 17: *** Through the dark. ***
Capitolo 18: *** "Like Heaven before I die." ***
Capitolo 19: *** Chains. ***
Capitolo 20: *** Neither hell nor paradise. ***
Capitolo 21: *** Lovely bones. ***
Capitolo 22: *** Lost. ***



Capitolo 1
*** A girl with a secret. ***


A-N


 

E insomma, sono le 5:39 del mattino e io, dopo aver pubblicato l'ultimo capitolo della mia precedente storia, non dormo pur di postare, come promesso, questa.
Che dire, buona lettura! Se volete, fermatevi a leggere lo spazio autrice e magari, lasciatemi una recensione. :)


 

"Io sono stufa di studiare sempre qui! Questa roulotte, questo circo, sono diventati una prigione per me! La nostra dannata cultura mi sta uccidendo!" Sbuffò la ragazza infilandosi velocemente un paio di mezze punte in cuoio, usate anche dalle ginnaste di ritmica.

"Allin, senti, io lo so che per te è difficile tutto questo. Non sei come gli altri della nostra cultura. Non la ami. Non vorresti essere gitana, e, inoltre, scommetto che il tuo aspetto capace di confondersi con quello degli irlandesi non fa altro che rafforzare la tua voglia di essere come loro, sbaglio?" Domandò una donna dall'aria bonaria, inginocchiandosi davanti alla sedicenne.

"Io vorrei essere irlandese, vorrei vivere come gli altri, non vorrei che la mia vita si limitasse ad essere quella di una nomade acrobata di circo. E poi... Ho l'impressione di essere sempre fuori posto, qui con voi." Ammise Allin chiudendosi a riccio, portando le ginocchia al petto.

"Convincerò tuo padre a mandarti a scuola. In fondo, per tutta l'estate non hai fatto altro che stare qui ad allenarti e a prendere parte ai numerosi spettacoli della compagnia. Quell'uomo deve mollare la presa, hai tutto il diritto di andare a scuola." Marie sorrise alla figlia, sperando con il cuore che Gonzalo le avrebbe dato ascolto.

Così fu.

* * *

Per tutti gli studenti del piccolo liceo di Mullingar quell'otto Settembre si presentò come un noioso ed ordinario primo giorno di scuola, dopo la fine delle vacanze estive. Un solo ragazzo, non sembrava dispiaciuto di esser tornato tra le mura di quell'istituto, incominciando, sin di prima mattina, a divertirsi con i propri amici, suonando allegramente la sua chitarra nel cortile.

"Nialler, secondo me dovresti partecipare ad X-factor l'anno prossimo!" Esclamò uno di questi, Mark, dandogli una pacca sulla spalla.

"Ma sì, dovresti quantomeno provare!" Aggiunse una ragazza, Elizabeth, sorridendo al suo compagno.

Niall Horan, sedici anni, irlandese fino al midollo, aveva infatti un sogno: quello di cantare, un giorno, davanti a migliaia di persone. La musica per lui poteva esser definita come linfa vitale. Al ragazzo bastava dunque afferrare la sua chitarra per essere felice, per scordarsi di ogni preoccupazione. Forse, il suo attaccamento per quello strumento poteva risultare pari a quello di un alcolista al suo tipo di vino preferito. A Niall non importava se questo poteva esser visto come nocivo. Lui cantava, suonava e, per questo, sorrideva. Sempre.

"Allora, biondo, che ne pensi?" Chiese Mark, in accordo con la mora.

Il castano non ricevette alcuna risposta. Niall, infatti, da qualche minuto, stava osservando quasi ossessivamente quella che pensò fosse una nuova studentessa. Capelli biondi, leggermente ondulati, lasciati sciolti sulla schiena, occhi azzurri di una profondità particolare, lineamenti delicati, pelle chiarissima, maglione extralarge di un azzurro acceso indossato sopra delle scure calze coprenti, Vans dall'aria vissuta ai piedi. Allin Dooley camminava a testa china lungo il cortile del Liceo, con l'aria di chi tiene nascosto un grande segreto. L'irlandese sorrise tra sé e sé, rendendosi conto che non riusciva a togliere gli occhi di dosso da quella ragazza dall'andamento rigido e regolare.

* * *

Con particolare velocità e con fare schivo, un quarto d'ora in anticipo, Allin raggiunse l'aula del 3°B. Come si aspettava, tutti i banchi dell'ultima fila erano già stati occupati, così come quelli vicino alla finestra. Restava un solo banco libero, in quarta fila, attaccato al muro. Allin prese velocemente posto, accese l'Ipod che teneva saldo in mano, s'infilò le cuffiette e fece partile la sua canzone preferita: 'Numb', dei Linkin Park. Il suo testo rappresentava, per la bionda, l'esatta dinamica della sua vita. Allin, come cantava Chester, era stanca di essere ciò che gli altri volevano che fosse, sentendosi così falsa, dietro le apparenze, incapace di capire cosa suo padre si aspettava da lei, tenendola così sotto pressione per farla somigliare a lui, invano. L'acrobata ridacchiò amaramente tra sé e sé e, presa dalla musica, non si accorse subito del suono della prima campanella.

"Salve ragazzi, benvenuti in terzo!" Una donna dall'aria simpatica, giovane e frizzante entrò in aula.

"Oh, noto che c'è un aggiunta nell'elenco quest'anno.” Mormorò la professoressa scorrendo l'indice sul registro.

“Allin Dooley?” Domandò poi, rendendosi conto che quel nome le era sconosciuto.

"Esattamente. Sono nuova qui." Rispose la bionda alzando lo sguardo dal suo banco, ancora privo di libri, diario e qualsiasi altra cosa.

"Benvenuta allora! C'è qualcuno che si offre per fare ambientare Allin?" La Mercury passò in rassegna i suoi alunni con lo sguardo e, infine, sbuffò, rendendosi conto di quanto quei ragazzi fossero poco collaborativi.

Allin, alla reazione dei suoi nuovi compagni di classe, non poté far a meno che intristirsi, anche se questa emarginazione avrebbe evitato che il suo segreto fosse svelato, cosa che desiderava ardentemente.

Niall fece passare un po' di tempo, poi, resosi conto che la situazione non sarebbe cambiata, prese d'impulso la cartella, alzandosi dal suo banco per sedersi vicino ad Allin.

"Ti aiuterò io. Piacere, sono Niall." Il biondino si presentò alla ragazza sorridendole, mettendo in mostra i suoi denti leggermente storti.

Allin mormorò impacciatamene un 'Grazie' e abbassò lo sguardo, prendendo l'astuccio e un quaderno dalla cartella.

"Bene, direi di iniziare con la lezione. Non possiamo perdere molto tempo, non quest'anno." Da quel momento la signorina Mercury non smise mai di parlare, spiegando ai ragazzi il programma di storia che avrebbero seguito insieme durante il corso dell'anno.

* * *

“Quella di matematica è una pazza, adesso vedrai.” Mormorò l'irlandese, per interrompere il silenzio imbarazzante creatosi tra lui e la bionda durante il cambio dell'ora.

La ragazza non rispose, evitando lo sguardo del ragazzo.

“Lo so: questo liceo è un circolo chiuso. Siamo circa pochi a frequentarlo e appena si aggiunge un nuovo studente, in genere, questo viene sempre escluso dalla maggior parte di noi.” Spiegò Niall, osservando finalmente la ragazza da vicino.

La prima cosa che notò il ragazzo furono sicuramente i suoi occhi. Color del mare, con lievi sfumature verdastre. Questi, secondo il biondo, risultavano essere ancora più ipnotici, se visti da quella distanza. Allin sbuffò, facendo sì che Niall focalizzasse la sua attenzione sulle sue labbra. Sottili e rosee, attiravano come fossero una calamita il ragazzo che, imbarazzato dai suoi stessi pensieri, s'impose di far cadere lo sguardo sulle mani minute della ragazza, con le unghie smaltate di nero.

“Le tue mani sono molto graffiate, pratichi qualche sport particolare?” Chiese poi, notando sul palmo della destra alcune ferite.

Allin restò ancora in silenzio, limitandosi ad indossare dei guanti di lana, che lasciavano scoperte solo le dita. A quel gesto Niall s'accigliò, con una curiosità quasi morbosa di scoprire qualcosa in più sulla sua compagna di banco.

Il biondo, però, non fece in tempo a pensare ad un altro modo con cui rapportarsi con la ragazza seduta al suo fianco ché la professoressa McGan entrò velocemente in classe, iniziando la sua lezione senza neanche salutare i suoi studenti e togliersi la giacca. Allin rise, portandosi una mano davanti alla bocca, per soffocare il rumore da lei emesso. Nessuno la sentì, nessuno tranne Niall che si chiese come una ragazza dal comportamento così distaccato e schivo come quello della bionda, potesse avere una risata così calda e, in un certo senso, avvolgente e rassicurante.

“Sei ancora più carina quando ridi.” Scrisse il ragazzo sul banco, per evitare di parlare e venire quindi sgridato.

Allin, sebbene non lo diede a vedere, rimase colpita dalle parole di Niall e, mentre prendeva appunti, non poté far a meno che ripensare al suo complimento.

“Dovrei rischiare e cercare di aprirmi, almeno con lui.” Costatò Allin, scarabocchiando nervosa un angolino di una pagina di quaderno.

Niall, a primo impatto, le sembrava essere una persona buona. La bionda quasi arrivò a pensare che il ragazzo non si sarebbe allontanato da lei, neanche se avesse scoperto la sua appartenenza ad un popolo considerato da tutti come un insieme di ladri e delinquenti. Peccato che la paura e il timore di un rifiuto la fecero giurare a se stessa che mai e poi mai avrebbe rivelato a di sua spontanea volontà il suo segreto al biondino.

“Seguitiamo con il ripetere alcuni concetti base dell'insiemistica, argomento affrontato durante il primo anno. Scommetto che alcuni di voi non la ricorderanno, seppure sia fondamentale. Dave, vieni interrogato.” La professoressa seguì con uno sguardo l'alunno, che, sentendosi chiamato, la raggiunse velocemente alla cattedra.

Allin intanto, dopo aver sentito la parola 'insiemistica', era entrata in un mondo tutto suo. Questa parte della Matematica l'aveva sempre affascinata, e non a caso. Per lei, considerare che un elemento possa appartenere ad un determinato insieme, era davvero un concetto significativo. La bionda, come un qualsiasi numero o una qualsiasi lettera avrebbe, infatti, voluto appartenere ad un insieme e sentirsi parte integrante di questo. Travellers, Rom, Kalé, Pavee... L'acrobata non si riusciva a definire appartenente a quei ceppi etnici, tutt'altro.

“Ehi, Allin...” Mormorò Niall, distogliendo la giovane dai suoi pensieri.

L'irlandese abbozzando un dolce sorriso, passò un foglio alla ragazza, in cui aveva scritto due insiemi in forma tabulare.

A= {a, i, l, n}
N= {a, i, l, n}

Allin guardò il pezzo di carta e si accigliò, non capendo subito le intenzioni del suo compagno di banco.

“A meno N...” Sussurrò Niall scrivendo l'operazione, con la speranza di riuscire ad ottenere l'attenzione della ragazza, in un modo o nell'altro.

“Uguale insieme vuoto.” Rispose facendo spallucce la bionda, riportando il risultato della sottrazione sul foglio.

“I nostri nomi!” Costatò sorpresa poi, portandosi le mani davanti alla bocca, spalancata a causa della divertente coincidenza.

“Sì, sono composti dalle stesse lettere.” Affermò il biondino entusiasta.

“E se uno viene sottratto all'altro...” Sussurrò Allin, posando lo sguardo sul suo compagno di banco.

“L'altro si annulla.” Concluse Niall sorridendo.

“Allin, io voglio essere tuo amico.” Aggiunse poi.

Il ragazzo aveva capito che la bionda nascondeva, dentro di sé, un segreto e iniziò a domandarsi quale fosse. Poi, pero' scosse la testa. Lui giurò a se stesso che non avrebbe imposto ad Allin di raccontarglielo, contro sua volontà. Niall avrebbe aspettato. La bionda, d'altro canto non avrebbe sciolto il compromesso fatto con se stessa poco prima. Lei si sarebbe impegnata per relazionarsi al meglio con Niall, per non perdere l'occasione di conoscere quella che sembrava essere una brava persona, ma mai gli avrebbe rivelato il ceppo culturale a cui apparteneva.

Che sciocca, la bionda non si rese ancora conto che nascondere parte integrante di sé, avrebbe solo comportato inutile dolore e preoccupazioni.

Spazio autrice
Ed eccoci qua, una nuova avventura è ufficialmente iniziata. Che dire di questo primo capitolo? Non lo so, sinceramente. L'ho letto parecchie volte e devo dire che non mi dispiace. L'ho volutamente scritto più corto dei suoi successivi, poiché ho preferito chiarire bene il titolo che, sì, è forse un po' strano, ma anche significativo. Basta leggere la trama per capirlo...
Che dire, vi anticipo che questi primi capitoli, circa cinque, più o meno, saranno ambientati nel 2009, ma che la trama si svilupperà principalmente nel 2012.
Ci becchiamo, solo per questa volta, tra una settimana, dopo di che comincerò ad aggiornare puntualmente ogni cinque giorni, ritmo a cui sono abituata.
Giorgiaxx

 
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Rebel without a cause:
Si dice che l'eternità appartenga alla gioventù.
Un gruppo di amici che vive la vita ad alta velocità.
Lui:perso il suo grande amore e incapace di provare emozioni, è in fuga dal suo dolore vivendo alla ricerca del brivido.
Lei:casinista vive la vita in equilibrio sopra la follia.
Riusciranno i due giovani a completarsi o si distruggeranno a vicenda?
Before you leave me:
Dai capitoli: "Ho tenuto dentro di me per 9 mesi due cuori che ora sembrano distanti ma che con una sola frase si uniscono sempre, sì Allie noi siamo infinito"
“Niall non lo vedi? Non vedi le sue pupille come sono dilatate?”
“Zayn conta su di me, ci sarò per te.”
“Come ai vecchi tempi?” “Come ai vecchi tempi. Ora manca solo lui” Ci sdraiammo sul letto e ci addormentammo come quando eravamo piccoli."
“Ti prego resta qui”
"Mi girai verso la porta con la consapevolezza che lei eri lì pronta ad aiutarmi."
“Se due si amano ma non stanno assieme cosa sono?"
"Voglio conoscere lei, adesso."
è la mia prima Fanfiction. Se volte scoprire e aiutarmi siete i ben venuti! Allie xx
...We Belong Together...:
'Vorrei averla qui accanto a me, e stringerla forte, sussurrandole nell'orecchio quanto il mio amore, è forte...sincero ed unico. Già perché nessuno mai potrà amarla in questo mondo, con la stessa intensità, con la stessa frenesia che provo quando le sono accanto. Nessuno mai, sarà in grado di amarla come la AMO IO. Sono il solo che la completa...'
**
'Noi ci rialzeremo sempre, noi lotteremo continuamente pur di stare insieme. Perché la mia famosa vita si è incrociata con la sua. Ci Apparteniamo, ci volevamo, ci siamo scelti. E prima o poi saremo eternamente nostri...'
**
Salve, allora queste sono due frasi della FF, che vedremo molto più avanti. Volevo dirvi che la mia Fan Fiction forse all'inizio non appassionerà molto, non compariranno subito i 1D, che forse sarà noiosa, direte che fa schifo, che non vale la pena nemmeno leggerla. Ma non è così credetemi, è tutto programmato :). Con il passare dei capitoli, capirete e credo che vi aumenterà la suspance di sapere cosa succede ai nostri/vostri protagonisti. Non mi rimane altro da dirvi, che seguite e recensite in molti i capitoli, perchè a voi potrà sembrare noioso recensire, ma non sapete quanto servirà a me. A presto!
Sara.

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Capitolo 2
*** Her guardian angel. ***


Her guardian angel

Buonasera! Siamo al secondo capitolo e io già non credo al numero di recensioni avute nel precedente. Sono impressionata e felice! Per anticipazioni, commenti e altro, fermatevi a leggere le note a fine pagina!
Prima di lasciarvi alla lettura, vi invito a guardare il trailer! :)

 


 

«Che ne pensi di venire a casa mia un giorno di questi? Potrei farti conoscere Greg, potremmo vedere un film o magari stare in giardino a suonare la chitarra. Potresti imparare!» Propose Niall con entusiasmo, chinato riporre libri e quaderni nella sua cartella.

«No, assolutamente no.» Allin bloccò le idee del biondino sul nascere.

«Ma perché?!» Questo abbassò la testa.

Il biondino si sentì inevitabilmente ferito dalle parole pronunciate da Allin. In effetti, erano passati due mesi da quando lui, fregandosene di tutto e tutti, allontanandosi addirittura dai suoi amici, si era avvicinato sempre più ad Allin. Gli scocciava altamente il non essere ancora riuscito a sfondare il muro di silenzio che l'acrobata aveva posto tra lei e la gente.

«Ehi, non te la prendere troppo, davvero Niall.» Allin si sporse verso quello che si imponeva a definire solo come suo migliore amico, carezzandogli una guancia.

«Mh mh. Senti, io vado via prima oggi. Non resto nel cortile, scusa. A domani.» Niall, avvilito, se ne andò a testa bassa, cercando di non piangere per la delusione avuta.

* * *

Il giorno dopo l'irlandese non si presentò a scuola. Allin si sedette al suo posto con lentezza e zero voglia di stare lì in quel momento. Sorridendo amaramente tra sé e sé, posò il suo zaino sulla sedia in cui sarebbe dovuto stare Niall. Si definì ridicola, cercando di colmare il vuoto procurato dall'assenza del biondo. Proprio lei, la ragazza schiva, misteriosa, dalla doppia vita, si era legata ad una persona tanto da star male senza questa.

Allin fece mente locale, cercando di distrarsi un po'.

Non poté far a meno di pensare al continuo nascondere a suo padre il legame con Niall. Ma come biasimare questo suo comportamento? Gonzalo non faceva altro che ricordare ad Allin di non stringere amicizie perché la sua vita doveva esser dedicata esclusivamente al circo.

“Fortuna che ci sono mamma e mia cugina.” Bisbigliò a se stessa la bionda.

Marie, infatti, così come Leena, nipote diciottenne del padre, specializzata nel trapezio, sapeva tutto su Niall e la incoraggiava a farsi avanti, vivendo alla giornata.

Ripensando alla famiglia, Allin si rattristì, per questo incominciò a disegnare disordinatamente su un foglio.

* * *

Le prime ore di lezione passarono, lente e monotone. La bionda acrobata non faceva altro che sospirare pesantemente, guardando fuori dalla finestra. Il cielo era azzurrissimo quel giorno, quasi a non voler far sentire sola Allin che, senza la sicurezza trasmessa dagli occhi di Niall, si sentiva non solo persa, ma soprattutto fuori luogo. Addirittura, la ragazza non si mosse dal banco quando suonò la campanella della ricreazione e la classe fu vuota. Allin restò lì, tirando fuori il cellulare dall'astuccio, mandando a Niall quello che credeva fosse circa il centesimo messaggio.

«Mi manchi.» Gli scrisse semplicemente la ragazza, per poi provare a chiamarlo.

Il cellulare fece due o tre squilli a vuoto, poi partì la segreteria. Allin volle pensare che il biondo non le avesse attaccato, anche se, in cuor suo, sapeva che lo aveva fatto. Era arrabbiato e come non capirlo: quella che considerava come una delle persone, per lui, più importanti aveva rifiutato categoricamente un suo invito.

* * *

Le ultime due ore, dopo la ricreazione, furono altrettanto estenuanti secondo Allin che non vedeva l'ora che scoccasse la fine delle lezioni e quindi della settimana scolastica. Quando finalmente l'ultima campanella suonò, Allin si avvicinò ad Elizabeth, ragazza con la quale aveva instaurato un rapporto piacevole, fondato su divertenti commenti e chiacchiere di corridoio.

«Ely, sai dove abita Niall?» Chiese la biondina avvicinandosi alla mora, mentre questa stava accendendo il cellulare.

«Certo che sì, vuoi sapere come arrivarci?» Le rispose la ragazza sorridendole.

«Magari.» L'assecondò l'acrobata, lasciandole spiegare, via dopo via, incrocio dopo incrocio, la strada che avrebbe dovuto fare per andare dall'irlandese.

«Grazie mille!» Un sorriso tornò sulle labbra di Allin, mentre incomiciò a correre a perdifiato per i corridoi della scuola.

Elizabeth guardò la biondina ridacchiando. Non poté proprio far a meno di pensare che la cotta più che evidente di Niall fosse ricambiata.

* * *

Si erano fatte le due di pomeriggio quando Allin finalmente arrivò davanti quella che doveva essere casa Horan.

La ragazza rabbrividì, pensando alla reazione che avrebbe avuto il padre quando sarebbe tornata a casa la sera. Non seppe se definire un'azione furba o stupida il suo mandare un messaggio d'avviso, per poi spegnere subito il cellulare.
Sicuramente Gonzalo l'avrebbe non solo sgridata, ma anche obbligata ad esercitarsi in nottata per lo spettacolo del giorno successivo. Allin sorrise amaramente.
Suo padre la detestava. Mai un abbraccio, mai una carezza, mai un 'Ti voglio bene', mai un gesto che avrebbe potuto far intendere una forma d'affetto, niente di niente, Anzi.
Più volte l'uomo ripeteva alla ragazza di essere la rovina della famiglia quando lei, magari frustrata dalla giornata, sbagliava un esercizio con il suo cerchio.
Allin ormai, dopo anni e anni, aveva imparato a non dare più peso alle parole dell'uomo, rifugiandosi in se stessa e stringendo i denti.

La bionda si avvicinò al portone e sospirò, nel tentativo di scaricare l'agitazione accumulata.

«Assurdo.» Si ritrovò a sussurrare la bionda.

In effetti, la ragazza era abituata a frenare la vergogna e la tensione, ma in quell'occasione non riusciva ad impedire alle mani di tremare, non riusciva a non avere quella sensazione di cedimento delle gambe.

Allin deglutì, guardò ancora il cielo azzurro, poi premette il pulsante del citofono.

«Chi è?» Le rispose una voce femminile dal tono gentile e amorevole.

«Sono Allin, una compagna di suo figlio, Niall è in casa? Ho provato a chiamarlo al cellulare, ma sembra che non voglia rispondermi sinceramente...» Gli occhi della piccola acrobata si velarono di lacrime.

Allin non piangeva da tempo per una persona e si impose di non ricominciare a farlo in quel momento.

«Alza il volto al cielo, chiudi gli occhi, stropicciali. Non piangerai.» Si ripeté quindi mentalmente e, seguendo i suoi stessi consigli, evitò quello che l'avrebbe resa debole, ad occhi esterni.

«Oh cara, ti apro subito.» Rispose la donna con gentilezza, distraendo la bionda dai suoi pensieri.

Un attimo dopo Maura fu al portone, accogliendo Allin in casa.

«Capelli biondi, occhi chiari, andamento rigoroso e leggero, tu devi essere Allin!» Esclamò la cinquantenne, stringendole vigorosamente la mano.

«Niall sta in camera sua. E' la stanza dietro la porta in fondo al corridoio del secondo piano, non puoi sbagliare.» Aggiunse la signora facendo un cenno con la mano.

«Ah, Allin! Sto giusto preparando una torta, quando sarò pronta ve ne porterò una fetta per uno. Tu puoi mangiarla, vero?» Disse poi tutto d'un fiato, avviandosi verso una piccola cucinetta accogliente.

Maura non riusciva proprio a placare la sua eccitazione. Insomma, il figlio non faceva altro che parlare di quella ragazza e vederla con i suoi occhi, in casa, la rendeva felice.

«In realtà non potrei mangiare dolci, ma farò un'eccezione!» Allin cercò di convincersi che una fetta di torta non avrebbe rovinato il suo fisico asciutto d'acrobata, poi si avviò sulle scale.

La bionda salì ogni gradino con lentezza, provando la stessa sensazione di malessere che l'aveva lasciata perplessa davanti al portone. Arrivò così all'ultima porta del corridoio, bussando senza far troppo rumore.

«Mamma, ti prego basta! Io sto bene, okay? Probabilmente la ragazza che mi piace rabbrividisce al solo pensiero di venire qua, ma che importa?!» Esclamò esasperato Niall tra le lacrime, non appena sentì qualcuno bussare.

Allin rimase impietrita, credendosi un mostro. Stava facendo soffrire quello che spesso aveva definito come suo angelo custode e questo non poteva assolutamente sopportarlo.

La ragazza sbirciò nel buco della serratura, da cui poté notare il ragazzo accasciato a terra, con la schiena appoggiata ad un lato del letto e le gambe stese sul pavimento.

Addolcita dalla visione del suo compagno di banco, così indifeso, la bionda entrò nella stanza. Niall volse subito lo sguardo verso lei, rimanendo sorpreso dal vederla lì.

Il biondo cercò poi di asciugarsi le lacrime che gli bagnavano copiosamente le guance, bollenti al tatto, e infine si stropicciò senza sosta gli occhi peggiorando la situazione, poiché questi incominciarono a bruciare e si arrossarono molto più di quanto non lo fossero stati precedentemente.

«Niall.» La ragazza pronunciò quel nome a fatica, a causa del tremore delle sue labbra, che si curvarono in una smorfia d'incertezza.

La giovane avrebbe voluto aspettare che lui le avesse fatto cenno di avvicinarsi, ma, quando incrociò il suo sguardo, non riuscì a frenare l'impulso di corrergli incontro, stringendolo in un abbraccio e buttandosi così, letteralmente, sulla moquette azzurrina. Niall, in quella stretta, ricominciò a piangere. Allin lo confondeva. Era capace di portarlo in alto, fino al Paradiso, con una sola preziosa risata, per poi farlo crollare a terra, con un semplice rifiuto. L'irlandese non si era mai sentito così in vita sua.

«Mi odi?» Domandò in un sussurro.

«Come potrei odiarti?» Allin, con lentezza, affondò il viso nell'incavo del collo di Niall.

«Dimmelo tu. Non capisco cosa ho fatto di sbagliato, per meritarmi il tuo rifiuto. Hai forse paura che io ti faccia del male?» Azzardò il biondo, morendosi poi il labbro inferiore e non provando a fermare alcune lacrime che scesero fino al suo mento, arrivando poi a tracciare un percorso quasi invisibile lungo il collo, fino a fermarsi alla scollatura della maglietta.

«Basta.» Allin, leggermente innervosita dall'insicurezza del ragazzo, cambiò posizione. Si mise a cavalcioni sulle sue cosce e gli alzò il viso, prendendolo tra le mani, minute e screpolate.

«Prova a tenere gli occhi aperti per un po'. Non chiuderli.» Gli mormorò infine, carezzando una sua guancia.

La ragazza allora, soffiò flebilmente, sperando di rinfrescare, con quel suo gesto che aveva dell'infantile, gli occhi arrossati dell'irlandese. Il suo cuore batteva all'impazzata: Allin non credeva possibile che sarebbe potuta essere così dolce e delicata, quando era abituata all'esser paragonata, dai suoi colleghi circensi, ad un leone, tanto maestoso quanto misterioso e silenzioso, distaccato ed egoista.

«Ma che fai...» Biascicò divertito Niall, godendo di quelle attenzioni, riservate solo ed unicamente a lui.

«Ti trascuro troppo. Quel rifiuto di ieri è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso, lo so.» Spiegò Allin, passando una mano tra i capelli tinti dell'irlandese, notandone le particolari sfumature.

Forse, fra i due, poteva sembrare essere lei la più forte. Allin, in effetti, appariva indistruttibile, una macchina da guerra, incapace di fallire, di essere triste. Solo lei sapeva che quella era finzione, una condizione con la quale aveva dovuto imparare a convivere sin da bambina.

«Ma io, a te, piaccio?» Chiese improvvisamente Niall in un sussurro, vergognandosi della sua insicurezza, definendola immatura.

La sua bocca era talmente vicina a quella di Allin che le loro labbra quasi si sfiorarono quando lui parlò. La ragazza se ne rese conto e sorrise a testa bassa.

Se Niall le piaceva? La risposta era più che affermativa.

«Sì.» Ammise quindi lei, con dolcezza.

A quell'affermazione il cuore di Niall accelerò il suo battere. Adrenalina, pura e benefica, incominciò a scorrere nelle sue vene. Il biondo non riusciva ancora a considerare amore il sentimento che provava per Allin, ma, in quel momento, poté capire che, se non lo era ancora, lo sarebbe diventato, con il tempo, con l'avanzare dell'età.

Così, il ragazzo si fece coraggio annullando sempre più la distanza tra i loro volti, mettendo da parte la timidezza, cercando di dimenticare il mal di testa lancinante dovuto al pianto e il bruciore agli occhi, leggermente alleviato dalle cure di Allin. L'irlandese baciò delicatamente Allin. Le loro labbra si incastravano alla perfezione, modellandosi tra loro. Quelle di lei, più carnose e morbide, dal lieve sapore di burrocacao alla pesca. Quelle di lui, sottili e umide, testimoni della golosità del ragazzo nei confronti del cioccolato, cui sapore era ancora percepibile.

«Promettimi che aspetterai di sapere la verità, che non mi obbligherai mai a rivelartela. Ti prego.» Quando i due si distaccarono leggermente, Allin chiese questo con tono supplichevole, bisognosa di ricevere una risposta affermativa.

«Tu non allontanarti, non allontanarmi.» Le rispose Niall stringendola tra le sue braccia.

Quell'abbraccio fu probabilmente il migliore che avesse mai dato e ricevuto in tutta la sua vita.

Era bello, per entrambi, amare e sentirsi amati. Allin, ancora seduta sulle gambe di Niall, appoggiò la testa sulla sua spalla. Niall non aveva mai smesso di carezzare la schiena di Allin, godendo del calore del suo corpo, così a contatto con lui.

«E' più complicato di quanto tu creda, Nì.» Sussurrò la bionda, sprigionando un sospiro dalle sue labbra rosee e screpolate a causa del vento di Novembre.

«Non chiedo tanto, dimmi solo ciò che vuoi.» Il naso dell'irlandese e quello della zingara continuavano a sfiorarsi, provocando risolini da parte di entrambi.

«Faccio uno sport leggermente particolare.» Ammise Allin mostrando liberamente, per la prima volta, i palmi delle sue mani al ragazzo.

Erano screpolati, ruvidi, rovinati da numerosi, seppur leggeri, tagli.

«Ti fanno male?» Chiese preoccupato Niall, notando alcune ferite ancora non troppo marginate.

«Solo un po'. Il problema è che non hanno tempo di guarire. Mi alleno tutti i giorni.» Spiegò Allin.

La ragazza sentì il suo cuore alleggerirsi. Non era affatto male condividere un qualcosa con un'altra persona, anche se solo in parte.

«E oggi? Sono già le tre, quando andrai ad allenarti?» Chiese Niall incuriosito.

«Probabilmente dopo cena.» Rispose Allin, facendo vagare il suo sguardo verso la finestra, pensando ancora alla possibile reazione del padre.

«Se vuoi andare, vai. Non ti impongo di restare.» Il biondo le sorrise, facendole capire che non la stava cacciando.

«Ancora non capisci che, se non passo insieme a te una buona parte della mia giornata, mi sento strana, o come minimo mi annoio?» Allin rivelò altro di sé, ma questo non le diede affatto fastidio, l'unica cosa che voleva tenere nascosta era l'essere nomade, non i suoi sentimenti.

«Grazie.» Mormorò Niall, lasciando che le palpebre coprissero quel cielo che aveva al posto delle pupille.

Il ragazzo non seppe con precisione perché disse quella parola. Forse perché già immaginava quanto Allin soffrisse, quanto fosse vincolata da regole che non sentiva appartenere a sé.

«E poi, parliamoci chiaro, io voglio una fetta della torta di tua mamma!» Ironizzò l'acrobata, scoccando un bacio sulla guancia del biondino.

Era piacevole, per Allin, sentire di essere importante con qualcuno e, sebbene non con poche difficoltà, provò ad essere più dolce del solito, più amabile.

«Torta?» Chiese Niall sgranando gli occhi.

L'irlandese amava il cibo e amava ancor di più il suo veloce metabolismo che gli permetteva il lusso di non farsi molti problemi nel mangiare.

* * *

«Posso entrare?» Domandò Maura bussando alla porta.

«Sì, mamma.» Allin stava per levarsi dalle gambe di Niall, ma questo la strinse sulla vita, permettendole solo di girare e dargli quindi le spalle.

«Vedo che ti è tornato il buon umore, Nialler.» Costatò la donna dal dolce sorriso, posando un vassoio con due fette di torta appena tiepide e due bicchieri di latte sul pavimento.

«Grazie Maura.» Allin sorrise e, in quel momento, la mamma del biondino capì perché suo figlio si fosse preso una cotta per lei: la bionda era adorabile.

La donna felicemente uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.

* * *

«Sicuro di stare comodo?» Chiese Allin, sentendosi in difetto dallo stare sulle gambe dell'irlandese.

Questo, in risposta, le posò un bacio sulla pelle dietro la nuca, lasciata scoperta da una coda alta.

Niall decise che non avrebbe permesso alla timidezza di fermarlo, di porgli limiti. Allin sentendo le labbra dell'irlandese, posarsi sul suo corpo, prese a tremare leggermente per lo stupore e il piacere.

I due ragazzi mangiarono la torta ed ingurgitarono velocemente il latte. Passarono poi il pomeriggio a studiarsi, a scoprire cosa piaceva all'altro, per infine accontentarsi a vicenda. Non era imbarazzante cercare di crescere insieme, cercare di scoprire cose nuove.

Allin lasciò una serie di piccoli e asciutti baci lungo il collo di Niall che, a quel gesto, piegò la testa poggiandola sulla spalla destra, desideroso di ricevere altre attenzione.

«Perdonami per tutto, Niall. Scusa se tengo anche te all'oscuro di una cosa importante. Ti prometto che la saprai, quando avrò la certezza che non scapperai da me.» Sussurrò la ragazza, posando lo sguardo a terra.

«Mi fido di te, Lin.» Le rispose il biondo, per poi continuare a stuzzicarla, sfiorandole le labbra con le sue.

Infine, il ragazzo fece spostare Allin da sopra di sé, sdraiandosi letto. Spalancando le braccia, invitò la bionda a distendersi con lui. Questa lo guardò prima sorpresa ed imbarazzata, poi si levò subito le scarpe, non volendo perdere tempo.

Niall si stese quindi sopra di lei, tenendosi con un gomito, per pesarle il meno possibile.

«Sei la prima ragazza ad entrare in questa camera, a posarsi su questo letto.» Confessò Niall. Escludendo le sue cugine, infatti, Allin era l'unica ad aver messo piede lì dentro, nel posto a lui più strettamente collegato.

Non trovando le parole adatte, la bionda si limitò a fare in modo che il ragazzo si poggiasse sul suo corpo, per abbracciarlo. Non le dispiaceva per niente sentire il suo calore, né il suo peso che, in un certo senso, la faceva sentire protetta.

«Quando sarai un cantante famoso, prova a non dimenticarmi.» Bisbigliò Allin con tono implorante.

Da circa un mese, Niall le parlava molto spesso di X-Factor, dell'audizione che avrebbe sostenuto, del desiderio di partecipare alla settima stagione del programma.

«Non preoccuparti. A parte la certezza che non supererò neanche la prima fase, non potrei mai dimenticarti, Allin.» Le mormorò il biondino chiudendo gli occhi, sperando con tutto il cuore di sbagliare sull'esito del suo futuro provino.

«Il mio sogno è diventare un cantante. Io vivo per la musica, per cantare. Do, Re, Mi, La, Si, Do.» L'acrobata recitò a memoria ciò che l'irlandese aveva inciso qualche anno prima sulla sua scrivania.

Niall la sentì parlare e spalancò gli occhi. Allin, sotto di lui, ebbe la possibilità di osservare con attenzione le sue iridi. Azzurre, azzurre come il mare, azzurre come il cielo privo di nuvole in un pomeriggio d'estate. Due distese affascinanti, calmanti, frutto di incantesimi complessi, di genetica ancora non studiata alla perfezione. Iridi piene di felicità, di amore, capaci di incatenare Allin che quasi si sentiva annegare dall'oceano limpido che vi stagnava dentro. Sebbene non sapesse nuotare, perché mai aveva avuto la possibilità di imparare a farlo, la bionda non si sentiva affatto oppressa né angosciata da questo precipitare, tutt'altro.

I minuti scorrevano eppure quei due ragazzi, spogli da ogni timidezza, non smettevano di osservarsi. Lei si lasciava studiare da lui, lui cercava di destreggiarsi nel labirinto di segreti e dolori che celavano gli occhi di lei.

Quando il Sole stava lentamente calando, incominciando a dar spazio alla Luna, Allin sbadigliò, portandosi una mano davanti alla bocca. Il solo pensiero che, quando sarebbe tornata al circo, avrebbe dovuto allenarsi fino a chissà quando, le face venire sonno.

«Dormi, se vuoi. Ti sveglio tra un'oretta.» Propose Niall passando dall'esser sopra di lei, al distendersi al suo fianco, stringedola per non farla cadere dal letto di una sola piazza.

«Ma no, dai. Sono venuta per stare con te, non per dormire.» Rise Allin, scuotendo la testa contro il torace del ragazzo, meravigliandosi del suo profumo di menta che non risultava essere pungente, ma dolce.

«Vorrà dire che starai con me nei tuo sogni.» Convenne il biondino, passandosi una mano tra i capelli tinti.

«Sempre la risposta pronta, eh?» Farfugliò la zingara.

Ci volle molto poco affinché la ragazza si addormentasse: giusto qualche carezza, una canzoncina smielata cantata a bassa voce dal ragazzo e una manciata di minuti.

* * *

Quando si fecero le sette di sera, Niall svegliò Allin che, rigenerata dalla dormita, scattò velocemente in piedi.

«Devo andare, altrimenti non la passerò liscia.» Spiegò la bionda rivolgendo lo sguardo alla finestra, notando che il cielo si era da tempo imbrunito del tutto.

«Domani, quando puoi mandami un messaggio. Non hai tempo per vedermi, ma qualche sms penso che tu possa inviarlo...» Le guance del biondo s'imporporarono a causa di un adorabile segno di timidezza, rispuntata all'improvviso.

«Certo che lo farò, come sempre, Nì.” Allin sorrise dolcemente, baciando un'ultima volta le labbra rosee del ragazzo.

I due poi scesero insieme in cucina e lì posarono piatti e bicchieri. Maura salutò Allin, pensando soddisfatta che sarebbe sicuramente piaciuta anche al figlio maggiore e all'ex marito.

«Grazie di tutto signora Horan, arrivederci!» Esclamò la bionda, avvicinandosi all'ingresso.

«Niall, ci vediamo martedì!» Aggiunse poi, uscendo dalla porta, rabbrividendo dal freddo improvviso.

La ragazza sbuffò, scocciata dal fatto che lunedì non sarebbe potuta andare a scuola. Avrebbe infatti dovuto partecipare ad una serie di spettacoli mattutini, organizzati per gli studenti di alcuni istituti della zona.

«E si ritorna all'inferno...» Mormorò Allin, poi incominciò a camminare a passo svelto.

* * *

'Lunedì mattina, ore dieci e cinquanta.' Questo recitava la locandina all'entrata del circo. Altro spettacolo, altri dolori, altra voglia di scomparire per Allin. La ragazza, infatti, non sopportava esibirsi, odiava farlo. Non che non le piacesse la sensazione di volteggiare nell'aria, con il suo cerchio o con il suo nastro. Alla bionda, effettivamente, non andava giù il fatto che fin da piccola questo le fosse stato imposto, quasi fosse stato un comandamento. Allin canticchiò l'inizio di un motivetto irlandese insegnatole da Niall, poi si mise le mezzepunte con fatica, facendo una smorfia di dolore quando, piegandosi su se stessa, andò a tendere un muscolo che sarebbe dovuto restare rilassato. La giovane si sistemò il suo body da scena, notandovi alcune sfumature di colori che sembravano essere quelle degli occhi del suo angelo custode, di Niall. Allin guardò il suo riflesso in un grande specchio, posto nelle quinte della pista. Si legò i lunghi capelli chiari in un ordinato chignon e si cosparse le mani con del gesso, in modo che non scivolassero a contatto con il cerchio. Batté una volta i palmi tra loro, levando la polvere in eccesso. Infine, rise, pensando a come sarebbe stata la sua vita se, con un semplice battito di mani, avesse potuto cancellare la cultura, le tradizioni a cui era vincolata.

«Allin, ti giuro che quando sarai grande abbastanza te ne andrai via da questo circo e l'aver vissuta come una zingara sarà solo un ricordo. Vivrai come una normale irlandese e chissà, forse al fianco di Niall.» Promise la ragazza a se stessa, poi chiuse gli occhi ed uscì dal camerino.

Una musica classica suonò nell'aria. Allin tremò per un secondo, un secondo solo. Squadrò prima la madre, poi il padre nelle vesti di dominatore di tigri, Jazmine, travestita da pagliaccio insieme a suo marito Diego, la loro unica figlia, Leena, Hannah e Dominique nei loro body da ballerine e infine tutti i suoi restanti colleghi, poi entrò in pista.

Applausi, facce curiose di bambini, facce divertite di ragazzi e schizzinose di ragazzi, Lucas e Daniel, altri giovani componenti della compagnia, a servire popcorn e zucchero filato...

«Tutto ordinario, niente di nuovo.» Costatò Allin annoiata, seppur con un sorriso tirato a darle un'espressione, all'apparenza, allegra.

Il cerchio aereo, collegato ad uno spesso cavo, scese a terra, dando alla bionda la possibilità di esser afferrato.

Pochi istanti dopo questa era già a mezz'aria, contorcendosi ed eseguendo i diversi esercizi della coreografia al ritmo di musica, con il terrore di sbagliare. La sua esibizione stava quasi per finire, la musica si fece più bassa.

«Non ci posso credere!» Esclamò improvvisamente una voce conosciuta.

Spazio Autrice
Parliamo del capitolo... Non mi fa impazzire, o meglio. Ci sono parti che adoro, altre che non mi dicono niente. Mi piace tanto lo scoprirsi di Allin e Niall, anche la descrizioni delle iridi di lui. Forse la mia parte preferita è quella in cui la biondina soffia sugli occhi dell'irlandese. Ho volutamente scritto la domanda "Ma io ti piaccio?" e non "Mi ami?" perché a mio parere a quindici anni, dopo due mesi, non si può amare una persona. Forse ho sbagliato, forse vi ho deluse, nel caso ditemelo, vi prego... Ariviamo al finale: qualcuno ha scoperto Allin. Probabilmente avrete già capito a chi mi riferisco, ma facciamo finta di niente. Ora è tutto da vedere: come reagirà questa persona misteriosa?  Concludo questo secondo spazio autrice ringraziando le cinquanta e più persone che hanno già inserito la storia tra le tre categorie. Molte di queste hanno seguito mie vecchie storie e stanno dando un'oppurtunità a questa. Spero di non deludervi ragazze, perché per me rappresentate una certezza, una sicurezza, dal momento che non mi avete abbandonato e tengo tantissimo alla vostra opinione. Un'ultima cosa prima di andare a prepararmi per questo Capodanno: vi è piaciuto il trailer? E la trama che traspare da questo?
Ci becchiamo puntualmente il cinque Gennaio!
Vado ad avvisarvi e finisco di rispondere alle vostre incredibili recensioni :)
Giorgiaxx

 

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Capitolo 3
*** Gypsy. ***


Gypsy

Buonasera! Ringrazio tutte le lettrici che hanno recensito e vi invito a leggere le note a fine pagina... Che dire, spero che il capitolo vi piaccia!
PS: la parte in corsivo è un flashback.

«Non ci posso credere!» Esclamò Niall, osservando la scena presentatagli davanti.

Brividi scossero il suo corpo, i suoi occhi cristallini vagarono da una parte all'altra del palco. L'avrebbe riconosciuta tra mille, l'unica ragazza in grado di far accelerare il suo battito cardiaco, Allin. Lei era lì, ad intrattenere un pubblico.

«Ecco il suo segreto.» Sussurrò a se stesso.

Mai avrebbe pensato che lo sarebbe venuto a sapere così presto, per caso. Infatti, era stata una scelta dell'ultimo minuto quella di chiedere alla madre di poter saltare la scuola e andare così al circo con suo fratello Greg, che quel giorno avrebbe dovuto accompagnarvi la loro piccola cuginetta Daisy.

Il biondo parve fossilizzarsi a guardare ogni gesto della ragazza, rendendosi conto delle occhiate maliziose che questa lanciava di tanto in tanto al pubblico, coperta solo da un body color del cielo. Quando notò questo dettaglio, 'irlandese sentì qualcosa ruggire nel suo corpo. Un pizzicore invase la zona del basso ventre, scendendo sempre più. Niall allora guardò in basso, notando un rigonfiamento del pube. Si era eccitato, inutile negarlo. Il ragazzo avvampò immediatamente, cercando di realizzare l'idea che Allin aveva potuto comportare una reazione simile del suo corpo. Insomma, non che non fosse abituato all'avere un'erezione. Quante volte lui e i suoi amici, durante le gite scolastiche, ad esempio, si erano divertiti a vedere alcuni video a luci rosse? Sicuro più di un paio. A Niall, fondamentalmente, faceva strano l'averla avuta in un contesto simile, per una visione simile. E, se a primo impatto era rimasto impietrito, in un momento successivo il giovane stava cercando di collegare ogni caratteristica della Allin, schiva studentessa, che aveva conosciuto lui, con quella Allin, meravigliosa acrobata di un circo, che lo stava ipnotizzando. L'irlandese arrivò a cogliere molte differenze tra le due versioni della bionda. Il modo di vestire, quello di porsi, di pettinarsi, di truccarsi, ad esempio.

«Lei odia questo.» Mormorò Niall notando che Allin non aveva mai smesso di sorridere, anche se alcuni sguardi e gesti quasi impercettibili facevano intendere che non era affatto tranquilla.

«Forse è abituata a sorridere.» Pensò Niall. «Esibendosi deve dare un impatto positivo al pubblico, cosa che comporta anche l'avere un accogliente ed affascinante sorriso... Come il suo adesso.» Il futuro cantante arrivò all'amara conclusione che il curvare le labbra della zingara non era altro che un gesto d'abitudine. Proprio per questo i suoi occhi si velarono di lacrime.

«Nì, tutto bene?» Gli domandò quindi Greg al suo fianco. Il castano aveva riconosciuto Allin, avendo visto una sua foto nel cellulare del fratello minore.

«No, non è bello capire che una persona a cui tieni soffre, nascondendolo a tutti.» Niall guardò ancora l'acrobata, immaginandosi un possibile confronto con lei.

In quel momento, Niall decise che le avrebbe parlato il giorno dopo, magari a casa sua, con calma.

«...E vicino ad una tazza di cioccolato.» Pensò poi, sorridendo.

Se l'avrebbe abbandonata? Mai, non per una cavolata come quella di lavorare in un circo, o di appartenere ad un popolo nomade.

* * *

Allin da tempo si era accorta della presenza di Niall. Il suo sguardo, che da falso e distaccato era diventato terrorizzato, lo confermava. Il cuore le batteva all'impazzata, il suo corpo tremava e la presa delle mani sul cerchio si era fatta meno stretta, così come i suoi movimenti sembravano essere più indecisi, distratti. La bionda pero' non smise di sorridere neanche un istante: il pubblico non doveva vederla fragile o triste. Poco dopo l'esibizione finì del tutto e Allin poté rimettere piede a terra. Le sue gambe sembravano non reggere il peso del suo corpo, l'acrobata pensò che sarebbe potuta cadere da un momento all'altro. Il suo sguardo si impuntò un ultimo istante su Niall. Lo aveva deluso, la sua espressione sorpresa ma anche enigmatica ne era la conferma.

«Sicuramente penserà male di me. Sicuramente non vorrà più starmi vicino. Dirà tutto ai compagni di classe e allora anche loro mi allontaneranno... E io tornerò a studiare qui, in questo dannato circo.» Allin fece un cenno di saluto al pubblico che, confuso, la vide scappare letteralmente dietro alle quinte.

* * *

«Cosa è successo Allin?» Chiese la madre vedendo la figlia sbattere velocemente le palpebre con la speranza di non piangere.

«Niall.» Mormorò la bionda e allora a Marie fu tutto chiaro: l'irlandese l'aveva riconosciuta e lei non solo aveva paura di una sua reazione, ma anche del padre, che aveva assistito alla sua letterale fuga dal palco.

La donna allora si avvicino ad Allin, abbracciandola calorosamente.

«Che cazzo hai fatto?! Sei una cretina! Quello è il pubblico! Hai visto le loro facce, eh?! Le hai viste?!» Tuonò Gonzalo con furore, entrando nei camerini.

Marie si pose a difesa della figlia, davanti a questa.

«Gonzalo calmati. Non sarà un'imperfezione a rovinare uno spettacolo.» Mediò la donna, con fare stanco.

Eh sì, quella era solo una delle tante volte in cui Marie faceva da pacere. Infondo, pero', quando Allin entrò nelle loro vite, l'uomo l'aveva avvisata.

* * *

«Io non ho intenzione di essere suo padre, sappilo. La tratterò come fosse una normale acrobata, una della compagnia.» Mormorò schifato il dominatore di tigri, sputando a terra con disprezzo.

«Cosa dovrei fare? Abbandonarla?! Non se ne parla. Me ne vado anche io piuttosto.» Marie scosse la testa, portandosi le mani al petto, sentendo il suo cuore battere all'impazzata, agitato, confuso, incerto, spaventato da una situazione scomoda, instabile, terribile.

«Tienila pure, ma non contare su di me. Sarai non solo madre, ma anche padre.» Convenne l'uomo.

Proprio lui che odiava i bambini. Non avrebbe mai accettato l'essere padre di una creatura. Figurarsi di Allin.

«Così sia.» Rispose Marie, sperando inutilmente che Gonzalo sarebbe cambiato, nel corso degli anni.

* * *

«No, Marie. Tu non capisci. Allin è costantemente distratta. Salta allenamenti. Ride senza motivo. Torna tardi da scuola. Dimmi se ti pare un comportamento adeguato.» Gonzalo guardò con odio quella ragazza, così incoerente per lui, così diversa e meritevole di disprezzo, a suo parere.

«E se si fosse innamorata?» Azzardò la donna. Lì per lì non si rese conto di aver fatto un errore madornale.

«Che cosa? Innamorata? Lei non può esserlo! La sua vita è questa, la compagnia. Lei è il più grosso fardello che io abbia mai dovuto sopportare, non può distrarsi. Non può crearmi problemi.» Gli occhi di Gonzalo si incendiarono di un antico rancore.

«Basta Gonzalo! Era solo una supposizione la mia!» Si giustificò Marie, voltandosi verso l'adolescente con compassione.

«Vero Allin?» Aggiunse poi, fissandola negli occhi azzurri, azzurri come i suoi.

«Cambierò, te lo giuro. Restiamo pero', restiamo qui a Mullingar.» Allin deglutì, inghiottendo l'eccesso di saliva ristagnato nella sua bocca a causa dell'agitazione, della paura.

A quelle parole, sussurrate flebilmente, Gonzalo si girò, andandosene. Marie guardò ancora la figlia, chiedendole scusa con un solo sguardo, poi seguì il marito.

Ma la giovane acrobata non aveva bisogno di inutili scuse. Lei era abituata alle sfuriate del dominatore di tigri: una in più o una in meno non le avrebbe cambiato la vita.

* * *

«Niall!» Esclamò Allin quando fu sola, domandandosi poi cosa avrebbe potuto fare per salvare la situazione.

Avrebbe dovuto aspettare la fine dello spettacolo? Oppure cambiarsi, saltare la sua seconda esibizione e andare a parlare con il biondino, rimasto seduto a testa china al suo posto?

«Non puoi andare, rifatti lo chignon.» Mormorò Leena, avvicinandosi alla cugina.

«Conosci tuo padre. Sai che odia la gente comune almeno quanto il più schizzinoso di questa odia noi. Se esci da qui e gli fai intendere di Niall, ci porterà probabilmente dall'altra parte dell'Irlanda. Ti ha avvisato, no? Nessun contatto stretto, nessuna distrazione.» Spiegò la ragazza, abbracciando la bionda.

Leena sapeva e comprendeva la sensazione di sconforto provata dalla giovane acrobata, il suo voler scappare via, il suo voler vivere normalmente, sentendosi parte integrante del popolo irlandese.

«Hai visto la sua faccia? Era allibito, sorpreso e poi si è irrigidito, ha stretto la mascella. Lee, il suo sguardo sembrava essere ghiaccio!» Allin era spaventata, indecisa sul da farsi.

«Devi tornare in scena, manca poco alla tua esibizione con il nastro.» Le fece notare Hannah, raggiungendola in camerino.

«Arrivo.» Allin cedette, incapace di lottare, di farsi valere, di non farsi mettere i piedi in testa.

Era così debole a quei tempi, così bisognosa di qualcuno che la consolasse, che la aiutasse, tirando fuori la sua grinta, la sua capacità di ribellarsi.

La bionda si guardò ancora riflessa nello specchio e rise. Ancora nessun pianto... Ancora per poco.

* * *

Altri applausi, altri schiamazzi, altre facce curiose. La piccola acrobata non si rese conto di tutto ciò. I suoi occhi di un azzurro banale, secondo lei, erano fissi su Niall. Era rimasto. Con un'espressione indecifrabile sul volto, ma era rimasto. La realtà posta davanti a lui superava ogni sua aspettativa, in effetti.

La bionda era una rom.

Tutto sembrava schiarirsi, avere un senso, per Niall.

«Ora capisco perché ha nascosto tutto questo, anche a me.» Sibilò il ragazzo.

Gran parte degli irlandesi disprezzava gli zingari, appartenenti a qualunque ceppo etnico. Li chiamavano knacker, “macellai di cavalli”, e questo non era di certo un complimento. L'irlandese sbiancò, vedendo la ragazza fissarlo negli occhi. Deglutì pensando a quanta tristezza era nascosta dietro il suo sguardo. La bionda si arrotolò nel suo nastro. Niall allora rabbrividì, vedendola salire in alto, spaventato dall'eventualità che lei sarebbe potuta cadere davanti ai suoi occhi. Dopo tre estenuanti minuti, in cui il ragazzo non aveva fatto altro che sussultare dalla paura, Allin scese dal nastro toccando terra, poi salutò di nuovo il pubblico con più calma e si rifugiò di nuovo dietro alle quinte.

* * *

«Lo spettacolo sta finendo, devo sbrigarmi.» Mormorò Allin, sfilandosi in un colpo solo il body da scena e le calze color carne.

Leena l'aveva nuovamente raggiunta, per sostenerla ancora.

«È finito. Tua madre sta facendo i saluti finali.» Hannah raggiunse le due ragazze, iniziando a levarsi lo spesso strato di trucco che le copriva il viso paffuto da quattordicenne.

Le sue parole non rassicurarono la bionda, anzi. Allin doveva ancora vestirsi e mettersi le scarpe. Non poteva lasciare che Niall se ne andasse, doveva fermarlo e spiegargli tutto al più presto.

Due minuti dopo la ragazza era già fuori dalle quinte, ancora truccatissima. Con velocità e attenzione cercò Niall ai bordi della pista, ma non riuscì a vederlo.

«È già andato via. Merda!» Realizzò allora, iniziando a correre verso l'uscita, scontrandosi di tanto in tanto con qualche spettatore.

Quando finalmente fu all'aperto Allin riconobbe subito una testa bionda tra la gente che si stava disperdendo per il grande parco in cui era collocato il tendone da circo.

«Niall!» Gridò una prima volta la ragazza. L'irlandese, al suo richiamo, non si voltò.

«Niall!» La bionda urlò ancora, facendo girare alcuni dei presenti verso di sé.

Gli occhi di Allin incominciarono a pizzicare, la ragazza dovette chiuderli un attimo in più del normale, prima di riaprirli di scatto.

«Niall...» Il biondino continuò a camminare indisturbato.

L'acrobata allora mosse un passo all'indietro. Pensò di averlo perso. Come aveva sospettato, come sapeva che sarebbe successo fin dall'inizio. I suoi incubi notturni che da due mesi a quella parte la assalivano, impedendole di dormire, si erano realizzati. Solo quando si voltò di schiena, riavendo come visuale unicamente il tendone a strisce bianche e rosse, Allin capì che, mollando tutto, avrebbe fatto una grande cavolata. Allora sì girò di nuovo, correndo verso Niall, verso l'unica persona che, dopo anni, la stava facendo piangere, di nuovo.

E così, proprio quando fu ad un metro da lui, una goccia bagnò la sua guancia destra. Una lacrima a cui non era stato impedito di scendere, perché l'arrestarla non era la priorità in quel momento e non valeva quanto bloccare il ragazzo avanti a lei.

«Niall Horan, ascoltami.» Mormorò Allin decisa.

Greg, distogliendosi dai suoi pensieri, si arrestò, facendo cenno al fratello di fermarsi.

«Allin, giusto?» Domandò il maggiore degli Horan, sorridendole.

La ragazza allora non capì più niente e si accigliò confusa.

«Allin!» Esclamò Niall, sfilandosi le cuffiette dalle orecchie con un'espressione incerta. Era strano per lui vedere il volto di Allin coperto di trucco, essendo abituato sempre a vederla solo con del lucidalabbra alla pesca, quasi incolore.

«Sei schifato, vero? Non mi hai chiesto neanche spiegazioni, non ti sei fermato quando ho gridato il tuo nome...» Allin tremava come una foglia e non riusciva ad alzare lo sguardo, tant'è che non aveva neanche notato il ragazzo intento a sfilarsi gli auricolari prima di pronunciare il suo nome.

«Chiariamo alcune cose. Primo: non sono schifato e non capisco il motivo per cui dovrei esserlo, non sono così cretino da cambiare opinione su una persona solo perché questa non è ordinaria, ma rara e speciale. Secondo: non mi sono fermato perché pensavo di disturbarti, ti avrei parlato domani, con calma. Terzo: per distrarmi dalle urla di Daisy, mia cugina, stavo sentendo la musica ad alto volume quindi non ti ho sentita, sciocca.» Spiegò tutto d'un fiato l'irlandese, sorridendo con le guance imporporate dall'imbarazzo e dalla timidezza che, dopo due mesi di stretto contatto con Allin, ancora non davano cenno di alleviarsi.

La ragazza arrossì violentemente e il suo cuore sembrò arrestarsi, per poi riprendere a battere ad una velocità fuori dalla norma. Era così sollevata, così immensamente felice che se le avessero chiesto di descrivere le sue emozioni su carta lei probabilmente avrebbe lasciato il foglio in bianco, non smettendo di sorridere raggiante.

«Quarto: mio fratello è uno stupido perché a sentire urlare il mio nome, avrebbe potuto chiamarmi.» Aggiunse dispettoso l'irlandese, accogliendo Allin in un caloroso abbraccio.

«Ma che ne sapevo si riferisse a te?» Domandò perplesso il fratello, rendendosi conto di essere in torto.

«Sei uno stolto, Greg.» Commentò allora il minore tra i due.

«Colpa della tua racchettata in testa quando eravamo piccoli.» Si giustificò il castano facendo spallucce, comportando una risatina dell'acrobata e della bambina al suo fianco.

«Allin, posso rubarti un po'?» Domandò Niall alla ragazza, lanciando al fratello uno sguardo inceneritore, imponendogli di andar via.

«Me lo chiedi?» La bionda seguì senza scrupoli il ragazzo.

* * *

«Allora... Deluso? Sorpreso?» Domandò con tono disinteressato la bionda, lasciando che la sua gamba destra penzolasse nel vuoto.

Niall l'aveva portata dall'altra parte del grande parco, dove c'era una quercia grande e robusta, dai rami piuttosto spessi e resistenti, sui quali il futuro cantante, si era rifugiato sin da piccolo, per suonare in pace la sua chitarra e guardare il mondo da un'altra prospettiva.

«Solo un po' preoccupato.» Rivelò questo, seduto dietro Allin, in modo che la schiena della ragazza fosse a contatto con il suo torace. La sua, invece, era appoggiata al tronco del grande albero.

«Preoccupato? Scopri che sono una zingara, cosa che voi irlandesi odiate in massa e tu sei... Preoccupato?» Allin assunse un'espressione sorpresa, scuotendo la testa, quasi divertita.

«Quando stavi sul nastro hai messo un piede in fallo. L'ho notato, sai? Ho avuto paura che cadessi a terra.» Rivelò Niall, con un po' di vergogna.

«È pur vero che sei il mio angelo caduto dal Paradiso, ma non per questo devi prendere il vizio di cascare con il rischio di farti del male!» Ironizzò poi, come era suo solito fare.

«Ma che dici!» I due ragazzi risero a crepapelle, non solo per la tentata battuta di lui, ma anche per quel momento, così inaspettato, così felice.

«Raccontami.» Azzardò l'irlandese, poggiando il mento sulla spalla sinistra dell'acrobata.

«Pensi che la tua famiglia mi odierà?»

«Raccontami.» Insistette il biondo.

«Io non so da dove cominciare.» Allin si perse a captare ogni singola sfumatura della corteccia del ramo in cui lei e Niall stavano seduti a cavalcioni, pensando a come le profonde increspature della pianta corrispondessero alle tante cicatrici, altrettanto profonde, del suo giovane cuore.

«Faccio io le domande e tu mi rispondi?» Propose quindi il ragazzo di Mullingar.

Non avrebbe voluto per nulla al mondo mettere in difficoltà la biondina, la sua tenera compagna di banco, più di quanto questa non lo fosse stata già.

«É andata.» Affermò lei.

«Ti piace esibirti?» Domandò il futuro cantante circondandole i fianchi per infine andare ad unire le sue mani con quelle di Allin.

«Lo detesto.»

«È strano il tuo mondo... Ma tu sei terribilmente affascinante, agli occhi miei.» Allin guardò altrove, guardò il cielo coperto da uno strato di nuvole bianche, elettrizzata dalla dichiarazione improvvisa di Niall.

«Altre domande?»

«Giusto un centinaio o più.» E, dicendo questo, il biondo poté giurare a se stesso che quel numero non era affatto esagerato.

«Continua allora, io non ho fretta.» In quel momento, agli occhi di Allin era passato tutto in secondo piano, anche lo spettacolo che si sarebbe tenuto la sera.

«Pagherei oro per sapere tutto della tua vita.»

«Quando ero piccola ho frequentato la scuola, fino al momento in cui ho imparato a leggere e a scrivere. Poi fu deciso di farmela abbandonare, anche perché nella mia compagnia circense, che è anche la mia famiglia, c'è il vizio di discriminare le altre persone, come queste fanno con noi. In primo liceo ho chiesto nuovamente ai miei di tornare a scuola, ma non è andata bene. Dichiarai di essere figlia di una pavee e di un kalè. Mi chiamavano “zingara da quattro soldi” e alla fine lasciai perdere. Sono stata un altro anno senza andare a scuola, ma poi ho pensato che se voglio abbandonare al più presto il circo devo essere quantomeno diplomata. Quindi ho riprovato, non ho perso le speranze e devo dire che mi è andata più che bene.» Allin, ancora una volta, si lasciò sfuggire una lacrima.

«Ho trovato te.» Aggiunse poi, asciugandosi il viso e lasciando che una mano si sporcasse di trucco azzurro.

«Fisicamente, pero', sei molto simile alle ragazze irlandesi.»

«Questo perché ho ripreso da mia madre. I travellers, come lei, condividono le origini con voi irlandesi.» Spiegò Allin, compiaciuta dall'interesse provato dal ragazzo.

«Non ti piace essere così, vero?»

«Vorrei essere irlandese. Vorrei non lavorare in un circo. Vorrei non essere nomade. Vorrei non avere paura di essere giudicata come una cattiva ragazza, una ladra, una spacciatrice. Non vorrei essere etichettata una macellaia di cavalli!» Allin alzò gli occhi al cielo e un nodo alla gola non le permise di andare avanti con la risposta.

«Lasciati almeno etichettare come una persona dolcissima da me, la migliore che abbia mai conosciuto, la più stravagante e speciale. Forse anche la più bisognosa di affetto.» Il biondino sorrise a se stesso, stringendo maggiormente le mani di Allin tra le sue.

Avrebbe voluto essere più robusto, più alto, più grande, per poter difendere meglio la ragazza.

«Tuo padre...»

«Puoi anche non chiamarlo così. Io non riesco a definirlo tale. Lui è il mio capo di lavoro e del clan. Mi odia e non lo dico per vittimismo, per essere uno stupido e piatto personaggio di qualche libro o film. Lo dico perché è la realtà.» Chiarì la bionda, lasciando morire la domanda dell'irlandese sul nascere.

«Mi hai mentito solo su questo... O anche su altro?» Domandò il ragazzo, cambiando repentinamente discorso, vedendo il corpo della giovane irrigidirsi.

«Niall, tu mi piaci davvero.» E con questo, sussurrato flebilmente, con intimità e dolcezza, forse anche un po' di immaturità, Allin fece intendere che no, non aveva mentito di certo sui suoi sentimenti.

«Non ho bisogno di sapere altro.» Dichiarò allora Niall, al settimo cielo.

«...Anzi, da quanto tempo non piangevi?»

«Da troppo forse.» Ammise l'adolescente, concentrando lo sguardo sulle sue mani intrecciate saldamente a quelle del futuro cantante.

«...E allora sfogati, che non c'è niente di male a farlo con le persone che tengono a te.»

«Non credo di esserne più capace, sai?» Un sorriso amaro illuminò tetramente il volto di Allin.

«Bene, vorrà dire che ti insegnerò non solo a suonare la chitarra, ma anche a sfogarti con me.» Niall non perse il buon umore e, lentamente, scese dalla quercia, poggiandosi su vari rami, fino a toccare il suolo.

Anche Allin lo seguì, muovendosi con molta più agilità di lui.

«Ehi, ma non vale! Tu sei brava.» Scherzò il ragazzo, afferrandola al volo prima che potesse mettere piede a terra.

«Modestia e odio per il circo a parte... Lo so!» Allin restò in braccio a Niall, aggrappandosi alla sua schiena come fosse una scimmietta.

«Posso venirti a vedere ai prossimi spettacoli?»

«Se ti va, vieni!»

«Stasera ho la mia prima esibizione in pubblico, dopo cena.»

«E me lo dici adesso?» Domandò Allin sedendosi con un movimento sinuoso e deliberatamente posato sull'erba.

«Tanto non puoi venire, che importa?» Anche Niall si adagiò sul prato, leggermente umido, rannicchiandosi su se stesso e poggiando il mento sulle ginocchia.

«Voglio venire.» Dichiarò Allin. «Chiederò a Leena di coprirmi. Verrà con me e sua sorella Hannah. Mio padre mi lascerà uscire se penserà che io starò con loro e invece... Verrò a vedere te. Dimmi locale e ora.» Spiegò poi la ragazza.

La sua determinazione lasciò senza fiato il biondino. Lui non immaginava neanche quanto lei si fosse legata a lui, quasi in modo viscerale. Lo avrebbe sostenuto ovunque e in quel momento seppe per certo che lui avrebbe fatto lo stesso.

«Sono così felice di aver aiutato Greg ed averlo accompagnato qui per Daisy. E' fantastico sapere la verità.» Mormorò il ragazzo prendendo tra le sue mani quella destra di Allin, incominciando a disegnare ghirigori immaginari sul suo palmo ruvido e rovinato dallo sfregare con il cerchio.

«Mi sento sollevata anche io, Niall.»

«Sai una cosa, Allin? Io non so come definire il nostro rapporto. E' tutto così nuovo per me. Insomma, sono vivace, allegro, ma... Quando si tratta di ragazze, anzi, quando si tratta di te divento timido ed impacciato. Non capisco cosa significa questo.» Il biondo posò la testa nell'incavo del mento dell'acrobata, sulla gola, scendendo poi fino alla clavicola, lasciandole un bacio a fior di pelle.

«Che ti importa di dare un nome al nostro rapporto?»

«Lo hai detto anche tu, il primo giorno in cui mi hai vista. “Se uno di noi viene sottratto all'altro, questo si annulla.” e allora ti dico: viviamocelo. Viviamo questo rapporto senza pensare, senza porgli freni... Lasciamolo crescere, facciamolo diventare qualcosa di importante.» Aggiunse quindi Allin. A quelle parole, Niall chiuse gli occhi, beato.

La giovane infine si perse a sfiorare con delicatezza e lentezza il volto di Niall, di quell'angelo dai colori chiari e i tratti ancora da bambino. Carezzò una sua guancia, sfiorò le sue palpebre e la zona intorno agli occhi. Seguì il profilo del suo naso leggermente schiacciato in punta, che definiva dolcemente “a patatina”. Infine, la bionda posò i polpastrelli sulle labbra sottili dell'irlandese che le dischiuse, lasciando fuoriuscire da queste un caldo sospiro. Allin sorrise arrossendo: Niall causava una tempesta di emozioni in lei. La ragazza non ci pensò due volte e lo baciò.

E in quel momento a nessuno dei due adolescenti importò se il loro legame sarebbe stato visto come nocivo, come quasi ossessivo. Insieme stavano bene, separati no. Allin rabbrividì, al solo pensiero di stare per tanto tempo senza il Niall. Una morsa le strinse lo stomaco, facendole abbracciare forte a sé il ragazzo, bisognosa di sentirlo vicino. Forse, in quel momento, il suo sesto senso le aveva fatto capire che ben presto un evento inaspettato li avrebbe separati, ingiustamente.

Spazio autrice
Parliamo del capitolo? A me sinceramente, tutto sommato, piace. Forse perché è dolce, ma allo stesso tempo anticipa, nella parte finale, un evento che succederà più in là. Inoltre il flashback dovrebbe farvi pensare un po' sul passato di Allin. Insomma, Gonzalo ce l'ha a morte con lei e, se da una parte Marie lo ritiene un mostro, dall'altra lo capisce... La domanda è: perché? Non so se si è notato, ma ho messo l'anima per rendere questo capitolo all'altezza, spero, delle vostre aspettative. In questa settimana è successo un fatto che mi ha scosso terribilmente, alcune di voi lo sanno. Ho pensato, lo ammetto, di mollare tutto così, ma poi mi sono data della cretina da sola. Non potevo abbandonarvi. Anche con l'autostima a terra, come in questo momento, ho giurato a me stessa che andrò avanti. Parliando di altro... Vi ringrazio infinitamente per seguire la mia storia, ma soprattutto per le recensioni. Sono davvero tantissime, più di quanto immaginavo. Non sono sopresa, di più! Proprio queste mi riportano ad un discorso importante: quello degli aggiornamenti. Penso che potrei prendere il ritmo di aggiornare ogni domenica. Adesso vi spiego perché. Tralasciando motivi come scuola e impegni personali, mi sento male all'idea di non riuscire a rispondere alle vostre recensioni o a recensire con fretta e superficialità le storie che seguo. Inoltre ho deciso, con voglia e felicità, di aiutare tre ragazze con le loro fanfiction e, considerando anche A-N, forse potrete capire che faccio davvero fatica. Altra cosa importante: la prima Os di H2 è finita e devo solo darle una sistemata. Penso la posterò sabato, ne sono quasi certa, al massimo domenica. Che dire, vi chiedo di esser comprensive con me. Giuro che, nel caso dovessi farcela, vi farò qualche aggiornamento improvvisato, magari con un giorno di anticipo.
Grazie di cuore, vi invito, come sempre, a recensire. Spero di non avervi deluse,
Giorgixx
PS: Nel caso volesse farmi qualche domanda questo è il mio account Ask:
Giorgia Efp
Questo, invece, è il mio account facebook: Giorgia Efp

 

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Capitolo 4
*** "I'm yours." ***


"I'm yours."

Buonasera! Vorrie ringraziare anche qui tutte le lettrici che hanno recensito il precedente capitolo e vi invito a leggere, come sempre, le note a fine pagina. Che dire, spero che il capitolo vi piaccia!


“Dai, dobbiamo sbrigarci.” Hannah, correndo, raggiunse Allin appena fuori dal tendone del circo, insieme ad Leena.

Le ragazze avevano mentito ai genitori, inventandosi la banale scusa che sarebbero andate insieme a vedere un film al cinema di Mullingar. Nessuno sapeva che, invece, le due avrebbero accompagnato Allin da Niall.

“Sono agitata. Da morire.” Dichiarò la bionda guardandosi intorno, nel buio delle nove di sera. Il vento le scompigliava leggermente i capelli, rilassandola un po'.

“Andrà bene, ne sono sicura.” Mormorò la maggiore delle tre ragazze.

“Grazie Leen, grazie Hannah.” L'acrobata abbassò lo sguardo e sorrise amorevolmente. Senza l'appoggio delle due cugine non sarebbe potuta andare da nessuna parte, ne era consapevole.

Loro stavano rischiando per lei, loro lo avrebbero fatto sempre.

"Se fossimo nella tua situazione, tu faresti lo stesso per noi. Che poi, io, come anche Han, non sia d'accordo con te, che io non disprezzi vivere in questo modo, non implica che non mi importi della tua felicità, cugina." Affermò Leena con dolcezza, iniziando ad affrettare il passo.

Infondo, a suo parere, Allin meritava di esser felice e se l'unico ad capace a farla stare così era Niall, allora avrebbe fatto di tutto per farli stare insieme.

* * *

“Quindi, cosa facciamo?” Dopo una camminata di circa venti minuti le tre zingare si ritrovarono davanti all'entrata di un pub dall'aria vecchia e malsana.

“Se volete, seguitemi, altrimenti ci ritroviamo qui tra due ore e mezzo, anche tre.” Allin guardò il portone in legno dietro di sì e storse la bocca, leggermente intimorita. Era la prima volta in cui sarebbe andata in un posto simile a quell'ora.

“Han, vuoi andare?” Chiese Leena alla sorella minore.

“Sinceramente no...”

“Allora noi andiamo a farci un giro per conto nostro, in bocca al lupo cuginetta!” Così, dopo un abbraccio caloroso, Allin si ritrovò sola.

* * *

Quella sera il locale era decisamente più affollato del solito. L'esibizione libera di alcuni cittadini della zona aveva creato un certo scalpore. Chi per ascoltare un proprio parente o amico, chi per sghignazzare un po', sperando in esibizioni indecenti, aveva deciso di passare lì il dopocena. Allin, con un po' di timore, entrò nel pub, chiudendosi la porta alle spalle. Per un attimo si beò dell'indifferenza delle persone, poi cercò tra la folla volti conosciuti, facendosi spazio tra di essa. Sapeva, infatti, che Mark ed Elizabeth ci sarebbero stati, così come buona parte della sua classe. Qualche minuto dopo una mano si posò sulla spalla dalle zingara. La ragazza conobbe il forte profumo al pompelmo della sua compagna di classe.

“Ely!” Esclamò quindi voltandosi. Un sorriso sghembo spuntò sul suo volto porcellana quando ebbe la certezza di aver riconosciuto l'amica.

“Buonasera bionda!” Le rispose questa abbracciandola.

All'inizio, inutile negarlo, Elizabeth non aveva visto di buon occhio Allin. “Mi ha rubato il mio migliore amico”, continuava a ripetersi. Ci volle un mese per far sì che lei cambiasse idea, che capisse che il legame tra Niall e Allin si sarebbe presto trasformato in una relazione che sarebbe andata ben oltre la semplice amicizia.

“Vieni, stiamo in prima fila.” Spiegò la giovane, afferrando il polso destro della zingara, per evitare di perderla tra la mischia. “...Ti avviso: è venuta anche Emily.” Aggiunse infine facendo una smorfia quasi disgustata.

“Che bello!” Allin mostrò il suo lato ironico, alzando gli occhi al cielo e scuotendo la testa.

Emily era una delle sue compagne di classe. Odiosa, montata, non c'era giorno in cui non ci provava con qualche povero malcapitato. Come se questo non bastasse, la sua vittima preferita sembrava essere Niall.

“Allin!” Mark si avvicinò all'acrobata, non appena la vide arrivare al fianco di Elizabeth.

Il castano, essendo d'indole per niente invadente, aveva subito lasciato stare l'aura di mistero che sembrava avvolgere costantemente la bionda, cercando, con successo, di esserle subito amico.

I tre ragazzi, insieme ai loro compagni di classe, parlarono del più e del meno, chi con una limonata, chi con una birra in mano, con l'intenzione di ammazzare l'attesa che li divideva dall'esibizione di Niall.

“Dove sta il biondino?” Chiese Allin alzandosi sulle punte per guardarsi intorno con più facilità.

“In una stanzetta laggiù, vicino all'angolo bar.” Spiegò Benjamin, un altro compagno di classe nonché amico d'infanzia dell'irlandese, indicando un punto dalla parte opposta a quella in cui stava la comitiva.

“Non preoccuparti per lui, Allin: è solo un po' agitato perché è la prima volta che si esibirà fuori scuola. Poco fa è arrivato Greg, sta con lui adesso.” Aggiunse Mark, abbozzando un sorriso alla giovane, con la speranza di tranquillizzarla.

“Mah. Io sono andata da lui, povero Niall: la sua ragazza non si degna neanche ad augurargli neanche un “Buona fortuna”. Forse è il caso che Niall cambi orizzonti, prima di rimanere deluso.” Intervenne con acidità Emily.

La giovane detestava Allin. Con quei suoi lineamenti leggeri, le guance perennemente imporporate, gli occhi chiari, la bionda risultava essere, infatti, più bella di lei, cosa non accettabile a suo parere.

“Torno subito.” Mormorò l'acrobata, allontanandosi dal gruppo, con la sola voglia di raggiungere Niall.

Le parole di Emily l'avevano scossa profondamente. Lei non aveva voluto di cercare il biondo solo perché non voleva disturbarlo. Non poteva perderlo, non per una cosa simile. E poi, la sola idea che l'irlandese la lasciasse stare, la terrorizzava, letteralmente. In quella città il ragazzo era diventato il suo unico appiglio, l'unica cosa che la faceva vivere davvero serenamente. Allin non non aveva mai considerato la possibilità di legarsi così a qualcuno, ma più volte si era già ritrovata ad ammettere che, per quanto questa fosse stata una novità, questo non le dispiaceva affatto. La zingara, infatti, amava l'idea di aver qualcuno a cui mandare un messaggio quando si sentiva sola e, da una parte, amava anche l'attesa nel ricevere una sua risposta. Inoltre, come poteva odiare il sentire il cuore accelerare ogni volta in cui Niall le scriveva un cuore a fine messaggio?

Allin finalmente riuscì a farsi spazio tra la gente, riuscendo a raggiungere la sala in cui, oltre al biondo, c'erano numerose persona in attesa di esibirsi. L'acrobata non riconobbe subito Niall e, quando lo vide intento ad accordare nervoso la sua chitarra, non poté evitare di sorridere mettendo in mostra i suoi denti bianchi che, essendo leggermente distaccati, le davano un'aria da bambina.

Greg, riconoscendo la ragazza, diede una gomitata al fianco del fratello, seduto accanto a lui su una panca di legno. Il ragazzo allora alzò lo sguardo con aria confusa, finché non incrociò gli occhi della zingara.

“Allin, sei venuta!” Niall posò in fretta la chitarra e si avvicinò a lei.

“Come ha fatto Emily...” Mormorò questa, abbassando lo sguardo.

“Sbaglio o qualcuno è geloso?”

“Io gelosa?”

Gelosa Allin? Sì che lo era. La giovane si morse il labbro, infastidita dal suo stesso comportamento. Perché aveva dovuto rispondere male all'irlandese? Perché aveva dovuto nominare Emily? Perché non aveva, invece, tenuto la bocca chiusa?

La gelosia. Un sentimento tanto umano, quanto animale, se portato all'eccesso. Uno stato d'animo struggente, distruttivo sia per chi lo vive, sia per chi lo subisce.

“Io non vorrei esserlo... Ma lei è così...” Si trovò a sibilare Allin, grattandosi nervosa lo smalto ancora semi fresco passato sulle unghie poco prima.

“Assillante, egocentrica, falsa e superficiale al punto che si infastidisce se qualcuno le ruba un suo probabile pretendente?” Concluse Niall alzando un sopracciglio e facendo incrociare di nuovo gli occhi azzurri di Allin ai suoi.

Un mormorio incomprensibile fuoriuscì dalle labbra della bionda quando fu di nuovo faccia a faccia con l'irlandese, quando si sentì afferrata da lui per i fianchi, quando si ritrovò, infine, stretta al suo torace.

Incredibile come con poco Niall riusciva a calmarla e ad aiutarla con la sua autostima, ricordandole con piccoli gesti che, in fin dei conti, per lui, era una persona meravigliosa sebbene avesse i suoi difetti, le sue manie e le sue paranoie.

“Allin, Emily è venuta a fare la classica gatta in calore con me prima che arrivasse Greg, ma io l'ho cacciata.” Spiegò infine l'irlandese, assumendo un tono di voce dispregiativo.

Odiava letteralmente le ragazze che abusavano della loro femminilità, risultando solo petulanti e fuori luogo.

“Scusami se sono gelosa, ma ho avuto così poco dalla vita. Per questo, forse, tendo a tenermi strette le poche cose belle che questa mi ha dato. Tipo te.” Ammise con rammarico Allin.

“Sono pronto per le manette. Promettimi, pero', che una volta incatenato non mi abbandonerai più. Allora sì che sarò davvero tuo. Ovunque e per sempre.” Niall sciolse l'abbraccio con la ragazza, poi accostò le mani, facendo in modo che i polsi si toccassero tra loro, proprio fosse stato un carcerato un istante prima di essere ammanettato.

La bionda, allora, non esitò e strinse le mani del biondo tra le sue. Da qualche giorno, la ragazza aveva preso l'abitudine di spalmarsi molto spesso una crema idratante sulle mani, per evitare che queste, essendo screpolate, dessero fastidio all'irlandese. Il giovane si accorse del cambiamento e sorrise, poggiando la fronte sul quella della ragazza che, intanto, aveva incominciato a sfiorare con delicatezza gli avambracci di Niall, per poi scendere a giocherellare con i polpastrelli delle sue dita, affascinata dalla sensazione che provava avendo un qualsiasi tipo di contatto fisico con lui.

* * *

“Adesso è il turno di Niall Horan! Accogliete questo giovane ragazzo come si deve!” Appena finì l'esibizione di un complesso rock, il capo del locale salì sul palco, presentando il biondo.

Questo, quando scese l'uomo barbuto, vi salì sopra. Il suo corpo fu scosso da brividi. Era assurdo, per lui, cantare davanti a tanta gente. A scuola, nelle recite o nelle esibizioni, era diverso. Certo, c'erano molti studenti, molti genitori a vederlo, ma non erano del tutto estranei. La prima cosa che il ragazzo fece, sedendosi sullo sgabello posto al centro del palco, fu cercare Allin. Solo quando la trovò, vedendola in prima fila, il ragazzo poggiò la chitarra sulle gambe ed incominciò a suonare la base di “I'm yours.” Perché aveva scelto di non cantare più “Haven't met you yet”? Per il semplice fatto che voleva ribadire ancora una volta ad Allin che lui, essenzialmente, era suo. Solo suo.

“Well you done done me
and you bet I felt it
I tried to be chill
but you're so hot that I melted
I fell right through the cracks
Now I'm trying to get back.”

Allin, con la prima strofa della canzone non poté evitare di tornare, per un istante, indietro nel tempo. Quei versi le ricordavano decisamente il suo atteggiamento quando Niall si sedette vicino a lei, cercando di conoscerla. La bionda aveva infatti provato ad esser fredda e distaccata, ma il calore di Niall l'aveva sciolta ben presto.
 

“Before the cool done run out
I'll be giving it my bestest
And nothing's gonna to stop me
but divine intervention
I reckon it's again my turn
to win some or learn some.”

Niall abbassò lo sguardo dalla sua chitarra, spostandolo sul volto della zingara. La vide sorridere così intensamente che i suoi occhi risultavano esser semichiusi. Allora, anche lui, tra una verso e l'altro, fece lo stesso, facendole anche un occhiolino.

“But I won't hesitate
no more, no more
It cannot wait, I'm yours.”

“Io sono tuo.” Allin sentì quella dichiarazione, sapendo che questa era rivolta unicamente a lei. Il suo cuore scalpitò dalla felicità. Se era valsa la pena mentire al padre e stare lì? Assolutamente sì. “Io non esisterò più.” Recitava inoltre la canzone. Niall alzò leggermente gli occhi al soffitto quando ripensò inevitabilmente alle parole dette da lui stesso durante la prima lezione di matematica, durante la quale capì di aver quantomeno guadagnato la fiducia della ragazza.

“Well open up your mind
and see like me
Open up your plans
and damn, you're free
Look into your heart
and you'll find love love love love
Listen to the music of the moment
people dance and sing
We're just one big family
And it's our God-forsaken right
to be loved loved loved loved loved.”

Niall mise tutto l'impegno possibile per cantare questa strofa. “Dannazione, tu sarai libera.” Questa frase, in particolare, ebbe la capacità di riscaldare il cuore di Allin, risultando come un implicito invito a non smettere di sognare, a non smettere di sperare nel futuro che lei voleva vivere.

“So I won't hesitate
no more, no more
It cannot wait I'm sure
There's no need to complicate
Our time is short
This is our fate, I'm yours.”

“Abbiamo poco tempo.” Non solo l'irlandese, ma anche la zingara, sussultò a queste parole. Certo, facevano parte della canzone, Niall non avrebbe potuto cambiarle, ma faceva strano sentirle e cantarle. Davvero avrebbero avuto poco tempo per stare insieme? Forse la sensazione spiacevole che entrambi i ragazzi provarono in quell'istante non era altro che un avviso, una risposta affermativa a quella domanda che si erano posti.

“Please don't, please don't,
please don't
There's no need to complicate
'cause our time is short
This, oh this, oh this is our fate, I'm yours.”

Dopo altre strofe, l'esibizione si stava chiudendo con un ultimo ritornello. “Sono tuo.” Ogni particella del corpo di Niall sembrava urlare questa frase. Il ragazzo concluse la canzone con un'ultima strimpellata, poi si poté godere il boato del pubblico. Era andata bene e una lacrima di gioia scese lungo il suo volto quando saltò giù dal palco, atterrando accanto ad Allin. Il biondo strinse la ragazza a sé, così forte che questa restò senza parole. Elettrizzato la fece volteggiare in aria, ridendo insieme a lei per quell'istante di pura felicità.

“Sono tuo.” Le gridò poi, per sovrastare la voce dell'improvvisato presentatore che si era apprestato a raggiungere un'altra volta il palco.

“Niall, devo andare!” Allin guardò il suo cellulare ed impallidì. Sullo schermo comparvero gli avvisi di ventuno chiamate perse e quattro messaggi ricevuti. Era mezzanotte passata e Allin a quell'ora sarebbe dovuta stare già al circo.

“A domani biondina.” L'irlandese le diede un breve bacio sulle labbra, godendo del tocco della ragazza, così soffice e delicato, poi restò imbambolato, guardandola uscire dal locale, di corsa.

“E' fantastica.” Mormorò, pensando a quanto aveva rischiato andando a vederlo cantare.

* * *

“Allin!” Esclamò Hannah, andando incontro alla cugina quando questa si ritrovò all'aperto.

“Dobbiamo muoverci: siamo in ritardo di mezz'ora rispetto al previsto!” Leena afferrò il polso della bionda, incominciando a camminare alla svelta.

“Ci ammazzeranno.” Esordì la minore delle due cugine in preda al panico.

“Han, rilassati.” La sgridò tranquillamente la sorella. Allin, infatti, era visibilmente dispiaciuta del ritardo e, a suo parere, era inutile renderla ancora più avvilita.

“Piuttosto, come è andata la serata?” Le domandò poi, visibilmente interessata.

“Alla grande!” La bionda fantasticò sull'esibizione di Niall, sospirando amorevolmente.

“Canta bene?” Chiese Hannah, calmandosi un po'.

“La sua voce potrebbe fare invidia agli angeli, non scherzo.” Le rispose Allin. In quel momento, la ragazza ebbe la certezza che Niall avrebbe fatto strada come cantante.

* * *

Dopo un tempo che sembrò esser interminabile le tre ragazze raggiunsero il terreno in cui era stato montato il circo. L'area a loro riservata era delimitata da una ventina di grandi camion con cui erano stati trasportati impianti, attrezzature e animali. Questi poi si alternavano a camper e roulotte, in cui soggiornavano i venti artisti facenti parte della compagnia circense. Oltre al tendone principale, all'interno di questa sorta di mura, ve ne erano anche altri che, uniti ad esso tramite corridoi coperti, contenevano il bar, la biglietteria e uno spazio riservato all'intrattenimento dei più piccoli visitatori. Hannah e Leena appena arrivarono vicino al loro camper, che condividevano tra sorelle, lasciarono sola la cugina. Allin tremò di paura, quando entrò nella roulotte in cui solitamente si rilassava il padre ascoltando musica spagnola. La giovane sperò che la madre fosse stat a lì, ma evidentemente era già a dormire. Allora pensò che forse sarebbe stato meglio andarsene, ma prima che potesse muovere un passo, il padre si accorse di lei, alzandosi dal divano in cui era sdraiato.

“Ah, eccoti, disgraziata! Ma brava, Allin! Mi spieghi cosa dovrei fare con te? Sei solo un grosso fardello da mantenere, ragazzina! Se domani non eseguirai a dovere tutti gli esercizi mattutini, saranno affari tuoi!” Tuonò Gonzalo dando uno strattone alla bionda che impallidì.

La rabbia che la ragazza vide negli occhi dell'uomo fu così tanta da farla rabbrividire.

“Per esempio, potresti comportarti da padre!” Gridò questa in tono disperato.

“Va' a dormire!” Gonzalo diede un forte schiaffo sulla guancia destra della figlia.

Il segno della sua grande mano comparve subito sulla pelle chiara e delicata di Allin. La ragazza serrò le labbra, poi scappò via da lì, con gli occhi gonfi di lacrime.

* * *

Allin entrò così nella piccola roulotte che usava come camera da letto, come rifugio, nido. Era un ambiente piccolissimo, circa un metro e mezzo di larghezza per due e mezzo di lunghezza, ma era davvero caldo ed ospitale. A partire dall'esterno in legno laccato di rosso, con tanto di finestrelle azzurre su cui Allin aveva intagliato alcuni cuori, che davano al tutto un che di fiabesco. L'interno poi era arredato in modo essenziale, ma molto particolare. Ad un lato c'era un piccolo materasso, sostenuto da una rete in acciaio, non troppo resistente. Dalla parte opposta a questo c'era una cassettiera in legno di ciliegio, nella quale Allin aveva disposto ordinatamente tutti i vestiti, seguendo i loro colori. I costumi da scena, così come ogni cosa che riguardava il circo, erano stati sistemati in una cassettiera che la zingara apriva solo quando ne aveva bisogno. Al centro della roulotte, la bionda aveva sistemato da poco un piccolo tavolino basso, sul quale fare i compiti il pomeriggio. La “camera” era inoltre arricchita da numerosi e simpatici soprammobili e colorati cuscini con inserti in pizzo lasciati stare sulla moquette che ricopriva il pavimento o sul letto. C'erano poi vecchie foto, alcune piantine grasse ben curate, braccialetti e collane sparse un po' ovunque, piume colorate per scrivere, alcuni fogli color crema sparsi ovunque in cui Allin appuntava tutto ciò che le accadeva, post-it di varie forme e colori in cui la ragazza aveva scritto tutti i motivi per i quali voleva andare via e ricominciare da sola la sua vita. Ma la cosa che più caratterizzava l'interno della roulotte della giovane era sicuramente la presenza di un grande block-notes appeso alla parete destra. Sulla prima pagina di questo, l'unica visibile, era scritto un grande numero in nero, preceduto da un segno meno, il numero cinquecentosettantanove. Eh sì. Mancavano quasi seicento giorni, presto Allin sarebbe diventata maggiorenne. Mattina dopo mattina, la ragazza avrebbe staccato ogni pagina e così, prima o poi, lo zero sarebbe arrivato, come sarebbe iniziata anche la sua libertà.

La bionda non poté evitare di guardare speranzosa quel numero, portandosi, senza neanche pensarci, una mano al cuore. Poi, si avvicinò alla cassettiera, sopra la cui sua mamma aveva lasciato un piccolo carillon di porcellana. La giovane si lasciò calmare da quel suono, dolce e ripetuto.
Infine, pur non volendo, incominciò a piangere. Odiò farlo, perché merito di suo padre. Era assurdo per lei esser trattata così da quell'uomo.
Non capiva cosa avesse fatto di male, quale fossero le sue colpe da espiare. La ragazza afferrò un cuscino e lo strinse forte a sé, tra il petto e le ginocchia. Aveva bisogno di Niall. Passarono cinque minuti, alla fine, dopo essersi domandata più volte cosa sarebbe stato meglio fare, l'acrobata provò a chiamare il ragazzo. Questo rispose al primo squillo, un po' assonnato.

“Allin.”Mormorò con tono impastato e poco squillante.

“Ti ho svegliato...” Costatò avvilita Allin, sentendosi in colpa.

“Stai piangendo, hai fatto benissimo a chiamarmi.” Niall sentì un piccolo singhiozzo trattenuto dalla bionda e capì che questa non stava bene.

“Secondo te, può un padre odiare sua figlia?” Domandò l'acrobata in un sibilo, con voce stridula e spezzata dal pianto.

“E' incomprensibile il comportamento del tuo, Allin.”

“Io non sopporto più questa situazione. Sarà che adesso sto diventando meno menefreghista, sarà che ho cominciato a piangere di nuovo, ma ci sto troppo male.”

“E per questo ci sono io. Adesso pero', devi dormire. Domani sarai troppo stanca se continui a piangere, capisci?” Niall cercò di essere il più dolce possibile e ci riuscì, tant'è che Allin non seppe cosa rispondere.

“E' il suono di un carillon quello?” Aggiunse poi il ragazzo, sentendo un suono simile a quello di una ninna nanna.

“Mh mh.”

“Fai una cosa: mettiti sotto le coperte, ci penso io a farti addormentare.”

“Lo faresti davvero? Anche se stai crollando dal sonno?” Allin spalancò la bocca, asciugandosi le lacrime e seguendo ciò che le aveva detto Niall.

“Finché non ti sentirò russare.” Confermò questo.

“Io non russo!”

“Certo Allin, certo.” Niall rise tra sé e sé, cercando di ricordare le parole di “A new whole world.”, la canzone Disney preferita dalla sua amata biondina.

Bastarono poche strofe e qualche minuto per far sì che un leggero russare fu udibile al giovane. A quel punto questo chiuse la chiamata e, sorridendo, si rimise a dormire, cullato dalla dolce sensazione di essere importante per la sua Allin.

19 Giugno 2010
Finalmente è arrivato il giorno del mio compleanno. Sono una diciassettenne adesso. Dovrei essere al settimo cielo, ma non ci riesco. Ormai è da un mese che mia madre non fa altro che star male. E' debole, pallida, costantemente preda di una febbre altissima. I dottori mi hanno detto che si riprenderà, ma sembra stare sempre peggio. Mio padre poi, in tutto questo, non dice nulla. Nessuna emozione. Ancora una volta non riesco a capire cosa gli passi per la testa. L'unica cosa che noto è che è sempre più nervoso, soprattutto con me. Tutta la compagnia, invece, è palesemente giù di morale. Sembra che sia calato un velo di tristezza su di noi, su quella combriccola che, almeno all'apparenza si mostra sempre allegra. Sarà, ma anche durante gli spettacoli non siamo più gli stessi. Ho così paura per mia madre, ho il terrore. Se non ci fossero Mark e Elizabeth... Se non ci fosse Niall, penso che mi sentirei persa. Eh sì, Niall. Non c'è giorno che passo lontana da lui. Ancora non abbiamo pensato a dare un nome alla nostra relazione, anche se sono passati circa sette mesi da quel pomeriggio di Novembre, in cui sono andata a casa sua per la prima di innumerevoli volte. Come dice lui, noi viviamo di istanti, viviamo alla giornata. Infondo siamo giovani ed inesperti. Vivere così è la scelta giusta. Oggi, poi, sono usciti i quadri. Ho scoperto di non esser stata rimandata in nessuna materia. Questo è un miracolo, direi. Anche Niall, come me, è passato con successo. Merito mio se quell'adorabile biondino ha una piena sufficienza in Matematica. Sai che c'è? Sono proprio scema. Sono davvero scema. Niall verrà tra poco, approfittando del fatto che oggi mio padre è partito con la compagnia al completo per andare ad una fiera fuori città e anziché prepararmi mi ritrovo a scrivere. Sai, resterà qui tutto il pomeriggio... Sinceramente? Spero che resti anche la notte. Voglio stringerlo a me il più possibile. Ho la sensazione che presto scomparirà dalla mia vita, che presto la sottrazione A-N si avveri, cosa che spero non accada mai. Spero di farmi condizionare dal fatto che tra qualche mese proverà ad entrare ad X Factor. Sì dai, sicuramente è questo. Devo andare a vestirmi adesso.
Allin. (-trecentosessantacinque giorni.)
 

Spazio autrice

Che dire di questo capitolo. Per prima cosa ho dovuto riscriverlo interamente. Stamattina stavo correggendolo quando Open Office è letteralmente impazzito. Mi ha cacellato tutto. Ho provato a trovare un modo per ripristinare il file, ma niente. Per questo vi prego di scusarmi se il capitolo è uscito uno schifo. L'uniche due parti che mi piacciono sono quella in cui Allin spiega a Niall che se è gelosa di lui è perché infondo non ha avuto molto dalla vita e quella in cui viene descritta la sua "camera". Per il resto... Potrei vomitare. Che poi io l'abbia fatto davvero avendo acidità di stomaco è una cosa a parte... Comunque non prendete sotto gamba il diario di Allin. La malattia della madre, le sue sensazioni saranno decisive. Inoltre il balzo temporale è stato fatto dopo una lunga riflessione. Nei prossimi capitoli, ve lo anticipo, mi impegnerò ad inserire alcuni missing moments vissuti dai due protagonisti.
Che altro dire, mancano circa due capitoli, poi la storia prenderà tutt'altra piega. Godetevi questi capitoli di dolcezza, perché poi scarseggeranno un po'... Ultima cosa che mi sento in dovere di fare è ringraziarvi. Una media di così tante recensioni a capitolo non me la sarei mai aspettata. Ve lo giuro. Per favore, non perdetevi per strada. Continuate a recensire, fatelo anche per questo capitolo. Magari fatemi sapere qualche canzone romantica che vi piace e qualche momento che vorreste leggere inserito nella fanfic. Inoltre, se avete idee riguardo a cosa farà separare Allin e Niall, non esitate a dirmelo!
Sappiate che vi adoro, dalla più estroversa e quella più silenziosa.
Giorgia.

 

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Capitolo 5
*** Fall in love. ***


"Fall in love."

Buonasera! Vi anticipo che scrivere questo capitolo è stato un vero e proprio parto! Che dire, spero vi piaccia anche il finale, forse aspettato...
Anche qui vi chiedo gentilmente di lasciarmi una recensione.
Grazie per l'attenzione c:
PS: le parti in corsivo sono brevi flashback.



 

"Nì, tranquillo." Allin strinse forte il ragazzo a sé, afferrandolo per la vita.

Il ragazzo era appena arrivato da lei con qualche ora di ritardo, dovuta alla presenza di alcuni parenti nel pomeriggio. Erano le sette di sera quando si presentò alla roulotte, raggiante come mai. Il ragazzo pensava che avrebbe dovuto salutare Marie, ma la diciassettenne gli aveva già spiegato che non ce ne sarebbe stato bisogno, che l'avrebbe conosciuta il giorno dopo.

"Tu sei sicura?"

"Sì, te l'ho già detto."

Niall, secondo me, la sera del mio compleanno è quella giusta.” Mormorò Allin massaggiando dolcemente la cute dell'irlandese, seduto sullo scalino appena sotto a quello in cui stava lei.

I due giovani stavano a casa Horan, sulle scale del portico esterno alla villetta. La scuola era finita e presto sarebbero andati a festeggiare con Mark, Elizabeth e altri loro compagni.

Ne sei sicura?” Le domandò il biondino, andando indietro con la testa, appena quanto gli bastò per poggiarla sulla coscia destra di Allin.

Sì.” Rispose questa convinta. Sarebbe stato bello, ne era certa.

"Uh..." Niall chiuse gli occhi incerto, lasciandosi coccolare dalle carezze della ragazza lungo la schiena.

"Andrà bene."

"Certo, benissimo."

Allin approfittò del momento di silenzio per chiudere l'entrata della roulotte, così come le finestre. Con lentezza abbassò poi la luminosità dell'unica lampada lì presente. Niall poco prima aveva visto due candele profumate che in quel momento decise di accendere, grazie ad un accendino trovato vicino ad esse.

"Guarda in alto, Nì." Mormorò Allin abbracciando il biondo da dietro, prendendogli le candele accese tra le mani e posandole sulla cassettiera davanti a lui. Niall allora alzò la testa. Rimase meravigliato. Come biasimarlo? La roulotte era dotata di una finestra sul tetto che poteva aprirsi, rendendo visibile il cielo.

"Che meraviglia." Commentò l'irlandese, volgendo lo sguardo al cielo rossiccio durante il tramonto.

"Sai che questo è il primo diciannove Giugno in cui c'è bel tempo dove sono? Ad ogni mio compleanno è sempre piovuto. Forse è il destino che vuole che stasera sia diverso." Spiegò la ragazza quando lui si girò verso di lei, cingendole i fianchi e posando la fronte sulla sua, guardandola poi negli occhi.

"Questa luce soffusa ti rende ancora più bella... Maledizione, sei reale Allin?" Sussurrò Niall con voce impastata.

"Potrei farti la stessa domanda, angioletto mio."

"Angioletto? Ma guardami Lin: sono pieno di difetti. Ho i denti storti, un fisico fin troppo asciutto e boh, la mia risata è ridicola."

"Nì. Smettila, subito." La bionda tappò la bocca al ragazzo, non permettendogli di aggiungere altro.

"Vieni qui, piccolina."

L'irlandese prese Allin in braccio, poi la stese delicatamente sul materasso.

"Io ti avviso, potremmo cadere da un momento all'altro."

"Rassicurante." Niall rise divertito, poi si stese sulla zingara, con il viso esattamente all'altezza del suo. Con il timore di pesarle addosso non si poggiò solo sui gomiti, ma anche sulle ginocchia. Allin si rese conto delle sue azioni e gli carezzò una guancia, per poi leccargli allegra la punta del naso.

"Voglio che questa sera sia perfetta." Soffiò Niall sorridendole.

"Sarà anche imbarazzante."

"Molto, questo è vero."

"Niall, sono tua."

A quella dichiarazione il biondo si decise a darsi una mossa. Con delicatezza afferrò i lembi della colorata maglia a maniche corte indossata dalla ragazza. Entrambi ridacchiarono quando si resero conto che le mani dell'irlandese avevano incominciato a tremare. Uno sguardo d'intesa, poi lui le sfilò completamente la t-shirt. Il suo sguardo si perse a studiare ogni dettaglio del corpo di Allin. Dai piccoli nei, all'ombelico leggermente sporgente, alla piccola voglia sul basso ventre che ricordava la forma di un cuore. Quando Niall tornò a guardare gli occhi di Allin, notò che le sue guance si erano imporporate come mai avevano già fatto. Pensando a questo anche lui arrossì violentemente.

"Niall, le tue orecchie sembrano essere fosforescenti!" Allin rise di gusto.

Era bello sapere di non essere l'unica tremendamente imbarazzata.

"Taci." Mormorò questo, lambendo in un leggero bacio le labbra rosee della ragazza.

"E comunque... Complimenti per i reggiseno con gli orsetti e i cuoricini, piccola mia." Ghignò poi, approfittando del momentaneo calo di timidezza per cercare quantomeno di sbottonare gli shorts di jeans indossati dalla bionda.

Con non poca fatica, l'ancora sedicenne ci riuscì. Allin allora inarcò la schiena, per permettergli di levarglieli del tutto. In quel momento il suo disagio crebbe ancora. Questo non se lo era proprio aspettato. L'acrobata aveva creduto fermamente che, essendo abituata all'esibirsi con un body che lasciava poco all'immaginazione, non si sarebbe sentita così nervosa ed impacciata.

"Oh... Beh. Mi pare giusto." Farfugliò confusionalmente Niall, levandosi di botto la maglietta. Aveva compreso, dallo sguardo della bionda, che questa si sentiva troppo in difficoltà essendo la sola in biancheria intima.

"Vuoi fare tu?" Domandò poi il giovane, alludendo al togliersi i pantaloni da tuta.

Un cenno deciso e un sorriso compiaciuto furono la sola risposta che ricevette, prima di restare in boxer. Allin aveva chiuso gli occhi, tranquillizzandosi e optando per un gesto veloce.

Quando poi li riaprì si rese conto che entrambi si ritrovavano in intimo e abbozzò un sorriso compiaciuta. La ragazza squadrò con attenzione il fisico di Niall. Il respiro del ragazzo si fece più profondo, il suo torace, così come quello di Allin incominciò ad espandersi e ritrarsi in modo più visibile, più irregolare.

"Sei bellissimo." Mormorò la bionda schiacciandosi il labbro inferiore con gli incisivi.

Come poter mentire su un'evidenza simile? Niall, ai suoi occhi, era davvero perfetto. A partire dal viso, da quei occhi di un azzurro fenomenale, dal naso regolare così simile a quello dei suoi famigliari, dai denti imperfetti che gli davano un'aria sbarazzina. Per non parlare poi del pomo d'Adamo che si stava sviluppando o dei muscoli che iniziavano ad essere visibili sul suo corpo, segno che la pubertà stava arrivando a maturarlo, a renderlo uomo.

"Smettila..." Mormorò il biondo, quasi fosse una tortura sentirsi fare un complimento.

"Ma è vero! Credimi!"

"Ma..."

"Ma niente." Allin sospirò e sfiorò con estrema delicatezza la zona addominale del ragazzo, facendolo sussultare.

Successivamente, la zingara si mise a sedere sul materasso. Assunse un'espressione incerta quando sentì la rete del letto scricchiolare. Niall, a quel rumore, la guardò leggermente preoccupato, poi pero' quando lei lo baciò con trasporto dimenticò ogni cosa. Si stese quindi su di Allin, facendo aderire i loro corpi seminudi. Quando i bacini si scontrarono, un'erezione divenne piuttosto evidente dall'intimo del ragazzo. Allin poté percepirla e si addolcì ancor di più. Lambì quindi con più tenerezza il labbro inferiore del ragazzo, che socchiuse la bocca, facendo uscire da questa un caldo sospiro che carezzò le guance della bionda. Questa portò le mani tra i capelli tinti dell'irlandese, sistemandoglieli all'indietro per poi carezzargli il collo, sentendo la sua pelle ribollire piacevolmente ad ogni tocco. A quel punto Niall, posandole una mano dietro la schiena, fece alzare leggermente Allin. Infine le slacciò, con mani ghiacciate a causa dell'agitazione, il gancetto del reggiseno. L'appena diciassettenne spalancò gli occhi, poi li richiuse cercando di tranquillizzarsi. Lasciò all'irlandese il compito di sfilarle quel pezzo di stoffa colorato ed appena imbottito. Questo fece tutto con velocità, poi arrossì ancora vedendo il seno di Allin, così piccolo e ben proporzionato al suo corpo. Niall ebbe l'impulso di toccarlo, ma cercò di frenarsi, non volendo azzardare troppo.

"Fa quel che ti senti."

Bastò questo per calmarlo. Il ragazzo tenne lo sguardo fisso sugli occhi azzurri di Allin, anche quando si avvicinò ai suoi seni per lambirne i capezzoli in un tenero e timido bacio.

La gitana a quel gesto sospirò, portando la testa sul cuscino e rilassandosi sotto le carezze e le attenzioni che Niall le stava riservando. Poco dopo il giovane scese lungo il ventre della ragazza, lasciando un'umida scia di baci, arrivando fino all'elastico degli slip monocolori che questa indossava. In quell'istante il sedicenne pensò alla possibilità di fermare il tutto, per timore. Allin notò quel sentimento incupire l'azzurro delle iridi del biondo e cercò di rimediare. Infondo, lei che sentiva di non appartenere ad un popolo preciso, voleva quantomeno appartenere a qualcuno. O meglio, a Niall. Per questo motivo la zingara afferrò con sicurezza le mani del ragazzo a contatto con il materasso, portandole poi sulle sue cosce nude in un'implicita richiesta di andare oltre. Il biondo allora tenne lo sguardo puntato sul volto di lei che nel frattempo si era imperlato già di alcune gocce di sudore, dovute al mix letale che in quel momento doveva essere stato l'unione con il caldo di Giugno e l'imbarazzo. Infine, con un gesto insicuro, Niall le sfilò anche le mutandine, facendola rabbrividire. Non di certo per la temperatura, bensì per il pensiero di quello che sarebbe accaduto. Niall capì ancora una volta le sensazioni provate dalla zingara e quindi mise da parte l'osservazione del suo corpo per baciarle la fronte come fosse la sua bambina da tranquillizzare. L'acrobata si lasciò coccolare dall'irlandese e, insieme a lui, aspettò che il cuore smettesse di martellarle nel petto.

"Va meglio?"

"È solo questione di abituarsi."

Allin sorrise sghemba: l'imbarazzo se ne stava lentamente andando via. Niall pensò che quello sarebbe stato il momento giusto per fare un altro passo avanti. Si mise nuovamente in ginocchio sul letto. Prima di azzardare qualunque tocco più intimo voleva mettersi di nuovo in pari con Allin. Così, cercando di fare lo sciolto, il vago, si sfilò i boxer, abbassandoli fino alle ginocchia. A quel gesto il suo membro, in erezione, fu completamente scoperto. Niall sentì lo sguardo della bionda sul suo corpo e arrossì all'istante, accaldandosi. Allin, d'altra parte, non riusciva a smettere di guardarlo. La ragazza capì ben presto che il formicolio che aveva iniziato a farsi più insistente, tra le sue gambe, era dovuto all'eccitazione, non solo alla paura.

Capito, Niall? Devi coccolarla, altrimenti rovinerai tutto.”

Niall si ricordò le parole di Greg e incominciò a sporgersi sul corpo della ragazza. Come gli aveva consigliato il fratello nel suo lungo monologo sul sesso fatto durante il pomeriggio, il biondo l'avrebbe prima fatta rilassare e poi avrebbe proceduto con l'atto vero e proprio. Dunque si avvicinò con il volto sempre più vicino all'intimità di Allin. Niall collegò al circo Il fatto che questa fosse priva di ogni forma di peluria. Questa ulteriore nudità non dispiacque affatto al biondo che inspirò profondamente socchiudendo gli occhi. Il profumo dell'acrobata lo mandò in estasi. Era migliore di ogni fragranza mai stata inventata. Per un attimo gli ricordò l'odore di camomilla, il profumo dello shampoo schiarente che usava da piccolo. Allin sospirò guardando il cielo e notando che alcune stelle si erano fatte ancora più visibili. Era passato un bel po' da quando lei e Niall avevano incominciato a far crollare, gesto dopo gesto, ogni barriera presente tra loro. Ma non c'era fretta, in fin dei conti. Il biondo le carezzò le cosce, stringendole delicatamente quando arrivò a sfiorare con le labbra la parte più delicata del suo corpo. Niall aveva voglia di assaggiarla, fremeva alla sola idea di farlo. Per questo, socchiuse le labbra, scoccando poi un bacio a fior di pelle. Fece questo più volte fino a quando non sentì Allin sciogliersi sotto di lui, smettendo di irrigidire i muscoli. A quel punto incominciò a leccare l'interno coscia della zingara, ritornando infine alla sua intimità. La ragazza sospirò pesantemente, stringendo con entrambe le mani il coprimaterasso sotto di lei. Questo durò poco perché ben presto la bionda preferì carezzare le spalle bollenti del ragazzo, annodando infine i suoi capelli tra le dita sottili, tirandone qualche punta. Niall non dava cenno a smettere: voleva farle raggiungere l'orgasmo, quello che sapeva essere il suo primo orgasmo. Sostituire le dita alla lingua per raggiungere prima questo scopo, a suo parere, sarebbe stato molto meno intimo e più rude. Il giovane iniziò quindi a penetrare sempre più in profondità, lasciando piccoli morsi qua e là. A sua sorpresa non dovette aspettare molto per vedere il corpo di Allin scosso da spasmi incontrollati, per sentire il suo respiro sempre più profondo ed irregolare dovuto dal piacere provato.

"Niall." Gemette poi quando si rilassò.

"È stato brutto?" Domandò lui.

"Al contrario."

"Pensavo non ti sarebbe piaciuto..."

"Pensavi male."

La ragazza si alzò nuovamente sulla schiena, tanto quanto le bastò per afferrare il ragazzo e farlo poi cadere addosso a sé. Lo baciò. Una, due, tre volte. Assaporando le sue labbra, percepì su di esse un sapore nuovo, quello del suo stesso sesso. Rabbrividì di piacere quando il membro in erezione di Niall si ritrovò a sfiorarle l'intimità. L'acrobata decise di approfittare della posizione in cui si trovava. Incominciò dunque a succhiare con forza una porzione di pelle sulla scapola del biondo tinto. Avendo la pelle chiara, Niall realizzò che ben presto gli si sarebbe formato un livido, ma sorrise felice. Non era brutto essere così legato a qualcuno, sentirsi suo. La cosa che Niall non sapeva era che quel gesto sarebbe servito per distrarlo. Difatti, poco dopo, la zingara ribaltò la situazione approfittando del suo momentaneo rilassamento. Poi sghignazzò, mordendogli sensualmente il lobo dell'orecchio destro.

"Ma io ti amo." Esclamò il giovane, ridendo.

Allin strabuzzò gli occhi, pensando che quella dichiarazione fosse stata solo frutto di un'esternazione ironica. Con questa certezza, la giovane abbassò lo sguardo.

Forse lei lo stava amando davvero. Forse quello sarebbe stato il momento giusto per dirlo.

"Tu mi ami per ironia, io credo di amarti sul serio." Mormorò poi, mettendosi a cavalcioni sul torace di Niall.

"Sei proprio scema. Dovresti sapere ormai che in tutte le mie esclamazioni, anche quelle divertite, c'è sempre un fondo di verità. Io ti amo." Niall sorrise, alzandosi appena.

Il cuore di Allin prese a martellare feroce nel suo petto. Non se lo aspettava. Non credeva possibile che Niall l'avrebbe mai potuta amare.

“E poi, se ci pensi, in inglese essere innamorati si dice 'fall in love' che letteralmente significa 'cadere in amore'. E' perfetto, no? Perché quando ti innamori non è semplice, anzi. Ogni piccolo errore e ogni piccola imprecisione ti fanno letteralmente crollare in un terribile vortice di insicurezza. Amare è cadere. E' cadere e sperare che ci sia qualcuno risposto a prenderti.” Si ritrovò a mormorare Allin dolcemente.

“Io ti prenderò sempre, quando tu cadrai.”

Presa dalla foga,dovuta alla risposta dell'irlandese, la ragazza scivolò sul materasso, accucciandosi sulle ginocchia per poter baciare la punta del sesso del ragazzo che non aveva smesso un solo secondo di pulsare. Allin non sapeva esattamente cosa fare, ma decise tuttavia di provare. Baciò con diversa intensità alcuni punti dell'asta, arrivando al pube depilato. Quando fu abbastanza sicura di sé e di quel che stava facendo, la giovane prese il membro di Niall completamente in bocca. E, se all'inizio le era venuto un coniato di vomito, dovuto esclusivamente alla grandezza del corpo a lei estraneo, dopo poco la bionda strinse le guance, incominciando a muovere lentamente la testa, per poi seguire seguendo un ritmo più veloce. Niall, seduto a gambe divaricate, iniziò ad accarezzare la nuca della zingara, scosso da fremiti di piacere mai provati prima. Il suo corpo stava letteralmente andando in fibrillazione. Ogni tentativo di procurarsi piacere da solo era sicuramente stato fallimentare se messo a confronto con le sensazioni che gli stava facendo provare Allin. Ci volle poco prima che stesse per raggiungere l'orgasmo. Il ragazzo allora, proprio sul più bello, afferrò la bionda per le spalle, allontanandola dal suo membro.

"Mi stai facendo ubriacare di piacere. Voglio restare lucido ancora un po'." Spiegò maliziosamente il ragazzo, mordendo dolcemente il labbro inferiore di Allin ed alzandosi impacciatamente dal letto per poi frugare nella tasca dei pantaloni, lanciati sul pavimento.

Il biondo estrasse una bustina dalla forma quadrata in alluminio.

"Tu sei sicura."

"Sicurissima."

"Non voglio farti del male..."

"Senti, mi farai male. È previsto: sono vergine, infondo." Allin si sedette accanto a Niall, poggiando la testa sulla sua spalla.

"...Ma non mi importa." Continuò poi.

Niall sorrise all'acrobata, baciandole la fronte.

"Io sarò delicato. Io te lo prometto." Mormorò, prendendo in braccio la bionda e riadagiandola sul letto.

"Ho chiesto a Greg come fare, sono un caso disperato... A quest'età." Ammise Niall ridendo con amarezza.

"Vuoi solo fare le cose nel migliore dei modi."

L'irlandese si fece coraggio. Aprì con velocità la bustina contenete il profilattico, poi, come gli era stato detto, lo poggiò in punta, srotolandolo fino alla base del membro. Infine sospirò, incrociando gli occhi azzurri di Allin.

Quegli occhi che lei aveva sempre definito di un colore pallido e banale, quegli occhi di cui Niall era follemente innamorato. Il ragazzo avrebbe potuto passare un'intera giornata ad osservare quell'azzurro ghiaccio che tanto lo affascinava. Quelle iridi che poi, con il pianto, sembravano essere composte da acqua di una fresca sorgente, capace di rigenerare uno stanco viaggiatore. Ecco, l'irlandese era il viaggiatore, in cerca della felicità. Allin non solo era la felicità che finalmente aveva trovato, ma anche la sua fonte di rinascita.

"Rilassati." Le sussurrò il ragazzo all'orecchio, sporgendosi in avanti verso di lei.

Improvvisamente gli venne in mente una frase, detta qualche giorno prima dalla ragazza.

"Quando ero piccola, prima di ogni spettacolo, mamma mi faceva stendere e carezzava la pancia. Mi calmavo subito, sai? Mi rende triste il non ricevere più attenzioni simili. Essere grandi, a volte, fa schifo."

L'irlandese rinvenne e allora prese a carezzarle dolcemente il ventre piatto, sfiorandolo con un solo dito.

Allin, sotto di lui, rilassò velocemente, come previsto, ogni muscolo del corpo. Niall le sorrise, poi con giusto un po' di timore cercò di prepararla ulteriormente all'imminente rapporto, facendosi spazio con due dita in lei. La bionda non si irrigidì di nuovo, calma come poche volte in vita sua.

"Niall." Richiamò l'attenzione del ragazzo con voce sognante.

"Sì?"

"Sono pronta."

L'irlandese la guardò per un istante che gli parve infinito negli occhi. In quell'azzurro così ricco di sfumature bluastre non vide un minimo di incertezza. Decise di andare avanti. Pose quindi la punta del suo sesso a sfiorare l'intimità di Allin. Una spinta, poi le avrebbe sicuro fatto male.

"Afferra le mie mani."

Il ragazzo lasciò che l'acrobata gliele stringesse, poi contò fino a tre, vide lei chiudere gli occhi, fece lo stesso e infine spinse. Sentì chiaramente l'imene rompersi a quel gesto, con uno schiocco preciso. L'imene. Quella sottile membrana cui presenza implica la verginità di una donna. Allin pensò a questo dettaglio non così insignificante e i suoi occhi si velarono di lacrime.

"Non fa poi così male, Nì." Sussurrò poi.

E non mentì. Certo, non si può dire che per lei quello fu un momento di infinito piacere, ma neanche così tragico, anzi. Allin capì che questo era dipeso molto anche dalle attenzioni di Niall, che era stato mostruosamente bravo. La bionda scoppiò a piangere.

"Mi stai mentendo? Ti fa male? Sono un cretino, avrei dovuto prepararti di più e non farmi prendere dalla foga."

"Sì, sei un cretino. Sono felice. Queste sono lacrime di felicità."

Queste dichiarazioni lasciarono del tutto spiazzato l'irlandese.

"Insomma, prima mi dici che mi ami e adesso... Stai facendo l'amore con me. Con una come me. Con una zingara."

"Allin, piantala. Lo sai che non me ne frega assolutamente niente delle tue origini. Ma proprio niente." Con una stretta al cuore, Niall ribadì ancora quello che era stato sin da subito il suo pensiero.

"Ti amo."

"Piccolina, ti amo anche io."

I due aspettarono in silenzio, parlando solo con alcuni sguardi, con minuscole carezze. Niall avrebbe voluto sporgersi verso Allin, ma aveva paura di farle del male muovendosi, quindi stette immobile. La bionda respirò calmandosi e abituandosi al bruciore interno, poi, quando lo pensò sopportabile, avvisò l'irlandese. Questo si mosse piano piano, focalizzando la sua attenzione sui loro bacini, vedendoli unirsi e poi allontanarsi. Allin, ad ogni spinta di Niall si sentì più donna, più amata. Nei suoi occhi vedeva il mare, vedeva il suo futuro. In un attimo di irrazionalità completa ci vide anche quelli del figlio che avrebbe voluto avere. Passarono i minuti. La giovinezza permise ai due ragazzi di far durare quel rapporto a lungo. Allin raggiunse l'orgasmo. Altre sensazioni, inimmaginabili da provare per lei fino a poco prima, la fecero andare fuori di testa.

Niall poco dopo il suo sperma iniziare a riempire il profilattico, quindi uscì repentinamente dal corpo della ragazza. Aspettò che il suo orgasmo si consumasse del tutto e che quindi il suo liquido staminale fuoriuscisse completamente, poi sfilò con attenzione il preservativo, alzandosi per infilarlo in una bustina trasparente e gettarlo successivamente in un cestino. Per far le cose ancora più precise, il sedicenne prese un fazzoletto umidificato dalla sua confezione posta sul comò della ragazza e se lo passò su tutto il suo sesso. Lanciò anche questo nella spazzatura e poi raggiunse di nuovo Allin che si era intanto infilata sotto le coperte.

"Resti?"

Niall non rispose, limitandosi ad alzare la trapunta estiva e a poggiare la testa sul petto della bionda. Il letto era piccolo, largo solo una piazza. Questa sua caratteristica pero' non dispiacque affatto ai due giovani.

"Mi dispiace esser uscito così in fretta da te, ma Greg mi ha detto che facendolo avrei reso il tutto più sicuro." Mormorò l'irlandese, sentendosi in difetto.

"Va benissimo, Nì."

"Hai rimesso gli slip..."

"Perché ho alcune perdite di sangue e preferisco bloccarle con un assorbente." La ragazza si sentì in dovere di spiegare il suo gesto, sperando che Niall non lo avesse subito collegato a qualche suo eventuale ripensamento.

"È stata una serata magnifica." Ammise questo sorridendo con lo sguardo volto al cielo.

I due ragazzi seguitarono ad osservarsi. Ad Allin sembrò che sarebbe potuta affogare negli occhi di Niall. Carezzò il suo viso, privo ancora di ogni traccia di peluria.

"Solo?"

Allin trasse il giovane a sé. Gli baciò il collo, le guance, il naso, il mento mentre con una mano carezzava il suo torace e con un'altra gli frugava fra i capelli. Infine la diciassettenne baciò le labbra del biondo. Con lentezza le inumidì con la lingua, facendole poi schiudere. Niall rise. Essere leccato sulla bocca gli procurava, chissà per quale motivo, solletico.

"Molto, ma molto, ma molto di più, in effetti."

"Non permetterò a nessuno di portarti via da me."

"Fallo. Tienimi con te."

Niall sorrise come poche volte aveva fatto in vita sua e incominciò a baciare una spalla di Allin, scendendo sempre più, senza timore.

“Allin?”

“Sì?” La ragazza dimostrò di esser sveglia, sebbene avesse avuto gli occhi chiusi.

“Mi sono scordato di augurarti 'Buon compleanno'... Quindi Buon compleanno!” Esclamò l'irlandese, scoccandole un bacio sulle labbra carnose.

Allin rise. Gli auguri Niall glieli aveva già fatti con i suoi baci, le sue carezze.

“Ci tieni davvero così tanto a me?” Chiese la ragazza con insicurezza.

“Credo proprio di sì.”

“Ma... Perché?”

“Veramente non lo so, e sinceramente tante volte in questi mesi me lo sono chiesto anche io. Ma, alla fine, ho capito che ci sono alcune cose che non si possono spiegare, semplicemente succedono e basta. Forse è la tua insicurezza, forse sono le paranoie che ti fai a renderti irresistibile ai miei occhi.” Niall sorrise, accogliendo Allin in un abbraccio che aveva un che di protettivo.

La ormai diciassettenne si addormentò tra le braccia del biondo, con la bocca semiaperta. Quello era stato il miglior compleanno della sua vita. Era stato tutto perfetto. Il dolore sì, c'era stato e sarebbe perdurato, ma alla fin fine era e sarebbe stato assolutamente sopportabile, coperto da tanta felicità.

Niall, d'altra parte, restò sveglio per un bel po' di tempo. Si gustò i baci dati alla ragazza e poi viaggiò indietro nel tempo con la mente. Un brontolio gli scosse lo stomaco. Non era fame quella, ma solamente paura. Era tutto troppo bello per durare a lungo. Sentiva che, alla fine, sarebbe stata Allin a lasciarlo solo, non il contrario come, invece, temeva lei. Il biondo tremò dall'ansia, poi si infilò ancor più sotto le coperte arrivando a sistemarsi nuovamente con la testa poggiata appena sopra al seno della bionda. Prima di addormentarsi volle sentire ancora il suo odore, quindi inspirò profondamente lasciando che il dolce profumo della zingara riempisse le sue narici. Allin era forse una delle cose più belle che aveva, la più buona, la più preziosa. Niall pensò ancora che non gli importava minimamente che appartenesse ad un popolo nomade. Lui era rimasto quando lo aveva scoperto, la sua famiglia non aveva dato il minimo segno di fastidio. Il biondo gioì, ricordandosi di quando tornò a casa con Greg, il giorno in cui era andato al circo. Niall aveva parlato subito con la madre, aspettandosi una sua reazione negativa.

"Tu le vuoi bene, lei te ne vuole a te. È evidente e non vedo perché dovrebbero importami lei sue origini. Allin è una ragazza d'oro.” Aveva affermato la donna senza esitazione.

L'irlandese sorrise tra sé e sé fino al momento in cui, esausto, non seguì l'acrobata nel mondo dei sogni.

* * *

ll mattino successivo Allin fu la prima a svegliarsi. Si stiracchiò per bene, sbadigliando. Un lieve dolore tra le gambe era ancora presente, ma questo non le diede particolarmente fastidio. Stava così bene, era così felice del resto. La sera precedente aveva fatto l'amore con la persona che amava, con la persona che la accettava per ciò che era.

"Nì, non fare il dormiglione, svegliati." Mormorò raggiante.

"Ti odio." Sbuffò Niall ridacchiando felice.

"Mh. Mh. Sicuro."

I due ragazzi si vestirono in fretta, lanciandosi dolci occhiate e carezze di tanto in tanto. Quando furono pronti sorrisero e si presero per mano, uscendo dalla piccola roulotte. Sarebbero dovuti andare a svegliare la mamma di Allin, per poi raggiungere, insieme a lei, i genitori di Niall ad un pranzo organizzato all'ultimo momento in casa Horan. Anche se stava male, infatti, Marie non avrebbe rinunciato ad incontrare Maura, Bobby e Greg per nulla al mondo. La zingara e l'irlandese raggiunsero finalmente la parte opposta del parco, fermandosi davanti alla porta del camper di famiglia.

“Mamma, sei pronta?” Urlò Allin prima di bussare.

Quando non ricevette risposta lanciò un'occhiata stranita a Niall, decidendo di entrare.

La bionda rise quando vide la donna dormire ancora. Si avvicinò al suo letto, sedendosi su questo mentre il ragazzo aveva deciso di aspettarla all'esterno.

“Mamma, dai, dobbiamo andare!” L'acrobata scosse la madre con uno strattone.

“Mamma...”

“Mamma, svegliati.”

“...Mamma!” Marie non rispose.

Spazio autrice

Okay... Perdonatemi, vi prego. Una delusione enorme il precedente capitolo, vero? Ha subito un calo di recensioni significativo, mi dispiace che non vi sia piaciuto davvero. Pensavo di rifarmi con questo, ma boh. Che ve ne pare? Ci sono alcune parti che mi piacciono molto devo dire. Non so, la relazione tra Niall e Allin mi sta facendo venire il diabete, giuro. Scusate se mi sono dilungata molto nella descrizione della loro prima volta, ma mi sembrava brutto non farlo. Che dire, con questo capitolo si chiude la prima parte di A-N. Salutate la dolcezza, ditele "Arrivederci" perché non leggerete capitoli con questa caratteristica per un po'. Prima di andare a finire di studiare vorrei ringraziare le persone che recensiscono. Le vostre parole, così dolci, giuro che mi fanno rabbrividire. Spesso mi fate complimenti che neanche credo di meritare, a dirla tutta. Sono felice, sono felice davvero.
Beh, a domenica prossima!
Come sempre vi invito a recensire. Avete una settimana di tempo, vi prego. c:
Giorgia.

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Capitolo 6
*** Blackout. ***


Blackout.

 
Dunque, buonasera! Due cose importanti e poi vi lascio alla lettura: la parte in corsivo è un flashback. 
PS: Fermatevi a leggere lo spazio autrice. :)
 
Silenzio. Anche il quasi impercettibile rumore dello sbattere delle palpebre fu udibile ad Allin. La ragazza girò su se stessa. Il pavimento sembrò cambiare angolazione e con lui, tutta la roulotte. La ragazza si accasciò a terra. Le ginocchia toccarono il finto parquet sotto di lei, così come i palmi delle sue mani quando dovette fare forza sulle braccia per non crollare del tutto. Niall mosse qualche passo verso l'acrobata. Questa lo sentì, voltandosi di scatto, per poi abbassare ancora la testa. Alcune gocce salate scesero lungo le sue guance, cadendo infine sul pavimento. L'irlandese si guardò intorno, spaesato. Si voltò verso l'uscita, verso l'esterno. L'atmosfera nella roulotte era tetra, dolorosa e... A lui estranea. Ebbene, Niall si sentiva di troppo, così tanto che un nodo si formò nella sua gola, impedendogli di prendere aria. Sensibile, anche troppo a volte, il biondo sentì i suoi occhi pizzicare e per questo si morse con forza la lingua pur di non singhiozzare, pur di non piangere. Sarebbe mancato solo il farsi consolare, poi avrebbe potuto giudicarsi davvero ridicolo. L'irlandese sospirò e, quando lo fece, sentì del bagnato scorrere lungo la sua guancia destra.

“Almeno ho la certezza che quella teoria secondo cui la prima lacrima di un pianto causato dalla tristezza esca dall'occhio sinistro è una cavolata.” Pensò con ironica tristezza.

Niall strinse i denti e si avvicinò ad Allin con impeto. Poi, sfruttando un momento di coraggio, l'abbracciò, facendo aderire il torace alla sua schiena.

“Sono sola!” Allin scosse violentemente la testa.

"Allin." Intervenne Niall, dolcemente.

"Non è possibile." Mormorò flebilmente questa, grattandosi violentemente il cuoio capelluto, come faceva ogni qualvolta era nervosa.

"Ti stai facendo del male. Smettila."

"Voglio mamma!"

"Sh." Niall, con non poca fatica, riuscì a intrappolare le mani di Allin in una presa stretta.

Se le rigirò tra le sue. Sotto le unghie notò del rossastro. Sangue.

"Ti rendi conto che con questo non cambia niente?" Domandò con voce tremante l'irlandese, scosso dalla reazione violenta della fidanzata.

I due giovani si guardarono e, azzurro nell'azzurro, cominciarono a piangere copiosamente, fronte contro fronte, cuore contro cuore.

"Ti aiuterò io." Niall riportò alla memoria il loro primo giorno, la prima frase che le aveva detto.

Una promessa che aveva sempre mantenuto, sempre e comunque.

"Fa male." L'acrobata si sporse sul ragazzo, stringendolo fortissimo a sé, tant'è che gli procurò un po' di dolore. Niall era uno dei suoi pochi appigli, l'unico che ci sarebbe sempre stato.

"Allin, dovresti chiamare qualcuno."

"Dannazione, lei non può essere morta! Non può avermi lasciata sola." La ragazza corse di scatto fuori dalla roulotte, per poi appoggiarsi ad una delle sue pareti esterne.

L'irlandese la seguì.

"Non sei sola, diamine. Ci sono io. Lo vuoi capire che non ti abbandonerò? Che non potrei mai lasciare o stufarmi di una parte di me, che saresti tu?" Niall intrappolò Allin tra la roulotte e il suo torace.

La bionda lo guardò, poi incominciò a piangere rumorosamente, cercando di soffocare le lacrime nella sua maglia.

"Sapevo che sarebbe successo." Ammise Allin.

"Ieri mi ha ripetuto troppe volte 'Ti voglio bene'! Significa che lei lo sapeva, lo immaginava." Chiarì poi.

"Forse non ti ha detto nulla per non farti preoccupare." Azzardò Niall, sentendosi ancora una volta in difetto a piangere davanti all'acrobata.

"Sai cosa ha aggiunto più volte?"

"Cosa?"

"Non ti perderai finché starai accanto a Niall. Come amici, come fratelli, come fidanzati, questo non importa."

"Dio mio, Allin." L'irlandese si portò una mano al petto. Indescrivibili furono le sue sensazioni a quelle parole.

"Puoi farmi un favore? Quando tutti verranno qui... Non te ne andare." La bionda afferrò il fidanzato per la maglietta.

"Tuo padre. Non può vedermi.”

“Ma io ho bisogno di te.”

“Chiama tutti, falli venire. Io ci sarò.” Promise Niall, sigillando questo giuramento con un bacio.

* * *

“Lui chi cazzo è?” Gonzalo rivolse uno sguardo furioso ad Allin, indicando con impeto il biondino accanto a lei.

“Papà... E' un mio amico.” La ragazza, senza rendersene neanche conto, cinse con possessività la vita di Niall, quasi volesse difenderlo e, contemporaneamente, essere difesa.

“E' quindi lui la causa delle tue distrazioni e dei tuoi ritardi! Bene!” Costatò l'addestratore di tigri. Avrebbe preso provvedimenti, lo sguardo terrorizzato dell'acrobata ne era la conferma.

“Lasci stare sua figlia!” Niall si liberò dalla presa di Allin, spostandosi davanti a lei.

“Gonzalo, calmati. Marie... Sta arrivando già il carro funebre, abbiamo trovato anche la Chiesa disponibile per il funerale. Non puoi arrabbiarti. Non ora.” Ad intervenire fu Diego che riuscì a far rinsanire, almeno temporaneamente, il fratello.

“Sì che può! E' solo un egoista d'altronde!” Esclamò la bionda, rivolgendosi allo zio. “Io ti odio!” Aggiunse poi e quell'affermazione fu tutta per suo padre.

* * *

La chiesa era quasi spoglia quel pomeriggio. Il funerale di Marie Dooley non risultava essere poi tanto importante per la cittadina di Mullingar. Allin se ne stava sola, seduta all'ultima panca, lo sguardo perso nel vuoto. C'era Niall accanto a lei, come sempre del resto. Le stringeva forte la mano, disegnando ghirigori immaginari con leggeri tocchi sul palmo e sul dorso. Il biondo sapeva che Allin avrebbe pianto nuovamente, glielo si vedeva dagli occhi. Gonfissimi, arrossati, ridotti in due fessure. Si guardò intorno. Alle prime panche c'era Gonzalo, insieme a suo fratello, le sue nipoti e sua cognata. Altri posti erano stati occupati dalla quindicina di membri della compagnia. La tristezza era nell'aria, diventata angusta e pesante anche a causa del forte odore di incenso.

"Quanto è brutto morire." Pensò Niall asciugandosi una lacrima, mentre il prete continuava con la messa.

Allin guardò il ragazzo, poi poggiò la testa sulla sua spalla, allora pianse ancora. Lì per lì non seppe dire se il pianto fosse conseguenza solo del dolore immenso dovuto dalla perdita di sua madre o dalla delusione di non vedere a quel funerale tanta gente, come lei avrebbe voluto e meritato. Tutta colpa della vita ristretta che le aveva imposto Gonzalo. La messa finì presto. In tutta la sua durata Allin non aveva rivolto parola a nessuno, aveva solo versato qualche lacrima in silenzio. Ci fu quindi il momento dei saluti. La bionda gitana si ritrovò sola, davanti ad una bara che presto sarebbe stata posta sotto terra, così lontano da lei.

"Mamma. Perché mi hai lasciato?" Domandò Allin con voce rotta, preda di un pianto convulsivo.

La ragazza si buttò a terra, in ginocchio, con le braccia a cingere quella cassa di legno mogano che tanto stava odiando.

"Adesso chi mi ascolterà? Chi mi capirà? Chi mi amerà se tu non ci sei?" Aggiunse la giovane. Si sentiva una cretina, una povera, sciocca illusa. Stava parlando con un morto del resto, come avrebbe potuto non ritenersi tale?

"Io, Allin. Io." Fu Niall a parlare, facendo voltare Allin verso di lui, con un'espressione sorpresa sul volto.

"So di somigliare, in fin dei conti, ad un ramo sottile. Non sono il più forte, ma ti potrai appoggiare sempre a me." Il biondo si avvicinò alla fidanzata, chinandosi su di lei, stringendola così forte che entrambi chiusero gli occhi, per godersi meglio l'abbraccio.

"Io ti proteggerò, anche se non ho ali." Soffiò l'irlandese, strofinando il naso sul collo di Allin, quasi fosse una mamma gatto intenta a coccolare un suo cucciolo.

"Vieni a cercarmi se ti senti persa. Ogni istante, ogni attimo, io ci sarò, ti guiderò, ti aiuterò."

"Ho paura." Il tono di voce dell'acrobata fece rabbrividire Niall. Risultò così cupo, così atono, così incredibilmente avvilito che lo fece tacere, sebbene non avesse capito esattamente di chi o cosa Allin avesse paura.

"Del futuro Nì, del futuro." Rivelò questa facendo spallucce, quando si accorse che non si era spiegata bene, vedendo della confusione nello sguardo di Niall... Incredibile come quei due erano capaci di capirsi a vicenda.

"Dai, pensa alle nuove crocchette di pollo che domani andremo a provare..." Niall si fece pena da solo, pensando che avrebbe fatto assolutamente meglio a starsene zitto.

Un riso, anche se amaro, fuoriuscì dalle labbra della zingara. In un modo o nell'altro quel dolce ed ingenuo ragazzo la faceva sempre sorridere. Anche nel buio, lui era il suo rifugio felice. Le sue braccia la accoglievano senza mai esitare, la cingevano con forza, la cullavano dandole ciò di cui aveva bisogno. Stretta al suo torace, Allin ispirava l'odore pungente tipico dal deodorante dell'uomo e finalmente stava bene, si sentiva al sicuro. Isolata da tutte le tristezze. Isolata da tutti. Niall la prese sottobraccio poi, insieme, uscirono dalla chiesa.

Fuori, la piccola folla circense era impegnata a consolarsi, chi più chi meno.

"Sembra quasi umano." Mormorò Allin. Niall rivolse quindi lo sguardo nel punto in cui quello della ragazza si era soffermato. "Già." Si ritrovò a concordare, guardando Gonzalo con lo sguardo perso a fissare un qualcosa di indefinito.

"Senti, piccolina. È meglio se vado. Devi stare con i tuoi, è giusto così. Domani, pero', ti rapisco e ti porto prima da Nandoo's, poi nel nostro luogo felice." Niall poggiò la fronte su quella di Allin. Amava farlo, amava la loro, seppur non eclatante, differenza di altezza che permetteva loro di accoccolarsi l'uno sull'altra.

“Il nostro luogo felice.” Affermò la ragazza, con voce flebile.

Nì, cosa devi farmi vedere?” Allin correva a perdifiato, mano nella mano con Niall, per il grande parco dove era stato anche collocato il circo di famiglia.

Ti ricordi la quercia?” Domandò l'irlandese sorridendo sghembo.

Certo che sì!” Come avrebbe potuto la ragazza dimenticarsi del luogo in cui si era rivelata del tutto al ragazzo che aveva ad amare?

Ecco... Ti ho fatto un regalo. Non iniziare a rompere dicendomi che non è il tuo compleanno e che al diciannove Giugno mancano circa tre mesi.” Il biondo le coprì gli occhi con entrambe le mani, arrestando la corsa.

Cominciò quindi a camminare in silenzio, lentamente.

Questo sarà il nostro rifugio. Un posto in cui potremmo stare del tutto soli.” Niall concesse ad Allin di aprire gli occhi.

Alla ragazza per poco non cedettero le gambe. Le aveva costruito una casa sull'albero, dopo che lei gli aveva rivelato che spesso anche la sua roulotte sembrava opprimerla.

Ho chiesto a Greg e ad alcuni suoi amici di aiutarmi. Le altalene alla base e le corde per arrampicarsi le ho aggiunte io. So che ti fa sentire ancora bambina montarci sopra.”

Niall.”

Sì?”

E' una delle cose più belle che abbiano mai fatto per me.” Dichiarò la ragazza, mordendosi poi le labbra per placare l'emozione.

"Sei fondamentale, Nì." Allin incominciò a piangere, ancora una volta ebbe l'orribile sensazione che lei e Niall si sarebbero separati, per sempre.

* * *

Era sera. Allin aveva appena finito di piangere, sciacquandosi per l'ultima volta il suo viso caldo ed arrossato.

"Allin, sbrigati. Sistema tutto. Ce ne andiamo." Gonzalo entrò nella sua roulotte, con impetuosità.

"Cosa, scusa? Scherzi?" La ragazza si alzò il di scatto, il suo cuore aumentò il ritmo dei battiti, incominciando a scalpitare come un cavallo al trotto.

Gli occhi azzurri di Allin si posarono su quelli scurissimi di Gonzalo, cercando in questi una traccia di scherzo, un qualcosa che le avrebbe permesso di capire che l'uomo le stava mentendo. Passò un minuto.

"No... Cioè... No!" Esclamò allora la ragazza, cui labbra cominciarono repentinamente a tremare.

"Sì invece. Di corsa anche." L'addestratore di tigri guardò la giovane con odio, fermezza, incrociando le braccia muscolose al petto.

"Papà... Ti prego!" Allin si inginocchiò letteralmente a terra, unendo le mani a mo' di preghiera. Si sarebbe abbassata a tutto, avrebbe perso ogni dignità, pur di restare, pur di avere la possibilità di vedere Niall un'ultima volta.

"Sta zitta! Questa è una mia scelta. Tu devi solo sottostare."

"Mamma non lo avrebbe mai fatto!" Urlò la bionda, usando anche ingiustamente la carta della madre.

"A me non frega un cazzo di quello che avrebbe detto tua madre.” Affermò Gonzalo. “Un emerito cazzo." Ribadì con più durezza nella voce, emettendo un ghigno gutturale che spaventò la diciassettenne.

"Ti prego. Non ora! Non così almeno!”

"Stupida ragazzina. Partiamo adesso."

"Dannazione. Ti chiedo solo un giorno in più! Uno! Perché mi fai questo? Perché?! La tua mente è malata!" Allin incominciò ad avere coniati di vomito, per il troppo pianto.

“Tu mi hai rovinato la vita! Hai rovinato tutto.” Tuonò ancora l'uomo, schiaffeggiandola su una guancia.

La bionda spalancò gli occhi, non a causa del gesto violento del padre, ma del fremito che lo aveva scosso, facendogli tremare la voce.

Gonzalo poi voltò la testa, le lanciò un'occhiata colma d'odio, infine uscì dalla sua roulotte per agganciarla al camper, con il quale i due sarebbero partiti per la Spagna, aspettando la compagnia che li avrebbe raggiunti in settimana.

* * *

“Gonzalo. Sai che a noi non frega niente di andarcene da qui... Ma sappi rovinando la vita ad Allin non raggiungerai niente. Quello che è successo diciassette anni fa non cambierà mai.” A parlare fu Diego, che si arrestò alle spalle di Gonzalo, sangue del suo sangue.

“Io la odio. Quanto ho pianto a causa sua, fratello? Te lo ricordi?! Tutte quelle notti passate insonni... E la cosa peggiore? Dover sopportare tutto senza potersi ribellare!” Lo spagnolo rise amaramente, in modo quasi inquietante. Non avrebbe pianto, non più: lo aveva fatto per troppo tempo.

“Per cosa poi?! Per salvare il culo a nostro padre, al nostro clan che si stava lentamente sgretolando perché composto solo da ladri falliti... E adesso? A cosa sono serviti i soldi dei Dooley? A un cazzo!” Aggiunse infine, dando un pugno sul cruscotto del camper.

“Io mi sono fatto il culo con questo circo, io ho sopportato di stare accanto ad una donna che non amavo più, io mi sono accollato Allin! Quantomeno adesso voglio tornarmene in Spagna.” Gonzalo afferrò il fratello per le spalle, guardandolo dritto negli occhi.

“Con i nostri soldi. Non con quelli dei Dooley, di quegli stronzi nomadi irlandesi che, alla fine, hanno pure rinnegato Marie lasciandole un bel nulla!” Diego deglutì. Si rese conto che suo fratello ne aveva passate così tante da diventare un mostro.

“Questo è il cellulare di Allin, gliel'ho preso come hai chiesto tu. Quando glielo darai?” La moglie di Diego, , raggiunse i due gitani.

“Tra qualche ora, giusto il tempo di avere la certezza che gli Horan avranno trovato la mia sorpresina, soprattutto Niall.” Gonzalo ghignò furbo, afferrando il cellulare dalle mani della cognata.

“Hai rovinato la vita ad un'innocente.” Costatò la donna.

“Non rompermi i coglioni. Ci vediamo in Spagna tra qualche giorno. Guai a voi se provate a dire qualcosa alla famiglia del biondino. Vi ammazzo.” L'addestratore di tigri diede uno strattone al fratello, poi salì sul posto del guidatore, chiudendo pesantemente lo sportello.

“Cercheremo di metterci in viaggio già domani pomeriggio.” Lo informò Diego.

“Ciao fratello.” Rispose lui freddamente.

* * *

L'ennesimo singhiozzo fuoriuscì dalle labbra di Allin, andando a sovrastare il dolce suono del carillon che aveva tra le mani. Il padre l'aveva chiusa dentro, l'aveva fatta privare anche del cellulare, unica cosa che la legava al mondo esterno. Chissà per quale motivo a lei sconosciuto. Il suo nido sembrava stringerla in una morsa mortale, il suo respiro si fece irregolare, pesante. All'improvviso Allin si alzò dal letto, in un momento in cui "lucida" non era certo l'aggettivo che meglio le si addiceva. Le lacrime le solcavano letteralmente il viso, quasi fossero acido in grado di scioglierlo, di distruggerlo, corroderlo.

"Apritimi!" Urlò con voce così roca che si fece paura da sola, udendo la sua stessa disperata richiesta.

"Ti prego!" Continuò ancora e a quel punto la sua voce sembrò scomparire.

La gola, inoltre, le bruciava terribilmente, chiusa dal pianto e infastidita dal gridare. Un attacco d' ira la scosse letteralmente. La ragazza iniziò a muoversi caoticamente nella piccola roulotte. Con un gesto fulmineo fece cadere a terra tutti le decine di statuette di coccio che teneva ad impolverare sulla cassettiera, facendole rompere in mille pezzi. Prese poi i tanti cuscini sul letto, lanciandoli con violenza dietro di sé. Distratta, inciampò sul tavolinetto basso posto al centro dell'abitacolo, ritrovandosi con la faccia a terra. Si alzò leggermente, giusto quanto le bastò per battere incessantemente un pugno al pavimento, per scaricare la rabbia, la tristezza e quel groviglio, quell'accumulo di sensazioni negative.

“Vaffanculo!” Urlò quindi la ragazza, alzandosi e rivoltando così, con forza, il tavolinetto. La bionda aveva perso completamente il lume della ragione, ma, sfruttando quel poco di lucidità, salvò i suoi appunti di vita e il calendario che segnava ormai il numero trecentosessantaquattro. Allin si guardò intorno. Alcune piume d'oca, imbottitura dei cuscini, erano sparse qua e là. Il pavimento era costellato da numerosi pezzi di coccio, biancheria, soprammobili... Rise. In un momento di pura follia. L'avrebbero sicuramente presa per pazza, ma cosa le importava?! Il suo corpo fu attraversato da un fremito. La sua parte razionale era in blackout: lo sguardo folle, le mascelle serrate, il volto contorto da un'espressione spaventosa lo confermavano. L'acrobata posò lo sguardo sulla cassettiera in legno, la cassettiera che conteneva i suoi mostri, i suoi incubi. L'aprì, di scatto. Uno dopo l'altro i suoi nastri, i suoi costumi da scena, le sue scarpette volarono per la stanza, raggiungendo i più disparati angoli nascosti. Non le importava se poi avrebbe dovuto ricacciare tutto apposto, tanto, in fin dei conti, le sarebbe servito per distrarsi dalla vita del circo.

Improvvisamente il suo respiro si fece nuovamente regolare. Allin chiuse gli occhi, quando li riaprì il suo viso si bagnò di lacrime. La ragazza si accucciò sul suo letto, prese in mano il cuscino, stringendolo poi tra le braccia. Ne annusò l'odore e sentì esserci quello di Niall. Quella vita la stava privando anche del ragazzo per cui avrebbe fatto ogni pazzia, del ragazzo che amava.

Allin sarebbe voluta scappare, subito. Lo desiderava ardentemente. Lei pero', sapeva benissimo che, minorenne, non sarebbe potuta andare lontana. Inoltre il padre da qualche minuto stava sfrecciando ormai in autostrada. Proprio per questo, se Allin avrebbe forzato e in fine aperto la porta della sua roulotte, sarebbe morta.

Schiacciata sull'asfalto.

Allin non voleva morire.

Sebbene completamente svuotata, Allin voleva vivere. Perché, vedendo il suo calendario, capiva che un barlume di speranza c'era. Trecentosessantaquattro giorni, poi avrebbe preso in mano la sua vita.

“Trecentosessantaquattro.” Mormorò, quasi a voler accertarsi che quella era la realtà.

Incredibilmente, com'era iniziato, tutto finì. Allin chiuse gli occhi, portandosi le mani sulla fronte, per cercare di alleviare il mal di testa. In quel momento sentì la roulotte fermarsi. Il padre aveva probabilmente deciso di fare una sosta per mettere benzina.

“Questo è il tuo cellulare.” Gonzalo scese dal camper e raggiunse Allin nella ruolotte, lanciandole poi il suo smartphone sul letto. L'uomo non degnò la ragazza di uno sguardo. Uscì e riprese a guidare verso il porto, dove avrebbero preso la nave per raggiungere la Spagna.

"Niall..." La ragazza notò la presenza di un messaggio del biondo, non appena inserì il codice di sblocco.

“Allin. Dimmi perché. Perché hai fatto tutto questo? Perché mi hai illuso per mesi? Credevo che mi volessi bene! Mi hai solo mentito e... Rovinato la vita. Non azzardarti neanche a rispondermi, non inventarti scuse inutili ché, davvero, ne ho abbastanza.”
 

Spazio autrice

Non mi piace. Non mi piace per niente, lo ammetto. Ma tralasciamo... Come avrete capito, da questo capitolo la storia prende una nuova svolta. Ho volutamente eclissato alcune scene e dettagli, per poi riprenderle nel capitolo successivo e lasciarvi un po' di suspance in questo... Dunque. Sappiate che ho una cotta per Gonzalo e che la sua storia è più intrecciata di quanto sembra. Che dire... Quell'uomo cova dentro un enorme odio. Marie sapeva che sarebbe morta? Sì e questo le ha permesso di fare qualcosa che poi aiuterà Allin, almeno per un po'. Tornando a Gonzalo... Prima la sua chiacchiera con il fratello, poi il messaggio di Niall. Nulla è casuale e verrà spiegato più avanti. Bene, detto ciò posso ringraziarvi? Sappiate che con le vostre recensioni e con le vostre risposte a quel messaggio di avviso mi avete commossa. Sono dolce io, a volte. Un grazie anche alle 56 persone che mi hanno inserita tra gli autori preferiti. Spesso ringrazio per recensioni o inserimenti, ma tralascio questa lista. Beh, scusatemi, davvero. Cosa posso aggiungere... Ah, in questa settimana avrò lasciato una quarantina di recensioni, ma ho anche stilato un calendario giornaliero con le cose da fare. Domani dedicherò due ore al rispondere alle recensioni, martedì le lascierò alle storie che seguo e così via. Sono motivata e decisa! Inoltre sto scrivendo una OneShot Ziall che posterò qui e che parteciperà ad un concorso... Mi sto rendendo conto di star maturando come pseudo scrittrice e devo dire che questo mi ha lasciata davvero sopresa.
Beh direi che ho finito il mio spazio, a domenica prossima!
Come sempre vi invito a recensire. Avete una settimana di tempo, vi prego. c:
Giorgia.

 

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Capitolo 7
*** "Where are you?" ***


"Where are you?"

 
Dunque, buonasera! Capitolo triste, capace di farmi piangere mentre lo scrivevo. Non mi capita molto spesso, infatti questa mia reazione mi ha letteralmente spiazzata. Beh, spero che vi piaccia e che recensiate. Vi aspetto, se vi va, nelle note a fine pagina! :)
 

Niall se ne stava in camera sua, seduto sul davanzale della finestra. Guardava il cielo imbrunirsi, con un velo di malinconia che, da poche ore prima aveva coperto i suoi occhi chiari.

“Cosa starà facendo?” Si chiese abbozzando un sorriso. Ovviamente le sue preoccupazioni erano rivolte a lei, ad Allin.

Erano le sette quando il biondo sentì il suo cellulare trillare. Un messaggio apparve sul blocco schermo del suo smartphone. Il ragazzo corse a vedere il mittente e quando lesse “Lin” si affrettò ad inserire il codice di sicurezza.

“Vieni alla nostra casetta. xx”

Niall assunse un'espressione stranita. In circa nove mesi, mai Allin aveva aggiunto i bacini finali ad un messaggio, mai. Il giovane, troppo buono e troppo ingenuo, non pensò neanche alla possibilità che non fosse stata lei a scrivergli, credendo che quella strana presenza non fosse altro che un'esternazione d'affetto dovuta alla struggente perdita della madre. Così l'irlandese tirò un sospiro colmo di dolcezza, si infilò il primo maglione che gli capitò tra le mani e, ravvivandosi i capelli con una passata di mano, si mise la giacca, precipitandosi infine per le scale. Il cuore gli batteva a mille.

“Mamma, io esco!” Urlò avviandosi alla porta d'ingresso.

“Allin?” Domandò la donna uscendo dalla cucina, con le mani impiastricciate di impasto per la pizza.

“Mi ha cercato e...”

“E niente. Vai da lei, dalle un bacio anche da parte mia.” Maura sospirò pesantemente, scuotendo lentamente la testa.

Sensibile quanto Niall, se non di più, era rimasta sconvolta dalla notizia della morte di Marie. Aveva passato l'intera giornata a tormentarsi, piangendo di tanto in tanto pensando allo stato emotivo di Allin, pregando Dio per far sì che suo figlio riuscisse ad alleviare un po' di dolore.

Lui le si avvicinò, dandole un bacio sulla guancia. Da quando era tornato dal funerale si era comportato con sua mamma in modo estremamente dolce, quasi inconsciamente. Aveva paura di perderla, questo era ovvio.

“Mi raccomando, fammi sapere quando torni e, soprattutto, invita Allin a cena!” Povera donna, non sapeva cosa sarebbe successo da lì a poco, non sapeva che qualcuno sarebbe venuto a farle “visita”.

* * *

Niall uscì di casa, incominciando a correre non appena fu sul marciapiede. Facendo due brevi calcoli, costatò che il parco in cui era stato montato il circo distava da lì circa una decina di minuti. Per lui erano fin troppi, quindi ingranò la marcia. In quegli istanti non pensò a nulla, se non ad evitare di farsi investire. Quando poi raggiunse il parco la fiacca si fece sentire. Respirando affaticato, il giovane camminò fino al centro della zona verde. Lì c'era ancora montato il tendone, ma mancavano i camion e le roulotte. Pensando che fossero state trasportate dietro alla struttura, Niall non si preoccupò e continuò a camminare per il sentiero. Quando la casetta fu visibile ai suoi occhi, il ragazzo impallidì. Sentì le gambe cedere e venne completamente assuefatto da un dolore atroce. La casa sull'albero che aveva costruito insieme a suoi fratello e ad alcuni amici era stata distrutta, quasi del tutto. Le quattro mura erano state segate violentemente, senza una logica, il tetto era crollato. Non era rimasto più niente se non una piattaforma in legno su cui erano accumulate macerie. Niall non stette a guardare a lungo, salì sulle scale, anch'esse danneggiate. Ogni gradino era una pugnalata al cuore per lui, che ancora non aveva chiara la situazione. Quando raggiunse ciò che restava della casa, Niall si guardò intorno. Vetri spaccati, assi fatte in due, coperte e cuscini coperti da uno spesso strato di segatura... Una lettera. Niall si avvicinò ad essa, cercando di prenderla senza farsi del male. “Per Niall.” C'era scritto sopra quella. Il ragazzo, preso dall'angoscia si affrettò subito ad aprirla. Aveva infatti riconosciuto la grafia. Ordinata, un po' infantile, era proprio di Allin. Il ragazzo non aspettò un attimo in più, incominciò a leggere.

“Caro Niall, finalmente è giunto il giorno. Mia madre è morta: posso andarmene in Spagna, posso allontanarmi da qui. Probabilmente sarai rimasto confuso da questo inizio. Se ti ho mentito? Ebbene, sì: ti ho mentito. Ma, infondo, come mi sarei potuta innamorare di te? Sciocco ragazzino! Denti storti, una pettinatura pietosa, zero muscoli... Un carattere e un'ambizione così ridicole da far venire il voltastomaco. Ti ho preso in giro, ho fatto la parte, mi sono divertita mentre mio padre portava a termine alcune questioni, quindi... Beh, grazie!
PS: A proposito: fossi in te correrei a casa.”

Niall cadde a terra. Così, senza preavviso: le sue gambe non ressero più il peso del suo corpo. Lacrime incontrollate bagnarono le sue guance, mentre rivolse lo sguardo al cielo che sembrava schiacciarlo con il suo peso infinito. La lettera di Allin lo aveva spiazzato. Era finita. La loro storia, la sua storia... Una storia che che poi, in realtà, sembrava non essere mai iniziata. Era solo stata tutta una bugia, un'enorme bugia. Dolore. Rabbia. Tristezza. Delusione. Quelle che ormai risultavano finte promesse e finte dichiarazioni ronzarono per un tempo indicibile nella testa dell'irlandese. Niall si guardò intorno, volendo avere un'ulteriore conferma che quella fosse la realtà e non un incubo. In quell'istante il post scriptum della lettera tornò vivido nella mente del ragazzo. Doveva tornare a casa, era, o stava succedendo, qualcosa di brutto.

* * *

Niall scese dalla casetta, incominciando a correre. Nel farlo riuscì ad ascoltare i commenti della poca gente che vi era rimasta a passeggiare. Si chiedevano curiosi cosa cosa stesse facendo e lui dovette stringere i denti per evitare di dire qualche “Fatti i cazzi tuoi”. Passo dopo passo il suo cuore sembrava pronto ad esplodere letteralmente nel petto, a causa del frenetico pompare sangue. I suoi occhi poi, erano così arrossati e sconvolti che l'azzurro delle iridi appariva come sbiadito. Migliaia erano le paure che frullavano nella testa dell'irlandese, troppo era il dolore che pensava sarebbe stato in grado di ucciderlo da un momento all'altro. Quando arrivò a casa il suo respiro era pesante, irregolare, a causa della lunga corsa appena conclusa. Il ragazzo aprì il portone, entrando nel piccolo giardino. Una sensazione terribile chiuse la sua gola, mentre aprì la porta della villetta.

"Niall!" Maura, appena lo sentì entrare gli andò incontro, con le lacrime agli occhi.

La donna strinse il figlio tra le sue braccia. Da quel momento in poi non si capì chi consolò l'altro.

"Degli zingari Niall..." Spiegò la donna singhiozzando, giustificando così l'incredibile disordine che vi era in giro.

"Mi hanno legata ad una sedia. Ci hanno derubato..."

Niall al racconto della madre impallidì, diventando di un colore verdognolo indescrivibile. Allin e la sua famiglia li avevano ingannati, avevano li rovinati.

"Di tutto." Concluse infine Maura, aggrappandosi al figlio, che pero' le svenne una manciata di secondi dopo tra le braccia.

Come non comprenderlo infondo. In un'ora, forse poco più, per lui, era finita ogni cosa.

Allin se ne era andata. Quella lettera, scritta così bene che sembrava essere di suo pungo era l'ultimo ricordo che gli sarebbe rimasto di lei. L'irlandese si sentì mancare le forze forse proprio perché era la bionda la sua forza maggiore. Per mesi, per nove lunghi mesi lui aveva riposto in lei tutta la sua vita, tutta la sua fiducia. Aveva passato le notti ad ascoltare la sua storia e a raccontarle la propria. Le proprie debolezze, le proprie fobie, le proprie debolezze. Fu come se, con quelle poche righe, aspre, prive di sentimento alcuno, il cuore gli fosse stato letteralmente strappato dal petto, senza anestesia. E senza un organo fondamentale per la sopravvivenza come avrebbe mai potuto continuare a vivere? Maura afferrò il figlio minore tra le braccia, chiamando immediatamente il maggiore al cellulare, chiedendogli disperatamente di tornare a casa dalla festa a cui era andato. Pensare che, pochi minuti prima prima, quando si era ritrovata dei nomadi armati in salotto,la donna aveva evitato di rovinare la serata al figlio, cercando di mantenere l'autocontrollo. I soldi, i gioielli, i beni, infondo, per lei non erano neanche lontanamente paragonabili alla salute di uno dei suo figli. La festa a cui era andato Greg per fortuna era molto vicino a casa Horan. Il castano, infatti, arrivò poco dopo la chiamata della madre. Gli occhi spalancati, fuori dalle orbite, per la verità raccontatagli che sembrava essere impossibile. Subito dopo lui, arrivò anche Bobby. Indescrivibili sono le emozioni che stavano provando i membri di quella ristretta famiglia irlandese.

"Niall è svenuto. Io non so cosa gli sia successo. Non ho potuto far nulla... Oh, dio." Maura si prese la testa tra le mani, che affondò nei capelli biondo, mentre lacrime addolorate le scendevano lungo il suo viso. Lacrime che solo una madre avrebbe potuto versare, lacrime di un dolore intimo, non comprensibile a tutti.

"State calmi. Si sta già svegliando." E se la sua ex moglie era molto sensibile, Bobby lo era ancor di più, ma con il tempo aveva acquisito la capacità di dare l'apparenza di essere tranquillo, in ogni frangente.

Niall riaprì gli occhi pochi istanti dopo, con lentezza. Si era forse svegliato e tutto ciò che era aveva vissuto era stato frutto di un sogno? Assolutamente no.

"Allin. Mi ha lasciato una lettera. Mi ha mentito! Per mesi! Lei, proprio lei!" Il ragazzo si mise seduto, contraendo di scatto gli addominali.

Così, d'improvviso, il suo corpo cominciò a tremare, sempre più visibilmente. Niall iniziò a respirare più profondamente e, poco dopo, si portò una mano sulla gola. Sentiva di soffocare, sentiva che sarebbe collassato da nuovamente da lì a poco. Pochi istanti dopo il giovane posò l'altra mano sul petto, in cui sembrava essere stata conficcata una lama tagliente, in grado di trafiggergli le membra, attraversandogli anche l'anima. Greg rabbrividì, vedendo suo fratello incominciare a sudare freddo.

"È un attacco di panico! Cazzo!" Urlò avvicinandosi al fratello, stringendolo tra le sue braccia con stampata sul volto una smorfia di dolore.

I due genitori lo guardarono, cercando di tranquillizzare entrambi i loro figli. Non avrebbero potuto fare niente.

Successivamente gli occhi di Niall incominciarono a roteare, così come la stanza, che assunse un'inclinazione improbabile nella realtà.

"Allin!" Gridò il ragazzo, contorcendosi su se stesso, come un verme infilzato ad una lenza, pronto a morire da un momento all'altro.

Il suo cuore cominciò ad assumere ancora un andamento fin troppo irregolare. Greg portò quindi una mano sul torace del fratello, incominciando a massaggiarlo, con la consapevolezza che quel gesto sarebbe riuscito a calmarlo un po'.

"Va tutto bene, capito? Tutto bene." Gli mormorò con voce allegra, anche se i suoi occhi colmi di lacrime erano una palese prova della sua finzione.

I genitori continuarono a guardare inermi i propri figli, poi si avvicinarono a loro, abbracciandoli, abbracciandosi. Inutile dire che seppur separati, quei due si volevano ancora bene e nel dolore si sarebbero sorretti l'un l'altra.

"Dove sei Allin?! Chi sei davvero?!" Un altro urlo straziato, di dolore, fuoriuscì dalle labbra di Niall, cui colorito si fece ancora più pallido, quasi violaceo.

"Prendetemi una bacinella. Sta per vomitare." Constatò Greg e la sua calma esteriore sorprese lo stesso Niall, ma anche Bobby che considerava il maggiore come un riflesso, lucidato e più limpido, di se stesso.

Fu un attimo, il ragazzo rigettò prima che il padre tornasse in salotto con una bacinella in plastica, macchiando così vestiti, il divano e anche il fratello.

"Oddio." Mormorò poi il piccolo irlandese, portandosi una mano alla bocca, versando altre lacrime che sembravano gridare “Scusa” ai genitori e al fratello, che avevano dovuto assistere a quella terribile scena.

"Va tutto bene, non importa." Sussurrò Maura, annodando tra le dita qualche ciocca dei capelli del figlio.

"Lo faceva sempre anche lei!" Lui a quel gesto si scansò immediatamente.

E, se in una situazione più ordinaria, i tre membri della famiglia avrebbero detto al più giovane che stava esagerando, quella volta restarono muti, impietositi dalla sua situazione.

Poco dopo lo travolse un altro conato di vomito, facendogli riversare più saliva che altro, quella volta nella bacinella.

"Una coperta." Chiese Greg, sentendo il fratello tremargli ancora incessantemente tra le braccia, scosso da brividi, alternati a vampate di calore improvvise.

"Dove stai Allin, dove stai amore mio." Mormorò ancora Niall.

Del resto era innamorato, follemente. Greg scosse la testa al mormorio del minore, avvolgendolo in una calda coperta di lana, per poi abbracciarlo, poggiando una guancia leggermente barbuta sulla sua spalla.

Passarono alcuni minuti. Com'era venuto, l'attacco se ne andò. Niall si guardò intorno, abbassando subito dopo lo sguardo, vergognandosi di se stesso.

"Questa ragazza lo ha rovinato." Affermò Bobby, serrando la mascella e tirandosi su le maniche della camicia irritato.

"Papà, non lo aiuti così!" Gli rispose malamente il figlio maggiore, afferrando il fratello in braccio per portarlo al primo piano, in bagno.

"Gli zingari... Ma Dio santo, poi non facessero quei discorsi in tv dicendo che non dovrebbe esistere discriminazione! Sono una casta pericolosa, di ladri! Dall'India sono venuti qui, hanno preso le nostre terre! Folli, aggressivi, cattivi... Ecco come sono! Ecco com'è Allin!" Così ebbe modo di sfogarsi l'uomo di famiglia quando restò solo con Maura.

"Bobby, smettila. Okay? Smettila." La donna non volle neanche ascoltarlo, incominciando piuttosto a sfoderare i cuscini del divano sporchi del vomito di Niall.

* * *

Intanto Greg aveva completamente spogliato il fratello, convincendolo dolcemente a fare un bagno caldo.

"Il mio fisico fa schifo." Disse d'un tratto Niall, guardandosi allo specchio attaccato dietro alla porta.

"Ho i denti storti." Aggiunse poi, aprendo la bocca in una smorfia che mostrò la sua dentatura scorretta.

"I miei capelli sono ridicoli." Constatò, portandosi una mano tra quelli.

"Io sono ridicolo." Concluse, ricominciando a piangere rumorosamente.

Il ragazzo si inginocchiò a terra, sedendosi la persona più piccola di questo mondo, sentendosi gracile come un moscerino, friabile come un biscotto appena sforato.

"Ti ha scritto questo, Nialler?" Domandò Greg, cercando di sembrare tranquillo anziché infuriato con quella ragazza.

"Coltivo un'ambizione esagerata. E' stata con me giusto per divertirsi mentre suo padre faceva lo stesso rubando e commettendo razzie in giro e..." Farfugliò Niall, ignorando la domanda del maggiore.

"Basta, basta così."

"Sono distrutto Greg. Lo sarò a vita." Ammise Niall entrando nella vasca colma d'acqua calda.

"Adesso mi fai un favore. Manda un messaggio ad Allin e scriviglielo: scrivile quello che hai detto a me, che ti ha rovinato la vita!" Greg passò il cellulare al fratello, facendogli prima asciugare almeno le mani, tanto quanto bastava per non rovinarlo l'apparecchio elettronico.

Tremante, con le lacrime agli occhi, Niall scrisse la prima cosa che gli venne in mente, poi, senza pensarci, inviò.

É finita, pensò ripetitivamente.

"Ti ha solo fatto del male, basta pensare a lei. Salutala per sempre perché tanto ti ha soggiogato e abbandonato, come un cane." Il castano si chinò sul biondino, lasciandogli un bacio tra i capelli.

"Non voglio più andare ai provini di X-Factor, Greg." Dichiarò questo, facendo spallucce e assottigliando le labbra, mordendosele nervosamente.

"Oh no, tu ci andrai. Non puoi mettere da parte il tuo sogno.”

"Ha ragione a pensare che sono un illuso."

"No. Cazzo. No. Ti ci porto con la forza, ma tu vai. Non ti permetterò di rovinarti la vita, fratellino. Dove cazzo è finita la tua autostima?" Chiese Greg, poi si limitò ad ascoltare.

La nottata passò così, tra pianti, chiacchiere tristi ed alcune pizze leggermente bruciacchiate. Una scena adorabile, quella di un'intera famiglia in un letto matrimoniale, un marito ed una moglie divorziati ma ancora uniti, un fratello maggiore che avrebbe venduto l'anima al diavolo, pur di prendere sulle sue spalle almeno parte del dolore provato da quel ragazzo tanto simile a lui. Greg restò sveglio fino all'alba insieme al fratello, a ragionare con lo sguardo rivolto al soffitto per evitare di incrociare i suoi occhi, il che avrebbe comportato un pianto sicuro. Il castano, così come il biondo, sentiva che, in fin dei conti, in tutto quel puzzle di tristezza c'era qualche tassello sbagliato, imperfetto. Parte di lui credeva fermamente che Allin non avrebbe mai potuto fare niente di simile.

“Greg, posso dirti che in fin dei conti penso che sarebbe meglio se la realtà fosse così come sembra?” Come ogni innamorato che si rispetti, Niall avrebbe infatti preferito essere l'unico a soffrire.

* * *

"Niall. Ti prego, credimi. Io non ho idea di cosa sia successo. Mio padre mi sta portando in Spagna. Ho paura. E se fino ad ora sono riuscita a fuggire alle tradizioni gitane adesso ne sono completamente preda. Spiegami cosa sta succedendo perché potrei impazzire! Ti ho rovinato la vita? Davvero? Non capisco. Non capisco più nulla! Pensare che tu me l'hai salvata." Allin scrisse quel messaggio con fretta e furia, quel messaggio che nessuno visualizzò mai e che non ricevette risposta.

Il padre di Niall, infatti, aveva privato il figlio della sua sim, pensando che così lo avrebbe salvaguardato, non prendendo neanche un attimo in considerazione l'idea che la realtà fosse stata diversa da quella che sembrava essere.

* * *

I minuti passavano lenti, Allin sapeva che il tragitto tra Irlanda e Spagna sarebbe stato molto lungo. La ragazza aveva appena smesso di piangere, quando, insieme al padre, era entrata nel reparto merci di una grande nave da viaggio. L'uomo aveva scelto di navigare come tale, tramite vie illegali, per evitare di pagare e di dover mostrare documenti inesistenti. Sarebbero arrivati così in Portogallo, infine in Spagna. Mancava ormai poco alla partenza.

"Bene, domani vi spedisco i soldi che vi spettano. Avete fatto un lavoro ottimale, in così poco tempo poi. Aspettatevi un bonus per aver aiutato a smontare in fretta e furia il tendone da circo." Allin sentendo il padre parlare sommessamente con qualcuno uscì dalla roulotte sedendosi sulle scalette, in ascolto.

"Sì, per gli spalti potete fare con calma. L'importante è che non ci sono più i camion, così come i componenti del nostro clan. Sai, non vorrei che entrassimo in affari poco fruttuosi con la giustizia irlandese..." Gonzalo sembrava sollevato, la bionda non seppe capire da cosa.

"Bene. Sono già partiti con un'altra nave? Oh, okay. Fantastico." Lo zingaro attaccò la chiamata, voltandosi verso la diciassettenne.

Allin stette un attimo in silenzio, poi incrociò lo sguardo del domatore di tigri e collegò le sue parole al messaggio di Niall. Il cuore prese a martellarle nel petto. Centinaia di dubbi le assalirono la mente, decine di possibili dinamiche catturarono la sua attenzione.

"Cosa hai fatto a Niall?! Voglio saperlo!" Urlò d'improvviso la ragazza al padre, alzandosi in piedi.

"Niente che ti possa interessare." Le rispose lui, voltandosi e stringendo innervosito le mani in due pugni serrati.

"Mi hai tolto... Tutto!" La voce di Allin divenne flebile e tremante all'implicita conferma alla sua domanda.

"Sei un padre di merda!" Aggiunse poi, asciugandosi violentemente prima che queste scesero lungo il suo giovane viso. Non avrebbe più pianto, ripromise a se stessa. Quella volta sarebbe stato per sempre.

"Basta Allin, basta! Tu ancora non hai capito che non sei... Che non sei..." Gonzalo assalì letteralmente la ragazza, spaventandola afferrandole i polsi con entrambe le mani, lasciandoli poi a mezz'aria, così come lasciò la frase inconclusa.

"Cosa papà?! Non sono cosa?!" Domandò quindi Allin, guardando con odio l'uomo, dritto negli occhi.

 

Spazio autrice

Okay, stiamo entrando finalmente nella dinamica della storia! Questo capitolo si conclude in modo molto enigmatico... Cosa avrebbe voluto dire Gonzalo? Parlando di Niall, adesso incominciano i problemi di salute, che perdureranno per grandissima parte della storia. La sua famiglia ha reagito diversamente, Bobby ha voluto levare a Niall ogni tentazione di riaggancio con Allin dopo il suo ultimo messaggio. La situazione è complessa e se vi riassumo poco del capitolo è per evitare di dire qualcosa di troppo che potrebbe farvi accedere qualche lampadina che io voglio resti spenta. Oggi sarò breve, perché non sono esattamente felicissima, quindi mi riesce un po' difficile dilungarmi. Tuttavia sono soddisfattissima dei risultati che sto raggiungendo, che stiamo raggiungendo. La storia va bene e, credetemi, è merito di questo andamento se, in fin dei conti sorrido. E' bello sapere che, beh, per alcune persone non sono un fallimento e quando poi leggo le vostre recensioni, breve o lunghe che siano molto spesso mi commuovo. Mi chiedo più volte cosa ho fatto per meritarmi voi. Grazie di cuore. Detto ciò vi invito a recensire ancora, ad iniziare a farlo e a continuare. Se riuscite a ritagliarvi due minuti di tempo, per farlo, mi farebbe, come potrete immaginare, tanto felice.
Ci becchiamo domenica prossima!
Giorgia.

 

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Capitolo 8
*** "One day, we'll stay together." ***


"One day, we'll stay together."

 
Dunque, buonasera! Si ritorna ad A-N. Il concorso è andato, la One Shot scritta... Aspetto il riscontro! Vi avviso: da questo capitolo Liam, Louis, Harry e Zayn entrano finalmente in scena. Inoltre, come forse capirete, molte delle battute riguardanti l'audizione di Niall e il suo percorso ai bootcamp le ho prese e tradotte dalla realtà.
Vi invito come al solito alla lettura delle note finali, buona lettura
.

 

"Tu non sei..."

"Tu non sei autorizzata a parlare!" Tuonò Gonzalo ad Allin, strappandole di mano il cellulare. Le avrebbe disattivato il numero, non appena sarebbero arrivati in Portogallo.

"Posso farti una domanda? Solo una." La gitana si alzò in piedi, in segno di sfida. Incrociò le mani al petto e aspettò la risposta di suo padre. La regola del 'non piangere' era tornata in vigore: la bionda sentiva di essere tornata quella di un tempo, l'insensibile, gelida ragazza che nessuna cattiveria, nessuna violenza avrebbe mai potuto scalfire.

"Tu prova."

"Sei dispiaciuto che sia morta la mamma?"

"Secondo te?"

L'uomo e la ragazza si guardarono dritto negli occhi, solo odio riuscivano a provare l'uno nei confronti dell'altra, nulla più.

* * *

Erano passati nove giorni da quando Allin se ne era andata, da quando il mondo, agli occhi di Niall, si era ridotto alla sua stanza buia. Il biondo, dopo esservi entrato una prima volta, la mattina successiva al terribile accaduto, non ne era infatti più uscito, fatta eccezione per mangiare o andare in bagno. “Tanto, cosa m'importa se mi lascio andare?” Si chiedeva spesso ridendo amaramente davanti ad uno specchio, prendendosi in giro da solo, rileggendo poi inevitabilmente le parole della lettera lasciatagli da Allin. E, se durante il giorno il ragazzo si comportava da vegetale, lasciando che il mondo scorresse davanti ai suoi occhi, che la vita degli altri andasse avanti, la notte la passava piangendo. Piangendo fino al vomito, fino a sentire la testa esplodere a causa di un dolore lancinante alle tempie. Niall piangeva, e sperava che quella piccola, minuscola, parte di lui avesse ragione, che Allin fosse stata davvero costretta a lasciargli quella lettera, che il suo dolore fosse solo frutto di un equivoco. Era così confuso che avrebbe preferito addormentarsi per cent'anni, e svegliarsi solo quando avrebbe sentito la verità fuoriuscire dalle labbra di Allin. Inoltre, la sera prima aveva contribuito al suo devasto più completo una triste scoperta.

Elizabeth e Mark, essendosi preoccupati del non rispondere dell'irlandese a qualunque chiamata, messaggio, dm su Twitter, si erano recati a casa sua. Quando lo videro, con due occhiaie scure a solcargli il volto, corsero ad abbracciarlo, con la triste sensazione che Allin fosse stata la causa del suo male. Le loro teorie ricevettero conferma: Niall raccontò ai suoi amici che la bionda se ne era andata circa una settimana prima. Ovvio che mentì, dicendo che la sua ragazza era dovuta tornare in Spagna per riunirsi con la sua famiglia dopo la morte della madre e che, per non soffrire, aveva scelto di tagliare tutti i ponti con l'Irlanda.

“Quindi il mio cellulare non dava di matto quando provavo a chiamarla e la segreteria m'informava che stavo contattando un numero inesistente!” Fu frase di Elizabeth a cambiare tutto.

Il cuore del biondo, che sembrava essersi definitivamente distrutto, si sgretolò ancora mentre nella sua testa incominciò a farsi sempre più convincente l'ipotesi che Allin fosse la vittima, non il carnefice.

* * *

La mattina del ventotto Giugno duemiladieci, Niall stava ancora dormendo, quando nella sua camera entrarono Maura, Greg e Robert.

“Si va ad X-Factor!” Esclamò la donna aprendo la finestra della camera del figlio, facendolo svegliare di colpo.

“Che cazzo state facendo? Voglio dormire!” Niall spalancò gli occhi. Una lacrima cadde sul suo viso, rimanenza del pianto notturno.

“Nialler, oggi è il giorno, capisci? Devi continuare a vivere.” Greg abbracciò a sé il fratello, stendendosi sul suo letto come faceva sempre quando erano più piccoli.

Robert, in quel contesto si sentì incredibilmente fuori posto. Da quando aveva divorziato con Maura non poteva certo vantarsi di avere un bel rapporto con i figli, soprattutto con Greg che non perdeva occasione per metterlo a tacere.

“Sono le cinque del mattino, dobbiamo arrivare a Dublino per le sette, Nì.” Intervenne poi, quasi con paura.

Per sua sorpresa non ricevette nessuna occhiataccia. Greg si contenne, pur di non rovinare il giorno di Niall.

“Potete lasciarmi solo con Greg?” Chiese poi il minore e, alla sua richiesta, i due adulti se ne andarono.

* * *

"Devo diventare famoso! Devo!" Affermò Niall, non appena la porta della sua camera venne chiusa.

"Devi?" Gli rispose Greg accigliandosi, non capendo cosa intendesse l'aspirante cantante.

Allora lui gli raccontò ciò che aveva scoperto la sera prima, grazie alla chiacchierata con i suoi due amici.

“Pensi che il padre l'abbia voluta isolare?”

“Sì.”

“Ma perché? A che pro?” Il maggiore dei due Horan non capiva. Non immaginava nemmeno cosa ci fosse dietro al comportamento di quell'uomo.

“Secondo me Gonzalo non ha rapito solo a casa nostra... Forse ha voluto evitare di esser cercato in tutti i modi...” Azzardò Niall gesticolando animatamente, mentre tentava di infilarsi una maglia blu che aveva già sfilato due volte, essendosela messa alla rovescia.

“I gitani sono assolutamente troppo impulsivi e vendicativi, anche con quelli degli altri clan."

“Ecco, forse era entrato in contrasto con un'altra famiglia importante, oppure voleva semplicemente andarsene da qui. Marie era dell'Irlanda, lui no." Ragionò il ragazzo, stringendo le stringhe delle sue Nike bianche.

"Non lo so... Mancano tasselli in questo puzzle e sai come si chiama l'unica persona che potrebbe sistemarne almeno un paio ma che adesso è irraggiungibile?”

“Allin.”

“Greg, io devo trovarla. Non mi interessa il modo. Per cellulare mi è impossibile, per detective privato credo sia assurdo ed inutile, visto che i gitani non sono segnati all'anagrafe. Ha ancora l'account Twitter attivo, ma penso che non ci rientrerà mai...”

“L'unica cosa che posso dirti è 'Prova'. Non posso vederti più così, capisci? E' corrosivo. E penso che sì, diventando famoso quantomeno avresti più contatti e, se le mai vorrà spiegarsi, beh, ti troverà facilmente... Ho anche un'altra idea pero'.” Affermò Greg, passando il giubbotto a Niall.

“Dimmi. Ti prego.”

“Usa Twitter. Okay, tu pensi che lei non entrerà mai, e se invece dovesse farlo?”

“Se registrassi dei piccoli resoconti della mia giornata e li caricassi in un diario online? Se poi le lasciassi il link e la password... Potrebbe vederli e io la sentirei più..." Il biondo sbuffò, non trovando la parola adatta.

"Vicina." Aggiunse poi, chiudendo un attimo gli occhi.

“Fallo. Tanto qual è l'alternativa? Lasciarti andare così? No.” I due ragazzi scesero le scale, arrivando in strada.

"Ehm Niall, una cosa importante: tieni la testa sulle spalle. Pensa sempre alla minima possibilità che Allin abbia scritto di sua volontà quella lettera. Pensa a cosa le dirai quando e se la troverai, a come ci resterai."

"Greg. Io la amo! Non passa giorno in cui non penso a lei. Io la voglio trovare e non mi interessa né quando, né come e neanche cosa mi dirà.” Sibilò Niall infastidito, infilandosi le cuffiette nelle orecchie, per tranquillizzarsi.

* * *

Il viaggio da Mullingar a Dublino fu alquanto silenzioso ed imbarazzante. In quella macchina, si stava troppo stretti. La nonna, i genitori, il fratello... Niall sentiva di soffocare sotto i loro sguardi apprensivi mentre ascoltava a ripetizione “So sick”, canzone che avrebbe cantato davanti ai quattro giudici e che, dannazione, gli ricordava fin troppo Allin.

"Forse sarebbe meglio se ce ne tornass-" Azzardò Maura, mordendosi le unghie agitata, seduta nel sedile anteriore, accanto a Robert.

"No, mamma. Noi restiamo. Niall è bravo, ama cantare, ce la farà.”

E così la famiglia arrivò a Dublino, dove si sarebbero tenuti i primi provini dal vivo. Passarono le ore, letterali e intere ore di attesa. Il biondino non aveva smesso dolcemente inquieto. Se ne era stato seduto in una poltroncina strimpellando qualche canzone smielata, come quella del suo cantante preferito, Justin Bieber, per poi passare a qualche motivetto più movimentato. Aveva paura e l'unico modo per non averne era cantare, suonare. Come un autolesionista vede il sangue uscire dalle ferite che si è procurato lui stesso e sente il dolore andarsene via con quel liquido rossastro, Niall cantava e con la sua voce liberava anche tutte le sue preoccupazioni, paure e tristezze. Ed si era ancor di più deciso: avrebbe reagito anziché aspettare passivamente che il dolore se ne andasse. “Quantomeno”, pensò il ragazzo, “Cercarla mi farà vivere.” Sarebbe stato così, esattamente così. Una cospicua parte del cuore di Niall se l'era portata via Allin. Il biondino aveva capito che dimenticandosi di lei, si sarebbe anche dimenticato di se stesso.

* * *

“Sono Niall Horan, ho sedici anni e vengo da Mullingar, Irlanda.” Si presentò l'irlandese alle telecamere televisive, scoprendosi un grande attore. Infatti sorrise, così tanto che sembrò che le sue risa fossero vere.

“Voglio diventare come alcuni grandi nomi del mondo, tipo Beyoncè...”

“...Justin Bieber è un esempio perfetto!” Esclamò fiero, improvvisamente di buon umore.

“Sono stato... Sono stato paragonato a lui un paio di volte, e non è un paragone niente male!” Aggiunse poi, vantandosi un po', ma con ironia, in modo che nessuno lo potesse ritenere un montato.

“Voglio fare il "tutto esaurito" ai concerti, fare un album e lavorare con alcuni dei migliori artisti del mondo.”

“Se oggi passo il turno... Il gioco comincia, la vita ricomincia... Più o meno.” La breve intervista si concluse così, con un sorriso amaro ad incurvare le sue labbra e uno sguardo accigliato del cameraman alla sua ultima frase.

* * *

“Avanti il prossimo!” Esordì con tono autorevole uno dei quattro giudici, Louis Walsh.

Era il momento. Si era fatto il turno di Niall, dopo ore snervanti di attesa. Il biondino, camicia a scacchi rossi, blu e bianchi, jeans fin troppo lenti, sneackers chiare ai piedi, uscì dalle quinte, dove aveva tanto atteso il suo momento.

“Ciao ragazzi.” Niall raggiunse il centro del palco. Le gambe gli tremavano terribilmente, le sue labbra erano curvate da un sorriso agitato e soprattutto imbarazzato.

Indescrivibile è l'insieme di emozioni che provò in soli pochi secondi. La gente che gli applaudiva, che gli sorrideva, la telecamera che lo riprendeva. Istintivamente Niall guardò sotto al palco. Allin non c'era eppure a lui sembrava di vederla sorridergli dolcemente, incoraggiandolo. E se allora bastava salire su un palco per immaginarsela, per sentirla vicino, Niall lo avrebbe fatto anche per tutta la vita, continuando la sua ricerca. Prima o poi l'avrebbe stretta a sé.

“Come ti chiami?” Chiese il primo giudice al microfono.

"Niall."

"Niall... Niall come?"

"Horan."

"Perché sei qui oggi?"

"Sono qui per diventare il miglior artista del mondo." Ammise allora Niall, mordendosi le unghie imbarazzato e arrossendo visibilmente.

"Quanti anni hai?"

"Sedici."

"Sei un Justin Bieber irlandese?" Gli domandò divertito il signor Walsh.

"Credo di sì."

"Sei molto popolare a scuola?" Gli chiese la famosa Katy Perry, ospite e giudice per quella manche di audizioni.

"Sì, sì potrebbe dire di sì." Sorrise ridacchiando il giovane irlandese.

"Dai allora, canta." Lo invitarono i giudici.

E così Niall fece. Non aveva molta paura di cantare, infondo era abituato. Gli bastò concentrarsi e non guardare nessuno in particolare per calmarsi. Aveva finito la prima strofa e stava iniziando la seconda, quando Katy lo interruppe.

"Penso che tu sia adorabile e che abbia carisma, ma credo che tu debba lavorare di più... Hai solo sedici anni." Spiegò la giovane cantante pop.

"Io ho iniziato la mia carriera quando avevo quindici anni e non ho avuto successo fino a ventitré." Continuò poi.

"Io credo che tu non sia preparato, penso che tu sia venuto con la canzone sbagliata." Affermò Simon Cowell impassibile.

"Tu non sei bravo come pensavi di esssere... Ma mi piaci ancora." Aggiunse infine, facendo rabbrividire Niall con il suo complimento.

"Sì, tu sei adorabile, hai molto fascino per avere solo sedici anni." Commentò Cheryl Cole.

"Niall, credo che tu abbia qualcosa che piace alla gente, sei simpatico!" Intervenne Louis, che sin da subito era stato colpito dal biondino.

"Che cosa?" Simon si accigliò, squadrando il collega.

"Credo che alla gente piaccia, perché è simpatico, non perché è irlandese."

"In che modo può piacere alla gente perché è 'simpatico?'" "Simon, sì o no?"

"Dico di sì." Rispose incredibilmente il giudice, facendo sorridere Niall in modo quasi indecente.

"Cheryl, sì o no?" Continuò Walsh.

"Dico no."

"Io dico di sì!" Affermò quindi l'uomo, al dissenso della Cole.

"Oh, Louis!" Katy si portò una mano a coprirsi la bocca spalancata. Stava a lei scegliere sul futuro di un ragazzo.

"Katy, ha bisogno di tre sì, dagli un'opportunità!" Forzò Louis.

"Posso dire di essere d'accordo con Cheryl, deve lavorare di più..." Ragionò la mora, guardandosi attorno.

"In ogni caso, l'essere simpatico non ti farà vendere più dischi, il talento lo farà... E tu hai un poco dei due... " La cantante fermò il suo flusso di pensieri pubblico, tacendo per un secondo. Inutile raccontare le emozioni provate Niall. Felicità, timore, sconfitta, vittoria. Lui stesso non capiva cosa gli stesse accadendo.

"Naturalmente, rimani in gara." Concluse Katy.

Niall aveva superato il provino. Niall aveva ricominciato a vivere. Lacrime di gioia gli rigarono il volto, quando tornò dalla sua famiglia per festeggiare. Maura, eccitata, chiamò un albergo di basso rango a Londra, prenotando per i giorni in cui Niall sarebbe dovuto andare ai bootcamp negli studi veri e propri di X-Factor. Preso dalla felicità Robert cinse in un grande abbraccio la sua famiglia, dimenticandosi di ogni vecchio rancore, così come fece ogni suo membro, ricambiando la stretta.

* * *

"E' il vostro momento: ragazzi, salite sul palco!" Era il tardo pomeriggio del ventitré luglio, quando un assistente richiamò l'attenzione della cinquantina di giovani che si erano sparsi un po' ovunque tutto lo studio, nell'attesa dell'importante verdetto.

Un coach li aveva seguiti per vari giorni, per poi lasciarli esibire quella mattina con una canzone di Michael Jackson, molto rinomata: “Man in the mirror”.

"Come sapete si doveva fare un'ulteriore scrematura, quindi adesso chiamerò solo alcuni di voi. Questi proseguiranno la loro corsa al successo, gli altri dovranno, ovviamente, lasciare lo studio." Con queste parole li accolse Cheryl, dando due colpi di tosse al microfono.

Nome dopo nome chiamò tutti i vincitori. Niall non era in quella cerchia. Aveva perso, tutto. Prima la ragazza, la fiducia in se stesso, il suo perenne sorriso sul volto, poi anche le audizioni, una delle sue poche certezze, una delle sue più grandi speranze.

Il suo cuore smise di battere per un solo secondo, poi rincominciò a farlo quasi furiosamente, pompando sangue a velocità fuori dalla norma. Il biondino lanciò uno sguardo ai ragazzi con cui aveva passato quell'ultimo periodo in un hotel periferico agli studi, poi corse dietro le quinte. Ad aspettarlo c'erano sua madre, suo padre e suo fratello. Lo videro con gli occhi colmi di lacrime, occhi vitrei, spenti.

“Una delle cose più brutte capitate nella mia vita.” Mormorò poi, concedendo uno sguardo alla telecamera, ingorda di pianti e qualunque cosa avesse potuto fare audience.

“E... 'Dio santo.” Farfugliò il ragazzo, vergognandosi per essersi incappato nelle sue stesse parole, coprendosi poi il volto con il maglioncino marrone scuro che indossava quel giorno. Greg allora gli corse incontro. I due si stavano ancora abbracciando, quando fu richiamata nuovamente l'attenzione del minore.

“I ragazzi scartati possono gentilmente raggiungermi?” Un addetto all'organizzazione dello show si apprestò ad urlare, pur di riunire tutti.

“I giudici devono parlare con qualcuno di voi.” Spiegò quando un gruppo numeroso di ragazzi lo raggiunse.

“Ma cosa vogliono ancora da noi?” Sbuffò scocciato un ragazzo dall'aria avvilita.

Niall lo squadrò per bene. Riccio, occhi verdi, due fosse innocenti visibili ad ogni sua singola smorfia. Sembrava simpatico e amichevole.

"Zayn Malik." Un ragazzo dalla carnagione ambrata, capelli corvini quasi rasati, occhi color caramello velati da uno strato di paura, si fece avanti.

"Liam Payne.” Ad affiancarlo fu lui. Capelli lisci ,castano chiaro, ad incorniciargli il volto, occhi marroni. Un sedicenne che sarebbe passato inosservato, se non avesse avuto un sorriso caloroso capace di ammaliare chiunque.

“Harry Styles.” Niall spalancò la bocca quando vide il riccio che poco prima si era mostrato esausto seguire Zayn e Liam. In quel momento, il biondo sperò con tutto se stesso che sarebbe stato fatto anche il suo nome.

“Niall Horan." Così fu.

Il cuore gli sembrò esplodere nella gabbia toracica, il suo battere rimbombò forte fino al cervello. Non si illuse, non volle pensare subito al meglio, si limitò a lanciare un'occhiata a mo' di saluto a quelli che neanche sapeva sarebbero stati non solo suoi compagni di viaggio, ma anche suoi nuovi amici, fratelli.

"Louis Tomlinson." Un ragazzo dall'aspetto più maturo di loro fu chiamato per ultimo. I capelli castano scuro gli coprivano la frangia, i suoi occhi blu sembravano perennemente sorridere. Niall guardò il ragazzo salutare Harry, il riccio.

"Ci siamo incontrati nei bagni, poco fa e gli ho chiesto un autografo." Spiegò Louis, il maggiore, agli altri ragazzi che si erano accigliati.

"Secondo voi... Festeggeremo?" Chiese con un po' di timidezza Zayn, il moro.

"Sono già stato ad X-Factor, ho già provato ad entrare... Spero che questa volta sia quella giusta." Spiegò Liam, il saggio.

Così, in quattro battute, Niall aveva già classificato quei ragazzi.

"Io ho paura." Confessò poi, evitando di incrociare gli sguardi degli altri ragazzi.

"Niall, sorridi ché andrà bene! Ci vorranno dare sicuro una notizia bomba!" Louis rise, ricevendo occhiatacce dai quattro ragazzi intorno a lui.

"Vivi la vita al momento, perché tutto il resto è incerto!" Quasi recitò questa frase, mettendoci effettivamente parecchia passione.

"Dai, andate!" Li incitò lo stesso ragazzotto che li aveva chiamati, quando li vide esitare dietro alle quinte.

I cinque sognatori si guardarono con decisione, si lanciarono uno sguardo di intesa, poi si ritrovarono sul palco, faccia a faccia con i tre giudici.

"Per voi c'è un'altra possibilità. Troppo è il vostro talento. Non possiamo lasciarvi andare." Così Cheryl salutò i Zayn, Liam, Harry, Niall e Louis, che condividevano la scena con altre quattro ragazze.

"Bene, siete ufficialmente sotto il mio controllo da... Adesso!" Simon sorrise, entusiasta e curioso di scoprire come si sarebbero rilevati quegli aspiranti cantanti una volta uniti in gruppo.

Gli occhi di Niall si riempirono di lacrime di gioia. Il ragazzo saltò dalla felicità strattonando Harry, rimasto incredulo.

"Tu lo sapevi!" Tuonò quindi il riccio riprendendosi, colpendo con uno schiaffetto Louis.

Questo incominciò a ridere a crepapelle, sotto lo sguardo divertito di Liam e Zayn.

"Ce l'abbiamo fatta..." Mormorò il castano, guardando quelli che in un minuto erano diventati i suoi compagni di band. Liam non sapeva come sarebbe stato lavorare fianco a fianco con loro, non immaginava neanche il successo che avrebbero avuto.

"Hai detto 'abbiamo'." Soffiò Zayn, portandosi una mano sul cuore.

"Eh sì." Fu questa la prima volta in cui i ragazzi si abbracciarono, sentendosi già parte di un gruppo che non aveva neppure un nome.

"Alt! Ragazzi, ragazze, sappiate che dovrete lavorare dieci, undici, dodici ore al giorno, ogni giorno, per restare in gara. Mi avete ascoltato?" Chiese Simon causando pesanti sospiri di Cheryl e Louis. I nove giovani cantanti sorrisero ed annuirono, i cinque nuovi amici si guardarono sorridendosi, portandosi le mani al viso, troppo eccitati dalla notizia per contenersi. Niall volse lo sguardo al soffitto.

"Dammi dell'illuso, ma, Allin, io non smetterò di credere che tu sia solo vittima delle assurdità di tuo padre. Ti prometto che un giorno ci rivedremo, che staremo insieme. Per sempre."

Spazio autrice
 
Bene, bene... Torno dopo quattordici giorni e vi faccio leggere un capitolo pietoso. L'ho riletto centinaia di volte e cambiato più parti. Non sono pienamente soddisfatta, ma tanto penso che non lo sarò mai! Okay, mi scuso anche per la noiosità del tutto, ma mi son rifiutata di accorciare tutta questa parte in cui i ragazzi si conosceranno, in cui Allin ritornerà ad essere chiusa e insensibile, anche perché poi alcune vicende verrano citate o comunque prese in considerazione poi. Ho tantissimi progetti per questa storia. Ah, una cosa... Gonzalo, secondo voi, voleva davvero dire ciò che ha detto ad Allin oppure aveva in mente altro? Amo il suo personaggio, fangirlo troppo per lui. ^-^
Vi rubo altri due secondi per ringraziarvi. A-N ha raggiunto le 251 recensioni. Diamine, è così fantastico! In soli sette capitoli. Grazie, grazie, grazie. Solo questo perché non so proprio come farvi capire quanto vi sia riconoscente. Vi prego, continuate a farlo, continuate ad essere presenti perché è per voi che mi impegno, oltre che per me stessa. Io sto cercando di fare del mio meglio, voi usate un po' del vostro tempo per lasciarmi un parere, anche breve, non importa.
Detto questo, possa colpirmi un fulmine, ci becchiamo domenica prossima! Aspettatevi tanto fluff e malinconia,
Giorgia.

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Capitolo 9
*** Drops of memory. ***


Drops of memory.



 
Dunque, rieccoci qui! Con qualche ora di ritardo, devo dire, ma ci sono! Diamine, mi è mancato, domenica scorsa, aggiornare. Non mi perdo in chiacchiere, solo... Aspettatevi un capitolo di passaggio e badate ai dettagli e al finale, perché da questi potrete capire molte cose... Anche troppe.
Beh, buona lettura e, come faccio ormai da tempo, vi invito a recensire!
 

 

 

"Ehm... Ciao Allin." Mormorò impacciato Niall davanti alla telecamera interna del suo pc, rendendosi conto, solo dopo aver parlato, che questa era ancora disattivata.

Il biondino si morse nervoso il labbro inferiore: non aveva tempo da perdere. Da qualche giorno, infatti, si trovava nel cottage del patrigno di Harry, insieme a tutti gli altri ragazzi della band ancora priva di un nome, con l'intenzione di conoscersi meglio ed iniziare a lavorare quantomeno sull'unione delle loro voci. Nessuno sapeva di Allin, quindi, se lo avessero scoperto fare ciò che stava facendo avrebbero sicuro storto il naso.

"Okay, forse dovrei ricominciare... Ma non importa poi tanto.” Mormorò il ragazzo, facendo partire, questa volta veramente, la registrazione.

"Ho deciso che ogni sera registrerò questi video, dunque non ti scocciare... Non subito almeno."

"Io ho bisogno di sentirti vicina, Allin." Fu un sussurro, così straziato che anche la persona più insensibile della Terra avrebbe sussultato sentendolo.

"Perché, da quando te ne sei andata, io non riesco ad essere più quello di prima. È come se si fosse aperta una voragine, proprio qui..."

"Sul cuore." Continuò Niall. Inconsciamente si portò una mano proprio lì, chiudendola a pungo, sentendo i battiti accelerare.

“Dove sei, Allin? Dove?” Una lacrima scese lungo la sua guancia destra, una lacrima in cui riflettevano i ricordi da lui provati.

“I ricordi che rivivono... Allin, io non so lasciarti andare. E forse sarà stupido a cerco nelle cose il sorriso che a primo impatto tentavi di nascondere, quel sorriso per cui morivo ogni volta che me lo concedevi, quel sorriso che curvava le tue labbra non appena mi vedevi.” Niall chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dall'emozioni provate insieme alla ragazza, ripensando alle sue labbra sottili e carnose, labbra che tante volte aveva avuto il lusso di assaporare.

“E mi manca quando mi stringevi, mi manca quando c'eri.” Aggiunse poi, con gli occhi umidi di lacrime perché il dolore che stava provando, la malinconia che lo rendeva inquieto, lo stava distruggendo.

“Allin, io so che non sei stata tu a scrivere quella lettera, a distruggere la nostra casetta... "E il mio cuore.” Continuò il biondo guardandosi le mani. Erano così fredde, senza quelle di Allin in grado di scaldarle con premura. E non solo, le unghie erano scheggiate, morse fino alla pelle. Colpa degli incubi notturni che lo facevano svegliare ansioso nel cuore della notte.

"Non hai mai fatto del male a nessuno, mai e so anche, per certo, che mai avresti potuto farne a me, non dopo tutti i 'Ti amo', non dopo tutto ciò che abbiamo vissuto, affrontato."

"Sai, vorrei tanto poter sentire la tua voce, poter stringerti a me e ribadirti che, ehi, continuo ad amarti, a vivere con il tuo volto impresso costantemente nella mia mente e che credo che non ci sia ragazza al mondo che potrebbe sovrapporsi a te." Sussurrò Niall, abbozzando un sorriso scompigliandosi nel mentre i capelli. Allin sarebbe rimasta la sua sola principessa, per sempre.

"Eppure non posso fare niente, eppure non posso neanche sapere perché sono solo, adesso. E' troppo grande questo mondo per uno come me che ti sta cercando...” Lo sguardo glaciale di Niall fu rivolto verso il soffitto, mentre alcune ultime lacrime scorrevano ai lati del suo viso.

"Dai, non voglio fare questi video per rattristarti, per annoiarti, ma per farti presente che beh, io non ti scorderò..." Il biondo si strinse nelle spalle, poi continuò con il suo discorso.

"Chissà se dove sei mi hai visto ad X-Factor. Credo di no."

"Ho superato la prima audizione! Sai che non si può dire lo stesso per i bootcamp?"

"Non mi avevano preso... O meglio, non mi hanno preso da solo."

"...Hanno unito me ed altri quattro ragazzi in un gruppo! ...Un gruppo! Ti rendi conto? É la cosa più bella che mi sia successa... Da quando non ci sei più." Un sorriso improvviso illuminò il volto giovane di Niall mentre ripensava all'emozione provata quando aveva capito che sarebbe rimasto in gara.

"Zayn, Louis, Harry, Liam. Diventati già Zay, Lou, Haz e Payno."

"Hanno la mia età e sono probabilmente alcuni dei ragazzi più in gamba che abbia mai conosciuto." Raccontò ancora il biondino.

"Dicono che sono simpatico... Ho sempre riso, del resto, mai pianto."

"Sì, non gli parlato di te."

"Non ancora..." E nel rivelare questo Niall rivolse lo sguardo altrove, vergognandosi della sua timidezza, da sempre nascosta dietro ad una risata.

"Devo farlo. E al più presto." Concluse infine, restando un attimo imbambolato davanti al portatile, domandandosi ancora se quei video sarebbero stati mai visti, se almeno sarebbero serviti a qualcosa, in futuro.

"Nialler, cosa stavi facendo?" Liam irruppe nel piccolo cottage Styles, facendo sobbalzare Niall. L'irlandese lo guardò un solo istante, poi chiuse di scatto il computer, balbettando qualcosa di incomprensibile.

"Ti abbiamo sentito parlare..." Spiegò poi Louis, sporgendo appena la testa dalla porta d'ingresso.

"Niente, ragazzi. Che ne pensate di suonatina intorno al fuoco?" Niall si alzò di scatto dal divano, raggiungendo in un batter d'occhio il giardino.

"Perfetto! Lou, aiutami a fare il falò." Esclamò Harry, avendo sentito la proposta del biondo.

"Ho male ad un braccio." Gli rispose il castano, facendo una falsissima smorfia di dolore per cui non venne affatto creduto.

"Hai male al culo semmai." Battibeccò quindi il riccio, non nascondendo minimamente il suo disappunto.

"Pigro." Aggiunse Zayn dandogli uno spuntone amichevole.

"Culo di piombo." Asserì Harry, dando al castano un leggero schiaffo sul fondoschiena.

"È così che si tratta un amico infortunato?" Il maggiore del gruppo alzò di gran lunga il tono di voce, facendolo risultare tremendamente simile a quella di una qualche vecchietta inglese.

"Louis, taci." Concluse allora Liam ridacchiando, gli era bastato poco per appiccare un degno falò. Così i ragazzi - escluso Louis naturalmente - aiutarono Liam a sistemare qualche poltroncina da esterno intorno alla fonte di calore, afferrarono qualche bustina colma di varie caramelle confezionate si apprestarono a sedersi, coperti seppur fosse inizio agosto con delle trapunte, seppur leggere.

"Okay, vi devo dire una cosa. Sento che nascondendovela ancora impazzirò." Spiegò Niall dopo aver sospirato pesantemente, attirando così l'attenzione degli altri unicamente su di sé.

"Sono innamorato di una zingara." Continuò poi mantenendo lo sguardo fisso verso il basso, incidendo con la punta delle scarpe ghirigori e disegni senza senso sul terreno e inziando quindi a raccontare, partendo ovviamente dal primo giorno di scuola.

"E poi?" Lo incitò Liam, posandogli una mano sul ginocchio. Aveva compreso subito che il biondo, parlandogli, stava facendo uno sforzo non indifferente.

"E poi... Dopo il funerale della madre mi ha mandato un messaggio, dicendomi di raggiungere il nostro 'luogo felice', come lo chiamava lei."

"Arrivato lì, ho trovato la casetta distrutta e una lettera firmata, naturalmente, 'Allin'... Che ho conservato." Nel dirlo l'irlandese tirò fuori da una delle tasche dei suoi skinny un pezzo di carta, che aveva tutto l'aspetto di essere stato preso tra le mani più volte.

"Tornato a casa, dopo averla letta - incominciò quindi a raccontare Niall, passando ai suoi amici la lettera della gitana - le ho mandato un messaggio. Poi mio padre, per evitare che provassi a cercarla ancora, ha disattivato la mia vecchia scheda sim. Sapete la cosa strana? Ho scoperto che anche il suo numero, adesso, risulta essere inesistente. Quindi mi ritrovo a non avere alcun collegamento con lei... E non a caso ho scelto di registrare, ogni sera, un video, come se scrivessi pagine di diario. Questo perché quando e se mai la troverò, potrò dimostrarle concretamente che io ho continuato a pensare a lei, giorno dopo giorno..."

“La amo così tanto!” Niall guardò il cielo, era buio e aveva un che di malinconico, essendo infatti privo anche della luna.

Gli somigliava, quel cielo. Come lui appariva triste, incompleto, senza la luna, Niall appariva triste ed incompleto senza la sua Allin.

"Pensi che diventando famoso riuscirai a trovarla e nel contempo a farti trovare, vero?" Mormorò Liam togliendo la lettera dalle mani di Louis, per poterla leggere.

"È ridicolo.... Lo so." Si ritrovò ad affermare il biondo, asciugandosi velocemente una lacrima, prima che questa cadesse lungo il suo viso, diventando così la prima di una lunga serie.

"No, invece. Se è come dici tu, se davvero Allin non c'entra niente con questa lettera, volerla cercare non è affatto ridicolo." Commentò il maggiore, sospirando dolcemente.

Si sentiva come un fratello da seguire, per quei quattro ragazzi, anche se, in fin dei conti, era lui il bambino del gruppo.

"Ma vi prego!" Zayn lesse le prime tre righe dello scritto poi, visibilmente frustrato, si alzò di colpo dalla sua sedia.

"Zayn?" Harry seguì il gesto del moro, rizzando in piedi, per poi stringergli una spalla e lanciargli uno sguardo inceneritore.

"È assurdo! Quale mostro avrebbe potuto architettare una cosa simile?!" L'anglo-pakistano si scrollò di dosso il riccio, allontanandosi infine dal resto del gruppo.

Solo quando raggiunse il piccolo laghetto appena fuori dalla proprietà del patrigno di Harry, si rese conto di esser stato troppo duro, reagendo così. A sua discolpa c'è da dire che rabbrividiva alla sola idea di dover consolare, un domani, un Niall triste ed avvilito, perché stato vittima per troppo tempo di una semplice illusione. Fu quando Zayn sentì dei passi avvicinarsi che i suoi occhi si inumidirono, tanto che le fioche luci dei cottage lì vicino diventarono sfocate ed imprecise.

"Niall, io non voglio che tu stia male." Mormorò poi, quando l'irlandese gli si fece sempre più vicino.

"Scusami..." Rispose questo, sedendosi infine accanto a lui sull'erba umida, tipica dei prati inglesi.

"E di cosa Nì?" Domandò Zayn. Era stato lui ad esagerare, non Niall, in effetti.

"Beh...”

"Beh niente. Io ti voglio bene, bene davvero. Per questo ti aiuterò a trovarla, ma ti ricorderò sempre di non illuderti. E se dovesse andar bene sarò il primo a festeggiare con te, se lei ti darà prova della sua innocenza piangerò dalla gioia, e se dovesse andare male, ci sarò comunque, sarò pronto a tutto pur di tirarti su il morale."

"Grazie Zayn."

"Di niente, fratello." E così il moro abbracciò Niall, sorprendendolo.

Pensandoci, il biondo lo aveva definito spesso un 'ragazzo da parete', e aveva completamente ragione a ritenerlo tale. Zayn infatti amava ascoltare, guardare gli altri, studiarli con cura e nel dettaglio, scovare dentro i loro sguardi, leggere nei loro occhi e cogliere ogni sfumatura di sentimento nella loro voce. E sì, lo aveva capito. Zayn aveva capito perfettamente Niall. La sua risata, a quei tempi, insieme al suo sorriso, era fin troppo forzata, fin troppo fragorosa per essere sempre sincera fino in fondo. Eppure, da bravo e riservato ragazzo qual era, l'anglo-pakistano non aveva osato fare domande a quel simpatico e dolce irlandese con cui avrebbe voluto legare di più. Per questo, in quell'istante, stretto a lui, non poteva far a meno di sorridere, di carezzargli la nuca, consolandolo. E in quel momento entrambi capirono che ci sarebbero sempre stati, l'uno per l'altro. Niall avrebbe sopportato la schiettezza di Zayn, Zayn avrebbe sopportato lo sperare incessante di Niall. Infine, nel più bello, ai due ragazzi si aggiunsero Liam, Harry e Louis che arrivarono non proprio silenziosamente. Così, stretto in un abbraccio a dir poco stritolante, Niall sorrise. C'è da dire che, finalmente, lo fece con gioia, lo fece per davvero. Infondo, aveva capito che ce l'avrebbe fatta ed, ormai, era già certo, che la sua romantica ricerca l'avrebbe vissuta al fianco di quei quattro ragazzi. Ognuno diverso dall'altro, ma con un sogno e un rapporto d'amicizia e fratellanza a legarli.

* * *

"Mi hai rovinato la vita." Disse qualcuno spuntando fuori dal nulla.

"No! Niall non è così!" Esclamò di colpo Allin. L'aveva riconosciuta, la sua voce.

"Mi hai solo rovinato la vita." Continuò quindi il ragazzo, avvicinandosi a lei con poche grandi falcate.

"Lasciami spiegare!"

"Mi fai schifo." Niall rivolse all'acrobata uno sguardo glaciale, colmo di rancore, di odio.

"Niall, ti prego!" Allin sentì gli occhi pizzicare fastidiosamente, accorgendosi che alcune lacrime tentavano dispettose di bagnarle il viso. Lo stesso viso pallido che, da qualche settimana, aveva ripreso a sbriciolarsi come friabili biscottini da thé.

"Tornatene al circo che tanto ami! Ormai non sei nessuno per me." Il ragazzo le si avvicinò ancora, la guardò dall'alto verso il basso, alzandole poi il viso con una mano, restando immobile.

Allin poté sentire il suo respiro carezzarle il naso, le guance, le labbra. Non era lo stesso respiro dolce che riusciva a percepire tempo prima, bensì era un respiro irregolare, violento, aggressivo.

"Nì... Per favore." La voce di Allin risultò così flebile, così debole e soffusa da far di quel sussurro una supplica. E forse sì, la ragazza stava supplicando l'irlandese di baciarla, bramando le sue labbra rosee mentre riusciva a sfiorarle con le sue.

"No." Fu la risposta secca del ragazzo.

"Ti amo!" Urlò Allin all'improvviso. La ragazza spalancò gli occhi, portandosi le mani sul cuore, che sembrava esser pronto a cedere.

Con impulsività, la bionda si rizzò a sedersi nel letto.

"Un incubo." Constatò poi, portandosi le mani sul cuore.

Il suo respiro era irregolare, agitato, inquieto. Le era sembrato così vero, quel sogno.

Avrebbe dovuto aspettarselo, la ragazza, che, imponendosi di non pensare a Niall, durante tutto il giorno, il suo inconscio le avrebbe fatto brutti scherzi la notte. E quella lì, non rischiarata né dalle luminose stelle, né dalla bianca luna, Allin la passò con le lacrime agli occhi, stretta ad un cuscino fin troppo freddo e duro, per le sue braccia che richiedevano supplichevoli di stringere ancora il corpo di Niall. Ma Allin no, non ascoltava il suo corpo, non ascoltava il suo cuore, ma razionalizzava ogni cosa, elaborandola unicamente con il cervello. Eh sì, Allin era decisamente tornata al solito vivere, comportandosi come aveva sempre fatto prima di incrociare per la prima volta gli occhi chiari ed estremamente profondi di Niall L'ultimo anno, a Mullingar, la bionda lo aveva iniziato a ridurre all'essere stato una minuscola parentesi di vita quasi del tutto insignificante, che aveva la certezza di dimenticare senza difficoltà, con il passare incessante degli anni. Fredda, distaccata, aveva ripreso a rispondere usando solo veloci, atoni monosillabi, non parlando mai di sua spontanea volontà, neanche con la maggiore delle sue cugine, Leena che, insieme al resto della compagnia circense, aveva raggiunto Madrid, la capitale spagnola, poco dopo di lei. E in quella città, c'è da dire, la sua vita era completamente cambiata. Allin aveva infatti avuto modo di conoscere molti altri gitani, kalé, come Gonzalo, velocemente aveva dovuto riprendere a parlare spagnolo e il suo allenamento giornaliero era diventato un vero e proprio inferno. Quella mattina di inizio Agosto, ad esempio, la bionda era giunta in pista all'alba. Del resto, aveva ben poco da fare, se fatta eccezione per le chiacchierate con cui ingannava il tempo insieme alle sue cugine e con gli altri ragazzi della compagnia.

Afferrato il cerchio, la ragazza incominciò a volteggiare in aria, destreggiandosi con il suo cerchio. In sottofondo, una musica lenta sembrava cullarla. L'acrobata non trasmetteva alcuna emozione, eseguiva gli ordini del padre non lamentandosi minimamente, limitandosi ad annuire, stringendo i denti. E l'uomo, ormai a capo del circo, giova seduto sugli spalti battendo di tanto in tanto il ritmo con le mani, perché Allin si era rivelata ancora una volta la sua fonte di soldi più cospicua, l'attrazione più richiesta. Ed effettivamente, senza distrazioni, con ore e ore di allenamento extra, Allin era diventata in grado di regalare al pubblico esibizioni sicuramente rare. E il bello è che nessuno si accorgeva delle lacrime che bagnavano le sue guance. Lacrime di cui non riusciva a fermare lo scorrere compulsivo. Lacrime passive, lacrime colme di ricordi e malinconia, gocce di memoria che seguitavano a bagnarle parti svariate del viso come stessero giocando, a causa della forza di gravità. C'è da dire che queste lacrime pero' erano l'unica debolezza di Allin che, per il resto della giornata, indossava costantemente una maschera di tranquillità ed indifferenza così convincente da risultare vera anche a lei stessa, una maschera che sembrava essersi fusa con il suo essere. E forse sì, Allin non era più la Allin di un tempo, forse neanche quella che era stata prima che di innamorarsi perdutamente di Niall. La bionda era cambiata, tornata ad essere ancor peggiore rispetto ad un anno prima, perché più matura, più donna.

"Allin, tua madre ti ha lasciato questo. Mi ha chiesto espressamente di dirti di non rivelare a nessuno, neanche a me il suo contenuto." Fu questa frase della zia, che la raggiunse non appena finì di allenarsi in quella grigia mattina d'estate, a cambiare tutto.
 

Spazio autrice
 
Okay, ci sono. Indovinate? Anche stavolta il capitol postato non mi fa impazzire, tuttavia mi sono imposta di non annoiarvi con le mie lagne, dunque passo subito a commentare.
-Tenete bene a mente le parole di Zayn e degli altri ragazzi, perché presto torneranno a galla.
-Cosa ha lasciato la madre ad Allin? Perché questa necessità di far restare questa cosa segreta a tutti?
Visto che ci sto, vi do anche un'anticipazione del prossimo capitolo. Lo sto già scrivendo e potrei postarlo anche sabato sera/domenica mattina. Leggerlo sarà come mandare avanti un film, accelerando ogni scena. Non so se mi sono spiegata bene, spero di sì! Alla fine di questo, se tutto va come dovrebbe andare, arriverà il diciottesimo compleanno di Allin e la storia prenderà una nuova piega... Importante.
Che altro dirvi, spero che, sebbene questo non sia un capitolo eclatante, non mi abbandoniate, continuando a recensire. Inoltre invito chi non lo ha mai fatto a farmi sapere un suo parere generale sulla fanfiction, fino ad ora, perché sta, come già detto, subendo una svolta.
Concludo ringraziando per le 286 recensioni, un numero davvero alto che mi fa rabbrividire dalla felicità, giuro! E inoltre, ringrazio le 69 -che numero, gente- persone che mi hanno inserita tra gli autori preferiti del sito... Grazie mille, di cuore!
Giorgia.

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Capitolo 10
*** Castle of cards. ***


Castle of cards.

Io vi avviso, c'è un alto tasso di dolcezza in questo capitolo, tanta malinconia e molta matematica! Poi che altro... Un bel colpo di scena. Sì, magari non tanto bello, ma sempre di colpo di scena si tratta! Beh, buona lettura e, come faccio ormai da tempo, vi invito a recensire e a fermarvi a leggere lo spazio autrice! 


"Un... Un carillon?" Allin afferrò incerta la scatolina in legno che le stava porgendo la zia Jazmine.

La bionda si rigirò il carillon tra le mani, accarezzandone la liscia superficie lignea, andando poi a sfiorare le incisioni intagliatevi sopra.

"Non so se ci sia qualcosa dentro, ma credo di sì." Spiegò poi la donna, incrociando confusa le braccia sul proprio petto prosperoso.

"Servirebbe una chiave, per aprirlo. Senza quella non può neanche suonare." Allin passò il dito sulla piccolissima serratura, nella quale sarebbe dovuta essere girata la chiave.

"Marie non mi ha dato altro, ne sono certa."

"Bene..."

"Allin, conosco mia sorella. Era furba e ti voleva un bene dell'anima. Pensi davvero che non sapeva che te ne andrai, non appena diventerai maggiorenne?"

"Lo sai pure tu..." Affermò Allin, chiudendosi delusa nelle spalle.

"Lo sappiamo tutti. Anche tuo padre."

"Non chiamarlo così, ché non è mai stato un padre per me. Neanche da quando è morta la mamma."

"Allin, ma dove andrai? Senza soldi poi!" Jazmine carezzò la nipote sulla guancia rosea, con affetto quasi materno.

"Chissà. Se come dici tu, mamma era furba, in questo diamine di carillon ci dovrà pur essere qualcosa."

"Ogni posto meglio di qui, meglio dei gitani?" Domandò la donna, impressionata dalla decisione palpabile nelle parole della giovane acrobata.

"Il clan di mio padre è colmo di pazzi. Senza scrupoli, rapinano per divertimento, uccidono per una litigata, sono vendicativi, cattivi. Perché dovrei restare qui?" Allin guardò la zia negli occhi chiari, rivedendovi per un attimo quelli della madre.

"Parli come una quarantenne." Jazmine abbracciò la bionda, dando voce ai propri pensieri

"E forse lo sono davvero, benché abbia l'aspetto di un'adolescente." Cominciò Allin, arrestandosi quando quello che sembrava essere l'inizio di un pianto le fece tremare la voce.

"Sono dovuta crescere da quando ho iniziato ad avere a che fare con il circo, con questo cazzo di circo!" Continuò poi, stringendo la zia come aveva fatto poche volte nella vita.

"E Niall... Niall mi stava facendo tornare un po' bambina. Sai, quella bambina che ero prima. Così curiosa del mondo che la circondava, capace di sorprendersi per poco e niente, quella bambina allegra e felice che sono stata per troppo poco tempo." Una lacrima scese lungo il suo volto giovane, arrivando a bagnarle il collo.

"Mi dispiace..." La donna si pietrificò, solo immaginandosi il dolore provato dalla diciassettenne.

"Pazienza, nessuno può aiutarmi." Allin si asciugò una lacrima, quindi si liberò dalla stretta della zia.

Così afferrò una sua felpa posata all'estremità della pista sabbiosa, se la infilò velocemente e poi se ne andò, uscendo dal tendone senza passare neanche dalle quinte, bensì dall'ingresso principale. Con solo un body, e una felpa, fregandosene di tutto e tutti, facendo sempre più spesse le sbarre della prigione in cui aveva rinchiuso il suo cuore, con la speranza che, un giorno, queste lo avrebbero del tutto inglobato, rendendolo indistruttibile. La ragazza poi si guardò intorno, spaesata. Quel regalo -sempre se così poteva chiamarlo- della madre l'aveva un po' scossa. Da quando era morta aveva avuto l'impressione che, prima o poi, avrebbe ricevuto un qualcosa da lei, ma non pensava di certo ad un carillon, di cui, inoltre, non aveva neanche la chiave. Per questo, quando entrò nella sua roulotte, Allin posò malamente l'oggetto sul tavolino basso che, se una volta era quasi costantemente soffocato da libri di matematica, filosofia, letteratura, in quel momento lo era di dizionari e testi per imparare lo spagnolo.

"La mia vita è un vero disastro, adesso. Sono un pesce fuor d'acqua qui." Mormorò Allin sedendosi sul letto, vedendo con la coda dell'occhio il suo riflesso ad un specchio dalla cornice in legno dorato.

Avrebbe voluto piangere davvero, non limitandosi a qualche lacrima incontrollata ed inutile. E lo avrebbe fatto, se solo ci fosse riuscita. Avrebbe gridato, quasi invocato, il nome di Niall, ma no: Lei non lo fece. Non l'avrebbe aiutata a dimenticare. E, sotterrando la testa sotto ad un cuscino pensò che, infondo, Leopardi, poeta che tanto aveva detestato durante il periodo delle interrogazioni, aveva avuto ragione a dire che la felicità non è che un momento di spensieratezza tra un male e l'altro. Ed è dolce pensare che, nel lasciarsi andare a queste costatazioni profonde, Allin si sentiva sì donna, ma anche incapace di poter parlare dei suoi problemi alle cinque, sette persone con cui si confrontava prima, perché troppo diversa ed estranea a loro. Quante volte la bionda si sgridava da sola, stando male, perché si impegnava eccome per farsi piacere il circo, per farsi simpatica agli occhi degli altri gitani, di quelli che erano poi suoi parenti, ma, alla fine non riusciva in questo suo intento. Era come se avesse una sorta di rigetto nei loro confronti e quando si ritrovava da sola, dopo ogni spettacolo, come ogni sera, incominciava a singhiozzare così forte da essere scossa da conati di vomito.

* * *

"Allin! Guarda un po' chi ti presento... Loro sono Liam, Louis, Harry e Zayn!" Esclamò Niall davanti alla stessa telecamera davanti alla quale ormai era diventata una routine parlare.

"Ciao Allin!" Aggiunsero tutti in coro, compreso l'anglo-pakistano, con un sorriso sulle labbra.

"Okay, allora. Aggiorniamola sui fatti, tanto sa già tutto di voi." Niall fissò i ragazzi, sentendosi incredibilmente in imbarazzo.

Zayn, allora, anche se restio e non pienamente convinto del suo ragionamento sulla ragazza, gli passò la mano tra i capelli biondi, sapendo che, questo lo rilassava immediatamente.

"Siamo atterrati a Marbella giusto oggi. Siamo a casa di Simon, per gli Home Visit." Incominciò Liam, facendo poi un occhiolino a Louis, incitandolo a continuare, a sostenere il compagno di band.

"E ce la stiamo facendo sotto dalla paura." Intervenne allora il maggiore ridacchiando vedendo Harry mangiarsi le unghie.

"Se deluderemo Simon, infatti, non solo il nostro sogno andrà a farsi fottere, ma non riusciremo a cercarti, concerto dopo concerto, città dopo città." Aggiunse lui stringendo agitato il braccio di Louis.

"Quindi niente, dobbiamo farcela." Costatò Zayn, rivolgendo uno sguardo d'intesa ai suoi amici.

Buona parte della video chiamata si svolse così, in allegria, assumendo tutt'altro tono quando Niall si ritrovò solo.

"Allin, ricordati che io ci sono e che ci sarò, okay? Anche se non sarà facile, noi torneremo insieme. Smuoverò il mondo intero, se questo mi porterà a riabbracciarti. Perché senza te, io vivo male. Come potrebbe, del resto, una persona vivere bene con alcune parole incastrate da ormai troppo tempo in gola e tante emozioni incastrate tra le costole?" Lo spirare del vento caldo spalancò la porta della camera che Simon aveva gentilmente offerto a lui e agli altri ragazzi, lasciandogli una carezza sul volto. E Niall chiuse gli occhi, ed aprì le narici, godendosi il caldo penetrare nella sua pelle e l'odore del mare, del cloro e dei fiori del giardino annebbiare i suoi sensi.

* * *

"Sai dove sto, adesso?" Così Niall iniziò quella registrazione.

"Sono nel nostro luogo felice... O in quel che ne è rimasto." Niall si sforzò di sorridere davanti alla telecamera interna del suo pc, non ottenendo poi buonissimi risultati.

"È strano, ritrovarsi qui.” Costatò poi, guardandosi attorno.

Assi di legno rotte, alcune piume sparse qua e là, appartenenti all'imbottitura di qualche cuscino, schegge di vetro, provenienti dalle finestre rotte, limitate ormai ad essere buchi tra le mura di lignee malridotte. Tutto era rimasto esattamente come quella fatidica sera del venti Giugno.

"Preparati, perché stasera voglio parlare un po' di più perché, come sai, non potrò farlo per un bel po'...” Cominciò Niall, curvando le labbra in una smorfia di tristezza: proprio non gli andava giù il non poter registrare più video per tutta la sua permanenza nel talent show più famoso del Regno Unito.

"Ti prego promettimi che non mi scorderai, in questo lasso di tempo, e io ti prometto che farò di tutto per raggiun..."

"Oh, Allin!" Niall non riuscì a finir di pronunciare la sua promessa, perché calde lacrime iniziarono a rigargli il volto, mentre incastrò la testa tra le ginocchia.

"Che poi... Mi sento un cretino, un imbecille: parlo con una videocamera! Sto forse impazzendo? Io non lo so più. Non so più rispondere a questa mia stessa domanda... Forse il mio è tutto un film, una speranza che si sta trasformando in follia. E forse sì, forse mio padre, mia madre, i miei parenti, Zayn hanno ragione. Davvero te ne sei andata da me? Davvero mi hai mentito? Amore, non sai quanto vorrei poter posare di nuovo le labbra sul tuo collo, poter sentire di nuovo il tuo respiro sulle mie palpebre, quando, ad occhi chiusi, passavo minuti interi ad inebriarmi del tuo profumo e del tuo tocco leggero sul mio corpo. Mi sento incompleto senza di te. Vivo nell'illusione di ritrovarti, ma poi, ogni tanto, crollo. Guardami, sto crollando anche adesso."

Niall, dopo questa serie di frasi, dette anche confusionalmente, senza un evidente filo logico a collegarle fra loro, scoppiò a piangere. Non lo faceva da tanto in fin dei conti, dalla sera in cui si era sentito pronto a raccontare ai ragazzi di Allin.

Un dolore intimo, ma così potente da farlo rannicchiare su se stesso, si espanse quindi dal petto, divorando, molecola dopo molecola, il suo corpo. Il ragazzo si stropicciò gli occhi con entrambi i pugni, così serrati che le nocche risultavano essere bianchissime.

Passò un'ora così, alla fine della quale gli occhi del biondo non sembravano neanche completamente umani. Rossi, colmi ancora di lacrime, semichiusi e velati dalla tristezza. E, se questi erano lo specchio del suo essere, il suo viso da cherubino, cornice di due labbra, screpolate e gonfiate da morsi, dati con la speranza di farle smettere di tremare, lo erano ancora di più

"Ogni tanto, quando cedo, in momenti come questo, non posso far altro che pensare che il tuo discorso sugli opposti aveva senso. Forse non è poi così vero che si attraggono. Infondo, me lo ricordavi tu, preoccupata che tra noi sarebbe potuta finire.” Niall prese fiato, poi proseguì.

“'In un’equazione se sono presenti valori come 2 e -2, x e -x, la prima cosa che fai è semplificarli.'” Recitò quindi, ripetendo le parole esatte pronunciate da Allin.

“E quindi sì. Se prima ti ripetevo che la Matematica c'entra zero con l'uomo, adesso ti dico che, in questo caso, è una cosa sola. Gli opposti non si attraggono assolutamente, gli opposti si annullano. Così eravamo noi, se ci pensi. Tanto, troppo, completamente diversi. Io con la mia spensieratezza, tu con i tuoi problemi a pesarti sulle spalle. Io con una famiglia a sorreggermi, tu sola, appartenenti a due mondi completamente distaccati. Mai niente saprà legarci, non trovi? Ma se tu mi hai amato e mi ami tutt'ora, se la mia speranza coincide con la realtà, l'amore ci lega già e lo farà ancora.” Niall sorrise, riemergendo dal suo momento di tristezza, risorgendo dalle sue stesse ceneri, come fosse una fenice.

"Ho deciso, Allin. Per continuare a vivere bene devo pur credere in qualcosa e allora scelgo di credere definitivamente e senza dubbi o ripensamenti nel tuo amore. E so che la strada è lunga, so che inciamperò, so che cadrò. So che sto ancora imparando ad amare, ad amare te, lo sto facendo ogni giorno, semplicemente iniziando a gattonare lungo la via che mi riporterà da te." Queste furono le ultime parole che Niall mormorò, prima di chiudere la telecamera che, da una parte, sperava di riaccendere dopo molto tempo, considerando il suo desiderio di volere arrivare fino alla fine del programma televisivo.

E, infondo al suo cuoricino malandato, il biondo era certo che non avrebbe smesso di credere ad Allin. Perché Allin era l'amore, e l'amore la sua linfa vitale.

* * *

"Allin! È successa una cosa incredibile!" Quel dieci Ottobre fu Leena a svegliare la giovane acrobata, ancora intrappolata nel mondo dei sogni, o meglio, degli incubi.

"Leena!" La bionda si svegliò subito. A pensarci bene,era abituata a rizzare in piedi alle prime ore del giorno, perché molto spesso e volentieri il padre la chiamava per mandarla a pulire le gabbie degli animali, o talvolta gli spalti, o magari la pista.

"Allin, non puoi capire cosa abbiamo visto in strada!" Anche Hannah accorse euforica dalla cugina, sedendosi di peso sul suo letto.

La bionda squadrò le due ragazze con uno sguardo confuso a crucciarle il volto stanco, sempre più sciupato a causa della tristezza che si era rivelata in grado di chiuderle la gola.

"Ditemi che succede..." Biascicò infine, sbadigliando, stiracchiandosi un po'.

"Niall, Allin... Il tuo Niall!" Spiegò Leena scuotendo l'acrobata per le spalle, vedendola imbambolata, tacita.

Come non comprenderla, il solo udire il nome dell'irlandese era in grado di arrestarle il battito cardiaco, facendolo successivamente aumentare così tanto da arrivare a rimbombarle nelle orecchie.

"Il mio Niall." Mimò con le labbra, non riuscendo a pronunciare alcuna parola.

"Lo abbiamo visto sulla copertina di una qualche rivista inglese: è andato ad X-Factor ed è stato preso!" Spiegò entusiasta la minore tra le due sorelle, prendendo il viso della cugina tra le mani.

"Ha formato una band con altri quattro ragazzi, gli One Direction si chiamano, e ieri hanno partecipato alla prima puntata del talent!" Aggiunse poi. Allin sorrise: aveva sempre saputo che Niall ce l'avrebbe fatta a realizzare il suo sogno.

"Capisci?! Ti basterà andare lì, a Londra, per incontrarlo e chiarire tutto." Leena la fece facile, così innamorata dell'idea dell'amore da risultare più infantile della piccola Hannah.

"Non andrò mai. Non perché mio padre mi ammazzerebbe, ovvio. Ma sono minorenne e preferisco aspettare i diciott'anni, per poi partire e non tornare più. E quando me ne andrò, non raggiungerò di certo Niall. Non dopo avergli rovinato la vita..." La bionda assunse un'espressione dolorante, quasi qualcuno le stesse infliggendo dolore fisico.

"Ma Allin, lui non sa la verità! Non sa che è stato tuo padre ad obbligarti a lasciarlo senza nessun preavviso, scrivendo di suo pugno quella dannata lettera!" Solo quando finì di parlare, Leena si rese conto di aver esagerato ad alzare la voce, inginocchiandosi e posando i gomiti sul letto di Allin, guardandola negli occhi.

"Io non... Non lo amo più."

"Cugina, sei strana sai? Si vede benissimo che ancora pensi a lui."

"Tanto questo cosa cambia? Lui diventerà famoso, anzi, già lo è! Una zingara con un cantante... Giusto in qualche libro o in una fanfiction potrebbe funzionare un amore tra due persone così diverse!”

"Allin..."

"No Leena. Allin niente. Ricordi tutto il mio fomentante discorso appena tornata il primo giorno di scuola!? Quando ero tutta felice dopo che Niall mi aveva rivolto parola!? La teoria degli insiemi!?” La ragazza si alzò dal letto, appoggiandosi al davanzale della finestra della piccola roulotte.

“'I nostri nomi sono composti dalle stesse lettere!'” Ripeté a memoria Hannah. Tantissime volte aveva sentito raccontare dalla cugina di quel giorno.

"'E se uno viene sottratto all'altro questo si annulla!'” Aggiunse Leena, dondolandosi incerta su una gamba.

"Quanta verità!" Commentò Allin, visibilmente infastidita, ma solo perché troppo triste e stanca da poter reagire diversamente.

"E sai cosa c'è!? C'è che è sempre stato A-N, non N-A. Chi vieni sottratto a chi? Chi rimane? Chi si svuota? La A!” E allora sì, Allin pianse davvero.

Non senza controllo, non senza accorgersene come accadeva di solito.

"Lo ami ancora." Costatarono le due sorelle, abbracciandola.

"Lo amo più di prima." Ammise lei, con due lacrimoni ad offuscarle la vista quasi completamente. I ricordi, come lame taglienti la stavano lentamente consumando, dissanguando. Come poteva non amare Niall?

Lui, che era stato il solo a distruggere letteralmente il muro che aveva posto tra lei, la sua vita e tutte le altre persone che non ne facevano già parte.

Lui, che l'aveva ascoltata, compresa, sempre aiutata.

Lui, che sicuramente -a suo parere- la odiava più di chiunque altro al mondo.

Lui, che non avrebbe più voluto vederla.

E quindi sì, Allin amava ancora Niall, lo amava tanto che al solo pensarlo affianco a lei, nei momenti di abbandono e solitudine, in cui la Luna e le stelle erano le sole ad illuminare la sua vita, farfalle nel suo stomaco incominciavano a sbattere incessantemente e violentemente le loro ali. Quasi volessero uscire dalla loro abbia, quasi volessero diventare libere. Un po' quello che voleva diventare Allin, effettivamente.

"Senti, Lin. Facciamo una cosa. Andiamo in qualche computer center e vediamoci la prima puntata di X-Factor insieme!" Propose la più grande, prendendo dall'armadio della cugina qualcosa da farle indossare.

"Farebbe troppo male." Le rispose lei.

"Davvero non vuoi sentirlo cantare?"

"Allin, io so a cosa pensi. Non pensare al dopo, pensa al presente. Vuoi vederlo, vedilo! Se poi starai male, noi saremo qui, pronte a consolarti e ad infonderti ancora la speranza.” Bastarono le poche parole di Hannah, sature di bontà, a farle cambiare idea.

* * *

"Papà... Potrei uscire, solo per stasera, con Hannah e Leena? Vorremmo andare a farci un giro qui vicino, giusto per vedere Madrid.” Mormorò Allin, con timore.

La ragazza si era apprestata ad andare a chiedere al padre il permesso di andare con loro, sperando che, colpito dal suo modo di porsi lui avrebbe acconsentito. “Tanto vale vederlo.” Ripeteva a se stessa, seppur consapevole che, poi avrebbe sofferto di più, avendo ancor di più la certezza che a lui non mancasse affatto.

"Stasera tu devi esibirti. Quante volte ti ho ripetuto che ci sarà un pezzo grosso a cui non posso negare il piacere di vederti?" Gonzalo si voltò verso di lei, che non aveva osato neanche varcare la soglia della sua roulotte. L'espressione del suo viso avrebbe fatto venire la pelle d'oca persino agli scheletri.

"Ma papà, possibile che io debba sempre esibirmi? A Leena e ad Hannah permetti di saltare tantissimi spettacoli! E a me, a tua figlia, non permetti questo lusso neanche una volta!" Esclamò Allin sbuffando, guardando il dominatore di tigri negli occhi scuri. Solo dopo qualche secondo, quando la ruga tra le sopracciglia dell'uomo divenne sempre più evidente, si rese conto di aver ampiamente esagerato.

Il suo cuore, spaventato, prese a battere a più non posso. Il suo ritmo divenne sempre più celere. La bionda sembrò essere una gazzella, spaventata e pentita dall'essersi avvicina troppo al leone, che si passava la lingua sui denti, respirando pesantemente, tendendo i muscoli per poi iniziare a darle la caccia.

"Allin, mi stai urtando." Gonzalo sospirò ancora, posando sul suo viso un'invisibile maschera di tranquillità.

“Ti prego..." Biascicò la diciassettenne, guardandosi intorno, abbassando lo sguardo a terra.

"Allin, non cominciare.” Ricevette come risposta. E questa volta sì la voce dello zingaro risultò cupa e tenebrosa, quasi proveniente dall'oltretomba.

"Mi hai strappata dall'Irlanda, fatta odiare da un'intera famiglia senza motivo e non mi sono mai lamentata! Sei davvero il padre peggiore che potessi mai avere!" Così, con queste parole, dopo mesi e mesi di silenzio, Allin esplose letteralmente, urlando tanto da risultare udibile anche alle due cugine, che l'aspettavano a debita distanza.

"Basta Allin! Basta!" Come lei, anche Gonzalo raggiunse il suo limite, scattando dalla frustrazione, inveendole contro, facendo cascare un vaso di cristallo a terra, che si ruppe in mille pezzi.

Allin incrociò lo sguardo del padre. Stava arretrando fuori terrorizzata, quando lui la afferrò saldamente per i polsi, facendola entrare e poi aderire con la schiena alla carrozzeria della roulotte, bloccandole le mani sopra la testa.

"Io non sono tuo padre.” Sibilò infine.

Una frase e la vita di Allin si rivelò un'enorme bugia. Poche parole e le sue certezze crollarono tutte insieme, come un castello di carta crolla inevitabilmente al soffio di fiato troppo forte. Allin guardò il suo riflesso in un pezzo di cristallo caduto a terra. Non seppe riconoscervisi.


 

Spazio autrice

Buona sera! Prima di lasciarmi andare in un discorsetto dolcioso, beh, commentiamo questo capitolo. Allora, colpo di scena. Allin non è figlia di Gonzalo. Non solo, ha questo carrilon datole dalla madre. E cosa ci sarà dentro? Come potrà aprirlo? Questo capitolo mi piace. Mi piace da morire e non so quale sia il vero motivo. Inizialmente non mi convinceva, eppure rileggendolo due, tre volte ho cambiato idea. Amo la parte di Niall, e quella di Allin. No, sono sincera. Amo la parte in cui c'è in mezzo la Matematica e soprattutto viene svelato il perché del titolo, la scelta di dare il nome "A-N" anziché "N-A". Mi piacciono anche le tante similitudini, tipo quella della gazzella e del leone. Detto questo, vi anticipo che beh, nel prossimo capitolo buona parte sarà dedicata ad Allin, e Niall, invece, avrà uno spazio minore. Dopo il prossimo, pero', Niall tornerà ad essere molto presente, come ora. Bene. Concludo con la parte più dolce. Io non so come ringraziarvi, davvero. Questa storia sta raggiungendo livelli che, beh, non credevo possibile. Pensavo che la mia precedente storia fosse solo una meteora, che dopo quella non avrei più avuto così tante e belle lettrici come voi. Ed è bello sapere che mi sbagliavo, è bello sapere di essere tra gli autori preferiti di ben settanta persone e che questa storia piaccia già a centoquarantadue persone. Cioè, ci credete che mi sembra di sognare. Avete tutto il mio bene, perché nei momenti di tristezza mi basta rifugiarmi qui su Efp per stare bene, mi basta vedere il numero di persone che recensiscono, che apprezzano le mie storie per capire che non sono proprio un fallimento, non in tutto. Quindi beh, continuate così, continuate ad esser presenti, perché se anche io lo sono è merito vostro.
Ci becchiamo domenica!
Giorgia.

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Capitolo 11
*** Kidnapping. ***


Kidnapping.


 
Ed eccoci qui, con un nuovo capitolo -piuttosto movimentato, devo dire- di A-N! Spero che leggerete le note finali, ma intanto vi auguro una buona lettura e, come sempre, vi invito a recensire c:
 


 

“Che cosa?!” Allin strabuzzò gli occhi, il suo cuore prese a battere velocemente, sconvolto dalle parole di Gonzalo.

“Hai capito benissimo: io non sono tuo padre!” Ribadì l'uomo, quando vide la giovane imbambolata, come fosse stata inanimata.

“Mi avete... Adottata?” Balbettò lei, deglutendo rumorosamente la saliva accumulatasi in gola,vogliosa di andare via da quella roulotte, da quella nuova realtà che stava prendendo forma davanti ai suoi occhi.

“Possibile che ancora non l'abbia capito?! I tuoi lineamenti aggraziati, la tua pelle rosa pallido, i capelli così biondi. Sei la copia di tua madre, di Marie.” Le fece notare sgarbatamente il circense, abbassando lo sguardo rancoroso.

“Chi è mio padre?”

“Sei il frutto del tradimento di tua madre, sei la mia rovina!”

“Per colpa tua io sono diventato lo zimbello della comunità.” Gonzalo sembrò riprendersi dalla tristezza che lo aveva incupito istanti prima, calcando con cattiveria ogni parola, facendole assumere la forma di lama tagliente per Allin che incominciò confusa a rendersi conto che fino ad allora aveva vissuto in una bugia.

“Ma i figli di rapporti extraconiugali, secondo la nostra legge, dovrebbero essere uccisi o abbandonati...” Mormorò quindi la giovane acrobata, indietreggiando di qualche passo, come se quel allontanarsi l'avrebbe salvata da chissà cosa.

“Non se il padre non è uno di noi.”

“Sono figlia di un irlandese?” Quasi morbosa divenne la curiosità di Allin che, quando vide Gonzalo annuire, capì il comportamento della madre, la sua voglia di rompere le tradizioni gitane, le tante concessioni che le dava e che non avevano le sue cugine, la sua felicità nel saperla innamorata di Niall.

“Mi odi tanto, no?! Perché appena è morta la mamma non mi hai ucciso? Perché mi hai dovuto rovinare la vita, perché mi hai dovuto allontanare da Niall?” Ad Allin bastò pronunciare il nome del biondo per scoppiare a piangere, come ormai era abituata a fare.

“Quante sono le cose che non sai.” Si ritrovò a sospirare stanco lo zingaro, alzando gli occhi al cielo.

“Come può un clan assumere il controllo su altri? Alleandosi con un secondo.” Cominciò poi a spiegare.

“E, proprio per questo, presto, molto presto, tu ti sposerai.” Concluse l'uomo ridacchiando con allegria, godendo già del benessere che avrebbe avuto, a suo parere, da lì a breve.

“Sposarmi?! Ma che cazzo...?!” Che errore aveva commesso Allin, pensando che per sempre avrebbe vissuto senza dover preoccuparsi delle tradizioni dei Rom! La ragazza per poco non svenne di colpo, sentendo la terra sgretolarsi sotto di sé.

“Perché pensi che tu debba esibirti ad ogni spettacolo?” Domandò Gonzalo, divertito dalla reazione dell'adolescente ribelle.

“Per ottenere qualche pretendente, chiaro.” Si rispose da solo poco dopo, scocciandosi dal suo spalancare la bocca.

“Ecco perché non volevi che andassi a scuola dopo i tredici anni! Tu non volevi che mi opponessi a questo matrimonio combinato, non volevi che mi innamorassi di qualcuno a te non favorevole!” Sbraitò allora la bionda, realizzando a pieno la realtà, fremendo dal desiderio di scomparire, in quell'istante, per sempre.

“Finalmente. Finalmente ragioni come degna figlia di tua madre.”

“Tu l'amavi. Ecco perché mi hai permesso di fare cose che sono vietate nella comunità.”

“Sbagliato. Si è sempre trattato di soldi e non ne è neanche valsa la pena, dal momento che il famoso clan Dooley ci ha voltato le spalle il giorno stesso.” Gonzalo diede un pugno alla parete, sfogando il suo disprezzo, la sua rabbia repressa verso quel ricco ceppo nomade che tanto lo aveva fatto penare.

“Vattene. E preparati per stasera.” Mormorò poi, sentendo che la sua maschera di indifferenza stava per scomparire.

Allin incrociò lo sguardo aggressivo del dominatore di tigri, acconsentì spaventata e uscì dalla roulotte tremando come una foglia al soffio di vento, confusa come non lo era mai stata. Appena la videro uscire, le cugine le andarono incontro, con un'aria interrogativa sul volto.

“Non sono sua figlia.” Ripeté più volte Allin, non appena fu più vicina alle due.

Scioccate, le due tentarono di abbracciarla, tentarono di asciugare le sue lacrime che, senza controllo, le bagnavano il viso, ma la bionda le scacciò malamente, non dando loro la possibilità di pronunciare anche un solo “Mi dispiace”, incominciando a correre rapidamente verso il suo piccolo rifugio, senza mai voltarsi.

* * *

Appena vi fu dentro, la ragazza crollò a terra. Stremata, nervosa, disorientata, delusa, Allin si portò le mani tra i capelli, incominciando senza controllo ad annodarseli tra le dita. Lei, figlia di uno sconosciuto, figlia di una relazione vietata, figlia di una madre in cui aveva riposto tutta la sua fiducia, stata tradita.

Quasi paradossalmente, in un primo momento, Allin iniziò addirittura a trovare giustificata l'assenza, la cattiveria di Gonzalo, nelle vesti di padre. Infondo, sebbene lo nascondesse, aveva amato sua madre, glielo si leggeva in quegli occhi scuri come gli abissi, spesso coperti da un velo di indifferenza. Quanto dolore gli procurava aver la diciassettenne vicina, quanti ricordi lo struggevano da troppo tempo, quante volte aveva sofferto in silenzio quando, ad esempio, sino a dieci o undici anni, Allin provava spesso ad abbracciarlo, non riuscendoci mai.

"Perché? Perché?!" Discorsi sconnessi tra loro, ascoltati di nascosto e ritenuti prima senza senso, situazioni poco chiare, riaffiorarono nella mente della giovane donna, assumendo finalmente significato.

Il suo cognome, pensandoci bene, era una riprova delle parole di Gonzalo. La bionda si diede della stupida, sentendocisi sul serio. Aveva infatti sempre pensato che Dooley, il cognome della madre, le fosse stato dato solo per farla sentire più a suo agio a scuola, essendo di stampo inglese, e non aveva mai immaginato alla possibilità che, probabilmente, Gonzalo si era da sempre rifiutato di trasmetterle il suo.

Impotente, avvilita, Allin non poté evitare di immergere la testa in un cuscino, stretto tra le ginocchia, ancora tremanti.

"Ho vissuto in una bugia per diciassette anni." Si continuava a ripetere, tirando su con il naso, talvolta urlando, nel silenzio più totale.

E più pronunciava queste poche parole, più le si formava un terribile nodo in gola. Perché, diamine, era bastata una frase di Gonzalo per vanificare tutti gli sforzi fatti al fine di accettare -o meglio, sopportare- il mondo a cui credeva di appartenere.

In quell'istante, un lampo. Il cielo s'illuminò in modo quasi sovrannaturale, la sera di trasformò per un attimo, un attimo solo, in giorno. Poi uno, due, tre... Otto secondi ed un rumore, così potente da penetrare nelle orecchie e rimbombare in tutto il corpo, sorprese Allin, che scattò immediatamente in piedi. Era appena scoppiato un temporale.

La ragazza si asciugò per la centesima volta il viso e si andò ad inginocchiarsi vicino alla finestra del caldo abitacolo, cominciando a guardare la pioggia scendere impetuosa, sfogandosi come avrebbe voluto fare lei, se solo ne avesse avuto la forza fisica. Dapprima si limitò a lasciarsi distrarre dal rumore incessante, a volte forte, a volte più delicato, delle goccioline che s'infrangevano nel terreno, giocherellavano tra le fronde degli alberi, rimbalzavano sul tendone, picchiavano tetto della sua piccola roulotte. Poi, pero', Allin non poté far a meno di guardare il calendario affisso su una parete.

252

Eh sì, mancavano duecentocinquantadue giorni al suo diciottesimo compleanno. La ragazza rimase imbambolata a fissare quel numero che in quel momento apparì così piccolo, così vicino allo zero. Il suo sguardo poi si posò sulla sveglia rosa, poggiata distrattamente sul comodino. Mancava circa un'ora allo spettacolo serale della compagnia.

Un dettaglio, prima sembrato irrilevante se paragonato alla scoperta di non essere figlia di Gonzalo, la fece rabbrividire.

"Marito." Biascicò Allin, non riuscendo ancora a pronunciare una frase di senso compiuto.
Parte di lei, non si preoccupava affatto della sua probabile presenza allo spettacolo di quella sera. Non avrebbe sposato quello sconosciuto, neanche se obbligata.

Niall. Per lei c'era solo Niall.

Con questo nome fisso nella mente, la giovane si alzò da terrà, indossò un impermeabile ed uscì all'aperto.
Immediatamente, neanche a raccontarlo, la pioggia l'avvolse nel suo fitto manto. Allora, Allin, alzò lo sguardo al cielo, godendosi la sensazione di pace che le regalava il fresco scorrere dell'acqua sulle sue guance surriscaldate dal pianto.
E così, tra la pioggia, saltando da una pozzanghera all'altra, Allin si sentì per un po' bambina e, quando catturò una goccia con la lingua, le sembrò di assaggiare il sapore della libertà che credeva avrebbe raggiunto a breve. Illusa, non pensava neanche a cosa il destino le avrebbe riservato. Nella sua mente esisteva solo lei, ferma in quell'istante, e la pioggia, che continuava a cadere. E si definì pazza, quando in quelle gocce iniziò a vedere riflesse scene di vita passata, momenti vissuti con Niall, ovviamente. I tanti pomeriggi passati a fantasticare sulla forma delle nuvole sdraiati sul prato. La volta in cui, divertita, gli preparò una coroncina di margherite, posizionandola tra i suoi capelli biondi che, ai suoi occhi innamorati, sembravano attirare i raggi del sole per creare giochi di luci mai visti prima d'ora.

"M'ama... Non m'ama... M'ama." Dolce il fatto che Allin credesse a questo giochino, pensando che la verità fosse davvero celata tra i petali di un fiore.

Inutile raccontare dell'espressione, del sorriso che le illuminò il viso, quando ebbe un'ulteriore conferma del sentimento provato per lei dal ragazzo, che la guardava imbambolato, ammaliato da ogni suo piccolo gesto, sospiro. E poi ancora, quando erano andati al mare, coperti dall'appoggio di Marie. Fu lì che la bionda si ricredette sul colore dei suoi occhi. Altroché brutto, altroché di un azzurro smorto. Niall riuscì a farle capire che erano bellissimi, per un attimo riuscì a farle amare se stessa quanto lui l'amava. A questi due diabetici ricordi se ne susseguirono tanti altri, poi la pioggia finì e tornò la calma, il silenzio e le sue paure, le sue preoccupazioni, si fecero sentire inesorabilmente.

“Allin... Senti, stasera restiamo con te, ti va?” Hannah e Leena, insieme agli altri ragazzi della compagnia, si accorsero della presenza della bionda, avvicinandosi a lei, ancora scioccati ed impietositi a causa delle sue condizioni.

“Non preoccupatevi per me.” Solo questa fu la risposta, secca e tagliente, che ricevettero prima di vedere l'acrobata correre verso il tendone da circo, perché nel frattempo il tempo era inesorabilmente passato e ben presto sarebbe iniziato lo spettacolo come confermava la presenza di alcuni gruppi di persone, intente ad avvicinarsi all'ingresso principale.

* * *

Mentre si truccava nel solito caos più totale, causato dal dividere il camerino con una decina di persone, mentre indossava il suo nuovo body, che lasciava alla fantasia ancor meno di quanto non facesse il precedente, Allin cercò di liberare la mente da ogni cosa che non riguardasse le acrobazie da compiere, promettendosi pero' di parlare di questa scoperta almeno con sua zia, che sicuramente, a suo parere, avrebbe potuto raccontarle qualcosa in più del suo vero padre e del danno causato da sua madre. Le mezzepunte ai piedi, le mani coperte di polvere di gesso, la coda alta fatta alla perfezione: ci volle poco prima che Allin fu pronta per la sua esibizione che stava per iniziare. La musica partì, l'acrobata si avvicinò alle quinte della pista, prendendo due profondi respiri. Si guardò intorno, in cerca dello sguardo di Gonzalo, che la squadrava con indifferenza, come se nulla fosse accaduto poco prima. Così, quando poi lui le diede un colpetto sulla schiena nuda, la ragazza, al buio, raggiunse il centro della pista, dove l'aspettava, raso terra, il suo cerchio azzurro. Come al solito, contò fino a tre, poi lo afferrò, aspettando che i tecnici iniziassero a farlo salire in aria, cosa che avvenne dopo poco. Allora un faro illuminò la sua esile figura, la musica si fece più decisa e lei iniziò ad eseguire le sue acrobazie, mentre l'attrezzo veniva fatto scendere e risalire d'altitudine, seguendo il ritmo della musica che faceva da base alla coreografia. Fu quando si ritrovò a testa in giù, con le gambe incrociate, strette al cerchio che ruotava velocemente a circa tre metri da terra, che Allin colse Gonzalo intento a salutare calorosamente un ragazzo dall'aria malsana e misteriosa. Faticando un po', seppur agevolata dal ritmo lento con cui prese a muoversi il cerchio lungo la circonferenza della pista e socchiudendo gli occhi, riuscì a vedere più chiaramente il giovane. Alto, muscoloso, con tanto di spallone tipiche dei giocatori di regby e una sigaretta accesa stretta tra indice e medio, il ragazzo si tirò su le maniche della maglia fino ai gomiti, mostrando i tanti tatuaggi che ricoprivano la sua pelle. Ad Allin bastò vedere il suo gesticolare e il suo atteggiamento capire le sue origini. Il giovane era uno zingaro. Continuando a fissarlo, la ginnasta rischiò di cadere più volte e rendendosene conto, riprese a concentrarsi esclusivamente sull'esibizione. Due giravolte, qualche intricato esercizio e poi Allin si accoccolò nel cerchio, lasciando le gambe penzolare nel vuoto a giusto poco meno di due metri da terra. Dovendo eseguire per un po' solo banali movimenti con le braccia, ebbe anche la possibilità di riconcentrarsi sul gitano, sedutosi in prima fila, accanto al padre. Fu quando incrociò il suo sguardo eccitato che capì tutto. Quello sconosciuto stato il suo futuro sposo. Allin spalancò gli occhi, portandosi una mano alla bocca, facendo sembrare il gesto parte integrante della coreografia. La testa le iniziò a girarle vorticosamente, lo stomaco sembrò annodarsi, obbligandola a chiudersi in se stessa. Proprio in quel momento, fortunatamente, la musica divenne sempre più silenziosa, sfumandosi con i mormorii della gente, per infine concludersi. La bionda quindi venne riavvolta dall'oscurità e lentamente scese dal cerchio, sapendo di avere due buoni minuti a disposizione per uscire dalla pista, intanto che la zia, sostituta della madre, presentava la prossima esibizione. Non fece in tempo a mettere piede a terra che una mano le strinse improvvisamente il braccio, ruvida e ghiacciata contro la sua pelle accaldata dallo sforzo fisico. Allin incominciò a tremare. Immaginava cosa sarebbe successo a breve. Infondo sapeva che, da sempre, nella cultura gitana, per conquistare una ragazza, i giovani solitamente dovevano inscenare un vero e proprio “rapimento”. Questo poi, ricordò Allin, poteva essere inteso anche come una conferma dell'unione in matrimonio, soprattutto se combinato e consisteva nel trascinare la propria preda lontano da tutti, per poi baciarla, consenziente o meno. Uno sguardo, poi Tacho -così si chiamava il suo futuro marito- incominciò a correre, stringendole un polso per non farla scappare, arrivando fino all'esterno del circo dopo pochi minuti. Minuti composti di secondi colmi di terrore e ribrezzo, che il solo vivere comportò inevitabilmente lacrime e dolore alla povera Allin, che spaesata, ma soprattutto schifata, si ritrovò schiacciata tra la carrozzeria di un camion e il corpo del suo rapitore, riuscendo a percepire la sua eccitazione. Tacho cercò di baciarla contro la sua volontà, bramando così tanto le sue labbra umide. La bionda, pero', non cedette, non volendo assolutamente che la sua bocca venisse a contatto con un'altra che non fosse stata quella di Niall. Se lo era promesso: nessun altro al di fuori di lui l'avrebbe mai più baciata, nessun altro avrebbe coperto il suo ricordo. Allin così ridusse le labbra a due fessure dimenandosi a destra e a sinistra, non fregandosene del dolore che le procurava lo sbattere la testa contro una superficie dura. E Allin continuò a lottare a lungo, respingendo il giovane con entrambe le mani, poggiandole sul suo tonico torace, incominciando in un secondo momento ad urlare e scalciare così disperata da riuscire ad emettere solo versi animaleschi, perché ogni parola sembrava morirle in gola. Solo quando sentì lui ridere, si fermò di scatto, arrendendosi e lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi, socchiudendo poi le labbra, portandosi audacemente una mano sul cuore.

“Perché non prolungare l'attesa del bacio fino al matrimonio? Sarebbe così romantico.” Allin quasi vomitò, pronunciando l'ultima parola, ma lo fece con tanta sicurezza e apparente dolcezza che risultò sincera, soprattutto quando, a denti stretti, carezzò delicatamente il braccio sinistro del ragazzo, compiacendolo.

Questo sorrise maliziosamente, infilandole all'anulare della mano sinistra un anello con un brillante così grande da risplendere al chiaro di luna. E allora la giovane, vedendo il solitario, capì immediatamente perché Gonzalo avesse scelto proprio Tacho come suo sposo. Era lui, il primogenito di un famoso clan portoghese. La famiglia più ricca, più tradizionalista. La famiglia che quell'anello aveva unito alla sua. Il cuore di Allin prese a battere, furioso di rabbia. La bionda chiuse quindi le palpebre, cercando di calmarsi, e una sola lacrima scese lungo il suo viso arrossato. Rassegnata, se l'asciugò subito, prima che giungesse fino al mento. Un istante dopo, lei riaprì gli occhi e allora sì che ebbe un colpo di genio, uno degno dei migliori film mai visti.

* * *

“Ragazzi, oggi è una giornata no. Non toccatemi, non parlatemi, lasciatemi stare!” Biascicò Niall scuotendo la testa con le lacrime agli occhi, sciacquandosi poi il viso con l'acqua fredda, per darsi una svegliata in quella fredda mattina dell'undici Ottobre.

“Che succede, Nì?” Gli domandò preoccupato Zayn raggiungendolo in bagno, per dargli un asciugamano pulito, solo dopo essersi accertato che fosse il più morbido tra tutti.

“Ho sognato di baciarla e, giuro, ho percepito il suo profumo, appena mi sono alzato.” Rivelò il biondino al suo amico, soffocando un mormorio di tristezza nel panno di spugna.

“Non la dimenticherai mai.” Costatò Louis, cercando disperatamente il suo spazzolino tra il caos generale.

“A proposito di ragazze... Ma hai visto come ti guardava ieri sera la mora delle Belle Amie?” Ridacchiò Harry aggiungendosi ai suoi amici, ripensando all'espressione assunta dalla diciassettenne quando aveva visto Niall mordersi il labbro inferiore, durante la cena.

“Io sono di Allin.” Affermò sicuro l'irlandese, guardandosi allo specchio, passandosi due dita sulle labbra.

Liam guardò l'amico riflesso e gli sorrise calorosamente, appoggiandosi allo stipite della porta. L'avrebbe aspettata, l'avrebbe cercata per sempre, lo sapeva. Perché lei era l'unica.

* * *

19 Giugno 2011
-0.

Allin x




Spazio autrice

E insomma, che fatica scrivere questo capitolo: credevo di impazzire! C'è l'ho fatta, pero', per fortuna. C'è una scena che mi piace molto, quella del rapimento e spero che piaccia anche a voi. Parliamo pero' anche del finale. Scusatemi davvero se Niall è poco presente, ma vi anticipo che una buona parte del prossimo capitolo sarà dedicata esclusivamente a lui. E invece Allin? Ho volutamente scritto solo un "-0" nella sua pagina di diario, per concludere il capitolo lasciandovi un po' a bocca asciutta, sperando di incuriosirvi, lo ammetto. Che dire, chissà quale piano le sarà venuto in mente, chissà! Vi ricordo che c'è un matrimonio in sospeso, un bacio ancora non dato e che Allin non vuole dare... E vi lascio anche un'anticipazione!

"Allin, smettila di frignare: è il tuo compleanno e il tuo futuro marito ti aspetta all'altare!"

Detto questo spendo altri due minuti per ringraziarvi. Voi lettrici siete stupende, fatevelo dire. Mi siete venute incontro, in settimana, e beh, siete arrivate a quota TRECENTOCINQUANTA recensioni, non so se rendo l'idea. Spero che continuiate così, spero che questa storia continui a piacervi. Sappiate che se ho deciso di aggiornare il sabato è per darvi tutta la domenica per leggere e recensire con calma, senza fretta.
Ah, un'ultima cosa: Cambierò nome su Efp! Al fine prossimo capitolo vi spiegherò il significato del nick che penso crederete un po'... Bizzarro, ecco.
A sabato prossimo!
Giorgia.

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Capitolo 12
*** Runaway. ***


Runaway

Per prima cosa scusatemi per il ritardo, davvero. Questo capitolo, vi avviso, è più lungo degli altri e spero vi piaccia perché mi ci sono impegnata in particolar modo. Che dire, come sempre vi invito a recensire e a leggere le note a fine capitolo, buona lettura! c:
 

 

Un trillo. La mezzanotte era arrivata, come avvisava rumorosa la sveglia. Allin in quel momento se ne stava seduta in un angolino, con un peluche stretto tra le braccia, in cui aveva soffocato per ore l'ennesimo pianto notturno. Aveva aspettato con ansia la mezzanotte, si era persa ad osservare il modo in cui la luna risiedeva nel cielo scuro, brillando della luce proveniente dal sole. Nel farlo, la ragazza non aveva potuto fare a meno di pensare al suo passato. E si era ritrovata nella Luna, che risplendeva illuminata dal Sole senza dovergli nulla in cambio.

"Niall." Mormorò d'un tratto, portandosi all'istante una mano a coprirsi la bocca.

Si era imposta di non pronunciare il suo nome, per non recarsi dolore da sola. Eppure, ormai era consueto che sgarrasse questa sua regola di vita, nominando il biondo in svariati momenti, quasi volendo richiamarlo a sé.

"Addio Allin." Affermò la ragazza, asciugandosi i residui di lacrime, seccatesi sul suo giovane volto.

Addio all'Allin tormentata.

Addio all'Allin romantica, in bilico tra testa e cuore.

Addio all'Allin incerta nella vita, sicura su una pista da circo.

Addio alla quell'enorme menzogna che aveva considerato erroneamente la sua vita.

Il cielo si incupì, una pioggerella d'estate incominciò a cadere, facendosi sempre più fitta. Come tutti gli anni, -tranne quello precedente- il diciannove Giugno pioveva.

Con passo lento, quasi timoroso, si avvicinò al calendario, sospirò e poi barcollò, prima di inginocchiarsi sul letto, cui materasso s'abbassò sotto al suo peso, emettendo un rumore metallico. Allin si guardò un po' intorno. Non riusciva a credere che il suo giorno fosse arrivato. Così chiuse gli occhi, sorrise leggermente, portò le mani in avanti, afferrando un lembo dell'ultimo foglio strappabile dal calendario, poi tirò verso di sé, riaprendo gli occhi. Quello che vide non fu, come aveva immaginato, solo un grande zero nero su sfondo bianco. Accanto al numero, infatti, una piccola, minuscola chiave era stata attaccata al foglio, tenuta ferma da una striscia di scotch. Allin chinò la testa da un lato, accigliandosi un po', non capendo la provenienza di quel piccolo oggetto metallico. Fu solo quando sentì trillare lo scacciaspiriti affisso al soffitto, cullato dagli spifferi di vento penetranti dalle finestre, che allora ipotizzò quella che si rivelò essere la realtá. Allin sbiancò, spiazzata dai suoi stessi pensieri, quindi, con le mani che le tremavano visibilmente, riuscì ad staccare la chiave dal calendario. Piccola e piuttosto sottile, la bionda se la rigirò tra le mani, poi si sporse quanto le bastò verso il comodino, prendendo il carillon lasciatale dalla madre, per poi poggiarselo sulle gambe incrociate. Tanti pensieri le passarono per la mente, tanta curiosità, nel mentre, la faceva sentire quasi in dovere di provare al più presto la chiave. Così, la ragazza la infilò nella serratura. Questa combaciava alla perfezione. Una girata e il carillon sì aprì, rivelando al suo interno un qualcosa che Allin non si era affatto aspettata. Incastrata magistralmente, una bustina bianca spiccava alla luce della luna.

La ragazza focalizzò così tanto la sua attenzione in essa che il suono dello stesso carillon le parve nullo, così come la pioggia che continuava a scrosciare. Timorosa, aprì la busta, che scoprì contenere una lettera, un passaporto e una carta d'identità. Allin afferrò lo scritto tra le mani, tralasciando i documenti, poi incominciò a leggere.

"Allin, perdonami.

Perdonami tanto. Sicuro, a quest'ora, Gonzalo ti avrà rivelato che lui non è tuo padre. Giuro, ti ho mentito solo per proteggerti. Ti sei già sposata, piccola mia? Spero di no, spero che tu ce l'abbia fatta a prolungare il matrimonio fino ad oggi, il giorno del tuo compleanno. Finalmente, sei maggiorenne. Quanto vorrei stare lì con te. Allin. Allison Wood, questo è il tuo nuovo nome, come potrai vedere. Sappi che non è assolutamente definitivo. Vai a Mullingar, Allin. E quando arrivi contatta il numero che ti ho lasciato segnato in fondo, a qualsiasi ora. Fai tutto ciò che devi, okay? Dai retta a quello sconosciuto. E allora, ricomincerai da lì. Sceglierai un nuovo nome -e anche un cognome, mi raccomando-, inizierai una nuova vita, inseguirai le tue passioni e sarai protetta, al sicuro, sotto una nuova identità. Un'ultima cosa: non preoccuparti se con te hai solo questi pochi soldi che ti ho lasciato. Quando arriverai a Mullingar, li avrai. Libera le tue ali, mia piccola farfallina e spicca il volo verso la libertà, insegui l'amore.

Ti voglio bene,

La tua mamma."

 

Allin finì di leggere la lettera, sfiorandone la superficie. Riuscì a sentire i solchi nei punti in cui la madre aveva premuto più la penna, rischiando di bucare il foglio. Chiuse gli occhi e nella sua mente si disegno l'immagine della madre, intenta a scrivere, con le lacrime agli occhi, così copiose da bagnare il pezzo di carta, diluendo l'inchiostro e rendendo quindi sfocate alcune lettere. La ragazza accartocciò il pezzo di carta, infilandoselo nella tasca destra dei pantaloncini del pigiama estivo, così si alzò, guardandosi intorno. Diede un'occhiata ai documenti, ai cinquecento euro e poi chiuse gli occhi.

Fu in quell'istante che decise di fuggire, prima del sorgere del sole.

Il cuore di Allin si arrestò un attimo. Tutta la vita le passò davanti, proprio come si dice succede a chi sta per morire. E, pensandoci bene, vedendo le cose da una prospettiva differente, Allin stava morendo, in un certo senso. Avrebbe iniziato una nuova vita, in cui l'unico dolore che avrebbe sopportato le sarebbe stato inflitto dalla mancanza di Niall, dalla sua stessa voglia di lavorare per sentirsi poi al suo livello, tanto da poterlo cercare esplicitamente, dopo ormai troppo tempo.

"Mi mancheranno le mie cugine, mi mancherà mia zia, mio zio..." Mormorò Allin, iniziando a sistemare tutte le sue cose in una valigia in silenzio, con lentezza, quasi fosse in rallenty, protagonista di un qualche thriller.

Lo scacciaspiriti trillò ancora, prendendo a farlo più frequentemente. Il suo suono, secco, acuto, nel buio della notte silenziosa sembrava essere un fascio di luce. Indecisa, Allin infilò nella valigia ogni cosa. Prima i pochi vestiti che aveva, poi i suoi quaderni, i suoi libri, la sua serie infinita di post-it, di diari in cui aveva raccontato giorno dopo giorno la sua vita, annotato le sue citazioni preferite sebbene sapeva che mai le avrebbe rilette, riversato la tristezza, la rabbia, il dolore, la felicità, l'amore. Poi prese la sua penna antica, riponendola con attenzione.

La adorava, letteralmente. Gliel'aveva regalata Niall nell'unico Natale che avevano passato insieme. I due stavano andando a casa sua, dopo una giornata di scuola qualsiasi. Era inizio Dicembre. La prima neve aveva già attecchito al suolo, facendo di Mullingar un paesino quasi magico. Fu allora che Allin vide quella splendida penna ad inchiostro, d'argento, con un piccolo zaffiro chiaro incastonato. Il suo sguardo ci si soffermò per poco estasiato. Questo basto per far sì che l'irlandese, il giorno stesso andasse a comprarla.

La luce fredda della luna andò, quasi per magia, a posarsi sullo zaffiro, poi colpì l'anello che Tacho le aveva donato. Allin se lo sfilò subito, entusiasta di poterlo togliere. Stanca, lo lasciò cadere a terra, continuando così a frugare tra i tanti ricordi della sua vita. Mai si era accorta di quanto quella stanza la rappresentasse, quasi fosse uno specchio della sua anima. Mai prima d'allora. Una lacrima scese lungo il suo viso. La malinconia si stava incominciando a far sentire, la paura di lasciare un posto conosciuto, familiare, per addentrarsi alla ceca, in una nuova realtà sconosciuta, la stava pian piano logorando, dall'interno.

Era come se un veleno si fosse formato nel suo cuore che, pompando alla rinfusa, a causa dell'agitazione, non faceva altro che espanderlo in tutto il corpo, disintegrandone i tessuti.

E un'ora passò così. Erano circa le due quando per Allin arrivò l'ora di lasciarsi tutto alle spalle. Priva di ogni difesa, se ne sarebbe andata. Sapeva che quella si sarebbe rivelata una giusta mossa, sperava che, alla fine di tutto, lei sarebbe stata felice, si sarebbe sentita completa. Sperava. Con una falcata, quatta quatta, scese i tre gradini della scaletta che permettevano di scendere dalla roulotte con facilità. Poi, sospirando, con la paura di far troppo rumore, quasi fosse un animale in gabbia, portò fuori valigia e zainetto, quindi entrò un'ultima volta nel caldo abitacolo in cui, si può dire, era cresciuta. Quanti ricordi riaffioravano da quelle mura, da quella stanzetta ormai completamente spoglia. L'ultima cosa che catturò l'attenzione della bionda fu la cassapanca sul pavimento. Anche quella era stata svuotata. Strano, ma Allin aveva deciso di portar via con sé anche tutto ciò che riguardava il circo, pensando che anche quello aveva sempre avuto un ruolo importante per lei. Chinò la testa, tirò su con il naso, si infilò un impermeabile rosso ed uscì definitivamente. Quando fu fuori si voltò e, per quella che fu l'ultima volta, vide la sua roulotte. Un nodo le strinse la gola, quando afferrò la maniglia del trolley, e mosse il primo passo.

 

 

Fu un passo pesante. Triste. Struggente.

Allin non aveva mai immaginato che la sua fuga sarebbe stata così. L'aveva pensata come un qualcosa di allegro... Ma la realtà si era rivelata diversa.

Un secondo passo. Una folata di vento fresco le scompigliò i capelli, il suono del suo scacciaspiriti divenne nuovamente udibile.

Un terzo passo. La sue Vans sbiadite affondarono nella terra umida. Nessun rumore. La luna coperta da una coltre di nuvole e nebbia, mentre la pioggia, seppur per poco, aveva smesso di cadere.

Un quarto passo. Il suo respiro rumoroso, gli occhi chiusi. Allin lasciò il manico della valigia. Si fermò.

Il rumore di passi non si arrestò.

"Dove cazzo stai andando?" L'urlata domanda di Gonzalo squarciò il silenzio, e sembrò far lo stesso anche al cielo. Tuonò, ed iniziò a piovere.

"Non mi fermerai. Sono stufa! Ho aspettato anni per andarmene e non m'importa di niente e di nessuno, adesso." Rispose Allin. Sicura, la sua voce, completamente atona e priva di ogni accenno di emozione.

"Non te ne andrai!"

"Scommetti?"

"Allin! Cazzo, mi servi!"

A quell'esclamazione dell'uomo la ragazza si voltò. Ci fu uno scambio di sguardi.

Poi qualcosa cambiò. Era scoccata la scintilla. Allin, come un cervo impaurito afferrò il suo bagaglio. Iniziò a correre.

Il cappuccio del suo impermeabile sulla fronte, trapelante di sudore. Il viso contratto dalla fatica e dalla paura. Le gambe che si muovevano senza che lei le comandasse, le scarpe che sempre più sporche, che affondavano nel terreno. Gonzalo procedeva dietro di lei. Non poteva lasciarsela sfuggire, la sua fame di predominio non poteva non essere soddisfatta.

"Allin!" Urlò ancora l'uomo. Feroce. Inumano. Animale.

La bionda non si voltò. Aumentò la velocità. Mancava poco a raggiungere le vie periferiche di Madrid, fuori dal parco che ospitava il circo.

Un altra falcata, poi una stretta.

"Non te ne andrai." Sussurrò il domatore di tigri, all'orecchio dell'appena diciottenne.

Allin incominciò a piangere.

Non c'era rabbia.

Non c'era tristezza.

Quelle che le bagnavano le guance erano lacrime disperate che più scorrevano copiose, più la facevano sussultare. Il suo corpo tremava, le spalle si alzavano e abbassavano d'improvviso, ad ogni singhiozzo.

"Non te ne andrai." Ripeté Gonzalo, aumentando la stretta sul braccio sottile della bionda.

Ma Allin, che era arrivata fino a lì, così vicina alla vittoria, non poteva permettersi di tornare indietro. Incominciò a dimenarsi.

"Lasciami andare!" Continuava ad urlare a squarcia gola, piangendo, maledicendo il fatto che, a quell'ora, il parco era naturalmente deserto.

E Gonzalo continuava a stringerle l'avambraccio, impedendole di correre e tappandole la bocca con la mano libera.

“Non posso restare.” Pensò lei impanicata. Lasciò quindi che la sua spiccata umanità andasse a puttane. Si voltò e sferrò a Gonzalo un pugno appena sotto il diaframma. L'uomo spalancò gli occhi, che brillarono di rabbia.

"Allin!" Ruggì furioso.

Non se la sarebbe fatta scivolare via, non facilmente. Era deciso. Ma Allin, affamata di libertà, gli diede uno strattone, cogliendolo in un momento di distrazione. Il dominatore di tigri mollò finalmente la presa.

Era libera. La ragazza afferrò velocemente la valigia e ricominciò a correre. Corse velocissimo, con i muscoli che, in tensione, sembravano bloccati. E, mentre cercava di non andare addosso ad alberi, a lampioni, sotto la pioggia fattasi ancora più fitta, continuava a sentire il rumore dei passi di Gonzalo rimbombarle furiosamente nelle orecchie. Mancava poco, pero'. Pochissimo. Giusto qualche metro, ogni passo poi sarebbe stato più facile, Allin avrebbe raggiunto le vie trafficate della città.

"Un altro passo." Ripeteva la bionda a se stessa, dandosi coraggio.

Una macchina poi le sfrecciò davanti, la luce calda di un lampione la investì, illuminandola. Era salva, seppur momentaneamente, era salva. Nessuna persona sana di mente, infondo, avrebbe aggredito una ragazza davanti agli occhi del traffico notturno di Madrid. Fortunatamente poi, la pioggia cessò di scendere a dirotto, facendosi sempre più flebile, fino a scomparire. Allin allora si guardò intorno, scoprendosi il volto dal cappuccio del suo impermeabile. Proprio in quel momento un taxista si accostò al marciapiede, vedendola come un'appetibile cliente, considerando la valigia che aveva con sé.

"Vuole usufruire del servizio, signorina?" Il lavoratore abbassò il finestrino sforzandosi a sorridere, seppur fosse stanco, concentrandosi dunque a trovare una spiegazione all'aspetto sconvolto di Allin.

La ragazza prestò lui attenzione, spostando lo sguardo da un paio di occhi scuri che la scrutavano da una via secondaria, dagli occhi di Gonzalo.

"Sì, sì grazie mille!" Esclamò poi, strabuzzando gli occhi, forse per cercare di liberare la mente da ogni paura.

L'uomo sulla cinquantina uscì dalla macchina, aiutandola a sistemare la valigia nel bagagliaio.

"Entri pure." Mormorò poi allegramente, rientrando nel caldo abitacolo della sua Mercedes.

"Allora, dove la porto?" L'autista puntò lo sguardo sullo specchietto, incrociandolo con quello della bionda.

"Al Barajas, devo tornare in Irlanda." Rispose lei, sospirando pesantemente, appoggiandosi allo sportello, giusto per riprendere fiato.

 

 

* * *

"Vorrei comprare un biglietto per Dublino. Per caso c'è stata qualche disdetta dell'ultimo secondo per il prossimo volo?" Domandò un'Allin stanca, appoggiandosi al bancone della biglietteria dell'aeroporto spagnolo, posandovi, con un po' di timore, la falsa carta d'identità e l'altrettanto falso passaporto.

"Per il volo delle sei è disponibile un biglietto di seconda classe, le può andar bene?" Rispose la cassiera con un po' d'acidità, pensando a quanto Allin, seppur stanca e struccata, risultasse più bella di lei.

"Benissimo. Quant'è?"

"Duecentodieci euro. Il check-in si può fare dalle quattro e mezzo, lì le valuteranno il costo per il trasporto del bagaglio."

Allin non fiatò, sebbene il prezzo fosse esorbitante rispetto agli standard e i suoi contanti con la somma aggiuntiva che avrebbe dovuto versare per il bagaglio sarebbero quasi finiti. Piuttosto, la ragazza sbadigliò, afferrò ricevuta e biglietto e, presa la valigia, incominciò a girare a zonzo per i negozi dell'aeroporto, sollevata dal fatto che i documenti non avessero destato sospetti.

"Dovrei comprarmi un cellulare." Pensò, quando passò distrattamente davanti ad una vetrina in cui erano stati esposti alcuni dei migliori smartphone del momento.

Allin quindi rise, rendendosi conto che, vivendo quell'ultimo anno con Gonzalo aveva avuto davvero poco tempo per poter pensare ad una futile necessità come quella.

Quindi si apprestò a contare i soldi rimasti. Circa trecento se ne erano già andati via, altri cento li avrebbero seguiti per il trasporto della valigia... Costatò soddisfatta che le restavano più o meno duecento. Il suo sguardo poi si posò su un piccolo cellulare. Non era di certo touch e non aveva neanche la fotocamera, ma il suo prezzo era più che accessibile e le sarebbe bastato considerando che, al momento, avrebbe dovuto chiamare solo il misterioso uomo di cui la madre le aveva lasciato numero ed indirizzo. Così, una ventina di minuti dopo Allin possedeva di nuovo un cellulare ed era proprietaria di una scheda sim, intestata ad una certa Allison Wood, che poi -si sforzò a pensare- era proprio lei, seppur provvisoriamente.

Il tempo sembrò volare letteralmente, l'ora del check-in era arrivata. La bionda quindi, andò un attimo in bagno, giusto per darsi una sistemata prima di salire in aereo.

Quando si vide allo specchio, per poco non rise di se stessa. Sembrava uno di quegli spiriti sovrannaturali che aveva visto nei film horror, un tempo, insieme a Niall. Le occhiaie evidenti, il viso arrossato, gli occhi, almeno, -costatò- si erano ripresi dal pianto. Per scrupolo poi, Allin si passò un po' di fondotinta su tutto il viso, amando il suo disordine mentale che l'aveva portata ad infilarne un tubetto nello zainetto. Quindi colorò le sue labbra di un rosa delicato, infine uscì.

* * *

"Siamo pronti al decollo, i signori passeggeri sono pregati di allacciare le cinture." Esclamò a gran voce una delle hostess presenti sull'aereo, concludendo finalmente un discorso estenuante sulle norme di sicurezza.

Per fortuna, Allin aveva potuto evitare di ascoltarla. Aveva già preso l'aereo, seppur solo per brevi tragitti. In quel momento si chiese come avesse potuto farlo, senza carta d'identità e passaporto.

"I gitani..." Mormorò poi, facendo di due sole parole una risposta.

Troppo stanca per pensare, la bionda poggiò la testa al vetro del finestrino, guardando il suolo allontanarsi sempre più da lei. Era partita. Ce l'aveva fatta e ancora non aveva realizzato tutto questo.

"Sono... Sono libera." Sussurrò, ma quell'affermazione, però, ebbe tutta l'aria di essere una domanda.

Le sarebbe mancata la compagnia circense, quei volti familiari che erano felici di esser ciò che erano, i ragazzi più giovani, con cui -seppur dovendo mantenere un certo distacco- si era divertita a chiacchierare, tra un esercizio, un esibizione, un momento di svago. E poi c'erano i suoi zii, il fratello di Gonzalo e la sorella di sua madre. Avrebbe sentito anche la loro assenza, ne era certa. Un silenzioso pianto riprese quando il suo pensiero fu rivolto alle sue due cugine, Hannah e Leena. Di loro sì che avrebbe sentito nostalgia.

"Eppure... Nella somma di tutto, io lo rifarei." Pensò poi Allin, pensando che il dolore e la malinconia fossero un giusto prezzo da pagare, pur di ottenere, una volta per tutte, la sua libertà.

"Niall." Mormorò poco dopo, così flebilmente che nessuno la sentì.

Prima o poi, sarebbe stata giusta per lui, che sapeva esser arrivato terzo -insieme agli altri quattro ragazzi- ad X Factor UK. Prima o poi, sarebbe andata a cercarlo, anche se in capo al mondo, anche se avrebbe dovuto farsi riconoscere tra migliaia di probabili fans, anche se lui le avrebbe riso in faccia, ormai dimenticatosi di lei.

Infondo, lo amava, e non aveva mai smesso di farlo da quando se ne era resa conto. Non sarebbe stato il tempo a cancellare il suo nome dal suo cuore.

* * *

 

 

Quella sera di diciannove Giugno aveva tutta l'aria di essere una sera di festa. Harry e Louis, appoggiati da Zayn e Liam, un avevano deciso di svagarsi un po', portando con sé anche Niall che, pur di non pensare ad Allin, aveva accettato senza troppi indugi. La fine del tour di XFactor, le giornate intere passate negli studi di registrazione, la mancanza di casa. I ragazzi erano d'accordo: si era fatta l'ora di staccare un po' la corda. Tra musica, intrattenimento, vodka, shottini, champagne e quant'altro, anche l'irlandese del gruppo, tutto sommato, si stava divertendo. In fin dei conti. a vedere Louis ubriaco perso, intento a filtrare scherzosamente con Harry, nessun umano sano di mente non avrebbe potuto ridere di gusto. Fu quando il minore incominciò a sottostare alle false avances del maggiore, che una ragazza si avvicinò a Niall. Di bell'aspetto, piuttosto alta -con un tacco dodici ai piedi-, con un bel corpo avvolto in un appariscente tubino verde petrolio, l'adolescente aveva anche un bel viso, piuttosto marcato dal trucco.

"Ehy, ciao! Sono Myriam, la figlia del proprietario di questo locale. Niall, ti va di ballare con me?" Chiese poi tutto d'un fiato, ondeggiando con i fianchi, sperando ingenuamente di attirare l'attenzione del cantante irlandese.

"Mh..." Mugugnò lui, poco voglioso di andare in pista.

"Sì, dai. Niall, so che lo vuoi!" Esclamò Louis, dando una pacca al biondo.

Questo, sentendosi in imbarazzo, si alzò, seguendo la ragazza.

* * *

Era ormai mezz'ora che i due ragazzi ballavano vicini, parlando del più e del meno. Lei, sua grande fan non faceva che mangiarlo con gli occhi, lui ascoltava ciò che gli raccontava senza pero' esserne molto interessato. Una ragazza bionda catturò la sua attenzione. No, non era Allin, ma, per un istante, aveva creduto fosse lei.

"Diamine, sto diventando pazzo!" Esclamò il ragazzo, non accorgendosi neanche di aprire bocca.

"E perché?" Gli domandò languidamente Myriam, facendogli un occhiolino.

Poi tutto accadde di fretta. La giovane gli portò le mani al collo e, 'attimo dopo, le loro labbra erano unite in un casto bacio. Ma Niall non voleva questo. Con gli occhi spalancati dallo stupore, allontanò Miriam da sé, prendendola per la vita.

"No! Un bacio no, no!" Esclamò poi, scuotendo la testa. Era andato in panico.

Louis, Liam, Harry e Zayn si voltarono verso la pista. Non potevano credere ai loro occhi, avendo visto Niall e Myriam baciarsi. E, così, se Harry restò con Louis, per evitare che combinasse danni inopportuni, Zayn e Liam accorsero dal loro amico.

"Niall!" Gridarono poi in coro.

Il biondo piangeva, piangeva a dirotto.

"Che...?" Domandò Miriam balbettando, non capendo cosa ci fosse stato di tanto sconvolgente in quel bacio. Aveva le lacrime agli occhi.

"È complicato. Tu non c'entri nulla, davvero." Spiegò Liam alla ragazza, posando le mani sul viso di Niall, per incrociare il suo sguardo con l'intento di calmarlo.

"È così?" Chiese lei, rivolgendosi al diretto interessato.

L'irlandese annuì, abbassando la testa. Allora i due ragazzi lo presero per le spalle, portandolo fuori dal locale.

"Non puoi andare avanti così." Commentò Zayn, prendendo una boccata d'aria.

"È passato un anno, un anno esatto e una ragazza mi ha baciato e..." Blaterò il biondo, tremando come un foglia.

Liam e Zayn si lanciarono un'occhiata preoccupata. Da un po' di tempo, il suo pensiero fisso per Allin, lo stava portando ad avere incubi notturni, attacchi di panico, claustrofobia.

"Niall, ti stai distruggendo. Okay che pensi ancora ad Allin, ma sei un ragazzo ed è fisicamente... Ecco... Impossibile...” Il moro non finì il suo discorso, con le guance arrossate dall'imbarazzo.

“Quello che intende Zay è che non potrai resistere a lungo alla tentazione di baciare una ragazza, non potrai respingerle per anni, magari.” Continuò Liam, sedendosi, insieme a Niall sul marciapiede della strada, avvolgendolo in un abbraccio fraterno.

"Ti masturbi, scommetto." Aggiunse poi, con gli occhi lucidi, perché se c'era una cosa che non poteva sopportare era vedere Niall piangere.

"Sì..." Ammise lui, vergognandosi

"Niall..." Sospirò Zayn, sedendosi anche lui al suo fianco.

"Vi voglio bene. E so che è ridicolo il modo in cui mi comporto. Ma mi sentirei sporco, colpevole, a baciare labbra che non siano le sue, a provare interesse per qualcuna che non sia lei... E' più forte di me, giuro.” Mormorò Niall, chiudendo gli occhi per evitare di piangere.

“Va tutto bene, Nì.” Sussurrò Harry che, afferrando Louis sottobraccio, aveva deciso di raggiungere i suoi amici.

“Dai, tanto ci pensiamo noi a farti stare bene.” Biascicò ridacchiando il maggiore, sforzandosi di darsi un contegno.

Anche se ubriaco, il ragazzo aveva detto una cosa giusta. Se Niall sorrideva, rideva, era allegro, il merito andava non solo alla svolta che aveva preso la sua vita, ma anche e soprattutto a loro.
 

Spazio autrice

Ed eccoci qua. Allin finalmente è scappata. Ma non gridate vittoria! Come avrete forse capito, questo capitolo mi piace. Non so perché, sinceramente, ma ne sono soddisfatta. Quindi, in pentola stanno bollendo tante cose. Abbiamo un uomo misterioso, che indirizzerà Allin verso una nuova vita, un Gonzalo furioso, un futuro marito a cui manca la sposa e di questo non è ancora a conoscenza e, da un'altra parte, ci sta Niall che solo grazie ai ragazzi riesce a vivere bene. Insomma, un bel po' di roba direi. Beh, prima di lasciarvi uno spoiler, che vorrei commentasse nelle recensioni, vi voglio ringraziare per la pazienza e avvisare che questo periodo in cui aggiornerò una volta ogni due settimane finirà molto presto. Vi prometto che mi impegnerò al massimo, per scrivere durante le vacanze di Pasqua. Inoltre, ho ripreso a rispondere alle recensioni, come piace a me. Perché trovo sia bellissimo il rapporto "scrittrice"-lettrice.
Detto questo, eccovi lo spoiler:

La ragazza lesse la lista di nomi, cercandone uno poco diffuso.
"Clarylin." Trovò poi.
"Sì, direi che può andare." Commentò soddisfatta.
Infine, per scrupolo, sottrasse a quel nome le lettere componenti "Niall".
Il risultato ottenuto le fece spalancare la bocca.

Giorgia.

 

 

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Capitolo 13
*** The storm. ***


The storm

In ritardo, ma ci sono! Avrei voluto aggiornare prima, ma l'editor si è ricaricato due volte, quindi caricare il capitolo è stato più lungo del previsto. Come sempre vi invito a leggere le note -in cui vi chiedo un consiglio per A-N non fondamentale, ma ugualmente importante-, detto questo, buona lettura, spero in una vostra recensione! :)


"Il cantante biondo della band emergente Niall Horan è davvero un angelo come dà a vedere? Voci sconosciute affermano che andrebbe regolarmente a prostitute."
Quando Zayn passò davanti ad un'edicola e vide questo titolo sulla copertina di un giornale, per poco non sputò il sorso di
cola appena preso dal bicchiere in carta del fast food all'angolo della strada. Così, sforzandosi a buttare giù la bevanda zuccherosa, si avvicinò al chioschetto, comprandone una copia, rigirandosela poi tra le mani per non vederne la copertina. Infuriato rivolse alla donna uno sguardo di fuoco, seppur sapesse che lei non c'entrava poi molto nel lavoro sporco di alcuni giornalisti. Ovviamente fu riconosciuto. Infondo ancora non si era abituato alla popolarità che, da quando aveva vinto XFactor aumentava di giorno in giorno e che, come affermava orgogliosamente Simon, non si sarebbe di certo fermata. Sempre più irritato, il moro pagò il dovuto poi si voltò, camminando con in testa il cappuccio della sua felpa firmata che gli permise di passare inosservato ad occhi indiscreti, per poi raggiungere la sua moto, parcheggiata in seconda fila. Il casco, infine, contribuì a renderlo del tutto irriconoscibile, mentre sfrecciava ad una velocità affatto raccomandata per le vie di Londra, raggiungendo il palazzo vicino al centro storico, dove si trovava l'attico che Harry aveva battezzato come loro 'Sede centrale'. I ragazzi lo avevano comprato appena finito XFactor, ottenendo un mutuo che, come aveva assicurato il loro manager, nel giro di un anno lavorativo, se tutto sarebbe andato bene come si aspettava, avrebbero potuto pagare completamente.
Zayn, entrato in garage, posò la moto nel box privato, prese l'ascensore e, digitando un codice specifico, raggiunse l'ultimo piano, esclusivamente loro.
L'attico consisteva in un ampio monolocale, con un soppalco che si affacciava al centro dell'ambiente principale e uno spazioso balcone che percorreva tutto il perimetro del palazzo. Appena entrati vi era la porta del piccolo bagno, dotato di doccia. Il grande spazio era poi stato ammobiliato in stile moderno, dove primeggiavano nero, bianco, acciaio, vetro e marmo. Una bella cucina a vista si affacciava in un comodissimo salotto. Questa aveva un'ampia isola, contornata da un semi perimetro di piani di lavoro, in mogano e marmo bianco. Il soggiorno, invece, si divideva in una zona living e un'altra utile per mangiare in compagnia. Un tavolo con piano in vetro, circondato da otto sedie in totale, era affiancato da due comodi divani in pelle bianca. Vicino a queste, tre pouf estremamente colorati, spiccavano e, insieme a numerosi quadri contemporanei poggiati a terra, vivacizzavano il tutto. Un moderno scaffale, con uno spazio apposito per una sofisticata tv HD, era stato affiancato alla parete sulla quale erano rivolti i divani. Su questa non c'erano solo libri di più tipologie, ma soprattutto dischi su dischi, cornici, i primi premi vinti dalla band, il contratto firmato con Simon Cowell. Altro pezzo forte del monolocale era sicuro lo studio di registrazione, dirimpetto al bagno, anche quello separato. Sebbene non professionale, si stava rivelando comunque utile alla giovane band che, anche solo per ammazzare la noia o l'attesa tra un'intervista e un servizio fotografico, si ritrovava molto spesso ad inventare motivetti per cantarvici su qualcosa. Proprio in quelle sere dei giorni lavorativi, praticamente la maggior parte, se non tutte, capitava che i ragazzi restassero a dormire lì e non nei loro rispettivi, piccoli, appartamenti. A questo serviva infatti il soppalco, dove erano stati sistemati cinque letti ad una piazza e mezza, ognuno separato dal successivo e il precedente da un comodino. Un piccolo spazio era poi stato adibito a ripostiglio, riempito non solo di scope, detersivi e altri attrezzi da pulizia, ma anche di vestiti, scarpe, qualche microfono e cuffie da dj, usate prettamente da Zayn, che si divertiva spesso con la sua console soprattutto per far ridere Niall della sua scemenza. Parlando del biondo, lo spazio preferito di tutto l'attico era sicuramente il tetto, seguito poi dal balcone. Il primo era interrotto da una grande vetrata blindata, da cui si vedeva il cielo e, la notte, alcune rare volte anche le stelle e non solo. Il chiarore della Luna, i primi raggi solari all'alba e gli ultimi al tramonto, grazie a quella finestra coloravano l'ambiente di colori a dir poco mozzafiato. Anche parte del balcone, quella più ampia, opposta all'ingresso, aveva una vetrata, o meglio, una tettoia che proteggeva dalle intemperie il salottino esterno. Una comoda vasca idromassaggio, invece, insieme ad un barbecue in mattoni, veniva lasciata allo scoperto. A passare molto del suo tempo lì, però, non era solo Niall, ma anche Harry, che aveva fatto del muretto una bellissima fioriera, con gerani, primule, viole, fiori di vetro e piantine grasse.
"Zay!" Fu Niall ad accogliere il ragazzo, non appena si aprirono gli sportelli dell'ascensore.
"Zayn... Che hai?" Liam, che in quel momento era appena uscito dal bagno, non ci mise molto a capire che negli occhi dell'amico ci fosse preoccupazione.
Niall, confuso, si accigliò, guardando prima l'uno, poi l'altro ragazzo, non capendo dove il castano volesse andare a parare. Come lui, subito dopo, anche Harry e Louis, seduti sul divano, rivolsero loro l'attenzione.
"Andiamo fuori ché è meglio." Mormorò Zayn, dando una lieve spallata a Liam per poter passare.
I ragazzi, allora, lo seguirono e si sedettero al completo nel salottino esterno.
"Stavo facendomi un giro in cerca di un degno negozio di tattoos, quando ho visto questa passando davanti ad un'edicola su strada." Rivelò Zayn, girando la rivista di gossip, facendone vedere la copertina.
L'espressione che assunse Niall, vedendo il suo nome associato alla parola 'prostitute' fu terribilmente sofferente. Incominciò a battergli forte, fortissimo il cuore, e il respiro gli si fece pesante. Un attacco di panico avrebbe presto preso il sopravvento. I ragazzi si scambiarono uno sguardo di intesa, allora, proprio mentre il suo perse intensità, Zayn lo afferrò per le spalle, facendolo sdraiare sulle sue gambe. L'anglo-pakistano la odiava. Odiava Allin con tutto se stesso. Sebbene non lo desse a vedere, aiutasse ed incoraggiasse l'amico a cercarla, non poteva far altro che provare questo sentimento nei suoi confronti. Non metteva in dubbio di sbagliare, ma, in fin dei conti, gli veniva naturale questo rancore perché, ancora incerto sulla veridicità della versione di Niall, sapeva solo di certo che la causa di quegli attacchi era proprio lei.
"Va tutto bene, okay? Abbiamo un'intervista, tra poco. Smentirai ogni cosa." Alitò quindi all'orecchio del biondo, massaggiandogli il petto.
"Credo che abbia paura non tanto del parere dei suoi o delle fans quanto del pensiero che farà Allin, nel caso dovesse leggere questo articolo." Mormorò Liam, inginocchiandosi davanti al divano con aria triste.
"Niall, pensi davvero che Allin possa credere ad un giornale gossip?" Domandò Harry scuotendo i suoi ricci, sicuro che, per far innamorare Niall, Allin doveva essere una ragazza intelligente e scaltra.
"È così ridicolo. Io sono ridicolo. Spero davvero di incontrarla, capite? Sogno ogni notte di vederla in un bar, al cinema, sotto al palco ad un concerto. Forse se avesse voluto sarebbe già venuta a cercarmi..." Farfugliò di risposta il biondo, non facendo altro che peggiorare la situazione, strozzandosi addirittura con la sola saliva.
"Magari il padre glielo ha impedito fino a ieri, no? Magari ha avuto o ha paura." Continuò il più piccolo della band, nonché di certo il più sentimentalista.
"E adesso che è libera teme la tua reazione quando la vedrai." Aggiunse Louis, picchiettando la testa di Harry con fare amorevole.
"Potrebbe credere che la odi. Potrebbe non sentirsi all'altezza." Intervenne Liam, stringendo la mano di Niall tra le sue.
"Devi stare tranquillo. Il tempo risolverà tutto, chissà come...
Non fallisce mai." Zayn continuò ancora ad usare un tono soffice, gentile e vide l'amico rilassarsi.
"Prova a pensare alla tua, nostra carriera. Ricorda che non sei, né sarai mai solo, anche se forse capitano già ora e capiteranno in futuro giorni in cui ti ci sentirai." Azzardò Louis, alzandosi per dare una pacca sulla spalla di Zayn, consapevole di quanto gli scocciasse la situazione.
"Esatto. Nì, le cose cambieranno. Te lo giuro." Concluse quest'ultimo, sorridendo con la lingua incastrata tra i denti.
"Meglio?" Domandò Harry, raggiungendo Liam e sedendosi per terra, accanto a lui.
"Vi voglio tanto, ma tanto bene... Fratelli." Mugolò Niall, rizzandosi finalmente a sedere, spalancando le braccia per un abbraccio di gruppo che non tardò ad arrivare.
"Ora, prepariamoci le risposte per l'intervista, e troviamo un modo per mettere in mezzo questo cazzo di articolo per smentirlo." Affermò deciso Zayn, ancora stretto a Niall, tra Liam ed Harry.

* * *

Quando Allin scese dall'aereo si era ormai fatta metà mattinata. La ragazza, tutto sommato di buon umore, si ritrovava in quello che le sembrava essere l'ennesimo taxi. Sapeva dove andare, si era organizzata perfettamente nelle ore di viaggio. Aveva razionalizzato il tutto e si era divertita a leggere una guida che insegnava una terapia per mettere da parte un pensiero, una persona, o una preoccupazione per buona parte della giornata, e, doveva ammettere che, seguendone i consigli, si sentiva la testa più leggera. Aveva anche pianto un bel po' e pensava, o meglio, sperava che non l'avrebbe fatto per parecchio tempo. La bionda rinvenne dai suoi pensieri e così diede un'occhiata veloce al foglio, un elenco di orari, ai quali aveva scritto accanto ciò che avrebbe dovuto fare in quei primi giorni di libertà.

19 Giugno.
Ore 12:00, chiamare la persona misteriosa.
Ore 12:30, autobus che ferma davanti al parco.
Ore 12:30/?, passare del tempo, prima dell'appuntamento.
20 Giugno.
Ore 9:15, andare in aeroporto, e prenotare un volo, anche immediato, per Londra.
Ore 9:15/?, ricominciare cominciare a vivere.

Quando arrivò davanti al parco che per mesi era stato la sua casa, sistemò il foglietto in tasca, insieme alla lettera della madre, pagò ed uscì dal taxi. In strada, un forte vento la colse di sorpresa. Un vento a dir poco gelido, per soffiare a Giugno. Ma forse sì, forse non era davvero così freddo come lei lo percepiva. D'altronde, come poteva sentire caldo una ragazza che stava imparando di nuovo ad ibernare il suo cuore, pur di non soffrire? Allin sfilò dal suo zaino una felpona monocolore azzurra e se la chiuse fino al collo. I brividi non finirono di farle venire la pelle d'oca.
"È perché sono qui." Constatò la bionda, sbuffando tristemente, infilandosi nel mentre le mani in tasca ed addentrandosi nel parco.
Quell'immenso spazio verde quel giorno aveva un'aria del tutto inquietante, che non impiegò poi molto a far sì che un primo fastidioso nodo si formasse nella gola della giovane, cui salivazione era aumentata di colpo negli ultimi minuti. Quindi deglutì, poi varcò il cancello in ferro, nella parte nord della zona verde. Le gambe le tremarono così tanto da sembrare fatte di budino. Neanche cinque passi che dovette fermarsi un attimo, per respirare. Non aveva immaginato che, tornare nella culla dei suoi ricordi avrebbe fatto così male al suo dolorante cuore. La ragazza continuò a camminare nel viale principale, circondato da alberi ad alto fusto. Li aveva mai notati? Probabilmente no, probabilmente non ci si era mai soffermata ad osservarli.
"Rivolgi gli occhi al cielo, sbatti velocemente le palpebre. Non piangerai." Non era forse questa la frase che Allin si era sempre ripetuta, prima che Niall rompesse quello strato di ghiaccio, che avvolgeva il suo cuore? La ragazza, quindi, ascoltò i suoi stessi consigli. Non pianse. Nessuna lacrima le bagnò le guance. Così decise di proseguire, si fece coraggio e incominciò ad aumentare la velocità del passo, con l'intenzione di raggiungere al più presto il vasto piazzale che aveva per mesi ospitato il circo. Quando superò una collinetta e lo spiazzo di sassolini fu ben visibile alla sua vista, la ragazza sussultò. Era vuoto, completamente vuoto. Del circo, dei mezzi della compagnia... Gonzalo, mesi prima aveva fatto scomparire tutto. L'unica traccia che solo Allin, probabilmente, riuscì a percepire furono i solchi dei picconi piantati sul terreno, per tenere il tendone. Solo quei quasi invisibili segni sul terreno le ricordarono che la sua vita lì a Mullingar era stata reale, non solo un sogno. Questo perché non aveva ancora visto la casetta sull'albero, che pensava distrutta del tutto. La bionda si guardò intorno, levandosi la felpa. I brividi di un apparente freddo avevano lasciato posto all'agitazione, all'angoscia. Con passo malfermo, si spinse verso gli alberi. Ricordava perfettamente dove fosse ciò che cercava. Lo trovò. Il cuore sembrava esploderle nel petto. Vedere quel rifugio quasi completamente distrutto le fece male, le sembrò di esser trafitta da una serie infinita di lame taglienti, all'altezza dello sterno. Gonzalo non aveva avuto davvero pietà. Di tutta la struttura, l'unica cosa che aveva resistito del tutto era l'altalena agganciata alla pavimentazione della casa. Allin vi si sistemò sopra, dondolandosi. La sua mente, prima colma di preoccupazioni e cose da fare, sembrò svuotarsi per un attimo, mentre gli uccellini coloravano l'aria, cinguettavano canti paradisiaci. L'unico pensiero che persisteva a darle fastidio era quello di assecondare la volontà della madre e, quindi, chiamare al numero che le aveva lasciato. La ragazza si alzò dal dondolo, per prendere la raggrinzita lettera di Marie dalla tasca dei jeans scuri. La riaprì tra le mani, componendo poi velocemente il numero di cellulare scritto in bella grafia ad un margine del foglio. Ci furono due squilli, il ricevente rispose al terzo.
"Jason Garen."
"Salve, sono Allin. Allin Dooley, mia madre..." Agitata dalla voce roca dell'uomo che le aveva risposto, Allin prese a mordicchiarsi le unghie.
"Marie Dooley, certo, come dimenticare." Allin deglutì. Il tono scorbutico, anzi, schivo, di Jason le recava ansia.
"Ho uno spazio libero tra un appuntamento e l'altro. Se vuole raggiungermi subito, sarebbe un bene. Per lei." Continuò lui, impassibile.
"Al suo indirizzo?"
"Sì."
"A tra poco, Mr Garen." In risposta, l'uomo chiuse la chiamata. La bionda sospirò. Era stata una stupida, un'ingenua, a credere chiunque le avrebbe risposto, si sarebbe dimostrato gentile e premuroso con lei.
"Che cazzo, Allin!" Si insultò da sola la ragazza, sganciando frustrata un pugno al tronco dell'albero dietro di sé. Poi respirò forte e, con il cuore tremante a causa di uno sconosciuto timore, prese trolley e zaino lasciati lì, a pochi passi dall'altalena, quindi ricominciò a camminare. Conosceva la via in cui avrebbe dovuto incontrare Jason, ci era passata un paio di volte, anni prima. Le ci vollero circa una decina di minuti, prima che arrivasse all'Auburn Village, dove abitava il misterioso uomo. Quando fu nel viale principale, si chiese quale fosse la sua villetta a schiera. Poi, una più austera e malridotta delle altre, colse la sua attenzione. Allin sorrise scaltra, capendo di aver fatto centro. Un impeto d'orgoglio la fece ridacchiare, quando si avvicinò al portone e lesse la targa del citofono. Il cognome di Jason spiccava, scritto in un'elegante grafia. "Curioso." Mormorò la bionda, notando il contrasto tra l'edificio e la scrittura.
Senza troppi indugi, presa da un momento di avidità per il sapere, suonò.
Subito dopo la porta si aprì. Allin restò immobile, come uno stoccafisso. Jason Garen era un uomo sulla trentina, di bell'aspetto, senza dubbio diverso da come se lo era immaginato lungo il tragitto. Folti capelli mori in cui la sua probabile amante avrebbe trovato delizioso affondare le dita, occhi azzurrissimi, quasi grigiastri, naso dritto, labbra scolpite e un accenno di barba ad indurirgli i lineamenti. Quando sorrise, Allin si pietrificò del tutto sullo zerbino. I denti del giovane uomo erano bianchissimi, dell'esatto colore della camicia che indossava, sotto la giacca che, invece, riprendeva la sfumatura grigio-azzurra, quasi argentea delle iridi. "Benvenuta, signorina. Perché quella faccia da pesce lesso?" Chiese Jason ridacchiando, accogliendo in casa la giovane ragazza.
Lei si guardò intorno. Nella villetta, i colori che primeggiavano erano, come nell'abbigliamento del proprietario, il grigio chiaro, il bianco ed il nero. L'arredamento moderno e, in un certo senso, spigoloso le fece poi fare una smorfia di disapprovazione, mentre si chiedeva se quei mobili riprendessero, in un certo senso, un lato della figura di Mr Garen.
"Allora, gliela farò breve." Anticipò lui, guidandola verso il suo ufficio, passando per il salotto.
"Le dirò l'essenziale, nulla più." Continuò, gesticolando animatamente, sedendosi quindi sulla sedia, dietro la sua scrivania in legno scuro.
"Va benissimo, sono pronta." Affermò Allin, sedendosi su una poltroncina davanti a lui.



"Sua madre, circa un anno e mezzo fa è venuta qui, da me. Sconvolta, mi ha dato una cospicua somma di denaro, per far sì che io riuscissi a fare sparire sua figlia, Allin Dooley, dalla faccia della Terra..." Raccontò rapidamente l'uomo, non perdendosi in dettagli sul suo lavoro o sulla legalità della situazione.
"E per questo adesso mi chiamo Allison... Giusto?" Chiese Allin, spavaldamente.
"Sì, ma non basta, non per molto! Quei falsi documenti di bassa sicurezza non la salveranno, se mai la dovessero cercare!" Sbottò il giovane uomo, battendo una mano sulla scrivania.
"Quindi questo passaporto e questa carta d'identità erano davvero provvisori, utili solo a scappare." Mormorò la bionda, iniziando a sentirsi vittima di un qualcosa più grande di lei.
"Esattamente, signorina. Adesso, dobbiamo fare le cose serie. Deve scegliere un nuovo nome, un nuovo cognome, una storia da recitare. Poi ci penserò io, la segnerò all'anagrafe con i dovuti agganci, le creerò un conto bancario in cui le verserò i soldi di sua madre e provvederò a rimediarle documenti nuovi e sicuri. E così Allin ed Allison spariranno, per sempre." A Mr Garen luccicarono gli occhi. Inutile soffermarsi sul fatto che, il suo lavoro, lo eccitasse.
"Basta così poco per far scomparire una persona?"
"No, certo che no."
"E cos'altro?"
"La stanno cercando, okay? Pensi davvero che un nome falso potrebbe salvarti?!" Chiese ironicamente Mr Garen, scuotendo la testa ridacchiando.
"No..."
"Ha appuntamento con il dottor Finnick appena uscita da qui." Mormorò il giovane uomo, armeggiando con il suo iPhone.
"Dottore?" Domandò Allin, la testa piegata da un lato, verso una spalla.
"Chirurgo." Spiegò Jason, stringendosi nelle spalle, come se avesse detto una banalità.
"Cosa?! No! No! No!" Gli occhi azzurri della bionda si spalancarono, diventando vitrei. La sola idea che, guardando il proprio riflesso, non si sarebbe riconosciuta, così, d'improvviso, la mandò fuori di sé, tant'è che si alzò in piedi e scoprì di non riuscire neanche a reggersi sulle proprie gambe. Era terrorizzata.
"Non faccia la ragazzina. Legga ciò ha firmato sua madre." Allin si divorò letteralmente il contratto stipato da Mr Garen mesi prima, in cui era messo su carta tutto ciò che lui gli aveva detto pochi minuti prima, compresi alcuni piccoli interventi di chirurgia plastica.
"È scioccante, tutto qui, credo." Sussurrò la fuggitiva, sospirando.
"Posso comprenderlo, davvero. Ma ne evince la sua sicurezza e solo così il mio lavoro sarà ben riuscito." Le disse lui, con un tono di voce decisamente caldo e vellutato, mentre incrociava le mani al petto.
"Secondo lei, cambierò molto?"
"Probabilmente non troppo." Mr Garen abbozzò uno dei suoi sorrisi.
"Bene, è un sollievo."
"Deve firmare anche lei l'accordo." Così Allin fece: firmò per iniziare una nuova vita, non di passaggio, ma eterna.
"Bene, ora è giunto il momento migliore. Scelga chi essere. Io mi assento cinque minuti per chiamare Finnick." L'uomo afferrò il documento dalle mani di Allin, quindi uscì dal proprio studio, lasciandola sola con una lista infinita di nomi e cognomi.
La ragazza si piegò sulla scrivania e afferrò il foglio, scorrendo con un dito la serie di nomi, cercandone uno decisamente poco diffuso.
"Clarylin." Trovò poi.
"Sì, direi che può andare." Commentò soddisfatta.
Infine, per scrupolo, sottrasse a quel nome le lettere componenti "Niall".
Il risultato ottenuto le fece spalancare la bocca.
"Cazzo. Cry." Era questo il risultato uscente da quella semplice sottrazione.
Allin si guardò intorno, torturandosi il labbro inferiore dal nervosismo. Non aveva mai creduto nel destino, credeva fosse una grandissima cavolata, un concetto frutto dell'uomo, nato per giustificare alcuni suoi errori, ritardi. Eppure, in quel momento di stupore, la giovane bisbigliò che era stato proprio il destino a farle scegliere quel nome, tra circa quattrocento dei più svariati.
Intimorita, tornò a starsene in piedi, girando la lista che spiccava sulla scrivania scura. Clarylin.
Lo ammise anche lei: era strano, quel nome. Infondo, però, suonava bene e, inoltre, era così tremendamente... Realistico ed ironico, in un certo senso perché lei, senza Niall, non aveva fatto altro che passare le sue nottate a piangere, disperarsi, svegliarsi da brutti incubi, per un anno intero.
"Clarylin." Ripeté un'ultima volta.
Quelle otto lettere sarebbero state l'unico appiglio tra passato, presente e futuro, l'unica cosa che, abbandonata quella casetta ormai distrutta in un parco di Mullingar, le avrebbe dovuto ricordare il biondo cantante Irlandese.
Quando Mr Garen tornò, un sorriso fiero gli illuminava il volto, mentre quello di Allin restava incupito da un velo di terrore.
"Bene, l'aspetta un taxi proprio qua davanti, così potrà andare dal dottore. Domani mattina la chiamerò io, in modo che così mi dirà nome e cognome scelti e cosa sarà necessario modificare al suo volto. Poi, quando l'operazione sarà stata eseguita e lei si sarà ripresa, dovrà contattarmi di nuovo." Le spiegò, con chiarezza.
"Okay, grazie davvero."
"Eseguo sempre al meglio il mio lavoro." Con questa frase decisa, Jason liquidò la ragazza, accompagnandola all'uscio di casa.
Quando Allin fu fuori dalla casa non poté far a meno di respirare, sollevata. Era stata incredibilmente snervante la soggezione che le aveva messo parlare con Jason. Inoltre, migliaia di pensieri e dubbi le vorticavano in testa, in quel momento. Sarebbe dovuta cambiare. Non solo internamente come era giusto fare, ma anche fisicamente. Per salvarsi. Niall l'avrebbe mai riconosciuta? Le avrebbe mai creduto? Quella domanda pesava più di ogni altre nella sua testa, dandole l'impressione che sarebbe caduta da un momento all'altro.
"Dio solo sa quanto continuo ad amarti, Nì." Farfugliò la ragazza e dovette proprio combattere con le unghie e con i denti per non piangere.
Arrabbiata con se stessa, scosse la testa. Non doveva pensare al cantante, non durante il giorno almeno, doveva concentrarsi solo sugli eventi che stavano sconvolgendo la sua vita. Sapeva, sperava che avrebbe trovato un modo, seppur meno evidente e diretto per farsi riconoscere da Niall quando sarebbe stata degna di uno come lui.
Il viaggio in taxi durò poco e fu più tranquillo del previsto. Al fine di questo, l'uomo al volante non si fece pagare il conto, dicendo che, a far ciò, aveva già provveduto Mr Garen. Un altro sospiro di sollievo dischiuse le labbra di Allin.
"Probabilmente avrà scalato i soldi da quelli che verserà nel mio conto in banca." Intuì poi, felice di non dover spendere altri contanti.
"Arrivederci signorina!" Esclamò il tassista, quindi sfrecciò via per le stradine di Mullingar.
Allin si voltò verso il portone in legno antico dietro di sé. Lesse i nomi sul citofono,  finché non vide la scritta 'Dottor Finnick.' Agitata suonò il campanello. Come prima, ben presto l'entrata a scatto sì aprì. Allin si ritrovò così in un pianerottolo che, ai suoi occhi, aveva un qualcosa di angosciante. Un uomo sulla sessantina, a giudicare dal bianco di barba e capelli, smilzo e in buona forma, aprì la porta di uno degli appartamenti al piano terra.
"Signorina Allin?" Domandò poi, sfoderando un sorriso gentile.
"L'opposto di Mr Garen, praticamente." Constatò Allin entusiasta. La preoccupazione, però, non cessava di far tremare il suo corpo snello.
"Piacere dottor Finnick!" Esclamò malgrado questo, contraccambiando l'uomo con un sorriso altrettanto smagliante.
"Allora, penso sia meglio arrivare al nocciolo della situazione perché penso sia piuttosto stanca." Convenne il signore, facendo entrare Allin nel suo studio privato, per poi chiudersi la porta alle spalle.
"Parecchio, in effetti. Le ultime ore sono state piuttosto sfiancanti. Ma prima mi tolga un dubbio, cosa sa di me?" Chiese lei, togliendosi la felpa e passandogliela a lui, che l'appese su un attaccapanni all'ingresso.
"Meno di quanto crede, suppongo. So solo quello che sa anche mio nipote Jason, nulla più. So che deve cambiare volto, per vivere serena una volta per tutte." Mormorò l'uomo, facendo accomodare la sua paziente nel suo studio, prettamente bianco e in buonissimo stato, con attrezzature tecnicamente avanzate e fregi blu alle pareti.
"Ho paura." Confessò la ragazza, una volta seduta.
Questa volta il suo interlocutore non si trovava al di là della propria scrivania, bensì in un'altra poltroncina, accanto a lei.
"Forse già lo sai, ma te lo dico lo stesso: non sarà un cambiamento estremo. Si tratta solo di alzare, rimpolpare qualche zona, nulla di evasivo." La rassicurò il vecchio, cambiandosi gli occhiali da lontano con quelli da vicino.
"Ora, iniziamo."
Il chirurgo, dunque, tracciò alcuni segni con un pastello azzurro sul viso stanco di Allin. Lei lo guardò male, poi si incupì, riconoscendo che quel tipo di colori era lo stesso che usavano i pagliacci al circo, per truccarsi prima di andare in scena.
"Tutto bene?" Finnick, forse per la sua grande esperienza, riconobbe nella bionda un po' di quei demoni che le annebbiavano la mente.
"Solo un po' di malinconia che presto andrà via." Lo sorprese lei, pronunciando quella frase con tanta sicurezza, come se fosse stata una promessa. A se stessa.
"Si guardi pure allo specchio."
"Vede, questa fossetta sul mento potremmo eliminarla, il taglio degli occhi lo modificheremo un po'. Sembreranno leggermente più grandi. Poi, un altro cambiamento saranno le labbra, renderemo più gonfio quello superiore, ai lati. Gli zigomi saranno meno pronunciati, così come le fossette ai lati. E poi il naso, diventerà leggermente più allungato. Badi bene, non si tratta di toccare le ossa, è una cosa molto semplice e il gonfiore perdurerà per due o tre giorni." Le parole del dottore colpirono profondamente la ragazza. La sua esperienza in campo medico non trapelava di certo dalle suo parlare, bensì dai gesti, sicuri e confortanti.
"Come rimpolperete le zone?" Chiese la diciottenne, così curiosa da sembrare una bambina.
"Tossina botulinica per sopracciglia, naso, labbra e zigomi e un po' anche per le fossette sulle guance che risulteranno più delicate. Per il mento invece impianteremo una piccolissima protesi in silicone. Una sorta di gommino." E ecco che il sapere del dottore fuoriusciva a  galla, ammaliandola.
"Non c'è un modo per prevedere il mio aspetto?"
"Certo che c'è, si metta davanti al pc." Il dottor Finnick puntellò le dita sulla tastiera, in un secondo scattò una foto alla sua paziente.
"Ecco qui, un facsimile di come probabilmente sarà." Disse poi, facendo un cenno con la testa per convincere Allin ad alzarsi ed andare a vedersi.
"Okay, posso sopportarlo. E c'è da dire che potrei sembrare una persona completamente diversa con trucco e un nuovo taglio o colore di capelli."
"È più sicura, adesso?"
"Decisamente sì, struccata sembrerei lo stesso me stessa, solo un po'... Cambiata." Allin, avvilita, si strinse nelle spalle. Avrebbe superato anche questa.
"È questo che volevo farle capire." Sorrise il chirurgo, dandole una pacca sulla spalle.

* * *

"Quando mi opererà?" Chiese Allin, uscendo dalla porta, arrivando al pianerottolo.
"Domani, all'ospedale St. Francis. Appena arriverà, chieda di me alla reception, le dica che deve eseguire un'operazione di chirurgia plastica lieve." Le ricordò Finnick, dandole una stretta di mano.
"Va bene, grazie."
"A domani signorina!"
"A domani." Mormorò la ragazza impacciata, infilandosi di nuovo  la felpa che si era portata dietro. Quando uscì in strada poté controllare l'ora. Si erano già fatte le sei di sera. Sapeva che non era opportuno, sapeva che non sarebbe stato sicuro, ma decise di tornare alla casetta. Per l'ultima volta, per l'ultima notte.

* * *

"Incominciamo da te, Zayn. Cosa ti piace fare nel tempo libero?" Questa fu la prima domanda che fece l'intervistatore, non prima di vari convenevoli.
"Beh, andare al cinema, al parco, cose da ragazzi, insomma." Rispose Zayn, facendo un occhiolino ai ragazzi. Smentire la faccenda di Niall si prospettava più facile di quanto avevano temuto.
"Da solo?"
"Beh, no!"
"Quindi tu hai una fidanzata?" Chiese quindi l'intervistatore con curiosità,  accavallando le gambe per poggiarvi sopra un foglio con delle domande già preparate.
"In realtà no, non ancora. Da quando è finito XFactor devo ammettere di aver provato interesse per qualche ragazza, ma, di fatto, sono single." La buttò lì Zayn, passandosi la lingua sul labbro inferiore, divertito.
"E voi altri, ragazzi?" Continuò il giornalista, avido di informazioni.
"Io sto conoscendo una ragazza. Non farò il suo nome, perché ancora non è una cosa importante, quindi non ha senso ufficializzarla. Non ancora, quantomeno." Affermò fiero Liam. Se solo la gente avesse saputo di Danielle, si sarebbe scatenato il putiferio e, per quanto sapeva che prima o poi questo sarebbe stato inevitabile, desiderava proteggerla dai media il più a lungo possibile.
"Harry? Louis?" Incalzò ancora l'intervistatore, assecondando la tacita richiesta del pubblico di sapere, sapere il più possibile.
"Io niente, ma, intanto che aspetto, ho Louis." Affermò, con un sorriso incredibilmente timido, il minore della band, mostrando un lato dolcissimo e insicuro di sé che spesso eclissato da molti.
"Eh, sì. Potremmo essere una gran coppia, non crede anche lei?!" Scherzò Louis, gettandosi su Harry che per poco non cadde del tutto addosso a Liam, facendogli intraprendere un dolce rapporto con il pavimento.
"Uh, sicuro alcune ragazze sarebbero felici a vedervi insieme!" Rise il giornalista, con le lacrime agli occhi. L'espressione scioccata di Liam, all'atterraggio di Harry su di sé fu incomparabile.
"E tu che mi dici, biondino?" L'attenzione fu spostata su Niall.
"Oggi è uscito un articolo su un giornale gossip che mi dà del -detto senza mezzi termini- puttaniere." Rispose lui, gesticolando, ancora scosso da quel titolo sulla copertina.
"Ci sei rimasto male, vero?"
"Sto solo aspettando che la mia principessa mi giri intorno. E no, non frequento prostitute, non vado a letto con groupie. Non faccio niente di tutto ciò." Gli occhi dell'irlandese luccicarono di dolore.
"Sembra che tu stia davvero attendendola con ansia, questa principessa." Costato il giornalista, con tenerezza.
"La sogno ogni notte." Confermò allora Niall.

* * *

Urlava. Allin urlava, urlava da più di mezz'ora, in agonia. Non dava cenno di smettere. Rientrare in quella casetta, in quelle macerie, era stata una pessima idea. In quel momento, tra lacrime prepotenti che minacciavano di bagnarle le guance, un vuoto lacerante all'altezza dello stomaco e un nodo stretto alla gola che le rendeva difficile anche solo il deglutire saliva, Niall era al centro di tutti i  pensieri della ragazza. E poco importava se si era ripromessa di non pensarlo. Infondo avrebbe fatto per una sola notte, l'ultima. Un tuono improvviso la fece sobbalzare, obbligandola a sedersi con la schiena poggiata ad una parete ancora intatta, coperta da parte del tetto, andato anch'esso distrutto. Il tempo di mettere al riparo valigia e zaino che incominciò a piovere. Un'impetuosa, scrosciante, battente tempesta era appena iniziata.


 

Spazio autrice
Finalmente ci sono, alleluja! Allora, come potete notare sto allungando parecchio i capitoli. Lo so, so che sono pesanti, ma non posso farne a meno. Come potete notare, ho inserito di più Niall, il che mi ha fatto tanto piacere. Mi raccomando, tenete d'occhio Finnick e suo nipote, perché torneranno, dopo che li farò scoparire, per un po'. Inoltre, non pensate che Gonzalo e Tacho si siano eclissati, anzi. Nel prossimo capitolo, ci sarà un paragrafo interamente dedicato a loro. Allin dovrà cambiare sembianze, ebbene sì. Ora, prima di lasciarvi un breve spoiler, vi chiedo questo consiglio. Pensavo di accennare, solo accennare, un rapporto Larry. Il dado non è ancora tratto, quindi posso benissimo lasciare le cose come stanno. Fatemi sapere soprattutto se vi infastidirebbe molto l'idea. Okay, detto questo... Vi anticipo questa cosa. Dovrebbe avere Niall paura che Allin non lo riconosca, non il contrario.
Beh, adesso vi ringrazio, ancora una volta vi chiedo gentilmente di recensire, e mi scuso se risulto petulante.

Giorgia.

 

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Capitolo 14
*** A blind alley. ***


A blind alley.

Bene, finalmente ci siamo. Un capitolo colmo di novità, di intrighi, che finisce proprio sul più bello. Spero che l'attesa sia valsa la lettura. Come sempre, vi invito a leggere le note alla fine, ma soprattutto a recensire, perché vorrei tanto sapere un vostro parere sul finale. Chissà a chi penserete...
Buona lettura!


 

Benché fossero passati alcuni giorni dalla fuga di Allin, Gonzalo non era ancora riuscito a ritrovare la calma. La discussione avuta con Tacho e la sua conclusione lo avevano del tutto stravolto. Anche quella sera, mentre discuteva animatamente con sua cognata Jazmine, seduto al tavolo più appartato di un piccolo bar nella periferia di Madrid, ripensava alle parole di quello che sarebbe dovuto essere già allora lo sposo della figlia acquisita.

"Tacho! Cazzarola, io non lo so cosa le sia preso, quando se ne è andata via!" Aveva ripetuto più volte, in quella scombussolata mattina di diciannove Giugno. Tacho, accortosi dell'assenza di Allin si era recato da lui furiosamente, famelico di spiegazioni.

"Deve tornare da me. Non me ne frega del modo. Io la voglio." Gli aveva risposto il giovane, i capelli biondi che gli ricadevano sulla fronte, imperlata di sudore dopo la corsa che aveva fatto per cercare Allin in lungo e per largo nel terreno del circo.

"È mia." Aveva ribadito successivamente, orgoglioso come pochi. Lo zingaro aveva sempre amato conquistarsi le cose. Allin doveva essere il prossimo trofeo da vincere.

"Tacho, è inutile stare qui a parlare. È andata via e non tornerà." Gonzalo si stava innervosendo davvero, ma aveva continuato a mantenere un tono calmo, cercando di infondere tranquillità al giovane davanti a lui.

"No! Dannazione! Non mi pare!"

"Marie era molto furba... I tuoi scagnozzi non riusciranno mai trovare Allin." Aveva affermato il circense, incrociando le braccia al petto, desiderando di porre al più presto la parola fine a quella discussione.

Alle sue parole, Tacho non si era di certo riguardato dal ridere, con il fare di una iena davanti alla sua preda. "Forse loro no... Ma tu sì." "Hai una settimana di tempo per decidere e centocinquanta mila euro in palio.” Aveva aggiunto, uscendo con fare canzonatorio dalla roulotte.


"Gonzalo, devi accettare la richiesta di Tacho, cazzo! Hai sentito quanti soldi ci darà?! Basteranno per far uscire Diego dal carcere!" Sbraitò Jazmine, sbattendo il fondo del proprio bicchierino di brandy sul tavolo, riportando così suo cognato alla realtà.

"Che cosa?!" Bisbigliò lui trucemente, riducendo gli occhi a due fessure.

"Sei forse impazzita?! Non eri tu ad amare Allin alla follia?" La donna abbassò gli occhi, incominciando a studiare le venature del piano in legno, pur di non incrociare lo sguardo del cognato. "Mio marito è in carcere!" Esclamò poi, portandosi una mano sul cuore. Mancava, Diego mancava da morire. A lei e alle loro due figlie, Leena e Hannah.

Erano passati solo cinque giorni, da quanto era stato sorpreso dalla polizia a spacciare droga per alcuni malviventi, accecato anche lui dal denaro e dal lusso, come lo era da sempre stato Gonzalo.

"Dobbiamo pagare la cauzione!" Insistette la donna, buttando giù un sorso della bevanda che teneva in mano.

"E' stato un coglione a farsi beccare con la droga tra le mani, come un ragazzino in crisi esistenziale." Le rispose lui, con acidità. Voleva bene al fratello, ma Allin... Allin era scappata, Allin stava incominciando a vivere, dopo che lui e Marie le avevano mentito per diciotto anni, dopo che lui l'aveva letteralmente massacrata per diciotto anni.

"Ecco dove finivano i soldi del circo..." Mormorò poi, scuotendo deluso la testa e sorseggiando anche lui un po' del proprio whisky.

"Allin, infondo, è solo una ragazza. Okay, va bene tutto. L'ho odiata, profondamente, sebbene lei fosse colpevole di niente. Ma ti svelo un segreto." Sospirò il circense, dondolandosi sulla sedia, agitato, ringraziando che l'alcool lo rendesse più incline al colloquio.

"Parte di me, quella razionale ed ancora
umana, l'ha lasciata scappare." Rivelò, a disagio. Sì: lui, proprio lui, quella notte aveva stretto i denti, posto prima la compassione alla sete di denaro, al rancore, alla gelosia.

"Salva tuo fratello. Poi troveremo modo per liberare Allin, ma, ti prego: aiutalo. È sangue del tuo sangue, no?" Gli domandò Jazmine, gli occhi colmi di lacrime, arrossati dall'insonnia e dal dolore che le stava procurando il mettere nuovamente in trappola la giovane nipote.

"Prima la famiglia, Gonzalo." Aggiunse, recitando con amaro sarcasmo una delle prime regole zingare che, sin da quando erano piccoli, gli era stata insegnata dai genitori.

"Vaffanculo." Borbottò l'uomo. La traveller capì: avrebbe accettato la proposta di Tacho.

Una cosa, però, restava certa: in un modo o nell'altro, sempre se fosse riuscito nel suo intento, avrebbe poi salvato Allin dalle luride mani di quello zingaro.

 

* * *


"Ma Niall?" Domandò annoiato Zayn, sdraiato a testa in giù sul proprio letto dell'attico londinese. Era la mattina del ventisei Giugno e il caldo cominciava a sentirsi, rendendo così pesanti i momenti di noia.

Liam voltò la testa verso di lui, impegnato fino all'istante prima a preparare qualcosa da sperperare durante l'intervista televisiva che avrebbero dovuto affrontare nel pomeriggio.

"Sta sul tetto." Disse, senza dare molto peso alle proprie parole, tornando ad immergersi nei suoi pensieri.

Il moro strabuzzò gli occhi. Preoccupato, si alzò di scatto dal letto. "Sei pazzo?!"

"Zay, è una semplicissima tettoia che si trova a due metri da terra, se mai Niall dovesse cadere, si farebbe solo male al sedere." Il castano si alzò dal letto di Louis sul quale era sdraiato, per salire letteralmente sopra a Zayn ed abbracciarlo. A quel contatto entrambi i ragazzi sospirarono. Era bello avere un rapporto simile. Lontani da casa, stavano piano piano imparando ad essere una famiglia, un gruppo di fratelli.

Un rumore di passi fu udibile dalle scale, Louis salì sul soppalco. "Credo stia ascoltando le canzoni di 'Up all night'. Ha una risma di fogli in mano e, se non sbaglio, sono i testi e gli spartiti." Li informò il ragazzo, raggiungendoli sul materasso, per mandare comodamente qualche messaggio di routine ad amici e parenti. Quindi sbloccò il cellulare. Vedere la foto della sua numerosa famiglia immortalata durante il pranzo Natalizio gli fece strano. Era così distante da loro, da qualche mese ormai.

"Ci pensate mai a quando staremo su un palco? Cosa faremo?" Domandò, tenendo gli occhi chiusi, immaginandosi tra il pubblico quelli stessi volti che occupavano da tempo lo schermo del suo iPhone.

Liam scosse la testa. "No, Lou. Io preferisco vivermela alla giornata. Non sappiamo neanche quanto durerà, se durerà il nostro successo. Non abbiamo ancora un album, né il video del nostro primo singolo." Gli rispose poi, dimostrando che stava cercando di restare con i piedi per terra, come credeva saggio fare e come aveva, non a caso, sempre fatto.

"E se sfonderemo? Sarà meraviglioso vivere così!" Anche un Harry sorridente si accasciò sul materasso, che si abbassò sotto al suo peso.

"Musica, album, concerti, fans e soprattutto voi! Per sempre giovani!" Aggiunse entusiasta, poggiando la testa sulla schiena di Louis che si girò di pancia, per fargli dispetto. Il castano poi, per farsi perdonare, gli infilò le mani tra i ricci, massaggiandogli la cute come solo lui aveva il diritto di fare.

 

* * *


All'esterno, Niall si asciugò le lacrime e spense l'iPod, decidendosi a scendere dalla tettoia, entrando al fresco.

"Ho ascoltato solo fino a 'More than this', poi non ce l'ho fatta a proseguire. Domani ricomincio." Disse sospirando, chiudendosi la portafinestra alle spalle.

"Nì..." Mormorò Zayn, affacciatosi dal soppalco appena aveva sentito i suoi passi.

"Va bene, sto bene. Cioè no, non tanto." Balbettò il biondo, finché non si tappò da solo la bocca, per evitare di risultare ancora più ridicolo di quanto non credesse di essere già sembrato. "Sono belle canzoni, comunque." Aggiunse, abbozzando un fiero sorriso.

"Vieni qui." Lo invitò il moro, che subito fu pronto ad accoglierlo tra le braccia e buttarlo sul letto insieme agli altri ragazzi.
Una gomitata sull'anca, una tirata di capelli, in men che non si dica prese il via una lotta a suon di cuscinate che perdurò finché, stremati, non si lasciarono cadere nuovamente su un letto. Niall aveva riso, da impazzire, se ne erano accorti tutti.

"Vi voglio bene." Sussurrò Liam, tutt'a un tratto.

"Ma è tardi e tra poco una macchina passerà a prenderci per andare alla diretta, quindi, se non muovete il culo e vi vestite, stasera non cucino e vi lascio morire di fame." Aggiunse, rovinando l'improvviso momento di dolcezza.
Gli altri quattro borbottarono, ma eseguirono alla svelta il suo ordine.

 

* * *


Il ticchettio tartassante e regolare di un orologio a muro. Il sibilo del vento passante dalle tapparelle delle finestre lasciate spalancate. Il sussurro della televisione, lasciata accesa con il volume al minimo, giusto perché facesse compagnia. Allin si rigirò nel letto matrimoniale della camera d'albergo. La rete del materasso emise un rumore metallico al suo gesto, un cigolio che aveva del sinistro, degno del peggiore degli horror. Il respiro della ragazza si stava facendo pesante, affannoso, mentre, contorcendosi, si rannicchiava sempre più in se stessa, sussurrando parole incomprensibili.

"Salvami." Mugolò, stropicciandosi gli occhi con entrambe le mani, chiuse a pugno.

Stava sognando, immaginando di crollare, nel vuoto più totale. Vedeva Niall tenderle la mano, il più possibile. Lei non riusciva ad afferrarla. Era vicino, sì, ma non abbastanza. E il buio era troppo, troppo vicino. La fronte imperlata di sudore, le sopracciglia aggrottate, le palpebre strette, le labbra serrate. Allin tremava, rigirandosi nel letto, contorcendosi in agonia.

"No!" D'improvviso spalancò gli occhi, stravolti e vacui. Poi in uno stato di parziale coscienza, perlustrò la stanza facendo spostare lo sguardo da una parte all'altra. Era esattamente come l'aveva lasciata prima di addormentarsi. Anche la città, fuori dalla finestre, era ancora sonnolenta, immersa nel buio più totale.

Con una mano si asciugò parte del sudore sulla fronte, “...Solo un incubo.”, incominciò a ripetersi mentalmente, per calmarsi. Ma la sua aria persa sembrava proprio non passare. Sessanta ticchettii dell'orologio, due soffiate di vento, la televisione si spense automaticamente per inattività. Allin, finalmente, tornò a respirare normalmente, mettendosi a sedere sul letto, con la schiena poggiata alla spalliera in legno. Chiuse quindi gli occhi, aspettò che anche il cuore ricominciasse a prendere il proprio ritmo regolare e solo allora li riaprì. L'angoscia se ne era andata. A tentoni, la ragazza accese la lampada sul comodino più vicino a sé, poi si alzò in piedi, barcollante. Illuminata da una luce soffusa, quella camera sembrava decisamente più accogliente. Infondo, le dispiaceva l'idea che presto, il tempo di trovare un piccolo appartamento o monolocale, avrebbe dovuto abbandonarla. Camminando a piedi nudi, sulla calda moquette azzurrognola, raggiunse il bagno. Rabbrividì quando al caldo del tappeto si sostituì lo spiacevole freddo delle mattonelle bianche. Poco importava, però: aveva bisogno di una doccia. Allin, seppure evitandolo, incrociò il proprio riflesso nello specchio. Non vi si riconobbe. E, la sensazione più spiacevole era la consapevolezza che la colpa di questo non era d'attribuirsi solo all'intervento svolto dal dottor Finnick. Le guance scavate, le occhiaie sotto agli occhi, il rosa del suo bel viso spento contribuivano completamente a farla sembrare un'altra persona. Ma, in fin dei conti, da quanto non mangiava un pasto, anziché uno snack al volo, da quando non si faceva una sana dormita ? Probabilmente da circa una settimana, da quando spaventata era tornata in Irlanda. E in quel momento se ne stava in Inghilterra ed era un'altra persona. Davvero era trascorso così poco tempo? In pochi giorni sembrava aver vissuto mesi, anni. L'incontro con Mr Garen, l'intervento, la breve convalescenza, le pratiche per cambiare del tutto vita, il patrimonio lasciatole dalla madre. "Non posso continuare così, non posso." Constatò la bionda, contraendo le labbra in una smorfia di dolore. Voleva vivere e, finalmente, aveva ogni possibilità di farlo. Ma come sentirsi viva sembrando morta? Allin si spogliò, sussultando per il freddo pungente sulla sua pelle nuda, quindi si portò le mani sulle costole. Incredibile: nel giro di qualche giorno erano diventate visibili, appena sotto al seno. Il mancato allenamento quotidiano aveva accentuato sì quel crollo fisico, ma anche quello mentale. Senza una buona dose di ginnastica, Allin si sentiva molto più inquieta e nervosa. Avrebbe dovuto iniziare a fare qualche altra cosa, questo le sembrava certo. Intanto, però, sentiva di necessitare una lunga doccia calda. Così, in punta di piedi, entrò nel box e subito accese l'acqua che si rivelò meravigliosamente bollente. Dunque chiuse gli occhi, alzando il volto verso lo spruzzino, godendosi il tepore che la stava lentamente avvolgendo. Era rilassante. I lunghi capelli le si appiccicarono alla schiena, risultando una morbida e pesante coperta. Spostandoli su un seno, Allin lasciò che l'acqua potesse scorrere sulla schiena, fermandosi sul sedere, per poi ricominciare la sua corsa verso il basso, scendendo lungo le gambe magre. In pace con se stessa restò immobile, sotto il getto, per un tempo indefinito, poi si sbrigò a lavarsi, cospargendosi con il bagnoschiuma alla vaniglia, il suo preferito, strofinando la pelle finché non risultò ricoperta di candida schiuma. Quando uscì dalla doccia, in una nuvola di vapore, guardò il cielo dalle finestre, chiedendosi che ore fossero, notandolo ancora cupo. Le due e quarantatré. La ragazza sbuffò: non aveva affatto sonno, anzi. Il giorno precedente, infatti, appena giunta a Londra si era affrettata a trovare un albergo ad un costo non troppo eccessivo e, quando era entrata in camera si erano fatte già le sei del pomeriggio. Stanca dal viaggio, si era addormentata poco dopo, in vista della giornata successiva che prevedeva l'andare a cercare non solo un alloggio, ma anche l'iscriversi ad un corso di fotografia. Allin aveva deciso quale sarebbe stata la sua strada. Era stato piuttosto facile, in realtà. Più di quanto avesse mai creduto.

Sin da piccola, era sempre stata affascinata dalla polaroid della mamma. Quando aveva solo dieci anni già si divertiva con lo scattare foto nella pista del circo, immortalando l'espressione degli spettatori. Con gli anni, i suoi soggetti erano cambiati. C'è stato un periodo in cui aveva preso gusto ad immortalare sua madre. Successivamente, quando anche per lei non fu più tempo di andare a scuola, con la complicità della cugina maggiore aveva iniziato ad andare fuori al cancello degli istituti del paese, immortalando su carta lucida attimi tra compagni di classe, chi si disperava per qualche compito imminente, o chi gioiva per la fine delle lezioni. Ma fu a quindici anni il periodo in cui Allin incominciò ad appassionarsi maggiormente allo scattare foto, facendone un hobby ed una valvola di sfogo. Segretamente, Marie, le aveva regalato una polaroid nuova di zecca, tutta per sé, perché sapeva che, senza computer, comprarle una digitale si sarebbe rivelato praticamente inutile. Chissà foto Allin aveva scattato a Niall, di nascosto. Una centinaia, probabilmente. La ragazza rise nella penombra della stanza, continuando a spalmarsi il corpo con profumata crema idratante da banco. Si era era sempre permessa di immortalare il ragazzo solo mentre si appisolava sul prato, nei lunghi pomeriggi passati al parco. Il biondo chiudeva gli occhi, allora lei aveva il via libera. Tirava fuori la macchinetta fotografica dal suo zaino e poi scattava. Forse per debolezza, forse per fragilità o riservatezza, a lei andava bene questo segreto. Infondo, quanto sarebbe sembrata ridicola, agli occhi dell'irlandese, se gli avesse rivelato che gli scattava foto per paura che fosse solo frutto di un sogno? Allin scosse la testa. Aveva fatto bene a tenere nascosta questa sua passione, aiutata anche dal fatto che il circo e la scuola le prendevano la maggior parte del tempo.


Velocemente la ragazza si asciugò i capelli. Le sfioravano quasi il sedere. Avrebbe dovuto farli tagliare, considerando che non era più costretta a tenerli legati, come quando si esibiva per il circo. In quel momento, però non era di certo l'andare da un parrucchiere una delle priorità. Cosa fare per distrarsi? “Dovrei stancarmi.” Convenne Allin, pensando che una bella corsa seguita da un caffè, anziché una dormita, sarebbe stata la giusta medicina per riuscire a riprendere il ciclo giornaliero. Così, scarpe da ginnastica, leggins scuri, felpa larga, Allin raccolse la sua chioma dall'aria indomabile in un'alta coda di cavallo, poi si guardò intorno, afferrò il piccolo Nokia per ogni evenienza e se lo mise in tasca, quindi uscì dalla stanza.

"Dove va, signorina?" Le chiese curioso uno dei camerieri, posto provvisoriamente dietro il bancone della hall.

"A fare una corsa." Rispose semplicemente lei, prima che le fu aperta la porta principale, chiusa durante la notte.

* * *


Seduto sul lettino del suo studio privato di Mullingar, il dottor Finnick scosse la testa, lasciando lo sguardo rivolto verso, anziché verso suo nipote. La paura vissuta qualche ora prima non accennava proprio a smettere di torturarlo. Anche gli abbracci di Jason, accorso lì, cinque minuti dopo la sua chiamata, stavano risultando del tutto vani.

Saranno state le nove della sera, quando cinque uomini, coperti da passamontagna neri, avevano forzato la serratura del suo studio privato, irrompendo all'improvviso. Inizialmente, Finnick non si era affatto lasciato spaventare, pensando si trattasse solo di una rapina, nulla più. Poi, improvvisamente, uno di loro aveva biascicato "Allin." avvicinandoglisi, premendo il proprio pugnale sulla sua gola. Fu allora che, terrorizzato, con le lacrime agli occhi spinto dallo spirito di sopravvivenza, il chirurgo si era sentito costretto a rivelare, seppur in minima parte, tutto ciò che sapeva di Allin, sentendosi uno sporco traditore.

“E' sicuro che stia a Londra, vero?” Gli aveva chiesto un ragazzone dai biondi capelli ricci, togliendosi il passamontagna.

Sì, sì, sicuro.” Gli aveva risposto lui, balbettante. La paura di morire era tanta.

"Dottore, lei vuole vivere, giusto? Bene, che questa visita allora resti tra noi." Aveva aggiunto un uomo sui cinquanta, con capelli scuri e occhi color pece, dopo essersi anche lui scoperto il volto. Poi, lo stesso sconosciuto aveva voltato le spalle, spingendo fuori dallo studio del chirurgo il biondo, seguito da altre tre figure, rimaste incappucciate.
Evidentemente, avevano ottenuto l'informazione che volevano, perché erano andati via con così tanta tranquillità.

"Non avresti potuto fare altro, okay? 'Sti cazzo di zingari!" Sbottò Jason, distogliendo Finnick da un rimuginare affatto benefico.

"Sono stato io un coglione ad offrire anni fa aiuto a quella donna." Borbottò innervosito.

Finnick guardò il nipote, quindi sorrise. "No, Jas. Tu agito bene." Affermò, carezzandogli con estrema fierezza una spalla.

"L'errore l'ho fatto io, ma avevo così paura..." Aggiunse poi, portandosi le mani fra i radi capelli brizzolati, quindi sospirò. "Spero solo che non la trovino." Mormorò, guardando il cielo notturno schiarirsi da fuori la finestra. Era ora di andare a letto anche per lui, seppur, sapeva, si sarebbe rivelato inutile.

 

* * *


Era una serata come le altre nell'attico londinese affittato dalla band che presto avrebbe raggiunto una notorietà del tutto invidiabile. Louis aveva deciso di uscire con un suo vecchio amico, Harry se ne stava stravaccato sul divano a fare zapping incredibilmente nervoso, mentre, in cucina, sebbene fosse un orario bizzarro per farlo, Liam tentava quantomeno di insegnare a Zayn come cucinare cibi basilari, stufo di dover preparare cena e pranzo sempre da solo, perché Harry, oltre ai dolci, non sapeva fare granché.
 


Niall, invece, aveva preferito approfittare della calma dopo l'intervista andata egregiamente, per rifugiarsi un po' in se stesso, tornando su quella tettoia esterna che sembrava essere diventata il suo nuovo rifugio.
"È solo una notte come tante." Biascicò, stendendosi di schiena e lasciando le gambe a penzoloni, contento della poca obliquità della pensilina. Il biondo accese il registratore portatile che aveva tra le mani, in cui, da qualche mese a quella parte lasciava messaggi per Allin, che aveva gradualmente sostituito ai video.

 

"Sto sul tetto, sai? È rilassante osservare la Luna irradiare di luce Londra. Le cose appaiono sotto una diversa prospettiva." Mormorò con voce impastata, chiudendo leggermente le palpebre e strizzando gli occhi, facendo così della Luna e delle chiare stelle corpi dalla forma indefinita, fuochi d'artificio.

"Non riesco a vedere te, ma riesco a vedere le stelle." Niall si fermò un attimo, lasciò scoccare la lingua sul palato, si sedette su, con le ginocchia appoggiate al petto e, come un lupo solitario, rivolse lo sguardo al cielo. "Non le vedi anche tu, queste stesse stelle?" Quasi ululò, soffocando un singhiozzo.

"Ieri ne ho vista una cadere. Era bella, sai? Ma tu lo sei più." Innamorato. Era ancora innamorato perso. Nonostante il tempo. Nonostante i dubbi. Nonostante il dolore. "Fa così male, tutto questo. Non riuscire a non pensarti, vivere un cambiamento così grande, senza te." Rivelò il ragazzo, asciugandosi una lacrima che non avrebbe voluto versare.

"Le ferite che mi hai lasciato non guariranno mai, se non con i tuoi baci." Aggiunse, pensando che, tanto valeva guardare in faccia la realtà, mentre il cielo si incupiva e la luna si eclissava dietro nubi scure, così come si era eclissata quella parte di lui che non conosceva cosa fosse il vero dolore, troppo ingenua e bambinesca per viverlo.

"Sanguinano ogni giorno, tutto il giorno e continueranno a farlo." La voce del biondo iniziò a tremare. Non avrebbe retto a lungo. Deglutì, poi ricominciò a parlare.

"Ti amo e, francamente, lo so. So di essere solo un povero imbecille sognatore eppure..." Un rumore improvviso avvolse la notte. Fuochi d'artificio cominciarono a colorare parte del cielo notturno, donandogli luce, facendo le veci della luna. "Allin, io continuo a credere in noi, seppur possa sembrare pura follia." Sibilò Niall, concludendo la registrazione. Prima di scendere e tornare dagli altri, il giovane si portò una mano sul cuore, quasi fosse un giuramento, o forse un modo per tentare quantomeno di evitare che gli uscisse dal petto, dolorante.
 

* * *


"Ragazzi, sono tornato!" Esordì Louis, entrando nell'attico con un sorriso sghembo ad illuminargli il volto, in attesa di un abbraccio di bentornato da parte di Harry che, però, non arrivò.

Niall, entrando dentro l'appartamento, rimase a godersi la scena.

"Harry?" Louis adocchiò una testa riccia sporgere dallo schienale del divano.

"Oddio, quanto sei geloso Haz." Mormorò il biondo spettatore, dondolando la testa divertito.
Doveva ammettere che godersi il teatrino di quei due non era affatto un brutto modo per non pensare alla voragine che gli divorava il cuore, giorno per giorno.

"Harold Styles. Voglio un tuo abbraccio." Insistette il castano, con fare autoritario.
Il minore del gruppo spense la tivù, incrociando poi le braccia al petto e mettendo su il broncio.

"Fattelo dare dall'amico tuo, l'abbraccio."

"Harry!" Esclamò Louis, avvicinandosi al riccio. "Harry, lo conosco da sempre, è come un fratello per me."

In risposta il ragazzo ottenne solo uno sguardo irritato. "E io che cosa sono, eh? Quello bastardo?!" Domandò Harry, alzandosi per evitare di dir cose che non avrebbe mai voluto uscissero dalla sua bocca.

"Bastardo no, stupido sì e tanto." Mormorò Niall, appoggiatosi al muro. "Mi manca solo una manciata di popcorn", pensò, ridendo tra i baffi.

 

"Tu sei quello piccolo e coccoloso, che adesso alza il culo per andare a bere qualcosa da grandi, insieme al maggiore." Disse convinto Louis, alzandosi dal divano per afferrare una mano di Harry ed avvolgerlo in un abbraccio, poi, non sciogliendo la presa, rivolse uno sguardo divertito a Niall: "Nì, vieni con noi?"


"Sì, credo di averne bisogno." Acconsentì il biondo, infilandosi la giacca di Zayn, perché gli scocciava fare le scale per prendere la sua.

"Zayn, Liam?" I due ragazzi, assorti nel sminuzzare verdure di ogni tipo, alzarono la testa al sentir pronunciare i loro nomi. Zayn con gli occhi luccicanti alla sola idea di seguire i tre, Liam contrariato.

"Andate pure: noi abbiamo da fare qui!" Esordì il castano, alzando il coltello come cenno di saluto che aveva del minaccioso. Il moro sospirò, se non altro il giorno dopo Liam lo avrebbe accompagnato a farsi fare un nuovo tattoo. Sognava, infatti, di ritrovarsi il braccio completamente disegnato, tempo qualche mese.

"Povero Zayn..." Sghignazzarono gli altri tre, entrando allegri in ascensore.

 

* * *


Appena Allin uscì in strada, il freddo gelido penetrò terribilmente nella sua pelle, fino a raggiungere le ossa. Una soffiata di vento le carezzò la nuca, facendola sussultare. La bionda non aveva mai corso prima d'allora, non per fare attività almeno, sempre impegnata con scarpette e body. Con il senno di poi, era anche riuscita ad ammetterlo: le era piaciuto volteggiare in aria, dare vita a balletti mozza fiato, aggiungendo sempre nuove acrobazie. La malinconia stava prendendo il sopravvento. Allin incominciò a correre, a media velocità, prima che il passato vincesse sul presente. "Quel che è stato è stato. Non si torna indietro." Si continuava a ripetere.
Correre, in fin dei conti, non era male. Attenta a non andare addosso ad alberi, biciclette posteggiate, cestini e quant'altro, Allin teneva con fare vigile gli occhi fissi sulla strada. Passò qualche minuto, poi iniziò finalmente ad affaticarsi, sperando che quello sarebbe bastato per dormire la sera. Il cuore iniziò a pompare più forte e frequentemente il sangue tanto che la bionda sentì il suo battere negli orecchi. Un ampio sorriso si formò sul viso della bionda che incominciò ad accelerare il passo. Si sentiva viva. Sentiva il rumore rassicurante del proprio cuore e si ricordava sempre più di non essere una bambola di porcellana, una marionetta da comandare, ma una giovane donna di carne e ossa. Ma era davvero positivo, sentirsi così, per una come lei? I vivi, si sa, si lasciano sopraffare dalle emozioni. Questo non Allin lo aveva proprio calcolato. Ci volle poco prima che il suo sorriso si trasformasse in una smorfia incolore e che lei, abbassando le proprie difese, incominciasse a singhiozzare. Ma no, non pianse e continuò a correre. Era come se, non fermandosi, piano piano si lasciasse tutto alle spalle e il peso che gravava sul cuore diminuisse gradualmente.
"Clarylin." Il suo nome avrebbe pianto al posto suo l'assenza di Niall, lei non avrebbe più versato una sola lacrima, se lo era ripromesso. Avrebbe sofferto in silenzio, di nascosto e poco importava se questo le avrebbe inflitto ancora più dolore. L'unica cosa che contava era e sarebbe stata fingersi felice. Quello sì, l'avrebbe quanto meno aiutata a risultare simpatica, a trovare facilmente lavoro, a vivere. Allin scosse la testa, quando una gocciolina cadde sul suo viso, proprio sulla palpebra dell'occhio destro. Sarebbe potuta sembrare una lacrima, ma il calore, del tutto assente, faceva capire che quella era pioggia. Prevedibile, in effetti, a Londra. E forse sì, forse qualunque altra ragazza avrebbe fatto retromarcia verso l'hotel, ma lei no, lei se ne era sempre fregata di come le stessero capelli e, in più, non doveva neanche preoccuparsi del trucco, perché non ne aveva. Quindi, senza battere ciglio, continuò a correre mantenendo un ritmo regolare, beandosi della sensazione di fresco sulla sua pelle diventata bollente. La ragazza, crogiolandosi nel piacere, chiuse per un attimo di troppo le palpebre, dando così al cervello il tempo per arrivare a pensare qualcosa che lei avrebbe mai voluto ricordare. I brividi di freddo di cui era stata vittima, quando Niall, dopo averla baciata, si ritraeva giusto un po', per riprendere fiato, tornando subito dopo da lei per continuare ad assaggiare la sua carne, bagnandola di calda saliva che sapeva, con il tempo, se solo le cose fossero andate per il meglio, sarebbe stata in grado di sanare ogni sua ferita, anche la più profonda e, solo all'apparenza, incurabile.
Il vento, dapprima calmatosi per un istante, ricominciò a soffiare piegando, seppur leggermente, le fronde degli alberi e facendo cigolare fastidiosamente le insegne dei locali. La pioggia prese a cadere più fitta, battente sull'asfalto. Le nuvole, nel frattempo, avevano coperto del tutto il cielo, dando l'idea che il sole non si stesse affatto svegliando. Sembrava essere ancora il crepuscolo, anziché l'alba. Il momento in cui tutto il modo tace, perché tutto finisce, per poi ricominciare. Un brivido scivolò lungo la schiena di Allin, a cui venne la pelle d'oca. La ragazza sentì l'impulso di fermarsi. Così si guardò intorno, sebbene fosse infastidita dal manto di pioggia che rendeva incerta la visuale. Il panico subentrò, facendo suo respiro ancor più affannoso di quanto non lo fosse già stato per la corsa. Dove diamine era finita? Si era addentrata in una parte di Londra che le sembrava per niente raccomandabile. Per di più, si ritrovava in un vicolo cieco. A sinistra, le entrate di due pub erano disposte l'una accanto all'altra, mentre a destra della strada governava una fila di secchioni della spazzatura, stracolmi. Allin, nervosa, si voltò verso la via da cui era passata. Anche quella pareva aver assunto un aspetto tetro, oscuro. La bionda respirò profondamente, cercando di calmarsi. Cibo putrefatto, vino, umido, sporco, forse urina. Solo questi erano gli odori che riusciva a percepire mentre sentiva la saliva stagnarsi nella sua bocca, non riuscendo a scendere lungo la gola che sembrava essersi fatta molto più stretta del normale. Allin fece per voltarsi, decisa ad andarsene, quando vide delle figure nella penombra.
Forse era solo un'impressione.
Anzi, sicuro era solo un'impressione. E allora perché il cuore di Allin prese a martellare nel suo petto, spingendo contro la gabbia toracica tanto da far male? Le figure si stavano avvicinando, lentamente. Erano vicine, sempre più vicine. Un fascio di luce proveniente da una qualche finestra le illuminò. Allin sussultò.

 

Spazio autrice

Sì, ebbene, ho scelto di tagliare il capitolo proprio nel momento clou. Ma, parliamone insieme. Gonzalo, beh, mie care donzelle, io direi che si sta rivelando un personaggio molto complesso. Volevo infatti allontarnarmi dallo steriotipo e devo dire son contenta dal risultato. Vi avevo detto di tenere d'occhio i due nuovi personaggi, che già si stanno rivelando importanti. In realtà, questo, vi avviso, è solo l'inizio. E poi abbiamo Allin, un Allin diversa, direi che, finalmente ha smesso di piangere, del tutto. O dovrei dire Clarylin? Ecco svelato il perché del nome. E Niall? Beh, ho voluto dedicare un corposo spazio ai ragazzi, perché sinceramente amo immaginare come da sconosciuti siano diventati praticamente fratelli. Okay, direi che posso ritirarmi, non prima di informarvi che, se questa settimana andrà come deve andare e dunque finiranno interrogazioni e compiti in classe potrei tornare ad aggiornare, non dal prossimo aggiornamento, ma dal suo successivo, una volta a settimana. Beh, un'ultima cosa: grazie infinite di tutto, delle recensioni, dell'attesa. Siete importanti e, parlando con altre scrittrici, mi rendo conto che siete davvero fantastiche, credetemi.
Siete la mia forza, a dirla tutta,
Giorgia.

 

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Capitolo 15
*** Reflected in the stars. ***


Reflected in the stars.

Bene, finalmente il pc si è deciso a collaborare. Che dire, un capitolo di passaggio, ma fondamentale che grida speranza e voglia di vivere una vita tranquilla, che vede i due protagonisti dire addio alla tristezza, per assaporare l'allegria, seppur con l'amara consapevolezza che solo insieme saranno pienamente felici. Spero in una recensione, ma soprattuto mi auguro che non resterete deluse da ciò che leggerete, 
Buona lettura c:

PS: come sempre, siete invitate a leggere le note finali♡ 

 


“Certi amori non finiscono, fanno giri immensi e poi ritornano."
-Dal diario di Niall.

 

* * *

 

Erano vicine, sempre più vicine. Un fascio di luce proveniente da una qualche finestra le illuminò. Allin sussultò.

“Niall.” Mormorò, la voce ovattata, ogni parola morta in gola prima di venir pronunciata.

Il cuore della ragazza si arrestò, poi iniziò a trottare, pompando il sangue così furiosamente da render percepibile il suo battere fino alle orecchie. Le spalle che si abbassavano ed alzavano senza controllo, il respiro fattosi così pesante ed affannoso da farla sembrare reduce non da una corsetta di poco più di un'ora, bensì da una vera e propria maratona contro il tempo. Ricordi, pensieri, immagini, parole mai dette incominciarono ad annebbiarle la mente. Allin si portò una mano sullo stomaco, chiuse gli occhi, il viso contrito in una smorfia di assoluto dolore. La voragine che, nell'ultimo periodo sembrava essersi ridotta ad una crepa, si stava riaprendo, divorandole le membra, logorandola da dentro. E sembrava non riuscirsi a saziare. La bionda riaprì gli occhi. Niall era ancora lì, nello stesso punto in cui l'aveva lasciato. Possibile che non si fosse mosso? Scosse la testa. Il tempo sembrava essersi arrestato non appena aveva chiuso gli occhi poco prima. Decise di muovere un passo in avanti. Il baratro che si portava dentro si ridusse un po'. Vacillando, optò per avvicinarsi ancor di più, ma poi una risata, un sorriso del ragazzo la fecero tornare al buio, al riparo dall'essere vista. Lui era felice, o almeno, sembrava felice. Chi era lei per rattristirlo, per fare di quella spensieratezza un'infinita tristezza? E allora la ragione vinse sul sentimento. "Quando ami una persona, devi lasciarla andare", raccontavano i libri. Il bene di Niall, valeva il proprio dolore? Allin acconsentì. Lasciarlo stare, sapendolo così felice si sarebbe rivelata la giusta scelta. E poco le importava se il respiro le stesse gradualmente venendo a mancare o se avesse continuato a sentirsi sola.

Il biondo l'avrebbe vista solo quando lei, per lui, sarebbe stata giusta. Intanto, le bastava vederlo continuare a ridere con i propri amici, prendendo amorevolmente in giro l'uomo del pub in cui era stato e i suoi folti baffoni. Ma, quella mattina, il destino non voleva piegarsi, senza lottare, alla sua scelta. Un rumore improvviso, probabilmente causato da un gatto, fece sì che Niall voltasse la testa verso Allin che, nella penombra, smise del tutto di respirare, per risultare più silenziosa possibile, lasciando che gli incisivi affondassero nell'umida, morbida carne del labbro inferiore. Fu allora che gli sguardi dei due ragazzi si incrociarono. Allin notò come Niall non fosse cambiato di una virgola e che, da quando si era accorto della sua presenza, non cessava di guardarla, accigliato. Quegli occhi, così azzurri, gli avevano difatti inizialmente ricordato quelli della sua Allin. Il ragazzo aveva dunque velocizzato il passo, ma quando le fu più vicino, scosse affranto la testa. “Non è lei.” Deluso, lanciò un'occhiata verso Louis ed Harry che ricambiarono lo sguardo, notando Allin solo in un secondo momento. Quando i loro occhi incrociarono i suoi, i giovani cantanti sentirono il proprio corpo gelarsi, quasi lei fosse stata in grado, con la sola presenza, di fare di quell'afosa estate un rigido inverno.

Louis schioccò la lingua al palato, "Io direi che sarebbe meglio se ci dessimo una mossa, sono quasi le quattro del mattino.", convenne poi, notando l'ora dal suo cellulare.

Gli altri due annuirono, Harry ancora perplesso dalla sensazione di tristezza che sentiva avvolgerlo, Niall frastornato da quella figura che gli sembrava tanto conosciuta quanto estranea, ma che proprio non riusciva ad inquadrare.

Così, a passo svelto, i tre amici oltrepassarono Allin, scomparendo alle sue spalle. Lei, ritrovatasi nuovamente sola, parve ritrovare la capacità di respirare

"Niall, cazzo, Niall!" Gridò, la voce tremante, così come il suo corpo. Un attimo dopo giaceva a terra, con la testa nascosta tra le ginocchia e gli occhi sbarrati, per bloccare ogni principio di lacrime, consapevole che la sua scelta, sebbene facesse male, era stata quella giusta.

 

* * *

 

Quando riuscì a trovare la forza per alzarsi da terra, spinta soprattutto dal timore di starsene lì, da sola, Allin si affrettò a tornare in hotel, chiudendosi di fretta la porta alle spalle. Aveva avuto, difatti, la bruttissima impressione di essere stata seguita. Barcollante attraversò la stanza e aprì la porta finestra, raggiungendo il balcone, illuminato di un rosato, tipico dell'alba. Stanca, la giovane sbuffò e, appoggiandosi alla ringhiera del balcone, guardò giù. Tutto sommato poteva dirsi felice per Niall, tantissimo. Era evidente anche a lei, sebbene, in un certo senso, fosse un po' fuori dal mondo che il ragazzo stava avendo molto, ma molto successo e che questo non sembrava destinato a cessare velocemente. Così passarono i minuti, il cielo divenne azzurro e la radiosveglia che teneva sul comodino suonò, avvisandola che si erano fatte le otto. Allin spalancò la bocca, rendendosi conto di essere decisamente in ritardo per vedere l'appartamento che aveva intenzione di prendere in affitto. Con velocità, indossò un corto vestitino, sulle tonalità del verde, in grado di fasciarle perfettamente le forme. Niall non glielo aveva mai visto indosso. Forse era per questo che il suo inconscio aveva optato per quell'abitino leggero. Da quando aveva deciso di porre una pietra sul passato, rifiutava di indossare o di fare qualsiasi cosa potesse ricordarle Niall. E, sì, in momenti di lucidità si chiedeva che diamine le passasse per la testa, dandosi della stupida. Eppure, nel guardarsi allo specchio non poté evitare di sorridere perché non c'era proprio nulla che la facesse pensare ad altro che non fosse il futuro e la legasse al passato. Legandosi i lunghi capelli biondi, la ragazza uscì dal bagno, per poi tornarvi dopo aver indossato il suo paio di converse verde mela, colorando così di un adorabile color pesca le guance diafane sulle quali, a causa della stagione, stavano spuntando alcune chiare efelidi. Era pronta per cominciare la sua giornata, alla fine di cui la sua vita sarebbe cambiata, ancora.

 

* * *

 

"E questo sì, è l'appartamento." Affermò l'agente immobiliare, con formale entusiasmo. Mrs Delsy, quarant'anni e poco più, era una donna assolutamente dal bell'aspetto, che dimostrava esser molto più giovane. Occhi chiari, capelli scuri, in contrasto con la pelle rosata -tipicamente inglese- corpo dalle forme pronunciate; si muoveva con sicurezza nell'ambiente immobiliare che stava proponendo ad Allin, nel proprio tailleur cenere e décolleté tacco dodici.

"È molto arioso." Commentò Allin, calatasi nella parte di una giovane, ordinaria acquirente che non sembrava affatto essere lì a Londra per nascondersi dal suo passato.

L'appartamento -come le aveva anticipato la signora in sua compagnia- era un ampio e moderno monolocale, con bagno e camera da letto ovviamente separati dalla stanza principale ed un grazioso balconcino che affacciava su una delle strade principali di Londra, dove si sarebbe rivelato molto facile anche per una straniera trovare un autobus di linea per raggiungere anche il più sperduto quartiere cittadino. Allin si fece un breve giro per l'ambiente. Un brivido le percorse la schiena, facendole venire la pelle d'oca. Incredibile quanto fosse rimasta delusa dalla reazione indifferente che aveva avuto entrandovi. Difatti, la sera prima, in hotel, aveva a lungo fantasticato su come sarebbe stato visitare per la prima volta quella che, con il tempo, avrebbe dovuto imparare chiamare 'casa', immaginandovisi a gironzolare raggiante in ogni angolo. Non aveva immaginato che quel monolocale tutto le sarebbe sembrato, ma non 'casa'. Strano, assurdo come i resti, le macerie della casetta sul l'albero, di Mullingar, le continuassero a sembrare più ospitali di quel bell'immobile.

Allin riuscì a distogliersi dai suoi malinconici pensieri. "Gentilmente, potrebbe ricordarmi quanto la proprietaria vorrebbe al mese?" Chiese poi, con dovuto rispetto.

Se, come aveva letto su un giornale, l'affitto sarebbe rimasto davvero sotto le cinquecento sterline al mese, avrebbe sicuro accettato. "D'altronde", pensò, "è prezzo ragionevole, per un appartamento così vicino al centro, già ammobiliato e ristrutturato da poco."

"Sono quattrocentonovanta sterline." Esordì l'agente immobiliare, sfogliando quello che dava l'idea di essere un infinito fascicolo di documenti. "Le consiglio vivamente di accettare, perché non troverà un rapporto qualità-prezzo così ottimale in giro."

"Sì, ha ragione. Direi che possiamo procedere con l'affitto." Convenne Allin, scrollandosi di dosso la brutta sensazione che quel luogo le sarebbe sembrato per sempre del tutto sconosciuto.

Infine, la giovane irlandese si costrinse a sorridere cordialmente, poi si apprestò a mostrare un documento, richiesto e a svolgere le pratiche per l'affitto. Quando, preceduta da Mrs Delsy, uscì in strada, il finto sorriso si trasformò in uno sincero e reso raggiante dai buoni propositi e dalla speranza. Infondo mancava davvero poco al momento in cui sarebbe riuscita finalmente a prendere le redini della sua vita. Dopo diciotto strazianti, lunghi anni.

 

* * *

 

 

"Allora, cosa le serve?" Trillò pimpante una donna da dietro la scrivania della segreteria di quella che. ad Allin, era sembrata essere la migliore tra tutte le scuole di fotografia della città.

La ragazza la squadrò per bene. Capigliatura scarmigliata, capelli chiari, pelle palesemente scurita da chissà quante lampade, abbigliamento casual e un sorriso ad illuminarle il volto, così aperto da sembrare addirittura finto.

"Vorrei sapere più informazioni su questa scuola per aspiranti fotografi. Sa, ho letto l'annuncio sul Times, ma non c'era scritto molto."

"Certo, volentieri." Iniziò la segretaria, alzandosi da dietro la scrivania. Con un gesto delicato, afferrò una brochure.

"Siamo un istituto piuttosto giovane, è piacevole vedere che stiamo riscuotendo un certo interesse." Continuò e allora fece cenno ad Alllin di seguirla. La bionda affrettò il passo, curiosando in giro.

L'edificio, se da fuori sembrava piuttosto modesto e antiquato, all'interno era sorprendentemente moderno e all'avanguardia. La lavorante le spiegò che, dopo aver preso una certificazione, avrebbe potuto esercitare la professione e, nel caso si fosse mostrata una fotografa valida, avrebbe potuto seguire un praticantato affianco ad importanti fotografi. Inoltre, parallelamente all'arte del fotografare, avrebbe imparato quella del registrare e montare video. Le aggiunse che uno studente della prima classe aveva contribuito alla registrazione di un nuovo videoclip per un cantante piuttosto famoso, nel paese, spopolato tra i giovani, ma di cui proprio non ricordava il nome. Allin le sorrise, sembrava estasiata.

"Abbiamo corsi meridiani, post meridiani e serali." Aggiunse la donna, fermandosi davanti alla porta di quello che, a parere della ragazza, sembrava essere l'ufficio del preside di quella innovativa scuola.

Mrs Collin guardò la giovane dolcemente, "Bene, questo è tutto, credo sia arrivato il momento di parlarne con il direttore." disse poi, bussando.

"Grazie mille." La salutò Allin, con un cenno di testa.

Lei ricambiò divertita, "È il mio lavoro." aggiunse.

 

* * *
 

Allin prese un respiro, così entrò nell'ufficio di Mr Maddox. L'ambiente, ordinato e moderno, dai colori tenui, sembrava riflettere completamente la sua persona. Lui era un uomo sui cinquanta, assolutamente dal piacevole aspetto, dai capelli biondo cenere, con un filo di barba ordinata ad incorniciargli il volto. Gli occhi azzurri vicino ai quali, quando sorrideva, gli si formavano piccole rughe di espressione, un fisico atletico e slanciato, vestito da jeans e cravatta gli davano inoltre l'impressione di non esser poi molto formale e distaccato come la bionda aveva paura che fosse

"Signorina, come posso esserle d'aiuto?" La salutò lui, cogliendola intenta ad osservarlo.

Allin, impacciata, si sedette sulla poltroncina posta avanti alla scrivania dal piano in vetro. "Vorrei iniziare a frequentare quest'accademia, ne sono completamente impressionata."

Mr Maddox le sorrise, "Quale piacere!" esclamò. "Mi servono un documento e il diploma, anche il passaporto può andare." Aggiunse poi.

Allin impallidì. Pensare che quelli che avrebbe dato fossero documenti falsi la agitava. Non aveva iniziato neanche il quarto anno di liceo e, secondo le carte, invece, aveva finito gli studi in modo brillante. Inoltre, per forza di cose, Jason aveva dovuto darle due anni in più. "Ecco qui."

Il direttore, davanti a lei, le prese tutti i fogli che aveva tra le mani, esaminandoli. "Perfetto." Mormorò soddisfatto, "Diplomata con il massimo dei voti, sono strabiliato!", aggiunse.

Allin gesticolò con nonchalance, sperando improvvisamente di essere una valida attrice. "È stato faticoso, molto, ma me la sono sempre cavata, a scuola."

"Clarylin Mason, vent'anni, originaria della Scozia, trasferitasi qui appena qualche giorno fa, subito dopo essersi diplomata." Osservò il direttore, chiedendo implicita conferma.

"Esatto." Questa, non tardò ad arrivare.

"Bene, ha tutte le carte in regola."

"Quanto durerebbero questi studi?"

Mr Maddox apparve soddisfatto dalla curiosità della giovane. "Un anno e sei mesi è la durata delle lezioni vere e proprie. Poi c'è un periodo di uno o due anni di tirocinio, al seguito del quale otterrà il diploma per esercitare liberamente la professione, individualmente, o presso un'agenzia, cosa che credo le abbia già accennato la nostra segretaria."

Allin si fece due calcoli, quindi sorrise. "Okay, è davvero perfetto." Affermò.

"Bene, allora uscendo prenda la lista di orari delle sue lezioni. Si trova vicino alla bacheca, in segreteria. Si ricordi anche di chiedere l'ordinazione dei libri di testo a Mrs Collin." La informò l'uomo, notando di non avere più opuscoli sulla sua scrivania.

"Quando inizierò?"

Ancora una volta, il direttore si compiacque di tanta voglia di fare. "Il programma è iniziato il primo giugno, qui non si fanno pause estive, durante questo periodo, difatti, il lavoro abbonda, però, c'è da dire che ogni tanto diamo una settimana di pausa. Lei può iniziare da domani, tanto credo che presto riuscirà a rimettersi in pari." Aveva già compreso, difatti, che Allin, con la sua sana caparbia avrebbe ottenuto grandi risultati.

"Grazie, arrivederci!" Esclamò lei, e balzò fuori dalla sedia, uscendo di corsa dalla stanza.

 

* * *

 

Era notte fonda quando i due ragazzi rivolsero lo sguardo al cielo. Allin intenta a leggere un libro horror -perché perdersi tra le righe dei suoi amati romantici recava troppo dolore- nel balcone dell'appartamento ancora intonso, Niall a canticchiare canzoni nella ormai sua tettoia personale. Nessuno dei due versò lacrime. Il biondo sbagliò una nota con la sua chitarra. Così, innervositosi, diede un pugno alla piattaforma su cui stava seduto, poi vi si sdraiò, i suoi occhi azzurri intenti a studiare la volta blu. Più volte sembrò ululare il suo dolore alla luna piena come un lupo solitario, concedendosi quell'attimo di intimità per gridare invano il nome di Allin, così forte da rischiare di squarciare il cielo. Anche Allin, distante infondo solo qualche chilometro da lui, si distolse dalla lettura, ammaliata dalla luce fredda ed affascinante della luna, rivolgendo poi l'attenzione alle stelle. Ne vide una luminosissima, vicino ad un'altra molto più piccola, così fioca da considerarsi spenta. La ragazza borbottò, sentendosi ancor più insignificante di quel secondo astro, confrontata con Niall. Le bastò voltare la testa, per sorridere almeno un po'. Altre due stelle, ancor più vicine delle precedenti, sprigionavano la stessa identica luce. Sembravano così perfette insieme, da non riuscire ad essere scindibili l'una dall'altra. Il suo obiettivo, ancora una volta le parve chiaro, riflesso nelle stelle. Fu in quel momento che, così la luna, così le stelle, oggetto della sua totale attenzione, vennero coperte da una scura coltre di nuvole, spostatasi a causa del vento. I due ragazzi rabbrividirono di freddo, distanti, eppure così vicini, diversi e ma simili da sentire entrambi l'esigenza di chiudersi in se stessi, nelle proprie ginocchia. Alllin rialzò per prima lo sguardo, corrucciata: una melodia familiare quanto fastidiosa si stava diffondendo da dentro l'appartamento. La ragazza dunque si alzò pigramente, rientrando in casa a passi lenti, dandosi dell'idiota per non aver compreso prima che lo stereo lasciato acceso fosse la fonte di quella musica. Quando raggiunse il salotto, il cuore le si fermò all'improvviso e a stento riuscì a trattenersi dal far spegnere l'apparecchio elettronico con un calcio. Inerme, si impose di sedersi sul divano della sala, stringendo un cuscino tra le braccia per calmarsi, mentre 'I'm yours' stava via via prendendo vita, nota dopo nota, non sembrandole più la stessa canzone che, anni prima, aveva sentito intonare dall'angelica voce del ragazzo a cui non riusciva proprio a rinunciare e per cui avrebbe lottato, giorno per giorno.

 

 

* * *

 

"Ho preso una decisione." Esordì Niall, il capo rivolto verso i suoi amici, un sorriso stampato sul volto, in quella purtroppo nuvolosa mattinata estiva.

Prima Zayn, poi gli altri, lo squadrarono attentamente. Non c'era tristezza sul suo volto, i suoi occhi non erano cupi, vacui, costantemente fissi in un punto non ben preciso come lo erano stati da sempre, sino alla sera precedente.

L'Irlandese sospirò, prendendo fiato e, soprattutto, coraggio. "Il passato è passato, ragazzi.", aggiunse con decisione.

Così, mentre Harry, Liam e Zayn sembravano a corto di parole, Louis sfoggiò un fiero sorriso. "Cosa significa, Nì?" Gli chiese, con ammirazione, sperando che le sue positive supposizioni fossero esatte.

"Significa che ho finalmente sigillato il mio cuore."

Zayn sgranò gli occhi, incredulo. "Allin?"

"Allin sta qui dentro", affermò Niall battendo due volte la mano destra sul cuore, "ma basta tristezza, basta apatia, basta merda." Concluse.

A quel punto, anche Liam sembrò riprendersi dallo sgomento iniziale. "Niall, sei stato bravissimo." Gli disse, dandogli una pacca affettuosa su una spalla.

"E se...” Mormorò Harry, impacciatamente, “E se tu conoscessi un'altra ragazza?"

Niall si strinse nelle spalle, "Non lo so, Har. Non voglio fare programmi, mi bastano quelli dei nostri manager, sinceramente."

Il riccio curvò le labbra in un sorriso comprensivo, "E se lei, tra qualche anno, tornasse? Se si presentasse ad un concerto? O ad un Meet and Greet?"

"Sarei disposto a dimenticare ogni dolore. Fosse anche stata lei a scrivermi quella cazzo di lettera, più di un anno fa e venisse da me, chiedendomi perdono." Sibilò Niall, poi rivolse lo sguardo verso l'altro, riuscendo a mantenere il controllo sul dolore. Sorrise, quando riabbassò il viso e riuscì a vedere a modo ognuno di loro, senza che la vista risultasse appannata da un velo permanente di lacrime.

Zayn e Louis si guardarono, stupidi dalle parole del loro compagno di band. "Sei fortissimo," dissero in coro, sporgendosi per abbracciarlo, seguiti poi da Harry e Liam che, commossi, si unirono alla stretta.

E forse sì, Niall in quel momento era forte, davvero.

 

* * *

“Gonzalo, devi trovarla. Al più presto possibile.” Urlò Tacho al cellulare, fuori di sé.

Il domatore di tigri incominciò ad innervosirsi. “E' difficile, okay? Devi darti una calmata.”

“Non intendo farlo.” Rispose secco il ragazzo.

“Ah, è da stamattina che venti dei miei stanno perlustrando Londra.” Aggiunse poi. “E, ovviamente, se loro la trovano prima di te, il nostro accordo salta. Niente soldi.”

“La troverò.” Gonzalo dovette trattenere una lacrima.

 

* * *

“E se dovessi cadere, chi sarebbe disposto a tendermi una mano per salvarmi?” 
-Dal diario di Allin
 


Spazio autrice

Sì, ebbene, eccoci qui. Come anticipato, in questo capitolo credo sia evidente una voglia di ricominciare a vivere da parte di Allin e Niall. Inoltre abbiamo Gonzalo sull'orlo di una crisi che, se non cambio idea, penso svilupperò nel prossimo capitolo. A proposito, mi sento buona stasera. Quindi direi che vi anticipo qualcosina. Il prossimo sarà un capitolo molto spensierato, devo dire, almeno all'inizio. La fine, difatti, sarà tutto tranne che allegra e darà il via ad un periodo piuttosto cupo della storia. Quello che avete letto fino ad ora sarà niente in confronto, sebbene il colpo di grazia avverrà tra un po'. Se ci pensate, Allin ha avuto la sensazione di essere seguita... No? Bene, direi che ora che lo lanciato il sasso, tiro via la mano e vi lascio nel dubbio ahahaha, non me ne vogliate. Vi informo che, se noterò che le visite e le recensioni saranno nella media, o -chissà- anche sopra e che quindi avrete fatto in tempo a leggere questo capitolo, aggiornerò tra dieci giorni, anziché due settimane. Spero che ce la farete a trovare tempo, anche per lasciarmi un commento, giusto per farmi capire che beh, non vi ho deluse durante questo tempo. Intanto, non posso fare altro che ringraziarvi, di cuore.
Ci becchiamo presto,
Giorgia.

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Capitolo 16
*** From the inside. ***


From the inside.

Ed eccoci qua. In ritardo, perché la tanta pioggia aveva mandato temporaneamente a quel paese il collegamento Wi-Fi, spero possiate perdonarmi. Arriviamo a noi, un capitolo colmo di anticipazioni nascoste, nuovi personaggi, nuovi risvolti. Credo sia stato uno dei più impegnativi, nonché uno dei miei preferiti. Concludo dicendo che per anticipazioni, tempo di aggiornamento e commenti, c'é lo spazio a fine capitolo. 
Confido nel leggere un vostro parere,
Buona lettura! C:



«Per sempre resterà un solo nome sulle mie labbra.»
-Dal diario di Allin

 

Giugno

Luglio

Agosto

Settembre

Ottobre

Novembre

Dicembre



Ed i mesi erano passati. Dall'estate all'inverno. Dal caldo afoso al freddo rigido. Dal sole alla pioggia. Cielo azzurro diventato costantemente grigio, ricoperto da una coltre di nubi. L'aria natalizia era nell'aria, da circa un paio di settimane. Le strade illuminate da lucine, i negozi colmi di decorazioni, il rosso a far da sovrano, le giostre montate nelle piazze, i bambini felici, in vacanza, a giocarvici su con i genitori, gridando dalla gioia. Forse era proprio questa atmosfera allegra a rendere Allin altrettanto di buon umore. Decisamente. Quel pomeriggio di diciotto Dicembre, la ragazza aveva indossato il suo impermeabile rosso fuoco, quindi era uscita in strada. Con il passare del tempo, l'appartamento che aveva preso in affitto non era diventato affatto più ospitale di quel poco che le era parso il primo giorno, quindi evitava di rimanervici a lungo. Appena poteva, scappava.

Attenta a non finire con i piedi in una delle numerose pozzanghere creatosi a causa del precedente temporale, la bionda camminava lentamente sul marciapiede, guardandosi intorno. Quella brutta sensazione che aveva provato la prima volta mesi fa era perdurata nel tempo. Allin continuava a sentirsi costantemente osservata, senza tregua. Questo la terrorizzava, erano rare le notti in cui riposava tranquilla, senza svegliarsi di colpo dopo un incubo. Comprensibile, se si considera che, fino ad allora, ogni suo timore si era rivelato essere veritiero. La bionda sbuffò, sperando con tutta se stessa che, almeno quella volta, sarebbe andata diversamente da come pensava. Una goccia di pioggia le cadde sul naso. Prontamente, si coprì la testa con il cappuccio. Ormai poteva dirsi abituata al tempo di Londra e sapeva che, con molta probabilità, da lì a breve, sarebbe scesa tanta di quella pioggia da rendere invisibile ogni cosa al di fuori del raggio di due metri di distanza. Nel compiere quel gesto, rivolse lo sguardo alla strada. Si corrucciò quando notò una Mercedes nera in doppia fila, dai finestrini scuri. Dopo essersi fermata un secondo per osservarla, riprese a camminare, con gli occhi puntati sul marciapiede. La macchina seguiva il suo andamento, senza mai accostarsi. Fu allora che più ricordi le riaffiorarono per la mente. Quel veicolo lo aveva già visto, numerose volte. La prima pochi giorni dopo essersi trasferita a Londra, fuori dall'istituto di fotografia. Ripensandoci, avrebbe potuto giurare a chiunque di averlo vista anche il giorno successivo, ad attenderla sotto l'appartamento. E il giorno dopo, e quello successivo.
Allin si voltò un'ultima volta verso la strada, chiudendo a pungo le mani infilate nelle tasche della giacca, nervosa. La Mercedes, intanto, non si decideva proprio ad accostare. Fu in quel momento che le venne un'idea che decise di realizzare, se non la pensò così decisiva. La bionda quindi svoltò d'improvviso in una strada secondaria, nella quale l'accesso di veicoli era vietato. Alcuni istanti, poi anche la macchina si fermò. Allin sentì il rimbombare del suo motore cessare. Brividi le percorsero la schiena. Mancavano giusto due svolte per arrivare al palazzo in cui abitava, pochi passi e sarebbe stata al sicuro. Così si affrettò ad accelerare la sua camminata. Il destino, però, aveva altro in serbo per lei. Passò neanche un minuti che il rumore dei suoi passi si mischiò con quello di altrettanti. Spaventata, l'irlandese poté percepire i battiti del proprio cuore accelerare, farsi sempre più martellanti. E l'origine di quel pulsare non era di certo simile all'emozione di quando Niall la baciava, bramando il suo corpo, né tantomeno alla fatica di quando usciva per correre, evitando così di pensare ad altro che non fosse la musica che risuonava nelle sue orecchie. In quel momento, unico e sadico burattinaio del suo cuore era la paura. Non a caso, due o tre passi ancora e le cedettero le gambe. Allin crollò. Palmi e ginocchia sbucciate, a contatto con l'asfalto freddo di quella strada desolata. La giovane decise di arrendersi, sentendo di non potercela fare, incredibilmente sola. Allora chiuse gli occhi, fremendo. Quella sarebbe stata la sua fine? Si ripeteva spesso di non aver paura di morire e che, in fin dei conti, vivere era più doloroso. Perché allora tratteneva a stento le lacrime?

«Io devo tornare da Niall» mormorò tra i denti.

A quel punto, tornò il silenzio. Allin, in cuor suo lo sapeva: si trattava solo della quiete subito prima della tempesta.

«Ciao Allin» sibilò canzonatoria una voce di uomo, a lei sconosciuta. Hego Martinez, trentacinque anni, era stato ingaggiato tempo prima da Tacho insieme ad altri scagnozzi, per tenere sotto controllo Gonzalo, del quale il ragazzo non si fidava poi tanto.

La bionda si voltò, terrorizzata. Provò ad alzarsi. Fu inutile. Cadde. Non solo al primo, ma anche a quello doveva essere stato il terzo o il quarto tentativo. Chi era quello sconosciuto? A fatica, dal basso, riuscì a vederlo in volto.

«Cosa vuoi...» mormorò lei balbettante. «Cosa vuoi da me?»

L'uomo sghignazzò, così fragorosamente da ricordarle una di quelle antipatiche iene che tanto odiava ne 'Il re leone', uno dei cartoni preferiti della sua infanzia. «Io niente, ma penso proprio che Tacho non sia dello stesso parere» le rivelò, quindi si le avvicinò, facendola sua deliziosa preda, stringendole il braccio destro con una mano callosa.
«Sei stata brava, sai?» sussurrò al suo orecchio, con voce così viscida da farla rabbrividire, fino alle ossa.


«Un nuovo nome, una nuova età, un nuovo volto persino!» continuò, sfiorandole il corpo, eccitandosi.

Allin, inerme, continuava a cercare senza risultati la forza, il coraggio, per alzarsi. Non capiva. Cosa l'aveva tradita, o meglio, chi l'aveva imbrogliata?

«Mh...» mugolò sguaiatamente lo zingaro.

«Ora che ci penso, sarebbe un tale spreco lasciare un bocconcino come te alla mercé di Tacho, senza averlo prima provato...» La giovane irlandese strabuzzò gli occhi. Sentì le mani di Hego, fredde sulla sua pelle, a carezzarle l'interno coscia, addentrandosi sempre più verso i suoi slip.

«Vattene!» esclamò improvvisamente qualcuno alle loro spalle.

La bionda ebbe un tuffo al cuore. Avrebbe distinto la voce autoritaria di Gonzalo tra altre mille.
Ma, evidentemente, lei non fu l'unica a riconoscerlo.
«Anche tu qui?» domandò lo zingaro, cui mano stringeva ancora fortemente il suo braccio.

Così il domatore di tigri uscì allo scoperto. «Vattene» esordì. Un fuoco ardente illuminava i suoi occhi color pece.

Ma quello no, non spaventava l'altro uomo che fece alzare Allin con un veloce scatto, tenendola ancora intrappolata nella sua stretta. «Gonzalo, non venire a fare il buono della situazione. Lei serve anche a te.»

«Vattene».

Una risata ruppe il silenzio creatosi nell'aria, così forte da rimbombare tra i vecchi palazzi disabitati. «E non approfittare di un bel fiorellino come lei?» domandò Hego, non facendosi scrupoli ad infilare le mani nel maglione della diciottenne che serrò gli occhi, schifata.

Fu allora che Gonzalo non ci vide più, perdendo il senno. «Vattene, cazzo, vattene!» urlò, correndo senza apparente motivo verso Allin.

Appena la raggiunse, la scaraventò a terra, cercando di dosare la propria forza per non farle male. Poi ebbe il via libera, quindi prese per la gola lo zingaro. Si crogiolò, godendo nel sentirlo respirare a fatica, di sentire la saliva mancargli in gola, sotto i propri polpastrelli. «Sparisci» sibilò, fronte contro fronte, stringendo con una mano il tagliacarte in metallo che aveva in tasca, per ogni evenienza.

«Non riporterai mai Allin da Tacho». Lo zingaro rise, liberandosi dalla sua presa.

«Questi non sono affari tuoi» si limitò a rispondergli, ritrovando, seppur momentaneamente, la calma.

«Glielo dirò a Tacho. Ti farò rovinare».

«Sta zitto!»

«Tu finirai tra le sbarre con tuo fratello e io potrò riportare vittorioso Allin in Spagna, ricavandone pure un bel gruzzolo!» Hego lanciò un'occhiata alla ragazza tremante sul marciapiede, poi si mise una mano nella tasca del giubbotto, estraendone un pugnale.

«Non accadrà!» Spaventato dalla possibilità che l'uomo davanti a lui potesse anche solo sfiorare Allin con quella lama fredda, Gonzalo non poté evitare di afferrare anche lui la lama.

Allin sgranò gli occhi, così notò il luccicore di quelle armi risplendere nel buio della sera che stava arrivando, quindi chiuse gli occhi. «Gli zingari uccidono, spesso non se ne fanno neanche un problema» continuava a ripetersi, chiudendosi a riccio con la testa tra le ginocchia. Sapeva che solo uno dei due l'avrebbe scampata e che se quello non si sarebbe rivelato Gonzalo lei avrebbe rimpianto di essere scappata. Incapace di far nulla, consapevole che non avrebbe potuto né dovuto fermarli, aspettò in silenzio il rumore di un corpo cadere a terra, poi quello di un trascinamento, quindi riaprì gli occhi. Vide l'uomo che aveva creduto per anni essere suo padre avvicinarsi, vincitore senza gloria di quel duello. Probabilmente, pensò la ragazza, nei suoi occhi vi vide terrore, perché dopo aver incrociato il suo sguardo infilò repentinamente pugnale e tagliacarte in tasca, portandosi le mani vicino alla testa, in segno di innocenza. «Non ti farò del male» sembrava gridare, senza emettere suono alcuno.

 
* * *

Un vicolo cieco. Il cielo diventato tetro, con i colori rosati del tramonto che stavano gradualmente lasciando il posto al buio del crepuscolo. Allin, nervosa, ancora scossa da ciò che era appena accaduto, girava in tondo, senza fermarsi mai.

«A cosa ti è servito ucciderlo, eh? Ci penseranno i suoi uomini a trovarmi» disse, sedendosi su una panchina improvvisata da un vecchio tavolino da thé, lasciato a se stesso vicino ad alcuni secchioni dell'immondizia.

Gonzalo, accasciato sul marciapiede, si prese la testa tra le mani, tirandosi assiduamente qualche ciocca di capelli brizzolati tra le dita.

«Allin, non voglio portarti da Tacho» dichiarò, con le lacrime agli occhi.

La giovane allora si alzò. Di pietra davanti a quell'uomo che tanto sentiva di odiare, schioccò la lingua al palato. «Non vuoi, certo, ma lo farai».

Gonzalo alzò allora la testa, incrociando i suoi occhi azzurri. «Mio fratello è finito in carcere e, in questi mesi di reclusione, tua zia sta impazzendo, sempre più» spiegò. Nel pronunciare quelle parole il muro di indifferenza che aveva posto tra sé e il resto del mondo, sembrò iniziare a sgretolarsi. I suoi occhi, così freddi da quasi vent'anni, non riuscirono a trattenere più le lacrime, serbatoi ormai troppo colmi per non esplodere.

Allin notò subito le guance dello zingaro bagnarsi, luccicanti dal pianto, quindi si girò di spalle. «Come stanno Leena e Hannah? E gli altri?» chiese, con voce tremante. Non era certa di voler sapere la risposta.

Gonzalo chiuse gli occhi. «Penso che tu lo possa immaginare. Leena, soprattutto all'inizio, era caduta totalmente in depressione. Non mangiava, non parlava... Niente» le raccontò.

Allin strinse gli occhi, infastidita dal nodo che il magone le stava creando sempre più in gola, non permettendole di deglutire. «Tacho ti ha proposto i soldi necessari per scagionarlo?» provò ad indovinare, cambiando tutt'a un tratto argomento, per evitare di piangere dopo mesi in cui si era riuscita a trattenere.

«Mi sento una bestia» mormorò Gonzalo, in agonia.

«Quanti ne servono?» domandò la ragazza, visibilmente schifata da quel mondo a cui aveva creduto a lungo di appartenere.

«Tanti».

«Dimmi un numero» insistette, piegandosi verso l'uomo, per incrociare il suo sguardo.

«Trentamila» le rispose lui.

Allora Allin rivolse gli occhi al cielo. «Quanta cazzo di droga aveva tra le mani?» chiese scocciata, sapendo che mai avrebbe ricevuto risposta.

«Ad ogni modo» continuò. «Ho ancora alcuni soldi che mi ha lasciato segretamente mamma come eredità, me ne sono rimasti circa diciassettemila, forse poco più».

«Allin...» sussurrò flebilmente Gonzalo, con una strana, quanto nuova, voglia di abbracciare quella gracile, giovane donna.

Lei si allontanò, sentiva la rabbia montare. «No, ascolta piuttosto» disse, digrignando i denti.

«Intanto prenditi quelli, li ho conservati in un conto in banca, poi dì a zia che entro qualche mese riuscirò a guadagnare qualcosa di più, di stare tranquilla. Con i soldi del circo, anziché fare altre cazzate, pagateci tutti i debiti che sicuramente avrà fatto».

Gonzalo lasciò che un sospirò fuoriuscisse dalle proprie labbra, formando una nuvola di vapore nell'aria fredda. «Se non ti porto via con me... Lo faranno gli altri».

Allin borbottò, quindi si accasciò vicino all'uomo, forse per pietà, forse per stanchezza o chissà.

«Ce la posso fare. Tu resta qui in zona, dì che non mi hai ancora trovata e guardami le spalle. Se devi uccidere, uccidi, non farti scrupoli come sembrava te ne stessi facendo poco fa. Infondo hai ucciso anche me, giorno dopo giorno, per anni» mormorò, con gli occhi tanto velati di lacrime da non vederci più nulla.

«Sei così cambiata» biascicò incredulo Gonzalo, con il cuore stretto in una dolce morsa. Che fosse stato orgoglioso di lei? Di certo avrebbe avuto buon motivo per esserlo.

«Sono dovuta cambiare».

«Mi odi».

Allin scosse la testa, credendosi stupida, perché consapevole che non gli avrebbe mai risposto 'Sì'. «Dammi il tuo numero: non voglio vederti fin quando non ti chiamerò, quindi ci incontreremo qui e poi sarà come se io non fossi mai esistita nella tua vita».

Gonzalo incassò il colpo, quindi si affrettò ad estrarre il coltello, ancora sporco del sangue zingaro di Hego, per incidere il proprio numero di cellulare su una tavoletta di legno, trovata vicino ai secchi della spazzatura.

Allin afferrò l'improvvisato bigliettino e ne carezzò la superficie intagliata, prendendo il portamonete dalla piccola tracolla che dondolava sul fianco destro.  Senza ripensamenti, estrasse la carta di credito. «Spero non rinchiudano anche te in gattabuia».

Il circense afferrò la tessera, ma non aggiunse altro. Sapeva che anche lei, in cuor suo, era consapevole che mai nessun uomo in divisa lo avrebbe preso.

«Allin, mi dispiace» mormorò invece, alzandosi quando anche la ragazza fece lo stesso, «credimi, mi dispiace» ribadì, perdendosi negli occhi chiari di quella che avrebbe voluto fosse stata davvero sua figlia.

Questo incrociarsi di sguardi ebbe, suo malgrado, vita breve. Allin gli voltò le spalle, allontanandosi da lui a grandi falcate. Le preoccupazioni la iniziarono a consumare, dall'interno, perché aveva impiegato mesi per costruire una nuova vita che il suo passato con un attimo era riuscito a porre sul filo del rasoio. Rivolse lo sguardo, ancora una volta, al cielo buio, privo di stelle. Il mondo parve crollarle addosso, mentre si sentì avvolgere dal vuoto assoluto, dalla paura di essere riportata in Spagna. Fu un attimo però. Un unico attimo di confusione scemò, passo dopo passo, diventando solo un'ennesima delusione.

 
* * *

Si era fatta ormai del tutto sera quando la ragazza raggiunse il bar ad un solo isolato di distanza dal piccolo appartamento in cui abitava. Proprio per la sua vicinanza, Allin lo frequentava spesso, passandovi molti pomeriggi, sola o in compagnia di Jamie e Margaret, sue compagne di corso con cui, in pochi mesi, aveva instaurato una solida amicizia.

Appena entrata, la ragazza non perse tempo a fermarsi per vedere se ci fosse stato qualche tavolino libero, avvicinandosi direttamente al bancone. In effetti, poteva vantarsi con tranquillità di avere a disposizione uno sgabello unicamente riservato a lei.

«Hey, Irlanda!» Alex, ventitré anni, studente di medicina la mattina e barista la sera, uscì dalla cucina del locale, salutando la bionda con un sorriso sghembo. Lei ricambiò il gesto, entusiasta di vedere l'amico, anziché il vecchio a cui spettava di norma il turno serale. Alex, riservato, con la battuta squallida sempre pronta, si era rivelato essere uno dei suoi primi appigli in quella vivace metropoli.

Allin si appoggiò con i gomiti sul bancone, prendendosi il mento tra le mani. «Al, meno male che ci sei tu stasera» mormorò, evitando di ridere nell'osservarlo intento a pulire una tazzina da caffè, con tanta goffaggine da risultare ridicolo, causata della grandezza delle proprie mani. Qualche secondo e il ragazzo imprecò. Un'allegra risata collettiva si diffuse nel locale. A questa si aggiunse subito quella la sua che ebbe la capacità di catapultare Allin quasi letteralmente al loro primo incontro. La ragazza lo avrebbe potuto raccontare perfettamente, tanto si era rivelato decisivo per lei.
Era passata sì e no una settimana da quando si era sistemata a Londra e, così, del tutto libera da impegni, aveva deciso di farsi un giro lungo le vie a lei più vicine. Quando era entrata in quel piccolo bar, vedendo il giovane per la prima volta non aveva potuto evitare di soffermarsi ad osservarlo. I suoi piercing, uno sopracciglio destro e l'altro sul labbro inferiore, così come i numerosi tatuaggi di cui aveva le braccia ricoperte lo avevano reso immediatamente un tipo curioso, ai suoi occhi attenti. Per non parlare poi di quei capelli castani, storpiati dalla tinta azzurra e lilla, decisamente in contrasto con il pallore della sua pelle, ma in armonia con i suoi occhi color ghiaccio che la luce del locale rendeva quasi bianchi. La giovane irlandese ricordava poi alla perfezione lo stupore nel saperlo futuro dottore e teneva a cuore la sua risposta al proprio, quasi scandalizzato, «Davvero?»: «L'apparenza non conta. Non sono tatuaggi, piercing, dilatatori o magliette di famose band anticonformiste a fare di una persona un delinquente» le aveva detto, sorridendo.

Il rumore metallico dei cucchiaini che iniziò a sistemare nell'apposito cassetto destò Allin dal suo breve viaggio nel tempo.

«Ti vedo strana, cosa succede?» Il castano la squadrò con attenzione.

Sapeva per certo di non essere ancora a conoscenza del suo intero passato, ma, infondo, gli andava bene così. Non era mai stato un curioso, o un impiccione e credeva che per conoscere le persone non occorresse vederne la radiografia.

La bionda lo guardò, mordendosi preoccupata il labbro inferiore, sperando che non le rivolgesse domande a cui non sarebbe riuscita a rispondere. «Devo trovare un lavoro» spiegò facendo di un nonnulla tutto ciò che l'aveva sconvolta nelle ultime ore, stringendo tra le mani la sua cioccolata calda, preparata proprio come piaceva a lei, con un cucchiaino di zucchero e un po' di latte di troppo.

Alex si asciugò le mani allo strofinaccio. «E per questo stai così?» le domandò, sedendosi vicino a lei su uno degli sgabelli.

La bionda sospirò. «Non hai capito» mormorò.

«Devo trovare un lavoro piuttosto ben pagato».

«Del tipo?»

«Ho un anno di tempo, su per giù, per rimediare una quindicina di sterline. Non posso abbandonare l'accademia e un part-time come il tuo non basta.» Allin cominciò a tremare dall'angoscia, tanto che che Alex dovette sfilarle la tazza di cioccolato dalle mani per evitare di farla cadere.

«Clary, è una follia» esordì poi, scuotendo la testa accigliato.

La bionda gli passò una mano tra i capelli coloriti. «Ale, mi servono questi soldi, non chiedermi perché, ti prego».

Lui allora sospirò, impotente. «Dovrei specificare che, qualunque cosa, io sarò sempre pronto ad aiutarti? Potrei cederti un po' del mio stipendio, io...» La ragazza, alle sue parole, abbozzò un dolce sorriso, posandogli una mano sulla bocca. Sapeva che lui era dovuto andare a vivere da solo, perché il proprio stile e sogno di vita non era stato apprezzato dai genitori che lo avrebbero voluto psicologo, come loro. Non gli avrebbe spillato neanche un penny.

In quel momento un uomo sulla sessantina, uno di quelli che, di esperienze, sembrava averne vissute parecchie, si avvicinò ad Alex. «Ragazzo mio, non so quanto ti piacerà vedere la tua amica fare la puttana!» sghignazzò infine, probabilmente ubriaco.

 
* * *

Niall si sarebbe ricordato per sempre di quella sera. Lo aveva urlato ai ragazzi, non appena il loro primo concerto si era concluso e si erano rintanati nel tour bus, per festeggiare.

'Up All Night'.

Nessun nome fu più azzeccato, sia per l'album che per il tour. Quante notti avevano passato insonni, rinchiusi negli studi di registrazione, in quell'ultimo periodo? Neanche lo stesso, incoraggiante, Simon Cowell si sarebbe mai aspettato che quei cinque giovani cantanti avrebbero ottenuto così tanto successo da dover accelerare di molto i tempi di produzione del primo CD.

«Niall, quando viene Hollie?» domandò Liam, una volta ritrovatosi solo con l'irlandese. Gli altri tre ragazzi, difatti, patiti come erano per il divertimento, avevano deciso di andare a fare le ore piccole in un Bowling nelle vicinanze.

Niall, che intanto si stava cambiando frettolosamente, si voltò verso l'amico. «Tra poco, verso mezzanotte e mezzo».

«Sei felice, con lei?»

«Non dovrei?» Il volto di Hollie figurò nella mente di Niall. L'aveva conosciuta a Settembre, la sera del suo compleanno, quando, insieme ai ragazzi e ad alcuni suoi amici di Mullingar, aveva deciso di festeggiare andando a bere qualche alcolico, seppur grazie solo alla presenza di Louis. Hollie, diciott'anni appena compiuti, l'Inghilterra fatta persona, -capelli biondi, occhi chiari, qualche chilo di troppo a donarle delle morbide curve- si trovava lì con alcune sue amiche, per passare la serata in compagnia. Tutto era nato a causa di un semplice autografo. I due poi avevano optato di unire le loro comitive, chiacchierando per svariate ore. Così avevano continuato a sentirsi, lei di sua spontanea volontà, lui perché incoraggiato dagli amici, in particolare -neanche a dirlo- da Zayn. Niall aveva deciso di provarci: si era buttato in quello che sapeva si sarebbe rivelato uno di quei giochi in cui sai di perdere, ma a cui partecipi lo stesso. A tre mesi di distanza da quel primo approccio, la loro relazione stava andando avanti, tra alti e bassi. E forse sì, sarebbe perdurata nel tempo se solo quella sera la giovane non avesse avuto un'idea fissa sul da farsi che si rivelò non condivisa.

«Niall, c'è Hollie!» A bussare all'entrata del bus fu Paul, bodyguard della band, un uomo di fiducia, cui volto non nascondeva il suo essere scherzoso, al contrario della stazza prorompente.

Liam lanciò un'occhiata d'intesa all'amico, andando ad aprire alla ragazza, mentre lui finiva di sistemarsi. Così, appena Hollie entrò, fu pronto ad accoglierla con un bacio a fior di labbra.

Il castano, malgrado la castità di quel contatto, arrossì, sentendosi di troppo. «Ragazzi, divertitevi. Io raggiungo gli altri al Bowling, credo torneremo tra un paio d'ore» disse, quindi scomparve.

«Quando pensi di rendere ufficiale la nostra relazione?» chiese la bionda, non appena lei e il cantante furono finalmente soli.

Niall la guardò, di sbieco. «Appena sarà davvero ufficiale» le rispose poi, con una punta di ovvietà nel tono di voce.

«Cosa intendi?» insistette lei.

«E' ancora presto, non ti sembra?»

La bionda sfoderò un sorriso malizioso, avvicinandoglisi. «Tu credi?» chiese soavemente, quasi fosse un gatto, pronto a conquistarsi l'affetto del padrone con un po' di fusa.

«Ho un'idea» sussurrò. Niall strabuzzò gli occhi. Non fece in tempo a farle capire di star ferma che già si ritrovò con la schiena poggiata al divano del salotto -se così lo si poteva intendere- del tour bus.

Hollie lo raggiunse subito dopo, impedendogli di parlare,con un umido bacio sulle labbra. La ragazza, presa dalla foga del momento non si curò della reazione del biondo. Lui cercò di allontanarla, facendo leva con le braccia sul suo petto. Ma, inesorabilmente, questo suo gesto non fu capito, affatto, passando come un sonoro 'voglio di più'. Hollie, allora, strinse tra le mani i lembi della felpa che indossava, tirandogliela su, scoprendo quindi il suo torace, così chiaro da sembrare perlato. E, se nella sua mente tutto andava come aveva sperato, in quella di lui riaffiorarono troppi ricordi.

Allin.

Come avrebbe voluto rivivere con lei quell'unica sera in cui si erano amati davvero. La ragazza lo baciava su quel letto sfatto, l'estate prendeva una piega di nuove speranze e c'erano così tante stelle ad illuminare la notte da far sembrare che il cielo stesse dando il meglio di sé, come se quello fosse stato il proprio ultimo soffio di vita.

Così, preda del passato, mentre Hollie gli carezzava l'addome, lui percepiva ancora bruciare i baci, i succhiotti e i lievi morsi di Allin sulla propria pelle. Concentrandosi, parve capace di udire ancora il rumore assordante della propria risata soffocata nel petto dell'acrobata.

Era così diversa da quella attuale, molto più vera, e fu il colpo di grazia per l'irlandese.

Chiuse gli occhi. Perché la testa sembrava essere sul punto di esplodergli? Perché sentiva la terra scomparire sotto di lui?

D'improvviso li riaprì. «Tu non sei Allin!» gridò, senza contenersi. Lacrime amare presero a scorrere lungo le sue guance. Era strana, come cosa, a pensarci. Insomma, da piccolo aveva rischiato mille volte di rimanerci secco, a causa delle tante bravate, sue e del fratello maggiore, poi gli era bastato innamorarsi per la prima ed unica volta per sgretolarsi in mille pezzi, cenere al vento.

 

«Ho il tuo nome conficcato nel cuore.»
-Dal diario di Niall


 

 
Spazio autrice

Insomma, un po' deprimente come capitolo, ne sono consapevole. Come avete notato, ultimamente sto aggiungendo alcune frasi a fine ed inizio capitolo. Tenetele bene a mente, non sono casuali, fidatevi. Vi anticipo che nel prossimo leggerete aggiornamente su Allin, che forse ci sarà una parte molto introspettiva che darà il via ad un nuovo evento che segnerà particolarmente l'avanzare della storia. Per quanto riguarda Niall, vorrei venisse messo ben in evidenzia il suo blocco emotivo nel andare oltre al bacio. Bene, concludo informandovi che aggiornerò lunedì prossimo, massimo mercoledì, dipende da come riesco a suddividermi il tempo. Come sempre vi ringrazio per seguirmi, davvero e, se volete, vi invito ad usare un minuto del vostro tempo per recensire. 
Lots of love, 
Giorgia.
 
 
 

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Capitolo 17
*** Through the dark. ***


Through the dark.

Un grazie alla meravigliosa Lilac per l'altrettanto meraviglioso banner iniziale, senza cui non avrei potuto montare questo, sotto forma di gif.
 

Bene, eccoci qui. Che dire, ritardo assicurato sin da quando ho dovuto cambiare buona parte del capitolo. Ho poi preferito lasciar passare il ventotto e il ventinove, per ovvi motivi. Quindi, dal treno Roma/Torino, vi auguro buona lettura e spero tanto che il capitolo vi piaccia, pur essendo particolarmente di passaggio! Come sempre, vi invito a recensire e già che ci siete a leggere le note finali. Ho una cosa da chiedervi, sono curiosa. A domenica prossima! :)

 

Vorrei potermi svegliare con un’amnesia e dimenticare tutte queste stupide, piccole cose che mi legano a te. Come il modo in cui mi sentivo ad addormentarmi nel tuo letto, o il sapore della torta che mangiammo insieme la prima volta che venni a casa tua. Ricordi da cui non potrò mai scappare e che tu bruceresti. Tutta colpa mia. Non sono stata in grado di farmi credere, scusa amore." -Dal diario di Allin

 

Quella sera Allin era uscita di corsa dal locale, congedando frettolosamente Alex con un “ci sentiamo” biascicato in malo modo. La malizia dell'uomo avvicinatolesi al bar era stata decisamente il colpo di grazia per lei, in quella giornata iniziata come le altre e proseguita decisamente di male in peggio.

Con la speranza di lasciarsi alle spalle tutta quella frustrazione, appena fu in strada la ragazza non prese in considerazione la sola idea di tornare a casa, iniziando a girovagare senza meta. “Non so quanto ti farà piacere vedere la tua amica fare la puttana!” le continuava a ripetere una stridula vocina nella sua mente, incessantemente.

Passarono venti minuti, solo allora si fermò sebbene la tensione accumulata nel pomeriggio, continuasse ad accapponarle la pelle, facendole rizzare i peli biondi delle braccia. D'improvviso si alzò un forte vento che diede origine ad uno strano cigolio sinistro. Con il cuore in gola, Allin si voltò. “É solo l'insegna del locale” constatò decisamente sollevata, portandosi una mano prima sulla fronte, poi tra i capelli. Vivere con la paura di essere seguita la stava facendo impazzire, rendendola sempre sull'attenti.

Le ci vollero un bel po' di respiri prima che il cuore riprendesse a batterle regolarmente nel petto. Solo a quel punto la sua solita curiosità riemerse a galla. Chiudendo la zip della felpa, l'irlandese si avvicinò a quello che aveva tutta l'aria di essere un vecchio pub. Arrivata sulla soglia, alzò lo sguardo verso l'insegna. La parola 'Magic', in argento, spiccava sul blu navy dello sfondo. Corrucciata, Allin schioccò la lingua al palato. Cosa poteva esserci di magico in quel locale dall'aspetto melenso? Dondolandosi sui talloni, si domandò per vari minuti se entrare o meno. Una birra irlandese, infondo, non le sarebbe affatto dispiaciuta.

Ferma in mezzo alla strada come uno stoccafisso, si sentì ridicola quando un uomo, uscendone, le rivolse uno sguardo malizioso. Vestiti stropicciati, camicia sbottonata, cravatta annodata alla meno peggio, capelli scarmigliati. “Sicuro ha da poco fatto del buon sesso” commentò Allin, muovendo qualche passo dietro di sé, per nascondersi nella penombra.

Quando anche l'ombra dello sconosciuto sparì, ritornò allo scoperto, quindi diede una scrollata le spalle. Un sorriso rassegnato le curvò poi le labbra. Quel vecchio ci aveva preso, aveva pronosticato proprio tutto dandole schiettamente della puttana.

Ponendo da una parte i suoi sentimenti, Allin mise piede in quello che aveva capito essere un night.


* * *

Paradossalmente, seppur dall'esterno sembrasse piuttosto malridotto, all'interno il Magic era tutt'altro. Su più piani, poteva definirsi come tutto ciò che un lussurioso potesse desiderare. La musica alta, il profumo dell'alcol, l'odore pungente del sudore e la luce soffusa delle più svariate tonalità di colore lo rendevano quasi surreale.

Appena entrata, Allin si guardò attorno, stupefatta. Fece qualche passo, raggiungendo il centro della sala. Assunse un'aria sbigottita, quando vide che, delimitata da ringhiere in ferro battuto, vi era un'ampia finestra, che affacciava al un piano sotterraneo.


“Assurdo.” Questa fu l'unica parola che le uscì di bocca, quando si sporse per guardare giù.

Non fece in tempo a realizzare cosa ci fosse sotto che dovette velocemente rivolgere lo sguardo altrove, infastidita dal senso di vertigine. Pensare che neanche con anni e anni di esibizioni al circo era mai riuscita a superarla. Voltandosi, notò che, disposti tutt'intorno, ad occupare lo spazio vi erano numerosi tavolini colorati attorniati da poltroncine da sala in pelle. La bionda sgranò gli occhi. Questi erano difatti intervallati da numerose piattaforme su cui troneggiavano pali da lapdance che talvolta poggiavano direttamente sulla moquette dai motivi aztechi, a decorazioni bianche su sfondo nero, talvolta su piattaforme. Per ognuno di essi vi era almeno una ragazza in lingerie che si muoveva soavemente, dando l'idea di sentirsi una qualche divinità ultraterrena, accerchiata da uomini e donne di svariata età. Irritata da quell'esibizionismo, Allin rivolse lo sguardo altrove, prima a destra, poi a sinistra. E, se a da una parte il locale andava scemando di intensità dando accesso ai bagni, dall'altra indiscusso protagonista della scena era invece un ampio palco, dal sipario di pesante velluto rosso. Deglutendo, la giovane si fece spazio nella folla, cercando di raggiungere le scale per il piano inferiore. Le disse davvero fortuna, quando scampò dal soffocare in mare di gente, che sembrava muoversi per tutto il night ad ondate incessanti. “Sono viva” sospirò, quando scese l'ultimo scalino.

Anche lì il Magic restava un locale sorprendente. L'arredamento era coerente con quello dell'altro piano e ciò lo rendeva un ambiente decisamente armonioso. Bancone bar, sedie e tavolini erano presenti, ma ad occupare gran parte della sala era una sovraffollata pista da ballo che sembrava non avere fine e da cui, rivolgendo lo sguardo verso l'alto, si poteva vedere il soffitto del piano terra. Allin vi girò intorno accorgendosi poi della presenza di alcuni privé, ciascuno delimitato da una spessa tenda bianca, colorata dai vari giochi di luce. La bionda si immobilizzò, rapita da essi, quando un ragazzo le passò al lato, urtandola lievemente. Con indosso solo dei jeans sbottonati, Allin lo vide carezzare la coscia di un uomo sulla trentina, che lo iniziò a seguire. Incoraggiata dall'oscurità che si era momentaneamente creata, avvolgendola nel proprio manto, l'irlandese riuscì a trovare il coraggio di andargli dietro. Passando per uno stretto corridoio buio, irraggiato solo da alcune lucine led incastonate alle pareti scure, i tre arrivarono ad una piccola camera. Allin spalancò la bocca, meravigliata. Non seppe dire se ne fosse affascinata realmente, né se ciò era da considerarsi un male o un bene. Ma come non restare di stucco davanti ai numerosi specchi che ricoprivano le pareti, il soffitto e persino il pavimento?

“Proseguire o meno verso la porta?” si domandò la bionda. Fortunatamente, rivolse lo sguardo al soffitto, prima di incamminarvisi. Allora notò il riflesso di alcune coppie scambiarsi focose effusioni, nascoste com'erano da alcuni separé. Come se si fosse scottata d'improvviso, si dovette sforzare per non cacciare fuori un urletto scandalizzato. Ancora provata da ciò che le si era presentato davanti, tornò in corridoio quasi correndo. Solo questa volta notò esservi una seconda tenda. Afferrandone un lembo, la scostò da un lato, rivelando delle scale a chiocciola, prive di ringhiere. Con passo un po' incerto, la giovane iniziò a salirle. Le sorprese sembravano non esser destinate a finire. Le scale, difatti, se nella prima parte erano coperte, quando raggiungevano il piano terra costruite a vivo, così da risultare parte integrale dell'arredamento. Proseguendo, Allin raggiunse il primo piano. Si ritrovò così in un pianerottolo, ammobiliato elegantemente, in cui si affacciavano una ventina di porte, tutte uguali.

La diciottenne sussultò. Vedendone una ragazza uscirne con un uomo, tentò di nascondersi dietro ad una pianta, facendosi piccola piccola.

“Grazie mille” la vide mormorare a quello che capì essere il suo cliente, nel momento in cui notò infilarle una banconota nel reggiseno.

“Grazie a te del servizietto, Lilac” le ripose lui, poi sgattaiolò giù per le scale. Non c'erano dubbi. Il Magic era un nightclub di grande rilevanza a giudicare dalla paga che ricevevano i lavoranti.

La giovane stava per rientrare nella stanza da cui era uscita, quando vide Allin. “Mi spieghi cosa dovresti farci tu qui?” le domandò innervosita.

Capelli castani lasciati cadere lungo la schiena in morbide onde, labbra laccate in lilla, lingerie del medesimo colore. “Chissà quanti uomini ha ai suoi piedi” pensò la bionda.

“Vorrei parlare con il capo, sto cercando un lavoro” le rispose poi, sperando di non sembrarle nervosa.

Infondo, aveva visto un uomo morirle davanti giusto poche ore prima, una sua coetanea travestita da fatina dei boschi come poteva intimorirla?

Sorprendendola, l'espressione scocciata della castana cambiò, aprendosi in un sorriso comprensivo. Fece spallucce. “Certo, seguimi!” la incitò, dandole una spintarella. “Mi chiamo Tabatha, ma tutti qui mi conoscono come Lilac" aggiunse, sistemandosi la coroncina di lillà che teneva fieramente tra i capelli.

Commentando scherzosamente il locale, definendolo una gabbia di depravati, le due ragazze tornarono velocemente al piano terra, tramite un ascensore riservato al personale. Raggiunsero così una porta segreta. Risultando nascosta dietro a quella che aveva tutta l'aria di essere una classica tenda, nessuno la notava.

Prima di lasciarla sola con il capo del club, Tabatha afferrò Allin per le spalle. “Non devi essere agitata, capito? Basta avere un bel fisico, prende sempre tutte. Sono le paghe a cambiare” le mormorò, scuotendola leggermente, dopo aver notato il suo viso assumere un colorito verdognolo.

La bionda prese un respiro profondo ed annuì mentre l'altra bussò, non prima di averla vista riprendere colore.


“Nicholas, abbiamo una nuova recluta!” esordì entusiasta Tabatha entrando per prima nel piccolo ufficio del proprio capo. La giovane diede ad Allin una complice gomitata, infine si richiuse la porta alle spalle.

Così mentre una riviveva per un attimo i propri primi istanti nel locale, l'altra si trovava sola in quella che, nella sua mente, stava assumendo le sembianze della tana del lupo.

Questo, poco dopo, dacché se ne stava di schiena ad osservare il viale buio fuori dalla finestra, si voltò.

I suoi occhi verdi, che risaltavano dalla pelle olivastra e dai capelli scuri, la studiarono con attenzione trovandola in grado di far girare un bel po' di teste anche se in jeans e maglietta.

“Allora, dimmi un po'” iniziò poi a parlare, dopo aver sorseggiato una lacrima di brandy, versato poco prima in un bicchierino di vetro. "Cosa ti porta qui?" domandò, seppur sapesse già la risposta.

Allin ammiccò. Abituata alla sfrontatezza di Gonzalo, Nicholas non la metteva in soggezione come previsto. "Mi servono dei soldi. Questo è il modo più facile per guadagnarseli" affermò. La realtà era dura, le faceva male, ma andava affrontata.

Nicholas le sorrise languido. "Comprensibile" mormorò, annotando qualcosa nel proprio blocco, impugnando un'elegante penna argentata.

“Bene. Quando qualcuno si presenta qui per lavoro non lo rifiutiamo mai” aggiunse. Allin sorrise, sebbene fosse già al corrente di questo suo modo di fare. In una giornata come quella che si stava per concludere, almeno una bella notizia le ci voleva proprio.

“Ti darò una settimana di prova, in cui imparerai le basi. Vedo che hai già conosciuto Lil: lei ti farà da guida, ti giudicherà e così, a fine settimana, ci ritroveremo a discutere sulla tua possibile permanenza.”

“Perfetto, non la deluderò” affermò Allin, accennando ancora un occhiolino. L'uomo la guardò stupito. Sin da quel momento capì che, oltre all'innegabile bellezza, la ragazza davanti a lui aveva altri pregi, sebbene gli fossero ancora nascosti.

“Dimmi un po', come ti chiami?” le chiese, desideroso di aggiungere al più presto il suo nome ai turni serali che aveva assegnato già a Tabatha mesi prima.

“Clarylin Mason” disse Allin, mostrandogli la propria carta d'identità.

“Che nome-”

“Bizzarro, lo so.”

L'uomo sorrise alle parole della bionda. “Stavo per dire particolare!” esclamò bonariamente, levandosi quella maschera di professionale freddezza che era solito indossare.

Allin avvampò al repentino cambiamento. “Scusi signor Nicholas” mormorò, balbettante.

“Domani ti voglio qui alle otto di sera, okay?”

“Sarò puntuale.”

“A domani, allora.”

“Ne stia certo!” Un saluto veloce e la diciottenne uscì a gambe levate da quell'ufficio in cui sembrava esser finito ossigeno per respirare.

Cosa le riservava il futuro? Facile intenderlo. Le bastava osservare Tabatha concentrata a muoversi al ritmo della musica. “Forse è meglio che io resti un po' a guardare” pensò, sedendosi su una poltroncina libera ai lati della sala. In fin dei conti non aveva nessuno per cui tornare a casa. Chi scendeva e saliva le scale con foga, chi ballava in pista, chi si lasciava andare ad effusioni senza vergogna, chi, semplicemente, serviva da bere, ai tavoli o al bancone. Allin, ipnotizzata da quell'atmosfera accattivante, continuò a osservare per tempo indefinito ciò che le si presentava davanti senza battere ciglio. Tutto cambiò quando sul fondo della sala notò un ragazzo intrappolare quella Tabatha tra le proprie braccia, baciandola a mo' di sfregio. Allora, istante dopo istante, senza tregua, tutti i volti maschili del night iniziarono ad assumere le sembianze di quello di Tacho. Allin chiuse gli occhi, si fece forza e si limitò ad uscire. “D'altra parte avresti dovuto aspettartelo” mormorò a se stessa.


* * *

Quando fu fuori dal club, la bionda non fece in tempo a fare qualche passo che le cedettero le gambe, facendola crollare di peso sul marciapiede. Lo sguardo rivolto verso il basso, le mani tra i capelli, le palpebre chiuse e le ginocchia a contatto con il torace, scudo contro un mondo che sembrava ucciderla lentamente.

Lontana dall'Irlanda, odiata da Niall, legata a una vita che non le apparteneva, costretta a vendersi pur di distaccarvisi, Allin sentiva molto spesso una strana voglia di addormentarsi per non svegliarsi più. Con mani tremanti, afferrò il cellulare dalla borsa. Aveva bisogno di Alex.

* * *
Il ragazzo stava uscendo dalla palestra che frequentava tre volte a settimana, quando sentì il cellulare vibrare nella tasca della tuta. Non capendo chi potesse cercarlo a quell'ora, rispose all'istante. Si sorprese quando notò che ad averlo chiamato era stata Allin.

“Irlanda, che succede?” domandò, camuffando la propria inquietudine improvvisa.

“Clary!" insistette. Nessuna risposta. "Porca troia. Lin, mi vuoi rispondere?"


“Al, sto a due isolati da casa mia. Sai, la via in cui ieri ci siamo scattati una-"

"Arrivo" Cellulare in tasca, cappello in mano, borsone sulla schiena, Alex prese a correre, senza mai fermarsi. Il cuore in gola.


* * *

Quando il giovane la raggiunse, Allin se ne stava ancora accucciata al marciapiede, tenendo la testa incastrata tra le gambe. Appena la vide, attraverso il buio, Alex non si fece di certo scrupoli. Posò senza prestarvi attenzione la sacca della palestra in mezzo alla strada e le corse incontro. Poco gli importava se dentro aveva infilato il cellulare che si sarebbe potuto rompere. Allin era già in pezzi e rappresentava la sua priorità. Preso dalla foga, non le diede tempo di notarlo avvicinarsi che la strinse a sé, atterrando anche lui sull'asfalto, freddo e bagnato. La bionda saltò d'improvviso, poi appena inspirò, riconobbe l'amico grazie al suo profumo. Continuando a stringerla, lui non fiatò. Si limitò a carezzarle la schiena, posando la testa sulla sua spalla nuda. La ragazza sorrise impercettibilmente. Sentire il respiro caldo e costante dell'inglese sfiorarle il collo la stava calmando.

Dopo poco, difatti, riuscì a ricambiare la sua stretta. Sentendosi cingere la vita Alex tirò un sospiro di gioia. Erano anni che non si angosciava così tanto per qualcuno. Tornando a respirare normalmente, posò la fronte su quella della ragazza, incrociando il suo sguardo. Era struggente, guardarla negli occhi. Vi vedeva troppi segreti e preoccupazioni in grado di offuscare il loro azzurro acceso.

“Allora, mi spieghi?” le domandò, sfiorandole il naso con il suo, per farle solletico. Aveva sempre amato questo loro contatto fisico, gli faceva bene.

Alla fin fine glielo ripeteva spesso: dietro ai tatuaggi, ai piercing e alla faccia da duro si nascondeva un cuore tenero, accessibile solo a pochi eletti.

"Mi vuoi bene, Al?” gli chiese Allin di rimando, con voce stridula.

Il giovane scosse la testa, divertito da quella domanda innocente a cui era molto facile dare una risposta. “Certo che te ne voglio” mormorò, sfoggiando un dolce sorriso.

Allin prese un respiro profondo, abbassando la testa. "Ho trovato lavoro"

"E stai così per questo?! Ma è una cosa fantastica!" avrebbe voluto dire il ragazzo. Tuttavia decise di tenere a freno la lingua: gli sembrava chiaro che la bionda avesse altro da aggiungere.

Come previsto, subito dopo lei aprì nuovamente bocca. “In un club a luci rosse” mormorò, vergognandosi di se stessa come mai aveva fatto prima d'allora.

Alex chiuse gli occhi. Sentì il cuore creparsi, tanto che iniziò a tremare, quasi si fosse aperto uno spiraglio in cui riusciva a penetrare il freddo di dicembre. D'altra parta Allin gli ricordava incredibilmente sua sorella minore, morta dopo un incidente in moto anni prima, a causa sua. Lo studente di medicina ricordava ancora tutto alla perfezione.

Per il suo diciottesimo compleanno i genitori gli avevano regalato una moto Velocette. Volendola provare immediatamente, convinse la sorella ad accompagnarlo, direzione lungomare. Seppur scettica, la ragazza lo assecondò. Andava tutto bene, i due ridevano come se non ci fosse stato un domani. Poi uno sbando. Entrambi volarono dal sellino. Lei morì sul colpo. Lui, rialzatosi subito dopo la caduta la osservò spegnersi sotto i propri occhi allucinati. Aveva visto i suoi azzurrissimi perdere vita e il suo sorriso affievolirsi come un fiore appassito, mentre l'ambulanza tardava ad arrivare. Ed erano proprio quei dettagli del volto della sorella a ricordargli Allin, essendo inspiegabilmente simili, tanto più nelle sue foto da bambina.

“Lin” mormorò il barista, abbandonando il passato per tornare a vivere il presente.

Allin impallidì nel sentirsi chiamare in quel modo tanto familiare. “È l'unica cosa che posso fare, capisci? Quell'uomo, quello nel bar... Aveva ragione!” gridò. La sua voce vacillò ancora e, sofferente, la diciottenne, riprese a singhiozzare.


Alex sciolse per un attimo l'abbraccio. “Stai per piangere, piangi” le sussurrò, scostandole una ciocca di capelli appiccicatasi alla fronte imperlata di sudore.

In risposta, lei serrò le labbra. “No” gli rispose.

"Ti vergogni?"

"Io non piango mai"

E se la bionda non versò davvero neanche una lacrima, quella notte, la stessa cosa non valse di certo per Alex. "Finché non troverai il tuo principe azzurro, ci penserò io a te" le promise, asciugandosi del bagnato dalle guance sbarbate.

"Sebbene non ne sia proprio il prototipo" aggiunse poi, soffocando malamente una risata. Anche Allin sghignazzò poco dopo. Allora sì che i due tornarono ad essere gli stessi allegri disagiati di sempre, sebbene qualche ferita in più marchiasse i loro animi. Concedendosi altre risate, restarono seduti a lungo su quel marciapiede. Vi mangiarono, addirittura, approfittando delle patatine e della bibita energetica che il ragazzo aveva preso poco prima nei distributori automatici della palestra.

* * *
La bionda aveva appena chiuso gli occhi, quando Alex fece per alzarsi. Ci aveva messo un po', ma finalmente sembrava esser riuscito a farla addormentare.

Sembrava, appunto. "Resti a dormire qui?" gli chiese Allin con voce impastata dal sonno.

Lui sorrise dolcemente. "Se mi fai spazio, volentieri" le rispose allegro.

“Ti racconterò tutto. Al, te lo giuro" gli mormorò la ragazza, spostandosi da un lato del matrimoniale.

Alex, colpito dalla sua promessa, si liberò in fretta di scarpe e pantaloni, quindi la raggiunse sotto il piumone. Crogiolandosi in quel mare di affetto, i due godettero del appieno del silenzio notturno. Allin si accucciò al futuro medico, posò la testa sul suo torace, quindi ne ispirò il profumo di giovane uomo misto a sudore, deodorante alla menta e dopobarba. Due minuti più tardi stava già dormendo un sonno profondo.

* * *
Quando Allin riaprì gli occhi si erano fatte quasi le undici. La bionda sbadigliò, sbuffando fragorosamente. Sebbene avesse dormito tranquillamente, per la prima volta da tempo senza cadere vittima di incubi, aveva ancora piuttosto sonno. Strofinandosi gli occhi con una mano chiusa a pugno, con l'altra tastò il materasso, alla ricerca di Alex.

"Al?" esclamò non trovandolo accanto a sé, la voce al di sopra di un'ottava. Non ricevendo risposta, balzò in piedi, barcollando.

"Sto in vasca, vieni!" sentì urlare poi. Tranquillizzatasi, senza farsi problemi, la giovane si liberò da canotta e pantaloncini, raggiungendo il ragazzo nel bagno.

"Sì, sei completamente folle" affermo risoluta una volta che, poggiata allo stipite della porta, lo scoprì intento a spruzzarsi acqua sul viso, tirando fuori la lingua con tanta convinzione da risultare un cucciolo di cane.

"Senti chi parla!" le rispose chiudendo il rubinetto per lasciarla entrare tranquillamente.

I due si sorrisero. Da tempo avevano preso l'abitudine di farsi il bagno insieme, indossando l'intimo.


“Al... Io penso sia arrivato il momento di scoprire le mie carte" decretò Allin, una volta sistematasi a dovere.

Alex la guardò stupito. Tutto si sarebbe aspettato, ma non di certo una cosa simile. "Sono pronto" affermò, portandosi le ginocchia al petto. La ragazza si fece coraggio ed allora iniziò a parlare lentamente, snocciolandogli passo dopo passo la sua storia.

"Quel Niall Horan?!" la interruppe Alex, appena fece il nome del cantante della band che tanto ammetteva di adorare.

"Ho alcune sue foto, sul fondo di un cassetto. Amavo scattargliene" quasi fosse cosa da tutti i giorni, lei gli rispose facendo spallucce, per poi proseguire il proprio racconto.

[…]


"Tuo padre? Come ha fatto a falsificare la lettera?" le chiese ancora il barista, piegando la testa da un lato, decisamente confuso.

Allin sorrise imbarazzata. “Quando ero piccola, adoravo vantarmi di saper fare ogni cosa al meglio. Per scrivere bene mi esercitavo ricalcando la sua scrittura, quindi posso dirti con sicurezza che per lui sia stato facile falsificare la mia” spiegò, poi riprese a parlare.

Raccontò all'amico dell'agonia del viaggio che dovette affrontare per mare in una nave merci fino alla Spagna, del modo in cui aveva scoperto di essere frutto del tradimento di sua madre con un uomo a lei sconosciuto e della vita a cui aveva dovuto adeguarsi completamente.

"Okay, c'è altro?" Alex la guardò dubbioso. Non era affatto sicuro di voler sapere la risposta.

"Il matrimonio" gli rivelò, guardandosi istintivamente l'anulare della mano sinistra, ormai libero da ogni anello che potesse rappresentare un qualche vincolo.

"Tuo?" Una domanda, tante altre vicende da spiegare, fino ad arrivare all'attesa fuga, al cambio di identità, alla viaggio fino a Londra, a ciò che era successo la sera precedente.

“E questo è tutto” concluse Allin, abbozzando ancora sorriso.

"Sono..." balbettò Alex, incapace di formulare una frase di senso compiuto. Fortunatamente, prima che potesse dire altro, la bionda lo interruppe.

"Ah, c'è un'ultima cosa che non sai e che vorrei dirti" sussurrò, posandogli una mano sulla bocca.

“Per cambiare identità non mi sono bastati nuovi documenti e operazioni. Il mio vero nome è Allin Dooley, Al" confessò, guardandolo negli occhi e dandogli poi la possibilità di parlare di nuovo.

“Allin" ripeté lui, sorridendole con la lingua adorabilmente incastrata tra gli incisivi. Andava tutto bene. Ora capiva e sapeva come aiutarla. Comprese che a quella gracile ragazza che aveva di fronte non sarebbe servito altro che una persona su cui contare davvero. "Ti starò sempre accanto, lo giuro. Sei come una piccola sorellina, per me. Quella che non c'è più" mormorò, sporgendosi per abbracciarla.

“Si chiamava Liz, vero?” gli domandò Allin.

“Come hai...”

“Il tatuaggio, Al”

L'espressione del ventiquattrenne cambiò, diventando cupa. Allin, preoccupata, cambiò discorso. “Ne vorrei fare uno anche io, di tatuaggio" rivelò, guardando il corpo disegnato dell'amico. Un sorriso tornò sul suo volto.

"Possiamo andare dal mio amico, hai presente?" le propose, dopo averci ragionato su.

La bionda assunse un'espressione confusa. "Quello che lavora nel negozio subito dopo il bar?" tirò ad indovinare.

"Esatto" le confermò Alex, quindi iniziò a sciacquarsi dal sapone, per uscire dalla vasca.

* * *

Venti minuti più tardi i due si trovavano proprio davanti allo studio di tattoos.

“Ma è chiuso!” esclamò Allin dispiaciuta, quando vide il cartello 'closed' affisso all'entrata.

“Non per noi, Lin” le rispose Alex.

Il ragazzo tirò fuori dai pantaloni una chiave arrugginita ed aprì la porta d'ingresso. Fu lui il primo ad entrare, trascinandosi Allin dietro di sé. Daniel, proprietario dell'immobile, sentì il rumore dei loro passi, quindi posò la bottiglietta di inchiostro che stava ripulendo e gli andò subito incontro.

"Alex! Nuovo tatuaggio?" esclamò appena vide l'amico, dandogli un'amichevole spallata.

"E lei?" aggiunse sorpreso, quando notò la ragazza fare capolino da dietro il suo corpo.

"Daniel, ti presento Clarylin"

Il tatuatore, a quel nome, si illuminò. "È lei la ragazza di cui mi parlavi ieri sera in palestra? La tua migliore amica, no?"

“Chiamami pure Lin" intervenne la bionda, stringendo la mano destra di Daniel, anch'essa tatuata come buona parte della pelle visibile.

"Bene” acconsentì lui con un sorriso, ricambiando il gesto. “Allora, perché siete venuti?" domandò curioso.

Alex assunse un'espressione paragonabile a quella di un padre fiero della propria figlia.

"Primo tatuaggio per la signorina!" esordì, dando ad Allin una lieve pacca sul sedere, per incitarla a farsi avanti.

"Perfetto. Clarylin, hai già in mente qualcosa?" si informò, sedendosi sul bancone.

"Una scritta."

I tre ragazzi dovettero sfogliare album interi per trovare la calligrafia perfetta, poi Daniel poté iniziare a preparare lo stamp. Quando fu finito Allin si levò la maglia, sdraiandosi di pancia sul lettino da lavoro. Senza perder tempo il tatuatore le applicò una crema anestetica sulla porzione di pelle da trattare, quindi preparò l'inchiostro.

Mano destra stretta al bracciolo del lettino, la sinistra a stringere quella di Alex, occhi chiusi, Allin venne sopraffatta, anche se solo per un secondo, dalla paura. "Sentirai solo un po' di bruciore, te lo assicuro" le mormorò l'amico all'orecchio, quindi l'altro cominciò il proprio lavoro.

Quando si rese conto che, come le avevano anticipato, non faceva poi così male, riuscì finalmente a rilassarsi. "Sicuro meglio della ceretta" pensò, terrorizzata alla sola idea che prima di andare al Magic avrebbe dovuto fare un salto dall'estetista.

"Allin, abbiamo finito" annunciò Daniel soddisfatto, quindi uscì dalla stanza, dando alla sua nuova cliente il tempo di rivestirsi.

“E' bellissimo...” mormorò Alex, ritrovatosi solo con Allin.

Lei iniziò a canticchiare. “La canzone dei One Direction” indovinò lui, sorridendo.

Come aveva fatto a non capirlo prima? Infondo sapeva che ne era fan, tant'è che una volta le aveva proposto di accompagnarla ad un loro concerto. Solo in quel momento riuscì a capire il perché del suo categorico rifiuto. Come faceva a credere che Niall la odiasse o che si fosse dimenticato di lei?


Allin si guardò riflessa allo specchio, sorridendo sconsolata. “Chissà se lo vedrà mai.”

“Io dico di sì, senza dubbio.”

Rincuorata, la ragazza prese un respiro profondo, quindi si voltò di schiena per guardare il frutto del lavoro di Daniel. Sulla sua scapola destra, un'affascinante scritta in nero risaltava dalla pelle chiara.

"I'm broken, do you hear me?

I am blinded, 'cause you are everything I see. If I'm louder, would you see me? Would you lay down in my arms and rescue me, 'cause we are the same. You save me when you leave it's gone again."



* * *

"Niall, Niall non è successo niente, tranquillo!" Ripeté Zayn per quella che gli parve essere la centesima volta.

Appena tornati dalla Sala Bowling i ragazzi si erano ritrovati l'irlandese piangente sul pavimento, appoggiato di schiena al divano, completamente solo nel buio più assoluto.

Il ragazzo rivolse gli occhi arrossati al soffitto. "Ho fallito, sono uno stupido! Sembrava andasse così bene..." mormorò, asciugandosi con la manica della felpa un po' muco colatogli dal naso.

Liam si abbassò verso di lui. "Capita di cadere, Nì" gli rassicurò, passandogli una mano sulle guance per portarne via ogni lacrima.

Louis si sedette sulla moquette, vicino ai tre ragazzi. "L'importante è rialzarsi" aggiunse.

«Siamo qui per te” gli ricordò Harry, facendo spallucce come se non avesse detto niente di che.

Così, mentre Niall lasciava libero sfogo alle sue lacrime, i suoi amici lo stringevano fortissimo, scambiandosi sguardi complici: il biondino stava diventando forte, molto più di quanto avessero mai sperato e di quanto credeva. "Non lasciatemi solo per nulla al mondo" sussurrò d'improvviso, poi si alzò.

 

Testa alta ed occhi lucidi, il cantante raggiunse velocemente il bagno per sciacquarsi il volto con dell'acqua fredda. Lo sapeva. Era consapevole che, se ancora non era crollato, il merito era soprattutto dei ragazzi, capaci di tenerlo a debita distanza dall'orlo del precipizio. Senza pensarci, Niall spense la luce, ma non tornò subito nel salottino. Restò lì, nel buio. E, se a primo impatto non riuscì a vedere niente, poco dopo notò i suoi occhi luccicare, riflettendo nello specchio, e tutto ciò che gli era intorno iniziò ad assumere quasi magicamente contorni distinti.

 

"Perchè c'è lei, c'è lei nelle mie ossa, nella mia mente, nella mia vita e non riesco proprio a mandarla via." -Dal diario di Niall

 

Spazio autrice

Insomma, un capitolo lungo, ne sono consapevole e piuttosto tranquillo, ma solo all'apparenza. Ci sono molte cose che potreste capire e che sconvolgeranno la storia tra qualche aggiornamento. Inoltre egrave da considerarsi apertura di un periodo ambientato per lo più nel Magic che, proprio per questo, ho scelto di descrivere accuratamente. E poi, abbiamo un nuovo due nuovi ingressi. In particolare, vi piace Lilac? Nel prossimo capitolo la conoscerete meglio! Beh, vi anticipo che, oltre a questo, accadrà qualcosa di molto, molto significativo per Allin. Bene, non mi resta che darvi appuntamento a domenica prossima! Nella speranza di leggere un vostro parere, grazie di tutto.
Giorgia.

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Capitolo 18
*** "Like Heaven before I die." ***


"Like Heaven before I die."

Sentite anche voi le campane suonare? Ebbene, sono finalmente a casa. Credevo di morire, ma mi sbagliavo, per fortuna. E niente, da oggi sono nuovamente in carreggiata! Mi dispiace moltissimo per questa interruzione, ma non è potuto essere altrimenti considerando che avevo una connessione pari a zero. Niente, vi auguro buona lettura  eome sempre, vi invito a recensire e già che ci siete a leggere le note finali. Al prossimo capitolo! :)


"Ricorda, accavalla le gambe e li farai sentire in Paradiso ancor prima di morire."

Dal diario di Allin.

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Non mancava ormai molto alla fine del concerto di Wolverhampton. L'ultima canzone, 'More than this', era appena iniziata. Liam stava già cantando la prima strofa, accompagnato dagli acuti di Zayn e Louis e dal pubblico che, emozionato, sovrastava talvolta le loro voci. E, se i volti di tutti i componenti della band erano illuminati da un radioso sorriso, quello di Niall era una maschera di orrore, dai lineamenti deformati ad opera dalla malinconia. Non che fosse una novità.

«Maledetta canzone» non faceva che ripetersi il ragazzo ogni sacrosanta volta in cui doveva cantare 'More than this'.

Non che non gli piacesse, anzi. Gli piaceva fin troppo, a dismisura, ma, poiché sembrava tanto essere il suo canto disperato verso Allin, scomparsa nel nulla, scivolata dalle sue braccia in un istante, semplicemente la detestava. Con un groppo in gola ad affaticargli la voce cristallina, stava intonando le ultime note del ritornello, quando sentì alcuni insulti provenire dalla folla.

«Sei brutto!» gridavano alcune ragazze, in lontananza. A chi si rivolgevano? L'irlandese si guardò intorno.

Gli fu chiaro che oggetto della loro attenzione fosse proprio lui quando, prima che iniziasse a cantare la propria strofa, le urla divennero tanto forti che tutti 

riuscirono a percepirle. Fu allora che sentì le forze venirgli a mancare, nascondendosi dietro alla tristezza, alla malinconia, alla delusione. Scordandosi 

iniziare a cantare, il giovane si portò entrambe le mani tra i capelli chiari, a giocare nervosamente con alcune ciocche, tirandole tanto da farsi male. Si morse il labbro inferiore, quando si rese conto che questo aveva preso a tremargli. D'improvviso spaesato, Niall serrò le palpebre, sfiorandosele subito dopo con la mano destra. Continuava a reggere il microfono con la sinistra, ma la presa era alquanto scivolosa. La vista gli si stava via via appannando, i suoi occhi cerulei non riuscivano più a mettere a fuoco nulla. Tutto, ogni singola cosa divenne offuscata, nascosta dalla luminosità dell'immagine di Allin, come se fosse tatuata sulle sue pupille. Non riusciva proprio a ragionare, neanche quel minimo che gli sarebbe bastato per calmarsi. Quelle due parole, gridate con cattiveria, le stesse che aveva letto nella lettera di addio lasciatagli dalla bionda, erano state in grado di devastarlo, di riaprire ferite già inflitte e ancora troppo fresche.

«Sei brutto.»

Fluttuanti nell'aria, queste ripresero forma, scritte in quella grafia che tanto si ostinava a credere non fosse davvero di Allin. E lei gli mancava. Gli mancava come mancherebbero ad un ricco i propri soldi, come ad un anziano le abitudini di una vita, come...

Nessun paragone fu in grado di reggere, non per quegli innocenti occhioni azzurri da bambino, vitrei ed arrossati. E forse Allin era stata e sarebbe stata per sempre l'amore della sua vita? Probabile. Non c'era altro modo per giustificare quel peso sul cuore, o di quel sentirsi sempre incompleto, gelido. Perché da quando Allin non gli era vicino, lui sentiva molto più freddo.
Le gambe pronte a cedere, i sudori freddi a bagnargli la fronte, la schiena anch'essa sudaticcia, seppur gremita da brividi, le mani incapaci di rispondere ai comandi.
Niall impallidì, consapevole do cosa gli avrebbero riservato i prossimi minuti. Sentiva già l'attacco di panico gonfiargli il torace, tanto che sembrava quasi sul punto di schiacciargli i polmoni, facendogli venire il respiro corto. Un battito. Due battiti. Troppo vicini per essere regolari. Troppo forti, rimbombanti negli orecchi, tanto da farlo tremare. Il biondo scosse la testa, prima da un lato, poi dall'altro. Percepì il palco vorticare, sotto di sé. Ma non ce ne era motivo, no? Lui stava fermo, infondo. Sentiva di stare fermo.... E pensare che in realtà si stava muovendo. Barcollava per il palco, incespicando nei suoi stessi passi. Perché iniziava a sentire gli occhi della gente puntati su di sé? Perché i loro sguardi, quasi come schegge di uno specchio distrutto, gli penetravano nella pelle, riflettendo tutto la sofferenza che aveva provato e continuava a provare? E per quale motivo tutto aveva iniziato a tacere completamente? 'More than this' era forse già finita? E pioveva? Come spiegare diversamente il bagnato sul viso?

Un lamento si liberò dalle sue labbra screpolate, colorate dal rosso acceso del sangue che ne era uscito. I ragazzi lo guardavano silenziosi, con il terrore a sciupargli i volti giovani, così come le fans, che, incredule di ciò che stavano vedendo, richiamarono più volte Niall urlando il suo nome. Lui non le riusciva neanche a sentirle, percependo giusto un brusio incomprensibile. Era ubriaco, ubriaco marcio di dolore. Fu quando, dopo aver rischiato di cadere si poggiò al divano posto al centro del palco, che Zayn tentò di incrociare i suoi occhi. Il moro tirò un sospiro di sollievo quando ci riuscì. Capì allora che quella situazione non sarebbe potuta andare avanti a lungo. Così lui, conosciuto con la nomina di riservato, il cattivo ragazzo della band, all'apparenza menefreghista, non aspettò un minuto di più prima di mettere fine a quello scempio. Di slancio, diede a Liam il proprio microfono, quindi corse verso Niall, afferrandolo per le spalle nel momento esatto in cui le sue ginocchia gli cedettero, trascinandolo a terra. Dietro di lui il castano fece mente locale, slacciandosi un bottone della camicia a scacchi per prendere aria. La cosa migliore, capì, era continuare a cantare, ricominciare da capo la canzone, con la speranza di destare l'attenzione dal biondo. Harry gli lanciò un occhiata: essendo il più piccolo, in quei momenti, era quello che più si sentiva in difficoltà e non sapeva proprio cosa fare. Louis sorrise, affiancandolo. Insieme, i due, andarono prima dalla band, chiedendogli di riprendere a suonare e poi nel backstage, a calmare le acque, mentre Niall, scombussolato, riprese conoscenza.

«Che cazzo ho fatto? Vaffanculo!» si aggredì a gran voce, pensando di aver mandato -come diceva lui- a puttane un intero spettacolo, così come l'immagine del gruppo.

Dopo essersi inginocchiato a canto a lui, il moro gli tolse il microfono dalle mani, quindi lo strinse a sé, sentendolo singhiozzare nel proprio abbraccio.

«Alzati dai, Nì. Non dare l'impressione di essere debole. Capito? Non lo sei, non cedere. Non cedere» mormorò.

«Trova la forza per alzarti. Appena torniamo a casa chiamo qualcuno che faccia delle ricerche. Te la troviamo noi Allin e come andrà, andrà» aggiunse.

Alla fine, però, fu lui a tirarlo in piedi, prendendolo di peso. Ma Niall, anche dopo la promessa dell'amico, non sembrava ancora pronto a riprendersi dal colpo, sebbene il respiro gli stesse tornando regolare e l'attacco di panico si fosse esaurito. Continuava a piangere sulla sua spalla che, pur essendo sempre attento allo stato dei propri vestiti, non si curava neanche della possibilità che l'amico gli avrebbe imbrattato la felpa di lacrime, saliva o del fondotinta che i truccatori erano fissati con il mettergli, come se ne avesse avuto bisogno. Poi, piano piano, cullato suo malgrado dalle note dolci di 'More than
this', il ragazzo si calmò del tutto. Si asciugò così le lacrime, tirò su con il naso, raccolse il proprio microfono da terra e si allontanò dal moro, raggiungendo l'estremità del palco. Neanche a farlo apposta, era arrivato appunto il suo momento. La sua seconda possibilità, l'occasione per dimostrare quella sana caparbia che lo contraddistingueva. «If i'm lauder, would you see me?» mugolò a tempo di musica, alzando gli occhi al cielo. «Would you lay down in my arms and rescue me?» La sua voce sommessa era la sola a squarciare quel tessuto di silenzio che si era creato nel sentirlo cantare di nuovo, rialzatosi da quel crollo improvviso.

Prese un respiro. «'Cause we are the same!» urlò poi, con voce stridula, sentendo il cuore stringerglisi in una stretta dolorosa. Ci sperava tanto, in quelle parole. Sperava con tutto se stesso che anche Allin, come lui, non fosse cambiata nel corso del tempo e che, quando -grazie a Zayn- l'avrebbe trovata, non ci sarebbero state brutte sorprese ad attenderlo.
L'anglo-pakistano notò il biondo vacillare, allora lo raggiunse ancora, carezzandogli la nuca. «Che diamine fai, Nì? Ti uccidi così, non cantare, non stasera!» avrebbe voluto urlare, eppure dalle sue labbra serrate non uscì neanche un bisbiglio. Piuttosto si limitò a stringere il pungo destro tanto che le nocchie gli si fecero bianche. Non doveva piangere e, no, non lo avrebbe fatto, non davanti a Niall. Con la coda dell'occhio, a testa bassa, lo vide portarsi una mano sul petto, e così concludere il suo assolo. «You save me, and when you leave it's gone again» cantò, concludendo con un sospiro di sollievo. Un applauso si levò dalla folla, impazzita per la sua voce. Poi tutto tornò alla normalità.

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Erano solo le sette e trentacinque, mancavano più di venti minuti all'appuntamento, ma Allin si trovava già davanti al Magic. Sguardo altezzoso, fiero, una mise a dir poco provocante e tacco dodici, la ragazza scrollò le spalle, scostando di qualche centimetro il trench invernale che le ricopriva. Prese un profondo sospiro, aspettò che un brivido le si scemasse via via lungo la schiena e si decise ad entrare.
Alle otto di sera il locale era sorprendentemente vuoto. Non un cliente riusciva ad intravedersi nella penombra asfissiante che lo caratterizzava, ancora non alleviata dai giochi di luce dei colorati dei faretti da discoteca. La bionda si stava guardando intorno, quando Tabatha sbucò da un punto indefinito, dandole un colpetto su una spalla.

«Clarylin, ciao!» la salutò energicamente.

Allin le piaceva. Era una boccata d'aria fresca, tra tutto quel marcio e costruito che era invece il resto dello staff del night, se escluse quelle che considerava ormai sorelle acquisite.

«Hey!» La bionda le sorrise, ma questo non nascose la sua agitazione.

Tabatha s'intenerì, prendendola sotto braccio. «Stai tranquilla. Vieni con me» la incitò, carezzandole la schiena.

Con passo deciso la trascinò in una stanzetta fatiscente, ridotta peggio di uno sgabuzzino, quindi, senza troppi preamboli, la fece sedere su uno sgabello traballante, davanti ad una luminosa specchiera. Uno sguardo d'accordo, poi iniziò a frugare nell'imponente armadio, attaccato alla parete. Sebbene fosse impegnata nella propria ricerca, iniziò a dare alla bionda alcune dritte per una buona permanenza, o meglio, sopravvivenza al Magic.

«Qui si vive di apparenza, capisci? Ti basti pensare che Nicholas, ad esempio, ha indetto lavori imponenti per l'intero locale, tralasciando questa topaia perché nessun cliente ci metterà mai piede» le disse, con una nota di amarezza ad incupirle la voce.

«Così noi, Clar. Più mostriamo e meglio è» aggiunse distrattamente, poi si voltò verso la bionda con in mano due diversi completi intimi.

Quella impallidì. «Nero o rosa?» le chiese Tabatha, trattenendo una risata.

Indecisa, Allin chinò la testa da un lato. Il primo, quello nero, era più audace nella forma, ma quantomeno di cotone, foderato da un sottile velo di pelle opaca. L'altro invece, era, sì più coprente, ma di pizzo. Dopo un'accurata analisi, l'irlandese ebbe le idee chiare. «Nero!» esclamò di getto, d'altra parte aveva sempre odiato il pizzo. La castana la guardò divertita, quindi le passò il completo nero e si girò di spalle, lasciando che lo indossasse.

«Ti sta benissimo!» esclamò quando poté voltarsi, soddisfatta dalla cernita fatta.

La bionda, con le guance rosse dall'imbarazzo per il complimento appena ricevuto, fece per avvicinarsi allo specchio, quando fu fatta risedere davanti ad una scrivania piena di trucchi.

«Non è ancora finito il mio lavoro!» gridò Tabatha, poi incominciò a truccare Allin come fosse stata una Barbie, regalo tanto desiderato e mai ricevuto quando era una ragazzina.

* * *

«Ecco fatto!» trillò con voce squillante qualche minuto dopo. Quella sera era elettrizzata. Egoista, perché pensava più a se stessa che alle sfide che avrebbe dovuto affrontare Allin nel giro di un paio d'ore e menefreghista all'idea che qualcuno d'alto la stesse reputando tale. La vita l'aveva resa così, poco le importava, ormai era troppo tardi per cambiare.

La bionda scrutò la sua espressione soddisfatta sul volto e incuriosita si alzò, raggiungendo lo specchio a figura intera.

Appena si vide sgranò gli occhi: stentava a riconoscersi. Quella ragazza che, come intrappolata in quel vetro, copiava ogni sua mossa non sembrava di certo lei. Fu in quel preciso istante che capì che, infondo, l'attenta studentessa di fotografia che ambiva a diventare sarebbe potuta coesistere con la lavoratrice del night in cui avrebbe continuato a trasformarsi quasi ogni sera.

«Devi solo scindere te stessa da... Da lei» le consigliò Tabatha, indicando lo specchio con un cenno di testa.

Allin annuì, poi fece spallucce. Era pronta.

* * *


«Ragazze, lei è Clarylin!» la presentò la castana a quelle che Allin capì essere Grace, Talia e Victoria, conosciute come Iris, Scarlet ed Ivy. Mentre la truccava, le aveva accennato di loro, dicendo che erano le uniche di cui avrebbe potuto fidarsi ciecamente. La bionda osservò attenta le tre. Si corrucciò, quando scoprì difficile guardare altrove.

Grace, pensò, doveva essere la ragazza dal il completino blu ed uno splendido fiore di Iris tra i capelli. Accanto a lei, Talia teneva lo sguardo basso, imbarazzato. Con il completo verde che indossava, arricchito dagli stessi ramoscelli di edera che le ricadevano anche tra i capelli scuri, doveva far voltare dalla sua parte non poche teste. Infine, la giovane vestita di rosso era sicuramente Victoria. Da attenta osservatrice quale era notò che, a differenza di tutte le altre -compresa se stessa- la mora indossava anche un corpetto aderente, ovviamente scarlatto. Non poté evitare di lanciarle un'occhiata perplessa, chiedendosi se dietro quella scelta vi fosse o meno un motivo valido.

«La cicatrice del parto, benché siano passati un bel po' di anni, è ancora visibile» le spiegò la diretta interessata, rivolgendole un sorriso materno. Allin, in risposta, si limitò ad annuire taciturna. Non si aspettava di certo una risposta simile.

Grace, percependo imbarazzo nell'atmosfera, si fece avanti. «Chiamami pure Iris o Riri, piacere!» Si presentò.

Talia, osservò l'amica, quindi la imitò «Io invece sono Talia» disse entusiasta «e lei» aggiunse, indicando la ragazza madre «è Victoria!»

«Piacere» balbettò l'irlandese, sentendosi un po' in soggezione.

A sentirla Talia rise divertita, trovando il suo accento straniero davvero tenero. Di rimando, Allin si portò una mano alla bocca. «Quanti anni hai?» avrebbe voluto chiederle, ma evitò, forse perché non voleva risultare invadente, forse perché non voleva sapere la risposta. La prostituta davanti a lei non aveva sicuro diciott'anni.

* * *

«Ma non avevi detto che erano i ragazzi a servire?» chiese la bionda disorientata quando, trascinata da Tabatha, si ritrovò al piano bar. L'altra non rispose. Aspettò invece che il barman posasse alcuni bicchierini sul bancone e gliene porse uno.

«Bevi questo, aiuterà a scioglierti!» le spiegò, dandole un'altra carezza sulla spalla, così da rassicurarla.

Allin fece cenno di consenso con la testa, quindi in un solo sorso ingurgitò quel liquido tanto trasparente quanto forte.

«Ma che cazzo!» sbottò l'irlandese, sentendo la gola bruciare terribilmente.

«Va tutto bene, poi ci ringrazierai» si sentì dire poco dopo da Victoria che, pimpante, aveva raggiunto le due ragazze per bere la propria dose di drink.

Tabatha non mosse lo sguardo da Allin, osservandola attenta. Quando sul suo volto vide sparire del tutto un'accentuata smorfia di fastidio, la prese stringendole un polso, guidandola al centro della pista da ballo, dove si erigevano due imponenti pedane da lapdance. La bionda, confusa dalla mischia in cui si trovava, lanciò uno sguardo impanicato alla castana.

«Hai detto che lavoravi in un circo, no? Non sarà nulla di diverso» le assicurò lei. «Devi solo tenere d'occhio i tuoi spettatori. Quando uno di loro farà capire di volerti, tu scendi giù e raggiungi le camere. Le tua, -precisò- è la numero tredici.»

«Come and get it!» aggiunse facendole l'occhiolino, poi sparì tra la folla.

* * *


Allin, rimasta sola, guardò pensierosa la pedana, sentendo lo stomaco rivoltarsi. Prese un bel respiro, quindi vi salì. Sorrise soddisfatta: da quel rialzo poteva osservare tutto ciò che aveva intorno con molta più facilità. Seppur priva di una coreografia iniziò a muoversi. Non le veniva difficile improvvisare. Riuscì ad acquisire sicurezza, ed essendo ormai in ballo, decise di prendere quella situazione come un gioco. Iniziò allora ad azzardare, chinando talvolta la testa all'indietro e creando con i suoi capelli lunghissimi uno spettacolo di tutto prestigio capace di abbagliare chiunque nel raggio di cinque metri. E, più giocava, più si divertiva, più si sentiva viva. Con un sorriso malizioso, afferrò l'attrezzo con entrambe le mani ed iniziò a strusciarvisi, sculettando oscenamente con i fianchi, come mai avrebbe sognato di fare. Un brusio compiaciuto fece sfondo alla musica reggae, protagonista indiscussa della serata. L'irlandese capì che quella era la strada giusta e, contenta della propria performance, iniziò a muoversi con più impeto. E il tempo passò, tra un passo e l'altro, varie canzoni si susseguirono e lei non si sentiva ancora stanca, anzi. Fomentata, si stava muovendo sulle note di una canzone a lei sconosciuta, quando vide un uomo mostrarle una mazzetta di sterline, tenuta tra le lunghe dita affusolate. Ritrovato un attimo di lucidità, sentì il sangue raggelarsi nelle vene. Tuttavia solo qualche attimo dopo saltò agilmente giù dalla pedana e, con fare provocante, sparì al piano superiore.

* * *


Di spalle rispetto alla porta d'ingresso, Allin attendeva con ansia l'arrivo del suo primo cliente. Prima sarebbe arrivato, del resto, prima avrebbe potuto mettere piede fuori dal Magic, quell'incubo in cui si era dovuta cacciare. Agitata, la giovane si portò una mano sul cuore, concentrandosi sul suo scalpitare, per cercare di tranquillizzarsi. Sedici battiti dopo finalmente sentì qualcuno bussare. Vestito di tutto punto Victor Clift quella sera aveva optato per un passatempo piuttosto diverso dal solito biliardo con i colleghi. Allin gli aprì, squadrandolo poi con attenzione -capelli scuri portati all'indietro, occhi chiari, di un colore imprecisato, lineamenti marcati- «Avrà trent'anni» ipotizzò a perdi tempo, infine mosse qualche passo per la camera. Egli le sorrise languido, perdendosi ad osservare bramante il suo corpo snello, le sue forme accattivanti, la delicatezza che aveva nel camminare. Come non comprenderlo? Allin sembrava quasi una ninfa de, resto, scappata da qualche fiaba, curiosa di vivere il mondo reale.

«Buonasera, piccola» la salutò non appena le fu vicino, con in viso un'espressione orribilmente compiaciuta.

La bionda alzò lo sguardo, incrociando il suo. Tentò di sorridergli una, due volte, ma per il momento l'unico risultato di quegli sforzi non fu che una smorfia di ribrezzo. Cercando di calmarsi, gli voltò le spalle, avvicinandosi ad un tavolino da thé su cui vi era un piccolo assortimento di alcolici, accompagnato da due bicchierini in cristallo.

«Vuole qualcosa da bere?» domandò.

Dalle labbra dell'uomo fuoriuscì una risata maliziosa. «No, fiorellino. L'unica cosa che voglio adesso sei te.»

E difatti, il tempo di versarsi un po' della stesso alcolico offertole poco prima, che Allin sentì le mani dell'uomo cingerle la vita stretta. Al tocco, la ragazza sospirò flebilmente e ingurgitò lo shottino in un sorso solo, prima le fu sfilato il bicchierino dalle mani. Victor voleva giocare. Con un ghigno sul volto iniziò a sfiorarla, stringendola al torace muscoloso.

Lo eccitava.

Di quello che accadde poi, neanche Allin ne ebbe, nel mentre, una nitida concezione. Fu tutto un susseguirsi di tocchi fugaci che la spogliarono in una manciata di secondi.

 

* * *


Ritrovatasi nuda, la diciottenne serrò gli occhi. Quando li riaprì era seduta nel bel mezzo del grande letto matrimoniale, re indiscusso della stanza. Fremette, sentendo la seta rossa delle lenzuola carezzarle ogni centimetro del corpo mentre Victor, ai piedi del letto, si concedette un minuto per osservarla, completamente sua. Si godette a pieno quella visione celestiale che era, bella al tal punto da sembrare eterea. Rapito completamente dalla sua pelle diafana, capace di brillare nella penombra della stanza, quasi come la Luna nel cielo, l'uomo fece fatica anche a slacciarsi la cinta, e, scaltro, sfruttò la situazione a proprio piacere. Si avvicinò sempre più ad Allin che, ubbidiente, eseguì il proprio compito, gattonando verso lui. L'essere nuda ancora la imbarazzava, ma piano piano ci si stava abituando. Liberando dalle labbra un gemito sommesso raggiunse il ricco imprenditore, quindi sì alzò in ginocchio, iniziando ad allentargli il nodo della cravatta porpora che indossava. Lui gemette. «Con la bocca» mormorò esigente, afferrandola per i capelli biondi per avvicinarsela infine al petto. Allin si costrinse a incassare il colpo e, per evitare di urlargli contro, si morse silenziosa l'interno guancia, poi unì le mani dietro alla schiena ed afferrò la stoffa tra i denti. Gratificato, Victor l'aiutò, scrollandosi la giacca gessata di dosso, non curandosene quando essa si sgualcì sul pavimento. Allin riuscì in quel preciso attimo a liberarsi della cravatta, sbottonandogli poi, bottone dopo bottone, la camicia bianca. Quando anche questa toccò terra, la bionda poté constatare come il giovane uomo davanti a sé avesse un fisico di tutto rispetto. Ma fu un attimo, perché poi il panico incominciò a sopraffarla. Il momento cruciale si stava infatti avvicinando e neanche l'alcolico che si era bevuta l'avrebbe resa immune dalla sofferenza che avrebbe comportato. Terrorizzata, incominciò a fissare un punto impreciso davanti a sé, perdendosi a rivedersi intenta a fare l'amore con Niall. Solo quando l'uomo sghignazzò, pensandola vittima del proprio fascino, lei riuscì a scappare dai quei ricordi che la legavano, come catene, al passato.


«Continua, dolcezza» la incitò, stringendole la coscia destra. La bionda annuì.

«Sì» balbettò. Sentì la propria voce inclinarsi e allora ebbe paura di piangere.

Non voleva, non poteva essere debole e per il momento riuscì a vincere le lacrime e così iniziò a spogliare il cliente, non negandogli tocchi seducenti.

«Mi piace» mugolò Clift ed allora sentì l'erezione gonfiargli i pantaloni, facendosi visibile.

Allin si fece coraggio, quindi la carezzò dalla stoffa, stringendola un po' tra le dita. La reazione dell'uomo, al quel tocco, fu immediata quanto distruttiva. Gettando la testa all'indietro, egli prese a strusciarsi oscenamente contro la mano della bionda che dovette lasciarlo fare. Per questo vittorioso, si sfilò poi frettolosamente scarpe, calzini e pantaloni e attese che fosse Allin a privarlo dei boxer bianchi prendendo il suo membro nella mano destra. La ragazza iniziò a muoversi, inizialmente con lentezza, non perdendo il contatto visivo con gli occhi di Victor che brillavano, come se illuminati da un fiamma. Ci volle poco affinché essa, alimentata dall'ardore della passione, si tramutasse in incendio e la bionda si trovò nell'arco di una manciata di secondi con il viso ad un soffio dal suo pube.

Senza possibilità di ribattere fece un cenno d'affermazione appena percepibile, quindi lo avvolse con le labbra, continuando il proprio lavoro, non pensando ai conati di vomito che minacciavano di farle rivoltare anche la cena del primo Natale. Per sua fortuna, poco dopo sopraggiunse l'orgasmo. Schifata, strizzò gli occhi e, quando sentì il liquido seminale del cliente riempirle la bocca, si fece indietro. Lacrime malinconiche incominciarono a riempirle gli occhi chiari al solo ricordo del sapore di Niall, così diverso da quello che percepiva sulla punta della lingua. «Che stupida» si disse. Capì troppo tardi che avrebbe dovuto piangere prima, cedendo ai «Piangi!» di Alex, con la consapevolezza di poter sfogare tutto quel dolore, quel nervosismo che teneva dentro sulla sua spalla. Cercando di fermare il pianto sul nascere, chiuse gli occhi tanto forte che il trucco si iniziò a rovinare, sbavandosi sugli angoli. E se lei era già stanca, emotivamente soprattutto, Clift era più sveglio che mai. Le sorrise con un che di malizioso e un attimo dopo la stava già sovrastando con il proprio corpo, tenendola in trappola. L'aveva in pugno.


«Fai la brava» le consigliò, poi entrò in lei con un colpo secco, tanto rude da non darle neanche il tempo di urlare.

«Una donna è solo una macchina da fottere, mettitelo in testa. Ci concediamo al migliore offerente e chi si è visto si è visto! L'amore felice non esiste, è un miraggio, una favola, un'enorme presa per il culo!» Le schiette parole che Tabatha le aveva quasi urlato mentre la truccava poco prima, con le lacrime agli occhi, si fecero vive nella mente di Allin quando sentì Victor muoversi dentro di sé, affondarle nella carne, con ritmo asfissiante. Mugolò di dolore, dimenandosi.

«Sta' buona!» ansimò in risposta l'uomo, poi le strinse le natiche tra le mani come aveva desiderato fare sin dal primo momento in cui l'aveva vista ballare.

Appagato il suo animo perverso, continuò a spingere, con forza, rabbia, facendo della diciottenne un misero capro espiatorio in cui buttare giù tutte le sue frustrazioni lavorative della giornata. E lei non poteva far altro che stringere i denti, lacerarsi dentro, troppo fragile, sentendo crescere il bisogno di piangere.

Allin iniziò quindi a lottare contro le proprie lacrime e, proprio quando iniziò a credere che ce l'avrebbe fatta, ne sentì una bagnarle il contorno occhi, scorrerle lungo i lati del viso ed infine perdersi tra i capelli chiari. Subito dopo a quella ne successe un'altra, e un'altra ancora. Si ritrovò a ringraziare il cielo perché Victor, famelico, sembrava troppo impegnato a costellarle la pelle di baci, succhiotti e morsi per accorgersi di quel suo crollo emotivo.

Tentando con poco successo di non impastrocchiarsi il viso con il trucco marcato, la ragazza si asciugò il bagnato lungo le guance, mentre sentiva le labbra dell'imprenditore scendere dal collo alle clavicole, arrivando infine ai seni. In balia delle sue attenzioni si lasciò seviziare completamente e, quando sentì un fremito percorrerle il basso ventre, comprese che ormai mancava poco alla fine di quella tortura.

Incominciò a fremere, portandosi le mani sul viso, un po' per coprirsi gli occhi, un po' per camuffare i propri singhiozzi. Si sentiva così sporca, ignobile che per un attimo solo pensò che sarebbe stato meglio farla finita e che forse Machiavelli sbagliava a dire che il fine giustifica i mezzi, perché, dopo tutto, quando questo viene raggiunto, fare i conti con il passato costa troppo dolore.

Qualche succhiotto ancora, poi raggiunse l'orgasmo. Impetuoso, travolgente, le fece tremare addirittura le ossa. Ansimante, Allin inarcò la schiena, sentendo un fuoco distruttivo bruciarle dentro, così diverso dal caldo piacere provato con Niall. Preda degli spasmi, con la mente navigante in un mare di ricordi, la giovane si lasciò andare alla deriva, ad occhi chiusi, finché anche Clift non venne urlando il suo nome, riversandosi nel preservativo.

Soddisfatto ghignò un «Brava, piccola» finale, quindi rotolò da una parte libera del letto, sporcandola del proprio sperma. Sfiancato dal sesso, spropositatamente sudato, si appoggiò con la schiena sulla tastiera, con il fiatone che lo faceva sembrare avviluppato in un attacco d'asma. Si tolse il profilattico mentre la bionda, al suo fianco, chiuse gli occhi. Il dolore che prima si era eclissato, suo malgrado, dal piacere, tornò a farsi presente. Si odiava. Con poca grazia, con gli occhi che le si chiudevano da soli, si sistemò anche lei sul letto. Fece una smorfia infastidita quando si passò poi la lingua sui denti, sentendo ancora il sapore di quello sconosciuto in bocca. In un gesto automatico -definito da Niall vizio infernale, dal momento che lo costringeva a saltarle addosso come un cagnolino in calore- si inumidì le labbra, trovandole secche. All'istante gli occhi di Victor dacché erano semichiusi, furono subito su di lei.

«Bastava chiedere...» farfugliò, con voce impastata.

Allin aggrottò le sopracciglia. Non fece in tempo a realizzare le sue intenzioni che egli si trovò già ad un soffio dal viso. Sentì le sue labbra sfiorarle l'arco di cupido e l'attimo dopo il suo viso tramutarsi in quello di Niall. Vittima di questo tranello, l'irlandese si stava concedendo al cliente, convinta che fosse che il suo biondo, quando incrociò i suoi occhi e in essi non vide altro che cattiveria, malizia.


«Cosa cazzo sto facendo?» domandò a se stessa e, quasi si fosse svegliata improvvisamente da un incubo, in un gesto impulsivo, portò le mani in avanti, senza dosare la forza, spingendo Victor all'indietro che in un tonfo raggiunse il pavimento. Con il cuore in gola, la bionda afferrò il lenzuolo e si sporse verso lui. Lo vide imprecare e, preoccupata sgranò gli occhi. Che aveva combinato? Spaventata dalla possibile reazione dell'uomo, si chiuse in se stessa, con la testa tra le ginocchia e, immobile, sentì quasi tremarle il cuore dalla paura. Poco dopo l'imprenditore riuscì a alzarsi, incenerendola con lo sguardo, poi schioccò la lingua al palato, sfregandosi le mani.

«Cosa dovrei pensare, adesso?» le chiese indispettito, andando a recuperare i propri boxer.

Teatralmente si sfregò una natica. «Non avrei voluto! Mi dispiace!» avrebbe voluto gridare Allin, a squarciagola, se solo ne avesse avuto il coraggio.

Troppo codarda per farlo,si limitò invece a starsene in silenzio, mantenendo la testa bassa, a fissare le ginocchia ossute.

«Dovrei arrabbiarmi, come minimo parlare con il capo...» mormorò il cliente, provando un gusto sinistro nel giocare con le sue insicurezze.

«Tuttavia» aggiunse, nuovamente ad un soffio dal suo viso, «Per il tuo servizietto, chiuderò un occhio e tutto questo resterà un segreto tra di noi» alitò, giocando con una ciocca di capelli fuori posto.

«La ringrazio» riuscì a biascicare Allin, davvero riconoscente. Lui le sorrise viscido, quindi le prese la mano destra, gliela aprì e vi posò una banconota da cinquanta sterline. Infine, nel silenzio più profondo, interrotto unicamente dal ticchettio regolare dell'orologio vintage appeso ad una parete, egli si rivestì per poi raggiungere la porta con un'espressione di gloria primordiale ad illuminargli la faccia.

«Arrivederci, dolcezza» congedò educatamente, poi sparì, lasciando Allin sola con i propri demoni, quelli che lasciava ogni mattina sotto al cuscino e che la notte, appena vi riappoggiava testa, ricominciavano a tormentarla, inseguendola nei suoi incubi peggiori. Stremata, non tanto fisicamente quanto emotivamente, la bionda sospirò e, di peso, si stese sul materasso, coprendosi completamente con il lenzuolo, scudo con cui difendersi dal mondo intero. E il tempo passò. Pensando a nulla di più che al più presto avrebbe dovuto lasciare quella bomboniera di appartamento per andare in un posto più economico, Allin stava per crollare in un sonno profondo quando sentì scoccare le due di notte. Era ora di andare a casa, per lei, e la sola idea di uscire da lì le bastò per trovare la voglia di alzarsi in piedi. «In fin dei conti mi è andata bene» pensò, rigirandosi la banconota tra le dita affusolate. Prima di andare nel camerino a recuperare i vestiti, si fermò vicino al tavolino degli alcolici. Sentiva ancora il sapore pungente di quello che era stato il suo primo cliente e la necessità di pulirsi la bocca da esso. Si raccolse i capelli in una coda, diede una rassettata piuttosto inutile al trucco e poi si versò nel becchierino ancora una volta la stessa bevanda bevuta in precedenza finendola in due soli sorsi. Non era ancora abituata all'alcol, a quel tempo, non capiva quanto questo potesse portarla facilmente sulla strada del non ritorno, quindi, quando dopo la prima dose sentiva ancora un sapore incerto sulla lingua, non esitò a prendersene un altro. Poi infilò i tacchi ed uscì. Era così ubriaca che, per andare a riprendersi i vestiti dovette appoggiarsi a Tabatha che scoprì aspettarla dietro alla porta.
«Mi raccomando! Prendi un taxi!" le ordinò apprensiva Scarlet, dopo che l'ebbe aiutata a rivestirsi. Allin, però, aveva altri piani.

* * *

Con il freddo invernale a penetrarle nelle ossa ed un passo in certo, la bionda camminava per uno dei vicoli meno raccomandati di Londra, a solo qualche isolato dal Magic. Diversamente dal solito, quella notte aveva trovato un posto preciso in cui andare. Spinta dalla notevole quantità di alcol che le faceva vorticare la testa, Allin entrò dentro ad uno studio di tattoos che aveva visto qualche giorno prima, aperto anche in piena notte durante il weekend. Andare da Daniel, l'amico di Alex, quella volta non le era sembrato il caso. Quando varcò la soglia del negozio, il cigolare della porta riempì il silenzio che lo avvolgeva. Stanca, la ragazza si sedette su una delle poltroncine poste davanti ad una cassa un po' arrangiata, aspettando che qualcuno si accorgesse di lei. «Tatuaggio o piercing?» le chiese d'improvviso una donna sulla mezza età. Rosalie Stevens, insieme a suo marito Mike, lavorava lì da quasi vent'anni. Allin la guardò riuscendo, sebbene la stanza fosse poco illuminata, a distinguerne i lineamenti duri del viso, quasi mascolini, accentuati dal taglio corto di capelli. Poca era la pelle lasciata ancora libera di inchiostro. Se Alex le era sembrato esagerato, lei poteva definirsi una sua caricatura, considerando anche i numerosi piercing sfavillanti al chiarore della luce. Allin si accorse di doverle una risposta. «Vorrei farmi un secondo tatuaggio» disse risoluta, lottando per pronunciare ogni parola in modo chiaro e sorridendo soddisfatta, quando il risultato ottenuto notò non essere poi tanto male. «Ottimo, seguimi. Ci penso io a te: Mike è impegnato con un altro cliente.»

La bionda si alzò dalla poltroncina, così seguì la donna in un piccolo studio.

«Allora, ti tiro fuori i cataloghi o hai già qualche idea?» le chiese questa, sistemando gli inchiostri sullo scaffale. La bionda fece un cenno d'affermazione con la testa.

«Voglio un nome, 'Niall'» le rispose.

«E dove?»

«Sul labbro inferiore, nell'interno.»

Rosalie guardò Allin sgomenta. Non capitava spesso che qualcuno venisse per tatuarsi il viso, figurarsi le labbra. Si chiese chi fosse questo Niall.

«Farà male, ti avviso» le disse, quindi le tirò il labbro quanto bastava per incidervi, non prima di aver anestetizzato la zona. Allora puntò l'ago su quella carne così morbida. L'irlandese arricciò il naso, sentiva il sapore amaro dell'inchiostro e ridacchiava. Ubriaca, l'unica cosa che le premeva era avere quel tatuaggio al più presto. Chiudendo gli occhi per il lieve pizzicore, si chiese se mai avrebbe agito così d'impulso se fosse stata lucida, poi fece spallucce. Cosa importava in quel momento? Infondo non si sarebbe mai potuta dare una risposta e le lacrime che versò quando vide il nome di Niall impresso sulla sue labbra furono tante che non provò neanche a fermarle. Si sbrigò a pagare sotto lo sguardo preoccupato di Rosalie quindi, a passo svelto, uscì dallo studio di tatuaggi. Stanca e con un mal di testa inconcepibile, si sedette di peso sul marciapiede ad ascoltare il rumore della notte. Era devastata, le faceva male gran parte del corpo, eppure un lieve sorriso le comparve sul volto.

«Stai bene? Sembri sconvolta» le chiese qualcuno in un sussurro, sedendosi accanto a lei. Allin sbiancò. Quella voce non le era nuova, eppure non riusciva a capire di chi fosse. Dapprima stette in silenzio, quando poi si voltò, per poco non ebbe un mancamento.

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"Perché tu sei tutto ciò che riesco a vedere."

-Dal diario di Niall

 

Spazio autrice

E niente, non mi piace, non mi piace proprio come è venuto fuori il capitolo, ma, credetemi, ho messo tutta me stessa per scriverlo, tra i problemi di rating e altre perplessità. Questo è il frutto di due settimane di lavoro e spero che almeno a voi piaccia un po'. Infondo abbiamo tre personaggi nuovi che rappresentano un po' tre faccie diverse della prostituzione: la ragazza madre, Scarlett, la minorenne, Ivy, quella che segue l'amica per aiutarla, Iris -ovviamente le loro storie veranno approfondite in seguito-. Poi abbiamo il primo approccio di Allin con questo lavoro e l'allusione al fatto che presto dovrà cambiare casa. Per finire, il tatuaggio all'interno labbra che svolgerà un compito decisivo -nulla è campato in aria- e l'incontro finale. Parte il toto nome! Chi sarà la persona avvicinatasi alla bionda? Scrivetemelo in una recensione, sono piuttosto curiosa!
Giorgiaxx

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Capitolo 19
*** Chains. ***


Chains.
 

 
Eccoci qua... Blocco estivo superato, gente! Okay, ammetto di esser piuttosto su di giri oggi, ma del resto sono davvero felice di aver ripreso a scrivere e niente, vi aspetta un capitolo un po' diverso dal solito. Ammetto che in questo periodo ho forse cambiato modo di scrivere, non so se si nota. Bene, vi invito come al solito a leggere le note a fine capitolo per spoiler e quant'altro, per ora è tutto. Buona lettura e grazie!
 

 
"So many things were left unsaid, It's hard to let you go"
-Dal diario di Allin


 
«Stai bene? Sembri sconvolta» le chiese qualcuno in un sussurro, sedendosi accanto a lei. Allin sbiancò. Quella voce non le era nuova, eppure non riusciva a capire di chi fosse. Dapprima stette in silenzio, quando poi si voltò, per poco non ebbe un mancamento.

«Liam Payne?» balbettò incredula. Con entrambe le mani chiuse a pugno si sfregò gli occhi truccati.

Il ragazzo la guardò impiastrarsi il viso di eyeliner e matita, sorrise. «E tu devi essere un tenero panda» le disse, sistemandosi meglio a sedere sul marciapiede.

«Sembri sfinita» aggiunse poi, quando la vide rimanere impassibile, come se di ghiaccio, al tenero paragone.
 
Ma Allin ancora una volta non gli prestò ascolto e si limitò ad accucciarsi su se stessa, sporcandosi di trucco addirittura le ginocchia, velate da calze color carne che, scoperte dal vestito, lasciavano poco all'immaginazione di chiunque la guardasse. Era perfettamente consapevole di star sbagliando nel rimanere tacita, ignorando il ragazzo, ma proprio non riusciva ad aprire bocca ed emettere alcun suono. Sì, ritrovarsi Liam Payne davanti ai propri occhi l’aveva decisamente colta alla sprovvista. Più lo osservava, più si rendeva conto di non stare semplicemente sognando, più si sentiva vicina a Niall.
«Capisco che magari possa farti schifo ciò che canto, ma, credimi, non sono una cattiva persona.» Quanta innocenza si manifestava in quella frase? Tra le lacrime, la giovane donna sorrise addolcita.
Era difficile pensare a come, un ragazzo quale quello che adesso la stava guardando con insistenza, fosse riuscito a restare umile e insicuro, pur avendo raggiunto un successo sbalorditivo a soli diciott’anni.
 
Allin deglutì, cercando di inumidirsi la gola secca. Il sapore del sangue e dell’inchiostro, mischiato a quello dell’alcolico bevuto non aiutavano affatto. «No, no. Non penso questo» riuscì a mormorare con voce roca. «Voi mi piacete.»
 
«Mia mamma diceva sempre una cosa: "parlare con gli altri dei proprio dolori può solo farci bene"» disse Liam e la bionda sbuffò, asciugandosi ancora le lacrime con le maniche del trench.
 
«Non è così semplice spiegare. Per alcuni versi saresti forse la persona più adatta con cui sfogare tutto questo schifo, per altri quella che vorrei scomparisse seduta stante ed andasse via da me» gli rispose facendo ancora un po’ di fatica a parlare, guardandolo nel mentre con quasi un’aria di sfida che, in realtà, non era altro che l'ennesimo modo per evitare che la gente capisse come si sentiva, cioè fondamentalmente sola ed inutile.
 
Liam, di suo conto, non diede importanza alle sue ultime parole e fece spallucce. «Dimmi ciò che vuoi» sussurrò, guardando davvero Allin per la prima volta. Incrociò i suoi occhi chiari.
 
«È bellissima» pensò d’improvviso, con la consapevolezza che qualunque uomo al mondo gli avrebbe dato solo che ragione perché la ragazza che sembrava studiare i suoi segreti più nascosti, leggendogli gli occhi, nonostante il trucco sciolto, nonostante fosse stanca, sembrava quasi un angelo caduto sul ciglio di una strada, tra l'asfalto e la pietra. Peccato solo per quell’aria distrutta che aveva e quell’impressione che dava di non riuscire affatto a rialzarsi da terra, come se le avessero tarpato le ali.
 
Guardando il cielo scuro, Allin portò indietro la testa, appoggiandola ad un cassonetto. Liam seguì con lo sguardo ogni suo movimento. «Allora, come ti chiami?» chiese, avvicinandolesi con garbo.
 
«Allin» gli rispose di getto l'irlandese. Il tempo di prendere un respiro che si era già resa conto del grande errore compiuto. «Cazzo» alitò infatti tra le dita, chiuse a coppa davanti alla bocca.
 
Liam sgranò gli occhi. «Non è possibile.» 

«Non è possibile», si disse una seconda volta.

 
* * *
 
«Nì, ma com'è quest'Allin?» aveva chiesto Harry una sera delle tante in cui, viaggiando in aereo, oltre che chiacchierare non c’era molto fare.
 
Niall allora aveva tirato un sospiro, cacciato via le lacrime agli occhi e «Bellissima» gli aveva risposto, con la voce rotta dal pianto. «Minuta, non molto alta, tanto che potevo posarle benissimo la testa sulle spalle. Snella, dannatamente perfetta. Mi sono innamorato dei suoi capelli biondi e amavo giocare con i boccoli delicati che ricadevano sul fondo schiena -come per scacciare un brutto pensiero, il ragazzo scosse la testa- E la bocca carnosa! Diamine, quando sorrideva mi sentivo morire» «Mi mancano i suoi occhi azzurri, mi manca rispecchiarmici e vedermi in essi un ragazzo migliore. Mi manca la sua pelle persino. E’ strano, forse? Eppure baciarla, pizzicarla, carezzarla con i polpastrelli mi mandava in visibilio. Era così chiara, quasi diafana, tanto da lasciar intravedere le vene sottili e... Allin era ed è la parte migliore di me.»
 
 
* * *
 
 
Ripresosi da quel ritorno nel passato, il cantante si portò le mani tra i capelli.
 
«Se ti dico 'Niall Horan', cosa mi rispondi?» chiese esitante in un sussurro di voce, guardandosi intorno per assicurarsi di non esser stato sentito da orecchie indiscrete.
 
Un gatto nero attraversò in quell’istante il vicolo semideserto perdendosi nel buio mentre Allin era impegnata a cercare invano di calmare il proprio battito cardiaco, in cerca delle parole giuste da usare e no, non riusciva affatto a trovarle. Inventare una bugia, nascondersi, oppure parlare? In balia dell'alcol, i tanti ragionamenti cui stava soffermandosi le sembravano troppo complessi e altrettanto confusi. E allora agì, dando unicamente voce all'impulso che da sempre l’aveva contraddistinta. Approfittando della luce soffusa, la bionda si prese il labbro inferiore tra pollice e indice, poi lo tirò un po' in giù, scoprendosi il nuovo tatuaggio, cui margini erano ancora rossi ed incerti. Liam, ancora ignaro del perché  di quell'azione, in un primo momento la pensò pazza. Infatti, fu solo quando una macchina sfrecciò in strada pochi secondi più tardi, cedendo così un po' di luce a quel vicolo di periferia, che il cantante riuscì a intravedere il nome del proprio amico tatuato sulla carne della ragazza. «E’ assurdo» mormorò incredulo. Il respiro gli divenne corto, affaticato, mentre Allin non faceva che guardarlo attentamente cambiare espressione, dallo stupore alla rabbia. Di scatto, la ragazza spalancò gli occhi.
 
«Non è come pensate. Io... Non volevo, non volevo!» urlò, alzandosi su di colpo. Barcollò.
 
«Non ho idea di cosa sia successo. So solo che, porca troia, la nostra casetta nel parco di Mullingar è stata bruciata, che Niall mi odia...» iniziò a farfugliare. «E che, nonostante sia passato infondo tanto tempo, non riesco proprio a rinunciare a lui!» concluse. Agitata, per poco non prese addirittura una storta, muovendosi su quei tacchi cui non era abituata. Liam la continuava a fissare come uno stoccafisso, stavolta era lui quello senza parole. 
 
«Sembra così vero» sibilò, trovando fin troppo pesante il silenzio creatosi nell’aria. 

«Lo è» disse semplicemente la ragazza, con una scrollata di spalle. «Lo è! Cazzo se lo è!» imprecò ancora l'attimo successivo, poi puntò gli occhi ceruli nei suoi nocciola. 

Facendoglisi vicino, vide in essi il proprio riflesso e inevitabilmente crollò, accovacciandosi proprio in mezzo alla strada. In quella confusione, sbronza, non riusciva a trovare neanche del tutto negativa la possibilità che una macchina sarebbe potuta passare di lì, schiacciandola nel buio della notte. Allin tremava e si sforzava di non piangere davanti al castano, chiudendo gli occhi stretti stretti e serrate le labbra per evitare di mostrargli anche il solo minimo segno di debolezza. Ma a lui non servì veder nulla, gli era bastato sentire la sua voce farsi acuta per capire che era lì sul punto di piangere. Così si alzò dal marciapiede, la raggiunse e le si chinò davanti. Cercando di rassicurarla, le prese il mento tra due dita, alzandole la testa, per poi carezzarle le guance arrossate, calde al tatto. Allin gli si poggiò su una mano, abbozzò un sorriso, biascicò un palesemente finto «Va tutto bene» e una prima lacrima le solcò il viso, susseguita subito da una seconda, da una terza e via dicendo. 

In un altro battito di ciglia, si ritrovò con le guance imbrattate dal pesante trucco scuro. «Niall ci ha fatto leggere una lettera, ma non l'hai scritta tu» convenne Liam.

Al proprio cenno della testa, oltre il velo di lacrime, la bionda lo vide sorridere dolcemente. «Non l'ho scritta io, non so neanche quale sia il contenuto e quanto quello sia stato capace di far del male a Niall. Alla lettera ha pensato Gonzalo.» 
Si sentì prendere allora per le spalle. Tirandola su di peso, il cantante la scortò verso una panchina piuttosto fatiscente.

«Tuo padre?» le chiese una volta seduto.

«Almeno così pensavo» Allin bofonchiò. «È una lunga storia, piuttosto complicata e assurda per chi, come te, non ha vissuto con gli zingari.»
 
«Credo di poter almeno provare a capirla.» Liam estrasse il cellulare dalla tasca, vide un messaggio di Zayn che gli chiedeva dove si fosse cacciato, poi lo spense.
Lei fece lo stesso. Sbloccò il suo vecchio cellulare che pensò potesse essere il bisnonno di quello del cantante, poi se lo rimise in tasca, delusa. Non che non avesse trovato un messaggio di Alex, di Tabatha e delle compagne del corso di fotografia. Francamente, ingenuamente e soprattutto stupidamente aveva sperato in uno di Niall. «Ho ancora tante lacune che non si colmano, non credo di esser in grado di rispondere ad ogni tuo possibile "perché".»

«Dimmi ciò che vuoi, io non domando.»

«Quello di mia madre e Gonzalo è stato un matrimonio combinato. Non ne so con certezza il motivo: in genere i travellers e i romanì non si sposano con persone al di fuori della propria comunità» spiegò Allin asciugandosi i resti del pianto. 

«Forse c'entrano i soldi» ipotizzò, alzando le mani in segno di resa. 

«Fatto sta che, se nel tempo mio padre si è innamorato di mia madre, lei ha intrapreso una relazione con un irlandese... Nove mesi dopo sono nata io, senza pelle olivastra, capelli scuri e nessun minimo segno a dar nota delle mie origini. Ecco perché Gonzalo mi ha sempre detestata, messa da parte, anche se sono la sua unica figli-» «Beh, d'altra parte non lo sono» si corresse la ragazza, ridendo sommessamente. 

«Per lui non ero e continuo ad essere nient’altro che il frutto di un tradimento. Ma, nonostante questo, lui amava davvero mia madre e il loro matrimonio era poi d'interesse, quindi fece finta di nulla, facendo di me il proprio capro espiatorio.» Un po' per prendere fiato, un po' per vedere se Liam avesse avuto qualche domanda da porle, Allin incrociò le braccia al petto, si sistemò sulla panca e, quando il ragazzo copiò i suoi movimenti, sorrise. 

Era facile aprirsi ad una persona come lui.

L’attimo più tardi prese un respiro, quindi proseguì. «Immagino che tu sappia del lavoro al circo, o della morte di mia madre» disse in un fil di voce e immediatamente ad assalirla ci pensarono migliaia di immagini confuse di lei sola nella sua roulotte, ad urlare disperata contro Gonzalo, consapevole che non avrebbe ottenuto nulla. Il cantante, vedendola rinnegare nel passato, le cinse le spalle con un braccio e la strinse a sé. «Dopo la sua perdita sono stata costretta a partire subito per la Spagna. Lì ho vissuto come una romanì, ho smesso di andare a scuola, ho sottostato ad ogni cazzo di regola pur di vivere senza tragedie quell’ultimo anno che mi sembrava eterno. Il giorno del mio diciottesimo compleanno sono scappata.»

Liam la guardò sorpreso. La ragazza come a consolarlo gli sorrise, poi continuò. «Mia madre mi ha lasciato dei soldi, un contatto. Ho seguito il suo volere, sono tornata in Irlanda, ho cambiato identità, faccia persino e ho accontentato un sogno che prima ho lasciato chiuso infondo ad un cassetto per troppo tempo, entrando in un istituto di fotografia.»

Il castano schioccò la lingua al palato. «Istituto di fotografia? Da quando i corsi si tengono di notte?» domandò.

«È complicato» gli rispose seccamente Allin.

«Durante il mio soggiorno in Spagna, per soldi ovviamente, Gonzalo ha ceduto la mia mano ad un romanì, Tacho. Per questo ceppo di zingari le donne sono niente più che un oggetto di vanto. Le trattano bene eh, ma se appartengono a loro, devono unicamente appartenere a loro. Mi cercano ancora, i suoi scagnozzi, e sanno che sono qui a Londra.»

«Non capisco perché tu sia diventata una prostituta» dichiarò il cantante. 

Allin si chiese per un attimo come avesse potuto capire che lavorava al Magic, ma più tardi si può ricordò dell’ora e della sua mise che di certo non appariva come quella di una ragazza casa e chiesa.

«A Gonzalo servono soldi per scagionare il fratello dal carcere. Tacho ne ha approfittato così lo ha ingaggiato per trovarmi e riportarmi da lui, senza mettere in conto un suo improvviso risentimento nei miei confronti.»

«Sai? D'altra parte lo capisco: sono certa che se non gli avessi offerto di pagare io la cauzione, lui mi avrebbe ricondotta tra le braccia di Tacho per disperazione. Subire i pianti di mia zia, sorella di mia madre, e delle mie cugine non deve esser facile. Quindi la storia si conclude così. Gonzalo mi guarda le spalle e io guadagno, nella speranza che prima o poi Tacho mollerà la presa su di me» finì Allin e poi tutto tacque, il silenzio parve inglobare lei e il ragazzo che, assuefatto, le sedeva accanto, facendo di quell'alba la più strana che avessero mai vissuto. Forse non era un caso che quella notte fosse di luna nuova.

«Allin...» mormorò Liam tutt'un tratto, il viso tra le mani.

«Stai piangendo, Liam?» chiese la bionda, stupita.

«Come riesci... -balbettò lui- come riesci a vendere il tuo corpo, senza scordarti di Nì?»

A quella domanda, tanto innocua quanto giusta, Allin sorrise. «Ho appena iniziato con il Magic e penso semplicemente che se questo è il modo più celere per essere libera dal mio passato e da chiunque altro, tanto vale provare. So che Tacho non si fermerà presto, so che gli uomini che mi seguono da mattina a sera sono romanì, ma so anche che non mi faranno nulla senza incappare in Gonzalo e beh... La speranza è l’ultima a morire, si dice» rispose facendo spallucce, come se argomento del suo discorso fosse il caffè freddo servito al bar.

«Sei forte» ammise il cantante, asciugandosi una lacrima. Non era lui a dover piangere.

La bionda gli sorrise. «Anni e anni di palestra circense» ridacchiò, contraendo i bicipiti per mostrare i muscoli ancora allenati.

Non fu l’unica a ridere, anche dalle labbra di Liam fuoriuscì subito un'amara, flebile risata. «Non in quel senso» disse scuotendo la testa. «Fisicamente sei così gracile che potresti volare via ad un soffio di vento.»

Allin sbuffò, ricomponendosi all’istante. «Se voglio lavorare al night questo è il fisico giusto. I primi mesi a Londra sono stati deleteri. Ero così afflitta che buttavo giornate tra le lacrime e il mangiare passava in secondo piano. In quel periodo ho buttato un bel po’ di peso, per poi riacquisirlo lentamente. Adesso, però, non posso permettermi di ingrassare di un solo grammo: rispetto alle mie college, sono obe-»
Neanche il tempo di finire che Liam si alzò in piedi. «Vieni con me, torniamo da Niall» esclamò risoluto, tendendo una mano verso la ragazza.

Lei voltò lo sguardo. «No, non tornerò, non ora. Prima devo concludere qui: non posso lasciare Gonzalo in balia di tutto questo, non sono una merda di persona, anche se magari la stragrande maggioranza di persone che conoscevo a Mullingar pensano sicuramente il contrario. E poi, prima di presentarmi da Niall d’improvviso, a effetto sorpresa, voglio almeno...» mormorò a fatica, poi si fermò. Cosa voleva?

«Diventare alla sua altezza è impossibile, lo so, ma…» aggiunse stringendosi in se stessa.

Liam borbottò. «Ma questo significa che passerà del tempo e che soffrirete ancora e...» 

«E niente, la vita non può essere tutta rosa e fiori. Dopo tanta tristezza potrà solo esserci tanta felicità, per noi. Nel bilancio di tutto, se non io, almeno lui non merita del male.»

«Ma...»

«Liam, non ci sono né 'ma' né altro.»

A quel punto il castano si arrese. «Tornerai?»

«Non potrei fare altrimenti. È come se, senza Niall, io stessi vivendo dell’aria contenuta in un’unica bombola d'ossigeno. E per quanto io possa sforzarmi di usufruirne ben poca, sempre sul filo del rasoio, prima o poi si esaurirà e allora dovrò tornare da lui per continuare a vivere, perché, come senz’aria non si è in grado di vivere, io senza quel biondo non posso stare.»

Liam annuì. «Puoi darmi il tuo numero?» chiese poi, sperando di non risultare scortese.

«Non ti fidi a tal punto?» gli domandò in risposta la bionda, anche se infondo non era difficile da comprendere che no, non si fidava. 

Lui però scosse la testa, cogliendola alla sprovvista. «Non voglio che Niall stia male per sempre» si limitò ad ammettere. 

«Che cosa gli dirai?» chiese Allin, alzandosi anche lei dalla panchina.

Il ragazzo rivolse lo sguardo al cielo, gonfiò le guance e tirò un sospiro che, caldo, divenne nuvola di vapore nell’aria invernale. «Niente. Quando sarà, il momento verrà per un incontro casuale… Almeno per lui. E a questo mi serve restare in contatto con te» spiegò facendo spallucce. Dire a Niall che aveva trovato Allin, pensò, sarebbe stato come dire ad un bambino di avergli comprato le più buone caramelle al mondo, le sue preferite, fargliele vedere e poi posarle in un piano per lui non raggiungibile.

«Okay...» accettò l’irlandese, quindi lasciò che Liam le dettasse il suo numero, quindi gli fece uno squillo.

«Allin, non fare cazzate di cui potresti pentirtene. Testa, eh» si raccomandò lui l’istante più tardi stringendola ancora al petto, quasi incatenandola a sé per non  lasciarsela sfuggire. E, nelle sue parole, entrambi sapevano essere rinchiuso un mondo. 

«Cerca di vivere bene, capito? Non rovinarti. Non voglio vederti ancora piangere, quando tornerò a trovarti, né così pallida e malferma sulle tue stesse gambe» le ripeté, carezzandole forte la schiena. Lei, alle sue parole, sgranò gli occhi dalla sorpresa. 

«Tornerai?» gli chiese imbarazzata, rigirandogli la sua domanda.

Liam annuì. «Sento l'esigenza di aiutarti: sei una persona forte ed in gamba e non devi piangere, perché tempo un anno, al massimo, e andrà tutto bene»

«Non so neanche se mi riconoscerà...» sussurrò Allin ridacchiando tristemente. Infondo dicevano che nella vita bisogna sempre ridere.

«Se non avessi saputo il tuo nome, avrei pensato comunque che somigliavi alla ragazza descritta da Niall e vista in foto, ti riconoscerà.»

Il castano si ritrovò stretto in una presa più forte persino della propria. Quando aveva bisogno di amore, quella ragazza? «Grazie, di tutto.»

«Non piangere... Non serve più» le disse, sporcandosi entrambe le mani di eyeliner e mascara, pur di togliere quei lacrimoni dal viso.

«Tu dimmi che ti senti persa, triste, senza strada o inutile. Io cercherò di arrivare al più presto, okay?» aggiunse ed Allin annuì, inspirando poi un’ultima volta il profumo del ragazzo, giusto per ricordarsi che ciò che stava vivendo era realtà.
 

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Il getto dell’acqua, picchiante sulla schiena, stava decisamente calmando Allin. La prima serata di lavoro, il tatuaggio, Liam... Sfinita, la bionda si sedette sul muretto della doccia, in freddo marmo, l'acqua calda che la raggiungeva anche lì le continuava a dar sollievo. Osservò il suo corpo nudo, bagnato e luccicante perché ricoperto da mille e più goccioline d’acqua in grado di riflettere la luce dei primi raggi di sole filtranti dalla finestre. Curvò le labbra sollevata, la ragazza, quando, oltre a qualche segno di troppo –succhiotti, morsi o che si voglia- non si vide diversa. Donarsi ad un uomo, come aveva sperato sin dall’inizio, non aveva cambiato ciò che era sempre stata, né l'aveva segnata più di tanto, se esclusi il bruciore al basso ventre e un intorpidimento delle gambe. Ma questo non era infondo nulla di paragonabile al costante bruciore degli occhi che l’aveva infastidita mesi prima, tornando ad importunarla anche quella sera. Era forse diventata insensibile al dolore? Allin amava questo del tempo, la sua capacità nel sanare ogni ferita o quantomeno cicatrizzarla. In piccola parte poteva azzardarsi a definirsi addirittura soddisfatta di essersi trasformata con il passare dei mesi in un blocco di ghiaccio. L'unica cosa in grado di scalfirla, il suo punto debole, ormai era Niall e la sua assenza, nient’altro. Doveva ringraziare Liam, l’avrebbe dovuto fare al più presto, pensò sorridendo addirittura. In lei, quel loro incontro aveva fatto rafforzare la speranza, con le sue parole era come rinata. Niall non la odiava, si era sbagliata a lungo a pensarlo. Con l'unica voglia di rifugiarsi sotto le coperte, la bionda balzò in piedi, si sciacquò frettolosamente il sapone di dosso e si crogiolò ancora qualche secondo nella sensazione di benessere che esso le regalava. Poi uscì dalla nuvola di vapore creatalesi intorno.
 

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E le settimane trascorsero velocemente, seguendo questa routine. Se non era al corso di fotografia, Allin la si poteva trovare al bar di Alex con Mike -uno dei ragazzi del Magic, gay fino all'osso, s'intende- e Tabatha. E se poi non stava neanche lì, a godersi una pinta di birra irlandese offerta dalla casa, sicuro era impegnata a vendere il proprio corpo a qualche uomo, nella stessa opprimente stanza dalle lenzuola di seta rosse della prima sera. Ormai aveva raggiunto un nuovo equilibrio e si sa: è lo spirito d'adattamento che ha sempre salvato l’uomo, sin dal principio, e che, latente, continua a salvarlo, giorno per giorno.
 
 
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Quella sera era di ritrovo. Come ogni sabato, alle sette precise, Mike, Tabatha, Allin ed Alex si trovavano già al locale; chi seduto al bancone del bar, chi dietro questo, intento a seguire i discorsi degli amici senza mettere da parte i propri clienti. 
Chiudendo gli occhi, Allin si rigirò sullo sgabello di pelle su cui stava seduta, cercando di concentrarsi solo sulle chiacchiere di Tabatha e Mike.

«Insomma, due prostitute, un gigolò e un barista schizzato, chi l'avrebbe mai detto?» disse la castana ridacchiando, passandosi una mano tra i capelli lunghi. 

Mike, seduto davanti a lei, sbottò a riderle in faccia. In effetti, a pensarci, non erano proprio un ordinario gruppo di amici.

«Irlanda, tutto bene?» chiese poi il ragazzo quando notò l’altra starsene a testa bassa.

«Solo un po' di mal di testa, questa settimana di corso è stata un inferno, lo sai. Tra test e quant'altro.» Cos'altro la rendeva su di giri? Il messaggio di Liam ad avvisarla che Niall e Zayn, dopo vari tentavi in proprio, avevano optato per contattare un detective privato, Gonzalo, e i soldi che gli doveva. In alcuni momenti, la giovane, credeva di impazzire. 

«Volete da bere?» chiese d'improvviso Alex, vedendola in difficoltà nel rispondere all'amico.

Mike subito, come il barista aveva previsto, subito si distrasse da Allin. «Un altro giro di birra?»

«Un altro giro di birra, sì!» acconsentì Tabatha.

La bionda scosse la testa. «Al, per me-»

«Il solito di quando stai nervosa o giù di morale: cioccolato con un bricchetto intero di latte, due cucchiaini di zucchero e panna» concluse Alex, tornando al lavoro. Un sorriso gli illuminava il volto, come accadeva infondo ogni volta in cui si trovava con Allin. 

«Domani è giorno di paga! Pronto per portare il tuo lui in qualche ristorantino chic?» chiese la bionda, scordandosi dei propri pensieri. Del resto, adorava deridere amichevolmente Mike, lo trovava a tratti soddisfacente.

«Domani è già il trentuno?» chiese Tabatha meravigliata. Con quella routine, che sperava prima o poi sarebbe finita, la sua giovinezza pareva scivolarle tra le dita.

«Cazzo!» esordì d'improvviso Allin. Possibile che non riuscisse mai a tenere tutto sotto controllo?

«Che...» 

«Dovrebbe essermi arrivato il risultato dell'esame di fotografia, questo pomeriggio!» Mike non fece in tempo a parlare che lei balzò giù dallo sgabello, prese il cellulare dalla tasca anteriore degli skinny scuri e ne vide il piccolo schermo illuminato. 

«Cazzo» ripeté, questa volta scandendo bene ogni lettera, in preda al panico.

«Stai calma. Sei brava con i photoshoot, quest'ultimo esame l'avrai passato, esattamente come è successo con tutti gli altri» le sussurrò Alex che, come un grillo, l'attimo prima l'aveva raggiunta senza che lei se ne fosse accorta, per poi posarle il mento su una spalla perché -lui sapeva- quella era la vicinanza in grado di calmarla... O quasi.

Le mani continuavano infatti a tremarle, mentre il cuore sembrava esser diventato pazzo. Il ragazzo le prese il cellulare tra le dita, «Calmati, Lin» le alitò sul collo, massaggiandole la schiena. 

Poi notò tre notifiche di diversi messaggi e ne aprì il primo. «Margaret è stata bocciata» le disse a denti stretti. 

Come lei, anche lui era su di giri, sebbene gli riuscisse facile controllarsi. E lo stesso valeva per Tabatha e Mike che non per niente stavano -non letteralmente, per fortuna- sbriciolando il bancone del piano bar su cui avevano poggiato le proprie birre.

«L'altra tua amica è stata promossa invece, dice che sta...» Il ragazzo allontanò il telefono dal viso, incerto se fosse miope o la ragazza avesse davvero scritto che stava «...orgasmando» concluse di colpo, rendendosi conto che ancora riusciva a vederci decentemente. 

Allin ridacchiò, «diciamo che è molto espansiva», chiarì imbarazzata, tra gli sghignazzi imbarazzato di Tabatha che, pur lavorando al Magic, non riusciva a parlare liberamente di queste cose senza che le guance le diventassero viola.

Alex sbiancò. «Okay, c'è un messaggio della scuola.»

«Leggi» gli impose Allin, fremendo.

Lui prese un respiro profondo, sperando che il cuore calmasse il suo battere forsennato e poi, quando si rese conto che ogni suo sforzo di tranquillizzarsi stava fallendo, iniziò a leggere. «Signorina, ci scusiamo per il ritardo nella nostra notifica e la informiamo che ha passato con successo questo esame che le darà accesso alla seconda parte del nostro corso. Anticipandole che ha colpito molto la commissione, le auguriamo di passare una buona serata. In fede, Dorian Dane» lesse senza mai fermarsi per prendere respiro.

E, se Tabatha e Mike avevano iniziato già da tempo a gioire, gridare, improvvisare cori da stadio, Allin non riusciva a realizzare, ancora più impanicata di quanto non lo fosse stata prima. Infondo si era abituata ad affrontare le tante batoste che avevano segnato la sua vita, ma non le belle notizie, di cui aveva quasi terrore. Certo che era felice quando ne riceveva una, ma era convinta che, subito dopo, ad aspettarla dietro l’angolo ci fosse il dolore e lei di questo aveva paura, terrore. 

«Allin, piccoletta mia» la richiamò Alex sotto voce, girandola verso di sé. Con un cenno fece azzittire gli schiamazzi degli altri due, poi si sporse in avanti e la abbracciò.

«Niall...» si lasciò sfuggire però lei in un gemito, perché -dannazione!- Alex non era ciò che le serviva. La aiutava, questo sicuro, ma non era lui il tassello del puzzle perfettamente compatibile a lei, non era la sua mano a sembrar incastrarsi perfettamente alla propria, né suo il profumo per cui aveva gioito per un anno, sentendoselo addosso. Non erano i capelli colorati dell’amico quelli che voleva tirare tornando un po’ bambina, con cui voleva giocare e fare acconciature a dir poco imbarazzanti. Tanto meno i suoi occhi grigi, gli occhi in cui voleva perdersi, che voleva guardare ancora mentre faceva l'amore. Non le interessava delle sue labbra. Non erano loro che bramava come se non ci fosse un domani, per cui fremeva alla sola idea di sentirle di nuovo sulla sua pelle, incandescenti, carezzandola delicatamente come fosse stata di seta, la stessa seta delle lenzuola che ora la accarezzavano al Magic, avvolgendola in una realtà che si imponeva di vivere, anche se faceva male.
 

#
 

Nello studio la tensione era tanta da poter esser tagliata con un coltello mentre uno dei detective più rinomati di tutta l'Inghilterra sfogliava risme su risme dell'anagrafe Irlandese. Niall e Zayn lo avevano chiamato giusto mezz'ora prima, avvisandolo che avrebbero pagato anche più dell'ordinario per avere informazioni su una certa Allin, quindi lui non aveva perso tempo. Non che fosse interessato ai soldi -difatti appena gli avevano parlato del cospicuo pagamento aveva storto il naso-  semplicemente, Friedrich Lower, investigatore da quando ne aveva memoria -per intenderci, da quando era piccolo seguiva la scia di formiche fino ad arrivare al formicaio-, amava il suo lavoro.

«Niente, non c'è niente!» bofonchiò l'uomo, chiudendo l'ultima risma del 1993. I due clienti, appena arrivati, lo guardarono sbiancando dietro la sua scrivania: non c'era nessuna Allin Dooley, segnata all'anagrafe. 

«Magari l'archivio non sarà stato aggiornato, provo su internet» li rassicurò l'uomo vedendoli così agitati ed avidi di sapere il più che irrilevante dettaglio.

Si sistemò allora i lunghi baffi che tanto gli davano un'aria particolare, prese il suo Macbook tra le mani e, giusto il tempo di aprirlo che digitò il nome della ragazza sul predefinito motore di ricerca. «Allin Dooley.»

Minuti di silenzio passarono lentamente. Niall e Zayn, seduti sulle due poltroncine non facevano che guardarsi, biascicando commenti sul bizzarro signore che avevano davanti, tutto per non pensare ad Allin. Al ventesimo rintocco dell'orologio a muro, Mr Lower sospirò. «Okay, qui c'è solo scritto che i Dooley sono il più importante clan di travellers, i nomadi irlandesi, ma non si accenna a nessuna Allin, anzi, non accenna proprio a nulla se escluso lo stile di vita e la decadenza di importanza avuta dell'ultimo ventennio.»

«Quindi è come aveva sospettato» concluse Zayn, schiocchiando la lingua sul palato. Fece spallucce, dondolando la testa da spalla a spalla. Niall lo osservò, imitandolo. Più passava il tempo, più si abituava alla lontananza di Allin e non poteva di certo piangere, non ora che stava lavorando duramente per riaverla.

Il detective alzò gli occhi sull'agenda di pelle nera che teneva sempre aperta sulla grande scrivania dove vi erano scritti tutti i recapiti telefonici di clienti, colleghi e dipendenti. 

«Proveremo per altre vie. Ho conoscenze nel Regno Unito, non preoccupatevi» disse spostando ora lo sguardo sui due giovani cantanti.

«Deve trovarla» ribadì fermamente Niall. E non c'era tristezza, malessere, né rancore nella sua voce, ma solo tanta decisione e speranza.

Sorrise, il ragazzo, quando notò che l'uomo non era stato scosso dalle sue parole. «Ovvio» gli rispose infatti, «d'altronde c'era da immaginarsi che non avremo trovato niente passando per vie legali.»

«Cosa farà?» insistette il biondo, guardando l'amico sorridere debolmente al suo fianco. Zayn non era un tipo sdolcinato  -questo tutti potrebbero confermarlo-, ma era forse il più romantico e premuroso tra tutti i suoi amici e la sola idea che Niall, quel suo biondo ossigenato tutto insicurezze e sfacciataggine potesse un giorno abbracciare nuovamente la ragazza che amava lo rendeva felice, inguaribile sognatore quale era.

Mr Lower sorrise soddisfatto quando sfogliando la propria agenda notò dei recapiti telefonici che gli sarebbero sicuro tornati utili. «Intanto un bel giro di chiamate a Mullingar.»

Zayn sorrise, Niall fece lo stesso, quindi entrambi ringraziarono Friedrich e uscirono dal suo ufficio, chiedendogli di tenerli a conoscenza della più piccola svolta nelle ricerche. E, mentre scendeva di corsa le scale del palazzo, per andare in fretta a casa e raccontare tutto ad Harry, Liam e Louis che li aspettavano, l'irlandese comprese che per lui era tempo di riprendere davvero a vivere. Non avrebbe vissuto d'aria e sesso, ma «'sti cazzi» non gli importava per il momento, per niente. 
 


"I’m half a man at best with half an arrow in my chest ’cause I miss everything we do I’m half a heart without you."
-Dal diario di Niall

 
Spazio autrice.

Eh insomma, eccoci qui! Non so cosa mi sia preso quest'estate, ma come avrete potuto capire, ho avuto un blocco. Del tipo che non riuscivo proprio a scrivere qualcosa che mi soddisfasse e niente, ho provato a cambiare e ricambiare stile, a leggere un bel po' di libri e fanfic e finalmente ho ritrovato la voglia di continuare. Ma non voglio dilungarmi troppo su questo quanto sul ringraziarvi per avermi aspettata. Seriamente, mi sono resa conto, vagando nel sito, che davvero davvero sono fortunata ad avere voi come lettrici. Siete davvero meravigliose e non vedo l'ora di rispondervi alle recensioni perché ve lo meritate eccome. A proposito, come già detto aggiornerò ogni dieci giorni, quindi beh, spero possa andarvi bene. In più vorrei farvi notare che si sono superate le SEICENTO recensioni e proprio ancora non ci credo. Grazie, grazie di cuore. Passiamo in fretta agli spoiler? Ve ne dò ben tre!
-Occhio a Liam.
-Alex vi anticipa un qualcosa che avverrà ben presto e riguarda il lavoro di Allin.
-Il detective potrebbe scoprire molte cose sulla ragazza, cose che né lei, né Gonzalo sanno.
Detto questo credo di aver finito! Vi ringrazio ancora e vi dò appuntamento tra dieci giorni con un capitolo piuttosto sconvolgente, dopo cui penso mi ucciderete...
Spero, ad ogni modo, che questo vi sia piaciuto e in una vostra recensione ché davvero, credo di averne particolarmente bisogno al momento.
Per qualunque cosa, vi lascio il mio nuovo account ask, non esitate a chiedere: http://ask.fm/InChainss!
A presto,
Giorgia.

 

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Capitolo 20
*** Neither hell nor paradise. ***


Neither hell nor paradise.
 

 
Bene, nuovo capitolo andato in porto finalmente! Niente, oggi son di poche parole, vi prego solo di una cosa: non uccidetemi per il finale, okay? Buona lettura, spero vi piaccia! Per chiarimenti, anticipazioni, ci son le note a fine pagina, come sempre vi invito a lasciare una recensione. c:
 

 
"La vita va avanti, diventa così pesante."
-Dal diario di Allin

Dicembre
 
Gennaio
 
Febbraio
 
Marzo

 
“Fonti certe affermano di aver visto il cantante irlandese della boyband più in voga al momento in compagnia di una ragazza. Per le fans del Regno Unito e tutto il mondo è già partito il toto nome.”
Questo il titolo del giornale che Allin aveva trovato zuppo all’uscita dalla sede del corso e che ora teneva tra le mani. Era la quinta volta che lo rileggeva, senza trovare il coraggio di cercare l’articolo all’interno. Infondo, quella no, non era la prima volta che leggeva qualcosa simile su Niall, eppure non ci aveva mai rimuginato così. Aveva forse sbagliato? Liam le aveva consigliato di sbrigarsi, le aveva pure proposto di andare con lui... Rifiutarsi era stato un errore?
«E se ora si è rifatto una vita?» si domandò la bionda con il giornale stretto al petto, lasciandosi cadere sul pavimento freddo e stantio di quella soffitta che Tabatha aveva deciso di cederle «In cambio di abbracci» perché lei proprio non se ne stava facendo nulla. Facile capirla, considerandone lo stato. 
Cosa poteva difatti spingere una ragazza della sua età ad andare ad abitare in una singola stanza, in quelle condizioni poi? Preferiva abitare con la madre e i tre fratellini, considerando che i soldi per restaurare quel locale non li avevano. Tra i mobili accatastati alle pareti, il vecchio materasso matrimoniale che, con qualche molla in meno rispetto a quando era stato comprato, fungeva da letto e quei soprammobili della madre della madre di sua nonna - lampade, centrini, cornici- di certo quella soffitta non era delle più allegre. Per di più, le pareti una volta bianche con il passare degli anni erano diventate quasi grigie dallo sporco e macchie d'umidità, filtrata probabilmente dal tetto, non solo avevano creato incrostazioni dell'intonaco ma bagnato anche il pavimento in legno, che difatti era marcito in alcuni punti. Avevano dato una sistemata, Allin e Tabatha, ma loro malgrado si era rivelato piuttosto impossibile ottenere risultati soddisfacenti, senza tirar fuori neanche una moneta dal portafogli. Ad ogni modo, alla bionda non dispiaceva poi particolarmente quella sistemazione, non avendone altra. In più, amava passare il tempo rilassandosi sul cornicione di uno dei lucernari che affacciavano su strada. Proprio ora si trovava lì con le gambe a penzoloni avvolta in una spessa coperta di plaid, con il vento a sfogliarle il settimanale da sé. E subito raggiunse proprio l'articolo su Niall che, in compagnia di una ragazza, appariva infastidito allo scatto della fotocamera, mentre la teneva sottobraccio con premura. Allin sbarrò gli occhi, quindi bloccò la pagina prima di perderla, e scrutò attentamente la fotografia, affondandovi quasi il viso. Solo poi, quando si era tranquillizzata reputando la foto niente d'importante, vide l'altra. Lì Niall sorrideva, sorrideva dolcemente alla stessa ragazza, offrendole qualcosa da bere. La bionda chiuse gli occhi, cercò di prenderla con filosofia, ma dalla sua espressione crucciata sembrava che le avessero dato un pugno sullo stomaco, tanto che il giornale le scivolò dalle mani. Cullato dal soffio del vento, esso si posò sulla chioma di un albero. La ragazza neanche se ne accorse, impegnata com'era di lottare contro se stessa e il carattere paranoico che si ritrovava perché non sarebbe stato proprio il caso di implodere in un attacco di nervi. «Scommetto che adesso Niall ha proprio bisogno di me haha, lei è carina però :P» scrisse ridacchiando perché dai, si sentiva così ridicola. Con un falsissimo sorriso a curvarle le labbra screpolate dal freddo, selezionò “Liam Payne”, poi inviò.
«Niente che non mi aspettassi» borbottò tra sé e sé, rientrando per buttarsi di peso sul letto. Sventrata, solo per alcune fotografie.


#
 
 
E, a solo qualche metro in linea d’aria da lei, fuori da un pub desolato nell’orario pomeridiano, Gonzalo passava nervosamente da un marciapiede all’altro, avanti e indietro, tutto pur di mantenere i nervi saldi mentre, con le braccia incrociate al petto e gli auricolari infilati nelle orecchie era intrattenuto piacevolmente in chiamata da Tacho. 
«Ascoltami, devi lasciar perdere Allin. Non la trovo io, non la trovano i tuoi, è passato tanto tempo ormai, che senso ha continuare a cercare a vuoto?» sbottò esausto l’uomo, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi. Quella situazione lo mandava ai matti. Vedere suo fratello in carcere, sapere delle nipoti in difficoltà, gravare su sua figlia -perché lui così iniziava a pensare Allin- costretta a prostituirsi per sfuggire non solo dal ragazzo, ma anche da lui, era lacerante. Un mix di dolore e delusione.
«Io voglio lei» si limitò a ribadire Tacho seccato.
«Allin non c'è, quel vecchio ti avrà mentito» insistette il circense, con le mani quasi tra i capelli dall’esasperazione. Proprio non riusciva a levarsi dai piedi quel ragazzino, al diavolo la voglia di assicurarsi denaro con il matrimonio combinato.
«Due dei miei uomini, prima di esser ritrovati morti a causa di una rissa fuori da un locale hanno detto di averla vista! Ho una foto!»
«Ma anche se fosse, cosa te ne frega adesso? L'orgoglio non é tutto nella vita, ne ho pagate le spese.» 
«Basta!» esplose infine il giovane zingaro, «verrò a cercarla io personalmente: mi sono stancato di questo, sono enormemente stufo!» gridò al microfono.
Gonzalo spalancò gli occhi, il cuore prese a martellargli nel petto. «Che cazzo hai intenzione di fare?» chiese sbigottito.  
L’unica risposta che ricevette fu il bip della segreteria. Tacho aveva infatti già chiuso la chiamata, pronto a pensare ad un'altra delle sue: doveva saperne di più.
 
 
#


Erano passate due ore dal messaggio e Liam ancora non le aveva risposto. Mentre preparava la borsa per andare al Magic, Allin credeva di impazzire. Non che lo desse a vedere, anzi, era diventata un’attrice eccezionale e migliorava, di malavoglia, giorno dopo giorno. Era frequente il pensiero che, in caso di bocciatura all’esame conclusivo del corso, avrebbe potuto senza problemi darsi alla recitazione. Quando mancava ormai al fine del corso e all’inizio del tirocinio? La bionda schiacciò sul tasto di blocco del cellulare e, non appena vide che si era fatta questione di pochi mesi, lo rimise subito nella tasca del borsone che aveva a tracolla, quasi si fosse scottata. In verità non aveva idea di come sarebbero andati gli esami, non riusciva a reputarsi pronta abbastanza per affrontarli, né per cominciare un tirocinio coi fiocchi. Si sentiva ancora così piccola, ma sapeva di accusare unicamente il non avere un appoggio a sorreggerla ed incoraggiarla, un padre, una madre. Al solo pensarci su, una lacrima minacciò di scorrerle lungo il viso e lei la fermò, con gesto indifferente della mano. Non aveva pianto poco prima, non avrebbe ceduto né adesso né a breve. Allora si specchiò alla malridotta specchiera vicino l’ingresso e poi uscì, con un sorriso a trentasei denti stampato sul viso perché «Cazzo: non mi si è neanche rovinato il trucco!».


#


«Sei seria?» domandò Alex, il cellulare incastrato tra guancia e spalla, mentre puliva il piano bar sporcato da un adorabile cliente che, ubriaco a inizio serata, aveva trovato opportuno dar di stomaco proprio lì. 
«Sì. Ci sono le foto e ce n'è una in particolare così... Rido per non piangere» mormorò Allin in risposta, svoltando l'angolo per raggiungere l'entrata sul retro del Magic. Dovendo spostarsi a piedi, senza un mp3 con cui intrattenersi, ogni sera in cui era di turno chiamava Alex.
«Magari è solo un'amica, o una parente! Cazzo, te lo ha detto pure Liam, no?» rispose innervosito. Reagendo così si faceva solo del male e lui proprio non voleva questo. 
«Quattro mesi fa» precisò lei, «è giusto così, Al» ribadì.
Dall'altra parte della cornetta il ragazzo sbuffò, un po’ per il cattivo odore costretto a respirare, un po’ perché la testardaggine di Allin nel voler fare la tosta era decisamente infinita. «Quanto ci stai male per quelle foto?» 
«Non lo so.»
«Da uno a dieci?»
L’irlandese socchiuse gli occhi, scrocchiandosi il collo. «Dieci» ammise finalmente, scocciata. Resasi conto di essere largo anticipo per l'apertura del locale, si sedette già stanca sulle scalette dell'ingresso, poggiandosi con una guancia al borsone tenuto sulle gambe. 
Alex sorrise dolcemente al sentir la voce squillante di Allin farsi timida, poi lanciò un’occhiata al proprio orario di lavoro. Dentro sé, esultò: avrebbe fatto in tempo per andarla a prendere fuori dal Magic, quella sera. «Stanotte film e popcorn da me!» esclamò entusiasta l’istante dopo.
«Okay. Al, devo andare» tagliò corto la bionda. Aveva l’impressione che quel discorso su Niall sarebbe perdurato ancora ed era dell’idea che, come per gli scatti dei giornali, era inutile perderci tempo. Non voleva piagnucolarsi addosso.
 

#
 

«Questa serata non fa per me!» esclamò Ivy lottando con la cerniera dei pantaloni in pelle traslucida che, come le altre, avrebbe dovuto indossare per quella serata a tema. 
«Che poi, che cazzo di topic è "Shake your catty'?» Borbottò Iris, il labbro inferiore stretto tra i incisivi.
Scarlet, seduta sulla scrivania del trucco, roteò gli occhi. «Solite porcate di un night, non lamentatevi» sbuffò. «Siate persone adulte, professionali soprattutto» aggiunse fulminando le amiche.
«Ha ragione» convenne Allin fino ad allora taciturna, indossando una maschera sul volto, dotata addirittura di due grottesche orecchie a punta.
Tabatha entrò nel camerino. «Comunque, questo è il programma della serata» annunciò prendendo fiato, «alle ventidue apre il piano bar. Bionda, tu ed io serviremo ai tavoli. Iv, ti tocca la stanza degli specchi. Scar, Rì, a voi l'esibizione sul palco. A mezzanotte dobbiamo essere tutte lì, per, audite audite, il mitico streap tease!» disse con ironico entusiasmo, sospirando. 
Le altre, persino Scarlet,  la imitarono poi subito presero a truccarsi come meglio potevano, non c’era tempo da perdere. 
 

#
 

Come ogni sera, appena giunto l'orario d'apertura, il locale già traboccava di gente di ogni età, tipo, etnia. Da tempo ormai Allin non si faceva più domande sul perché fosse così, né prestava attenzione a chi si ritrovava davanti o tra le gambe. 
«Non serve a niente, se non a convincersi di scappare da qui» si ripeteva, «lusso che io non posso decisamente permettermi.»
Ragazze che ondeggiavano al ritmo di musica, le luci che già si facevano protagoniste della scena, la bionda era diventata impassibile anche davanti a tutto questo e, se prima si irritava a star lì tra la mischia, adesso parte di lei addirittura si divertiva. Servire ai tavoli la piaceva, sentire le chiacchiere degli altri, farsi un'idea sulle loro personalità riusciva a distrarla. Poi, con le giuste moine, non era raro che qualche cliente le offrisse una cospicua mancia o si prenotasse per seguirla su nelle camere. Tutto andava per il meglio quando la vista di un ragazzo biondo in compagnia di una mora la fece rabbrividire. Sapeva che non era Niall, lui lo avrebbe riconosciuto tra mille, ma le sembrava così strano, come se le foto uscite nel pomeriggio prendessero vita davanti a lei e basta questo a capirla. Infondo tutti noi quando siamo innamorati di qualcuno non è di certo una novità che qualunque cosa ci riporti proprio a quella persona che ci ha rubato il cuore. Così accadeva ad Allin che quella sera, pur di non restare impalata ad osservare la coppia e corrodersi l’anima si costrinse a bere una doppia dose dell'alcolico tanto familiare, lo stesso 'intruglio' -come lo chiamava Tabatha- che era in grado di farle perdere il senno se preso più di quanto consigliato, trasportandole i pensieri alla deriva, svuotandole la mente. E così si sentì, infatti, appena qualche minuto dopo. Libera, sollevata, ora che non riusciva quasi a reggersi in piedi. Le piaceva questa sensazione, in un certo senso la trovava terapeutica e non dispiaceva neanche ai frequentatori del club, bisogna dire. Toccarla, in ogni parte del suo corpo snello senza ricevere uno schiaffo era divertente. Si era fatta giusto mezzanotte, quando un uomo di mezza età le si avvicinò. Piuttosto basso, tozzo, non era di certo affascinante con quel suo modo rozzo di vestire e comportarsi e forse per questo era lì, al Magic, per godersi del sesso che di certo non poteva ottenere senza pagare. Dalla sua però, aveva un'appetitosa somma di denaro tra le mani callose e rovinate che ad Allin non sfuggì ovviamente alla vista. A fatica, la ragazza gli fece cenno di seguirlo, poi ondeggiando con i fianchi salì su alle camere e «'sti cazzi se fa schifo» si ripeteva ad ogni passo. 
«Siediti pure sul letto, ti prendo qualcosa da bere» le disse lui appena aprì la porta per il “paradiso”. Allin, colta alla sprovvista, annuì quasi in imbarazzo e si sistemò sul letto. Sempre accontentare il cliente, questa era la regola delle regole. Non immaginava cosa sarebbe successo da lì a poco, non pensava che qualcuno potesse decidersi a drogarla, pur di abusarne completamente. Era buona lei,  troppo per avere diciannove anni e proprio non riusciva a vedere il male, prima che questo l'attaccasse. Era semplicemente una bambina che, non avendo vissuto la propria infanzia, aveva deciso di non crescere, non fino in fondo. Sì, la sua terza abbondante di seno, i suoi fianchi stretti e quella camminata che sinuosa ammaliava chiunque la guardasse, non la rendevano una donna. Non che fosse un'immatura, era solamente un'ingenua e gli ingenui da che mondo e mondo sono quelli che soffrono di più. Quando l'uomo le offrì quel cocktail rosso fuoco, difatti, l'irlandese gli sorrise addirittura, bevendo tutto d'un sorso e brindando insieme alla propria bellezza che lei notava particolarmente ma che lui le ripeteva di trovare decisamente fuori dall'ordinario. Poi, nell'arco di cinque minuti, qualche chiacchiera in cui disse di chiamarsi Davon, la situazione cambiò. La pasticca di stupefacente disciolta nel bicchiere non riusciva quasi più a tenerla sveglia, annebiandole i sensi. Lì per lì Allin neanche capì, seppur andando in panico: lei che amava controllarsi pensava di essersi rovinata da sola. Solo Davon avrebbe potuto farla ricredere e, appena la vide roteare gli occhi da una parte all'altra, sghignazzò: la festa poteva pure incominciare. Con mano esperta, fece alzare la ragazza davanti a sé, le abbassò la zip dei pantaloni aderenti e prima che lei potesse voltarsi glieli abbassò, insieme al tanga in pizzo. Lussuria? Neanche. Di certo se l'Inferno Dantesco non fosse solo fantasia, alla morte gente come lui non ne occuperebbe il girone. Perché ciò che spingeva Davon era solo voglia animale di sentirsi proprietario di qualcuno, integralmente, a questo scopo la droga. Così, il momento successivo, già esplorava con indice e medio l'intimità della ragazza che, ad occhi chiusi, cercava di riprendersi da quello stato di demenza che le impediva anche di parlare. «Sei così eccitante, principessa» gemette l'uomo, muovendosi fuori e dentro lei, le dita bagnate dei suoi umori. «Principessa» biascicò Allin con voce spezzata da mormorii che non riusciva a controllare. La carne è debole, infondo. 
E lo era anche lei, sebbene le scocciasse ammetterlo e ci stesse lavorando. Era debole se qualcosa riguardava Niall e... 
Era febbraio del 2010 quando, durante la lezione di Fisica, il biondo l'aveva chiamata in quel modo per la prima di un'innumerevole serie di volte. «Principessa, ne vuoi un po'?» le aveva chiesto, porgendole da sotto il banco -se quella strega della prof lo avesse visto sarebbe stato nei guai- il proprio pacchetto di patatine, quelle che amava.
Ma il passato era passato e nel proprio presente Allin, in piedi sulle sue gracili gambe, combatteva contro i conati di vomito mentre Davon continuava ad indugiare sul suo corpo, risalendo lungo il ventre lasciato nudo dal top. Per propria sorpresa, in quel momento riuscì a voltarsi. Confusa, lo guardò negl'occhi e subito si ritrovò con la schiena contro le lenzuola di seta. Davon, sopra di lei, ghignò compiaciuto, poi con naturalezza provò a baciarla e sarebbe un eufemismo dire che non aveva idea del danno che avrebbe causato. Il tutto avvenne in un attimo: Allin sbarrò gli occhi appena la barba di lui le sfiorò il naso e con forza si spinse indietro, inarcando la schiena. Non riuscì a dosare la forza, avviluppata dalla droga non aveva nemmeno potuto rendersi conto che si trovava così vicina al bordo del materasso. 
Violentemente, la ragazza picchiò la testa contro uno dei pilastri in ferro battuto del baldacchino.
In un nonnulla sentì il corpo farsi pesante, come se un qualcosa vi gravasse sopra e la sua anima parve andare in blackout. Allora perse conoscenza, il mondo per lei si fermò d'improvviso. E cosa le passò per la testa, mentre lottava per aprire gli occhi, non saprebbe spiegarlo neanche lei eppure quando si ritrovò in una bianca stanza d'ospedale, con le luci a neon che fredde rischiavano d'accecarla, qualcosa era cambiato, nel profondo.


#

 
«Lin! Oddio, Irlanda!» esclamò Tabatha vedendola rinvenire. 
Al sentire l’amica, la bionda stropicciò gli occhi, stiracchiandosi. «Ahi» mugugnò quando sentì l'ago che le avevano infilato nelle vene per un prelievo. Qualcosa ricordava: il tentato bacio del cliente, il dolore lancinante percepito sulla nuca. «Sono... svenuta?» domandò perplessa, alzandosi sulla schiena. 
Con gli occhi perlustrò la stanza che, da senza contorni che era, senza profondità, si fece man mano più chiara. Sorrise, quando notò che con Tabatha era venuto anche Mike, ma soprattutto il suo Alex. «Piccola!» esclamò il barista, alzandosi dal divanetto blu elettrico in cui si era appisolato per andarle incontro. Attento a non smuoverla troppo, la strinse a sé, affondando il viso tra i suoi lunghissimi capelli dorati.
«Comunque sì, sei svenuta. L'uomo che stava con te è sceso giù, avvisato Nicholas...» le spiegò dopo svariati minuti in cui gli unici rumori erano stati lo scontrarsi dei loro respiri, il bip dei macchinari e il borbottare complice di Tabatha e Mike. 
«Si è arrabbiato?» chiese subito preoccupata. Si era forse giocata il posto?
Alex la guardò severo. Prendendola in giro, le fece credere che sì, era stata licenziata. E forse Allin non era la sola con una spiccata inclinazione per la recitazione perché abboccò appieno allo scherzo dell’amico. Solo quando lo guardò con le lacrime agli occhi, lui le diede un buffetto sulla testa, sbottando in una risata sollevata. «Un po’, ma è tutto apposto: abbiamo trovato un compromesso!» le rivelò tirandole una guancia tre indice e pollice, come si fa con i bambini, poi, appena lei tentò di parlare le tappò la bocca. «Da lunedì dovrai mettere del nastro adesivo nero sulle labbra, così da rendere erotico anche questo tuo blocco» spiegò entusiasta della propria idea e di come Nicholas l’avesse trovata geniale aggiungendo che, in caso di malattia di qualche ragazzo, lo avrebbe chiamato seduta stante. «Ma non capisco...» si accigliò l’irlandese. 
Alex la guardò confuso. «Non capisci cosa?» 
«Per quale motivo non dovrei lasciarmi baciare?» gli domandò in risposta l’amica.
Lui scattò sull’attenti. «Allin...» mormorò per non farsi sentire da Tabatha e Mike.
«Uh?» insistette lei, non capendo davvero dove fosse stato il problema nel farsi baciare.
L’inglese impallidì, sentendo il respiro farsi affannoso. «Niall...» balbettò nervosamente, il sopracciglio destro alzato, come ogni volta in cui c’era qualcosa che non andava. 
La bionda di riflesso lo imitò. «Chi?» chiese sconcertata. 
 

#
 

Quando Mr Lawer aveva chiamato, Niall non sospettava di ricevere buone notizie, dopo tante porte in faccia in pochi mesi.
«Abbiamo trovato una pista!» esordì elettrizzato il professionista, dopo i soliti convenevoli.
Il cantante, dacché era stravaccato sul divano di uno dei tour bus, scattò in piedi. «Cosa? Seriamente?» domandò mettendo il vivavoce affinché anche Zayn, appena entrato nell’abitacolo, potesse sentire.
Tutto eccitato, gli spiegò a gesti il motivo per cui Lawer l’aveva contattato.
«Ho ingaggiato alcuni volontari per andare in giro per Mullingar con una foto della ragazza che cerchiamo e qualcuno dice di averla vista verso metà Giugno al parco comunale!» spiegò tutto d’un fiato l’uomo.
«Zayn...» mormorò con tono quasi implorante Niall che sembrava aver perso capacità di parola.
Il moro gli sorrise, quindi gli sfilò l’iPhone dalle mani. «Altro?» chiese facendone le veci.
Il detective ridacchiò, fantasticando sulla possibile reazione del biondino. «I due senzatetto hanno detto di averla vista anche la mattina dopo. Loro erano all'entrata e lei ne é uscita. Se la ricordano perché gli ha offerto tre sandwiches ancora sigillati, gesto non da tutti» aggiunse.
«Nel parco c'é una casetta che abbiamo costruito io e mio fratello... Ci passavamo i pomeriggi lì, io e lei» disse Niall. Che fosse rimasta lì a dormire? Avrebbe giustificato molte cose, avrebbe confermato le sue speranze.
«Bisognerebbe andare lì e vedere se ha lasciato tracce» confermò Lawer, certo che ne avrebbero trovate.
Il biondo si illuminò. «Dopodomani ho un dayoff, penso che andrò a trovare...» mormorò fantasticando già, con il cuore che gli scalpitava contro la cassa toracica.  «La famiglia, ecco!» concluse ridacchiando colpevole, di un gusto mai sentito prima, così forte, così vero che Zayn rabbrividì. 
 

#
 

Quella mattina lo studio del dottor Finnick era in subbuglio: in poche ore Tacho e i suoi erano già arrivati. Se lo era aspettato, il medico, e aveva tanto, ma tanto sperato di sbagliare, invano. «Dimmi altro e andrà tutto bene, cuor di leone» lo aggredì lo zingaro, il volto coperto da un passamontagna per non farsi riconoscere. I suoi uomini, all’evidente scarno risero con cattiveria, accerchiando il mal capitato. 
«Io non... Non so nulla!» esclamò terrorizzato l’uomo. Ricordava alla perfezione come fosse fredda la lama del coltellino che aveva nuovamente in mano il ragazzo.
«Esilarante» commentò lui con apparente calma, girandogli intorno.
«E tu pensi davvero che io mi fidi?» tuonò. Gli occhi spalancati, la bocca stretta ad una fessura, le narici dilatate. Se avesse potuto sputar fuoco l’avrebbe fatto.
«Che una ragazza come lei non ti abbia fatto tenerezza tanto da chiederle qualcosa per metterla a suo agio?!» Insistette, alzando ancor di più il tono di voce, aumentando la presa sull’arma. 
«Ti ammazzo!» scattò e in un secondo gli strinse la gola tra le dita.
Finnick piagnucolò. Amava la vita, tanto quanto aveva paura di morire.
«Fotografia... Le sarebbe piaciuto studiare fotografia» mormorò sommessamente. Era un codardo, lo sapeva, eppure i sensi di colpa che avrebbe provato dopo non lo fermarono.
 

"Quando sei tanto innamorato, non puoi lasciarla andare."
-Dal diario di Niall
 
Spazio autrice

L'amnesia dissociativa sistemizzata viene scatenata da un mix di stress, dall'aver esagerato con alcol, esser sotto effetto della droga o esperienze traumatiche come l'abuso sessuale. Quindi sì, per Allin Niall non è mai esistito, adesso. Prima di andare avanti, vi porgo un quesito: cosa farà Alex? O meglio, cosa gli consiglieranno i medici? Su questo chiudo ufficialmente la bocca.
Passiamo a Niall... Chissà se qualcuna di voi ricorda se Allin ha lasciato o meno un segno della sua presenza, nella casetta del parco. Ad ogni modo, vi anticipo che lui tornerà lì!
Per finire, Tacho e Gonzalo. Il primo ha un nuovo indizio, quindi chissà, non ci sono molte scuole di fotografia a Londra, per quanto riguarda l'altro, invece, sta lentamente rassegnandosi all'idea di non essere all'altezza di difendere neanche "sua figlia"... Ma non è che ci sarà un'altra persona a salvarla?
Okay, dopo ciò, taccio allegramente AHAH! Bene, concludo dicendovi che non pensavo di ritrovarvi qui dopo molto tempo, ringraziando di cuore tutte quelle personcine adorabili che hanno recensito! Aggiungo che, onde evitare ritardi, conviene che io aggiorni ogni due settimane mandandovi uno spoiler nel weekend di mezzo. Almeno voi non rimarrete deluse, così come me stessa.
Bene, inoltre vorrei dire un GRAZIE ENORME a tutte le lettrici che mi hanno inserito tra le autrici preferite -siete novantaquattro, mica poche!- e a coloro che hanno inserito la storia tra preferite, ricordate e seguite. Anche qui, numeri esorbitanti! Vi sono riconoscente, credetemi.
Per qualunque cosa, vi lascio il mio nuovo account ask, ragazze, se volete aggredirmi, fate pure http://ask.fm/InChainss! <3
A presto,
Giorgia.

 

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Capitolo 21
*** Lovely bones. ***


Lovely Bones 
 

 

E forse lo noterete, come stia cercando di tornare ai vecchi tempi, nello scrivere, nell'impegno, leggendo questo capitolo. Spero tanto vi piaccia perché frutto di tante paranoie, considerando come è andata con il precedente. Buona lettura :) p.s. In una parte verranno citati alcuni messaggi. Se notate emoji, scrittura informale, quindi blocco maiuscolo, è solo perché mi sono presa un po' di libertà per rendere il tutto più credibile, non sono impazzita o regredita nella scrittura.
 

 


«E quindi?» insistette Alex, aggredendo quasi i due dottori con i quali stava parlando da più di qualche minuto senza ottener un bel nulla.
«Studio medicina da anni, posso sapere o no la diagnosi?» sbuffò ancora il castano, con acidità.
I due uomini dal camice bianco si guardarono. «Perdita selettiva della memoria» dichiarò uno di loro. «A quanto sembra la tua amica ha rimosso completamente qualcuno o qualcosa dalla propria storia. Dopo gli esami, per accertarcene meglio, le abbiamo domandato qualcosa sulla sua vita attuale e mancano evidentemente dei ‘perché’ che neanche lei sa spiegare» chiarì l’altro.
Alex s'illuminò, focalizzando la pagina del libro d'università in cui era spiegata la patologia. «Sì, ne ho sentito parlare» mugugnò. «Cosa si fa adesso?» domandò.
«Niente, assolutamente» ricevette in risposta ed allora, preso alla sprovvista, sbiancò.
«Come niente?»
«Niente. Il nostro cervello è intelligente, le avrà fatto dimenticare sicuramente qualcosa di triste o traumatico. Chissà cosa» intervenne un infermiere entrato in sala, con gli occhi puntati sulla cartella clinica di Allin.
Alex roteò gli occhi al cielo. «Lei ne ha almeno una vaga idea?» gli chiese quello che doveva essere il primario del reparto, stando almeno alla targhetta sulla tasta del camice.
«Sì » affermò lui, mordendosi l'interno guancia.
«E’ qualcosa che si può risolvere adesso?»
«No.»
«Non le dica nulla.»
Sarebbe stata la cosa migliore, il giovane barista lo capì subito, ma... «E per quanto andrà avanti?»
«Fin quando la memoria tornerà da sé. Normalmente questa amnesia è un processo mentale regressivo» gli spiegarono e allora lui, facendo un cenno con la testa a mo' di saluto, non perse un altro secondo per tornare dalla sua irlandese preferita. Lo avrebbe mai perdonato, in futuro?


#


«Quindi che dicono quei deficienti?» ringhiò Allin, le braccia incrociate al petto e un'espressione corrucciata a rovinarle i lineamenti delicati. La pensavano forse pazza? Perché farle domande e riunirsi a commentare le risposte ricevute? Non lo capiva.
Alex le si avvicinò, sedendosi sul letto. «Amnesia selettiva, ti hanno fatto quell'interrogatorio solo per capire quanti danni avesse questa testolina bacata» decretò immedesimandosi già caporeparto per un istante. Le diede un leggero buffetto sulla testa.
«Tempo fa volevamo andare al meet and greet dei One Direction. Tu adori Niall Horan, quello biondo, hai presente? Non riuscire a prendere l'ingresso per un soffio deve averti traumatizzata, tanto da farti scordare l'accaduto» chiarì il ragazzo. «Infondo meritavi di distrarti un po' da tutto questo» aggiunse comprensivo. Sospirò sollevato quando Allin annuì più o meno convinta delle sue parole.
«Quindi per questo io ho tatuato il nome di quel ragazzo sul labbro inferiore e parte di una loro canzone su una spalla» convenne ancora un po' perplessa. «Esattamente.» Alex si corrucciò: perché non riusciva a mentire come avrebbe dovuto? Perché doveva farlo? Pensò di nuovo a come avrebbe potuto reagire Allin appena cosciente della verità, poi scosse la testa, non volendo neanche immaginare.
«Sì, sì ha senso. Ricordo di aver pianto la sera in cui sono andata a fare il secondo tatuaggio» rimuginò tra sé e sé la bionda.
Non poteva pensare affatto che quella fosse una gran bella bugia.
«Senti, ma mi abbracci?» le chiese tutt'un tratto il barista, poi però fu lui a stringerla tra le proprie braccia. Posò la testa sul suo collo caldo, ispirandone il profumo. Allin era ormai parte della sua persona, la sola idea che si sarebbe arrabbiata con lui, anche se tra anni, lo angosciava non poco.
Aumentò la stretta. «Mi stritoli Al» mormorò la bionda ridacchiando.


#

 

Niall non aveva mai avuto molte certezze nella vita. In quel momento, però, di una cosa era più che sicuro: tornare nel luogo dove era nata, poi maturata la sua relazione con Allin sarebbe stato difficile. Ironico a dirsi. Una convinzione sola, pure sbagliata. Quel tuffo nel  passato per lui si rivelò lacerante. Con un volo privato, era atterrato all’aeroporto di Dublino nelle prime ore del pomeriggio. L’ansia gli logorava l’anima, mentre il primo autista che aveva distinto in strada, lo stava scarrozzando adesso fino a Mullingar. Avrebbe dovuto nascondersi, una volta lì, questo gli sembrava scontato. Quanto avrebbe insospettito il vederlo passar la notte in una casetta sull’albero, abbandonata e in rovina? Sbuffando, il ragazzo si coprì la faccia con il cappuccio della felpa scura rubata a Zayn -perché tanto ‘Siamo fratelli, le cose si condividono!’-, ne si tirò su la zip fino al collo, poi indossò i nuovi RayBan neri. Pur essendo ormai quasi primavera, il freddo nordico ancora si faceva sentire sulla pelle, bruciando sul naso e le guance. In più il sole stava già calando quando l’autista si fermò proprio davanti al parco comunale della piccola cittadina irlandese, fino all’anno precedente sconosciuta dal resto del mondo. Niall gli sorrise, ringraziò per la corsa, infine pagò ed uscì, senza aspettare il resto. Agli albori della carriera di certo non poteva vantare di chissà quanto denaro in tasca, ma era sicuro che, ad ogni modo, quell’uomo ne aveva più bisogno di lui. Restò immobile sulle gambe, finché la macchina non sparì all’orizzonte. Sollevato di non si sa bene cosa, prese un forte respiro che subito si tramutò in una bianca nuvoletta di vapore nell’aria. Sentendole gelare, il biondo si mise le mani nelle tasche degli skinny a vita bassa che aveva indossato quella mattina, poi prese a camminare, raggiungendo l’ingresso dell’aria verde in men che non si dica. Era nervoso e, pur non riconoscendolo, le persone notavano il suo umore. Loro guardavano lui, lui guardava loro fissarlo da dietro le lenti degli occhiali da sole, cercando di distrarsi dalle emozioni che lo stavano travolgendo, onde schiumose d’oceano ad infrangersi sulla riva. Perché era così agitato, perché si sentiva così fuori luogo? Non riusciva proprio a darsi una risposta, mentre con passo adesso lento, parendo morto, s’incamminava silenziosamente per il viottolo principale del parco. Infondo quella era casa sua, il luogo che gli aveva fatto da sfondo per diciassette anni e Niall era grato di esser cresciuto in quella tranquillità, anche se, con il senno di poi, sentiva che non era più lo stesso. Forse Allin era stata e continuava ad esser per lui proprio come le emozioni che stava provando, forse era lei le stesse, onde d’acqua salata. Arrivata tutt’un tratto nella sua adolescenza, l’aveva avvolto per un lasso così breve di tempo e infine se ne era andata. Come le onde lei si era ritirata, lasciandogli addosso la propria impronta, quasi fosse stato una spiaggia abbandonata. E anche il parco, quella sera di metà settimana era deserto, arido di grida e risate, riecheggiante quelle procurate anni prima da un giovane amore. D’altra parte, da quando il circo non c’era più a troneggiare lo spiazzale e ad attirare curiosi, non molto vi era rimasto, se fatta eccezione per qualche altalena, gioco arrugginito e una zona picnic dove non era raro incontrare ragazzi andarci pesante con canne, fumo e alcol. Se si concentrava bene, però, quello stato di apatia che sembrava provare il parco, Niall riusciva a metterlo da parte e il grigiore di mezza stagione, accentuato dal sole nascosto sotto una fissa coltre di nubi, lasciava spazio alla luce. Un po' di sforzo e tutto tornava a due anni prima. Il giovane scosse la testa, tirandosi su gli occhiali scesi sul naso. Accelerò il passo, su di giri, le mani chiuse a pugno nelle tasche dei jeans. Subito era già sotto il grande latifoglie che gli aveva fatto da rifugio per mesi e fu un colpo al cuore. Vederlo rovinato, la sua corteccia bruciata, le corde reggenti l'altalena logorate dalle intemperie. «Dovrei cambiare... Mettere delle catene» pensò Niall dopo esservisi seduto sopra. Ma, altro che catene, altro che altalena: l'unico incatenato -ai ricordi, al passato- era lui. Il sole stava definitivamente cedendo spazio alla luna, quando il ragazzo guardò il cielo dopo esser salito, a fatica, su quel che rimaneva della casetta. Accucciato all'unico angoletto rimasto intatto, Niall abbassò lo sguardo, perso nei ricordi. L'attimo prima ritornava a ridere con la bionda, con un cuscino -di cui ora unico segno era solo la fodera incastrata in un angolo- stretto al petto perché all'epoca la propria risata era così forte da non risparmiargli mai quel dolce dolore agli addominali. L'attimo dopo invece gli sembrava di riuscire a sentire le labbra di Allin sulle proprie, mentre la teneva stretta tra il petto e una parete, stringendosela addosso quasi volesse farla entrare in sé. E l'alba di un grande amore riviveva tra quelle macerie, quei frammenti di casa ai quali Niall sentiva tanto somigliare. Era strano stare lì, per lui, rimuginare sul passato e fantasticare su un domani incerto. Quasi in stato di incoscienza neanche era in grado di ragionare più, ora che le lacrime non si sprecavano neanche a scendere. Ci sarebbe tornato, in quel parco, poco ma sicuro e questa era un'altra certezza, un passo avanti. Con le labbra che tremavano dal freddo, forse dal pianto, Niall abbozzò un sorriso. Cosa gli avrebbe riservato la vita? Questo no, il biondo non riusciva proprio ad immaginarlo, ma lo sperava, sperava dalla pelle al cuore che Allin ne avrebbe fatto nuovamente parte, ogni particella del proprio corpo urlava il suo nome. Perché adesso che stava piangendo come un bambino, avvolto dalla coperta di lana che ancora sentiva profumare della ragazza che amava, non riusciva proprio ad immaginarsi un futuro senza lei. Se solo avesse potuto tornare indietro nel tempo... Non l'avrebbe lasciata sola, non se la sarebbe lasciata rubare dalle proprie braccia così facilmente. E si dannava, il ragazzo, dando pugni al pavimento così forte da graffiarsi le nocche. Sentiva che mancava poco, poi avrebbe avuto una delle sue crisi. Perché, benché si ostinasse a fare il forte, non aveva superato quella perdita, semplicemente si era abituato ad essa e solo in quel momento gli fu chiaro. Quella notte Niall la passò piangendo, senza mai fermarsi, con il respiro gli si affannava sempre più, mentre teneva stretto tra i denti il polsino destro della felpa per evitare di far rumore. Le lacrime bollenti contro l'ancor aria rigida dell'Irlanda primaverile gli si seccavano lungo il viso, salate. Era caduto tante volte quando era un ragazzino, si era fatto spesso male da dover ricorrere ai punti, ma quelle che sentiva scavargli le guance erano le ferite più profonde e il male al cuore, il dolore più grande. Tremava e proprio non riusciva a fermarsi, sentendo l'angoscia, la tristezza, la delusione verso se stesso penetrargli pure nelle ossa. Si sentiva di nuovo un po' bambino, la notte dietro il velo di lacrime, sfumata ed incerta lo spaventava. L'unica differenza? In quel caso sapeva di non poter decisamente contare sulla propria famiglia, su Maura, Robert, Gregory che odiavano Allin per ciò che aveva scatenato in lui la sua partenza. Solo quando arrivò l'alba e finalmente le prime luci schiarirono il buio pesto in quella cittadina dormiente, il biodo riuscì a prender sonno che prese sopravvento su lacrime, malinconia, dolore. Erano le otto del mattino, o poco più, quando si svegliò sentendosi più stanco di prima. Sbadigliando, Niall si stropicciò gli occhi, strofinando forte per cancellare ogni traccia del pianto. Se nella ore buie si era permesso di crollare, non poteva permettersi il lusso di continuare nel mattino. Aveva poco tempo per trovare il più possibile, una traccia tra quegli amabili resti. E fu proprio quando stava perdendo le speranze, non avendo ottenuto un bel niente dopo perlustrato ogni singola zona di quella casa in rovina, che scoprì una piccola scritta, incisa proprio dove era stato seduto lui tutta la notte. «Non cercarmi, ti cercherò. Aspettami, Niall, fallo se riesci... A-N = { }, ad è così che mi sento.» Queste le parole che riuscì a decifrare il ragazzo, seppur a fatica. La pioggia probabilmente aveva picchiato forte in quei due inverni, il cielo aveva pianto tanto da fargli concorrenza perché non c'era lettera che risultasse chiara. Ma cosa poteva importargli, a Niall? Se avesse avuto voce, dopo tutti quei singhiozzi notturni, sicuro avrebbe urlato un «cazzo!» tanto forte da squarciare il cielo soprastante. Era stata Allin. Nessun altro poteva sapere di quella formula insiemistica, base del loro rapporto e persino la data corrispondeva a quella in cui la bionda era stata vista dai due senzatetto. «Dannazione» sibilò il ragazzo a mezza voce, poi ricominciò a piangere, commosso ed esausto. Due anni, due anni passati in agonia e adesso non riusciva proprio a credere all'aver ricevuto una prima conferma. Con il cuore in gola e le mani malferme il biondo vi scattò una foto, carezzò la scritta e poi corse: veloce quanto il vento, senza occhiali o cappuccio a coprirlo, si diresse verso casa.


* * *

 

Nella villetta a schiera cui 'Horan' segnava il citofono la tranquillità regnava sovrana. L'ancor umile famiglia irandese, non aspettandosi alcuna visita, se ne stava infatti tranquilla nella veranda sul retro della casa. Gregory leggeva un libro, Maura invece preparava già i maglioni da regalare ai suoi ragazzi per Natale -poco importava se mancavano più di cinque mesi-. Anche Bobby quel giorno, destino o casualità, era lì, per sbrigare alcune faccende burocratiche riguardo un divorzio che doveva essere pacifico il più possibile. Tutto nervoso, Niall citofonò all'ingresso, il sorriso che aveva sul viso era più luminoso del sole che ogni tanto si affacciava dalle nuvole. «Niall!» urlò sorpresa Maura quando, aprendo la porta, si vide il figlio minore osservarla imbambolato. Solo agli inizi della carriera e già tornava a casa di rado, unicamente per le feste importanti. «Mamma!» le rispose lui entusiasta, entrando in casa. Socchiuse gli occhi rincuorato: il profumo in quelle quattro mura continuava ad essere quello di sempre, sebbene non valesse lo stesso per lui.
Maura gli sorrise del suo stesso sorriso. «Bob! Greg! C'è Niall, c'è Niall!» esclamò forse anche con troppa enfasi, avvicinandosi nel mentre al biondo per spupazzarselo bene bene tra i suoi «Ho diciott'anni, mamma!» e i numerosi «Bleah!» schifettosi. Gregory e Robert poco dopo erano già davanti a lui. «Quanto sei cresciuto...» mormorò il fratello maggiore notando che l'altro quasi lo raggiungeva d'altezza e che un -seppur infimo- accenno di barba gli incorniciava il viso. Il padre annuì, non poteva credere di vederlo davanti ai propri occhi, così inaspettatamente. Il tempo che Maura lo liberasse dal suo abbraccio che i due la sostituirono. «Cazzo, quanto manchi!» esordì Gregory, dando una pacca sulla spalla del 'fratellino'. Robert lo guardò, lo rivide per un attimo scorrazzare felice per casa, nelle vesti di un bambino di nove anni. Vederlo così uomo era una sensazione bella e brutta nello stesso tempo, agrodolce.
«Parlando di cose serie, perché sei qua?» chiese Maura apprensiva, sedendosi su uno degli ultimi gradini della scala che portava alle camere da letto.
«Niente in particolare, in realtà. Stavo a Londra durante un day-off, ho semplicemente mi faceva piacere passare a trovarvi» mentì il ragazzo, raggiungendo la madre che diede il via ad una lunga chiacchierata fatta di aneddoti, novità.

* * *

«Dai, Nì, dimmi perché sei venuto» la buttò lì Gregory mentre i due stavano giocando alla vecchia console nella camera del minore.
«Allin» ammise quello, stringendo nervosamente la presa sul joystick che teneva tra le mani.
Greg gli sorrise compiaciuto in un primo momento, poi storse il naso. «Allin? Qui?» chiese accigliandosi, perdendo la vista del gioco. Niall fece un goal con la propria squadra, poi schiacciò sul tasto 'Home' per interrompere la partita. Si sporse un po' dal pouf azzurro su cui stava seduto, così stacco il proprio iPhone dalla carica e ne sbloccò lo schermo.
«Guarda» disse dando in mano al fratello lo smartphone, dove spiccava l'ultima foto da lui scattata, quella della scritta.
Gregory divenne di un verde pallido. «Cazzo» mormorò a corto di parole. Ed è proprio vero, lui capì, che l'amore ci rende un tutt'uno con la persona con cui lo condividiamo. Niall, gli sorrise non tanto fiero -anche se, diamine, aveva avuto ragione sin dall'inizio- quanto confortato. Quasi si commosse ancora a veder il fratello imitarlo, per poi saltargli addosso ed abbracciarlo. «È da un po' che lavoro a braccetto con un investigatore piuttosto rinomato in Inghilterra» si sentì di rivelare il biondo, stretto al petto dell'altro. «Greg, così soffoco!» aggiunse poi ghignando.
«E va bene, rompi palle» sbuffò lui. Fingendosi risentito, lo lasciò a se stesso, ignorando la sua occhiataccia. «Quindi ora che farai?» insistette, con chiare in mente le parole che aveva letto poco prima.
«Non lo so, ancora non ho chiamato Mr Lawer» ammise Niall un po' incerto, quindi si sdraiò definitivamente sul pavimento. Chiuse gli occhi e sospirò pesante. «Non so perché mi abbia scritto di non cercarla, ma di aspettarla. Ha la mia fiducia, però, ma se da una parte sono tentato ad attenderla e basta -intendiamoci fratello: strizzerò ad ogni singolo concerto perché la penserò tra la folla-, dall'altra ho paura si sia infilata nei guai, con tutta la storia che si ritrova alle spalle» aggiunse preoccupato, in un fil di voce.
Gregory annuì. «Io continuerei a cercarla, fossi in te. Poi, se proprio vorrai darle tempo, quando saprai qualcosa in più, ti basterà restare in sordina. Il che non significa presentarlesi sotto casa con una faccia 
da demente esordendo 'Allin, sono il tuo Niallino adorato!'» consigliò infine, cercando di far ridere il fratello.
«Hai ragione» gli rispose lui, portandosi due dita alle tempie, per poi massaggiarsele con il palmo delle mani.
Il pianto notturno esaurito dopo troppo tempo, l'agitazione, la premura nel non dir niente ai propri genitori gli avevano causato un mal di testa da capogiro.
Greg lo osservò assumere un'espressione contrita. «Vado a prenderti una pillola in camera mia e, tranquillo, sono segreti tra fratelli questi» disse facendo segno di fedeltà con la mano, lo stesso gesto che i due avevano visto in un cartone animato che seguivano tanti anni prima, considerando che andava in onda subito dopo scuola, durante l'ora di pranzo.
Niall fece un cenno con la testa, quindi si buttò un cuscino sul viso, restando inerme sul pavimento.


* * *


«Ragazzi, ho una novità!» scrisse il biondo nella chat di gruppo con i suoi quattro 'uomini' preferiti. Ora che la medicina consigliatagli dal fratello aveva ottenuto l'effetto sperato, gli sembrava doveroso dare segni di vita.
«Lou è a Doncaster impicciato con un pranzo di famiglia e ha rotto il cellulare per la quarta volta, lo avviso io, tu scrivi!» rispose per primo Harry tutto fomentato dal divano di casa Tomlinson. Louis lo aveva invitato, «non riesco a stare senza il mio cuppy» gli aveva spiegato e, visto che la cosa si era rivelata reciproca, Harry non si era fatto scrupoli ad andare.
«Ehehe, se non l'avessi capito, Har sta con lui!» rivelò Zayn esattamente due minuti dopo, un record per lui che stava raramente al cellulare. D'altra parte mai avrebbe rivelato che, anche se si trattava di star lontani due giorni, gli mancavano i quattro e sperava in loro messaggi.
«Che cosa tenera!» rispose subito il biondo, aggiungendo un'infinità di cuori verdi -come la sua Irlanda, vorrei ben dire-, sebbene consapevole che fra i due ancora non fosse scattato niente di esplicitato, quantomeno.
Louis dacché se ne stava in bagno ad aggiustarsi i capelli, raggiunse Harry nel salotto, circondato da parenti di cui a stento ricordava l'origine. «Horan, parla» scrisse sferrando il cellulare dalle mani affusolate del riccio. Tra i due ci fu un breve contatto imbarazzato.
«Louis... Dehehe» Zayn lo sgamò in un istante.
Liam si stava pagando il pranzo con Danielle -ragazza con la quale si stava frequentando da qualche settimana-, quando la vibrazione continua del cellulare mandò in fumo l'atmosfera seducente creatasi nell'aria.  «RAGAZZI STATE CALMI» scrisse a lettere cubitali -aveva infatti aumentato al massimo la dimensione del font per paura che gli occhi facessero presto la fine del rene-.
«Eccitato il ragazzo?» la buttò Niall, ridacchiando tra sé e sé, sull'amaca in giardino su cui si stava dondolando da una mezz'ora a questa parte per ingannare l'attesa del pranzo.
Il tempo che Liam digitasse qualche emoji indiavolata che Niall si corresse fingendosi innocente «Oh che stupido! Volevo scrivere 'agitato'!».
Il castano sbuffò, cercando di nascondere il disappunto e il risolino a curvargli le labbra. «Dai, Nì, dicci questa novità!» insistette Zayn, facendo le sue veci.
«Zayn^» digitò infatti all'istante.
Harry e Louis si guardarono soprappensiero «Ci fai agitare!» scrisse il primo.
E se loro erano nervosi, Zayn stava fremendo dal sapere questa novità.
Niall sorrise addolcito, quindi inviò la foto della scritta che sicuro sarebbe stata più che sufficiente. Al solo rivederla sentì il cuore aumentare i propri battiti.
Le reazione dei ragazzi, a quello scatto, furono tutte diverse.
Louis esordì un «Cazzo, finalmente!» davanti alle gemelle minori, così ad alta voce che la madre lo rimproverò severamente, alzando gli occhi al cielo. É proprio un ragazzo, convenne tra sé e sé Johannah, guardando il padre seduto sulla poltrona e ricordando tutte quelle imprecazioni che si lasciava sfuggire quando giocava a carte con gli amici di una vita.
«Mamma santa, Lou» mormorò invece Harry, le mani davanti alla bocca. Incredibile, ma vero:  dall'alto della sua ingenuità pensò di aver trovato qualcosa di più malinconico e romantico di ‘Love Actually’. Il ragazzo si voltò verso di lui, ad una spanna dal naso gli sorrise e forse in quel momento comprese tutto, quando i suoi occhi blu si posarono sulle labbra rosee di Harry.
E, come lo era Louis, anche Zayn se ne stava attonito a fissare qualcosa, pur non sapendo esattamente cosa.
Era contento, contentissimo. Se non fosse stato in giro sicuro avrebbe saltellato su e giù senza sosta. A discapito della sua compostezza, una lacrima gli scese lungo il viso, increspandosi quando incontrò l'accenno di barba lungo le mascelle. «Ci penso io a chiamare Lawer, sono così felice per te, Nialler» scrisse nella chat privata. Sul gruppo s'atteggiò invece a fare il duro e si aggiunse alla schiera di emoticons che stavano per bloccargli lo smartphone. Alla stessa maniera del moro, anche Liam sudava freddo, ma non certo per un eventuale bug del cellulare -sia chiaro, lo azzerava ogni mese, puntualmente, per evitare sovraccarichi inutili-, quanto per Allin. Doveva avvisarla, per forza di cose. «Bionda, abbiamo un problema! Niall ha scoperto una tua traccia, la nota che gli hai lasciato scritta nella casetta sull'albero! Credo presto lo diranno al detective, ad ogni modo te ne darò conferma appena me lo diranno. Per il resto va tutto bene, tu come stai? Come ti ho già detto dovremo per forza vederci quando sarà finito il tour e avrò un po’ di tempo per stare da solo senza dover inventare scuse. Sono solo poco più di tre mesi, tu continua ad usare la testa eh! A presto nana, ti tengo aggiornata xx» scrisse velocemente, cancellando subito poi il messaggio.
Danielle lo guardò impallidire. «Tutto bene?» gli chiese, un po' preoccupata, un po' gelosa del suo privato.


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Quando Alex -che si era momentaneamente preso carico del cellulare di Allin, mentre quella dormiva- lesse il messaggio di Liam, per poco non sputò il caffè al Ginseng che stava bevendo. Cosa doveva fare? «Ragiona, Alex, ragiona. Hai superato medicina, ragiona» si ripeteva a bassa voce. Se avesse svegliato Allin sarebbe stato un gran problema.
Gli ci vollero interi minuti, al ragazzo, ma infine si decise ad azzardare. Come non ricordava Niall, infondo, l’irlandese non poteva neanche ricordare Liam, essendo a lui collegato. «Certo Lì, meglio vederci con sicurezza, senza destare sospetti. A proposito, grazie per avermi avvisata e grazie di tutto ciò che stai facendo. Se non ci fossimo incontrati mesi fa, adesso non saprei proprio dove sbattere la testa e niente, a presto! :D p.s. da adesso in poi, scrivimi su questo numero che ti condivido» scrisse senza ripensamenti, quindi, per evitarne ulteriori, si affrettò ad inviare. Solo quando -non prima di essersi salvato il contatto del cantante nel proprio Samsung-  ebbe cancellato tutti i messaggi e ciò che avrebbe potuto ricordare Liam ad Allin, Alex tornò a respirare. Intanto, pensò, avrebbe evitato di confondere l’amica, successivamente, avrebbe pensato a parlare con il cantante.


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Maggio

Giugno

Quei tre mesi primaverili erano passati in fretta. Tutto, in quella metà Giugno, sembrava esser tornato alla normalità anche per Allin. Dopo quell’incidente, se così lo si può definire, la bionda aveva subito ripreso a lavorare al Magic portando, come gli aveva consigliato Alex un nastro adesivo sulla bocca  -‘Così saresti più provocante, gli uomini vogliono andare a letto con chi non si lamenta’ le aveva fatto presente il ragazzo, non di certo facendo poi il nome di Niall -. In quella settimana, inoltre, gli esami erano ufficialmente finiti. Una cinquina di giorni infernali erano passati e, tra prese dirette su set e righe e righe di teoria, Allin aveva scritto il proprio futuro a qualche giorno dal proprio diciannovesimo compleanno.

«Sì, Tatha, mi hanno detto che solo i trenta con il punteggio più alto tra i centoventi partecipanti avranno l'occasione di fare un tirocinio, scelto in base alle capacità e alle attitudini che si sono dimostrate» ripeté ancora una volta Allin, salendo su e giù nervosamente i tre gradini d'ingresso dell'istituto.
Stava decisamente per collassare dall'ansia. Alex aveva il turno al bar ed era solo una fortunata coincidenza se quella mattina l'estetista con cui Tabatha aveva appuntamento non si era presentata per lutto e la ragazza era quindi al suo fianco.
«Gli esami saranno andati benissimo, è inutile che ti agiti e lo sai» disse ancora una volta quella.
Allin, però, non accennava affatto a calmarsi. Perché era così? Si domandava ormai fin troppo spesso.
Tabatha si guardò in giro. «Ma le due ragazze del corso?» chiese, non tanto per curiosità quanto per far distrarre la bionda.
«Non hanno dato quest'ultimi esami, e hanno fatto be-»
«Hanno aperto, sta' zitta e andiamo.»


* * *


Tremante sulle propria ginocchia, Allin si avvicinò ai quadri. Sapeva come funzionava, ne aveva visti alcuni degli anni precedenti ancora infissi in bacheca e per questo le riusciva facile visualizzare il proprio nome impresso in quel pezzo di carta, vicino la scritta ‘Bocciata’. «Stai calma, porca troia» bofonchiò nuovamente Tabatha, dandole una spintarella verso i tabelloni. Era sicura, la castana, della sua promozione.
«Oddio, io non voglio vedere!» esclamò lei, sovrastando urla di gioia, di rabbia dei ragazzi con cui aveva condiviso tutti quei mesi.
Tabatha rise tra sé e sé, dopo aver visto il risultato.
«Dai Allin, indolore!» la incitò guardare.
Allora la bionda si tolse dapprima le mani dal viso, poi socchiuse prima uno, poi l'altro occhio.

«Merda» mormorò, portandosi ora le mani alla bocca.
Era passata. Il suo nome svettava tra le prime posizioni dei risultati.
«Io te l'avevo detto!» trillò tutta fomentata l'amica, saltandole addosso. Allin ricambiò la stretta.
«Non riesco a crederci!» ammise imbarazzata.
«Hey complimenti!» le disse nel mentre un ragazzo con il quale aveva condiviso l'ansia pre-esame.
Gli sorrise, riconoscendolo oltre il sottile velo di lacrime.
Un'altra giovane neo fotografa si avvicinò alla bacheca. «Porca troia, ma hai un colloquio con Julia Emerson tu!» esclamò atterrita girandosi verso l'irlandese e lei, che ancora non aveva avuto modo di guardare niente oltre quel 98/100, per poco non svenne al sentirne il nome. Era quello che sognava da anni del resto e le sembrava irreale tutto ciò, essendo consapevole anche di quanto fosse rinomata la Emerson nel campo della fotografia. «Sto forse sognando?» si domandò ingenuamente e solo dopo essersi data un pizzicotto sull'avambraccio ed aver mormorato giusto un ‘Ahi’ sfoggiò un sorriso smagliante.


* * *


«Pronto?» rispose Allin tutta eccitata.
Appena saputi i risultati degli esami, alla consegna dell'attestato di qualche ora dopo le era stato detto che nel pomeriggio dell'indomani l'avrebbe chiamata Julia, per accennarle di cosa avrebbe trattato la loro collaborazione.
«Pronto, qui Julia Emerson. E lei? Clarylin Mansoon?» si presentò la fotografa, rigirandosi nella sedia a rotelle del proprio ufficio.

Anche Allin, dacché girovagante per il bilocale, si sedette sul letto. «Esattamente, che piacere conoscerla!» esclamò, cercando di darsi un'aria rilassata.
«Piacere anche mio, non capita tutti i giorni di parlare con una come te e, per favore, diamoci del ‘tu’» disse lei. Doveva innanzitutto rassicurarla: ciò che le stava per proporre non era affatto una baggianata da due monete.
«Grazie infinite» fece per rispondere la bionda, ma la donna la fermò con la propria parlantina.
«Allora, devo proporti due cose.»
«Mi… Dimmi pure!»
Julia prese l'agenda che teneva nel cassetto sotto la scrivania, quindi fece mente locale. «Tu conosci i One Direction, giusto? Li hai almeno sentiti nominare?» le chiese, sperando di ricevere una risposta affermativa.
«Certo, li seguo volentieri» s'affrettò a rispondere Allin mantenendosi sul neutro.
«Benissimo, adesso però non chiedermi il perché della domanda, tempo al tempo»
«Va bene.»
«Arriviamo al sodo» aggiunse Julia dopo attimi di titubante silenzio. «Ti terrò in prova per alcuni mesi, come stabilito, poi dovrò partire, insieme ad una crew di fotografi, produttori e registi per un lungo periodo. Vorrei sapere se saresti disposta a seguirmi, se mai te lo dovessi proporre» Alla sua domanda, Allin sentì il cuore perdere un battito. Cosa intendeva non lo sapeva, forse un vero e proprio posto di lavoro? Ad ogni modo non avrebbe avuto nulla da perdere, seguendola.
«A parte un paio di persone niente mi lega qui. Verrei sicuro» s’affrettò quindi a rispondere.
«Perfetto» borbottò soddisfatta quella che forse, un giorno, la bionda sentiva avrebbe dovuto chiamare ‘capo’. «Ci vediamo domani sera all'indirizzo che ti invierò in mattinata, per un primo photoset. Voglio vederti in azione, porta anche qualcuno da fotografare se pensi di trovarti più a tuo agio, io non ho problemi.»
Quello a cui sarebbe andata incontro tra qualche tempo l’irlandese no, proprio non se lo immaginava, che Julie sarebbe stata la svolta di tutto non l’aveva di certo previsto. 

 

Spazio autrice

Questo capitolo sì, non so neanche io come descriverlo. E stato doloroso scrivere di Niall, ve lo posso assicurare: mi ha quasi sventrata. Al contrario, scrivere quella parte con tutti i ragazzi è stato davvero divertente e spero vi abbia strappato un sorriso, così come Allin che almeno per quanto riguarda il lavoro, sta riuscendo. Concludo le considerazioni su quello che avete letto dicendovi solo che Alex ha combinato un guaio più grande di se stesso e che nel prossimo capitolo non avrò più bisogno di far cambi di visuale per scrivere sia di Niall che di Allin. Ve lo anticipo: ci sarà un incontro. Avete idee al riguardo? Alle loro reazioni? Scrivetemi tutto, mi fa piacere! 
Per il resto, penso di poter salutarvi ringraziandovi per la vostra costanza. Le recensioni sono calate e questo mi ha un po' scoraggiata, ma d'altra parte capisco che un po' le mie mancanze, un po' la scuola vi abbiano fatto passar voglia di commentare. Ovviamente, se trovaste il tempo e l'umore, sarei davvero felice di leggere anche due righe di recensione perché francamente mi mancate. So di non entrare spesso sul sito come prima, ma in questo periodo sono sotterrata di interrogazioni -me ne mancano tutte-. Ma, buone notizie, in settimana qualcuna dovrei togliermela, così da risultare più libera per un bel po': siamo ventisei in classe, prima che ricominceranno il giro, i prof, ce ne vorranno di giorni!
A presto, vi si ama  <3
-In settimana penso di rispondere a tutte le recensioni in sospeso, sappiate che leggo tutto!-
Ps: Nel caso vorreste farmi qualche domanda questo è il mio account Ask: 
Giorgia Efp
Questo, invece, è il mio account facebook: Giorgia Efp

Pubblicità:
 
Rebel without a cause:
Si dice che l'eternità appartenga alla gioventù.
Un gruppo di amici che vive la vita ad alta velocità.
Lui:perso il suo grande amore e incapace di provare emozioni, è in fuga dal suo dolore vivendo alla ricerca del brivido.
Lei:casinista vive la vita in equilibrio sopra la follia.
Riusciranno i due giovani a completarsi o si distruggeranno a vicenda?
 
Megan è una ragazza a cui la vita ha tolto la persona che altrimenti l’avrebbe aiutata a crescere, e che è stata costretta a maturare troppo in fretta. Perché si sa che il dolore ti costringe a maturare troppo in fretta.
Zayn è all’apparenza cinico e superficiale, ma alle spalle ha un passato violento e oscuro che nessuno, a parte i suoi amici più stretti e i suoi familiari, conoscono.
Due ragazzi che sanno amare, ma sono troppo orgogliosi per farlo. Troppo orgogliosi per mostrare come sono veramente.
Due ragazzi che riusciranno a mettere da parte l’orgoglio e si ameranno, come se fosse l’ultima cosa che gli è rimasta.

 
Frivoli, pieni di pregiudizi e con nessuno scrupolo, l'unico modo che avevo per sopravvivere era fuggire. Fuggire da quella società che mi stava consumando vivo.
 
Before you leave me:
Dai capitoli: "Ho tenuto dentro di me per 9 mesi due cuori che ora sembrano distanti ma che con una sola frase si uniscono sempre, sì Allie noi siamo infinito"
“Niall non lo vedi? Non vedi le sue pupille come sono dilatate?”
“Zayn conta su di me, ci sarò per te.”
“Come ai vecchi tempi?” “Come ai vecchi tempi. Ora manca solo lui” Ci sdraiammo sul letto e ci addormentammo come quando eravamo piccoli."
“Ti prego resta qui”
"Mi girai verso la porta con la consapevolezza che lei eri lì pronta ad aiutarmi."
“Se due si amano ma non stanno assieme cosa sono?"
"Voglio conoscere lei, adesso."
è la mia prima Fanfiction. Se volte scoprire e aiutarmi siete i ben venuti! Allie xx

 
...We Belong Together...:
'Vorrei averla qui accanto a me, e stringerla forte, sussurrandole nell'orecchio quanto il mio amore, è forte...sincero ed unico. Già perché nessuno mai potrà amarla in questo mondo, con la stessa intensità, con la stessa frenesia che provo quando le sono accanto. Nessuno mai, sarà in grado di amarla come la AMO IO. Sono il solo che la completa...'
**
'Noi ci rialzeremo sempre, noi lotteremo continuamente pur di stare insieme. Perché la mia famosa vita si è incrociata con la sua. Ci Apparteniamo, ci volevamo, ci siamo scelti. E prima o poi saremo eternamente nostri...'
**
Salve, allora queste sono due frasi della FF, che vedremo molto più avanti. Volevo dirvi che la mia Fan Fiction forse all'inizio non appassionerà molto, non compariranno subito i 1D, che forse sarà noiosa, direte che fa schifo, che non vale la pena nemmeno leggerla. Ma non è così credetemi, è tutto programmato :). Con il passare dei capitoli, capirete e credo che vi aumenterà la suspance di sapere cosa succede ai nostri/vostri protagonisti. Non mi rimane altro da dirvi, che seguite e recensite in molti i capitoli, perchè a voi potrà sembrare noioso recensire, ma non sapete quanto servirà a me. A presto!
Sara.

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Capitolo 22
*** Lost. ***


Lost
 

-Vi auguro giusto buona lettura e beh, per informarvi su altro, vi invito a leggere le note a piè di pagina.



Erano le due spaccate quando Allin rientrò a casa dal Magic. L'odore dell'ultimo uomo a cui aveva dovuto donarsi prima di finire il proprio turno era ancora impresso sulla sua pelle. La ragazza prese un respiro stanco, poi incominciò a spogliarsi lentamente di cappotto e abiti, solo successivamente si liberò della lingerie che non aveva levato già al locale. Si diresse in bagno a fatica, cullata dal fresco delle notti di giugno che alleviava il calore del suo corpo, ancora provato dal sesso. Era sfinita particolarmente, quella sera, e se ne rese conto appena vide la propria faccia riflessa allo specchio che, impregnata di trucco e quasi incisa da occhiaie profonde, la rendeva quasi irriconoscibile anche ai propri occhi. Se tempo prima era quasi rifiorita, adesso si stava nuovamente sciupando, in una successione infinita di alti e bassi. Considerava la propria vita priva di senso dopo l'incidente al lavoro e la consapevolezza dell'esistenza di qualcosa che lei non ricorda aver vissuto e che nessuno sembrava sapere. Aveva sempre lavorato senza mai lamentarsi, aveva studiato nel mentre, tanto che aveva quasi guadagnato abbastanza da pagare la cauzione a favore del fratello di Gonzalo. Ma era valso a qualcosa faticare a tal punto? Se lo domandava spesso, Allin, si chiedeva se fosse stato giusto addirittura sprecare del tempo in cerca di una nuova vita. La ragazza lo sentiva, percepiva nel più profondo della sua anima di aver perso un obiettivo per cui prima era stato giustificato il proprio lottare e struggeva al pensiero che nessuno l'avrebbe mai potuta aiutare. Pur vero però che ormai si era abituata a quella routine, a tal punto che non era più certa dell’abbandono o meno del Magic, nel suo futuro prossimo. Aveva infatti mandato a farsi fottere da tempo la dignità mentre la propria bontà d'animo rimaneva la sola a spingerla a concludere ciò che aveva promesso al padre acquisito e al non tenersi qualche soldo per sé. D’altra parte, pensava, da lì a breve avrebbe potuto sapere felici le proprie cugine e ciò non era di poco conto. Allin felice non lo era e andava avanti così da anni, quindi sapeva benissimo cosa significasse la felicità. Era allegra sì,  ed anche una buona attrice di teatro forse, ma le ossa del bacino, le costole, le clavicole persino che risaltavano sempre più rispetto al suo corpo esile erano chiaro avviso di un malessere interiore e profondo. Sentendo d'improvviso freddo -le piastrelle del pavimento nel bagno erano gelide- la bionda si raccolse i capelli in una crocchia malconcia, quindi subito strusciò quasi sotto il getto bollente dell'acqua. Chiuse gli occhi e un paio di iridi azzurre apparvero scomparvero nel nero dei suoi pensieri. «Basta, basta» sussurrò vacillante, portandosi le mani sul viso umido e bollente. Nell'ultimo periodo non faceva che vederli, gli occhi di Niall, che la osservavano attenti. Peccato che non si rendesse conto di chi appartenevano: se già da allora si fosse ricordata dell’importante persona che rappresentavano, il suo futuro sarebbe stato sicuro più facile. Per la ragazza, quelle iridi chiare non erano difatti più che qualcosa da cui fuggire, sebbene non vedesse in essi cattiveria, bensì tristezza, malinconia a volte mista a preoccupazione, altre amore. Con la loro presenza poi, vari scorci di vita avevano intrapreso a sostituire gradualmente i sistematici incubi notturni, ricordi fin troppo intimi per poter esser rivelati. Allin però, benché questa loro caratteristica, non poteva dirsi ancora entusiasta, non si lasciava ingannare da quella che chiamava “la felicità dell'ignorante” perché in parte consapevole che quelle brevi scene erano minima parte di ciò che aveva dimenticato. Allora si preoccupava quasi a risvegliarsi con la sensazione di sentire stringerle  i fianchi da mani sconosciute, con le immagini ancora in testa della propria vita dietro i banchi di scuola, del calore di una indefinibile casa di legno che non le diceva niente. Cercando di cambiare pensieri, l’irlandese preferì concentrarsi sulla melodia di qualche canzone biascicata e riecheggiante nella cabina doccia che su altro, lavandosi bene dalla pelle tracce della serata appena conclusa.
#


Quando la mattina seguente Allin aprì gli occhi il sole era appena sorto in cielo. Aveva dormito abbastanza, quella notte, più delle altre sicuro se considerate le solite quattro ore, eppure si sentiva egualmente stanca. Se non fosse stato che da lì a breve sarebbe stato deciso il proprio futuro, lei sicuro non si sarebbe alzata dal letto, preferendo il rimanere ad arrotolarsi tra le coperte fino al mezzogiorno. Aveva l'incontro con Julie Emerson, però, proprio quella fotografa fotografa che si diceva interessata all’averla come stagista e questo sapeva essere una priorità, sicuramente un buon motivo per cui abbandonare il materasso. Afferrando maldestramente -senza un caffè in circolo, non riusciva a reggersi più sulle ginocchia- i vestiti sistemati la sera sulla sedia, la ragazza iniziò ad abbigliarsi, ancora con gli occhi semichiusi. Assonnata, indossò la leggera bluse color pesca e la abbottonò, lasciando in parte scoperte le clavicole. Così, una volta tirata su anche la lampo degli skinny chiari dalla vita alta, mise nuovamente i tacchi che da quando aveva acquistato non l'avevano mai abbandonata. Con la coda dell'occhio si osservò poi riflessa allo specchio. Stava bene e se ne compiacque parecchio, considerando quanto sapeva valere nel panorama artistico uno stile ineccepibile. Rincuorata, si avvicinò al vetro, la pochette dei trucchi la teneva stretta tra le mani. Due pennellate di correttore, qualcuna in più di mascara, eyeliner a incorniciarle lo sguardo e labbra laccate di una tonalità simile a quella della camicia, la bionda afferrò la borsa tracolla lasciata ai piedi del letto sfatto e ben presto fu in strada.

* * *

Forse perché anche lei stessa non era da meno, forse per altro, Allin quella mattina Londra proprio non riusciva a percepirla come sempre. Le sembrava, al contrario, particolarmente in subbuglio, più di quanto non lo fosse d'abitudine. Era presto, estate per giunta e di gente scorrazzante per i marciapiedi ce n'era già a bizzeffe. Chi si fermava nei piccoli alimentari per procurarsi un'idea di pranzo, chi in boutique per prepararsi alle vacanze fuori paese, chi non si era lasciato intimidire dal periodo per fare jogging, chi -i più giovani soprattutto- si crogiolava in camminate tranquille, godendosi quell'aria di libertà. C'era poi una minima parte di persone che camminava a testa bassa, lasciando intendere come se quest'ultima pesasse, sovraccaricatasi di fin troppi pensieri, così Allin. A ritmo veloce, guidata dall'ansia, solo quando fu giunta all'indirizzo indicatole dalla Emerson, la ragazza si fermò. «Alex, dove ti sei cacciato!» imprecò tra i denti, non riconoscendo in quello dei passanti il volto dell'amico.
Sbuffò incrociando le braccia al torace ossuto, poi si accese una delle sigarette che Tabatha le aveva lasciato qualche giorno prima. Ora sì che poteva dirsi con i nervi a fior di pelle, mentre aspirava vigorosamente il fumo. Senza il ragazzo, del resto, il servizio fotografico di prova sarebbe stato certamente più complicato -l'idea di fotografare un estraneo le metteva ancora soggezione-, o peggio: sarebbe saltato.
«Capitano Alex, qui presente!» Fu giusto qualche secondo dopo che la voce del giovane la fece sobbalzare dallo stato di sonnolenza che le lasciava socchiudere le palpebre. Allin gli sorrise e, pur attenta a non bruciarlo con la sigaretta stretta tra indice e medio, lo strinse a sé.
«Sei arrivato» alitò sulla sua spalla muscolosa. Gli occhi del ragazzo si illuminarono di una gioia nascosta. «Per te, sempre e comunque» le rispose, ricambiando l'abbraccio. Togliendole la sigaretta di mano, aspirò lui un'ultima volta, poi la spense, andando a gettarla in un cestino posto sul ciglio della strada. Allin lo osservò quasi divertita dal vederlo così attento, poi gli afferrò la mano con naturalezza ed insieme entrarono nello studio fotografico di Julia Emerson.
A causa del periodo estivo, durante il quale venivano organizzati più set all'aperto che altro, l'edificio -notò Allin- non era poi tanto pieno. Ad accoglierli all'ingresso fu una giovane segretaria che, forse più per la presenza di Alex che per gentilezza, li accompagnò fino alla porta cui targhetta recitava 'Emerson', facendo fare ad entrambi una breve visita della palazzina. Organizzata su due piani, al terreno vi erano gli uffici dei segretari relativi ad ogni fotografo cui studio era al primo, dove si trovavano la maggior parte delle sale trucco, i vari camerini e le stanze adibite a set. Un po' spoglio della vitalità che doveva avere di prassi, l'edificio faceva sentire Allin ancora più piccola di quanto fosse già. Sarebbe stata in grado di entrare a far parte di una macchina che, seppur in quel momento stesse vedendo spenta, sapeva essere operativa e quasi infallibile? Al solo pensiero di lavorare a stretto contatto con persone superiori a lei, la bionda un po' si sentì in difetto e per fortuna che ad Alex questo non sfuggì. Fu solo merito della sua vicinanza, spalla contro spalla, che Allin trovò il coraggio di bussare alla porta che fissava da minuti.

* * *

«Ragazzi, vi aspettavo!» esclamò Julia non appena i due furono nella stanza.
«Piacere, Alex» si presentò subito il ragazzo, affatto imbarazzato. In fin dei conti, lavorare a contatto con le persone era buona parte della sua vita.
«Julia» contraccambiò la fotografa, poi lo scrutò da testa a piedi. «Hai mai posato prima d'ora?» gli chiese, sotto gli occhi confusi della bionda. «È un bel ragazzo» le spiegò.
Allin allora, dacché osservante il pavimento vergognosa, alzò lo sguardo verso il barista. La donna non era in torto, constatò. Alex era bello, più vi posava gli occhi, più poteva affermarlo, tanto che si domandò addirittura perché non lo avesse mai notato in precedenza. Con attenzione meticolosa la giovane delineò i suoi lineamenti, il naso dritto, la mascella squadrata e li trovò capaci di competere con quelli delle più famose statue antiche. Alex sembrava davvero un ragazzo da copertina, pensò, persino più dei colleghi del Magic, al punto che, aggiunse ironica, se solo vi avesse messo piede, sicuro si sarebbe ritrovato assalito da una marea di persone. In più, dulcis in fundo, lui era suo -glielo ripeteva spesso- e a vedere le sue parole confermate da comportamenti la ragazza provava in cuor suo un certo compiacimento.
«Bene, direi che possiamo cominciare» esordì Julia battendo le mani, dopo aver notato di come l'aria si fosse fatta imbarazzante.
Il ragazzo seguì quindi le sue indicazioni e raggiunse una sala trucco ed Allin, invece, restò con lei. Chiacchierarono del più e del meno e proprio grazie a quelle quattro battute Julia scoprì la nuova stagista una giovane donna matura, mentre si davano da fare per preparare la Hasselblad e i suoi vari obiettivi, così da raggiungere il set e sistemare le luci. Sarebbe stato un photobooth molto semplice in realtà, le aveva spiegato, nulla di articolato e su sfondo bianco perché, come ripeteva ogni volta, «è in scatti essenziali che trapelano le capacità di un fotografo». Magari per mentire a se stessa, o semplicemente perché a posare era “solo” Alex, Allin non era tuttavia nervosa mentre aggiustava l'intensità dei vari fari, per far del blackandwhite un filtro ottimale. Il tempo però, a differenza sua pareva agitato. Passò in fretta e sembravano passati solo cinque minuti quando -quasi mezz'ora più tardi- Alex la raggiunse nella stanza, al seguito di quella che doveva essere la makeup-artist. Sorridendole, abbozzò all'amica un occhiolino.
«Ricordati -Julia la guardò con severità- «essenziale, virile e vivo.»

* * *

«Sono a dir poco estasiata, Clarylin, complimenti!» commentò la Emerson. Una volta concluso il photoshoot, la fotografa, in compagnia di Alex ed Allin, si era ritirata nel proprio studio, per visualizzare gli scatti su pc.
Allora era già consapevole delle capacità della propria stagista -aveva sfogliato più volte ogni suo singolo album portato all'esame-, ma non avrebbe mai scomesso in scatti tanto capaci e decisi.
“Questa è la mia preferita!” commentò entusiasta la ragazza quando sullo schermo apparì una foto di Alex che, sporto leggermente in avanti verso l'obbiettivo della reflex, abbozzava un sorriso sghembo, le braccia incrociate sul petto nudo.
«Virile, viva, essenziale» mormorò soddisfatta Julia, «hai fatto un ottimo lavoro.»
Allin sfoggiò subito un luminoso sorriso, gli occhi velati da un velo di lacrime perché questo era ciò che voleva fare della sua vita. «Grazie mille, ne sono felice» disse tentando di darsi un contegno, gli occhi persi nello lo sguardo di Alex.
«E tu? Sei certo di non voler provare ad impegnarti come fotomodello?» chiese Julia al barista. Pensando le foto affatto bisognose di un ritocco dalla sala photoshop, le mandò direttamente a stampa.
«Mi è stato proposto già, ma semplicemente non mi interessa» le rispose stavolta imbarazzato il giovane, mantenendo un tono gentile.
Allin poco dopo notò decine di Alex stampati su carta lucida. «Julia, posso chiederti il perché di... Questo?» balbettò imbarazzata.
«Un regalo per te, ho pensato ti avrebbe fatto piacere» rispose cordiale quella. «Inoltre, quando la tua fama aumenterà, sicuro avrai bisogno di un book nel quale inserire tutti i servizi a cui hai lavorato» le spiegò affettuosamente, alzandosi da dietro la propria scrivania per andare a raccogliere le stampe e l'orario di lavoro che aveva preimpostato. Con la devozione di una professionista quale era inserì gli scatti uno ad uno in un piccolo raccoglitore fotografico di quelli in plastica leggera, poi si avvicinò ai due ragazzi. La bionda diede un'occhiata fulminea agli orari da rispettare per quei sei mesi di prova, poi però subito gli occhi le guizzarono ancora sulla figura slanciata di Alex. «Bene, con questo possiamo dichiarare conclusa la prima giornata» esclamò la fotografa, posando una mano sulle spalle della giovane collaboratrice. «Non sarà sempre così facile, Allin» premise poi, facendo strada per l'edificio a lei e al suo accompagnatore fino a raggiungere l'ingresso. «Ma punto su di te e beh, a domani!» aggiunse, congedandoli. Intenerita dalla loro complicità, la donna non voltò le spalle finché i due, camminando vicini, non uscirono dal proprio campo visivo.


* * *

“In questa sei... Assurdo” mormorò Allin mentre, seduta sulle gambe di Alex, sfogliava per la centesima volta l'album fotografico appena ricevuto.
Il ragazzo alzò la testa verso la spessa trama di rami dei pini che, l'uno vicino all'altro, circondavano l'area verde in cui i due ragazzi avevano deciso di passare ciò che gli restava della mattinata. “Oggi sei in vena di complimenti o cosa?” chiese abbozzando un sorriso. Sebbene se non volesse ammetterlo neanche a se stesso, amava quando Allin dava l'impressione di vederlo sotto altra luce.
«Non lo so, ma non abituartici!» rispose lei tranquillamente con il solito sorriso furbo ad curvarle le labbra, proprio le stesse labbra su cui ora il ragazzo non riusciva più a distogliere lo sguardo.
La guardò e, intenerito, la strinse tra le braccia, accovacciandosi sulla sua schiena. Solo così in quell'ultimo periodo riusciva ad essere felice, percependola accoccolata al proprio petto. Stava immobile, poggiato sulla sua scapola a sentire il suo battito cardiaco accelerare gradualmente a contatto con la propria guancia, il suo calore scaldargli il corpo e, in qualche curioso modo, il cuore. Chiuse gli occhi ed fu allora che riuscì a distinguere quella che gli sembrava essere la migliore armonia mai eseguita da esseri umani. Si era innamorato, senza neanche rendersene conto e così era inevitabilmente caduto in una situazione più grande di lui. Con l'ombra di Niall alle calcagna, come avrebbe potuto stare tranquillo? Gli zingari e le origini della bionda erano solo la punta dell'iceberg e tutto risultava così complicato. Aveva resistito a lungo, il giovane universitario, ma da quando poi Allin era stata travolta dall'amnesia lui aveva mollato la presa, ammettendo a se stesso che forse quella voglia di proteggere la ragazza, i suoi “bimba” e la prontezza nel renderla felice significavano altro rispetto ad una banale amicizia. Lui l'amava, eccome se l'amava, profondamente e segretamente. E poi soffriva, perché sapeva. Era conscio che il proprio amore non sarebbe mai stato ricambiato, non appieno, e questo bastava affinché si ponesse un freno, anche se a volte gli sembrava inconcepibile. Non l'aveva riferito a persona viva, ammettendolo solo davanti la lapide di sua madre e senza ricevere parere. Era morta tempo prima, la donna, ma l'affetto che il ragazzo provava nei suoi confronti e la fiducia soprattutto non si erano mai affievoliti, sebbene fosse aumentato il senso di devozione nei confronti del padre. Ne avrebbe parlato con lui, decise in quella settima giornata di giungo, giusto per schiarirsi le idee. Ancora chiuso a guscio a circondare il corpo di Allin, il giovane sfilò dalla tasca degli skinny neri il proprio smartphone. Ne sbloccò la schermata e qualche secondo dopo aveva già scritto a "Dad" di passare la sera nel bar in cui lavorava, per una chiacchierata da uomo a uomo. Non vivere più con lui in periferia, ma a Londra con dei colleghi di studi aveva qualche pro, ma anche un contro fondamentale: la distanza e l'assenza.

* * *

“Allora, che dice il nostro programma?” chiese Zayn con la stanchezza del tour che, seppur ultimato da qualche ora, gli pesava sulle spalle.
Sonnolenza a parte, i cinque cantanti emergenti avevano deciso di comune accordo di accorciare i tempi di pausa, per poter fare tutto con più calma nei mesi successivi. Dunque, adesso si ritrovavano a combattere il sonno, la voglia di uscire e festeggiare la fine dell'Up All Night, o farsi qualche partita a Call of Duthy, pur di leggere almeno i punti salienti del proprio contratto rinnovato. Erano cambiate così tante cose nell'ultimo periodo, la fama dei quei ragazzi era davvero aumentata e dava cenno d'arrestarsi, espandendosi in modo esponenziale in tutto il globo come nessuno aveva previsto e, decisamente sì, si erano guadagnati quel foglio bianco che stringevano tra le mani. «In questo periodo estivo abbiamo qualche servizio fotografico per riviste, la copertina di 'Take me home' e campagne pubblicitarie. Dobbiamo girare uno spot e il video di 'Live while we're young', poi ci sarà il rilascio dell'album e tutte le interviste varie ed eventuali prima del tour e...» Liam strabuzzò gli occhi, non sicuro di ciò che stava leggendo, credendolo allucinazione. «E verrà girato un film documentario con nostri spezzoni di vita in tournée che poi sarà proiettato nelle sale cinematografiche del mondo intero» concluse e neanche commentò, a corto come era di parole.
«Che cosa?» chiese Louis sorpreso, meglio sgomento. Non che non gli piacesse l'idea, ma c'era anche da considerare la presenza di una telecamera sempre pronta a riprenderli e allora lui ed Harry...
«Troveremo dei modi per prenderci una pausa dalle registrazioni, siamo una squadra» parlò Zayn per Liam. Dacché prima si era solo limitato ad ascoltare, aveva già capito dove volesse andare a parare l'amico, quale fosse il suo problema.
«Sei tenero!» esclamò il riccio tutt'un tratto. Lo sguardo dei propri amici posatosi su di sé gli aveva fatto riaprire gli occhi.
Con il cuore colmo di un sentimento che non sapeva ad ogni modo definire, Harry si avvicinò a Louis, accoccolandosi sulla sua spalla. Da tempo erano iniziate a girar voci sul loro conto. Chi li chiamava gay, chi preferiva attribuirgli nomi meno carini. Louis semplicemente odiava, detestava, schifava tutto ciò. L'idea che tutti fossero pronti ad aprire bocca definendo "amore" un qualcosa di cui neanche lui conosceva l'essenza, dandogli addosso un imbarazzo e un'oppressione ancora immotivata lo mandava in bestia. Ancor più grave il fatto che il legame con Harry ne stava risentendo da quando i manager, per proteggere entrambi dalle malelingue, gli avevano presentato Eleanor -ragazza d'oro, s'intende- ad un after party. E lui? Louis non faceva che illuderla perché era giusto così, dicendole di provare un amore inesistente, e continuava a soffrire per l'indifferenza che doveva dimostrare provare verso il minore. Al suo fianco non poteva farsi vedere più insieme in pubblico, non ci si poteva scrivere più su Twitter e... «Ci mancava solo la telecamera h24!» sbuffò. Harry gli carezzò la testa e solo con il suo tocco l'inglese non lasciò degenerare la questione in una sfuriata, dando modo al maggiore di vedere del positivo nel film-documentario. E Louis sapeva quanto per il più piccolo fosse difficile, anche solo il dover mostrarsi interessato a ragazze sempre diverse per dover equiparare il rapporto con lui, che non faceva che confonderlo sempre più. A differenza di Harry, però, Louis era sicuro meno innocente ed era in grado di veder ogni cosa proiettandola in un futuro. Forse perché più grande, forse perché più consapevole dei propri comportamenti, aveva già intuito tempo prima che, se non avesse posto lui il fine sul nascere, il riccio avrebbe fatto di quell'amicizia, amore. Una domanda che non voleva porsi, tuttavia, rimaneva. Sarebbe stato in grado di uccidere quella marea di farfalle che percepiva svolazzare nel proprio stomaco e la tanta voglia di piangere? Sull'orlo delle lacrime, si strinse al più piccolo, aumentando la stretta.
«Non vedo l'ora di mettere in imbarazzo tutti voi davanti alle cineprese» confessò Niall ridendo, con l'intenzione di alleggerire l'attenzione.
Funzionò perché «Vola basso, ragazzino!» esclamò Louis tirandogli il beanie che continuava a coprigli la testa, seppur fosse giugno.
Zayn guardò poi i quattro ragazzi animarsi in un dibattito senza fine. «Io me ne dissocio...» esclamò ridacchiando, quindi chiuse gli occhi e si allungò sul divano. Sapeva benissimo che alla fine sarebbe stato lui quello maggiormente preso di mira per gli scherzi dei suoi compagni, così incominciò ad architettare già qualcosa per vendicarsi.

* * *

Il bussare alla porta di qualcuno interruppe la conversazione tra fotografa ed assistente. All'esortazione della prima, poi, questa venne aperta e un segretario dall'aspetto tutt'ordinato e preciso ne fece capoccella. «I One Direction sono ad aspettarla nella sala ricevimenti, Julia» disse con la dovuta formalità e quindi, come era comparso d'un tratto, d'un tratto sparì.
«Bene» borbottò la donna, afferrando l'agenda in cui aveva appuntato qualche fondamentale sull'intervista che il photoshoot avrebbe accompagnato. Prima lei, poi Allin, entrambe uscirono così silenziosamente dallo studio. La bionda si tenne qualche passo indietro dal suo capo. Sebbene lo nascondesse bene, stava decisamente andando nel panico totale. Aveva sempre saputo che avrebbe avuto presto a che fare con quel gruppo al quale era molto legata -ricordava la domanda a cui si era trovata a rispondere durante la prima chiamata con la Emerson-, ma non aveva mai fantasticato su quale sarebbe stata la propria reazione. «Cazzo» sbuffò. Sentendo le mani appiccicaticce dal sudore, se le asciugò sugli eleganti pantaloni a sigaretta. Fosse stato solo quello il problema. Tra il tremolio generale, l'improvvisa incapacità nel reggersi in piedi e il continuo arrotolarsi una ciocca di capelli tra le dita, Allin non sapeva più dove sbattere la testa. Poi, giusto due o tre passi dopo che, essendosi distratta, si ritrovò contro il petto di qualcuno che non ricordava, eppure conosceva. «Clarylin! Che ci fai tu qui?» domandò Liam in un soffio di voce e cercando nervosamente di mascherare il proprio saluto, ridacchiò.
Subito la ragazza spalancò gli occhi ceruli: era sconcertata. Come poteva quel ragazzo sapere il suo nome se mai gli aveva parlato fino ad ora? Ipotizzò che fosse stata Julia stessa a presentarla ai propri clienti in veste di stagista e, considerando che non l'aveva chiamata 'Allin', l'idea acquisiva ancor più senso. Così si obbligò a tranquillizzarsi e scosse lievemente la testa, pensandosi imbecille ad essersi tutt'agitata per quella che vedeva adesso come una simile ovvietà. Abbozzò quindi un timido sorriso al giovane cantante e la Emerson poco dopo l'affiancò.
“Liam, Harry, Niall, Zayn, Louis, vi presento la mia stagista, Clarylin Mason” disse con disinvoltura, posandole una mano sulla spalla.
“Cazzo” fiatò tra i denti l'irlandese, all'istante rabbrividì. Come aveva potuto il castano del gruppo essere a conoscenza della sua -falsa- identità? Allora il panico caratteristico di chi fugge la sopraffece e le divenne difficile mostrarsi indifferente al paio di occhi color cioccolato che la scrutavano, studiavano, osservavano. E Liam? Lui cercava di capire il senso di dispersione che distingueva oltre quell'azzurro cielo e più andava a fondo, più si perdeva anche lui: doveva parlarle.
«Chiedo scusa, ma prima di iniziare dovrei andare un secondo in bagno» disse con disinvoltura, sebbene l'esigenza di svuotarsi era davvero minima. «Clarylin, giusto? Potresti accompagnarmi? Non vorrei perdermi in questo labirinto!» aggiunse con tono così convincente che che nessuno notò quanto stesse mentendo.
Allin lo guardò imbarazzata. «Vengo anche io!» esclamò poi d'improvviso Niall, avvampando mentre timidamente si grattò la nuca.
L'amico gli rivolse uno sguardo gelido. «Certo Nì, verrai anche tu al ristorante con me a ritirare la pizza, dopo il servizio» mormorò, quindi fece cenno alla stagista di accompagnarlo alle toilettes.
Per i primi passi ci fu un silenzio assoluto, tra lei che si sentiva assolutamente in soggezione e il castano che cercava di capire se Niall l'avesse riconosciuta o meno e quale fosse il problema nell'amica che non vedeva da mesi. «Allin, quanto tempo» mormorò una volta che le porte automatiche dell'ascensore si furono chiuse alle proprie spalle. Senza perdere tempo ulteriore, il castano strinse a sé la ragazza. Fu solo quando quella non rispose all'abbracciò che egli percepì che qualcosa era stato perduto.

 

Dunque, non riesco a credere nanche io di star aggiornando dopo circa due mesi. Francamente non so cosa sia cambiato in me, cosa mi abbia distaccato dalla scrittura. Sono stata settimane senza scrivere, bloccata. Non posso spiegare con certezza neanche il motivo di questo, forse il cruccio è nel fatto che la storia credevo fosse troppo per essere rovinata da me, sopratutto questa parte che ho paura di non essere in grado di affrontare. Da qui, ho superato un blocco che credevo impossibile, ho cancellato tutti i capitoli successivi a questo che avevo scritto a metà e ricominciato a lavorarci in modo del tutto naturale, tanto che ancora fatico a pensarci. Spero quindi che il frutto di tutto ciò non sia orrendo, ma che vi piaccia e mi scuso per il mio comportamento scorretto. Sono davvero mortificata ed imbarazzata. Confido davvero in un vostro parere, anche perché nel prossimo aggiornamento che tornerà ad esser regolare per forza di cose, Allin e Niall avranno le prime occasioni di interagire, per di più c'è Alex innamorato, lei che mostra un certo interesse... Insomma, tantissime novità e vorrei mi dicesse cosa vi aspettate dal capitolo ventitrè!
Grazie di essere rimaste, grazie di non smettere di crederci, grazie a chi mi ha cercata per chiedermi spiegazioni, semplicemente grazie.
Giorgia

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