Marchio di Sangue

di Old River Chant
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


[Capitolo 1]


 

Il mago se ne andò a testa alta di gran carriera, sbuffando.
Come sempre, insomma. Oh, Andraste, ma quanto adorava quelle situazioni!
Si trattenne dal sollevare gli occhi al cielo solo perché notò un’altra presenza con la coda dell’occhio, e l’ultima cosa che voleva in quel momento era l’ennesima complicazione. Gettò un’occhiata rapida alla nuova arrivata, cercando di mascherare l’evidente stupore che il suo aspetto provocava.
Era una ragazzina pallida e minuta, che probabilmente non gli arrivava all’altezza delle spalle, e che sembrava appena uscita da una zuffa con dei cani randagi in un qualche vicolo di Denerim. I lacci dell’armatura di cuoio che indossava erano stati stretti all’inverosimile e ancora la corazza le pendeva da tutte le parti, mentre i calzoni che aveva addosso, evidentemente troppo grandi, sembravano essere arrotolati più volte in fondo per non intralciarle il cammino. Una fascia sporca di sangue stretta attorno a un braccio e scompigliatissimi capelli color ebano ramato completavano il quadro.
«Ehm... con chi ho l’onore di parlare...?» esordì Alistair sforzando un sorriso e tendendo una mano.
La ragazzina lo fissò da sotto la selva di treccine disordinate che le coprivano il viso. Aveva due occhi grigi, taglienti e colmi di qualcosa di indefinibile.
«Sono Ythil» disse infine, tendendogli una minuscola mano affusolata.
«Oh.» Quel nome non gli era per niente nuovo: si diede dello stupido quando si ricordò dove l’aveva sentito. Quindi quello scricciolo di ragazza era la nuova recluta di Duncan? E pensare che riteneva di aver già visto molte delle bizzarrie di cui il Thedas era costellato.
«Voi dovete essere Alistair» disse ancora lei. Teneva una mano sempre su uno dei pugnali che le pendevano dalla cintura, inclinata di traverso perché non le scivolasse oltre i fianchi esili.
«Esattamente.» Il ragazzo scosse la testa e finalmente si riprese dallo stupore. «Siete la recluta che è arrivata con Duncan ieri sera, giusto?»
Ythil si limitò ad annuire. In quel momento lui colse due dettagli che prima gli erano sfuggiti: un tatuaggio nero che partiva dal centro della fronte, serpeggiava intorno all’occhio sinistro e terminava in due spire sulla guancia; e le orecchie inequivocabilmente appuntite.
«Venite dalle tribù Dalish?»
Lei lo fulminò con gli occhi. Evidentemente no. Stava facendo una pessima figura, voleva sprofondare.
«Vengo da Denerim.»
«Dall’enclave? Mi hanno detto che... oh, non importa. Voi siete qui per il rituale, non per parlare con me. Avete già incontrato gli altri candidati?»
La ragazzina annuì con energia. Sembrava una bambina dispersa in un mondo esageratamente grande, e gli ricordava fin troppo com’era lui quand’era piccolo.
«Soltanto uno» rispose, e dal tono con cui parlò Alistair non ebbe dubbi su chi degli altri tre avesse incontrato. Sorrise.
«Non vi sta particolarmente simpatica la figlia del teyrn Cousland?»
Ythil non rispose e lo fulminò di nuovo con gli occhi. Era evidente che quelle due non potessero proprio andare d’accordo: erano troppo diverse. Certo, lui con Elissa aveva parlato poco, ma era il genere di persona che una come la giovane elfa, da quello che aveva capito finora di lei, non poteva proprio sopportare: abituata al comando e a essere obbedita, come è giusto per la figlia di un teyrn.
«Dovremmo andare» disse lei con quella sua voce sottile. Tutto in lei era sottile e dava un’impressione di fragilità. Eppure Alistair intuiva con una certa sicurezza che quella ragazza sapeva essere pericolosa quanto Elissa Cousland.

*
 
«Duncan, chi è quella ragazzina?»
Il suo mentore sollevò gli occhi dalla spada che stava affilando in vista della battaglia per osservare il gruppetto di reclute che presto sarebbero partite. Elissa stava parlando con Daveth e Jory, mentre Ythil fissava il terreno. Sembrava non voler nemmeno provare a prendere parte alla conversazione.
«Non dovresti sottovalutarla, Alistair. Ha ucciso il figlio dell’arle e metà delle guardie del suo palazzo per salvare sua cugina. È molto forte.»
«Non ne dubito» rispose lui, tornando a rivolgere gli occhi al Custode. «Ma è una ragazzina. Anche Elissa non ha avuto un’esperienza facile da sopportare, negli ultimi giorni, e almeno ha un buon addestramento alle spalle e quasi vent’anni. Non a malapena quindici
«Ythil ha diciannove anni» rispose. Prima che il ragazzo potesse replicare, o anche soltanto esprimere il proprio stupore, Duncan continuò. «C’è qualcosa in lei... ammetto che anche per me è difficile capire. Ma la chiamavano Sangue di Drago, nell’enclave. Sono sicuro che se ci sarà qualcuno in grado di essere il Custode che cercavamo, questa persona è lei. Ha dei poteri che non comprende appieno. Sarà molto utile in questa guerra, soprattutto se come penso...»
Alistair sospirò.
«L’arcidemone?»
«Esatto. Non credo più che sia soltanto una supposizione. Ma non è di questo che tu ti devi occupare, ora. Accompagna le reclute nelle selve e osserva come si comportano contro i Prole Oscura.»
Soprattutto l’elfa, pensò Alistair, contemporaneamente curioso e preoccupato. Non aveva capito cosa Duncan intendesse, ma era sempre così. Ormai era abituato ai suoi discorsi criptici.
Rivolse lo sguardo alla ragazza. Ora guardava il cielo coperto dalle nubi grigie di pioggia che facevano apparire le rovine di Ostagar ancora più grigie e desolanti. Si chiedeva cosa sarebbe successo, se quelle quattro reclute avrebbero superato l’Unione, se Ythil ce l’avrebbe fatta.
E si chiedeva cos’avrebbe fatto se i timori di Duncan si fossero rivelati fondati, e presto avessero dovuto affrontare l’arcidemone. Il cielo plumbeo sembrava pesare come un presagio sopra di loro.






 
Note dell'autrice (sempre se così si può chiamare)
Ciao a tutti!
Intanto, complimenti se siete arrivati fino a qui. Siete molto coraggiosi e vi ringrazio!
Questa è la primissima fanfiction che scrivo. In realtà neanche avevo in mente di farlo,
ma avevo quest'idea in mente da un po'... mi chiedevo cosa Alistair avesse pensato
della mia personaggia(?) di Origins la prima volta che l'ha incontrata.
Non so ancora del tutto cosa succederà in questa storia.
La mia idea è di non seguire esattamente la trama di Origins
e scrivere dal punto di vista di vari personaggi, cercando di renderla un minimo originale...
Spero che vi sia piaciuta!
So che forse era un po' corto come capitolo, ma sto cercando di migliorare anche su questo.

- Old River Chant

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


[Capitolo 2]

Il terreno era fangoso e cedevole e produceva uno sgradevole rumore di bagnato mentre camminavano. Per una come lei, abituata a essere silenziosa come le ombre, il lieve suono dei suoi stivali sul sottobosco delle selve era un rimbombo.
Ythil seguiva Alistair ed Elissa a qualche passo di distanza, la mano sul pugnale. I due ragazzi davanti a lei conversavano sottovoce, mentre il cavaliere e il ladro bisticciavano e si punzecchiavano in retroguardia. Non avevano voluto lasciare lei per ultima quando si era proposta. Avrebbero prima o poi smesso di considerarla una bambina? Aveva diciannove anni, ormai. Non lo sopportava più.
Si guardava intorno mentre procedeva con una mano ferma sull'impugnatura del pugnale che teneva alla cintura, pronta. Intorno a lei fusti contorti e ricoperti di muschio, alberi rigogliosi e verdissimi che si protendevano in tutte le direzioni verso il cielo color piombo. I rami e i rampicanti si avvinghiavano gli uni sugli altri in un intrico vivo e ostile. La giovane elfa avvertiva chiaramente che quella foresta non li accettava, che li stava seguendo fin da quando avevano posato un piede fuori dalle barricate di Ostagar.
Era tesa e pronta a scattare, e continuava a scorrere la vegetazione con lo sguardo, nervosa. Solo perché continuava a saettare gli occhi ovunque non significava che non fosse all'erta. Anzi, probabilmente era quella più attenta dell'intero gruppo.
Oltre al rumore di passi, il tintinnio delle armature dei suoi compagni e le loro voci sussurrate erano gli unici suoni che spezzavano il silenzio teso della foresta. Ythil sentì Alistair accennare una risata e si concentrò per qualche istante sui due guerrieri davanti a lei. Elissa aveva probabilmente la sua età, era una ragazza alta, con il volto affilato ma grazioso che le dava un'aria regale. Camminava con il portamento diritto di chi era nato sapendo di comandare e di essere importante, facendo ondeggiare la lunghissima treccia bionda a ritmo con i passi sicuri. Indossava un'armatura semplice di cuoio inciso e rinforzato da borchie, non tanto diversa da quella che aveva addosso lei, ma a differenza della sua sembrava essere stata fabbricata su misura per lei e le fasciava alla perfezione il fisico asciutto la cui bellezza appena sbocciata sfolgorava. Era senza dubbio una bellissima ragazza, e Alistair se ne era accorto perfettamente.
Ythil distolse lo sguardo e dovette trattenersi dallo sbuffare. Come se in una missione delicata come quella ci fosse posto per ammirare le forme sinuose della ragazza di Altura Perenne.
Intanto il ladro di Denerim, Daveth, se non ricordava male, le si era affiancato. Strappata dalle sue riflessioni si voltò a guardarlo: era un giovane sfuggente e agile, non particolarmente bello, anzi abbastanza comune, con gli occhi vivaci che sembravano cogliere ogni cosa. Le sorrise e lei ricambiò appena.
«Tu sei Ythil, giusto?»
Ci aveva presentati Alistair prima, che motivo c'è di ripetere? si chiese la giovane. Evidentemente non aveva trovato di meglio per iniziare la conversazione.
«Sono Daveth» sorrise ancora lui. «Vengo anche io da Denerim.»
«Ma non dall'enclave» si sentì in dovere di precisare lei. Per quanto un umano vivesse miseramente, era comunque più importante del più nobile tra gli elfi. Non capiva questi tentativi degli umani di fare paragoni che non esistevano.
Il ragazzo sembrò interdetto. «Ci sono stato una o due volte, nell'enclave» disse, esitando.
Ythil non rispose, si limitò ad annuire di nuovo. Esattamente come pensava: non poteva capire la differenza tra essere un elfo e d essere un umano, per quanto rinnegato. Tu non fai parte di una razza di schiavi, Daveth, pensò amara.
Il giovane non sembrò lasciarsi scoraggiare dalla freddezza della ragazza.
«Sono curioso. Cosa ci fa una ragazzina come te tra i Custodi?»
Ythil dovette trattenersi dallo scoccargli un'occhiata fulminante. E pensare che le stava simpatico, all'inizio. Invece era un vero idiota.
«Anche Elissa è una donna» si limitò a rispondere.
Lo sguardo che Daveth rivolse alla giovane Cousland valse per Ythil più di qualunque cosa potesse dirle. «Ma lei è... voglio dire... la sua è una famiglia di guerrieri.»
La ragazza sospirò piano. Elissa non le piaceva, ma avrebbe dato chissà cosa per essere come lei. Odiava non essere presa sul serio.
«Non sei di molte parole, eh?» ritentò ancora lui.
A questo punto la ragazza non resistette e lo fulminò con gli occhi. Lui alzò le mani come per arrendersi.
«Ehi, mi dispiace averti infastidito! Come siamo suscettibili, oggi...» brontolò, per poi rallentare il passo e lasciarla finalmente in pace.
Le persone sono così insopportabili...
Chiuse gli occhi per un istante. Che cosa le stava succedendo? Era mostruosamente tesa. Doveva essere la foresta a metterle tutta quell’inquietudine addosso. Percepiva presenze e non sapeva se fossero amichevoli o no.
Gettò uno sguardo ai due ragazzi davanti a lei. Loro non avvertivano niente, a giudicare dall’ennesima risata che sentiva provenire da loro. Le dispiaceva interromperli così, ma doveva parlare con Alistair.
Accelerò il passo e raggiunse il guerriero.
«Scusate» disse. Elissa interruppe il suo discorso e si voltò stupita a guardarla, Ythil spostò lo sguardo e si concentrò su Alistair: la ragazza di Altura Perenne la metteva in soggezione.
«Dovrei parlarvi, Alistair.»
Il giovane guerriero sembrò interdetto, ma annuì: ordinò a Jory di andare in testa al gruppo e di guidarli lungo il sentiero, mentre lui si accodò con Ythil in retroguardia.
«Ditemi pure.»
Lei lo sbirciò da sotto il ciuffo scompigliato. Era molto più alto della ragazza, aveva le spalle larghe e il fisico asciutto e muscoloso di chi è cresciuto con una spada in mano; ma a dispetto della sua bravura con le armi il suo viso era gentile. In quel momento però i suoi occhi saettavano ovunque e a giudicare da come teneva la mano sul pomolo della spada non era per nulla tranquillo nemmeno lui.
Ythil esitava. Non avrebbe potuto metterlo in guardia sui pericoli che aveva avvertito nella foresta senza anche rivelargli come mai li percepisse. Aveva sempre tenuto nascosti i suoi poteri a casa, fin da quando sua madre era stata uccisa proprio a causa di quelli. E per quanto lui avesse tutto il diritto di sapere con che mostro stava viaggiando, la ragazza temeva che la emarginasse e la disprezzasse.
«E quindi? Avete cambiato idea?» la esortò con un mezzo sorriso.
Ythil si mordicchiò un labbro e prese fiato. «I Prole Oscura sono vicini» disse sussurrando. «Ce n’è un contingente appostato subito dopo il ponte su un ruscello, a pochi minuti da qui, e ci stanno tendendo un agguato. Ce ne sono altri quattro dietro di noi e ci sorprenderanno alle spalle appena avremo oltrepassato il ponte...»
Alistair sembrò sussultare, sorpreso. Si bloccò sul sentiero, la prese per le spalle e la fissò, preoccupato e dubbioso.
«Ne siete sicura?»
«Io... sì» rispose lei guardandolo negli occhi. «Li sento» aggiunse, distogliendo lo sguardo e fissandolo a terra. Ora crederà che sono un mostro... ho sbagliato a dirglielo. Li avrebbe percepiti anche lui.
Il ragazzo sospirò.
«Non so cosa pensare. Avverto la loro presenza anche io, ma non nitidamente. Come puoi tu, che non hai ancora attraversato l’Unione, a esserne così certa?»
Ecco. Ora devo dirglielo...
Ythil deglutì. Non sollevò gli occhi dal terreno fangoso. Sentiva lo sguardo grigio e indagatore del guerriero su di sé.
«Non lo so perché» rispose, quasi bruscamente. Aveva improvvisamente deciso che non gliel’avrebbe detto, non ora. «È un qualcosa che ho da sempre.»
Lo guardò con un’espressione di sfida. Lui sospirò e si passò una mano tra i corti capelli castano dorato.
«Non importa. Mi fido di quello che dite, se Duncan vi ha scelta ci sarà un motivo.»
In realtà se lo domandava anche lei: che cosa diamine ci faceva lì? Non era un’eroina né una guerriera. Aveva un potere strano che nemmeno sapeva controllare. E soprattutto, era un’elfa.
La foresta improvvisamente si aprì, la terra apparve solcata da numerosi rivi bassi e melmosi. E là, nel bel mezzo della radura, un massacro.
L’erba era impregnata di sangue, sia rosso vivo sia torbido e cupo: di umani e di Prole Oscura. Corpi indistinguibili giacevano a terra scomposti; spade, pugnali, frecce spuntavano qua e là intrisi di sangue.
Ythil distolse lo sguardo. L’odore metallico del sangue era ovunque e le dava alla testa, impiegò molto autocontrollo per impedirsi di vomitare.
Con la coda dell’occhio colse un movimento e portò la mano al pugnale, ma quando sollevò gli occhi si accorse che non era un nemico: un soldato di Ostagar tentava di trascinarsi verso di loro, la voce stentata e debole che sussurrava una richiesta d’aiuto.
Senza pensarci due volte, la ragazza gli si avvicinò e si inginocchiò al suo fianco, frugando al contempo nella sua sacca. Aveva raccolto nella foresta alcune radici curative, ricordando gli insegnamenti di suo padre cominciò a preparare un impacco. La voce di Elissa la raggiunse.
«Cosa stai facendo, Ythil? Non abbiamo tempo da perdere!»
La giovane elfa sentì una vampata di rabbia risalire lungo la sua schiena. Chi si crede di essere quella?
«Non è una perdita di tempo. È ferito, dannazione!» rispose lei.
«Morirebbe comunque» replicò duramente la ragazza di Altura Perenne. Ythil non si trattenne più, abbandonò la benda che stava arrotolando intorno al braccio del soldato e scattò in piedi, furiosa. Probabilmente era rossa in viso dall’indignazione, e l’altra ragazza la metteva in soggezione, ma in quel momento non le importava.
«Senti un po’, Cousland» cominciò, la voce tremante dalla rabbia, «forse la tua nobile famiglia si è costruita il potere sulle spalle dei morti e quindi è una vostra tradizione, ma noi elfi abbiamo una regola, e quando una persona è ferita, è nostro dovere fare il possibile. Non lascerò indietro un soldato perché “morirebbe comunque”!»
Elissa le si avvicinò ed era glaciale. Ythil però non si mosse. Non l’avrebbe data vinta a quel blocco di ghiaccio.
«Tu non insulti la mia famiglia, hai capito, elfa?» le sibilò. «Non sai niente su di me e non ne hai il diritto. Chi sei tu? Una ragazzina che non ha mai visto la guerra, evidentemente, altrimenti sapresti che a volte è necessario sacrificare qualcosa. Questo non è uno degli stupidi giochi da bambini che facevi nell’enclave, elfa. È guerra, e si muore, in guerra. Questo ci succederà se perdiamo tempo ovunque e non torniamo prima del tramonto!»
Ythil aveva le lacrime di rabbia che minacciavano di uscire e bagnarle le guance. Lei non era inferiore a nessuno, non perché era gentile, a differenza della Cousland.
Prese fiato per sputarle addosso tutto l’odio che provava nei suoi confronti, ma si fermò quando una mano si posò sulla sua spalla. Si voltò e incrociò lo sguardo di Alistair; si sforzò di calmarsi o avrebbe davvero rischiato l’incolumità dell’intero gruppo.
«Non c’è bisogno che vi scaldiate. Ho già fatto. Ho finito di fasciare le ferite e indirizzato l’esploratore verso Ostagar... proseguiamo?»
Ythil sospirò e annuì. Elissa non la degnò più di uno sguardo e si incamminò accompagnata da Alistair, che si voltò per un istante a fissarla. La giovane elfa ricambiò il suo sguardo e li seguì.
Jory, dietro di lei, stava manifestando la sua disapprovazione nei confronti del comportamento di Elissa.
«Quella donna mi mette non poca paura» confermò Daveth, e per una volta sembrava che i due guerrieri fossero d’accordo.
«Dubito che il teyrn suo padre le abbia insegnato queste maniere» rispose il cavaliere. «Me lo ricordo come un uomo giusto e gentile.»
La giovane perse interesse nei discorsi dei due uomini dietro di lei. L’inquietudine era riemersa, sapeva che presto avrebbe dovuto combattere.





 
Note dell'autrice (sempre se così si può chiamare)
Ciao!!
Sono tornata con il secondo capitolo... e il punto di vista stavolta era di Ythil ^^
Cosa ne pensate? Ha molti segreti ed è un po' una testa calda, ma spero che vi sia simpatica
almeno quanto lo è per me.
Ancora nessun combattimento, ma arriveranno presto!!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto... alla prossima!!

- Old River Chant
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


[Capitolo 3]

La mano di Alistair si posò sulla sua spalla, trattenendola da proseguire nel suo cammino. L'aria si era fatta pesante e densa, qualche goccia stava cominciando a scendere su foglie e terreno.
Elissa rivolse il suo sguardo al giovane guerriero, che le accennò un lieve sorriso carico di tensione e le fece cenno di stare in silenzio. D'istinto, la ragazza portò una mano all'elsa della spada. La sua spada, l'arma che da secoli accompagnava gli eredi dei Cousland nelle più ardue avventure, e che ora lei brandiva nonostante non ne fosse minimamente degna. Era suo padre che avrebbe dovuto impugnarla nella battaglia in cui ora si trovava lei. E invece ora quella gloriosa lama passava nelle mani di una secondogenita, l'inetta che era fuggita davanti al pericolo condannando la sua intera famiglia.
Ma, sebbene non fosse degna di impugnare la spada dei Cousland, avrebbe fatto in modo di diventarlo, facendole assaggiare il sangue del traditore.
L'avrebbe tenuta solo provvisoriamente, aveva deciso. Non appena avesse trovato suo fratello, l'avrebbe riconsegnata a lui, il suo legittimo proprietario ora che papà era morto.
L'avrebbe presto rivisto, forse tra quelle stesse selve. Lo sentiva.
«I prole oscura tendono un agguato oltre quel ponte» disse il Custode sottovoce. «Sono in superiorità numerica e c'è un mago tra di loro. Dovremo fare attenzione.»
Ma davvero? Elissa dovette trattenersi dallo sbuffare. Cosa credeva, Alistair, di trovarsi di fronte a un branco di ragazzini sperduti? In effetti, una ragazzina sperduta c'è, si disse la ragazza, sbirciando l'elfetta di sottecchi. Era palesemente agitata. Probabilmente non aveva mai combattuto in vita sua, se si escludevano le zuffe con i cani randagi nelle strade dell'enclave. Come avesse fatto una tal imbranata ad attirare l'attenzione di Duncan era un mistero.
Infatti Alistair, che evidentemente era più intelligente di quanto sembrasse, aveva raccomandato all'elfetta e al delinquente di stare fuori dalla mischia con arco e balestra.
«Bene» concluse lei. «Andiamo a sterminare quei mostri.»
Sguainò la spada dei Cousland e ne ammirò per qualche secondo il filo imperfetto, sfregiato dalle cicatrici di antichi colpi che erano rimaste impresse sull'acciaio. Era pronta.
«Scusatemi. È meglio se voi restaste accanto a me per questa battaglia» le disse Jory, preoccupato per la sua incolumità. Ma lei non aveva bisogno di nessuno, era sopravvissuta allo sterminio della sua famiglia e al tradimento, non la spaventavano certo degli ammassi ringhianti di carne putrefatta.
«So cavarmela in combattimento, ser Jory» rispose, rifiutando educatamente la sua proposta. Non voleva vincoli: parte della sua vendetta si sarebbe compiuta quel giorno.
«Andiamo. Una retroguardia ci attaccherà alle spalle appena potranno. Non abbassate la guardia.»
Detto questo il Custode imbracciò lo scudo e sguainò la spada. Poi fece cenno a tutti di proseguire.
Elissa non si fece pregare. Procedette subito dietro di lui, le mani ben salde sull'impugnatura rivestita di cuoio. Poco piu avanti, la foresta si diradava nell'ennesima radura paludosa ricoperta di una rada distesa erbosa grigiastra. Oltre, un rivo fangoso che la tagliava in due, attraversato solo dal ponte stentato di assi di cui aveva parlato Alistair. Rovine sbilenche semisepolte dalla terra e invase di muschio e piante si innalzavano oltre il ruscello, come ovunque in quelle selve. L'unico passaggio era un arco a sesto acuto che si apriva nelle mura sbeccate e che coincideva con il ponte.
Un ottimo luogo per un'imboscata.
La ragazza si mosse a passo spedito, superando un esterrefatto Alistair. Non aveva senso tutta quella cautela: le bestie erano consapevoli della loro presenza.
Prima che il giovane potesse fermarla, uno di loro spuntò dal nulla. Era tozzo, le arrivava a malapena al petto, e impugnava una daga per mano. Emanava un forte odore di metallo e sangue che la colpì come una mazzata. Per qualche istante intorno a sé rivisse l'inferno, le mura in fiamme, le grida. Poi il lampo di una lama le abbagliò gli occhi e lei riemerse dalla visione. Muovendosi d'istinto, sollevò la spada per parare la daga con un clangore metallico, fece un passo di lato e schivò il secondo fendente.
Quella bestia era veloce, per essere così tozza e rinchiusa in un'armatura di scaglie intrisa di sangue rappreso. I suoi tratti marcescenti erano tesi in un perenne ringhio di scherno, mostrando una chiostra di piccoli denti affilati. Il mostro si piegò e mandò a vuoto un altro dei suoi affondi, scattò in avanti e approfittò dell'istante in cui era sbilanciata per attaccare. Colta alla sprovvista Elissa parò con il bracciale metallico dell'armatura.
La rabbia la invase come quella sera, al suo castello. Lasciò andare un urlo di frustrazione, riprese la spada con più fermezza e si lanciò in una serie di attacchi serrati, per quanto le permetteva l'arma pesante.
L'ultimo fendente staccò di netto la testa dal collo del mostro. Lei la guardò rotolare piu in là lasciando una scia di sangue mentre il corpo si afflosciava come un sacco vuoto a terra. Il mostro era morto, ma la sua furia non accennava a scemare. Adocchiò un altro di loro caracollare verso di lei mulinando una mazza e gli si avventò contro. Poche mosse dopo la spada dei Cousland spuntava di due spanne dalle sue costole marcescenti. Sangue nero scorreva sulla lama non più argentea; mano a mano che i mostri morivano falciati dalla sua furia spruzzi neri si accumulavano sulla sua armatura e sulle sue mani. Quelle stupide bestie non erano nemici alla sua altezza. Il loro sterminio non placava la sua furia.
Ritornò in sé quando l'aria crepitò incandescente accanto al suo viso e si schiantò a terra dietro di lei. Voltandosi di scatto colse perfettamente il movimento dell'emissario: stava in un angolo del ponte, fuori dalla mischia, troppo lontano perché quegli inutili arcieri che erano il delinquente e l'elfetta potessero mirare con precisione senza avvicinarsi troppo agli altri combattenti, mettendosi quindi in pericolo. Lo vide sollevare il bastone e scagliarle contro un'altra sfera di fuoco verdastro e anche stavolta Elissa schivò il colpo per un soffio. Eccolo, l'avversario che cercava.
Partì di corsa falciando tutti quelli che si frapponevano tra lei e il suo obbiettivo. Sentì qualcuno gridare il suo nome – o forse l'aveva immaginato? Non che le importasse – ma continuò ad avanzare.
Si nascose dietro alcuni di loro, sfruttandoli come barriera. Sporadiche frecce tagliavano l'aria e si conficcavano in membra e armature dei mostri, ma quando la giovane si voltò indietro per un istante, vide che Daveth era solo. Che fine aveva fatto la bambina?
Parò l'ennesimo attacco con un clangore di lame e rispose trafiggendo il fianco dell'enorme mostro davanti a lei, tra una piastra e l'altra dell'armatura. Il taglio vomitò sangue nero che andò ad imbrattare il già impregnato terreno.
Un'altra bestia la attaccò di spalle, ma una freccia la abbatté conficcandosi in profondità nell'occhio liquido e scuro e innaffiando lei di sangue viscoso. Ora, grazie a Daveth, aveva la strada libera. L'emissario era davanti a lei.
Gli si avventò di corsa con un grido, caricando un fendente. Gli occhi del mostro erano fissi nei suoi, vitrei come quelli dei suoi compagni; il ghigno sul volto deturpato si tese, per un attimo, in un'inquietante consapevolezza. Oltre la furia si fece strada in lei un terrore cupo: era una trappola, e lei ci era caduta come una stupida.
Il bastone metallico dell'emissario si illuminò di un sinistro bagliore rossastro.
Ancora pochi passi e l'avrebbe ucciso prima che potesse lanciare la sua magia. Ce l'avrebbe fatta.
La luce aumentò d'intensità. Il mostro mosse l'arma.
Era spacciata.
Sentì un grido, e non seppe se era suo o di uno dei suoi compagni. I suoi occhi furono accecati da un lampo d'argento.
Era morta? Si trovava forse tra le braccia luminose del Creatore?
Aprì gli occhi nell'improvviso silenzio.
Alistair e Jory arrivarono di corsa. Tutti i mostri giacevano a terra in una poltiglia di sangue e fango. L'emissario davanti a lei, invece, era solo un cadavere carbonizzato. Lo fissò sbalordita. L'incantesimo di morte era rimbalzato e aveva ucciso la creatura che l'aveva lanciato? Era stata lei?
Elissa si rialzò in piedi, accorgendosi solo in quel momento di essere inginocchiata a terra. L'aria sapeva di sangue e fumo, esattamente come quella notte. La testa le vorticò per qualche istante.
«Cos'è successo?» sussurrò, confusa. L'ira era svanita, ora era solo stanca.
«Non siete stata voi?» le chiese Jory fissandola con occhi sbarrati. Daveth li raggiunse in quel momento, arco in mano e fiato corto. Notò quello che restava del mostro e produsse un sommesso fischio di approvazione.
«No, non è stata certo lei. Quella era magia dei prole oscura» sentenziò Alistair con tono cupo. Non guardava né lei né il cadavere, ma i suoi occhi erano fissi più in là. Elissa seguì il suo sguardo fino a incontrare una figura.
L'elfetta era in piedi tremante, si fissava le mani imbrattate di sangue con gli occhi sbarrati.
«Sei stata tu?» disse la giovane, fissando la ragazzina. Era divisa tra l'orrore di ciò che quella minuscola elfa poteva fare e la gratitudine per averla salvata.
Lei non rispose. Jory e Daveth sembravano uno più inorridito dell'altro. L'unico che non era stupito, forse, era Alistair. Il Custode fece un passo avanti, tendendole la mano.
«Ythil...»
La ragazzina non parlò. Sollevò gli occhi sgranati su Alistair e parve ancora più spaventata. Elissa si sentiva lacerata dall'impulso di intimarle di combattere in duello contro di lei e morire come i mostri che avevano appena sterminato e quello di stringerle la mano. La giovane era sull'orlo dell'abisso, e lo sguardo confuso del cavaliere e quello terrorizzato del ladruncolo sicuramente non l'avrebbero aiutata.
La giovane Cousland sollevò la testa di scatto. Mosse due passi avanti, improvvisamente decisa, e le tese la mano guantata. Ythil sussultò a quel gesto repentino, esitò ma la strinse nervosamente.
«Grazie» le disse senza una qualche particolare inflessione della voce. L'elfa sembrò visibilmente grata per il gesto. Poi Elissa si allontanò di qualche passo, squadrò i suoi compagni ancora impietriti in mezzo al massacro e recuperò la sua spada da terra.
«Sbrighiamoci, ora. Non possiamo stare qui tutto il giorno! Non resteremo vivi a lungo in questo postaccio di notte.»
Senza aggiungere altro, né controllare se i guerrieri la stessero seguendo, attraversò il ponte a passo spedito.




 
Note dell'autrice (sempre se così si può chiamare)
Bonsoir!
Questa volta ho deciso di scrivere dal punto di vista di Elissa. Entro la fine
della storia riuscirò a non farvela odiare (spero).
I poteri di Ythil si sono manifestati nella loro parte più inquietante! Cosa ne pensate?
Con il prossimo capitolo chiarirò qalcos'altro, non preoccupatevi.
Niente reseterà irrisolto!
Bye ;)

- Old River Chant

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


[Capitolo 4]

L’unico suono che le riempiva la mente era il battito forsennato del suo cuore. 
Come un’eco sinistra un grido la assordava. Non ce l’ho fatta. Ho infranto la promessa. 
I suoi occhi erano fissi sulle mani bianche, costellate di cicatrici, fasciate con un drappo sbrindellato per impedire ai pugnali di scivolare. Nessuna traccia dell’oscurità che le aveva appena attraversate, quasi avrebbe potuto dimenticarsi dell’accaduto. Però quel corpo carbonizzato e irriconoscibile era là, muto testimone. 
Una voce ruppe il muro intorno a lei e le arrivò alla mente. Sollevò lo sguardo confusa e vide la bionda nobile dagli occhi bui tenderle una mano. 
«Grazie» le disse. 
Ythil sentì uno strano sentimento farsi strada tra le crepe del muro fino a farlo esplodere in mille pezzi. Strinse la mano di Elissa, sorpresa e meravigliata della sua gratitudine. 
La ragazza si voltò subito e riprese la marcia, seguita da Jory che le scoccò un’occhiata sconcertata e Daveth che non la degnò più di uno sguardo. Ythil, ancora piena di quel caos che le rimbombava dentro, stette qualche secondo a fissare la treccia ondeggiante di Elissa mentre un calore nuovo scioglieva lentamente il senso di colpa. 
«Andiamo?» le chiese piano Alistair, indicando gli altri, rialzandosi dopo aver riempito le fiale che aveva con sé del sangue nero e viscoso dei mostri. «Non dovremmo stare nelle Selve da soli.» 
L’elfa si riscosse e annuì. Riprese a camminare evitando accuratamente quel che restava dell’emissario. Nel frattempo le nuvole plumbee avevano concretizzato la loro minaccia, e sottili e rade gocce di pioggia cominciavano a battere sulla terra, sulle piante e su di loro. 
«Elissa mi ha ringraziato» disse lei. La voce le apparve ridicolmente sottile e smarrita, come quella di una bambina. Non sapeva perché stesse parlando con il ragazzo. Di solito non parlava mai con nessuno, o quasi. 
Ma in quel momento forse le sue barriere usuali erano crollate, e si fidava improvvisamente di Alistair. 
«Mi aspettavo che avrebbe fatto chissà cosa, ma non certo ringraziarmi» aggiunse. 
«Elissa è una sorpresa continua» confermò Alistair. Stava cauto, come se temesse che Ythil si trasformasse da un momento all’altro in un mostro assetato di sangue. 
«Avete paura di me, non è vero?» 
La domanda l'aveva messo a disagio, si vedeva. Scrollò le spalle facendo tintinnare tutte le piastre dell'armatura. 
«Beh, ecco...» balbettò imbarazzato, evitando di guardarla negli occhi. 
«È inutile stare qui a prendersi in giro a vicenda, non trovate?» lo interruppe lei duramente. «Non sareste il primo ad avere paura. Ci sono abituata ormai.» 
Evitò di dirgli quanto lei stessa fosse terrorizzata. 
«Ehm, voglio dire... prima di partire, Duncan mi ha detto una cosa. Ha visto qualcosa in voi e... beh, non può certo essere qualcosa di malvagio» concluse il giovane. Sembrava stesse cercando di rassicurare soprattutto se stesso, piuttosto che lei. 
Ythil rimase in silenzio. La pioggia si era fatta più forte, le chiome degli alberi non riuscivano più a ripararli e l'acqua fastidiosa le stava impregnando i capelli e gli abiti. Si sentiva a disagio, il cuoio della corazza leggera le si incollava alla pelle mentre brividi correvano lungo la sua schiena. 
Però il suono continuo e lieve della pioggia sulle Selve era bellissimo. A Denerim pioveva spesso, in primavera, e quel suono, lì nel cuore della foresta, le ricordava quando sua madre era ancora viva e lei credeva di essere una bambina come tanti altri, e passava i pomeriggi di pioggia raggomitolata sul letto nella sua minuscola camera ad ascoltare la sinfonia delle gocce sul tetto. 
Si sorprese a ringraziare la pioggia che mimetizzava le lacrime sulle sue guance. 
Davanti a loro procedevano Jory e la Cousland. Stavano discorrendo tranquillamente come fossero vecchi amici. Probabilmente si conoscevano almeno di vista già da prima, concluse Ythil. Non aveva idea di come funzionasse la nobiltà, ma da quelle rare storie e voci che giungevano fino all'enclave, aveva intuito dovessero conoscersi un po' tutti almeno di nome. 
Daveth invece era più avanti, arco teso e freccia incoccata, gli occhi furbi che scorrevano rapidamente il fogliame circostante, attenti a cogliere ogni minimo dettaglio. Le era parso così simpatico, all’inizio. Un po’ invadente, forse; lei non era dell’umore adatto a fare conoscenze, ma le aveva fatto una buona impressione. Non avrebbe mai dimenticato l’espressione di terrore misto a disgusto che aveva intravisto sul volto del ragazzo prima che questi si voltasse e cominciasse a camminare ostentando indifferenza nei suoi confronti.
Dovette trattenere il sorriso amaro che stava per affiorare sul suo volto. Avvertiva le occhiate fulminee di Alistair, che inaspettatamente camminava ancora al suo fianco, e non voleva peggiorare ulteriormente la sua situazione.
Si era illusa, dopo anni, di poter controllare quei poteri. Dopotutto, nemmeno nel caos del matrimonio e del rapimento da parte di Vaughan si erano fatti sentire più intensamente della solita morsa al petto che l’aggrediva ogni volta che doveva combattere, quell’istinto che le suggeriva sempre come muoversi per sopravvivere.
E invece no, non li aveva sconfitti, e appena aveva abbassato la guardia, loro erano riemersi più incontrollabili e famelici di sempre.
Aveva giurato in lacrime a suo padre, quella terribile notte in cui i templari erano venuti a prendere Adaia, che non avrebbe mai più usato quei poteri. L’aveva ripetuto come un mantra nella sua mente fino a perdere il senso delle parole, quella notte che aveva passato tremando nascosta sotto il letto sperando che gli enormi guerrieri dall’armatura lucente non la trovassero.
Quei ricordi erano impressi a fuoco nella sua memoria, eppure non era stata abbastanza forte per mantenere quel maledetto giuramento.
Questa volta non riuscì a trattenersi e un singhiozzo le sfuggì dalle labbra.
Sentì i passi del ragazzo fermarsi di colpo.
«State bene?»
No che non sto bene, dannazione! Sono un mostro, e non sono abbastanza forte per controllare questa schifosa magia. Dovevano uccidere me, non mia madre.
«Sì» rispose invece, tenendo gli occhi fissi a terra.
«State piangendo...» osservò lui, confuso.
Quella frase la spezzò. Le lacrime finora a stento contenute si riversarono sul suo volto. I singhiozzi le scuotevano la schiena e lei non poteva fermarli, o semplicemente non voleva.
«Avevo giurato che li avrei trattenuti! L’hanno uccisa per colpa mia, e io non riesco a mantenere una dannata promessa!»
Si portò le mani al volto strappandosi le gocce salate di pianto che si mischiavano alla pioggia. Avvertì il peso della mano di Alistair, avvolta dal guanto di armatura, che si posava sulla sua spalla. Probabilmente nemmeno lui sapeva come comportarsi.
Vide il mondo vorticarle intorno come impazzito e il terreno fangoso e morto avvicinarsi sempre di più. Le braccia del giovane guerriero interruppero la sua caduta e Ythil si ritrovò improvvisamente con la guancia appoggiata alla sua fredda corazza. Non riusciva a smettere di piangere per quanto provasse con tutte le sue forze. Che figura stava facendo? Piangeva come una bambina di fronte ai suoi futuri compagni di avventure.
Però le lacrime sembravano incontrollabili, scorrevano sul suo viso già bagnato dalle lacrime del cielo; la sua schiena sussultava squassata dai forti singhiozzi che tentava inutilmente di frenare.
Quanto tempo era passato dall’ultima volta in cui si era concessa di piangere tra le braccia di qualcuno? Undici anni, si rispose quasi automaticamente. Da quella notte.
Allora aveva suo padre a stringerla e ripeterle che tutto andava bene, ora anche lui era lontano e lei si aggrappava disperatamente a un perfetto sconosciuto. Era come se quegli anni in cui aveva represso le lacrime a forza le fossero tornati improvvisamente davanti agli occhi e non poteva fare altro che lasciarli scorrere via.







 
Note della persona orribile.
Mi dispiaceeee!! T__T
Non voglio sapere quanto tempo è passato dallo scorso aggiornamento...
Questo capitolo è stato un incubo. Non riuscivo a scrivere qualcosa di decente,
continuavo a iniziare, arrivare a metà pagina, accorgermi che faceva schifo e cancellare tutto.
Non ho mai scritto ff prima e ho il terrore di andare OOC :(
Mi dispiace tantissimo... non so se è decente il capitolo, ma sapevo che
se avessi aspettato ancora a pubblicarlo avrei cancellato tutto di nuovo.
Spero che non vi faccia così tanto schifo ^^
Alla prossima!!

- River

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


[Capitolo 5]


E va bene, lo ammetteva, non era mai stato particolarmente brillante quando si trattava di consolare donzelle scoppiate in lacrime tra le sue braccia. Soprattutto se la donzella cui attualmente doveva essere di conforto era un’esilissima elfa che aveva sterminato gli abitanti di una villa armata di uno spadone a due mani alto quanto lei, che percepiva i Prole Oscura con più precisione di un Custode anziano e, soprattutto, che sembrava saper usare la loro magia.
Per cui Alistair si limitò a stringerla in un abbraccio – gentilmente, però; era un tale scricciolo che aveva paura di farle del male – cercando al contempo di celare il proprio imbarazzo.
Fortunatamente Ythil non sembrava necessitare di chissà che rassicurazioni: lentamente i singhiozzi si spensero. La ragazza prese un ultimo respiro profondo e si allontanò di un passo da lui. Teneva il viso basso e le mani strette a pugno; tremava ancora, quasi sicuramente non era soltanto a causa della pioggia fredda. I capelli le si erano incollati alla testa e al collo, e spuntava il profilo aguzzo delle orecchie a punta, mentre sul volto celato si notava un leggero rossore che le colorava le guance altrimenti pallide.
«State bene, ora?» si azzardò a chiederle.
Lei respirò profondamente di nuovo.
«Non avrei dovuto farlo.»
«Avete salvato Elissa...»
«Per favore, Alistair, non datemi più del voi. I mostri non meritano rispetto» lo interruppe, parlando con durezza. Il giovane dovette trattenersi dal sospirare.
«Va bene, Ythil. Ma non sei un mostro, affatto. Hai salvato la vita di una persona.»
L’elfa scosse la testa e rialzò lo sguardo su di lui.
«Non potete capire» sussurrò piano. I suoi occhi grigi erano enormi. E terrorizzati.
Andraste, cosa devo fare?
«Allora dimmi» replicò lui.
Ythil sembrò sul punto di dire qualcosa. Poi distolse lo sguardo di scatto, scuotendo la testa, e si voltò verso il sentiero.
«Non è il momento. Dobbiamo tornare prima del tramonto.»
Era tornata l’elfa inflessibile e metallica che aveva visto la prima volta in cui l’aveva incontrata. Per quanto lui non fosse particolarmente acuto con le persone, non sarebbe stata necessaria una Reverenda Madre per intuire che quello che per un istante la ragazza le aveva fatto scorgere di sé era la sua vera essenza, e che quella fenditura nella sua barriera era stata un evento eccezionale. Si passò una mano tra i capelli sconsolato. Capire quella ragazza sarebbe stato più arduo che affrontare tutti i Prole Oscura delle Selve, questo era poco ma sicuro.
La seguì lungo il sentiero. Gli alberi si aprirono nuovamente svelando qua e là le numerose rovine di cui erano punteggiate le Selve. Lunghe sequenze di archi emergevano dal fango e dall’acqua marcia, sbilenche e mezze affondate, e si interrompevano nel nulla spezzate, mentre frammenti di pareti e contrafforti, verdi di muschio e mangiati dal tempo, facevano la loro comparsa come sagome irregolari e spettrali oltre il velo di pioggia. Poco più avanti, il resto del gruppo. Si trovavano ai piedi di una scalinata sbeccata di marmo ingrigito, che conduceva a ciò che restava di un vecchio tempio, ora sfigurato. Quello era stato l’avamposto dei Custodi, là avrebbero trovato i Trattati.
Jory lo accolse con un’occhiataccia dell’intensità di un fulmine.
«Alistair, non dovreste essere nell’avanguardia? I Prole Oscura avrebbero potuto attaccare e noi saremmo stati colti di sorpresa!»
Quel cavaliere non gli era mai stato particolarmente simpatico, Alistair non aveva dubbi. Non riuscì a trattenersi; sollevò un sopracciglio e accennò un mezzo sorriso.
«Oh, sono certo che li abbiate messi in fuga tutti con la vostra inarrivabile audacia, ser.»
«Cosa vorreste insinuare?» ribatté lui, piccato.
«Che sei un coniglio, vecchio mio» si intromise Daveth ridendo.
«Almeno io conservo ancora un briciolo d’orgoglio!» ringhiò il cavaliere al ladruncolo.
Alistair si stava davvero divertendo, ma sapeva che non era il caso di prolungare oltre quella scenata. Elissa li stava fissando dalla cima della scalinata con le braccia incrociate e l’espressione truce, Ythil, poco distante, aveva sguainato uno dei pugnali e se lo stava rigirando tra le dita impaziente.
«Su, su, signori, non è il momento. Le dame potrebbero decidere di lasciarci qua e non possiamo certo permettere che si trovino in pericolo, giusto? Continuerete il vostro duello in seguito.»
Non riuscendo a trattenere un sorriso di scherno, il giovane Custode si avviò lungo la scala, prima che i due contendenti lo vedessero sogghignare. A giudicare dai mormorii irritati, però, il duello non sembrava essere terminato.
Una volta giunti in cima alla scalinata, si aprì ai loro occhi uno spettacolo desolante. Buona parte dei piani superiori del tempio era franata giù da tempo, profonde buche si aprivano nel pavimento terminando nella melma. Una colonna spezzata, di cui la parte inferiore ancora resisteva nella posizione originaria, bloccava loro il passo, macerie e rovine si accumulavano senza nessun ordine.
«Alistair, siete sicuro che qui troveremo quei Trattati?»
«Certo, Elissa, non ricordate? Duncan ha detto che sono stati protetti con la magia.»
«Magia o no, dubito troveremo qualcosa di integro in questo luogo» mormorò lei, scettica.
«Perché nessuno li ha recuperati prima, se sono così importanti?» intervenne Ythil. Era tornata imperturbabile e un po’ insolente.
Il ragazzo si limitò a scrollare le spalle.
«Sono stati dati per dispersi per decenni. Duncan ha detto che aveva ricevuto informazioni sulla loro posizione solo pochi giorni fa.»
Lei non rispose. Mosse qualche passo avanti, si arrampicò agile oltre la colonna e si diresse verso il mucchio di macerie più alto. Elissa la seguì, Daveth prese la direzione opposta e cominciò a frugare in mezzo ai detriti, mentre Alistair e Jory, intralciati dall’armatura metallica e più pesante, aggirarono l’ostacolo e andarono in esplorazione lungo ciò che restava di un corridoio.
Il giovane controllò rapidamente che le fialette in cui teneva il sangue dei Prole Oscura fossero ancora intatte, poi sollevò la testa. Il sole era basso sull’orizzonte, ancora un’ora e mezza di sole, forse massimo due. Dovevano sbrigarsi.
Mano a mano che il tempo scorreva e le ricerche si rivelavano infruttuose, però, la frustrazione di Alistair cresceva. Che avesse ragione la Cousland? Dei Trattati, lì, sembrava non esserci traccia, e magie importanti come quelle che li proteggevano lasciavano sempre un segno. Va bene, non aveva mai completato l’addestramento da Templare, però qualcosa restava; non pensava di non riuscire più a percepire la magia.
Solo che lì tutto ciò che trovavano era pietra sgretolata.
Daveth gridò qualcosa. La speranza rifiorì in Alistair. Che li avesse trovati? Si affrettò a raggiungere il giovane insieme agli altri. Solo che non sembrava affatto vittorioso, anzi.
«C’è qualcuno che ci sta spiando» sussurrò.
Il ragazzo scorse rapidamente intorno a loro con gli occhi.
Una risata sottile proruppe da sopra di loro, a sinistra, e Alistair sussultò: l’aveva colto del tutto di sorpresa, e questo succedeva raramente. Sollevò lo sguardo per capire chi era che li stava giocando e dovette trattenere un’esclamazione di stupore.
Una ragazza era seduta sul bordo di ciò che rimaneva del pavimento che componeva il piano superiore. Indossava abiti davvero singolari: un corsetto striminzito di pelle nera sotto un giustacuore, anch’esso minuscolo, color bordeaux. Al collo portava svariati monili; il braccio sinistro era interamente coperto da una manica nera, ornata di piume iridescenti sulla spalla. Dalla schiena le spuntava un inequivocabile bastone metallico ritorto su se stesso, che riluceva debolmente.
L’istinto di Alistair trillò svariati campanelli d’allarme mentre osservava la sconosciuta che si alzava in piedi, scendeva lungo il cumulo di macerie con l’agilità di una lince e si fermava davanti a loro. Da quella distanza, il giovane poté notare che non era così giovane come sembrava, anche se non sarebbe stato in grado di darle un’età precisa. Era molto alta per essere una ragazza – alta quasi quanto lui, e lui non era certo minuto – ma molto esile. I capelli corvini legati dietro la nuca e gli occhi gialli, che spiccavano sul volto proporzionato e truccato con una certa cura, contribuivano ad acuire l’impressione che aveva avuto fin dall’inizio di lei: quella di un felino a caccia.
«Chi siete?» esordì Alistair, sforzandosi di sembrare sicuro. Quella strana ragazza sapeva inquietarlo come nessun altro.
Lei stirò le labbra nuovamente in quella sottile risata di scherno.
«Non dovrei essere io a chiedere a voi chi siete? L’estranea non sono certo io.»
Il giovane Custode non sapeva come replicare. Che quella fosse una maga o qualcosa di simile l’aveva avvertito fin da subito, ma nonostante il suo addestramento non aveva idea di come reagire, brancolava nel buio. Eppure doveva trovare il modo di recuperare i Trattati e riportare se stesso e le reclute sani e salvi a Ostagar. Possibilmente, entro un’ora.
«Sono spiacente, signora, ma siamo stati mandati qui per un motivo ben preciso. Mi chiamo Alistair e sono un Custode Grigio, mentre loro sono...»
La ragazza fece un leggero gesto con la mano.
«Vi seguo fin dall’inizio» lo interruppe. L’istinto gli diceva di arretrare più in fretta che poteva e allontanarsi da quella sconosciuta, e all’arcidemone anche i trattati.
«Lo sapevo, è una strega! Siamo in trappola!» spuntò la voce di Daveth alle sue spalle.
«Dov’è finita ora tutta la tua spavalderia, ladruncolo?» sibilò Elissa con durezza.
Sul volto della ragazza spuntò ancora il sorriso appena accennato.
«Sorpresi?» rise di nuovo. «Non ha importanza. Non troverete i Trattati qua.»
«Li hai rubati tu, strega!» disse nuovamente il ladro.
Jory si trattenne a stento dal tirargli un pugno.
«Sta’ zitto, o ci trasforma tutti in rospi o chissà che altro!»
Elissa li zittì entrambi all’istante. L’espressione di condiscendenza non era scomparsa dal volto della strega.
«Ce li ha mia madre. E prima che possiate insinuare alcunché, l’ha fatto per proteggerli. Il sigillo magico era consumato da tempo, se non li avesse presi lei ora sarebbero polvere.»
Daveth mugugnò qualcosa. Ythil si voltò di scatto e lo fulminò con gli occhi; il ragazzo non disse più nulla ma fissò di rimando l’elfa con aria di sfida. Alistair notò solo in quel momento che la ragazza non aveva parlato.
«Oh, smettila. È una maga, non un emissario.»
«Evidentemente l’intelligenza fa ancora parte di questo mondo» replicò la maga rivolgendosi a Ythil.
«Tra streghe e demoni c’è un’intesa, ecco perché» replicò Jory.
Le due ragazze lo ignorarono. Si fissavano intensamente senza parlare.
«Comunque, sono Morrigan» si presentò la maga tendendo la mano guantata.
«Ythil» rispose l’elfa, stringendola.
«Se avete finito di bisticciare, vi porto da mia madre. È molto curiosa di conoscervi» disse Morrigan rivolgendosi al gruppo. Non avendo risposta, oltre alle occhiate sospettose dei due ragazzi, si voltò e prese a incedere con grazia verso il folto.
«Seguitemi.»

*
 
La casetta si trovava sulla sommità di una piccola altura che si innalzava dal terreno fangoso della palude, restando miracolosamente asciutta. Quattro pareti di pietra che sembrava provenire dai detriti, un tetto di paglia, una porticina incassata nel muro: l’aspetto della capanna era davvero misero, e Alistair ne restò deluso. Morrigan non sembrava affatto una maga comune, nemmeno sua madre doveva esserlo. Se vivevano nel bel mezzo delle Selve, con i Prole Oscura che bazzicavano da quelle parti...
In piedi nel piccolo spiazzo davanti alla casetta stava una vecchia. I capelli le incorniciavano il volto, ingrigiti e scompigliati, gli abiti, a differenza di quelli della figlia, erano consunti e ormai sbiaditi. Nonostante la magrezza e l’aspetto dimesso, gi occhi verdi scintillavano ancora vigili e furbi in mezzo alla rete di rughe che deturpava il suo volto.
«Sei riuscita a portarli fin qui, vedo» esordì la vecchia. Aveva una voce un po’ petulante e lamentosa.
Alistair fece un passo avanti.
«Piacere, signora, mi chiamo Alistair e sono...»
«Sì, sì, lo so» lo interruppe lei con un gesto. «Non sono così vecchia da non accorgermi di chi vaga per queste selve, per fortuna. Ma voi siete qui per i Trattati, non per ascoltare una vecchia maga.»
«Chi siete?» chiese una sospettosissima Elissa.
La maga si voltò a fissarla, e anche se le sue labbra non si tesero in un sorriso, i suoi occhi scintillarono. Un brivido risalì lungo la schiena di Alistair. Quella vecchia era terribilmente pericolosa. Molto più che sua figlia.
«Che affare complicato e inutile, i nomi, non trovate? Ne ho così tanti che io stessa non me li ricordo tutti, ma se vi fa piacere potete chiamarmi Flemeth.»
Il giovane sussultò.
«Quella Flemeth...? Siamo spacciati!» balbettò Daveth colmo di terrore. Alistair si voltò a fissarlo: sembrava sul punto di scappare a gambe levate, cereo in volto.
Flemeth, la strega delle leggende Chasind... Alistair aveva sentito parlare di lei. La maga eretica, nemico giurato dei Templari, forse immortale, mai catturata... poteva essere quella vecchietta raggrinzita e scheletrica? Poteva essere proprio lei?
La maga era entrata nella casetta e ne era uscita con in mano qualcosa avvolto in un drappo di stoffa rossa. Alistair percepì da subito la magia dei sigilli. Flemeth consegnò i Trattati al giovane guerriero, che li ripose con cura nello zaino da viaggio che portava dietro la schiena.
«Vi ringrazio, signora» le disse, ed era sincero. Le era davvero grato.
«Faccio quello che posso» scrollò le spalle la vecchia. «Porta anche un messaggio ai Custodi da parte mia: di’ loro di stare attenti, la minaccia è molto maggiore di quanto credano.»
Il cuore di Alistair perse un battito.
«L’arcidemone.»
Confuso, il giovane si voltò: non era stato lui a parlare. Ythil, alla sua sinistra, guardava in basso, come se si fosse pentita di essersi lasciata sfuggire quelle parole.
«Come...?»
«È un demone, ecco come lo sa!» Jory lo interruppe prima ancora che potesse finire di parlare. La sua voce era colma d’astio.
«Per questo lei e le streghe vanno tanto d’accordo. Ci uccideranno, sono delle traditrici!» rincarò Daveth.
Ythil stringeva le mani a pugno. Oltre la cortina di capelli, le sue guance erano imporporate dalla rabbia. Il cavaliere però non sembrava accorgersene e continuava a sbraitare.
«Non avete sentito Duncan? La chiamavano Sangue di Drago! Drago! L’arcidemone! È stata mandata qua per impietosirci con il suo visino da bambina, e poi ci consegnerà ai demoni! Nessuno può usare la magia dei Prole Oscura, nessuno oltre a un demone!»
«Credete che io l’abbia scelto?» Era esplosa. Aveva sollevato il volto di scatto e ora fissava il cavaliere, improvvisamente silenzioso. La sua voce non era quella di una bambina: era consapevole e amara come quella di chi ha dovuto soffrire molto. «Credete che mia madre l’abbia scelto, di nascere in quel modo, di morire per questi maledetti poteri? Siete un cavaliere, il vostro compito è difendere i deboli, non giudicare persone di cui non sapete niente. Anche i Templari che sono venuti a prenderla giuravano di proteggere gli innocenti, eppure l’hanno uccisa!»
Si accorse che gli occhi le si erano riempiti di lacrime. «Dannazione!» imprecò. Se le strappò via dalle guance e corse verso la foresta.
«Oh, cieli eterni» esclamò Flemeth dopo qualche istante di silenzio.
Alistair sospirò e si passò una mano tra i capelli. «Tornate tutti a Ostagar, io vado a cercare di farla ragionare.»
Flemeth annuì. «Saggia decisione» asserì. «Morrigan, tu li accompagnerai.»
«Cosa
«Il tramonto si avvicina, figlia mia, e se qualcuno non indica loro la strada più breve finiranno per perdersi e farsi divorare dai mostri.»
L’occhiata che la ragazza rivolse alla madre avrebbe incenerito un intero plotone.

*
 
Ythil non si era allontanata molto.
Spirito del Creatore, grazie, sospirò il giovane Custode, sollevato. La ragazza era raggomitolata con la schiena contro un albero, in preda i singhiozzi di rabbia.
Appena avvertì la sua presenza, sollevò lo sguardo. Alistair si appuntò mentalmente di non farla mai e poi mai arrabbiare. Sapeva essere spaventosa.
Si sedette accanto a lei.
«Ythil, dimmelo. Cos’è successo a tua madre?»
Lei si morse il labbro inferiore, senza guardarlo.
«Lo verreste a sapere comunque. Meglio che ve lo dico, almeno sapete con che mostro state viaggiando.»
«Per l’ennesima volta, Ythil, non sei un mostro. E non darmi del voi, ho solo cinque anni più di te. Mi fai sentire vecchio.»
Non riuscì nell’impresa di strapparle un sorriso. Non se ne stupì, come battuta faceva davvero schifo. Che fine aveva fatto il suo umorismo?
«Mia madre si chiamava Adaia» sospirò. Lo sguardo perso nel nulla, le mani piene di cicatrici che continuavano a torcersi a vicenda. «Non sapeva nemmeno lei dov’era nata. Sua madre era una serva, suo padre un ricco mercante, il suo padrone. Non sapeva bene neanche come è nata; probabilmente suo padre aveva violentato sua madre, o lui se la portava a letto, insomma, le cose che fanno sempre i potenti alle donne più deboli.» La sua mente era andata al figlio dell’arle e al suo matrimonio, sicuramente.
«Tua madre era una mezzosangue.»
«Sì. Non è una cosa rara. Ma suo padre – mio nonno – non voleva avere a che fare con loro due, o chissà che altra stupida ragione lo ha spinto... una volta che erano dalle parti di Orzammar le ha fatte abbandonare in uno dei sotterranei più pericolosi. Non so cosa sia successo là, non lo sapeva Adaia né quelli che l’hanno trovata... però quando è stata salvata da là, sua madre era morta contaminata dal veleno dei Prole Oscura, mentre lei era salva per chissà quale motivo, e aveva questi poteri.»
Prima che il giovane potesse rispondere alcunché, l’elfa aveva ripreso a parlare. Sembrava un fiume che fosse straripato dagli argini, non poteva più fermarsi.
«È stata costretta a viaggiare molto e a cambiare spesso nome per nascondersi. I mezzosangue non sono visti molto bene, e lei aveva anche quei poteri. A Denerim si è innamorata di mio padre, lui l’ha accettata nonostante tutto e si sono sposati. Mio fratello maggiore è morto quando aveva cinque anni e io tre. Malattia, una cosa normale nell’enclave. Mia madre non mi ha mai detto dei poteri, li ho scoperti da sola, a sette anni... un cane randagio mi aveva assalito e io l’ho ucciso con la magia.
«Non avrei mai dovuto farlo... i miei genitori mi hanno spiegato cos’erano quei poteri, mia madre mi ha aiutato a tenerli nascosti. Ho capito in quel momento il significato di quel soprannome che avevano dato a lei e a me: Sangue di Drago. Il sangue dell’arcidemone.
«È stato mio padre a insegnarmi a usare il pugnale. Sperava che in caso di pericolo non avrei dovuto usare i poteri, e infatti così è stato, anche alla villa – un brivido leggero le scosse le spalle – ma ormai era tardi. Mi sono sfuggiti di mano solo altre due volte, ma questo è bastato perché le persone cominciassero ad additare mia madre come strega.»
Si fermò solo il tempo di asciugarsi le lacrime.
«Una notte, circa un anno dopo che avevo scoperto la magia, sono arrivati i Templari.»
La ragazza sputò quel nome con un tale rancore che Alistair non poté non rabbrividire. Era meglio se non sapesse che aveva seguito l’addestramento dei Templari, per il momento.
«L’hanno portata via e non l’ho più vista. So solo che avrebbero dovuto uccidere me. Mio padre mi nascose in uno spazio minuscolo sotto le assi del pavimento per tutta la notte, per evitare che mi trovassero. Sono riusciti a convincerli che ero morta pochi mesi prima, e così mi hanno salvato. Ma non lo meritavo. L’ho uccisa.»
Questa volta la ragazza non fece nulla per fermare il pianto silenzioso. Alistair la strinse in un abbraccio ma non disse nulla: qualsiasi cosa sarebbe suonata falsa.
Sapeva che non poteva fare niente per rincuorare quella particolare donzella in lacrime.





 
Note della persona orribile.
Sto pregando tutti gli dei di non essere andata terribilmente OOC.
In compenso ho quasi finito gli esami e quindi sono felice ^^ mi manca
la parte peggiore ma vabbè, immagino si sopravviva(?)
Duuunque, il capitolo è interminabile. Però ero sicura che
se non avessi scritto in questo che cosa diamine sia Ythil
qualcuno mi avrebbe linciato, so that's it :3
Sono certa che Flemeth sia risultata mostruosamente OOC e
che la cosa dei poteri non sia nemmeno coerente con l'ambientazione

Ci ho provato, dai.
Alla prossima!!

- River

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