Meridio

di Wendigo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Gigante di Pietra, I ***
Capitolo 2: *** Il Fantasma di Eos, I ***



Capitolo 1
*** Il Gigante di Pietra, I ***


Quando Alan scrutò l'orizzonte assieme a sua sorella, per poco non svenne.
Il sole, che aveva tanto desiderato di vedere quel giorno, era stato invece occultato da una creatura che, fino ad allora, aveva popolato soltanto i suoi peggiori incubi.

Al contrario, Arya era rimasta pietrificata sul posto, in preda ad una forte crisi di pianto. 
"Come darle torto?", pensò Alan.
Il Gigante di Pietra era arrivato alla fine, e, come se già non bastasse, era diretto proprio verso di loro, le sue "vittime secolari".
Quasi quasi Alan riuscì a notare un ghigno sul volto del Gigante, benché questo, avendo oscurato il sole alle sue spalle con la sua enorme mole, lasciava trasparire unicamente gli occhi, due semplici punti luminosi immersi nell'ombra.
"Arya", cominciò a dire Alan, anche se si accorse presto di aver emesso poco più di un bisbiglio. Cercò allora di recuperare parte di quel sangue freddo che lo aveva sempre distinto dagli altri ragazzi del suo villaggio, per poi tentare nuovamente a chiamare sua sorella.
"Arya", disse, questa volta con il giusto tono, "Dobbiamo andare adesso".
Tuttavia lei non si mosse di un millimetro.
"Perché...", domandò, singhiozzando e voltandosi in direzione del fratello, "Perché ogni volta che osserviamo l'orizzonte lui si intromette, Alan!?".
Alan si avvicinò alla sorella e la abbracciò, cercando di trasmettere quanta più serenità gli fosse rimasta in corpo. Infine la allontanò da lui quanto bastava per osservarla dritta nei suoi occhi color nocciola, gli occhi di loro madre.
"Sai già il perché, Arya: il Gigante ci sta chiamando, e noi dobbiamo rispondere alla sua chiamata".

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Capitolo 2
*** Il Fantasma di Eos, I ***


Se avesse dovuto scegliere cosa non sopportasse degli antichi dei, Eos avrebbe immediatamente optato per la loro strana mania di intrufolarsi nei sogni dei comuni mortali.
Eos ne era consapevole che gli antichi dei non lo facessero per puro e semplice divertimento, ma per ammonire la gente contro futuri pericoli e per consigliarla contro le difficoltà della vita quotidiana. 
Eppure una parte di sé non riusciva proprio ad accettare questa evidente violazione di spazio personale, forse l’ultimo rimasto in mano agli uomini, da parte degli dei.
Dopotutto pareva strano agli occhi di Eos che, nonostante gli dei disponessero di immensi poteri, questi non avessero davvero alcun altro modo per mettersi in contatto con i mortali.
“Forse è tutta una scusa”, disse una voce dentro di sé.
“Può anche darsi", ribatté convinto Eos, "ma, anche se fosse, che mi lamento a fare?”, si chiese subito dopo. 
In fin dei conti, era del tutto inutile porsi quei dubbi: come uomo, e non in veste di dio, aveva e avrebbe avuto sempre poca voce sull'argomento. 
Sarebbe stato meglio per lui se avesse accettato il prima possibile questa ingiusta realtà, o anche dimenticarsela se ci fosse riuscito. 
“Ti arrendi ancor prima di combattere?”, disse nuovamente quella voce, “Davvero desideri lasciare che gli dei possano fare questo ed oltre agli umani?”.
“Chi parla!?”, urlò in risposta Eos, ormai conscio che non era solo in quella stanza.
“Un amico”, ridacchiò la voce, “o un nemico: dipende tutto da te”.
“Un dio”, sentenziò Eos con rabbia.
In un primo momento la voce non ribatté, a tal punto che Eos credé se ne fosse andata, ma poi ella tuonò con forza per tutta la stanza. “NON PARAGONARMI A LORO!”
Eos cominciò seriamente a temere quella presenza. “Cosa sei allora?”.
Un velo di nebbia cominciò lentamente a concentrarsi in un unico punto davanti a lui, fino ad assumere una forma vagamente simile a quella umana.  
“Come puoi vedere, giovane figlio di Erun, sono un umile fantasma”, il volto, coperto da uno spesso cappuccio, si mosse in direzione di Eos, “e, come te, odio gli dei”.

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