Innocence

di Yami_x_Dark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Past ***
Capitolo 2: *** Present ***
Capitolo 3: *** Missing My Soul ***
Capitolo 4: *** Future ***



Capitolo 1
*** Past ***


Titolo: Innocence (Avril Lavigne©)

Autrici: yami_x_dark

Parte: 1/4

Rating: nc17, AU

Paring: J-squared ( Jensen Ross Ackles x Jared Tristan Padalecki)

Disclaimers: i personaggi qui presentati sono maggiorenni ed ogni riferimento a cose, persone o fatti è puramente casuale.

INNOCENCE

Primo Capitolo

Past

Norimberga, 1801

Neve, freddo, bosco.

E sangue.

Sulle mani, sui vestiti, sulle manopole di lana che pendevano dai polsi.

Non ricordava quando, ma sapeva di essere scappato da prima che il sole se ne andasse dietro le montagne. Aveva continuato a correre, terrorizzato, cercando di mettere più strada possibile tra lui e gli uomini in verde. La mamma era morta, il papà era stato gettato nel fuoco. Tutti i peluche di pezza fabbricati dai suoi genitori erano andati in cenere, tra le fiamme di quella che per i sei anni della sua breve vita era stata la sua casa.

Il sole del tramonto s'era precipitato a lasciare spazio alla luna

calante, spettatrice di brusii, preghiere ed incontri predestinati.

Il suo pallido torpore faceva strada ad un felino dal pelo mediamente lungo, ocra e bianco. La coda e le orecchie ben facevano intendere il suo stato di perenne allerta. Faceva freddo anche per lui, quella sera.

Per lui e per il suo padrone, alla costante ricerca delle sue tracce.

Ma era un freddo non propriamente legato al fisico.

La luna di quella notte sembrava annunciare un'omelia fin troppo poco gradita ai suoi occhi di vetro, attenti a seguire le impronte lasciate sulla neve del suo compagno:

« Zanzi, figlio dei ghiacci...dove mi stai conducendo...?» chiese il giovane moro, osservando i vicoli in cui stava vagando.

La mente persa a rimembrare avvenimenti ormai lontani, avvenuti in quelle stesse strade secondarie, anni prima.

Si lasciò sfuggire un sorriso.

D'incoraggiamento.

Dedicato solo a sé stesso.

Il rumore di alcuni passi indistinti, nel silenzio della neve.

Il cuore fece un salto, correndo alle sue orecchie, dicendogli di fuggire, lontano, di non lasciare che la morte dei genitori fosse stata vana. Forte in lui, tuttavia, il bisogno di vedere qualcuno. Di gridare il proprio dolore, di lasciarsi andare alle lacrime. Ma il suo corpo sembrava agire per conto proprio ormai da ore. Il terrore di essere raggiunto era tale da surclassare ogni bisogno fisico.

E poi, forse apparì dal nulla.

Un gatto, che zampettava osservando il silenzio più assoluto, i suoi occhi smeraldo già fissi in quelli di lui, così simili ai suoi.

Gli si sedette davanti, muovendo lentamente la coda con movimenti lenti, aggraziati, calcolati.

Le zampe bianche sprofondate nella fredda neve, i baffi frementi di vita.

Il bimbo lo guardò incantato, senza ben capire da dove fosse spuntato fuori. Un attimo prima era solo, e quello dopo non più. Reclinò appena il capo di lato, gli occhi sgranati: « Micio? » chiese, avvicinando una mano a quel muso dall'aria severa.

Quello rimase pressoché immobile, del tutto indifferente all'apparente curiosità del ragazzino seduto davanti a lui.

Era una visione dolce e crudele al contempo.

Questo fu l'unico pensiero della sagoma nascosta dalla luce della luna, le braccia incrociate al petto, la schiena posata al muro di una vecchia casa ormai in disuso.

Socchiuse gli occhi, quasi indignato dalla glacialità del suo compare:

«Zanzi, Zanzi...il tuo cuore non lascia forse mai spazio ai sentimentalismi...?» chiese facendosi avanti con passi misurati, attento, nel tentativo di non spaventare il piccoletto a pochi passi da lui.

Quello lo guardò di scatto, cadendo all'indietro sulla neve per lo spavento, sprofondando con il busto, le gambe all'aria. Aveva serrato gli occhi di riflesso, come se nel farlo avesse potuto cancellare quella nuova presenza.

Agiva in quel modo anche nei suoi sogni, quando appariva un mostro cattivo ma, nell'aprire gli occhi pochi secondi dopo, constatò che la realtà non era facile come il sogno.

Il giovane moro, completamente vestito di nero, tranne che per una cinghia rossa legata alla vita, ora era inginocchiato al suo fianco.

Tanto vicino da sfiorarlo, troppo lontano per bloccarlo.

Chinò appena il capo, le braccia abbandonate alle ginocchia fasciate dai pantaloni; il gatto al suo fianco che sembrava fissarlo con un moto di rimprovero: « L'avrò anche spaventato, ma tu sei l'insensibilità fatta persona » rispose al gatto, nella voce un strano tono di rimprovero.

Zanzi miagolò contrariato.

Il bimbo guardò prima il felino, poi l'estraneo che sembrava farsi beffe di quello che aveva chiamato “Zanzi”. Fece una smorfia, tra lo stupito e lo schifato, non capendo il perché di quel nome.

Si rialzò a sedere, le mani ch'erano diventate viola a contatto con il freddo biancore che ricopriva il terreno. Indeciso, provò ad avvicinare una manina al naso del gatto: « Sanzi...? » disse incerto, le parole che faticavano a formarsi sulle sue labbra.

«Zanzi, si» rispose il moro, sorridendo compiaciuto a quell'apparente interessamento del bimbo al suo fianco, mentre il felino posava totalmente il naso caldo contro il palmo della mano del piccolo.

Gli si rizzarono tutti i peli, la coda diritta per lo spavento causato dalla presa di coscienza dello stato del biondino.

Quest'ultimo se ne accorse, ritraendo dispiaciuto la mano che strinse al petto, mentre si mordeva un labbro screpolato per i sensi di colpa. Gli occhi verdi che esprimevano profondo dispiacere, consapevoli di essere stati causa di turbamento.

Il ragazzo al suo fianco gli porse una mano affusolata, tanto più grande di quella sua. Gli sorrise cordiale: « Posso provare a scaldartele un pochettino » propose nascondendo la scarsa convinzione insita in lui.

Ma il felino fu più rapido di lui, andando ad accoccolarsi fra le braccia del piccoletto. Il moro lo fissò con cipiglio perplesso: « Cosa mi stai chiedendo di fare Zanzi...?» alzò gli occhi al cielo, sospirando sommesso.

L'ingenuo soggetto della loro disputa cinse il felino con gratitudine, nascondendo il viso nella pelliccia invernale che sembrava emanare un lieve, piacevole tepore, chiudendo gli occhi per meglio sentire l'effetto che faceva. Ridendo, il bambino rialzò la testa, guardando il giovane accanto a loro, per poi affondare il viso nel petto di lui, cingendogli il busto come poté, rimanendo un po' deluso. Rialzò il capo, guardando il giovane negli occhi con una strana sorta di compassione: « La tua pelliccia non è molto calda...» gli fece notare, spingendo ripetutamente l'indice sulla maglia nera che copriva il suo interlocutore.

« La stufa costava troppo, allora l'ho venduta a Zanzi...» rispose con ironica gentilezza prima di esibirsi in un breve inchino di presentazione: « Sono Jared Tristan Padalecki, al suo servizio principino...» sorrise dolcemente.

Il bambino annuì, dimostrando di aver capito i problemi economici del signor Jared, per poi provare ad inchinarsi a sua volta, finendo con la fronte nella neve, il ciuffo che gli si congelò di botto. Rapido, si rialzò, rosso in viso: «Jen...Jensen Ross...Acc..Acke...Ackles...» gli riuscì infine a dire, non avendo ancora ben imparato tutto il suo nome. «Ma...io non sono un picipino...» cercò di giustificarsi.

Jared gli accarezzò il viso arrossato, con naturalezza, il felino che prendeva a scodinzolare più rapido: « Forse perché non sai di esserlo...» rispose in un breve sussurro amichevole, subito accompagnato da un tenue miagolio di approvazione.

Jensen lo guardò con perplessità, prima di mettersi le mani in testa come alla ricerca di qualcosa: « Io no ho la corona...» ammise dispiaciuto, guardando anche Zanzi per scusarsi.

Il moro si fece pensoso, gli occhi al cielo innevato: « eppure io la vedo...» sorrise, tornando a guardare negli occhi il piccolo, preoccupato per ciò che sarebbe potuto succedergli lì, da solo, in quella stradina buia e deserta.

Il biondino ricambiò tranquillo quello sguardo, ora sentendosi al sicuro con quelle sue due nuove conoscenze. Sorrise a Jared, senza ben capire perché questi lo stesse fissando nello stesso modo in cui molte volte sua madre lo aveva osservato. Era come se lo sondasse, alla ricerca delle paure che lui nascondeva in tutti i modi. Ma suo padre gli aveva insegnato che un uomo non poteva essere debole, quindi non poteva avere paura di nulla. Per questo Jensen rizzò il capo, guardando il moro con aria decisa, impropria su quel visetto da bambino.

« E che cos'è questo musetto arrabbiato ora...?» chiese senza trattenere un sorriso divertito a quell'espressione decisamente buffa, specie se stampata su un visetto come quello.

Zanzi che fissava il piccolo, indeciso sul da farsi.

Jensen s'inumidì appena le labbra danneggiate dal freddo: « Queto è lo guardo dell'uomo decisato...» cercò di spiegare, lo sguardo ancora corrucciato, più per lo sforzo di mettere insieme quelle parole che per sembrare l'uomo che suo padre avrebbe voluto vedere.

Jared fece uno sbuffo, incapace di nascondere una mezza risata dovuta alla “decisattagine” di Jensen.

Gli scompigliò i capelli, in un gesto quasi amorevole: « Avrai tempo per quello...» gli confidò, mentre Zanzi prendeva a ciondolare attorno a loro, in un vano tentativo di scaldare le zampe « Non avere fretta, su...».

L'altro scosse il capo contrariato, stringendo le manine in due piccoli pugni: « Ma un uomo deve esere sempre decisato! » esclamò, mentre il suo stomaco lo interruppe con un sonoro gorgoglio, facendolo sprofondare nella più nera vergogna.

« Il tuo stomaco è più decisato di te » rise Jared, scuotendo debolmente il capo, divertito dal piccolo al suo fianco « andiamo a mangiare qualcosina, principino decisato? » chiese poi, lanciando una breve occhiata al gatto che scrollava le zampe dalla neve che gli stava inzuppando tutto il pelo.

« Poletta e sanguaccio? » chiese il bimbo speranzoso, l'acquolina già in bocca solo all'idea. « La mamma per i giorni speciali faceva sempre polenta e sanguinccio! »

« Credo che Ellen sarà felice di accontentarti...» rispose, mettendo in piedi il piccolo con un semplice gesto fluido e deciso, il gatto che gli saltava in spalle, totalmente congelato « e la mamma dov'è ora...?» aggiunse poi, indeciso nel porre quella domanda.

Jensen afferrò, come per controllarsi, un lembo dei pantaloni del moro, guardando verso la direzione nella quale, un tempo, c'era stata la sua casa, i suoi giochi, il suo papà e la sua mamma. Con uno sforzo immane, cercò di trattenere le lacrime che facevano a gara per fargli perdere il precario equilibrio mentale che si era creato, causandogli una crisi di respirazione. Il petto che sembrava bruciare, il cuore che riprendeva a battere come quando la mamma gli aveva detto di scappare, di salvare almeno sé stesso.

Mentre le lacrime vincevano sulla sua forza, Jensen singhiozzò cercando di cancellare dalla mente le grida della madre, morta dopo l'ennesima accoltellata: « La mamma è diventata sanguinaccio...» cercò di scherzare, troppo sciocco persino per lui.

Il moro fu colpito da un unghiata del gatto, che lo distrasse dall'ondata di profumo che lo aveva raggiunto improvvisamente, senza preavviso. Deglutì a fatica, scuotendo a stento il capo mentre tornava ad inginocchiarsi davanti a Jensen, nuovamente in sé.

Lo prese in braccio, senza più chiedere nulla a riguardo.

I suoi occhi di vetro ora fissi ad osservare il nulla davanti a loro, i denti serrati, i lineamenti ora più duri mentre continuava ad accarezzare il capo del ragazzino.

Apprensivo.

Il bimbo sembrava essersi nuovamente immerso nei ricordi, stretto alla maglia del suo nuovo protettore. Sperava di svanire al più presto. Voleva tornare dai suoi genitori. Ma sapeva, sapeva che per tornare da loro avrebbe dovuto sacrificare sé stesso.

Singhiozzando, si aggrappò con tutte le sue forze al collo di Jared, alla ricerca di un appiglio alla sua disperazione.

« Andiamo a riempire questo povero stomaco » concluse allora Jared, massaggiando con calma la pancia del piccolo, trattenendo tutta la rabbia che si stava man mano manifestando in lui. Che si rimescolava dentro di lui.

Facendogli perdere il controllo che, prontamente, il gatto si apprestava a fargli tornare.

Dopo tutti gli anni vissuti su quel pianeta, ancora non riusciva ad abituarsi alle ingiustizie che, puntualmente, gli capitavano sotto agli occhi.

Spesso si era limitato a guardare altrove, fingendo che nulla fosse successo.

Che non fosse affar suo.

Ma non questa volta.

Non era riuscito a lasciarsi tutto alle spalle.

Aumentò di poco l'andatura, palesando il suo essere diverso, senza smettere di coccolare il bambino che teneva fra le braccia.

Jensen si perse a guardare gli alberi passare accanto a loro con una strana velocità. Voltò il capo avanti, e la città sembrava venire loro incontro con rapidità. Corrucciò lo sguardo, incredulo: «...Signor Giarretta

Quello si volse a guardarlo con cipiglio divertito, senza smettere di tenere quel passò finché non giunse ad un incrocio che portava in centro o in periferia.

All'angolo, una vecchia locanda che ospitava ben poche persone.

Vi si avvicinò con passo ora decisamente più umano: «dimmi» lo incitò con pacatezza.

Una voce di velluto.

Jensen scrutò una signora anziana fissare con una strana luce negli occhi il suo protettore, correndo via zoppicando nel notare di essere stata scoperta in flagrante. Alzò per un attimo lo sguardo sul viso di Jared, poi scosse il capo, cercando di ritrovare il filo del discorso che aveva elaborato prima.

«...Lei è un atletaro...?» chiese titubante, non ben sicuro di farsi capire.

Jared si limitò a ridere compiaciuto scuotendo debolmente il capo, mentre entrava nella locanda sotto lo sguardo disfattista dei clienti: « ho solo le gambe molto lunghe » spiegò tranquillo, andando a sedersi su di un tavolo libero, trovando subito Ellen che stava sempre dietro al bancone.

Zanzi ora sul tavolo a scrollarsi la neve di dosso.

Il biondino si sedette con attenzione sullo sgabello accanto al gatto, guardandosi attorno senza porre troppa attenzione ai presenti: « Un giorno anch'io avrò le gambe così lunge...? » chiese stornando nuovamente lo sguardo su Jared, incuriosito.

«Forse...» rispose quello fissandogli le gambe che non erano nemmeno un quarto delle sue.

Voltò appena il capo, ridacchiando senza farsi vedere, mentre Ellen si avvicinava con aria non troppo convinta.

La donna, la cui altezza raggiungeva a stento il metro e settanta, si accostò a loro senza dire una sola parola, gli occhi fissi su Jared. Non ci voleva molto per capire la domanda che le frullava nella testa, senza contare le sporadiche occhiate di alcuni clienti agli abiti insanguinati di Jensen. Quest'ultimo la guardava con insolito interesse, forse nella speranza di cogliere un gesto famigliare, qualcosa di simile ai gesti che sua madre spesso faceva. Una sorta d'insolita speranza in .

« Ecco, lei è Ellen. Colei che sarà così gentile da prepararti ciò che più desideri » la presentò con prontezza Jared, che aveva elegantemente accavallato le gambe, le braccia conserte al petto. Comportandosi come se nulla fosse successo.

Jensen annuì dando a vedere di aver capito. Scambiò uno sguardo con la giovane trentenne, poi sorrise innocentemente: « Vorrei del sanguiccio con della polenta...per piacere. E acqua...se può. » disse mettendosi dritto con la schiena, come sua madre avrebbe voluto.

Ellen annuì, prendendo appunti sul suo taccuino: « E tu, Jared? Che cosa desideri? » chiese, rifilandogli un'occhiataccia: « Un collo giovane e ben rifocillato?».

Quello le sorrise pacifico: « no, grazie. Un bicchier d'acqua dovrebbe bastare » rispose fissandola dritto negli occhi. Per niente rassicurante nello studiarla.

Senza scomporsi, la donna si allontanò, dando il taccuino delle ordinazioni al cameriere dietro il banco. Parlò con lui pochi secondi, poi tornò subito da loro due, guardando Jensen pulirsi con la manica della giacca un po' di sangue che aveva sul collo. Rabbrividì, senza poter immaginare perché Jared avesse con sé quel bambino.

lo conosceva da anni, eppure, eccezion fatta per quel gatto che si portava sempre dietro, non aveva mai visto nessuno fargli compagnia. Tutti si sentivano a disagio, solitamente, anche solo ad avvicinarlo. Quasi avessero avuto un sesto senso che l'informasse della vera natura del giovane. Anche se dire “giovane” era pressoché un azzardo, certa che fosse come minimo più vecchio di lei, pur conservando l'aspetto di un venticinquenne o poco più.

Sospirò, una mano alla nuca nel guardare forzatamente Jared: « Che ne dici di fargli un bagno? Attira leggermente l'attenzione, più di te addirittura...» gli fece notare, sotto lo sguardo confuso di Jensen, che non comprendeva nulla della situazione.

Jared si guardò attorno, inarcando leggermente un sopracciglio nell'alzarsi con estrema lentezza dalla sedia: « Jensen... vieni, che andiamo a darti una pulita...» disse facendogli un leggero cenno del capo per indicargli una porta marrone scuro appena dietro al bancone. Il bagno degli inservienti.

« Non credo sia il caso di lasciarti girare per la città ridotto così...».

Poi il suo sguardo si raggelò nel passare a guardare Ellen « potresti prestargli un po' dei vestiti dei tuoi bei figlioletti...?» chiese con fare alquanto ironico.

D'altronde ben sapeva che quelli erano letteralmente terrorizzati da lui.

E allora una domanda sorgeva spontanea.

Si chiedeva per quale assurdo motivo Ellen non lo cacciasse fuori dalla locanda, a suon di calci.

Probabilmente per paura, arrivò a concludere scuotendo il capo con fare rassegnato mentre si avviava verso il bagno con finto fare allegro.

Ellen fece strada al ragazzino, che la guardava con curiosità propria solo della sua tenera età. Gli sorrise, trovandolo adorabile.

« Ti ha trovato per strada...?» gli chiese, porgendogli una mano.

Jensen la prese quasi subito, sorridendo: « Sì, il signor Giarrette mi ha invitato a venire da Ellen...Sei tu Ellen?» chiese curiosamente, cercando di sembrare calmo. Dentro di , la voglia di piangere sempre pronta ad attaccarlo.

« Vieni Jensen» li interruppe allora Jared che si mise in ginocchio davanti alla porta, il gatto al suo fianco che miagolava quasi contento, la porta già aperta.

Ellen lo guardò con un lampo d'odio negli occhi, notando il sorrisetto ironico che le era rivolto. Sempre così. Sempre a testarla.

« Fottiti.» sbottò, lasciando andare il bambino, che corse in braccio a Jared chiudendo gli occhi, stringendogli le braccia attorno al collo con tutte le forze che aveva in corpo.

Jared ridacchiò appena, accogliendo il biondo fra le proprie braccia, lanciando un 'occhiata maliziosa a Ellen mentre affondava appena il viso sul collo del piccolo. Senza mai distogliere lo sguardo dalla donna.

Strinse Jensen ancora più forte: « sei decisamente imbrattato... già...» accarezzò lievemente con l'indice il collo del bambino, ridacchiando nel chiudersi in bagno assieme a quello.

Ellen rimase a guardare la scena impotente, senza capire più se correre a prendere la pistola con pallottole d'argento, o andare a servire i clienti. Poi alzò gli occhi al soffitto, grugnendo esasperata: « Non lo sopporto, quel cazzo di vampiro. » dichiarò tornando al proprio lavoro.

Jensen si guardò intorno, per quel poco che poteva muovere la testa a causa della stretta che Jared teneva su di lui: il bagno era piccolo, quel tanto necessario per accogliere una vasca, un water e un lavandino.

Fissò a lungo la carta da parati di un bianco sporco, poi le manopole di ottone opaco, gli appendini su cui v'erano riposti gli asciugamani.

«...Ellen ha detto “casso”...?» chiese sollevando un sopracciglio.

Jared fissò lo sguardo sulle zampe della vasca, sorridendo ambiguo: « si, ha detto “cassonetto”. Cercava il cassonetto... non ha proprio una buona memoria...» posò a terra il bimbo, mettendosi alla sua altezza « mi chiedo come faccia a vivere a casa sua... è proprio una smemorata...» disse, cercando di dare al piccolo una pessima della Signorotta.

Jensen annuì, come per dargli ragione. In realtà, non aveva capito niente. Forse era stupido? Guardò il gatto, comodamente seduto su di un angolo della vasca. Zanzi non sembrava conoscere la risposta a quella domanda.

Tristemente, il bambino si voltò appena, le lacrime agli occhi, sentendosi ben poco all'altezza. Forse Jared non avrebbe voluto un bambino orfano, stupido e puzzolente come amico. Si annusò un'ascella mentre sollevava un braccio. Fece una smorfia disgustata. Lui non avrebbe voluto stare con qualcosa di così orrendamente combinato. Gonfiò le guance, sentendosi di colpo molto, molto triste. Le lacrime che già gli risalivano gli occhi, all'idea che Jared si disfacesse di lui non appena si fosse fatto il bagno.

Anzi, forse non avrebbe nemmeno aspettato che si lavasse! Forse se ne sarebbe andato non appena avrebbe distolto lo sguardo da lui...

Jared lo fissò chinando appena il capo.

L'espressione del suo viso pressoché perfetto mutò dal corrucciato, al sorpreso, all'esilarato nel percepire i pensieri del piccoletto.

Gonfiò le guance a sua volta attirandolo a sé, permettendosi così di cullarlo per l'ennesima volta: « finito il bagno, mangiamo insieme... va bene...? basta che non scappi via...» sorrise accarezzandogli i capelli con calma.

« La polenta ti aspetta ».

«...e il sanguinaccio...?»chiese il bimbo tirando su col naso.

« Anche quello. Basta che non piangi più » gli pizzicò una guanciotta sorridendo, prima di andare ad aprire l'acqua calda « su, spogliati...»

Jensen arrossì di botto, guardandolo senza dire una parola.

In testa, la vergogna più nera. Doveva spogliarsi davanti a Jared?

Lo guardò, rimanendo impietrito nel vedere che il suo protettore già si era tolto la maglia, esibendo dei pettorali scolpiti, adulti, abbronzati.

Spalancò la bocca senza saper più che fare, per poi alzare la maglia e guardare la sua pancetta pallida e molliccia.

Jared sorrise appena: « devo stare girato...?» accese l'acqua del lavandino, immergendovi la maglia nera che aveva indossato fino a poco prima mentre qualcuno veniva a bussare alla porta. Doveva essere Ash, uno dei figli di Ellen.

Esibì un sorrisone compiaciuto nell'andare ad aprire con un rapido scatto: «BUH!!»

Ash, un bambino di poco più vecchio di Jensen, urlò terrorizzato, lanciando per aria i vestiti per il biondino; quest'ultimo che ne approfittava per spogliarsi tutto di corsa e nascondersi sott'acqua. Vide il ragazzino al di là della porta correre via gridando come un ossesso, quasi avesse visto un mostro.

Guardò Jared.

Rifletté un attimo, sguardo al soffitto.

Jared era troppo figo per essere un mostro.

Nell'osservare il bambinetto “Ash-Ascella”, come lo chiamava lui, e nel sentire i pensieri del biondo dietro di lui, Jared si lasciò sfuggire una risata liberatoria raccogliendo tutti i vestiti sparsi per terra, prima di richiudersi la porta dietro le spalle.

Lanciò un'occhiata divertita a Jensen prima di andare a ripiegare gli abiti appena raccolti: « Figo, eh? » chiese, quasi si stesse rivolgendo all'aria.

Jensen arrossì per l'ennesima volta, cercando di sprofondare sott'acqua. Completamente.

Per non mostrare nulla.

Se non un ciuffetto biondo che galleggiava solitario a pelo d'acqua.

Jared, che prese una saponetta all'ortica, si avvicinò alla vasca, iniziando a passarla lungo la schiena di Jensen che, a quanto pareva, aveva deciso di suicidarsi. Rise appena, prendendolo per un braccio con delicatezza, tirandolo su: « vuoi ammazzarti...? » chiese sorridendo, continuando ad insaponargli la schiena con calma.

Jensen lo guardò titubante, senza sapere cosa rispondere. Scosse il capo il tempo necessario per riprendere fiato, cercando di riprendere il dominio della vasca immergendosi di faccia.

Jared ridacchiò, sollevandogli il viso con sole due dita, prima di mostrargli la saponetta quasi con fare dispiaciuto: « tieni... sei grande abbastanza, no? » sorrise in attesa.

Il biondo provò a prendere quella strana cosa vischiosa con entrambe le mani, guardandola con strano interesse. Sua madre usava delle cose a scaglie, molto diverse da quel piccolo rettangolo. Lo strinse un po' di più, curioso, e quell'aggeggio si sparò fuori dalle sue mani, in faccia a Jared.

Sbiancò, rifugiandosi di nuovo sotto acqua per paura di prenderle.

Il moro si passò una mano al viso con fare perplesso, un sopracciglio alzato nel notare il pessimo tentativo di rifugio del piccolo.

Senza mostrare alcuna espressione, affondò la mano sott'acqua, inizialmente con l'intento di ritrovare la saponetta ch'era caduta.

Sorrise sghembo nel trovare, piuttosto, una gamba di Jensen.

Prese a fargli il solletico, sporgendosi poco di più sulla vasca.

Il ragazzino dovette riprendere fiato, ridendo nervosamente, senza riuscire a stare in equilibrio nella vasca, cosa che lo fece scivolare nuovamente in immersione, per di più facendogli bere un bel po' d'acqua.

Risalì, tossendo convulso tra le risate: « Batttaaa!».

Jared sorrise, smettendo all'istante, andando a battergli appena sulla schiena per farlo riprendere: « su, finisci di lavarti... ho la maglia ancora in ammollo...» si rimise in piedi, sospirando pesantemente.

Dopo pochi minuti, Jensen uscì titubante dalla vasca, stando bene attento a non perdere l'equilibrio per l'ennesima volta. Controllò che Jared stesse ancora guardando la propria maglia, così si avvolse nell'asciugamano, prendendo con uno scatto anche i vestiti dietro al giovane.

Si voltò, dandogli di spalle, così da potersi vestire senza mostrarsi.

Un po' sapeva di essere ridicolo, ma non poteva farci nulla. Anche se suo padre gli aveva spesso detto che un uomo dev'essere sempre orgoglioso del suo corpo, Jensen non riusciva ad esserlo davanti ai muscoli scolpiti di Jared.

Insomma...

Era decisamente inferiore...

Mugolò appena, contrariato, e prese ad infilarsi calzini e pantaloni sotto lo sguardo attento di Zanzi, ma quando provò ad infilare anche il secondo piede nei pantaloni, cadde all'indietro, scivolando a terra come un sacco di patate.

Inferiore, inferiore, inferiore.

Jared sorrise strizzando la propria maglia, osservando i vestiti precedenti del biondino in ammollo dentro ad una bacinella blu.

Non si volse a guardarlo più per non scaturire ulteriore vergogna sul piccolo, che per proprio volere personale.

Se fosse stato per lui, sarebbe scattato a prenderlo ancor prima che cadesse: « tutto bene...?» chiese, per niente sicuro della risposta.

Jensen mugolò in risposta un sì strascicato, infilando per bene i pantaloni dalla posizione in cui era. Si mise a gambe incrociate, una mano alla testa e l'altra alla ricerca della maglia che doveva indossare. Sospirò dolorosamente, infilando anche quella, ma con scarso successo. Non ci passava con la testa.

Abbattuto e frustrato, abbandonò le mani a terra, mettendosi a piangere senza ritegno, tanto stanco era.

« Jareeett...Sono una sfranaaaaa!» pianse disperato.

Quello sospirò, voltandosi e mettendosi in ginocchio con lentezza misurata.

Gli sistemò un ciuffo di capelli biondi, prima di baciargli la fronte tranquillo: « Non è vero...» raccolse la maglia che Jensen aveva lasciato cadere, aiutandolo ad infilarla con tutta la pazienza di cui era in possesso.

Alla fine gli sorrise, scompigliandogli i capelli: « su...».

Socchiuse appena gli occhi, infilando la maglia ora umida a sua volta.

Poi la collana, ed infine la giacca che gli giungeva sino alla caviglia.

Si rimise in piedi.

Jensen lo guardò fare con sguardo perso, alzatosi in piedi mentre l'altro si vestiva. Degluttì a fatica, sentendosi incredibilmente a disagio.

Fissando Jared, il bambino dimenticava per lunghi momenti l'evento accaduto solo poche ore prima. L'evento che aveva portato via con sé i suoi genitori e la sua vita. Per dei lunghi momenti, perso nel candore della neve, aveva creduto di morire lì, raggiungendo così i suoi genitori molto velocemente.

Ma ora si chiedeva: e se Jared fosse stato un segno...?

Il messaggio ultimo dei suoi genitori, il loro testamento...

« Jaretto...?» lo chiamò, un nodo strano alla gola che gl'impediva di parlare con voce calma.

L'interpellato si volse nuovamente a guardarlo con aria serena, tornando a mettersi al suo livello, la porta non ancora aperta: « ora cosa non va? » chiese allungando una mano verso di lui.

Si sistemò la collana distrattamente con l'altra mano libera.

Jensen fece un respiro profondo, lasciando cadere lo sguardo al pavimento:

«...secondo te la mamma e papà voiono che io continuo...a vivere...?» chiese, le mani strette al bordo della maglia, quasi nel tentativo di allungarla.

Jared gliene strinse una fra le proprie cercando di catturare lo sguardo di lui, più che altro per fargli capire che stava parlando seriamente.

Sorrise, sicuro di sé per una volta, limitandosi ad annuire con il capo, un ciuffo di capelli castani che andava a nascondergli parte dell'occhio sinistro: « e non solo loro...» lasciò la frase in sospeso, lanciando un'occhiata a Zanzi che sembrò quasi approvare, con quella coda bianca, scodinzolante.

Jensen guardò la propria mano chiusa tra quelle di Jared e si sforzò di sorridere.

Annuì a sua volta, come per dare validità a quell'espressione, poi si lanciò su una gamba di Jared, come fosse stato il suo unico appiglio.

«...Non mi lasciare solo...» disse in un bisbiglio, per poi correre fuori dalla porta come un fulmine, vergognandosi del suo stesso gesto.

Non voleva sentirsi negare una simile richiesta.

Infantile, lo sapeva, ma lui non riusciva a ragionare altrimenti.

Jared guardò il suo gatto per l'ennesima volta, prima di voltarsi ad osservare i vestiti di Jensen ben nascosti dietro il lavabo.

Controllò che tutto fosse in ordine prima di raggiungere il tavolo in cui sedeva Jensen con fare decisamente non comune.

Qualcosa in lui trasmetteva in ogni suo singolo gesto una parvenza d’eleganza.

Si accomodò sulla sedia, spostando lo sguardo su Ellen, pregando che si sbrigasse a portare il cibo al biondino.

Quella giunse non appena vide entrambi seduti, porgendo il piatto a quel bimbo dall'aria mesta. Non le riuscì di non accarezzargli il capo, cosa che lui non sembrò nemmeno notare, prendendo un cucchiaio ed immergendolo nella polenta molliccia e gialla.

La donna sospirò, voltandosi a guardare ora Jared, lo sguardo fermo come nessuno in quel luogo: « Dobbiamo parlare. » disse severamente, un tono che non ammetteva alcun rifiuto.

« Non qui...» rispose allora lui mettendosi in piedi, fissando Zanzi dritto negli occhi. Quello sembrò capire, sistemandosi rigido sopra alla tavola, orecchie e coda diritti. Vigile come sempre.

Jared annuì impercettibilmente, sollevato, allontanandosi il minimo necessario da quel tavolo, trovando un angolo il più possibile isolato da occhi indiscreti:

« desidera...?» chiese allora, sadico. Allontanando di malavoglia lo sguardo dal ragazzino che cenava poco distante.

« Chi è? E dove diamine l'hai trovato? » chiese senza voler fingere di essere irritata e spaventata al contempo: « Non è opera tua spero.»

Il giovane si limitò a sospirare, senza mostrare alcun segno d'apparente irritazione. Aveva già capito ogni singola preoccupazione di quella donna.

E no. Non l'avrebbe lasciato a lei. Mai.

« Si chiama Jensen. E' stato Zanzi a notarlo. Stava rannicchiato a terra, al buio, tremante, in un vicolo secondario nascosto anche alla luna. » dichiarò senza riuscire a donare a quell'immagine un qualcosa di mortificante per i più.

« E no. Non ho massacrato la sua famiglia. Credevo avessi capito che da anni non privo più alcun umano della vostra preziosa linfa vitale » aggiunse, senza riuscire a nascondere nei propri occhi una strana luce pressoché disgustata da tale mancanza di fiducia nei suoi confronti.

Ellen sbuffò, incrociando le braccia al petto: « Non sapevo il suo nome, però sapevo che non è nel tuo stile bruciare la casa di una famiglia indebitata.» lo ammonì, per poi guardare che il bimbo fosse al sicuro.

Stornò nuovamente lo sguardo al suo interlocutore, amarezza dipinta sul suo volto: « Mi è giunta voce che oggi, nella zona nord, le truppe hanno eliminato una famiglia, si presuppone un burattinaio indebitato e una curatrice inesperta. Bruciato la casa e distrutto ogni loro avere, ecco che hanno fatto. Ma nessuno ha parlato di bambini.» sospirò, una mano alla nuca.«...Hanno ammazzato a coltellate la donna...Ho provato a capire se c'era dell'altro, qualche indizio, o qualche parente che sapeva qualcosa, ma sembra proprio che quella famiglia non tenesse rapporti con nessuno. Eccezion fatta per i clienti, e per il duca. A quanto pare, era con lui il debito. E quell'uomo sai quanto tiene ai suoi soldi...»

Jared respirò a fondo, la mandibola serrata e gli occhi fissi in quelli di lei. Nervoso. Un lampo rossastro nelle profondità di quelle iridi smeraldo.

Ellen gli diede una gomitata: « Non guardarmi a quel modo. Non è colpa mia se accadono cose simili, lo sai meglio di me. Comunque...la cosa che più resta in dubbio è il movente. Si pensa che siano stati eliminati per via dei debiti, ma il loro notaio ha dichiarato che i suoi clienti avevano pagato ogni centesimo al duca. Ancora tre mesi fa.» disse tutto d'un fiato, controllando di nuovo il bambino.

« Per quanto riguarda Jensen? » chiese con voce roca, gli occhi ora a guardare il biondino con un moto d'esasperazione « su di lui...? » aggiunse.

La donna scosse mestamente il capo: « Niente, te l'ho già detto. Lui sembra non esistere per lo stato. Non è andato a scuola, non è stato registrato nelle nascite. un bene per lui, pare...» dichiarò, una vena di amarezza nella voce.

Jared ridacchiò quasi sollevato, alzando per un breve momento gli occhi al soffitto: « vorrà dire che lo terrò con me senza troppe complicazioni. Lo alleverò come fosse mio figlio » spiegò, sul volto una luce nuova. Felice di essere utile a qualcuno, di poter condividere la propria esistenza con qualcuno.

Qualcuno che ora poteva essere testimone della sua mera esistenza.

Ellen lo guardò con aria di sfida:« tu? Figuriamoci. È già tanto che il tuo gatto sia vivo.» disse con aria annoiata, guardando altrove.

« Mi dispiace, così ho deciso » fece per allontanarsi « ah. » fece poi, anticipandola « ho molta più esperienza di te » le fece l'occhiolino, portando le mani in tasca, tornando con nonchalanche al tavolo di Jensen. Quest'ultimo gli sorrise,la bocca piena e il viso sporco di polenta.

Nel vederlo, Ellen tradì il proprio intento di nascondere l'approvazione del gesto che Jared aveva deciso di compiere. Aveva cercato di tener distante quel piccolo particolare, troppo abituata alle “sbirciatine” che il vampiro adorava dare al cervello dei poveri umani.

« Hei, testardo...» lo chiamò « Almeno lascia che ti dia qualche vestito...Dati i danni alla faccia che posso notare...Non sa ancora dov'è la bocca...» ridacchiò, mentre Jensen faceva il suo meglio per esibirsi in un cipiglio perplesso.

« Ogni altro aiuto è ben accetto, bellezza » rispose tranquillo sedendo a fianco di Jensen, togliendogli con una mano i pezzi di polenta che aveva dispersi per il viso.

« E noi due dobbiamo parlare, Jensen » iniziò pacato, accavallando lentamente le gambe. Dopotutto non spettava a lui la decisione finale.

Le cose si decidevano in due.

Jensen lo guardò con un pezzo di polenta ancora sulla punta del naso: « Di che cos'è?» chiese, senza comprendere perché Ellen si nascondesse la bocca con una mano.

« Prima provvedi a pulirti quella faccia » disse con aria quasi severa, incrociando le braccia al petto, facendogli un cenno al naso.

Quello si guardò intorno senza sapere con che cosa pulirsi, finché Ellen non gli porse una salvietta. Lui la prese, passandosela per tutta la faccia, tornando a guardare Jared da sopra la salvietta che tenne sul naso.

« Fatto. E adesso?» chiese, curioso di scoprire che sarebbe successo.

« Adesso mi ascolti » spiegò tranquillo, socchiudendo leggermente gli occhi mentre andava ad incrociare le dita delle mani « Capirai che noi, io ed Ellen, non possiamo di certo abbandonarti a te stesso permettendoti di girovagare per le strade finché qualcosa di brutto possa succederti » disse, velando ogni intento « quindi, qualcuno dovrà badare a te » spiegò, sospirando pesantemente.

Zanzi nuovamente sull'attenti.

Gli riusciva difficile spiegare al ragazzino ciò che stava per succedere mascherando nel miglior modo possibile ciò che lui, più di tutti, desiderava in realtà.

Jensen posò sul tavolo il tovagliolo, guardandolo con aria divertita.

Per la prima volta, davvero, sorrise: « Tu!» esclamò, prendendo il gatto tra le braccia: « e Sanzi!»

Jared rise di cuore abbassando lo sguardo al pavimento, passandosi una mano ai capelli: « bene... non c'è bisogno di tanti discorsi complicati allora...» sussurrò lasciando cadere la fronte sul tavolo, sollevato improvvisamente da un peso troppo grande da sopportare oltre.

Odiava le illusioni.

Odiava farsi illusioni.

Ma, almeno quella volta, non si erano spezzate.

Sentì una mano, che da ben vent'anni conosceva, posarsi sulla sua spalla sinistra: Ellen che si chinava per parlargli all'orecchio: «...Vedi...c'è qualcuno che ti vuole bene davvero...anche se non sa nemmeno chi sei.»

Poi la donna si scostò, guardando Jensen « Mi raccomando ragazzino, tieni d'occhio il nostro Jared, ok?»

Il bimbo annuì energeticamente mettendosi sull'attenti:

« Finché avrò vita, capitano!» disse più che convinto.

To be continued

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Capitolo 2
*** Present ***


Titolo: Innocence (Avril Lavigne©)

Titolo: Innocence (Avril Lavigne©)

Autrici: yami_x_dark

Parte: 2/4

Rating: nc17, AU

Paring: J-squared ( Jensen Ross Ackles x Jared Tristan Padalecki)

Disclaimers: i personaggi qui presentati sono maggiorenni ed ogni riferimento a cose, persone o fatti è puramente casuale.

 

 

 

INNOCENCE

 

Secondo Capitolo

 Present

 I would scream

don't live me behind”

through this Last Night...

 

 

 

Norimberga, Settembre 1820

 

Si sistemò il vestito ancora profumato di amido, il colletto della camicia alzato appena. Guardandosi allo specchio, Jensen si vide al massimo del suo fascino.

Sorrise ammiccante, mettendosi di profilo per un secondo: « Mi piace questo panciotto, mi fa magro! » ridacchiò, voltandosi a guardare Jared, posato alla finestra come suo solito.

La luce del tramonto traspariva a stento, ormai prossima a dar posto alla notte.

La figura di Jared, così statica, sembrava rievocare uno di quei quadri che tanto andavano in quel periodo. Un'espressione della natura “sublime”, come l'avevano definita i critici d'arte. Malgrado ciò, per Jensen quell'attimo era uno di quelli che avrebbe sempre recato nel cuore. Di nascosto, se necessario.

Jared socchiuse gli occhi, prima di voltarsi a guardare il paesaggio al di là della finestra, osservando orde di mercanti girovagare per i vicoli della città, un tempo centro più importante del commercio Europeo : « si... ti dona molto...» rispose di rimando, posandosi con entrambi i gomiti sul davanzale di legno del salotto.

Sorrise quasi forzatamente anziché studiare i suoi, di abiti.

Portava quelli del loro primo incontro:

Quelli di vent'anni fa, ancora completamente intatti:

pantaloni neri, lupetto nero, una cinghia rossa legata in vita; al collo una semplice collana privata di un qualsivoglia ciondolo.

Posò il suo sguardo suoi mutevoli colori del cielo studiandone il rosa salmone sfumato dall'azzurro dei lapislazzuli, al blu scuro, quasi pece.

Dopodiché si passò una mano ai capelli, sistemandosi un ciuffo castano che insisteva nell'andargli a coprire parte di un occhio smeraldo.

In ogni gesto, Jensen aveva imparato a cogliere intere frasi non dette.

Lo guardava, anche per un solo secondo, e subito vedeva Jared dire con un semplice sguardo “Guardami, non vedi che c'è qualcosa che non va in me?”.

Sorrise, pensando a quanto ingenuo fosse quello che ormai considerava il suo unico legame. Da anni aveva scoperto che cos'era Jared.

Quest'ultimo, non di meno, aveva pensato bene d'insegnargli il mestiere di cacciatore di creature sovrannaturali. Una decisione bizzarra, dato che Jared stesso era uno di quelle.

Ma Jared non sapeva che lui sapeva...

Per anni, gli aveva tenuto nascosta questa sua piccola consapevolezza, celandola dietro un muro invalicabile della sua mente.

« Sei pronto...? » gli chiese Jared, andando verso l'appendiabiti dal quale prese la sua giacca nera, che meglio rammentava un mantello, con tanto d'orologio a taschino.

Se la posò sulle spalle, guardandolo con aria pressoché assente.

Una delle sue espressioni più dure in volto.

Quelle che negli ultimi tempi spesso usava, apparentemente senza un motivo preciso.

Jensen annuì, guardandosi intorno alla ricerca di Zanzi: « Micio micio micio...? Dai che andiamo a vedere il Macbeth! » esclamò tranquillo, senza notare lo strano comportamento del compagno.

Quest'ultimo che già si trovava davanti alla porta che aveva provveduto ad aprire, notò Zanzi uscire  quasi a stento da sotto al tavolo, zampettando con una certa lentezza verso Jensen.

Si passò una mano alla fronte, prendendo a massaggiarsi una tempia con fare frustrato. Sapeva che non sarebbe sopravvissuto ancora a lungo.

« solo se il principino si muove...» provvedette poi a fargli notare con tono di voce seccato, pronto a dargli le spalle ed avviarsi da solo lungo il sentiero che portava al viale principale.

Il viale della “piazza mercato”.

Si guardò attorno, non trovandovi altro che mura datate molti secoli prima.

Poi si voltò, lanciando una rapida occhiata alla casa.

Come sempre si ritrovò a pensare quanto isolata fosse la sua piccola dimora.

Un po' rimandava alla realtà circostante:

chi avrebbe mai avvicinato un essere come lui?

chi avrebbe solo osato rischiare di avvicinare tanta malvagità raccolta in un corpo dalle parvenze seducenti ed eleganti?

Sorrise.

Meglio l'isolamento pressoché totale invece della consapevolezza di dolore altrui.

Il biondo prese tra le braccia  il felino, senza dire nulla mentre si chiudeva la porta alle spalle. In un attimo, fu al fianco sinistro di Jared, un sorriso forzato sulle labbra. Ormai era alto non quanto lui, ma quasi. Di certo, ora nessuno poteva più affermare chi fosse il più giovane tra loro due. In vent'anni, Jared non era cambiato di una virgola, ed ora potevano apparire agli altri come due fratelli.

 

Fratelli...

No, non lo erano, né lo sarebbero mai stati. Non ci voleva nemmeno pensare.

Sospirò, prendendo a pensare dietro il solito muro mentale che frapponeva tra lui e il compagno. Negli ultimi tempi, si era trovato a pensare sempre più spesso a Jared, ma in un modo che nulla aveva di fraterno. Non sapeva definirlo altrimenti se non tensione...Tensione e basta, che fosse ben chiaro.

Si voltò a guardarlo, silenzioso, scoprendovi sul viso un'espressione divertita e compiaciuta. Rabbrividì, facendo un passo indietro:

« Non è come credi! » cercò di giustificarsi, temendo la capacità di lettura del pensiero propria di alcune creature della notte. In definitiva, non sapeva bene di che razza fosse Jared. Almeno su quello era stato abile a non farsi scoprire.

Quello si voltò a guardarlo con cipiglio evidentemente perplesso:

« come? » chiese, sforzandosi di risultare perlomeno pacifico.

In realtà la sua mente vagava altrove da parecchi giorni.

Schiuse le labbra come per parlare ma si bloccò di colpo, scuotendo debolmente il capo. Non era il caso di lasciarsi andare a ricordi troppo melensi pure per lui.

Jensen, rosso in viso, voltò il capo altrove, cercando di rilassarsi.

Non avrebbe mai osato discutere di quei pensieri con lui. Tutto troppo rischioso.

Dopo aver ripreso fiato con un lungo respiro, tornò a guardare la strada davanti a sé, di lontano un via vai di gente diretto proprio dove stavano andando anche loro. Osservò Jared con la coda dell'occhio, chiedendosi solo in quel momento dove avesse la testa. Era da un po' di giorni che faceva così.

Forse perché mancava poco all'anniversario di quell'evento...

Sorrise tirato a Zanzi, accarezzandogli il pelo ormai sciupato.

Una volta raggiunto il teatro presso il quale si sarebbe tenuto lo spettacolo, Jared lanciò un’occhiata rapida all’orologio da taschino argenteo che teneva nella giacca. Erano arrivati giusto in tempo per accaparrarsi i posti migliori, forse.

A quel punto si guardò attorno confrontando i loro abiti non troppo riservati con quelli di tutti i presenti; si lasciò sfuggire un lieve sorriso.

Modestia a parte, erano i migliori.

Avanzò qualche passo verso la biglietteria, sfilando dalla tasca dei pantaloni le monete necessarie per comprare due biglietti in prima fila.

Jensen si guardò attorno per alcuni istanti, prima di mettersi bene dietro al suo compagno. Con una mano, continuava ad accarezzare Zanzi, preoccupato dalle sue flebili fusa. Sembrava sul punto di smettere di respirare da un momento all’altro.

Il biondo guardò Jared, seguendolo una volta entrati nella sala di rappresentazione.  Quello gli indicò un posto a sedere, alla sua destra.

Le poltrone rosse che stonavano con l’ambiente circostante.

A partire dal palco color noce ai tendaggi verde scuro.

Anche Jared guardò Zanzi per un breve istante, preoccupato tanto quanto Jensen.

In fin dei conti, quel gatto, l’aveva accompagnato per 26 lunghi anni.

Senza mai abbandonarlo un solo istante.

Sospirò, allungando una mano ad accarezzarlo dietro alle orecchie con fare perso; del tutto improprio per uno come lui.

L’opera iniziò, le luci divennero soffuse, ed un scrosciare di applausi accolse i primi attori sul palco.

Attento, Jensen, si prodigò ad assistere con attenzione a quella storia, certo che, alla sua fine, Jared gli avrebbe sottoposto il solito questionario didattico, lo stesso che gli aveva imposto per tutti quegli anni.

Per alcuni minuti si mantenne vigile, poi il suo sguardo si posò inesorabilmente su Jared. Il centro della sua esistenza, rifletté, ecco che cosa rappresentava quell’individuo seduto tra molte altre persone.

La sua famiglia, la sua casa…era tutto lì.

In vent’anni, non era cambiato nulla.

Ora, invece, sentiva che qualcosa stava per rompere quell’equilibrio, ed il solo pensarci lo faceva angosciare.

Jared socchiuse gli occhi, per nulla preoccupato di perdersi parte dell’opera che si stava svolgendo su quel palco dalle parvenze lussuose.

Non era la decima volta che lo stava guardando, ma quasi.

Si passò una mano alla fronte, dando improvvisamente l’aria di essere molto, molto stanco. Non si prodigò nemmeno di nasconderlo mantenendo, in questo modo, intatta la sua perenne facciata.

Accarezzò con fare perso il bracciolo della poltrona sulla quale era seduto, arrivando a credere di star man mano impazzendo.

Con il passare dei minuti.

Delle ore.

Degli anni.

Accavallò le gambe, com’era suo solito fare, prima di chiudere totalmente gli occhi lasciandosi trasportare dalle voci degli attori che giungevano alle sue orecchie come un semplice brusio di sottofondo.

Jensen finse di non vedere. Da sempre agiva in tal modo, credendolo l’unico in grado di mantenere l’equilibrio vigente tra lui e Jared.

Detestava tale stratagemma, perché poneva un ostacolo nel loro rapporto, seppur necessario. Guardò il palco: una giovane donna era appena entrata, gemente nel suo recitare. Si chiese perché Shakespeare amasse così tanto la tragedia.

Lui la odiava. Gli riportava alla mente cose che mai avrebbe voluto ricordare.

Il biondo si lasciò sfuggire un sospiro, lasciandosi cadere con il capo sulla spalla vicina di Jared. “Consolami…”, pensò.

Quello respirò a fondo, senza mai aprire gli occhi, mentre passava un braccio dietro la schiena di lui; posando la mano alla nuca del ragazzo che prese a massaggiare con calma alquanto forzata.

Le dita che si muovevano in lentissimi segni circolari, adeguandosi involontariamente al respiro di lui.

Voltò appena il capo posando le labbra sulla testa di lui, baciandone i capelli con fare frustrato.

Poi tornò, almeno in apparenza, a guardare quella recita dalle tonalità decisamente scure che ben si adeguavano al suo attuale umore:

« Ho sempre preferito l’Otello…» commentò, più a sé stesso che ad altri, ritornò a mettersi in posizione eretta e composta sulla comoda poltrona.

Jensen sorrise con aria mesta, cercando di recuperare un briciolo di entusiasmo:

« Perché non ce ne andiamo…?» propose, quasi temendo un’occhiata remissiva da parte del compagno. “Una cosa la si guarda fino alla fine!” , lo sentiva spesso dire.

« Perché ho pagato i biglietti…» rispose invece il moro prima di lanciare un’occhiata rapida al gatto che Jensen teneva fra le braccia.

Improvvisamente i tratti del suo viso indurirono, incapace di nascondere in altri modi ciò che realmente, dentro, stava provando.

E così Zanzi se n’era andato.

Lì, in quel momento.

Come a volerlo avvertire che, prima o poi, sarebbe tornato ad essere accolto dalle braccia dell’amorevole solitudine.

Più prima che poi.

Alzò i suoi occhi smeraldo su Jensen senza aprir bocca.

Non aveva parole, per quell’infame circostanza.

Il giovane non se n’era accorto, sentendo ancora caldo il corpo del felino sulle sue gambe. Annuì diligentemente il capo, tornando a guardare il palco. Non sapeva più quante volte, ormai, aveva compiuto quel gesto.

Guardare Jared, guardare il palco, annoiarsi, rimettersi a guardare Jared.

Con un nodo alla gola, chinò il capo ad accarezzare Zanzi. Rimase angosciato, nel vedere gli occhi di vetro fissi al vuoto, la testa che rischiò di trascinare a terra tutto il corpo del felino.

Trattenne a stento un gemito, portando una mano alla bocca.

Morte, di nuovo.

Terrorizzato, controllò che Jared fosse ancora al suo fianco.

Quello prese fra le sue mani affusolate il caldo corpo del felino che, sapeva, avrebbe rischiato di cadere in giro di pochi istanti.

Si alzò, facendo un rapido cenno a Jensen, pregandolo di seguirlo fuori dalla stanza padronale del teatro.

Una mano che continuava ad accarezzare il folto pelo del gatto, l’altra che lo reggeva quasi fosse stata la cosa più importante su quel pianeta.

Aumentò il passo, sembrando quasi correre fuori da teatro, arrivando nel piazzale davanti allo stesso sotto l’incessante scrosciare della pioggia.

Non gli era mai piaciuta la pioggia.

Lo faceva sentire solo.

Completamente.

Portava solo disgrazie.

Il giovane dietro di lui esibì un sorriso di circostanza a chi li vide uscire con tanta rapidità. Non amava mentire alle persone, ma quello di certo non era un evento come un altro. Anche se la parola “evento” aveva una connotazione fin troppo positiva per ciò che era successo.

Si accostò a Jared, prendendolo per un braccio:« Non riesco a starti dietro…» gli fece notare, ansante.

Avevano già percorso l’intero piazzale di Norimberga, ed ora erano allo sbocco della terza stradina presa da Jared nella sua corsa disperata.

Jensen aveva il fiatone, il sudore che gl’imperlava la fronte come quando rincorreva uno dei suoi bersagli.

Il moro lo fissò negli occhi, quasi con astio:

« Colpa tua, che non ti alleni a sufficienza » sembrò ringhiare, scuro in volto « com’è che pensi di ammazzare un vampiro, un licantropo o qualsiasi altra creatura stando in questo stato pietoso?! » gli fece notare con un cenno del capo, facendo riferimento al respiro accelerato ed al sudore che ricopriva parte di viso.

Jensen rimase impietrito, sentendosi una pugnalata al cuore nell’udire quelle parole tanto cariche di rabbia. Lasciò la presa dal braccio del vicino, guardando il viale acciottolato davanti a loro, nel più completo sconforto: « Non mi trattare così…» protestò, la voce ridotta ad un sussurro.

« Vattene » ribatté soltanto Jared, con voce secca; i lineamenti del viso ancora induriti dalla rabbia che stava per avere la meglio in quell’istante.

Apparentemente.

Realmente era una rabbia controllata.

In fin dei conti, era ora che Jensen se ne andasse per la sua strada.

Guardò il gatto dal pelo ormai umido ancora fra le sue braccia.

Era meglio far tutto.

E subito.

Com’è che si diceva, di quei tempi?

Due piccioni con una fava.

Perso in quei ragionamenti, non si accorse di ciò che aveva appena causato nell’animo del ragazzo ancora al suo fianco.

Jensen lo stava fissando senza alcun sentimento apparente, camminando con le mani in tasca. Aveva un piccolo ciuffo di capelli biondi che gli coprivano la fronte che fino a pochi momenti prima era rilassata. Ora, invece, era talmente corrucciata al punto che con difficoltà qualcuno non avrebbe intuito qualcosa.

« Cosa c’è, hai paura di farmi del male, Jared? » chiese, mettendo molta enfasi nel pronunciare quel nome: « Vuoi eliminare anche me ora, Jared? » continuò, un ringhio gutturale nella gola.

Quello si limitò dapprima a fissarlo con uno strano bagliore nero negli occhi.

Sembrava quasi che la pupilla si fosse dilatata a dismisura ma, in realtà, così non era. Poi incurvò leggermente le labbra in un sorriso alquanto sinistro, specie se stampato su una bocca come la sua: « e se così fosse, Jensen? » chiese con voce metallica, chinando il capo di lato, con il chiaro intento di allontanare quel ragazzo a cui doveva anni della sua tormentata felicità.

Quello avanzò una mano su quella di lui che ancora accarezzava il felino, guardandolo con palese dolore: « Non te lo posso concedere…Jared…» sussurrò.

Il moro lo guardò sorridendo forse di più mentre andava a posare il gatto su un lato della strada, tornando pochi istanti dopo davanti a Jensen allargando le braccia con fare teatrale:  « su, allora. Dov’è la tua pistola? ».

Una mano del ventiseienne andò a raggiungere la pistola che aveva nascosto dietro la schiena, all’altezza della cintola. La sollevò, facendola vedere bene a Jared: « Questa? » chiese, mollando di colpo la presa. La colt cadde a terra con un tonfo metallico, mentre gli occhi del ragazzo andavano alla ricerca di quelli del suo protettore. Del suo maestro. Dell’unica persona che gli interessasse in vita.

« Come sei teatralmente sentimentale e melanconico…» rispose l'altro a quel gesto con finto fare disgustato, scuotendo deluso il capo.

Con uno scatto raccolse la pistola che fece rigirare fra le proprie dita in quei pochi istanti necessari a rimettersi eretto.

Lo guardò, facendo spallucce.

Se la puntò alla fronte, compiaciuto.

« Se non lo fai tu, lo faccio io. E’ sempre stato così e sempre lo sarà. »

Jensen cadde visibilmente nel panico per la seconda volta, scattando a prendere la pistola con entrambe le mani: « Smettila! » urlò, tremante.

Zanzi e Jared?

In un giorno solo?

Dio lo voleva morto fino a quel punto?

Cercò di strappare via la pistola dalle mani di Jared, ma quelle dita non sembravano voler mollare minimamente la presa: « Smettila di fare i tuoi trucchetti da creatura sovrannaturale!» protestò, guardandolo in faccia: «Subito! »

Jared scosse il capo con lentezza esasperante, passandosi la lingua sul labbro inferiore, i canini belli in vista: « Mi hai molto deluso… non si è mai visto un cacciatore… supplicare…? » chiese con fare quasi innocente, portando l’indice al grilletto della colt.

Jensen ringhiò, andando a tappargli la bocca d’impulso con le proprie labbra. Vi mise tutta la sua energia, lasciando perdere la pistola, afferrandolo per le spalle.

Poco importava: se Jared avesse voluto, si sarebbe sparato comunque, anche con lui attaccato alla sua mano nel tentativo disperato di fermarlo.

Valeva di più dire tutto, prima che fosse troppo tardi.

Abbattere il muro che aveva creato nella sua mente, lasciare che Jared sapesse: di quello che provava per lui, di quello che sapeva di lui, degli anni passati a proteggerlo senza conoscere la verità, troppo terrorizzato per comprenderla.

 

Jared rimase immobile come una roccia, gli occhi fissi ad osservare il viso di Jensen così maledettamente vicino al suo.

Respirò a fondo, quasi fosse stato agonizzante.

Quasi stesse bruciando.

E poi uno sparo squarciò il silenzio devastante che li circondava, mentre Jared si accasciava su Jensen senza dire una sola parola.

 

Il battito cardiaco di Jensen aumentò di colpo, ora inarrestabile, mentre tentava di tenere in piedi Jared, vedendo la colt cadere a terra, la presa delle mani di Jared che sembrava esser venuta meno.

Con uno sguardo disperato, guardò il moro, sentendosi squarciare da dentro. Peggio di quando erano morti i suoi genitori, peggio di quando era morto il marito di Ellen, peggio di quei precedenti minuti, in cui aveva perso il suo compagno di giochi di quand’era bambino.

« …ma io sono…» le parole gli morirono in bocca, le lacrime che iniziarono a cadere sulle sue guance.

“…innamorato di te…” avrebbe voluto concludere, mentre sprofondava il viso nella spalla di Jared, confuso, disperato, completamente sotto shock.

« …Che scena… commuovente…» commentò con voce roca il vampiro, gli occhi nuovamente smeraldo fissi sul capo di un Jensen troppo stupido per capire che non si era sparato.

L’aveva messo alla prova.

Non poteva farne a meno.

Lo sentì gemere in modo assurdo, poi i loro occhi s’incontrarono.

Quelli di Jensen  erano già rossi di pianto, le guance rigate di due continui fiumi di lacrime. Gli si dipinse sul volto una smorfia, prima incredula, poi furiosa.

« Oh… il Tigri e l’Eufrate…» commentò allora, ilare, riferendosi a tutte quele lacrime che solcavano il viso distrutto del biondo.

« …TU! MALEDETTO STRONZO! » sbraitò, dandogli un pugno all’addome.

« IO? » chiese ingenuamente, facendo gli occhioni dolci, sbattendo le ciglia un paio di volte soltanto « colui del quale “ti sei innamorato” ? non pensavo di reincarnare il tuo ideale di donna… a quanto pare ti ho cresciuto male…» si passò una mano ai capelli sorridendo ora mestamente, sistemandogli quel ciuffo di capelli biondi che, ancora da prima, desiderava sfiorare con tutto sé stesso.

Il ragazzo lo lasciò andare, dandogli di spalle, cercando invano di asciugarsi il viso, dato che anche i suoi vestiti erano bagnati.

Jared chinò appena il capo fissandogli l’incavo del collo, silenziosamente, prima di scuotere il capo.

Si era smascherato così presto solamente a causa di quello.

Una pulsazione troppo rapida rischiava di dargli la testa e fargli perdere il controllo. Specie se era la “sua” di pulsazione.

Avrebbe voluto rimanere immobile più tempo, per osservare ciò che Jensen avrebbe fatto. Ma gli era stato impossibile.

Il suo viso divenne una smorfia di disgusto mentre tornava a rimettersi in piedi, diretto verso casa, Zanzi già in braccio.

Jensen ora era libero di seguirlo, o meno.

Certo era che avrebbero dovuto parlarne.

Nel caso l’avesse seguito anche dopo la messa in scena di tutta quella tragedia.

Non gli riuscì di carpire alcun pensiero proveniente da lui.

Cosa che Jensen stava cercando di fare appositamente, fin troppo scosso da quel bello scherzo di cui era stato vittima.

Il biondo sentì Jared allontanarsi, e si voltò a guardarlo per un lungo momento.

« Vampiro, insomma…» constatò solo, chinandosi a prendere la pistola. Se la rigirò tra le mani, controllando i proiettili. Ora erano tutti d’argento.

Il primo era sempre di ottone. Non avrebbe comunque causato la morte di Jared, fosse lui stato licantropo o zombie, tanto meno vampiro.

Rise sconsolato.

Era davvero stupido.

Mosse un passo verso Jared, indeciso. Alzò gli occhi a guardare quella figura allontanarsi piano piano, e si affrettò a seguirla. Come aveva sempre fatto quando l’altro lo lasciava indietro.

Jared chinò impercettibilmente il capo, rendendosi conto che il ragazzo lo stava seguendo per davvero. Sorrise mestamente scuotendo debolmente il capo con fare abbattuto. Avrebbero dovuto parlarne per davvero.

Jensen gli era ormai di fianco, lo sguardo chino a terra per evitare ogni sorta di contatto. Stava ancora cercando di mantenere la calma, ed accettare la natura che sempre aveva sospettato di Jared. Ma rendersi conto che i suoi presupposti erano validi lo confondeva non poco. Perso, si arrese al bisogno, andando a stringere la mano libera di Jared, sperando di non essere rifiutato.

Il vampiro alzò gli occhi al cielo rimuginando su ciò che era effettivamente successo poco prima, mentre allacciava le sue dita a quelle di lui.

Un miscuglio fra il caldo vitale e il freddo mortale.

Ripensandoci, si rese conto di essere stato scosso da un brivido, tanto era che non aveva un qualsiasi tipo di contatto con un corpo “vivo”.

A parte quelle misere strette di mano a cui ormai si era abituato.

Respirò a fondo osservando la loro casa avanzare man mano che la loro camminata proseguiva inesorabile.

Non sentì una parola da parte di Jensen nemmeno quando giunsero davanti alla porta. Il biondo l’aprì con le sue chiavi, lasciando la presa delle mani per prendergli il gatto che ancora teneva stretto al petto. Jared lo vide allontanarsi, deporlo in quello che per anni era stato il suo giaciglio, sorridere alla figura ormai priva di vita di Zanzi, alzare lo sguardo su di lui.

Il tutto con una tranquillità e con un vuoto di pensieri proprio solo di un bambino.

Jared richiuse la porta alle sue spalle, passandosi una mano ai capelli bagnati dalla pioggia che solo per un breve momento aveva smesso di cadere.

Una specie di tregua.

Si addentrò nella sua stanza con l’intento di cambiarsi d’abiti:

pantaloni neri e camicia bianca semi sbottonata.

Tornò in sala abbandonandosi al divano pronto per un eventuale discussione.

Pronto per eventuali domande.

Che, a dirla tutta, si aspettava.

Invece, Jensen gli arrivò davanti, sedendosi a terra a gambe incrociate, un taccuino sgualcito in mano. L’aveva visto spesso. Era stato il suo primo regalo per lui. Lo vide aprirlo, alla ricerca di una pagina poco lontana dall’inizio, e poi la voce profonda di Jensen riempì la stanza:

« Oggi siamo andati da Ellen. Fuori era freddo. Jared ha detto che oggi era ilo tergiversario del nostro incontro. Ho pensato che fosse qualcosa d veramente speciale, il tergiversario di noi tre. Ellen sembra non essere d’accordo. Ma lei non è mai d’accordo. Jared la chiama “ Madama controversa”. Madama controversa, appena ci ha visti, ci ha lasciato me e Zanzi con quei suoi due cosi brutti, Jo e Ash. Quelli due non mi piacquono. Dicono che non mi devo fidare di Jared.»

Il giovane girò con calma la pagina, continuando la lettura senza badare di essere ascoltato. Sapeva che Jared era attento. Doveva esserlo.

«Jared quando parla di me con Ellen si irrita. Oggi era irritato. Quindi parlava di me. Mentre parlava con Ellen ho visto due cose spuntare dalla sua bocca. Due zanne, splendenti e affilate.» fece un lungo sospiro, poi continuò la lettura.

« …Ma ho deciso. Io non le ho viste. Non ho visto niente. Jared poi è tornato da me e ha cacciato Ash e Jo in malo modo. Era di brutto umore. Io gli ho sorriso. Lui si è rilassato e mi ha scompigliato i capelli. E’ la verità: io non ho visto niente.»

Accarezzò la nota a piè di pagina, la data riportava il 30 Novembre del 1802.

Guardò Jared, inspirando a fondo: « Un anno dopo che mi hai raccolto, già sapevo che tu non eri umano. E non ho mai detto nulla. Non perché temessi che tu mi divorassi. Non volevo essere abbandonato, né tantomeno volevo abbandonare te. Puoi capire questo?»

Il moro inspirò a fondo, accavallando le gambe di proposito mentre spostava il suo sguardo dal ragazzo al soffitto.

Sentì un grosso peso addossarsi al suo petto ma, al contempo, una grossa parte di quello svanire: « a quanto pare sono stato un pessimo… istruttore? Posso dire di esserlo stato? ».

Socchiuse gli occhi abbandonando il capo alla poltrona.

Addolorato per ciò che aveva causato in Jensen.

L’aveva costretto a mantenere un segreto.

L’aveva caricato di un grosso fardello, a soli sette anni.

Quasi non gemette per la frustrazione di tale consapevolezza.

L’altro richiuse quel piccolo diario, legandogli attorno un laccio di cuoio che teneva unite tutte le pagine ormai prossime a scindersi l’una dall’altra.

Lo posò sul mobile vicino al divano dove Jared sedeva, rimanendo in silenzio.

Quest’ultimo si passò una mano sul viso, nascondendo parte del turbamento che gli aveva causato quella lettura.

Sospirò, storcendo leggermente la bocca, non sapendo come comportarsi in quel preciso istante.

Spesso era così.

E risultava irritante e frustrante al contempo.

Jensen rimase a guardarlo a lungo, poi decise di andare a sedersi al suo fianco, porgendogli una mano con fare disinteressato.

Il moro non la guardò nemmeno, alzando il capo a guardare il muro davanti a lui, massaggiandosi l’attaccatura del naso. Si morse appena un labbro trattenendo l’ennesimo sospiro carico di frustrazione.

«… e dunque, cosa ti aspetti ora da me? che diavolo vuoi, da me? » chiese, serrando la mascella con fare abbattuto.

Sentì una risata carica di amarezza. Sembrava proprio una di quelle pessime situazioni da coppia in crisi.

Jensen sollevò una mano al mento di Jared, facendolo voltare verso di lui:

«…un premio.» disse solo, lo sguardo alle labbra ora diafane del vampiro.

Il moro roteò gli occhi, deglutendo appena nel pensare quale tipo di “premio” avesse in mente Jensen.

Accavallò le gambe nel senso opposto, avvicinandosi al biondo con fare totalmente inconsapevole in quell’istante.

« Vuoi una macchinina giocattolo? » chiese, perplesso come non mai.

L’altro alzò un sopracciglio, poco incline a credere a quella panzana dell’ultima ora: possibile che Jared non ci arrivasse?

E poi sarebbe stato lui il bambino, ma per favore.

Il giovane riflettè solo un istante di più prima di rispondere: « Ormai sarei pronto anche per una vera, se è per quello. Ma no, non voglio una macchinina. » commentò non molto entusiasta.

« E allora cosa? » chiese, incrociando le dita delle mani, preoccupato.

« Dimmelo chiaramente, senza tanti giri di parole, possibilmente. Non sono “in vena” » disse aspramente « di tante cialtronerie ».

Il ragazzo al suo fianco sorrise tranquillo, una scintilla di timore che passò sui suoi occhi prima che desse la risposta.

« Voglio te…» gli riuscì di sussurrare, un nodo già in gola nell’attesa di una risposta negativa.

Jared chinò appena il capo, prima di andare a guardarlo quasi con ovvietà:

« Mi hai già » disse allora, quasi stupito, fissandolo dritto negli occhi con aria ora abbattuta. Il fatto che non arrivasse a comprendere fatti che per lui erano quasi certezze, lo facevano sentire non male, ma quasi.

« Non come vorrei in questo momento, Jared...» sospirò l'altro, passandosi una mano ai capelli, lo sguardo che dava ad intendere più dei gesti quale fosse il senso recondito delle sue parole.

« E come vorresti, dunque? credevo di averti insegnato a esprimerti liberamente con me » ribatté, portando una mano a massaggiarsi nervosamente il collo.

Nel petto un senso di pesantezza maggiore, che lo caricava più della sua capacità di portata. Non avrebbe resistito oltre.

Jensen si passò ripetutamente le mani sui pantaloni, quasi a togliervi una polvere che non c'era. Poi chinò il capo, in modo da poter voltarsi verso Jared, sfiorandogli le labbra con un bacio. Si fermò subito, ritraendosi di poco: « Voglio te...Jared...capisci...?» chiese, catturandogli di nuovo le labbra, la mano posata a quella di lui che reggeva il collo.

Jared strinse con forza la mano libera in un pugno ben serrato, imprimendovi tutta la sua frustrazione mentre si limitava a scuotere il capo con lentezza ineluttabile. Dicendogli che no, non capiva.

O meglio.

Era meglio che non capisse.

Un umano ed un vampiro, per di più dello stesso sesso in un'epoca come quella?

O voleva il linciaggio o, comunque fosse, voleva morire.

Quell'altro lasciò cadere la mano che aveva stretto, allontanandosi con il viso, la morte nel cuore: « Scusami. » gli riuscì di dire a fatica, mostrando un sorriso palesemente falso. Si sedette composto, mani in grembo, a fissare il vuoto.

Il moro si limitò ad annuire, scompigliandogli i capelli con fare amichevole, quasi tentato di provare a spiegare le sue motivazioni più concrete, ma scosse il capo, arrendevole.

Si avviò verso la propria stanza color cremisi, tentando di lasciarsi alle spalle quel trucido scambio di sguardi avvenuto fra loro due nel giro di soli pochi minuti.

Che avevano cambiato pressoché tutto.

Jensen lo lasciò andare. All'inizio non si mosse. Aveva il vuoto più completo in testa. Si morse il labbro, cercando di deviare quel senso di abbandono altrove.

Chiuse gli occhi per un lungo momento e si alzò, diretto verso camera di Jared.

Si posò al stipite della porta, braccia incrociate al petto, guardandolo cambiarsi con aria disinteressata. Un repentino cambiamento sembrava averlo colpito. Pareva intento a guardare non più una persona che amava, bensì tutt'altro.

« Preparo una tisana alle cinque erbe, ne desideri una tazza?» chiese con tono conciliante.

« Mi piacerebbe un bel piatto di ostriche » rispose Jared invece, con aria persa, immaginandosi di già quella vampata d'energia che lo avrebbe invaso. Tutto grazie all'ossigeno contenuto in esse, capaci di epurare il suo sangue.

Il compagno annuì accondiscendente, allontanandosi verso la cucina a fare come gli era stato chiesto. Passo calmo, tranquillo, senza timori.

Jared terminò di vestirsi con pantaloni in pelle nera e lupetto dello stesso colore.

Ai piedi ora calzava un paio di stivali a punta, praticamente nuovi.

Si passò una mano ai capelli castani, come per sistemarseli, prima di tornare in cucina, posando entrambe le mani al tavolo lavorato da un loro amico artigiano.

Fissò la schiena di Jensen, intento a capire cosa stesse preparando:

« le cucini davvero? » chiese, incredulo.

Il giovane si fermò, voltandosi a guardarlo, posandosi con le mani al mobile su cui erano disposte le ostriche che Jared aveva richiesto: « Sì, ma, malauguratamente mi sono tagliato nell'aprirne una... » spiegò con aria tranquilla, portando alla bocca un pollice insanguinato.

Lo umettò, cercando di rimuovere l'evidente liquido rossastro, gli occhi estremamente calmi fissi sulla figura di Jared, come se guardarlo lo aiutasse nel compiere il gesto. Non v'era più nessuna coerenza tra il comportamento tenuto fino a pochi minuti prima.

Quell'altro socchiuse gli occhi cercando, evidentemente, di trovare altra distrazione, che non lo portasse al profumo del sangue di lui.

Indurì appena la mandibola, deglutendo pesantemente nel notare che ogni suo tentativo era chiaramente vano.

Ma non si arrese.

Aprì nuovamente i suoi occhi ancora smeraldo su Jensen, nel notare una lieve striscia di sangue scivolare dal pollice fin sotto la manica della camicia blu.

Si passò una mano alla tempia: « finché si tratta di un simile taglietto, non è nulla di così grave...» disse allora, coraggiosamente.

Jensen chinò lo sguardo, osservando per un attimo la ferita che persisteva nel sanguinare. Leccò via la scia di sangue che gli era sfuggita, poi iniziò a passarsi sulle labbra il pollice con estrema calma: « Mi dispiace...sono stato sbadato.» rispose con scarso entusiasmo.

Il moro nemmeno rispose, intento com'era a deconcentrarsi da tutto quel pulsare attorno a lui: « non devi scusarti con me, semmai dovrei esserlo io che ho lanciato questa pessima idea » spiegò, la voce pacata.

Jensen avanzò di un passo, tra loro il tavolo enorme della cucina. Vi si posò con un fianco, guardandolo con attenzione: « Vuoi assaggiare...?» chiese di punto in bianco, umettando le labbra col sangue per l'ennesima volta.

Jared si immobilizzò per un lungo istante, prima di studiarlo con calma, i lineamenti del viso totalmente rigidi: « no » disse chiaro e tondo, prima di scostare lo sguardo, incrociando le braccia al petto, con l'intento di mettervi maggiore distanza fra loro.

Di scorcio, vide il biondo passarsi la punta della lingua sul labbro superiore, mordendo quello inferiore un istante dopo: « Parlavo delle ostriche, Jared...» spiegò rilassato il giovane, sospirando, un eco di gemito nel farlo.

« E a cosa credevi mi riferissi? » ribatté l'altro, dandogli le spalle, evitandosi, in quel modo, di balzare dall'altra parte del tavolo per afferrare il polso di Jensen e portarselo alle labbra.

Batté nervosamente le dita sul tavolo, l'anello al pollice che aggiungeva un  ticchettio metallico al tutto. Cercò di non pensare al seguito di ciò che avrebbe voluto fare, ridendo debolmente, una mano alla fronte.

Non si accorse dei movimenti di Jensen, ora praticamente ad un passo da lui. Era talmente concentrato a resistere, che una cosa importante come quella gli era sfuggita. Il ragazzo si portò davanti a lui, bloccandolo tra il suo corpo e il tavolo. Senza una visibile via d'uscita.

Jared si bloccò per la seconda volta, nell'arco di quella che stava risultando la più lunga ed estenuante giornata della sua vita.

Non alzò gli occhi su Jensen, ormai resosi conto delle intenzioni dell'altro, evitando ogni contatto possibile. Dagli occhi, al resto del corpo.

Oppure avrebbe potuto letteralmente perdere il controllo che aveva ancora su di .

Jensen posò le mani al tavolo, ciascuna vicina ai fianchi di Jared, ma senza muoversi oltre. Respirava con calma insolita, gli occhi bassi a guardare il poco spazio tra loro. In realtà, non c'era malizia in quel suo agire. Era solo delusione, una forza repressa che chiedeva sfogo e vendetta.

Jared si passò una mano alla bocca, poi all'attaccatura del naso, gli occhi semi chiusi, il respiro evidentemente irregolare.

Il petto che si alzava ed abbassava a velocità prossima ad un attacco cardiaco, se solo fosse stato un umano.

Sentendosi chiuso in trappola, a stento, alzò gli occhi su di lui.

Occhi nei quali già albeggiava un bagliore pericolosamente prossimo al rosso.

La mano tornò ad abbassarsi con eleganza, e la posò sulle proprie labbra, quasi accarezzandole, prima di farla cadere pesantemente lungo il suo fianco.

Oramai era troppo prossimo al limite di sopportazione, ma Jensen voleva davvero tutto questo?

Il ragazzo di fronte a lui volle imitarlo, posando il pollice nell'esatto punto dove prima lui stesso aveva passato le sue dita. Lo guardava con aria vaga, quasi ignaro dello stato in cui Jared versava.

Passò con estrema lentezza tutto il labbro inferiore, guardando solo ed esclusivamente la sua mano sulle labbra di Jared.

Le labbra di Jared.

Il sangue sulle labbra di Jared.

Sorrise, chinando appena il capo di lato, come un bambino che scopre qualcosa per la prima volta.

Il moro schiuse appena le labbra, senza mai rompere quel contatto visivo che aveva tanto voluto non instaurare.

Respirò a fondo, osservando il modo in cui Jensen lo stava, o meglio, si stava osservando. Di riflesso, chinò il capo a sua volta, le mani che graffiavano il tavolo con violenza. L'impulso era di fare tutt'altro.

D'istinto, si passò la lingua sulle labbra, lieve.

E già quello fu un errore.

Il primo di una lunga serie.

Di questo, almeno, ne era perfettamente conscio.

Il sorriso di Jensen sembrò diventare più consapevole, gli occhi che andavano a ricercare quelli sfuggenti di Jared: « Guardami...» gli chiese con voce bassa, premendo lievemente il pollice sul labbro inferiore del vampiro.

Quest'ultimo fece come gli era stato chiesto, più per eco, che per reale consapevolezza di starlo facendo.

Affondò le unghie della mano sinistra nel tavolo, la destra ora al fianco del biondo.

Ora combattuto.

In parte era capitolato.

In parte persisteva nel tentativo alquanto flebile di resistergli.

Gli occhi che lo guardavano erano del consueto azzurro, eppure non sembravano più tanto innocenti quanto li ricordava. Avevano una nota di grigio, che la diceva lunga sul perché Jensen ora stesse prendendo il mento del moro, avvicinando le loro labbra. Il corpo che si lasciava sorreggere in parte dalla mano di Jared.

Quello si lasciò sfuggire un respiro rantolante, nel percepire le calde labbra di Jensen su quelle mortifere di lui.

Anche la mano sinistra andò a posarsi sul fianco corrispondente del ragazzo, con l'intento di attirarlo verso di , seduto comodamente sul tavolo di noce della cucina.

Gli accarezzò le labbra con la propria lingua, concentrato a pulire ogni residuo di sangue rimasto sulla bocca di lui.

Le labbra del biondo non dovevano rimanere che candide.

Caste e pure.

Jensen mugolò contrariato, sentendo di dover alzare il capo per ritornare a baciarlo. Passò le mani intorno al collo di Jared, stringendolo a , quasi nel tentativo nel fondere le loro labbra, inspirando a fondo.

Fu un brivido caldo a smuoverlo, allargando di più le gambe per lasciargli tutto lo spazio necessario a muoversi, piegandosi più verso di lui per fare in modo che quel bacio divenisse qualcosa di più.

Non c'entrava più il sangue ora.

C'entrava invece il calore, le labbra, il desiderio.

La consapevolezza che Jared stesse desiderando lui quanto lo stava desiderando a sua volta, gli fece venire quasi un capogiro.

Jensen schiuse le labbra, approfondendo quel bacio ancor più di quanto non avesse tentato Jared, mentre una mano vagava per i capelli del vampiro.

Il moro raggiunse quella stessa mano, che strinse con forza risoluta nella propria.

Se la portò alle labbra e, nel contempo, riaprì gli occhi che altro non esprimevano se non amore per quella creatura che gli stava davanti.

Amore e desiderio, di averlo tutto per .

Fissò i suoi occhi a quelli di Jensen, mentre le sue labbra baciarono la soffice pelle di lui con fare letteralmente altisonante.

Il ragazzo tradì nello sguardo qualcosa di simile al dolore, ma con una carica di coinvolgimento tale da far comprendere facilmente di che tipo di sofferenza si trattasse. Calmo, in apparenza, avvicinò a sua volta le labbra alla mano che reggeva la propria, senza smettere di guardare il suo mondo.

Jared richiuse gli occhi, mentre le sue labbra prendevano a concentrarsi in un sol punto, l'espressione del volto che non lasciava intuire alcun tipo di emozione.

Passò a leccargli l'indice, poi il pollice in modo chiaramente lascivo.

Un ciuffo di capelli castani che andava a coprirgli parte del viso.

Un brivido percorse tutto il braccio del compagno, quasi fosse stato colpito da una scossa elettrica. Il biondo posò la testa alla spalla più vicina del moro, inspirando a fatica, la presa sulla sua mano che andava aumentando nervosamente. Non c'era bisogno di parole, di sguardi. Jared sapeva esprimere tutto solo con i gesti. Gesti che lo stavano facendo impazzire più di quanto avrebbe mai potuto immaginare.

Jared respirò a fondo, tornando a posare lo sguardo su Jensen che pareva stare per collassare. Sorrise malizioso, allontanandosi il minimo necessario dal ragazzo per sistemarsi quella ciocca ribelle dietro l'orecchio; dopodiché accavallò le gambe, sedendosi composto sul tavolo.

Le mani posate al tavolo grazie al quale si reggeva:

«...tutto qui...?» chiese poi, tranquillo, passandosi la lingua sul labbro superiore.

Quella che stava per attuare era una specie di vendetta.

Niente di personale.

Jensen rimase imbambolato per un lungo momento, come privato dell'aria, senza capire bene cosa fosse successo. Si guardò intorno alla ricerca delle mani di Jared e non vedendole guardò il vampiro emettendo un gemito contrariato: « No! » esclamò sul punto di crollargli lì davanti.

Jared sorrise ilare, alzando appena la gamba in modo che la punta degli stivali andasse ad accarezzargli l'inguine:

«... come no...?» ribatté, passandosi una mano fra i capelli.

Il ragazzo boccheggiò, come alla ricerca di parole sensate. L'unico problema era metterle in ordine: « Mi tenti...tu mi stai tentando! » protestò, cercando di avanzare verso di lui, di toccarlo di nuovo, di prenderlo e non lasciargli più possibilità di fuga.
Il piede prontamente lo bloccò, lasciando tempo a Jared di chinare con estrema lentezza il capo, il solito ciuffo di capelli che tornava a coprirgli l'occhio:

«...ma no... ma cosa dici... » sussurrò sottovoce, alzando poi la testa al soffitto, mettendo così, il collo in bella vista.

Quel semplice gesto, unito all'impossibilità di movimento, provocarono in Jensen un ghigno di pura malignità. Prese la gamba di Jared e la piegò, portandola tra le gambe per poter nuovamente avere in pugno il compagno. Gli prese una ciocca di capelli all'altezza della nuca e lo fece piegare verso di lui, iniziando a giocare con la lingua sull'orecchio destro del moro.

Jared ridacchiò, passandogli una mano sul fianco avvicinandolo a lui per l'ennesima volta. Il ginocchio che si sollevava appena, arrivando a zone  a cui   solo poco dopo avrebbe donato tutta la sua attenzione.

L'altra mano libera ai soffici capelli di lui.

Jensen sembrò apprezzare alquanto il gesto, lasciando che gli istinti si concentrassero solamente a procurare piacere al compagno. Aprì la mano sul collo di lui, massaggiandolo dovutamente con una certa pressione.

« Vuoi ...qui...?» chiese al suo orecchio con un sussurro, senza essere troppo chiaro.

«... Non sarei di certo io ad avere problemi...» mormorò di rimando, attirando il viso di lui al suo con entrambe le mani, mettendovi più foga di prima nel bacio che seguì.

Nel ricambiarlo, Jensen si sistemò a suo piacere sulla gamba di lui, trattenendolo a sé con tutta l'energia che aveva in corpo. Approfondì con malizia il bacio che v'era tra loro, la mano libera intrufolatasi sotto la camicia.

Jared si lasciò sfuggire di proposito un lieve mugolio di piacere, mentre raggiungeva lascivo la mano del compagno che vagava sul suo petto scolpito.

Una volta trovata, vi posò sopra la propria, guidandolo su zone che sapeva essere molto sensibili, tremando e gemendo nel percepire le sue attenzioni.

L’espressione del viso che esprimeva estasi allo stato puro.

S’inarcò verso di lui posando la mano sinistra, quella libera, alla cintola del ragazzo, con la quale giocò a lungo:

intrufolando la mano e toccando zone molto sensibili prima; allontanando la mano e leccandosi le labbra sensuale poi.

Il biondo protestò con un gemito, andando a baciarlo di nuovo, mordendogli le labbra per sfogare la frustrazione che il vampiro aveva provocato in lui. Quasi rabbiosamente, premette con intensità la mano sotto il comando di quella dell'altro: « Letto...» suggerì, la mano libera che massaggiava il freddo collo di Jared con palese bisogno.

Il moro sorrise del tutto a suo agio, prendendolo in braccio in modo tale da non allontanarlo dal suo corpo di per sé ancora interamente vestito.

Camminava con semplice calma lungo tutto il perimetro della casa, le labbra che solleticavano il collo del biondo con costante malizia.

Lo posò a terra solamente una volta entrato nella stanza, della quale chiuse la porta con un semplice movimento di spalle, chiudendola con un tonfo chiaro e netto. E allora, solo in quel preciso istante, tornò a guardare Jensen dritto negli occhi, mentre le proprie mani esperte andavano a denudarsi della camicia che aveva indossato solamente da pochi minuti.

Lo sguardo del ragazzo era miseramente caduto su quei gesti accorti che stavano chiudendo la distanza tra loro. Mugolò, distogliendo lo sguardo per ritrovare un minimo di lucidità. Gesto che non servì a niente, dato che si permise di sbirciare con desiderio quei muscoli scolpiti che facevano capolino dal tessuto.

Jared posò il proprio sguardo su quei stessi movimenti che stava egli stesso compiendo arrivando ad aprire ogni bottone di quell'intrigante camicia.

Respirò a fondo, come afflitto da qualcosa, mentre se la toglieva con calma, lasciando che scivolasse a terra con chiari movimenti calcolati.

Dopodichè tornò a guardare Jensen di sottecchi, appositamente, prima di decidere di parlare con assoluta “discrezione”, posando le mani sulla camicia del ragazzo, con aria quasi disinteressata: «...faccio io...? » chiese in un leggero mormorio, mentre il pollice andava ad accarezzargli la parte di collo scoperta, il capo leggermente chino a studiarlo.

Il biondo chiuse gli occhi risentendo le mani di lui sul proprio corpo. Respirando a stento, annuì, fremente. Non era più in grado di negare nulla, solo di accettare e pretendere, nell'eventualità. Ma Jared pareva così a suo agio, così sensuale...

A quel cenno del capo, il vampiro decise di non attendere oltre, portando le mani al livello del petto di lui cominciando a sbottonarlo con calma assidua.

Avanzò di un passo, arrivando ad aprire i primi tre bottoni prima di intrufolare le proprie mani gelide sulla pelle scoperta che ora s'intravedeva da sotto la camicia.

Si chinò per posarvi le labbra, e poi la lingua, mentre le mani terminavano il proprio lavoro privandolo della camicia con tanto di panciotto senza mostrare il minimo impaccio. Le labbra che ancora vagavano per il petto di lui, ora libero da ogni intralcio. Sospirò lascivo.

Simili gesti fecero rabbrividire dalla testa ai piedi il ragazzo, mentre cercava di rimanere in piedi. Avrebbe voluto crollare a terra, in ginocchio, tanto le gambe faticavano a rispondere. Si aggrappò alla cintola di Jared, poi si fece forza e retrocedette, verso il letto a baldacchino che lo avrebbe salvato.

Il moro lo lasciò retrocedere, limitandosi a seguirlo con calma:

avanzando di un passo mentre Jensen retrocedeva, fermandosi quando Jensen tentennava.

Una volta che lo vide raggiungere il letto, si fece avanti deciso, lo sguardo gentile posato unicamente sul viso di Jensen che accarezzò con una mano, l'altra posata al fianco di lui, che lo aiutò a stendersi su quelle lenzuola in cui troppo spesso stava sdraiato la notte, ad attendere che giungesse il sole.

In attesa che Jensen si svegliasse e venisse a chiamarlo.

A quel pensiero sorrise, andando a mettersi sopra di lui, accorto, per l'ennesima volta. Il ragazzo accarezzò le sue spalle, gli occhi su di lui: era delicato ed impacciato al contempo, come sempre era stato.

Infine Jared lo fissò a lungo, ergendosi sopra di lui, pressoché etereo, quasi un' illusione della mente; le mani che sfioravano lussuriose il petto di lui, gli occhi che facevano lo stesso, lascivi:

« Sicut erat, in Principio... » spiegò in un sussurro allora, maestoso, chinando il viso sulla pelle di lui. Scivolando in basso, sempre più in basso...

Le labbra che giocavano maliziose in zone proibite.

 

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“ E fu sera, e fu mattina. ”

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Entrarono alla locanda, chiacchierando con insolita tranquillità, entrambi vestiti con abiti puliti. Jensen sorrideva, la mano quasi sul punto di stringere quella di Jared. Sembrava maturato, più sicuro di , più rilassato. Si tolse il cappotto lungo e nero, piegandolo sul braccio, porgendo la mano verso Jared in attesa che gli consegnasse il suo.

Jared si volse a fissarlo negli occhi mentre si levava la giacca nera che indossava quel giorno. Gliela porse, ben piegata, prima di sedersi con aria seria a quello che ormai considerava il “loro” tavolo.

Posò le braccia al tavolo, la schiena leggermente piegata in avanti, in attesa che Jensen facesse il suo ritorno.

Gettò uno sguardo ad Ellen, ricevendo in cambio un breve cenno di saluto.

Jensen si sedette giusto in quel momento, muovendo la sedia quel tanto che bastava. Posò le mai al tavolo, sorridendo a sua volta alla locandiera.

Il biondo si sentiva vivo più che mai, in quel momento. Aveva tutto ciò che desiderava. Lo pensava ogni volta che guardava Jared.

Sorrise, rendendosi conto di essere a dir poco inebetito.

Jared unì le mani sopra al tavolo, socchiudendo debolmente gli occhi, una volta accortosi che Jo, la figlia di Ellen, si stava avvicinando al tavolo per prendere le ordinazioni. Si sistemò un ciuffo di capelli mentre quella salutava tranquilla, accostandosi al tavolo, blocchetto in mano:

« Da quanto tempo, messeri...» disse scherzosa, con quel suo solito tono di evidente sarcasmo.

« Da ieri, Jo, non sai contare il tempo? » chiese allibito Jensen, con innocenza innata, mentre portava le mani sotto al mento a guardarla: « Voglio una bistecca al sangue. Non secca come le fai te, quelle sono suole di cuoio.»

Jared si volse a guardare l'espressione ilare di Jo, che scriveva tutto nel suo blocchetto di carta giallastra: « Mi limito soltanto a riprodurre le parvenze del cliente... » disse allusiva « in questo consiste la mia arte. » la sentì rispondere il vampiro. Una risposta a tono, come solo lei sapeva.

Dopodiché la osservò voltarsi verso di lui, negli occhi un'implicita domanda a cui rispose con una semplice scossa di testa. Non aveva voglia di bere quella sera.

Per niente.

« Apposto così' ? » chiese infine la bionda, già pronta a nascondere la penna dentro ad una tasca del piccolo grembiule bianco che teneva legato in vita.

Jensen annuì agitando appena una mano per congedarla, di nuovo concentrato su Jared: « Dopo che facciamo? » gli chiese, curioso.

« Non lo so. » rispose secco ed irritato nel guardare oltre le spalle del biondo.

Pareva di pessimo umore da quando era entrato nella locanda.

Apparentemente senza una motivazione valida.

Il biondo era preoccupato da quello strano modo di fare. Fino a pochi istanti prima erano stati entrambi rilassati, eppure Jared sembrava aver perso la calma.

Avanzò una mano verso la sinistra di lui, quella più nascosta a chi avesse guardato: « Che cosa c'è...?» chiese, sentendosi uno strano peso sullo stomaco.

« Lasciami stare, Jensen. ».

Una risposta immediata, che non gli diede nemmeno il tempo necessario per guardarlo negli occhi. In verità non l'avrebbe guardato comunque, sempre concentrato a fissare alcuni elementi dietro le spalle di Jensen.

Erano tre uomini, due dei quali vestiti con abiti molto eleganti, puliti e curati. Parlavano in una lingua facile da riconoscere: inglese.
Il terzo membro del gruppo si chiamava Klaus, ed era una delle “guide” per i gentiluomini che desideravano visitare la città. Chiedendo in cambio laute ricompense, naturalmente.

Uno dei due gentiluomini si voltò nella direzione in cui sedevano Jensen e Jared, negli occhi una curiosità che risultava fin troppo fastidiosa al vampiro.

Il moro si portò una mano alla tempia, scansando lo sguardo dell'uomo per posarlo su Jensen, seduto davanti a lui.

Non riuscì a reggere lo sguardo di lui.

E nemmeno sapeva il perché.

Controvoglia, si ritrovò a stornare lo sguardo su Ellen, in viso una smorfia sofferente.

La donna sembrava stesse attendendo un simile gesto.

Mise a posto le sue cose, lo straccio e il bicchiere, poi si diresse verso un angolo del locale, come per invitare il vampiro a seguirla.

Jared scosse lentamente il capo, sbattendo nervoso le mani sul tavolo.

Poi si alzò, portando quelle stesse mani in tasca, chiudendo gli occhi per un breve istante come per recuperare la calma che aveva perduto così in fretta, e la raggiunse:

« Dimmi.» la esortò ben poco cordiale, fingendo di non accorgersi delle occhiate che Jensen lanciava loro.

Ellen non fece una piega, gettando un'occhiata a Jensen che si era messo a giocare con la candela accesa sul tavolo. Stornò uno sguardo agli inglesi, sospirando.

« Sono alla ricerca di un orfano che ha perso i genitori. Genitori inglesi, che vent'anni fa avevano ricevuto un importante incarico dalla Regina in persona. Come spie del governo britannico. » spiegò, una mano ai capelli « Klaus ha gentilmente fatto loro notare che il nostro Jensen...corrisponde a questa descrizione. ».

A quella notizia, Jared la fissò in silenziosa contemplazione.

Una calma sinistra che lo invadeva man mano.

Sinistra, fatale e mortale.

La prefazione di un avvenire che, sapeva, lo avrebbe cambiato nel profondo.

Cambiato, deluso e ferito.

Storse leggermente la bocca, gli occhi smeraldo ancora fissi in quelli di Ellen che, accigliata, ricambiava quell'occhiata eloquente.

Poi, infine, il vampiro parlò:

« Klaus...? » chiese con una voce resa roca dall'immediata consapevolezza che lo stava lentamente pervadendo; che lo avviluppava con efferatezza sepolcrale.

Lei annuì, portando le braccia conserte al petto, come per proteggersi dallo sguardo mortifero che il vampiro le stava mostrando: « Klaus...»

Non le lasciò nemmeno il tempo di aggiungere altro, che già la sua imponente figura si stagliava davanti a quell'insignificante omino il quale, evidentemente, era intenzionato a ridurre in brandelli la sua misera esistenza.

Un'esistenza che, a conti fatti, poteva ancora chiamarsi tale solo grazie a quell'unica persona che persisteva nel restargli affianco: « Cosa diavolo vuoi da me, Klaus ?» inveì, rischiando di presentarglisi davanti in tutta la sua essenza vampiresca.

Non notò lo sguardo preoccupato di Jensen a vedere quella scenata. Troppo concentrato sul placarsi, non si accorse che il biondo era ora al suo fianco, curioso e attento:

« Che succede, Jared? » chiese, guardando solo lui, ignorando gli altri, compreso il “Klaus in questione” che sembrava sul punto di avere un infarto.

« Chiedi a lui, giusto Klaus? » ripetè, nero in volto, ben attento a sottolineare minaccioso quel vomitevole nome che i suoi tanto benamati genitori defunti avevano provveduto ad assegnarli. Non aveva nulla contro di loro, ma ora non gli riusciva di vedere in modo diverso quel nome che avrebbe etichettato come “ripugnante” per il resto della sua vita.

Klaus ebbe un tremito ulteriore, cosa che mise ancora più in guardia Jensen. Il ragazzo sospirò, scuotendo appena il capo, ignorando il fatto che i due gentiluomini al tavolo con il bersaglio di Jared lo stavano fissando da quand'era arrivato.

Sorrise, teso: « Klaus, che sta succedendo? Hai fatto irritare Jared. » disse con estrema attenzione, sminuendo appositamente l'evidente e repentino odio del moro al suo fianco.

Fu a quel punto che uno dei gentiluomini prese parola: « Voi siete, dunque, i signor Jared? E voi siete Jensen Ross Ackles,figlio di Evelyn e Jacob Leonard Ackles? » chiese in tedesco, lasciandosi sfuggire un pesante accento londinese.

« Purtroppo si » rispose prontamente il moro, spostando lo sguardo infuriato da Klaus al nuovo interlocutore, ch'era chiaramente interessato a Jensen, l'unica sua ragione di vita.

Forse era banale dirlo.

Era inutile tentare di riassumere con quella frase fatta tutto l'amore e l'affetto che provava per il ragazzo. Ma non conosceva altre parole con cui definire tutte quelle sensazioni che lo invadevano solo nel scorgere sul viso di lui un semplice sorriso.

Dietro di loro, Ellen guardava tristemente il vampiro, cercando di non rimanere troppo coinvolta dall'evidente smarrimento che lo stava portando via. Sospirò: il giorno prima Zanzi, il felino con cui lei l'aveva sempre visto negli ultimi dodici anni, era mancato, per sempre; ora toccava Jensen, il bambino che Jared aveva cresciuto, protetto ed istruito con più amore di un padre.

Guardò il biondo, cercando di capire se avesse minimamente intuito qualcosa. Purtroppo, sapeva che qualcosa l'avrebbe comunque intuito. Il resto, probabilmente, l'avrebbe capito.

Jensen strinse un polso a Jared, continuando a sorridere cordiale: « Non vedo perché due signori come voi siano capitati in una città comune come Norimberga...e per di più, per cercare noi. » disse spiccio, senza tracce di malizia.

Jared, a quelle parole, non si limitò a far altro che fissare attentamente il nobile senza aprir bocca; in attesa che quello parlasse e mettesse in tavola le sue carte.

L'uomo, la pipa accesa, sistemò il tabacco, facendo uscire degli sbuffi di fumo dala bocca: « A dir la verità, siamo qui per voi, signorino Jensen. Siamo parenti. » disse con estrema calma, quell'accento fin troppo pesante che sembrava infastidire Jared ad ogni singola parola.

L'altro individuo, tranquillo di fianco al coetaneo, rise grossolano: « Egli è vostro zio, per la precisione! Suvvia, messer James, non tiratela troppo per le lunghe! »

Jensen, a quelle parole, si sentì invadere da uno strano sentimento. Guardò Jared, come alla ricerca di un appiglio: « Che significa? » gli chiese, in modo che solo lui potesse sentirlo, con un tono di voce impossibile da carpire per nessun altro se non Jared.

Quello socchiuse gli occhi lentamente, senza accennare né ad una risposta né ad una parvenza di movimento che potesse essergli utile in qualche modo.

Le braccia abbandonate ai fianchi e l'espressione del volto indecifrabile, lasciò che quella coppia di uomini davanti a loro proseguisse il discorso appena iniziato.

« Ragazzo mio, sono il fratello di tua madre! Tu sei il suo unico figlio,l'unico sopravvissuto alla strage che ci ha privati di lei. Siamo venuti a riportarti a casa. La tua vera casa. Dove hai una famiglia e persone che ti aspettano.» spiegò Sir James, con una calma pressochè irreale.

Jensen sembrava incapace di spiccicare parola, quindi il gentiluomo si volse verso Jared: « E a lei, la mia famiglia ed io siamo pronti a darvi una lauta ricompensa, nonché un rimborso per tutte le spese che ha dovuto affrontare per mio nipote. » spiegò.

Jared non si mosse di un passo, gli occhi fissi alle spalle dell'uomo, intenti a guardare qualcosa che fosse realmente qualcosa. Invero, il suo sguardo vagava perso nel vuoto, incapace di far altro.

Non aprì bocca, nemmeno per ribattere.

“Ricompensa”.

Una parola che ora gli rimbombava in testa, martellante e dolente.

Una misera ricompensa sarebbe stata l'ultima cosa che gli sarebbe rimasta.

Come sostituto di Jensen.

“Non voglio un sostituto”, si ritrovò a pensare in modo quasi bambinesco mentre lo sguardo vagava su visi che non sarebbe mai riuscito a riconoscere una seconda volta.

La sua memoria già lavorava per cancellare tutte quelle sagome che arrancavano per rovinargli l'esistenza come meglio potevano.

Nel modo più efficace possibile.

Aprì la bocca per provare ad accennare qualche cosa, ma un peso opprimente gli bloccò il petto, impedendogli di parlare o, unicamente, di respirare.

Chiuse gli occhi, non trovando alcun rimedio a ciò che, sapeva, stava per accadere.

Quindi si ritrovò ad abbassare il capo, in attesa che il fato ineluttabile facesse il suo corso.

 

Jensen dialogò a lungo con i due stranieri, chiedendo di sua madre, di suo padre, della sua famiglia. Sir James gli rispose senza esitazioni, soffermandosi sui particolari solo per dare più realtà ai suoi racconti.

Da lui, Jensen scoprì che i suoi genitori erano stati ricchi, un tempo, ma il loro lavoro, piuttosto pericoloso, aveva finito per mandarli alla forca. Erano stati spie governative, avevano lavorato sotto copertura e avevano voluto un figlio fin da giovani. A sentire quelle storie, il ragazzo si rese conto che i loro genitori erano stati davvero esemplari e l'orgoglio lo riempì nel profondo.

Stava persino dimenticando l'altra fonte di gioia, molto più reale e vicina, che lo stava ancora attendendo ad un tavolo del locale.

Jared a quel punto sembrò scostarsi.

Inutile era continuare ad attenderlo lì, impietrito, incapace di aprir bocca o anche solo mettere insieme un qualche pensiero coerente.

Prima di avviarsi alla porta, si lanciò un'occhiata alle spalle, per assicurarsi che Zanzi gli stesse dietro. Poi sorrise amaro, ricordandosi che, ormai, Zanzi non era più là, in quel luogo d'inferno, assieme a lui.

Si passò una mano ai capelli aprendo e richiudendo la porta con un tonfo sordo, scoppiando miseramente a ridere nel scuotere il capo, mentre si avviava verso quella che era stata la loro casa.

Solo.

Di nuovo.

 

Jensen tornò a casa alcune ore dopo, quando ormai il sole faceva capolino dietro le montagne. Era allegro, cantava uno dei motivi di Beethoven: la notte passata gli aveva portato davanti agli occhi una parte della sua vita che aveva perso molti anni prima. Si guardò attorno, alla ricerca di Jared. Sulle prime non lo vide, così andò a cambiarsi, indossando dei comuni vestiti, quali pantaloni neri e una maglia trasandata dello stesso colore.

« Jared, ma ci sei? » chiese alle stanze vuote, esitante.

Quello nemmeno rispose, seduto davanti alla finestra, lo sguardo perso a guardare ciò che non v'era fuori, in attesa dell’oscurità della notte ch’era prossima.

Il petto si alzava ed abbassava, di tanto in tanto, al ritmo del suo respiro.

Jensen lo trovò solo andando per esclusione, quando giunse in salotto.

Lo guardò, senza capire perché fosse esposto ai raggi del sole. Gli si avvicinò con calma, abbracciandolo da dietro: « Rischi di scottarti se stai qui...che stai facendo?» gli chiese con aria malinconica ed estremamente preoccupata.

La gioia poteva svanire facilmente, davanti alla sofferenza dell'unica persona che amava con tutto sé stesso.

Jared non rispose nemmeno quella volta, sentendosi improvvisamente sfinito.

Anche se avesse voluto, già sapeva che da quelle labbra non sarebbe uscito alcuna parvenza di suono, tanto sentiva la propria bocca arida.

La gola secca.

Il petto estremamente pesante, caricato di un peso che non poteva sopportare da solo.

Ed i suoi occhi vacui che attendevano soltanto ciò che sapeva per certo sarebbe successo. Non aveva il minimo dubbio a tal proposito.

Si mosse soltanto per portare una mano al proprio petto, come per ordinargli di calmarsi e lasciarlo respirare, liberandolo da quel macigno che si stava portando appresso solamente da poche ma infinitesimali ore.

Vide, tra le nebbie ormai dense davanti ai suoi occhi, che Jensen andò a portare una mano nel medesimo punto, calmo, controllato, come se nella sua mente non ci fosse nessun turbamento, nessun rimpianto.

« Sai, Jared...» gli sentì dire « Sir James, mio zio, ha detto che potrei andare con lui in Inghilterra, per conoscere la mia famiglia. Ha detto che c'è molta gente che vorrebbe vedermi, ci crederesti?» rise. Rise, quel bambino troppo cresciuto.

Il peso al ventre aumento ancora di più, mentre Jensen continuava il suo discorso « Sarebbe cosa breve, tipo un annetto, niente più. Così potrei essere registrato come vero cittadino, un bene per me. Sono sempre vissuto col terrore che ci fermassero e ci chiedessero i documenti. Però non mi va molto di lasciarti da solo.»

Il moro lasciò sbattere il capo contro lo stipite della finestra.

Non lo fece apposta, solamente era stato privato di ogni voglia d’esistere.

Di vivere lì, in quel preciso istante.

Socchiuse gli occhi, ritenendo inutile sforzarli troppo per tentare di vedere oltre quella vacua fissità che lo aveva accolto.

Gli parve di essere colpito da un' ondata d'odio puro per quel ragazzo che tanto a lungo gli era stato appresso. Ma chi era lui per impedirgli di partire?

Lui stesso, soltanto il giorno prima, l'aveva spronato ad andarsene:

a cercare una casa, una famiglia, ad avere figli.

Ma in una notte tutto era cambiato. In peggio, per lui.

Quella stessa mano che fino a poco prima sembrava sorreggergli il petto, risalì al viso, nascondendolo ad altri.

Non disse nulla.

Non ancora.

Jensen era troppo su di giri per rendersi conto di quello che gli stava realmente accadendo. Credeva che fosse semplicemente stanco, come l'aveva visto altre volte. Si morse il labbro inferiore, andando davanti a lui: « Mi stai ascoltando Jared? Ho detto che non voglio lasciarti solo. Specie ora che Zanzi non c'è più.» disse deciso, cercando i suoi occhi.

Il vampiro serrò la mandibola, cercando di darsi un minimo di contegno.

Ma non scostò la mano dal proprio viso, si limitò solamente ad aprire la bocca il minimo necessario per parlare, ma tutto quello che ne uscì fu sospiro graffiato.

Al sentirsi ridotto in quello stato per un ragazzino simile, che prendeva tutto alla leggera, s'infuriò con sé stesso, ritrovandosi ad urlare poco dopo:

« E vorresti chiedermi di venire con te, giusto!? ».

Jensen sobbalzò, facendo un rapido passo indietro, spaventato da quel suono  aspro e violento. Guardò il vampiro con occhi terrorizzati, cercando di frenare i battiti del cuore che avevano preso a correre all'impazzata.

Annuì,e fu l'unica cosa che gli riuscì di fare.

« Non verrò. » fu la sola risposta decisa del moro che tornò a posare lo sguardo al paesaggio fuori dalla finestra « Vattene da casa mia. » terminò quindi, faticando a ripetere quelle stesse parole che gli aveva urlato contro il giorno prima.

Raccolse un ginocchio contro il proprio petto, posandovi la fronte con fare frustrato e sofferente, incapace egli stesso di credere a quelle parole dal tono tanto duro ch'erano appena uscite dalle proprie labbra.

Evitò così di vedere qualcosa rompersi in mille pezzi, lì, in direzione di dove aveva urlato.

Gli occhi di Jensen si erano spenti d'improvviso, dopo aver ricevuto l'ennesimo ordine di andarsene. Possibile che la notte precedente per Jared fosse stata meno che niente? Impossibile.

Il ragazzo si fece forza, cercando di non far capire quale lotta interiore lo stesse consumando. Non voleva andare. Ma non voleva nemmeno non andare.

Si sentiva confuso e spaesato. Aveva sperato che Jared stesso gli dicesse “Vengo con te, che domande ti fai?”, eppure quelle piccole speranze erano andate distrutte proprio in quel momento. Riluttante, avanzò una mano, solo quella, verso Jared, in una tacita richiesta accompagnata da una semplice parola:

« Vieni...».

Il vampiro nemmeno alzò il capo a guardarlo, limitandosi a restare là, inerte ed immobile, seduto davanti una delle tante finestre del salotto che s'affacciavano sul viale principale di Norimberga.

E lì rimase.

Da solo, come sarebbe sempre stato d'ora in avanti.

 

Partì il giorno dopo, senza nemmeno guardare verso il salotto.

Aveva ancora gli occhi rossi di pianto, quando giunse alla stazione.

Sorrise a suo zio, senza dare spiegazioni sulle sue condizioni.

Si limitò a dire che “ Ormai non aveva più niente a Norimberga.”

Bugia.

Bugia.

Tremenda bugia.

 

 

Fine secondo capitolo

Commenti delle autrici:

 

Dark

Jared, Jared... il buon vecchio Jared...poveretto...*me piange*

Io stessa, la manipolatrice di quest'ultimo personaggio, non fatico a dire che, caratterialmente, è del tutto OT.  Forse sono i personaggi di secondaria importanza che ruotano attorno ai due protagonisti, come Ellen e Jo, appartenenti alla serie di SPN, che mi danno quest'impressione...

ma credo che se lo avessi chiamato “Sam”, “Sammy”, sarebbe stato DECISAMENTE meno OT.

Ma anche molto meno HOT X3 (oh, man! Che giuoco di parole =P )

Il nome stesso, in sé, Jared Tristan Padalecki, rimanda con più facilità ad una creatura della notte...( a mio parere! )

e riesce a comunicarmi più senso di forza...

più MISTERY...

Oltretutto, perdonatemi... ma il vamp è sempre quello che continua a farsi seghe mentali nel riflettere riguardo la propria vita, il senso della propria esistenza...

e non mi riesce di farlo troppo diverso e quindi sulla stessa linea caratteriale del vero Jared X3 sennò mi risulterebbe troppo  poco vamp! O.o (?) X3

Quindi ciucciatevelo (?!) così com'è!

Baci8

 

Yami

copio e incollo da Dark.

e ci aggiungo una cosa...

BUAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH! ç____________________ç

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Missing My Soul ***


Titolo: Innocence (Avril Lavigne©)

 

Titolo: Innocence (Avril Lavigne©)

Autrici: yami_x_dark

Parte: 3/4

Rating: nc17, AU

Paring: J-squared ( Jensen Ross Ackles x Jared Tristan Padalecki)

Disclaimers: i personaggi qui presentati sono maggiorenni ed ogni riferimento a cose, persone o fatti è puramente casuale.

 

 

Dark: Vediamo un po’ di commentare…

In questo capitolo non ho fatto praticamente nulla poiché il personaggio che manovro è Jared esclusivamente…

Quindi tutti i meriti vanno a Yami ^^’

Mi sento un po’ esclusa ma vabbè…

Enjoy!

 

 

INNOCENCE

 

Capitolo tre

Missing my soul

 

 

 

Londra, dal 1819 al 1825

 

 

“Sir James oggi mi ha condotto dalla mia presunta nonna paterna.

E' una vecchia bagascia, dovresti vederla.

Puzza di vecchio, come il gufo impagliato che abbiamo regalato ad Ash il natale scorso. Per il resto, sembrano molto gentili, entusiasti ad avermi in casa. Per quanto io mi sforzi, la cosa non risulta reciproca. Mi manchi. E sono qui solo da un giorno.”

 

“Qui il cielo è sempre grigio.

Mi portano in giro da una casa all'altra, e quando esco vedo solo nuvole in cielo. L'Inghilterra è noiosa. Sembra di essere in un mondo prossimo al declino, dove di lontano puoi scorgere il fumo delle fabbriche fondersi con i nembi. E la signora nonna non sopporta il mio accento tedesco. Ti prego, vieni e portami via da qui.”

 

“Ho mandato una lettera ad Ellen, qualche giorno fa.

Mi è arrivata oggi la risposta.

Le ho chiesto di venire a trovarti, in modo da vedere se ricevi la mia posta. L'ha trovata davanti alla porta di casa. E ha trovato te davanti alla finestra. In pieno giorno.

Jared...non fare cavolate...e vieni a prendermi...”

 

“Sono passati due anni.

Non mi hai mai risposto.

Anzi, ormai ho capito che neanche leggi quello che scrivo.

Più cerco di venire da te, più la situazione qui in Inghilterra si complica. L'industria della famiglia di mia madre è nel caos più totale, tutti mi supplicano di non partire.

Ma mi manchi...

Vorrei che leggessi queste stramaledette lettere.

 

“Non ne posso più di tutte le pretendenti che mi guardano come fossi una bistecca al sangue appena uscita dal braciere.

La signora nonna continua ad invitarmi a feste assurde di persone che nemmeno mi conoscono, ma che conoscono bene gli averi della  famiglia a cui mi sembra di far parte sempre meno.

Vorrei una polenta col sanguinaccio, di quelle che mi faceva Ellen quand'ero piccolo. Mi sono sempre chiesto che cosa pensavi di quel bambino che andava matto per quella sbobba.

Magari mi sentivi più vicino a te, visto che avevamo tutti e due quella latenza verso il sangue.

Un giorno provalo con la polenta, ti assicuro che non è male come sembra.

Ma non provarlo senza di me...

 

Sento la tua mancanza ogni giorno.

Ogni giorno, ogni notte.

Ogni volta che mi sveglio.

Ogni volta che mi addormento.

Quattro anni di lettere mai lette.

E tu non sei ancora qui.”

 

“Continuo a fare il cacciatore, quando riesco a fuggire dal controllo di questi pazzi borghesi.

Qui è pieno di vampiri e lupi mannari, basta girare l'angolo e te ne trovi uno davanti. Non sanno neanche difendersi, a volte non c'è proprio gusto. A quanto pare vengono in Inghilterra perché ci sono ben pochi cacciatori, dato che il trasporto di armi per strada non è visto di buon occhio. Anzi, rischio la cella ogni qualvolta esco con la colt. Ma non me ne può importare di meno. Chissà, magari se la combino grossa mi esiliano e mi mandano a casa. A Norimberga.

Da te.”

 

“Vorrei che qualcuno si accorgesse di ciò che provo.

La signora nonna è morta, ma sir James è peggio di lei.

Avvolto in questa tristezza languida, nessuno pare rendersi conto che la causa di questo mio sentimento sta dietro alle proibizioni che mi vengono imposte anno dopo anno, giorno dopo giorno.

Non voglio più che tu venga qui.

Voglio essere io a tornare da te.

A tutti i costi, lo farò.”

 

“Hanno di nuovo bloccato i trasporti esteri.

Nessuno può entrare, nessuno può uscire.

Io non posso venire da te.

Tu, se fosse tua volontà, non potresti venire da me.

Persino la posta, dicono, viene controllata, di questi tempi.

Ormai sto impazzendo.

Mi manchi.”

 

“Stanno creando un equilibrio, finalmente.

La nascita delle Trade Unions sembra promettere bene.

A volte mi chiedo se qualcosa in te sia cambiato.

Ma la domanda è scontata.

Pressoché stupida.

Io ho portato via ogni tuo sorriso.

Io ho rubato la tua felicità.

Io ti ho privato della vita.

E in questi cinque anni, ti giuro che non mi sono mai ripreso ciò che io ho lasciato a te.

Io ti ho portato via la vita.

Ma tu ti sei tenuto la mia anima.”

 

“Hanno riaperto i trasporti.

Zio James è morto.

Nella luce opaca di questi giorni,

nell'umidità di ogni giorno,

trovo rinnovata speranza.

Posso tornare.

Tornare a casa.

Con la speranza che tu mi voglia ancora accanto a te.

Ti amo.”

 

“Ti amo.

Ti amo e sto tornando da te.

Sto bagnando pagine solo per dirti che sto tornando.

Ti amo.

Voglio urlarlo ai quattro venti.

Voglio che tutti lo sappiano.

Anche se tu non hai mai detto cosa porti nel cuore per me.

Ti amo nel modo più egoistico che possa esistere.

Ti amo anche se so che ho distrutto la tua esistenza.

Ti amo perché sei mio.

Mio, mio, mio.

E nessun altro ti può dare la felicità.

Solo io.

Solo io posso distruggerti e rimetterti in sesto.

Tu non hai bisogno di nessuno, se non di me.

Io non ho bisogno di nessuno, se posso stare con te.

Sto tornando.

Torno da te, e sto scrivendo una valanga di cazzate.

 

 

 

 

Fine terzo capitolo

 

Dark: vediamo di fare un po’ di pubblicità occulta X3X3

Se vi piace il nostro stile, perché nob leggere anche il resto?? X3

Consiglio vivamente –Shadows of Death- un originale trattante di tematiche vampiresche, oh yeah!!

Ed ora passiamo ai ringraziamenti X3

 

Desme: che bello aver qualcuno che legge e commenta pure….

Mi sento commoshaaa!! Ç____________ç

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Capitolo 4
*** Future ***


Titolo: Innocence (Avril Lavigne©)

Titolo: Innocence (Avril Lavigne©)

Autrici: yami_x_dark

Parte: 4/4

Rating: nc17, AU

Paring: J-squared ( Jensen Ross Ackles x Jared Tristan Padalecki)

Disclaimers: i personaggi qui presentati sono maggiorenni ed ogni riferimento a cose, persone o fatti è puramente casuale.

 

 

INNOCENCE

 

Spesso mi ero ritrovato ad udire discorsi ingannevoli sullo “passare del tempo”, sul “significato della vita” e sull’ “ingiustizia della morte”.

E con altrettanta frequenza coglievo frasi come:

Vivere è soltanto una truffa, se poi si perisce”.

Quelli erano i pochi concetti che riuscivo a captare nei miei rari momenti di lucidità contemplativa:

sempre seduto presso quella finestra, sempre immobile, sempre perso a fissare l’orizzonte più lontano in attesa di un qualcosa di cui nemmeno ero consapevole.

Un orizzonte invisibile ad altri occhi, se non ai miei.

E solo allora mi scoprii di pensare:

 

Possederla, cotal ventura ”…

 

(Jared Tristan Padalecki, 1825)

 

Capitolo quarto

Future

 

Ritornava allora novembre, portando i primi, veri, acquazzoni autunnali; deciso a lasciarsi alle spalle gli ultimi tanto sospirati caldi.

Nelle vie intrinseche di Norimberga v’era sempre il solito via vai di mercanti e fattorini, pronti al prossimo giorno di mercato che avrebbe portato buoni frutti ai venditori, e meno soldi agli acquirenti che si lasciavano abbindolare con troppa semplicità.

Un giorno come tanti altri, a dirla breve, che nulla pareva avere di diverso da quelli precedenti.

Il cielo era limpido, chiazzato solamente da piccoli batuffoli bianchi che nulla sembravano voler preavvisare.

Nonostante il sole fosse alto da un pezzo, l’aria non s’era riscaldata per nulla, ricordando a tutti il gelido velo notturno che la mezzanotte si portava appresso.

(si noti, che mentre la Darkina scriveva tutto ciò…la Yami faceva un incidente…ndYami)

Sotto quei raggi, un giovane scese dal treno appena giunto in stazione, portando con sé due borse evidentemente ricolme. Alzò il capo alle vie di Norimberga, cercando di ricordare dove portasse ogni strada, ogni ponte, ogni vicolo buio.

Si diresse verso una locanda, entrandovi con passo deciso, sedendo al banco.

Posò le borse ai piedi dello sgabello, guardandosi intorno, ritrovando un lembo del suo passato. E pensare che gli era parso così lontano, fino a pochi giorni prima.

« Desidera qualcosa, Mr.Barbetta? » chiese allora una voce a lui conosciuta alla sua destra. Sorrise, voltandosi verso Jo con aria divertita: « Oh, ciao, tavola. » ironizzò, tranquillo, colpendola con l’indice sotto il naso.

« Di sicuro sono molto più ben messa di tante altre » disse lei sorridendo di sbieco, roteando la penna fra le dita affusolate della sua mano destra « o, per meglio dire, di quelle povere cagne che possono esserti arrivate a tiro…» il suo sorriso si allargò.

« Qual parlata scortese, la tua. Devo forse avvisarti che finora ho vissuto in casa di una nobile famiglia, la cui nobiltà traspariva da ogni petto a me vicino? » propose sardonico il biondo, tornando a guardarsi intorno.

« Nessuno ti ha obbligato a tornare in questa topaia » ribattè lei a tono,posando lo sguardo al blocchetto che teneva in mano « desidera qualcosa, messere?» aggiunse allora, ironica, tentando di imitare a malavoglia quei nobili aristocratici che tanto odiava.

« Jo, fai cagare come attrice. » rise Jensen, passandosi una mano ai capelli con aria plateale « Guarda che nessuno ti sposa se fai così…anzi…rischi di ricevere proposte indecenti! » aggiunse, dandole una pacca sul sedere.

« Quello è l’intento » rispose lei ammiccando « ma non entrerai mai nelle mie mutande! » ghignò battendo appena la penna sul blocchetto,in attesa delle ordinazioni « Bentornato, comunque…».

Lui la guardò divertito, reclinando appena il capo: « Sì, sono bello e sono tornato…e a me non piace il tuo buco nelle mutande…Ellen dov’è? » chiese falsamente innocente.

Jo si fece quasi subito seria guardando altrove, tentando di far finta di nulla «…credo sia a pulire ancora quella…casa…» disse sul vago, osservando un cliente entrare dalla porta del locale con fare spavaldo. Sorrise divertita, cercando distrazioni.

Jensen si alzò immediatamente, prendendo rapido le borse: « Allora io vado, ci si vede ragazzina. » disse calmo, andando senza troppe complicazioni fino alla porta.

« Non credo… sarai il benvenuto…» avvertì lei tornando al bancone rapidamente « e comunque sono pochi anni più giovane di te. Non secoli.».

Lui fece spallucce ed uscì, senza dare risposte. Si guardò attorno, attento ad ogni particolare. Una volta certo di non essere seguito, si diresse tranquillo verso la sua meta, cercando d’ignorare la stretta allo stomaco che voleva bloccarlo ad ogni passo.

Davvero non l’avrebbe considerato il benvenuto?

Sospirò, senza trovare risposta.

Non poteva negare che Jared avrebbe avuto tutte le ragioni per rifiutarsi di vederlo.

Temeva che tutte le lettere da lui scritte non gli fossero mai pervenute, il che era strano, ma forse non impossibile.

Si guardò attorno, finchè non riconobbe l’edificio che stava cercando.

Sembrava vecchio.

Nei suoi ricordi non era così grigio.

Sospirò per l’ennesima volta, entrando nel giardino. L’erba era cresciuta in modo disordinato, la polvere ricopriva le statue in pietra, le rose s’arrampicavano l’una sull’altra, come nel tentativo di sopravvivere. Andò a suonare al campanello, evidentemente nervoso.

Sentì un passo  disordinato, leggermente strascicato dalla gamba destra, e il vociare basso di una voce femminile. Ellen, si disse all’istante.

Jared non si sarebbe nemmeno fatto sentire. Anzi…

Si voltò, guardando nuovamente la flora attorno a lui.

Jared non avrebbe mai permesso uno scempio del genere nel suo giardino.

« Cazzo…»

La porta si aprì, facendolo sobbalzare.

« Che belle parole…Jensen?» chiese un’Ellen chiaramente invecchiata, mettendolo a fuoco con la vista come se non l’avesse mai visto prima.

Lui sorrise teso, annuendo: « Posso entrare? » chiese esitante, cercando di guardare al di là della porta.

Lei rimase un attimo ferma, poi reclinò appena il capo: « Credi di poter entrare? »

La domanda lo colse in fallo, facendolo sbilanciare su una gamba: « …Boh..?»

Ellen scosse il capo, facendosi da parte: « Davanti alla solita finestra…» annunciò, dileguandosi in una delle stanze della casa.

Jensen esitò, bloccando con una mano la porta che tentava di chiudersi.

Già…

Poteva entrare?

Rise sottovoce, teso, la spavalderia prima dimostrata che andava a farsi friggere.

Entrò senza farsi troppe domande, consapevole che, in caso contrario, avrebbe subito la pressione dei sensi di colpa e sarebbe fuggito, tornando dove non aveva niente.

Niente d’importante quantomeno.

Si chiuse la porta alle spalle, sentendola cigolare in modo indecente. Guardò i cardini, chiedendosi se Jo avesse intuito bene. Cioè…davvero Ellen teneva in ordine la casa?

Sbirciò fuori della finestrella di fianco la porta, lasciandosi sfuggire una risata ben poco convinta: « Sé, va là…» commentò, diretto verso il salotto.

Giunto alla porta di questo, esitò, bloccandosi per l’ennesima volta.

Posò le borse a terra, rendendosi conto che Ellen non gli aveva neanche dato il bentornato.

Si voltò a guardare verso dov’era sparita, un indice davanti le labbra, i lacrimoni da bamboccio che gli cadevano dagli occhi: « Quella vecchia bagascia…» piagnucolò.

“ Smettila e affronta questa dannata porta.” S’impose, tornado serio.

Quasi con timore, abbassò la maniglia, spalancando la porta con un leggero spintone.

Non ebbe bisogno di cercarlo con lo sguardo.

I suoi sospetti erano più che fondati.

Lui stava ancora la.

Stessa posizione, stessa espressione, stessi vestiti.

Oh beh, un po’ più sciupati in effetti.

“Smettila di cazzeggiare Jensen.” Disse la voce nella sua testa.

La pelle era più scura, come abbronzata.

La luce del sole lo stava colpendo direttamente in viso, ma lui non sembrava nemmeno rendersene conto. I suoi occhi erano vacui. O meglio… come se fossero stati ricoperti da una patina biancastra.

I capelli ricadevano malamente davanti al viso. La lunghezza era sempre la stessa.

Sembrava morto.

Jensen si passò una mano ai capelli, chinandosi appena a prendere una cosa dalla borsa di sinistra. Mise le mani in tasca, camminando con calma verso il suo passato.

Quello non si mosse nemmeno.

Tristemente, il biondo gli si mise davanti, in ginocchio, osservandolo con attenzione.

Era, nel complesso, proprio come lo ricordava.

«…ciao…» gli uscì dalla bocca, senza nemmeno riflettere.

Jared non accennò nemmeno un movimento. Né del capo, né degli arti, tanto meno delle labbra. Nemmeno un sussurro.

Immobile come una statua.

Una statua da stupro.

Jensen si lasciò scappare una risata idiota, bloccandosi di botto rendendosene conto.

Corrucciò lo sguardo, distogliendolo per un attimo da Jared.

Ma…stava bene?

“ Mi sa che l’aria è troppo viziata. Sì,probabilmente è quello…” sollevò di nuovo lo sguardo sul moro immobile davanti a lui “…Tuuu viziiiiii l’ariaaaaa….!” Pensò, con l’intensità di chi tenta un contatto telepatico.

Lo stava facendo di nuovo.

Sbuffò, passandosi una mano ai capelli.

« Sono pazzo…» si disse, alzandosi bene in ginocchio, iniziando a studiare meglio il vampiro davanti a lui.

Corrucciò lo sguardo su quello assente di Jared, andando a frugarsi nelle tasche.

Estrasse una piccola ampolla, di quelle che si usano in laboratorio, e si avvicinò leggermente, versando alcune gocce in quegli occhi: « Un po’ di estratto di rosa canina dovrebbe rimediare…» disse sospirando platealmente.

L’altro scattò in piedi,malfermo,ringhiandogli qualcosa d’incomprensibile contro.

La voce bassa e roca, mentre si dirigeva come poteva verso quello che, ricordava, doveva essere il bagno.

Aprì il rubinetto, sciacquando gli occhi nervosamente.

L’equilibrio che minacciava di venir meno da un momento all’altro.

« Che credulone…» ridacchiò Jensen, posato tranquillamente allo stipite della porta: « Me lo ricordo che i vampiri non vanno d’accordo con quella pianta, sai?» accennò, guardandolo attentamente, molto più rilassato di prima.

« Vattene » disse l’altro allora, traballando pericolosamente indietro di alcuni passi, reggendosi con una mano al muro di quello che, una volta, era stato un bagno.

Alzò lo sguardo su Jensen, ancora vuoto, le zanne in bella vista.

« Anch’io sono felice di vederti. » rispose il biondo, incrociando le braccia al petto, ritornando serio all’istante.

« Parla per te » disse con voce spenta Jared, tornando con passo malfermo verso quella che era stata la sua sedia per quattro lunghi anni.

Chissà perché poi stava sprecando tutto quel fiato per…lui…dopo non aver aperto bocca per anni.

Il biondo lo seguì, senza fare commenti finché non lo vide seduto.

Prese una sedia e gli si sedette davanti, facendogli vedere la scritta sull’ampolla:

« Collirio alla camomilla, malfidente…» spiegò con un mezzo sorriso, prendendo con due dita una goccia che gli percorreva la guancia.

Jared si limitò a ringhiare per l’ennesima volta, senza mai posare lo sguardo sul biondo, timoroso della sua stessa reazione. Il solo sentire tutto quel profumo attorno lo stava inesorabilmente mandando via di testa…la fantasia che viaggiava frenetica davanti a sé. Era dunque meglio evitare ulteriori complicazioni.

O avrebbe realmente rischiato di ammazzarlo.

Jensen si guardò intorno, passando in rassegna gli oggetti presenti nella stanza. Poi allungò una mano ai capelli di Jared, tranquillo, togliendogli un po' di polvere di dosso:

« Dovresti cambiarti, sai...? » accennò, reclinando il capo verso sinistra, per niente toccato dai ringhi che l'altro gli rivolgeva.

«Affari miei quello che devo e non devo fare» ribatté gelido asciugandosi il volto con la propria mano stornando poi lo sguardo alla finestra al suo fianco, in attesa del tramonto.

“Che parlata.” si ritrovò quindi a pensare.

Il biondo sospirò, poi s'inginocchiò davanti a lui, in silenzio, alzando leggermente lo sguardo su Jared: « Parla ancora, angelo luminoso...» sussurrò in una leggera supplica.

Jared finì per fissarlo con un moto di rabbia che cercava sempre e comunque di contenere. Gli occhi che tornavano man mano ad assumere la loro tipica tonalità smeraldo, nonostante la furia che li soverchiava.

Il ragazzo davanti a lui si strinse nelle spalle, sfoggiando un sorriso disperato: « E' un male voler sentire la tua voce, dopo tutto questo tempo..?» chiese flebile, chinando il capo a terra.

«Si» rispose soltanto il moro, serrando la mandibola.

Gli arti rigidi che stavano ad indicare tutta l'inflessibilità che in quel momento lo caratterizzava più di ogni altra cosa.

Era sempre stato così.

Testardo fino al midollo.

« Parla ancora...» lo pregò l'altro, sfregandosi le mani. Si sentiva felice e ferito al contempo. Chiuse gli occhi, sospirando nel tornare a fissarlo: «...Ti prego...»

Jared serrò la mano destra in un pugno sopra la sua gamba, gli occhi rivolti ora al soffitto, come se la parole da lui pronunciate non lo toccassero minimamente. Si sentiva un estraneo in quel frangente. Completamente tagliato fuori:

« Comincio ad essere stanco dei tuoi capricci... vai...vieni quando ti fa più comodo... poi vai un'altra volta...ed infine torni...con la pretesa che tutto sia uguale a prima» si passò una mano ai capelli con aria ora disperata «comincio ad essere stanco...» ripeté. Rise disperatamente: «no…non comincio ad esserlo…lo sono di già…» si corresse.

Il ragazzo davanti a lui sorrise, lasciandosi sfuggire un colpo di tosse, la mano davanti alla bocca. Alzò una mano ad accarezzargli il viso, calmo:

« Sono qui per restare, Jared. »

«A me non interessa per quale motivo tu sia qui » disse mentre del sangue andava a solcargli il viso «così come sei entrato da quella porta, puoi uscire» terminò sempre più seccato, nonostante le lacrime che andavano a ricadere sui suoi pantaloni.

Jensen si fece silenzioso, sedendosi a terra più comodamente, una mano ai capelli. Guardò il sole svanire all'orizzonte, senza sapere bene che dire. Scosse il capo, un nodo alla gola: « Non voglio uscire.» disse amaro.

Jared rise, una risata che rischiava di oltrepassare il confine dell'isteria: « Io, invece, desidero che tu esca da casa mia. » terminò alzando nuovamente gli occhi al soffitto, le braccia abbandonate ai fianchi, in una posa afflitta.

Sentì le mani del biondo prendere le sue, un leggero tremito che le percorreva: « Temevo fossi morto, davvero...»

« Ci ho provato » rispose di rimando il vampiro, osservando gli ultimi raggi di sole posarsi sulla sua mano abbronzata « ma il mio desiderio non è stato esaudito » terminò amaramente, irrigidendosi al tocco del ragazzo davanti a lui.

Jensen fece un sorrisetto, più disperato che altro, il viso a pochi centimetri da lui « Non sai quanto il tuo fallimento mi renda felice, Jared... ».

« Non hai idea di quanto faccia soffrire il sottoscritto, la tua felicità » spiegò con una smorfia socchiudendo gli occhi, portandosi una mano dietro al collo. I muscoli tesi.

Distrattamente, il biondo gli sfiorò le labbra col pollice della mano destra, gli occhi fissi su quella bocca dal colorito diafano. Inspirò a fondo, serio in volto: « Sono qui per rimediare...» cercò di spiegare, tranquillo nel tono.

« Non devi rimediare a nulla » gli fece notare Jared scostando il viso di lato, in modo tale che la mano del ragazzo cadesse a vuoto.

Socchiuse gli occhi, esausto.

Non aveva più tenuto alcuna parvenza di discussione, e questa era la più lunga degli ultimi quattro anni. Ciò l'aveva stancato.

Sentì le mani di lui posarsi sulle sue guance, come se Jensen non l'avesse minimamente ascoltato. Era una presa salda, quella del biondo. Non più una presa da ragazzo, ma da uomo. Il tempo era passato anche per Jensen.

Poi sentì le labbra di lui premere sulle proprie, senza nemmeno chiedere il permesso.

Jared ringhiò prendendolo per le spalle.

Una parte di sé desiderava allontanarlo a tutti i costi. Ma un'altra, quella più insistente, quella più perversa, quella più malata, quella che più lo faceva soffrire, intendeva tenerlo tutto per sé e non lasciarlo più andare.

Voleva perdonarlo, lasciare che si ricongiungesse a lui, che non se ne andasse mai più.

Quello che ne risultò fu un ringhio basso, tremante, ma che non aveva più nulla di terrifico. Pura espressione dei suoi sentimenti contrastanti.

Jensen non si fermò, insistendo con quel bacio, gli occhi serrati per vietarsi di esitare, di fermarsi, di allontanarsi da tutto quello che aveva desiderato per tutto quel tempo. Aveva ormai perso il conto delle notti passate a ricordare quelle labbra, quel viso, quella pelle gelida.

Gli accarezzò il volto, silenzioso, poi una mano passò alla nuca, imperterrita.

«... Basta...per favore...» disse allora Jared, completamente abbattuto, mentre l'ira nei suoi occhi andava a trasformarsi in mera desolazione. Lo guardò in volto, cercando di mettere fine a quella lenta tortura per poi passarsi una mano ai capelli castano chiaro.

Jensen si allontanò appena, contrariato, posando le mani alle ginocchia del vampiro, senza nemmeno rispondere. Storse il naso, borbottando qualcosa d'incomprensibile nell'umettarsi le labbra.

Jared respirò a fondo, posando una mano a quella di lui:

« tutto questo è solo un martirio... per me...» cercò di spiegare, con voce ricolma di sofferenza, gli occhi che tornarono a vagare alla finestra al suo fianco. Fuori il sole che lasciava spazio alla luna.

« Io ho passato quattro anni sotto tortura.» ribatté l'altro, stringendo convulsamente quella mano, lo sguardo fisso al pavimento, cercando di non  cedere alle lacrime. Lo avevano minacciato fin da quand'era entrato in casa. L'avevano accompagnato ogni mattina, al suo risveglio, quand'aveva trovato solo estranei attorno a . Né Zanzi, né Ellen, né tanto meno Jared.

Il biondo lasciò cadere la testa alle ginocchia del vampiro, sbuffando tra le lacrime. Avevano vinto di nuovo loro. Rise amaro, serrando ancor più la presa sulla mano di Jared.

Il moro, accarezzò debolmente la mano di lui con il pollice, lo sguardo ora al capo del biondo, vago ed incerto.

Non parlò, come in attesa che proseguisse.

La sua tacita richiesta venne accolta, e Jensen si ritrovò a dire ad alta voce i suoi pensieri, senza nemmeno filtrarli per renderli meno infantili:

« Io ti ho sempre scritto, praticamente ogni giorno. Sono sempre stato in attesa del postino, nella speranza di ricevere una tua risposta. Anche banale, chissenefrega. Un sì, un no. Avrebbe significato che c'eri, che mi pensavi, che non mi avevi dimenticato! Per quattro anni ti ho supplicato di venirmi a prendere, di portarmi a casa...e ora cosa me ne faccio io di una vita senza di te? Non puoi dirmi che soffri a vedermi! Non è vero!».

Jared si lasciò andare all'ennesima risata mesta, gli occhi posati al arteria pulsante del collo di lui, incapace di mettere insieme delle parole a senso compiuto:

« ...no...questa...fame...» la mano ai capelli ricadde al capo di lui, ringhiando ancora, basso e desolato.

Jensen alzò il capo su di lui, senza dire nulla. Gli occhi non esprimevano chiaramente i suoi pensieri, troppo concentrati a controllare se le parole sconnesse del vampiro fossero reali o meno. Corrucciò la fronte, per niente soddisfatto di ciò che vide. Alzò una mano a sfiorare quel viso distorto dal bisogno, sorridendo mestamente: « Ti amo, qualsiasi cosa succeda. Qualsiasi cosa tu faccia o voglia fare. » spiegò, senza dire nulla più.

Jared chinò leggermente il capo, tentando di togliere l'attenzione da tutto ciò che, sapeva, in quel momento lo stava facendo ribollire.

Solo il bisogno della carne.

Bisogno fisico.

E questo lo disturbava alquanto.

« Sei troppo smielato per i miei gusti » ribatté improvvisamente, cercando distrazione, dichiarando il falso.

« Se hai fame, ci sono qui io...Non dev'essere il massimo starsene seduto per anni senza neanche bere un sorsetto. » commentò l'altro, ridendo appena nel ritrarre la mano.

Il moro rise nuovamente all'udire quell'epiteto, irrigidendo appena le spalle, tentando in ogni modo di darsi del contegno.

Si passò una mano ai capelli, quasi a rallentatore, la lingua che andava ad accarezzarsi le labbra, affamata.

Non rispose a quell'offerta, conscio dell'incapacità di rifiuto che gli era propria, spostando lo sguardo sul biondo davanti a lui. Contraddittorio.

Jensen sollevò gl'indici di entrambe le mani, come per proporre due alternative, come difatti intendeva fare:

« O ciucci dal mio splendido collo, o ti porto in camera e ti faccio patire le pene dell'inferno pur di convincerti a farlo... - abbassò le mani – Ma c'è sempre la terza opzione...».

Jared rise quasi isterico:

« che consiste nell'ammazzarmi seduta stante. » concluse, sicuro di sé dopo anni di dubbi ed incertezze travagliati in quell'angolo buio della propria casa.

 « Che consiste nell'andarmene e tornare da dove sono venuto, come volevi fino a pochi minuti fa. » chiarì invece il biondo, a discapito di ogni supposizione di Jared.

« benissimo, allora è deciso » terminò osservando la propria mano tremare. Sorrise divertito nel notarlo, senza proferir nulla.

Jensen si alzò in piedi, silenzioso, porgendogli una mano, senza dire altro. Non un movimento ulteriore, non un singolo accenno.

Il moro fissò quella mano iniziando a calcolare mentalmente tutte le opzioni e le varie possibilità a cui avrebbe portato la sua decisione.

Serrò la mascella, tentando veramente di essere il più oggettivo possibile.

Ma non gli riuscì.

E rise di questa sua debolezza mentre la propria mano andava a stringere quella del biondo.

Un sospiro e la mano libera di Jensen andò al collo, massaggiandoselo appena. L'altra, pur reticente, iniziò a ritrarsi dalla stretta del vampiro.

«...quindi...addio...?» chiese, senza riuscire a trovare l'aria necessaria a respirare.

« Voglio morire...» rispose con voce assente il vampiro, passando a fissarlo negli occhi « ma non di questa morte...»  disse vago abbandonando le braccia lungo ai fianchi, senza più energie, senza più reagire.

Jensen non capì, rimanendo confuso a guardarlo, le mani che si aprivano  e si chiudevano come alla ricerca di certezza. Ma non aveva nulla a cui aggrapparsi, nulla a cui pensare, e la cosa lo metteva a disagio più di quanto avesse mai creduto: « ...Jared, io ti amo, ma guarda che non riesco a seguirti al momento. - prese fiato, senza saper che dire, anche se la sua stessa voce si faceva sempre più sicura e alta – E rischio di andare nel panico se non ti sbrighi a parlare e a dirmi quello che veramente ti passa per la testa!».

« Non puoi lasciarmi solo di nuovo!» esclamò allora il moro, la voce strozzata dal panico e dalla fame che non demordeva, indebolendolo più del necessario.

Il ragazzo davanti a lui s'irrigidì, inizialmente senza parole, incapace di mettere in piedi una frase che tale si potesse definire.

Guardò il salotto, poi la porta, infine la finestra.

Non trovò uscita da quelle parole.

Cadde in ginocchio, le mani sul viso, per coprire la sua debolezza:

« Non ti ho mai lasciato solo...» cercò di spiegare, ma il peso dei suoi torti era via via sempre più evidente al suo cuore, oppresso fin dal primo momento in cui Jared gli aveva rivolto la parola.

« Menti. » rispose secco il vampiro, avvolto dal profumo pressante del biondo « e questo lo sai bene » gli fece notare con voce nuovamente smorta, incapace d’essere altro.

Gli occhi ora stavano fissi alle mura dietro al ragazzo, le mani ancora abbandonate ai corrispettivi fianchi.

Apparentemente una creatura senza vita, così come doveva essere, dimostrando, in quel modo, l'enorme cambiamento subito. Era stato ucciso.

Ucciso dentro.

Non gli riusciva più di reagire, se non con la violenza e la diffidenza…

« Lo so. » due monosillabi che interruppero il flusso dei suoi pensieri.

« Dunque cerca di porre rimedio a questo tuo difetto. »

« Fossi l'unico ad aver cotal difetto.»

« Sei l'unico. »

« Prima dicevi di volermi fuori dai piedi, o meglio, dai tuoi “illustri calzari”.»

« Rinnovo l'invito. » terminò allora il moro mettendosi in piedi, tentando di evitare un eventuale caduta dovuta alla mancanza di “materia prima” all'interno del suo corpo.

Jensen lo prese cautamente sotto i gomiti, avvicinandosi per sorreggerlo « Come posso andarmene, e allo stesso tempo non lasciarti più solo...?» domandò, usando un tono di voce molto più attento e gentile.

Il moro scosse lentamente il capo, posando i suoi occhi spenti al pavimento: « Mi accorgo di star dicendo un sacco di cavolate...» spiegò chinando il capo, con fare più esausto di prima.

« Mi piace questa tua mera stupidità, mi tranquillizza in un qualche modo...»

« Non è stupidità...» spiegò Jared a quel punto « è “via con la testa”».

Ed a quelle ultime parole, posò il capo al petto del biondo non volendo parlar oltre.

Jensen rimase interdetto a quelle parole e, allo stesso tempo, si sentì leggermente imbarazzato, felice ed emozionato.

Si morse il labbro inferiore, vergognandosi di quella sua stessa reazione, tanto palese nel dimostrare i suoi sentimenti da sembrare quasi falsa.

« Tu hai bisogno di mangiare...» borbottò, rosso in volto come un bambinetto qualsiasi.

« Non credo sia peccato essere felici... ogni tanto...» ribatté Jared cambiando discorso all'istante, gli occhi ancora chiusi ed il capo ancora posato al petto di lui. Rimase ad ascoltare ogni suo respiro ed ogni minimo accenno di sussulto percettibile dal suo cuore.

Fu a quel punto che si ritrovò a sorridere di nuovo.

A quel gesto, sentì il cuore di Jensen mancare un battito, la presa sulle sue braccia che divenne un abbraccio privo di esitazioni.

« Jared, io voglio che noi torniamo ad essere felici... Devi aiutarmi! » lo sentì singhiozzare, come avrebbe fatto da bambino, come avrebbe fatto anni prima, quando non c'era ancora nulla di travolgente tra loro « Io...io non voglio vederti triste mai più...mai più...». La presa divenne quasi una morsa, la testa di Jensen che cercava invano di nascondersi tra i capelli di Jared.

Quell'altro rise appena, a stento, riaprendo gli occhi sul petto di lui:

« Non sono un fazzoletto...» gli fece notare, la voce ora roca, in continuo mutamento, a seconda delle sue sensazioni.

La fame che stava prendendo il sopravvento ormai da un pò.

« Stà zitto! » protestò Jensen nel pianto, sprofondò il viso nell'incavo del collo del vampiro, senza nemmeno curarsi del fatto che i capelli di lui erano polverosi e sporchi, che la maglia era lacera, che la pelle era sfibrata e secca. Non vedeva niente. Non sentiva niente. O meglio, non voleva. Gli bastava solo sentire che lui si lasciava abbracciare, quasi nell'illusione di ritornare nel passato, un passato dove solo Jared esisteva nel suo mondo. Solo Jared, senza l'intervento di nessun altro.

« Faccio solo notare...» rispose il vampiro accarezzandogli i capelli con un breve tocco di dita, gli occhi che tornavano a chiudersi per la fatica di compiere anche solo quel semplice gesto.

Sospirò provando ad allontanarlo.

Al contrario delle sue aspettative, l'istante dopo si trovò in braccio a Jensen, che, nascondendo la propria difficoltà nel sorreggerlo, andò rapido verso la camera che da sempre era stata di Jared, facendo il più velocemente possibile. Lo mise, o meglio, quasi lo gettò nel letto in preda a un improvviso fiatone: « Stai qui e rilassati! E mangia! » ordinò, stridulo, prendendo un coltello e tagliandosi il polso, agitandoglielo davanti rapidamente: « Bevi!».

Jared fissò il polso muoversi rapido davanti al suo viso, un brivido di freddo che gli percorreva la schiena al solo osservarlo.

Gli bloccò il braccio, con la forza che gli rimaneva, le labbra socchiuse, già pronte a cogliere tutto il sangue di cui necessitava.

Quando le posò alla ferita sul polso che lo stesso Jensen si era procurato, senza la minima esitazione, chiuse gli occhi, senza preoccuparsi di risultare famelico o, peggio ancora, un cannibale senza pietà. Si staccò più volte, e più volte si leccò labbra e mani come solo un animale avrebbe potuto fare.

L'altro non muoveva un muscolo, lasciandosi avvolgere dal leggero senso di stordimento nel quale Jared lo condusse. Chiuse gli occhi, senza frenarsi dal canticchiare distrattamente. Fissando il vuoto.

Il moro si mordicchiò un labbro, fissandolo con fare distratto, incapace di spiegarsi come Jensen osasse canticchiare in un momento delicato come quello. Digrignò i denti.

« Rischio di fare atti più stupidi se non canto...» spiegò nervosamente, cercando di non lasciar trasparire nulla. Dentro di sé, ben poca chiarezza permaneva, costringendolo a non ricordare eventi passati...Eventi passati ben precisi, ben nitidi, ben in grado di farlo andare definitivamente altrove con la testa.

«Un esempio...?» chiese un Jared falsamente rilassato, leccandosi le labbra sporche di sangue.

« Fare azioni impudiche. » troncò Jensen con un chiaro rossore sul viso, protestando contro il suo stesso corpo, meno controllato di certo della sua mente.

«Oh... ma non aspetto altro» sussurrò il vampiro subdolamente stupito, in prossimità dell'orecchio di lui.

Jensen arricciò le labbra, la mandibola serrata: « Non so se è il caso...» sibilò a denti stretti. La mano destra cadde distrattamente al fianco del moro corrispondente, stringendo in modo compulsivo.

« Perché no? » domandò ancora in un sussurro l'altro, posando la sua attenzione sul movimento delle proprie labbra in corrispondenza del lobo dell'orecchio di Jensen.

« Perchè non so se sei d'accordo? » rise nervoso il biondo, piegandosi inesorabilmente verso le attenzioni del vampiro.

Quest'ultimo prese a ridere sommessamente, iniziando a mordicchiare, sempre attento a contenere i propri istinti di cacciatore.

Jensen si bloccò, stringendo la presa posta al fianco gelido del moro. Le ciglia arcuate in tacito segno di appagamento, distese le gambe per sfogare ivi la sua frustrazione. « Sei...d'accordo...»

«...Forse...» disse il moro quasi divertito, passandogli una mano dietro al collo per attirarlo a , silenziosamente come sempre. Quella la sua risposta.

Jensen piegò il capo verso le labbra del compagno, soffermandosi a pochi centimetri: « Bene... »

«...si...» disse in risposta Jared avvicinando a sua volta le labbra verso quelle del biondo.

Quand'esse s'incontrarono, Jensen si lasciò sfuggire un gemito ben chiaro, spingendosi più in là. La mano libera si ancorò alla spalla del moro, stringendola come unico punto di sfogo.

Jared gli accarezzò teso il braccio che si sosteneva alla sua spalla, socchiudendo gli occhi nel ricambiare quel bacio che tanto a lungo aveva atteso. Quasi con sofferenza lancinante.

« Ti amo...» bisbigliò il biondo, reclinando il capo nel ritornare a baciarlo intensamente, la mano al fianco che si spostava su, verso la schiena, rapito.

Jared si trattenne dal ridere, probabilmente imbarazzato, prendendo ad imitare ogni gesto del suo compagno, fissandolo con crescente intensità.

Con una nota di disappunto, Jensen lo spinse a distendersi completamente sul letto: « Ti amo e ti voglio... » sussurrò al suo orecchio, restituendo il favore di prima.

Il moro lo fissò senza tentare di trattenere un sorrisetto malizioso:

« purtroppo...non sono propriamente... in forze...» spiegò evasivo, massaggiandogli un braccio.

In risposta Jensen sbuffò, brontolando parole in inglese nel dar voce alla sua crescente frustrazione. Affondò la testa al lenzuolo, sopra alla spalla di Jared,  chiaramente contrariato.

Il vampiro assottigliò gli occhi, senza aprir bocca, prima di spostare lo sguardo altrove, di nuovo lontano con i suoi pensieri.

Jensen contemplò Jared con attenzione, distratto.

Si voltò verso la finestra, l’unica della camera, e sorrise stentoreo: « Sono stanco dei preliminari, Jared…Non so te ma sono impaziente…»

« E perché non me lo dici guardandomi negli occhi, mr impazienza…?» chiese il vampiro chinando appena il capo verso il cuscino, una mano dietro alla testa. Del tutto tranquillo.

« Rischio di aggredirti sessualmente…» spiegò piccato il biondo, storcendo il naso all’imbarazzo che cercava di celare.

«Non credo saresti in grado… data la tua incapacità di guardarmi in faccia» fece notare Jared ancora una volta, lo sguardo fisso all’espressione imbarazzata del compagno « o forse sbaglio? ».

A quella provocazione il giovane si voltò a guardarlo senza la minima esitazione, pur mantenendo quel rossore sulle sue guance: « Credo proprio di sì, mr provocazione…» sussurrò, accarezzandogli le labbra con la punta delle dita.

Jared le arricciò appena, ricambiando quello sguardo.

Nei suoi occhi si accese una strana scintilla carica di perversione:

« Allora, non aspetto altro…» concluse il moro, incrociando entrambe le mani dietro la propria testa, fingendo di aver un paio di manette ai polsi. Sorrise malevolo.

Jensen si chinò su di lui, bloccando con una mano sola quelle del vampiro, consapevole che non sarebbe comunque stato necessario…o sufficiente? Tralasciò quel suo ultimo pensiero, diretto alle labbra di Jared. Le stuzzicò con la lingua, con i denti, e l’istante dopo lo baciò con tutto il desiderio che aveva in corpo, gli occhi serrati.

Jared si ritrovò a ridacchiare appena prima di ricambiare con calma fasulla quel bacio che non suggeriva nulla di casto.

Chiuse gli occhi evitandosi, in quel modo, di osservare l’espressione di Jensen.

Poteva mantenere il controllo di sé.

Poteva.

Jensen strinse la presa ai suoi polsi, quasi nel tentativo di bloccargli la circolazione. “ Che idiota, ce l’avesse.” Rammentò il biondo, insistendo con le sue labbra mentre scendeva al collo del moro, la mano libera al fianco corrispondente dell’altro.

Jared si mordicchiò leggermente un labbro cercando di essere il più disinvolto possibile; la voce che suonò terribilmente bassa e sensuale:

«…sbaglio…o avevamo deciso di terminare con i preliminari…signor “sbranatore sessuale”? » chiese riaprendo sofficemente gli occhi.

«Sei tu che ti trattieni come un verginello, Jared. » criticò Jensen, sollevando di ben poco la lingua dal punto in cui stava giocherellando: « …scelta tua…problema tuo…» alluse, umettando quel lembo di pelle ad ogni accenno.

«…ah…va bene…» rispose solamente chiudendo gli occhi per l’ennesima volta, i sensi ora alleggeriti dalla distrazione che stava portando in lui quella sottospecie di conversazione.

Ciò gli diede la possibilità di fermarsi a riflettere su ciò che si stava consumando in quelle quattro mura che lo attorniavano.

Tornò a volgere il capo verso il muro alla sua destra fingendo che nulla, in quel frangente, lo riguardasse. Lui aveva iniziato tutto, e a lui toccava terminare.

Jensen lo ignorò, nascondendo con una certa difficoltà il nervosismo che andava aumentando dentro di lui. Possibile che Jared non lo volesse? Possibile che si stesse trattenendo per qualche stramba etica che mai prima aveva contemplato?

« Insomma, non sarai diventato impotente spero! » si lasciò scappare il biondo, più in un sussurro che in un’effettiva esclamazione.

Il moro riaprì gli occhi ricoperti nuovamente da quella patina grigia che pareva essere scomparsa solamente pochi minuti prima:

«…problema tuo…» concluse con tono quasi acido il vampiro, tentando di mettere fine a quello scempio.

L’altro si sollevò a sedere, lasciando le mani del moro, un’espressione più che astiosa sul volto. Reclinò il capo, come per guardarlo meglio, stampandosi bene in mente quella situazione:

« Dovrò ricorrere di nuovo a quello. »

Un’affermazione più che convinta, la sua.

Jared si massaggiò appena i polsi dove stavano apparendo, fin troppo velocemente, dei lividi viola chiaramente dovuti alla presa di Jensen.

Stava pagando le conseguenze di anni e anni senza nutrimento.

Respirò a fondo tentando di mettersi seduto a sua volta.

Jensen lo fermò, una mano aperta sul suo petto per bloccarlo dall’avanzare.

« Stai lì. » intimò, frugandosi nelle tasche alla ricerca di una cosa. Una volta trovata, lasciò andare il vampiro, aprendo con uno scatto il coltello a serramanico che aveva con sé: « Così impari…» .

Tagliò il polso per tutta la sua larghezza, rapido, senza mostrare il benché minimo dolore nel farlo.

Automaticamente lo sguardo di Jared caddè su quella ferita appena inferta.

Rimase immobile per un brevissimo istante, prima che gli occhi riprendessero colore ed i lineamenti del suo viso s’indurissero dalla rabbia, dal dolore.

, dal dolore.sero dalla rabbia.« E' sleale...» gli riuscì di dire, prendendo fra le proprie labbra il sangue scaturito da quel rapido taglio. Gli occhi ora lucidi.

« E' l'unico sistema, con te...» osservò Jensen nell'accarezzargli il viso, una smorfia di dolore sul volto. Dolore che nulla aveva a che fare con quella ferita da poco.

Chiuse gli occhi, posando la fronte ai capelli del vampiro, frustrato.

Jared sentì nuovamente le proprie membra intorpidirsi, così come la propria ragion d'essere. Capì soltanto che doveva smetterla di bere.

Per certo sapeva solo questo.

Allontanò a grande fatica le labbra dalla ferita di lui, ritrovandosi a tergiversare nello stesso identico stato di poco prima.

Sembrava un dejà :

respiro accelerato, ansia crescente, bisogno ossessivo d'impossessarsi di Jensen all'istante.

Ma era tutta questione di minuti.

Non appena la mente avrebbe avuto nuovamente il controllo del corpo, le fila di quel gioco pericoloso si sarebbero spezzate lì, all'istante.

Ma non in quel momento.

Jensen si scostò come implicitamente richiesto, nascondendo la ferita con l'altra mano. Fissava il moro in silenzio, cercando di comprendere cosa fosse giusto fare da quel momento in poi. L'avrebbe nuovamente rifiutato?

Le labbra si piegarono in una smorfia rassegnata e il biondo distolse lo sguardo nel vedere Jared pulirsi le labbra con nonchalance. Chiuse gli occhi, sdegnato persino da stesso.

Il vampiro tornò a fissare il ragazzo che gli stava davanti, strattonandolo per un braccio.

La coscienza gli ordinava di fermarsi.

Il suo corpo abbisognava di tutt'altro.

Sentì uno strano dolore contrarsi allo stomaco mentre s'avventava sulle labbra di Jensen per quella che, giurò a stesso, sarebbe stata l'ultima volta.

Lo shock che andò a dipingersi sul giovane viso dell'altro rimase presente solo per un istante. L'attimo dopo le mani di Jensen affondarono le loro dita ai capelli del moro, baciandolo con la medesima energia dell'altro. Cercando di rimuovere quel dubbio, quell'ostinato vacillare del suo cuore che temeva solo e sempre il peggio.

Jared non lasciò tempo ad altro.

Fu più rapido di quanto pensasse.

Gli levò di dosso ciò che rimaneva del completo, prima di farlo sdraiare sotto di lui.

Non gli riuscì di fare altro.

Sfogò tutto il bisogno che aveva di lui, emarginando il pensiero costante del"sbagliato", rinunciando così alla sua etica di sempre.

Pochi attimi, interminabili per entrambi.

Poi un dolore lancinante colpì Jensen e tutto tornò al proprio posto.

Tra sospiri e gemiti di piacere.

 

Forse erano passati pochi minuti, o poche ore.

Questo Jared non lo sapeva.

Si ritrovò a guardare il ragazzo raggomitolato al suo fianco, fissando i segni bluastri che gli aveva lasciato sul collo; il materasso squarciato da segni netti e decisi; la testata del letto spezzata in due.

Sospirò pesantemente passandosi una mano al viso.

«…ho perso tutto il mio controllo…» disse quasi divertito da stesso.

Jensen rise di cuore, soffocandosi automaticamente dopo qualche secondo per non irritare l’altro:

« Alla fine miravo a questo…»

« L’avevo facilmente intuito, Jensen » disse sottolineando con una sorta d’ironia il nome del compagno, lo sguardo ora posato alla porta della camera da letto.

Seguendo il suo sguardo, il biondo rimase in silenzio, contemplando l’espressione che l’altro aveva sul viso. Si chiese se già la solita sete di autopunizione albergava nel vampiro, ma non ne fece parola con lui. Si limitò ad accarezzargli un braccio, vago nel gesto.

« Sarà meglio che vada a “leccarmi le ferite” » disse ambiguo guardandosi gli avambracci nel mettersi seduto su quell’enorme letto a due piazze « lasciami il tempo di lavarmi… e torno da te ».  Lo disse con aria stanca e persa, senza nemmeno rendersene conto.

Jensen annuì, chinandosi verso di lui nell’annusare l’acre odore che permeava quella pelle gelida:« Decisamente, puzzi.» lo canzonò, ironico « Io sarò qui in attesa, come credo sia nel tuo desiderio. O magari no. – ridacchiò- Sta di fatto che da qui non mi muovo.»

In risposta Jared fece un breve movimento delle spalle, sparendo dietro la porta che conduceva al corridoio, nel quale si trovava il bagno. Si rinchiuse dentro a chiave senza più fiatare, desideroso soltanto di una doccia.

 

L’attesa, per Jensen, era stata sempre il suo punto debole. Quand’era ora di mangiare, quand’era ora di combattere…Sempre, non c’era mai stato verso dal tenerlo fermo se voleva qualcosa.

Guardò il soffitto polveroso della casa, denotando che almeno lì Ellen non sembrava aver pulito. Chiusi gli occhi, ripensò a quella cosa che aveva nelle tasche dei pantaloni. Parlarne a Jared sarebbe stato un rischio, ma lo stesso oggetto era un rischio.

Si mise a sedere, indossando velocemente i pantaloni.

Prese tra le mani l’ampolla e se la rigirò tra le dita.

« O così o per sempre…» canticchiò, vago.

« Così cosa? » chiese una voce da dietro la porta, facendo risuonare tutto il suo eco lungo il corridoio appena percorso.

Jensen fermò quel suo  tic nervoso, prendendo la boccettina con tutta la mano: « Invece di fare il curioso dietro una porta, entra e te lo spiego. » disse con una sorta si serietà recondita, nonostante il suo carattere.

« Mi accusi di averti spiato da dietro una porta quando, invece, dietro a codesta porta ci sono appena arrivato? » domandò indulgente, aprendo quella stessa con uno scatto secco della mano. Un espressione accigliata in volto.

« Non è quello, forse sono semplicemente impaziente di farti partecipe del mio crudele piano per ridurti a un ammasso di love-love power…! » trotterellò fino a lui, un sorriso falso sul volto « Voglio che tu mi priva di tutto il sangue che ho nel corpo!»

Jared si portò l’indice alla tempia destra fissandolo sempre più accigliato, nonostante il suo sorrisetto lasciasse intendere solamente il suo divertimento a quella scena che gli si parava davanti: « dimentichi forse qual è la mia capacità recondita? » arricciò le labbra.

« Quale, quella che ti porta a sentirti in colpa ventiquattr’ore al giorno, per caso? » propose il biondo, prendendo tra l’indice e il pollice la soluzione liquida in suo possesso.

Il moro scosse il capo: « quello è un dato di fatto » serrò la mascella « posso anticipare i tuoi pensieri, bambinetto. E in questo momento… non mi trovo propriamente d’accordo » sorrise raggiante.

Jensen gli rivolse un sorriso ancor più solare, gareggiando in “luminosità” contro il vampiro: « Ma dai…che vampiro cattivo…mi toccherà soffrire inutilmente allora.» Stappò la bottiglia, facendo spallucce « Al massimo morirò, niente di grave, no? » sghignazzò, guardandolo con chiaro accenno di sfida.

Jared gli sventolò malamente una mano davanti al naso: « chiederò ad Ellen di prepararti un buon funerale » rispose pacato, nascondendo il manto di serietà dei suoi occhi dietro ad un sorriso glaciale.

Gli diede di spalle, incamminandosi verso l’unica finestra della stanza.

« Voglio delle gerbere come fiori. » sentenziò, andando a bere dall’ampolla con un solo sorso, molto velocemente.

Jared aprì lentamente la finestra saltandovi sopra con una strana agilità ritrovata: « come desidera…principino… » disse quasi sottovoce, abbassando lo sguardo al giardino dove atterrò con un balzo.

Jensen per poco non urlò, andando alla finestra per vedere dove diavolo era finito il vampiro. Si era appena messo in forze che già andava a fare le sue scenate?!

Emise un gemito, forzandosi a guardare di sotto. La fantasia che volava nelle probabilità più nere.

Lo vide inginocchiato davanti a quella sottospecie di tomba che loro stessi avevano creato per Zanzi. L’espressione era nuovamente vacua, persa a fissare qualcosa d’indecifrabile davanti a sé.

Non l’aveva mai visto ridotto così:

passare da uno stato d’indifferenza, ad uno di dolore, ad un altro di annullamento totale del suo essere. Era pressoché irriconoscibile.

L’osservò dondolare appena, come incapace di alzarsi.

Poi si accasciò a terra.

Inerme.

 

 

 

End.

 

 

 

Dark:

Ok, vi chiederete che razza di finale sia.

Ebbene… un emerito finale del… XD

Ovviamente lavoreremo presto ad un seguito.

Non disperate XD

“E con questa frase finale spera di risollevare leggermente il morale dei lettori che le tirano dietro pomodori e carciofi

 

Ci vediamo soon!

 

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