Madness, the inner demon

di TheDoctor1002
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo- innocenti segreti ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1- bivio ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2- La figlia del Grande Impero ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3- Allerta ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4- Cling clang, oh the chains ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5- Narrami, O' Diva ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6- Back to the start ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7- League of Legends ***



Capitolo 1
*** Prologo- innocenti segreti ***


Rientrò nel covo semibuio senza fare rumore, camminando in punta di piedi come una ladra. Quando gli occhi di lei si adattarono a un'oscurità quasi totale, riuscì a scorgere la sagoma di un'altra ragazza gettata sul letto. Aveva ancora i lunghi capelli blu legati e sembrava dormire profondamente. L'intrusa notò poi sul tavolo del disinfettante e della garza che prima non c'erano. 
Avvicinandosi di soppiatto, notò che il braccio sinistro era ricoperto da della stoffa chiara, avvolta su tutta la lunghezza dell'arto, tranne che sulla ferita stessa. 
Oh, Jinx...non imparerai mai, vero?
Appoggiò lo zaino in un angolo e si sedette ai piedi del letto, cercando con lo sguardo i caratteri luminosi dell'orologio.
Quando lo trovò, segnava le otto del mattino. 
"Sballato di almeno tre ore" annotò mentalmente "dovrò darci un'occhiata"
In quell'istante una mano si abbattè sul suo viso, tastandolo per qualche secondo, tornando infine ad adagiarsi sul letto. 
"Sei andata via" mugugnò con disapprovazione la voce assonnata della proprietaria. 
"Ti ho lasciato un biglietto..." si giustificò l'altra. 
"Tre giorni!" L' accusò con improvvisa lucidità "avevi detto che saresti stata via solo per qualche ora!"
Vederla così ogni volta era un tormento, ma era inevitabile. Finiva sempre allo stesso modo. Prima qualche ora bastava, poi divennero un giorno, un giorno e mezzo, due...si stava allargando sempre di più e non sapeva davvero che fare. Temeva che sarebbe successo di nuovo come a Demacia, che avrebbe potuto perdere il controllo, che le avrebbe potuto fare del male. Se ne stava lì a fissarla nella penombra in perfetto silenzio, con quegli occhi rossi e accusatori. 
Dovrei rivelarlo, almeno a lei. Capirebbe.
"Già, oppure scapperebbe." Ringhiò la Voce nella sua testa "O, anche peggio, resterebbe qui."
"Vuoi dirmi perchè lo fai?" Chiese di nuovo Jinx, riportandola nel mondo reale. 
"Faccio cosa?"
"Sparisci." Dichiarò ferma "Te ne vai senza preavviso, lasci solo questi fottuti post it senza darmi una certezza su dove andrai o quando tornerai o..."
"...o se tornerò" concluse per lei, dopo una leggera pausa. 
"Promettimi che non succederà di nuovo" la minacciò. 
"Se ci tieni, mammina..." Rimbeccò con una leggera risata, ma Jinx non si unì a lei. 
"Mad..." La guardò con espressione seria. Proprio lei, che aveva sempre deriso Cait e Vi per la loro compostezza, era seria. Non c'era più il suo sorriso folle a smuovere il suo volto, la luce dei suoi occhi era spenta. "Promettimelo, Mad..." 
Mad prese le mani di lei nelle sue, stringendole appena, posandoci le labbra. 
"Non posso farlo, dolcezza" sussurrò "sai che per te farei qualsiasi cosa, ma questo non posso farlo davvero." 
"Dimmi almeno il motivo" pregò lei, mentre lasciava le sue mani per iniziare a posare delicati baci sulla pelle chiara del suo collo. 
"Un giorno" sussurrò "un giorno te lo dirò. Lo prometto."  

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Capitolo 2
*** Capitolo 1- bivio ***


"Piltover è una città così amabile…" Sospirò Jinx, lasciando dondolare i piedi oltre il bordo del tetto del municipio. 
“Già” convenne Mad, sedendosi accanto a lei. 
“Con tante belle persone…”
“…e tanti begli edifici…”
“…e parchi deliziosi…”
“…e teneri bambini…”
“…e splendide banche…”
“…e poliziotti divertenti…”
Sospirarono insieme, un’ultima volta, mente Jinx sistemava le armi alla cintura. Il sole tramontava e illuminava la città di una luce dorata. 
Mad distolse lo sguardo dal panorama solo un’istante, per scoprire che la sua sensazione era giusta: Jinx la stava davvero osservando. Restarono a fissarsi per qualche secondo, finchè non arrivò un istante preciso: l’esatto momento in cui anche l’ultimo spicchio di Sole calava dietro le colline. 
L'una tornò a specchiarsi negli occhi dell'altra come a volerci trovare la risposta alle domande fondamentali della vita, infine Jinx scattò in piedi. 
“CHI ARRIVA ULTIMA ALLA BANCA È VI!” Gridò gettandosi verso un tetto vicino. 
“Non vale, sei partita prima!” Le rispose, iniziando già a correre tra le strade della Città del Progresso. Fece roteare il suo scettro nero, illuminando della luce del tramonto la sfera verde incastonata a un’estremità. 
Mad sfrecciò come una saetta tra le strade affollate da cittadini terrorizzati che subito le facevano ala. Stringevano a loro i bambini e indicavano la scia di luce verde che il bastone lasciava suo passaggio. 
“Sono tornate!” “L’ho vista! Lassù c’è anche Jinx!” “Chiamate la polizia, presto!”
"Che bellezza, la vita dei ricchi e famosi!"
La risata folle della sua compagna fece tremare il suolo (o forse era stato uno dei suoi razzi?) mentre quella di Mad risuonò come un’inno alla devastazione tra i vicoli e le strade. Furono scagliate mitragliate di proiettili e l’oscurità venne illuminata da lampi verdi e oro. 
Sentiva i suoi stivali calpestare l’arido cemento, il vento sferzarle il viso e calde scintille che si irradiavano dallo scettro. Libera, finalmente, come se non esistesse altro a parte lei e Jinx, neppure la Voce. 
Arrivarono insieme all’ingresso della banca centrale. Era un enorme edificio argento e bianco, con alte colonne lucenti e scanalate a sorreggere il peso di un’immensa facciata candida, interrotta solo da un’imponente pannello metallico, dall’aria estremamente pesante. Con un sorriso complice si avventarono sul portone con le loro armi migliori, scardinandolo e facendolo piombare sul pavimento marmoreo della banca in una nuvola di calcinacci. 
“Buonasera, signorinelle!” Esordì Mad con uno sfacciato sorriso “Siamo qui per un prelievo!”
Jinx le diede un colpo con il suo Fishbones “Prelevare? Suona così serio, non credi? Ci starebbe molto meglio uno «sganciate la grana!»” 
La prima osservò ognuno dei cittadini. Tutti erano ben vestiti e tutti avevano le mani in vista. Qualsiasi ordine avesse dato, le avrebbero obbedito. Fu un’idea che prese posto a poco a poco nella sua mente, mentre guardava distrattamente le commesse sotto la minaccia di Jinx. Avevano potere, lì dentro. Incutevano loro timore, proprio come Cailtyn e Vi facevano ogni giorno. Dopotutto, ciò che ci divide è solo il fine, no?
“Non sarebbe male se ci raggiungessero, vero?” Chiese d'un tratto.
“Di chi parli?” 
“Delle nostre amiche, ovvio!” 
“Già, credo movimenterebbe le cose…la gente ha ragione: le banche sono posti così noiosi!” 
Mad camminò un po’ tra i calcinacci, osservando bene i volti degli ostaggi. 
“Tu!” Disse, indicando una donna con la sfera verde del suo bastone “Hai un telefono?” 
Lei frugò con le mani tremanti in una borsetta sgualcita fino ad estrarne una minuscola superficie completamente nera che si illuminò ad un suo tocco. 
“Ottimo!” Commentò con un largo sorriso ad attraversarle il volto “Chiama la polizia, dì loro che mancano alcuni ospiti.”
Fece appena in tempo a finire la frase: nell’istante successivo sentì il suono delle sirene e richiamò l’attenzione di Jinx portandosi una mano all’orecchio, come a voler sentire meglio. 
“Mettete le mani in alto!” Sbraitò una voce roca, con un non-so-ché di mascolino e fin troppo familiare. 
Vi era in piedi al posto dell’enorme portone distrutto qualche istante prima, sollevando con fare minaccioso i suoi pugni meccanici. Cailtyn era al suo fianco, il suo fucile preferito stretto al petto. Lei era di poche parole, riteneva che il suo mezzo sorriso dicesse abbastanza. 
"Altrimenti che farete?” Ribattè Mad, mentre Jinx faceva ruotare le canne della sua minigun “Mi metterete in prigione?” 
“Quello è sicuro, solo se resisterete all’arresto sarà più divertente” 
Rise tra lei e lei, ricordando i volti attoniti delle guardie dalla divisa dorata mentre venivano dilaniate “Quando hai un paio d’ore libere dovresti chiedere a Jarvan cos’è successo l’ultima volta che sono stata piazzata in una gabbia.” 
Lanciò un globo di luce verde in direzione delle poliziotte, Vi si parò subito davanti a Cait per farle da scudo, le due criminali scivolarono loro accanto, lanciandosi fuori dal portone e tornando a seminare il panico per le strade ormai deserte. I loro colpi tornarono a far tremare la città, questa volta seguiti dai proiettili di Cait e dalle minacce di Vi. 
“E quel cappello da dove viene fuori?” Gridò Jinx per sovrastare il fragore della nostra devastazione, alludendo al cilindro viola e dorato che Mad si teneva premuta sulla testa. 
“Da Cait, se dobbiamo dirla tutta. Mi era piaciuto!” 
Sfrecciarono accanto a una statua di donna. Teneva tra le mani un fascio di grano e inneggiava alla prosperità di Piltover. Bastò un singolo arco di luce verde e vibrante per reciderla di netto all’altezza delle ginocchia e mandare la parte superiore in frantumi. 
Pace? Prosperità? Non è più tempo di simili sciocchezze! 
I proiettili di Jinx saettarono affianco all'altra, sfiorando appena i due chignon in cui erano raccolti i suoi capelli ed esplodendo diversi metri dietro di noi. Sentirono Vi imprecare mentre Cait tentava invano di prendere la mira. 
“Qual’è il problema, sceriffo dei miei stivali? Non riesci a colpire dei bersagli in movimento?” Canzonò Jinx, facendo saltare in aria i vetri di un enorme edificio già per metà ridotto in macerie. Mad restò per un secondo bloccata a guardarla, incantata dalla sua gioia. Era splendida come una bambina in un negozio di giocattoli, gli occhi le scintillavano dall’emozione. 
Non c’è parco giochi più divertente di Piltover, vero sorella mia? 
Quell’ attimo di distrazione bastò. Fu solo un istante, ma fu sufficiente a Cait per prendere la mira e lanciare una rete che si avvolse stretta attorno ai polpacci  di Mad, facendola rovinare al suolo. 
Tentò di liberarsene, di rimettersi in piedi, ma le maglie erano troppo fitte per cercare di romperle con le mani. 
“Jinx!” Gridò mentre cercava di afferrare il catalizzatore, rotolato qualche metro più avanti tra le macerie “Jinx, aiutami!” 
Avvertì lo stivale di Vi premere contro la sua spalla, schiacciarla contro il terreno. 
Fine della corsa, immagino. 
Tentò di dibattersi, di togliersi quella possente figura di dosso. Tentò di gridare ancora, ma il peso dell’Enforcer aveva svuotato completamente i suoi polmoni. 
Quella fu l’ultima volta in cui la vide prima della Lega. Jinx si voltò a guardarla con una punta di terrore e rammarico negli occhi, mentre Cait stringeva le manette attorno ai polsi dell'altra. “Ti prego” riuscì appena a sussurrare, ma ormai era già tardi. Jinx non c’era più, era scomparsa in una nuvola di polvere, lanciata a rotta di collo in una folle corsa tra i detriti. Di nuovo in fuga, scampata nuovamente all’arresto per il rotto della cuffia, ma senza più nessuno al suo fianco.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2- La figlia del Grande Impero ***


Mad serrò gli occhi alla luce abbagliante del neon che l'ufficiale le puntava contro. 
"Leva quello stramaledetto faro" imprecò tra i denti, con la sola conseguenza di farla infuriare più di quanto già non lo fosse. 
"Qui non sei tu a dare gli ordini, canaglia" ringhiò facendo scintillare le gigantesche mani metalliche.
 "Su, Vi, non darle corda, compila la relazione e facciamola finita..." La calmò lo sceriffo con zelo, avviandosi verso l'uscita "Potresti iniziare dal compilare la sezione del nome.". Con quelle parole  la porta sbatté e le veneziane argentee tintinnarono contro il vetro dietro il quale era appena sparita una lunga chioma castana. 
La criminale sorrise sfacciatamente, per quanto potevano concederglielo le ferite "Mi prendi in giro? Dopo tutto questo tempo?" 
Un nuovo schiaffo si aggiunse agli altri, facendole schizzare la testa da un lato. La raddrizzò con un gesto lento e teatrale, muovendo la mascella come a volerla riposizionare.  
"Il mio nome è Madness." annunciò con tono impostato. 
"Le hai già chiesto di Jarvan?" Chiese Cait, rientrando nella saletta spoglia, tenendo tra le dita affusolate una tazza di tè fumante. 
Madness la guardò storto, posando poi lo sguardo severo su Vi. 
"Dunque immagino non abbiate chiesto al diretto interessato...o che quest'ultimo non abbia ancora attutito il colpo" Le due si scambiarono uno sguardo, come se si fossero domandate dove aveva intenzione di andare a parare, infine tornarono a guardare lei. "Bene. Mettetevi comode, dunque: la storia di zia Madness sta per cominciare." 

"Tanto tempo fa, tutte le terre di Valoran erano riunite sotto un'unica, grande nazione e tutte le culture convivevano tra loro come un solo popolo. Il nome di questo immenso territorio era-"
"Il Grande Impero" interruppe 
Caitlyn quasi senza accorgersene. 
"Io sono la zia Madness, io racconto la storia." La rimproverò con tono freddo "d'altronde la tua risposta è corretta, si trattava del Grande Impero, la nazione maggiore. Tutte le terre, escluse le Isole Ombra, ne facevano parte e furono governate da molteplici re che si succedettero al trono, eguagliando o addirittura superando, di generazione in generazione, l'operato dei propri predecessori. Il tutto mantenne una pace e un'armonia a dir poco irreali che, a detta di chiunque, non sarebbero durate quanto sperato. Chi lo affermava aveva ragione: i territori a ovest del regno sentivano di essere forti abbastanza da diventare autosufficienti e, anzi si sentivano ancorati a una società troppo antiquata per supportare il progresso che nel corso dei secoli avevano covato. Iniziò così un'aspra lotta, in seguito alla quale i rivoltosi ottennero un'ampia regione e la ribattezzarono Demacia, come simbolo della giustizia che sarebbe dovuta regnare. L'Impero, privato della sua principale fonte di reddito, di risorse e di soldati, si dimostrò notevolmente indebolito e le maggiori città, Zaun e Piltover, si dichiararono autonome, seguite poi da Noxus, da Ionia, dalle Isole della Fiamma Blu e dalle tribù minori che abitavano il deserto e la giungla. Per ultimi, vennero gli Yordle, che dichiararono Bandle City come città-stato solo dopo molti decenni dall'inizio delle rivoluzioni. 
Dell'immenso disegno che i re avevano portato avanti per secoli non rimase che polvere. Gli ultimi residui di quella civiltà erano riposti nell'unica città rimasta: Gaea, la capitale. La famiglia reale continuò ad amministrarla come un regno: strinse alleanze solide con Piltover e Bandle City, mentre conviveva in uno stato di tolleranza con Zaun e Noxus. Con Demacia, invece, era guerra aperta. Il principe Jarvan I non sopportava che il simbolo dell'antica tirannia del Grande Impero fosse una città pacifica e prospera. Ci fu una nuova e sanguinosa guerra, combattuta sia nelle Arene della Giustizia che sui campi di battaglia veri e propri. Si arrivò a un trattato di pace solo dopo cent'anni. La firma dei trattati si tenne a Gaea, al cospetto della famiglia reale che accolse il principe Jarvan IV nella propria dimora, come segno di conciliazione e fiducia. Ma qualcosa andò storto: il principe non arrivò da solo, ma portò con sé un esercito. Sequestrò e fece uccidere chiunque potesse ricoprire una posizione di potere: re, regina, generali, vescovi, ministri, tutti. Tutti tranne una. Saelie, l'erede al trono, fu condotta come prigioniera di guerra a Demacia. Giravano strane leggende sul suo conto: si diceva avesse conquistato l'inferno, facendo inginocchiare il diavolo ai propri piedi. Che avesse acquisito da lui poteri spaventosi ed inimmaginabili e che i suoi stessi genitori fossero terrorizzati da lei.  Fu messa in una gabbia, sorvegliata notte e giorno. Si sentivano urla strazianti provenire dalla sua cella. I secondini udirono le sue unghie che graffiavano il metallo della porta, mentre chiedeva pietà con la voce rotta dai singhiozzi. Infine, di colpo, calò il silenzio. 
Finalmente si è arresa, pensarono. Nemmeno potevano immaginare ciò che stava per accadere: dalla cella uscì una figura completamente diversa da quella che vi era entrata: un essere etereo, dalla pelle di un colore talmente nero da risultare quasi irreale. Non aveva pupille, i suoi occhi erano completamente bianchi, così come i suoi denti aguzzi. Tutto ciò che venne ritrovato delle guardie furono le armature sformate, graffiate, dilaniate in alcuni punti. Mano a mano che si spostava lasciava dietro di se un'inconfondibile scia di distruzione, trascinandosi lungo gli intricati corridoi dei palazzi del potere, tracciando scie e frecce con il sangue dei nemici che mieteva. Voleva che la catturassero, voleva che si spingessero di nuovo fino a lei, bramava la morte ed era certa che tra quei cadaveri non ci sarebbe mai stato il suo. Raggiunse la sala del trono senza neppure un graffio, senza incontrare resistenza di alcun tipo. Si guardò intorno, puntando lo sguardo freddo su due soldati impietriti dalla paura che, tremanti come foglie, si erano nascosti dietro lo scanno dorato di Jarvan. Pochi istanti dopo, con un sorriso a illuminarle il volto, rese nota la sua profezia: sul pavimento marmoreo, sui muri, sugli arazzi e sulle statue della sala del trono, a caratteri di sangue, scrisse le parole "J4 is next", infine scomparve." 

Vi e Caitlyn fissarono, con espressione interdetta, Madness,che replicò con un sorriso soddisfatto. 
"Vuoi davvero farci credere di essere la legittima erede al trono di Gaea e di aver massacrato l'esercito di Jarvan a mani nude?" Chiese Vi, ancora stupita. 
L'altra scosse appena le spalle "Non per vantarmi..." 
"E hai intenzione di usare questa scusa per non finire in galera?"
"Il mio era solo un avviso, la scelta spetta a voi" replicò l'altra, enigmatica "Mettermi in gabbia e rischiare che Demacia si ripeta, oppure mettere direttamente in pericolo centinaia di migliaia di cittadini liberandomi...che fare? È una scelta davvero difficile..."
"Chiudi il becco" la zittì Vi con tono glaciale. 
"Non parlavo certo con te" sbuffò Mad, appoggiando i talloni sul tavolo metallico che separava la sua sedia da quella delle due poliziotte "dopotutto è Cait che prende le decisioni, no? Tu non sei che uno schiacciasassi, manovalanza, sei la prima a saperlo. E nemmeno staresti qui se non fosse per il fatto che speri che lei ricambi i tuoi sentimenti. Ma non lo farà mai, stanne certa..."
Avvertì il suo peso che veniva strappato cellula per cellula dalla sedia, fino a trovarsi bloccata contro il muro, sollevata a dieci centimetri dal suolo e con un gigantesco guanto metallico a stringerle la gola. 
"Non provare mai più a ripeterlo." Scandì Vi in un ringhio minaccioso. L'altra impiegò qualche secondo a rendersi conto della situazione e, quando capì che il vice capo non era intenzionata a posarla tanto presto, non potè fare a meno di ridere. Avvertì le contratture degli addominali e le labbra che si spaccavano per fare spazio a una risata folle, malata. "È questo il punto!" Gridò Madness estasiata "Vi, l'Enforcer della meravigliosa e prospera città di Piltover, ha paura di un rifiuto! La grande e potente Vi è terrorizzata al pensiero che la sua cupcake non ricambi!" 
L'unica cosa in grado di fermarla fu una scarica di pugni. Vi era furiosa, fuori da ogni controllo: gettò al suolo la criminale, le mise le ginocchia sul petto in modo da tenerla ancorata al pavimento mentre con i suoi guantoni metallici si avventava contro il viso già ferito della criminale. Fu Cait a strattonarla oltre la soglia della saletta degli interrogatori, ancora folle di rabbia, il viso stravolto da una furia cieca. 
Mad rimase gettata per terra come una bambola di pezza per molto tempo. Sentì i lividi sul viso che iniziavano a formarsi, il freddo delle piastrelle portava sollievo, ma nulla l'avrebbe salvata da un occhio nero. Senza la volontà nè la forza di muoversi, aspettò lì ferma che Caitlyn venisse a comunicarle la sua decisione. Aspettò un'ora, due, tre. Si annoiò di aspettarla solo quando due ragazzetti non più che ventenni arrivarono per trascinarla in una cella. 
"De-ja-vû" scandì infine canticchiando a bassa voce, una volta che la porta metallica venne richiusa con un cigolio. 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3- Allerta ***


"Guarda un po' dove siamo finite...di nuovo..." esordì la Voce, come sempre comparendo dal nulla. 
Oh, sta' zitta, pensò Madness in risposta
"Ammettilo, se avessi lasciato parlare me non saremmo qui."
"I tuoi modi non si possono certo definire parlare:"
"Non mi è sembrato che Vi fosse più cordiale di me..." 
Mad si alzò, fece qualche passo su e giù per la cella minuscola e si avvicinò all'uscita. 
"Ragazze!" Chiamò, premendo il viso contro le sbarre "ragazze, andiamo, tiratemi fuori, non è...divertente!" 
"Avanti, liberami: sai che potrei trascinarci fuori di qui!" 
Sta' zitta
"Solo per un'ora, due al massimo!" 
"Cait! Vi! Ci siete?"
"Sai che detesto forzarti..."
Quella frase la spiazzò. Sentì quelle parole attraversarla come un proiettile, lacerando la carne. Ricordò il dolore mentre cercava di respingere quella forza tanto oscura e ricordò l'estremo, disperato tentativo di fuga mentre anche l'ultimo brandello di lei veniva inghiottito da quello che non si potrebbe definire se non come il Male assoluto.
N-non farlo, balbettò, non farlo, non di nuovo...
"Sei tu che non mi lasci scelte..." l'accusò la Voce con tono rassegnato "lo sai che puoi fidarti di me...io non ti abbandonerei." 
Lei non l'ha fatto
"Negarlo non cambierà le cose: è rimasta a guardare mentre venivi arrestata. E se avessero voluto ucciderti?" 
Avrebbe fatto qualcosa, ne sono certa, lei non avrebbe permesso...
"Io avrei fatto qualcosa. Io ti avrei salvata, io ci avrei salvate entrambe. E posso ancora farlo. Devi solo dire si. Avrai tutto: avrai la libertà, avrai la tua vendetta su chi vorrai, prenderai la testa di Jarvan e sederai sul trono della Nuova Gaea. Sarai una regina, Saelie. Tornerai al posto che ti spetta." 
Era vero. Era tutto innegabilmente e spaventosamente vero. Mad aveva una grande forza, ma Lei aveva una determinazione tale da cancellare ogni tipo di scrupolo. Da sola, ne era certa, non avrebbe ottenuto nulla: se avesse rifiutato probabilmente non sarebbe neppure uscita viva da lì. Dopotutto, nulla impediva alla Voce di ucciderla e cercare un nuovo Ospite. 
"Ci sto" sussurrò infine Madness.
Fu con quelle poche sillabe che fece crollare la prigione mentale che aveva creato per Lei, lasciando che si impadronisse del suo corpo esile. Fu con quelle parole che siglò il suo patto col diavolo.  

Un sorriso si allargò sul suo volto, ferino, spietato. Con una delicatezza eterea sfiorò la serratura, questo bastò a farla scattare: gli ingranaggi iniziarono a contorcersi come per magia e, in un istante, lei fu libera. 
"Cait? Vi? Dove siete?" Iniziò a chiamare con voce melliflua "Su, non fate le difficili: voglio solo giocare!" 
Iniziò a danzare sul linoleum dei corridoi della centrale di polizia, allontanandosi dall'area di isolamento ed esplorando quel nuovo ed affascinante parco giochi. 
Arrivò ad un lungo corridoio luminoso, costeggiato a entrambi i lati da pareti di sbarre bianche. Attraverso di esse, passavano lunghe braccia, tese verso il centro come i rami di alberi spettrali in una foresta. Continuò la sua esplorazione anche attraverso il corridoio, facendosi beffe degli altri criminali ancora rinchiusi. Uno allungò una mano ancora di più, per afferrarla. Lei si avvicinò, infilò un braccio tra le sbarre e, con un movimento secco del polso, gli spezzò il collo. 
Adorava tutto ciò: amava le urla del suo pubblico, amava il terrore negli occhi delle sue vittime, ma il quadro era tutt'altro che perfetto. C'era un pulsante, sul muro. Uno splendido, grazioso, bottone rosso. Il cartello posto sopra di esso recava la scritta "Evasione". Non ci sarebbe mai stato caso migliore di quello per azionarlo. "Dopotutto, che divertimento c'è senza un buon inseguimento?"
Schiacciò il pulsante, animando le sirene che iniziarono a diffondere la loro lamentosa chiamata, mentre il passo pesante di Vi fece tremare le pareti. 
La demoniaca risata della fuggitiva risuonò talmente forte da coprire gli allarmi, mentre si dava alla fuga attraverso gli intricati corridoi del penitenziario. Non si diede la briga di recuperare il suo catalizzatore, non ne aveva bisogno. Una sfera di luce verde brillante scaturì dalla punta del suo indice, vorticando in una nube di vapore, espandendosi per poi infrangersi contro un muro in mattoni che ostruiva la sua strada, aprendovi una breccia delle dimensioni di un'automobile verso l'esterno. 
"Servono rinforzi!" Ordinò Caitlyn "Presto, Vi, chiama Jayce. Digli che ci sono problemi con una vecchia conoscenza." 
  
Il caos tornò a regnare: i soliti vecchi proiettili, le solite vecchie urla, le solite vecchie formazioni di energia. 
Con Jinx era tutta un'altra cosa.
La voce di Madness risuonò sottile nella testa di Lei "Perchè non ti giri e le affronti? Dovresti saperlo fare, no?"
E il divertimento dove sarebbe? Ribattè lei, schivando una delle reti che avevano imprigionato Mad. 

La fuga la condusse in un ampio spiazzo, la strada che aveva finora percorso bloccata da un pezzo di grattacielo. Non dissero una parola, ma la convinzione di averla in pugno era più viva che mai nei cuori degli agenti. 
Vi caricò contro di lei, scagliandosi con un ruggito e il pugno teso verso il suo corpo. Lei lo schivò senza nemmeno smettere di ballare "Oh, che gioco divertente, non trovate? Di più, di più! Più proiettili, più macerie, più caos, più energia!" 
"È questo, per te?!" Gridò Caitlyn "Un gioco? Le vite di tutte quelle persone sono un gioco? Anche quella di Jinx?"
"Quando fate le testarde non si può davvero ragionare, con voi due" commentò, avvicinandosi lentamente allo sceriffo "Quelle vite sono solo il piccolo prezzo che Saelie deve pagarmi, tutto qui..."
"Pagare per cosa?" Ringhiò Vi
"Tutto questo!" Indicò lei con un ampio movimento delle braccia "il potere, la libertà, tutto! È a Me che deve la sua sopravvivenza e il sangue è la sola valuta che accetto." 
"Si può sapere che hai? Parli di te stessa come se ti riferissi ad un'altra, manda in confusione!" Sbraitò Vi, esasperata. 
Lei, Vi." Rispose Cait glaciale, mentre le si avvicinava "è la Creatura. Quella che ha distrutto Demacia." 
L'esitazione era palpabile nella voce sottile dello sceriffo, la paura palese. Nessuno dei suoi muscoli fu in grado di muoversi quando Madness le sfiorò la guancia con le labbra. "Sembra che abbiamo un piccolo genio, qui" commentò con un sorriso, prima di indicare un punto alle sue spalle "Tu. Andiamo, non provare a nasconderti, hai fatto tanto di quel rumore da svegliare i morti." 
Una figura alta e muscolosa emerse dalle macerie, il volto sconvolto e imbarazzato da quell'osservazione. Le mani erano strette attorno a un'arma hextech, simile a un martello, la pelle dei guanti era tesa dalla rabbia. 
"Jayce" sorrise Madness "Finalmente."
"Saelie..." Iniziò lui "perchè l'hai fatto? Perchè l'hai liberata di nuovo?"
"Non l'ha fatto. Mi sono liberata da sola. Te l'avevo detto, no? I tuoi fragili muri mentali non mi avrebbero contenuta per molto. Ed ora eccoci qui..."
"Significa che...Saelie non ha più controllo?" Domandò Caitlyn
"Alcuno."
L'uomo si passò le mani sul viso tirato per le notti in bianco "C'è un solo posto che possa limitare i danni" disse, rivolto agli agenti "preparate un portale: l'obiettivo è portarla il prima possibile alle Isole Ombra." 
"Un momento" li interruppe Madness "prima c'è un posto in cui voglio condurre Saelie. Dopo sarà tutta vostra." 

"Eccoci, siamo arrivate." Disse Lei, cedendole di nuovo il posto di comando alla consolle del suo corpo. 
Si guardò intorno, nella cenere che una volta chiamava casa. Le punte degli stivali erano già cosparse di polvere grigia e, incredibile dopo tanti anni, ma ancora le sembrava di sentire l'odore acre degli edifici in fiamme. Le macerie coprivano un'area vastissima, nessuno aveva mai voluto rimuoverle. Grigio, nero, ebano. Non ricordava quelle tinte, l'ultima volta che ci era stata. C'era solo l'arancio delle fiamme, l'oro delle divise Demaciane e il porpora del sangue, nient'altro. 
Avvertì una morsa allo stomaco e una fitta orribile appena sopra. 
"Perchè siamo qui?" ebbe appena la forza di chiedere, prendendo tra le mani tremanti un minuscolo brandello di bandiera celeste. 
Era la nostra, quella bandiera, ricordi? Volevo che tornassi a casa, almeno una volta. Volevo che ricordassi quello che Jarvan ha fatto. 
"Perchè? Tanto che senso avrebbe?" Continuò, avanzando tra la cenere e i detriti, verso il punto in cui ricordava avessero allestito il patibolo. Quello c'era, era ancora perfettamente integro. Le corde consumate erano ancora avvolte attorno ai corpi ormai decaduti, quelli che nessuno aveva voluto o potuto seppellire. I due centrali avevano i capi chini sotto il peso delle loro corone. Gli abiti che indossavano, seppur strappati e sfregiati, erano stati sontuosi ed eleganti. 
"Dalle Isole Ombra non si fa ritorno. Lo sai."
Devi ricordare chi sei. Disse la Voce, sporgendosi per afferrare la corona dal cadavere della donna, per poi farla tornare padrona del suo corpo di nuovo. Tu non sei solo una ragazzina, Saelie. Tu sei la regina di Gaea. Indossa quella corona e riprenditi ciò che è tuo. 
La tiara era semplice, rami di oro nero intrecciati tra loro a sostenere una gemma verde brillante. Non era solo una corona, era un simbolo, lo sapeva. Ed era importante che ricevessero quel messaggio, tutti dovevano sapere. Posò il diadema sul capo e, a testa alta, senza guardarsi indietro, raggiunse la Legge di Piltover. 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4- Cling clang, oh the chains ***


"Dov'è la nuova ospite?" Tuonò l'eterea incarnazione del male, togliendo con un gesto secco alcuni residui di sangue dal suo uncino. 
"La stanno preparando, non si preoccupi. Ho inviato i miei uomini migliori per far si che non subisca alcun danno durante il trasporto."
"Ottimo lavoro. Puoi ritirarti, Heren."
"C'è un'ultima cosa, signore." Proseguì l'uomo con un fil di voce, stringendo ancora di più le mani sudate su una pergamena. 
"Di che si tratta?" Domandò annoiato il carceriere "sai quanto detesti le formalità."
"È della Lega, signore. Hanno accettato." 
La tetra figura non emise un fiato, nella stanza scura e tappezzata dei più disparati strumenti di tortura calò un silenzio da far gelare il sangue nelle vene. 
"Preparo un cristallo di teleport per l'Istituto della Guerra, signore?" 
"Non ancora" rispose lui "prima voglio vedere cosa arriva da Piltover. Certo, dev'essere una bella spina nel fianco se sono loro stessi a consegnarmela." 
"Dicono sia un vero demonio" confermò l'omuncolo "ed inoltre mi riferiscono sia molto orgogliosa. Non credo sarà facile piegarla" 
Il suono delle catene che piombavano al suolo fu quasi assordante. Come per collaudarle, il demone le fece roteare con forza, squarciando l'aria con l'uncino appeso ad un'estremità. 
"Questo si vedrà" concluse freddamente, lasciando la stanza.

"Lasciami" ringhiò Madness quando una delle armature vuote che l'accompagnavano provò ad afferrarla per il braccio "so camminare da sola." 
Quelle glaciali parole bastarono a far sì che nessuno dei suoi accompagnatori osasse sollevare più un dito. Da quando era tornata dalle rovine sembrava meno aggressiva, quasi aperta ad un dialogo. Quasi normale. Aveva acquisito una strana sicurezza, una risolutezza che spaventava perchè il piano da lei studiato non era chiaro nemmeno a Saelie, che condivideva con lei ogni pensiero e ogni sensazione. Le sue mani erano incrociate davanti al petto, legate salde da delle pesanti catene intrise di una misteriosa energia. Scesa dall'imbarcazione che l'aveva condotta fin lì da Piltover, aveva finalmente raggiunto le Isole Ombra. Certo, il motivo di tale nome non era affatto difficile da intuire: davanti a lei si parava un'immensa ed oscura foresta, una selva fatta di buio condensato in foglie e rami. Neppure il sole sembrava avere abbastanza coraggio da avventurarsi laggiù, lasciando posto solo a sottili ghirigori di nebbia. La strada per le prigioni fu aperta dalle guardie man mano che procedevano, ma non appena l'ultimo soldato si era lasciato alle spalle un albero, una pianta, un cespuglio o una siepe, questi ricrescevano esattamente come erano stati, richiudendosi dietro di loro a formare una muraglia impenetrabile. Il selciato era composto da pietre scure e lucide, in mezzo alle quali si infiltravano minuscoli rami coperti di spine sottili come spilli. Madness sentì su di se lo sguardo di creature temibili: ragni grandi quanto cani, centauri,  cavalieri senza corpo, alberi e arbusti dotati di occhi e altri esseri di cui non era nemmeno sicura di voler sapere. Secondo loro, c'era qualcosa di diverso. Non era una prigioniera qualunque: non gridava, non scalciava, non aveva provato a fuggire neppure per un istante da quella fine inevitabile. Non appariva rassegnata per la fine della sua vita tanto imminente nè rincuorata dal pensiero che le pene che poteva aver sopportato fossero finite, non provava nulla. Nemmeno una silenziosa e intima paura. 
Le carceri delle Isole Ombra si pararono davanti a lei come i cancelli per l'inferno. La stessa pietra nera che costituiva il selciato sembrava modellarsi come creta attorno a un portale incastonato nella roccia. Attraversò il portone, raggiunse la sua cella. Non fiatò lei e non fiatarono i suoi aguzzini. 
Ti prego, dimmi che sai quello che stai facendo. Dimmi che non siamo nelle Isole Ombra senza un piano che ci faccia tornare sicuramente a casa vive. 
Saelie ripensò a Jinx, a Gaea, alla tana a Piltover. Forse un posto che poteva chiamare casa neppure esisteva più. 
Diede a Madness del tempo per rispondere, ma quella risposta non arrivò mai. Ripetè la domanda, stavolta più forte, la ripetè ancora ed ancora fino a ritrovarsi a gridare talmente tanto da perdere la voce. 
Niente, silenzio. Se ne stava lì, gettata in un angolo della cella sporca e umida, i segni sulle pareti sembravano di chi ha provato a grattare la pietra pur di fuggire. Le braccia bloccate tra le ginocchia mentre dai polsi pendevano pesanti e lugubri le catene. Fissava il vuoto, il nulla. E così era la sua mente: completamente sgombra. L'unico suono che emise, prima che venissero a prenderla, fu una piccola filastrocca.
"Cuore nero, sguardo fisso,
piedi oltre il limite dell'Abisso.
Re d'avarizia e vanità,
da quando temi l'oscurità?
Sguardo fisso, non ti temo.
Speri che esiti ma non tremo.
Nè compassione nè pietà:
Il traditore ora morirà." 
Quando terminò l'ultimo verso, con una punta di malizia, non potè fare a meno di sorridere. 

 Il carceriere detestava aspettare. Lo aveva detestato in vita e continuava a farlo anche nella sua lugubre forma ultraterrena. Eppure c'era un caso in cui l'attesa era sempre qualcosa di meraviglioso: il momento in cui i prigionieri venivano preparati per i suoi esperimenti. In quei minuti già pregustava le urla e le suppliche, la carne morbida, fresca, viva, il sangue caldo e salato. Non sapeva mai ciò che accadeva dietro la porta della sua stanza dei giochi, nè chi si sarebbe trovato davanti. Un uomo o una donna? Giovane o vecchio? Una spia di alto livello o un piccolo ladruncolo? Si interrogava spesso, come un bambino che cerchi di indovinare quali regali lo attendano sotto l'albero di Natale, ma in fin dei conti non gli importava più di troppo, non questa volta. Sapeva che si trattava di una giovane donna di Piltover, accusata di seminare il panico per l'intera città. Sapeva di lei anche che non aveva proferito parola, se non un "Lasciami." pronunciato con tono perentorio a una guardia. Tutto ciò lo inquietava: se non aveva parlato fino a quel momento, non avrebbe pianto nè supplicato quando le torture sarebbero iniziate. 
I minuti scorrevano lenti senza che nessuno si facesse vivo. La curiosità si trasformò in un primo momento in rabbia, poi un minuscolo sussurro nella sua mente gli ricordò la resistenza strenua di alcuni dei più temerari ospiti delle sue prigioni. Senza più poterla contenere, iniziò a farsi largo nel suo cuore una sottile punta di paura, come un minuscolo rivolo d'acqua che fuoriesca da un vaso ormai colmo. 
Si sollevò dalla sua poltrona, gli uncini già stretti in mano, mentre la sua veste frusciava ad ogni suo rapido movimento. Era una furia: perfino la sua forma di ectoplasma sembrava brillare di una luce più intensa. Era come se il fuoco che lo teneva vivo fosse stato alimentato da litri e litri di benzina: qualsiasi cosa si fosse trovato davanti, l'avrebbe eliminato. 
Quando arrivò alla porta, avvicinò l'orecchio per sentire quali rumori provenissero dall'interno: l'unico suono che riusciva a sentire era una flebile voce che intonava una cantilena di pochi versi, ripetendola ancora ed ancora ogni volta che finiva. Tentò di entrare per vie convenzionali, ma la porta era chiusa dall'interno, così fu costretto a scardinarla, riuscendo infine ad aprire una breccia. 

"Cuore nero, sguardo fisso
Piedi oltre il limite dell'Abisso...
"
Aveva ricominciato ancora. Erano dieci minuti buoni che continuava a canticchiare, ignorando ogni domanda, e la cosa iniziava a dare sui nervi a Saelie. 
Per quanto ancora hai intenzione di restare qui? 
"Per il tempo necessario" sibilò Madness, interrompendo un versetto a metà per poi riprenderlo subito dopo. 
Era già una risposta, dopotutto. 
Quella stanza dava a Saelie ancora più sui nervi di quella dannata canzone.  Era semplicemente vuota, qualche chiazza di sangue qui e là, ma distinguere le nuove dalle vecchie era quasi impossibile, soprattutto perchè le prime avevano coperto la gran parte delle seconde. 
"Si avvicina il momento" annunciò Madness senza scomporsi troppo, appena il suono di alcuni passi pesanti e minacciosi iniziò ad integrarsi alla sua melodia. Si avvicinavano sempre di più, diventando sempre più pesanti e sempre più minacciosi, fino a spegnersi del tutto, all'improvviso, dopo aver raggiunto l'apice del trambusto. Per un minuto o due tutto tacque, poi le serrature iniziarono a cigolare, senza però cedere. Ancora silenzio, un leggero e sinistro tintinnio a riempire l'aria. Si avvertirono distintamente dei colpi netti e stavolta furono i cardini a gemere, questi ultimi spezzandosi. Il ferro intriso di magia oscura cedette sotto i pesanti attacchi di quello che sembrava a prima vista un uncino, mentre al posto della porta comparve una figura alta e vigorosa: un demone o forse un fantasma. Emanava luce come una stella o un falò crepitante, avvolto in uno sgualcito mantello nero e con un vecchio teschio a fargli da volto. Le catene cigolarono. Un suono inconfondibile, che spinse Madness a pronunciare il suo nome con un misto di ammirazione ed euforia. 
"Thresh." 

Non poteva crederci. O forse semplicemente non voleva farlo. La scena che si parava di fronte ai suoi occhi era degna del peggiore dei racconti dell'orrore. 
La ragazza era stravaccata sulla sedia elettrica quasi fosse il suo trono, indossando perfino una corona. Tra le mani aveva la testa mozzata di una delle guardie, mentre ai suoi piedi giacevano un corpo ormai sfigurato e il resto del primo. Aveva il piede destro sopra le due carcasse, quasi avesse voluto rivendicare la propria vittoria. 
Ciò che era più disgustoso, ad ogni modo, era il sangue. Era ovunque: sulle pareti, per terra a formare un tappeto quasi uniforme, sulla sedia e addosso a lei, sporcandole il viso ed i capelli verdi. 
Sorrideva, e la calma con cui lo faceva era incredibile. Certo, era sicura del risultato della sua opera e, forte di questo, si sentiva di nuovo regina, ma non vedeva nulla in lei che fosse diverso da un'insana euforia. 
Thresh strinse l'uncino: nonostante fosse riuscita a cavarsela con quei tirapiedi, avrebbe trovato un avversario ben più ostico. 
"Detesto i dissidenti" Tuonò "preparati a morire." 

Quando riuscì a vedere oltre la nube di polvere sollevata dalla figura, distinse chiaramente i tratti del Carnefice: la pelle del viso assente, i bulbi oculari cavi e il bagliore ultraterreno che emanava. Persino per Madness fu sconvolgente, ma lei lo trovò, allo stesso tempo, affascinante: Thresh era un demone estremamente potente, quasi quanto lei, ma la forza che quella forma gli conferiva lo rendeva un avversario temibile. 
Tuttavia non era il confronto che cercava, non in quel momento. Dopotutto, per quanto Thresh potesse essere forte, la forma che avevano assunto lei e Saelie, era appena un abbozzo: l'una non si fidava completamente dell'altra e Madness non conosceva tutti i limiti di una forma mortale. Era come trovarsi sull'orlo di un precipizio nero, senza fondo: Saelie non aveva il coraggio di gettarsi e Mad non sapeva quanto potesse pesare il corpo di lei: ad ogni modo se si fosse rivelata una zavorra, Madness l'avrebbe sicuramente abbandonata nel nome dell'istinto di sopravvivenza. Sarebbe precipitata nell'oblio e solo gli dei sapevano cosa avrebbe comportato. 
"Thresh" ripetè Mad ancora, quasi non fosse in grado di dire qualcosa di diverso "sai che non sono qui per questo, vero?" Lasciò la testa mozzata, che cadde al suolo con un rumore molle ed umido, voltando il bianco degli occhi e l'espressione terrorizzata al soffitto. 
"Cosa vuoi, Madness? Perchè sei qui? Prima metti a soqquadro una città intera e ora questo! Chi ti ha dato l'ordine di uccidere i miei uomini nel mio carcere?!" 
"Assolutamente nessuno" replicò lei, calma "semplicemente, mi intralciavano. Ma, come ti dicevo, non sono qui per questo, nè per un confronto."
Le catene del carnefice cigolarono ancora, quando la sua stretta sull'uncino si fece più forte. Una leggera pausa le confermava di avere ormai la sua attenzione. "Quello che voglio sono informazioni, nulla di più." 
Il demone rispose con tono scettico: "Un viaggio parecchio lungo per delle informazioni. E pericoloso, per di più. Cos'è, non temi per la sorte del tuo Ospite? Mi sembra alquanto gracile, è un miracolo che ti regga, quella ragazzina pelle e ossa." 
Saelie si sentì leggermente offesa, così come Madness "Non è affatto gracile, anzi, penso abbia del potenziale. Ha una grande forza di volontà. È per questo che sono qui: sto cercando un uomo per dimostrarle che può fidarsi."
Thresh rimase inespressivo e muto per lungo tempo, sembrò riflettere. 
"Chi sarebbe quest'uomo?"
"Jarvan." Sentenziò lei freddamente. 
Il carceriere rimase visibilmente spiazzato da quella risposta e non tentò nemmeno di celare lo stupore.
"Cosa ti fa pensare che io sappia qualcosa di particolare su di lui?" 
"Dicono che tu tenga qui delle spie" confidò "spie di Demacia, di Noxus...mi farebbe comodo parlarci un po'..." 
Lo spettro restò ancora una volta silente, non proferì parole nè di approvazione nè di disapprovazione, nè tentò di fermarla mentre passava accanto a lui per uscire dal portone blindato e dirigersi alle celle. 
"Faresti meglio a suggerirmi qualche nome" consigliò Madness "sarebbe un peccato se ti rubassi il gioco uccidendo chi mi è inutile, no?" 
"Lo farò. Ti porterò da lui personalmente, se vorrai, ma prima voglio che tu risponda a una domanda."  
La ragazza considerò lo scambio equo e si voltò verso di lui sorridendo, incrociando le braccia sul petto pronta a raccontare ciò che Thresh voleva sentire.
"Voglio sapere perchè hai scelto Jarvan." 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5- Narrami, O' Diva ***


"Gaea era una città prospera" raccontò Madness, seduta su una poltroncina "ma non è del suo culmine che voglio raccontarti, quanto più della sua caduta. Era estate, una di quelle torride e senza vento. In quel periodo Saelie era solita dormire con le finestre aperte e, quella notte in particolare, sembrava essere l'unica soluzione alla calura. Fu tutto condensato in un istante: il rumore distante delle armature in marcia, i soldati che passavano il fiume in secca con i loro cavalli, il bagliore di alcuni fuochi." Raccontò, fissando un punto lontano, imprecisato, quasi stesse scrutando quelle scene attraverso fessure nel tempo. Un brivido le percorse la schiena vertebra per vertebra, deciso come un colpo di frusta. "Ricordo che nelle nostre menti non ci fu nemmeno il tempo di trasmettere un impulso ai muscoli: stavamo già correndo. Le mura tremavano sotto i colpi dell'assedio, le armature dorate spingevano pesanti arieti sulle porte nord e ovest. Nessuno ebbe il tempo di provare a figurarsi cosa stava accadendo. Era come cercare di tappare uno squarcio nello scafo di una nave con dello scotch, ma allora persino le azioni più stupide e spregiudicate sembravano avere una valida giustificazione. Quando Saelie raggiunse la sala del trono era già il panico. I soldati che non si erano riversati nella corte antistante stavano cercando di proteggere il portone. Oltre di esso, si sentivano i rumori della battaglia: le armate nemiche erano già penetrate oltre la seconda cinta muraria. Tutti si chiedevano chi potesse guidare un'orda simile, chi potesse avere tanto potere, ma nessuno voleva accettare l'unica plausibile risposta. Non potevano essere armate demaciane, Jarvan III avrebbe dovuto firmare gli Accordi di lì a pochi giorni. I preparativi già fervevano, la guerra era finita."
"Un aggressione alle spalle?" Chiese Thresh dall'alto di un'altra poltrona foderata in velluto scuro, tornando a guardare le fiamme danzare in un camino. 
"Precisamente." ammise con tono mesto, quasi ne fosse la responsabile. "Saelie fu coraggiosa, anche senza il mio aiuto: quando vide che la situazione iniziava a farsi pericolosa non si tirò indietro. Afferrò una spada e decise di unirsi alle sue armate. Alcuni funzionari tentarono di dissuaderla, lei replicò che avrebbero dovuto scegliere tra il farla combattere o l'ucciderla in quel preciso istante. Tutti si fecero dunque indietro, lasciando che quella sottile camicia da notte si unisse alle armature argentee della guardia di Gaea. Quando le guardie entrarono nel palazzo, lei fu tra i primi a gettarsi nella mischia. Tuttavia i soldati dorati erano in troppi perchè il nostro esercito potesse fronteggiarli. Inoltre, sono sicura di aver intravisto alcuni mercenari da Noxus e Zaun. Ci travolsero. Non si vedeva altro che scintillii d'oro, argento e sangue. L'arma di Saelie era pesante, troppo perchè lei potesse usarla in un confronto prolungato. Scoprì chi stava a capo delle armate solo quando se lo trovò contro: il principe, Jarvan IV, la insediò con un attacco alle spalle. Nonostante la sua ira le desse forza, non potè che tentare un paio di assalti, ma la difesa blindata del suo avversario non le lasciò una breccia. Iniziava a sentire le ferite, la testa le girava. Tentò un ultimo disperato attacco, ma andò miseramente a vuoto e le prigioni mentali che Jayce aveva costruito per me anni addietro erano ancora troppo forti perchè potessi fare qualcosa." 
Prese un respiro, si fermò per un istante: quei flashback le facevano più male di quanto non volesse ammettere. 
"Demacia è dimora di ricordi orribili per entrambe." Riprese subito dopo "Non voglio raccontare nulla di quegli interminabili giorni, sappi solo che non si risparmiò: Jarvan portò al patibolo l'intero governo, uccidendo i funzionari uno ad uno mentre Saelie era costretta a guardare impotente quel genocidio da dietro un teleschermo. Tra quelle persone, c'erano i suoi genitori. Per una qualche perversa congettura, il principe era convinto che, mostrandole che aveva perso tutto, Saelie sarebbe stata sua. Non fu l'unica tortura che le venne inflitta: sia la sua mente che il suo corpo pagarono il prezzo dei suoi rifiuti. Furono proprio queste sevizie a logorare le prigioni mentali, crepandole e permettendomi di filtrare. L'ho salvata, in fin dei conti. Avrei voluto poter agire prima. Quando lei mi permise di prendere il controllo, ci liberai. Aprii la serratura della nostra cella con uno dei trucchetti di Evelynn e sentii l'inebriante richiamo della libertà. Tentarono di fermarmi, la ferirono, ma nessuno di loro sopravvisse. Li uccisi tutti, dal primo all'ultimo. Lasciai vivere solo Jarvan, perchè potesse vedere. Non ne ho neppure il rimpianto."
Thresh restò in ascolto per tutto il tempo. Talvolta annuiva, altre volte guardava semplicemente il nuovo volto della sua vecchia compagna. 
"Poco dopo la nostra fuga, Saelie ricostruì le prigioni" continuò "è piuttosto difficile da gestire, una personalità tanto forte...dopotutto è forse l'unico essere umano in grado di sopportarmi. Mi sono liberata da poco, ma ancora non in via definitiva. Voglio mostrarle che non deve temermi, che posso davvero aiutarla. È per questo che voglio la testa di Jarvan." concluse Madness. "Mi aiuterai?" 
"Non amo la politica" commentò lui, noncurante "ad ogni modo, non posso ignorare il nostro vecchio legame e preferirei dovermi trovare a prendere accordi con te che non con il Principino. Inoltre" soggiunse con una risata "mi manca un po' di splatter vecchio stile, darei qualunque cosa per vedere il vostro confronto. Tornando a noi e stando a quanto mi riferiscono i miei informatori- i quali, per inciso, non sbagliano mai- Jarvan è entrato da poco a far parte della League of Legends. Immagino tu ne abbia sentito parlare." 
"Vagamente e molti anni fa" rispose lei "combattono ancora per spartirsi Valoran, dunque..." 
"Non esattamente. La guerra è finita con Gaea e, sebbene ogni tanto si metta in gioco qualche fazzoletto di terra, ora giocano molto di più sugli ostaggi. Oggi, ad esempio, si giocano lei." le spiegò Thresh passandole la foto di una donna dai capelli rossi "Katarina. Spia di Noxus. Molto abile ma non troppo furba: si è fatta denunciare per il furto di alcuni documenti da un soldato con cui aveva una relazione." 
"E se Noxus vince..."
"...lei sarà liberata. Ad ogni modo le conviene entrare nella Lega: impunità per ogni crimine, sia dentro che fuori le Arene della giustizia. Converrebbe anche a te, immagino siano già sulle tue tracce, esporti è il minimo dei tuoi problemi." 
"Sarebbe come permettere a Senna di spararmi da tre metri di distanza. Jarvan non è l'unico con cui ho un rapporto burrascoso."
"Senna?" Commentò ridendo Thresh "Davvero non hai saputo? Ti credevo informata." 
"Cos'è successo a quella dannata? Dovresti sapere che a Piltover non circolano certe voci."
"Si potrebbe dire che Lucian abbia un conto in sospeso con me...mentre io ho l'anima di sua moglie..." 
"L'hai presa?!" Chiese lei improvvisamente interessata da quella conversazione tanto noiosa. 
"Poco dopo la tua scomparsa. Dunque, entrerai?" 
Madness rifletté per qualche minuto, prima di rispondere. Aveva aspettato a lungo il momento di tornare al suo posto e vendicare Gaea, tuttavia voleva che ogni dettaglio fosse perfetto. Aveva alcuni conti da saldare e armi da riprendere e, sebbene non vedesse l'ora di calpestare la terra delle lane per dimostrare il suo valore, decise di attendere. 
"Ho alcune cose da fare, ma non è il genere di idea che rifiuterei. Piuttosto, qual'è il modo più veloce di raggiungere Piltover?" 
Thresh si alzò dalla sua poltrona, estraendo dal cassetto di una scrivania una manciata di minuscoli frammenti di gemma. Lanciò uno di questi a Madness, che lo afferrò al volo. La superficie piccola e fredda brillava di una luce interna e pulsante, di una tinta simile al viola. 
"È un cristallo di teleport" le comunicò Thresh "è sufficiente spezzarlo mentre si pensa alla destinazione. Semplice ed accurato." 
"Grazie" disse la ragazza, osservando incuriosita quel piccolo oggetto, soppesandolo con la mano e iniziando a pensare alla sua città d'adozione. In uno dei quartieri misti, dove intellettuali di tutta Valoran si riunivano in una comunità internazionale all'insegna della scienza, viveva uno yordle. Aveva avuto con lui già qualche trattativa per acquistare delle armi, ma ora la questione era diversa. 
"Piltover" sussurrò a mezza voce, rompendo il cristallo sul palmo della propria mano. Dopo aver pronunciato quelle parole, una spirale di fumo la avvolse, facendola scomparire in un battito di ciglia, con la stessa disarmante velocità con cui era arrivata. 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6- Back to the start ***


La città le si proiettò intorno come un ologramma. Era nella piazza centrale, sopra la sua testa la torre dell’Orologio scoccava rintocchi bassi e cupi che riempivano l’aria notturna di un’atmosfera lugubre. L’alba sarebbe sorta da lì a poche ore, eppure era certa che il luogo in cui si stava dirigendo era senza orario. Camminò sui sampietrini lucidi facendo risuonare i suoi passi attraverso le strade deserte, i lunghi capelli verdi mossi dagli artigli gelidi della notte. Arrivò presto alle porte della dimora di uno degli scienziati più valenti di tutta Runeterra, bussando con forza. Un minuscolo yordle le aprì, invitandola ad entrare. Indossava ancora una maschera protettiva, il suo camice era impregnato dell’odore dello zolfo. 
“Cosa ti porta qui a quest’ora?” Chiese, muovendo appena dei folti mustacchi bianchi. 
“Ho bisogno di un’arma.” Rivelò lei ” e a chi altri potevo rivolgermi, se non all’eccelso Heimerdinger?” 
“Certo devi avere molta fretta” commentò lui, facendosi largo attraverso la stanza disordinata e calciando via i rottami che si trovava tra i piedi, per poi tornare con due tazze colme di caffè “di che tipo di arma parli?” 
“Di un catalizzatore.”
“Hai ancora quello vecchio? Mi domando come tu faccia ad avere sempre bisogno di nuove armi.” 
“Quello vecchio è irrecuperabile.” Affermò Madness “è finito tra le grinfie di quegli sbirri e solo gli dei sanno che fine ha fatto. Inoltre non si avvicina neppure a ciò di cui ho bisogno ora. Devo gestire una quantità di energia oltre ogni immaginazione. Dev’essere l’Arma definitiva, il tuo capolavoro.” 
“D’accordo” rispose lui quasi con sufficienza “vedrò che posso fare. Esattamente, di quanta energia si tratta?”
“Abbastanza da poter disintegrare Demacia.”

La fucina ribolliva per il calore, le macchine sbuffavano nubi di vapore denso e gocce minuscole di sudore rigavano il volto di Madness. Stringeva strette delle pinze i cui ganci erano avvolti attorno ad un bastone di metallo nero e nodoso. Con la forza di un guerriero e la perizia di un’artista, modellava il suo scettro, assestando energici colpi di martello sulle fibbie malleabili e avvolte tra loro a simulare il ramo di un albero. La sua opera fu completa dopo molte e molte ore di lavoro tra ferro, carbone e metalli d’ogni sorta. La vista del suo lavoro completato le portò una leggera euforia e, quando lo consegnò ad Heimerdinger, ne fu quasi gelosa. Lo scienziato valutò il bilanciamento dell’arma e la sua resistenza, valutandone i punti deboli così come i punti forti. “Può andare. Un ottimo lavoro, Madness. Sono troppo indiscreto se chiedo dove hai imparato a maneggiare così il metallo?” 
“Le fucine di Gaea. Al tempo mi era stato insegnato come creare sculture di bronzo, ferro e ottone. Tuttavia ho dovuto abbandonare le arti per dedicarmi a questioni più pratiche, dopo l’Assedio.” Spiegò lei, seguendo lo Yordle giù per una rampa di scale e attraverso intricati corridoi, fino a giungere ad un laboratorio. Qui lo scienziato pose lo scettro in un macchinario simile ad una culla, sormontato da una cupola di vetro lucida. A pochi metri si trovava una consolle composta da led, leve e pulsanti. Premette il pulsante d’avvio e una minuscola scossa attraversò l’oggetto, inondando la stanza semibuia di una sottile luce blu. Girò poi una manopola, un indicatore si spostò, indicando 10% e la luce crebbe di intensità, senza che il catalizzatore subisse alcun effetto. Aumentò ancora, al 15%, e nessun risultato si ebbe. Al 20% Madness si spazientì. 
“Non sono giunta fin qui per essere cauta.” Sibilò, portando la manopola al 50%. Un lampo attraversò la culla da parte a parte, lo scettro si dimostrò ancora una volta fermo ed inalterato. Al 75% vacillò appena, al 100% tremò come se una forza demoniaca avesse sfruttato la sua struttura metallica come suo nuovo corpo. Heimerdinger, inizialmente intimorito dal colpo di testa della ragazza, non potè che guardare con ammirazione quel prodigio. Senza alcun progetto, senza alcuna modifica da apportare, quell’arma era perfetta. Ed era stata fatta da una ragazzina. Una bambina che fino a quel momento si era dilettata ad usare i metalli come pasta da modellare. Lei sentiva la sottile vena di invidia che aveva invaso il cuore dello Yordle e ne era fiera. Pagò il pieno prezzo dell’arma con del denaro che aveva nascosto sul suo corpo durante la rapina e si diresse verso un’altra meta a lei cara.

Il covo era sempre lì. Identico, invariato, una costate com’era sempre stato. Stavolta non aveva le chiavi, fu costretta a bussare. Nessuno le aprì, tuttavia lei rimase ed aspettò. Chiamò il nome di Jinx, bussò ancora, restò in attesa. Niente. Non un sibilo, non il rumore di lei che si rigirava tra le coperte, nulla. 
“È inutile che bussi, temo non aprirà nessuno.” Le suggerì una voce familiare dietro di lei. 
“Cos’è, già alle mie calcagna per arrestarmi, Cait? E tu che ne sai di lei? Non apre mai la porta.” 
“Non pensavamo di rivederti per lungo tempo.” Affermò l’altra quasi con apprensione, cambiando bruscamente discorso “Non pensavamo di rivederti affatto…” 
“Non conosci le Isole Ombra.” Constatò Madness “da lì c’è chi torna, ma non torna mai uguale a se stesso. Ad ogni modo, cosa sai di Jinx? Avete preso anche lei?” 
Caitlyn capì dalle sue parole che quelle ombre che aveva visto allungarsi e affilarsi sul viso di Madness erano molto più che un’impressione. La ladruncola che era partita era niente confronto a ciò che le stesse Isole avevano risputato nella terra dei vivi come un boccone troppo amaro. 
“Si è unita alla League of Legends.” Rispose, accantonando i suoi pensieri “Tutti le dicevano che non saresti mai tornata, che le scelte erano quello o la galera, era quasi obbligata. Nessuno pensava che quell’abisso potesse restituire altro che cadaveri e leggende nefaste.” 
Fu un pugno nello stomaco. Madness si sentì tradita da colei di cui più si fidava. “Mai al soldo della League.” Dicevano. 
Puoi forse biasimarla? Tu avresti fatto lo stesso. Sola, braccata, cosa ti avrebbe spinto a continuare senza di lei? Neppure tu saresti scappata in eterno. 
Lei ignorò la sottile voce di Saelie che si propagava nella sua testa e si girò, pronta ad andarsene. 
E adesso che farai? Te ne andrai ancora in giro a seminare il panico? Quante altre vite hai intenzione di spezzare inutilmente? Quanto vuoi far durare il tuo perverso gioco? Le tue mani sono già grondanti di sangue. 
“Stà zitta” sibilò in risposta, abbastanza piano da non farsi sentire da Caitlyn. 
“Dove vai?” Le gridò la poliziotta “non sai neppure dove sia. Hai intenzione di percorrere tutta Valoran a piedi finchè non la troverai?” 
“Se fosse affar tuo, ti direi che non sto andando da lei.” Ribattè fredda ” Ho ancora un altro conto in sospeso, prima di entrare nella League.” 
Caitlyn sentì il sangue gelarsi nelle vene. Subito il suo pensiero corse al volto di Madness coperto di lividi, mentre si burlava del suo secondo ufficiale, nonostante fosse stata proprio lei a ridurla così. Ripensò agli inseguimenti, a come Vi ribolliva di una rabbia feroce e cieca ogni qualvolta la criminale fosse oggetto di un qualsiasi discorso. Fermare un ladro è un conto, fermare chi è sopravvissuto alle Isole tutt’altro. Forse neppure quei suoi guantoni l’avrebbero salvata. 
“Stà tranquilla.” Irruppe l’altra nei suoi pensieri, quasi fosse riuscita a leggerli “non è della tua Cupcake che voglio vendicarmi. Ciò di cui parlo è un affronto ben più grave di una banale rissa.”

La luce fredda ed eterea della luna illuminava appena la stanza da letto, dando un’aurea lattea ai mobili raffinati. Jarvan entrò silenzioso come un’ombra, ricordando ormai a memoria la posizione della grande specchiera, individuando l’ampio armadio a parete alla sua destra, per poi intercettare con lo sguardo il grande letto a baldacchino e il voluminoso baule ai suoi piedi. Eppure, tra quelle sottili linee di luce, si nascondeva qualcosa. Non era certo di come, ma riusciva nettamente a percepire una presenza estranea, nella sua stanza. Restò nel vano della porta, fermo immobile, aspettando un qualsiasi altro segno sospetto. Non fu deluso: poco dopo, dalla superficie del letto arrivò un rumore di coperte stropicciate e un leggero sospiro. 
“Qual’è il problema, Jarvan?” Chiese una voce femminile e familiare, dal tono mellifluo “Non ti piaccio più? Tempo fa dichiarasti guerra alla Capitale pur di trovarti in una situazione simile.” 
Il principe continuò a non rispondere. Fece un passo avanti, ora riusciva a distinguere la linea morbida dei fianchi di lei, distesa sul suo letto quasi sfatto, gli occhi fissi su di lui. La figura sollevò appena la mano da cui scaturì una saetta verde brillante che richiuse la porta con un tonfo alle sue spalle. 
“O forse non riesci a riconoscermi senza le tue catene?” 
“Saelie.” Rispose freddo, dopo aver riconosciuto l’intrusa. La voce di lei era tagliente come un rasoio, quella di lui faticava a fingersi tale “Di’ per quale motivo sei qui e vattene. Demacia non è posto per te, mostro.” 
“Che termini pesanti!” fece notare lei “E da quale pulpito, soprattutto. Non si addicono certo a voi, mio sire.” Lui restò ancora a fissarla, le schegge azzurre che erano i suoi occhi indagarono a fondo quella figura slanciata, apparsa come un fuoco fatuo, portatrice di morte fin dal primo istante in cui aveva posato il suo sguardo su di lei. “Non cambi mai, vero?” Chiese Madness, distogliendolo dai suoi pensieri “Anche l’ultima volta mi guardavi così. È il genere di sguardo che amo: tu credi davvero che sia io il mostro. Mi ammazzeresti, se non avessi ancora la vana speranza di potermi imbrigliare di nuovo. E, probabilmente, lo faresti perfino in questo preciso istante, se avessi qualcuno a cui affidare il lavoro sporco, non è così?” 
“Un re non si abbassa a simili angherie.” Replicò lui secco “A Gaea è successo tutto perchè era giusto accadesse. È stato solo il colpo di grazia per quella città. Ormai da parecchi anni stava trascinandosi lungo la linea del tempo, agonizzante e avvelenata dalla corruzione dei vostri costumi.” 
“Sono queste le bugie che ti racconti ogni volta che ti guardi allo specchio, Jarvan? Il nobile re che pone fine alle sofferenze di un popolo. Scegli chi può vivere e chi deve morire quasi fossi un dio, eppure porti dentro di te i peggiori dei peccati.” 
“Guardie!” Latrò lui, appena vide che Madness iniziava ad avvicinarsi 
“La tua immensa superbia, la tua bramosia. L’invidia nei confronti del prospero popolo di Gaea, l’ira verso di me, che ancora cammino su questa terra. La gola e la lussuria per le quali mi hai tenuta segregata nelle tue prigioni. Dimentico forse qualcosa?” 
“Guardie!” 
“L’inerzia, giusto. Non agisci mai da te.” 
Nessuno arrivò in soccorso di Jarvan. Nessun rumore di armature risuonò per i corridoi. Il manico del coltello, stavolta, era dalla parte di lei e nessuno può immaginare quanto il principe avesse temuto quel momento. “Tu non sei migliore di me!” Gridò in risposta “Hai ucciso i miei uomini! Li hai uccisi tutti! Avevano una vita, ognuno di loro l’aveva! Chi lo spiegherà, ai loro figli, perchè non si trova altro se non qualche brandello di carne e pochi frammenti d’armatura?” 
“Era un rischio preventivato” rispose lei, fredda come il Vero Ghiaccio del Freljord “io ho ucciso soldati in servizio, tu hai ucciso civili inermi. Semmai finirò all’Inferno, stai pur certo che trascinerò anche te.” 
Un sorriso tagliente si dipinse sul volto di lei, le tinte della notte ad allungare le ombre degli zigomi, prima che se ne andasse. Jarvan era un misto di rabbia, sdegno e paura. Pietrificato, con il suo viso che a stento nascondeva le emozioni che, come dei tornado, avevano preso il sopravvento su di lui. 
“Sarà bello incontrarsi sui fields of justice.” Sibilò Madness, sorridendo ferina “Good Luck, Have Fun, my lord.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7- League of Legends ***


L’istituto della guerra si parò dinnanzi a lei, svettando con le sue torri di cristalli luminescenti e i possenti archi incisi di rune dal grande potere. Le alte gradinate erano affollate di champions e subito sentì i loro sguardi posarsi freddi su di lei. Non era normale, solitamente i nuovi arrivati erano accolti con grande calore. Soltanto Thresh, vicino all’imponente ingresso, parve rivolgerle un cenno di saluto. Mentre saliva le scale con incedere insicuro sentiva un brusio accompagnare come un lungo strascico la sua persona. 
“Non preoccuparti di quel che dicono” la rassicurò il carceriere “qui tutti hanno una loro reputazione e, buona o cattiva che sia, è pur sempre una reputazione. Se proprio devi scegliere, fai in modo che la tua sia cattiva. Agli Evocatori piace.” 
Varcarono le grandi porte, ritrovandosi in un ampio atrio dal pavimento e i muri marmorei, ricchi di intarsi di legni scuri ed esotici. Molte creature diverse si aggiravano per i corridoi, accompagnate da figure incappucciate. Thresh imboccò un’uscita sulla destra e, seguito da molti altri esseri più o meno umani, vi condusse Madness fino alla fine. Giunti lì, lui le fece segno di svoltare a sinistra, mentre lui andò a destra. 
La ragazza raggiunse così uno spogliatoio. Non che avesse granchè da cambiarsi, ma le fu utile rinfrescarsi e scaricare la tensione prima della spotlight. Era un momento cruciale e, sebbene fosse certa di essere forte abbastanza da entrare nella League, la parte di mente nelle mani di Saelie riteneva fosse impossibile riuscire a farcela. 
“Devi lasciarmi il controllo completo, Saelie.” Le intimò sottovoce “Sappiamo entrambe che sono l’unica tra noi che può farci entrare.” 
Hai già abbastanza potere, controlli completamente il mio corpo, sono stata privata del mio libero arbitrio, cos’altro puoi volere? 
“La tua mente: deve essere completamente sotto il mio controllo o finiremo come a Gaea. Basta un solo errore per finire nella lista nera dei rioters. Potremmo essere eliminate. Se succedesse, Jarvan saprebbe dove siamo e non impiegherebbe il tempo di un sospiro per sguinzagliarci contro un uomo dei suoi. Se invece passiamo, la protezione della Riot riuscirà a regalarci ancora qualche giorno di vita. A te la scelta.” 
In quell’istante furono richiamate. Una figura incappucciata accompagnò Madness fin su una piattaforma. La stanza era semibuia e davanti a lei si trovavano alcuni giovani uomini, anch’essi incappucciati, seduti davanti ad un vetro su cui era proiettata una mappa. Sembrava un terreno prevalentemente roccioso, di forma circolare. Qualche torre svettava luminescente lungo la circonferenza. Guardando i loro mantelli, notò che erano chiusi sul collo da una spilla a forma di pugno. Rioters. 
The battle will begin in 30 seconds!” Annunciò una voce femminile. 
“Madness, giusto?” Chiese una voce maschile ancora giovane. La ragazza faticava a capire da dove provenisse, finchè il Rioter al centro non ripetè la domanda “Ti ho chiesto se sei Madness. È questo il nome con cui ti ha registrata Thresh. Lo confermi?” 
“Confermo.”
“Ottimo! Mostraci che sai fare, d’accordo? Niente minions, niente items. Ci faremo sentire noi tramite un impianto telepatico dedicato, non sarai mai davvero sola. E tre…due…uno…stream up!” 
In quell’istante fu teleportata su un’altra piattaforma, questa volta di pietra. Alla sua destra e alla sua sinistra si trovavano due baratri che, lentamente, vennero richiusi da gradinate di pietra. 
“Stai ferma” le comunicò il ragazzo “lascia che la telecamera faccia un giro completo.” 
Madness seguì con lo sguardo la specie di coleottero che doveva essere la telecamera, sorridendo ed ammiccando, sicura, spietata e allo stesso tempo ammaliante. 
“Splendida! Ora scendi il ramo destro e raggiungi la lane tra le due torri. Troverai un nemico: fallo fuori.” 
Non dovette camminare molto, prima di imbattersi nel suo bersaglio. Aveva un che di familiare, un flash le ricordò della donna sul volantino di Thresh. Lei le sorrise spietata, Madness ricambiò con sicurezza, studiandola in un singolo sguardo, valutando l’insieme e i singoli punti deboli di quella figura scura che le si parava davanti. Strinse forte il suo catalizzatore, creando un contatto tra lei e l’arma, lasciando che la stessa energia demoniaca che scorreva nelle sue vene potesse dar vita anche allo scettro. Questo si illuminò di un bagliore verde, creando una sfera luminosa ad un capo. 
“Vai e uccidi” sussurrò lei, lasciandola partire. 
Il colpo vibrò sull’armatura grigia di Katarina, facendola vacillare sulle ginocchia e privandola di parecchi HP. A questo punto, fu il suo momento di rispondere. Mandò a segno un pugnale, senza fare neppure troppo male. Ma un istante dopo, era addosso a Madness, girando in una spirale di lame letali e affilate. 
“Honor Guard!” Chiamò e il demone si aprì una breccia tra le sue costole, creando uno scudo con il suo corpo per una manciata di secondi. Lo shield assorbì gran parte del colpo, ma non abbastanza da far si che la sua ospite potesse ancora dirsi indenne. Quella era la vera Madness. Una creatura scura che aveva trasformato il corpo di Saelie nella sua dimora e che, ora che quest'ultima era stata ferita, non poteva restare indifferente. 
“Non te ne andrai impunita.” sibilò.
Dalla terra emersero delle radici nere che si strinsero attorno alle gambe di Katarina, poi lei iniziò a contorcersi, in preda al terrore. Saelie rabbrividì, ricordando quando la figura indifesa e terrorizzata era lei, quanto quella paura l’avesse paralizzata, spinta a desiderare di morire pur di mettere fine a quella agonia. Gli HP della rossa ora non erano che qualche decina. La punta del catalizzatore divenne incandescente e Madness la utilizzò per trapassre l’avversaria da parte a parte all’altezza del cuore, distruggendola in una nuvola di frammenti luccicanti come stelle finchè lei non sparì con un grido soffocato. 
You have slain an enemy!” Annunciò la Voce, poi il silenzio tornò a regnare nella Crystal Scar. Era come se il tempo fosse si fosse congelato, come se persino gli dei si fossero fermati a guardare quello scontro tanto impari tra un mortale e l’indomabile forza di Madness, incoronata nel pantheon dei demoni più sanguinari. 
Solo allora realizzò che i rioters non avevano parlato. Nessuno aveva emesso un fiato, nessuno le aveva passato istruzioni. 
“Dunque?” Chiese, sfruttando il canale telepatico. 
Un breve silenzio seguì le sue parole e la ragazza iniziò a temere che quella risposta che tanto tardava ad arrivare fosse colma di delusione o, peggio ancora, di orrore. 
“Ho appena dato le ultime direttive per la patch e il Journal of Justice: sei dei nostri.”

Nella sala era calato un silenzio irreale. Quando Madness trapassò Katarina, nessuno parve avere parole per descrivere ciò che aveva appena visto. 
“Quindi la cara Madness è tornata. Perchè mai? Stava così bene nella tranquillità del suo esilio.” Commentò Evelynn guardando quasi con sufficienza quella scena. “Non credo sia per la fama. Deve avere qualcosa in mente, non è mai stata troppo egocentrica.” 
“L’eternità è lunga” rispose Hecarim, impressionato “non mi sorprenderebbe se avesse deciso di ammazzare il tempo così.”

"Sembra forte." Mugugnò Garen, sorreggendo la sua mascella squadrata col palmo di una mano "Non sarà facile, ma ne abbiamo avuti tra i piedi di peggiori. Cosa ne pensa?" 
“Penso che tu la stia sottovalutando, Garen.” Rispose Jarvan, continuando ad osservare il volto di lei proiettato sullo schermo “La sua forma mortale è forte e la sua determinazione è ferrea, ma questo…ci vorrà più di un esercito per fermarla.”
“Quante paranoie per una ragazzina!” commentò Swain passando accanto ai due eroi demaciani e squadrandoli con superiorità “Avrà pure un demone, ma resta sempre una bambina. L’unico punto a suo favore è la sua sete di sangue, ma in questo molti dei campioni di Noxus possono ampiamente superarla.”
“Come la vostra Katarina?” Ribattè scettico il principe “Non mi è sembrato abbia avuto troppe chance. Se fosse lei il vostro miglior elemento, avreste ben poco in cui sperare.” 
“Abbiate fede, vecchio mio. Si riderà poi, finite le battaglie vere.”

Quando anche Garen lasciò la stanza, lei si ritrovò sola. Non aveva fiatato per tutto il tempo della proiezione e, anche ora che un'immagine statica campeggiava sull’enorme schermo della sala stream, continuava a non avere parole. Osservava quell’essere muoversi svelto e letale e riconosceva la sua Mad in ogni movimento, in ogni respiro, in ogni singolo frammento di pelle, in ogni capello. Eppure, quella luce negli occhi di lei era estranea, come se l’avessero svuotata dell’anima e riempita con dell’altro. E poi arrivò l’Honor Guard, e il demone, e i suoi occhi tornarono quelli in cui tante volte si era specchiata. Non l’aveva mai vista così. Sapeva che era speciale, dei suoi poteri, ma mai avrebbe immaginato quel che poteva annidarsi all’interno del suo cuore. Forse, dopotutto, nemmeno lei la conosceva davvero.
Lasciò anche lei la stanza e iniziò a percorrere ogni centimetro dell’Istituto come un’ubriaca, cercandola disperata in ogni volto finchè non la vide. Era al capo opposto del corridoio per i teleport, i lunghi capelli verdi le ricadevano in parte sul viso e le vesti scure le fasciavano un corpo che ricordava più morbido e florido. Fu l’input decisivo: corse scansando chiunque fosse sulla sua strada, facendosi largo tra i champions e i rioters finchè non fu davanti a lei. Non ci fu nulla da spiegare, niente da chiedere o giustificare. Ci fu solo l’esile figura dalle trecce blu che gettava le sue braccia attorno al collo di Madness. 
Mad impiegò del tempo per registrare tutto. Il caos della gente attorno a se, quella creaturina stretta a lei con tutte le forze di cui poteva disporre, la voce sottile e increspata di Jinx che chiamava il suo nome, le lacrime che inumidivano la parte del suo mantello che le copriva la spalla sinistra e poi quelle che iniziarono a pungere i suoi stessi occhi. 
“Jinx…” Sussurrò piano Madness. 
Un brivido percorse la schiena di Saelie per un istante. Lei le sfiorò i capelli con la mano, scostandole alcune ciocche turchine dal viso. 
Lascia fare a me, chiese Saelie, la voce tremante e incrinata da un sentimento fin troppo simile alla paura e che andava crescendo di attimo in attimo, siamo passate, no? Non farò danni, lo prometto, ma ridammi il controllo del mio corpo. 
Restò in attesa della risposta del demone per un tempo che parve eterno, ma questa non arrivò mai. Si limitò a sorridere, continuando ad accarezzare l’ovale del viso di Jinx. “Mi dispiace, dolcezza.” disse infine Madness “Ho fatto un po’ tardi.”

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