Tutti per uno, uno per tutti

di Jordan Hemingway
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di moschettieri e bastardi ***
Capitolo 2: *** Di feste in maschera e dinamitardi ***
Capitolo 3: *** 3 Di esplosioni e amori incompresi ***



Capitolo 1
*** Di moschettieri e bastardi ***


Tutti per uno, uno per tutti

 
Salve! Questa cosa era stata pensata come un breve capitolo per la mia raccolta Because AU is the way (fateci un giro, se vi va – fine della spam), ma… sarà perché sono stata traviata dalla visione di The Musketeers, sarà perché le fanart su zerochan e deviantart sono la mia rovina spirituale, la storia si è sviluppata fino a raggiungere una lunghezza non adatta ad una raccolta. Quindi vi beccate questo delirio in toni da romanzo d’appendice, in cui si fanno esplodere monumenti inesistenti e si assiste alle imprese dello scalcinato corpo dei moschettieri del re, il tutto condito da avverbi ridondanti e sovrabbondanza di aggettivi.
Non rimpiango nulla.
Enjoy!

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1.Di moschettieri e di bastardi

Il capitano Arthur Kirkland ricordava con nostalgia i tempi in cui la vita alla corte di Francia scorreva monotona e sonnacchiosa: qualche duello nel fine settimana, una pestilenza o due ogni dieci anni, di tanto in tanto una guerra…  

“Mi aspetto una spiegazione, prima dell’udienza.” Le sue sopracciglia saettarono sui quattro moschettieri davanti a lui.

Uno di essi, il cui viso compariva di frequente negli incubi peggiori di Arthur, si avvicinò e tentò un sorriso. “Mon capitaine, è stato tutto un malinteso… “ Cominciò, allungando un braccio.

“TU TACI!” Abbaiò Kirkland, letteralmente saltando all’altra estremità della stanza per mettersi al sicuro dalle mani dell’altro.

“Ma capitaine, cercavamo solo di…”
“Davvero, capitano, pensare che Lovino possa…”
“Stammi lontano e non provare a difendermi, bastardo!”

“Beildschmidt!” Esasperato, il capitano si rivolse all’unico moschettiere che, stranamente, non aveva ancora parlato, perso in sue personali considerazioni che vertevano su un oggetto o persona al di là della finestra.
“Potresti spiegarmi come mai, in un giorno solo, il nuovo monumento davanti al Palazzo è crollato su se stesso, che cosa è successo al re di Francia, e perché Sua Eminenza il cardinale Ivan abbia sguinzagliato le sue Guardie Rosse nella mia capitaneria per trovarvi e portarvi da lui?” Tuonò Arthur, aggiungendo biecamente all’indirizzo di Francis: “Possibilmente privi di attributi. ”
 


Due giorni prima


Il più grande sogno di Lovino Vargas era diventare un moschettiere.
Il suo più grande incubo era diventare un moschettiere a fianco del bastardo che rispondeva al nome di Antonio Carriedo.

“Lovinito!” Antonio, spuntato dalle scale della capitaneria, lo soffocò in un fraterno abbraccio che di fraterno aveva ben poco. “Finalmente sei dei nostri!”
(S)Fortunatamente, Lovino era riuscito a realizzare sia il sogno che l’incubo.

Con un calcio ben piazzato si separò da Antonio. “Che cazzo cerchi di fare, bastardo?” Ululò, cercando di nascondere il rossore che lo rendeva simile a una verginella appena giunta dalle campagne, secondo l’esperta opinione di Gilbert Beildschmidt, capo della sua squadra.

Antonio non poté rispondere, occupato com’era a controllare che le sue regioni vitali fossero ancora integre dopo il trattamento ricevuto.

Mais non, Lovino, non puoi trattare così i tuoi compagni d’arme.” Un braccio sinuoso si posò sulle sue spalle a tradimento. “Dov’è la riconoscenza per averti aiutato a diventare moschettiere, mon petit?” Sussurrò Francis contro il suo orecchio, contribuendo a far raggiungere al viso di Lovino le tonalità di una fornace ardente.

“Aiuto?” Sbraitò il neo-moschettiere, sciogliendosi dalla presa di Francis e mettendo mano alla spada. “Sono stato io a salvarvi il culo dalle guardie del Cardinale! Se non era per me, i gioielli del re sarebbero già nelle mani di…”

Una lama d’acciaio comparve sotto il suo naso.
“Nelle mani di chi?” Gilbert Beildschmidt fissò Lovino con un sorriso che avrebbe gelato l’inferno. “ Le mie orecchie sono stanche di questo baccano. E comunque…” La spada si spostò, consentendo a Lovino di tirare il fiato. “Stai forse mettendo in dubbio il ruolo avuto dal magnifico me, pivello?” Domandò Gilbert, sogghignando.
“Pivello a chi, coglione?”

“Che cosa sta succedendo?” Tuonò il capitano Kirkland, spalancando la porta del suo ufficio.
Mon capitaine!” Francis si illuminò e fece per gettarsi verso Arthur. “Ai suoi ordini, mon capitaine!” Il quale assunse la tonalità delle lapidi funerarie e si affrettò a scansarsi. “Se non avete nulla di meglio da fare che dare aria alla lingua, andate di pattuglia a Palazzo fino a stasera!” Ordinò, sbattendo la porta.
 


“Quindi, signore, la colpa di tutto è di Francis.” Osservò Gilbert, interrompendo il racconto. “Se non fosse stato per lui, noi non saremmo andati a Palazzo, e non avrei dovuto rischiare il mio magnifico… er, non avrei dovuto rischiare la vita per salvare questi tre pivelli….”
“A chi hai dato del pivello, coglione?”
Kirkland si portò le mani alle tempie. “Continua.”
 


“Perché devo venire anch’io?” Ripeté per la centesima volta Lovino, piantonato sotto il sole cocente dei giardini del Palazzo reale. “Ho salvato la Francia, perché allora devo finire di pattuglia con voi bastardi?”
“Lovinito, Lovinito, tutti iniziano dal basso.” Antonio scosse la testa con aria saggia mentre si stiracchiava all’ombra degli alberi, facendosi versare altro vino da Gilbert.

Oui, Lovino: vedrai, iniziare dal basso non è per nulla spiacevole, anzi…” Sussurrò Francis alle sue spalle.
“Pervertito!” Abbaiò Lovino, saltando di lato per schivare le mani svelte del biondo. Una manovra che ebbe però l’effetto di farlo inciampare: il ragazzo si ritrovò all’improvviso tra le braccia di Antonio.

“Dovresti stare più attento, Lovinito.” I raggi del sole illuminavano il viso sorridente del moschettiere.
Lovino impiegò qualche attimo prima di riprendersi e staccarsi dalla stretta.
“Stammi lontano, Carriedo!”
“Non preoccuparti, querido: per quanto tu possa cadere, sarò sempre al tuo fianco per afferrarti.”

“Come cazzo puoi dire cose simili con quella faccia tranquilla?” A quel punto Lovino decise di aver sopportato abbastanza e si allontanò a grandi passi verso il Palazzo. “Pattugliatevelo voi questo giardino di merda!”
“Lasciatelo andare.” Gilbert sputò un acino d’uva in mezzo al prato. “Alla peggio, ce lo riporteranno le guardie private di Sua Maestà.”
 


“Pattugliare i giardini.” Lovino sbuffava mentre percorreva a casaccio i viottoli del parco. “Ho salvato il culo al re di Francia, e dovrei stare qui a guardar crescere l’erba?”

Si fermò all’udire delle voci che bisbigliavano concitatamente da qualche parte nelle vicinanze. Una delle voci gli risultava familiare: strisciando a terra Lovino si fece strada tra i cespugli, fino a che non raggiunse le due persone intente a discutere.

“ E che ‘azz…” Si lasciò sfuggire: com’era possibile che Milady Eliza, la ladra che pochi giorni prima era quasi riuscita a far entrare in guerra la Francia contro l’Inghilterra, stesse parlando nientemeno che con Sua Eminenza il cardinale Ivan?



“Il Duca di Buckingham non ha ricevuto i diamanti… La Francia non è in guerra: come devo spiegarmi questa serie di eventi?” Il cardinale sorrise ad Eliza, la quale iniziò immediatamente a sudar freddo.

“Sono stata intralciata, Vostra Eminenza.” Temporeggiò la giovane, cercando di individuare il maggior numero di vie di fuga. Il viso del cardinale le oscurò la visuale.

“Tutto qui?” Le domandò con un tono affettuoso che prometteva lacrime e sangue.
“Il Palazzo… Le mura… Il Re…. I moschettieri!” Esalò infine Eliza. “Quei maledetti moschettieri si sono intromessi e hanno recuperato i diamanti del Re.”

Per un momento dimenticò il cardinale, ricordando il sorriso strafottente di un particolare moschettiere mentre le mostrava i veri gioielli al collo del Re.
Oh, quanto avrebbe voluto scardinare quell’espressione dalla sua faccia a suon di randellate…

“Vi siete fatta giocare dai moschettieri, Elizaveta?” Il tono del cardinale riportò la ragazza alla minaccia incombente.
“Assolutamente no, Vostra Eminenza, fa tutto parte… fa tutto parte del nuovo piano, sì!”
“Un nuovo piano?” Ivan la fissò da sotto le palpebre. “Di cui non sono stato informato?”

L’aura malsana che lo ammantava sembrò crescere, per cui Eliza si affrettò a replicare: “Vi avrei detto tutto oggi, Eminenza, è un piano che non può fallire…” Iniziò a spiegare.

Dalla sua postazione Lovino, che stava cercando di non perdersi nemmeno una sillaba, si trovò a concordare con Eliza: quel piano era destinato al successo. O meglio, lo sarebbe stato, se non fosse che ormai lui sapeva ogni particolare e avrebbe salvato di nuovo il culo alla Francia e al suo re, alla faccia dei tre bastardi che lo sfottevano da mattina a sera.

“Devo informare il re.” Decise Lovino, vedendo il cardinale ed Eliza allontanarsi in direzioni separate. “E quando sarò un eroe nazionale non dovrò più pattugliare i giardini!”
“Non ti piace stare di pattuglia?”
“Nah, è noioso, non capita mai niente di interessante.” Rispose Lovino, distratto. “E quando mi beccano a dormire in servizio son cazzi amari…” Fu allora che realizzò a chi stava rispondendo, ma era già troppo tardi.
Il bastone lo colpì proprio sulla fronte.

“Non preoccuparti.” La voce di Eliza sembrava venire da molto distante. “Per questa volta potrai dormire.”

 
Angolo dell’autrice (di cui nessuno sentiva il bisogno)
Orbene, che ne pensate? Riuscirà Eliza a salvarsi dall’ira di Ivan? Lovino imparerà a tenere la bocca chiusa? Come mai il BTT si comporta come una manica di eroi mancati? Tutto questo ( e altro ancora) NON verrà svelato nel prossimo capitolo.
E’ un ottimo incentivo per leggerlo, vero? ^^



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Capitolo 2
*** Di feste in maschera e dinamitardi ***


Tutti per uno, uno per tutti

 
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2.Di feste in maschera e dinamitardi

Era ormai sera, e Gilbert aveva finito il vino.
“Possiamo andare.” Decise, alzandosi pigramente. “Il cambio di pattuglia dovrebbe arrivare a momenti.”

“Lovinito non è ancora tornato.” Era più di un’ora che lo spagnolo stava scrutando il parco nella direzione in cui Lovino era sparito, cercando di non farsi notare troppo dai compagni.
“Sarà tornato a casa.” Francis allungò le braccia sopra la testa. “Non c’è da preoccuparsi, Antoine.”

Forse era così, tuttavia Antonio non era convinto: possibile che Lovino fosse tornato a casa senza preoccuparsi delle conseguenze dell’aver abbandonato il posto di guardia?

“E’ possibile.” Gilbert sembrò leggergli nel pensiero. “Stiamo parlando di Lovino, dopotutto.”
“E se si fosse perso?”
“Nei giardini del Palazzo? A quest’ora chiunque, tra giardinieri e scorta del re, lo avrebbe riportato in lacrime da noi.” Gilbert fissò un punto oltre la loro visuale. “Sta arrivando il cambio. Muoviamoci.”

“Controlliamo a Palazzo.” Insistette l’altro. “Potrebbe aver cercato le cucine ed essere rimasto lì.”
Francis e Gilbert sospirarono. “Ricordami di darti una botta in testa la prossima volta che qualcuno si allontana.”




“Questo posto è un manicomio.” Arthur Kirkland osservava con profondo disgusto la festa al suo culmine. Il salone era talmente pieno di coppie danzanti e di ubriachi che pareva sul punto di scoppiare. E in tutto questo, sua Altezza il re di Francia sedeva sul suo trono con una mano sotto il mento, con un ghigno che prometteva male.

“Non dite così, capitano. Qualcuno potrebbe pensare che non amiate le feste organizzate dal re.” Il cardinale comparve all’improvviso alle sue spalle.

“Ho detto questo?” Tentò di abbaiare il capitano dei moschettieri. “Non mettete nella mia bocca parole che non penso.”
Il cardinale sorrise. “Non sia mai, capitano, che io vi metta in bocca cose che non desiderate.” Arthur rabbrividì.

“Purtroppo vi devo salutare, capitano: il mio ruolo poco si confà alle feste mondane.” Si scusò il cardinale, congedandosi con un cenno del capo.  “Ma vedo che i vostri moschettieri non esitano a lanciarsi nelle danze: i loro compiti quotidiani devono lasciare loro molte energie.” E con queste parole indicò il fondo della sala, dove tre moschettieri stavano attraversando il salone a tutta velocità.

“Te l’avevo detto di non infastidire la cuoca!” Urlò Antonio, schivando elegantemente una dama di mezza età, che subito dopo cadde a terra, colpita da una gomitata di Gilbert.
“Ho solo fatto un paio di complimenti alle cameriere!” Si difese Francis, impegnato a fare il baciamano a quante più persone possibili senza rallentare la sua andatura.

“VOI TRE!” La voce del capitano Kirkland sovrastò la musica e il baccano. I tre malcapitati si fermarono di colpo.

Mon capitaine, posso avere l’onore…”
“E’ stato bello conoscervi.” Sussurrò Antonio.

“E’ un’idea assolutamente splendida!” Il re di Francia si era alzato ed intervenne prima che le mani di Arthur spezzassero il collo di Francis. “Un ballo mascherato! Non è una trovata geniale, Toris?” Il fedele segretario del re assentì sospirando. “Stavo tipo pensando a quanto monotona fosse la serata, ma grazie a voi ora so come renderla assolutamente fantastica.” Sua Maestà Feliks XIII batté le mani. “Toris, dove abbiamo messo i costumi dello scorso Carnevale? Io voglio fare la pastorella!”

“Vostra Maestà, non mi sembra il caso…” Provò a fermarlo Kirkland.
“Capitano, non siate noioso.” Alcuni valletti giunsero con una pila di maschere. “Ecco, indossate questo.” E Feliks scaraventò sulla testa di Arthur un copricapo a forma di unicorno. Rosa. “Non è assolutamente perfetto?”

“E voi.” Il re passò ai moschettieri. “Non ho assolutamente idea di chi voi siate, ma i vostri costumi sono splendidi, per cui potete andare. Toris, aiutami a distribuire le maschere!”
“Il rosa vi si addice, mon capitaine.” Sogghignò Francis.
“TU TACI!”

Gilbert stava per dire qualcosa di potenzialmente offensivo, quando la sua attenzione fu deviata altrove: nella folla scorse dei lunghi capelli castani, una figura snella e un viso coperto da una maschera. Tutto questo pacchetto si muoveva con discrezione tra gli invitati, cercando di allontanarsi.

“Torno subito.”



Lovino Vargas non aveva intenzione di svegliarsi.

Davanti a lui una tavola imbandita di tutte le leccornie possibili e immaginabili gli stava chiedendo con dolcezza di mangiare tutto fino all’ultima briciola.

“Coraggio, mi amor, non essere timido: ingoia tutto.”
All’improvviso la tavola si era trasformata in quel bastardo spagnolo, coperto solo da ciuffi di panna nelle zone cruciali.

“Esci dal mio sogno, bastardo!” Si sgolò Lovino, cercando di fuggire, ma stranamente più tentava di scappare più si avvicinava all’altro, fino a che non si ritrovò praticamente sopra di lui.

“Non ti piace la panna, Lovinito?” Ora erano entrambi nel parco di quella mattina, e di nuovo Lovino si ritrovò sorretto dalle braccia forti di Antonio. Perché quel maledetto bastardo riusciva a sconvolgerlo pure in sogno? “Esatto, è solo un sogno. Dovresti proprio svegliarti, mi amor.”

Antonio si allungò fino a sfiorargli le labbra con le sue. “Ti assicuro che, nella realtà, la panna è ancora più buona.”

Lovino aprì gli occhi, ansimando. “Bastardo.” Mormorò, prima di accorgersi di essere strettamente imbavagliato e legato.

Dove si trovava? Questo non avrebbe saputo dirlo: nella penombra il moschettiere riusciva a distinguere solo calcinacci, pareti spoglie e travi. Guardando meglio, gli parve di essere sopra un’impalcatura  addossata ad una parete in costruzione. Un cantiere, ma dove? E perché Eliza aveva deciso di lasciarlo lì pur sapendo che lui era a conoscenza del suo piano?

Tastando le corde con i polpastrelli, Lovino capì che i nodi erano troppo stretti per essere allentati: avrebbe dovuto tagliarli. Lentamente, strisciando centimetro dopo centimetro, il ragazzo scivolò fino ad una trave sporgente e, per la prima volta nella sua vita, si apprestò ad usare pazienza e olio di gomito per segare quelle dannate corde.



Eliza era riuscita ad allontanarsi con successo dal salone della festa, ed ora stava correndo lungo i sentieri del parco, cercando di allontanarsi il più possibile da ciò che sarebbe successo di lì a poco.

Anche se, in fin dei conti, non era soddisfatta.

Il piano iniziale era semplice: la situazione tra Inghilterra e Francia era già tesa, sarebbe bastato un solo incidente a far scoppiare la guerra tanto desiderata dal cardinale. E quale incidente migliore di un’esplosione che avrebbe distrutto il nuovo monumento celebrativo ideato dal re di Francia? Ma poi si era intromesso quel moschettiere, ed erano sorte le complicazioni. 
Perché Eliza poteva essere una ladra, una cospiratrice, una pedina nelle mani del cardinale e della sua sete di potere, ma non era un’assassina.

Non più.

La giovane deglutì, stringendo la maschera sul viso. Il cardinale era stato chiaro: Lovino doveva essere eliminato. Fin dove si sarebbe dovuta spingere per assecondare il cardinale?

Si fermò.

Quando riprese la sua corsa, fu nella direzione opposta, di nuovo verso il Palazzo. Qualunque cosa fosse successa, non sarebbe diventata l’anima nera del cardinale.

Una mano calda e forte le afferrò il polso, scaraventandola contro un albero.

“Qual è il tuo gioco, Eliza?” Era strano come quella mano, così bianca da sembrare ghiaccio vivo, possedesse in realtà un tocco in grado di bruciare come le fiamme che si riflettevano negli occhi del suo possessore. Gilbert le immobilizzò entrambe le braccia dietro la schiena, spingendola così contro di lui. “Fino a dove arriverai per allontanarti da me?”

Voilà! Eccoti, finalmente!” La voce di Francis interruppe il momento. “Pensavo di aver perso anche te. Ma che cosa… Nom d’un nom d’un nom!” Si bloccò il biondo, sbalordito, alla vista di Eliza. “Che cosa sta succedendo oggi?”

“Non c’è più tempo per spiegare.” Con uno strattone, Eliza si liberò dalla presa di Gilbert. “Se volete rivedere vivo il vostro amico, venite con me.”

“E chi mi assicura che questo non sia un altro trucco?” Domandò Gilbert. “Dovrei bermi la storia della tua improvvisa conversione?”

La ragazza sospirò. “Nessuna conversione: chiamiamolo stallo.” E si diresse verso il Palazzo.
 “Venite?”



Lovino aveva abbandonato ogni tentativo di liberarsi dopo circa cinque minuti di duro sforzo. Dopotutto, quei tre deficienti avevano il dovere di salvarlo, no?

“Che cazzo stanno aspettando?” Bofonchiò, digrignando i denti contro il bavaglio. Forse erano tornati a casa alla fine del turno, senza pensare che Lovino poteva trovarsi nei guai. In tal caso avrebbe dovuto aspettare il giorno dopo, quando gli operai di quella specie di cantiere sarebbero tornati al lavoro. Il pensiero di dover passare la notte lì dentro lo demoralizzò, e con un sospiro lasciò cadere la schiena contro le travi, provocando un ondeggiamento di tutta la struttura.

Fu così che il congegno nascosto da Eliza sulla sommità dell’impalcatura gli cadde proprio davanti alle gambe legate.

In giovane età, quando era ancora un marmocchio sotto tutela di un certo bastardo, il piccolo Lovino si era dilettato nella costruzione di ordigni esplosivi. Niente di troppo complicato, semplicemente qualcosa di abbastanza rumoroso da far spaventare il malcapitato che dormiva invece di preparargli la colazione.

Quella cosa che era appena piovuta invece aveva un aspetto che prometteva morte e distruzione, se quella lunga miccia fosse stata accesa... Il ragazzo si accorse allora della scintilla rossa che scendeva dall’alto, seguendo la via segnata dal sottile filo incatramato.

Lovino iniziò a dimenarsi.

 


Angolo dell’autrice (assolutamente non necessario)
Andiamo, a chi non piacerebbe un Spagna ricoperto di panna per San Valentino? (schiva elegantemente una raffica di pomodori) Riuscirete a sostenere la tensione fino al prossimo capitolo, dove NON  scoprirete perché Prussia e Ungheria si comportano come i protagonisti di un feutillon di terza categoria, come mai Feliks è diventato re E regina di Francia, e perché gli unicorni rosa sono il sogno erotico (non tanto) segreto di Francis.
(Esce scivolando sui pomodori)


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Capitolo 3
*** 3 Di esplosioni e amori incompresi ***


Tutti per uno, uno per tutti

 
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3 Di esplosioni e amori incompresi
 
“La miccia dovrebbe durare altri cinque minuti.” Spiegò Eliza, ansimando per la corsa. I tre si trovavano ora davanti al cantiere dove il cosiddetto Cubo di Feliks era in fase di costruzione: un grande edificio quadrato che sarebbe presto stato ricoperto interamente da vetrate di cristallo.
Mon Dieu…” Francis si fermò ad ammirare l’opera.
“Non è il momento di entusiasmarsi per l’arte.” Senza porre altro tempo in mezzo, Gilbert si lanciò verso una delle impalcature. “Prima le signore.”
Eliza si fermò. “Vi ho portati fin qui. Il patto era questo.”
“Abbiamo fatto un patto?” Il moschettiere sogghignò. “Non metterò a repentaglio la mia magnifica persona basandomi sulle parole di un’avventuriera.”
“Io ti…”
“Lasciamo le effusioni a dopo, mes amis.” Francis iniziò a salire. “Vorrei solo sapere dov’è finito Antoine.”
L’interno del cubo era ancora in costruzione: la polvere permeava l’aria, al punto che Francis fu costretto a fermarsi a causa di un attacco di starnuti.
“Kesesese.” Gilbert fu investito da una cascata di malta secca. “Lovino dovrà sudare per farsi perdonare tutto questo.” Infine raggiunsero la sommità dell’impalcatura.
Di Lovino e del congegno, nessuna traccia.
“Dov’è?” Il moschettiere fissò Eliza con rabbia. “Dimmi che non era un altro inganno.”
“Non capisco.” La ragazza era confusa. “L’ho lasciato proprio qui…” Ed indicò un punto dell’impalcatura dove alcune assi di legno avevano ceduto.
Un rumore sordo li spinse ad affacciarsi all’orlo del buco. Dal piano inferiore, Lovino li guardava in cagnesco.
“Lo sai, mon ami, nonostante quel che dice Antonio tu dovresti metterti a dieta.” Lo informò Francis, guadagnandosi una serie di smorfie.
“E la bomba?” Gilbert aguzzò la vista, cercando di distinguere nuovi particolari. Lovino iniziò ad emettere suoni soffocati e a dimenarsi, indicando con le gambe un oggetto poco distante da lui, e una fiammella che si stava avvicinando.
“Non agitarti, deficiente, o farai crollare tutto!”
“Aspetta, scendo a spegnerla.” Eliza iniziò a calarsi dal buco dell’impalcatura.
In quel momento accaddero tre cose.
Una testa bionda fece capolino dalle scale della struttura. “Toris!” Sua Altezza alzò la sua lampada. “Sei qui? Prometto che non ti vestirò da ninfa!”
Eliza raggiunse la bomba e soffiò sulla miccia per spegnerla, ottenendo invece di accelerare la velocità della fiamma. “Togli la miccia!” Le urlò Gilbert dall’alto. “Togli quella dannata miccia!”
Le spinte disperate di Lovino compromisero definitivamente l’equilibrio dell’impalcatura su cui si trovava. Il ragazzo si ritrovò a cadere nel vuoto.
Alla fine non sei riuscito ad afferrarmi.
Due braccia robuste lo afferrarono per le gambe. Da quella posizione Lovino riuscì a scorgere un paio di occhi verdi che lo fissavano esultanti.
“Visto, Lovinito?” Antonio gli sorrise. “Per quanto tu possa cadere, io saprò sempre afferrarti al volo.”
Con un ultimo gemito frustrato, l’impalcatura crollò su se stessa.
“Gettala via Eliza!”
La bomba esplose, illuminando la notte come un fuoco d’artificio.




Lovino riaprì gli occhi, cercando di sfregare via la cenere e la polvere che gli entravano nelle pupille. Le corde che gli avevano legato le mani, per effetto dell’esplosione, si erano spezzate, così poté liberarsi del bavaglio.
“Dove sei, bastardo?” Ogni respiro gli costava una pugnalata alle costole. Doveva essersene rotte alcune nella caduta. Si guardò attorno, alla ricerca di ogni indizio: infine intravide un lembo di una casacca da moschettiere, semi-sepolta dai calcinacci.
Senza più curarsi del dolore, Lovino si precipitò a scavare. “Bastardo!” Esalava ad ogni pezzo di muro spostato. “Esci fuori.” Con attenzione, estrasse il corpo di Antonio e lo spostò in un punto dove si riusciva a respirare quasi normalmente: i suoi occhi erano chiusi, il colorito livido, e il petto era immobile.
Con la forza della disperazione Lovino si avventò su di lui.
“Non osare morire.” Ruggì premendogli le costole e schiaffeggiandolo. “Non. Osare. Morire. Mi hai sentito, bastardo? Non provare a lasciarmi solo, hai sentito?”
Mi amor, se non mi uccidono le tue cure, non ci riuscirà nient’altro.” Sussurrò Antonio, riaprendo gli occhi.
Lovino si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo.
“Bene, bastardo. Rialzati ed usciamo da…” Si interruppe, perché la mano dello spagnolo lo aveva afferrato per la camicia, facendoselo cadere addosso.
“Che cosa avresti fatto, se io fossi morto?”
Il ragazzo arrossì sotto la calcina che gli imbiancava il viso. “Non avrei speso un franco per il tuo funerale.” Ora il viso di Antonio era talmente vicino che Lovino poteva contarne le ciglia.
“E come potrei lasciarti solo, Lovinito?” Mormorò lo spagnolo. “Io sono e sarò sempre al tuo fianco.”
Le loro labbra erano così vicine…
Un rumore sordo, una cascata di calcinacci: una testa bionda spuntò in un angolo delle macerie.
“Non fate assolutamente caso a me.” Sua Altezza Feliks IIIX portò entrambe le mani sotto il mento. “Continuate, vi prego."




L’esplosione aveva lasciato Gilbert privo di coscienza per qualche minuto. Riaprendo gli occhi, la prima cosa che vide fu la sagoma di Eliza che si districava dalle macerie per poi avviarsi verso la fuga.
“Eliza!”
La voce, benché debole, riusciva ancora ad essere imperiosa.
La giovane si immobilizzò per un istante, poi riprese a camminare.
“Eliza.”
Ora avrebbe potuto essere una supplica, una preghiera ad una santa da tempo dimenticata.
Elizaveta tornò sui suoi passi e si inginocchiò accanto a lui.
“La tua gamba è stata colpita dai calcinacci, ma non dovrebbe essere rotta. In un paio di settimane tornerai a giocare al moschettiere.”
“C’è il cardinale dietro a tutto questo, non è così?” Gilbert cercò di mettersi a sedere, senza risultato.
“Non cambierai mai.” Eliza scosse la testa, abbassando le palpebre. “Non ti arrenderai mai, vero?”
Il moschettiere le sorrise con tutta l’insolenza che un sopravvissuto ad un’esplosione poteva dimostrare. “Tu che dici?”
La smorfia di Eliza fu eloquente. “Non scherzare con il fuoco, Gil.”
“Perché potrei scottarmi?”
“Potresti bruciare. Tu e tutti quelli che ti circondano.”
“Perché il cardinale vuole una guerra?”
Facendo per alzarsi, Eliza scrollò le spalle. “Sei già in ottima forma. Non hai bisogno di me.”
“Io ho sempre bisogno di te.” Fu appena un sussurro, ma sufficiente a far perdere un battito alla ragazza. “Ho sempre avuto bisogno di te.”
“Mi correggo: devi aver battuto la testa in modo più forte di quel che credevo.”
“L’unica buona azione di Ivan è stata riportarti da me.” Eliza aveva dimenticato di come le parole di Gilbert potessero bruciare più della sua pelle e dei suoi sguardi.
“Ora che cosa dovrei rispondere?” Mormorò Eliza, chinandosi su di lui. “Dovrei rivelarti i piani del cardinale?”
“Potresti.”
“E restare al tuo fianco fino alla fine come ai vecchi tempi?”
“Non hai mai potuto resistere al magnifico me.” Sorrise Gilbert.
“Lo sai, Gil.” Le labbra di Eliza sfiorarono le sue. “Le persone cambiano.” E, con una testata, lo rispedì nel mondo dei sogni, per poi darsi alla fuga.




Di tutti Francis era stato quello più fortunato: l’esplosione lo aveva scaraventato su una pila di sacchi di polvere di calce, senza altri danni che una lieve botta al fondoschiena.
E gli altri?
Gilbert, Antonio, Lovino…  Dovevano essere vivi. Ammaccati, forse, ma vivi: dopotutto, loro erano i moschettieri, e i moschettieri non muoiono mai.
Perlomeno, non in un’esplosione potenzialmente letale.
E il re? Francis ebbe un capogiro: cosa sarebbe successo se Feliks fosse morto? Il cardinale avrebbe preso il controllo della Francia, accusando i moschettieri del regicidio. Ma nemmeno un re poteva morire così facilmente, n’est pas?
Francis chiuse gli occhi.
Non si accorse quindi dell’arrivo delle guardie private del re, accompagnate dal capitano Kirkland e da Toris, i quali iniziarono subito a scavare nelle macerie.
“Alcuni moschettieri sono stati visti dirigersi qui.” Spiegava ad Arthur uno degli attendenti.
“Non posso credere che i miei uomini siano coinvolti in un assassinio politico.” Fu la secca replica del capitano, il quale, senza più indugi, iniziò ad addentrarsi tra le macerie.
Se le sue ipotesi erano corrette, Arthur sapeva quali dei suoi moschettieri cercare in quel disastro, e il pensiero non lo rallegrava.
Come era possibile che quei quattro disgraziati riuscissero a provocare più danni di una squadriglia di mercenari teutonici? Il capitano decise che la gogna era un castigo troppo lieve per quella rana e per i suoi degni compari: avrebbe dovuto escogitare qualcosa di meglio.
Se fossero stati ancora vivi.
Dannazione, dovevano essere vivi.
“Vostra Maestà!” Urlava intanto Toris, scavando tra i calcinacci. “Vostra Maestà, non sarete davvero qui dentro? Vi prego, indosserò tutto quello che volete, basta che siate vivo!”
“Bonnefois!” Esplose Arthur, riconoscendo il suo moschettiere e afferrandolo per il bavero della giacca. “Che cosa stavi cercando di fare, dannata rana, volevi farci saltare tutti in aria?”
Mon capitaine!” Francis spalancò gli occhi. “Mon capitaine, sei venuto a salvarmi!”
Forse fu l’impeto di Francis, a cui la sopravvivenza miracolosa aveva conferito un entusiasmo eccessivo, forse fu il sollievo di Arthur, che già pregustava il momento in cui avrebbe potuto spedirlo a lavare le latrine per quell’incidente.
In ogni caso, le braccia di Francis riuscirono a chiudersi attorno al corpo del suo capitaine, mandando entrambi a terra. Arthur cercò di alzarsi e di scostare Francis dal suo petto.
“Che cosa credi di fare, tu…”
La bocca di Francis si posò sulla sua, interrompendolo. La delicatezza iniziale fu sostituita dalla forza, le mani di Francis percorrevano il corpo di Arthur, che per un breve, folle istante ricambiò il bacio…. Per poi ricordarsi di avere un pubblico.
“Capitano.” Toris e le guardie reali tossicchiarono educatamente. “Abbiamo individuato Sua Maestà e gli altri. Avremmo bisogno di lei per organizzare i soccorsi.”
“Non c’è nessunissima fretta Toris!” La voce del sovrano si levò dalle macerie. “Hai tipo detto indosserò tutto quello che volete?”
Rosso in viso, Arthur si districò e si rialzò in piedi. Francis e tutte le guardie lo stavano guardando, in attesa.
“Permettete un secondo.”
Il montante colse Francis di sorpresa: il colpo lo raggiuse dritto al mento, spedendolo nel mondo dei sogni.
Sogni in cui un capitaine estremamente irascibile danzava con lui vestito da unicorno.
Rosa.
 



“E questo è tutto, signore.” Gilbert concluse il racconto (dal quale aveva omesso molti dettagli, come ad esempio la fuga di Eliza).
Arthur Kirkland continuò a massaggiarsi le tempie ad occhi chiusi. “Il cardinale quindi?” Sospirò, ricevendo la conferma dei suoi sospetti. “Avete uno straccio di prova a sostegno delle vostre dichiarazioni?”
“Nessuna, signore.” Anche se fossero riusciti a rintracciare Eliza, sarebbe stata la loro parola contro quella dell’uomo più influente di Francia. Le possibilità di vittoria erano pari a zero.
Il capitano prese una decisione.
“Direte al re che l’esplosione è stata causata dalla fronda anti-monarchica, che voi avete provveduto a neutralizzare.”
“Non è giusto.” Lovino sbatté il pugno sulla scrivania di Kirkland.
“Siamo sull’orlo di una guerra con l’Inghilterra, le campagne sono in rivolta per mancanza di cibo, la crisi politica a corte ha reso un cardinale il vero re di Francia. La vita non è giusta.” Lovino abbassò la testa.
“Non possiamo nemmeno lasciare che i piani di Ivan vadano a buon fine.” Francis guardò Gilbert, cercando sostegno.
“Non ho detto questo.” Kirkland fissò a lungo i suoi moschettieri. I suoi pazzi, spericolati moschettieri, che nonostante le apparenze si sarebbero gettati nel fuoco per difendere la Francia. “Il cardinale vi teme: per questo ha sguinzagliato le sue Guardie Rosse contro di voi. Gli faremo credere che non ha nulla da temere, che Lovino ha dimenticato ogni cosa per effetto del colpo in testa.”
“Quale colpo?”
“Te lo spiego dopo, querido.”
Arthur riprese. “Mantenete un basso profilo per qualche tempo. Ma nel frattempo” E il capitano strinse il pugno con forza “Nel frattempo farete tutto il possibile per contrastare i suoi piani, di qualunque cosa si tratti. E’ chiaro?”
Oui, mon capitaine.”
Arthur sorrise. “Per ora siete tutti di turno alle latrine per le prossime settimane, a partire da ADESSO!” Abbaiò, schivando di nuovo Francis che tentava di abbracciarlo, commosso.
“Kesesese! Non direte sul serio, signore!”
“Ma capitano, che cosa abbiamo fatto…”
“Io sono stato rapito e quasi ucciso!”
“TACETE! Avete idea di quanto costi quel dannato cantiere? Il re ha deciso, nella sua magnanimità, di affidare al corpo dei moschettieri l’onere delle spese di ricostruzione!” Arthur chiuse gli occhi. “Questa volta sarà una piramide di vetro.” Scosse la testa. “Quindi, prima di indurmi a vendervi alle Guardie Rosse per trovare i soldi per pagare quest’ultima regale idiozia, SPARITE!”
Mon capitaine, non dite così: in fondo se sparissimo davvero sentireste la nostra mancanza.” Il moschettiere biondo si avvicinò pericolosamente al suo capitano. “Non eravate preoccupato che io fossi morto, mon petit capitaine?
Gilbert tornò a guardare fuori dalla finestra. Non ne era sicuro, ma gli era parso di vedere una chioma di lunghi capelli castani, un vestito verde e una cuffia bianca. Sogghignò.
Non potrai mai resistere al magnifico me.
Dopodiché, si unì agli altri nel tentativo di impedire al capitano di strozzare Francis.
Come sempre: tutti per uno, uno per tutti.


Angolo dell’autrice (che poteva risparmiarselo)
E siamo giunti alla fine! (applausi di sollievo) Spero non vi siate annoiati eccessivamente. Non ho idea di come e quando, ma mi piacerebbe scrivere ancora qualcosa in questo AU (partono i pomodori), per NON chiarire perché Ivan non sia ancora riuscito a conquistare il mondo, e, cosa più importante, se Lovino sia riuscito a pulire le latrine o sia emigrato in Spagna…
Grazie per l’attenzione, e arrivederci!
(Sparisce spargendo arcobaleni)

 

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