Il Calice della Creazione

di LyraB
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Aria di tempesta ***
Capitolo 3: *** È forse una favola ***
Capitolo 4: *** Una nuova avventura ***
Capitolo 5: *** Preparativi ***
Capitolo 6: *** Arrivi, partenze e illusioni ***
Capitolo 7: *** Un'illusione per sua Maestà ***
Capitolo 8: *** Buio ***
Capitolo 9: *** Sentimenti ciechi ***
Capitolo 10: *** La vera forza ***
Capitolo 11: *** Le donne lo sanno ***
Capitolo 12: *** Amore ***
Capitolo 13: *** Nella Rocca Grigia ***
Capitolo 14: *** Purezza ***
Capitolo 15: *** Un incontro inaspettato ***
Capitolo 16: *** La favola di Elizabeth ***
Capitolo 17: *** Disperazione ***
Capitolo 18: *** Vuoi ballare con me? ***
Capitolo 19: *** Le tre cose che amo di più ***
Capitolo 20: *** Lui, lei, l'altro ***
Capitolo 21: *** brusco risveglio ***
Capitolo 22: *** Una schiava vestita da principessa ***
Capitolo 23: *** Io credo in me! ***
Capitolo 24: *** Chi è l'ingenuo? ***
Capitolo 25: *** Un ultimo sforzo ***
Capitolo 26: *** Solo per dirti grazie ***
Capitolo 27: *** Re Alderian l'incorruttibile ***
Capitolo 28: *** Principe e Principessa ***
Capitolo 29: *** This is home ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

 

 

 

 

 

"Oh, no… Ti prego, no!" Pensai quando vidi spuntare dall'angolo del corridoio Adam Pitt e Jonas Connolly. Li temevo più di ogni altro, in quella scuola, e detestavo come riuscissero a farmi sentire in colpa per il mio aver paura di loro.

- Oh, guarda… chi si vede, la piccola Graham! - Esclamò Adam.

Abbassai lo sguardo e cercai di tirare dritto per arrivare il prima possibile al portone d'uscita.

- Hey, Graham, non si saluta? - Esclamò Jonas.

Purtroppo erano entrambi molto più alti di me, nonostante avessimo la stessa età, quindi mi raggiunsero in un battibaleno: si misero tra me e la fine del corridoio scambiandosi uno sguardo beffardo e poi chinandosi per arrivare alla mia altezza.

- Buongiorno, piccola. - Disse Adam con aria sorniona.

Abbracciai più stretti i libri che avevo tra le mani e distolsi lo sguardo, cercando di allontanarmi. Jonas mi strappò i libri che avevo in mano e iniziò a sfogliarli distrattamente.

- Ti sei di nuovo rifugiata in biblioteca, eh? Certo che una mocciosetta come te che ci troverà di bello in un buco polveroso come quello… - Disse.

- A chi sa leggere piace. - Replicai, ritrovando un po' di coraggio ma stupendomi di come la mia voce risultasse stridula.

- Bah, sei proprio noiosa! - Esclamò Adam, allungando un braccio quel tanto che bastava per far scivolare la cinghia della tracolla dalla spalla.

La borsa cadde sul pavimento aprendosi e spargendo sul pavimento tutto il suo contenuto. Mi inginocchiai per raccoglierlo senza dire o fare nulla: la cosa migliore che potessi fare era essere così poco interessante da invogliarli a sparire.

Come previsto, Adam alzò gli occhi al cielo e Jonas fece cadere i due libri che aveva in mano sul mucchio di quelli per terra, allontanandosi ridendo assieme al suo amico.

- Ci vediamo domani, Graham. Sempre che non ti si consumino gli occhi sui libri, nel frattempo! - Esclamò Jonas.

Mentre raccoglievo le mie cose nella tracolla sentivo la loro risata echeggiare nei grandi corridoi della scuola e quando fui certa che avevano cambiato aria tirai un sospiro di sollievo: Adam e Jonas erano i teppisti della scuola, quelli che comandavano su tutti, perfino su quelli dell'ultimo anno… e ovviamente in metà dei corsi erano proprio con me, la ragazzina che più degli altri aveva paura di loro.
Sebbene detestassi gli incontri con quei due ragazzi in corridoio, da quando la guerra era finita ed eravamo tornati alla nostra vita di sempre mi faceva piacere andare a scuola: avevo sempre amato studiare, ma la cosa che mi era mancata di più durante la guerra erano stati i libri della biblioteca cittadina.

Stavo infilando le ultime cose nella borsa, persa nei miei pensieri, quando mi accorsi che qualcuno mi stava tendendo un libro. Sorpresa dal fatto che ci fosse qualcun altro a scuola a quell'ora di sera, alzai gli occhi stupita: un ragazzo delizioso era accovacciato davanti a me e mi fissava con un sorriso divertito, mentre i suoi limpidi occhi azzurri scintillavano sotto un ciuffo disordinato di capelli dorati. Non ci avevo mai parlato in prima persona, anche se alcuni miei compagni di corso erano suoi amici, ma lo conoscevo lo stesso: era stato il protagonista di quasi tutte le rappresentazioni teatrali che avevano avuto luogo da quando il liceo aveva riaperto e a cui io non ero mai mancata.

- Hai avuto un incidente di percorso? - Domandò.

- Tutto a posto, grazie. - Esclamai, abbassando gli occhi e sentendo le guance arrossire. - Ho solo incontrato Pitt e Connolly, niente… niente di nuovo. -

Chiudendo la borsa e alzandomi in piedi, sistemai la sciarpa e la giacca della divisa scolastica cercando di ignorare l'evidente imbarazzo che si stava impossessando di me sempre più mentre il tempo passava. Evitando il suo sguardo, gli sorrisi timidamente.

- Ora vado, altrimenti perdo il treno. -

- Anche io sto andando in stazione. - Disse lui. - Vengo con te. -

- Non serve. -

- Sarebbe imbarazzante camminare a poca distanza, ora che ci siamo parlati e sappiamo di avere la stessa meta, non ti pare? -

Annuii vagamente, sapendo di avere le guance rosse e di non essere affatto pronta a una discussione con lui, ma mi avviai al suo fianco verso la stazione mentre il primo venticello tiepido di primavera ci spettinava i capelli. Per mia fortuna fu lui a sostenere la conversazione per tutto il tragitto: mi limitai ad annuire o a fare commenti banali di tanto in tanto. Quello che era sicuro era che non stavo dando l'impressione di una ragazza interessante.
Quando arrivammo al binario, il mio treno si era appena fermato con le porte aperte.

- Io vado, ciao! - Dissi sollevata. Avevo fatto tre passi verso il treno quando la mia buona educazione tornò a farsi viva: mi voltai e gli scoccai un mezzo sorriso. - E grazie! -

- Di niente! - Rispose lui, mentre il rumore delle porte che si chiudevano copriva le sue parole.

Mentre il treno sfrecciava per la campagna inglese che iniziava a riprendere vita dopo il torpore dell'inverno, mi appoggiai con la testa al finestrino e ripensai all'inconsueto incontro fatto in corridoio. Sorrisi al pensiero di quel ragazzo così gentile e a quello della sua buffa e meravigliosa famiglia, i Pevensie: li vedevo ogni mattina, tutti e quattro sorridenti e uniti come nessun altro. Le due ragazze poi, le invidiavo un po': la più grande si chiamava Susan ed era bella da lasciare senza fiato, con quei lunghi riccioli bruni e gli occhi color del cielo. La piccola Lucy, poi, prometteva di diventare ancora più affascinante della maggiore: bionda e delicata, con un fantastico sorriso e gli occhi vivi e trasparenti.

Sospirai. Le invidiavo, sì, le invidiavo davvero parecchio: la mia costituzione minuta e i miei capelli chiari che non volevano sapere di ricci e onde non mi avrebbero mai resa affascinante o attraente. Non che la cosa fosse importante, naturalmente. Non mi importava di fare strage di cuori o attirare sguardi maschili: trovavo la compagnia maschile difficile da gestire e sarebbe stata una bugia negare che stavo benissimo anche da sola.

Nel frattempo il treno era arrivato sferragliando alla stazione vicino a casa e camminando nella penombra del crepuscolo che avanzava raggiunsi la villetta a due piani che sorgeva ai margini del quartiere. Aprii la porta salutando, aspettandomi qualche segno di vita: per tutta risposta mia sorella mi gridò dalla sua stanza che lei era a casa da un pezzo e che aveva visto che non c'era niente per la cena.
Con un sospiro - senza però ammettere nemmeno a me stessa che stavo sospirando - presi qualche soldo per il droghiere e uscii per recuperare qualcosa da mangiare. Sapevo già che i miei genitori sarebbero tornati dal lavoro stanchi e irritabili e che sarebbe stato molto meglio fare trovare loro qualcosa di pronto sulla tavola, una figlia sorridente accanto ad essa e nei piatti tanta, tanta pazienza con cui placare gli animi burrascosi e stressati di chi stava soffrendo le ristrettezze del dopoguerra.

Mentre mi chiudevo la porta alle spalle e assaporavo l'odore dei fiori sbocciati da poco sul mio davanzale, così forte e intenso da impregnare l'aria attorno a tutta la casa, pensai che quella era la mia routine quotidiana: anche se a volte mi ritrovavo a detestarla non avrei voluto cambiarla per niente al mondo.

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Capitolo 2
*** Aria di tempesta ***


Capitolo 1
Aria di tempesta

 

 

 

 

 

 

La mattina successiva presi il treno assieme a mia sorella. Juliet non è mai stata esattamente 'adorabile': non è cattiva, è solo che ha sempre pensato che io vivessi in un mondo assurdo fatto di fate e magia invece che nella vita reale. Essendo più giovane di me di due anni e avendo già un fidanzato in aria di matrimonio, ripeteva continuamente che io sarei rimasta una credulona in eterno, sempre sola con i miei libri fatti di fantasie, chiusa in un mondo di pixie e folletti in cui non avrei ammesso nessun adulto, soprattutto se di genere maschile. Lo ripeteva spesso e con convinzione, sgridandomi spesso e ricevendo anche l'appoggio dei miei genitori, di mio padre in particolare. Io però sono sempre stata piuttosto ostinata e non le ho mai dato troppo peso: i miei libri e la mia immaginazione sono sempre stati il mondo perfetto che mi accoglieva a braccia aperte ogni volta che ne avevo bisogno e non ci avrei rinunciato per niente al mondo. Ho sempre creduto nel potere della fantasia, al punto di tentare spesso di coinvolgerla nelle mie letture… anche se sempre senza risultato.

Quando scendemmo del treno alla stazione vicino a scuola quasi ci scontrammo con la famiglia Pevensie al completo.

- Ciao! - Esclamai rivolgendomi a Susan e Lucy, incrociate spesso nei corridoi.

- Ciao! - Risposero loro con un sorriso.

Mia sorella mi guardò strabuzzando gli occhi, forse incredula del vedermi parlare con gente nuova, e poi mi salutò con un cenno del capo, raggiungendo le sue amiche.

Pensavo di fare la strada verso la scuola tra me e me, ma Lucy Pevensie mi si affiancò parlando con tanto entusiasmo della primavera che mi fu impossibile lasciar perdere: eravamo caratteri affini, quindi bastò un istante e una manciata di parole per trovarci a parlare della meravigliosa primavera che stava colorando i giardini e le strade con lo stesso entusiasmo, mentre alle nostre spalle sua sorella e i suoi fratelli camminavano chiacchierando tra loro.

Davanti a scuola, le nostre strade si divisero e la giornata si apprestò a trascorrere come sempre: alla fine delle lezioni riuscii a raggiungere la biblioteca al riparo da incontri indesiderati. Quando il quieto tepore della mia amata biblioteca mi avvolse, chiusi gli occhi e aspirai profondamente il profumo delle pagine e della carta stampata, che impregnava ogni singolo angolo di quell'immenso locale. Mi diressi al mio solito posto: nella saletta in cui si tenevano le raccolte di favole e i romanzi d'avventura c'erano degli ampi davanzali coperti di cuscini su cui la luce si riversava in cascate d'oro. Il giardino al di là del vetro sembrava appartenere a un mondo fantastico e rendeva ancora più incantato l'ambiente della biblioteca. Abbandonai la borsa e la giacca su una sedia vicina, mi arrampicai sul davanzale e mi immersi nella storia che stavo leggendo.

Quattro favole dei fratelli Grimm più tardi sentii i passi di qualcuno che si avvicinava.

- Ehi. - Il più grande dei Pevensie, quello che mi aveva aiutato il giorno prima, era vicino a me con in mano un grosso libro e un'aria sorpresa dipinta sul bel viso.

- E-ehi. Che ci fai qui? -

"Domanda idiota, Beth." Mi dissi un istante più tardi.

- Sono alla ricerca di un po' di pace. A casa mia hanno tutti una gran voglia di litigare. -

- Voi? Impossibile! -

- Mi piacerebbe avere una di quelle famiglie perfette che ci sono nei libri. - Rispose lui, indicando la raccolta di favole che stavo leggendo - Quelle in cui il re fa di tutto per rendere felice la sua regina… ma purtroppo siamo una famiglia normale. -

- A chi lo dici. - Mormorai, mordendomi la lingua un istante dopo, abbassando gli occhi per nascondere i miei pensieri cupi.

- Tutto a posto? - Domandò lui, facendo un passo verso di me.

Mi affrettai ad esclamare un "certo" con una voce che era tutto, tranne che certa. In quel momento un signore poco lontano ci gettò un'occhiataccia ed esclamò:

- Fate silenzio o no? Questa è una biblioteca, non una sala da tè! -

Ci zittimmo subito, ma non appena i nostri occhi si incrociarono un sorriso spuntò sulle labbra di entrambi. La voglia di ridere aumentava senza motivo, forse aumentata solo dall'obbligo del silenzio. Peter camuffò una risata con un sonoro colpo di tosse, tanto che il signore, scocciato, si alzò chiudendo il libro con un tonfo: ci lanciò un'occhiata feroce prima di andarsi a cercare un altro posto in cui leggere.

- A proposito, non ci siamo mai presentati davvero. - Disse il ragazzo, tendendomi una mano - Mi chiamo Peter Pevensie. -

- Elizabeth Graham. - Risposi.

- Stavo andando a casa, tu che fai? - Mi chiese lui.

Scoccai un'occhiata all'orologio del Big Ben, al di fuori della finestra e sospirai. Erano quasi le sei, il che implicava che la mia presenza era richiesta a casa: la cena non si sarebbe preparata da sola.

- Vengo anch'io. - Risposi infilando il libro nella tracolla.

Sulla strada verso la stazione la sua voce riempì di nuovo il tragitto. Mi piaceva sentirlo parlare: era intelligente e sensibile, oltre che piuttosto divertente. In sua presenza mi stavo sciogliendo e qualche volta intervenni nel discorso per più di una parola o due. Scoprii che aveva due anni più di me e che amava le stesse materie che amavo io, che era appassionato di romanzi d'avventura - Ivanhoe era il suo preferito - e che amava il teatro e i suoi fratelli più di ogni altra cosa. Mi sembrava un tipo responsabile e tranquillo, uno dei tanti "bravi ragazzi" che frequentavano il mio liceo e che mia mamma amava farmi notare quando andavamo in visita da qualche parente.

 

 

 

 

Due settimane più tardi il tempo pareva aver seguito le mie vicende familiari e volesse contribuire al mio stato d'animo grigio: pioveva forte, di quella pioggia spessa e uniforme che ama tanto Londra.

La sera prima i miei genitori avevano litigato furiosamente, rinfacciandosi sempre le solite cose e urlandosi contro senza starsi a sentire nemmeno per sbaglio. Avevo lavato i piatti cercando di fare finta di non esistere, ma il mio stato d'animo non mi aveva fatto venire voglia di aprire i libri, così non avevo studiato. La mia voglia di andare a scuola era sotto i piedi e per di più mia sorella aveva deciso di portarsi dietro il malumore dei miei sfoggiando un muso lungo che faceva spaventare. Mi avviai alla stazione con la sensazione del peso sul cuore che avevo ogni volta che i miei genitori decidevano di non parlarsi e con la voglia disperata di avere bisogno di una boccata di aria pura.

Dopo quattro giorni mi sentivo esplodere: ero una ragazza allegra, cercavo di vedere il bello e il buono in tutto e tutti e di far notare a tutti la meraviglia ancora nascosta nella città fumosa in cui abitavo… ma se c'era una cosa che mi abbatteva, quella era la mia situazione familiare. Di solito le cose non andavano troppo male, ma c'erano i periodi neri, e quelli mi distruggevano: non avevo voglia di studiare o di tornare a casa, non mi andava di parlare con nessuno né di vedere gente. L'unica cosa che mi piaceva fare era andare in biblioteca, nascondermi nel mio angolino solitario e farmi abbracciare dal libro che stavo leggendo.

Il venerdì le mie lezioni finivano presto e, complice il sole che aveva deciso di farsi vedere di nuovo dopo una settimana di pioggia, decisi di fermarmi a leggere per l'intero pomeriggio, rifiutandomi di tornare a casa per adempiere ai miei cosiddetti "doveri": il bucato, la spesa e il riordino della biancheria potevano aspettare l'ora di cena.

Potevano e dovevano.

Mi rifugiai in biblioteca appena finite le lezioni, ma il pensiero del mucchio di cose da fare a casa mi assillava, tornandomi in mente nei momenti più impensati e impedendomi di godermi davvero la lettura: dopo solo poche pagine avevo riposto tutto nella borsa ed ero fuori, nel tiepido pomeriggio di marzo. Raggiunsi il cortile davanti alla scuola e mi sedetti su una panchina del giardino: sapevo che Peter Pevensie mi sarebbe venuto a cercare in biblioteca, come faceva praticamente ogni venerdì, ma non avevo nessuna voglia di vederlo o di parlare di sciocchezze come libri, leggende o favole.

A dire la verità sapevo di dover andare in stazione, prendere il treno e tornare a casa. Sapevo che dovevo sistemare la casa, preparare la cena e pregare con tutte le mie forze che finalmente quella mattina mia madre e mio padre avessero chiarito le loro controversie, riportando così un po' di sereno sul versante casalingo.

Il pensiero dei miei genitori che ancora non si parlavano mi fecero salire le lacrime agli occhi: pensare al clima di casa quando i genitori non erano in pace mi stringeva sempre il cuore in una stretta feroce. Mio padre che mi sgridava per ogni minima cosa o se ne andava a letto senza nemmeno finire la cena e mia madre che si ostinava nel suo mutismo, ignorando qualunque tentativo di distendere il clima.

Non era giusto. Non era quella la vita che volevo. No, proprio no.

Inaspettatamente, sentii una lacrima scivolare sulla mia guancia sinistra. Mi rifiutai di asciugarle, sarebbe stato come dire che stavo piangendo. La lasciai scivolare fino al mento, dove cadde disegnando un tondino scuro sulla manica del mio cappotto grigio.

All'improvviso, qualcuno si sedette accanto a me e mi appoggiò una mano sui capelli.

- Adesso non dirmi che va tutto bene. - Disse Peter, serio.

Scoppiai in singhiozzi senza preavviso, senza dire niente, e nascosi il viso tra le mani. Lui non mi domandò nulla: mi passò un braccio attorno alle spalle e mi strinse forte in un abbraccio. Io mi limitai a nascondere il viso contro il suo cappotto scuro senza curarmi dei singhiozzi che spezzavano il silenzio del giardino semivuoto e senza chiedermi che figura stessi facendo, che cosa Peter stesse pensando di me o cosa io volessi dire con quell'improvvisa crisi di pianto.

Io, che mi sforzavo di non piangere mai.

E poi, improvvisamente, mi resi conto che qualcosa era cambiato.

Per prima cosa notai che la panchina su cui ero seduta era diventata all'improvviso molto bassa e molto scomoda, poi che non si sentiva il sottofondo confusionario del traffico di Londra, né lo sferragliare dei treni in lontananza: il cinguettio degli uccelli e il delicato frusciare delle foglie erano gli unici rumori attorno a me.

Istintivamente mi sciolsi dall'abbraccio di Peter e mi guardai attorno: con mio enorme, immenso stupore dovetti constatare che non ero più a Londra. Davanti a me si stendeva un prato smeraldino inondato dalla luce calda del sole e dietro di me un boschetto ombreggiava il tronco caduto su cui eravamo seduti. Peter allontanò il suo braccio dalle mie spalle, si alzò e uscì dall'ombra dell'albero sopra di noi guardandosi attorno.

La sua voce vibrava di gioia mentre diceva:

- Siamo… siamo a Narnia. -

 

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Capitolo 3
*** È forse una favola ***


Capitolo 2
È forse una favola?

 

 

 

 

 

 

Ci eravamo ritrovati all'improvviso in un posto sconosciuto e per di più (come se essersi trasportati altrove senza nemmeno essersi mossi non fosse già abbastanza assurdo) Peter sembrava non solo conoscere quel posto… ma anche essere incredibilmente felice di trovarsi lì.

Con il palmo della mano mi asciugai rapidamente le guance umide, mi alzai e lo raggiunsi nel prato, dove la luce calda del sole mi avvolse con il suo abbraccio e l'aria, limpida e tersa come un cristallo, mi accarezzò il viso.

- Dove hai detto che siamo? - Domandai guardandomi attorno.

- A Narnia! Io… io non capisco come facciamo ad esserci arrivati e nemmeno perché siamo qui, ma… -

- Io vi ho chiamati. - Disse una voce profonda.

Non è che proprio parlò… più che altro la sentii risuonare nella mia testa, echeggiando nella mia mente per qualche istante mentre il mio cuore accelerava bruscamente i battiti, emozionato per qualcosa che non riuscivo a capire. C'erano troppe cose assurde, in quella situazione. Troppe. Volevo andare a casa.

In quel momento dagli alberi di fronte a noi comparve un leone. Era una grossa bestia dorata, dalla criniera fulva che sembrava scintillare d'oro, bronzo e rame… e avanzava guardandoci fisso con il passo silenzioso dei felini. Si dirigeva verso di noi e feci per allontanarmi, muovendomi lentamente all'indietro, quando il leone spiccò un balzo. Istintivamente gridai, coprendomi il viso con le mani, ma quando mi accorsi di essere ancora in piedi sbirciai tra le dita che mi coprivano gli occhi.

E non solo vidi che il leone si era fermato davanti a noi, immobile, guardandoci con i suoi grandi occhi castani… ma Peter era caduto in ginocchio davanti a lui.

- Alzati, figliolo. Siamo entrambi felici di rincontrarci. - Disse il leone, mentre la sua voce calda si allargava nella mia testa e la bestia muoveva appena le orecchie.

Peter si rialzò e sorrise, accennando un inchino.

- Sono davvero felice di essere qui, Aslan. - Disse.

E in quel momento, guardandolo, mi accorsi che Peter sembrava diverso: qualcosa in lui era cambiato… anche se all'apparenza era sempre lo stesso. Continuava ad essere lo studente in divisa scolastica di sempre, ma aveva come un'aria fuori dal comune, come se l'aria di quel posto avesse reso più trasparente il suo corpo e adesso risplendesse dal di dentro… come se fosse avvolto di una magia sottile come un profumo delicato.

Non ci sono parole per descriverla, oppure per descrivere come mi fece sentire fare quella scoperta. Ma, qualunque cosa fosse, mi colpì profondamente.

- Avvicinati, figlia di Eva. - Disse il leone.

Capii che si stava rivolgendo a me e tutta la mia paura risorse all'improvviso: come poteva un leone parlare? e un leone poteva davvero essere così grande? E poi… cos'era Narnia? Io volevo tornare a casa! Istintivamente feci un altro cauto passo indietro, trattenendo l'istinto di gridare ancora per paura di scatenarlo contro di me. Non doveva essere un leone normale, e temevo l'ira di una bestia straordinaria più di quanto temessi quella di un'animale ordinario.

Non riuscii a indietreggiare molto, però. Qualcosa nel suo sguardo e nel modo in cui mi fissava mi impediva di avere davvero paura di lui.

- Non avere paura, bambina. - Disse il leone, come leggendo i miei pensieri - So quello che ti sta accadendo e quello di cui hai paura, ma non c'è tempo per il timore: ora devi ascoltarmi. Dovete ascoltarmi tutti e due: avete una missione molto importante, ne va del destino di Narnia. -

- Cosa dobbiamo fare? - Domandò Peter.

- Non ve lo spiegherò ora. Andate a Cair Paravel, re Aldian vi aspetta: lui vi dirà tutto quello che è necessario sapere. Lascio la mia terra in buone mani, abbiatene cura. -

Il leone si voltò e fece per allontanarsi, quando riguadagnai la voce.

- Io… io ho paura. - Mormorai.

Ero in un posto sconosciuto, lontano chilometri dalla mia famiglia e lasciata a me stessa, sola, senza nessuno.

Come avrei fatto? E la mia famiglia? Non potevo lasciarli! Avevano bisogno di qualcuno che ricordasse loro come ci si voleva bene, che rammentasse loro la pazienza, che cercasse di calmare gli animi… non potevo stare lì!

Improvvisamente l'angoscia mi strinse il cuore e mi ritrovai con le mani strette l'una nell'altra e gli occhi di nuovo lucidi.

Il leone si voltò e i suoi occhi buoni mi sorrisero.

- Ti conosco e so ciò che desideri, ma non è ciò di cui c'è bisogno ora. Ora il tuo dovere è qui. E ogni volta che avrai paura, ricorda che hai un ottimo compagno d'avventura, fidati di lui… e del tuo cuore. -

Alzai gli occhi verso Peter, che li abbassò verso di me stirando un angolo delle labbra in un sorriso. I suoi occhi scintillavano e avevano lo stesso colore del cielo che splendeva, azzurro e limpido, sopra di noi. Quando mi voltai di nuovo verso la radura per replicare, il leone era scomparso.

Con il fiato corto, guardai il prato vuoto e poi di nuovo Peter.

- Va e viene come vuole. È lui il vero Re, qui. - Disse solamente. - Vieni, andiamo a Cair Paravel. -

Le mie gambe però sembravano di piombo, aggrappate all'erba e completamente prive della forza di sollevarsi per camminare. O forse ero io a non voler lasciare quell'unico appiglio vagamente simile a quello presente nel mondo che mi ero lasciata alle spalle. Peter si accorse che non lo stavo seguendo e si voltò, tornando verso di me. Mi si avvicinò, mi posò le mani sulle spalle e si abbassò quel tanto che bastava per guardarmi negli occhi.

- Come ti senti? -

- Ho paura. -

- Lo capisco. La prima volta che sono arrivato qui ero a dir poco terrorizzato. Ma se Aslan ha detto che Narnia ha bisogno di noi, dobbiamo fare il nostro dovere. E se non riesci a fidarti di un leone parlante - aggiunse, mentre un sorriso gli faceva brillare gli occhi, poi continuò - forse puoi provare a fidarti di me. Torneremo a casa sani e salvi. -

- Ma io devo tornarci subito! - Esclamai.

Peter fece scivolare le mani lungo le maniche della mia camicia e strinse forte le mie mani gelate nelle sue, grandi e calde. E fissandomi negli occhi con intensità mi sussurrò:

- Torneremo presto. Promesso. -

Avevo annuito prima ancora di capire che cosa stava a significare il mio assenso. Peter mi sorrise, mi strinse le mani e poi si voltò a guardare il sole.

- Cair Paravel dev'essere da quella parte. Seguimi. -

Mentre camminavamo verso la nostra meta e la rigogliosa vegetazione di Narnia ci abbracciava da ogni lato, fremendo, frusciando e stormendo, Peter mi raccontò che lui e i suoi fratelli erano già stati due volte a Narnia: la prima volta era stato durante la guerra, quando erano passati attraverso un passaggio in un grosso armadio e avevano ricevuto il compito di scacciare la Strega Bianca che aveva portato a Narnia un inverno senza fine; la seconda volta era stato alcuni anni prima, quando invece che sul treno per andare a scuola si erano ritrovati su una bellissima spiaggia: in quell'occasione avevano dovuto aiutare il legittimo erede al trono, Caspian, a rivendicare il suo posto. Con la sua parlantina spigliata e intelligente mi spiegò che a Narnia gli animali, anche se non tutti, parlavano e che il loro parere era tenuto in grande considerazione.

Non mi ero ancora ripresa da quella informazione quando mi disse che la bestia che ci aveva accolti non era uno dei tanti leoni di Narnia… ma era Aslan, il Grande Leone, colui che aveva creato Narnia e che la custodiva. Nessuno sapeva dove lui fosse quando non si faceva vedere e non compariva a comando: vederlo era un grande privilegio e non a tutti era capitato nella loro vita.

- È… è il Dio di questo posto? - domandai, tra lo stupito e lo scettico.

- In un certo senso. - Rispose Peter con un sorriso.

Più mi guardavo intorno, più Narnia mi piaceva. Se riuscivo a mettere da parte la paura e l'ansia per quello che poteva succedere a casa in mia assenza, quel posto era davvero incantevole: la natura era fresca e rigogliosa e si moltiplicava e fioriva in ogni angolo, sotto ogni albero, in ogni fessura tra le rocce. Gli uccelli cantavano sopra le nostre teste, il sole splendeva allegramente e perfino l'aria sembrava più trasparente e limpida di quella di Londra.

Dopo qualche ora di cammino ci fermammo in una radura dove un ruscello scorreva gorgogliando allegro: mi chinai a bere quell'acqua che pareva di seta, poi cedetti alla tentazione e togliendo scarpe e calzettoni tuffai i piedi nel fiume. Peter mi imitò, sedendosi accanto a me sulla riva del torrente e alzando gli occhi per guardare i giochi di luce che il sole intrecciava tra le foglie sopra di noi.

Aveva fatto un paio di risvolti alle maniche della camicia e allentato la cravatta e mentre guardava in alto il sole calante gli accarezzava il viso e strappava riflessi d'oro ai suoi capelli.

Fu in quel momento che realizzai quanto Peter fosse incredibilmente bello. Chissà, forse faceva parte della magia che sembrava irradiare da lui da quando eravamo arrivati a Narnia, forse il non vederlo irrigidito da sciarpe e cappotti, o forse era l'aria pulita di quel mondo a renderlo così affascinante. Abbassò gli occhi, sentendosi osservato e io distolsi lo sguardo imbarazzata, affrettandomi a infilare di nuovo calze e scarpe per ricominciare la nostra passeggiata.

Mentre il sole iniziava a declinare e a infuocare il cielo, gli alberi si diradarono e ben presto davanti a noi si stagliò un enorme promontorio su cui luccicava un castello di pietra bianca. Dietro di esso, il mare più blu che avessi mai visto.

- Casa. - Sussurrò Peter.

Se la passeggiata nel bosco era stata piacevole, non si poteva dire lo stesso di quella che si inerpicava su per il promontorio: Peter mi anticipava sul sentiero ripido descrivendo la bellezza del posto dove stavamo andando e trascinandosi dietro una ragazzina affannata:

- Ti farò vedere il giardino che Lucy e Susan hanno ordinato di costruire per loro a picco sul mare… e poi voglio portarti nella Sala del Trono, sarà bellissima, lo so! E ti porterò a passeggiare sulle mura, quando è notte e il cielo risplende di migliaia di stelle E poi ovviamente ti porterò alla Tavola di Pietra… e se vorrai ti insegnerò a cavalcare! È un vero peccato che non sia più in vita Caspian, sono sicuro che ti sarebbe piaciuto… ma sono così contento che abbia ricostruito Cair Paravel esattamente com'era! Certo che qui saranno passati almeno 200 anni da quando sono andato via… -

- Ma non hai detto che è stato solo un paio d'anni fa? - Domandai io, approfittando del suo istante di riflessione per riprendere fiato.

- Sì, ma qui il tempo va per conto suo. - Esclamò Peter, continuando col suo ritmo da maratona e impedendomi di fargli altre domande.

Poco dopo ci ritrovammo davanti al gigantesco portone scuro del castello.

- Chi è là? Chi siete? - Domandò una guardia di vedetta.

- Siamo qui per parlare con re Aldian. Siamo un figlio di Adamo e una figlia di Eva, Aslan ci ha mandati! - Gridò Peter in risposta.

Il portone di legno massiccio si aprì ed entrammo nella grande corte: mi guardavo intorno intimorita dalla grandezza dell'edificio e senza il coraggio di allontanarmi più del necessario dal fianco di Peter.

Un uomo dai capelli rossi striati d'argento si trovava al centro del cortile e ci venne incontro a braccia aperte: sul capo aveva una corona d'oro e capii subito che era re Aldian. Peter si mise in ginocchio davanti a lui e io lo imitai immediatamente, pensando che fare quello che faceva lui era il modo migliore per non sbagliare.

- Oh, in nome di Aslan… re Peter, siete proprio voi? Che sia lodato, non potevo chiedere un aiuto migliore! Sono così lieto che abbiate risposto alla chiamata, lasciate che vi ringrazia nome di tutta Narnia. Ma alzatevi, alzatevi! Siete i benvenuti! Io sono re Aldian, nipote di Celdian, discendente di re Caspian X. -

Il re parlava con una tale velocità da rendermi impossibile seguire la scena: un discendente di Caspian? Allora il tempo scorreva veramente in modo diverso, in quel posto! E poi…

"Aspetta un attimo. Peter è stato veramente chiamato re?" Mi domandai, scrutando Peter con occhi indagatori. E di quale chiamata stava parlando? Noi non avevamo risposto proprio a niente!

- E questa graziosa damigella chi è? - Disse Aldian, avvicinandosi a me e interrompendo i miei pensieri confusi.

- Lady Elizabeth, è una mia amica. - Rispose Peter.

Il re mi si avvicinò e chinò il capo in segno di rispetto, sorridendomi con cortesia.

- È un piacere conoscervi, lady Elizabeth. Siete la benvenuta. Sarete molto stanchi e oramai è ora di cena. Colin ed Emeraude vi accompagneranno nelle vostre stanze, vi porteranno abiti puliti e vi scorteranno nella sala del trono. Avremo tempo di parlare del perché siete qui dopo la cena. -

Una ragazza più o meno della mia età con una treccia color oro avvolta attorno alla testa mi si avvicinò, fece una piccola riverenza e poi mi fece cenno di seguirla. Aprii la bocca per dire a Peter di non allontanarsi troppo, ma lui mi aveva salutato con un cenno del capo, facendomi segno che ci saremmo rivisti più tardi. Terrorizzata e incuriosita insieme, seguii Emeraude all'interno del castello.

Pochi minuti dopo ero in una stanza stupenda, sobria e lussuosa al tempo stesso, immersa in una vasca color bronzo colma di un'acqua calda e profumatissima. Lasciai che per un momento i pensieri negativi uscissero dalla mia testa e pensai che, se comunque non potevo andare via, il minimo che potevo fare era cercare di concentrarmi su quello che la situazione mi stava offrendo: avevo sempre sognato di essere una principessa e in quel momento ci ero quasi arrivata. Se non altro stavo vivendo in una favola.

Dopo il bagno Emeraude insistette per aiutarmi ad indossare l'abito che aveva preparato per me e poi volle a tutti i costi acconciarmi in una crocchia, arricciando i ciuffi che erano troppo corti per essere intrecciati. Quando si allontanò chiedendo permesso per anticiparmi nella sala dei banchetti, la salutai con un sospiro di sollievo: volevo cinque minuti da sola per rendermi conto della situazione. Mi alzai e presi confidenza con l'ampia gonna color pervinca prima di avvicinarmi allo specchio in piedi in un angolo della stanza. E non appena vidi la mia immagine riflessa fui assalita da un'ondata di delusione: mi ero immaginata decine di volte con un abito principesco addosso e adesso che lo indossavo era terribile.

Le maniche strette mi facevano sembrare le braccia due salsicciotti e la gonna lunga e gonfia mi dava l'aria di una grossa abat-jour… senza contare che mi sentivo anche piuttosto a disagio, nel vedermi in un abito così diverso da quelli che portavo ogni giorno.

Mi sentivo più brutta e goffa che mai, altro che lady Elizabeth.

Qualcuno bussò, poi la porta si socchiuse.

- Sono Peter, posso entrare? -

- Sì, sì. - Dissi io: l'idea di avere qualcuno con cui esprimere la mia delusione mi faceva sentire meglio. - Guarda come mi hanno conc… -

Ma quando posai i miei occhi su di lui le parole mi morirono in gola: il mio cuore si fermò e non riuscii a fare altro che rimanere a bocca aperta davanti al ragazzo… anzi, al principe, che mi stava davanti.

Peter indossava un paio di stivali neri, pantaloni blu scuro e camicia blu scuro sotto ad una casacca nera fermata in vita da una cintura di pelle. I suoi capelli scintillavano come oro fuso e i suoi occhi azzurri mi guardavano brillando. Sembrava uscito dal libro dei Cavalieri della Tavola rotonda che avevo letto prima di Natale, solo che era molto, davvero molto più bello.

- Sei… sei… - Esclamai con un filo di voce, senza riuscire a trovare un aggettivo per descriverlo.

- Mi stavo giusto chiedendo cosa avresti pensato di questi vestiti. Immagino che tu sia felice di vestirti come un personaggio delle storie che ami tanto. - Esclamò lui, sorridendo al mio stupore e avvicinandosi a me dando sfoggio di una camminata ancora più fluida ed elegante di quella che aveva a casa.

- Oh, avanti… tu hai l'aria di un cavaliere, io di un'abat-jour! - Sbottai specchiandomi e sentendomi ancora più goffa, vicino a lui.

Peter non disse niente, ma sentivo il suo sguardo su di me e iniziavo a sentirmi a disagio.

- Volevi dirmi qualcosa? - Risposi bruscamente.

- Hanno chiamato per la cena e ti volevo accompagnare. Pensavo avessi bisogno di una guida per non perderti. -

- Grazie, è un pensiero gentile. E poi se inciamperò nell'orlo dell'abito e cadrò dalle scale potrai assistere alla scena. - Dissi io irritata, calpestando per l'ennesima volta l'orlo del vestito mentre cercavo di muoversi.

Peter non disse niente, ma mi pentii subito di quello che avevo detto.

- Oh, mi dispiace, scusami tanto. Solo… solo che io pensavo di sentirmi una principessa, invece con questo vestito mi sento… mi sento solo così brutta. - Dissi abbassando lo sguardo.

Peter fece scivolare la sua mano sul mio braccio, in un tocco così leggero che mi chiesi se mi avesse sfiorato davvero.

- Elie… posso chiamarti così? -

- Ma-ma certo. - Risposi imbarazzata: nessuno mi aveva mai chiamato Elie, prima.

- Le favole sono molto diverse dalla vita di Narnia, anche se a prima vista possono sembrare la stessa cosa. -

- Capisco. -

- Ma tu sembri uscita comunque da un libro di favole. -

Alzai gli occhi e mi accorsi che stava sorridendo. Mi sforzai di fare lo stesso e Peter mi porse il braccio.

- Scendiamo a cena, adesso. - Disse.

Passai il mio braccio sotto il suo e presi un bel respiro, sforzandomi di cercare di vivere quella situazione nel modo migliore possibile.

La sala dei banchetti era un salone immenso, con due giganteschi camini ai due lati del lungo tavolo ricolmo di ogni ben di Dio: dolci e arrosti, pane appena sfornato, con le uvette, i pinoli e i canditi. C'erano zuppe fumanti, insalate di frutta, di verdura e perfino di fiori. Grosse brocche di acqua cristallina e boccali di sidro di mele dorato rendevano la tavola ancora più invitante, scintillando tra le porcellane. Al tavolo erano seduti re Aldian, a capotavola e i suoi due figli, due ragazzi sui vent'anni.

- Accomodatevi e godete dell'accoglienza di Cair Paravel. - Disse il re, invitandoci a sedere. Fu solo quando il profumo del cibo mi avvolse che mi resi conto di quanto tremendamente avessi fame.

 

 

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Capitolo 4
*** Una nuova avventura ***


Capitolo 3
Una nuova avventura

 

 

 

 

 

 

Quando la cena ebbe termine, il re ci condusse in una stanza più piccola e accogliente, dove un fuoco scoppiettava allegro in un caminetto di pietra bianca lucente. L'arredo era sobrio ed elegante insieme e ricordava molto le illustrazioni dei miei libri di favole, tanto che quando fu invitata a sedermi lo feci quasi con rispetto.

Peter si sedette accanto a me, mentre i due figli del re si sedettero su un altro divanetto di fronte al nostro: il maggiore si chiamava Alderian e aveva diversi anni più di me. Era scuro di capelli e piuttosto silenzioso, ma i suoi occhi chiari trasmettevano intelligenza e serietà: ero sicura che sotto la sua apparenza schiva si nascondesse un gran cuore. Il secondo si chiamava Lexander e aveva un anno meno di me: rosso di capelli, con intensi occhi neri e il viso aperto e sorridente, intratteneva tutti con i racconti delle sue peripezie e delle sue avventure. Mi piaceva di più di suo fratello: i suoi modi mi mettevano meno in soggezione di quelli di Alderian… e Dio solo sapeva quanto avessi bisogno di sentirmi meno a disagio, in quel posto sconosciuto con indosso abiti a me del tutto estranei. Quando re Aldian si fu accomodato su uno scranno dall'alto schienale proprio di fronte al fuoco, intrecciò le dita in grembo e ci guardò con aria grave:

- Credo sia giunto il momento di dirvi perché siete qui. -

Deglutii e lanciai uno sguardo a Peter: con gli occhi fieri e la testa alta, stava seduto al mio fianco come un capitano in attesa di ordini.

- Dovete sapere che qualche centinaio d'anni fa è stato ritrovato, nella terra di Archen, un prezioso cimelio: una coppa di terracotta intarsiata su cui è raffigurata la creazione di Narnia. I re di Archen l'hanno a lungo custodito come oggetto storico, ma durante un particolare periodo di siccità si sono resi conto che poteva essere utilizzato per rifornire di acqua tutte le genti, dato che si era riempito di un'acqua che non si esauriva mai. Hanno consegnato il calice ai saggi e quando essi hanno decretato che era un oggetto contenente un pizzico della magia che il Grande Leone ha utilizzato quando ha creato il nostro mondo hanno pensato che dovesse essere conservato in un posto più sicuro… e l'hanno portato qui a Cair Paravel. Il Calice della Creazione, così l'abbiamo chiamato, ha poteri straordinari: realizza i desideri di chi lo possiede. Il suo potere è infinito, ma utilizzabile da chiunque: non ci vogliono particolari capacità, poteri o conoscenze per usarlo. Se cadesse nelle mani sbagliate e chi lo ha rubato ne conoscesse il potenziale, potrebbe scatenare forze di distruzione incredibili. Aslan ci risparmi questa eventualità. - Disse Aldian con voce rotta, fermandosi con lo sguardo fisso alle fiamme che danzavano nel camino.

Fu il principe Alderian a riprendere il discorso.

- Abbiamo portato il Calice della Creazione al Tempio della Tavola Spezzata e lì l'abbiamo fatto custodire da guardie animali e umane. La sorveglianza è stretta e affidata solo a uomini fidati. Qualche giorno fa una guardia è entrata a controllare e si è accorta che la nicchia era vuota. Hanno rubato il Calice. -

- Rubato? Come hanno potuto? Le guardie non si sono accorte di nulla? - Chiese Peter.

- No. - Disse Alderian. - Ma il vero pericolo arriva da Calormen: tre giorni fa il loro Sommo Sciamano ci ha mandato una missiva: o ci arrendiamo a loro o raderanno al suolo Cair Paravel e tutto il regno. -

Vidi Peter stringere i pugni e i suoi occhi azzurri saettare verso il re:

- Pensate che abbiano rubato loro il Calice? - Domandò.

- Non lo pensiamo. Lo sappiamo. - Rispose Lexander - Quando abbiamo scoperto cos'era accaduto, abbiamo mandato nostri messaggeri in tutto il regno, chiedendo a chiunque di comunicare qualsiasi evento strano che fosse stato notato. Una famiglia di giovani fauni ci ha riferito che il loro bambino era scomparso proprio nella settimana precedente alla sparizione del Calice. Interrogato, il piccolo non ha saputo dirci dov'era stato e cosa aveva fatto. -

- Dovete sapere che gli Stregoni di Calormen sono abili nel manipolare la mente. L'avranno incantato e se ne saranno serviti per portare via il Calice. -

- Ma perché… Perché un bambino? - Chiesi.

- Solo una persona dal cuore puro può prendere il Calice tra le mani senza impazzire. Un uomo a capo di un esercito non potrebbe nemmeno sfiorarlo… e nemmeno un re, con tutte le decisioni difficili che deve prendere. Ho vegliato giorno e notte alla Tavola di Pietra, chiedendo ad Aslan un aiuto… e siete arrivati voi. -

- Ma sire, noi non siamo più bambini. - Intervenne Peter.

- Se Aslan vi ha mandato, ritiene che il vostro cuore sia abbastanza trasparente da poter prendere il Calice. E io ho fede in Aslan. -

- Anche noi. - Rispose Peter, lanciandomi un'occhiata complice. - Da dove possiamo cominciare? -

- Ora potreste cominciare ad andare a letto. - Disse il re, alzandosi. Improvvisamente sembrava molto più vecchio. - Domani, quando sarete riposati, vi spiegherò cosa abbiamo in mente. -

Ci congedò con un cenno del capo. Peter si alzò, fece un rapido inchino ai due principi e al re e poi mi porse il braccio. Con una goffissima riverenza salutai anch'io e feci scivolare il mio braccio sotto quello di Peter, sentendomi meglio solo quando la sua stretta solida mi guidò fuori dalla sala.

Respirai l'aria fredda del corridoio cercando di capacitarmi di quello che mi stava succedendo. Peter non disse nulla, lasciandomi ragionare con calma sulla situazione. Quando raggiungemmo la porta della mia stanza, Peter mi lasciò andare e mi sorrise.

- Cerca di dormire. - Mi disse. - Buonanotte. -

- Buonanotte. - Disse io, posando una mano sulla maniglia della porta. All'improvviso mi voltai e diedi voce alla domanda che morivo dalla voglia di fare dall'inizio della cena. - Aspetta. Ma… ma tu qui… qui sei davvero un re? -

Peter sorrise, abbassando gli occhi con un'aria imbarazzata che non gli si addiceva. Fece un passo verso di me guardandomi con quei suoi incredibili occhi azzurri e mi si avvicinò, parlando con un sussurro.

- Quando siamo venuti qui la prima volta e abbiamo sconfitto Jadis, siamo stati eletti re e regine di Narnia. Ma al momento io non sono re. Mi chiamano così in segno di rispetto, ma la corona è sulla testa di Aldian. -

Avevo in mente moltissimi commenti, a quella frase, ma non riuscii a pronunciarne nemmeno uno. Abbassai lo sguardo sulle mie braccia a salsiccia che stringevano la gonna gonfia del vestito e poi abbassai la maniglia della porta, spalancandola davanti a me.

- Ci vediamo domattina. - Dissi solamente.

La mattina dopo Emeraude venne a svegliarmi aprendo le tende e facendo entrare il sole di Narnia in tutto il suo caldo splendore.

- Re Peter mi ha chiesto di venirvi a svegliare, ha detto che vuole portarvi a vedere Narnia! - Esclamò allegramente - Vi lascio qui l'abito pulito e la colazione, se ha bisogno di qualcosa sarò subito da lei! - Disse allegramente, con la treccia bionda ondeggiante sulle spalle e il solito sorriso luminoso dipinto sul viso.

Quando si fu chiusa la porta alle spalle mi misi a sedere nel grande letto a baldacchino sfregandomi gli occhi per cancellare le ultime tracce di sonno. Sul tavolino sotto la finestra stava un vassoio pieno di pane e marmellata, con una brocca di latte fumante… e mi venne l'acquolina in bocca. Scesi dal letto inciampando nelle coperte e nell'orlo della camicia da notte e mi sedetti al tavolino, godendomi la vista sul mare di Cair Paravel mentre mi saziavo di pane e latte.

Avevo appena terminato di mangiare, quando mi accorsi che sulla spalliera della mia sedia stava l'abito che Emeraude aveva preparato per me. Ebbi un attimo di intenso rifiuto, chiedendomi dove fosse finita la mia umile divisa scolastica, ma poi lo osservai meglio: era lungo fino alle caviglie, di spesso panno blu scuro arabescato di grigio e azzurro. Era senza maniche e sotto di esso Emeraude aveva scelto una casacca bianca ricamata di blu attorno ai polsi e al collo, dove si chiudeva con un intreccio di nastri blu. Lo indossai da sola, compiacendomi del fatto di aver già preso confidenza con quegli abiti così insoliti e mi specchiai: la gonna che non si gonfiava attorno al mio corpo e le maniche ricamate che cadevano in morbide onde sulle mie mani mi facevano sentire decisamente meglio.

Recuperando pettine e nastri, ravviai i miei capelli ai lati del viso, raccogliendoli nei miei consueti codini di tutti i giorni: se riuscivo a non guardarmi al di sotto del collo, sembravo quasi la stessa Elizabeth che vedevo nello specchio di Londra.

Peter mi aspettava nella corte di Cair Paravel: era vestito di grigio e marrone e i suoi capelli dorati brillavano come non mai sotto quel sole stupendo.

- Buongiorno, Elie. Hai dormito bene? -

- Bene, sì. -

- Vieni, ti faccio vedere il tuo cavallo. - Mi disse emozionato, anticipandomi in un corridoio sulla sinistra.

- Cavallo? Io non ho mai cavalcato prima… e non ho intenzione di cominciare. - Dissi, mentre lo seguivo piena di ansia.

L'odore di fieno che aleggiava nelle stalle era intenso e pungente e Peter raggiunse un box da cui spuntava la testa di un cavallo marrone, la cui folta criniera aveva il colore chiaro della sabbia. I suoi occhi ambrati e intelligenti mi guardarono avvicinarmi mentre Peter le accarezzava il muso.

- Lei è Elizabeth. -

- Non sembra molto entusiasta. - Sentenziò il cavallo.

La sua voce femminile era intensa e rotonda e io sbattei le ciglia, avvicinandomi di un passo.

- Prego? - Domandai.

- In quale tronco cavo l'avete trovata, re Peter? Non sembra di queste parti. - Disse la giumenta, ridendo.

- Non prenderti gioco di lei, Luce. È la prima volta che mette piede a Narnia. -

Luce scrollò la criniera, uscendo dal box e avvicinandosi a me. Spaventata dalla sua stazza e dal suo eloquio, rimasi immobile finché non mi diede un buffetto sulla spalla con il muso.

- È un po' spaesata, ma mi piace. - Fu la sentenza della giumenta.

Peter mi si avvicinò, porgendomi sella e briglie.

- Va' da Clinus, ti insegnerà a sellarla. - Disse con un sorriso, accennando al centauro pezzato che faceva da stalliere. - Luce è una cavalla tranquilla e intelligente. Imparerai in fretta. - Disse lui.

Presi le cose che mi tendeva e feci quello che mi aveva detto. Fu solo quando mi ritrovai fuori dalle stalle con Luce sellata e imbrigliata e Peter che portava al passo un destriero bianchissimo che mi resi conto di quello che mi stava capitando. Peter salì in groppa a Vento, il suo cavallo, mostrandomi come si faceva.

Sembrava facile, ma al mio primo tentativo riuscii solo ad inciampare nell'orlo del mio abito, sbattendo il naso contro la sella e sentendomi piuttosto sciocca.

Peter smontò e mi mostrò come fare, lentamente e con pazienza, ignorando i miei errori e le mie guance paonazze per l'imbarazzo. Al quarto tentativo le sue mani calde sulla vita mi sollevarono quel tanto che bastava da farmi salire in groppa a Luce. Presi le briglie stupendomi della mia altezza da terra. Peter salì sul suo cavallo con una grazia degna di un re e uscimmo al passo da Cair Paravel, avviandoci verso il bosco che avevamo lasciato il giorno precedente.

- Se svoltiamo a destra immediatamente arriveremo presto al mare. - Disse Vento.

Mi sarei mai abituata a sentire gli animali parlare? Forse no.

- Vorrei andare alla Tavola di Pietra, prima. - Rispose Peter.

- Come preferite, sire. - Disse con un sorriso.

La passeggiata nel bosco fu piacevole, anche se le mie gambe e la mia schiena, estranee alla posizione in cui ero, in breve tempo gridarono di dolore. Peter mi aiutò a scendere e continuammo a camminare sul tappeto di erba e aghi di pino scambiandoci chiacchiere e commenti e godendoci il respiro della foresta e il richiamo degli animali.

Lentamente il bosco divenne più rado e grandi prati presero il posto dei tronchi d'albero.

- Manca molto? - Domandai, iniziando a sentire la stanchezza.

- No, affatto. Seguimi. - Disse Peter, facendomi strada fuori dal bosco, al di là del quale si apriva una enorme prateria, dominata da una piccola collina ricoperta d'erba di un verde così vivido da non sembrare reale.

Attraversata la pianura, raggiungemmo una entrata ai piedi del clivo, invisibile dal bosco: quando entrammo rimasi letteralmente a bocca aperta, guardando tutto con occhi spalancati e pieni di stupore. Eravamo in un grande tempio sotto una volta di terra e roccia, dove l'unica luce era quella delle torce e dei focolari accesi. Al centro dell'enorme sala rotonda c'era una tavola di pietra spezzata in due.

Si respirava una tale magia, in quel luogo, che quando parlai lo feci istintivamente sottovoce.

- Era qui che era custodito il Calice? -

- Sì. In una nicchia al di là della Tavola. - Rispose Peter in un sussurro. - Qui è stata spezzata l'Antica Magia… qui Aslan è stato ucciso innocente ed è tornato in vita. -

Nel silenzio mi lasciai pervadere dalla sensazione di pace che quel posto trasmetteva quel posto, respirando l'aria fredda come se fosse stata un balsamo per tutte le ferite che mi portavo dentro. All'improvviso Peter ruppe il silenzio:

- Ti ho portata qui perché potessi capire che è importante per Narnia proteggere la sua magia. Non possono permettersi di essere schiavi, lo sono stati troppe volte. Puoi rinunciare, se vuoi… ma volevo farti sentire quanto sarebbe giusto combattere questa battaglia. -

- Lo sapevo già. - Risposi con sincerità.

Era la verità: dal momento in cui Aslan mi aveva guardato negli occhi, dentro di me si era accesa una candela. Era più simile a un minuscolo lumicino, ma sentivo la luce e il calore ardere dentro di me sotto il timore, l'ansia, la paura e il disagio. Sentivo che mi aveva dato qualcosa: non potevo non dargli niente in cambio.

Stupito dalle mie parole, Peter si voltò a guardarmi negli occhi.

- Davvero? - Domandò.

- Davvero. - Risposi io, seria.

I suoi occhi e le sue labbra mi sorrisero.

- Sei mai stata al mare? -

- No, mai. -

- Allora ti ci devo portare. -

Quando raggiungemmo Luce e Vento, Peter comunicò al suo cavallo la nostra meta.

- È quasi ora di pranzo. Dovremo fare molto in fretta. - Disse Peter.

- Allora è meglio accelerare il passo. - Sentenziò Vento.

- Sei pronta a una bella cavalcata? - Disse Peter, sorridendomi.

- Io no… non credo. -

- Oh, avanti… è da decenni che non mi faccio una corsa degna di questo nome! - Esclamò Luce e all'improvviso partì al galoppo.

Mi tenni stretta con le ginocchia alla sella e strinsi le briglie, senza tirarle a me per la paura che Luce potesse imbizzarrirsi. Il vento mi frustava la faccia e l'aria mi faceva lacrimare gli occhi, mentre il paesaggio attorno a me si riduceva a un turbine di azzurri, verdi e marroni. Dopo quelle che mi sembrarono ore di agonia, arrivammo al limitare del bosco e i colori che vedevo divennero due indistinte macchie di azzurro e bianco.

Luce rallentò e Vento ci raggiunse al galoppo, mentre i suoi zoccoli affondavano nella sabbia dorata della riva del mare. Peter fece fermare il suo cavallo proprio accanto a noi e smontò da cavallo.

Poi vide che ero pallida di paura e mi si avvicinò con aria preoccupata.

- Ti senti bene? - Domandò.

Meccanicamente, scesi da cavallo lasciando le briglie… ma appena toccai terra le ginocchia non mi ressero. Peter mi prese per la vita con un braccio e mi trattenne contro di lui, impedendomi di finire nella sabbia.

- Sì… sì… dammi solo un minuto… - Mormorai aggrappata alla sua casacca, nel disperato tentativo di tornare padrona del mio respiro e dei miei pensieri.

- Non ho saputo trattenermi. Perdonatemi, sire. - Disse Luce.

- Non preoccuparti. - Disse Peter, allontanandomi quel tanto che bastava per guardarmi in faccia. - Come ti senti? -

- Sto… sto già meglio. - Mormorai, mettendomi dritta sulle gambe ancora malferme. e scrollando i capelli. - Dove siamo? -

- Guarda tu stessa. - Disse lui, tenendomi per un braccio e scostandosi, così che i miei occhi potessero vedere l'immensa bellezza del mare di fronte a me. L'avevo visto nelle riviste e nelle immagini e anche nei rari televisori che c'erano nei locali pubblici più frequentati di Londra, ma mai dal vivo.

Sussurrava e respirava, mentre luccicava sotto il sole. Sembrava acqua e seta, zaffiri e diamanti. Mi mossi traballante verso la riva, affondando fino alle caviglie nella sabbia dorata. Raggiunsi il punto in cui le onde si allargavano bagnando la spiaggia e mi fermai, cercando di assaporare ogni dettaglio di quell'attimo di incredibile perfezione che pensavo non avrei mai sperimentato nella mia vita.

Peter mi raggiunse e si sedette sulla sabbia: il sole era alto e spandeva il suo tepore nell'aria mentre il mare riempiva la brezza con il suo profumo, il silenzio era riempito solo dai sussurri dell'acqua e dalle rare strida degli uccelli marini, mentre le montagne disegnavano un confine argento e bianco all'orizzonte. Non c'era niente di più da desiderare, in un momento come quello.

Mi lasciai cadere sulla sabbia morbida e abbracciai le ginocchia, avvicinandole al petto, rendendomi conto che un momento come quello non l'avevo mai vissuto, se non tra le righe di un libro.

- Sono così felice. - Mormorai.

- Davvero? - Chiese lui.

- Non pensavo che avrei mai potuto assaporare una gioia così vera. -

- In che senso? -

- Nel senso che quando sei bambino la felicità è lì ogni minuto, per le cose più piccole. Un gioco, una sorpresa, un bruco diventato farfalla. Ma poi diventi grande e quelle cose non contano più. E ti rendi conto che la felicità l'hai perduta e non la puoi più ritrovare. -

- Perché dici questo? -

Lo guardai per un momento. Mi fissava con quei suoi cristallini occhi azzurri, bellissimo nel suo abbigliamento principesco e davvero interessato al mio discorso.

Sospirai e risposi mentre fissavo il mare per evitare il suo sguardo.

- Sono le preoccupazioni e le responsabilità. Studiare, cucinare, comprare le cose per la cena, sistemare la camera, preoccuparsi del bucato, ascoltare mia sorella quando litiga con il suo ragazzo o i suoi amici, proteggerla dal male che i miei genitori si fanno e ci fanno quando litigano… sono queste, le cose che contano quando diventi grande. E tutto il resto perde la sua magia. Ho dovuto imparare a gestire una famiglia e a prendermi cura degli altri molto in fretta… e senza rendermene conto sono diventata adulta senza aver davvero mai goduto delle bellezze della giovinezza. -

Per qualche minuto l'unico suono che ruppe il silenzio fu il calmo sciacquio delle onde. Mi girai verso Peter e notai che mi stava guardando con sguardo indecifrabile.

- Scusa se ti ho rattristato con questo discorso - mi sentii in dovere di dirgli, mettendo in fretta le parole una dietro l'altra - È che… che qui è così diverso. Qui devo pensare solo a me stessa, non devo temere il futuro, l'umore dei miei genitori quando tornano a casa o il brutto voto ad un compito perché non ero nello stato d'animo adatto a studiare. Qui posso essere davvero io e provare la libertà, le emozioni e la bellezza del mondo che sperimentano tutti i personaggi dei miei libri: potrò vivere di avventure per qualche tempo, come solo i giovani fanno, prima di tornare ad essere adulta. Quello che intendo dire - Aggiunsi, temendo di averlo annoiato con quelle mie riflessioni cupe - è che sono felice di essere qui. Davvero. -

Mi alzai in piedi, affondando nella sabbia bollente e mi avviai verso i cavalli. Peter mi raggiunse un momento dopo e bastò una breve cavalcata al trotto per raggiungere di nuovo Cair Paravel. Riportammo i cavalli nella stalla nel più completo silenzio.

All'improvviso, mentre riponevamo briglie e selle, Peter parlò, evitando il mio sguardo.

- Era per questo che piangevi? -

Per un attimo rimasi in silenzio.

- Sì. -

Posai la sella al suo posto e mi voltai. Peter era lì, fermo davanti a me. L'intensità dei suoi occhi azzurri mi stordiva e non riuscivo a capire che stava succedendo. Peter mi prese il viso tra le mani e continuò a fissarmi negli occhi, finché non mi baciò sulla fronte.

Un attimo dopo era uscito dalla stalla. Fu solo in quel momento che mi accorsi che stavo trattenendo il respiro.

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Capitolo 5
*** Preparativi ***


Capitolo 4
Preparativi

 

 

 

 

 

 

Dopo la nostra mattina a cavallo e quell'inspiegabile attimo di pura magia nella stalla, io e Peter ci rincontrammo a pranzo.

Avevamo cambiato abiti e sembrava che l'istantaneo contatto tra noi fosse rimasto là dove era diventato reale: Peter era di ottimo umore e si comportava come se nulla fosse successo, come se non avesse ascoltato la mia confessione e non mi avesse baciato sulla fronte. Io invece sentivo ancora la pelle accarezzata dal suo tocco, ogni volta che il mio pensiero vi tornava, ma mi sforzavo di essere disinvolta, sorridere e ascoltare le chiacchiere dei giovani figli di Aldian.

Al termine del pranzo il re ci prese da parte per annunciarci la nostra imminente partenza.

- Clinus mi ha detto che avete cavalcato Vento e Luce. Se per voi va bene, ve li lascerei utilizzare per raggiungere Calormen. Vi occorreranno scorte di cibo e acqua e abiti comodi. E ovviamente armi. - Disse, pratico. - Cosa preferite? -

- Io porto con me Rhindon. - Disse Peter. - Elizabeth… forse è meglio che lei non maneggi nessuna arma. Posso proteggerci entrambi. -

Il re si accigliò.

- No. Voglio che entrambi sappiate badare a voi stessi. -

Peter aprì la bocca per rispondere, guardandomi con la coda dell'occhio e io mi sentii improvvisamente sbalzata in una situazione tanto poetica quanto inaccettabile: mi sarei fatta ammazzare, e molto probabilmente mi sarei portata dietro Peter. Ecco cosa stava dicendo il re tra le righe.

- Mi… mi dispiace. - Dissi in un sussurro.

- Non dispiacerti. - La voce di Lexander ruppe il silenzio, attirando la nostra attenzione.

Il ragazzo portava con sé due archi e una faretra piena di frecce.

- Perdonami, padre, ma avevo intuito che la nostra graziosa ospite avrebbe avuto bisogno di una mano. Non temere, milady. Sono piuttosto bravo come insegnante. - Disse ammiccando, sorridendo in modo amichevole.

Il re scambiò un lungo sguardo con Peter, poi guardò Lexander.

- E sia. Appena terminato il tuo addestramento sarete pronti a partire. Lexander, mi raccomando. Niente distrazioni. -

- Ai vostri ordini, padre. Come sempre. - Disse il giovane principe, compunto. Fece un piccolo inchino e poi mi fece cenno di seguirlo.

Lanciai a Peter un'istintiva occhiata dubbiosa, ma lui mi sorrise.

- Io e il re dovremo parlare dei dettagli del viaggio, sarà una noia mortale. Vai e divertiti. - Disse.

Seguii Lexander fuori dal castello, lasciandomi guidare dalla sua chiacchiera allegra e dalla sua risata sincera. Era abbastanza spontaneo lui per entrambi e pian piano iniziai a sentirmi più a mio agio in sua compagnia. Quando arrivammo al grande prato con i bersagli di paglia che faceva da campo di allenamento per le armi da lancio, c'era qualche giovane guardia a fare pratica.

Lexander mi mostrò come incordare l'arco e incoccare una freccia, ma quando ebbi tra le mani l'arma lo guardai preoccupata.

- Io… io sono veramente incapace. -

- È perché non hai mai provato. - Disse lui con dolcezza. - E siamo qui per questo, quindi lascia perdere i dubbi, le angosce e i problemi una volta per tutte. -

Mi sollevò le braccia, correggendo con battutine e pizzicotti scherzosi la mia mira oscillante, continuando a punzecchiarmi per l'intero pomeriggio. Al tramonto tornai nella mia stanza con un braccio dolorante e con una gran voglia di un bagno caldo.

 

 

 

Tre giorni più tardi, Lexander mi annunciò che aveva fatto tutto il possibile:

- Il resto sta a te e alla pratica. E al tuo sangue freddo. - Disse, annunciandomi poi che quella sera stessa io e Peter saremmo partiti per la nostra missione.

Mi ero appena abituata alla vita di Cair Paravel, alle sue deliziose mattine dedicate alle passeggiate e ai pomeriggi di allenamento con l'arco… e già dovevo andarmene. Mi pareva impossibile aver raggiunto quel posto solo cinque giorni prima.

Per la Cena della Partenza Emeraude si prese cura della mia toeletta con una cura quasi maniacale: mentre mi preparava mi raccontò - con una grazia e una civetteria che mi ricordò le ragazze di Londra - che ci sarebbero stati molti cavalieri e personaggi importanti di Narnia e che dovevo fare buona impressione su tutti loro.

- Sono la vera forza di Narnia, il suo cuore pulsante. Conquistali e avrai conquistato l'intero popolo! - Mi disse mentre stringeva sulla schiena gli infiniti intrecci del nastro di seta color tortora che chiudeva il vestito.

L'abito che indossavo era di una delicata tonalità di grigio screziato di rosa e fiori e foglie di perle impreziosivano l'orlo. Avevo preteso che la casacca sotto l'abito avesse le maniche larghe ed Emeraude mi aveva accontentato, scegliendone una con larghe maniche di lino sottile. Intrecciò i miei capelli con un nastro d'argento e vi appuntò un pettinino di perle.

La sala del banchetto era ornata a festa di rosso e argento, i colori di Narnia, e quelle tonalità dominavano addosso a tutti i presenti: davanti al camino parlavano Lexander e Alderian, elegantissimi nei loro abiti di velluto scarlatto. A tavola erano già seduti due fauni dall'aria intelligente, un topo alto circa mezzo metro, una coppia di tassi e re Aldian, con indosso con una casacca rosso cupo ricamata con quelli che sembravano fili di vero argento.

- Elie? - Domandò la voce di Peter alle mie spalle.

Mi girai e vidi Peter - con una casacca argentata e un mantello bianco che gli scivolava sulle spalle in modo impeccabile - che mi osservava sbalordito.

- Mi sono rifiutata di assomigliare di nuovo ad un abat-jour. - Dissi cercando di ignorare il suo sguardo che correva sul mio vestito.

- Sono… senza parole. - Disse lui, riportando lo sguardo dall'abito ai miei occhi.

Lo sguardo cristallino e azzurro dei suoi occhi mi stordì a tal punto da farmi reagire con un inaspettato rossore e un istintivo imbarazzo, così distolsi lo sguardo, accettando il suo braccio e avvicinandomi al tavolo.

Mi sedetti appena prima di lui, come si conveniva all'etichetta e quando fummo tutti a tavola il re ci presentò a Fiona e Calante, i due tassi tesorieri, al topo Atreius, comandante delle guardie del castello e ai due consiglieri di corte, i fauni Gordon e Failan. A lungo si parlò di Narnia, della sua gente e di quanto erano grati alla nostra scelta di aiutarli. Ci dissero che al nostro ritorno avremmo potuto chiedere qualunque cosa, come ricompensa per la nostra preziosissima missione di recupero.

"Come se avessi bisogno di abiti e gioielli." Pensai cupamente.

Per la prima volta da quando ero arrivata a Narnia, mi ritrovai a pensare a casa. Istintivamente un groppo mi chiuse la gola e le mie mani scivolarono sotto la tavola per potersi stringere a pugno con una tale forza da far sbiancare le nocche.

Non dovevo pensare a casa.

Non in quel momento, non in quella situazione.

In quell'attimo, il re si alzò in piedi con il bicchiere colmo del delizioso sidro di mele che si beveva al castello.

- Propongo un brindisi di buon augurio. - Disse - Ai nostri salvatori, Re Peter e Lady Elizabeth. Che possano compiere un viaggio sicuro e senza pericoli. Per Narnia e per Aslan. -

Tutti alzarono i loro calici ripetendo:

- Per Narnia e per Aslan. -

E il suono delle loro voci, tutte diverse e vibranti, piene di speranza e di fiducia in noi, scacciò un po' le nuvole scure dei brutti pensieri che si erano affollati nella mia mente.

 

 

La luce dell'alba era grigia e rosa come il mio abito della sera precedente, quando Emeraude venne a svegliarmi per la partenza.

Nella corte del castello, immersa nella luce di perla che precedeva il sorgere del sole, stavano re Aldian e i suoi figli, assieme a Peter e a Clinus lo stalliere, che reggeva per le briglie Luce e Vento.

- Lady Elizabeth, siamo qui per salutarvi e augurarvi buona fortuna. - Iniziò Aldian.

- Siamo certi che riuscirete nel vostro intento. - Continuò Lexander.

- Questi sono piccoli doni per voi, che vi proteggano e vi guidino in questa avventura. E che lo sguardo di Aslan vi segua per tutto il viaggio. - Terminò Alderian.

Lexander mi si avvicinò e mi diede una faretra e un arco. Erano bellissimi, di legno di betulla bianco e leggero e intagliato con una delicata fantasia di fiori e foglie rampicanti. La faretra conteneva due dozzine di frecce sottili e affilate e per una qualche strana ragione il suo peso sulla schiena si avvertiva appena.

Peter ricevette Rhindon, la sua spada, avvolta in un nuovo fodero marrone, ricamato d'oro con leoni rampanti e viticci.

- Grazie, sire. Ne faremo buon uso. A presto. - Disse Peter, inchinandosi al re con aria compita.

Il re e i principi si inchinarono a noi e io feci una riverenza.

Un attimo più tardi io e Peter eravamo lanciati al trotto nella foresta di Narnia, tra i raggi di luce d'oro e d'argento, nella tiepida aria che preannuncia il giorno e che portava con sé, oltre al profumo del mare, anche il sapore dell'avventura.

Fino a quel giorno ne avevo solo letto e sognato: era giunto il momento di rendere il sogno realtà, dimostrando di cosa ero capace.

E mentre l'aria fredda mi accarezzava le guance e scompigliava i miei capelli raccolti in due codini, ero convinta di potercela fare.

 

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Capitolo 6
*** Arrivi, partenze e illusioni ***


lecronache6 .....Peter sapeva in che direzione andare per raggiungere Calormen, e galoppammo tutta la notte lngo la costa, vicino al mare. L'odore di salsedine e l'aria fresca mi piacevano, e ora che non avevo più paura mi rendevo conto di quanto era bello cavalcare a quella velocità, sotto le stelle.
Quando ormai il cielo si stava tingendo di rosa ad est, e io ero sfinita dal continuo ondeggiare di Luce, Peter rallentò e mi affiancò:
- Possiamo fermarci a riposare. Comunque dovremmo entrare nella foresta. -
Girammo a destra ed entrammo nel fitto del bosco. L'umidità impregnava l'aria, e faceva molto freddo. Mi strinsi addosso il mantello e rallentai l'andatura di Luce per rimanere qualche passo dietro a Peter. Arrivati in una piccola radura, Peter si fermò e smontò da cavallo.
- Dobbiamo trovare dei tronchi asciutti, se vogliamo accendere un fuoco. - Disse Peter.
Lo aiutai nella ricerca dei tronchi, che non fu facile dato che l'umidità sembrava essere arrivata dovunque. Alla fine, quando ormai le mie mani erano imbrattate di fango, bagnate e gelate, Peter decise che avevamo abbastanza legna. Non riuscii a capire come, ma dopo qualche minuto eravamo seduti davanti a un bel fuoco scoppiettante.
- Stai bene? - Domandò.
- Molto, sì. - Risposi, sorridendo.
- Beh, non c'è che dire. Non conosco nessuna ragazza che mi avrebbe risposto così dopo aver cavalcato tutta la notte e aver passato due ore a raccogliere legna in un sottobosco umido. Sei veramente strabiliante, Elie. -
- Sta parlando il Re Supremo di Narnia, che si spacciava per il classico 'bravo ragazzo' di Londra... vogliamo parlare di chi è più speciale? -
Peter rise, e io lo imitai. Le nostre risate riempirono la foresta, e svegliarono gli uccelli, che si misero a cantare sopra di noi. Il sole iniziava a scaldare la terra e una lieve foschia si alzava dal prato.
- Dormiamo un po', ti va? Nella foresta siamo al sicuro... almeno per il momento. -
- D'accordo. - Acconsentii.
Peter stese due coperte accanto al fuoco e si sdraiò su una delle due, avvolgendosi nel mantello.
- Riposa bene. - Disse. - Appena ci sveglieremo ci tocca un'altra bella cavalcata. Calormen è parecchio lontana. -
Mi rannichiai sulla mia coperta, più vicino che potevo al fuoco, e immediatamente mi addormentai.
Quando aprii gli occhi, Peter stava arrostendo delle salsicce sul fuoco.
- Ben svegliata. La colazione è servita. - Disse lui, passandomi un bastoncino con tre salsicce fumanti.
- Che ore sono? -
- Circa le quattro del pomeriggio. Dobbiamo rimetterci in marcia. - Disse lui, addentando il suo pranzo.
Finita la magra colazione, salimmo di nuovo a cavallo, e poi ancora al galoppo, stavolta nel bosco. Vento e Peter si scambiavano opinioni sulla direzione da prendere, a volte, ma per la maggior parte del tempo i cavalli erano così concentrati nella corsa che non riuscivamo nemmeno a comunicare.
La nostra corsa nella foresta andò avanti per qualche giorno. Avevamo superato un grande fiume e ci eravamo inerpicati su stretti sentieri di montagna, per poi ridiscendere dall'altra parte. Galoppavamo col buio, e riposavamo di giorno: mi sembrava di essere diventata una civetta.
Se non ci fosse stato Peter mi sarei arresa il primo giorno, ma lui mi dava una sicurezza tale che ero certa che avremmo raggiunto il nostro obiettivo. Per di più, quando non galoppavamo mi raccontava vicende della sua vita lì, e stavo lentamente imparando a conoscere il semplice, altruista e coraggioso 're Peter'.
Eravamo accampati sotto uno spuntone di roccia: alla fine del pendio da cui stavamo scendendo si vedeva la grande pianura alla fine della quale iniziava la Foresta Grigia, che delimitava l'inizio del regno di Calormen. Arrivati lì sarebbe stato più difficile proseguire.
Ci stavamo riposando dall'ennesima galoppata notturna, e il sole brillava alto nel cielo, quando Peter si alzò di scatto, la mano sulla spada.
- Che succede? - Esclamai.
- Shh. - Mi azzittì lui bruscamente.
Fece qualche silenzioso passo in avanti, mentre impugnava la spada. Mi ritrassi contro la roccia, spaventata da non sapevo cosa.
Un fruscio mi fece sobbalzare, e un urletto sfuggì dalle mie labbra. Peter andò avanti ancora, e sbirciò dietro ogni cespuglio. Tornò indietro sollevato, ma non più tranquillo.
- Cos'è stato? - Domandai.
- Ci sta seguendo. Da almeno due giorni. - Rispose lui.
- Cosa? - Chiesi allarmata.
- Non lo so. - Ammise lui. Per un momento rividi nei suoi occhi l'ordinario ragazzo di città che era scomparso al nostro arrivo a Narnia. - Ma credo che sia meglio fare dei turni, stanotte. -
- Oh. D'accordo. Anche se non so se sarò in grado di difenderti. - Ammisi a malincuore.
- Non preoccuparti. Se credi che qualcosa si stia avvicinando, sarà sufficiente svegliarmi. - Disse lui. - Adesso riposa. Il primo turno lo farò io. -
Mi sdraiai e cercai di dormire. Come se fosse stato facile, con quel qualcosa che ci incombeva addosso. In qualche modo presi sonno, e mi sembrava di aver dormito una manciata di secondi quando Peter mi svegliò.
- Hey, Elie... Elie, svegliati. -
Sfregai gli occhi e mi guardai attorno.
- Mi riposo un po' e poi ripartiamo, ok? Occhi aperti, mi raccomando. - Disse lui, stendendosi sulla mia coperta.
Io mi alzai. Fuori era pomeriggio inoltrato, il sole brillava alto nel cielo e inondava le pianure e i boschi sotto i miei occhi. Luce e Vento dormivano placidi, muso contro muso, poco lontano, e io mi sentivo bene. Tornai accanto a Peter, e mi sedetti contro la roccia, guardando attenta i cespugli attorno alla roccia.
Ben presto, per non farmi venire sonno, decisi di ricapitolare tutto quello che era successo fino a quel momento.
Il primo incontro con Peter, in biblioteca... e poi arrivare a Narnia, Aslan, la nostra missione, imparare a cavalcare e a tirare con l'arco... e adesso quest'avventura. Mi sentivo davvero bene, e speravo di non dimenticare nemmeno un istante di quello che stava succedendo, per poterlo scrivere una volta arrivata a casa.
Le ore trascorsero tranquille, e Peter si svegliò. Mangiammo qualche mela e poi risalimmo a cavallo.
Dopo altre interminabili ore di viaggio, arrivammo ai piedi del monte che avevamo scalato qualche giorno prima, e galoppammo a perdifiato attraverso la radura, mentre le stelle si accendevano sopra di noi. Mentre correvamo nell'erba alta che frustava le ginocchia di Luce e Vento, mi voltai per un istante. Un'ombra verdastra ci stava seguendo. Lasciai sciolta la briglia a Luce, che fu ben felice di affiancarsi al suo compagno.
- L'ho visto! - Gridai.
- Cosa? - Gridò di rimando Peter.
- Quella.... cosa che ci segue! -
- Cosa? -
- è dietro di noi anche ora! Corre velocissima, ed è... verde, credo. -
Peter scartò bruscamente a sinistra, e Luce lo imitò senza che io toccassi nemmeno le briglie. Un momento dopo eravamo nella foresta buia.
Peter scese da cavallo, sguainò la spada e mi fece cenno di fare silenzio. Decisa a non essere del tutto un peso morto, mi feci coraggio e presi in mano il mio arco.
Un momento dopo Peter teneva la spada puntata su uno strano essere verde, alto circa 80 centimetri.
Sulla sua testa spuntavano due curiose antenne verdi con una piccola luce in cima. Le mani e i piedi erano palmati, e lo si sarebbe potuto dire una grossa rana, se le rane potessero stare ritte sulle zampe posteriori.
- Chi sei? Perchè ci stai seguendo? - Disse Peter.
- Il... il mio nome è Draconis... Maestà. - Disse il ranocchio. - Sono un Clumsie. -
- Un cosa? - Esclamai stupita.
- Un Clumsie.- Disse Peter, abbassando la spada. - Sono creature-guida. Chi ti ha mandato? -
- Nessuno. Ma dai vostri discorsi ho capito che siete re Peter... si parla tanto di voi, in giro a Narnia! Sarei felice di aiutarvi... conosco tutte le terre qui attorno, e tutte le loro insidie. -
- Chi ti fa credere che non ci vuoi portare dritti in pasto ai Calormeniani? - Domandai io.
- Garantisco io per lui. La parola di un riccio è sempre sincera. - Disse una piccola voce accanto ai miei piedi. - Piacere di conoscervi, re Peter. -
Un piccolo istrice era appena sbucato da una tana sotterranea.
- Che carino! - Esclamai, prendendolo tra le mani per accarezzargli il dorso ispido. Avevo sempre amato gli istrici.
- Gradirei che mi si chiamasse Crubi, se non le dispiace, signorina. - Disse il riccio, con aria compunta.
Peter mi prese il riccio dalle mani e lo posò a terra.
- Ti prego di perdonare la mia amica, non è di Narnia. Nel nostro mondo è naturale coccolare e vezzeggiare un animaletto. -
- Non preoccupatevi, Maestà. Capisco. Comunque potete avere fiducia in Draconis. - Disse il riccio, zampettando vicino al Clumsie.
Peter ripose la spada, e io rimisi l'arco a tracolla. Non avevo capito perchè, ma ero statauna vera maleducata col riccio, quindi decisi di starmene zitta per evitare altre figuracce.
- Se non le dispiace, Maestà, vorrei avvertirvi dei pericoli a cui state andando incontro. - Disse Draconis.
Peter accettò, a patto che si potesse parlare davanti a un fuoco acceso e a qualcosa da mangiare. Il Clumsie, velocissimo, indicò a Peter dove trovare la legna per il fuoco, e il riccio portò frutta e vedura da mangiare mentre Draconis parlava.
- Dovete sapere che la terra di Calormen è popolata da potenti maghi. - Spiegò Draconis. - Ma non maghi come Aslan, no... lui usa la magia che è parte di lui per creare. I maghi di Calormen hanno messo la magia in catene per poterla usare per i loro scopi non sempre benefici. La foresta è disseminata di trappole, soprattutto di magia nera... credo che voi figli di Adamo la chiamate 'ipnosi'. -
- Ipnosi? - Domandai.
- Sì... chi viaggia spesso si imbatte in sogni meravigliosi, o in incubi, che lo rendono pazzo. O vedono la donna che amano e cercano di raggiungerla, senza vedere che si stanno dirigendo su un'illusione disegnata per portarli a gettarsi in un crepaccio. Oppure entrano in zone di buio così fitto da credere di essere divenuti ciechi, e i malcapitati si tolgono la vita. Volete un consiglio? Non separatevi mai. Rimanete uniti. Le illusioni sono fatte su misura su una persona alla volta, quindi se tu tenterai di ucciderti, sua Maestà re Peter potrà aiutarti a tornare in te. - Mi disse Draconis.
- Ma tu verrai con noi? - Domandò Peter, che sperava di poter avere una guida come lui accanto.
- Certo. Su di me la magia nera non ha effetto. Tuttavia non posso salvarvi dalle illusioni. Osservate. -
Allungò una zampa palmata e attraversò il dorso di Crubi, accucciato davanti al fuoco assieme a lui, senza nessuna difficoltà. Peter allungò a sua volta la mano e la affondò nel torace del Clumsie.
- Sei incorporeo? - Esclamò poi Peter, stupito.
- Sono una guida. Non è necessario per me avere un corpo. Il problema è che non posso toccare, afferrare o prendere nulla. Sono del tutto inutile, fisicamente. - Disse Draconis tristemente.
- Oh, non dire così! Noi non sapremmo cosa fare senza una guida saggia come te! Abbiamo davvero bisogno di te! - Dissi io in fretta.
Draconis mi sorrise.
- Sei gentile, Elizabeth. Vi aiuterò volentieri, per quanto posso. -
Rimanemmo davanti al fuoco ancora per qualche ora, discutendo della nostra missione e del modo migliore per spuntarla contro gli stregoni di Calormen. Dopo qualche ora di discussione, Draconis disse che era meglio proseguire ancora, e poi riposare durante il giorno.
- Molti degli animali della foresta sono schiavi della magia nera dei Calormeniani. Sanno che qualcuno cercherà di entrare a palazzo, quindi setacceranno i boschi alla ricerca di qualche straniero. Dobbiamo muoverci con circospezione, in silenzio, e di notte. Ci muoveremo nel modo più sicuro possibile. - Spiegava il Clumsie - Ma per fare questo dovremo proseguire a piedi. -
Il pensiero di separarmi dalla mia intelligentissima Luce mi rattristava.
- Oh, Elizabeth, non preoccuparti per noi. Staremo benissimo. - Disse Luce.
- Conosciamo la strada di casa. - Continuò Vento.
- D'accordo. Tornate a palazzo e dite che siamo arrivati alla Foresta Grigia, e che finora è andato tutto bene. - Disse Peter.
Diede una pacca sul dorso del suo cavallo, che nitrì e partì al galoppo seguito da Luce.
Osservai i cavalli allontanarsi con un po' di dispiacere, ma la voce di Draconis mi richiamò alla realtà. Salutammo Crubi (io mi scusai ancora per il mio comportamento poco rispettoso) e ci incamminammo. Il Clumsie andava qualche passo davanti a noi, e si muoveva circospetto.
All'improvviso, una fitta al cuore mi fece fermare.
Alzai gli occhi, e mi ritrovai paralizzata. Davanti a me, come in una grande finestra colorata nel buio, apparirono le mie amiche... erano sul treno, e nello scompartimento c'era un posto vuoto: in teoria in quel posto ci sarei dovuta essere io. Stavano ridendo tra loro, ma non potevo sentire quello che dicevano. All'improvviso sentii un rumore di ferraglia incredibile, e vidi la carrozza in cui c'erano le mie amiche accartocciarsi sotto i miei occhi, riducendosi ad un ammasso di lamiere.
Gridai con tutta la voce che avevo in corpo: avevo appena assistito alla morte delle mie amiche? Non riuscivo a smettere di gridare i loro nomi, mentre sentivo le lacrime scorrere sulle mie guance. All'improvviso sentii delle braccia che mi scuotevano forte.
- No, no! Voglio... devo tornare a casa! Devo tornare! Claire! Sarah! Lily! - Gridavo, cercando di far svanire le immagini che si stavano affollando davanti ai miei occhi.
All'improvviso misi a fuoco il viso davanti a me, e sentii la voce di Peter chiamarmi, come se fosse stata lontanissima...
Appena riemersi dall'illusione che mi aveva catturato e mi vidi specchiata nei suoi occhi azzurri, capii che non era successo nulla, alle mie amiche. Ipnosi. Draconis mi aveva avvisato.
Nascosi il viso tra le mani per nascondere le lacrime, la paura e il sollievo.
- Perdonami - Sussurrai - Ho visto le mie amiche morire davanti ai miei occhi, non sono riuscita a trattenermi. -
- Non preoccuparti. - Mormorò lui.
Mi accarezzò i capelli con un gesto leggero per qualche minuto, poi, quando fu certo che mi ero calmata, si alzò. Camminai accanto a lui per il resto della notte, dietro a Draconis, senza avere il coraggio di dire nulla, vergognandomi parecchio della mia debolezza che mi aveva fatto cadere in balia della prima illusione dopo pochi passi nella Foresta Grigia.
Quando ormai il sole era alto, Draconis ci disse che era meglio nascondersi, e ci fece entrare in una spelonca ricoperta per tre quarti di muschio, buia e profonda.
- Sei pallida. - Mi disse Peter, mentre mi passava la mia coperta. - Fatti una bella dormita e non pensare a niente. -
Mi avvolsi nella coperta e mi stesi a terra, poggiando la testa sulla mia bisaccia. La coperta portava ancora il buon profumo di Peter dalla sera prima, e mi sembrava di essere al sicuro. Mi addormentai quasi immediatamente, spossata dalle emozioni della giornata.


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Capitolo 7
*** Un'illusione per sua Maestà ***


lecronache7 Continuammo a camminare per alcuni giorni, ed erano già passati due mesi dal nostro arrivo a Narnia.
Una notte stavamo avanzando lentamente verso il castello, che ormai si vedeva alla fine della foresta. Camminavo dietro Peter, che a sua volta cercava di stare al passo con Draconis.
Ad un certo punto, in lontananza, sentii un ululato. Istintivamente, avanzai e raggiunsi Peter.
- Peter... - Dissi con un filo di voce.
- Che c'è che ti terrorizza in questo modo, Elie? - Disse lui, con una sfumatura di ironia.
In quei due mesi spesso e volentieri ero stata in preda delle ipnosi e di serpenti e gufi, e quasi sempre mi aggrappavo al suo braccio, tremando o urlando a seconda dei casi.
- L-Lupi. -  Dissi.
Peter tornò subito serio.
- Draconis, i lupi ci stanno seguendo. - Disse in un sussurro.
- Probabile. - Rispose Draconis. - Sospettano che qualcuno li stia raggiungendo, ma siccome di giorno non ne trovano tracce hanno sguinzagliato le guardie notturne. -
- Che dobbiamo fare? -
- Andare avanti in silenzio, sperando che non ci abbiano ancora individuati. - Disse il Clumsie continuando ad avanzare.
Io e Peter lo seguimmo, ma mi rendevo conto che Peter era attento a quello che gli accadeva attorno più che mai. All'improvviso un lampo alle mie spalle mi fece girare.
- Cammina. - Mi disse Peter. - Non restare indietro. -
Ma in quel momento un lupo sbucò dal cespuglio accanto a Draconis, e si fermò in mezzo alla strada ringhiando. Altri tre sbucarono accanto a me e Peter: ci avevano accerchiati.
Indietreggiai per raggiungere Peter, ma inciampai e finii seduta per terra, col viso all'altezza del tremendo muso del lupo.
- Ma bene... chi abbiamo qui? - Disse il lupo con un ringhio basso e feroce.
- Capo, sono due umani... - Disse il lupo marrone accanto a me.
- Ma bene, Narnia non aveva abbastanza creature da doverne chiamare altre? - Disse il capobranco.
Il lupo marrone si avvicinò a me e iniziò ad annusare l'orlo della mia gonna. Poi alzò gli occhi e ringhiò:
- Capo, hanno un buon odore, posso assaggiarli? -
- Lasciane un po' anche a noi, Sirkai. - Disse il capobranco, avvicinandosi a Draconis.
Io ero paralizzata dalla paura (come sempre) e non riuscivo a trovare nemmeno la voce per gridare.
Come un fulmine, Peter uccise il lupo che stava per balzarmi addosso. Poi si voltò, e trapassò quello che era saltato per azzannarlo al collo. Un istante dopo aveva ucciso il terzo.
Poi si era liberato dei due che stavano ancora puntando Draconis, senza rendersi conto che lui non poteva essere ucciso.
La foresta era di nuovo quieta e silenziosa, e io ritrovai la voce.
- Come... come hai fatto? -
Peter pulì la lama della spada e poi la ripose. Mi diede la mano e mi aiutò ad alzarmi.
- Ci ero già passato. Quando avevo sedici anni, durante la mia prima visita qui. -
- Sua Maestà è stato nominato principe col titolo di 'flagello dei lupi'. - Spiegò Draconis.
Guardai Peter con occhi e bocca spalancati.
- E non me l'hai mai detto? -
Peter si strinse nelle spalle.
- Non mi sembrava un'informazione di vitale importanza. - disse lui ridendo.
- Tu sei troppo modesto. Prima o poi te le darò, se continui a lasciarmi a bocca aperta così! -
Peter scoppiò di nuovo a ridere, e poi mi fece cenno di seguire Draconis, che stava camminando ancora nel bosco.
- Cioè, Peter Pevensie... tu sei il Re Supremo di Narnia, sei stato nominato Flagello dei Lupi, e anche Il Magnifico. No, ci riununcio. Non sarò mai alla tua altezza! -
- Perchè, devi arrivarci? -
- Beh, siamo qua assieme, speravo di diventare un minimo eroica... ma accanto a te sembro proprio una bambina! -
- Proprio perchè sei così 'bambina' è importante che ci sia anche tu. A che serve essere ottimi cavalieri, se non c'è una fanciulla da proteggere? - Disse lui sorridendo.
- E no scusa! Io voglio poter combattere! -
- Avrai tempo per combattere, stanne pur certa. -
- Tanto alla fine l'eroe sarai tu, uffa! - Esclamai io.
Peter rise di nuovo, e mi passò un braccio attorno alle spalle, stringendomi affettuosamente a sè.
- Eroe o non eroe, sono contento che tu sia venuta con me! - Disse lui, sempre ridendo.
Non trovai niente di sensato da dire, così non dissi nulla. Però arrossii, e vidi che Peter l'aveva notato: il suo sorriso si era fatto più dolce, mentre mi scioglieva dall'abbraccio.
- Ragazzi, è meglio fermarsi a riposare. - Disse Draconis, svoltando su un lato.
- D'accordo. - Risposi io.
Mi voltai per avvertire Peter, e lo vidi pallido, con la spada sguainata verso un albero.
- Maestà! - Gridò Draconis.
Peter affondò la spada nel tronco dell'albero, e poi la estrasse, voltandosi ad affondarla verso un abete poco lontano. Continuava a muoversi a casaccio, uccidendo nemici immaginari che nessuno riusciva a vedere.
- Elizabeth, devi svegliarlo prima che si faccia male! -
- E come faccio? Ha una spada! -
- Non lo so, scuotilo, picchialo... fai qualcosa! - Esclamò lui.
Io avanzai, ma appena i miei passi scricchiolarono sul tappeto di aghi di pino che tappezzava la foresta, Peter si accorse di me. Rimasi immobile, e lui tornò al suo albericidio.
- Peter... Peter, ti prego, ascoltami! - Dissi.
- Non può sentirti! Devi svegliarlo usando le mani! - Gridò Draconis, dietro di me.
Peter avanzava verso l'ennesimo tronco con aria cauta. Vicinissimo a lui c'era un crepaccio profondo miglia.
Pensai a quanto mi sarei pentita se non avessi tentato qualunque cosa, nel caso che lui fosse caduto.
Mi gettai in avanti, e lo abbracciai stretto da dietro.
Prima cercò di divincolarsi, poi si calmò, e perse del tutto i sensi. Cademmo all'indetro, sull'erba. Mi misi seduta, e tenevo il suo capo in grembo.
- Peter? Mi senti, Peter? - Mormorai, scostandogli i capelli dorati dal viso.
- Sire? - Disse Draconis, avvicinandosi.
Peter si mosse appena, poi aprì lentamente le palpebre.
- Che succede? Dove sono i bambini? - Esclamò, mettendosi seduto.
- Bambini? Maestà, voi avete avuto un'allucinazione! -
- Sono stato stregato? Non c'erano dei ragazzini armati di arco e frecce, qui? - Disse lui, voltandosi verso di me.
Scossi la testa.
- No, eri sotto l'effetto dell'ipnosi. - Spiegai io. - Uccidevi alberi e piante come se fossero nemici.-
- Avevo visto una squadra di ragazzini nascosti tra le piante, e prendevano la mira su di noi.... Ho pensato che dovevo ucciderli. -
Il primo sole del mattino filtrò tra le foglie, e la luce bianca e verde ci inondò.
- Muoviamoci, dobbiamo metterci al riparo. - Esclamò Draconis.
Lo seguimmo in una piccola radura buia, dove i rove chiudevano qualunque entrata. Io e Peter ci graffiammo e strappammo gli abiti per poter entrare.
Mi accoccolai ai piedi di un cespuglio e mi addormentai quasi subito.
Qualche tempo dopo fui svegliata da un raggio di sole sul mio viso, e aprii appena gli occhi. Peter era sveglio, seduto su un tronco caduto, e guardava l'erba davanti a sè con aria sconsolata.
- Che succede? - Dissi, inginocchiandomi sull'erba davanti a lui.
- Li avrei uccisi. - Disse lui, con gli occhi bassi.
- Era solo un'illusione, non pensarci... - Iniziai io, ma lui mi interruppe bruscamente.
- Tu non capisci! Illusioni o no, io li avrei uccisi! Avrei ucciso dei ragazzi... - La voce di Peter era rotta, sembrava che fosse sul punto di scoppiare in lacrime.
Per cercare di farmi sentire più vicina, appoggiai le mie mani sulle sue.
- L'avresti fatto per salvarmi... e comunque io sono certa che ti saresti fermato in tempo. - Dissi, tentando un sorriso.
Peter alzò gli occhi: erano pieni di lacrime.
Istintivamente lo abbracciai, come avrei voluto che facessero con me quando piangevo. Lo abbracciai, e mi resi conto che anche Peter stava abbracciando me.
- Grazie. - bisbigliò lui.
- Perchè? - Domandai io.
- Perchè quando ero io ad essere debole ti sei preoccupata per me. -
- Non davo per scontato che tu fossi sempre forte. Siamo in due in questa storia. -
Peter mi sciolse dall'abbraccio e mi guardò negli occhi.
- Hai ragione. Siamo in due... siamo riusciti ad arrivare fin qui perchè siamo in due. - Disse lui.
Mi appoggiò una mano sulla guancia e per un momento pensai che era una situazione molto imbarazzante: io e lui, abbracciati, in quella radura silenziosa e profumata. Era una situazione quasi... quasi romantica. Mi dissi che non dovevo farmi strane idee. Peter mi sorrise ancora, poi si alzò e si diresse verso il margine della radura.
- Dobbiamo rimetterci in cammino. - Disse lui.
Io annuii. Ero delusa... chissà cosa mi aspettavo da quel momento di poco prima... Sapevo benissimo cosa mi aspettavo, ma non l'avrei ammesso nemmeno sotto tortura.
Elizabeth Graham non si perdeva in fantasie romantiche. Soprattutto con un valoroso principe, in una foresta ostile, in un mondo diverso da quello in cui ero cresciuta.
Io non provavo niente per Peter. Niente di niente.

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Capitolo 8
*** Buio ***


lecronache8 Ero sveglia, ma come al solito decisi di aspettare ancora qualche minuto per aprire gli occhi. Il buio e il silenzio nella piccola radura dove ci eravamo accampati erano totali, e si stava bene sdraiati sul prato fresco a sonnecchiare. Un rumore alla mia destra mi fece sussultare, e aprii gli occhi spaventata, ma non vidi nulla.
Non nel senso che non c'era nessuno, ma nel senso che non vedevo. Non ci vedevo più.
All'inizio la mia parte razionale mi disse che stavo sognando, così mi portai le mani sugli occhi, e li sfregai forte. Poi li riaprii. Il buio era rimasto.
Il terrore mi prese, tanto che non riuscivo nè a parlare nè a muovermi.
Ad un certo punto una specie di mugolio mi uscì dalle labbra:
- Peter... -
Lo sentii muoversi vicino a me.
- Che c'è? - Disse lui, con la voce ancora impastata dal sonno.
- Peter, guardami. - Dissi ancora.
- Che succede? - Disse lui, mentre lo sentivo muoversi ancora.
Ci fu per un istante un profondo silenzio.
- Elie... - Sussurrò lui. - Dove sei? -
- Non mi vedi? -
- Non vedo nulla. -
- Nemmeno io. Sarà una delle solite ipnosi? - Proposi io.
- Non lo so. - Disse lui.
- Ho paura. - Dissi io, mentre lacrime invisibili salivano ai miei occhi.
- Ce la caveremo, Elie. Fidati di me. - Disse lui.
Sentii la sua mano sul mio braccio, che saliva sulla mia spalla e poi scivolava sui miei capelli.
- Dovremo solo fare attenzione a cosa sentiamo e a cosa avvertiamo con i nostri altri quattro sensi. Possiamo farcela. - Disse Peter.
- Come fai ad essere così coraggioso? -
- Non per niente lo chiamavano il Re Supremo. - tagliò corto Draconis. - Ci muoviamo? -
- Ti ho appena detto che siamo ciechi, e tu pretendi di farci alzare? - Dissi io infuriata.
- Certo. A meno che non preferiate rimanere qui ed essere assaliti e sbranati dai lupi. -
- Forza, Elie. Alzati. - Disse Peter.
Lo sentii alzarsi, e poi tentai di mettermi in piedi anche io. Camminare senza vedere mi dava le vertigini, ma cercai di stare dietro al sussurro di Draconis che ci indicava la strada.
- Muoviti, Elizabeth. Non restare indietro! - Esclamò Draconis.
- Ci sto provando! - Esclamai io con le lacrime agli occhi per la seconda volta in un paio d'ore.
Inciampai ancora, e caddi lunga distesa nella terra umida. Mi tolsi il fango dalle labbra e mi rimisi a camminare, ignorando le pietre aguzze sotto i miei piedi, le buche in cui rischiavo continuamente di slogarmi le caviglie e i rami bassi che mi graffiavano il viso e le braccia tese davanti a me.
Ad un certo punto mi scontrai contro qualcuno. Gridai spaventata.
- Hey, calmati! Sono soltanto io! - Disse Peter.
Mi prese entrambe le mani nelle sue e disse:
- Sei davvero terrorizzata, eh? -
- Sì. -
- Anche io. Cerchiamo di tenere duro, d'accordo? Dobbiamo aiutarci a vicenda, o non arriveremo da nessuna parte - Disse lui.
Mi strinse forte le mani e poi intrecciò le dita di una mano a quelle della mia.
- Adesso cerchiamo di stare vicino alla nostra guida. -
Continuammo a camminare mano nella mano.
Quel contatto era rassicurante, nel buio che mi circondava, e mi evitava di cadere o di sbattere contro i tronchi come mi era capitato. Piano piano mi sembrava di riuscire a vedere il sentiero, gli alberi attorno a me, la schiena di Peter che mi precedeva e Draconis, poco più avanti.
Ero cieca da mezza giornata e già mi sentivo pazza. Scossi la testa e cercai di concentrarmi sui suoni attorno a me. Pensavo che, se li avessi riconosciuti, mi avrebbero fatto meno paura.
Certo che quando un gufo mi passò vicino ai capelli emettendo il suo verso, non potei fare a meno di gridare, bloccandomi.
Peter iniziava a stufarsi della mia paura, che ci faceva procedere sempre più lentamente, così quasi mi trascinava avanti, ignorando le mie grida e i miei sussulti.
Continuammo a camminare alla cieca (nel vero senso della parola) per quelli che mi sembrarono giorni, mesi... tanto che ormai non avevo le forze nemmeno per spaventarmi e seguivo Peter con gli occhi chiusi, come una bambola, cercando di dirmi che in realtà stavo solo sognando.
- Si sta facendo giorno. Dobbiamo fermarci. - Disse Draconis.
Ad un certo punto ci fermammo, e mi lasciai cadere a terra. Trattenni un grido quando atterrai su un letto di ghiaia.
Mi stesi sulle pietre e decisi che mi sarei addormentata. Le lacrime di tristezza e di paura si seccarono sulle mie guance mentre il sonno si impadroniva di me.

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Capitolo 9
*** Sentimenti ciechi ***


lecronache9 Fui svegliata da Peter, che mi scrollava.
- Svegliati, Elizabeth! Dobbiamo andare. - Disse senza tanti convenevoli.
Mi misi a sedere, e mi rifiutavo di aprire gli occhi per paura di scoprire che ero ancora cieca. Alla fine però la curiosità vinse, e li aprii lentamente.
Niente era cambiato, e con un sospiro mi alzai in piedi. Peter mi afferrò per una mano e iniziò a trascinarmi di nuovo per il bosco.
Un groppo alla gola mi impediva di parlare, e quando caddi per l'ennesima volta nel fango scoppiai in singhiozzi.
- Che succede? - Domandò Draconis, evidentemente scocciato.
- Non ce la faccio più! - Gridai - Io non vedo niente, tu mi trascini come fossi un cagnolino e Draconis va avanti a passo di marcia! Mi viene il dubbio che tu ci veda, Peter! Non cadi, non inciampi... -
- Sono caduto anche io, sai? Non potevi vedermi, ovviamente, ma anche io cadevo e inciampavo. - Rispose Peter.
I singhiozzi mi impedivano quasi di parlare, ma tutta la mia paura ora si stava trasformando in rabbia, e continuai a gridare:
- Non potevate pretendere che io ce la potessi fare! Non potevate! Io sono una bambina! Una bambina di città, che ha letto decine di libri ma non sa cosa voglia dire essere coraggiosa! -
Sentii Peter sedersi accanto a me nel fango. Il suo profumo mi avvolse come un'abbraccio.
- Io non ho mai pensato che tu fossi una bambina. Ora ti stai comportando come una sciocca, questo sì. Ma tu sei forte. -
La sua mano si appoggiò sulla mia guancia. Fu un gesto istintivo, e Peter non sbagliò: la sua mano si poggiò dolce e sicura sul mio viso, e mi asciugò le lacrime.
Sapevo che era vicino a me, e che stava sorridendo. Come facessi a saperlo, questo non lo so. Ma lo sapevo.
Come potevo essere arrabbiata con lui? Era sempre gentile, sempre pieno di attenzioni... no, non ero arrabbiata con lui. Anzi.
Per un momento pensai a come sarebbe andata se non fossimo mai arrivati a Narnia, dicendomi che il mio cuore che batteva così forte era stato infatuato da Re Peter, non da Peter Pevensie, studente. Ma sapevo che non era vero. Io avevo un debole per lui dalla prima volta che ci eravamo incontrati, quando si era chinato a raccogliermi un libro. Lentamente mi ero lasciata coinvolgere dalla sua parlantina intelligente e spiritosa, dalle sue letture che tanto assomigliavano alle mie... era come un raggio di sole in una giornata nuvolosa: mi ricordava che in tutto quello schifo che mi circondava (mia sorella, i miei, Pitt e Connolly...) il buono c'era, era solo un po' nascosto.
Mi ero lasciata affascinare da Peter. Re o studente, non importava. Quella constatazione mi tolse del tutto la facoltà di ragionare: dopotutto era buio, no? Lui non poteva vedermi, e io non potevo vedere la sua espressione dopo... così azzittii la mia testa e lasciai che a comandare fosse il mio cuore.
Tesi le mani e le appoggiai sulla sua nuca. Mi avvicinai a lui e lo baciai sulla bocca, appoggiando le mie labbra sulle sue.
- Andiamo, vi sembra il momento? - Esclamò Draconis dopo un momento.
Mi ero completamente dimenticata che Draconis ci vedeva...
Imbarazzata, rossa e completamente confusa, mi alzai bruscamente in piedi. Un rumore di foglie accanto a me mi diceva che Peter aveva fatto lo stesso.
Ricominciammo a camminare, e lentamente mi tranquillizzai: Peter non si era allontanato. Non mi aveva respinto. Chissà, forse anche per lui io significavo qualcosa.
Da quel momento fu una cosa del tutto diversa: lo sentivo accanto a me. Lo sentivo vicino anche se non potevo vederlo, anche se non mi stava tenendo per mano. Era un respiro sottile tra lo stormire delle foglie, erano passi silenziosi sul manto di terra ed erba, era il suo profumo che mi avvolgeva quando il vento girava.
Peter era con me, anche se per i miei occhi ero sola.
Continuai ad inciampare, ma di meno. Riuscivo a intuire la posizione delle rocce, e vagamente anche quella dei rami che comunque continuavano a strapparmi l'abito e a graffiarmi le braccia.
I suoni della foresta si erano fatti meno inquietanti, e andavo molto più spedita.
Ci fermammo di nuovo a dormire, e Draconis stavolta ci guidò a ridosso di una roccia caduta. Peter diede una testata alla parete e trattenne un'imprecazione. Io ridacchiai.
Ci sedemmo e mangiammo qualcosa. Il pane era duro, e la carne era finita, ma con la fame che avevamo anche un boccone secco era una prelibatezza.
Mi appoggiai al muro e sentii Peter appoggiarsi vicino a me. Mi mise un braccio attorno alle spalle e mi tirò contro di sè.
- Beh, mi piace quasi questo buio. - Disse lui.
- Ti piace? -
- Non trovi che dia il coraggio di fare cose che non avresti mai fatto prima? -
Io arrossii bruscamente. Non avrei mai avuto il coraggio di baciare Peter se avessi potuto vedere la sua espressione dopo.
- Beh, sì. -
- Non che mi dispiaccia, ovviamente. In questo tempo passato assieme ti ho conosciuta meglio di quanto avrei mai potuto fare a casa. - Disse lui, posando un bacio sui miei capelli.
- E ti piace quello che hai scoperto di me? -
- Nel complesso sì. -
- Ah, 'nel complesso'! -
Peter rise di cuore, e poi mi chiese:
- E tu, come trovi quello che hai scoperto di me? -
- Non ti ho ancora trovato un difetto. - Dissi io.
- Lady Elizabet, non prendetevi gioco del vostro re! -
Ridemmo tutti e due, allegramente.
- Comunque sì, mi piace quello che ho scoperto di te. - Sussurrai io.
Peter mi bisbigliò qualcosa all'orecchio, qualcosa che io non capii.
- Cosa? -
Peter mi ignorò, sbadigliando sonoramente.
- Tu non hai sonno? -
- Un po' sì. Mi ripeti quello che hai detto? -
Peter si sdraiò, sciogliendomi dall'abbraccio e mettendosi sdraiato, avvolto nel suo mantello.
- Buonanotte, Elie. - Disse.
Due secondi dopo dormiva profondamente.
Sbuffai, infastidita dal fatto che Peter mi aveva ignorata. Poi mi rannicchiai nel mio mantello e chiusi gli occhi. Però mi piaceva la sensazione che il suo bacio sui miei capelli mi aveva lasciato addosso.
Draconis ci svegliò dopo un paio d'ore.
- Elizabeth... mio signore... venite, muovetevi. Ho scoperto un luogo meraviglioso. -
- Tanto non lo possiamo vedere. - Biascicai io, continuando a tenere gli occhi chiusi.
Stavo facendo un bel sogno, e non avrei voluto alzarmi e tornare alla mia cecità per niente al mondo.
- Vi dico che dovete seguirmi! - Esclamò Draconis.
Sembrava davvero esaltato, così sentii Peter alzarsi.
- Dai, Elie, non farti pregare. - Disse Peter.
Malvolentieri mi alzai anche io, e seguii Draconis che ci faceva strada parlando concitato.
- Eccoci, siamo arrivati. -
Io e Peter camminavamo uno accanto all'altra, e all'improvviso i miei occhi furono inondati da macchine di colore. Confuse, vaghe... ma erano colori!
In alto una macchia di bianco, e sotto una confusione di verde, argento e marrone.
- Ci vedo! - Gridai, facendo qualche passo avanti, dove le ombre diventavano sempre più nitide.
Non vedevo l'ora (queste frasi fatte calzavano a pennello) di arrivare in quel posto di cui vedevo i colori... Peter mi afferrò per un braccio e mi tirò bruscamente indietro di qualche passo.
Il buio era di nuovo assoluto.
- Ma Peter...-
Lui mi afferrò il viso tra le mani e mi baciò con dolce passione sulla bocca. Le nostre labbra si schiusero in un istante, e nel buio ci scambiammo un bacio lungo decine di secondi.
Mi baciò le guance, gli occhi e i capelli. Poi si allontanò e disse:
- Andiamo. Torniamo a vedere il nostro mondo. -
Corsi nella direzione da cui mi aveva trattenuto e le confuse e vaghe ombre attorno a me diventavano sempre più nitide: erano alberi, cielo, prato, terra, acqua... davanti ai miei occhi che ora ci vedevano di nuovo si apriva una radura con un laghetto argentato. Sopra di noi il cielo era nuvoloso e basso, ma non mi era mai sembrato tanto bello. Mi guardai intorno con il cuore che scoppiava di felicità, poi mi voltai.
Peter stava dietro di me, e mi guardava con un sorriso. Forse era il fatto che mi ero affezionata a lui più di quanto potessi immaginare, forse era la lunga permanenza al buio... resta il fatto che mi sembrava ancora più alto, biondo e bello e 'principesco' di quando l'avevo visto l'ultima volta.
Gli corsi incontro, e gli gettai le braccia al collo. Lui mi sollevò da terra e mi fece volteggiare, ridendo.
- Sono felice! - Gridai io.
Mi mise a terra e corsi al laghetto. Mi lavai il viso e le braccia graffiate, e mi riordinai i capelli. Mi sentivo un'altra.
Draconis cercava di spiegarci che quel luogo era protetto dal potere di Aslan, dato che lui stesso aveva bevuto in quel laghetto, ere prima. La magia degli stregoni non poteva entrare, e per questo l'incantesimo che chiudeva i loro occhi si era sciolto.
Ovviamente a me e a Peter non importava nulla del perchè. Sapevamo che potevamo ancora vedere, che potevamo ancora guardarci in faccia, e tanto bastava.

-- *** --
PS: colgo l'occasione per ringraziare tutti quelli che hanno recensito fino ad ora! Ringrazio soprattutto Princess Jiu, che ha recensito.. anche io non sopporto le storie con incesto, quindi ho deciso che Peter aveva diritto a una storia di altro tipo! Spero che continuerai a seguire come vanno le cose... Un bacio a tutti! =FairyFlora=

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Capitolo 10
*** La vera forza ***


lecronache10 Ormai la Foresta Grigia era sul punto di terminare. Draconis ci aveva avvertito di stare più attenti, e spesso figre incappucciate, avvolti in lunghi mantelli color viola o porpora appraivano e sparivano tra le ombre della foresta; sembravano non vederci, quindi non mi terrorizzavano troppo.
Quella sarebbe stata l'ultima sera nella Foresta, a detta di Draconis, e io mi sentivo sollevata e terrorizzata al tempo stesso. Buona parte dei pericoli erano passati ed eravamo sopravvissuti, ma la parte più difficile doveva ancora arrivare, lo sapevo benissimo. Entrare nella Rocca Grigia e rubare il Calice della Creazione a quegli stregoni mi metteva i brividi, anche se sapevo che Aslan aveva scelto proprio me e Peter per tentare: dovevo essere forte, perchè io e lui eravamo abbastanza puri di cuore (o innocenti, non mi ricordavo quali parole avesse usato Aldian di preciso) per poterlo toccare senza impazzire.
Allo spuntare del sole ci infilammo sotto una roccia, in uno spazio così piccolo che a malapena ci stavamo seduti. Ci rannicchiammo uno accanto all'altra, stanchissimi: sembrava che da qualche giorno il viaggio si fosse fatto diverso, più stancante.
Come sempre prima di addormentarmi mi fermai a pensare. Ormai avevo ammesso con me stessa di essermi presa una bella cotta per Peter.
Oltre ad essere una cosa decisamente fuori dal comune per la Elizabeth che conoscevo (troppo presa dai suoi problemi familiari per pensare ai ragazzi), mi faceva anche soffrire un po': Peter era gentile e premuroso come sempre, ma non si era mai rivolto a me in modo diverso rispetto a come si comportava prima del nostro periodo 'cieco'. Per lui nulla era cambiato.
Una cosa mi tormentava: quando mi aveva presa tra le sue braccia e baciata con quell'immensa tenerezza, cosa pensava?
Era passata circa una settimana, e non ne avevamo mai parlato. Non ci eravamo mai lasciati andare nemmeno a una tenerezza: nè un abbraccio, nè una carezza... niente di niente. Ero infastidita a quel pensiero, ma nello stesso tempo ero certa che se lui mi avesse baciata di nuovo sarei morta di vergogna... dopotutto stavolta l'avrei guardato in faccia.
Pensare a me e a lui assieme dava una sensazione di felicità e di imbarazzo piuttosto insolita, ma tutto sommato piacevole.
Mi sarebbe piaciuto restare a Narnia assieme a lui. Anzi, a dirla tutta, mi sarebbe piaciuto restare assieme a lui e basta.
Mentre il sonno si impadroniva di me sospirai: mi sentivo come Cenerentola che dalla sua torre sogna di sposare il principe.
A svegliarmi fu mio padre, con la sua espressione scontenta sul viso.
- Sei una delusione, Beth! Sei e sarai sempre una delusione! Ma guardati, sei sempre sola, non ti vergogni? -
Io ero paralizzata. Cosa c'entrava lì mio padre? Io ero a Narnia... io ero al sicuro!
Poi capii: era l'ennesima illusione! Ma la mia parte razionale affogò dopo un momento, sopraffatta dal dolore, dall'angoscia e dalla sofferenza.
Davanti ai miei occhi danzavano le scene della mia vita: non erano sogni, nè illusioni. Quelli erano ricordi.
Da quelli non potevo fuggire, perchè la bambina di quei giorni felici ero io.
Ero io che giocavo con Juliet al parco con i miei genitori seduti su una panchina poco lontano, intenti a chiacchierare.
Ero io che facevo il bagno al mare con le amiche, ignara di cosa fossero l'ansia e il dolore.
Ero io la ragazzina che aveva visto suo padre gridare, bestemmiare e uscire di casa alle due di notte.
Ero io la ragazza che aveva consolato sua madre in lacrime.
Ero io, quella rimproverata e insultata, quella sbagliata, incompleta, imperfetta... infelice.
Ero io. E da me non potevo fuggire.
- Diventerai il terzo problema della famiglia ... Non hai amici ... Sei brava solo a mangiare a ufo in questa casa ... Sei sempre sola ... non servi a niente ... non mi aiuti mai .. non vai mai a trovare i nonni ... non mi appoggi quando ho bisogno di aiuto ... non fai mai quello che ti chiedo ... non sei mai un po' carina, un po' curata ... -
Le voci si rincorrevano nella mia testa, e stavo male. Un nodo alla gola minacciava di farmi scoppiare in singhiozzi, quando una voce soave e leggera mi distolse da quei rimproveri - da quei ricordi - dolorosi.
-Beth... -
Chi era? C'era solo buio, attorno a me.
- Beth, ascoltami. -
Davanti a me c'era una ragazza. No, no: era una donna. Mentre i miei occhi si abituavano al buio, la misi a fuoco. Era molto bella, con una tunica lilla e i capelli biondo chiaro lunghi fino alle caviglie. I suoi occhi di un color azzurro ghiaccio molto chiaro erano buoni, sinceri, e mi fissavano attenti.
- Beth, stai male, vero? - Disse.
- Sì. - La voce mi uscì strozzata, mentre ancora tentavo di trattenere le lacrime.
- Perchè allora non rinunci? Niente più sofferenza, niente dolori, niente di niente. Sarai in pace. -
- Mi piacerebbe, ma come posso fare? -
- Ti basta questa, e un pizzico di coraggio. - Disse la donna, porgendomi una freccia.
- Che ci devo fare? - Dissi prendendola in mano.
La donna mi si avvicinò e la girò con la punta rivolta verso di me.
- Un po' di coraggio... e starai bene. - Disse.
Capii: dovevo morire per essere felice.
Per un momento ci pensai... dopotutto a casa non lasciavo niente: avevo pochi amici, nessuno molto fidato, e la mia famiglia se la sarebbe cavata comodamente senza di me... e poi io sarei stata meglio, questo era poco ma sicuro... chissà cosa sarebbe successo a casa se fossi morta a Narnia.
Poi allontanai violentemente quel pensiero: qualcosa dentro di me si era svegliato e una piccola Eizabeth aveva allungato un braccio come per cercare aiuto. Le sue dita si erano aggrappate a una stoffa ruvida.
Mentre ero ferma, paralizzata nel buio del mio incubo, con la freccia tra le mani, una Elizabeth diversa da me si era aggrappata al ragazzo disteso accanto a lei. Quel pensiero mi trattenne, e la freccia rimase immobile. Volevo davvero uccidermi?
Avrei abbandonato Juliet e la mamma alla vita difficile con mio padre, sarebbe stato molto egoista da parte mia...
Poi sussultai.
Qualcuno mi stava abbracciando. Ero sola, ma sentivo quell'abbraccio disperato dentro di me. La piccola Elizabeth del mio sogno - o forse era quella della realtà, non capivo - era stretta tra le braccia di un'altra persona.
- Vedi, quello che vuoi è tutto lì: un abbraccio. Lo so, non è molto, ma nessuno ti abbraccia mai, vero? Nè i tuoi amici, nè i tuoi genitori... vero? Ho ragione, Beth? -
La morsa alla gola si stava facendo più forte. Sì, era vero: io volevo solo che qualcuno mi abbracciasse ogni tanto, per farmi capire che non ero sola. Ma nessuno mi abbracciava mai.
- Già... - Dissi.
- Non hai mai avuto un abbraccio, e come speri di avere il coraggio per vivere ancora? Credi di essere forte, ma cederai, presto o tardi. Meglio togliersi il pensiero subito, ora... non farà male qui. Invece la prossima volta lo farà... eccome se lo farà. - Disse con tono suadente la donna, appoggiando le sue mani fredde sulle mie e facendomi appoggiare la punta della freccia sull'abito. Il vestito si strappò appena. Quasi quasi l'avrei lasciata fare...
Eppure una vaga sensazione c'era ancora, nascosta da qualche parte dentro di me.
Poi, fu un flash: Peter mi stava stringendo forte, nascondendo il viso tra i miei caeplli, mentre io - ero proprio io - ricambiavo l'abbraccio con una stretta disperata.
- No! - Gridai.
- Come? - La donna era rimasta interdetta.
- Non voglio morire! Quando ero piccola mio padre mi voleva bene! Sono certa che mi abbia abbracciato! -
- E allora? Beth, bambina, non capisci? Tu sogni l'Amore... l'Amore non esiste: ti sposerai perchè credi di averlo trovato, ma poi litigherai con tuo marito, e molto probabilmente vi lascerete... i tuoi genitori non ti hanno insegnato, in fondo non è colpa tua... se non sai amare! -
- Non mi importa! Non voglio morire, non voglio ascoltarti! - Gridai, lasciando cadere la freccia e tappandomi le orecchie con le mani.
Volevo tornare indietro, tornare ad abbracciare Peter, fuori da quell'orrendo incubo.
- Il fatto che ti abbiano abbracciata da bambina non vuol dire che lo faranno ancora! Nessuno ti abbraccerà mai! Vuoi vivere così? Sarai per sempre sola! -
- Non è vero... non è vero! Peter mi sta abbracciando ora! -
In quel momento aprii gli occhi. L'odore pungente del muschio e il freddo umido della grotta mi riportarono subito alla realtà.
Il dolce tepore del corpo di Peter contro il mio era rassicurante, e il nodo alla gola che avevo da tempo finalmente si sciolse: nascosi il viso contro la spalla di Peter, contro quella stoffa ruvida a cui i ero aggrappata, e piansi. Dopo qualche minuti sentii Peter dire:
- è finita. -
Io singhiozzai, e annuii, stringendolo forte.
- Elie... - Disse lui, sciogliendomi dall'abbraccio.
Ci mettemmo seduti, uno di fronte all'altro, nella penombra della grotta, mentre fuori il mondo era inondato dal sole del mezzogiorno.
- Come lo sapevi? Come facevi a sapere che saremmo stati più forti se ci fossimo abbracciati? -
- Io... io non lo so, è stata una cosa istintiva... non sapevo cosa stavo facendo. -
-Ci hai salvato. Se non ti avessi sentito vicino a me mi sarei tolto la vita con la mia stessa spada. -
Poi alzò un dito, e sfiorò il taglio sul mio abito... in quel momento capii che se mi fossi uccisa nell'incubo sarei morta davvero. Non ci avevo pensato fino ad un istante prima. L'orrore mi assalì, e rabbrividii al pensiero di quello che avevo scampato. Abbassai lo sguardo, continuando a tremare.
Peter mi sollevò il viso con due dita e mi disse:
- è questa la nostra forza. è per questo che siamo ancora vivi. La nostra forza sta qui - disse appoggiando una mano sul suo cuore - e qui. - Disse, spostando la mano sul mio cuore.
Poi sorrise, con quel sorriso dolce e luminoso che mi piaceva tanto. Io sorrisi di rimando, e lui appoggiò la sua mano sulla mia guancia.
Se solo avesse saputo che avevo capito di provare qualcosa per lui in quella stessa occasione, giorni prima... con la sua mano sulla mia guancia.
- Da qualche parte ho letto che chi sorride con gli angoli della bocca all'ingiù soffre di solitudine. - Disse lui, appoggiando un dito all'angolo della mia bocca.
Io improvvisamente divenni seria, ma lui sorrise ancora.
- No, ti prego, sorridi. Ora non sei da sola. Ci sono io con te. Non sei da sola, e farei qualunque cosa per dimostrartelo -
I miei occhi si riempirono di lacrime, ma le trattenni.
- Qualunque cosa? - Dissi io.
- Qualunque cosa. - Rispose lui con aria solenne.
- Abbracciami. - Dissi, con un sorriso.


--***--
NdA: ho scritto questo capitolo sotto le coperte, con l'Ipod come luce, una sera che non riuscivo a dormire.. quindi scusate se è molto toccante, ma mi sentivo un po' triste quella sera.. spero che vi sia piaciuto!

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Capitolo 11
*** Le donne lo sanno ***


lecronache11 Dopo un abbraccio che era durato ore e in cui mi ero sentita così bene che avrei voluto rimanere così per sempre, Peter mi aveva raccontato quello che era sucesso a lui.
- Mi sono ripassate davanti le scene dell'ultima volta che sono venuto qui. Soprattutto una... ero nel castello del re usurpatore del trono di Narnia, e stavamo combattendo. Beh, è stata una carneficina, avevo sbagliato tutto, non dovevamo entrare lì. Ho cercato di rimediare battendomi a duello con Miraz, il re usurpatore, nello scontro successivo, ma il senso di colpa mi ha perseguitato sempre. E oggi ha rischiato di uccidermi. Anche perchè ho visto la disapprovazione negli occhi di Susan e di Caspian, e la delusione in quelli di Lucy ed Edmund. Beh è stato molto doloroso... e poi non lo so, so solo che mi sono sentito male, malissimo, così in colpa da voler fermare quella sofferenza. In più i miei fratelli e il mio popolo erano arrabbiati con me, e sapevo che avrebbero voluto uccidermi. In quel momento una bellissima ragazza bionda è apparsa nel buio e mi ha proposto di uccidermi prima che lo facessero loro, perchè se mi fossi ucciso con la mia spada non avrei provato dolore, se invece avessi aspettato loro sì. E mentre ci pensavo, ho sentito la tua mano sul mio braccio, e ho teso la mia. Cioè, non quella del sogno... quella vera. Poi ti ho tirata contro di me, e allora ho capito che non potevo morire. Dovevo portare a termine quello che ho intrapreso con te... - Disse lui.
Quella che provai in quel momento fu una cocente delusione. Pensavo che avrebbe detto "non potevo morire, dovevo tornare da te perchè ti amo".
"Sei patetica, Elizabeth Graham." Mi dissi. Non ero mica la protagonista di un romanzo... quella era la vita vera, e nella vita vera le frasi ad effetto non esistevano.
- A te che è successo? Se ti va di dirmelo. - Disse Peter.
Presi un grande respiro. Era giunta l'ora di dire tutta la verità.
- Ho rivisto la mia vita: i momenti felici da bambina e la mia vita difficile ora. -
- Ah, sì... i tuoi genitori che ti fanno lavorare duro. -
- No, loro in realtà non mi chiedono niente. - Dissi io, mentre sentivo che le lacrime mi stavano per salire agli occhi.
- Non te lo chiedono, allora perchè lo fai? - Disse Peter stupito.
- Perchè vorrei che loro fossero contenti di me. - Dissi con un singhiozzo.
Peter non disse nulla, e lasciò che mi sfogassi. Le parole mi scorrevano veloci dalle labbra, assieme alle lacrime che mi scorrevano sulle guance.
- La verità è che non sono mai contenti di me... che mio padre non è mai contento di me... lui mi dice sempre che non lo aiuto, che non servo a niente, che non sono importante in casa... una volta mi ha detto che 'mangio a ufo'... che mangio a ufo a casa mia, ti rendi conto? E poi quando tento di fare una cosa mi sgrida, perchè la faccio male, o la faccio troppo poco spesso, oppure perchè non la faccio fino in fondo... a volte mi sgrida perchè faccio una cosa, dicendomi che la faccio solo per fare un piacere a lui... ovvio che la faccio per quello! Vorrei sentirmi lodata, ogni tanto... vorrei sentirmi amata... vorrei che lui fosse contento di come sono e di chi sono, di cosa faccio... anche se non mi interessa la carriera, non mi interessa diventare ricca, non mi interessano i soldi... anche se non sono un maschio... perchè lui avrebe voluto un maschio, e me lo rinfaccia spesso... e io soffro, e mi sforzo di fare più che posso, ma tanto da lui non ricevo mai un sorriso nè un abbraccio. Quando faccio qualcosa di particolarmente buono mi mette in mano 10 sterline e mi dice di farci quello che voglio... mi sento così poco amata che ho iniziato a credere di non avere nessuna qualità, e a uscire sempre meno... ho pochissime amiche, e non ho mai avuto un ragazzo. E quando la bellissima ragazza bionda del mio sogno mi ha proposto di smettere di soffrire piantandomi una freccia nel cuore ci ho pensato, perchè tanto non avevo niente da perdere! Ma in quel momento mi sono sentita abbracciare, e ho avuto un'incertezza... Tu mi stavi abbracciando, e forse ti sarebbe dispiaciuto un po' se io fossi morta... No, non è vero, ti sto dicendo una sciocchezza... io non volevo morire perchè non riesco a pensare di separarmi da te. Io volevo rimanere con te, e non avrei mai lasciato che una stupida illusione me lo avrebbe impedito. Non mi importa se tu non mi vuoi bene, in fondo, quindi non sentirti in dovere di dire niente. Io voglio bene a te, e questo mi ha salvato. -
Ero tranquilla, le lacrime avevano smesso di scendere da un po', e fissavo Peter con gli occhi pieni di sincera gratitudine.
Non pensavo niente, perchè tutto quello che pensavo l'avevo detto a voce alta. Ora mi stavo semplicemente riempiendo la mente dell'espressione seria degli occhi azzurri di Peter.
- Io... io... - Iniziò Peter.
Non l'avevo mai visto incerto o spaventato prima, e quella strana titubanza mi faceva pensare... sorrisi e dissi:
- C'è qualcosa che non va? -
- Io... Elie, io... -
- Ti sei inceppato? - Dissi ridendo.
Ero così leggera e sollevata da quando avevo detto ad alta voce quello che provavo che avevo voglia solo di ridere e scherzare, non mi importava niente che a due passi da noi c'era la terribile Rocca Grigia con i suoi stregoni. Sarei riuscita ad affrontarli, in quel momento, di buon umore com'ero.
Peter mi afferrò bruscamente per le spalle e mi baciò improvvisamente sulla bocca, interrompendo il flusso dei miei pensieri allegri. Ero piacevolmente sconvolta da quel suo gesto improvviso, così chiusi gli occhi e mi godetti il bacio senza pensare. Qualche istante dopo si allontanò, e appoggiò la sua fronte contro la mia. Con gli occhi chiusi sussurrò:
- Oh, Elie... come posso dirtelo? Io sono rimasto perchè voglio arrivare fino in fondo a questo che abbiamo iniziato... -
- Anche io voglio riportare a Cair Paravel il Calice della Creazione... -
- Non hai capito! - mi interruppe lui, allontanandosi bruscamente e lasciandomi andare. Uscì sull'imboccatura della grotta, e un raggio del sole del primo pomeriggio cadde sul suo viso. La sua figura illuminata si stagliava contro il verde scuro del bosco alle sue spalle. La casacca marrone era un po' consumata e i calzoni scuri negli stivali di camoscio erano sporchi di fango e terra, per tutte le volte che avevamo dormito sul terriccio umido. La spada gli scintillava al fianco e come al solito aveva la mano sinistra appoggiata con noncuranza sull'elsa.
Sembrava un personaggio di qualche favola, una specie di Robin Hood incrociato con Lancillotto. E quando parlò mi sembrò ancora più una favola.
- Io voglio portare fino in fondo quello che è iniziato tra di noi, Elie. Voglio portarlo avanti, e lasciare che cresca dentro di noi. -
Mi alzai anche io, e lo raggiunsi fuori. Avevo capito bene?
- Quello che è iniziato.. tra di noi? - Dissi.
- Non fare finta di niente, Elie! - Disse lui, sorridendo. - Perchè lo hai capito anche prima di me... voi donne siete così, quando si tratta di qualcosa di importante capite le cose sempre per prime. Ancora prima che io me ne rendessi conto, tu già lo sapevi. Sapevi quello che c'era tra noi. E hai dovuto aspettare che un testone come me se ne rendesse conto per poter avere la conferma di quello che avevi capito. Ma hai capito bene, Elie. Hai capito benissimo. -
Sorrise con una dolcezza incredibile, e fui certa che avevo capito. Che avevo capito bene.
Anche lui era innamorato di me.

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Capitolo 12
*** Amore ***


lecronache12 NdA: la canzone in blu è "la voluttà" di Cocciante, del musical Notre Dame de Paris... 

La Rocca Grigia si stagliava davanti a noi in quella notte buia: eravamo arrivati, finalmente! Era il nostro obiettivo, quella lugubre costruzione bassa e massiccia, ancora più scura della notte senza luna che ci circondava: era così diversa dalle torri svettanti della bianca Cair Paravel! Aveva un'aria inquietante e minacciosa anche dal limitare della foresta, dove io, Peter e Draconis ci eravamo fermati.
- Ci fermeremo qui per stanotte. -
- Ma come, non entriamo? C'è ancora tempo prima dell'alba! - Esclamò Peter.
- No, Maestà. Ci fermeremo in un posto sicuro, verso la torre nord della fortezza. Io andrò avanti e cercherò un modo per entrare, poi tornerò indietro ad avvertirvi. Partirò non appena sarete sistemati sotto il Salice d'Argento, e tornerò dopo il tramonto di domani. -
- Non è pericoloso? - Dissi io.
- Moltissimo. Ma non per me che non ho corpo. Quindi è meglio che io vada avanti a vedere i pericoli che ci sono in giro. Ovviamente non mi farò vedere, altrimenti gli Stregoni potrebbero insospettirsi e aumenterebbero la sorveglianza, rendendo impossibile il già difficilissimo compito che dovete portare a termine. -
Mentre avanzavamo lentamente lungo il margine della foresta, Draconis ci anticipò cosa ci aspettava lì dentro.
- Sappiate che sulle mura ci sono centododici stregoni armati di poteri psichici in grado di far impazzire chiunque si faccia vedere nella radura che separa la Foresta Grigia dalla Rocca, quindi badata a no farvi scoprire. Una volta dentro dovrete stare attenti a tutti coloro che indossano abiti, mantelli o casacche viola o porpora: quelli sono stregoni. Se sono vestiti in altro modo sono semplici umani, quindi non dovreste aver grossi problemi. Anche se in effetti le guardie del castello sono piuttosto agguerrite, quindi se cercate di evitare anche loro non sarebbe male. Non sappiamo quali prove ci separino dal Calice, ma temo che se l'hanno rubato immaginano che vorrebbero riprenderselo, così bisogna stare tre volte più attenti. E speriamo che non abbiano messo delle trappole ipnotiche, altrimenti sareste spacciati... -
- Grazie, Draconis, preferiremmo rimanere nell'ignoranza. - Lo interruppi io.
- Guarda che è importante sapere a cosa vai incontro. -
- Sono abbastanza terrorizzata così, non ti preoccupare. - Dissi io gelida.
Draconis mi fulminò con lo sguardo, ma rimase in silenzio. Pochi minuti dopo un fioco scintillio rischiarava l'aria attorno a noi, e dietro qualche altro albero, una luce d'argento inondò i nsotri visi. Un grosso salice piangente dalle foglie argentate illuminava debolmente i dintorni, e spandeva un fioco luccichio sugli alberi attorno.
- Questo è il Salice D'Argento - spiegò Draconis - Qui siete al sicuro, non dovete temere nulla. Era la dimora delle fate, prima che gli Stregoni le uccidessero tutte. Hanno ucciso le fate, ma la loro magia che permeava il Salice non sono riusciti a distruggerla: se un essere sotto il loro potere entrasse in questo luogo morirebbe all'istante, quindi hanno sigillato il posto. -
Entrò, e dentro il salice era un comunissimo salice piangente. Ma la luce d'argento che lo illuminava era così fatata da non lasciare dubbi: era magico.
Subito mi prese una stanchezza incredibile, e mi appoggiai al tronco per riposarmi mentre Peter si sedeva accanto a me, e appoggiai la testa sulla sua spalla. Un minuto dopo, dormivo profondamente.
La mattina successiva furono un dolce profumo di rose e un caldo raggio di sole a svegliarmi. Peter si stava stiracchiando accanto a me, e capii che anche lui era sveglio da poco.
- Buongiorno. - Mi disse con un sorriso.
- Che bella dormita. - Risposi, sbadigliando e mettendomi a sedere. - Dovevo avere un aspetto orribile ieri sera. -
- Eri carina. Tu sei sempre carina. - Disse lui, baciandomi sulla fronte prima di alzarsi per rovistare nel nostro ormai misero bagaglio - Non ci è rimasto granchè da mangiare, ma se hai fame posso offrirti qualche pezzo di panbiscotto. -
- No, grazie, non ho fame. Sto molto bene. - Dissi io.
Ed era la pura verità: ero riposata, rilassata, non avevo fame, nè freddo, nè sonno. Ed ero con Peter. Praticamente ero in Paradiso.
Mi alzai anche io, e seguii Peter fuori dal cerchio del salice. Di giorno era semplicemente un salice, con le foglie un po' più argentate del normale.
Vidi la Rocca Grigia davanti a noi e il mio cuore mancò un battito. L'ansia mi assalì, e guardai Peter terrorizzata.
- Tu... tu pensi che sarà difficile? -
- Non sarà una passeggiata, se è quello che intendi. -
- E se gli stregoni ci scoprono? Tu pensi che ci cattureranno, ci uccideranno oppure... -
- Elizabeth... - Tentò di interrompere Peter.
- No, perchè se ci usano come armi contro Narnia preferirei morire, però se ci usano come armi magari possiamo anche redimerci, perciò forse... -
- Elizabeth... - Riprovò Peter, ma io ero un fiume un piena.
- Cioè, tu pensi che i lupi che sono sotto il controllo degli Stregoni si rendono conto di essere cattivi? Perchè se no... -
- Elizabeth! - gridò Peter, azzittendomi. - Così non aiuti! -
- Lo so, è che mi stanno venendo un po' di dubbi. Per esempio, tu credi che potrebbero esserci delle trappole prima del Calice? Ce la potremo cavare solo io e te? E se.. -
- Insomma, smettila! Così di sicuro non aiuti! - Esclamò lui.
Mi guardò negli occhi: vi lessi l'incertezza, il timore, ma anche il coraggio di chi sa che sta facendo la cosa giusta.
Distolsi lo sguardo e rientrai nel cerchio protettivo del Salice, dove mi sentii subito meglio. Con un fruscio, Peter mi seguì.
- Si può sapere che ti è preso un momento fa? -
- Perdonami, io... ho avuto paura. -
I tratti del viso di Peter si addolcirono, e l'espressione seria delle sue labbra si distese in un sorriso. Mi si avvicinò e mi mise i capelli dietro le orecchie, in un modo così affettuoso che arrossii bruscamente: quel semplice gesto diceva molto di più sui suoi sentimenti di un appassionato bacio sulla bocca.
- Io ho avuto paura. Paura di non riuscire a recuperare il Calice, ma ancora più paura di far finire quello che c'è tra di n... -
Peter non mi permise di concludere la frase, chiudendomi la bocca con un bacio...
poi dimenticammo tutto: genitori, fratelli, sorelle, amici, nemici, stregoni e principi. Ci dimenticammo della scuola e di Cair Paravel.
Dimenticammo tutto... perchè in quel momento non ce n'era bisogno...
                Nessuno ha come me
       Le sue mani addosso a te
Il sole scintilla alto tra le foglie d'argento del Salice, e un raggio caduto sui tuoi capelli li fa sembrare d'oro fuso.
L'erba è umida sotto di me, ma non ho freddo, anche se sulla mia pelle le tue labbra sembrano così calde.

                     Angelo e vita mia
            Segreto nero nella notte mia
Non ho paura. Non ho paura di niente e di nessuno... Nella notte buia della vita che avevo sei arrivato tu, con il tuo raggio di sole, e con questo segreto tra noi.
Non ho paura, Peter. Nè di te nè di quello che ci aspetta. Noi siamo insieme, non ho paura.
                  La nostra pelle sia
           Incendio su di noi
Le tue mani si intrecciano alle mie, e mi baci sulla fronte. E lentamente, con dolcezza...

                          sono felice

Credimi, non avrei mai pensato che avrei amato qualcuno fino a questo punto. E credevo che nessuno avrebbe mai amato me fino a questo punto.
Sono pronta a tutto. Combatterò con tutte le mie forze.
Ti amo, Peter. Ne sono sicura.

               Io ti amerò
       Fino a perdere la mia vita
"ti amo da morire"
Ho capito bene? No, forse era solo uno dei tanti sussurri e respiri che questo salice sta ascoltando.
Ma le tue labbra si muovono leggere vicino al mio orecchio, sussurrando:                                                             
"ti amo, Elie"
                       Sarai il destino che prende me

             Sarò il destino che prende te
non ho sognato. non sto sognando. Questa è la realtà. Voglio che quello che è iniziato tra noi, quello che oggi è realtà, rimanga per sempre.
Credo che sia stato Dio a farci incontrare, sai?
"ti amo anche io, Peter"


---***---

NdA: Ok, perdonatemi... questo capitolo è davvero schifiltoso -  O_o  - ma sinceramente non riuscivo a rendere quello che volevo! Uff... all'inizio avevo pensato di tagliare del tutto la scena, però mi dispiaceva perchè non si sarebbe capito niente del dopo, e poi ci tenevo!! Però poi ieri sera sono andata a vedere Notre Dame de Paris di Cocciante a tearo, e questa canzone mi ha emozionato tanto che ho pensato ci potesse stare bene. Volevo dare l'idea che loro due non stessero facendo sesso, ma che stessero facendo l'amore.
Boh, non credo che si sia capito... spero che continuerete a leggere la storia nonostante questo piccolo fiasco letterario... -_-'
Grazie alla meravigliosa Princess Jiu che recensisce sempe!!! Thanks!!




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Capitolo 13
*** Nella Rocca Grigia ***


nella Rocca Grigia Mi ero appena svegliata. Ero sul limitare del cerchio protettivo del Salice, e avevo scostato i rami d'argento per guardare fuori.
Il cielo era rosso, ed era già buio ad est. La Rocca Grigia era terribile, buia e piena di ombre, e sembrava che da ogni angolo potesse uscire qualcosa di orrendo.
Ma nonostante quello, ero felice.
Il mio cuore stava cantando, chiuso dentro di me, e batteva delicato contro la mia pelle. Respirai profondamente l'aria pungente della sera, e mi sentivo così bene.
Sentii Peter allacciarmi l'abito sulla schiena, lì dove non ero riuscita ad arrivare da sola, e mi voltai a sorridergli.
- Chissà quando tornerà Draconis. -
Peter si mise di fianco a me e guardò il cielo, la Rocca e il prato in cerca del Clumsie. Aveva la casacca spiegazzata, fuori dai calzoni, ed era a piedi nudi.
- Chissà cosa direbbe il tuo popolo se ti vedesse così trasandato! - Esclamai io, ridacchiando.
Peter cercò di darsi una riordinata, passando le mani tra i capelli, ma non cambiò niente. Si mise a ridere sonoramente, e io mi unii alla risata.
Era un'atmosfera strana, quella che c'era tra noi.
In quel momento un'ombra verde si materializzò vicino a me.
- Come siete conciato, maestà! Che succede? - Domandò Draconis guardando Peter con aria sconvolta.
Peter mi guardò con aria complice e poi disse.
- Avevamo bisogno di un po' di relax. - Disse Peter.
Draconis guardò me, poi lui, e poi di nuovo me.
- Preparatevi. Dobbiamo muoverci, è ora di andare. -
- Già stasera? -
- Subito, Elizabeth! Muoviti, sistemati. Vi do tre minuti. -
Tre minuti dopo eravamo pronti: vestiti, con i mantelli in spalla e le armi addosso, e ci muovevamo silenziosi e circospetti al margine della radura.
In un punto la radura si restringeva, e solo pochi passi ci separavano dal fiumiciattolo che stava attorno alla rocca.
- Dovete correre, e raggiungere quella porta di legno al di là del fossato. La porta è sempre aperta, ci passano i servi. Da quel momento sarete dentro, e dovete sempre scendere. Continuate a scendere finchè non sarete davanti a un portone di legno massiccio, con delle cerniere di metallo molto spesse. La chiave è nascosta sotto la candela alla sinistra del portone, o almeno io ho visto che era lì. Dopo essere entrati in quel portone sarete in una sala... ci sono molte guardie, ma sconfitte quelle potrete prendere il Calice. Putroppo non c'è altro modo per uscire se non da dove siete entrati. Mi raccomando non uscite mai di giorno, perchè se anche i poteri magici degli stregoni non avranno effetto su di voi quando avrete il Calice, hanno pur sempre altre armi. -
Io e Peter annuimmo.
- Ok, ora andate. Buona fortuna, amici. - Disse Draconis, con un moto d'affetto che non aveva mai avuto per noi dall'inizio del viaggio.
Rapidi come due schegge ci precipitammo verso il fossato.
Scendemmo nell'acqua nera come la pece, e rabbrividii: nonostante fosse una notte tiepida, l'acqua era gelata. Peter era davanti a me, e si muoveva senza fare rumore. Io ero più goffa di lui e l'acqua attorno a me faceva un suono sommesso. Quando uscimmo dall'acqua dall'altra parte tirai un sosprio di sollievo.
La porticina era accostata, e sgusciammo dentro in un istante. Ci ritrovammo in una piccola stanza di mattoni, dove erano ammassate ceste e sacchi, e c'era un cattivo odore di chiuso e di cibo stantio. Proprio dalla parte opposta della stanza, che sembrava deserta, c'era una porticina identica a quela attraverso cui eravamo appena passati.
Peter mi fece segno di stare zitta, e si avviò verso la porta.
La socchiuse e sbirciò fuori, poi mi fece segno di avvicinarmi.
Mentre sgattaiolavamo fuori dal magazzino, mi stupii della mia fredda lucidità: niente paura, niente tremarella, niente brutti pensieri! Ero sicura che ce l'avremmo fatta.
Scivolavamo lungo i corridoi addossati ai muri, in un silenzio assordante.
I corridoi scendevano dolcemente, e io e Peter non incontrammo anima viva finchè non arrivammo davanti al portone di legno.
Mi sembrava così strano che nessuno si fosse fatto vedere. La cosa iniziava a farsi sospetta.
Peter allungò la mano per prendere la chiave dietro la candela vicino al portone.
La chiave era lì. Fin troppo facile.
La infilò nella serratura e spinse il pesante portone, che si aprì lentamente.
Una folata di aria torrida ci investì, e non appena guardammo dentro vedemmo un'immensa distesa di sabbia rovente, su cui il sole batteva impietoso.
Lontanissima, quasi invisibile nell'aria quasi liquida per il calore, si intravedeva una minuscola porticina.
- Che facciamo? - Chiesi, mentre il caldo diventava sempre più forte.
- Dobbiamo superare questo deserto. Dopo la porta ci sarà il Calice. Spero. - Disse Peter.
Guardai il deserto, poi guardai Peter.
- Va bene. Andiamo. - Disse fiduciosa.
Avanzammo di qualche passo, e la porta si richiuse da sola dietro le nostre spalle, sparendo.
Potevamo solo andare avanti e raggiungere l'altra. I piedi mi affondavano nella sabbia fino alle caviglie, e ringraziai il cielo di avere gli stivali, perchè ogni volta che una folata di vento bollente sollevava la sabbia, sembrava che qualcuno stesse soffiando su della brace incandescente.
Il sole era gigantesco e dorato sopra di noi, e la sabbia arancione rifletteva il suo splendore moltiplicando il calore. Peter era accanto a me, con i capelli biondi attaccati alla fronte e la casacca ridotta a uno straccio per averla usata troppe volte per asciugarsi il viso.
Io avanzavo a fatica, trascinandomi dietro il vestito lungo, mentre il mal di testa aumentava ad ogni passo e la vista si offuscava sempre più. Fui sul punto di svenire almeno tre volte, e la bocca riarsa implorava una goccia d'acqua.
La porta sembrava sempre più lontana. Ad un certo punto Peter esclamò.
- Elie... e se fosse un'illusione? -
- Una cosa? - Chiesi io, troppo spossata per ragionare.
- Un'illusione! Abbracciami, dai! -
- Peter, lo sai che ti amo, ma sinceramente fa fin troppo caldo per abbracciarti. - Dissi io stancamente.
- Oh, avanti, lo sai anche tu che è un'idea geniale! - Disse Peter.
Si fece avanti e mi abbracciò, mentre io pensavo come faceva a ragionare con quel caldo.
Nonostante tutto però - come al solito - gradii l'abbraccio e per un istante non pensai ad altro. Beh, in quell'istante smisi di sentire caldo.
Aprii gli occhi e vidi davanti a me una stanza di mattoni neri, rischiarata a malapena dalla luce delle torce.
In quel momento tutto attorno a me fu di nuovo sabbia, sole e caldo.
- L'hai visto anche tu? - Chiese Peter.
- Sì... -
- Bene! Allora siamo vicini! - Disse lui entusiasta.
- A cosa? -
- Alla porta! Non è un vero deserto, è una stanza... la porta è proprio qui vicino, basta concentrarsi. -
Peter chiuse gli occhi e rimase immobile per un momento, poi fece qualche passo e allungò le mani.
Andò un po' a destra e un po' a sinistra, e io mi domandai se lui si fosse reso conto di stare facendo la figura del perfetto idiota.
Stavo quasi per dirglielo, quando il caldo finì all'improvviso.
Peter, sudato e accaldato, stava in piedi accanto a una porticina socchiusa nella stanza di mattoni neri.
Mi guardai intorno incredula, poi sorrisi.
- Riesci sempre a stupirmi. - Dissi dandogli un bacio sulla guancia.
Lui fece una smorfia divertita, come per dire "lo so", poi spalancò la porta.
Rimanemmo per un momento in silenzio, stupiti davanti alla distesa di ghiaccio e neve che ci stava davanti.
- Ce la faremo a superare anche questa. - Disse Peter, tendendomi una mano.
- Puoi contarci. - Risposi io, prendendola.
Per mano, avanzammo in mezzo alla neve.
Non posso negare che all'inizio fu quasi piacevole: fresco e umido, il modo giusto per ristorare la pelle e la testa distrutte dal calore. Mangiammo abbondantemente la neve candida e il venicello che portava qualche fiocco di neve ci rinfrescò il viso accaldato.
Putroppo la parte piacevole durò poco.
Ben presto il venticello diventò una vera e propria bora, e i fiocchi di neve diventarono cristalli di ghiaccio che pungevano e ferivano il viso. La temperatura era bruscamente scesa sotto lo zero, e i miei piedi fradici minacciavano di congelarsi da un momento all'altro.
I miei capelli raccolti nei miei soliti codini si erano gelati e aderivano al mio collo come uno spesso strato di ghiaccio. Le mani minacciavano di perdere la sensibilità da qualche ora e la neve mi impediva di vedere davanti. Ad un certo punto mi fermai.
Peter, che ancora mi teneva per mano, si bloccò.
- Beh, che succede? - Chiese.
- Non ce la faccio più. - Boccheggiai, mentre il gelo mi aveva quasi impedito di muovere le labbra per parlare.
- Muoviti, se ti fermi morirai assiderata. -
- Vai avanti tu, se ce la fai... io non riesco. - Dissi con aria stanca.
Peter decise che non mi avrebbe ascoltato e si voltò, continuando a camminare. Quando vide che non lo seguivo, diede uno strattone al mio braccio senza nemmeno voltarsi.
Priva di forze (e di volontà) com'ero, caddi con la faccia nella neve.
Non mi mossi nemmeno. Non avevo nemmeno le forze per arrabbiarmi con Peter. Volevo solo farmi una bella dormita.
A riscuotermi fu Peter, che mi sollevava di peso chiedendomi perdono a voce altissima.
Cadde in ginocchio accanto a me, e mi abbracciò forte, mentre singhiozzava.
Non avevo mai visto un ragazzo piangere, e anche se Peter era stato sul punto di piangere già una volta, non si era lasciato andare ai singhiozzi in quel modo. Lo abbracciai anche io e gli dissi:
- Non preoccuparti, non preoccuparti. Va tutto bene. Adesso ci rimettiamo in marcia. -
Ero distrutta, ma non mi sarei mai aspettata che avrei dovuto consolare Peter in una circostanza come quella.
Peter si allontanò e si asciugò le guance con la manica della casacca.
Nel frattempo, la bufera si era calmata.
Lontano qualche metro si vedeva un varco. Era una specie di arco buio nel cielo color acciaio che si stendeva a perdita d'occhio.
Mi misi in piedi, mentre le mie gambe urlavano di dolore per essere state troppo a lungo in contatto con il ghiaccio e la neve, e mi aggrappai al braccio di Peter, che si era alzato in piedi.
Ci incamminammo lentamente verso il varco, che si faceva sempre più vicino, senza parlare.
Era strano... mi sentivo così strana.
Non potevo lasciare posto ai sentimenti, dopotutto avevamo una missione da compiere.
Ma era strano: in quel momento non avrei saputo dire chi stava sorreggendo chi. Non sapevo proprio cosa pensare... forse era così essere in due, essere una coppia.
Forse voleva dire essere più forti, insieme. Forse voleva dire avere un porto sicuro in cui rifugiarsi quando arriva la tempesta. Forse voleva dire avere una persona che ti conosce così bene che non devi fingere nulla, non devi nasconderle nulla. Forse voleva dire tutte queste cose insieme...
mi obbligai a scacciare quei pensieri dalla mia mente, mentre varcavamo la breccia nel cielo d'acciaio.
Finalmente ci ritrovammo in una sala normale, di mattoni scuri, rischiarata dalla calda luce d'oro e arancione delle torce sulle pareti. Al centro della sala, su un grande trono di pietra, stava una coppa di terracotta.
- Il Calice! - Gridai io.
- Forza, vai a prenderlo. -
- Andiamo insieme. - Proposi.
Ma in quell'istante dall'oscuro varco alle nostre spalle uscì un uomo alto più di due metri, con una cotta di  maglia che gli arrivava alle ginocchia e barba e capelli biondi che gli arrivavano a metà torace fece roteare un'enorme spadone.
- I Grandi avevano ragione... qualcuno ha cercato di entrare nel Dedalo... ma la vostra corsa finisce qui. - Tuonò.
Peter sguainò la spada.
- Corri a prendere il Calice, a lui ci penso io! - Gridò.
- Ma Peter... -
- Fa' come ti dico! - Esclamò di nuovo.
Quando si trattava di combattere e di salvare Narnia, sapevo di potermi fidare di Peter, così corsi verso il Calice della Creazione.
Sembrava un comunissimo calice di terracotta, un lavoro di fine artigianato di sicuro, così lavorato e impreziosito da mile decorazioni... Aslan troneggiava in ogni scenetta, definita nei particolari, in cui creava ad una ad una tutte le creature di Narnia.
Sembrava tanto innocuo, invece se una persona qualunque l'avesse preso, sarebbe impazzita.
Serviva un cuore puro e innocente, il cuore di un bambino, per prenderlo in mano senza subirne effetti negativi.
Tesi le mani, mentre dietro di me il cozzare delle spade mi faceva capire che Peter e la guardia ancora combattevano.
In quel momento mi fermai.
- Elie! Che aspetti? -
- Io... io... non... non posso... - Dissi balbettando, mentre il terrore si impadroniva di me.
- Non puoi? Che significa non puoi? Prendilo e andiamocene di qui! - Gridò Peter, parando un altro fendente terribile.
- Non posso... non posso... - Dissi.
Avevo realizzato una cosa a cui non avevo ancora pensato.
Avevo sbagliato tutto. Nessuno avrebbe potuto salvare Narnia: i suoi salvatori avevano fallito.
Avevano egoisticamente fallito.

--***--
NdA: ok, scusate il TERRIBILE ritardo con cui posto questo capitolo, ma sto cercando di dare un odioso esame di chimica che non riesco a passare e lo studio mi porta via molto tempo! Spero che il capitolo abbia ricompensato l'attesa... magari avete anche capito perchè Elie non prende il calice... ;)
A presto (spero, farò del mio meglio... nel caso perdonatemi... -_-'''') con il prossimo capitolo!!!
*Flora*

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Capitolo 14
*** Purezza ***


purezza

XV

Purezza

- Elie! - Gridò Peter, combattendo furiosamente contro la guardia.

Io strinsi le mani una contro l'altra, con gli occhi che si riempivano di lacrime.

- Non possiamo toccarlo, Peter... né io né tu... ricordi quello che ha detto Aldian? Solo un essere puro e innocente, come un bambino, può prenderlo senza impazzire. -

- E allora? Aslan ci ha chiamato perchè noi possiamo prenderlo! -

Doveva essere difficile per il povero Peter gestire una guardia di due metri inferocita e una ragazzina ansiosa e terrorizzata come me nello stesso tempo, così mi feci coraggio e spiegai per filo e per segno il mio ragionamento:

- Io e te non siamo più puri e innocenti... insomma, quello che è successo... quello che abbiamo fatto... noi, sotto il Salice... insomma, non sono più una bambina adesso! E nemmeno tu! - Esclamai, arrossendo di botto.

Dannazione, perchè non riuscivo a dire le cose come stavano? Amavo Peter più di quanto avessi mai immaginato di poter fare e adesso non riuscivo nemmeno a dirgli che non potevamo pernderlo perchè avevamo fatto l'amore e per quello non eravamo più bambini?

Peter non rispose. Stava combattendo come un forsennato: era molto più agile del bestione barbuto, ma l'altro aveva una forza nelle braccia davvero sovrumana.

In quel momento mi venne in mente che avevo arco e faretra a tracolla.

Incoccai una freccia e la scagliai. Ovviamente mancai il bersaglio, e la freccia si impiantò nel muro.

Il bestione però nel frattempo si era accorto di me, e stava venendo alla carica nella mia direzione.

- Elizabeth! Sta' attenta! - Gridò Peter, cercando di richiamare l'attenzione della guardia.

Non persi la calma e incoccai un'altra freccia.

Non volevo certo morire lì!

Stavolta presi in pieno il mio obiettivo. Beh, non proprio in pieno, dato che miravo alla testa e lo colpii al collo, ma comunque il bestione si fermò interdetto. Peter lo colpì al petto e la guardia cadde riversa a terra.

Peter mi raggiunse vicino al trono di pietra.

Per un attimo rimase in silenzio e mi guardò con aria seria.

- Quindi tu pensi che siccome io e te abbiamo fatto l'amore non siamo più puri. Non possiamo più prendere in mano questo Calice senza impazzire. -

Annuii seria.

- Pensi che quello che abbiamo fatto sia brutto, sbagliato o sporco? È così che ti sei sentita? -

- Oh, no... no, Peter, niente affatto! Mi sentivo bene, ero felice, mi sentivo protetta, al sicuro! Non voglio che tu pensi che mi abbia ferito! -

- E allora perchè credi di avere perso la tua purezza? -

- Perchè mi hanno sempre insegnato che non è una cosa bella... che è una cosa che si fa solo dopo sposati, che serve a fare figli... Non lo so perchè, ma mi hanno insegnato che farlo è sbagliato. -

- Io penso che non ci sia niente di male. - Disse Peter con calma.

Mi era sembrato ferito dalle mie parole di poco prima, ma quando gli avevo spiegato che era solo una mia convinzione, che ero stata bene con lui, si era rasserenato.

- Ma Peter, anche la religione lo dice! Fare sesso prima del matrimonio è peccato! E avere fatto un peccato significa non essere più puri! - Esclamai io.

Fare sesso”. Oh cavolo. L'avevo detto. Arrossii di botto a scoppio ritardato.

- Noi non abbiamo fatto sesso. - Disse Peter con un sorriso stupendo.

Cosa?

- Cosa? - Dissi stupita.

- Noi abbiamo fatto l'amore. È ben diverso. - Disse di nuovo lui, sempre sorridendo

- Io... io credo di non capire. - Farfugliai io.

Porca miseria Peter, come fai a mandarmi in confusione ogni volta che sorridi in quel modo? Pensai.

Peter non mi rispose, ma alzò gli occhi verso l'arco buio da cui era entrata la guardia.

- Sta arrivando qualcuno - disse serio - Cosa facciamo? -

Guardai il Calice della Creazione, e poi guardai di nuovo Peter.

Ripensai velocemente a quanto era successo sotto il Salice, e decisi che Peter aveva ragione.

Mi avevano sempre detto che l'amore è una cosa stupenda, di essere felice di provarlo... e io l'avevo provato, con l'anima e con il corpo, e mi sentivo piena di vita.

No, non poteva essere sbagliato.

Forse la mia purezza, da quando amavo Peter, era anche aumentata. Per lo meno le nuvole nere di tempesta della mia anima avevano lasciato posto alle nuvole color panna della primavera.

Se quella non era purezza, non sapevo proprio come chiamarla.

Allungai la mano e presi il Calice. Era leggero e fragile sotto le mie dita, e lo avvolsi in un lembo del mio mantello con delicatezza.

Alzai gli occhi e Peter mi stava sorridendo ancora, in quel modo sereno e luminoso che avevo amato per prima cosa in lui.

Mi tirò contro di sé e mi posò un bacio sulla bocca.

- Torniamo a casa, adesso. - Disse.

Ci dirigemmo in fretta verso il varco buio, aspettandoci una vera traversata nella neve.

Ma davanti a noi c'era solo una spoglia stanzetta di mattoni scuri, male illuminata.

- Non hanno effetto le illusioni su di noi. - Disse Peter.

- Non adesso che abbiamo il Calice. - Completai io.

Corremmo verso l'uscita, mentre sentivamo il castello muoversi attorno a noi. Voci concitate, passi affrettati in lontananza... ma non si vedeva ancora nessuno.

All'improvviso un grido sovrastò un'insistente scampanìo.

- Allarme, allarme! Grog la guardia è stata uccisa! Il Calice è stato rubato! -

Io e Peter ci mettemmo a correre ancora più veloce, cercando di tornare alla stanzetta da cui eravamo entrati, ma era praticamente impossibile ritrovare la strada. I corridoi e le porte erano tutti uguali, e quando ci ritrovammo in un vicolo senza uscita Peter mi guardò spaventato.

- Che facciamo? -

- Entriamo qui. - Dissi io, spingendo una porta alla nostra destra.

Ci rifugiammo in quella che sembrava una stanza da letto. La grande finestra era sbarrata da delle assi, ma la luce filtrava tra i pezzi di legno. Peter ed io scardinammo le travi e guardammo fuori.

Il sole era già alto nel cielo, doveva essere mattino inoltrato.

- Dobbiamo scappare, prima che si accorgano che siamo ancora qui. - Disse Peter.

- Nel senso che dobbiamo scappare ora? Ma è giorno, ci vedranno! - Esclamai io.

- Lo so, ma guarda laggiù. Non ti sembra uno scintillio familiare, quello proprio davanti a noi? -

In effetti tra il verde scuro delle foglie si vedeva un luccichio argentato.

- Non è troppo alto, possiamo saltare da questa finestra. Poi corriamo senza voltarci indietro verso il bosco. Sono quasi sicuro che arriveremo al Salice D'Argento prima ancora che loro abbiano tirato giù il ponte levatoio per inseguirci. Non si aspettano questa mossa, ci cercheranno ancora per ore nelle stanze del castello. -

- è quel 'quasi' che mi fa paura. - Risposi io.

In quel momento, voci concitate si avvicinarono nel corridoio che avevamo appena lasciato.

- Ok, non mi importa niente del 'quasi'... muoviamoci! - Esclamai.

Peter spalancò la finestra e saltò giù. Poi prese il Calice e saltai giù anche io.

Era circa un metro di salto, quindi era stato facile.

Nascosi il Calice nel mio mantello, Peter mi prese per mano e spiccammo la corsa.

Dovevano essere un centinaio di metri, ma mi sembravano chilometri e chilometri di distanza quelli che ci separavano dal rassicurante argento del Salice.

Parole incomprensibili furono gridate dalle mura non appena iniziammo a correre, e un istante dopo una pioggia di frecce iniziò a cadere dal cielo. Senza nemmeno rallentare, continuammo a correre a perdifiato. Peter stava mezzo passo dietro di me, come per proteggermi, e io stringevo disperatamente al petto il Calice per impedire che si frantumasse per sbaglio.

Le frecce sibilavano e si piantavano tutto attorno a noi con sordi tonfi, finchè all'improvviso la luce del sole, accecante e chiara, non divenne verde e soffusa.

Continuai a correre disperatamente, sentendo i passi di Peter dietro di me, finchè il Salice d'Argento non fu in vista.

Mi lasciai cadere in ginocchio, sfinita, nel cerchio magico del Salice.

- Elizabeth... dov'è Sua Maestà? - Chiese Draconis.

Mi voltai, e in effetti Peter non era più dietro di me.

Allarmata, uscii dal Salice e lo vidi disteso per terra. Avrei potuto dire che era semplicemente inciampato, se non avessi visto anche l'orribile freccia dal fusto bruno e dalle penne viola che stava piantata nella sua spalla sinistra.

Trattenni un grido e mi precipitai accanto a lui, chiamandolo a gran voce. Lo aiutai a mettersi in ginocchio. Peter mi guardò e mi sorrise stancamente.

- Elie... stai bene, vero? Io... io... mi hanno... mi hanno colpito... - Bisbigliò, prima di perdere di nuovo i sensi.

--***--

NdA:  ok, ho messo già il capitolo successivo... ok che sono stata maleducata a farvi aspettare... ma nemmeno una recensioncina piccina picciò??? :''(

no dai scherzo.. in fondo mi fa piacere anche solo che qualcuno abbia letto!!

Grazie, alla prossima!!!

Baci baci!

                                      *Flora*

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Capitolo 15
*** Un incontro inaspettato ***


un incontro inaspettato
Un incontro inaspettato

A fatica trascinai Peter all'interno del Salice d'Argento, mentre sentivo già gli Stregoni starmi col fiato sul collo dopo la nostra fuga dalla Rocca.
- Devi togliere la freccia. - Disse Draconis serio, dopo avermi visto rientrare con Peter privo di sensi.
- Io... non sono capace. - Ammisi a malincuore, adagiando con tutta la delicatezza di cui ero capace il mio Peter sull'erba tenera del Salice.
- Draconis ha ragione, Elie. - Disse Peter sottovoce.
- Per iniziare, Maestà, dovreste prendere un po' dell'infuso di lavanda. Poi Elizabeth penserà alla vostra ferita. - Disse Draconis.
- Giusto. Elie, prendi la boccetta d'argento che è nella mia borsa. - Disse Peter.
Era molto debole, così obbedii senza fare domande. Peter ne bevve un sorso, rimase immobile per un momento e poi il colore tornò un po' sul suo viso pallido.
- Ok, va meglio ora. Elie, vieni qui. -
- Eccomi. -
- Toglimi questa freccia, forza. -
- Io non so se ne sono capace. -
- Non devi fare niente. Solo prendere e tirare. -
- Oddio, Peter, morirai di dolore. - Dissi io inorridita.
Peter fece una smorfia.
- Non che così io sprizzi energia da tutti i pori. -
Draconis era dietro Peter ed esaminava la sua schiena.
- Maestà, riesce a muovere il braccio? -
Peter annuì, e mosse avanti e indietro il braccio. Ma tentare di sollevarlo gi strappò un urlo di dolore. Draconis era molto pensieroso, ma non sembrava preoccupato quando disse:
- Strappagli la freccia, Elizabeth. Non ha frantumato l'osso, il muscolo si rimarginerà da solo con un po' di tempo e qualche cura. Ma se lasciamo la freccia dov'è rischia di infettarsi. -
- Peter, io non posso! Davvero, non ce la faccio. -
- Elizabeth, sto morendo di dolore, se non mi levi questa freccia lo farò da solo... certo che sei un'ingrata, io ti salvo la vita prendendomi una freccia al posto tuo e tu nemmeno mi vuoi aiutare! - Esclamò Peter. Era di nuovo pallido, e dopo aver alzato la voce dovette fermarsi a riprendere fiato. La chiazza scura sulla sua casacca si stava ingrandendo.
Pensai che non ne avevo proprio il coraggio... strappare dalle carni del ragazzo che amavo una freccia, sentendolo urlare di dolore... ero certa che i miei nervi non avrebbero retto.
E poi Peter mi aveva risposto così male che lasciai parlare il mio istinto, non la mia ragione.
- Guarda che non te l'ho mica chiesto io di proteggermi! -
- Beh, perchè tu sei stata di grande aiuto in questa guerra! Ti ho dovuto salvare la vita almeno una decina di volte, e tu adesso hai paura di non essere in grado di strappare un'innocua freccia dalla mia spalla? -
Mi resi conto che stavo per scoppiare di rabbia e dissi:
- Ah, ok, se allora la pensi così, dato che sono inutile me ne vado. -
Uscii dal Salice e mi avviai nel folto del bosco. C'era una fonte poco lontano, e mi fermai a bere. Gli uccelli cantavano e stava scendendo la sera. Sembrava non ci fosse nessuno nei dintorni.
Stupido, stupido Peter Pevensie!
Come si permetteva di farmi sentire una principessa e poi di darmi dell'ingrata? Ero stata solo uno spasso piacevole la notte prima, se per lui ero stata solo un peso in quel viaggio!
Lacrime di rabbia mi punsero gli occhi.
Non ero mai stata delusa da una persona che amavo, prima. Semplicemente perchè non avevo mai amato nessuno. Non riuscivo a credere che avevo litigato con Peter...
cavoli, eravamo stati così uniti fino a quel momento e adesso per una sciocchezza del genere...
certo che avrei anche potuto tirargliela fuori, quella freccia.
Ma a quel punto, no. Mi aveva dato dell'ingrata – a me che non avevo chiesto affatto di partire per quella missione – e adesso voleva il mio aiuto?
- Toglitela da sola la freccia, Peter il Magnifico, se sei tanto bravo! - Mormorai.
- Parli da sola adesso? - Disse una voce dietro di me.
Mi voltai esterrefatta.
- Oh, Aslan... - Dissi, tirandomi improvvisamente in piedi e cercando di ritrovare un contegno.
Era per la sua presenza allora che gli Stregoni ancora non mi avevano trovato.
- Elizabeth... -
- Ti prego, aspetta, non arrabbiarti, posso spiegare tutto! - Esclamai precipitosamente.
Aslan mi si avvicinò e strusciò il suo muso contro la mia mano.
- Non sono affatto arrabbiato, cara. Vorrei solo che tu mi spiegassi perchè ti sei comportata così. -
- Io... io ero così arrabbiata! -
Aslan si accucciò sull'erba, e io mi sedetti vicino a lui. Da quando si era fatto vedere la mia rabbia si era placata del tutto, e la luce calda dei suoi occhi neri mi tranquillizzava.
La sua pelliccia d'oro spandeva un dolce profumo, e nella notte fresca che scendeva emanava anche un bel tepore.
Mi avvicinai a lui e affondai la mano nella sua folta criniera, accarezzandola dolcemente.
- Io... pensavo che in fondo noi ci amiamo, non avremmo mai litigato. I miei non si amano, perciò litigano. Se si amassero, non lo farebbero. - Dissi.
- Non è proprio così semplice. Che voi vi amiate credo che sarebbe chiaro anche per una persona molto ottusa, ma amarsi non significa non litigare. Si litiga quando non ci si ascolta. -
- Lui mi ha dato dell'ingrata! Io non volevo partire, non mi interessava questo viaggio... eppure eccomi qui, e lui cosa fa? Mi insulta! -
- Tu gli hai negato l'aiuto di cui aveva bisogno. - Rispose Aslan con dolcezza.
- Lo so, ma non ne avevo il coraggio! -
- Hai il coraggio di affrontare con freddezza una schiera di stregoni e hai paura a strappare una freccia? -
- Beh, sì... non riesco a sopportare l'idea di far soffrire una persona a cui tengo. -
- Gli salveresti la vita. -
- Sono convinta che ci siano anche altri modi. -
- Certamente ci sono. Ma lui ha scelto questo, chi sei tu per contraddirlo? -
- Beh, se lui l'ha scelto non vedo perchè io devo essere d'accordo. -
- Vi amate, dovreste sorreggervi a vicenda.  Anche in queste cose che sembrano piccole. -
Sorreggervi... l'avevo pensato anche io, nella Rocca.
Un'ondata di rimorso mi trattenne, e l'amore che provavo per Peter mi stava gridando di alzarmi, di tornare al Salice e di chiedere scusa.
L'orgoglio mi trattenne.
- Perchè ti lasci trattenere dall'orgoglio, Elizabeth cara? - Disse Aslan.
- Insomma, se andassi adesso io penso che poi farei la figura della smidollata... sarebbe come dirgli che comanda... io voglio una cosa alla pari! -
Non mi ero nemmeno posta il problema di sapere come facesse a capire cosa pensavo.
- Io trovo che chiedere perdono non sia mai un male. - Disse Aslan.
- Aslan, io ho una cosa da chiederti. -
- Dimmi. Se potrò risponderti lo farò con piacere. -
- Perchè tutti dicono che fare l'amore è sbagliato, se in realtà non lo è? -
Aslan tacque un secondo.
- Non c'è una risposta a questa intelligente domanda. Fare l'amore è giusto e sbagliato insieme. Tu e Peter l'avete fatto, e la parte di bellezza della cosa ha prevalso su quella dell'errore. Per voi è stato un rendere materiale ciò che materiale non è... per tanta gente è solo una cosa materiale, non so se mi spiego. -
- Capisco... è per questo che il mio cuore era ancora abbastanza puro per prendere il Calice? -
- Non è cambiata la tua purezza, e nemmeno quella di Peter. Perchè l'amore, solido o no che sia, vi riempiva e vi riempie ancora adesso. Pensaci bene... vuoi tornare al Salice con il broncio e lasciare Peter soffrire così? È questo quello che una ragazza innamorata farebbe? -
- No, io... non credo. Io non voglio tornare arrabbiata. Ma mi vergogno a farmi vedere umile... cioè... oh, è questo maledetto orgoglio! - Esclamai io spazientita.
- L'orgoglio è utile, non ci rende schiavi. Ma non deve renderci tiranni. Ogni tanto dimostragli chi comanda, cara Elizabeth, e il tuo orgoglio starà al suo posto. -
- Oh, d'accordo. Adesso vado e gli chiedo scusa. E gli toglierò quella maledetta freccia. -
Aslan si sollevò sulle zampe e sorrise (sempre se i leoni possono sorridere, me lo chiedo anche adesso... ma sono convinta di averlo visto sorridere). Poi sparì com'era arrivato.
Mi avviai verso il Salice e entrai senza fare rumore.
Peter dormiva su un fianco, rannicchiato sotto il tronco dell'albero. La luce già fredda dell'albero non faceva che aumentare il suo spaventoso pallore. La chiazza scura sotto la sua casacca si era ingrandita ancora un po', e il sangue iniziava a rapprendresi e a prendere un cattivo odore.
Gli sfiorai la fronte, imperlata di sudore freddo. Respirava a fatica, e il suo sonno era agitato.
Come diavolo mi era venuto in mente di andarmene e piantarlo lì? Che sciocca ero stata... ero davvero un'ingrata, Peter in fondo aveva perfettamente ragione.
Strappai un lembo del mio abito e gli asciugai il viso dal sudore freddo.
Lentamente, Peter si svegliò e mi vide. I suoi occhi si riempirono di dispiacere.
- Adesso ti tolgo questa maledetta freccia. - Dissi, prima che lui potesse dire qualunque cosa.
Peter annuì, e si mise a fatica a sedere. Appoggiò le braccia al tronco dell'albero e presi un gran respiro. Strinsi le dita attorno alla freccia e mi preparai a tirare.
Dio mio, proprio non ci riuscivo.
Chiusi gli occhi, li serrai forte e tirai. Un solo strattone, violento e preciso.
L'urlo di Peter mi riempì la testa, rimbombandomi nelle orecchie. La freccia mi cadde dalle mani proprio mentre Peter finiva sull'erba, privo di sensi.

-***-
NdA: grazie alla mia Jiu che recensisce sempre... prometto che presto ti dedicherò un capitolo... te lo meriti proprio! Fatemi sapere che ne pensate di questo nuovo capitolo...
Non ho ancora deciso che fare di Peter.... (non è vero, lo so benissimo che fine farà... era per mettere un po' di suspance! ndA) (non faceva ridere! NdTutti)
Beh grazie per avere letto!!!
baci baci
*Flora*

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Capitolo 16
*** La favola di Elizabeth ***


la favola di Elie
XVII
La favola di Elizabeth

Decisi di far tacere l'urlo che ancora echeggiava nella mia testa mettendomi al lavoro.
Corsi alla fonte e riempii una borraccia d'acqua fresca, poi tornai sotto il Salice. Con tutta la dolcezza di cui ero capace sfilai a Peter la casacca imbrattata di sangue e pulii la ferita, reprimendo i conati di vomito per il sangue che continuava ad uscire. Dopo averla pulita, decisi che dovevo fasciarla. Adagiai addosso a Peter il mio mantello e mi rannicchiai vicino a lui, cadendo subito in  un profondo sonno senza sogni.
Quando mi svegliai, il sole era basso sull'orizzonte, e l'aria era fredda. La sera si stava avvicinando, e io rabbrividii. Subito mi precipitai a guardare come stava il mio Peter.
Respirava un po' a fatica, e gli era salita la febbre. Non aveva affatto una bella cera, e si vedeva che stava davvero molto male.
- Draconis, che faccio? Ho combinato un pasticcio come al solito... -
- Elizabeth, tu hai fatto ciò che potevi, ma credo che le tue maldestre abilità non bastino. Dobbiamo chiedere aiuto! -
- Come faccio? Non mi posso spostare da qui, Peter non può stare da solo, e meno che mai può muoversi! Dannazione, non so proprio che fare! - Gridai, picchiando il pugno contro l'erba.
- Elie. - Disse Peter.
- Oh, Peter! Non ti sforzare. -
Mi precipitai verso di lui, e lo aiutai mentre cercava di mettersi seduto. Mi rivolse un sorriso un po' forzato e poi si passò le mani sulla fronte.
- Grazie per avermi tolto quella freccia, sto davvero meglio. -
- A vederti non si direbbe. - Risposi io preoccupata.
- Elie, sta' tranquilla, starò bene. -
- Sire, dobbiamo andare a Cair Paravel. Le frecce degli stregoni sono avvelenate, non potete rimanere qui a lungo... -
- Avvelenate? - Gridai io con tutto il fiato che avevo in corpo.
- Elie, te l'ho già detto di stare calma, mi sembra. - Disse Peter con un sospiro.
- Ma cavolo, Peter, questo qua non mi dice cose essenziali! - Gridai ancora io.
- Porta rispetto, signorina Elizabeth! - Gridò Draconis. - E comunque te ne saresti dovuta accorgere quando hai estratto la freccia. La punta era pulita, invece che intrisa di sangue. Doveva per forza essere avvelenata. -
Arrossendo bruscamente, mi resi conto che forse la mia ignoranza in fatto di frecce, veleni e ferite era davvero enorme, così mi azzittii.
- Comunque hai ragione, Draconis, dobbiamo ricevere aiuto. -
- Ma non possiamo muoverci. - Intervenni.
- No, questo è vero. Andrà Draconis. Lui può correre, non può essere ferito, né ucciso e nemmeno catturato. Quindi è perfetto. Correrà a Cair Paravel e chiederà aiuto. -
- Ma come faranno ad attraversare la Foresta Grigia? Noi ci abbiamo messo mesi! - Esclamai io.
- C'è un'altra strada. - Disse Draconis.
- Un'altra strada? Cioè, avevate intenzione di farci ammazzare oppure c'è un buon motivo per cui non abbiamo fatto quella? -
- Era troppo rischioso, la nostra era una missione segreta, e quella strada è molto scoperta: passa per le Terre Comuni. Gli Stregoni si sarebbero di sicuro aspettati che saremmo passati per quella via, così noi siamo passati di qua. - Rispose Peter.
- Capisco. - Dissi allora.
- Allora corri, Draconis. Dì ad Aldian, Alderian e Lexander che abbiamo il Calice ma che abbiamo bisogno di loro. -
- Agli ordini Maestà. Elizabeth, si prenda cura di Sua Altezza. -
- Ma certo. - Risposi.
Draconis sparì, un lampo verde nell'argento del Salice.
La notte scendeva rapida, e il buio era ormai quasi completo.
- Potremmo accendere un fuoco, che ne pensi? - Dissi io.
Mi chinasi sulla mia borsa e la aprii. Un fascio di luce dorata quasi mi accecò, e mi chiesi cosa poteva brillare in quel modo senza bruciare. Quando le mie mani scivolarono su della terracotta intagliata, mi resi conto che era il Calice a fare tutta quella luce.
Lo tirai fuori e lo appoggiai accanto a Peter, seduto contro il tronco del Salice. Gli portai una mela e mi sedetti a mangiarne una accanto a lui, illuminati dalla luce della coppa.
- Quel Calice è davvero miracoloso. - Dissi io .
- Mi sembra anche di stare meglio. - Replicò Peter.
Mi sorrise e poi mi diede un bacio sulla fronte. Mi accoccolai contro di lui, abbracciandolo e chiusi gli occhi. Volevo pensare che stavamo bene ed eravamo a casa, nel bellissimo giardino di Cair Paravel, senza alcun problema al mondo.
Riaprii gli occhi sempre abbracciata a Peter, la mattina dopo. Avevo avuto un bel sonno ristoratore, e mi sentivo piena di energia. Peter era malconcio, ma se non altro non sembrava peggiorato molto.
La giornata fu molto lunga, perchè dopo aver cambiato la fasciatura a Peter e dopo aver mangiato qualcosa non avevamo nient'altro da fare. Peter era sdraiato nell'erba, e io seduta contro il tronco non sapevo cosa dire. In più non volevo costringerlo a parlare, debole com'era.
- Elizabeth... raccontami una storia. -
- Una cosa? -
- Una storia. Una favola, quello che vuoi... dai, ti prego, sono certo che sei bravissima. -
- Oh, io non so inventarle! -
- Non mi importa, una storiella, anche piccola. - Disse, e poi sorrise.
Un sorriso di quelli che solo lui sapeva fare.
Sospirai e sorrisi anche io.
- D'accordo. Ma poi non ti lamentare se fa schifo. - Dissi io. Poi iniziai la mia storia...

C'era una volta, in un piccolo regno tra le montagne, una principessa bellissima. Aveva i capelli del colore del grano in estate, gli occhi più verdi degli smeraldi, bellissime mani bianche e meravigliose labbra color corallo. Si muoveva leggera ed elegante, vestita di velluto e seta, con perle e fiori tra i capelli, e sapeva cantare come un usignolo. Per lei principi e re si battevano da ogni parte della terra, e spesso qualche valoroso giovane moriva nei combattimenti per la sua mano.
Un giorno la principessa decise di capire se tutto quel battersi fosse stato solo per la sua immensa bellezza o perché volevano proprio lei, con i suoi pregi e i suoi difetti. Così andò dalla più anziana delle serve e le disse ciò che desiderava: diventare una ragazza del popolo... non particolarmente brutta, deforme e ripugnante, ma semplicemente una giovane donna comune. La vecchia serva le parlò a lungo, e le disse che si sarebbe potuta pentire del suo passo, e che non sarebbe mai potuta tornare indietro. La principessa era tanto convinta del suo progetto che bevve  in un solo sorso il filtro che la donna le aveva preparato mentre parlavano. La mattina dopo la principessa si svegliò nel suo meraviglioso letto a baldacchino e si accorse che la camicia da notte color lavanda che indossava era troppo stretta sui fianchi, oltre che decisamente lunga. Si alzò e si andò a specchiare. Quasi trattenne un grido per lo spavento: era diventata una contadinella di circa vent'anni, con corti capelli biondicci e un paio di comuni occhi verdi, bassa e con le membra irrobustite dal lavoro. Le sue bellissime mani erano screpolate e arrossate. Nonostante lo spavento, era proprio quello che aveva sempre desiderato. Quando sua madre aprì la porta della sua stanza, non ci furono ragioni: la serva che aveva rapito sua figlia per spacciarsi per lei non era stata per niente furba! Fu inutile per la principessa spiegare le sue idee e le sue motivazioni, perché la regina la fece cacciare immediatamente dal castello, dicendole che una donna bellissima non può desiderare di diventare brutta e che di solito accade il contrario. Non appena la principessa ebbe messo piede fuori dal castello si trovò avvolta da una folla di gente che urlava e si spintonava, correndo da una parte all'altra. La ragazza ora si trovava in abiti non suoi, in un mondo che non era il suo, e che non sapeva come affrontare. Si avvicinò ad un banco che vendeva stoffe e tele, e guardò le donne dietro il banco: tre vecchie raggrinzite dall'aria scorbutica. Passò avanti, dove una bambina con i capelli castani stava disponendo frutta e verdura su un banco. La principessa le chiese se le poteva dare una mano, dicendo che era una serva del castello cacciata per aver rubato una pagnotta. La bambina fu subito molto gentile con lei, e la coinvolse nel suo lavoro. La principessa si trovò così costretta a portare ceste, a scartare frutta marcia, a servire clienti e perfino a sentirsi chiamare stracciona da delle sue ex amiche di corte. La principessa però decise che ormai così doveva vivere, e andò avanti. La bambina la accolse a casa sua e la principessa si ritrovò piena di doveri, di impegni e di obblighi, e finché li faceva era ancora felice, dato che non pensava. Ma quando si fermava si chiedeva se una come lei avrebbe mai trovato marito, e allora rimpiangeva la sua vita a palazzo. I giorni passavano, e ormai la principessa si era rassegnata a quella vita dura e difficile, fatta spesso anche di stenti. Ormai aveva smesso anche di curarsi, si vestiva e si pettinava come capitava, senza preoccuparsi di sembrare un minimo carina. Tanto, chi mai l'avrebbe guardata, sgraziata e rovinata dal lavoro com'era? Non era più una principessa! Un pomeriggio stava lavando dei panni sulla riva del torrente, inginocchiata nel fango dell'argine. Stava sfregando lenzuola macchiate, con il viso arrossato dal sole e dalla fatica, con l'abito sporco fino alle ginocchia e le maniche bagnate fino al gomito, mentre pensava per l'ennesima volta a quale maledizione l'aveva portata a vivere in quel modo orribile. In quel momento, dietro di lei si udirono gli zoccoli di un cavallo. Si voltò e vide un ragazzo: il suo sguardo dolce e gentile le sorrideva, e il cuore della principessa mancò un battito. Cosa le stava succedendo? Era la sensazione che si prova quando si trova qualcosa che si era a lungo cercato. Il giovane scese da cavallo e il suo mantello turchese ondeggiò dietro di lui. Si passò una mano tra i capelli color dell'oro e le rivolse di nuovo quel suo sguardo meravigliosamente azzurro, e la principessa capì che lei non poteva guardare in quel modo un principe.

Mi fermai un istante a riprendere fiato e a decidere come fare finire quella storia, quando Peter mi precedette, prendendo la parola.

Il principe si stupì di vedere una ragazza tanto graziosa inginocchiata nel fango, e si chinò davanti a lei, anche lui nel fango. La fanciulla gli disse subito che non doveva sporcare la sua bella armatura d'argento, ma al principe non importava. Le chiese chi fosse e cosa ci facesse lì. La ragazza rispose che stava lavando delle lenzuola per la sua famiglia.

- Guarda che è la mia storia, lo decido io cosa succede! - Esclamai ridendo.
- Beh, scusa, non posso intervenire? Mi sono immedesimato nel principe! - Rispose Peter.
- No, non puoi! E poi tu non c'entri niente in questa storia! - Dissi io arrossendo.
Senza volerlo il bellissimo principe era Peter in versione favola, ma purtroppo me n'ero accorta troppo tardi: la mia fantasia galoppava a briglia sciolta, e riacchiapparla non era facile.
- Adesso lasciami finire! - Dissi con un sorriso.
- Come vuoi. Ma se non mi piace il finale lo cambio. - Disse Peter.
- D'accordo. -

La principessa si stupì della gentilezza del principe, e il suo cuore accelerava ogni istante che passava accanto a lui. Il principe le disse che si stava recando nel palazzo di quel regno a cercare una principessa di incredibile bellezza per cui avrebbe combattuto. La principessa allora capì che sua sorella aveva preso il suo posto, e sospirò. Il principe allora si fermò a chiederle cosa non andasse, e la ragazza rispose che andava tutto bene. Indicò al principe la strada per il castello e poi tornò ai suoi panni, mentre il principe se ne andava sul suo destriero. Quell'incontro le aveva cambiato la vita, e aveva capito che non bisogna mai rifiutare i doni che madre natura aveva dato. Se ne sarebbe pentita per tutta la vita.

Peter mi guardò contrariato, quando terminai il racconto.
- Non mi piace questa storia! - Esclamò.
- Beh, ti avevo avvisato che non ero brava! -
- La verità è che tu ti stavi immedesimando nella principessa  e non volevi farmelo capire raccontando che alla fine il principe e la principessa si innamoravano! -
- Ti sbagli di grosso, mio caro. -
- E allora non ti dispiacerà se aggiungo una postilla al tuo finale. - Disse lui.
- Certo che no. - Risposi, mentre dentro di me sapevo che Peter aveva ragione: io ero la contadinella bruttina e lui il bellissimo principe.

Qualche giorno dopo, il principe era in piedi accanto al fiume, lì doveva aveva incontrato la fanciulla. Erano tre giorni che l'aspettava, e ancora lei non si faceva vedere. Finalmente la ragazza spuntò dal sentiero e lui le corse incontro: le disse che era stato a palazzo, ma che continuava a pensare alla fanciulla del fiume e al suo sguardo triste mentre lui le parlava, così era tornato per rivederla. Le prese una mano, e il viso della fanciulla si illuminò. Con quell'espressione felice negli occhi verdi era davvero molto graziosa, e il principe non riuscì a trattenersi: la baciò sulla bocca. La fanciulla si tirò indietro, dicendo che era troppo povera per baciare un principe. Ma il principe insistette, e tanto disse e tanto fece che la ragazza gli raccontò tutto. Piangeva disperata mentre gli diceva che non sarebbe mai potuta tornare bella per poter essere degna di lui, ma il principe le disse che non doveva preoccuparsi di questo: lui l'aveva amata dal primo istante che l'aveva vista, e non aveva notato altro che i suoi bellissimi occhi, e la sottile ombra di tristezza dietro di essi, e che avrebbe voluto fare di tutto per eliminare quell'unica cosa che le toglieva bellezza. Qualche giorno dopo a palazzo ci fu una grande festa per un bellissimo principe e per una bellissima fanciulla che si sposavano.

Appena Peter smise di parlare, mi gettai su di lui e gli stampai un bacio sulle labbra, sperando che avrebbe testimoniato almeno un pezzettino della mia commozione per quello che aveva detto.
Ci abbracciati addormentammo sotto lo stesso mantello.
Quella notte feci un sogno piuttosto strano. Un bellissimo Peter mi bacia con passione, accarezzandomi i capelli e facendomi ripensare alla nostra stupenda prima volta sotto quello stesso Salice. All'improvviso Peter crolla su di me, e io non riesco a levarmelo di dosso.
Mi svegliai di soprassalto, con un'orribile sensazione addosso.
Mi chinai su Peter, ma lui non respirava più.


-- *** --
NdA: scusateeeeeeeeee lo so che non aggiorno da mesi, ma non riesco proprio a trovare il tempo di scrivere, la mia facoltà mi sta tartassando di lezioni e di studio! Spero che il captolo abbia compensato un minimo l'attesa!!! Prometto che cercherò di mettere il prossimo in tempi brevi.. anche perchè penso che se non lo faccio la cara Jiu potrebbe uccidermi (hehehehe)... grazie per avere letto... non temete, prima o poi questa storia finirà!!!
Baci baci!   * Flora *

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Capitolo 17
*** Disperazione ***


disperazione
XVIII
Disperazione
Non credevo alle mie orecchie. Il silenzio attorno a me era assoluto, perfino il bosco aveva deciso che non voleva disturbare.
Accarezzai il viso di Peter con le mani che tremavano.
- Peter... non puoi andare via, ti prego. Non lasciarmi sola. -
Gli scostai i capelli dalla fronte, e gli sfiorai le labbra, piegate in quello che sembrava un'ombra di sorriso. Se ne era andato abbracciandomi, e per questo sorrideva.
- Ti prego, apri gli occhi. Non lasciarmi sola in questo posto... non lasciarmi sola in questo mondo. Ho bisogno di qualcuno vicino. Adesso ti sveglierai, vero? Mi stai solo prendendo in giro, lo so... -
La mia voce voleva essere divertita, ma le lacrime ormai mi avevano riempito gli occhi.
Appoggiai la testa sul suo torace, con la vana speranza di sentire anche il minimo palpito del suo cuore. Ma, dentro e fuori di lui, il silenzio era l'unico rumore presente.
Mi aggrappai alla sua casacca. Le lacrime iniziarono a scorrere dai miei occhi, anche se cercavo di trattenermi. A quel punto non era più necessario trattenersi:
- Avevi detto che volevi portare avanti quello che era iniziato tra di noi! E adesso te ne sei andato! Sei un bugiardo, Peter, avevi promesso che saremmo andati avanti insieme! - Gridai.
Una folata di vento fischiò attorno all'albero, e nel buio sceso attorno a noi un flash viola rese ancora più spettrale la notte.
Continuai a piangere, e lasciai che i singhiozzi si mescolassero ai tuoni che rotolavano nell'aria calda e buia della notte fuori dal Salice.
- Lo so che è colpa mia, ma perchè l'hai lasciato morire? Perchè lui e non io? Lui era forte, bello, coraggioso, buono... tanta gente aveva bisogno di lui, tanta gente lo amava... e invece hai portato via lui e non me! Perchè? Perchè? - Gridai, rivolta al cielo che si intravvedeva tra le foglie d'argento del Salice.
La pioggia iniziò a scrosciare: anche il cielo piangeva per Peter.
La rabbia, con il passare del tempo e con lo scorrere delle lacrime, si trasformò in dolore, infine in disperazione.
Non volevo fare nulla, non volevo muovermi, né mangiare, né bere. Volevo stare lì, piangere finchè non si sarebbero consumate tutte le mie lacrime e restare con lui.
Forse volevo anche morire, perchè no? Dopotutto, se lui era morto, il mondo non era giusto, e allora potevo anche io lasciarmi andare, nessuno avrebbe potuto dirmi che “avevo sbagliato”.
In fondo però sapevo che non ne sarei stata capace.
Volevo vivere, e portarmi dentro Peter. Vicino, vicinissimo al cuore.
Volevo fare vivere, almeno nei miei ricordi, il suo sorriso luminoso, i suoi limpidi occhi azzurri, quel modo noncurante e adorabile di passarsi le mani nel ciuffo dorato che gli cadeva di continuo gli occhi, la sua voce musicale. Volevo ricordarlo sorridente e felice, con la divisa della scuola e anche con l'abito da principe che tanto gli si addiceva.
Non volevo morire, perchè se io fossi morta lui sarebbe stato triste.
- Ti amerò per sempre Peter. - Dissi mettendomi in ginocchio, e asciugandomi gli occhi. - Ti amerò per sempre e non potrò mai dimenticare quanto mi hai donato. Ti prego, perdonami per tutto quello che non ti ho detto. Ma ti giuro, davvero, che questa bambina è diventata una ragazza grazie a te. Ho imparato ad amare grazie a te. Non potrò mai amare nessuno con l'innocenza, la purezza e la profondità con cui ho amato te. L'unica cosa che mi rimprovero è quella di non averti detto queste cose quando potevi sentirmi. -
La pioggia continuava a scorrere fuori di lì, e i tuoni e i fulmini si susseguivano in maniera spaventosa. La pioggia e il vento non arrivavano nel cerchio protettivo del Salice d'Argento.
All'improvviso una folata di vento fece volteggiare decine di minuscole foglie d'argento attorno a me. Si posarono sul prato scuro, luccicando d'argento come frammenti di stella.
Una minuscola fogliolina si fermò davanti a me.
Proprio così, si fermò davanti a me.
E allora vidi le minuscole braccia e le gambe, la testolina con i lunghi capelli d'argento e gli occhi neri di quel piccolo essere, che indossava un'abito in tutto e per tutto uguale a una foglia di salice.
Il piccolo essere non aprì la bocca, ma sentii nella mia testa un suono simile al fruscio dell'aria tra le foglie del bosco, che diceva più o meno così:
“Possiamo aiutarti.”
- Cosa? -
“Noi possiamo salvarlo.”
- Ma... come potete? Lui.. lui è... - Ma le parole mi morirono in bocca.
“C'è una sola cosa più forte della morte. È l'amore.”
- Ma può davvero riportarlo in vita? -
“Non sarebbe la prima volta che l'amore vi fa sopravvivere alle avversità del vostro viaggio.”
- Ma tu chi sei? -
“Noi fate ci siamo nascoste, in attesa della vittoria di Narnia su Calormen. Ora possiamo aiutarti, usando la nostra magia.”
- Io... farò qualunque cosa posso per aiutarvi. -
“Noi lo riporteremo in vita, ma tu non devi mai lasciarlo solo. Se se ne andrà di nuovo nessuno potrà più riportarlo da te.”
Mi sentivo davvero strana. Potevo riavere Peter anche ora che mi ero convinta di averlo perso per sempre? Ma ci volevo credere? Non sarebbe stata solo un'altra illusione?
Il solo pensiero di riavere Peter vicino mi dava alla testa.
- Ci sto. - Risposi.
La minuscola foglia sparì, cadendo ai miei piedi.
Una folata di vento entrò da fuori, e spazzò il prato con la sua forza fresca e pulita. L'aria aveva il profumo del mondo rinfrescato dal temporale che si stava allontanando.
Le foglie d'argento si alzarono da terra tutte insieme, in un turbine color acciaio. Lentamente scomparvero, una dopo l'altra.
Un tuono lontano rimbombò dietro le montagne, e io mi avvicinai a Peter trattenendo il respiro.
Volevo sperarci.
Nell'eterno istante che seguì, osservai le ciglia brune di Peter immobili.
Poi, un lieve movimento. Uno spiraglio di cielo tra le sue palpebre, e due stanchi occhi azzurri mi fissarono.
- Elie... hai paura del temporale? - Disse con un sussurro, un sorriso vago sulle labbra.
Mi gettai su di lui, abbracciandolo e piangendo disperatamente.
Il suo braccio sano mi strinse e mi accarezzò i capelli.
- Va tutto bene, è passato. - Disse sottovoce.
Appoggiai il viso nell'incavo del suo collo e rimasi abbracciata a lui.
- Ti amo, Peter. Ti amo davvero. -
- Anche io ti amo, mia Elie. -
Le sue labbra sfiorarono la mia fronte, e io trattenni un'altra ondata di lacrime di felicità.
Qualche ora dopo mi svegliai, sempre abbracciata a lui.
Ricordavo la voce della piccola fata: non dovevo lasciarlo solo.
Gli presi una mano, e Peter si mosse appena.
Iniziai a cantare una canzone che mia madre mi cantava da bambina, mentre mi faceva le trecce prima di andare a scuola.
Gli cantai tutte le canzoni che conoscevo, una dopo l'altra, e poi gli raccontai tutte le favole che sapevo, e ne inventai altre. Oppure gli parlavo dei miei genitori, di Juliet, della nostra infanzia, dei giochi che facevamo. E quando ero troppo stanca per parlare, mi stendevo accanto a lui e lo abbracciavo.
Per giorni parlavo e parlavo, mangiavo pochissimo, e dormivo altrettanto poco.
Una mattina, era da poco passata l'alba, mi sentivo troppo spossata per aprire bocca, così rimasi abbracciata a Peter, godendomi il suo profumo e ascoltando il battito del suo cuore con la testa appoggiata alla sua spalla.
Uno scalpiccio di zoccoli mi fece sussultare.
Le fronde del Salice si scostarono e la luce bianca del mattino inondò il Salice. La figura che era entrata si chinò verso di noi e riconobbi la barba rossa – ormai molto grigia – di re Aldian.
- Lady Elizabeth? -
- Maestà, dobbiamo fare presto, Peter non sopravvivrà molto a lungo. - Esclamai.
Il re si chinò su Peter, e poi annuì.
In quel momento una calda luce dorata illuminò il Salice.
Aslan entrò con un sorriso tra i baffi.
- Aslan! - Gridai, gettandomi ad abbracciarlo stretto.
- Le fate hanno fatto un buon lavoro, a quanto vedo. - Disse lui.
- Oh, non puoi sapere quanto io sia loro grata... - Risposi io.
- Avete salvato Narnia, riprendendo il Calice. In qualche modo vi erano debitrici. Ora torniamo a palazzo. - Disse Aslan.
Con un'occhiata mi fece cenno di salirgli in groppa e poi Aldian mise Peter davanti a me. Aveva ripreso i sensi e si guardava intorno con aria spaesata e molto stanca.
Aldian prese i nostri bagagli, compreso il preziosissimo Calice, e li caricò su Aslan. Poi salì dietro di me, sorridendomi benevolo.
- Tenetevi forte! - Esclamò Aslan. - Aldian, è tutto pronto? -
- Quando vuoi, Aslan! - Rispose il re.
Aslan ruggì in un modo che non si può nemmeno descrivere. Un ruggito così potente e bello non l'avevo mai sentito. Il mondo scorreva velocissimo attorno a me, e qualche minuto dopo eravamo a Narnia.
Non appena vidi le bianche mura di casa, la stanchezza mi prese all'improvviso, e chiusi gli occhi. Non volevo fare né dire nulla. Volevo solo riposarmi un po'.
Eravamo al sicuro, a casa.
Finalmente.

--***--
NdA: ok, come promesso ci ho meso meno ad aggiornare! Che ne pensate? Come ci siete rimasti quando avete capito che Peter era morto davvero? Beh, per fortuna che c'erano le fate!!! Fatemi sapere che ne pensate, mi piacerebbe saperlo!
Ah,
vorrei fare dei ringraziamenti, alle porte del ventesimo capitolo (mai scritto una storia così lunga!):
- a Jiu, ovviamente.. la mia recensitrice ufficiale! Il prossimo capitolo sarà per te!
- a Benedetta, perchè ha recensito anche lei! *me commossa*  - hai visto, Peter non è morto! Ma ci saranno ancora alcuni problemucci da risolvere, prima della fine della storia!
Poi vorrei ringraziare quelli che hanno messo la storia nei preferiti, e per la precisione: Anonimated, Aquizziana, Babylaura, Bella95, Nemothenameless, ovviamente PrincessJiu e QueenBenedetta, Sole a Mezzanotte ed Ellie! Grazie mille, mi fa piacere che la storia piaccia!
Grazie a chiunque legga, recensisca o apprezzi!
Al prossimo capitolo! (no, non è finita così XD)
baci baci! *Flora*

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Capitolo 18
*** Vuoi ballare con me? ***


ballare
NdA: questo capitolo, come promesso, è dedicato a PrincessJiu. Lo so, lo so che mi hai ripetuto tante volte che non lo volevi, ma io ci tenevo davvero. Se non fosse stato per te, forse non avrei avuto così tanta voglia di andare avanti a scrivere questa storia! Grazie di cuore!


XIX

Vuoi ballare con me?

Aprii gli occhi lentamente, mentre mi sentivo le palpebre pesanti come pietra.
Mi guardai attorno, e nella penombra riconobbi la stanza di Cair Paravel dove ero rimasta prima di partire per Calormen.
Mi stropicciai gli occhi e sentii il mio stomaco emettere un brontolio sordo, nel silenzio calmo della stanza vuota. Mi alzai e tirai le tende, guardando fuori. Era una giornata velata, il cielo azzurrino era accecante per il sole che splendeva al di là del leggero strato di nuvole. Doveva essere mattino inoltrato, e probabilmente nessuno era passato a svegliarmi, perché io mi potessi riposare.
Mi diressi verso la stanza da bagno, decisa a rilassarmi un po'.
Mentre l'acqua calda e la schiuma al profumo di rosa mi cullavano, la mia mente corse all'avventura che avevamo vissuto. Avevo perso la cognizione del tempo, ma almeno quattro o cinque mesi erano passati, ne ero certa. Osservai i miei capelli, molto più lunghi e biondi di quanto non fossero mai stati a casa, e sorrisi tra me e me: quanto ero cambiata, dentro e fuori! Non mi sentivo male, però, solo un po' incerta. Cosa avremmo fatto ora? Saremmo rimasti per sempre felici e contenti a Cair Paravel? Quanto mi sarebbe piaciuto!
Uscii dalla vasca avvolgendomi in una delle morbide vestaglie color pervinca e andai nell'altra stanza. Mentre ero nella vasca qualcuno si era preoccupato del mio povero stomaco borbottante, perchè sul tavolino sotto la finestra era magicamente comparso un vassoio con una tazza di zuppa fumante, pane bianco e morbidissimo, dell'arrosto dall'aspetto invitante e una intera ciotola di macedonia profumata. Mi vestii e lasciai i capelli sciolti ad asciugare mentre mangiavo con piacere tutte quelle cose buone. Poi infilai le scarpe e mi decisi ad andare a cercare Peter.
Uscii dalla stanza e imboccai il corridoio che portava alla sua stanza, e a metà strada incrociai Lexander.
- Buongiorno Lexander – Dissi con un sorriso.
I suoi occhi scivolarono sui miei capelli sciolti e lui sorrise di rimando.
- Buongiorno a voi, Elizabeth. Credo che dovreste legare la vostra bella chioma, mia cara, altrimenti qualcuno potrebbe fare pensieri poco casti su di voi! -
Io arrossii bruscamente e risposi:
- Oh, scusate, non sapevo che fosse poco educato... -
- No, Elizabeth.. sei bellissima. - Disse lui, con un sussurro e un'espressione sincera negli occhi.
Mi sfiorò i capelli con una mano e poi mi superò, sparendo lungo il corridoio alle mie spalle. Il mio cuore galoppava come un cavallo impazzito. Che diavolo mi stava succedendo?
Anzi, no: che diavolo stava succedendo a Lexander? Non si era mai comportato così!
Scossi la testa furiosamente e tirai dritto, diretta alla stanza di Peter.
Bussai piano, e aprii la porta cercando di non fare rumore. Peter stava dormendo nel suo letto, le tende della stanza però erano aperte, così notai il colorito sano del suo viso e l'espressione tranquilla che aveva. Lo raggiunsi, ma inciampai e finii in ginocchio sul tappeto accanto al letto. Mi sollevai imbarazzata  e mi inginocchiai sul bordo del materasso, appoggiando il viso sulla coperta.
- Ti ho sentito entrare, sai? - Disse cercando di trattenere un sorriso.
- Non sono mai stata aggraziata. - Riposi arrossendo. - Come ti senti? -
- Molto bene. -
- Il tuo braccio? -
- Tutto a posto. Qualche giorno e sarà come nuovo. -
- Perdonami, Peter, sono stata così imbranata anche come infermiera... ho davvero tanto da imparare! - Esclamai piena di dispiacere per quello che avevo combinato.
Lui sorrise, poi si tese verso di me e mi prese un braccio, tirandomi verso di lui. Mi lasciai tirare, sfilando le scarpe, e scivolando sotto le coperte assieme a lui.
- Profumi di rosa. - Disse in un sussurro.
- Merito del bagnoschiuma. - Risposi io, altrettanto sottovoce.
Peter mi baciò su un orecchio, e poi sulla bocca.
Mi rannicchiai contro il suo fianco, e chiusi gli occhi. Mi piaceva così tanto il caldo tepore del suo braccio attorno alle mie spalle. Senza rendermene conto mi addormentai di nuovo.
Aprii di nuovo gli occhi, e mi resi immediatamente conto che il sole era sceso, lanciando i suoi dardi arancione e amaranto attraverso le finestre della stanza.
Peter era sparito, al suo posto c'era solo un biglietto:
“Mi dispiaceva svegliare la mia bella addormentata... ti aspetto nella sala da ballo. Un bacio.”
Ancora scombussolata, scesi dal letto e mi infilai le mie scarpe. Prima di uscire mi specchiai e vidi i miei capelli tutti spettinati. Li legai come potevo con uno dei nastri che stringevano le maniche del vestito e poi scesi nella sala da ballo.
Peter mi aspettava lì, intento a parlare con Alderian. Non appena mi vide, troncò la conversazione e Alderian si allontanò con aria sospetta.
- Ti stavo aspettando. - Disse.
- Eccomi. -
- Vieni, andiamo nell'altra stanza. - Disse.
Mi portò in una piccola stanza comunicante a quella, molto spaziosa e senza nessun mobile.
- Che facciamo qui? - Domandai io.
- Devo insegnarti una cosa. -
Incuriosita, lo guardai sfilarsi la benda con cui si reggeva il braccio al collo e avvicinarsi a me passandosi le mani tra i capelli, come faceva sempre quando era imbarazzato.
Mi prese una mano, e con l'altra mi tirò vicino a sé.
- Hey, Peter, che fai? - Dissi ridendo.
- Chiudi gli occhi e non pensare. - Disse lui con un sorriso.
Lo fissai con uno sguardo poco tranquillo.
- E non essere così sospettosa... Fidati di me, fai come ti ho detto. -
Chiusi gli occhi, ma ancora non ero convinta di quello che stavo facendo.
- Ora lasciati portare. - Disse lui.
Fece un passo in avanti, e mi pestò un piede.
- Ahi! Che diavolo sta succedendo? - Esclamai io, aprendo gli occhi. - Peter Pevensie, non starai cercando di farmi ballare?! -
Lui arrossì un momento, poi mi guardò negli occhi ridendo.
- Beh, a dire la verità sarebbe quella l'intenzione... -
Il sangue mi andò alla testa in un istante e come al solito persi la calma.
- Non pensarci nemmeno! Io sono la persona più scoordinata e imbranata di questo mondo, non penserai di essere capace di farmi imparare! - Esclamai alzando la voce.
- Stasera ci sarà una festa in nostro onore, è nostro dovere aprire le danze! - Gridò lui.
- Non mi interessa! Io non so ballare! Farei la figura della stupida davanti a tutti, incespicando in un ridicolo vestito di trine e pizzi oppure pestando i piedi al mio sfortunato cavaliere! - Urlai.
- Io sono convinto che puoi imparare. - Disse lui, abbandonando le urla e sorridendo con aria adorabile.
- Eh no, bello... non pensare di convincermi facendomi gli occhi dolci. -
Peter mi si avvicinò, sempre con quello sguardo adorabile negli occhi e sorridendo a mezza bocca.
- Elie, su, che cosa ti costa... non trovi che sarebbe proprio come in una favola? -
Mi voltai dandogli le spalle per non cedere al suo sorriso.
- No, no e poi no. -
Mi abbracciò da dietro e mi diede un bacio sull'orecchio.
- Sono irremovibile. Elizabeth Graham non si fa smuovere da queste bassezze! -
Ma ormai ero perfettamente consapevole che stavo solo facendo le scene. Entro qualche minuto sarei caduta tra le sue braccia, troppo coinvolta da quel suo delizioso modo di convincermi.
- Dai, Elie... non vuoi ballare con me? - Mi sussurrò nell'orecchio.
Mi voltai e affogai per un istante nell'azzurro dei suoi occhi.
- Va bene. Ma non ti lamentare se ti pesto i piedi o sono scoordinata. -
- Promesso. - Disse lui con aria trionfante.
Per un eterno pomeriggio mi trascinò per la stanza, facendomi piroettare e volteggiare senza che io potessi dire nulla. Alla fine mi resi conto che scivolavamo sul pavimento, perfettamente coordinati, sorridendo come due imbecilli e guardandoci negli occhi.
Quando finalmente ci fermammo, Peter sorrise.
- Non dirmi che è stato difficile. -
- Invece sì. - Risposi mettendo il broncio.
- Certo che sei cocciuta, eh? - Disse lui innervosito.
- Come un mulo. - Dissi io, sempre col muso.
Poi gli feci una linguaccia, e Peter scoppiò a ridere. Rise di cuore, e la sua risata rimbombò nella stanza vuota. Era una risata così bella che anche io mi misi a ridere.
- Ora vai a prepararti, su. Ci saranno tutte le persone importanti di Narnia, stasera. -
- Sarai orgoglioso della tua ballerina. - Risposi io, salendo le scale diretta alla mia stanza.
Qualche ora dopo, quando scesi verso la sala da ballo, mi sentivo tutta un fermento. Ogni singola cellula del mio corpo sembrava palpitare, tremendamente emozionata.
Quella festa era per me e per Peter, per noi, e si sarebbe parlato di lei per generazioni – o almeno questo era quanto mi aveva detto Emeraude, mentre mi aiutava a prepararmi.
L'organza del mio vestito scivolò sulle scarpette da ballo di seta verde che indossavo. Cercavo di reggere l'abito con tutta la grazia di cui ero capace, cercando di tenere a mente tutte le raccomandazioni di Emeraude:
“Non stringerlo con troppa forza e non sollevarlo troppo, ma non lasciarlo cadere o finirai per inciamparci. Mi raccomando, quando balli, non guardare negli occhi il tuo cavaliere, o penserà che sei una maleducata. E non dire per nessuna ragione al mondo che sei innamorata di Peter.”
Ci avevo pensato bene, ma in fondo non ne capivo la ragione: noi due ci amavamo, perchè doveva  rimanere segreto? La risposta di Emeraude era stata “è così e basta”, quindi non le avevo chiesto di più. Se mi fossi ricordata, l'avrei chiesto a Peter, più tardi.
Mi sentivo seminuda, con quella scollatura che mi ritrovavo, ma a quanto pare era normale per una fanciulla di Narnia, quindi non avevo potuto protestare. Per fortuna ero riuscita a impormi e quindi non avevo messo nessun tipo di trucco. Ero una ragazza semplice, e – eroina o no – così volevo apparire. Le maniche di velo smeraldino mi sfioravano le braccia  e ricadevano svasate sulle mani. Avevo discusso con Emeradue anche per i capelli, lei pretendeva che li acconciassi solo un po', io invece li volevo legati. Non volevo ripetere la scena del pomeriggio con Lexander.
Così avevo una crocchia di trecce e riccioli sulla nuca, con un nastro verde a decorarla.
Ero dietro la porta della sala da ballo. Presi un gran respiro ed entrai.
C'erano principi e principesse, fauni ed elfi, animali parlanti e perfino qualche strano essere che non riconobbi.
- Elizabeth! Siete meravigliosa! - Esclamò Alderian, facendomi il baciamano.
- Anche voi, Principe Alderian. - Risposi io, con una piccola riverenza.
- Vedo che siete diventata una perfetta lady di Narnia! Ne sono felice. - Disse con un sorriso.
In quel momento sopraggiunse Lexander, molto affascinante nel suo completo grigio scuro.
- Fratellino, dì ad Elizabeth quanto è bella questa sera! - Disse Alderian a Lexander.
- Lei è sempre bellissima, fratello! - Rispose l'altro.
- Mi fate arrossire! - Esclamai io.
Allora vidi tra la folla una figura che conoscevo. Salutai i due principi e mi avvicinai alla grossa ranocchia con le antenne.
- Draconis! - Esclamai felice.
- Oh... oh! Lady Elizabeth, come sono felice di vedervi! - Disse il Clumsie, riconoscendomi.
- Non potrò mai sdebitarmi per tutto quello che hai fatto per me e Peter, ti ringrazio di cuore, non so proprio cosa dire... - Iniziai, snocciolando una serie di circostanze in cui ci aveva aiutato.
- Smettetela, Lady Elizabeth... siamo noi che vi dobbiamo la vita, avete salvato la nostra bella terra! Godetevi questa festa, ve la siete meritata. - Disse Draconis con un sorriso.
Non era mai stato tanto cortese e gentile, e gli sorrisi con affetto.
- Trovata! - Esclamò una voce divertita alle mie spalle.
Mi voltai e vidi un bellissimo Peter sorridermi. Indossava uno stupendo completo azzurro chiaro, e i suoi occhi splendevano come pezzetti di cielo.
- Un bacio alla mia ballerina. - Disse, facendomi il baciamano.
Qualche minuto dopo re Aldian prese la parola, e con un lunghissimo discorso raccontò le nostre peripezie, ci ringraziò davanti a tutti e poi si augurò che la festa fosse di nostro gradimento.
- Bene, ora apriamo le danze! - Esclamò con brio.
Un'orchestrina di fauni e castori attaccò un dolce valzer e Peter mi tese una mano.
Nel momento di esitazione che ebbi, notai che già qualche coppia aveva iniziato a ballare.
- Mi sfugge il senso della frase “dobbiamo aprire le danze” o era solo una scusa? - Dissi.
- Davvero l'ho detto? - Disse Peter distogliendo lo sguardo con finto imbarazzo.
Poi mi guardò e mi tese di nuovo la mano.
- Potrei essere offesa, sai? - Dissi, prendendogli la mano.
Scivolammo leggeri al centro della pista. Il mio abito verde frusciava leggero ad ogni passo, e più danzavamo più mi scordavo del resto della sala, di Aldian, Alderian e Lexander e di tutto il resto. Ballavamo guardandoci negli occhi, isolati dal resto del mondo.
- Domani devo mostrarti una cosa. - Disse lui in un sussurro.
- Perchè non stasera? -
- No, devo sistemare ancora delle cose. Abbi pazienza. - Disse lui con l'aria di chi la sapeva lunga.
La musica finì, e in uno scroscio di applausi noi ballerini ci ritirammo.
L'orchestra attaccò un altro pezzo, ma io e Peter ci sedemmo a parlare con alcuni giovani di Narnia. Le ore passarono, leggere e piacevoli, e mi stavo divertendo molto.
Verso la fine della serata, Lexander mi si avvicinò.
- Vuoi ballare, Elizabeth? - Disse.
Io guardai Peter, seduto accanto a me.
- Guarda che non hai mica bisogno della mia approvazione! - Esclamò lui ridendo.
- Lexander, sono una frana a ballare, non mi va di pestarvi i piedi. - Risposi poi.
- Ti prego, Elizabeth. Ci terrei molto. -
- Non lamentatevi, dopo, però. - Dissi spazientita.
Lasciai che Lexander mi guidasse al centro della pista. La sua mano si intrecciò alla mia e l'altra mi strinse contro di sé. Memore degli avvertimenti di Emeraude, non lo fissai negli occhi, ma guardavo il suo viso o il colletto ricamato del suo completo.
- Sei così bella, Elizabeth. - Disse lui.
Io abbassai lo sguardo. Stare con lui mi metteva a disagio, mi faceva sentire come se fossi stata nuda. Non sapevo cosa rispondere a quella frase.
- Alza gli occhi, ti prego. Non avere paura. - Disse lui con un sorriso.
Mi costrinsi a fare come diceva, in fondo era solo un ragazzo, ed era sempre stato carino con me.
Sorrisi imbarazzata mentre continuavamo a ballare.
- Non dici niente? - Disse poi.
- Non saprei cosa dirvi. - Replicai io, continuando a dargli del voi per non accorciare ancora la distanza – che già sentivo breve – tra di noi.
Mi guardò negli occhi, per un tempo che mi sembrò infinito. Quando la musica finì, aprì la bocca.
Sentivo che mi stava per dire qualcosa di importante, e non sapevo se volevo sentirlo.
- Grazie per questo ballo, principe Lexander. - Dissi precipitosamente.
Meno di un istante dopo ero di nuovo accanto a Peter, dove mi sentivo protetta.
Lexander era ancora al centro della stanza, ma un momento dopo si avviò dalla parte opposta a quella dove stavo io, scomparendo tra la folla.
Quando la festa finì, Peter mi accompagnò nella mia stanza. Da quando avevo ballato con Lexander mi sentivo inquieta, come se avessi qualcosa da temere, e non avevo parlato molto.
- Sei strana, Elie. Che ti succede? -
- Niente. Sciocchezze da ragazzina. - Dissi io, abbassando gli occhi.
Peter mi sollevò il viso con una mano.
- Non sto scherzando, lo vedo che c'è qualcosa che ti spaventa. -
Mi guardai intorno nervosa, come se potesse esserci qualcuno. Ma il corridoio era deserto, e solo la luce delle fiaccole alle pareti stava sentendo il nostro dialogo.
- Vedi... è... è Lexander. Non mi ha fatto niente, è solo che mi mette a disagio. - Dissi io.
Peter sorrise e istintivamente mi abbracciò.
- Lexander ha dei modi molto schietti, ti capisco. Ma non c'è bisogno di agitarsi, ok? - Disse.
Peter mi sciolse dall'abbraccio e mi baciò sulla bocca.
- Non mi inviti a entrare? - Disse con un sorriso malizioso.
- Stasera sono molto stanca. - Risposi, aprendo la porta.
- Cattiva. - Rispose lui, con aria delusa.
Gli stampai un altro bacio sulla bocca e poi entrai nella mia stanza, svestendomi in fretta e buttandomi sul letto. Quella sensazione di inquietudine non svanì fino a quando il sonno non prese il sopravvento.

--***--
NdA: Beh, che ne pensate? è un capitolo eterno, lo so, lo so... è che a volte non riesco a fermare le mie mani che vanno sulla tastiera!
Questo Lexander mi piace molto, così sincero e diretto! è diverso da Peter, sempre timido, ma mi piace lo stesso! Devo ancora decidere come fare evolvere le cose tra lui ed Elizabeth... però sarebbe un ottimo rivale del nostro principe Pevensie, che ne pensate?
Magari anche Elizabeth lo trova interessante, in mezzo tra questi due bei cavalieri, diversi come il diavolo e l'acqua santa!
Ringrazio per l'ennesima volta chi legge, chi segue, chi recensisce (Benedettaaaaaa thanks!!^^) e chi ha messo la storia tra i preferiti.
Siamo agli sgoccioli ormai....
                                                                      ... o forse no??

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Capitolo 19
*** Le tre cose che amo di più ***


regalo
XIX
Le tre cose che amo di più
La mattina dopo mi ero ripresa del tutto.
Ero ormai convinta che le mie erano tutte fisse da adolescente, e che non dovevo preoccuparmi troppo di come si comportava Lexander nei miei confronti. Lui poteva fare quello che voleva, nessuno glielo impediva,ma io amavo Peter.
Mi vestii con un comodo abito color porpora e legai i capelli nei miei adorati codini, pronta per iniziare un'altra giornata a Cair Paravel.
Uscii dalla mia stanza con l'intenzione di cercare Peter, ma non lo trovai da nessuna parte. Esplorai un po' il castello, ma avevo abbastanza paura di perdermi, così decisi di scendere nelle stalle.
Luce sembrava aspettarmi, perchè quando la vidi nitrì allegramente.
- Hai voglia di una cavalcata? - Chiesi io.
- Molto volentieri. - Rispose Luce scuotendo la bella criniera.
La sellai e le misi il morso, poi uscimmo.
La lasciai libera di galoppare nel bosco, per uscire lungo la spiaggia e cavalcare nella sabbia. Il sole splendeva infuocato in alto nel cielo turchino e faceva davvero molto caldo. Il vento della cavalcata mi gonfiava i capelli e mi faceva lacrimare gli occhi, ma mi faceva sentire viva.
Luce rallentò lentamente, e continuò al piccolo trotto lungo la battigia.
Scesi e le presi le briglie. Tolsi le scarpe e andai verso le onde, per cercare un po' di sollievo ai miei piedi accaldati. Quando l'acqua del mare mi ebbe rinfrescato, Luce mi diede un gentile buffetto sulla spalla.
- Forse è ora che torni, il sole è alto e staranno per mettersi tutti a tavola. - Mi disse.
- Hai ragione, è meglio rientrare. - Dissi io.
Le risalii in groppa e salimmo al passo su per la strada che portava al castello. La lasciai nelle stalle dopo averla strigliata per bene e averla ringraziata.
Entrai nella sala da pranzo, ma ero la prima.
Qualche minuto dopo di me entrò Peter, con un'aria così radiosa che quasi sembrava spandere luce propria.
- Buongiorno Elie! - Esclamò con allegria.
Mi si avvicinò e mi stampò un bacio su una tempia.
- Buongiorno Peter. Dove ti eri cacciato? Ti ho cercato!- Risposi io.
- Vedrai, vedrai! - Disse con aria saccente. - Tu piuttosto dove sei stata? Hai un aspetto stupendo! - Disse, pizzicandomi una guancia.
- Ho fatto una cavalcata in riva al mare. Aria e sole, un'ottima combinazione per cacciare i pensieri cupi. - Risposi.
Peter mi fece l'occhiolino, e l'arrivo dei principi e del re troncò la nostra conversazione.
Dopo pranzo Peter mi convinse a fare una passeggiata nel giardino.
Il “giardino” era una specie di serra, una zona piuttosto limitata appena fuori dalle mura del palazzo, in cima alla rupe, dove la natura cresceva colorata e rigogliosa.
Peter mi raccontò che sua sorella Lucy, la prima volta che erano andati lì, aveva desiderato un giardino e aveva iniziato a piantare rose, begonie, gigli e alberi da frutto, per rendere il palazzo ancora più bello. Lei non aveva mai visto quel meraviglioso posto, perchè Cair Paravel era stata distrutta dai Telmarini dopo la loro partenza, ma poi era stata ricostruita, e con lei anche il giardino della regina Lucy. Aprì il cancello che portava al giardino e ci ritrovammo immersi in boccioli color arancio e pesca: una miriade di tulipani ci circondava. In lontananza meli candidi, e romantici ciliegi dai petali rosati. Non sapevo se tutti quei fiori potevano sbocciare nello stesso periodo, ma quel posto era davvero meraviglioso.
- Oh, Peter... io adoro i fiori. Guarda che meraviglia quel pesco fiorito! E come sono belli quegli iris... e le pervinche! E guarda quelle margherite! -
Correvo da una parte all'altra, ridendo, cogliendo i fiori o annusando il loro profumo, senza fermarmi mai, e indicavo a Peter le cose più belle. Lui sorrideva e mi guardava correre in giro, ma non sembrava cogliere troppo intensamente la profonda bellezza di quel luogo incantevole.
Addentrandoci nel giardino, arrivammo a un gazebo di metallo bianco, finemente lavorato, coperto da piccole foglie verde scuro.
- Che bel posto, dov'è l'entrata? - Chiesi.
- Vieni. - Mi disse, prendendomi per mano.
Dal lato opposto si entrava, attraverso una piccola apertura.
Dentro c'erano due panchine di pietra e un tavolino rotondo. La luce era calda, verde, e il profumo era inebriante: attorno a noi decine di rose bianche, gialle e color pesca spandevano il loro profumo, dai petali aperti e dai delicati boccioli che spiccavano tra le foglie scure.
- Era questo che volevi mostrarmi? - Chiesi.
Peter scosse la testa.
- Non sapevo che tu amassi tanto i fiori. - Disse lui.
Mi avvicinai a una rosa e la annusai, riempiendomi i polmoni di quel profumo dolce e delicato.
- Quando ti ho detto che profumavi di rose mi hai fatto venire in mente questo posto. - Disse lui, avvicinandosi alla siepe e odorando un altro fiore, per evitare il mio sguardo. - A dir la verità tu mi fai pensare a una di queste rose. Una bianca, a dire la verità. -
Mi avvicinai e intrecciai la ma mano alla sua.
- Così delicata, così timida nel suo candore... eppure profumata, bellissima, perfetta come tutte le altre. Ma chissà perché gli uomini preferiscono le rose rosse. -
Peter si voltò e mi abbracciò con delicatezza, come se temesse di stringermi troppo e di farmi appassire. Ricambiai l'abbraccio, e con l'orecchio posato sul suo torace potevo sentire il suo cuore battere, un po' accelerato. Mi piaceva quel suono.
Mi sedetti sulla piccola panchina di pietra e lui si sedette vicino a me.
- Peter, perché non possiamo fare sapere in giro che siamo innamorati? Emeraude si è tanto raccomandata ieri... -
- Vedi, Elie, io qui sono comunque un re. E tu non sei che una Figlia di Eva, agli occhi di tutti gli abitanti di Narnia. Sarebbe uno scandalo, capisci? Aldian sarebbe costretto a cacciarci, non potremmo farci vedere in giro... Così lo teniamo nascosto, punto e basta. -
- Ma gli altri lo sanno? Intendo il re e i principi. -
- Beh, Aldian se n'è accorto subito, penso. L'intuito di una persona che ne ha viste tante nella vita queste cose le comprende al volo. Alderian e Lexander non lo sanno, ma magari se ne sono accorti, non lo so. Noi però non diamo loro modo di intuirlo, ok? -
- Ma non è giusto! - Esclamai.
- Giusto o sbagliato, è così. E adesso basta lamentarsi. - Disse lui con un sorriso.
Mi sollevò e mi prese sulle ginocchia, chiudendomi la bocca con un bacio.
Rimanemmo nel gazebo non so quanto tempo, abbracciati, a parlare sottovoce, senza nessun pensiero al mondo. Appoggiata alla sua spalla, con il viso immerso nell'oro dei suoi capelli o con le labbra di Peter contro la mia guancia, mi sembrava di essere in Paradiso. Avrei voluto lasciarmi andare, dirgli quanto lo amavo... ma quel giardino era pur sempre del palazzo, qualcuno poteva arrivare a momenti.
Tuttavia, da allora, il profumo delle rose mi ricorda sempre Peter e l'immensa dolcezza di quel pomeriggio di Narnia.
Quando il sole scese e le ombre divennero lunghe, Peter mi disse che forse era ora di rientrare.
- A me piace stare qui. - Dissi io.
- Possiamo tornarci. - Disse lui, alzandosi.
- Aspetta... ti prego, dammi ancora un bacio. - Dissi io.
Dannazione, ma non potevamo dirlo e basta? Tutti quei sotterfugi mi innervosivano.
Peter si chinò su di me e mi posò le labbra sulla bocca.
- Ora andiamo, o si chiederanno dove siamo finiti. -
Lo presi per mano e uscimmo dal giardino. Nostro malgrado, arrivati alle porte di Cair Paravel, lady Elizabeth e re Peter tornarono ad essere solo buoni amici.
Dopo la cena, mi distrassi solo il tempo di parlare un istante con re Aldian della scuola che frequentavo a Londra, che Peter era di nuovo sparito, piantandomi in asso.
Tornai in camera con un diavolo per capello.
Quando vidi la sua testa bionda spuntare all'angolo del corridoio che stavo percorrendo esclamai:
- Ti detesto quando sparisci così! -
- Vieni, dai, ho una sorpresa per te! - Disse lui, senza nemmeno curarsi del mio sfogo.
- Hai capito che ce l'ho con te o non mi hai nemmeno ascoltato? -
- Scommettiamo che appena vedi la sorpresa mi perdoni? - Disse lui.
Rimasi in silenzio.
- Può darsi. - Risposi poi con un sorrisetto. - Ma ti avverto che sono molto arrabbiata. -
- La mia è una sorpresa molto grossa. -
Mi guidò per qualche corridoio e poi su per una scala a chiocciola. Arrivammo infine davanti a una porta di legno scuro, su cui erano intagliati un sole e una luna.
Dalla finestrella accanto a noi avevo visto le prime stelle che si erano accese nel cielo azzurro cupo, e avevo capito che la sera era scesa da un pezzo.
- Questa è per te. - Disse Peter.
Mi mise in mano una piccola chiave d'argento, con una luna intagliata in cima. Un nastro verde passava nell'occhiello della chiave.
Lo guardai senza capire.
- Questa è la mia. - Una chiave d'oro con intagliato un sole, e con un nastro turchese attaccato brillò per un attimo nella sua mano. Poi disse: - Ok, ora chiudi gli occhi. -
Obbedii.
Sentii la chiave nella serratura e la porta aprirsi, poi Peter mi guidò qualche passo avanti.
- Ora puoi aprirli. -
Mi guardai intorno. Era una stanza piccola, e alla mia destra un caminetto di fronte al quale stavano due grandi poltrone dall'aria invitante mandava la sua calda luce arancione. Decine e decine di libri stavano nell'immensa libreria proprio sopra il caminetto. Un grosso scrittoio con un bellissimo candelabro di corallo stava nell'angolo di fronte a noi, e su di esso stavano fogli, penne, gessi e acquerelli colorati.
La parete di fronte al caminetto, quella alla mia sinistra, era un'immensa vetrata, e anche nel buio della sera vedevo le rose e i rampicanti disegnati sul vetro, così belli da sembrare veri. Sembrava la parete di una serra... anzi, del meraviglioso gazebo in cui avevamo passato il pomeriggio.
- Oh mio Dio, Peter, sono... sono senza parole. - Dissi io, senza fiato davanti a tanto splendore.
- Aspetta, non è ancora finita. -
Mi guidò alla vetrata, e aprì una porta, facendomi passare per prima.
Feci qualche passo e mi ritrovai su una balconata all'aperto, in cima a una torre del castello di Cair Paravel. Sotto di noi un dolce sciacquio rivelò il mare scintillante, quasi uno specchio liquido del firmamento sopra la mia testa. Il cielo era leggermente tinto di viola a ovest, oltre le montagne più lontane, e miliardi di stelle si erano accese nel velluto della notte. Una delicata brezza che sapeva di mare arrivò alle mie narici, e sentii il braccio di Peter circondarmi le spalle con un mantello.
Poi lo vidi appoggiarsi alla balaustra di pietra accanto a me. La luna piena stendeva il suo manto d'argento su di noi, e la luce era forte, chiara e limpida.
- Ho riunito qui le tre cose che ami di più: le stelle, i libri e... -
- E te. - Risposi io, con lo stomaco stretto dall'emozione e le lacrime agli occhi per la gioia.
- Veramente la terza cosa erano i fiori, ma fa lo stesso. - Disse lui, avvicinandosi a me e prendendomi il viso tra le mani.
Mi baciò con dolcezza sulla bocca, e io ricambiai, mentre ricacciavo indietro le lacrime.
Nessuno aveva mai fatto niente di così bello per me. Nessuno aveva scoperto il mio cuore a poco a poco e aveva conservato dentro di sé ciò che aveva scoperto per poi ricordarsene quando era stato necessario. Nessuno mi aveva mai dimostrato tanto amore.
Un sorriso piegò le mie labbra, premute a quelle di Peter, e le mie mani scivolarono tra i suoi capelli, mentre il mantello mi cadeva dalle spalle.
Lui si allontanò un po' e mi sorrise divertito.
- Allora ti piace? - Disse.
Scoppiai in lacrime, perchè non riuscivo a trattenermi più. Mi abbracciò ridendo e mi accarezzò i capelli, dicendo che non voleva farmi piangere, anzi.
Io mi scostai e asciugai il viso.
- Mi piace da impazzire. - Dissi, felice.
Poi mi gettai tra le sue braccia e lo baciai sulla bocca.
Quella sera le stelle videro tutto il nostro amore.

--***--
NdA: ed eccoci qui! Che romantico questo capitolo, eh? Quanto vorrei essere io quella che riceve tutte queste attenzioni! (Dannazione dannazione non posso andare un carenza d'affetto proprio mentre scrivo le ndA!!! ok ora mi ristabilisco.....)
Grazie Giulia e Benedetta! Sono felice che vi piaccia la mia storia! Sì, hai ragione, Benny (posso chiamarti così? ^^)... Lexander è un tipo in gamba.. decisamente un ragazzo in gamba! Beh ti stupirai dei prossimi capitoli..... Ha sorpreso anche me mentre li scrivevo! Anche a te grazie Jiu! Mi proccupo tantissimo di rendere "verosimile" quello che scrivo, ma certe volte è così difficile!
Mi fa piacere che certe volte funzioni! Beh, questo è uno dei miei capitoli preferiti.. insieme a "le donne lo sanno" e all'ultimo... che leggerete a breve.. almeno spero!!!
Grazie a tutti quelli che leggono (ogni volta sono più di una trentina!!!!!! *me scioccata*)
Baci baci!
*Flora*

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Capitolo 20
*** Lui, lei, l'altro ***


l'altro
NdA: perdonate l'atroce ritardo.. ma se voglio dare l'esame di biologia a giugno è meglio che io usi il cervello anche un po' per il ciclo cellulare, e non solo per pensare a quello che succede a Cair Paravel!!! Detto questo... godetevi il capitolo... ci vediamo alla fine! he-he-he... (risatina malefica...)

Lui, lei, l'altro


Qualche giorno dopo il “regalo” di Peter, ero seduta a leggere nel cortile, quando un'ombra mi apparì davanti.
- Lexander, buongiorno. - Dissi, riconoscendolo a malapena, con il sole negli occhi.
Lui si sedette accanto a me, scuotendo con noncuranza i lunghi capelli ramati e guardandomi intensamente con i suoi occhi neri.
- Buongiorno a te. Cosa leggi? -
- Racconti e favole della vecchia Narnia.  L'avete letto? -
Risposi io, distogliendo lo sguardo per non lasciarmi prendere dall'imbarazzo.
- No, non leggo molto. Preferisco una bella cavalcata, una battuta di caccia... o un allenamento con arco e frecce. -
- Oh, non vi ho mai ringraziato per l'utilità del vostro addestramento, mi è stato utile. -
- Ne sono felice. Dimmi, Elizabeth... c'è qualcuno che ti aspetta, a Londra? -
- A Londra? Beh, ho amici, parenti, la mia famiglia... -
- Intendo se hai un uomo. Un promesso, qualcuno a cui appartiene il tuo cuore. -
- Oh... quello. - Dissi io, arrossendo.
Oh cavolo. E adesso che gli dico?
- Oh, perdonami. Non dovrei essere così diretto! Fai finta che non abbia detto nulla, d'accordo? -
Si alzò e mi sorrise.
- Più tardi sarò nelle stalle, devo domare un nuovo puledro. Se vuoi puoi venire. -
- Non mancherò, grazie. - Dissi io con un sorriso.
Lexander si allontanò e io ripresi la mia lettura.
Qualche tempo dopo mi avviai verso il palazzo, e mentre andavo incrociai Alderian e Peter che tornavano da un allenamento con la spada.
- Proprio non capisco cosa ci trovate di bello. - Dissi.
Peter e Alderian si guardarono come due vecchi amici e risero.
- Sei una ragazza, non potresti capire nemmeno se ti sforzassi! - Esclamò Peter.
- Maschilista! - Esclamai io.
- Cosa? - Domandò Alderian.
- Niente, non la ascoltare. Donne. - Disse scuotendo la testa.
Io lo fissai con uno sguardo che inceneriva, e lui mi sorrise con dolcezza di rimando.
Anche loro stavano andando alle stalle, e ci fermammo assieme vicino alla staccionata, mentre Lexander saliva sul puledro, che schiumava e sgroppava.
All'inizio ebbi molta paura, temevo di vederlo fracassarsi il cranio sullo sterrato, ma lui era molto più bravo di quanto pensassi, così dopo un po' mi rilassai. Ben presto il puledro smise di sgroppare, ma si lanciava a testa bassa verso ogni direzione.
Lexander sembrava saperlo dominare, ma all'improvviso, proprio quando sembrava domato, il puledro si lanciò in un'ultima folle corsa proprio nella mia direzione.
Terrorizzata, non riuscivo nemmeno a muovermi.
- Elie! - Sentii Peter tirarmi contro di sé e stringermi tra le braccia, proprio mentre si alzava un gran polverone attorno a me.
Quando riuscii a guardarmi intorno, le facce sbigottite dei cortigiani fissavano me, ancora pallida di terrore, il principe Lexander a cavallo che tratteneva il puledro imbizzarrito a meno di mezzo metro dalla staccionata e re Peter, che mi stringeva tra le braccia con fare protettivo.
Lentamente la tensione del momento si sciolse, e gli stallieri presero il puledro domato al principe. Non appena smontò di sella si precipitò nella mia direzione.
- Stai bene, Elizabeth? Non sei ferita, vero? -
- No, sto bene. -
- Sarebbe meglio fare più attenzione la prossima volta. - Disse Peter con tono di rimprovero.
- Con tutto il rispetto, re Peter, voi non siete nemmeno capace di domare un puledro. Con permesso. -
Lexander lo fulminò con lo sguardo e poi si allontanò.
- Dovevi essere così duro con lui? - Chiesi a Peter mentre tornavamo indietro.
- Non mi piace come ti guarda. - Rispose lui, scuro in volto.
- Ah-ha... sei geloso! - Dissi io.
- Sì. Ma non solo... non mi ispira fiducia. -
- Non ti preoccupare. Sei tu il mio principe preferito. - Dissi, aggrappandomi al suo braccio.
- Lo so, Elie. - Disse lui sorridendo. - Di te mi fido. È di lui che non posso dire lo stesso. -
- Non preoccuparti, non oserebbe mai andare oltre la sua bella “etichetta di corte”. - Replicai io.
- Speriamo. - Rispose Peter.
Qualche ora dopo eravamo a cena con i principi e il re, e l'atmosfera sembrava molto più rilassata, per fortuna. Dopo aver mangiato ci sedemmo nel grande terrazzo della sala del trono ad ascoltare l'aria fresca della sera appena scesa.
Lexander mi stava intrattenendo con i suoi irriverenti racconti di avventure, e mi raccontava di imprese eroiche con una naturalezza e una spigliatezza così piacevoli che non mi accorsi del tempo che passava. Quando la luna, alta nel cielo, ci illuminò con la sua luce d'argento, Peter si chinò verso di me.
- Io vado nella mia stanza, tu cosa fai? - Chiese.
- Io rimango, non ho sonno! - Risposi.
Mi stavo divertendo, e poi era la prima volta che riuscivo a parlare con Lexander senza sentirmi in tremendo imbarazzo! Peter annuì.
- Buonanotte re Aldian, principi. Buonanotte Elie. - Disse Peter, prima di sparire dietro le pesanti tende della sala del trono.
- Buonanotte Peter. - Risposi io.
- Buonanotte principe Peter. - Rispose Lexander.
- Pensavo fosse re! - Esclamai io, rivolta a Lexander.
- Fino a prova contraria, re è mio padre, e al massimo io e Alderian possiamo dire che lo saremo un giorno. A questo punto Peter è solo principe. - Disse lui, secco.
Continuammo a chiacchierare ridendo per molte ore, finchè non rimanemmo soli sul terrazzo. Lexander era rimasto gentile e galante per tutta la sera, e ormai stavo facendo cadere le barriere che avevo eretto a mia difesa, tanto che avevo iniziato anche a dargli del tu.
Mi avvicinai alla balaustra e ammirai il cortile di Cair Paravel, anche a quell'ora brulicante di servitori e cameriere che si affaccendavano dappertutto.
Lexander mi si avvicinò e disse:
- Ti piace vivere qui? -
- è il posto che ho sempre sognato. A casa leggevo sempre storie di castelli e principesse, e non posso credere di esserci proprio dentro! - Esclamai.
- Ti piacerebbe diventare principessa? - Disse lui.
- Certo. - Dissi io senza pensarci due volte.
Lui mi sorrise, e la luna si specchiò nei suoi occhi neri.
Dio, ti prego, no. Non lasciargli rovinare tutto. Ti prego.
Si avvicinò a me e mi scostò una ciocca di capelli dal viso, sempre sorridendo.
- E magari anche regina? -
- N-non saprei. - Balbettai.
- Io penso che sarebbe bello. Non trovi, Elizabeth? Io e te, a dominare su questa bellissima terra... avremo tutto quello che si può desiderare, potremo fare ciò che vogliamo... saremo liberi! -
- Sarebbe bello, Lexander, ma io non penso che... -
- Non pensi cosa? Non hai visto quanto è bello stare insieme? Non ci siamo nemmeno accorti di quanto è diventato tardi! Sono andati tutti a letto, e noi due no. Siamo perfetti assieme, Elizabeth... -
- No, davvero, Lexander... - Dissi io, facendo un paio di passi indietro e sottraendomi alla stretta delle sue belle mani calde sulle spalle.
- Dimmi la verità, c'è un altro. Hai un altro ragazzo in testa, vero Elizabeth? - Disse.
Il suo viso, da dolce era all'improvviso serio, tirato.
Il luminoso sorriso di Peter mi balenò in testa, assieme alla sua raccomandazione di tenere segreto il nostro amore.
- No, Lexander, davvero. È solo che io non ho mai amato nessuno... - Improvvisai.
Mi accorsi dell'incredibile idiozia che avevo detto solo quando vidi i suoi occhi riempirsi di nuovo di speranza. Agghiacciata, lo vidi precipitarsi verso di me e prendermi il viso tra le mani.
- Non preoccuparti, ti insegnerò ad amarmi! - Disse felice.
Appoggiò la sua bocca sulla mia e premette forte.
Raccogliendo il mio coraggio, allontanai a forza le sue mani dalle mie guance e distolsi il viso.
- No! - Gridai, evitando il suo sguardo.
- Ma io pensavo... Che noi... Che io e te, Elie... - Disse lui, interdetto e forse un po' deluso.
Se già mi ero pentita di avergli dato confidenza, quando mi chiamò Elie capii che avevo sbagliato tutto. Solo Peter poteva chiamarmi così.
- E non osare chiamarmi Elie! - Gridai, scappando in camera mia.
Mi buttai sul letto e abbracciai il cuscino, scoppiando in singhiozzi.
Perchè, perchè, perchè mi ero lasciata affascinare da quel ragazzo? Era bello, quello era poco ma sicuro... e anche divertente, e spiritoso.
Ed era così diverso da Peter, il dolce, timido e intelligente principe che amavo con tutto il mio cuore.
Già... io amavo lui.
E allora chi era quella ragazza che ridacchiava assieme a un aitante giovanotto dai capelli rossi ignorando il principe dai capelli dorati seduto poco lontano? Ero davvero io?
Una nuova ondata di singhiozzi mi travolse... e per fortuna mi ero fermata in tempo, per fortuna Peter era tornato nei miei pensieri prima che io potessi accettare le avances di Lexander.
Ricordavo le sue mani calde sulle spalle e la sua bocca che sapeva di liquirizia, come il liquore scuro che aveva sorseggiato mentre chiacchieravamo. Ricordavo la sua voce roca e suadente mentre mi raccontava di avere travolto un troll alto sette metri solo con la forza della sua spada, mentre lo guardavo con occhi e bocca spalancati, affascinata da tanta prestanza fisica...
Mi ero lasciata tentare, come una ragazzina... E come una ragazzina ero stata punita per la mia leggerezza.
Sentivo ancora il tocco invadente e violento delle sue labbra sulle mie... mi aveva rubato un bacio. Un bacio che apparteneva a Peter.
Oh, lui probabilmente mi avrebbe perdonato, con la sua bontà immensa, se gli avessi raccontato tutto e gli avessi detto quanto mi dispiaceva.
Ma con che coraggio mi sarei rifugiata tra le sue braccia? Potevo davvero correre da lui e dirgli che avevo sbagliato, che avevo fatto la sciocca con Lexander tutta la sera ma che mi ero sentita una traditrice soltanto quando mi aveva baciato? Forse potevo farlo... anzi, dovevo farlo.
Avevo sbagliato, ma per aggiustare le cose il primo passo è ammettere i propri errori, no?
Mi asciugai le guance e mi dissi che la mattina dopo mi sarei alzata e mi sarei presentata da Peter prima di colazione. Gli avrei raccontato tutto e gli avrei chiesto scusa... lui mi avrebbe abbracciato e accarezzato i capelli, e mi avrebbe detto che non importava.
Cullata da quel pensiero, mi lasciai prendere dal sonno.

--***--
NdA: Bene bene... come vedete la nostra Elie ci è proprio cascata... e le cose non finiscono qui! Pensate che Lexander si accontenti di un bacio rubato? Naaaaaa....... E poi, da un tipo  come lui, forse vi sembra plausibile un "eh, con me non ci è stata, pazienza, sarò più fortunato?" no no no... ha in serbo qualcosa.. qualcosa di grosso.. qualcosa che NON potrà NON conquistare la nostra Elizabeth...
Vi ho messo curiosità, eh???? lo sssssso, lo sssssso!!!! Spero di potervi accontentare presto, ma come ho detto prima l'università mi attanaglia!!! (che parola!!!!! ^_^)
     ... @ benny e Jiu:
beh, l'intento era proprio quello di far apparire Peter il "principe azzurro" delle favole. Ovviamente poi nella realtà un tipo così sarebbe un po' stucchevole, così ho pensato che a una diciassettenne di Londra avrebbe fatto piacere trovarsi uno tutto "spada e eroismo" assieme al principe che le regala una stanza sotto il cielo stellato e che la consola quando piange...
Se vi può consolare, pure io voglio un Peter cosììììììììì........... :'''''''(
Ok.. alla prossima!!! Baci baci!
*Flora*

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Capitolo 21
*** brusco risveglio ***


brusco risveglio
Un brusco risveglio

La prima cosa che notai, quando aprii gli occhi, fu un immenso mazzo di rose ai piedi del mio letto.
Non potevano essere di Peter, di questo ero certa, perché avevano il colore scuro e intenso del rubino. Mi allungai a prenderle, e il mazzo era così grosso che mi costrinse a reggerlo con entrambe le mani. Tra lo scarlatto dei fiori occhieggiava un triangolo bianco.
Sfilai il foglio piegato in quattro dal mazzo di fiori e mi appoggiai sui cuscini per leggere.

    Cara Elizabeth,
sono così dispiaciuto per quello che è accaduto! Sei appena scappata in camera tua e io sono qui, seduto nella mia stanza, che non capisco come sia potuto succedere...
Spero che non prenderai sul serio ciò che ho fatto questa notte, preso dall'euforia dei miei stessi racconti e dagli effetti di quell'orribile liquore alla liquirizia.
Ti sarò sembrato un uomo avido di piacere, in realtà ti amo dal profondo del mio cuore.
Se amavo quella ragazzina insicura che è arrivata qui un giorno, all'improvviso, ho scoperto di provare un sentimento ancora più forte per la giovane donna dallo sguardo dolce e sincero che è tornata assieme al principe Peter e al Calice della Creazione.
Questi sentimenti così forti hanno fatto paura perfino a me, io che non ho paura di niente e di nessuno. Per te mi sono ritrovato a sospirare, per te ho sognato regali bellissimi, serenate alla luce della luna. E per te, stanotte, ho versato per la prima volta delle lacrime.
Ti prego, non dirmi che tra di noi è tutto finito, così ancora prima di cominciare.
Ho trovato in te quello che ho sempre desiderato, e voglio poter sperare di costruire con te una nuova vita... una vita in pace, lontano dalla guerra e dalle armi che mi hanno tanto affascinato finora.
Non sono mai stato bravo a scrivere, e a pensarci bene non avevo mai scritto una lettera d'amore finora. Forse perchè non ho mai amato nessuno... non nel modo in cui amo te.
Sono andato a cogliere per te le trenta rose più belle del nostro giardino, rosse, intense, forti, come il sentimento che mi susciti dentro. Ti prego di accettarle.
Non appena leggi questa lettera, ti prego, vieni da me. So che sarà mattina, forse sarà ancora notte, non lo so... spero che Emeraude te la consegni assieme ai fiori.
Ti prego, vieni.
Spero che verrai e che mi dirai che mi hai perdonato, ma non voglio obbligarti.
Vieni e dimmi che possiamo, per lo meno, essere amici.
Con tutto l'amore di cui dispongo,
            sempre tuo
            Lexander

Chiusi la lettera e mi alzai in fretta.
Dovevo andare da Lexander, questo era poco ma sicuro, ma prima sarei andata da Peter e gli avrei detto tutto, anche che avrei confessato a Lexander il nostro amore.
Se pensava di conquistarmi con una lettera – per quanto bella – si sbagliava di grosso.
Senza nemmeno vestirmi uscii dalla stanza, con la camicia da notte scomposta e scalza. Raggiunsi correndo la camera di Peter e bussai piano.
Non rispose nessuno, ma forse stava ancora dormendo. Socchiusi la porta e sbircia all'interno.
Le tende tirate rivelavano un'alba nuvolosa fuori dal castello, e lanciavano raggi di luce fredda sul letto sfatto di Peter.
Lui non c'era, e con lui erano spariti i suoi stivali e la sua spada.
Presa da un'improvvisa inquietudine, mi precipitai nella sala del trono.
Più mi avvicinavo più i miei timori si dimostravano fondati: rumore di lame che cozzavano, grida di dolore e di rabbia, parole che non comprendevano si facevano strada verso di me.
Arrivai alla sala del trono e spalancai la grande porta di legno.
Rimasi agghiacciata, immobile, quando vidi quello che mi stava davanti.
Una decina di uomini vestiti di viola, porpora e nero, con lunghi mantelli con il cappuccio e armature color della notte combattevano contro gli abitanti di Cair Paravel.
Vidi Alderian combattere con una grossa ferita alla testa, e Lexander poco lontano, con i capelli rossi spettinati.
Notai il re, riverso sul trono con una lancia conficcata nel petto, e il cuore mi si fermò.
Avanzai di qualche passo nella sala, senza rendermi conto che ero seminuda, scalza e disarmata, in mezzo a una folla di uomini che combattevano. Sarebbe bastato un istante a uccidermi.
Mi facevo strada tra i corpi sanguinati e privi di vita di servi, cavalieri, animali e uomini che avevo conosciuto nella mia vita a Narnia fino a quel momento.
In quel momento l'uomo dal mantello color porpora davanti a me si scostò e lo vidi.
Credevo di essere preparata alla scena... dopotutto l'avevo già vissuta.
Ma avevo gridato il nome del mio principe prima ancora di realizzare che era lui, quel ragazzo steso bocconi in un lago di sangue.
Lexander mi vide solo in quel momento e gridò:
- Elizabeth! Scappa immediatamente! -
Ma io non lo sentivo. O forse non lo volevo sentire. Continuai a camminare verso di lui.
All'improvviso mi sentii afferrare per un braccio e trascinare lontano da quel massacro.
Quando mi fermai e mi guardai intorno, notai di essere in una bella stanza iena di quadri e sculture, con tende e coperte blu scuro.
Lexander era appoggiato al muro accanto a me e stava riprendendo fiato, tenendosi con una mano un braccio sanguinante.
- Le.. Lexander. - Mormorai.
- Cosa diavolo credevi di fare? - Gridò lui.
- Io... io... sono uscita dalla mia stanza per... - Dissi, confusa.
- Potevi farti ammazzare! Ma dico, cosa ti dice la testa? - Gridò lui, brusco.
Le lacrime si presentarono arroganti ai miei occhi e non ci fu verso di trattenerle.
- Peter... Peter, Aldian... - Biascicai tra i singhiozzi.
Lexander tese il braccio sano e mi strinse contro di sé, accarezzandomi i capelli.
- Lo so, lo so. Ci hanno sorpresi nel sonno. Non piangere adesso... qui siamo al sicuro. -
Continuai a singhiozzare abbracciata a lui.
Come poteva essere morto? Allora era davvero destino che io rimanessi sola!
E pensare... e pensare che l'ultima volta che ci eravamo visti lui era andato in camera da solo... e probabilmente l'ultima immagine che aveva di me era quella in cui ridevo divertita con Lexander ignorandolo per tutta la sera.
Scoppiai di nuovo in singhiozzi, e Lexander continuò ad abbracciarmi.
Qualche tempo dopo alla porta della stanza piovve una cascata di colpi. Lexander divenne all'improvviso teso e disse:
- Chi è? -
- Siete prigioniero, principe Lexander. Nessuno è sopravvissuto. Non uscirete da qui finchè il Consiglio dei Sette non avrà deciso cosa fare di voi. -
Un fruscio seguì quelle parole, a significare che l'uomo se n'era andato.
Lexander mi guidò al suo letto e ci sedemmo uno accanto all'altra.
- E così siamo prigionieri. Forse non sa che ci sei anche tu con me. -
- Chi... chi sono? -
- Li hai già incontrati, e su di loro hai avuto la meglio, Elizabeth. Loro sono gli stregoni di Calormen. -
Il fiato mi si mozzò in gola.
- Gli... gli stregoni? -
- Sì. Il Consiglio dei Sette è l'organo più potente della loro organizzazione sociale. È composto da cinque uomini e da due donne, e sono capaci di ucciderti solo pensandolo. -
- Allora siamo spacciati. - Dissi io cupamente.
- Non ancora. Loro sono qui per avere il Calice della Creazione, non vogliono Cair Paravel. Loro hanno già un regno, in cui possono governare molto meglio. -
- Lexander, io ho paura. - Dissi sottovoce.
Lui mi prese una mano. E intrecciò le sue dita alle mie. Poi mi sorrise.
- Non avere paura, ci sono io con te. -
Io alzai gli occhi, e lui mi sorprese. Senza che io me ne rendessi conto, mi stava baciando di nuovo.
Ma, forse per la sorpresa, forse per lo shock, forse per il terrore che mi portavo dentro, non mi allontanai subito come avevo fatto la prima volta.
Sentire le sue labbra sulle mie era come tornare ai caldi abbracci di Peter.
Mi allontani con dolcezza qualche istante dopo.
- Stavi venendo da me, vero Elizabeth? Avevi letto la mia lettera. - Disse Lexander.
- Io... Io sì, ho letto la lettera. - Dissi.
- Allora sarai la mia sposa? - Disse lui, pieno di speranza.
- Io non posso. - Risposi.
Nella stanza scese il silenzio.
- Come non puoi? - Disse lui con voce rotta un momento dopo.  - Non hai letto quanto ti amo? -
- L'ho capito che mi ami. Ma io non amo te. -
- Ma aspetterò! Non ho fretta. -
- Non ti amo perchè io amo Peter. -
Ecco. L'avevo detto. Se non altro ora che era morto avrebbe potuto riposare in pace.
Riposa in pace, amore mio.
Lexander si alzò di scatto.
- Ma ora è morto! Ora non sei più legata a lui! -
- Questo lo dici tu. Io amo solo Peter. Lui è nel mio cuore, io non posso tradirlo. - Dissi.
Mi stupii di quanto quelle parole fossero vere, e anche della calma con cui le avevo pronunciate.
Lexander gettò a terra la spada e la cintura, passandosi poi le mani tra i capelli. Era furioso.
- Perchè, perchè? Non capisco! Io devo essere sempre il secondo, è cosi, vero? Anche per te, Elizabeth, vengo per secondo! Dopo Peter, che non è nessuno qui... non sarà nemmeno re! -
- Lexander, io... -
- Stai zitta! - Urlò - Hai parlato abbastanza! Per tutta la mia vita mi sono accontentato. Il cavallo più bello? Ad Alderian, è lui l'erede al trono. L'armatura più elegante? Ad Alderian, tu sei il secondogenito. Arrivano delle ballerine? Alderian sceglierà per primo quale potrà ballare per lui, perchè lui è il primogenito, l'erede al trono! Lui è quello che dovrà portare avanti il nome della famiglia, quello che reggerà Narnia... e io? Io sono quello che si prende gli scarti, quello che si accontenta. Ma adesso sono stufo di accontentarmi! Io voglio te, Elizabeth... e non mi accontenterò della tua dichiarazione d'amore per quel moccioso di Peter! Io voglio te e, per una dannata volta, avrò quello che voglio! -
Uscì sbattendo la porta, lasciandomi terrorizzata e tremante sul suo letto.
Un momento dopo una vecchia serva entrò nella stanza.
- Il principe Lexander mi ha ordinato di darvi questo. Ha detto che dovete indossarlo e prepararvi a dovere. Questa sera gli terrete compagnia. -
Mi mise in mano un fagotto e poi aggiunse, con serietà:
- Ha detto anche di non tentare di fuggire, perchè le guardie degli stregoni ti troverebbero e ti porterebbero subito qui. E non con la grazia con cui l'ha fatto lui. -
Poi uscì.
Svolsi il fagotto che avevo in mano e un abito di seta color porpora elegantissimo mi cadde in grembo insieme a una manciata di perle e pettinini d'oro e a degli splendidi gioielli.
Li lasciai sul letto, e mi rannicchiai tra le coperte abbracciando le ginocchia.
Non avevo intenzione di obbedire a quell'arrogante. Io non sarei mai stata sua. Mai.
Mentre le lacrime tornavano ad affacciarsi ai miei occhi, mi costrinsi a dormire.

--***--
NdA: Stavo per andare avanti, ma ho deciso di lasciare le cose più "scottanti" (in ogni senso!!!!!!!!!) al prossimo capitolo, così vi farò mangiare le mani... e mi odierete ancora di più!! ^_^
Ovviamente ringrazio chi ha letto fino a qui gli 8 che hanno questa storia tra i preferiti e i 3 che l'hanno tra le seguite!!!
Per me è molto importante sapere che qualcuno legge questo racconto, grazie di cuore davvero a tutti!
E ovviamente grazie alle mie due recensitrici ufficiali, la "principessa" e la "regina"....
@ Benny: eh sì, Elie ci è proprio cascata.. ma come vedi Lexander ci ha provato davvero a conquistarla.. adesso però ci sono poblemi più grossi.. come farà Elizabeth senza Peter, insieme a Lexander che ha giurato di "avere quello che vuole" e in una Cair Paravel conquistata dagli stregoni??? Chissà, magari scoprirà di avere una forza che non credeva di possedere... ma è meglio che mi cucio la bocca, prima di farmi sfuggire delle anticipazioni! Comunque grazie per le recensioni che mi lasci ogni volta!
@ Jiu:  hai ragione, Elizabeth si è accorta che per Lexander non prova niente adesso che ha "toccato con mano" la cosa! Però come farà a calmare i suoi sensi di colpa? Peter è morto pensando che lei si fosse dimenticata di lui... Ma ve l'ho detto, Elie è forte. Ce la farà. Continuate a seguire la storia per scoprire come!
Alla prossima (spero presto, farò del mio meglio!)..
Baci-Baci
*Flora*

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Capitolo 22
*** Una schiava vestita da principessa ***


schiava
Una schiava vestita da principessa

Fui svegliata bruscamente da una mano secca e fredda sulla mia spalla.
- Svegliati e vestiti, il principe sarà qui tra poco. -
- Io non mi vesto. -
- Allora lo farà Maya per te. - Disse una voce cupa alle mie spalle.
Mi voltai e vidi Lexander, vestito di nero e con un lungo mantello color porpora sulle spalle.
- Tu... tu... sei uno di loro? - Dissi, alzandomi in piedi davanti a lui.
- Da oggi. - Disse facendo un passo avanti. - Pensavi davvero che sarebbero riusciti ad entrare a Cair Paravel senza un aiuto? Pensi davvero che io sarei sopravvissuto a mio padre e a Peter? Io sono un grande combattente, ma gli stregoni potevano uccidermi con un solo gesto. Adesso chiamami Maestà. Hai davanti il nuovo re di Narnia. -
- Come hai potuto? Come hai potuto uccidere Peter, Aldian e tutta quella gente solo per avere un trono? - Gridai.
- Calma la tua rabbia, cara. Non serve a niente urlare. Ora sono il re, e non sarò secondo a nessuno. Mi aveva stufato tutto quell'obbedire ad altri. -
Con noncuranza si passò una mano tra i capelli e mi guardò con uno sguardo obliquo.
Mi si avvicinò di un passo e tirò il nastro che chiudeva la mia camicia da notte, che scivolò di lato scoprendomi una spalla. La trattenni con una mano e feci un passo indietro, cadendo seduta sul letto. Lui si avvicinò a me e si chinò. Il suo viso era terribilmente vicino al mio.
- Ti conviene vestirti, mia cara. Altrimenti potresti farmi venire strane voglie, con questo vestitino così leggero. - Mi bisbigliò all'orecchio.
Un brivido mi corse lungo la schiena e lui si alzò, ridendo.
- Ti aspetto tra un ora nella sala del trono. Vestiti. È un ordine. - Disse con freddezza.
In uno svolazzo del mantello rosso, Lexander uscì dalla stanza.
- Hai bisogno di una mano? - Chiese brusca la serva.
- No, faccio da sola. - Risposi, ma Maya rimase nella stanza ad accertarsi che io obbedissi.
Mi sfilai la camicia da notte e indossai l'abito rosso.
Il bustino stretto senza maniche mi lasciava scoperta in un modo che non ritenevo adatto al decoro comune, ma adesso non ero io a decidere cos'era giusto e cosa no.
Lexander comandava su di me, in tutti i sensi. Raccolsi i capelli in una crocchia con le perle e i pettinini d'oro, poi indossai gli orecchini, la collana, i bracciali e gli anelli d'oro tempestati di rubini.
Maya pretese che mi truccassi, e pochi minuti dopo stavo per scendere a cena.
Stupidamente, fissai per un momento la mia immagine allo specchio.
Una ragazza dalle labbra color corallo, con una crocchia di capelli che scintillava d'oro e di rubini mi stava davanti. Un rubino a forma di goccia pendeva al centro del pesante collier d'oro, con un sinistro bagliore. Sembrava una goccia di sangue.
Lo stesso abito che portavo sembrava color sangue, e quel pensiero mi fece rabbrividire.
Scesi trattenendo le lacrime.
Piangere avrebbe significato essere debole, e io non volevo essere debole. Io sarei stata forte, e non avrei concesso a Lexander di mettermi le mani addosso. Al massimo, sarei morta nel tentativo. Tanto, ormai, non sapevo proprio per quale motivo andare avanti.
La sala del trono era deserta.
Sul trono centrale, d'oro massiccio, stava seduto Lexander. Se non fosse stato per quel mantello color porpora avrei pensato che era lo stesso della sera prima.
Il suo viso era sempre quello, bello e un po' sfrontato. Ma i miei sentimenti per lui erano del tutto cambiati. Ora non era più un coraggioso principe dai modi poco cortesi.
Era un traditore. Un assassino.
- Mia cara, che piacere vederti. Sei bellissima. - Disse scendendo dal trono.
Mi si avvicinò e fece per baciarmi sulla bocca, ma io mi scostai.
- Ancora freddina nei miei confronti, eh? Ma non temere... ti convincerò io ad essere un po' più malleabile. - Disse lui, sfiorando con un dito il mio collo, fino alla goccia color sangue sul mio petto. Mi scostai bruscamente e lui trasalì.
- Perchè mi volevi vedere? - Dissi.
- Vieni, cara, mangiamo. - Disse lui, ignorando la mia frase e dirigendosi verso la sala da pranzo.
- Smettila con queste smancerie! E non chiamarmi cara! - Esclamai.
Lexander si fermò e mi lanciò uno sguardo gelido, trattenendo la voglia di darmi uno schiaffo, ne ero sicura. Strinse le mani sulla cintura e mi sorrise con freddezza.
Mi si avvicinò di nuovo e posò le sue labbra sul mio orecchio.
- Forse dovrei chiamarti Elie? -
Io rimasi immobile, terrorizzata dal suo respiro caldo contro il mio collo.
- No, penso che non sia giusto. Dopotutto questo nome non è adatto a una regina. Solo uno sciocco come quel moccioso di un Pevensie poteva inventarsi un nome tanto insulso. -
Mi prese a forza sottobraccio e sorrise all'espressione di dolore dei miei occhi.
- Penso che ti chiamerò cara finchè non avrò trovato un nome adatto a te. -
Mi trascinò quasi nella sala da pranzo, dove ci sedemmo a tavola. Nel mio piatto stava l'immenso mazzo di rose che avevo trovato sul letto quella mattina.
- Sono perfette per l'abito che indossi. Voglio che tu le tenga vicino a te. - Disse lui.
Mangiammo in silenzio. Il mio stomaco era chiuso, ma mi costrinsi a mettere qualcosa sotto i denti. Lexander, più che cenare, mi mangiava con gli occhi.
Molto prima di quanto mi aspettassi, la cena era finita.
- Dove andiamo adesso? - Chiesi, quando lui si alzò. A dire la verità temevo la risposta.
- Devo presentarti a qualche persona. Poi penso che avremo un po' di tempo per noi. - Disse lui.
Mi alzai e lui mi prese di nuovo sottobraccio.
Andammo nella sala da ballo vicina, dove sette uomini erano seduti su imponenti scranni di legno e parlavano concitati. Quando videro entrare Lexander si alzarono in piedi, tacendo.
- Nobili Sette, vi presento la mia promessa sposa, la futura regina di questo paese. -
Il più anziano dei Sette, vestito di nero, fece un passo verso di me e mi guardò negli occhi.
- Sarà una dura lotta domarla, è una giumenta irrequieta. Nel suo cuore arde ancora l'amore per l'altro. - Disse il vecchio dal mantello nero.
- Lo so perfettamente. Ma l'altro non c'è, e quindi ora lei sarà mia. - Rispose Lexander, come irritato da quella risposta.
Una ragazza fece un passo avanti. La riconobbi, era la fanciulla dai capelli biondi e gli occhi color ghiaccio che avevo visto nel mio sogno, quella che aveva cercato di farmi uccidere con le mie stesse mani. Indossava un lungo abito viola e parlò con una voce così sottile che sembrava di essere in un sogno.
- Io li ho già incontrati – disse – non sono riuscita ad ucciderli. Tu pensi di essere più forte di me? -
- No, assolutamente, mia signora. - Disse Lexander con serietà.
- Allora come farai? - Chiese il vecchio.
- Voi non preoccupatevi di questo. Permettetemi solo di sposarla. -
Sposarla? Non l'avrei mai fatto! Avrebbero dovuto costringermi!
“e lo faranno” disse una voce della mia testa... probabilmente quella della ragione. Rabbrividii al solo pensiero, e tremai ancora di più quando sentii la risposta.
- E sia. - Disse il vecchio.
- Tra tre giorni sarà la luna piena. Quella notte vi unirete in matrimonio. Quella notte potrai concepire da lei un figlio. - Disse di nuovo la ragazza con la sua voce sognante.
- Un figlio? - Esclamai io, sconvolta e incapace di trattenere il mio terrore.
- Un figlio! Nostro figlio! Il futuro re del regno di Narnia e Calormen. Prenderà un nome della nostra tradizione e uno della loro, e governerà sui nostri due regni. Quando avrà diciassette anni entrerà nel consiglio dei Sette e ne sarà a capo. Sarà il bambino con più potere di tutti i tempi! Ah, ovviamente non sarà il primo. Il primo lo concepiremo stanotte e lo uccideremo. Sarà il secondo a regnare! - Disse con aria trionfante Lexander.
Il mio sangue gelò nelle vene. Che umiliazioni aveva subito per avere tutto quell'odio nel cuore? Che cosa avevano fatto Aldian e Alderian, che io conoscevo così giusti e gentili, per mettere tanta rabbia in un ragazzo di appena vent'anni?
Solo dopo questa riflessione ripensai alla sua frase: “il primo lo concepiremo stanotte e lo uccideremo”.
Lui pensava di concepire con me un figlio? Si sbagliava di grosso! Io non l'avrei aiutato nel suo folle piano. Non sarei stata l'arma con cui avrebbe dominato Cair Paravel a suo piacimento.
Ma la stretta del suo braccio sul mio, che mi impediva di scappare, mi ricordava che sotto tutti quei gioielli c'era una ragazzina inerme.
Ero una schiava vestita da principessa.
Un momento dopo eravamo usciti da quella stanza e ci stavamo dirigendo alla camera di Lexander. La strada era troppo breve e mi sembrava di aver mosso solo pochi passi quando entrammo nella sua camera da letto.
Mi lasciò andare e chiuse la porta a chiave alle mie spalle, infilandola poi nella guaina della sua spada. Un momento dopo aveva sganciato la pesante cintura ed essa giaceva in un angolo, assieme alla spada e alla chiave.
La stanza era in penombra, il tramonto era finito e il cielo nero era staccato dal mare, altrettanto nero, da una sottile linea scarlatta. Quel colore mi tormentava.
Decine di candele erano state accese negli angoli più nascosti della stanza, e l'atmosfera, invece che romantica, mi sembrava decisamente cupa.
Petali di rose rosse erano stati sparsi sul pavimento, e io mi guardavo intorno terrorizzata.
Non volevo.
Erano le uniche due parole che mi si rincorrevano in testa.
Non voglio. Non voglio. Non voglio.
All'improvviso sentii le mani di Lexander appoggiarsi sul mio collo e scivolare sulle mie spalle, poi giù fino alle mani. Le sue mani calde si intrecciarono alle mie, gelate.
La sua bocca si appoggiò al mio collo.
- Che cosa ti ha insegnato di bello il nostro principino? Era bravo a letto? - Bisbigliò.
- Non parlare così. Lui mi ama. - Riuscii a dire con la voce rotta.
- Ti amava, vorrei sottolineare. - Disse lui, mentre la sua bocca sfiorava i capelli della mia nuca.
- Lui mi ama ancora. Anche se è morto. - Dissi io, rigida.
Le sue mani lasciarono le mie e mi voltarono verso di lui.
- Lui è morto, basta! Non pensarlo nemmeno! Non sente, non vede, non sa! Perché lasci che il tuo cuore appartenga a un cadavere? - Gridò lui, con gli occhi fissi sui miei.
- Perché io lo amo anche adesso! - Risposi io, altrettanto gridando e guardandolo negli occhi.
Le sue mani sui miei fianchi si strinsero con rabbia e lui mi spinse sul letto, salendo a cavalcioni sopra di me e dicendo:
- Se non posso levarti il suo pensiero dalla testa almeno potrò levarti il suo ricordo dalla pelle! -
Sentii la sua bocca cercare la mia, e le sue mani scivolare sotto l'abito, dentro la scollatura, lungo le mie gambe. Io mi agitavo, cercavo di divincolarmi, ma lui era troppo forte, troppo grande.
Stavo per perdere la speranza. Dopotutto non sarei riuscita a liberarmi, già lo sentivo che mi piegava al suo volere come se fossi una bambola di cera.
Il mio abito di seta era quasi del tutto strappato e potevo vedere il mio corpo seminudo ondeggiare alle luce rossastra delle candele sotto quello muscoloso e abbronzato del ragazzo che mi stava sopra, che cercava disperatamente di disfarsi degli ultimi brandelli di vestito per poter “concepire il primo e poi ucciderlo”.
In un ultimo palpito di ribellione appoggiai entrambe le mani sul petto di lui e con tutte le mie forze riuscii a spingerlo via. Lexander perse l'equilibrio e rotolò per terra, sbattendo la testa.
Per un istante ripresi fiato, vedendolo immobile sul pavimento.
In un attimo di follia sperai che fosse morto. Ma il suo torace nudo si alzava e si abbassava ancora.
Mi alzai e mi precipitai all'angolo dove Lexander aveva abbandonato le sue cose.
Armeggiai un po', poi riuscii a trovare la chiave. Con la spada mozzai l'abito sopra le ginocchia, per poter correre più agevolmente. Infilai la chiave nella serratura e la girai.
- Pensi di riuscire a scappare? - Disse una voce dietro di me.
Terrorizzata, invece di voltarmi, continuai a girare la chiave. La serratura scattò e io aprii la porta.
- Fermati, ingrata sgualdrina! - Gridò Lexander dietro di me, mentre io mi gettavo nel corridoio buio, correndo più veloce che potevo.
Non ero da sola. Mentre correvo ci pensavo.
Peter viveva ancora, dentro di me, e io dovevo vendicarlo. Avrei cercato qualcuno che mi potesse aiutare, e avrei ucciso Lexander così come lui aveva ucciso il mio amore.
Non avevo paura, e non ero triste. Ero decisa.
Peter mi aveva insegnato ad essere forte, e quello era il momento di dimostrare al mondo che io avevo imparato.

--***--
NdA: Ecco qui! Questo è di sicuro il capitolo più crudo della storia! Povera Elie.. ma io sono dalla sua parte! Dentro di lei c'è tanta forza, e Dio solo sa quanto sia importante essere forti nella vita. Peter non è morto invano, perchè Elie adesso sa che può cavarsela da sola!
Non preoccupatevi, Lexander avrà quello che si merita... alla fine... almeno credo! ^_^''''
@ princessJiu: lo so, vi ha sconvolto la morte di Peter. Ma era necessaria ai fini della storia. Se hai letto il libro di Narnia, scoprirai che è proprio il contrario. è quando si muore qui che si va a Narnia e ci si può restare... andarci da vivi vuol dire assaggiare un momento di Paradiso nella vita normale. Ma non si può rimanere per sempre in Paradiso, se non è ancora giunto il tuo momento. Nel mondo c'è ancora bisogno di te... quando avrai compiuto il tuo compito, andrai a Narnia e potrai rimanerci! Ti consiglio di leggere i 7 libri se non l'hai fatto, perchè sono uno più bello dell'altro!!!
@ babylaura: grazie per la tua recensione, mi ha fatto particolarmente piacere! Ho visto che segui la storia da tempo e sentire una tua opinione mi ha fatto strafelice! ^_^ Sì, lo so, vi lascio sempre un po' di suspance.. però ormai la storia è agli sgoccioli, quindi tra poco i vari nodi verranno al pettine! Continua a seguire la storia e - se vuoi - a lasciarmi un commentino, mi farai contenta! Un bacino!
@ queenBenedetta: anche tu a versare lacrime per Peter!!! Lo so, anche a me è scesa una lacrimuccia nello scrivere la scena. Alla fine non è morto davvero, lui vive in Elie e in lei vivrà per sempre... ma per consumare tutti i fazzoletti aspetta un paio di capitoli, quando Elie dovrà lasciare Narnia e quanto ha scoperto di bello in essa...
Continuate a seguire la storia... ringrazio per l'ennesima volta i lettore, i seguitori, i preferitori e tutti gli altri!!!
Baci baci!!!
*Flora*

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Capitolo 23
*** Io credo in me! ***


iocredo
Io credo in me!

Dove potevo andare? Dove potevo trovare qualcuno che fosse dalla mia parte? Nella mia camera c'era la chiave d'argento della stanza che dividevo con Peter, forse lì sarei stata al sicuro.
Intanto dietro di me sentivo dei passi sempre più vicini. Erano molti, di sicuro Lexander mi aveva messo alle calcagna le guardie degli stregoni.
Potevano uccidermi col solo pensiero, se volevo fare qualcosa dovevo sbrigarmi.
Svoltai a sinistra per dirigermi nella mia camera, ma alla fine del corridoio vidi due guardie, così tornai indietro e presi una scala che scendeva.
Cominciavo a non avere più fiato, non ero mai stata una grande sportiva. Continuai a scendere lungo la scala a chiocciola fino a un corridoio umido e sporco.
I topi squittivano, disturbati dalla mia corsa e dal mio respiro affannoso, quando finalmente mi accorsi che li avevo seminati: dietro di me non si sentiva più rumore di passi, e speravo non fosse solo effetto dell'acustica.
Continuai a camminare piano sui mattoni umidi e maleodoranti seguendo il corridoio buio. Le piccole grate in cima alle pareti facevano vedere dei pezzetti di cielo delimitati da ciuffi d'erba. Ero sottoterra, probabilmente a livello delle segrete.
Ma certo, le segrete!
Se c'era qualcuno del castello che non era d'accordo con Lexander e che – soprattutto – era ancora vivo, di sicuro era lì. Armata di nuova speranza, iniziai a correre alla ricerca di una scala che mi portasse ancora più in basso, dove di certo c'erano dei prigionieri.
Arrivai davanti a una porta aperta, dietro alla quale brillava la luce di alcune torce. Mi schiacciai contro uno stipite, nell'angolo più umido e buio del corridoio. Si sentivano dei bisbigli, e delle catene smosse. Sì, ero arrivata alle segrete.
Due guardie attraversarono la porta di corsa e non mi videro. Tirai un sospiro di sollievo quando sentii una voce conosciuta.
- Ma dove sono andate tutte le guardie? - Disse.
Io entrai nella prigione con i piedi gelati e doloranti, e la prima persona che vidi fu quella che aveva parlato. La raggiunsi con il cuore colmo di gioia nel vederla ancora viva:
- Emeraude! -
- Lady Elizabeth! Le guardie ci avevano detto che eri nella stanza del principe e che lui si stava divertendo con te... -
- Ma noi non ci abbiamo creduto. - Disse un'altra voce nota, dietro di me.
Mi voltai e vidi Alderian, appoggiato stancamente alla grata della sua prigione, con la casacca intrisa di sangue e un viso terribilmente pallido.
- Principe Alderian! - Gridai, precipitandomi nella sua direzione. - Siete ferito gravemente! -
- Mio fratello sperava che morissi come nostro padre. Ma io ho il dovere di salvare Narnia. Io sarò il suo re, la devo proteggere. Non posso morire. - Disse portandosi una mano al petto.
- Alderian, vi prego, non affaticatevi... non appena troverò il modo di tirarvi fuori io... io... -
- Che cosa vuoi fare, sciocca ragazzina? - Chiese una voce dietro di me.
Un tasso mi stava fissando con aria furiosa, con un orecchio mozzato di netto e una grossa ferita sul fianco.
- Se tu non fossi mai arrivata Lexander non si sarebbe invaghito di te e non avrebbe architettato tutto questo per averti! E adesso cosa pensi di fare? Ma guardati... sembri più una sgualdrina che una guerriera. Di sicuro non farai niente di buono. - Disse con amarezza.
- Taci, Favolius! Non parlare in questo modo a Lady Elizabeth! - Disse Alderian.
- No, lui ha ragione... sono un vero pasticcio. Ho combinato solo guai. - Dissi io, trattenendo le lacrime. Ogni parola del tasso era vera. Era dannatamente vera.
Caddi in ginocchio singhiozzando, e Alderian si abbassò per parlarmi.
- Elizabeth, io vi conosco: siete forte, potete ancora salvare Narnia. - si fermò per un attimo, poi riprese - Credi in te, principessa. -
Io alzai gli occhi e lo vidi sorridere. In quel sorriso e in quelle parole rividi Peter, e scoppiai a piangere di nuovo. Mi stupii di avere ancora lacrime da versare.
- Peter avrebbe detto la stessa cosa. - Dissi singhiozzando.
- Io ti avrei detto “credi in te, amore mio”. - Disse una voce alle spalle di Alderian, e il principe si spostò di lato.
Alzai gli occhi e come in un sogno riconobbi il suo sorriso e i suoi occhi azzurri.
Riconobbi la sfumatura dorata dei suoi capelli.
Aveva i polsi legati a un anello sulla parete di fondo della cella, sembrava stanco ma stava bene. Non era ferito. Non era morto.
Gli occhi mi si asciugarono di colpo.
Per la seconda volta avevo temuto il peggio e per la seconda volta Peter mi era stato restituito. Non avrei mai più temuto che se ne sarebbe andato senza dirmi nulla. Mai più.
Mi alzai in piedi e lui mi sorrise. Poi, vedendo il mio vestito, il suo bel viso si rabbuiò.
- Cosa ti ha fatto quel bastardo? -
- Niente. - Risposi io, così sollevata per averlo ritrovato che mi ero dimenticata tutto il resto.
In quel momento decine e decine di passi risuonarono sulle scale.
Terrorizzata, mi strinsi all'inferriata della cella.
La voce di Lexander tuonava sopra tutte le altre.
- La troverò, quella dannata sgualdrina... le farò pagare cento volte la sua ingratitudine! -
Quando entrò nella segreta e mi vide, si fermò di botto.
I suoi occhi corsero su di me, e su Peter, che sembrava volerlo fulminare attraverso le sbarre della cella. Lo vidi stupito, poi arrabbiato, ed infine compiaciuto.
Il suo viso si distese in una specie di sorriso. Temevo quella smorfia.
- Bene bene bene... così hai scoperto che il nostro principino non era morto, eh? Eppure la scena era stata perfetta... tutto quel sangue sul pavimento, lui bocconi... se solo ti avessi lasciato avvicinare un po' tu avresti notato che era solo svenuto su del sangue non suo... povera piccola ingenua, che si fida del primo arrivato che le dimostra un minimo di attenzioni... non farai molta strada in questo mondo, sai? Certo, che se tu ci ripensassi e tornassi di sopra con me... -
Fece un passo verso di me, ma io non indietreggiai.
Non avevo paura di lui. Non adesso. Non assieme a Peter.
- Beh, se proprio non riuscite a stare lontani... morirete insieme! Cordelius, mettila nella cella. -
Una delle guardie prese un mazzo di chiavi e mi si avvicinò. Mi afferrò per un braccio e mi scagliò nella cella non appena l'ebbe aperta.
Caddi in ginocchio sulle pietre della cella, sbucciandomi le ginocchia e i palmi delle mani.
Dietro Lexander c'era uno degli stregoni, un ragazzino tredicenne dall'aria cupa.
- Aiolf, pensaci tu. - Disse Lexander.
Il ragazzino si avvicinò a me. Le sue piccole mani sbucarono dalle lunghe maniche della veste grigia e si misero davanti a me, aperte.
Il ragazzino chiuse gli occhi e all'improvviso mi sentii terribilmente stanca.
La porta della cella si chiuse con un rumore violento, che rimbombò nella mia testa dolorante.
- Quando vorrai essere mia moglie ti basterà chiedere. Io ti aspetto nel nostro letto, mia cara. - Disse Lexander con aria sorniona.
- Non sperarci. - Dissi io con voce stanca.
- Scommettiamo che quando sarai divorata dalla febbre e il tuo Peter piangerà di nascosto perchè ti guarderà morire giorno dopo giorno cambierai idea? -
Con queste parole, Lexander, Aiolf e i trenta guerrieri dietro di loro sparirono su per le scale.
Nelle segrete rimase solo una grassa guardia con una lunga alabarda, che sonnecchiava vicino alla porta. Alderian mi si avvicinò e mi tese il braccio sano per aiutarmi ad alzarmi. Fatti pochi passi ero  già distrutta, così mi trascinai vicino a Peter e mi appoggiai a lui.
- Stai bene? - Mormorai.
- Un po' ammaccato ma niente di grave. Tu, piuttosto? Dio, quant'ero preoccupato! -
- Sto benissimo. Mai stata meglio di così. -
Passai un braccio attorno al suo torace e appoggiai il capo sulla sua spalla, con le palpebre pesantissime. Alderian si sedette poco lontano con aria cupa.
Iniziò a parlare, ma la stanchezza mi prese, e caddi nel sonno qualche istante dopo.
Quando riaprii gli occhi non sapevo quanto tempo fosse passato. Forse ore, forse giorni, non lo so.
Ero sdraiata su un mucchietto di paglia vecchia; Peter era seduto vicino a me e parlava piano con Alderian. Quando il principe vide che mi ero svegliata, fece un cenno del capo a Peter, che si voltò verso di me.
- Elie, ti sei svegliata... come stai? -
- Bene. - Dissi io con la voce roca, tentando di mettermi seduta. Un capogiro mi impedì di alzarmi e rimasi sdraiata.
- Hai la febbre molto alta. - Disse Alderian con aria preoccupata.
- Cosa ti ha fatto quel disgraziato? - Domandò Peter con aria inquisitoria.
- Niente. Ci ha provato. -
- Ci ha provato... a fare che? Ti ha messo le mani addosso, vero? Ti ha picchiata! -
- No, non questo. Ha cercato di fare di me sua moglie. Mi avrebbe sposato entro tre giorni... ma prima avrebbe concepito un figlio. -
- Quindi... quindi... - Peter era inorridito solo all'idea.
- Sono riuscita a scappare prima. Mi ha strappato il vestito, ha messo le sue mani su di me, ma non gli avrei mai permesso di andare oltre. Solo tu puoi. - Dissi io, cercando di combattere contro le forze che già mi abbandonavano. Avevo così tanto sonno...
Peter sorrise, ma la luce nei suoi occhi era ancora tremendamente preoccupata.
Caddi di nuovo in uno stato di pesante oblio, e quando mi svegliai mi sentivo terribilmente stanca. Non riuscii a mangiare né a bere niente. Qualche minuto dopo mi lasciai di nuovo andare al sonno.
La terza volta che aprii gli occhi il mondo mi apparve dietro una fitta cortina opaca. Da molto lontano sentivo Peter bisbigliare. Lo misi a fuoco lentamente.
Il suo bel viso era solcato da quella che era inconfondibilmente una lacrima.
Probabilmente stavo morendo davvero, e quella che guardava Peter era la parte di anima che già abbandonava il resto del mio corpo. Non pensavo che morire sarebbe stato così poco doloroso.
Però non lo trovavo giusto: ci eravamo ritrovati solo per perderci di nuovo, e così in fretta?
Lexander preferiva davvero vedermi morta piuttosto che assieme a Peter, allora!
La mia coscienza si svegliò dal torpore, presa dalla rabbia e dalla ribellione: non potevo darla vinta a quel vigliacco traditore! Avrebbe visto di che pasta ero fatta!
Un paio di minuti dopo con uno sforzo sovrumano mormorai:
- Peter... -
Lui voltò subito verso di me.
- Elie... Elie, non affaticarti... resisti, ti porteremo via di qui... - Disse con la voce rotta.
- Stammi a sentire... non ho molto tempo. Ho un piano. -

--***--
NdA: e rieccoci alle nostre tanto amate Note Dell'Autrice! Allora, che ve ne pare di questo capitolo? Scommetto che siete rimaste tutte esterrefatte dall'apparente "resurrezione" di Peter, ma come potete vedere il nostro biondo principe non era mai morto! Sono stata brava a farvelo credere, eh???
*si china a destra e a sinistra schivando tutto quello che i lettori avevano sotto mano con cui stanno cercando di linciarla*
A parte questo, vorrei mettervi a parte di un paio di cosette... venerdì ero in stazione ad aspettare il bus per tornare a casa e di fianco a me c'erano due ragazzi bellissimi, uno biondo e uno bruno, con un'elegante divisa nera, che parlavano in un fluente americano. Io non so chi fossero, ma mi sono tanto sentita alla stazione assieme a un Peter e un Edmund che sono tornata a casa e ho scritto un capitolo di una nuova storia su Narnia! [che forse pubblicherò in un prossimo futuro]
E poi volevo dirvi che oggi stavo scrivendo questo capitolo e, sinceramente, non avevo ancora deciso come far riapparire Peter. Come al solito le mie mani volavano sulla tastiera e il pezzo del "io credo in te, amore mio", è uscito da solo. Giuro, è così. L'ho scritto e poi l'ho riletto, e mi è venuta la pelle d'oca e le lacrime agli occhi. Io non so se a voi ha fatto quest'effetto, ma su di me è stato così forte che ho deciso che l'avrei lasciato...
Ok, ho finito di monopolizzare l'attenzione, ora è il turno delle risposte: (quattro e dico quattro!)
@ Clacly: ma ciao nuova recensitrice! infinito piacere per me, quello di conoscerti! ^^ Grazie mille per i complimenti, cerco di scrivere in uno stile che non faccia sforzare i lettori, in modo che a loro sembri di vedere un film più che di leggere un racconto! A tutti è rimasta impressa la morte di Peter, ma come vedi in fondo, non ce n'era motivo! Spero che questo capitolo non ti abbia delusa! Ripassa a lasciarmi un commentino se ti va, ne sarei molto felice! Baci!
@ QueenBenedetta: Hehehehe... ammetto che mi sono abbastanza divertita a scrivere di questo Lexander atroce e malefico!!! I cattivi sono sempre più intriganti dei buoni da costruire! Spero che tu sia soddisfatta da questo nuovo capitolo, in cui ritorna il nostro amato Peter e in cui Elie tira fuori le cosiddette "balls" per far vedere al mondo che lei non è una mocciosetta adatta solo a ballare e a sfornare eredi al trono! E brava Elie! Aspetto la tua prossima recensione, amica! Smack!
@ PrincessJiu: no, no! Non credevo che tu non li avessi letti, infatti! ^^ Come vedi non mi sono posta il problema di "se si muore a Narnia dove si finisce", semplicemente perchè Peter non era morto davvero! Ci siamo cascate tutte, eh? heheh ^_^! Posso dirti che mi piace molto come recensisci, e anche il fatto che sei una che va a fondo delle cose e che ci riflette sopra... mi piacerebbe farmi una discussione con te! =D Un bacio e alla prossima!
@ BabyLaura: anche a me dispiace un sacco dover portare a termine questa storia, ma prima o poi anche le cose più belle finiscono... non disperarti però, perchè ci saranno almeno altri tre o quattro capitoli in cui ci potremo godere il bellissimo panorama di Narnia, qualche scenetta divertente e un po' di sano romanticismo zuccheroso da diabete! Spero anche io di continuare così', e mi farebbe piacere sentire il tuo parere anche su altre mie storie, nel caso tu sentissi troppo la mia mancanza! XD XD XD Mille grazie per la tua recensione! Baci baci!
Grazie a chi legge e basta, ai seguitori e ai preferitori! Anche voi siete molto importanti per me!
Bene, e con questo è tutto... ora dobbiamo solo aspettare che la nostra Elizabeth e il suo Peter portino a termine il loro piano e riportino la pace a Narnia... ci riusciranno?
Ah, un'ultima cosa: vi aggiorno oggi, e probabilmente anche un giorno in settimana, dato che venerdì parto e starò via per 5 o 6 giorni. Mi è sembrato troppo crudele lasciarvi col fiato sospeso a questo punto per 15 giorni!
A presto!
Baci-Baci!
*Flora*

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Capitolo 24
*** Chi è l'ingenuo? ***


ingenuo
Chi è l'ingenuo?

Alderian e Peter sembravano preoccupati.
- Vi prego... è l'unico modo. - continuavo a bisbigliare con voce sempre più bassa.
- Peter, ha ragione, è l'unico modo. - Convenne Alderian alla fine.
- No e poi no, è troppo pericoloso. Non le permetterei mai di farsi questo. -
- Peter, ti prego. Credi in me. - Bisbigliai con le ultime forze che mi rimanevano, lottando per rimanere cosciente.
Chiuse gli occhi, come per fermare le lacrime. Poi li riapirì e mi sorrise.
- Io credo in te, amore mio. -
Qualche minuto dopo, Lexander e Aiolf erano nella nostra cella.
Alderian li aveva chiamati come avevo chiesto, dicendo loro che avevo accettato di sposare Lexander. Loro erano scesi e non so cosa avessero fatto, ma mi sentivo sana come un pesce. Fresca, riposata, forte e lucida.
- Alla fine ho vinto io, eh, Peter? - Disse Lexander con aria trionfante, mentre io uscivo dalla cella.
Vidi l'azzurro degli occhi di Peter farsi di ghiaccio e fulminare Lexander, mentre lui mi abbracciava e mi baciava sul collo.
- Ora sei mia. Non hai scuse. Andiamo nella mia stanza. - Disse lui.
- E perchè? Non possiamo farlo direttamente qui? Magari nella cella, sotto gli occhi di Peter. Sarebbe molto più eccitante... - Dissi io, cercando di essere il più convincente possibile.
Lexander mi guardò sconvolto e poi guardò il ragazzino.
- Aiolf, non so cosa tu abbia fatto a questa ragazza ma ricordami che ti devo una ricompensa. È diventata più crudele perfino di me... - Disse, appoggiandomi una mano sulle labbra.
Io gli baciai le dita, per reggere quella commedia, mentre il mio stomaco si contorceva al sapore di cuoio e acciaio che giunse alla mia bocca.
Il ragazzino aprì la bocca per rispondere, ma Lexander esclamò:
- Ora vai, vai anche tu, Cordelius. Qui basto io. -
Mi accertai che i due se ne fossero andati e mi preparai alla parte più difficile della recita.
Lo tirai verso di me e lo baciai sulla bocca, andando indietro di un paio di passi.
La porta della cella, rimasta aperta, si spalancò, e lo tirai verso il giaciglio di paglia dove ero rimasta confinata fino a quel momento.
Lo buttai sulla paglia e mi chinai su di lui, ma Lexander ribaltò le posizioni, risalendo a cavalcioni su di me e baciandomi di nuovo con una passione inaudita.
Dovetti lottare per trasformare i conati di vomito in un sorriso di piacere, e collaborare con lui in quel bacio frenetico e umido. Poi si sollevò e mi guardò con un'aria tutt'altro che dolce.
- Eravamo fermi a questo punto... dico bene? - Disse.
Le sue mani tornarono al mio abito, ma prima che potesse lacerarlo del tutto un colpo sordo lo fece precipitare su di me.
Da sotto i capelli rossi di Lexander sparsi sulla mia faccia vidi Alderian, in piedi, con un'espressione soddisfatta sul viso e un pezzo di legno tra le mani.
Alderian sollevò il corpo del fratello e poi mi diede una mano per farmi rialzare. Mentre cercavo di ridare un aspetto dignitoso ai capelli spettinati e al vestito scomposto, Alderian sganciò i polsi di Peter dalle manette che li tenevano inchiodati al muro con le chiavi che aveva preso dalla cintura di Lexander svenuto.
Non appena Peter fu in piedi, mi tirò verso di sé e mi diede il bacio più dolce che io avessi mai ricevuto.
- Era per farti dimenticare subito della brutta avventura. - Disse poi con un sorriso.
Anche io sorrisi, e lo baciai di nuovo. Peter non se lo fece ripetere due volte, e ricambiò.
Accidenti, quanto mi era mancato.
- Ehi, voi due, volete muovervi? Tra non molto si sveglierà! - Disse Alderian, mentre apriva le celle a tutti gli altri.
Peter mi sciolse dall'abbraccio e mi guardò, all'improvviso serio.
- Sei pronta? Quello che abbiamo fatto finora era la parte più semplice. -
- Certo che sono pronta. -
Alderian prese il comando del piccolo drappello di fedeli a Narnia e si diresse all'armeria. Io e Peter ci dovevamo dirigere su per le scale, diretti alla nostra stanza.
Prima di salire, però, presi le chiavi e chiusi Lexander nella cella.
Si stava lentamente svegliando e io lo guardai, sorridendo soddisfatta.
- Chi è l'ingenuo, adesso? - dissi.

--***--
NdA: Scusate per la brevità di questo capitolo, ma tra la scuola e la partenza non ho avuto nemmeno il tempo di vivere! Durante la mia minifuga dalla città preparerò un nuovo capitolo molto più lungo e intrecciato di questo e conto di mettere giù anche un finale molto succoso!!! Spero che continuerete a starmi dietro anche se ormai la storia sta per terminare... (lo so, lo so, l'ho detto anche prima di tutto questo casino con Lexander e gli stregoni... XD)
Nel frattempo ringrazio tutti quelli che leggono, recensiscono e hanno notato la mia storia in qualche modo!!! Vi sono grata! Di cuore!
Veniamo ai "grazie" specifici:
@ QueenBenedetta:
sono felice di essere riuscita a stupirvi! Di solito le storie che leggo sono tutte abbastanza prevedibili e la cosa mi dispiace molto.. è di sicuro colpa del fantastilione di libri che ho letto nei miei vent'anni di vita.... Mi piace suscitare emozioni in chi legge! Grazie della tua recensione e dei tuoi complimenti!! ^^ E... ovviamente anche io sono strafelice che Peter sia ancora vivo!
@ PrincessJiu: sì, il nome del tasso è stato inventato sui due piedi e non sono molto brava con i nomi (vedi Elie, è il nome della protagonista di Rave, mica opera mia!^^) e hai ragione sul fatto che è difficile farsi una bella chiacchierata con qualcuno su argomenti un po' più elevati del Grande Fratello [con tutto il rispetto per chi lo segue]. Per cui aspettati la mia richiesta di amicizia su MSN!
@ BabyLaura: grazie ancora di cuore per tutti i tuoi complimenti! Come dicevo a Benedetta, sono felice di riuscire a stupirvi! =) E grazie anche del fatto che hai dato un'occhiata alle mie altre storie... sì, di quella di HP vado molto fiera.. sarà perchè l'avevo scritta molto prima che la Rowling decidesse che le cose andassero così... (la bambina però si chiamava Amy) mi sono sentita molto "magica" quando ho scoperto che poteva essere una storia molto reale!
Grazie a tutti... al prossimo capitolo!
(Tornerò giovedì, quindi il prossimo aggiornamento sarà nel week-end del 29-30 maggio!)
Baci baci!
*Flora*

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Capitolo 25
*** Un ultimo sforzo ***


ultimo sforzo
NdA: Questo capitolo è dedicato a Prince. Perchè lui "ha creduto in me per primo".

Un ultimo sforzo
Di corsa su per le scale fino alla torre più alta di Narnia, nascondendosi dietro le colonne e le armature, dietro le tende e gli arazzi per non essere scoperti.
Con i piedi nudi feriti, doloranti e ghiacciati sul pavimento ruvido e freddo del palazzo.
Quella corsa fu la peggiore della mia vita, per la paura, il freddo e il dolore.
Ma la mano di Peter che stringeva la mia mi faceva andare avanti.
Ci fermammo solo per un istante nella stanza di Peter a prendere la sua chiave, e poi corremmo nella torre. Qualche minuto dopo eravamo nella nostra stanza.
Spaventati, infreddoliti, senza fiato... ma al sicuro.
Peter chiuse la porta alle nostre spalle e poi mi abbracciò.
- Peter, abbiamo fretta... -
- Elie, ti prego, stai zitta. - Disse lui, con il viso affondato tra i miei capelli.
Lo abbracciai anche io, con il cuore che batteva forte, vicino vicino al  suo.
- Ho avuto tanta paura. Quando quella guardia ha detto ridendo che eri già nel letto del principe, e che si sarebbe divertito parecchio io... -
- Sto bene. Non preoccuparti, me la sono cavata. -
Peter mi sciolse dall'abbraccio e mi appoggiò le mani sulle guance.
- Sei diventata forte, Elizabeth. Sei diventata una vera principessa. -
- Merito tuo. Se tu non avessi creduto in me per primo io non ci sarei mai riuscita. -
Peter mi sorrise e mi posò un bacio sulla bocca.
Poi si avvicinò al basso mobile accanto al caminetto. Aprì il doppio fondo della cassapanca e prese tirò fuori le nostre armi.
- Sai cosa devi fare. -
Io annuii.
Peter si passò nervosamente le mani tra i capelli e poi prese la sua spada e lo scudo.
Io presi l'arco e le frecce.
Era stata una grande idea quella di conservare le nostre armi in quella stanza, in modo da poterci ricordare della nostra avventura; a quel punto era stata anche una cosa molto utile.
Peter si avviò verso la porta, io dovevo scendere qualche minuto dopo di lui, ci saremmo visti nella sala del trono. Peter stava uscendo, ma all'improvviso tornò indietro, mi afferrò per un braccio per tirarmi contro di sé e mi baciò sulla bocca.
- Pensavo che queste scene capitassero solo nei romanzi. - Dissi io, con la bocca contro la sua.
- Beh, la nostra storia in un certo senso è una favola, no? -  Rispose lui sorridendo.
- Mi sa che se non ci muoviamo da una favola diventerà una tragedia. - Replicai ridendo.
- Hai ragione. - Disse Peter, allontanandosi.
Uscì dalla stanza, ma sulla porta si voltò per lanciarmi un altro dei suoi sorrisi.
Qualche minuto dopo la corda del mio arco era ben tesa, la mia faretra piena di frecce. Ai piedi avevo un paio di vecchie scarpette da ballo, scolorite e rovinate ma meglio di niente. Mi gettai un mantello sulle spalle e legai di nuovo i capelli in due codini: ero di nuovo Elizabeth in missione.
Un momento dopo stavo scendendo di corsa le scale diretta alla sala del trono.
Nella grande e bellissima sala la battaglia infuriava, ma gli stregoni erano in vantaggio incredibile. Ragazzini e animali giacevano privi di vita nella stanza, mentre gli stregoni si battevano furiosamente con i pochi sopravvissuti, evidentemente in difficoltà.
Incoccai una freccia e senza lasciarmi prendere dai ripensamenti trafissi al torace una delle guardie. Un'altra uccise la guardia che combatteva contro Emeraude. Una terza sfiorò il più anziano degli stregoni, ma poi svoltò come se fosse stata deviata da una calamita invisibile.
Alderian stava combattendo con quel vecchio stregone come se fosse un avversario qualunque, e ammirai il suo coraggio.
Vidi la testa bionda di Peter in un angolo della sala, mentre si batteva ferocemente contro due guardie grosse il doppio di lui. Con l'ennesima freccia gli semplificai il lavoro, uccidendone uno.
Peter mi lanciò un sorriso mentre tirava un sospiro di sollievo e sconfiggeva l'altra guardia.
Avevo fatto la mia bella figura, ma noi mortali eravamo in netto svantaggio rispetto agli stregoni e alle loro guardie.
Se solo fossi riuscita a raggiungere il Calice della Creazione, nascosto sotto il basamento del trono...
Tentai di avvicinarmi al trono, ma fui costretta a uccidere due guardie che si erano precipitate verso di me. Guadagnai ancora un paio di metri, ma poi dovetti fermarmi:
- Aspettate! - Gridò una voce.
Tutti si fermarono un momento, e dalla porta laterale entrò Lexander, assieme ad Aiolf.
- Non vedo perché tutta questa carneficina. - Disse il principe. - Potremmo risolvere tutto in modo più semplice,veloce e meno sanguinoso. -
Alderian continuava a mantenere alta la spada, e teneva d'occhio ogni movimento attorno a lui mentre rispondeva:
- Ah sì? E sentiamo, quale sarebbe la tua brillante idea, fratellino? - Disse con ironia.
- Un duello. - Disse Lexander con aria di sfida.
Gli stregoni abbassarono la guardia, e così fecero tutti gli abitanti di Narnia. La proposta di Lexander non era poi tanto assurda.
- Uno di noi contro uno di voi. Chi vince decide cosa fare di Cair Paravel e di tutti i suoi abitanti. Nonché di tutto il regno di Narnia. -
- E sentiamo, chi combatterebbe per voi? Uno stregone e un mortale non sono allo stesso livello. -
- E chi ha detto che dev'essere un duello leale? - Disse Lexander ridendo.
- Combatterà Re Lexander. - Disse il più anziano degli stregoni, con aria seria.
- Non è re. - Sbottai io, irritata.
- Prego? - Disse il vecchio, voltandosi verso di me.
- Ho detto che non è re. - Dissi ancora, dura.
- Chiudi il becco, mocciosa. - Sbottò Lexander fulminandomi.
Lo incenerii a mia volta con lo sguardo e pensai che lo odiavo. Non avevo mai odiato qualcuno nella mia vita, ma in quel momento odiavo lui. Lo odiavo profondamente.
- Per me va bene. E voi chi schierate? - Disse Lexander, passandosi una mano tra i capelli rossi e gettandosi il mantello nero dietro alle spalle.
- Combatto io. - Disse Alderian, facendo un passo avanti. Una smorfia di dolore gli storse il viso e un accesso di tosse lo scosse tutto.
- Principe Alderian! - Gridò Emeraude, poco lontano, correndo verso di lui seguita da me.
- Non potete combattere, principe! - Esclamai io, mentre il sangue della sua ferita riaperta mi imbrattava le mani e gocciolava sul pavimento.
- Devo. Per la mia terra, io... - Un altro accesso di tosse gli impedì di parlare.
- Non preoccuparti, Alderian. Ci penso io. - Disse una voce molto conosciuta, avvicinandosi.
- Peter... -
Peter gli sorrise rassicurante e rispose:
- So come ci si sente ad essere responsabili di un regno. Combatterò come se ne andasse della mia stessa terra. Te lo giuro. -
Alderian si rilassò e sorrise a sua volta.
- è tutto nelle tue mani, Peter. So che puoi vincere. -
Io ed Emeraude trascinammo Alderian lontano, e al centro della sala si creò uno spiazzo dove i due principi si guardavano faccia a faccia.
Uno biondo, l'altro rosso. Un viso d'angelo contro una smorfia demoniaca.
Il mio cuore batteva furioso, ai limiti del campo del duello. Avevo davvero paura.
- Avrete solo una spada. Niente seconde armi, niente sostituti, niente pause. - Disse il vecchio stregone.
Lexander si avvicinò agli stregoni per consegnare il mantello e Peter mi si avvicinò per lasciarmi il suo pugnale. Mi sorrise e mi abbracciò.
- Ho paura. - Mormorai.
- Non devi averne. Ho già combattuto contro Miraz, che era molto più grande ed esperto di me. -
Mi diede un bacio sulla fronte e poi si avviò verso il centro del campo.
Lexander era lì, pronto a sconfiggerlo, con quel suo ghigno beffardo sul viso.
- C'è in palio tutto, mio piccolo Pevensie. Narnia, il palazzo, e anche la tua bella donna. -
Peter strinse più forte l'elsa della spada e non rispose.
Le due spade si incrociarono e il duello incominciò.Lexander era davvero un guerriero instancabile. Continuava a menare fendenti qua e là senza ragionamento apparente. Peter stava passando tutto il tempo in difesa, senza riuscire ad attaccare, ma saltellando ed evitando i colpi.
Ad un certo punto la sua spada riuscì a ferire il collo di Lexander, e un rivoletto rosso gli scivolò sull'armatura. Lexander affondò la spada, ma Peter era agile, e la schivò appena in tempo. Il ragazzo dai capelli rossi si sbilanciò e cadde in avanti.
Peter gli puntò la spada alla nuca.
- Ammetti la sconfitta? -
- No! - Gridò Lexander, bocconi.
La spada si appoggiò alla nuca del ragazzo a terra.
Emeraude si nascose il viso tra le mani, Alderian fissava la scena con uno sguardo di ghiaccio. Tutti gli stregoni avevano un viso impassibile.
- Allora, ammetti che Cair Paravel è stata riconquistata e che tutto quello che contiene ora è libero? -
Nessuna risposta.
La spada scivolò leggera tra i capelli del ragazzo. Un paio di ciocche rosse scivolarono sul pavimento di pietra.
Un grugnito, e poi la voce di Lexander, dura e arrabbiata:
- E sia, avete vinto! -
Peter allontanò la spada e tutti noi traemmo un respiro di sollievo. Io non avevo mai creduto che il mio Peter sarebbe diventato un assassino, ma con la rabbia che lo animava temevo il peggio.
Peter si allontanò e disse:
- Vattene. Vai via da questo regno e non ritornare mai più. Cercati un mondo in cui forse potrai ritrovare la felicità. Ma stai lontano da Cair Paravel, da Narnia e da Elie. - Disse.
Si voltò e mi si avvicinò.
Non vedevo le ferite e i graffi sul suo viso, ma solo i suoi occhi azzurri sorridenti che si avvicinavano. Quello era un lieto fine!
- Peter, attento! - Gridò Alderian, ancora sdraiato a terra.
Peter si voltò: Lexander aveva ripreso la spada e si era gettato verso di lui con l'arma sguainata.
Sono certa che anche Peter si vide perduto.
Se non fosse stato che un istante prima di quella che aveva visto come la sua fine, un lampo color bronzo saettò tra lui e il ragazzo in armatura nera, atterrando quest'ultimo.
Aslan, bellissimo e imponente come sempre, aveva atterrato il ragazzo che ora giaceva privo di sensi sotto la sua zampa.
- Le regole del gioco le avevi imposte tu. Dovevi rispettarle. - Disse il leone.
Ci voltammo verso la schiera di stregoni, ma questi ultimi erano scomparsi. Quelle che erano state le guardie erano solo armature arrugginite addossate alle pareti o stese per terra. Gli abitanti di Narnia non riuscivano a credere a quella vittoria e ci misero un po' per iniziare ad esultare.
Io, Emeraude e Peter sollevammo Alderian e lo accompagnammo da Aslan. Bastò un leggero soffio del leone perché il principe potesse stare in piedi da solo.
Nel frattempo Lexander si stava svegliando.
Aslan lo lasciò andare.
Il ragazzo si guardò intorno, e quando vide che attorno non c'erano più i suoi amici stregoni sbiancò dalla paura.
- C-che cosa mi farete ora? -
- Meriteresti di morire per tutto il male che hai fatto a questa povera gente. - Disse Alderian.
- Io non volevo fare del male a nessuno. Io volevo solo un po' di importanza... -
- Hai sbagliato modo con cui ottenerla. - Disse Aslan.
- E poi dovresti pagare per come hai trattato Elizabeth. - Disse Peter.
- Ma io ero davvero innamorato di lei! -
- Non potevi trovare modo migliore per dimostrarle il contrario. - Sbottò Peter.
- Non avresti mai potuto innamorarti di me, vero? Nemmeno se non avessi fatto quello che ho fatto. - Disse Lexander rivolto a me.
- No. Forse mi sarei abituata a stare con te e ti avrei detto che ti amavo, ma il mio amore non avrebbe avuto profondità. - Risposi io.
- L'amore non è amore se non è dato liberamente. - Sentenziò Aslan.
Lexander abbassò gli occhi.
Sinceramente, anche se lo odiavo, in quel momento mi fece davvero molta pena.
- Dategli vestiti e provviste, e un piccolo cavallo – disse poi Alderian a uno dei servitori del palazzo; rivolgendosi al fratello disse, freddo – sparisci. Non farti mai più vedere e non ti sarà fatto del male. -
Uscimmo dalla sala del trono e uscimmo nel cortile del palazzo.
Il mattino di Narnia ci inondò con il suo oro e il suo profumo di fiori.
Mi fermai al sole e respirai a fondo quel buon odore.
- Che splendida giornata. - Dissi.
Peter si fermò accanto a me e mi sorrise, poi si voltò a guardare il cielo. Il sole che gli inondava il viso gli faceva sembrare i capelli ancora più biondi.
- Vi ringrazio di cuore, Peter ed Elizabeth. Avete salvato il mio regno. Cosa vorreste in cambio? -
Disse Alderian con aria riconoscente, avvicinandosi a noi.
Io guardai Peter, poi Aslan e poi Alderian.
- Vorrei solo dormire un po'! - Dissi ridendo.
Aslan si avvicinò a noi e disse con serietà:
- Figlio di Adamo. Figlia di Eva. Avete portato a termine la missione per cui vi ho chiamato. -
Peter strinse forte la mia mano nella sua, con un'aria seria che mi fece quasi preoccupare.
- Dobbiamo tornare a casa, vero? - Disse lui.
Aslan annuì.
- Oh... no, ti prego no. Non subito! - Gridai io.
Il solo pensiero di tornare a casa mi spezzava il cuore.
Niente più cavalcate, niente corse sulla spiaggia, niente passeggiate nel bosco e pomeriggi nel giardino. Ma soprattutto, niente più Peter vicino a me in ogni momento.
Sarebbe tornato tutto come prima. Nella mia mente una Elizabeth in divisa scolastica che avevo quasi dimenticato tornò ad affacciarsi con tutto il suo carico di paure, dubbi e doveri.
- Non subito, cara. Vi meritate una bella festa per  quello che avete fatto per Narnia. - Disse Aslan.

--***--
Ed eccoci alle nostre NdA!!!!
Scusate, lo so che avevo detto che avrei aggiornato ieri, ma questo capitolo ha subito miliardi di correzioni! La stesura finale mi piace abbastanza, quindi spero che sia anche di vostro gradimento!!!
Ho dedicato questo capitolo al mio capo-animazione di un paio d'anni fa, Alberto detto "prince" per i suoi modi da principe e per la sua dolcezza, perchè lui ha saputo tirare fuori quanto di bello era rimasto nascosto in me per 18 anni!
Oggi poi sono in vena molto romantica, dato che sono andata al matrimonio di una mia amica... quindi questo capitolo lo voglio dedicare anche a Barbara!
Passiamo alle risposte:
@ Clacly:
ovviamente si sono salvati! heheheh ^^ Beh, adesso sono proprio curiosa di sapere che ne pensi di questo nuovo capitolo della storia... anche se penso che in quanto a guerra sarà l'ultimo! Grazie delle recensioni che mi lasci sempre!
@ QueenBenedetta: cara Benny, come hai visto Peter ed Elie non sono scappati! Non ce li vedevo proprio a lasciare la bellissima Cair Paravel nelle mani di quel porco! E adesso sì che posso dire che la storia è finita... anche se ti chiedo ancora di trattenere un pochino le lacrime. Un paio di capitoli belli zuccherosi vi attendono! Thanks per le recensioni!
@ babylaura: per fortuna... breve e succoso, eh?? XD XD... beh, spero che questo sia abbastanza denso di avvenimenti! Adesso sono proprio curiosa di sapere se secondo voi decidono di stare lì o di tornare a casa! (io ancora non ho deciso!) ....e grazieee per le recensioni!!
@ PrincessJiu: ti ho aggiunta su MSN!!! A presto per la nostra chiacchierata, allora! Beh, che Lexander non brillasse per intelletto era voluto ahahahaha :D! Dopotutto volevo che fosse Peter quello cuore-cervello, mentre Lexander quello muscoli e ...!!! Spero ti sia piaciuta la soluzione della cosa... e intanto gli stregoni non sono morti, chissà, magari un giorno farò una nuova storia con loro come cattivi!!!! A presto allora! E grazie delle tue recensioni!
Beh, per questo capitolo è tutto... un paio di capitoli e purtroppo la sottoscritta dovrà dire addio a Narnia... sniff sniff, piango già!!!
Grazie per avere letto!!!!!
Baci baci!
*Flora*

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Capitolo 26
*** Solo per dirti grazie ***


grazie
Solo per dirti grazie
Mi stropicciai gli occhi e misi a fuoco il mondo attorno a me senza fretta. Avevo una tale pace addosso! Sentivo un leggero scalpitare di cavalli in lontananza, voci allegre di gente che chiacchierava, e perfino il frusciare del mare.
Sul comodino accanto al letto era posata una grossa margherita candida, con un foglietto piegato sopra. Quando lo lessi non riuscii a trattenere un sorriso.
    Buongiorno dormigliona! Sono uscito a cavallo con Alderian per una visita ai confini, torneremo per l'ora del tramonto. Ti amo.

Mentre scendevo nella sala del trono alla ricerca di Emeraude, pensai che in effetti avrei dovuto fare qualcosa per Peter. Lui mi aveva sempre coccolato, viziato e protetto.
Mi riempiva di attenzioni e di regali, e mi aveva fatto sentire importante come non aveva mai fatto nessuno. In fondo gli dovevo qualcosa in cambio... se non altro per dirgli che anche io lo amavo quanto mi amava lui.
Arrivai nelle cucine e annunciai:
- Ho bisogno di una mano per preparare una cena. -
Le ragazze e l'anziana responsabile della cucina si fermarono, mi squadrarono e poi scoppiarono sonoramente a ridere.
- Che ci trovate di divertente? - Esclami, scocciata.
Una signora che poteva essere mia madre mi si avvicinò, mentre le altre tornavano ridacchiando ai loro mestieri.
- Vedi, cara, qui sembra così strano vedere una damigella cimentarsi con coltelli e mestoli, le devi capire! Un a nobildonna come voi dovrebbe stare seduta davanti a scodelle candide ad aspettare che le servano da mangiare. -
- Io non sono una nobildonna, punto primo, e punto secondo a casa mia cucino sempre io, credete che non ne sia capace? Solo non credo di esserne in grado qui! - Esclamai, punta sul vivo.
- E poi perché vorresti cucinare tu? Forse non trovi buono quello che prepariamo noi? -
- No, no, niente affatto! È tutto squisito... ma vorrei cucinare una cena io, con le mie mani. Per il principe Peter. -
- Ah-ha, il vostro amato principe! -
Io arrossii bruscamente e cercai di divagare, ma la domestica mi sorrise con aria materna.
- Solo un cieco non si sarebbe accorto di come vi guardate. - Disse lei.
- Allora mi aiuterete? -
- Le altre devono occuparsi delle faccende del palazzo. Ma penso che io e mia figlia Izzie ti potremo aiutare. Hai qualche idea su cosa preparare? - Disse, con un guizzo divertito negli occhi.
- Veramente no. -
- D'accordo, penseremo anche a questo. Ora però è decisamente presto per mettersi a cucinare, ritorna tra qualche ora. Siamo impegnate con i pranzi della servitù – disse la donna – verso le quattro del pomeriggio vieni e chiedi di me, mi chiamo Miranda. -
Le rivolsi un sorriso di gratituidine e uscii dalla cucina di ottimo umore. La mattina era solo a metà, ma avevo un sacco di cose da fare. Il mio piano stava prendendo forma sempre più.
Salii nella stanza mia e di Peter per preparare un altra parte del piano, e non ne uscii fino alle quattro del pomeriggio. Presa com'ero nel mio daffare, non mi resi nemmeno conto di aver saltato il pranzo.
Passai il resto del pomeriggio a impastare e rimestare, riempire e infarinare, sotto gli occhi attenti di Miranda e della giovane Izzie. Quando il sole fu quasi calato, era tutto pronto.
- Dove vuoi che apparecchiamo per voi? - Chiese Izzie.
- Dammi qui, ci penso io. - Dissi.
Presi i tre vassoi uno alla volta, e li portai nella mia stanza. Da lì salii, facendo non so quanti viaggi, nella nostra stanza. Apparecchiai e imbandii la tavola con le cose che avevo preparato.
Scesi nella mia stanza e proprio mentre mi cambiavo d'abito e cercavo di rendere presentabili i miei capelli sentii il rumore della grata del ponte levatoio che si alzava, e le grida delle sentinelle annunciare il ritorno di Re Alderian.
Mi sporsi dalla finestra e riconobbi i due ragazzi sui loro cavalli entrare nelle scuderie.
Infilandomi precipitosamente le scarpe, corsi fuori e scesi i gradini a otto a otto, arrivando in meno di trenta secondi al portone del palazzo.
Alderian e Peter mi guardarono per un istante, e poi sorrisero.
- Avevi proprio fretta di rivederlo, eh? - Disse sorridendo Alderian, mentre il suo sguardo si posava sui miei capelli ancora piuttosto in disordine.
Io sorrisi di rimando, un po' confusa, e poi Alderian mi superò.
Peter mi fece uno di quei sorrisi che solo lui sapeva fare, uno di quelli che faceva smettere di girare il mondo e spegneva tutte le luci del pianeta tranne quella dei suoi deliziosi occhi azzurri.
- Bentornato. - Dissi con entusiasmo.
- Non vedevo l'ora. - Disse lui.
Mi abbracciò per una frazione di secondo e poi fece per avviarsi alla sala del trono.
- Aspetta, oggi noi andiamo di qua. - Dissi io, afferrandolo per un braccio.
Lui mi fissò con aria interrogativa.
- Va bene. - Disse, un po' incerto.
Mi seguì per tutte le scale che ci dividevano dalla nostra stanza nella torre, raccontandomi di quello che avevano visto o scoperto in giro per i confini, e mi disse che avevano organizzato un grande ballo per l'incoronazione di re Alderian per la prossima luna nuova, tra una settimana circa.
Arrivati davanti alla porta, scese il silenzio. Tirai fuori la chiave d'argento e la infilai nella serratura.
Un delicato scatto del meccanismo, e la porta si aprì.
La vetrata scintillava d'argento colorato, sotto i raggi della luna, e la porta d'accesso al terrazzo, spalancata, lasciava entrare un delicato odore di salsedine portato dal vento.
La stanza era rischiarata dalla luce del candelabro di corallo a otto bracci che sembrava immenso, al centro del piccolo tavolo apparecchiato per due. Un'enorme quantità di prelibatezze erano ordinate sul mobile in fondo alla sala, e facevano venire l'acquolina in bocca perfino a me che le avevo preparate. Altre candele profumate e colorate le avevo lasciate qua e là nella sala, per evitare che la mia proverbiale goffaggine rovinasse tutta l'atmosfera, facendomi inciampare e finire lunga distesa sul tappeto.
Peter fece qualche passo in avanti e si guardò intorno meravigliato.
- Elie, io... non dov... -
Gli poggiai una mano sulla bocca e sorrisi.
- Non dire niente. Stasera è proibito dire “grazie”, “non dovevi”, “ti sono debitore” e cose del genere ok? Questa serata era solo per dirti grazie. Non voglio niente in cambio, chiaro? Prendila così: serata mia, regole mie. -
Vidi gli occhi di Peter sorridermi e tolsi la mano dalla sua bocca.
- Come vuoi. - Replicò.
- Bene... e adesso mettiamoci a tavola. Ho una fame incredibile, e poi ci ho messo tutto il pomeriggio per preparare queste cose e non vorrei proprio che andassero buttate! -
Peter guardò i piatti da portata, poi me e poi di nuovo i piatti da portata.
- Cioè tu hai... tu hai fatto tutto questo? - Disse sbigottito.
Io annuii, orgogliosa. Alla fine ci ero riuscita, a stupirlo!
- Sei eccezionale. - Disse, sedendosi a tavola.
Chiacchierammo ridendo per tutta la sera, raccontandoci sciocchezze del tutto prive di senso, senza un solo pensiero al mondo.
Tutta la brutta storia con Lexander sembrava lontanissima, eppure erano passate meno di ventiquattr'ore. Sarà stata la magia di quella serata, o quella stanza, in cui il tempo e il mondo sembravano non esistere, ma quella parentesi di paura nella mia vita non c'era mai stata.
Quando finimmo il secondo, Peter si alzò da tavola.
- Sei sazio? - Domandai.
C'era ancora il dolce! Io ero una pasticcera, più che una cuoca, e a casa tutti andavano matti per i miei dolci... se Peter non l'avesse assaggiato ci sarei rimasta piuttosto male.
Lui mi sorrise, e mi fece cenno di uscire.
Ci appoggiammo alla balaustra del terrazzo e Peter disse:
- Sai, Elie, è da oggi pomeriggio che ho in mente una canzone. So le sue parole e credo di conoscere anche il suo ritmo, eppure sono certo di non averla mai sentita da nessuna parte. -
- Dimmi, magari ti posso aiutare. -
- So solo queste parole:
    avanzavi nel silenzio,
    tra le lacrime, e speravi
    che il seme sparso davanti a te
    cadesse sulla buona terra.
    Ora il cuore tuo è in festa
    perché il grano biondeggia ormai,
    è maturato sotto il sole
    puoi riporlo nei granai -
Io distolsi lo sguardo, trattenendo il rossore.
Se la conoscevo? Certo! Era una delle canzoni che cantavo a Messa, a Londra. Era una delle mie preferite, ed era una di quelle che gli avevo cantato più spesso dopo... beh, dopo la magia delle fate del Salice d'Argento.
- La conosci, vero? -
- Sì, mi dice qualcosa... ma non ricordo cosa. Mi verrà in mente. Vieni, ti devo dare una cosa. - Dissi, rientrando.
Scusami, Peter, ma proprio non sono pronta per parlarti di quando sei morto e ho temuto il peggio. E poi, non stasera che voglio ricordare come una serata perfetta.
Peter mi seguì all'interno della stanza e lo guidai su una poltrona.
- Siediti. - Dissi.
- Non mi piace quello sguardo, stai architettando qualcosa. - Disse lui ridacchiando, sedendosi.
Io mi chinai dietro una delle poltrone e presi una cartelletta di pelle e cartone.
Un foglio di sottile pergamena scivolò dall'apertura e lo presi tra le mani, leggero come una farfalla. Lo guardai per l'ennesima volta.
Cavoli, gli occhi erano troppo poco azzurri, e il sorriso non sarebbe mai stato quello originale. Però avevo fatto del mio meglio. Certo, se fossi stata più leggera nel calcare le pieghe dei vestiti... e anche la coppa che teneva in mano sembrava una scodella da latte piuttosto che il Calice della Creazione. E poi, come mi era venuto in mente di metterci anche me? Sembravo una bambina, con quei codini e con l'abito rosa. Ma l'avevo disegnato per lui, non potevo non darglielo... Presi un gran respiro e tornai da Peter.
Mi misi dietro di lui, appoggiata alla spalliera, in modo da non vedere la sua espressione, e lasciai che il disegno gli scivolasse sulle ginocchia. Peter lo prese e lo sollevò un po' per vederlo alla luce della luna, senza dire nulla.
Gli appoggiai le mani sulle spalle e gli massaggiai dolcemente i muscoli del collo. Peter non diceva ancora niente, e mi iniziavo a preoccupare.
- Ti piace? - Sussurrai.
Peter lasciò il foglio sulle ginocchia e poi mi prese le mani nelle sue e mi costrinse a scivolare accanto a lui. Si voltò e mi baciò sulla bocca.
- Non mi impedirai anche di baciarti, adesso, vero? -
- Questo mai – Risposi con dolcezza – Non vuoi il dolce? -
- Veramente vorrei te – sussurrò lui – in quanto a dolcezza non ti batte nessuno. -
Mi lasciai trascinare sul bracciolo e poi sulle sue ginocchia.
All'improvviso, nel bel mezzo di un bacio, Peter iniziò a farmi il solletico.
- Ehi, sei impazzito? - Chiesi io, con la voce strozzata per il gran ridere.
- Assolutamente no! - Replicò lui, rincarando la dose.
Rotolai sul pavimento cercando disperatamente di sfuggirgli, e per difendermi gli lanciai un cuscino sulla testa. Peter non ebbe nessuna reazione, se non che mi acchiappò per un braccio e ricominciò con il solletico.
Continuammo ad azzuffarci ridendo per non so quanto tempo. Quando ormai avevo le lacrime agli occhi per il gran ridere, il mio vestito era tutto spiegazzato e i capelli di Peter avevano un'aria piuttosto selvaggia, mi alzai in piedi dicendo:
- Ok, ok, basta adesso! -
Peter si alzò anche lui e mi sorrise. Si ravviò i capelli con le mani e poi mi fece un occhiolino.
- Adesso avrei proprio voglia di quel pezzo di torta. - Disse lui.
- D'accordo! - Risposi raggiante.
Ci avvicinammo al tavolo e tagliai una fetta del dolce. La presi in mano e la porsi a Peter perché la prendesse. Lui ne morse un pezzo dalla mia mano e chiuse gli occhi, come in estasi.
- Giuro, Elie, è divina. - Sussurrò poi.
Mi sollevò e mi fece sedere sul tavolo, in mezzo alle stoviglie, mentre continuavamo a mangiare la torta, un morso per uno.
Dopo un paio di fette, il mio vestito era pieno di zucchero e briciole, e sembravo più una sguattera che una pasticcera. Tentai di allontanare le briciole ma il risultato fu che avevo ancora più macchie sull'abito.
- Ecco, la solita pasticciona. - Dissi sospirando.
- Ti ci vorrebbe un cambio d'abito. -
- Direttamente un bagno, invece! - Dissi, sgusciando via dalla sua stretta e correndo verso la porta. La aprii e gli feci segno di seguirmi.
Correndo, raggiunsi una delle migliaia di porticine della servitù che portavano all'esterno.
Era notte fonda, ma la luna quasi piena spandeva il suo delicato candore sulla spiaggia davanti a me. La sabbia sembrava fatta di polvere d'argento e il mare, nero e silenzioso, lambiva appena la riva. Sfilai in fretta le scarpe e tolsi pettinini e nastri dai capelli.
In quel momento Peter mi raggiunse, e mi vide che mi spogliavo.
- Cosa diavolo... -
- Forza, andiamo a farci un bel bagno! -
Peter sembrò titubante, poi sul suo viso si disegnò un largo sorriso e si sfilò la casacca.
In men che non si dica ci eravamo tuffati, in biancheria com'eravamo, nell'acqua tiepida del mare. Facemmo una lunga nuotata, poi tornammo indietro e come nostro solito iniziammo a spruzzarci.
Mi gettai sulla sabbia ancora calda senza curarmi del fatto che i miei vestiti erano del tutto trasparenti e che i miei capelli si stavano sporcando.
- Che serata meravigliosa. - Disse Peter, sdraiandosi vicino a me.
- Puoi dirlo forte. - Risposi io sorridendo.
Tornammo dentro con i capelli ancora bagnati, tenendo in mano le scarpe. Arrivati davanti alla mia stanza, Peter si chinò a baciarmi sulla bocca.
La mia mano scivolò sulla maniglia e scomparimmo insieme nel buio della mia stanza.

--***--
NdA: Dopo l'esame di biologia - che è stato un disastro sniff.. - ho due minuti per aggiornare, prima di tuffarmi nello studio di anatomia. Grazie di cuore alle 27 persone che hanno letto, a tutti quelli che hanno la mia storia nei preferiti o tra le seguite, e anche a Laura e Cly che non hanno lasciato la recensione ma che so che hanno letto!!! ^_^
@ QueenBenedetta e PrincessJiu: come vedete in questo capitolo non è successo molto, però Elie ci teneva proprio a dimostrare tutto il suo amore a Peter! Adesso dovranno tornare a casa, ma prima ci sarà la festa per l'incoronazione di Alderian, quindi avremo ancora cinque minuti di pace a Narnia!
Spero che seguirete ancora i prossimi due capitoli!
Un bacio grande!!!
*Flora*

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Capitolo 27
*** Re Alderian l'incorruttibile ***


re alderian
NdA: ok, vi propongo un gioco. Ad un certo punto troverete una canzone, in rosso... indovinate qual è!!! [la risposta nelle NdA alla fine! ^^]


Re Alderian l'incorruttibile


- Lady Elizabeth, non siete ancora pronta? - Esclamò Emeraude, entrando nella sala.
- Oh, Emeraude! No, sono appena tornata da una cavalcata col principe Peter. - Risposi.
Era passato quasi un mese dalla meravigliosa serata che io e Peter avevamo passato assieme, e quella sera si sarebbe tenuto il gran ballo per l'incoronazione di Alderian.
Presa dall'entusiasmo di quella stupenda giornata d'autunno non avevo saputo resistere alla tentazione di fare una gara a cavallo contro Peter... anche se sapevo benissimo che avrei perso in partenza. Ci eravamo allontanati parecchio ed eravamo tornati molto tardi, quindi ero in ritardissimo sulla tabella di marcia.
Mancavano meno di due ore alla cerimonia e io sembravo una specie di figlia del bosco con il vestito stropicciato e le foglie tra i capelli.
- Oh, che disastro che siete, milady! Aspettate, ci penso io. - Esclamò Emeraude.
In quattro e quattr'otto mi aveva sciolto i capelli e slacciato il vestito.
- Emeraude, calmati, che ti succede? - Le chiesi, trattenendola per un braccio.
Lei si sedette sul letto vicino a me e nascose il viso tra le mani.
- Oh, io, io... -
- Che succede? - Chiesi preoccupata.
- Io ho baciato Alderian! - Esclamò lei, scoppiando in lacrime.
Istintivamente la abbracciai, e le accarezzai i capelli.
- Ti ha trattato male? Per questo piangi? Perché ti ha rifiutato? -
Lei si sciolse dall'abbraccio e si asciugò gli occhi, rivolgendomi un sorriso immenso.
- No, no, cos'avete capito? Lui... lui si è innamorato di me! Mi ha convocato nella sua stanza e mi ha baciato. Io lo amo da tanti anni, sapete... siamo praticamente cresciuti insieme, io, lui e Lexander... abbiamo esattamente la stessa età, io sono figlia della sua nutrice! E adesso sapere che lui mi ama... - Disse Emeraude piangendo e sorridendo allo stesso tempo.
Io sorrisi a mia volta. Era impossibile non innamorarsi di Emeraude: era intelligente e spiritosa, oltre ad essere un tipo deciso... e anche molto, molto bella.
- Ma finora non ti ha mai fatto capire nulla? -
Emeraude scosse la testa.
- Ha detto che si è innamorato di me all'improvviso, quando è stato con me nelle prigioni. Ha detto che non aveva mai trovato tanta determinazione e tanto coraggio in una ragazza. Diceva di avermi sempre visto, ma mai guardato. Ora che mi ha notato non vuole più fare a meno di me. -
- Sono tanto felice per te. -
- Oh, lady Elizabeth, no. No, perché Alderian non potrà mai sposarsi con me... lui è un re, io sono solo una dama di compagnia! Non potremo stare assieme... -
Emeraude scoppiò di nuovo in singhiozzi, stavolta disperata.
Io la abbracciai di nuovo, capendo perfettamente quello che provava. Io per lo meno potevo sperare di passare tutta la vita assieme a Peter anche senza mai sposarci, però Alderian doveva prendere moglie, almeno per garantire un futuro a Narnia. Così Emeraude avrebbe dovuto vedersi soffiare il posto da una principessa che – di questo ero sicura – non avrebbe avuto nemmeno metà della personalità della mia amica.
- Non pensarci adesso, cara. Vedrai che tutto si sistemerà. Smetti di piangere, però. - Dissi.
Emeraude si ricompose e si asciugò gli occhi.
- Grazie, lady Elizabeth. Siete davvero una ragazza dolce. - Disse lei.
- E smettila di chiamarmi lady. Noi due siamo amiche, adesso! - Risposi io ridendo.
Lei mi sorrise e mi diede una mano a prepararmi.
Avevo appena finito di vestirmi con un bellissimo abito blu cupo e argento quando bussarono alla porta. Emeraude andò ad aprire e Peter entrò nella stanza, illuminandola tutta con il suo sorriso.
- Buonasera mio principe. - Dissi io, con una riverenza.
- Buonasera mia adorata. - Replicò lui, inchinandosi.
Scendemmo assieme nella sala del trono decorata a festa, piena di gioielli, d'argento e di pietre preziose che scintillavano su ogni acconciatura, su ogni braccio e su ogni stoviglia dello squisito banchetto imbandito in centro alla sala. Decine e decine di nobili, quasi tutti più grandi di me, si aggiravano per la sala con fare compunto. Mi sentivo terribilmente a disagio, e non mi staccai nemmeno per un istante dal fianco di Peter.
Ci sedemmo a tavola uno accanto all'altra, alla destra di Alderian.
Dopo il lussuoso banchetto una grande orchestra iniziò a suonare complicate danze medioevali, di quelle che si ballano in cerchio. Proprio quando stavo cedendo alle preghiere di Peter per andare a ballare, Aslan entrò nella sala. Un grande silenzio pieno di rispetto lo accolse. Il leone si avviò al trono aprendo un corridoio tra gli invitati. Si fermò accanto alla grande sedia di legno dorato.
- Principe Alderian, è giunto il momento. -
Alderian si alzò, serio in volto, e raggiunse il leone. Si inginocchiò davanti a lui e chinò profondamente la testa. In quel momento un giovane servitore comparve con la corona d'oro dei re di Narnia, quella che avevo visto solo sul capo di Aldian.
- Io, Aslan, ti nomino re Alderian, l'incorruttibile. Sarai sovrano delle terre, protettore delle genti e responsabile della felicità di questo mondo. Sarà un fardello pesante per le tue giovani spalle, ma lo porterai nel migliore dei modi. - Disse il leone, sorridendo.
Mentre parlava, il paggio posò la corona sul capo bruno di Alderian. Il giovane si alzò, e quando si voltò verso tutti noi, immobili, mi sembrò così regale e responsabile che quasi mi chiedevo se fosse lo stesso ragazzo con cui avevo riso e chiacchierato fino a poco prima.
- Popolo di Narnia – esordì Alderian – questa sera voglio farvi due annunci. Per prima cosa abolirò i matrimoni di classe. Da adesso in poi tutti potranno sposare chi vogliono. Basta con questi stupidi pregiudizi tra poveri e ricchi. -
Sono sicura che nel breve silenzio che seguì, costellato dai sottili mormorii di dissenso degli anziani, Alderian lanciò uno sguardo di ringraziamento verso Peter.
- E poi voglio annunciare il mio matrimonio con una ragazza dal cuore coraggioso e sincero, modesta e unica. Una ragazza che conosco da poco tempo ma che già amo con tutto il mio cuore. Popolo di Narnia, la vostra futura regina sarà una ragazza del popolo. -
Alderian scese dal trono e si avviò al tavolo, dove Izzie, Miranda e altre ragazze della cucina stavano già riordinando. Si avvicinò a una ragazza con una stupenda crocchia di capelli biondissimi e le si inginocchiò davanti, prendendole le mani tra le sue.
- Emeraude, vuoi diventare mia moglie? -
Stavolta seguì un silenzio assoluto. Emeraude era rimasta a bocca aperta, con un delizioso rossore sulle guance. Poi scoppiò in lacrime ed esclamò:
- Sì! Mille volte sì! -
Alderian si alzò in piedi e la abbracciò ridendo.
- Siete tutti invitati alle nostre nozze! - Gridò felice, prima di prenderle il viso tra le mani per baciarla lì, davanti a tutti quei vecchi nobili che forse avevano dimenticato quanto potevano essere forti i sentimenti di due giovani innamorati.
Il matrimonio tra Alderian ed Emeraude fu una delle cose più romantiche a cui io abbia mai assistito. Erano così belli e innamorati che quasi si poteva toccare la loro felicità.
Si sposarono qualche settimana dopo l'incoronazione di Alderian, e io e Peter eravamo in prima fila alla cerimonia.
Decine e decine di iris e di stupendi gigli rosa e viola decoravano la grande sala del trono dove Aslan e il cappellano di corte li dichiararono marito e moglie, oltre che re e regina di Narnia.
Emeraude era così bella! I suoi delicati capelli biondi sembravano una corona naturale, sul suo viso felice, e le scivolavano leggeri sull'abito rosa. Alderian era il ritratto della felicità, e sembrava dovesse iniziare a gridare di gioia da un momento all'altro.
Nel frattempo, a Narnia il tempo passava.
L'autunno colorò il bosco di tutti i meravigliosi colori che solo Madre Natura riesce a creare con la sua magica tavolozza profumata di muschio.
Poi la neve imbiancò il meraviglioso paesaggio che si stendeva sotto le finestre del mio palazzo e Natale arrivò, portandoci calde serate attorno al fuoco, disegni di ghiaccio alle finestre e una montagna di cose buone da mangiare. Ci portò tanti regali, primo fra tutti un bebè.
Il piccolo Saerian nacque in una gelida mattina di febbraio, e Alderian quasi non svenne quando gli annunciai raggiante che era appena diventato papà di un bellissimo bambino.
Ovviamente anche l'amore tra me e Peter continuava, e cresceva ogni giorno di più. Credo che nessuno abbia mai condiviso un amore come il nostro. Eterne chiacchierate, fino a notte tarda, quando il fuoco ormai era spento; lunghe cavalcate sotto la neve; notti passate a fare progetti seduti sulle poltrone della nostra stanza nella torre; notti abbracciati a dormire sotto la stessa coperta; pomeriggi trascorsi a leggere, in silenzio, oppure a fare banali lavoretti manuali. Più che fidanzati, eravamo amici... ed era una cosa che mi piaceva un sacco.
Era davvero una vita meravigliosa.
Tre anni dopo la nascita di Saerian ero nelle stalle a strigliare Luce, quando un improvviso temporale estivo oscurò il cielo.
- Ah, se potessi uscire e farmi una bella cavalcata in questo temporale! - Esclamò la puledra.
- Non ti fanno uscire quando piove? - Dissi io.
- Macchè. Pensano che mi ammalerei come una vecchia giumenta stanca! - Disse.
- Dovresti riguardarti, Luce cara! Gli anni passano anche per te! - Esclamò Vento, qualche metro più in là.
- Stai zitto tu, quattrozampe che non sei altro! - Esclamò Luce, sbuffando.
Io risi di gusto, poi guardai le gocce che iniziavano a cadere fuori dalla tettoia delle stalle.
- A te non piacerebbe una bella corsa sotto la pioggia? - Domandò Luce.
- Veramente non ho mai provato. - Dissi io.
- Non sai cosa ti perdi! Forza, lascia tutto qui ed esci a fare una corsa sotto la pioggia, mi striglierai dopo! -
Io ci pensai un minuto e poi lasciai tutto per terra.
- Correrò un po' anche per te! - Esclamai, correndo fuori dal palazzo.
Proprio dietro le stalle c'era un ampio spiazzo d'erba appena cresciuta. Era verde smeraldo, ed era invitante da morire. Allungai una mano sotto l'acqua, e morbide gocce calde vi scivolarono sopra.
Sfilai immediatamente le scarpe e sollevai la gonna.
Un istante dopo stavo piroettando e danzando da sola sotto la pioggia, mentre lontani tuoni rotolavano dietro le montagne.
All'improvviso mi ritrovai tra le braccia di Peter, che mi sollevò e mi fece volteggiare.
- Ti ho vista dalla finestra della mia stanza e non sono riuscito a resistere. - Disse.
Gli stampai un bacio sulla bocca e poi lo abbracciai stretto.
Lui mi guidò in un'improvvisata danza della pioggia ridendo assieme a me.
Un tuono rimbombò ancora, più forte.
Peter si fermò e mi abbraccio, cantandomi all'orecchio un pezzo di una canzone che conoscevo:
-     Aprire gli occhi e ritrovarti qui
    lasciarsi andare sotto il temporale... -
-     Sentire come mi manca il respiro
    se i tuoi occhi accendono i miei. - Completai io.
- Allora le conosci, queste canzoni che mi ronzano in testa e non so perché! - Esclamò lui, sciogliendomi bruscamente dall'abbraccio e fissandomi con aria inquisitoria.
Io arrossii bruscamente. Un altro tuono rombò, sempre più vicino.
- Elie... tu non hai paura del temporale, vero? - Disse Peter all'improvviso, stringendo le mie mani nelle sue.
Scossi la testa, abbassando gli occhi. Era giunto il momento di dirgli tutto?
- Che cosa è successo in quella notte sotto il Salice? Perché ricordo queste canzoni? -
Io alzai gli occhi e lo guardai in viso. Le gocce del temporale scivolavano sui suoi bellissimi lineamenti e io sorrisi. Sì, era giunto il momento.
- Quella sera sei morto. Mi sono svegliata e ti ho trovato senza vita. Ho gridato e pianto, sotto il temporale, pensando che avevo perso la cosa più bella che mi era capitata nella vita. Poi le fate del salice si sono decise e ti hanno riportato da me, e quando hai aperto gli occhi ho creduto di morire io, per la felicità. Da quel momento, per tenerti legato a me, ho passato tutto il mio tempo accanto a te. Ti parlavo, ti raccontavo le cose che mi venivano in mente e tutte le storie che conoscevo. E cantavo. Ti ho cantato centinaia di canzoni. Non volevo lasciarti andare. Volevo tenerti con me. - Dissi arrossendo bruscamente.
Come cavolo era difficile dire quelle cose!
Peter mi sollevò il viso con una mano, mi scostò i capelli bagnati dal viso e mi guardò negli occhi. Aveva una strana espressione.
- Elizabeth... ti piacerebbe diventare una principessa? -
- Peter, io sono felice, non ho bisogno di diventare una principessa. - Risposi con un sorriso.
- Ma se tu volessi... basterebbe che tu mi dicessi che lo vuoi. - Replicò lui.
In quel momento capii cosa volevano dirmi i suoi occhi.
- Peter... mi stai chiedendo di sposarti? -


--***--
NdA: eccomiiiiii!!! *me riemerge da una montagna di scartoffie e getta in un angolo il trattato di anatomia che fa un buco nel muro della camera*
Come state amiche mie? Io male!!! Troppa roba da mandare a memoria... prima o poi esploderò!! XD

Ok, per cambiare discorso e tornare ad argomenti più piacevoli...
Allora, l'avete riconosciuta la canzone in rosso???? ^_^ ... è "La forza mia" di Marco Carta! Personalmente non sono una sua fan ma mentre scrivevo questa canzone è partita in I-tunes e ci stava così bene!!!!
Voi come ve lo immaginate Alderian? A me viene in mente l'attore che fa Aragorn del signore degli anelli - Viggo Mortensen - anche se con dieci anni di meno!
Invece Lexander me lo immaginavo come Alex di Grey's Anatomy (ma con capelli lunghi e rossi): è stato lui ad ispirarmi il nome! ^^
Peter.... beh, Peter ovviamente William Moseley (sbav sbav) ma quando disegno le scene della storia prendo spunto da un personaggio di Full Moon, Eichi.. andate a cercarlo su internet e ditemi se non ci assomiglia tantissimooooooooooo (risbav risbav). E se mai dovessi scrivere una storia con Peter a ventitrè anni... me lo immaginerò come Francesco Mariottini che l'altra sera ho visto in Tv ed è il mio ragazzo ideale!!!! (strasbav strasbav)
Ok, ho finito di allagare la stanza... XD XD
Grazie ai 10 che hanno messo la storia nei preferiti e ai 3 che la stanno seguendo!
@ QueenBenedetta:
Hai ragione, Elie è proprio dolce, lo penso anche io. Per fortuna è riuscita a tirare fuori tutte le sue qualità che a casa non riusciva a dimostrare.. speriamo che vada avanti così anche quando tornerà! ^^ Bacio!
@ PrincessJiu: Beh, guarda, più che Edward preferirei Peter!!!! ;) Però ammetto che Edward ha il suo fascino. Anche io vorrei essere al suo posto, ma scrivendo in prima persona le cose sono più facili (o più difficili, dipende dai punti di vista). Ti aspetto ancora per la nostra chiacchierata su MSN!!! smack!
@ clacly: awwwwwww che carina mi hai lasciato una recensione bellissima! Hai ragione, anche io quando ero piccola giravo per casa cercando un modo per andare a Narnia e sposare Peter!!! (e avevo solo 10 anni, che bei gusti avevo già XD) Già, la loro missione è terminata... Ma in via del tutto eccezionale vi lascerò stare a Narnia ancora per un'ultima scena.... ;)
Grazie mille a tutti... e ora che i cattivi sono stati sconfitti e Narnia è in pace, Elie e Peter devono tornare alla realtà...
.... e io con loro .....
Vi aspetto per l'ultimo capitolo....  :===>)
Baci baci!
*Flora*

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Capitolo 28
*** Principe e Principessa ***


principe e principessa
Principe e principessa
 
Era una splendida mattina di giugno. Il sole brillava nel cielo limpido e un vento leggero portava il profumo delle rose appena sbocciate nel giardino del palazzo.
Il cielo turchese si perdeva nel verde del mare, sulla linea dell'orizzonte, e guardandolo sorrisi.
Azzurro e verde: i miei e i tuoi occhi. Anche Narnia vuole dirci che è felice per noi. Pensai.
Mi voltai verso lo specchio e ripensai alla ragazzina che tre anni prima si era sentita un abat-jour, in quella stessa stanza.
A quel pensiero sorrisi: quasi non mi riconoscevo.
L'abito bianco che indossavo era semplice ed elegante al tempo stesso. Stretto fino in vita, con le spalline di seta sulle spalle, si allargava fino ai piedi in un elegante strascico ondulato.
Tra i capelli – una cascata di riccioli biondo cenere, arricciati alla perfezione – occhieggiavano delicate rose bianche.
Non avevo voluto nemmeno un filo di trucco, anche se Emeraude aveva cercato di convincermi per delle ore. Il bouquet che stringevo, di delicate rose bianche e campanelle sfumate di rosa, era il tocco finale.
Davanti a quello specchio mi ero sentita grassa, bassa, brutta, e in realtà non ero cambiata molto.
Ero sempre il mio metro e sessanta scarso, non un centimetro di più. Il mio viso non era cambiato, era sempre quello, poco grazioso. Anche le mie forme “generose” non avevano voluto saperne di assottigliarsi, nonostante il tanto tempo all'aria aperta e le lunghe nuotate che facevo con gioia ogni giorno.
Eppure mi sembravo un'altra.
Gli occhi mi brillavano, e gli angoli della mia bocca seguivano la linea sorridente delle mie labbra.
Guardandomi allo specchio in quel momento, capii che ero bella perché ero felice.
- Ely, Ely! - Sentii una voce infantile chiamarmi, e voltandomi vidi Saerian sulla porta, con il completino da cerimonia tutto scomposto.
- Che c'è tesoro? - Dissi chinandomi per prenderlo in braccio.
- Dovresti vedere Peter, è così agitato! Ti manca tanto? Siamo tutti già nel cortile... -
Sorrisi al pensiero di Peter che tremava per l'emozione e risposi che ero pronta.
Misi giù il bambino e lo presi per mano, uscendo dalla mia stanza e scendendo le scale.
Io e Peter avevamo convinto tutti a tenere la cerimonia nel cortile, nel bellissimo prato in cui avevamo ballato sotto la pioggia.
Alderian mi aspettava prima del portone.
Ricordo con imbarazzo il pomeriggio in cui gli avevo chiesto di accompagnarmi all'altare, come voleva anche la tradizione di Narnia, al posto di mio padre. Lui aveva accettato con un sorriso, dicendomi che era felice di avere quell'onore.
Era in alta uniforme, con lo stemma di Narnia sul petto e la corona sui capelli.
Saerian corse dal re, che gli scompigliò affettuosamente i capelli neri e lo mandò a sedersi vicino alla regina.
Poi la sua attenzione si posò su di me e il suo sguardo ammirato mi fece arrossire.
- Sei bellissima. - Disse, facendomi il baciamano.
Poi prese il mio braccio sotto il suo e mi sorrise.
- Sei pronta? -
- Sì. - Risposi senza esitare.
- Volevo dirti che mi ha fatto piacere conoscervi. Siete due persone meravigliose, sono sicuro che sarete felici assieme. -
Prima ancor a che potessi sorridere a quella frase, stavamo camminando fuori dal palazzo.
Il caldo sole estivo mi inondò della sua luce, e una dolce melodia di flauti e voci fatate – intonata da un piccolo coro di fauni e minuscole scintille d'argento – mi accompagnò verso il luogo dove si sarebbe tenuta la cerimonia.
C'erano rose bianche un po' dovunque, ma non le vedevo.
L'unica cosa che vedevo in quel momento era Peter, in piedi davanti ad Aslan, con indosso un completo di uno stupendo azzurro argentato, che sorrideva nervoso ma felice.
Non mi era mai sembrato tanto bello.
La prima cosa che notai fu uno sguardo nei suoi occhi, uno sguardo che spero che tutti possano vedere una volta nella loro vita negli occhi di chi amano.
È uno sguardo di felicità e di abbandono, lo sguardo di una persona che si fida di te e che sarebbe pronta a morire per te. È lo sguardo di una persona che ti ama, non mi vengono altre parole per descriverlo. È uno sguardo unico, stupendo.
E quella mattina, era lo sguardo del mio Peter.
Alderian lasciò il mio braccio e Peter mi abbracciò di slancio, così forte e all'improvviso da mozzarmi il fiato. Nascose il viso nel mio collo e io nel suo, e rimanemmo così per non so quanto tempo. Poi mi sciolse dall'abbraccio e sorrise.
Nell'azzurro dei suoi occhi lucidi avrei potuto annegare da un momento all'altro, se non fosse stato per Aslan, che iniziò la cerimonia.
C'è un momento, nella cerimonia nuziale, che amo particolarmente ricordare.
Nel nostro mondo la formula “io prendo te come sposo bla bla bla finchè morte non ci separi” è già scritta per entrambi. A Narnia ognuno dei due sceglie la sua formula per dire le stesse cose.
Il primo a parlare fu Peter, e iniziò a parlare con una voce emozionata che non scorderò mai.
Prese le mie mani tra le sue, mi guardò negli occhi e disse:
    - Quando ti ho conosciuto ero un ragazzo come tutti gli altri. Credevo che avrei vissuto la mia vita ordinaria, che avrei studiato e poi sarei diventato responsabile di un'industria come mio padre. Credevo che la mia vita non sarebbe mai stata speciale come quella che ho vissuto come re di Narnia, che non avrei mai realizzato i miei sogni... e già avevo smesso di farne.
    Ma poi sei arrivata tu, e posso assicurarti che è cambiato tutto.
    Ho sperimentato come la vita normale possa essere magica, e come la vita qui possa essere simile a quella normale. Mi hai cambiato la vita, Elizabeth. Per questo ti voglio sposare. Vorrei che tu rendessi magica la mia vita in ogni singolo istante, fino alla fine.
    E voglio proteggerti, starti vicino. Voglio essere per te un amico e un innamorato, un principe e un marito, per tutti i giorni della mia vita. -
Peter tacque, e sapevo che toccava a me. Ma ero così emozionata che la voce non voleva uscirmi dalla bocca. Le belle parole che mi ero mentalmente preparata erano sparite chissà dove, così mi lanciai in una improvvisata dichiarazione sui due piedi.
    - Anche io voglio starti vicino, Peter. Io non lo so se sarò una brava moglie o una brava mamma. Io non pensavo nemmeno che mi sarei mai sposata! A dire la verità non ho mai conosciuto nessuno che riuscisse a leggermi nel cuore.
    E poi sei arrivato tu, e in punta di piedi mi sei entrato dentro, così vicino all'anima che allontanarti vorrebbe dire perdere me stessa.
    Non pensavo che l'amore potesse essere tanto profondo e tanto sincero. Tu mi hai salvato la vita – la mia voce si incrinò pericolosamente, e ricacciai indietro le lacrime di commozione – nel modo più difficile in cui una persona può essere salvata: mi hai tirato fuori dalla mia solitudine e dalla mia tristezza e mi hai fatto capire che la felicità è difficile da trovare dentro di noi... ma impossibile da trovare altrove. Io l'ho trovata, e non voglio perderla.
    Sei tu che mi rendi felice... e io voglio ricambiare, voglio rendere te felice per tutti i giorni della mia vita. -
Il silenzio scese su tutti quelli che erano stati invitati. Io asciugai in fretta gli occhi e vidi che Peter faceva lo stesso, con un mezzo sorriso nella mia direzione.
Saerian si avvicinò trotterellando con in mano un vassoio d'avorio su cui spiccavano due minuscoli anelli.
- Il re e la regina hanno voluto farvi dono di due anelli nuziali, così come è tradizione nel vostro mondo. Scambiatevi gli anelli, figlio di Adamo e figlia di Eva, e nessuno potrà mai separare quello che qui è stato unito. -
Peter prese un anello e la mia mano sinistra.
La piccola fede d'oro scivolò sul mio anulare e la ammirai per un istante. Per quanto minuscola, era un intreccio di roselline d'oro, e proprio al centro stava un microscopico stemma di Narnia. Peter mi sorrise e mi accarezzò il viso con una mano. Poi io presi l'altro anello.
Strinsi forte la sua bella mano tra le mie e poi infilai la sua fede lungo il suo anulare affusolato.
Le nostre mani si strinsero ancora, e i nostri occhi si riempirono di gioia.
- Io vi nomino marito e moglie, principe e principessa di Narnia! - Disse Aslan con un sorriso.
Tutta la gente attorno a noi battè le mani, e si lanciò andare in fischi e urla di felicità.
- Ti amo, Elie. -
- Anche io ti amo, Peter. Ti amo da morire. -
Peter mi sorrise e si chinò a baciarmi sulla bocca.
Chiusi gli occhi e sentii le sue labbra morbide posarsi delicatamente sulle mie, e smisi di pensare.
Il mondo attorno a me era scomparso, con i suoi profumi e le sue grida. Sentivo solo il tenero bacio di Peter e il suo buonissimo profumo attorno a me.
Quando riaprii gli occhi, non capivo dove mi trovavo.
Alberi ancora con le gemme mi circondavo, e indossavo una divisa scolastica. Dietro di noi, un grosso edificio in mattoni, e in lontananza il fischio di una locomotiva. Un campanile lontano svettava sulle case e suonava le cinque e mezza.
In un lampo, capii. Ero tornata a casa.
Peter era accanto a me, e si guardava intorno spaesato, o forse triste.
Poi mi guardò ancora negli occhi, e disse, senza sorridere.
- Credo sia meglio andare. -
Annuii, e presi la mia tracolla.
Ci avviammo in completo silenzio verso la stazione.
Niente festa, per la principessa Elie. Niente ballo, niente lancio del bouquet, niente taglio della torta, niente di niente. Ero tornata ad essere la piccola Beth di Londra prima ancora di poter realizzare di essere una principessa.
In un istante dalla favola ero tornata alla realtà, nel vero senso della parola.
E in quel momento, fui obbligata a mettere la parola fine alla mia avventura a Narnia.

--***--
NdA: noooooo... sniff.. sniff.. è finitaaaaa... Elie è tornata alla realtà, e io anche.
La siepe di biancospino che mi dava ispirazione è sfiorita, lo studio incombe e l'esame di anatomia si avvicina.
La magia di Narnia è svanita per davvero e tutto è finito.
*me si asciuga le lacrime e sorride inchinandosi a voi lettori!*
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto... scrivere la fine di qualcosa è sempre difficile!!!
Un bacio a tutti quelli che hanno letto questa storia, che l'hanno tra le preferite o che la seguono.
Un bacio più grande va...
@ QueenBenedetta: come vedi, li ho fatti sposare, almeno per finire hanno avuto un lieto fine! Spero che tu sia riuscita a resistere e che tu sia tornata dalle vacanze abbronzata e riposata per goderti questo ultimo capitolo della storia... Grazie per avermi lasciato tutte le tue recensioni e spero di rivederti in qualche altra fanfic... ormai siamo amiche, no? ^_^ Bacibaci
@ princessJiu327: Ovviamente lei gli avrebbe detto di sì! Si amano troppo per non sposarsi... e dopo tre anni di convivenza era d'obbligo! Come vedi, la loro missione ora è davvero conclusa: dovevano trovare il Calice della Creazione, sì, ma dovevano anche scoprire l'amore e la felicità dentro di loro. Ora che sono sposati la missione è finita davvero. Chissà, forse a Londra si sarebbero sposati lo stesso... Beh, io Emeraude me la immaginavo come quella di Rayheart (la mia cultura giappo colpisce ancora XD).. bellissima, bellissimissima, molto più di Elie!!! Grazie per avermi lasciato così tante recensioni, sei stata la prima a spingermi a continuare! Grazie di cuore davvero.... tanti baci!
@ clacly: sììììì adoro i bambini, ne volevo troppo mettere uno nella storia! Non ti aspettavi che si sarebbero sposati? E io che pensavo fosse così banale come finale!!! Beh, sono felice di averti stupito! ^^ Ovviamente come vedi ora sono marito e moglie - o meglio principe e principessa, come dice il titolo. Grazie millissime per tutte le tue recensioni, spero di rincontrarti! Bacio!!!
Beh, a questo punto dobbiamo salutarci.
Ma ricordate, chi è stato a Narnia una volta, avrà dentro di sè la magia di Narnia per tutta la vita!
Bacissimi... e grazie ancora a tutti.. =]
*Flora*

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Capitolo 29
*** This is home ***


this is home
This is home

Camminavo verso la stazione con l'entusiasmo che si può avere andando in prigione.
Mentre eravamo fermi aspettando di attraversare la strada, la mia mano urtò quella di Peter, ma la ritrassi intimorita, come se tornando a casa la magia che c'era stata tra di noi fosse scomparsa.
Peter guardò la sua mano, e poi me, con aria interrogativa.
Ma quando avevo ritratto la mia mano e l'avevo presa con l'altra mi ero accorta di una cosa strana.
All'anulare sinistro portavo un anello.
Un semplicissimo cerchietto di legno scuro, sottile, anonimo.
Istintivamente guardai la mano di Peter: al suo anulare c'era lo stesso anello.
Allora era tutto quello, ciò che ci era rimasto del nostro bellissimo matrimonio? Un cerchietto di legno?
In un istante nella mia mente tornarono tutti i ricordi della nostra vita a Narnia, e sorrisi.
Il fatto che ero tornata non doveva cancellare nemmeno un momento di quella vita.
E poi avevo ancora Peter vicino: per troppe volte avevo pensato di essere sola, e lui si era ripresentato vicino a me senza chiedermi niente, solo per proteggermi.
Gli sorrisi, ma Peter non mi stava guardando.
Attraversammo la strada in fretta e scendemmo nella stazione.
Io mi fermai un istante al tabellone delle partenze per vedere a che ora sarebbe arrivato il mio treno, e Peter mi passò accanto.
- Io vado avanti, ci vediamo domani, ok? -
- O-ok. - Replicai io, ma lui era già sparito tra la folla.
Scossi la testa pensando che mi stavo sbagliando, che era impossibile che lui volesse scordare quello che c'era stato tra di noi.
Due Elizabeth si stavano affrontando nella mia testa, una che diceva che mi ero immaginata tutto, che lì era una cosa e che a Narnia un'altra... invece la seconda replicava che l'amore è qui e là, se è davvero amore.
Appoggiai una mano sul cartellone, chiudendo gli occhi e cercando di ritrovare la calma.
All'improvviso mi sentii abbracciare da dietro, e una voce sussurrarmi all'orecchio:
- Stupida, pensi davvero che me ne sarei andato così? -
Mi voltai e gli gettai le braccia al collo.
- Pensavo che per te qui era una cosa diversa... cioè, qui non è Narnia! - Risposi abbracciandolo.
- Oh, Elie... sei tu la mia Narnia! - Esclamò lui ridendo.
Io sorrisi e arrossii a quell'affermazione, e lui mi prese la mano sinistra.
- Ricordi cosa ci ha detto Aslan? “Quello che è stato unito qui non potrà mai essere diviso”. -
- Mai. -
Peter mi prese il viso tra le mani e mi baciò sulla bocca.
Un fischio lontano lo obbligò ad allontanarmi.
- Adesso devo andare davvero. Ci vediamo domattina prima delle lezioni? -
- Sicuro. - Risposi io.
Mi stampò un altro veloce bacio sulla bocca e poi si avviò verso il treno che stava rallentando.
Seguii la sua testa bionda che si mescolava alla folla, tra i cappelli e le acconciature degli adulti attorno a lui.
All'improvviso, ignorando la fiumana di gente che avanzava senza fermarsi verso le porte aperte del treno, Peter si voltò e si alzò in punta di piedi.
- Elie! - Gridò, sventolando un braccio per farsi notare
- Che c'è? - Gridai io.
- Ti amo! -  Gridò lui, con un sorriso negli occhi che li faceva brillare come frammenti di cielo.
- Anche io! - Gridai in risposta, ridendo.
La folla lo trascinò con sé sul treno e io mi ritrovai da sola, sul binario ormai semivuoto, a fissare con aria ebete il treno che si allontanava.
Colsi il mio riflesso in una bacheca di vetro.
Mi avvicinai per vedere meglio.
No, quella che vedevo non era Beth. Quella era la principessa Elie... solo che invece dell'abito bianco e dei fiori tra i riccioli portava la divisa scolastica e i codini.
Il mio sorriso mi stupì: era un sorriso felice... come quello di Narnia.
Salii sul treno qualche minuto dopo, e mi sedetti vicino al finestrino. Appoggiai la fronte al vetro freddo e ripensai alla mia avventura.
    It's started out as a feeling
Com'era iniziato tutto? Con un sorriso di Peter, con un affascinante scintillio dei suoi occhi azzurri. Non mi ero nemmeno accorta di lui, ma gli avevo sorriso istintivamente, quando mi aveva raccolto il libro, tanto tempo prima.
    Which then grew into a hope
E poi, a Narnia... all'inizio avevo avuto paura, ma lui vicino a me mi metteva tranquillità. E lentamente, mi ero resa conto di essermi innamorata di lui... ma non lo volevo ammettere nemmeno a me stessa. Mai e poi mai mi sarei lasciata andare alla debolezza dell'amare qualcuno.
Eppure, quando l'avevo baciato nel buio, avevo sperato che per lui fossi importante.
    Which then turned into a quiet tought
E me ne ero resa conto quando ci eravamo salvati aggrappandoci l'una all'altra, nella grotta, durante quello spaventoso incubo. Lì avevo pensato che Peter provava per me quello che io provavo per lui. Era stato solo un pensiero, ma che gioia...    
    Which then turned into a quiet word
Arrossendo un po', ripensai alla nostra prima volta, sotto il Salice D'argento. Come se la cosa di per sé non fosse stata magica, mi aveva sussurrato all'orecchio “ti amo”. Ti amo. Ti amo.
Che suono strano avevano quelle due parole, per me che non le avevo mai sentite.
    And that world grew louder and louder
    'till it was a battle cry
E poi aveva combattuto per me. Avevamo combattuto l'uno per l'altra, per l'amore che ci teneva insieme, per quell'amore che volevamo “portare avanti”. Per noi due, e per nessun altro. Volevamo sopravvivere, ma non per chissà quale dovere. Solo per la nostra voglia di vivere assieme.
Era stata la prima volta in cui avevo fatto una cosa per me e non perché 'dovevo'.
    I'll come back, when you call me
    no need to say goodbye
No, non gli avrei mai detto addio... ci sarei sempre stata, se lui avesse avuto bisogno di me. Gliel'avevo promesso, quando ci eravamo sposati. E anche se non avevamo ancora vent'anni, a Londra, io l'avevo sposato, e avrei vissuto di conseguenza.
Ma non perché 'dovevo'... ma perché volevo vivere così.
    Just because everything's changing
    doesn't mean it's never been this way before
Solo perché eravamo a casa non significava che dovevamo dimenticare quello che ci aveva legato, no? Lui mi aveva detto che ero la sua Narnia... e lui era la mia. Essere tornata a Londra con lui era come portarsi dietro un po' della magia di quel posto stupendo.
    All you can do is try to know who your friends are
    as you head off to the war
Nella mia mente comparve il viso di Lexander, bello e sfrontato, con il suo ciuffo di capelli rossi. Pensare a lui mi metteva rabbia, tristezza e anche un po' di imbarazzo... perché io, all'inizio, ci ero proprio cascata, come una bambinetta, nelle sue attenzioni finte. Forse non erano finte, non lo so... ma mi ero lasciata abbindolare, e questo mi metteva abbastanza in imbarazzo. Per fortuna avevo saputo riscattarmi, anche se proprio all'ultimo momento.
Caro Peter, che mi aveva perdonato senza nemmeno dirmi niente!
    Pick a star on the dark horizon
    and follow the light
Poi ricordai la nostra stanza nella torre. Tutte quelle stelle nel cielo che si specchiavano nel mare, quasi che il mondo fosse tutto un unico firmamento che girava attorno a me e a Peter.
Portavo la luce di quelle stelle nel cuore, assieme alla speranza e all'amore: tre fiammelle che avevano illuminato il mio buio. Appoggiai una mano sul mio petto per sentire il mio cuore battere e il calore di quelle tre luci ardere dentro di me.
    You'll come back when it's over
    no need to say goodbye
Era stato bello stare lì. E qualcosa mi diceva che ci sarei tornata. Forse molto tardi, forse molto presto... ma prima della fine, sarei tornata a casa, a Narnia. Non avrei mai dovuto pensare di doverle dire addio.
    Now we're back to the beginning
    It's just a feeling and no one knows yet
E adesso eravamo di nuovo a casa, eessuno sapeva quello che ci era successo... e nessuno avrebbe dovuto saperlo. Per tutti io e Peter ci conoscevamo appena da qualche settimana, tra di noi non c'era mai stato nulla. Era tutto tornato all'inizio, e la nostra relazione per tutto il mondo era ancora allo stadio “sentimento e nulla più”.
    But just because they can't feel it too
    doesn't mean that you have to forget
Ma non avrei dimenticato. Non avrei ricominciato tutto daccapo solo perché nessuno attorno a me sapeva cosa mi era successo, perché la “bambina adulta” un po' triste era diventata una ragazza forte e sorridente. Avrei detto che ero felice, che andava tutto bene, che era tutto a posto. Perché era la verità.
    Let your memories grow stronger and stronger
    'till they're before your eyes
Avrei lasciato i miei ricordi crescere e mettere radici dentro di me. E chissà, magari un giorno avrei messo nero su bianco quella storia, e avrei disegnato i momenti più belli tra di noi, il quadro con me e lui mano nella mano che avevamo appeso nella nostra stanza... Non avrei scordato nemmeno un minuto della nostra vita assieme. E avrei coinvolto Peter nel mio ricordare, così avremmo potuto vivere assieme ancora un pezzetto di Narnia.
    you'll come back
    when they call you
    no need to say goodbye
No, non avremmo mai abbandonato del tutto Narnia. Saremmo tornati indietro prima o poi... ma l'essersi trovati, scoperti e amati era la magia più grande... e quella magia non si sarebbe cancellata. A quella magia non avremmo mai detto addio.
Il treno rallentò e si fermò sferragliando alla stazione vicino a casa mia.

Ero ferma davanti alla porta di casa, con la mano sulla maniglia.
Cosa mi aspettava?
Una sorella di pessimo umore, due genitori arrabbiati, un'atmosfera pesante, un sacco di doveri e una marea di compiti.
Ma per una che aveva affrontato i lupi, le illusioni e una manica di stregoni... per una che aveva imparato a cavalcare e a ballare il valzer, per una che aveva rovesciato un usurpatore e che aveva resistito alle sue avances, che aveva avuto speranza davanti alla morte e che aveva creduto nell'amore anche quando era stata sul punto di mollare tutto... per la principessa di Narnia, quelle erano bazzecole.
Il mio pollice sinistro accarezzò il cerchietto di legno all'anulare. Da qualche parte avevo letto che l'anello – il cerchio – è il simbolo dell'infinito, per questo ce lo si scambia al matrimonio.
E quello che avevo imparato lo avrei per sempre portato nel cuore: adesso ero amata, ero felice, ero forte.
Presi un gran respiro e aprii la porta.
- Sono tornata! - Gridai.

                                            FINE

--***--
NdA: hehe... chi si era accorto che non avevo messo "completa" alla storia????
E ho anche disegnato due emoticon con il naso lungo nelle note del capitolo prima dello pseudo-ultimo!

Beh, stavolta che la storia è finita (per davvero!) devo davvero fare dei ringraziamenti.
Per prime ringrazio le persone che hanno letto e quelli messo la storia tra i preferiti e tra le seguite, e poi chi mi ha lasciato una recensione: se non ci fosse stati voi, e la ma storia fosse rimasta con 0 visite, forse mi sarei fermata al primo capitolo. Invece qualcuno ha deciso di sognare con me e perciò eccoci qui.
Questo capitolo mi è uscito senza volerlo... stavo rileggendo la storia tutta in fila e verso la fine in Itunes è partita "The call" di Regina Spektor... sì, proprio la canzone su cui ho costruito i pensieri di Elie alla fine. Quella canzone la adoro e ora che è legata a questa storia mi piace anche di più.
@ PrincessJiu: cara princess, anche secondo me è molto triste che sia finita, ma non per questo penso che tu debba allagare la tua stanza!!! (ok scherzo =P) Elie e Peter sono tornati a casa, ma sono felici e adesso sanno di avere qualcuno accanto su cui poter contare per sempre ed è questo che conta.
@ Clacly: anche secondo me è molto triste dover tornare a casa, eppure mi sembrava la cosa migliore. La loro vita è a Londra, dopotutto. Poi sarebbe troppo facile essere felici a Narnia, dove tutto è perfetto... a Londra dovranno lottare per esserlo, ma proprio per questo apprezzeranno di più la loro felicità (ok, è meglio che smetto, sto sproloquiando). Grazie per le tue recensioni, spero di rivederti... a Narnia o in qualunque altro fandom!!! Bacioni!
@ QueenBenedetta: ho aspettato che tu leggessi per mettere questo capitolo a sopresa. Da una parte sono contenta che tu abbia pianto (non perchè sono sadica XD)... vuol dire che ti sei lasciata coinvolgere da un racconto e trovo che questa sia una qualità sotto ogni punto di vista. Ti mando tanti baci... speriamo di risentirci presto!
Per finire, vorrei dire alle mie adorate recensitrici che mi dispiace deluderle ma non penso di scrivere un continuo con Elie e Peter.
Trovo che le "seconde serie" non valgano nemmeno la metà delle prime e preferisco una storia fresca fresca con nuovi personaggi che un continuo di questa, per quanto io possa amare profondamente questi miei 'pargoli'.
Però chissà, magari l'estate porterà giudizio e avrò ispirazione per una storia del tutto nuova... Magari la troverete verso settembre e avrete voglia di leggerla nonostante tutto!

Comunque, per tranquillizzarvi, vi assicuro che Elie e Peter saranno felici per tutta la vita!!!!
E dopo questo commento finale lungo come quasi tutta la mia fanfic vi saluto....
                                 da Cair Paravel è tutto, FairyFlora vi saluta e spera di rivedervi presto in altre fanfiction!
                                                 *baci baci*
((PS: Dimenticavo. In uno dei primi capitoli ho scritto che questa storia è dedicata ad una mia amica che avrebbe bisogno di una storia così. Purtroppo lei è ancora incastrata a casa con i suoi mille problemi tra genitori, sorella, casa e scuola, e non è arrivato nessun Peter a salvarla. Tuttavia sta un po' meglio. Solo leggere questa storia l'ha fatta sognare... e per qualche minuto ogni settimana smetteva di essere lei e diventava la principessa Elizabeth. E questo le dava la forza per andare avanti.))

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