As if we were Brothers

di Cara_Sconosciuta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** - capitolo uno - ***
Capitolo 2: *** - capitolo due - ***
Capitolo 3: *** - capitolo tre - ***
Capitolo 4: *** - capitolo quattro - ***
Capitolo 5: *** - capitolo cinque - ***
Capitolo 6: *** - capitolo sei - ***
Capitolo 7: *** - capitolo sette - ***
Capitolo 8: *** - capitolo otto - ***
Capitolo 9: *** - capitolo nove - ***
Capitolo 10: *** - capitolo dieci - ***
Capitolo 11: *** - capitolo undici - ***
Capitolo 12: *** - capitolo dodici - ***
Capitolo 13: *** - capitolo tredici - ***
Capitolo 14: *** - capitolo quattordici - ***
Capitolo 15: *** - capitolo quindici - ***
Capitolo 16: *** - capitolo sedici - ***
Capitolo 17: *** - capitolo diciassette - ***
Capitolo 18: *** - capitolo diciotto - ***
Capitolo 19: *** - capitolo diciannove - ***
Capitolo 20: *** - capitolo venti - ***
Capitolo 21: *** - capitolo ventuno - ***
Capitolo 22: *** - capitolo ventidue - ***
Capitolo 23: *** - capitolo ventitrè - ***
Capitolo 24: *** - capitolo ventiquattro - ***
Capitolo 25: *** - capitolo venticinque - ***
Capitolo 26: *** -capitolo ventisei- ***
Capitolo 27: *** - capitolo ventisette - ***
Capitolo 28: *** - capitolo ventotto - ***
Capitolo 29: *** - capitolo ventinove - ***
Capitolo 30: *** - capitolo trenta - ***
Capitolo 31: *** - capitolo trentuno - ***
Capitolo 32: *** - capitolo trentadue - ***
Capitolo 33: *** -capitolo trentatré* ***



Capitolo 1
*** - capitolo uno - ***


Eh sì, è già qui, la mia nuova ficcy che Minako aspettava con tanta ansia... Allora, prima di iniziare credo sia necessario dare un paio di avvisi. Questa non è una storia facile né divertente come Hanno rapito i Jobros, anzi, sarà molto drammatica, dato che la mia intenzione è trattare almeno tre temi abbastanza scottanti. Non saranno, ovviamente, i soliti Jonas quelli di cui leggerete qui: sono più grandi e il tempo e gli eventi li hanno cambiati non poco. Visto che la decisione di far rompere il voto a Kevin in Gabrielle ha suscitato tanto scalpore, ci tengo a dirvi che qui almeno uno dei protagonisti del voto se ne sbatterà allegramente per una serie di motivi che si capiranno lungo il racconto.

Basta, credo sia tutto qui... spero mi seguirete comunque!!!

Infine, viste le tematiche piuttosto forti, trovo particolarmente importante specificare che i Jonas Brothers non mi appartengono e non voglio in alcun modo rappresentare la loro vita o il loro carattere. La storia, chiaramente, non è scritta a fini di lucro.

Temperance

 

-Capitolo Uno-

Non deve essere facile perdere un fratello.

Io non lo so, non mi è mai successo.

A loro invece sì, loro che sono laggiù, ormai da cinque anni senza di me.

Ma voi non ci state capendo niente e forse è il caso di cominciare dall’inizio e non dalla fine. È una storia lunga, ma io non ho fretta… l’eternità è un tempo… beh, eterno, ed infinitamente monotono, quindi, se vi va di ascoltarmi, sarò ben felice di parlare un po’ per voi.

Bene, iniziamo… è passato quasi un anno, ormai da quel giorno, il giorno in cui la nostra storia prende forma.

 

He was my North, my South

My East and West

My working week and my Sunday rest

My noon, my midnight

My talk, my song

(H.Auden, Funeral Blues)

Sedici di settembre.

Il cimitero era verde come da ormai più di sei mesi autunno e inverno non gli permettevano. Verde e colorato dai petali di mille fiori che, avessero potuto scegliere, probabilmente avrebbero preferito stare in qualsiasi altro posto.

Non dev’essere bella la vita di un fiore al cimitero, ci avete mai pensato? I gambi recisi stretti in quei tristi e verdognoli vasetti di rame a cono, fissati giorno e notte da mille occhi di persone che non esistono più stampati su mattonelle di ceramica, regali inutili che non fanno altro che rattristare noi poveri morti.

Che poi, se non fosse per le troppo frequenti e forzate visite ai cimiteri, essere morti non sarebbe neanche male. Insomma, non è che cambi tanto dall’essere vivi… cambia di più per quelli che sono lasciati indietro, per quelli che vivi, in effetti, ci rimangono.

Come loro, appunto.

La ragazza dai lungi capelli rossi camminava piano sui corridoi di ghiaia bianca, circondati dalle lapidi. Quegli stessi occhi che i fiori tanto odiavano la seguivano, cercando di decifrare la strana bellezza del suo viso tondo, di quello sguardo contrito.

In mano, un mazzo di grosse margherite arancioni.

Eliza mi porta sempre e solo margherite arancioni, anche se non sono proprio convinto che lo faccia per me. La conosco da quando sono nato, non è mai stata ipocrita al punto da portare un dono a chi non lo può ricevere.

Quei fiori sono per mio fratello, per ricordargli che non è l’unico a soffrire.

Come se non fosse sufficiente Kevin a mostrarglielo.

Kevin che, in quel momento, stava in piedi all’imbocco del corridoio che porta alla mia tomba, guardando fisso davanti a sé qualcosa che solo lui poteva vedere, una sera di quattro anni prima.

 

“Fantastici! Non potevamo fare un concerto più bello!”

Joe guardò il fratello maggiore riflesso nello specchietto retrovisore, scuotendo la testa alla linguaccia che Nick, seduto al suo fianco, gli rivolse.

“E quando mai noi non siamo fantastici, Joy?”

 

“Ciao.”

Kevin si voltò verso Eliza, quasi sorpreso che una semplice voce fosse riuscita a strapparlo dai suoi ricordi.

“Ciao.” La salutò con un sorriso triste, stringendosi di più nel lungo cappotto grigio scuro.

Non nero, nero mai.

“E così è di nuovo quel giorno, eh?”

“Sì… meno male che capita una sola volta all’anno, di più non lo sopporterei. E lui men che meno.”

“Non migliora?”

Kevin si strinse nelle spalle.

“Dopo quattro anni, Liz?”

“Può darsi… il tempo cicatrizza le ferite.”

“Oppure le infetta.”

 

“Sapete che pensavo?”

“Perché, tu pensi, pure?”

“Sempre spiritoso, Kev, mi raccomando. Seriamente, io penso che dovremmo…”

“Joe…”

“Non ora, Nick, sto creando.”

“JOE, FRENA!”

 

Joe scosse la testa, riscuotendosi dalla trance che lo aveva colpito proprio lì, inginocchiato davanti alla mia lapide di marmo grigio.

Grigio, eccolo, il colore della morte.

Quell’urlo non lo abbandonava, non ne voleva proprio sapere. La voce di Kevin, terrorizzata, gli risuonava nella testa ogni giorno, quando meno se lo aspettava, riportandolo a quel sedici di settembre ormai lontano nel tempo, eppure ancora così vicino a lui.

L’urlo di un fratello che poteva vedere ogni giorno e che non faceva altro che ricordargli l’altro, quello che gli si mostrava soltanto in sogno e in fotografia.

Che non faceva altro che ricordargli me.

“Scusami.” Mormorò, chinandosi a baciare la mia fotografia, per poi tornare alla posizione iniziale.

Non si sarebbe mosso di lì finché Kevin non lo avesse chiamato e, anche allora, avrebbe fatto molta fatica a lasciarmi.

 

“Nome.”

“Kevin Jonas. Dove sono i miei fratelli?”

“Età.”

“Ventuno. Mi dice dove cazzo sono finiti i miei fratelli?”

“Non si agiti, il suo braccio è fratturato.”

“Me ne fotto del mio braccio! Voglio vedere i miei fratelli!”

“Potrà vederlo quando arriveremo in ospedale.”

“Vederlo?”

 

“Forse dovresti chiamarlo…”

“Forse non tocca a me.”

“Kevin…”

“Liz, sei la sua migliore amica, a te dà ascolto.”

“Kev, io ho paura di lui. Sì, spesso mi ascolta, ma l’ultima volta che non lo ha fatto mi ci sono voluti tre strati di fondotinta per risparmiargli la denuncia.”

“Lo so, lo so…”

 

“Mi sa dire come si chiama?”

Bianco. Non capiva.

Perché era tutto bianco?

“Signor Jonas, ricorda il suo nome?”

“Joseph.”

“Molto bene. Segua la luce…”

“Sono in ospedale?”

“Sì, Joseph.”

“Joe. Anche Kevin e Nick sono qui?”

“Potrà vedere suo fratello appena avrò finito i controlli. È stato fortunato, sa? Al volante e solo tre costole spezzate.”

“Io ho due fratelli…”

“Mi dispiace, Joe… mi dispiace davvero tanto, ma non c’è stato nulla da fare.”

 

Una mano si posò sulla sua spalla.

“Ancora qualche minuto, Kev, ti prego.”

“Dobbiamo andare a casa.”

Non era mai stata fredda, prima, la voce del mio fratellone. Lui era quello sempre pronto ad aiutare, lui quello che aveva una parola gentile anche nei momenti più brutti, lui che ci sosteneva nei successi e nei disastri.

Ma questo era prima, appunto.

La verità era che Kevin Jonas non era in grado di sopportare il dolore e ogni minuto passato in quel cimitero era per lui letale.  

Joe, invece, sembrava buttarsi contro la sofferenza a braccia aperte, stringendola forte a sé, come se gli fosse servita a rimanere ancorato alla realtà.

Diversi, semplicemente e completamente diversi.

“D’accordo.”

Lentamente, Joe si alzò in piedi, lanciando un’ultima occhiata alla mia fotografia.

 

Un cielo sereno, un prato verde, un gruppo di persone tra le lapidi grigie, la sicurezza a tenere un’orda di ragazzine chiuse fuori dal cancello.

Joe era esterrefatto... come era possibile che non capissero?

L’unica cosa che i famosi Jonas Brothers volevano quel giorno era essere lasciati in pace, senza fan, senza giornalisti. Che poi, c’era ormai ben poco per cui sgolarsi e sorridere: senza Nick il gruppo era finito.

“Coraggio...”Sussurrò Eliza, stringendosi al suo braccio.

Lui si scostò.

Non aveva bisogno di lei.

 

“Ciao, Joe.” Lo salutò Eliza, quando i due giovani uomini si trovarono nuovamente accanto a lei.

“Ciao, Liz.” Rispose lui, passando oltre, senza nemmeno guardarla.

Kevin le accarezzò piano un braccio, fermandosi un istante ad analizzare quegli occhi tristi come i suoi, ma per un motivo che certo non era la mia morte o, per lo meno, non lo era più.

“Si renderà conto di quanto sei importante per lui.”

“Ciò che conta è che si renda conto che non è lui quello morto in quell’incidente.”

Kevin annuì, chinandosi a posarle un bacio sulla guancia.

“Saluta Nick per me... e digli che mi dispiace se io non riesco mai a farlo.”

“Non ti preoccupare, Kev, ti conosce, sa che hai bisogno dei tuoi tempi.”

Con un sorriso, la donna ricambiò il bacio, accompagnandolo con un debole abbraccio, e lasciò che Kevin raggiungesse suo fratello con quattro rapidi passi di corsa.

Kevin e Joe Jonas... i suoi amici del cuore dai tempi dell’asilo ridotti a delle mere immagini di ciò che erano stati.

Sospirando, si avvicinò alla tomba e vi si inginocchiò davanti, prelevando dal suo contenitore il piccolo vaso di vetro che lei stessa aveva portato in sostituzione di quello di bronzo.

Eliza è fatta così, ha sempre un pensiero in più degli altri e così la mia tomba è l’unica del cimitero ad avere un vasetto di Murano al posto di quell’orrendo conetto di metallo.

Con gesti rapidi e nervosi rovesciò sul marmo della lastra gli scheletri delle vecchie margherite, poi riempì di nuovo il contenitore d’acqua e vi sistemò i fiori nuovi, identici a quelli vecchi.

“Non dovresti lasciare che quei due si sentano così in colpa, sai?” Con un po’dell’acqua rimasta inumidì un fazzoletto e prese a lucidare la mia fotografia. Non le importava che mi madre già lo facesse una volta a settimana, era un suo piccolo rituale al quale, presumibilmente, non avrebbe mai rinunciato. “Dopotutto, non sono stati loro ad ucciderti... è stato il caso e tu dovresti davvero  fare qualcosa per farli sentire meglio. Non so se li guardi, da ovunque ti trovi, ma sono, perdonami l’allusione, niente più che due cadaveri ambulanti. Tutti e due, Nick, anche se, come sempre, è Joe quello che non sa nascondere i propri sentimenti, Kevin è distrutto quanto lui, lo so. Io ci ho provato ad aiutarli, ma ci ho guadagnato solo qualche livido qua e là... non so se riuscirò mai a rimanere di nuovo da sola con lui... ma probabilmente sì, sai come sono fatta, lui per me è tutto. Dagli qualcosa in cui credere di nuovo, fagli trovare un lavoro, una donna, un cane, qualsiasi cosa possa farlo sentire meglio. Ti prego, Nick, facci uscire da questo incubo.”

Sospirando, Eliza si alzò in piedi e, a fatica, riportò sul suo viso ciò che poteva, almeno da uno sconosciuto, essere scambiato per un sorriso.

“Anche Frankie ti saluta, dice che verrà più tardi, perché ora è fuori con la sua ragazza. La sua ragazza, Nick... È bella, sai, ti piacerebbe, credo, e lui sta diventando un magnifico giovane adulto. Senza considerare che sembra l’unico in grado di condurre ancora una vita normale. Lo invidio, sai? I suoi diciotto anni li sta vivendo nel miglior modo possibile, mentre io ne ho ventisette e mi sento come se fossero cinquanta...”

I suoi occhi scuri si soffermarono ancora un istante sui bei fiori arancioni, per poi spostarsi sulla foto e sull’epigrafe.

Nicholas Jerry Jonas, amato figlio, fratello e amico.

Banale, o almeno, questo è quello che io ho sempre pensato.

“Bene, tra dieci minuti inizia il mio turno. Ciao, Nick, ci vediamo presto. Ti voglio bene.”

Dopo aver soffiato un bacio leggero come il vento in direzione della lapide, Eliza si voltò, lasciando che i boccoli ramati si avvolgessero con delicatezza intorno al suo collo latteo e si avviò verso l’uscita del cimitero.

E io rimasi lì, ancora una volta solo in mezzo a centinaia di fantasmi che, come me, avevano mille storie da raccontare e nessuno disposto ad ascoltarli.

Mi facevano sempre sentire in colpa, le parole di Liz. In colpa per aver ridotto così i miei fratelli, in colpa per non poter dare a Frankie consigli su questa nuova e bellissima ragazza, in colpa per aver abbandonato la mia famiglia.

In colpa, perché mi era impossibile realizzare anche uno solo dei desideri della mia amica.

Perché i morti sono morti, non divinità e non hanno nessun potere sul corso degli eventi.

Anche noi, come i vivi, dobbiamo adattarci ad un destino che non possiamo controllare.

La differenza?

Noi siamo spettatori, possiamo solo guardare e sperare.

I vivi no, loro sono gli attori e il copione lo possono cambiare.

Semplicemente, rendersene conto per loro non è poi così facile.

 

Continua...

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** - capitolo due - ***


Caspita che accoglienza per questa nuova storia!!! Mi credete se dico che non me l’aspettavo proprio, visti gli argomenti? Pensavo che ne rimaneste scoraggiate, e invece... già 13 preferizzazioni!!!

Prima di passare a ringraziare tutte una per una, vi avverto che questo capitolo è molto statico, molto di analisi, spiega qualcosa di più della vita dei due fratelli, l’azione inizierà nel prossimo, dove entrerà in scena qualcuno, né, socia?

E ora i ringraziamenti!!!

 

Socia: Beh beh, si lo so che tu il capitolo lo avevi già letto...e so anche che questo lo aspettavi da morire, quindi eccolo qui! Amo i Kevin e Joe di questa storia, volevo crearli in un certo modo, ovviamente mi sono sfuggiti di mano e fanno per conto loro, come fanno sempre i personaggi di vitto, eh, sore, ma adoro la piega che stanno prendendo...quindi aspetta e vedrai!

 

Ka i: sono sempre felice quando una non fan ama le mie storie, perché vuol dire che le legge proprio perché ama come scrivo e le mie trame, quindi continua a seguirmi, mi raccomando, perché anche io sono una fan un po’anomala, sìsì

 

Beautiful_disaster: Intanto grazie per il romanzo che hai lasciato a JoBros, l’ho apprezzato molto, visto e considerato che adoro le recensioni lunghe e psicologiche..e questa fic ti farà un bel da fare sotto quel punto di vista! Kevin e Joe sono cambiati, è vero, e sono fatti apposta per comunicare dolore...quindi lieta che tu ti sia commossa!

 

Fefy88: Grazie mille davvero per tutti questi complimenti! Dimostrate talmente tanto affetto che tra un po’sarò io a dover piangere!!! E giuro che non scriverò mai di fagioli...o forse sì? Sai che mi hai dato un’idea? Muhuahuahua

 

Sweet Doll: ecco qui, più presto del presto! Mi raccomando, continua a seguirmi!!!

 

Maybe: niente scuse, anzi, scusati se ne farai di più brevi! Come ho detto a beautiful_disaster, adoro le analisi psicologiche e tu ci hai azzeccato in pieno su tutti, come vedrai in questo capitolo! Grazie a te per aver letto! E sì, Eliza è proprio lei!!!

 

Jollina la verde: ti dico subito il mio perché, anzi, mi faccia piacere che l’abbia chiesto. Io amo i racconti drammatici, molto più delle commedie, amo scriverli e leggerli, ma non sono mai riuscita a mettere insieme una long drammatica. Ora credo di aver trovato il fandom giusto e mi ci sono buttata a capofitto!

 

Heilig fur immer: beh, l’importante è che tu abbia deciso di recensire ora, in questa storia che per me è una grandissima sfida! Ti aspetto!!

 

La Fitto: sai cosa? È davvero difficile far raccontare la storia da Nick... è un punto di vista diverso, per niente impersonale, e si sente terribilmente in colpa. Però mi piace. E mi piace che tu sia tornata a commentare!

 

Sbrodolina: grazie mille per questa dimostrazione d’affetto che mi dai... lo so di averti giocato un colpo basso, ma il tuo Nick sarà tutt’altro che assente, stai tranquilla.

 

Razu_91: sapevo che avrei shockato qualcuno con questa scelta! E aspetta di vedere Kevin e Joe nei prossimi capitoli....

 

Pretty_Odd: guarda, solo perché hai recensito anche da ammalata ti do uno spoiler: tutti e tre avranno un ruolo più che fondamentale... insieme a due altre personcine...

 

Aya chan: Come ho detto, Martha arriverà nel prossimo capitolo. Per il resto, sono felice che ci sia almeno qualcuno dalla parte mia e di Marta per la storia del voto...sì, era indispensabile che Kevin lo spezzasse e in questo capitolo capirai perché.

 

Agatha: non hai ancora recensito, ma so che lo farai e lo farai alla grande, come sempre, quindi ti ringrazio già!!!

 

Temperance

-Capitolo Due-

 

Un pomeriggio della vita ad aspettare che qualcosa voli

Tornare indietro un anno, un giorno

Per vedere se per caso c’eri

E sentire in fondo al cuore un suono di cemento

Come si cambia per non morire

Come si cambia per ricominciare

 

Joe Jonas girò la chiave nella serratura della porta d’ingresso del piccolo appartamento in centro a Princeton che condivide con Kevin da quando io me ne sono andato.

È strano, sapete, pensare a quello che un tempo erano i Jonas Brothers, pensare ai soldi, alle fan, al lusso sfrenato e compararli con quel tugurio in un quartiere povero, semplice ma, per lo meno, non malfamato. Non penso che vi piacerebbe scoprire come tutto quel denaro è stato scialacquato, credetemi. Vorrei non saperlo nemmeno io... io che ero lì ogni sacrosanto minuto a guardare i miei fratelli chi si rovinavano solo perché io me n’ero andato.

Che cosa devo dirvi? La vita a volte è così, gioca brutti scherzi e non tutti sanno reagire.

Il soggiorno era scuro, tutte le luci spente e dalla camera da letto proveniva una melodia jazz sparata a tutto volume.

Joe roteò gli occhi, mentre sul suo viso si dipingeva un sorriso amaro.

Sempre così, ogni santo giorno.

Si chiedeva quando sarebbe finita, quando suo fratello avrebbe avuto la forza di superare quel momento che durava ormai da anni e, francamente, a quell’epoca me lo chiedevo anche io.

Con un sospiro, si chiuse la porta alle spalle e si rintanò in cucina, sfregando tra loro le mani per riscaldarle.

Settembre... metà settembre ed era già maledettamente freddo.

Soffiandosi una ciocca arricciata da davanti agli occhi, attaccò il bollitore alla corrente, scelse una tazza dalla credenza e un infuso dalla collezione di suo fratello.

Non se ne sarebbe accorto di certo e poi quel tè gli serviva proprio.

In silenzio, si sedette davanti al vecchio tavolo di legno chiaro, lasciando che la sua schiena si appoggiasse completamente all’imbottitura di una delle sedie che mamma gli aveva praticamente tirato dietro quando si era trasferito.

Sedie barocche in un appartamento più lineare di un dipinto di Mondrian.

Grottesche, ma nessuno dei due ci aveva mai fatto caso più di tanto.

Rimase lì, per un tempo indefinitamente lungo ed incalcolabilmente breve, fissando il vuoto, senza chiudere gli occhi per paura di rivivere l’orrore di quel giorno, quello che lo tormentava con il senso di colpa in ogni minuto della sua esistenza, il borbottio del bollitore e la musica, mista a sospiri, proveniente dalla stanza accanto unici suoi compagni.

Svogliatamente, prese in mano il telecomando e lo puntò verso il piccolo televisore sistemato in posizione strategica, il più in alto possibile, sopra al forno a microonde ma, come al solito, il segnale non riusciva a raggiungere l’antenna. Magari ci avrebbe dato una controllata quando avesse smesso di fare così freddo.

Verso maggio, più o meno.

Tanto i programmi televisivi lo annoiavano.

Come i libri e i giochi del computer.

Come la vita stessa.

Quella vita sempre uguale, sempre triste, monotona ed indesiderabile, in cui ogni giorno era uguale al successivo e al precedente, mai niente di speciale, mai qualcosa in cui valesse davvero la pena di mettere in gioco tutto se stesso.

Non lo invidiavo affatto e non so che avrei fatto io al suo posto, ma di certo non avrei reagito molto meglio.

Passandosi una mano tra i capelli versò il tè nella tazza e si alzò in piedi, avviandosi verso la porta, diretto in soggiorno, dove avrebbe potuto andare avanti a fare niente, ma sprofondato nella sua poltrona preferita.

Uscì dalla cucina sorseggiando il tè proprio mentre Kevin chiudeva la porta d’ingresso alle spalle dell’ennesima ragazza senza nome e, come al solito, una rabbia cieca ed insensata prese lentamente a montargli dentro.

“Potreste anche fare un po’più piano, sai?” Domandò, tagliente, mentre Kevin si voltava verso di lui con aria scocciata. “Ogni tanto, magari, mi farebbe piacere ascoltare un po’di televisione, invece delle tue performance, fratellino.”

“Che problemi hai, Joe? Quella televisione nemmeno si vede.”

“Non è questo il punto.”

“Dio!” Esclamò Kevin, facendo un giro su se stesso per calmarsi un minimo, preparandosi ad affrontare l’ennesima quasi-lite con il fratello minore.

E Joe può essere davvero difficile da gestire, credetemi, lo conosco fin troppo.

“Sentiamo, quale sarebbe il punto?”

“Sarebbe che ti porti a casa una diversa ogni sera e spendi i nostri soldi per questo. Lo capisci che ti stai rovinando la vita, Kev, te ne rendi conto?”

“Almeno io non la rovino agli altri.”

Diretto. Crudo. Cattivo.

Davvero, a quell’epoca facevo una gran fatica a ritrovare qualcosa di mio fratello nell’uomo che portava il nome di Kevin Jonas.

“Io sono nessuno per te?”

“Andiamo, la tua vita fa già schifo così, non sarei in grado di peggiorare la situazione nemmeno se lo volessi! Eliza, invece...”

“Lascia Eliza fuori da questa storia, lei non c’entra nulla con le tue puttane!” Ringhiò Joe, avvicinandosi con aria minacciosa al fratello maggiore.

“No, hai ragione, ma non c’entra niente nemmeno con le tue manie di autodistruzione. Pensaci.”

E, in un attimo, fu fuori dall’appartamento.

 

         E dentro un taxi nella notte

Avere freddo e non sapere dove

Sopra a un letto di bottiglie rotte strapazzarsi il cuore

E giocare a innamorarsi come prima

Quante luci dentro hai già spento

Quante volte gli occhi hanno pianto

Come si cambia per non soffrire

(Fiorella Mannoia, Come si cambia)

 

“Taxi!” Gridò Kevin in direzione dell’automobile gialla che si stava avvicinando a lui a lentezza esasperante a causa del traffico che sempre intasava Princeton nell’ora di punta.

Per questo non voleva prendere la sua macchina, così se fosse rimasto imbottigliato troppo a lungo avrebbe sempre potuto scendere ed andare a piedi.

“Dove ti porto?” Domandò il tassista, senza smettere di ruminare la sua gomma, il berretto dei New York Yankees ben calato sugli occhi.

“Dove le pare, ma lontano da qui.”

“Problemi di cuore, capo?”

Kevin sorrise amaramente, stringendosi nel maglione che, senza l’ausilio di una giacca, nulla poteva contro il freddo quasi invernale che impregnava quell’autunno grigio.

“Più in famiglia, direi.”

“Ah... la famiglia può essere un gran bel problema, a volte, ma le gioie che dà lei non le dà nient’altro.”

Kevin sospirò, lanciando uno sguardo sconsolato alla città che scorreva al rallentatore fuori dal finestrino ingrigito dallo smog.

“Sì... sì, ci credevo anche io, una volta.”

“Parli come se avessi cent’anni, ragazzo...”

“È come se li avessi, si fidi.”

“Sai, mi ricordi qualcuno...” Considerò l’uomo, sbirciando il volto del suo passeggero riflesso nello specchietto. “Ti ho già visto, per caso? Sei mai stato in tv?”

“Solo un paio di volte, ma l’ultima volta è stato tanto tempo fa.”

“Capisco... e dove...”

“Senta, io scendo qui, tenga il resto.”

Basta.

Non ce la faceva più a rispondere alle domande che tutti gli ponevano, dai suoi genitori ad un tassista mai visto prima che andava a rivangare il suo passato come la terra in un campo da coltivare.

Per questo pagava quelle ragazze, per questo aveva buttato al vento vent’anni e passa di voto di castità senza mai davvero essersi innamorato.

Loro non chiedevano nulla, se non i soldi e quelli non erano mai stati un problema.

Certo, presto sarebbero finiti, ma la sua regola, da quattro anni a quella parte, era carpe diem, vivi alla giornata. Avrebbe pensato ai problemi finanziari quando si fossero presentati, non era il caso di fasciarsi la testa prima di romperla, checché ne dicesse Joe.

Joe...

Era perfettamente cosciente che il fratello non aveva assolutamente torto riguardo al distruggere la propria vita, ma ehi, era la sua esistenza e lui non si doveva intromettere.

Non quando la sua attività principale era starsene seduto per ore a guardare il vuoto senza concludere nulla né darsi da fare per trovare un lavoro.

Lavoro, ecco, quello era stato l’unico lato positivo dell’ultima estate. I corsi di pedagogia che aveva frequentato negli ultimi due anni avevano finalmente dato i loro frutti e il liceo musicale di Princeton l’aveva assunto come insegnante di musica moderna.

Un colpo di fortuna, niente da dire, anche se non era proprio certo di essere la persona più adatta per avere a che fare con dei ragazzi di quell’età, con la loro voglia di vivere e tutto quanto.

Io, però, ero sicuro che qualcosa di buono da quella scuola sarebbe venuto. Non chiedetemi come, ma lo sapevo con certezza, per quando Kevin non ne fosse esattamente quel che si suol dire convinto.

Ciò che contava, in quel momento, era che almeno uno dei miei fratelli avesse deciso di rimettersi in gioco, di ricominciare a vivere o, almeno, di provarci.

Concedendosi, per la prima volta da parecchio, un sorriso sincero, Kevin rabbrividì e, le mani infilate nelle tasche dei jeans, si avviò verso casa, sperando che Joe non avesse, nel frattempo, combinato qualche idiozia delle sue, mentre il sole iniziava a tramontare dietro le cime dei grattacieli.

 

Continua...

 

 

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Capitolo 3
*** - capitolo tre - ***


Beh, che dire... non pensavo davvero che fosse possibile aumentare ancora il numero di recensioni, e invece mi ritrovo a due capitoli con un totale di 28 commenti e 16 persone che mi tengono tra i preferiti quando la storia ancora non è iniziata... ragazze, davvero io non so cosa dire... Quindi vi ringrazio postando già questo terzo capitolo dove entrano in scena almeno 4 nuovi personaggi, uno dei quali sarà essenziale (né, socia?XP). Mi sento in dovere di informare che alla fine del capitolo sarà trattata in maniera abbastanza massiccia la tematica del suicidio, giusto per non farvi arrivare impreparate. Ho un sacco di idee che ritengo abbastanza buone per questa storia e spero davvero che continuerete a seguirmi così, anche perché fidatevi, pian piano le cose si alleggeriranno.

E ora i ringraziamenti ad personam...

 

Sbrodolina: mi piace che mi si pongano domande su come una storia è nata, perché vuol dire che interessa davvero e, quindi, sono felicissima di risponderti. Perché proprio Nick... vuoi la verità? Non lo so. Quasi mai so perché un mio racconto si evolva in un certo modo rispetto ad un altro. All’inizio, a dire il vero, avevo pensato a Frankie, ma non avrei saputo spiegare la dissoluzione del gruppo e poi lui, bambino, non avrebbe certo potuto fare da narratore/coscienza dei protagonisti. Lo so che non è una risposta soddisfacente, ma non so nemmeno come finirà la storia...quindi temo sia proprio il massimo che posso fare.

 

Pretty_Odd: di tutte e due? Uhm...una posso capire, ma l’altra? Chi pensi che sia l’altra? Dai, dai, vediamo se indovini...anche se dubito!!! Il dolore di Joe... beh, il dolore di Joe è fortissimo perché lui era alla guida, anche se non credo soffra più di Kev, solo che lo dimostra in modo diverso: Kevin si tiene tutto dentro, mentre lui esterna, credo sia per questo che sembra che stia peggio del fratello.

 

Socia: non aprire quella scatola!!!! Ok, dopo questo attimo di sclero incomprensibile a tutti gli altri, passo a dirti che anche io, senza falsa modestia, adoro i miei Kevin e Joe, proprio perché sono diversi dagli altri e per come spero di riuscire a farli cambiare durante la storia, che non so ancora quanto durerà. Eh sì, Kevin deve essere piuttosto sconvolgente, è la sua funzione, sempre perché anche lui deve subire una metamorfosi...ma chi lo sa meglio della sua donna?

 

Angy92:  vedo con piacere che Kevin vi ha sconvolte un po’tutte...bene bene bene... era il mio obbiettivo renderlo diverso dal bravo ragazzo che è sempre nelle storie e anche, penso, nella realtà.

 

Jollina la verde: non disperare, vedrai che la luce arriverà di nuovo per tutti e due i fratellini! E, forse, prima di quanto pensi.

 

Maybe: ecco a te un pochino ino ino di azione e Martha! Hope you like it! E voglio un bel commento sui nuovi personaggi, mi raccomando!!!

 

Heilig fur immer: beh, Kevin non è che abbia tanto reagito, non in profondità, comunque... ma te l’ho detto, le cose miglioreranno, sìsì

 

Aya chan: e ci hai visto giusto: il lavoro di Kevin sarà molto molto importante per la storia...e credo che già in questo capitolo capirai perché, scoprendo un aspetto di Martha che in let It Snow avevo volutamente tralasciato.

 

Vitto_LF: intanto colgo l’occasione per ringraziarti di avermi difeso nella ficcy su Billuccio tuo... ma se mi dici che è un’abitudine di quella ragazza non mi faccio tanti problemi. Come ti ho scritto nella lettera, che ovviamente non è ancora arrivata, visto che non l’ho spedita, ora sei costretta a dirmi chi preferisci tra i miei Kev e Joe...ma ti do tempo ancora un capitolo per decidere!!!

 

Ka i: sì , fan anomala, perché io prima di iniziare Hanno rapito i Jobros questi tre qui non è che li reggessi più di tanto e, a tutt’ora, credo siano tre di numero le canzoni che mi piacciono davvero! Che mi piace è il loro stile, quell’aria da bravi ragazzi, così semplici che ti sembra di poterli incontrare per strada....

 

Razu_91: anche a me questa piace più di Jobros...dà più soddisfazioni!

 

Agatha: guarda, io non so come fai, ma riesci sempre a cogliere dei lati dei miei personaggi che io nemmeno mi rendevo conto di aver messo in luce, sei spettacolare! E comunque hai preso in pieno anche i due tipi di dolori... ora voglio vedere l’analisi sulla seconda parte di questo capitolo!!!

 

Sweet Doll: grazie grazie grazie!!!

 

Sensation: e io già adoro te per la recensione che hai lasciato! È sempre bellissimo trovare nuove lettrici!!

Tempernace

 

 

 

 

-Capitolo Tre-

 

Arriva lui

Di quale razza non lo sai

Comunque lui

E ti domandi come mai

Soltanto lui

Ti confonde le idee dal cuore in giù

(i Pooh, Capita quando capita)

 

“Cioè, no, ragazze, ma avete visto che bonazzo non è il nuovo prof?” Esclamò un ragazzo con corti e rossissimi capelli a spazzola, facendo il suo ingresso nella classe di musica moderna con un passo decisamente troppo sculettante, seguito da una giovane sottile vestita di nero e con una serie pressoché infinita di anellini d’argento attaccati alle orecchie che camminava a testa bassa con aria scocciata.

“La vuoi piantare, pezzo di cretino? Come se tu non facessi mai osservazione del tipo ammazza che gnocca quella!”

“Io non ho gli occhi da pesce lesso che avevi tu, quando lo dico.”

“No, tu passi direttamente alla fase bava alla bocca, Milton.”

“Fammi indovinare, Bea, ti fa il verso?” Domandò una terza ragazza, seduta all’indiana su un banco della già affollatissima aula.

“Che novità, eh? Allora, girls, pronte per il nuovo anno?”

“Ovvio che sono pronte, gioia. Ma a proposito di anni... Mar Mar, credevi davvero di scampare al rito?” Chiese lui, avvicinandosi con aria giocosamente minacciosa alla giovane dai lunghi ricci biondi che tentava in ogni modo di sparire dietro alla schiena della sua amica.

“No, Derek, dai, le orecchie no!” Esclamò, afferrando una cuffia di lana sottile dalla tasca della giacca appesa alla sedia e calcandosela sulla testa fin quasi ad arrivare a coprirsi gli occhi.

“Eddai, Martha, è il tuo compleanno!” La incalzò la ragazza seduta sul banco, saltando agilmente in piedi e posizionandosi accanto a Derek.

“E poi sono diciotto, cavolo, mica caramelle!” Infierì l’altra, avvicinandosi a sua volta, così che la povera Martha iniziasse a sentirsi seriamente minacciata. “Ancora tre e sei maggiorenne, baby!”

“Al paese di Francie lo saresti già.” Continuò Derek, ammiccando in direzione della più bassa tra le ragazze, che annuì, agitando la voluminosa massa di ricci scuri.

“Dovresti vedere le feste che si fanno in Italia per i diciott’anni, Mar... e tu nemmeno vuoi lasciarti tirare le orecchie!”

“Non siamo in Italia.” Constatò la festeggiata, cercando febbrilmente una tattica per evadere dalla spiacevole situazione. “Che diceva Beatrix del nuovo prof, Der? Perché la prendevi in giro?”

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, scompigliando con una mano i capelli chiari dell’amica.

“Non sei brava a sviare i discorsi, sai? Ma, visto che ho tutta la mattina per romperti le scatole e un intero anno per farlo ancora meglio, per ora lascio perdere e ti rispondo. Arrivando a scuola io e la frigna, là, siamo passati davanti all’ufficio della preside, dal quale usciva un...”

“Il più bell’esemplare maschio che si sia mai visto in questa giungla, credimi.” Intervenne Beatrix con aria sognante. “Ci ha fermati e ci ha chiesto se studiavamo al college. Noi gli abbiamo detto di sì, che stiamo al secondo anno... lui allora ha tirato fuori un sorriso da stendere e ci fa ‘allora ci vediamo dopo, alla prima ora ho lezione con voi’ e se n’è andato. È stata un’esperienza che ha sfiorato il misticismo.”

“Derek?” Domandò Francie, scettica.

Il giovane si strinse nelle spalle, ostentando indifferenza.

“Non che me ne intenda, chiariamoci, ma non mi sembrava poi questo granché.”

“Ecco, hai detto bene, non te ne intendi, quindi evita di parlare, se lo fai solo per far prendere aria alla lingua. Credetemi, ragazze, quell’uomo è veramente tanta, tanta roba.”

Se mio fratello avesse saputo che parlavano così di lui....

“Comunque, lo scopriremo tra cinque minuti, no?” Si intromise Martha, ben lieta che il discorso compleanno fosse passato in secondo piano.

Nessuno fece in tempo a risponderle, però, perché un silenzio sorpreso si impossessò della classe quando la porta si aprì per l’ennesima volta, lasciando entrare il tanto sospirato professore.

“Altro che quarto d’ora accademico... è un orologio svizzero, questo!” Esclamò Derek, senza curarsi di abbassare la voce.

“Grazie del complimento, signor Milton.” Rispose l’uomo, sorridendo, cordiale e salutando la classe con un ampio gesto della mano.

“Non era un complimento... sa com’è, perdere quei salutari dieci minuti di lezione fa sempre bene, no?” Continuò, imperterrito, il ragazzo, ignorando lo scappellotto che Beatrix gli aveva appena tirato sulla nuca.

“Beh, mi dispiace per te, ma io detesto arrivare in ritardo, anzi, quando posso anticipo.” Dopo avergli rivolto un occhiolino che decretava in modo ufficiale la sua vittoria, Kevin prese in mano un gessetto bianco e si voltò verso la lavagna, iniziando a tracciare a grandi caratteri il proprio nome, mentre gli alunni, sorpresi e divertiti, si scambiavano opinioni su perché quel viso risultasse tanto familiare a tutti loro.

“Allora, ho ragione o ho ragione?” Domandò Beatrix, soddisfatta, voltandosi verso le amiche, sedute dietro al banco che lei condivideva con Derek.

“Carino.” Commentò Martha. “Ma niente di che.”

“Concordo.” Annuì Francie, convinta.

“Non sapete apprezzare...”

“Mi chiamo Kevin Jonas.” Esordì il professore, una volta finito di scrivere, abbandonato il gessetto nel suo contenitore. “E sono il vostro nuovo insegnante di musica moderna.

Venti paia d’occhi puntati addosso.

Silenzio di tomba.

Poi una mano, lenta ed insicura.

“Sì, signorina...”

“Ridges. Grace Ridges. Mi scusi, professore, non vorrei essere indiscreta, ma lei cantava, quattro o cinque anni fa?”

Eccola lì, la domanda che temeva.

La mano destra stretta convulsamente intorno ad un foglio di carta, Kevin prese un profondo respiro, prima di iniziare a parlare, sperando di riuscire per lo meno a simulare un po’di calma.

“Sì, signorina Ridges, cantavo, ma vi sarei grato se non mi chiedeste niente di quel periodo che per me non esiste più. Sono una persona aperta, amo chiacchierare, ma alcuni argomenti con me vanno evitati come la peste, sono stato chiaro?”

Un timido coro di assensi si alzò da quell’insolita platea, così diversa da quella dei nostri vecchi concerti.

“Hai visto che reazione?” Sussurrò Francie all’orecchio della compagna di banco, che annuì, senza riuscire a staccare gli occhi dal viso alterato dell’insegnante. “Guarda come ha conciato quel povero pezzo di carta...”

“Non so a te... ma a me fa paura.”

 

I don’t know how long

I can hold you so strong

I don’t know how long

Just take my hand

Give it a chance

Don’t jump

(Tokio Hotel, Spring Nicht/ Don’t Jump)

 

Joe salì sullo sgabello, le gambe tremanti al punto da fargli credere che non sarebbe stato in grado di mantenere l’equilibrio. Miracolosamente, tuttavia, riuscì a non cadere, aggrappandosi saldamente alla corda che aveva attaccato al lampadario.

Ironico, a volte, quello che la gente fa pensando di avere tutt’altro scopo.

Come avere paura di farsi male prima di uccidersi.

O come legare il cappio che dovrebbe toglierci la vita ad una plafoniera che non reggerebbe nemmeno il peso di un bassotto.

Ironico, davvero, il fatto che mio fratello fosse così convinto di voler morire da quando è successo a me e come, poco prima di fare veramente quel passo, si ricordasse sempre di aver dimenticato qualcosa.

Sempre, ma non quella volta.

Quella volta tutto era a posto: il nodo ben stretto, le viti del lampadario perfettamente avvitate, le lettere per Kevin ed Eliza pronte sul tavolo.

Con le mani ferme di chi ha deciso cosa fare, Joe prese ad aprire lentamente l’anello del cappio, facendo scorrere il nodo verso l’alto.

Ecco, stava per farlo, era pronto, pochi minuti ancora e tutto quel dolore sarebbe finito.

Io che non c’ero più, il suo rifiuto nei confronti di mamma e papà, la musica che gli mancava come l’aria, Kevin e il suo buttare via la sua vita... tutto, tutto non sarebbe più esistito per lui, mai più.

Certo era che lo avrebbero odiato tutti senza possibilità di ritorno.

Papà avrebbe dato fuori di matto e a mamma sarebbe scoppiato il cuore... perdere un figlio è qualcosa che nessuno merita, una di quelle cose che non dovrebbero mai, mai succedere, figurarsi perderne due.

Kevin avrebbe incrementato il ritmo della sua lenta autodistruzione ed Eliza probabilmente si sarebbe chiusa in se stessa fino a scomparire.

Eliza e la sua allegria, la sua semplicità, tutto l’amore che aveva da dare...

Eliza e i suoi occhi... gli occhi di un’amica, l’unica che gli fosse rimasta, che non gli avesse voltato le spalle, nemmeno di fronte alla sua pazzia.

Eliza che lui stava lentamente rovinando.

E poi Frankie che non vedeva da quasi un anno, l’unico dei quattro fratelli Jonas ad essere rimasto quello di sempre, l’ultimo fan di quel complesso che non esisteva più.

E fu allora che si rese conto di non poterlo fare.

Se fosse stato solo al mondo, senza più nessuno sarebbe stato un altro paio di maniche, ma non poteva demolire così la vita di tutte quelle persone che, per qualche imperscrutabile motivo, ancora tenevano a lui.

Non chiedetemi se io abbia avuto qualche influenza in questa decisione, perché non ve lo dirò mai.

Sospirando, Joe scese dallo sgabello con un sorriso colorato di lacrime dipinto sul volto.

“Non ne vale la pena...” Mormorò, passandosi una mano tra i capelli spettinati.

“Che cosa significa questo?” la voce di nostro fratello, fredda ed arrabbiata, lo costrinse a voltarsi, gelando al vedere la sua espressione.

“Kevin, posso...”

“CHE COSA VUOL DIRE QUESTA LETTERA?” Sbraitò, avvicinandosi a lui con due passi veloci e sventolandogli il foglio sotto il naso.

“Scusami, Kev, io...”

“Scusarti? Ti devo scusare? Joe, mi hai lasciato una lettera di addio sul tavolo dicendo che ti saresti ucciso... Dio santo... ti ringrazio di non averlo fatto, così posso farti fuori io con le mie mani.”

“Vuoi lasciarmi spiegare?” Soffiò Joe, iniziando a perdere la pazienza... non ne ha mai avuta molta, proprio no.

“No. Non hai niente da spiegare, Joe, hai passato il limite. Domani vieni a scuola con me. E non una parola con Eliza di questa faccenda. Togli quel coso dal soffitto e vieni giù. Subito.”

 

Continua...

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** - capitolo quattro - ***


Non ho tempo per ringraziarvi una per una, questa volta, ma ci tenevo a postare...dico solo a Razu_91 che quel cinque lo ritirerà, dovessi scrivere la storia più bella del secolo, perché 5 non l’ho mai preso dalle elementari ad oggi, quindi, prof, voglio recuperare! Ma poi...credi che Joe abbia mai davvero voluto uccidersi? Leggi questo capitolo, va... che capisci com’è davvero, il mio Danger, che di cazzate ne farà altre, sicuro... ma....

Temperance

-Capitolo Quattro-

 

When the evening shadows and the stars appear

And there is no one there to dry your tears

I could hold you for a million years

To make you feel my love

(Bob Dylan, To Make you Feel my Love)

 

Eliza si rigirò nel letto, mugugnando, nel dormiveglia, parole incomprensibili. Sbadigliando, aprì gli occhi e si voltò verso la radiosveglia per controllare che ora fosse riuscita a tirare quella mattina.

Le sei.

Niente male per gli standard degli ultimi anni: solo un’ora prima di quando avrebbe dovuto, effettivamente, alzarsi dal letto.

Ravviandosi i capelli rossi, si scostò di dosso il piumino con gesto deciso e si alzò in piedi, cercando a tentoni le ciabatte di pile bordeaux sul pavimento di legno della camera che era sua e della sua gatta da ormai quasi dieci anni.

“Miao!” La salutò Yzma, la micetta multicolore che già l’aspettava davanti alla porta del bagno, il capo leggermente inclinato come a chiederle perché avesse tardato tanto.

“Ciao, Yzy.” Rispose la donna, chinandosi a farle una carezza, accolta da fusa a profusione, e aprendo la porta del bagno, onde poi chiudersi nella stanza senza far entrare il felino, che protestò furiosamente con una sequela di miagolii seccati.

Dopo essersi data al viso una salutare passata di acqua fresca, Eliza si apprestò, come al solito, a cominciare la giornata con il primo passo della sua routine quotidiana: il controllo dei danni.

Che, comunque, la lasciò piacevolmente colpita: l’alone scuro intorno all’occhio era praticamente scomparso e tra poco non sarebbe nemmeno più stato necessario nasconderlo con il fondotinta. I lividi sulle braccia, poi, non erano che un ricordo e, Dio volendo, tempo una settimana avrebbe persino potuto riprendere ad andare in piscina.

Era tempo di perdono.

D’altronde si sa, quando le ferite non fanno più male è molto più facile provare pena e misericordia verso il proprio carnefice.

Soprattutto quando questi è la persona che più si ama al mondo.

Sospirando, Eliza si passò una mano dove fino a poco tempo prima la pelle del suo braccio destro era tendente al viola, immaginando che fosse lui a farlo, mentre i suoi occhi scuri guardavano in quelli di lei, sussurrando in silenzio parole di  scusa in una muta dichiarazione d’amore.

Con uno scatto, riaprì gli occhi, conscia che quei sogni non le avrebbero portato altro che nuovi guai, e si affrettò a coprirsi con la vestaglia che metteva in casa, per poi scendere a fare colazione.

Mentre versava il latte lanciò uno sguardo nostalgico alla foto, scattata da me sei anni prima, appesa al frigorifero.

Lei, sdraiata sulle ginocchia di Joe e Kevin sul divano di casa mia...

 

“Dai, Liz, fammi vedere un bel sorriso!” Esclamò Nick da dietro l’obbiettivo, ma lei mantenne la stessa, identica espressione addolorata.

“Ragazzi, non sto bene, non ho voglia di fare foto.” Ribattè, sedendosi in braccio a Kevin, che le strinse le braccia intorno alla vita, chinandosi a depositarle una specie di pernacchia sul collo.

“Cretino...” Biascicò lei, ridacchiando e passandosi una mano sul punto offeso.

“Già, cretino!” Lo rimbeccò Joe, fingendosi offeso. “Come ti permetti di fare una cosa del genere alla mia donna?!”

“Non mi metterei con te nemmeno tra un milione di anni, Joe Jonas.” Replicò la ragazza, lasciandosi cadere lateralmente sulle ginocchia dell’amico, cercando in qualche modo di non arrossire al sentirsi definire la sua donna. “Ma grazie per avermi difesa da quello lì.”

“E chi ti ha detto che ti ho difesa? Non lo sai che io sono molto, molto più cattivo di lui?”

Eliza fece appena in tempo a cogliere il ghigno sul volto di lui, che già i suoi occhi erano chiusi e tutto il suo corpo sussultava dalle risa, mentre le dita di Joe la solleticavano in ogni punto che riuscivano a raggiungere, non lasciandole neppure la forza di respirare come avrebbe dovuto, mentre Kevin, ridendo a sua volta, incitava Nick a scattare.

 

E io avevo scattato. Ne avevo fatte a decine di fotografie, tutte simili eppure tutte diverse, e poi avevo lasciato a papà la macchina ed ero corso a tuffarmi sul divano con loro per giocare e divertirmi come il diciannovenne che ero.

Allora non sognavo nemmeno che due anni dopo sarei morto.

Nessuno lo faceva.

“Mi mancate, ragazzi...” Sussurrò Eliza, passando una mano sulla carta lucida, per poi sedersi a tavola e piluccare un biscotto, in attesa paziente che arrivasse il momento di andare a lavorare.

 

Negli ambienti gay io sono molto considerato.

Per me è motivo di orgoglio.

Se piaci ai gay vuol dire che in te c’è molta mascolinità.

(Claudio Amendola)

 

 “Kevin, voglio tornare a casa.” Si lamentò Joe, varcando insieme al fratello la soglia della sala professori in cui li aspettava soltanto un giovane uomo impegnato a smanettare al computer con quello che sembrava un programma di grafica.

“In quella stessa casa dove ci sono finestre, lamette, pastiglie, coltelli, corde e cinture? No, tu resti qui.”

Joe sbuffò sonoramente, lasciandosi cadere su una delle morbide sedie della stanza, mentre Kevin si avvicinava all’altro uomo con un fare professionale che quasi lo fece ridere.

“Scusa...” Lo chiamò, sfiorandogli una spalla.

L’altro si voltò quasi di scatto, rivelando un sorriso simpatico, un paio di sottili occhi azzurri e una cravatta rosa fiammante.

“Ciao!” Esclamò, saltando in piedi e catturando la mano di Kevin in un’energica stretta. “Tu sei quello nuovo, quello di musica, vero?”

“Ehm...Kevin.”

“Christian Prato, insegno informatica, piacere! Posso fare qualcosa per te?” Domandò, scompigliandosi con una mano i corti capelli chiari e scannerizzando il suo nuovo collega dalla testa ai piedi senza nascondere un certo gradimento.

Che, ovviamente, mise Kevin piuttosto a disagio.

“Beh...ehm... sì, credo...”

“Quello che mio fratello sta cercando di dire è che ha lezione in prima media ma non sa dove accidenti sia l’aula.” Si intromise Joe, che non aveva nessuna intenzione di lasciar andare la cosa per le lunghe.

“Oh, anche tu lavori qui? Pacchetto famiglia, eh? Beh, è stato un buon acquisto, devo dire... mai vista una tale quantità di ricci tutti insieme.”

“No, lui non lavora qui.” Rispose Kevin, ripresosi, spingendo Joe da parte ed intimandogli con gli occhi di non aprire più bocca.

“Però sapere dov’è l’aula ti serve.”

“Sì, ma potrei sempre chiederlo a qualcun altro.”

Christian ridacchiò, divertito dall’effetto esercitato.

“Vai fino in fondo al corridoio centrale. L’aula di musica delle medie è l’ultima porta a destra.”

“Perfetto.” Ringraziò Kevin, telegrafico, uscendo dalla sala professori a passo di carica con Joe che lo seguiva a ruota.

“Hai trovato un amico.” Commentò, con quel suo fare da strafottente cronico che ha sempre, sempre avuto e che temo non lo abbandonerà mai.

“Piantala, Joe.”

“Sai, credo che trovi il tuo culo particolarmente interessante, da come lo sta guardando.”

“Tu!” Kevin si bloccò, voltandosi e puntandogli un dito all’altezza del naso, per poi abbassarlo di scatto e tornare a camminare nella direzione di poco prima. “Lasciamo perdere...”

“Dai, quanti sono con questo gli uomini che ti fanno il filo? Allora, c’è l’idraulico, l’inquilino del terzo piano nel palazzo di mamma, il cugino di...”

“Joe...”

“...di Eliza e, ora, il prof di informatica. Fossi in te un pensierino su qualcuno di loro ce lo farei.”

“Joe!”

“Ah, sei arrossito! Sei arrossito! Cos’è, ti piacciono tutte quelle attenzioni? Fico, mio fratello è gay!”

“Non sono gay! Tentare il suicidio ti ha reso più idiota del solito, per la miseria?” Lo rimbeccò Kevin, segretamente contento, in ogni caso, di sentir scherzare il fratello. “E, comunque, piacere ad un uomo è segno di grande sex appeal.”

“Sì, però...”

“Siamo arrivati.”

 

Some say

Eat or be eaten

Some say

Live and let live...

(Elton John, The Circle of Life)

 

Joe si rigirò per l’ennesima volta tra le mani l’orologio, lanciando un’occhiata annoiata alle lancette... che sembravano sempre ed irrimediabilmente ferme allo stesso posto. Nemmeno la prima ora era ancora finita e lui già ne aveva piene le scatole... povero fratellone, non ha mai amato la scuola più del minimo indispensabile...

Come potesse Kevin aver scelto un lavoro del genere davvero prescindeva la sua conoscenza, ma se poteva servire a farlo tornare un po’più se stesso... beh, accidenti, che lo facesse!

In quel preciso momento il Professor Jonas, come Joe aveva subitaneamente preso a chiamarlo quando erano entrati in classe, stava cercando di convincere una ragazzina ai suoi occhi particolarmente molesta a salire sul palco per fargli sentire una canzone e lui decise che, piuttosto che rimanersene lì seduto a far niente, avrebbe preso parte in modo un po’più attivo alla lezione.

Anche se questo a Kevin sarebbe piaciuto decisamente poco.

Non aveva ancora fatto in tempo ad alzarsi, tuttavia, che un’altra ragazzina, accompagnata dalla solita amica/ombra salì sul palco, tirando uno spintone a quella che non voleva cantare.

“Prof, se una non è capace non è capace, no? Se vuole, le faccio sentire qualcosa io.”

“Grazie, Madison, ma io voglio ascoltare lei.” Declinò gentilmente Kevin, fingendo di non aver visto il modo in cui Madison si era inserita nella conversazione.

“E che la ascolta a fare, tanto è una sfigata.”

“Madison, adesso basta.” Quasi ringhiò, questa, volta, circondando con un braccio le spalle della ragazzina presa di mira, i cui occhi si stavano riempiendo di lacrime.

“Kev, lascia che se li risolva da sola i suoi problemi o resterà una debole per tutta la vita.”

Lo sguardo che Kevin lanciò a Joe avrebbe congelato chiunque, ma non lui.

E, nel preciso istante in cui me ne resi conto, seppi con certezza che il mio caro fratellone avrebbe combinato un gran casino.

Ignorando le proteste di Kevin, salì sul piccolo palco e afferrò la ragazzina in lacrime per le spalle, puntando gli occhi nei suoi.

“Come ti chiami?”

“Clarisse...”

“Beh, Clarisse, credi davvero che arriverai da qualche parte nella vita, eh? Lo credi davvero, Clarisse?” Chiese, stringendola forte, ma stando attento a non farle male.

Mai, mai più avrebbe fatto del male ad una donna, mai...

“Joe, scendi da qui.” Sibilò Kevin, mentre la classe, ammutolita, assisteva alla scena ad occhi sgranati.

“RISPONDIMI!” Sbraitò Joe, innervosito dal silenzio della ragazzina e dall’intervento del fratello. “Rispondimi, Clarisse! Pensi davvero di poter combinare qualcosa semplicemente mettendoti a piangere? Non ci credo che è tutto quello che sai fare, Dio! Vai da quella stronza, urlale in faccia che ha torto marcio, che non sa un cazzo di te!”

“Joe, fuori di qui, subito!” Gli intimò Kevin, prendendolo per un braccio e attirandolo a forza lontano da Clarisse, che si accasciò a terra, singhiozzando, mentre un paio di amiche le si avvicinavano per consolarla.

“Me ne vado, mio signore e padrone, me ne vado. Ma lasciami dire a quella ragazzina che ce l’ha davanti l’esempio di uno che non ha saputo far altro che piangere: ventotto anni suonati, disoccupato e solo come un cane. Pensaci, Clarisse.”

E, con quelle parole, fu fuori dall’aula.

 

Continua...

 

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Capitolo 5
*** - capitolo cinque - ***


Per farmi perdonare dalla mancanza di ringraziamenti della volta scorsa, ecco qui un bel capitolo lungo lungo e in arrivo una nuova twoshot scritta insieme alla mia socia (che è miracolosamente sopravvissuta alla lettura della seconda parte di questo chappy.

Questa volta vi ringrazio una per una, a partire dalla vitto che sennò rogna e do un grazie particolare anche a chi mi tiene tra i preferiti!!!

 

Sensation: hehe e proprio sul sex appeal di Kev sarà basata la nuova shot di cui parlavo nell’intro!!!

 

Selphie: guarda, l’avrò già detto mille volte, ma lo ripeto più che volentieri: adoro ricevere commenti dalle non fan perché vuol dire che il mio modo di scrivere riesce a far apprezzare anche personaggi che non si amano. Spero che continuerai a seguirmi e grazie mille!!!

 

Sweet Doll: Hihi la piccola chicca del prof gay piace un sacco anche a me... tanto più che ne ho uno anche io, per cui immaginare Christian non è stato difficile! E Joe forse si sta un po’riprendendo...

 

Lyan: e allora leggi di Joe in questo capitolo, che ti piacerà (spero) ancora di più!

 

Minako_86: allora, tu non devi più osare lamentarti di niente e sappi che è il primo e ultimo capitolo che ti mando in anteprima, scroccona! E poi non puoi essere gelosa di Eliza... per ora....

 

Jollina la verde: tranquillizzati, perché Minako ha già provveduto a sfatare quella notizia facendosi un bel giretto nel MySpace dei Jonas!!

 

Ka i: Forse Joe sta effettivamente vedendo una nuova luce e forse proprio grazie a Clarisse, chissà...

 

Sbrodolina: Clarisse ti ricorda Patty perché è effettivamente ispirata a Patty ed è proprio dal suo personaggio che è nata tutta la storia... ma non ti preoccupare, non sarà frignosa come la protagonista del telefilm!!!

 

Giulietta 24: ehi non voglio farti allagare nessun locale! Dai, capitolo un po’più leggerino...

 

Aya chan: la leggerò di certo! E spero che il breve colloquio tra Martha e kev possa accontentarti almeno in parte!

 

Vitto_LF: seriamente, tu devi finirla di lasciare recensioni idiote.

 

Maybe: Liz è molto innamorata...e il prof gay non sarà abbandonato! Beh, per farti perdonare temo che dovrai lasciare un grandissimo commento per questo!

 

Agatha:  In questo capitolo un po’si spiega cosa è successo tra Joe e Liz... ma ci sarà dell’altro. Adoro far interagire i due fratelli e Christian, devo ammetterlo, è uno dei miei personaggi preferiti! Eccolo qui, il seguito!!!

 

Fefy88: hihi figurati, quel fagiolo è uno dei miei eroi, oramai! Beh, io musica nemmeno la faccio...ho un prof che non è brutto...ma è molto Christian, per cui...uff

 

Temperance

-Capitolo Cinque-

 

Quando il sole si distende

Prepotente sulla strada

La mia mente è forte e nuda

Io sono vivo

(i Pooh, Io sono vivo)

 

Joe uscì dalla scuola ridendo come un pazzo, come non gli capitava da quella sera, la mia ultima sera.

Non aveva idea di cosa gli succedesse quel giorno; probabilmente il tentare di uccidersi e capire che non lo voleva davvero gli aveva dato una gran scarica di adrenalina, oppure l’aver finalmente riconosciuto davanti ad altre persone che la sua vita faceva schifo l’aveva sollevato di un gran peso.

Di fatto, erano secoli che non si sentiva così leggero, così vicino non alla felicità, ma per lo meno ad uno stato non prossimo alla depressione.

Ed era bello, bello come non ricordava che qualcosa potesse essere.

Quel vuoto che si sentiva dentro per la prima volta non era più pesante di un macigno, era come se qualcosa nel suo cuore si fosse sciolto, lasciando spazio solo ad una gran voglia di sorridere al mondo, di saltare, di correre, di fare scherzi.

Di tornare ad essere Danger, insomma, almeno finché quella sbornia di energia non gli fosse passata.

Perché se ne sarebbe andata, sì, come no, ma Joe non se la sarebbe di certo lasciata scappare dalle mani senza approfittarne almeno un po’.

Un gelato.

Voleva un gelato...quanto gli mancava il gelato!

Quello della gelateria sotto casa, che sembrava di mangiare frutta fresca o vero cioccolato fondente.

Sì, aveva decisamente bisogno di un gelato al cioccolato fondente e non avrebbe smesso di cercare finché non l’avesse trovato, girando tutte le gelaterie di Princeton, se fosse stato necessario.

Camminando verso il primo chiosco che gli venne in mente, si ritrovò a canticchiare un motivetto imparato chissà dove e chissà perché, lontano nel tempo quanto la sua felicità.

La sua prima canzone da allora...

Ordinò un maxicono cioccolato extradark e pera e si sedette sulla panchina fuori dalla gelateria, gli occhiali da sole sulla testa e il naso rossissimo a causa di quel freddo che continuava risolutamente ad ignorare, soppesando l’idea di chiedere se, per caso, non avessero bisogno di un nuovo gelataio.

Qualche soldo e dolci gratis... che poteva esserci di meglio?

Con un ultimo, soddisfatto schiocco della lingua, svuotò la cialda anche dell’ultima goccia di crema e poi prese a mangiarla, dal fondo, come faceva da bambino, quando la mamma lo sgridava sempre, perché finiva immancabilmente per sporcarsi.

E poi la vide.

Se ne stava in piedi sul ciglio della strada, esattamente di fronte a lui, ben fasciata in un cappottino di lana cotta scuro, la cuffia dello stesso colore calata sui boccoli rossi fin quasi all’altezza degli occhi.

Occhi azzurri tendenti al grigio, perfettamente truccati.

Eliza non si è mai truccata...

Fu un attimo, come in un film si vide passare davanti di nuovo tutto una, due, mille volte.

Il cono gli sfuggì di mano, rotolando sul marciapiede.

 

“Devi mangiare.”

Joe scosse la testa, risoluto, senza nemmeno alzare gli occhi su Eliza che, salopette di jeans e capelli raccolti, gli stava chinata davanti con un piatto di pasta in una mano e una forchetta nell’altra. Come una madre che imbocca il suo bambino capriccioso.

“Joe, per favore!”

“Non ho fame.”

“Smetti di fare il cretino, per favore, sono due giorni che non mangi.”

“Forse dipende dal fatto che la settimana prossima saranno passati quattro anni dal giorno in cui ho ucciso mio fratello, non credi?”

“Joe, Nick non vorrebbe che tu...”

“NON DIRE QUELLO CHE NICK VORREBBE O MENO!” Ululò il giovane uomo, scattando in piedi e facendo cadere dalle mani di Eliza piatto e forchetta. Lei indietreggiò, lasciandosi sfuggire un urlo spaventato.

Sarebbe successo di nuovo, se lo sentiva... e lei nemmeno quella volta l’avrebbe denunciato perché sapeva che da qualche parte, dentro a quell’animale selvatico, schivo e violento, si nascondeva ancora il suo Joe.

“Calmati...” Sussurrò, mentre lui le si avvicinava, le braccia abbandonate lungo i fianchi, i capelli, sporchi e troppo lunghi, davanti agli occhi.

“Tu non sei nessuno per permetterti di fare certe affermazioni, è chiaro, Doolittle?” Tono freddo, vuoto. Il tono di chi il cuore l’ha messo in standby e non sa più come riavviarlo. “Tu non sei nessuno per me.”

 

Colpito da quei ricordi come da un colpo di frusta, Joe si alzò di scatto e prese a correre verso casa con gli occhi che gli bruciavano da quelle lacrime che mai era riuscito a piangere, mentre Eliza lo guardava fuggire da lei, quando avrebbe dovuto essere l’esatto contrario.

 

Ascolta l’uomo e le sue distanze

La fame, le speranze

Ascolta quello che siamo

Quando amiamo

Quanto odiamo

(i Pooh, Ascolta)

 

“Voglio capire qual è il vostro rapporto con la musica e con la musicalità.” Dichiarò Kevin, dopo aver posato la ventiquattr’ore sulla cattedra dell’aula di musica del college, all’ultima ora di quella mattinata, ormai completamente ripresosi dalla sfuriata di Joe. “Per questo ognuno di voi mi canterà un pezzetto di una canzone, ma prima... Derek, dammi una definizione di musicista.”

“Persona che fa musica.” Rispose pronto il ragazzo, ma Kevin scosse la testa, lasciandolo di stucco in allegra compagnia della sua risposta brillante. “Anche lo scacciapensieri appeso alla porta di casa di mia madre fa musica, ma non lo definirei musicista. Martha, prova tu.”

“Ehm...” Balbettò la ragazza, colta nel bel mezzo di un’avvincente partita di tris con Francie. “Un musicista è... un artista, prof.”

“Benissimo! Francie, definisci artista....e no, Derek, non è una persona che fa dell’arte.” Aggiunse, notando la mano alzata del rosso, che l’abbassò immediatamente, sussurrando alla vicina di banco che il prof era davvero forte, fossero stati tutti così...

“Un artista è... colui che ha imparato ad avere fiducia in se stesso.”

“Beethoven!” Esclamò Kevin, riconosciuta la citazione. Una delle sue preferite, se non ricordo male... “Bellissime parole, Francie, brava. E ora, Charlotte, dimmi...”

“Prof, ce lo dica lei cos’è un musicista.” Intervenne Derek con un sorriso sornione.

Kevin gli si avvicinò, in viso un’espressione assolutamente identica a quella del ragazzo.

Un’espressione viva, dopo tanto tempo... l’avevo detto, io, che quella scuola gli avrebbe fatto bene...

“Permettimi di fare un discorso un po’più generale, signor Milton. Partendo dalla musica. Tu credi in Dio?”

Derek si strinse nelle spalle.

“A volte.”

“Capisco. Beh, io invece, essendo figlio di un pastore, ho sempre creduto molto, anche se la vita mi ha portato spesso e volentieri a sospettare che questo Dio tanto buono non sappia poi sempre cosa è meglio per i suoi figli. Ciononostante, la mia idea di musica è sempre rimasta legata alla sfera spirituale: suonare è qualcosa di mistico, per me, è un istante nel quale puoi vivere in eterno, il mondo non esiste e il tempo è senza tempo. Le vibrazioni nell’aria sono il respiro di Dio che parla all’animo umano, la musica è il linguaggio di Dio e noi musicisti siamo le creature più vicine a lui perché diamo voce alle sue parole. Pensateci, ragazzi: non tutti amano l’arte, non tutti amano la letteratura, ma non esiste nessuno che disprezzi la musica.”

Mai aula scolastica fu più silenziosa.

Kevin ha sempre avuto un debole per le frasi ad effetto, aveva un quadernetto, da ragazzo, dove si segnava tutte quelle che lo colpivano di più ed aveva la capacità di tirarle fuori sempre nel momento più appropriato. Come in quel momento, in cui anche lo scalmanato Derek si fermò un istante a riflettere su ciò che aveva detto.

Un bigliettino passò piano piano dalle mani di Martha a quelle di Francie, che lo lesse, ridacchiando al vedere l’espressione dell’amica e a leggere l’unica parola che vi era vergata: wow..

“Smetti di sbavare, Mar, o allagherai il pavimento.” Fu l’ironica risposta che ottenne l’unico effetto di farsi ignorare, mentre Martha tornava a guardare, adorante, quel professore che, probabilmente, aveva sottovalutato alla grande.

E lui la guardò a sua volta.

Per caso, per una frazione di secondo, ma lo fece, regalandole un sorriso che rischiò seriamente di farla sciogliere sul banco.

“Hai notato che si è autodefinito musicista?” Sussurrò Beatrix, voltandosi verso le amiche che, però, non fecero in tempo a rispondere, perché Kevin riprese a parlare, riguadagnandosi quel silenzio reverenziale che di lì a poco tutti i suoi colleghi gli avrebbero invidiato.

“Bene, ora che abbiamo sviscerato il problema di che cos’è un musicista, voglio sentire le vostre voci. Non chiedo volontari perché tanto so chi sarà il primo ad offrirsi. Forza, Derek.”

“Prof, prima di tutto, volevo dirle che lei è veramente un figo.” Dichiarò il ragazzo, alzandosi e tendendo la mano a mio fratello, che la strinse, con un sorriso indefinibile, a metà tra il divertito e il nostalgico.

“Lo so, Derek, me lo dicevano in tanti, una volta. Che ci canti?”

“È una sorpresa... vediamo se la riconosce.”

Kevin annuì, appoggiandosi alla cattedra, pronto a cogliere al volo la sfida che gli era stata lanciata.

Peccato che non si aspettasse quello che venne dopo.

 

“If the heart is always searching

Can you ever find a home

I am looking for that someone

I’ll never make it on my own.”

 

La voce di Derek era pulita e cristallina e, se avesse cantato un’altra canzone, Kevin l’avrebbe probabilmente definita molto bella, ma non in quel caso.

Nemmeno l’aveva sentita davvero...

 

“Your glance.”

“Look at me.”

“Eyes.”

“When you look me in the Eyes!” Propose Nick, raggiante, convinto di aver trovato, come sempre, la soluzione giusta per quel titolo che proprio non voleva nascere.

“È lungo.” Commentò Kevin, pensieroso.

“Ma funziona. Funziona alla grande!” Completò Joe, alzandosi e correndo a prendere un foglio. “When you look me in the Eyes. Sarà un successo.”

 

Kevin si alzò di scatto dalla cattedra e corse fuori dall’aula, sbattendo la porta, mentre Derek, perplesso, smetteva di cantare e tutti gli alunni si guardavano l’un l’altro, sorpresi.

 

Perdere l’amore

Maledetta sera

E raccogli i cocci di una vita immaginaria

(Massimo Ranieri, Perdere l’amore)

 

Kevin si accasciò contro il muro appena fuori dall’aula, mentre nella sua mente si affollavano immagini che anni di psicanalisi pagata dai suoi avevano tentato di fargli dimenticare con l’unico scopo di nasconderli nel fondo della sua anima, dove, prima o poi, si rifugiano tutti i brutti ricordi.

Li aveva relegati lì, chiusi a chiave in una stanzetta oscura, sperando di non rivederli mai più, ma la mente umana è il più complesso mistero del mondo e nessuno può essere ben sicuro di ciò che accadrà, quando si affida ad i suoi oscuri meccanismi.

Kevin aveva cacciato i Jonas Brothers dai propri pensieri a forza, costringendoli a non farsi più vedere, ma poi era arrivata la voce di quel ragazzo e tutto era cambiato.

Milioni di suoni, di colori, di voci e pensieri si susseguivano nella sua testa, sovrapponendosi e contorcendosi, tentando disperatamente di fuggire, prima che lui riuscisse a precludere di nuovo loro ogni via d’uscita dalla loro piccola prigione cerebrale.

Affondandosi le mani nei capelli, Kevin chiuse gli occhi, cercando di pensare a qualunque cosa non comprendesse i suoi fratelli, ma le nostre immagini spuntavano da ogni parte, visioni di noi, felici, ricchi e sorridenti saltavano fuori da dietro il miagolio della piccola Yzma o dalle pieghe delle lenzuola dopo una notte di sesso.

E poi c’erano dei passi, troppo leggeri per essere quelli miei e di Joe, ed una mano gentile posata sulla sua spalla, e la percezione di un viso a una spanna dal suo.

Quando Kevin aprì gli occhi, invitato da quel respiro calmo e regolare che gli sfiorava la pelle, si trovò davanti solo un paio di grandi occhi azzurri che lo fissavano, preoccupati.

Niente automobili in fiamme.

Niente palazzetti in delirio.

Solo una ragazza spaventata.

“Prof, va tutto bene?”

“Martha?”

La giovane annuì.

“Sì, sono io e c’è anche Francie qui con me. Come si sente?”

Kevin scosse piano la testa, cercando di fare mente locale, di riprendere contatto con la realtà, mentre un’altra figura in abiti scuri entrava nel suo campo visivo.

“Sto bene...credo... cosa è successo?”

“Quell’idiota di Derek ha cantato un pezzo del suo gruppo.” Rispose Francie, scuotendo la considerevole massa di ricci castani. “E sì che glielo aveva detto di non fare riferimenti a quel periodo...”

“Oh...”

Tentando in ogni modo di non fare movimenti bruschi che, vista la sua natura di pasticciona inguaribile, erano all’ordine del giorno per lei, Martha scostò una ciocca da davanti alla fronte di Kevin, posandovi poi il palmo della propria mano.

“È freddo come un morto... Credo che dovrebbe andare a casa.”

“No, no, sto bene... Francie, vai a dire a Derek di non preoccuparsi, si sarà spaventato.” Francie annuì e rientrò in classe, mentre Martha, tornata in piedi, tendeva una mano al professore, che l’afferrò, rialzandosi a sua volta. “Grazie mille, Miss Shepherd.” Biascicò, con un debole tentativo di sorriso, al quale la ragazza rispose con un grazie imbarazzato e un abbondante quantità di rossore sulle guance.

“Ehi, guarda che sul serio va tutto bene...” Tentò di rassicurarla lui, passandole un braccio intorno alle spalle.

“Non sembra... è pallidissimo...e gelido...e...”

“Martha, davvero, non ti preoccupare.”

“Mi...mi sono spaventata, è corso via così...”

Tremava.

Quella ragazza tremava e lui si sentiva in colpa per averla ridotta così. Scuotendo il capo, Kevin si chiese come facesse Joe a convivere tutti i giorni con l’aver fatto star male Eliza così tante volte.

“È passato... non succederà più, te lo prometto. Ve lo prometto, a tutti voi.”

Dopo averla lasciata andare, le scompigliò affettuosamente i ricci biondi con una mano e rientrò nell’aula, più o meno pronto ad affrontare le perplessità dei suoi alunni.

Martha lo seguì a ruota, un po’sconvolta e un po’stupita da quella strana situazione, stringendosi inconsciamente le braccia intorno al corpo, nel tentativo di ricreare il calore del tutto sbagliato di un abbraccio che non si sarebbe dovuto ripetere mai più.

 

Continua...

 

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Capitolo 6
*** - capitolo sei - ***


Ed eccoci arrivati al sesto capitolo! Ragazze, non mi sarei mai aspettata di arrivare ad avere 16 commenti tutti quanti positivi!!! Sono davvero davvero felice e spero che questa storia continui a piacervi come vi sta piacendo ora!

Ora, reduce dagli esercizi di canto e da una lettura di poesie, vi ringrazio una per una e poi vi lascio al nuovo capitolo!

 

Razu_91: Tranquilla, prof, guarda che non mi sono mica offesa, anzi! Di certo meglio che sentirsi dire sempre solo brava continua (che, comunque, è una cosa che in questo fandom non mi è praticamente mai successa). Oltre a questo...io AMO il cioccolato fondente, soprattutto come gusto del gelato! L’angioletto biondo (e qui Tempe sghignazza pensando a Minako) da ora in poi sarà sempre presente e sempre un po’di più...e Danger...beh, Danger forse... no, non te lo dico!!!

 

Sbrodolina: Beh, che dire, se non grazie a te e alla tua amica? Io le mie le devo pregare in turco antico perché leggano le mie storie! No, i Jonas non si sciolgono, tranquilla!

 

Il Male: Allora, siccome oggi sei anche un pochino il Bene, ti rispondo come si deve, sìsì. Joe è Joe, lui è una girandola e di alti e bassi così ne avrà da vendere, temo! E ora la seconda parte...a parte il fatto che sei una spregevole lecchina e che ti piace...dich anbiedern ( e io cosa vuol dire non te lo dico), Martha e Kevin mi piacciono una cifra come coppia e vedrai vedrai cosa ho in mente per loro...a partire da questo capitolo!!!

 

Katerina21: Aggiorno, aggiorno...stare a casa da scuola a volte da i suoi frutti ed ecco qui il nuovo capitolo! Eliza io la adoro... e alla fine posso dirti che avrà il suo riscatto, anche se forse sarà un riscatto diverso da quello che ci si aspetterebbe.

 

La Fitto: Il gelato alla pera esiste eccome e io lo adoro, soprattutto accostato al cioccolato fondente! Credo che il commento della seconda parte sarebbe stato sì un romanzo, quindi sorvoliamo... ma posso dirti che nemmeno io so come le cose si svilupperanno, soprattutto come andranno a finire...quindi...

 

Selphie: il tuo commento mi ha colpita: è un’analisi breve ma precisa di ogni personaggio...a parte quello di Kevin...perché io non credo che sopporti meglio di joe, sai? È solo che è meno passionale, più freddo e quindi esterna di meno...vedi che dice di essere andato da uno psicologo, ma che questo gli ha fatto solo l’effetto di ingabbiare i ricordi che poi, quando vengono allo scoperto, sono più violenti che per Joe. Per quanto riguarda le due donne, ad Eliza ci vorrà un po’per entrare davvero in scena...ma ti prometto che ti piacerà!

 

Agatha: sai che non ci avevo pensato che gli alunni sono abbastanza grandicelli per essere stati fan dei Jonas? Grazie per avermelo fatto notare, vedrò di giustificare in qualche modo la loro apparente ignoranza!

 

Sweet Doll: da questo capitolo per un po’ancora la figura di Kevin si alleggerirà notevolmente per la maggior parte del tempo, per cui per un po’non dovrebbe farti più pena XD. Per le emozioni...beh, quello che mi hai fatto è il più grande complimento che una come me, un’attrice, una scrittrice, una che per emozionarsi ed emozionare vive, possa ricevere. Grazie.

 

Maybe: testa di carciofo è un’espressione meravigliosa...io di solito uso testa di quiz, ma credo che adotterò anche questa, sìsì. Derek è una specie di versione rossa del mio migliore amico, quindi gli voglio un gran bene...e proprio come lui fa sempre le cose a sproposito! Ma è questo che lo rende speciale, no? La canzone...beh, io ne so 3 dei Jonas, e questa era quella che meglio si adattava all’obbiettivo!!!

 

Jollina la verde: e io mai mi stancherò di sentirtelo dire! Il drammatico per me è una sfida e sono davvero felice che stia facendo tutto questo successo! E Joe...beh, l’ho fatto reagire esattamente come avrei fatto io, ma non chiedermi perché: io sono la prima a non capirmi.

 

Lyan: quale è la tua preferita? Perdere l’amore? Beh, da questo capitolo vedrai che Kev ha, per ora, almeno due pretendenti... hihihi

 

Aya chan: ficcy letta e commentata!!! Sai che sono seriamente indecisa su chi sia la mia coppia preferita? Cioè, a Joe ed Eliza ci sono affezionata, li adoro... ma Mar e Kev...sono alternativi, particolari, proibiti...e dolcissimi...

 

Beautiful_disaster: Christian in questo capitolo ha una bella parte e sarà presente in tutta la storia, quindi spero davvero che tu ne sia felice! In quanto alla storia diversa...beh, quello era il mio obbiettivo e credo, senza false modestie che non sopporto, di averlo centrato alla grande! Sono troppo soddisfatta! Eliza e Joe si sono incontrati per caso e il discorso di Kev...beh, ho barato, non è assolutamente farina del mio sacco ma è un’unione di diverse frasi prese dal film “Io e Beethoven”...che se non hai visto ti consiglio, perché è meraviglioso sia per la storia sia per la recitazione.

 

Sensation: sai, Kung Fu Panda, io pagherei oro per essere in grado di piangere per uno storia...per non sentirmi fredda e distante come troppo spesso mi capita... ma sono felice di essere in grado di suscitare in altri (complici le canzoni) emozioni tanto forti.

 

Bibi94_Jonas4ever: Ti ringrazio per tutti i complimenti, come ho già detto, sono davvero contenta di aver introdotto qualcosa di un po’diverso nel mondo Jonas! Come si cambia...sai che l’ho scoperta per caso anche io? E l’ho amata da subito, senza scherzare... Quella voce bassa, quella melodia che quasi la copre...ti prende dentro...almeno, a me fa quest’effetto...

Temperance

 

-Capitolo Sei-

 

Nei due mesi successivi non successe nulla davvero degno di nota: dopo l’incontro/scontro con Eliza, Joe era ripiombato nella depressione più nera, ma le fantasie suicide lo avevano del tutto abbandonato e a Kevin la scuola era servita come una vera terapia, tanto che anche le visite notturne di prostitute e simili erano drasticamente diminuite, sebbene ancora non fossero arrivate a cessare del tutto.

Tutto sommato, le cose non andavano per niente male e io non potevo fare altro che sperare che continuassero a girare in quella direzione.

Ma credo che a voi le mie disquisizioni su speranze e preghiere interessino ben poco, quindi torniamo alla nostra storia... ad un particolare corridoio di una particolare scuola superiore, per essere preciso.

 

Ti odio poi ti amo poi ti amo poi ti odio poi ti amo,
non lasciarmi mai più
sei grande, grande, grande
come te sei grande solamente tu

(Mina, Grande Grande Grande)

 

“Muoviti, stupida cosa!” Esclamò Martha, sferrando un calcio decisamente poco aggraziato all’innocente macchinetta per le bevande calde che le stava davanti e la guardava, beffarda, rifiutandosi sia di darle il bicchiere di caffè che le aveva chiesto sia di renderle i soldi.

“Stronza...” Sibilò la ragazza, prendendo a premere con foga il pulsante rosso che, in teoria, avrebbe dovuto aiutarla a riavere i suoi centesimi, ma niente, evidentemente non era giornata.

Sbuffando, si voltò per andarsene, ma si ritrovò faccia a faccia con una camicia bianca a striscioline azzurre.

“Ehi, sta un po’attento, accid... oh, scusi, prof!” Esclamò, rendendosi conto che non era un suo compagno quello che aveva urtato, e diventando di mille colori al sentire la risata solare e pulita del suo emerito professore di musica.

E poi c’era qualcos’altro che la faceva arrossire...qualcosa che non avrebbe dovuto esistere, ma che, da due mesi a quella parte, la faceva star sveglia almeno un paio d’ore tutte le notti. Qualcosa che le scaldava il cuore e la faceva sognare, ma che non poteva essere condiviso con nessuna delle sue amiche e, tantomeno, con i suoi genitori o qualche altro familiare.

“Buongiorno anche a te, Martha. Dormito bene?”

La ragazza annuì, scostandosi in fretta e furia eppure a malincuore, da quel contatto che mai e poi mai, almeno secondo lei,  avrebbe dovuto risultarle tanto invitante.

“Ehm... sì..grazie...”

Se Kevin notò il rossore sulle sue guance -come io sono fermamente convinto- non lo diede a vedere e si limitò a sorridere, frugando nel portamonete alla ricerca di qualche spicciolo.

“È sempre così grande l’amore che dimostri...” Pausa ad effetto. Oh, se se n’era accorto! “...per la macchinetta?”

“Ehm...io...”

Kevin ridacchiò, passandole una mano tra i capelli chiari e fermandosi a scrutare quegli occhi color del cielo per un attimo in più del dovuto, senza capire bene nemmeno lui il motivo di quel gesto affettuoso che il suo corpo aveva fatto praticamente da solo, totalmente scollegato dalla parte razionale del suo cervello.

“Rilassati, era una battuta! Allora, questa cosa ti dà problemi?”

Martha annuì, allontanandosi ancora quanto più le fu possibile senza dare l’impressione di voler fuggire a gambe levate.

“Posso?” Chiese Kevin, mostrandole le monetine appoggiate sulla mano ben aperta.

“Sì, ma guardi che non...” Non fece in tempo a finire la frase che un getto di fumante liquido scuro stava già colando dritto dritto nel bicchierino di plastica beige. “...funziona.” Concluse la ragazza, stupita e, a dirla tutta, anche un po’seccata.

Era dall’inizio dell’intervallo che litigava con quell’aggeggio malefico, tanto che la fila dietro di lei si era tutta trasferita al piano di sotto e ora arrivava quello lì e, tranquillo e felice, si prendeva da bere come se niente fosse stato?

Scocciata, si era già voltata, pronta a tornare in classe, quando una mano picchiettò sulla sua spalla, costringendola a girarsi di nuovo.

“Dimentichi la tua cioccolata.” Disse semplicemente Kevin, porgendole la bevanda con un sorrido divertito.

“Ma prof...e lei?”

“Non ti preoccupare, non bevo mai cose dolci: non vorrei che mi rovinassero la linea.” Con un occhiolino che le fece letteralmente rivoltare l’intestino, e un gesto veloce della mano era sparito dietro la porta della sala professori, lasciando Martha sola a fissare il vuoto con un bicchiere colmo di cioccolata bollente stretto in mano.

 

In sleep he sang to me

In dreams he came

His voice reach close to me

And speaks my name

(Phantom Of The Opera Main Theme)

 

In piedi, appoggiato alla balaustra del balcone della sua villa di Malibu, Joe Jonas guardava il mare che si stagliava cristallino fino all’orizzonte sotto ad un sole degno della Florida.

Kevin, seduto su di uno sgabello poco lontano, accordava una vecchia chitarra malconcia e dall’interno della casa proveniva il profumo invitante di uno dei favolosi piatti che solo Denise sapeva preparare, accompagnato dal suono confuso e lontano di uno dei videogiochi di Frankie.

Una mattinata perfetta in una vita perfetta.

La sua vita perfetta.

Sorridendo e sistemandosi gli occhiali da sole sul naso, Joe si voltò verso la porta finestra al cui stipite Nick stava appoggiato, gli occhi chiusi e l’espressione più rilassata del mondo.

“Ehi, Nicky, vieni a vedere!” Chiamò,  facendogli cenno di avvicinarsi. “Guarda come fila quel motoscafo!”

Nick adorava le barche a tal punto che era arrivato praticamente ad implorare il loro produttore per fargli girare almeno un pezzo di un video sull’acqua...quindi con tre passi veloci fu accanto al fratello, gli occhi puntati nella direzione che lui gli indicava.

“È stupendo!”Fece in tempo a dire, prima che la balaustra sparisse nel nulla e Joe, con un gesto distratto, gli facesse perdere l’equilibrio, facendolo precipitare in quel vuoto diventato di colpo profondissimo.

Agitato e spaventato, Joe prese a chiamare uno ad uno a gran voce i membri della sua famiglia, ma nessuno sembrava volergli dare ascolto.

Kevin suonava.

Denise cucinava.

Frankie giocava.

Solo.

Era completamente solo in una casa piena di automi che non solo non lo ascoltavano, ma nemmeno si accorgevano che lui aveva appena ucciso suo fratello.

 

Lontano, forse in una casa identica alla sua sull’altra sponda dell’oceano, un telefono squillava.

 

Joe spalancò gli occhi nella debole luce del sole di quel novembre già inoltrato proprio mentre il telefono sul tavolino smetteva di squillare ed entrava in servizio la segreteria.

“Joe? Joe lo so che sei in casa. Rispondi, per favore, è da settembre che non ti sento e sono preoccupata. Joe...beh, richiamami appena puoi. Ciao.”

Con gesto affaticato, come se la sua mano fosse pesata un quintale, Joe premette il tasto rosso per cancellare il messaggio.

Con quello erano novantacinque.

Novantacinque messaggi praticamente identici distribuiti nell’arco di due mesi

Non avrebbe risposto nemmeno a quello: lei doveva dimenticarlo.

Passandosi una mano tra i capelli lanciò uno sguardo all’orologio. Le quattro del pomeriggio: doveva essersi addormentato sul divano. Niente di più facile, vista l’esigua quantità di ore di sonno che gli incubi con me protagonista gli concedevano ogni notte.

Presa a due mani la forza che, miracolosamente, ancora gli restava, si alzò e, dopo aver lanciato un’occhiata tra l’adirato e il nostalgico al cellulare, sul quale lampeggiavano sei bustine con il nome di Eliza, afferrò la giacca e la indossò, pensando che, dopotutto, fare un giro in attesa del ritorno di Kev non gli avrebbe fatto che bene.

 

Il mio amico almeno è una bella persona

Uno strano violino con le corde di seta

In un mondo distratto che cinico suona

Questo grande concerto che in fondo è la vita

(Gianni Morandi, Il mio amico)

 

“Avanti!” Esclamò Christian, girando su se stesso e dandosi una spinta con i piedi per far arrivare la sedia di tessuto blu fino alla porta alla quale avevano appena bussato.

“Ciao.” Lo salutò Kevin, entrando e chiudendosi la porta alle spalle. “Ti spiace se uso un computer? Mi servono delle partiture per la lezione di domani.”

Christian si strinse nelle spalle, facendo scivolare nuovamente la sedia davanti al PC del quale si stava occupando.

“Fai pure, ma su uno di quelli. Qui sto finendo di installare gli antivirus.”

E poi fu silenzio.

Un silenzio interrotto solo dai click del mouse e dal ticchettio dei tasti che facevano su e giù sotto alle dita veloci di Christian e a quelle un po’meno sicure di Kevin.

Rumori asettici, neutri, impersonali, di quelli che spingono la gente a tentare di fare conversazione.

“Allora...” Cominciò Christian, nel cui dizionario la parola silenzio non era mai stata contemplata. “Non abbiamo mai parlato molto, io e te. Come ti trovi qui?”

“Bene...bene...” Biascicò Kevin, tentando con scarsi risultati di chiudere una finestra non proprio politicamente e moralmente corretta che si era aperta di sua spontanea volontà sulla schermata che stava visualizzando. “Christian, come si chiude questa roba?” Domandò, nel panico, ringraziando la sua buona stella che le casse fossero spente.

L’uomo ridacchiò, alzandosi e portandosi alle spalle del collega.

“I filmini salvati dai miei alunni in piena tempesta ormonale.” Spiegò, digitando, ad una velocità che a Kev parve molto prossima a quella della luce, una sequenza di numeri e di lettere all’apparenza del tutto casuali. “Devi averlo aperto per sbaglio... non ho ancora trovato il sistema per non farglieli scaricare. Che cercavi? Ti do una mano...” Si offrì il giovane insegnante, avvicinandosi un po’di più a mio fratello, in modo che i suoi capelli gli sfiorassero appena la punta del mento.

“Ehm...” Mormorò Kevin, spostandosi sulla punta della sedia. Cerco...cerco Witney Houston... I Will Always Love You...”

“Mmm...” Annuendo, Christian si portò accanto a Kevin, sedendosi nel piccolo spazio che rimaneva libero e prese a digitare velocemente l’indirizzo di Google.

“Sai.. non sono molto ferrato con i computer...”

“L’ho notato, sì...ma non ti preoccupare, ti aiuto quando vuoi. Se ti va do anche lezioni private a domicilio...sai, così magari facciamo amicizia.” Propose il biondo, usando la mano sinistra per accarezzare lentamente la gamba del suo ormai non così nuovo collega, mentre io, da quassù, letteralmente rotolavo dalle risate.

Che c’è? Credevate davvero che fossi diventato un piccolo angelo con ali e tutto quanto?

Ma per favore...

“Chris...”

“Sì, mi piace che mi chiamino così.” Replicò, sorridendo, il professore di informatica, mentre la partitura di I Will Always Love You appariva sullo schermo.

“Sì, ma Chris... noi dobbiamo parlare.” Disse Kevin, deciso, prendendogli la mano e posandola sul tavolo. Christian non si oppose, anzi, si limitò ad alzarsi, con un sorriso un po’deluso ma sincero dipinto in volto.

“Ho capito, lascia stare... Ehi, io ci ho provato, non farmene una colpa: non ne capitano spesso di ragazzi come te qui. Insomma, il più giovane tra gli altri professori va in pensione l’anno prossimo.”

“Ti capisco, davvero.” Rispose mio fratello, alzandosi a sua volta e portandosi di fronte al collega, più basso di lui di dieci centimetri buoni. “È che io...davvero, non...”

“Non ti piacciono gli uomini, ok, ho capito, non ti devi preoccupare, sul serio. Però mi piacerebbe che diventassimo per lo meno amici...sai, non ne ho molti che non provino a toccarmi il culo appena mi volto.”

Kevin ridacchiò sommessamente, porgendo, poi, una mano a Christian, che la strinse, sorridendo.

“Allora...amici?”

“Amici.”

Ed era proprio un amico, forse, ciò che in quel momento più gli serviva.

 

Continua...

 

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Capitolo 7
*** - capitolo sette - ***


Capitolo totalmente privo di Kev...ma se mi ha perdonata Marta potete farlo anche voi, no? :-D

Purtroppo non posso ringraziarvi una per una, ma dico alla Vitto che è vero, Kevin non sembra particolarmente depresso, ma ricordati che lui è quello che nasconde, è l’attore di famiglia, ma le sue esplosioni di depressione le avrà anche lui...soprattutto perché ho in serbo un problemino mica da ridere per il ragazzo. Ricorda che è Joe quello che ha iniziato a risalire...lentamente, ma ha iniziato...per Kev quel momento è ancora lontano, è solo tornato, dopo il piccolo shock della canzone, quello di sempre, quello che fa il farfallone fingendo di vivere normalmente, anzi, alla grande.

Temperance

 

-Capitolo Sette-

 

Ti chiedo scusa

Per quello che ti ho detto

Per come ti ho risposto

E se ti ho fatto male

Ti chiedo ancora scusa

(Paolo Meneguzzi, Da figlio a padre)

 

La pasticceria all’angolo della terza Avenue era uno spettacolo che Joe non si sarebbe mai stancato di guardare.

Lecca lecca di ogni forma colore e dimensione affollavano la vetrina, accompagnati da minuscoli cannoncini alla crema e da paste straripanti di cioccolato grandi come il palmo della sua mano. E poi caramelle, gomme da masticare, tavolette di cioccolato per ogni gusto e fantasia, e ancora gelati e semifreddi, e torte, torte da ogni parte del mondo, torte dall’aspetto strano ed invitante, che avrebbero messo l’acquolina in bocca a qualsiasi essere umano dotato di senso del gusto.

C’era una Sacher nel frigorifero che faceva angolo con la vetrina. Tipico dolce tedesco, diceva il cartellino. Era sempre lì, sempre uguale eppure ogni giorno diversa, dato che era il dolce più richiesto dai clienti del negozio, e lo guardava, quasi chiamandolo ad assaggiare quel cioccolato forte, scortato con modestia da un timido aroma aranciato. Gli sembrava quasi di sentirne il profumo, e ogni giorno, quando le passava davanti, la tentazione di entrare e portarsi a casa una di quelle meraviglie della Foresta Nera, ma poi un ricordo lo assaliva e lui passava oltre, senza nemmeno più osare guardarsi alle spalle.

 

Si erano appena trasferiti a Princeton e quella stessa pasticceria era proprio sulla strada che portava dalla loro nuova casa agli studi di registrazione.

Ogni giorno ci passavano davanti e ogni giorno Nick si fermava davanti alla vetrina, sospirando alla vista di tutto quel ben di Dio. Sembrava un bambino di quasi vent’anni, con il naso quasi schiacciato contro il vetro e negli occhi il riflesso di un desiderio per molti realizzabile solo con dieci dollari, ma per lui assolutamente impossibile.

“Non so che darei per sentire solo una volta ancora il sapore di una torta normale... di un pasticcino imbottito di crema e non di tutte quelle schifezze che mettono nelle paste per noi diabetici...”

E allora Denise l’aveva fatto.

Per la prima volta aveva deciso di venire meno alle regole e di fare felice il suo bambino, almeno nel giorno del suo ventunesimo compleanno. Così era entrata nella pasticceria, aveva comprato un bignè di quelli giganteschi esposti in vetrina e l’aveva portato a casa, piantandovi in centro una candelina e aspettando, pazientemente, il ritorno dei suoi figli dal concerto che avevano organizzato per il loro fratellino che, ormai, tanto ino non era più.

Tutto ciò che aveva ricevuto, invece, era stata una telefonata da un gelido paramedico che l’avvertiva che quel pasticcino non sarebbe mai stato mangiato, così come quella candela non sarebbe mai stata spenta.

 

Fa un po’male, sapete? Essere sempre nella testa di Joe, intendo.

Uno pensa che, dopo quattro anni, ci si faccia l’abitudine, ma, normalmente, dopo quattro anni anche quelli che ti volevano bene da morire iniziano ad accettare che tu non ci sia più.

Con Kevin è più facile: lui si rifiuta di pensare a me, ma io so che lo fa solo per difendersi e non ridursi alla stregua di Joe. Joe che è perseguitato giorno e notte dal suo stesso fratello.

Se avessi potuto, quel giorno, lo avrei preso a calci per costringerlo ad entrare nel negozio, ma, tutto sommato, non ce ne fu bisogno.

C’è un motivo per tutto, io credo, anche se a volte non ci è ben chiaro...e il motivo per cui i morti non possono influenzare il destino dei vivi senza infrangere circa un bilione di regole è che c’è sempre, o quasi, qualcuno che quello stesso destino lo prenderà in mano al posto loro.

 

“A me piacciono un sacco i dolci.”

Joe abbassò lentamente gli occhi sulla ragazzina che aveva parlato.

Capelli scuri a caschetto, occhiali tondi tondi alla Harry Potter e un cappottino rosa con cappellino coordinato.

Familiare...

“Ehm...anche a me...” replicò, basito, cercando di capire perché gli avesse rivolto la parola e, soprattutto, dove l’aveva già vista.

“Sono proprio buoni, solo che questa pasticceria costa un sacco di soldi, mia mamma non vuole che ci entri.”

Bastò quell’accenno di lamentela a fargli immediatamente capire chi gli stava di fronte.

 

“Rispondimi, Clarisse! Pensi davvero di poter combinare qualcosa semplicemente mettendoti a piangere? Non ci credo che è tutto quello che sai fare, Dio! Vai da quella stronza, urlale in faccia che ha torto marcio, che non sa un cazzo di te!”

 

“Clarisse...” Mormorò, mentre la ragazzina gli rivolgeva un sorriso radioso.

“Ti ricordi di me!” Esclamò, come il giovane davanti a lei fosse stato il suo eroe e non uno sconosciuto che l’aveva presa a insulti. “Se dico alla mia mamma che Joe Jonas si ricorda di me... Non ci crederà mai!”

“Come...”

“Come so chi sei? Beh, ero una tua fan, ovviamente...tutti lo erano, solo che nessuno si azzarda a dirlo per la storia di quello che è successo a tuo fratello.”

“Mai pensato che forse fanno bene? Prova ad imitarli.” Con quelle parole, pronunciate con estrema amarezza, Joe fece per andarsene, ma una piccola mano lo afferrò per il polso.

“Che vuoi?”

“Voglio che mi insegni a cantare.” Dichiarò Clarisse, risoluta, puntando gli occhi scuri in quelli di lui.

“Che? Ragazzina, ma ti ascolti quando parli? Se non te lo ricordi, ti ho urlato addosso senza motivo. Non sono la persona che si desidera come insegnante, sono più...hai presente Shrek? Ecco, una cosa del genere.”

“A me Shrek piace. E poi io proprio per quello voglio cantare: per far vedere a Madison quello che valgo. Non avevo mai pensato di fare una cosa del genere finché non ho incontrato te... Io non voglio una vita di merda, come dici tu... aiutami...”

Joe la guardò per qualche istante, congelato dove si trovava da qualcosa che di certo non era il freddo.

Dalla consapevolezza che quella bambinetta aveva tutto il coraggio che a lui era sempre mancato.

“Che dovrei fare?” Capitolò infine.

“Non lo so, sei tu il cantante.”

“Allora, io ti insegno a cantare... ma tu mi devi aiutare in un’altra cosa.”

“Cioè?”

Joe lanciò un’ultima occhiata alla torta Sacher, che ancora occhieggiava dalla vetrina.

E prese una decisione, la prima da tanto tempo.

“Ti va un pasticcino?”

 

C’è chi lascia tra le briciole il passato al piano bar di Susy

Sotto i tavoli ci ho visto far l’amore al pianobar di Susy

Al piano bar c’è la Susy che sa

Lei ti guarda dentro agli occhi e ti dà

La luna in un bicchiere

(Edoardo De Crescenzo, Al piano bar di Susy)

 

“Una coca al tavolo quindici!”

Nessuna risposta.

La donna dai capelli corvini si avvicinò pian piano alla ragazza semisdraiata sul bancone, per poi sfiorarle appena una spalla con la mano.

“Eliza, sei tra noi?”

La giovane sussultò, alzandosi di scatto e trovandosi faccia a faccia con il suo capo e con i suoi perforanti occhi.

 

“Susy ha gli occhi viola, come Liz Taylor e sembra sempre che ti guardi dritto dritto nel cuore. Da grande voglio diventare proprio come lei.”

Un Joe di otto anni si strinse nelle spalle, continuando a giocherellare con la pallina magica che Denise gli aveva appena comperato dal tabaccaio in centro.

“È inquietante.”

“Sei solo un brutto stupido e non capisci niente!”

 

“Tesoro, che cosa c’è?” Domandò la donna, accarezzando piano i capelli rossi di Eliza e facendo cenno all’altro cameriere di prendere anche gli ordini della ragazza.

“Nulla, davvero.”

“Liz, ti conosco da quando eri alta così e so benissimo che quel muso lungo non è un niente. Joe?”

Eliza annuì, tornando a seppellire il viso dietro alle maniche di lana spessa del suo maglione.

“Non mi risponde da due mesi...sai cosa sono due mesi, Susy?”

“Un mare di tempo, quando una è innamorata. Soprattutto quando è innamorata di un fantasma.”

“Susy, ne abbiamo già parlato...”

“E io continuo a credere che dovresti davvero lasciarlo perdere. Lui non è più quello che amavi, Eliza, possibile che tu non lo veda? Quell’uomo è un relitto di se stesso.”

“Il vecchio Joe è ancora lì dentro, io lo so che c’è, ma...”

“Ma, Eliza, dici bene: ma. Finché se ne resta chiuso lì dentro nessuno se ne farà niente, tantomeno tu. Lo capisci o no che hai bisogno di un uomo vero, di qualcuno che ti sappia amare? Aaron, ad esempio...”

“Ti prego, non ricominciare con la storia di Aaron, siamo solo colleghi e lo sai.” Esclamò Eliza, alzandosi, per niente attratta dall’idea di trattare quell’argomento per la milionesima volta.

“Ma guardalo, Liz!” Gridò a sua volta Susy, afferrando la giovane per un braccio ed ignorando le lacrime che iniziavano a scorrerle giù lungo le guance. Con l’altra mano le indicò il ragazzo dai capelli color miele che sparecchiava il tavolo tredici senza staccarle un secondo gli occhi di dosso. “È pazzo di te! Ed è vero, vero come me e te, vero come questo tavolo!” Concluse, battendo un pugno sul pesante legno del bancone.

“Preferisco amare lo spettro di qualcuno che non c’è più, Susy, piuttosto che prendere in giro un poveraccio che il mio amore non lo avrà mai!”

Togliendosi il grembiule al volo, Eliza si incamminò a passo di marcia verso l’uscita, mentre Susy si riempiva un bicchiere di liquido ambrato.

“Tutti seguono i miei consigli, tutti...tranne la persona a cui tengo di più.” Sussurrò, rivolta alla macchina del caffè che le stava davanti, per poi chiamare Aaron a gran voce.

“Dimmi, Suze.” Rispose il giovane, appoggiando un vassoio e il suo contenuto sul bancone.

“Valle dietro.”

 

Se vuoi ci amiamo adesso, se vuoi

Però non è lo stesso tra di noi

Da sola non mi basto, stai con me

Solo è strano che al suo posto ci sei te

(Nek, Laura non c’è)

 

“Ora mi spieghi perché mi hai seguita...e me l’ha detto Susy non è una motivazione.”

Aaron entrò nell’appartamento di Eliza strofinandosi le mani intirizzite e guardandosi intorno, senza, però, osare fare domande.

Sapeva che quella ragazza aveva avuto a aveva a tutt’ora dei problemi, e non voleva invadere il suo spazio, ma era attratto da lei come non lo era mai stato da nessun’altra e questo, solo questo, è l’unico motivo che a tutt’oggi mi permette di non detestarlo per aver cercato di rubare a mio fratello l’unica persona che lo comprendesse davvero.

“Vivi in un posto molto carino, sai?”

“Aaron, perché sei qui?”

Il giovane sospirò, raccogliendo tutto il coraggio di cui la natura lo aveva dotato, per poi avvicinarsi velocemente ad Eliza e stringerla a sé in un bacio che da tempo sognava ma che mai aveva osato concedersi.

Lei, colta di sorpresa, non fece assolutamente niente, ma, a poco a poco, in lei si fece strada un’immagine che non le dispiacque per nulla e che la spinse a fermare Aaron prima che potesse allontanarsi e a baciarlo a sua volta con tutta la forza che solo la disperazione sa dare.

Affondando le mani nei corti capelli chiari, immaginandoli un po’più lunghi, ricci e scuri, sperando di svegliarsi, il mattino dopo, e scoprire che quella sua fantasia, dopotutto, non era altro che la realtà.

 

Continua...

 

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Capitolo 8
*** - capitolo otto - ***


22.32 15/12/2008

Eccomi qui con un bel capitoline lungo lungo che qualcuno  non vede l’ora di leggere, né, socia???

Quindi non la faccio aspettare oltre e passo subito ai ringraziamenti!

Prima di tutto un grazie speciale alle 30 persone che mi tengono tra i preferiti, a chi legge soltanto e poi a...

 

Minako: tre parole: leggi e svieni!

 

Maybe: innanzitutto, questo faccino *0* è meraviglioso. Poi...beh, Clarisse mi piace, per ora, e spero di riuscire a mantenerla così..ma è molto meno innocente di quanto vorrebbe far credere, fidati.

 

Sweet_Doll: Ma grazie!!!

 

Aya chan: Bacia? Riformula un po’,va XD ma sì, sta tranquilla, niente di traumatico per il piccolo Kev.

 

Katerina_21: hehe, avevo fame quando ho scritto quella parte! Nelle vacanze ti prometto che leggerò!!!

 

La Fitto: Anche io amo Joe!!!! (Vitto: No! Giura! Tempe: -.-‘)

 

Selphie: Oh sì che mi sembra il caso...ma mi rifarò nel prossimo capitolo con due fb dolci dolci dolcissimi!

 

Alexya379: Sì vedrà, si vedrà!

 

Jollina la verde: Oh, una voce a favore di Aaron! Chissà chissà come andrà.... Beh, Clarisse e Joe credo proprio che più di amici non saranno mai, meglio chiarire subito, anche perché lui sarebbe giusto un filino pedofilo!

 

Lyan: No, no, non piangere! Anzi, sì, quell’fb era fatto apposta!!! Ed Eliza...eh, Eliza è partita del tutto, poveraccia, non capisce più un tubo!

 

Fefy88: quella frase...beh, mi è venuta dal cuore...avere un prof che dice cose del genere sarebbe davvero un sogno!!!

 

Sbrodolina: Sì, guarda, se fai caso ho corretto la data della morte di Nick nel primo capitolo perché mi serviva che il primo giorno di scuola fosse il compleanno di Martha che è, appunto, il 17 settembre. Mi scuso, davvero!

 

Agatha: Motivo numero uno: Denise, povera, l’ho distrutta... però ammettilo che quel fb non era niente male come idea! (cm sono modesta...) Motivo numero due: Eliza e Joe, Joe ed Eliza...e Aaron... come andrà a finire? E motivo numero tre....riprenditi, Kevin a partire da ora ci sarà e come!!!

 

Razu_91: felice che la curiosità ti sia tornata!!! Forse sarà così anche per Joe, forse ritroverà la voglia di vivere...chissà...

 

Temperance

 

-Capitolo Otto-

 

Basta avere un altro uomo

Tra i lenzuoli in questo buio

E invece del suo nome

Tra i sospiri dire il tuo

Per dimenticare te

(adattamento da i Pooh, Per dimenticare te)

 

Aaron si alzò dal letto più silenziosamente che poté, raccogliendo velocemente i propri vestiti ed indossandoli senza nemmeno osare guardare la ragazza che, ancora distesa, sembrava dormire con tutta la tranquillità che non aveva la sera prima.

Andarsene così era da codardo, lo sapeva bene, ma aveva già preso in considerazione quella possibilità prima di iniziare a seguire Eliza, ma era molto, molto più difficile del previsto. Dopo come l’aveva trattato, tuttavia, quel briciolo di dignità che resta sempre e comunque, anche agli innamorati, lo costrinse ad infilarsi anche le scarpe e ad allacciarne i lacci, pronto ad uscire per sempre da quella stanza e da quella piccola parentesi di passione senza scopo.

Con un sorriso più triste di qualsiasi lacrima, il giovane si chinò sul viso di lei e le posò un bacio delicato sulla guancia, leggero quanto un alito di vento eppure in grado di svegliarla.

“Ciao...” Biascicò Eliza, la voce impastata dal sonno.

“Ciao.” Rispose Aaron con un sussurro, mentre lei si metteva a sedere nel buio delle ore che precedono l’alba. “Vai avanti a dormire...”

“Ma dove stai andando?”

“A casa...a riposare un po’prima di andare a lavorare.”

Eliza annuì, in silenzio, per poi alzare gli occhi chiari in quelli cerulei di lui.

“Che ho fatto?”

“Mi hai chiamato Joe... parecchie volte, direi.”

La ragazza annuì, seria, mentre una lacrima solitaria le correva giù lungo la guancia.

“Non piangere...” tentò di consolarla lui, sedendole accanto e accarezzandole piano la schiena. “Non hai fatto nulla di male.”

“Piantala, Aaron, nessuno merita di essere trattato come ti ho trattato io.”

“Fidati, hai fatto più male a te stessa. Non ti prendere più in giro così, lui verrà da te, prima o poi. Te lo prometto.”

 

Rido perché tu mi chiami latin lover

Io sono un amante ma

Senza una donna con sé

(Cesare Cremonini, Latin Lover)

 

“Quindi sei una specie di...che ne so...si usa ancora casanova?” Domandò Christian, sorseggiando distrattamente una tazza di tè caldo guardando fuori dalla grande finestra che nella sala mensa si apriva sul cortile della scuola. “O magari latin lover, con quei bei ricci scuri...”

Kevin ridacchiò, spostando per l’ennesima volta le uova nel suo piatto. Le aveva massacrate, quelle due povere macchie gialle e bianche, e non ne aveva assaggiato nemmeno un pezzetto, concentrato com’era a sbirciare continuamente in direzione di un tavolo a quattro posti esattamente di fronte al suo.

“Latin lover io? Ma se l’ultima storia l’ho avuta a venticinque anni!”

“Non dirlo alla prof di lettere, allora: ha un debole per te.”

“Ma guarda che sei peggio delle amiche di mia madre. Pettegola.”

“Pettegolo, semmai.” Lo corresse Chris, contrariato, posando il bicchiere e rubandogli dal piatto una forchettata di uova.

“Ehi, quelle sono mie!”

“Ma se non le mangi.”

“Sì che le mangio, è solo che...”

“Che la testa ce l’hai da un’altra parte. Kev, che cos’hai? Sei strano...”

Kevin si strinse nelle spalle, costringendosi a rivolgere gli occhi verso il suo amico che, quel giorno, indossava uno sgargiante completo giacca-pantaloni azzurro scuro coordinato perfettamente con il colore dei suoi occhi.

 

Così simili a quelli di... no! Kev, non ci provare!

 

“Kevin, ma mi stai a sentire o no?” Chiese, agitandogli una mano davanti al viso.

“Sì, sì...cioè, no...Chris, scusami, non sono più abituato ad avere a che fare con la gente normale. Sai,vivere con un Joe depresso può portare ad effetti del genere.”

“È la tua scusa per tutto, ne sei cosciente? Non è tuo fratello che stai fissando ora.”

“Non sto fissando nessuno, Christian, è che...” Le parole gli morirono in gola quando l’oggetto dei suoi pensieri, sentendosi probabilmente osservata, si voltò verso di lui, trovandosi a guardarlo dritto negli occhi...e assumendo alla velocità della luce una deliziosa tonalità tendente al rosso fuoco.

Sorridendo, Kevin le fece un cenno con le dita della mano destra, al quale Derek rispose sbracciandosi e gridando un decisamente difficile da ignorare “Ciao prof!!!”

“Hai detto di no a me per quello lì?” Domandò Christian, facendo in modo che mio fratello tornasse a guardarlo, rompendo a malincuore il contatto visivo con la sua alunna. “Potrei offendermi seriamente, sappilo.”

“Christian, sei un idiota.”

“Sì, lo so... ma tu non me la racconti giusta. Stai qui da due mesi e mezzo e già hai trovato qualcuno, qualcuno seduto a quel tavolo, con cui flirtare e mi dici che non hai una donna da cinque anni?”

“No.” Replicò Kevin, portandosi un dito esattamente all’altezza del naso. “Non ho detto di non aver più avuto una donna da allora, ma solo di non aver più avuto una storia. Le donne nemmeno le conto più.” Concluse con un mezzo sorriso da bravo ragazzo.

Coooome no...

“Oh, eccolo il termine che cercavo! Sei un puttaniere, insomma.”

“Chris!” Quasi gridò Kevin, saltando in piedi e posandogli una mano davanti alle labbra. “Ho una reputazione, io.”

“Anche io: sono il simpaticissimo prof gay. Non hai negato.”

Con un sospiro, Kev tornò a sedersi, rassegnato, mentre Christian già pregustava la vittoria appena ottenuta senza nemmeno fare troppa fatica.

“No, non ho negato... Sono stato con delle prostitute...un paio di volte.”

Christian inarcò un sopracciglio con fare eloquente. E fu allora che iniziai a nutrire una vera e propria venerazione nei confronti di quell’uomo.

“Ok, un po’di più di un paio di volte...”

“Kevin...”

“E va bene! A sere alterne fino a circa metà settembre....ora un po’di meno.”

Christian sorrise, soddisfatto, ma ben cosciente che ancora non era arrivato per lui il momento di abbandonare la preda.

“E quello sguardo? Da dove l’hai tirato fuori?”

“Quale sguardo, Chris?” Domandò Kevin, sulla difensiva: quello lì era già riuscito a carpirgli un po’troppi segreti per i suoi gusti...

“Ma quello che ti metti addosso tutte le volte che il secondo anno del college è nei paraggi!”

“Non ho nessuno sguardo particolare!”

E arrossì.

Kevin Jonas, l’uomo tutto d’un pezzo, l’uomo che non avrebbe ammesso i suoi sentimenti, qualsiasi essi fossero, nemmeno sotto tortura, assunse l’adorabile tinta di un pomodoro maturo.

E Christian si sciolse letteralmente in brodo di giuggiole.

“Ooooh, che carino sei! Il mio gigolo dal cuore tenero! Chi è la fortunata?”

“Chris...ti prego...”

“È un fortunato?”

“No..”

“Allora non sono io...peccato...tuo fratello è libero?”

“Christian...” Il nome dell’amico, questa volta, era stato pronunciato con lo stesso tono della più disperata delle suppliche.

“Va bene, va bene, scusa...ma è carino, cavoli! Comunque.. me lo dici o no chi è lei?”

“No! Anzi, sai che faccio? Me ne vado che ho lezione.”

“In che classe?”

“Affari miei.” Rispose Kevin, alzandosi e raccogliendo la giacca dallo schienale della sedia.

“Eddai, Kev! Io voglio sapere!”

“Ciao ciao, pettegola!”

E, con quella, fu fuori dalla mensa.

“Oh, peggio per te.” Soffiò Christian alla porta chiusa. “Tanto lo scoprirò.”

 

Non importa cosa, non importa quando, non importa chi.

Ogni uomo ha l’occasione di fare il principe azzurro e rapire una donna.

Gli serve solo il cavallo giusto.

(dal film “Hitch”)

 

 

Joe sedette sulla panchina davanti alla pasticceria, il viso quasi totalmente nascosto da una sciarpa pesante e un cuffia tirata fin appena sopra agli occhi.

Se quello era solo novembre, non osava immaginare cosa avrebbe potuto essere gennaio...

Con uno sbuffo che produsse una considerevole quantità di vapore, scavò tra maniche e guanti per trovare l’orologio da polso.

Le tre.

Aveva fatto male a fidarsi di quella ragazzina: lei non si sarebbe presentata e lo avrebbe lasciato lì come un idiota ad aspettarla per tutto il pomeriggio nella speranza di riuscire a trovare una soluzione al suo problema.

Beh, che volete che vi dica, Joe non è una persona molto fiduciosa nei confronti degli altri...

Aveva appena deciso che, dopo aver contato fino a venti, giusto per sicurezza, se ne sarebbe andato, quando una Clarisse piuttosto trafelata gli comparve davanti, sbucando da una viuzza laterale, e facendogli quasi fare un salto per lo spavento.

“Sei in ritardo.” Constatò, lapidario, senza scomporsi più di tanto.

“Lo so...” Esalò la ragazzina, ansimando come un mantice. “La campana non è suonata e il prof Prato non si è accorto che l’ora era finita: pensava che lo stessimo prendendo in giro. Poi Madison mi ha tagliato le gomme della bici...di nuovo... e sono dovuta venire fin qui di corsa. Però ho i soldi!” Esclamò, raggiante, estraendo dalla tasca un rotolino composto da banconote da un dollaro.

“E a che ti servono?” Domandò Joe, perplesso.

“A pagarti la pasta che mi hai offerto ieri e a offrirtela io oggi, sennò non è leale.”

“Oh, dai, Clarisse, non devi spendere i tuoi risparmi per pagare una brioche a me...”

“Tu ce l’hai un lavoro?” Chiese Clarisse a tradimento.

“Ehm... no, ma non vedo come questo...”

“Bene, la mia mamma sì e mi dà la paghetta tutte le settimane, quindi io guadagno e tu no e non voglio che i nostri pasticcini li compri con i soldi di tuo fratello che, tra l’altro, è il mio prof preferito. Quindi pago io.”

Zittito dal discorso della piccola economista, Joe rimase per qualche secondo seduto immobile, con l’indice della mano sinistra alzato a mo’di monito e la bocca semiaperta ma vuota di qualsiasi parola, finché Clarisse non lo richiamò all’ordine, domandandogli se voleva entrare o restare lì a congelare fino al midollo.

A Kevin Christian, a Joe Clarisse... ma perché le persone migliori i miei fratelli le hanno incontrate tutte dopo la mia morte?!

Al veder entrare la stessa strana coppia del giorno prima, la ragazza al bancone della pasticceria sorrise e salutò entrambi con un sorriso che andava da un orecchio all’altro, decisamente rivolto più a Joe che alla bambina.

“Mi dai un bignè alla crema e una fetta di Sacher?” Chiese Clarisse, posando i soldi davanti alle mani della giovane donna, che decise che scherzare un po’l’avrebbe resa più interessante davanti al bello sconosciuto.

“Come, tuo fratello fa pagare a te?”

Clarisse si strinse nelle spalle, mentre Joe faceva scorta di tovaglioli e li riponeva, insieme ai dolci, su di un tavolino lì a fianco.

“Non è mio fratello, è Joe Jonas. Ed è disoccupato, quindi non ha soldi.”

“Potresti anche evitare di raccontare a tutti i fatti miei...” Sibilò Joe, lanciandole uno sguardo che la invitava caldamente ad andarsi a sedere.

Clarisse obbedì e lui fece per seguirla, quando una voce piuttosto irritante alle sue spalle lo bloccò.

Sei Joe Jonas dei Jonas Brothers? Io adoravo il tuo...”

“No, hai sbagliato persona, mi dispiace.”

“No, no, io sono sicura che sei tu! Avevo sedici anni quando la band si è sciolta, la mia camera era piena di poster.”

“Senti, non mi interessa di chi sei o eri fan, il Joe Jonas che stava appeso in camera tua non esiste più. Io entro e compro da mangiare e tu mi dai i dolci, la nostra relazione finisce qui. Punto.”

Detto ciò, tornò a sedersi, lasciando la povera commessa a guardarlo, basita e un po’sconvolta.

“Perché l’hai trattata così male?” Chiese Clarisse, non appena Joe l’ebbe raggiunta e si fu liberata di sciarpa, guanti e cappello.

“Non dovevamo parlare di canto, io e te?”

“A dire il vero dovevi dirmi cos’è che vuoi tu da me, di canto abbiamo parlato ieri. Hai trattato male anche me la prima volta che mi hai visto. Fai sempre così? No, perché non è un buon modo per fare amicizia.”

“Ti ha sfiorata l’idea che non voglio fare amicizia?”

“Come sei noioso...” Sbuffò Clarisse, tornando, però, a sorridere dopo aver preso un grosso morso dal pasticcino. “Dai, racconta.”

“Ok, ok...” Joe si passò una mano tra i capelli scuri, per poi prendere la forchetta e affondarla quasi con cattiveria nel dolce che gli stava davanti. “C’è una ragazza...”

“Oh, sei innamorato! È per questo che sei così di malumore?”

“Clarisse...”

“Ok, sto zitta.”

“Dicevo che c’è questa ragazza... lei è innamorata di me. Non me l’ha mai detto, ma io so che è così e io le voglio bene, ma non la posso amare, perché le ho fatto troppo male, non merito il suo perdono.”

“Questo lascialo decidere a lei, scusa.”

Joe scosse il capo, sconsolato. Parlare di Eliza era sempre difficile, e ogni volta lo era un po’di più.

“Lei mi perdonerebbe qualsiasi cosa, la conosco. Però, Clarisse, io non sono qui per chiederti dei consigli su come comportarmi con lei, perché questo l’ho già deciso.”

“E allora che cosa vuoi da me?” Domandò la ragazzina, perplessa, inclinando leggermente il capo con la bocca colorata di bianco appena socchiusa.

“Voglio che mi aiuti a dimenticarla.”

 

C’è un tempo per i baci sperati, desiderati

Tra i banchi della quinta b

Occhiali grandi, sempre gli stessi

Un po’troppo spessi

Per piacere ad uno così

(adattamento da Max Pezzali, Lo strano percorso)

 

“Io ti dico che oggi ti guardava.” Sussurrò Francie all’orecchio di Martha, che scosse energicamente il capo, agitando la cascata di ricci biondi.

“Non è vero, guardava Derek che faceva l’idiota.”

“Ma per favore! Ti ha anche offerto il caffè!”

“Beh? È gentile, no? È un difetto, adesso?”

“Ci sta provando!”

Martha sbuffò, sistemandosi un paio di occhiali da lettura sul naso e lasciando ricadere la testa sul banco.

“Ma non finisce più quest’ora?!”

“Qualche problema, Martha?”

All’udire la voce del professore, la ragazza si raddrizzò di scatto, assumendo l’ormai a lei consueta tonalità peperone.

“No, prof...è che... niente, prof, mi scusi.”

Kevin annuì, tornando lentamente verso la cattedra e giocherellando con un gessetto che teneva in mano.

“Mi serve un volontario che copi per me una partitura alla lavagna.”

Derek scattò, cercando di prendere il gessetto dalla mano di mio fratello che, però, glielo impedì, alzando il braccio fulmineamente.

“Martha, perché non vai tu? Così magari ti svegli.” Propose, lanciando il gessetto alla giovane che, naturalmente, lo lasciò cadere a terra dopo aver tentato una complicatissima presa che la portò quasi ad annodarsi le dita tra loro.

“Tempo un mese e sei nel suo letto.” Fece in tempo a soffiarle Francie, prima che l’amica uscisse dalla portata d’orecchio.

 

Figurati se uno come lui prenderebbe mai in considerazione l’idea anche solo di guardare da lontano una come me...

 

“Ecco qui, per disegnare il pentagramma puoi usare la riga che c’è lì.”

Martha annuì, afferrando l’oggetto sopraccitato, mentre Kevin si appoggiava alla cattedra, provocando l’apparizione simultanea di occhi a forma di cuore sui volti di almeno sette delle sue alunne.

“Louis Armstrong. Chi di voi sa dirmi qualcosa di lui? Oh, Signore...” Esalò poi, notando la mano perennemente alzata di Derek. “Ho paura... ma parla, Derek.”

“Posso andare al bagno?”

Kevin alzò gli occhi al cielo, esattamente nello stesso istante in cui Beatrix tirava una gomitata nelle costole al suo compagno di banco.

“Vai... C’è qualcuno che sa dirmi qualcosa di Louis Armstrong? Altrimenti parlo....”

Il tremendo rumore di qualcosa di duro che scivola sulla superficie di ardesia della lavagna interruppe la domanda, costringendo alunni e professori a guardare Martha che, con aria colpevole, stringeva in mano la riga che aveva causato il misfatto.

“Che... che è successo?” Domandò Kevin, confuso.

“Io...ho alzato la mano, suppongo.”

Un risolino nemmeno troppo sommesso si diffuse uniformemente in tutta la classe e Beatrix e Francie si scambiarono un’occhiata, scuotendo il capo, sorridenti.

“Oh...” Kevin sorrise, avvicinandosi alla ragazza, che, in fretta e furia, si girò, tentando in qual che modo di sistemare la riga parallela alle linee già tracciate.

Con scarso successo, per altro.

“Beh, dicci.” La incitò Kevin, avvicinandosi a lei.

“Louis...Louis Armstrong è un grande... beh, era un grande. La sua voce...” Il discorso che aveva in mente le si cancellò totalmente dalla testa non appena vide la mano di Kevin posarsi sull’estremo della riga che continuava a scivolare verso il basso e, un secondo dopo, percepì il corpo di lui avvicinarsi al suo fin quasi ad aderirvi.

“La sua voce cosa, Martha? Dai, ti do una mano, così finiamo prima.”

Deglutendo a fatica, la ragazza riprese a parlare con la voce talmente flebile che nessuno, mio fratello escluso, poteva sentirla.

“La sua voce è roca, profonda, caldissima... è... è una delle voci più emozionanti della musica moderna.”

“Emozionante... e che emozioni suscita in te?”

Beh, che vi posso dire, per i doppi sensi Kevin ha sempre avuto un talento particolare...

“Non... non lo so... calore, credo... mi fa sentire... mi fa battere il cuore.” Concluse, a fatica, non più ben sicura se quelle parole fossero riferite alla voce di Armstrong o alla vicinanza del professore.

“E quindi tu...”

In quel momento, la porta di aprì di scatto e Kevin si affrettò ad allontanarsi da Martha che, di riflesso, fece lo stesso, lasciando cadere a terra riga e gesso e rompendo il silenzio che si era impossessato della classe.

Derek, facendo il suo ingresso, si sentì a dir poco osservato e, per una volta in vita sua, addirittura senza parole.

“Ho...ehm...interrotto qualcosa?”

Kevin scosse il capo, chinandosi per raccogliere gli oggetti caduti.

“Vai pure al tuo posto, Martha...finisco io qui, che manca poco. Voi iniziate a copiare, forza, che domani la cantiamo.”

In silenzio, tutti gli alunni si armarono di penna e carta pentagrammata e presero a scarabocchiare note e pause, mentre l’usuale chiacchiericcio squarciava del tutto il velo di imbarazzo che si era creato.

Peccato, a me piaceva...

“Non aprire bocca.” Avvertì Martha, sedendosi, non appena notò che Francie stava per parlare.

L’amica, in ogni caso, la ignorò bellamente e, con un sorriso tra il divertito e il malvagio, disse esattamente ciò che Martha tanto temeva.

“Un mese? Mi correggo, facciamo due settimane.”

 

Continua...

 

 

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Capitolo 9
*** - capitolo nove - ***


Capitolo cortino, questa volta, ma bello ricco dal punto di vista Kev/Martha che, da questo momento, ho paura sarà sempre un crescendo. Joe poco presente, ma si rifarà nel prossimo...

E ora ringraziamenti!!!

 

Quellaconcuistoparlandosumsn: toh, rompipalle, ecco qui il tuo capitolo da svenimento (letteralmente XD), ma vedi di commentarmi anche Joe questa volta!!

 

Razu_91: se Martha e Kev  ti piacciono, nei prossimi capitoli ci sguazzerai come un pesce nel mare. Eliza fa pena anche a me, così come me ne fa Joe, ma è ancora lontano il momento in cui tutti e due ritroveranno la serenità....

 

Princess jiu 327: ma sicuramente Clarisse è più saggia di Joe! E per Kev e Martha...eccotene una bella dose massiccia!

 

Sweet Doll: e come sempre grazie! Hihi anche io adoro Chris.... come dicevo a Minako, è l’unico a cui potrei pensare di cedere l’uomo della mia vita, sìsì

 

Selphie: ecco a te due begli fb dolci dolcissimi!!!

 

Aya chan: Una? Wow, vai di fretta, eh? Beh, si vedrà.... Se Joe vuole dimenticare Eliza è proprio perché qualcosa per lei prova eccome, o no? Però chissà...le vie di Tempe sono infinite (non farci caso, sono affetta da manie di grandezza non indifferenti, ogni tanto mi viene voglia di conquistare il mondo, cose così... niente di grave, comunque).

 

Jollina la verde: Io l’ho detto e lo ripeto: Joe e Chris sono una coppia meravigliosa, punto. Non so se hai letto la mia shot tutta zucchero su di loro.... li amerai!!! Ma passiamo agli altri... Aaron è buono, troppo buono, e ha una cotta paurosa...forse mostra di averla presa meglio di quanto in realtà non abbia fatto. Eh sì...”la gente è matta” come dice Mia Martini... ma io Joe lo preferisco così che suicida, non so te!

 

Sbrodolina: scusa, da dove l’hai tirato fuori che Clarisse non sa mentire?  Ti ringrazio comunque di tutti i complimenti...creare personaggi non è facile, ma questi li amo particolarmente, soprattutto Eliza e Chris!

 

Lyan: mi spiace,ma credo che questo capitolo non ti chiarirà molto le idee! XD

 

Tay_: Oh te, una vecchia conoscenza! Che bello vedere di nuovo il tuo nome tra le recensioni!

 

Bibi94_Jonas4Ever: Derek è perfido, lo capirai benissimo in questo capitolo...e Joe sa perfettamente quello che Liz prova per lui....

 

Alexya379: giusto! Potere ad Eliza!( e ad Elisa, se possibile. Vedi sopra la nota sulle manie di grandezza)

 

La Fitto: Io AMO Hitch...e Joe in questo capitolo è abbastanza detestabile, sì, lo ammetto. Che Martha sia persa non ci sono dubbi.... kev si vedrà!!! P.s. Regalo spedito!!!

Io

 

-Capitolo Nove-

 

E arrivi tu nei miei pensieri

E ti riaccendi così com’eri

Tra i ricordi non c’è rumore

E non si sente nessun dolore

(i Pooh, E arrivi tu)

 

Joe sedette, un po’esitante, davanti alla piccola pianola elettrica che Kevin aveva comprato quando lo avevano assunto a scuola.

I suoi primi soldi spesi in modo logico dopo l’incidente, pensai, senza preoccuparmi di nascondere un sorriso. Tanto nessuno ci avrebbe fatto caso.

Chiudendo gli occhi, premette piano su uno dei tasti bianchi, per poi ritrarre subito il dito, quasi spaventato da quel contatto che non sperimentava da tanto tempo.

 

“Buon compleanno, Joe!” Esclamò Denise, schioccando un bacio sulla guancia del figlio, che se le pulì immediatamente con il dorso della mano.

“Mamma, lo sai che mi fa schifo!”

“Non capisci niente.” Lo rimbeccò Kevin, avvicinandosi alla madre e reclamando il suo proprio bacio che arrivò, puntualissimo, mentre Nick, impegnato a giocare con il suo trenino nuovo, ignorava beatamente il resto della famiglia.

“Che mi avete regalato?” Paul sorrise: a suo figlio piaceva andare dritto al sodo.

“Beh, hai sette anni, ora...sei un ometto. Corri di là, c’è un bel regalo da grande tutto per te!”

E lei era lì che lo aspettava, appoggiata sul tavolo della cucina e avvolta in un enorme fiocco rosso.

La sua prima pianola.

Inutile dire che era stato amore a prima vista.

 

No, non poteva arrendersi, non poteva farsi trasportare dai ricordi.

Glielo aveva promesso, lo aveva promesso a quella ragazzina e le avrebbe insegnato a cantare, lo avrebbe fatto a qualsiasi costo.

Con uno sforzo che non finirò mai di invidiargli, mio fratello tornò a chiudere gli occhi e suonò più velocemente del dovuto le prime note di quella che era sempre stata la sua canzone preferita.

 

“Ehi, che fai, piangi?” Domandò un Joe quindicenne, passando un braccio intorno alle spalle di Eliza, mentre sullo schermo scorrevano le immagini più commuoventi del film “Highlander”.

Un Connor trentenne abbracciato alla sua Ether ormai anziana, le note di “Who wants to live forever” in sottofondo.

“No...no...ho qualcosa in un occhio...”

“Come no...” Sorrise lui, stringendola un po’più forte. “Adoro questa canzone.”

Eliza annuì, appoggiandosi alla sua spalla e accettando senza protestare il bacio che le posò sui boccoli rossi.

“Ti piacerebbe vivere per sempre?”

Joe rifletté per un attimo, gli occhi persi nel vuoto, poi annuì.

“Sì, ma solo se potessi tenerti sempre con me.”

 

Un altro ricordo, una nuova coltellata dritta al cuore.

Ma stavolta non avrebbe vinto.

Seppure a fatica, le sue dita non abbandonarono la tastiera e i suoi occhi non si aprirono, mentre le sue labbra si schiudevano a pronunciare le prime parole della sua nuova vita.

“There’s no time for us...”

 

Per un istante

Non dico niente

Cado e mi rialzo

Dentro la mente

(i Pooh, Alessandra)

 

“Sicura che non ti va di uscire? L’Uomo dei Panini oggi ha salame e mortadella!”

Martha alzò appena il capo dal banco, simulando un conato di vomito.

“Non riesco a tenere nello stomaco nemmeno un pacchetto di crackers, mi spieghi che me ne faccio di un panino salame e mortadella?”

Beatrix si strinse nelle spalle, per poi voltare le spalle alla sua amica.

“Fai come ti pare, ma io volo a prenderne uno, prima che quei maiali dei ragazzi li finiscano tutti.”

Con un mugugnio sommesso, Martha lasciò ricadere la testa sulle braccia, mentre anche gli ultimi ragazzi uscivano dalla classe per andare a godersi il tanto sospirato intervallo.

“Non ti senti bene, Martha?”

Eh, vabbè, dai, mio fratello non è mai stato tutta questa perspicacia.

“Per niente...” Mormorò lei, senza alzare il capo. “Credo di avere un principio di influenza.”

“Beh, è stagione, no?” Osservò Kevin, finendo di infilare i libri nella cartella di tessuto scuro e avviandosi verso la porta. “Vedrai che con un po’di riposo ti passa. Hai verifiche in questi giorni?”

“La sua...” Rispose lei, di malavoglia, supplicandolo con la mente di lasciarla in pace.

“Oh... beh, dai, vorrà dire che te ne farò una di recupero molto più facile. Dai, ci vediamo domani... riposati.” In quella, si appoggiò di peso al maniglione antipanico della porta, ma si trovò a dover constatare che questa non si era aperta, come avrebbe dovuto, ma era, al contrario, rimasta ben fissa  dove si trovava.

Ossia sbarrata.

Perplesso, bussò un paio di volte, chiamando qualche nome a caso, ma nessuno pareva sentirlo.

Se solo avesse saputo che lì fuori un suo alunno con una vistosa cresta di capelli rossicci se la stava ridendo come un disperato con le chiavi appese alla cintura...

“Martha... può essere che la porta si sia incastrata?”

La ragazza sollevò la testa di scatto, provocandosi un leggero giramento di capo.

“Che?” Domandò, aggrappandosi al banco nella speranza di fermare la stanza che continuava a ruotarle intorno. “Come..come è bloccata?”

“Non si apre.” Spiegò Kevin, spingendo ancora sulla maniglia per mostrarglielo. “Vedi?”

“Oh, fantastico, davvero fantastico! E io che calcolavo di scendere in portineria a telefonare ai miei per farmi venire a prendere...”

“Ti darei un passaggio io se non fossimo chiusi qui dentro, dannazione.”

“Sì, peccato che ci siamo.”

Kevin ridacchiò, aumentando in maniera esponenziale il nervosismo della sua alunna.

“Che ha da ridere?”

“No, niente... essere malata ti rende nervosa, eh?”

“Beh, sì, cavolo! E poi questa classe è piccola...troppo piccola...mi gira tutto e...”

“Calmati, calmati!” Esclamò lui, lasciando cadere la ventiquattr’ore a terra e correndo ad inginocchiarsi davanti a Martha. “Fai dei respiri profondi, così, fai come me, come se dovessi fare una nota molto, molto alta e lunga...bravissima.”

Pian piano, la ragazza iniziò ad imitarlo piano, senza riuscire, però, a portare il proprio respiro ad una velocità del tutto regolare e tornando ad accelerarlo di brutto quando Kevin le accarezzò piano i capelli chiari per incoraggiarla.

“Va un po’meglio?”

“Sì.... cioè, no... non... la apriranno, vero?”

“Ma certo che la apriranno, Martha, non ti preoccupare. Gli altri dovranno rientrare in classe alla fine dell’intervallo e il bidello darà loro le chiavi. Stai calma, ok? Va tutto bene.”

Ora, voi dovete sapere che non esiste nessuno e dico, nessuno al mondo in grado di trattare una donna come il signor Kevin Jonas quando tira fuori la sua voce suadente che sembra uscita da un film di Hollywood per la serie Via col Vento. Calcolando, poi, la non indifferente confidenza che in anni di convivenza con Joe ha acquisito in merito ad attacchi di panico e simili...

E infatti.

“Grazie, prof... credo...credo sia il caso che mi calmi.”

“Credo anche io.” Replicò lui con un sorriso, senza smettere di accarezzare le ciocche dorate di lei. “Che cosa ti senti, esattamente?”

“Non lo so... mi fa male lo stomaco...e la testa.”

“Fammi sentire se hai la febbre...”

“No, prof, io non credo che...” La sua nemmeno troppo convinta protesta fu stroncata sul nascere dalle mani di Kevin che si posarono sulle sue spalle, attirandola leggermente in avanti in modo da poter appoggiare le labbra sulla sua fronte, proprio come Denise, nostra madre, faceva per misurarci la temperatura quando eravamo piccoli e del termometro non ne volevamo sapere. “...sia il caso.” Completò, esalando le parole, più che pronunciandole, mentre la bocca di lui si socchiudeva appena in un bacio assolutamente non necessario ai suoi scopi medici e il suo respiro le solleticava la pelle del viso.

“Sei bollente.” Sussurrò Kevin, senza allontanarsi più del minimo indispensabile al movimento necessario a pronunciare quelle due parole. “Devi decisamente andare a casa e restarci per il resto della settimana.”

Avrebbe voluto pregarlo di allontanarsi con tutte le sue forze, avrebbe voluto spingerlo via con tutta la decisione che aveva nello scacciare Derek quando faceva i suoi stupidi scherzi.

No, non era vero.

Questo era ciò che avrebbe dovuto volere.

In realtà desiderava solamente che quell’intervallo non finisse mai, mai più.

“Ma non posso saltare il compito....” Azzardò, giusto per non fare scena totalmente muta.

“Te lo faccio recuperare, non ti preoccupare.” Sorrise Kevin, tornando ad attorcigliarsi sulle dita della mano destra i ricci chiari di lei e facendo scivolare lentamente il viso verso il basso, sfiorando il suo profilo delicato con la punta del naso. “Non ho proprio voglia di metterti un brutto voto solo perché non ti senti bene.”

Non ho mai capito come faccia a far cadere ai suoi piedi ogni donna che prende di mira, sta di fatto che è così e probabilmente questa realtà non cambierà mai.

Anche per Martha andò così...beh, quasi così... solo che lui ancora non sapeva che tutto, tutto sarebbe stato diverso, quella volta.

Lentamente, gli occhi incatenati in quelli di lei, Kevin inclinò il capo, avvicinandosi, se possibile, ancora di più e facendo per chiudere la distanza che ancora li separava, quando qualcosa di totalmente inaspettato accadde.

Invece di apprestarsi, come, nelle intenzioni di mio fratello avrebbe dovuto, a ricevere il bacio, la ragazza reclinò la testa all’indietro, accasciandosi contro lo schienale della sedia come se quell’ultimo, inaspettato gesto del suo insegnante l’avesse definitivamente prosciugata di tutte le forze.

Kevin, interdetto, rimase per qualche secondo a fissarla sbattendo le palpebre, la mano destra ancora bloccata dietro alla sua schiena.

“Martha...” Chiamò, prima piano, poi un po’ più forte, infine quasi gridando, prima di alzarsi ed iniziare a battere come un forsennato sulla spessa porta bianca.

 

Io l’ho capito subito

Che stavi per sconvolgermi

E son qui

Sono pronta per arrendermi

(i Pooh, Capita quando capita)

 

Continua...

 

 

 

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Capitolo 10
*** - capitolo dieci - ***


Perdonatemi se, ancora una volta, non vi posso ringraziare una ad una... questo capitolo è un po’il mio regalo di Natale,  non credo che ne pubblicherò altri prima di santo Stefano, ma non ne sono sicura, quindi... Capitolo riflessivo, con l’introduzione di una nuova coppia e.... ho un piccolo Joe, ho un piccolo Joe che terrò sempre con me. Grazie socia!!!!!!!!!!!!!!

E in fondo... un regalino di Natale per tutte!!

Temperance

-Capitolo Dieci-

 

Sei innamorata, non riesci a studiare

Sai solo pensare a quegli occhi suoi

Sei innamorata, per cena una mela

Con la radio accesa ti sogni lui

(Paolo Meneguzzi, Bella come non sei mai)

 

Non appena la porta al piano di sotto si chiuse, avvertendola che sua madre era uscita per andare al lavoro, Martha si alzò dal letto, attenta a non fare movimenti bruschi per non causarsi l’ennesimo giramento di testa, e scese le scale alla volta della cucina e del suo contenuto.

Non le interessava il fatto di non riuscire a tenere nello stomaco nemmeno un cracker: aveva una fame incredibile e pensò che una mezza mela non avrebbe potuto in alcun modo nuocere alla sua salute.

Non come il pezzo di pane che aveva mangiato per colazione o il riso in bianco del pranzo che l’avevano ridotta a passare la giornata tra camera da letto e bagno.

Per fortuna suo padre non sarebbe tornato prima di un’ora dalla palestra e sua madre aveva il turno di notte, così la casa sarebbe stata tutta per lei e, dopo aver mangiato, sarebbe stata finalmente libera di chiamare Francie e di parlarle a ruota libera di tutto ciò che l’assillava.

Ossia mio fratello.

Quel quasi bacio in classe l’aveva sconvolta, non pensava potesse succedere sul serio. Insomma, si era accorta delle attenzioni particolari che Kevin le rivolgeva, anche perché sarebbe stato impossibile non farlo, ma arrivare fino a cercare di baciarla...

Non l’avrebbe fatto sul serio, nemmeno se lei fosse svenuta, ne era certa.

Voleva esserne certa, perché se avesse avuto anche solo una minima insicurezza, quella cosa strana che sentiva dentro, quel calore così sbagliato che l’avvolgeva ogni volta che pensava a lui, non le sarebbe passata mai più.

Aveva paura a pronunciare la parola amore in relazione a quei sentimenti, ma non trovava in alcun modo un termine che li definisse meglio.

Insomma, come altro poteva essere inteso il non essere in grado di leggere due righe di un libro senza che un paio di ben noti occhi verdi le saltassero alla mente, il pensare a lui ogni momento, la sera prima di addormentarsi, il mattino appena sveglia... il trovarlo persino come ospite dei propri sogni, nascosto dietro ad ogni melodia, ad ogni nota, ad ogni parola delle sue canzoni preferite.

No, decisamente non esisteva nulla che potesse rendere meglio l’idea, eppure lei non voleva essere innamorata... non doveva esserlo, checché ne dicessero le sue amiche.

Che poi, ne era certa, ora ci scherzavano, ma se fosse successo davvero qualcosa tra loro, sarebbero state le prime a cercare di dissuaderla da una storia seria con lui.

Proprio mentre anche l’ultimo boccone di mela stava per essere ingoiato, il telefono di casa Sheperd prese a squillare e la voce squillante di Francie interruppe i viaggi mentali della sua amica.

“Ciao ammalata!” Esclamò, non appena Martha ebbe sollevato la cornetta. “Va un po’meglio?”

“Insomma... sto in bagno ogni cinque minuti, oramai il water è il mio migliore amico e ho un mal di testa che non ti dico, ma, per il resto, è tutto ok.”

“Scommetto che ti piacerebbe che ci fosse lì qualcuno a coccolarti, eh?”

Martha ridacchiò, a metà strada tra il nervoso e il divertito.

“Se ti riferisci a Jonas, calcola solo che passare nemmeno un quarto d’ora in una camera da sola con lui mi ha fatto letteralmente perdere i sensi... non so quali effetti benefici potrebbe avere vedermelo gironzolare per casa, magari con il grembiule di mia madre.”

“Se vuoi te li spiego io, gli effetti benefici. Sai che oggi ha chiesto di te?”

“Davvero?” Non poté trattenersi dal domandare, onde poi mordersi subitaneamente la lingua.

“Sì sì, sembrava preoccupato. Ci ha chiesto se eri ancora al pronto soccorso o se ti avevano lasciata andare a casa ed ha iniziato a fare lezione solo quando gli abbiamo assicurato che hai una semplice influenza intestinale. E togliti quel sorrisino dalla faccia, Martha.”

“Come fai a sapere...”

“Che credi, che non ti conosca? Tu ti sei presa una cotta paura per il prof di musica e ora stai gongolando perché lui è in ansia per la tua salute.”

“Non ho una cotta per lui!”

“Non sai mentire.” Dichiarò Francie, decisa. “Guarda che non c’è niente di male... voglio dire, è un gran bell’uomo e credo che tu non sia l’unica ad essere partita per la tangente. L’importante è che non ti lasci prendere troppo. Perché lo sai, vero, che fama ha quello?”

“Ehm... no....” Ammise Martha, sedendosi davanti al tavolo e stringendosi lo stomaco con un braccio, sentendo arrivare l’ennesimo conato di vomito.

“E allora te lo dico io. Jonas con te gioca soltanto, puoi starne certa, non è davvero interessato. È un donnaiolo, una specie di playboy e non si fa nessuno scrupolo a giocare con i sentimenti delle donne. Abita con suo fratello, una specie di disadattato sociale e molti dicono di aver visto prostitute uscire da lì più di una volta.”

Se il viso di Martha prima era pallido, in quel momento aveva raggiunto una colorazione molto prossima a quella del latte appena munto.

“Sei..sei sicura?”

“Assolutamente. Oddio, potrebbero sempre essere voci di corridoio, ma io non ne sono convinta. Voglio dire, è il tipo, no? Uno che ama divertirsi, intendo.”

“Sì... sì... è il tipo...”

“Martha, ascolta, non prendertela per quello che ti ho detto...credevo che fosse giusto che tu lo sapessi. Martha? Martha sei ancora lì? Martha?”

Le rispose solo un disperato scalpiccio diretto verso il bagno.

 

Do mi sol do do sol mi do

Se un buon musicista tu vuoi diventar

Tante scale e tanti arpeggi devi far

Prendi fiato ed ogni nota limpida sarà

Se dal petto e non dal naso ti uscirà

(da “Gli aristogatti”)

 

“Questa è casa tua?” Domandò Clarisse, arricciando il naso, una volta varcata la porta del piccolo appartamento abitato dai miei fratelli. “Cioè, scusa, ma che fine hanno fatto tutti i soldi che avete guadagnato quando cantavate?”

“Sono andati a puttane.” Rispose Joe, lanciando uno sguardo eloquente a Kevin che, sdraiato sul divano, continuava a cambiare canale sul piccolo televisore.

“Capito l’antifona, me ne vado.” Replicò il fratello maggiore, spegnendo la tv e alzandosi, per poi scompigliare i capelli di Clarisse con gesto affettuoso. “Non so come ti sia venuto in mente di prendere lezioni da questo qui, ti ammiro, sul serio. Tienilo d’occhio.”

Un attimo dopo Kevin era fuori dalla porta e Joe già stava seduto davanti alla pianola, un libro di spartiti appoggiato sul leggio davanti ai suoi occhi.

“Allora, da che canzone cominciamo?” Domandò Clarisse, eccitata, trascinando uno sgabello accanto a lui e sedensovisi senza, però, riuscire a smettere di muoversi.

“Con calma, ragazzina: per un bel paio di mesi di canzoni non vedrai nemmeno l’ombra.”

“Cosa? Ma io sono venuta qui per cantare!”

“E canterai, ma non subito. Vedi, chiunque sa fare della musica usando la propria voce, ma il canto vero è come un edificio piuttosto lungo da costruire, una casa che ha bisogno di fondamenta forti. Se canti tanto per fare ci sarà sempre qualcuno migliore di te, sempre qualcuno che non riconoscerà la tua bravura, perché il talento è solo la minima parte del tutto, il resto è studio. Quindi iniziamo con la respirazione. E avverti tua madre, perché potresti seriamente essere presa per una pazza in preda ad un attacco d’asma, mi segui?”

Clarisse annuì, convinta, ma un po’stupita.

“Bene, allora cominciamo. Innanzitutto, sai cosa è il diaframma?”

 

Quando sfioriamo una corda dell’amore

Il bacio non è altro

Che la dolce vibrazione del suo cuore

(Anonimo)

 

“Tu sei cosciente di essere stato davvero uno stronzo?” Domandò Beatrix, non appena Derek l’ebbe raggiunta nel punto del parco pubblico in cui erano soliti darsi appuntamento.

“Ciao anche a te, Bex. Hai portato i cd che ti avevo chiesto?” Rispose lui, accomodandosi sulla panchina accanto a lei.

“Non fare il coglione, Derek: mi hai fatto prendere un gran spavento ieri, con la storia di Martha.”

“Oh, dai, era solo uno scherzo!”

“Sì, ma a Jonas è quasi venuto un infarto! Gli è praticamente svenuta in braccio, povero cristo! E poi non ci potevi chiudere me? A Martha quello lì nemmeno piace!”

“No, certo che no.... tutta la tensione che c’è tra di loro secondo te da dove arriva?”

“Tu guardi troppa televisione. E, comunque, anche se fosse, non dovresti incoraggiare questa cosa. Voglio dire, quanti anni hanno di differenza, venti? E poi lui è il nostro prof!”

Derek scosse la testa, afferrando la borsa della ragazza e iniziando a frugarvi in cerca del proprio cd.

“Dodici, solo dodici anni e non vedo proprio cosa ci sia di male se si piacciono. Sono una bella coppia...”

“No, accidenti! Se fossero compagni di classe lo sarebbero!”

“Oh, dai, Bex, da quando sei così bigotta?”

“Ma non è questione di essere bigotta o meno. Conosci la storia di Jonas e conosci Martha: una storia con uno così potrebbe essere davvero pericolosa per lei!”

Derek roteò gli occhi, restituendo la borsa alla ragazza, che l’afferrò, nervosa, lasciandosela cadere accanto.

“L’unica cosa davvero pericolosa per Martha è il non svegliarsi. Deve iniziare a vivere, possibile che non lo vedi? Salta via come se fosse scottata ogni volta che l’abbraccio. Ha bisogno di avere una relazione con un uomo, di buttarsi, senza pensare alle conseguenze, una volta tanto, e se Jonas può aiutarlo in questo perché impedirglielo?”

“Perché lei è minorenne, innanzi tutto, e lui rischia il lavoro. Non voglio perdere l’unico insegnate decente che abbiamo.”

“Questo è vero, ma preferisci la felicità della tua migliore amica o rifarti gli occhi durante le lezioni di musica?”

Beatrix non rispose, ma abbassò gli occhi verso il prato, giocherellando con uno degli stoppini della giacca.  Davvero non sapeva cosa pensare: Derek probabilmente aveva ragione da vendere, ma lei avrebbe preferito mille volte che Martha si mettesse con un ragazzo normale, uno che potesse capire la sua timidezza e le sue peregrinazioni mentali ad occhi aperti.

Non era Kevin quello giusto.

In quanto a me, io ero d’accordo in toto con Derek: una come Martha, una ragazza semplice e un po’persa, poteva davvero essere utile alla riabilitazione di suo fratello, almeno quanto Clarisse poteva esserlo per Joe.

“Ma Derek... anche io sono sola, eppure non mi sembra di avere grossi problemi.”

“Bex, dai, non ti puoi paragonare a Martha! Tu piaci ad un sacco di ragazzi, lei ha diciotto anni compiuti e non credo abbia mai baciato...”

“Dinne uno.”

“Un cosa?” Chiese Derek, perplesso ed un po’infastidito dalle continue interruzioni.

“Un ragazzo che mi faccia il filo. No, perché io non le vedo le folle sotto alla finestra della mia camera.”

Il giovane si alzò, stiracchiandosi, il cd ben stretto in mano e un sorriso sornione dipinto sul viso.

“Non posso fare la spia, cara mia. Dovrai lavorare per scoprire il nome dei tuoi spasimanti, ma ti do un indizio.” Affermò, chinandosi verso di lei, come per sussurrarle un segreto all’orecchio. Poi, una frazione di secondo prima di essere arrivato a destinazione, il suo volto si spostò del minimo indispensabile per sfiorare le sue labbra con un bacio.

“Ci vediamo lunedì. Buon weekend.”

 

Continua...

 

Lo so che non è bello come quelli della socia, ma è solo il secondo che faccio...siate clementi! Serve più che altro a farvi vedere il mio Chris e il volto che ho scelto per lui. Teoricamente, dovrebbe essere la copertina per la shot “My Special Present”...e non preoccupatevi, in questa storia Joe e Chris non si metteranno insieme!!!

Copincollate nella barra e commentate, mi raccomando!!!

 

 

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Capitolo 11
*** - capitolo undici - ***


Capitolo nuovo nuovo tutto per voi!!!

Ancora una volta causa feste non riesco a ringraziarvi singolarmente, ma prometto che dalla prossima volta tornerò a farlo...anche perché il prossimo è un capitolo importante!

Un bacio a tutte, e di nuovo buone feste

Temperance

 

-Capitolo Undici-

 

Operator, help me please

Get through to my baby way overseas

Time’s wastin’oh so fast

Hello baby tell me is that you

(BB King, Telephone Song)

 

Eliza si sedette sul divano del suo appartamento, stringendo forte il cellulare tra le mani.

Aveva ancora senso, dopo quasi tre mesi, tentare di telefonargli? Insomma, anche un idiota avrebbe capito che Joe la voleva fuori dalla sua vita, eppure c’era qualcosa che non la convinceva... che non convinceva nemmeno me.

Insomma, non si può dimenticare così una persona di cui si è stati amici praticamente per tutta la vita o, almeno, quell’emotivo di mio fratello non ne sarebbe mai stato in grado.

Sbuffando, la ragazza si rigirò il piccolo telefono tra le mani.

“Forse lasciarlo nel suo brodo per un po’è la strada giusta.” Rifletté, rivolta alla piccola gatta acciambellata accanto a lei. “Che ne pensi, Yz?”

Le rispose un miagolio sommesso che poteva essere un sì, un no o una richiesta di cibo e carezze.

“Sì, lo so... allora, facciamo così: oggi lo lascio in pace e lo chiamo do...”

Fu interrotta dal suo stesso cellulare che prese a vibrare sulle note della Toccata e Fuga di Bach. Il suo cuore perse un battito al riconoscere sul display il numero di casa dei miei fratelli.

Quasi tremando, premette la cornetta verde e si portò il telefono all’orecchio, esalando un timido ‘pronto?’.

“Ciao, Liz, sono Kev.”

Giusto... si era completamente dimenticata che in quell’appartamento ci vivevano due persone....

“Oh... ciao.”

“Lo so, pensavi che fosse Joe... mi spiace deluderti, davvero...” Tentò di scherzare lui, con nemmeno troppa convinzione.

“No, non importa io... forse dovrei solo... niente. Come mai mi chiami?”

“Ho visto qualcosa come una decina di telefonate tue e ho pensato che forse avevi bisogno di parlare.”

Rispondere che non era lui quello con cui voleva parlare le sembrò decisamente indelicato, quindi optò per una soluzione più soft.

“È solo che mi manca Joe... tanto.”

“Manca anche a me, Liz... il vero Joe, intendo, ma non sono ancora riuscito a capire dove sia finito.”

Eliza sorrise, lanciando un’occhiata alla radiosveglia: le otto.

“Kev, io devo prepararmi per andare al lavoro... ti va se ci vediamo quando finisci a scuola?”

“Se rientra una ragazza alle tre le faccio recuperare una verifica e dalle quattro sono libero. Mi vieni a prendere?”

“D’accordo, prof, se dico a Susy che mi vedo con te mi lascia anche uscire prima: ti adora almeno quanto detesta Joe. Alle quattro, allora.”

 

Ti regalerò una rosa

Una rosa bianca come fossi la mia sposa

Una rosa bianca che ti serva per dimenticare

Ogni piccolo dolore

(Simone Cristicchi, Ti regalerò una rosa)

 

Kevin entrò, trafelato, in sala professori, praticamente investendo la professoressa di religione che ne stava uscendo.

“Scusami, Sarah!” Esclamò, correndo verso l’armadio e prendendo a frugare nel proprio cassetto sotto lo sguardo divertito di Chris e di un paio di altri insegnanti.

“Chi ti rincorre, Jonas?” Domandò il biondo, avvicinandosi al suo amico con un sorrisetto che questi trovò estremamente irritante.

“Sono in ritardo.” Rispose, lanciandogli uno sguardo omicida. “Detesto essere in ritardo.”

“Kevin, manca mezz’ora alle nove, non sei affatto in rit...”

“Dimmi che hai un dollaro...”

“Ehm...tieni...” Replicò Christian, perplesso, porgendo una banconota accartocciata a mio fratello, che l’afferrò e schizzò fuori dalla stanza in meno di un secondo.

 

 

Martha entrò nell’aula di musica sbadigliando, senza preoccuparsi di coprirsi la bocca con la mano, sicura di essere la prima, esattamente come ogni mattina dell’anno.

Odiava il fatto che i suoi genitori dovessero andare a lavorare così presto da essere costretti a strapparla da sotto le coperte già alle sette e mezza, ma tant’era e poi, dopotutto, era l’ultimo anno, poteva sopportare ancora per un po’.

Come pronosticato, la classe era totalmente vuota, fatta eccezione per qualcosa di bianco posato... sul suo banco?

Incuriosita, la giovane si avvicinò, rendendosi conto che si trattava di un fiore, una rosa bianca per essere precisi.

Il primo pensiero che le corse alla mente fu che dovevano aver sbagliato posto, che forse quel fiore meraviglioso era un regalo per Beatrix o per qualsiasi altra sua compagna di classe, che lì ci doveva per forza essere finito per caso.

Notando che un biglietto, anch’esso bianco, era legato allo stelo spinoso, lo raccolse e se lo rigirò tra le mani, sussultando nel rendersi conto che il nome, vergato con inchiostro nero da una mano sicura ed elegante, era proprio il suo.

Un regalo di bentornata dalle ragazze, si disse immediatamente, ma si rese conto che quella teoria non stava in piedi, visto e considerato che né Bea né Francie erano ancora in circolazione.

Curiosa di scoprire qualcosa di più, aprì la minuscola busta, trovandovi un cartoncino candido, coperto da poche parole che, però, la colpirono come una freccia dritta al cuore, togliendole il respiro.

 

Vedo il tuo viso e non lo posso toccare, vedo le tue labbra e non le posso baciare, vedo te e non ti posso amare, ma vorrei... vorrei...vorrei...

Aspetterei in eterno, Martha, per averti un attimo.

Bentornata,

                     K.

 

All’improvviso, senza che lei li avesse invitati, un paio di occhi verdissimi presero possesso dei suoi pensieri, facendola partire per uno dei suoi soliti viaggi mentali.

Kevin che entrava nella classe, guardandosi intorno per paura di essere visto.

Kevin che si avvicinava al suo banco, estraendo la rosa da dietro alla schiena.

Kevin che depositava un bacio sui petali delicati e posava il fiore sul piccolo tavolo.

Sospirò.

Non poteva essere stato lui: non aveva idea che quel giorno lei sarebbe rientrata.

E non sapeva quali erano i suoi fiori preferiti.

Francie fece il suo ingresso in aula chiacchierando con Beatrix proprio mentre la loro amica, delusa, si lasciava cadere sulla sedia, il biglietto ancora stretto in mano.

“Uh, Martha ha un ammiratore segreto!” Esclamò Francie, battendo le mani, mentre l’amica sospirava, togliendosi il cappello.

“Benvenuta nel club.” Esalò, accasciandosi sul proprio banco.

“Derek le si è praticamente dichiarato, venerdì.” Spiegò Francie, pragmatica. “Allora, chi è il romanticone?”

“K.” Rispose Martha, porgendole il biglietto, che lei lesse avidamente.

“Che belle parole... non sue di certo, ma belle. Hai a che fare con qualcuno che ama usare frasi celebri e il cui nome inizia con la k. Devo dirti chi mi viene in mente o ci arrivi da sola?”

“Non può essere stato lui, non aveva modo di sapere che oggi sarei rientrata.”

“Allora ci hai pensato anche tu! Bex, tu che dici?”

“Jonas.” Borbottò la ragazza, senza alzare il capo. “Non voglio vedere Derek... ditemi che è ammalato, vi prego....”

Francie e Martha sorrisero, scuotendo il capo in contemporanea, mentre la bionda metteva tutta se stessa nel convincersi che le sue amiche non dovevano avere per forza ragione.

Dopotutto, c’erano un sacco di ragazzi il cui nome iniziava con la k... solo che in quel momento non gliene veniva in mente proprio nessuno.

 

Gli amici ci riaprono gli occhi

Ci capiscono meglio di noi

E ti metton davanti agli specchi

Anche quando non vuoi

(i Pooh, Amici per sempre)

 

“Adesso mi spieghi.” Dichiarò Chris, non appena Kevin, all’intervallo, lo raggiunse in sala professori.

“Che cosa?” Domandò mio fratello, prendendo un lungo sorso di tè dal bicchierino di plastica dal colore indefinibile.

“Ti ho prestato un dollaro, questa mattina alle otto e mezza. A comprarti la tua dose non può essere servito, quindi mi fai la grazia di comunicarmi che fine hanno fatto i miei soldi?”

“Ehm... no.” Rispose con nonchalance, sedendosi sulla sedia che Christian aveva appena lasciato libera e appoggiando i piedi sulla ventiquattr’ore dell’amico, posata a terra.

“Oh sì, invece.” Ribadì l’altro, riappropriandosi della borsa con uno strattone. “E sai perché? Perché tu non sei capace di tenerti le cose per te.”

“Quello sei tu, Chris.”

“Sì, ma anche tu, quando si tratta di donne.”

“Come...”

Chris sorrise, sornione.

“Eri tutto agitato, stamattina, solo una donna può fare un effetto del genere, nel tuo caso.” Dichiarò, trionfante.

Kevin sbuffò, decidendo che a volte Christian era decisamente troppo intuitivo per i suoi gusti.

“Ok, c’è una ragazza.”

“Ultimo del college?”

“Ultimo del college.” Confermò mio fratello, concedendosi un sorriso.

“E...”

“È stata assente, l’ho vista arrivare e le ho comprato un fiore, tutto qui.”

“Un fiore, eh? Stiamo parlando di amore, mr american gigolo?”

Kevin scosse il capo, sorridendo.

“No, solo che quella ragazza muore per me, voglio solo divertirmi un po’.”

“E tu fai regali a tutti i tuoi giocattolini?” Chiese ancora il biondo, alzando un sopracciglio.

“Di solito li pago, i miei giocattolini.”

“Sarà... vedi di non cacciarti nei guai, però, non voglio che tu ti faccia licenziare.”

“Tu lascia fare a me, Chris, ok? Devo giusto farle recuperare una verifica, oggi... soli, qui dentro...”

“Tu sei matto.”

Yeah, baby.” Rispose Kevin, alzandosi con una giravolta e uscendo dalla stanza, lasciando Christian solo a scuotere la testa.

“Totalmente fuori di testa.”

 

Continua...

 

 

                                                                                                              

 

 

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Capitolo 12
*** - capitolo dodici - ***


Bene bene, dopo aver finito una ricerca di tedesco e una di spagnolo, finalmente riesco a pubblicare il nuovo capitolo e a rispondere a tutte le vostre recensioni. Sono veramente contenta che la storia continui a piacervi... e qui le cose iniziano a farsi serie, soprattutto da punto di vista di Kevin e Martha... ma non vi dico altro, passiamo ai ringraziamenti.

Prima, però, lancio un appello... AGATHA che fine hai fatto? Guarda che mi mancano i tuoi papiri!!!!!

 

La Socia: intanto grazie a tutto quello che hai scritto e che scriverai (doccia) per me.. poi... sì, Kevin è un emerito stronzo, ma lo sappiamo che la sua è solo una facciata, no? Chris lo sai che lo amo alla follia e guai a chi me lo tocca!!!

 

Sweet_S: beh, Kevin dice a Chris di voler solo giocare con Martha, ma il suo amico è tutto fuorché scemo e ha già capito che c’è sotto qualcos’altro. Ora deve solo capirlo anche Kev.

 

Sweet Doll: e io che posso fare se non ringraziarti ancora e ancora e ancora?

 

Selphie: mi spiace rovinare tutta la tua opera di auto convincimento, ma Kevin è davvero sicuro di voler solo giocare con Martha, ma Chris, che è più sveglio di lui, ha capito che le cose non rimarranno per sempre così. Liz per ora non c’è...ma si rifarà nel prossimo capitolo, portando anche un po’di scompiglio.

 

Tay_: no che non è vero... forse....chissà...

 

Alexya379: io credo  che mi sarei messa a saltellare per la classe facendo una lista di tutti i nomi che iniziano per K... ma lei è stata così calma solo perché era preoccupata di convincersi che non era di Kevin, quel regalo.

 

Beautiful_disaster: intanto, scusa davvero per il ritardo nella recensione di Lovebug....poi.....è stato l’accenno alla verifica da recuperare che ti ha dato indizi di cosa succederà? No, perché se è così può darsi che tu ci abbia preso in pieno! XD

 

Sbrodolina: Joe in questo capitolo ritorna in tutta la sua non-forma, tranquilla! E anche Nick ha un po’più di voce in capitolo e... indovina! La prossima long che ho in programma, finita questa, sarà proprio sul tuo Jonas preferito!!!

 

Maybe: ohohoh e quel qualcosa ti ha detto proprio bene! A questo capitolo voglio un bel commento di quelli che sai fare tu, mi raccomando!!!

 

Bibi94_Jonas4ever: hihihi può darsi che tu con l’ultima affermazione ci abbia azzeccato in toto cara mia!!! Auguri anche a te per un felicissimo anno nuovo.

 

Lyan: sì che fa così con le ragazze... la domanda è se farà così anche con Martha! Eliza avrà il suo piccolo momento di gloria nel prossimo capitolo...

 

Jollina la verde: Joe deve darsi una svegliata e forse gli serve una certa dodicenne per capirlo...

 

Infine un grazie specialissimo ai 37 che mi tengono tra i preferiti, a Flavio, che è Derek e che vorrei vedere più spesso e a Francesca e Beatrice, inconsapevoli coprotagoniste di questa storia.

Buon anno a tutti!!!

Temperance

 

-Capitolo Dodici-

 

Haven’t your lips longed for my touch?

Don’t say how much, show me! Show me!

Don’t talk of love lasting through time

Make me no undying vows

Show me now!

(da My Fair Lady, Show me)

 

“Avanti!” Esclamò la prof di lettere e, un istante dopo, la faccia da schiaffi di mio fratello maggiore fece capolino nell’aula con un sorriso sornione.

“Ciao Mary. Posso rubarti la Sheperd che deve recuperare la mia verifica?”

“Ma certo, Kevin.” Cinguettò la donna, mentre Derek saltava in piedi, domandando a gran voce di poter uscire per fare da testimone all’amica.

E saltare un’oretta che, altrimenti, avrebbe dedicato al sonno più totale.

“No, Milton, tu stai qui e ti interrogo., Sheperd, fila. Ciao, Kev...”

Kevin fece un cenno veloce con la mano, prima di spingere delicatamente Martha, stretta al suo astuccio verde e viola, fuori dall’aula.

“Allora, sei preparata?” Domandò, precedendola lungo il corridoio che conduceva alla sala professori. La ragazza annuì, continuando imperterrita a fissare il pavimento. “Ti è piaciuta la rosa?”

Eccolo lì, l’effetto desiderato.

Martha, ferma immobile in mezzo al corridoio, l’immagine indelebile di un fiore bianco stampato in mente, insieme ad una frase dolcissima e ad una k che Francie aveva subito interpretato nel modo giusto.

“Touché...” sorrise Kevin, aprendo la porta e facendole cenno di entrare. Lei eseguì, come un automa, senza osare alzare gli occhi da terra.

Era sua...era sua davvero...

Se pensava a quanta fatica aveva fatto per auto convincersi che non era possibile, che quella k voleva dire Ken o Kim....

“Beh, non ti siedi?”

“Perché me l’ha lasciata?” Le parole uscirono dalla sua bocca prima che potesse fermarle e, un secondo dopo aver sentito la propria voce, si morse istintivamente le labbra.

Doveva fare il compito in classe, cavolo, non assecondare lo scherzo del suo professore.

Del suo professore decisamente bello.

E sexy.

E romantico.

Sapete, è davvero imbarazzante vedere cosa questa ragazza pensava e pensa a tutt’ora di mio fratello.

“Che cosa?” Domandò Kevin, prendendo un foglio dal suo cassetto e posandolo sul tavolo davanti a Martha, che non lo degnò di uno sguardo.

“La rosa...”

“Non mi hai ancora detto se ti è piaciuta.”

“È stato Derek? A dirle che le rose bianche sono i miei fiori preferiti, intendo. E come sapeva che sarei rientrata oggi?”

Kevin si strinse nelle spalle, appoggiandosi al tavolo.

“Ti ho vista per strada e sono corso dal primo fiorista che ho trovato aperto...e no, l’ho capito da solo: sei un tipo da rose bianche.... ma l’aiuto di Derek è stato effettivamente determinante, sì.”

“Stronzo...” Sibilò lei a denti stretti.

“Prego?”

“No, io... prof, perché mi ha mandato quel fiore? Me lo dica, per favore, perché io sto diventando pazza. Voglio dire, lei con me è strano...è gentile, sì, ma ha il doppio delle attenzioni che usa per gli altri... mi confonde...”

Kevin sorrise, riguadagnando la posizione eretta e avvicinandosi un poco a lei.

E io lì capii che la signorina Sheperd in quella verifica avrebbe preso un bel non classificabile.

E che non gliene sarebbe importato assolutamente nulla.

“Mi permetti di chiarirti un pochino le idee?”

Prima che la ragazza avesse la possibilità di pronunciare qualcosa di più di un semplice ‘cosa’, Kevin si chinò a posarle sulle labbra socchiuse un bacio molto più delicato di quanto lei si sarebbe mai aspettata.

Di quanto desiderasse, a dire il vero.

Un bacio a stampo appena accennato che, però, ebbe comunque il potere di farle ignorare completamente gli impulsi ragionevoli del suo cervello che le dicevano che era sbagliato, che baciare un professore non è una bella cosa.

Lasciando cadere l’astuccio a terra, allacciò le braccia intorno al collo di lui, baciandolo a sua volta  con tutta la foga e l’inesperienza di una diciottenne alle prime armi che si è trattenuta per troppo tempo dal fare ciò che il suo cuore e il suo corpo le dicevano.

Un pensiero la colpì, inaspettato e, a dirla tutta, anche piuttosto indesiderato: chissà quante altre donne lui aveva baciato prima, chissà con quante era andato oltre un semplice bacio...e per lei era il primo, il primo in assoluto... gli avrebbe fatto schifo a dire poco, ne era certa.

Proprio mentre stava per separarsi da lui e scappare dalla stanza per chiudersi nel primo bagno che avesse trovato, però, sentì le braccia di Kevin che si stringevano intorno ai suoi fianchi e il corpo di lui che si appoggiava morbidamente al suo, trovandovi un perfetto complementare, e spingendola pian piano verso il tavolo finché non vi fu contro.

“Prof...” Sussurrò a fior di labbra, senza allontanarsi dal suo viso, mentre lui spingeva di malagrazia la verifica da una parte e la sollevava di peso, facendola sedere dove poco prima si trovava il foglio di carta bianca, destinato a rimanere tale.

“Kevin.” Replicò lui, la voce leggermente arrochita, depositandole una breve serie di baci che, dall’angolo della bocca, portavano all’attaccatura dell’orecchio. “Solo Kevin, per te.”

“Kevin...” Ripetè la ragazza, tornando a catturare le labbra di lui con le proprie, mentre la mano destra di Kevin si avventurava sulla sua schiena, sotto la camicetta, e la sinistra affondava nei capelli biondi.

La voce di Francie che le ripeteva ‘due settimane’ le risuonò nella testa, vagamente irritante, ma assolutamente sibillina, e lei abbozzò un sorriso, che Kevin interpretò come un invito a non fermarsi lì.

Sorridendo a sua volta, le accarezzò le labbra con la lingua con studiata lentezza, chiedendo accesso alla sua bocca e facendola trasalire.

Non avendo idea di cosa fare, la ragazza si affidò semplicemente all’istinto, dischiudendo appena le labbra, dando a mio fratello la possibilità di approfondire il bacio, avvicinandosi, se possibile, ancora di più e sistemandosi tra le gambe di lei.

Accarezzandole piano i capelli, la strinse forte a sé, passandole la mano libera lungo il busto e la coscia, per poi risalire e posarsi accanto all’altra, strappandole un sospiro soddisfatto.

Inutile dire che nessuno dei due sentì la porta aprirsi.

 

Cancelliamo senza appello

La tua storia dalla mia

Basta far la doccia col tuo shampoo e andare via

Basta la ventiquattr’ore

Che mi hai regalato tu

Con magari dentro quelle foto di noi due

Per dimenticare te

(i Pooh, Per dimenticare te)

 

 

Clarisse bussò piano alla porta dell’appartamento di Kevin e Joe, sentendosi rispondere da un perentorio ‘è aperto, entra!’ del suo maestro di canto.

Avevano stabilito che si sarebbero divisi le lezioni: due di tecnica canora e una di... beh, di qualunque cosa Clarisse dovesse insegnare a mio fratello o, meglio, di qualunque cosa lui avesse deciso di lasciarsi insegnare.

La ragazzina, dal canto suo, non aveva assolutamente capito cosa Joe volesse da lei, ma si rendeva conto che quello era il suo prezzo e avrebbe fatto di tutto purché quei loro appuntamenti non si interrompessero.

Amava trascorrere il suo tempo con Joe, a volte andava a trovarlo anche quando non avrebbe dovuto e lui non la cacciava mai. Non le sorrideva, la trattava male, ma lei si rendeva conto che il loro rapporto era diverso da qualsiasi altro intrattenuto dal suo vecchio idolo e di questo era immensamente contenta.

“Allora, che mi hai portato?” Domandò Joe, senza salutarla, strofinandosi con un asciugamano i capelli bagnati.

“Allora ti lavi, ogni tanto!” Esclamò lei, beccandosi un’occhiataccia in risposta.

“Che cosa vorresti dire?”

“Che i tuoi capelli sono sempre sporchi e hai indossato la stessa felpa per tutta la scorsa settimana.”

Lui si strinse nelle spalle, sedendole accanto.

“ In ogni caso non esco praticamente mai e, quando lo faccio, è buio, perché dovrei preoccuparmi di come sono vestito?”

“Beh, perché sei Joe Jonas... sei stato...un’icona, accidenti! Tu e i tuoi fratelli eravate i più eleganti di...”

“Eravamo, appunto. E poi tu non sai che sollievo non indossare più quelle stupide scarpe... le odiavo. Ma non siamo qui per parlare delle mie abitudini igieniche, no?”

Clarisse sospirò, alzando gli occhi al cielo: a volte le sembrava di essere lei l’adulta, tra i due.

“No, siamo qui perché devi dimenticare Elizabeth.”

“Eliza.” La corresse immediatamente lui, con un’occhiata omicida.

“Eliza, fa lo stesso. Tanto devi scordarti di lei, no? Intanto dimmi una cosa: perché vuoi fare questo?”

Joe annuì lentamente, cercando le parole dentro di sé. Poco prima aveva fatto quello stesso discorso a se stesso, ma, chissà perché, era risultato mille volte più facile.

“Perché... non voglio farla soffrire. Perché non la posso amare.”

Perché sei uno stupido, esattamente come quell’altro, perché non sai lasciarti alle spalle un passato che ormai non dovrebbe più far parte della tua esistenza, perché hai paura dei tuoi sentimenti.

Perché credi di non poterla amare, ma in realtà lo fai con tutto te stesso.

Perché senza Eliza, molto probabilmente nemmeno saresti più qui.

“Non è vero, non esistono amori impossibili.”

Brava, Clarisse... a volte penso che, se fossi vivo, mi innamorerei di questa ragazza.

“Beh, questo lo è.”

“No che non lo è. Io non ti voglio aiutare a non amare più, Joe. Non ti dimenticherai mai di Eliza... lei è... è parte di te.”

Ok, mi correggo, io amo questa dodicenne.

“Sembri Kev ora...”

“Senti, dimmi cosa devo fare e io lo faccio, va bene? Però secondo me non serve a niente.”

“Di che cosa serve secondo te non mi interessa, fai il tuo lavoro e basta.”

“Bene, allora sai che ti dico? Joe Jonas torna in pista. Vai a stirarti i capelli, io telefono a mia sorella e le chiedo se trova qualche sua amica che voglia uscire con te. Chiodo scaccia chiodo, no?”

“Non credo che uscire con un’altra sia...”

“Tu mi insegni a cantare, io ti trovo una ragazza, questi sono gli accordi.”

Joe alzò gli occhi al cielo, esasperato, ma poi annuì, anche se non del tutto convinto.

“I capelli però non me li stiro, te lo puoi tranquillamente scordare.”

Se penso a quanto abbiamo litigato, io lui e Kev per farlo uscire di casa riccio...

 

Uno dei benefici dell’amicizia

È sapere a chi confidare un segreto

(Alessandro Manzoni)

 

Inutile dire che nessuno dei due sentì la porta aprirsi...

 

“Prof, scusi, mi ha mandato quella di lettere per vedere se Martha ha...” Derek, che aveva iniziato a parlare prima ancora di guardare dentro all’aula, si bloccò a bocca aperta non appena vide ciò che stava succedendo e rifletté che, forse, sua madre non aveva poi così torto quando gli diceva che era sempre meglio bussare prima di entrare in una stanza non sua. “...finito...”

Kevin, dal canto suo, appena udì la voce del suo alunno fece un salto all’indietro che nemmeno io ai tempi dei concerti, mentre il suo cuore sembrava aver deciso che la sua gola era un ottimo luogo dove battere all’impazzata e Martha, rimasta immobile, paralizzata, seduta sul tavolo, cercava in qualche modo di tornare a respirare.

“Derek...” Esalò mio fratello, passandosi una mano tra i ricci scuri. “Ti hanno mai detto che si bussa prima di entrare?”

Sì, sua madre aveva decisamente ragione.

“Ma, prof... io che ne sapevo che lei... voi... oh, cavolo, pensavo che Mar stesse facendo la verifica!”

“Ragazzino, se qualcuno viene a sapere questa cosa io ci rimetto il lavoro!”

“Ma prof... cioè, Kevin, Derek non... non lo dirà a nessuno...” Intervenne la ragazza, a mezza voce, non appena si fu ripresa il minimo indispensabile ad emettere qualche suono. “Vero?”

Mentre Martha, afferrando la mano che Kevin le porgeva, scendeva dal tavolo e si sistemava in qualche modo la malia spiegazzata, Derek parve soppesare ciò che la sua amica gli aveva appena chiesto.

Mantenere un segreto... lui...

“Ci posso provare.” Rispose infine, sorridendo. “Anche perché è da settembre che faccio il tifo per voi, ma ti avverto che dovrai tenermi costantemente d’occhio, perché la mia parlantina davvero non dipende da me.”

“Essere rimandato in musica potrebbe aiutarti a tenere la bocca chiusa?” Ringhiò Kevin, chiudendo con un calcio la porta della classe.

“Calmati...” Mormorò Martha, posandogli una mano sulla spalla e lui annuì, stringendola forte con la propria, per la gioia di Derek che, se fosse stato un cartone animato, avrebbe molto probabilmente esibito un paio di occhioni a cuoricino.

“Seriamente, Derek, è importante che tu non dica niente, ok?”

“Certo, prof, stia tranquillo, sarò una tomba... più o meno. Adesso però credo sia meglio che torni in classe, o quella là organizza una spedizione per venirmi a cercare. Tu che fai?” Domandò, rivolto a Martha, che girò con gli occhi la domanda a mio fratello.

“Non ho fatto la verifica...”

Kevin annuì, sorridendo per la prima volta da quando Derek aveva fatto la sua comparsa.

“Tu non ti preoccupare, ci penso io a come risolvere la questione. Ma non aspettarti trattamenti di favore, capito? Andate, adesso... ci vediamo domani... e, Derek? Studia, per favore.”

Il ragazzo annuì e si esibì in un saluto militare, prima di schizzare fuori dalla classe.

Martha fece per seguirlo, ma fu bloccata da una mano grande che l’afferrò per il polso.

“L’abbiamo scampata bella...”

“Già... forse è meglio che evitiamo di rifarlo, eh?” Tentò di scherzare la giovane, fallendo miseramente nel nascondere il colorito aragosta del suo viso.

“Eh sì... dovremo trovare un altro posto.”  Con un sorriso sornione, Kevin si chinò a posarle un leggerissimo bacio sulle labbra, prima di lasciarla andare. “A domani.”

 

Continua...

 

 

 

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Capitolo 13
*** - capitolo tredici - ***


Ed eccola che, dopo una giornata di noia più totale il cui culmine è stato il concerto di Max Pezzali (...) tento di combinare qualcosa di buono aggiornando la mia storiella. Sono felice che, nonostante le feste, sono già tornata ad avere 16 recensioni...ma davvero davvero felice! E ho anche acquistato altre 2 preferizzazioni e un paio di nuovi lettrici! Che si può chiedere di più? E ora passiamo a ringraziare tutti, uno per uno, perché siete meravigliosi e questo è il minimo per voi!!!

 

Sbrodolina: ehi, che entusiasmo! Tranquilla, la tua long sta prendendo forma, anche se non credo che inizierò a pubblicarla prima della fine di questa. In quanto al diventare scrittrice...beh, non è il mio sogno, non credo possa diventare un mestiere per me, ma se succedesse, almeno sono sicura di avere una fan! Grazie davvero!

 

Brotherina: vedo che Nick innamorato di Clarisse ha fatto successo! Hehehe... gli ho trovato una donnina, io, per la prossima storia... E Kev e Martha...calma calma che siamo solo agli inizi

 

Jollina la verde: Minako non aspettava altro che quella che per noi ora è la Sala Professori con le maiuscole!!! Sai, inizialmente doveva entrare Chris, poi ho pensato che sarebbe stato scontato e ho cambiato....

 

Tay_: Thank you again per tutti i complimenti. E in quanto al tuo amore viscerale per Derek....credo che più avanti avrà un suo momento di gloria.

 

Sweet_S: calcola che il Nick che ama clarisse è morto.... hai sempre quello vivo a disposizione!

 

Selphie: se a te sembra di ripeterti nelle recensioni, pensa a me nei ringraziamenti! Ma mi fa piacere, come spero a te faccia piacere recensire...quindi manteniamo le buone tradizioni! In quanto a Clarisse.. chissà chissà...potresti averci azzeccato. Più o meno. In parte. Quasi.

 

Alexya379: Fatto, aggiornato! Sei ancora viva????

 

La Socia: Sai cosa ti fa pensare che Derek farà danni? Il fatto che è Derek, cara mia, ed è in se stesso un danno. Chissà che farà il *tuo* prof in merito.... . Se Joe è davvero convinto di uscire con un’altra? Fino a quando non ho scritto il capitolo 14 pensavo di sì, ma sai com’è, noi autori non controlliamo mai davvero i nostri personaggi e lui mi è...come dire...sfuggito dalle mani. E non è andato in discoteca (Pfff un paio di palle), se te lo stai chiedendo.

 

Agatha: Wow, tre commenti by agatha in un colpo solo! Tempe felice.... Cara mia, chi e ripeto, chi non avrebbe pagato per stare al posto di Martha? Nick imbarazzato io lo adoro...e ne avrà di motivi per cui imbarazzarsi, oh, se ne avrà! Joe e piastra al momento sono in rapporti un po’tesi...ma credo proprio che avranno un ritorno molto passionale, non disperare!

 

Fefy88: Io non credo sarei svenuta. Credo che avrei anticipato la scena del capitolo scorso... però, non si può mai dire! XD

 

Sweet_Doll: leggi cosa hai scritto e rifletti. Derek che tiene la bocca chiusa? Che giovane di belle speranze, sei...un po’come Martha! XD scherzi a parte, pel di carota farà del suo meglio, ma...

 

Lety: guarda, Clarisse è colei da cui tutta la storia ha avuto origine, ci sono in un certo senso molto legata... anche se tu conosci il mio amore viscerale per Chris. Sto facendo, però, tutto il possibile perché la mia clary somigli poco poco poco a Patty, che io reggo davvero poco...mentre una Madison-Antonella non  mi dispiace affatto. A parte il capitolo Clarisse, grazie di tutti i complimenti!!!!

 

Lyan: Bussare? What’s bussare? Si mangia? XD Idiozia a parte, spero davvero di riuscire a far rinsavire Joe, perché così fa paura pure a me!

 

Crys03: wow, 30 minuti?! Sei un robot! Hehe grazie, una fan in più è sempre benvenuta!

 

Reby94xx: Oddio...devo dire che rispondere alla tua recensione è quantomeno...complicato, ma mi ha fatto molto piacere leggere un romanzetto del genere!!!

 

Beautiful_disaster: Clarisse e Derek sono, senza mezzi termini, due rompicoglioni, ma alla fine sono buoni, dai!

 

Temperance

-Capitolo Tredici-

 

Se telefonando

Io potessi dirti addio

Ti chiamerei

Se io rivedendoti

Fossi certo che non soffri

Ti rivedrei

Se guardandoti negli occhi

sapessi dirti basta

ti guarderei

(Mina, Se telefonando)

 

La porta dell’appartamento si chiuse con un sonoro ‘clack’ alle spalle di Clarisse, lasciando Joe seduto, immobile, sul divano, con in mano una piastra che non aveva più usato, da quattro anni a quella parte e che Kevin l’aveva praticamente costretto a portare con sé.

 “Ridicolo...” Commentò, rivolto a nessuno in particolare e lasciando cadere sulla poltroncina lì accanto il piccolo oggetto allungato.

Non avrebbe mai dovuto chiedere aiuto a quella ragazzina.

Non avrebbe mai nemmeno dovuto accettare di insegnarle a cantare: gli riportava alla mente troppi, troppi ricordi che lui non avrebbe voluto rivivere mai più.

Ricordi di quando la sua vita era ancora una vita e non un semplice trascinarsi lungo tutte le ore del giorno, un non aver pace nemmeno nei sogni.

Mi credete, vero, se vi dico che avrei dato qualsiasi cosa purché mio fratello smettesse di sentirsi un assassino?

Sospirando, Joe afferrò il cordless e rimase fermo per qualche istante a fissare il piccolo schermo sul quale, stranamente, non campeggiavano bustine segnalatrici di chiamate non risposte.

Non era sicuro di che sentimenti quella mancanza gli provocasse... nostalgia, forse, o senso di colpa... ma anche una grande, immensa rassegnazione.

Forse, dopotutto, non avrebbe avuto bisogno di uscire con un’altra perché Eliza si scordasse di lui.

“Peccato che sia io a dover dimenticare lei...” Biascicò, componendo velocemente un numero sulla piccola tastiera.

Avrebbe ascoltato Clarisse, avrebbe visto un’altra donna... ma prima c’era una chiamata che doveva fare. Una chiamata che, forse, gli avrebbe risparmiato di rivivere un altro ricordo.

 

Lume di candela, tavola perfettamente apparecchiata, tovaglioli a origami, musica d’atmosfera.

E lei.

Lei con cui sognava di uscire da una vita e con la quale, finalmente, i suoi fratelli erano riusciti ad organizzargli un appuntamento.

Lei con i capelli d’oro colato e per occhi due pozze di cielo limpido.

Era stata una serata a dir poco perfetta, con lei splendente come il sole di maggio e un cibo degno della migliore alta cucina italiana. Tutto assolutamente meraviglioso... se non fosse che poi era arrivato l’inevitabile momento del primo bacio.

Così funziona, no? Si suppone che, alla fine di un appuntamento al limite del paradisiaco la coppia coinvolta si scambi il primo bacio e faccia piani per l’incontro successivo. E così fu.

Joe si chinò lentamente verso di lei, posando piano le labbra sulle sue, aspettandosi di sentire chissà quale scampanellio celeste e trovandosi, invece, circondato solamente da una voce che strillava a tutto volume un nome che non era quello giusto.

Il nome della sua migliore amica.

Spaventato, si era allontanato da lei di scatto, guardandola, spaesato, e correndo via a tutta velocità, abbandonandola da sola in un ristorante di lusso nel bel mezzo del New Jersey.

 

Dopo quella volta, per almeno tre settimane non era più riuscito a guardare Eliza negli occhi e non voleva che quella storia si ripetesse. Come poteva, infatti, essere certo che lei non sarebbe venuta a sapere di questa sua uscita? Come le avrebbe spiegato che poteva amare un’altra ma non lei?

Di certo non sarebbe stato carino dirle che lei era parte integrante della sua vecchia vita e, come tale, aveva bisogno di essere eliminata perché lui potesse ricominciare da zero.

Avvisarla prima di certo avrebbe sistemato un pochino le cose... o forse gli avrebbe solo alleviato un minimo di senso di colpa.

Con un respiro profondo, Joe premette il tasto di invio e la chiamata partì.

 

Risponde la segreteria telefonica di Eliza Doolittle. Al momento non sono in casa, ma prometto che vi richiamerò appena tornerò! Se proprio volete perdere un po’di tempo a parlare con il nulla... beh, lasciate un messaggio dopo il beep!

 

Joe si sentì sprofondare.

Era da tre mesi che Eliza cercava di telefonargli e ora che aveva finalmente deciso di farlo lui, lei era fuori casa.

Trattenendo le lacrime di rabbia che premevano contro i suoi occhi, mormorò un’unica parola prima di riappendere la cornetta.

“...scusami...”

 

E se fosse la gelosia
Che mi fa vedere cose
Che esistono soltanto nella mia mente

(Laura Pausini, Benedetta passione)

 

Martha uscì da scuola chiacchierando con le sue amiche, sorridente come non le capitava da parecchio tempo, incuriosendo tutti quanti con questa sua improvvisa allegria.

Tutti a parte Derek, ovviamente, che, con somma sorpresa della ragazza, non aveva ancora lanciato frecciatine idiote su ciò che aveva visto in sala professori. Tuttavia, era presto per cantare vittoria, visto che non erano passati neppure venti minuti dal fatto sopraccitato.

Tutta la sua euforia, però, scomparve quando vide la scena che stava avendo luogo appena fuori dalla cancellata grigia dell’istituto.

Il suo sorriso si spense nello stesso istante in cui i suoi occhi misero a fuoco l’immagine di Kevin, un’espressione tutta contenta dipinta in visto, le mani strette intorno ai fianchi di una donna dai lunghi capelli rossi.

Era piuttosto alta e sottile, indossava un lungo maglione di lana scura che ne sottolineava la perfetta silhouette e un basco di lana marrone bruciato era poggiato morbidamente sui boccoli setosi che circondavano un viso dalla delicatissima carnagione colore della porcellana.

Era bellissima o, per lo meno, lo era ai suoi occhi.

Rimase immobile per qualche istante a guardare lui che si chinava a posarle un bacio sulla guancia e lei che gli gettava le braccia al collo, stringendolo forte, esattamente come aveva fatto lei nemmeno mezz’ora prima.

Incredibile come, a volte, la mente umana possa inventare storie terribilmente realistiche dal nulla...

La giovane si riscosse solo quando sentì la mano di Derek posarsi sulla sua spalla.

“Magari è un’amica...” Cercò di rincuorarla il ragazzo, sorridendole dolcemente come mai l’aveva visto fare.

“O magari sono io cretina ad aver creduto che uno come lui potesse davvero essere interessato ad una come me.”

“Ora sei ingiusta! Che hai tu che non va?”

“Rispetto a quella?” Martha lanciò un’occhiata alla coppia che, a braccetto, iniziava ad allontanarsi dalla scuola. “Tutto quanto, Derek, credimi. Tutto quanto.”

 

Mi manchi e mi manca tutto di te

Mi manchi con la confusione che fai

Coi dubbi e con i tuoi piedi freddi

Mi manca aspettarti che non sei mai pronto

La tua bicicletta davanti alla porta

Mi manca il segreto per ritornare indietro

(i Pooh, Mi manchi)

 

Eliza sedette  al tavolo del piccolo bar con un sorriso malinconico, mentre Kevin ordinava due cioccolate calde, una con e una senza panna.

Una volta ci andavamo tutti e quattro insieme, in quel locale dal sapore vero un po’nascosto in mezzo al caos di grandi ristoranti tutti uguali, troppo chiassosi e troppo pieni per quattro amici che vogliono solo rilassarsi un po’.

Adoravo quel posto, proprio come Liz e i miei fratelli.

“Una cioccolata liscia per la bella signora!” Esclamò Kevin, appoggiando la tazza sul tavolo davanti all’amica ed accomodandosi poi al suo posto, con la stessa espressione di una persona che ha appena vinto alla lotteria.

Mai stato bravo a nascondere i propri sentimenti, Kevin.

“Ehi, come mai così allegro, sexy man?”

Kevin scosse la testa, senza smettere di sorridere.

“Non smetterai mai di chiamarmi così, vero?”

“Assolutamente no. Insomma, sei stato nella lista di People per tre anni, lasciami vantare almeno un po’.”

“Come vuoi, come vuoi. E, comunque, sono allegro perché è stata una giornata... produttiva.” Affermò, prendendo un sorso dalla tazza e riemergendo con la bocca contornata da un paio di spumosi baffi bianchi.

“Conquiste?” Chiese Eliza, trattenendosi a stento dal ridere.

Solo con Kevin le capitava.

“Assolutamente sì. Allora, di che vuoi parlare?”

“La tua vita privata è un argomento perfetto.”

“E di mio fratello che ne pensi?”

“Frankie? Sono secoli che non lo vedo...”

“Liz...”

La ragazza sospirò, puntando gli occhi verdi in quelli dello stesso colore del migliore amico che le fosse rimasto.

La gente diceva tante cose di Kevin Jonas... cose brutte, per lo più, che lo ritraevano come una specie di mostro senza cuore che usava le donne come oggetti e divideva casa sua con un individuo sclerotico di cui metà della popolazione di Princeton aveva paura.

Per lei, tuttavia, Kevin era sempre il ragazzo buono e dolce con cui aveva condiviso alcuni dei più bei momenti della sua vita, quello che non sarebbe stato in grado di fare del male a una mosca, quello che l’abbracciava ogni volta che Joe si presentava con una nuova ragazza. Quello che riusciva sempre a farla parlare di qualsiasi cosa, soprattutto di quegli argomenti che lei non era per nulla ansiosa di trattare.

“Come sta?” Domandò Eliza con un sospiro rassegnato.

“Meglio, se prendiamo come termine di paragone il tentato suicidio di metà settembre. Male se invece lo confrontiamo con il Joe di prima.”

Non era necessario specificare cosa quel prima significasse.

Prima che io lo distruggessi, è il sottinteso che nessuno ha mai avuto il coraggio di esplicitare.

“Mi manca terribilmente... mi mancano anche le cose di lui che non sopportavo, come quel non essere mai pronto o cercare sempre di scaldarsi i piedi sotto alle mie gambe mentre guardavamo la tv insieme...o la bicicletta parcheggiata immancabilmente davanti al garage di mio padre che...”

“...che ogni volta gli faceva una gran ramanzina che lui ignorava sistematicamente. O quando guardavamo insieme le registrazioni dei concerti e lui negava l’evidenza di fronte ad ogni stecca che prendeva.”

“Già...” Annuì lei, asciugandosi una lacrima.

“Almeno lui non cerca di seppellire i suoi problemi sotto tonnellate di donne e psicoterapia.”

Eliza sorrise dolcemente, allungandosi sul tavolo per rimuovere con un tovagliolino i baffi dal viso di Kevin.

“Ne uscirete. Tutti e due.”

“Sei l’unica a crederci ancora.”

“E non ho nessuna intenzione di smettere di farlo.”

“Continuerai a chiamare, vero?”

“Assolutamente, per sfinimento prima o poi risponderà.”

“Se non lo fa lo costringo io. È da quando avete dodici anni che dico che dovete stare insieme.”

“Lui non è mai stato d’accordo, però.”

“Liz... ti ama.”

“Se me lo dimostrasse solo una volta, Kev, anche una volta sola, giuro che sposterei il mondo con le mani per aiutarlo ad uscire da questa situazione, ma così non ce la faccio. Io nelle favole non ci credo più... è troppo facile rimanere delusi quando la storia finisce.”

 

Continua...

 

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Capitolo 14
*** - capitolo quattordici - ***


Ebbene sì, penso che questo sia l’ultimo aggiornamento prima della fine delle vacanze...uff uff non ho proprio voglia di tornare a scuola... vabbè, ora non ho tempo di ringraziarvi una per una, perché tra poco arriverà un’amica di mia madre con famiglia e non posso stare qui a scrivere...ma comunque tantissime grazie a tutte! Come al solito, ringrazierò meglio nel prossimo capitolo!

Un bacio, 

Temperance

 

-Capitolo Quattordici-

 

Avremo mai il coraggio di rifare

Di dire basta e poi ricominciare

E di noi cosa sarà... che sarà...

Di tutte le parole che inventiamo

Per dirci che comunque sia ci amiamo

Delle notti perse ad aspettare

Di poterci riabbracciare

Che da soli non sappiamo stare

Cosa sarà di noi

(i Pooh, Cosa sarà di noi)

 

Joe si passò una mano tra i capelli scuri, lasciando che il vento li scompigliasse di nuovo subito dopo. Niente cuffie e sciarpe di lana per proteggersi dal freddo. Solo l’aria gelida e impietosa dell’inverno di casa nostra a farlo rabbrividire fino alle ossa.

Sorridendo appena, prese un respiro a pieni polmoni, sentendosi invadere totalmente dalla vita che riempiva Princeton a qualunque ora e in qualunque stagione dell’anno.

Poi pensò a Clarisse e il sorriso svanì.

Clarisse che gli aveva voluto bene subito, gratuitamente, e che lo stava aspettando dall’altra parte della città con una sconosciuta amica di sua sorella più grande, con una donna che avrebbe, in teoria, dovuto essere in grado di tirarlo fuori dalla fossa che si era scavato con le sue mani.

Era stata dolce, Clarisse, ad organizzargli quell’appuntamento pur sapendo che sarebbe stato inutile.

Ora anche lui ne era cosciente, ma doveva sbatterci la testa per rendersene conto.

Tipico del vecchio Danger, unico aspetto del suo carattere che non era mai, mai cambiato.

“È molto bella, non è vero?”

Joe si voltò lentamente verso destra, direzione dalla quale era giunta la voce che lo aveva riscosso dai suoi pensieri. Capelli rossi, lunghi fino alla vita, un basco marrone, profondi occhi verdi.

 

Tristi.

 

Il suo primo impulso fu, di nuovo, come quando l’aveva incontrata davanti alla gelateria, di fuggire a gambe levate, ma qualcosa sembrava tenerlo ancorato al terreno.

O qualcuno, forse, chissà.

“Che...che ci fai qui?”

Eliza si strinse nelle spalle, appoggiandosi accanto a lui alla balaustra che costeggiava il cavalcavia.

“Vado al lavoro. Turno di notte, oggi. Tu?”

“Io... do buca a una persona.” Rispose, cercando di non distruggere l’incanto di quella conversazione semplice quanto surreale.

Eliza annuì, per poi rimanere in silenzio per un po’.

“La città, dicevo.” Riprese, poi. “È bella.”

“Sì, è... non lo so... le luci, il traffico... è viva.”

“Anche tu sei vivo, Joe.”

Le rispose un sorriso amaro.

“Già.”

“Non è un male, sai? Vuol dire che puoi ricominciare, che puoi tornare ad essere quello che eri. Non ti manca Danger?”

“Perché sei qui?” Chiese Joe a bruciapelo, ignorando quella domanda che aveva sortito lo stesso effetto di un pugno nello stomaco. “Voglio dire, perché parli con me? Perché mi telefoni?”

“Sei sparito per quasi tre mesi, se non avessi visto Kevin, oggi, potrei tranquillamente pensare che sei morto. C’è un motivo per cui non mi hai mai risposto?”

C’era?, si domandò Joe per l’ennesima volta, trovandosi, suo malgrado, a non avere una risposta.

“Tu devi scordarti di me.” Disse, senza crederci poi così tanto.

“Questa l’ho già sentita. Non voglio dimenticarti, e , anche se volessi, non ci riuscirei. Tu nemmeno immagini cosa ho fatto per il tuo bel faccino, mr Jonas.”

Joe ridacchiò in un modo che ad Eliza parve profondamente inquietante.

“Niente di peggio di ciò che ho fatto io a te in questi anni.”

“C’è un ragazzo innamorato di me. Davvero innamorato, intendo. E io l’ho chiamato Joe mentre facevamo l’amore. E non una volta sola.”

Di quel discorso l’unica cosa che gli giunse alle orecchie fu il fatto che lei aveva fatto l’amore con qualcuno. Qualcuno che non era lui. Non avrebbe dovuto fargli così male... lui doveva dimenticarla...

È strano, come a volte si possa arrivare quasi a trent’anni ed essere estremamente ingenui.

Perché l’amore di tutta una vita non si dimentica in una notte, fratellone. Né in dieci, o trenta, o mille.

L’amore di una vita ti resta dentro per sempre, eliminarlo è impossibile. L’unico modo per avere pace è cedergli.

“Chi è lui?”

“Un mio collega.” Rispose lei, titubante di fronte a quella domanda inaspettata. “Aaron... perché?”

“Così lo posso uccidere.”

“Capisco... ti devo dimenticare, ma non posso andare a letto con un altro?”

“No! Voglio dire, sì... tu sei...”

“Cosa, Joe, sono cosa?” Sbraitò lei, unica voce fuori dal coro del traffico notturno. “Un giocattolo? Un pupazzo da prendere a botte, ignorare per mesi e poi andare a cercare? Una stupida amica innamorata? Sentiamo, Joe, cosa sono io? Sono...”

“...mia.”

“Come?...” Domandò lei, spiazzata almeno quanto me, mentre lui prendeva con dolcezza tra le dita una ciocca dei suoi capelli di rame.

“Sei mia, Eliza, solo ed unicamente mia, molto più di quanto dovresti essere e questo...questo è sbagliato.” Si bloccò, come riemergendo all’improvviso dall’abisso color dello smeraldo in cui lo avevano trasportato quegli occhi, e lasciò che il ciuffo tornasse a cadere morbidamente sulla sua spalla. “È sbagliato, è tutto dannatamente sbagliato... tu... tu non dovresti essere qui, tu... Dimentica quello che ti ho detto. Dimenticati di me.”

E poi sparì, di corsa, nel buio multicolore della notte di Princeton, prima che Eliza potesse anche solo pensare di fermarlo in qualche modo.

“Joe...” Sussurrò al vento, accasciandosi contro la balaustra, gli occhi già colmi di lacrime. “Joe...”

 

It's alright, baby

it's a crazy world it's a bit absurd
it's alright, sugar
it's a crazy world it's a bit absurd

(Komeda, It’s alright, baby)

 

Martha si verso l’ennesima tazza di latte e la scolò in un sol sorso, per poi appoggiare pesantemente il contenitore sul tavolo e ridacchiare, rendendosi conto di quanto forte fosse la sua somiglianza con uno di quei cowboy alcolisti dei western di serie b.

“Non dormi, Nini?”

La ragazza sobbalzò all’udire la voce della nonna che la raggiungeva da una distanza a dir poco millimetrica.

“Non ti ho sentita entrare...”

“Sarai stata troppo occupata ad ubriacarti di... latte freddo? A dicembre?”

Martha si strinse nelle spalle, accennando un sorriso.

“O questo o il marsala all’uovo che usi per le torte.”

“Oh beh, allora va benissimo il latte: quel vino costa un capitale.” Accarezzando i capelli della nipote, la donna le si accomodò accanto con un sorriso dolce ben fermo in viso. “C’è qualcosa che non va?”

“No, nonna, va tutto bene...”

“E bevi perché va tutto bene?”

“Nonna... è latte.” Sottolineò Martha, inclinando leggermente il capo, mentre un accenno di singhiozzo la faceva sobbalzare sulla sedia.

“Latte freddo, come ti ho fatto notare, e siamo a dicembre. Come vedi, gli effetti sono gli stessi di una buona grappa. Cosa ti è successo?”

Martha sospirò, passando un dito sull’orlo della tazza con aria distratta.

“Non so se puoi capire...”

“Quindi sono questioni di cuore. Anche tua madre da ragazza era fissata che non potessi capire le sue cotte. Ora, capisco che tu con lei non ci voglia parlare, siete forse troppo diverse, ma con me...”

“Ok, c’è un ragazzo.”

“Bene...nome?”

“Kevin.”

La nonna annuì, interessata.

“Conoscevo un Kevin... ragazzo simpatico... si è rovinato, poveretto... vai avanti a raccontare o te le devo proprio tirare fuori con le pinze le cose?”

Martha prese un respiro profondo, decisa a mettere in tavola tutto quanto: chi meglio di sua nonna, la persona che meglio la capiva al mondo, per aiutarla a comprendere se stessa?

“Ok, ti dico tutto. Kevin ha trent’anni, è...”

“Meno male che era un ragazzo!”

“Nonna!”

“Ok, scusa, vai avanti.”

La ragazza annuì, raccogliendo di nuovo tutto il coraggio necessario, poi riprese a parlare.

“È il mio insegnante di musica da settembre. È dall’inizio dell’anno che mi fa mezze avances che nemmeno ero mai riuscita ad interpretare...e poi stamattina mi ha baciata. Molto, direi. E lui mi piace...tanto, però ha una reputazione un po’così, ma credo che ci sarei passata sopra...sennonché all’uscita da scuola l’ho visto che abbracciava un’altra... un’altra bella dieci volte me e probabilmente con anche una decina d’anni in più della sottoscritta e non ho assolutamente idea di come comportarmi, perché...” il lungo e sconclusionato discorso fu interrotto da un singhiozzo da latte freddo più forte degli altri, accompagnato da un paio di ribelli e nervosissime lacrime.

“Nini, hai pensato che quella potrebbe essere una sorella o un’amica?”

Martha alzò, stupita, gli occhi lucidi sulla progenitrice.

“Niente storie per l’età?”

La donna si strinse nelle spalle.

“Tuo nonno aveva ventun’anni più di me e siamo sempre andati benissimo. Il fatto che è un tuo professore passa anche lui in secondo piano, visto che sei all’ultimo anno, ma questa cosa dell’altra donna la devi chiarire subito.”

La ragazza annuì, piano, mentre l’immagine di mio fratello e di Eliza stretti l’uno all’altro le appariva di nuovo davanti agli occhi, portandola a spingere da una parte la tazza con gesto nervoso.

“Sua sorella non è. Che io sappia ha solo un fratello che nemmeno esce mai di casa.”

“Joseph...” Sussurrò la nonna, sgranando gli occhi.

“Come?”

“Joseph, il fratello di Kevin... è lo stesso ragazzo di cui ti parlavo prima, Martha... e le cose cambiano. Credo sia meglio che tu gli stia lontana.”

“Come....perché? Hai detto che era un bravo ragazzo...”

“Ho detto che era un bravo ragazzo che si è rovinato, dopo che è successa quella cosa con l’altro fratello, il più piccolo... nessuno dei due è più stato lo stesso. Erano tre giovani stupendi... sempre con il sorriso sulle labbra. Poi Joe si è chiuso in se stesso come un’ostrica e Kevin...suppongo che tu lo sappia.”

“Allora è vera la cosa delle prostitute?”

“Temo di sì... e non sai quanto mi abbia fatto male vederlo ridursi così. Quel Joe, poi... il buffone del quartiere, non sembra quasi vero di vederlo sempre triste e serio.”

“Del...quartiere? Vuoi dire che vivono qui?” Fu il turno di Martha di strabuzzare gli occhi chiari.

“Oh sì. A due isolati.”

“Oh Dio...”

“Oh, su, non è niente di sconvolgente! Tu, piuttosto, vedi di ridurre i vostri rapporti a quelli di professore e alunna, che è meglio.”

“Ma nonna, io... non credo di farcela.”

“E perché no? Non è un bacio che fa la differenza.”

“Anche senza bacio...sarebbe lo stesso, temo.”

Il sorriso della donna si raddolcì, allora, e si riempì di comprensione.

“Non è un’avventura fine a se stessa, eh?”

Martha scosse il capo per l’ennesima volta, asciugandosi le lacrime.

“Non sono esattamente il tipo da avventure.”

“Sì, sì...lo so. Credi di esserne innamorata?”

“Io... non lo so... è una parola grossa... ma lui mi piace...moltissimo...”

“E allora fregatene di chi la gente dice che è e scopri chi lui è per te. Placcalo alla prima occasione e chiedigli chi era quella sciacquetta a cui di certo non hai niente da invidiare. Se hai anche solo il presentimento di poterlo amare sul serio, piccola, non lasciartelo portare via.”

 

Continua...

                                                                                                                                                  

 

 

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Capitolo 15
*** - capitolo quindici - ***


E siamo al 15...direi più o meno a metà. Sappiate che voglio assolutamente finire questa storia per quando andrò a Berlino quindi entro aprile. Bene, e dopo questa notizia di servizio....i grazie!!!!

Ma prima un appello: Maybeeeeee!!! Dove sei!!!!

 

Neve: grazie, neve, che mi hai fatto iniziare la scuola con un giorno di ritardo!

 

LaSociaPolla: che ha sbagliato capitolo! Te l’ho già detto, Joe è un disadattato cretino eccome, e qui ne avrai la conferma! E non ti permettere di fare spoiler!!!!Ohè!

 

Alexya379: la nonna di Martha è la mia nonna Rosy...che non cambierei con nessun’altra al mondo!!! Mai fu piana la strada del vero amore... hihi mai furono scritte parole più vere, altroché!

 

Pretty_Odd:Non so quanto davvero possa essere costato a Joe quel sei mia...secondo me gli è letteralmente uscito da solo dalle labbra, perché non ci vedeva più dalla gelosia. Riuscirà ad essere un po’meno pirla? Chissà...

 

Sbrodolina: ora sai che la long nuova inizierà sicuro prima di aprile...contenta??? :-D Okok, ti lascerò sognare... spiegalo tu a mia madre che devo continuare a scrivere, che lei mi dice di smettere! Nerviiiiiiiiiiiii!!!!

 

Selphie: Eh no che non mi sono offesa, anzi! Joe, Liz e Martha ringraziano per i consigli ricevuti...e cercheranno di prestarvi fede. Ma non promettono niente, sai come sono....

 

Sweet_S:Io non mi sono mai ubriacata col latte, anche perché non mi piace, lo bevo perché mi ci costringe la dietologa (santa Antonella da Luino), ma fammi sapere com’è! Dai dai dai, facciamo il film! Io faccio Eliza!!! Mi chiamo anche come lei, che puoi volere di più? Ma i Jonas devono essere quelli veri, eh!

 

Billa: Aggiornato in questo mio ultimo, insperato giorno di vacanza (sospira con gesto teatrale). Grazie dei complimenti!!!

 

Tay_: eccotene un altro!!

 

Razu_91:facciamo tutte insieme il tifo per Liz! Che, però... no, non te lo dico!

 

Sweet_Doll: e come sempre grazie! Adoro far commuovere la gente! :-D

 

Beautiful_disaster: Chris è tornato, tremate mortali!!! A parte questo, davvero, vorrei sapere anche io come finirà tra Joe e Liz...cioè, cm finirà lo so... più che altro non so come ci arriveranno, a quella fine, porelli! E la nonna... la mia nonna cresciuta da una madre abituata a vivere con 8 fratelli...sì, direi che di pregiudizi ne aveva e ne ha ben pochi!

 

Jollina la verde: intanto grazie per i complimenti... poi...beh, Liz e Joe sono quantomeno...complicati, ma prima o poi qualcosa tra loro, nel bene o nel male, dovrà pur scattare, no?

 

Lyan: facciamo tutte insieme un appello: danger torna da noiiiii!!! Ringrazio sia te che sbrodolina e Sweet_S per il paragone con la grande Rowling...non credo di meritarlo davvero, ma mi fa un immenso piacere!

 

KymLYCANTHROPE: Benvenuta!!!! Che bello, spero che la storia continuerà a piacerti al punto da lasciare altre recensioni che, sapendo che non ti piace scriverle, mi faranno ancora più piacere! Ti ringrazio in particolare di aver notato le canzoni: amo dare una colonna sonora alle mie storie e sono felice che sia azzeccata!

 

Agatha: Chris rulez!!! Un grande grande grazie al mio fantavoloso parrucchiere Fabrizio che mi ha ispirato questo personaggio!!! Passando oltre...ecco agatha che torna con i suoi ritratti psicologici *tempe adora agatha*, questa volta puntando sulla nonna...avrai modo di amarla ancora di più, fidati! Joe ed Eliza sono assolutamente la mia coppia preferita, quindi non potevo non riempirli di problemi che, ahimè, sono ancora ben lontani dal trovare una soluzione. Ma i tempi bui sono quasi finiti, tieni duro!!!

 

Bibi94_Jonas4ever: fa niente, tranquilla! Ora si torna alla normalità (purtroppo)...ma grazie grazie! Vediamo allora di farli tornare a splendere, questi gioielli di ragazzi!

 

Grazie ai quaranta che mi tengono tra i preferiti!!!

Temperance

 

 

 

 

-Capitolo Quindici-

 

Ascolta i vecchi che hanno voglia di ballare

E sopra un ponte le bugie di un pescatore

...

Ascolta quello che hai dentro al petto

E che non hai mai detto

(i Pooh, Ascolta)

 

 “Fermati, cretino!”

Joe si bloccò al margine della strada, ansimando e guardandosi intorno, quasi aspettandosi di trovare nostro padre lì a riprenderlo, a farlo tornare indietro a calci.

Invece i suoi occhi incoccarono solo in un senzatetto che inseguiva, senza fiato, un cagnolino bianco, che gli stava passando accanto proprio in quel momento.

Senza pensarci troppo, Joe si chinò ed afferrò il logoro guinzaglio blu, ignorando l’aria minacciosa della bestiola.

“Il suo cane, signore.”

L’uomo lo raggiunse e gli rivolse uno sdentato sorriso riconoscente.

“Grazie, giovanotto. Ho una certa età, sai? Non corro più come una volta.”

“Nessun problema.” Replicò, chinandosi e tendendo una mano verso l’animale, che l’annusò, circospetto, per poi prendere a leccarla senza alcuna remora.

“Gli piaci!” Esclamò l’anziano, battendo un paio di volte tra loro le mani coperte da un paio di guanti improvvisati con dei pezzi di camicia.

“Sì... io e i cani siamo sempre stati ottimi amici, vero, piccolo?” Il cagnolino guaì, contento, lasciando che Joe gli accarezzasse la pelle sensibile dietro alle orecchie.

Me lo ricordo, Joe ragazzino, che faceva gli occhioni dolci a papà per prendere un cucciolo. E papà che nemmeno lo guardava, perché sapeva che, se lo avesse fatto, avrebbe ceduto nel giro di due minuti.

“Sono molto meglio delle persone, a volte.” Commentò l’uomo, mentre Joe si rialzava e gli tendeva il guinzaglio sporco.

“Di certo sono meglio di me.”

“Niente affatto: chi piace ai cani è per forza una bella persona. Forse devi soltanto capire cosa sbagli.”

“Forse...”

L’anziano senzatetto si strinse nelle spalle, sorridendo appena.

“Pensaci, ragazzo. Hai una vita davanti e questa notte ancora non è finita. Magari fai in tempo a sistemare qualcosa.”

“Può bastare una notte per rimettere in sesto una vita?”

Il sorriso dell’uomo si allargò, mentre il cagnolino iniziava a tirare come un matto verso chissà quale meta.

“A volte bastano pochi secondi. Ciao, ragazzo!”

Joe rimase immobile a guardare lo strano individuo allontanarsi sempre di più.

 

Senza mai voltarsi....

 

“Me ne pentirò....” Sussurrò, scuotendo appena i ricci scuri, prima di riprendere a correre nella stessa direzione da cui era arrivato.

Eliza era ancora lì, seduta per terra, il capo reclinato, il viso rivolto verso l’asfalto e coperto dalle ciocche rossicce.

 

Meravigliosamente bella....

 

Senza dire nulla, mio fratello si accovacciò esattamente davanti a lei, il viso a pochi centimetri dal suo e rimase in quella posizione finché lei non si decise ad alzare gli occhi, non più lucidi, ma arrossati e tristi.

“Che cosa ci fai qui?”

“Ti porto a casa.” Rispose semplicemente lui, tendendole una mano.

“Ma devo andare a lavorare.”

“Ti porto a casa. Dobbiamo parlare.”

Eliza annuì, assimilando la richiesta, la supplica che le era stata rivolta sotto forma di ordine.

E decise che non si sarebbe arrabbiata.

“A casa mia no.” Replicò, afferrando la mano di Joe e alzandosi in piedi insieme a lui.

Joe annuì, capendo ciò che lei intendeva ed incassando il colpo. Non poteva certo aspettarsi che fosse già pronta per stare sola con lui...

“Da me ci vieni? C’è Kevin....”

Eliza accennò un sorriso, sistemandosi il basco sul capo e stringendo forte la mano di Joe.

“Dai, andiamo.”

 

Tutte le donne ci tradiscono un po’

Non con un altro ma con noi

Con noi di altri giorni, con più vizi e virtù

Con quelli che non siamo più

Fra le mie braccia cerchi me

Com’ero prima

Quand’ero il tuo vento

E non la tua catena

(i Pooh, Quando anche senza di me)

 

“Bene. Di cosa vuoi parlare?”

Joe si sedette sulla poltrona di fronte al divanetto occupato da Eliza e si passò una mano tra i capelli scuri, cacciando da davanti ai propri occhi un boccolo ribelle che tornò al suo posto dopo pochi istanti.

“Come mai non li stiri più?”

“Volevo parlare di noi.”

“Bene.” Replicò Eliza, già dimenticata la domanda di poco prima. “Allora ti dico io una cosa. Non puoi dire che sono tua e poi lasciarmi su un ponte a piangere come una scema.”

“Lo so. Non avrei mai dovuto dirti quelle cose.”

“No, Joe, l’errore non è stato dirmele, è stato andare via.”

“Io...ho avuto paura. Ho paura.”

“Danger ha paura di se stesso?”

“Danger non c’è più, Liz, perché non puoi accettarlo?”

Eliza si lasciò scivolare giù dal divano, avvicinandosi a lui gattonando, per poi inginocchiarsi tra le sue gambe.

“Perché io so che non è vero, so che il vero Joe è qui, da qualche parte.” Mormorò, posando una mano sul petto di lui, all’altezza del cuore. “Lo devi solo trovare, ma se mai ci provi mai ci riuscirai. Sai, credo che Kevin stia per farcela... aveva una luce strana, oggi, negli occhi.”

“Kevin è sempre stato migliore di me. In tutto. E poi lui non guidava, quella sera. Avrebbe potuto essere morto...avresti potuto esserlo anche tu.”

 

“Ragazzi, siete stati fantastici, avete fatto il tutto esaurito!”Esclamò Eliza, sorridente come non mai, premiando i tre amici e Big Rob con un bacio a testa.

“Vieni a mangiare qualcosa con noi?” Chiese Joe, passandole le braccia intorno alla vita ed attirandola a sé.

“Ma è mezzanotte passata...”

“E allora? Dai, Liz, sei il quinto Jonas, praticamente!”

“Ehi, sono una ragazza, Joey.”

“Oh, lo sa...” Intervenne Nick, mentre Kevin annuiva, sorridendo.

“Spiritoso...” Lo riprese Joe, lanciandogli un’occhiata omicida. “Allora è deciso, Liz viene con noi. Rob, di’ a mamma che andiamo da Lawrence’s, saremo a casa per le due. E nessuno si azzardi a toccare il volante, guido io!”

 

“Lo so, Joe, ma non lo siamo, né io né lui. Siamo vivi e ti vogliamo bene.”

“Non dovreste, soprattutto tu.”

“Ma perché no, accidenti? I lividi passano, la rabbia passa. Ti amo, Joe...”

“No!” Sbraitò lui, allontanandola di malagrazia. “Non sono io quello che ami.”

“Smettila con questa storia!” Replicò lei, con lo stesso tono di voce. “Non esistono due Joe Jonas, sei sempre tu e ti stai uccidendo con le tue mani. Sono passati quattro anni, Joe, quattro! Nick manca a tutti, dai tuoi genitori ai vostri amici, ma santo Dio, nessuno è ridotto come te!”

“Esci di qui, Eliza. Non avrei mai dovuto tornare indietro.” Sibilò mio fratello, stringendo le mani sui braccioli della poltrona, ma lei rimase dov’era. “ESCI DI QUI, HO DETTO!”

La giovane scosse il capo e raccolse velocemente cappotto e borsa, per poi uscire dall’appartamento a passo di carica, proprio mentre Kevin faceva capolino dalla camera da letto.

“Che cosa è successo?” Domandò, la voce impastata dal sonno, strofinandosi gli occhi.

“Liz.”

“Sì, l’avevo intuito quando ti ha urlato addosso. Cosa le hai fatto?”

“Niente, Kevin, non sono un mostro...e poi è andata via in tempo.”

Kevin sospirò, passandosi una mano tra i capelli.

“Vieni a letto.”

“Ha detto che sei diverso, che avevi... una luce strana negli occhi. Perché?”

“Joe, vieni a letto.”

“Hai rivisto Danielle? Hai conosciuto...”

“Joe...”

“Sì, sì, arrivo...”

 

 

Tu stretta forte a me col viso contro il mio

Eri lì sudata dall’amore

Non cercarmi più, hai detto all’improvviso

Fammi andar via

(i Pooh, L’altra faccia dell’amore)

 

“Signorina Sheperd, potrei parlarti un istante, per favore?” Domandò Kevin, arrivando alle spalle di Martha e rischiando di farle rovesciare il bicchiere di cappuccino annacquato addosso a Francie.

“Prof!” Esclamò, tentando senza successo di tornare a respirare regolarmente.

“Forza, vieni, dobbiamo parlare della tua verifica.”

Senza troppe cerimonie, Kevin afferrò il polso della ragazza, facendole definitivamente sfuggire il bicchiere dalle mani e trascinandola con sé.

Percorsero a velocità sostenuta tre corridoi, finché mio fratello non si fermò davanti ad una porta semiaperta e fece a Martha cenno di precederlo dentro.

Lei eseguì, pensando di entrare in un’aula ma trovandosi, con somma sorpresa, nello stanzino dove il bidello riponeva le scope e i secchi che usava per pulire.

Non fece in tempo nemmeno a pensare di chiedere spiegazioni che le sue labbra erano già state catturate da quelle di lui e il suo corpo tornava ad aderire a quello ormai conosciuto del professore, strappandole un sospiro non richiesto.

“Kevin...” balbettò, separandosi appena da lui.

“Scusa, mi mancavi... Non ce la facevo davvero più.” Mormorò lui, tornando a baciarla.

“Kevin...” Ritentò lei, questa volta allontanandosi un po’di più e strappandogli uno sbuffo impaziente.

“Che c’è?”

“Mi hai messo tre.”

“Te lo sei meritata.”

“Non è vero!”

“Hai lasciato il foglio in bianco, avrei potuto metterti uno, invece mi sono limitato a sottolineare che eri distratta.”

“Avevo le tue mani dappertutto, certo che ero distratta!” Soffiò lei, svincolandosi, per quanto possibile, dal suo abbraccio e dandogli le spalle, lasciandolo a dir poco interdetto.

Povero fratellino, non era certo abituato a vedersi respingere in quel modo...

“Ehm...se vuoi cambio il voto...” Si sentì in dovere di offrire, sfiorandole una spalla e rendendosi conto che il suo respiro era diventato assolutamente irregolare. “Stai... piangendo?”

“No.” Rispose lei, mentre la sua voce diceva tutto il contrario.

Kevin la circondò di nuovo con le braccia, sentendosi tremendamente in colpa: dopotutto, quel votaccio non era affatto meritato... forse aveva compromesso una media già a rischio, anche se gli sembrava di ricordare che lei andasse più che bene.

“È un problema, quel voto?” Chiese ancora, scostandole i capelli dal collo e chinandosi a posarvi un bacio delicato.

“Non c’entra niente il voto, Kevin. Possibile che non ti venga in mente?”

“Che....cosa?” Domandò lui, perplesso.

“Davvero sei convinto che non vi abbia visti?!” Scattò lei, divincolandosi di nuovo e puntando gli occhi, lucidi ed adirati, in quelli di lui.

“Ma di che stai parlando?”

Lui invece non era affatto arrabbiato: stava semplicemente cercando di comprendere dove aveva sbagliato con lei.

 

Sbagliato? E quando mai gli era importato di aver sbagliato qualcosa con una donna?

 

“Di te! E della rossa al cancello!”

“....Eliza?”

“Non lo so come accidenti si chiama! Sta di fatto che mezz’ora prima stavi baciando me e all’uscita quella ti era addosso tipo piovra.... che hai da ridere, sono seria!”

“Non...non puoi essere gelosa di Eliza!” Biascicò lui, tra un risolino e l’altro, scompigliandole i capelli con una mano, che lei scostò di malagrazia.

“Sì che posso! Lei è più bella di me e più grande...e  più tutto e...”

“Martha, Eliza è la ragazza di mio fratello... più o meno... beh, lo sarà, prima o poi ed è la mia migliore amica da quando eravamo alti un metro e un’albicocca. Siamo cresciuti insieme, è come...come la sorella che non ho.”

Perché si stesse giustificando non lo sapeva nemmeno lui, così come non sapeva che cosa lo aveva spinto ad abbracciarla nuovamente, depositandole un bacio sui ricci chiari.

Sta di fatto che lo fece e io non potei trattenere un salto di gioia.

“Siete...amici? Solo amici.”

“Solo amici.” Confermò lui, con un altro bacio. “Sei...gelosa, Martha?”

La ragazza ridacchiò, asciugandosi una lacrima con la manica del maglione.

“Che stupida, eh?”

“No...” Replicò lui con un sorriso, una volta tanto non costruito. “Sei carina. Certo, non come Eliza, ma...”

“Stupido.” Bisbigliò Martha, prima di alzarsi in punta di piedi e posargli un bacio a stampo sulle labbra semiaperte.

“Ehi...” Mormorò lui, appoggiando la fronte contro la sua in modo che le punte dei loro nasi si sfiorassero. “Cosa sono queste iniziative?”

La risposta di Martha fu solo un rossore improvviso sulle guance.

“Scusa...”

“Non ci provare nemmeno a scusarti. Solo... sai, negli sgabuzzini di solito i baci a stampo non sono ammessi.”

Senza riuscire ad eliminare il rossore dalle proprie guance, la ragazza decise che era assolutamente il caso di rimediare e tornò ad alzarsi in punta di piedi, affondando entrambe le mani nei ricci scuri di Kevin e appoggiandosi a lui con tutto il suo peso, mentre lui muoveva un paio di passi indietro, appoggiandosi al muro liscio.

“Mmm..Martha...” Sussurrò lui sulle sue labbra, senza riuscire ad allontanarsi. “Martha, aspetta...”

“Che c’è?”

“La campanella....”

“È suonata?”

“Cinque minuti fa.”

“Oddio, io ho la Mercer! Quella mi mangia!”

E in un attimo era fuori dalla porta.

Kevin si lasciò scivolare contro il muro, accucciandosi con la testa tra le mani.

Le avrebbe dovuto delle spiegazioni, quando avesse scoperto che ne mancavano dieci, di minuti, al suonare della campanella...

 

Lei ti spiazza ad ogni mossa

E non ti è successo mai

Però stavolta è proprio diverso

Fino a ieri ci ridevi, avevi le tue strategie

Con tutto sempre sotto controllo

(i Pooh, Capita quando capita)

 

Kevin si lasciò cadere su di una sedia in sala professori, sotto lo sguardo indagatore di Christian che, armato di cannuccia, sorseggiava un succo di frutta alla pera.

“Hai l’aria più sconvolta di quando ti ho detto che tuo fratello ha il più bel culo del New Jersey. Che è successo?”

Per tutta risposta, Kevin emise qualcosa di molto simile ad un grugnito, strappandogli dalle mani la bottiglietta di vetro giallo.

“Oh, ho capito, la cosa con la ragazzina ti è sfuggita di mano.”

“Non è una ragazzina.”

“Quindi la situazione ti è sfuggita di mano.”

“Non sei d’aiuto, sai?”

“Ti sei innamorato, che c’è di male, scusa?”

“Che non sono affatto innamorato!” Esclamò, saltando in piedi ed iniziando a misurare l’aula a grandi passi. “Ma lei sì e non voglio prenderla in giro.”

“E da quando ti fai problemi a prendere in giro le donne?” Chiese Chris, recuperando dal tavolo la bottiglietta che, però, si rivelò totalmente vuota. Sbuffando, la fece cadere nel cestino.

“Da... mai, suppongo.” Rispose Kevin, bloccandosi e sgranando gli occhi. “Dio santo, Chris, hai ragione.”

“Io ho sempre ragione. In merito a cosa?”

“Lo sai in merito a cosa.”

“Sì, ma voglio sentirtelo dire.”

“Credo...credo di essermi innamorato...”

 

Continua...

 

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Capitolo 16
*** - capitolo sedici - ***


Stasera sono euforica senza motivo alcuno, per cui, appena finito il capitolo diciotto, ho deciso di postare questo... anche se ho appena aggiornato. Mi perdonate per l’anticipo? Sì, vero? Brave!

 

La Socia: lui respira dell’aria cosmica, è un miracolo di elettronica ma un cuore umano haaaaaa! Ma chi èèèèè? Maaaa chi èèèèèè????

 

Tutte le altre:  scusatemi, ma stasera non sono in grado di rispondere in modo serio... è da un’ora che rido senza motivo, quindi... do solo il benvenuto alle nuove lettrici, vi ringrazierò quando avrò recuperato le mie già limitate capacità mentali. Un bacioneeeee

Tempe

-Capitolo Sedici-

 

Some days I feel broke inside

But I won’t admit

Sometimes I just want to hide

‘cause it’s you I miss

You know, it’s so hard to say goodbye...

(Christina Aguilera, Hurt)

 

Quando vidi Kevin varcare da solo, senza Joe od Eliza a trascinarlo per mano, la cancellata grigia del cimitero, credetti di sognare. Già...solo che i morti non sognano...

Con passo un po’incerto e gli occhi bassi, si avvicinò pian piano alla mia lapide, grigia come tutto il resto, in quel posto orrendo e si fece il segno di croce, concludendolo con l’usuale bacio all’indice della mano destra ripiegato.

Un gesto che non gli vedevo compiere dall’ultima messa a cui siamo andati insieme, la mattina del mio ventunesimo compleanno.

Dire che si inginocchiò probabilmente non rispetterebbe la realtà dei fatti: sarebbe più corretto dire che si lasciò semplicemente cadere, ma, ad un certo punto, è davvero poi così importante essere sempre corretti allo sfinimento?

Lo è, in un momento come questo?

“Ciao, Nicky...” sussurrò alla pietra scura, senza trovare il coraggio di alzare gli occhi su quello stupido pezzo di ceramica stampata, sentendosi un codardo, senza sapere che il solo essersi recato lì, dopo anni di rifiuto, lo rendeva ai miei occhi l’uomo più forte del mondo.

Quindi... ciao, fratellone, bentornato.

“Io ti ho... portato questo. Lo so che è stupido, che non lo puoi vedere, ma...è per te, ecco.” Balbettò, posando sulla ghiaia bianca una microscopica chitarra in bagno d’argento.

Certo che ti vedo, scemo... e mi sta pure venendo da piangere.

“Vorrei...vorrei...dirti un sacco di cose... solo che...sono confuso. E solo. Dannatamente solo, Nick. Non so più aprirmi, non so più parlare... erano secoli che non ammettevo a me stesso che mi manchi, figuriamoci a qualcun altro. Però ora... ora non lo so cosa è successo. Mi sento diverso, mi sento più forte, più... me... per una donna, fratellino...tutto questo per una donna che nemmeno è ancora donna sul serio. Ho tanto sentito parlare dell’amore, ho Eliza e i suoi sentimenti sott’occhio da trent’anni...eppure non immaginavo che fosse così... non lo so... dirompente.”

È amore, Kevin, una delle forze che mandano avanti l’universo...come volevi che fosse?

“Ho sempre solo cercato di nascondermi dal mondo... ho una maschera, una maschera che mi ha sempre dato la forza di andare avanti, di nascondermi dietro alla strafottenza per non ammettere che io non ero più io senza di te, ma ora vorrei solo strapparmela di dosso, vorrei...”

“Kevin Jonas, alzati da quella tomba e smettila di parlare al vento.”

Kevin si voltò di scatto, senza alzarsi, ma rischiando, al contrario, di finire lungo tirato in mezzo ai sassolini candidi. La donna che si trovò davanti, sottile e nervosa, non più alta di un metro e quaranta, stringeva tra le piccole mani un mazzo di fiori di stoffa rosa e viola e portava una cuffia di lana azzurra a coprire i corti ricci bianchi.

 

Una cuffia azzurra come i suoi occhi. Familiari...

 

“Lei chi...”

“Jean Sheperd, signorino. Lo sai che parlar d’amore ai morti serve proprio a poco?”

“Sheperd...?”

“Sì, non sei sordo. Forza, da tuo fratello ci puoi venire quando vuoi, mia nipote è fuori in macchina senza niente da fare. Ci è già venuta a casa tua?”

A dir poco stupito, mio fratello si limitò a scuotere impercettibilmente il capo, mentre la signora Sheperd lo afferrava saldamente per un braccio, costringendolo ad alzarsi in piedi per non cadere.

“Signora, io non...”

“Vuoi lasciarla?”

“Ma non stiamo insieme!”

“Stavi dicendo a Nicholas che ti ha cambiato la vita.”

“Non parlavo di...”

“Una donna non ancora donna.” Ripeté lei, inarcando un sopracciglio.

“Lo sa che è violazione della privacy?”

“Perfettamente. E tu lo sai che è reato circuire una minorenne?”

“Io... sì.” Si arrese Kevin, passandosi una mano tra i capelli, gli occhi rivolti al cielo.

“E perché allora lo hai fatto? Non credo che tu voglia rischiare la prigione per una ragazzina.” Continuò la donnina, la voce un po’più dolce, posandogli una mano sulla spalla. “Kevin... perché lo fai?”

“Perché...perché l’amo.” Sussurrò, appena udibile.

“E allora vai da...”

“Ma ho paura.”

Jean sorrise, alzandosi quasi in punta di piedi per accarezzargli gli scombinati ricci scuri.

“Solo gli stupidi non hanno paura.”

“Ma io... io non sono capace di amare.”

“E come lo sai? Non ci hai mai provato.”

“Non...”

“Non lo sai, appunto. Fidati, Nicholas sarebbe d’accordo con me.”

“Ma...”

“Basta ma. Fila.”

“Signora, io...”

“Marsch!”

“Ma...”

“Sei ancora qui?”

 

Quando i giorni sono musica

Fermiamoci a sentire

Se sono muri salta di là

Se sono amori abbracciali

(i Pooh, Giorni Infiniti)

 

“Ciao.”

Martha rischiò seriamente di sbattere la testa contro il tettuccio della macchina al sentirsi salutare così all’improvviso e il cellulare verde sul quale stava componendo un sms cadde rovinosamente a terra. Poi i suoi occhi si posarono su Kevin che, un’espressione da adorabile mascalzone dipinta in volto, era appoggiato all’auto e le faceva cenno di abbassare il finestrino.

“Kevin...” Esalò, premendo sul pulsantino che apriva il vetro. “Che ci fai qui?” Riuscì a domandare, prima che lui si sporgesse all’interno a stamparle un sonoro bacio sulla guancia.

“Ti rapisco, no?”

“Che?...” Non fece in tempo a prolungare oltre la domanda, perché lui, in un lampo, aveva aperto la portiera, slacciato la cintura e le aveva passato un braccio dietro alla schiena e l’altro sotto alle gambe, portandosela al petto.

“Ho detto.” Bacio. “Che.” Bacio. “Ti rapisco.”

Bacio, ovviamente.

“Ma sei impazzito?”

Kevin annuì, convinto.

“Nel modo più assoluto.”

“Ma mia nonna...”

“Tua nonna sa di noi molto più di quanto ne sappia io. Ci vieni a casa mia? Mio fratello è fuori...”

“Io...”

“Ok, lo prenderò per un sì.”

Che ci volete fare, Kevin non è mai stato un talento nell’ascoltare.

 

Vivere

Per amare

Amare

Quasi da morire

Morire

Dalla voglia di vivere

(da Notre Dame, Vivere per amare)

 

“Accomodati pure.” Disse Kevin, chiudendosi alle spalle la porta dell’appartamento, mentre Martha si guardava intorno, stupita dalla semplicità dimessa di quella casa che si era aspettata essere molto più grande. “Vuoi bere qualcosa?”

“Un bicchiere d’acqua, se ce l’hai...”

“Un bicchiere d’acqua in arrivo per la bella signora!” Esclamò mio fratello, praticamente saltellando verso la cucina, facendo sorridere la ragazza con quella sua improvvisa allegria. Non le importava sapere che gli fosse successo quella mattina a scuola, perché le avesse mentito, facendola fuggire. Glielo avrebbe chiesto in un altro momento.

Forse.

Con un sospiro, si lasciò cadere sul divano, ignorando volutamente il preoccupante rumore di molle al limite della sopportazione che quell’operazione produsse, e ripose la borsa sul tavolino davanti a sé.

Un tavolino tondo di cristallo decorato che, in mezzo a quella totale miseria, faceva la stessa figura di un diamante in una stalla.

Nell’appoggiare la sacca multicolore, però, urtò un flacone che inizialmente non aveva notato, e lo fece finire rovinosamente in terra, spargendo pillole un po’ovunque.

A velocità razzo, si fiondò sul pavimento e raccolse tutte quelle che le riuscì di trovare, riinfilandole nella bottiglietta in fretta e furia, pregando che Kevin non tornasse dalla cucina proprio in quel momento. Fu solo quando il tappo di plastica bianca fu tornato al suo posto che la giovane si permise di fermarsi un istante a leggere l’etichetta.

E il suo cuore mancò un battito.

“Ecco qui!” Esclamò Kevin, sgommando sul pavimento liscio ed evitando per un pelo di rovesciare l’acqua. Martha sobbalzò, riponendo velocemente il flacone sul tavolo.

“Grazie!” Rispose, con un sorriso esagerato, prendendo il contenitore e buttandone giù il contenuto in un sol sorso, mentre lui la guardava, perplesso.

“Avevi...sete?”

“Eh già... tu... non bevi niente?”

Kevin si sporse un po’verso di lei, il mento appoggiato sulla mano destra, gli occhi verdi ridotti a due fessure e più penetranti che mai.

“C’è qualcosa che non va, Martha?”

“Ehm..no...niente, perché?”

“Perché hai la stessa espressione di Derek quando non ha studiato. Allora?”

“Non mi interrogare! Non sono una tua alunna, ora.”

“No, ma sei strana. Dai, non ti mangio... non ancora, per lo meno.” Aggiunse con tono appena più malizioso.

“Kevin, dai...” Ribattè lei, arrossendo violentemente ed arretrando un poco. “Non c’è niente che non va...”

In quel momento esatto, il flacone di medicinali, che era rimasto in bilico sulla stoffa della borsa, decise che cadere di nuovo fosse un’idea assolutamente brillante e rovinò sul pavimento, questa volta, fortunatamente, senza aprirsi.

“Oh.” Si limitò a commentare Kevin, rabbuiandosi un poco. “Allora è per quelle.”

Martha sospirò, lasciando che la propria schiena si appoggiasse del tutto al divano, e si ravviò i ricci biondi.

“Non ho fatto apposta... ho appoggiato la borsa e le ho fatte cadere. Sono quello che penso, Kevin? No, perché mia nonna a volte mette le caramelle nelle scatole dei medicinali e...”

“Mio fratello è morto. Quattro anni fa.”

“Ma...hai detto che era fuori casa...”

Kevin ridacchiò, pur senza un minimo di gioia. Dopotutto, io non ero e non sono esattamente un argomento facile da trattare...

“Joe è fuori, probabilmente ad affogarsi nell’alcool in qualche bar. L’altro mio fratello invece è in una tomba al cimitero centrale di Princeton.”

“Per... per questo eri lì, prima?”

Lui annuì, puntando lo sguardo in direzione di qualcosa di invisibile sul parquet.

“Sì, e per questo prendo gli antidepressivi. Non sono pazzo, Martha, ti prego, non ti spaventare.”

“Sai che la depressione è... è la prima causa di suicidi?” Chiese la ragazza, maledicendosi subito dopo per la stupidità delle proprie parole. Chissà perché le erano sembrate brillanti, prima di pronunciarle...

“Joe ci ha provato, quasi tre mesi fa. Io mai e credo...credo di aver passato il peggio. Grazie alla scuola...a te, ci penso sempre meno ogni giorno.”

“A... me?”

“Soprattutto a te.” Rispose Kevin, passandole un braccio intorno alle spalle ed attirandola a sé.

“Ma io non ho fatto...”

“Già il fatto che tu non sia scappata a gambe levate lasciandomi con i miei antidepressivi è qualcosa. E pensare che ti ho anche messo tre...”

“Non fa niente... i miei non considerano la musica esattamente una materia indispensabile...”

Kevin sorrise, posandole un bacio sui capelli chiari.

“A volte sembri Nick in un modo incredibile...”

“Nick?”

“Il mio fratellino.” Rispose Kevin, allentando un po’la presa su di lei e lasciando che fosse la mano di lei ad affondare nei suo ricci, attirandolo verso il basso.

“Mi parli di lui?”

“Non...non lo so, non credo di...”

“Fai quello che ti senti, giuro che non  mi offendo.”

Kevin annuì, rilassandosi nell’abbraccio di lei e posandole delicatamente il capo sul seno.

“Aveva cinque anni meno di me, suonavamo insieme. Nick era...semplicemente meraviglioso. Aveva una voce straordinaria e sapeva suonare qualsiasi strumento gli capitasse per le mani. Per lui la musica era...tutto, penso, l’essenza della vita stessa, in un certo senso. E ha avuto un destino...” L’accenno di un singhiozzo fece sì che le parole gli morissero in gola. Non aveva mai parlato di me con nessuno, prima... Martha lo strinse più forte, donandogli con quel semplice gesto il coraggio di continuare, di non aver più paura del dolore. “Ha avuto un destino per lo meno beffardo: anni e anni a lottare contro il diabete... per poi morire in un incidente.”

“Dio...” Mormorò la ragazza con un fil di voce. E lei che aveva pensato a qualche strano squilibrio mentale...

“Già, Dio... non ho creduto in lui per parecchio tempo, sai? Piuttosto insolito, per il figlio di un pastore, eppure avevo perso ogni motivo per farlo. Fino ad oggi.”

“Perché proprio oggi?”

A quella domanda, mio fratello si alzò quasi di scatto, tornando a sedere e prendendo le mani di Martha tra le proprie.

“Oggi ho capito che...”

“Bro, sono a casa.” La voce di Joe, stranamente non impastata di alcool, interruppe il discorso del fratello, costringendolo a spostare lo sguardo verso il basso per non urlargli addosso. Lo sapeva o no quanto gli era costato arrivare fin lì? Dire quelle parole?

“Ciao, Joe...” Soffiò, mentre questi si avvicinava al divano e squadrava Martha con aria critica.

“Vedo che te le scegli sempre più giovani, Kev... da dove viene questa? No, perché sai, sto pensando seriamente di provare anche io. Dopotutto, questo stupido voto non ha nessuna ragione d’esiste...”

“Joe, vattene.”

“Oh, dai, quante storie, come se le tue puttanelle avessero qualcosa di...”

Joe non fece nemmeno in tempo a realizzare che Kevin si era alzato che si ritrovò seduto sul pavimento, una mano a tamponarsi il labbro sanguinante, mentre Martha, ancora seduta sul divano, sgranava gli occhi, senza capire cosa fosse successo.

“Ma sei impazzito?” Sibilò Joe, appoggiandosi al muro per alzarsi in piedi.

“Non provare mai più a dire una cosa del genere di lei, è chiaro? Vuoi darmi del puttaniere? Bene, fallo, è la verità. Ma lei non la devi toccare nemmeno per scherzo. E sono serio.”

“Che fossi serio l’avevo capito dal pugno.”

“Vai via, Joe.”

“Me ne vado, me ne vado. E tu” Continuò, rivolgendosi a Martha. “Non so che diavolo gli hai fatto, ma se deve diventare così violento ogni volta, ti conviene stare fuori dalle...”

“Joe...”

“Va bene, ciao. Ma sappi che dopo dobbiamo parlare.”

Kevin annuì appena e aspettò che Joe uscisse dalla stanza, prima di tornare a parlare con Martha.

“Ti presento il mio caro fratellino Joe. Scusalo, è abituato a tutt’altro tipo di presenza femminile, qui.”

Martha annuì, sforzandosi di sorridere, ma fallendo miseramente.

“Sei gelosa.” Dichiarò allora Kevin, notando l’espressione di lei e lasciando che le sue labbra si distendessero in un sorriso che, malgrado la scena non proprio piacevole a cui aveva appena assistito, la fece sciogliere totalmente.

“Non è vero...”

“Oh sì che lo è. Sei gelosa.” Ripetè, pizzicandole una guancia tra indice e pollice della mano destra. “La mia bambina gelosa.”

“Dai, non sono una...” Le labbra di Kevin la interruppero, posandosi sulle sue. “...bambina.”

“Se lo dici tu...”

A quel punto, litigare su chi fosse una bambina e chi no, non era esattamente l’attività al primo posto nella lista di Martha, che si lasciò sospingere dolcemente verso il basso dalla mano di Kevin, posata all’altezza della sua spalla sinistra, tornando a baciarla in modo assolutamente non infantile. Un bacio diverso da quelli che aveva fino ad allora ricevuto da lui.

Più dolce.

Più adulto.

Più innamorato, se solo avesse osato arrivare a pensare una cosa del genere.

Che poi non sarebbe stata per niente lontano dalla verità.

Lasciandosi sfuggire un sospiro sorpreso e soddisfatto al tempo stesso, gli allacciò le braccia dietro al collo, stringendolo un po’di più a sé, senza lasciarlo finché non furono i suoi stessi polmoni a costringerla.

“Wow...” Esalò lui, sorridendo e posandole sulle labbra un piccolo bacio a stampo. “Forse davvero non sei una bambina.”

“Io te l’avevo detto.” Replicò lei, le guance adorabilmente colorate di rosso. “Senti... ora me lo dici, che hai capito oggi?”

“Come?”

“Prima mi stavi dicendo” Spiegò, accarezzandogli distrattamente i capelli. “che oggi è cambiato qualcosa...che hai capito qualcosa...”

“Oh...sai cosa? Penso che te lo dirò un’altra volta.” Affermò, senza lasciarle il tempo di protestare oltre, chiudendole la bocca con l’ennesimo bacio.

 

Continua...

 

 

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Capitolo 17
*** - capitolo diciassette - ***


Capitolo 17...capitolo sfortunato... beh, io non ci credo, credo solo alle superstizioni teatrali, ma chissà... Una prima parte malinconica, una seconda peggio, una terza allegra...a  voi commentare! Io mi limito a ringraziarvi.

Selphie: eh già, i migliori sono sempre gay.... Fabrizio.... *sbava* Ok, ricomponiamoci. Ufo robot...ehm... grazie per I complimenti!!!

 

Alexya379: allora non la fanno mettere solo a me quella camicia! Né che è scomodissima? XD

 

Sweet_S: Beh, Kevin l’ha incontrato per caso...ma non si è lasciata sfuggire l’occasione! Non sarebbe stato da lei, no no!

 

KymLYCANTROPHE: aggiorno presto, sì , anche se sono sommersa di compiti e prove... ma vi voglio bene, per cui non vi lascio!!!

 

Sbrodolina: eh sì che se lo è meritato, povero il mio cucciolo, è stato proprio un po’ stronzo! Ma si rifarà...forse...chissà...

 

Tay_:beh, dire ti amo per Kev è estremamente difficile... ce la farà, ma molto più in là, temo.

 

Pretty_Odd: per dare tregua alla tua sanità mentale, qui niente Kev e Martha...e il pugno a Joe l’ha tirato Kev, che vuoi di più!

 

Jollina la verde: fatto, aggiornato!!!

 

Lyan: in questo periodo mi ha preso una passione per Nick...se diventa più adorabile degli altri due ditemelo!!!

 

Beautiful_disaster: Eliza e Joe non ti piaceranno qui. Almeno, Eliza non lo farà di certo. Cosa mi ero fumata? Un evidenziatore, provalo!

 

La socia: non ti rispondo, così posto più in fretta. Tanto tu questo già l’hai letto...

 

Brotherina: we we Joe è il tuo futuro cosa? JoemioH!!!

 

Buonanotteluna: benvenuta! Ok, ti perdono per le prossime non recensioni... ma solo se il prossimo commento che farai sarà meraviglioso come questo!!!

 

Agatha;: sai, credo davvero che Martha si sarebbe commossa a sentire quel discorso...ma ha tutto il tempo per sentirsi dire ti amo,no?=

 

Sweet Doll: ma quanta gente faccio piangere! Me felice

 

La Fitto: sì, Kev e Martha sono una coppia ovvia, ma è il loro percorso a dover essere preso in considerazione seriamente, non il fatto che finiscano effettivamente insieme, no? O, meglio, il percorso di Kevin. E no, niente parti leggere per Liz, ne ha già avute fin troppe.

 

Temperance

-Capitolo Diciassette-

 

There’s no time for us

There’s no place for us

What is this thing that builds our dreams

Yet slips away from us

(Queen, Who wants to live forever)

 

Joe spalancò la finestra, rabbrividendo appena nella ventata di aria fredda che lo investì.

Il giorno dopo avrebbe senz’altro nevicato.

Passandosi una mano tra i ricci spettinati, si appoggiò al davanzale con entrambi i gomiti, puntando gli occhi scuri verso la luna ancora pallida nel cielo buio.

Dal cortile lo raggiungevano le risate gioiose di Kevin e Martha, che avevano ingaggiato una lotta senza quartiere per chi avrebbe guidato fino a casa di lei.

Un sorriso ironico gli si dipinse in volto: non sarebbe durata, Kevin non era capace di avere una storia vera, figurarsi con una diciottenne che probabilmente cambiava un ragazzo a settimana, senza mai prendere la cosa sul serio.

Eppure ora ridevano, si divertivano e giocavano come lui non faceva da troppo, troppo tempo.

“Non volevo aggredirla in quel modo, sai? Eliza, intendo...”

Oh, io lo so, ma secondo me a lei non ha fatto molto piacere.

“Kev dice che così la faccio solo stare peggio.”

Kev ha ragione.

“Ma io sul serio non so cosa mi prende quando Eliza mi è vicina... penso a te, credo...a noi, ricordo e non rispondo più delle mie azioni. Però, Nicky, io l’amo... senz’altro più di quando ami me stesso, ma non credo esistano possibilità, per noi. Abbiamo lasciato passare il tempo in cui saremmo potuti stare insieme e ora... ora lei si ostina a credere in qualcosa che non c’è più. E io sono noioso, terribilmente noioso, me lo dice anche Clarisse. Scommetto che sei d’accordo, non ti è mai piaciuto ascoltare le mie lagne.”

Certo, perché ti lagnavi per la piastra che si scaldava troppo lentamente. Questo è un po’diverso, Joey.

“Però sento di stare meglio, sai?”

Ah sì? Sei il secondo che me lo dice, oggi.

“Sì, è cambiato qualcosa, anche se non so che cosa. Dopotutto, sono riuscito a parlarle, no? E sto insegnando a Clarisse come si canta e...”

La forte vibrazione del suo cellulare interruppe questa specie di confessione e Joe sbuffò, allontanandosi dalla finestra per raccogliere il piccolo telefono che si agitava sul comodino.

“Pronto?”

“Parlo con Joe Jonas?” Gli domandò una voce di donna dal tono piuttosto preoccupato.

“Sì, ma...chi è?” Rispose lui, perplesso.

“Sono la madre di Clarisse.”

“Oh...”

A quel punto anche io ero a dir poco stupito.

“La prego, venga qui. Non so che cosa le è successo a scuola, ma si è chiusa in camera e non lascia entrare nessuno. Dice che vuole parlare solo con lei... io non so che fare...”

“Con me?”

“Sì, se lei è il Joe Jonas che le sta insegnando a cantare.”

“Sì, sono...” Oh, al diavolo, Joe, va’ da lei! “Dove abitate?”

Volete dire che mi ha sentito?

 

There’s no chance for us

It’s all decided for us

This world has only one sweet moment

Set aside for us

Who dares to love forever

When love must die?

(Queen, Who wants to live forever)

 

“Dove sei stata ieri sera?” Domandò Susy, puntando i penetranti occhi viola in quelli di Eliza, che distolse lo sguardo con un notevole sbadiglio.

“In giro... mi sono dimenticata di avere il turno di notte, tutto qui.” Rispose, allacciandosi il grembiule.

“Oh, avanti, sai a memoria i numeri di telefono e i compleanni di metà della nazione, non ci credo nemmeno se lo vedo che ti sei dimenticata. Senti, non voglio sapere niente, ma dimmi che quel Jonas non c’entra.”

Silenzio.

“E invece sì che c’entra. Liz, quante volte te lo devo dire di lasciarlo perdere? Non avete speranze, non te ne rendi conto.”

“Sì, Susy, lo so. E infatti non ho più intenzione di cercarlo.” Sussurrò la ragazza, tagliando una fetta di torta dal vassoio del self service e riponendola in un tovagliolo, per poi addentarla senza troppa convinzione.

“E allora perché continui a... che hai detto?”

“Che non voglio più corrergli dietro. Sono stanca, davvero stanca di amare un fantasma.”

Susy si bloccò per qualche istante, poi, con un urletto di non meglio definita provenienza, lanciò le braccia al collo della sua cameriera preferita, rischiando di stamparsi la fetta di torta sul maglione lilla.

“Era ora, piccola mia, era davvero ora! Ma cosa è successo, come mai hai cambiato idea?”

Liberandosi dall’abbraccio della donna più anziana, Eliza si strinse nelle spalle, posando il dolce sul bancone e stringendosi con le proprie braccia.

“Ho capito che non ne vale la pena...che forse ha ragione lui, avete ragione tutti: il mio Danger è morto quel giorno, insieme a Nick e io non ci posso fare proprio niente. Dopotutto, la vita non è stata poi così cattiva, con noi...abbiamo avuto dei begli anni, io e lui insieme. E io devo solo imparare ad accontentarmi di quelli. Sai, Suzy.... è un azzardo amare una persona fino a farsi male: si rischia di passare una vita ad aspettare qualcuno scomparso da tempo. Io ora voglio vivere, ho aspettato abbastanza.”

 

Vivo por ella que me da

Noches de amor y libertad

Si hubiese otra vida la vivo

Por ella tambièn

(Andrea Bocelli ft Marta Sanchez, Vivo por ella)

 

La mano scivolò lentamente lungo il fianco di lei, fermandosi appena sotto il maglione e insinuandosi coraggiosamente oltre il sottile ostacolo che esso costituiva al suo braccio sul corpo della giovane.

“Sei bella, sai?” Le sussurrò all’orecchio lui, sfiorandole appena i capelli castani con la punta del naso.

“Sai che tendi a dire una quantità spropositata di cazzate, quando vuoi fare il romantico?”

Derek alzò gli occhi al cielo, rotolando di lato e stendendosi sul letto a braccia spalancate.

“Niente da dire, Bex, sei davvero brava ad uccidere l’attimo.” Borbottò, simulando un broncio assolutamente poco credibile.

“Oh, il povero piccolo Derek si è offeso...” Ribatté lei, sorridendo ed alzandosi, per poi posizionarsi a gattoni sopra di lui. “Siamo a casa tua nel letto dei tuoi... credimi, non è stato assolutamente il modo peggiore per uccidere l’attimo.”

“Ah no?” Domandò lui, cercando con un braccio di attirarla a sé ma fallendo miseramente. “E qual è, se posso, il peggiore?”

“Potrebbe essere entrata tua madre mentre facevo questo...” Rispose Beatrix, slacciando velocemente la felpa dell’amico. “O questo...” Continuò, abbassando, questa volta con lentezza esasperante, la cerniera dei jeans del giovane, per poi chinarsi a disegnare, con l’ausilio di labbra e lingua, intricati percorsi sul suo collo. “O questo.”

“Mmm...hai ragione, mi sa... e pensa se fosse entrata mentre io facevo...” Con lo sguardo dal delinquente più adorabile del suo repertorio, il giovane tornò a sfiorare la pelle di Beatrix da sotto la lana del maglione, virando, questa volta, verso il seno. “...questo.” Concluse, rotolando di lato subito dopo per evitare lo schiaffo che era già partito nella sua direzione.

“Idiota.” Sibilò la ragazza, mentre lui rideva a crepapelle, rannicchiato in posizione fetale, nel tentativo di proteggersi dalla granaiola di cuscinate che, in qualche modo, sembravano arrivargli addosso da ogni direzione.

“Ehi, ma quante braccia hai?!” Esclamò, alzandosi poi di scatto in ginocchio e afferrandola per i polsi, prima che lei riuscisse a sferrargli l’ennesimo colpo. “Presa.” Sussurrò, suadente, per poi catturare le labbra con le sue. Le lasciò le braccia solo quando la sentì rilassarsi e quelle si strinsero automaticamente alla sua schiena, mentre le sue dita arricciavano con forza la stoffa pesante della felpa.

“Se fai così poi però io non riesco più a prenderti a cuscinate...” Mormorò Bex, mentre le labbra di Derek le accarezzavano piano il collo latteo.

“Quello era lo scopo.”

“Derek...” Si lasciò sfuggire lei, con tono non esattamente di disapprovazione e lui sogghignò, alzando il capo e aspettando che riaprisse gli occhi.

“Allora, ricapitoliamo.” Cominciò, quando riuscì a catturare lo sguardo di lei. “Non ti posso toccare però tu sei liberissima di slacciarmi i pantaloni e di soffiare il mio nome come ti stessi facendo chissà che cosa?”

“Non l’ho detto con quel tono...” Ribattè Bex, arrossendo lievemente.

Derek...” Soffiò il ragazzo in modo eccessivamente sensuale, strisciando il capo contro il braccio di lei.

“Finiscila, deficiente.”

“Perché non vuoi che ti tocchi?”

“Perché....”

“E dai!” La incitò Derek, sbattendo le palpebre un paio di volte. “Perfavoreperfavoreperfavore!”

“Perchèmipiaceassolutamentetroppochetulofaccia” Sputò lei in un sol fiato, non riuscendo, però, a non far cogliere il senso di quella sola, lunga parola al giovane...e nemmeno a me, se devo proprio dirla tutta.

“Ah, ti piace...che cosa ti piace? Me lo sono dimenticato...”

“Sei uno stronzo, Derek Milton.”

“Lo so. Allora?”

Beatrix sospirò, alzando gli occhi al cielo, per poi decidere per un cambio di strategia e dargli le spalle, appoggiandosi a lui e portando una mano a giocare con i suoi capelli, mentre la sua, possessiva, la stringeva in vita, costringendola ad avvicinarsi.

“Mi piace che tu mi tocchi come gli altri non possono nemmeno permettersi di sognare.” Gli sussurrò all’orecchio, chiudendo gli occhi e gettando il capo all’indietro, permettendogli di sfiorarle, con la mano libera, la pelle sensibile del collo.

“Quindi posso fare così?” Domandò Derek per pura retorica, liberando una volta per tutte Beatrix del suo maglione e chinandosi ad accarezzarle con le labbra la pelle morbida e delicata del seno.

“Derek, io...”

Allo scattare di un flash, Beatrix spalancò gli occhi, raddrizzandosi di colpo e urtando con la spalla la mandibola di Derek che, pochi istanti dopo, si ritrovò a sua volta a guardare, una mano a massaggiarsi il viso, il sorriso sdentato della sua sorellina Mandy, di dieci anni, una macchina polaroid stretta tra le piccole mani.

Al piano di sotto, la porta d’ingresso scattò in modo inquietante.

“Mandy, che stai...”

La bambina allargò ancora di più il proprio sorriso, agitando la fotografia un paio di volte.

“Mamma!” Chiamò, appoggiando la macchina a terra, pronta a fuggire, mentre il fratello si riallacciava in fretta e furia i pantaloni. “Mamma, Derek ha la ragazza!”

 

Continua...

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 18
*** - capitolo diciotto - ***


Scusate, ancora una volta vi lascio senza ringraziamenti.... sappiate solo che vi ringrazio tutte, dalla prima all’ultima, chi legge, chi recensisce e le 42 che mi tengono tra i preferiti!

Vi avverto che io semplicemente adoro la parte finale del capitolo e scriverla mi ha fatta morire dal ridere!

Un bacio grande a tutte,

Temperance

-Capitolo Diciotto-

 

Donne, tududu

In cerca di guai

Donne al telefono

Che non suona mai

(Zucchero Fornaciari, Donne)

 

“È stato magico!” Esclamò Martha, non appena la voce di Beatrix si sostituì al segnale di libero dall’altra parte della cornetta.

“No.” Replicò l’amica. “È stato umiliante.”

“Sai, non credo che stiamo parlando della stessa cosa.”

“Se ti riferisci ad un succhiotto sul collo grande come Cuba che ti costringe ad andare anche a dormire con la sciarpa o ad una polaroid che prova innegabilmente che sei stata a letto con  il tuo migliore amico allora sì.”

“Hai fatto sesso con Derek?” Domandò Martha, stupita, stappando una penna rossa ed iniziando a tracciare segni casuali sul quaderno degli appunti di storia.

“No! Come ti salta in testa!”

“Hai detto che sei stata a letto con lui...”

“E allora? È diverso! Tu, piuttosto, che cosa è stato magico.”

“Kevin...” Sospirò Martha, sognante, mentre i segni sulla carta a quadretti prendevano velocemente la forma di un’arzigogolatissima K.

“Kevin chi, scusa?”

“Pensaci...”

Beatrix si attorcigliò sul dito il filo spiraliforme del vecchio telefono, corrugando leggermente la fronte, per poi sgranare gli occhi come ad un’improvvisa folgorazione.

“Dio, non quel Kevin!” Esclamò, rischiando di cadere dal letto su cui era seduta. “Perché è di Jonas che stiamo parlando, vero?”

“Sarebbe una cosa tanto brutta?”

Le rispose solamente un urlo provvisto probabilmente di un paio di decibel più del limite dell’udibilità.

“Immagino di no.” Si rispose da sola Martha, sorridendo e lasciandosi ricadere sul letto, rigirandosi una ciocca sulle dita.

“Beh, brutta brutta no... Oddio, immagino di dover fare l’amica responsabile... non so... è la parte di Francie... Bene, Martha, stai attenta, bla bla bla. Ora spara: tutti i dettagli!”

 

Es la musa che te invita

A tocarla suavecita

En mi piano a veces triste

La muerte no existe

Si ella està aquì

(Andrea Bocelli ft Marta Sanchez, Vivo por ella)

 

La madre di Clarisse aprì lentamente la porta di casa, sbirciando prima dallo spiraglio di pochi centimetri che già aveva creato, quasi timorosa di scoprire chi si sarebbe trovata di fronte.

“Lei è Joe?” Domandò, squadrando mio fratello dalla testa ai piedi con occhio critico: capelli lunghi, spettinati, occhi spenti, abiti trasandati... ammettiamolo, non esattamente l’aspetto di un angelo caduto dal cielo.

O forse sì.

Di testa.

“Sì...”

Con un’ultima occhiata, la donna annuì, non troppo convinta, e gli fece cenno di entrare.

“É quello a cui è morto il fratello anni fa?”

“E lei è quella il cui tatto è andato a farsi fottere?” Ribatté Joe, inviperito, affondando le mani nelle tasche e guardandosi intorno, senza troppo interesse. “Dov’è Clarisse?”

“Di sopra. Prima porta a destra.”

Senza proferire ulteriori parole, Joe imboccò le anguste scale coperte di moquette bordeaux, mentre il padre di Clarisse si avvicinava alla moglie, frizionandosi appena i capelli brizzolati con un asciugamano.

“È lui?”

“Già...” Rispose la moglie, voltandosi verso di lui.

“E com’è?”

“Maleducato. E sciatto, ma sembra volerle bene.”

L’uomo annuì, in silenzio, per poi passarle una mano sulle spalle e trascinarla con sé verso la cucina.

“Vieni, ci facciamo un caffè.”

 

Clarisse, seduta sul suo sgabello di pelle nera davanti al piccolo pianoforte verticale, guardava la parete spoglia davanti a sé, premendo, ogni tanto, sui lunghi tasti bianchi, producendo suoni totalmente privi di ogni senso logico.

Anche io lo facevo.

Rilassa.

Sentì i colpi sulla porta solo la terza volta che Joe bussò, e si alzò piano, accorgendosi solo in quel momento che i suoi occhi non lacrimavano più. Passando davanti al piccolo specchio, lanciò uno sguardo veloce al proprio riflesso: Joe non doveva accorgersi che aveva pianto.

Per Joe, lei non sarebbe stata debole mai più.

“Chi è?” Domandò, più per accertarsi che la voce non la tradisse che per altro. Sapeva che sua madre non avrebbe provato di nuovo a parlarle.

Doveva essere lui, per forza.

“Sono Joe...mi fai entrare?” Rispose la sua voce, senza evitare di tradire una certa impazienza.

“Ciao...” Mormorò la ragazzina, dopo aver aperto la porta di quel tanto che bastava per lasciarvi passare attraverso mio fratello.

“Si può sapere che cos’hai?” Le chiese, senza alcun impeto, solo lasciandosi cadere pesantemente sullo sgabello e suonicchiando una scala. “Mi hai fatto spaventare.”

“Non è niente...”

“Una non si chiude in camera per niente, Clarisse.” Replicò lui, abbozzando l’inizio di Profondo Rosso e facendole cenno, con la mano libera, di sedergli accanto.

“Madison.”

“La stronzetta di scuola?”

Clarisse annuì, sorridendo appena.

“Che ti ha fatto.”

Niente domande.

Solo un’affermazione.

“Mi ha detto...mi ha detto che posso tanto smettere di provare, perché non imparerò mai a cantare meglio di una rana stonata.”

Joe sospirò, ravviandosi i capelli.

“Clarey, pensavo avessimo chiarito che tu a quella non devi dare ascolto. Io credo che...”

“E poi ha detto che tu non sapresti far cantare nemmeno un usignolo, perché sei solo uno stupido che non capisce niente, proprio come tuo fratello e l’unico bravo del vostro gruppo era Nick, ma non è vero!”

“Scusa, ma che t’importa di quello che lei dice di me? Non mi arrabbio, sai, ne ho sentite di peggio.”

“Ma sono tutte bugie!” Quasi strillò lei, mentre scacciava dagli occhi, con gesto rabbioso, le nuove lacrime che vi si erano formate. “Tu non sei così! Tu sei Joe Jonas!” Esclamò, indicando un vecchio poster appeso accanto alla libreria di ciliegio. “Sei il migliore, lo sei sempre stato!”

“Clarisse, calmati...” Tentò Joe, alzandosi in piedi ed afferrando la ragazzina per le spalle.

“No! Lei non può dire queste cose né di te né di Kevin...voi siete meravigliosi, eravate tutto quello che vorrei poter diventare io! Voi sapete cosa è la musica per me, sapete cosa vuol dire trovare nelle note una ragione di vita. Lei non starebbe mai delle ore a studiare il modo migliore per inserire un testo in una melodia lei...”

Joe non seppe mai che cosa lo spinse a farlo.

Forse il suo istinto di fratello maggiore, forse il sentore inconscio di tutto ciò che Clarisse stava anche indirettamente facendo per lui... o forse semplicemente il fatto che Danger, dopotutto, non era affatto scomparso come lui credeva.

Non seppe cosa lo spinse a farlo, ma in un attimo si ritrovò a far scivolare le mani lungo quelle spalle minute, portandole ad incrociarsi dietro alla sua schiena e a stringere Clarisse a sé, sedendosi sul letto e lasciando che le sue lacrime calde gli inumidissero la felpa blu.

Lei si aggrappò alla stoffa pesante con tutta la forza delle sue piccole mani, chiudendo gli occhi e rannicchiandosi nel suo abbraccio, mentre sentiva distintamente le labbra di lui posarsi per una frazione di secondo sui suoi capelli scuri.

Rimasero così, stretti e vicini più che mai, finché i leggeri spasmi del corpo di lei non si placarono completamente e lui lasciò un poco la presa, sentendola mormorare qualcosa contro il proprio petto.

“Che cosa?”

“Ho detto che ti voglio bene, Joe.” Ripeté Clarisse, alzando gli occhi per incontrare, in quelli di lui, un sorriso sincero.

Il primo.

“Anche io ti voglio bene, piccola.” Rispose, stupendomi, e sistemandole una ciocca dietro all’orecchio. “Ma non devi più stare male per me, ok? La facciamo vedere noi a Madison.”

E, mentre lo diceva, Joe seppe che era vero.

L’avrebbe aiutata sul serio.

E Danger sarebbe tornato, una volta per tutte.

 

Certe notti sei solo più allegro

Più ingordo, più ingenuo e coglione che puoi

Quelle notti son proprio quel vizio

Che non voglio smettere, smettere mai!

(Luciano Ligabue, Certe notti)

 

“Ce ne hai messo di tempo!” Esclamò Kevin, aprendo la porta e trovandosi di fronte un Christian a dir poco trafelato.

E provvisto di un’aria piuttosto scocciata.

“Che.Cosa.Vuoi?”

Mio fratello si strinse nelle spalle con un sorriso smagliante.

“Nulla, solo passare una serata tra amici.”

“Cioè.” Cominciò il biondo, spingendolo da una parte ed entrando nell’appartamento con poca grazia. “Tu ti sei accorto che ha nevicato?”

Kevin annuì, euforico.

“Sì! Non è stupendo!”

“Ok, di cosa ti sei fatto. Giuro che non lo dico a nessuno.”

Per tutta risposta, Kevin chiuse la porta con un risolino che fece alzare gli occhi al cielo al povero Chris.

“Kev, tu mi hai chiamato praticamente implorandomi di venire qui, correggimi se sbaglio, un quarto d’ora fa. Io mi sono vestito in tre secondi e mezzo, non ho potuto prendere la macchina perché è bloccata, mi sono fatto una corsa tipo Olimpiadi fino a qui per trovarti felice come una Pasqua e sentirmi dire che ci ho messo tanto?!”

“Pensavi fosse successo qualcosa?”

“Uno di solito non telefona dicendo vieni prima che puoi se non ha effettivamente bisogno di te!” Sbraitò, allargandosi violentemente il nodo della cravatta.

Cosa che andò di nuovo a solleticare l’ilarità di mio fratello, il quale, però, tentò di trattenersi dallo scoppiare apertamente a ridere, ottenendo come unico risultato una poco fine serie di pernacchie.

“Cosa c’è, adesso.” Ringhiò Christian.

“Niente è che... ma non te la togli mai la cravatta?”

“Ehm...mi piacciono, le cravatte...” Rispose l’uomo, perplesso. “Le colleziono.”

“Oh, io collezionavo occhiali. E sciarpe. Tante sciarpe.”

“No, davvero, Kevin, hai fumato? Guarda che me lo puoi dire...”

Ma Kevin già era in cucina e non lo ascoltava più.

“Vuoi birra o campari? Oh, che scemo, il campari è finito...e la birra è vecchia...”

“Una coca va bene. Ma io non mi posso fermare, ho...”

“Che cosa?” Domandò Kevin, alzando un sopracciglio, affacciato alla porta della cucina.

“Un appuntamento, razza di rompicoglioni che non sei altro. E non lo rimando per te.”

“E per Joe?”

“Che?” Chiese Christian, improvvisamente molto meno frettoloso, afferrando la lattina che Kevin gli porgeva.

“Mio fratello, il culo più bello del New Jersey, ricordi?”

“So chi è Joe, imbecille.”

“Ecco. Se fai il bravo te lo organizzo con lui un appuntamento.”

Christian aggrottò la fronte, dubbioso.

“Non lo farai.”

“E perché no?”

“Perché ti conosco, tifi per la rossa.”

“Chris...dai...”

Il biondo sospirò, lasciandosi cadere sul pericolante divano e facendosi così saltare una gocciolina di coca cola sul naso.

“E va bene, mando un sms e sono tutto tuo.”

“Grazie!” Esclamò Kevin, correndo a sedersi accanto a lui e impugnando il telecomando. “Potrei baciarti, sai?”

“Potrei essere d’accordo, sai?”

Con un sorriso sornione, Kevin si sporse di scatto verso di lui, stampandogli un rumoroso bacio al sapore di aranciata sulle labbra.

“Tu ti sei rincretinito del tutto.” Decretò Christian, non appena si fu riavuto dalla sorpresa. “Sei cotto davvero, cavoli.”

“Come fai a sapere che è per lei che sto così?” Chiese mio fratello, iniziando a fare zapping, mentre il sottoscritto cercava di riprendersi dall’incontrollato attacco di risa che lo aveva assalito.

Che volete, non capita tutti i giorni di vedere il proprio fratellone baciare un ragazzo.

E di non poterlo prendere in  giro.

Uffa.

“Solo due cose sono in grado di ridurre un uomo così.” Spiegò Chris, alzando due dita. “Le donne e la cocaina. Anzi, nel tuo caso, Martha Sheperd e la cocaina.”

“Come sai che è lei?” Domandò Kevin, diventando di colpo serissimo.

“Mensa: eri tutto un sorriso nella sua direzione. Corridoio: le guardi il culo ogni volta che passa.”

“Ehi, questo non è vero!”

“Sì che lo è. Corridoio, due: le hai toccato...”

“Ok, ho capito.” Lo bloccò, prima che riuscisse a dire qualcosa in grado di farlo arrossire.

“Quindi è lei.”

“Football?”

“Oh, sì, è decisamente lei.”

“Football.”

“Non ci pensare nemmeno.” Ribatté Christian, strappandogli il telecomando dalle mani. “C’è il balletto e, visto che non mi ci hai lasciato andare, voglio vederlo almeno in tv.”

“Ma è roba da checche!”

“Ehi!”

E fu così che iniziò una lotta senza quartiere per il possesso del telecomando.

Com’è facile, a volte, tornare bambini...

 

Continua...

 

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Capitolo 19
*** - capitolo diciannove - ***


Incavolata nera con la prof di storia e, come sempre, di fretta, aggiorno senza ringraziarvi una ad una ma....wowowowow, 19 recensioni! (anche se una è finita nel 1° capitoloXD)

Grazie a tutte!

 

Ah, se vi va, mi farebbe piacere conoscere la vostra opinione su una flashfic che ho pubblicato nella sezione di Bones....(pubblicità occulta). Tranquille, non serve guardare il telefilm per capirla! Il titolo è “Shot”(sparo)

Temperance

-Capitolo Diciannove-

 

Notte di lacrime e preghiere

La matematica non sarà mai il mio mestiere

E gli aerei volano in alto tra New York e Mosca

Ma questa notte è ancora nostra

Martha non tremare

Non ti posso far male

Se l’amore è amore...

(Adattamento da La notte prima degli esami, Antonello Venditti)

 

“Ciao, mamma.” Salutò Kevin, prima di premere il tasto rosso che serviva a chiudere la chiamata. “Ti voglio bene...”

“Non ti ha sentito, sai?” Domandò Martha, stringendosi a lui e rabbrividendo un poco, nonostante il cappotto di lana cotta rossa.

“Lo so, ma arrivano domani pomeriggio, ho tutto il tempo per dirglielo.”

“Domani pomeriggio? E già sono in aereo?”

Kevin si strinse nelle spalle, lasciando scivolare il cellulare nella tasca del cappotto blu e strofinando con l’altra mano il braccio di Martha.

“Erano in vacanza: Italia. Ma a mamma non sembrava vero che l’avessi invitata a passare il Natale con noi, ha fatto i biglietti di ritorno in un nanosecondo. A loro, però, ci penso poi: questa notte è nostra...anche se non ho ancora capito perché hai insistito per uscire stasera, quando dovresti essere a casa a studiare per l’esame di domani.”

Martha sbuffò, appoggiando il capo alla spalla di lui.

“Che palle sei! Sono solo gli esami di metà semestre e la tua materia nemmeno c’è.”

“E allora? Sono importanti anche le altre, sai?”

“So, so, ma stasera è speciale: è il ventuno dicembre.”

Kevin la guardò, perplesso, lasciandola un secondo per aprire la porta del ristorante nel quale avevano prenotato e lasciandola entrare per prima.

“Quindi?”

“Quindi cosa? Sei proprio un uomo...” Commentò la ragazza, seguendo il cameriere in cravatta e papillon che le indicava la strada. “Te lo saresti dimenticato anche se lo avessi segnato sul calendario a caratteri cubitali e con...” L’arringa di protesta le morì in gola non appena i suoi occhi si posarono sull’enorme composizione di candidissime rose che campeggiava al centro del tavolo a loro assegnato.

“Il ventuno dello scorso mese” Cominciò Kevin, circondandole la vita con le braccia. “una mia alunna è rientrata a scuola dopo essere stata ammalata, trovando sul proprio banco un fiore esattamente identico a quelli, segnando l’inizio dei trenta giorni più belli degli ultimi anni, per me.”

Animo romantico, il mio fratellone...

“Dai, leggi il biglietto.” Sussurrò all’orecchio di lei, depositandole un bacio leggero sulla guancia che aveva rapidamente raggiunto l’usuale tinta peperoncino piccante.

Con un sorriso timido, Martha allungò la mano verso il semplice cartoncino rosso che giaceva nel suo piatto.

 

Io sono qui grazie a te.

Tu sei la ragione per cui esisto.

Tu sei tutte le mie ragioni.

 

Al nostro primo mese, a quelli che seguiranno, ad un Natale speciale.

Alla mia “bambina”, soprattutto.

Kevin

 

Con gli occhi lucidi, la ragazza si voltò di scatto, gettandogli le braccia al collo e catturando le sue labbra in un bacio innocente come solo i suoi, Kevin aveva imparato, sapevano essere.

“Da che film l’hai rubata, questa?”

“A Beautiful Mind.” Rispose lui, strofinando appena la punta del naso contro quella di lei.

“E io che ti ho regalato solo quello stupido bracciale...”

“Io adoro il tuo stupido...”

“Martha, sei tu?” All’udire la voce di sua madre, Martha raggelò letteralmente, senza trovare la forza di guardarla. “Martha!”

“Martha, credo che la signora ti conosca.” Mormorò Kevin, lasciando la presa sul corpo di lei e spingendola, con lo sguardo, a voltarsi.

“È mia madre...” Sibilò la ragazza, prima di indossare il suo miglior sorriso, mentre lui le rispondeva con un altrettanto soffiato “L’avevo intuito.”

 

O Tannenbaum o Tannenbaum (O abete, o abete)

Wie treu sind deine Blätter (come sono affidabili le tue foglie)

Du grünst nicht nur zur Sommerzeit (non verdi solo in estate)

Nein, auch im Winter wenn es schneit (ma anche d’inverno quando nevica)

(Canto popolare tedesco, O Tannenbaum)

 

“Eccoti, finalmente!” Esclamò Joe dalla cucina, non appena sentì nostro fratello varcare la porta di casa.

“Finalmente? Ma se ti avevo detto che sarei tornato per mezzanotte...”

“Non ti sento esattamente felice...ti ha mollato?” Domandò il minore, avvicinandosi a Kevin con sguardo curioso, un grembiule bianco e rosso legato in vita e dietro al collo.

Kevin rispose con una smorfia, ignorandolo e dirigendosi verso il soggiorno, onde poi fermarsi, trovandosi la strada sbarrata da un gigantesco abete che, ne era certo, quando era uscito, quel pomeriggio, non si trovava lì.

“Ehm...Joe?”

“Ti piace?” Domandò l’altro, che lo aveva seguito con una grossa ciotola di una non meglio definita sostanza marroncina in mano. “Era in saldo.”

“Joe, è grande come mezzo appartamento...”

“Lo so! E ho fatto la crema al cioccolato!”

Kevin lanciò un’occhiata dubbiosa al contenitore, per poi scuotere la testa e lasciarsi cadere all’indietro sul divano, trovandosi con la schiena sul materasso e le gambe sullo schienale.

“Che è successo a cena?”

“Niente, solo che sono arrivati i genitori di Martha.”

“Ahi...” Si limitò a commentare Joe, posando la crema sul tavolino di cristallo. “Non l’hanno presa bene, eh?”

“Se cacciarmi dal ristorante praticamente a calci tirandomi dietro cento dollari di fiori è prenderla bene, allora l’hanno presa alla grande.”

“Hai speso cento dollari per dei fiori?”

“Centocinque.” Biascicò, dandosi una spinta per portare le gambe dalla parte giusta del divano con una sottospecie di capriola che, un tempo, Joe avrebbe ammirato in modo piuttosto eloquente, chiedendogli di insegnargliela.

Ora, invece, si limitò ad analizzare con attenzione un rametto dell’albero, conscio che sarebbe bastato un nulla per distruggere il fragile equilibrio che si era creato tra di loro.

“Li conquisterai. Lo fai sempre. Non so perché, ma, malgrado tutto, tu resti quello con la faccia da bravo ragazzo e io il maniaco affetto da turbe psichiche.”

“Tu sei effettivamente affetto da turbe psichiche, ma dalla nascita, non si può fare niente. In quanto al maniaco... manie di grandezza, quelle sì. Quanto è alto quel coso?” Domandò Kevin, alzandosi ed avvicinandosi all’albero.

“Un metro e novanta.”

“Un metro e.... ma è più alto di me!”

“Lo so, per questo l’ho preso. Odio che l’albero di Natale sia più basso di me. Quando ero bambino erano sempre così grandi...”

“No, Joey, eri tu piccolo.”

“Lo addobbiamo?”

Kevin si strinse nelle spalle.

“E con cosa? Non abbiamo mai fatto l’albero da quando viviamo qui...”

“Con quelli.” Rispose semplicemente Joe, indicando uno scatolone appoggiato in un angolo. “Me li ha dati Clarisse, ha detto che sono vecchi e non li usa più.”

Con aria critica, Kevin prese a frugare nel grosso cartone, per poi estrarne un piccolo violino di legno laccato.

Lo guardò con qualcosa di molto simile alla tenerezza dipinto negli occhi, poi lo lasciò cadere, come colto da un pensiero improvviso.

“Aspetta qui.” Disse all’improvviso e corse in camera da letto, tornandone poi con un piccolo involto di carta che porse a Joe. “L’ho conservato, nel caso ti fosse tornata la voglia di essere un po’Danger.”

Alzando un sopracciglio, Joe prese il pacchetto dalle mani del fratello e ne estrasse, dopo pochi secondi, un minuscolo Mufasa di ceramica colorata.

Lo stesso che, per quanto riesca a ricordare, aveva sempre appeso lui.

“Kev...io....”

“Avanti” Lo interruppe Kevin, posandogli una mano sulla spalla. “Abbiamo un... titanico abete da addobbare.”

 

E coi tuoi è una lotta

Piangi in camera di rabbia

E con lui vuoi andar via

E lasciare tutto il mondo dietro te

(Paolo Meneguzzi, Bella come non sei mai)

 

“Quanti anni ha più di te?”

“Dodici.” Rispose Martha, senza guardare negli occhi la madre.

“Lasciala in pace, santo Dio, Lydia!” Intervenne Jean, posando entrambe le mani sulle spalle della nipote. “Ho parlato con quel ragazzo, è a posto.”

“Mamma, tu sei più incosciente di lei, allora.” Replicò a tono il padre di Martha, interponendosi tra nonna e nipote. “Tutti conoscono Kevin Jonas e non è affatto un tipo a posto.”

“Non me ne frega se è a posto o no!” Sbraitò Martha, scattando in piedi e rischiando di rovesciare la sedia. “Io lo amo!”

“Hai diciotto anni, non lo sai cosa vuol dire amare.”

“Sì, mamma, lo so anche meglio di te!” E, con quella, salì a passo di marcia le scale che portavano in camera sua, lasciando nonna e genitori soli nel piccolo salotto.

Con un singhiozzo soffocato, la ragazza si lasciò cadere sul letto a faccia in giù, stringendo convulsamente la mano destra intorno alla forma tondeggiante del cellulare, sepolto nella tasca dei jeans nuovi.

 

Comprati apposta...perché stasera doveva essere speciale.

 

Tirando su col naso, si mise a sedere con le gambe incrociate e si strofinò un paio di volte gli occhi, prima di aprire il telefonino e prendere a digitare velocemente un messaggio.

Portami via di qui....

La risposta, che non si fece attendere, non fu, forse, quella che si aspettava, ma riuscì comunque a farla sorridere.

Credimi, con mio fratello in versione folletto di Babbo Natale non si sta meglio. Facciamo una cosa: affacciati alla finestra, guarda la luna e pensa a me. Io faccio lo stesso. Poi domani ti vengo a prendere, ma dammi il tempo di noleggiare un cavallo bianco. Buona notte, Luna, il Sole passa e chiude.

Con il respiro ancora un po’corto, Martha si alzò dal letto ed aprì la finestra, lasciandosi investire dalla sottile ventata di aria invernale.

“Ti amo, Kev...” Sussurrò, mentre la porta alle sue spalle si apriva per lasciar entrare sua nonna.

“Tutto bene?” Domandò la donna, avvicinatasi, prendendo a districare i ricci della nipote. “I tuoi non sono stati esattamente accondiscendenti...”

“Non mi interessa, non lo lascio.”

“E tutti i dubbi che avevi?”

Martha si strinse nelle spalle, chiudendo la finestra e sospirando.

“Spariti, uno ad uno, un po’ogni giorno. Kevin è... meraviglioso. È forte ed è fragile allo stesso tempo e io per lui sono importante. Nonna, lui da solo non ce la fa... mi ha detto...mi ha detto che sono la sua medicina. Lo sai che non prende più gli antidepressivi da quando sta con me?”

La nonna annuì con un sorriso complice.

“Le hai dette queste cose a loro?”

“Figurati, nemmeno mi ascoltano...”

“Beh, ti conviene provarci, in ogni caso, perché potrebbero esserci dei problemi in arrivo, per te e il tuo Kevin.”

“Come...in che senso?”

“Tua madre” Rispose Jean, abbassando gli occhi sul pavimento. “dice che domani chiamerà la preside.”

 

Continua...

 

 

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Capitolo 20
*** - capitolo venti - ***


Ed eccoci al 20! Alcune cose si semplificano, altre si complicano...e abbiamo passato la metà!

Stasera ho delle letture e una premiazione, seguite da auguri per il mio comple in anticipo dal mio gruppo di teatro, quindi sono un po’di corsa, ma voglio a tutti i costi ringraziarvi come si deve perché è troppo che non lo faccio! Un altro po’di pubblicità....Ho iniziato una raccolta di shottine simpatiche, si intitola Baby Bones...se vi va, è lì!

 

Alexya379: intanto grazie per la recensione a Baby Bones! Io sono drogata di quel telefilm e sono contenta di aver trovato qualcun altro che lo guarda! E sai cosa? Joe col grembiulino lo vorrei troppo avere che gira per casa!

 

KymLYANTROPHE: chissà che combinerà la super nonna... riuscirà a salvare i nostri eroi? Ok, smetto di fare il telefilm di serie b e ti lascio con il dubbio ancora per almeno un capitolo!

 

Seplhie: guarda, al massimo siamo vicini al mio compleanno, più che a Natale, ma comunque temo che nemmeno i 18 imminenti mi faranno essere troppo magnanima con i miei cari personaggi.

 

Sweet Doll: continuo....ma per ora non saprai!

 

Melmon: Eh già, ma prova a metterti nei loro panni... i miei credo mi barricherebbero in casa, e non sono nemmeno particolarmente conservatori XD

 

Lyan: tranquilla, tra Joe e Liz non è finita, solo che sono andati un po’in vacanza (tra virgolette, ovviamente), ma nei prossimi capitoli torneranno, stai tranquilla!

 

Smemo92: allora, Joe non te lo regalo per il semplice fatto che è mio. Se vuoi Frankie e Nick sono disponibili, però XD Joe versione natalizia è da mangiare e Kevin.... *ç*

 

Sweet_S: Allora, il piccolo Mufasa è un pendaglio per l’albero che Joe attacca ogni anno all’albero di Natale fin da quando era piccolo. Il Joe vero, non solo quello della mia storia.

 

Beautiful_disaster: pubblico al volo prima di andare a leggere l’aggiornamento di Lovebug! Comunque stai tranquilla, sono io che scrivo a raffica, non tu lenta! XD Joe sta tornando, piano piano ma ce la sta facendo e in quanto ad un’ipotetica ricaduta di Kev... non ti posso dire niente, ma stai tranquilla, ai livelli di prima non ci torna!

 

Razu_91: Più che essere tornato, Joe è capace di sbalzi d’umore notevoli...quindi aspettati di tutto, meno che le cose siano davvero risolte.

 

Tay_: No, no, Derek c’è, solo che essendo la scuola in vacanza di lui per ora non si parla. Io la canto tutti gli anni quella cosa... sto iniziando a detestarla XD

 

Piccolalilo: eccolo il seguito!

 

Pretty_Odd: ma povera mamma di Martha! È un po’avventata, ok, ma vuole solo proteggere sua figlia, non crocifiggetela!

 

Maybe: hehe quella frase di Joe è fantastica (mamma mia come sono modesta... *se la tira*)

 

Dollyvally: no, no, non vale solo per te, fidati! Grazie per aver iniziato a recensire, spero davvero che continuerai a farlo! Un baci8

 

Stargirl312: grazie dei complimenti e dell’augurio di diventare scrittrice! Me lo state facendo in tante, sai?

 

Agatha: eccola, l’unica che prende sempre in considerazione tutti i dettagli. Ma quanto ti posso adorare per questo??? Guardala, una che difende almeno un po’la mamma di Martha! Grazie! Non che io sia dalla sua parte, ma povera, vogliono tutti darle fuoco! Beh...anche scrivendo quanto vuoi, credo che alle 7 pagine di questo capitolo tu non ci possa arrivare con un solo commento!

 

Jeeeeee: spero di non aver sbagliato numero di e nel tuo nick! Benvenuta! Cavolo 19 capitoli in una sera, mica pizza e fichi! Fantastica! Ti ringrazio per lo schifosamente emozionante, che è come voglio che questa storia sia! Avevo un po’paura a pubblicarla, all’inizio, per la forza dei temi trattati, ma sono al settimo cielo per il successo che sta avendo! Grazie!

 

LaSocia: allora, io non sono quella tra le due che ricatta, chiaro? *sguardo truce* Beh, tu anche questo l’hai già letto...ma scordati che ti mandi il 22 in anteprima, gioia mia bella! A parte questo....grazie di tutto! *lovva*

Temperance

 

-Capitolo Venti-

 

Due donne in controluce

Stregate dalla luna

Due donne - donne al presente, nella corrente

Due tempi dello stesso film

Due donne, cuori diversi

L’onda e la sponda

Due mondi dove viaggerei

Tu nella più verde delle stagioni

Che senti in cuffia le tue canzoni

Prima di addormentarti

E lei che pensa, chiudendo fuori

Un’altra notte verso l’inverno.

(i Pooh, Due donne)

 

Eliza si rigirò un paio di volte tra le mani il pacchetto che aveva preparato per Kevin, indecisa se consegnarglielo di persona, a costo di vedere Joe, o infilarlo nella cassetta della posta e andare via, come avrebbe fatto la codarda che si sentiva in quel momento.

Non era poi nulla di così trascendentale, solo una sciarpa che aveva visto nella vetrina del negozio davanti al bar e aveva trovato perfetta per lui. Non una delle kefiah che indossava da ragazzo, ma comunque perfetta.

Gli sarebbe piaciuta.

Eppure entrare in quella casa le sembrava così difficile...così assolutamente impossibile...

Un gesto troppo normale per compierlo come se nulla fosse successo.

Con un sospiro rassegnato, fece per aprire la cassetta della posta contrassegnata dal nome Jonas associato alle lettere K. e J., quando una voce la fece trasalire, costringendola a voltarsi.

“Sei tu, Liz?” Le domandò per la seconda volta il ragazzo alto e sottile che le stava davanti.

Capelli lisci di media lunghezza, occhi scuri e un sorriso smagliante, autentico marchio di fabbrica della famiglia Jonas.

Così incredibilmente simile al suo.

“Frankie!” Esclamò, correndogli incontro e gettandogli le braccia al collo. Lui la strinse, sollevandola da terra di una decina di centimetri, per poi lasciarle posare di nuovo i piedi sull’asfalto del marciapiede con una risatina sommessa.

“Non ti ricordavo così bassa.”

“Per forza, sei diventato un gigante! Ma guardati, hai battuto tutti i tuoi fratelli...”

Frankie ridacchiò di nuovo, strofinandosi sul davanti del giubbotto la mano destra, chiusa a pugno, in un giocoso vanto delle proprie qualità.

“Già... l’ho sempre detto a Kev, io, che sarei cresciuto più di lui.”

Eliza sorrise, alzando un braccio e scompigliandogli i capelli scuri, come faceva sempre quando era bambino.

“Beh, che ci fai qui? Sei venuto a portarmi tutti i regali di Natale degli ultimi cinque anni?”

Il ragazzo scosse la testa ed abbassò il capo, imbarazzato, arrossendo un poco.

“Oh, Liz...scusa, io non sapevo...non avevo idea che abitassi ancora qui... non ti ho preso niente... scusami, rimedierò! È che la telefonata di Kevin ci ha colti di sorpresa...eravamo in Italia, io...”

“Ehi, calmo, calmo, non fa niente, stavo scherzando! Ci sono anche i tuoi?”

Riassumendo un colore logico, il mio fratellino indicò con un gesto vago un  punto non meglio definito alle sue spalle.

“Stanno scaricando una quantità spropositata di dolci dalla macchina. Credo che mamma si sia convinta che Joe e Kev sono denutriti, o qualcosa del genere.” Spiegò, stringendosi nelle spalle e continuando a spostare il peso da un piede all’altro, quasi goffo, con il suo corpo allampanato.

Prima di riuscire ad aggiungere qualsiasi cosa, però, si ritrovò a cercare disperatamente di mantenere l’equilibrio, dopo aver ricevuto un non esattamente delicato spintone da una furia con lunghi e folti capelli ricci.

Eh... la mamma è sempre la migliore.

“Eliza!” Squittì Denise, abbracciando forte la ragazza che, per la sorpresa, lasciò cadere a terra il pacchetto rosso e verde.

“Denise...” Mormorò lei, lasciandosi stringere da quelle braccia sottili e forti al tempo stesso.

Braccia di mamma...di quella che era un po’la sua seconda mamma, sotto molti punti di vista più presente di quella vera.

Braccia che la facevano sentire al sicuro come da tempo non le succedeva.

E non se lo aspettava, non avrebbe voluto, ma in quell’abbraccio che avrebbe dovuto essere espressione di pura gioia, due lacrime fecero la loro comparsa, seguite da altre che, per quanto lei cercasse di ricacciare indietro, si ripresentavano ai suoi occhi con singolare insistenza.

Lacrime che, naturalmente, a mamma non sfuggirono nemmeno per un istante.

“Eliza, zucchero stai bene?” Domandò, afferrandola per le spalle ed allontanandola un poco da sé.

Liz scosse piano la testa, guardando verso il basso, senza osare far coincidere il proprio sguardo con quello di Denise. Facendosi scura in volto, mamma annuì e, con gesto deciso, indicò a Frankie e Kevin Sr, che l’avevano raggiunta, di iniziare ad andare.

Non ci fu bisogno di specificare loro che avrebbero dovuto inventare una scusa per giustificare il suo ritardo: la conoscevano troppo bene per non esserne coscienti.

Poi, con fare materno, passò un braccio intorno alle spalle di Liz e la strinse un poco, iniziando a camminare lungo il sottile viale che portava al condominio dove vivevano i suoi figli.

“Allora, che ti ha fatto quel deficiente?” Chiese, senza mezzi termini, una volta che il respiro della ragazza fu tornato più o meno regolare.

“Niente...” Mormorò lei, senza risultare convincente nemmeno a se stessa.

“Certo, come se non conoscessi mio figlio.”

Eliza scosse la testa, asciugandosi col dorso del guanto una lacrima nera di mascara.

“No, non lo conosci affatto, Denise, non il nuovo Joe, per lo meno.”

“Ma so che solo lui riesce a farti avere un’aria così distrutta. Allora?”

“No, questa volta non è colpa sua. Non del tutto. Sono io che non so rispettare le scelte che faccio e mi sento una stupida e codarda per questo...”

Reclinando leggermente il capo, mamma la invitò a continuare.

“Ho deciso di non amarlo più.”

“Joe?”

Liz annuì, gli occhi fissi sull’asfalto davanti ai suoi piedi.

“Ok...e, scusa la domanda, ma non ti ha mai detto nessuno che l’amore non è propriamente quel che si dice facile da cacciare? Chi ti ha messo in testa che puoi decidere così, tesoro?”

“Susy...”

“La barista?” Chiese ancora mamma, alzando gli occhi al cielo. “Non l’ho mai potuta vedere, quella lì. Vi ha sempre voluti separare, fino da piccoli. Odiosa...”

“Denise, lei per me è importante...”

“Lo so, lo so, Liz, scusami. È che io non riesco a immaginare un mondo dove tu e Joe non state insieme.”

Malgrado tutto, Eliza non poté trattenere un sorriso.

“Ma è così difficile... lui non è più Danger, Denise... è violento, lunatico. L’ultima volta che l’ho visto sono letteralmente scappata. Io ho paura di lui...”

“Sì, ma...” Mamma si fermò, trattenendo Eliza per una mano e costringendola a guardarla negli occhi. “Ma tu gli vuoi bene? Intendo, bene davvero?”

Con un sospiro, la giovane donna annuì nuovamente.

“Fin troppo.”

“Come me. Sai quante volte ho avuto voglia di venire qui e strozzarlo con le mie mani, dopo che mi aveva chiuso il telefono in faccia? Sono due Joe diversi, quelli che conosciamo io e te, ma lui e Kevin, sono e saranno sempre i miei bambini e se mi hanno chiamata vuol dire che hanno bisogno di me. Lo farà anche lui, Liz: quando sentirà di avere veramente bisogno della tua presenza verrà da te e non se ne andrà più.”

“Sì, ma...”

“Ma tu non sei sicura di volerlo aspettare e ti capisco bene, ma ti prego, fai uno sforzo. Se hanno telefonato a me vuol dire che qualcosa si sta smuovendo. Facciamo un patto, ti va? Dagli altri tre mesi. Se per allora non sarà venuto da te piangendo hai il mio permesso di tirargli un bel calcione dove più ti aggrada. Siamo d’accordo?” Chiese, tendendole la destra.

Sorridendo, Eliza la ignorò bellamente e le gettò le braccia al collo, ringraziandola almeno un milione di volte.

“Di niente, piccola mia. Ora dimmi....ti va di salire?”

Eliza scosse il capo, sistemandosi il basco di lana sulla testa.

“Non me la sento, scusami. Puoi dare a Kevin il mio regalo?”

“Certo.” Rispose Denise, stringendola ancora una volta. “Tutto quello che vuoi.”

 

Un anno in più sul viso non hai

Tu di me mi chiedi

Sono qui, mi vedi?

Dimmi tu

Mi trovi un po’cambiato, non so...

(i Pooh, Per te qualcosa ancora)

 

Prima di aprire la porta, Kevin prese un profondo respiro e chiuse gli occhi per un istante.

Non aveva più visto Denise, Frankie e Kevin Sr dopo l’incidente: la sua famiglia era soltanto Joe, l’unico, secondo lui, in grado di comprendere il suo dolore.

Non che pensasse che gli altri non soffrissero, ma loro non erano lì, quella notte.

Loro non hanno visto tutto.

“Apri o no?” Lo raggiunse la voce di Joe dalla cucina, dove era rinchiuso da quella mattina, e lui annuì, quasi il fratello lo avesse potuto vedere.

Lei era lì, sul pianerottolo del suo appartamento, i ricci scuri spettinati, il naso rosso dal freddo, sorridente come era sempre stata.

Non come chi ha la consapevolezza di aver perso tre figli in una notte, ma come chi ha la certezza di poterli riavere, un giorno, vicini a sé.

Lo sai, vero, mamma, che io non ti ho mai lasciata?

Dietro di lei, papà e Frankie, che l’avevano aspettata nel corridoio, osservavano l’incontro praticamente con il fiato sospeso, attendendo un qualsiasi accadimento che desse loro il via libera.

“Ciao, Kevin.” Quasi sussurrò mamma che, per quanto ferma nella sua convinzione che tutto un giorno sarebbe tornato come prima, non riuscì a non bloccarsi per un istante di fronte alla vista del figlio.

Non più un ragazzo, forse persino immaturo per la sua età, ma un uomo con sul viso i segni di quei quattro anni e dei dolori in essi patiti.

“Ciao, mamma... sei splendida.” Replicò Kevin, con lo stesso tono sommesso. “E non sei cambiata di una virgola.” Continuò, mentre un sorriso timido increspava le sue labbra.

E Denise, la grande Denise Jonas non ce la fece più e gli gettò le braccia al collo, mentre lui la stringeva forte, affondando il viso nei suoi capelli, assaporando di nuovo quel profumo al tempo stesso familiare e lontano.

“Mi sei mancata, vecchia.” Mormorò nei suoi ricci, beccandosi, in cambio, una dolorosa tirata di capelli, mentre Frankie e papà si avvicinavano.

“Ma che villano che sei!” Esclamò mamma, allontanandosi e guardandosi intorno con aria curiosa, mentre Kevin abbracciava i due uomini. “Ma in che razza di posto vivete, me lo spieghi? Si vede proprio che manca la mano di una donna, sembra che l’abbia arredato un cieco. Un cieco dotato di pessimo gusto. Oh beh... dov’è Joe?”

“L’antipasto è pronto!” Chiamò la voce di Joe dalla cucina, prima che Kevin facesse in tempo a rispondere.

“In cucina.” Disse comunque, stringendosi nelle spalle e, preso Frankie sotto braccio, si avviò lungo lo stretto corridoio, diretto verso la cucina. “E tu devi dirmi tutto su questa famosa ragazza di cui mi ha parlato Eliza, chiaro, Bonus?”

 

La mia mente è qui

 spezzata in due metà

quello che vorrei

e questa realtà

(i Pooh, Opera prima)

 

“Allora” Cominciò Joe, gli occhi accesi di una luce tutta particolare. Non saprei dire, sinceramente, se si trattasse di pazzia o di passione. “Com’era?”

Gli risposero solo un religioso silenzio ed uno scambio di sguardi che si aggiravano in una gamma tra il disgustato e il disperato, per arrivare, infine, a quello di Kevin, che tendeva più verso la rassegnazione totale.

Da quando aveva deciso di dover ricominciare a vivere, infatti, Joe aveva passato giorni e giorni chino su libri di cucina e simili, proponendo ad ogni pranzo e cena una pietanza diversa.

E facendo aumentare vertiginosamente la frequenza di presenze di Kevin nei fast food o a casa di Christian all’ora di pranzo.

“Delizioso, tesoro.” Decretò infine Denise, ingoiando a forza l’ultima forchettata di torta salata.

“Sì, veramente...” Il commento di Kevin, che non sarebbe stato esattamente quel che si suol dire positivo, ma, anzi, piuttosto ironico e scostante, fu interrotto sul nascere dall’insistente suono del campanello. “Beh, vado ad aprire.”

“Fermo lì!” Esclamò Joe, scattando in piedi con una mano spalancata puntata contro al fratello. “Finisci pure la torta, vado io e, mentre torno, prendo il dessert.”

Con espressione afflitta, Kevin si lasciò ricadere sulla sedia, mentre Denise gli posava una mano consolatoria sulla spalla.

“Chi è?” Gridò Joe, forse un po’troppo forte, prima di aprire la porta.

Gli rispose una voce sommessa con una singola parola, un nome che non riuscì a captare.

“Oh, sei tu.” Constatò, scocciato, una volta spalancato l’uscio e trovatosi davanti una Martha tremante e, apparentemente, piuttosto sconvolta, con addosso solo un paio di jeans e un fradicio maglione di lana, le guance rigate di lacrime.

“C’è Kevin?” Domandò, ignorando il commento seccato di lui.

“Sì, c’è Kevin, ma io non ho voglia di farti entrare.”

“Senti tu, stronzo egocentrico,” Sibilò la ragazza, alzandosi in punta di piedi e puntando un dito dritto contro il naso di Joe. “Il mondo non gira intorno a quello che tu vuoi o non vuoi fare, quindi ora ti levi e mi fai passare perché io ho bisogno di parlare con tuo fratello.”

Sgranando gli occhi, Joe si fece leggermente da parte e lei, rabbrividendo un paio di volte, marciò verso la cucina a passo di carica, usando una manica per asciugarsi le guance ogni due secondi.

Nel frattempo, papà, Kevin e Frankie erano stati totalmente assorbiti da una fervente discussione sugli ultimi campionati di golf che mamma, a giudicare dalla sua espressione, trovava profondamente noiosa.

Tuttavia ogni tentativo di conversazione cadde miseramente nel nulla quando la ragazza piovve letteralmente nella stanza, lasciandosi alle spalle una non indifferente scia di pozzanghere.

“Martha!” Esclamò Kevin, scattando in piedi e sfilandosi in fretta e furia il dolcevita chiaro per poi buttarlo sulle spalle di lei, mentre il resto dei presenti seguiva la scena, perplesso, e Joe riemergeva dal corridoio con le braccia conserte e la più scocciata espressione nella sua gamma di espressioni scocciate. “Ma sei impazzita? Si venuta da casa tua con solo questa roba addosso?”

“Non potevo...non potevo farmi vedere e la mia giacca era...al piano di sotto.” Balbettò Martha, stringendosi forte nel pesante indumento di lana color panna. “Ti devo parlare.”

“Sei uscita dalla finestra?!”

La ragazza annuì, prendendolo per mano e pregandolo con gli occhi di seguirla.

E Kevin, voltatosi a lanciare alla famiglia uno sguardo di scuse, non poté fare altro che seguirla, ovunque lei volesse portarlo, ma, prima di uscire dalla cucina, fece in tempo a sentire distintamente Denise che chiedeva a Joe chi fosse quella ragazza.

Fantastico...

Oh beh, a quello ci avrebbe pensato dopo.

Martha si fermò solo quando fu arrivata in camera da letto.

“Siediti.” Ordinò, per poi prendere a camminare nervosamente avanti e indietro per la stanza.

“Ehm...Mar, forse è meglio che ti cambi, non vorrei che tu..”

“Non posso più stare con te.”

Essere colpito da uno sparo in pieno petto non gli avrebbe di certo fatto più male di quella semplice frase. Incassando il colpo, mio fratello si alzò in piedi, afferrandola per le spalle e costringendola ad alzare gli occhi nei suoi.

“Perché?” Domandò semplicemente, lo sguardo di un uomo che ha visto il fondo e che si è vesto troncare la risalita.

“Mia madre dice che chiamerà la scuola se non ti lascio.”

Kevin la guardò, senza capire. O, forse, senza voler capire.

“Parlerà con la preside...le dirà di noi. E io non posso lasciare che ti caccino... per colpa mia.”

Scuotendo la testa, Kevin si avviò verso l’armadio e ne estrasse la vestaglia che usava per dormire.

“Hai diciotto anni, Martha, io ne ho trenta: ai miei problemi ci penso io.”

“Ma non puoi perdere il lavoro per me!” Quasi gridò lei, mentre le lacrime riprendevano a rotolare lungo le sue guance pallide.

“Questo lo decido io!” Replicò lui a tono. “Dimmi solo una cosa: mi ami?”

Martha spalancò gli occhi e si bloccò, colta alla sprovvista da quella domanda che non era contemplata nel film che si era fatta in testa prima di  scappare dalla finestra di casa sua.

“Non...non è questione di... Kevin, mi sentirei in colpa per il resto della mia vita!”

“Rispondi alla mia domanda, per favore.” Ripeté lui, raccattando un asciugamano che era posato sul letto ed iniziando a frizionarle i capelli.

“Sì.” Lo raggiunse la flebile voce di lei da sotto la salvietta azzurra. “Certo che ti amo.”

Se avesse potuto vederla in quel momento, il mio caro fratellone si sarebbe reso conto di quale battaglia avesse provocato in Martha pronunciare quelle parole solamente guardando il colorito che la sua carnagione aveva assunto, anche sotto alle lacrime.

“E allora non pensare ad altro.” Le sussurrò, lasciando cadere l’asciugamano e stringendola forte a sé, lasciandola singhiozzare liberamente sul suo petto. Le mani di lei si strinsero convulsamente alla stoffa morbida della sua canottiera, mentre lui la guidava lentamente verso il letto, per poi farla sedere ed accovacciarsi davanti a lei.

“Guardami, tesoro.” Mormorò, con la voce più dolce che gli riuscì di trovare.  Martha alzò timidamente gli occhi azzurri in quelli altrettanto chiari di lui, combattendo contro l’impellente bisogno di alzarsi ed andarsene. “Tua madre può parlare anche con tutte le presidi dello Stato: farei qualsiasi lavoro pur di stare con te. Tu mi hai ridato la vita. Tu, non quella scuola. Soltanto tu e non me ne frega niente di quello che dicono i tuoi, è chiaro?” Domandò Kevin, prendendole il viso tra le mani ed asciugandole le lacrime con palmi e pollici.

Abbozzando un sorriso, Martha si sporse verso di lui e gli stampò un bacio sulle labbra, mormorando un debole sì che avrebbe tanto voluto essere sincero. Mentre lo baciava, sentì le sue mani scivolare lentamente sotto al proprio maglione, sollevandolo fino all’altezza del seno.

“Che stai...”

“Mi assicuro che tu non ti prenda una broncopolmonite.” Rispose semplicemente mio fratello, liberandola completamente dall’indumento e passandole il proprio maglione perché lo indossasse.

“Ora togliti i pantaloni e mettiti la vestaglia, io vado a vedere quanto sconvolti siano i miei e poi torno, d’accordo?”

La ragazza annuì, ravviandosi i capelli ancora umidi.

“Kev..”

“Sì?” Rispose lui, alzandosi in piedi ed avviandosi verso la porta.

“Ti amo...”

E lui annuì, regalandole un sorriso ed un occhiolino, prima di uscire dalla stanza e lasciarla sola.

Senza aspettare nemmeno di non sentire più i suoi passi lungo il corridoio, Martha si alzò e si infilò la vestaglia, per poi aprire uno ad uno tutti i cassetti del comodino, alla disperata ricerca di un pezzo di carta e di qualsiasi cosa in grado di scrivere.

Trovatili, scarabocchiò sul foglietto -uno scontrino- un disordinato ‘scusami’ e spalancò la finestra, scavalcando il davanzale e calandosi lungo la scala antincendio.

 

Scusa se non posso avere

Gli anni che hai ora tu

(...)

L’amore non è convenzione

Non si delimita

(Sugarfree, Scusa ma ti chiamo amore)

 

Kevin, però, non fece in tempo a raggiungere nemmeno la fine del corridoio, poiché si trovò davanti una mamma dall’espressione piuttosto alterata.

“Kevin, dobbiamo parlare.”

“Sei la seconda donna che me lo dice, stasera... andiamo di là, tanto scommetto quello che vuoi che la mia camera è vuota.”

Denise annuì, per poi seguire il figlio nella stanza da letto e chiudersi la porta alle spalle.

“Kevin...”

“Mamma.”

“Dimmi che quello che mi ha detto Joe non è vero.”

Kevin si sedette sul letto, sul quale di Martha era rimasto soltanto un alone di umidità.

“Che ti ha detto Joe?”

“Che esci con una ragazza che ha l’età di Frankie. Dimmi che quella è una tua alunna che aveva bisogno d’aiuto.”

“É una mia alunna che ha bisogno di aiuto.”

Il sospiro di sollievo di Denise, però, non ebbe vita lunga.

“E sto con lei.” Completò Kevin, affondando le mani nei propri capelli. “Beh, stavo con lei, a questo punto.”

Denise, però, parve non sentire l’ultima frase.

“Ma ti ha dato di volta il cervello? Ha diciotto anni, Kevin, non è nemmeno vicina ad essere maggiorenne! Lo sai o no che rischi la galera.”

“Non la rischio, mamma. Con una quindicenne si va in prigione, dopo no.”

“Lo sai che non è questo il punto.”

“LO SO!” Sbraitò lui, scattando in piedi. “Lo so, mamma, ma scusami se al momento non è il mio principale problema, eh!”

“Oh, sentiamo, cosa c’è di più importante di tuo padre che sta per morire d’infarto in sala da pranzo?”

“Il fatto che la probabile donna della mia vita mi ha appena lasciato perché sua madre ci ha cattati al ristorante, ecco cosa!”

“La donna della tua vita?!” Ripeté Denise, sbarrando gli occhi. “Ma ti senti quando parli? È una ragazzina, una bambina!”

“Non è affatto una bambina, mamma, tu non la conosci...e non conosci me, non sai com’ero prima di incontrarla.”

“Non potevi di certo essere peggio di...”

“Di cosa? Un pedofilo? Non farmi ridere, per favore! Due mesi fa avevo una donna diversa nel letto ogni sera. E le pagavo per essere lì.”

“Kevin!”

“Kevin cosa, mamma! Sono stato con delle prostitute, ok? Tante prostitute, perché il sesso era il mio modo di tirare avanti, la mia droga, non ho problemi ad ammetterlo. Non ne vado fiero, ma è quello che mi ha permesso di non ridurmi come Joe. Lo hai visto? Ti rendi conto che, anche ora che sta meglio, non è più lui?”

“Non stiamo parlando di Joe.”

“No, stiamo parlando di me. E di Martha. Sai...” Continuò e la sua voce si raddolcì notevolmente. “Con lei non sono mai stato a letto. Vorrei, vorrei ogni volta che la vedo ma non lo faccio perché penso che, cavolo, lei non è come le altre e non solo perché ha più di dieci anni meno di me. Lei mi ha fatto dimenticare quasi cinque anni di merda, non dovrei esserle grato? Non dovrei amarla? E poi, avanti chi lo ha detto che dodici anni di differenza sono troppi? Perdonami il linguaggio, ma chi ha detto questa emerita cazzata?”

Denise scosse appena il capo, per poi posizionarsi di fronte al figlio.

“La ami.”

“Sì, anche se non riesco a dirglielo. Anche se ora la odio, lei, Joe e il mio amico Chris sono tutto per me, mamma, tutto.”

“Non era una domanda, la mia, Kevin. Tu la ami. Non so perché, ma è così...”

“Quindi?”

“Quindi non lo so. Voglio dire, resta il fatto che è una tua alunna e che...oh, al diavolo!” Esclamò mamma, tirando una non indifferente sberla sul sedere del suo primogenito. “Al posto dei suoi genitori, ti avrei già rincorso con torcia e forcone, ma io sono tua madre, quindi...dirò che non ti ho trovato.”

“Che?” Chiese Kevin, guardandola perplesso.

“C’è una scala antincendio che aspetta solo di essere usata. Se corri la raggiungi.”

 

Continua...

 

 

 

 

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Capitolo 21
*** - capitolo ventuno - ***


Altro capitolo totalmente Martha/Kev... perdonatemi, ma dovevo chiudere questo primo round con i genitori di Martha, poi rientreranno in scena alla grande anche tutti gli altri personaggi.

Questo capitolo è stato un vero parto, per cui perdonatemi se non è proprio il massimo... mi rifarò!

Tra l’altro, mi dispiace ma non posso fare i soliti ringraziamenti, dato che domani è il mio compleanno e devo andare a nanna presto se voglio i regali... solo volevo rispondere a Maggie Lullaby e spiegarle una cosa. Non voglio criticare il tuo commento, che tra l’altro mi ha fatto piacere, e mi dispiace dirti questo, ma se salti i capitoli drammatici secondo me è meglio che tu questa storia non la legga del tutto e, bada, non perché non ti ritengo in grado, ma perché i momenti che per te sono duri sono quelli dove io veramente ho messo tutta me stessa, sono il cuore della storia che senza di essi non può essere compresa appieno. Sarebbe come guardare un fil drammatico  saltandone le scene fondamentali, come togliere ad una tragedia teatrale ciò che la rende tale. Sicuramente scriverò qualcosa di più leggero dopo di questa, anche se il “leggero” non mi da soddisfazioni così grandi, ma questa, proprio questa qui è, senza falsa modestia che non sarebbe da me, la storia più bella che io abbia mai scritto, ma letta per intero, non mutilata.

Con questo sia chiaro che non voglio offendere nessuno, è solo un consiglio che ti do, perché davvero, senza la morte di Nick, senza il tentato suicidio di Joe o le botte a Liz questo racconto non sarebbe lo stesso. E, puoi starne certa, io di quello che ho scritto non cambierei una virgola.

Un grazie, oltre che a Maggie, a tutte le mie fedeli recensitrici: siete magnificissimissime! Aw, il mio ultimo post da minorenne!!!

Alla prossima, girls, con un capitolo che, prometto, vi resterà ben impresso... né, socia???

 

Dedicato alle mie cognate, numero 3, la nuova arrivata, e numero uno...anche se ha dato buca alla mia festa.

Temperance

-Capitolo Ventuno-

 

C’è sulla montagna il suo

sentiero

Vola fino su da lei

 pensiero

Dal cuscino ascolta il suo

 Respiro

Porta il suo sorriso qui

Vicino

(i Pooh, Solo lei nell’anima)

 

Le mani ben affondate nelle tasche del cappotto scuro, Kevin percorse rapidamente il chilometro scarso che separava casa sua da quella in cui Martha viveva con la sua famiglia.

Ad ogni respiro, dalle sue labbra uscivano sbuffi di vapore bianco, mentre la sua mente lavorava in modo a dir poco febbrile, cercando le parole che avrebbe, in seguito, dovuto dire a Martha.

Era arrabbiato, arrabbiato veramente, per quanto di fronte a Denise avesse cercato di mostrarsi solamente molto, molto innamorato.

Aveva voluto fidarsi di lei, l’aveva lasciata sola, ma aveva letto nei suoi occhi che al suo ritorno non sarebbe stata lì, e in quel momento, in quel brevissimo istante, l’aveva odiata.

L’aveva odiata perché aveva avuto paura di rovinare una vita che prima di lei non era nulla, perché aveva osato pensare che per lui il suo lavoro contasse più di lei, perché nei suoi occhi spaventati aveva visto, per una volta, la bambina che ancora viveva in lei.

Soprattutto, però, anche se non l’avrebbe ammesso mai, l’aveva odiata perché aveva messo lui in primo piano, persino davanti a se stessa, dimostrandogli un amore di una forza tale da spaventarlo a morte.

Nella sua ottica, una persona come lui non aveva il diritto di essere amato in quel modo, non lo aveva più, eppure quella ragazzina gli stava donando tutta se stessa.

Perché?

Kev, fratellone, forse perché lei, in qualche modo, è riuscita a vedere il vero te che, in questi anni, si è nascosto molto, molto più di Joe.

Fu con gli occhi bassi sull’asfalto ricoperto di morbida polvere bianca che giunse davanti al cancello del complesso di villette a schiera che era la sua destinazione.

Si guardò intorno alla ricerca di un campanello, ma trovando solo neve, ovunque il suo sguardo si posasse.

 

“Mamma, che cos’è la neve?” Domandò Nick, prendendo tra le piccole dita un mucchietto di farinosa neve candida.

“È la forfora degli angeli.” Dichiarò Joe, ridacchiando, mentre si infilava i guanti, pronto a giocare i migliori scherzi che la sua mente di sette anni potesse concepire.

Kevin scosse il capo, divertito, sedendosi sul vecchio dondolo che era in giardino da sempre, per quanto riuscisse a ricordare, e prese ad ammirare la danza dei grossi fiocchi che cadevano nel cielo, regalando alla sua città un vestito tutto nuovo che, secondo lui, era il miglior dono che l’inverno potesse offrire.

 

Una folata di vento più fredda delle altre lo strappò piuttosto bruscamente dal mondo dei ricordi, trascinandolo di nuovo alla realtà.

Una realtà che, durante la sua assenza, si era popolata di un viso piccolo e solcato da innumerevoli rughe ed illuminato da un paio di vivacissimi occhi azzurri.

Jean Sheperd indossava una pesante cuffia di lana nera e argentata ed era avvolta completamente in un giaccone più grande di lei che le lasciava liberi solamente viso e piedi.

“Signora Sheperd...” Mormorò, non esattamente convinto, inclinando leggermente il capo di lato.

“Siamo tornati al mondo dei vivi, vedo! Dai, ragazzo, sbrigati ad entrare che se mio figlio ti vede qui fuori mette in pratica tutti i suoi studi sulle torture medievali.”

“È uno storico?” Chiese Kevin, senza nemmeno ben sapere perché.

Jean scosse la testa, afferrandolo per un polso e trascinandolo oltre il cancello aperto.

“No, è un appassionato di Tolkien.”

“Voglio parlare con Martha.”

“E io voglio un milione di dollari: entrambi dovremo aspettare. Muoviti.”

Con un altro strattone, la donna si avviò, decisa, verso l’ingresso della villetta più vicina, biascicando improperi su quanto quel gelo la rendesse terribilmente nervosa.

 

Chiquitita tell me what’s wrong

(...)

In your eyes there is no hope for tomorrow

How I hate to see you like this

There is no way you can deny it

(...)

Chiquitita, tell me the truth

I’m a shoulder you can cry on

(ABBA, Chiquitita)

“Nonna, perché sei usci....”

La tazza di tè che Martha teneva in mano si frantumò sul pavimento non appena la ragazza, ancora sprofondata nel dolcevita di Kevin, si rese conto di chi la progenitrice aveva portato con sé.

Jean, nel frattempo, chiuse la porta a doppia mandata, si infilò la chiave in tasca e si accomodò su un puff nel mezzo del piccolo soggiorno.

“Cosa ci fai qui?” Domandò Martha, senza sapere bene che genere di risposta aspettarsi. Lui si passò una mano tra i capelli scuri, per poi puntare gli occhi dritti in quelli di lei e dirle esattamente ciò che pensava.

“Che ci fai tu, qui, invece di essere sul letto della mia camera? Ti avevo detto di aspettarmi, mi pare.” Ringhiò, senza troppi mezzi termini.

“Ero spaventata. E fradicia.” Si giustificò lei, distogliendo lo sguardo. “Non puoi farmene una colpa.”

“Guardami!” Tuonò Kevin, afferrandola per un braccio, mentre Jean scattava in piedi, pronta a difendere la nipote. Non serve, nonna, stai tranquilla: lui non le torcerebbe neppure un capello e credo ucciderebbe a sangue freddo chiunque  tentasse di farlo. “Martha, io pensavo che tu ti fidassi di me.”

“Mi fido...” Mormorò la giovane con un filo di voce, mentre la presa di mio fratello sul suo polso si allentava appena.

“E allora perché sei scappata, perché non mi credi quando ti dico che ci penso io a sistemare le cose?”

“Perché è la sua famiglia quella contro la quale lei sta andando, Kevin.” Intervenne Jean, affiancandosi ai due senza, però, interporsi tra loro. “Ha avuto un momento di debolezza, pensavo che tu sapessi meglio di chiunque altro cosa vuol dire.”

“Io... sì, io so perfettamente cosa vuol dire.” Ammise lui, abbassando il capo e liberando definitivamente il braccio di Martha dalla propria mano. “Per questo non sono abituato ad essere il forte della situazione.”

“Non puoi biasimarla perché ha timore di perdere i suoi genitori.”

“Nonna, potresti lasciar parlare me?”

La donna annuì un paio di volte con gesto rapido e nervoso e tornò a sedersi su suo puff, mentre Martha si avvicinava di più a Kevin, stringendo entrambe le sue mani con le proprie.

“Ok... allora, intanto mi dispiace di essere scappata, ma davvero non ce la facevo...In questo ultimo mese la mia vita è stata... movimentata, quantomeno. Mi sono innamorata di una persona che non avrei mai dovuto amare, mi sono scoperta ricambiata, ho vissuto i momenti più belli della mia vita e ho litigato con i miei genitori. Mi sono spaventata... non... non credevo nemmeno che certe situazioni esistessero fuori dai telefilm, figuriamoci se avrei mai immaginato di viverne una in prima persona. E poi c’è mia madre... non ho mai litigato con lei, non davvero e...e mi ha presa il panico, non sapevo che fare, e ho pensato che forse dovevo darle ascolto, ma io... che c’è?” Si bloccò la ragazza, notando il sorrisino compiaciuto che era apparso sul viso di Kevin.

“C’è che gli hai appena sparato in faccia una sequela di scuse talmente sconclusionate da far tenerezza ad un troll, tesoro. Chiunque si sarebbe raddolcito.”

Kevin ridacchiò, rivolgendo all’anziana donna uno sguardo grato.

“Credo che andrò a preparare il tè.” Annunciò Jean, tutta contenta, mentre Kevin lasciava una delle mani di Martha per poi passare la propria dietro alla sua schiena ed attirarla a sé.

“Sei...sei ancora arrabbiato?” Mormorò lei, arrossendo appena sulle guance.

“Zitta.” Sussurrò lui, chiudendole la bocca con un bacio.

 

It’s hard to take courage

In a world full of people

You can lose the sight of it all

And the darkness inside you

Can make you feel so small

But I see your true colours

Shining through

I see your true colours

That’s why I love you

(Phil Collins, True Colours)

 

“Credo che la nonna sia caduta nel bollitore.” Decretò Martha, svincolandosi dall’abbraccio di Kevin che, però, la riacchiappò immediatamente, trascinandola a sedere sulle proprie gambe con dolce violenza.

“Possibile che non ci arrivi?”

“A che cosa?”

Kevin alzò gli occhi al cielo con una risatina sommessa.

“Stai ridendo di me?” Domandò Martha, stringendo gli occhi fino a ridurli a due fessure.

“No.” Replicò lui, scuotendo energicamente il capo e trattenendosi a stento dallo scoppiare a ridere sul serio.

“Sì, invece! Guarda che l’ho capito perché nonna non torna!”

“Ah sì? E perché, sentiamo.” La sfidò lui, incrociandosi le braccia al petto.

“Perché... si è rotto il bollitore?”

E a quella Kevin non ce la fece più.

Sdraiandosi con poca grazia sul divano, scoppiò nella risata sguaiata che tratteneva da oramai quasi dieci minuti, ululando qualcosa sul genere “Mi fai morire, Martha.”

Ma non posso giurare di esserne sicuro, dato anche io ho iniziato a rotolare dal ridere in maniera decisamente poco dignitosa per uno di Paradiso.

Con un broncio scherzoso, Martha afferrò un cuscino dalla poltrona e glielo tirò, colpendolo in piena faccia.

“Scemo.” Sentenziò, mentre lui recuperava la morbida arma e la scagliava di nuovo nella sua direzione.

“Scemo a chi? Sono sempre il tuo professore, ricordatelo!”

“Beh, professore, stia attento: hanno dato pioggia di cuscini per stanotte!”

Così dicendo, la ragazza mosse quattro rapidi passi verso il divano, per poi salire a cavalcioni su Kevin e colpirlo ripetutamente con il cuscino, mentre lui tentava invano di coprirsi il viso, ridendo come un matto.

 

Dalla cucina, un paio di occhi azzurri si godevano la scena, mentre la loro proprietaria sorseggiava lentamente una tazza di tè.

Non capiva, Jean, perché il mondo non potesse essere pronto ad accettare quella storia tanto semplice quanto vera. Non capiva perché sua nipote dovesse soffrire in quel modo semplicemente perché si era innamorata, così come non capiva perché Kevin, con tutto le difficoltà che già la vita gli aveva messo davanti, dovesse trovarsi ancora una volta la strada sbarrata.

Non capiva, Jean, ma vedeva.

Vedeva un amore vero nascosto dietro ad un gioco innocente, ad un sorriso rubato, in un voto a scuola forse un po’regalato.

Vedeva tutto questo e non poteva che essere felice che la sua Martha avesse trovato qualcuno per cui davvero valesse la pena lottare, mettere in discussione tutto.

Era una donna meravigliosa, Jean, una di quelle persone che, anche da anziane, non perdono mai la capacità di vedere la bellezza.

E ora, ora che è qui con me, a consolarmi quando ho nostalgia, a sorridere con me delle vite dei nostri cari, è esattamente la nonna che ho sempre sognato di avere.

 

Le maggiori difficoltà

Stanno dove noi non le cerchiamo

(Johann Wolfgang von Goethe)

 

Jaqueline Sheperd non era una donna che amava farsi prendere in giro.

Aveva esplicitamente proibito a sua figlia di vedere quell’uomo, eppure i suoi occhi non le mentivano quando le avevano mostrato Kevin Jonas in piedi davanti al cancello della casa di sua suocera, appena un piano sotto alla sua, e ora non mentivano le sue orecchie nel captare le risate gioiose che provenivano dal piano di sotto.

Bene.

Senza batter ciglio, prese in mano il cordless e compose il numero del college.

Il bene di sua figlia, stava facendo soltanto il bene di sua figlia.

 

Continua...

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 22
*** - capitolo ventidue - ***


Ed eccoci al mio primo capitolo da maggiorenne... che non potrebbe essere capitato in un momento migliore, dato che alla fine è piuttosto piccante... vero, fidanzata??? Anche se mi tradisci vedi che io a te ci penso sempre, anche con la sorpresina che ti ho fatto l’altra sera?

Ma ciancio alle bande (XD) e passiamo ai ringraziamenti!!! Che questa volta sono proprio tanti, mamma mia! 23! Cioè, vi rendete conto?! E per un capitolo che non mi piaceva! Chissà che mi direte di questo, che invece adoro.... ancora due capitoli e si torna a scuola...siete pronte a rincontrare Chris? XD Prima di tutto ringrazio tutte per gli auguri e poi....

 

Sbrodolina: oddio, addirittura ti tengo sveglia la notte? Allora mi toccherà dirti da dove prendo le idee... diciamo che il primo personaggio a nascere è stato uno che fino al capitolo 24 sarà un po’assente: Clarisse. Clarisse è nata guardando con mio fratello un episodio del mondo di Patty e considerando quanto odiosa possa essere quella ragazzina frignona... così ho deciso che avrei creato una mia Patty con un po’più di carattere di quella del telefilm e il resto è venuto di conseguenza! Se vuoi notizie più dettagliate, comunque, ti ho mandato una mail con il mio contatto msn!

 

Jeeeeee: intanto, se vuoi prendere il mio contatto anche non per supplicarmi a me fa solo piacere! È sempre bello conoscere gente nuova! Beh, in effetti lo scorso capitolo era un po’cortino perché ho fatto veramente fatica a scriverlo, ma questo si rifà alla grande, primo perché è lungo, secondo perché lo adoro!!!

 

Alexya379: Eccola qui, la mia Bonesdrogata! Eh sì quel finale è un po’così... e il bello è che vi terrò in sospeso finché i nostri “eroi” non torneranno a scuola! *risata malvagiUa*

 

KymLYCANTROPHE:  Addirittura tra i migliori??? Wow, allora i blocchi dello scrittore a me fanno bene! L’ho sempre detto, io, che non sono normale! E poi grazie grazie grazie per tutti questi complimenti! Giusto oggi dicevo alla mia “fidanzata” (Minako) che il prossimo passo è scrivere di un amore come quello che ho visto nel film Come un uragano... è il mio obbiettivo e, sinceramente, solo allora mi riterrò all’altezza dei vostri complimenti! Per quanto riguarda le canzoni, il merito è tutto dei Pooh che hanno scritto praticamente su tutto ciò su cui si può scrivere!

 

Maggie_Lullaby: Cioè, ragazze, se continuate a consigliarmi di fare la scrittrice potrei anche arrivare a pensarci sul serio, eh! No, scherzi a parte, non mi sento assolutamente in grado, ora come ora, di scrivere un romanzo. La mia impostazione è troppo teatrale, anche perché io immagino visivamente le scene come se dovessero essere recitate... quindi scrivere un copione non mi dispiacerebbe affatto! Ti toccherà vederli in scena i miei romanzi (almeno spero!)! per quanto riguarda il resto, sono felice che tu sia riuscita a leggere tutti i capitoli...e il paragone con Titanic è meraviglioso: grazie!

 

Agatha: che ha sbagliato capitolo XD we we genio addirittura?? Ma tre, così mi fai arrossire!!! Non ti rispondo come si deve perché siamo state fino adesso a dire cavolate su msn... quindi mi limito a ringraziarti, cara Miss President, per essere l’amante migliore del mondo!

 

Princess jiu 327: hehe, sai che non ci avevo fatto caso che avevi scritto nonna invece di mamma? XD sono i resti delle due bottiglie di birra cinese di ieri sera! *si nasconde perché gli alcolisti anonimi la vogliono rapire*

 

Selphie: hehe vedo che la frecciatina sulla nonna che è con Nick non è passata inosservata! Chissà che succederà.... (muhuahuahuhau). Per quanto riguarda la mamma... io credo che lei sia convinta di quello che fa... ma allo stesso tempo si fa violenza a fare una cosa del genere perché, anche se lei pensa che sia per il suo bene, odia fare del male alla sua bimba...

 

Sweet Doll: Io adoro Martha e Kev! L’unica coppia che mi piace di più è Joe & me XD

 

BuonaNotteLuna: grazie per il commento pre cena... mi fa piacere che tu sia disposta a correre per leggere la mia storia e spero che seguirai anche quelle che verranno dopo di questa!

 

Tay_: Derek torna nel prossimo capitolo...e per i guai dovrai aspettare ancora due, temo!

 

Smemo92: ehi calma calma, Jean è viva e vegeta, per ora! Dai, sono cattiva, ma non al punto da farla schiattare in cucina mentre i piccioncini fanno pace!

 

Dollyvally: grazie della recensione: è la più lunga che il tempo a tua disposizione ti ha consentito e proprio per questo l’apprezzo davvero tanto!

 

La Sore: non ho capito bene cosa mi devi perdonare, eh... però cavolo, sei la sore più jellata della storia! Maledette siano le poste che si sono perse il tuo regalo!!! Eh vabbè....ce ne faremo una ragione (leggi: ti manderò qualcos altro)

 

Lyan: uuuh io adoro chi fa citazioni del testo! Quindi, per collegamento logico, adoro te! Uhm, non credo ci saranno altri flashback sull’incidente, dopo quelli del primo capitolo... non so se l’hai notato, ma man mano che le cose migliorano anche i ricordi si fanno più positivi, quindi non avrebbe molto senso tornare all’incidente.

 

Razu_91: chissà chissà... non credo che questo capitolo risolverà i tuoi dubbi, però...

 

Pretty_Odd: sai, la parte in cui Nick parla dei pensieri di Jean è l’unica parte di questo capitolo che mi piace davvero. Io adoro mia nonna e mi piace pensare che, se fossi nella situazione di Martha, sarebbe la prima a difendermi. So che lo farebbe.

 

Piccolalilo: non so ancora esattamente che ruolo avrà Frankie... certo è che me lo vedo decisamente come un gran figo!!!

 

Beautiful_disaster:  anche io non sopporto quando i miei pretendono a tutti i costi di voler fare il mio bene quando magari nemmeno conoscono bene la situazione... ma devo ammettere che fin troppo spesso hanno ragione, per quanto questo non sia il caso della madre di Martha. È che, povera, è così bistrattata che mi sento in dovere di spezzare una lancia in sua difesa...

 

Titty90: intanto ti ringrazio per il romanzo dello scorso capitolo: mi ha fatto davvero tanto tanto piacere! Joe con la forfora degli angeli è un’adorabile canaglia, anche se mi piace molto anche il piccolo e riflessivo Kevin... E poi...chi non ama l’accoppiata Nick/Nonna???

 

Temperance

 

-Capitolo Ventidue-

 

Basta trovare il coraggio

La parte migliore del viaggio è domani

Domani...

Grandi partenze, speranze

Di avere ragione domani

Domani...

(i Pooh, Domani)

 

“Ci siete tutte e due?” Domandò Francie, cordless in una mano e cellulare nell’altra, come sempre, quando lei, Martha e Bex intavolavano le loro fantasmagoriche telefonate a tre.

“Sì, ci siamo, e sapete cosa?” Domandò Bex, nella stessa situazione dell’amica. “Dovremmo seriamente procurarci uno di quei telefoni che possono chiamare più persone contemporaneamente.”

“Parole sante.” Replicò Martha, sdraiata sul proprio letto con le gambe alzate e appoggiate contro al muro, una miriade di vestiti sparsi intorno a lei. “Mia madre è stufa che tenga occupate due linee.”

“Ragazze, ragazze, concentriamoci su questa sera.” Le richiamò all’ordine Francie. “Che fate voi?”

“Sesso.” Rispose, pronta, Beatrix.

“Ehi, parla per te!”

“Ovvio che parlo per me, Martha: le mie migliori amiche sono delle suore totali!”

“Bex, non ci interessa quanto tu e Derek vi darete da fare, ok? Volevo solo sapere se andate da qualche parte, per potermi organizzare.”

“Io vado alla festa di Lex. E ci vado con il mio ragazzo con il quale, per rigor di cronaca, non ho ancora fatto niente di niente, dato che ha il terrore che sua sorella ci colga in flagrante.”

“Ehi, non frignare, tu almeno ce l’hai un ragazzo, vero Martha?”

Beatrix ridacchiò.

“Mi sa che qui è proprio Martha quella messa meglio dal punto di vista sentimentale, eh, Mrs Jonas?”

“Bex!” Esclamò la bionda, rischiando di rotolare giù dal letto.

“Jonas?” Domandò Francie, a dir poco scioccata. Credo proprio che Beatrix avrebbe pagato per vedere la sua faccia... “Il professor Jonas?”

“Sì, Francie.” Ammise Martha con un sospiro. “Ma la ramanzina me la fai quando torniamo a scuola, eh? Ho bisogno che mi copriate, stasera.”

“Non vieni da Lex?”

“No, Bex, vado da Kevin, ma i miei non devono saperlo, visto e considerato che mi hanno proibito di vederlo. Per loro sono alla festa con voi e poi resto a dormire da Francie.”

“Perché da me?”

“E che te ne frega? Che ho detto, io? Stasera sesso!”

“Beatrix, Dio santo, non pensi ad altro!”

“E piantala, monaca che non sei altro!”

“Mar, Mar, dimmi che non andrai a letto con Jonas, ti prego ti prego ti prego...”

“Beh...” Replicò Martha, arrossendo. “Non credo di potertelo promettere...”

“Che in pratica vuol dire che non vedi l’ora.”

“BEX!” La richiamarono le amiche in coro.

“Perché non ammettiate la verità lo sapete solo voi, eh!”

“Promettimi almeno che non resterai incinta.”

“Guarda che non è che perché Kevin è più grande io ho più possibilità di restare incinta di quante ne abbia Bex con Derek, anzi...”

“Vero: con tutte le prostitute che si è fatto sarà un esperto di metodi anticoncezionali.”

“Bex, la tua delicatezza non ha confini.”

“Scusa, Mar...”

“Ragazze, seriamente, giuratemi che non farete cazzate, tutte e due.”

“Promesso!” Rispose Martha, in fretta. “Vuol dire che accetti di coprirmi?”

“Accetto, accetto...ma sappi che mi devi un favore. Un grande favore.”

“Ma... ragazze, per voi faccio bene? Voglio dire, non è da me...”

“Mar...” Rispose Bex, molto probabilmente a nome di entrambe. “Fidati, era ora che facessi qualche colpo di testa.”

“E se mi beccano?”

“Se non ci provi rimarrai per sempre con il dubbio, non ti pare?”

 

Stessa storia stesso posto stesso bar

Una coppia che conosco, ch’avran la mia età

Come va? Salutano...

(Max Pezzali, Gli anni)

 

“Sapete, è il primo ultimo dell’anno da allora che festeggio come si deve.” Affermò Joe, camminando su un marciapiede della Main, le mani affondate nelle tasche in un gesto così simile a quello di Kevin, e Frankie accanto a lui.

“Lo immaginavo, sai?” Rispose il fratello minore, voltandosi poi verso i genitori. Andiamo a bere qualcosa?”

“Non lo so... Joe, sei diventato alcolista mentre non c’eravamo?” Domandò papà, passando una mano intorno alle spalle del figlio maggiore, che sorrise appena.

“No, questa devo dire che mi manca.”

“Perfetto allora!” Cinguettò mamma, affrettando il passo e portandosi in testa al gruppo. “Andiamo!”

La Main Street di Princeton ospita più di venti locali, tra bar e ristoranti di ogni nazionalità, nightclub e chi più ne ha più ne metta, ma a volte il caso sa essere un vero bastardo e mettere le persone sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato.

O, forse, al momento giusto nel posto giusto, chissà.

Sta di fatto che nessuno aveva programmato che il primo bar a porsi sulla loro strada sarebbe stato contrassegnato da una luminosa insegna lilla con la scritta ‘Susy’s’ in morbidi caratteri rosa brillante.

Non che Frankie e Kevin Sr non fossero stati istruiti, nei dieci giorni che avevano passato a casa dei loro primogeniti, su quanto quel posto fosse da evitare come la peste, ma spesso non si può proprio fare a meno di distrarsi ed è lì che, immancabilmente, il destino gioca i suoi tiri mancini.

E Joe stesso si rese conto di essere in zona pericolosa solo quando i suoi occhi, attirati da qualcosa che mai sarebbe riuscito a definire, si volsero verso la vetrina, scontrandosi con un altro paio di occhi al di là del vetro.

Verdi.

Eliza, all’interno del pianobar, stava chiacchierando con Aaron, mentre lui le versava da bere, in attesa dello scoccare della mezzanotte, ma ammutolì di colpo quando si ritrovò, senza nemmeno sapere come, a fissare un paio di familiari, profondi occhi scuri.

Il fiato l’abbandonò per un attimo.

Poi, trovandola l’unica cosa davvero sensata da fare, alzò timidamente una mano e l’agitò appena verso di lui, che rispose ripetendo, specularmente, il suo gesto e accennando un sorriso.

“Mi manchi...” Mimò con le labbra, senza lasciare che ne uscisse suono, ma lui già non la guardava più.

 

There’s a time for everyone if they only learn

That the twisting kaleidoscope moves us all in turn

There’s a rhyme and reason to wild outdoors

When the heart of this star-crossed voyager

Beats in time with yours

(Elton John, Can you feel the love tonight)

 

Martha, fuori dalla porta di casa Jonas, tirò nervosamente verso il basso la minigonna scozzese da sotto al cappotto rosso, mentre aspettava che Kevin le aprisse la porta.

In silenzio, prese a maledire col pensiero le sue amiche che le avevano consigliato la mise per la serata. Lei non indossava gonne, accidenti, per non parlare, poi, di gonne così corte.

Si sentiva nuda con quei minuscoli pezzi di stoffa addosso, eppure aveva pensato che per Kevin avrebbe anche potuto fare un’eccezione.

Idea stupida.

Peccato che non si rendesse conto che non stava affatto male: le avrebbe reso le cose molto più facili.

“Ehi, lasciala al suo posto, quella gonna.”

Arrossendo, la ragazza alzò il capo verso la porta -che non aveva sentito aprirsi- trovandosi davanti un Kevin in camicia bianca e pantaloni neri più sorridente che mai.

Più bello che mai, è quello che, in effetti, pensò lei.

“Ciao...” Biascicò, ignorando il suo suggerimento ed alzandosi in punta di piedi per baciarlo rapidamente. “Stai davvero bene.”

“Anche tu. Vestiti così più spesso.”

“Te lo puoi tranquillamente scordare!” Rispose lei, risoluta, entrando in casa a passo di marcia.

Kevin, comunque, non le permise di lasciarlo indietro e in un attimo le fu alle spalle, liberandola dal cappotto e posandole, nel frattempo, un per nulla casuale bacio sul collo.

“Che hai detto ai tuoi?”

“Che sono ad una festa a casa di Lex Birminghton.”

“Lex Birminghton? Non l’avrei mai detto un tipo da feste.”

“Allora, io sono qui in minigonna davanti a te, ho mentito ai miei e mi sto facendo coprire dalle mie amiche perché tu mi parli di quanto festaiolo è Lex Birminghton?”

Kevin si strinse nelle spalle, allontanandosi un momento e tornando con un ingombrante piumino che aveva tutta l’aria di non essere usato da una vita.

“È di Joe, lo usavamo per andare in montagna.”

“Bene...” Replicò Martha, perplessa almeno quanto me. “E a me serve perché...”

“Tu mettila.” Rispose Kevin, sibillino, indossando a sua volta una giacca a vento. “Poi vedrai.”

Senza fare altre domande, la giovane eseguì, per poi seguire mio fratello su per le scale del condominio e fuori, nel piccolo cortile sul tetto, illuminato a stento da un paio di lampioni.

Niente a che vedere con i super giardini sui palazzi di Miami, ma comunque poetico, con il cielo sopra la testa e solo un parapetto a separarti dalla vita della città sotto di te.

“Wow!” Esclamò Martha, correndo ad affacciarsi per ammirare, rapita, le mille e uno luci dell’ultimo dell’anno di Princeton che scorrevano veloci davanti ai suoi occhi. “Non sapevo che esistesse una cosa del genere!”

Kevin si strinse nelle spalle, affiancandosi a lei.

“Quando io e Joe siamo venuti a vivere qui era già stato costruito da un po’ da un inquilino che si era trasferito da tempo. L’ha fatto lui da solo e, così come non l’hanno aiutato, gli altri non si sono nemmeno presi la briga di distruggere la sua opera . Mi piace venire qui, mi sento lontano da tutto anche se sono praticamente a casa, così lo tengo un po’in ordine, quando ho tempo.”

“È bello.” Mormorò lei, appoggiando il capo sulla sua spalla. “Ma continuo a non capire il piumino. Non andava bene il mio cappotto?”

Con un sorriso furbo, Kevin le prese una mano e l’attirò verso il microscopico fazzoletto di prato coperto di neve, per poi prenderla in braccio e mettersi a sedere, con lei, sul terreno gelato.

“Non posso sdraiarmi nella neve....” Sussurrò la ragazza, interrotta a metà frase da un bacio giocoso. “Ho le calzamaglia.”

Come se non l’avesse sentita, mio fratello si voltò di scatto, facendo scivolare Martha finché la sua schiena non si trovò a contatto con la terra, lui sopra di lei, già sulle sue labbra.

Constatato che, per non bagnare i collant, era sufficiente tenere le gambe piegate, la giovane gli allacciò le braccia dietro al collo, ricambiando il bacio con un entusiasmo animato dai brividi che la neve ed il corpo di Kevin le provocavano.

Dopo un tempo imprecisato trascorso in quella posizione, Kevin tornò a distendersi sulla schiena, facendo cenno a Martha di posare il capo sul suo petto.

“Guarda.” Disse sottovoce, come si sussurra un segreto, indicando il cielo con la mano destra, mentre la sinistra si stringeva intorno alle spalle di lei. “Le stelle...”

Martha alzò gli occhi, trovandosi di fronte una meravigliosa e limpidissima notte, rarissima, da settembre a quella parte.

“É... è....”

“Bellissimo.” Completò lui. “Come te.”

“Ehi, ora mi diventi mieloso, però.”

Kevin sorrise, posandole un bacio sulla guancia e stringendola forte a sé.

“Per niente. Dico solo la verità. Tu sei la mia musica, piccola. E questa non l’ho rubata a nessuno, è tutta farina del mio sacco.”

“Apprezzo lo sforzo.” Sorrise lei, voltandosi in modo da appoggiare entrambe le mani sul petto di lui. “Kev, devo chiederti una cosa.”

“Tutto quello che vuoi. A parte i soldi. Sono leggermente a corto.”

“Niente soldi.” Ridacchiò lei, per poi tornare immediatamente seria.

“Che c’è?” Domandò lui, preoccupato. “Qualcosa di grave.”

“No, è che... Kevin, fai... fai l’amore con me?”

                                               

Senti la gente svegliarsi piano

Fare l’amore anche con nessuno

Ascolta quello che siamo

(i Pooh, Ascolta)

 

Joe si lasciò praticamente cadere sulla prima sedia libera che trovò nel bar in cui mamma aveva deciso di entrare e chiuse gli occhi, cercando di estraniarsi dalle migliaia di suoni diversi che lo attaccavano da ogni dove.

Non sarebbe tornato a casa, quella notte.

Sarebbe andato a dormire nella stanza d’albergo dei suoi genitori, come Kevin l’aveva gentilmente pregato di fare per non rischiare di rovinare la sua serata.

Non gli dava fastidio, anzi, era convinto che gli avrebbe fatto bene uscire un po’, eppure non riusciva a non provare una certa gelosia per suo fratello, che a ricostruirsi una vita ci era riuscito.

Aveva deciso di fidarsi di Martha, di donarsi a lei, di lasciare che fosse lei, con al sua semplicità bambina, a ripescarlo dall’abisso in cui stava sprofondando.

E forse era stata proprio questa storia di cui lui non faceva parte a spingerlo a ritornare un po’se stesso.

Il prossimo passo era Eliza.

E questa volta era deciso: doveva solo parlare a Clarisse del suo cambiamento di piano.

Per intanto, si accontentava di essere lì con la sua famiglia a passare un ultimo dell’anno in grazia di Dio, finalmente, e di pensare che nel suo piccolo appartamento in centro città c’era qualcuno davvero felice.

Scuotendo la testa pensò che era strana, la natura umana.

Strana e assolutamente meravigliosa.

“Buon anno, fratellone...”

 

I know you haven’t made your mind up yet

But I would never do you wrong

I’ve known it from the moment when we met

No doubt in my mind where you belong

(Bob Dylan, To make you feel my love)

 

“No!” Esclamò Kevin, entrando a passo di marcia nell’appartamento e liberandosi della giacca bagnata.

“Ma ascoltami, almeno!”

“No, non ti ascolto, perché io non penso che tu sappia cosa mi stai chiedendo.”

“Ti sto chiedendo di dimostrarmi che non mi consideri una bambina.”

“Potrei farti male. E non sono sicuro che sia veramente quello che vuoi.”

“Non sono una bambola da collezione, accidenti!” Replicò lei, a tono, gettando a terra la giacca di Joe e correndo dietro a Kevin, che, nel frattempo, si era accomodato sullo scanchignato divano del soggiorno. Con uno sbuffo, si lasciò cadere accanto a lui, incrociandosi le braccia al petto.

“Martha, io non  credo che...”

“Kevin, voglio farlo. Voglio essere come tutte le altre donne che sono state con te, condividere gli stessi momenti, voglio...”

Kevin la zittì con un bacio, accarezzandole, poi, lentamente il viso.

“Tu sei molto, molto di più di tutte le altre donne, non devi farlo solo perché ti senti diversa, inferiore. Non è il sesso quello che conta; aspetteremo finché non sarai davvero pronta.”

“Io sono pronta.” Ribadì la ragazza, cocciuta. “E non è per dimostrarti qualcosa... so che non ne hai bisogno. Voglio farlo perché ti amo.”

Quella frase, quella minuscola frase di sole cinque lettere che Kevin non si era mai sentito rivolgere in modo tanto schietto e sincero gli disse che forse, per una volta, avrebbe dovuto realizzare i desideri di un’altra persona senza farsi sopraffare dalla paura di fare del male che gli attanagliava il cuore da quando io ero morto.

“Non devi mai, mai dirmi che mi ami con quel tono, se non vuoi farmi perdere il controllo di me stesso in maniera assolutamente vergognosa...” Sussurrò, posando una mano appena sotto alla gola di Martha e spingendola dolcemente finché la sua schiena non fu appoggiata sul non troppo morbido cuscino dello scomodo divano e stendendosi, poi, sopra di lei, coprendole la bocca con un bacio.

“Forse era proprio questo il mio obbiettivo.” Mormorò lei, allontanandolo un poco, gli occhi socchiusi in un’espressione piuttosto sognante.

“Non voglio farti del male...”

“Perché dovresti, scusa? Te l’ho detto, non sono di porcellana...”

“No, ma sei una persona semplice, onesta, vera. La mia vita non è realtà, Martha, è...”

“Smetti di pensare.”

“Come?”

Martha alzò una mano, portandola a massaggiargli la schiena in larghi cerchi, mentre con l’altra gli accarezzava i folti ricci scuri.

“Fai finta di essere ubriaco, non pensare a niente...che faresti, se non avessi freni, niente che ti blocca, che ti trattiene?”

Con un verso a metà strada tra un sospiro e un ruggito, mio fratello tornò a baciarla in maniera meno dolce e molto, molto più passionale di poco prima, passandole un braccio sotto la schiena ed attirandola a sé, in modo che i loro corpi aderissero alla perfezione.

Martha si aggrappò alle sue spalle con un braccio, mentre con la mano dell’altro iniziava, alla cieca, a sbottonargli la camicia chiara, decidendo che, almeno per quel giorno, prendere l’iniziativa sarebbe toccato a lei.

Lei era quella sicura, lei quella convinta che stare insieme, insieme davvero, non avrebbe fatto male a nessuno.

Kevin la lasciò fare, senza osare niente di più che baciarla ed accarezzarla, perché lui di fare l’amore non era capace, perché tutto ciò che aveva fino ad allora conosciuto non era altro che sesso fine a se stesso.

Lentamente, la ragazza fece scivolare l’indumento via dalle sue spalle e dalle sue braccia, lasciando che si posasse sul pavimento con un morbido ‘fluf’ e gli allacciò le braccia dietro alla nuca, alzando il capo a depositare una serie di minuscoli baci lungo l’attaccatura del collo.

Con un sospiro, la mano di Kevin che si trovava sotto alla schiena di lei si insinuò, timorosa, oltre il sottile ostacolo costituito dal suo maglione, trovandosi a sfiorarle appena la pelle nuda.

“Non pensare...” Gli ricordò Martha, parlando a voce quasi inudibile a pochi millimetri dal suo orecchio.

Annuendo piano, Kevin si mise a sedere sul divano, portandola con sé, per poi chinarsi fino all’altezza del suo ventre e risalendo con una scia di baci man mano che le sue mani la liberavano dall’ingombro della sottile maglia di lana verde scuro. Sentì con la punta del naso la pelle d’oca che appariva pian piano, pensando che era bello, bello davvero, rendersi conto di ciò che il suo tocco da solo era in grado di fare al corpo di una donna.

Una donna che non stava con lui per lavoro, ma per amore.

“Sei veramente sicura?” Domandò, mentre la sua mano destra indugiava sulla cintura della piccola gonna.

“Stai pensando.” Rispose Martha, dandogli una spinta non troppo leggera e facendolo distendere sul divano, per poi allungarsi a depositare un bacio leggero sul suo torace nudo.

“Io?” Chiese Kevin, sorridendo e dedicandosi a slacciare con decisione i due bottoni rossi dell’indumento, per poi proseguire, abbassando la corta cerniera e facendo scivolare lentamente la gonna, accompagnata dalle calzamaglia, lungo le sue gambe finché queste non andarono a raggiungere camicia e maglione sul pavimento. “Assolutamente no.”

Con un sorriso, Martha annuì e tornò a baciarlo sulle labbra, mentre lui le cingeva piano le spalle, stringendola a sé e capovolgendo nuovamente le posizioni.

“Sai...credo di amarti...” Bisbigliò all’orecchio di lei, per poi chinarsi a posarle un bacio sulla pelle delicata tra i seni.

“Credi?” Mormorò Martha, non appena l’aria tornò ad alimentare i suoi polmoni dopo il quasi arresto cardiaco che le aveva dato quella mezza dichiarazione unita ad un piacere sognato ma mai sperimentato.

“Credo di essere dannatamente sicuro di amarti. Meglio?”

La ragazza annuì, mentre anche lui iniziava a liberarsi dei pantaloni.

“Lascia.” Disse poi, posando una mano sulla sua. “Faccio io.”

Kevin annuì, tornando a cercare il punto più sensibile del suo collo, mentre lei gli sfilava lentamente gli eleganti pantaloni scuri, trattandoli con lo stesso riguardo che avrebbe riservato ad una pezza.

Poco a poco i baci di entrambi presero a diventare molto più vivi, più passionali e le mani di Kevin si avvicinarono al reggiseno di Martha, chiedendole tacitamente, con lo sguardo, il permesso di superare anche quell’ostacolo.

E lei glielo diede, quel permesso, annuendo appena e socchiudendo gli occhi, un po’per la vergogna di offrire completamente il proprio corpo a qualcuno, un po’ per godere al massimo di ogni singolo istante, ogni sensazione che le dita di lui le donavano, correndo morbidamente sulla sua pelle delicata.

“Non mi guardi?” Chiese Kevin, tornando a baciarla sulle labbra, mentre le sue mani si occupavano di torturare dolcemente la pelle appena scoperta.

Separandosi appena da lui, Martha scosse piano la testa.

“Ti conosco a memoria.”

“Guardami.”

“Perché?” Domandò lei, aprendo gli occhi e trovandosi, ancora una volta, totalmente persa in quelli di lui.

“Perché è anche la mia prima volta... e non voglio perdermi assolutamente niente.”

Di slancio, la ragazza gli gettò le braccia al collo, colpita da quell’affermazione tanto meravigliosa quanto inaspettata, e lo strinse forte, andando pericolosamente vicina a farlo rovinare sopra di lei.

“Attenta...” Mormorò lui, sulle sue labbra, insinuando una mano appena oltre l’orlo delle sue mutandine, facendola trasalire.

Kevin ridacchiò, posandole un leggerissimo bacio sul naso.

“Sei cosciente di essere bella da far male?”

“Credo che tu sia l’unico sulla faccia della Terra a pensare di me una cosa del genere.” Replicò lei, stringendo il polso di lui con una mano e spingendolo verso il basso, facendogli capire che non aveva paura, che di lui si fidava.

“Bene...” Annuì Kevin, chinandosi a depositarle una scia di baci dall’attaccatura del collo all’ombelico. “Perché sono molto geloso.”

Martha si concesse una risatina leggera, tra il divertito e il nervoso, mentre le mani grandi e delicate di Kevin la liberavano anche dell’ultimo indumento, facendo in modo che il suo viso assumesse almeno una decina di diverse sfumature di rosso.

“Sì, sei semplicemente adorabile.”

“Scemo.” Replicò la ragazza, colpendolo con uno scappellotto giocoso. “E così non vale, tu ancora qualcosa addosso ce l’hai.”

“Risolviamo subito.” Ribatté lui con un sorriso sornione.

Il sentire Kevin che armeggiava per togliersi i sottili boxer neri la fece arrossire, se possibile, ancora di più, spingendola a domandarsi per l’ennesima volta che accidenti ci facesse lei, diciottenne imbranata, stesa sul divano di un rinomato playboy trentenne, senza vestiti addosso, che, oltretutto, sembrava sinceramente innamorato di lei.

E a rispondersi che non gliene fregava assolutamente niente.

“Tu sai di essere irrimediabilmente mia, vero?” La raggiunse la voce di Kevin da qualche parte nei pressi del suo basso ventre dove le stava facendo qualcosa di non meglio definito che, comunque, riuscì a privarla persino del fiato necessario a rispondere a quell’affermazione.

Tutto ciò che fu in grado emettere, oltre ad un sospiro che le sfuggì non richiesto, fu il nome di lui, esalato come un alito di vento, mentre affondava entrambe le mani nei suoi capelli.

“Sono qui.” Replicò lui, captando la sottile nota di paura che quel richiamo celava e tornando a guardarla negli occhi. “Sempre, per te.” Concluse, intrecciando la mano destra con la sua sinistra e facendo aderire perfettamente il proprio corpo a quello di lei.

E suppongo che qui sia il caso di lasciare un po’di privacy al mio fratellone. Dopotutto, potete immaginare da soli come sia andata a finire, no?

 

C’è un respiro in più

Nell’alba, sei tu

Sei nata qui, stanotte così

Ed ogni giorno nascerai

Tra le mie braccia

(i Pooh, Nascerò con te)

 

 

Continua...

 

 

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Capitolo 23
*** - capitolo ventitrè - ***


Ed eccoci qui.

Questo è un capitolo di transizione... ma la notizia è che è l’ultimo prima dell’ultima tranche della storia! Eh già, è l’inizio della fine... una fine che, comunque, non vi preoccupate, dovrebbe durare ancora una decina di capitoli!

Oggi è giorno di ricerche, per cui non sto a ringraziarvi una per una, dato che specchi e scienze forensi mi aspettano... ma ovviamente dico grazie a tutte le mie 18 commentatrici, a chi legge soltanto e ai 47 che mi tengono tra i preferiti!

Un bacio a tutti

Temperance

-Capitolo Ventitrè-

 

Certe notti se sei fortunato

Bussi alla porta di chi è come te

(Luciano Ligabue, Certe notti)

 

Francie si lasciò cadere, sfinita, sul letto che trovò nella prima camera in cui entrò e chiuse gli occhi, lasciandosi alle spalle il trambusto della festa, al piano di sotto.

Senza alzarsi, lanciò il capo all’indietro, soffermandosi sui numeri rossi che la sveglia proiettava sulla parete bianca.

Le sei.

Che ci faceva lei, la brava ragazza per antonomasia, alle sei del mattino a casa di un ragazzo a cui aveva rivolto la parola sì e no due volte?

Bex e Derek se n’erano già andati da un pezzo e in quel momento, pensò con un filo di gelosia più amara del dovuto, erano di certo impegnati a godersi la loro tanto agognata prima volta insieme.

“Beati loro...” Mormorò, mettendosi a sedere e affondandosi le mani nei lunghi capelli scuri.

Stufa.

Non avrebbe potuto trovare migliore per definire il proprio stato d’animo.

Era stufa di essere l’amica responsabile, stufa di dispensare consigli senza chiederne mai.

Stufa semplicemente di essere se stessa.

Persino Martha, che era sempre stata più timida ed impacciata di lei, ora stava vivendo una storia degna di qualsiasi romanzo di quelli in cui lei amava sprofondarsi.

Avrebbe dovuto essere per loro, pensò, quasi rimproverandosi; erano le sue migliori amiche, dopotutto, ma quella volta proprio non ce la faceva. Si sentiva un’ingrata nei confronti di tutte le persone che le volevano bene, che per lei avevano dato tanto... ma quando, quando sarebbe stato il suo turno di essere davvero felice, davvero innamorata?

Me lo chiedevo anche io, lo sai, Francie... finché non è arrivata Karin. Lei è stata importante per me; davvero importante, per quanto molti pensano che i giovani non siano capaci di amare davvero. Avevo diciannove anni quando l’ho conosciuta.

Venti quando si è trasferita in Europa per seguire il suo sogno.

In settembre ne compirò venticinque e lei, in qualche modo, ancora è con me.

Anche se, da quando è partita, non ci siamo visti più.

Anche se me ne sono andato senza salutarla.

Vedi, Francie, questo è l’amore che cerchi. Non posso dirti di essere sicuro che lo troverai e che lo farai presto... ma posso darti un consiglio: a volte guardare troppo lontano non serve.

A volte la porta che ti è più vicina è proprio quella pronta ad aprirsi per te.

Chissà, magari è proprio quella della stanza dove ti trovi...

“Ciao.” Salutò Lex, facendo capolino nella camera. “Posso entrare? Non ne posso più del trambusto che c’è là sotto.”

Francie sorrise e si strinse nelle spalle.

“È casa tua... non mi devi chiedere il permesso.”

Il giovane sorrise e si chiuse la porta alle spalle, andando, poi, a sedersi sul tappetino davanti al letto.

“Scappo dalla mia stessa festa... sono patetico.”

“Beh, siamo in due... possiamo sempre farci compagnia, no?”

 

E se non avrai da dire niente di particolare

Non ti devi preoccupare, io saprò capire

A me basta di sapere che mi pensi anche un minuto

Perché io so accontentarmi anche di un semplice saluto

Ci vuole poco per sentirsi più vicini

Tu scrivimi

(..........., Scrivimi)

 

Con gesto rabbioso, Joe accartocciò l’ennesimo foglio di carta da lettera, lanciandola, poi, nel cestino ai piedi dello scrittoio nella suite dei suoi.

Sapeva che non sarebbe stato facile, ma in quel momento gli sembrava più che altro tendente all’impossibile.

Joe e le lettere non hanno mai avuto un rapporto...come dire... idilliaco, ma si sono sempre sopportati a vicenda. Questo, forse, però, solamente perché non aveva mai dovuto scrivere qualcosa di così tremendamente difficile.

E dire che si trattava solamente di un biglietto d’auguri di buon anno... In effetti, era il destinatario, il problema.

La destinataria, a dire la verità.

Sospirando ed asciugandosi una lacrima di rabbia, estrasse dal secretaire l’ennesimo foglio e vi tracciò la data, sentendosi un po’come quei poeti maledetti che scrivevano alla luce di una candela mentre il resto del mondo dormiva.

Che il resto del mondo, in quel caso, fossero mamma, papà e Frankie, non contava assolutamente nulla: l’effetto era lo stesso.

Prima di ricominciare a scrivere, lanciò un’occhiata nel cassetto che conteneva la carta intestata dell’albergo: due fogli. Ne erano rimasti solamente due.

Con uno sguardo sconsolato al cestino della spazzatura in cui giacevano gli altri diciotto che avevano composto la risma, fece scattare la molla della penna ed iniziò a rosicchiare l’estremità di questa con fare decisamente nervoso.

Era la sua penultima possibilità: non doveva sbagliare di nuovo.

Due ore e un foglio più tardi, il sole stava sorgendo e la lettera era pronta per essere consegnata alla destinataria.

Rapidamente, Joe si infilò il cappotto ed uscì dall’hotel, il volto nascosto per metà dietro ad una sciarpa di lana bianca che gli aveva regalato papà per Natale e la leggera busta di carta di riso ben stretta tra le mani.

Non andava a casa sua da anni, ma ricordava perfettamente dove si trovasse.

Non sarebbe salito: per questo ancora non era tempo, ma almeno stava per riprendere un benché misero contatto con lei.

Davvero non avrei potuto essere più fiero del mio fratellone numero due.

 

Senti i respiri del mondo

Se questa notte non stai dormendo

Lettere scritte piangendo

E magari c’è chi le sta leggendo

(i Pooh, I respiri del mondo)

 

Eliza si sedette sulle scale del condominio senza nemmeno prendersi la briga di risalire nel suo appartamento.

Con gli occhi sgranati scrutò più volte la piccola busta che aveva trovato nella cassetta delle lettere quando, alle otto, era tornata dal turno di notte, sfiorando la carta chiara come per accertarsi che fosse reale, accarezzando con lo sguardo la calligrafia disordinata e nervosa in cui il suo nome era vergato.

Niente indirizzo, nessun francobollo.

Solo quel nome scritto in inchiostro nero che gridava Joe più forte di quanto qualsiasi voce umana avrebbe mai potuto fare.

Nessuno conosceva quella scrittura meglio di lei... lei che aveva mille e mille volte tentato di cambiarla.

 

“Ho visto galline che scrivono meglio di te.” Si lamentò Eliza, strizzando gli occhi per cercare di decifrare ciò che il suo migliore amico aveva per lo meno tentato di mettere nero su bianco. “Mi arrendo.” Soffiò infine, lasciando cadere il foglio sul tavolo.

“Ma Lizzy, è importante!” Si lamentò Joe, rivolgendole il suo migliore sguardo da cucciolo abbandonato. “La devi leggere per forza!”

“Mi dispiace, Joe, non ci riesco. Tu riscrivila e io la leggo, ok?”

Joe sbuffò, alzandosi in piedi di scatto e recuperando la propria lettera con gesto adirato.

“Ci ho impiegato tre ore a scriverla. Potresti anche fare uno sforzo, non credi?”

E poi fu fuori dalla stanza.

Eliza sospirò, accasciandosi sul tavolo.

L’aveva capita eccome, quella lettera, ma la loro amicizia era troppo importante per lasciarla affogare nella poesia di un semplice ti amo.

 

A quel ricordo, la giovane donna scosse la testa, mentre una fitta di nostalgia la colpiva in pieno petto, più dolorosa di una pugnalata.

Chissà che sarebbe successo, se quel giorno di tanti anni prima lei a Joe avesse rivelato quello che davvero provava. Forse sarebbero rimasti insieme, forse il loro amore sarebbe sopravvissuto anche alla mia morte...e forse a quest’ora avrei dei nipotini.

Ma la storia non si scrive sui forse, né quella che si legge nei libri né quella delle singole anime e lei, purtroppo, quel giorno di tanti anni prima sul libro della sua storia personale aveva scritto no., perché allora pensava che amare il suo migliore amico fosse qualcosa di totalmente sbagliato, privo di senso, persino un po’immorale.

Ma ora, ora quell’errore non l’avrebbe ripetuto, perché ora sapeva che il suo migliore amico era l’unico che avrebbe mai potuto amare.

Ora avrebbe letto.

Con gesto deciso fece passare un dito sotto al lembo che chiudeva la busta, separandolo dalla parte sottostante, ed estrasse il leggerissimo foglio di carta intestata, perdendosi per un attimo nell’intreccio dello stemma dell’hotel e sorridendo al pensiero che, in qualche modo, quell’arzigogolato scudo araldico le risultava più che familiare o, per lo meno, simile ad uno che da ragazza aveva conosciuto molto, molto da vicino.

Le iniziali JB all’interno erano state sostituite da una P ed una H ed i ricami erano un po’diversi, ma lo stile era quello e lei sarebbe rimasta ore a cercare somiglianze e differenze, anche solo per rimandare il più possibile la lettura di quelle poche righe che le facevano così paura.

Tuttavia, aveva deciso di farlo ed Eliza Doolittle non è e non è mai stata una che si lascia scoraggiare facilmente.

 

Liz,

sono ore che cerco di scrivere questa maledetta lettera che proprio non ne vuole sapere di nascere... ma è il primo giorno di un anno che spero sarà diverso e tu mi odi, totalmente a ragione.

Io questo non lo sopporto, ma tu hai tutto il sacrosanto diritto ed anche il dovere di farlo.

Quindi tu ora ti starai chiedendo che scopo ha questa cosa... la verità è che non lo so.

Forse volevo solo farti gli auguri... o forse volevo dirti molto di più.

Davvero, non lo so.

Quindi mi limito alle basi...sperando che tu riesca a decifrare la mia micidiale zampa di gallina.

Buon anno, Eliza, buon anno con tutto il cuore.

Danger

 

Potremo dire forte che esistiamo

Che il nostro è amore e non ci nascondiamo

Troveremo cieli senza scale

Ci dovremo arrampicare

Tutto il resto è vita e si vivrà

E adesso abbracciami...

(i Pooh, Cosa sarà di noi)

 

Martha aprì piano gli occhi nella luce impertinente che irrompeva dalla finestra, la cui tenda era stata appena spostata da un Kevin in pijiama, vestaglia e pantofole che ora era seduto sul bordo del letto, accanto a lei, e la guardava con negli occhi la stessa meraviglia che avrebbe provocato la vista della pentola d’oro alla fine dell’arcobaleno.

“Buongiorno!” La salutò, sorridendole e facendole una carezza delicata sui ricci spettinati. “Bellissima già all’alba delle dieci del mattino, eh?”

“Le dieci?” Domandò Martha, interrompendosi, poi, per lasciare spazio ad un sonoro sbadiglio.

“Le dieci.”

“Bellissima, poi... se mi conosco bene, sembrerò il re leone nei suoi momenti migliori.”

“Beh, a me il re leone piace, problemi?”

La ragazza si strinse nelle spalle, spingendosi, poi, su un lato del piccolo letto per permettere a Kevin di stendersi accanto a lei.

Cosa che lui, peraltro, eseguì, immediatamente, infilandosi velocemente sotto le coperte e lasciando che Martha si accoccolasse nel suo abbraccio, deliziato dalla tinta che il volto di lei aveva assunto al percepire la leggera ruvidità della stoffa contro la pelle nuda.

“Forse dovrei mettermi qualcosa addosso...” Suggerì, cercando di sottrarsi alla stretta di lui, ma finendo solamente per ritrovarsi bloccata ancora più saldamente.

“Il mio piumino tiene caldo a sufficienza, credo. E poi, per quanto allettante sia l’idea di guardarti mentre ti rivesti, io con te non ho ancora finito, signorina.”

“Ma io mi vergogno!” Piagnucolò lei, nascondendo la testa contro il braccio di lui.

“Ti...vergogni? Non ti vergognavi, tanto, ieri sera, di là.”

“Ieri sera non sapevo di essere un tale disastro.”

“Disastro... che stai dicendo?” Chiese Kevin, perplesso, reclinando il capo da un lato.

“Parlo di ieri sera, Kevin. Sul divano. Non sei rimasto a dormire con me aspettando che mi svegliassi e questo vuol dire che se non sono stata uno sfacelo totale ci sono andata molto vicina.”

Kevin sbatté un paio di volte le palpebre, prima di sorridere e chinarsi a posarle un bacio sui capelli chiari.

“Io ho dormito con te. Siamo rimasti sul divano fino alle tre, quando mi sono svegliato con un mal di schiena assassino. Non ho più quindici anni, sai? Allora ti ho portata qui e ho ripreso a dormire. Mi sono alzato un quarto d’ora fa per andare in bagno e preparare la colazione...”

“Quindi non sono stata un cataclisma.”

“Ma no, fifona! È stato...”

“Non dirmi il miglior sesso della tua vita perché non ci credo nemmeno se lo vedo.”

“Non stavo per dire quello.” Replicò lui, alzando gli occhi al cielo.

“E allora che cosa?”

“É stato diverso. Diverso in positivo, eh! Tu sei... inesperta, non avevi la minima idea di come muoverti, ma devo ammettere che io non ero da meno, quindi...”

“Ci toccherà esercitarci.” Suggerì Martha, rassicurata, riemergendo dal suo nascondiglio.

“Oh, temo di sì.” Le tenne il gioco Kevin, sorridendo maliziosamente. “Mi offro per darti ripetizioni.”

“Grazie, prof.” Mormorò la giovane, appena prima di posare le labbra sulle sue... senza dimenticare di tenersi un lembo di lenzuolo ben fermo davanti al seno.

“Una bella A più.”

“In che cosa?”

“Baci, no? Signorina Sheperd, stia attenta... o vuole un altro brutto voto dovuto alla sua distrazione?”

“Non sia mai!” Scherzò Martha, accomodandosi meglio con il capo poggiato all’altezza del cuore di lui. “Facciamo un gioco?”

“Un gioco?” Ripeté Kevin, stringendo un po’di più le braccia intorno al suo corpo. “Che gioco?”

“Del mettiamo che.”

“Il gioco del mettiamo che... d’accordo, comincia tu.”

Martha annuì, corrugando leggermente la fronte per pensare.

“Mettiamo che mia madre non fa quella telefonata. Mettiamo che accetta la nostra storia.”

Kevin le accarezzò i capelli con un sorriso tra il dolce e il malinconico.

Quanto, quanto voleva bene a quella ragazzina...

“Mettiamo... che vieni a vivere con me.”

“Mettiamo che ricominci a suonare e venire a scuola non ti serve più.”

“Mettiamo che scappiamo insieme...”

“Kevin, sei un insegnante!” Ribattè Martha, falsamente scandalizzata.

“Eh beh? Se ricomincio a suonare ti posso far finire gli studi in tutte le scuole che vuoi, no? Dove ti piacerebbe andare?”

“In Francia... o in Italia.”

“In Italia. Mettiamo che andiamo in Italia.”

“Mettiamo che ci sposiamo...”

“No.” Dichiarò Kevin, a sorpresa, facendo sì che lei sgranasse gli occhi.

“Come... perché?”

E fu allora che lui, intenerito dall’espressione semi terrorizzata di Martha, si sciolse nel sorriso più dolce che io abbia mai visto sul suo viso.

Il più bello, in assoluto.

“Perché io te lo prometto, che ci sposiamo.” Rispose, dandole un bacio a stampo sulle labbra ancora socchiuse. “Tu inizia a diventare maggiorenne, che al resto ci penso io.”

“Adesso quasi non mi sembra possibile che un giorno non ci dovremo nascondere più.”

“Spero che sia presto, perché, ora come ora, tutto quello che vorrei è poter gridare al mondo che ti amo e che me ne sbatto di tutto quello che pensano gli altri.”

“Kevin...”

“Sì?” Replicò lui, girando il capo per guardarla negli occhi... e sorridendo al trovarli commossi come mai avrebbe immaginato. “Ehi, hai la lacrima facile, tu!”

“L’hai detto....”

“Che cosa?” Chiese Kevin, realmente disorientato.

Martha scosse il capo, voltandosi ed appoggiandosi sul suo petto, un gran sorriso dipinto in volto.

“Niente... che ne dici di iniziare quelle ripetizioni?”

 

I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno

Essi sono altrove, molto più lontano della notte

Molto più in alto del giorno

Nell’abbagliante splendore del loro primo amore.

(Jacques Prevert, I ragazzi che si amano)

 

Beatrix si sedette sul letto con uno sbuffo contrariato, mentre Derek ancora dormiva beatamente, bellamente spaparanzato su tutta la superficie del materasso.

Una delusione, ecco che cos’era stato quel capodanno per lei; una vera e propria delusione con i fiocchi.

La festa di Lex era il più rumoroso e fastidioso nugolo di persone di cui avesse mai fatto parte ma, ciononostante, non era riuscita a portare via Derek prima che questi si fosse scolato una sufficiente quantità di alcolici da mandare in crisi una squadra di football e, in conseguenza di ciò, i suoi piani per una mezzanotte romantica e un post mezzanotte decisamente pepato erano andati a farsi friggere insieme al suo buonumore.

Non era una ragazza superficiale o malata di sesso... voleva semplicemente passare una serata speciale con una persona altrettanto speciale ma, evidentemente, erano ben in pochi, lassù, a dare ascolto ai piani che lei proponeva.

Avrebbe potuto lasciarlo da Lex, avrebbe potuto fuggire ed abbandonarlo, ma non lo aveva fatto.

E non lo aveva fatto perché quella volta era fregata, fregata del tutto, nonché totalmente ed irrimediabilmente innamorata.

Quindi era lì, seduta sul letto della stanza d’albergo più economica che aveva trovato, in una situazione piuttosto squallida, ma con un sorriso intenerito dipinto in volto al vedere l’espressione rilassata di lui.

“Sei proprio un deficiente.” Mormorò, chinandosi a posargli un bacio sullo spruzzo di lentiggini che gli ricopriva la punta del naso.

“Bex...” Mormorò lui, senza svegliarsi, passandole un braccio intorno alla vita.

“Ci sono, ci sono, razza di stupido.” Rispose la giovane, stendendoglisi accanto, calciando lontano le scomode scarpe che non aveva ancora avuto il tempo di togliersi ed accoccolandosi nel suo abbraccio incosciente.

E, sospirando, pensò che, dopotutto, il capodanno avrebbe potuto anche essere peggiore.

Avrebbe potuto essere sola, lontana da lui e invece era lì, stretta tra le sue braccia.... e poi il primo di gennaio era appena all’inizio: avevano tempo per fare tutto quello che volevano.

Tutto il tempo del mondo.

 

Continua...

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 24
*** - capitolo ventiquattro - ***


Ed eccoci, dopo il romantico capodanno, a tornare nel vivo della storia. Perdonate se aggiorno un po’meno di frequente, ma ultimamente faccio un po’più fatica di prima a scrivere, un po’per gli impegni, un po’perché manca l’ispirazione... ma non vi preoccupate, non vi abbandono!

Ora, un annuncio di servizio: come Vitto_LF mi ha fatto notare (glasshie sore) nello scorso capitolo mi sono dimenticata di mettere chi è l’autore della canzone Scrivimi, quindi ovvio qui: si tratta di Nino Buonocore.

Ed ora i grazie!!!!

 

Intanto, un grazie speciale a tutti i 49 che mi tengono tra i preferiti... mai nemmeno sognata una cifra così e sono felice, ma felice di avvero, di averla raggiunta con questo racconto in cui davvero sto mettendo tutta me stessa e anche qualcosa di più, come le mie cognate 1 e 3 ben sanno.

 

Tay_: intanto grazie per la doppia preferizzazione XD e poi, beh, un po’di dolcezza sparsa qua e là ci vuole, no?

 

Selphie: anche io capisco bene Francie, per quanto nel mio gruppo solo una sia fidanzata... sono veramente stufa di stare da sola, ma tant’è e con le fiction mi sfogo piuttosto bene, devo ammettere. Il gioco del Mettiamo che è stato preso in prestito dal bellissimo e struggente “Sette anime” che io davvero consiglio a tutti di vedere. In quanto alla preside... leggi e sarai accontentata!

 

Lyan:  grazie per i complimenti! Sarò immodesta, ma io le mie coppie le adoro tutte, nessuna esclusa...e sia Joe che si firma Danger sia Kevin che nemmeno si rende conto di aver detto ti amo sono... aw!

 

Sbrodolina: tranquilla, il tuo appello è stato ascoltato e Chris sta per tornare... in questo capitolo con una piccola parte, ma con tanti sketch nel prossimo!

 

Jeeeeee: allora, non ti preoccupare, Joe ed Eliza troveranno spazio nei prossimi capitoli, Martha e Kev lotteranno, e non poco, per il loro amore e i capitoli forse non saranno solo dieci, ma non prometto niente... non so davvero quando finirà!

 

Sweet_Doll: e tu continua a sperare, che non si sa mai! XD

 

Vitto:  allora, intanto perdonami, ma io tutta questa somiglianza tra Joe e Tom proprio non ce la vedo però, boh, punti di vista. Maaaaaaaa....ti piace la coppia di Joe e Liz? No, perché mi era sembrato di capire così da quel faccino sbrilluccicoso XD  Hai visto, vero, che Fillide l’ho commentata?

 

Beautiful_disaster:  cioè, e quando le righe sono tante che scrivi, la divina commedia 2? Sai, sono particolarmente fiera del “mio” Nick, del Nick di questa storia, perché renderlo così non è stato e non è affatto facile, a volte mi dimentico che è lui a narrare, eppure lo sento più vicino a me di tutti gli altri personaggi, perché, alla fine, è lui che dice come stanno, secondo me le cose, o no?

 

Alexya379: tutte voi che avete la condanna/fortuna di avere i capelli ricci, temo... io massimo massimo arrivo ad assomigliare ad un porco spino o un cacatua, ma un leone mai XD

 

Smemo92: o.O perché la felicità di Martha e Kev finirà presto? Comunque, non dare troppo per scontato su nessuno dei personaggi, perché non tutto è quel che sembra...

 

Razu_91: Ma lo sai che a Lex Luthor non ci avevo proprio pensato? Beh, probabilmente lo avrei scelto comunque, dato che, quando guardavo Lois&Clark, era uno dei miei personaggi preferiti. Comunque sì, riconosco che nomi e titoli non sono proprio i miei migliori amici.

 

3: Dicesi capitolo di transizione uno in cui non ci sono eventi rilevanti per la storia... ok, c’è la lettera, ma per il resto è abbastanza piatto anche se, Nick mi perdoni, da diabete XD Mi spiace, ma io ai commenti così lunghi non riesco a rispondere in maniera decente quindi... grazie. Grazie e basta, ma dal cuore

 

1: stesso discorso che ho fatto per la 3, non posso dirti che grazie per questo commentone fatto riga per riga. Lo apprezzo tanto, perché spendi (spendete) del tempo per me, e non poco e questo è meglio di tutti i complimenti di questo mondo. Vi’mo!!!

 

Rachelle: anche io amo la prima parte per come sono riuscita a renderla, credo sia la mia creatura migliore, in assoluto, ma, per quanto io ami tutte le mie coppie, devo dirti che la mia preferita è quella composta da Joe e Liz, perché è la più vera. E qui permettimi di spendere due parole per difendere la mia Liz, che può non piacerti, ma che io ci tengo che tu capisca. Eliza non è debole. In una mia storia tu non troverai mai un personaggio debole, perché io sono piuttosto cinica e detesto le persone che non credono in loro stesse, che non sanno usare le proprie forze, quindi non scriverei mai di una persona così. Eliza è una donna forte, che ha subito il peggio che la vita possa dare e che non si è mai arresa. Molti sarebbero caduti in depressione, al suo posto, ma lei ha lottato e bada che non si è mai, mai pianta addosso, come hai detto tu. Non riuscendo a cambiare il mondo, ha provato a cambiare se stessa, ma questa è forza, non debolezza. Lo so: Liz sono io.

Temperance

 

-Capitolo Ventiquattro-

 

E mi sento come chi sa piangere

Ancora alla mia età

(...)

E vita mia che mi hai dato tanto

Amore gioia dolore tutto

Ma grazie a chi sa sempre perdonare

Sulla porta alla mia età

(Tiziano Ferro, Alla mia età)

 

“Quindi, per concludere, della tradizione del canto natalizio fanno parte melodie ed odi provenienti da tutto il mondo, per quanto il paese che ne ha prodotti in maggior numero rimanga...” La fine del discorso di Kevin fu interrotto da un paio di colpi forti e decisi alla porta. “...la Germania. Avanti!”

Ora, è da sapere che non è che Kevin non avesse mai pensato al fatto che, prima o poi, la preside lo avrebbe chiamato nel suo ufficio in seguito alla telefonata della madre di Martha, ma fu solo quando vide il volto tirato di Christian fare capolino nella sua classe che si rese conto che quel momento era arrivato... e che lo aveva colto totalmente impreparato.

Con tutto il trambusto di quei giorni, dalla nostra famiglia che era tornata a Wyckoff agli incontri clandestini con Martha, non aveva avuto nemmeno il tempo di pensare, figurarsi di programmare come avrebbe risposto alla sua superiore...

E ora era più che certo che non ce l’avrebbe fatta. Non ad inventarsi una scusa plausibile, per lo meno.

“Che farai?” Gli domandò Christian, neanche gli avesse letto nel pensiero. “Voglio dire, non hai intenzione di lasciarti licenziare, vero?”

Kevin sospirò, passandosi una mano tra i ricci scompigliati e forse troppo lunghi.

Ci mancava solo il doversi tagliare i capelli, adesso.

“Vuoi la verità? Non ne ho la più pallida idea.”

“Rassicurante.”

Kevin scosse la testa con un sorriso che non riuscì a trasmettere altro che amarezza.

“Allora? Kev, la presidenza è in fondo al corridoio e io non lascio andare il mio amico in contro al suo destino senza sapere se vuole offrirgli un caffè o farsi buttare nella fossa dei leoni.”

“Cosa vuoi che ti dica, Chris? Dirò la verità.”

“Quindi fossa dei leoni.” Replicò il biondo, alzando gli occhi azzurri al cielo.

“No, sincerità. Qualcuno, una volta, mi ha detto che paga bene.”

“Scommetto che non sono stato io.”

Kevin ridacchiò, questa volta senza sforzi.

“No, a meno che tu non ti chiami Denise Jonas.”

“Tua sorella?”

Kevin scosse il capo, appoggiando la mano sul pomolo della porta della presidenza.

“Mia madre.”

E poi sparì.

 

Morghana Fleming non era il tipo di insegnante di cui tutti avevano paura.

Era quello di cui tutti, studenti ed insegnanti, avevano un sommo, sacrosanto terrore.

Magra e piuttosto alta, capelli corti e grigi, occhi di un verde vivissimo, circondati da una montatura rigorosamente firmata, il collo mai scoperto.

Non esattamente l’immagine della libertà di pensiero, insomma.

E questo non rassicurava affatto Kevin.

Né me.

“Buongiorno professor Jonas.” Lo salutò, senza alzare gli occhi dai fogli che stava esaminando.

Pagelle, dedusse Kevin.

“Buongiorno, signora Fleming. Desiderava vedermi?”

“Signorina.” Corresse la donna, trapassandolo da parte a parte con uno sguardo perforante.

°Lo immaginavo, chissà perché...°

Kevin, a cuccia! Devi fartela amica, ricordi? Non darle della zitella acida!

“E comunque, sì, desideravo vederla. E lo desidero ancora, quindi si sieda.”

Mio fratello eseguì, muto, appoggiandosi sulla punta di una sedia dall’aria scomoda, in una posizione che rispecchiava totalmente il suo stato d’animo.

Ossia teso.

Teso come una corda che sta per saltare.

“Presumo che lei sappia perché si trova qui.”

Kevin annuì lentamente, sostenendo lo sguardo del suo capo.

Che annuì a sua volta.

“La signora Sheperd era piuttosto sconvolta dalla relazione che lei intrattiene con sua figlia Martha. Ora, mi dica, professore: corrisponde a verità, questa storia? O devo semplicemente dire alla signora che sua figlia è al sicuro e che non avrà ulteriori problemi?”

E la corda si spezzò.

“Può dire alla signora Sheperd.” Cominciò, chiudendo le mani a pugno e pizzicandosi appena la stoffa dei pantaloni. “che Martha è al sicuro e che non avrà ulteriori problemi.”

“Oh, benissimo, ero sicura che fossero tutte vo...”

“Ma è altresì vero che la storia che le è stata raccontata corrisponde, in linea di massima, a verità.”

La Fleming lo guardò, per nulla smossa, per un paio di secondi, poi intrecciò le mani sulla scrivania e puntò gli occhi in quelli di lui.

“Ha una relazione con una sua alunna, professore?” Domandò, calcando particolarmente sull’ultima parola.

“Sì, professoressa.” Rispose lui con lo stesso tono, quasi a sottolineare che era solo un caso che, tra i due, la superiore fosse lei. “E se questo per lei è un problema me lo dica subito, così svuoto il mio cassetto e lei si attiva per cercare un nuovo insegnante. Non vorrei mai che restasse con una materia scoperta.”

“Non le sembra di correre troppo, Kevin?”

“Prego?”

“Mi lasci capire bene. Lei non ha intenzione di interrompere la sua relazione con miss Sheperd.”

Kevin annuì, sicuro.

“E sarebbe pronto a rinunciare ad un lavoro per cui ha fatto domanda decine di volte per lei?”

“Temo che la risposta sia di nuovo sì.”

La donna annuì lentamente, per poi tornare a guardarlo con quegli occhi così taglienti da far male.

“Non posso dire di capirla, se devo essere sincera.”

“Vorrà dire che lei non è mai stata innamorata, signorina Fleming.”

La preside lo scrutò ancora per qualche istante, poi si tolse gli occhiali e si sporse un po’di più sulla scrivania, stringendo gli occhi.

“Lei non mi piace, Jonas.” Sibilò, appena udibile. “E non mi piace perché non solo è un bambino viziato ed arrogante, ma è molto peggio: è un bambino viziato, arrogante ed innamorato. E l’amore è debolezza, Jonas, perché porta a commettere sciocchezze di cui poi ci si pente. Amaramente.”

“Io sono stato un bambino viziato ed arrogante, signorina Fleming. Ero ricco, famoso, era impossibile non essere almeno un po’pieno di me. È stato un periodo della mia vita, tutto qui. E ora è finito. Ora sono un uomo, professoressa, e gli eventi mi hanno insegnato che l’arroganza non porta da nessuna parte, mentre la sicurezza è fondamentale. E io sono sicuro. Perché, se ora lei mi licenzia, di scuole ce ne sono altre mille, ma Martha è una sola e io a lei non rinuncio.”

La Fleming annuì, lentamente, tornando ad appoggiare la schiena alla sedia.

“Rimango della mia idea, Jonas, lei non mi piace, ma mi colpisce. Ammiro la sua forza d’animo, la invidio, un poco. E poi devo ammettere che non ho mai avuto un insegnante capace di interessare gli alunni come sa fare lei, di coinvolgerli e non ho nessuna intenzione di lasciare che lei se ne vada. La storia tra lei e la signorina Sheperd è... immorale, ritengo, ma non sta a me giudicare. Per tanto, non è licenziato.”

Kevin sgranò gli occhi, visibilmente sorpreso.

“Posso...posso restare?”

“Sì, ma non insegnerà più al college. Le lascio medie e high school. È d’accordo?”

“Posso restare.” Ripetè Kevin, come si pronunciare quelle parole servisse a rendere la notizia più reale.

“Sì, può restare.” Sorrise appena la preside, forse un po’intenerita da quello stupore che non faceva nulla per nascondersi.

“Grazie, professoressa.”

Alzandosi in piedi, Kevin le strinse la mano, con un sorriso a dir poco radioso.

Era quasi arrivato alla porta, quando la voce imperiosa di lei lo bloccò nuovamente.

“Kevin? Al prossimo richiamo è fuori, sia ben chiaro.”

Lui annuì con un sorriso sornione.

“Chiaro, Morghana.

 

E si può dividersi e non sparire

Se è così riabbracciami quando vuoi

E poi non sarà mai tardi per farci vedere insieme

Sicuri di chi ci ama

(i Pooh, Domani)

 

“Sì, ma io voglio sapere che fine ha fatto il prof Jonas!” Esclamò Derek, battendo un piede a terra come un bambino capriccioso.

Christian si prese la testa tra le mani, sospirando, sfinito.

Era in quella classe da a malapena mezz’ora e già le domande sul suo caro collega l’avevano letteralmente sfiancato.

“È dalla preside, Derek, in che lingua te lo devo dire?”

“Ho capito, ma perché è lì?”

“Non lo so, accidenti!” Esplose l’insegnante, scattando in piedi. “E tu, Martha, vuoi sederti, per la miseria? Mi stai facendo venire il mal di mare!”

La ragazza scosse rapidamente il capo, senza interrompere la sua camminata avanti e indietro per l’aula, ignorando Beatrix che, alle sue spalle, cercava di farla tornare al suo posto.

“E perché no, di grazia?” Domandò Chris, sconsolato, lasciandosi cadere nuovamente sulla sedia rivestita di pelle nera sintetica.

“Écolpamia.” Mormorò lei, velocemente, a fior di labbra.

“Eh?”

“Ha detto che è colpa sua.” Tradusse Beatrix con aria piuttosto scocciata. “Perché sua madre ha telefonato alla preside, ha raccontato una cosa che non doveva raccontare e ora lei ha paura che Jonas verrà licenziato a causa sua. Ma lui non lo sarà, vero?” Domandò, cambiando appena il tono, lasciandovi subentrare una punta di preoccupazione, e rivolgendo verso il professore i grandi, liquidi occhi tra il grigio e il verde. “Vero, prof?”

Christian abbassò lo sguardo, incapace di sostenere il confronto per un solo istante in più.

“Non lo so, Beatrix. Io davvero non lo...”

Il suo non particolarmente brillante discorso fu interrotto nella sua apoteosi dalla porta dell’aula che si spalancò, lasciando entrare un Kevin apparentemente trafelato e più sorridente che mai.

“Kevin?” Esclamò Christian, decisamente sorpreso dallo stato d’animo del suo amico. Quell’uomo era e sarebbe rimasto sempre un mistero, per lui...

“Ke...Prof?” Gli fece eco Martha, correggendosi appena in tempo, ed interrompendo la sua inarrestabile marcia al centro esatto della classe.

Non fece in tempo, tuttavia, ad aggiungere altro, perché in un attimo Kevin era vicinissimo a lei e la stava baciando, lì, davanti a tutti, tra lo stupore generale e qualche sorriso complice.

Quattro sorrisi complici, per essere felici.

Le restanti espressioni erano divise tra autentica sorpresa e malcelata malizia, oltre, naturalmente, a quegli sguardi che dicevano chiaro e tondo che loro lo sapevano che c’era sotto qualcosa.

Tipo il mio in questo momento, per intenderci.

“Prof un accidenti.” Mormorò lui sulle sue labbra, senza allontanarsi di un millimetro, appena prima che Chris richiamasse la sua attenzione con un per nulla discreto colpo di tosse.

Senza riuscire a levarsi il sorriso dalla faccia, Kevin si voltò a guardarlo, stringendo forte Martha a sé, un braccio possessivamente passato intorno alla sua vita, una mano posata morbidamente sui capelli chiari.

“Sì, Chris?”

“Ora, le opzioni sono due e, volendo ben vedere, sono inquietanti esattamente allo stesso modo. Uno: la Fleming ti ha licenziato e puoi fare i tuoi porci comodi anche a scuola. Due: in qualche maniera e modo sei riuscito a negare tutto, hai mantenuto il lavoro, la gioia ti ha dato alla testa e ora stai tentando di rimediare dandole la prova inconfutabile che sei un idiota. E questo ci porta di nuovo a te che vieni licenziato.”

“Sa, vero, prof, che la sua tesi è un po’contorta?” Domandò Derek, inarcando un sopracciglio.

Chris annuì, massaggiandosi la fronte con una mano.

“Lo so, ma è il meglio che possa fare in questo momento. Credo che il mio cervello sia in sciopero.”

Kevin, allora, lasciò per qualche istante Martha, non prima di averle depositato un bacio leggero sulla sommità del capo, e si diresse verso Chris, per poi appoggiargli con fare consolatorio una mano sulla spalla.

“Non sono licenziato, Chris. E non lo sarò nemmeno in futuro.”

Il biondo alzò gli occhi sul suo amico con un sorrisino ironico.

“E come hai fatto, le hai promesso favori sessuali?”

Mio fratello gli rispose con una sonora risata, subito imitato dal resto della classe, esclusa Martha che , ancora piuttosto scioccata, si limitò a lasciarsi cadere sulla sedia con un sorriso ebete.

“Gli ho spiegato con garbo ed irresistibile sex appeal quanto innamorato sono di quella fanciulla laggiù.”

Chris inarcò un sopracciglio.

“E poi le sono simpatico, nonostante si ostini ad affermare il contrario.”

“Lo afferma anche in sala professori quando non ci sei, sai?”

Kevin si strinse nelle spalle, letteralmente saltellando verso Martha, per poi sedersi sulle sue gambe sotto gli sguardi attoniti dei suoi alunni, di Christian e mio.

E che diamine, mi è capitato tante volte di sentirmi il maggiore, ma così mai!

“Kevin...” Chiamò debolmente la ragazza, ridacchiando quando lui si voltò, un sorriso a trentadue denti ben stampato in viso.

“Sì?”

“Ehm.... beh... pesi.” Biascicò, arrossendo, per poi aggiungere un rapidissimo ed inudibile “Amore” al notare l’espressione contrariata di lui.

“Ah, ecco, così va meglio.” Scherzò Kevin, alzandosi e scompigliandole i capelli, per poi assumere, improvvisamente un’aria piuttosto seria e porsi al centro della classe, le mani dietro alla schiena. “Ragazzi, scherzi a parte, vi devo dire, purtroppo, che dalla settimana prossima io non sarò più il vostro insegnante di musica. La professoressa Fleming, infatti, mi ha permesso di restare solo a patto che io lasciassi le classi del college e mi occupassi unicamente di medie e high school.”

“Ma prof...” Tentò di protestare Derek, sostenuto da svariati mormorii di dissenso. Fu, però, zittito subitaneamente dalla mano di Kevin, che si alzò nella sua direzione come a dirgli di aspettare, di lasciarlo finire, perché dopo, se avesse voluto, avrebbe avuto il permesso di fare tutte le obiezioni del mondo.

“So che fare lezione con me vi piace e, credetemi, mi dispiace davvero tanto lasciarvi, perché sia voi che il primo anno siete delle classi meravigliose, siete giovani adulti probabilmente parecchio migliori di quanto lo sia stato io e credetemi se vi dico che avete insegnato a me altrettanto e più di quanto io abbia insegnato a voi. Tuttavia, ci sono momenti in cui fare delle scelte è indispensabile e a me è stato chiesto di decidere tra una parte del mio lavoro e una parte del mio cuore.” Lanciò un breve sguardo a Martha, che rispose con un sorriso incoraggiante, supportata da Beatrix, che alzò entrambi i pollici e schiacciò l’occhio in direzione di mio fratello. “E io ho scelto la seconda, non avrei potuto fare altrimenti. Sono comunque stato fortunato, dato che mi aspettavo il licenziamento. In ogni caso, io sarò sempre qui a scuola... sempre qui a Princeton e, se non sono più il vostro professore, posso comunque essere per voi un amico o un aiuto. Quindi se vi serve... beh, il succo è che io sono qui quando volete. Punto...”

Per un momento l’aula di musica fu immersa nel silenzio più assoluto, ma poi l’applauso nato dalle mani di Beatrix contagiò tutti i presenti, Christian compreso, portando anche un paio di ragazze ad asciugarsi qualche lacrima.

“Ti vogliono bene.” Mormorò Martha, accostandosi a Kevin e passandogli un braccio intorno alla vita, mentre lui le circondava le spalle. “E commuoversi non è reato, sai?” Scherzò, notando il fiato leggermente spezzato di lui. “Nessuno ti condannerà per qualche lacrima.”

Lui annuì appena, sfregandosi leggermente un occhio con la mano libera.

“Ehi, prof, prima che diventi una fontana...” Cominciò Derek, avvicinandosi alla coppia. “Intanto devi sapere che io non ho detto proprio un tubo, l’ha scoperto in un altro modo di voi.”

“Lo so, Derek, stai tranquillo.”

“Ecco, e poi...credo di parlare a nome di tutta la classe se ti dico che, senza offesa per il prof Prato,” Chris gli fece cenno di andare avanti, sorridendo. “Sei il più grande qui dentro. Cioè, io non lo so come cavolo fai, ma sei riuscito a farmi studiare... a farmi interessare alla storia della musica e non è mica una cosa da niente. Per questo ci dispiace che te ne vai, perché se ci fosse un concorso per eleggere non il miglior professore dell’anno, ma della storia, credo proprio che il voto sarebbe unanime, vero, ragazzi?”

“Kevin  Jonas!” Risposero in coro i compagni.

“Kevin Jonas...” Ripetè Christian, alzandosi dalla sedia ed unendosi al gruppo al centro dell’aula. “Il mio migliore amico è il miglior professore della storia eletto ed acclamato a gran voce.” Considerò. “Sono onorato: sei praticamente una celebrità.... di nuovo.”

Kevin scosse piano la testa, regalando al suo amico l’ennesimo, sincero sorriso.

“No, Chris... questo è mille volte meglio della celebrità.”

 

Capita che poi

Quando non hai voglia più di crederci

Ti cade addosso un’emozione

Cresce prepotente senza regole

E d’un tratto torni a vivere

Comincia da qui

Il secondo tempo della vita mia

(i Pooh, Cercando di te)

 

“Ciao Aaron!” Salutò Eliza, allegra, entrando nel pianobar a passo spedito e rischiando di travolgere il collega, che stava cercando di depositare un vassoio di caffè al tavolo cinque senza perire nell’impresa.

“Lizzie...” Rispose lui, riprendendo miracolosamente l’equilibrio prima che anche solo una goccia di bevanda scura abbandonasse la sua tazzina. “Sei in anticipo.”

“Lo so. Pensavo di darti una mano, oggi non ce la faccio a stare ferma.”

“E come mai? Euforia post vacanze?” Domandò il giovane, distribuendo le piccole tazze di ceramica bianca. L’unico locale che offriva espressi veri in tutta la città... ne erano piuttosto fieri, a dire il vero.

“Joe mi ha scritto.”

“Joe ti ha scritto? Quel Joe?”

Eliza annuì, liberandosi dal cappotto ed indossando il gilet nero, della stessa foggia di quello di Aaron, ma più scollato e più sottile.

“Proprio così.” Replicò lei, porgendogli la lettera, che teneva al sicuro nella tasca dei jeans.

Il ragazzo sorrise e la prese, sedendosi su di uno sgabello per leggerla comodamente, mentre Eliza controllava il blocchetto delle ordinazioni e apriva il contenitore della torta al caffè, estraendone una fetta sottile.

Dopo la disastrosa notte a casa sua, contro ogni previsione lei ed Aaron erano diventati ottimi amici e, dopo Kevin, lui era la persona con cui amasse parlare di più in assoluto.

“Quando sono tornata a casa, la mattina del primo dell’anno, l’ho trovata nella cassetta della posta. Ci ho messo quasi un’ora ad aprirla, ci credi?”

“Ci credo, ci credo... e, per caso, sei svenuta dopo averla letta? No, aspetta, ti sei messa a saltellare come un canguro per tutto il pianerottolo.”

“A dire il vero l’ho dovuta rileggere una decina di volte per capire sul serio cosa ci fosse scritto.”

Aaron annuì e ripiegò il foglio, porgendoglielo ed armandosi di nuovo di vassoio.

“Tu sai che cos’è quella, Liz?”

“Certo.” Rispose lei, decidendo che ripulire il freezer sarebbe stata un’ottima attività da compiere in attesa dell’inizio del proprio turno. “Sono degli auguri di buon anno.”

“E...”

“E che cosa?”

Con un sorriso sornione, il giovane si appoggiò al bancone con entrambi i gomiti.

“E, cara mia, una dichiarazione d’amore in piena regola.”

“Oh, quello...” Replicò la ragazza, cominciando a estrarre dal congelatore scatole di gelati e semifreddi semivuote. “Sì, l’avevo capito... più o meno...”

“È una bella cosa, ma giurami che starai attenta.”

“Sì, papà.”

“Lizzie, sono serio... ti ha già fatto stare male così tante volte.”

“Lo so, ma non succederà più.”

“E come lo sai?” Chiese Aaron, tornando al proprio lavoro prima che Susy gli desse una lavata di capo perché ‘Insomma, Aaron, te ne stai sempre con le mani in mano!’.

“Danger.” Disse semplicemente lei, rivolgendo uno sguardo innamorato ad una confezione di profiterole. “Si è firmato Danger.”

 

Io ho saputo guardare oltre la tua corazza. Ti nascondi lì e nessun si fa mai avanti perché sei complicato, ma sei speciale e tutti dovrebbero sapere che ne vale la pena, di attraversare quello scudo e vale anche la pena di soffrire per te, di essere tristi o felici, di disperarsi o qualsiasi altra cosa bella o brutta.

Non sai cosa darei per te...

(da Dr.House MD)

 

Clarisse, immobile davanti alla porta, guardò, perplessa l’uomo che le aveva aperto con un elastico in bocca e un pettine rosa praticamente incastrato tra i ricci ribelli che, con ogni probabilità, stava cercando di domare con scarso successo.

“Sei in anticipo.” Mugugnò, sistemandosi l’elastico a mo’di braccialetto sul polso ed iniziando a districarsi il pettine dai capelli.

“E tu hai un pettine in testa. Ed è rosa.” Replicò Clarisse, con lo stesso tono infastidito.

“L’ha lasciato qui la ragazza di mio fratello.” Replicò lui, come se il colore del pettine fosse ciò che più aveva infastidito la bambina.

Lei, allora, si strinse nelle spalle e chiuse la porta, passando oltre ed andando ad accomodarsi sullo sgabello davanti al pianoforte.

“Hai preparato la canzone che ti avevo detto?” Domandò Joe, liberandosi definitivamente dal pettine e raccogliendosi i capelli in una coda bassa.

“No.” Rispose lei, suonicchiando una scala.

“Clarisse...”

“Faceva schifo! Piantala di darmi canzoni noiose!”

“My Heart Will Go On non è noiosa, è bellissima ed emozionante.”

“Sei gay, Joe?”

“Cosa... No! Che c’è, un uomo non può essere sensibile? Sono un musicista, cavolo!” Esclamò, facendosi spazio a forza sullo sgabello.

“A dire il vero sembri di più un senzatetto che ha finito l’ultima confezione di shampoo.”

“Ma quanto siamo simpatiche... hai mangiato un limone?”

“No, ho un insegnante noioso. E ho preso quattro.”

“Capisco... E non mi interessa.”

Clarisse gli fece una sbrigativa linguaccia, continuando a suonare, finché lui, con gesto nervoso, non le chiuse il pianoforte sulle mani.

“Ahio!”

“Aiutami a tornare da lei.”

“Eh?”

“Eliza.” Sbuffò mio fratello, riaprendo lo strumento.

“Vuoi riconquistarla?”

“Assolutamente.”

La ragazzina lo guardò con aria scettica, poi si alzò, facendogli cenno di rimanere dove stava e prese a girargli intorno. Poi, senza preavviso, gli strappò l’elastico dai capelli e lo gettò lontano.

“Parrucchiere, per prima cosa. E poi shopping. Ne hai di soldi, vero? Devi rifarti il guardaroba. E ti serve una piastra. E un rasoio che funzioni.”

“Tutto qui?” Domandò lui, ironico, appoggiando i gomiti sui tasti del pianoforte, che si lamentarono con veemenza. “Un lifting no, eh?”

“Joe, tu mi insegni a cantare, io ti dico cosa fare.”

“Celine Dion.”

“Centro commerciale.”

“Canzone.”

“Vestiti nuovi.”

“Ci sto.” Esclamò Clarisse, tendendo a Joe la destra, che lui strinse, deciso.

“Affare fatto.”

“Ah, e...Joe? Queste cose ti servono solo per sembrare più bello, perché tu già sei speciale. Bisogna solo saperti guardare.”

Joe la guardò per qualche istante, concedendosi un sorriso enigmatico. Credo che Clarisse ancora oggi si stia chiedendo cosa stesse pensando il suo maestro in quel momento.

Io lo so...e fidati, Clarisse, ti sarebbe piaciuto davvero molto.

“Avanti, allora. Prepariamo questa canzone.”

 

Continua...

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Capitolo 25
*** - capitolo venticinque - ***


Eccomi qui con il nuovo aggiornamento.... we we ma le recensioni sono calate! *piange* dai, non abbandonatemi così, a pochi capitoli dalla fine!!!

In compenso ho raggiunto un grandissimo traguardo con le preferizzazioni: 50! Non mi sembra vero!!!

Purtroppo devo correre a cenare, fate come se vi avessi ringraziato tutti! Ma tutti tutti, eh!

Un bacio,

Temperance

 

-Capitolo Venticinque-

 

Non potrai fermare queste mani

Quanto tra mezz’ora sarai qui

Non avremo il tempo di uscire dai vestiti

Quel che è stato è stato e Dio ci aiuti

(i Pooh, Non lasciarmi mai più)

 

Kevin lanciò l’ennesima occhiata all’orologio, guadagnandosi da Joe e Clarisse uno sguardo di totale disapprovazione.

“Sai, si consuma se continui a fare così e dopo mi toccherà comprarti un orologio nuovo. E, tra l’altro, il tempo non passa più in fretta, così.”

“Lo so, lo so.” Sbuffò Kevin. “Ma tra poco Martha sarà qui e Chris non è ancora arrivato.”

“Guarda che possiamo uscire anche senza il tuo amichetto che ci fa da babysitter, sai?”

“Non se ne parla nemmeno!” Intervenne Clarisse, risoluta. “Io lo so perfettamente cosa faresti, tu, in tal caso. Mi romperesti le scatole fino a convincermi che a fare shopping ci possiamo andare un altro giorno. Se invece siamo in due a trascinarti non potrai fare proprio un bel niente.”

Joe sbuffò, soffiandosi via un ricciolo da davanti agli occhi, mentre Kevin iniziava a camminare avanti e indietro per il corridoio.

“Si può sapere perché cavolo sei così ansioso?” Sbottò, dopo pochi minuti, il mio caro fratellino, battendo un pugno non troppo convinto sul tavolo della cucina.

“Sono così ansioso perché la mia ragazza arriverà tra dieci minuti e voi siete ancora qui.”

“Se vuoi aspettiamo il prof Prato nell’ingresso, Kevin, non ci sono problemi.” Propose Clarisse, diplomatica.

“Sì che ci sono problemi!” Intervenne Joe, senza nemmeno più metterci troppa enfasi. “Non è che il fatto che tu sia sessualmente frustrato e non possa nemmeno lasciarla entrare in casa prima di saltarle addosso debba per forza condizionare la mia vita, eh!”

“Non ho intenzione di saltare addosso a nessuno.” Replicò Kevin, nervoso, puntandogli un dito contro, mentre Clarisse rideva sotto i baffi. L’ho già detto che io amo quella ragazzina? “E non sono io quello sessualmente frustrato in questa stanza.”

Ahi...colpo basso.

“Che cosa stai insinuando, Paul?”

“Che io non vedo Martha fuori da scuola da due settimane. Tu da quant’è che non stai con una ragazza? Ah, già, da mai.” Sibilò, a pochi centimetri dal viso del fratello. “Adam.”

“Mi chiamo Joe.”

“E io Kevin.”

“Di’ un po’, ma perché se starle lontano ti fa questo effetto non ti ingegni un po’? Dicono che lo stanzino del bidello è comodo per sco....”

“È suonato il campanello!” Esclamò Clarisse, bloccando Joe appena in tempo.

“Vado io.” Soffiarono in coro i miei fratelli, lanciandosi poi un’occhiata di puro odio.

Che bello vederli litigare... tutto proprio come una volta.

Christian, in piedi sul pianerottolo, indossava un minibomber nero molto più sportivo dei suoi soliti standard e un paio di jeans viola melanzana che, invece, li rispecchiavano alla perfezione.

Con un sorriso smagliante, salutò i due che gli avevano aperto, ottenendo in cambio solo un paio di grugniti infastiditi.

“È... è successo qualcosa?” Domandò, perplesso, chiudendosi la porta alle spalle.

“Joe è un emerito stronzo.” Rispose Kevin, afferrando dall’attaccapanni la giacca del fratello e piantandogliela tra le braccia senza troppa grazia.

“Sì, tu invece sei un profumato e tenero mazzolino. Di ortiche.”

“Sto a casa Jonas o ad un asilo infantile?” Chiese il biondo, tra lo stupito ed il divertito, aiutando Clarisse ad indossare il suo cappotto.

“Perché, non sono la stessa cosa?”

Christian annuì, convinto, posandole sulla testa il cappellino di lana azzurra.

“Sei molto saggia per la tua età, sai?”

“Grazie, prof... però mi sa che è meglio che portiamo via Joe, sennò quelli si sbranano a vicenda.”

“Ok...” Rispose, per poi rivolgersi ai due che ancora si guardavano male appena oltre l’ingresso. “Bene, bambini, adesso io e il piccolo Joey ce ne andiamo, così Kev può giocare al dottore con la sua amichetta, d’accordo?”

“Non parlarmi come ad un bambino deficiente, razza di...”

“Io ti parlo come mi pare e piace, chiaro?” Ribatté Christian, a tono, avvicinandosi a Joe tanto che il suo fiato gli sfiorava il viso. “Perché io rido e scherzo, ma quando uno si comporta come un idiota, io lo tratto come un idiota. Quindi, Jonas, vediamo di chiarire le cose: volente o nolente tu oggi vieni a fare compere con me, perché, sinceramente, il mondo non ne può più di coprirsi occhi e naso quando passi, per cui, passi lunghi e ben distesi, fuori da quella porta e via, verso l’infinito e oltre, ok?”

Joe annuì, muto, gli occhi sbarrati.

Christian sorrise, annuendo, poi fece cenno a Clarisse di avvicinarsi.

“Bene, noi ce ne andiamo. Buon divertimento, Kev.”

“Grazie, Chris...davvero. Ah, e, Joe?”

Il moro si voltò con aria scocciata, un braccio alla disperata ricerca della manica in cui infilarsi.

“Io nello stanzino del bidello ci sono già stato.”

 

...and that’s why everything

Every last little thing

Every microscopical detail must go

According to plan

(The Corpse Bride, According to Plan)

 

Il campanello di casa Jonas suonò appena una decina di minuti dopo che Joe, Christian e Clarisse erano usciti.

“Ce ne avete messo di tempo ad arrivare.” Si lamentò Kevin, aprendo la porta e trovandosi davanti Francie e Martha, cariche fino al collo di sacchetti da supermercato e buste di carta contenenti chissà quale articolo di panetteria. “Temevo di dover fare tutto da solo.”

“Perdonaci, ma qualcuna si è persa nel reparto DVD.” Sbuffò Martha, consegnandoli un paio di contenitori, mentre lui richiudeva l’uscio con un piede.

“Ehi, io e Lex andiamo ad un raduno la prossima settimana e io non ho ancora visto l’ultimo fil tra quelli in programma.” Si difese la mora, sbuffando a sua volta.

“Lex, sempre Lex... perché non vi sposate, eh?”

“Mar, io e Lex siamo amici, non lo sposerei nemmeno fosse l’ultimo uomo rimasto sulla faccia della terra. Cercavo un altro single con cui trascorrere un po’di tempo. È sbagliato fare nuove conoscenze, prof?”

“Kevin.” La rimbeccò mio fratello, posando le buste sul tavolo e tornando a salire in piedi sulla sedia sulla quale si trovava prima che le ragazze entrassero, intento ad appendere uno striscione. “Prof solo a scuola, sennò mi sento vecchio. E comunque no, non è affatto sbagliato... ma se vuoi uscire dalle schiere dei single ti presento il mio fratellino: la sua ragazza l’ha appena mollato.”

“Frankie?” Si intromise Martha, aprendo un pacchetto di patatine ed iniziando a sgranocchiarne una. “Mi dispiace, cavolo!”

“Quelle sono per dopo.” La sgridò Francie, strappandole la busta di mano. “Però, pr...Kevin, non inizi anche lei a tentare di accoppiarmi! Sono molto esigente, sa?”

“E tu sai che se non la smetti di darmi del lei entro cinque minuti ti nominerò ufficialmente pulitrice di pavimenti alla fine della festa?”

“Non puoi darle ufficialmente un titolo che non esiste!”

Amore” Sibilò lui con una puntina in bocca. “Mentre io faccio qui potrefti anche... che ne fo, dare una mano a Francie con la tavola, non credi?”

“Ti do fastidio?” Domandò la bionda, fingendosi offesa.

Kevin alzò gli occhi al cielo, fissando anche l’ultimo angolo del festone.

“Sì, mi dai fastidio, ok? Dio santo, chi me l’ha fatto fare di dirti di sì... è dal liceo che non vado ad una festa...”

“Ma tu l’hai fatto per me...” Suggerì Martha, lasciandogli giusto il tempo di riappoggiare i piedi a terra prima di stampargli un sonoro bacio a fior di labbra, mentre Francie sorrideva, scuotendo il capo, divertita, e sistemando sul tavolo i piatti di plastica rossa che aveva comperato poco prima.

“Sei una serpe, un’infida serpe ricattatrice e nullafacente.” Rispose Kevin, prima di afferrare Martha per la vita e prendere a depositarle una lunga serie di pernacchie lungo il collo latteo, mentre lei tentava di divincolarsi, ridendo di gusto.

“Ehi!” Li richiamò Francie, agitando una forchetta a mo’di bandierina per portare su di sé almeno un po’della loro attenzione. “Non vorrei rovinare il vostro idillio, ma sono quasi le tre, gli ospiti arriveranno tra un’ora e tutto quello che abbiamo combinato... beh, che Kevin ha combinato, è infornare la torta ed appendere un paio di striscioni.”

Kevin annuì, lasciando di colpo la presa sul corpo della sua ragazza ed affiancandosi all’amica.

“Giustissimo, Francie. Allora, io finisco con torta e pizzette, Martha incarta i regali nostro e suo e tu continua con la tavola.”

“Agli ordini!” Risposero in coro le due ragazze, mentre lui, con un saluto militare, spariva oltre la porta della cucina.

Quando furono sole in salotto, Francie ridacchiò, scuotendo la testa in direzione dell’amica.

“Che c’è da ridere?” Domandò questa, frugando in un cassetto del secretaire alla disperata ricerca di un paio di forbici.

“Niente, è che.... cavolo, cucina pure! Ma c’è qualcosa che quell’uomo non sappia fare?”

Martha si strinse nelle spalle, arrossendo appena.

“Se c’è, io ancora non l’ho trovata... però, a pensarci bene, non ha mai cantato... forse è stonato.”

Francie inarcò un sopracciglio, versando una confezione di Smarties in una ciotola semitrasparente

“Kevin Jonas che non sa cantare? Ma fammi il piacere!”

“Beh, di certo non è una delle cose che gli vengono meglio.” Mormorò la bionda, catturando con la lingua una microscopica briciola che si era fermata all’angolo delle sue labbra, in un gesto che risultò, forse involontariamente, piuttosto malizioso.

 

I’m sitting in here

In the boring room

It’s just another rainy Sunday afternoon

I’m wasting my time

I’ve got nothing to do

(Blind Melon, Lemon Tree)

 

Joe sedeva su un puff lilla nel bel mezzo del negozio più rosa che avesse mai visto, il mento poggiato sulle palme delle mani e l’aria annoiata di quando mamma ci costringeva ad andare con lei a comprare i vestiti per il primo giorno di scuola.

Beh, effettivamente, la situazione non era tanto diversa, se non per il fatto che Denise era stata sostituita da un esuberante Christian e Joe non aveva sette anni, ma andava per i ventinove.

Che volete, dettagli insignificanti.

All’ennesimo paio di jeans di un colore ai suoi occhi decisamente inquietante che cadde accanto a lui, il mio fratellone scattò in piedi, dirigendosi a passo di marcia verso l’espositore dove Chris e Clarisse stavano animatamente discutendo sulla dimensione delle losanghe sul suo nuovo maglione.

“Scusate” Chiamò, battendo con la mano sulla spalla del biondo e rivolgendogli il suo migliore sguardo adorante. “Vi ho viste e non ho potuto trattenere l’entusiasmo. Carrie, ma dove sono finite Charlotte e Samantha? Non andate insieme, di solito, a fare shopping?”

Clarisse lo guardò spaesata, mentre Chris gli rivolgeva un sorriso ironico, abbandonando il leggero golf verde con piccoli motivi rosa sulla spalla.

“Le ragazze sono al lavoro, al momento. Però, Big, potresti provare questo, nel frattempo. Poi ti prometto che andiamo a farci un Cosmopolitan tutti insieme, eh?”

“Apprezzo il fatto che tu non mi abbia chiamato Miranda, ma io questo coso non me lo metto.”

“Si può sapere chi cavolo è Miranda?” Chiese Clarisse, intromettendosi tra i due uomini e saltellando per attirare l’attenzione.

“Poi ti spiego.” Rispose, sbrigativo, Chris, per poi tornare a rivolgersi a Joe. “Primo, ti ho chiamato Big per il semplice motivo che tu hai chiamato me Carrie, e chi ha orecchie per intendere lo faccia. Secondo, che ha quel maglione che non va?”

“È rosa.”

“Il rosa va di moda.”

“Forse per le belle bambine come te.”

“Sai che pare che tutti abbiano un lato omosessuale più o meno nascosto? L’ha detto Freud.”

Joe si strinse nelle spalle, rendendogli l’indumento.

“Ah sì? In effetti il commesso laggiù è molto intrigante.”

“È una donna...”

“Per questo lo è.”

“Joe Jonas, sei un grandissimo stronzo, te l’ha mai detto nessuno?”

“Oggi in effetti sei il primo.”

Clarisse scosse la testa, poi afferrò un paio di Jeans, una camicia e la mano di Joe, trascinandolo verso il camerino lì di fronte.

“Entra. Prova. Esci.”

“Ehi, come ti...”

“Fila!” Quasi strillò, spingendolo oltre la tenda viola e lanciandogli dietro i vestiti.

“Wow... sei decisa, eh?” Domandò Christian, ridacchiando, per poi concentrarsi su una pashmina azzurra appesa ad un espositore lì accanto. “Dici che questa può piacergli?”

“A Joe?”

Con un ultimo sguardo piuttosto malinconico, sospirò, scuotendo la testa.

“No, probabilmente no. Bene...” Si strinse nelle spalle, riconquistando il sorriso. “Vorrà dire che mi farò un regalo.”

“A te donerà sicuramente di più.” Lo rincuorò Clarisse, prendendogli una mano nelle sue. “Sai, sei davvero forte a fare questo.”

“Questo cosa?” Domandò l’uomo, perplesso, mentre Joe, nel camerino, sbraitava contro chiunque avesse messo in giro la voce che gli uomini in rosa erano sexy.

“Questo: aiutare Joe a rendersi guardabile per Eliza, anche se lui ti piace.”

“Già... non ho molta fortuna con la famiglia Jonas.”

Clarisse strinse un po’più forte la sua mano, rivolgendo a Chris un sorriso pieno di comprensione.

Mentre Joe usciva dal piccolo spogliatoio a passo di marcia con le braccia incrociata davanti al petto ed un espressione truce.

“Come sto?” Domandò in tono piatto.

“Però...” Esalò Chris. Che Joe fosse un bell’uomo si vedeva anche prima, ma così, con i blue jeans aderenti ma non troppo e la camicia che segnava il fisico asciutto nei punti giusti... beh, così era tutta un’altra storia.

Oh, e badate che io sto semplicemente riportando i pensieri di Chris...non fatevi strane idee!

“Joe, sei...”

“Ridicolo?” Ironizzò mio fratello, passandosi una mano tra i ricci scuri con un sorriso beffardo.

“Stupendo!” Esclamò Clarisse, correndogli incontro ed abbracciandolo stretto.

Eccola lì, l’unica in grado di sciogliere in un nanosecondo quel pezzo di ghiaccio che risponde al nome di Joseph Jonas.

“Sì, stai bene, Big.” Mormorò Christian, gli occhi bassi sulla sua nuova pashmina.

“Grazie, Carrie.” Rispose Joe, ricambiando l’abbraccio di Clarisse e rivolgendo a Christian un sorriso che, se il biondo avesse alzato lo sguardo anche solo di pochi centimetri, gli avrebbe fatto letteralmente spiccare il volo.

 

Voglio farti un regalo

Qualcosa di dolce, qualcosa di raro

Non un comune regalo

Di quelli che hai perso, mai aperto, lasciato in treno o mai accettato

Di quelli che apri e poi piangi

Che sei contenta e non fingi

E in questo giorno di metà gennaio ti dedicherò

Il regalo mio più grande

(adattamento da Il regalo più grande, Tiziano Ferro)

 

“E non te lo puoi riprendere un’altra volta?”

Derek si strinse nelle spalle, continuando a percorrere il corridoio a passo deciso, letteralmente trascinando Beatrix con sé.

“Perché? Un giorno vale l’altro, no? E poi ci metto cinque minuti, mi serve quel cd.”

“Dio... il mio compleanno e vado a casa di un professore. Dio.”

“Ma è Jonas!”

“Potrebbe essere anche il Papa. Io voglio andare a ballare, Derek!”

“Dopo ti ci porto, te l’ho promesso, ma quel disco mi serve davvero per quell’arpia di musica. Poi” Continuò, fermandosi un istante per prenderle le mani. “Poi andiamo a casa mia che ho un regalo bellissimo tutto per te.”

“Promesso?” Chiese, mogia, la ragazza, mettendo un broncio giocoso solo a metà.

“Promesso.” Replicò lui, chinandosi a darle un bacio veloce.

“Ok, allora, ma che siano davvero cinque minuti, perché io vi conosco, a te e a quell’altro, e so benissimo che quando iniziate a chiacchierare non vi ferma più nessuno.”

“Ma oggi è diverso: oggi è la tua giornata.”

“Ruffiano.” Ridacchiò Bex, dandogli un buffetto sulla spalla.

“È un’arte che ho affinato con anni di pratica.” Così dicendo, Derek si avvicinò alla porta e bussò un paio di volte, senza ottenere alcuna risposta.

“Sarà in bagno... provo ad entrare, magari è aperto.”

Pessimo, pessimo attore, ragazzo mio.

Ma, d’altronde, si sa: gli occhi innamorati vedono tradimenti anche dove non esistono, ma quando qualcosa è lì, ben in vista davanti a loro, tendono ad ignorarlo nel modo più totale.

Misteri...

“Derek, non dovresti aspettare? Magari è successo qualcosa... magari si è sentito male...”

Derek si strinse nelle spalle.

“Un motivo in più per entrare, no?”

La porta dell’appartamento, ovviamente, non era chiusa a chiave e Beatrix seguì il giovane, di malavoglia, continuando a borbottare che si sentiva dentro che quello sarebbe stato il peggior compleanno della sua vita.

“Sai almeno dove cercare?” Domandò, sottovoce, nemmeno stesse per commettere un reato.

“Non ne ho idea.” Ammise Derek, muovendosi a tentoni nel salotto buio all’apparente ricerca di un interruttore che gli permettesse di accendere la luce.

In quel momento, però, alcune note strimpellate su una chitarra raggiunsero le loro orecchie da un luogo imprecisato ma, comunque, troppo vicino per trovarsi al di là di una porta.

“Che cos’è?” Chiese Beatrix, stringendosi un po’di più a Derek, che sorrise nella semioscurità. Amava il suo lato fifone...

“Jonas, no? Per quello non ci sentiva: sta suonando.”

“Sì, ma dove...”

L’accendersi improvviso della nuda lampadina che pendeva, al posto del lampadario, al centro della stanza la costrinse ad interrompersi bruscamente, mentre quelle che prima sembravano note suonate a caso od appartenenti ad una melodia sconosciuta iniziavano a dare forma ad una canzone a tutti ben nota, che fu presto completata da un piccolo ma sostenuto coro di voci tutte diverse e tutte da lei perfettamente conosciute.

Le voci dei suoi compagni di classe, dei suoi migliori amici che, usciti dai loro nascondigli costituiti da mobili e tende, cantavano per lei la più irritante, imbarazzante e dolce delle canzoni.

 

Tanti auguri a te....

 

Eh già, Bex, anche se tu di certo non mi hai sentito, c’ero anche io lì con te quel giorno, anche io facevo parte di quello sciocco coro stonato...

Beatrix si portò entrambe le mani alla bocca, trattenendo per un istante il respiro, mentre Francie e Martha si avvicinavano a lei, affiancandosi a Derek che, nel frattempo, le aveva circondato i fianchi con le braccia, stringendola forte.

Non aveva notato, quando era entrata, preoccupata com’era, i festoni con la scritta ‘Auguri Bex’ che attraversavano la stanza, colorati di un milione di tinte diverse. Festoni fatti con carta crespa, cartoncino e pennarelli sui quali riconosceva il tratto e la mano di Martha e la precisione di Francie.

Non aveva notato nemmeno Kevin che, seduto su di uno sgabello ad un passo dalla porta della cucina, abbracciava la sua vecchia chitarra classica, unica superstite di una collezione che contava decine e decine di esemplari, completando la magia bambina di quell’istante con quella musica che, in qualsiasi forma, era sempre la sua ragione di vita.

E poi c’era la torta... neanche quella era riuscita, nel buio, ad attirare la sua attenzione.

Una torta grande come per lei non ne avevano mai fatte, con le firme di tutti i presenti tracciate sulla pasta chiara con una linea di dolcissimo inchiostro al cioccolato.

“Perdona la firma sbavata di Francie, ma qualcuno ha fatto danni con il guanto da forno e lo zucchero a velo.” Disse Martha, sorridendo, mentre Kevin riponeva lo strumento e si avvicinava al gruppetto dei suoi ormai ex alunni, uno sbuffo candido di zucchero a velo ancora ben visibile tra i capelli scuri, sentendosi tornare un po’ragazzo anche lui.

“Ehi, se non fosse stato per quel qualcuno quella torta nemmeno ci sarebbe, razza di piccola ingrata.” Esclamò, scompigliando i capelli di Martha.

“È perfetta!” Replicò Beatrix, muovendo due passi veloci verso di lui e gettandogli le braccia al collo con un gran sorriso e un paio di lacrime di commozione. “È tutto perfetto... grazie, ragazzi!”

“Non ringraziare noi.” Intervenne Francie, sorridente come non mai. “È un’idea di Derek.”

Bex si voltò di scatto verso il suo ragazzo, gli occhi spalancati, quasi a chiedere conferma di ciò che le era appena stato detto.

“Ehi, non guardarmi così.” La riprese lui, un po’rosso sulle guance. “Volevo farti un regalo speciale e ho pensato...beh, che forse una festa non sarebbe stata una brutta idea, per iniziare.”

“Per iniziare? Der, che ci può essere più di questo?”

“Ti ho detto o no che il resto è a casa mia?” Rispose il giovane, con un sorriso sornione.

 

E mi vergogno un po’

Perché non so più fare oh

Non so più andare sull’altalena

Di un fil di lana non so più fare una collana

(Povia, I bambini fanno oh)

 

Kevin sedeva semisprofondato nella piccola poltrona dove Joe si addormentava quasi ogni sera, da quando si erano trasferiti lì.

Non aveva mai capito perché la trovasse tanto comoda, sformata e troppo morbida com’era e, sinceramente, anche a me piace poco quella cosa, però Joe la adora e nessuno si è mai permesso di spostarla. In ogni caso, in quel momento era l’unico luogo relativamente libero dell’appartamento, quindi o lì o lì.

Chiudendo gli occhi, si passò una mano tra i ricci scuri.

Non gli era mai sentito di sentirsi così dannatamente vecchio...

Certo, nel periodo più buio c’erano stati momenti in cui gli era parso di avere più di cent’anni, ma era normale... era una componente fondamentale della sua autodistruzione, l’auto convincersi che nessuno al mondo aveva mai sofferto quanto lui. Lì, invece, era tutta un’altra storia.

Lì era felice, era innamorato ed era circondato da persone che lo adoravano, che gli volevano bene nonostante il suo passato... eppure ancora si sentiva come un ventenne ad una festa delle elementari.

Non annoiato o simili, no.... semplicemente fuori posto.

E ingrato da morire.

Con quei ragazzi la vita gli stava offrendo una seconda possibilità, eppure c’era qualcosa che...

“Ehi, mastro chef, ti annoi?” Gli domandò la voce di Martha, mentre un dolcissimo e ben noto peso si depositava sulle sue gambe.

“Mar...” Mormorò lui, posandole le mani sui fianchi senza aprire gli occhi.

“Non ti senti bene, amore?” Domandò lei, preoccupata, scivolando un po’in avanti sulle sue gambe e chinandosi verso il suo viso.

“No, sto... mi sento solo un po’strano...” Replicò Kevin, facendo scivolare le mani dietro alla schiena di lei e allacciandole appena sopra l’orlo die suoi pantaloni.

“Hai mal di testa? O hai mangiato troppo? Dove ti fa male?”

Kevin ridacchiò, costringendosi finalmente a guardarla in viso.

“Sei un po’apprensiva o sbaglio? Sto bene... solo che mi sento un po’un pesce fuor d’acqua.”

“Non capisco...” Mormorò lei, inclinando leggermente il capo da un lato.

“È che siete tutti così giovani...”

“Anche tu lo sei.”

“Martha, io non sono un ragazzino.”

“Mi stai dando della ragazzina?” Chiese lei, riducendo gli occhi a due fessure, ma rilassandosi quando Kevin scosse il capo.

“Tu sei la mia donna, piccola, e questo non cambierà mai... ma stare con te è una cosa, uscire con i tuoi amici è un’altra.”

“Se...se vuoi li mando via. Tanto è quasi sera e...”

“Ma no, non ti preoccupare, sono solo paranoie mie, ok?”

“Kevin...” Soffiò, spingendosi ancora un poco in avanti e depositandogli un bacio a stampo sulle labbra ancora socchiuse.

“Vorrei vivere questo amore come lo vivi tu... vorrei far davvero parte del tuo mondo.”

“Kev, tu sei il mio mondo. E, come dici tu, questo non cambierà mai.”

“Ma...”

“Niente ma.” Lo zittì la ragazza, annullando il residuo spazio tra i loro corpi e regalandogli un nuovo bacio, questa volta un poco più ardito.

Che lui decise di ricambiare.

Con parecchia convinzione.

Sapete, comincio ad essere stufo di descrivervi la vita amorosa di mio fratello maggiore... preferirei poter intercalare, ogni tanto, con quella di Joe.

Peccato sia inesistente.

“Ci sono venti altre persone qui...” Mormorò Kevin, allontanandosi un poco dalla ragazza per riprendere fiato. “E scommetto che ci guardano tutte, visto che siamo decisamente la coppia più interessante della scuola. Poi...”

“Vuoi sentirti a tuo agio in mezzo a noi?”

Mio fratello annuì rapidamente, facendo per guardarsi intorno, ma sentendosi bloccare immediatamente dalla mano di lei, che gli afferrò il mento tra due dita, costringendolo a fissare di nuovo gli occhi nei suoi.

“E allora impara che siamo ad una festa e alle feste nessuno fa caso ad una coppia che si fa gli affari suoi.”

“E tu come lo sapresti, questo?”

Martha si strinse nelle spalle.

“Anni di esperienza come tappezzeria ai balli della scuola. Dunque, vuoi tornare diciottenne per una sera?”

“Sì, signora mia!” Esclamò Kevin, ritrovato il buon umore.

“E allora baciami....”

 

Continua...

 

 

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Capitolo 26
*** -capitolo ventisei- ***


Altro capitolo-parto, come tutti, pare, in questa ultima parte... Aggiorno oggi, poi non so quanto impiegherò a scrivere, dato che sono impegnata fino a qui!!! Ma pace, per ora vi ringrazio, questa volta, una per una!

 

Alexya379: Chris e Clarisse sono una coppia piuttosto devastante per il povero piccolo appena rinato Danger... e il riferimento a Sex and the City (leggi “Shoes”, se ti va) è dovuto al fatto che ultimamente sono assolutamente drogata di quel telefilm, ma sono contenta che tu l’abbia notato...anche perché ora Joe è ufficialmente Big XD

 

Razu_91: forse questa volta ho ritardato un po’sui miei standard di pubblicazione, ma temo che ci dovrete fare l’abitudine... In ogni caso il capitolo è qui, quindi... happy reading!

 

Sbrodolina: eh sì, oramai non manca poi molto... ma di scrivere non smetto, quindi tranquilla, avrai da leggere anche finita questa storia!

 

Katerina_21: io amo le storie tristi, perché credo che, a livello di emozioni, diano molto, molto più di quelle divertenti, quindi un po’di tristezza in una mia storia non mancherà mai e mi rende davvero felice che apprezzi anche questo aspetto, che magari non a tutti sempre piace.

 

Jeeeeee: in effetti, questo capitolo è uno dei più divertenti, se non il più divertente in assoluto. La scena del centro commerciale è stata spassosissima da scrivere, anche perché contiene non troppo celati cenni alla mia coppia del cuore (Joe e Chris)...e ricorda che devono anche andare dal parrucchiere! XD Per Joe e Liz, sì, sarà difficile, ma un passo alla volta si stanno riportando in carreggiata, non ti sembra?

 

Selphie:  Vuoi vedere un Danger veramente Danger? Beh, non so se ci arriverai... dopotutto, Joe è cresciuto, ha quasi 30 anni... ma di certo un piccolo miglioramento ancora ci sarà. E poi non dare così per scontato che tutti siano in salvo...ci sono ancora un paio di assi nella mia manica e non vedo l’ora di tirarli fuori!

 

Sweet Doll: guarda, le tue parola vanno benissimo: i complimenti non stancano davvero mai! Soprattutto se sono fatti perché la mia storia ti fa davvero emozionare, se non è un raccontino letto così, di quelli che entrano di qua ed escono di là.

 

Melmon: oh, bene, meno male che non ve ne siete dimenticati, dei genitori di Martha! Abbi pazienza fino al prossimo capitolo...

 

Smemo92: carina l’immagine “sono uno la roccia dell’altro” e beh, sì, Kevin ha avuto solo un attimo di crisi... saranno altri i suoi problemi!

 

Tay_: e chi non vorrebbe amici così?

 

Lyan:  beh, non proprio poco poco... l’ho detto, io, che sta diventando più lunga di quanto pensassi!

 

1: intanto grazie per la recensione (non proprio spontanea, ma assolutamente meravigliosissimissima!!!!) poi... Joe stronzetto e malizioso lo amo, davvero, è fantastico ed adorabilissimo, quindi un pochino (ma poco) lo puoi adorare anche tu... Kev è dolce dolce e tu sei la solita nullafacente (muhua).  E.... beh.... Carrie + Big 4evaaaahhhhhhh!!!

 

La Fitto: Direi che con questo capitolo sono tre volte che uso Tiziano...felice? (XD) beh, effettivamente queste due canzoni sono davvero belle e poi questa in particolare si presta benissimo per scrivere. Ora, ascolta, io lo so che tu lo fai così, tanto per fare, ma sinceramente sono un po’stufa che continui a fare paragoni tra i miei personaggi ed i tuoi e non solo perché io queste somiglianze non ce le vedo affatto, ma anche e soprattutto perché mi sento accusata, in qualche modo. Sono fiera di questa storia proprio per la caratterizzazione nuova di personaggi che di solito, anche per l’età, sono descritti in modo totalmente diverso e non mi piace, anche se lo fai senza secondo fine, che continui a rimarcare le somiglianze che trovi. Di’pure che Martha non ti piace (con tutte le volte che ho tartassato Haylie, povera bestia...), ma evita i paragoni, per favore.

 

Maggie_Lullaby: Intanto, ti dico che ho ricevuto la tua mail, ma per ora non ho davvero tempo di leggere e commentare nulla (a parte le storie delle cognate, che sennò mi uccidono) perché ho un sacco da fare, ma tra 15 giorni sarò più libera e tornerò a farmi viva, promesso!!! Guarda, non è affatto banale notare la presenza di Nick, perché non è facile utilizzare un narratore di questo tipo e sono contenta di riuscire a renderlo in maniera per lo meno apprezzabile, grazie!

 

3: uh signur, adesso pure te, oltre alla 1 ti ci metti a chiedermi storie? Gioie mie, ma io non ne uscirei viva se dovessi scrivere tutto quello che mi chiedete! Comunque siete fantastiche, quindi sia la seconda jartha sia la jiza arriveranno, sì , ma a loro tempo, ok? Oltre a questo, ho solo una cosa da dirti... per quanto ami Eliza e tutto quanto... Jhris rulez!!!! *sventola bandiera Jhris con onore e fierezza*

 

Temperance

-Capitolo Ventisei-

 

Entrasti come arriva un uragano

Successe come quando passa il vento

Ma io non ti capivo

Non ho mai capito niente

Quel mondo che creavi intorno a me sembrava solo strano

(i Pooh, Tutto alle tre)

 

Martha fece per raccogliere una ti shirt abbandonata a se stessa sul divano, ma questa si rifiutò di seguirla, come fosse stata incastrata in qualcosa.

Qualcosa che si rivelò essere la mano di Joe, strettamente ancorata intorno alla stoffa sottile.

“Joe, voglio stirarla.”

“Perché?” Domandò lui, con la sua migliore faccia da schiaffi. “A me le pieghe piacciono.”

La ragazza sbuffò, alzando gli occhi al cielo.

“È inutile che compri cose nuove se poi le tieni come stracci.”

“Quella è vecchia.”

“Le abitudini non nascono dal nulla, c’è bisogno di esercizio, sai?”

“Senti, ma chi ti ha nominato massaia dell’anno, me lo spieghi?”

“Il semplice fatto che in questa casa non ci si può stare.” Replicò la giovane, dando alla maglietta uno strattone più forte degli altri e riuscendo, finalmente, a strapparla dalla mano di quel cocciuto di mio fratello.

“Kevin sa che stai riordinando tutto?”

“Non sono riuscito a fermarla.” Lo raggiunse la voce del fratello dalla cucina, dove stava presumibilmente preparando qualcosa che a Joe non sarebbe piaciuto affatto.

Sì, perché se Danger era tornato quasi completamente, a fargli compagnia erano ricomparse anche la sua indole capricciosa e le sue manie di comando delle quali tutti avrebbero volentieri fatto a meno.

Meglio così che suicida, comunque...

“Non sei riuscito a fermarla? E di che ti ha minacciato, me lo spieghi?”

“Tu” Incominciò Kevin, emergendo per metà dall’altra stanza e brandendo un cucchiaio di legno. “Non hai idea di cosa sia il potere di persuasione che le donne sanno esercitare.

“Avete finito di fare gli idioti? Vorrei finire in fretta, dato che poi devo anche studiare.”

“E allora risparmiati di stirare i miei vestiti.” Ripetè Joe, guardandola in cagnesco. “Lo dico per il tuo bene.” Completò, poi, con un paio di rapidi battiti di ciglia a corredare l’espressione da adorabile mascalzone.

Scuotendo la testa, Martha arrotolò la maglietta e si avviò a passo deciso verso il piccolo asse a muro, mentre Joe si alzava per recarsi in camera sua a preparare le partiture per la lezione con Clarisse di un che avrebbe avuto luogo circa mezz’ora più tardi.

“Sei perfida con lui, sai?” Mormorò Kevin all’orecchio della sua ragazza, posandole un bacio veloce sulla guancia prima di immergersi nuovamente nello strano aroma che proveniva dalla cucina.

Passandovi accanto, Martha si trovò fortemente indecisa tra il sentirsi inquietata da quell’odore e il provare curiosità, dato che Kevin, solitamente, non era niente male come cuoco.

Optò, comunque, per la prima. Dopotutto, lei non sarebbe rimasta fino all’ora di cena, considerato che, ufficialmente, lei si trovava a studiare a casa di Beatrix.

Sorridendo, posò la maglia di Joe sull’asse e premette il tasto che azionava il vapore per assicurarsi che l’acqua nel ferro fosse calda.

Le sembrava impossibile che fossero già quasi alla fine di marzo... quasi quattro mesi insieme a Kevin, nascosta dai suoi e protetta da sua nonna. Era più di quanto si sarebbe mai aspettata, eppure una punta di malinconia era sempre presente nei suoi pensieri.

Non sarebbe durata in eterno: avrebbe dovuto dirglielo e avrebbe dovuto farlo presto, ma aveva così tanta paura delle conseguenze che quell’azione avrebbe portato con sé...

Passando con delicatezza il ferro caldo sulla stoffa grigia, si immaginò sua madre che abbracciava lei e Kevin e suo padre che dava loro la sua benedizione.

Già... peccato che una cosa del genere non sarebbe successa mai, almeno considerata quella che in quel momento era l’attitudine dei suoi genitori verso quel fidanzato che consideravano oramai una storia passata, un episodio a sé stante che non aveva avuto seguito.

È incredibile quando cieca possa essere, a volte, la gente... sì, perché chiunque, anche un perfetto sconosciuto, si sarebbe reso immediatamente conto di quanto amore fosse racchiuso negli occhi e nel sorriso di quella ragazza semplice ed ingenua che in pochi mesi era davvero diventata adulta.

Fu il suono del campanello, seguito dalla voce di Kevin, ad interrompere le sue riflessioni su quando e come parlare ai suoi genitori.

“Amore, apri tu, per favore? Sono pieno di farina...”

Sorridendo, la ragazza scosse la testa, chiedendosi come potesse quel bambino nella stanza accanto avere più di trent’anni.

La mia teoria? Kevin non stava facendo altro che sfruttare al massimo quella seconda giovinezza che gli era stata donata.

“Vado, vado!” Esclamò la giovane, abbandonando il ferro sul proprio supporto e muovendo quattro rapidi passi attraverso il minuscolo appartamento per raggiungere la porta.

“In ogni caso, prima o poi mi dovrai pagare per questi...” La ragazza ammutolì, trovandosi davanti l’ultima persona che si sarebbe aspettata di vedere.

I morbidi boccoli rossi raccolti in una bassa coda laterale e coperti in parte da un basco di lana grigio scuro, gli occhi verdissimi e più allegri che mai, il fisico sottile, privo della minima sproporzione, un pacco di carta colorata stretto in mano... la famosa Eliza Doolittle e tutta la sua bellezza erano lì, in piedi davanti a lei con un sorriso cortese che, al ricordo della figuraccia di qualche mese prima, la mise ancora più in imbarazzo.

Chissà se Kevin le aveva raccontato del suo fraintendimento, di quella stupida scenata di gelosia...

Certo che gliene ha parlato, piccola Martha... gliene ha parlato mille volte perché per lui quel momento è stato importante, perché è lì che si è reso conto di amarti. Se avessi saputo tutto questo, tesoro, dubito seriamente che il tuo viso avrebbe assunto quell’adorabile color aragosta.

“Ciao!” La salutò la donna con tono allegro, tendendole la destra. “Io sono Liz, ma immagino che tu già lo sappia... Martha, vero? Kevin mi ha tanto parlato di te!”

“Io... sì, sono... che ti ha detto, esattamente?”

Eliza ridacchiò, entrando e chiudendosi la porta alle spalle.

“Niente di brutto. Fidati, non ne è capace.”

“Chi non è capace di fare cosa?” Domandò Kevin, spuntando dalla cucina con un mestolo in mano e qualcosa di giallo impiastricciato sul grembiule.

“Tu non sei capace di cucinare senza sporcarti.” Lo prese in giro Eliza con un gran sorriso, al quale lui rispose allargando le braccia, facendo ingelosire non poco la giovane Martha.

“Vuoi qualcosa da bere, Liz?” Domandò, intromettendosi tra lei e Kevin con un sorriso tiratissimo, calcando particolarmente la voce sul nome della rossa.

Che si bloccò di colpo, trattenendosi a malapena l’ennesima risatina.

“No, grazie, sono passata solo per fare due chiacchiere con Kev... posso?” Chiese, senza la minima ironia nella voce, ben cosciente di quanto fastidiosa potesse essere la gelosia.

Con tutte le ragazze che aveva avuto Joe...

“Ehm...sì, beh...tanto io...devo andare. É... è tardi.”

E in un attimo fu fuori dalla porta senza giacca, abbandonando la maglia di Joe mezza stirata sull’asse.

Lo sguardo di Kevin era a dir poco perplesso.

“Glielo hai detto che non mordo?” Chiese Liz, indicando la porta dietro di sé con un pollice.

“Credo si sia resa conto di aver fatto una figuraccia...mi fa morire quando fa così.” Affermò mio fratello, mentre le sue labbra si piegavano in un sorriso dolce.

“Dai, innamorato, andiamo di là, che è un secolo che non parliamo.”

 

She’s a Saturn on the sunroof

With her red hair a-blowin’

She’s a soft place to land

And a good feeling knowing

She’s a warm conversation

That I wouldn’t miss for nothing

She’s a fighter when she’s mad

She’s a lover when she’s loving

(Brad Paisley, She’s Everything)

 

Joe socchiuse la porta della sua stanza il minimo indispensabile perché lo spiraglio gli permettesse di vedere ciò che accadeva in soggiorno.

Non aveva sentito male: era davvero lei e mai gli era sembrata più bella.

Dopotutto, da quanto tempo, ormai, non la vedeva sorridere davvero e non per cortesia nei confronti di un cliente dall’umore instabile?

La giovane donna si tolse cappotto e cappello e appese il primo allo schienale della sedia, tenendo il secondo tra le mani rimaste libere, dopo aver posato il pacco sul tavolo.

Non riusciva a sentire quello che lei e Kevin si stavano dicendo, ma, dopotutto, non gli interessava affatto. Avrebbero parlato di lavoro, di loro, di lui, magari... o forse era presuntuoso a pensare di essere incluso in quei discorsi, non gli interessava.

L’importante era poterla vedere, starle a due passi senza scappare.

Certo, Joey, era facile, senza che lei ti vedesse...ma io credo che quel pomeriggio sia stato comunque il milionesimo, minuscolo passo in avanti, per voi due.

Dio solo sa perché vi siate complicati così la vita... e non provare a dare la colpa a me, fratellino, perché è da quando eri alto così che sei innamorato di Liz, eppure non le hai mai dato nemmeno un misero bacio.

Misteri della mente umana... anzi, misteri della mente Jonas.

Appoggiandosi allo stipite della porta, Joe si prese il suo tempo per ammirare, non visto, il sorriso luminoso di lei, così come la delicatezza e l’eleganza di ogni suo gesto.

Chissà che diceva, a Kevin, così animatamente, facendolo sorridere con un’aria tra il fiero ed il soddisfatto.

Ti sarebbe piaciuto saperlo, eh, Joe?

Gli parlava della tua lettera, di quanta vita le avessero donato quelle poche parole e lui, che del fatto che tu le avessi scritto non sapeva nulla, si scoprì incredibilmente fiero del suo fratellino.

Fiero come non era da anni.

Poi gli parlò di Aaron, di come quell’amicizia che sembrava destinata a non esistere fosse invece diventata, per lei, davvero importante. Non ti metterai con lui, vero?, fu l’istintiva domanda di Kevin.

È stato in quell’occasione, Joe, che la tua Liz ha scosso la testa.

Nessuno, per lei, nessuno che non fossi tu.

Alla fine si è alzata, guardando l’orologio e lì anche tu hai capito che era ora di andare, che quel piccolo momento di pace era finito, che il mondo era pronto a ripartire.

Ravviandosi i capelli, Liz si lasciò abbracciare da Kevin, mormorandogli all’orecchio qualcosa a proposito del pacchetto ancora posato sul tavolo.

Su il cappotto, cappello in testa e via, verso il suo bar.

Un attimo di sosta ancora, sulla porta dell’appartamento, poche parole pronunciate di corsa ed un bacio volante a Kevin, prima di rituffarsi nella vita che l’aspettava a braccia aperte.

Joe richiuse la camera, lasciandosi appoggiare pesantemente alla superficie di legno liscio della porta.

Chiuse gli occhi, assaporando ancora per un istante il viso di lei, impresso a fuoco nella sua mente.

Un viso aperto e sorridente, radicalmente diverso da quello che Eliza aveva mostrato negli ultimi anni. Diverso, ed infinitamente più bello, felice ed innamorato quanto prima era disperato e rassegnato.

Malgrado tutto, era lui la causa di quella gioia e davvero non riusciva a capacitarsi di come in lei potesse esistere ancora tanto amore dopo tutto quello che le aveva fatto.

Sì, Joey, lo sapevamo tutti che tu eri certo di non meritarla, ma ciò che non capisco è perché fossi convinto di avere il diritto di spegnere di nuovo quel sorriso.

Perché a Liz non interessava che tu la meritassi o meno: lei voleva amarti e basta.

 

Sii come le onde del mare

Che pur infrangendosi contro gli scogli

Hanno la forza di ricominciare

(Sergio Bambaren)

 

Joe non aveva ancora aperto gli occhi quando, qualche minuto dopo, Kevin bussò alla sua camera con discrezione, chiedendogli, per favore, di aprire.

Cattivo segno, il fatto che il mio fratellone numero uno fosse così gentile nei confronti dell’altro.

E Joe lo sapeva perfettamente.

“Ciao, Kev...” Mormorò, infatti, con gli occhi bassi, permettendogli di entrare.

“Perché non sei venuto di là?” Chiese lui.

Dritto al punto, niente giri di parole.

Molto più da me che da Kevin, ma comunque decisamente adatto al contesto.

“Di là... perché avrei dovuto?”

“C ‘era Liz e non dirmi che non te ne sei accorto, perché non ci credo nemmeno se mi paghi il tuo peso in oro!”

Joe si lasciò cadere sul letto con un sospiro rassegnato.

“Volevo farlo, ma all’ultimo non ne ho avuto il coraggio: ho preferito rimanere qui e guardarla.”

“Le cose tra voi non cambieranno se continuate a guardarvi addosso e basta.” La sua calma simulata era peggiore di qualsiasi scoppio d’ira.

“Lo so!” Esplose Joe, scattando a sedere. “Lo so, e sbloccherò tutto, ma mi serve il mio tempo, ok? Nemmeno ho ancora capito che accidenti sia stato a farmi tornare in me, non puoi pretendere che mi inginocchi e le chieda di sposarmi da un momento all’altro.”

Kevin si strinse nelle spalle, concedendosi un sorriso.

“Sarebbe molto da Danger.”

“Già... sei... sei arrabbiato con me? Lo so che ho trattato male Martha e tutto quanto, ma non sopporto che si tocchino le mie cose e poi...”

“E poi sei nervoso, lo so. Non sono arrabbiato, Joe, non era questa l’impressione che volevo darti. Sono preoccupato: ho paura di non vedere mai te ed Eliza insieme quando siete evidentemente fatti l’uno per l’altra.”

“Lo pensi davvero?” Chiese Joe, con gli occhi improvvisamente pieni di una strana luce.

“Lo pensiamo tutti, Joey... anche Nick.”

Assolutamente sì.

“Beh... vedrò di non deludervi.”

Kevin ridacchiò, scompigliando i capelli troppo lunghi del fratello come faceva sempre quando erano bambini.

“Quando vai a tagliarli? Sembri un barboncino.”

Joe si strinse nelle spalle.

“Dipende da Carrie.”

Il maggiore inarcò un sopracciglio, inclinando appena la testa di lato.

“Carrie?”

Joe scosse la testa, sorridendo e ravviandosi i capelli.

“Christian. E non chiedermi spiegazioni. Comunque mi deve chiamare per dirmi per quando mi ha preso l’appuntamento. Ma.... cos’è quello?” Chiese, indicando il pacco che Kevin teneva in mano.

Il pacco che aveva portato Liz.

“Oh, è per te, da Eliza. Dice che per Natale non ti aveva preso niente e voleva riportarsi in pari. Anche perché non le sembrava giusto aver preso qualcosa a me e non a te.”

“Non... non mi hai detto che Liz ti aveva fatto un regalo.” Mormorò Joe, scuotendo appena il capo.

Kevin si strinse nelle spalle.

“È una sciarpa bianca, credo di averla usata solo un paio di volte. Dai, aprilo.” Spiegò, tendendogli la confezione rettangolare, che lui afferrò, meno riluttante di quanto pensava di poter essere.

“Grazie, Kevin.” Disse, sorridendo ed iniziando a strappare la carta colorata.

 

Vorrei mi facessi un regalo

[...]

Di quelli che non so aprire

Di fronte ad altra gente

Perché il regalo più grande

È solo nostro per sempre

(Tiziano Ferro, Il regalo più grande)

 

 

Il pacchetto conteneva, oltre ad una busta che aveva tutta l’aria di essere una lettera piuttosto lunga, un libro e due cd.

Il volume era uscito parecchi anni prima, lo ricordo perfettamente, e scriverlo era stato davvero divertente. Si trattava di una specie di tournèe fotografica che la Disney aveva messo insieme per noi dopo l’uscita del nostro terzo album e del dvd del film Camp Rock, il nostro primo successo cinematografico del quale, ovviamente, nessuno ora si ricorda più.

Joe sorrise, malinconico, sfogliando una per una le pagine patinate che raccoglievano le immagini di quello che certamente era stato il periodo migliore delle nostre vite, nonché l’apogeo dei Jonas Brothers.

Eravamo una boyband, sapevamo che il nostro successo non sarebbe durato in eterno, ma allora eravamo certi che non aveva importanza, che ci saremmo sempre stati, l’uno per l’altro, e questo era l’importante.

La musica veniva dopo.

Il successo veniva dopo.

Ricordo in modo incredibilmente nitido le risate fatte per scattare quelle foto, Big Rob che ci teneva il gioco, la nostra manager che ci riprendeva ogni cinque minuti... e poi la fatica, per scrivere la parte più seria, quella riguardante il mio diabete, e la nostalgia nel passarci di mano in mano le vecchie istantanee da inserire in memoria di ciò che allora era il solo passato che conoscessimo.

Un passato felice.

Con un sospiro, Joe ripose il libro sul comodino, passando ad analizzare i compact.

Il primo non era un originale, ma un Greatest Hits del nostro gruppo, sicuramente masterizzato da lei stessa, con la raccolta delle sue canzoni preferite, mentre il secondo, inconfondibile agli occhi del mio fratellone, era un disco che rappresentava tutto il rapporto che lui e Liz avevano condiviso, tutta quell’amicizia sempre al confine con l’amore messa in musica.

Una copertina scura, di un blu quasi nero, e su di essa disegni sconnessi... un cilindro grigio, una bacchetta magica dalla cui punta fuoriuscivano schizzi multicolori, la scritta Queen nell’angolo in alto, il titolo, A Kind of Magic, posta al centro, tracciata con caratteri buffi nel colore del sole.

Un ricordo.

 

“Dai, Joey...” Si lamentò Eliza, lasciandosi cadere sul divano di casa Jonas. “Dammi una mano, sono stufa di arrivare sempre alla vigilia della festa senza regalo perché non so che cosa prenderti!”

Joe, chino a firmare una risma di foto per le fan, ridacchiò, soffiandosi via un ciuffo da davanti agli occhi.

“Ma se ti dico io cosa comprarmi non è più una sorpresa.”

“E se poi ti prendo qualcosa che non ti piace?”

“Impossibile.”

“Danger...” Soffiò la ragazza, lasciandosi scivolare sul pavimento accanto a lui e sedendogli esattamente di fronte. “Ti prego...”

Il giovane parve riflettere, prendendosi in realtà un istante per annegare con tutta calma nel verde bruciante degli occhi di lei.

“In effetti ci sarebbe una cosa...” Si arrese infine, sporgendosi a fermarle un boccolo rossiccio dietro all’orecchio destro.

 

Ed eccolo, il regalo che lui aveva chiesto e che lei non era riuscita a fargli, quell’anno.

La loro personale colonna sonora, un dono che era soltanto loro e che sempre sarebbe rimasto tale.

Soprattutto quella traccia, la numero sei, la canzone più triste eppure più speciale, su quel dischetto argentato.

Who wants to live forever.

L’avrebbe ascoltata, si ripromise, ma prima doveva… leggere la lettera.

Operazione che si rivelò più rapida ed indolore del previsto, dato che lo spessore della busta era dovuto pressoché totalmente al fatto che Liz aveva utilizzato, per scrivere, un biglietto decordato di carta ecologica tagliata piuttosto spessa

Le parole erano poche, ma forti e decise.

Determinate.

 

Al mio Danger,

per ricordarti chi eri, chi eravate, chi eravamo.

Chi saremo.

                                                                Liz

 

Continua...

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Capitolo 27
*** - capitolo ventisette - ***


Stasera è sera di commenti ed aggiornamenti, per cui eccomi qui, anche se non ho tempo per ringraziarvi, ad aggiornare intanto che mangio una caramella e mi studio il mio monologo.

Dico solo a Vitto un grazie per aver capito cosa intendevo e non essersi arrabbiata... dopotutto, siamo d’accordo che la sincerità è sempre la miglior politica! Settimana prossima ho la terza prova, x cui non so se prima di allora riuscirò a scriverti... ma poi lo faccio immediatamente, appena ho tempo!!!

Temperance

-Capitolo Ventisette-

 

You,

you want it all and you think it’s ok

but you don’t wanna wait

it has to be today

But I,

I’ve been around a long long time

And I know what to do

It’ll be just fine

(Rebecca Lavelle, Understand Me)

 

“Ben svegliata, cucciola, non vedo l’ora che sia stasera, Kev.” Ringhiò il signor Sheperd, praticamente stritolando il cellulare della figlia, mentre questa lo guardava, impotente e colpevole dalla sedia sulla quale sua madre l’aveva praticamente costretta a sedersi.

Si sentiva a dir poco sotto interrogatorio... peccato che nessuno dei suoi genitori avesse deciso di interpretare il ruolo del poliziotto buono.

“Mi spieghi che significa questo messaggio?”

“E tu mi spieghi perché lo hai letto?” Domandò la ragazza, in uno scatto d’ira, alzandosi in punta di piedi per arrivare a guardare il padre negli occhi. “Ho anche io la mia privacy.”

“Abbassa le ali, signorina!” Intervenne Jaqueline, interponendosi tra la figlia e il marito. “Ti avevamo detto che non dovevi vederlo più, quindi mi spieghi perché ti chiama cucciola e perché non vedeva l’ora che fosse ieri sera? Non eri a dormire da Beatrix, ieri sera?”

Il tono di voce della donna era andato gradualmente alzandosi, tanto da aver attirato l’attenzione di Jean, che si affacciò alla porta del salotto brandendo una copia di People che, evidentemente, stava leggendo.

Decise, però, che per il momento sarebbe stato meglio non intervenire.

Non direttamente, per lo meno, si corresse mentalmente, stringendo un po’più forte il cellulare che le aveva regalato suo figlio e che mai le era parso più utile che in quel momento.

“Non eri da Beatrix?” Ripeté Jaqueline, alzando la voce, mentre Jean scompariva di nuovo oltre lo stipite della porta.

Martha scosse il capo, senza alzare gli occhi da terra.

“Eri da lui? Martha, guardami in faccia quando ti parlo.”

“Sì, ero da lui, va bene?” Replicò la giovane, obbedendo a ciò che la genitrice le aveva ordinato. “C’è qualcosa di male in questo?”

“Qualcosa di male? Non ti sembra qualcosa di male l’aver mentito sia a me che a tuo padre? Non ti sembra qualcosa di male aver passato la notte a casa di un tuo insegnante senza che nessuno lo sapesse?”

“Nonna Jean lo sapeva. E poi non è più un mio insegnante... e tutto grazie a te.” Sibilò, senza interrompere il contatto visivo.

Chissà perché, spesso alle donne fa meno paura confrontarsi con la propria madre che con il proprio padre... io avevo il terrore della mia...

“Perdonami se io so cosa è meglio per te.”

“Tu non sai niente...” Mormorò la giovane, tornando a rivolgere la propria attenzione alle piastrelle del pavimento.

“Che hai detto?”

“Guarda in faccia tua madre, quando le parli.”

“Ho detto.” Ripetè Martha, lanciando ai genitori uno sguardo assassino. “Che voi non sapete un cazzo di quello che è meglio per me.”

“Non osare parlarci così, Martha, non te lo permetto.” La riprese Jaqueline, arretrando, probabilmente senza nemmeno esserne cosciente, di fronte a quell’esplosione della figlia.

“Mi permetto eccome, invece! Voi avrete visto Kevin una volta a dire tanto, non avete idea di chi lui sia o di cosa io sia per lui, voi... voi non sapete andare oltre la mera apparenza, ecco cosa c’è che non va! Nemmeno vi sforzate di capire, di vedere, di...”

“Tu non vedi, Martha!” Ribatté la donna, a tono. “Non vedi che quello è solo un gigolo da quattro soldi il cui unico scopo è quello di portarti a letto. Sei il suo giocattolino: un paio di giri, e poi sarai dimenticata, perché non lo capisci?”

“Perché di giri, mamma, come li chiami tu, Kevin se ne è già fatti ben più di due, in quasi quattro mesi passati insieme. Ma come puoi saperlo, dopotutto? Ti interessa di me solo quando si tratta di urlarmi addosso, no?”

“Questo non è vero.”

“Ah no?” Martha si avvicinò impercettibilmente alla madre, senza distogliere gli occhi chiari da quelli quasi neri di lei. “Il pomeriggio del primo dicembre sono tornata a casa praticamente camminando sulle nuvole, ma non te ne sei nemmeno accorta, perché altrimenti mi avresti chiesto che cosa era successo. Io non ti avrei risposto, ma tu ti saresti interessata e per me sarebbe stato già abbastanza. Ma no, figuriamoci...”

“Beh, dimmelo ora. Cosa è successo il primo di dicembre?”

“Eh, no, mamma.” Rispose Martha, scuotendo il capo e cercando di trattenere le lacrime di rabbia che le martellavano le palpebre. “Adesso è troppo tardi per far finta che te ne freghi qualcosa.”

“Non essere stupida, per favore.” Intervenne il signor Sheperd. “Se non ci importasse di te credi davvero che saremmo qui a cercare di porre fine a questa stupida relazione che ti sta rovinando?”

“Ma vaffanculo, papà.... andateci tutti e due. Solo delle cose sbagliate vi sapete preoccupare.” Esclamò la ragazza, voltando le spalle ai genitori e correndo su per le scale, una mano ad asciugarsi le lacrime ribelli che le bagnavano le guance.

Nel frattempo, al piano di sotto, il campanello della porta di ingresso prese a prodursi in un concerto a dir poco furioso e che sembrava non dover promettere nulla di buono.

 

Sì che si può ricostruire un amore

Basta sapere quel che vuoi

Senza nasconderti o scappare

La vita è buche e sassi ma noi giovani elefanti

Nella testa abbiamo un sogno

Ritornare alle sorgenti

Sì che si può ricostruire un amore

E certe foto un po’sfocate

Si potrebbero rifare

Tanto siamo quel che siamo ieri oggi e poi domani

E se il cielo sta cadendo

Puoi fermarlo con le mani

(i Pooh, Ricostruire un amore)

 

“Com’era?”

Due paia d’occhi, uno azzurrissimo e l’altro color cioccolata, si scambiarono uno sguardo scettico che il sottoscritto non avrebbe potuto condividere di più.

Patetica.

La sottospecie di dichiarazione che Joe aveva appena finito di recitare non avrebbe potuto essere definita in alcun altro modo.

“Ehm.... dolce?” Azzardò Clarisse, mentre Christian, seduto sul letto accanto a lei, scuoteva energicamente la testa.

“Faceva schifo.” Asserì. “Possibile che non sai fare di meglio, Big?”

“Piantala di chiamarmi Big.”

“Senti, bello, già ti sto aiutando a conquistare un’altra e la cosa non mi va affatto a genio. Lo faccio, perché tu, malgrado tutto, mi sei simpatico e perché Kevin è un grande amico, ma non puoi, e quando dico non puoi intendo dire che non ti è in alcun modo concesso, dirmi come devo o non devo chiamarti.”

Joe sollevò la mano in un cenno che voleva chiaramente dire che desiderava essere lasciato in pace, e si voltò sulla sedia, dando le spalle ai due amici.

“Non sono mai stato bravo in queste cose.”

“Non c’è bisogno di essere poeti... se ami le parole vengono da sole.” Spiegò il biondo, alzandosi ed avvicinandosi all’altro

“Ma io la amo...”

“Bene, convincimi che è vero.”

“Lo dici come se niente fosse.” Ringhiò Joe, tornando a guardarlo in faccia. “Fallo tu, visto che è tanto facile!”

“Ehi, non sono io quello cotto e stracotto, qui! Anche perché se lo fossi, stai tranquillo che Eliza sarebbe già mia da un pezzo, visto che io non mi faccio nemmeno un sedicesimo delle tue seghe mentali.”

“Chris...” Lo richiamò Clarisse con tono lamentoso. “Se continuate a litigare non ci muoviamo più di qui... digli come la faresti tu e basta!”

“Io?” Domandò il giovane, assumendo una tonalità molto prossima a quella del latte, per poi scuotere energicamente la testa, mentre il suo cervello elaborava febbrilmente una scusa che potesse risultare quantomeno plausibile. “Io sono un informatico, ricordate? Non sono bravo con le parole...”

“Chris, per favore...” Cinguettò Clarisse, stringendosi al braccio di lui e facendo sporgere appena in fuori il labbro inferiore.

Usavo anche io quella tecnica, anche se il campione imbattuto resta Joe, e posso assicurare che è davvero, davvero difficile resistervi.

“D’accordo, d’accordo, fate spazio al maestro.”

Scherzando, si può dire di tutto, anche la verità.
(Sigmund Freud)

Con aria mortalmente seria, anche se evidentemente simulata, Christian si inginocchiò davanti a Joe e gli prese la mano con gesto plateale.

E io pensai che era un grande attore, il professor Prato, perché non esiste miglior commediante di quello che si appresta a dire la verità fingendo di recitare, a rendere la finzione più vera di qualsiasi realtà. L’unico problema è che a recitare troppo, prima o poi si crolla... e allora mettere insieme i pezzi non è affatto facile.

“Liz...” Iniziò, abbassando rapidamente gli occhi, come per prendere fiato con tutto il corpo, invece che solo con i polmoni, per poi rialzarli in quelli di Joe. “Io... ho bisogno di parlarti... di dirti qualcosa che mi sento dentro da tanto e ora sta spingendo da ogni parte per uscire. Non sono bravo con le parole, lo sai anche tu, quindi sarò rapido ed essenziale. Io ti amo, Eliza e credo di farlo un po’da sempre, ogni giorno un briciolo in più e, per quanto tutto questo possa risultare terribilmente banale e forse anche un po’noioso... è la verità, l’unica verità che io conosca.” E poi successe qualcosa. Il tono di Chris cambiò, la sua voce di spezzò leggermente e io seppi che era avvenuto quel passaggio, quel transfert che ogni attore dovrebbe evitare: la fusione tra personaggio ed interprete, la rottura di quella linea invisibile che separa realtà e finzione.

La fine del gioco.

“L’unica verità che io conosca... perché anche se so che tu ami lei è maledettamente difficile liberarmi di te, di quello che io provo per te. Vorrei dimenticarti, me lo ripeto ogni sera, ma non ce la faccio...”

“Chris...” Lo interruppe Joe, ma il biondo agitò una mano, come a dire di lasciarlo stare, che non aveva bisogno di niente, mentre con l’altra si sfregava leggermente gli occhi chiarissimi, diventati di colpo lucidi.

“Lascia perdere io... io devo andare a casa, ho delle verifiche da correggere, devo preparare la cena e...”

“Sono le quattro del pomeriggio.”

“Devo andare a casa.” Ripetè Christian, quasi sotto voce, ma fermo e deciso, alzandosi in piedi ed avviandosi verso la porta. “Ci vediamo la settimana prossima per andare dal parrucchiere. Ciao Clary. Ah, e, Joey, l’ultima parte non la devi ripetere, ad Eliza.”

Con quello, fu fuori dalla stanza.

“Che... che cosa è successo?” Domandò Clarisse, mentre Joe, rossissimo in volto, si passava una mano tra i capelli, sistemandosi sul letto accanto a lei.

Gli occhi fissi su un punto imprecisato della parete di fronte a lui, scosse il capo, senza trovare le parole per risponderle.

“Cosa è successo, Joe?” Insistette la ragazzina, preoccupata.

“È successo che riesco a fare casini anche senza muovere un dito, Clarisse.”

 

If you’re out on the road

Feeling lonely and so cold

All you have to do is call my name

And I’ll be there in the next train

(Carole King, Where you lead)

 

Martha non era in camera sua da dieci minuti, che una scarica di battiti furiosi si riversò sulla porta d’ingresso di casa Sheperd, facendo sussultare i coniugi che ancora stavano discutendo.

“Apro io.” Biascicò il marito, ansioso di fuggire, almeno per un attimo, da nervosismo di Jaqueline, non sapendo che quello a cui stava andando incontro era molto, molto peggio.

Perché mio fratello arrabbiato, ma arrabbiato veramente, è un’esperienza che non auguro a nessuno.

“Dov’è Martha?” Ringhiò Kevin, entrando in casa di slancio senza nemmeno far caso a chi gli aveva aperto e rischiando di far cadere a terra il povero signor Sheperd che, però, non si perse d’animo.

“Che ci fa lei qui, Jonas?” Domandò, senza celare l’astio, sistemandosi gli occhiali sul naso.

“Mi ha chiamato sua madre, che è l’unica a capire qualcosa di amore in questa casa. Dov’è su figlia?”

“In camera sua e ci resterà. E non permetterti di parlarmi così, ragazzino!”

“Non sono un ragazzino, signor Sheperd.”

“Ma mia figlia sì.”

“Voglio vedere Martha.” Soffiò mio fratello, a pochi centimetri dal viso dell’uomo, più alto di lui di poco più di un dito.

“No.”

“Non me ne frega niente di quello che dice, ok? La mia fidanzata, la donna che amo ha bisogno di me, quindi ora lei mi dice dov’è la stanza e io ci vado. Punto.”

“Tu non vai da nessuna parte che non sia fuori da quella porta, Kevin.” Disse Jaqueline, apparentemente molto calma, ma calcando fortemente sul nome dell’uomo, che la guardò come se si fosse accorto della sua presenza solo in quel momento.

“Lei è quella che ha tentato di farmi licenziare.” Mormorò, con il tono di chi non fa altro che constatare un dato di fatto.

“E tu sei quello che vuole portarmi via la mia bambina.”

“Detta così, sembro un sequestratore o qualcosa del genere.”

“Fidati che per me non sei niente di meglio.”

“Ma si può sapere che diavolo sta succedendo?” Domandò Jean, entrando nella stanza con un’aria di totale innocenza che per poco non fece scoppiare Kevin a ridere. “Oh, ciao Kevin.” Salutò con un sorriso.

“Mamma, torna di là.”

“Oh, ora dai ordini anche a me, Daniel? Devo ricordarti che sono io la madre?”

“Tu sei una nonna che ha tenuto il gioco di nascosto al cosiddetto fidanzato segreto di sua nipote. Che razza di rispetto ti meriti, tu?”

“Mi perdoni, signor Sheperd, ma sua madre qui è l’unica ad aver capito quello che c’è tra me e sua figlia e probabilmente non esiste persona in tutto lo Stato di cui io abbia maggior rispetto.”

“Di chi rispetti tu non mi interessa assolutamente niente.” Soffiò Daniel. “Ma stai lontano da mia figlia.”

“Nemmeno per idea.” Replicò Kevin, con lo stesso tono, sostenendo lo sguardo dell’altro uomo.

“Questa conversazione è assurda.” Intervenne Jean, nonostante lo sguardo quasi omicida lanciatole dalla nuora. “Voglio dire, cos’è che vi dà tanto fastidio di questo ragazzo?” Domandò, posando una mano sulla spalla di Kevin, come per dirgli che lei era lì ed era dalla sua parte. “Insomma, è solo l’età che vi dà fastidio? O il suo passato? Ho conosciuto Kevin prima che suo fratello morisse, il suo è stato solo un momento di crisi.”

“Mamma, un momento di crisi non dura quattro anni.”

“Ci è passato, signor Sheperd?” Chiese Kevin, inaspettatamente.

“Cosa?”

“Le ho chiesto se ha mai perso qualcuno di caro in modo totalmente inaspettato.”

“Io...” Biascicò l’uomo, colto di sorpresa. “No, non mi è mai successo.”

“E allora non giudichi, perché lei non ha idea di cosa voglia dire, né di quanto una crisi derivante da questo possa durare. C’è bisogno di qualcosa di forte per uscirne e non parlo di medicine, ma di emozioni e a me le ha date Martha. So che è una cosa pazza e non è certo il tipo di relazione che immaginavo avrei avuto, ma tant’è e non ho nessuna intenzione di lasciar perdere.” Concluse, avviandosi verso la porta. “Potete dire e fare quello che volete, ma Martha ed io ci apparteniamo, dunque continueremo a stare insieme, che a voi la cosa vada bene oppure no.”

 

Senti....

Chris, sono grande, l’ho capito, sai

Io ti rispetto, resta quel che sei

Tu che puoi...

(adattamento da Pierre, i Pooh)

 

Christian si lasciò cadere pesantemente sulla panchina appena dietro all’angolo del palazzo dove abitavano i miei fratelli, il viso affondato tra i palmi delle mani e il corpo scosso da leggeri sussulti.

Erano anni che non piangeva, più o meno da quando, adolescente, si era reso conto della propria omosessualità e aveva passato i peggiori mesi della sua vita nel tentativo di reprimerla.

Nella speranza di sentirsi di nuovo normale... poi aveva capito che non c’era assolutamente nulla di anormale in lui. Ecco, quella era stata l’ultima volta in cui si era sentito triste come in quel momento.

Ma per amore non aveva pianto mai.

Non capiva davvero come avesse potuto arrivare a ridursi così... pensava che ciò che provava nei confronti di Joe fosse solo pura attrazione fisica, nulla più di questo, ma poi l’aveva conosciuto, aveva parlato con lui e, nell’ultima settimana, avevano trascorso insieme metà del loro tempo libero, quando non tutto quanto...e aveva imparato ad amare, amare davvero il suo modo di fare burbero e scostante, le sue battutine idiote e la sua ironia non troppo sottile.

No, si trovò a pensare, suo malgrado, non erano più i tempi in cui Joe per lui era semplicemente il più bel culo del New Jersey...

E lui era patetico, seduto su una panchina nel bel mezzo di Princeton in lacrime per il fratello del suo migliore amico.

Forse avrebbe fatto meglio ad alzarsi, recuperare la macchina ed andarsene a casa, visto che il suo modo di vestire piuttosto eccentrico era solito attirare gli sguardi dei passanti e quella non era una zona esattamente sicura della città.

Gli era già successo di tornare a casa con un occhio nero e qualche livido sparso dovuti all’incontro fortuito con bande ben nutrite di ragazzetti omofobici più per moda che per vera convinzione. E il suo fisico da ballerino non era esattamente quel che si dice adatto per difendersi.

Stava per dare ascolto al buon senso ed alzarsi, quando una voce richiamò la sua attenzione, bloccandolo sul posto.

“Professor Prato? È lei?”

Alzando gli occhi, il giovane uomo si trovò davanti Martha Sheperd, i capelli biondi raccolti alla bell’e meglio in una coda bassa, un grosso zaino sistemato sulle spalle e gli occhi arrossati.

Anche lei doveva aver pianto...

“Martha...” Mormorò, facendo per andarle in contro ma ritrovandosi molto più debole del previsto. Arreso, decise di rimanere seduto e le fece cenno di avvicinarsi, mentre con l’altra mano finiva di asciugarsi gli occhi ancora umidi di lacrime. “Sei venuta a trovare Kevin? È uscito di corsa circa una ventina di minuti fa e sembrava davvero fuori di sé...”

“Davvero?” Chiese lei, stringendosi nelle spalle e sedendogli accanto, dopo aver depositato a terra il borsone. “Joe ne avrà combinata una delle sue...”

“No, Joe non c’entra, fidati.”

“Beh, poco male, in ogni caso, non ero venuta a cercare lui. E lei che ci fa qui?”

Chris scosse il capo mestamente, per poi cercare immediatamente di mascherare quel gesto con uno dei suoi soliti sorrisi.

“Sto dando una mano a Joe con una cosa che deve preparare... sai, è un bel ragazzo, ma non ha proprio senso estetico... nessuno si innamorerà mai di lui, se non faccio qualcosa, tanto meno quella Liz.”

Perché le era sembrato che sulle parole quella Liz gravasse tutto il disprezzo di questo mondo?

“Lei sì, però, non è vero?”

“Io sì cosa?”

“Lei se n’è innamorato.”

“Come mai quello zaino? Hai fatto qualcosa che dovrei sapere, Martha?” Improvvisò lui, indicando la borsa di tessuto azzurro.

“Non cambi discorso!”

“Non ti facevo così combattiva...”

“Lei ha pianto, vero?”

Christian scosse il capo un paio di volte, per poi decidere che, in fondo, sarebbe stato perfettamente inutile continuare a negare. Dopotutto, anche lei era una vittima del fascino Jonas...

“Sì, io... non molto, ma... sì, ho pianto.”

“Per lui?”

Il biondo annuì in fretta, prima di passarsi un braccio davanti al viso, come per bloccare sul nascere un nuovo attacco di pianto, e prendere a torturarsi nervosamente entrambe le mani.

“Scusa, sono un cretino e tu non c’entri niente. Ti serve un passaggio?”

“Prof, che è successo?” Domandò la ragazza, posandogli una mano sulla spalla in segno di conforto.

Chris sospirò, ravviandosi i capelli chiari.

“Niente di speciale, solo che mi sono lasciato andare un po’troppo quando sapevo perfettamente che lui non avrebbe mai potuto ricambiare i miei sentimenti.”

“E perché no? Insomma, lei è...”

“Un uomo, Martha, e lui ama una bellissima donna. Nessuno farebbe mai il tifo per me, quando l’avversaria è Eliza. Nemmeno io lo farei, diamine! A volte penso che ci deve veramente essere qualcosa di sbagliato in me, visto che nessuno sembra volersi innamorare di me... forse sono semplicemente nato sbagliato. Se fossi donna avrei molti meno problemi.”

“Se fosse donna non sarebbe il mitico prof Prato, ma solo una noiosissima insegnante di informatica esattamente uguale a tutte le altre.”

“Forse, ma potrei provarci con Joe per lo meno alla pari con lei.”

“O forse, vista la sua tendenza alla misoginia e alla sua repulsione verso tutto ciò che è ordinato e pulito, Joe non l’avrebbe nemmeno fatta avvicinare a lui per paura che stirasse i suoi vestiti.”

Christian ridacchiò, reclinando leggermente il capo e guardando la ragazza di sottecchi.

“Capisco perché Kevin è così perso per te.” Sussurrò, per poi scompigliarle i capelli con dolcezza quando la vide arrossire. “Sei una brava ragazza.. anche se tu e i computer non avete un gran feeling. I piacerebbe poterti dare voti più alti.”

Martha si strinse nelle spalle, sorridendo, intimamente soddisfatta di essere riuscita a tirargli su il morale almeno un po’.

“Una c non è poi così male, come voto. Anzi, se potesse costringere la prof di educazione fisica a darmene un po’anche lei...”

Christian rise, mentre entrambi si alzavano in piedi.

“Prometto che userò tutto il mio charme per farlo. Sicura che non ti serve un passaggio?”

“No, grazie, prof, sto andando a casa Jonas. Ci vediamo domani a scuola.”

“A domani!” Esclamò Christian, infilando entrambe le mani nelle tasche della giacca ed avviandosi, un po’più leggero, verso la propria macchina.

 

Continua...

 

 

 

 

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Capitolo 28
*** - capitolo ventotto - ***


*Si fustiga*

Ok, scusate, scusate scusate, ma di nuovo non ho tempo per ringraziarvi tutti... dopo Berlino giuro e spergiuro che mi riporterò in pari con tutto quello in cui devo riportarmi in pari, crepassi facendolo!!

Altro capitolo parto... spero sia venuto comunque bene! E vorrei dire ad una certa 3 che non si pensi di saltare il commento allo scorso capitolo!!! Perché la picchio!!!

Temperance

 

-Capitolo Ventotto-

 

C’è un tempo per il silenzio assenso

Solido e denso

Di chi argomenti ormai non ne ha più

Frasi già dette già riascoltate

In mille puntate

Di una soap opera alla tv

(Max Pezzali, Lo strano percorso)

 

 “Martha...”

La ragazza alzò appena gli occhi dal foglio sul quale stava tentando, malgrado la lezione di canto che si stava svolgendo a tutto volume nella stanza accanto, di scrivere qualcosa di sensato e rivolse a Kevin un sorriso frettoloso.

“Martha, non puoi restare qui.” Ripetè lui, per l’ennesima volta, in quella settimana, senza più preoccuparsi di levarsi dal volto quell’espressione terribilmente preoccupata.

“Kevin, ancora?” Domandò lei, lasciando cadere la penna, scocciata. “Ne abbiamo già parlato, mi pare.”

“Fino alla nausea, ma il fatto di averne parlato non cambia le cose. Devi tornare...”

“A casa, lo so.” Continuò lei, distratta, cancellando rapidamente un paio di parole.

“Appunto. Non posso continuare a dormire sul divano per tutta la vita.”

“Sei un po’egoista, non ti sembra? E poi tu hai deciso di dormire sul divano, io ti avevo detto di stare di là con me.”

“Come no... sai che comodità, in due in un letto a una piazza.”

“Come fosse la prima volta...”

Kevin alzò gli occhi al cielo, ravviandosi i capelli con gesto nervoso. Quante, quante volte ancora gli sarebbe toccato di ripetere quel discorso, quante?

“Sono due cose diverse.” Spiegò, afferrando una sedia di malagrazia e sistemandovisi sopra come in sella ad un cavallo, le gambe ai due lati dello schienale. “Intanto quando si fa... quello che noi solitamente facciamo su quel letto si occupa molto meno spazio.”

“Ma le molle cigolano.”

“Questo” Intervenne lui, alzando l’indice sinistro davanti ai suoi occhi e bloccandola immediatamente. “Questo è del tutto secondario. Il punto è che io obbiettivamente non ce la faccio a dormire in metà dello spazio che serve a qualsiasi individuo per riposare bene, svegliarmi tutte le mattine con il mal di schiena e avere la forza materiale per fare tutto quello che devo fare per poi, magari, alla sera trovare anche il tempo di giocare al dottore con te.”

“Parli come i mariti vecchi e noiosi nelle sit com.”

“Ma io sono più vecchio di te!”

“Ma non hai settant’anni!”

Credo che ricorderò quel giorno come uno dei più spassosi della mia eternità, sapete?

Veder litigare quei due era, ed è a tutt’ora, una delle mie attività preferite in assoluto: è come una commedia a teatro, solo che non si paga il biglietto.

“I tuoi almeno lo sanno che sei qui?”

Martha alzò gli occhi al cielo, soffiandosi via una ciocca di capelli chiari da davanti al viso.

“Sì, lo sanno, ho lasciato un biglietto.”

“Bello. Cari mamma e papà, mi trasferisco dall’uomo che più odiate in tutto lo Stato e da suo fratello ex psicolabile. Tante care cose.”

“Piantala!” Esclamò la ragazza, alzandosi in piedi, avvicinandosi a lui ed assestandogli un pugno deciso sul braccio. “Non ho scritto niente di simile e, comunque, questa lettera è per loro.”

“Lettera?” Domandò Kevin, allungando un braccio ad afferrare il foglio coperto dalla calligrafia ordinata della giovane. “Ci stai lavorando da almeno tre giorni, sarà un romanzo, ormai.”

“Ridammelo!” Quasi gridò lei, gettandoglisi addosso, mentre lui teneva il pezzo di carta il più lontano possibile dalle sue mani. “Non lo puoi leggere!”

“È il secondo volume delle Canterbury Tales? O il quarto regno della Divina Commedia?”

“Kevin!!” Ululò Martha, riuscendo finalmente a strappargli la lettera dalle mani ed alzandosi, fintamente offesa. “È solo una lettera per i miei genitori. Che tu non devi leggere. Ora io vado a lavarmi, lei resta qui, nel mio quaderno. C’è una remotissima speranza che io torni senza che tu l’abbia imparata a memoria?”

Kevin si strinse nelle spalle.

“Nessun problema, se davvero non vuoi che la legga non lo farò.”

Grande attore, mio fratello.

O forse grande ingenua Martha.

O, chissà, magari nessuno dei due...

Non appena la giovane fu sparita oltre l’angolo del corridoio, Kevin sollevò la copertina del piccolo quaderno su cui Martha stava scrivendo ed afferrò il foglio ripiegato in quattro poggiato al suo interno.

Si aspettava una lettera di scuse, di spiegazioni, un vi voglio bene infilato da qualche parte, un mi mancate sul finale... la lettera di un’adolescente pentitasi del suo gesto impulsivo, insomma.

Niente, niente di simile a quello che, effettivamente, trovò vergato su quella carta con l’inchiostro blu di una delle sue penne preferite, quella che lei gli aveva sequestrato un paio di settimane prima.

Mai si sarebbe aspettato una lettera d’amore.

 

Pretty woman, won’t you pardon me

Pretty woman, I couldn’t help see

Pretty woman

I don’t believe you, you’re not the truth

No one can look as good as you

...mercy!

(Roy Robson, Pretty Woman)

 

Entrando nel salone del suo parrucchiere di fiducia, Christian si lasciò avvolgere per qualche istante dalla forte mistura di profumi che riempiva sempre la piccola sala, concedendo un po’di pace ai propri sensi.

Non trovava assolutamente giusto che, nella visione popolare, un piacere del genere dovesse essere riservato solamente alle donne. Non aveva, forse, anche lui il diritto di farsi coccolare un po’, una volta ogni tanto?

Personalmente, ho sempre detestato andare a tagliarmi i capelli, ma devo ammettere che non è per niente male poter dimenticare, per quella mezz’ora al mese, tutto ciò che non riguarda shampoo e messa in piega.

Gratificante, potrebbe essere questa la definizione corretta.

Non doveva distrarsi, però, era lì per un motivo ben preciso e non lo avrebbe perso di vista.

Prendere l’appuntamento di Joe per quel pomeriggio, andare a recuperare il diretto interessato, portarlo a pranzo in un posto che vendesse qualcosa di più salutare di un hamburger e tornare a casa in tempo per l’inizio del film che voleva vedere.

I piani, però, Christian, non vanno sempre come uno li aveva stabiliti e a volte basta davvero poco a sconvolgere tutto.

A volte, solo un nome è sufficiente...

“Mi hai detto Eliza, giusto?” Domandò la voce familiare di John, il parrucchiere, mentre Chris appendeva la giacca nell’ingresso, aiutato dalla nuova assistente che, da quando l’aveva visto, aveva l’aria di aver dimenticato anche il proprio nome.

“Eliza Doolittle, sì.”

Christian trasalì e, agitando velocemente una mano, fece cenno alla ragazza, che gli stava domandando qualcosa, di tacere. Si affacciò, poi, oltre l’angolo che separava l’ingresso dal salone principale, trovandosi per la prima volta davanti alla donna che aveva rubato il cuore di Joe.

Ora, sapeva che Liz fosse bella, ma non si aspettava che lo fosse in quel modo.

Una bellezza non ricercata, non costituita da chili di trucco, ma una bellezza semplice, di quelle che tolgono il fiato solo perché sono autentiche come non mai.

Come quella di Joe, si ritrovò a pensare, con un mezzo sorriso.

Joe che non aveva bisogno di vestiti colorati e un look sempre all’ultima moda, Joe che sapeva essere affascinante anche con addosso una t-shirt non stirata e con i capelli scombinati.

Per questo quei due erano tanto affini... e per questo lui non avrebbe mai avuto nemmeno mezza possibilità.

Che poi, era davvero sicuro di volerne?

“È proprio bella, quella ragazza, eh?” Chiese l’assistente, che in qualche modo a lui ignoto gli si era avvicinata più del dovuto.

“Già.” Rispose lui, con un velo di amarezza. “Pure troppo.”

“Anche tu lo sei... pure troppo.”

“Ehm... grazie. Quanti anni hai, gioia?” Chiese l’insegnante, senza staccare un istante gli occhi da Eliza che, appoggiata al bancone, aspettava, paziente, che la lentissima cassa di John finisse di stampare la sua ricevuta.

“Sedici, ma ne faccio diciassette a novembre. Mi chiamo Alex.”

“Alex, guarda i ragazzi della tua età, che è meglio...”

“Lei ti piace?”

Christian non fece in tempo a rispondere, che una terza voce si intromise nella conversazione.

“Posso?” Domandò Eliza, sorridendo ed indicando il cappottino scuro che si trovava appeso esattamente alle spalle di Christian.

Lui la guardò per un istante, sorpreso. Doveva essersi avvicinata nella frazione di secondo in cui lui aveva dedicato la sua attenzione alla ragazzina... e da vicino era ancora più terribilmente, dolorosamente bella, forse a causa di tutta la dolcezza celata da quegli occhi verdissimi.

“Oh, ehm... scusi...” Boccheggiò, spostandosi di scatto per lasciarla passare.

Lei, però, non si mosse.

“Io l’ho già vista da qualche parte, possibile?”

“Io... non saprei...” Rispose il biondo, colto alla sprovvista. “Forse a scuola? Sono un amico di Kevin...”

Eliza aggrottò appena la fronte e lui si rese conto di essersi tradito.

“Kevin Jonas? Come fa a sapere che lo conosco?”

“Ho...ehm...sentito il suo nome, miss Doolittle e Kev... beh, Kev parla spesso di lei.”

“Tu sei Christian, vero?” Chiese, passando improvvisamente al tu, con sommo sollievo di lui.

“Sì.” Rispose con un sorriso, stringendo la mano che lei gli porgeva. “Piacere di conoscerti, Liz.”

“Senti, lo so che non ci conosciamo, ma... sai come sta Joe?”

E fu allora, guardando l’espressione di quella donna, di quella donna innamorata, che Christian seppe che, per quanto Joe gli piacesse, non avrebbe mai e poi mai potuto provare a separarli.

“Gli manchi.” Replicò con un sorriso riuscito solo a metà. “Da impazzire.”

 

Senti i respiri del mondo

Con nella testa il tam tam del cuore

Favole scritte e pensate

Su quel vulcano chiamato amore

(i Pooh, I respiri del mondo)

 

Mamma, papà,

vi scrivo questa lettera per parlarvi di una persona che per me è davvero importante, ma che voi vi ostinate a vedere soltanto come un nemico. Spero che leggerete fino in fondo, senza lasciarvi prendere dalla voglia di bruciare tutto, me compresa, soprattutto dopo quello che ho fatto, perché ci tengo davvero che voi veniate a conoscenza di ciò che io realmente provo per lui.

Non credo ci sia bisogno di dirvi chi lui è, ma io lo faccio ugualmente, non si sa mai, no?

Paul Kevin Jonas II.

Un uomo romantico quanto il suono del suo nome, un uomo sensibile che sa apprezzare le piccole gioie della vita, trovando la bellezza in tutto ciò che trova sulla sua strada nonostante la sua, di strada, non sia stata esattamente quel che si suol dire facile da percorrere.

La musica è nella sua anima, anche se lui pensa che se ne sia andata, lo muove, lo controlla, lo fa andare avanti, superare ogni dolore. Non so se vi rendete conto di cosa significhi sentirsi dire da uno così “Tu sei la mia musica, Martha”.

È amore, amore puro e semplice.

Se è vero quello che si dice, che una fotografia vale più di mille parole, allora le immagini di lui che io ho impresse a fuoco nella mente, di tutti i momenti, belli e brutti vissuti con lui, sono il più lungo e il più reale di tutti i romanzi.

È lontano dalla perfezione, ha fatto tanti errori, ma sta lottando per porvi riparo e questo, per lo meno ai miei occhi, lo rende migliore di chi non ha sbagliato mai.

Ama stringermi a sé, vicino al suo cuore e sdraiami con lui sotto un cielo di stelle è stato sufficiente a portargli via il respiro, anche dopo tutto il male che ha visto. È speciale e non mi interessa quello che gli altri pensano di lui: sono onorata e felice di averlo conosciuto, perché è quello che è e, anche se il mondo ha tentato di cambiarlo, lui si è sempre dimostrato più forte e sono orgogliosa del fatto che un po’di questa forza gliel’ho regalata proprio io, io che non pensavo di averne abbastanza nemmeno per me.

Kevin è uno spirito libero che ora chiede il massimo da quella vita di cui io voglio fare parte per capire come possa, dopo tutto quello che ha vissuto, trovare nella semplicità del mondo uno stupore più forte di qualsiasi droga.

So che voi in lui vedete solo il professore donnaiolo che sta cercando di rubarvi vostra figlia, ma non è quello l’uomo che amo.

Io amo un uomo così forte da saper ammettere le proprie debolezze, un uomo che sa emozionarsi per un fiocco di neve e che sa ancora provare sentimenti forti, nonostante tutto.

Un uomo che, per caso, è stato anche il mio insegnante di musica e ha dodici anni più di me.

Anche, non solo.

Per questo voi dovreste cercare di andare oltre la sua età e il suo passato, proprio come ha fatto la nonna. Perché io e Kevin ci amiamo e credo sia giusto farvi sapere che non smetteremo di farlo, qualunque sia la vostra opinione in merito, ma voglio anche che siate coscienti che io tengo moltissimo alla vostra approvazione e non vedo l’ora che anche voi conosciate davvero la persona straordinaria di cui mi sono innamorata.

E conto che riuscirete a farlo presto.

La vostra bambina.

Sempre.

Martha

 

“...Joe?”

Kevin sbatté un paio di volte le palpebre, prima di rendersi conto di dove si trovava e, soprattutto, di chi aveva tutta l’aria di aver appena concluso una domanda di cui lui non aveva sentito assolutamente niente.

“Chris?” Domandò, stranito, inclinando il capo lateralmente.

“Bravo, vedo che ancora mi sai riconoscere, complimenti. Ho suonato il campanello per dieci minuti senza trovare una singola anima pia disposta ad aprirmi, poi è passato, non so se per caso o per miracolo, il proprietario del palazzo, devo avergli fatto pena e mi ha fatto entrare. Si può sapere dove cavolo avete la testa tu e tuo fratello?”

Kevin lo fissò in silenzio ancora per un paio di secondi, prima di riscuotersi totalmente dallo stupore che quella lettera gli aveva provocato.

“Joe sta facendo lezione di canto con Clarisse e io...”

“Tu sei in piena sessione di viaggio su un altro pianeta, ho capito. Devo parlare con Joe, dov’è?”

Senza aprire bocca, Kevin indicò con gesto vago la porta della stanza di Joe, per poi dirigersi a passo deciso verso il bagno, la lettera ben stretta in mano.

“Dove vai?”

“A ringraziare Martha di una cosa.”

“In bagno?” Chiese il biondo, inarcando un sopracciglio.

“Certo!” Rispose Kevin, sorridendo. “Il bagno è un ottimo posto per dire grazie.”

“Va bene... ma passami la piastra, prima!”

 

C’è un tempo per qualcosa sul viso

Come un sorriso

Che non c’era ieri e oggi c’è

Sembrava ormai lontano e distante

Perso per sempre

E invece è ritornato con te

(Max Pezzali, Lo strano percorso)

 

“Buongiorno popolo!” Esclamò Christian facendo irruzione nella stanza di Joe e facendo trasalire Clarisse a tal punto che le andò un po’di saliva per traverso nel bel mezzo di un acuto e prese a tossire come una malata terminale di tisi.

“Mi vuoi ammazzare?” Esalò la ragazzina, afferrando la bottiglietta d’acqua che Joe le aveva prontamente offerto.

“No, bimba, non prima della tua gara, così per una volta qualcuno farà vedere a quell’ochetta di Madison cosa vuol dire cantare davvero. Comunque sono qui per un motivo ben preciso, che Joe sa bene. Vero, Joey?”

“Sì, sì... per quand’è l’appuntamento?” Domandò mio fratello, senza osare guardare in faccia l’amico.

“Joe...”

“Chris, mi dici, per favore, per quando mi hai preso l’appuntamento?”

“Joe, guardami.”

“Ehm... io vado in bagno.” Intervenne Clarisse, fiutando che qualcosa non andava.

“No!” La bloccò Christian, afferrandola per un polso. “In bagno no. Fidati.”

“E perché...”

“Perché no. In ogni caso, io e Joe non dobbiamo dirci nulla che tu non possa tranquillamente stare ad ascoltare.” Dichiarò, serio come la bambina non lo aveva visto mai, per poi sciogliersi in un sorriso dolce come il miele.

Un sorriso che Joe certo non si aspettava di vedersi rivolgere di nuovo.

Un sorriso in cui non sperava più.

Non era innamorato di Christian. Se fosse arrivato prima, nella sua vita, chissà, forse qualcosa in più per lui avrebbe provato... o forse no.

Dopotutto, Eliza per lui era sempre stata Eliza e dubitava che Chris sarebbe riuscito a cambiare questo. Tuttavia aveva avuto paura, paura davvero di non vedere più quel sorriso perché il biondo professore era riuscito in pochi giorni a diventare il suo unico amico con più di dodici anni che non fosse suo fratello.

Per questo era speciale, per lui.

Per questo odiava la consapevolezza di averlo fatto soffrire.

“Non... non mi odi?”

Christian si strinse nelle spalle, scuotendo appena il capo.

“Se ti amo come posso essere capace di odiarti? E poi se ti odiassi non sarei qui. Non avrei mai dovuto dirti quelle cose... non così, per lo meno. Pace?”

Joe lo guardò interdetto per qualche secondo, per poi allungare una mano leggermente riluttante verso di lui.

“Pace...” Mormorò, sorridendo appena quando Chris, invece di stringergli la mano, lo attirò a sé in un abbraccio che, giunto dopo la certezza assoluta di aver perso il suo amico, gli fece un immenso piacere.

“Bene, Jonas numero due, ora che abbiamo chiarito...” Iniziò Christian, allontanandosi da Joe, mentre questo sospirava, sconfitto.

“Sì, lo so, lo so... il parrucchiere. A quando?”

“Non è un’esecuzione, Joe...” Lo rimbeccò Clarisse, facendo ridacchiare Chris che, nel frattempo, si era chinato a raccogliere qualcosa che aveva lasciato appena fuori dalla porta.

“Non ti preoccupare, non ti porterò al patibolo, Joey caro.”

Perché quel ghigno sulla faccia del professore non lo rassicurava affatto?

“Ah no?”

“Oh, no... sarà il patibolo, in effetti, a venire da te.”

 

Siamo due intelligenti, sani e un po’violenti

C’è pigrizia e fantasia...

C’è da darsi in faccia l’amore

(i Pooh, Cosa dici di me)

 

Martha fece per uscire dal bagno, dandosi mentalmente della cretina per aver lasciato Kevin da solo con la sua lettera, ma si trovò la strada bloccata da un ben famigliare professore di musica.

Che, guarda caso, stringeva in mano proprio la suddetta lettera.

Cretina, appunto.

Come aveva potuto pensare che non l’avrebbe letta?

“Vai da qualche parte?” Domandò lui, spingendola dolcemente indietro con la mano libera.

“In...soggiorno?” Azzardò lei, ignorando deliberatamente il pezzo di carta scritto.

“A cercare di nascondermi ancora questa?” Chiese, ostentando deliberatamente la lettera davanti al naso, di modo che lei assumesse in rapida successione tutti i colori della gamma del rosso.

“L’hai letta?”

“Tu che dici?”

“L’hai letta.” Soffiò la giovane, sconsolata, appoggiandosi alla porta trasparente della doccia. “Non dovevi farlo, ora riderai di me vita natural durante.”

Kevin sgranò gli occhi, piuttosto basito da quella situazione piuttosto surreale.

“Perché dovrei ridere di te?”

“Per le cose che ho scritto, no?”

Kevin sorrise, posando la lettera sul mobiletto del bagno per poi circondare con le braccia la vita di Martha.

“Amore, io ho quasi pianto...” Le mormorò all’orecchio, spingendola leggermente all’indietro, di modo che la porta si aprisse e lei entrasse nella doccia.

“Pianto...?”

“Sì... hai detto tante volte cose belle di me, ma pensare che vuoi farle sapere anche ai tuoi è...”

“Stupido.”

“Dolcissimo.” Esalò sulle sue labbra, spingendola contro la parete per poi prenderla in braccio.

“Dolcissimo...” Ripeté Martha, lasciando che la mano di lui si insinuasse sotto alla sua maglia...e limitandosi a sperare che la porta fosse stata chiusa.

 

Continua...

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 29
*** - capitolo ventinove - ***


Ce l’ho fatta!!!

Ebbene sì, signore e signori, finalmente sono riuscita a concludere il capitolo ventinove!!! E oramai ne mancano veramente pochi alla fine! Sono emozionata, sapete? Hihi ma ho già altre cosine in cantiere...devo solo decidere a quale dedicarmi per prima!!! Ne approfitto per farmi un po’di pubblicità...ho pubblicato una shot nuova: Ad un bambino...se vi va di leggerla e commentarla mi fate piacere! J

E ora, finalmente, dopo tre capitoli, i ringraziamenti!

 

Mangaka_Baka: una nuova lettrice! Devo dire che l’inizio della tua recensione mi ha spaventata, eh... ma menomale che poi hai scritto anche che ti piace!!!

 

Sweet_Doll:  No, no, niente lacrime, dai!!! Le cose sono notevolmente migliorate rispetto all’inizio, no? E Chris è amore...

 

Jeeeee: spero di aver messo tutte le e XD cavoli che sfogo!! Non credo che Chris combinerà niente di celatante... ma con il caro prof prato non si può mai sapere davvero!

 

Smemo92: hihi beh, dai, Joe dal parrucchiere non ci va, visto che Chris ha deciso per il fai da te... e la lettera, cavoli, ha fatto successo! Mi fa piacere!

 

Alexya379: giuro che l’ha scritta una 18 enne... magari non Martha, ma sempre di 18enne si tratta!

 

Maggie_Lullaby: eccola, la donna delle doppie recensioni! Avevi capito bene la prima volta: è Joe ad usare la piastra, non Chris!!! XD

 

Lyan: ma perché siete tutti convinti che Chris combinerà qualcosa? *faccino malizioso* ebbè...chi vivrà vedrà, temo!

 

La Fitto; ehi, te l’avevo detto che fino a fine mese non mi sarei fatta sentire! Daaaaai, non fare l’offesa.... sennò non ti porto niente da Berlino....

 

1: scusa scusa scusa non sto a rileggere tutto il commento perché, come sai, sono di fretta, ma come sempre ti ringrazio tanto per i tuoi commentoni meravigliosi che sono quelli che aspetto di più!!! Tivibbì, ‘more!!!

 

3: stesso discorso fatto per la 1... ho risposto a tutti i commenti tipo in 2 minuti... quindi grazie anche a te, mi fa piacere che ami leggere quello che scrivo, davvero. Voi due siete speciali per me, ve l’ho detto ieri e delle vostre recensioni non farei mai a meno!!!

 

E ora una dedica speciale per una persona speciale.... a Lidia, la donna dalle mani magiche. Non sarà un tumore di certo ad ucciderti. Non nel mio cuore. Ti voglio bene... tanto!!!!

Temperance

 

 

-Capitolo Ventinove-

 

Vuoto in un istante

Come un salto verso il niente

È quello che ricordo ancora

(i Pooh, L’altra faccia dell’amore)

 

Martha gettò il capo all’indietro con un movimento secco, stringendo convulsamente il lenzuolo e mormorando parole inconsulte, mentre Kevin affondava dolcemente in lei per l’ennesima volta, sfiorandole appena il collo con il suo respiro caldo ed irregolare.

“Kev...” Mormorò con voce roca, affondando la mano libera nei suoi ricci e costringendolo, così, ad alzare la testa verso di lei, puntando gli occhi verdi nei suoi.

Nessuno dei due li chiudeva mai, mentre facevano l’amore.

“Mio... Kevin!” Ripeté, a voce più alta, inarcando la schiena e spingendo il capo di lui verso il basso, per poi catturare le sue labbra con le proprie in un bacio totalmente privo di fiato.

“Se vai avanti così non dureremo molto, lo sai?” Mormorò lui sulla sua bocca, senza, però, smettere di muoversi.

“Vorrà dire che avremo più tempo per un po’di coccole...”

“Mmm, mi piacciono le coccole...” Replicò Kevin, scendendo a baciarle il collo, intercalando le parole con respiri brevi ed irregolari.

La risposta di Martha fu stroncata sul nascere dallo squillare del cordless posato sul comodino di Kevin, che fece sussultare entrambi.

“Non ti azzardare a rispondere.” Balbettò lei, mentre lui la faceva rabbrividire, fermandosi per un istante e tracciando con una scia di baci il percorso dalla base del collo alla sua spalla destra.

“Ho di meglio da fare... e poi può prendere Joe, se proprio ci tiene.”

“Kevin, lo sai che Joe dorme con i tappi...”

“E allora se ne faranno una ragione.”

Dopo una decina di squilli, un suono acuto e prolungato li avvisò che stava per entrare in servizio la segreteria telefonica.

Seguito da una voce ben nota ad entrambi.

Una voce che, in un momento del genere, avrebbe fatto gelare il sangue nelle vene persino a me, che di sangue non ne ho più e di vene tanto meno.

“Signor Jonas...Kevin, sono il signor Sheperd... sono... se Martha sta ancora lì da te, per favore, dille di venire al Centrale di Princeton appena può. Sua... sua nonna sta male.”

A quelle parole, Martha scattò dal letto nemmeno avesse avuto una molla in corpo, fiondandosi sul comodino ed afferrando la cornetta prima ancora di aver toccato terra.

“Papà!” Quasi gridò nella cornetta, con il fiato corto, mentre anche Kevin si alzava, iniziando a dirigersi verso l’armadio per trovare qualcosa da mettersi.

“Amore...” Rispose il signor Sheperd, la voce appena un po’più rilassata. “Per fortuna hai risposto... la nonna continua a cercare di te e di lui.”

“Lui chi?” Domandò la giovane, troppo agitata per rendersi conto che quel pronome era stato pronunciato senza alcun disprezzo.

“Lui... Kevin. Vuole vedervi entrambi al più presto... fate in fretta, non si calma se non arrivate.”

Martha era immobile, la cornetta premuta sull’orecchio, gli occhi spalancati.

Non si aspettava una cosa del genere, non in quel momento, non così all’improvviso... e ora sapere che sua nonna cercava di lei in maniera così disperata... doveva sul serio essere qualcosa di grave, nonna Jean non era mai stata persona da agitarsi per nulla.

Delicatamente, Kevin le prese il telefono dalle mani, sussurrandole di andare a vestirsi.

“Arriviamo subito, signor Sheperd.”

 

Voglio però ricordarti com’eri

Pensare che ancora vivi

Voglio pensare che ancora mi ascolti

E come allora sorridi

(Francesco Guccini, Canzone per un’amica)

 

Vi siete mai chiesti cosa si ricordi uno della propria morte, una volta che questa è avvenuta?

Sinceramente, intendo.

No, eh?

Effettivamente, non è una domanda che uno si fa... non da giovane, per lo meno, non quando non sa che la morte arriverà presto e all’improvviso, senza nemmeno dargli il tempo di fare quel migliaio di piccole cose che uno immagina di avere sempre il tempo di fare, prima di lasciare questo mondo.

Beh, se non vi siete mai posti questa domanda, vi eviterò di farlo, raccontandomi quello che è successo a me.

Io ricordo tutto della mia morte. Credo che i miei fratelli stessi ed Eliza, che pure erano con me in quella macchina non abbiano una visiono dell’incidente più nitida di quanto l’abbia io.

Ricordo la cella dell’obitorio, ricordo di essere stato terrorizzato dal trovarmi lì dentro.

Ricordo il mio funerale, con mia madre in lacrime, sostenuta da mio padre e Frankie, Joe gelido come un pezzo di ghiaccio e Kevin, lontano, appoggiato ad un albero, lo sguardo basso e nascosto dietro agli occhiali da sole.

Non ho ricordi più chiari di nessuna parte della mia vita, eppure c’è un vuoto nella mia memoria e quel buco che non riesco a colmare sono i minuti... o le ore, forse, trascorse in ospedale.

Non so perché e nemmeno me lo hanno saputo spiegare, ma ho formulato una mia ipotesi che trovo potrebbe non essere poi così stupida: io ricordo i momenti prima di morire e ricordo quelli dopo... ma non ricordo il momento esatto della mia morte, su quella barella, circondato dal bianco asettico delle mura dell’ospedale.

Lo stesso bianco in cui, in quel momento, si stavano immergendo Martha e Kevin, mano nella mano.

Forse è proprio per questa mia mancanza di memoria che quel posto mi inquietava tanto.

D’altronde, in ospedale non si entra mai felici... al massimo ci si esce sollevati.

La porta della stanza di Jean era grigia e pesante, esattamente come tutte le altre, e proprio in mezzo recava un grosso maniglione antipanico rosso fuoco che a Kevin parve estremamente beffardo.

Chi era ricoverato in quell’ala non avrebbe mai potuto fuggire con le proprie gambe, per quanto sicuro potesse essere il metodo di apertura della porta.

Jaqueline e Daniel Sheperd erano in piedi accanto al letto insieme ad una donna che Kevin non aveva mai visto e ad una corpulenta infermiera armata di siringa, probabilmente contenente un tranquillante, che tentava di calmare un’agitatissima Jean.

“Nonna!” Esclamò Martha, entrando di corsa nella stanza, sotto lo sguardo severo dell’infermiera.

“Signorina, è in un ospedale, le sarei grata se non urlasse.”

“Oh, stai zitta, tu!” Replicò l’anziana a tono, accogliendo la nipote tra le braccia aperte. “Ora ci calmiamo tutte e due, va bene? Ma lasciaci in pace.”

“Signora, ho avuto ordine dal dottor Pasey di restare qui, perché...”

“Signorina, signorina...” La richiamò Kevin, posandole una mano sulla spalla, assumendo un tono diplomatico, misto a quel suo fascino da bravo ragazzo che avrebbe steso ogni donna. “Vede, la signora Sheperd deve solo chiarire un paio di questioni con sua nipote... potrebbe lasciare la stanza per... non so... cinque minuti? Mi farebbe questo favore?” Domandò, passando abilmente dal noi all’io.

Tratta una donna come se di lei non potessi mai fare a meno e lei cadrà ai tuoi piedi. Ecco qui una chicca dalla Bibbia personale di mio fratello playboy.

“Beh...” Rispose il donnone, arrossendo appena sulle guance tonde. “Cinque minuti soltanto, però.”

“Te lo prometto sul mio onore... Sandra.” Concluse con un sorriso, lanciando una rapidissima occhiata al cartellino con il nome, per poi spostare la mano dalla spalla alla schiena di lei e sospingerla dolcemente verso la porta.

Tornò, poi, a voltarsi verso gli altri occupanti della stanza, il volto di nuovo oscurato dal suo vero stato d’animo: una profondissima preoccupazione.

“Che cosa le è successo?” Chiese, dimenticandosi per un istante che le persone con cui stava parlando lo consideravano uno degli esseri più detestabili degli Stati Uniti.

Daniel si strinse nelle spalle, scuotendo il capo, sconsolato, mentre Jaqueline si allontanava un poco dal suo braccio, tamponandosi le lacrime con un fazzoletto.

“Stiamo aspettando gli esiti degli esami, per ora sappiamo solo che si tratta del cuore, probabilmente di un principio d’infarto. Dicono che è molto debole, che non reggerebbe ad un altro attacco, se un episodio del genere dovesse ripetersi.”

“Già...” Intervenne la moglie, apparentemente molto amareggiata. “E, quando l’ha saputo, si è messa a fare il diavolo a quattro, gridando che voleva parlare con voi due prima che fosse troppo tardi...anche se sinceramente non capisco perché.”

“Lo so io, il perché.” Intervenne l’altra donna, che fino a quel momento era rimasta in silenzio a giocherellare con una ciocca di lisci capelli biondi, ruminando nervosamente un chewing gum. “Sapete tutti e due che genere di legame è quello che lega mamma e Martha. Quella donna ama sua nipote probabilmente di più di quanto abbia amato me e Danny e vuole che sia felice. E questo qui, evidentemente, conosce il modo per rendere Martha felice. Non mi sembra difficile.” Si voltò, poi, verso Kevin, masticando un paio di volte e porgendogli la destra. “Laura Sheperd, sorella e cognata di questi due. Perdonali, sono un po’tardi...e Martha mi pare più sveglia di tutti e due, incredibile ma vero.”

Stringendo la sottile mano inanellata, Kevin non poté trattenersi dal sorridere... in modo sincero, questa volta.

“Kevin, piacere.” Mormorò, per poi volgere lo sguardo a nonna e nipote che, sedute una accanto all’altra sul letto, si parlavano stretto stretto.

“Lo so chi sei, amore mio: sei più famoso tu di Obama in questa famiglia. E io sono dalla tua parte... completamente e definitivamente.” Aggiunse con un sorriso a metà, notando lo sguardo di mio fratello, che accarezzava Martha in un protettivo abbraccio a distanza.

“Siete due stronzi.” Bisbigliò, tornando al suo posto dietro a fratello e cognata. “Veramente di prima categoria.”

 

Donne dov’è il futuro?

Tu con tutti i tuoi brevi amori

Lei col tempo che si assottiglia

Però come ti assomiglia

(i Pooh, Due donne)

 

Notando lo sguardo di Kevin fisso su di sé, Jean gli fece un rapido gesto con la mano.

Avvicinati, voleva dire.

Lui si indicò il petto, aprendo un po’di più gli occhi e mimando con le labbra la parola “io”. La donna annuì.

“Mi ha chiamato, signora Sheperd?” Domandò, posando una morbida e sfuggevole carezza sui capelli di Martha.

“Certo che ti ho chiamato, bimbo: non sono strabica, ho solo il cuore che fa i capricci.”

La ragazza ridacchiò, stringendosi un po’di più all’anziana progenitrice.

“Tesoro mio, non è a me che dovresti stare così appiccicata.”

“Io sarò qui per lei tutta la vita, Jean...lei, invece...” Mio fratello si fermò di colpo, rendendosi conto che stava praticamente augurando di morire all’unica persona che era stata loro davvero vicina in tutto quel tempo.

“Non ti bloccare, così... è la verità che stai dicendo: tu per lei ci sarai sempre e io presto me ne andrò... ma credetemi, se vi dico che mi rende molto più felice vedere voi due abbracciati che sentire un corpo giovane appoggiato al mio che sta andando a pezzi.”

In silenzio, Kevin girò intorno al letto, posizionandosi dietro a Martha e stringendola a sé, senza, però, costringerla ad allontanarsi dalla nonna, che sorrise, compiaciuta.

“Vedi cosa mi piace di te, piccolo Jonas? Sai sempre mediare, trovare la giusta misura, una soluzione semplice per risolvere ogni problema. È la tua arma migliore... l’hai presa da tuo padre. È stato l’unico pastore in grado di farmi mettere piede in chiesa, sai?”

“Ne sono onorato, Jean.”

“Onorato di aver faccio avvicinare ad un altare la mia vecchia pellaccia? Ti accontenti di poco, ragazzo... tanto io ho il mio posto riservato all’inferno e quello nessuno me lo porta via... e sapete cosa? Ne sono felice... il paradiso deve essere tanto noioso...”

Kevin e Martha ridacchiarono, mentre lui si chinava a depositare un bacio clandestino sui capelli di lei.

Questo era bello: la semplicità di ogni gesto eppure ancora tutto l’amore che vi era contenuto e che sarebbe stato visibile anche ad un cieco.

Forse persino a quell’Hitler di infermiera, chissà...

Jean sorrise, complice, lanciando una frecciatina divertita a Daniel e Jaqueline che si limitavano ad osservare la scena dal loro angolo, dove si erano rinchiusi con le loro stesse mani.

“In ogni caso, non ti ho chiamato per parlare di aldilà. Ho un paio di cose da dirvi, a voi due, quindi aprite bene le orecchie e ascoltatemi.”

Kevin e Martha annuirono con una sincronia quasi perfetta; poi la giovane si appoggiò al petto di lui, che le avvolse la vita con le braccia, lasciando che si rilassasse addossata al suo corpo.

“Quei due là in fondo.” Cominciò Jean, agitando la mano libera dal tubo della flebo verso il figlio e la nuora. “Non sono cattivi nemmeno un po’... solo sono un po’ all’antica, ma non posso dire di non capirli. Se ci fosse stata la mia Laura, Martha, al tuo posto, anni fa, probabilmente mi sarei comportata nello stesso modo. E allora voi vi chiederete perché, se la penso così, non vi abbia ostacolati anche io.” Respiro. “Vedete, il punto è che io non lo so.  Non mi sarei comportata così con chiunque, Kevin, siine cosciente... è solo che in te vedo qualcosa, qualcosa che non è assolutamente da tutti, un’autenticità non comune.”

Kevin le rivolse un sorriso amaro.

“Non lo so, Jean... ho passato metà della mia vita a nascondermi...”

“Certo, ma con Martha non lo hai fatto, questo è ciò che conta. Tra voi siete sinceri, vi volete bene, siete la forza l’uno dell’altra e  credo sia questa, alla fine, la miglior base per un rapporto duraturo. Quello che voglio dirvi, ragazzi, è di continuare a comportarvi come avete fatto fino ad ora, senza lasciarvi condizionare da ciò che vi dicono gli altri... perché ci sarà sempre, Kevin, chi ti considererà ‘quel Jonas’, se capisci cosa intendo dire. E tu, Martha, tu almeno per un po’non potrai evitare di essere vista come quello che se la fa con un insegnante, ma non vi deve interessare, perché ad un amore come il vostro le cattiverie scivolano addosso come acqua su un vetro liscio e le persone che vi vogliono bene vi accetteranno. Anche i tuoi genitori, piccola mia.”

Con un singhiozzo, Martha si divincolò dalle braccia di Kevin, per gettarsi di nuovo tra quelle della nonna, che la strinse a sé, accarezzandole i capelli.

“Sono felice che ti abbia conosciuto, Kevin. Davvero felice.”

Kevin rispose con un sorriso e si chinò, oltre il corpo della sua fidanzata, a posare un bacio delicato sulla guancia grinzosa dell’anziana donna.

“Per quello che vale, Jean, credo  che lei sia una grande donna. La migliore, forse... dopo mia madre.”

Jean ridacchiò, abbandonando per un istante i capelli di Martha, che stava accarezzando, per andare a scompigliare quelli di Kevin.

Credo di aver pianto, quel giorno...

 

I am on my way

I can go the distance

I don’t care how far

So that I’ll be strong

(Michael Bolton, I can go the Distance)

 

Joe sedette sullo sgabello del bagno, davanti allo specchio e si concesse qualche istante per guardare la propria immagine riflessa.

Chris aveva fatto un ottimo lavoro con i capelli, per non essere un parrucchiere professionista. I suoi ricci non erano poi molto più corti, ma decisamente più ordinati e puliti...sebbene sempre ricci rimanessero.

Già, perché questo a Chris non lo aveva lasciato fare.

Per quanto stupido potesse sembrare ad un occhio esterno, passarsi la piastra aveva assunto, negli anni, per Joe, più o meno la solennità di un rito. Non andava mai in scena, ai tempi dei Jonas Brothers, senza averlo fatto e in quel momento ripetere quell’azione, prima per lui così familiare, rappresentava il definitivo ritorno a ciò che era.

Il definitivo ritorno alla vita di un uomo che per troppo tempo si era limitato ad esistere passivamente, ad essere poco di più di un oggetto d’arredamento nel suo appartamento spoglio.

“Beh, ora le cose cambiano.” Mormorò, infilando la spina nella presa e stringendo appena la piastra intorno alla mano aperta, in un gesto che aveva quasi dimenticato di conoscere.

Glielo aveva insegnato Denise... per capire quando iniziava a scaldarsi. Però, attento, Joey... mamma diceva anche di non lasciarla troppo, perché altrimenti ci si scotta.

Joe Jonas, in ogni caso, non è mai stato persona che sbaglia in questo genere di cose.

Una volta che le due sottili lastre di ceramica furono calde a sufficienza, prese una ciocca arricciata e la tirò verso il basso, raddrizzandola il più possibile, per poi iniziare a passare la piastra partendo dalla radice e tirandola fino alla punta.

Con aria compiaciuta, ammirò, poi, il risultato e sorrise, soddisfatto.

Per essere uno che non toccava una piastra da anni, non aveva davvero perso neppure un po’del suo tocco.

Il prossimo passo sarebbe stato l’ultimo e il più difficile... ma ci avrebbe pensato in un altro momento.

Il giorno dopo ci sarebbe stata la gara di canto, e lui sarebbe stato lì, accanto alla sua Clarisse. Glielo doveva, dopo tutto quello che aveva fatto per lui.

Compiaciuto, si ritrovò a pensare che, forse, pur non rendendosene conto, anche lui aveva fatto qualcosa per lei. Non molto, certo... ma di quel poco non avrebbe potuto essere più orgoglioso.

Dopo la gara sarebbe andato da Liz... lo avrebbe fatto e aveva detto a Chris di costringerlo se avesse cercato di tirarsi indietro all’ultimo istante.

Sì, quella volta era proprio convinto.

Kevin ce l’aveva fatta, ad uscire dal baratro in cui erano caduti insieme.

Ora era il suo turno e, per una volta, non si sarebbe tirato indietro.

 

Ma il cielo è blu sopra le nuvole

E non è poi così lontano

Dobbiamo arrampicarci e crescere

Senza bisogno di nessuno

(i Pooh, Il cielo è blu sopra le nuvole)

 

La primavera non era mai stata una stagione particolarmente sentita a Princeton. Beh, nel New Jersey in generale, a dire il vero. Quel giorno, poi, aprile sembrava essersi dimenticato di fare il suo corso, decidendo  di travestirsi da novembre inoltrato.

“Non ho mai visto un anno più orrendo, dal punto di vista del clima.” Si lamentò Laura, uscendo dall’ospedale e stringendosi nella giacca leggera. “Vorrei sapere perché vi ostinate a vivere in questo posto così triste, invece di venire da me, in Florida.”

“Io ci ho passato qualche mese, ma credo che poi alla lunga diventi... noiosa...” Rispose Kevin, senza pensare, lasciando, però, che la frase morisse in un balbettio poco sensato quando si sentì addosso gli occhi di tutti.

Laura, ovviamente, non si lasciò sfuggire il momento.

“Ma la piantate di guardarlo come un alieno, cavolo?!” Sbottò, rivolta al fratello e alla cognata. “È un essere umano, sapete? Se lo tagliate sanguina e dice ahi se lo pizzicare e se non ci credete facciamo la prova. Quindi, se non è un omino verde, che fatica fate a trattarlo come una persona normale?”

Silenzio.

Quanto può essere ottusa la gente, quando vuole...

“Grazie, signora... ma forse è meglio che andiamo.” Propose Kevin, circondando con un braccio le spalle di Martha. “Vieni con me o vai con i tuoi?”

“Con te.” Rispose la giovane, risoluta, ma Laura pareva non voler sentire ragioni.

“Ora noi andiamo tutti a pranzo insieme perché è quello che proporrebbe nonna Jean. Tutti, voi due compresi, è chiaro?”

“Ma Laura...” La debole protesta lanciata dal signor Sheperd fu a dir poco incenerita dallo sguardo della sorella.

“Niente ma. Andiamo. Qui vicino ha appena aperto un ristorante giapponese che non deve essere niente male. Ti piace il pesce crudo, Kevin?” Domandò, prendendo sotto braccio il diretto interessato ed avviandosi con lui lungo il marciapiede, mentre Martha li seguiva da vicino, un sorriso soddisfatto ben stampato in volto.

Era sempre stata un mito, sua zia...

 

Continua...

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Capitolo 30
*** - capitolo trenta - ***


E siamo alla terza cifra tonda, l’ultima di questa long.... è parecchio che non aggiorno, quindi bando alle ciance e vi lascio alla lettura!!! Al prossimo capitolo per i grazie!

Temperance

 

-Capitolo Trenta-

 

The judges will decide

The likes of me abide

Spectators of the show

Always standing low

The game is on again

(...)

A big thing or a small

The winner takes it all

(ABBA, The winner takes it all)

 

Clarisse coprì in un lampo la distanza che separava un capo dalla stanza dall’altro, letteralmente fiondandosi addosso a Joe, un indice accusatore puntato contro di lui.

“Sei in ritardo!” Strillò, per poi voltarsi dall’altra parte e riprendere a camminare avanti e indietro, lasciandolo letteralmente basito, gli occhi spalancati puntati contro Kevin, che, però, era troppo occupato ad organizzare il tutto per far caso anche ai suoi problemi.

“Clarisse...” Chiamò, allora, avvicinandosi a lei piano e posandole una mano sulla spalla. La ragazzina si voltò di scatto, fulminandolo con gli occhi. “Calmati.”

“No!” Esclamò lei, divincolandosi dalla sua stretta e tornando a fuggire lontano. “La gara inizia tra cinque minuti e tu sei arrivato adesso! E non c’era neanche Christian... mi dici dove cavolo eravate finiti tutti e due?!”

“Chris non era qui?” Domandò lui, sorpreso.

Glielo aveva detto, che sarebbe arrivato tardi... gli aveva raccomandato di starle vicino... oh, se ne avrebbe sentite, quell’imbecille...

Se solo il mio caro fratellone avesse saputo quello che il suo amico aveva in mente...

“No, non c’era. E non c’è neanche adesso. Ma tu eri quello importante! Mi hai lasciata da sola, io con te non l’ho mai fatto!”

“Datti una calmata, ragazzina!” Esclamò, allora, lui, afferrandola per un braccio e ritornando per un momento l’uomo irruento ed impulsivo che aveva imparato ad essere. “Non sei la prima ad essere nervosa prima di una gara e non sarai nemmeno l’ultima, per cui respira, e ascoltami, perché c’è un motivo se non sono arrivato all’ora che ti avevo detto.”

Clarisse annuì, scocciata, incrociandosi le braccia al petto ed alzando gli occhi su di lui per la prima volta... per poi sciogliersi immediatamente in un sorriso di pura gioia.

“I capelli! Ti sei stirato i capelli!”

Joe si strinse nelle spalle con un sorriso sghembo, estraendo, poi, dalla tasca dei jeans un piccolo sacchetto di velluto bianco e nero.

“Ho pensato che ne valesse la pena... dopotutto è un giorno speciale. E questo è per te. È il motivo del mio ritardo.”

Timidamente, Clarisse allungò una mano ad afferrare il piccolo contenitore, le guance colorate di un adorabile rosso fuoco.

“Ti stanno bene così...” Mormorò, mentre Joe la stringeva a sé, passandole una mano intorno alle spalle, posandole, poi, un bacio sui capelli scuri.

“Aprilo...”

 

Non mi dire niente, stammi ad ascoltare

Sono troppe notti che ci dormo male

Lui mi piace forte, lui mi prende dentro

E non c’è bisogno che ti dica quanto...

Ma la vita a volte ha i suoi comandamenti

Qualche volta da difendere anche con i denti

(...)

Ma con te questo no, non si può

Tu per lui sei di più, tu sei tu.

(adattamento da La donna del mio amico, i Pooh)

 

Christian controllò un’ultima volta nome ed indirizzo sul biglietto che Kevin gli aveva consegnato, confrontandolo con la targhetta d’ottone sulla porta, prima di suonare il campanello.

Ecco, ora era lì e tornare indietro non era più possibile. L’ho sempre ammirato per quel gesto... rinunciare ai propri sentimenti, alla pur remota possibilità di vederli diventare realtà solo per rendere felice l’oggetto di quegli stessi sentimenti... non credo ne sarei mai stato capace.

“Chi è?” Domandò la voce di Eliza, mentre lo spioncino sulla porta si apriva, permettendole di inquadrare un Christian a cui il vetro bombato conferì un paio d’occhi esageratamente grandi.

“Christian, l’amico di Kevin.” Rispose lui, con un sorriso, agitando una mano in gesto di saluto.

In un attimo, la donna gli aprì, facendogli cenno di entrare.

“Perdonami, non aspettavo visite...” Si scusò, indicando la larga t-shirt bianca che indossava sopra ad un paio di pratici shorts neri e a delle ciabatte da casa. I capelli, raccolti in uno chignon piuttosto approssimativo, le ricadevano in ciocche ai lati del viso, conferendole un’aria sbarazzina che faceva un ottimo abbinamento con le guance arrossate. “Stavo pulendo i vetri... ogni tanto serve, no?”

Christian annuì, chiudendosi la porta alle spalle, sempre meno certo di poter sopportare le conseguenze della propria scelta, ma sempre più sicuro che fosse quella giusta.

Solo, doveva cercare di non divagare troppo o non avrebbe fatto in tempo.

Diretto, Chris... sii diretto e deciso. Io sono con te.

“Io sono innamorato di Joe.” Dichiarò all’improvviso, facendo girare Liz su se stessa con l’identica velocità di una trottola ben caricata.

“Prego?” Domandò, spalancando gli occhi verdissimi. “Temo...credo di non aver capito bene.”

Christian sorrise, prendendola per mano e guidandola verso il piccolo divano che si intravedeva nel soggiorno.

Liz ridacchiò nervosamente.

“E io che credevo che la casa fosse mia...”

“Eliza, ascoltami, ti prego... quello che ti devo...voglio dire non è facile e se tu mi interrompi...beh, io non ci riesco proprio per cui...”

“Ti lascio parlare, ok. Ma mi devi spiegare quello che hai detto prima, perché io non vedo come tu possa essere...beh...”

“Innamorato perso della stessa persona che ami tu? La risposta è semplice, se ci pensi...”

“Sei...”

“Gay? Sì. Sono un po’sorpreso che Kevin non te l’abbia detto, ma il punto non è questo. Vedi, Joe mi piace davvero... e tanto, anche, però...”

“E lui ricambia?”

“Eliza...ti prego...”

“Scusami.” Mormorò la giovane, abbassando gli occhi. “È che quando sono agitata tendo...”

“A straparlare. Come lui.” Completò l’uomo, sorridendo. “Stai tranquilla, non c’è verso, con lui. È tremendamente innamorato di un’altra persona, purtroppo... o, forse, meno male.”

Eliza inclinò leggermente il capo, aggrottando le sopracciglia, invitandolo così a spiegarsi meglio.

Christian sospirò: aveva iniziato, tanto valeva portare il discorso fino alla fine. Poi non ci avrebbe pensato più.

Forse.

“Vedi, il punto, qui, è che lui ti ama da impazzire. Mi ha parlato di te talmente tanto che mi sembra di conoscerti da una vita, per quanto questa sia più o meno la prima volta in cui scambio due parole con te. Ha ricordi... ricordi d’infanzia, talmente nitidi da sembrare dipinti. Quadri, Eliza.” Continuò, sporgendosi verso di lei. “Bellissimi quadri di un amore vivo da sempre, forse il più forte che abbia mai visto... e io, per quanto potrei benissimo farlo, non ho davvero il cuore di bruciarle, queste opere d’arte.”

“Sei un poeta...” Esalò Liz, dopo qualche secondo di silenzio, senza trovare niente di più intelligente da dire.

Christian sorrise, togliendosi gli occhiali e prendendo a giocherellare con le astine.

“Sono molto più bravo a maneggiare i pixel che le parole, a dire il vero, però sono sempre stato un chiacchierone e diciamo che qualcosa ho imparato. Mia madre mi dice sempre che sono troppo sensibile per lavorare con i computer.”

“Beh, in...”

“Mia madre non mi conosce affatto.” Dichiarò all’improvviso, ignorando totalmente la donna, intento ad inseguire un suo personalissimo flusso di pensiero. Sono strani, i pensieri... ti vengono in mente quando nessuno li ha chiamati e finiscono immancabilmente per allontanarti dal discorso iniziale. Forse, però, questo non sempre è un male. “Non si può essere sensibili se si è passato quello che ho passato io... anni di prese in giro, vere e proprie violenze psicologiche, finiscono per fiaccare l’animo in modo assolutamente irrimediabile. Fanno nascere la sfiducia anche nel cuore più ottimista. Per questo lavoro con delle macchine... i computer calcolano, eseguono... non mentono, non abbandonano e non hanno mai provato a prendermi a bastonate.”

“Io credo invece che tua madre abbia ragione.” Lo interruppe Eliza, posando una mano sulle sue, intrecciate tra loro. “Se fossi freddo  come dici non saresti qui, ora. Saresti da Joe a tentare di conquistarlo fregandotene altamente di me. Invece stai sul divano di casa mia a spiegarmi cose che non ti ho chiesto e che non dici da chissà quanto. Tu sei sensibile, Christian, che tu lo voglia accettare o meno, e questo vale ancora di più, se anni di angherie non sono riusciti a cambiare questo aspetto di te. Meriti molto più di quanto non credi.”

“Lo vedi?” Replicò il biondo, posandosi gli occhiali sulle gambe e stringendo forte la mano di Liz. “Non potrei mai portartelo via.”

“Ma lui da me non ci vuole venire...e so fin troppo bene come finirebbe, se fossi io ad andare da lui.”

Christian, allora, scosse energicamente il capo, fissando gli occhi chiari e vivaci in quelli malinconici di lei.

“No, Liz, non lo devi pensare, questo... Joe mi ha detto quello che ti ha fatto e si sente un cane per questo, ma è cambiato... io l’ho visto, l’ho visto mutare completamente sotto ai miei occhi. Kevin... Kevin dice che sta tornando quello di prima. Lentamente, certo, ma ci sta riuscendo e lo sta facendo per te. Tu, però, sei l’ultimo passo, forse quello più difficile e lui da solo non ce la fa... ha bisogno di una spinta.”

“Ma io...”

“Tu?” La incoraggiò l’uomo, stringendo più forte la sua mano.

Liz scosse piano la testa, abbassando lo sguardo.

“Tu sei così... non so... se io facessi quello che dici, se andassi davvero da lui... Insomma, io lo amo, è vero, e da tanto, ma nei tuoi occhi, nelle tue parole...”

“Lascia perdere i miei occhi, le mie parole e tutte le scemenze che ti ho detto. Io troverò qualcun altro. Io ho sempre trovato qualcun altro e lo farò anche questa volta. E poi non credermi così santo e generoso... pensi che sarei qui se sapessi di avere anche una sola possibilità con lui?”

“Sinceramente, credo  proprio di sì.” Rispose, sicura, Eliza, spiazzando per qualche istante il giovane professore che, però, si riprese immediatamente.

In un attimo fu in piedi, la mano di Eliza ancora saldamente stretta nella sua.

“Vatti a cambiare. C’è una gara di canto, oggi e siamo già in ritardo. Niente ma, niente beh: tu ora ti vesti e vieni con me. E non ti preoccupare: se con Joe non dovesse funzionare, ti giuro che non me lo lascerò scappare... ma lascia che sia lui a decidere, per una volta.”

“A decidere...che cosa?”

“A decidere chi amare.”

Gli altri segneranno però

Che spettacolo quando giochiamo noi

Non molliamo mai

(...)

Cosa importa chi vincerà?

Perché in fondo lo squadrone siamo noi

Lo squadrone siamo noi.

(Max Pezzali e 883, La dura legge del goal)

 

Con un inchino, Clarisse scese dal palco, stringendo, fiera, la sua medaglia, non prima, però, di aver stretto la mano a Kevin che gliela aveva consegnata.

“Joe!” strillò, saltando al collo del suo maestro e stringendolo forte, ridendo come una matta. Lui la sollevò da terra, stringendola a sé e ridendo a sua volta, felice come non lo era da troppo tempo.

Non ero più abituato a vederlo così dolce, così sorridente...

“Sei stata bravissima, piccola! Stupenda!” Esclamò, riappoggiandola delicatamente a terra e prendendo tra due dita il dischetto di metallo per esaminarlo meglio.

Era grande, troppo grande per la figura minuta di Clarisse: spesso circa mezzo centimetro, di metallo pieno, doveva essere costato, insieme agli altri due, un occhio alla scuola, ma per la musica la Fleming avrebbe fatto ben più di questo...e quell’anno, dal punto di vista della musica, era stato davvero speciale.

Su una delle facce della medaglia campeggiava una grossa nota inserita in un pentagramma ondulato e troppo piccolo, mentre sull’altra, l’incisione ‘Terzo classificato’ appariva scura rispetto al vivo color bronzo che la circondava.

“Hai visto com’è bella?” Domandò Clarisse, sfilandosi il nastro dal collo e passandolo intorno a quello di Joe, che la guardò, stranito. Come spiegazione, la ragazzina si strinse nelle spalle. “È la nostra medaglia: dovremmo dividerla a metà.”

“Tu hai cantato.”

“Tu mi hai insegnato a farlo.”

“In realtà ho comprato la giuria.”

Ridacchiando, Clarisse gli tirò un leggero buffetto sulla spalla, lanciando, nel frattempo, un’occhiata in direzione di Madison che, seduta imbronciata sul bordo del palco, stropicciava con rabbia l’attestato di quinta classificata che Kevin le aveva consegnato con un sorriso fin troppo soddisfatto per una posizione simile.

E quei complimenti non avrebbero potuto sembrarle più falsi.

“Tu dici che me la sono meritata?” Domandò Clarisse, accennando nuovamente alla medaglia, ora appesa al collo di Joe.

“Certo che sì! Ti fai venire i dubbi, ora?”

“No, è che... Guarda Madison...”

Joe si strinse nelle spalle.

“Non mi dirai che sei dispiaciuta per lei, ora.” La rimproverò mio fratello, mettendo un finto broncio che la fece sorridere.

“Ovvio che non lo sono! Però la sua canzone era obbiettivamente più difficile della mia e...”

“E infatti era troppo pretenziosa.” Completò per lei Kevin, sopraggiungendo alle sue spalle. “E non l’ha cantata affatto bene: ha preso delle stecche degne di Joe nei suoi momenti peggiori.”

“Ehi!” Lo redarguì il fratello minore. “Non farmi fare figuracce davanti alla mia alunna!”

“E poi tu sei stata davvero brava.” Continuò Kevin, ignorandolo. “Non la migliore, infatti non sei arrivata prima, ma mi sei piaciuta molto e stai tranquilla, non sono tipo da dare giudizi secondo le mie preferenze.”

“Oh, è vero: ha messo non classificabile alla sua ragazza.”

Clarisse ridacchiò, tranquillizzata.

“Grazie, prof.”

“E di che? Siete un’ottima squadra, tu e quel losco figuro laggiù. Oh, Joe, a proposito, ti cercava Christian.”

“Bene... anche io ho un paio di cosine riguardanti l’affidabilità da dirgli. Dov’è?”

 

Gli amici colpiscono duro

Che neanche una madre è così

Senza chi mi sbatteva nel muro

Forse non sarei qui.

(i Pooh, Amici per sempre)

 

“Chris!” Chiamò Joe, fiondandosi fuori dall’uscita posteriore della scuola, pronto a dare a Christian una bella strigliata riguardante il fatto che lui non fosse assolutamente in grado di rispettare gli impegni presi e che Clarisse si era sentita abbandonata per colpa sua, ma il fiato gli morì in gola quando si rese conto che lì fuori non c’era assolutamente nessuno anche solo vagamente somigliante al suo amico.

Beh, in effetti non c’era assolutamente nessuno e basta.

“Idioti...” Biascicò, più che convinto che Chris e Kevin non avessero voluto altro che fargli uno scherzo. Che poi, se fosse stato fatto a metà dicembre, forse, per loro, avrebbe anche potuto risultare divertente, ma, sul serio, che gusto potevano trovare nel fare una cosa del genere all’inizio di giugno?

Misteri.

O, per lo meno, sarebbe stato un mistero se Joe avesse colto nel segno... ma l’obbiettivo che Christian voleva raggiungere facendo spedire il mio fratellone in quel posto era ben più di un semplice scherzo.

Già... perché Joe aveva ben sottovalutato Christian e mai avrebbe nemmeno immaginato ciò che l’amico aveva deciso di fare per lui.

Anche se al momento l’avrebbe odiato, perché era convinto di poter fare da solo, che il destino non avesse bisogno di aiuti.

Anche se, a tutt’oggi, non ha ancora smesso di ringraziarlo per averlo fatto arrabbiare così tanto quel giorno.

“Cerchi Christian?” Lo raggiunse, improvvisamente, una voce femminile alle sue spalle, proprio mentre stava per voltarsi, tornare dentro e cantarle a Kevin per essere stato al gioco del suo amichetto.

Una voce che lo raggelò all’istante, facendogli desiderare con tutte le sue forze di fuggire, ma ancora impedendogli di muovere un singolo passo.

Tutto ciò che poté fare fu voltarsi lentamente, ripromettendosi di picchiare a sangue Christian per qualsiasi cosa la sua testa malata si fosse inventata.

Eliza era lì.

I capelli, raccolti in una morbida mezza coda, le ricadevano in boccoli sulle spalle semiscoperte e la luce ne propagava i riflessi ramati. Il vestito che Christian l’aveva aiutata a scegliere era, a suo avviso, fin troppo elegante per una gara di canto scolastico, ma di certo faceva la sua figura, con la filigrana dorata appena visibile, intessuta strettamente nella trama della stoffa.

“Non guardarmi così...” Lo pregò lei, sorridendo ed avvicinandosi di un paio di passi. “Lo so che sembro appena uscita da un cartone Disney, ma ho pensato che Chris ha fatto molto per me...glielo dovevo.”

“Che...che c’entra Chris?” Balbettò Joe, arretrando, probabilmente in modo volontario.

Liz si strinse nelle spalle e appoggiò la piccola borsa su di uno dei davanzali delle finestre.

“Mi ha detto della gara, mi ha praticamente costretta a venire qui...e mi ha parlato di te. Molto meglio di quanto non abbia fatto nessuno negli ultimi anni.

“Christian è...”

“Speciale.” Completò la donna, stroncando sul nascere quella che sarebbe stata probabilmente un’espressione molto meno delicata. “Dice che mi ami.”

“Eliza...”

“È vero? Perché per me lo è... lo è ancora.”

Joe annuì impercettibilmente, senza, però, tornare a muoversi verso di lei, e lei lo rispettò, rimanendo a sua volta immobile al proprio posto.

“Perché?” Domandò mio fratello, stringendosi nel leggerissimo trench bluette.

Eppure, ci scommetto, non erano di freddo quei brividi...

“Perché ti vuole bene, perché ha deciso che i suoi sentimenti dovevano passare in secondo piano. Perché è un amico, Joe...”

“No, no...” La bloccò lui, agitando piano una mano davanti al suo viso e muovendo inconsciamente un paio di passi verso di lei. “Intendevo... perché ancora mi ami? Come riesci a farlo? Non... non è logico...” Biascicò, mangiandosi un poco le parole.

“Joe... non c’è niente di logico nell’amore. Se ci fosse, ora non sarei qui e tu staresti con qualcun’altra... o con Chris...e io con Aaron. Sarebbe più facile, non credi? Ma se l’amore fosse logico, Joey, non sarebbe amore.” Concluse, accarezzandogli piano una guancia.

“Che cosa ci fai qui?” Chiese lui, bloccandole la mano con la propria facendola scivolare verso il basso fino a portarsela sul cuore.

“Tra noi due si è rotto qualcosa... Voglio solamente aggiustarlo... Voglio che torniamo ad essere Joey e Liz come una volta. Lo voglio tanto, però se tu non collabori, io...”

Come scottato, Joe si allontanò di colpo, voltandosi e lasciando Liz sola, la mano a mezz’aria, lo sguardo rivolto all’asfalto del parcheggio sul retro dell’istituto.

“Smettila di scappare...” Soffiò la donna, stringendo forte i pugni. “Devi finirla, Joe: smetti di fuggire da te stesso. Perché tu lo sai, vero, che non è di me che hai paura? Lo sai che tu fai così con tutti, esclusa, forse, quella bambina?”

“Non è vero...” Mormorò lui, senza voltarsi.

“Sì che lo è.” Ribatté lei, un’ombra d’ira nella voce. “Sei fuggito da me, sei fuggito dalla tua famiglia e solo Kevin ha avuto la costanza di starti accanto. Sei fuggito da Christian quando ti sei reso conto che ti stavi affezionando a lui. Lascia posto anche agli altri nella tua vita, Joe: non tutti se ne vanno!”

“Non è vero..” Ripetè, allora, Joe, voltandosi di scatto verso di lei, ma ritrovandosi non in grado di sostenere il suo sguardo.

“Sei un codardo, se dici questo. Un codardo che non solo ha paura, ma che non ammette di averla. La peggior specie, Joseph Jonas. E la cosa peggiore è che, per quanto tu sia un codardo, io non posso... non riesco a fare a meno di amarti.”

“Non sono un codardo, Eliza...” Ringhiò Joe, come se le ultime parole da lei pronunciate non avessero mai raggiunto le sue orecchie. “Non lo sono.”

“Oh, sì, invece.” Gli tenne testa lei, arretrando, però, di qualche passo, quando Joe scattò verso di lei, afferrandola per le spalle, il volto alterato come, purtroppo, lo aveva visto fin troppe volte.

Trattenne il respiro.

 

Continua...

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Capitolo 31
*** - capitolo trentuno - ***


Posto di fretta mentre sono a scuola...stasera aggiungo i ringraziamenti.

Tempe

 

-Capitolo Trentuno-

 

But touch my tears

With your lips

 (Queen, Who wants to live forever)

 

“Oh, sì, invece.” Gli tenne testa lei, arretrando, però, di qualche passo, quando Joe scattò verso di lei, afferrandola per le spalle, il volto alterato come, purtroppo, lo aveva visto fin troppe volte.

Trattenne il respiro.

“Joe, che cosa...”

“Non fuggire...” Soffiò lui, avvicinandosi a lei ancora un po’di più e facendo scivolare lentamente la mano lungo il suo collo. “Non fuggire più.”

Eliza posò una mano appena tremante su quella di Joe che, però, si sottrasse immediatamente a quel tocco delicato, affondando le dita affusolate tra i capelli ramati di lei e passandole l’altro braccio dietro alla schiena per attirarla a sé.

Con forza.

Quasi con violenza.

 

Mi sono innamorato? Sì, un po’

Rincoglionito? Non dico no

Per te son tutte un po’squallide

La gelosia non è lecita

(Lucio Battisti, Una donna per amico)

 

“Ma non farmi ridere!” Esclamò Beatrix, camminando sotto braccio a Martha lungo il corridoio che, dalla loro classe portava al piccolo cortile sul retro.

“Beh, ma Bex, non è una cosa tanto incredibile...”

“Grazie, Mar.” Esclamò Derek, evidentemente seccato dal comportamento della sua ragazza. “Io non lo so cosa mi spinge a stare con quella strega, davvero, non ne ho idea. Cosa c’è di tanto inconcepibile, me lo spieghi?”

Beatrix sbuffò, svoltando l’angolo, mentre Derek le saltellava accanto.

“Andiamo, lo sanno tutte che stai con me, nessuno te lo chiederebbe.”

“E invece lei l’ha fatto! E sai cosa, Bex, sono quasi tentato di accettare!”

“Certo, e io ci credo.”

Derek scosse il capo, allontanandosi dalle due ragazze senza aggiungere nient’altro, senza parole per una delle poche volte in vita sua.

“Non avrai esagerato?” Chiese Martha, sorridendo a Bex, che continuava a camminare, ampiamente soddisfatta.

“Assolutamente no. Non so perché ma si è messo in testa che deve farmi ingelosire, ma dato che io non sono il pollo che lui crede, non ho nessuna intenzione di dargliela vinta.”

“Non pensi che quella ragazza possa interessargli davvero?”

Beatrix scosse il capo, sempre più sicura nella sua idea.

“Lo conosco come le mie tasche da quando avevamo quattro anni: non ha mai avuto occhi per altri che per me.”

Martha inarcò un sopracciglio.

“Serena, Josy, Mary...”

“Va bene, quasi, rompiscatole che non sei altro! Ciò non toglie che è assolutamente pazzo di me.”

“Anche Kevin, credo, ma io sono gelosa di lui.”                                   

“Vedi, è quel credo che fa la differenza! A proposito... non è il tuo bello, quello là?” Sviò Beatrix, ansiosa di cambiare argomento: non avrebbe mai ammesso che lei, in realtà, gelosa lo era eccome e il motivo era proprio la sua consapevolezza di quanto Derek fosse preso dalla loro relazione.

Martha annuì, lanciando un’occhiata fintamente distratta a Kevin che, in piedi vicino alla porta, parlava al cellulare con espressione piuttosto preoccupata.

“Chissà chi è al telefono...”

“Guarda che non è che me lo devi dimostrare che sei gelosa, eh! Ci credo lo stesso.”

“No, è che ha una faccia...”

“Sì, sì, certo, dicono tutte così! Avanti, raccontami che metti al ballo, così posso distruggere le tue idee una per una e rimontarle da capo.”

 

***

 

“Sono ufficialmente esaurito.” Dichiarò Derek, abbandonandosi sulle gambe di Francie che, seduta al suo banco, tentava di mangiare tranquillamente una barretta ai cereali.

“La notizia mi risulta effettivamente indispensabile... Ora sì che potrò dormire la notte.”

“Quel...quel coso.” Esalò Derek, indicando Lex, seduto a pochi banchi di distanza. “Ha una brutta influenza su di te. Sei acidula da quando esci con lui.”

“Non esco con lui.” Ripeté per la millesima volta, pensando che avrebbe dovuto probabilmente registrarsi quella frase, insieme a tutte le sue varianti, ed avviare il nastro ogni qual volta qualcuno le avesse posto quella domanda. Sarebbe stato infinitamente più facile.

Un punto per Francie per l’idea, nulla da dire.

“E, comunque, io continuo ad essere esaurito.”

La giovane alzò gli occhi al cielo, afferrando il messaggio che l’amico voleva trasmetterle.

“E chi è che ti esaurisce, Der?” Domandò con tono ironico. “Mandy?”

“No! Cioè, anche... ma no, è Beatrix. Io credo di non piacerle più.”

Francie spalancò gli occhi.

“E come fai a dire una cosa del genere?”

Derek si strinse nelle spalle, affondando ancora un po’di più il viso tra le braccia conserte.

“Ho avuto il sospetto un mesetto fa, quando ha iniziato a chiamarmi sempre più di rado e...”

“Derek, in questo periodo abbiamo un sacco da fare, nemmeno tra ragazze usciamo più.”

“Lo so, lo so, ma mi conosci, sai come sono fatto... quindi ho deciso di provare a farla ingelosire... faccio apprezzamenti su belle attrici, flirto con altre ragazze, ma niente! Cinque minuti fa le ho detto che Chandelle mi ha invitato al ballo... le ho detto una decina di volte che è carinissima, che quasi quasi accetto il suo invito, ma niente, solo un silenzioso e maledettissimo niente! Perché la mia ragazza non è gelosa di me?” Domandò, sconsolato, nascondendosi definitivamente dietro alle proprie braccia.

E Francie rise.

E io non potei trattenermi dal fare altrettanto.

“Trovi comiche le disgrazie degli altri?”

“Ma quale disgrazia, Derek? Lo sai che Bex è fatta così!”

“Beh, no, non lo so!” Replicò lui, alzandosi di scatto come un cobra. “Non la capisco, perché si comporta così?”

“Derek, seriamente, nessuno in questa classe... anzi, facciamo in questa scuola, ha mancato di notare che sei fin troppo cotto di lei! Nemmeno io crederei che saresti disposto ad accettare di uscire con un’altra e, beh, Bex ha tutto meno che le bistecche sugli occhi. Non è gelosa perché sa che non ce n’è motivo, non è che non le piaci più.”

“Tu dici?”

“Derek, piantala di giocare, vai a darle un bacio e invitala al ballo. Ti darà molta più soddisfazione, te lo dico io!”

 

 

Touch my world

With your fingertips

(Queen, Who wants to live forever)

 

Le sue labbra si posarono su quelle di lei con molta più delicatezza di quanto i gesti precedenti avrebbero lasciato supporre.

Cosa che a Liz, in effetti, non piacque affatto.

Lasciando da parte la finezza e la delicatezza che il modo in cui era vestita avrebbe dovuto implicare, gli allacciò le braccia dietro alla nuca, il corpo perfettamente aderente al suo.

Come sognava da tanto.

Da troppo.

Joe si separò da lei per un solo istante, sorridendo e tornando poi a baciarla, le braccia strette forte intorno alla sua vita, sollevandola da terra di qualche centimetro.

“Ben tornato, Danger...” Mormorò lei, accarezzandogli una guancia.

 

Nei percorsi della vita

Solo adesso l’ho imparato

Non c’è niente che puoi dare per scontato

(i Pooh, Mi manchi)

 

“Bene, ora mi spieghi.” Si impuntò Martha, le mani ben piantate sui fianchi, non appena Kevin ebbe chiuso la porta dell’appartamento.

Kevin sospirò, passandosi una mano tra i ricci tagliati di fresco.

“Senti, non tirarla per le lunghe, ti prego... sei stato silenzioso tutto il tempo e anche a scuola, non hai sorriso una volta, nemmeno alle battutine di Christian...”

“Che fai, mi curi? E poi Chris non ha fatto battute, oggi. Era piuttosto scosso per quello che è successo ieri sera. Sai, tra mio fratello e Liz...”

“Kevin...”

“No, hai ragione... cambiare argomento non serve a niente. Vieni.” Con una mano sulla schiena, mio fratello la sospinse verso il divano, rigirandosi mentalmente le parole, cercando di trovare quell giuste.

Ma non esistono parole giuste per dire una cosa del genere, fratellone, non ce ne sono.

“Martha, oggi mi ha chiamato una persona...” Cominciò, senza guardarla, ma stringendole forte entrambe le mani.

Non avrebbe alzato gli occhi, no.

Non avrebbe lasciato che lei li vedesse così, lucidi di lacrime.

“Kevin, così mi fai paura... Chi ti ha chiamato?”

“Tuo padre.”

“Mio padre?” Chiese ancora lei, strabuzzando gli occhi.

Kevin annuì.

“Ha detto che lo ha convinto sua sorella, che sarebbe stato meglio se te lo avessi detto io... anche se è dannatamente difficile...” Mormorò lui, trovando non so dove la forza per guardarla in viso.

E lei capì.

“No...” Soffiò, scuotendo la testa come una bambina capricciosa. “Non... dimmi che non è quello che penso.”

Rispecchiando il suo gesto, anche Kevin scosse il capo, stringendola forte a sé ed affondando il viso nei suoi ricci chiari.

“Mi dispiace, amore mio, mi dispiace tanto...” Mormorò, la voce rotta dai singhiozzi, mentre il corpo di Martha iniziava a tremare tra le sue braccia.

“Ma... quando?” Domandò la ragazza, asciugandosi le guance con il dorso della mano.

“Questa mattina, alle dieci... Martha, davvero io non so cosa dire... cosa fare, non...”

“Abbracciami forte... più forte che puoi.”

Kevin annuì, stringendola ancora di più a sé.

“Io pensavo... pensavo che ci sarebbe sempre stata, che...”

“Anche io lo pensavo di Nick. La vita è ingiusta, bimba mia, ma...”

Martha scosse il capo, accoccolandosi meglio contro il suo fianco.

“Sarebbe ingiusta se non ci fossi tu.”

“Hai voglia di parlare? Di fare qualcosa, qualsiasi cosa?”

Dolce Kevin che non sapeva come comportarsi... credo quello sia stato uno dei momenti più commuoventi della mia vita... morte... oh, beh, quello.

“Voglio che mi racconti di Nick. Tutto quello che puoi. E poi voglio piangere...” Mormorò, la voce di nuovo interrotta da quegli odiosi, liberatori singhiozzi.

E Kevin annuì, accarezzandole i capelli chiari e si chinò a posarvi un bacio, prima di iniziare a raccontare di me.

E, ve lo giuro, non avrei mai immaginato che avesse così tanto da dire.

 

And we can have forever

And we can love forever

Forever is our today

(Queen, Who wants to live forever)

 

“Andiamo a casa...” Sussurrò Eliza, posando un bacio delicate sulla guancia di Joe, seduto a terra dietro di lei, le braccia strette intorno ai suoi fianchi. “Comincia a essere freschino...”

“Certo che fa freddo... quel vestito dev’essere di carta velina, accidenti.”

“Come no. In realtà era tutto un piano di Christian per eliminarmi fisicamente dalla faccia della terra.”

Joe scosse il capo, posandole un bacio sui capelli rossi.

“Ti avrebbe sparato e basta. Invece ti ha vestita da principessa... come fosse necessario...”

“Joe?”

 “Sì?”

“Andiamo a casa.”

Sorridendo, mio fratello alzò gli occhi al cielo, scuotendo il capo. Sempre la solita, dolcemente insopportabile Liz...

“Perché questa fretta? Abbiamo tutto il tempo del mondo!”

 

E so che non è una fantasia

Non è stata una follia

Quella stella la vedi anche tu

Perciò io la seguo e adesso so

Che io la raggiungerò

Perché al mondo

Ci sono anch’io!

(Max Pezzali, Ci sono anch’io)

 

Christian mostrò il biglietto alla hostess e, subito dopo, andò ad occupare il suo posto, proprio in punta all’aereo.

Bene, avrebbe ballato poco.

Con un sorriso, sistemò il bagaglio nell’apposito spazio e si sedette, guardando fuori dall’oblò la foschia che avvolgeva l’aeroporto.

Ci avete mai fatto caso che c’è sempre, sempre foschia in aeroporto? Anche nel giorno più sereno, lì c’è nebbia... sarà che partire è tanto malinconico... per quanto si possa esserne felici, c’è sempre un velo di tristezza nel lasciarsi una parte di vita alle spalle.

O forse è solo nostalgia di ciò che non sarà più.

Perché io lo sapevo, quel giorno, che Christian in America non sarebbe tornato più, e credo proprio che lo sapesse anche lui.

Forse non consciamente, certo, ma anche lui dentro di sé era certo che quello non sarebbe stato semplicemente un anno sabbatico.

Non una normale, lungBBNa vacanza in un paese lontano e romantico.

Non un viaggio in Francia per dimenticare, no.

Una vita nuova, forse migliore, forse no.

Perché a volte partire da zero serve eccome, perché non si può andare avanti a vivere di delusioni e rimpianti.

Perché il mondo è grande e tu che puoi, Christian, lo devi vivere.

Non aveva salutato nessuno, il professor Prato, prima di salire su quell’aereo.

Aveva scritto delle lettere, però, e le aveva spedite in aeroporto.

Una per Kevin, il più grande amico che avesse mai avuto.

Una per Joe, l’amore.

Una per sua sorella, perché non facesse il diavolo a quattro, cercandolo.

Una alla scuola, con le sue dimissioni.

Non aveva nemmeno preparate le valigie: le aveva già pronte da un po’, da tempo sapeva di aver bisogno di cambiare aria.

Con un sospiro tra il soddisfatto e il rassegnato, si lasciò avvolgere dallo schienale, proprio mentre anche il sedile accanto al suo veniva occupato da qualcuno.

Buonsgiorno.” Lo salutò una voce femminile piuttosto bassa dal forte accento francese.

Lui aprì gli occhi, non poco scocciato che il suo pisolino aereo fosse stato interrotto così presto. Non volendo cominciare la sua nuova vita con insulti o simili dovuti, peraltro, solo alla sua malinconia, rivolse alla nuova arrivata il migliore dei suoi sorrisi.

Bonjour!” Rispose al saluto con una delle poche parole di quella lingua che conosceva.

Poco male, avrebbe imparato.

E lì, su quell’aereo, la sua nuova vita gli sorrise per la prima volta e gli tese la mano per presentarsi.

 

Forever is our today

 

Eliza si accoccolò meglio contro il bracciolo del divano, stringendosi nel leggero plaid colorato, mentre Joe la raggiungeva, dopo aver appeso allo schienale di una sedia il trench bluette.

“Come mai la coperta?” Domandò, sedendole accanto e ravviandole con una mano i capelli chiari.

Lei si strinse nelle spalle, appoggiandosi a lui in modo del tutto naturale.

Come se lui non l’avesse rifiutata per anni.

Come se fossero sempre stati insieme.

Sapete, a volte ancora oggi non mi sembra vero di poter dire una cosa del genere... Liz e Joe insieme... nemmeno ci speravo più.

“Non dirmi che hai freddo!”

“Beh, un pochino... non mi è concesso, Mr Jonas?”

Joe scosse il capo, sorridendo in modo aperto, sincero... anche un po’malizioso.

Un sorriso da Danger, insomma.

“Certo che ti è concesso. Quello che proprio non posso permettere, invece...” Spiegò, assumendo un’espressione da consumano insegnante con anni di esperienza alle spalle. “È che sia quel coso a riscaldarti.” Concluse, liberandola dalla coperta e chinandosi a catturarle le labbra con le proprie.

“Hai ragione.” Riconobbe lei dopo qualche minuto, allacciandogli le braccia dietro al collo senza poter fare a meno di sorridere. “Sei una coperta parecchio migliore di quel coso.” Dichiarò, facendogli il verso.

“Sposami...” Le soffiò lui all’orecchio in modo improvviso e del tutto inaspettato, sfiorandole il lobo con le labbra.

Liz si alzò leggermente, gli occhi sgranati.

“Cosa...cosa?” Domandò, incapace di formulare qualsiasi altra parola.

Joe ridacchiò, divertito dalla reazione ottenuta.

“Ti ho detto.” Leggerissimo bacio a fior di labbra. “Di sposarmi.”

“E quando?” Chiese lei, ora certa di aver capito bene e più che convinta che la cosa non le dispiacesse affatto.

“Stanotte, se è possibile. O domani... o appena papà sarà disponibile per farlo.”

Liz sorrise a quel bambino troppo cresciuto, quel Danger finalmente tornato a casa e gli accarezzò con una mano le ciocche perfettamente lisce, anche se un po’scompigliate.

“Perché tutta questa fretta? Abbiamo tempo...”

Joe scosse il capo, cocciuto.

“Sono stato morto per troppo tempo: ora voglio vivere... e ci sono cosa che non possono aspettare più.”

 

...who waits forever, anyway?

(Queen, Who wants to live forever)

 

Continua...

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Capitolo 32
*** - capitolo trentadue - ***


Ebbene sì, eccoci qui al penultimo capitolo!!!

Come prima cosa, vedo di rispondere a tutte le vostre recensioni perché non lo faccio da un numero di capitoli vergognosamente alto, quindi ora mi porto avanti col lavoro e lo faccio prima ancora di aver scritto il capitolo! xD

 

Maggie_Lullaby: intanto ti ringrazio per aver tolto la storia e ti ringrazio anche per la mail alla quale, per motivi di tempo, non ho risposto. Eh sì, come hai letto sopra, il prossimo sarà l’ultimo capitolo... ma sto scrivendo altre storie che spero seguirai con lo stesso entusiasmo!!! Non preoccuparti, però: ho in mente ancora un piccolo grande colpo di scena finale...

 

Tay_: guarda, leggendo le recensioni ho visto che a tanti questo capitolo è parso un po’strano... chissà, forse a causa dell’impostazione particolare o forse per i due eventi negativi, uno atteso e l’altro un po’meno... comunque sono contenta che continui a piacerti, nonostante tutto!

 

Alexya379: guarda, per la nonna non posso fare niente... ma a Christian non dire addio!!! Da quando è nata la coppia Christian/Monique la mia mente ha iniziato a macinare a tutta velocità su di loro e, oltre alle shot chrimon, ci sarà anche la long Family Affairs e un’altra sorpresina che dovrà aspettare un po’. Quindi seguimi anche nella sezione originali, mi raccomando!

 

Melmon: Liz e Joe finalmente ce l’hanno fatta...ed era pure ora, penso!!! Per quanto riguarda Chris, leggi la risposta ad Alexya...e perché è andato via... beh, per quello temo che ti toccherà leggere il capitolo!!!

 

_giadina_: hehe per la nonna dispiace a tutti, temo...tranne che a Nick, forse, chissà...

 

Sweet_Doll: Guarda, finché le parole sono queste, ti prego, ripetile all’infinito che fastidio non danno mai!!!

 

Brotherina: devo ammettere che non avevo pensato di scrivere le lettere di Christian, ma, ora che mi ci hai fatto pensare, ho deciso che è un’idea stupenda!!! In quanto a Martha e Kevin, non so se ci andranno sull’altare, visto che la vera Martha è atea convinta e praticante, nonché eretica miscredente come la sottoscritta... forse in comune, bisogna chiedere a lei XD

 

Smemo92: beh, in questo commentino hai riassunto alla perfezione tutto il capitolo..  non oso immaginare cosa faresti con qualche riga in più! XD Mi piace, comunque, davvero tanto che tu abbia colto il contrasto tra la felicità di Liz e Joe e le malinconie, piccole e grandi, che li circondano... è proprio per questo che ho voluto tenere loro due separati dal resto, come isolati in una dimensione a se stante... Complimenti! XD

 

Jeeeeee: Scandalizzata, addirittura!!! Wow!!! Non pensavo di poter fare effetti del genere! Intanto ti ringrazio per i commenti alle varie Chrimon che si sentono un po’ignorate.... ma passando alla storia qui....we we we chris ti sta simpaticissimo ed è un grande!!! Non è morto!!! Non ditegli addio, tutti quanti!!! Joe ha i suoi tempi, ma poi come vedi fa le cose in grande, o no? Ma a Martha è morta la nonna, non la sorella! XD

 

Lyan: Eh, Derek è un po’stordito, ma dopotutto è un ragazzo, non si può pretendere poi molto, no? Ma quante domande in una sola recensione!! Spero che questo capitolo risponda a tutte!!!

 

Dollyvally: No che chris non sparirà! Ti segnalo “Best Friends” e “Quel che non si dice”, oltre a “Family Affairs”, per stare ancora un po’con lui! Non ti preoccupare per il commento breve... me ne farai uno lungo lungo all’epilogo!!!

 

Selphie: *porge fazzoletto per lacrimuccia* Chris munito di pistola è un’immagine che mi fa rotolare letteralmente XD Non ce lo vedo proprio!!!*immagina Chris modello rambo con fascia di proiettili e mitra* comuuuunque... hehe, la proposta è molto danger! Lui non è il tipo da chiedere di sposarti, no no... lui ti informa che lo sposerai e punto. Parlare di Nick ha di certo aiutato Kevin, per lo meno a sentirsi più vicino a Martha... e non ti preoccupare, in questi capitoli finali avranno un ruolo un po’più attivo, i due fidanzatini d’America. La ragazza che il professor Prato ha incontrato in aereo... beh, chi è penso si scoprirà nell’epilogo, anche se non ne sono sicura... e comunque ha un nome e, da poco, anche un cognome, non ti preoccupare: il sipario non si chiude per Chris!

 

3: mamma mia che fatica rispondere a tutti questi commenti! Eppure ne vorrei ancora di più, se possibile tutti come il tuo!!! Ai commenti tuoi e della 1, però, non riesco mai a rispondere come si deve, perché sarebbe come scrivere un altro capitolo! Ma tu lo sai che apprezzo... però qui una cosa devo dirla. Tu sai quanto io ami il personaggio di Christian e non sai quanto mi è piaciuto vederlo paragonato a Mary Poppins! È un’immagine talmente romantica e bambina che anche lui l’amerebbe! Grazie, 3, perché anche nelle recensioni mi regali sempre queste piccole perle, cose in apparenza insignificanti, a cui nessuno pensa, ma che per un autore fanno la differenza, perché lo fanno sentire apprezzato.

 

1: un commento che si fa attendere, ma che vale sempre la pena di leggere! Ti ringrazio prima ancora che tu abbia iniziato a scriverlo, perché, anche quando non hai tempo, qualche minuto per me lo tiri sempre fuori e spero che sarà sempre così, anche per cose più serie di una recensione ad un racconto. Tu, come la 3, sei in grado di farmi sentire fiera davvero di quello che scrivo... ed è per questo che posso dirti grazie senza aver ancora letto il tuo commento. Perché sono sicura che l’amerò.

 

Temperance

 

-Capitolo Trentadue-

 

Puoi alzare barriere

Litigare con Dio

Cambiare famiglia e città

Strappare anche foto e radici

Ma tra amici

Non c’è mai un addio

(i Pooh, Amici per sempre)

 

Buongiorno buongiorno professor Jonas!

              Sinceramente, non ho idea di quanto veloci siano le poste del New Jersey, per cui non so nemmeno quando riceverai questa lettera, né quando lo faranno Joe o mia sorella, però io sicuramente sarò già lontano. In Francia, presumibilmente, nel monolocale che sono riuscito per miracolo ad affittare e che spero che presto, con un miracolo ancora più grande, si trasformerà in un appartamento nel quale possa voltarmi senza picchiare i gomiti contro le pareti.

              Bene, immagino che a questo punto dovrei dirti perché sono partito e magari hai anche un sacco di aspettative nei confronti di questa lettera... che ne so, parole strappa lacrime che spiegano come io non sopportassi più il mio schifo di vita. Mi dispiace deluderti, professore, hai sbagliato indirizzo. Perché io la mia vita a Princeton la adoro e mi mancherà.

Me ne vado perché sono stanco.

Semplice.

Banale.

Per nulla da me, lo so, però ho passato decisamente troppo tempo a fare le cose nel mio stile.

Ora si cambia rotta e lo si fa alla grande.

              Ho scritto anche a Joe, non stare a spiegargli tutto... a meno che, ovviamente, la mia lettera non si perda e, conoscendo il servizio postale, tutto può essere. Se te lo chiede, però, digli che non è colpa sua se me ne vado, ripetiglielo all’infinito, perché non deve pensarlo nemmeno per scherzo.

              In quanto a noi, Kevin, ti scrivo perché, malgrado la tua testaccia dura da fare invidia a un macigno, devo ammetterlo: mi mancherai. Mi mancherai perché un amico come te non l’ho mai avuto, vuoi perché ho sempre avuto più che altro amiche, vuoi che ci siamo proprio trovati.

Ti voglio bene, per quanto poco virile questa frase possa apparire e mi piacerebbe che continuassimo a sentirci, perché l’amicizia ha questo di bello: non è la distanza a cancellarla, se è vera e sincera.

              Bene, credo che sia meglio chiuderla qui, prima che le carie imperversino nella tua bocca... ti allego l’indirizzo della mia mini casa...e un grosso in bocca al lupo per la tua storia con Martha, perché è la miglior cosa che ti potesse capitare, fidati di uno che di amori ne ha vissuti un po’... tutti sbagliati, certo...chissà, forse in Francia troverò anche io la mia Martha.

              Per ora ti lascio... ci sentiamo presto.

Christian

 

Per chi merita di più

Per chi ha vent’anni e un giorno

Per chi pensa ai primi amori di vent’anni fa

Possa il tempo darci tempo di volare piano

Per chi siede su un domani che non si sa mai

Per chi è grande e non lo sa

Per chi oggi nascerà

E per te

(i Pooh, Per chi merita di più)

 

Bella giornata.

Prato verde.

Cimitero affollato da gente che vorrebbe essere ovunque ma non lì.

Tanta gente.

Tutti con le lacrime agli occhi.

Era un funerale strano, un funerale senza prete e senza pastore e pieno zeppo di tante persone tutte diverse ed era commuovente vederle tutte lì insieme a salutare una donna speciale come quella che ora siede qui accanto a me.

C’era mio fratello, vestito di nero, con la cravatta troppo lenta che svolazzava nel vento, perdendosi in mezzo ai capelli di Martha, gli occhi verdi persi chissà dove, su un qualche punto indefinito dell’orizzonte o forse sul ricordo di un giorno troppo simile vissuto quasi cinque anni prima.

C’era Martha, appunto, in piedi davanti a lui che si lasciava abbracciare e che pareva quasi incredula di quante lacrime fossero state in grado, in quei giorni, di lasciare i suoi occhi. Guardava fissamente la bara di sua nonna scendere nella terra davanti a lei, stringendo forte tra le piccole mani una borsetta simile ad una grossa perla, candida come il resto del suo abbigliamento, giovane sposa in un mare di giacche color della notte.

Hanno tutta una vita da vivere, loro, e hanno capito che di buttarla via non è davvero il caso.

C’è Daniel, poi, e la sua Jaqueline un poco discosta da lui.

Si tengono per mano, senza guardarsi, gli occhi di entrambi rivolti verso quella figlia che sembrava essersi allontanata da loro definitivamente. Avrebbero dato qualsiasi cosa, in quel momento, perché Martha fosse lì vicino a loro, come era stata per tutta la vita.

Però, signori Sheperd, Martha ora ha la sua di vita e voi avete scelto di non farne parte, ma non è mai troppo tardi per cambiare le cose.

Avete amato anche voi per la prima volta, di certo sapete che cosa vuol dire la speranza che quella storia così emozionante, così speciale, non finisca mai. Pensateci, Daniel e Martha, pensateci ogni volta che vi viene in mente che Kevin potrebbe farle male, che potrebbe non essere quello giusto per lei.

E non odiatelo... è un brav’uomo, mio fratello, anche se non se ne rende conto.

Sì, c’erano davvero tante persone, quel giorno... amici di Daniel, amici di Martha, vecchie signore e anche qualche antico spasimante di Jean, tutti con una storia diversa, tutti uniti nel dolore e nell’amore.

Come un’ultima festa, il settantesimo compleanno che la mia nonna nuova di zecca festeggerà solo con me, vegliando dall’alto su chi ci ha voluto bene e ancora ce ne vuole, su chi è rimasto laggiù, in un mondo più difficile del nostro ad affrontare la sfida più dura di tutte, su chi merita una vita migliore di quella che ha avuto finora.

Noi da quassù non possiamo fare niente per fare del mondo un posto più piacevole... ma tentare non costa nulla, no?

 

Io posso dire la mia sugli uomini

Qualcuno l’ho conosciuto

Qualcuno mi è solo sembrato

Qualcuno l’ho proprio sbagliato

E qualcuno lo sbaglierò

Ma posso dire la mia sugli uomini

(Fiorella Mannoia, Io posso dire la mia sugli uomini)

 

Caro Joe,

              Non sto a farti lo sproloquio su come, quando e dove scrivo questa lettera e su dove sarò quando la riceverai. Ho già detto tutto a Kevin, puoi farti raccontare con calma da lui. In realtà potrei passare pagine e pagine a cercare di spiegarti perché ho preferito scriverti, scrivere a tutti voi, piuttosto che salutarvi di persona, occupare tante righe e tanti fogli dicendoti tutto e niente, perché, ad essere sincero, non so davvero che parole usare per comunicarti ciò che più mi preme.

              Io ti amo, Joe. Sono seduto su un aereo, sto partendo per l’Europa e ho praticamente la certezza che non ti vedrò mai più, eppure io ti amo ancora con tutta la forza che il mio cuore possiede. Io non credo in Dio, né a un disegno di qualsivoglia essere superiore, per cui non penso che tutto accada per un motivo. Non so se tu sei capitato nella mia vita per sbaglio, per errore o per chissà che cos’altro e sono certo che nessuno ti ci ha mandato per darmi una lezione di vita o per mettermi alla prova. Non ho bisogno di prove di questo genere, io: ne ho già avute fin troppe e ne faccio volentieri a meno.

Perché il mal d’amore ti sfianca, non ti lascia dormire la notte e mangiare il giorno. In effetti, penso sia la malattia più grave che abbia mai afflitto il genere umano, anche perché è presente in ogni tempo e luogo e non smette mai di mietere vittime.

Ma sono convinto che tu queste cose le sai già, perché anche tu ne hai sofferto molto, non è vero?

              Non voglio essere ipocrita, Joe: non sono felice per te e Liz e non ho nemmeno intenzione di esserlo in futuro. Sono arrabbiato, deluso e amareggiato perché per un momento, un momento solo, anche se sapevo che era un’idea pazza, anche se ero cosciente che non si trattasse di nulla più di un’illusione, per un momento ho pensato che potessi essere tu quello che cerco, tu quello disposto a stare con me per quel che resta di questa vita.

Mi sono sbagliato.

E dire che io gli uomini li conosco e non solo perché faccio, mio malgrado, parte di questa scanchignata categoria. Io gli uomini li conosco perché ne ho incontrati tantissimi, di tutte le età e tutti, immancabilmente, mi hanno deluso, a partire dai primi che io abbia mai conosciuto: mio padre e mio fratello maggiore. Non ho un buon rapporto, io, con gli uomini, però, come stavo dicendo, li conosco fin troppo bene, eppure ogni volta riesco ad ingannare me stesso, a farmi credere che c’è da qualche parte la persona giusta per me, quella che saprà farmi sognare e battere il cuore per il resto dei miei giorni.

Questa volta, però, l’errore è stato madornale, eppure non me ne pento.

              Non me ne pento, caro il mio Big, perché aiutarti a sconfiggere quella specie di bestia nera che viveva dentro di te ha aiutato anche me a capire che cosa voglio veramente dalla vita, a rendermi conto che apparire carino e simpatico davanti agli altri non serve a nulla, se prima si riesce davvero a conoscere se stessi. Tu e tuo fratello, ognuno a suo modo, mi avete fatto ritrovare un Christian che non vedevo da tanto tempo, della cui esistenza nemmeno mi ricordavo più. Un Christian che ha bisogno di staccare dal mondo e ricominciare da zero.

Un po’come formattare l’hard disc.

              Per questo me ne vado, anche se sono certo che mi mancherai terribilmente, così come sono sicuro che non cesserò mai di ripetermi che forse non lottare per te è stato un errore, forse il più grande della mia vita. Ma oramai quel che è fatto è fatto, tornare indietro non si può e forse, dall’altra parte dell’oceano, c’è veramente quel qualcuno che sogno da trent’anni. Qualcuno seduto su uno scoglio a guardare l’orizzonte, gettando ogni tanto un’occhiata all’orologio, chiedendosi perché sono così in ritardo. Romantico, non è vero?

              Bene, con quest’immagine degna dell’arte di William Turner finisco di angosciarti e ti dico arrivederci, perché addio è una parola troppo triste. Anche se il senso, alla fine, è lo stesso. Perché qui cala il sipario sul primo atto della mia vita... e del secondo tu non fai parte. Mi dispiace.

Ti auguro tutto il bene possibile, perché Eliza ti ama almeno quanto il sottoscritto, puoi metterci la mano sul fuoco.

Sarai sempre speciale per me.

Sempre unico.

Sempre Joe.

Christian

(o Carrie, se preferisci)

 

I could stay awake just to hear you breathing

Watch your smile while you are sleeping

When you’re following your dreams

I could spend my life in this sweet surrender

I could stay lost in this moment forever

When a moment spent with you

Is a moment a treasure

(Aerosmith, I don’t want to miss a thing)

 

Joe aprì gli occhi, maledicendo in silenzio il malefico e traditore mal di schiena che sembrava aver preso pieno possesso della sua zona lombare senza alcun motivo apparente.

Poi, però, mio fratello iniziò a prendere coscienza di dove si trovava e il suddetto motivo apparentemente inesistente si materializzò davanti ai suoi occhi in una cascata di ricci rossi abbandonati sulla stoffa della sua maglia colorata.

Ora, avrebbe voluto poter dire che il mal di schiena scomparve nel nulla non appena si rese conto della presenza di Eliza tra le sue braccia, ma questa non è una favola, è la vita vera e, purtroppo, i dolori non spariscono semplicemente perché ci si sente molto, molto felici.

Immensamente felici, a dire il vero.

Talmente felici da essere convinti di poter spiccare il volo.

Beh, in ogni caso, forse il male non sparì, ma ciò che apparve ad illuminare il viso di Joe in sostituzione della smorfia che lo aveva sfigurato fu un tenerissimo sorriso che da anni non ne voleva sapere di farsi vedere su quelle labbra.

Piano piano, prese ad accarezzare con una mano i capelli ramati di lei, districandone a fatica le ciocche scompigliate.

Liz si mosse appena, borbottando qualcosa si incomprensibile e rafforzando la prese dalle sue dita sulla maglietta di lui, per poi sospirare e sorridere, persa in chissà quale sogno che a lui non era dato conoscere.

Con una fitta al cuore, Joe si rese conto che erano almeno cinque anni che non stava così vicino a lei... cinque anni in cui non aveva smesso un secondo di amarla ma in cui era stato troppo preso ad autodistruggersi per prestare attenzione ad un sentimento così sciocco e frivolo.

Così positivo.

Per questo aveva deciso che Eliza non doveva più fare parte della sua vita: lei era bellezza, lei era felicità... e dentro di lui non c’era più posto per niente di bello e felice.

O, almeno, questo era ciò di cui aveva voluto così ardentemente convincersi.

Stupido Joe... ora ti rendi conto dell’errore che hai fatto vero? Da quanto potreste stare insieme, a quest’ora... magari avere già una famiglia.

Certo, ma piangere sul latte versato è inutile, fratellone... quindi va bene così, va bene che tu ti sia reso conto in tempo di ciò che stavi perdendo e abbia deciso, magari con qualche piccola spinta da parte di altri, di porvi rimedio.

Sei stato bravo, tutto sommato, non posso dire di no.

Ora lo sai che non mi hai ucciso, vero?

 Sì che lo sai... lo hai sempre saputo, in realtà.

Distratto da non ricordo che pensieri, forse dagli stessi miei, Joe continuò a lasciar vagare la mano tra i capelli di Liz, finché le sue dita incapparono in un nodo che non riuscì a sciogliere al primo colpo e finì per darle un leggero strattone alla testa che, ovviamente, la portò ad aprire gli occhi.

Tipicamente da Danger.

“Che bel risveglio...” Mormorò, stiracchiandosi, senza, però, allontanarsi da lui.

“Scusa...” Rispose Joe, con un sorriso persino troppo timido per appartenere a lui.

“Non ti preoccupare... non saresti tu se non facessi di queste cose.” Replicò lei, chinandosi a depositargli un bacio a stampo sulle labbra socchiuse.

“Beh... non è che io mi sia svegliato meglio, sai? Pesi...” Mormorò mio fratello, tentando di essere fintamente seducente, ma risultando solo profondamente ridicolo.

“Cretino!” Esclamò Liz, picchiandolo piano sulla spalla sinistra.

“Va bene, va bene, come vuoi... dove eravamo rimasti ieri sera?” Domandò, mentre Liz rotolava di lato, appoggiando finalmente la schiena sul materasso e lasciando lui libero di compiere qualche movimento in più.

Non fu piacevole come si sarebbe aspettato...

“Mi hai chiesto di sposarti.”

“Non te l’ho chiesto.” Chiarì Joe, tornando a cercare un po’di contatto con lei nel sistemarsi a gattoni sopra di lei, le mani accanto al suo viso, le ginocchia a lato dei suoi fianchi. “Era una comunicazione di servizio.”

“Oh... ora capisco la mancanza del punto di domanda.”

“Non mi hai risposto.”

“Non mi hai fatto nessuna domanda, l’hai detto tu. Come avrei potuto risponderti?”

“Doolittle...”

“Jonas.” Ribatté lei con una linguaccia.

“Ti odio...”

“Anche io, ma, ciononostante, penso che acconsentirò alla tua richiesta non richiesta...” Il viso di Joe non fece in tempo ad assumere un’espressione di lieto stupore, che lei subito arrivò a tarpargli le ali, prima che potesse salire sul primo volo diretto in direzione luna. “...però prima devi fare una cosa per me. Anzi... una cosa per la tua famiglia.”

 

Notte di giovani attori, di pizze fredde e di calzoni

Notte di sogni, di coppe e di campioni

Notte di lacrime e preghiere

La matematica non sarà mai il mio mestiere

E gli aerei volano in alto tra New York e Mosca

Ma questa notte è ancora nostra

(Antonello Venditti, La notte prima degli esami)

 

Beatrix chiuse di scatto il libro di storia dell’arte, accasciandosi contro il petto di Derek che, seduto dietro di lei, aveva già rinunciato da parecchi minuti al ripasso dell’ultimo secondo.

“Ragazzi, è la notte prima degli esami: dovremmo essere in giro a fare casino invece di stare rinchiusi in camera con questi dannatissimi libri!” Esclamò la ragazza con aria più che scocciata.

“Non dire scemenze, Bex, solo nei film si passa questa notte a fare baldoria. Dobbiamo studiare!” Esclamò Francie, buttando giù la terza tazzina di caffè in un sol sorso.

“Come se avessimo fatto altro da due mesi a questa parte! Sto iniziando ad essere esaurita, sapete?! Il mio cervello non è in grado di assorbire più nemmeno una virgola e non faccio sesso da tre settimane perché questo qui non fa altro che provare la sua stupidissima canzone per il suo stupidissimo ballo!”

“Ehi, suonare con Jonas è un’occasione unica!” Si giustificò Derek.

“E allora scopati lui la prossima volta che lo vedi!”

“Bex, datti una calmata.” La redarguì il ragazzo, scostandosi un poco da lei, per poi ripensarci ed abbracciarla ancora più forte.

“Dai, ragazzi...” Intervenne Lex, ravviandosi i capelli scuri. “Siamo tutti un po’nervosi e forse dovremmo fare davvero una pausa...”

“No!” Protestò vivacemente Francie, scribacchiando furiosamente un paio di appunti sul margine del libro.

“Scusate, è colpa mia...” Intervenne Beatrix. “È che sono agitata... ho paura di non passare... e poi sono preoccupata per Martha, avrebbe già dovuto essere qui.”

“Sarà da Kevin, piccola...” Disse Derek, accarezzandole i capelli. “Stai tranquilla...se lo passo io, quell’esame lo passano tutti. Tu per prima.”

Con un verso sommesso, la ragazza affondò il viso nella maglia di lui.

In quel momento suonò il campanello.

“Apro io.” Esclamò Lex, saltando in piedi e dirigendosi verso la porta.

“Ciao!” Salutò Kevin con un sorriso triste, mentre Martha faceva un moscio ciao con la mano.

“Vieni qui, tu...” Mormorò il ragazzo, abbracciandola forte, mentre Kevin entrava in casa a sua volta e si chiudeva la porta alle spalle.

“Vi preparo qualcosa da mangiare, andate di là, dai... e cercate di dormire un po’, che dovete essere lucidi, domani.”

“Dormire?” Domandò Lex, ironico. “Dormire questa sera? Ma tu te la ricordi la tua notte prima degli esami?”

Kevin parve riflettere per qualche istante, perso nei ricordi di quei momenti magici che la nostra carriera gli aveva impedito di vivere.

E poi sorrise.

“Hai ragione... è la vostra notte... godetevela.”

“Per quel che si può godere una notte di studio...” Ironizzò Martha, tirando su col naso.

“Dai, andate.” Ripetè, chiudendosi nella piccola cucina dell’appartamento di Beatrix.

“Che facciamo, obbediamo?” Propose Lex, stringendo la mano di Martha. “Le fanciulle e Derek ci aspettano...”

Lei annuì, asciugandosi un’ultima lacrima.

Aveva ragione, Kevin.

Non importava il resto del mondo, quella notte. Perché quella notte era la loro ultima da compagni di classe, la loro ultima da liceali... la notte prima degli esami.

Ed era solo loro.

 

Continua....

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Capitolo 33
*** -capitolo trentatré* ***


Eh sì, ci siamo.

È ufficialmente finita quest’avventura, fino ad ora la migliore della mia “carriera” di scrittrice che forse di questo nome non è totalmente degna... ma bando alle ciance, non sono mai stata modesta, io!

Mi è piaciuto tanto scrivere questa storia...e credo di dover spendere due parole per un finale breve, che forse vi parrà un po’buttato lì.

Non lo è.

Ho messo in queste quattro pagine tutta la mia solita passione, ma per scelta ho preferito lasciare una fine un po’così, un po’dolce e un po’amara, che lascia presagire un buon inizio per tutti i nostri protagonisti senza effettivamente descriverlo, questo inizio.

Perché questo è un inizio, non una fine, è l’inizio delle nuove vite di Kevin, Joe e Christian, rinate dopo una morte durata troppo tempo.

Spero vi possa piacere anche questo finale non finale... e spero che lasceranno un commentino anche un po’di quei fantasmini che mi tengono tra i preferiti ma che non hanno mai commentato.

Ora passo ai ringraziamenti, che sono essenziali, proprio come per me lo siete tutti voi.

 

Ma prima voglio dedicare questo capitolo speciale ad un amico speciale, la cui strada ben presto si dividerà dalla mia. E che deve sapere che gli vorrò sempre bene, anche se sarà lontano. Chiaro Fla??? J

 

Bene.

Ora, nell’ordine, grazie a...

 

Chi mi tiene tra le seguite:

 

juju210

Rachelle

Smemo92

 

Chi mi tiene tra i preferiti (e siete davvero tanti!!):

 

Agatha (<3)

AlexKelly

Alexia379

Alice brandon cullen

Aya chan

Beautiful_disaster

Billa

Brotherina

BuonaNotteLuna

Carlottasole

Ciuly

Cold ice

Fefy88

Ffdipendente

Fiore di ren

Giulietta 24

Heilig fur immer

Infinity

Jeeeeeee

Juju210

Kekkuccia

Kiocciolinae4e

Kji

Krufe aletheia

KymLYCANTROPHE

LillteSleepingBeauty

littleQueen

Lyan

Mangaka_Baka

MartinaTH4e

MaryG92

Mari_diosa

Maybe

Midnight_Tears

Minako_86 (<3)

Pacific Soul

Piccolalilo_

PiccolaSere

Pretty_Odd

Princess jiu 327

PrincessMalfoy

PrincipessinaDiCioccolato

Reby94xx

Rossy_Toffee

Sbrodolina

Schwarz_black

Star97

Stargirl312

Sweet Doll

Sweet Stella

Sweet_giu

Sweet_S

Sweet_star

Tay_

Tokitoki

Truelove

Yuki no Hime

_daydreamer_

_giadina_

_Pucia_

_Skipper_

_Sophy__xX

_Tita_

 

Chi mi ha commentato, chi ancora non l’ha fatto, chi lo farà in futuro:

 

Sweet Doll: Chris ringrazia per i complimenti alla sua lettera... e io per la fedeltà con cui hai seguito questa storia!!!

 

Jeeeeee: scriverò mai il tuo nick con il giusto numero di e? Chissà xD Diciamo che quello che Liz chiede a Joe non è detto direttamente... è sottointeso, ma spero si capisca di che cosa, effettivamente, si tratta!

 

Alexya379: Beh, Joe e Liz sono dolci... anche se lui per me sarà sempre e solo il Big di Carrie!!!

 

Smemo92: Sì, direi che Derek ha invitato la sua Beatrix al ballo, dai.. e Chris... beh, Chris parte perché è giusto così, ma leggerai, in questo piccolo epilogo, che...

 

Vitto: Sì, ti scriverò un’altra lettera...e perdona se non ho risposto all’sms, ma sono perennemente senza soldi. Lo sai solo tu per quale assurdo principio non puoi passare a Vodafone, benedetta ragazza. Ora però ti chiedo un favore: per quest’ultimo capitolo vorrei una recensione che fosse tale, un commento lungo e riguardante la storia. Altrimenti preferisco se lasci stare di commentare...

 

Lyan: Beh, anche a me è piaciuto scrivere la classica notte prima degli esami... forse perché anche io sono una romantica senza speranza, chissà...

 

Selphie: Martha vestita di bianco è stata approvata dalla Marta reale, quindi sono ben felice di averla inserita! E le lettere... come vedrai in questo capitolo ci ho preso gusto a scriverle!

 

Maggie_Lullaby: Ma certo che ti ho perdonata, sciocchina!!! Vedo che le lettere di Christian hanno fatto successo! Bene! Il colpo di scena, purtroppo, per forza di cose, è saltato, perché il finale che avevo pianificato era diverso da questo, ma pazienza... ci saranno altre storie con altri colpi di scena, no?

 

3: ed ecco qui il primo dei grazie specialissimamente speciali alla seconda delle mie cognate (alla prima lo farò quando posterà il commento, tsè *se la mena*). Lo so, anche per me è un po’malinconico pensare che davvero quest’avventura sta finendo, ma lo sai che cosa? Così deve essere, perché era da un po’che questa storia si trascinava avanti senza un vero perché e forzarla ancora avrebbe voluto dire rovinarla. Quindi ho preferito lasciarla così, con questo finale dal sapore indefinito... ma tu lo sai che io ho tanti progetti: non resterai in astinenza!

 

PrincessMalfoy: Perdona se non rispetto le maiuscole del nickname... e grazie per il commento, dimostrazione che anche negli ultimi capitoli può arrivare qualcuno di nuovo!!!

 

1: credo che mi toccherà ringraziarti via msn, dato che il tuo commento ancora non ce l’ho *faccino che spernacchia*

 

Finisco dicendo che questa storia non avrà un sequel, quindi non me lo chiedete.

Temperance

 

-Capitolo Trentatrè-

 

Se fossi in te

Che cerchi un lavoro

 Mi inventerei due braccia ed un futuro

(i Pooh, Per noi che partiamo)

 

“Non è un po’bassino?” Domandò Joe inarcando un sopracciglio.

Mai stato un grande affarista, mio fratello... anzi, non è proprio mai stato in grado di riconoscere un’occasione, nemmeno quando questa gli cadeva in testa.

Susy si appoggiò al bancone con un sorriso a metà, mentre Liz osservava la scena, allacciandosi il grembiule e ridacchiando sommessamente.

Joe non sapeva decisamente con chi aveva a che fare.

“Bimbo, tu non mi piaci.” Sentenziò la donna, posando il capo sulle mani intrecciate. “Ma Eliza sì e tanto, pure. Quindi voglio farle questo piacere. E poi hai una vocetta niente male, da non sottovalutare. Il lavoro è tuo, ma il capo sono io e tu non devi osare lamentarti nemmeno per sbaglio, nemmeno in confessione davanti al prete perché io lo verrei comunque a sapere e lì ti ritrovi bell’e disoccupato un’altra volta. Tutto chiaro?”

Joe sorrise, assumendo la stessa posizione di Susy.

“Hai mai pensato di entrare nelle SS, Suze?”

“E tu hai mai pensato ad una carriera come operatore ecologico? Non si guadagna granché, ma ho sentito dire che è un mestiere ricco di stimoli.”

Mio fratello storse il naso, piuttosto schifato, mentre Liz serviva un tramezzino, rischiando seriamente di schiantarlo sulla maglia della cliente per non perdersi nemmeno un istante della scena.

“Non fare quella faccia schifata, Jonas, che ti si rovinano le guanciotte. Fino a qualche settimana fa potevi tranquillamente essere scambiato tu stesso per un rifiuto, quindi hai ben poco da essere disgustato.”

Seguì un breve ma intenso scambio di sguardi.

Molto intensi.

Rasentanti l’omicidio, a dire il vero.

“Lo vuoi il lavoro o no, bimbo?”

“Certo che lo voglio.” Mugugnò lui. “Ma sappi che anche un cane verrebbe pagato più di me.”

“Un cane è più facile da sopportare.”

“Allora sono fortunato che i cani non cantino.” Ringhiò, strappando il microfono dalle mani inanellate della donna ed avviandosi verso il piccolo palco del pianobar.

Susy sorrise, mentre Liz si accostava nuovamente al bancone, appoggiandovi il vassoio.

“Allora?”

La mora annuì con aria assorta, osservando Joe che cercava di capire se il pianoforte era accordato come intendeva lui.

“Allora che, Ginger?”

“Lo sai benissimo che. Credi che ce la farà?”

“Beh, non deve poi fare granché.”

“Suze.” La riprese Liz, inclinando da un lato la testa ricciuta. “Lo sai cosa intendo.”

“Ce la farà.” Rispose, allora, prontamente. “Se fossi uomo ci scommetterei le palle che ce la farà.”

 

Sopra un palco contro un muro

Anche in un domani duro

Ogni giorno una conquista

La protagonista

Sarà sempre lei

(Andrea Bocelli, Vivo per lei)

 

Martha appoggiò il capo alla spalla di Kevin, chiudendo gli occhi e concedendosi un lieve sospiro.

“Sei uno stronzo.” Mormorò a pochi centimetri dal suo orecchio.

“A cosa devo questo complimento?” Domandò lui, girando piano uno dei piroli della chitarra bianca.

“Lo sai benissimo.”

“Ancora, amore? Non era difficile...”

“Sì che lo era, considerato che sono la tua ragazza e tu non avresti nemmeno dovuto essere in commissione.”

“Beh, ma questi esami li hai finiti, no? Non è di certo la mia domanda ad averti rovinato la media.”

“La tua stronzissima domanda.”

Kevin sorrise, scuotendo la testa.

“Va bene, la mia stronzissima domanda su quell’animale di Debussy. Va bene?”

“No, povero, lui non mi ha fatto niente.”

“Su quel grand’uomo di Debussy.”

“Ora non esageriamo...”

“Mar ma non ti va bene niente, oggi!”

Martha ridacchiò, schioccandogli un sonoro bacio sulla guancia.

“È una bella serata.”

“Lo sarà.” Replicò Kevin, passandosi la tracolla della chitarra dietro al collo.

E non era un’ipotesi, quella del mio fratellone.

Non una supposizione, non una speranza.

Ma una certezza.

Perché non poteva essere che così, non poteva che passare dei momenti meravigliosi, suonando insieme a Joe, proprio come una volta.

Proprio come quando nessuna vita era stata distrutta da un motore che ruggiva troppo forte.

Né la mia né quella dei miei fratelli.

 

Bene, ci siamo.

Sulle note dei miei fratelloni che di nuovo suonano insieme si conclude la storia che vi sto raccontando oramai da un po’.

Non so se vi sia piaciuta, se vi abbia emozionati o se vi abbia fatto venire voglia di condividerla con altri. Forse vi ha fatti ridere... o piangere, che è più facile, ma, sinceramente, non mi interessa poi molto che cosa voi ne pensiate.

Bella o brutta che sia è la storia della mia vita...e non credo la cambierei.

Mai.

 

Se nasco un’altra volta

Non cambio una parola

Un batticuore né un addio

Rifaccio quel che ho fatto già

In questa vita mia

(i Pooh, Se nasco un’altra volta)

 

 

 

 

 

-Epilogo-

 

It’s so easy now ‘cause you’ve got friends you can trust,

Friends will be friends,

When you’re in need of love they give you care and attention

Friends will be friends

(...)

Hold your hand ‘cause friends will be friends (right till the end)

(Queen, Friends Will be Friends)

 

Princeton, 16 settembre 2020

Ciao, Chris.

                   Come si sta lì in Francia? Ho sentito dire che l’estate è stata molto calda...chissà, forse almeno voi riuscirete ad avere un inverno non troppo rigido.

Qui piove.

Oggi è di nuovo quel giorno e di nuovo piove.

Non so se riuscirà mai a compiere gli anni con il sole, il mio fratellino. Da quando è morto non l’ha mai fatto, comunque.

                   Non so perché ho deciso di scriverti proprio oggi, con tutto quello che ho da fare... dopotutto, oggi è il giorno di Nick e domani è il compleanno di Martha e sono impegnato fin sopra ai capelli.

Non so perché, appunto, ma ho sentito che era giusto scriverti oggi e chi sono io per oppormi a ciò che è giusto? Dopotutto, per quanto siano passati più di due anni dall’ultima volta che ti ho visto, tu sei e rimani il migliore amico che abbia mai avuto e ci mancherebbe che mi si levi anche il diritto di scriverti quando mi pare.

                   Oggi al cimitero era tutto diverso... se non fosse stato per tutte le tombe che, ovviamente, lo riempivano, avrebbe quasi potuto sembrare un posto allegro. Con tutto ciò non voglio essere sacrilego né niente del genere, eh... è solo che.... non lo so... persino il prato sembrava più verde, per quando la pioggia non gli abbia dato un attimo di pace negli ultimi tre mesi.

E poi c’era Nicholas, naturalmente... quel bambino è una forza della natura, un piccolo Danger, degno figlio di suo padre, ed è capace di portare allegria ovunque vada e io gli voglio un bene dell’anima. E non dire che è normale, visto che è mio nipote: lo so anche da solo.

Avresti dovuto vederlo: si è seduto davanti alla lapide di suo zio e ha iniziato a fare alla fotografia tutta una serie di quegli strani discorsi che solo un bambino di un anno può pronunciare e comprendere. Parole senza senso che, però, sono più che certo che il mio fratellino abbia capito.

                   Lo so, lo so, sto diventando uno sciocco sentimentale e romantico, ma che ci posso fare? Nella mia vita ora c’è un quantitativo di gioia che prima nemmeno avrei immaginato di poter provare, quindi non riesco a vedere il mondo che attraverso queste stupide lenti colorate di rosa.

E sai che ti dico?

Non mi dispiace affatto.

                   E tu, invece? Sono secoli che non mi scrivi e io non so più nulla della tua vita. Hai un lavoro? Ti trovi bene? Hai trovato quello che cercavi?

Ho talmente tante domande da farti che non basterebbe un dizionario a contenerle tutte... perché non ti fai un bel viaggetto in America? Risparmierei un bel po’di inchiostro e poi manchi a tutti qui.

E non esagero.

                   Ora ti lascio: ho una festa di compleanno da preparare...l’ultima di Martha da minorenne! Ma tu prometti che mi scriverai presto e che mi racconterai tutto e anche qualcosa di più!

Ci conto!

Kevin

 

P.S. Joe ti saluta e ti assicura che, nel giro di cinque o sei anni, Nicholas saprà usare i computer meglio di te. Per ora ha sicuramente ereditato il talento di suo padre nel distruggerli.

 

“Christiàn!” Strillò la bambina dai capelli biondi, correndo verso lo studio dove Chris stava finendo di leggere la lettera di Kevin. In fretta e furia, ripiegò il foglio e lo infilò sotto al primo libro che gli capitò tra le mani. Quello era un pezzo della sua vecchia vita. Non era giusto che lei lo vedesse. “Christiàn, dice mamma che i mostri sotto al mio letto non esistono ma io lo so che ci sono, lo so!”

“I mostri, Lulù?” Domandò l’uomo, sorridendo, complice. “Ma io li ho visti, diamine! Come fa la mamma a non crederci?”

La bambina sbuffò, arrampicandosi sulle gambe di Chris e soffiando un ciuffo dorato verso l’alto.

“La mamma secondo me non mi ascolta neanche in questi giorni.”

“Pulce... la mamma ha un sacco da fare, lo sai...” La consolò lui, accarezzandole la testolina.

“Meno male che ci sei tu... sei il quasi papà migliore del mondo!” Esclamò lei, gettandogli le braccia al collo e stringendolo forte.

Ecco, quello era bello, quello era ciò che aveva sempre cercato.

La semplicità della vita di famiglia, l’abbraccio di una bambina che non aveva paura di chiamarlo papà, svegliarsi ogni mattina con accanto lo stesso volto.

Il volto di una donna, come non avrebbe mai pensato potesse succedere.

Per questo quella lettera non avrebbe mai avuto una risposta.

Come tutte le altre mandategli da Kevin.

Gli faceva male stare lontano da lui, odiava non poter vedere il figlio di Joe... ma quella era la vita di prima, quello era il vecchio Christian e tornare a fare parte di quel mondo non gli avrebbe fatto che male.

“Allora, andiamo a cercare questi mostri, prima che la mamma ti trovi ancora in piedi?”

Stop.

Rewind.

Rec.

Una vita nuova da registrare sopra a quella vecchia, una gioia grande per cancellare la malinconia, una famiglia vera per compensare a quella che l’America non aveva saputo dargli.

Felice, finalmente.

Come Kevin.

Come Joe.

Chissà, forse a volte il destino regala davvero una seconda possibilità.

Con lui l’aveva fatto.

E poi...beh, poi se il passato avesse avuto voglia di tornare a farsi sentire, non aveva che da bussare alla sua porta.

Non avrebbe aspettato un istante ad aprirgli.

Ma questa è un’altra storia, non vi pare?

 

Il mondo è una città e anche se non vuoi

Ci ritroviamo prima o poi

(...)

Ma c’è ancora una notte insieme

Per dare ai fatti un nome che non sia fine.

(i Pooh, Ancora una notte insieme)

 

-The End-

 

 

 

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