L'alba dei fiori di ciliegio

di Newtmasinmyveins
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione. ***
Capitolo 2: *** Primo Capitolo. ***
Capitolo 3: *** Secondo Capitolo. ***
Capitolo 4: *** Terzo Capitolo. ***
Capitolo 5: *** Quarto Capitolo. ***
Capitolo 6: *** Quinto Capitolo. ***
Capitolo 7: *** Sesto Capitolo. ***
Capitolo 8: *** Settimo Capitolo. ***
Capitolo 9: *** Ottavo Capitolo. ***
Capitolo 10: *** Nono Capitolo. ***
Capitolo 11: *** Decimo Capitolo. ***
Capitolo 12: *** Undicesimo Capitolo. ***
Capitolo 13: *** Dodicesimo Capitolo. ***
Capitolo 14: *** Tredicesimo Capitolo. ***
Capitolo 15: *** Quattordicesimo Capitolo. ***
Capitolo 16: *** Quindicesimo Capitolo. ***
Capitolo 17: *** Sedicesimo Capitolo. ***
Capitolo 18: *** Diciassettesimo Capitolo. ***
Capitolo 19: *** Diciottesimo Capitolo ***



Capitolo 1
*** Introduzione. ***


ATTENZIONE!
QUESTA STORIA NON E' DEL TUTTO REALISTICA: NON CONTIENE EVENTI REALMENTE ACCADUTI (TRANNE IL PERIODO STORICO).
I PERSONAGGI SONO INVENTATI E ANCHE LA TRAMA.
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Chiedilo ancora, e non appena l'avrai chiesto, questa mia stessa mano, che per amor tuo già uccise il tuo amore, ucciderà, per amor tuo, un amore di gran lunga più vero: e tu sarai complice, in tal modo,della morte di entrambi.
William
Shakespeare

 
                 

Introduzione



Herthford, gennaio 1864
 

Image and video hosting by TinyPic olti gentiluomini italiani andavano in Inghilterra per divertirsi, la qual cosa comprendeva ammirare antichi dipinti, indossare abiti costosi e ben fabbricati, amoreggiare con donne nobili. Richard Hemsworth, quinto Conte di Herthford, non si stava recando in quella città per ozioso divertimento. L’Inghilterra lo chiamava per una ragione, una soltanto.

L’amore, per la moglie che pochi anni fa aveva lasciato da sola a crescere la loro piccola figlia.

Richard Hemsworth , figlio di Ellie  Dixon e Sean Hemsworth, appartenente ad una  famiglia reale inglese, all’età di ventisette anni, si trovò ad affrontare un matrimonio combinato con una duchessa italiana Annalisa Roccaforte, che col tempo imparò ad amare.

Dopo tanti tentativi superflui, il Buon Signore permise loro di avere una bambina.

Una bambina che il Conte vide solo per i suoi primi anni di vita.

Gli impegni di corte, le vendite non riuscite, il forte calo di danaro costrinsero Richard a viaggiare per nuove terre, sperando di fare fortuna e non perdere ciò che i suoi genitori gli avevano lasciato; fortunatamente , riuscì  a trovare degli acquirenti ,conti francesi interessati ad alcuni suoi lotti, e così scampò il lastrico.

Il maltempo dominava il cielo grigio di Herthford, ma il nobile continuava a galoppare.

 Si strinse intorno al collo il bavero del pesante mantello da viaggio per ripararsi dal vento e sorrise, cercando per l’ennesima volta di immaginare quello che i suoi amici di Londra stavano dicendo di lui in quel momento. Sicuramente, sarebbero stati felici di rivederlo e di certo, non sarebbe stato il cattivo tempo a impedirgli di tornare a casa.



Spazio Autrice:
Carissimi lettori,
non so come mi sia venuta l'idea di scrivere quest'altra storia...so solo che ho grandi idee e spero davvero in un vostro sostegno, spero tanto di conoscere nuovi lettori che mi diano consigli e che inizino a seguire :)
Vuoi saperne di più? Visita la pagina ufficiale SnowRoseOo Efp su facebook!
Troverai tante novità, anticipazioni e video!
Se non ora, quando? Copia e incolla :) il link sotto indicato 

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Capitolo 2
*** Primo Capitolo. ***


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Non so cosa significhi amare la gente a metà, non è nella mia natura. I miei affetti sono sempre eccessivi.
Jane Austen
 

Primo Capitolo



Senza il consueto trambusto della città prodotto da giornalisti, mercanti e carri, il silenzio della campagna era davvero singolare, tanto che Richard ebbe l’impressione che i rumori più forti fossero gli zoccoli del suo cavallo Mortimer e il battito accelerato del proprio cuore.

Il suo lungo viaggio, la lunga attesa stavano per concludersi.

A ogni cavalcata, anche se lontano e coperto dalla vegetazione fitta, s’iniziava a intravedere il castello:una facciata alta e squadrata di pietra bianca, punteggiata di balconi e di finestre gotiche ornate da preziosi ricami di pietra. Anche se impossibile da credere, Richard era ritornato.

Il vestibolo esagonale del palazzo era sostenuto da alte colonne e archi gotici. Dei punti dorati incoronavano le cancellate.
Non ci volle nulla per aprire il grande cancello di ferro, il conte rimase a cavallo che nitriva per la stanchezza. Ci volle un po’ prima che il custode insonnolito si accorgesse della presenza del suo padrone.

«Vo … Vostra Grazia» balbettò  un servo, sgranando gli occhi; Si alzò frettolosamente dalla sedia rischiando di cadere, si aggiustò il colletto sperando di risultare più presentabile e come sua solita goffaggine rammentò in ritardo la riverenza, mortificato riempì il nobile di scuse, ma Richard non non era arrabbiato né tantomeno offeso anzi, gli era mancato proprio tutto persino Adam” il servo combina guai”.
 
«Dopo ben dieci anni siete tornato! » esclamò entusiasta, avvicinandosi al cavallo e aiutando il Reale a scendervi. Prese le redini di Mortimer, un cavallo come quello che era stato capace di trovare la via di casa andava premiato con un bel riposo e con tanto fieno.
 
«Se non fosse stato per il mio stallone, non sarei qui, avevo perduto tutte le speranze …» raccontò il Conte, accarezzando la schiena del suo fidato animale come maggiore ringraziamento. Si toccò la barba con aria pensosa e sospirando, cercò di scacciare i brutti ricordi dei momenti vissuti lontani dalla sua terra, dalla sua famiglia . « Adesso basta parlare di cose tristi, dove sono mia moglie e mia figlia, Adam?» domandò impaziente, sostituendo al viso immusonito un bel sorriso speranzoso. Il suo sguardo non era cupo come pochi attimi prima, si era acceso e ciò era dovuto alle donne della sua vita: Annalisa ed Elena.

«Vostra moglie è nelle sue stanze, mentre la giovane Elena è accanto alla fontana sicuramente a leggere un libro …» diede risposta, mostrandosi come poche volte capitava:ragguagliato e preciso.

Seppur desideroso di riposo, al pensiero della donna che amava, Richard cestinò la stanchezza e sebbene i suoi passi non fossero gli stessi di gioventù, salì le scale in fretta e furia, inspirando appieno tutti gli odori:dal pranzo sul fuoco al profumo di cera o semplicemente:l’odore di casa.
 
I domestici, -ognuno impegnato a svolgere la propria attività lavorativa- rimasero sbalorditi nel vederlo,  era così impossibile che lo credevano un miraggio;C’era chi si strofinava gli occhi pensando che stesse sognando, chi abbracciava il compagno di lavoro, chi ringraziava il Dio o chi semplicemente non riusciva a proferire parola. Era difficile credere che fosse reale, i tanti anni passati senza ricevere alcuna lettera, aveva portato tutti a credere che fosse morto o che entrato in territorio nemico, era divenuto ostaggio senza alcuna possibilità di far ritorno.
 
Il Conte percorse il lungo corridoio giungendo alla stanza interessata, era felice: nulla era cambiato. Bussò fremendo dall’emozione cercando ancora per poco di contenere la gioia che aveva in corpo; chissà com’era diventata la sua Annalisa, dopo dieci anni tutti cambiano, invecchiano. All’euforia si mischiò la paura, un timore grande che inspiegabilmente lo bloccava sull’uscio: «Se mi ha dimenticato?»sussurrò a sé, portando a mo’ di Oh la mano alle labbra. A scostare quei tristi pensieri fu proprio la voce di Annalisa che flebilmente rispose:


«Avanti, la porta è aperta …» Richard si fissò le mani, un omone forte e coraggioso come lui temeva di essere caduto nell’oblio. Il timore lo costringeva a rimanere sulla soglia, ma per quanto sarebbe potuto restare lì? Ormai la maggior parte dei servi sapeva del suo rientro e il caos da loro provocato, avrebbe indotto Annalisa a recarsi nel grande atrio. Così, cercando di tranquillizzarsi, il ricco Conte chiuse gli occhi e facendo un respiro profondo lentamente girò la maniglia; senza far rumore, si affacciò solo con la testa per individuare dove fosse sua moglie poi, preso coraggio spalancò  la porta rendendo il suo accesso più accomodante; La camera che si presentava dinanzi ai suoi occhi era la stessa di anni addietro neanche la disposizione dell’arredamento era cambiata: lo specchio con i contorni dorati che ne risaltavano la sua grazia e il suo valore era sempre nell’angolo, la carta da parati era di un giallo più chiaro, che con le sue sfumature di rosa pesco colorava i fiori disegnati a mano da giovani operaie, il gran camino e l’armadio levigato in legno erano al medesimo posto, ma un pensiero particolare catturò Richard:una crepa. Per le incessanti piogge, una leggera spaccatura si era formata sotto il quarto pilastro permettendo all’umidità di entrare. Il Nobile di casa si rasserenò quando, sforzata anche la vista, non ne trovò traccia.
 
A ogni passo percepiva i battiti cardiaci in forte aumento, non erano più i chilometri a dividere quel grande amore, ma solo poche mattonelle; Annalisa era di spalle seduta sulla poltrona imbottita, cercando di placare il freddo del mese invernale; quante volte Richard aveva desiderato un suo abbraccio, una sua carezza, nel suo viaggio quasi per alleviare la sofferenza ricordava Annalisa e quanto si sentisse protetta tra le sue braccia, adesso lui per la sua assenza doveva chiederle perdono.

La donna non si voltò, Richard cercava di scorgere cosa stesse facendo forse la sua attenzione era catturata da un romanzo o chissà da un bilancio, se vi fossero stati problemi finanziari nella sua assenza? Dopotutto erano ben dieci lunghi anni e per quanto le donne volevano la loro autonomia e indipendenza, erano incapaci per trattare di affari.  Cercò di non pensare a nulla, quell’attimo tanto desiderato era arrivato e niente e nessuno poteva rovinarglielo; attento a non fare rumore, in punta di piedi si avvicinò alla poltrona.


Il tremolio alle mani si presentò, avrebbe voluto ridere e piangere al tempo stesso, stava per riabbracciare sua moglie. Chiuse gli occhi e quasi come se volesse abbracciarla da dietro le coprì gli occhi; la donna ebbe un sussulto, cercò di dimenarsi credendo fosse un assalto, ma non ci volle molto a scoprire la verità.

Richard si schiarì la voce e scherzando proferì,«Indovina chi è tornato? » la moglie si liberò dalla stretta e scattò subito in piedi. Portò la mano alla bocca, le mancava l’aria. Pensava stesse sognando.

«Oh mio Dio …» ebbe un mancamento, quasi priva di sensi cadde sulla poltrona. Il volto della Contessa era irrigidito i tanti anni trascorsi le avevano negato la speranza.
Cercò di farsi aria con il fazzoletto bianco sul quale erano incise le sue iniziali “AR” poi, accarezzò il volto stanco di Richard che preoccupato era seduto ai piedi della poltroncina. Costatando che l’uomo dinanzi a sé era proprio chi aveva sposato, si alzò di scatto non badando alle vertigini, gettandosi tra le braccia di Richard. Entrambi erano desiderosi di non perdersi più e sicuri più che mai che il loro amore non era finito.

Il buon Conte fissò il viso della sua compagna ormai trasandato e pronto a invecchiare, ma non gli importava, in fondo è il ciclo della natura; sfiorando le guance, rammaricava di aver perduto gli anni più belli, ma non si arrese: erano tornati insieme, gli bastava.Non avrebbe mai più lasciato sua moglie che a sua detta era la donna migliore che un uomo potesse mai desiderare al suo fianco. Toccò le sue rughe, le adorava una a una, fissò i suoi occhi color nocciola , scese per poi soffermarsi sulle labbra carnose che si aprivano in un sorriso bagnato da lacrime di gioia.

«Pensavo di non vederti più» enunciò la contessa con voce rotta dal pianto, si accoccolò al petto del marito continuando a stringergli le mani, timorosa di perderlo di nuovo.

«Sono un Hemsworth, posso mai perdere?- »abbozzò un sorriso che la sua consorte ricambiò ed entrambi scoppiarono in una fragorosa risata. Una risata capace di scaldare la stanza più di quanto le fiamme del camino avessero già fatto.«Sei sempre bella Anne,» adulò lui, mentre sua moglie cercava di sistemare i capelli scompigliati,

«E’ inutile che cerchi di sistemarti, capisci? » le sollevò il mento lasciandole un dolce bacio sulle candide labbra.

Annalisa si lasciò baciare poi si allontanò recandosi verso la finestra;Richard la seguì.

«Sei un marito eccezionale e impeccabile, cerco di fare lo stesso da buona moglie... » accennò e il tremolio nella sua voce fu evidente. Richard allargò le braccia e lei non esitò a gettarsi a capofitto,

«Mi hai aspettato Anne, è la cosa più unica che avessi mai potuto fare»perfezionò lui , stringendola a sé. 

 
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“Non so cosa significhi amare la gente a metà, non è nella mia natura. I miei affetti sono sempre eccessivi.”

Era questa la frase che Elena Hemsworth stava leggendo, quando fu interrotta da una figura che reputava familiare, ma non riusciva ad appropriare quel viso a una persona che conosceva perfettamente.

Il 16 dicembre aveva appena compiuto diciassettenne anni. Il suo corpo era piccolo ed esile, la sua pelle non aveva niente a che vedere con quella degli inglesi che solitamente è bianca e sciupata, anzi era bronzea, tipico del meridione italiano. I suoi capelli ricci e lunghi di color bruno scuro risaltavano gli occhi castani con sfumature dorate.

Richard da lontano la fissava, lei quasi sentito un richiamo alzò lo sguardo dal libro, per un attimo i loro sguardi s’incrociarono ma poi non immaginando chi fosse, tornò alla sua lettura.

Il conte continuava a guardarla da dietro l’albero, era cresciuta e come immaginava: era bellissima.
Anche stavolta doveva armarsi di una gran dose di coraggio e dopo qualche sì e no, ebbe l’ audacia di compiere il primo passo vero quella fanciulla, così incurante del freddo, ma così travolta dalla lettura.

«Piccola lady, vi ammalerete» sussurrò Richard con voce rotta dall’emozione, occupando posto sul bordo della fontana. Elena distolse l’attenzione dal libro per portarla all’uomo.

«Avete ragione ser, ma quando leggo … »la sua voce era gentile, pacata, altro che contessa, era sicuro che non era nobile solo di titolo, ma anche di animo.

Sebbene avesse voluto non badare alle parole udite, Richard non riuscì a trattenere la collera che in poco tempo come veleno si estese per tutto il petto. « Mi ha dato del ser, non mi ha riconosciuto» pensò, iniziando a pensare brutte cose. Sua figlia non l’aveva riconosciuto e questo poco bastò a farlo cadere in un vero e proprio vortice di depressione.

Si alzò agitato, toccandosi ripetitivamente il petto. Il suo volto era divenuto sofferente. La giovane alzò un sopracciglio, inconsapevole di cosa stesse avvenendo. Gli parlò poiché non riusciva a rendersi conto di cosa fosse giusto fare.

«Cos’ha?Siete pallido …» iniziò a domandare, alzando e avvicinandosi all’uomo che barcollando, dava l’impressione di cadere da un momento all’altro.

«Elena. . . »sussurrò il conte striminzito, spalancò le orbite poi, debole si accasciò a terra. La giovane si inginocchiò e la sua velocità permise al vecchio di poggiare la testa sulle sue gambe.

«Non è possibile! » esclamò con espressione sorpresa, « Padre! Padre vi prego, aprite gli occhi! Padre …» Richard stava sempre peggio e lei non era intenzionata ad abbandonarlo, cercando di avere sangue freddo cominciò a urlare aiuto finché non vide delle sagome avvicinarsi.

Accorsero una domestica e due stallieri: i due uomini presero cautamente il Conte, George lo reggeva per il capo, Michael lo teneva per i piedi mentre la donna sventolava un fazzoletto bianco come per fare aria. Salirono le scale facendo attenzione e giunti nella rispettiva stanza il Nobile fu sistemato a letto. Poco dopo, secondo avviso della servitù sopraggiunse il dottor Dubel , un francese che da pochi anni si era stanziato nella campagna inglese.

«Madre, non potevo immaginare …» Elena continuava a pregare, a chiedere perdono. Era convinta di essere stata lei a procurare il malore a Richard. Camminava spedita per il corridoio, la sua agitazione era irrefrenabile. Sia lei che sua madre,avevano rifiutato la tisana, nessuna delle due aveva abbandonato  il corridoio.

«Elena, sta tranquilla» Anna cercava di rassicurare sua figlia, ma lei non era da meno. Aveva appena ritrovato Richard ed era così assurdo perderlo subito dopo.

«Come posso ?E'tutta colpa mia … non ho riconosciuto mio padre! » la piccola contessa sbatté i piedi a terra, non smetteva di piangere ,le sue guance paffute e rosee erano rigate da lacrime che rendevano il suo viso ancora più angelico.

Anne stette in silenzio, Elena non aveva colpe, l’ultima volta che aveva visto Richard era all’età di sette anni ed era cambiato completamente.
 
Trastullando con gli anelli più per tensione che gioco cercava di calmarsi, augurando il bene alla sua famiglia.
D un tratto, inaspettatamente atteso la porta della camera di Richard si aprì e un uomo basso e grasso ne uscì.
 
Elena che si era appena seduta, si alzò vertiginosamente seguita da sua madre.

«Madame, mademoiselle» accennò una riverenza e aggiustandosi il panciotto proferì« è inutile che facciate domande...il Conte sta bene, è solo molto stanco.» informò il dottore aggiustandosi il panciotto.

«Che bella notizia» sospirò Elena liberando fiato e tutta l’ansia accumulata; Il corsetto che indossava e il timore di perdere suo padre le avevano stritolato i polmoni, si sentiva morire.

«Sia ringraziato il Cielo, quindi si rimetterà? » domandò incalzante la contessa asciugandosi la fronte sudata  presentando in volto un sorriso luminoso.

«Certo, ma ha bisogno di riposo, è questione di pochi giorni …» informò il medico, posando il suo orologio da taschino negli scomparti dei pantaloni.

«Va bene» rispose la Contessa sollevata, chiuse gli occhi e accennò il segno della croce.

«E’ giunta ora di andare, i miei ossequi» accompagnò il saluto con la riverenza per poi dare le spalle e andare via.

«Madre, debbo parlargli» enunciò Elena con determinazione, aveva il bisogno di liberarsi da quel macigno sul cuore; doveva parlare con suo padre, raccontargli le tante cose accadute e soprattutto:chiedergli perdono.

«Elena ….» Annalisa voleva controbattere, ma Elena giocò di astuzia: s’inginocchiò ai piedi della madre assumendo un’espressione da cane bastonato.

«Madre, fidatevi. » dichiarò e sicura che la contessa Annalisa Roccaforte non l’avesse fermata, si alzò ed entrò.

Corse ai piedi del letto incurante del dolore causato dalle scarpe. Acconciato sul letto, suo padre riposava: aveva gli occhi socchiusi, un sorriso smorzato e il volto pallido. L’uomo, percependo una presenza all’interno della stanza, flebilmente aprì gli occhi e vedendo sua figlia non poté che sorridere.

«Padre. . . »disse a voce bassa, sedendosi sul letto stringendo affettuosamente le mani del suo vecchio.

«Figlia mia» costatò il Conte cercando di sedersi.

«Non muovetevi … è necessario che stiate a riposo» proferì  Elena intellettualmente. Odiava vedere la gente soffrire, figuriamoci le persone che l’avevano messa al mondo.
 
«Ho detto di non preoccuparti» rispose il padre con tono rimproverante. Il timbro di voce per un attimo terrorizzò la diciassettenne, ma poi tutto si risolse. Ciò che li legava era un gran bene e nonostante fossero passati tanti anni, Richard era felice scoprendo di non essere caduto nel dimenticatoio.

«Mi sei mancata figlia mia»in un momento come quello, il conte abbatté le regole del protocollo di corte rivolgendosi a sua figlia con un banale tu, come se fossero gente comune.  I due si abbracciarono e inevitabile furono le lacrime di Elena che sbadatamente bagnarono la camicia di seta di Richard, lo strinse a sé con tutta la forza che aveva. Per la prima volta dopo tanti anni, era tra le braccia del suo adorabile papà, del suo eroe. 
 
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 Fuori, il cielo si preparava a uno dei suoi più fenomenali spettacoli: la pioggia. La volta celeste era marcata da luce gialla, fulmini, ai quali dopo poco sopraggiunsero tuoni.

Elena ne aveva sempre avuto paura, da bambina si nascondeva sotto il letto oppure chiedeva a sua madre di dormire insieme ma adesso era cresciuta e inoltre, c’era suo padre con lei, il suo protettore. Fissò fuori la finestra, il vento era aumentato e gli alberi rischiavano di essere sradicati al suolo.

«Dimmi un po’… che libro leggevi? » domandò il padre a pieno interesse. Lei si voltò e tornando vicino al letto con un sorriso sincero rispose.

«Pride and Prejudice, Jane Austen» la voce della giovane si affievolì.

 «Un grande capolavoro »aggiunse il padre con un degno sorriso, dimostrazione di quanto fosse fiero di sua figlia. «Lo lessi anch’io anni fa, sai? » informò con un altro riso.

«Davvero? » domandò meravigliata. In cuor suo, Elena malediceva il lungo viaggio che suo padre era stato costretto ad affrontare, non gli aveva permesso di conoscerlo interamente e sapeva che erano più simili di quanto immaginasse.

«Certo, ma non credo che esista l’amore che Mr. Darcy provi per Elizabeth …» rifletté da perfetto realista, accennando un’espressione torva.

«E perché? » domandò arrabbiata la fanciulla, alzandosi dal letto. La riflessione di suo padre risuonava nel petto come una ferita: le aveva toccato i suoi personaggi preferiti, i suoi amici, persone reali.

«Non ti arrabbiare mio piccolo fior…» tentando di rasserenarla, cercò di misurare meglio le parole,«Per vivere questa vita è necessario guardare in faccia la realtà e per quanto io ne sappia orgoglio e pregiudizio è un romanzo eccezionale, ma non vuol dire che racconti la verità. »

«Siamo in un’epoca che non possiamo fare ciò che vogliamo, e tu lo capirai presto … »continuò e la sua frase fu del tutto inaspettata, c’era qualcosa che Elena non sapeva?

«Che cosa devo capire padre? » Elena si agitò tramutando il suo bel sorriso in un broncio, era spaventata.

« Bah, nulla figliola … sono stanco e blatero cose senza senso» Richard Hemsworth cercò di tralasciare, nonostante l’insistenza della figlia fosse irrefrenabile. Elena non era stupida né tantomeno si arrendeva al primo colpo, ciò che la frenava era il riposo al quale suo padre doveva sottostare.

« E va bene padre, ma a una condizione … quando vi rimetterete mi direte la verità, so che avete qualcosa da dirmi. Tra noi non devono esserci segreti, promesso? »
 
«Promesso, » rispose Richard sconfitto, sua figlia non desisteva mai.
 
Determinata come non mai, Elena aveva scoperto le carte e nonostante fosse abbastanza curiosa, sapeva che il padre giunto il momento le avrebbe detto tutto.
 
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«Sei riuscita a parlare con tuo padre? » domandò Annalisa, mentre si sistemava a tavola per il pranzo.

«Sì, ma è troppo poco per il tempo che abbiamo perso» affermò Elena assestandosi il tovagliolo al collo e sulle gambe.

«Vi rifarete» la Contessa abbozzò un sorriso sincero, ed entrambe iniziarono a consumare il pasto a base di carne e verdura.
 
«Vostra Eccellenza …» il maggiordomo irruppe nella stanza, a passo spedito si avvicinò al grande tavolo e accennata la riverenza , porse dolcemente un telegramma ad Annalisa,

«E’ per voi» proferì cauto, «dal Principe di Scozia, » informò  diligentemente ed Elena non poté che incuriosirsi: principi, galà, inviti erano le basi per le storie che leggeva, quei romanzi di cui era tanto attratta. La contessa si sentì rabbrividire, sbiancò e incurante liquidò Samuel dicendogli che l’avrebbe letta in seguito.

«Perché mai madre? Temete che sia una brutta notizia?» Elena corrucciò la fronte, temendo in una brutta ed evasiva risposta della madre.

«No, non credo sia qualcosa di preoccupante, ma non abbiamo fretta … la leggerò questa sera » mugolò determinata presentando in volto un sorriso leggero a sua figlia, cercando di non lasciar trapelare nel suo sguardo il risentimento che stava provando.

 
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Venne presto sera, Elena svolse le sue solite attività pomeridiane: lezione di francese, di piano, di danza.
La sera mangiò poco e nulla, il suo essere perspicace le faceva ben intuire che qualcosa di strano stava accadendo: il padre le aveva parlato smorzato, il telegramma di un principe sbucato dal nulla e a peggiorare tutto era il nervosismo di Annalisa nel rimandare. Al termine delle attività senza pensarci due volte scese in cucina, dove trovò le badanti, ognuna a svolgere il suo lavoro:c’era chi spolverava, chi rimetteva a posto le posate e chi spazzava a terra.

Elena era legate a tutte, non si sentiva superiore.

«Contessina, » la chiamò amabilmente Marie, la domestica che più di tutti lavorava per la famiglia Hemsworth. La giovane si sforzò di sorridere, quando qualcosa non andava era incapace di fingere che stesse bene.

«Come mai quest'aria triste?Dovreste essere felice per il ritorno»
 
«di mio padre» interruppe la giovane, assumendo ancora di più uno sguardo cupo.

«Ma è ovvio che lo sia, Marie! La contessina ama suo padre, ma evidentemente avrà capito! »una terza voce si aggiunse, era Adamina, la domestica più pettegola dell’intero palazzo.

«Non capisco Adamina, cosa ho capito? » Elena soffocò una risata nervosa poi volse lo sguardo a Marie per poi riposarlo su Adamina. Le due donne iniziavano ad azzuffarsi e anche se quella situazione fosse tanto buffa, Elena iniziò seriamente a preoccuparsi.

«Possibile che tu non chiuda mai quella boccaccia?» Perché tanto sgomento? Tanta preoccupazione?Tanto mistero? Cosa non aveva compreso?

«C’è davvero qualcosa che debba capire? » domandò con poco fiato in gola a bassa voce. Ci fu silenzio, un silenzio positivo. «Voglio la verità. Cos’ è che devo sapere? » insistette incrociando le braccia al petto, mentre i servi guardandosi tra loro mostravano difficoltà.

«Samuel, oggi a pranzo hai portato un telegramma per mia madre … »fissava il maggiordomo,con uno sguardo investigativo, al quale non sarebbe sfuggito nulla. L’uomo ingoiò quasi come se stessero per ammazzarlo, volse di sfuggita lo sguardo a Marie e lei ricambiò l’occhiata quasi come se volesse dire “ha chiamato te, provaci”

«Sì» rispose timidamente, indeciso su cosa dire in seguito; Elena decise di andargli incontro, avrebbe fatto di tutto per rompere il ghiaccio e scoprire la verità.

«Dal regno di Scozia » precisò avvicinandosi. «Che cosa poteva esserci scritto? » domandò con aria pensosa.

«Non lo so contessina. » l’uomo preferì negare, ma Elena non era sicura che fosse quella la verità; la servitù era sempre a conoscenza di tutto; i servi o avevano un sesto senso oppure spiavano sempre le conversazioni. La seconda ipotesi era più probabile.

Marie, la domestica che aveva permesso la nascita di Elena si avvicinò alla giovane. Con dolcezza la allontanò dalla cucina ed Elena si trovò ignara a seguire Mari nelle stalle. A quell’ora, in quel postaccio puzzolente vi erano soltanto loro e il bestiame. La loro conversazione sarebbe avvenuta lontano da occhi scrutatori , spioni e nessuno le avrebbe interrotto.

«Oh vi prego Marie, so che almeno voi non potete ingannarmi … almeno voi siate sincera»la contessina esausta, cercava di far desistere il forte guscio di Marie e finalmente sprigionare tutte le verità.

«So che me ne pentirò, ma non posso ingannare i vostri dolci occhi …» Sebbene Marie volesse iniziare un discorso proprio,  non le fu dato il tempo di presentare le carte in tavolo: Elena era già pronta per bombardarla di domande.

«Che cosa intendeva Adamina?» domandò come un fiume in piena tremando. I suoi occhi erano lucidi, desiderosi di scoprire un tale mistero. Il rapporto tra lei e Marie era ben saldo, le aveva sempre voluto bene e le sarebbe stata davvero riconoscente se le avesse permesso di scoprire la verità.

«Ecco … »la valletta iniziò a balbettare manifestando appieno la sua difficoltà o più semplice dire la paura di ferire la sua piccola Elena.

«I miei non lo sapranno se è questo che temi, croce sul cuore» promise la fanciulla  accennando uno scadente sorriso e toccandosi il petto.

«Adamina . . .si .. .rif. . .riferiva al  vostro matrimonio, vostra Grazia» l’anziana donna si fece aria sventolando le gonne, fiera di sé per un passo avanti.

« Matrimonio? » la voce si affievolì. Elena si sentì sprofondare in un vortice nero, per un attimo le girò la testa ma nulla di preoccupante: lei era forte.

«Contessina, vi prego …» la nutrice la esortò a non fare sciocchezze tipo: raccontare di aver scoperto tutto o peggio fuggire.

« Matrimonio? E con chi? » domandò avvilita, gettandosi nella paglia.

«Aspettate, forse ci sono arrivata, l’uomo del telegramma, vero? » per quanto strano sembrasse e per quanto Elena non volesse crederci, aveva preso in pieno.

La balia non ebbe parole, mosse il capo in cenno di approvazione ed Elena si sentì morire.

«Che cosa ho fatto di male? Sapevo che un giorno sarebbe arrivato, ma mi credo più grande, più matura! » gridò con tutta la voce che aveva in corpo. Poteva farlo, le mura della stalla erano abbastanza spesse.

«Vi prego contessina, calmatevi …» Marie era già pentita di averle raccontato la verità, non era suo compito.

Le lacrime iniziarono a scendere e lo sguardo della giovane Elena, da cerbiatto puro e indifeso si tramutò in uno da tigre affamata, pronta ad attaccare la sua preda.

«Vogliono sbarazzarsi di me …» Era indignata, ferita dalle sue stesse radici.

Il conte e sua moglie vogliono la vostra felicità. . .voci di corridoio dicono che è un principe a chiedere la vostra mano» un altro duro colpo.

 «Dovevo immaginarmelo, Samuel portava un telegramma proprio dal principe di Scozia» a Elena mancò il fiato, si alzò velocemente dalla palla di fieno su cui si era gettata poco prima e la testa le girò vertiginosamente, perse l’equilibro.

«Contessina, non fate sciocchezze … - esortò la balia.

«Mi hanno venduto? Verità o no, quasi ci credo. » ribatté la giovane. Provava incredulità nei confronti dei suoi genitori, che avevano il coraggio di abbandonarla a un destino cupo,infelice.

 «Ho bisogno di stare da sola, perdonatemi Marie Elena sbatté le ciglia, frastornata s'affrettò ad uscire dalla stalla, ignorando i consigli della sguattera.

 Quella notte la contessina di Herthford non riuscì a dormire, neanche dopo aver pianto a dirotto. Lo sbuffo continuo del vento e della pioggia sul tetto non tacque nemmeno per un istante. Si coprì la testa con le coperte, poi aggiunse un cuscino. Riuscì ad addormentarsi soltanto dopo mezzanotte, quando finalmente l’acquazzone si trasformò in una pioggerella silenziosa. Sperando che al suo risveglio, l’incubo sarebbe svanito.

 

Spazio Autrice:
Carissimi lettori, ecco a voi il primo capitolo. . .spero vivamente di non aver deluso le vostre aspettative, l'euforia mi porta a pubblicarlo senza dare ulteriori revisioni.Spero che ci siano pochi ORRORI, ma soprattutto mi auguro di ricevere Vostre recensioni :)
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Secondo Capitolo. ***


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Chi non è mai stato ferito ride delle cicatrici altrui …
William Shakespeare

 

Secondo capitolo


Il mattino seguente Elena si destò con un pallido sole e un meraviglioso silenzio, rotto solo dal cinguettio appena percepibile di un canto di uccelli. Aprì gli occhi,  che erano  leggermente incollati e li strofinò per bene. S’alzò frastornata, piangere non faceva bene ad una debole come lei, una che per sopravvivere, si rifugiava nei libri.

Si diresse alla finestra , osservando le poche gocce di pioggia rimaste sul davanzale , iniziando a pensare come avrebbe dovuto fingere con i suoi.

Inaspettatamente un uccellino si posò sul davanzale, Elena sorrise. In un momento difficile come quello, avrebbe voluto essere persino un volatile. . .

-Beato te, sei libero.- proferì sconsolata  e s’avvicinò al camino;prese un po’ di calore e dopo, decise di vestirsi.

Scelse un abito color grigiastro, adeguato al suo umore. Pettinò i capelli pazientemente, l’umidità  che vi era nel castello permetteva che questi si rovinassero ad ogni risveglio.

Quando fu pronta, avanzò verso la porta, fece un lungo respiro ed aprì.

Tremava, i suoi passi erano insicuri, il petto all’indentro ,la schiena curvata. . . ah, se l’avesse vista l’istitutrice, le avrebbe sicuramente bacchettato le mani. Al solo pensiero, rabbrividì e meccanicamente aggiustò la postura.

Mentre scendeva le scale non faceva altro che inspirare ed espirare, in qualche modo ,doveva ridurre la tensione.

S’avviò  in cucina, dove lo scenario era  abbastanza diverso rispetto alla sera precedente.

Vi era solo Adamina che mentre girava la minestra, sbuffava. La valletta non era soltanto una pettegola, ma anche una nullafacente, nonostante tutto però , la piccola contessa le  era affezionata.  Elena s’avvicinò timorosa , la cuoca alzò un sopracciglio curiosa nel vederla con quella faccia cupa, spenta.

-Come state?- domandò con tono cordiale.

-Potrei stare meglio,- proferì la giovane sedendosi su una sedia vicina,

-Non avete neanche fatto colazione, volete del latte ?-

- Jim ha appena munto . . .- aggiunse cercando di convincere la piccola contessa, che a parte “Potrei stare meglio” non aveva detto più nulla. Aveva la testa tra le mani, gesto caratteristico di chi pensa .

-Vostra madre è uscita all’alba. . . – le informò la serva , richiamandola così all’attenzione.

- Dov’è andata?- ruggì  in preda allo sconforto.

-In paese … -

-A fare cosa?- Elena ebbe paura della risposta, percepiva che la realtà non fosse positiva per lei.

-A comperarvi degli abiti nuovi, penso. . . – il tono timoroso e titubante di Adamina risultò più snervante di quanto fosse.

-Pensi o è la verità?- urlò Elena rabbiosa, non aveva mai fatto una cosa simile, ma sapeva che quell’esperienza le stava per cambiare la vita.

-E’ la verità,- ammise  tristemente la valletta fissando il pavimento, come se la colpa fosse sua.

-Vogliono rovinarmi. . .-  mormorò melodrammatica, accasciandosi sul macadam, il vestito gonfio copriva il suo corpo esile e formava un ammasso di seta intorno, come barriera.

- Non è vero contessina, che dite … -

-E’ la verità- la troncò alzandosi infuriata.

-Vogliono farmi sposare,- alla  parola “sposare” il dolore le rimbombò nel petto.

Elena si era sempre sentita diversa , lei credeva in tutto , anche nell’amore; non l’aveva mai sottovaluto, ma neanche mai provato. Per una come lei, se avesse trovato  l’amore, sarebbe sicuro stato una figura simile ai personaggi dei suoi libri preferiti  come il  signor Darcy o il suo Romeo.

Adamina alzò in fretta lo sguardo:il viso della contessina era un terreno meno pericoloso, più calmo. . . o forse no? In tanti anni che  era alle dipendenze di sua Grazia, non l’aveva mai vista così in disordine, con i capelli arruffati e malconci e l’espressione vulnerabile. Tutto era molto strano, Elena Hemsworth era sempre dolce e calma. Era sconcertante scoprirla così, una nobile fanciulla gioiosa che la rabbia e il dolore stava trasformando  in una persona comune.

La fanciulla borbottava qualcosa tra i denti, frustrata, stringendo nelle mani le sue gonne. Da piccola aveva avuto altre aspettative, altri sogni che senza un preavviso stavano scomparendo ,lasciando spazio agli incubi. Incubi impossibili da sconfiggere, incubi ad occhi aperti.

-Che fortuna, stamane!- esclamò la Contessa Roccaforte entrando in cucina con la disinvoltura di sempre.

-Sei già sveglia,- Elena le diede un’occhiata, ma poi cercò di convincere sé stessa che quella non era la scelta giusta e per quante ferite i suoi genitori le dessero, lei non sarebbe riuscita ad odiarli. L’amore che provava per loro era più forte di tutto.

-Giorno madre. . . – si limitò a dire abbozzando un sorriso rincuorante.

-Sono per me ?- domandò fingendo l’euforia.

-Sì, ma c’è  una cosa che devi sapere,- Annalisa assunse un’espressione seria, più di tutte le altre volte.

Elena non riuscì a fare a meno di deglutire e ripetersi  in  mente di non mollare.

La contessa fece segno  alle vallette di  abbandonare la stanza  cosicché rimanesse sola con sua figlia.

-Ditemi, madre. . . – Elena si mostrò forte, ma questo non bastò. . . in cuor suo temeva quel distacco che a breve sarebbe avvenuto.

-Forse. . . –fece una pausa,

-Avrei dovuto parlartene prima, ma credo che tu sappia. . . leggendo anche i libri. . .- si rifermò,

-Devi partire , Elena. . . –fredde e crudi parole. La madre non si era sprecata ad ornare con aggettivi dolci, per alleviare lo spavento, che fu inevitabile. La giovane si sentì  morta, non vi erano parole. Provava rabbia e per questo, decise di tacere. Sapeva che la rabbia avrebbe parlato a posto suo e non voleva affatto offendere la donna che l’aveva messa al mondo.

-I miei libri non hanno personaggi che partono. . . – rispose titubante fissando indecifrabile il viso di sua madre , che da serio era divenuto anche severo.

-Ma non possono fare quello che vogliono,- ribatté la madre sicura di avere i suoi assi nella manica, s’accomodò su una sedia di legno lamentandosi di quanto fosse scomoda, lei era abituata al lusso, a poltrone con braccioli d’oro.

-Si, ma finiscono bene … il signor Darcy ed Elizabeth.- sbottò Elena sicura di potercela fare, di sviare la madre da quella idea assurda.

-Ah. . . certo, ma il signor Darcy oltre che amare Elizabeth era ricco, Elena. . . hai la fortuna di sposare un principe.-

-Ma non lo conosco, non so com'è e io. . . oh madre, lo sapete. . . – fece una pausa, in volto era piena di vergogna.

-Cosa figliola?- domandò la madre preoccupata e accennando un sorriso, s’alzo e sfiorò la guancia della sua sfortunata figlia.

-Io non ho mai amato.- Elena pensava che ciò bastasse per allontanare la madre da quello stupido pensiero, ma non fu così.

-Amerai,  anche io all’ inizio non conoscevo tuo padre, ma poi. . .l’ho conosciuto e l’ho amato,-

- ognuno di noi ha qualcosa di unico,di  raro.- Annalisa continuava ad accarezzare la guancia della figlia.

La ragazza non fiatò, avrebbe preferito scostarsi, ma anziché seguire l’istinto preferì la ragione.

Nonostante non si fosse ribellata, la sua delusione era visibile.

La contessa chiuse gli occhi addolorata. Poi, ripartì all’ attacco,

-Il tuo sostentamento?- schioccò la lingua, sdegnosa.

-Che razza di vita potrai mai avere leggendo libri, vivendo solo di racconti, di fantasia?-

Elena scosse la testa, inorridita da una tale mancanza di rispetto.

-Certamente una vita migliore a quella che voi ,madre ,mi state costringendo ad avvicinarmi. . . – rispose discolpandosi  sgomentata.

 Annalisa Roccaforte prese un altro respiro e incrociò le braccia al petto, il suo gesto caratteristico. La determinazione di Elena, spaventava spesso sua madre anche perché più che sicurezza spesso suonava come spirito di ribellione. Nonostante avesse una quarantina d’anni,  la contessa si sentiva parecchio turbata,  sua figlia non era da sottovalutare. Un atteggiamento calmo era ciò che le si richiedeva in quel momento, si rammentò con fermezza, e un confronto equilibrato. Sì,razionalità e compostezza. Non una difesa, dato che riteneva di non aver fatto  alcunché di male, bensì una spiegazione inevitabile e importante per il sostentamento di sua figlia.

-Io e tuo padre vogliamo la tua felicità, si dice che il principe sia di aspetto presentabile- accennò un sorriso malizioso che Elena ,ignorò pienamente.

-Madre non ho bisogno delle vostre moine, se vi rende felici. . .andrò.-  Elena comprese con grande rammarico che l’unica scelta era accettare. Non poteva sfuggirvi.

La contessa sgranò gli occhi, sollevata. Le si presentò in volto un sorriso abbagliante,

-Ti piacerà piccola mia, incontrerai nuove persone … -

-E avrò nuove esperienze,- continuò Elena sarcastica, nella sua voce era presente un alto tasso di acidità.

-Adesso sei arrabbiata ti capisco, ma poi capirai. . . – la madre s’avvicinò e  le diede un bacio sulla fronte , accennò un sorriso e le porse la valigetta contente abiti nuovi, poi uscì. La giovane l’accettò a malavoglia, la strinse tra le braccia e sospirò,

-Non voglio neanche più piangere-

-E’ inutile piangere per qualcosa di irrimediabile , non posso fare nulla- si spiegò le gonne, le raccolse ad un lato  per non inciampare e salì di corsa le scale, recandosi in camera propria.

Lì, come un angelo pronta ad aiutarla vi era Marie. La valletta ovviamente, era impegnata in faccende domestiche come cambiare  le lenzuola, spazzare, spolverare, e lavare il pavimento.

- Marie, dovrai accompagnarmi.- proferì Elena avanzando nella camera e chiudendo la porta.

-Vostra madre ve lo ha detto?-  domandò avvicinandosi alla giovane e abbracciandola. Elena ricambiò  stringendo Marie più forte.

-Peggio di così non potrebbe andare,- sempre più avvilita, Elena scoppiò in un pianto irreparabile. Bagnò la tunica di Marie fatta con materiale grezzo, ai domestici non erano concessi abiti costosi, ma neanche economici; spesso erano pezze cucite o nel migliore dei casi erano abiti che il parroco dava ai bisognosi la Domenica.

Cosa poteva mai fare se non abbandonarsi al suo crudele destino? Anche in quella situazione, anzi soprattutto in quella pensò a Shakespeare e al suo eterno dubbio che ancora oggi sussiste nelle menti desiderose di scoprire cosa sia davvero la vita.

La vita è un sogno o un’illusione? Non è di certo Dio a scegliere per l’uomo, è l’uomo che decide. . . il destino non esiste.


Era inutile, nonostante avesse avuto quel lampo di genio, Shakespeare e per i suoi genitori era soltanto un famoso scrittore storico e basta. Pensò anche alle protagoniste  dei capolavori della sua scrittrice preferita, Jane Austen,  quelle, avevano sempre lottato per ciò che volevano finché non l’avrebbero ottenuto. Ma la vita non era un libro, non c’era altra via d’uscita se non quella di arrendersi.

Sua madre le aveva assicurato che dopo anni avrebbe capito, che non avrebbe certo potuto incolpare i suoi genitori, loro le stavano dando sicurezza, “sostentamento”.

Ma Elena non era d’accordo e difatti , si era ribellata a sua madre. Era venuta meno al suo dovere come non le era mai successo in tutta la sua vita. Aveva anteposto i suoi desideri, alla volontà dei genitori. Ma non è proprio questo il meglio della vita? Realizzare i propri sogni? Mostrare al mondo pure essendo piccoli e insignificanti, quante cose meravigliose si possano fare?

 
***
Nonostante fosse mattina, il tempo era offuscato. Frugale come sempre, la domestica Marie accese una sola candela. Prese il baule e lo mise sullo stretto lettuccio.

-Che ne dite, decidiamo gli abiti?- cercò di incoraggiarla, dovevano sbrigarsi, purtroppo la partenza sarebbe avvenuta in giornata.

-Sì Marie. . . – rispose Elena sorridendo , cercando di pensare solo al presente ignorando ciò che sarebbe avvenuto prossimamente.

In compagnia di Marie, Elena scelse gli abiti più vivaci ,quelli che le risaltavano l’età che aveva , non come quello che indossava .Dopodiché vuotò rapidamente l’armadio e il cassettone dove teneva i suoi effetti personali. Data la modesta consistenza del suo guardaroba, finì di riporre tutti i suoi abiti in pochi minuti, lasciando fuori soltanto i libri, che avrebbe riposto in un borsone.

-Contessina,- proferì dolcemente Marie chiudendo la valigia,

-Credo che sia giusto se andiate da vostro padre. . . prima della partenza,- notò la vecchia domestica fissando Elena con espressione di incoraggiamento, la giovane sospirò

-Credo sia la cosa giusta da fare, ma non sempre ciò che è giusto  per gli altri,  è la scelta migliore per noi. – ribatté la giovane.

-Ad esempio ora. . .voglio andarmene di qui, abbandonare il più presto possibile questa casa, ma prima devo andare dai miei, perché è giusto per loro. – sbottò confusa, stringendo sdegnosamente tra le mani le sue gonne.

-Calmatevi contessina , sarò io ad accompagnarvi e credetemi. . . forse senza vostra madre che detta di continuo ordini, starete meglio lì.- sussurrò incoraggiante Marie , Elena sorrise. Era un sorriso scadente, ma almeno si era sforzata di farlo.

-Maledetta vita!- sbottò la fanciulla, dando voce alla propria esasperazione.

Cercò di trattenere lo sdegno, poi alzò lo sguardo facendo cenno  a Marie di abbandonare la stanza.

***
 
La piccola Hemsworth esitò un solo istante davanti alla porta della camera del padre prima di bussare con il pugno chiuso. Aspettò, quando non le giunse alcuna risposta, bussò un’altra volta. Di sicuro sarebbe venuto ad aprire il valletto, Wilson.

-Si?- La porta si aprì.

-Padre, mi auguro di non aver interrotto il vostro riposo. – enunciò la giovane dispiaciuta

-Tranquilla piccola, per aver  bussato due volte è qualcosa di importante,- il genitore le fece segno di entrare e lei avanzò titubante, insicura su cosa dire e cosa fare.

-Voi lo sapevate?-fissò quell’uomo dal volto rugoso e stanco. Gli occhi di Elena erano lucidi, sinonimo di una tragedia: stava per piangere.

-Anzi no, è inutile che mi rispondiate, ormai non si può fare più nulla, che cosa buffa. . . – disse sarcastica,

-Voi tornate e io parto,come lo definiamo?- blaterò ferita, alla ricerca della sua anima che sentiva aver smarrito.

-Uno scherzo del destino o una tortura?- scese una prima lacrima.

Il Conte chiuse gli occhi, addolorato.

-Spero che perdonerete la mia franchezza, padre. . . – enunciò sicura di sé e calmando i singhiozzi. Alzò il capo, e il suo sguardo vivo e giovane scontrò quello del padre vecchio e addolorato,

-Ma non credo che voi e mia madre stiate facendo questo per il mio bene.- detto ciò  abbozzò una riverenza senza  aspettare di essere congedata.

Il padre sussurrò  soltanto –Elena … - ma non continuò.

Lei scese di corsa le scale e percorse il corridoio fino alla grande sala , dove trovò chi cercava.

-Marie, avete preparato le vostre valige?  E il cocchiere è stato già avvisato?- Elena scaricò varie domande, Marie era in difficoltà a quale rispondere per prima.

-Contessina,  non c’è bisogno di preparare i bagagli dato che farò ritorno, per quanto riguarda José il cocchiere , è stata la Contessa ad avvisarlo.- informò la serva , ormai Elena non si sorprendeva più. La madre, la “dolce” Contessa, sembrava nascondere qualcosa.

-Però , ho pensato di prepararvi il vostro dolce preferito, non credo che i cuochi scozzesi sappiano la mia ricetta segreta,- sogghignò Marie ed Elena la imitò.

-Sai cosa ti dico, Marie?- domandò scherzosamente la giovane, e sembrava diversa. Ritornata a quella di sempre.

-Ogni libro  ha la propria avventura, forse questa è la mia.-ammiccò gioiosa  abbozzando un sorriso. Marie lo riconobbe, quello era il sorriso di chi nonostante fosse ferito continuava  a lottare senza perdersi d’animo.

Entrambe scesero al pian di sotto seguite da un servo che portava i bagagli. Elena, aveva perso tempo decidendo quali libri portare, dato che la sua , non era una libreria, ma una biblioteca. Portò libri che non aveva mai letto e anche quelli che,  sapeva a memoria. Nonostante sapesse la loro conclusione, ogni volta che li rileggeva provava le stesse emozioni della prima volta.

Sua madre Annalisa, che poco tempo prima si era innervosita, ora era lì dinanzi la carrozza con un’espressione gioiosa in volto. Constatando ciò, Elena si sentì un peso.

Marie porse alla giovane il mantello , il freddo di gennaio non era da sottovalutare.

La Contessina lo accettò cordialmente e dopo essersi sistemata, ricambiò lo sguardo fisso della madre.

-Non impiegherete molto, la Scozia confina con l’Inghilterra, - disse la genitrice  rivolgendosi sia a sua figlia che alla valletta, poi aggiunse

-Riguarda la tua salute, ti aspetta una terra circondata dall’Oceano,- Elena non le diede ascolto o almeno finse. La damigella si sporse in avanti e baciò la guancia della madre, poi distaccandosi proferì

-Riguardatevi voi, madre.- e senza voltarsi indietro , aiutata da Marie salì gli scalini ,sedendosi nella carrozza. Marie la imitò e dopo aver chiuso lo sportellino, la giovane alzò la mano,  come cenno di saluto, la madre fece lo stesso, ma era tutta una finzione ,perché niente sarebbe ritornato come prima.


 
***

La carrozza era partita già da un po’ quando il Conte sopraggiunse.

-Ma come!- esclamò balbettando,

-E’ andata via senza salutarmi?- domandò incredulo e al tempo stesso deluso,

-Cosa ti aspettavi, ci odierà a morte. . .- il Conte scossa la testa bruscamente,

-No, no. . . lei odierà te, sei stata tu a decidere la sua vita, senza neanche il mio consenso,- brontolò l’uomo innervosito.

-L’ho fatto per il suo bene, Richard. . .- la moglie s’avvicinò e dolcemente sfiorò la guancia del marito, il loro gesto di affetto più frequente.

-Il principe di Scozia avrebbe potuto scegliere altra fanciulla, non capisco perché lei. . . –

Lei trattenne il respiro e poi espirò,

-Elena è bella e non lo dico per vantarmene, spero soltanto  che il principe non si annoi vedendola sempre su quei libri,- sbottò la Contessa infastidita al tal pensiero,

-No Annalisa,- il Conte non avendo usato il dolce “Anne” , diede a capire di essere davvero arrabbiato con la donna che aveva sposato,

- Elena non deve cambiare.- proferì determinato a spalle dritte e petto all’infuori,

-Se cambierà non sarà più mia figlia,- enunciò questa frase ad effetto e ritornò dentro, riparandosi dal freddo.

 
***
 

Con la testa abbassata e la coda tremante, i cavalli sguazzavano attraverso la densa mota, impantanandosi e inciampando ad ogni passo, come se cadessero a pezzi dalle più grosse articolazioni. Ogni volta che il cocchiere li faceva fermare e concedeva loro un po' di riposo, con uno stanco

-Uh... uh... ehi!-  il cavallo scosse violentemente la testa. In tutti gli avvallamenti fumava la nebbia, che aveva, nel suo abbandono, vagato  su per il monte come uno spirito malvagio che cercasse indarno riposo. Vischiosa e gelida, si snodava lenta per l'aria in spire che si seguivano e s'accavallavano visibilmente, come le onde d'un mare agitato.

In quei giorni i viaggiatori erano molto restii ad attaccare conoscenza, perché chiunque in viaggio poteva essere un brigante o in combutta coi briganti.

 — Uh... uh! — disse il cocchiere. — Su, su! Un altro po' e sarete in cima, bestie del diavolo! Ho avuto un bel da fare a condurvi fin quassù!...Marie!

 —Dimmi— rispose la valletta.

 — Che ora è?— domandò curioso,

-L’ora di un buon thè- rispose Marie  allegra riferendosi in modo indiretto le 5 del pomeriggio.

— Per l'inferno! — esclamò il cocchiere irritato,- EH! Avant- urlò, facendo così ripartire i cavalli.

La balia fissò  Elena che con sguardo spento guardava oltre il finestrino; durante il viaggio non aveva detto né una parola, né aveva aperto un libro, e il secondo punto era decisamente preoccupante.

-Contessina, sono preoccupata. . . dite qualcosa,- sussurrò la badante con voce flebile,

Elena le rivolse un’occhiata di sottecchi, usando il cappuccio del mantello come semi-nascondino. Iniziava a sentire freddo, era intrizzita.

Le braci del piccolo scaldapiedi non emanavano più calore da un pezzo e lei aveva perso la sensibilità negli arti inferiori e nelle mani. La temperatura era calata parecchio e il vento proveniente dall’Oceano Atlantico iniziava a farsi sentire.

-Sto bene Marie, penso solo che ci vorrà molto per abituarmi,- proferì accennando un sorriso inetto destinato  per pochi secondi,

-Io invece credo che starete bene, guardate quanto verde c’è, potrete sdraiarvi e leggere tutti i libri che vorrete,- enunciò allegra l’accompagnatrice,

-Ah sì, su questo non c’è dubbio. . .nessuno e dico nessuno,- rispose la giovane con tono determinato

-Mi impedirà di leggere, inoltre i libri sono l’ unico posto dove  mi posso ancora rifugiare, dove posso ancora sognare,- dicendo ciò Elena aveva assunto un’espressione diversa non felice, ma almeno serena. Appena si parlava di libri, lei cambiava … come se quegli oggetti costituiti da miriade di pagine fossero la sua medicina e per certi versi, lo erano davvero.

-Giusto Contessina,- affermò la valletta  accennando un’occhiata al di fuori dell’ oblò.

Il tragitto fu lungo e tortuoso, ma per l’intera mattinata e fino alle 5 , i viaggiatori non avevano riscontrati problemi. . . o si?

La quiete che sembrava esserci stata fino al momento ordinato sembrò svanire, il cocchiere udì l’andamento di più cavalli e la loro carrozza ne disponeva solo uno, si fermò di scatto.

-Marie! — esclamò il cocchiere, in tono d'avvertimento,sforzando la vista per vedere chi potesse nascondersi tra gli alberi altri e fitti.

 — Che vuoi,Josè? — domandò quasi infastidita la donna aprendo la porticina, fece un passo come se volesse scendere,

-No Marie, non scendere. . .saranno dei briganti- balbettò l’uomo impaurito, tremava peggio di una foglia.

La balia terrorizzata chiuse subito la porticina rassicurando Elena , ma la giovane aveva già percepito l’ansia.

-State tranquilla,- la vecchia cercò di tranquillizzare, ma tutto fu futile. Una voce sconosciuta al di fuori della carrozza aveva parlato,

-Chi siete? — urlò con tono autoritario,

-Fermi, o morirete- continuò terrorizzando il cocchiere e le altre due passeggere, Marie come muro di difesa abbracciò Elena che la stringeva tremante,

-S. . . siamo di Herthford , signore. . . –rispose balbettando José,

-E sapete dove siete?- domandò l’uomo sconosciuto senza scendere dal suo cavallo, un bel cavallo bianco (che José riconobbe subito dato che era addetto all’intero bestiame)era un purosangue arabo.

Dopo poco, sopraggiunsero altri tre uomini,

-Presumo in Scozia, signore. . .- continuò timoroso José, stringendosi nel suo cappotto. Adesso, al freddo. . .si era aggiunta la paura.

-Lasciatelo passare,è innocuo- rispose il cavaliere sghignazzando, ordinò al cavallo di spostarsi e lo stesso fu fatto dai suoi uomini , i quali si schierarono due a destra e due a sinistra, lasciando così passare la carrozza.

Elena s’alzò lentamente e nonostante fosse passato del tempo,quegli uomini misteriosi quanto nobili, erano proprio  dietro di loro.

-Forse non si fidano,-  pronunciò Elena con un filo di voce, il terrore era aumentato.Marie fece spallucce e poi abbozzò un sorriso di incoraggiamento,

Poi. . .avvenne quello che non avrebbe mai immaginato.

La carrozza fu oltrepassata da un uomo che cavalcava, probabilmente era lo stesso che aveva parlato, ma a lei non importò. . .incontrò quello sguardo,  che lui per un istante di sfuggita , ricambiò.

Molto probabilmente, pensò Elena, lui non si era accorto di lei come lei aveva notato lui, ma qualcosa era successo. Quel giovane dagli occhi verdi che aveva affiancato per un nanosecondo la sua carrozza, le  aveva suscitato profondo calore nel petto, un’emozione. Senza rendersene conto spalancò la bocca stupita , Marie la guardò esterrefatta e poi senza una ragione abbozzò un sorriso, stavolta non era destinato per pochi secondi ma per l'intero viaggio.




Spazio Autrice:
Carissimi lettori, non so davvero come ringraziarVi. Le vostre recensioni sono qualcosa di inspiegabile e mi auguro caldamente che non mi abbandoniate, siete fantastici e perdonate gli eventuali orrori. Vi aspetto :) mi raccomando, fatemi sapere che ne pensate. Baci, Alessia.
 
 
 
 


 
 

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Capitolo 4
*** Terzo Capitolo. ***





 

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Se solo potessi conoscere il suo cuore, tutto sarebbe più facile.

Jane Austen

 

Terzo Capitolo


Era il tempo migliore e il tempo peggiore, la stagione della saggezza e la stagione della follia, l'epoca della fede e l'epoca dell'incredulità, il periodo della luce e il periodo delle tenebre, la primavera della speranza e l'inverno della disperazione.

I cavalli iniziarono a rallentare, ed Elena capì che a breve sarebbe entrata in un vortice ,che lei reputava “ nero”, nonostante avesse visto quel ragazzo dagli occhi verdi che l’aveva folgorata, la paura e l’angoscia vinsero. Nessuno avrebbe potuto salvarla.

Pensò di fuggire, ma per andare dove? Non c’era luogo. Nessuna via di scampo.

I pensieri iniziavano a divorarla, e per evitare che ciò accadesse,  ruppe il silenzio

- Marie , non hai notato il cambiamento di mia madre?- riconobbe rattristita.

-Beh Vostra Grazia, ho rinunciato da tempo a capire l’umore dei miei padroni, eccetto il vostro,- rispose la donna anziana ,abbozzando un sorriso, la giovane allargò le braccia in segno di abbraccio.

-Vi scriverò ,- promise afflitta.

-Lo so, ma Adamina dovrà leggere, per quanto mi sforzi , sono troppa vecchia per imparare- Marie toccò la mano della piccola nobile in segno di incoraggiamento ,e per enfatizzare il suo gesto  con un sorriso acceso proferì,

-Andrà tutto bene-

 
***
 

Davanti la finestra della sua camera da letto, Alfred Grayson aspettava.

Era presto per una visita della piccola inglese, assurdamente presto per gli usi anglosassoni, eppure era proprio Miss Hemsworth che con la sua carrozza stava attraversando la foresta diretta al suo castello.

Un principe come Alfred Grayson ne conosceva di donne, ma quando la contessa Annalisa gli spedì la foto della sua giovane figlia, lui ne rimase incantato. Nella foto, era visibile la grazia della contessina . Il suo essere semplice, pura ,incuriosiva ancor di più il principe che per tanti anni si era divertito. Ora, per ordine del suo titolo nobile, egli doveva mettere la testa a posto , ma voleva farlo per bene, con una donna  che gli fosse piaciuta e con la quale non gli sarebbe dispiaciuto  procreare.

Aveva 30 anni , e non si  era posto  il disagio che la sua futura sposa avrebbe potuto riscontrare. Non si sentiva vecchio , reputava che la bellezza non avesse età  e la sua vanità spesso, lo portava a credersi un Dio greco: alto ,capelli sempre ordinati  color cioccolato, sguardo da gelare il sangue; i suoi occhi color cielo erano capaci di  penetrare nel cuore delle donne e farle subito sue. Per non parlare di tutti i suoi giochetti di occhiate maliziose, quelle,erano pericolosissime  capaci di ammaliare e far perdere i sensi alla malcapitata (per modo di dire).

 Nelle case di piacere aveva frequentato tutte donne che facevano la vita, e adesso avere dinanzi una fanciulla casta, bella e intelligente ,  non faceva altro che aumentare il desiderio.

La finestra dalla quale il principe scrutava con tanta curiosità era come le finestre di tanti altri palazzi scozzesi, anche quella era stata progettata per vedere senza essere visti, per il mistero piuttosto che per la trasparenza. Il vetro non era una comune lastra piana, bensì era formato da tanti piccoli occhi di bue rotondi inseriti in una griglia di piombo.

Alfred guardò ancora una volta la foto della giovane e sorrise maliziosamente, distolse lo sguardo quando udì  il bussare di qualcuno,

-Avanti,- sbuffò annoiato.

-Vostra altezza, - una voce distinta parlò , il reale la riconobbe subito.

-Marco!- esclamò voltandosi per guardare il giovane entrato.

-Dove sei stato? -  domandò sorridente.

Marco era un ragazzo della corte, figlio cadetto e per tanto non fortunato come suo fratello, il primogenito che aveva ereditato tutto ciò che i genitori gli avevano lasciato. Era italiano e per questo la sua bellezza, era ineffabile, nato nel meridione fu costretto per la povertà ad espatriare con la sua famiglia recandosi così in Scozia e dedicare la sua vita a giuramenti di fedeltà all'ordine militare scozzese.

-Cavalcavo,- diede risposta sfilandosi i guanti

- Chi?- chiese malizioso Alfred ,scoppiando in una fragorosa risata che Marco seguì.

-Ancora nessuna,- accennò un sorriso d’intesa maliziosa .

Ci fu  una pausa,

-Nella foresta ho incontrato un tizio davvero strano,- avvisò il cadetto continuando a ridere.

-Ormai non c’è più nulla di normale, non credi?- più che una domanda, sembrava un'affermazione.

- Già, tremava come se avesse visto un mostro,ma infondo. . gli ho detto che se avesse osato muoversi, sarebbe morto- proferì il militare ,poggiando il fodero della spada sulla scrivania del principe.

-Era un soldato?-  chiese Alfred alzando un sopracciglio.

-Un cocchiere, non ho visto chi vi era all’ interno della carrozza, solo un omone, gli ho concesso di passare e poi li ho superati.  . .chi sa dove erano diretti.- soffocò una risata.

- Un omone?- sgranò gli occhi il reale pensando al peggio,

-Non sarà mica la donna che mi sarà data in moglie?-

-Ma no, a me sembrava una serva.- rispose Marco, rassicurando l’anima in subbuglio del suo principe.

-Dovrebbe arrivare, questa sera c’è la festa in suo onore .- esclamò il nobile tutto d’un fiato prendendo un bicchiere e versandoci un liquore,

-Siete felice?- domandò il cadetto non sapendo che dire.

-Dalle foto si preannuncia bella, ma può essere anche fotogenica,- rise beffardamente ,poi bevve il liquore tutto d'un sorso.

-Solo a pensare che questo matrimonio sarà fatto per stringere l’alleanza, mi fa capire quanto tutti voi, anche se nobili non abbiate voce in capitolo.- notò il militare con una  sua solita riflessione filosofica.

-E’ per il popolo,per eventuali guerre,non possiamo permettere che soldati e cittadini muoiano, già per le presenti malattie c'è un elevato tasso di mortalità,e riguardo a lei... so che non sarà un inferno, sono io che domino e se non mi soddisferà come si deve, ho tantissime donne –pronunciò con aria trionfante  non nascondendo il suo essere donnaiolo . A quell’epoca tradire la propria donna soprattutto se si era ricchi ,era normale, un fatto di vita quotidiana.

La loro conversazione venne interrotta dal bussare di qualcuno,

-Vostra altezza, perdonate il disturbo.- i due  si voltarono in direzione del valletto ,che stava aggiustando il parrucchino su tutte e due le orecchie.

-Cosa c’è, Lorry?- domandò il principe rilassato,

-Vostra altezza , è arrivata.-  affermò il servo emozionato.

-Bene ,accompagna lei e la sua balia nelle corrispettive camere , ci incontreremo direttamente questa sera alla festa.- specificò il trentenne presentando un sorriso soddisfatto sul volto.

Il valletto accennò la riverenza  e andò chiudendo la porta.

-Permettete vostra altezza, ma vi incontrerete direttamente alla festa  o nel vostro letto?- chiese maliziosamente il guerriero.

-Marco, Marco , Marco. . . questa contessina non mi renderà vita facile, ma sono o no, un reale? – abbozzò un sorriso provocatorio, ignaro dei “problemi” che Elena sicuramente gli avrebbe dato.
***
Lorry scese di corsa le scale, la piccola contessa  e Marie stavano aspettando nell’atrio già da tempo.

L’agitazione era inevitabile , tutti fissavano la piccola Hemsworth ; un volto così nuovo, sarebbe divenuto di casa ,dal momento in cui avrebbe sposato il principe. Scosse subito  quei pensieri che sembravano darle il tormento;maritarsi con un principe era il sogno di tutte le sue coetanee, ma non il suo. Le bastavano sogni e libri, erano ciò di cui viveva, non vedeva l’importanza di condividere la propria vita con un’altra persona, soprattutto  con uno sconosciuto.

-Vostra grazia,- proferì  cordiale il valletto squadrandola dalla testa ai piedi , nonostante potesse essere suo padre, la semplicità e la dolcezza dello sguardo  di Elena catturarono anche il suo cuore.

-Siete la benvenuta, - proferì aggiustandosi il colletto come se gli mancasse l’aria e continuò,

-Il principe non può ricevervi al momento, vi incontrerete questa sera al ballo in vostro onore, ora se voi e  la vostra dama di compagnia vogliate seguirmi. . . – Lorry enunciò tutto con estrema velocità che fu difficile stargli dietro, ma per fortuna Elena focalizzò il punto principale: per il momento il principe non poteva riceverla. Ah, che sollievo. Un sorriso trionfante, quasi da paralisi facciale si presentò sul volto della fanciulla, la sua ansia era stata posticipata.

Il lusso di ogni angolo del castello eccitava quasi la giovane, che per evitare di essere travolta da brutti pensieri iniziò a vedere tutto come un’avventura. Ogni camera era rivestita di pannelli di legno intagliato e dorato e i soffitti erano affrescati con immagini di dee e amorini che si trastullavano. I grandi specchi erano solitamente nell’angolo , lontano dal letto. Lorry indicò le stanze, per fortuna erano vicine.

La giovane contessa contemplò con ammirazione quel lusso, nonostante fosse nobile, a casa sua non vi era un letto a due piazze, era stretto  e la stanza era sempre umida;invece, quella del palazzo , risultava calda e accogliente,  colma di quadri di rappresentazioni mitologiche. Lorry posò le valigie e accennando una riverenza uscì dalla stanza.
Marie chiuse la porta.

-Vostra grazia ,che lusso!- esclamò la balia sorridendo a trentadue denti.

-Un lusso di cui potrei far benissimo a meno.- sbottò sicura Elena spaparanzandosi incurante sul letto, duro. L’urto provocato quasi la fece male.

-E’ tutt’ apparenza, questo letto è durissimo.- sbuffò alzandosi e incrociando le braccia.

-Non c’è la faccio, questa vita non appartiene a me.-replicò quasi piangente, s’avvicinò allo specchio fissandosi.

-Disprezzo quella che sono, avrei preferito non nascere.-

-Ma cosa dite contessina!- esclamò Marie coprendosi le orecchie,

-Voi siete una fanciulla graziosa, piena di vita. . .- la serva era abbastanza dubbiosa sulle ultime parole,

Elena abbassò lo sguardo,

-Sapevo che un giorno sarebbe successo, ma mi auguravo il più lontano possibile.- fissò di nuovo la sua immagine allo specchio, iniziando davvero ad odiarsi.

-Questo bel viso che avete, non deve essere rotto dalle lacrime. . .- proferì dolcemente Marie accarezzandole la guancia e asciugandole la lacrima appena scesa.

-Al vostro posto. . .dovrebbe esserci mia madre.- disse rabbiosa la giovane scostandosi incurante.

-Vostra madre c’è. . .ma ci sono certe cose che noi uomini qui sulla terra, non possiamo decidere.-

-Invece sbagli  cara balia,mia madre ha deciso.- sbottò, evitando di urlare anche se avesse voluto farlo.

-Non è stata vostra madre,- Marie assunse espressione e tono autoritario, un atteggiamento diverso dal solito che fece stupire molto la piccola contessa.

-E’ il sangue- sibilò a denti stretti.

Elena sapeva che Marie l’indomani sarebbe partita, quelli. . .erano gli ultimi momenti con lei. Non voleva ricordarsela triste e arrabbiata, voleva “godersela” perché  sapeva che non l’avrebbe più rivista, non c’erano speranze.  Fissò per un attimo la sua balia e poi accennò un sorriso pentito, non c’era neanche bisogno di chiederle scusa, Marie già aveva capito e poteva immaginare il dolore di chi si sposa senza amore.

Elena iniziò a spogliarsi , iniziando prima a togliersi il mantello, poi l’enorme abito grigio; Marie l’aiutò con il corsetto e quando finalmente fu libera da corsetto e scarpe che procuravano calli, un bel bagno caldo l’attendeva. La vasca era di legno levigato e Marie s’accertò che l’acqua fosse ben calda poi, molto dedita alla sua contessa aggiunse anche molto sapone , sapeva che la sua contessina l’avrebbe apprezzato.

-Dovrò dormire con un uomo. . . non so come si faccia, Marie. . . – domandò impacciata  la fanciulla arrossendo.

-Ve lo dirà il vostro cuore. . . – rispose Marie divenuta verde di vergogna.

-Come può dirmelo il mio cuore se non lo amo?- i dubbi che rendevano perplessa Elena iniziavano a diventare sempre più grossi, la testa quasi le scoppiava.

- Elena, questo è il vostro destino.- proferì Marie arresa. Fredda. Glaciale. La stessa fermezza della madre quando le aveva detto che doveva partire.

-Questo aspettavo , Marie. . . che voi mi deste conferma che non ho più via di scampo.- la delusione sul volto della giovane era qualcosa di ovvio, ma bisognava che iniziasse ad essere realista e non come sempre a rifugiarsi nei sogni.

Continuò a lavarsi in silenzio senza proferire parola e dopo, accertata di essere pulita e fresca ordinò a Marie di prenderle l’asciugamano, preparandosi all’inferno che poco dopo sarebbe avvenuto.
***
-Siete  felice di vederla? Non c’ è proprio nulla di normale.-  sbottò il soldato stranito mentre fissava il reale acconciarsi dinanzi allo specchio,  il nobile camminava spedito per tutta la stanza provando uno dei suoi sguardi più irresistibili.

-Chiunque uomo teme il matrimonio, vostra altezza,-  il giovane cadetto era sempre più sorpreso, il suo principe non si era mai preoccupato di apparire in modo malconcio, rozzo ad una donna, ma in quel momento cercava di perfezionarsi.

-Io no caro Marco, anzi andrò incontro a quella fanciulla a testa alta accompagnato dal mio fascino e vedrai. . . sarà subito mia, non aspetterà neanche alle nozze-  il giovane tacque esterrefatto.
Il principe gli diede un leggero schiaffetto sulla guancia per richiamarlo all’ attenzione,

-Quale giacca metto?La rossa o la blu?- domandò con un sorriso smagliante.

-Direi rossa,- optò Marco ricambiando la gioia.

-Se lei sarà la mia morte, Marco. . . – proferì creando suspance,

-La guarderò sorridendo.- il giovane rise contenendosi , il principe si  diede un’ultima occhiata allo specchio  e poi insieme al militare uscì.

Il soldato si diresse  all’uscita secondaria che portava alle stalle, il principe, invece, scese le sontuose scale del palazzo.

 
***
Elena era pronta o quasi. L'abito che la vestiva era composto da uno scomodo corpetto non troppo stretto ,ma nemmeno abbastanza largo da non farle provare un certo senso di oppressione al quale s'era abituata oramai  da tempo. Ricadeva poi dalla vita in giù in modo più morbido con balze ampie e gonfiate dalla sottana voluminosa. Amava quel vestito per il colore di cui era tinto : verde, non profondo come quello degli occhi del cavaliere a cui non cessava di pensare, molto più sbiadito, ma glielo ricordava, come del resto ogni altra cosa. Tentava disperatamente di tenersi aggrappata a quel ricordo perché temeva che sarebbe potuto sbiadire. Non sapeva se l'avesse più rivisto sebbene lo desiderasse e mentre una parte di sé le urlava di archiviarlo, di porlo altrove dalla sua mente ,l'altra parte sapeva che oramai era già penetrato nelle profondità del suo cuore. Non vi era modo di fermare quel sentimento di cui si animava ogni suo respiro.

La balia le legò  leggermente i capelli facendoli ricadere sulle spalle ricci e profumati.

-Ho scelto il verde perché è speranza. . . – specificò la giovane con un nodo in gola,

-Continuo a pensare che questo incubo finirà. . . – enunciò abbozzando un leggero sorriso destinato a spegnersi subito dopo.

Marie non le rispose, fin quando Elena avrebbe potuto sognare nessuno glielo avrebbe vietato.

 
***

Alfred armato  dalla sua infallibile sicurezza, scese le scale disinvolto nonostante avesse tutti gli sguardi addossati. Era sempre più convinto che i nobili fossero invidiosi di lui, della sua bellezza e bravura nel governare. E nel farsi rispettare dal popolo.Attraversò la folla di nobili, vi era  ancora qualche servo che perfezionava gli ultimi preparativi.

Avanzò fino a trovarsi una bellezza ineffabile.La giovane inglese  non usava mai artifici femminili, cipria e belletto, nessuno dei stratagemmi ai quali le donne ricorrevano per migliorare il loro vero aspetto.

Lei appariva sempre nella sua essenza naturale, pura come la panna fresca.

Era giovane, bella, intelligente e vergine, e ciò accese ancora di più il fuoco , gli era sempre piaciuto corrompere la carne da convento.

La mancanza di malizia  di lei fu una tentazione irresistibile sin da subito per lui. Seduzione,corruzione, rovina, o più semplicemente mondana attitudine  al piacere, per Alfred significavano una sola cosa.

Quella fanciulla a pochi passi sarebbe divenuta sua moglie, e lui avrebbe potuto fare con lei tutto quello che voleva senza alcuna conseguenza.

La piccola Hemsworth lo fissava con i suoi occhi scuri da cerbiatta quasi impaurita, poi accennò una riverenza  porgendogli la mano che lui le baciò in modo malizioso e provocatorio.

Con il suo sguardo magnetico la scrutò attentamente e abbozzò un sorriso mostrando la sua dentatura perfetta.

Elena s’accorse che vi erano parecchi anni di differenza, ma in una situazione del genere non doveva pensare, i pensieri l’avrebbero distratta.

Alfred cercò di eliminare i suoi pensieri impuri , ma non riuscì. Iniziò ad immaginare che  sotto quel vestito verdastro e informe la giovane aveva il corpo di una donna, ma nel suo cuore conservava un’innocente fiducia nella bontà dell’animo umano. Insegnarle il contrario sarebbe stato il più grande divertimento della sua vita.

-Vostra grazia,- proferì con voce seducente , lei accennò un sorriso, non si era mai sentito così a disagio.

-Vostra altezza,- rifece l’inchino guardando quegli occhi che erano belli, ma non la colpivano come quelli dell’uomo sconosciuto.

-Siete stanca?- domandò il principe sembrando preoccupato.

-Sì, - rispose timidamente Elena voltandosi  dietro dove vi era Marie che le sorrideva incoraggiante. Si rincuorò.

-Potete riposare, ma prima apriamo le danze.  . .- le porse la mano che Elena non poté che accettare, si diressero al centro  della sala e subito dopo pochi secondi vennero accerchiati dagli invitati. La giovane odiava essere al centro dell’attenzione, e odiò con tutta sé stessa quell’ istante. I violinisti accordarono gli strumenti accennando le prime note, come sottofondo di quell' orribile serata. Alfred strinse a sé la giovane Elena facendo volteggiare tra le sue braccia tra un passo e l’altro continuando  a fissarla ,  lei non ricambiò lo sguardo; le dava fastidio il solo pensiero che lui le tenesse le mani o peggio che le sfiorasse la schiena.Infatti, le sue  mani  erano leggermente poggiate sulla spalla del suo partner.Cercò di concentrarsi sulla musica e non sull'uomo con cui ballava, sapendo così riconoscere che tipo di musica fosse:era un valzer.

Appena finito il primo spartito, il principe non si preoccupò di abbandonare la folla, moriva dal desiderio di conoscerla.

-Seguitemi,- l’esortò  , la giovane dama iniziò ad agitarsi cercando di trovare Marie tra i tanti invitanti, ma non la vide. Doveva cavarsela anche senza Marie, infondo sarebbe partita.

Si  incoraggiò con le sue stesse forze riuscendo così a seguire l’uomo.  Fu condotta  in una stanza più piccola, paragonabile ad uno studio.

Con il consenso del nobile, Elena s’accomodò su una sedia. Per quanto si sforzasse, non riuscì a rilassarsi sulla delicata poltroncina dorata. Il damasco di seta rosso sembrava troppo elegante per sedercisi sopra . Quelle sedie dovevano essere antiche e preziose, come del resto tutti gli arredi del castello. Irrequieta, si lisciò la gonna sulle ginocchia. Il principe le girava intorno, quel comportamento le dava fastidio.

-Perdonate, ma ho avuto un lungo viaggio , potreste sedervi?- domandò cauta infrangendo una delle regole del galateo. Anche se dolcemente, aveva dettato un ordine al principe , qualsiasi aristocratico l'avrebbe rimproverata,  ma non  Alfred Grayson. Lui, vedeva in quella ragazza un efflusso di diverse emozioni: purezza ma anche determinazione e ciò rendeva tutto più eccitante.

-Certamente, mia damigella- si sedette di fronte a lei senza staccarle gli occhi di dosso.

Il principe indossava abiti abbastanza festosi:portava calzoni neri e sopra una lunga, ampia vestaglia trapuntata di seta rossa e oro. I fili dorati scintillavano alla debole luce della candela e lo stravagante indumento gli svolazzava intorno mentre camminava. Il suo viso olivastro, con gli zigomi spigolosi e il naso affilato, appariva per contrasto quasi ascetico.

-Siete molto bella-  adulò .Elena abbozzò un sorriso forzato.

-Vi ringrazio, vostra altezza.-  rispose la giovane cordiale.

-No, no. . .niente vostra altezza, per voi sono Alfred.- Il padrone di casa agitò con grazia una mano e, così facendo, l’ampia manica di seta gli scivolò sul braccio.

La giovane fece cenno di si con la testa,imbarazzata.

-Ho visto donne inglesi, ma voi … siete diversa-  proferì lui soprapponendo la gamba destra sulla sinistra.

-Non sono del tutto inglese, ser. - rispose la fanciulla dimenticando di come dovesse rivolgersi, lui ignorò.

-Che origini avete?- domandò interessato cercando di accattivarla e sprigionare il suo spirito ribelle.

-Mia madre è italiana,- rispose fredda.

-Siete molto evasiva, vi capisco sono uno sconosciuto , ma non per molto.- proferì allegro. Elena accennò un sorriso come sempre non sincero.

-E’  la prima volta che vedete un uomo a parte vostro padre e i servi?- fece domanda inaspettatamente, fu allora che Elena ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi. Lo fissava senza paura.

-No- sbottò sicura abbozzando un sorriso maligno. I suoi pensieri involontariamente ripristinarono l'immagine di quel soldato dagli occhi verdi, non riusciva a proprio a liberarsene.

-Non ditemi che il vostro cuore è già di qualcuno!- esclamò il principe alzandosi quasi adirato, toccandosi il petto fingendo di provare dolore.

-No. . . non mi. . .- balbettò Elena impaurita.

Lui le si avvicinò con charme e le toccò il mento,  Elena rimase immobile. Dimenarsi avrebbe peggiorato le cose.

-Elena, voi sarete mia moglie.- enfatizzò mia, tenendole ancora il mento in modo tale che lei non evitasse  di distogliere lo sguardo.

S’avvicinò imprudente alle labbra della giovane , la quale non impiegò molto per capire le intenzioni del suo futuro marito , s’alzò speditamente assumendo un’espressione sconvolta.

La fissò senza parole, deluso.

-Cosa volevate farmi?- domandò impaurita . Elena Hemsworth stava tremando.

-Perdonate Elena, ma la vostra purezza e il vostro sguardo innocente accendono  in me il pieno desiderio di voi.- sembrò recitare una poesia avanzando verso la giovane che ancora terrorizzata indietreggiava.

-Statemi lontano.- affermò sdegnata avvicinandosi alla porta.

-Perdonatemi ancora,non volevo mancarvi di rispetto.- si inchinò ai piedi della giovane e le baciò la mano, lei glielo lasciò fare sperando di uscire al più presto da quella stanza,

-Lo avete fatto, credete che sia il vostro giocattolo?-

- Elena, sarete mia moglie. . . vi ho chiesto un bacio, ricordate che dovrete darmi degli eredi!- sbottò presuntuoso iniziando ad avvicinarsi agli argomenti che Elena reputava tabù.

La giovane deglutì, lui non si allontanava.

-Provate a baciarmi, non è difficile.- s’avvicinò , stavolta non gli sarebbe sfuggita. Era intrappolata nell’angolo, tra il muro e l' uomo che non sarebbe mai riuscita ad amare.

-Mi dispiace,- disse con tono pacato, il principe stranamente s’allontanò di  nuovo deluso.

-Non posso baciare chi non amo. - lo fissò negli occhi schietta, accennò una riverenza  proferendo  con tono agghiacciante,

-Vi ringrazio per il galà, ma a me non servono tutte queste baggianate, con il vostro permesso vado a riposare.- alzò le gonne e senza voltarsi indietro lasciò la stanza.

Alfred rimase esterrefatto, non ebbe neanche il coraggio di chiamarla. Era incredulo, mai nessuna donna si era permessa di trattarlo così; nonostante ciò  non si arrese, evidentemente alla giovane non interessava né il lusso e né i galà;doveva mettersi all’opera per scoprire le sue  vere passioni e credetemi, ci sarebbe riuscito.Alfred Grayson principe  di Scozia non perdeva mai.

 

Spazio Autrice:
Carissimi lettori, spero vivamente di non aver deluso le vostre aspettative, ma è la prima volta che mi cimento in un romanzo del genere e quindi non posso arrivare  subito in vetta, un passo alla volta ^^. Vi sono immensamente grata per tutte le recensioni, avete detto delle cose che mi hanno rincuorato e non sapete quanta energia mi avete trasmesso! Mi auguro che anche questo capitolo vi colpisca e come qualcuno di voi ha detto questa è  ANCORA un'introduzione. Abbiamo visto un 'Elena delusa dai genitori, e abbandonata (dal prossimo capitolo) vedremo che sarà un inferno la sua vita senza la sua balia, ma non del tutto. . .abbiamo notato l'entrata in scena di Alfred (un bellissimo personaggio che sicuramente inizierete ad odiare) e beh. . . fatemi sapere cosa ne pensate. Confido in voi^^ Baci! Ps: Per chi non avesse visto il trailer della storia , eccolo qui: (questi sono i personaggi che ho immaginato io, poi ognuno di voi pensa a chi vuole ^^)  https://www.youtube.com/watch?v=j2SMIy2WxcY ( copiate e incollate) Perdonate gli orrori^^ Ho bisogno delle vostre recensioni, siete la mia forza.

 
 
 

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Capitolo 5
*** Quarto Capitolo. ***


 

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Ho imparato che non posso esigere l'amore di nessuno.

Posso solo dar motivo per apprezzarmi.

William Shakespeare
 

Quarto Capitolo
 

Spaventata si diede alla fuga ,cercando di non sbagliare stanza. Aveva il cuore in gola ,e il terrore che la percuoteva ,non le diede neanche  il coraggio di fare pochi passi per  recarsi da Marie.Si tolse il vestito violentemente , quasi come se volesse strapparlo. Si lavò la faccia, cercando di togliere le impronte, le carezze , i ricordi  di quel nobile che reputava “viscido verme”.Tolse il vestito e indossò la camicia da notte,  sciolse i capelli e li spazzolò a lungo. Dopo ciò si assicurò di aver chiuso bene la porta, il principe aveva l’aria di un farabutto, un uomo capace di qualsiasi cosa. I grovigli di immagini continuavano a girare vertiginosamente nella sua testa,  trasalì.

Cercò di fare dei lunghi respiri, la calmavano sempre, ma non allora.

La lampada illuminava ancora, e lei era seduta sul letto. Sbadigliò,si stese a pancia in giù ,cercando di pensare e sognare qualcosa di bello, come quel giovane nel bosco. Ma quel letto era troppo scomodo per tentare di dormire.

Si ricacciò il  cuscino sulla faccia, ma ovviamente non servì a nulla. Il suo subconscio riportava a galla tutte le scene della giornata, dal bellissimo cavaliere dagli occhi verdi, a quell’orribile uomo che presto sarebbe divenuto suo marito.

S’affacciò alla finestra, ma il buio pesto non permetteva di vedere il giardino,  il cielo,invece, era occupato soltanto dalla pallida luna coperta da qualche nuvola.

-Devo dormire, domani Marie e José partiranno all’alba, è necessario che mi svegli presto.- disse a sé cercando di chiudere gli occhi, s’avvicinò a letto, si sdraiò e iniziò a fissare il soffitto.

-Non devo disperarmi,- proferì attenta a non far scendere le ultime lacrime rimaste.

-Il principe non avrà quello che vuole, non gliela farò passare liscia.- sorrise soddisfatta , sapeva che se avesse  dovuto affrontare quella guerra , il miglior inizio era convincersi di vincerla, senza abbattersi.

-Sarò anche bella, ma non buona.- dichiarò girandosi su un lato e cadendo in un sonno profondo; la giornata che si stava appena concludendo non era stata per niente tranquilla.

***

La notte  fu frammentata da visioni sfocate ,di immagini che si susseguivano in continuazione senza un vero e proprio nesso logico; i ricordi erano vivi e accesi, sia nella mente che era torturata al rivivere quelle immagini, sia nel cuore ,addolorato nel dovere amare un farabutto ,per il quale la giovane Elena provava soltanto ribrezzo.

Si strofinò gli occhi, svegliata dal sole che  entrava nella stanza ,oltrepassando le tende  di un rosso scuro con merletti dorati.

 Aveva dormito poco e male, ricordava  che durante la notte si era svegliata almeno tre volte col fiatone ,e con le mani che serravano la bocca ,per trattenere il grido  della paura. Un lamento contrastato, un pianto con cui doveva imparare a convivere se non si fosse decisa a gettarlo fuori con tutta se stessa. Rivoli di sudore le rigavano il viso, l'espressione sconvolta di chi doveva essere sottoposta alle peggiori torture: cosa esiste di peggio che un amore costretto?  

Anche da sveglia le immagini dominavano la sua mente:  quando lui, quell’uomo senza rispetto, le bloccava le mani al muro ,stringendo tanto da farle male e , schiacciando il resto del suo corpo contro la parete servendosi del corpo della povera fanciulla. Lei ,che era una giovane astuta, e di notevole intelletto, non era però dotata di forza fisica abbastanza possente da annullare quella del principe. Ma, stranamente ci riuscì.

Riuscì ad opporgli resistenza e per certi versi, ad allontanarlo. Scosse violentemente la testa , cercando di non pensarci, premeva gli indici alla tempia, doveva dimenticare.

S’ alzò frettolosamente avvicinandosi alla finestra, dove notò qualcosa di spiacevole. Per un attimo sperò che fosse un nuovo incubo, ma no. . . era reale.

La sua fidata balia  stava per partire. Spalancò gli occhi, pronta ad urlare il più possibile. Aprì di sbotto la finestra ,urlando a più non posso,

-Maaaaaaaaarie, - l’urlo fu talmente straziante che le mancò l’aria in gola, gli occhi erano lucidi pronti ad una nuova cascata.

Lo sguardo della serva s’accese, sperava in un presto risveglio di Elena , per abbracciarla un’ultima volta.

-Contessina,- urlò la valletta contenendosi.

Elena non era più alla finestra, era insicura di cosa mettere , ma temendo di perdere tempo, indossò una vestaglia  che aggiunse alla camicia da notte e incurante del freddo scese le sontuose scale per raggiungere la sua confidata amica, sì. . . Marie era un’amica, l’amica del cuore.

Scese  le scalinate dell’esterno a piedi nudi, incurante di tutto, ma allo stesso momento arrabbiata, perché Marie stava andando via senza averla  avvisata?

-Marie!- esclamò ormai giunta in giardino, affrettandosi a scendere  gli ultimi gradini. L’abbraccio fu inevitabile.

La balia ricambiò caldamente l’amplesso non lasciando la presa. Qualche lacrima non esitò a scendere.

-Perdonatemi, ma detesto gli addii-  ammise la serva, abbracciandola ancora più forte, ad Elena mancava il respiro, ma quella era un’emozione bellissima, indescrivibile. Avrebbe preferito vivere tutta la sua vita tra le braccia di Marie che in quel castello  tanto ricco quanto vuoto d’amore.

-Vi scriverò, ve lo giuro.- enunciò la giovane tra un singhiozzo e un altro, non aveva mai pianto così tanto.

Iniziò a sentire vuoti di solitudine, abbandono. Abbandonata a quell’orribile destino.

- Marie,- proferì più calma e distaccandosi, poi prese fiato.

-Riferisci a mia madre. . .- fece un altro respiro, non credeva di dirlo davvero.

- Che non credo che il mio cuore possa perdonarla.. . – scandì da far ibernare. Elena non era una fanciulla assoggettata all’odio, alla cattiveria soprattutto se riguardava la propria famiglia, ma allora. . .
qualcosa era cambiato, o meglio stava cambiando, iniziava a vedere la vita com’era , in tutte le sfaccettature, con occhi aperti e realisti. La delusione era fatale, i suoi libri  raccontavano un’altra vita, molto diversa, magari inesistente, inventata.

Forse  era giunto il momento che i suoi desideravano tanto, distaccarsi  da quelle pagine bianche macchiate di inchiostro e incominciare a difendersi con le proprie mani, con tutta sé stessa, non costruendo castelli in aria.

-Ma che dite contessina, vostra madre vi vuole bene.- Marie cercava con tutta sé stessa di non  alimentare il fuoco del dolore di Elena e di sua madre, quando la contessina era piccola , Annalisa era
fortemente innamorata di quella bellissima figlia, e Marie sapeva che nulla era cambiato. Ogni genitore doveva preoccuparsi per il proprio figlio e Annalisa Roccaforte non aveva sbagliato.

-Ne dubito, Marie.- rispose con tono agghiacciante, si distaccò avvicinandosi a José, dando anche a lui un caldo abbraccio,

-Mi raccomando, stai attento,- disse soffocando una risata e poi riscoppiando in un nuovo pianto.

José le accarezzò i capelli e si commosse,

-José,stai piangendo?- domandò la giovane contessa iniziando a ridere. Era più assurdo che strano ,che uno come José si commuoveva, si era sempre presentato simpatico, ma senza mostrare i suoi sentimenti. Lui, come Marie aveva visto crescere Elena e quel distacco, evidentemente non lo accettava.

-Ma no, signorina!- si staccò dall’abbraccio evitando la vergogna, era stato scoperto.

-Qui fa troppo freddo e le folate di vento sono la peggior cosa per gli occhi deboli.-  balbetta il cocchiere fingendo di avere freddo e coprendosi il più non posso.

-Ricorderò che non sai mentire, di te Marie è indimenticabile la torta al cioccolato,imparagonabile;di Adamina  rammenterò quando tentò di acchiappare il pollo che si era dato alla fuga,dell’istitutrice Anne  ricorderò  le bacchettate , ma anche le tante bellissime melodie che mi ha insegnato al piano,porterò sempre nel cuore “sonata al chiaro di luna” di Beethoven , - si fermò, né lei, né Marie e neanche José riuscirono a trattenere le lacrime, s’abbracciarono , ma l’addio non era ancora concluso.

-Porterò nel cuore tutti voi, siete la mia grande famigliola.- proferì stringendo ancora più forte i due inservienti .

-Anche noi, anche noi- enunciarono  frettolosamente i due stritolando la contessina.

-Vi scriverò, statene certi.-  così dicendo, la stretta rallentò per poi distaccarsi completamente.

-Non vorrei dirlo, ma . . .con la bufera in arrivo sarà meglio avviarci,- proferì José con il capo abbassato,

-Già, evitiamo che accada qualche disgrazia, contessina entrate dentro, vi ammalerete con tutto questo freddo!- esclamò Marie preoccupata, sembrava proprio una madre.

-Il freddo del Nord è nulla a confronto  al gelo che proverò qui , in questo castello e tra questa gente.- disse Elena  senza  speranza, mentre i suoi capelli si divertivano a giocare col vento.

-Ci saremo noi, contessa. . . da lontano e poi i vostri genitori verranno a trovarvi ,- ricordò  il cocchiere

-Quando vi sposerete,- Marie lo guardò rabbiosa tanto da terrorizzarlo.  L’uomo fece un colpo di tosse cercando di riparare e far sfumare via quelle parole che risuonavano come lame nell’anima di Elena.

-E’ inutile Marie, è la verità. . . mi sposerò con un uomo, volgare e maschilista, tratta le donne come fossero giocattoli, ma so come fare.-  la piccola Hemsworth accennò un sorriso vendicativo, malizioso, astuto.

-Oh cielo! Cosa vorreste mai fare?- imprecò spaventata Marie portando le mani alla bocca e sgranando gli occhi a più non posso.

-Non un omicidio, tranquilla. Ora andate, me la caverò.-  respirò profondamente , chiuse gli occhi per un istante e poi li riaprì. José salì al posto “di guida” mentre Elena aiutò a salire Marie ,che con il suo peso “ non leggero” provava difficoltà ad entrare nella vettura,  dopo due sforzi l’anziana entrò e chiuse lo sportellino.

Marie si appoggiò allo schienale e con una mano spostò le pesanti cortine di velluto che ricoprivano il finestrino, nel tentativo di vedere Elena che la salutava mentre insieme a José si allontanavo fino a sparire.

Continuavano a salutarsi ininterrottamente , ma pian piano la carrozza era sempre più lontana. Inizialmente, Elena corse dietro, non riusciva ancora a distaccarsi. Si sentiva sola.

-Vostra grazia, vi prego. . . entrate- l’esortò una serva del Principe,

-Vi ammalerete, non avete neanche le scarpe.- continuò la giovane stranita dall’atteggiamento della nobile.

Nessuno mai era così affezionato ai servi.

Elena si voltò , il suo sguardo cupo, i suoi capelli scomposti, il corpo ghiacciato faceva pensare ad un corpo che camminava , ma non vivo.

S’ avvicinò speranzosa alla serva che l’aveva chiamata e cordialmente le domandò

-Non vi preoccupate per me, fatemi portare un cavallo.- proferì  frugale, fuggì per  le scale dirigendosi nella sua stanza dove si vestì. Non badò all’acconciatura, non si preoccupò di essere presentabile;
con quel vuoto nel petto e il volto rigato dalle lacrime non sarebbe mai potuta esserlo.

Anziché indossare le fastidiosissime scarpe con la punta triangolare e i soliti tacchi insopportabili, preferì degli stivali neri.

Tirò un lungo sospiro guardando la sua immagine riflessa nello specchio e a voce bassa proferì,

-Elena puoi farcela, vinci questa sfida.- provò ad incoraggiarsi, sorridendo allo specchio mentre nella testa idee assurde circolavano e la cosa ancora più incredibile . . .la stavano convincendo.

 
***
La giovane contessina balzò fuori, uscendo dal castello e indirizzandosi verso il  giardino ove un servo manteneva le redini di un cavallo.

-Vostra grazia, è di vostro gradimento?- domandò cordiale  notando il malessere della giovane.

-Sì, tante grazie.- rispose gentile lei asciugandosi ancora il viso umidiccio.

Infilò la punta del piede nella staffa, la terra appiccicosa aveva già imbrattato l’orlo della pregiata stoffa blu.

-Posso esservi di aiuto?- il valletto si sporse, tenendo ancora le redini ben salde per evitare un probabile imbizzarrimento del quadrupede.

-No, non ce n’è bisogno- lo rassicurò subito Elena, dandosi lo slancio sulla sella per sedersi a cavalcioni.

-Ehm. . . forse volete. .. – suggerì lo stalliere indicando l’ampio groviglio di gonne attorcigliato alla sua esile figura.

-Oh, sì, grazie. . . – rispose Elena un po’ imbarazzata, contorcendosi sulla sella per sistemare la parte posteriore dell’abito e del mantello che si allargavano di traverso sulla groppa del cavallo.

-So che non è adatto questo tipo di abbigliamento, ma ho messo la prima cosa che ho trovato.-  proferì giustificandosi. Si sistemò meglio, compiaciuta di essere stato tanto accorta da indossare un mantello per la cavalcata; il freddo scozzese era capace di stroncare subito.

A dispetto delle pesanti falde del mantello, dopo il caldo eccessivo del castello ,Elena rabbrividì nell’aria fredda invernale.L’abito che le impediva di cavalcare come si rispetti ,aveva un filo d’argento che formava la trama del tessuto, così il vestito luccicava a ogni movimento, ma la stoffa leggera offriva poca protezione dalle intemperie. A Herthford   era tutto più semplice, gli abiti erano più dimessi e pratici. Le stoffe regali, invece,rappresentavano tutto ciò che odiava della vita di corte: la vanità, le costanti critiche, i battibecchi delle dame di donne nobili. Un disagio completo.

Pensandoci ,non era affatto pentita  di ciò che aveva detto al principe la sera precedente:  non era  interessata né al lusso né ai galà, e le sarebbe piaciuto aggiungere di non essere interessata neanche a lui, ma sarebbe stata crudele e per quanto Elena volesse cambiare , la cattiveria era una virtù che non possedeva.

-Vostra grazia, cosa dirò al mio signore se mi chiederà di voi?- domandò il servo tremando, le folate di vento iniziarono ad aumentare, ma Elena testarda com’era , le ignorò.

-Rispondete di non saperlo.-  proferì calma accarezzando la criniera del purosangue.

Abbozzò un sorriso e con un leggero tocco, il cavallo partì. Elena non conosceva la Scozia, non sapeva dove dirigersi, ma non si preoccupò di smarrirsi;qualsiasi luogo sarebbe stato meglio di quello che aveva appena lasciato.

I capelli  della giovane fanciulla ondeggiavano fluenti dietro le sue spalle coperte a malapena dal mantello che la ostacolava più che farla sentire a suo agio. Aveva decisamente freddo, e la brezza provocata più dalla cavalcata inarrestata che dal tempo stesso, quale si dimostrava alquanto temperato per il periodo dell'anno in cui si trovavano a vivere, le penetrava fin dentro al cuore gelido anch'esso.

Voleva sentirsi libera, proprio come quell’uccello che prima della sua partenza si era appollaiato sulla finestra della sua camera.

Voleva essere libera come il vento. Respirare a pieno quell’aria che anche se gelida le faceva bene, le faceva dimenticare tutto.

Riuscì a non piangere e questo fu un passo avanti, decisamente importante. Non avrebbe mai sconfitto gli ideali del principe se avesse continuato a tenersi tutto dentro. E infatti , si auto-convinse  a non arrendersi.

Gli zoccoli del destriero continuavano a sprofondare nel terreno umidiccio , le sembrava di volare. Guardò il cielo, non era dei migliori, ma dopotutto quella era la Scozia a gennaio.
Sorrise anche se non c’era nulla di emozionante, stava per cadere in una delle più rovine : sposarsi.

Quella cavalcata fu l’occasione migliore per conoscere quel paesaggio che aveva molto da invidiare:boschi, tanti prati, fiori. . . e quegli alberi enormi, alberi di. . . ciliegio.
Non era molto ferrata in botanica, ma dei fiori di ciliegio aveva letto qualche racconto di istruzione: chiamato anche ciliegio degli uccelli o ciliegio selvatico ,  era un albero appartenente alla famiglia delle Rosacee, originario dell'Europa in particolare delle Isole Britanniche fino alla Russia, passando per la Francia, Penisola Iberica, Italia, Germania fino a tutto l’est in zone montuose e in alcune zone montane fredde dell'Asia minore.

Vari tipi di ciliegio vi erano, ma quelli che colpirono Elena avevano una tonalità bianca e rosea, indice di purezza e  grazia.
Ordinò al cavallo di fermarsi e studiò quell’albero che tanto la rispecchiava. La chioma fiorente e maestosa si contrapponeva alla fragilità apparente del tronco, invecchiato, quasi striminzito, sebbene fosse possente, le dava quell’impressione: la corteccia le ricordava le rughe dovute all’invecchiamento, mentre le foglioline tenere e verdi le provocavano un dolce calore nel cuore, suscitando in lei un senso di giovinezza.

In fondo era un po’ così anche lei: giovane e speranzosa come le foglie verdeggianti, ma dal cuore arido e costretto ad invecchiare in modo decisamente differente da ciò che aveva sempre sognato. L’animo destinato a morire da solo, nel vuoto, mentre il suo corpo rimaneva immobile in quello stato di inebriante purezza e gioventù.
 Notò strani movimenti dietro l’arbusto dai fiori candidi e con decisione un po’ sprovveduta decise di scendere; prese le redini del cavallo, trascinandolo con sé vicino al tronco. Stava agendo d’istinto. Era fatta così: prendeva decisioni apparentemente affrettate, su cui, in realtà, aveva riflettuto molto. Una ragazza complicata: impulsiva e riflessiva allo stesso tempo. Un dilemma che risultava complesso da risolvere perfino a lei stessa. Nessuno poteva comprendere la grandezza dei suoi pensieri, un qualcosa di magico incastrato tra tutte quelle idee un po’ folli. E come ogni forma di magia, necessitava di persone abili nel capirla, e nel credere in lei.

Avanzò cautamente , annodò le redini del quadrupede ad un ramo fortificato e alzando le gonne si avvicinò.

Dinanzi ai suoi occhi si presentò un’immagine dolorosa, una fanciulla dagli abiti regali era inginocchiata dietro ad un cespuglio, piangendo, non riuscendo a calmarsi.

Aveva la testa tra le mani ed era sprovvista di mantello, Elena era ben coperta eppure il freddo le penetrava nella pelle, incastrato tra le ossa. Il gelo la affaticava, le rallentava i movimenti e la faceva più goffa di quanto fosse. Le mani le facevano male, le bruciavano, quella sensazione che si prova con la tagliente aria invernale a cui era sottoposta. Non osò immaginare cosa la giovane bionda provasse.
Eh sì, la ragazza piangente aveva una bella chioma bionda, la pelle pallida e un abito semplice color arancio con sfumature giallo ocra. Notò sul vestito delle chiazze più scure: bagnate. Sulla gonna si presentavano delle parti di tessuto bagnate dalle lacrime, stava piangendo da molto. Aveva gli occhi gonfi e a causa dell’arrossamento si notava appena il blu profondo che le accendeva lo sguardo triste, sconsolato e privo d’ogni barlume di speranza. Un oceano in tempesta. Pareva essere più gelida di quell’aria che tanto aveva causato preoccupazioni ad Elena in un primo momento sul conto della giovane. Cuore spezzato, forse poteva comprendere benissimo lo stato d’animo della fanciulla.

-Tutto bene?- sussurrò la contessa temendo una risposta scorbutica.

La giovane tremò, s’alzò di scatto e si allontanò.

Elena sporse le mani in avanti in segno di resa e innocenza. Non voleva farle del male.

-Tranquilla, non sono un nemico, sono soltanto preoccupata … - ammise con voce pacata avanzando a piedi di piombo.

La giovane bionda sorpresa da quella parole ebbe il coraggio di scostare le mani dal viso, scoprendolo.

-Lo so, vi conosco bene,- sbottò sicura la bionda con aria disgustata.

-Purtroppo non ho il piacere di dire lo stesso,- rispose Elena titubante e allo stesso tempo sarcastica.

-Siete la contessa di Herthford, promessa sposa di Alfred Grayson principe di Scozia,- rispose ammirevolmente la giovane.

Elena rimase stupita , era tutto così strano. Sin da sempre  era una ragazza che passava  inosservata, come faceva la dama a sapere tutto? Non era mica presente al galà?

-Alfred Grayson principe di Scozia è mio cugino, - ammise, sembrava che avesse letto nei pensieri della contessa.

-Sono Caroline Smith , duchessa del piccolo regno di Irlanda. – disse presentandosi. Ad Elena non diede buona impressione, sembrava una nobile a tutti gli effetti: viziata, piagnucolona  e capricciosa.

Odiava dare dei giudizi affrettati, ma si era rivolta a lei con tale tono che faceva pensare di essere su un piedistallo.

-E’ inutile che mi presenti,- sospirò Elena fissando l’erba per poi riportare lo sguardo su Caroline.

-Perdonate la mia scarica di rancore, non so cosa mi stia succedendo.  Odio a morte mio cugino!-  esclamò la duchessa cercando di calmare il respiro agitato.

-Se è per questo anche io,- ammise Elena ritornando alla tristezza che aveva abbandonato solo pochi attimi prima.

-Ma voi diventerete sua moglie,- ribatté  Caroline incredula , iniziava ad avvicinarsi.

-Appunto, non ho mai incontrato uomo più viscido di vostro cugino. . . perdonate la franchezza.- sputò Elena tutto ciò che provava: ripudio.

-Vi capisco lady,-  acconsentì la bionda,

-un  telegramma mi ha fatto abbandonare la mia terra e recarmi qui, al freddo. . . ma soprattutto a maritarmi con un uomo che non amo. –

-Per ordine di mio cugino, dice che siamo in fallimento e devo sposare un francese altrimenti ci dichiareranno guerra,- spiegò sbuffando,

Elena si rispecchiò completamente: il telegramma, sposarsi con uomo che non amava. Quante congruenze!

-Il problema è che il mio cuore appartiene ad un altro...- ammise con aria sognante , le si presentò in volto un sorriso che era capace di illuminare anche un sentiero oscurato.

-Ah sì?- domandò Elena sorridendo a sua volta.

-E’ un contadino, ma ha il cuore d’oro. – continuò con aria trasognata, stringendo le mani al petto, come se stesse stringendo il suo amato.

-Siete strana duchessa. . . prima dite di odiarmi e ora mi svelate il vostro amore per un uomo povero,- Elena era abbastanza frastornata, era abituata a personaggi instabili, ma  non li aveva incontrati in realtà ,solo nei libri.

-Avete detto di odiare mio cugino ed è abbastanza.- accennò un sorriso di incoraggiamento che Elena interpretò come inizio di una vera e interessante conoscenza, chi sa forse sarebbe potuta diventare una bella amicizia, in fondo di cose in comune ne avevano.

 Nonostante il freddo decisero di incamminarsi verso quei prati che  anche se coperti dal vento gelido non perdevano la loro bellezza.

Elena amava la campagna, il verde. . .ma tutto ciò , distava pochi passi dal paese. A Herthford poche volte  si era recata con sua madre al villaggio, spesso era donna Annalisa che le procurava abiti ,proprio come aveva fatto prima della partenza.

Caroline iniziò a confidarsi molto, al punto che Elena si ricredette interamente del pregiudizio che le aveva appeso come una prima etichetta.

La giovane bionda era molto diversa da suo cugino, al punto di pensare che fosse umile. Lo era, altrimenti non si sarebbe commossa quando raccontava ad Elena le condizioni disumane dei cittadini.

-Ha aumentato incredibilmente le tasse, i mercanti sono falliti. . . e i poveri sono sempre in aumento.- enunciò Caroline rabbrividendo.

-Immaginavo che fosse un mostro, ma non  fino a questo punto.- ribatté Elena sempre più sdegnata. Si fermò decisa, mettendosi dinanzi a Caroline,  e sbottò

-Devo fare qualcosa,-  i suoi occhi erano accesi , pieni di rivincita.

-Di che genere?- sgranò gli occhi la bionda temendo in una probabile pazzia di Elena. La conosceva da pochi istanti e già aveva capito il suo carattere instabile e complesso.

-Riesci a tornare al castello da sola?- domandò prontamente quasi come se dovesse fare qualcosa di essenziale.

-Sì, sta tranquilla, ma dove stai andando?- domandò Caroline allibita mentre Elena correva verso il cavallo.

-Ho bisogno di vederci chiaro,-esclamò dando ordini al cavallo di camminare.

-Sei sicura di cavartela  da sola o preferisci che ti porti al castello ?- domandò Elena preoccupata e dedita a quella ragazza che conosceva da poche ore.

-No, sta tranquilla. . .a breve verrà James.- rassicurò la bionda, e quasi  coordinato da non lontano sbucò una figura d’un uomo che correva nella loro direzione come un pazzo, un uomo pazzo d’amore.

-Caroline, Caroline- urlava pieno d’amore.

La bionda lasciò la contessina come una sciocca, da sola, avvicinandosi a passi d’elefante al suo amore. Elena non diede importanza a quel gesto che poteva risultare come mancanza di rispetto, era felice,

-Finalmente quegli occhi blu sorridono un po’- disse a sè stessa,indietreggiò e senza avvisare andò via.

 
***

Mentre cavalcava le parole della giovane amica risuonavano come martellate, che coraggio aveva quel principe orribile? Chi sa quanti bambini soffrivano la fame e chi sa. . .quanti ne morivano. Doveva ribellarsi, per rivendicare la sua libertà e quella del popolo.

Non le importava, restava determinata nella sua folle corsa verso la ribellione. Non era giusto, nulla lo pareva: il principe che s'arricchiva sempre più dei beni del popolo, quale ogni secondo veniva spremuto e condotto alla povertà e alla miseria da una prepotenza inaudita. Elena non poteva che provare rabbia. Sì, era adirata, terribilmente, per ciò che i poveri contadini dovevano subire; per mano, tra l'altro, dell'essere spregevole che sarebbe stata costretta a sposare. Non si era mai sentita così, quell'impulso di voler insorgere, di voler fare di più, una strana sensazione che le fioriva nello stomaco, una bomba, talmente potente che, una volta scoppiata, avrebbe causato terribili danni alle persone che le sarebbero state d'intralcio. Deglutì più volte, con gli occhi fissi sulla strada in terra battuta che stava percorrendo.

 Probabilmente non aveva mai corso tanto a cavallo in vita sua. Il suo sguardo era gelido e infuriato, animato da un'inespressività agghiacciante e spaventosa. Non s'era mai ritenuta prima d'allora capace di poter fare una cosa simile, capitanare una ribellione, addirittura, non era ciò che si sarebbe potuto aspettare da una dolce e nobile fanciulla educata per ambire a titoli importanti come quello di principessa. le veniva quasi da ridere: la futura principessa che aizzava la folla a combattere per i propri diritti contro il principato, cose da matti.

Era destinata a grandi cose, sì, lo avevano sempre saputo tutti, solo non avevano colto in pieno il senso di grandezza che le si addiceva. La forza d'animo della fanciulla era talmente evidente da sovrastare ogni altra forma di incertezza che provava ad insinuarsi dentro di sé. Non aveva paura delle conseguenze, forse perché ormai non aveva nulla da perdere. il rumore degli zoccoli del cavallo continuavano a susseguirsi ritmati fin quando non iniziò ad intravedere le prime case.

Riordinò al cavallo di fermarsi e l’animale la obbedì senza fare storie. Scese frettolosamente , legò le redini ad un palo e una volta essersi assicurata che il cavallo non sarebbe potuto scappare, si diresse verso un ampio spazio, doveva essere la piazza.

Le case erano edifici non abbastanza sicuri, qualche folata di vento più forte avrebbe potuto portare via i tetti. La strada aveva  frammenti di pietra, la maggior parte della gente aveva pantofole bucate, il tasso demografico era in forte calo, il freddo e la fame troncavano la vita di molte persone.

I bambini  spaventati dai tuoni correvano a piedi scalzi dirigendosi nelle rispettive case, un forte temporale era in arrivo, ma ad Elena non importò.

I mercanti avevano sulla loro bancarella verdure e carne, ma erano tutte lì. . .non avevano venduto nulla.

Quel tempo scuro e grigio, Elena lo attribuì all'animo di quella povera gente,rassegnata oramai a quella sofferenza che sarebbe cessata solo il giorno della loro morte ,ma non era giusto , anche loro avevano diritto ad uno spiraglio di luce .

S’ assicurò di mettersi al centro della piazza in modo che tutti potessero sentirla.

-Cara gente,- urlò timidamente, era spaventata, ma lei che era piccola e indifesa sapeva che sarebbe riuscita in grandi cose.

-Spero che possiate capire la mia lingua,- proferì mentre il vento innalzava la polvere ostacolando la vista.

La gente si avvicinò incuriosita, mentre qualche mercante soprattutto macellai agitavano in mano utensili appuntiti, innervositi.

-Sono Elena Hemsworth, promessa sposa del vostro principe,-  deglutì sperando che i cittadini non interpretassero male il messaggio,

-Sono venuta a conoscenza delle vostre condizioni davvero disumane e non sono d’accordo- enfatizzò dando più valore alle parole pronunciate,

-Dovete ribellarvi, soltanto uniti, il principe ascolterà le vostre richieste!- Elena non aveva mai fatto una cosa simile in tutta la sua vita, eppure sembrava che come prima volta andasse tutto bene. La gente sembrava capirla e la maggior parte facevano cenni di si con il capo. Erano d’accordo?

-Non perdete il vostro tempo , donna. . .noi diamo tutto il nostro denaro al principe, ma se potessimo ucciderlo. . . – un uomo che esercitava la professione di macellaio parlò, la sua voce rozza.

Elena deglutì, forse non proprio tutti erano d’accordo.

-Gentiluomo, - disse spiegandosi bene le gonne,

-Non sono come il principe altrimenti non sarei qui ad incitarvi a ribellarvi, non credete?- domandò cauta con tono gentile.

-Non ci interessa, il principe per anni ci ha mentito, ci ha riempito di baggianate, ci ha promesso l’oro , ma  ci ha tolto tutto.- ribatté l’uomo tenendo un’ascia in mano.

Elena non si scoraggiò.

-Io non sono lui, sono cresciuta con dei valori. . . e se non volete affiancarmi, combatterò da sola.- proferì inaspettata, si rese conto in seguito della gravità di ciò che aveva detto.

Una donna trasandata venuta da lontano iniziò ad urlare ,

-Scappate, le guardie, le guardie stanno venendo ad ucciderci,-

Tutti fuggivano chi a destra chi a sinistra, ognuno nelle rispettive abitazioni. C’era chi preso dal panico andava ad urtare con le bancarelle, pali o animali.

Elena per un momento rimase ferma, poi si diede alla fuga, indecisa su quale strada prendere.

Qual era quella strada che le avrebbe evitato la morte? Poi un colpo di genio arrivò, si nascose frettolosamente dietro un’ abitazione dove a pochi passi iniziava il bosco.

S’appiccicò  alla casa di legno, non accorgendosi di una scheggia di legno abbastanza affilata che squarciò la guancia sinistra, toccò la ferita e  quando  riscostò le mani, queste erano impegnate di sangue,digrignò i denti e socchiuse gli occhi per assicurarsi che nemmeno una lacrima le rigasse il viso.  Si rilassò un attimo sentendo dei passi avvicinarsi e poi allontanarsi, ma sbagliò.

Una mano sudaticcia le tappò la bocca.

 -Presa. - le tuonò una voce rozza nell'orecchio. Era tra la gente e un attimo dopo si ritrovava ad essere strattonata senza riguardo o delicatezza. Non s’aspettava affatto d’esser presa in assalto, sgranò gli occhi inondati dalla sorpresa e successivamente dal terrore. Non aveva notato arrivare l’uomo che la trascinava via senza troppe cerimonie, lontano dalla folla. Di agilità e capacità a camuffare i suoi passi silenziosi, proveniva dalle spalle della fanciulla,  la giovane non avrebbe potuto accorgersi della sua presenza.

Un violento panico le serpeggiò nelle membra e il sangue le si gelò per il terrore, accentuato. Strattonò le spalle prima da un lato , poi dall'altro, nel tentativo di divincolarsi dalla formidabile stretta del suo rapitore, che però continuava a tenerla senza scomporsi. Per quanto Elena tentasse di liberarsi, i suoi tentativi si dimostravano vani e non facevano altro che affaticarla. Si stavano dirigendo verso il bosco e un ripugnante puzzo di terreno umidiccio, mescolato a un tanfo di grasso rancido assalì le sue narici.

Stava per succedere, non l’avrebbe mai immaginato, cioè sapeva il rischio che correva aizzando una rivolta, ma non s’aspettava di esser scovata così velocemente. L’avrebbe consegnata alle autorità, sarebbe stata giustiziata, probabilmente.

Non aveva paura di morire, ma provava rabbia. Perché? Perché doveva finire così? Perché non poteva esserci il dannato colpo di scena che esisteva nei libri di cui si alimentava? Perché la realtà era così dura e diversa?

Dopotutto avrebbe ancora potuto provare a divincolarsi, si disse, sebbene si dimostrava tutto inutile. Si sarebbe fatta rispettare. Se lo promise. Così fece in modo di esternare tutto il risentimento che provava urlando e scalpitando:

-SMETTETELA! Vi ordino di lasciarmi andare! IMMEDIATAMENTE! Mi fate pena,lo sapete?! Lavorate per quello stupido principe, un ladro e voi con lui! Non pensate , naturalmente a ciò che deve  passare la gente per arrivare a pagare le vostre inutili tasse, il principe è ricco, non ha bisogno dei soldi dei cittadini, che , per un minimo guadagno necessitano di giornate intere di lavoro DURISSIMO. SI SPEZZANO LA SCHIENA PER PAGARE IL PRINCIPINO!Oh sì, perché lui fa tutto quello che vuole, NATURALMENTE! Ozia dalla mattina alla sera nella sua bella campana di vetro, anzi, d’oro. IO MI VERGOGNEREI A LAVORARE PER LUI! LASCIATEMI! NON STO SUPPLICANDO, NON LO FAREI MAI, SAREBBE PATETICO, SUPPLICARE.- ridacchiò senza umorismo, poi riprese fiato e ricominciò a parlare,

 -IO VE LO STO ORDINANDO! NON SUPPLICO NESSUNO, NE’ TANTO MENO UN LURIDO VERME COME VOI! VI ODIO. VOI E IL VOSTRO PRINCIPE, VI AUGURO UNA MORTE LENTA E DOLOROSA, ANCORA PEGGIORE DELLE TORTURE A CUI CONDANNATE QUELLA POVERA GENTE. LASCIATEMI SE NE AVETE IL CORAGGIO! VOI NON SIETE UN UOMO, SIETE UN MOSTRO!- gli colpì il ginocchio destro con un calcio che scompose il giovane per qualche secondo. Poi, riprendendosi, prima che ella potesse sfuggire dalle sue braccia, la afferrò in vita tirandola a sé e bloccando il suo corpo servendosi del fusto dell’albero più vicino, con premura. Non le fece male, l’aveva fatta girare in un modo etereo, con tanta facilità da non provocare nemmeno in Elena un certo istinto di ribellione.

S’era lasciata maneggiare, perché qualcosa dentro di sé le diceva che quella era la cosa giusta. E ancora una volta si ritrovava imprigionata tra le braccia di un ragazzo, ma questa volta era diverso, non provava smarrimento, o disgusto, si sentiva al sicuro. Tra quelle braccia aveva la sensazione, adesso che la reggevano con più riguardo e delicatezza, d’essere a casa. Il suo rapitore la rassicurava, in un modo ignoto la faceva sentire al sicuro come mai s’era sentito. Perché, in fondo, sebbene fatichiamo ad ammetterlo specialmente a noi stessi, tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci conforti, e che ci protegga. Per sentire quel senso di forza, di invincibilità. Adesso lei si sentiva così. Alzò lo sguardo deglutendo per scorgere il volto dell’uomo ancora coperto dall’elmetto. Sentiva il petto di lui contro il suo e riusciva ad avvertire sotto quell’armatura il battito del cuore accelerato. Anche il suo lo era. Si accorse d’essere in apnea, trattenendo il fiato, non riusciva a capirne il motivo.

-Shh…- sussurrò lui,

 -State delirando. Io odio il principe almeno quanto lo odiate voi.- bisbigliò. E lei ne rimase scossa. La voce di lui era sicura e dolce, come se quelle parole le stessero carezzando l’anima, non le pareva più rozza, anzi, tutt’altro.

-Certo! Come no! E voi volete che io vi creda!- rise, riprendendo il controllo di sé
-Se lo odiate così tanto perché mi avete portata via? Voi mi avete rapita! Mi consegnerete a lui e dite di odiarlo!- riprese ad urlare lei.

-Vi sbagliate.- ridacchiò lui, lasciandole la vita e portandosi le mani al capo per privarsi dell’elmetto. Lei voleva scappare, ma rimase immobile, non riusciva a muoversi, certo avrebbe potuto farlo, adesso, ma qualcosa la bloccava. Sentiva uno straordinario bisogno di vedere il volto di colui che l’aveva trascinata lì con modi così poco signorili. Non ne conosceva il motivo.

Lui lasciò cadere l’elmo a terra e lei sgranò gli occhi restandone stupita. Non era possibile. Stava sognando.
–Io non sono venuto per rapirvi, o per consegnarvi, no, non lo farei mai, credetemi, mai. Sono venuto da voi per soccorrervi. Per salvarvi.

-Salvarmi?- gli fece eco la ragazza con un filo di voce, scossa ed incredula di aver ritrovato quelli che come due smeraldi al sole luccicavano ancora di più. I suoi occhi, il verde più profondo che avesse mai visto. Il suo cuore prese a fare le capovolte, ma si costrinse a far restare la sua espressione immutata. Non voleva apparire debole, si preoccupava sempre di ciò: voleva essere l’eroina della sua storia, del libro che respiro dopo respiro tracciava con la sua storia e con la maniera in cui agiva.

-Sì, chiunque combatte per il giusto,merita di vivere e poi...mi sembra di avervi già vista .. beh, lasciate perdere ciò che ho detto, comunque. . .come sono arrivato io a conoscenza di questa rivolta presto avrebbero conosciuto tutti la verità, e non avrei mai potuto permettere che vi facessero del male. Sono venuto per farvi fuggire, fuggire da loro. Io non lavoro per il principe, lavoro per la giustizia, per quello che sento e ciò che provo è un forte bisogno di tenervi al sicuro dalla gente che vi vuole dietro le sbarre, o peggio.- spiegò lentamente lui e lei sentì il suo cuore sciogliersi come un ghiacciolo al sole. Lui era il suo sole. Non sapeva cosa rispondergli, era restata completamente imbambolata con lo sguardo perso nel suoi occhi e un lieve accenno di sorriso sulle labbra. Non riusciva a dire nulla, non faceva altro che starsene immobile a contemplarlo. Non gli sembrava vero: aveva ritrovato quegli occhi che s’erano insinuati così velocemente nelle profondità del suo cuore non lasciandolo mai.

 S’era aggrappata al ricordo di essi e rivederli era quasi impossibile da credere per lei. La speranza che la trascinava avanti, probabilmente. Era quella la sua salvezza, ma al tempo stesso la sua rovina: lei non poteva provare alcun tipo di sentimenti verso il ragazzo che le stava di fronte. Avrebbe dovuto amare solo e sempre il principe Alfred; la persona che al mondo più detestava. Aveva avuto il suo colpo di scena, come nei libri. A volte può dimostrarsi estremamente sorprendente quanto quegli eventi che paiono così distanti dalla realtà possano apparirci straordinariamente ordinari.

 Non sono eccezioni, basta solo saper sognare, e vivere con le persone giuste. E lei sentiva che era lui la persona giusta, una di quelle persone che sentiva di voler tener strette al cuore, per sempre, e non lasciarle andare; o, lasciarle andare nell’attesa del loro ritorno, perché sapeva perfettamente che se l’avesse allontanato lui sarebbe tornato. Istinto, o qualcosa d’ancor più profondo. Lo sentivano entrambi, li legavano sentimenti che vanno ben oltre un semplice senso di giustizia, come lui s’era limitato ad ammettere, o un istinto insensato, come lei definiva ciò che animava il suo cuore alla vista di quello sguardo, di nuovo.

Non potevano vivere l’uno senza l’altra erano essenziali 
eppure nemmeno si conoscevano, cosa che appariva ancora più straordinaria visto che senza minimamente esitare lui era corso da lei in suo soccorso; lei sapeva solo che lui l’aveva salvata. I loro sguardi erano carichi d’ogni emozione: paura, incertezza, dolcezza, tenerezza, conforto, gioia, ma, soprattutto, speranza.

-Perdonatemi.- sussurrò poi, riprendendosi: -Non avrei dovuto accusarvi.-  proferì Elena con tono mortificato, e distogliendo lo sguardo.

-Ma figuratevi, anzi sono io che vi devo delle scuse, per avervi trascinato via così sgarbatamente. Scusatemi, ma ero preso dalla preoccupazione e dalla smania di portarvi via da quell’inferno.- deglutì.

-Non avrei proprio dovuto urlare in modo così … così … - si rimproverò, ignorando le parole di lui.

-Sh, non preoccupatevi affatto, anzi, vi dirò di più: la vostra reazione non ha fatto che crescere l’ammirazione nei vostri confronti. Siete una ragazza forte, ma avete pur sempre bisogno d’un braccio destro.- le adagiò con cautela una mano sulla spalla, lei aveva il capo chino per restare lucida e così evitare lo sguardo di lui, che si morse il labbro inferiore e poi, con fare premuroso disse a voce bassa,
-Siete ferita, lasciate che vi medichi.

Lei dovette rialzare il capo,arrossendo.

 -Non preoccupatevi non è nulla.- balbettò, ma era troppo tardi, lui le stava già carezzando la guancia evitando la ferita per lavare via il sangue.

Al suo tocco sentiva scariche di elettricità diffondersi in lei in due sensi: dal suo animo puro e colmo di passione verso il resto del corpo e, allo stesso tempo, dalla parte di pelle che lui sfiorava verso l’interno. Si mordicchiò il labbro anche lei e lui sospirò:

-Seguitemi, arriviamo al mio destriero, lì ho dell’acqua, abbastanza da dissetarvi e per pulire la ferita.- lei annuì  incerta accennando un lieve sorriso,

 -Grazie.- sussurrò con voce rotta dall’emozione. Quell’incontro non era stato dato dal caso, forse la vita di Elena era un altro libro che qualcuno stava narrando.


HO BISOGNO DI ESSERE LETTO!

Spazio Autrice:

Carissimi lettori, premetto:tengo molto a questo capitolo e spero che ci siano pochi orrori xP ma in fondo credo vi colpirà, a me è successo. Domande che tengo a farvi: cosa ne pensate dei nuovi personaggi? Dovevano entrare in scena diversamente? Il momento piú toccante? Vi è dispiaciuto il fuori scena di Marie e Josè e...in questo capitolo vi è mancato Alfred? Un grazie speciale va a voi, che mi sostenete e mi riscaldate sempre l'animo. Vi voglio bene e spero di sentirVI :) Fatemi sapere! Ps: Sono 14 pagine :p
 
 
 
 


 
 

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Capitolo 6
*** Quinto Capitolo. ***


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Ho lottato invano.
Non c'è rimedio.
Non sono in grado di reprimere i miei sentimenti.
Lasciate che vi dica con quanto ardore io vi ammiri e vi ami.
Orgoglio & Pregiudizio,Jane Austen

 
Quinto Capitolo  


Alfred controllò l’orologio per l’ennesima volta,facendo scattare il coperchio d’argento con il pollice.

« Non è uscita da molto, vostra altezza …» gli fece notare Lorry, il valletto.

Il nobile annuì, cercando di calmarsi. Temeva che la sua promessa sposa fosse fuggita, come darle torto, al galà era stato abbastanza inopportuno.

Inaspettatamente, qualcuno bussò alla porta.Alzò gli occhi speranzoso, aspettandosi lei, in tutta la sua bellezza, purezza, ma si ritrovò i suoi soldati con facce promettenti qualche catastrofe.

Iniziò a pensare al peggio, ma con un ghigno rabbioso scacciò  le cattive immaginazioni. Aggredì la truppa, aveva intuito tutto prima che loro parlassero.

« L’avete trovata? » domandò nervoso, sperava in un si, ma si aspettava una risposta negativa. Camminava speditamente per la camera, irrequieto.

« No vostra altezza. . . » diede risposta il soldato dinanzi a tutti gli altri, togliendosi l’elmo.

«C’era una rivolta in paese e troppa confusione » continuò un altro, cercando di discolpare sé stesso e i suoi compagni.

«Rivolta? Sai quanto mi interessa di quegli uomini inutili? » dominato dalla rabbia urlò  come un pazzo, scaraventando per aria tutte le cartocce , che pochi attimi prima erano sulla sua scrivania.

«Ho capito tutto, massa di idioti! E’ evidente che senza un pastore, le pecore fanno quello che vogliono! »  sbottò adirato, scoppiando poi, inspiegabilmente in una risata. Stava pensando in che modo punire il reggimento o stava impazzendo?

«Voi siete le pecore e Marco il vostro pastore,ora ciò che mi domando è. . . » proferì  con tono più tranquillo, s’avvicinò al soldato più vicino,e con espressione macabra  sibilò,

« Dov’è costui? »  i soldati si lanciarono occhiate inespressive e spaventate,nessuno seppe dargli risposta.

Alfred osservava uno ad uno quegli uomini che aveva dinanzi , li reputava più inutili del letame, anche se all’epoca  gli escrementi degli animali erano  utilizzati come concime ,un ottimo fertilizzante.

Sdegnato non proferì un ulteriore rimprovero, era inutile. Tutti stavano perdendo tempo e di  Elena ,nessuna notizia. Poteva essere ovunque , con chiunque, persino in fin di vita.
Il silenzio fu presto rimpiazzato da un  rumore di passi. Qualcuno irruppe all’interno della stanza, con passo accelerato. Era un altro uomo della truppa, abbastanza diligente, e come Marco, non aveva mai deluso il principe Grayson.

«Che cosa succede Elton? » indagò il reale tutto d’un fiato, inarcando un sopracciglio.

 «Vostra altezza, non abbiamo traccia della contessa, ma ho degli elementi che possono aiutarci … » proferì intimorito, preparandosi ad  un richiamo dal suo superiore.

«Mentre la mia futura sposa è scomparsa,chi sa in quale guaio si è cacciata...pensi a degli elementi che forse sono infondati?» urlò l’ultima parola , digrignando a denti stretti e fissando dritto negli occhi il nuovo entrato.

«Altezza, credo che per giungere alla verità,  non bisogna bruciare le tappe. Prima di andare alla ricerca della vostra sposa, ho controllato tutte le stanze inclusa la stalla, e ho notato l’assenza  del purosangue arabo bianco . . .o meglio mancava » enunciò il soldato, mostrandosi sicuramente a conoscenza dei fatti più dei suoi compagni.

«Cioè? » chiese inquieto Alfred, facendo una melodia piuttosto fastidiosa, alzando e abbassando di poco il piede.

« Lo abbiamo trovato, ma di lei nessuna traccia. . . » replicò, affievolendo la voce sull’ultima frase.

Alfred continuò a tacere con aria sempre più pensosa. Continuava a fissare il vuoto. Amareggiato.

«Illuminaci Elton, cosa diamine può essere accaduto?»  domandò ironico,cercava di mantenere la calma, ma proprio non ci riusciva. La scelta migliore era rimanere in silenzio e sentire le baggianate del suo soldato. Era sicuro che fossero stupidaggini.

«Una verità forse c’è ,solo che dubito vivamente che possa ess-» il militare fu subito troncato dall’impazienza di Alfred, il quale, lo obbligò a sputare subito il rospo, senza troppi giri di parole.

«Un contadino mi ha riferito che una giovane, con un cavallo di razza, ha richiamato l’attenzione di tutti, mettendosi al centro della piazza, » il giovane deglutì, lo sguardo di Alfred iniziò ad incupirsi.

« poi ha detto di essere Elena Hemsworth, si è presentata come vostra promessa sposa, e ha incitato la folla a ribella-» il principe lo fermò , alzando leggermente la mano in segno di “ basta così”.

Si voltò lentamente dando le spalle  sia al valletto che per tutto quel tempo era stato in silenzio, sia ai suoi soldati.

Uno come lui era stato umiliato da una donna? Una ragazzina in giovane età dal carattere ribelle ,gli aveva mancato così tanto di rispetto?L’avrebbe punita, in un modo atroce. Doveva solo pensare come e a trovarla.

 Ordinò a tutti di lasciare la stanza ad eccezione di Elton.

«Non immaginavo fosse capace di compiere un atto così esecrabile » mugolò il nobile incredulo, fissando con sguardo perso ciò che avveniva oltre la finestra.

« Perdonatemi vostra altezza, non osavo offendervi, vi ho riferito solo ciò che mi hanno detto, » balbettò il giovane mercenario.

 Colpito da un nuovo attacco d’ira , Alfred si voltò violentemente e prese per il collo il suo combattente,

« Non voglio né scuse né implorazioni, devi trovarla, » scandì da far ibernare, continuando con un

« chiaro? »per enfatizzare il senso di quella frase , colma di odio , disonore e disprezzo. Lasciò il colletto del soldato, che terrorizzato non ebbe neanche la forza di parlare,fece cenno di sì con il capo ,e accennata la riverenza abbandonò la stanza.

In contemporanea all’uscita di Elton, Lorry entrò con fare precipitoso. Temeva che il principe potesse impazzire e cercò in tutti i modi per evitare una simile tragedia.

« Vostra eccellenza, » sussurrò accondiscendente,

«Non voglio essere disturbato»dichiarò Grayson,con il viso contorto per la rabbia. Il maggiordomo stava per ubbidirgli  , ma Alfred ci ripensò,

 « Riferisci a quei  sbilenchi che entro questa sera la contessa deve essere qui, ne vale la loro vita. »

Il valletto deglutì.

Chi tradiva il principe o il regno, veniva allontanato, imprigionato ,senza avere le principali attenzioni: nessuno che gli portasse acqua o del cibo. Poi, decisa una data-sempre ordita da Alfred -, venivano uccisi: chi ghigliottinato, chi sbranato da bestie orribili o chi, non riuscendo a sopportare ciò, si suicidava.

Per loro, non c’era speranza, solo la morte. Lorry abbandonò la stanza con immenso sollievo.

«Non può fare quello che vuole, uscire senza neanche avvisarmi! »continuò a dire a sé stesso,contraendo le labbra, irritato, mentre la sua voce riecheggiava nella stanza. Era rimasto da solo,non solo in quell’istante, lui si reputava così sin da sempre. L’unica donna che veramente aveva amato era sua madre, morta quando aveva solamente nove anni. Da allora, il padre lo aveva affidato ai militari. Aveva appena solo dieci anni e già sapeva combattere. Nulla era strano, quelle erano le regole:ai maschi toccava combattere per governare e alle donne procreare eredi maschi.

«Sembrava così pura, innocua … un angelo direi, ma con quello che ha fatto, deve essere domata.» continuò a ripetere, estraendo dal cassetto della scrivania, la foto che aveva rivisto tantissime volte; tracciò con la punta dell’indice le labbra di Elena. Pensò alla sera precedente, al ballo, alla naturalezza di lei e alla sfacciataggine di lui.

Nella sua mente vagavano pensieri diabolici, meditava a ciò che avrebbe fatto se lei fosse tornata, come se fosse tornata? Doveva tornare. Alfred Grayson non poteva perdere così stoltamente, anzi … non poteva perdere, non era abituato. Riprese a camminare per la stanza pensieroso ,con la foto di Elena tra le mani e continuando a ripetersi,

«Se è stata davvero lei a capitanare la rivolta, ha coraggio da vendere. » fissò fuori dalla finestra, mentre la speranza di rivedere la sua giovane innocente, si affievoliva secondo dopo secondo.

Il cielo era cupo, simile a una grande cappa grigia e pesante. Minacciava neve, molta di più di quella che era caduta negli ultimi anni.

Il fiume a pochi passi stava per essere coperto da una spessa lastra di ghiaccio, ai cui bordi si addensavano montagnole di neve. Nell’aria vi era nebbia, il terreno sembrava quasi coperto di bianco, e gli alberi erano spogli. I rami scheletrici tendevano al cielo freddo ,in un silenzioso grido, rendendo tutto molto triste. Le folate di vento facevano svolazzare il mantello di Elena, ma non le importava ammalarsi, si sentiva al sicuro,a casa.

I due giovani dagli stessi ideali corsero in direzione del destriero, cercando di essere più veloci possibile. Era in arrivo una bufera.

Lui le afferrò il polso attento a non stringere troppo ,e la trascinò dolcemente nella boscaglia, lontani dal pericolo.

Mentre correva, guidata da quel ragazzo che in carrozza le aveva fatto nascere un sorriso inspiegabile, capì ciò che era successo, o meglio ciò che aveva fatto . «Aizzare una rivolta» , continuava a pensare tra sé. Come aveva potuto? Aveva talmente toccato il fondo da fare una cosa del genere?Se lo avessero saputo i suoi?No, non le importava più. Avrebbe preferito morire piuttosto che sposarsi con il principe di Scozia o meglio, le sarebbe piaciuto fuggire via con quel ragazzo dal nome che ancora non sapeva.

 Il soldato si fermò, lei irrigidì la mascella- intenta a frenare quelle emozioni, quei pensieri, differenti tra loro, ma capaci di metterle l’anima in subbuglio -. Marco si voltò ,permettendole di guardarlo meglio,era: leggermente più alto di lei, i lineamenti del suo viso erano cesellati accentuati dalle ombre della vegetazione, aveva si e no qualche anno in più e i suoi capelli erano di un biondo oro, pochi riccioli .Il  suo sguardo a seconda del sole andava dall’azzurro al verde acqua. Osò guardarlo diritto negli occhi, ma con profondo imbarazzo notò che quei favolosi smeraldi guizzanti , erano già fissi su di lei,  concentrati a scrutare ogni sua piccola mossa. Arrossì abbassando il capo,impacciata.

Gli veniva da ridere,era cosi timida?Eppure prima si era ribellata dandogli persino un calcio al ginocchio.

Continuò a fissarla, paragonando lo sguardo della giovane a quello di un cerbiatto, non solo per lo stesso colore -castano scuro-, ma perché era smarrito ,proprio come quello di una preda che fugge dal suo cacciatore. Abbassò lo sguardo verso il naso,ormai rosso per il freddo glaciale, gli sarebbe piaciuto stringerla tra le braccia, era quello che avrebbe voluto fare, ma «non sempre ciò che si vuole si può.» ripeté a sé stesso,cercando di spazzare dalla mente determinati pensieri. Rammaricato fissò le labbra della giovane,screpolate dal freddo. Quanto gli sarebbe piaciuto accarezzarle!

Era una fanciulla così pura eppure gli suscitava desiderio. La sua, era una bellezza più unica che rara:il suo carattere umile, coraggioso, anche un po’ incosciente e ribelle, non faceva altro che distinguerla. Come Alfred ne aveva conosciute di donne; quelle che facevano la vita , oppure donne infelici  e insaziabili  che gli chiedevano di essere  loro amante. Elena non era così. Le piaceva lottare, e anche se non avesse vinto, non si sarebbe comunque data per sconfitta. Il suo carattere non aveva eguali e neanche il suo aspetto fisico:i suoi capelli lunghi e ribelli le ricadevano lungo la schiena , smossi dalle irruenti folate di vento,l’innocenza di quegli occhi chini verso il basso per l’imbarazzo, le mani tremanti, e quelle labbra … erano capaci di convertire un Santo in un diavolo.La bellezza di Elena era oggetto di desiderio per molti uomini, pensò. Anzi ne era sicuro. Lui era un uomo. Scacciò i pensieri poco casti ,volgendo lo sguardo al suolo. Rimproverandosi silenziosamente di non immaginare  “determinati rapporti”con una giovane casta.

«Tutto bene cavaliere?» domandò la contessina preoccupata, mentre cercava di stringere il mantello a sé, le folate di vento erano in aumento.

«Certamente, la vostra ferita non sanguina più» notò il giovane sorridendo per poi, distogliere nuovamente lo sguardo.

«Ma lasciate che la disinfetti» s’avvicinò al suo destriero e dalla sacca estrasse un foulard , sul quale era inciso lo stemma del regno, lo imbevette d’acqua e cautamente s’avvicinò ad Elena.

«Faccio io, » propose la giovane scoppiando di vergogna.

«Non sono d’accordo, se penso a come vi ho trattato» enunciò con tono rimproverante verso sé stesso,e dolcemente toccò la guancia della contessa. Le sue mani erano delicate, Elena istintivamente chiuse gli occhi, il vento, quelle mani, e il suo cuore … quel cuore che durante il viaggio, alla vista di uno sconosciuto, aveva iniziato a battere più del normale , adesso aveva ripreso a correre. Marco la fissò incredulo, poi accennò un sorriso, era scoppiato un “qualcosa”, ma era troppo presto e anche impossibile. Una donna nobile non avrebbe mai potuto maritarsi con un cadetto.

«Siete una donna nobile perché fate questo? » domandò alzando un sopracciglio.

Elena spalancò gli occhi, ancora più terrorizzata.

«No, non dico chiudere gli occhi, ma … perché la rivolta? »

«Il principe ha tassato anche la vostra famiglia? » continuò con aria curiosa,

Quella domanda fece capire ad Elena che il giovane non sapeva chi fosse. La scelta giusta in un caso particolare come quello, era nascondere la propria identità.

« No, cioè si. . .cioè no! » balbettò agitandosi improvvisamente. Le folate di vento stavano diminuendo al contrario del freddo, che continuava ad essere glaciale.

«Non provo simpatia per lui, è un uomo virile e crudele» farfugliò, ma non era mai stata più sicura di quel momento.

« E di me … » proferì a bassa voce, facendo un passo avanti, erano ancora più vicini.

«Cosa pensate? » domandò e per la seconda volta i loro sguardi si incontrarono.

«Posso anche non rispondervi? » domandò Elena abbassando nuovamente lo sguardo, non riusciva a tenergli testa. Era il pane per i suoi denti. Fissare qualcuno diritto negli occhi è segno di sfida, e lei non riusciva a gareggiare con  quello sguardo così perfetto.

«Siete misteriosa...in tutto, non mi sembra di avervi vista prima di oggi. . . »

«Non esco molto. . . » aveva letto molti libri, aveva letto tanta immaginazione eppure fu così banale.

«E’ probabile che siate una ragazza casa e chiesa, ma aizzare una rivolta con questo tempo è da sprovveduti... »  il giovane espresse il suo parere ,gettandola sul ridere .

«Perdonate il mio pensiero. . . » proferì  subito dopo , dispiaciuto.

«Non vi preoccupate, la Francia ha combattuto per promuovere i propri pensieri » rispose lei da giovane intellettuale.

Ci fu un silenzio che durò poco più di qualche minuto, fu Marco a rompere il ghiaccio.

«Non riesco a capacitarmi, come un fiore raro come vuoi, mi sia potuto sfuggire ...»

« Ciò che è raro sfugge sempre, altrimenti diventerebbe comune, non credete? » Marco accennò un sorriso stupefatto, non solo era bella e coraggiosa, ma dava anche risposte pronte, capaci di mettere in difficoltà.

«Che sbadato, se non sono troppo invadente. . . » proferì insicuro per poi prendere coraggio e sbottare tutto d’un fiato,

« Qual è il nome di questo angelo che ho dinanzi? »

Elena ci pensò un po’, cercando di non impiegare tempo.

«Beatrice » -era il nome  della protagonista di un capolavoro italiano del ‘200/300, che sua madre  le aveva fatto leggere da bambina, insegnandole anche un po’ di volgare-non avrebbe voluto mentire a quell’uomo che le faceva battere il cuore , ma sentiva che se avesse detto la verità, il soldato sarebbe cambiato nei suoi confronti. Come poteva la promessa sposa del principe aizzare una rivolta contro lui? Il guerriero l’avrebbe presa per un'approfittatrice, usare il popolo per così avere la libertà con la morte di Alfred. Elena non era così o almeno non se ne rendeva conto.

« Bea …» ripeté con tono poetico attribuendole un diminutivo,

« Bea e Dea. . . fanno rima» constatò sorridendo, ed Elena non fece che ricambiare quel sorriso naturale.

«E voi? » domandò impaziente, aveva bisogno di sapere il suo nome.

«Il mio nome è Marco» scandì  sorridendo. I tremiti le percossero tutto il corpo, dalla schiena ai piedi. Erano tremolii che non aveva mai provato, brividi diversi.

 
***
 
«Finalmente siamo arrivati! » sbottò Marie, esausta da quel viaggio – che secondo lei era stato prolungato dalla lentezza di José -

Scese goffamente, era una donna robusta e non si era mai preoccupata di apparire aggraziata. Era molto pratica,diretta e spesso veniva reputata rozza, ma ciò era frainteso, era tutta schiettezza.

Aveva sempre pensato che ogni persona aveva un proprio destino, scritto dalla nascita e lei, come i suoi antenati offrivano servigi per i nobili restando nonostante le generazioni sempre domestici.D'altronde chi nasceva schiavo non moriva signore.

Fu accolta dalla contessa Annalisa Roccaforte, non era da lei scomodarsi per i servi, eppure in quel momento era sotto il porticato a fissare i due domestici che si dirigevano nella sua direzione.

Marie non si voltò per guardarla, mentre Josè – fifone qual era- la salutò con tante moine.

«Marie, hai perso la voce? » rimproverò con fare presuntuoso.

La valletta si voltò in direzione della sua signora, accennò una minima riverenza senza proferire parola ed entrò.

«Devi darmi delle spiegazioni! » sbottò la contessa seguendo speditamente la serva. La balia si voltò.

«Cosa devo dirvi , vostra grazia? » la dama fissò senza distogliere lo sguardo il volto della contessa, sfidante.

«Qualcosa, ad esempio come sta mia figlia?! » Marie non capì se quella fosse una domanda o una pretesa, ma le rispose ugualmente.

«Vostra figlia è forte e per certi versi credo che starà meglio lì. » sbottò la serva determinata.

«Con il vostro permesso mi congedo. . .ho parecchio di arretrato. » accennò una nuova riverenza e senza badare al viso contorto di rabbia della sua padrona, voltò le spalle e si recò in cucina.

«Nessuno capirà perché l’ho fatto. . . » sussurrò tristemente Annalisa,sperando che nessuno l’avesse sentita.

 
«Anne. . .tutto bene? » domandò il conte materializzandosi alla destra della moglie, s'aggiustò il panciotto.

«Si,sono tornati. .. Marie e José» rispose la moglie con aria quasi assente.

«Ti hanno dato notizie di Elena? Insomma, lui come le è sembrato? » sputò una domanda dietro l’altra , che inspiegabilmente resero nervosa Annalisa, a tal punto di farla urlare e scoppiare in un pianto irreparabile.

«NON LO SO! » urlò con tutta sé stessa.

«Non riesco a sopportare che mia figlia mi odi e con lei anche i servi,  nessuno mi capisce! » si sedette furiosa sulla sua poltroncina dai braccioli d’oro e portò le mani alla testa.

«Chiamo Adamina, ti porterà dell’acqua.» proferì dolcemente Richard seriamente preoccupato.

 
«Non ho bisogno di nessuno, ti prego … lasciami da sola.» enunciò la donna tra una lacrima e l’altra, il conte s’allontanò ferito e senza proferire parola lasciò la stanza.
 
*** 

In Scozia il tempo era ancora arrabbiato, scendevano giù grosse gocce di pioggia, una vera e propria rugiada.

Le due nobili erano ancora a casa del contadino, il quale aveva deciso di mettere sul fuoco il brodo fatto con uova di gallina, non era un pranzo lussuoso, ma almeno li avrebbe riscaldati.

«Mi spieghi come ti sei procurata quella cicatrice? » investigò Caroline, mentre portava alla bocca la calda pietanza.

«Una scheggia di legno …»rispose Elena,portando le mani al volto ,ricalcando con l’indice la cicatrice. I ricordi erano tornati o meglio erano rimasti sempre lì: la rivolta, un uomo  che la strattonava e poi lui … il suo nome …

«Appena il cielo si calmerà faremo ritorno al castello …diremo ad Alfred che eravamo insieme e per il maltempo abbiamo incontrato una gentile donna anziana che ci ha ospitato, va bene? » Caroline era sempre impeccabile, era furba. . . beh per avere un amore segreto che ancora non era venuto a galla, doveva saper gestire tutto nel migliore dei modi. Elena acconsentì con il capo e le sorrise subito poco, insieme erano una forza!


 
***
«Marco! Che fine avevi fatto?» Alfred si rasserenò alla vista del suo fidato soldato anche se l’impazienza era ancora alle stelle.

«La rivolta ha impedito tutto e di Elena nessuna traccia! » sbottò nervoso. Marco stette in silenzio, ancora non riusciva a non pensare a quella giovane fanciulla, la sua dea.

«Diamine! Ma oggi che avete tutti?» domandò furioso, dando un pugno sulla scrivania. Marco ritornò all’ attenzione.

«Perdonatemi vostra grazia, sapevo della rivolta non della scomparsa di vostra moglie.» enunciò il milite accennando la riverenza.

«Non è mia moglie! E dubito che di questo passo lo sarà … se non la troverete,» dichiarò con fare minaccioso,

«Rilassatevi, la troveremo anche se voi … dovreste domarla meglio» la battuta anziché peggiorare l’ira di Alfred, lo fece ridere di gusto.

« E’ ciò che ho intenzione di fare. » ammise Alfred ritornando poco a poco di nuovo serio.

« Dove eri quando avevo bisogno di te?» domandò Alfred accigliato, alzando un sopracciglio.

«Con una dea. . . » disse con aria incantata.

«Beatrice» continuò, anticipando la risposta alla domanda che Alfred gli avrebbe fatto a breve.

«Bel nome. . .è una contadinella?» il principe rise di gusto, era una delle cose che a Marco dava più fastidio. Non era simpatico, era solo un presuntuoso che con il denaro ricevuto dal popolo si sentiva Dio sceso in terra.

«No. » diede una ferma risposta,accennando un sorriso provocatorio.

«Una nobile, » specificò in seguito,

«Un amore impossibile» intervenne Alfred saputello.

«Non sono d’accordo. . .i nostri sguardi si sono scelti. » sbottò sicuro il cadetto mettendo a tacere il suo superiore. Nel frattempo la tempesta si era calmata, le folate di vento erano leggermente diminuite e il paesaggio iniziava a vedersi meglio, senza doversi coprire gli occhi.
***
La bruna e la bionda erano in cammino accompagnate da James, i tre avevano abbandonato l’umile dimora del contadino appena il cielo si  era calmato. Il castello era ormai vicino.

«Amore, sai quanto me che non devono vederti, quindi fermati qui, ricordati che ti amo tanto» proferì dispiaciuta Caroline, che provava odio verso il momento di separazione dall’amato. I due innamorati con un bacio sbrigativo si salutarono in fretta e furia,Elena saluto il giovane con una stretta di mano.

«Vi amate tanto. . . » notò la contessina sorridendo all’amica.

«Ci amiamo tanto perché abbiamo paura di perderci , nulla nel nostro rapporto è scontato …» continuò l’amica che aveva sul viso un’espressione pensierosa.

«Con il marito che avrò … dubito che scoprirò cos’è l’amore» Elena abbassò lo sguardo verso le piccole pietrine che formavano la strada, aveva un dolore ai piedi , ma era nulla rispetto a quello che  provava nel vedere il castello:stava tornando dall’uomo che le avrebbe rovinato la vita.

Erano entrambe infreddolite, Caroline fu la più coraggiosa. Bussò.

Il guardiano subito aprì il portone e fu abbastanza sollevato di trovarsi le due donne.Si inchinò e senza troppe cerimonie le fece entrare.

I servi sospirarono di sollievo appena le videro.

«Vostra grazia,» disse Lorry riferendosi ad Elena.

«Il principe stava impazzendo, è meglio che vi accompagni da lui» si invitò a precederla, ma la futura sposa non sembrava essere d’accordo,

«No» disse semplicemente e voltò lo sguardo verso Caroline che con una cattiva occhiata la rimproverò. Erano in sintonia, non servivano parole.

«E va bene. . .portatemi da lui» disse Elena con un groppo in gola seguendo il maggiordomo.

Giunti alla porta , Lorry bussò.

Si sentì un  «Avanti, » che era di sicuro di Alfred proferito i nmodo davvero scocciato, senza troppe esitazioni Lorry avanzò.

«Vostra altezza, la contessa è qui» enunciò allegramente il servo.

«Cos’aspetti? Falla entrare» Alfred s’alzò , il suo umore era improvvisamente cambiato, avanzò verso la porta .Marco rimase seduto.

La giovane entrò nello studio a passi incerti, sapeva che il suo “futuro marito” l’avrebbe trattata da bestia per ciò che aveva fatto, ma  dimenticò tutti questi pensieri quando vide qualcosa o meglio qualcuno che avrebbe preferito non vedere.

«Elena!» esclamò Alfred ,non era più arrabbiato, era felice , sollevato.

Marco si voltò sorridente per poi irrigidire i muscoli facciali. Il suo volto cambiò completamente,s’alzò lentamente dalla poltrona,scioccato.

I due si fissarono, Elena avrebbe voluto sprofondare. Perché le andava tutto male?

Ingoiò.

Alfred le andò incontro e  l’abbracciò senza troppi problemi, la piccola Hemsworth non si divincolò dalla presa. Era rimasta immobile, fissa ancora su Marco. Aveva leggermente la bocca spalancata e lo sguardo spento, spaventato. . . proprio come quello di un cerbiatto.

 
 
Spazio Autrice: Va bene, non uccidetemi,so che l'ultima volta che ho pubblicato è stato il 17 febbraio, ma credetemi:i professori mi stanno uccidendo "scolasticamente parlando". Come ben vedete ho cambiato il banner, il mio Marco è cambiato anche se adoro l'attore di prima solo che...ho preso uno che potrebbe piacervi di più, poi non dite che non vi voglio bene. Secondo me, come capitolo non rende...non ho neanche revisionato, vabbe' ... non sono mai contenta dei miei lavori. Come sempre perdonate gli ORRORI . Se volete farvi sentire nelle recensioni, sono felice di sapere cosa ne pensate^^Tanti baci coccolosi*-*
 
 

 
 

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Capitolo 7
*** Sesto Capitolo. ***


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Rinuncia al tuo potere di attrarmi ed io rinuncerò alla mia volontà di seguirti.
William Shakespeare
 

Sesto Capitolo 


Tutto sembrava essersi fermato.

Ogni cosa, anche la più banale sembrava  confusionale.

Elena rimase a pochi passi dalla porta, incerta se avanzare di un altro po’. Preferì non muoversi.

Non riusciva a parlare, ad alzare lo sguardo.

Alfred la stava abbracciando forte, un gesto irreale, a cui lei però non  diede importanza.

Aveva altro per la testa ,ad esempio: cosa e come fare in quella situazione bizzarra quanto imbarazzante.

Le sarebbe piaciuto sparire, magari sprofondare nel pavimento, come una maga.

“Perché non si può essere invisibili nei momenti più orribili, quelli che creano imbarazzo? “Domandò  la sua mente, senza avere risposta.

I pensieri si addossarono, rendendola confusa ed estranea a ciò che stava accadendo al di fuori di sé stessa.

Marco era immobile, non fece alcun passo prima di un minuto. Doveva metabolizzare tutto, c’era stato un errore di percorso. Non poteva essere lei. Le soluzioni erano due: o era Beatrice, o quest’ultima aveva una gemella; purtroppo, la seconda ipotesi era abbastanza infondata. Deglutì, mandando giù la saliva; Elena pensò che  il milite fosse disgustato, stava accadendo proprio quello che aveva  temuto nel bosco:la sua identità era salita a galla.

Chiuse e riaprì gli occhi, sperando che stesse sognando, ma la situazione rimase la medesima.

Il principe si era  appena distaccato, presentando un sorriso compiaciuto, ma allo stesso tempo amareggiato per non aver ricevuto la stretta.

Elena provò ad alzare gli occhi, e l’incontro del suo sguardo con quello del giovane cadetto fu inevitabile.

Sentiva le guance esplodere, avvampare.

Non le piaceva mentire , eppure … una volta che l’aveva fatto era stata subito scoperta.

Promise a sé stessa che in futuro non avrebbe mai più detto una bugia.

 “Ora è inutile tenere la testa abbassata” dissero i suoi pensieri, “ Non farti tanti problemi anche lui ha mentito.” Suggerì la sua coscienza, che con calma riprendeva il sopravvento, lasciando l’agitazione.

Era la giusta soluzione.

Il soldato non le aveva forse detto che anche lui odiava il principe? Eppure erano alla stessa scrivania con in mano bicchieri di liquore e a confabulare chi sa cosa, magari erano anche amici.
Pensando a ciò ebbe il coraggio di reggere con aria sfidante lo sguardo di Marco, poi  prestò attenzione al suo futuro marito. Pregava che i battiti del suo piccolo cuore diminuissero, rimbombavano nelle orecchie come il motore di una macchina a vapore.

« Marco, ecco la mia futura sposa … cosa aspetti a inchinarti?»domandò sorridente Alfred , ignaro di tutto.

Il giovane dalla chioma bionda e dissidente , avanzò a passi sicuri, lasciando poca distanza tra il suo corpo e quello della fanciulla;accennò lentamente una riverenza, chinandosi più del dovuto. Elena fissava Alfred.Non sopportava quella vicinanza con il cadetto.

Le baciò la mano,creando un vero e proprio contatto. Non era stato un gesto di galanteria, era una vera e propria provocazione per Alfred che aprì gli occhi più del dovuto.

« Sono incantato … » sussurrò fissandola negli occhi, lei ricambiò l’occhiata e non fece che riassumere l’espressione di pochi attimi prima. Un cerbiatto impaurito. Fece cenno con la testa in segno di approvazione ,rimanendo in silenzio.

« Bene, ora che le presentazioni sono finite, Elena dovreste darmi delle spiegazioni. » liquidò Alfred, giungendo subito al punto. Prese posto  e invitò la sua futura moglie a fare lo stesso. Lei rimase in silenzio.

« Vi lascio soli,» avvisò Marco, accennando una riverenza ,«I miei ossequi»  proferì dileguandosi .

«L’amore è in grado di farci cambiare?» domandò inaspettatamente il nobile, spezzando l’imbarazzante silenzio. Quella domanda così inaspettata creò stupore  sul volto della fanciulla.

«Cosa ne pensate , Elena? » continuò insistente desideroso di una risposta.

« L’amore non è tale se fondato sulle menzogne. » sbottò lei, adirata per la bugia che il biondo le aveva detto. Non riusciva a capacitarsi di come si era fidata di uno sconosciuto, si era lasciata trasportare da quegli occhi incredibili che sin dal primo momento incrociati ai suoi avevano causato un effetto suggestionante.

«Ogni amore ha una menzogna, cara Elena. . . » proferì determinato.

«Bene, allora l’amore non esiste. » concluse lei, non riuscendo a dare pace al suo cuore.

«Io , invece, credo che esista e su noi esseri umani può avere solo due influenze: o renderci immortali o distruggerci completamente» emise con fare filosofico, giocherellando con il bicchiere ormai vuoto.

«Ci credete davvero? » domandò Elena esterrefatta. Non si aspettava che il principe fosse così propenso ai sentimenti,non aveva l’aria da sentimentale.

«Forse … per essere cambiato il cadetto che avete appena conosciuto, possono cambiare tutti, compreso me stesso.» rise beffardamente , prendendo senza esitazioni  un altro bicchiere di liquore.

«Cosa gli è successo? » domandò la giovane allertandosi, si mostrò calma subito dopo.  Accennò un lieve sorriso per non destare sospetti.

«Ha incontrato una dea …» scandì ,accennando una risata mentre portava alla bocca un altro bicchiere di liquore.

«Una dea? » ripeté Elena incredula sentendosi profondamente toccata. Qualcuno le aveva appena sfiorato l’anima.

«Si … la sua Beatrice. » appena udite queste testuali parole ebbe un sussulto.

Il cuore aveva ripreso a battere più veloce del normale. Marco era in grado di farla sentire viva, sempre.

 
***

«Sembri più calma, va meglio? » domandò Richard con voce cauta avvicinandosi alla poltrona dove sua moglie era accomodata.

Annalisa Roccaforte aveva una cera davvero spaventosa, non era mai stata pallida,ma quel momento dimostrò il contrario. Aveva delle occhiaie e i suoi occhi inespressivi fissavano un punto inesistente.

Reggeva un libro tanto per, non gli prestava molta attenzione. Era distratta da qualcosa, qualche pensiero.

 La valletta cercò di scorgere il titolo del tomo, quell’accumulo di pagine non fecero altro che suscitare il ricordo di Elena e la profonda nostalgia. Era lei, la dolce e innocente contessina che girava per la casa sempre con un libro tra le mani.

«Perché non parla, Adamina? » domandò con poco fiato l’uomo.

«Non so  dirle conte … » rispose titubante la serva, fissando con sguardo accigliato la contessa che non si muoveva. Sembrava una mummia. «da quando mi avete chiamata non ha proferito parola»
continuò con espressione sconsolata , «Con permesso, » sistemandosi le gonne accennò un inchino e si diradò.

«Anne, cosa ti succede? » chiese premuroso l’uomo , sedendosi sulla poltroncina di fronte alla moglie, si sporse in avanti, sorridente,dando dei colpetti al ginocchio della donna per rincuorarla.

Il silenzio era troppo opprimente , Richard mise la testa tra le mani , facendo un lungo respiro.

«Sto bene. » affermò la contessa, per nulla convincente.

«Non ti credo, è evidente che vorresti essere da tutt’altra parte. Sei in guerra con il mondo. »  il conte Hemsworth alzò un sopracciglio scrutando nei minimi particolari l’espressioni della sua dolce Anne.

Non era mai stata così, ricordava sua moglie bella e sorridente; determinata e indipendente. Certezze che in quell’istante svanirono. Quella donna ad un passo da lui era alla ricerca della pace, dell’aiuto.

Non era più quella forte di un tempo o forse non lo era mai stata.

«Cosa leggevi? » domandò , cercando di spezzare il silenzio, la contessa sembrava non voler collaborare.

Scostò delicatamente il libro per vederne il titolo, era : Jane Eyre di Charlotte Brontë. «Di cosa parla? » sollecitò, accavallando la gamba destra su quella sinistra.

«Di un’orfana … » proferì Annalisa con sguardo spento. «Elena si sentirà così …» mormorò, alzando e incrociando il suo sguardo con quello di Richard.

« La raggiungeremo presto. . . » rispose l’uomo ,accennando un sorriso di incoraggiamento, s’alzò dandole un bacio sulla fronte per poi stringerla calorosamente tra le sue braccia, sussurrando dolcemente,

«Non permetterò che i  sensi di colpa ti divorino fino a farti impazzire  giorno dopo giorno .»

 
***
«Marco, Marco fermati! » gridava una voce abbastanza affaticata. Il giovane cadetto camminava spedito senza voltarsi,«Aleksej! » come una parola magica, il giovane che tutti conosciamo con il nome di “Marco” si voltò.

«Mi spieghi cos’è questa idiozia di voltarti con il nome Aleksej? » domandò il bruno ,cercando di prendere fiato.

«E tu la smetti di chiamarmi con il nome che tanto odio?»  sbottò il giovane adirato, sistemandosi i capelli che il vento rendeva ribelli.

«Cosa potevo fare?Ti ho visto, ho percepito la tua tensione e mi sono preoccupato. Non ti sei voltato con il nome che ti piace e ho preferito chiamarti con quello che odi …» si giustificò, riparandosi bene dal freddo. Nei pressi delle stalle c’era più ventilazione del dovuto, inoltre nevicava.

«Ti giuro che …  » scandì Marco con tono indignato,

«E’ inutile che continui, ho già capito …»Elton abbassò il capo dispiaciuto ,quella giornata sembrava proprio remargli contro. «Qualche nobildonna ti ha spezzato il cuore? » cercò di alleggerire quell’aria pesante , che involontariamente si era creata.

«Il cuore mi serve per vivere, non per altro. »

«Non hai proprio intenzione di maritare qualcuna? » interrogò stupito,

«Uno come te piace alle donne, » continuò  ,abbozzando un sorriso malizioso e mordicchiando una mela rossa.

«Non sono il tipo che riempie l’assenza con chiunque. » disse glaciale, mentre fissava il paesaggio innevato. I suoi occhi, smeraldi accesi, fissavano l’orizzonte e  come non mai desiderava con tutto sé stesso andare lontano, allontanarsi da quel posto che odiava più di sempre.

«Sono tuo amico e per qualsiasi cosa …» poche parole , semplici , fecero nascere un sorriso scadente e privo di luce sul volto di Marco,

«Anche se avessi bisogno non potresti comunque aiutarmi. Quando sei negli inferi non c’è via di scampo … può una donna renderti instabile?Trascinarti con sé nei cieli beati? » proferì con il suo sguardo magnetico, più accattivante di sempre. Elton lo fissò esterrefatto, era inutile: era una giornata NO.

Aveva avuto richiami dal principe, cercava di aiutare Marco e quest’ultimo era abbastanza fuori di sé, in tutti i sensi: rabbia e testa.

«A cosa debbo queste frasi? Se non ad una donna? » il giovane amico diede una pacca sulla spalla del biondo, accennando un sorriso malizioso che stavolta Marco ricambiò, sorridendo veramente.

«Non riesco ad essere arrabbiato con lei … » ammise sottovoce, era di rado che ammetteva cose del genere, anzi non lo aveva mai fatto.  Quella era la prima volta: il suo essere orgoglioso-duro con gli altri e con sé stesso-non gli permetteva di relazionarsi in modo adeguato; eppure,gli era bastato incontrare per caso una giovane fanciulla, guardarla diritto negli occhi e provare una sensazione diversa . Un tumulto di passioni.

« Il suo nome? » domandò con aria investigativa.

«Beatrice!» esclamò sicuro, sapeva benissimo che era una menzogna, ma non voleva che Elton sapesse la verità. Non si era mai fidato, neppure del cadetto che lo affiancava in quel momento anche se amici da tempo immemore.

L’amico in qualsiasi momento avrebbe potuto voltargli le spalle e raccontare tutto al principe. Preferì non correre questo rischio.

«Quindi debbo ringraziare la tua Beatrice se il principe mi ha ridicolizzato dinanzi a tutti,prendendomi con forza, quasi soffocavo e tu chi sa dov’eri …» sbuffò, ridendo sonoramente; nella sua voce era presente rabbia e forse anche un po’ di invidia.

«Ero con lei, non osare portare i tuoi pensieri . .. » lasciò cadere il discorso che il suo amico con un’occhiata maliziosa percepì senza troppi dilemmi. «Abbiamo parlato, ho detto i miei pensieri ad una sconosciuta, non è buffo? » domandò ironico,accennando una risata senza umorismo.

«Se le hai raccontato i tuoi pensieri , le tue emozioni. .. non credo sia una sconosciuta» considerò il bruno pavoneggiandosi .

«Lo è, ma quando i suoi occhi si posano su di me, mi sento nudo … sento la sua purezza che mi pervade, che mi lava il sangue di tutti gli uomini a cui abbiamo tolto la vita, e al tempo stesso appare ai miei occhi come un diavolo, il mio più grande desiderio e la mia più infinita punizione. » ammise fissando il pavimento. Stringeva i pugni dalla rabbia, consapevole di non potere placare le sue passioni, i suoi pensieri. Non poteva averla.

«Cosa aspetti? Prendila come solo tu sai fare, non ricordi come eri  spudorato nella casa di perdizione? » incoraggiò l’amico con tono sfidante.

«Non deve essere eguagliata a quelle femmine! Lei mi ha causato in corpo cose che mai nessuna ha suscitato. No, non può essere che io … è inaccettabile! » urlò a sé stesso dandosi uno schiaffo, Elton guardava impettito e scosso ciò che stava accadendo al suo compagno.

«Ma cosa avrà di speciale questa Beatrice? » domandò fiacco il bruno, pettinando la criniera al suo cavallo:un purosangue inglese.

«Non potrà essere comprata, non potrà  MAI essere MIA! » urlò l’ultima parola sgranando gli occhi. Si morse il labbro fortemente da causargli una leggera spaccatura, poi  nervoso ne succhiò il sangue. Prese a calci delle ballette di fieno, inquietendo timore nei quadrupedi che stavano assistendo alla scena.

***
«Questa sera c’è un altro ballo,dimentichiamo ieri. » propose sorridente Alfred ,era sicuro di convincere anche Elena con il suo sguardo ammaliatore, ma si illuse.

«Ad una condizione,» enunciò azzardata, ricambiando  un sorriso smorzato. Era sempre stato il principe a decidere, a contrattare, ma adesso con Elena, tutto era cambiato.

Alfred lo aveva capito da quando aveva tentato di baciarla. Sarebbe stato difficile domarla.

Corrugò la fronte, storse il naso indeciso se farla parlare o meno. Decise di sì.

«Abbassate le tasse. »  scandì chiaramente, alzando lo sguardo e fissando senza timore l’uomo che appena udito quelle parole cambiò portamento. Il suo sguardo era divenuto cupo.

Scioccato da ciò che aveva appena sentito, si alzò lentamente, con espressione sconvolta.

«Non posso crederci! Siete davvero stata voi!» sbottò portandosi le mani tra i capelli. Ispirò ed espirò per qualche minuto, Elena s’allertò.

«Io …»  provò a dire lei , ma la troncò,

«Avete aizzato una rivolta !» ripeté alzando di un’ottava la voce, non riusciva a capacitarsene. Continuava a ripeterselo, cercando di convincere sé stesso. Credeva che Elton gli avesse mentito e , invece, era tutto reale.

«Mi hanno informato bene, uscite da questa stanza, ORA! VE LO ORDINO! » sbraitò urlando a più non posso. Scariche di terrore percorsero il corpo di Elena , che senza pensarci due volte si avviò verso l’uscita, sperando di abbandonare il più presto quella stanza.

La giovane si sentiva male. Sentiva lo stomaco contrarsi. Aveva azzardato troppo, chiedere al principe direttamente di abbassare le tasse, era stato un gesto insensato, stupido! E Marco aveva recitato bene, con i suoi complimenti  finti come lui, aveva riportato tutto al suo superiore.

«Quanto sono stupida! » mugolò tra le lacrime salate che le rigavano il viso.

«Elena che è successo? » una voce appartenente ad una persona che conosceva s’avvicinò alla piangente. Era Caroline.

«Sa tutto. . . »

«Intendi la rivolta? » sibilò a denti stretti la bionda irrigidendo i muscoli. Spalancò le orbite,terrorizzata.

« Sì …» rispose tra un singhiozzo e l’altro, mentre la pancia con i suoi respiri si muoveva sempre più velocemente. Alzò la testa della sua amica e poggiò le sue braccia sulle spalle  della duchessa d’Irlanda,

«E’ stato lui a dirglielo,» proferì lasciandosi scivolare contro al muro fino a sedersi a terra.

«Lui chi? Elena ti prego alzati! Crei spettacolo! Ti accompagno nella tua stanza e ne parliamo con calma , che ne dici? » domandò incoraggiante mentre cercava di alzare la bruna che proprio non voleva saperne.
«Non mi interessa di Alfred, mi sono fidata di uno sconosciuto. » mugolò tra un singhiozzo e l’altro, mentre con il polso destro si asciugava gli occhi naufragati da quella tempesta di lacrime.

«Calma. . .calma, » pazientemente Caroline la tirò leggermente a sé, facendola alzare. Le mise un braccio intorno la vita per sorreggerla meglio, Elena era abbastanza frastornata, sarebbe potuta cadere quindi ,meglio evitare. Lentamente salirono le scale, mentre qualche domestico ficcanaso lasciava la sua attività per osservare meglio la scena. Caroline ne beccò alcuni che fulminò con le sue occhiate espressive.

«Lavorate! » ordinò nervosa. Le dava fastidio che servi , domestici, ridessero delle “disgrazie” di una persona come Elena.

Giunte in camera, la bruna si sdraiò sul letto senza dire una parola mentre Caroline s’affrettava a chiudere la porta.

«Ho bisogno di sapere Elena, se non so, non posso aiutarti. » la bionda si accostò al letto, sul quale si sedette, mettendosi di  fianco alla giovane lettrice.

La piccola Hemsworth cercò di calmarsi,

«Sì» rispose malinconica. «Mentre convincevo il popolo a ribellarsi, una donna correva atterrita avvisandoci di un probabile assalto delle guardie» fece una pausa, aveva poco fiato. Fissava un punto, come se fosse uno schermo dal quale veniva riprodotta la scena di poche ore prima. «Così è stato. Tutti hanno trovato riparo,  io mi sono nascosta dietro ad una casa e dopo poco mi sono trovata strattonata come una sgualdrina,senza rispetto.Era una guardia dagli occhi indescrivibili. .. dai capelli biondo cenere, riccioli ribelli, sembrava un angelo. ..» disse schiettamente, stringendo le lenzuola tra le mani, voleva stracciarle dalla rabbia. Così era il suo cuore: distrutto.

«La stessa guardia che ho trovato nello studio di Alfred … » Elena ritenne opportuno omettere ciò che era successo tra i due anche se si trattava di una semplice conversazione. Se l’avesse raccontata sarebbe ritornata come un pensiero fisso,  e lei non voleva ricordarlo.

«Bah, gli uomini. . .sanno essere così incomprensibili, fingono di sedurti e ti abbandonano» sbuffò Caroline non dando tanto attenzione a ciò che davvero era successo. Si trattenne sulla questione amorosa, sembrava che fosse un suo pensiero personale, una situazione che la toccava maggiormente.

«E’ successo qualcosa anche te? » domandò la bruna,i suoi respiri si stavano regolando e lei era sollevata di cambiare argomento.

«James non vuole che fuggiamo, sembra che abbia cambiato idea. » proferì rattristita fissando le gonne.

«Andrà tutto bene, lui ti ama e tu ami lui … » enunciò Elena rassicurante avvicinandosi all’amica e stringendola in un abbraccio.

«Avete bisogno l’uno dell’altra, non prendere decisioni affrettate. » consigliò Elena ,cercando di far ragionare l’istintiva Caroline.

«Forse hai ragione, » constatò accennando un sorriso che illuminò la stanza, « Pensando a te ,Lorry mi ha avvisato di un’altra festa in tuo onore che si terrà questa sera, che abito indosserai? » domandò incuriosita e piena di vita.

«Con quello che è accaduto non credo proprio che ci sarà una festa in mio onore piuttosto un funerale …» disse sarcastica, accennando una risata senza umorismo.

«Alfred è stupido! Per quanto possa avere trent’anni ha un cervello da idiota, fa lui occhi dolci e dimenticherà l’accaduto, devo anche parlargli. » Elena tirò a sé la giovane amica che però oppose resistenza.

«Elena devo, potrà farti rinchiudere, certe volte dà di matto» la bionda mugolò titubante l’ultima frase, non avrebbe voluto dirlo, ma optò per la franchezza.

Adesso la contessa di Hemsworth che inizialmente  le era sembrata antipatica,era sua amica, non poteva mentirle.

«Fa’ciò che vuoi, ho perso la mia retta via e non so più cosa è giusto e ciò che è sbagliato. »

«Ti aiuterò amica mia, ti aiuterò» sussurrò con fare docile, mentre si stringevano in un abbraccio colmo di affetto.

 
 
***

Alfred fissava il mondo al di fuori della sua finestra. Il giardino era devastato da raffiche di vento che spazzavano senza pietà la pavimentazione a riquadri di pietre inframmezzati da liste di marmo bianco, rendendo l’ampio spiazzo disordinato. Non aveva intenzione di annullare il ricevimento anzi i suoi servi dovevano rimettere tutto in ordine.

«Finalmente, Lorry! Non mi interessa del tempo, chiama l’addetto al giardino. » disse con tono autoritario aggiustandosi il panciotto.

«Ma signore …» cercò di controbattere il servo, ma passo falso. Con Alfred nessuno aveva quel potere.

Decideva e aveva ragione, sempre.

«E’ un ordine, e gli ordini …» invogliò al maggiordomo di continuare,

« devono essere eseguiti» proseguì Lorry con il capo chinato. Aveva l’espressione da cane bastonato.

«Cugino. ..»Alfred si voltò di scatto, sua cugina in persona era accanto a Lorry, le mani intrecciate davanti alla vita e l’espressione perfettamente controllata.

«Ho bisogno di parlarti ... » sospirò incoraggiandosi ad entrare completamente nello studio. Il cugino si limitò a un cenno della testa.

«Lorry, puoi andare» ordinò, non volendo che il servo sentisse l’accanita conversazione tra i due.

Il maggiordomo uscì dalla stanza con fare cerimonioso e si chiuse la porta alle spalle. Miss Caroline rimase dov’era, l’espressione tanto indecifrabile suscitò curiosità in Alfred.

«Se sei qui per Elena … è fiato sprecato»liquidò, alzando un sopracciglio.

«Ho origliato e so benissimo che il galà non sarà annullato, smettila di essere così orgoglioso!» la cugina del principe come Elena non si arrendeva facilmente. Il nobile iniziò a temere l’alleanza tra le due.

«E’ soltanto una fanciulla incosciente che vuole dettare ordini, non lo accetto! Marcirà nelle prigioni. Stasera voglio conoscere una tua amica, preferibilmente rossa. » sorrise malizioso, era un misto tra l’arrabbiato e il divertito.

«Elena deve esserci,i nobili sanno che è in suo onore , che cosa penserà  la società? »

« Credi che non sia giunta voce di ciò che ha fatto ? E’ proprio per questo che sto continuando questa folle idea del gala' di stasera, dirò che sono state tutte dicerie e stupidaggini di cittadini malati e per quanto me ne dispiaccia , sì, hai ragione!Elena dovrà essere al mio fianco,e se qualcuno oserà domandare la costringerò a smentire ciò che ha fatto,diremo che una donna si è spacciata per lei…»

«E se non dovesse farlo? » domandò Caroline, sapeva quanto Elena fosse imprevedibile.

«Marcirà nelle prigioni e i suoi genitori non ne verranno mai a conoscenza , risponderò io alle loro lettere.»

«Non lo farai, non le permetterai di morire. » la giovane duchessa iniziò ad innervosirsi, cercando di scacciare dalla mente quei pensieri senza senso e brutali.

«Io faccio quello che voglio, ovviamente mi divertirò con lei sperando che almeno in quello sia saziabile. »

«Mi  rifiuto di sentire le tue oscenità! »esclamò Caroline decisamente disgustata, girò i tacchi e si diresse verso la porta. Alfred rideva e come se non bastasse enfatizzò il senso di quelle sporcizie che aveva accennato poco fa,

«Sceglile un abito che la rendi desiderabile» affievolì la voce sull’ultima parola ,continuando a ridere maleficamente.

***

Caroline si precipitò in camera di Elena che preoccupata di una reazione negativa del suo promesso sposo girava  in tondo per la stanza. Era normale che fosse arrabbiato con lei, e come ben sappiamo a lei non importava, ma non voleva che i suoi ne venissero a conoscenza. Come punizione sarebbe ritornata ad Herthford costretta a sentire le lamentele di sua madre o peggio, rinchiusa in un collegio fino alla fine dei suoi giorni.

Pensò a Marco e scacciò dalla mente anche lui. Le aveva mentito. “Chi ti mente non deve essere ricordato” disse tra sé.

S’ affacciò alla finestra, notando con meraviglia quanto quel vento così volubile soffiava più forte di sempre.

«Elena, Elena … tutto risolto, ad un patto»  avvisò la bionda mentre s’avvicinava sofferente alla sedia. Si sedette prendendo fiato.

«Devi negare ciò che hai fatto, inventa qualsiasi stupidaggine» sbottò come un fiume in piena. La bruna rimase in silenzio, dubbiosa. «E’ per il tuo bene, non so cosa potrebbe accaderti. .. » furono queste le parole che convinsero Elena. Non poteva fare ciò che voleva, non in quel momento e forse mai. Era la sua vita, ma non decideva lei. Trattenne le lacrime sostituendo a queste una smorfia , facendo così sorridere Caroline.

«Informo Elly ? » domandò Caroline. Elly era la serva che aiutava i reali a lavarsi.

«Non ne ho bisogno. Anche se non ne ho voglia ci sarò, devo dimostrare che non ho paura di lui. Solo che … ti dispiacerebbe trovarmi un abito?» domandò cordialmente Elena sperando in una risposta affermativa.

Si  recò in bagno dove denudandosi si diede una sciacquata , bagnata dall’acqua e dal sapone di cui ne amava tanto l’odore rimase lì per circa mezz’ora  poi si coprì con l’asciugamano di seta e s’avvicinò all’amica. Caroline sventolava l'abito come se fosse una bandiera.

«Questo rosso?» Elena sgranò gli occhi , dall’espressione che aveva sembrava in totale disaccordo.

«Ti starà divinamente, provalo su! » esortò la bionda con un sorriso a 32 denti.

Come consigliato dall'amica ,Elena fece quello sforzo, provò l’abito che scendeva semplice, senza balze e  pochi rigonfiamenti. Aveva una leggera scollatura.

«Alfred impazzirà! » esclamò, facendosi scappare qualche parola di troppo.

«Il tuo adorato cugino mi odia e io odio lui, non so se ti è chiaro» ribatté Elena innervosendosi, mentre seduta sul letto tentava di mettere le scarpe.

«Lo so, Alfred è morto dentro, non potrà mai cambiare …» ammise Carol rattristendosi.

«Morirò anche io, vivendo con  lui …» rispose la futura principessa a bassa voce, s’alzò dal letto per aggiustarsi i capelli. «Vanno bene così»disse  sbuffando, dando un’occhiata fugace.

Erano in ritardo. Nonostante il freddo,  c’era la maggior parte degli invitati. Fece un lungo respiro e fissando l’amica scese le scale. Si guardò intorno per cercare di intravedere i due uomini che conosceva meglio: Marco ed Alfred , ma non scorse nessuno dei due. Sospirò sperando di non incrociarli, ma ciò era impossibile. Avrebbe sicuramente visto Alfred e peggio avrebbe persino dovuto ballare con lui.
Si fermò vicino ad un tavolo colmo di pietanze appetitose, ma lei aveva solo un forte senso di nausea. L’aristocrazia non faceva per lei, le sarebbe piaciuto dare tutto quel cibo a persone che davvero ne avevano bisogno. Ascoltava in silenzio ciò che dicevano altre dame e si meravigliò sentendo ciò che dicevano del principe: “E’ bellissimo, che fortunata che è quella” .

«Miss Hemsworth? » una voce alle sue spalle la chiamò, sobbalzò. Non conosceva il viso di quella voce tanto rauca e stanca.

Si voltò sorpresa , scoprendo che si trattasse di un uomo anziano. Era basso e grassottello, il panciotto si abbottonava stentatamente.

«Sì, sono io. .. » rispose arricciando le sopracciglia, confusa.

«Sono Michael Brown, un amico di vostro padre. .. » disse presentandosi. «A quanto pare vi è toccato il più crudele dei destini. . . » proferì filosofico , accendendo il sigaro.

«E’ stato il principe a scegliere me, » perfezionò Elena, mettendosi in guardia. Quel Michael non la convinceva per nulla.

«Lo so, se fosse stata voi sareste stata una vera sciocca» sbottò accennando un sorriso che subito si irrigidì.

«E’ una bestia.» sibilò, « Buona fortuna» accennò una riverenza e si allontanò.

Quelle parole come macigni torturavano la mente  e lo stomaco della giovane, era così terrorizzata da quell’uomo. Tutti lo erano, mai possibile che i suoi genitori non lo sapessero?

«Di cosa parlavate con lord Brian, Elena? »domandò Alfred, concretizzandosi improvvisamente al fianco della contessa. Era calmo, il suo tono era rilassante e se fosse stato un’altra persona sarebbe stato anche piacevole avere una conversazione.

Lei deglutì. Alzò il mento determinata,

«Delle vostre malelingue, ce ne sono molte … »

«Lo so, » affermò accennando un sorriso,«E’ difficile piacere a tutti …» continuò pavoneggiandosi e portando le mani dietro la schiena  tenendole unite.

«Credete di  piacere a qualcuno?» domandò Elena incredula con un pizzico di cattiveria.

« Certamente, anche se con voi non sono a buon punto …»  constatò facendo una smorfia. Alfred Graysonera più irritante del solito.

«Non credo lo sarete mai, »  corresse Elena voltandosi a destra e sinistra in cerca di Caroline e Marco, ma tra i tanti ospiti era impossibile.

« Neanche se vi dicessi di amare il personaggio di Mr. Darcy?» sorrise beffardamente ed Elena quasi perse l’equilibrio. Un uomo come il principe Grayson sapeva l’esistenza di orgoglio e pregiudizio?

Spalancò leggermente la bocca, era stupita. Non c’era parola più appropriata.

«No, spiacente»  rispose fingendosi indifferente anche se un sorriso vero e sincero le era sbucato,

«Da buon soldato quale ero non desisto , prima o poi vi concederete al mio fascino» disse scherzosamente invitandola con un gesto a ballare, seccata accettò.

«Ho tentato di uccidervi. » replicò Elena irrigidendosi. Perché non stava mai zitta? Perché voleva sempre peggiorare tutto?

«Mi sarebbe piaciuto. . . » rispose lui inaspettatamente, «Non sarebbe male vedere il vostro volto prima di morire.»

La giovane rimase in silenzio, accennando inconsapevolmente un pallido sorriso.

Mentre volteggiavano accompagnati dalle note di un valzer, la prese in peso facendola quasi volare. Se prima fu intimidita da quel gesto, la sensazione di volare migliorò tutto.

Chiuse gli occhi immaginandosi di camminare tra le nuvole e di immergersi nella loro soffice paffuta forma senza cadere;quando riaprì gli occhi già era a terra, Alfred le sorrideva e lei  si sentiva completamente a disagio .Approfittò che la musica fosse finita per allontanarsi; il nobile la seguì.

« Ciò che mi avete dato come risposta poco prima, mi fa intendere che non conoscete Mr.Darcy» enunciò con tono sfidante,

«Trastullate?» sorrise nervosa Elena «E’ un personaggio unico della grande Jane Austen» continuò dimostrandosi informata.

«E strano .. . » aggiunse l’uomo,

«Ciò che è strano è unico! Il normale lo reputiamo. . . » rispose saputella, trovando però difficoltà nell’ appropriato termine per definire la normalità,

«Banale» continuò Alfred subito dopo,

«E voi Elena siete strana, » le disse in tono burbero con il respiro affannoso .Le mise una mano sulla guancia, accarezzandole il collo con il pollice.

La giovane ebbe un sussulto, ma non si divincolò.

Il principe si avvicinò al suo collo, scostandole i capelli e lasciando la nuca scoperta, il suo alito fresco entrò in contatto con il corpo di Elena che era immobile.

«Siete unica, »affievolì la voce, mostrando tutta la sua sensualità.

Elena si scostò leggermente, ignorando quegli strani brividi che stranamente anche Alfred come Marco le aveva procurato. Scacciò un tale pensiero.

Il principe notò che c'era qualcosa di diverso e ciò lo incoraggiò di più,

«Il mio vero recondito scopo è quello di farmi amare da voi. »Elena lo fissò senza proferire parola, il suo battito per la paura e per l’emozione stessa fece aumentare la pressione sanguigna, facendole sentire un forte calore alla testa. Il suo sguardo spaventato,fece capire ad Alfred di non arrendersi e che forse probabilmente quella fanciulla sarebbe potuta essere davvero sua.

Caroline senza destare troppi sospetti aveva osservato tutto l’accaduto da lontano. Per quanto potesse vedere le facce, non aveva sentito la loro conversazione; osò così avvicinarsi a suo cugino, preoccupata di cosa avesse potuto mai dire alla sua amica al punto di farla scappare.

«Lei è Karine. . . » presentò , rispettando il patto che nel pomeriggio c’era stato tra lei e suo cugino. Caroline era affiancata da una dama discendente da una nobile famiglia inglese;i suoi capelli rossi e mossi cadevano sulle spalle liberi dai fermagli,il suo abito era di un viola spento e il suo trucco era estremamente esagerato.

Alfred la guardò incantato, ma non interessato.

«E’ un onore conoscervi principe. .. » adulò la rossa con voce squillante . Alfred sorrise assumendo il suo sguardo ammaliatore. Caroline capì tutto,

«Vi lascio da soli. .. » enunciò voltandosi per andare via.

«No, no … sta tu con Katherine » Alfred cambiò improvvisamente pensiero. La cugina e la dama rimase allibito.

«Karine! » corresse acida la rossa ,intrecciando le braccia al petto già stufa per come Alfred la stesse ignorando. Sembrava una bambina capricciosa senza il proprio giocattolo.

«Mi dispiace, divertitevi... il palazzo è stracolmo di uomini.Io ho cose più importanti da fare» accennò una riverenza e con un sorriso diverso si allontanò dalle due, alla ricerca di chi sa cosa o meglio di chi.


Spazio Autrice:Non uccidetemi! Ho messo anima e corpo per questo capitolo, leggermente ne sono soddisfatta, perché ha coinvolto anche me, spero sia  lo stesso per voi. Terrei vivamente che guardaste il trailer vero e proprio con i personaggi: https://www.youtube.com/watch?v=snNO-p5KA7Y . Non so più che altro dire, perdonate come sempre gli ORRORI e spero di sentirVi :) Ps: perdonate anche eventuali ripetizioni che sicuramente avrete riscontrato. Tanti baci per chi ha questa storia nelle preferite, seguite, ricordate, a chi recensisce e chi purtroppo non lo fa. Grazie di cuore!

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 8
*** Settimo Capitolo. ***


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Nei tuoi laghi,azzurri come cieli
ho perduto la ragion e il rispetto, me stessa …
Ho sfiorato il paradiso per toccare l’inferno …
L’amor tuo non bastava a giustificare le scelte …
Vile ti ho ingannato rinunciando a noi …
Anna Karenina, Lev TOLSTOJ

Settimo capitolo


«Non tutte le donne sono angeli, » affermò Elton accennando un sorriso, sistemando le culottes * nei rispettivi stivali.

«Cosa intendi? » domandò Marco  corrugando la fronte  , accennò una risata maliziosa, rivolgendo i suoi pensieri a qualcosa di impuro.

«Se le voci che ho sentito dicono il vero, la contessina di Inghilterra sarà un bel pane per i denti del nostro principe. » rispose ridendo beffardamente;aveva sistemato i capelli lunghi color ebano in una  treccia che gli ricadeva sulle spalle. L’uniforme gli calzava larga, per il suo fisico esile e smagrito.

«Su questo non c’è dubbio, » rispose glaciale smettendo di ridere. I pensieri si fecero nitidi, rappresentando l’immagine di poco prima , dove, nello studio del principe la verità era salita a galla.

Il biondo rimase diligente a non tagliarsi con la lametta ,attentamente eliminava i pochi baffi di ricrescita.

«Spero di non aver combinato nulla, » continuò  l’amico , schioccando le dita dal nervosismo.

«Di cosa ti preoccupi? » il biondo alzò un sopracciglio e,  allontanandosi dallo specchio con il viso ancora imbrattato di spuma , s’avvicinò al moro.

«Quando sono uscito per trovare la contessa, mi ha fermato un uomo dicendomi che la rivolta è stata aizzata da una donna e per di più da Elena Hemsworth ,» nella narrazione Elton aveva assunto un
tono cupo, quasi atterrente.

I respiri di Marco inconsapevolmente iniziarono a rallentare, ma doveva contenersi. Non poteva manifestare quella reazione , Elton avrebbe capito.

«E’ impossibile, come può una contessa aizzare una rivolta? » la sua più che una domanda risultò come un'affermazione. Si finse esterrefatto e completamente in disaccordo.

«Beh amico mio, è così … la contessa ha ammesso. » non avrebbe mai voluto sentire quelle parole, ma spesso ciò che non si vuole, accade più facilmente.

«Stai dicendo che il principe lo sa? » domandò il cadetto, auspicando una risposta negativa.

«Sì, sono stato io a dirglielo … lei poi ha confessato,» titubante Elton s’avvicinò alla porta indeciso se uscire o meno,

«Non è stata lei, io ho visto chi era! »inventò. Avrebbe incolpato una sgualdrina, ma non Elena.

«Era lei, Aleksej, » il biondo gli diede un’occhiata furiosa colma di collera e subito si corresse, « volevo dire Marco»

Schioccò la lingua .Doveva fare qualcosa. Il principe avrebbe potuto ucciderla , farle scontare pene dolorose. Lei  non meritava quella fine, non meritava di  soffrire né di morire.

«Se è come dici, non vedo perché abbia ammesso. » Elton incrociò le braccia al petto,insospettendosi del cambiamento del biondo. Era particolarmente agitato.

«E’ stupida, forse. Spera che lui la mandi via, ma non è così, lui le farà soltanto del male. » sbottò non riuscendo più a contenere quelle scariche di nervosismo.

«Continuo a non capire la tua reazione, non è né la prima né l’ultima donna che il principe ferirà... » il giovane dai capelli color ebano si massaggiava la tempia, stanco dei rimproveri del suo superiore e anche dell’amico che dalla stessa mattinata non riusciva più a comprendere.

«Vado a prendere una boccata d’aria fresca, sono stanco» mugolò per non destare sospetto. Indossò la  giacca azzurra dai bottoni dorati e senza proferire altro andò via, speranzoso di trovare la sua dea e poterle spiegare tutto.

***
 
Il ricevimento fu meno brillante del precedente, le dame con le loro continue lamentele annoiavano la serata. Di Caroline nessuna traccia né tanto meno dell’uomo più sincero al mondo, il soldato Marco.
Elena gironzolava dubbiosa per la sala, sperando di non incrociare occhi indiscreti come quelli di Michael Brown,  ma soprattutto di passare inosservata. Speranza vana. Era sotto il mirino di tutti:madame e messeri.

Deglutì incoraggiando sé stessa a non cedere la speranza, pregando che qualcuno fosse venuto a salvarla.

Nessuno diede ascolto alle sue preghiere, anzi …

«Davvero un bel ricevimento !» esclamò una voce alle sue spalle. Lunghi brividi partirono , si voltò terrorizzata.

Ingoiò di nuovo e con occhi spalancati fissava l’uomo dinanzi a sé, cercando con tutta sé stessa di non distogliere lo sguardo e di dimostrare la sua spavalderia.

«Non pensavo foste qui … »  replicò lei, evitando di balbettare. Spiegò le gonne ,assumendo un’espressione facciale del tutto calma, apparentemente. Sapeva che quel giovane  era capace di renderla vulnerabile con gesti banali e non doveva permetterglielo. Non dipendeva da lui.

«Sono dappertutto e da nessuna parte ,lady» canzonò autoritario ,s’avvicinò per baciarle la mano. Lei preferì scostarsi.

«Non voglio il minimo contatto con voi, » digrignò, cercando di reggere quegli occhi color smeraldo, che cambiavano tonalità a seconda della prossimità di luce o ombra.

«Sono io quello che dovrebbe provare sdegno, »proferì quasi offeso, irrigidendo la mascella; classica reazione di chi ha lo sdegno in corpo e con i pugni che stringe a più non posso, cerca di sbollire la rabbia.

«Siete un milite, non devo darvi conto di ciò che faccio. » liquidò ,cercando di allontanarsi dalla folla. Marco non si diede per vinto,  la seguì con molta discrezione, cercando di non farsi notare dai nobili dagli occhi avvoltoi. Non appena giunti in una sala distante deserta,afferrò il polso della giovane,facendola voltare nella sua direzione. Adesso erano vicini più che mai. Petto a petto.

«Avete aizzato una rivolta dichiarando l’inutilità delle classi sociali e adesso mi date del milite, è forse discriminazione?» proferì ciò ancora più stizzito mentre il braccio della giovane stava per essere stritolato.

«Mi sono fidata di voi, e non ve ne do colpa. La colpa è mia, mi sono fidata di uno sconosciuto e non intendo ripetere l’errore. » si divincolò dalla presa e dopo aver dato un’ultima occhiata ad effetto, s’allontanò precipitosa.

«Solo adesso ho saputo, » urlò senza rincorrere, sperando che si voltasse; fece un sospiro di sollievo quando lei si fermò.

«Non sono stato io a raccontare di voi, vi prego di credermi. » continuò ,avanzando cautamente.

« Elena … perché avete ammesso? » abbassò la voce, avvicinandosi alle spalle scoperte della sua giovane dea. La tentazione di baciarle l’incavo del collo superava tutto, ma non poteva, come sempre.
Il contatto fiato e collo la costrinse a girarsi, se non l’avesse fatto avrebbe potuto lasciarsi trasportare in pensieri passionali , poco casti. Per quanto si fosse voltata, la distanza era di pochi millimetri e le loro bocche erano più vicine di quanto potessero immaginare. I battiti dei loro cuori acceleravano all'unisono e per un attimo , dimenticarono i rumori provenienti dall'altra sala. Si trovavano in una stanza  ove tende scure ricoprivano i mobili dalla luce , nessuna candela era accesa. Una sala da pranzo poco usata benché piccola per i galà e troppo grande per essere utilizzata dal solo principe.

«Da quando vi ho rivisto nello studio del principe ho promesso a me stessa di non alterare la verità …» proferì ,abbassando lo sguardo e fissando i quadrati del pavimento. Inspirò profondamente, sentendo il fastidio che le arrecava il corsetto;ogni volta le impediva di fare respiri lunghi e appaganti.

« Elena io non vi ho mentito,non ho parlato di voi al principe , lo detesto e solo il pensiero che possa farvi del male …» le accarezzò la guancia delicatamente e lei glielo lasciò fare. Trovò di nuovo pace quando la loro pelle rientrò in contatto come poche ore prima nel bosco.

«Io non voglio separarmi da voi … » sussurrò sopraffatto da un vortice di emozioni che gli esplosero nel cuore.

«Non c’è futuro per noi … » realizzò lei a malincuore, aprì gli occhi e ritornò alla realtà. A breve sarebbe potuto entrare qualcuno e la loro vicinanza , e di certo in quello stato, avrebbe potuto creare scandalo, quindi fu meglio allontanarsi. Gli accarezzò la guancia, consapevole che quello era l’unico contatto che potevano avere; su quel viso chiaro e pulito trovò qualcosa di intralcio, un piccolo batuffolo bianco.

« Avete dimenticato, »  disse mostrando il dito sporco di schiuma. Soffocò una risata. Gli occhi del giovane si illuminarono come stelle,  come fari nella notte, spalancò un sorriso a trentadue denti e senza esitazione la prese in braccio facendola roteare. Aveva compiuto il medesimo gesto di Alfred mentre danzavano. Quando agiatamente le fece toccare terra, l’abbracciò forte a sé,

«No Elena … non ho dimenticato di pulirmi, quando ci siete voi sparisce tutto. Io lotterò per voi, ricordatelo. » promise, agitando l’indice come raccomandazione.

« Non dovete promettere qualcosa che non manterrete …» enunciò semplicemente Elena dirigendosi verso l’uscita.

« Chi vi dice che non mantenga la mia promessa? » domandò irritato il soldato schiarendosi la voce. Perché metteva in dubbio la sua parola? Era attratta da lui , perché un tale atteggiamento?

« Credo che l’essere umano travolto dalla passione dica un sacco di sciocchezze, » sbottò, accennando un sorriso di compiacimento, allontanandosi senza neanche accennare una riverenza. Lei che aveva letto migliaia di libri e visto nascere tanti amori immaginari , narrati dai suoi scrittori preferiti, stava iniziando a capire , come quei sentimenti fossero fondati su basi inesistenti e totalmente distanti dalla realtà.
***
 
«Quando avrò l’onore di intrattenere vostro cugino ne sarò davvero onorata» proferì con tono seducente la baronessa Karine.

«Mi dispiace deludervi lady, ma credo che non avverrà mai …» rispose con bassezza la giovane Caroline , portando alla bocca il suo succo d’uva.

«Credete che non sarei capace di soddisfare un uomo di alto livello?» replicò la rossa squadrando Caroline dalla testa ai piedi, quasi come se volesse mettere a confronto lei, baronessa dalle tante doti di qualità e la bionda, duchessa ma senza il minimo fascino.

«Baronessa, ma come osate? » la duchessa d’Irlanda soffocò una risata, la stava pienamente deridendo.

La rossa fece un balzo, spaventata dalla reazione”inaspettata” della duchessa d’Irlanda.

«Ho voluto intendere che … un grande uomo come vostro cugino, ha bisogno di una grande donna al suo fianco e non vedo tali doti nella sua promessa sposa. »  rispose esponendo sfacciatamente i suoi pensieri;masticava con fare provocatorio un grappolo d’uva in maniera sensuale da attirare l’attenzione del barone di Birmingham.

«Vi dispiacerebbe  se entrassi  anche io a far parte di questa rovente conversazione? » il barone appena nominato, generale del suo vasto reggimento inglese, cinquantenne , vedovo ; fece irruzione nell’acceso dibattito tra le due donne con un sorriso stampato sul volto che poteva benissimo risparmiarsi. Caroline, che era  abbastanza seccata dalle occhiate maliziose che da poco più di dieci minuti il vecchio e la baronessa ammiccavano rispose molto schiettamente,

«E’ inutile barone che chiediate il permesso,da tempo stavate origliando e vi è anche la prova: il vostro orecchio rosso,» con la stessa sfacciataggine che aveva avuto pochi attimi fa Karine, Caroline toccò il lobo dell’orecchio dell’uomo , il quale rimase stupefatto e arrossì assumendo il colore di un pomodoro. La bionda accennò un sorriso sornione dileguandosi in più fretta possibile, evitando di urtare i tanti corpi intenzionati a danzare un valzer.
 
***

Il tempo a Herthford era del tutto differente di quello scozzese.Era migliore. Il vento che soffiava pacato permetteva alle nobildonne di uscire o semplicemente accompagnate dai loro valletti si recavano a fare compere;tante altre si riunivano in salotti dove parlottavano degli abiti della regina, di moda,dei buon partiti, i migliori scapoli per le loro primogenite, ma quella … non era la vita di Annalisa Roccaforte.

Il cielo soleggiato o ombrato che era,  non faceva differenza. Continuava a stare seduta ad aspettare qualcosa o forse qualcuno che non sarebbe mai giunto. S’alzò d’un tratto e con occhi fissi dinanzi , s’incamminò verso lo scrittoio; suo marito che era seduto sulla poltrona di fianco la sua –intento a leggere un giornale che annunciava l’ennesima rivolta dei contadini- sgranò gli occhi, sua moglie si era finalmente alzata. Da giorni era seduta su quella poltrona dal tessuto morbido, si alzava solo per fare gli atti. Non mangiava più, non sorrideva più, non parlava più.
Lei si voltò a guardarlo, accennando un sorriso- il primo dalla partenza di Elena -  seppure finto, Richard lo apprezzò comunque, ricambiandolo sentitamente.

« Scriverò una lettera alla nostra Elena … vuoi che firmi anche per te? » domandò cordiale, prendendo posto allo scrittoio, bagnò la penna nell'inchiostro indecisa  su come iniziare.

«No Anne … le scriverò quando il mio cuore mi suggerirà , ora non ho neanche tempo … ho degli affari arretrati» l’uomo  le si avvicinò e dolcemente le lasciò un bacio sulla fronte,poi uscì.

Anne rimase da sola. Era cresciuta leggendo libri, pagine bianche sporcate da inchiostro e adesso, che aveva avuto l’idea di scrivere alla figlia che tanto amava, sembrava essere terrorizzata da quel pezzo di carta. La mano con la quale reggeva la piuma iniziò a tremare. Tremava , tremava … sempre più forte, finché non furono i nervi a decidere per lei e fu costretta a sbattere la piuma sul tavolo,
incapace di far smettere quelle insignificanti voci che le stavano rovinando l’esistenza, continuavano a ripeterle:

“Non sei una madre, tua figlia ti odierà per sempre e si dimenticherà di te.”

Era da giorni che sentiva quelle voci che non sapeva appropriare a nessun volto, semplice: non esistevano.

Era la sua immaginazione a elaborare  tutto, ma lei non lo sapeva. Continuava a mettersi le mani al capo e a urlare,

“Andate via, uscite da me,”

Quelle parole non bastarono a scacciare quel vocio che sempre più frequentemente si presentava nella donna, divorandola.

“Devo farcela,”  disse incoraggiando se stessa. Impugnò la piuma, la imbevette nell’inchiostro e cercò di liberare la sua anima. Sua figlia DOVEVA sapere.

Cara Elena,
ti ricordi quando da bambina cercavo di insegnarti l’italiano?

Cancellò e riprese una nuova pergamena.

Cara Elena,
non sono mai stata brava a scrivere i miei sentimenti,  non sono come te, riesci sempre a dire la cosa giusta al momento giusto …
Ricordo quando l’istitutrice ti insegnava le poesie e tu,con la tua bravura ,sapevi sempre interpretarle nel migliore dei modi.
Io non sarò mai capace di essere come te e per quanto ce l’abbia messa tutta, so che non sono stata la mamma migliore del mondo … ma una cosa so dirtela …
Tra le figlie che potevano capitarmi, tu sei la migliore.
Se mi perdonerai o no,  non m’importa, volevo solo  dirti che ti adoro … e da madre quale sono , spero di averti salvata.
Salvarti da cosa? Eccoti la verità , anche se forse non capirai …
Volevo salvarti dall’amore,  evitando di farti commettere  il mio stesso errore.
Credi che abbia amato solo tuo padre? Beh … no,
quando avevo poco più della tua età,  in Italia conobbi un uomo, si chiamava Giovanni … era bellissimo e mi innamorai follemente di lui. Come ben immagini , finì  e anche nei più tragici  dei modi.
Tuo nonno scoprendoci  nel nostro nido d’amore,  armato di un fucile , senza porsi troppi problemi gli tolse la vita sotto i miei stessi occhi. Ho odiato mio padre e non ho mai smesso.Tentai di fuggire, ma fu vano, fui ritrovata a pochi isolati da casa.Non ebbi neanche il coraggio di suicidarmi, anche se volevo. Tuo nonno,  egoista qual'era agiva pensando alle condizioni economiche della mia famiglia  ,che  appunto,non erano le migliori,  l’unica speranza era il mio matrimonio con Richard. Il tempo è passato e ho iniziato a volergli bene,  ma l’uomo che amerò per sempre sarà l’italiano, sogno sempre di lui, sai?

A questa frase sorrise, per poi continuare a scrivere e con il polso ad asciugarsi le lacrime.

Ho temuto molto quando  hai iniziato a crescere e al tempo stesso a rifugiarti nei libri, stavi commettendo i miei stessi errori. Non avrei permesso che la nuova parte di me, cioè te, avrebbe ricommesso gli stessi sbagli.
Ho cercato di assicurarmi che non conoscessi altro uomo all’infuori del tuo promesso sposo,  perché quando non puoi amare chi vuoi, inizi a morire. E’ un vuoto che ti logora dentro fino a farti impazzire, non dormi  la notte.
Quando sai che non puoi amare è meglio che si chiarisca subito,è un colloquio tra te e la tua mente, il cuore non centra.
Anche se deciderai di non perdonarmi ,  non portarmi rancore, non sopporterei ulteriore sofferenza …
Il tuo animo che è buono e gentile deve concedermi almeno un granello di pace.
Perdonami ,
tua madre.

Lesse e rilesse quella lettera, indecisa se cestinarla o chiamare il valletto per farla spedire.

Cercava di correggere, trovare vocaboli più appropriati, aggiustare la calligrafia che aveva sempre odiato perché la reputava elementare e per niente raffinata.S’accorse che la fine della pergamena era bagnata da qualche lacrima, doveva inviarla.

Aveva messo a tacere i suoi demoni, c’era riuscita, non poteva riscriverla con la consapevolezza che forse, non sarebbe più riuscita a spedirla.

Schiarendosi la voce chiamò Adamina , la quale  posteggiava al di fuori della camera. La serva si precipitò e dopo  aver timbrato con il timbro appropriato, la lettera era pronta per essere spedita.

Annalisa inspirò ed espirò , accennando un lieve sorriso. Quella lettera era riuscita ad alleggerirle il macigno sul cuore.

 
***

« E’ incredibile, non posso lasciarvi un attimo sola che vi perdo di vista, » realizzò Alfred , abbozzando un sorriso finto.

« Ed è incredibile come vuoi riusciate sempre a sbucare da luoghi più impossibili facendomi sussultare, » ribatté Elena, leggermente provata.

« Non mi aspettavo di trovarvi qui, » canzonò Alfred, accennando ancora una volta uno dei suoi sorrisi più beffardi.

«E io che pensavo che mi aveste seguita, » rispose , corrugando la fronte e portando le braccia al petto.

« Fa freddo, è abbastanza insensato stare qui fuori, » constatò l’uomo, cercando di trovare calore, facendo fiato tra i pugni.

« Se è insensato perché non entrate? » rispose lei.

« Non oso lasciarvi sola, » enunciò fermamente, assumendo un’espressione cupa, torpida.

« Va … bene» Elena aggrottò le sopracciglia, segno che non sapeva cosa dire. Una come lei che aveva sempre avuto la risposta pronta, in quel momento era in profonda difficoltà. Non poteva dare il potere ad Alfred di averla zittita, ma allo stesso tempo, cosa poteva dire? Non aveva nessuna idea che le frullasse per la testa, se non quella di mandarlo a quel paese, ma per quel giorno … aveva già causato abbastanza danni.

«Tenete, » invitò lui, porgendole la sua giacca rossa fuoco con sfumature gialle,

«Sentirete meno freddo, » aggiunse premuroso,

«Mi dispiace, ma non accetto …» proferì Elena, sospirando e al tempo stesso ad allontanarsi. Quell'uomo la terrorizzava.

«E a me dispiace per voi, ma non accetto un rifiuto» Elena tacque.  «Suvvia, non siate orgogliosa,  è così evidente che desideriate di rientrare » Alfred cercò di mostrarsi amichevole, innocuo, ma Elena poteva mai ricredersi sul suo conto? Lo detestava con tutta sé stessa,  provava ribrezzo nei suoi confronti e mai e poi mai avrebbe cambiato idea. Aveva sempre la stessa opinione. Il suo giudizio- nonostante  il suo animo fosse buono e generoso-non accettava mutamenti.

Si trovò costretta ad accettare, Alfred recuperava punti. Era così determinato che l’aveva messa a tacere già due volte.

«Grazie, » rispose acida.

Calò un profondo silenzio, alquanto imbarazzante. Il tempo sembrava calmarsi, le raffiche di vento erano leggermente diminuite,  eliminando i piccoli granelli di asfalto che poco prima ostacolavano la vista. Era un clima inabitabile, Elena dubitava che fosse riuscita ad abituarsi,  ma d’altronde … doveva abituarsi a cose peggiori, suo marito ad esempio. SUO MARITO. Che assurdità, non era proprio adatto quel termine, pensò a cosa fosse accaduto se sarebbe fuggita, ma quello non era il momento di pensare a determinate cose, non quando a pochi centimetri Alfred la stava fissando. Sembrava quasi che la stesse contemplando, come un artista che dopo aver finito la sua scultura, l’ammira in tutta la sua bellezza.

«La vostra pelle è ancora più bella illuminata dalla pallida luna, » sembrò recitare una poesia, non voleva sembrare ridicolo eppure …

Elena sogghignò. Non l’aveva emozionata come suo intento, ma almeno l’aveva fatta ridere. Quello già era un passo molto avanzato.

«Non trovate siano più interessante le stelle? » domandò lei, evitando di aggredirlo.

«Sì, sono belle … ma ne sono tante, anche se differenti, al nostro occhio appaiono uguali , invece, la luna è … unica nel suo genere. » osservò il principe, rivelando la sua poesia, ma anche un’ottima riflessione che ad Elena non passò inosservata.

«Sì, la luna è unica …» ripeté ammaliata, fissando il principe quasi con aria incantata, meravigliata.

«Credo che non si debba perdere tempo a contare le stelle, ma puntare dritto alla luna» realizzò e con l’indice indicò il satellite.

Una reazione del tutto istintiva portò Elena a urlare un "no", toccò le mani dell’uomo, abbassandole verso il suolo. Il loro primo vero contatto.

Alfred scoppiò a ridere. Quella risata calda quanto fragorosa era per l’espressione di Elena o la felicità che le aveva sfiorato le mani? Lei arrossì, credendo che si stesse prendendo gioco di lei, ma quando tornò in sé,

«Perdonatemi, » schiarì la voce ricomponendosi.Lei non proferì parola.

«Il vostro gesto mi ha messo di buon umore, »  continuò lui quasi discolpandosi.

«Non mi piace che si rida di me!» sbottò E stizzita, aggiustandosi i capelli che quelle poche raffiche di vento le scompigliavano.

«Non rido di voi,  mi domando il motivo di tale atteggiamento, avete letto di qualche maledizione? »  domandò curioso il nobile, non togliendosi quell'espressione sorridente al tempo stesso provocatoria.

«Sì e dovete credermi. Chi fissa troppo la luna o le stelle finisce col perdere la pace interiore» dichiarò Elena, affievolendo la voce sulle ultime parole. Potevano essere fraintese.

«Non c’è pace per noi umani, Elena … viviamo di sentimenti, ma prima o poi tramontano. Ci circondiamo di persone che ci arricchiscono la vita, ma ci lasceranno o per volontà o perché moriranno e rimarremo soli. » fissò un punto fisso, proferiva quelle parole come se stesse dando voce ad un tormento. Il suo. Elena preferì non aggiungere niente, non voleva interromperlo. Era desiderosa di scoprire i pensieri di quell’uomo, o come il signor Brown l’aveva definito: una bestia.

« Il sentimento che provate per me è paura, lo so …» sussurrò, dandole le spalle e volgendo il suo sguardo all'orizzonte.

«No principe, io non ho paura di voi …»  interruppe creando meraviglia sul volto di Alfred. Lui, che credeva di sapere tutto, era stato colpito nuovamente dall'unica donna in grado di controbatterlo , l’unica che l’avrebbe indotto a maledirsi perché lei era imbattibile. Lui avrebbe ceduto non solo alla sua bellezza,  ma alla sua bontà e innocenza.

«Dovreste, » urlò, voltandosi e quasi la spintonò per l’aria. La calma sul suo volto si era trasformata in ferocia, era arrabbiato, ma perché?

Lui avanzò, lei iniziò a indietreggiare cautamente, stando attenta ai cespugli e cercando di ricordare l’uscita del labirinto.

Tutto era oscurato, non poteva scorgere bene.

Finì intrappolata tra la siepe e il corpo di Alfred che senza scrupoli premeva contro il suo.

Le mancò l’aria e il suo viso venne di nuovo illuminato dal chiarore flebile della luna. Non si mosse, iniziò a tremare.

Alzò lo sguardo, incrociando quei laghi, azzurri come cieli;le si fermò il respiro , non poté abbassare gli occhi, perché lui gradualmente le sfiorò il mento sollevandolo leggermente e quindi permetterle una migliore visuale.

«Sentitevi peccatrice, » sbottò e il suo fiato insieme all’aria gelida sfiorò le labbra della fanciulla. Liberò la presa ed Elena ritornò a respirare o almeno cercò.

«Di cosa? » domandò irritata. Era stufa di essere trattata in quel modo, bloccata, avvicinata ,  come se fosse un giocattolo.

« Non capireste, » liquidò allontanandosi di qualche metro.

«Voglio capire vostra altezza, » sbottò Elena più curiosa che preoccupata.

«Cerco di capire il vostro modo di fare, ma sembra che parliamo due lingue differenti. C’è un’incomunicabilità tra noi e per quanto mi sforzi credo che un essere come voi non riuscirà mai a capire una come me,» sputò tutto come un fiume in piena senza preoccuparsi di aggravare ulteriormente la sua situazione.

«Non capisco perché non fate quello che fanno le altre donne e perché fate quello che le altre donne non fanno! » la frase che si prospettava abbastanza articolata da capire, era più facile di quanto potesse sembrare.

«Le altre donne mi seducono, mi amano, mi desiderano e voi no. Voi aizzate una rivolta per farmi uccidere e le altre donne no. Non capisco cosa c’è … »

«Di sbagliato in me? » continuò lei, lui si calmò portandosi i capelli all’indietro e non proferendo parola.

«Si , è probabile che sia  io il problema , ma se fossi in voi inizierei a farmi delle domande, »

«No, non perdo tempo a pensare,  anche perché prima del vostro arrivo tutto andava bene, »

«Potete mandarmi via, così esaudirete anche il mio più grande desiderio! » la spontaneità di Elena non fu ben gradita dal nobile che su tutte le furie le voltò le spalle e s’allontanò , gridando con aria stanca:

«Andate al diavolo,»
***

Qualcuno all’interno del palazzo, ospite del festoso galà organizzato dal principe di Scozia, stava tramando una congiura. Sì,  stava per ordire una vera e propria congiura.

In una stanza del regno, lontano da musicisti, servi, dame e altri nobili, la baronessa Karine e il barone di Birmingham erano in approcci molto profondi.

Baciandosi  senza freni, corpo contro corpo, la mano curiosa del barone che viaggiava all'interno-coscia della donna e la volontà di lei di essere sua, fece capire che quei baci innocui stavano per sfociare in un vero e proprio rapporto intimo.

Lei si distaccò svogliatamente mentre lui continuava a baciarla dappertutto:  braccia, mani, la piccola parte di seno che il corpetto riusciva a far intravedere.

«Fermo, »disse avvicinandosi allo specchio e ripulendosi il rossetto sbavato,

«Sono un generale dell’esercito, sono io che detto ordini mia signora …» sussurrò continuando a torturare le labbra di Karine con baci bavosi e morsi violenti.

«Questa volta detterò io ordini, caro …» accennò il suo sguardo ammaliatrice e lo mise a tacere.

S’ aggiustò le gonne e fece un  respiro appagante,

«So che siete vedevo, » iniziò ,girando intorno al nocciolo, ma non arrivando al succo.

«Volete sposarmi?» domandò lui ironico,

«Non siete il mio partito, perdonate … ho altri ideali» «so che vostra moglie era molto ricca, ma chi sa per quale ragione ha lasciato tutto al figlio bastardo, » continuò con tono spregevole, suscitando nell'uomo abbastanza irritazione.

«quali sarebbero i vostri ideali? »  chiese il barone , ignorando l’ultima frase.

«Alfred Grayson» sgranò a denti stretti  piena di desiderio. Il suo sorriso e il suo sguardo si illuminarono.

«La sua ricchezza … il suo corpo: giovane, fresco, le sue spalle larghe … non ho mai desiderato un uomo come desidero lui ,  è lo stesso desiderio che voi provate per me, quindi potete ben capirmi»

«Sì lady, sono pazzo di voi» sussurrò il generale con quel poco di fiato che aveva, la voglia di rendere quella donna sua e il vino  lo dominavano.

«Bene, ascoltatemi bene … di voi si dice che abbiate vinto guerre impossibili, vi chiedo la massima discrezione quando effettuerete il rapimento. » sottolineò l’ultima parola, il barone sgranò gli occhi presentando sul volto un’espressione esterrefatta.

«Vi rendete conto di ciò che mi state chiedendo?»

«Sarà una cosa da fanciulli, vedrete … mi avvicinerò al principe, otterrò la sua fiducia, il suo amore e diverrò sua moglie e voi … il mio amante, e avrete anche del denaro. » sorrise maligna.

«La fate facile, » sbuffò l’uomo, grattandosi il capo e cercando una soluzione migliore.

«No, sarà facile, » si sedette sulle gambe del barone e iniziò a soffiargli al collo, tentandolo come solo lei sapeva fare. Con le sue unghie accarezzava la pelle dell’uomo che cominciava ad andare a fuoco ,desideroso di sfogare la sua passione.

«Ditemi il nome, » mugolò lui senza fiato,

«Elena Hemsworth, è lei che deve essere eliminata. »


Spazio Autrice: Spero che questo capitolo vi piaccia, spero che perdonerete i miei ORRORI! Vi piace questo banner? Se lasciate qualche recensione , ditemi quale coppia tifate! Baci:)
 

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Capitolo 9
*** Ottavo Capitolo. ***


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Certamente non vi dimentichiamo così in fretta come voi dimenticate noi.
Forse è il nostro destino più che un nostro merito.
Non abbiamo altra scelta. Trascorriamo il tempo relegate in casa, quietamente, a tormentarci per i nostri sentimenti.
Jane Austen
 
 

Ottavo capitolo 

Il galà era quasi giunto al termine, Alfred si affrettava a salutare i nobili invitati. Nessuno gli aveva chiesto della rivolta;meglio così, pensò,  mentre insieme ai servi  velocizzava la chiusura dei cancelli. Tutti erano andati via. E lui aveva bisogno di pensare. Salì le scale della lunga scalinata per giungere , finalmente in camera sua; Lì,avrebbe avuto tutto il tempo per riflettere e trovare una soluzione. La sua stanza era una di quelle buie, dove il sole non osava rimanere a lungo. La luminosità non entrava nella camera,  poiché ostacolata dalle tende color bordeaux. Ad Alfred andava bene così, si definiva: padrone delle tenebre. Pensò che,  forse,  era quello il motivo delle tante discussioni con Elena: il suo carattere strano e incomprensibile e completamente opposto:  lui era buio, lei luce. Un bagliore di sole, che nelle tenebre di sé stesso, non aveva mai visto. Accennò un pizzico d’affanno salendo gli ultimi gradini, ma il pensiero  di quella giovane alleggerì tutto.

Giunto al suo corridoio, aprì la porta della sua stanza;sopraffatto dai mille pensieri , non scorse un’altra figura.

Ebbe un sussulto per lo spavento ,  ma cercò di mantenere la calma,  tentando di scoprire a chi appartenesse quella sagoma.

Non era muscolosa come quello di un uomo. Spalancò meglio gli occhi, credendo di capirne di più. Lentamente lo sconosciuto avanzava. Il principe rimase in silenzio,  accendendo una fiammella;grazie a quell’oggetto riuscì ad appropriare quel fisico ad un volto familiare o meglio, un viso che aveva appena conosciuto.

«Vostra altezza, » sibilò con un filo di voce, cercando di esternare tutta la passione che aveva in corpo.

Alfred rimase esterrefatto;era una donna e per di più seminuda. Indossava una camicia da notte di tessuto trasparente, dal quale ogni millimetro di corpo era visibile. La femmina s’avvicinò, gli cinse le braccia al collo avvicinandolo ancora di più; i loro corpi premevano l’uno contro l’altro. Sotto i pesanti abiti ,  l’uomo percepiva il seno prosperoso di Karine e mai come in quel momento, provò imbarazzo. Non proferì parola e senza capire ciò che stava facendo , con forza moderata la spintonò sul letto, sovrastandola con il suo corpo. Fugacemente le sbottonò i primi bottoni per avere ampio accesso al suo seno e iniziò a baciarla: dal collo alle spalle, dalle spalle al seno; accennò piccoli morsi, facendo così , gemere la baronessa che iniziava ad ansimare. Nel pieno desiderio,  il principe mugolava frasi senza senso, ma non importò a Karine. Era fiera di sé, era stato più facile del previsto. Alfred stava scendendo verso l’intimo quando poi … ritorno in sé.

«Cosa succede? »Domandò la donna allertata. Non gli avrebbe permesso di tirarsi indietro. Doveva essere suo.

Alfred s’alzò di scatto e recatosi verso lo specchio cercò di ricomporsi.

«Succede che io non ho baciato voi , né il vostro corpo …» sbottò adirato, strofinandosi la bocca, quasi come se volesse cancellare ogni traccia di lei.

«Non mi ingannate, ho visto come eravate preso! » controbatté lei, coprendosi con il lenzuolo.

«Sì ero preso, ma perché ho immaginato un’altra donna» ammise pentito, portandosi i capelli all’indietro e cercando di respirare a intervalli regolari.

«Adesso me ne vado , potrete vestirvi tranquillamente. Non osate sfidarmi e rimanere qui. Sono stato chiaro? » domandò  adirato e  senza  aspettare risposta, uscì a precipizio dalla sua camera, che per la prima volta , odiava.

Sconvolto,  si aggirava per il castello, domandosi perché avesse baciato Karine; o meglio, perché non si era concesso ad una donna affascinante come la baronessa .Mille erano gli interrogativi a cui non seppe dare risposta. Si recò in giardino, con l’intento di prendere una boccata d’aria e,  di far prendere ossigeno a quei neuroni che stavano per prendere fuoco.

Si sedette su una panchina pensando all’accaduto. L’aria gelida era capace di spegnere il gas illuminante, s’avvicinò vicino ad una fiammella, cercando di non farla estinguere in modo che potesse illuminare il suo cammino.

Al centro del giardino, vi era sempre stato un albero:era semplice e Alfred non gli aveva mai dato importanza; eppure,  in quell’istante s’avvicinò , ne  era attratto. Era un albero di fiori di ciliegio. Lo contemplò in tutta la sua semplicità, ne accarezzò i fiori delicati; li avvicinò al naso, inebriandosi del loro profumo,  lo stesso profumo che sentiva quando stava con Elena. Oh, quella ragazza, ogni volta ritornava nei suoi pensieri. Lo torturava. Scacciò o almeno cercò di rimuoverla per un attimo dalla sua mente e si concentrò su quell’albero, era una cosa stupida, ma almeno, cercava di distrarsi.

«Non può avere questo effetto su me, diamine! » sbottò nervoso e , nonostante si fosse appena seduto , si alzò immediatamente. Percorreva lo stesso pezzo di terreno andando avanti e indietro.

Malgrado desiderasse rimanere all’aperto, il freddo lo costrinse a tornare dentro. Strappò un fiore , e senza svegliare nessuno, entrò silenziosamente. Tutti i servi, comprese le guardie di turno, come sciocchi si erano appisolati. Preferì fingere di non aver visto , non voleva essere cattivo anche a quell'ora inoltrata. Con in mano il fiore, cercò di reprimere quella tentazione che stava crescendo smisuratamente in lui. Per un attimo pensò a Karine , cercando di concentrarsi su lei, ma neanche quella donna dal bell'aspetto riuscì a fargli dimenticare quella fanciulla. Doveva andare da lei, aveva bisogno di lei.

Salì le scale, sperando che la giovane contessa di Herthford non avesse chiuso la porta a chiave, non aveva cattive intenzioni: desiderava vederla dormire.
Giunto alla porta, la sua coscienza gli suggerì di non entrare, ma ignorò. Sperò che l’entrata fosse accessibile, chiuse gli occhi come quei bambini che credono nella magia e così, incredibilmente …  constatò che Elena non aveva chiuso la porta.

Aprì lentamente, sperando che i cardini non cigolassero. Il sorriso stampato sul volto si presentò appena vide ciò che aveva immaginato: le tende sistemate in modo che la luna potesse entrare e ,  con i suoi raggi pallidi  baciarle il viso;il vestito che aveva indossato al galà riposto ordinatamente sulla seggiola regale; ma  ciò che lo colpì fu la sua  giacca pacchiana ben piegata accanto all’abito della sua futura sposa. Sorrise quando finalmente posò  il suo sguardo su lei, l’unico motivo per il quale si era arrecato lì. Gli mancò il fiato vedendola addormentata, più innocua di sempre; qualunque cosa le avesse detto, non avrebbe potuto rispondergli. Desiderava sedersi di fianco a lei e magari dormirci tutta la notte, o meglio essere franchi:farci l’amore. Fare l’amore? Alfred Grayson ?Scosse la testa a destra e sinistra abbozzando un nuovo sorriso più per l’imbarazzo che per l’incredulità. Lui che non aveva mai amato non era intenzionato a cadere in quella trappola. Né in quel momento né mai.
A malincuore decise di rimanere distante e contemplarla in tutta la sua bellezza. I capelli di Elena erano leggermente più chiari, poiché il bagliore della luna le illuminava , come sempre, la sua pelle bronzea.

Alfred opponeva resistenza ai suoi desideri: gli sarebbe piaciuto accarezzarla, anche solo il volto, ma avrebbe rischiato di svegliarla ed era meglio evitare quel rischio.
Poggiò la testa allo stipite della porta, cercando di contemplarla ancora per un po’; solitamente erano altri i pensieri che aveva  quando vedeva una donna al letto, ma anche in quel caso , con  Elena Hemsworth continuava ad andare tutto diversamente; con lei provava pace e afflizione: era capace di renderlo invincibile o una nullità. Iniziò a maledirsi.

Chiunque dama avesse fatto quello che Elena s’era azzardata , già sarebbe stata punita nei modi più crudeli, perché non  le aveva riservato nessuna punizione?

Massaggiò la tempia , cercando per l’ennesima volta di scacciare i vari pensieri che gli davano il tormento. Aveva troppe domande senza risposta.  Come aveva fatto quella fanciulla a fargli crollare tutte le certezze?
Fece un respiro profondo e stando attento a non far rumore, avanzò verso il letto a piedi di piombo. Fu tentato di accarezzarla, ma si rimproverò tacitamente. Al lato sinistro poggiò il fiore di ciliegio, e dandole un’ultima occhiata,si voltò verso la porta.

Se quel gesto,  gli risultava così insensato, al tempo stesso lo reputava dolce. Dolce? Alfred non lo era mai stato. E mai e poi mai, secondo lui, avrebbe dimostrato di essere un uomo buono e con dei veri e propri sentimenti.

«Buona luna»proferì con un filo di voce,  al tal punto che le sue stesse orecchie non sentirono quelle amabili parole.

Chiuse la porta augurandosi di essere passato inosservato.
***
 
Il galà era terminato da molto, ormai era notte tarda. L’intera servitù, stroncata dalla stanchezza dei preparativi del ballo già concluso, cadde in un sonno profondo.  Ma qualche notturno, a parte il principe tormentato,  vi era.

Un altro cuore, sempre sofferente, pulsava a ritmi sconnessi.

La paura di perdere qualcosa che hai è  tanta, ma perdere qualcosa che non hai è una sensazione indescrivibile. Spesso, sentiamo qualcosa che ci appartiene nonostante non faccia parte della nostra esistenza; era così che si sentiva Caroline.

Non le importava delle raffiche di vento, non le importava se quella attesa era così lunga; Lei era lì, ad aspettare il suo amato.

Le si illuminarono gli occhi di felicità, quando non poco distante una sagoma s’avvicinava. Era il suo James.

Gli corse incontro decisa  e appena le loro braccia si sfiorarono, Caroline si sentì al sicuro. Quella che le sembrava un’attesa infinita, era finalmente terminata. Adesso, tra le braccia del suo amore, cullata dall’incanto della notte, nulla le risultava pauroso e terrificante.

«Amore mio, » sussurrò Caroline,  accoccolandosi al petto del suo rosso.

«Caroline …» disse lui, assumendo un tono serio mai avuto prima; si distaccò dall’abbraccio, prendendo una distanza.

Non era un buon segno. Il sorriso di Caroline non tardò a sparire, iniziò a preoccuparsi, nonostante preferiva di gran lungo rimanere calma e focalizzare meglio quel tono che non le piaceva.

«Se sono qui questa notte è per dirti delle cose …» proferì con lo sguardo rivolto verso il basso. «Delle cose che non ti piaceranno, ma è la realtà Carol …» accennava delle pause, non riusciva ad enunciare tutto con un solo fiato. Il cuore di Caroline iniziava a spaccarsi in tanti piccoli pezzi … la sua mente aveva capito, ma non poteva essere vero.

«Cosa devi dirmi, James? » Domandò stando sull’attenti e distaccandosi ancora di più. Il suo sguardo esprimeva tutto, ma soprattutto smarrimento.

«Per quanto sarà difficile accettare questo destino, non potremo mai stare insieme … ed è inutile continuarci ad illudere che forse, un giorno, tutto cambierà. Sei stata la sola che mi ha fatto sentire un ragazzo migliore, non un comune contadino, e ti ringrazierò sempre. Ma non riuscirò a sopportare di dividerti con un altro uomo … con tuo marito, sarebbe un adulterio e io … voglio avere la mia vita … tranquilla …»

«Temi che ti facciano fuori, non è vero? » constatò la bionda, allarmandosi più del dovuto. La sua voce che prima era distrutta, stava riprendendo forze per controbattere.

«Io … voglio vivere, » ammise, non alzando lo sguardo.

«Sei un codardo, credi che il mio futuro marito possa ucciderti? Mi hai usata, James … io non ci posso credere! » urlò smisuratamente, incurante che qualcuno potesse sentirla. Non le importava: James era tutta la sua vita e ora , senza valide motivazioni, la stava abbandonando.

«Caroline , calmati … ci scopriranno » il contadino cercò di farla tornare in sé, con voce pacata la esortava di abbassare i toni, ma ormai , la duchessa era incontrollabile.

«Come puoi dire ad un cuore distrutto di calmarsi? Con che coraggio mi hai illusa? E soprattutto, spiegami come hai fatto a mentirmi così bene ... » le lacrime scendevano da sé, cadevano sulle guance fredde, per poi essere spazzate via dalle ventate. Quel freddo di Gennaio, entrava sotto gli abiti regali della giovane , per poi fermarsi all’interno di sé stessa, depositando un vuoto incolmabile.

«Non ti ho mentito Carol, io lo faccio per te, imparerai ad amare il tuo maritino e vivrete felici e contenti senza me, creerei soltanto problemi. »

«Sai a me quanto importava dei problemi se avevo te?» domandò lei, asciugandosi frettolosamente le lacrime che fastidiosamente,  cadevano sulle guance paffute.

Lui fece spallucce, alzando di poco il capo.


«Nulla James, con te al mio fianco avrei affrontato tutto: i miei genitori, il mio titolo nobiliare, l’eredità e tutto questo solo per te. Mi sarebbe piaciuto vivere in campagna , in una piccola casetta di legno, immaginavo di star seduta vicino al camino aspettando il tuo rientro dal pascolo. » fece una pausa, non aveva fiato, tutte quelle parole le aveva scaricate come un fiume in piena, senza preoccuparsi di urlare, senza preoccuparsi di non essere capita.

«A me bastava poco, a me bastavi tu. » concluse , allontanandosi.

James rimase lì, fermo; lei si allontanava a passi di lumaca e una piccola parte di sé sperava che  la rincorresse, ma non fu così. Lei continuò a camminare nonostante il lutto che il suo cuore portava, e lui , immobile ,  la guardò uscire definitivamente dalla sua vita. Le loro strade si erano divise per sempre.

L’ho persa.

L’ho perduto.

 
***

Il sole spuntò  più deciso del solito, pronto a riscaldare e a illuminare quella giornata che si prospettava simile alle altre.

Elena si destò lentamente, abbandonando le piacevoli profondità dell’incoscienza per fluttuare verso lo stato di veglia. Aveva dormito meglio, senz' altro la notte trascorsa era stata migliore di quella susseguita da incubi. Il materasso di piume era lo stesso , le lenzuola vagamente umide, il fuoco nel caminetto fumava a ogni folata di vento e gli amorini che incorniciavano l’affresco sul soffitto non la perdevano di vista con i loro occhi di stucco. Rivolse un sorriso assonnato a quelle figurine, rotolò bocconi e affondò la faccia nel cuscino. Amorini, ah. Quei dipinti non potevano essere stati scelti dal principe Alfred.  Le sarebbe piaciuto prenderlo in giro, quei bimbetti piccoli, grassi e nudi, forniti di ali e che si amavano non lo rispecchiavano per nulla. Eppure c’era qualcosa nel principe che lei trovava molto stuzzicante, come una scintilla celata dietro il suo apparire macabro. Continuò a ridere, aveva rivolto il suo primo pensiero ad Alfred Grayson? Scacciò quei pensieri abbastanza compromettenti e si mise a sedere,  appoggiandosi ai cuscini. Era ora di alzarsi.

Si liberò delle lenzuola, ma qualcosa attirò la sua attenzione. Strofinò gli occhi, cercando di capire se fosse un sogno, ma no , era reale. Un fiore di ciliegio era posto accuratamente sul letto. Lo afferrò cautamente, come se temesse di pungersi e con la stessa lentezza lo portò sotto al naso per inebriarsi di quel profumo tanto di casa.

Non si era mica dimenticata di quando, sul cavallo aveva notato un albero diverso e per niente scontato.

Le dame dell’epoca preferivano le rose da quelle rosse a bianche, da rose a blu, ma anche in quello , Elena si distingueva.

Nessuno mai , aveva dato importanza a quei fiori o almeno così credeva. Il punto era un altro: chi aveva osato irrompersi nella sua camera e posare accuratamente sul letto quel fiore che amava tanto?  Certamente qualcuno che sapeva i suoi gusti,ma chi? Non ne aveva fatto parola con nessuno; ma potevano essere solo due uomini: il bel cavaliere o Alfred Grayson, il secondo era impossibile. Mentre cercava di darsi delle risposte consone a quella domanda irrisolta, qualcuno bussò.

Ebbe un sussulto, ma nulla di preoccupante: era la serva.

La valletta si limitò a bussare e dall’altra parte cordialmente domandò «Vostra grazia, mi auguro di non avervi svegliata,  gradite la colazione? »

«State tranquilla, ero già sveglia … per la colazione scendo a breve …» detto ciò la cameriera andò via.

Elena continuò a fissare quell’innocuo fiore girandolo e rigirandolo tra le mani. Le sue fantasie la portarono al bel cavaliere biondo; sorrise nuovamente. S’alzò a malincuore, indossando un abito color violaceo senza rigonfio cosicché non ci fosse stato bisogno dell’aiuto delle serve. Sistemò i capelli, mettendo il fiore tra questi.

Tirò un bel sospiro e strinse la maniglia , pronta per scendere e recarsi in cucina; come sempre tutti i servi la fissavano. “Sarò forse un alieno?” pensò Elena. Forse non aveva sistemato il fiore, ma non le importò, le piaceva.

Giunse in cucina dove quattro serve confabulavano qualcosa;ovviamente era un pettegolezzo del bellissimo principe. Le vallette non si accorsero della sua presenza poiché le davano le spalle, continuarono il loro acceso discorso.

«Io non li ho visti uscire, » disse una sghignazzando,

«In effetti non sono usciti, ma caspiterina! Potrebbe rispettare la contessa … andare in una casa di piacere e poi con la baronessa …» continuò un’altra , accennando fastidio.

“Il principe aveva altro da fare … beh, ero già sicura che questo fiore così bello non potesse essere una sua idea”

Una valletta  si girò involontariamente, notando la presenza della piccola Hemsworth.

«Vostra grazia …» balbettò, accennando una riverenza.

Le altre udendo la compagna di lavoro si voltarono di scatto ,zittendosi immediatamente.

«Tranquille … continuate, non mi interessa» rispose Elena con un filo di voce. La sua voce  un po’ rotta si percepiva  come una piccola ferita, anche se superficiale, ma pur sempre una lesione all’anima.

«Non stavamo parlando di chi sa cosa …» qualcuna cercò di giustificarsi, altre preferirono rimanere in silenzio per non peggiorare la condizione.

«Non dovete darmi spiegazioni, non mi servono. liquidò acida.

«Vostra grazia dovreste aspettarci nella grande sala, sapete che il principe non è d’accordo che veniate in cucina e che abbiate confidenza con noi …» proferì la più saggia, cercando di calmare le acque.

«Non mi interessa  cosa il principe voglia, pensa … potrei avere la mia colazione? » accennò un sorriso sornione e si accomodò su una sedia malandata.

«Mangerete qui? Nella cucina degli inservienti? » domandò una , spalancando gli occhi.

«Se non vi da fastidio, si … cosa abbiamo di diverso? » chiese, accennando un sorriso sincero che fu ricambiato da tutte le serve , anche quelle che l’avevano messa in cattiva luce. Nessuno riusciva ad odiarla.

Spalmò la marmellata sulle fette biscottate e dopo aver riempito almeno un po’ lo stomaco, decise di fare una bella passeggiata in giardino. Il tempo era indiscutibilmente migliore.

Poggiò una mantellina sulle spalle, cercando di ripararsi dalle poche  raffiche di vento.

«Elena, » una voce alle sue spalle la chiamò, era impossibile non riconoscerla.

Si voltò lentamente attenta a non far cadere quel fiore che i capelli puntellavano debolmente.

«Perdonate se ho osato chiamarvi per nome, ma se avessi pensato di chiamarvi Beatrice … »

«Potevate chiamarmi contessa, volete mettermi nei guai , cavaliere? » alzò un sopracciglio sospettosa, non staccando gli occhi dall’uomo.

«No … non penserete questo di me? Elena, io tengo a voi … non vi farei mai del male. » ammise, prendendo le mani della donna e baciandole come se non ci fosse un domani.

La nobile rimase esterrefatta, era una reazione che mai e poi mai avrebbe immaginato, si scostò leggermente, ma lui non la lasciò andare.

«Io credo di amarvi, non c’è minuto che non penso a voi …» continuò insistente.

«Vi prego, »  lo esortò Elena quasi spaventata , « ritornate in voi, »

«Elena donatemi un vostro bacio, ne ho bisogno. »

La giovane contessa ritrasse la mascella, allontanandosi terrorizzata.

«Come potete chiedermi una cosa del genere? » domandò allibita, facendosi spazio tra le siepi.

«Occupate la mia mente» continuò spudorato come solo un uomo pazzo d’amore riesce.

«Fuggite con me, »

«C … Cosa? »

«Elena voi mi amate, lo sento ogni volta che stiamo vicini, ogni volta che i nostri corpi si sfiorano … non buttate la vostra vita dietro un uomo che non vale niente, » enunciò convincente, «non esigo già ora una risposta, ma promettetemi che ci penserete, ve ne prego …»

«Ci penserò, » rispose netta. «ma adesso andatevene, il principe potrebbe vederci … » proferì con il capo abbassato, Marco seguì gli ordini e abbozzato un sorriso sparì.

«Non pensavo che la pura contessa di Herthford e un umile guardia, » un accento non tanto simpatico tuonò alle spalle di Elena;si girò all'istante.

Rise beffardamente.

«E voi sareste? » domandò,incrociando le braccia.

«Il barone di Birmingham nonché  primo ufficiale … » si inchinò per baciarle la mano ed Elena , a malincuore, glielo concesse.

«Non voglio risultare sgarbata, ho saputo di tutte le vostre battaglie vinte, il che mi fa pensare che usate molta astuzia nel sconfiggere i vostri nemici, ma su qualcosa mi ricredo. » stuzzicò Elena già infastidita per la prima affermazione dell’uomo.

«Su cosa milady? » domandò,  assumendo un’espressione maligna e per niente preoccupata.

«La vostra affermazione è fasulla, stavo solo conversando con un milite, cosa c’è di strano? » interpellò , arricciando la fronte dalla confusione.

«Non sono cieco, ma permettete che vi avvisi:lasciate quest’amore impossibile e dedicatevi a vostro marito, se non volete un duello … »

Elena deglutì, pensando al peggio.

«Con permesso, » si congedò l'uomo ,senza accennare la riverenza.

“Mai possibile che gli uomini che ho conosciuto a partire dal principe , per poi continuare con il signor Brown e  infine questo barone siano tutti malvagi?” domandò a sé stessa senza avere risposta.

«Piacere di conoscervi, » una donna si piazzò davanti ad Elena, quella giornata era appena iniziata e già aveva fatto diversi incontri per lo più spiacevoli.

«Piacere mio, se solo sapessi chi siete … » rispose la contessa con sguardo di sfida.

«Bando alle chiacchiere, sono la baronessa Karine, avrete sentito parlare di me? » fece domanda , assumendo un’espressione altezzosa.

«Forse …» rispose Elena titubante, si mordicchiò il labbro,  segno della sua agitazione.

«Ho sentito parlare di una baronessa, ma non so se siete voi … » i pensieri della contessina fecero luce su quello che aveva udito dalle serve nella cucina reale.

«Sono poche ad avere questo titolo, forse ero io … » sorrise maliziosamente,impostò il petto in fuori, mostrando il suo seno prosperoso.

«Sembrate una brava donna … non una sgualdrina. »  acidamente Elena enfatizzò  l’ultima parola, il suo era proprio un bel gioco; forse aveva capito chi si trovava dinanzi e non provava rispetto per una donna del genere.

Karine corrugò la fronte, il suo sguardo era pieno di ira.

«Come vi permettete? » si limitò a dire, mentre il suo volto si colorava di rabbia.

«Era una supposizione, ricordate? Non dovreste scaldarvi …» la futura principessa accennò un sorriso e con non-chalance abbandonò il giardino.

«Bene Elena, stavolta non c’è proprio scampo per voi, » dissea sè stessa Karine, pronta più che mai ad una battaglia che non avrebbe perso.

 
***
Elena camminava spedita per i corridoi, le sarebbe piaciuto parlare con Caroline, ma nessuna traccia. Domandò alle serve, ma non seppero darle risposta; si recò perfino nella sua stanza, ma non la trovò.

“Sarà con James”  pensò accennando un sorriso, l’amore vero esisteva. Bisognava solo trovarlo.

Mentre si era data alle immaginazioni, percepì l’arrivo di qualcuno alle sue spalle.

Erano Lorry ed Alfred che discutevano profondamente.

«Ma come vostra altezza? »  Ripeteva incredulo il valletto «Non possiamo fare una cosa del genere,  tutto l’oro che abbiamo non sarà comunque sufficiente» il maggiordomo senza fiato seguiva  il suo padrone, il quale  camminava rapidamente , senza mostrare un pizzico di difficoltà con l’affanno.

«Elena buongiorno, » esclamò radioso, sorprendendosi che la fanciulla avesse il suo fiore tra i capelli. Ignorò Lorry.

«Buongiorno, » rispose la ragazza , tenendo lo sguardo basso.

«Stamattina siete più bella di sempre, » adulò,  augurandosi che fosse meno acida di sempre.

«E voi più allegro, » alzò la testa mostrandosi spavalda «suppongo sia merito della baronessa … » sputò senza preoccuparsi delle conseguenze.

Lorry si aggiustò il colletto, e balbettando parole incomprese si allontanò, rimanendo i due da soli.

«La baronessa? » ripeté Alfred cupo.

«Beh … in effetti non so il suo nome, ma quella di ieri sera … sempre che non ne abbiate avuta più di una. » scandì le ultime parole una ad una, il messaggio doveva arrivare in qualche modo.

Il principe irrigidì la mascella, ora era proprio ferito. Perché mai? Lui non amava, perché si sentiva toccato? Elena fece per andarsene poiché  lui con il suo silenzio , aveva ammesso il fatto. Ma Alfred Grayson non si arrendeva MAI; la bloccò per il braccio, assicurandosi di non farla male e la tirò a sé; non c’era distanza tra i loro corpi. Più di una volta si erano trovati così, ma Elena aveva sempre cercato la distanza, ora, invece, non si stava divincolando. Alzò lo sguardo spavalda, sfidando quegli occhi che tanto iniziava a pensare.

Lui accennò un sorriso, scatenando in lei forte emozioni.

«Lasciatemi …» si limitò a dire la ragazza con un filo di voce,

«Elena …» proferì con voce roca avvicinandosi al suo collo. Non c’era nessuno, poteva fare quello che voleva. La bloccò al muro cautamente, poggiò il capo sulla testa di lei e si inebriò del profumo raro di quell’ incantevole fiore.

«Per caso siete gelosa? »  domandò sarcastico ,non reprimendo la risata che in poco tempo fece eco in corridoio.

Lei rimase in silenzio. Era ovvio che non fosse gelosa di lui, ma perché non aveva controbattuto ? Aveva preferito starsene in silenzio. Eh già, Elena Hemsworth stava fissando Alfred Grayson ridere.

Poche volte aveva sentito la sua risata e come un dejà vu si presentò la sera precedente, quando mentre tutti ballavano, loro stavano al freddo a contemplare le stelle.

«Non sono gelosa, »rispose dopo circa tre minuti. «Perché dovrei essere gelosa di qualcuno che non amo?» continuò insicura. Non si pose il problema di averlo ferito,  secondo lei , l’uomo che aveva  dinanzi non aveva  sentimenti, non provava emozioni e quindi, non era in grado di soffrire. Il nobile smorzò un sorriso sornione, rispondendo più che bene a quella provocazione.

«Fossi in voi non sarei tanto sicura, non mi sembrate convinta di ciò che dite …» avvicinatosi all’orecchio della donzella proferì il tutto con voce seducente,  con quella voce che solo lui era in grado di fare , di scatenare in Elena emozioni indescrivibili.

«Devo andare …» arrossì, scostandosi brutalmente.

Alfred s’allontanò, lasciando il libero passaggio ad Elena che non esitò ad andarsene.

“E’ gelosa,”  disse a sé stesso, ammiccando uno dei suoi sorrisi più soddisfatti.

«Vostra eccellenza! » pronunciò Lorry quasi urlando, mentre s’avvicinava al principe che era abbastanza in sovrappensiero.

«Che noia, Lorry! Ho detto che ci sono abbastanza fondi per tutti,» sbottò spazientito,

«No vostra altezza … non si tratta di quello, abbiamo avuto una comunicazione … spiacevole …» avvisò il valletto più serio del dovuto.

Il nobile sgranò gli occhi,  cosa poteva mai essere uno spiacevole avviso? Una morte forse? Ma di chi? Distolse lo sguardo dal punto vuoto che fino a poco fa fissava con molta inquietudine ,  posando gli occhi sul maggiordomo, «Che tipo di comunicazione?»
***
 
Il tempo ad Hertford era più spento di sempre. Il sole quel giorno decise di non sfavillare. Tutto era cambiato: il dolore era capace di logorare l’anima , assottigliando ogni sua rifinitura per dare spazio al freddo, al terrore. Da poco era giunta notizia in tutta l’Inghilterra e ben presto sarebbe arrivata anche in Scozia, era successo, senza un come , senza un perché. Aveva deciso di andarsene senza avvisare nessuno, sparire nel silenzio come fanno gli uccelli liberi che , dopo aver mangiato le molliche di pane poste sui davanzali delle finestre, volano via, liberi nel vento.
Nessuno sapeva trovare una valida motivazione,  nessuno riusciva a capire perché quel gesto tanto insensato.
Togliersi la vita, senz’altro la chiesa l’avrebbe visto come un sacrilegio. Ma perché? Perché l’aveva fatto?

 
***

«Suvvia Lorry, dì quello che hai da dire, mi stai facendo preoccupare» sbraitò Alfred, accennando un’espressione contrariata, alzava le sopracciglia dal nervoso.

«Dovete  sapere che …» indugiò il servo, aveva le mani sudate.

«Cosa Lorry? » incalzò il principe di Scozia.

«E’ stata trovata morta la madre della contessa Elena, »

«Come? » Alfred portò le mani nei capelli, voleva saperne di più, ma Lorry sapeva poco.

«Deve partire, » commentò il maggiordomo, « Suo padre sta morendo dal dolore» informò ulteriormente,

«No! Anche lui no »  rabbioso s’agitò andando avanti e indietro, « partirò con lei … non riuscirà ad affrontare un intero viaggio da sola con un macigno del genere sul cuore, »

«Va pure Lorry, glielo riferirò io …» irrigidì la mascella e senza aspettare che il servo andasse, s’affrettò ad andare da Elena , pronto per aiutarla. Il compito di Alfred Grayson sarebbe stato il più difficile di sempre.

 


Spazio Autrice: Carissimi lettori, perdonate gli ORRORI, non ho proprio revisionato, ma questa è l'unica volta che potevo pubblicare!E' inutile dire che vi adoro^^ grazie per il vostro sostegno, siamo arrivati a più di 100 recensioni, non sapete che onore! Sono quasi 11 pagine poche lo so, ma spero di avervi incuriositi per il nono.
Ho deciso di fare un FLASH per il prossimo capitolo:C'è stata l'introduzione della morte di Annalisa, a me personalmente dispiace tantissimo :( Vedremo Alfred che accompagnerà Elena ad Herthford, ma entrambi saranno scortati da Marco. Come sempre il triangolo non ci lascia, a chi è dispiaciuto per Caroline? A me sì. Mi piacerebbe continuare a sentire i vostri pensieri. Tanti baci e scusate ancora gli orrori! :)

 
 



 

 

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Capitolo 10
*** Nono Capitolo. ***


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Niente più della pietà imbaldanzisce il peccato.
William Shakespeare
 

Nono capitolo

Quando qualcuno decide di andarsene,  sembra che non vogliamo accettarlo. Certo, una cosa è morire per conto di una malattia e un’altra, avere il coraggio di togliersi la vita. Annalisa Roccaforte,  soprannominata Anne dal suo amabile marito, non era riuscita a sopportare quel dolore, quelle voci che giorno dopo giorno, -dalla partenza di sua figlia - la stavano distruggendo.

Aveva deciso di andarsene senza una spiegazione plausibile o forse vi era, ma era troppo nascosta o, troppo presto per scoprirla.

Fatto sta che lei non c’era più.

Aveva scritto una lettera direte voi,  Elena l’avrebbe letta e nonostante fosse stato troppo tardi, si sarebbero rappacificate … sebbene ormai , facevano parte di due mondi opposti.

Elena e sua madre non si erano lasciate nel migliore dei modi: Anne era stata molto severa, e  sua figlia, invece, non riusciva a perdonarla di quel gesto che reputava “insensato”.

“Perché doveva sposarsi?” era questa la frase o meglio dire, il concetto che Elena non capiva.

Ben presto ,  avrebbe avuto una nuova domanda: “Perché si è uccisa?”

Gli uomini sono creature vulnerabili, deboli, sofferenti e se fingono di essere forti, il 99 % dei casi, la sera, nel letto,  piangono.

Era così che faceva anche Annalisa; di giorno con Elena parlava, rideva, leggevano poesie , e la sera,  da sola,  nel letto,   liberava ogni singolo sfogo. Sua figlia l’aveva beccata diverse volte, ma essendo in età infantile, non si poneva troppe domande oppure se chiedeva ,  Anne inventava qualcosa di credibile. Ora, che Richard era tornato, doveva negarsi quel poco di  pianto che aveva, nascondendosi dietro ad un sorriso finto quanto triste.

Non c’è nulla da fare, quando non si sta bene è inutile fingere … si crolla comunque.

La sofferenza alla fortezza di Herthford era inevitabile: il corpo senza vita era stato ritrovato da Marie, la scena straziante le fece mancare l’aria a tal punto da avere un mancamento;Richard , rischiò di avere un infarto e tutti stranamente, si sentivano in colpa.

Marie, la balia di Elena aveva sempre addossato tutte i torti alla contessa e ora, invece, rimpiangeva cose che avrebbe dovuto fare come: capire la sua padrona, parlarle e  magari darle consigli.

«Chi giudica è un ignorante e io lo sono stata. » fu questa la frase che la balia disse,  mentre cercava un abito sobrio per il cadavere.

Le lacrime non conoscevano fine  e, a peggiorare  l’angoscia , furono i pensieri  che portarono alla giovane fanciulla.

«Sarà un trauma per Elena …» rifletté Adamina,  pettinando dolcemente i capelli della contessa che ormai giaceva sul proprio letto.

«Dite che già sa? » domandò un’altra serva impaziente.

«Non so più che pensare. Il vero problema sarà quando arriverà qui, il suo visino sofferente, sicuramente non riuscirò a vederla in quello stato. » rispose la valletta che pettinava i capelli della defunta,  rattristita fece un respiro.

«La piccola Elena è la fotocopia di sua madre. La contessa vivrà in lei ,  l’affiancherà nelle decisioni, e la proteggerà» enunciò Marie, facendo morire l’ultima parola , coperta da un pianto irreparabile.

«Ha insistito a farla sposare, ma sappiamo che teneva molto a sua figlia. Ha agito per il bene della sua pargoletta. » continuò Adamina, contemplando il cadavere che seppur avente una cera bianca,  era comunque una figura dolce, innocua.
***
Chi aveva le redini in mano era l’antipatico e scorbutico principe di Scozia:un uomo senza sentimenti sarebbe stato capace di addolcire la pillola?

Con l’animo in subbuglio s’aggirava per  lo studio, incrociando le dita e agitandosi ripetitivamente. Doveva trovare il modo, le parole giuste; tutto era reso difficile dal carattere  fragile di Elena e soprattutto , dall’inevitabile incomprensione che vi era sempre tra  loro.

Alfred  fece preparare una tazza di camomilla destinata alla contessa; cercava di evitare che la giovane avesse una crisi isterica maggiore a quella che immaginava; come ordinato, la valletta consegnò il vassoio con sopra la bevanda. Il terrore lo dominò, facendogli accrescere un forte senso di ansia.Lui,  che negli anni da milite aveva ucciso uomini senza porsi problemi, adesso, pur di non annunciare quella morte alla sua promessa sposa,  sarebbe stato capace di qualsiasi cosa eccetto quella.

Abbassò il capo, ponendo i suoi occhi glaciali sulla tazza e , attento a non far rovesciare il liquido, s’incamminò verso le stanze della sua promessa sposa.

Per il corridoio incontrò Lorry,  al quale domandò dove Elena potesse essere, ma non ricevette una valida risposta; La  fanciulla con il suo spirito libero poteva essere ovunque.

Ad ogni passo che compiva, sentiva sempre più che il cuore gli stringeva in petto, e i polmoni non avevano più aria … avrebbe preferito soccombere che darle quella notizia sgradevole.

Quando fece l’ennesimo sospiro, cercando di incoraggiarsi e dirle tutto con estrema naturalezza,  come ironia della sorte, Elena si concretizzò dinanzi a lui. Tutto il coraggio cadde come un castello di sabbia in riva al mare  che viene spazzato dalle onde; con espressione impietrita,  e anche un po’ da pesce lesso , la fissava con uno sguardo indecifrabile.

«Questa è per voi, » sbatté gli occhi, quasi come si stesse distaccando da una realtà inesistente; le porse la tazza.

«Per me? »  enunciò  Elena di rimando, accennando un sorriso sornione, soffocava una risata.

«Sì, » rispose incerto,  i suoi pensieri erano rivolti ad altro,tipo: come avrebbe reagito la ragazza venendo a conoscenza dei fatti.

«Vi ringrazio, ma non ho bisogno di tranquillizzarmi, non ne vedo ragione. » aggrottò le sopracciglia dalla curiosità. Piccole idee iniziarono ad allarmarla.

«Elena … » proferì lui con un filo di voce, « vi andrebbe di fare una passeggiata in giardino? » invitò cordiale, provando a rilassare i muscoli facciali.

«Se alla baronessa non dispiace, » rispose lei,  e l’acidità nel suo tono fu molto evidente.

Dal corridoio, lentamente si recarono fuori, il giardino era più bello di sempre ed Elena aveva ancora tra i capelli il suo fiore. Il suo fiore. Se avesse saputo chi davvero le aveva messo quel fiore sul letto,  l’avrebbe già schiacciato.

A differenza di Herthford, il sole batteva deciso e con i suoi raggi caldi illuminava gran parte della Scozia.

Quella mattina, Elena aveva deciso di indossare l’abito che sua madre le aveva comprato la stessa giornata della partenza;i  ricordi la invasero  fugacemente, come se stesse sui binari, e d’un tratto, fosse travolta da un treno.Mentre si vestiva ricordò immediatamente la stalla, Marie che le raccontava la verità, la notte sofferente, la pioggia,  e  inevitabile fu  rammentare il giorno seguente , quando sveglia , si recò  in cucina, scoprendo dalla cuoca che sua madre era uscita per delle compere.Nonostante quell’abito le  portava alla mente ricordi spiacevoli, cercò di riporre tutto nel dimenticatoio e difatti lo indossò; era una veste come le altre, semplice, ma con il suo fascino:  di fondo azzurro cielo ,  aveva delle balze con orli bianchi, nessun disegno pacchiano che ridicolizzasse la stoffa pregiata. I capelli lì unì a mo’ di civetta e come sempre , la sua pelle senza tracce di cipria – trucco ormai usato da tutte le donne di corte-  rimaneva candida,  pura,  unica.

Alfred era lo stesso, i suoi occhi glaciali e il suo fisico ben scolpito erano da invidiare. Ogni uomo voleva essere lui e ogni donna voleva averlo.Un principe a tutti gli effetti.
Elena lo guardava sottecchi, non aveva la minima idea della brutta notizia che le avrebbe riferito a poco.

«Mi guardate con fare minaccioso, siete davvero gelosa …» provò a dire Alfred, tentando di calmare la situazione o meglio,  cercava di calmare sé stesso.

«E voi troppo convinto, suvvia … qual è la ragione di questa passeggiata, tanto improvvisa quanto sospetta? » domandò lei sbuffando.

«Bel tempo, vero? » chiese lui, ignorando completamente la domanda posta dalla ragazza.

«Mi state nascondendo qualcosa , altezza? » alzò leggermente la voce, iniziando ad allarmarsi. Elena non era tanto stupida, era evidente che Alfred la ignorava.

«Probabile … » diede risposta l’uomo con un sorriso da ebete. «Molto bello il fiore che avete nei capelli, lo avete strappato dall’albero qui vicino? »  accennò un sorriso vero e la sua espressione facciale- che era sempre un misto tra arrabbiato e serio- si trasformò in qualcosa che era bello da vedere, quasi piacevole.

«Mi infastidisce che cambiate discorso, comunque … no, non l’ho strappato …» si limitò a dire, non gli avrebbe mai detto la verità; poteva rimproverarla e farle scontare ciò che già ,  fortunatamente aveva scansato.

«E dove l’avete preso? » domandò fingendosi interessato. Bloccò i suoi passi, meccanicamente lei fece lo stesso.

«L’ho trovato per il castello … a terra …» balbettò, stava  mentendo. Di nuovo. Si era promessa di non dire più bugie, ma in quel caso fu inevitabile.

«Sì, giusto … che sciocco, e io che pensavo  che qualcuno l’avesse poggiato accuratamente sul vostro letto»  proferì con non-chalance , ricominciando a camminare.

Lo stupore si presentò sul viso di Elena , non riuscì ad avanzare e si arrestò sui suoi passi.

«Come lo sapete? » domandò nervosa, sgranando gli occhi più del dovuto.

Il principe si voltò lentamente, accennando un sorriso furbo e al tempo stesso un’espressione menefreghista.

« La mia era un’ipotesi,  davvero qualcuno l’ha poggiato sul vostro letto?» ripeté con espressione stupita.

Alfred sapeva recitare,  ma sicuri che Elena fosse tanto stupida?

«Può essere stupida la vostra baronessa,  ma non io.» sbottò determinata più che mai.

«Siete stato voi? » alzò un sopracciglio insospettita, sapeva già la risposta. Alfred la fissò , lei non distolse lo sguardo; i loro occhi si stavano scrutando senza interruzioni, come se dovessero scavare per trovarvi qualcosa, trovare la verità: azzurri come smeraldi contro castani come i volatili pettirossi.

Non accorgendosene, Elena s’avvicinò più di quanto volesse. I loro respiri vagheggiavano liberi, quelli di Elena erano percepiti da Alfred come scariche di brividi, un aumento di desiderio e invece, i respiri di Alfred erano per Elena nuove emozioni, qualcosa che non vuoi , ma al tempo stesso ne senti il bisogno.

«Questo avvicinamento mi fa perdere il senno, Elena! » sbraitò allontanandosi. «Ho delle cose importanti da dirvi …»

«Narrate, allora! »sbottò lei adirata, ritornando alla realtà o meglio,  ignorando quelle sensazioni che con un uomo del genere si era promessa di non provare.

«Poco fa ho ricevuto una comunicazione … da Herthford» gli bastò pronunciare la provenienza per notare la preoccupazione sul volto della giovine  che istintivamente fissò il suo abito.

«Riguarda vostra madre …» affievolì la voce su madre . «Dovete partire, ma sento di dovervi accompagnare. »

«Cos’ha mia madre? » pronunciò tutto d’un fiato, i respiri iniziavano ad affaticarsi.

«Non sta bene … » mentì, ma non riuscì a fare altrimenti. Elena non sapeva la verità e già soffriva, stava male,  glielo si leggeva nello sguardo spento, cupo.

«Posso accompagnarvi, Elena? » domandò cautamente,  sperando in una risposta affermativa.

«Devo partire! »iniziò a dire la fanciulla in preda all’agitazione, spaesata si guardava intorno alla ricerca di qualcosa di introvabile.

«Elena, andate in camera vostra e decidete cosa portare, io vado a preparare i miei bagagli.» liquidò Alfred, ma non era così semplice, la sua promessa sposa lo troncò immediatamente,

«Voglio partire da sola, non ho bisogno di voi. » e quelle lacrime che aveva cercato di trattenere, iniziarono a scendere.«Ho solo bisogno di vedere mia madre il più presto possibile.»

Il principe deglutì, si toccò i capelli e le diede le spalle.

«Non cambia quello che voglio, Elena. Vi accompagnerò, dimenticate a breve saremo sposati » si voltò e i loro sguardi inevitabilmente si riscontrarono.

«Vado a preparare i miei bagagli …» dichiarò lei, e senza neanche accennare la riverenza a passi di elefante si diresse in camera sua.

 
***
Le persone entrano nella nostra vita e poi … stranamente, senza spiegazione vanno via.

Ci lasciano di punto in bianco. Lasciano un vuoto che stranamente qualcun altro non riesce a colmare;il cuore distrutto di Caroline l’abbatteva fin al punto di portarla a non  voler vedere più la luce del giorno,  rintanandosi nel suo letto,  non sentendo più nessuno,  non mangiando, e rifiutandosi persino di bere. Morire: era quello che voleva; senza James si sentiva inutile, vuota.
 Le lacrime ormai finite,  gli occhi gonfi che  facevano fatica a chiudersi, rendevano il suo aspetto ancora più stordito. Il sole che entrava insistente dalla finestra la costrinse ad alzarsi,  non voleva vedere nessun raggio di luce. Era intrappolata nelle sue tenebre e non avrebbe voluto qualcuno che la tirasse fuori a meno che non fosse stato il suo amato, lì sarebbe stato diverso. Perché chi ci rende una nullità, ha al tempo stesso il potere?

Scaraventandosi verso la finestra , chiuse fugacemente la tenda. In quel preciso istante qualcuno bussò alla porta: un altro cuore sofferente.

«Caroline sei qui, ti prego rispondimi! » era Elena, riconobbe la sua voce, e purtroppo anche il tono che non era uno dei migliori.

La bionda gettò via l’indecisione, Elena aveva bisogno di qualcuno e anche lei. Entrambe avevano bisogno di sollevarsi.

Forse era per questo che non riusciva a piangere, pensò, fissando il soffitto a occhi asciutti. Che senso aveva piangere, se non c'era nessuno a confortati? E quel che era peggio, se non potevi nemmeno confortare te stessa?

Lei avrebbe provato a confortare Elena e forse Elena … sarebbe riuscita a farle sbucare un sorriso.

Tentennando aprì la porta e sull’uscio vi era un’amica debole, bisogna d’aiuto.

«Elena …» proferì con voce rauca,

«Carol …»sibilò la bruna, avvicinandosi e stringendola come se non ci fosse un domani. Scoppiarono entrambe a piangere, entrambe avevano perso qualcuno.

Trascorsero interminabili minuti prima che si staccassero, quando finalmente ripresero fiato; fu Caroline a spezzare il silenzio.

«Cosa è successo? » domandò preoccupata e con il polso s’asciugò le lacrime.

«Il principe mi ha detto che ha ricevuto una comunicazione da Herthford … mia madre sta male …» i singhiozzi imponevano le interruzioni a quella frase piena di dolore.

«Oddio! Tu stai male per una giusta motivazione, io sono una bambina. » scosse la testa reputandosi infantile.

«Cosa è successo, amica mia? » la contessa le accarezzò le guance rosse paffute,  ancora inumidite dalle calde e salate lacrime.

«James mi ha abbandonata … e non riesco ad andare avanti,  avrei fatto di tutto per lui. » dicendo ciò, i ricordi che sembravano averla abbandonata ritornarono, e il pianto non fece che crescere fino al punto di ristoppiare; Elena, inconsapevole di cosa fare, si limitò ad abbracciarla.

Gli abbracci sono le case delle persone.

«Sembravate così innamorati …» proferì  la contessa quando Caroline decise di allentare la presa.

«Sembravamo, hai usato il termine appropriato. Io amavo lui, ma lui fingeva di amare me. Era apparenza, nulla di concreto. »

«Non abbatterti … forse ritornerete insieme e se così non sarà, morto un papa se ne farà un altro …» incoraggiò Elena, nonostante non fosse quello il momento migliore per dare consigli.

«Perdonami Elena, » proferì la bionda coprendosi gli occhi «tua madre sta male, devi partire e stai perdendo tempo per stupidaggini» abbassò lo sguardo.

«No,  sta tranquilla … mia madre si rimetterà e tu sarai felice con James o con qualcun altro … ti va di aiutarmi con i bagagli? »

«Sì,  certo. . . » la duchessa accennò un sorriso, un riso fiero di avere un’amica come la contessina di Herthford.

 
***
 
«Cosa le avete detto vostra altezza? Come ha reagito? » domandò Lorry,  ponendo le camicie del principe nel baule di trasporto.

«Qualche lacrima non ha esitato a scendere ma …» Alfred provava un gran imbarazzo, non era riuscito a dire la verità ad Elena e adesso che ne parlava con Lorry si sentiva abbastanza impacciato.

«L’ha presa bene? » domandò il valletto, fissando con occhi avvoltoi il suo signore.

«Non le ho detto la verità. »


Il maggiordomo si sistemò il parrucchino e perfezionando il colletto, scrutò gli occhi,

«In c-che … senso altezza? » balbettò, anche se volenteroso, Lorry non riusciva a capire il nesso logico di quella conversazione e  ciò che Alfred  aveva raccontato alla futura principessa.

«Le ho mentito! » urlò, facendo sobbalzare il suo inferiore.

«Appena le ho riferito di aver ricevuto una comunicazione da Herthford, si è scurita in volto … ha perso il sorriso, ha perso la sua aurea, il mio sole …» fece una pausa, cercando di calmarsi, tentativi vani.

«Senza la luce come può un dannato trovare la retta via? Sono stato egoista, lo so, ma scoprirà comunque la verità,  arriveremo a destinazione e … »ammise, dall’agitazione non riusciva a stare fermo.
Andava avanti e indietro per la stanza.

«Vostra altezza … sembrate diverso» notò Lorry e  accertatosi che non avesse dimenticato nulla, chiuse il baule. «State riponendo in lei la vostra felicità? » domandò crudo, senza usare mezzi termini, centrando il punto.

«Non ho bisogno di queste cose Lorry, l’amore e altre invenzioni …»

«Perdonate la mia franchezza sire, ma credo che sia stato per la contessa la riduzione delle tasse. »

Il principe accennò una risata,

«Figurati,  come puoi pensare che mi faccia dettare ordini da una donna? Ho troppo danaro,  non so più dove metterlo. »

«Porto i bagagli alla carrozza …» proferì il servo, accennando la riverenza.

«Sì, va’ che è meglio, »liquidò il ricco con un gesto della mano.

Orgoglioso quanto stupido, Alfred dimenticava che Lorry  conosceva la situazione economica del castello; la crisi degli ultimi anni aveva colpito il paese  e di conseguenza anche il palazzo; l’aumento delle tasse era stato d’obbligo. Le politiche sempre più restrittive, continuavano a creare nette distinzioni tra le varie classi sociali: i ricchi restavano sempre tali, e i poveri tassati fino al midollo, rimanevano nella miseria più totale. Il principe aveva iniziato a ridurre i tributi poco dopo l’arrivo di Elena , esattamente dal momento della rivolta finita male, coincidenze?

«Un giorno constaterà il suo cambiamento, e non potrà fare altro che ammettere.»

 
***

Dopo essersi data un efficiente ripulita Caroline,  insieme ad Elena,  si recò nella stanza di quest’ultima; le due, affiancate da una valletta, gettavano alla rinfusa i primi abiti che trovavano dinanzi; nonostante la velocità nelle loro scelte, Elena scelse tutti abiti che piacevano a sua madre, voleva indossare qualcosa “di speciale” per la loro riconciliazione.

Sicure di non aver dimenticato nulla o meglio dire, non aver dimenticato l’essenziale, uscirono dalla stanza.

Elena fremeva dalla voglia di scendere più in fretta possibile,

«Per il tardo pomeriggio vorrei essere a casa …» enunciò, rivolgendo un’occhiata comprensiva all’amica.

«Pregherò  perché non ti accadi nulla durante il viaggio,»  caldamente si riabbracciarono, stringendosi come se non potessero mai più vedersi.

La nostra contessa aveva sempre preferito gli abbracci ai baci, reputava che questi ultimi fossero finti e privi di significato, un gesto che liquidava tutto facilmente. L’abbraccio, invece, richiedeva più movimenti, più muscoli: le braccia, il calore che si formava dalla vicinanza dei corpi, ma soprattutto:la voglia maledetta di proteggere e sentirsi protetta.

Elena aveva trovato un’ottima amica e quando sua madre si sarebbe messa in sesto, sarebbe tornata solo per lei.

Ad interrompere quella calda stretta fu Aleksej, che si materializzò improvvisamente alle spalle di Elena.

«Soldato, promettetemi di tenere gli occhi ben aperti voi e il vostro reggimento, » si raccomandò Caroline, voltandosi verso l’amica  e strizzando l’occhio segno di occhiolino.

«Senz’altro duchessa, la mia coscienza non sopporterebbe alcun peso se accadesse qualcosa a lady Elena, » proferì lui, accennando una riverenza , baciò  la mano di Caroline rapidamente, per poi soffermarsi a quella della sua “Beatrice”.La fissò per secondi interminabili prima di tornare alla sua posizione.

«Prudenza, mi raccomando, » continuò la duchessa, cambiando improvvisamente espressione. Elena si voltò nella direzione in cui Caroline stava guardando e vide Alfred nonché suo promesso sposo.

«Altezza vi avevo detto! » esclamò la fanciulla scocciata, era arresa già in partenza. Non era in grado di vincere nessuna battaglia contro Alfred, ma neanche lui sapeva vincere contro di lei.

«Quello che dite o pensate non importa Elena, i vostri bagagli sono già in carrozza? » rispose con tono alterato e allo stesso tempo moderato, diede una fugace occhiata a Marco che si trovava alla sua destra e poi a sua cugina che era nella direzione opposta.

La contessa non ebbe forza di rispondere, non decideva più nulla della sua vita, non poteva neanche andare da sola da sua madre. Rimase in silenzio.

«Bene, anche i miei,  direi che possiamo partire. Marco … per stasera vorrei essere lì»  nella voce di Alfred era presente un pizzico di fastidio; il biondo recepì il messaggio,a malincuore distolse le tante fantasticherie basate su una probabile fuga con la giovane contessa , e accennando una frugale riverenza salì a cavallo.

Il viaggio con Marie e José  durò più a lungo;il cocchiere non sicuro se fosse la  giusta strada o meno, procedeva a passi di tartaruga,  ad aumentare la lentezza contribuiva  il loro cavallo, anziano qual’era, era destinato più al riposo che a viaggi lunghi come quelli. I due soldati di scorta capitanati da Marco, scelsero un sentiero diverso, una strada meno burrascosa, ciò alleviò il mal di testa di Elena.

Per evitare di ribeccare gli occhi civettuoli di Alfred , Elena guardava attentamente al di fuori del finestrino, studiando quel paesaggio che non aveva nulla di speciale, ma almeno la aiutava a concentrarsi su qualcosa che non fosse Alfred Grayson; in quello spazio chiuso, con il respiro affannato, e con lui vicino, nulla era sicuro.

Scostò lo sguardo all’interno della carrozza, erano ben due ore che stava guardando al di fuori del finestrino e il collo iniziava a dolergli.

«Il vostro sguardo è spento …» constatò Alfred amareggiato, ma almeno era riuscito a rompere il silenzio.

«Ho paura per mia madre …» rispose semplicemente la ragazza. Lo fissò un attimo per poi abbassare lo sguardo.

« Elena … » avrebbe voluto dirle tutta la verità, ma non poteva, non ci riusciva. Le parole gli morirono in bocca appena proferito il nome della fanciulla, e nonostante lei gli avesse risposto con un docile,

«Si?» non riuscì a continuare.

Per la prima volta Alfred Grayson aveva paura di ferire qualcuno.

«Nulla, credo siamo arrivati. » cambiò discorso, lagiovine guardò fuori, si rasserenò quando constatò che l'affermazione dell'uomo era giusta: l’attesa era finita.

I militanti che avevano scortato la carrozza insiema  alla carrozza stessa,  entrarono nel vasto giardino di casa Hemsworth;il tempo non era dei migliori, a breve sarebbe scesa pioggia. Il calesse si fermò dinanzi all’entrata principale, ad accogliere i nuovi arrivati fu proprio José che aprì lo sportellino, facendo scendere la sua piccola contessa.

«José! »esclamò Elena non guardandosi intorno.Non diede tempo al valletto di salutare il principe, che quasi gli saltò addosso,   non controllando l’entusiasmo di essere finalmente tornata a casa lo strinse quasi al punto di soffocarlo.

Allibito Alfred guardò la scena,  sempre più stranito che la sua futura sposa non trovava distinzioni tra le varie classi sociali. Non fu l’unico a rimanere sorpreso da quella reazione; quando José si allontanò dalla stretta, la sua espressione facciale non prometteva nulla di buono, il motivo però , era un altro.

Elena si guardò intorno confusa, non tardò a capire l’accaduto:ghirlande di fiori ovunque,  tessuti neri. Non poteva essere vero. Il suo sorriso non tardò a tramutarsi in un'espressione terrorizzata, spaventata.

«Dov’è mia madre? » disse calma, cercando di misurare la modulazione di voce. Spalancò gli occhi fissando meccanicamente prima José e poi Alfred,  i due a loro volta si guardarono, ma non proferirono parola.

 Deglutì e lentamente,  inspirando ed espirando , ripeté la domanda.

«Dov’è? » rifece un lungo respiro, iniziando a mettersi le mani alla testa.

«Credevamo che la comunicazione fosse arrivata …» sussurrò Josè rivolgendosi al principe,

«Infatti è arrivata … » ammise Alfred volgendo subito lo sguardo verso Elena che già lo stava fissando da tempo addietro,

«Che comunicazione, vostra altezza? » domandò Elena, guardando il nobile con occhi spenti quasi come se fissasse in un punto inesistente, quasi come se fosse ipnotizzata e si sentisse completamente sperduta e insensibile.

Alfred serrò la bocca, irrigidì la mascella. “Non l’avrebbe detto, non avrebbe osato pronunciare quella frase che avrebbe spezzato il cuore di Elena”.

«Che comunicazione? » accanita, pronta a scoprire la verità Elena sfidava gli occhi di Alfred, non ne aveva più paura né soggezione. In quel momento, avrebbe messo da parte tutto, ma aveva bisogno di scoprire la verità; il cielo tuonò, e le prime gocce di pioggia iniziarono a scendere , bagnando i loro vestiti e l’asfalto.

«Non può essere vero, no … è un brutto sogno» iniziò a ripetersi, alternando sorrisi spenti a lacrime impetuose, «è uno scherzo di cattivo gusto, » ripeté, cercando di convincere sé stessa, desiderosa di cambiare una realtà che non poteva.

«Non può essersene andata …» ripeté per cinque volte, girandosi intorno, vi erano ghirlande ovunque.

«Vostra altezza con il vostro permesso, vado ad avvisare la balia, le starà vicino lei, » José entrò, correndo a più non posso da Marie.

«Elena, siete stanca, avete bisogno di riposo …» Alfred cercò di stabilizzarla, ma tutto era vano. Mentre s’avvicinava, lei indietreggiava,

 «Voi sapevate tutto, mi avete mentito … avete detto che stava male  e invece  era già…» poggiò la testa tra le mani, esausta di quel dolore che anche se scoperto da poco, la stava logorando profondamente.

«Elena l’ho fatto»  lo interruppe,

«Per il mio bene, vero? » continuò lei sarcastica, accennando una risata priva di umorismo.

«Avreste sofferto, » replicò lui,

«E’ stato meglio scoprirlo su due piedi? Non immaginate come mi senta! » urlò lei, il suo grido agonizzante squarciò il petto di Alfred , Marco impegnato con i cavalli, udendo l’alterazione dei toni, uscì , accorrendo subito.

«La colpa è vostra, se fossi rimasta qui non sarebbe andata via! » indignata s’avvicinò ad Alfred, prima accusandolo e poi iniziando a dargli dei pugni all’altezza del petto.

Il principe non indietreggiò, le bloccò i polsi, lei continuava a divincolarsi intenta a sferrare pugni innocui. Gridava, mentre tutti guardavano, Richard era appena sceso, guardava la scena con sguardo inespressivo.

«La colpa è vostra! Siete un essere insensibile, » le sue grida agonizzanti, il suo pianto irreparabile, la stanchezza di lottare, ma il coraggio di continuare a sferrare pugni, la rendevano più forte di quanto credeva.

Alfred lasciò la presa, la fissò mortificato, spalancò le braccia,

«Colpite, vi aspetto » il viso piangente di Elena lo rendeva così debole, perché quella donna aveva una tale influenza su lui? «lasciate che paghi per questa colpa che ho»

Lo fissò crucciata,  quasi prese la rincorsa per scaraventarsi addosso a quell'uomo che tanto odiava, con la rabbia che aveva in corpo era capace di dargli il colpo di grazia, nonostante fosse disarmata. Serrò i pugni, digrignò a denti stretti frasi incomprensibili e poi, inspiegabilmente,  anziché attaccarlo come pochi attimi prima, crollò tra le sue braccia.

Un gesto istintivo, una resa.

Alfred spalancò gli occhi, la scena che stava vivendo era reale: Elena era accoccolata al suo petto e lo abbracciava; l’emozione lo immobilizzò, non riuscì ad accennare neanche un sorriso; fu solo in grado di ricambiare l’abbraccio stringendola fortemente a sé, la desiderava tanto. La teneva come qualcosa che non vorresti mai perdere.

Poggiò il suo mento sulla testa della fanciulla e sussurrando dolcemente frasi consolatorie,  allentò la presa.

Percepì il corpo di Elena appesantirsi tra le sue braccia possenti. La guardò in viso, gli occhi della ragazza  erano chiusi, la sua pelle era fredda e pallida, aveva perso i sensi. Le schiaffeggiò in viso,  preoccupata  accorse Marie che con il suo corpo robusto senza troppi problemi sollevò quello flebile di Elena, l’impazienza di Marco giocò brutti scherzi, s’avvicinò, giocando a carte scoperte.

«Elena, » urlò spazientito, inginocchiandosi sull’asfalto ormai bagnato dalla pioggia.

Lentamente Alfred alzò lo sguardo in direzione del milite, un’occhiata capace di esprimere tutto ciò che il principe non osò dire. Aleksej non distolse lo sguardo, stava sfidando apertamente  Alfred Grayson, lo sapeva e per Elena avrebbe affrontato anche un duello.

« Sta lontano da lei, » digrignò a denti stretti, con occhi accesi pieni di ira. Il soldato dai riccioli d’oro contraccambiò l’occhiataccia, indietreggiando .

« Qual è la sua stanza? » domandò il nobile riferendosi a Marie che, accennando un lieve sorriso di sollievo, rispose,

«L’ultima in fondo, al primo piano...»

Delicatamente il principe di Scozia,  Alfred David Alexander Grayson sollevò Elena,  e prendendola in braccio , incurante di chi fosse alle sue spalle, entrò.

 


Spazio Autrice: Carissimi lettori, so benissimo che è trascorso molto tempo, ma la scuola mi uccide! Ho potuto pubblicare solo adesso e ho revisionato ben poco, spero che questo capitolo vi abbia colpito...in alcune parti è davvero carente, ma spero non la pensiate così! Non abbiamo avuto Karine per la gioia di molti voi, qualcuno di voi ci sta capendo di più? La psicologia dei personaggi? Alfred o Marco? Cosa hanno sbagliato in questo capitolo secondo voi? Qualcuno vi ha colpito, chi shippate? Elena si sta comportando come dovrebbe? Vi piace il banner? :c Okay, scusate le troppe domandePERDONATE GLI ORRORI E SPERO DI SENTIRVI. BACIONI :)

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Capitolo 11
*** Decimo Capitolo. ***


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Niente dà più dolore che il ricordare i momenti felici nell'infelicità.
Dante Alighieri
 

Decimo Capitolo

Aprì gli occhi stordita, li richiuse subito dopo: il caos e la confusione mischiati alla sofferenza occupavano il suo animo,  che da puro e innocuo,  si stava tramutando in vera e propria ferocia. Provava odio verso un unico uomo:Alfred Grayson. L’ironia della sorte era proprio aver visto il volto di quell’orribile essere umano prima di perdere completamente i sensi,  svenendo persino tra le sue braccia.
Volenterosa riaprì gli occhi,  trov
ando la stanza che da più di una settimana aveva abbandonato. Si guardò attorno , e provò sollievo costatando che nulla era cambiato. Quando partì per la Scozia, pensò che i suoi avrebbero  iniziato dei lavori per farne un soggiorno o un ulteriore studio di Richard, ma no:tutto era uguale.Le bastò incrociare lo sguardo del padre per ricordare tutto.

S’alzò così velocemente che fu  inevitabile provare un senso vertiginoso che,  brutalmente,  le fece perdere l’equilibrio.

Goffamente cadde sul letto, Richard inarcò un sopracciglio, accennando una lieve  frase di rimprovero, «Possibile che non cambi mai?»

«Perdonatemi padre, ho un gran mal di testa …» mormorò dispiaciuta toccandosi la tempia.

«Devi alzarti lentamente, tieni, prendi questa tisana allevierà i dolori …» proferì il vecchio con voce roca, stando attento a non far cadere la bevanda sulle fresche lenzuola bianche.

«Di quali dolori potrò mai liberarmi se mia madre è … » non riuscì a continuare,  poggiò il vassoio sul comò rifiutandosi di bere. Spense la fiammella che con luce fioca illuminava la stanza   svolse il suo solito sguardo assente al soffitto.

Non vi era ombra del pallido sole che in un giorno tanto sofferente e inutile come quello, aveva deciso di rintanarsi non mostrandosi alle creature umane.

I pensieri di Elena puntualmente la riportarono a porsi nuove domande come,

Che senso ha  nascere, vivere, se nessun desiderio può realizzarsi? Se vi sono limiti a qualsiasi cosa, anche alla vita stessa?Perché ci sono persone che entrano nella nostra vita per poi andarsene o, semplicemente le perdiamo? Perché con piccoli gesti,  c’è chi ci  lascia l’infinito di tutto ?Perché le persone che amiamo non possiamo averle per sempre? E il per sempre di cui tanto si parla, a quanti anni, secoli, millenni corrisponde?

Come sempre le domande della giovane fanciulla erano tante e non vi era una soluzione;  neanche un intellettuale, uno scienziato, nessuno secondo lei sarebbe stato in grado di rispondere correttamente;d’altronde, nessuno è esperto nella vita.

Volse lo sguardo alla finestra, eguagliando il suo cuore a quel cielo nero e tempestoso, privo di tutte le speranze.

Un cuore ferito non può cambiare … neanche con un caldo bagliore di luce,giorno dopo giorno tenderà ad indurirsi , costruendo una una corazza per proteggersi.

«Elena, distogli questo sguardo assente e parliamone …» enunciò cautamente suo padre, muovendo leggermente la mano destra per disincantare sua figlia.

«Se ne parliamo,  ritornerà indietro? »  rispose meccanicamente continuando a fissare lo stesso punto;

«Piccola sai benissimo che quando una persona mu …» Richard era disponibile anche a spiegarle cose che lei già sapeva, ma la sua giovane voce sopraffò quella del padre ormai stanca e ferita.

«Lo so, per questo credo sia inutile parlarne … soltanto il tempo potrà aiutarmi.» continuò il padre continuando a lottare, ma Elena aveva il suo cavallo di battaglia che mai e poi mai l’avrebbe abbandonata: la testardaggine.

«Non vuoi vederla? » domandò il conte titubante, mentre lentamente s’alzava dal letto per  lasciare sua figlia da sola a pensare.

«Per ora no … » proferì lei, abbassando gli occhi e rimettendosi a letto.

Giunto all’uscio della porta con un pizzico di curiosità le chiese, «può entrare tuo marito? Desidera vederti … » Elena sbigottita aprì gli occhi, il terrore sul suo volto era ben presente; era  un’ espressione  strana, come se avesse visto una  creatura maligna.

«Mio marito? » Domandò lenta e sdegnata, enfatizzando ogni lettera«io non sono sposata » non distolse quello sguardo acceso di rabbia da suo padre che arreso, abbassò il capo,

Farò di tutto pur di non sposare quell’uomo,  pensò.

Il coraggio di Elena, sarebbe stato oggetto di invidia anche per un reggimento di soldati. Quella ragazza dalle nobili origini e di campagna sarebbe ricorsa persino al suicidio,  infondo … non era quella l’epoca dell’amore e della morte?

Calò il silenzio e Richard, non sapendo cosa dire,  senza alcun  avviso o saluto,  abbandonò la stanza. La giovane contessa,  sempre più in preda all’agitazione, si girava e rigirava nel letto. Stanca di quel tumulto che le dava tanto tormento, s’alzò,  infilò le ciabatte aggirandosi per la stanza. La stessa stanza che come sempre percepiva come un contenitore vuoto e freddo.
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«Come sta? » domandò Alfred ansioso di scoprire la risposta.

«Bene vostra altezza, ma adesso vuole riposare … » proferì Richard,  fissando il futuro marito di sua figlia, il quale , accennò un’espressione delusa nel non poterla vedere, ma allo stesso tempo comprensiva. Elena aveva bisogno di tempo.

 «E’ un onore avervi nella nostra umile casa,  accomodatevi nel mio studio » il vecchio esortò il bel principe a seguirlo, e dopo pochi passi si trovarono nel piccolo studio del conte;come tutte le altre stanze era abbastanza tenebroso, le tende color verde oliva impedivano al minimo spiraglio di sole di passare. Tanti scaffali stracolmi di libri facevano pensare ad una biblioteca,  ma era una stanza troppo piccola per avere i tesori del mondo. «Accomodatevi, »il barbuto indicò una poltrona e Alfred Alexander David non esitò a seguire il consiglio.

«Non credevo veniste anche voi, è stata una sorpresa … a quest’ora dovrei essere accanto a mia moglie, ma la vostra presenza»

«Conte,  l’amore che provate per vostra moglie dovrebbe superare il giudizio che pensate che io abbia di voi. Potete anche … »

«No … non è il caso vostra altezza,  vederla mi pugnalerebbe ulteriormente il cuore e non so se posso permettermi altri fori … »

«Comprendo e per tale ragione,  accettate le mie più sentite condoglianze, » entrambi chinarono il capo in segno di rispetto e,  dopo un minuto interminabile Richard cominciò,

«E’ un piacere avervi qui, quanto vi tratterrete?»

«Beh … non è mia intenzione creare squilibri o incomodarvi, ma vorrei fermami quanto Elena, vede… quando la triste notizia è giunta, non le ho raccontato pienamente la verità, su due piedi non l’avrebbe presa bene … credo che scoperto così sia stato un colpo più leggero, un colpo che le ha fatto perdere l’equilibrio,  ma non cadere .Avrà tutto il tempo per metabolizzare questa brutta fase e poi insieme, torneremo al castello.»

«Tenete molto a mia figlia …» constatò il padre della contessa, accennando un lieve sorriso che subito fu sostituito da un’espressione  angosciata.

“Tra le tante sofferenze che si sono abbattute su questa casa, voglio che mia figlia sia salva, la sua felicità sarà anche la mia” disse al suo animo tormentato,

«Non centra il bene, è una cosa che sento di fare. Vostra figlia deve essere protetta. » rispose lineare, i suoi muscoli facciali completamente rilassati,  iniziavano ad irrigidirsi a causa delle immagini di poco prima,  quando, il suo fedele soldato nonché l’amico Marco aveva avuto quella reazione tanto bizzarra e infondata.

«Non potrebbe essere scortata dai vostri soldati? »domandò perplesso il padrone di casa alquanto stranito della reazione di suo genero; secondo Richard,  il principe aveva ben altre cose a cui pensare,  esempi: l’economia,  che in quegli anni, nonostante il miglioramento del campo industriale, aveva ancora delle lacune da colmare.

«La sua carne potrebbe essere fonte di desiderio per uomini che... » digrignò a denti stretti, chiudendo le mani in pugni.

«Mi è chiaro il concetto, » diede risposta Richard deglutendo. «Mia figlia ha un carattere ribelle,  spero che non si azzarderà a fare cose irragionevoli. » continuò grattandosi la folta barba e inevitabilmente,  riportò i suoi pensieri alla triste scomparsa.

«Elena è una brava fanciulla, non mi preoccupo del suo carattere rivoluzionario. »l’aggettivo “rivoluzionario” non fu usato per così dire. Prima o poi Alfred avrebbe arrestato il carattere eversivo della sua promessa  sposa,  avrebbe fatto di tutto per domarla .

Infastidito dell’argomento intrapreso, precipitosamente decise di  spostarsi a domande più riservate,

«Come vi sentite? »una domanda del tutto assurda,  poiché usciva dalla bocca di un uomo che non aveva fatto altro che preoccuparsi solo di sé stesso.

«Potrei anche morire ora che so che mia figlia è al sicuro, ho bisogno di Anne. » proferì sfiduciato,« chi mi teneva  in vita erano loro … »

Alfred alzò di un’ottava la voce e quasi rimproverando il vecchio affermò, «E’ assurdo quello che dite! Un padre ha sempre bisogno di un figlio come un figlio ha sempre bisogno del padre, e voi, soprattutto in questo orribile momento non potete essere distanti. Elena può rimanere  tutto il tempo che vuole,  non le vieterò nulla, al diavolo la potestà e i diritti del marito! So quanto per lei è importante la famiglia e la libertà …» s’alzò e avvicinato al davanzale, volgendo lo sguardo al cielo, fissava quella volta celeste tanto grigia e triste .

Richard lentamente si sollevò,  esterrefatto s’avvicinò ad Alfred, dandogli una leggera e confidenziale pacca sulla spalla, il genero si voltò,

«Sono felice sa?» enunciò contradditorio, presentando sul volto un sorriso forzato, ma pur sempre tale. Il sovrano scozzese fece spallucce stupito dagli sbalzi di umore del suocero. «Io e mia moglie desideravamo un uomo che amasse tanto nostra figlia, e l’abbiamo trovato. » accennò nuovamente un riso,  destinato a durare più a lungo.

Apparentemente Alfred  rilassò i muscoli facciali, scuotendo il capo indicò un sì incerto poi,  si recò spedito alla porta e giustificando tale atteggiamento enunciò,

«Partirò questa sera,  vostra figlia rientrerà quando vorrà, sarò felice di accoglierla.» accennò un sorriso luminoso, lasciando ben mirare  la sua dentatura perfetta.

«Ma come? Non avevate detto di  voler rientrare in Scozia con Elena ?» Richard inarcò un sopracciglio, di certo non era l’unico ad avere continui balzi d’umore.

«Ho appena ricordato un lavoro in sospeso ,  sarà meglio anche per Elena , le farà piacere non avermi tra i piedi. » accennò un sorriso sornione, «Con permesso,  ma  adesso avrei urgente bisogno di darmi una ripulita.» non diede neanche il  tempo al vecchio Richard di ribattere che, come un’ anima del purgatorio che freme di accedere al paradiso si precipitò all’infuori della sala,  domandò indicazioni a Marie e preparati gli indumenti lindi,  si recò in bagno.

Di certo la toilette della famiglia Hemsworth non avrebbe avuto i comfort del maestoso palazzo scozzese e senz’altro,  doveva lavarsi da solo, ma Alfred Grayson non ne fece un problema. I suoi pensieri, tanti e incerti, gli arrecavano dubbi esistenziali; la sua mente continuava a ripetere,

Io e mia moglie desideravamo un uomo che amasse tanto nostra figlia,  e l’abbiamo trovato.

«Io amare una donna? Che illogicità narra quel vecchio, la morta della moglie gli ha massacrato i neuroni?Non perderò mai le mie vecchie e buone abitudini … » disse a sé,   liberandosi dell’uniforme e immergendosi nella vasca di legno contenente acqua bollente.
 
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Incurante del freddo e della pioggia che calavano dal firmamento cupo e grigiastro, Elena s’ azzardò a recarsi in giardino; attenta a non farsi scoprire, scese le scale, cercando di non far cigolare qualche scalino da tempo  scricchiolante; furtivamente guardò a destra e sinistra e,  assicurandosi che nessuno l’avesse vista,  uscì all’aperto.

Da subito incrociò le corone di fiori che ordinariamente erano poste in tutto il giardino;le sembrava di impazzire,  la natura che da sempre amava,  in quell’istante,  iniziò a detestarla. Quei boccioli sarebbero stati posti sul corpo senza vita di Annalisa.

Perché l’ha fatto?E’ forse mia la colpa?

Irrazionalmente s’inginocchiò al centro del giardino, le lacrime accompagnate dalla pioggia scendevano senza darle tregua. L’espressione sofferente, il volto rigato dalle lacrime calde e salate, lo sguardo volto al cielo e le mani congiunte in segno di preghiera, erano l’intera e compiuta dimostrazione della sua afflizione.

«Ovunque tu sia, se in questo cielo o in un altro, resta al mio fianco. Ho sbagliato tutto con te,  mamma. »

«Elena! » esclamò Marco con tono moderato,  era alle sue spalle, ma non impiegò molto ad avvicinarsi  e dolcemente la presa in peso, «Siete impazzita, con questo freddo e in vestaglia poi, » si diressero verso le stalle, lontani da occhi invadenti,

«Sono una pazza, sì! Sono qui a chiederle aiuto quando potrei stringere il suo corpo a me, ma è un corpo che non ha anima, non ha vita! » la disperazione di Elena non si sarebbe placata facilmente, ma il soldato con un caldo abbraccio che la giovane non esitò a ricambiare, riuscì a zittirla e per qualche lungo minuto non dissero nulla. Ambedue  sentivano un calore che nasceva da dentro, una forza, un fuoco … quello era stato il loro primo abbraccio.

«Volete che vi accompagni? » domandò premurosamente mentre le accarezzava le guance infreddolite.

«No, il principe sospetterebbe qualcosa e non voglio ulteriori pensieri. » stroncò subito lei,

«In effetti già sospetta, » il milite si morse il labbro ed Elena allertata contrasse la mascella, «Quando siete svenuta,  il mio istinto mi ha spinto a correre da voi,  eravate tra le sue braccia e  inconsapevole, ho gridato il vostro nome,  omettendo il titolo nobiliare,  rendendo pubblica la nostra confidenza. » fece una pausa, il suo sguardo acceso d’ira diceva più di quello che le sue parole narravano, «Avrei voluto strapparvi da quell’uomo orribile, ma ho potuto solo accennare un’occhiata piena di risentimento. Elena, » disse,  stendendo le braccia in avanti e poggiandole sulle esili spalle della fanciulla,

«Io vi amo, e farò di tutto purché voi siate felice. Dovrei ucciderlo… » proseguì indignato, s’ allontanò dalla donna che tanto diceva di amare,  recandosi nella stalla, Elena lo seguì.

« Avete perso il senno! » sbottò lei più spaventata che adirata.

«La ragione non centra mia dea, da quando ho visto Beatrice …» soffuse una risata,  ritornando serio la guardava dolcemente dritto negli occhi; quel gesto aumentava la poesia di quell’attimo e con voce soave continuò«sono impazzito d’amore per lei,  e morirei per amor suo.» sembrò recitare una poesia, ma mai come allora, il soldato Marco aveva provato un sentimento tanto profondo; in quel momento era il cuore a dettare e la bocca, esternava quel sentimento tanto potente quanto proibito .

«Un vostro bacio, soltanto uno e calmerete questo cuore in pena …» deglutì , s’inginocchiò quasi come volesse chiederle di sposarlo,  un’azione alquanto originale,  al punto che ad Elena mancarono le parole.

Non aveva mai baciato nessuno, non sapeva come si faceva e le sue guance che prima erano quasi gelate, si riscaldarono dall’ imbarazzo. Ma quello non era il momento opportuno e,  il calore che provava per la vergogna, si trasformò in bollore di sangue che le andava alla testa,

«Mia madre è morta e voi pensate a placare il vostro animo con un mio bacio? » ripeté, enfatizzando l’intera frase,  scostandosi bruscamente dalla presa del giovane milite. «Sono io quella che sta male! »  terrorizzata scappò via correndo. 
 
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Delusa dall’uomo che l’era sempre risultato maturo e  cortese,  salì le scale in fretta e furia,  sebbene incrociò qualche valletto,  finse che non vi fosse nulla di preoccupante; con un pizzico d’affanno arrivò in camera , dove sollevata, chiuse la porta a chiave.

«Elena vi giuro che non era mia intenzione, » una voce parlò alle sue spalle, troppo familiare per aver sbagliato a sentire. Sbuffò voltandosi flemmaticamente.

Dinanzi trovò un Alfred diverso, i suoi muscoli, i suoi pettorali scolpiti erano ben visibili poiché l’uomo fosse svestito o meglio, un asciugamano di lino copriva soltanto la parte inferiore.

Elena iniziò a perdere un respiro dopo l’altro, si coprì gli occhi, troppi shock in un solo giorno. Non avrebbe resistito a tanto.

«Non era vostra intenzione lavarvi nel mio bagno?Non avevate messo in conto che …» Alfred l’azzittì in breve tempo,  gli bastò avvicinarsi e con le dita le sfiorò le labbra. Era un contatto provocatorio, ma per esigenza Elena non si staccò, era come se volesse intendere che provava piacere ai tocchi dell’orribile principe.

«Potete aprire gli occhi, non sono nudo.» rise beffardo,  continuando a tenere la minima distanza.

Mostrandosi spavalda la contessa aprì gli occhi e, rimanendo concentrata, cercava di controbattere.

«Una valletta mi ha consigliato la vostra stanza, » disse giustificandosi, «saremo marito e moglie Elena, sarà normale …» fece una pausa, «ora non mi sembra opportuno parlare di certe cose, mi agghindo e torno in Scozia.»

«Non ho intenzione di partire all’alba! »  esclamò lei,  cominciando ad innervosirsi.

«Lo so Elena, lo so … infatti ho detto:mi vesto e torno in Scozia» ripeté ironico e, allontanandosi dalla fanciulla,  si ammantò dietro la cabina-armadio.

«Suppongo sia per la baronessa. » indagò passiva.

Alfred impiegò meno del previsto,  uscì sfoggiando uno dei suoi sorrisi più ammaliatori. Indossava: calzoni e stivali neri , e i pantaloni erano tenuti da una cintura dorata. Il petto liscio ancora nudo metteva in evidenza i suoi muscoli scolpiti che, maledettamente Elena non smetteva di contemplare, il corpo di un uomo che tanto odiava poteva essere desiderabile? Così perfetto?Per quanto se ne rammaricava era privo di imperfezioni, a tal punto di paragonarlo ad una divinità greca.

«Se devo aggirarmi a petto nudo per richiamare la vostra attenzione,  sarà fatto. » dichiarò, abbozzando un sorriso sornione.

Quel sorriso da ebete sarebbe bene cancellarlo con una bella cinquina. “ pensò  la contessa senza proferire parola , si mise a braccia conserte sfidandolo con lo sguardo, o forse era una tecnica di seduzione?


«Avete un’aria assente, non sverrete di nuovo mi auguro. » pavoneggiò, mettendo il petto all’infuori. Era così sicuro di sé. Sapeva di essere perfetto.

«Per quale motivo? » domandò Elena,  alzò le sopracciglia e al tempo stesso fece spallucce;voleva risultare indifferente, ma sarebbe mai riuscita ad opporsi a tanta perfezione?

«Mi guardate come se non aveste mai visto un uomo svestito …»proferì con voce roca che decisamente peggiorava tutto.

«In effetti è così, almeno io ho una mia dignità. » enfatizzò l’ultima parte, accennando un sorriso a trentadue denti.

«A differenza di? Della baronessa, vero? » Alfred trovò da solo la risposta, continuò a sorridere, ma stavolta più sfrontato.

Elena  rimase in silenzio, fingendo di non aver sentito o meglio: chi tace acconsente.

«Siete andata da vostra madre? » domandò lui, infilando la camicia.

«Non ne ho il coraggio, » rispose schietta distogliendo la scorsa; si voltò a fissare un punto fisso,  inesistente. La seguì con lo sguardo e gli occhi tristi e spenti di Elena furono un tormento dell’anima. Come un gesto istintivo le sue mani tremanti cercarono quelle di Elena,  il sussulto si calmò solo quando riuscirono a toccarsi. La giovane alzò lo sguardo e non poté reprimere quella sensazione tanto bella quanto nuova,

«Se volete che resti,  ditelo adesso e non partirò più. »farfugliò lui. Entrambi erano tesi. Forse Alfred si era buttato a capofitto, ma no … era giusto, era ciò che aveva sentito in quel momento.

La contessina rimase in silenzio prima di decretare la sentenza poi, con sguardo basso deglutendo sentenziò,

«Non ho bisogno di voi, » lasciò le mani dell’ uomo e  aprendo la porta,  lasciò la stanza.

Le loro mani si erano tenute per poco, ma il freddo che il principe percepì quando lei lasciò la presa … fu agghiacciante.
 
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«Elena! » esclamò Richard sollevato di aver trovato sua figlia, «Eri bloccata in camera ed ero impensierito,»

«No, no … tutto bene» rispose una terza voce, ma tutto poteva essere equivocato.

«Eravate chiusi a chiave nella stessa stanza? » Richard spalancò gli occhi, fissando prima Alfred e poi Elena, la giovane spalancò la bocca, avrebbe sicuramente balbettato qualcosa, ma l’imbarazzo era elevato.

«Sì conte, ma si figuri … non siamo persone di quel genere. » proferì Alfred con non-chalance, sminuendo quello che all’epoca sarebbe stato un vero e proprio scandalo.

“Io no, ma voi si … “pensò Elena, ma accordò il suo futuro marito,  Richard era già abbastanza diffidente.

 «No … no vostra altezza, non oserei  pensare …» motivò il vecchio, abbassando lo sguardo imbarazzato dell’argomento intrapreso.

«Elena … ho una lettera da consegnarti, l’ha scritta tua madre per te, teneva tanto che tu la leggessi …» nonostante Richard avesse un groppo in gola,  riuscì a riferire ciò,  allungò il braccio ed Elena delicatamente strinse nelle sue piccole mani quella carta tanto lavorata, ma importante non era il materiale di cui era costituita, ma ciò che vi era scritto.

«Dà un’occhiata appena puoi, » si raccomandò e accennata una riverenza che fu ricambiata anche dal principe, lasciò i futuri sposi.

«Vado ad avvisare i soldati,  a breve sarò in partenza … » enunciò l’uomo perfetto nell’ imperfezione, Elena lo osservò per l’ultima volta, accennò una riverenza e tenendo lo sguardo basso dichiarò,

«Fate buon viaggio,»gli  voltò le spalle, e disinteressata di ciò che abbandonava alle sue spalle, scomparve nell’ immenso corridoio.


Indiscutibilmente sarebbe stata meglio, sapere che Alfred stava per mettersi in viaggio era un sollievo. Non avendo il fiato sul collo, sarebbe stata più sé stessa e forse avrebbe trovato il coraggio o quella giusta spinta che le mancava. Ma in quel momento, l’unica cosa che le mancava era tutto fuorché il coraggio.

Le mancava sua madre, la sua maestra di vita, la sua creatrice.

Si recò nella stanza tanto temuta, la stanza che odiava proprio quanto i fiori.

I passi delle domestiche, le gocce di pioggia che si infrangevano al suolo, il rumore dei carri, tutti i rumori erano patiti in modo ovattato. Stava per varcare la soglia.

Un passo davvero difficile al quale sarebbe susseguito un altro della stessa complessità:avvicinarsi al letto.

 Ma doveva provarci.

Avanzò, e passo dopo passo, la visuale era sempre più nitida. Non ebbe la reazione che aspettava, il corpo senza vita di sua madre non la terrorizzava anzi, era così bella.

S’ avvicinò di corsa,  inginocchiandosi,  fu impossibile trattenere le lacrime.

 Un corpo senza vita non può abbracciare, non ha anima, non ha sentimento.

«Mamma … » l’unica parola che riuscì a dire.

Senza riflettere due volte, appena i singhiozzi si furono calmati, pazientemente aprì la lettera.

Chiuse gli occhi, cercò di immagazzinare abbastanza aria per poter fare un sospiro accettabile e poi riaprì le palpebre auto convincendosi di potercela fare.
Un duro colpo fu guardare la calligrafia di Anne,   Elena l’aveva sempre ritenuta sublime, di bell’impatto.

“Cara Elena,
non sono mai stata brava a scrivere i miei sentimenti,  non sono come te, riesci sempre a dire la cosa giusta al momento giusto …”

«Non è affatto vero, » disse ad alta voce come se Annalisa potesse sentirla.

“Ricordo quando l’istitutrice ti insegnava le poesie e tu,con la tua bravura ,sapevi sempre interpretarle nel migliore dei modi.
Io non sarò mai capace di essere come te e per quanto ce l’abbia messa tutta, so che non sono stata la mamma migliore del mondo … ma una cosa so dirtela …
Tra le figlie che potevano capitarmi, tu sei la migliore.”

Scoppiò a piangere, ignara che a pochi passi, fuori dalla stanza Alfred stava osservando tutto.

“Se mi perdonerai o no,  non m’importa, volevo solo  dirti che ti adoro … e da madre quale sono , spero di averti salvata.”
Subito andò al capoverso, curiosa di scoprire cosa a breve la lettera avrebbe ammesso.
“Salvarti da cosa? Eccoti la verità , anche se forse non capirai … 
Volevo salvarti dall’amore,  evitando di farti commettere  il mio stesso errore.
Credi che abbia amato solo tuo padre? Beh … no,
quando avevo poco più della tua età,  in Italia conobbi un uomo, si chiamava Giovanni … era bellissimo e mi innamorai follemente di lui. Come ben immagini , finì  e anche nei più tragici  dei modi.
Tuo nonno scoprendoci  nel nostro nido d’amore,  armato di un fucile , senza porsi troppi problemi gli tolse la vita sotto i miei stessi occhi. Ho odiato mio padre e non ho mai smesso. Tentai di fuggire, ma fu vano, fui ritrovata a pochi isolati da casa. Non ebbi neanche il coraggio di suicidarmi, anche se volevo. Tuo nonno,  egoista qual'era agiva pensando alle condizioni economiche della mia famiglia  ,che  appunto,non erano le migliori,  l’unica speranza era il mio matrimonio con Richard. Il tempo è passato e ho iniziato a volergli bene,  ma l’uomo che amerò per sempre sarà l’italiano, sogno sempre di lui, sai?”

Sorrise  sebbene le parole di Anne erano crude,  spiazzanti, amerà sempre l’italiano , e a Richard vorrà sempre del gran bene.

“Ho temuto molto quando  hai iniziato a crescere e al tempo stesso a rifugiarti nei libri, stavi commettendo i miei stessi errori. Non avrei permesso che la nuova parte di me, cioè te, avrebbe rifatto gli stessi sbagli.
Ho cercato di assicurarmi che non conoscessi altro uomo all’infuori del tuo promesso sposo,  perché quando non puoi amare chi vuoi, inizi a morire. E’ un vuoto che ti logora dentro fino a farti impazzire, non dormi  la notte.
Quando sai che non puoi amare è meglio che si chiarisca subito,è un colloquio tra te e la tua mente, il cuore non centra.
Anche se deciderai di non perdonarmi ,  non portarmi rancore, non sopporterei ulteriore sofferenza …
Il tuo animo che è buono e gentile deve concedermi almeno un granello di pace.
Perdonami ,
tua madre.”

Strinse quella lettera al petto e con essa anche la mano agghiacciante di Annalisa, la baciò con tanto affetto inzuppandola di lacrime.

«Non hai nessun peccato, non hai sbagliato nulla. La mia immaturità ha parlato troppo e debbo io chiederti perdono. Perdonami se non ti ho mai compresa pienamente, quanto vorrei tornare indietro. »

“Perché quando non puoi amare chi vuoi, inizi a morire.”

Ripeté Alfred a voce bassa, un uomo apatico come lui s’era fatto abbindolare da una frase frustante come quella;s’allontanò nostalgico,  stando attento cauto a non farsi udire,  si recò in giardino dove ,  la diligenza era già pronta.

«Marco sarete tu ed Elton a farmi da scorta, gli altri restano qui con mia moglie.» asserì con tono autoritario al giovane milite biondo.

«Già in partenza? Dovreste star vicino alla contessa …» controbatté il soldato, cercando di non manifestare la scarica di odio che in quel momento filtrava tra i loro animi.

«E io credo che tu abbia già parlato molto, un buon milite  combatte, non perde tempo per pensare. »

«Chiedo venia, era un mio parere. » abbassò il capo fingendosi mortificato, ma Grayson non era sciocco .

«Dei tuoi pareri non so che farmene … come dire … sono inutili» digrignò a denti stretti l’ultima parola.

Si scambiarono occhiatacce di sfida, poi Alfred interrotto dal premuroso Richard, fu costretto a distogliere lo sguardo.

«Vostra altezza, i miei ossequi … spero tanto in una vostra prossima visita.» proferì il padrone di casa, accennando una riverenza, si guardò intorno e non vedendo sua figlia iniziò a stizzirsi.

«Io e lady Elena ci siamo già salutati, » precedette Alfred prima che lo stesso Richard o una valletta andassero a chiamare la fanciulla «Non incomodatevi, adesso è necessario che stia con sua madre» accennò un sorriso compiaciuto e sistematosi il mantello salì nel calesse.


Seduto, accennò un ultimo gesto di saluto e poi ordinò al cocchiere di partire.

Stava ritornando in Scozia per svagarsi, perché no... forse proprio con la baronessa Karine.


Spazio Autrice:Carissimi lettori, dai dai dai che...sto pubblicando più frequentemente! :) In effetti a scuola ho una bella pausa, tra ponti e assemblee potrò un po' respirare. Prima di tutto vi ringrazio per la vostra costante presenza, e un grazie maggiore va ai nuovi recensori davvero: UN GRAZIE IMMENSO. Senz'altro è stato un capitolo ricco, avrei potuto continuare ma troppi avvenimenti e troppo lungo...vi avrebbe annoiato. Ho delle domande:la scena che vi è piaciuta di più? quella che non vi è proprio piaciuta? Le idee sui personaggi sono sempre le stesse o state pensando di passare all'altra sponda? Beh intanto nel prossimo capitolo Alfred tornerà in Scozia e si farà travolgere dalla perdizione, non dobbiamo meravigliarcene in fondo: il lupo perde il pelo, ma non il vizio.Elena starà in campagna, le farà bene e per la prima volta il triangolo si divide. Il rapporto Marco ed Alfred come vi sembra?
Spero di sentirvi, vi mando tanti bacioni. Sono quasi 11 pagine e spero vi piaccia, come sempre ci saranno gli orrori e le mie terribili imperfezioni. CHIEDO VENIA!


 

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Capitolo 12
*** Undicesimo Capitolo. ***


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 Non è mai troppo tardi per andare oltre.

Dante Alighieri

Undicesimo Capitolo

 
Elena stava meglio, decisamente.
 L’uomo che tanto odiava e che continuava ad opprimerla finalmente era partito, lasciandola sola, immersa nel suo dolore. Le stava bene, la presenza di Alfred sarebbe stata solo d’intralcio. Continuava a stringere a sé, con le mani ancora tremanti, la lettera della povera madre, attenta a non stropicciarla; già le sue lacrime amare si erano intinte nella ruvida carta della pergamena, sfumando leggermente i caratteri segnati con un inchiostro nero come la notte. Il cielo continuava ad essere squarciato da lampi e tuoni e il buio iniziava ad infonderle -o meglio- aumentava la sua angoscia.
 
Si massaggiò la tempia sperando invano di arrestare per un attimo i suoi pensieri, alleggerendosi anche un po’ la mente colma di pensieri malsani. Incerta camminava per la stanza, con il polso s’asciugava le guance bagnate e di rado, con lo sguardo fuggitivo, scrutava il corpo senza vita di Annalisa.
 
Nessuno sarebbe stato in grado di riempirle quel vuoto, aveva solo diciassette anni e, mentre costatava che le sue coetanee erano già maritate e che nel loro ventre cresceva una creatura, lei affermò fra sé di non volere quel destino.
 
 La morte di sua madre, però, complicava tutto. Le volontà della donna 'sì lei cara erano ben chiare, forse era la scelta giusta.
Ho cercato di assicurarmi che non conoscessi altro uomo all’infuori del tuo promesso sposo,  perché quando non puoi amare chi vuoi, inizi a morire. E’ un vuoto che ti logora dentro fino a farti impazzire, non dormi  la notte.
 
 La contessina non avrebbe mai amato il principe di Scozia: la sua arroganza, il suo sentirsi superiore agli altri; non era affatto lo stereotipo di compagno che s’era immaginata nella sua innocente adolescenza. Era ancora alla ricerca di un uomo come Mr.Darcy o Mr. Knightely: qualcuno che l’amasse e che non bramasse un fuggiasco desiderio; desiderava qualcuno che la proteggesse, dotato di un profondo animo nobile, e dubitava di trovare tali caratteristiche anche  nel soldato Marco. Questi s’era dimostrato un militante a tutti gli effetti: freddo, immune alla sofferenza e a qualsiasi tipo di sentimento. Non riusciva a capacitarsi di come in una situazione del genere le avesse chiesto un bacio; avrebbe dovuto aiutarla, standole vicino seppur tacendo, invece, ancora una volta, come in tutte le creature umane, l’egoismo era prevalso. Cercando di mettere a freno quei pensieri che non le davano tregua pian piano il suo animo, oscuro quanto quel cielo tanto spento, iniziava a placare ogni forma di risentimento. Cauta si sdraiò sul letto, accanto al corpo immobile della donna che le aveva dato la vita e, dopo averla contemplata per lunghi minuti, le lasciò in fronte un bacio colmo d’affetto: un bacio d'addio. Addio, che brutta parola: piena di tutto e niente. Infiniti ricordi e nulla che resta. S'alzò scoraggiata, a capo chino, dirigendosi verso la porta e, senza voltarsi, abbandonò quella stanza tanto colma d‘angoscia e sofferenza. Per i corridoi incontrò José e Marie; guardò di sottecchi la loro espressione frustrata, ma reagì come se fossero trasparenti. Giunta in camera, si lasciò la porta alle spalle, chiudendola a chiave, evitando che suo padre o qualsiasi altro entrasse per parlare. Con tutto quello che era successo le parole non avrebbero risolto nulla, e certamente non sarebbero bastate per riportare in vita sua madre, per colmare quel vuoto che le si era squarciato in pieno petto. Decise di sedersi allo scrittoio, le parole uscite dalla bocca che tanto reputava futili, erano ben diverse da quelle scritte su un pezzo di carta; verba volant, scripta manent. Quelle sarebbero state sincere e per un certo verso, le avrebbero addolcito il groppo amaro che le si stringeva in gola. Bagnò la sottile punta metallica della penna nell’inchiostro e, tentando di trovare un angolo quiete, riempì i polmoni d'aria, inspirando profondamente. La mano era ancora tremante, doveva concretizzare quanto accaduto; le pareva tutto assurdo, come se si trattasse di uno di quegli incubi tremendamente realistici.

«Coraggio Elena.» sospirò fra sé la Contessa, esalando a fatica un altro respiro appesantito dal dolore, per poi poggiare la punta della penna sulla ruvida carta che odorava macabramente di casa.

"Cara madre, chiedo perdono se Vi darò del 'tu', ma in questo momento non Vi parlerò nelle semplici vesti di una parente subordinata. Ovunque tu sia, spero che questo messaggi ti arrivi. Sicuramente lo farà, poiché ciò che ti parla è il mio cuore e, quando esso è di mezzo, nessuna distanza, nessun ostacolo è troppo grande. Non comprendo la tua decisione, e forse non me ne farò mai una ragione. Hai deciso di lasciarci quando, invece, bastava spedirmi una lettera e sarei corsa qui da te, risolvendo tutto e facendo pace. Hai scelto la strada più facile, hai preferito andartene e adesso, per molti versi, mi sento colpevole. Sono stata io la vera causa della tua morte, e sono consapevole che non avrò pace finché non espierò il mio peccato. Mi hai insegnato tanto e, se sono così lodevole come affermi, lo devo a te. Mi dispiace per non aver capito i tuoi silenzi, non avrei mai pensato che all’infuori di mio padre ci fosse stato un altro uomo che poi ti hanno addirittura costretta ad abbandonare. Probabilmente non so bene cosa significhi rinunciare all’amore, dato che non ho mai provato un sentimento 'sì intenso, ma forse posso tentare di comprenderlo; non deve essere stato facile. La tua lettera è stata di grande aiuto, avrei preferito parlartene, ma forse quell’incomprensione, che negli ultimi tempi è stata inevitabile, non avrebbe reso tutto così chiaro. Mi avete aperto un sentiero suggerendomi la scelta giusta; ne sono certa. Seppure non amerò il Principe, sono cosciente che quello sia il mio destino, e da temeraria affronterò tutte le battaglie che la vita avrà in serbo per me, dedicando a te la vittoria contro ognuna di esse. Non mi tirerò indietro, non avrò paura. Non mi riesce parlare di te al passato, perché per me non te ne sei andata; ancora mi pare di avvertirti accanto. D'ora in poi sarai nel Sole che sorge, nel tramonto che addolcisce il vespero e nella pallida Luna, che tutte le sere guarderò affacciata alla finestra, permettendo alla sognatrice che è in me di riemergere, anche se solo per qualche attimo. Sarai un fiore delicato che innaffierò e a cui darò tutte le cure, proprio come hai fatto con me. Sei -e nonostante tutto sarai- la mia guida. Ti percepirò nel vento che soffia tra gli alberi e che, anche se non si sente, c'è sempre. Madre mia ti amo, e questa lettera t’accompagnerà nella vita eterna. Non sarai sola perché il mio spirito sarà sempre con te. Ti sono accanto, e non esiste spazio che potrà dividerci. Tua Elena. "

Passò la lingua sulla busta inumidendone i lembi adesivi e, una volta dato un colpo secco al timbro del sigillo, vi chiuse quei ricordi tanto lieti quanto dolorosi al suo interno.
 
 “È ora di andare da mio padre”Pensò, poggiando i gomiti sul lucido scrittoio in legno, accompagnando quelle tacite parole ad uno sbuffo. Le sue azioni furono interrotte da un timido bussare alla porta, che rese Elena incuriosita quanto infastidita. Lasciò la lettera sul tavolo e, di malavoglia, aprì. Dinanzi si trovò proprio Richard, il suo viso sofferente non accettava rifiuti per un eventuale conversazione. «Elena, necessito di parlare con te. -Le chiese con timbro scosso- Fallo per me, è l’unico modo per farmi stare meglio.» Ri-propose poi, esibendo il suo sguardo color legno antico, suscitando in Elena una certa incapacità di negargli il suo conforto. Guardò il padre e, facendo cenno di sì con il capo, socchiuse la porta della stanza alle sue spalle, recandosi insieme a lui in giardino. Sebbene il cielo non fosse dei migliori, stare con Richard migliorava lo stato d’animo della fanciulla. I loro lunghi anni di distanza dovevano assolutamente essere recuperati; sarebbe stato meraviglioso se ci fosse stata anche Annalisa, completando il quadro familiare alla perfezione. L’odore della pioggia che aveva inumidito il terreno conferiva ad Elena una sensazione inebriante, permettendole di respirare a pieni polmoni quella fragranza così primordiale quanto rigenerante. Chiuse gli occhi, cercando di liberare il suo animo dalle frustrazioni che le macchiavano la coscienza; Richard sbigottito la fissava in silenzio. «Tale e quale a tua madre.» Soffiò compiaciuto, piegando le labbra in un lieve sorriso che, seppur poco duraturo, fu il primo. La giovane, scossa da quella frase, aprì di scatto gli occhi, fissando con le iridi color cioccolato suo padre. Schiuse lievemente le labbra carnose e rosee, rivelandosi incapace di proferir parola. «Sei come lei.» Sussurrò con voce sottile, appoggiando poi la mano alla siepe bagnata dall’acqua piovana e chiuse gli occhi, figurandosi nella mente la Natura e il suo ciclo vitale. Sua moglie non era morta a causa di una malattia, bensì per volontà. Se fosse stato il Cielo a decidere, col passar del tempo l’avrebbe accettato, ma in quel modo no; tutto era più atroce.
 
«Lo so. » rispose lei rilassando i muscoli facciali  «Peccato che l’abbia capito solo adesso.» Spostò lo sguardo verso l'alto vietando alle lacrime di bagnarle le guance.
 
«Mi domando cosa mai potesse esserci scritto in quella lettera …» Chiese l’uomo dalla folta barba castana, assumendo un’aria pensierosa.

 “E’ la curiosità a rendere l’uomo vivo. “

Elena l’aveva sempre saputo, ma non poteva raccontare a Richard la verità, seppure Annalisa non l’avesse tradito carnalmente, si sarebbe comunque sentito toccato, ferito. Pensò che fosse giusto essere evasiva, far sembrare che nella lettera vi fosse soltanto qualche frase dettata dal rapporto madre-figlia, un legame che Anne, tramite quelle frasi cariche di tenerezza, voleva riprendere a tutti i costi. Erano sempre state unite: da quando Elena era bambina, non c’era cosa che facesse senza che sua madre le stava accanto. Ricordò quando all’età di sei anni, correndo per il giardino, cadde sbucciandosi le ginocchia. I primi dolori fisici di un essere umano -costatò-, messi a confronto con il lutto per la perdita di una persona cara, sono briciole. Nonostante ciò: ogni età ha la propria sofferenza. «Quello che una figlia è tenuta a sapere, nulla di strettamente personale, Padre.» Rispose netta, cercando di non far trapelare con lo sguardo quello che la bocca coscientemente si era rifiutata di dire. «Il tuo cuore è diviso a metà.» Profetizzò improvvisamente il vecchio Conte e, assicuratosi che la panchina dinanzi a sé non fosse umida, s’accomodò.
 
«Come, Padre? » domandò colta di sorpresa, credeva di essersi confusa.
 
 «Perché mi chiedi di ripetere se hai già compreso?» I due si fissarono per pochi secondi; fu Elena che, arrossendo violentemente, distolse lo sguardo. «Elena, cosa c’è tra te e il soldato?» Fu pragmatico l'uomo che, apparentemente, era saputo riguardo alle faccende di cuore. La giovane tornò a guardare suo padre e inevitabilmente deglutì, stringendo le mani l’una all’altra per poi fugacemente toccarsi i capelli. Era agitata.
 
 «Nulla, che domanda assurda! » Esclamò con voce acuta, tentando di camuffare l'improvviso rossore delle sue guance, distogliendo lo sguardo da quello del padre, per poi puntarlo verso il cielo oscurato dalle nuvole piovane.
 «Qualcosa c’è, altrimenti avresti risposto: “Quale soldato?„» Richard accennò un sorriso vittorioso, invitando sua figlia a sedersi.
 
 «Padre, vi assicuro che non è nulla.» Continuò Elena insistente, ma ormai il genitore aveva ben un'altra visione. Più una persona è vissuta, più sa vedere ben oltre ciò che appare, e Richard era sicuro di aver notato e compreso tutto pienamente.

«Forse tu non l’hai visto, ma quando sei svenuta tra le braccia del Principe si è precipitato da te, per non parlarti degli sguardi che si sono scambiati …»
 
 Elena, dalle recenti parole di Marco non aveva dedotto ciò che in quel momento suo padre le stava dicendo. Alfred sarà partito proprio per quello? Per evitare che Marco stesse vicino ad Elena più di quanto volesse? «Allora Elena, vuoi parlarmene?» domandò Richard con fare permissivo, rendendosi disponibile a qualsiasi sfogo. In fondo, erano padre e figlia, e Richard adesso non ricopriva soltanto il ruolo paterno, ma si sentiva in obbligo di tentare di risanare almeno parte di quella voragine che Anne aveva lasciato. 

 
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Un viaggio di partenza e uno di ritorno nello stesso giorno avrebbero stremato chiunque. Sebbene fosse stato deciso da Alfred, questi come qualsiasi essere umano, ne percepì la complessità, e le sue lamentele non tardarono ad arrivare. Marco soffriva in silenzio, ma non si sarebbe arreso così; sentiva di essere più furbo dell'accidioso Principe. Nonostante la stanchezza, aveva già programmato tutto: appena giunti al castello, Alfred sarebbe andato a dormire e lui, finalmente, nonostante i tanti chilometri che dividono l’Inghilterra dalla Scozia, sarebbe ritornato da Elena, e magari avrebbero pianificato una fuga insieme. Non doveva spaventarsi di Alfred, era un ostacolo al quale doveva abituarsi, e di cui, al più presto, doveva liberarsi. Quasi come un miraggio da non lontano, tra la fitta rete di alberi secchi e spogli, s’iniziava a dedurre la grossa fortezza. Alfred tirò un sospiro di sollievo e Aleksej fece lo stesso, il suo piano stava per attuarsi. I membri della servitù, sorpresi dall'inaspettato ritorno degli uomini, rimasero immobili, impiegandoci qualche minuto per focalizzare la figura del calesse e, a passo svelto, aprirono l’enorme cancello. Appena la diligenza si fermò in giardino, il Principe non tardò a smontarvici. Diede un’ultima occhiata colma di astio dietro di sé e, senza guardarsi intorno, si recò nella sua stanza, pianificando di chiamare Lorry per chiedergli di Karine.
 
Sicuramente era stanco, ma l’esigenza di capire cosa quella fanciulla fosse per lui prevaleva su ogni cosa.  Doveva capire perché prima di conoscere Elena, non aveva mai riflettuto nel compiere determinate azioni. La compagnia della giovane lo rendeva nervoso portandolo a dire o fare cose che subito dopo si pentiva. Con lei era attento, quasi diverso.
Ma il lupo non perde il vizio e difatti, la sua intenzione era ben precisa; se aveva commesso l’errore di rifiutare l’intrigante baronessa ora, non avrebbe osato farsela scappare.
Entrato nel grande studio  trovò  Lorry, che sulla grande scala rimanendo ammirevolmente in equilibrio spolverava gli alti scaffali di libri.

« Lorry! » sbottò d’un tratto e il maggiordomo, non accorgendosi della sua presenza ebbe un sussulto.

«Sire … già di ritorno?» domandò il valletto stranito e senza esitare,  scese le scalinate due a due per giungere più velocemente dal suo padrone.

«Tralasciamo i convenevoli e dimmi:la baronessa Karine, rossa  e dall’accento francese è già tornata nella sua corte? »

«Se non erro, appunto stamane ha avvisato di un soggiorno prolungato, era piuttosto acida …»annotò l’inserviente che allergico alla polvere,  starnutì.

«Non hai idea di dove possa essere? » domandò Alfred ancora più incuriosito e al tempo stesso irritato, stava aspettando già da molto e un essere impaziente come lui avrebbe perso le staffe a breve.

«No altezza, ma  sono preoccupato per la futura sovrana, come ha reagito alla straziante notizia? » chiese il maggiordomo con voce docile, sperando di non essere aggredito dal sovrano viziato e prepotente che secondo l’opinione di tutti: era un uomo senza sentimenti.

Per quanto Lorry fosse d’accordo con questa comune opinione, nell’ultimo periodo aveva osservato un atteggiamento diverso di Grayson, un comportamento umano, come qualcuno che ha emozioni. Un uomo che soffre o gioisce a seconda di come va la vita, un uomo che ha paura di amare, ma in fondo ne è capace.

«Era molto turbata, ma ho fatto la scelta migliore, la verità prima del viaggio l’avrebbe scossa completamente. » abbassò lo sguardo in difficoltà su cosa dire.

«Permettetemi di dire che adesso siete voi quello turbato …» proferì titubante il valletto, cercando con attenzione di non sfiorare il velo di rabbia che stranamente d’un tratto s’era creato su Alfred.
«Sono stanco, possibile che si parli sempre di lei! Ricordate che mi ha offeso organizzando la rivolta, è una creatura pericolosa. »

« E’ un nemico per voi? » domandò Lorry cercando di  mostrarsi moderato, curioso di scoprire cosa turbasse il suo padrone.

« Siamo il diavolo e l’acqua santa, nonostante abbia fatto quel gesto orribile e insensato rimarrà sempre pura agli occhi di tutti e diversa da tutte. » sbraitò rabbioso, dando un pugno sul tavolo facendo così svolazzare tutte le cartocce.

« E’ il diverso a spaventarci o quello che è più simile a noi, sire? » profetizzò Lorry,  presentando in pieno volto un lieve sorriso di compiacimento poi, accennando la riverenza lasciò lo studio.

Dopo pochi minuti dall’uscita del suo fidato consigliere, i pensieri del tormentato principe furono interrotti dal bussare di qualcuno,

« Chi è? » domandò infastidito, sporgendo la testa verso destra cercando di vedere la figura,

« Vostra altezza, siete proprio voi! » costatò la baronessa entrando senza neanche aspettare il permesso, «Il mio cuore non ha sbagliato, »

Il principe accennò una risata senza umorismo,

«Che strano, pensavo fossero le orecchie a permetterci di sentire … » rise beffardamente, ma con il suo sorriso manifestò il piacere che provava nel vedere Karine.

«Concordo pienamente, ma lasciatemi dire che vi sono alcune cose che solo il cuore può avvertire …»

«E adesso ascoltatemi voi, non dubito che siate una donna da un notevole intelletto, ma ciò che sere fa avete fatto, non sono riuscito a tollerarlo avete osato intrufolarvi nella mia camera come una ladra.» sbraitò, sedendosi sulla poltrona poi, sbollito la rabbia, invitò la donna a sedersi di fianco a lui.

«Noto il vostro animo afflitto e mi domando perché un uomo perfetto come voi debba accontentarsi di una fanciulla che a malapena …»

«Vi interrompo subito, uno come me non si accontenta mai , difatti, sono tornato per voi.» quella frase così inaspettata e piena di stupore, aprì nel cuore di Karine un senso di compimento, era riuscita nel suo obiettivo o almeno stava per raggiungerlo; non vi avrebbe rinunciato per nulla al mondo.

Fu automatico quello sguardo d’intesa che a breve, avrebbe portato soltanto a una cosa. Si avvicinarono fugacemente l’uno al corpo dell’altra e  senza troppe cerimonie , con foga unirono le loro lingue l’uno all’altra desiderosi di andare oltre …

La baronessa da femmina qual era non esitò ad aderire completamente il suo corpo a quello dell’uomo e, assicuratosi che la porta fosse chiusa e nessuno potesse vederli, iniziò a liberarsi dell’enorme veste per compiere movimenti più comodi.

Alfred si sdraiò sul divano facendo spazio a lei che senza mostrare alcuna forma di timidezza, si metteva su lui.

Erano due nobili viziati, orgogliosi, propensi al divertimento, irresponsabili delle proprie azioni.

Caratteri simili, accomunati anche da uno scopo affine: Elena.

 Karine voleva eliminarla a tutti i costi e pur di raggiungere quest’obiettivo sarebbe stata capace persino di ucciderla; Alfred invece, voleva liberarsi dalla sua immagine, dalla sua tremenda e agonizzante ossessione.

Le loro lingue in perfetta sintonia giocherellavano e lo  stesso facevano le loro mani che frugaci esploravano l’un l’altra.

Senza indugiare parecchio Alfred entrò in lei facendola sua. Non c’era amore in un rapporto del genere, non vi era nessun sentimento, neanche la passione, era come una scommessa. L’avaro principe s’era promesso  di scordare quella giovane, sarebbe andato con chiunque, ma Karine glielo avrebbe concesso?  Una donna come lei, non avrebbe perso l’occasione di diventare sua regina soprattutto dall’istante in cui lui era entrato in lei.

La giovane Karine ansimava, il principe che aveva dinanzi non solo era ricco e affascinante, ma il suo corpo ben scolpito dagli anni di milite, era bello da guardare; i pettorali ben definiti, le spalle larghe e possenti emanatrici di un forte senso di protezione e quegli occhi, abili nel rendere instabile qualsiasi donna.

 
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«I miei occhi hanno ben visto sin dal primo momento Elena, provi qualcosa per quel soldato,» profetizzò Richard dando una pacca sulla spalla a sua figlia, la quale aveva assunto un’espressione pensosa e angosciata.

«Non so cosa vuol dire provare sentimenti per qualcuno, non mi è mai capitato. Sono confusa. » rispose storcendo il naso, si alzò dalla panchina, fissò il cielo costatando come parlare con suo padre, non le aveva fatto accorgere della sera che era venuta.

« Elena non è confusione, spesso definiamo le cose con termini non appropriati … semplicemente perché il loro nome ci spaventa.» proferì da poeta, ma in quella frase vi era più verità di tutte le certezze del mondo. Aggrappandosi al bastone si alzò e facendo cenno di rientrare, insieme a sua figlia tornò in casa. Lungo il viale non smisero di parlare, Elena continuava a essere assorta da i suoi pensieri«E poi la confusione vi è soltanto quando abbiamo una scelta, destra o sinistra , bianco o nero … evidentemente tu sei tra due fuochi. » notò il vecchio accarezzandosi la barba folta.

« Dite che abbia due scelte, due incertezze? » la giovane contessa fermò i suoi passi voltandosi nella direzione del padre che era qualche passo indietro.

«Sì … ma in un certo senso credo sia normale, quando presi in moglie Anne, aveva il tuo stesso sguardo smarrito» abbassò gli occhi ricordando quel momento che gli causava profondo dolore.

«L’amore è affidare la nostra felicità a qualcuno, non è un gesto sconsiderato? » domandò d’un tratto, la sua curiosità nel sentire il parere di suo padre, un uomo che aveva vissuto le pompava in petto.

«Sì Elena, concordo. Quando la persona cui tieni sparisce dalla tua vita, ti senti vuoto e inutile, al punto di chiederti che senso ha andare avanti.» la giovane comprese ciò che il padre, in un riferimento secondario le stava dicendo, non poteva accettarlo.

«Non penserete mica …?» le parole morirono in bocca nello stesso momento che stavano per uscire.

«No Elena, tranquilla …» enunciò tranquillizzandola, abbozzò un sorriso di compiacimento e spalancando le braccia si concesse un abbraccio pieno di speranza.

«Anche il tuo principe mi ha esortato a non fare sciocchezze, ti vuole bene. » calmata dall’abbraccio del suo adorato padre, udendo quelle parole spalancò gli occhi, si scostò come se si fosse ustionata e con uno sguardo indecifrabile fissava il vecchio barbuto.
 
«Cos’ ha fatto quell’ uo…» lasciò perdere l’imprecazione coprendola con «Cosa ho osato fare il principe?»

«Nulla per cui arrabbiarsi anzi, ha un atteggiamento rispettoso del suo titolo, è un uomo pieno di risorse … non comprendo perché ti ostini a vederlo sott’altra luce. » erano appena rientrati e Marie sentendo le loro voci, si precipitò nell’accogliente soggiorno per sistemare le giacche sui rispettivi appendiabiti.

«Quell’uomo non ha niente di buono, non ha sentimenti … è crudele, viscido …» digrignò a denti stretti sdegnata, parlare del suo futuro marito non era la cosa che preferiva fare.

«Perdonatemi padre, ma ho delle faccende da sbrigare, per la cena» si rivolse a Marie che passivamente partecipava alla conversazione, «non preparate per me.» accennò la riverenza e salendo le scale si diresse verso la sua stanza, si avvicinò allo scrittoio, prese la lettera e uscì.

Non era difficile capire dove si stesse recando, cauta entrò nella stanza ove il corpo di sua madre giaceva; vi era stato un cambiamento nella sua assenza, adesso il corpo era racchiuso in una bara di legno, seppur le loro condizioni economiche non fossero delle peggiori, Anne appariva soltanto per gli abiti, per la sua morte voleva un’urna comune.

Elena si accostò al letto e con sguardo dolce fissò l’immobile corpo,«Domani ti darò questa lettera, ti farà compagnia … ricordate che il mio amore per voi non ha limiti, i vostri ricordi vivranno in me, ma statemi vicina, fatemi capire la scelta che a malincuore dovrò compiere,» s’asciugò le lacrime e silenziosa s’avvicinò al davanzale.

«Non capirò mai perché l’hai fatto, ma lo farei anch’io. » sussurrò stando attenta a non farsi sentire da qualche passante nel corridoio.

« Il principe sarà davvero un uomo pieno di risorse? » domandò al corpo senza vita, ma  non vi fu risposta, inaspettatamente  Richard le aveva creato forti dubbi.

«Se fosse come mio padre dice, sarebbe rimasto qui … ad aiutarmi, ma un uomo come quello aiuta solo sé stesso.» disse fissando la pallida nuvola che veniva sommersa dalle nuvole nemiche.


Spazio Autrice:Carissimi lettori, ho pubblicato a tarda sera perché mi sento più ispirata, è il momento in cui i pensieri della giornata si concentrano e rivelo la "vera me". Perdonatemi per gli errori che sono soliti riscontrare nelle mie storie, e soprattutto chiedo venia per la descrizione della scena hot tra i due che non avreste mai voluto,  non sono del settore :P Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate e se vi ha colpito qualcosa in particolare. Vi mando dei baci e ci sentiamo nelle recensioni;) ps: tengo a ringraziare ancora una volta a chi ha la storia nelle seguite/preferite/ricordate e chi la legge ma non lascia commenti, vi voglio bene lo stesso. A presto :3

 


 

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Capitolo 13
*** Dodicesimo Capitolo. ***


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Amami o odiami,entrambi sono a mio favore.

Se mi ami, sarò sempre nel tuo cuore.
Se mi odi, sarò sempre nella tua mente.

William Shakespeare


Dodicesimo capitolo 

 
Il giorno della sepoltura era vicino e la sera scorreva passivamente, spenta.Elena continuava a camminare ansiosa per la stanza, incurante del fatto che il tacco delle sue scarpette procurasse disturbo nella tacita e macabra quiete della fortezza.Numerosi dubbi fecero irruzione nella sua mente, che in quei giorni aveva dovuto subire la violenza di certi colpi sferratile dritti nel cuore.
Sua madre era stata diretta con lei, e la stessa chiarezza fu usata anche da Richard.Annalisa le aveva ben aperto gli occhi: doveva dare un’opportunità al glaciale principe di Scozia. Chissà, forse quel cuore tanto freddo e marcio avrebbe riservato belle sorprese, ma la Contessina, sebbene una giovane sognatrice e aperta alle novità, sapeva che chi nasce con certe attitudini non cambia.
 
"Il lupo perde il pelo, ma non il vizio. "
 
“Non esiste chi cambia, chi migliora, ma semplicemente chi rivela la propria natura. L’uomo è solito a mascherarsi, a mostrare mille facce prima di rivelare la sua identità. ” Era questo il pensiero della giovane e difficilmente avrebbe cambiato idea.
 
Il giorno arrivò presto, ed Elena aveva dormito poco e male; le incessanti preoccupazioni la resero più estenuata di una maratona.Inoltre, si era dimenticata di indossare la camicia da notte e così, nonostante la scomodità, aveva chiuso gli occhi rimanendo in veste diurna.Il Sole irruente oltrepassò le tende, posandosi sulla sua fronte e infastidita, schiuse le palpebre.
Subito s’alzò pensando fosse tardi e s’affrettò a chiamare la sua fidata dama, che sopraggiunse poco dopo. Grazie all’aiuto di Marie, la nobile poté denudarsi facilmente, per poi lavarsi e infine trovare gli indumenti adatti al funerale.
 
Un corpetto dello stesso colore delle tenebre le stringeva il petto, per poi allargarsi lievemente in una gonna della medesima tonalità. Dei guanti in pizzo nero le accarezzavano le mani che, nel rimuginare in tempo notturno, si era torturata, rovinandosi addirittura le cuticole.Poteva udire la voce di sua madre rimproverarla, dato che quello “non è un comportamento adatto a una Contessina a modo”.
In quel momento una fitta le attraversò il cuore, accompagnata da un'ondata gelida che, d'improvviso, le paralizzò le spalle ancora scoperte.Con finta noncuranza si avvicinò al letto, sul quale erano poggiati uno scialle in visone nero e una berretta in velluto dello stesso colore, dal quale scendeva un frammento di velo scuro che ricordava vagamente la forma di una ragnatela.
Irrigidendo lo sguardo li afferrò e li indossò, fingendo la compostezza della donna sottomessa e austera che -a sua detta- non sarebbe mai diventata.
 
«Elena, c’è qualcosa che posso fare per voi?» domandò cautamente la valletta, cercando di distogliere la ragazza dai tristi pensieri che senza tregua continuavano a tormentarla.
 
La giovane riprese il filo delle parole della signora, assumendo un’espressione dispiaciuta per la mancata attenzione.
 
«Mi perdoni Miss Marie, ma i miei pensieri sono indomiti ultimamente... »
 
Proferì, dimostrandosi sinceramente rammaricata «Mi seguono sempre.» Sospirò poi, dando un’occhiata alle punte dei suoi capelli fluenti e mori; erano talmente lunghi che,benché le fossero stati leggermente tirati indietro, le arrivavano comunque al petto.Poco dopo espirò sonoramente: un gesto che sperava le alleggerisse l’animo.
 
«Passerà cara, quest’esperienza ti farà capire come persone lontane puoi sentirle vicine, e come quelle che ti sono vicino possono essere irraggiungibili..» romanzò Marie con tanta dolcezza che Elena, inteneritasi da quella frase e costatando la sua veridicità, accennò un sorriso sereno.
 
«Stai dicendo che mia madre sarà sempre al mio fianco, nonostante non sia più viva? » ripeté schiudendo le palpebre, mostrando le sue iridi color cioccolato, curiosa come una bambina a cui si racconta qualcosa di incredibile, di magico.
 
«Certamente, ma solo se lo volete veramente.» rettificò Marie, che non poté far a meno di commuoversi dinanzi agli occhi lucidi della Reale e, abbattendo le leggi morali che da secoli mantenevano i divari fra le classi sociali, non esitò a stringere forte a sé Elena, che, data la sua giovinezza, poteva essere sua figlia.
 
A interrompere la calda effusione fra le due donne fu una terza voce, abbastanza familiare da non risultare irriconoscibile.

 
«Elena, sei pronta? »
 
Chiamata, la contessina si voltò, accennando una riverenza degna di un Nobile di alto rango, ma al tempo stesso appesantita dal macigno che aveva sul cuore. Anziché l’inchino, avrebbe preferito un contatto ravvicinato: un abbraccio di conforto tra padre e figlia.
 
La giovane tacque, mentre Richard rimase sull’uscio della porta.
 
Come la figlia, nemmeno lui aveva dormito; ne erano la prova i pesti neri sopra le guance, che evidenziavano gli occhi sgranati dalle lacrime.Il pallore del viso del Conte fu accentuato da un abbigliamento funesto: egli indossava una giacca e un panciotto dello stesso colore della notte, abbinati ad un paio di pantaloni della medesima tonalità, accompagnati da un paio di scarpe in pelle, nere e lucide come la pece.
Quei capi così macabri rispecchiavano perfettamente l'animo di quei Nobili che, sebbene perennemente animati da eventi e giochi, si dimostrarono capaci di soffrire apertamente.
Molti domestici che affermavano tra di loro che se fossero stati così ricchi e viziati non si sarebbero mai rattristati, quel giorno si ricredettero nel perpetuo specchiarsi nelle lacrime di Richard ed Elena, ormai dagli occhi vitrei.

 
Abbassando lo sguardo vacuo, il Conte portò le sue attenzioni all'orologio placato in oro che estrasse dalla tasca dei suoi pantaloni. Era talmente distratto che dopo qualche secondo si dimenticò di ciò che le lancette avevano indicato.
 
La giovane Elena, aiutata dalla Signora Marie a sistemarsi l'abito, cercava di ingannare il tempo, di trovare una qualsiasi scusa per rimanere in quella stanza, come se intrappolata (o protetta?) da una campana di vetro. Non voleva più rivedere il corpo di sua madre, poiché lo sapesse esanime, incapace di muoversi, di poterla abbracciare o accarezzare.
 
Quelle labbra vissute non avrebbero più proferito quei saggi suggerimenti che, sebbene spesso facessero male all'animo della Contessina, erano sempre dettati da una forte consapevolezza.
E quegli occhi, ormai serrati per sempre, quelli non avrebbero mai più potuto vedere uno spiraglio di Sole, non avrebbero mai più potuto ammirare l'unica vera Luce che irradiava la vita di Annalisa: Elena.
Non avrebbe mai più scambiato sguardi complici con sua figlia, quegli specchi del colore della cioccolata non avrebbero più lanciato occhiate severe a quella ragazza che -nella sua innocenza- era una piccola ribelle; non avrebbero nemmeno più pianto per la sua assenza. Ora, l'unica a disperarsi per la nostalgia, sarebbe stata la sua creatura- perennemente protetta, con l'unica e ironica premura di non farla soffrire.

 
«Figlia, se sei d’accordo, scendiamo. » Soffiò Richard con voce flebile «Il parroco è di sotto e ci sono molti ospiti importanti.» Cercò di incoraggiarla con timbro soffice, senza cercare di forzarla. Sapeva che per una creatura delicata come la sua bambina quello sarebbe stato un brutto colpo da incassare.
 
La ragazza deglutì il nodo che si stringeva in gola e, con un gesto meccanico del capo, acconsentì. S’incamminò verso la porta accanto a Richard e, voltandosi un'ultima volta lanciò uno sguardo a Marie, che con un sorriso sornione la incoraggiò a proseguire.

Come da tradizione- padre e figlia scesero a braccetto, mentre tutta la Nobiltà ai piedi delle scale volgeva loro la più dedita attenzione: c'era chi li fissava con lo sguardo inumidito dalle lacrime, e chi -tra sé- si limitò a commentare l'abbigliamento dei due famigliari.

 
Tutti, Madame e Messeri, rimasero incantati dalla giovane Elena, la cui esistenza -benché vivesse fra i confini della fredda campagna di Herthford- non  era conosciuta da ogni singolo compaesano. I presenti rimasero ammaliati dalla sua naturale bellezza, dai tratti dolci del suo viso che, sebbene fossero distorti dal dolore, conferivano alla giovane Miss un aspetto raro. C'era chi addirittura la ritenesse Aspasia in persona o una tra le più belle figlie di Canova, comprendendo fermamente la ragione della forte attrazione dell'imperturbabile Principe Alfred.
 
Gli ossequi e le frasi di condoglianze riecheggiavano in quell'immenso androne, facendolo apparire ancora più freddo quanto più vuoto.
Decine e decine di mani strinsero quelle della flebile Elena che, scossa dagli innumerevoli singhiozzi, faticava a reggersi in piedi, sentendosi sempre più sola in quella stanza colma di uomini agiati che si spacciavano per loro amici, ma che in realtà aspettavano soltanto l'occasione giusta per far firmare a suo padre un contratto commerciale conveniente.
Elena, con il dolore che con violenza continuava a squarciarle il petto, voleva isolarsi e così, prima dell'inizio della cerimonia funebre, cercò di farsi strada fra quella copiosa massa di ospiti, desiderando soltanto di respirare della sana aria fresca.Non appena si affacciò all'entrata del giardino, la vista delle numerose ghirlande di fiori che adornavano l'urna contenente le ceneri di Annalisa, le causarono una fitta che attraversò come un fulmine il petto della Contessina, la quale desiderò immensamente fuggire da quel luogo pullulante di ricordi, e sovrastato da una pesante aria di ipocrisia e disperazione.

 
L'unico posto in cui poteva sentirsi al sicuro -constatò- era la stalla; così, non curandosi delle attenzioni degli ospiti, prese a correre attraverso il britannico vento pungente.
Gettandosi su un grande cumulo di fieno, Elena si sentì sollevata, e non solo perché aveva smesso di camminare su quelle scomode e strette scarpe col tacco che le fasciavano il piede: lì poteva essere sé stessa, senza che nessuno la potesse fissare o giudicare.

 
«Il vero dolore è quello che manifestiamo quando siamo da soli.» Profetizzò una voce estranea, ma dal tono era nettamente maschile.

Elena rabbrividì, e spaventata si voltò di scatto. Vide un ragazzo che indossava abiti regali e aveva occhi simili a quelli del crudele Principe di Scozia: azzurri da gelare il sangue; i suoi capelli corti e castani lo rendevano ancora più simile all’uomo che avrebbe dovuto sposare, con la sola differenza che Alfred Grayson aveva una muscolatura più definita. Poteva essere un conte, un barone; tutto fuorché un soldato. L’allenamento dell’esercito l'avrebbe portato a scolpire i bicipiti, irrobustire gli addominali, ma lui era piuttosto deperito.

«C-Chi siete... Voi?» Balbettò ella, scrutando con le iridi attente ogni movimento dell’uomo che, apparentemente, si dimostrò innocuo.

 
«Non temete, non voglio intimidirvi. »Soffiò lui, portandosi con fare benevolo una mano sul petto, esibendo un animo onesto«Sono qui per quello che disgraziatamente è accaduto. »Continuò poi, facendo emergere molto più tatto di tutti i presenti che, a quella cerimonia, si stavano spacciando per amici della Signorina Hemsworth e di suo padre«Comprendo il Vostro dolore.» Proferì abbassando il capo e, come dettavano le regole verbali del buon costume, si tolse il cappello.
 
«Se anche voi avete perduto una madre potete.. »Sibilò Elena, tramutando improvvisamente la sua disperazione in ira. Rimase fissa davanti a lui con i piedi ben piantati a terra, irrigidendo i muscoli dei polpacci «Altrimenti fareste bene a risparmiarvi queste condoglianze ipocrite.» Ringhiò la Contessina, mostrando gli artigli di una gatta ferita che, però, si rifiutava irrimediabilmente di perdere l'orgoglio.
 
Voleva soffrire in silenzio, alle spalle di tutti, facendosi consolare esclusivamente da sé stessa. Per quanto debole si reputasse, odiava mostrare la sua fragilità agli altri.
 
«Elena, non ho intenzione di speculare su una morte. »Si discolpò l'avvenente ragazzo «Io sto male quanto voi. » Confessò infine egli, dopo aver esitato per qualche secondo, come se una rimembranza fresca gli stesse bruciando ancora viva nel cuore.

 
Avvicinandosi a un pilastro e reggendosi su un braccio, fissava inerme i nobili che uscivano dalla grande casa per ascoltare con finto interesse l'esecuzione.
“Probabilmente giudicheranno anche la tonaca del prete.” Pensò la Contessina, mordendosi il labbro per non far traboccare quelle sagaci parole.

 
«Ma cosa dite?! »Riprese ad attaccare ella «Vi fingete vittima di una disgrazia che non è vostra?! »Ringhiò amaramente allibita« Andatevene subito o sarò costretta a chiamare chi di dovere.» Minacciò poi, liberando parte del veleno che stava ribollendo nelle sue vene. Era il tipico momento in cui si perdono le staffe. Elena era basita: come poteva uno sconosciuto paragonare il dolore che provava al proprio?
 

Chiunque avrebbe reagito in tale maniera e, per la prima volta, Elena non si pentì del troppo cinismo scappatole d'impulso.Le sue vivide iridi color smeraldo mischiato al cioccolato, ormai consumate dalle lacrime, si fermarono sul giovane dinanzi a lei, finché lui non fece qualche passo per allontanarsi.

«Perdonatemi.» Disse la Contessina con voce flebile.

Il moro, accennando a una riverenza, enunciò: «Forse ho parlato prima del previsto, ma sappiate, Madame, che non sarà l'ultima volta che ci vedremo. » Profetizzò, mantenendo il fare garbato« E ricordate che non importano i giorni, i mesi o gli anni che passeranno; chi è destinato a ritrovarsi, si ritroverà. »Proseguì, lasciando trasparire uno spirito filosofico«E noi, cara Elena Hemsworth, siamo destinati a ritrovarci. »


Elena lo fissò senza muoversi di un passo, aveva irrigidito la mascella: era tesa. Le parole del ragazzo la rendevano instabile e lei, conseguentemente, percepiva del timore nei suoi confronti. Come faceva a essere così sicuro nel dire che si sarebbero ritrovati? L’avrebbe seguita e … Se le avesse fatto del male?

Come un gesto meccanico accennò a una riverenza, si privò del cappello e si congedò.

«I miei ossequi.» soffiò scomparendo prima del previsto.

 
Non solo nel cuore di Elena albergava un incurabile dolore; si sommarono le tante domande, che le tolsero il sonno.Perché non vi era mai fine al peggio? Chi poteva essere quel ragazzo? Perché sul suo cammino trovava sempre uomini prepotenti e presuntuosi?
 
“Forse Dio vuole mettermi alla prova finché non troverò la quiete ... ” Disse una voce nella sua mente, tentando di convincere la povera Contessina che non sapeva più a quale Santo fare riferimento per placare il suo animo in burrasca.
 
Provò a non pensarci, cercando di concentrarsi sull’Inferno che minuto per minuto si stava avvicinando. Cercò di ricomporsi, di spazzare via i resti di fieno che fastidiosamente si erano infilzati come schegge nella gonna e, esalando un sospiro prolungato, uscì in cerca di suo padre.
 
Come previsto, Richard era sui gradoni frontali dell'abitacolo, intrattenuto da uomini d’affari. Elena si avvicinò e, stanca di dover sottostare al protocollo di Corte, si rivolse ai presenti come più le suggeriva l'impulsivo animo in tempesta che tuonava ira ed esasperazione in ogni dove.
 
«Vergognatevi.» Ringhiò a denti stretti ai due uomini che prima del suo arrivo parlavano tranquillamente con il Conte di Herthford.
 
«Come, scusate? » Osò ribattere uno, passandosi il pollice e l'indice sui baffi, convinto che una ragazzina così tenera non potesse dimostrarsi così audace. L’altro rimase in silenzio, e Richard corrugò il viso in un'espressione di rammarico, palesemente imbarazzato per il comportamento di sua figlia.

 
«Trattare di affari a un funerale è un gesto viscido! »Soffiò inviperita ai due intrattenitori« Siete nobili, ma solo per titolo! »Gridò, rivolgendosi a tutta la folla, che all'udire quelle veementi parole si irrigidì, apparentemente in apnea«Ma come fate?!» Strillò la giovane in preda all'ira, tanto che la voce trillò per un attimo dallo sforzo. I presenti rimasero immobili, proprio come quei lampioni che si soleva trovare nelle grandi città, muti come pesci.
 
«Elena, smettila! »Intervenne Richard, visibilmente allibito« Ma come fai tu? »La rimproverò, dimostrando vergogna nei confronti di sua figlia« Va da tua madre e aspettami lì!» Imperò con lo sguardo annebbiato dal risentimento.
 
Solo in quel momento la Contessina realizzò che, effettivamente, intervenire in quel modo non si sarebbe dimostrata una scelta astuta, o almeno non con così tanti presenti. Suo padre dinanzi agli altri le avrebbe sempre remato contro.
 
“Gli affari vengono prima di tutto.”
 
Doveva stare al suo posto, su quel trono dorato da principessina corrotta, ma non ci riusciva. Si allontanò ormai certa che quella non fosse una vita su misura per lei.
 
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Scese le sontuose scale, cercando riparo al fianco del prete che era l’unico a guardarla con ammirazione. Elena gli sorrise timidamente, sentendosi più libera e compresa. Fissò con le lacrime agli occhi la bara ove giaceva Annalisa e d'un tratto ricordò il sogno che aveva fatto durante la notte.

 «Elena! Elena!» Invocava una voce che, in quello sconfinato angolo bianco riecheggiava come se si trattasse di un'annunciazione divina.

 «Chi è?» Domandò la ragazza, guardandosi intorno con gli occhi sbarrati. Non riusciva a capire dove si trovasse, un posto del genere non era reale, non poteva esistere.

 «Sono io!» Soffiò quella voce con fare materno, per poi assumere una forma.

«Madre!» Esclamò Elena, correndo incontro a quell'apparizione -ai suoi occhi- mistica.

 «Sono proprio io!» Ammiccò la donna, muovendosi con la grazia e l'eleganza che da sempre la caratterizzavano. La sua chioma castana le cadeva morbidamente sul petto, caldamente avvolto da una veste in seta bianca che, con tutta la luce che la circondava, pareva dorata.

 «Mi mancate tanto, sapete?» Si riferì a lei la Contessina, con gli occhi già inumiditi di lacrime.

 «Beh.. -Soffiò la donna, guardando per un istante a terra- Se non fosse stato per te io sarei ancora lì.» Sibilò, lasciando trasparire del cinismo.

 «C-Come?» Singhiozzò la giovane, spaesata. 

Tutto a un tratto, l'ambiente in torno a lei si incupì notevolmente, fino a rendere il tutto completamente buio. Nonostante ciò, Elena riuscì a scorgere la propria figura e quella di Annalisa.

 «Hai capito bene, figliola. -L'apostrofò con sarcasmo la madre- Se ora sono tre metri sotto terra è tutta colpa tua.» Sibilò, nel momento in cui la sua veste assunse un colore funesto, proprio come gli abiti che indossava la Contessina durante la cerimonia.

 «I-Io -Singhiozzò terrorizzata ella- Io non volevo.» Fu tutto quello che riuscì a dire prima di farsi travolgere da un pianto dettato dalla disperazione.

 «Dovresti esserci tu al mio posto. -Profetizzò la donna con la lingua avvelenata dalla malvagità- Ingrata!» Le ringhiò, lasciando poi spazio a un ghigno malefico.

«No! Madre! -Ribatté la giovane, non in grado di reagire diversamente- Vi prego!»

«Troppo tardi fanciullina!» Sibilò l'altra, lasciando che la propria creatura precipitasse nel vuoto più oscuro.

 «Basta!» Gridò Elena portando una mano dinanzi a sé, come se stesse tentando di aggrapparsi a qualcosa.

 Nel momento in cui aprì gli occhi, constatò che tutti la guardavano con aria ancora più terrorizzata quasi come se stessero per dire “ma questa è pazza!”  Si guardò intorno deglutendo,  il primo volto che vide fu quello deluso e ferito di suo padre che si trovava dinanzi la grossa fila di nobili.

 Elena percepì un freddo anormale avvolgerla in una morsa carica d'angoscia, facendo emergere le sue peggiori preoccupazioni, che il suo subconscio si era già occupato di farle pregustare. Si sentiva la causa della morte di sua madre.

 “Se solo avessi accettato tutto senza fiatare …” Le rammaricò quell'impertinente voce che ultimamente stava facendo irruzione nella sua mente, riferendosi al matrimonio combinato.

 Non riuscì a terminare il pensiero che fu travolta da una scarica inevitabile di singhiozzi che, voleva a tutti i costi sopperire. Il bruciore lacerante che percepiva nel suo cuore squarciato in mille frammenti, doveva essere nascosto, aveva combinato già troppi guai e mai come quella volta guardando il volto di Richard scurito dalla rabbia, capì quanto fossero distanti seppur vicini,

 “Non ho perduto soltanto mia madre,” pensò, mentre quella frase da lei stessa ideata continuava a espandere il dolore lancinante.

 Mai come allora avrebbe preferito tornare in Scozia, con la vergogna sul volto si incamminò verso i nobili oltrepassando giusto al centro della fila per giungere in camera sua; qualcuno non risparmiò frasi pungenti come “ Adesso capisco perché non l’abbiamo mai vista in città, è pazza”, mentre  qualcun altro rispondeva “ Perfetta per il principe”.

 Elena chiuse gli occhi,  le lacrime continuavano a rigarle le guance. Udito da una nobildonna “ principe” i suoi pensieri, si posarono sull’uomo che doveva sposare; seppure odioso, lei voleva tornare da lui. Stare lontano dalla sua terra forse avrebbe placato quel gran senso di colpa perché diciamocelo,  lei non era la figlia che i suoi volevano.
 

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Il Sole splendeva alto nel cielo, rispecchiando l'opposto contrario dell'animo di Elena.
La sua giornata , un vero e proprio tormento condannata nell’aver disonorato dei nobili e aver persino gridato come una squilibrata, era del tutto contraria a quella del suo Promesso Sposo: “Un modello da imitare” secondo il suo irrefrenabile sarcasmo.

“Un'altra notte di piacere, e basta.” Bofonchiò mentalmente un insoddisfatto Alfred, attento a non sporcarsi le scarpe di fango. Ormai si sentiva annoiato, schiavizzato da quella monotonia che altro non si rivelò il sesso occasionale.Certo, all'inizio effettua il suo accesso glorioso nella vita di un individuo, “Finché non si incontra quella persona...” Pensò l'arrogante nobile scozzese.

Immediatamente scosse il capo, rinnegando ciò che la sua mente -ancora indolenzita per il troppo sonno perso quella notte- si era fatta sfuggire.

Uno dei più grandi difetti del Signorino Grayson era proprio quello di indossare una perenne maschera di orgoglio, anche dinanzi a se stesso, ne era troppo abituato e ormai non poteva più farne a meno. Era diventato tutto ciò cui aveva aspirato: ricco, bello, desiderato e -soprattutto- disinteressato. Per quanto gli costasse a volte, aveva deciso di non far mai ricorso alla monogamia nella propria vita, nemmeno nel corso della sua imminente routine matrimoniale.
 
Il suo era ormai un hobby abituale: c'era chi giocava a cricket, chi scommetteva sulle corse dei cavalli, mentre lui andava a donne; il buon sesso era spesso appagante per il viziato scozzese.
 
Eppure, quell’uomo temuto quanto detestato era sempre più infastidito da ciò che aveva fatto … Forse l’aggettivo adatto era pentito.
 
Camminava per il lungo viale, fissando la lastra blu che sovrasta tutti i popoli. Si trovò sinceramente estasiato dal bel paesaggio che offriva la natura: il suo mistero, la sua vivacità dei colori.
 
Quando portò lo sguardo ad altezza d'uomo, notò che il suo fedele domestico stava svuotando la carrozza dai suoi bagagli, si avvicinò.
Osservava in silenzio, aveva il viso corrucciato in un'espressione di disprezzo; avrebbe rimproverato il suo fidato Lorry?
 
«Oh.. -Bofonchiò il lavoratore, affaticato dal pesante baule che si era appena caricato sulla schiena- Chiedo venia, Sire! Ieri al vostro rientro ero troppo stanco e non avevo nessun aiutante.» Si giustificò, irrigidendo l'espressione del viso con fare colpevole, come un bambino convinto di essere prossimo a una sculacciata.

«Non c’è problema Lorry, la mia attenzione è stata catturata da questo.» Lo rassicurò con fare pacato, smentendo l’espressione contrariata che aveva in volto. Allungò il braccio, intenzionato a prendere l’oggetto che tanto lo aveva distratto.

«Un petalo di fiore di ciliegio? »Domandò il maggiordomo, sbarrando le palpebre, rammaricandosi interiormente per non essersene accorto«Non avevo intenzione di imbrattare la Vostra carrozza, Sire.»
 
Lorry iniziò a sudare freddo, aveva ben udito cosa aveva fatto Alfred la scorsa notte; conosceva il suo padrone e aveva appreso altresì la sua irascibilità.

«Vorrai dire: il fiore di ciliegio.» Soffiò l'austero Principe, portandosi al naso quel petalo delicato, esalando la dolce fragranza che ancora emanava; al ricordo, sorrise involontariamente.

«Continuo a non comprendere, Sire.» Si immischiò nuovamente Lorry, sentendosi lievemente fuori luogo per aver invaso l'intimità del suo padrone. Provava grossa difficoltà a seguire il Principe, non a caso si trattava di Alfred Grayson: arrogante, lunatico e contraddittorio fino all'incoerenza. Non gli avrebbe mai chiesto perché si era intrattenuto fino all’alba con la baronessa, sebbene la voglia di scoprirlo fosse forte quanto l'intuizione corretta di ciò che era accaduto.
 
«Mi deludi , Lorry. -Bofonchiò il Nobile con un sorriso beffardo stampato in volto «Mi hai sempre consigliato, e adesso … » Soffiò«Non capisci.» Sospirò Alfred, fingendosi rabbioso e frustrato.
 
«Perdonate, ma è meglio che vada a sistemare i vostri effetti personali. »Enunciò, facendo poi una pausa, indeciso se dire ciò che gli era appena passato per la mente«Se davvero desiderate un mio parere … »Decise di esprimersi «Beh, state vicino alla Contessa, è opportuno essere un buon marito oltre che un buon Governatore.» Consigliò il saggio uomo, abbozzando poi una riverenza, cercando di schivare l’ira dello sguardo di Alfred. Il maggiordomo a passi accelerati si congedò, credendo che il suo signore lo avrebbe richiamato, ma -a dispetto delle sue più certe aspettative- non fu così.
 
«Perché debbono sempre nominarmi il nome di quella fanciulla?Non solo è costantemente nella mia testa, devo anche subirmi il suo maledetto nome! » sbottò abbastanza adirato dando un calcio a un cespuglio che disastrosamente perse i suoi fiori.
 
«Non credo che tornerà da me, » disse a sé, trastullando il petalo che aveva tra le mani. «Non voglio più sposarla. » disse improvvisamente a sé, parlando ad alta voce , spalancò gli occhi, non poteva credere a ciò che aveva appena detto.
 
«Ottima scelta.» una voce femminile e arrogante parlò alle spalle di Alfred, fu inutile voltarsi, quel tono sensuale e al tempo stesso prepotente poteva essere soltanto di una donna. Lo abbracciò da dietro e lui la scansò brutalmente, volgendole un sguardo colmo di odio.
 
«Oh Principe, venite a letto con me e poi mi guardate con codesto sguardo? Fa parte dei giochi? » si avvicinò mordendosi il labbro quasi come se volesse istigarlo, la sua voce maliziosa era un vero e proprio assalto.
 
«Baronessa, dovete lasciare il mio castello. » proferì Alfred determinato e fissandola dritta negli occhi. Era una donna capace di soggiogarlo, ma lui non la amava: solo sesso e basta.
 
«Principe, avete scoperto che siamo più uguali di quanto possiamo immaginare, siamo attratti dal piacere, dal potere.» le ultime parole furono digrignate a denti stretti dalla donna che non si arrendeva ad avvicinarsi.
 
«Si Karine, io non ho bisogno di un mio simile. » sbottò improvvisamente Alfred stupito dalle sue stesse parole. «Ho bisogno di chi è diverso da me, qualcuno che mi faccia odiare me stesso e al tempo stesso mi faccia capire quanto posso essere migliore. Perché tutti possiamo. » enunciò Alfred, quella era la giornata delle sorprese. Le sue frasi filosofiche gli uscivano semplici come non mai.
 
La donna accennò una risata stridula; Karina stava ridendo di Alfred o almeno cercava di metterlo in ridicolo per fargli mangiare tutte quelle parole che-a detta della donna- erano buffe .
 
«Ma per favore Alfred, sappiamo tutti cosa avete fatto in passato, non dovete farvi prete … » soffiò la donna avvicinandosi alla nuca del principe intenzionata a fargli provare ulteriori brividi, «Errare è umano, » soffiò maliziosa,  si espose verso l’interno del collo dell’uomo , e con la lingua bagnò leggermente l’incavo; era una vera e propria tentazione.
 
La spintonò violentemente, disgustato «Perseverare è diabolico,» continuò lui, appropriandola ad un vero diavolo.
 
«E’ me che volete futuro re, ed io vi aspetterò. » la donna accennò una riverenza provocatoria mettendo in risalto la scollatura del suo vestito e ondeggiando se ne andò.
 
Alfred si sedette su una panchina, non una panchetta qualunque bensì quella situata ai piedi dell’albero dai fiori di ciliegio. Fissò la magnificenza dell’albero, quei fiori così vivaci dalle tonalità bianche e rosee nei suoi occhi come il mare erano belli da vedere. Caroline Smith d’Irlanda nonché cugina dell’avaro Alfred David Alexander Grayson, mentre passeggiava non poté far a meno di notare lo sguardo del Principe perso nel vuoto.
 
«Cugino, » proferì con voce smorzata, aspettandosi una reazione isterica da parte dell’uomo, ma non vi fu. Alfred si limitò ad alzare lo sguardo e a fare un profondo sospiro,
 
«Ti senti bene?» Caroline abbatté le leggi di protocollo e senza esitare s’avvicinò al cugino che, stranamente, come un prurito si puliva e grattava il collo.
 
«Ho intenzione di spedire un telegramma, » pronunciò lui fermamente, mentre chiudeva le mani in pugni serrati. L’espressione fredda e al tempo stessa infuocata di odio verso qualcuno che Caroline non comprendeva,
 
«Per posticipare le nozze? » domandò la bionda, arricciando la fronte, Alfred era sempre stato preciso nel dire le cose perché adesso le sembrava che ci stesse girando intorno?
 
«No.»rispose freddo ed evasivo,  si alzò e senza proferire altro andò via, ignorando sua cugina che lo chiamava.
 
Secondo la traiettoria dello sguardo di Caroline, suo cugino si stava dirigendo alle stalle, pronto a prendere un cavallo per una galoppata.
 
Alfred scelse un purosangue inglese - una razza originaria della Gran Bretagna, cavalli la cui principale attitudine è la corsa al galoppo. -
 
Senza che gli stallieri intervenissero, il Principe sistemò da solo l’imbracatura. Salì atleticamente sul dorso dell’equino e, dopo aver accarezzato la criniera del quadrupede con un “Oh” partì.
 
Qualcosa c’era di diverso in Alfred o almeno era quello che pensava Caroline Smith.
 
Insomma, da quando era arrivata Elena a palazzo sembrava diverso, quasi come se non fosse più sicuro delle sue azioni. Era così strano l’aver diminuito le tasse, non era più avaro e il viscido verme che reputavano tutti. Adesso remava contro i nobili, contro la ricca borghesia per favorire il popolo.
 
Il sole che occupava il cielo fino a pochi attimi fa, fu sostituto da nuvole grigie che in poco tempo oscurarono il cielo, ma al Principe di Scozia non importava. Lui aveva combattuto, aveva ucciso i suoi nemici in battaglia, un temporale non l’avrebbe spaventato.
 
Mentre cavalcava, cercando di fronteggiarsi con il vento si sentì finalmente libero. I giorni che Elena lo rimproverava gli mancavano, seppure impossibile colmare l’assenza della giovane nella sua vita, cercò di  non pensarci saziandosi con l’aria che, incessante e fredda , gli entrava nel petto. Provò a chiudere gli occhi, mentre Lux –il nome che aveva attribuito al cavallo- lo conduceva in colline colme di margherite.
 
Avrebbe voluto urlare, ma non aveva abbastanza fiato poiché, sebbene fosse Lux a correre, la velocità del quadrupede gli rendeva tutto abbastanza confusionale: una vertigine di velocità. Doveva essere concentrato o l’equino l’avrebbe scaraventato in aria, ma qualcosa non era in ordine. Con un segnale arrestò il cavallo e concentrandosi attentamente, si soffermò a uno strano silenzio, un silenzio rotto da lamenti soffusi , singhiozzi  che udiva erano sempre più reali: non stava sognando. Se fosse stato il Principe di alcuni mesi fa avrebbe proseguito, ignorando per quieto vivere. Ma forse Alfred stava davvero cambiando. Avanzò assieme al suo cavallo nella zona sospettata e provò un groppo in gola quando si trovò una scena abbastanza straziante : un bambino povero, con dei calzoni strappati riportava gravi ferite sul ginocchio destro.
 
Il giovanotto non lo riconobbe, cominciò a correre credendo Alfred un nemico.
 
«Ragazzo fermo, posso aiutarti!» urlò il nobile inseguendo il giovane che stupidamente cercava riparo dietro ad un albero. Il bambino correva a passi di lumaca nella fitta boscaglia, ma subito dopo l’urto di qualcosa o meglio qualcuno schiantarsi a terra catturò l’attenzione di Alfred .Fu la volta buona per decidere di scendere dal cavallo, legò le redini di Lux a un ramo prossimo e si addentrò nel fitto bosco ove non impiegò molto a trovare il bambino che inseguiva; quest’ultimo era a terra svenuto. Il nobile tremò per un attimo, incapace nel comprendere quale decisione sarebbe stata giusta. Si abbassò per toccargli il collo, cercando di capire quante possibilità ci fossero per salvarlo e  provo uno sospiro di sollievo constatando che il cuore batteva ancora, ma al contrario, la testa era bollente. Si guardò intorno e vedendo di essere solo, fece ciò che si sentiva di più; prese in braccio il bambino , poggiandolo cautamente sul  dorso del cavallo. Salì in groppa e per porre fine agli spasmi e deliri del ragazzino lo accoccolò al suo petto, proteggendolo con la sua prestigiosa pelliccia.  
 
 Il Principe ordinò a Lux di partire, dovevano raggiungere subito un riparo  prima che la grandine sopraggiungesse. Dovevano arrivare in tempo al castello ove tutti, sicuramente straniti dalla reazione di Alfred, avrebbero avuto la prova del suo cambiamento.

 
 

 Spazio Autrice !HO BISOGNO DI ESSERE LETTO!: Carissimi lettori, se non erro è circa un mese che non pubblico spero di non avervi perso! :( Ho un sacco di cose da dirvi...Inizio col dire che non avevo tanta ispirazione e  da come potete vedere dal banner la mia Elena è cambiata. Non so quanto voi foste affezionati a Nina, ma voi ovviamente potete immaginarla come volete, vedendo determinati film ho trovato in questo presta volto la mia Elena e niente...Inoltre, ho altre nuove fanfiction per non parlare che sto revisionando i primi capitoli di questa.Mi farebbe piacere che li riguardaste, prima erano impresentabili...come avete fatto a leggerli? Sappiate che vi adoro sempre più,  spero che non vi siate dimenticati di me. Chiedo ancora venia per la lunga attesa. Ps:Sono tredici pagine e spero davvero dei vostri pareri che sicuramente saranno esaustivi :*Vi abbraccio.

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Capitolo 14
*** Tredicesimo Capitolo. ***


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"Per sempre" è composto da tanti "ora".

Emily Dickinson


Tredicesimo Capitolo

 
«Presto, sbrigatevi! » proferì Alfred, varcando l’entrata del palazzo; tra le sue possenti braccia vi era il giovane bambino che, ammalato, delirava e tremava.

«Sire, chi è questo garzone? » domandò Lorry sopraggiungendo a passo spedito, sgranò le orbite, la scena che aveva dinanzi era impossibile quanto patetica. Alfred Grayson non era un uomo caritatevole eppure … quell’istante dimostrava tutt’altro. Il reale ignorò la domanda del valletto e, chiamando a gran voce la servitù, affidò loro il bambino: c’era chi cercava di farlo svegliare, chi tamponava le ferite riportate al ginocchio e chi, come la valletta Magdalene, posava un panno di lino sulla fronte con l’intento di diminuire la calda febbre, Elton - il soldato e fedele amico di Marco- si occupò di avvisare il miglior medico.

«Dove l’avete trovato? » domandò il maggiordomo allontanatosi assieme al padrone dalla confusione. Alfred chiuse la porta del suo studio sedendosi sulla poltrona.

«Nei paraggi …» si limitò a dire, schivò lo sguardo del valletto e credendo che il bilancio del paese fosse nel cassetto, lo aprì. Lì, in primo piano vide qualcosa che inaspettatamente gli provocò un buco nel petto. La sua espressione facciale apparentemente rilassata sparì; serrò la mascella quasi come se avesse visto qualcosa capace di distruggerlo, era la foto che Annalisa Roccaforte gli aveva spedito: la sua Elena, la fanciulla che aveva scelto tra le tante nobili e che a breve, avrebbe maritato. Spiegò il documento e fingendosi interessato, lesse.

«Sire, perdonate, ma credo di non riuscire a tenere la lingua a freno. » proferì Lorry con tono supplichevole; era sempre più stranito da ciò che capitava a corte, da membro e ottimo consigliere- a volte anche braccio destro del Principe,- aveva tutti i diritti per sapere cosa stava accadendo e perché mai, il suo padrone non volesse più sposarsi.

«Perché avete mandato un telegramma a tutti gli invitati con scritto di posticipare le nozze? Sembravate preso da quella ragazza …»

«Le ho soltanto posticipate, pensa che volessi annullarle. » alzò il suo glaciale sguardo dal foglio, quegli occhi limpidi e azzurri come non mai erano capaci di ibernare persino il fidato servo.

«N-Non vi soddisfa? » osò domandare Lorry conoscendo l’insaziabilità del suo padrone. Alfred ritornò alla sua lettura, ignorando la domanda. Il valletto, cercando di andargli incontro manifestò tutta la sua disponibilità, «Preferite del the’, un tranquillante? Sembrate abbastanza stanco ultimamente, »

«No Lorry puoi andare, quando il medico finisce di visitare il ragazzo, digli di venire nel mio studio … Devo pur sapere cos’ha. » rispose diplomaticamente e senza troppe cerimonie si rintanò di nuovo a leggere. Il valletto con una riverenza lasciò la stanza sempre più basito del comportamento di Alfred Grayson. Per quanto il fedele servo si mostrasse disponibile e pronto per qualsiasi consiglio, in cuor suo sapeva che, benché vi fossero tante persone a occuparsi del Principe- inservienti e donne di piacere- lui, era comunque solo; gli bastava soltanto una persona ma quella giusta.
 
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 La chiesa di St James - nel cuore pulsante di Londra- nonostante la tarda mattinata era ancora deserta. Entrando, Elena aveva notato alcuni uomini vestiti di nero, probabilmente gli addetti al servizio funebre. Il feretro era stato posto in fondo alla navata laterale.

Alla cerimonia semplice e così inconsueta, avevano partecipato più persone di quanto la giovane immaginasse, ovviamente erano uomini di affari che avevano un fine personale.
La giovane contessa non riusciva a concentrarsi sul sermone del pastore, era troppo presa dai propri pensieri e dai commenti inopportuni dei nobili. Ciò che aveva osato fare a casa era inqualificabile e, vergognata di essere divenuta lo zimbello dell’alta società, pensò che l’unica cosa  appropriata fosse tornare in Scozia al più presto.

 Il suo crudele destino era sposare Alfred Grayson e lei, non poteva fare altro.

Dopo il rito, in massa, seguendo il carro con la salma giunsero al cimitero. I nobili erano in minor numero rispetto a quelli in casata o in chiesa, ciò alleggerì il macigno che aveva sullo stomaco.
Quando calarono la bara di legno nella fossa, non le scappò nessuna lacrima, le aveva già sprecate tutte; Sbirciò tra la varia gente e non lontano riconobbe José - il fidato cocchiere che assieme a Marie l’aveva accompagnata in Scozia- si avvicinò sperando che nessuno la vedesse e alzandosi le gonne, salì in carrozza.

«Miss Hemsworth, cosa state facendo? » domandò il postiglione perplesso, cercando di aiutarla.

«Accompagnami a casa José, prima che mio padre possa accorgersene. Rimanere qui è tempo perso. » parlò rapida e chiuse lo sportellino.

Il servo per quanto avrebbe voluto parlarle e cercare di farla ragionare, sapeva che era inutile e, a malincuore, soffocando parole di conforto, strillò i cavalli e partirono.

Non impiegarono molto a far rientro, Elena cauta a non inciampare nel suo triste abito nero, si precipitò all’interno del palazzo dirigendosi direttamente in cucina; Fu sollevata di trovare soltanto Marie e Adamina, nessun ospite che si era intrattenuto per il rientro di Richard Hemsworth;

“ Beh, più che normale poiché i falsi lo avevano accompagnato al cimitero per poi –tornati a casa-discutere per le vendite di terreni”.

Non riuscì a parlare, era lì sull’uscio e le due vallette la fissavano con compassione. Elena non credeva che durante la sepoltura, nobili di alto rango si erano permessi di dire:

 «Immagino che il principe dovrà incatenarla per averla sua, hai visto cosa ha fatto prima? » chi aveva parlato era il duca Campbell nonché ufficiale della marina e originario di una delle famiglie più ricche di Londra.

«Da una ragazzina con tale incoscienza possiamo aspettarci di tutto anche che già sia stata con un altro … Ricordi cosa si vociferava sul suo conto appena partita per la Scozia? Aveva aizzato una rivolta contro lo stesso Principe, per me quell’uomo è abbastanza permissivo. Oggi dovrebbe essere qui, ma non ci ha neanche onorato della sua presenza, starà nel suo castello a gioire di non averla tra i piedi. Un principe bello quanto imprudente … poteva scegliere dame migliori, ovviamente ve ne sono. » aveva risposto una nobile  sconosciuta alla giovane contessa.

«Ora comprendo perché la madre si è tolta la vita … con una figlia del genere! E poi, avranno di sicuro pagato il prete … un suicidio è un sacrilegio, la Chiesa non avrebbe mai permesso una cosa del genere. Dove finiremo con questa società corrotta!» sbottò Marylin Bouvary, una contessa di origini francesi appartenente allla Camera Alta.

Quei ricordi le agghiacciarono la mente e quasi si sentiva sprovvista di anima, era davvero lei la causa del suicidio di sua madre?

Abbassò lo sguardo e senza proferire parola, andò nel grande atrio ove vi era la scala, si appoggiò al corrimano, incerta se salire.

«Elena, cosa è accaduto? » fu rincorsa da Marie e Adamina la imitò. «Vi siamo vicino …» dissero all’unisono.

«Di qualsiasi cosa abbiate bisogno, chiedete e sarà fatto! » continuò Adamina accennando un flebile sorriso.

La lady ricambiò e, approfittando della frase proferita dalla serva, prese la palla al balzo, «Bene, dovreste aiutarmi ad agguantare i miei abiti, debbo tornare al castello. » enunciò e stesso lei era incredula, non aveva mai sentito il bisogno di tornare in Scozia, di tornare da lui.

«Già di rientro? Credevo che non scorresse buon sangue tra voi e il principe, piccola lady. » domandò perplessa Marie incurvando un sopracciglio.

«In effetti, è così. »balbettò sfuggendo agli sguardi scrutatori delle due vallette.

«Vi vedo ancora più strana, è accaduto qualcosa al cimitero? » domandò Adamina che con il suo sesto senso non sbagliava quasi mai.

«Sì, ma nulla che avesse il potere di distruggermi ... » sorrise beffarda, cercando di spazzare via i ricordi e con un sorriso sornione, salì le scale.

Nonostante la grande scala e la tarda età delle due balie, queste riuscirono a raggiungere la loro nobile entro pochi minuti.

 Giunta nella sua stanza, Elena gettò gli abiti nel grande baule da trasporto.

«E’ per la lite che avete avuto con vostro padre dinanzi agli ospiti? » domandò d’un tratto Adamina aiutandola a piegare gli abiti.

«N-no, a me ciò che dice o pensa quella gente, vale poco di niente. » rispose determinata non distogliendo l’attenzione dagli abiti poiché - secondo lei- non tutti erano appropriati. «Quando tornerà mio padre, ditegli che avevo promesso al Principe di far presto ritorno e, se vi risponderà che non ne era a conoscenza date risposta che avevo dimenticato di avvisarlo.» chiuse il bagaglio accertandosi di non aver dimenticato qualcosa.

«Contessina … »proferì cauta Marie, «avete dato la lettera a vostra madre? »

«Certo, l’ho posta nella bara prima che la sigillassero. » le vallette accennarono un sorriso di compiacimento ed Elena ricambiò a stento. Aiutata dalle due donne, scese portando tutto l’occorrente.

«Tornerete dal vostro futuro marito con codesto abito? E’ malinconico …»  rifletté Adamina, siccome una nobile come Elena , bella e dolce, non poteva trascurarsi in quel modo.

«L’uomo che definite “ mio futuro marito” non mi degnerà neanche di uno sguardo. » replicò la giovane Hemsworth facendo cenno a José di preparare i cavalli. «Vi scriverò, ora non posso perdere tempo. » abbracciò le due donne e come una ladra salì fugacemente nel calesse. Era pronta a tornare da lui, l’uomo che tanto odiava ma allo stesso tempo, l’uomo che l’avrebbe tenuta lontana da Herthford, da occhi indiscreti e da nobili linguacciuti .
 
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«Nulla di preoccupante Vostra Altezza, il ragazzino è stato abbastanza fortunato. Le ferite riportate al ginocchio gli hanno provocato una forte infezione che si è estesa sottoforma di febbre, ma non è la tisi né altra malattia terminale. » informò diligentemente il dottor Rochester.

«Perfetto dottor Rochester, siete sempre esaustivo. I medici della Scozia dovrebbero avere tutti la vostra preparazione. » lusingò Alfred guardando con ammirazione l’uomo che aveva di fronte. «Volete del brandy? » continuò porgendo un bicchiere riempito di liquore.

«No, Vostra Altezza vi ringrazio … ho altre vite da salvare.» abbozzò un sorriso sincero e con una degna riverenza andò.

«Incredibile …» disse Alfred a se stesso, adesso era da solo nel suo grande studio,parlare con sé non gli avrebbe fatto altro che bene «Io, il temuto e orribile Principe di Scozia, ho salvato una vita anziché ucciderla … Forse il buon Dio mi ha dato l’opportunità di riparare all’omicidio commesso anni fa …» abbassò il capo stringendo  i pugni e quasi come un soffio, guardando al di fuori della finestra domandò tormentato «Elena, dove sei? »
 
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Lo aveva sedotto, ma stranamente il Principe l’aveva respinta. Alla baronessa Karine non bastava quella notte carnale, non essendo stata completa non poteva inventarsi strane conseguenze, tipo: aspettare un figlio da Alfred Grayson. Le mancava poco per raggiungere appieno il suo intento e, aiutata dal barone, avrebbe conciato per le feste anche la piccola e ribelle Elena.
 I suoi pensieri furono interrotti dal bussare di qualcuno; sperava vivamente che non fosse Alfred intenzionato più che mai a cacciarla poiché  non solo soggiornava ancora a palazzo ma la loro ultima conversazione  era stata disastrosa.Aprì la porta della sua stanza e concretato dinanzi a lei, sull’uscio, vi era il barone di Birmingham.

«Come osate? Siete impazzito?»  urlò contenendosi, si voltò in tutte le direzioni sperando di non trovare gli occhi ficcanaso della servitù;spintonò l’uomo all’interno della stanza e chiuse rapidamente la porta. «Ma che generale scellerato doveva capitarmi? Se qualche servo vi ha visto? » domandò lei agitata portandosi le mani nei capelli.

«Posso assicurarvi che nessuno si è accorto della mia presenza, sono un vero soldato … non temete. Qualche novità? » chiese sorridendo poi si sedette sul letto.

«Sì, sono riuscita ad averlo, ma c’è un problema: è troppo poco per dire che aspetto un figlio da lui. »

«Capisco, non siete arrivati fino in fondo … Vi ricordo che abbiamo stabilito un patto, farò fuori la piccola Hemsworth, occuperete il suo posto e in cambio mi concederete soldi e … » fece una pausa  «voi, ovviamente.»

«Un patto è un patto barone, ma sappiate che:con uomo come Alfred Grayson per marito, non ho bisogno di amanti. » soffocò una risata stridula quanto cattiva e si sistemò dinanzi lo specchio.

«Lo so Baronessa, » soffiò l’uomo alzandosi dal letto e avvicinandosi a lei, le cinse i fianchi e premette le spalle della donna contro il suo petto. «ma forse io potrei darvi quello che il Principe non riuscirebbe mai …» proferì a bassa voce mordendole l’orecchio destro. «Io potrei amarvi, per lui sarete una donna come le altre che, tradirà quando vorrà. »

«E’ normale, il Principe non è un romanticone . » sbuffò la donna allontanandosi.

«Se fossi in voi, non ne sarei molto convinto, madame.» sbottò lui determinato e, con la stessa nonchalance, fece qualche passo verso lei sorridendo beffardo.

«A cosa alludete? » digrignò lei visibilmente infastidita da quelle parole.

«La Contessa Roccaforte è deceduta e domani dovevano esserci le nozze, perché le ha posticipate? Non perché è venuto a letto con voi, credetemi … bensì perché nutre molto rispetto per la donna che prenderà in moglie. »

«Siete uno stupido! Se davvero avesse tenuto a lei, sarebbe lì … al suo fianco.» proruppe rossa in volto, mancava poco che lo cacciasse.

«Stupido o realista? Il Principe non è ben visto agli occhi della ragazza, dovreste saperlo. E’ più che banale capire che stesso lei l’ha rispedito qui. »

«Tacete! La vostra bocca è in pieno possesso di dire tali baggianate?Lasciate questa stanza o chiamerò le guardie. »

L’uomo rise poi si lisciò i baffi,

«Sono un soldato Karine e sono nella vostra stanza, voi mi avete permesso di entrare e non meno importante: abbiamo un patto … Sarebbe un oltraggio o qualcosa di disdicevole se … il piano per eliminare Elena Hemsworth arrivasse al Principe, vero? » sorrise spavaldo e continuò «State attenta, se affondo io, voi verrete con me. » aprì la porta lasciandola interdetta e, privandosi del cappello e accennando una riverenza la salutò.

«Posso farcela anche da sola, bastardo di un barone! » sbottò la nobildonna che rossa d’ira lanciò una spazzola contro il muro.
 
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Ogni sera, quasi per alleggerire la sua assenza, Alfred furtivamente si recava nella stanza di Elena per sdraiarsi sul letto e per accarezzare il cuscino.
Stava cambiando e sebbene era andato al letto con la baronessa, non significava niente; lui per quella donna non provava nulla solo qualcosa simile al ribrezzo, all’odio. Ovviamente anche lui si detestava, ma per dimenticare Elena avrebbe fatto di tutto; Ecco perché voleva eliminarla dal suo cuore, quello stesso cuore che da troppo tempo era incapace di amare.
Chiuse delicatamente la porta e sperando che nessuno l’avesse visto, ritornò nel suo studio. Quella sera avrebbe lavorato

“Ottimo metodo per non pensarci”. Disse a se stesso cercando di rincuorarsi.

Da quando aveva ridotto le tasse, doveva fare altri calcoli, le entrate non erano più le stesse e l’impegno doveva essere maggiore. Si sedette e posando gli occhi sui vari bilanci iniziò a fare delle operazioni.

Fu interrotto dal premuroso Lorry che ignorando il protocollo di corte-senza bussare- entrò con mano un vassoio.

Alfred lo guardò accigliato, la sua espressione facciale non era per niente severa.

«Vuoi viziarmi Lorry? » domandò ironico, mettendosi il volto tra le mani.

«No sire, ma ultimamente siete più stanco del solito … avete saltato anche la cena! » annotò il servo impeccabile come non mai.

«Che sciocco! Avevo dimenticato …» accennò un sorriso sornione e diede una fugace occhiata a ciò che era sul vassoio.

«Un piatto ricco e nutriente: uova e caviale»

«Mangerei se avessi fame, il bambino ha cenato ? » domandò premuroso, quasi come se quel pargolo fosse suo.

«Sì, sire … ma non tanto» informò il valletto« comunque sia si rimetterà, è un ragazzo forte … Mi ha ricordato voi, sapete? » Alfred stranito corrugò la fronte e fece spallucce«quando avevate più o meno la sua età, in una fredda giornata all’insaputa dei vostri genitori scappaste …» rammentò il maggiordomo soffocando un’aria angosciata.

«Ah sì, ricordo... Avevo origliato la conversazione tra mia madre e mio padre, dove dicevano che avrei preso in moglie una principessa normanna … All’epoca mi spaventava tanto l’amore …»

«Adesso no? » domandò Lorry dimostrandosi un tantinello invadente.

«Forse più di allora …» abbassò lo sguardo, si liberò dalle scartoffie e senza dire nulla abbandonò lo studio. Intanto, in quella stanza sommersa dei libri incombeva un silenzio raccapricciante.
 
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Era tarda sera ed Elena non riusciva a crederci che mancava davvero poco.  Si domandava cosa suo padre pensasse di lei, ma non le importava più di tanto. In un momento come quello, Richard assieme agli altri nobili poteva rivelarsi un vero e proprio nemico. Eppure, non avevano trascorso chissà quanto tempo insieme, lei non sapeva nulla di suo padre e neanche lui sembrava sapere molto su lei. Non era pentita di ciò che aveva fatto, l’umiliazione di quei nobili senza cuore aveva segnato profondamente in lei e al punto di diventare fredda e sorda a ciò che dicevano.
Mentre la carrozza si avvicinava, Elena ne spiava con un certo turbamento l’apparire, e quando finalmente entrarono nella proprietà, il suo animo era profondamente agitato. Poiché era tarda sera, il viale era illuminato da tanti lampioni con gas illuminante e anche qui, in sua assenza, non era cambiato nulla. Ebbe un sussulto alla bocca dello stomaco pensando a lui e la reazione che avrebbe avuto vedendola. Non voleva essere annunciata, desiderava salire in camera sua e parlare con la sua amica Caroline, ma no, due erano le scelte: o lui l’avrebbe intrattenuta o ignorata.
Aiutata da José, scese gli scalini della carrozza; tutte le parole le morirono in gola vedendo a pochi passi la grande facciata del castello.
Affiancata dal cocchiere, avanzò verso il gran portone, le sentinelle non si scomposero al loro passaggio rimasero sull’attenti limitandosi a seguirli con sguardo vigile.

«José va tranquillo e mi raccomando:sta attento ai briganti. » si rassicurò la giovane che non esitò ad abbracciare il suo aiutante, era merito di quel povero uomo se adesso poteva respirare più tranquillamente.

«Tranquilla contessina, son sempre riuscito a cavarmela. Riguardatevi …» si strinsero ancora per un po’ poi José montò scomparendo nella fitta nebbia degli ultimi di Gennaio.

«Contessa tranquilla, porteremo tutto nella vostra camera.» proferì la sentinella che poco prima la fissava, lei acconsentì. Involontariamente alzò lo sguardo verso lo studio del Principe e rimase meravigliata nel vedere che in quello stesso istante la luce si era spenta.

Respirò appieno l’aria scozzese, sembrava quasi che le fosse mancata. Spiegò le gonne di quel mesto abito e si sedette su di una panchina, indecisa se avvisare Alfred del suo arrivo.

«Luna piena …» disse una voce alle sue spalle , i brividi furono inevitabili. La giovane si voltò per alzarsi, cercando di schermare al meglio la figura. «Non pensavo foste voi, Elena … anzi non credevo in un vostro ritorno. » dichiarò, incapace di nascondere quel sorriso perfetto.

«Non credevate in un ritorno così approssimato o un ritorno? » domandò lei non mancando la sua costante acidità.

«Non pensavo che tornasse più … non ci credevo, eravate libera in un certo senso. Di notte avreste potuto tentare una fuga ed io avrei preso in moglie un’altra dama. » rispose serafico.

«Spesso, ciò di cui siamo convinti, si rivela inesistente e infondato al punto che tutte le certezze da un momento all’altro possano crollare. La persuasione non è altro che una verità alterata. » rispose lei, gli occhi di Alfred illuminati da qualche lampione erano ancora più magici, li guardava ammirati.

«Mi credete un mostro, Elena? » domandò lui inaspettatamente, la ragazza abbassò lo sguardo. Interpretò quella frase come qualcosa d’intimo, di personale.

«Non avete fatto nulla per dimostrarmi il contrario. »

«Ma stesso voi ritenete che la persuasione sia soltanto una verità alterata, voi siete convinta che sia una bestia ma può non essere così. Ho ridotto le tasse, ho posticipato il nostro matrimonio … » ribatté Alfred incredulo.

«M’importa meno di niente, voglio solo che mi stiate lontano.»si allontanò di qualche passo, ma lui la precedette. La bloccò con il polso e la avvicinò al suo petto. Non era di certo la prima volta che fossero così vicini, ma a Elena mancò il fiato. I suoi occhi verdini si persero in quelli ghiacciati di lui, inspiegabilmente continuava a fissargli le labbra ed erano così … belle. Cosa? Aveva pensato davvero una cosa del genere? Le labbra carnose di Alfred Grayson belle, tentatrici?

«Se non v’importasse, non mi guardereste le labbra con quello sguardo desideroso. »

Lei abbassò lo sguardo notevolmente arrossito, lui si scostò comprendendo l’imbarazzo. Altra pioggia era pronta a scendere e ciò invogliò la giovane a far rientro nelle sue camere ma Alfred le complicò le cose, tirandola dolcemente a sé, «Non odiatemi, voglio solo parlarvi …»

Le uscì un flebile sussurro: era paralizzata dalla paura. Un lampo rischiarò per un breve istante e lui, completamente vestito di nero e bagnato di pioggia, le apparve ancor più fosco e minaccioso. Elena aveva perso tutta la sua combattività. Si sentiva del tutto impotente.

Alfred accostò il suo viso a quello della giovane, sfiorandole delicatamente una guancia ove con le sue labbra rosee e carnose depositò un innocente bacio. Elena fu colta da un senso di vertigine. Le gambe le tremavano e sarebbe sicuramente caduta se il Principe non l’avesse stretta a sé.

«Era un bacio ingenuo, da amici … un ben tornato» giustificò quasi dimostrandosi sarcastico.

Lei lo fissò interdetta alzando lo sguardo, su loro sorprendentemente c’era l’albero dai maestosi fiori.

Fu allora che Elena acquisì: Alfred,i fiori di ciliegi e lei avevano qualcosa che li accomunava.

 
Spazio Autrice: Carissimi lettori , come sempre perdonate il mio ritardo...dovrei scriverVi le date, ma temo di non rispettarle.Finalmente sembra che la fortuna stia sorridendo anche me *-* e quindi , non ho tanto bisogno di rifugiarmi a scrivere, comunque sia...Elena e Alfred ci saranno, li amo troppo. Non vi abbandono. Un capitolo che destabilizza, voglio proprio sapere cosa ne pensate. Spero di sentirvi in tanti e come sempre bacioni. Perdonate gli orrori. Vi aspetto:)

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Capitolo 15
*** Quattordicesimo Capitolo. ***


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“Il dubbio non è piacevole, ma la certezza è ridicola.
Solo gli stupidi sono sicuri di ciò che dicono.”

Voltaire.

 

Quattordicesimo Capitolo


La servitù animava i corridoi nello svolgere le mansioni imposte. Beth canticchiava mentre passava un panno secco sulla polvere di una grande vetrata nel salone, mentre altre due vallette bisbigliavano e ridacchiavano mentre passavano con lo scopettone sull'enorme pavimento, riuscendo ad alleviare quel lavoro faticoso. Il cocchiere, tirando una boccata di fumo dalla pipa, fischiettava un motivetto paesano mentre lisciava la nera criniera del cavallo del Principe Alfred. Al contempo gli altri equini ruminavano e sbuffavano, scalciando la paglia con gli zoccoli. «Per Dio! -Imprecò l'uomo, aggiustandosi il basco sul capo- Arriverà il giorno in cui vi renderanno carne da macello.» Borbottò poi, voltandosi nuovamente verso il destriero del futuro Sovrano di Scozia. La calda fragranza del pane che stava cuocendo nei forni a legna della tenuta iniziava ad espandersi per le grandi stanze dell'abitazione, inondando anche l'androne, per poi giungere fino alle narici delle guardie che, già stanche di starsene sardoniche dinnanzi all'atrio, presero a fantasticare sul sublime sapore di quello stesso pane che avrebbero potuto assaggiare solo il giorno dopo, una volta divenuto secco. Le vallette andavano a passo svelto di stanza in stanza per abbellire tutte le porte di fiori profumati e variopinti, proprio come ordinato da Alfred, che mai come allora sembrava felice. Il Principe da quel giorno avrebbe desiderato che ogni ambiente fosse sovrastato da vasi colmi di boccioli, proprio come quelli di quell’albero che tanto gli ricordava la sua candida donzella. Si sarebbe inferocito se avesse incontrato un solo petalo appassito. Alcune servette dalle mani irruvidite dall’acqua e dalle intemperie ritiravano la biancheria sporca dei nobili, prima di recarsi alle conche da bucato con la pesante assa sulle spalle, riunitesi vicino alle stalle.

«Sbrigatevi! » Ordinò il Principe autoritario«Per mezzogiorno voglio una tavola bandita e stracolma di prelibate pietanze!» Imperò girovagando nervosamente per la cucina. Se la fortuna lo stava assistendo, non poteva far altro che sperare che tutto andasse bene .

 
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La notte appena trascorsa era stata la prima senza incubi o strane visioni. A differenza della serata, il cielo era limpido e, il sole insistentemente batteva per entrare nella camera di Elena.
Appena spalancati del tutto gli occhi, pensò alla sua cara amica Caroline, doveva vederla e raccontarle tutto. Dopo essersi sciacquata la faccia nel recipiente di porcellana, chiamò la valletta del piano per farsi preparare un bagno caldo; la giornata precedente con tutti i suoi stancanti avvenimenti (inclusi quelli serali) l’aveva sfinita al punto di gettarsi come un sacco di patate sul letto e rimandare l’igiene personale.

Maggy non impiegò molto e in un batter baleno raggiunse Elena in stanza; le preparò l’acqua e, su ordine della contessa, la serva le consigliò un abito idoneo per la giornata, per il suo ritorno alla corte scozzese.

Entrambe furono catturate da un abito semplice: rosso che cadeva senza gonfiamenti, Adamina in passato le aveva ampliato la scollatura e aveva applicato un nastro in tinta sotto il seno, per ammodernarlo. La valletta scozzese sistemò i lunghissimi capelli castani della Contessa in una foggia più civettuola del solito per fare in modo che i ricci le coprissero le guance il più possibile.

«Lady Elena, il Principe ci ha avvisato che non potete andare nel salone da pranzo, non prima di mezzogiorno …» avvisò la valletta ed Elena ne fu stupita. Per il freddo si sfregò le mani sperando di riscaldarsi.

“Sono appena tornata e già non mi vuole tra i piedi?” pensò corrucciando la fronte del tutto stranita da quella reazione. La valletta era alle sue spalle e la Contessa, involontariamente si sfiorò la guancia sinistra, la stessa ove Alfred le aveva depositato quel bacio innocuo, inconsapevolmente sorrise, che strano!Non era da lei.

«Va tutto bene, vostra Grazia? » Domandò premurosa la serva vedendo l’aria assente della giovane nobile.

«Certamente, va pure. » congedò la serva e senza pensarci due volte si mise in cerca di Caroline: le avrebbe raccontato cosa era accaduto a Herthford ma soprattutto ciò c’era stato tra lei e Alfred.

Sebbene per lui fosse un “bacio innocuo”, Elena aveva percepito molto di più, qualcosa simile a una strana sensazione che genera calore.

Abbandonò la sua stanza e con fare precipitoso si mise in cerca della sua amica duchessa.

Fremeva dalla voglia di raccontare le brutte sventure, le avrebbe narrato anche di quei nobili chiacchieroni; quegli esseri stupidi erano stati capaci di farla imbestialire.

«Elena? »Una voce titubante parlò alle spalle dalla ragazza, troppo familiare per non riconoscerla.

Si voltò e sorrise costatando che era la sua cara amica,«Caroline,» l’abbracciò «sai che stavo cercando proprio te? »

«Che bello essere il primo pensiero di qualcuno, felice che tu non mi abbia dimenticato. Credevo che la servitù si sbagliasse, non pensavo in un tuo presto ritorno …» enunciò la bionda, curiosa di come Elena che tanto detestava quel luogo, poteva esserci ritornata in così breve tempo.

«Ho compreso che anche Herthford ha i suoi scheletri nell’armadio e, per la prima volta, posso considerare di avere dei nemici. » abbassò lo sguardo mostrandosi mortificata, era sempre stata amata e stimata, ma adesso tutti iniziavano a vederla con occhi diversi: cominciava a sentirsi un mostro.

«Ma cosa blateri?» Caroline sprigionò una risata nervosa tornando subito seria «Sei la creatura più innocua che abbia mai trovato su questa terra, sei una ragazza formidabile capace di far cambiare anche il più crudele dei principi.» canzonò Carol, era sicura di quello che diceva.

«Far cambiare il più crudele dei principi? » Ripeté esterrefatta. Elena non credeva per nulla di aver cambiato o avere il potere di trasformare Alfred Alexander David Grayson in una persona dall’animo buono, non ci sperava nemmeno.

«Per quanto sembra impossibile mio cugino è cambiato. La cosa terrorizza anche me, ma sai … non l’ho mai visto pensare, giù di morale e in difficoltà. »

“Oh Caroline, sappi che anche lui mette in difficoltà me.” Avrebbe voluto dire Elena, perché anche se non riusciva a sopportarlo, Alfred aveva uno strano potere su lei.

«Sarà tua impressione,» liquidò la mora e senza troppi preamboli chiese come procedesse la situazione sentimentale dell’amica.

«Bene, insomma è quello che voglio far credere a me stessa e a chi mi sta intorno. Ho smesso di pensare James, di cercarlo... ci siamo persi, questo capita quando ci si ama troppo, no? » Elena notò una grinza curvarsi, era senz’altro la ruga della tristezza. La serenità che Caroline aveva mascherato poco prima si rivelò una vera e propria malinconia; seppure fossero passati giorni, la sofferenza era lancinante.

«No Carol,» chiamò dolcemente la contessa, « si combatte in due, soprattutto in un sentimento simile all’amore. Tu lo hai amato ma lui ha avuto paura … non sempre le cose vanno come vorremmo. Non possiamo fare altro che accettare la realtà.» in quelle parole proferite da Elena, si riusciva a percepire un forte senso di appartenenza, si trovava in una situazione del genere? Quelle parole sembravano sue.

«Sei un’amica eccezionale! Per fortuna sei arrivata prima della mia partenza. »informò Caroline abbozzando un sorriso di compiacimento.

«La tua partenza?» ripeté la bruna sgranando gli occhi.Il suo sorriso splendente mutò subito in un broncio,  il suo viso era spento, non più illuminato dal sole.

«Sì, torno in Irlanda. Mi è stato spedito un telegramma dai miei genitori, è stranamente deceduto l’uomo che doveva prendermi in moglie. Inoltre, anche mio padre sembra soffrire di acciacchi di vecchiaia, per un po’ starò lì … » sorrise improvvisamente«Penso al lato positivo: avrò più tempo per cercare il vero amore. »

“Il vero amore?” ripeté in mente Elena, in cuor suo sapeva che era inesistente soprattutto in una società del genere.

«Ti auguro il meglio, Carol» affievolì la voce e dolcemente la strinse tra le braccia; quelle due si conoscevano da poco ma il bene che volevano l’una all’altra era simile a quelle di due sorelle, sangue dello stesso sangue.

 
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Alfred, comodamente seduto sulla poltrona della sua scrivania, ripensava alla serata appena trascorsa. Non ricordava di aver mai provato un tale senso di beatitudine e di appagamento; forse solo da bambino si era sentito così felice.

“No”, rifletté, “non sono mai stato tanto felice in vita mia”.

Eppure le aveva lasciato un innocente bacio sulla gota;

“Ah quella guancia: morbida, al punto di sembrare seta.”

Elena gli stava rubando il cuore e lui, ancora doveva rendersene conto.

Sospirò serenamente, consapevole che non tutto era semplice come in realtà avrebbe dovuto: c’era Marco e la sua assenza a palazzo complicava tutto.

Non c’erano missioni, né battaglie né guerre … eppure Marco non era al suo posto.

Grayson non avrebbe permesso a nessuno di portargli via Elena, nemmeno a quel soldato che un tempo era il suo grande amico.

 
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Il cuore di Richard Hemsworth era apparentemente distrutto; come previsto da Elena aveva fatto grandi affari: era riuscito a vendere dei lotti a prezzi elevati rispetto a quanto valessero davvero. Le mancanze della sua adorata moglie e dell’amabile figlia si percepivano giorno dopo giorno, cercava di lavorare per non pensare alla nullità della sua vita, un vuoto che le donne della sua vita gli avevano lasciato.

Qualcuno osò varcare l’ingresso della tenuta Hemsworth, una visita del tutto inaspettata.

Richard stava passeggiando nel giardino che affacciava sul retro, era consuetudine di prima mattina respirare aria fresca e annusare l’acqua dei vasi che bagnava la terra, lo reputava un toccasana, un rito rilassante da dover eseguire prima di fiondarsi sui vari documenti stressanti.

Sfiorò il petalo di un’orchidea, quel candore gli ricordava la sua giovane Elena, perché aveva deciso di andarsene? Certo, ultimamente tra loro c’era stata parecchia incomprensione, ma ciò non significava che non si volessero bene. Per rimediare gli errori fatti, le avrebbe scritto una lettera.

Si lasciò scappare un sospiro-quasi come se volesse alleggerire il groppo che aveva alla bocca dello stomaco- prima di udire inaspettati passi alle sue spalle. Si voltò.

Un uomo giovane, capelli ricci e un po’ ribelli sguardo smeraldo e una divisa azzurra, lo fissava in silenzio. Richard lo guardò corrucciando la fronte, lo conosceva, ne era certo. Non c’era bisogno di appropriare quel viso a un’identità, sapeva chi fosse.

Fece un colpo di tosse, aspettando che il mite parlasse.

«Ser, perdonate la mia intromissione ma ho bisogno di parlarvi. » il soldato si presentò conciso, accennando una riverenza.

«Sarebbe opportuno che vi presentaste, ma so già chi siete … » il vecchio conte proferì ciò e appoggiandosi al bastone gli fu più facile sedersi ai margini della fontana, quasi rantolò per il lieve sforzo; la vecchiaia cominciava a farsi sentire.

«Onorato, ma non credo che sua Grazia sappia davvero chi io sia.» il milite accennò un riso, si aggiustò il capello fuori posto e avanzò.

«Rammentate allora, ricordo di avervi visto quando mia figlia è svenuta tra le braccia del Principe, vi siete intromesso come …» Richard si bloccò, non sapeva che paragone appropriare, forse sarebbe stato meglio dire ciò che pensava senza senza mezzi termini.

«Come?» ripeté Marco incitando il conte a terminare la frase.

«Beh … come un innamorato che vuole proteggere la sua donna e che è capace di tutto per averla con sé … » enunciò Richard con voce smorzata, quasi pizzicava le parole. A lui aveva dato impressione che Alfred amasse la giovane Elena, il che era giusto, ma adesso trovarsi quel biondo dagli occhi stracolmi di speranza, era tutto complicato;Indubbiamente sua figlia era in un bel guaio, in un triangolo da romanzo.

«Avete visto bene, ma non posso dire lo stesso riguardo all’uomo che vostra figlia sposerà.» diede risposta privandosi del cappello e poggiandolo incurante sul bordo della fontana. Si sedette a una distanza accettabile di fianco al Conte.

Il vecchio era titubante, perplesso da quelle strane parole … voleva giungere al sodo, scoprire cosa quel bel imbusto aveva da dirgli.

«Non sono un semplice milite, conte. Il mio vero nome è Aleksej Speranski, duca della gran casata russa. Figlio di un nobile e conosciutissimo arciduca divenuto vedovo appena sua moglie diede alla luce Kitty, mia sorella minore. Sono il primogenito, Kitty è la terza ed ultima figlia, mentre la seconda … era Mira.- fece una pausa, a Richard non passò inosservato il verbo al passato e fu ancora più stupito e curioso- Mira, la secondogenita era divenuta oggetto di desiderio del Principe Alfred, la bramava con sé a tutti i costi. Mio padre accettò, Grayson era un ottimo scapolo, peccato non sapessimo la sua vera natura. Mia sorella arrivò a palazzo … e dopo un mese fu trovata uccisa nei pressi del parco senza una degna sepoltura. E’ sicuramente stato lui. » proferì con il capo abbassato, stringeva i pugni ormai preso dall’ira.

«Come fate a esserne certo? E in quanto primogenito , perché avete assunto la posizione di milite, avreste potuto ereditare e maritarvi.» affermò Richard , confuso.

«La mia è una copertura, una copertura che sa di vendetta. Voglio uccidere il Principe e non meno importante: salvare vostra figlia. » enunciò convinto, mentre sul volto di Richard fu inevitabile una smorfia di paura.

«Fatico a crederci, milite. » sbottò determinato l’anziano conte, se prima la sua espressione faceva intendere dubbio, adesso era fermamente convinto che Alfred Grayson non rientrasse in nessun omicidio.

«So cosa faccio conte, concedetemi il permesso per parlare con vostra figlia.» domandò Marco con fare docile, doveva mostrarsi gentile se voleva ottenere la comprensione del quinto conte di Herthford.
Richard si aggrappò al bastone e dandosi la spinta giusta, s’alzò.

«Spiacente, ma mia figlia non è qui. » proferì fissando Marco negli occhi, lo sguardo del giovane biondo divenne truce, spento.

«Volete difendere Elena da me, credete che sia io il pazzo? » era impossibile nascondere la rabbia. Sì, Marco provava rabbia. Voleva essere creduto, quella era l’unica verità che esistesse.

«Non fraintendete cavaliere, ma non posso esservi d’aiuto. Elena non è qui, a quanto pare è tornata in Scozia senza neanche avvisarmi. » informò il Conte, indossando il cappello a cilindro per riparare la fronte dall’umidità mattutina.

«E’ tornata da lui? Aveva possibilità di scappare, l’avrei portata in salvo. » ripeteva incredulo il milite, non c’era nulla da fare: Elena non era più lì.

«Potrei anche morire ora che so che mia figlia è al sicuro, ho bisogno di Anne. » proferì sfiduciato,« chi mi teneva  in vita erano loro … »

Alfred alzò di un’ottava la voce e quasi rimproverando il vecchio affermò, «E’ assurdo quello che dite! Un padre ha sempre bisogno di un figlio come un figlio ha sempre bisogno del padre, e voi, soprattutto in quest’orribile momento non potete essere distanti. Elena può rimanere tutto il tempo che vuole, non le vieterò nulla, al diavolo la potestà e i diritti del marito! So quanto per lei siano importanti la famiglia e la libertà …»

Pensandoci, Alfred parve agli occhi di Richard un donnaiolo e materialista ma non capace di uccidere una donna.

 
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Dopo aver chiacchierato con Caroline e aver constatato che non c’era più nulla da raccontare né da sapere, Elena uscì dal castello, desiderosa di trascorrere una giornata tranquilla. Avrebbe approfittato di quel sole caldo per passeggiare tra i campi e fare ciò che le piaceva di più: stendersi sull’erba e leggere un buon libro. Due guardie le aprirono il grande cancello per permetterle di uscire e lei ringraziò sempre di cuore. Era da poco in Scozia e non tutti la conoscevano, ma stranamente tutti gli inservienti le volevano bene. Ovviamente non si poteva dire lo stesso di qualche nobile come la baronessa Karine e il barone di Birmingham; per quanto fosse ingenua, Elena aveva capito di non essere simpatica agli occhi dei due reali ma non ne faceva un dramma: non erano né i primi né gli ultimi.
Correva, aveva preso lo stimolo giusto per potersi rotolare sull’erba. Si era privata delle fastidiosissime scarpe, percependo un senso diverso dal solito.

Rivolse lo sguardo al cielo poi, chiuse gli occhi.Non le importò del vestito macchiato di fango, dei capelli scompigliati, aveva bisogno di sentirsi libera come i volatili che giocano a rincorrersi nella volta celeste, incuranti di essere sotto il mirino di qualche cacciatore.

«Sono libera.» urlò, mentre tra le colline pian piano si affievoliva l’eco.

Gettò le scarpe poco distanti e iniziò a ballare, a roteare, era il suo rituale quando si sentiva afflitta. I piedi a contatto con il prato, le trasmettevano la giusta carica per andare avanti. Respirava appieno quell’aria che le riempiva i polmoni e che sempre, subito dopo, era capace di metterla di buon umore.

Ballava, inconsapevole che qualcuno la stava fissando.

Era attratto da lei, sapeva che era dolce e impaurita. Avrebbe fatto di tutto per renderla felice, avrebbe provato anche a lasciarla andare.

“Lei  non sarà felice con me” pensò Alfred rattristendosi.

Uscì allo scoperto, avvicinandosi lentamente. Era indeciso, ma sentiva che doveva essergli vicino, anche da lontano … Aveva la strana sensazione che qualcuno, alla fine, le avrebbe fatto del male. La contessa era sdraiata a terra, intenta a dare una forma alle nuvole leggiadre che, come batuffoli di ovatta, si spostavano rapide grazie al vento.

Alfred s’accovacciò lentamente di fianco a lei così lentamente e delicatamente che ad Elena ci vollero ben cinque minuti per metabolizzare tutto.

Appena accortasi della presenza di Alfred, si ritrasse; quasi emise uno stridulo, spaventata.

«Come sempre non era mia intenzione spaventarvi, lady Elena. » proferì Alfred, comodamente rilassato, si alzò di poco restando seduto.

«Non mi sembra …» replicò lei, toccandosi il petto: il cuore le batteva all’impazzata. Nulla di anormale se non il fatto che si chiedesse il perché di quella reazione: era avvampata per lo spavento o per la ristretta vicinanza con il Principe?

«Elena, io seguo l’istinto … dovreste farlo anche voi. » consigliò Grayson sorridendo sornione, accennò un occhiolino ed Elena avvampò maggiormente.

«Semmai sono io a seguire l’istinto, vostra altezza. » si alzò con un’espressione visibilmente sdegnata.

«Come gettare le scarpe all’aria? » rise Alfred, alzandosi. C’era qualcosa di bello nella sua risata. Elena coprì il rossore chiaramente visibile sulle sue gote; era vero: era scalza.

«Ahm …» esitò, alzò lo sguardo e di nuovo i loro visi s’incontrarono, quasi si sfiorarono.

«Ma sapete che vi dico? Avete fatto bene, neanche io sopporto il mio panciotto …» rimase in silenzio poi enunciò «sapete cosa faccio?Lo tolgo. »

Elena strabuzzò gli occhi dall’incredulità, Alfred Grayson voleva spogliarsi? Era davvero un tipo spigliato.

Per fortuna, questi si sbottonò soltanto i primi bottoni e al di sotto del “ fastidioso gilet” aveva una camicia ricamata con stoffe altamente pregiate.

C’era qualcosa in Alfred Grayson che Elena non aveva mai notato.

Nascose un sorriso divertito dietro alla sua chioma folta.

«Vi ho visto, sapete? » decretò Alfred pavoneggiandosi; alla giovane contessa manco l’aria, sbuffò per allontanare il ciuffo che le copriva la visuale e proferì con aria autoritaria.

«E che cosa avreste visto?» domandò spacciata portando le braccia ai fianchi, come una bambina che sa tutto. Si sedette e non le importò se fosse molto vicino a lui, il Principe non le avrebbe fatto del male.

“L’ottava meraviglia del mondo” avrebbe voluto risponderle, ma che sciocco! Non era di certo un tipo romantico né idiota- a sua detta- poiché chi s’innamorava, prendeva le sembianze di uno stupido incapace di intendere e di volere.

Elena, dal canto suo, cercava di mostrarsi più matura, avrebbe continuato a essere gentile ma anche nobile; Sarebbe maturata, avrebbe messo un po’ di catene al suo carattere ribelle. In fondo credeva che anche Alfred dietro quella corazza da serio e donnaiolo si sentisse libero e anche divertente …

Forse Alfred Grayson riusciva a sentirsi se stesso con una ragazzina poco più di una bambina, poiché né donne di vita né quelle appartenenti a una soddisfacente classe sociale riuscivano a dargli tanto quanto quella fanciulla. Si sdraiarono ignorando quanto vicini fossero.Rimasero entrambi in silenzio, giocando a guardarsi quando l’altro era distratto.

“E’ davvero bello” pensò la donna, avvampando poco dopo, mentre inconsapevolmente su quel prato dai fiori di camomilla le loro mani si cercavano.

Si toccarono, si strinsero per un attimo poi, Elena ritrasse la mano come se si fosse scottata. Alfred accennò un sorriso, Elena teneva a lui, lo sapeva. Insieme volsero lo sguardo al cielo, ignari che una donna dagli occhi blu e dal veleno nel cuore aveva visto tutto.


Spazio Autrice: Ta da! Vi giuro: credevo che questo capitolo non l'avrei più pubblicato e così avrei abbandonato la storia, credo che sia pessimo! Oddio, ci sono bei e interessanti avvenimenti, ma è scritto pessimamente. Lasciando il fatto che L'alba dei fiori di ciliegio ha un sacco di lettori, di visite...vorrei ringraziare le 16 persone che l'hanno tra le preferite, alle 34 che l'hanno nelle seguite , le ricordate non ricordo xP E ringrazio infinitamente a quei 13 che mi hanno tra gli autori preferiti, ma davvero fate? A chi recensisce sempre e a chi invece vaga sotto ombre di agente 007 xP Mmh... veniamo alle cose importanti:come procedono le vacanze? A me una schifezza xD Eper quanto riguarda i nostri cuccioli...avete ben potuto vedere il ritorno di Elena, che piano piano si sta avvicinando al crudele Alfred, spero che abbiate compreso chi è Marco o meglio Aleksej e la sua storia, non è affatto un milite! Complimenti per chi sin da sempre ha sospettato sul suo conto:p Spero di non avervi perso e che nonostante il modo in cui ho scritto questo capitolo, non mi abbandonerete. Bacioni*-*

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Capitolo 16
*** Quindicesimo Capitolo. ***


 

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Ama chi ti ama, non amare chi ti sfugge,
ama quel cuore che per te si strugge.
Non t'ama chi amor ti dice ma t'ama chi guarda e tace.
William Shakespeare

 


Quindicesimo Capitolo

Entrarono insieme, Elena esitò, mentre Alfred con un sorriso sghembo sorrideva anche a corpi inanimati. Faceva cenni di saluto a tutti, nobili e servi, e per la prima volta dopo tanti anni, Lorry paragonò la felicità del suo padrone a un sole che non splendeva da tempo immemore. Si avvicinò esitante sperando di non interrompere la magia del momento, Elena rivolgeva occhiate imbarazzanti ad Alfred giocherellando nervosamente con le mani.

«Perdonate l’intromissione Principe, ma la carrozza di vostra cugina è già pronta e la duchessa desidera vedere lady Elena. » proferì il maggiordomo impeccabile come sempre. Elena era più delusa che stupita, le sarebbe piaciuto trascorrere altri pochi giorni con la cara amica, né capiva né accettava perché tanta fretta di partire.

«Oh- balbettò – va bene, la raggiungo. » rispose l’interessata e accennando una fugace riverenza si diresse verso le scale. Il trambusto nella sala di ricevimento- o meglio la stanza dove non avrebbe dovuto accedere fino a mezzogiorno- era piuttosto evidente.

 Scalino dopo scalino si rendeva sempre più conto che non avrebbe mai dimenticato la mattinata trascorsa con il freddo e glaciale Alfred Grayson dopotutto le era sembrato così … umano.

“Forse il Principe non è come appare o meglio come lo descrivono, in fondo tutti hanno un’etichetta: io sono la ragazzina viziata e prepotente, mentre il temibile Alfred è un donnaiolo che vive a kilometri di distanza dai suoi sentimenti.” pensò Elena, sorpassando l’ultimo gradino che la divideva da Caroline.

Bussò con temperanza e dopo due tocchi la duchessa d’Irlanda in tutto il suo charm con un «Avanti.-le permise di entrare- Elena, sei tu!» esclamò non appena vide la bruna, si alzò dallo scrittoio con velocità estrema che quasi rischiò di far cadere il vaso di fiori.

 «Perché vuoi abbandonarmi? » domandò  atona.Rimase sulla soglia inerme, Caroline, invece, si arrestò appena vide il distacco glaciale dell’amica.

La bionda si era preparata a un abbraccio strappalacrime e, invece, la freddezza nel tono di Elena l’aveva spiazzata. In un primo momento esitò.

«Tornerò... » sibilò poi tremante e fu l’unica cosa che inizialmente fu in grado di dire.

«Comprendo i malori di tuo padre ma perché? Perché partire con tanta celerità? » fece domanda la contessa non riuscendo a comprendere.

«Non voglio avere rimpianti, amica mia. Non voglio commettere il tuo stesso sbaglio, non voglio vivere ogni giorno con un peso sullo stomaco e un macigno sul cuore. -abbassò lo sguardo stringendo le mani in pugni, una lacrima le scese silenziosa dagli occhi limpidi.-Non voglio perdere le persone che amo, già ho perso James …» fece per replicare Carol ma Elena la zittì in un baleno,

«James non ti ha mai amato, fattene una ragione. Chi ti ama non ti lascia dall’oggi al domani fingendosi impaurito del futuro. Chi ama lotta con te ma soprattutto lotta per te. » sbottò Elena accecata dalla rabbia; si morse il labbro poco dopo constatando di aver sbagliato. Non doveva essere così diretta.

Avrebbe voluto scusarsi ma quelle glaciali parole avevano ucciso Caroline, è inutile chiedere scusa dopo aver ucciso una persona, sarebbe una presa in giro. Rimase in silenzio, perché non faceva mai la cosa giusta?

 La bionda sollevò il capo, fissò dritto negli occhi l’interlocutrice e trattenendo le lacrime fece un piccolo passo, protese le braccia in segno di abbraccio, e senza pensarci due volte, Elena avanzò stringendo la dolce e minuta compagna tra le braccia.

Su loro regnò una profonda quiete, un silenzio d’intesa.

«Io ti aspetto, Carol.» 

 
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Qualcuno venuto da molto lontano sembrava intenzionato a sostare al castello di Scozia.

Una vecchia conoscenza? Un’ombra del passato? O semplicemente un passante bisognoso di qualche ora di riposo?

«E’ questo il palazzo, vostra grazia? » domandò il cocchiere dopo aver starnutito. I russi non amavano l’aria inglese.

«Sembrerebbe di sì. » diede risposta una giovane fanciulla dalle origini regali. Era una giovane dalla pelle candida diversa dalle altre: i suoi occhi cristalli azzurri fissavano indecifrabili il castello poco distante. Un carico di emozioni si fece vivo: ira, curiosità e anche un pizzico di paura.

“Quanti anni trascorsi a cercare risposte mai trovate; il luogo dove tutto ha avuto inizio e … fine.” pensò rattristendosi. Il ricordo, come un colpo di vento freddo, la sommerse ma non poteva permettersi tale debolezza: doveva essere forte; in fondo, il cammino verso la verità aveva inizio.

 
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«Promettimi che mi scriverai una lettera a settimana! » ribatté Elena attaccandosi alle vesti dell’amica. Non avrebbe mai voluto lasciarla, in cuor suo sapeva che quando Caroline fosse ritornata non sarebbe stata più la stessa, ogni viaggio porta cambiamenti.

«Si amica mia, tutto quello che vuoi.» proferì Carol staccandosi e posando lo sguardo su Alfred. L’aria era snervante.

«So che mancherò anche a te, brontolone! » la giovane accennò un sorriso che Alfred non riuscì a liquidare con un’alzata di sopracciglio o ignorandola come suo solito. Era una delle poche volte che Caroline si era rivolta all’antipatico cugino con il tu, ed era una di quelle volte che Alfred inaspettatamente l’aveva abbracciata.

Elena pensò alla sua ribellione appena arrivata in Scozia, al primo incontro con Marco e l’indimenticabile abbraccio con il viscido Principe; se allora quel contatto l’era sembrato disgustoso, in quel momento era assai confusa. Anche lei aveva etichettato il “generoso e bel Principe”?

Sicuramente Alfred Alexander David Grayson era un uomo tutto di un pezzo, vigile ai sentimenti e un non credente dell’amore ma Elena era sicura che egli volesse bene a qualcuno, il suo sguardo azzurro e limpido di un tratto senza preavviso tendeva a incupirsi, quasi come se cercasse un punto invisibile nel vuoto. Grayson non era quello che mostrava, le donne di piacere erano usate per ricoprire una debolezza, un’assenza … ma quale?

Alfred deglutì e delegò la cugina a salutare gli zii.

Il duca d’Irlanda seppure si curasse e assumesse medicinali consigliati da ottimi dottori non apportava migliorie.

«Salutami zio Frank e zia Rose …» proferì freddo, distaccato come se niente potesse ferirlo o dispiacergli.

La duchessa fece cenno di sì con il capo e dopo aver salito il primo scalino del calesse, si voltò a guardare Elena.

«Una promessa è una promessa. » recitò Elena stringendo la mano dell’amica; le scese una lacrima che subito le folate di vento spazzarono via.

«Si mia amica inglese, le promesse vanno mantenute.» proferì flebilmente Caroline e abbozzato un sorriso convincente, chiuse lo sportello.

C’era freddo ovunque: fuori e dentro, d’altronde era l’inizio di febbraio, un mese invernale. E Caroline era una mancanza sin da subito percepibile: non era una persona di poco conto, Elena lo sapeva.
Il cocchiere non esitò a partire e tra batticuore e lacrime anche la duchessa d’Irlanda all’apparenza viziata e vanitosa abbandonò la fortezza scozzese; il cerchio si restringeva.

Elena pensò anche a Marco e alla sua strana assenza, sperò che non gli fosse capitato nulla sebbene l’ultima volta si fossero lasciati con l’amaro in bocca.

«Rientriamo?» invitò cortese il regale ed Elena sospirando non poté far altro che seguirlo.

 
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«Sono onorato che voi e mia cugina abbiate legato in così poco tempo.» enunciò Alfred con un sorriso compiaciuto precedendo Elena nei corridoi.

«La duchessa è di animo nobile …» diede risposta lei, insicura su cosa dire. Camminava a passo spedito, Alfred poteva avere il panciotto di fastidioso ma le scarpe con la punta stretta femminili erano un altro universo, un vero e proprio inferno tanto da aver difficoltà a stare  dietro persino a una lumaca.

Era sicura di non odiare più il nobile scozzese. Questi, ogni volta, era capace di far ricredere l’indifesa contessa sia in positivo sia in negativo.

«Credete nelle promesse, nei cambiamenti, nei miglioramenti?» domandò come un fiume in piena, strabuzzò gli occhi prendendo le mani di Elena stringendole alle sue.

Un altro contatto. Un altro battito del cuore venir meno.

«Certo.» rispose determinata sebbene tremasse come una foglia, non poteva farsi abbindolare da quello sguardo irresistibile. Elena Hemsworth non s’innamorava della bellezza bensì della sostanza, di qualcosa di profondo.

«Allora debbo domandarvi una cosa. - imperò l’uomo. - Se vi promettessi di cambiare, voi ci credereste?» La fissò dritto negli occhi ma era tutto molto imbarazzante sicché Elena continuasse a guardarlo, abbassò il capo.

«Se la vostra fosse una promessa fatta col cuore, ci crederei con tutta me stessa.»

«Mi rendete un uomo felice.» asserì con sorriso e una frase inaspettata. Elena rise di gusto.

«Basta poco per rendervi felice …» esaminò giocherellando con il pollice e le altre dita e si arrestò sui suoi passi, una sentinella ammutolita li guardava.

«Errate, lady. Ho trascorso molto tempo a cercare la felicità, a immaginare quale forma avesse, se fosse un oggetto, un animale, una pianta … una prostituta che soddisfacesse la mia passione mondana-rise scioccamente, fece un sospiro-e poi ho capito che la felicità non è tutto questo -indicò i trofei, le pareti, i quadri lussuosi - la felicità non appartiene a coloro ricchi anzi, credo che molti poveri siano stati più grati di me. La felicità non deriva dalla ricchezza. »

Elena lo osservava interessata. Incantata dalle sue parole, aveva assunto la stessa aria appassionata di quando frequentava lezioni di piano. Amava la musica e la natura quanto i libri.
Alfred sembrava ubriaco, la giovane non riusciva a rendersi conto di come quell’uomo freddo e immune ai sentimenti potesse proferire tali ragionamenti.

«La felicità di essere povero e avervi incontrato non avrebbe mai eguagliato all’essere stato ricco e non avervi mai visto. »

Il mondo sembrava essersi fermato. La piccola Hemsworth non percepiva più nessun rumore quasi come se fosse in un limbo, le guance le stavano per esplodere e il cuore le pulsava a ritmo mai sentito. Tale reazione era dovuta al corsetto attillato, alle scarpe strette, o semplicemente ad Alfred Grayson? Cercò di rimanere cosciente, sbatté le palpebre ma ciò che la fece rinvenire più di tutto fu una voce squillante, una persona inaspettata.

Un bambino, di poco più cinque anni, correva in direzione del padrone di casa gridando allegramente.

«Principe Alfred! Principe Alfred, sono guarito! » il ragazzino si lanciò speranzoso che l’uomo lo prendesse a volo e così fu.

Elena spalancò la bocca dallo stupore, Alfred Grayson con un bambino in braccio, ma soprattutto: chi era questi?

«Lo vedo, Jack. » sorrise di gusto, solleticando il moccioso.

«Sai che è scortese non presentarsi?La bellissima dama dinanzi a te è la contessa di Herthford. » come suggerito, Jack si ricompose e sistematosi il papillon, fece una degna riverenza.

«Mi scusi contessa, è un piacere conoscervi.» Elena sorrise e con aria divertita lo imitò,

«Piacere tutto mio, ser ? »

«No … nessun titolo, sono figlio di contadini.»

La fanciulla smorzò un sorriso, tutto continuava a cambiare velocemente. Alfred voleva confonderla?Voleva dimostrarsi un uomo dall’animo buono per possederla?
Mentre cercava di dare risposta alla miriade di domande che frullavano nella sua testa, nel mondo reale il padrone di casa aveva liquidato Jack che, saltellando di qua e di là, aveva mandato in frantumi le regole basilari del protocollo.

«Elena suvvia sorridete! Sembra che abbiate visto un morto. » esclamò ironico distogliendo la giovane dai pensieri. Ripresero il passo.

«Perdonatemi, ma … le vostre parole, il bambino … non comprendo. » la ragazza si toccò la chioma confusa, aveva un bel mal di testa.

«Non c’è nulla di difficile, nulla da capire … -sorrise sornione- quando eravate a Herthford e qui avevo noiose e stressanti pratiche da sbrigare, decisi di fare una galoppata e, tra una collina e l’altra, trovai un piccolo moribondo, non sapevo cosa fare e così … pensai a voi, mi chiesi cosa avreste fatto se aveste avuto dinanzi un bambino sofferente. » Grayson raccontò il fatto con una tale naturalezza che mise in discussione per l’ennesima volta il giudizio che Elena aveva di lui. In una situazione del genere, il principe dalle mille donne aveva rivolto il suo pensiero a lei?

«Non mi credevate possibile di un atto benevolo, puro? » domandò con tono di sfida e una luce gialla gli illuminò lo sguardo. La soggezione era incontenibile.

«No … ho come l’impressione di non avervi mai conosciuto fino ad oggi. » riuscì a enunciare solo queste poche parole, era bloccata ma allo stesso tempo provava un gran senso di ammirazione per l’uomo che aveva davanti a se; considerò quell’istante il loro vero incontro. Lo scozzese non era quello di sempre oppure aveva sempre ricoperto strati e strati di debolezze da una corazza forte quanta finta?

Abbozzò un sorriso smagliante, seppure impossibile il malvagio Alfred stava cambiando, era ciò che non avrebbe mai creduto potesse diventare.

«Vogliate seguirmi, gradirei che pranzaste con me. » propose galante e la ragazza con un nodo in gola, accettò. Quell’uomo era pieno di sorprese.
 
 
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Poiché in passato qualche ladruncolo aveva osato rubare galline e persino cavalli, lo stalliere si era affidato a Elton per un maggiore controllo, senz’altro era noioso ma il soldato preferiva poltrire sul fieno che allenarsi duramente; mentre pensava a quale donna la  stessa sera avrebbe mirato nella casa del piacere, udì qualcosa di sospettoso.

«Pss» faceva una voce e non era identificabile se fosse un uomo o una donna.

«Chi c’è? » sbraitò nervoso e alzatosi brandì la spada.

La siepe si mosse e qualcuno lentamente ne usciva: era un uomo incappucciato, magro e abbastanza coraggioso. Elton gli puntò subito la spada alla gola, avrebbe anche potuto ucciderlo senza vederne il volto ma il soldato buon a nulla voleva qualcosa di “spietato”.

Provava piacere nel vedere la sofferenza sul volto delle sue vittime e godeva nel vedere quanto illuse cercassero una via di fuga.

 Uno, due, e tre, e il cappuccio fu tirato.

«M- Marco … -strabuzzò gli occhi vedendo l’amico, mollò la presa scocciato.-Ma sei impazzito? – canzonò- mi auguro che tu abbia un buon pretesto, non è il momento adatto per giocare a guardie e ladri.»

«Ho sempre una giustificazione valida a tutto, caro Elton … ho solo bisogno di sapere se Alfred ha notato la mia assenza? » accennò un pizzico di fiatone intento a eliminare le erbacce dai calzoni.

«Alfred?- domandò incredulo l’altro facendo spallucce-Sei sparito per giorni, ti nascondi nelle siepi facendomi venire un colpo e ora chiami il Principe come se fosse tuo fratello?»

«Per Grayson non avrò mai rispetto. Allora, ha notato la mia assenza?»

«Non credo, non ci ha convocato chiedendoci tue notizie.» diede risposta il milite facendo riferimento all’intero corpo militare.

«Perfetto.» confutò Aleksej; Il suo sguardo più macabro di sempre terrorizzò Elton al punto da evitare di fare domande.

 
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La tavola bandita di prelibate pietanze avrebbe suscitato appetito anche a chi era pienamente sazio. Alfred accompagnò Elena a sedersi e dopo averla fatta accomodare, si sedette; i due erano divisi da una tavola esorbitante, nessun angolo era scoperto: prosciutti, maiali, uova, pesce, caviale, coprivano l’intero lungo tavolo e per finire in bellezza, come ciliegina sulla torta, un ottimo vino rosso.

«E’ un vino italiano, sapete? » informò alzando il calice.

«Se non erro mia madre ne aveva uno simile, prima di partire per l’Inghilterra portò con sé prodotti italiani … presumo per non dimenticare le sue origini. »

Rimasero in silenzio, sebbene prima gli occhi di Elena fossero accesi, adesso si erano incupiti.

«Quando eravate a Herthford, ho visitato la vostra camera … ho preferito comunicarvelo, so di aver sbagliato.»  si mostrò mortificato ma ciò fece imbestialire la contessa.

Elena deglutì; sembrava strano che, il Principe lussurioso non avesse doppi fini. Come si era permesso? Helene cominciò a innervosirsi, posò la forchetta e con l’angolo del tovagliolo pulì delicatamente le labbra. Si alzò intenta ad andarsene ,

«Non pensate male, sentivo la vostra mancanza e cercavo di colmarla con qualcosa di vostro, ho avuto anche modo di capire che donna siete.»

Elena era in piedi, incredula … chi era realmente Alfred Grayson?

Un uomo malato o bisognoso d’aiuto?

«Fa nulla, davvero … è casa vostra ed è normale che entriate in qualsiasi stanza a vostro piacimento. Ho bisogno di riposare, con permesso. » accennò la riverenza, abbandonando la stanza. Alfred rimase da solo e, con la testa tra le mani, cercava di capire cosa avesse sbagliato.

Nella sveltezza uscendo Elena andò a scontrarsi con qualcuno.

«Scusatemi …» domandò mortificata e lentamente alzò il capo.

Diamine, si era scusata proprio con lei.

«Contessa, è stata colpa mia. - rispose serafica la baronessa Karine.-Permettetemi di offrirvi una tisana, mi sento così in colpa e sicuramente due chiacchiere vi faranno bene soprattutto ora che la duchessa Caroline è partita. Concedetemi l’onore di bere del tè con la futura regina.» la rossa ammiccò un sorriso apparentemente buono, con parole dolci quante finte, riuscì a trarre in inganno l’ingenua Elena.

La perfida baronessa aveva progettato tutta la sua vendetta da sola.

Quel giorno la mano di Karine ospitava un nuovo anello.

 Un anello da non sottovalutare.



 
Spazio autrice:
Non posso crederci, davvero!
Non avrei mai immaginato di pubblicare il quindicesimo capitolo , c'è stato un periodo in cui ho abbandonato la scrittura e ho cercato di vivere di altro ma è stato tutto inutile: la scrittura fa parte di me e anche i nostri Elena, Alfred e Marco.
Come sempre questo capitolo è uscito un po' schifettoso - per la millesima volta ho immaginato un'altra Elena (è quella del banner, è una delle poche che vedo piccola d'età)- ma spero davvero che alcune frasi vi abbiano colpito.
Immagino la vostra reazione per le perle di Alfred...perché non è reale? Solo il Cielo sa quanto io lo ami!
Cosa pensate della vendetta di Karine? Perché non dobbiamo sottovalutare l'anello, qualche idea? E Marco cosa avrà in mente?
Spero proprio che possiate perdonarmi e cercate di farvi sentire!
Un bacio a tutti :)



 

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Capitolo 17
*** Sedicesimo Capitolo. ***


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Temo che il mio angelo sia mutato
in diavolo, non ne sono certo;
ma sono entrambi lontani,
fra di loro amici,
credo l’angelo nell’inferno dell’altro.
Non lo saprò mai, vivrò nel dubbio
finché l’angelo cattivo
avrà bruciato il
buono.

William Shakespeare

 
Sedicesimo Capitolo


Elena seguì dubbiosa la baronessa e sebbene la donna non le ispirasse fiducia, voleva concederle una seconda opportunità come aveva già fatto col suo futuro consorte.

“Non è forse vero che le persone fredde son quelle più bisognose d’aiuto?”

Con questa frase semplice e concisa, Elena si rassicurò, entrando apparentemente tranquilla nella camera della nobile francese.

Le stanze, ampie come le altre del castello, si differenziavano per la loro poco luminosità accennando un’atmosfera piuttosto cupa; ciò non preoccupò Elena che come sempre si mostrava tenace a qualsiasi tipo di sfida che la vita le poneva.

A distoglierla dai pensieri fu Karine che le pose una domanda chiara, diretta.«A breve ci saranno le vostre nozze, com’è il Principe nei vostri confronti, lady? » domandò con atteggiamento da ficcanaso versando il tè nelle corrispettive tazze.

«Bene … - rispose Elena titubante- perché tale domanda? » domandò a sua volta, scrutando ogni minimo gesto della rossa. Corrucciò la fronte confusa; sicuramente la baronessa, come tutte le altre nobili, era una ciarlatana, ma il tono con cui aveva proferito la frase aveva un pizzico di malvagità. In cuor suo, la nostra contessa, sapeva di dover essere cauta.

«E’ un uomo irrequieto … insaziabile, oserei dire. » dichiarò l’interlocutrice accennando un sorriso ipocrita. Elena fissava interdetta ogni movimento della donna, rivolgendo occhiatacce poco rassicuranti al tè.

Quella donna, quel tono e quell’invito … qualcosa non quadrava. La piccola Hemsworth percepiva qualcosa di sbagliato in quella stanza, forse era una suggestione della baronessa che, scrutando la futura regina dall’alto verso il basso con aria disgustata, confermava ogni minimo dubbio.

«Sembra che lo conosciate bene …» costatò Elena e con codesta frase semplificò il lavoro di Karine che, felice, stava raggiungendo il suo scopo nel minor tempo previsto.

«Sì lo conosco da anni, strano come il Principe non vi abbia parlato di me, siamo amici … INTIMI.- scandì l’ultima parola con uno sguardo pieno di malizia e lussuria, al punto che, anche una ragazzina ingenua come Elena capì a cosa la rossa si stesse riferendo. La fanciulla cambiò radicalmente; una reazione di gelosia o soltanto la rivendicazione di una mancanza di rispetto? Iniziò a guardare la donna con aria sdegnata; serrò la mascella provando un profondo ribrezzo e sebbene voleva interrompere la conversazione, decise di restare e calmarsi, dopotutto non era da lei ingelosirsi né tantomeno per Alfred Grayson.

Karine Dubois avvertì l’agitazione e, sentendosi vicina al traguardo, non risparmiò a Elena la stangata di grazia. – L’ultima volta che ho consolato sua altezza è stato per la morte di vostra madre, ancora tante condoglianze. » recitò, la sua falsità era così chiara. Elena voleva contenersi, ma non ci riuscì.

Si alzò senza pensarci, notevolmente travolta dal disgusto; Karine fu sorpresa, non si aspettava una reazione diretta ma ciò aveva anche la sua positività: Elena avrebbe odiato maggiormente Alfred e questi sarebbe andato da Karine … per consolazione o ancora meglio, le avrebbe chiesto di sposarlo. La nobile Dubois, regina di Scozia. Aveva sempre sognato diventarlo e ci sarebbe riuscita non le sarebbero importati i mezzi, doveva raggiungere l’obiettivo a ogni costo.

«Ho capito chi siete, - esordì Elena - il vostro gioco, il vostro invito … è una provocazione? Non osate rispondermi – pronunciò a denti stretti agguerrita più che mai- ma vi avviso: non permettetevi più di nominare mia madre, la mia genitrice era una nobile in tutto non come voi! » sbottò infuriata. Poche parole, non esplicite, ma il senso era ben comprensibile.

 Sbottò tutto come un fiume in piena, aveva voglia di sfogarsi, di piangere ma non l’avrebbe mai fatto: doveva stringere i pugni e trattenere le lacrime, non avrebbe mai dato una tale soddisfazione a quella femmina; abbandonò la stanza in fretta e furia incurante di urtare contro qualcuno o qualcosa.

 Intanto per Karine ancora nulla era sicuro, il suo stratagemma avrebbe portato a due conclusioni: o avrebbe avuto il principe tutto per sé o l’avrebbe perso per sempre, rischiando persino di essere esiliata.

 
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Correva a perdifiato e a ostacolare la sua voglia di fuga erano le scarpe che indossava: non c’era tortura peggiore o forse si? Certo che vi era, continuare una viscida conversazione con quella “femmina” malvagia. Per la contessina, Karine Dubois era una femmina non una donna.

Elena aveva sempre distinto le due parole; come una vecchia saggia si ripeteva sempre:“ Femmine ci nasciamo tutte, siamo noi che dobbiamo diventare donne.”

E sicuramente la baronessa francese non era una donna, bensì una femmina facile, materialista, vuota.

Stufa di non riuscire a evadere-e travolta dalla rabbia- semplificò tutto privandosi delle scarpe; con le sue mani rosee reggeva le calzature, e sebbene udiva voci che la pregavano di calmarsi o semplicemente di fermarsi, continuava a correre a testa bassa urtando di tanto in tanto con oggetti e persone.

Quell’atteggiamento tanto ribelle quanto inspiegabile non impiegò molto a catturare l’attenzione di tutti: guardie, servi, maggiordomi; tutti erano esterrefatti dal comportamento della piccola inglese, mai nessuna nobile aveva corso per i corridoi scalza, mai nessuna aveva portato luce in quel castello quanto lei.

Ora ciò che tutti si chiedevano era: perché quelle lacrime? Perché quell’angoscia che le stringeva il cuore? Molti servi provarono a fermarla tra cui anche il fedelissimo Lorry, ma non ci fu verso, ormai nella testa di Elena rimbombavano le frasi di quella nobile senza cuore o meglio “le frasi dell’amica intima del Principe ”. Non riusciva a capacitarsi di come quella avesse avuto il coraggio di parlare della buona e defunta Annalisa Roccaforte, sua madre.

Uscì in giardino, da qui si poteva distinguere perfettamente come si snodava l'intricatissimo labirinto posto sul retro del palazzo: al centro vi era un albero dai frutti maestosi e sebbene fosse febbraio, un mese invernale, i candidi fiori erano lì … sbocciati, bagnati dalla rugiada. Elena credé opportuno allontanarsi, se doveva piangere, voleva farlo dove nessuno l’avrebbe vista. Entrò senza porsi problemi di come sarebbe uscita, dalla finestra della sua stanza ogni sera fissava il dedalo, dall’alto sembrava così piccolo e, invece, l’aveva sottovalutato: era più grande e sorprendente.
Non le importò, stare sola le avrebbe fatto bene. Si alzò la gonna per evitare di inciamparvi e cominciò la sua irrefrenabile corsa. Tutto era imbiancato. Erano le 15:00 e circa un’ora prima, dal cielo erano caduti fiocchi di neve assomiglianti a batuffoli di lana, il terreno era più ghiacciato di sempre, ma stranamente era anche soffice, infatti, i suoi piedi minuti vi affondavano perfettamente come se il suolo fosse gelatina. Dopo dieci minuti di corsa, sospirò vedendo una panchina, finalmente si sarebbe riposata. Si sedette e senza pensarci si massaggiò i piedi ormai cubetti di ghiaccio.

Volse lo sguardo al cielo e, una goccia di pioggia le cadde sulla guancia destra, per un attimo, le lacrime del cielo si unirono alle sue.

« siamo amici intimi» imitò tra un singhiozzo e l’altro.

“Al diavolo le buone maniere, l’amore, i sogni, i cambiamenti. Al diavolo Alfred Grayson”, pensò. Come un barile, i suoi genitori l’avevano scaricata a quel trentenne che, sicuramente da lei come da tutte le altre, desiderava soltanto una passione carnale. Ciò che forse il Principe non sapeva di Elena era la sua unicità, l’impossibilità di essere comparata ad altre donne.

 
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 Lei aveva a malapena diciotto anni, era cresciuta tra i libri e i fiori, tra le lezioni di piano e la danza, non poteva gareggiare con le donne dell’alta società, materialiste, capaci persino di arrivare ai propri fini con mezzi subdoli. Non avrebbe mai dato scandalo né avrebbe commesso un adulterio … Elena non sarebbe mai stata quel genere di donna nemmeno con l’avanzar degli anni. Lei era diversa, necessitava distinguersi in quella società fredda e vuota.

Il vento, insistente com’era, in pochi secondi le scompose i capelli, l’aria le gelò per un attimo la tempia e si sentì ibernata. Un brivido le salì lungo la schiena facendola sobbalzare ma non le interessò più di tanto. I battiti del cuore stavano rallentando. Meccanicamente chiuse gli occhi immaginandosi di essere da tutt’altra parte, magari in uno dei suoi libri preferiti, con un bel cavaliere, qualcuno che avrebbe amato. Si abbandonò completamente che neanche il gelo la destò.

Era forse quella la morte?

No … era soltanto delusa.

Appena aveva serrato gli occhi, mentre immaginava un suo futuro anziché apparire il solito mr.Darcy o  altri personaggi irreali, si era raffigurato proprio lui: il temibile e donnaiolo Principe di Scozia.
Ultimamente, quell’uomo dal comportamento incomprensibile spesso occupava i suoi pensieri, che ne fosse attratta?

Si alzò stizzita, spalancando immediatamente gli occhi, incredula e disgustata di ciò che aveva pensato.« Cosa diamine mi viene in mente! Il freddo mi sta gelando il cervello in tutto e per tutto! »  si auto-rimproverò, pregando il Cielo di non pensare a quell’uomo né alla parola “noi”. Aveva un credo, una vera e propria bibbia e su questa una frase scritta a caratteri cubitali: mai provare sentimenti per uomini come il Principe, egoisti ed egocentrici.

«Beatrice! - esclamò una voce alle sue spalle. Una voce inconfondibile, che non sentiva da qualche tempo. Solo uno poteva chiamarla in quel modo. Si voltò di scatto, sorpresa, vedendo il cadetto biondo che le sorrideva incredulo. - Perdonate, volevo dire contessa.» proferì continuando a sorridere, si avvicinò a passi d’elefante e la abbracciò senza tentennamento; in un primo momento Elena fu esitante, dopotutto non vedeva il milite da quando a Herthford, in quella situazione inopportuna le aveva chiesto un bacio, ma poi si lasciò trasportare da quell’abbraccio che le emanava tanto calore e protezione.

Gli abbracci la salvavano sempre.

Si staccarono dopo interminabili minuti e il primo a rompere il silenzio fu Marco.

«Mi siete mancata in un’ entità che non riesco a quantificare … - proferì inaspettatamente.-Dopo il triste avvenimento, il Principe mi ha ordinato di ritornare con lui in Scozia e ho dovuto obbedire, ma appena l’ho accompagnato, a sua insaputa mi sono rimesso in viaggio per ritornare in Inghilterra, per raggiungere voi … avevo escogitato una fuga, la nostra. Volevo rapirvi- sorrise scioccamente ed Elena lo accordò per quieto vivere-volevo scappare con voi di notte, esplorare nuove terre solo voi ed io. - narrò tenendole le mani, gli occhi azzurri di lui erano fissi in quelli castani di lei.-Molte volte mi sono sconfortato, credevo di non avervi più vista.- calò un profondo silenzio, ma poi la vivissima proposta- Stasera, Elena partite con me. A mezzanotte nella stalla, ci sarò io e due cavalli. Scappiamo da questa realtà e siamo felici insieme. »

Elena lo fissò interdetta, era confusa e non avrebbepreso una decisione su due piedi, una scelta del genere necessitava tempo.

Dove sarebbero andati? Che cosa avrebbero fatto? Se il Principe si fosse messo sulle loro tracce, ci sarebbe stata la morte per entrambi. E ciò era tutto certo.

«Elena, voglio portarvi in salvo. » enunciò determinato. La giovane sapeva che avrebbe sposato un uomo superficiale, legato al piacere terrestre, ma l’espressione usata dal soldato faceva trasparire tutt’altro. Possibile che vi fossero celati dei veri e propri misteri nella fortezza scozzese? Chi era davvero Alfred Grayson?

Non ebbe tempo di porre alcuna domanda che qualcuno da non molto lontano, frustato, gridava il suo nome. Era proprio Alfred.

Marco come un ladro salutò Elena fugacemente ripetendo «Pensateci, a mezzanotte nella stalla ovest. Non vedervi mi procurerà una ferita indelebile. » le strinse le mani e si affrettò a nascondersi,
scomparendo tra i cespugli. Elena non diede risposta né al milite né al Principe che passo dopo passo inconsapevole si avvicinava a lei.

La breve ma intensa conversazione con il soldato le aveva fatto sottovalutarele gambe seppellite nella neve. Poteva persino morire per ipotermia, le temperature stavano sfiorando i gradi sottozero. Tentò di infilarsi le calzature per riscaldare i piedi ma erano troppo scivolosi perché adattassero perfettamente alla suola delle scarpe. Fu inevitabile il grande starnuto, che rumoroso, giunse anche ad  Alfred. La rintracciò in pochi istanti. Le apparve dinanzi e lei non ebbe neanche il tempo di nascondere le scarpe, che sfortunatamente, avevano deciso di non entrarle. Le gettò di colpo dietro a un cespuglio, ma erano visibili anche a un cieco.

“Maledetta mira!” pensò lei sfiduciata.

«Elena! –esclamò sorpreso ma anche sollevato. Le apparve dinanzi ed Elena non ebbe neanche il tempo di nascondere le scarpe, che sfortunatamente, avevano deciso di non entrarle. Le gettò di colpo dietro a un cespuglio, ma fu inutile:erano visibili anche a un cieco.“Maledetta mira!” pensò lei sfiduciata.- Che cosa ci fate qui, al freddo e da sola?Vi stiamo cercando da molto tempo.»domandò lui, rilassando i muscoli facciali, sereno di aver ritrovato la sua metà. Accennò un sorriso sebbene la fanciulla evitava guardarlo.

Si avvicinò lentamente, come un cacciatore con la sua preda, temendo che la giovane potesse allontanarsi bruscamente o addirittura sfuggirgli. Erano vicini ma lui la sentiva lontana, assente, non gli aveva ancora rivolto uno sguardo, neppure uno di quei soliti da bambina capricciosa, e ciò era maledettamente preoccupante.

Iniziò ad agitarsi cercando di non manifestarlo, doveva rimanere lucido e fare la cosa più sensata.

Non avrebbe dovuto e potuto perderla.

La fissava, mentre lei immobile continuava a guardarsi il vestito rosso.

«Capisco che amiate la natura ma … non credete di esagerare? Dopotutto ha appena nevicato. » nel vedere le scarpe gettate alla rinfusa accennò un risolino, sperando di essere affiancato dalla risata di Elena.

In quell’istante pensò di non averla mai vista ridere solo arrabbiarsi e piangere. L’aveva vista piangere stremata, uccisa dal dolore eppure appariva perfetta. I suoi occhi lucidi erano come due cristalli che lui voleva proteggere con cura, a ogni costo.

Non gli era mai capitato di stare bene con una donna semplicemente parlandoci, non aveva mai catturato l’essenza delle piccole cose.

Era sicuro: Elena era un angelo e lo stava conducendo in paradiso.

Lei continuò a tacere e Alfred capì.

Anche stavolta aveva sbagliato; possibile che fosse ancora arrabbiata, perché le aveva rivelato di aver visitato la sua stanza quando era a Herthford?

Elena alzò lievemente il capo, ma evitò comunque di rivolgergli qualsiasi occhiata.

«Elena finalmente … temevo di conversare con un corpo senz’anima. » proferì sollevato e senza pensarci due volte, si privò del suo pastrano per metterlo sulle spalle di lei. Involontariamente le sfiorò il collo e costatò quanto fosse freddo, avrebbe voluto abbracciarla, riscaldarla con tutto il suo corpo ma si sentiva impotente: come un bambino con la sua prima cotta. Una cotta? Amore? Alfred David Alexander Grayson non poteva essersi innamorato, eppure, come l’eccezione che conferma la regola, una sera, pensando a lei e a tutti i momenti trascorsi -tra litigate e tregue-le aveva scritto una poesia, un componimento che sicuramente le avrebbe consegnato ma anonimamente.

Le sistemò accuratamente il cappotto sulle spalle ed Elena inaspettatamente alzò il capo, i loro sguardi si scontrarono e le loro bocche erano più vicine dell’impensabile.

Lei rabbrividì e molto probabilmente anche lui.

Terrorizzata dal pensiero di provare qualcosa per Alfred distolse lo sguardo, avvicinandosi e sedendosi sulla panchina di marmo. Tremava e stringendo a se il cappotto cercava di riscaldarsi.

“Beh, non deve essere tanto arrabbiata con me, non ha rifiutato il mio cappotto.” Pensò Alfred accennando un sorriso di sollievo.

Le si sedette accanto. In silenzio le prese la mano tra le sue e cominciò a massaggiarle il palmo e il polso con vigore e, allo stesso tempo, delicatamente. Elena continuò ad avere il capo abbassato, ma gli osservava le mani; le infastidiva ma doveva ammetterlo: il contatto con Marco non era stato così avvolgente come quello con il Principe.                                                                                                                                                                                                                 
 «Tremate come una foglia, sarà meglio rientrare. »sostenne il sovrano, il desiderio di stringerla forte tra le sue braccia superava tutte le volontà, sarebbe stato un piacere sentire  il corpo minuto di Elena schiantarsi leggermente contro il suo, un piacere che gli avrebbe appagato l’animo da troppo tempo in subbuglio.

Era sempre stato un uomo insoddisfatto, qualsiasi cosa era sempre il nulla ma non da quando aveva conosciuto quella giovane ragazzina della campagna inglese. Aveva iniziato ad attribuire più valore alle cose, ai gesti, agli affetti … lei aveva una luce diversa, lei era il sole e, il sole si sa, splende di luce propria.

L’avrebbe conquistata come a Elena sarebbe piaciuto: l’avrebbe fatta sognare a occhi aperti.

«Grazie, è passato» mormorò lei. Alfred tratteneva ancora la sua mano.

«Credevo foste divenuta muta …»sorrise serafico, cercando di farla ridere con poco, non ci riuscì. Che cosa poteva inventarsi?Doveva prendere in mano le redini.

«E io credevo che voi foste diverso o per lo meno cambiato. » sbottò lei fissandolo. Grayson non disse nulla. Tenne i suoi occhi chiari fissi su di lei, con un’espressione imperscrutabile.

Ella fece per alzarsi ma lui la trattenne per la mano che teneva ancora fra le sue e la fece risiedere.

«Lasciatemi» enunciò risoluta.

Alfred spalancò gli occhi, meravigliato. Sapeva che la giovane aveva un carattere fuori le righe ma nel suo sguardo vi era vero e proprio odio. Dicendo quella parola, una scarica gialla le aveva illuminato lo sguardo e la sua mascella si era irrigidita al tal punto da assumere un’espressione seria, diversa dal suo solito.

«So che non sono nessuno per voi, e sappiate che non vi costringerò a fare nulla se non che sia di vostro gradimento. Non comprendo la ragione di questo vostro risentimento improvviso nei miei confronti, oggi in particolar modo siete gelida come questa neve, ma vi chiedo un favore, entriamo … continuate a tremare e vedervi congelare non potendovi abbracciare … » non poteva crederci, l’aveva detto! Si bloccò arrossendo improvvisamente. La giovane lo fissò interdetta, come se davanti a lei avesse un angelo, un essere divino. Il suo sguardo prudente si era addolcito, rilassato. Alfred avrebbe voluto dirle altro, avrebbe continuato con: “vedervi congelare non potendovi abbracciare è una tortura che il mio cuore non riuscirebbe a reggere.” Ma preferì rimanere in silenzio, aveva detto abbastanza e si sentiva ridicolo.

Elena deglutì, si alzò meccanicamente mentre boccheggiava incredula.

«Avevo omesso: questa sarà l’unica volta che vi costringo a fare una cosa senza il vostro consenso. - si fiondò su lei e avvenne tutto così velocemente che, Elena non riuscì a opporsi alla sua forza. Si trovò tra le braccia di Alfred, caricata come un sacco di patate sulle sue spalle, quel contatto le urtava maggiormente. Lui le teneva i fianchi, stringendola delicatamente per evitare di farla cadere-Pensavate davvero di camminare scalza? Non ve l’avrei mai permesso.- accennò una risata, fingendo di aver dimenticato il “E io credevo che voi foste diverso”.

«Mettetemi giù! » Strillava lei dimenandosi; tutto era futile, Alfred non l’avrebbe mai messa a terra.

Lui cominciò a camminare e, dopo tanti inutili sforzi, Elena capì che non c’era verso per scendere; si concentrò sul suo profilo: era così dritto e aristocratico e le sue labbra, erano di sicuro morbide. Era così perfetto. Come aveva potuto non notare prima quanto fosse bello? O aveva volutamente negato il suo fascino per riuscire, almeno per un po’, a sfuggirgli?

Lui se la rideva e sotto sotto sperava che a Elena quel comportamento non dispiacesse, e segretamente fu così: Lei lo odiava ma in quell’istante, inspiegabilmente, era felice.

 
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Era stato imbarazzante sostare per interminabili minuti in braccio ad Alfred, pochi istanti che le erano sembrati lunghi un’intera vita. Era così astuto e forte e solo in quella situazione si era resa conto di quanto la affascinava. Dall’altro però, lo detestava dal profondo dell’animo, non aveva dimenticato le parole di Karine e al 99,9 % con la mente perversa che si trovava il Principe sicuramente durante il rientro, le aveva fissato il fondoschiena appena visibile dalla gonna poco rigonfiata. Appena giunti nel grande atrio, provò a toccare con la punta dei piedi il pavimento ma Alfred si propose di accompagnarla nella sua stanza.

Nel corridoio incontrarono alcune vallette che, da consuetudine, cominciarono a spettegolare. Da precisare: Elena era ancora in braccio ad Alfred e le sue guance avvamparono più del dovuto, altro che freddo!

«Preparate un bagno caldo per la principessa e del brodo caldo. Muovetevi! » ordinò fermo. La piccola Hemsworth non poté credere ai suoi occhi, le aveva dato della “principessa”?

Alfred corse su per lo scalone ed entrò con foga nella camera di Elena, dopo aver dato una spallata alla porta. La depositò sul grande letto,«Riscaldatevi con un bagno caldo … tornerò appena sarete pronta. »proferì, abbozzò un sorriso rassicurante e andò via chiudendo la porta.

 
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Appena fu pronta la vasca di legno battuto contenente l’acqua calda, Elena si precipitò denudandosi velocemente. Maggy - la sua valletta personale- propose di lavarla ma umile com’era, Elena rifiutò palesemente. Dopo essersi asciugata e aver indossato la camicia da notte bianca con sopra la vestaglia di un rosa cipria, si  sedette al centro del letto.

Aveva un gran mal di testa. Si sdraiò e coprì i piedi nudi. Si appisolò.

Non passarono che pochi minuti, quando venne svegliata da Maggy che, come ordinato da Alfred, entrò nella stanza  e depose un vassoio sul comò.

«Contessina mangiate, altrimenti vi ammalerete! » disse premurosa, Elena accennò un sorriso congedendola. La serva lasciò la porta aperta.

La giovane rimase ferma, sebbene stesse sotto le coperte e il camino fosse acceso aveva ancora freddo. Prese a massaggiarsi le tempie e in quel momento lo vide, riflesso nello specchio della porta.

«Non avete ancora mangiato» affermò.

«Non ho fame. »

«Come volete.» diede risposta lui, si avvicinò al comò e prese il piatto. Si sedette sull’alto letto, facendo attenzione a non rovesciare il contenuto. Prese il cucchiaio e cominciò a imboccarla.

Elena si ritrasse.

«Mi sembrava di aver capito che non mi avreste mai costretto a fare nulla senza il mio consenso ad eccezione di prima, quando, senza rispetto mi avete caricata sulle vostre spalle come se fossi un sacco di patate. » sbottò nervosa e Alfred non captò la tensione, bensì scoppio a ridere per l’espressione “sacco di patate”.

«Avevo dimenticato anche questa eccezione … perdonatemi, sono profondamente amareggiato. » recitò scherzoso.

«Vi diverte prendermi in giro? » domandò seccata.

«Se volete che non vi prenda in giro … sapete cosa dovete fare. » sollevò il piatto, abbozzando uno dei suoi sorrisi perfetti.

Scocciata, Elena aprì la bocca e mandò giù il primo cucchiaio.

«Brava bambina.»

«So mangiare da sola.-fece una pausa- Perché non andate a imboccare la vostra amica intima, invece d’importunare me?»

Alfred si tirò indietro,  corrucciò la fronte confuso, gli occhi  erano due fessure.

Elena voltò il viso dall’altra parte. Era furiosa « Mi riferisco a Karine Dubois … sembra che vi siate divertiti quando ero a Herthford a piangere la morte di mia madre. »

Riportò lo sguardo su lui, gli rivolse un’occhiata sdegnosa, lui era impallidito.

«Cosa c’è Principe? Pensavate che non l’avrei scoperto? Pensavate che non avrei capito che genere di uomo siete? Voi siete il più infido, degenerato, mascalzone bugiardo che sia mai esistito!- sbottò e quasi le uscivano le lacrime.-Per un attimo ho creduto che foste cambiato ma il lupo perde il pelo non il vizio- si girò dall’altra parte per  nascondere le lacrime- per favore, uscite da questa stanza. » esortò tremante poi con i capelli che le caddero dalle spalle, si coprì il viso. Sentì dei passi allontanarsi e quando si girò dove lui era seduto, appurò con profonda malinconia che non c’era più. Le lacrime le caddero nel brodo e sentì freddo, un freddo interiore.

 
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«La baronessa è in camera? » domandò Alfred apparentemente calmo alla valletta personale di Karine Dubois.

«Sì, vostra altezza. »

La stanza non era chiusa a chiave, entrò senza bussare e richiuse la porta dietro di sé sbattendola con forza.

La francese era seduta allo scrittoio intenta a pettinarsi i capelli, dal rumore della porta e dall’espressione facciale del Principe aveva dedotto un cattivo segno.

«Alfred!» esclamò sorridente fintamente sorpresa.

«Non permetterti di chiamarmi Alfred - digrignò avvicinandosi a lei sdegnato -anzi non chiamarmi per niente!- sbraitò, i suoi occhi erano due tizzoni ardenti.-Che cosa hai osato dire a Elena, lurida sgualdrina?» domandò serrando la mascella e manifestando il più assoluto ribrezzo.

«Che cosa dite voi, sire? Io non ho fatto nulla.» fece lei scandalizzata.

«Non avete fatto nulla? - gridò lui, si avvicinò allo scrittoio e afferrò il collo di Karine.- Siete una prostituta, non avete valori, e invidiate Elena … ma vi do ragione, essere come lei è impossibile. Non a tutte è destinata la perfezione, no?Meritereste le pene peggiori ma l’inferno esiste e mi auguro che voi ci brucerete dentro, giorno dopo giorno , minuto dopo minuto. » lei mantenne lo sguardo, uno sguardo pienamente accidioso, le mani di Alfred continuavano a premerle il collo e se avesse continuato, l’avrebbe soffocata;dopo interminabili minuti mollò la presa, schifato. Lei tossì ripetitivamente.-Preparate le vostre cose e sparite, non vi voglio più tra i piedi e ringraziate la mia futura consorte che mi ha fatto cambiare, altrimenti a quest’ora già sareste al patibolo.  Non ordino né di impiccarvi né trucidarvi, ma state pur certa che le mie guardie saranno sempre sulle vostre tracce e se vi troveranno, non esisterà Dio che potrà salvarvi. State lontano da me e dalla mia Elena. »enfatizzò mia.

Karine evitò il suo sguardo e ad alta voce chiamò la serva, che poco dopo, sopraggiunse. Insieme cominciarono a preparare i bagagli ma era davvero la fine? La resa di Karine Dubois?

Certo che no.

Sarebbe scesa in campo e, quando l’avrebbe fatto, sarebbe stata sicura di vincere. Avrebbe cercato il fedele servitore di tanti anni fa, quello che aveva tolto la vita a Mira Speranski e se questi si fosse rifiutato, non avrebbe avuto problemi a ucciderla con le sue stessi mani.

 L’unica cosa certa fin da sempre era che Elena Hemsworth doveva morire.


 
Spazio Autrice:
Non trucidatemi, vi supplico!
So benissimo che sono due mesi e anche più che non aggiorno, ma avevo 0 ispirazione … vi sono sincera.
Un giorno però, scrivendo qualcosa-che inizialmente non mi convinceva-
ho iniziato a scrivere come un fiume in piena e con l’immaginazione ho messo giù qualcosa.
Come l’ennesima volta, ho cambiato il presta volto di Elena,
tranquilli adesso sarà per sempre e solo Lily Collins, poi immaginatela come vi pare :P .
Ci saranno sicuramente errori o sviste, ma è uno dei capitoli che amo, ci sono davvero tanti avvenimenti:
Karine non è riuscita nel suo intento, anzi è stata persino esiliata.
Marco è tornato e progetta una fuga con Elena, cosa le dirà?
Alfred, secondo voi, come si è comportato?
Spero davvero di sentirvi, mi auguro dal profondo del cuore che non mi abbiate abbandonato.
Un appello va a quelli che seguono, ma non recensiscono:
mi piacerebbe sapere cosa vi ha catturato della mia storia,
il vostro personaggio preferito, anche solo una riga.
Baci e al prossimo capitolo, vi amo!

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Capitolo 18
*** Diciassettesimo Capitolo. ***


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Il mio unico amore spunta dal mio unico odio ora so chi sei e non posso tornare indietro…
 Mostruoso la nascita di questo amore proprio per il nemico più odiato.

William Shakespeare

Diciassettesimo Capitolo



Elena si alzò concitatamente, Alfred dov’era andato? Appena l’aveva cacciato, non aveva opposto resistenza né l’aveva trattata male. A mente e a sangue freddo non credeva di averlo fatto. E’ vero, era sempre stata ribelle ma forse la rabbia non le aveva consigliato la scelta giusta; Sebbene se ne pentisse giacché non solo aveva violato una delle prime regole dell’etichetta ma anche perché lui fosse più grande e, non meno importante, era il padrone di casa, non gli avrebbe mai chiesto perdono. Alfred Grayson non era Dio né tantomeno meritava le sue scuse.
Tentò di calmarsi sentendosi mortificata come una bambina dopo aver rotto un vaso prezioso.

«Sì … ho sbagliato, - ammise discolpandosi – avrei dovuto … - s’innervosì ulteriormente non trovando il termine adatto, si avvicinò alla porta e, con un’occhiata fugace, si affrettò a chiudere la stanza- Ma anche lui ha le sue colpe, con quella femmina … Un uomo così non può essere mio marito, mai! » digrignò a denti stretti adirata più di sempre.

Camminava spedita per la stanza, incurante che i suoi piedi, -seppure il camino fosse acceso - erano ancora freddi. Il suo problema da quando era arrivata in Scozia era quell’uomo; appena messo piede al castello, l’aveva esasperata con la sua prepotenza e il suo carattere bipolare, ora, invece, nonostante lei continuasse a trattarlo male, lui si preoccupava se saltasse i pasti, se sentisse freddo e le rivolgeva attenzioni che a qualsiasi donna fanno piacere. Sopraffatta dalla rabbia, iniziò a spazzolarsi i capelli o meglio, il gesto, violento com’era, sembrava proprio che li stesse estirpando dalla radice. Travolta dalla collera, le scappò un urlo che pensò subito di soccombere giacché avrebbe catturato l’attenzione dei servi del piano, facendoli accorrere. Si lasciò cadere, come petali appassiti, sulla poltrona dinanzi al camino. Se odiava Alfred, perché quella reazione di gelosia? Le parole di Marco tanto dolci quanto confusionali l’avevano portata a un bivio: cosa avrebbe dovuto scegliere?Il suo cuore non lo sapeva. E ciò voleva dire soltanto una cosa: il Principe donnaiolo e prepotente non le era del tutto indifferente.

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Continuava a fissare passivamente le fiamme che divampavano nel camino. Per un attimo staccò lo sguardo dal fuoco portandolo alla clessidra sullo scrittoio. Decise di alzarsi e giocarci per un po’.
“Il tempo sta per scadere” pensò afflitta. Alzò gli occhi castani a un cielo tanto triste: il chiarore della luna più pallido di sempre era ostacolato da qualche nuvola guastafeste.
Pensò alla sua vita e a come sarebbe stato il suo futuro.

Una vita che non puoi decidere tu, che vita è?

Il tempo scorreva, l’orologio appeso alla parete indicava le 11:50 p.m, altri dieci minuti e avrebbe incontrato Marco nella scuderia … Doveva andarci, ma non sapeva ancora cosa avrebbe fatto.
Si sentiva abbandonata al suo triste destino, minuscola in un mondo immenso e governato dall’ingiustizia. Era certa di trovarsi in una gabbia di matti, in una società dove la donna non deve fare altro che assecondare le pazzie di un uomo folle. Lei avrebbe dovuto sposare il principe, un animale,  anche se ultimamente aveva un effetto strano su lei. Chi era davvero Grayson? Che ci fosse una parte che non aveva ancora rivelato? 

Dopo aver cacciato la viscida baronessa, infatti, Alfred era passato nel suo studio per prendere una piccola pergamena, dirigendosi poi al piano di Elena.
Come si era prefissato, la porta della stanza era chiusa e ciò gli aveva semplificato il lavoro; accovacciandosi, aveva depositato il foglietto sotto la porta augurandosi che un servo curiosone non avrebbe rovinato la sorpresa; mentre si alzava, aveva poggiato l’orecchio alla porta speranzoso di sentire Elena, gli sarebbe bastata anche un’imprecazione ma nulla.
“Starà dormendo” sibilò dispiaciuto, immaginando il corpo minuto della giovane in un letto tanto grande quanto freddo.  

Era bella anche quando dormiva. Lei lo era sempre.

Accennò un riso nervoso, scosse a destra e sinistra il capo, quasi per allontanare pensieri perversi che mai come quella volta, non gli avevano sfiorato il pensiero.
Non sapeva da cosa Elena si caratterizzasse, ma era diversa dalle altre. Occupava sempre la sua mente ma non per pensieri depravati anzi, per vere e proprie riflessioni di vita.
Come aveva fatto una ragazzina insopportabile quanto ribelle a cambiarlo? Era così strano che non riusciva a capacitarsene. Tutte le certezze erano crollate, sapeva solo che da quando l’aveva incontrata, inevitabilmente, si era fatto una promessa: la avrebbe protetta ovunque, da lontano, in silenzio. E se stesso lui fosse stato un pericolo, l’avrebbe difesa anche da se stesso.
«Buona notte- sussurrò amorevole.- mio sole … » accennò un nuovo sorriso e silenzioso andò.

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Era notte e, le campane vicine, rimbombanti, indicavano la mezzanotte. Marco era pronto. Silenzioso si era diretto nella stalla sul retro, prendendo con sé lo stallone più energico e veloce, poteva immaginare i tanti pericoli ma di certo non sapeva cosa sarebbe accaduto quindi «Meglio munirsi bene …» si era detto. Aveva preso l’indispensabile: abiti per ripararsi dal freddo, nutrimento per il cavallo, viveri per lui ed Elena tra cui fette di torta alla frutta che aveva rubato dalla cucina del palazzo.

Vicino al traguardo, fiero del suo piano, aspettava Elena. A breve quella ragazza avrebbe sceso le scale e insieme sarebbero fuggiti coronando il loro sogno d’amore o meglio dire “il piano che Marco stava progettato da anni senza avere il modo di attuarlo”. Ebbene sì, Elena era il modo, l’oggetto di vendetta.
Marco non la amava, ma ciò non voleva dire che non aveva tenuto a lei. Durante la rivolta, quando si videro per la prima volta, lui restò stregato dal concentrato di bellezza e dolcezza di Elena al punto da definire “Beatrice” un tramite tra l’uomo e Dio.

Col tempo le cose cambiarono, scoperta la vera identità della giovane, i suoi sentimenti svanirono, continuando a essere galante con la ragazza ma soltanto per uno scopo personale. Lui bramava una vera e profonda rivincita, come Alfred aveva privato a Mira di vivere, così avrebbe fatto lui con Elena.

Una vita per una vita.

Avrebbe portato la ragazza con sé, e il sovrano pensando che Elena l’avesse abbandonato per sempre, sarebbe impazzito. Doveva marcire nell’angoscia, provando il medesimo dolore di quando il cadetto, trovando il corpo senza vita di sua sorella, morì dal dispiacere.

«A breve sarà qui … me lo sento …» si rincuorò  vedendo il tempo scorrere e nessuno apparire sulle lunghe scale. Inspirò ed espirò. Aveva organizzato tutto, non avrebbe permesso a niente e a nessuno di rovinare i suoi piani.


E così fu. La figura di Elena apparve all’atrio, avanzando incerta sulle grandi scalinate di marmo che la dividevano dal cadetto.
Un sorriso spontaneo nacque sul volto del  cadetto, ma quando le lanterne che illuminavano fiocamente misero a fuoco la figura di Elena, Marco constatò che ella era in vestaglia e senza calzature.
Era scalza per evitare che la servitù si svegliasse? No, nessuno l’avrebbe sentita, le stanze distavano kilometri. Era forse un rifiuto? Rabbrividì al solo pensiero. Non aspettò neanche che gli arrivasse vicino che domandò come un fiume in piena;

«Cosa mi significa?  Perché siete in vestaglia?- camminava circolare - Non siete sicura? Che cosa credete ci sia di sbagliato?» sgranò gli occhi, stravolto dall’incredulità e dalla rabbia.
Elena si sentì assalita da quelle innumerevoli domande, respirò a pieno, non aveva intenzione di ferirlo, ma doveva riferire ciò che sentiva in quel momento.
«Tutto, tutto è sbagliato.» rispose cercando di assumere coraggio. Era assurdo, aveva tentennato diversi minuti cercando di mettere in piedi un discorso con senso logico e che non ferisse tanto e, invece, era lì, in silenzio. Era complicato far coincidere entrambe le cose. Sapeva che quella scelta avrebbe stravolto tutto allontanandosi definitivamente dal cadetto.

«Elena, io non capisco … Cosa vi trattiene qui? Non avete nessuno e peraltro siete costretta a sposare...  una bestia.» Aleksej era inferocito, cercava di non urlare ma l’ira aveva già preso il sopravvento. Le lacrime scendevano incontrollabili sulle guance di Elena che cominciava a odiarsi, si era promessa di non piangere e, invece, per l’ennesima volta aveva assunto un comportamento infantile.

«E’ il mio destino, milite, - balbettò asciugandosi le lacrime con i polpastrelli. Sospirò - e poi … anche se vi seguissi la mia anima e il mio cuore, non sarebbero con voi …» dichiarò inaspettatamente.

«Come potete essere tanto corta di mente?- sbuffò il cadetto mettendosi la testa tra le mani, stremato.-In che senso la vostra anima rimarrebbe qui?Lo amate? – spalancò le orbite e accennò una risata nervosa. Si fece serio, constatando la gravità della situazione.- Elena rispondete. »

«Io … non sono innamorata di lui …» rispose tremante dopo lunghi attimi di silenzio.

«E allora perché tremate? Perché non mi guardate negli occhi?- le alzò il mento, costringendola a fissarlo.- Non vi è indifferente, lo leggo nel vostro sguardo.»

Elena si allontanò dalla presa, infastidita.

«Io non lo so, è crudele … ma mia madre non avrebbe voluto una cosa del genere. Sono sempre stata la figlia rispettosa, con un certo autocontrollo e già con la rivolta, ho mandato all’aria tutta la mia buona condotta e, infatti, sul mio conto girano cattive voci.  Tutti mi considerano una matta.» specificò disgustata di se stessa.

Marco dovette fingersi premuroso e a malavoglia la rassicurarò.

«Se è questa la vostra decisione, non la contesto. Resterò qui con voi...» enunciò lui con un nodo in gola.

«Grazie … - proferì lei abbattuta, gli accarezzò le mani in segno d’affetto e le strinse dolcemente.-perdonatemi ancora …» lo guardò ancora una volta e lasciando la presa si voltò per salire le scale.

Era quella la scelta giusta? Trascorrere una vita intera con un Principe senza amore e sicuramente essere la sovrana più raggirata di tutti i secoli?

Salì il primo scalino poi si arrestò.

Si girò verso Marco che aveva preso le redini del cavallo per riportarlo in scuderia.

«Marco … - proferì con un filo di voce, lui rimase inerme leggermente speranzoso che avesse cambiato idea.-Perdonatemi ma ho un dubbio che mi affligge … -proferì titubante.

Lui fece spallucce e le chiese di continuare.

«Avete scritto voi la poesia che ho trovato poco fa sotto la porta della mia stanza? »

Il cadetto spalancò gli occhi, confuso. Si guardò intorno indeciso su cosa dire e su cosa fare. Non aveva scritto niente di niente, ma Elena sembrava curiosa. Chi le aveva potuto scrivere una lettera? Chi era così romantico? Grayson? Impossibile, uno come lui non aveva mai ricorso a tale romanticheria.

«Pensavo che sarebbe stato un ottimo metodo per convincervi … -Mentì fingendosi imbarazzato - ma è stato tutto futile …»

Elena abbozzò un flebile sorriso, si avvicinò per accarezzargli le guance rosee e dolcemente gli spostò una ciocca di riccioli biondi che gli coprivano lo sguardo smeraldo, illuminato a intermittenza da una lanterna lì poco vicina che si muoveva in base alla rotta del vento.

«Che ne direste di recitarmela? E’ così bella … »

Per interminabili secondi il ragazzo restò in silenzio, inerme.

«Beh … temo di confondermi, è anche abbastanza lunga, sono più bravo a scriverle che a recitarle …» rispose poi balbettando, cercando di arrampicarsi sugli specchi.

«Che io ricordi è breve …» sostenne Elena perplessa.

«Anch'io rimembro lo stesso …» sopraggiunse una terza voce, impossibile non riconoscerla.

La giovane si voltò lentamente e il suo cuore smise di battere per qualche secondo. Alle sue spalle c’era il temibile Alfred. Era arrivato senza fare rumore e l’espressione sul suo volto era apparentemente rilassata.
«Vostra altezza!»  esclamò Elena impaurita.

«Si Elena, ottima intuizione, sono io, disturbo?» rispose ironico Alfred scendendo le scale che lo dividevano dai due.

Rivolse un’occhiata ai due e avvicinandosi al cavallo, prese il sacco poggiato sul torso dell’animale; con un’occhiata fugace guardò il contenuto. Accennò un ghigno.

«No...stavo andando via, cioè nelle nostre corrispettive stanze. » enunciò Elena in preda al panico.

«No no, continuate pure. Ero soltanto curioso. E si sa, il desiderio di sapere è uno dei peccati più gravi dell’uomo, lo conduce alla rovina …»

La contessa deglutì spaventata, Alfred, però si mostrava rilassato. – Voi Elena, cosa ne pensate?- domandò sereno accennando un lieve sorriso.

Quella ragazza gli avrebbe potuto puntare anche un pugnale dritto al cuore, ma lui l’avrebbe guardata sempre come se dinanzi avesse un angelo.

Elena respirò faticosamente, quella notte era maledetta, lo sentiva dall’aria che in quell’istante era divenuta ancora più greve.

«La curiosità rende l’uomo vivo- farfugliò spaventata - un uomo senza interesse è un uomo inutile.»

Il nobile rivolse a Elena uno dei suoi soliti sguardi di ammirazione, anche in quella situazione la sua promessa sposa era stata esaustiva.«Ottima osservazione, ora che anche la Contessa ha appurato che la curiosità è legittima, cadetto ti esorto a dire ciò che devi senza alcun timore.»

Marco abbassò lentamente lo sguardo irrigidendo la mascella.

«Non ho nulla da dire, vostra Altezza. » pronunciò sicuro.

«Ma come? Sono curioso di sapere il componimento tanto apprezzato dalla contessa.- scoppiò in una risata finta. Quando si fu calmato,  esplicitamente proferì- Non sei stato tu. –Elena si voltò verso Marco, confusa. – Elena, siete delusa? Già … che scempio approfittarsi della dolcezza e inesperienza di una povera donna, a quale scopo, milite?E me? Non eravamo amici un tempo? Dovreste sapere che un sentimento profondo come l’amicizia non si fonda sulle menzogne né sui segreti. Non sono un moralista, quindi lasciarmi la paternale non è il massimo ma permettetemi di dirvi, caro soldato, che avete agito alle mie spalle e non so quanto può essere positivo... – accennò un sorriso umoristico e dando un leggero calcio a un sassolino continuò -perché agire in modo così villano?- guardò Marco per tutto il tempo con espressione piena di astio - Per amore o egoismo? »

 Il biondo lo fissava con sguardo di sfida e non osò abbassare il capo.

Elena, avvertendo la tensione che si andava a creare a ogni minuto, si augurava dal profondo dell’animo che la situazione non sarebbe sfociata in un conflitto all’ultimo sangue.

«E’ tarda notte, siamo tutti molto stanchi, è meglio andare a dormire.»suggerì, sperando che la sua benevolenza avrebbero allontanato il Principe da pensieri negativi.

«No, no, anche se volessi, non riuscirei. Sarebbe atroce tentare di dormire mentre un martello continua a battere nella testa, qui precisamente- indicò il centro della tempia- sempre più forte, al punto da farmi impazzire. Mi sono state nascoste non poche cose e ho il diritto di scoprirle.» appurò Alfred senza scomporsi né alterarsi. La sua tranquillità infastidiva ulteriormente il cadetto.

«Non c’è nulla da scoprire …» sussurrò la contessa discolpandosi.

«Ah no, Elena? Credete sia così stupido?-le urlò contro e anche stavolta la loro vicinanza si era azzerata.-Perché stare a quest’ora, qui fuori, con quest’uomo? » nella voce di Alfred si avvertì qualcosa di rotto, non un semplice nervosismo bensì qualcosa travolto dai sentimenti.

Elena lo fissò attentamente e fu in quel momento che capì: Alfred era orgoglioso, uno stupido provocatore e debole di donne, ma sotto strati di insolenza ed effimeri desideri aveva un cuore, un cuore che aveva cominciato a palpitare da poco.

Qualcosa cambiò. Dai piedi infreddoliti sino al capo, Elena si sentì invasa da migliaia di particelle che erano entrate in funzione solo in quell’istante, mai aveva provato tale reazione. La temperatura della notte era bassa eppure si era surriscaldata tanto da paragonarsi a un camino in cui il fuoco divampa sempre di più. Alfred era ferito. Alfred soffriva come qualsiasi altro umano e chissà, forse non era la bestia che tutti credevano.

 
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A Elena mancò il fiato e per secondi interminabili restò immobile, con la bocca leggermente socchiusa e gli occhi fissi sul Principe.

Perché nonostante il male che le aveva fatto non riusciva a odiarlo?

«E’ ora di giocare a carte scoperte. Hai tramato fin troppo alle mie spalle. – il sovrano si privò della maschera della tranquillità, mostrandosi innervosito. Lanciò un’occhiata scadente al biondo, il suo tono era paragonabile a un tuono in un cielo visibilmente calmo ma che a breve sarebbe stato squartato dai lampi. - Elena, vi esorto a recarvi in camera vostra. –la giovane si mostrò ostile- Non succederà nulla … rassicurò lui guardandola dritto negli occhi, lei rivolse un’occhiata indecifrabile a Marco.

«Se anche il milite è d’accordo, vado. » A ciò, Alfred fissò Marco e indirettamente con i suoi occhi azzurri magnetici esortò il cadetto in silenzio ad acconsentire.

«Sì … andate lady Elena.» rispose Marco con angoscia. Irrigidì la mascella, ulteriormente agitato .

La contessina si voltò e senza accennare alcuna riverenza, salì il primo scalino e poi il secondo fino a sparire dietro il portone del grande atrio.

Nella mente di Marco viaggiavano immagini e frasi piene di rancore. Ora che era da solo con Alfred, al buio, il desiderio di ucciderlo era più acceso di sempre. Ma per il momento, il Principe con la sua calma, era stato capace di far saltare un intero piano progettato da mesi e quindi gli conveniva restare calmo.

«Cerca di riposare, all’alba, sulla collina del fiume. Non farmi aspettare. » proferì chiaro Alfred e con non-chalance salì lentamente le scale.

Quello di Alfred non era l’invito a un allenamento, bensì a un duello all’ultimo sangue.

 
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L’alba era quasi sorta e, i due sfidanti, sotto l’albero dai fiori rosei, attendevano lo sparo che avrebbe segnato l’inizio della sfida mortale. Marco, non avrebbe voluto presentarsi all’incontro ma ciò che lo aveva spinto a non tirarsi indietro era la sua preparazione militare. Contro Alfred avrebbe sicuramente vinto.
Per volontà del Nobile lo scontro si sarebbe basato sul combattimento medievale: armi pari, difendersi e attaccare con la propria spada senza ricorrere a vigliaccherie del tipo nascondere armi da sparo negli stivali o nella tasca di camicia di lino bianca. Tutto doveva essere legale.

Il sole, incerto e ostacolato dalla foschia, tentava di sorgere prima del dovuto. Intanto, anche quella mattina di fine Febbraio come le altre, il freddo batteva forte contro i ramoscelli delle flessibili piante.
Il bavero di Alfred continuava a sventolare, spazientito, il nobile lo sistemò per l’ennesima volta. Si augurò che il vento di lì a poco avrebbe smesso, poiché se fosse stato il contrario, assieme alla nebbia avrebbe impedito una limpida visibilità e quindi schivare i colpi in tempo, sarebbe stato impossibile.

Maurice, lo sparviero, stringeva la pistola in un pugno mentre avvicinava l’indice al grilletto. Tutto era anomalo: Marco e Alfred avevano condiviso tanti momenti, gioie e dolori, erano stati seduti allo stesso tavolo mandando all’aria le regole dell’etichetta, si sborniavano assieme e … tutto di un tratto erano lì, l’uno contro l’altro in un duello, dove solo il più forte l’avrebbe spuntata.

 Uno vince e vive, l’altro perde e muore.

E’ la legge della vita. E’ la legge del più forte.

Il moro fissò il suo ex compagno con uno sguardo colmo di odio, non avrebbe avuto nessuna pietà, anche se forse sarebbe stato proprio lui a salutare il mondo.  Alfred lo aveva messo in conto ma non sembrava spaventato anzi, al suo fedele servitore Lorry aveva detto «Non temo la morte perché mi batto per la mia vita. » Una frase apparentemente innocua e incognita ma se ben capita, si manifestava come una vera e propria dichiarazione: Alfred reputava Elena la sua vita.

La felicità di Lorry era evidente, finalmente quel Principe avido riscopriva i veri valori ... ma era in tempo?

Il cadetto guardava restio l’avversario, accennando di tanto in tanto sorrisi istigatori, cantando vittoria prima del previsto.

Alfred si schiarì la voce, timoroso che quella che stava per dire si sarebbe avverato.

«E’ probabile che mi batterai, quale onore uccidere un uomo illustre come me … - fissò la spada assicurandosi che la lama fosse ben affilata- la tua vittoria è più che certa, sono anni che non mi alleno come si dovrebbe, ma non m’importa, forse... se tu ed Elena mi aveste detto quello che c’era tra voi, vi avrei lasciato liberi  senza problemi. » enunciò d’un tratto, Marco restò basito. Alfred Alexander David Grayson aveva davvero detto quelle parole.


«Ma per favore!- sbraitò Marco dopo essersi ripreso - non rendetevi ridicolo, vi conosco, con me non c’è bisogno di maschere. So la vostra vera natura. » digrignò, estraendo la spada dal fodero.

Il principe lo fissò ulteriormente innervosito.«E quale sarebbe la mia natura, dottore? Certamente migliore della vostra, non siete altro un vigliacco che ha tramato tutto alle mie spalle! Ora non voglio sapere niente, dimostrate tutto nel combattimento e, se…»

Marco lo interruppe con una determinazione mai presente come allora,«Non c’è nessun se Alfred, io ti batterò.» omise il titolo e altre cortesie per pura volontà, ora erano al medesimo livello.

«Bene. » fu l’unica cosa che il nobile riuscì a dire, guardò Maurice dandogli il segnale di sparare.

Lo sparviero fece cenno di sì col capo, impugnò l’arma e la sollevò al cielo.

Uno sparo rimbombante fece sollevare in volo gli uccelli che attimi prima erano posati sul ramo dell’albero.

L’inizio della fine era cominciato.

 
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La contessa, come Alfred le aveva chiesto, era ritornata nelle sue stanze; chiudere occhio era stato impossibile e quindi aveva trascorso quelle ore di agitazione aggirando per la stanza, spiegando le tende, controllando abiti e mettendo a posto ogni piccola cosa che fosse in disordine. Doveva distrarsi, i cattivi pensieri le avrebbero causato incubi a occhi aperti. Si diede una ripulita autonomamente senza ricorrere alle vallette, indossò un abito bianco che scendeva lineare permettendole così facili movimenti. Doveva parlare con il Principe. Non importava l'ora che fosse.
In cuor suo continuava a credere che ci fosse qualcosa di sbagliato, che non era come dovrebbe.

Si fissò allo specchio, chiuse gli occhi inspirando ed espirando. Li riaprì solo quando si sentì sicura. Aprì la porta titubante.

La sua meta era lo studio di Grayson. Non le sarebbe importato se questi stesse ancora dormendo, lo avrebbe aspettato lì, con la faccia insonnolita risultato di una notte insonne  e preoccupata.

Fu sorpresa nel vedere che a pochi passi dalla sua stanza vi erano Lorry e altri due servi che discutevano accesamente. Si avvicinò lentamente e quando questi si accorsero della sua presenza, si zittirono improvvisamente.

« Anche qui sono l’oggetto di conversazione, il giudizio di Herthford era troppo poco, non è così?» sbottò delusa.

Lorry gonfiò il petto, s’inchinò dispiaciuto balbettando «Vostra Grazia, non parlavamo di voi, non ci permetteremo mai.» gli altri a mo’ di robot acconsentivano con il capo.

Elena abbassò il capo,  mortificata per la sua acidità.


«Perdonate me Lorry, -fece una pausa- avrei bisogno di parlare con il Principe, che lei sa, è ancora nelle sue camere? » domandò con tono pacato sistemandosi la ciocca di capelli che le era caduta dinanzi lo sguardo.

Il maggiordomo fece segni ai colleghi di allontanarsi, Elena strabuzzò gli occhi sospettosa.

«Non credo che abbia avuto il tempo di riposare contessina, si è allenato tutta la notte. »

«Allenato? » chiese Elena scettica.

«Non sapete nulla vero, vostra Grazia? »chiese a sua volta il valletto, sentendosi profondamente amareggiato, non era mai stato bravo a dare brutte notizie.

«Che cosa dovrei sapere Lorry?» Elena restò ferma, immobile. Le iniziò a girare vertiginosamente la testa preparandosi al peggio.

«E’ in corso un duello tra il Principe e il cadetto Marco. » specificò deglutendo.

In quell’istante ciò che era più nitido divenne velato, anche la constatazione più ovvia diveniva dubbia. Una vampata di calore le salì alla testa facendole perdere per un attimo l’equilibrio, Lorry si avvicinò, le tenne i fianchi per evitare che cadesse. Fu un istante che durò un’eternità. Quando aprì lentamente gli occhi, teneva la bocca leggermente socchiusa come se fosse l’unico organo con cui potesse respirare. Era in piedi, anche se si sentiva sprofondare nelle stesse gambe. Le girava la testa e istintivamente la toccò come se il contatto con questa avesse potesse alleggerire il dolore.

«Vostra grazia … ora vi accompagneranno in camera vostra …» disse indicando due servitori.

«No, no! – proruppe- io … sto bene. - proferì, anche se non sembrava, intanto, una lacrima le rigò la guancia.- E’ uno sciocco …» pensò a voce alta. Elena cercò di non mostrare la sua sofferenza, teneva il piccolo viso fanciullesco nascosto tra i folti capelli che cadendo scompigliati davanti, le coprivano gran parte del volto. Aveva il capo abbassato ed era profondamente abbattuta.

«Beh … almeno non è fuggito. E’ un cadetto degno di essere tale. » considerò il valletto cercando di tranquillizzarla.

 «Mi riferivo al Principe, avrà fatto anche tanti errori ma la Scozia ha bisogno di lui. » enunciò con voce rotta dal pianto.

« E voi? Avete bisogno del Principe?» domandò spontaneo pentendosene subito dopo.

Elena si schiarì la voce, rispondendo con un'altra domanda«Dov' è il combattimento? » domandò determinata fissando gli occhi piccoli e vecchi del maggiordomo .

«E’ una collina qui vicino, riconoscibile perché è l’unica ad avere un corso fluviale ma con questo freddo sarà di sicuro ghiacciato. Gli zoccoli di cavalli scivolano agevolmente, è impossibile andarvi con una carrozza. » informò intristito.

«Bisogna fermarli prima che sia troppo tardi. » dichiarò sicura di sé.

«Se solo fosse possibile, vostra grazia … c’è una tempesta in arrivo, dobbiamo solo sperare che vinca il migliore. » Lorry aveva voglia di manifestare la sua tristezza in un pianto di sfogo, conosceva il Principe più d chiunque altro, l’aveva visto nascere e mostrare la sua vera natura debole e profonda e non meritava di morire in quel modo, lui doveva vivere.

«La vera tempesta ci sarà se lui non tornerà. - disse Elena, si asciugò rapidamente le lacrime e fissò l’uomo che aveva dinanzi-Andrò personalmente, senza nessun cocchiere. »

Il paggio non ebbe tempo di controbattere che Elena era già lontana, si era affrettata a raggiungere il grande atrio per poi dirigersi verso la stalla.

Lorry ordinò alle guardie di fermarla ma in quanto servo non era suo compito dettare ordini e di certo non poteva e non voleva ostacolare la forza dell’amore.

Elena raggiunse la scuderia e ignorando lo stalliere, prese un cavallo bianco, era un purosangue arabo dotato di una velocità superiore ad altre razze di equini. Montò in sella e ignorando il vento forte che a cavallo aumentava maggiormente, partì.

Nella vita le erano stati imposti molti limiti, per la sua nobiltà era necessaria la razionalità, la scienza era giusta, la fantasia, una finzione.  La mente conduceva sulla retta via, il cuore era solo l’organo che pulsava sangue e di un tratto decideva di spegnersi segnando così la fine. Ora, cavalcando quel purosangue arabo, stava superando la linea di ciò che doveva fare e raggiungere ciò che voleva.

Il vento soffiava forte rendendo ardua la cavalcata, a ogni passo in avanti sembrava che ve ne fossero due all’indietro. Il tempo scorreva e pareva di essere sempre allo stesso posto, ma nonostante ciò Elena non si perse d’animo e continuando a incitare il cavallo a correre più veloce, sperava di trovare in tempo i due combattenti.

Pregando il Cielo, chiedeva che la pioggia sarebbe venuta giù quando tutto sarebbe finito. Cercando di avere un senso dell’orientamento, pensò a dove potesse trovarsi la famosa collina, l’istinto suggerì verso nord e così fece. Indirizzò il cavallo avanzando in quella direzione.

 
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Il duello era iniziato da un bel pezzo ma né Marco né Alfred riportavano ferite gravi. Il cadetto si gettava spesso sul sovrano per annientarlo ma questi parava con la spada tutti gli affondi. Si muoveva rapido e, invece, di difendersi e basta, si lanciava  anche egli all’attacco, rischiando. Marco non se la aspettava e spesso era costretto a indietreggiare agitando scompostamente la spada. Con consumata sicurezza, Alfred continuò ad attaccare. Non si trattava degli eleganti movimenti che aveva praticato tempo addietro quando si recava per tenersi in esercizio, bensì per quel sentimento che provava per la contessa di Herthford. Cercare le debolezze dell’altro, difendersi, essere veloce, incalzante, spietato. Il duello si faceva sempre più accesso e Marco sapeva rispondere ai colpi in modo migliore rispetto ad Alfred che nonostante cercava di mettercela tutta, era visibile che non era più portato per le armi.

«Fermatevi! » urlò una voce femminile. Marco l’aveva vista ma Alfred no; si voltò felice, si domandò se fosse morto ed Elena nelle vesti di un angelo fosse andata a prenderlo. Quell’istante di distrazione bastò per sentire la lama della spada che gli lacerava il polso, facendo scaturire un fiotto di sangue. Alla vista del sangue, la ragazza capì che tutto sarebbe degenerato e sentiva il bisogno di intromettersi.
Si avvicinò per fare da scudo, ma a chi? Marco o Alfred? Il primo era sicuramente più forte, non aveva bisogno di protezione tantomeno da una giovane donna inesperta, era lì proprio per il sovrano che aveva odiato da sempre? Era preoccupata per la ferita che Alfred riportava al polso, sebbene fosse superficiale, ne fuoriusciva una gran quantità di sangue.

«Smettetela vi prego, è una sciocchezza! » proferiva tremante immettendosi tra loro, non temeva l’incontro delle due lame sopra la sua testa o vicino al suo fianco, dovevano fermarsi. Non potevano combattere con lei in mezzo.

«Elena non dovreste essere qui. » pronunciò Alfred  allontanandola leggermente, Alfred riportava diverse ferite ed era ancora molto lucido. Perché Marco non si fermava?

«Neanche voi, Principe- sbottò ritornando tra i due-Marco smettetela! » metà ordine e metà consiglio, Elena si avvicinò al cadetto che non distoglieva lo sguardo dall’avversario, pareva come ipnotizzato. Si sentiva invincibile. Lei lo fermò tenendogli le spalle con aria docile.

«Togliti dai piedi, sgualdrina. » digrignò questi spingendola fino a farla cadere. Elena lo guardò confusa, che il mostro fosse lui? Alfred, non riuscendo a sopportare ciò che aveva fatto il rivale, impugnò saldamente la spada e con una rincorsa inveì contro il rivale.  Il vento gli batteva sul viso, chiuse gli occhi, sdegnato, avrebbe colpito con tutto il rancore e il disgusto, gustando la fine della sua vita e la fine di altre vigliaccherie.

Elena non distava molto dal biondo e continuava a sperare che i due si fermassero in tempo «Vi prego, smettetela …» quando Marco vide la lama avvicinarsi al suo petto, pensò a qualcosa di crudele ma funzionante.

Alfred sempre più deciso avanzava.

A Marco bastarono pochi secondi che con il suo braccio tirò Elena portandola davanti al suo corpo.

Fu così che la spada trafisse la carne.

Un fulmine illuminò il cielo  e subito seguì un tuono capace di far tremare la terra.

L’abito bianco di Elena si tinse di rosso, una chiazza di sangue iniziò a propagarsi per tutte la schiena.

Il peccato colpiva la purezza macchiandola per sempre

Alfred spalancò gli occhi e ciò che trovò dinanzi lo distrusse: Elena era ferita e la cosa peggiore è che l’aveva colpita lui. Il rivale non aveva nessuna ferita mortale.

Il principe capì che dinanzi aveva un essere riluttante e approfittatore,  che era stato capace di usare il corpo di Elena per schivare l’attacco.

La  giovane emise un gemito soffuso. Piano spalancò gli occhi e la bocca, fissò Marco quasi come se volesse dirgli «Perché? » e debole crollò nelle sue stesse gambe, la sua veste si macchiava sempre più di rosso. Alfred fissava senza espressione la spada e le sue mani.

Gettò subito l’arma e con Elena a terra, sanguinante, sofferente, si accasciò e inevitabile urlò il suo nome a squarciagola.

«Sono stato io … - ripeté guardando un vuoto inesistente. I suoi occhi sgranati fissavano la figura di Elena, era diversa da sempre: l’aveva sempre vista combattiva e, invece, ora era sull’erba di un prato qualsiasi spendeva i suoi ultimi istanti, tutto per colpa sua. - Bastardo, vigliacco … sparisci! »si alzò intenzionato a riversare colpi di grazia al suo rivale vigliacco.

«Cosa c’è? Vuoi uccidere anche me, bestia? Per oggi ti basta un morto sulla coscienza … la donna cui diceva di tenere puoi considerla all'altro mondo. » enunciò determinato e con sicurezza si avvicinò al cavallo, lo montò fino a scomparire tra i monti.

Alfred rimase in silenzio, c’erano soltanto lui, Elena e la pioggia. Non riscendo a sopportare tale situazione si accovacciò di fianco ad Elena e una lacrima gli bagnò le guance. Dopo anni Alfred Grayson piangeva.

«Io ho sfidato quel bastardo, io vi ho colpito … sono capace di distrugge qualunque cosa tocchi … Persino il cielo piange per voi … Elena … - le baciò le mani fredde poi con coraggio la sollevò lievemente, poggiando la testa di Elena sulle sue gambe. Il corpo di Elena era sempre più freddo, lei batteva i denti, tremante e sicura di morire. Neanche il cielo fu clemente con i due, quell’istante di profonda angoscia fu segnato da una grandine violenta che si abbatteva su loro. Col dolore in gola, Alfred gridava aiuto, pregando che lo sparviero Maurice fosse apparso da un momento all’altro; in quell’attesa infinita si privò del cappotto per coprire Elena il cui corpo secondo dopo secondo, era più pallido e freddo.La stringeva forte al suo petto, canticchiando la ninna nanna che la vecchia sovrana, sua madre Elizabeth, gli cantava quando faceva incubi.

Elena, serena ascoltava quella bella melodia assieme al rumore della pioggia , aprì gli occhi, frastornata.«Alfred … »  frusciò, era la prima volta che aveva omesso il titolo.

«Elena, non sforzatevi … andrà tutto bene.» cercò di calmarla, accarezzandole i capelli. Nonostante facesse freddo,era sudata.

Lei gli sorrise e con un filo di voce sibilò «Ricordate quando a palazzo, in uno dei nostri primi incontri, diceste che vi sarebbe piaciuto morire vedendo il mio volto? » cominciò a respirare affannata.

Lui fece col capo di sì.

«Non avevamo messo in conto che ero io... »

Alfred la interruppe rimproverandola «Non continuate, tutto si risolverà.» le accarezzava le guance stringendola sempre più forte al suo petto.

« Non siete il mostro che dicono tutti, dimostrate chi siete … dimostratelo al vostro popolo. Sarete un bravo re. »

«No, Elena! Io non  vivrò questa vita senza di voi, non potrei vivere con la consapevolezza di avervi indotto alla morte. » Elena lo fermò,

Elena sorrise e flebilmente dichiarò «E io non avrei potuto vivere facendovi morire in un duello …»

Lui restò spiazzato, per la prima volta si sentiva amato, per la prima volta provava calore in quel cuore composto di ghiaccio.

«Il vostro polso e il vostro braccio sanguinano molto …-informò lei, una lacrima di Alfred le cadde sul viso,-Piangete per me?» sorrise sorpresa

«Sì...Non pensate alle mie ferite non sono nulla di grave e neanche le vostre ricordate: noi sopravviviamo Elena, noi siamo forti...»

«Insieme...» continuò lei socchiudendo gli occhi. La pioggia sembrò calmarsi e una striscia di vari colori segnava il cielo, era l’arcobaleno. 

Il cielo era l'unico testimone di quella tragedia.

Alfred fissò Elena dormiente, strinse le mani alle sue e continuò a lasciarvi piccoli baci pieni d'amore. Alzò lo sguardo e come un miraggio intravide una sagoma avvicinarsi.

Appena questa si avvicinava, constatò che era Maurice lo sparviero con un cavallo, senza raccontare l’accaduto Alfred prese in braccio Elena e la sistemò sul torso del cavallo tra le sue braccia.

La piccola Hemsworth aveva perso molto sangue, era svenuta, ma il suo cuore batteva ancora.

C’era ancora una speranza.

Una speranza che Alfred non avrebbe perso mai: Elena era un fiore di ciliegio ma uno speciale, un fiore che non appassisce.


 
Spazio Autrice: Uccidetemi, ammazzatemi, toglietemi la vita me lo merito!
Dopo quattro mesi torno con il diciassettesimo capitolo e diciamolo: non è dei più allegri. Tralasciando che non scrivo mai nulla di allegro ma okay.
Vi avevo promesso che stasera avrei pubblicato e quindi anche se fa un po' pena, questo è! Vorrei sentirvi, mi mancate davvero tanto.
Vi lascio qualche domandina: cosa avreste voluto che accadesse? cosa vi  è piaciuto, cosa no?
cosa vi ha lasciato di sasso? Elena ce la farà? Avrei voluto continuare a scrivere ma sapete avete letto 17 pagine, non volevo annoiarvi, mancava un pelo per andare a 18.
Nuovo banner, nuovo separatore e non potevano mancare nuovi video.
Credevate che avessi dimenticato i nostri amori? Beh no... cliccate e  vedeteli su youtube! https://www.youtube.com/watch?v=HuIEhDqJqSE 
https://www.youtube.com/watch?v=17Bl9h4_QYE
 
Beh che dire, fatevi sentire e mi riferisco soprattutto a quelli che non ho mai visto!
Grazie ancora a chi segue questa storia e chiedo ancora venia per il ritardo e gli orrori!
VI AMO!

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Capitolo 19
*** Diciottesimo Capitolo ***


 
 
 
Spazio Autrice: Carissimi lettori, sperando che ce ne sia ancora qualcuno :/ So benissimo che non aggiorno da tempo immemore, ma come potete ricordare dal capitolo precedente Elena era in fin di vita. Quindi, dovevo prendere una decisione importante...una decisione che avrebbe decretato un probabile lietofine, un continuo etc...Fino a pochi giorni fa, avevo un'idea poi oggi ho stravolto tutto in pochi minuti. Spero di sentirvi e vi chiedo davvero di perdonarmi ma quando il blocco dello scrittore si fa vivo...è un po' una frittata. Spero che vi piaccia e tanti baci dalla vostra Helen! :) Ps: la frase "Quando vogliamo..." è Elena che parla nel suo stato tra la vita e la morte.





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"Devi morire un po' di volte,
prima di iniziare a vivere davvero."

Charles Bukowski



Diciottesimo Capitolo

 

Quando vogliamo che il tempo passi tutto sembra rallentato, quasi immobile … ma non possiamo restare allo stesso punto per tanto tempo, è necessario  spostare le lancette dell’orologio. Dobbiamo scegliere: sparire completamente o restare ancorati alla terra perché qualcuno ha bisogno di noi.
 

Era giunta l’ora che la neve avrebbe abbandonato il cielo per concedersi alla terra, le temperature calavano con smisuratezza e Alfred, stringendo al suo corpo Elena, aspettava la fine di entrambi. Sarebbero morti assiderati, la tanta foschia impediva una visuale limpida e qualsiasi via di fuga. Non voleva allontanarsi da Elena neanche per cercare il cavallo con cui era arrivata lì. Non si sarebbero divisi per nessuna ragione al mondo, o sarebbero sopravvissuti entrambi o avrebbero salutato la terra per sempre. Non l’avrebbe mai abbandonata, lui la amava come mai gli era successo. Ormai da quando aveva conosciuto quella giovane ragazza della campagna inglese, aveva abbandonato tutte le sue effimere e superficiali abitudini, lei era qualcosa di divino e surreale. E lui per lei doveva essere il meglio. La strinse dolcemente al suo petto e accarezzandole i capelli, tra lacrime e singhiozzi, intonò una ninna nanna.

« It’s the first thing you see as you open your eyes, the last thing you say as your saying goodbye. Something inside you is crying and driving you on. 'Cause if you hadn't found me. I would have found you...» la  commozione era troppa per pretendere di cantare l’intera canzone senza alcuna pausa, tra singhiozzi e lacrime, tutto risultava complicato.

«Elena- proferì con un nodo in gola- ... ricordate che non ci sarà né tempo né spazio che potrà dividerci... » sibilò mentre le lacrime cadendo gli solcavano le guance arrossate dal freddo. Era impossibile che Elena avesse sentito quelle dolci e amabili parole, ormai i suoi occhi erano chiusi e anche se respirava ancora, i suoi respiri avvenivano a intervalli irregolari. Era in agonia e per Alfred non c’era nulla di peggiore che sapere di essere lui la causa di tutto. Giurò al cielo che se Elena si fosse salvata, l’avrebbe riaccompagnata da suo padre. Non sempre si è vicini alle persone che si amano e lui l’avrebbe tenuta lontano non perché non la amava anzi, la amava troppo per rischiare di essere di nuovo un pericolo per lei. Voleva uccidersi, il pensiero di essere stato lui a colpirla gli lacerava l’anima. La strinse a se stesso e chiuse gli occhi per respirare l’odore della neve che toccava il prato ormai bagnato.

Quando minuti dopo riaprì gli occhi quasi come un miraggio c' era Maurice lo sparviero in sella a un cavallo bruno che avanzava. L’uomo scese agilmente dal quadrupede e senza fare domande fissò Alfred con sguardo indecifrabile. Era stranito, il duello era tra il suo sovrano e il cadetto eppure chi stava morendo dissanguato, era la contessa Elena; seppure confuso decise di non fare domande, lei era in fin di vita e Alfred per quanto fosse forte era davvero shockato. Maurice doveva avere sangue freddo.

Cercò di mantenersi desto e, con delle pacche sulla spalla, cercava di tranquillizzare Alfred che continuava a incolpare una divinità inesistente. A bagnargli le guance erano lacrime amare, si sentiva distrutto, se tutto fosse finito, la colpa sarebbe stata soltanto sua, che paradosso! Elena era andata lì per salvarlo e lui l’aveva ridotta in fin di vita.
 
 L’amore è il peggiore dei mali pensò e mai come allora desiderò che i suoi occhi potessero chiudersi per sempre.

«Vostra altezza, non datevi pena … c’è ancora una speranza! » esclamò Maurice, cercando di convincere Alfred a non arrendersi.

Il sovrano si voltò e lo fissò con sguardo perso «Aiutami a prenderla in braccio. » proferì freddo e succinto, lo sparviero fece sì col capo e insieme stando attenti al corpo minuto e ferito di Elena, la sollevarono per adagiarla in groppo al cavallo, Alfred la abbracciò e tenendola al caldo, ordinò al cavallo di partire.

La nebbia fitta continuava a scendere e tutto all’apparenza era bianco e puro. Alfred ed Elena erano in sella al cavallo di Maurice e quest’ultimo, era in groppo al purosangue arabo bianco, il destriero che aveva condotto Elena alla morte.

Alfred amorevolmente stringeva al petto la sua regina e sempre più sicuro avanzava, non temeva che il terreno sottostante potesse essere causa d’impedimento per raggiungere al più presto il palazzo, per lui non ci sarebbero stati ostacoli. Doveva riuscire a salvarla a qualunque costo.

 

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Il nobile non poté credere ai suoi occhi, sebbene ci fossero stati tanti impedimenti e ostacoli di diverso genere assieme ad Elena e allo sparviero Maurice, era ritornato al castello. Sulle scalinate di marmo bianco ad attenderli vi era la maggior parte della servitù, tutti scossi per la salute della giovane inglese.
Subito si diedero da fare per avvisare il miglior medico in tutta la Scozia. Trascorse una buona mezz’ora prima che i due stallieri tornassero con il laureato, nel frattempo le balie avevano già sistemato Elena nella sua camera. Ad Alfred fu consigliato di restare fuori, nervoso camminava spedito per i corridoi, Lorry nonostante la sua anziana età cercava di stargli dietro e per quanto potesse, tentava di tranquillizzare il suo signore
.
«Vedrete che ce la farà …» furono le uniche parole che riuscì a proferire cercando di apparire calmo sminuendo la drammaticità della circostanza.

«Lo prego … se finisse, finirei anch’io. - rispose Alfred, Lorry corrucciò la fronte, confuso. - se finisse la sua vita, finirebbe anche la mia. » specificò poi.

«Vostra altezza non dannatevi, non è colpa vostra.»  lo scopo di Lorry era quello di calmare le acque ma non fece altro che agitarle maggiormente, Alfred si voltò di scatto, con una seria espressione, gli occhi accecati dall’ira e con i denti digrignati.

«Non è colpa mia? Non dovrei dannarmi?- imperò- l’ho condotta io alla morte, possibile che non lo capiate? Io sono il mostro, sono la bestia. E quel bastardo aveva ragione … - affievolì la voce, strinse i pugni e fissò il pavimento- ho ucciso l’unica donna che mi vedeva diverso. » una lacrima gli scese dall’occhio destro e non gli importò. Mai Alfred  Grayson aveva pianto davanti la servitù o più precisamente non aveva mai pianto, neanche per la sua Mira, gli era dispiaciuto ma allora era troppo giovane per comprendere  appieno il dolore. In quel momento non gli importava mostrare le sue debolezze,  non gli importava più niente.

«So che tutte le mie parole saranno vane in un momento funesto come questo ma sappiamo entrambi il motivo per cui la signorina Elena è venuta al lago. Le vostre strade si sono incontrate per una ragione ben precisa. Prendetela come un dono del cielo, un dono che qualcuno ha voluto farvi per … - si fermò non trovando il termine adatto- … per farvi comprendere il significato dell’amore, quello bello, quello in grado di migliorarci radicalmente. »

«È questo il problema- disse freddo tenendo le mani sul davanzale della finestra- quando non hai qualcosa non le dai importanza,  neanche ci pensi, il peggio è quando l’hai e poi la perdi. E io ho paura che Elena possa andarsene per sempre. - si morse il labbro e irrigidì i muscoli delle braccia, stette in silenzio interminabili minuti poi- Lorry non sai come vorrei che fosse un sogno, che con il tuo caffè mattutino busseresti alla porta della mia stanza rimembrandomi  di avere un bilancio da controllare, e che, camminando per i corridoi troverei Elena con un fiore di ciliegio nei capelli e con i suoi continui dispregiativi che tanto adoro. Elena, con la sua innocenza e quel pizzico di gelosia che la rendeva per l’ennesima volta diversa da tutte. »

Alfred sentì l’aria mancargli nei polmoni, il pavimento sembrava sprofondargli sotto i piedi, quanto poteva soffrire pensando ai lori momenti? Si erano sempre scontrati, sempre a litigare e quelle incomprensioni continue li avevano portati a non conoscersi profondamente, a creare attriti inutili. Il nobile si voltò in direzione del valletto e senza pensarci due volte né tantomeno chiedergli il permesso, gli si buttò tra le braccia, abbracciandolo e stringendolo a sé. Quello era il segnale di resa. Grayson, aveva abbandonato l’esercito di ghiaccio per mostrare la sua vera natura: un uomo debole desideroso di amare e di amore.

«Perdonami anche tu Lorry, tutte le volte che sono stato scontroso, che ho trattato te e gli altri come delle pezze. Il mio essere egoista e nobile- fece spallucce- per quello che si può dire mi ha fatto dimenticare che prima di tutto siete delle persone. Non conta per nulla il ser, il lord, l’altezza se poi dentro sono vuoto.  So solo che mesi fa non avrei mai pensato minimamente a un discorso del genere, non avrei mai pensato a un cambiamento, sono sempre stato attratto dalla mondanità , quello che sono diventato, quanto sono cresciuto e migliorato, devo tutto a Elena.»

Lorry si asciugò una lacrima con il guanto bianco e cercando di ricomporsi mugolò «Siete un uomo nobile in tutto e per tutto, ho sempre saputo che vi fosse un animo nobile sotto quella corazza da cattivo. »

Alfred fissò Lorry e vedendolo commosso, si sentì bene. Smorzò un sorriso, un sorriso di traguardo. Elena era entrata nella sua vita per volontà sua, ma l’aveva cambiato contro la sua volontà.

Passò una buona mezz’ora prima che il miglior dottore della Scozia abbandonasse la stanza della giovane; a dispetto di come si pensava, la situazione era meno grave del previsto: la lama del pugnale non aveva scavato in profondità e quindi Elena se la sarebbe cavata con qualche settimana di riposo e una cicatrice lunga circa 4 cm che col passar del tempo a detta del dottore si sarebbe anche sbiadita fino a diventare quasi invisibile.

«Quindi … è fuori pericolo? » domandò Alfred con lo sguardo illuminato.

«Sì … ma ciò non toglie che possono riscontrarsi problemi, ad esempio un’infezione o qualsiasi altra cosa … in uno stato del genere non dovete sottovalutare nulla vostra Altezza.»

Il Principe voleva sorridere e piangere allo stesso tempo, non era pronto per una notizia bella come quella, dopotutto da una situazione tragica come quella, c’era solo da prepararsi al peggio.

«Ditemi cosa devo fare ed io lo farò. » proferì con tono missionario.

«Ho dato tutto alle domestiche, la paziente dovrà mangiare molte verdure, prendere delle medicine, e ogni sera le dovranno fare impacchi con erbe medicinali che velocizzeranno la cicatrizzazione della ferita. » rispose il dottore come sempre esaustivo.

«Vi ringrazio, grazie per aver salvato la mia vita.» deglutì Alfred profondamente toccato dalla bravura del laureato, questi, invece, era piuttosto scettico. Tutti conoscevano l’indelicatezza di Alfred Grayson eppure in quell’istante anche agli occhi del dottore parve un uomo comune con sentimenti e paure.

Dopo che Alfred era passato nella stanza di Elena per assicurarsi che stesse bene, radunò servi e cavalieri , scusandosi personalmente per tutte le cattive azioni che avevano marcato il suo passato da bestia. Precisò ai soldati che non avrebbe mai attaccato guerra, che la vita è un bene troppo prezioso per  perderla in un gioco stupido come la battaglia corpo a corpo, ma c’era un però: prima di chiudere i battenti necessitava mettere a riposo la sua più grande preoccupazione: Marco e un suo possibile ritorno. Mobilitò intere truppe, tutti erano sulle sue tracce: soldati, servi e cittadini; per le strade su ogni muro era affisso il suo manifesto con persino una taglia su di lui. Chi l’avrebbe consegnato al Principe di Scozia avrebbe avuto una soddisfacente ricompensa.

 

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Le giornate passavano veloci e Alfred le trascorreva tutte uguali: di mattina era in giardino ad ammirare il cielo, il pomeriggio lo dedicava ai conti e quando qualcuno bussava, gli si drizzavano le orecchie pensando fossero notizie del cadetto, i pasti li saltava quasi tutti e la sera- il momento della giornata che preferiva -la dedicava alla sua donna,  quando era certo che Elena non avrebbe aperto gli occhi, andava nella sua camera per vegliarla. Si inginocchiava a terra di fianco al letto e la fissava in silenzio.

“Sto contemplando una creatura divina” pensava ogni volta e ancora più erano i dubbi sull’umanità della ragazza “Dopo tanto dolore, dopo tanta sofferenza, come riesce a essere così bella?”

Era una divinità, una visione surreale a cui non avrebbe mai voluto rinunciare.
Quando sentì che i domestici erano pronti per andare a coricarsi, si alzò di scatto e come un fantasma accecando una fugace buonanotte abbandonò la stanza.
Si recò nella sua stanza e inevitabilmente i suoi pensieri caddero su Marco; ormai era trascorsa una settimana dall’accaduto e di quel virile ancora non c’era traccia, continuava a fissare lo skyline dalla finestra e si chiedeva che fine avesse potuto fare, dove si fosse rifugiato e quale tra le tante morti sarebbe stata quella più adatta a lui, quella più lenta e dolorosa.

«Vostra altezza …» pronunciò una voce appena entrata nella stanza.

«Lorry» Alfred si voltò un po’ sorpreso.

«Non volevo interrompere i vostri pensieri ma volevo il vostro permesso per andare a dormire, in questi giorni è tutto molto movimentato e … mi sento molto stanco a dire il vero. » avvisò dispiaciuto il servo.

«Permesso? Lorry non dire sciocchezze è concluso e sepolto il tempo che sottostavi a me. Siamo sullo stesso livello, non c’è davvero motivo di preoccuparsi. -Enunciò con sorriso rassicurante.- E fai bene a riposare, domani toccherà alzarci presto, devo inviare un telegramma a Herthford. » si schiarì la voce e d’un tratto lo sguardo si incupì.

«Tutto bene?» domandò Lorry retorico, la tristezza sul volto del nobile era palese.

«In parte … Non mi sembra corretto nei confronti di Richard Hemsworth che a una settimana dell’incidente ancora non ne sappia nulla. Appena Elena si rimetterà completamente, tornerà nella sua casa, nella sua terra. »

«Credo di non comprendere … state rinunciando a lei? » il valletto spalancò le orbite e la bocca, incredulo.

«Qualcuno lassù me l’ha salvata … ed io la salverò da me stesso. » abbassò lo sguardo un po’ dispiaciuto e un po’ fiero per quella frase a effetto e che al tempo stesso incuteva paura.

«Se è quello che credete giusto vostra altezza …»

«È giusto per Elena ... merita il meglio che il mondo possa offrire. - sorrise compiaciuto- ora vai pure Lorry e buona notte.» il valletto gli augurò lo stesso e dopo aver accennato la riverenza  sparì dietro la porta.

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Alfred controllò la legna nel camino e prima di chiudere la porta iniziò a sbottonarsi il bavero che nonostante reputasse un indumento odioso, lo aveva sempre indosso. Forse temeva che senza non fosse stato presentabile per Elena. La sua Elena … si era svegliata nei giorni precedenti e affiancata da due balie, aveva fatto piccoli passi,  ma ancora non si erano visti o meglio lei ancora non l’aveva visto.  Se fosse stato per lui, avrebbe di certo rimandato l’incontro, non avrebbe sopportato vederla flebile e trasandata.

Sbuffò, rendendosi conto di quanto fosse critica la situazione.

«Perché ?- domandò al muro portando le mani nei capelli.- Perché occupa sempre i miei pensieri?Perché sacrificherei la mia vita per la sua? Perché mi rende instabile? Sono sempre stato convinto di non cadere mai nel gioco dell’amore e ora mi ritrovo come un ragazzino con la sua prima cotta. L’hai uccisa, ti rendi conto Alfred?- domandò a se stesso- No, è stato un errore. Un errore madornale. Un atto senza alcuna volontà, intenzione.- rispose profondamente dispiaciuto- Deve tornare in Inghilterra e dobbiamo dimenticare tutto. »

«Come se potessimo …» parlò una voce alle sue spalle.

Grayson si voltò e ancora per una volta il mondo sembrò fermarsi.

In tutta la sua grazia e innocenza allo stipite della porta vi era Elena, con indosso una vestaglia bianca simile a quella del giorno dell’incidente. Nonostante la sofferenza, le sue guance erano rosee illuminate dal candore delle candele. Non sembrava per nulla che meno di una settimana prima aveva rischiato di morire. Era sempre bellissima capace di incantare anche uno sciacallo, era magia incompresa. Avanzò verso Alfred lentamente. Per quanto rispondesse bene al dolore, qualche fitta c’era sempre e l’equilibrio non era dei migliori.

«Elena … - scappò un dolce e meccanico suono dalla bocca di Alfred, le orbite gli si spalancarono leggermente e un’espressione da pesce lesso caratterizzava la sua faccia in quell’istante; voleva aiutarla, evitare che potesse cadere, ma l’ultima volta che si era avvicinato aveva tentato di ucciderla e così rimase fermo, incapace di capire cosa fosse giusto fare.- voi dovreste... »

«Riposare?» lo anticipò, nella sua voce era presente un pizzico di ironia. Continuò ad avvicinarsi a piccoli passi.

«Non dovreste starmi vicino …»

«Temete che possa vendicarmi?» stuzzicò lei, anche se non sembrava ferita dal maledetto ricordo.

«È un dolore per me sapere che ricordate …» si interruppe e abbassando lo sguardo fissava una mattonella.

«Non vi odio se è questo che volete sapere e vi prego di credermi, altrimenti non sarei qui. È tutto strano per me dopo ciò che è successo. » deglutì, non sapeva neanche lei stessa la destinazione del suo discorso.

«Sono stupito anch’io- rispose alzando leggermente il capo- avverto un senso di vuoto realizzando che questa è una delle nostre ultime conversazioni se non l’unica.- Elena restò prima in silenzio per poi roteare gli occhi, stizzita.- Non muore nessuno ma credo che sia ora che le nostre strade si dividano. Io continuerò a governare e voi a sognare il vostro cavaliere sul destriero bianco pronto a salvarvi.-lei continuò a tacere- Dovete odiarmi. Non guardatemi con aria indifferente, non  riesco e non ce la farei a sopportarlo. »

«Vorreste che vi odiassi? » domandò perplessa.

«Di gran lunga …chiunque mi odierebbe e farebbe bene, si alleggerirebbe questo macigno che ho nel cuore sempre che ne abbia uno. Non potete far finta di niente. »

«Io non sto facendo finta di niente, Alfred.-proferì alterata omettendo il titolo.-quello che sembra che vuole dimenticare tutto siete proprio voi!- aveva riacquistato il suo tono di sfida e lo guardava fisso, il respiro era irregolare a causa degli sporadici singhiozzi, Elena inevitabile non era stata capace di sopprimere la tristezza e le lacrime.- Ancora una volta mi reputate un giocattolo spedendomi a casa di mio padre a vostro piacimento? - lui la guardò di stucco, allibito. – Dovrei calpestare, in questo modo, i sentimenti di una giovane le cui attese e la cui reputazione andrebbe in frantumi per un mero capriccio? Il vostro capriccio? Tutti devono obbedire ai vostri disegni? Ogni vostro volere deve essere soddisfatto perché il vostro piccolo mondo continui a ruotare intorno a voi? È tutto un gioco per sua altezza?- fece una pausa, era furente.- Perché vorreste lasciarmi andare proprio adesso? Perché mi avete voluto qui con voi e adesso desiderate liberarvi di me? » Domandò lei, sembrava aver abbandonato la rabbia per passare all’angoscia.

«Mi avete opposto ogni stenua resistenza- cadenzò ciascuna parola.- Cerco di mettervi in salvo da me stesso. »

«In salvo? Da voi stesso?- accennò una risata nervosa- Avreste dovuto pensarci mesi fa.»

«Vi ho offerto carte bianche, Elena: siete libera. Sappiamo entrambi che la Scozia per voi è stata una prigione, appena sarete in grado di affrontare un viaggio tornerete nella vostra cara campagna. Che cosa bramate di più? Siete già da adesso una donna libera. La mia coscienza» proferì ma lei lo interruppe immediatamente.

«Coscienza? Perché, ne possedete una? Se sono così arrabbiata con voi non è di certo perché avete tentato di uccidermi, no … sappiatelo. Ciò che non riesco a sopportare è la vostra capacità di liquidare ciò che c’è stato tra noi. Affidare tutto al tempo e dimenticare. Che ne è stato del “ricordate che non ci sarà né tempo né spazio che potrà dividerci?” » Era rossa in volto e gli occhi, ancora bagnati di lacrime, le brillavano.

«Avete sentito quelle parole?... » domandò scioccamente.

Elena abbassò lo sguardo in segno di assenso.

«Credo che questa sia la radice del problema … Ho dato sempre e troppo peso alle vostre parole, ai vostri gesti e non importa che proprio voi avete tentato di uccidermi, in realtà avevo iniziato a morire già da tempo, precisamente da quando avevo scoperto della baronessa. In quel momento che l’angoscia mi struggeva il cuore per il decesso di mia madre, voi non eravate con me, voi avevate ben altro da fare, e allora mi chiedo, a cosa sarebbe servito invitandovi a restare? Ci sono tante cose che dovrei dimenticare … e come ben notate, non l’ho fatto. »

«Non fermatevi … me lo merito. » deglutì cercando di sopprimere la voglia di urlare quanto si odiasse.

«Se non ho dimenticato tutte le sofferenze come faccio a dimenticare la vostra voce rotta dall’emozione quando ero in fin di vita, la ninna nanna melodiosa, il vostro dolce cullare che mi rendeva tutto meno spaventoso, le carezze mentre dormivo. Il dolce risveglio con il fiore di ciliegio, la neve, il vostro cambiamento... » la giovane aveva completamente abbandonato l’ira, l’aria sognante occupava il suo volto e i suoi muscoli che prima erano irrigiditi pian piano stavano ritornando alla classica dolcezza. Alfred era sempre più teso e nonostante la situazione avesse preso una piega del tutto inaspettata, sapeva che adesso toccava a lui manifestare i suoi pensieri. Avrebbe voluto dire tante cose ma in un primo mento gli scappò quasi come un sibilo.

«Ho paura- proferì impacciato, si aspettava che Elena lo deridesse ma non fu quella la sua reazione anzi, ella si avvicinò  eliminando così la distanza che c’era tra loro. Calò il silenzio nella stanza e con un po’ di coraggio Alfred riprese- Ho paura di dire qualsiasi cosa, Elena … ho paura di sbagliare tutto con voi e voi meritate il meglio, avete bisogno di un uomo che sappia rendervi felice e che soprattutto non sia un attentato alla vostra vita. Dal primo momento che vi ho visto, ho desiderato che vi fosse ignaro tutto il dolore e tutta la sofferenza.  Avrei voluto proteggervi dalla tristezza e dai dispiaceri e, invece, ne ho causato uno dopo l’altro … - lei restò a fissarlo mentre chiazze di rossore causate dalla timidezza e dall’emozione si presentavano sulle sue guance rosee. Non avrebbe mai pensato che “Alfred uomo di ghiaccio” avesse tutte quelle cose da dire, tanti piccoli segreti. –Voi siete la vita, la luce, la perfezione. E giuro che farei di tutto per vedervi felice anche rinunciare a voi.  Avrei voluto tanto dimenticarvi … ma per quanto mi riguarda, io - enfatizzò- non posso dimenticare la donna che mi ha riportato in vita. – fece una pausa- Forse tutto è iniziato per gioco, ma non lo è, dovete credermi. Mai prima d’oggi ho detto questo a qualcuno, non sono io a parlarvi, Elena. Sapete chi è?- lei lo fissò sognante- è la parte migliore di me, il frammento che voi avete salvato dalle fiamme dell’inferno.  Anche se vi lascerò andare … io- la voce era rotta dalla commozione, gli occhi erano due stelle e lei lo guardava ammirata- io vi amerò.»

Elena irrigidì la mascella, le si indurirono le gambe, non aveva mai provato quella sensazione. Si commuoveva facilmente per le dichiarazioni d’amore che vi erano nei libri che tanto amava, ma non ne aveva mai ricevuta una così bella e reale.
 
«Allora, non lasciatemi andare …» scongiurò lei. Si avvicinò ma Alfred le diede le spalle, rivolgendo lo sguardo alla luna pallida che intravedeva dalla finestra.

«Debbo.-proferì conciso, ed Elena capì che insistere non sarebbe servito a niente. -Andate, prima che vi rinchiudi nelle segrete e vi lasci marcire lì. – imperò, proferiva quelle parole dolorosamente, sofferente.- Le vallette hanno sistemato i vostri bagagli … se siete pronta, anticipiamo la partenza. » Elena fissò le spalle di Alfred, contrarsi, sapeva che stava mentendo ma ormai era stanca. La ragione doveva prevalere sui sentimenti o si sarebbe uccisa.

 Trattenne le lacrime e con voce lineare gli rispose.

«Sono pronta. »  A quelle parole Alfred chiuse gli occhi, sentì i passi di Elena allontanarsi, uscire dalla stanza, e la porta chiudersi. Sì voltò ma era troppo tardi: lei non c’era più. Un forte gelo si presentò nel petto marcando così un vuoto incolmabile.

Elena alla fine aveva accondisceso, ma lui … lui sentiva che senza quegli occhi vispi, quei battibecchi che gli trasmettevano serenità, quella tenerezza, sarebbe tornato la bestia di sempre.

«Ho anteposto il suo bene al mio … non è forse questo l’amore? »

 

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