Yours.

di mjlwards
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Jeans. ***
Capitolo 2: *** Harry. ***
Capitolo 3: *** Drunk. ***



Capitolo 1
*** Jeans. ***


Mi svegliai con una ventata di intraprendenza quella mattina. Quando mi alzai silenziosamente dal letto e mi avvicinai alla finestra notai con grande piacere che non stava piovendo, le nuvole scure coprivano tuttavia l'intera distesa di erba e gli edifici attorno. Avevo deciso di lasciare il mio paese nel 2016, l'anno in cui avevo ormai terminato gli studi liceali e programmato di trasferirmi in Inghilterra per continuare quelli universitari. Una scelta abbastanza sbrigativa, non c'era stato bisogno di pensarci troppo. “Perché no?” avevo detto a me stessa, e a distanza di due anni mi ritrovavo ancora nelle quattro mura del dormitorio femminile di quel campus con la mia compagna di stanza, Elizabeth, nel 2018. Il mio livello d'inglese era migliorato a dismisura, mentre per la pronuncia c'era ancora da lavorarci sopra. Nonostante i libri di cemento e le infinite relazioni da portare a fine mese sia io che la mia coinquilina trovavamo modo di divertirci, di respirare ogni tanto. La città, Londra, offriva varie forme di attività: una passeggiata lungo il fiume Tamigi, una visita a Bakingham Palace, ma anche una semplice serata in qualche pub non troppo distante dal centro. La capitale, verso le otto di sera, iniziava a diventare magica. Elizabeth ed io eravamo solite soffermarci sugli artisti di strada, talenti sottovalutati. Capitava spesso che lasciassimo qualche sterlina nei loro umili cappelli adagiati sull'asfalto, specialmente in inverno, quando la temperatura cominciava a sfiorare i tre gradi centigradi e quelle persone non potevano stare al caldo nemmeno per una notte... O forse sì, ma rimaneva ugualmente un bel gesto. Sbadigliai portandomi la mano davanti alla bocca e quando osservai l'orologio alla parete mi scappò un urlo, ammutolito in seguito dal suono della campanella che annunciava l'inizio delle lezioni. Elizabeth alzò di scatto la testa dal cuscino e mi guardò esasperata. Riuscii a notare le sue occhiaie dovute al poco sonno e all'ansia degli esami dell'ultima stagione, quella estiva, e pensai che avrebbe gradito volentieri una borraccia di caffè in quel momento. “Possibile che tu abbia vent'anni e non sia capace di impostare una cazzutissima sveglia?” disse senza omettere la tipica parolaccia canzonatoria. “Stavolta il preside Morrison ci ammazza”. Mi scusai ripetutamente mentre cercavo di infilarmi i jeans con una fetta biscottata tra i denti. Quando finalmente riuscii nella mia impresa mi accorsi che Elizabeth era caduta di nuovo in un sonno profondo, senza accorgersene. Decisi di lasciarla giacere tra le calde lenzuola, era evidente che non poteva affrontare cinque ore di letteratura rinascimentale in quelle condizioni fisiche. Spensi la luce e appena misi piede fuori dalla stanza, la numero 147, cominciai a vagare lungo i corridoi alla ricerca dell'aula dove la signora Evans aveva ormai cominciato a dettare appunti da dieci minuti. In lontananza vidi un ragazzo al telefono, gesticolava di continuo e il suo tono di voce variava a seconda dei suoi stati d'umore discordanti. Mi avvicinai a lui solo al fine di trovare quella maledetta classe, dato che somigliava ad un tizio del mio stesso corso. “No, cazzo, devi smetterla di assillarmi. No, no, no. Non ti voglio in mezzo ai piedi”. La sua voce era roca e bassa, a tratti lenta. L'accento sembrava provenire dal nord. Tossicchiai portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio e quando attirai la sua attenzione chiesi con calma qualche indicazione. Sarei riuscita ad arrivarci da sola, senza rischiare una possibile figuraccia, ma all'inizio di ogni mese le aule ospitavano materie diverse da quelle precedenti, disorientandomi del tutto. Quasi mi sentii stupida a chiederglielo. “Non lo so” rispose con tono freddo, senza degnarsi di guardarmi negli occhi. “Ah... Ma ne sei sicuro?”. Non rispose. I miei capelli erano raccolti in una treccia disordinata e probabilmente il mio cardigan non era abbottonato come avrebbe dovuto. Le otto e venti. A quel punto decisi di saltare la prima ora e tornai indietro, verso il dormitorio. “Hey, tu” mi richiamò il ragazzo a qualche metro di distanza. Perfino da lontano i suoi occhi chiari risaltavano il viso pallido e leggermente paffuto sulle guance. “Hai i pantaloni infilati al contrario” urlò a stento. Mi toccai le natiche come se fosse un comportamento ordinario e tra le dita sentii l'etichetta della taglia. Arrossii a vista d'occhio ma mi limitai a ignorare il suo commento di poco gusto e trattenni qualche insulto del tipo “Strano che tu sia riuscito a farci caso con quell'ammasso di ricci mosci che ti copre la visuale”. Feci una breve sosta alla caffetteria prima di tornare da Elizabeth e accertarmi che stesse ancora dormendo. Vidi una goccia cadere rumorosamente sulla porta vetrata e sbuffai. “Mi sa che stasera non si esce, eh?” disse Louis, grande amico e gestore del piccolo spazio ricreativo. “Chissà perché ogni sabato comincia puntualmente a piovere, qui. Voi inglesi siete un po' sfigati”. Sorseggiai il cappuccino ancora bollente e sentii la risata mattiniera di Louis. “Oh, ma io stasera vado al Funky Buddha. E tu, Alli, dove vai di bello?” ribatté con tono strafottente. Silenzio. “Ma sbaglio o hai i pantaloni al contrario?” disse poi, con una mano a coprirgli il volto divertito. Gli diedi un pugnetto sulla spalla e finii la bevanda lasciando la tazza sporca sul bancone. “Ci vediamo a mezzogiorno, Tommo” lo salutai con la mano e tornai, dopo circa un altro quarto d'ora, in camera mia, per rovesciare i jeans dalla parte giusta e studiare la nuova sistemazione delle aule sul tablet affibbiato ad ogni studente il primo anno. “Allison” mugugnò Elizabeth con gli occhi semi-aperti. “Cosa facciamo stasera?”. Risi involontariamente alla sua domanda senza senso e, poi, guardai il cielo minaccioso che si presentava oltre le tende blu. “Mh... Andiamo al Funky Buddha”.

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Capitolo 2
*** Harry. ***


Tirai involontariamente una gomitata ad una ragazza in sala mensa. “Oh, scusami” mormorai. Finse un sorriso e abbandonò la fila per il dessert, parlottando insieme all'amica. Elizabeth mi pizzicò un fianco e sporse le labbra vicino al mio orecchio. “Quanto è bello”. Compresi subito che si stava riferendo a Louis dopo aver visto la sua figura minuta varcare la porta principale. Alzai gli occhi al cielo, mentre lei continuava a fissarlo come se fosse una delle sette meraviglie. “Da quando ti piacciono i diversamente etero?”. Si voltò per strattonarmi e, di nuovo, andai contro una ragazza di fronte a me, senza però scusarmi. “Devi smetterla di essere così aggressiva” dissi sistemando il cardigan finalmente abbottonato a dovere. Elizabeth fece un respiro profondo. “Ti dimostrerò che non è gay come dici tu”. Senza preavviso raggiunse Louis a lunghi passi, decisa. Lui era seduto ad un tavolo con dei ragazzi del corso di economia aziendale a pochi metri da noi. Non avevo idea di cosa le stesse passando per la mente. Elizabeth salutò tutti cordialmente, nonostante non fosse da lei, e richiamò l'attezione del diretto interessato. Non riusciva a smettere di giocare con gli anelli che aveva al dito, perfino Louis l'aveva notato ma finse di non averci fatto caso, probabilmente per farla sentire a proprio agio il più possibile. Dopo qualche cenno e un largo sorriso, tornò da me. “Bene, domani ci esco insieme” affermò con nonchalance; sapevo che stava tentando di trattenere un urlo di gioia. “Bene. Ah, dimenticavo, lo vedrai pure stasera al Funky Buddha” borbottai passando il vassoio alla cuoca. Vi poggiò sopra un piatto di pudding e mi liberai dalla fila insieme ad Elizabeth. “Cosa?! Ho solo dieci ore per rendermi presentabile agli occhi di Louis...”. Cercò una conferma nel mio sguardo. Si capiva subito dal modo in cui inarcava sempre il sopracciglio destro. “Tomlinson” risposi con un ghigno divertito. Il suo viso si increspò leggermente. ”Di Louis Tomlinson?!” concluse, non curante del fatto che potesse sentirci mentre cercavamo uno spazio libero intorno alla sala. 

L'ultima ora di lezione passò flebilmente, trascorsi la metà del tempo con una mano a reggere la testa appesantita dalle troppe figure retoriche e l'altra metà a parlare con Elizabeth. Il senso di intraprendenza stava cominciando a calare con l'andamento della giornata. Una volta tornata in camera feci una doccia fredda di dieci minuti, quanto bastava per scacciare la sonnolenza, e avvolsi i capelli in un asciugamano. “Smettila di usare il mio bagnoschiuma, si sente fino a qui” grugnì Elizabeth dall'ingresso. Sbuffai sonoramente e la raggiunsi nel nostro piccolo salotto. “Dove sei stata?” chiesi per cambiare argomento. “Ad origliare un tizio che stava urlando al telefono” rispose come se fosse una cosa normale e puramente innocua. Pensai di sfuggita al ragazzo a cui chiesi aiuto per trovare la mia aula ma, di colpo, riemersi dai miei pensieri quando sentii un urlo di rabbia provenire dall'esterno. Elizabeth sobbalzò dallo spavento e mi disse di chiudere a chiave la porta per questioni di sicurezza, ma non riuscii comunque a trattenermi dall'osservarlo tramite lo spioncino. Ci avevo azzeccato. “Non me ne faccio un cazzo delle tue scuse, va bene? È l'ultima volta che mi faccio prendere per il culo da una stronza!” urlò ancora il ragazzo, la sua voce fu accompagnata da un tremolio. Si poteva notare un chiaro rossore sul suo volto, al contrario delle nocche che stavano ormai sbiancando per la troppa forza nel pugno chiuso della mano sinistra. “La mia vita era già uno schifo, poi sei arrivata tu, e adesso mi rendo conto che hai solo peggiorato la mia situazione da due anni a questa parte”. Strizzò gli occhi alzando il capo ed emise un altro urlo trattenuto. Mi girai per verificare la reazione di Elizabeth e si riscoprì esattamente identica alla mia. “Quel tipo è pazzo” dicemmo all'unisono. La campanella strillò per la quinta volta nel corso delle lezioni; asciugai velocemente i capelli e corsi verso l'aula senza nemmeno prendere il libro o aspettare Elizabeth. L'ultima ora del sabato era quasi un sollievo per la salute.

Presi il telefono dal comodino del letto e visualizzai il messaggio di Louis. «Vi aspetto davanti al locale. Mi raccomando, per le nove e mezza dovete essere lì» diceva. Mancavano dieci minuti, il tempo di spegnere le luci e chiudere tutte le tende. Nel farlo vidi in lontananza i fari accesi del taxi, appostato fuori dal cancello dell'instituto. “Muoviti” dissi scorbutica, ero certa che, in quanto mio amico, se la sarebbe presa solo con me. Elizabeth mi passò la borsa e serrammo la porta a chiave lasciando l'altra di scorta sotto lo zerbino. Ci avvicinammo alla vettura velocemente non appena sentimmo una leggera pioggia sopra la nuca. Dopo essere partite presi il telefono e risposi al messaggio, tralasciando il fatto che saremmo arrivate in ritardo. Non era la prima volta che mi auto-invitavo alle sue uscite e, una volta presa l'abitudine, bastava che mi scrivesse l'ora e il posto. Quella sera Louis optò per il Funky Buddha, discoteca famigerata della capitale, o almeno così avevo sentito dire. Quando attraversammo la strada, sfoggiando con maestria i tacchi, ci venne incontro e sorrise. Indossava una camicia di jeans con dei pantaloni stretti neri, in pieno contrasto con il tubino bianco di Elizabeth. “Con me ci sono due amici, e credo che un altro arriverà tra dieci minuti” esordì Louis mentre ci fermammo qualche minuto a lasciare le giacche nel guardaroba esterno. Il posto era pieno quella sera, a malapena si riusciva a respirare. “Morirò”. Elizabeth mi trascinò al bancone e chiese al barista due cocktails forti. La guardai male prima di proferire parola. “Sai benissimo che non mi piacciono i super alcolici”. Mi fece la linguaccia. “Ho bisogno di essere brilla per poter attaccare bottone con Tomlinson” marcò il cognome e sorrise consapevolmente. Arricciai il naso quando sentii il bicchiere freddo a contatto con la mia mano. Era bluastro e decorato con un ombrellino di plastica dello stesso colore. Louis si piazzò davanti a noi e ci presentò i suoi amici; uno di loro, il più alto, aveva degli occhi color miele che facevano invidia. Strinsi gentilmente la mano ad entrambi ma non riuscii a capire i loro nomi per il troppo chiasso. Senza farmi notare dalla mia coinquilina cercai di lasciare il drink su un tavolo poco lontano da noi ma mi colse con le mani nel sacco. “Bevi” ordinò, portandomi la cannuccia alla bocca. Solo dopo vidi che il suo era già finito. Chiusi gli occhi e feci un sorso prolungato per farla contenta, poi mi piacque, quindi ne feci un altro, e un altro ancora. Louis mi picchiettò la spalla per informarmi che l'altro ragazzo stava entrando e che sarebbe andato a recuperarlo. “Ti aspettiamo qui” dissi a voce alta per farmi sentire. Elizabeth lo fissò per l'ennesima volta e sospirò, ordinando una vodka. Ovviamente sarebbe toccato a me riportarla a casa. Diede altri soldi al barman e mi indicò l'amico di Louis, quello con dei begli occhi. “Dovresti provare a parlare con lui, gli piaceresti sicuramente” ammiccò giocando con una mia ciocca di capelli. Sistemai i pantaloncini a vita alta con una mano, l'altra reggeva l'alcolico semi vuoto. Non ero un tipo molto sociale all'inizio ma con il passare del tempo avrei potuto dare il meglio di me, ed Elizabeth lo sapeva bene. La voce di Louis mi timpanò improvvisamente nelle orecchie facendomi girare di scatto. Cercai di rimanere impassibile di fronte al ragazzo strano che si aggirava per i corridoi del college qualche ora prima. Mai avrei pensato che Tomlinson uscisse con gente così lunatica. Si soffermò sui miei occhi e nessuna espressione gli incorniciò il viso. “Harry”. Lessi il labiale sorridendo appena.

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Capitolo 3
*** Drunk. ***


Louis riuscì a trovare un tavolo libero e abbastanza appartato, vicino ad una grande finestra che lasciava intravedere la vita notturna a Londra. Quando raggiungemmo la postazione Elizabeth rimase in piedi e chiese ad ognuno di noi quale bevanda volessimo. “Portami due bottiglie di rum” esordì Harry con gli occhi fissi sulla lista in cartaceo. Uno dei ragazzi gli diede una leggera pacca sulla spalla e fece una smorfia con il labbro superiore. “Giornataccia, eh?”. Non mi resi conto del fatto che stavo osservando la scena con fin troppo interesse; mi soffermavo sui movimenti, le smorfie, i gesti. Erano senza ombra di dubbio più grandi di me di qualche anno ed esteticamente in antitesi fra loro; si dice inoltre che l'aspetto faccia la persona ma  nonostante ciò sembravano trovarsi in perfetta sintonia. Elizabeth mi passò una mano davanti al viso per attirare la mia attenzione e avere una risposta. “A me ed Alli due birre, offro io” disse Louis con un netto anticipo e lasciandole i soldi. “L'ultima volta me l'avevi presa tu”. Sorrisi e mi dedicò un occhiolino sghembo premeditato, sapeva che sarebbe riuscito a scaturire in me una forte risata nel giro di pochi secondi. La prima volta che lo fece pensai d'istinto che appartenesse all'altra sponda ma non volevo che mi considerasse una persona sboccata, o almeno non glielo avrei fatto capire, quindi lasciai che fosse solo un semplice pensiero. Liam e Zayn, i due amici di Tomlinson ai quali chiesi il nome una seconda volta dopo esserci allontanati dal volume spropositato che proveniva dalle casse, ordinarono una bottiglia di vino rosso. Elizabeth abbandonò il tavolo per dirigersi di nuovo al bancone, lasciandomi sola con tre completi sconosciuti e la sua nuova "preda", come le piaceva nominarlo. Provai a guardarmi intorno per far passare il tempo più alla svelta ma, poco dopo, mi voltai nel sentire che i ragazzi avevano dato inizio ad una conversazione. “Come mai non c'è la tua ragazza, Styles?” chiese Liam con l'innocenza di un bambino. Harry scrutò ogni suo lineamento senza rispondere e lasciò che le mani gli massaggiassero la nuca dopo aver abbassato nuovamente lo sguardo, accompagnato da respiri sempre più profondi. Lo si notava dalle movenze del petto poco scoperto. “Quanto ci mette la tua amica?”. Compresi che stava parlando con me solo quando Louis mi diede una gomitata al braccio. La presenza di quel tipo mi metteva a disagio in modo strano, era chiaro che avesse qualche rotella fuori posto, pertanto decisi di trovare Elizabeth in mezzo alla gente e gli dissi con calma che stava ancora aspettando il suo turno. Mi soffermai sulla pista da ballo, vidi ragazze della mia età saltare o strusciarsi contro il proprio partner e a quel punto il mio concetto di dignità cominciò a presentare anche degli aspetti negativi. “Vado in bagno” annunciai, ma i quattro amici erano più concentrati sui drinks che stavano finalmente arrivando. Mi alzai e lasciai un bacio sulla fronte ad Elizabeth per mezzo della smisurata differenza di altezza, poi raggiunsi la toilette tra spintoni e avances da parte di gente ubriaca. Guardai la mia immagine riflessa allo specchio sciacquando le mani per tamponare il viso arrossato. “Tu non hai visto niente” mormorò una donna prima di inghiottire una pillola verdognola e mischiarla al cocktail pesante. Se fosse stata in silenzio probabilmente non avrei nemmeno fatto caso a ciò che stava combinando. “Non fare mai queste cose” continuò. Le sue pupille cominciarono a dilatarsi fino a nascondere le iridi azzurre. Un giorno Elizabeth mi confessò che ai tempi del liceo aveva avuto a che fare con un tipo di stupefacente più leggero e che presentava ugualmente effetti collaterali dannosi, ma riuscì ad allontanarsi da determinate abitudini. Bastava guardare le sue occhiaie per capire invece che la trentenne non era stata capace ad uscirne. La osservai a lungo e infine spalancai la porta per poter tornare alla mia serata, salutandola con un cenno. Louis alzò le braccia all'aria appena mi vide e indicò la birra media posta di fronte al divanetto. “Ho incontrato una tipa strana in bagno” dissi a Elizabeth in modo da giustificare la mia più o meno lunga assenza. Realizzai che una bottiglia di rum era già sul punto di essere finita e pensai che fosse scientificamente impossibile poter assorbire così tanto alcol in cinque minuti. Harry bevve l'ultimo sorso e mi guardò. “Offrimi una sigaretta”. Louis strattonò l'amico chiedendomi di non dargli retta ma anche se avessi fatto il contrario non avrei potuto accontentare i suoi bisogni. “Non fumo” risposi con altrettanta schiettezza e spostai inconsapevolmente la birra su un altro lato del ripiano.

“Come cazzo lo riportiamo a casa?” sbottò Zayn tirando un calcio ad un bicchiere vuoto sul marciapiede. Una guardia del corpo ci costrinse a uscire dal locale per i comportamenti molesti e provocatori di Harry, ormai caduto in uno stato di trance. Louis cercò di alzarlo da terra ma il suo peso morto non glielo permise. Era fortemente ubriaco. “Potremmo andare a casa mia, abito poco lontano da qui e nessuno lo vedrebbe ridotto in questo stato... Okay, ho un'idea”. Liam schioccò la lingua sul palato e, con l'aiuto dei due amici, riuscì a far reggere Harry in piedi senza dare nell'occhio. “Starete a dormire da me stanotte. Anche voi, ragazze, scommetto che riuscireste a darci una mano nel farlo riprendere. Ho una stanza per gli ospiti dove dormirete, noi ci accontenteremo del divano-letto e lasceremo questo coglione in camera mia”. Elizabeth accettò tralasciando i mezzi termini ed io mi trovai costretta a seguire le sue decisioni. Ci incamminammo lungo il viale isolato senza badare alla bassa temperatura e cominciai a chiedermi come fosse la sua dimora, se una villa o un appartamento, il colore degli interni, se avesse avuto un pigiama da prestare a me e alla mia coinquilina. Non feci in tempo ad immaginare la grandezza del televisore che un cancellino elettrico si aprì provocando un rumore stridulo. Appena entrammo nella sala d'ingresso lasciai che il calore dei termosifoni mi circondasse il corpo tremante. Zayn e Louis fecero inizialmente sdraiare l'amico sul divano e uno dei due andò a prendere uno straccio bagnato, a seconda di ciò che riteneva più opportuno Elizabeth, per poi inumidirgli la fronte. “Nessuna fretta, passalo senza fare pressione” disse in tono materno. Pensai di sfuggita che se avesse avuto bisogno di vomitare non sarei riuscita ad aiutarlo, tanto mi avrebbe fatto impressione.

Liam mi prestò un paio di bermuda di stoffa, una canottiera dei Lakers e una felpa in caso avessi sentito freddo durante la notte. Erano le quattro inoltrate, stavano tutti dormendo, Harry compreso. Non riuscivo a fare a meno di tenere gli occhi aperti, sin da piccola avevo paura di trovarmi in un letto che non fosse quello della sottoscritta, abituarmi a vivere nel dormitorio dell'università fu un'impresa che mi aiutò ad acquisire maggiore sicurezza ma non persi questo timore. Strinsi un angolo del cuscino non appena sentii un mormorio provenire dalla camera di fianco. Cercai di svegliare la mia coinquilina con una breve scossa ma fu irremovibile dal degnarmi di una risposta. Mi alzai e raggiunsi i versi strani a passo felpato. Harry continuava a rigirarsi tra le coperte e tirare calci all'aria, mi avvicinai per scostargli i ricci imperlati di sudore dal viso deglutendo silenziosamente. Mi sedetti per sbottonare la sua camicia e farlo stare più al fresco ma la sua mano mi precedette stringendomi il polso con forza. “Vattene, non mi serve il tuo aiuto”. Aprì appena gli occhi prima di suggerirmi di lasciarlo solo. Avrei voluto rispondergli a tono ma non era ancora nelle condizioni di capire chi fossi o cosa ci facessi lì. Tornai nella stanza degli ospiti e ripresi a non dormire.

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