Wammy's House Story

di ShinigamiGirl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un arrivo curioso [Prologo] ***
Capitolo 2: *** Vita alla Wammy's House ***
Capitolo 3: *** Occasioni all'orizzonte ***
Capitolo 4: *** Collaborazione inaspettata ***
Capitolo 5: *** Tempesta di passaggio ***
Capitolo 6: *** Cupcake al cioccolato ***
Capitolo 7: *** Indagini e sogni ricorrenti ***
Capitolo 8: *** Dettagli vitali ***
Capitolo 9: *** Sulla scena del crimine ***
Capitolo 10: *** Secondo interrogatorio ***
Capitolo 11: *** Passato insistente ***
Capitolo 12: *** Sentimenti critici ***
Capitolo 13: *** Amicizia zoppicante ***
Capitolo 14: *** Pedinamenti e intuizioni ***
Capitolo 15: *** Insospettati legami ***
Capitolo 16: *** Fine dei giochi... ? ***
Capitolo 17: *** Ferite e Guarigioni ***
Capitolo 18: *** Nuova arrivata, nuovi problemi ***
Capitolo 19: *** Pedine e sensazioni ***
Capitolo 20: *** Litigi e Paure ***
Capitolo 21: *** Improbabili candidati ***
Capitolo 22: *** Scoperte dolorose ***
Capitolo 23: *** Ritorno della tranquillità ***
Capitolo 24: *** Kira ***
Capitolo 25: *** Comprensioni ***
Capitolo 26: *** L'inizio delle pazzie ***
Capitolo 27: *** L'eredità di Sonia ***
Capitolo 28: *** Conquista della mafia ***
Capitolo 29: *** Yagami Sayu ***
Capitolo 30: *** Né paradiso, né inferno ***
Capitolo 31: *** Dear Mello ***
Capitolo 32: *** L'amore e il dovere ***
Capitolo 33: *** Amara vittoria ***
Capitolo 34: *** Direttrice [Epilogo] ***



Capitolo 1
*** Un arrivo curioso [Prologo] ***


 PROLOGO
Ero davanti a quell’enorme, macabra casa.
I cancelli, alti e verniciati di nero, non miglioravano di certo l’aspetto dell’edificio.
I miei ricci castani e la frangetta mi frastagliavano il volto, mossi dal vento.
L’uomo che mi accompagnava suonò il campanello, rigido e composto, con la mia valigia blu in mano.
Il cancello, dopo qualche secondo, si aprì cigolando.
Io e l’uomo entrammo, e rallentai un po’ per ammirare il giardino ben curato, dove stavano uno scivolo e una giostrina, una di quelle in cui ti siedi e girano forte. Seppur tenuto bene, il cortile aveva un’aria… Sbiadita.
Varcammo la soglia della tenuta, e potei constatare che anche gli interni erano ben curati.
Distratta dal soffitto dipinto, inciampai nel tappeto rosso mattone che percorreva il corridoio, perfettamente intonato alla mobilia di legno marrone acceso.
L’uomo mi afferrò al volo, prima che potessi cadere. Mormorai un grazie, imbarazzata.
Lui sorrise e continuò a camminare. Lo seguii a testa bassa, per evitare di cadere e fare un’altra figuraccia.
Marciammo su vari tappeti con molti decori, prima che il mio accompagnatore si fermasse, davanti a una porta di legno massiccio.
Bussò, e mi fece entrare, da sola.
Lo studio in cui avevo appena messo piede sembrava essere uscito dagli anni venti, ma era confortevole.
Dietro la scrivania, un anziano signore mi osservava benevolo.
Mi guardavo intorno, abbastanza preoccupata.
-Ciao- mi disse il vecchio -io sono Roger. Tu chi sei?
-Deborah- dissi, fissandolo negli occhi per darmi sicurezza.
-Quanti anni hai?- chiese ancora.
-Undici, quasi dodici.
Silenzio. Ero molto nervosa, e la sua tranquillità mi metteva ancora più in agitazione.
-Sai perché sei qui?- domandò Roger.
Scossi la testa. Meglio far la finta tonta, pensai.
Sorrise, come se si aspettasse una risposta del genere.
-Questa- disse -è la Wammy’s House, dove raccogliamo i bambini orfani con caratteristiche intellettuali particolarmente sviluppate…
-So cos’è la Wammy’s House- lo interruppi, mantenendomi fredda e distante -ma voglio sapere perché sono qui.
Roger non sembrava stupito della mia pretesa.
-Sei stata scelta- disse -vuoi restare?
Sapevo già la risposta. Era tutto come avevo previsto. E allora meglio dar loro il mio cervello e vivere nella beatitudine, piuttosto che finire in uno sporco e vile orfanotrofio da quattro soldi.
-Accetto.
Il vecchio si riscosse.
-Non sono molte le ragazzine che accettano. Dovrai dormire con dei ragazzi, non abbiamo molte stanze.
Annuii, non molto scandalizzata, come invece lui sicuramente pensava.
La porta si aprì, d’improvviso, ed entrò un ragazzo dalla chioma nera e scompigliata, e gli occhi del medesimo colore.
Le occhiaie profonde erano però la caratteristica che più risaltava, sul volto pallido. Camminava un po’ gobbo e vestiva parecchio trasandato, con un fisico asciutto.
Lo osservai con attenzione, intuivo che era qualcuno di particolare.
-Buongiorno, Roger- disse, con molta calma.
-Ryuzaki, avresti dovuto dirmi che saresti passato- rispose il vecchio, alzandosi.
-Non ce n’era bisogno… Lei è una nuova recluta? Ha accettato, vero?
Mi scrutò con occhi curiosi. C’era qualcosa in lui che non mi convinceva.
-Come ti chiami?- chiese.
-Deborah- risposi. Mi si avvicinò, sorridendo fra sé e sé.
-Il tuo vero nome, non questo- mi sussurrò, a un palmo di naso dalla mia faccia.
Come l’aveva capito?
-Anche tu ne hai detto uno falso- dissi, per ripicca.
Ryuzaki non sembrò sorpreso, piuttosto divertito.
-D’accordo- disse, sempre con molta calma -io sono L.
-Io Michelle, piacere.
Roger interruppe la nostra conversazione, dicendo: -Ora è meglio che Mich… Cioè, Deborah, vada a sistemare la sua valigia, fra un paio d’ore sarà servita la cena.
Annuii, e mi diressi verso la porta.
Uscii, e mentre chiudevo la porta sentii L dire: -Come sapevi del mio falso nome?
Mi voltai, per guardarlo ancora negli occhi.
Sorrisi, dicendo: -Ah, non lo sapevo. Avevo solo qualche sospetto, e perciò ho bluffato.
Chiusi la porta, e l’ultima immagine che vidi della stanza fu il volto soddisfatto di L.
 
 
 
 
 
 
Spazio Autrice
 
 
Ciaoooo!!!!
Che ne pensate?? Questo è solo un prologo, perciò le cose emozionanti arriveranno dopo!!
Vi ho incuriosito? Vi piace il personaggio che ho aggiuto? Fatemi sapere!
A kiss<3
ShinigamiGirl

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Capitolo 2
*** Vita alla Wammy's House ***


 Settembre 2002.
Erano passati esattamente sette mesi dal mio arrivo alla Wammy’s House, e avevo compiuto i dodici anni sei mesi prima, in aprile.
Mi ero ambientata abbastanza bene, ero risultata simpatica fin dall’inizio, per mia fortuna.
L, non l’avevo più visto, anche se era un fatto prevedibile.
Ero cresciuta, intanto, soprattutto il mio esser donna era venuto fuori, con un tempismo assurdo, ma c’erano altre due ragazze che mi hanno aiutata nel superare lo shock della crescita del mio corpo. Eravamo le uniche femmine, una di loro si chiamava, o meglio, era soprannominata Vera, mentre l’altra Rose.
Avevamo tutti un nome falso, io compresa.
Mi facevo chiamare Debby, un diminutivo di Deborah, ma il mio vero nome era Michelle Dreamer.
Per quel che ne sapevo, in quel momento i migliori dell’istituto erano Mello e Near.
Forse più Near: Mello era molto impulsivo e ciò lo portava ad esporsi troppo e essere parecchio emotivo.
L’albino Near, dal canto suo, era decisamente calmo e riflessivo, e falliva meno spesso. Le poche volte che succedeva, era per il semplice fatto che le informazioni che riesce a ottenere coi suoi metodi, nei test, non sono sicure al cento per cento, dato che non si mette mai troppo in gioco.
Avevo spesso e volentieri pensato che insieme avrebbero potuto tranquillamente raggiungere il livello di L.
Sì, perché era questo l’obiettivo di noi tutti ragazzi della Wammy’s House: essere un degno successore di L.
A proposito di questo, tutti eravamo a conoscenza della storia avvenuta qualche mese prima, riguardante BB, ed eravamo consapevoli che era a causa di questo scopo, che tutti vogliamo raggiungere, che lui era impazzito.
Era triste sapere che una motivazione così nobile fosse riuscita a creare un serial killer, perciò non se ne parlava molto, era imbarazzante per tutti.
Io però, dopo essere riuscita a consultare negli archivi della tenuta tutti i documenti riguardanti quel caso, avevo dovuto ammettere a me stessa che BB era stato geniale.
Era un peccato che avesse incanalato gli stimoli intellettivi in un’opera così orrida…
-Debby! Ci sei?
Vera mi riportò al presente.
Mi riscossi: -Certo, scusami…
Ripresi a giocherellare con il nuovo rompicapo che avevo ricevuto due giorni prima. Watari, colui che accompagnava sempre L, ogni tanto passava per la tenuta e lasciava giochini e rompicapi che noi potevamo usare per svagarci.
-A che pensavi?- chiese Vera, curiosa -Eri così assorta…
-Alle mie solite ossessioni- risposi, quasi in un sussurro, mentre tentavo di staccare i due pezzi di ferro intricati del giocattolino.
Lei sospirò: -BB?
Annuii. Lei era l’unica a sapere della mia avventura negli archivi. L’avrei detto anche a Rose, ma aveva lasciato la Wammy’s House per andare all’università, appena compiuti i diciotto anni. Vera, invece, doveva aspettare ancora quattro anni per poter andarsene.
Eravamo sedute sui gradini del cortile sul retro, e tutti, ragazzi e bambini, stavano trascorrendo il tempo giocando, parlando o leggendo.
Non riuscivo a risolvere il rompicapo, continuavo a distrarmi.
Quel giorno proprio non c’ero con la testa.
Mi alzai di malavoglia, annunciando: -Vado a farmi risolvere questo coso.
Vera acconsentì, alzandosi per rientrare a studiare.
Io, invece, mi diressi verso la parte del cortile che aveva più vegetazione. Mi feci strada tra i cespugli, sapendo dove poterlo trovare.
E, infatti, era lì, seduto a leggere, mentre sgranocchiava una barretta di cioccolato, all’ombra delle foglie.
-Mello, che fai?
Non si degnò di rispondermi. Sapevo che mi considerava una mocciosa, nonostante avessi solo un anno in meno rispetto a lui, ma non mi facevo certo intimorire dal suo carattere ostile e determinato.
Anche io potevo essere ostinata, e non aspiravo semplicemente a farmi aiutare da lui a risolvere un oggetto insulso.
No.
Io puntavo ben più in alto.
Ciò che volevo esser capace di fare non era risolvere rompicapi che alla mia età non avrei potuto neanche comprendere. Io volevo riuscire a capire i ragionamenti delle persone, far di loro una scheda psicologica e utilizzarla a mio vantaggio, applicando i loro metodi di ragionamento quando mi serviva e utilizzare le loro lacune psicologiche contro di essi.
Era un’aspirazione ambiziosa, ma mi fidavo di me stessa, e sapevo che sarei riuscita a rimediare ai miei errori, se ne avessi compiuti.
Sospirai, lasciandomi cadere di fianco a lui, seduta a gambe incrociate.
-Che vuoi?- chiese con tono annoiato.
Gli porsi il rompicapo.
-Me lo risolvi tu?
Mello sbuffò, posando la cioccolata e afferrando il giocattolino.
Lo guardai con attenzione. Le sue pupille color del cielo scattavano da un lato all’altro, analizzando le estremità delle componenti di ferro incastrate.
Se lo rigirò fra le mani, e infine, con un paio di mosse, districò il rompicapo.
-Soddisfatta?- disse, restituendomi le due parti.
Sorrisi, fingendo stupore e gioia.
In realtà ero abbattuta. Come potevo avere un quadro chiaro delle sue linee di ragionamento con un insulso rompicapo?
-Cosa leggi?- domandai, guardando il volume che aveva davanti.
-Psicologia dei killer- rispose, neutro.
Eh già, non potevo in questo modo. Dovevo vederlo in azione, in un caso vero e proprio.
Sentimmo suonare una campana.
Era ora della merenda, e non vedevo l’ora di mangiare un cupcake, perciò mi alzai.
-Tu non vieni?- dissi rivolta a Mello.
Lui mi guardò, da seduto.
-Quando avrò finito la tavoletta- disse, riprendendo in mano la barretta di cioccolato.



Spazio Autrice

Ecco un altro capitolo...
Vi prego, fatemi sapere come l'avete trovato, sono in ansia T-T
Spero di non essere troppo banale, a presto!!!

ShinigamiGirl

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Capitolo 3
*** Occasioni all'orizzonte ***


 Il cupcake alla vaniglia era delizioso.
Vera, di fianco a me, mangiava arachidi come una macchinetta, uno dopo l’altro. Aveva legato i capelli corvini in uno chignon in cima alla testa.
Ognuno di noi, alla Wammy’s House, alla merenda riceveva il suo cibo preferito. L’unico che non mangiava, come al solito, era Near, seduto un paio di posti più in giù rispetto a me, a capotavola, con davanti uno dei suoi puzzle. Riordinava le tessere con tranquillità.
Nella sala prevaleva il chiacchiericcio insistente dei più piccoli, quando d’improvviso apparve sulla soglia Roger. Tutti si zittirono, e io posai la metà di cupcake che avevo in mano sul tavolo.
Near, invece, continuò a comporre il puzzle indisturbato.
-Devo fare un annuncio- cominciò l’uomo -chiedo che alcuni di voi vengano nel mio studio fra venti minuti. Ho bisogno di Near, Mello, Jake e Debby.
Annuii, un po’ sorpresa di essere stata nominata.
Anche Jake, dall’altra parte del tavolo, aveva spalancato gli occhi neri.
-Vedo che Mello non è qui… Andate a chiamarlo, dopo. Vi aspetto in ufficio, buon appetito- disse Roger, prima di voltarsi e andarsene.
Qualche secondo dopo, i ragazzi e i bambini cominciarono a borbottare tra di loro.
-Ehi- mi disse Vera -avete combinato qualcosa?
-No… La cosa più probabile è che ci voglia assegnare un compito, magari un caso…
La mia amica strabuzzò gli occhi.
-Anche a te e Jake?- esclamò -Senza offesa, ma mi suona strano.
Annuii, pensosa.
-Pure io sento puzza di fregatura- dissi -C’è qualcosa che non mi torna. Non credo sia stato Roger a organizzare la cosa.
-Cosa te lo fa credere?- chiese lei.
-Di solito- spiegai -quando deve fare annunci, assegnazioni o cose simili a un gruppo ristretto non lo dice ai quattro venti come ha fatto ora, insomma, non è nel suo stile. E poi mi chiedo perché anche io e Jake, non vedo come potremmo essergli utili, se ci sono già i migliori della Wammy’s House. A meno che non abbiano escogitato qualcosa per…
-Far collaborare quei due- finì Vera.
Anche lei era sulla mia stessa lunghezza d’onda. Rifletté per qualche secondo, poi chiese: -Ma tramite quale strategia?
-Forse- ipotizzai -vogliono assegnarci un caso dividendoci a coppie. Io con Jake e Near con Mello. In tal modo, conoscendoli, non riuscirebbero a collaborare e fallirebbero, venendo superati da noi matricole, e forse cambierebbero atteggiamento, considerando il loro spirito competitivo…
-No.
Mi voltai di scatto verso colui che mi aveva appena interrotta: Near.
Era immobile come una statua, la mano sospesa a mezz’aria, con una tessera del puzzle fra le dita, e guardava verso il mucchietto di tasselli alla sua destra.
-No- disse ancora -non credo. Piuttosto, metteranno me e Mello in due coppie differenti. In questo modo, potremo constatare ulteriormente le nostre divergenze e ragionarci su.
Addentai il resto del cupcake, non molto convinta.
-Ma così non avreste stimoli per collaborare insieme, anzi, si creerebbe solo più astio tra di voi.
-Ti sbagli- disse l’albino, abbassando la mano -l’unica pecca sarebbe il perdente, perché è lui che deve riconoscere maggiormente i propri errori.
-Il perdente, certo, ma anche colui che ha vinto. Come hai detto tu, il vincente non si farà troppi problemi, ma quello che ha fallito proverà soltanto desiderio di rifarsi sull’altro. La strategia che sarebbe meglio adottare è sottoporre entrambi al fallimento- ribeccai.
-Dipende solo da chi sarà il perdente, col mio ragionamento- disse Near, ostentando tranquillità. Alzò lo sguardo e mi fissò negli occhi.
C’era un silenzio di tomba, tutti si erano messi a origliare il nostro discorso da un pezzo.
Alzai un sopracciglio: -Vedremo.
Mi infilai in bocca l’ultimo pezzo di cupcake, leccandomi le dita, mentre Near tornava a ricomporre il puzzle.
La gente riprese a mangiare e chiacchierare.
Io mi alzai, decisa a chiamare Mello. Avevo in mente l’immagine di lui, seduto a mangiare cioccolato fra i cespugli.
Alcuni mi seguirono con lo sguardo, mentre uscivo, ma non ci badai.
Attraversai il cortile e mi feci strada tra i rami. Trovai Mello seduto esattamente dov’era prima, intento a leggere il volume di psicologia.
-Ci vuole Roger- annunciai.
Lui alzò lo sguardo, accorgendosi della mia presenza, e mi fissò con aria interrogativa.
-Dobbiamo andare nel suo studio, io, te, Near e Jake.
-Arrivo- disse, chiudendo il libro.
Mi voltai e tornai indietro senza dire altro e senza aspettarlo.
Un quarto d’ora dopo, davanti all’ufficio di Roger c’eravamo tutti e quattro.
Ero riuscita a cambiarmi d’abito, invece della solita e comoda tuta indossavo una minigonna blu e una T-shirt bianca.
Gli altri non avevano avuto la mia stessa accortezza, presentandosi così com’erano.
Ci guardammo per un po’, poi decisi di spezzare la tensione.
Bussai.
-Avanti- sentimmo.
Entrai per prima, e Jake, ultimo, chiuse la porta, portandosi nervosamente le ciocche di capelli castani dietro le orecchie.
Eravamo schierati davanti alla scrivania, e Near si sedette per terra.
-Ho un caso per voi- disse Roger, in tono grave.






Spazio Autrice

Ed ecco che iniziano le complicazioni :)
Spero di essere riuscita a scrivere e interpretare bene i personaggi.... Intanto ringrazio St_rebel per aver messo la storia nelle seguite: se non fosse stato per te, non so se l'avrei continuata... E grazie anche a chi la legge ma non è iscritto a EFP... :)
Al prossimo capitolo^^

ShinigamiGirl

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Capitolo 4
*** Collaborazione inaspettata ***


 Roger rimase in silenzio per un po’.
Ero ansiosa di saperne di più. Il mio primo caso!
Cercai di trattenere le emozioni, per essere imparziale come un vero detective.
Near sembrava aver sviluppato questa abilità meglio di tutti: continuava a giocare tranquillamente con le macchinine, seduto sul tappeto.
-Ora riceverete i documenti in cui sono custodite le morti avvenute. Non lavorerete però come gruppo- aggiunse -ma a coppie.
Io e Near ci scambiammo uno sguardo d’intesa. Fin lì ci avevamo azzeccato entrambi, ora veniva il momento di vedere quale strategia avevano adottato.
Jake si torturava le dita.
-Quali saranno le coppie?- chiese.
-Tu andrai con Near, mentre Debby con Mello- rispose l’uomo.
Rimasi di stucco. Era la prima volta che sbagliavo una previsione. Eppure ero sicurissima che la mia linea di ragionamento fosse più conveniente, se avessero voluto riavvicinare Mello e Near. Che lo scopo fosse un altro?
L’albino continuava a far andare le macchinine, senza mostrare nessuna reazione in particolare, mentre Mello, al mio fianco, aveva alzato gli occhi al cielo, mostrando noia e vaga disperazione.
Avevo voglia di dargli un pugno sul naso.
Roger spinse verso di noi due cartellette rosse, sulla scrivania, così Jake e il biondino, come mi piaceva chiamarlo fra me e me, per prenderlo in giro, si fecero avanti per prenderne una a testa.
-Quanto tempo abbiamo?- chiese il mio compagno di gruppo.
-Quanto ve ne occorrerà, l’importante è che le coppie non collaborino. Dovete svolgerlo individualmente. Potete raccogliere informazioni, ma non passarle all’altra coppia. Vedremo chi riuscirà a risolvere tutto in minor tempo. Le vostre indagini inizieranno non appena varcherete quella soglia. Potete andare.
-Grazie- mormorai, prima di voltarmi e uscire dall’ufficio.
Una volta fuori, strappai di mano le documentazioni a Mello.
-Ehi!- protestò lui -Ma che ti salta in mente?
Non ci feci troppo caso, sfogliai con la fronte corrugata i documenti. Non dicevano molto.
Un serial killer.
Le sue vittime erano state tutte impiccate, donne, a torso nudo, e sulla schiena era incisa una stella a sei punte. In totale i cadaveri trovati erano sei, tutti con le stesse caratteristiche.
Si sospettava di un’organizzazione satanica, ma non c’erano indiziati, o, se ce n’erano, Roger non li aveva scritti.
Ad un tratto mi accorsi che Mello mi guardava spazientito, perciò gli restituii i documenti. Anche lui li analizzò con attenzione, mentre io notavo che Near e Jake si erano volatilizzati.
-Dove sono spariti quei due?- chiesi, fra me e me.
-Saranno andati in biblioteca- disse Mello, senza alzare lo sguardo.
-Merda!- esclamai -Ci hanno fregati! Dovremo aspettare delle ore, e figurati se non occulteranno tutte le informazioni!
Mello scoppiò a ridere.
-Che ci trovi di divertente?- sibilai.
-Non ti scaldare, mocciosa. Io ho i miei metodi.
-Dobbiamo collaborare- gli feci notare -quindi non faremo solo a modo tuo, ma anche a modo mio. E ti ricordo che la mocciosa qui presente ha solo un anno in meno di te.
-Quanto sei noiosa. Non possiamo parlare con l’altra coppia, giusto?
Io annuii. Non capivo dove voleva arrivare.
Lui fece un sorrisetto malefico.
-Nessuno però ci vieta di farci aiutare da Matt, no?- disse.
-Matt?- chiesi, confusa.
-E’ il terzo classificato, qui- disse Mello, con un’espressione delusa -a quanto pare dal secondo in poi non si conta, eh?
Ad un tratto ricordai. Ma certo!
Era quel ragazzo con i capelli rossi che giocava sempre ai videogame.
-Ora ce l’ho in mente, me ne sono ricordata- gli dissi -ma sarà disposto ad aiutarci?
-Ovviamente, mocciosa- rispose lui, con tono annoiato.
-Non c’è bisogno di dirlo così seccamente, mio caro biondino- esclamai, furente -andiamo, va’.
Mi diressi alle scale senza neanche aspettarlo, e senza godermi la sua reazione schifata al nomignolo con cui l’avevo chiamato.
Quando ci si metteva sapeva davvero come farsi odiare.
Scesi nella sala da pranzo, dove tutti aspettavano con ansia la cena, sebbene fossero solo le sei e un quarto. Vera mi scorse da lontano e mi venne incontro.
-Allora?- chiese, ansiosa, col sorriso sulle labbra.
Il sorriso svanì, lo sguardo rivolto a qualcosa, o meglio dire qualcuno dietro di me. Girandomi scoprii Mello che si sventolava in faccia la cartelletta. Mi aveva seguita, l’infame.
-Ebbene? Non vorrai perdere tempo, vero?- chiese.
Ma si sentiva davvero figo ad agitare davanti alla faccia quella maledetta cartelletta? Non osai rispondermi.
-Arrivo, arrivo… Vado a mettermi comoda, ci troviamo davanti alla stanza, non ti azzardare ad entrare, ok?- dissi con malavoglia, afferrando i bordi della minigonna e tornado sulle scale.
I dormitori erano al secondo piano, mentre l’ufficio di Roger al primo, dove c’era anche l’archivio e la biblioteca. Al piano terra c’erano la reception, la sala da pranzo e la sala da ricevimento, mai utilizzata, se non da noi ragazzi nelle giornate invernali o di pioggia.
Nella mia stanza del dormitorio eravamo in otto: io, Vera, Francis, John, Jake, Troy, George e, ironia della sorte, Mello.
Entrai di getto, chiudendo la porta e sbattendola forte.
Tuta, rieccomi, pensai.
 
*
 
-Hai finito?- sentii dire, da dietro l’entrata della camera.
Spalancai la porta e Mello barcollò in avanti: si era appoggiato con l’orecchio per cercare di captare qualche suono.
Alzai un sopracciglio, mentre lui osservava i pantaloni della tuta blu che avevo indosso, la mia preferita.
Nonostante l’avessi beccato in pieno, si raddrizzò come se nulla fosse.
-Matt ci sta aspettando- disse, con tono superiore.
-Sì, sì, andiamo.
Lui mi fece strada. Attraversammo il piano dell’istituto, passando davanti a quasi tutte le stanze del dormitorio. Si fermò davanti alla porta numero otto, l’ultima, e bussò.
Venne ad aprirci un ragazzo alto come Mello, quindi cinque centimetri buoni più di me, con i capelli rossi un po’ spettinati e un paio di occhiali… Da sole?
Cosa diavolo ci faceva con quelli, al chiuso?
-Matt- disse il biondino -lei è la mocciosa di cui ti parlavo…
Gli pestai un piede.
-Ahi!
-Così impari a chiamarmi mocciosa, caro biondino. Comunque, molto piacere- dissi, rivolta a Matt.
Lui annuì.
-Piacere mio- disse, divertito -venite pure, i miei compagni sono nella sala da pranzo…
Entrammo nella sua stanza. C’erano otto letti, come nella camera dove dormivo io, disposti in fila, quattro per parete.
Ci guidò fino al letto più vicino alla finestra e ci invitò a sederci.
Mello gli porse la cartelletta e si sdraiò, tirando fuori dalla tasca della giacchetta senza maniche una tavoletta di cioccolato.
Il suo amico lesse attentamente tutti i documenti, poi li rimise in ordine e li appoggiò sul comodino.
-Sembra interessante, stavolta- commentò.
-Sì, diciamo che è un caso particolare- rispose il biondino, col solito tono annoiato.
-E’ la tua prima indagine?- chiese Matt, rivolto a me.
Ero molto nervosa, ma cercai di fare una faccia da poker.
-In un certo senso sì…- risposi.
Lui sorrise.
-Allora sarà meglio che io ti spieghi come lavoriamo noi solitamente. Non sei d’accordo, Mello?
-Certo, certo- rispose, con la bocca piena di cioccolato.
-Dunque- iniziò Matt -io sono abbastanza bravo nel trovare informazioni, specialmente se si parla di computer e hackeraggio. In particolare, mi riferisco al computer della reception.
Rimasi stupita. Quell’apparecchio era off-limits per noi ragazzi.
-Dopo che io ho raccolto le informazioni, Mello collega gli indizi e risolve il caso, ma capita che ogni tanto io gli dia un suggerimento, se non ci arriva subito. Facile, no?
Mi guardai le ginocchia, perplessa.
-E io?- chiesi.
-Potresti aiutare sia me che lui. Puoi farmi da palo, se davvero daremo un’occhiata al computer, e poi aiuterai lui a risolvere il tutto- rispose Matt con semplicità.
Sospirai.
-D’accordo- dissi -credo che il computer dovremo analizzarlo, comunque, e prima lo faremo, meglio sarà. Ci sono troppe poche informazioni, e penso che i quotidiani ne riportino molte più di quelle che ci ha dato Roger.
-Potremmo andare ora- propose lui -Roger è nello studio, e tutti sono a preparare la cena. Che ne dici, Mello?
L’amico lo guardò, e semplicemente disse: -Non fatevi beccare.
-Ti pare?- gli dissi, alzandomi e dirigendomi alla porta.
 
*
 
Ero sulla porta della reception, e scrutavo il corridoio con accuratezza.
Sentivo distintamente Matt che pigiava i pulsanti della tastiera e del mouse, mentre la stampante sfornava fogli in continuazione.
Aveva perciò stampato già una ventina di fogli, tutto in soli cinque minuti. Quel ragazzo era una scheggia col computer, e sì che era un modello vecchiotto.
Passarono altri dieci minuti, in cui Matt continuava a stampare. Man mano che andava avanti, i fogli diminuivano la frequenza di stampa.
Poi sentii il computer spegnersi.
Mi voltai e mi ritrovai Matt a un passo da me, con un pacco i fogli in mano, saranno stati una quarantina.
-Torniamo su- disse.
Salimmo furtivamente le scale e arrivammo senza intoppi alla stanza numero otto, dove era rimasto Mello.
Non appena entrammo lui, lo sfaticato, allungò la mano per farsi dare i fogli. Matt, come un obbediente cagnolino, gli diede subito il frutto delle ricerche.
Non avevo nulla contro al rosso, ma la cosa mi irritava, volevo controllare anche io tutto ciò che aveva stampato, mentre io gli facevo da palo.
Perciò mi sedetti di fianco al biondino, per leggere, ma lui, pur di non avermi di fianco, mi mollò in mano metà dei fogli e si sdraiò di nuovo, lontano da me.
Poco male.
Molti erano facciate intere di siti satanici, ma erano perlopiù annunci di concerti e tappe dei tour dei più famosi cantanti, appunto satanici.
Ne scovai alcune riguardanti i giornali, che parlavano del caso che ci interessava.
A quanto sembrava, le donne erano morte tutte nelle ore mattutine, comprese tra le nove e le undici.
Erano però di differenti religioni, culture e caratteristiche fisiologiche, perciò non si riusciva a capire cosa le collegasse l’una all’altra per attirare l’attenzione del loro aggressore, tanto da ucciderle. L’assassino era introvabile, non c’era nessuna traccia di DNA in nessuno dei casi, e gli omicidi si verificavano più o meno uno ogni settimana, in giorni casuali. Una volta il lunedì, l’altra il sabato, l’altra ancora il mercoledì. Come se non importasse il giorno, ma il fatto che regolarmente dovesse morire una donna.
Come già scritto nelle cartellette, tutte le vittime venivano impiccate a torso nudo nelle loro camere da letto, e veniva loro incisa con un’arma sulla schiena una stella a sei punte.
Mi chiesi se fossero completamente nude, o se avessero qualcosa, come una gonna, o pantaloni particolari indosso…
-Ehi- disse Mello, interrompendo i miei pensieri -guarda qua, Debby.
Mi sporsi verso di lui.
Aveva in mano l’immagine di una donna bionda, di schiena, coi capelli a caschetto, impiccata sopra un letto insanguinato.
-Dove diavolo l’hai trovata…?- chiesi, rivolta a Matt.
-In un sito satanico per soli maggiorenni- disse lui, facendo spallucce.
La osservai con più attenzione.
La stella a sei punte era ben visibile, sulla schiena nuda, ma ciò che attirò più la mia attenzione fu una strana gonna, fino alle ginocchia, di color panna.
Dove l’avevo già vista…?
-Hai notato la foto sul comodino del letto matrimoniale?- mi chiese Mello.
Scorsi la foto: raffigurava la sua famiglia, presumibilmente.
C’era lei, un uomo e due bambini.
L’uomo…
Era il fornitore di alimentari della Wammy’s House.
Sorrisi.
Avevamo un testimone con cui parlare.
 
 
 
 
 
 
Spazio Autrice
 
Konichiwa!^^
Salve a tutti, miei amati lettori!
Da questo capitolo in poi, mi impegnerò per pubblicare sempre dei testi un po’ più lunghi, e spero che con questo io sia riuscita a cominciare bene col mio proposito.
L’ispirazione, una brutta bestia! Dovevo pubblicarlo domani, ma l’ho finito, per cui… Perché aspettare??^^
Fino a domenica non credo che pubblicherò altro, perciò ci rivedremo settimana prossima!
Grazie aver letto fino a qui!
Un bacione
 
ShinigamiGirl

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Capitolo 5
*** Tempesta di passaggio ***


La mia amica mi stava maciullando il braccio.
-Suvvia, sii buona! Raccontami altro, ti prego!
-Non posso, Vera!- esclamai.
La mia amica, dopo che avevamo finito la colazione, mi aveva trascinata nei bagni e mi aveva chiesto com’era andata, il giorno prima, con il caso che ci era stato assegnato.
Gli avevo detto che indagavamo su un serial killer e che dovevo collaborare con Mello, ma ero decisa a non dire altro, nonostante Vera fremesse dalla voglia di potermi aiutare o semplicemente saperne qualcosa di più.
-D’accordo- si arrese, lasciandomi il braccio -ma non appena lo avrete risolto mi dovrai raccontare tutto, ne sei consapevole?
Le sorrisi. Vera non era una ragazza molto insistente, e si accontentava facilmente. Forse era per quello che non riusciva ad essere la migliore, nella Wammy’s House.
-Che ore sono?- le chiesi.
Lei guardò l’orologio sul polso.
-Le nove in punto… Devi andare in biblioteca con Mello?
-Eh già… Non sai che stress! Avrei preferito mille volte fare da sola questo lavoro…
-Dai, almeno non sei da sola, vedila così- mi disse Vera, sorridendo -ora vai, non vorrai iniziare mettendolo subito di cattivo umore con un tuo ritardo!
Rabbrividii al solo pensiero.
La salutai e corsi fuori, correndo alle scale.
Salii al primo piano e percorsi correndo il corridoio, verso l’entrata della biblioteca, dove stava andando anche Mello, con un passo più tranquillo. Rallentai fino al suo fianco, e lui si voltò, guardandomi con gli occhi celesti.
-Vedo che almeno sei puntuale- commentò.
Rimasi in silenzio.
Non era proprio il momento di litigare, non prima di iniziare a lavorare e discutere.
-Ciao, eh- dissi soltanto, con un velo di sarcasmo.
Lui accennò a un sorrisetto, col suo solito fare superiore, e entrammo nella biblioteca.
Non era la prima volta che ci andavo, ma ogni volta mi stupivo della grande quantità di testi originali che vi erano custoditi. Sapevamo cosa cercare: il significato della stella.
Ci dividemmo gli scaffali e li passammo in rassegna, selezionando i libri più promettenti e mettendoli tutti su uno dei tre lunghi tavoli posti nella sala.
Questo lavoro portò via parecchio tempo, ci tenne occupati fino alle dieci. Mello era spazientito, cercava di fare più veloce possibile, nonostante dovesse fare questo lavoro con calma, per far sì che non prendessimo un granchio.
Quando avemmo finito il tavolo reggeva la bellezza di una cinquantina di volumi, i fogli stampati da Matt non erano nulla in confronto.
Mi sedetti, pronta a passare in rassegna i libri, ma Mello non fece lo stesso, rimanendo in piedi a fissarli.
Lo guardai.
Era visibilmente annoiato.
-Che hai? Vuoi o non vuoi risolvere il caso prima di Near?- lo punzecchiai.
Mi pentii quasi subito di quello che avevo detto, temendo una sua brutta reazione, ma lui non reagì come mi aspettavo.
Si sedette con aria rassegnata, dicendo: -Sì, scusa. Hai ragione.
Aprì il libro più vicino e iniziò a leggerlo. Lo osservai con più attenzione. Aveva qualcosa di strano, lo percepivo.
Il suo sguardo era spento, come quello di uno a cui è stato appena annunciato qualcosa di decisamente brutto.
Notai una tavoletta di cioccolato, in fondo al tavolo. Aveva il segno di un unico, singolo morso. Caspita, aveva davvero qualcosa che non andava.
Gli chiusi il volume davanti agli occhi.
Lui si girò verso di me, con un’espressione stupefatta. Ci fissammo negli occhi per un paio di minuti, poi mi decisi: -Te lo richiedo. Che cos’hai?
Lui si irrigidì, voltandosi dall’altra parte.
-Affari miei.
-Ti sbagli. Siamo una squadra, e se tu non ti impegni al massimo delle energie come speri che possiamo vincere?
Lui rise. Una risata amara, umile. Non l’avevo mai sentito ridere così.
-Semplicemente non spero nulla- disse.
-Idiota…- sussurrai.
-Che cosa…?
-Ho detto che sei un idiota!- esclamai, alzando la voce -Fai tanto il gradasso e poi non combatti? Sei solo un vigliacco!
-Non ti permettere, mocciosa, tu non puoi capire!- mi sibilò contro lui.
Risi forte.
-Cosa ridi, ora?- esclamò.
-Ma non ti rendi conto- ribeccai io -che siamo sulla stessa barca?! Io non ti posso capire? Beh, allora ascolta un po’ qua! Ti sei allenato duramente in questi mesi, ti ho visto, e non sei riuscito a superare Near per colpa della tua impulsività. Ora ti sei reso conto che questa indagine è una prova, e sei sicuro di fallire. Ma la vuoi sapere una cosa? Tu non hai calcolato che esisto anche io, che sono qui per aiutarti, e che se non valessi nulla come ora stai pensando probabilmente non avrebbero neanche organizzato questa prova!
-L’hanno organizzata per confermare la sua superiorità, non ce la posso fare.
-Non importa che tu creda di potercela fare o meno!- urlai -di certo stai parlando, pensando, ma soprattutto agendo troppo poco! Datti una svegliata!
Dopo avergli urlato in faccia quelle cose, mi voltai e uscii a testa alta dalla biblioteca.
Se voleva affondare, che lo facesse da solo.
Io abbandonavo la barca.
 
*
 
Stavo seduta sull’altalena.
Erano nuove di pacca, quelle altalene, le avevano fatte costruire nel cortile interno della Wammy’s House solo una settimana prima.
Mi ero dovuta coprire col giubbotto, naturalmente blu.
L’aria autunnale di settembre si faceva sentire, e la brezza fredda mi muoveva i ricci castani, che ondeggiavano intorno al mio viso. Erano cresciuti, arrivavano fino ai gomiti. La frangetta, invece, la tagliavo ogni mese: non me la sentivo di farla crescere.
Il cortile iniziava a ingiallirsi, e le foglie degli alberi iniziavano a colorarsi, alcune gialle, altre rosse e delle sopravvissute ancora verdi.
Mi sarei dovuta godere quell’aria di primo pomeriggio, ma dopo gli avvenimenti del mattino proprio non ce la facevo.
Addentai nervosa il cupcake al pistacchio, che avevo portato fuori dalla mensa.
Avevo mollato, non potevo più tornare indietro.
La mia unica occasione di mostrare il mio intelletto direttamente a Roger e L era sfumata, come un sogno, quando ti alzi la mattina.
Mi sentivo davvero patetica, ma non avevo intenzione di strisciare ai piedi di quel verme di Mello, solo perché da sola nessuno mi avrebbe mai notata.
Avrei preferito morire.
Sentii dei passi e mi voltai, pronta a mandare la persona in avvicinamento direttamente a quel paese. Mi si bloccò lo stomaco.
Era Matt.
Mi sorrise, ma non riuscii a rispondergli, così lo fissai a vuoto.
-E così- disse -hai fatto una lavata di capo al comandante, eh?
-Già, da semplice soldato- risposi.
-Sai dov’è ora?- mi chiese, con tono misterioso.
Sospirai: -Non mi interessa, Matt. Non sono dell’umore, sai?
-Che ti interessi o no, è chiuso nella mia camera a fissare il muro.
-Quindi?- chiesi, con aria interrogativa.
-Appena entrato, prima di pranzo, mi ha raccontato tutto, come una macchinetta, proprio tutto quello che vi siete detti. Quando mi ha riferito le ultime cose che gli hai urlato contro, gli si è affievolita la voce e si è seduto per terra, iniziando a fissare la parete. Non ha smesso per un secondo. Hai notato che non c’era in sala da pranzo, a mangiare? Beh, era ancora là, e credo lo sia tutt’ora.
-Che sfigato- commentai, osservando gli alberi davanti a noi.
-E’ il suo modo di riflettere… Sono venuto per ringraziarti, era davvero abbattuto, e tu sei riuscita a scuoterlo un po’, facendolo riflettere seriamente, superando il sentimento di inferiorità che, strano ma vero, l'aveva assalito.
Feci una risatina amara.
-Almeno lui ci ha guadagnato qualcosa- dissi.
-Non è stupido, lo sai, tornerà e riprenderete le indagini. E comunque è normale che tu ti senta male, per aver perso momentaneamente la tua occasione, ma hai fatto bene, pochi sarebbero riusciti ad avere il coraggio che hai avuto tu, urlandogli tutte quelle cose- mi disse Matt, con un mezzo sorriso.
-Sarà, ma facendo così ho commesso un errore.
-In che senso?- chiese lui, confuso.
-Ho capito che non posso essere completamente imparziale, in questo lavoro. Ed è una cosa che mi irrita parecchio, dato che aspiravo a psicanalizzare tutto e tutti senza nessuno scrupolo. Non posso farlo senza essere coinvolta emotivamente, non se i soggetti sono vicini a me e vivono con me.
Lui non rispose subito, anzi, rifletté intensamente.
-Debby- mi disse -anche se non riesci ad essere imparziale, non credo sia un difetto. Hai mai notato che L, nonostante sia il migliore al mondo, odia perdere? Questo dovrebbe significare che lui non è completamente imparziale nel suo lavoro, poiché viene coinvolto emotivamente, giusto?
-Ecco perché sei il terzo in classifica- mormorai, sorridendo lievemente, con una nuova energia dentro di me -Sarà meglio che vada a leggere quei libri, o rimarremo indietro con le indagini. Grazie, Matt.
-E di che?- disse lui, ridendo.
Entrammo nell’istituto.
-Un giorno mi presti la console?- gli chiesi.
-Per cosa?
-Vorrei provare a giocare ai Pokémon. Mi sembrano carini.
Matt mi guardò e sorrise.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Spazio Autrice
 
Buonsalve!
Questo capitolo è un pochino più corto dell’altro, ma sono successe un bel po’ di cose e i nostri cari personaggi devono assimilare le novità...(:
Fatemi sapere cosa ne pensate, soprattutto dei discorsi, che a volte temo siano troppo scontati o mal messi… Sono una ragazza molto incerta, lo so xD
Scusatemi ancora se pubblico in anticipo, ma non potevo dar freno alla mia ispirazione T-T
Grazie a tutti coloro che hanno avuto la pietà e la compassione di leggere, recensire o mettere nelle liste dei seguiti/preferiti questa mia ff, grazie di cuore!!
Spero di rivedervi (si fa per dire xD) nel prossimo capitolo!
Sayonara!
 
ShinigamiGirl

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Capitolo 6
*** Cupcake al cioccolato ***


Ero stremata.
In un unico pomeriggio avevo analizzato tutti i libri che io e Mello avevamo selezionato, prima di avere quella famosa discussione.
Sfortunatamente avevo raccolto pochissime informazioni, ovvero che la stella a sei punte, chiamata stella di David, simboleggiava il popolo ebreo, ed era famosa per essere utilizzata come riconoscimento dell’appartenenza a quella cultura nella seconda guerra mondiale.
Le uniche cose interessanti e pertinenti che avevo scovato dicevano che era un simbolo utilizzato nell’occultismo, ma non ne specificava il tipo e non faceva esempi.
Uscii dalla biblioteca molto frustrata: avevo saltato la merenda, alle cinque, per finire in tempo, ma non ero stata ricompensata della mia buona volontà.
Mancavano cinque minuti alla cena, erano le sette e venticinque, e non vedevo l’ora di mettere qualcosa sotto i denti, specialmente i miei amati cupcake a fine pasto, perciò mi diressi ai bagni. Mentre mi lavavo le mani maledissi quei libri, erano pieni di polvere.
-Debby!
Mi voltai. Vera, all’entrata del bagno, mi guardava con gli occhi castani spalancati.
-Dov’eri? Ti ho cercata ovunque!- esclamò.
-Ero in biblioteca- dissi semplicemente, tornando alle mani con lo sguardo.
-Ma se Mello era in stanza! Non dirmi balle, Debby- si lamentò lei.
Mi voltai di scatto, chiudendo il rubinetto.
-Ho mai detto balle, Vera? Ero davvero in biblioteca, e dato che quello sfaticato si è arreso, ho dovuto fare tutto da sola.
Lei esitò, con aria colpevole.
-Perdonami- disse -ma Mello aveva un’aria così preoccupante che non ho potuto fare a meno di agitarmi…
-Tranquilla, so che è difficile da credere, e vedere quello lì in uno stato simile metterebbe chiunque lo conosce in allarme.
-Già… Ma… Cosa vuoi dire con “si è arreso”?
-Intendo proprio quello che hai sentito. Ha detto che è stufo di combattere contro Near, perché quell’albino è superiore.
Il volto della mia amica divenne incredulo.
-Non ha detto proprio così- aggiunsi -ma questo era il concetto principale. Ora scusami, ma devo andare da Roger prima che mettano la cena in tavola.
Prima di andare nello studio, abbracciai Vera, che mi strinse forte a sé.
-Buona fortuna- mi disse.
Mormorai un grazie, e corsi all’ufficio.
 
*
 
Davanti alla porta, mi sistemai la giacchetta della tuta e diedi una lisciata ai pantaloni, poi bussai.
-Avanti- sentii, perciò entrai.
Roger, non appena mi vide, fece una faccia sorpresa, e mi accorsi che c’era qualcuno con lui, un qualcuno che avevo conosciuto già al primo giorno alla Wammy’s House.
Sulla sedia davanti a Roger, in una strana posizione accovacciata, c’era un ragazzo dalla chioma nera e arruffata.
Era L.
Esitai, rimanendo impassibile più che potevo.
Un po’ più a destra, nell’ombra, vidi anche un altro signore piuttosto avanti con gli anni. Probabilmente era Watari.
-Devo tornare dopo cena?- chiesi, rivolta a Roger.
-Non serve, sono una persona di cui ti puoi fidare, Michelle, e la cosa vale anche per il mio amico Watari- mi rispose L, precedendo Roger.
Chiusi la porta alle mie spalle e mi feci avanti, arrivando davanti alla scrivania. L, di fianco a me, scrutava ogni parte del mio corpo con curiosità.
-Di cosa hai bisogno?- mi chiese l’uomo, da dietro la scrivania.
-Serve che tu mi organizzi un incontro con il fornitore della Wammy’s House, Roger, serve per le indagini- dissi, tentando di trattenere il tremolio della mia voce.
-Posso parlarne io con lei?- chiese L.
Andai in agitazione. Non potevo prevedere cosa mi avesse potuto chiedere, e sperai che gli negasse la cosa.
-Certamente- disse Roger.
Perfetto, pensai.
-Bene- disse il ragazzo, girandosi sulla sedia fino ad avermi di fronte.
Anche io mi voltai verso di lui. Il suo sguardo mi metteva addosso un senso di ansia inimmaginabile.
-Dunque- disse, con una calma insopportabile -raccontami i motivi che ti spingono a fare tale richiesta.
-Abbiamo scoperto che sua moglie è stata una delle vittime, e ci sarebbe decisamente utile un interrogatorio.
Lui si mise un pollice sul labbro inferiore.
-E cosa pensate di scoprire, così?
-Beh- dissi -intanto avremo dettagli in più, cose anche insignificanti ma che serviranno per collegare tutti gli indizi. Si sa che i notiziari e i poliziotti nascondono moltissimo.
-Dov’è il tuo compagno di squadra?
Mi zittii. Dannazione, era giunto subito al tasto dolente della situazione.
-In stanza- dissi, cercando di dire una mezza verità
-E per quale motivo ha lasciato che chiedessi tu questa cosa così importante per le indagini?- chiese ancora.
Santi numi. Mi sarebbe toccato dire la verità…
-Lui, ecco, non è a conoscenza della mia presenza qui- ammisi.
-Come mi spieghi questa cosa? Non ha voluto avere a che fare con te?- domandò, con un tocco di durezza nella voce.
-No, non è andata proprio così- dissi, mostrando indifferenza -in realtà, dopo aver capito che era un’ennesima prova per vedere chi era migliore fra lui e Near, ha detto che è inutile continuare a insistere, perché si sente inferiore.
-Questo non è un atteggiamento da vero detective- commentò L.
A quelle parole mi sentii montare dentro una rabbia omicida. Ma come si permetteva? Al diavolo l’impassibilità.
-Non sarebbe andata così se avessi adottato un’altra strategia!- esclamai -E comunque ogni soggetto risponde agli stimoli in maniera differente.
-Bisogna essere capaci di essere imparziali- disse semplicemente, di fronte alla mia risposta.
-Ma è impossibile esserlo sempre- dissi, fissandolo negli occhi -anche l’odiare i propri errori dimostra incapacità di essere imparziali.
-Sei acuta, non posso che darti ragione. Ma quale sarebbe l’alternativa ad una prova simile?
-Dividendoli non otterrai mai nulla- sibilai -devi far sì che uniscano le loro forze, non esisterà sempre un individuo con le tue stesse capacità cognitive. E’ una cosa brutta da dire, ma è così. Non puoi aspettarti che ci sia qualcuno che ha il tuo modo di pensare in un gruppo di ragazzi così ristretto, siamo solo in sessantaquattro, non puoi permetterti un lusso del genere! A meno che…
Lui si illuminò.
-A meno che…- esortò.
-A meno che tu non abbia puntato a qualcos’altro, con questa strategia, ma francamente è un dettaglio che mi sfugge- dissi.
-Esatto- disse L, sorridendo fra sé.
Allora non avevo sbagliato le previsioni. Se avesse avuto l’obiettivo di confrontarli, non avrebbe adottato questa strategia. Avevo battuto Near? Forse, ma in quel momento non mi importava; volevo solo sapere cosa aveva in mente L.
 
*
 
Dopo cena ero di buon umore.
Nonostante la discussione accesa con Mello e poi con L, quest’ultimo si era riscattato, esponendomi gli obiettivi che aveva prefissato alla prova.
Inoltre mi sentivo parecchio esaltata.
Mi aveva detto: “sei molto acuta”.
Ogni volta che ci pensavo non potevo far a meno di sorridere fra me e me.
Avevo ricevuto due cupcake al cioccolato, e uno l’avevo ancora in mano, decisa a mangiarlo nella mia stanza.
Tornando in camera, ascoltavo sull’i-pod una delle ultime canzoni di Britney Spears, uscita il dicembre dell’anno prima, ma che mi piaceva molto.
La canticchiavo con allegria.
-What am I to do with my life? How am I supposed to know what's right? I can't help the way I feel, but my life has been so overprotected...
Quando spalancai la porta, vidi subito Mello seduto sul letto che fissava il muro, mangiando una tavoletta di cioccolato… Al latte? Da quando?
Sentì la porta chiudersi, e si voltò verso di me.
Ci guardammo per qualche secondo, col sottofondo di Britney che cantava, nel mio orecchio sinistro.
Mi avvicinai al suo letto, il terzo nella fila a sinistra.
-Mello- dissi -sei ancora deciso a non voler combattere?
Lui mi guardò con occhi di ghiaccio, poi disse: -No, sarebbe da perdenti. Domani dobbiamo recuperare…
-Ho controllato i libri, e dopodomani abbiamo un incontro con il signor Smith, il fornitore.
Mello fece una faccia confusa.
-La tua assenza non mi ha impedito di continuare, seppur da sola- dissi, con un velo di disprezzo.
Lui scoppiò a ridere di gusto.
Lo guardai come se fosse un marziano, e lui mi disse, fra le risate: -Sembri… Sembri proprio… Sembri me!
E continuò a ridere.
Alla fine anche io ridacchiavo, e mi sedetti ai piedi del letto, spegnendo il mio i-pod.
-Ehi, quello è cioccolato?- mi chiese Mello, indicando il mio cupcake.
Lo spezzai a metà, dandogliene un pezzo.
Cupcake al cioccolato, una combinazione che sarebbe andata avanti per le indagini.
 
 
 
 
 
 
Spazio Autrice
 
Salve a tutti!
Spero che la vostra settimana sia iniziata bene, io sono riuscita a finire questo capitolo finalmente, sorseggiando del tè anche troppo zuccherato dalla mia nuovissima tazza con la faccia di L stampata sopra, comprata ieri al cartoomics xD
Spero che vi sia piaciuto questo capitolo, a me molto!
Questa è la canzone citata nel testo, s’intitola “Overprotected”, ed è uscita il dicembre 2001:   https://www.youtube.com/watch?v=PZYSiWHW8V0
Ci vediamo al prossimo capitolo!!
ShinigamiGirl
 
PS ovvero Piccola Sorpresa; questa è la migliore foto che ho scattato ieri, io sono quella al centro, ma direi che il migliore è a sinistra xd <3 :

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Capitolo 7
*** Indagini e sogni ricorrenti ***


-Vai, vai… Usa pistolacqua, dai!
Pigiai i pulsanti del game boy, selezionando la mossa pistolacqua e mandando finalmente K.O. il mio avversario, un Rapidash di livello quarantaquattro.
Lanciai un grido di vittoria, in perfetta sincronia con Matt, seduto di fianco a me.
-Dammi il cinque!- esclamò, e gli battei la mano.
Mi aveva prestato la sua cartuccia di cristallo, e ci stavo giocando da un po’, mentre Mello sgranocchiava innervosito una barretta di cioccolato fondente, dall’altra parte della stanza.
Erano passati due giorni dal nostro riconcilio, e stavamo aspettando l’arrivo del signor Smith, il fornitore, alla Wammy’s House. Io non ero molto preoccupata, sapevo già che la maggior parte delle domande le avrebbe fatte Mello, e io mi sarei limitata ad ascoltare e prendere appunti.
Normalmente non avrei accettato che lui fosse al centro dell’attenzione a tal punto, ma dovevo lasciargli spazio per fargli capire che la sua intelligenza non era per nulla inferiore a quella di Near.
Salvai la partita e restituii il game boy a Matt, che fu ben felice di riprenderlo in mano per giocarci. Avevamo solo dodici anni, era giusto che ci svagassimo, anche se, con l’obiettivo di ereditare la posizione di L, ci costringevano a crescere prima.
Bussarono alla porta, e io sussultai. Alla fine era arrivato, aveva accettato.
Roger aprì la porta.
-Ragazzi, il signor Smith è giù nel mio ufficio, andate pure- disse.
Io e Mello ci alzammo, e Matt, mettendo in pausa il gioco, ci guardò e sorrise.
-Buona fortuna!
-Grazie- gli risposi, mentre Mello usciva dalla stanza senza degnarlo di uno sguardo.
Lo seguii con passo affrettato, con un bloc-notes in mano, scendemmo le scale e ci fermammo nei pressi dell’ufficio. La porta era già aperta.
Mello entrò nella stanza senza battere ciglio, e lo imitai. Io, al suo fianco, molto probabilmente risultavo incerta e dubbiosa. Seduto al posto di Roger stava il signor Smith. Era un uomo sulla quarantina, dai capelli corti e neri, con degli occhi scuri e vitrei.
-Debby, chiudi la porta- mi ordinò il biondino, sottovoce.
Feci come mi aveva detto, non era il caso di bisticciare davanti al nostro testimone, poi ci sedemmo davanti a lui.
Mello stava già per partire con le domande, ma intuii che ci voleva un altro approccio, perciò posai una mano sul suo braccio. Lui si voltò per guardarmi negli occhi, e gli feci segno di lasciar perdere.
Lui, per chissà quale miracolo, capì ciò che intendevo, e si appoggiò allo schienale della sedia, con le braccia incrociate.
Bene, pensai.
-Signor Smith- dissi, protendendomi verso l’uomo -vi ringraziamo per essere qui, dev’essere un grande sforzo per voi, se avete bisogno di qualcosa dite pure.
L’uomo mi guardò e annuì semplicemente.
-Ora- spiegai -vi faremo delle domande di molta importanza sulle circostanze dell’assassinio di vostra moglie. Sappiamo che sarà una cosa difficile, ma vi chiediamo di essere quanto più precisi potete, in modo tale che noi potremo trovare presto l’assassino.
Smith annuì ancora.
Guardai Mello. Non appena il nostro sguardo si incontrò, lui capì.
Si raddrizzò, e iniziò con tono formale a fare domande.
-Iniziate pure con l’elencarci tutti i possibili nemici di sua moglie.
L’uomo pronunciò vari nomi, due sue ex-fidanzate, un ex-fidanzato e vari colleghi della moglie. Lei era un avvocato, ed era spesso in competizione con altri.
-Bene- approvò Mello, a elenco ultimato -ora ci potreste descrivere le condizioni di morte di vostra moglie?
-Era stata impiccata, sopra il nostro letto matrimoniale. Io ero in viaggio, col camion, quella notte. Quando sono tornato, verso l’una di pomeriggio, lei era lì, appesa, a torso nudo e con quegli orribili segni incisi sulla schiena.
Osservavo Smith con attenzione, cercando di prevedere eventuali crolli emotivi, ma era come se non fosse animato, rispondeva con una calma tipica di persone che si sono arrese.
-Avevano rubato, spostato o rotto qualcosa?- chiese il biondino.
-Solo la porta era stata scassinata. Avevano buttato i vestiti di mia moglie per tutta la camera da letto, c’erano i suoi abiti ovunque, ma non credo abbiano rubato qualcosa.
A quelle parole mi riscossi.
I vestiti…
-Ci potete descrivere una giornata tipo di vostra moglie?- chiese ancora Mello, impassibile.
-Si alzava alle sei di mattino, accompagnava i bambini a scuola e andava a fare la spesa. Poi tornava a casa e preparava il pranzo, e di pomeriggio lavorava. Stava via molto, tornava tardi spesso e volentieri, perciò i nostri figli, all’uscita da scuola andavano a casa di mia madre, che li andava a prendere. Alcune volte lavorava anche al mattino, per cui mia madre la aiutava frequentemente con i nostri figli.
L’interrogatorio durò moltissimo.
La signora Smith non aveva precedenti, era cristiana cattolica e non aveva mai avuto rapporti di nessun tipo con dei satanisti. Da giovane era una studentessa modello, e aveva perso entrambi i genitori in un incidente d’auto, poco dopo il suo matrimonio.
I signori Smith erano inoltre benestanti e non avevano debiti, avevano terminato il pagamento dell’appartamento due anni prima, e la stessa cosa dicasi delle auto.
Insomma, non scoprimmo nulla di così interessante, avevo riempito intere pagine del taccuino con informazioni non molto utili.
Dopo un’ora e mezza di interrogatorio, Mello si voltò verso di me.
-Io avrei terminato- mi disse -tu hai in mente qualche domanda da fare?
Ci riflettei un attimo, poi annuii.
Mi rivolsi al fornitore.
-Un’ultima domanda, poi vi lasceremo tornare alle vostre occupazioni. Vorrei sapere cosa aveva indosso la signora Smith nelle circostanze della sua morte, vi prego di essere il più preciso possibile, mi sarebbe utilissimo se vi ricordaste anche i negozi o le marche degli abiti.
Mello mi lanciò uno sguardo interrogativo, a cui non risposi. Ero concentratissima sul volto del signor Smith, che aveva avuto per qualche secondo uno strano barlume negli occhi, che prometteva decisamente bene.
-Era a torso nudo, ma indossava una gonna molto costosa che le avevo regalato due mesi fa. Non ricordo dove l’avevo comprata, ma era dello stilista Alexander McQueen.
Segnai il nome dello stilista sul taccuino.
Ora ricordavo.
Quella gonna era su una rivista che avevo letto circa tre mesi prima, e mi aveva colpita per la sua forma candida.
-Vi ringraziamo moltissimo- dissi -ora, se il mio… collega, non ha nulla da chiedere, questa raccolta di risposte può andare.
Mello mi guardò con una faccia strana.
-Abbiamo finito- disse, alzandosi e uscendo dall’ufficio.
Salutai il fornitore con un arrivederci, e seguii il biondino.
Quando fui fuori, mi voltai a sinistra e scorsi Mello che stava già salendo le scale, ma mi bloccai. Qualcuno, dalla parte opposta, alla mia destra, era seduto su una di quelle poltrone di bellezza che stavano nei corridoi della Wammy’s House.
Mi girai verso la poltrona.
L, seduto in quella sua strana posizione, mi sorrise.
Ricambiai, e poi corsi dietro a Mello. Anche se non ci parlammo, sia io che L lasciammo inteso che la sua presenza, davanti all’ufficio, dovesse rimanere un segreto fra lui e me.
 
*
 
Arrivai nella stanza numero otto col fiatone, Mello era praticamente schizzato sulle scale di corsa. Entrata nella camera, trovai il biondino che mi attendeva a braccia incrociate davanti alla porta.
-Collega? Ma che diavolo avevi in mente? Non siamo professionisti, anche se alcuni di noi sono destinati ad esserlo- sbottò, con un tono di voce incredulo.
Feci una faccia confusa, poi capii.
-Scusa, ma non mi pareva il caso di chiamarti “compagno”!- esclamai -Poteva intendere male!
Lui, per tutta risposta sbuffò, con una nota di arroganza.
Era tornato davvero quello di prima; il solito Mello, odioso e sbruffone.
Quando mai avevo deciso di fargli certi discorsi…
-Comunque- disse lui, interrompendo i miei pensieri -spiegami come ti è venuta in mente quella domanda, a proposito della gonna.
-L’avevo già vista da qualche parte, e poi non va tralasciato nessun dettaglio.
-Sì, ma la marca della gonna, è una cosa ridicola!
-Senti, non ho voglia di litigare, non è costata nulla quella domanda… E poi si collega al fatto dei vestiti sparsi per la casa. Non ti è sembrato strano?- chiesi.
-Un po’- ammise, tirando fuori dalla tasca la sua fidata barretta di cioccolato.
-Quindi è andata bene?- chiese Matt, dal fondo della stanza.
Mello non si degnò di rispondergli, annunciò di essere stanco e uscì dalla camera.
Sospirai.
Non sapevo più come trattarlo.
Lo lasciai uscire, e poi vidi che Matt mi guardava, attendendo una risposta.
-Sì, ma abbiamo scoperto poco- gli dissi.
Andai sul suo letto e mi sdraiai di fianco a lui, con un po’ di rammarico.
-Ehi, cosa ti passa per il cervellino?- mi chiese Matt.
-Nulla di particolare- risposi -è che proprio non lo capisco, quel dannatissimo biondino.
Lui rise, passandomi il game boy.
-Gioca un po’ a cristallo- mi disse, col sorriso sulle labbra -e vedrai che ti passa.
 
*
 
Ero su una collina, tutto davanti a me era colmo di ricordi e significati. Il villaggio davanti a me era stato completamente distrutto dai ladri.
Intorno a me sentivo voci che mi chiamavano, col mio vero nome.
-Michelle…
-Michelle…!
-Michelle…?
-Basta, smettetela!- urlai, tappandomi le orecchie.
Corsi più veloce che potevo, ma inciampai e caddi rovinosamente.
Mi alzai e guardai su cosa ero inciampata.
Era un cadavere straziato, era stato sballottato dai carri in fuga, ed era sporco.
La riconobbi.
Era mia madre.
Tentai di andarmene, ma il cadavere si mosse, afferrandomi la caviglia.
Urlai, dimenandomi.
Lei alzò lo sguardo e mi fissò negli occhi.
-E’ colpa tua!- urlò.
 
Scattai sul letto ansimante, sudata e stanchissima.
Di nuovo. L’avevo sognato di nuovo.
Gli altri dormivano ancora, e il sole stava sorgendo.
Piansi sotto le coperte, in silenzio, singhiozzando lievemente. Dopo un po’ le lacrime smisero di scendere, e mi calmai.
Sentii un suono in lontananza.
Erano le campane della chiesa, presto Roger avrebbe portato tutti i ragazzi della Wammy’s House a messa.
Mi asciugai il volto e sgattaiolai in bagno, di nascosto, per darmi una lavata alla faccia.
Nessuno doveva sapere di quei miei momenti di crisi.
Nessuno.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Spazio Autrice
 
Konichiwaa!!!!
Ecco l’ennesimo capitolo di questa mia storiella.
Spero vi sia piaciuta, mi sono divertita a scriverlo, soprattutto l’ultima parte^^
Ringrazio tutti quelli che hanno messo la storia nelle seguite (St_rebel e Black98) e nelle preferite (Mihael_River e Stefyc17)!!!
Ringrazio anche chi ha recensito, oltre a alcune che ho già citato, anche BellaRevolution95.
Ringrazio anche i lettori che non hanno lasciato recensioni e i non iscritti a EFP.
Vi voglio bene, gente!:3
 
ShinigamiGirl

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Capitolo 8
*** Dettagli vitali ***


Uscii dalla chiesa, stringendomi addosso il cappotto.
Erano quasi le undici e mezzo, ed era finalmente terminata la messa.
Le campane della cattedrale suonavano, facendo sentire i loro rintocchi in tutta Winchester.
Il sole mi accecò, così portai una mano davanti al viso, per farmi ombra e vedere meglio. Davanti a me, l’incubo di ogni ragazza che vorrebbe svagarsi un po’ dai suoi compiti: Mello.
Era dall'interrogatorio che non mi lasciava più sola, controllava ogni cosa che facessi, un fatto decisamente spiacevole, soprattutto perché era insistente, continuava a dire che dovevamo fare questo, discutere di quell’altro… Insomma, una rottura unica.
-Hai finito di fare lo stalker?- chiesi seccata.
-Non voglio che tu ti perda per viole- disse lui semplicemente.
-Santo cielo, Mello, è domenica!
-Gli assassini uccidono anche di domenica.
Imprecai, infastidita.
-D’accordo- esclamai -ma oggi faremo le indagini fuori, non ne posso più di litigare con Near per poterci chiudere in biblioteca!
-Fuori in cortile? Ma sei scema? I bambini non ci penseranno due volte a venire a romperci le scatole.
-Chiederemo a Roger di andare fuori, in città.
-Perfetto, così andremo anche alla casa di Smith- approvò lui.
Ero esasperata. Volevo un giorno di pausa, quel dannatissimo sogno ricorrente che avevo fatto quella notte mi aveva portato via tantissime energie.
Mi voltai, priva di forza per rispondergli, e andai dove si stavano raccogliendo tutti per tornare alla Wammy’s House.
Roger e i suoi uomini stavano cercando di mettere in fila i bimbi più piccoli, che erano molto vivaci e indomabili.
Quando fui abbastanza vicina a uno di loro, mi chinai verso di lui.
Era Fred, aveva cinque anni, il più piccolo.
-Debby! Perché fai quella faccia?- esclamò il bimbo appena mi vide vicina al suo volto.
-Perché- risposi, con una calma inquietante -sono stufa di stare qui e tu, coi tuoi amici, impedite il mio ritorno a casa. Mettetevi in fila, dannazione!
Lui mi scoppiò a ridere in faccia.
Era questo il lato negativo delle reclute più giovani della Wammy’s, erano troppo intelligenti per fregarli.
-Tu non puoi farmi nulla, cosa vorresti ottenere?- chiese, e continuò a sghignazzare.
Ad un tratto la risatina gli morì in gola.
Stava guardando un punto alle mie spalle.
-Avanti, mocciosi, a casa mi aspetta la mia tavoletta di cioccolato- disse la persona dietro di me.
Mello.
Quando mi girai verso di lui, trattenni una risatina.
I suoi occhi di ghiaccio avevano il potere di farti paura con una sola occhiataccia, ma con me non funzionava.
Fred corse subito dagli altri bambini, intimandoli a mettersi in fila. In meno di cinque minuti, i ragazzi della Wammy’s House erano pronti per far ritorno all’istituto.
Davanti a quello spettacolo scoppiai a ridere.
-Perché ridi?- mi chiese Mello, con lo stesso tono furioso che aveva usato con Fred.
Al sentirlo così risi ancora più forte, poi mi ripresi.
-Metti paura alle povere anime innocenti, bel biondino!- dissi, col sorriso sulle labbra.
Lui alzò gli occhi al cielo, superandomi e andando avanti.
Io raggiunsi Matt, poco distante da me.
Tornando a casa, discussi con lui su quali Pokémon utilizzare per la prossima palestra, cercando di dimenticare il caso che dovevo risolvere con Mello, dato che ci avremmo discusso su tutto il pomeriggio.
 
*
 
-Allora, sei pronta?- disse Mello, da dietro la porta.
Roger ci aveva dato il permesso di andare a fare due passi per la cittadina, anche se il signor Smith si era rifiutato di farci analizzare la scena del crimine.
-Quasi!- dissi.
Lo sentii sbuffare.
-E muoviti!
Spalancai la porta, lui era girato verso il muro.
-Ehi, sono pronta!- gli feci notare, seccata.
Mello si voltò verso di me e mi guardò con occhi spalancati. Mi sentii morire.
Avevo un maglioncino bianco con scollo a v, una minigonna blu scuro e le ballerine bianche. Lo scollo era ciò che mi metteva più a disagio, ma quel maglioncino mi era stato regalato da Vera al mio compleanno e non avevo mai avuto occasione di metterlo, così lei mi aveva costretta ad indossarlo quel pomeriggio.
Avevo una borsa blu a tracolla, con dentro il taccuino con gli appunti sul caso e una penna, oltre a un po’ di soldi.
Ti prego, ti prego, fa che non dica cose oscene, pensai.
-Sant’Iddio, ma non ti rompi a vestirti sempre bianca e blu? Mi sembri la copia al femminile di Near!- esclamò Mello, con la solita arroganza.
Poteva andare peggio.
-Senti, mio caro biondino, Near non metterebbe mai una minigonna, perciò zitto e andiamo- dissi, con un sospiro.
Mentre scendevamo le scale incrociammo Matt che saliva ai dormitori, e mi guardò da dietro gli occhiali con stupore.
Mi fermò tirandomi per il braccio.
-Ma che è, un appuntamento?- mi sussurrò all’orecchio.
Io scoppiai a ridere, e lui mi lasciò il braccio.
-Certo, come no! Ma va’!- gli risposi.
Lui sorrise, portandosi una mano dietro la nuca.
-Sei carina- disse.
Le mie guance avvamparono, mormorai un grazie e sgattaiolai giù dalle scale.
Aspettai Mello all’entrata della Wammy’s House, e quando arrivò uscimmo in cortile.
Prima che potessimo dirigerci fuori dal cancello molti ragazzi che giocavano nel giardino ci guardarono con curiosità.
-Ecco- borbottò Mello, appena chiuso il cancello alle spalle -se ti fossi messa meno elegante, forse non passeremmo per una coppia di melensi piccioncini, mocciosa.
-E piantala! Non sarai mica così condizionabile! E poi mi vesto come mi pare, io.
-La mia reputazione ne sentirà un sacco…- borbottò.
-Quello che gli altri pensano di te, è un problema loro- dissi, prima di dargli le spalle e saltellare un po’ più avanti.
Andammo in centro città, passeggiando sui marciapiedi alberati. Molta gente passava per i negozi, svagandosi nello shopping.
Il nostro svago, invece, non durò molto, giusto il tempo di finire il cupcake e il cioccolato che avevamo comprato al bar, poi iniziammo subito a discutere su come trovare il colpevole.
I nomi che avevamo raccolto all'interrogatorio non erano nelle liste dei conoscenti delle altre vittime, controllate al computer grazie a Matt, la sera prima.
Eravamo in alto mare.
-Dovremmo chiedere a dei testimoni se le vittime avessero messo in atto comportamenti strani, prima del loro omicidio- disse lui -così potremo precedere il prossimo omicidio, che dovrebbe avvenire entro dopodomani, e scoprire tutto.
-Ma come? Non abbiamo occasione di fare altri interrogatori, dovremmo coinvolgere la polizia- dissi.
-Già, loro hanno tantissime informazioni in mano, ma non sanno amministrarle. Per questo L lavora sempre in combutta con gli sbirri.
-Mello, secondo te l’assassino che tipo è?
Lui mi guardò stranito.
-Voglio dire, secondo me non può essere una persona comune. E’ troppo… Raffinato.
-Ma che stai dicendo?- esclamò il biondo.
-Controlliamo tutti i benestanti della città- dissi -per me è lì che troveremo l’assassino.
-E per quale ragione?- chiese lui, con aria di sfida.
-Oh, andiamo, chi va a cercare i vestiti più eleganti da mettere alla propria vittima?
-Gli psicopatici!
-Anche, ma soprattutto i raffinati. E dev’essere davvero frustrato per fare una cosa simile…
-Ok, tu non sai più quello che dici. Forse ti serviva davvero un giorno di pausa…
Agitai la mano, come per scacciare quel pensiero.
-Ma va’! E’ una mia impressione, e te l’ho detta.
-Bene, ora te la dico io una cosa- disse Mello, protendendosi verso di me -aspetteremo la prossima vittima, convincerò Roger a mandarci sulla scena del crimine e lì troveremo questi stramaledetti indizi. Chiaro?
-Ok, tanto si fa sempre come dici tu- dissi, con disinteresse.
Discutemmo molto sui dettagli detti da Smith, ma risultavano sempre differenti dalle altre vittime.
Verso le quattro del pomeriggio decidemmo di tornare alla Wammy’s, così ci incamminammo in silenzio.
Mentre passeggiavamo, un ragazzo in bici mi venne addosso, così mi gettai di lato per schivarlo. Anche il ragazzino in bici cadde rovinosamente. Piombai davanti a uno di quegli alberi che affiancavano il marciapiede.
Ma quello che avevo davanti... Aveva inciso sulla radice una stella.
Una stella?
La guardai meglio, incredula. Era proprio una stella di David.
Me ne chiesi il motivo, ma Mello mi intimò di alzarmi, così, quando fui in piedi, prima di aiutare il ragazzo con la bici, mi segnai sul mio taccuino l’indirizzo.
Lui si scusò moltissimo, ma gli dissi di stare tranquillo, mi ero solo sbucciata il ginocchio.
Dopo questo inconveniente, arrivati alla Wammy’s House corsi in infermeria per farmi dare un cerotto.
Tutte le sfortune capitavano sempre a me.
 
*
 
Stavamo cenando, dopo quel pomeriggio ero stanchissima.
Mentre mangiavo la pastina, la televisione appesa alla parete, al telegiornale, annunciò un nuovo omicidio del serial killer che aveva ucciso le donne di Winchester nelle ultime settimane.
Tutti si fecero attenti, e Mello mi scoccò un'occhiata significativa.
Quando sentii il numero dell’indirizzo e vidi il primo piano della casa, mi si gelò il sangue nelle vene.
Incurante delle strane occhiate che mi lanciarono i ragazzi, mi alzai da tavola e corsi alle scale, verso i dormitori.
Spalancai la porta e mi buttai sul mio letto, frugando disperatamente nella borsa.
Il taccuino, finalmente!
Lo aprii.
L’indirizzo che avevo segnato quel pomeriggio e quello annunciato al telegiornale combaciavano.
 
 
 
 
 
 
 
Spazio Autrice
 
Rieccomi^^
Ringrazio coloro che recensiscono sempre, coloro che lo fanno meno spesso e coloro che leggono senza recensire!
Vi voglio molto bene!!!
Alla prossima, spero sia stato di vostro gradimento!
 
ShinigamiGirl
 
Ps: fatemi sapere nelle recensioni (per chi le scrive!) se volete che io alleghi un disegno della protagonista, o comunque dei dettagli più importanti dei capitoli (ad esempio il disegno della foto della donna impiccata ecc.), diciamo che me la cavo col disegno^^

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Capitolo 9
*** Sulla scena del crimine ***


 -Debby!- urlò Mello, sfondando la porta del dormitorio.
Quasi non ci feci caso.
Ero ancora in uno stato di shock per la scoperta che avevo fatto, a proposito del simbolo sulla radice dell’albero.
Che le vittime fossero già tutte stabilite?
D’un tratto mi sentii prendere le spalle e scuotermi violentemente.
-Calmati, ci sono!- esclamai, voltandomi verso la fonte di disturbo.
Mello era fuori di sé.
-Vestiti- mi ordinò -Roger ci porta sulla scena del crimine.
-Ok, ma datti una calmata!- dissi, prendendo il giubbotto e infilandomelo sopra la tuta.
Lui non mi diede retta, precipitandosi al suo letto per recuperare il cappotto. Feci giusto in tempo a prendere il mio bloc-notes e la penna, prima che il biondino mi afferrasse per il polso, trascinandomi fuori dalla stanza e giù per le scale.
Mi liberai violentemente dalla presa, fermandomi in cima all’ultima rampa di scale.
Mello si voltò verso di me, con sguardo truce.
-Che diamine stai aspettando, mocciosa?- esclamò.
-Guardami.
-Ma che cazzo…
-Guardami negli occhi!- urlai.
Mello mi guardò, immobile come una statua, finalmente.
Evidentemente l’avevo colto di sorpresa, con quella mia reazione.
-Ora- dissi, con tono deciso e autorevole -fai un bel respiro e pensa a cosa stai combinando. Ti pare questo il modo di trattarmi?
Lui abbassò lo sguardo. Aveva capito.
Sospirai, scendendo due scalini per arrivare alla sua stessa altezza, e gli posai una mano sul braccio.
-Va meglio?- gli chiesi, con la voce più calma.
-Dannazione, no! Non riesco a controllarmi.
-Ascolta, ora ti sei calmato. Non c’è più motivo di essere agitati, no? E poi, secondo te, a cosa servo io? Per tenerti d’occhio.
Lui alzò la testa, guardandomi negli occhi, con un sopracciglio alzato.
Sghignazzai, poi dissi: -Andiamo, che è meglio.
Quando giungemmo all’entrata dell’istituto, mi bloccai inorridita.
Cosa ci facevano Jake e Near, con indosso giubbotti, in attesa nella reception?
Near aveva in mano la cartelletta rossa che ci aveva dato Roger il giorno in cui avevamo iniziato le indagini, piena di fogli scritti fitti fitti.
Guardai Mello, che stava già tremando dall’agitazione. Forse era meglio che parlassi io.
-Che ci fate qui?- chiesi.
-Ovvio, veniamo sulla scena del delitto con voi- rispose Near, con il suo solito tono calmo e snervante.
-Non è possibile- sussurrai fra me e me, rassegnata.
Dalla sala da pranzo si sentiva Roger che si raccomandava con gli atri ragazzi affinché mangiassero e facessero i bravi in sua assenza.
Dopo un paio di minuti l’uomo arrivò, e uscimmo per prendere l’auto.
Mello salì davanti, lasciandomi sola in mezzo agli altri due, di dietro.
Nell’abitacolo c’era una tensione tanto fitta da poterla tagliare con un coltello.
 
*
 
Scesi dall’auto, sul retro della casa della vittima.
Non avevamo potuto accedervi dall’entrata principale a causa dei reporter che la stavano assaltando, tentando in tutti i modi di ottenere uno scoop.
-Attenti, mi raccomando. Vi aspetterò qui- ci disse Roger.
Ci dirigemmo alla porta, dove degli agenti ci fecero passare.
I poliziotti erano a conoscenza della vera ragione per cui alla Wammy’s House erano recapitati moltissimi documenti su varie indagini, anche se non sapevano nulla di L.
Ci guidarono fino alla camera da letto, davanti alla quale un uomo piangeva disperato. Mi feci coraggio e sorpassai Mello, entrando per prima nella stanza.
Osservai il cadavere che penzolava sopra il letto matrimoniale, mantenendo una certa indifferenza.
Un poliziotto mi porse due guanti di lattice, che indossai continuando a fissare il corpo.
La donna, dai lunghi capelli castani, era impiccata sopra il letto matrimoniale, che aveva il lenzuolo completamente sporco di sangue. Aveva gli occhi spalancati e la bocca semiaperta, in un’espressione raccapricciante.
Era a torso nudo, priva anche del reggiseno, con il famoso simbolo della stella di David inciso storpiato e allungato, inciso sulla schiena.
Feci qualche passo avanti, e notai che il pavimento era ricoperto di vestiti femminili. Gli altri ragazzi mi seguirono a ruota, mentre io andavo più vicina al letto.
La parte inferiore della donna era però coperta: aveva indosso dei pantaloni di seta rosa, e delle scarpe del medesimo colore, col tacco a spillo.
Mi misi in punta di piedi, per prendere a mano del cadavere e osservarla attentamente.
-Guarda- sussurrai, rivolta a Mello -non sembra che ci sia stata una lotta, nonostante il caos della camera. Le sue mani, come le braccia, sono intatte.
Lui annuì lievemente.
-E’ una mia impressione o le manca una ciocca di capelli, davanti?- mi bisbigliò.
Guardai anche io la chioma della donna. In effetti, una ciocca era tagliata a metà, ma era una ciocca così piccola che quasi non la si notava.
Mi allontanai dal letto, andando verso gli armadi e lasciando campo libero a Near e Jake di osservare il cadavere.
Mello mi seguì.
-Cosa vuoi cercare?- mi chiese.
-Vorrei vedere una cosa, nulla di importante- sussurrai di rimando.
L’armadio era completamente vuoto, tutto il contenuto era stato buttato fuori, sul pavimento.
Così mi misi a cercare tra i vestiti per terra.
Dopo un paio di minuti in cui Mello e i poliziotti mi guardavano con aria interrogativa, trovai quello che cercavo.
I pantaloni di seta che la donna aveva indosso li avevo già visti in una rivista di moda, come per la gonna della signora Smith, ed erano accompagnati da un top di seta del medesimo colore.
Quando lo trovai feci un sorrisetto e guardai l’etichetta.
Come immaginavo.
Sull’etichetta raffinata c’era scritto “Alexander McQueen”, oltre a varie informazioni sul lavaggio del capo.
Col top ancora in mano, chiesi ad un poliziotto una busta di plastica in cui chiuderlo.
Lui mi porse la busta, e io infilai al suo interno il top.
Sicuramente era appeso coi pantaloni, e l’assassino o un suo complice doveva averlo staccato dall’omino per prendere i pantaloni, perciò c’erano buone probabilità che ci fosse qualche impronta, o almeno così speravo.
Quando mi voltai vidi un poliziotto che mi porgeva una macchina fotografica.
Lo guardai con aria interrogativa.
-Se volete fare qualche scatto, potete restituirci la macchina fotografica fra qualche giorno- disse, con aria intimorita.
Cavoli, i poliziotti dovevano avere davvero un gran rispetto per i componenti della Wammy’s House.
La afferrai, ringraziandolo, e la diedi a Mello.
Il biondo si mosse abilmente per la camera, scattando moltissime foto.
Io intanto uscii dalla camera, dove l’uomo disperato si era calmato, e ciò che restava del suo pianto erano dei tempestosi singhiozzi.
Passando gli allungai un biglietto da visita.
-Se vuole questo caso risolto- dissi, con una certa freddezza -passi dalla Wammy’s House.
Non gli diedi tempo di rispondere e scesi le scale, andando da Roger.
Cinque minuti dopo anche Near, Jake e Mello scesero, e salimmo in auto, pronti a tornare a casa.
 
*
 
Il giorno dopo mi svegliai tardissimo, tutti erano già nella sala da pranzo a fare colazione. La sera prima avevo faticato ad addormentarmi, continuavo a pensare alle possibili risoluzioni del caso.
Inoltre anche quella notte avevo fatto il sogno.
Quel dannatissimo sogno.
Non ce la facevo più, continuavo a farlo e non riuscivo a superarlo, a farmene una ragione.
Andai in bagno col pigiama addosso, di malavoglia.
Mi sciacquai il viso e lavai i denti.
Allo specchio vidi una me spossata, con due paia di vistose occhiaie e i capelli ricci più arruffati del solito. Tutto ciò mi fece venire in mente L.
Scossi la testa come per scacciare quel pensiero, e recuperai lo spazzolino per tornare in camera.
Non appena uscii mi bloccai.
Parli del diavolo… E spuntano le corna.
L, in mezzo al corridoio, mi guardava con un mezzo sorrisetto.
-Stavo venendo a cercarti- disse.
-Beh, sono qui. Come mai tutto questo riguardo per me?
-Volevo chiederti com’era andata- disse, con calma.
Lo guardai sorpresa.
-Sai già tutto di ieri sera?
-Sì- rispose -e mi hanno detto delle cose interessanti che hai fatto. Ad esempio, come mai hai dato alla polizia un top di seta da analizzare?
-Era in una rivista, insieme ai pantaloni della vittima- dissi.
-Capisco. E cosa ne pensi?
-Penso che l’assassino, o gli assassini, abbiano un legame particolare con l’alta moda. Ma magari è una mia stupida impressione.
-No, lo penso anche io- mi rassicurò il ragazzo -piuttosto, ora dimmi di Mello.
-Beh, direi che se chi è al suo fianco lo sa gestire, è un ottimo compagno di indagini. Io noto alcune cose, lui altre, e poi uniamo questi indizi ragionandoci su.
L annuì pensoso, con un pollice sul labbro.
-E Near?
-Mi spiace, ma su di lui non ti so dire nulla- dissi.
-Va bene, allora ti auguro una buona giornata. Io devo andare, Watari mi aspetta.
Si voltò e attraversò il corridoio, con un’andatura un po’ ingobbita.
Prima di scendere le scale, lo sentii dire: -Qualunque sia la cosa che ti turba, Michelle, la puoi superare.
Poi se ne andò, lasciandomi sola nel corridoio dei dormitori.
 
 
 
 
 
 
 
Spazio Autrice
 
Ecco un altro capitolo appena sfornato!!!
Spero vi sia piaciuto, e che ci abbiate capito qualcosina.
Come promesso, qua sotto sta il disegno di Debby, vestita come nel precedente capitolo!! ^^
Nel prossimo capitolo mi dovrò dare un bel daffare, quindi…
Alla prossima:D
 
ShinigamiGirl
 

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Capitolo 10
*** Secondo interrogatorio ***


Ero insieme a Matt, nella sua camera, in attesa di Mello.
Quel biondino e la sua dannatissima fissazione col cioccolato… Aveva detto di andare a prenderne una tavoletta in cucina, ed era ormai mezz’ora che era via.
Un po’ lo capivo, la mia astinenza da cupcake era simile alla sua.
-Matt- chiamai.
Il rosso alzò lo sguardo dal game boy, mettendo il gioco in pausa.
-Dimmi, che hai?-chiese.
-Non so se riusciremo a risolvere il caso. Mi sono resa conto che sono davvero una stupida.
Matt scoppiò a ridere.
-Ma dai! Come ti vengono in mente certe idee? Non sei stupida, o nessuno ti avrebbe portata alla Wammy’s, non ti pare?
-Forse l’hanno fatto per compassione- dissi, poco convinta.
-Smettila, non dire scemenze. Non è da te.
-Mi conosci da poco, come fai a dirlo?
Lui mi posò una mano sulla testa, scompigliandomi i capelli. Ridacchiai, mentre mi liberavo dalla sua presa.
-Non sei difficile da capire- disse, alzando le spalle -anche se certe volte non so proprio cosa ti passi per la testa.
Gli rubai gli occhiali, infilandomeli in testa. Le lenti gialle dipinsero tutta la stanza, e mi sentii un po’ una mosca.
Quando mi girai verso Matt, lui fece una faccia divertita.
-Mmmh, sexy!- disse, scherzoso.
Risi insieme a lui, poi gli restituii gli occhiali.
-Ora, seriamente- mi disse -perché certi giorni sembri distrutta? Me lo vuoi dire?
Il sorriso mi scivolò via dalle labbra. Non volevo.
Matt era probabilmente il ragazzo a cui ero più legata alla Wammy’s, potevo considerarlo il mio migliore amico, ma non riuscivo a parlare a nessuno del mio passato.
Lo guardai dritta nei suoi occhi, senza occhiali, non li aveva ancora rimessi. Aveva due iridi sorprendentemente vivide, di un limpido verde smeraldo.
-Non dovresti coprire quei tuoi begli occhi- dissi -hanno un così bel colore.
-Non evitare il discorso- mi rimproverò lui.
Sospirai, senza rispondere.
Ci fu una pausa di silenzio, in cui mi mordicchiai il labbro inferiore, indecisa.
-Senti- dissi, quasi con sofferenza -non ce la faccio, non voglio.
-Tranquilla. Non tenerti tutto dentro, però- mi disse, sorridendo -promettimi che un giorno ne parlerai con qualcuno.
-Ok- dissi, sorridendo a mia volta. Certe volte Matt era così piacevole… Non ti faceva pesare le cose, anzi, ti aiutava più di quanto non facessero tanti altri.
-Dammi il cinque!- esclamai, con una nuova energia positiva dentro di me.
-Sì!- urlò lui, battendomi la mano.
La nostra atmosfera amichevole fu interrotta dall’arrivo di Mello, che entrò nella stanza dicendo: -Ragazzi, venite a darmi una mano e piantatela di urlare come dei mocciosi!
Aveva in mano una ventina di tavolette di cioccolata e una decina di cupcake al cioccolato appena sfornati, che emanavano un profumino molto invitante.
Saltai giù dal letto e corsi a recuperare i cupcake.
-Come mai ti sei preoccupato di portarmi questi?- chiesi, con in mano i dolcetti.
-Ma figurati, non li ho presi mica apposta per te!- esclamò Mello con disprezzo -Li ha fatti il cuoco, pensando al fatto che avremmo avuto un pomeriggio estenuante, e mi ha obbligato a portarteli!
-Poco male- risposi, con un mezzo sorrisetto.
Trasportammo tutte le cibarie sul letto di Matt, io estrassi, dalla borsa che mi ero portata appresso, il taccuino con tutti gli appunti sul caso e ci sedemmo tutti sul materasso, pronti alla discussione.
Mello mi porse le foto sviluppate, scattate la sera prima.
Poi afferrò la prima tavoletta di cioccolato e la addentò con eleganza.
-Dunque- disse, masticando il cioccolato -cosa sappiamo fin’ora?
-L’assassino uccide ogni settimana circa, sempre la mattina, le vittime sono donne, l’unica cosa in comune che ho notato fra di loro è che sono tutte maggiorenni. Poi sappiamo che sulla schiena della vittima viene incisa la stella di David, vengono impiccate nelle loro camere da letto e viene fatto loro indossare un capo di alta moda.
-Cosa stai dicendo?- mi interruppe il biondino.
-E’ vero, avevano tutte indosso capi di alta moda. L’ho controllato ieri sul computer- dissi, convinta.
-Vai avanti…- mi disse Matt, con noncuranza.
-Inoltre sappiamo che alle vittime viene tagliata una ciocca di capelli. Ma non abbiamo idea del perché. Io so, però, che le case delle vittime vengono segnalate da una stella di David incisa sulla radice dell’albero davanti ad essa, anche se non sono a conoscenza di quando venga incisa, se prima o dopo l’omicidio.
-Era per quello che sei corsa ai dormitori, non appena hai sentito l’indirizzo, ieri sera?- chiese Mello.
-Sì, me l’ero segnato, e combaciavano. Ma a quell’ora, di pomeriggio, l’omicidio era già stato compiuto, dato che l’assassino uccide il mattino.
Ci fu una pausa di silenzio, in cui tutti riflettevano su questo particolare.
-Sarebbe un grande aiuto se venisse incisa prima dell’omicidio- disse il biondino -ma non credo che l’assassino sia così stupido. Piuttosto, dovremmo iniziare a riflettere su chi sia, dove lo potremmo trovare, non sul perché compie determinate azioni.
-Giusto- acconsentii, addentando un cupcake -ma io te l’ho già detto: per me lo troviamo tra i benestanti, o qualcuno che ha avuto a che fare con Alexander McQueen.
-Ma ce l’hai su con sto’ tizio!- esclamò lui, esasperato.
-Chi è questo Alexander?- chiese Matt, spaesato.
-Un famoso stilista- dissi -e i suoi capi sono sempre addosso alle vittime del nostro killer. Non puoi mettere da parte una tale evidenza, Mello!
-Ok, ma io mi concentrerei più sul satanismo- rispose lui, con aria superiore.
Afferrò le foto, facendole scorrere, e me ne porse una.
La osservai con attenzione.
Mostrava l’interno di un cassetto, dove stava un ciondolo che raffigurava una stella a cinque punte circondata da un serpente, sotto la biancheria e altre cianfrusaglie.
-Ma non avevano detto che era cristiana protestante, la donna, al telegiornale?- chiesi, confusa.
-Già, evidentemente dei suoi parenti erano satanisti, ma non l’ha detto al suo caro maritino- disse Mello, con un velo di sarcasmo.
-Ma perché un satanista dovrebbe uccidere un’altra satanista?- domandai.
-E’ normale fare sacrifici umani, in quella religione- intervenne Matt -oppure l’hanno castigata, per non aver continuato a credere in Satana.
-No, non credo sia opera di satanisti- lo contraddisse Mello, con arroganza -per me sono degli ebrei che vogliono mettere a tacere la voce del satanismo. Come spiegheresti altrimenti la stella di David?
-La usano anche nell’occultismo- dissi -quindi non è da escludere completamente, l’ipotesi di satanici assassini, anche se… In effetti è più probabile che siano ebrei, ora che mi ci fai pensare.
D’un tratto bussarono alla porta.
Ci bloccammo tutti e tre.
-Avanti- disse Mello, indifferente.
La porta si aprì, e rimasi sorpresa vedendo comparire Roger.
-Debby, c’è un uomo che chiede di te. Dice che gli hai detto di venire qua, ieri sera- disse il vecchio.
Mi si illuminò il viso.
Afferrai per il braccio Mello, dicendo: -E’ il fidanzato della vittima, muoviti, andiamo giù!
-Sì, sì, ho capito!- esclamò lui, liberandosi bruscamente dalla mia presa e scendendo dal letto.
Io e Matt ci salutammo con la nostra stretta speciale.
Pugno, schiocco di dita e stretta di mano.
-Buona fortuna- mi augurò, prima che afferrassi il taccuino e corressi fuori dalla camera, seguendo Mello.
 
*
 
L’uomo sedeva davanti a me e Mello, nell’ufficio di Roger.
Era nervoso, glielo si leggeva in faccia, continuava a toccarsi i ciuffi castani dietro le orecchie e gli occhi blu scattavano da un lato all’altro della stanza.
-Ci può ricordare il suo nome?- disse il biondino di fianco a me, autorevole.
L’uomo si riscosse, un po’ spaventato.
-Il mio nome è… Alfred, Alfred Row.
-D’accordo, signor Row, cosa mi sa dire di…
-Mello!- lo interruppi, con un tono di rimprovero.
-Che c’è?
-Se permetti, inizio io. Gli ho detto io di venire qua, perciò lascia fare a me, i primi cinque minuti.
Il biondo sbuffò infastidito, appoggiandosi con malagrazia allo schienale della sedia e tirando fuori dalla tasca l’ennesima tavoletta di cioccolato.
-Ci scusi, signor Row- dissi, rivolta all’uomo -ora mi dica, cosa l’ha spinta a venire qua, di preciso?
-Beh, volevo fare qualcosa per vedere l’assassino della mia fidanzata dietro le sbarre, e i poliziotti mi hanno rivelato che voi siete più esperti di loro.
-Quindi accetta di rispondere a tutte le nostre domande con sincerità?- domandai.
-Certamente- disse l’uomo, annuendo vigorosamente.
-Bene, allora io prenderò appunti, mentre lui le farà delle domande.
Mello tirò fuori le foto, sbattendole sul tavolo.
Trovò la foto del ciondolo, e la mostrò a Row.
-Che mi sa dire di questa?
Io ero già pronta a scrivere, ma il signor Row non si decideva a parlare.
Alzai lo sguardo.
Fissava la foto con gli occhi spalancati e un’espressione di profondo orrore. Rimasi spiazzata da quella reazione, e mi voltai verso Mello.
Lui guardava il volto dell’uomo, sorridendo, aveva un’aria maestosa e terrificante.
Mi riscossi e sollecitai Row: -Dunque? Cosa ci può dire?
-Com’è… Possibile? Dov’era?- chiese, con voce flebile.
-Nel cassetto della sua fidanzata- rispose Mello, con voce neutra -ora ci dica quello che sa.
-E’ un ciondolo satanico- disse Row, tutto d’un fiato -un mio amico ne aveva uno simile. Ma non è possibile, Faith era protestante.
-Chi è questo suo amico?- chiese il biondino.
-E’ morto agli anni del liceo, i suoi compagni satanisti furono arrestati per omicidio e sono tutt’ora in prigione.
Quasi mi sfuggì un’imprecazione. Sembrava che avessimo trovato una traccia, invece…
-I parenti della sua fidanzata?
-Forse erano satanisti… Ma non ne sono sicuro, non mi ha mai accennato cose simili- disse Row, ancora scioccato.
Dopo questa domanda, seguimmo la procedura che avevamo tenuto con Smith.
Mello gli fece le stesse domande, a proposito di possibili nemici, come si svolgevano le giornate della donna e il suo passato.
Il biondino però mi colse di sorpresa.
-Gli abiti che aveva indosso nel momento dell’omicidio dove li aveva comprati?- chiese.
Wow, non mi aspettavo che tenesse conto della mia osservazione sui vestiti.
-In un negozio di alta moda, ma non ricordo di che stilista fossero- rispose l’uomo -se volete posso darvi l’indirizzo del negozio.
Dettò l’indirizzo e me lo segnai sul taccuino, sottolineandolo tre volte, soddisfatta.
Dopodiché ringraziammo il signor Row, congedandoci e promettendogli che avremmo fatto tutto ciò che era in nostro potere.
-Confido in voi- disse lui, prima di alzarsi e andarsene.
Rimanemmo soli, nell’ufficio, sfiniti.
-Merda!
-Che c’è, Mello?
-Ho finito le tavolette di cioccolato. Che nervi, devo andare ai dormitori a recuperarne altre.
Tirai fuori dalla tasca un sacchetto di plastica, con dentro un paio di cupcake al cioccolato che mi erano avanzati.
Gliene porsi uno.
-Grazie, non ce la facevo più- mi disse.
Io, con la testa rivolta verso il soffitto, addentai il mio con noncuranza.
-Non c’è di che.
 
 
 
 
 
 
Spazio Autrice
 
Bene!
Dopo questo capitolo, dovranno mettersi in azione, no?? xD
Ringrazio tutte le sante anime che leggono questa mia storia, grazie davvero!
Sia quelli iscritti (Mihael_River, MisaMichaelis, Stefyc17, anonima K Fowl, Black98, St_rebel e BellaRevolution95) sia quelli non iscritti che si ricordano di me e della mia storia, sono commossa dalla vostra costanza T-T
Vorrei tanto sapere cosa ne pensate, di questo capitoletto, perché, davvero, sono andata in crisi un bel po’ di volte per scriverlo!!
Il prossimo aggiornamento avrà dei disegnini allegati, ma arriverà con qualche giorno in più di ritardo perché questa settimana sono piena di verifiche… Pregate per me!
Alla prossima!


ShinigamiGirl

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Capitolo 11
*** Passato insistente ***


Premevo i pulsanti del computer con estrema velocità, roba da fare invidia a Matt.
Volevo assolutamente beccare io l’assassino.
Alexander McQueen era un inizio fondamentale, me lo sentivo. Tutte le vittime indossavano suoi abiti, erano tutte maggiorenni, con un fisico stupendo, da star male.
Mello, che mi stava facendo da palo all’entrata della reception, fremeva dalla voglia di aiutarmi, ma era sicuramente più utile là dov’era.
-Hai finito?
-Non sono veloce come Matt. Aspetta qualche secondo…
La stampante iniziò a rumoreggiare, mentre sfornava la mia ricerca.
-Giuro che se abbiamo fatto questa cazzata per niente, ti spacco le gambe- esclamò il biondo.
Sghignazzai, prendendo il foglio stampato e cancellando le tracce dell’utilizzo del computer.
-Andiamo- dissi, arrivandogli davanti.
Senza farci vedere, sgattaiolammo per le rampe delle scale, e corremmo alla stanza numero otto. Matt ci stava aspettando, col game boy in mano, seduto sul letto.
Mello chiuse la porta, sbattendola e tirando un sospiro di sollievo.
-Ora fammi vedere cosa diavolo hai trovato- disse.
Gli porsi il foglio, con un po’ di fiatone.
Lo esaminò con aria interrogativa.
-Sono… I nomi di tutti gli ebrei della città… E dei dipendenti… Dei negozi di moda di Winchester…
-Bene, direi che l’assassino è tra questi- commentò.
-Oh, decisamente sì- dissi, con un mezzo sorriso.
-Avete escluso i satanisti?- chiese Matt, senza staccare lo sguardo dal game boy.
-Sì- gli rispose Mello -abbiamo indagato, negli ultimi tre giorni, e siamo venuti a sapere, dai bassifondi della città, che non c’è nessuna organizzazione satanica, e che tutti i malviventi che hanno voluto praticare questa religione se ne sono dovuti andare in altre città.
-Ah.
Io ripresi il foglio, con in mano un evidenziatore azzurro.
-Bene- dissi -ora dobbiamo segnarci chi è più propenso ad ammazzare tutte queste persone.
Passammo il pomeriggio a catalogare tutti quegli ebrei, analizzando il loro indirizzo, l’età e la fedina penale.
I nomi che evidenziai erano esattamente tre.
Adam Clarke, David Gray e Raphael Cooper.
Di certo avremo dovuto trovare delle scuse belle e buone per interrogarli, ma ci avremmo pensato in seguito. Mello, infatti, propose, o meglio dire, decise, che li avremmo pedinati, per vedere se riuscivamo a incastrare l’assassino.
Matt, che spense il game boy proprio in quel momento, si avvicinò a noi.
-Mi spiegate perché li avete evidenziati?
Mello sbuffò, dicendo: -Te lo dirà lei. Io vado a prendermi del cioccolato, per oggi basta indagini.
Rimasi sorpresa. Non aveva mai detto una cosa del genere, a meno che… Guardai fuori dalla finestra. Il sole era tramontato, mancava poco all’ora di cena. Beh, ora si spiegava tutto.
Matt si sedette vicino a me, al posto del biondino, che uscì dalla stanza tutto impettito, come suo solito.
-Vai, spiega tutto- mi disse il rosso, con un sorriso.
-Allora, Adam Clarke è sospettato perché la moglie lavora alla boutique in fondo alla città, dove vendono capi di Alexander McQueen, oltre ad altre famose marche. Inoltre il suo lavoro di operaio inizia da mezzogiorno, perciò potrebbe aver compiuto tranquillamente gli omicidi, prima di recarsi al lavoro. David Gray, ora postino, da giovane rubò molti capi di alta moda, per un’organizzazione che li rivendeva ad altissimo prezzo, e i suoi orari di lavoro sono al pomeriggio, dalle tredici in poi.
-E Raphael Cooper?
-Lui ha avuto vari problemi, secondo Mello è colui di cui dobbiamo preoccuparci maggiormente. La fidanzata, quando entrambi avevano vent’anni, morì a causa di un assassino satanista che era in circolazione in quel periodo. Raphael, che già soffriva di disturbi ossessivi compulsivi, venne ricoverato in un istituto per malati mentali, a causa delle sue crisi. In quel periodo non sappiamo cosa sia avvenuto, ma sappiamo che ora si è ripreso, in parte, e svolge lavori per la comunità sotto sorveglianza, occupandosi dei giardini pubblici, proprio qui a Winchester, indovina un po’, il pomeriggio.
Sospirai.
Erano tutti e tre da controllare, e mancava poco al prossimo omicidio. Erano passati cinque giorni, entro altri due ci sarebbe stata l’ennesima vittima.
-Però Raphael non ha nessun collegamento con lo stilista- osservò Matt.
-Per questo- dissi, con una punta di sarcasmo -è il preferito di Mello.
Matt scoppiò a ridere.
-Voi due siete cane e gatto!
-Mi chiedo solo chi abbia ragione…- sospirai, sorridendo -Allora, a che punto siamo su cristallo?
-Penultima palestra!- annunciò lui, orgoglioso.
Sentimmo una campanella.
Sistemai i fogli nel mio taccuino, stavano per servire la cena.
 
*
 
Sfondo col solito, monotono villaggio.
Sapevo di sognare, lo stesso sogno, di nuovo.
Avevo già le lacrime agli occhi. “Perché non sono nata in un posto un po’ più civilizzato?” mi chiesi.
Iniziai a correre, tentando di lasciarmi alle spalle le case, grigie come quell’orribile giorno.
Però mi imbattei in uno dei ladri.
Stava facendo a pezzi un corpo che conoscevo bene. Julia, una mia amica.
Uno dei ladri mi afferrò da dietro, portandomi vicino al cadavere e all’altro furfante.
Gridai, mi dibattei, morsi il braccio dell’uomo: tutto inutile.
-Michelle…
-Michelle…?
-Michelle…!
Le voci nella mia testa aumentarono.
Il cadavere di Julia si mosse. Un morto che rivendicava la vita.
La sua testa scattò verso di me, guardandomi con occhi iniettati di sangue.
-E’ colpa tua!- esclamò, con voce d’oltretomba, afferrandomi la caviglia.
Urlai.
 
Spalancai gli occhi che stavo ancora gridando.
Appena realizzai di essere nella Wammy’s, mi tappai la bocca. Scattai a sedere, controllando che nessuno mi avesse sentita. Per chissà quale miracolo, non avevo svegliato nessuno. Lacrime di sollievo, o di terrore, o ancora di rancore, scivolarono limpide sulle mie guance.
Trattenni i singhiozzi che scuotevano le mie spalle, scivolando fuori dal letto e correndo verso i bagni.
Appena ci arrivai, chiusi la porta sbattendola. Ci mancava poco che la buttassi giù,
ma in quel momento poco mi importava. Le mie ossessioni stavano ancora a tormentare la mia vita, non sopportavo più il peso di quelle colpe.
Ogni cosa che vedevo, persino sul caso che stavo affrontando con Mello e Matt, mi ricordava qualcosa del mio passato.
Il mio dannatissimo, schifoso passato, pensai, singhiozzando e scivolando lentamente verso il pavimento.
Mi rannicchiai a terra, impotente.
Dopo che la tempesta di singhiozzi si placò, mi alzai tremante da terra, reggendomi malamente al lavandino. Mi pulii il viso con la manica della vestaglia, ansimando forte.
Quando alzai lo sguardo, spalancai gli occhi inorridita e iniziai a tremare violentemente. Allo specchio c’era Julia, che mi guardava con occhi spaventati e rossi come sangue.
Urlai, un urlo disumano di puro terrore.
La porta si spalancò di botto, e qualcuno mi prese dalle spalle, accarezzandomi lievemente, per farmi calmare. Ma io non vedevo altro che Julia, allo specchio. Tentai di fuggire dalla presa di quell’individuo, per scappare lontana dal bagno, ma quel qualcuno me lo impedì, stringendomi a sé. Mi abbandonai al suo abbraccio, stringendo convulsamente il tessuto della sua maglietta.
Le mie gambe non mi reggevano più.
Quel qualcuno probabilmente lo intuì, e si sedette a terra, insieme a me, mentre continuavo a piangere stretta alla sua maglia.
Persi la concezione del tempo, e rimasi fra le sue braccia per secondi, minuti, ore.
Poi, il nulla.
 
*
 
Aprii gli occhi.
Ero sul mio letto, e rabbrividii, notando che ero sopra le coperte. Dalla finestra il sole illuminava la stanza vuota, tutti erano già scesi.
Avevo sognato? Oppure la mia fuga ai bagni era successa davvero? E in quel caso, chi mi aveva riportata in camera?
Ero confusa.
Scesi nella sala da pranzo, dove la televisione era accesa sul notiziario delle dieci e mezzo. Trovai un cupcake alla vaniglia sul tavolo, davanti al posto dove di solito mi sedevo. Lo divorai, stanchissima, e mi voltai per andare in giardino. Probabilmente erano tutti lì.
Ad un tratto mi bloccai, guardando la tv.
Il notiziario annunciava la nuova vittima, appena uccisa, del serial killer di Winchester.
-Merda- esclamai, correndo in cortile a cercare Mello. Dovevamo andare subito sulla scena del crimine.
Lo vidi subito, seduto sulle gradinate insieme a Matt, che mangiava una tavoletta di cioccolato al latte.
-Mello!- chiamai, urlando dall’agitazione.
-Che c’è, mocciosa?- rispose lui, dandomi poca attenzione e continuando a sgranocchiare il cioccolato con tranquillità.
-Alza il culo, c’è stata una nuova vittima!
Mello si riscosse, divenendo serissimo.
-Vai a prendere il taccuino e la macchina fotografica- mi ordinò -vado a chiamare Roger.
Annuii vigorosamente, e scattai verso la porta, ma mi sentii afferrare il braccio. Voltandomi, vidi il biondo che mi tratteneva.
-Adesso chi è l’impulsivo?- chiese, con un sopracciglio alzato e un sorrisetto malefico.
Alzai gli occhi al cielo, mentre mi lasciava il braccio.
Corsi in camera, presi gli appunti, i giubbotti e la macchina fotografica. Quando arrivai al piano terra, porsi a Mello il suo cappotto, mentre infilavo il mio, in tutta fretta. Stranamente, Near e Jake non c’erano.
Roger aveva già avvertito telefonicamente la polizia del nostro arrivo, e ci portò davanti alla casa della vittima senza alcun problema: avevano fatto andare via tutti i giornalisti.
Entrammo nell’abitazione.
Una donna piuttosto anziana, seduta sul divano, ci osservò con sguardo vitreo. Feci un cenno al poliziotto che stava vicino a lei, e il giovane mi si avvicinò, con aria intimorita.
-S… Sì?- balbettò.
-Lei chi è?- chiesi, con l’aria di superiorità che avevo imparato ad assumere da Mello.
-E’ la madre della vittima, signora… Cioè, signorina… Ehm, volevo dire…
-Chiamami Debby, e non darmi del lei, non sono neanche maggiorenne- borbottai, infastidita dalla paura che gli mettevo addosso.
Mello ridacchiò divertito, mentre il giovane poliziotto diventava rosso come un peperone.
-Sì, Debby!- disse, prima di porgerci i guanti di lattice.
Ci avviammo verso le scale che portavano al secondo piano.
-Non capisco perché ci trattino come dei scesi in terra- confessai al biondino.
-Girano voci molto simpatiche su noi della Wammy’s House, tra i poliziotti- mi disse lui -tra cui quella che tutti coloro che sono in servizio, messi insieme, non eguagliano neanche l’intelligenza del più piccolo dell’istituto.
Ridacchiai, pensando a Fred, il più piccolo della Wammy’s.
Il sorriso mi svanì dalle labbra non appena vidi l’entrata della camera, dove si scorgevano già degli abiti a terra.
Si ricomincia, pensai.
Stavolta fu Mello a precedermi, entrando per primo nella stanza. Lo seguii, e vidi la stessa scena che avevo visto sei giorni prima.
La donna, però, non aveva pantaloni di seta, ma indossava una gonna turchese, di tulle, con vari svolazzi sui bordi, e i capelli rossi e mossi spiccavano, in contrasto. Le arrivavano oltre il bacino, coprendo la stella che sicuramente aveva sulla schiena. L’espressione era vacua, rivolta verso l’alto, la bocca semichiusa, col rossetto sbavato.
Mello stava esaminando i piedi nudi, che penzolavano sopra il materasso sporco di sangue. Le unghie erano dipinte di smalto turchese. Il biondo inspirò e si allontanò con una smorfia.
-Ci prende per il culo!- esclamò -Lo smalto è fresco.
Cercai la boccetta con lo sguardo, e la vidi, nell’angolo, aperta e completamente rovesciata sui vestiti che ricoprivano il pavimento. Mi avvicinai, e mi investì un forte odore di ammoniaca. L’assassino aveva già provveduto a far sparire le sue impronte, a quanto pareva.
Mi voltai verso Mello, tappandomi il naso e scuotendo la testa.
Lui capì, e tornò ad esaminare il corpo. Scostò i capelli dalla schiena, scoprendo la solita stella a sei punte. La fotografai, prima di avvicinarmi.
-Quant’è profondo il taglio?- chiesi.
Mello mi guardò con una strana espressione, pietrificato.
Sbuffai, poggiando le dita inguantate sul taglio e allargandolo.
-Mi passi un righello, o qualcosa del genere?- domandai.
Il biondo mi lanciò un’occhiata strana, sorpresa, ma si sfilò di tasca un coltellino svizzero e lo aprì sulla lama più piccola. Lo infilò nella ferita, dove la tenevo aperta, sporcando il coltellino di sangue.
Quando lo estrasse, ritirai la mano dalla schiena della donna.
-Allora?- esortai.
-Saranno due, massimo tre centimetri- disse Mello, osservando il lato del coltellino sporco di sangue.
-Quindi direi che un coltello da carne, come minimo, bisogna utilizzarlo.
-Eh beh, non credo che l’abbia tagliata con un foglio di carta- commentò lui, ironico.
Gli diedi la macchina fotografica, mentre scrivevo sul taccuino le cose che avevamo scoperto. Lui fece molte foto, aggirandosi per tutta la stanza, mentre segnavo ogni dettaglio del cadavere. Poi, mi venne in mente una cosa.
Mi girai verso il poliziotto.
-Puoi darmi una mano?- chiesi.
Il giovane, sempre intimorito, si avvicinò.
-Dovresti sollevare la gonna, e cercarne l’etichetta, per poi dirmi di che marca è. Lo puoi fare?
Il poliziotto mi guardò un po’ male. Per tutta risposta, assunsi un’aria truce.
-Non sono pervertita, idiota. E’ un indizio di fondamentale importanza- lo rimproverai.
Lui arrossì, sollevando la gonna e cercando l’etichetta. Mello, dopo aver scattato un’infinità di foto, venne verso di me.
-Allora- disse -di che marca è?
Il poliziotto risistemò la gonna al suo posto, e disse: -Alexander McQueen.
Annuii, per nulla sorpresa, segnandolo sul taccuino.
-Bene, allora abbiamo finito- dissi.
-Per questo pomeriggio le foto saranno sviluppate- disse Mello, dirigendosi verso l’uscita della stanza.
Prima di seguirlo, lanciai un’occhiataccia al poliziotto, che arrossì violentemente.
Uscii dalla camera, con un sorrisino sulle labbra.
 
 
 
 
 
 
 
 
Spazio Autrice
 
Buonsalve!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto.
Chiedo altamente perdono, ma il disegnino non è pronto, lo devo ripassare col tratto-pen (o come diavolo si chiama) e colorare, ve lo posterò col prossimo capitolo, giuro su Ryuk!
Ringrazio chi mi segue, vi voglio bene!
Ah, Buona Pasqua, e attenti alle uova!^__^   ….Perché? Perché dalle uova escono i coniglietti assassini, non lo sapete?
Un bacio!
 
ShinigamiGirl

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Capitolo 12
*** Sentimenti critici ***


-Ehi, ma che ti prende?- esclamò Mello, mentre gli rubavo un po’ di cioccolato.
-Ho fame, non rompere, biondino.
Eravamo in camera nostra, dato che molti della Wammy’s House, Matt compreso, stavano facendo a turni un test per Roger, che noi avevamo appena finito, e non avevamo potuto indagare nella sua stanza, come nostro solito.
-Non il mio cioccolato!- esclamò lui, iniziando a inseguirmi.
Mi lasciai scappare una risatina diabolica, mentre correvo fuori dalla stanza, sulle scale. Non feci molta attenzione a dove mettevo i piedi, perciò non vidi neppure la persona che stava salendo al secondo piano, andandoci a sbattere contro.
-Scusa, non ho fatto apposta, stavo…- la voce mi morì in gola.
Davanti a me si ergeva, in tutta la sua bassezza, un omino bianco con le palle decisamente girate.
La cosa mi mise in agitazione.
-Stai attenta a dove vai- mi disse Near, trattenendosi vistosamente.
-Aspetta un secondo- dissi, afferrandogli il braccio e avvicinandomi al suo viso -cos’hai? Non ti ho mai visto arrabbiato. Cos’ha combinato Mello?
Lui non rispose subito.
Mi voltai, e vidi il biondo in cima alle scale, che ci fissava con una strana espressione. Gli lanciai un’occhiataccia, ma Near richiamò la mia attenzione, scrollandosi di dosso la mia mano.
-Non c’entra nulla Mello, sono problemi miei.
-Ah, scusa- dissi.
L’albino salì le scale lentamente, senza degnare nessuno di uno sguardo.
Ingoiai il cioccolato, turbata, e Mello gemette.
-Era solo un quadratino… Ora non ti preoccupa, questo?- gli dissi.
-A dir la verità non me ne frega niente- ammise -ma in effetti è strano. Di solito lui ha sempre sangue freddo, e non mostra le sue emozioni facilmente. Magari ha ottenuto un voto più basso del previsto, nel test- concluse, ghignando.
Annuii lievemente, salendo verso di lui.
-Mello- dissi, quando arrivai a qualche centimetro di distanza dalla sua faccia. Lui indietreggiò, visibilmente infastidito, mentre sorridevo, con aria superiore.
-Che altro vuoi? Ti sei mangiata il mio cioccolato, non ti basta?- disse, irritato.
-Cosa ti passava per la testa, quando stavo parlando con Near?
-Pensavo al mio cioccolato, e al fatto che anche se me l’avessi restituito non l’avrei mangiato. Eri troppo vicina a quell’omino bianco, l’avevi contaminato.
Sospirai, alzando gli occhi al cielo.
-Sei sempre il solito. Superficiale e deficiente.
-Vaffanculo.
-Con piacere.
Gli passai di fianco, urtandogli volontariamente la spalla, per tornare in camera. Andai a testa alta sul mio letto, poi mi ci buttai, scordando la mia magnificenza. Afferrai il Game Boy, per battere la lega di cristallo, ma non appena lo schermino si illuminò mi passò la voglia. Lo spensi, buttandolo ai piedi del letto, mettendo le mani fra i capelli.
-Certo che sei proprio lunatica- commentò Mello, sedendosi sul letto di Vera, di fianco a me.
Lo fissai senza dire nulla. I suoi capelli biondi erano un pugno nell’occhio, in confronto ai vestiti sempre neri e scuri.
Addentò una barretta di cioccolato, fissandomi a sua volta.
-Come fai…- sussurrai.
-A fare che? Dì le cose chiare e tonde, per piacere- ribeccò lui, infastidito.
Scossi la testa, in segno di lasciar perdere. Non ci avrei guadagnato nulla a raccontargli dei fatti miei. Mi voltai dall’altro lato, rannicchiandomi su me stessa.
-Lunatica- bofonchiò il biondo, prima di andarsene senza aggiungere altro.
Non appena uscì, tirai un lungo sospiro, chiudendo gli occhi. Ero stanchissima, non vedevo l’ora di fare un pisolino, dato che quella notte non ero riuscita ancora a dormire pacificamente.
Non ci misi molto ad addormentarmi.
 
*
 
Mi svegliai di soprassalto, agitata, come da qualche notte.
Ansimai, guardando la porta chiusa della stanza, ringraziando il fatto che Mello fosse sceso. Tentai di trattenere le ennesime lacrime che stavano per rigarmi il volto. Non potevo farmi sopraffare dal passato ogni volta, eppure… Sapevo di non potercela fare.
Sgattaiolai fuori dalla stanza come un gatto, correndo ai bagni.
Ormai erano diventati il mio rifugio.
Stavo per varcare la soglia, mi era già scappato un singhiozzo, quando mi sentii afferrare il braccio. Lanciai un grido di sorpresa e paura, con in mente l’immagine di Julia nello specchio, qualche giorno prima; ma quando mi voltai, mi trovai davanti a L, con uno sguardo determinato.
Boccheggiai, mentre le lacrime rompevano gli argini.
-L… Lasciami!- tentai di dire, ma lui non mi mollò.
-Perché piangi? E’ successo qualcosa con Mello?
Realizzai solo un po’ più tardi che quella situazione era davvero buffa. Tutti davano la colpa a Mello, come se fosse la causa di ogni problema. In quel momento, però, non riuscivo a smettere di pensare alle mie paure, a tutto ciò che mi bloccava, molto spesso, in quei dannati bagni a sfogarmi, senza poter far altro.
L, vedendo che continuavo a piangere, trattenendo a stento i singhiozzi, sospirò.
-So che non è stato Mello- ammise -però speravo che dicessi tutto subito. Ti ho sottovalutata.
Lo guardai con gli occhi velati di lacrime.
-Vieni- disse, trascinandomi in fondo al corridoio.
Dopo la camera otto, c’era una stanza sempre chiusa a chiave, che nessuno aveva mai visto. L la aprì con una chiave, e mi fece entrare.
La stanza era calda e accogliente, sembrava più un salottino che una camera da letto. C’era un bel divano rosso bordeaux, con davanti un televisore enorme. Poco più indietro c’era una scrivania con vari monitor, e nell’angolo a destra stava Watari con un carrello di dolciumi davanti.
Mi guardò sorpreso, mentre tremavo, ancora scossa.
-Watari- disse L -ci puoi lasciare un paio di minuti?
L’uomo acconsentì, dileguandosi.
Intanto, il ragazzo andò verso il divano, ci salì in piedi e si piegò sulle ginocchia, mettendosi in una strana posa, che sembrava essere il suo modo di sedersi.
Un mio rumoroso singhiozzo ruppe il silenzio che si era creato.
-Michelle.
Disse solo il mio nome. Eppure, con quella sola parola, riuscì a farmi venire in mente tutti i brutti ricordi, tutte le situazioni a cui ero stata sottoposta, tutte le persone che erano morte a causa mia. Un mare di emozioni mi attraversarono, e non riuscii a fare nulla per impedire loro di attanagliarmi.
-Michelle- mi chiamò ancora L -non è stata colpa tua. Lo sai.
-Lo è stata invece- risposi, col viso contratto in una smorfia.
-Sei una ragazza intelligente. In questo momento sei sopraffatta dalle emozioni, perciò non riesci a razionalizzare queste tue esperienze. So che non è la prima volta, e so anche che probabilmente queste crisi le vivi quotidianamente.
Lo guardai con aria interrogativa, cercando di asciugarmi la faccia con la manica della felpa.
-Vedi, Roger mi tiene informato su quello che succede qua dentro. Tu mi servi, devi dimostrarmi se Mello è capace di investigare con altre persone, e non solo in solitudine, come Jake deve dimostrarmelo su Near. E’ questo lo scopo, ma tu lo sapevi già. Però…
-Se sono in queste condizioni non ti posso essere utile- lo interruppi, annuendo.
Lui mi scrutò per qualche secondo, con i suoi occhi neri e profondi. Mi sentii catturare da quei pozzi di consapevolezza, e provai una sensazione di farfalle nello stomaco.
-Esattamente- disse, con un tono di voce basso e calmo.
Si alzò sul divano, scese e mi si avvicinò. Ingobbito com’era, gli arrivavo giusto alle spalle. Abbassai lo sguardo, in attesa di critiche, o molto più probabilmente, di sentirmi dire che ero sollevata dall’incarico.
E invece no.
Mi afferrò il mento con due dita, sollevandomi il capo e facendomi perdere un battito di cuore.
-Senti, ti do un piccolo compito- disse, con il suo tono di voce calmo e misterioso.
Sentii il suo respiro sul mio viso, e le farfalle dello stomaco si fecero sentire ancor di più. Che mi stava succedendo?
-Trova qualcuno con cui parlare di queste cose, del tuo passato, chiaro? Starai meglio. Al 98%.
Una vocina dentro di me mi spinse a dire: -Perché non posso parlarne con te? Sai già tutto, e non dovrei star qui a raccontarti la storia… E poi… Sicuramente saprai meglio di tutti come farmi stare meglio.
Lui accennò a un sorrisino, mollando la presa sul mento.
-Già, una chiacchierata e un cupcake, vero? In realtà era una possibile scelta, ma tuttavia, se lo facessi, sarei troppo coinvolto in questa storia.
Giusto. Non poteva esserci troppo dentro, o Mello avrebbe avuto una specie di vantaggio su Near.
-Ora credo sia meglio che tu vada- disse, andando verso il carrello di dolci.
-Grazie- sussurrai.
L non rispose, solo si voltò, guardandomi per qualche secondo, per poi annuire leggermente.
Sgusciai fuori dalla stanza, ancora turbata, e trovai sulla soglia Watari, che aveva atteso fuori dalla porta per tutto il tempo, quindi accennai ad un inchino.
-Watari-san, chiedo scusa per avervi disturbati.
-Non preoccuparti- disse lui, sorridendo ed entrando nella stanza.
Io corsi per il corridoio senza voltarmi, e spalancai di getto la porta della mia camera, ancora vuota.
Le farfalle allo stomaco insistevano, espandendo un tiepido calore all’altezza del petto. Non ci capivo più nulla. Cosa mi era preso?
 
*
 
Ero a cena.
Avevano servito pastina come primo piatto, e della carne come secondo. Io avevo a malapena mangiato la pastina, la carne, invece, era intatta nel piatto.
Vera, di fianco a me, indicò la bistecca.
-La mangi?- chiese.
Spinsi il piatto verso di lei, che infilzò la carne per trasferirla nel suo.
-So che hai qualcosa che non va, ma so anche che non ti va di parlarne. Giusto?- disse, prima di addentare il primo pezzo di bistecca.
-Vera, cosa provi esattamente per Francis?- chiesi.
Lei arrossì violentemente, schiacciandomi un piede sotto il tavolo.
-Ehi!- mi lamentai.
-Potrebbe sentirti- bisbigliò lei, lanciando occhiate nervose al ragazzo dall’altra parte del tavolo. Alzai gli occhi al cielo, sbuffando.
-Comunque, lo sai- mi disse, con tono complice e spazientito.
-D’accordo, ma com’è essere… Ecco… Innamorati?- le sussurrai.
Lei ci pensò su per un po’, masticando e roteando i suoi occhioni da cerbiatta.
-Vuoi che la persona che ti piace stia con te, e quando le parli, o lui ti guarda, ti senti strana… Non so come dirtelo. Devi provarlo… Ma a quanto pare, lo stai già sperimentando- disse, ammiccando -Allora, chi è il fortunato? Matt, vero? Non dirmi che è quel coglione di Mello.
In due secondi il mio viso divenne completamente rosso dalla vergogna, mentre dicevo: -Nessuno dei due! Era solo pura e innocente curiosità.
-Pura come la tua faccia? Allora deve essere qualcosa di serio. Ammettilo, questo “lui” ti ha fatto perdere la testa.
-Ma anche no!- sbottai, cercando di calmarmi.
Andiamo, era categoricamente impossibile che mi fossi innamorata di L. L’avevo visto tre volte, massimo quattro!
Guardai altrove, e vidi Mello, poco più distante, che mi fissava con sguardo attento. Gli lanciai un’occhiataccia, mentre lui si giustificava: -Ho sentito pronunciare il mio nome.
-Il mondo non gira intorno a te, biondino- ribeccai, alzandomi –comunque io torno in camera. Ho sonno.
Con quella stupida scusa mi dileguai verso le scale.
I miei pensieri erano un tormento unico. Non potevo essermi davvero presa una cotta per L. Era troppo grande, e certamente avrebbe avuto di meglio da fare che stare a dietro ad una mocciosa come me.
Probabilmente si trattava del discorso di transfert che avevo letto in un libro di psicologia, qualche mese prima.
Trasferire il mio amore per i miei genitori sul soggetto più indicato, ovvero lo psicanalista… Peccato che L non fosse il mio psicanalista.
“Trova qualcuno con cui parlare di queste cose, del tuo passato, chiaro? Starai meglio. Al 98%.”
Così aveva detto. Probabilmente, molto probabilmente aveva previsto tutto, sia il transfert che il resto, e sapeva che ci sarei arrivata anche io, che avrei compreso tutto, ma…
In quel momento, gli altri erano la cosa a cui meno mi veniva da pensare.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Spazio Autrice
 
Capitolo corto e postato molto, molto velocemente a causa di onnipresenti verifiche e interrogazioni.
Preghiamo affinché lo Spirito Santo interceda per me, alla mia morte, domani alla seconda ora, a diritto. Amen.
 
ShinigamiGirl
 
Ps: sì, lo so, il disegno che raffigura Julia nello specchio è orrido e neanche colorato. Mi farò perdonare…


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Capitolo 13
*** Amicizia zoppicante ***


Guardavo con occhi spalancati davanti a me, senza vedere nulla, in realtà.
L.
Era il mio pensiero fisso, ormai. Continuavo a dirmi di non pensarci, ma è difficile. Pensate a qualsiasi Pokémon, ma non a Pikachu.
A cosa state pensando?
A Pikachu. E’ meccanico. La psicologia che tanto amavo, spesso e volentieri era un’arma a doppio taglio. So come sono i processi psichici, ma non posso non esserne soggetto.
Purtroppo, a Mello toccava richiamare continuamente la mia attenzione, e non era proficuo per le indagini. Alla fine il biondo era parecchio irritato.
-Dannazione, ma mi stai ascoltando? Domani dovremo pedinare quelli lì, spiegami come farai se non presti attenzione neanche ora!
Mi riscossi, con aria colpevole.
-Scusa, Mello.
-Con le tue scuse non ci faccio nulla! Si può sapere cos’hai?
Non risposi.
-Allora?
-Niente, lascia stare. Domani non sarò così distratta, te lo prometto.
Lui mi guardò per qualche secondo, poco convinto.
Lo fissai di rimando.
Per un secondo sembrò che stesse per dirmi qualcos’altro, ma poi scosse leggermente la testa, voltandosi per prendere una barretta di cioccolato. Mi chiesi cosa avesse tentato di dire, ma decisi di non farci caso.
-Sparisci- mi sentii dire -mi rendi più nervoso del solito.
Guardai Mello, che sgranocchiava cioccolato tranquillamente, come se non avesse detto nulla di così particolare o importante.
Non riuscii a farne a meno. Cominciai a respirare forte, nonostante cercassi di trattenermi, e le lacrime mi rigarono il volto, mentre scendevo dal letto e mi dirigevo fuori dalla stanza. In quel momento pensavo solo alla gente che continuava a respingermi, che non voleva avere a che fare con me.
Come L.
Prima che uscissi in corridoio, Mello mi afferrò il braccio, facendomi voltare di scatto. Mi fissò negli occhi, quei suoi occhi glaciali, che non esprimevano mai emozioni, ed ora erano perplessi.
-Continui a piangere, ultimamente. Non è utile né a te, né alle indagini. Quindi adesso mi dici cosa cazzo c’hai, altrimenti non so proprio che fare con te.
Mi asciugai la faccia con la manica dell’altro braccio, trattenendo una smorfia.
-Non sai che fare con me, eh- dissi, con tono amaro.
-Beh, illuminami! Sto cercando di parlarti, di capirti, se non te ne sei accorta! Sai che ti dico? Vai a quel paese!- esclamò, mollandomi il braccio e andando sul suo letto, senza voltarsi.
Rimasi bloccata, un po’ per la sorpresa, un po’ per l’incredulità.
Poi le lacrime uscirono a cascate, come se avessi aperto un rubinetto, e iniziai a singhiozzare rumorosamente, con le mani strette a pugno davanti agli occhi. Il biondo mi guardò ad occhi spalancati. Probabilmente lo stavo facendo sentire in colpa.
Infatti mi si avvicinò, un po’ spaesato, senza saper bene cosa fare.
-Ehi, senti, non dicevo sul serio- disse, tenendo la voce un po’ bassa, come se si vergognasse.
-Non… E’ per… Per… Questo- ammisi, fra un singhiozzo e l’altro.
-E allora cosa?
-Rovino sempre tutto!- esplosi -Nessuno vuole avere a che fare con me, e quando succede, rovino sempre tutto! Sono una cosa impossibile!
Mello sbuffò.
-Non dire cazzate! Se ti sto ancora ascoltando c’è un motivo.
-E quale? Ti faccio pena!- esclamai.
Silenzio.
Lo sapevo, tanto.
Mi voltai, andando verso la stanza in fondo al corridoio… Dove sapevo che c’era qualcuno che mi avrebbe ascoltata, qualcuno che mi avrebbe capita, qualcuno che… Aspetta un attimo, pensai, bloccandomi.
L era solo un’illusione. Mi aveva parlato solo perché gli servivo, per la prova. E così anche Mello, aveva detto: “Non è utile né a te, né alle indagini”.
Iniziai a ridere fra le lacrime, disperata.
Tutti mi stavano pigliando sonoramente per i fondelli.
Cercavano di farmi sentire meglio, sì, ma per cosa? Per le indagini.
Sfruttare, operare, discutere.
Senza implicazione emotiva.
Ecco cosa fanno i detective.
L poteva avermi anche capita, colpita al cuore, catturata col suo carisma, ma rimaneva pur sempre un detective, che lavorava unicamente per i suoi scopi. Era già una cotta sbagliata, destinata a non essere mai ricambiata, ed ora era diventata pure un’infatuazione nata sotto fregatura, sotto bugie di finto interessamento.
-Basta- sussurrai.
Ero stufa di quella dannatissima situazione, ero sfruttata e non avevo modo di vivere decentemente. Iniziai a capire in quel momento perché c’erano poche ragazze nella Wammy’s House. Tutte sapevano che non avrebbero vissuto una vita con rapporti decenti, se fossero rimaste. Peccato che non ci avessi pensato, quando ero appena arrivata lì.
-Basta- ripetei, più forte.
Volevo andarmene subito da quell’istituto. Tornai indietro, nel corridoio, lasciandomi alle spalle la stanza del salottino di L. Non era lì che avrei trovato una vita soddisfacente, non era lì che sarei stata consolata da qualcuno a cui importava veramente di me.
Eppure, l’immagine di quel ragazzo dai capelli corvini e le profonde occhiaie continuava a ronzarmi in testa. Lui, in fondo, mi aveva capita. E non cerchi di capire una persona, se di lei non ti interessa nulla, no?
Il mio lato emotivo cercava invano di aggrapparsi a quelle convinzioni, pur di non infangare il nome di L.
-Basta!- gridai, sbattendo la porta dei bagni.
E rieccomi, come una codarda, come al solito, in quei dannatissimi bagni. Mi ero promessa di non farlo più, ma non mantenni la parola data, piangendo come una stupida bambina immatura, in quelle mura dipinte di giallino.
 
*
 
Rimasi tutto il pomeriggio chiusa nel bagno, fissando il muro, senza dire nulla.
Avevo bisogno di riprendermi.
Volevo andarmene dalla Wammy’s, ma non potevo.
Avevo solo dodici anni, non diciotto. Dove sarei potuta andare? Non ci voleva molto a capire che fino a maggiore età non me ne sarei potuta andare.
Uscii al suono della campana, segnale che era pronto in tavola.
Vidi alcuni ragazzi andare verso la mensa, in corridoio, così li seguii senza profferire parola.
Sempre tenendo lo sguardo basso, giunsi nella sala da pranzo, che pullulava di ragazzini affamati. Scorsi Vera che sventolava una mano nella mia direzione, indicando il posto di fianco a lei; così mi diressi verso la mia amica, sedendomi pesantemente sulla sedia.
-Ehi, come mai quest’aria pesante, Debby?- mi chiese.
-Nulla, lascia stare. Ho litigato con Mello, più o meno.
-Ah, brutta storia. Spero che domani vada tutto bene…
-Sì, tranquilla, per domani sarà tutto a posto- le dissi, tentando di sorridere.
Vera non era una stupida, capì al volo che era meglio lasciar perdere l’argomento, così mangiammo in silenzio il risotto e il pollo.
Notai, con la coda dell’occhio, che Mello mi lanciava strane occhiate.
Inizialmente sperai che non si sentisse troppo in colpa, ma poi mi venne in mente il motivo per cui aveva tentato di parlarmi.
Già, solo per sfruttarmi.
E poi lui, col suo caratteraccio, poteva essere tutto meno che preoccupato per ciò che era successo.
A quel pensiero mi mordicchiai il labbro inferiore, nervosa.
Rivolsi il mio sguardo a Near, a capotavola, un po’ più in là, a sinistra. Mangiava pacificamente, lentamente, quasi stesse a misurare ogni sua stessa azione. Lo trovai quasi ripugnante, pareva una macchina senza sentimenti.
Era davvero quello, che io avevo aspirato a diventare?
Mi vergognai di me stessa.
Quando la cena finì fu quasi una liberazione, per me.
Mi alzai abbastanza in fretta, decisa a correre a infilarmi il pigiama e intrufolarmi nelle coperte, ma qualcuno aveva deciso di impedirmi di seguire il mio programma serale.
Mi sentii chiamare.
-Debby, aspetta! Dobbiamo parlare.
Mi voltai verso Matt, che correva verso di me, abbastanza spossato.
-Dimmi, che c’è?- chiesi, tenendo la voce un po’ bassa.
-Ti va di uscire? Lì potremo parlare in libertà.
Annuii.
Lo seguii nel cortile, sui gradini di cemento, dove si sedette, facendomi cenno di raggiungerlo.
Ero preoccupata, non avevo idea di cosa sapesse o di cosa potesse dirmi, in fondo, lui e Mello erano ottimi amici. Tuttavia anche lui non sembrava completamente a suo agio, e la cosa mi diede un po’ più di coraggio.
Quando fui di fianco a lui, lo sentii sospirare pesantemente.
-So quello che è successo oggi- cominciò -intendo, con Mello.
-Beh, lo immaginavo- dissi, facendo spallucce.
-Già. Volevi chiederti di essere meno… Ecco… Meno cattiva con lui.
Spalancai gli occhi, sorpresa.
-Ma… Cosa intendi? Io non sono stata cattiva con lui…- boccheggiai. Mi aveva colta davvero di sorpresa.
-Non dico che sei cattiva, però… Lui ha pochi amici. Da quando l’hai, come dire, “aiutato”, quando si sentiva giù, ti ha classificata come sua amica. Insomma, per lui io e te, ora, siamo sullo stesso piano.
Ero palesemente scioccata, e Matt cercò di spiegarsi meglio.
-Ti considera una sua amica, e vedi, quello che ha fatto ieri non aveva doppi fini o cose simili. Voleva seriamente sapere cos’avevi. E’ solo che lui ha dei modi di fare un po’ strani, mantenendosi sempre freddo, forse è per questo che non l’avevi capito.
-Oh santo cielo… Io… Sono una brutta persona…- farfugliai, con i sensi di colpa a mille.
-No, non lo sei- mi contraddisse Matt -Se ora vai da lui e chiarite, andrà tutto a posto.
-Ma io non so cosa dirgli!
-Scusati, e il resto verrà da se.
-Matt, non so se ce la posso fare ad affrontarlo…
-Invece sì. E comunque non si tratta di affrontarlo, solo di fargli capire che può contare su di te. Se continui a evitarlo, andrà a finire che ferirai i suoi sentimenti. Non sembra, ma anche lui ce ne ha.
-Sì, lo so- sospirai.
In fondo avevo potuto scoprire anche io che c’era una parte debole in lui. L’avevo aiutato a superare un brutto momento, ma non avrei mai immaginato che mi avesse classificata come sua amica.
-Sarà meglio che vada, allora. Prima lo farò e meglio sarà, giusto?- dissi.
Matt mi sorrise, porgendomi la mano chiusa a pugno.
-Questa è la Debby che conosco. Vai e fatti valere.
Pugno, schiocco di dita e stretta di mano. Il nostro saluto speciale.
Mentre rientravo nell’istituto, automaticamente pensai a me e Mello mentre facevamo una stretta di mano particolare. Feci una piccola smorfia, scuotendo la testa. Impossibile.
 
*
 
Mello era in stanza, da solo.
L’avevo cercato nel salone dei giochi e in biblioteca, ma alla fine l’avevo trovato nella nostra camera.
Ero sulla soglia, non mi aveva ancora vista. Mi torturavo le mani, pensando a cosa potessi dire. Presi un bel respiro profondo ed entrai.
-Ciao Mello.
Lui alzò lo sguardo, mantenendo uno sguardo di ghiaccio.
Mi avvicinai, intimorita. Era la prima volta che quel ragazzo mi faceva paura.
-Volevo dirti una cosa…
-Spara- disse il biondino.
-Scusa.
Guardavo il letto, probabilmente rossa di vergogna, aspettando una sua risposta, ma non ne arrivò.
Dopo un po’ alzai lo sguardo, e rimasi basita. Mello mi guardava con una faccia sorpresa, come se avesse davanti un alieno sceso direttamente da Marte.
-Santo cielo che hai da guardarmi in quel modo?- esclamai, quasi senza volerlo.
-Di che cosa ti stai scusando?- domandò.
-Per questo pomeriggio… Ero un po’ fuori dai gangheri e non pensavo a quello che dicevo, poi…
-Non mi fai pena- mi interruppe.
-Cosa?- chiesi.
-Ho detto che non mi fai pena. Non è certo quello il motivo per cui ho tentato di parlarti. E non voglio che tu pianga perché pensi questo.
Mi sentii pervadere da uno strano sentimento di gratitudine misto ad affetto.
-Grazie- sussurrai.
-Ero lievemente preoccupato. Quando ti sentirai di parlarne...
Non terminò la frase, forse per l’imbarazzo.
Così annuii, per fargli capire che ci eravamo intesi.
-Ora sarà meglio dormire. Domani ci aspetteranno dei pedinamenti.
-Ok- dissi, andando a prendere pigiama e spazzolino.
Finalmente stavo meglio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Spazio Autrice
 
Cialve!
Ecco un altro capitolo dove non si dice un accidente sulle indagini.
Sì, lo so, sono perfida.
Nel prossimo però ci saranno pedinamenti, e… Chi lo sa… Magari si scoprirà anche chi è l’assassino;)
Spero che comunque il capitolo sia apprezzato.
Domande? Critiche? Suggerimenti? Dite pure, aspetto un vostro parere.
Alla prossima!
 
ShinigamiGirl

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Capitolo 14
*** Pedinamenti e intuizioni ***


-Ma dovevi proprio portarla, la cioccolata?- sbottai.
Mello mi guardò con aria indifferente, e un sorrisino malizioso sulle labbra. Addentò la tavoletta di cioccolato senza smettere di sorridere.
Sospirai.
Non era possibile che durante un pedinamento lui rinunciasse alla cioccolata, in effetti…
Eravamo appostati davanti ad un edificio pieno zeppo di appartamenti, di color grigiastro. Ero appoggiata all’albero di decoro, piantato in una zolla di terra del marciapiede.
Mi ero vestita con pantaloni di jeans e una maglietta blu e bianca, portando al posto della solita borsa uno zaino nero sulle spalle, e fissavo pensosa il mio compagno che mangiava cioccolata.
Mi riscossi quando vidi un uomo biondo e slanciato uscire dalla palazzina che ci stava di fronte.
-Credo che Adam stia andando a lavorare- bisbigliai, facendo cenno col capo verso l’uomo.
Mello lo osservò attentamente, mentre ci passava di fianco.
Adam ci guardò con curiosità, ricambiando le nostre occhiate. Io l’avevo detto che dovevamo appostarci altrove, ma quella testa di mulo di Mello aveva insistito affinché ci appostassimo davanti al suo appartamento.
L’uomo sostenne i nostri sguardi, prima di chiedere: -Cercate qualcuno, ragazzini?
Merda,Pensai.
-A dir la verità ci chiedevamo dove fosse finito il nostro cagnolino- mentì mellifluo il biondino -è scappato ieri sera ed è corso da queste parti… Stavamo qui a discutere dove possa essere… Mia cugina è molto abbattuta- aggiunse indicandomi.
-Non ho visto nessun cagnolino… A parte uno che passa di qua quasi tutte le sere, di color sabbia- disse Adam.
-E’ lui!- esclamai, fingendo gioia -E’ Spotty! La prego signore, mi dica, a che ora l’ha visto? Fugge spesso, è normale che l’abbia visto frequentemente.
Mello si lasciò sfuggire un sorrisino d’intesa.
-Oh, capisco… Beh ieri sera non l’ho visto, ma se restate nei paraggi credo lo troverete presto. Ora scusatemi, ma devo andare a lavorare.
-Ma certo!- esclamai sorridente -Buona giornata!
-E grazie- aggiunse Mello, chinando il capo.
Mi sentii afferrare la mano e trascinare via. Andai con Mello fino all’angolo della strada, svoltammo e bloccammo la corsa.
-Cazzo Mello!- esclamai -Te l’avevo detto che dovevamo appostarci altrove, bastava anche l’altro lato della strada!
-Abbiamo la scusa per girare intorno al suo palazzo per un po’, che vuoi di più?
-Non avremmo dovuto interagire con lui, lo sai. E poi, ora come facciamo a seguirlo a lavoro?
-Davvero non l’hai notato?- chiese, guardandomi negli occhi.
Rimasi di stucco.
-Cosa mi è sfuggito?- domandai.
Il biondo si sporse dall’angolo, accertandosi che Adam se ne fosse andato, poi mi prese per mano e mi riportò dove eravamo appostati prima.
-Guardati intorno- disse, incrociando le braccia sul petto.
Osservai il palazzo, il muro vecchio e rovinato, le finestre abbastanza grandi e non molto sporche… Nulla di particolare.
Dovevo cambiare il mio modo di vedere le cose, forse. L’assassino cosa guardava? Un pensiero mi balenò in mente come un fulmine a ciel sereno.
Voltandomi di scatto, abbassai lo sguardo sulle radici dell’albero.
Eccola.
Sulla radice meno sporgente stava una stella di David, incisa nel legno.
-A quanto pare l’assassino colpirà o ha già colpito qui. Dubito che Adam, se fosse il nostro killer, sia così stupido da commettere un omicidio nella sua stessa palazzina- commentò Mello.
-No, il killer non è uno stupido- dissi, con gli occhi spalancati e il viso in un’espressione mista di shock e paura, nonostante stessi cercando di rimanere imparziale -dici che abbia commesso l’omicidio?
-Questo non lo so, io propongo di entrare nella palazzina. Lì certo noteremo se l’assassino è già passato.
Annuii.
Salimmo i gradini dell’edificio, ma Mello si fermò.
-Dimenticavo che bisogna avere le chiavi per aprire questa fottutissima porta!- esclamò innervosito.
Per tutta risposta mi sporsi a suonare il campanello di una certa Rose Trent.
-Che cazzo fai?- sbottò Mello, voltandosi per fulminarmi con occhi glaciali.
Gli feci un sorrisino.
-Lascia fare a me, idiota- dissi, tirando fuori dallo zaino che mi ero portata sulle spalle una scatola di biscotti al cioccolato.
Una voce femminile, roca e stridula disse dal citofono: -Sì? Chi è?
-Salve signora Trent!- risposi con voce squillante e innocente -Siamo due dei ragazzi dell’oratorio. Oggi alcuni di noi vanno in giro a vendere biscotti per beneficienza, le va di contribuire per la raccolta fondi da mandare ai meno fortunati di noi?
-Oh, ma certo cari ragazzi! Perdonatemi ma la vecchiaia non mi permette di fare le scale… Potete salire voi?- disse Rose con tono più dolce.
-Ma certo, arriviamo subito! Grazie mille!- esclamai con una risata cristallina.
-Ecco ora vi apro… Salite al secondo piano, a fra poco!- detto ciò, la signora aprì la porta, e il citofono tacque.
Lanciai a Mello uno sguardo di vittoria e superiorità, alzando un sopracciglio.
-Certo che sai imitare bene le mocciose superflue e infantili, quando vuoi- disse il biondo.
-Saper mentire e recitare a volte torna utile- dissi, perdendo un po’ l’entusiasmo che avevo acquistato.
Mentire, già.
Sarebbe stato meglio non saperlo fare, per certi versi.
 
*
 
Mentre tornavamo alla Wammy’s, quella sera, eravamo entrambi un po’ abbattuti e in parte soddisfatti.
Nel taccuino che mi portavo sempre dietro, dove avevo segnato ogni dettaglio di ogni uccisione, non c’era l’indirizzo di Adam Clarke, ciò significava che una donna sarebbe stata uccisa in una delle seguenti mattine.
Infatti, dato che avevamo suonato a tutte le porte cercando di vendere biscotti e tutti ci avevano aperto, non c’erano stati omicidi, anche perché altrimenti i giornalisti sarebbero stati lì intorno.
Questo era fonte di soddisfazione, eravamo vicini alla soluzione del caso.
Ma non capivamo ancora perché segnasse le radici, la schiena delle vittime e soprattutto come venivano scelte.
Durante il tragitto non facevo che pensare anche a Near e Jake. Loro a che punto si trovavano nelle indagini? Chi poteva saperlo…
Però io sapevo che, sicuramente, anche Mello era preoccupato di ciò.
-Debby- mi chiamò lui.
-Che hai?
-Per domani, propongo di tornare lì, magari con la macchina fotografica, in modo tale da poter beccare il nostro assassino con le mani nel sacco.
-Anche io sono dello stesso parere- dissi.
-Bene.
Arrivammo alla Wammy’s House, e il discorso terminò. Mello andò a recuperare della cioccolata, lasciandomi da sola.
Nel giardino, mentre attendevo che fosse pronta la cena, scorsi un cagnolino randagio che rovistava tra i rifiuti. Come un lampo, andai verso di lui, con un’idea in mente.
Allungai una mano verso di lui, era un cucciolo completamente nero.
Il cagnolino si avvicinò scodinzolando e si lasciò accarezzare. D’un tratto lo afferrai di scatto, prendendolo in braccio e correndo verso un lato isolato del giardino.
L’animale iniziò ad agitarsi, mentre io sorridevo.
-Tranquillo, bello. Mi sarai molto utile.
Lo chiusi nel ripostiglio degli attrezzi da giardino, sapendo che nessuno l’avrebbe trovato, dato che i gestori si occupavano del giardino una volta ogni due settimane.
Il cucciolo iniziò a raschiare la porta per cercare di uscire, ma nessuno l’avrebbe sentito, isolato com’era.
Per sicurezza, afferrai la chiave, chiusi a doppia mandata e me la infilai in tasca, con un mezzo sorriso.
Nemmeno Mello avrebbe potuto organizzare un piano più imprevedibile, e mi sentii sicura.
Quella sera avrei rischiato davvero grosso, ma i risultati che avrei ottenuto ne avrebbero compensato la gravità del pericolo.
 
*
 
Dopo cena, quella sera, i componenti di ogni camera avrebbero avuto un periodo limitato di tempo per fare la doccia.
La camera numero cinque sarebbe stata, per l’appunto, la quinta ad andare. Essendo nella stanza numero sei, dovevo svolgere il tutto molto velocemente per tornare in tempo per fare la doccia senza rilasciare sospetti.
Dovevo sperare che tutto andasse per il verso giusto.
Mentre i componenti della stanza quattro uscivano dal bagno, corsi in giardino a recuperare il cagnolino, con in mano la macchina fotografica.
Lo portai in una pozza di fango, dove gli feci sporcare le zampe, poi lo presi in braccio, tornando in fretta alle stanze e cercando di far lasciare le impronte di fango al cucciolo, dall’entrata fino al secondo piano.
Arrivata, vidi con piacere che la mia tempistica era perfetta: i ragazzi stavano andando ai bagni, lasciando la camera aperta e incustodita.
Entrai furtivamente e mi diressi verso il letto di Near.
Sperai che non avesse lasciato i documenti a Jake, e iniziai a cercare nel suo comodino, stando bene attenta a non spostare eccessivamente le cose e rimetterle come le avevo trovate.
Il cucciolo, che tenevo tra le mie ginocchia, annusava freneticamente ciò che lo circondava, mentre io ero china nei cassetti.
Non trovai nulla.
Imprecai sottovoce, non avevo molto tempo.
Poi notai un’asse di legno danneggiata, sotto al letto.
Le mancava un angolo.
Sospettai subito di qualche trappola, perciò mi guardai bene intorno, ma non vidi nessuna minaccia.
Strisciai sotto al letto e tentai di alzare l’asse del pavimento, ma non ci riuscii, l’angolo mancante era troppo stretto anche per il mio dito affusolato.
Fu allora che scorsi qualcosa incastrato nell’intelaiatura del letto. Era un pezzo di ferro stretto e allungato, con la punta ricurva.
Gli feci una foto, per poterlo rimettere come l’avevo visto, e lo sfilai dalla reticolazione di ferro.
Lo utilizzai per sollevare l’asse, e finalmente trovai ciò che cercavo.
Fotografai tutto il risultato delle loro indagini, lo rimisi a posto e vi incastrai l’asse del pavimento sopra, come era prima che la manomettessi.
Sistemai anche il pezzo di ferro che avevo utilizzato, guardando la foto perché fosse perfetto.
Mi rialzai e liberai il cucciolo, che iniziò a correre per la stanza, sporcando ovunque.
Sorrisi, lui avrebbe coperto la mia piccola intrusione.
Mentre annusava un comodino, uscii senza farmi notare e socchiusi la porta, dirigendomi velocemente nella mia stanza.
Dopo pochi minuti, sentii i ragazzi della camera accanto strepitare: avevano scoperto il cucciolo.
Feci un’espressione incuriosita e andai a vedere con i miei compagni cosa stesse succedendo, fingendo stupore mentre ammiravo il cucciolo con gli altri ragazzi.
Tutti lo coccolavano e si mostravano felici della sua “casuale intrusione”.
Non mi avvicinai troppo al cagnolino, temevo che potesse riconoscermi e farmi le feste, ma recitai bene la parte, prima che arrivassero gli inservienti a richiamarci all’ordine e mandare noi, componenti della stanza numero sei, ai bagni.
 
*
 
Il mattino dopo, io e Mello andammo davanti alla casa di Adam Clarke, in attesa dell’assassino.
Mentre sgranocchiavamo grissini ricoperti di cioccolato, seduti dall’altra parte della strada, decisi di informarlo delle mie azioni della sera precedente.
-Ieri sera è stato un casino- commentai, per rompere il ghiaccio nel silenzio.
-Nah, è già successo che entrassero animaletti nella Wammy’s. E’ una cosa ormai monotona- disse lui.
Io ridacchiai, e Mello si voltò a guardarmi.
-Come mai questa risatina?- chiese.
-Non è stata proprio un’intrusione involontaria, sai.
-C’entri qualcosa tu?- chiese, iniziando a capire.
Per tutta risposta io annuii, porgendogli la macchina fotografica. Mello iniziò a scorrere le foto sul display, e pian piano un sorriso soddisfatto gli fiorì sul volto.
-Che bastarda- sussurrò, con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia.
-Oh bene! Io recupero informazioni e tu mi dai della bastarda!- dissi, fingendomi offesa.
-Hai fatto bene, volevo farlo anche io ma… Mi hai preceduta. Li hai già letti?
Annuii, girandomi e tornando a tener d’occhio la palazzina davanti a noi, mentre parlavo: -Hanno anche loro escluso il satanismo, e in più hanno scoperto che l’assassino sta seguendo una linea precisa. Prendendo una mappa e unendo i punti delle uccisioni, si forma un’ennesima stella di David.
-Questo ci sarà utile per prevedere precisamente i prossimi omicidi.
-Sì- confermai -ma loro non hanno nessun sospettato. Credo stiano cercando di trovarlo con le mani nel sacco senza cercare troppo, però… C’è una cosa che mi preoccupa.
-Le due cartellette, vero?
-Esattamente.
Mello si riferiva alle cartellette che portavano in giro sia Near che Jake, una a testa. Sicuramente io avevo trovato quella di Near, ma era possibile che in quella di Jake ci fossero altri indizi, di cui noi non eravamo al corrente.
-Non posso rischiare ancora- dissi -quindi dovremo accontentarci di questo.
-Il fatto è che se qui ci sono i luoghi, le date e cose prevalentemente oggettive, come le armi… Temo che nell’altra ci siano i sospettati- sospirò lui.
-Già.
Mi restituì la macchina fotografica.
-Comunque- mi disse -hai fatto un ottimo lavoro.
Sorrisi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’Autrice
 
Welcome back, ShinigamiGirl.
Il computer rotto è una delle cose che proprio non mi doveva succedere, ma dettagli.
Grazie a chi, nonostante la mia mancanza, continua a leggere “Wammy’s House Story”. Vi si vuole bene <3
Grazie, grazie, grazie. Non smetterò mai di dirlo.
Critiche, suggerimenti, impressioni? Scrivete, attendo i vostri pareri :3
Alla prossima! (si spera presto, eheheh.)
 
ShinigamiGirl

Ps: l'ispirazione di questo capitolo è avvenuta grazie alla nuovissima canzone di Lady Gaga, "Applause". Lady ti amo! *^*
Ecco il link: https://www.youtube.com/watch?v=_bHhpufKRjs

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Capitolo 15
*** Insospettati legami ***


Eravamo nel giardino della Wammy’s House.
Quella mattina nessuno si era avvicinato alla casa che sorvegliavamo, con nostra grande delusione.
Mello era però fiducioso, convinto che l’indomani la nostra pazienza sarebbe stata ricompensata. Eravamo seduti abbastanza lontani dalle altalene e dagli scivoli, e quindi lontani dalla confusione generale dei bambini.
Stavo giocherellando distrattamente con la macchina fotografica, scattando foto e eliminandole subito dopo. Mello, seduto davanti a me, mangiucchiava una tavoletta di cioccolato fondente.
In quella pausa, mi venne naturale chiedermi cosa stesse facendo L.
Di certo non stava pensando a una mocciosa come me. Che fosse impegnato in qualche altro caso? Poteva essere ovunque, in quel momento. Lì a Winchester con noi, oppure dall’altra parte del mondo.
L’unica cosa di cui potevo essere certa, era che non l’avrei mai trovato. Era lui che decideva di farsi vedere, io non ero in grado di prevedere le sue apparizioni.
Forse non era lui che cercavo, forse non erano veri i sentimenti che provavo. Mi venne in mente una cosa abbastanza sconcertante.
Probabilmente, non provavo nulla in lui, mettendo da parte l’ovvia stima per il più grande detective al mondo. Forse ero innamorata della situazione, del modo in cui mi aveva consolata, non di L.
Volevo solo che qualcuno mi capisse come l’aveva fatto lui.
Lanciai uno sguardo fugace al biondino, che aveva quasi finito la tavoletta di cioccolata.
No, lui non era la persona adatta. Era troppo freddo, staccato e disinteressato. Matt, d’altro canto, era aperto e disponibile, ma non riuscivo ad aprirmi totalmente con lui. Poi Near, ma io e lui non avevamo nessun rapporto, a parte la competizione che si era messa in moto dopo l’assegnazione dell’indagine.
Vera poteva essere una mia valida amica, poteva conoscere il mio vero nome, ma di certo non le avrei raccontato mai nulla di me. Sapevo come avrebbe reagito, e avevo già deciso di evitare.
Mi sentii ridicola, conoscevo molte persone, ma non mi fidavo di nessuno.
-Perché hai quell’espressione corrucciata?- mi chiese Mello, con tono infastidito, strappandomi dai miei pensieri.
-Nulla di importante- risposi, senza guardarlo in faccia.
-Sei insopportabile- esclamò.
Alzai lo sguardo, e mi trovai la faccia di quel dannatissimo biondino a pochi centimetri dalla faccia.
-Ma che diavolo…- provai a dire, ma lui mi zittì.
-Se ti chiedo il perché di qualcosa- disse, deciso -non è per cortesia, ma perché voglio saperlo davvero!
-Non sai farti gli affari tuoi?- ribeccai, inviperita.
-No!
-Bene, stavo pensando a L. Contento?
-A L?
-Sì, a L. Non ci pensi mai, tu?
Lui inizialmente non rispose. Si allontanò dal mio viso, abbandonando la sua aggressività, poi disse: -Sì, anche io ci penso.
-La conosci anche tu la storia di BB?- chiesi, abbandonando anche io la rabbia che si era scatenata in me.
-So quello che tutti sanno, che è stato un gran killer ed è stato preso da L.
-Sai perché l’ha fatto? Voleva battere L, proponendogli un caso irrisolvibile.
-Lo so.
-C’è chi si è suicidato, sotto il peso di tale fardello, di dover diventare come L.
-Lo so, non trattarmi da stupido! So anche che stai divagando, non è questo a cui pensavi. Non sono un idiota- sibilò Mello.
-Ne sono consapevole. Ci stavo arrivando.
Lui attese, in silenzio.
Quello che non sapeva, è che mi sarei inventata molte scuse per coprire i miei pensieri.
-Io non voglio essere successore di L- confessai, in parte era vero.
-Esperienze passate ti impediscono di sperare nel futuro.
Ahi, ci aveva azzeccato. Non era un caso, che fosse il secondo in graduatoria.
-No… E’ che voglio una vita normale- dissi, cercando di trovare vie alternative al discorso.
-Tu stai cercando una vita normale perché sei convinta di non averla mai avuta- disse Mello, guardandomi negli occhi con sguardo glaciale.
Rimasi senza parole.
Mi ero fatta smontare, come uno di quei puzzle di Near, da quel biondo impulsivo e diffidente. Gli ci era voluto poco per capire cosa mi passava per la testa.
-Forse…- ammisi, senza coraggio di inventarmi altro.
Ci fu una pausa di silenzio, dove probabilmente Mello si compiaceva della propria perspicacia e io non sapevo più cosa dire.
-Allora, mi vuoi dire sì o no quello che ti distrae sempre? C’è qualcosa che attira la tua attenzione almeno venti ore al giorno su ventiquattro.
Altro punto per lui aveva fatto centro ancora.
-Dovevo sapere che stando con te, te ne saresti accorto- borbottai -ma non so come spiegarti… Ciò che penso.
-Perché?
-E’ complicato.
-Non mi sembra di avere una faccia da stupido- disse, guardandomi male.
-Non per te, per me!
-Nemmeno tu sei una stupida.
Lo guardai sorpresa.
Lui… Mello… Il più orgoglioso e presuntuoso della Wammy’s House, aveva appena ammesso che ero intelligente, mettendomi quasi al suo pari.
Anche L mi aveva confessato che ero molto intelligente, ma sentirmelo dire da Mello fu molto diverso.
Era difficile che quel biondino definisse qualcuno intelligente come lui, anche perché era solito sentirsi superiore a tutti.
Davanti alla mia faccia stupita, lui prese ancora parola, dicendo: -Non guardarmi con quella faccia, so riconoscere la gente che ha fegato, come te e Matt. Ma sono infastidito da questa “cosa” che ti impedisce di sfruttare tutto il tuo potenziale, che ti blocca e ti rende chiusa. Per le indagini… E per il resto, devi cambiare.
-Il… Resto?- chiesi, incerta. Cosa diavolo…?
-Per il tuo bene, la tua vita- sputò fra i denti, chiudendo gli occhi e voltandosi, quasi sprezzante.
-Da quando ti interessi della mia vita?- chiesi, sorridendo dalla sorpresa.
-Da quando sei mia amica.
Il sorriso svanì dal mio volto. Non potevo credere alle mie orecchie. Allora quello che aveva detto Matt era vero… Lui mi considerava un’amica.
D’un tratto non mi sembrò più un ragazzo presuntuoso e arrogante.
Iniziai a pensare al mio passato, a quello che avevo fatto, a quello a cui ero arrivata con i miei gesti. La mia infanzia mi passò davanti agli occhi, e tremai.
Le lacrime mi gonfiarono gli occhi, ma il bagno era troppo lontano.
Abbassai il capo, trattenendo il respiro per non emettere alcun suono, anche se sapevo bene che lui se ne sarebbe accorto comunque.
-Ehi- disse, infatti, con tono però un po’ distaccato.
Agii senza pensare, senza preoccuparmi o riflettere sulle conseguenze delle mie azioni.
Mi avvicinai di scatto a Mello, nascondendo il volto sul suo petto, nella sua maglia nera, iniziando a piangere.
Inaspettatamente, lui mi posò un braccio sulle spalle, stringendomi.
-Scusa- balbettai, improvvisamente rendendomi conto di quello che avevo fatto e cercando di allontanarmi.
Il biondo mi trattenne.
-Sfogati e basta- disse, con tono serio e indifferente -ma che non diventi un’abitudine.
Guardai i suoi occhi glaciali, che scrutavano l’orizzonte, e nascosi di nuovo il volto nel suo petto, col volto rigato dalle lacrime.
Poi, ripercorsi la mia vita.

*

All’età di circa tre anni, mio padre capì che non ero una bambina come tutte le altre, capì che ero più intelligente e intuitiva.
Iniziò a illustrarmi il funzionamento di quelli che lui chiamava “fuochi d’artificio”. Arrivai all’età di sei anni conoscendo tutti i tipi di armi da fuoco e bombe, ma mio padre aspirava ad utilizzare ancora la mia intelligenza. Fece una piantina del nostro paese, grande solo un paio di chilometri quadrati.
Avevo intuito che era il nostro paese, anche se lui lo chiamava “paese dei balocchi”. Mi disse di disegnare degli ipotetici “fuochi d’artificio” per il paese, in modo tale che le “fate” potessero prendere lo zucchero nella “fabbrica di caramelle”.
Non ero stupida, sapevo che le “fate” erano mio padre e i suoi amici, e che la “fabbrica di caramelle” era la banca del paese.
Comunque, sta di fatto che feci come aveva richiesto.
Lui mi chiese anche in che giorno era meglio che le “fate” attaccassero, perciò stabilii un giorno.
Conscia del fatto che avrebbero attaccato il paese, andai ad avvertire le persone che c’erano in banca, ma non mi diedero ascolto, ridendo di me e dicendo che ero davvero piccola ma avevo molta fantasia.
Solo un poliziotto, tra tanti, mi diede ascolto, e fece di tutto affinché ci fossero in servizio molte persone quel giorno.
La sera prima del famoso giorno, andai a letto convinta di aver tutto sotto controllo. Mi alzai all’alba, per bere un bicchiere d’acqua, e in salotto c’erano vari mormorii e risate. Origliai e scoprii che gli amici di mio padre erano molti più di quanto avessi previsto. Inoltre, avevano piazzato più bombe di quelle da me indicate, per sterminare tutto il paese.
Quello che non avevo previsto, insomma, era che mio padre fosse un esperto terrorista e avesse utilizzato la mia idea solo come base, andando a migliorarla e a modificarla.
Corsi fuori da casa, spaventata, lasciando tutto e tutti.
Non avendo un’auto, la mia unica via di salvezza era correre via dal paese in quel momento, o sarei morta con tutti gli altri. Dovetti lasciarli al loro destino, per non attirare l’attenzione della gang su di me.
Era tutta colpa mia, lo sapevo.
Arrivai ai limiti della cittadina entro l’orario dell’attacco.
Vidi i palazzi esplodere, sentii gli urli disperati dei sopravvissuti e auto sporche di sangue passarmi di fianco, sulla strada, con a bordo i civili che fuggivano. Erano talmente presi dalla fuga che investivano i moribondi per le strade con noncuranza.
Mi ritrovarono qualche giorno dopo, e fui identificata come una dei pochi superstiti, anche se i poliziotti stessi non si spiegavano come avessi fatto a sopravvivere.
Nessuno scoprì mai la verità.
A parte L, che catturò ogni terrorista sopravvissuto. Sicuramente lui aveva capito davvero com’erano andate le cose, ma non aveva detto nulla per non intaccare e rovinare ancor di più la mia vita.
Nonostante ciò, vissi con i sensi di colpa per anni, le famiglie a cui venni affidata mi prendevano per pazza, non mi capivano, ero schiva e diffidente con tutti, anche a scuola.
Poi, circa un anno fa, venni dichiarata non idonea per essere assegnata a delle famiglie. Mi dissero che sarei finita in un orfanotrofio, e avrei dovuto fare dei test per decidere in che classe mandarmi.
Durante quei test, rimasi per una settimana in un orribile orfanotrofio, sudicio e pieno di pessimo personale. Girava la voce di un orfanotrofio superiore, chiamato Wammy’s House, dove ci andavano soltanto i prescelti, ma credevo fossero tutte invenzioni della fantasia dei bambini dell’orfanotrofio.
Ai risultati dei test, andai ad origliare nella sala tutori, per scoprire cosa ne sarebbe stato di me.
Sentii un vecchio elogiare la mia intelligenza e decidere che mi avrebbe portato alla Wammy’s House.
Non ci potei credere, eppure qualche giorno dopo venne davvero un signore, vestito completamente in nero, che mi disse di preparare i bagagli.
E fu così che arrivai alla Wammy’s House.

*

Non potevo credere alle mie orecchie.
Avevo davvero raccontato tutto a quell’insopportabile biondino, così, senza un motivo preciso. Mello aveva ascoltato tutto, senza una minima reazione.
Alzai lo sguardo, timorosa.
In quello stato probabilmente gli facevo pena. Ma che dico? Mello non provava pena per nessuno. Stava ancora osservando con sguardo vacuo e indifferente la Wammy’s House, come se non avessi detto nulla.
-Non è colpa tua- disse semplicemente -persino Fred ci arriverebbe, ed è il più piccolo della Wammy’s. Hai fatto il meglio che potevi per salvare tutti, ma eri ancora troppo piccola, il peso sulle tue spalle era troppo grande. Se succedesse ora, le cose non andrebbero così, perché avresti previsto tutto.
-Sono morti tutti- dissi, quasi interrompendolo, spalancando gli occhi.
Mello abbassò il capo, guardandomi negli occhi.
Mi stava guardando pensieroso, con uno strano sguardo nelle iridi glaciali. Posò le mani sulle mie spalle e ripeté, alzando la voce con foga: -Non è colpa tua, mettitelo in testa!
Le sue parole mi trafissero.
Perché insisteva, se non era vero? Forse… Davvero non era colpa mia? Quanti anni sprecati nell’aver paura di me stessa. Quanti anni ho passato in diffidenza.
La mia vita non aveva più senso.
-No!- esclamò ancora Mello, infastidito -Ora non ti azzardare a pensare che devi buttarti giù da un ponte solo perché qualcosa è andato storto nella vita. Ce l’hai tutta davanti, te ne rendi conto?!
Altre lacrime mi rigarono il volto.
-E ora perché piangi?!- esclamò esasperato.
-Perché hai ragione!- urlai, piangendo più forte e coprendomi gli occhi con le mani strette a pungo.
Lui si bloccò qualche istante.
Poi udii uno strano suono. Aprii gli occhi, sorpresa, e rimasi scioccata.
Mello stava ridendo.
-Che cazzo ti ridi?!- strepitai, con voce acuta.
Per tutta risposta, il biondo rise ancora di più. Ero senza parole, avevo smesso anche di piangere.
Fulminea, presi la macchina fotografica e scattai una foto a Mello.
Non era male mentre sorrideva, e feci ciò per puro dispetto.
-Ehi! Dammi quella macchina fotografica!- ordinò, buttandosi su di me per prenderla.
-Neanche morta!- dissi ridacchiando, mentre ci dibattevamo uno sopra l’altra, lottando fino allo stremo.
Sapevo che se mi avesse tirato un pugno, come era solito fare nelle risse con gli altri ragazzi, avrebbe vinto, e probabilmente anche lui ne era consapevole, ma non lo fece.
Quando fummo entrambi senza fiato, incrociò le braccia, sedendosi, e disse, voltando il capo verso l’orizzonte: -Tienitela pure, tanto non me ne frega nulla.
Io ridacchiai.
Alla fine, eravamo davvero amici.


















Angolo Autrice

Salve bella gente <3
Ho voluto svelare, finalmente, il passato di Michelle.
Come vi è sembrato? Sì, ho molta fantasia ed immaginazione, lo so… Anche troppa, temo che non sia credibile, ma dettagli.
Oggi ho voglia di nominare tutti quelli che posso ringraziare personalmente, quindi…

Ringrazio:

- Mihael_River (che mi segue da sempre, Onee-chan ti voglio bene <3)
- LoStregatto (grazie dei complimenti, non mi aspettavo che ti piacessero così tanto le mie storie <3)
- anonima K Fowl
- MisaMichaelis
- Neliel2000
- Stefyc17
- alvigi
- Angel 69
- balim_hnevz
- DarkSoul10
- DPotter
- K u r u m i
- Kira_chan_98
- KuramaLiz
- Gatta Blu
- masami_99_
- Miharu9
- peppolove
- Putrefied
- Sana_chan91
- soniuccia
- Strix
- St_rebel (la prima ad aver messo la mia storia nelle seguite e aver lasciato una recensione, grashie!)
- susy e francy
- TheDarkWonderland
- _Lauren_
- _montblanc_
- BellaRevolution95
- Donixmadness
- Putrefied

Per aver messo la mia storia nelle liste e/o aver recensito.
Grazie di cuore! Spero di non deludervi mai, grazie di tutto!
Ora posso andare a strafogarmi di Nutella, se avete critiche, consigli o suggerimenti, vi invito sempre a scrivermi, recensione o messaggio che sia! ;)
Alla prossima!

ShinigamiGirl

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Capitolo 16
*** Fine dei giochi... ? ***


Durante la Messa, non ascoltai una minima parola che uscì dalla bocca del sacerdote. Fissavo con aria assente le vetrate della cattedrale, con una lieve preoccupazione nella mente.
Con ogni probabilità, anche Mello aveva il mio stesso pensiero nella mente.
Di fianco a me, Vera si torturava continuamente le mani, indecisa. Voleva chiedermi qualcosa, glielo si leggeva in faccia, ma qualcosa la bloccava. Decisi di ignorarla, non potevo raccontarle nulla lo stesso.
Il rapporto tra me e lei era diventato quasi inesistente, ormai… Trascorrevo molto del mio tempo con Mello e Matt, a malapena le rivolgevo la parola il mattino e la sera.
Durante il pomeriggio la scorgevo spesso tra i ragazzi che facevano i compiti e svolgevano test intellettivi, ma rimanevo spesso e volentieri con Mello, per agevolare le indagini. Ciò significava, detto in modo molto diretto, che ci stavamo allontanando.
Il mondo dei primi posti di graduatoria mi stava risucchiando, levandomi da ogni sfera sociale che non fosse proprio quella.
Se si possa davvero considerarla una sfera sociale, pensai, con in mente l’immagine di quell’asociale di Near.
Comunque, non sapevo se esserne felice o meno, fondamentalmente non mi interessava.
La compagnia di Matt e Mello, per certi versi, era più piacevole di quella di Vera, anche se la causa vera e propria non riuscivo a trovarla.
Forse, in quelle settimane di amicizia con i due ragazzi, in cui mi avevano capita e fatta sentire a mio agio, non avevo più bisogno di lei. In fondo, lei era così… Banale. Mi sentii un po’ approfittatrice. O forse mi stavo solo montando la testa…?
Il canto finale della Messa mi riportò alla realtà, mentre tutti i ragazzi e i bambini si alzavano per uscire dalla cattedrale. Seguii la folla, fino ad arrivare alla piazza.
Il freddo mi colpì, e mi strinsi nel cappotto, l’autunno a Winchester era pungente.
Il cielo era coperto quasi perennemente da cupe nuvole grigie, le foglie ingiallite degli alberi stentavano a rimanere sui rami, intorno alla chiesa.
I componenti della Wammy’s House iniziarono a far confusione, tentando di comporre file ordinate per tornare all’orfanotrofio, così decisi che era meglio far mente locale e cercare Mello.
Lo trovai quasi subito, era qualche metro più avanti, con Matt. Mi avvicinai, facendomi largo tra i bambini.
Subito sentii Mello lamentarsi.
-Se non si muovono, li prendo a calci uno ad uno, cazzo!
Matt non badò a tenerlo tranquillo.
-Voglio il mio fottuto cioccolato. Ora- disse ancora il biondo, digrignando i denti.
-Ma bene, sparare parolacce non appena usciti da Messa non è certo il miglior modo per essere credenti praticanti- commentai, inserendomi nel discorso e facendo così notare la mia presenza.
-Tsk. Se questo è essere volgari. Ho solo detto che voglio il mio cioccolato- ribatté Mello.
Lasciai perdere, quel ragazzo, col cioccolato era un caso perso.
-Anche io comunque non vedo l’ora di tornare a casa…- sospirai.
Casa… Ora quella parola non sembrava più orribile. Sapeva di dolcezza, serenità e tranquillità. Prima di essermi aperta con Mello, preferivo chiamarla semplicemente Wammy’s House.
Dopo vari trambusti e parecchia confusione, tutti i ragazzi e i bambini dell’orfanotrofio erano in fila ordinata, ansiosi di raggiungere il pranzo che, come tutti sapevamo, ci stava aspettando alla Wammy’s.
Nel tragitto ascoltai Mello lamentarsi dei bambini, mentre Matt raccontava estasiato dei nuovi progetti nel campo della Sony e della Nintendo.
Quando arrivammo, trovammo i corridoi profumati e le stanze pulite, come tutte le domeniche. I domestici assunti da Roger approfittavano sempre della nostra uscita per pulire tutto al meglio e dare una sistemata all’intera casa.
Dopo aver portato i giubbotti ognuno rispettivamente nella propria stanza, seguii la massa che si catapultava in sala pranzo.
Per tutta la casa si poteva sentire un buonissimo profumo di pollo, perciò mi sbrigai e fui una delle prime a sedersi. Potevo vedere benissimo la televisione, appesa ad un angolo della stanza, come al solito sintonizzata sul telegiornale.
Tutti presero posto, e mi ritrovai in mezzo a James e Matt. Davanti a me, invece, un paio di occhi glaciali fissavano il piatto con indifferenza.
Evidentemente Mello si era calmato.
Ad un tratto, lo vidi spalancare gli occhi e girarsi di scatto.
Seguii il suo sguardo fino al televisore, dove un inviato blaterava a raffica con un titolo in sovrappressione. Fu proprio quel titolo a catturare la mia attenzione.
Diceva: “Il serial killer di Winchester colpisce ancora”
-Porca puttana- esclamai, alzandomi di scatto, quasi involontariamente.
Mello mi vide e imitò il mio movimento. Insieme ci precipitammo verso le scale, e poi nella nostra stanza.
Notai con la coda dell’occhio che, mentre prendevo giubbotto e blocco degli appunti, Mello stava ribaltando tutte le sue cose.
-Calmati, serve solo il giubbotto e la macchina fotografica- gli dissi, mentre infilavo il cappotto.
-Sì, lo so!
Quando ebbi finito, uscimmo nel corridoio e ci bloccammo entrambi.
-Merda- lo sentii sussurrare, mentre digrignava i denti.
In fondo al corridoio, un nanetto tutto imbacuccato e munito di sciarpa e cappello di lana bianchi, accompagnato da Jake, stava andando alle scale.
Near era deciso a venire anche stavolta.
Al suo fianco, Jake pareva insicuro di cosa fare e, stretto nella sua giacca di jeans, ci lanciava occhiate preoccupate. Non sembravano aver legato molto, quei due. Pareva che Near lo usasse, più che collaborarci. Quello era uno a zero per me e Mello, decisamente.
Ciò non toglieva al fatto che quel dannato era il più intelligente della Wammy’s, e probabilmente poteva permetterselo.
Feci una smorfia a quel pensiero e afferrai il braccio a Mello.
-Non vorrai farli arrivare giù per primi da Roger, vero?- domandai, stuzzicandolo.
Lui sbuffò con un tono strano, forse divertito, e corse verso di loro, superandoli e scendendo velocemente le scale, mentre io lo seguivo a ruota.
Giungemmo allo studio col fiatone, ma primi. Roger organizzò l’uscita e tutto sembrò tornare come al solito.
In auto, la tensione si poteva tagliare con un coltello, tanto era vivida e fitta.
Quando il viaggio finì e scesi dall’auto, rimasi a bocca aperta.
Non era la stessa casa che avevamo tenuto d’occhio io e Mello.
Era un’altra.
 
*
 
La visita alla vittima fu rapida e indolore.
Solite cose, donna impiccata, vestiti firmati Alexander McQueen e parenti pieni di dolore.
Insomma, non registrammo nulla di nuovo, se non una sola cosa. Il fatto che non fosse la casa prevista. Insomma, avevamo speso una settimana a sorvegliare il palazzo di Adam Clarke, per tenere d’occhio il killer, ma nulla. A quel punto, io avevo già un paio di deduzioni, e non vedevo l’ora di poterne parlare con Mello.
Prima, però, noi due dovevamo mangiare, come anche Near e il suo compagno d’indagini.
Io e il biondo ci sedemmo in sala da pranzo, attendendo il cibo riscaldato, mentre Jake si sedeva dinnanzi a Mello, seduto di fianco a me.
Osservando il suo ciuffo di capelli castani, mi chiesi dove diavolo fosse l’albino.
-Dov’è Near?- sibilò Mello, pronunciando con freddezza quel nome.
Beh, la pensavamo allo stesso modo allora.
-Non… Non lo so- balbettò Jake, con aria intimorita.
Lo fissai con sguardo truce. Era terribilmente timido e riservato, ma non era un ragazzo stupido. Eravamo allo stesso livello di intelligenza.
-Balle- dissi -scommetto quello che ti pare che state tramando qualcosa…
-Sarebbero sempre e comunque affari nostri- mi rispose, spostandosi i capelli castani dietro l’orecchio.
Lanciai uno sguardo a Mello, e vidi che era parecchio innervosito. Da sotto il tavolo, gli posai una mano sulla gamba, facendolo voltare verso di me, con aria interrogativa. Scrutai a fondo le sue iridi glaciali, e il biondo si calmò.
Dovevo solo tenerlo calmo.
Levai la mano, parecchio a disagio, e sentii dei passi alle mie spalle.
Near giunse al tavolo con calma, e si sedette di fianco al suo compagno d’indagini. Mangiammo perlopiù in silenzio, ogni tanto guardavo davanti a me quell’albino tanto intelligente da mettermi addosso un nervoso assurdo.
Il pranzo finì, e noi ci alzammo.
Davanti alla porta della sala da pranzo, però, c’era qualcuno ad aspettarci. Roger si ergeva in tutta la sua altezza, ed era parecchio alto, ora che ci penso.
Non lo vedevamo spesso in piedi, il più delle volte era seduto nella sua scrivania.
-Seguitemi nel mio studio- disse.
Andai in panico. Che diavolo era successo? Un temibile sospetto mi si parò davanti, ma cercai di escluderlo.
Fu la salita di scale più lunga di tutta la mia vita.
Entrati nell’ufficio, spalancai gli occhi. Dietro la scrivania, un enorme schermo con due casse ai fianchi, proiettava uno schermo bianco con una “L” gotica al centro, completamente nera.
La porta si chiuse alle nostre spalle, e un movimento alla nostra destra catturò la mia attenzione. Era un uomo completamente vestito di nero, con un lungo soprabito maschile, cappello e occhiali da sole, nonostante fossimo al buio.
Lo vidi premere un pulsante, e una voce meccanica iniziò a parlarci.
-Salve… Giovani aspiranti…- ci salutò la voce -Sono L.
Rimasi impietrita, di fronte a tale dichiarazione. Era così che si presentava? Dietro a uno schermo?
-Per Deborah, tu sei in un certo modo “nuova”… Forse non sai che solitamente parlo coi ragazzi della Wammy’s House sempre con questo metodo.
In effetti, dando qualche occhiata agli altri, non parevano sorpresi, ma piuttosto seriosi.
-Vi ho chiamati… Per congratularmi con voi. Avete svolto delle indagini… Ho sorvegliato i vostri metodi per raccogliere informazioni… E avete soddisfatto le mie aspettative- continuò la voce storpiata di L, con la calma e la pazienza nello scandire le parole che distingueva il suo modo di parlare -Ed ora, avevamo da entrambi i lati dei potenziali indiziati.
Ci fu una pausa di silenzio, dove io calcolai a velocità disumana tutto ciò che avevo scoperto col biondo.
Mello puntava più a Raphael Cooper… Che non c’entrava nulla con Alexander McQueen, e perciò io non credevo di doverlo tenere troppo d’occhio, motivo ulteriore per cui abbiamo indagato prima su Adam Clarke, colui che avevamo osservato, ma si era rivelato un totale fallimento, anche se davanti a casa aveva incisa la stella di David, sulla radice di quell’albero.
David Gray, invece, ci era parso innocuo, e perciò volevamo tenerlo per ultimo.
Ora la domanda era… Chi, tra i nostri tre sospettati, era il killer?
-Il killer è in questo momento in arresto… Avete fatto un ottimo lavoro, con tutte le prove raccolte. Near e Jake hanno individuato il killer.
Mi bloccai. Smisi di pensare. Quelle parole mi trapassarono.
-Chi è?- chiesi, facendo un passo avanti senza rendermene conto.
-Preferirei ve lo faceste spiegare da Near… Ora… Sono molto occupato. Vi saluto, alla prossima- disse L, e lo schermo divenne completamente nero, per poi far comparire una schermata di un computer normale.
Sotto la luce azzurrognola dello schermo proiettato, osservai l’uomo vestito completamente di nero raccattare un portatile e le casse, Mentre mi passava di fianco, notai un viso rugoso, sotto il bavero del soprabito. Era sicuramente Watari.
Aprì la porta e sparì.
Roger tornò a sedersi, spense il computer e qualcuno, alle mie spalle, uscì con impeto dalla stanza, sbattendo la porta. Mello, dannazione.
Non avevo la forza di voltarmi, ma alla fine lo feci, e focalizzai un sorriso timido sul volto di Jake, che sparì subito, sotto il mio sguardo omicida. Corsi fuori dalla stanza, dovevo trovare Mello, prima che facesse qualche cazzata di cui pentirsi.
 
*
 
-Mello! Mello! Esci fuori, o vedrai che culo quadrato che ti faccio! Apri la fottuta porta!- urlai.
Camminavo per il corridoio, abbastanza furiosa, pestando i piedi ad ogni passo per farmi sentire. Mi sentivo una bambina capricciosa, ma non me ne fregava nulla.
Spalancai la porta della nostra stanza, ma non c’era nessuno. Andai alla stanza di Matt, ma oltre al rosso e qualche suo compagno di stanza, non vi era nessun altro.
Vedendomi alterata, Matt si alzò e venne verso di me.
-Che hai?
-Nulla Matt, non è il momento.
-Ferma!- esclamò, afferrandomi il braccio per bloccarmi, mentre tentavo di voltarmi e andare altrove -Cos’è successo?
-E’ andato tutto a puttane, Matt, tutto!- quasi gridai -E devo trovare quel deficiente di Mello, prima che combini una delle sue cazzate, ok?
Lui si fece serio, alzò d’improvviso i suoi occhiali e mi investì con il suo sguardo color smeraldo.
-Andiamo, so dove può essere.
Tirai un sospiro di sollievo, mentre correvo dietro a Matt che scendeva le scale.
Uscimmo in giardino, al freddo, e vidi con orrore la scena.
Avvicinandosi, sentimmo Near che parlava, a pochi passi da Mello, in mezzo al giardino. Rimasi sbalordita.
Vederli così, dava un senso suggestivo. Tra di loro c’era una tensione tale da trasmettere una strana energia, mi venne quasi naturale paragonarli allo Yin e allo Yang.
Aguzzai l’udito e sentii Near dire: -… così abbiamo controllato, e c’erano stelle ovunque, che formavano sulla piantina… Un’ennesima stella. Raphael era pazzo, ricordava solo che la fidanzata amava gli abiti di Alexander McQueen, i suoi disturbi ossessivi compulsivi lo portavano a vestire le vittime allo stesso modo, per vendicare la sua ragazza. Al centro della stella, sulla piantina… C’era casa sua.
A quel punto, l’albino tacque. Vidi un insolente sorriso spuntare sul suo viso.
Fu un attimo.
La faccia di Mello mutò in una maschera di rabbia furiosa, gli occhi divennero colmi di odio, risentimento e inferiorità, e lo vidi correre verso Near.
Non ci pensai due volte.
Mi catapultai tra di loro, e qualcosa mi colpì sul sopracciglio destro. Mi trovai a terra, sull’erba bagnata, col capo dolorante, e vidi Matt trattenere Mello per le braccia, con la forza.
-Figlio di puttana!
-Piantala, Mello!- cercava di dire Matt.
A quel punto, gli occhi mi si riempirono di nuovo di lacrime, forse per il dolore. Vidi tutto sfocato, e cercai di dire qualcosa.
Raccolsi le mie ultime forze e urlai: -BASTA!
Poi, il buio coprì tutti i miei sensi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice
 
Ta-daa!
ShinigamiGirl is back, lol.
Dopo aver incontrato dei roleplayer fantastici su ask, come potevo non essere ispirata? Hahaha, questo capitolo è dedicato tutto a loro.

 
Spero che vi sia piaciuto il tutto, e ci vediamo col seguito, che spero sia totalmente imprevedibile!! :3
Grazie a tutti coloro che seguono la storia, giuro io vi amo! Recensite e fatemi sapere il vostro parere, se vi va :3
Ah, buon Halloween (in ritardo, ma va beh…) <3
 
ShinigamiGirl

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Capitolo 17
*** Ferite e Guarigioni ***


Mi svegliai di soprassalto, con la testa che pulsava con insistenza.
Qualcosa mi avvolgeva il capo, e un impacco ghiacciato premeva con prepotenza sulla mia fronte.
Battei le palpebre un paio di volte, prima di rendermi conto che mi trovavo nell’infermeria della Wammy’s House. Dalla finestra si poteva vedere il cielo oscurato, sembrava proprio che il sole fosse già tramontato, inoltre fuori stava diluviando.
Non riuscivo a focalizzare cosa fosse successo prima che mi svegliassi lì, così cercai di tirarmi su a sedere, per riflettere meglio, quando notai una donna che mi si avvicinò.
-Ben tornata tra noi, bella addormentata- disse, sorridendo.
Era Marianne, l’infermiera e cuoca della Wammy’s.
Era una donna sopra la mezz’età, abbastanza paffuta, portava sempre i capelli grigi raccolti sotto la cuffia, sembravano davvero morbidi. Indossava sempre abiti che ricordavano qualcosa di casalingo, con sopra il classico grembiule bianco.
I bambini più piccoli dell’orfanotrofio la vedevano come una specie di nonna, e anche a me non dispiaceva parlare un po’ con lei, quando avevo voglia di condividere dei miei pensieri con un adulto che rimpiazzasse, almeno in parte, ciò che era stata la mia famiglia.
Il suo viso rotondetto e le guance arrossate le davano sempre un’aria dolce e rassicurante, e ciò giocava a suo favore.
-Cos’è successo?- le chiesi, senza nascondere la mia confusione -E che ore sono?
-Sono quasi le otto e mezza, dolcezza. Sono tutti a mangiare… O almeno, quasi tutti- si corresse, lanciandomi uno sguardo dispiaciuto con i suoi occhioni blu -Ti hanno portata qui verso le tre del pomeriggio, ti sei presa un bel pugno qui, sopra l’occhio- spiegò, toccandomi lievemente il sopracciglio destro, sotto l’impacco di ghiaccio.
Ricordai Mello, i suoi occhi colmi di tutto ciò che provava, Near che sorrideva con malizia…
Una rabbia quasi omicida mi salì brutalmente dallo stomaco.
Mi ero messa in mezzo per bloccare quel biondo deficiente, e probabilmente mi ero beccata il suo pugno al posto di Near. Poi, dovevo aver perso i sensi.
Nella calda e accogliente infermeria c’eravamo solo io e Marianne, perciò le chiesi: -Gli altri stanno bene?
-Sì, più o meno…
-In che senso?
-Dopo quello che è successo… Roger avrà fatto qualcosa- sospirò la donna, con aria dispiaciuta -Mi dispiace, Deborah…
-Non devi dispiacerti, Mary. Non è colpa tua!- esclamai, scattando giù dal letto e posando il ghiaccio sul comodino.
-Dove vai?- chiese, preoccupata -Non credo che tu ti sia completamente ripresa…
-Sto benissimo! Grazie di tutto, devo andare ora!- le dissi, uscendo dalla stanza senza nemmeno togliermi le bende dalla testa.
Dovevo scoprire cos’era successo.
Così attraversai il corridoio di corsa, e giunsi alle porte della sala da pranzo. Le spalancai con una spinta decisa, facendole aprire violentemente e sbattere contro le pareti.
Tutti coloro che stavano seduti alla tavolata a mangiare si zittirono, voltandosi verso di me, con sguardi perplessi o stupiti.
In quel momento si sentiva solo il borbottare del telegiornale alla televisione e la pioggia che picchiava sulla porta che dava al giardino.
Vidi tutti i ragazzi della Wammy’s House, ma Mello non c’era. Matt, di fianco a qualche suo compagno di stanza, mi guardava con un’espressione rassegnata. Lui mi conosceva, sapeva cosa e chi cercavo.
Near invece, seduto a capotavola, mi fissava con sguardo colmo di significato.
Ricambiai con un’occhiataccia fredda e pungente, poi, senza dire nulla, me ne andai, senza preoccuparmi di chiudere le porte.
Se Mello non era a cena con loro, Roger l’aveva messo in punizione, quindi avrei dovuto trovarlo nella nostra stanza. Presi le scale e corsi ai dormitori, per poi andare alla nostra camera e entrarvi di botto.
Rimasi delusa e perplessa, non c’era nessuno.
Dove poteva essersi cacciato?
-Merda!- esclamai, buttandomi sul mio letto e dando un pugno al cuscino.
Mi sdraiai sulla schiena, fissando il soffitto e riflettendo su quello che era successo.
Se solo Near non avesse sorriso a quel modo… Mello si sarebbe trattenuto.
Quell’albino era insopportabile. Consapevole della sua superiorità non si era fatto scrupoli a sbatterlo in faccia alla sensibilità di Mello.
Aspetta un momento… Sensibilità?
Ci pensai su. In effetti, quel biondo non era sensibile all’apparenza… Ma quando si trattava di dover superare Near nella sua intelligenza, quando si parlava di diventare successore di L…
Lui era molto deciso. Soffriva di molti complessi di inferiorità, voleva superare tutti e ottenere il titolo quasi per essere considerato, per essere noto a tutti. Pensai che in un certo senso fosse una cosa dolce, voler attirare l’attenzione.
Poi però mi venne in mente l’espressione glaciale del suo viso, e negai il tutto. Era sensibile, sì, ma anche molto sulle sue.
Un tuono interruppe i miei pensieri, così scesi dal letto per vedere com’era il panorama, anche se già si vedeva che era tutto grigio. La finestra della mia stanza dava sul cortile interno, e stava piovendo parecchio, il vento scuoteva i rami degli alberelli piantati nel cortile e le altalene dondolavano insieme alle foglie.
Mi fermai a osservare il giardino, quando vidi qualcosa che mi fece rimanere di stucco. Sotto l’albero più grande c’era un ragazzo completamente zuppo, con dei capelli biondi che gli frastagliavano il volto, mossi dal vento.
Una rabbia assurda mi montò da dentro, cosa cazzo stava facendo quell’idiota là fuori?
 
*
 
Non ci misi molto a scendere, per poi uscire senza farmi vedere da nessuno.
Appena fui nel cortile, la pioggia mi investì torrenziale, e i miei lunghi capelli iniziarono a svolazzarmi intorno al viso, tanto era violenta l’aria.
Quando raggiunsi l’albero, scostai i rami per entrare e la pioggia che mi cadeva addosso diminuì.
Mi maledissi, per la foga di uscire, non avevo nemmeno preso l’ombrello.
Un paio di occhi color del ghiaccio mi fissavano senza una minima ombra di emozione.
-Mello, che cazzo ti passa per la testa?! Adesso tu rientri con me- ordinai, con tono autoritario.
-Debby vattene.
Lo guardai con un’espressione seria.
-Ti ammalerai, se rimani qui!
-Vattene!- urlò. Il suo viso era diventato mostruoso, una maschera di odio, rabbia e rimorsi che avrebbe messo paura a chiunque.
Non a me.
-No!- urlai, ancor più forte di lui -Non ti lascerò qui a commiserarti! Muovi il culo e torniamo dentro!
-Ti ho già dato un pugno, non ci metterò molto a dartene un altro se non mi lasci in pace, mocciosa.
-Fallo!- lo sfidai, avvicinandomi a lui molto pericolosamente.
I nostri nasi erano molto vicini, ma non si toccavano, mentre la pioggia continuava a scrosciare sulle foglie che ne attutivano la caduta, ma non impediva loro di bagnarci sempre di più.
Ci fissammo negli occhi a vicenda per momenti interminabili.
I suoi occhi, che spesso erano maschere dei suoi veri pensieri, se osservati da vicino svelavano le sue emozioni. Vi lessi rabbia, rassegnazione e… Paura?
Fu Mello a guardare altrove per primo.
Il suo gesto mi stupì, non era il tipo da demordere così all’improvviso. O forse sì.
Per una volta, feci ciò che l’istinto mi diceva senza pensare alle conseguenze.
Tesi le braccia e strinsi il suo corpo, abbracciandolo nonostante fosse tre volte più bagnato di me. Chissà da quanto era lì fuori, a pensare ai suoi fallimenti.
Lui inizialmente si irrigidì, come avrei potuto prevedere, in fondo, ma poi fece qualcosa che non mi sarei mai aspettata.
Mi strinse a sé con uno scatto quasi violento, e percepii qualche singulto trattenuto.
Io lo abbracciai più forte, per farlo star tranquillo.
Finalmente mi sembrava di avere davanti un ragazzo come tanti, con le sue debolezze.
Dopo qualche minuto che eravamo abbracciati sotto la pioggia, Mello allentò la presa e anche io mi staccai.
-Scusa se ti ho colpito- mi disse -io… Near mi ha fatto perdere il controllo…
I suoi occhi erano arrossati, ma data la pioggia non sapevo dire se aveva davvero pianto o se fosse riuscito a trattenere le lacrime.
-Non importa. Eravamo anche noi sulle tracce di quel killer, ci mancava pochissimo. La prossima volta tu lo batterai. Batterai quello schifoso albino, e gli farai vedere di quale pasta sei fatto. Vero?- lo rassicurai, con tono incoraggiante.
Lui, per la seconda volta da quando l’avevo conosciuto, mi sorrise.
Ricambiai sorridendo a mia volta, poi dissi: -Ora rientriamo, o ci verrà un raffreddore da fieno.
Lui annuì, tornando serio, e ad un passo di distanza l’uno dall’altro tornammo dentro, bagnati come dei pulcini, ma finalmente in pace con noi stessi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Spazio Autrice
 
Salve ragazzi.
Questo mese capitolo un po’ più corto, ho davvero troppi impegni.
Spero che lo possiate comunque apprezzare!
Prometto di aggiornare ancora, poco dopo Natale, prima dell’anno prossimo insomma xD intanto, ogni recensione e commento è ben accetto!!!!!
A presto, e grazie mille a tutti coloro che mi seguono e sostengono!
 
ShinigamiGirl

 

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Capitolo 18
*** Nuova arrivata, nuovi problemi ***


Quel giorno era speciale, era un giorno che non doveva essere dimenticato.
Anche se ovviamente Mello voleva evitare ogni forma di festeggiamento, non avevo abbandonato l’idea di fargli un regalo.
Perciò, grazie all’aiuto di Marianne e Matt, in cucina avevamo preparato un’enorme torta al cioccolato in suo onore, con un’infinità di pasticcini sempre al cioccolato.
Era stato un sacrificio svegliarsi così presto solo per cucinare, ma la compagnia di Marianne e Matt mi avevano tirato su di morale.
Ero lì che mettevo le ultime decorazioni commestibili sulla torta a tre piani, mentre pensavo a come avevo conosciuto quel biondino assai impulsivo e arrogante.
Erano ormai passati due mesi alla risoluzione di quel caso che ci aveva fatto stringere amicizia, quel caso che lo aveva fatto sentire inferiore e allo stesso tempo gli aveva messo dentro ancor più voglia di battere Near.
Ci avevamo messo così tante energie in quelle indagini, che ci ero rimasta davvero male quando quell’albino ci aveva battuti sul tempo, inoltre, ero finita per provare un po’ di repulsione verso di lui. Sarà stata la compagnia di Mello a influenzarmi, ma anche Near ci aveva messo del suo… Avevo ancora ben chiaro in mente il suo sorriso insolente, quello che aveva fatto perdere le staffe al mio amico e che l’aveva spinto a tirargli un pugno. Un pugno che non arrivò mai a destinazione, dato che me lo beccai io, ma quella era un’altra storia.
Pensai a tutti i momenti passati insieme a Mello, tutti quei pomeriggi in cui lui mi dava ordini e io sgobbavo sui libri e sul computer con Matt, pur di trovare un minimo e striminzito indizio. Era incredibile che avessimo instaurato un rapporto, in una situazione simile. Eppure era stato così. Mello in fondo aveva la stoffa del leader, non avrebbe potuto fare altrimenti.
Mi lasciai scappare un sorrisetto a quella affermazione, era dannatamente vera. Ricordai i momenti in cui io, furiosa, gli ordinavo di darmi una mano, e lui semplicemente rispondeva: -Tu fai quello che devi fare, sfoglia quel cazzo di libro, a resto ci penso io, mocciosa.
Oppure, quando gli dicevo: -Ehi Mello, stavo pensando che…
-No Debby, tu non devi pensare, è compito mio.
Quelle frasi mi facevano arrabbiare moltissimo, anche se avevano un fondo di verità.
Ad un certo punto mi resi conto che il lavoro era terminato. Mi fermai ad osservare tutti i pasticcini e i biscotti al cioccolato, e infine la torta.
Era tutto molto invitante, ed ero soddisfatta del mio lavoro. Sorrisi a Matt che, dopo esserci battuti il cinque, si tolse il grembiule, seguito a ruota da me. Ringraziammo Marianne dell’aiuto e la pazienza che ci aveva offerto, uscendo dalla cucina.
-A Mello piacerà sicuramente, anche se non lo darà a vedere- disse Matt.
-Speriamo…
-Tranquilla Deborah, andrà tutto bene. Non c’è bisogno di preoccuparsi così, non può certo spararci per avergli preparato una torta al cioccolato.
-Si, lo so…- dissi -ma ho uno strano presentimento.
-Sempre la solita pessimista!- mi accusò, sorridendo malizioso e iniziando a farmi il solletico di sorpresa.
Il tutto sfociò in una battaglia di solletico, in cui io scappai miseramente per rifugiarmi nella mia stanza, dove tutti si stavano preparando per scendere a colazione.
Mello mi guardava con un’espressione un po’ perplessa, infatti mi chiese: -Dov’eri?
-In bagno- mentii -Buon compleanno, eh!- esclamai allegra.
Per tutta risposta, il biondo emise un grugnito poco convincente e continuò a sistemare il letto, senza degnarmi di altre attenzioni.
Sghignazzai tra me e me, sapevo che gli dava un po’ fastidio e l’avevo fatto quasi per dispetto, oltre che per i miei sinceri auguri.
Quando la campanella della colazione suonò, fui la prima a scendere in sala da pranzo. Non vedevo l’ora della presentazione della torta e di tutto il resto.
Di certo non avrei mai potuto immaginare cosa sarebbe successo di lì a poco.
 
*
 
Il giorno prima alcuni degli omoni che lavoravano per Roger, che prelevavano e portavano i bambini alla Wammy’s House in tutta sicurezza, erano stati avvistati nell’edificio, e fra i ragazzi dell’istituto era scoppiato il pandemonio.
Non avevo mai assistito all’entrata di un nuovo orfano, ma come mi aveva spiegato Mello, ogni volta era la stessa storia.
I tizi venivano avvistati, dato che era consuetudine far vedere l’intero istituto al nuovo arrivato prima di fargli iniziare la sua nuova vita, e tutti iniziavano a immaginare quale sarebbe stato il loro compagno, in che stanza sarebbe finito e tutto il resto.
Qualche giorno dopo, veniva presentato a tutti e iniziava a vivere alla Wammy’s insieme a tutti gli altri, e le acque si calmavano, facendo tornare tutto come prima.
A quanto pareva, perciò, per qualche giorno ci sarebbe stato un po’ di scompiglio.
Di certo non avrei mai immaginato a ciò che sarebbe successo dopo la colazione, quel fatidico tredici dicembre, in cui Mello compiva tredici anni.
Aspettavo con Matt il nostro momento di gloria, in cui Marianne e gli altri addetti avrebbero portato la torta e i biscotti, e in cui avremmo potuto fare gli auguri a Mello, ovviamente a squarciagola; quando improvvisamente Roger si fece strada nella sala seguito da una ragazzina che avrà avuto più o meno la mia età, dai capelli biondo vivo, raccolti in una coda di cavallo, e un paio di occhi verdi guardinghi.
I ragazzi si voltarono tutti a guardarla, in effetti sembrava essere il potenziale soggetto di desideri maschili che non sto nemmeno a nominare.
Sta di fatto che Roger si schiarì la voce e dichiarò: -Questa è una nuova ragazza che farà parte della nostra grande famiglia. Presentati pure- concluse, facendola avanzare con una mano sulla sua spalla.
Lei non sembrò gradire molto la spintarella gentile. Masticava una cicca con insistenza. Dopo un po’ disse con vocetta stridula e fastidiosa: -Sono Catherine, ho tredici anni. Piacere.
Il suo tono sembrava tutt’altro che felice di fare la nostra conoscenza.
Lei guardò nella mia direzione e fece un sorriso malizioso a me, Matt e Mello.
Ok, qui c’era qualcosa che decisamente non andava. E il mio intuito non sbagliava mai, mai. Il sorrisino non durò neanche mezzo secondo, la ragazza tornò seria e seccata come prima, fissando la tavolata.
Improvvisamente Marianne comparse dalla cucina, chiedendo di me e Matt, con un’espressione dispiaciuta e addolorata. Ci alzammo e la seguimmo, preoccupati, e in cucina iniziò a dire: -Non so chi sia stato, ma… La torta è distrutta, ci sono solo i biscotti…
-Cosa?!- esclamai.
Non poteva essere successo davvero.
Lo spettacolo che ci si presentava nell’enorme frigo era devastante. C’era cioccolato e Pan di Spagna ovunque, all’ultimo ripiano, giacevano i biscotti intatti.
-Tesori, mi spiace tantissimo… Se volete, posso cercare di farne una per stasera…- cercò di dire Marianne.
-Mary, non ce n’è bisogno. Hai così tanto lavoro da fare, non è il caso… Basteranno i biscotti- la rassicurai, cercando di essere incoraggiante.
La verità è che ci ero rimasta malissimo, ci avevo messo… Il cuore, ecco, il cuore, nel prepararla. Anche Matt era sulla mia stessa lunghezza d’onda, lo si capiva dalla sua espressione, anche se aveva persino indosso gli occhiali.
Tornammo nella sala da pranzo con il morale a terra, mentre gli aiuto-cuochi di Marianne portavano in tavola i nostri biscotti.
Mi sedetti al fianco di Mello, dandogli una pacca sulla spalla e dicendogli, cercando di sembrare normale: -Auguri! Questi biscotti sono per te, li abbiamo fatti io e Matt stamattina!
-Oh, ma davvero?
Quella vocina fastidiosa aveva preso posto poco distanti da noi.
Non ci misi molto a focalizzare il viso di Catherine, qualche posto più in là rispetto a noi.
-Non posso crederci! Auguri… Uhm… Come hai detto di chiamarti?- domandò con un sorrisino di scuse.
-Non ti ho mai detto come mi chiamo- rispose il biondo, con la sua freddezza glaciale.
Lei ridacchiò, facendomi rabbrividire. La sua risata era peggio dello squittio di un topo.
-Ma come siamo scontrosi!
-Siamo solo del motto “fatti la tua vita, che alla mia ci penso io”.
Catherine sorrise maliziosamente e disse: -Beh, comunque auguri, bel biondo.
Bel biondo. Bel biondo? Ma che diavolo le passava per il cervello a questa?
Mello le lanciò un’occhiataccia e afferrò cinque biscotti in una volta sola, per poi chiudere definitivamente la discussione con lei abbuffandosi di cioccolato.
Matt invece continuava a guardarla, senza un’espressione particolare.
-Matt?- lo chiamai, ma non mi rispose -Matt? Ci sei?- domandai ancora, ma non ottenni risposta.
Solo dopo avergli pestato il piede si voltò di scatto, quasi gridando: -Che c’è?!
-Eh non so, è da ore che ti chiamo…
Lui sembrò fare mente locale, e disse: -Oh, scusami.
-Di nulla. Piuttosto, stamattina stavi accennando a un nuovo gioco di Pokémon in progettazione, volevo saperne di più.
-Oh certo!- esclamò, tornando infine quello di sempre, e iniziando un infinito discorso sul nuovo e famigerato videogioco dei Pokémon, che a quanto pareva, si sarebbe chiamato Zaffiro o Rubino.
Cercai di distrarmi e di far passare velocemente quella giornata iniziata così male.
 
*
 
Quel pomeriggio, dopo qualche studio di gruppo nella biblioteca con alcuni insegnanti, questi ultimi annunciarono un’imminente assemblea con L.
Rimasi perplessa, non ne avevo mai sentito parlare.
Motivo per il quale, uscita dalla biblioteca, andai da Mello, che stava su un divanetto a leggere un libro sulle armi, poco distante dalla hall.
Mi sedetti di fianco a lui, sprofondando nel cuscino bordeaux.
-Senti, cosa sarebbe questa assemblea con L?
-Nulla di così importante come lo fanno sembrare- rispose lui.
-E in cosa consisterebbe?
-Noi che facciamo domande a L e, ogni tanto, ci risponde.
-Quindi lo vedremo?
-No.
-Perché?
-Nessuno deve conoscere la sua identità, te ne sei scordata?- disse, con tono di rimprovero.
Detestavo il modo in cui cercava costantemente di liquidarmi senza darmi risposte soddisfacenti. Sembrava quasi una tattica per sembrare più figo.
E ok, ci riusciva, ma alzando anche il suo livello di odiosità.
-Intendevo, come faremo ad avere un’assemblea con lui se non lo possiamo vedere?- chiesi, riformulando la domanda e cercando di essere paziente.
-Sarà attraverso lo schermo di un computer col suo simbolo, e la sua voce sarà modificata. Una specie di video-chiamata.
-Ecco, ci voleva molto a rispondermi?
-Sei tu ad essere imprecisa.
Sospirai: -Ok, ok, è una battaglia persa in partenza. Hai ragione tu.
Lui ghignò, lasciando cadere la discussione come io avevo richiesto.
Sapevo di non avere torto, ma Mello sarebbe stato capace di farmi sentire in colpa anche se non ne avevo il motivo.
-Fottiti, va’- esclamai, spingendolo più forte che potevo.
L’infame, però, si aggrappò al mio braccio, trascinandomi con lui e facendomi capitombolare giù dal divanetto e spargendo i libri e gli appunti per il corridoio.
-Sei un bastardo!- esclamai, a metà tra lo scandalizzato e la risata.
Lui si limitò a rialzarsi con un ghigno soddisfatto stampato in faccia e sedersi di nuovo sul divanetto.
-Almeno aiutami a tirare su i libri!- dissi, esasperata.
-Non ci penso nemmeno, sono i tuoi libri.
Sbuffai, iniziando a raccogliere gli appunti.
-Vorrei avere una pistola- disse improvvisamente lui.
Sogghignai.
-In mano a te, impulsivo come sei, non passerebbe un secondo che avresti già finito le pallottole.
-Mi stai dicendo che tu saresti meglio di me, mocciosa?- domandò.
-In tale ambito sì- confermai, raccogliendo qualche libro.
-Io un giorno ce l’avrò. Ne sono certo. E prenderò il posto di L con quella pistola, perché la giustizia deve avere anche armi concrete.
Annuii sovrappensiero, cercando di immaginarmelo, con in mano una pistola, come… Come mio padre.
Cancellai quel pensiero dalla testa, spalancando gli occhi e pentendomi della mia fantasia senza limiti.
 -Tutto bene?
Mi voltai, e Mello mi stava guardando con aria impassibile.
-S… Sì- dissi, sapendo di non essere convincente per nulla, ma sperai che lasciasse correre.
Così fece, Mello non era tipo da indagare troppo su delle simili cavolate.
Tornò a leggere il suo libro, e io annunciai: -Vado in camera.
Senza attendere altre risposte, me ne andai.
Camminai per il corridoio e scesi le scale, ancora immersa nei miei pensieri.
Ci pensò una vocetta stridula a riportarmi coi piedi a terra.
-Ma guarda chi abbiamo qui!- esclamò Catherine, con di fianco Vera.
Aspetta un momento… Vera?
-Ciao Deborah! Sono sicura che diventeremo grandi amiche, come lo siamo io e la mia Vera! Saremo il più figo trio di ragazze della Wammy’s, non credi?
I suoi vezzeggiamenti mi disgustarono, cosa voleva da me questa? E perché Vera era finita con una gallina simile?
-Saremmo le più… Fighe, solo perché siamo le uniche ragazze- dissi, con ovvietà, alzando un sopracciglio.
-Andiamo, non fare la scontrosa! Quel tuo amichetto, il bel biondo, è molto sexy, devo dire! Hai davvero buon gusto!- mi fece l’occhiolino, sorridendo e masticando una cicca.
-Veramente non stiamo insieme.
-Oooh, allora stai con il rosso?
-No, sono solo amici.
-Bene! Perché vedi, sono entrambi molto carini e non mi dispiacerebbe provarci!- ridacchiò.
Ero io quella che cercava di trattenersi dal ridere sul serio. Mello non avrebbe mai ceduto per un’oca del genere, l’avrebbe evitata e spenta con lo sguardo.
Anche Matt non era il tipo attratto da una simile oca giuliva.
Rimaneva solo un dubbio. Perché invece Vera era stata conquistata da quel sorrisino falso, le acconciature da cheerleader e la vocetta stridula?
Non era una stupida, ed era molto strano.
Catherine mi stava molto antipatica già di per sé, lo ammetto, ma c’era qualcosa che non mi convinceva di lei. Sembrava aver già inquadrato la situazione anche troppo, per i miei gusti. Come se avesse in mente qualcosa di losco.
-Sentite, ho di meglio da fare. Con permesso- dissi, congedandomi e rifilando in camera.
Non degnai di altri sguardi quella coppia, che al momento, mi sembrava una delle cose più orribili che potesse succedere.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice
 
Ok, sono passati due mesi.
Due lunghissimi mesi in cui ero così impegnata che a malapena riuscivo a respirare.
Terminati questi due mesi, salgo su EFP e trovo così tanto calore e affetto dai lettori e nelle loro recensioni che mi commuovo.
Vado a vedere quante persone seguono la storia e l’hanno messa nelle preferite.
Ragazzi, siamo più di trentacinque.
Io vi amo.
Non mi sarei mai aspettata una cosa simile.
Vi vorrei offrire un cioccolatino per ognuno, un Ferrero Rocher, e poi baciarvi e dirvi che vi adoro dal primo all’ultimo.
Come farei senza di voi?
Un’ora fa non avevo scritto nulla, e dopo aver riletto qualche recensione mi sono decisa.
"DEVO mettere un nuovo capitolo", mi son detta.
E così ho fatto.
Spero continui a piacervi… Attendo un vostro parere, se vi va.
Un bacione a tutti,
sempre vostra,
 
ShinigamiGirl

 

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Capitolo 19
*** Pedine e sensazioni ***


Era Natale quando tutti i ragazzi furono riuniti in una sala scura, dove era proiettata, su tutta una parete, la “L” gotica che rappresentava il miglior detective al mondo.
Io mi sedetti vicino a Matt, che non aveva rinunciato a portare il suo Game Boy.
-Non diranno nulla di così importante- aveva detto -sentiremo sciocche domande dai bambini e dagli altri ragazzini, e basta.
In effetti, non capivo quali domande si potessero fare a L, in circostanze simili. Ci avevano detto che era possibile rimanere per qualche minuto soli con L, alla fine dell’assemblea, e io avrei avuto da chiedergli alcune cose in privato, in effetti; ma cosa si poteva chiedere, davanti al resto della Wammy’s House?
Quando tutti nella sala furono in silenzio, Matt abbassò il volume del videogioco, e una voce che ben conoscevo ci salutò.
-Salve, ragazzi e ragazze della Wammy’s House. Sono L.
Non volava una mosca, c’era un silenzio quasi religioso, e notai che la sua voce non era stata modificata. Forse era su una linea protetta.
-Mi ritrovo a chiamarvi durante le festività, perciò vi porgo i miei auguri di buon Natale. Considerate questa assemblea un piccolo regalo da parte mia… Ma ora, passiamo alle domande, ditemi, avete qualcosa di cui discutere…?
Subito alcuni tra i più piccoli iniziarono a tempestarlo di domande. Durante le lezioni si erano fatti delle intere liste, li avevo visti ridere e scherzare, erano tutte domande intellettive, per il gusto di mettere alla prova L.
Tutti quegli stupidi indovinelli furono presto risolti dal detective, e si passò alle domande più tecniche, poste invece dai più grandi, come quelli della stessa età di Mello e Near, ed anche fra i più grandi.
Anche io ad un certo punto chiesi parola, domandandogli: -Quanti tipi di giustizia esistono? E come facciamo a distinguerli?
-Deborah…- rabbrividii, quando mi resi conto che mi aveva riconosciuta subito -Esiste solo una giustizia, ed è quella indicata dal buonsenso e dall’imparzialità… Se infatti non vi fosse il buonsenso, tutti i criminali sarebbero uccisi senza pietà, senza calcolare il grado di crimine o le condizioni in cui il trasgressore si trova… Qualora invece mancasse l’imparzialità, dovremmo uccidere tutte le persone che, indirettamente o meno, ci fanno del male… E non è certo la via corretta della giustizia, farsela da soli…
-E’ per questo che esistono i detective, e organi dello Stato che si occupano di tali avvenimenti, in modo di avere buonsenso e imparzialità- disse Matt, sovrappensiero. Evidentemente mi aveva sentita, anche se stava giocando ossessivamente col suo Game Boy.
-Esattamente…- disse L -E comunque, un omicidio, se non per difesa personale, non è mai classificabile come giusto… Così come gli stupri e le aggressioni…
Dopo la mia domanda, gli argomenti saltarono qua e là da una discussione all’altra, sempre tenendo come argomento principale la giustizia e il solenne compito di mantenerla nel mondo.
Ad un certo punto, verso le dieci del mattino, dopo due lunghe ore di discussione, L annunciò: -Ora mi vedo costretto ad interrompere questo colloquio… Tuttavia, coloro che ritengono di aver bisogno di parlarmi privatamente, possono farlo, in ordine di età, dal più piccolo al più grande… Gli altri escano e, in caso, attendino fuori il loro turno… Buona giornata…
Usciti tutti quanti, gli addetti fecero entrare un ragazzino poco più piccolo di me, come primo ospite. Avevo altri due ragazzi prima di me, in fila davanti alla porta.
Gli altri se ne andarono presto per svagarsi nei corridoi, in biblioteca o nella sala da ricevimento, usata dai più piccoli come sala giochi.
L’attesa fu piuttosto estenuante, ma entro le dieci e mezza riuscii a entrare.
-Salve…- disse L, con tono neutro, impossibile da decifrare.
-Salve, L, sono Deborah.
-Ci risentiamo… Di cosa vuoi parlarmi…?
-Innanzitutto, volevo discutere sugli esiti delle indagini…
-Mi era parso evidente che Near e Jake avessero risolto prima di voi il caso…- mi interruppe L.
-Sì, ma Mello ha avuto delle ripercussioni sulla sua stessa persona. So che non ti interessa molto, ma io e Matt siamo preoccupati.
-Lo so bene- disse con tono lievemente severo -ma Mello non ha saputo regolare sé stesso, ed è questo che lo ha bloccato durante le indagini… In tutte le indagini.
-Ha bisogno di qualcuno che lo faccia stare calmo, qualcuno che lo aiuti… Temo che abbia sviluppato un enorme complesso di inferiorità, aveva quasi gettato la spugna. Poi ci manca solo Near che lo fa stare peggio, e siamo a posto. Non credi sia il momento di occuparti in maniera differente di questa faccenda?
-Le tue supposizioni, finché si tratta della situazione di Mello, sono corrette, tuttavia, non posso permettermi di curare i singoli casi… Il mondo ha bisogno di me, come avrà bisogno di qualcuno di voi un futuro. Faccio il possibile attraverso tutte le persone che Watari assume alla Wammy’s House, ma non posso certo mettermi nei panni del suo psicologo personale.
Aveva ragione, diamine. E la cosa mi faceva infuriare, ma restai calma.
-Si, ma se va avanti così… Non sarà un bene per lui.
-Non preoccuparti. So già che è in buone mani- disse, e percepii in quella frase una nota divertita, come se, mentre pronunciava quelle parole, stesse sorridendo -Hai altro da chiedermi?
-Un’ultima domanda. Riguarda Catherine. Lei non è una normale orfana, vero?
-Tutti quelli che sono accolti in questo orfanotrofio non sono normali orfani…
-Non in quel senso- cercai di dire -ma mi sembra che abbia inquadrato la situazione troppo in fretta. E’ strano.
-Non preoccuparti, Deborah. E’ tutto nei miei piani, vedrai…
Feci una pausa, poi annuii, anche se avevo ancora i miei dubbi. L aveva dei piani? Di nuovo? Catherine non poteva essere sua complice… Mi pareva troppo strano.
-D’accordo. Allora ti saluto, L… Arrivederci- lo salutai, mentre uscivo dalla sala.
Chiudendo la porta, lo sentii dirmi di rimando: -A presto…
 
*
 
Il cortile dell’orfanotrofio era imbiancato dalla neve, in quella prima settimana di gennaio, e guardando dalla finestra della mia stanza si potevano veder scendere con grazia i fiocchi di neve. Ero incantata da quella visione, ma i ragazzi che giocavano a palle di neve rovinavano lo scenario magico di Winchester innevata. Sembrava che fossero tutti usciti, anche Catherine e Vera erano fuori, seppur poco vestite, a giocare con gli altri ragazzi.
Le osservai sovrappensiero, indossavano jeans aderenti e felpe alla moda, che avevano ben poco dello stile sportivo di Vera. La sua nuova amica le aveva evidentemente prestato molti capi. Le uniche cose che avevano preso per ripararsi dal freddo erano delle berrette e delle sciarpe striminzite.
Le guardai ridere e tirare palle di neve ai ragazzi più scatenati, per poi essere inseguite e gettarsi rovinosamente nella neve, dimenandosi, pur di sfuggire agli altri.
Ogni loro gesto, o il modo in cui si dimenavano, pareva fatto apposta, misurato e calcolato per mettersi in mostra. E io di certo non volevo dar loro le mie attenzioni, facendo ottenere loro ciò che volevano, anzi. Ero decisa a ignorarle.
Tuttavia ero anche confusa, da quando era arrivata Catherine i ragazzi sembravano prestare più attenzione alla componente femminile della Wammy’s, o perlomeno a lei e a Vera. Io ero rimasta “quella che sta con Matt e Mello”, mentre quelle due si atteggiavano e ricevevano svariati tipi di attenzioni.
Stavo sviluppando anche io una specie di complesso di inferiorità, il che era parecchio buffo se si pensava al mio obiettivo di risanare il complesso di Mello.
Non ero sicurissima di sentirmi inferiore a loro, però…
Ero piuttosto nauseata dal loro comportamento civettuolo, quasi come se dovessero sempre essere al centro di tutto. Ecco, questa era la parola giusta: egocentriche. Erano egocentriche. Non le sopportavo.
Mi allontanai dalla finestra e uscii dalla stanza, la biblioteca era il luogo ideale dove affogare le proprie angosce e i turbamenti, e anche per stare un po’ in pace.
Ma nel corridoio, seduto sul divanetto in velluto, Near pareva quasi aspettarmi, scrutandomi con occhi indagatori.
-Aspetti qualcuno, Near?- chiesi quindi.
Lui non rispose subito. Prima portò la mano destra ai capelli e iniziò ad arricciarne una ciocca con l’indice.
-Non esattamente, ma non mi dispiace incontrarti. Sembri scossa- il suo tono di voce sobrio era particolarmente snervante per le mie orecchie, soprattutto in quella situazione.
-Non sono scossa, ma scocciata. Ero alla ricerca di pace e silenzio, invece eccoti qua…
-Se cerchi pace e silenzio, significa che sei turbata… Da cosa, o chi, stai fuggendo?
-Non sto fuggendo, sto soltanto evitando la fonte dei fastidi- alzai gli occhi al cielo. Cosa voleva da me? Non poteva ignorarmi come aveva sempre fatto? Eppure, lo lasciai fare. In fondo ero curiosa di scoprire perché una persona così asociale mi stesse parlando.
-Catherine è strana, non trovi?- domandò, guardandomi bene in faccia, con tono innocente -La tua amica dai capelli lunghi e neri non ti parla più da quando c’è lei.
-Le persone cambiano, così come gli interessi, si cresce…
-E a te sta bene?- la sua domanda fu penetrante, ma io mi ero messa l’anima in pace riguardo a Vera. Se voleva evitarmi e fare l’egocentrica con la sua nuova amica, perché impedirglielo?
-Perché non dovrebbe? Ognuno è padrone della propria vita, se lei vuole cambiare, che lo faccia- dissi, facendo spallucce -ciò non toglie che lei e Catherine non mi stiano molto simpatiche.
-Non si tratta di simpatia o antipatia… Ha comportamenti sospetti, la bionda.
-E cosa dovrebbe complottare? E’ solo una ragazzina, come noi. Il massimo crimine che può fare è rubare del cibo- dissi, immaginando con un sorrisetto la scena in cui Mello pestava a sangue Catherine per avergli rubato del cioccolato.
-So che è assurdo, ma so anche che tu sai cosa intendo, è inutile che tu finga il contrario.
Era vero, sentivo che in quella ragazza c’era qualcosa di strano, ma sapevo che non poteva certo fare molto. Alla fine, sembrava solo che fosse abituata alla Wammy’s, come se ci fosse già stata, tutto qua.
-Non mi sembra il caso di agitarsi tanto per una persona del genere- gli dissi -qui all’orfanotrofio tutti sono severamente controllati, non c’è pericolo, ergo non può essere un soggetto pericoloso- conclusi.
Near abbassò lo sguardo, come in segno di assenso.
Dopo un lungo silenzio, me ne andai in biblioteca, lasciandolo solo a riflettere.
 
*
 
"Watson è considerato l’iniziatore del comportamentismo, una corrente di pensiero che ha avuto una certa fortuna in psicologia fino agli anni Sessanta del Novecento. Nel suo saggio "La psicologia come la vede il comportamentista" (1913), lo studioso enuncia gli assunti di base di questo orientamento:
• la psicologia è una scienza sperimentale il cui scopo consiste nella predizione e nel controllo dell’agire;
• per raggiungere il rigore e l’esattezza che competono a una scienza sperimentale questa disciplina deve avere un oggetto definito e concreto, che non può essere, come avevano sostenuto i primi psicologi di fine Ottocento, la “mente”, ma piuttosto il comportamento empiricamente visibile, esteriormente verificabile e quindi suscettibile alle analisi scientifiche.”
 
Chiusi il libro con un sospiro, al suono della campanella della cena. Il comportamentismo era una corrente psicologica molto affascinante, che mi piaceva molto, anche se non ero molto d’accordo con tutte le sue tesi.
Ad esempio, sostenere che la mente non si potesse studiare era, a mio parere, un grande errore. Freud, infatti, studiando la mente, è arrivato a scoprire molte cose sull’inconscio e i sogni, che i comportamentisti si sognavano.
Per i comportamentisti, ogni azione è una risposta ad uno stimolo, in effetti è vero, ogni azione ha il suo perché.
Andai alla sala da pranzo e individuai Mello, per sedermi al suo fianco come nostro solito. Matt non era ancora arrivato, e io pensavo ancora ai comportamentisti, mentre il biondino di fianco a me divorava del cioccolato, ignorando volontariamente il fatto che poco dopo sarebbe stato servito il cibo.
Lo faceva perché aveva voglia di cioccolato. Il ragazzino davanti a me scalciava impaziente, di fronte allo stimolo della mancanza del cibo.
L’unico fatto a cui non riuscii a trovare un motivo, uno stimolo per cui fosse accaduto, mi si parò davanti agli occhi poco dopo, quando Matt entrò nella sala da pranzo senza il Game Boy, andando a sedersi tra Catherine e Vera.
Io e Mello lo guardammo sorpresi, ma lui non ci degnò di uno sguardo, continuando a parlare allegramente con le due oche che aveva di fianco.
Era tutto il giorno che non lo vedevo, ma in quel momento il solo scorgerlo con quelle due mi faceva innervosire. A volte lo vedevo parlare con loro, ma si era sempre seduto con noi due, e non credevo che fossero così amici da dovere andare a mangiare con loro.
-Debby, sembri una pentola a pressione pronta a esplodere- disse il biondo, poco dopo, mentre io fissavo ancora nella loro direzione, cercando di ucciderle con lo sguardo, come solo Mello sapeva fare.
-Cosa diavolo sta facendo quell’idiota?- sussurrai, trattenendo la voglia di prendere qualcuno a sberle.
-Che ne so io- mi rispose, addentando il cioccolato -gelosa, eh?
Gli mollai un pugno alla spalla: -Ma che cazzo dici?
-Sei rossa di rabbia e verde d’invidia. Quelle due là ci hanno rubato Matt, a quanto pare- disse con un ghigno.
-Matt non è così scemo da rimanere con quelle galline, tornerà da noi- esclamai con sicurezza.
Mello non mi degnò di risposta, era arrivata la pasta.
Per tutta la cena non tolsi gli occhi di dosso a Matt, che continuava a evitare di guardare nella mia direzione, chiacchierando con Catherine e Vera con un sorriso ebete stampato in faccia.
Mi sentii montare una rabbia da dentro, e la bocca dello stomaco si chiuse violentemente, impedendomi di mangiare il resto delle portate. Non riuscivo a credere che lui si fosse fatto abbindolare così facilmente. Ero decisa a far tornare tutto come prima, quelle due potevano fare quello che volevano, ma non potevano portarmi via Matt.
Altrimenti se ne sarebbero pentite.

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Capitolo 20
*** Litigi e Paure ***


-E’ solo una fighettina viziata. Una troia!
-Fate in fretta voi ragazze a darvi della troia a vicenda! Solo perché Matt sta in loro compagnia non significa che siano delle prostitute.
Facevo avanti e indietro per la stanza, coi pugni stretti e lo sguardo basso. Il mio livello di sopportazione, dopo altre due settimane di indifferenza da parte di Matt, era giunto al limite.
-Non è il momento di fare supposizioni, biondino- sentenziai -qui io vedo i fatti, e i fatti dicono che quelle troie si sono tenute un nostro amico per un mese. E non un amico qualsiasi! Si tratta di Matt!
-Smettila di strepitare- ordinò Mello, seduto sul letto con in mano del cioccolato -voglio mangiare in santa pace.
Mi avvicinai a lui piena d’ira, e gli feci cadere di mano la tavoletta di cioccolata con un ceffone.
-Ma non te ne frega un cazzo del tuo, del nostro amico?!- esplosi.
-Io non mi faccio problemi e paranoie come invece fai tu! E’ diverso! E che cazzo, non sono la sua ragazza, per farmi tutti ‘sti problemi!- mi urlò lui di rimando.
-Ma nemmeno io!- replicai, con lo stesso tono.
-A me invece quasi lo sembri!- ribeccò, con tono accusatorio, mentre mi osservava con sguardo truce, lo stesso sguardo che raggelava gli altri e li faceva spaventare.
A me quello sguardo faceva solo arrabbiare.
-Non è colpa mia se non te ne frega niente degli altri!- sibilai.
-Ecco perché non ti sopporto, mocciosa! Non capisci un cazzo.
-Io?- domandai, superiore -Qua quello che non capisce di star per perdere un amico sei tu!
-Non mi riferisco a questo! E piantala di fare la fidanzata gelosa!
Mi bloccai. Fidanzata gelosa? Questo era proprio fuori di testa. O forse, la litigata stava decisamente degenerando.
-E a cosa ti riferisci, dunque?- chiesi, cupa.
Lui non rispose.
Lo odiai, e mi voltai per tirare un pugno al muro, con foga inaspettata. Mentre le mie nocche pulsavano e mi trattenevo dall’urlare di dolore, con una smorfia evidente sul viso, Mello si era tranquillizzato e definitivamente zittito.
Mi accasciai a terra, stringendo il pugno destro al petto.
Lui intanto si era alzato dal letto, uscendo dalla stanza e lasciandomi sola. Avevo combinato un casino con quello sfogo, mi sentivo un’idiota. La mano destra pulsava, perciò mi alzai per andare in infermeria. Un paio di nocche avevano iniziato a sanguinare, e mi servivano dei cerotti.
Forse stavo davvero degenerando, e non dovevo essere così paranoica… Ma tenevo davvero a Matt, e la sua assenza, i suoi silenzi, mi ferivano. Non capivo cosa ci fosse di sbagliato nel mio istinto, che mi faceva odiare a morte Catherine e la mia ormai ex-amica Vera.
Giunsi in infermeria, recuperai disinfettante e cerotto, e dopo qualche minuto la mano era sistemata.
Non potevo perdere anche Mello, eppure sembrava che tutti mi fossero contro. Dovevo far tornare le cose pacifiche, insomma, dovevo tornare a essere me stessa.
Uscita dall’infermeria, ci mancò poco che mi prendesse un colpo. Near sedeva lì di fianco, pareva aspettare qualcuno. Feci per andarmene, convinta di non essere la persona attesa, ma lui disse: -Deborah…
Evidentemente mi sbagliavo.
-Che vuoi?- risposi, ancora stizzita dalla litigata con Mello.
Non è che mi piacesse molto l’idea di conversare con quell’albino. Infatti non rispose subito, e mi dovetti girare verso di lui, e così incrociai il suo sguardo misterioso.
-Non sembri molto in forma- osservò.
-Che gran scoperta, sai, sono appena uscita da un’infermeria- replicai.
-Hai litigato con qualcuno?
-Ti interessa sul serio?
-No, in effetti no…
-Appunto- dissi, prima di ripetere -Che vuoi?
Lui iniziò a spiegare, arricciando una ciocca di capelli candidi: -Mello e Matt non sono più uniti come prima.
-E questo non è un bene, per te?- domandai, con tono distaccato.
Lui annuì, aggiungendo: -Suppongo di sì…
-Ti serviva una conferma, per caso?
-No- rispose secco -ma ho saputo che arriveranno due nuovi orfani.
-E’ così strano?
-Sì. Non trovi insolite queste iscrizioni così frequenti?
Ci pensai un po’ su prima di rispondere. In effetti non era molto normale, ma non capivo dove volesse arrivare il suo ragionamento. Così risposi: -Sì, ma dov’è il problema?
Lui non accennò a rispondermi, così aggiunsi: -Non sono minacce.
-Non per loro… Ma per noi…- disse, con tono vago e minaccioso.
-Roger non permetterà che ci facciano del male- dissi, ridacchiando di quella che mi pareva una paura ridicola. Aveva paura di essere bullizzato, per caso?
-Credi davvero che esista solo la Wammy’s House?- domandò.
Un lampo.
Nuovi arrivati, minacce… Capii tutto. Quella domanda mi aprì un mondo che avevo totalmente ignorato fino a quel punto. Rimasi a bocca aperta e persi il mio sorriso insolente.
Al mio cambiamento, Near accennò a un lieve sorriso, facendomi intendere che avevo capito bene.
-Non ci staremo! O… starete- mi corressi.
-In realtà Roger manderà i più piccoli in altre sedi. In tal modo…- fece una pausa, voltandosi a fissare il vuoto -Noi tutti potremo essere messi a confronto.
-Che ne sarà di me?- chiesi istintivamente.
-Vedremo- rispose l’albino, con tono pacato. Tirò fuori un’automobilina giocattolo e iniziò a giocarci, sotto il mio sguardo assente. Me ne andai, dovevo assolutamente parlarne con Matt.
 
*
 
Lo trovai, come mi aspettavo, in cortile con Vera e Catherine.
Solitamente gli stavo alla larga, siccome era sempre in loro compagnia, ma stavolta non potevo stare indietro. Mi avviai con passo deciso, e appena entrai nel loro campo visivo, il trio iniziò a fissarmi. Chi con odio, chi con indifferenza.
Quando fui abbastanza vicina, dissi: -Matt, potresti venire un momento?
-Eh no, lui stava parlando con noi- mi rispose Catherine, con tono petulante -non puoi aspettare, scusa?
-No, è urgente- dichiarai, lanciando uno sguardo colmo di significato al mio amico.
Vera mi si avvicinò, con un sorriso beffardo, e disse: -Ma guardati. Come puoi pretendere la sua compagnia? Ti è morto il gatto, per caso?
-Sai benissimo che non ci è permesso tenere animali, qua- risposi, con tono indifferente.
-Allora puoi benissimo aspettare. Intanto, potresti cambiarti quegli orribili leggings blu e quello schifoso maglioncino bianco… Sembri una stracciona!
-Guarda che me l’hai regalato tu, il maglione. Ti sei data della stracciona da sola- dissi, alzando un sopracciglio.
Lei arrossì lievemente, e esordì: -Te l’ho regalato perché è adatto ad una stracciona come te!
-Basta.
Ci girammo tutti verso Matt, che sentivo parlare per la prima volta dopo così tanto tempo.
-Torno subito, ragazze- disse, prendendomi per mano e facendoci allontanare da loro.
Mi portò fino agli alberi, e si voltò a muso duro, ordinandomi: -Parla.
-Perché?- chiesi.
-Perché cosa?
-Perché stai con loro, non mi guardi nemmeno, non mi parli più… Non stai più nemmeno con Mello. Mi dici che cosa ti prende? Anche ora, mi parli così…
-E come dovrei parlarti?
Il suo tono freddo fu come una pugnalata nel cuore.
-Eravamo amici.
-Hai detto bene… Eravamo.
Altra pugnalata.
-Mi vuoi dire almeno il motivo?- domandai, stavolta anche io con tono duro e freddo. Stava riemergendo la rabbia che avevo provato litigando con Mello.
Lui fece una risata amara.
-Con loro sto meglio!
-Ah beh, e come mai?
Lui non rispose.
-Sei un pezzo di merda!- esplosi -Io ci sto persino male, ma non me ne dovrebbe fregare un cazzo. Siete tutti dei coglioni, uno dopo l’altro!
-Ah si? E tu cosa sei?! Sei una mocciosa!- esclamò.
Il tempo si fermò. Spalancai gli occhi, per poi socchiuderli, come a concentrare il mio odio. Da lui non mi sarei mai aspettata una cosa simile.
Mi avvicinai e lo spinsi con violenza, ed essendo stato preso alla sprovvista, cadde persino a terra. Sfruttai l’occasione per piantargli il piede sulla gola, per farlo stare fermo.
Mi guardava con il respiro affannoso e lo sguardo sorpreso.
-Non te l’aspettavi, eh?- dissi, con tono di sfida -Beh, nemmeno io mi aspettavo questa da te. Non sono una mocciosa. Sono una persona che ha un cuore, e che sa usare l’intelligenza senza dover escludere le emozioni. Cosa che tu non sai fare. E potete andarvene a fanculo tu, e tutte le altre. Vivo anche senza di te, coglione!
Tolsi il piede e tirai un calcio al suo fianco, mozzandogli il respiro.
Poi mi girai e mi diressi verso l’entrata della Wammy’s, senza nemmeno voltarmi a guardare se stesse bene.
Per me, poteva anche crepare.
 
*
 
Non ero riuscita a parlare con Matt di ciò che mi angosciava, ed ora, oltre a quella paura, ero sola.
Matt era uscito dalla mia vita, e la cosa che mi faceva innervosire era proprio che non ne capivo il motivo. E non avevo nemmeno voglia di andare a leccare il culo a Mello per chiedergli scusa. Perciò, a quanto pareva, ora non avevo nemmeno amici.
Stavo sdraiata sul letto a fissare con odio il soffitto, come se il mio sguardo potesse spaccarlo in mille pezzi.
Tutti erano a cenare, ma io non avevo fame. Avevo detto agli inservienti che non mi sentivo bene, così potevo stare da sola.
Quando la porta si aprì, temetti che avessero già finito di mangiare, ma si chiuse subito. Era entrata una sola persona.
Non mi alzai per vedere chi fosse. Avrei mandato a quel paese chiunque, in quel momento.
-Stai diventando come Mello, Michelle.
Scattai a sedere. Quella voce…
-L, che ci fai qua?- dissi, osservando i suoi occhi scuri e i capelli scompigliati.
-Hai preso a calci Matt, non sei scesa a mangiare e Near ti ha detto qualcosa di abbastanza grosso… E’ così… Che reagisci alla paura e alla rabbia…?
Arrossii.
-Forse- ammisi -è che non voglio più piangere.
L abbassò lo sguardo, pensieroso, sedendosi su una sedia nella sua posa accovacciata.
-E’ vero, quello che ha detto Near?- chiesi.
-Sì, devo pur scegliere qualcuno… E mi era parsa una buona idea mettervi alla prova… Ma tu sembri esserti già arresa…- osservò.
-Io non sarò scelta. Saranno Mello e Near. Io sarò una di quelle che manderai in altre sedi, no?- dissi, con tono rassegnato.
-Sei in gioco, Michelle. Sei in gioco come tutti… E queste prove… Saranno anche inutili come credi tu- disse, alzandosi -ma mi fanno conoscere meglio voi altri. Fai pace con Mello… E vedrai…
Detto ciò, si diresse alla porta.
-L!- lo chiamai.
Lui si fermò, senza voltarsi, e disse: -Si?
-Sono… In gioco?
-Esatto…- disse, voltandosi con un leggero sorriso, per poi uscire dalla stanza e far tornare la camera in totale silenzio.
Aspettai per un’altra quindicina di minuti, con un sorriso ebete stampato in faccia.
Quando i miei compagni di stanza entrarono, andai da Mello, che mi squadrò con occhi di ghiaccio. Gli feci segno di seguirmi, e uscimmo dalla camera.
Andammo in un angolo del corridoio, dove ci sedemmo su un divanetto, e lì gli dissi, guardandomi le mani per sfuggire al suo sguardo: -Scusami per oggi.
Lui non disse nulla.
Temetti che mi stesse squadrando con fare superiore, e ebbi paura che non volesse più avere a che fare con me.
-Che succede?- domandò.
-Eh?
-Dai cazzo. Ti conosco… Eri furiosa, non saresti mai tornata da me con la coda fra le gambe. Temevo di dover venire io a fare il lavoro sporco, stavolta. Cos’è successo che ti ha fatto cambiare idea?
Quando alzai il capo, non vidi occhi glaciali. Vidi occhi limpidi e sinceri.
-Andiamo- disse, con tono lamentoso -Non ho tutto il tempo del mondo. Stai per scoppiare a piangere, eh?
Mi voltai. No, mi ero ripromessa di non piangere.
-Ehi… Aspetta!- lo sentii esclamare, sbuffando -Non volevo offenderti! Diamine, ma che hai, il ciclo?
Lo sentii prendermi le spalle e girarmi verso di lui. Mi guardò negli occhi e ordinò: -Racconta.
Gli dissi tutto. Di Near e di Matt. Del modo in cui il nostro vecchio amico mi aveva insultata, e di come io lo avessi steso, con molta fortuna e poco preavviso.
Lui inizialmente non seppe cosa dire. O forse lo sapeva, ma si guardava bene dal dirlo. Ciò che so, è che disse soltanto: -Hai fatto bene.
Poi mi mise un braccio intorno alle spalle. Io strinsi il suo fianco, appoggiando la testa alla sua spalla.
-E così…- disse, pensieroso -Vogliono far venire alla Wammy’s tutti i candidati?
-Sì. Tutti gli istituti creati da Watari, come se fossero altre Wammy’s House, ognuna di esse con i loro primi in graduatoria… Tutti spediti qua, per vedere chi è il migliore- dissi.
-Sarò io il migliore- dichiarò lui, con tono beffardo.
Risi.
-Sì, probabilmente sarà così- dissi.













Angolo Autrice

Hola mondo! ShinigamiGirl risorge dai libri per continuare la sua faniction preferita!
Grazie di aver letto.
Siete fantastici, tutti i lettori! Vi amo!
Fatemi sapere cosa pensate del proseguimento... Un bacio, e alla prossima (spero presto!)

ShinigamiGirl

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Capitolo 21
*** Improbabili candidati ***


Alice, David, Bruce, Luke, Linda, Stefany e Eric.
Tutti quei nomi avrebbero presto preso il posto dei più piccoli della Wammy’s House quel giorno.
Erano i nuovi orfani, per quanto nuovi potessero essere. La situazione, a chi sapeva la verità, appariva abbastanza complicata. Io e Mello li avevamo osservati arrivare e presentarsi, a coppie o soli, nei giorni precedenti. Quella mattina erano tutti a tavola, e il chiacchiericcio dei più piccoli era svanito: erano stati portati altrove.
Mi guardavo bene dall’avere qualsiasi contatto con i nuovi arrivati, e soprattutto erano giorni che evitavo Matt come la peste. Ovviamente lui non aveva reagito alla mia indifferenza, anzi, si comportava come se nulla fosse accaduto, irritandomi nel profondo.
Mi ero distratta da lui analizzando attentamente, insieme a Mello, ogni ragazzo che era arrivato alla Wammy’s.
-Quella coi codini è da tenere d’occhio- aveva sentenziato il biondino, riferendosi a una ragazzina dai capelli castani, minuta e dallo sguardo vispo, che si era presentata come Linda. I codini alti nei quali legava i capelli lisci le davano un aspetto insolente, e per certi versi infantile. Tuttavia, sembrava che sapesse il fatto suo.
La mia attenzione si era invece posata su Bruce, un ragazzo dai capelli bruni con riflessi rossi, la corporatura esile e la carnagione leggermente scura. Non era un soggetto che si faceva notare, ma il suo sguardo consapevole sembrava divorare la realtà che lo circondava, come se nulla gli sfuggisse, persino in quel momento, anche se stava fissando il suo piatto di porridge.
Cercai di smettere di fissarlo e finii ciò che c’era nel mio piatto. La sala da pranzo, silenziosa come non lo era mai stata, aveva un aspetto triste. Forse era proprio quella mattinata in sé, ad essere triste.
Quella, infatti, non era una mattina come tutte le altre, perché dopo colazione sarebbero state appese le liste di assegnazione delle stanze. Roger aveva riorganizzato tutto, probabilmente non da solo, e aveva rifatto la lista delle camere.
Avevo il terrore di essere finita in stanza con Near, Vera, Catherine, o, ancora peggio, con Matt.
Aspettai nervosamente che tutti avessero finito di mangiare, al fianco di Mello, e poco dopo Roger entrò nella sala. Indossava il solito completo elegante con giacca e cravatta, e aveva un’espressione stanca.
Annunciò: -Le liste sono appese nella hall dell’istituto. Siete pregati di sistemarvi nella stanza a voi assegnata entro mezzogiorno. Potete andare, oggi avrete la giornata libera.
Cercai lo sguardo di Mello, girandomi verso di lui, ma stava scrutando una delle nuove ragazze con insistenza. Quella che stava osservando era la ragazza che stava sempre con Linda, e che aveva lunghi capelli castani, lisci e dalle punte dorate. Portava un paio d’occhiali dalla montatura argento e rosa, e aveva un fisico decisamente invidiabile. Pareva molto timida, e pensai che Mello non potesse avere timore di lei, anche se sembrava parecchio sveglia.
Improvvisamente mi resi conto che molti si erano già alzati, così anche io andai a vedere dov’ero finita.
La hall dell’orfanotrofio era calda e accogliente come sempre, e i ragazzi erano tutti intorno ad una bacheca con appesi otto fogli, sui quali vi erano scritti non più di otto nomi ciascuno. Essendo tutti ammassati, riuscii a vedere solo dopo qualche minuto.
Trovai il mio nome sul foglio della stanza numero tre, quando lessi i nomi dei miei coinquilini, quasi ci rimasi secca. Tutte, proprio tutte le ragazze, erano nella mia stessa camera, e in più c’erano Jake e un certo ragazzo di nome David.
Cercai Mello sulle altre liste, e vidi il suo nome sulla lista della stanza cinque, dove c’erano segnati Near, Eric, Bruce, e alcuni nostri vecchi compagni di camera, ovvero George, John e Francis.
Matt era quindi nuovamente isolato, anche se in generale, la sorte non era stata dalla mia parte. L’idea di dormire insieme a tutte quelle ragazze non mi ispirava proprio, anzi, avrei preferito essere circondata da maschi che non conoscevo.
Mi sbrigai ad andare a recuperare la mia valigia e spostarla nella stanza a cui ero stata assegnata.
 
*
 
Quando entrai c’erano già un paio di ragazze, che avevano preso posto negli ultimi due letti sulla sinistra. Le ignorai totalmente e gettai con poca grazia la pesante valigia sull’ultimo letto, quello vicino alla finestra vecchia e con i cornicioni di legno bianco. Lì, il sole mi avrebbe illuminato il letto per tutto il giorno, permettendomi di leggere in maniera più decente rispetto alla mia vecchia postazione nella precedente camera.
-Ehi!
Mi voltai di scatto, verso la voce che sembrava essersi rivolta a me.
Linda stava in piedi davanti a me, con un sorrisone amichevole e la mano protesa verso di me. Indossava vestiti non troppo trasandati, ma eleganti, a partire dal maglioncino rosso, che pareva fatto di cotone molto pregiato.
Le strinsi la mano, dubbiosa, mentre lei diceva: -Piacere di conoscerti! Io sono Linda!
-Deborah, piacere mio…
Tentai di farle un timido sorriso, ma non seppi se quello che ne uscì sembrasse falso o meno.
Improvvisamente un gruppo di ragazzi passò davanti alla nostra porta, facendo un gran baccano. Sulla soglia si fermarono Jake, che entrò a testa bassa, seguito da un ragazzo alto e muscoloso. Il classico tipo moro dalla corporatura robusta, ma non grassa. Aveva un’espressione sicura, quasi arrogante.
Dal gruppo in corridoio si sentì urlare, tra le risatine: -Beati tra le donne!
Jake diventò rosso da capo a piedi, ma l’altro giovane invece scoppiò a ridere in una risata complice. Li osservai prendere posto nei letti più vicini alla porta, quando entrarono Catherine e Vera. Le due strillavano di gioia, per aver avuto la fortuna di essere finite in camera insieme, saltellando e ridendo in un modo molto fastidioso.
Poco dopo, fece ingresso una ragazza cupa, vestita e truccata interamente di nero, che si posizionò nel letto di fianco al mio.
Iniziai a sistemare la mia valigia, mentre Linda andava a presentarsi a tutti quanti. Non fece in tempo a stringere la mano a Catherine e Vera, che uscirono quasi subito dalla stanza, seguite dal ragazzo arrogante, che si era presentato come David.
Jake se ne stava nell’angolo, strinse la mano alla ragazzina ma poi si chiuse ancora nel suo guscio.
-Che silenzio…- borbottò Linda, allontanandosi da lui.
-Preferivi il casino delle oche?- le replicò la ragazza con gli occhiali.
-Quoto- disse la ragazza vestita di nero, con un sorriso contornato dalle labbra nere -io sono Alice.
La osservai, guardinga.
-Tu sei la ragazza del biondo dark?- chiese Linda, additandomi.
Ci misi un secondo a realizzare che stesse parlando di Mello, e subito dopo scoppiai a ridere.
-Che assurdità- dissi -ma ci mancherebbe! No, siamo solo amici.
-Ah- fece lei, con un sopracciglio inarcato -sembravate… Da che sede arrivi? Io e Stefany eravamo a New York.
La fanciulla con gli occhiali annuì, e io risposi: -Sono sempre stata a Winchester.
-Allora avevo capito bene! Sei sempre stata con quel Mello- esclamò, facendo ballonzolare i codini.
-Sì, ma non stiamo insieme- ribadii. La sola idea di me e Mello fidanzati mi metteva addosso un’ansia e un’irritazione indicibile.
-Tu da dove arrivi?- chiese lei ad Alice.
-Los Angeles, e sono l’unica proveniente da quella sede.
-Ma quante sedi esistono?- domandai, perplessa.
Fu Stefany a rispondermi, parlando in modo molto logorroico ma scandendo bene ogni parola: -Sono quattro in totale. Winchester, New York, Los Angeles e Londra. Vengono tenute in paesi in cui si studia obbligatoriamente la lingua inglese, dato che è la più diffusa in tutto il mondo, anche se a dire il vero, quella più parlata è il mandarino, in Cina… Ma di questo, evidentemente, L se ne frega.
Rimasi in silenzio. In effetti non potevano esserci molte sedi, e aveva un certo senso mantenerle in città esposte alla comunicazione, al progresso.
-Sentite ragazze- disse Alice, con tono deciso -non conosco nessuno, ma con quelle due là non ci voglio stare. Mi sembrano troppo snob per i miei gusti. Qualcuna si offre di essere la mia vicina di banco?
Mi lasciai scappare un sorrisino. La dark non mi convinceva molto, ma l’avrei preferita mille volte a Catherine o Vera, così dissi: -Io ci sono.
-Perfetto, grazie ne.
Annuii.
Stefany mi osservava con attenzione, quando mi chiese: -Per caso le odi?
Molto perspicace.
-Lunga storia, ma comunque si. Non starebbero simpatiche a nessuna ragazza con un sano cervello in testa.
-Siamo qua per una missione precisa, per uno scopo. E’ ovvio che il divertimento non ci sia negato, ma conciarsi così, rendersi delle galline, è ridicolo, se pensato in un luogo dove nascerà l’erede del più grande detective del mondo, colui che manterrà viva la giustizia- disse Stefany, concordando quindi con le mie parole.
-Comunque oggi abbiamo la giornata libera. Ci fai vedere l’istituto?- mi domandò Linda.
Accettai, tanto non avevo di meglio da fare.
Dopo vari giri dei piani, le ragazze erano letteralmente immerse nell’esplorazione della grande biblioteca. Le avevo ormai perse di vista, così mi ero seduta ad aspettarle all’entrata, leggendo un libro di Sigmund Freud.
La biblioteca della Wammy’s era molto fornita, c’erano anche molti fantasy e molti romanzi, che però non avevo mai preso in mano. Erano così distanti dalla realtà, leggerli sarebbe stato strano, sentivo che non facevano per me. Io vivevo il presente, il momento, la realtà, per quanto crudele o noiosa fosse.
Ad un tratto la porta di fianco a me si spalancò, e mi vidi sovrastare dalla figura di Mello, che guardava, dalla soglia, tra gli scaffali pieni di libri, in cerca di qualcosa.
-Ehi, biondino, che cerchi?
Lui si voltò appena sentì la mia voce.
-Cercavo proprio te, cretina. Dove sei stata?
-Datti una calmata, stavo facendo vedere la Wammy’s alle mie nuove compagne di stanza…- mi difesi.
-Cosa? E tu fai amicizia con i tuoi avversari?- disse lui, con tono di rimprovero.
-Fino a prova contraria, anche io e te lo siamo- gli ricordai.
-E’ diverso. So per certo di essere superiore a te!- esclamò, con tono arrogante.
Sospirai. Non ci si poteva ragionare, con lui. Tornai a guardare le pagine del libro, e lo sentii sedersi vicino a me.
Alzai nuovamente lo sguardo con aria scioccata.
-Che c’è?- chiesi, piuttosto preoccupata.
Non era da lui fare la cozza, starmi vicino senza chiedere nulla. Di solito ero io ad andare da lui, e l’unica cosa che faceva era permettermi di stargli vicino, raccontargli le mie paranoie e le mie riflessioni.
Se mi veniva vicino, era perché voleva qualcosa.
-Domani faranno un sacco di lezioni. I miei compagni di stanza sono tutti noiosi, mocciosi e inetti.
-E io sono capitata con le due miss snob- replicai.
-Ho dei dubbi.
-Su cosa?
-Matt. Ho passato solo una mezz’ora in camera, Near mi dava sui nervi solo a guardarlo. Ma in quella mezz’ora, ho visto che Matt ha qualcosa che non va. Sembra guardingo, pauroso, come uno stupido leprotto di campagna in attesa che il lupo lo sbrani- spiegò, con lieve disprezzo.
-Avrà paura di non essere più il terzo in graduatoria- ipotizzai.
Se così fosse successo, di certo non mi sarebbe dispiaciuto.
-No… Quello sguardo l’ha sempre avuto, da quando non viene più da noi. Non ci avevo mai prestato attenzione, non l’ho mai considerato troppo importante…
Tu non consideri mai niente troppo importante, volevo rispondergli. Mi trattenni, altrimenti sarebbe successo il finimondo.
-Vuoi scoprire che ha?- gli domandai.
Annuì, e i capelli finirono per coprirgli gli occhi, che guardavano fissi davanti a sé.
-Vuoi una mano?
-Più che altro, una spalla.
Ridacchiai.
-Che sia una mano, o una spalla…- gli dissi -lo sai perfettamente che per te ci sono.
Lui si voltò, scoprendo il viso dalle ciocche bionde, e fece un ghigno, quasi un sorriso complice.
Non era proprio da sentimentalismi. Si alzò e mi salutò con un cenno, prima di chiudersi la porta alle spalle.
Anche io mi misi in piedi, era quasi ora di pranzo e dovevo recuperare tutte le ragazze. Le trovai ognuna in un reparto diverso. In particolare, quando recuperai Stefany, lanciai un’occhiata al genere, scritto sul grande cartello sopra lo scaffale.
“Fantasy”.
 
*
 
Il pomeriggio passò in maniera tranquilla, almeno fino a cena.
Mello, seduto al mio fianco, mentre mangiava la sua zuppa lanciava occhiate fulminee a Matt, che sembrava più mogio del solito, di fianco a Vera. Io me ne fregavo altamente, in fondo, dovevo solo essere la sua spalla.
Ciò non toglie che quello che Matt mi aveva detto aveva lasciato ferite aperte e sanguinanti, che avevo disperatamente cercato di nascondere. Ci ero riuscita, ma facevano comunque male. Non aspettavo altro che vendicarmi, di fargliela pagare, anche se…
Quando lo guardavo mi saliva il groppo in gola. Gli occhi diventavano lucidi. E il cuore palpitava impazzito.
Mi mancava.
Avevo nostalgia di lui, di noi, di quello che eravamo.
Era andato tutto perso, non riuscivo a capire nemmeno perché, ed era la cosa più brutta di tutte.
Anche se fingevo molto bene di non interessami di lui, il mio cuore e la mia anima volevano invece tornare a parlargli, a essere la sua amica, quella con cui condivideva la passione dei videogiochi e con cui poteva parlare di quanto fosse difficile stare al fianco di Mello.
Per quanto fosse intelligente e carismatico, Mello non si sarebbe mai interessato a me come faceva Matt, non mi avrebbe mai parlato di cose al di fuori di compiti e riflessioni complesse.
Con Matt potevo svagarmi, essere me stessa, cosa che con Mello non potevo far succedere, altrimenti probabilmente si sarebbe stufato e non mi avrebbe più presa sul serio. Dopo cena, affacciata alla finestra che dava al cortile interno, riflettevo su quelle cose.
Ero sola, tutti quanti erano in giardino a svagarsi, persino Linda mi aveva chiesto di unirmi a loro, ma avevo gentilmente rifiutato.
Fu per quello che mi presi un colpo, quando sentii chiudere la porta di botto.
Voltandomi di scatto, vidi una figura anche fin troppo familiare. Parli del diavolo…
Assunsi un’espressione truce, ma anche indifferente.
-Che vuoi, Matt?
Lui non rispose subito. Gli occhiali erano sempre sul suo capo, e riflettevano la luce della lampadina.
-Smettila di fare la finta tonta. So tutto di te.
Rimasi spiazzata, e feci una risatina nervosa.
-Non sai un bel niente di me, Matt. Lasciami in pace.
-Certo che so. Pensi che il tuo passato si possa cancellare? Mi ha raccontato ogni cosa.
-Chi?- chiesi, sulla difensiva.
-Questo è inutile saperlo. Ma non riuscirai mai a portare a termine il tuo stupido piano. L’unico motivo per cui tu possa essere qui, è che L abbia voluto metterci alla prova, come attrice. Ma penso che lui ci sia cascato. Sei stata brava, ma non abbastanza.
-Ma che cazzo stai dicendo?!- urlai.
-E piantala!- esclamò -So che sei una mafiosa, come tuo padre. Che è, hai finto di non essere sua figlia? Ti hanno detto di venire qua a indagare, i compagni di tuo padre, vero?
Mi raggelai. Come sapeva tutto? L non poteva avergli…
Aspetta un secondo.
Iniziai a ribollire di rabbia. Mello.
Come aveva osato raccontare quelle cose a Matt?
-E’ vero, mio padre era un fottuto terrorista. Ma mi hanno salvata, lui mi sfruttava! Non riferisco nulla a nessuno, vorrei poter cancellare quella parte della mia vita!- esclamai, col cuore in gola.
Era per quello che Matt mi evitava? Per cose totalmente false? Le lacrime iniziarono a rigarmi le guance. Mi sentii trafitta, come se il mio cuore si spezzasse nuovamente, e faceva più male di prima.
-Smettila di dire cavolate. Io, Catherine e Vera ti fermeremo. Sei un pericolo.
-No!- urlai, con voce disumana, portandomi le mani alla testa, fra i capelli -Smettila tu! Io non sono un mostro! No!- continuai a gridare, lasciandomi cadere sulle ginocchia.
Ero incredula, non potevo accettare che lui…
La porta si spalancò di botto.
Volsi di scatto lo sguardo a chi era entrato, e rimasi completamente senza fiato.
Mello stava in tutta la sua altezza sulla soglia della stanza, e Matt si era voltato. Probabilmente si stavano guardando negli occhi.
-Lasciala in pace, non hai capito proprio un cazzo- ordinò Mello.
-Anche tu convinto della sua innocenza? E’ solo una bugiarda.
-Non l’hai mai vista piangere!- urlò Mello, più incazzato del solito -Tu, caro mio, non sei mai andato ad abbracciarla, mentre aveva delle crisi! Non la capisci, e non la capirai mai veramente! Lo dimostra il solo fatto che hai creduto a delle cazzate che ti hanno detto, senza chiedere nulla a lei. Coglione!
E con l’ultima parola, gli tirò un gancio destro sul viso, che prese Matt in pieno.
Il silenzio che ne seguì, fu interrotto solo dai miei singhiozzi.
Mello non lo degnò di nessun altro sguardo, venne verso di me e mi aiutò ad alzarmi, per poi portarmi fuori dalla camera e fino ai bagni.
Lì, lo abbracciai, stringendo convulsamente la maglietta scura.
Fu allora che ebbi un flash.
Quella notte in cui vidi Julia nello specchio… In cui ebbi una crisi… In cui qualcuno mi abbracciò fino a che non mi ero addormentata…
Quel qualcuno era proprio…
Mello.












Spazio Autrice

Ordunque, sono accadute mooolte cosucce.
GRAZIE a tutti coloro che recensiscono, inseriscono nelle seguite/preferite/ricordate o leggono e basta!!!
Siete uno più bello e fantastico dell'altro.
Senza di voi, questa fanfiction non esisterebbe.
Ora vi lascio col dubbio... Matt avrà capito o no? E come reagirà al tutto Deborah?
Vedremo :)

Alla prossima!

ShinigamiGirl

 

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Capitolo 22
*** Scoperte dolorose ***


Mello non era ciò che si poteva definire il miglior consolatore del mondo, anzi.
Nel bagno, l’unica cosa che fece fu stringermi a sé, mentre gli inzuppavo la maglietta nera di lacrime.
Odiavo piangere. Era così umiliante, ed era pure la seconda volta che lo facevo in sua presenza.
Tuttavia, quando le lacrime iniziarono a scarseggiare e il mio respiro tornò normale, rimasi comunque stretta a lui, appoggiata al suo petto, mezza seduta per terra. Lui era appoggiato al muro, e teneva le gambe tese davanti a sé, ed io ero al suo fianco. Anzi, a dire il vero, avevo mezza gamba sulla sua, ma non ci diedi troppo peso.
Non sapevo come rompere il silenzio che ci circondava.
Però, una cosa di cui ero certa, era che Mello mi avrebbe ascoltata, mi avrebbe aiutata. Me l’aveva dimostrato.
-Non avrei mai pensato che Matt mi evitasse per una cosa simile… L’hai perso per colpa mia…- sussurrai.
Mello continuò a guardare il lavandino davanti a sé.
-L’ho perso per stupidità, non per colpa tua- mi rispose.
Tirai su col naso. Mello riusciva ad avere sempre ragione indiscussa.
-E comunque, non capisco come sia venuto a conoscenza del tuo passato, dato che io non ne ho mai fatto parola con nessuno.
Rimasi sconcertata.
Se non era stato lui… Solo L conosceva la mia vera storia.
-Credo che dovremmo tenere d’occhio quel trio… E non dar peso a quello che ti dice Matt. Fregatene.
-Non è così semplice…- risposi -In questo momento avrei voglia di andare a strisciargli davanti e chiedere scusa, anche se per cose che non ho fatto…
-Ma sei cretina?!
-Io gli voglio bene, Mello.
-Non osare mai più dirlo. Tu non striscerai davanti a nessuno, perché nessuno deve metterti i piedi in testa.
Forse aveva ragione.
Ma il mio cuore, ciò che provavo per Matt, dicevano tutto il contrario.
Mi mancava, mi era sempre mancato. Ed ora che se n’era andato per davvero, il mio cuore era a pezzi, non si sarebbe più ricomposto.
Ci alzammo in silenzio, e lo accompagnai fino alla sua stanza. Davanti alla porta, fui tentata di sbirciare all’interno della camera, per vedere se c’era Matt. Cercai di resistere, dando un ultimo abbraccio a Mello, che chiaramente non se l’aspettava, dal modo in cui si fece subito rigido, senza ricambiare. O forse non voleva dare dimostrazioni affettive in pubblico.
-Eri tu, quella sera… Quando ero nei bagni…?- gli chiesi, all’orecchio.
Lui semplicemente annuì, e mi staccai, facendogli un timido sorriso.
Mello distolse subito lo sguardo, alzando gli occhi al cielo e poi guardando dentro la stanza.
-A domani- disse, entrando.
E nonostante tutti i miei sforzi, lo seguii con lo sguardo, osservando inevitabilmente l’interno della camera. Non appena vidi una chioma rossa, mi voltai di scatto, provando uno struggimento nel cuore. Pareva che nel mio petto si fosse formata una fossa, come se non ci fosse più nulla.
Mi diressi alla mia stanza con passo veloce, era tardi e non dovevo assolutamente farmi scoprire dagli inservienti.
Aprii la porta e la chiusi subito dopo, dirigendomi a testa bassa al mio letto. Probabilmente, i segni del pianto erano ancora visibili sul mio volto. Mi misi sotto le coperte vestita, togliendo solo le scarpe, rivolta verso la finestra e sentendo tutti gli sguardi addosso, che trapassavano la mia schiena.
Pian piano, il chiacchiericcio basso tornò ad animare la stanza, e mi sentii meglio. Lasciai che qualche lacrima mi bagnasse il viso, prima di prendere sonno.
 
*
 
Il mattino dopo affrontai le lezioni del giorno con determinazione, e mi sedetti nei banchi tra Alice e Mello, il quale era contro il muro.
Non prestava molta attenzione alla professoressa che era stata chiamata per le lezioni di corso avanzato. Quella donna, francamente, non stava simpatica nemmeno a me. Appena entrata nell’aula, ci aveva squadrati con sguardo scettico, come se non credesse completamente che noi potessimo seguire e comprendere le sue lezioni di criminologia.
Probabilmente questa veniva dritta dall’FBI, e si sentiva superiore.
Ma con la prima verifica avrebbe presto potuto vedere come, invece, eravamo decisamente all’altezza.
Alice ad un certo punto, si sporse verso di me e mi chiese: -Alla pausa pranzo, verresti con noi ragazze?
Non seppi che rispondere. Pensai che Mello, però, potesse stare da solo per una giornata. Non era un bambino da tenere d’occhio.
-Ok!
-Bella!- mi rispose lei, masticando una cicca. Era decisamente proibito, ma lei pareva fregarsene.
Così, quando suonò la campanella, tutti andarono a prendere posto nella sala da pranzo. Mi sedetti comunque vicino al biondo, che mangiava con lo stesso disinteresse che aveva dedicato all’insegnante.
-Penso che dopo passerò un po’ di tempo con le ragazze- gli dissi, tra un boccone e l’altro.
-Non divertirti e basta- rispose -ma cerca di capire come sono messe a potenzialità.
Ecco un’altra delle cose che di Mello sopportavo ben poco. Ogni occasione era buona per analizzare, lavorare e creare sotterfugi. Insomma, non sapeva proprio cosa volesse dire passare dei momenti piacevoli e non dedicati alla nostra ascesa al posto di L.
-Certo, certo…- dissi, in modo accondiscendente. Sapevo che non se la sarebbe bevuta, ed ero già pronta a discutere per avere ragione.
Fortunatamente, sembrò non darci così tanto peso, e finimmo tranquillamente il pasto. Quando distribuirono i dolci, mi accaparrai il mio buonissimo cupcake con crema pasticcera, e mi alzai per andare in giardino.
Febbraio stava finendo, il clima era sempre rigido e freddo ma sicuramente più vivibile delle temperature di Gennaio.
Linda, Stefany e Alice erano sedute sul muretto, qualche metro più in là delle altalene. Le raggiunsi sorridendo, e mi salutarono con allegria.
-Allora ce l’hai fatta a staccarti da quello là- disse Alice.
-Già…- dissi, sedendomi. Si riferiva chiaramente a Mello.
-Senti, non per farmi gli affari tuoi- cominciò Linda, osservando il dolcetto fra le mie mani -ma cos’avevi ieri sera?
Tasto dolente.
Non potevo sperare di continuare a nascondere ciò che succedeva, non tra quei ragazzi così intelligenti ed intuitivi.
Esitai qualche secondo, poi farfugliai: -Ma niente… Ho soltanto perso una persona a cui tenevo.
La mia risposta evasiva sembrò soltanto rendere le tre ragazze ancora più perplesse. Stefany mi mise la mano sulla spalla: -Noi qua siamo tutti avversari, ma se hai bisogno di qualcuno, di noi puoi fidarti.
-Lo terrò presente, grazie- risposi.
-In ogni caso, coalizzarci è la cosa migliore che possiamo fare. Le due deficienti che abbiamo in stanza passano anche troppo tempo fuori, secondo me tramano qualcosa- disse Alice, con tono strano.
Meno male che Vera e Catherine non stavano simpatiche a molte persone.
Nonostante l’inizio zoppicante, la nostra conversazione sfociò in molti argomenti, e mi piacque chiacchierare con loro del più e del meno.
Alice era strafottente ma schietta, Linda molto acuta e allegra. Stefany pareva la più tranquilla del gruppo, ma le sue idee erano quelle più in linea col mio stesso pensiero, quindi mi andava molto a genio.
Quando ci richiamarono per una conferenza sulle droghe, rientrammo con malavoglia. Era l’ennesima conferenza, ormai sapevo quasi tutto sulle sostanze stupefacenti, ma probabilmente avevano qualche nuova informazione.
L’assemblea terminò sul tardi, e decisi di fare una passeggiata da sola in cortile, prima di cena.
Avevo appena svoltato l’angolo del limite del giardino, quando successe.
Mi sentii spintonare e caddi addosso alla ringhiera di ferro, che separava il cortile dell’orfanotrofio da quello della casa accanto.
Sentii una fitta al braccio, probabilmente me l’ero sbucciato, dato che la mia maglietta a maniche lunghe bianca iniziò a tingersi di rosso.
Una risatina soffocata mi fece voltare verso la persona che mi aveva spinta.
Ricci biondi e occhi verdi, era decisamente Catherine. Mi guardava con aria superiore, truccata così tanto che sembrava un panda.
Vera stava di fianco a lei, con aria soddisfatta.
-Che cazzo volete?- chiesi, rialzandomi.
-Uh, la mocciosetta si è arrabbiata- fece Catherine con tono canzonatorio.
-A quanto pare non pensava che far picchiare Matt da Mello avrebbe avuto delle brutte conseguenze- disse Vera, sorridendo.
-Senti, sappiamo che sei una terrorista e che vuoi fregarci tutte, ma noi siamo più furbe- mi sussurrò Catherine, avvicinandosi con un sorriso perfido.
Io… Terrorista?
-Non sono una terrorista!
-Ma sentila. Guarda che ho letto le documentazioni del caso, tuo padre era il leader, il boss. Tu sicuramente sei un’infiltrata!- mi accusò la bionda.
-Cosa ne sai di mio padre, e cosa ne sai di me!- esclamai.
-Io so solo che devi stare lontana da Matt!- ordinò Vera, dandomi un altro spintone.
-Ma che cazzo volete da Matt? Dovete lasciarlo stare, e smetterla di mettergli in testa delle balle!- esclamai, sull’orlo delle lacrime.
-E anche se fossero?- insinuò la mora -Tanto, lui crede a me. Di te non gliene frega niente.
-Invece ero la sua migliore amica, e lo sono ancora, in fondo…- dissi, con meno energia. Mi ricordai di come mi aveva parlato, di come mi guardava… E il mio cuore perse un battito.
-Non lo sei più. E’ mio- disse la mia vecchia amica, con tono implacabile.
Una lampadina si accese nella mia testa.
-Tu… A te piace Matt… Eri gelosa di me?- chiesi.
Vera esitò, e arrossì, aggrottando la fronte con disappunto e distogliendo lo sguardo.
Ci avevo decisamente azzeccato.
-Mi tratti così solo perché ti sei presa una cotta?!
-Senti chi parla!- ribatté lei -Come se a te non fregasse nulla di Matt! Volevi tenertelo tutto per te!
Aprii la bocca per ribattere, ma non uscì nulla.
Il mio corpo sembrava rifiutarsi di rispondere, e mi allarmai. Che diavolo mi stava succedendo?
-L’idea di fare a pezzi la torta per Mello e poi darti la colpa era mia- disse Catherine con un risolino -ed è stata azzeccata. Inizialmente non ci credeva, ma è bastato fare la faccia da cucciolo per convincerlo!
Ripensai alla torta che avevamo fatto per il compleanno di Mello, non potevo immaginare che fosse stata lei… Era appena arrivata!
-Come diavolo hai fatto?- domandai, con un lieve sussurro.
-Era tutto programmato. Distruggere le vostre amicizie mi porterà ad essere la prima classificata, perché sarete emotivamente instabili- disse la bionda, con un sorriso sornione.
Era stata davvero lei.
Era tutta colpa sua.
Mi lasciai cadere sulle ginocchia, mentre mi rendevo conto più che mai che Matt era perso. Per sempre.
Mi lasciarono andandosene al suono della campanella, che preannunciava la cena. Io non mi alzai nemmeno, la fame era l’ultimo dei miei pensieri.
 
*
 
Era il tramonto quando qualcuno si fece largo tra gli alberi, trovandomi accasciata nel fango.
-Deborah, che cosa fai qui?
Alzai lo sguardo. Stefany mi guardava da dietro i suoi occhiali, con aria preoccupata.
Si avvicinò, e vide la manica sporca di sangue.
-Ehi… Andiamo, almeno devi curarti il braccio- disse a mezza voce, cercando di tirarmi su.
Mi alzai piano. Ero cosciente, ma osservavo ciò che mi circondava come se fossi una spettatrice passiva. Lei mi sorresse col braccio destro, e mi portò verso l’orfanotrofio.
Non facevo nulla, seguivo il passo di Stefany con pacatezza.
Ormai, non serviva a niente lottare.
Senza Matt era tutto così brutto… E l’avevo perso per delle bugiarde.
Le bugiarde avevano vinto, e non avrei mai potuto smentirle.
Quindi, tanto vale lasciar perdere.
Non mi sarei mai aspettata però che, entrando nell’edificio, Mello si sarebbe avvicinato a me, mi avrebbe guardata per qualche secondo e mi avrebbe tirato un ceffone, lasciando Stefany palesemente scioccata.
Il dolore dello schiaffo arrivò a rilento, ma fece muovere in me un moto di rabbia.
-Che cazzo fai?!- esplosi, liberandomi dal sostegno della mia compagna e dandogli uno spintone.
-Ora ti riconosco, mocciosa- disse lui -perché hai il muso?
-Perché? Perché? Lo sai benissimo il perché!- gli gridai in faccia.
-Ci saresti dovuta essere, alla mensa. E’ stato divertente.
-Divertente? Ti sembra una situazione divertente?- esclamai.
-Beh, vedere Matt incazzato non è da tutti i giorni.
-Sai cosa me ne frega di…- bloccai la frase a metà. Matt arrabbiato?
-Dovresti ascoltare meglio quello che ti si dice- disse Mello, dandomi una pacca sulla spalla e facendomi un ghigno, prima di andarsene e lasciarmi con mille dubbi.
Cos’era successo?












Angolo dell'Autrice

Ave plebe!
Vi ringrazio moltissimo per il traguardo delle cento recensioni *sclera* e per aver letto fin'ora la mia fanfiction.
Spero che continui a piacervi, fatemelo sapere :)
Grazie mille per aver letto, e beh, ho voluto lasciarvi con un mistero in sospeso.
Scusate se ci ho messo tanto, mi mancava l'ispirazione... Ma il prossimo capitolo arriverà presto!
Un bacio, e grazie a tutti i lettori <3

ShinigamiGirl

 

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Capitolo 23
*** Ritorno della tranquillità ***


Prima di spiegarmi cosa fosse successo in mensa, Stefany insistette a portarmi in infermeria. Marianne mi guardò con sguardo di benevolo rimprovero non appena varcai la soglia della stanza.
-Deborah, ti sei ancora messa in mezzo a una rissa?- mi chiese.
-Diciamo che stavolta ero io la vittima…- risposi.
-Chi è stato? Pensavo che ti fossi fatta male da sola…- domandò preoccupata Stefany, mentre mi dava una mano a sedermi.
Sussultai quando Mary mi alzò la manica della maglia, perché il sangue rappreso e la pelle si erano attaccati alla stoffa. Iniziò a tamponare i vari tagli con del disinfettante, e il freddo invase le ferite, con un certo senso di sollievo.
-Catherine e Vera- risposi.
-Dovrò dirlo a Roger- disse Marianne.
Io semplicemente annuii, mentre Stefany mi guardava con aria strana. Osservandola meglio, mi accorsi che il suo sguardo mi trapassava, come se non esistessi.
-Stef…?- la chiamai.
Lei parve riprendersi.
-Scusa, stavo riflettendo… Ma quindi sono loro la causa di tutto, vero? Anche l’altra sera…
-Si, in modo indiretto, ma si- ammisi. Non le ci era voluto molto per collegare le cose, ma anche se la mia risposta era incompleta, non mi chiese altro.
-Perché, cos’è successo l’altra sera?- fu Marianne ad allarmarsi e a fare domande a cui non volevo rispondere.
-Nulla, altre scaramucce simili- dissi, liquidando la faccenda.
Marianne mi applicò vari cerotti, borbottando su quanto fossero state maleducate a comportarsi così delle “signorine”, come le chiamava lei.
Non appena ebbe finito, prima di risalire nella nostra camera, fermai Stefany afferrandola per il braccio.
-Cos’è successo in mensa?- chiesi, con fare piuttosto deciso.
-Beh ecco… E’ complicato da spiegare. Diciamo che io sono arrivata tardi, e non ho capito molto. Quello che ho capito, è che ora Matt considera Catherine e Vera delle luride zoccole, parole sue- disse, sistemandosi gli occhiali e ostentando sicurezza.
Il sollievo che provai a quelle parole fu qualcosa di meraviglioso, fantastico, ma ero anche molto sorpresa.
-Mello sembrava saperne più di me, dovresti parlargli.- mi consigliò Stefany -E comunque, quel ragazzo ha dei modi davvero poco consoni! Fossi stata in te, l’avrei mangiato vivo.
Quell’affermazione mi fece scoppiare a ridere di cuore, mentre lei sorrideva.
-Beh, si… E’ fatto a modo suo…
-Un modo da prendere a calci nel fondoschiena- confermò ancora Stefany, facendomi scappare un sorriso, mentre salivamo le scale.
Nei corridoi molti ragazzi facevano avanti e indietro dai bagni, con già indosso il pigiama. Così noi entrammo nella nostra camera, recuperammo i pigiami e andammo insieme a cambiarci.
La compagnia di Stefany era molto piacevole, per cui chiacchierai con lei molto volentieri, e quando rientrammo in camera non mi dispiacque che si aggiungessero anche Alice e Linda.
Erano tutte molto simpatiche e sincere, e ignorammo senza problemi Catherine e Vera, che parlavano e ridacchiavano non troppo distanti da noi.
Dovetti raccontare loro cosa fosse successo al mio braccio, ma non entrai nei dettagli, dissi semplicemente che mi avevano spintonata e che avevamo litigato un po’.
Alice disse che, probabilmente, Matt aveva fatto loro una scenata proprio per come mi avevano trattata. In effetti non poteva essere altrimenti, ma come ne era venuto a conoscenza? Non me lo sapevo spiegare.
Quella sera, andai a letto con serenità. Speravo che Matt, il giorno dopo, mi avrebbe salutata come non faceva da ormai troppo tempo.
E con quella speranza sprofondai nel sonno.
 
*
 
La sveglia era per le sette, e la colazione alle sette e mezza.
Una delle cose positive di essere in poche ragazze, era proprio che i nostri turni per prepararci nei bagni potevano essere più lunghi di quelli dei maschi che, poverini, avevano qualche minuto a testa.
Quel giorno indossai dei semplici jeans e un maglioncino nero a righe blu, e Linda insistette a farmi una treccia laterale, mentre Alice si offrì per truccare tutte e quattro. Accettai volentieri, e quando mi guardai allo specchio quasi non mi riconobbi.
Sugli occhi, un rosa metallico si sfumava con un nero verso gli angoli esterni degli occhi, e il mascara aveva dato valore a delle ciglia che, normalmente, erano corte e invisibili. Sulle labbra, Stefany aveva consigliato un gloss rosato, e nell’insieme era molto piacevole da vedere, nonostante le guance fossero pallide.
-Sai, non ho mai usato quel rosa, ma sembra starti bene!- mi disse Alice.
In effetti lei si truccava in modo più pesante e in stile gotico, vederla con un ombretto rosa shocking sarebbe stato molto strano. Sbirciando nella sua trousse notai moltissimi rossetti neri, viola e blu, che mi lasciarono stupita.
Linda, inoltre, aveva pettinato la mia frangetta lateralmente, facendola somigliare più ad un ciuffo.
Stefany era stata presa di mira come me. Le avevano lisciato più possibile i capelli, pettinandoglieli con dolcezza, e Alice l’aveva riempita di mascara e matita nera nella rima inferiore dell’occhio.
Insomma, quella mattina fu insolitamente divertente e furono tante le risate durante il loro lavoro.
Alle sette e mezza scendemmo per colazione, e fu come se un pugno mi colpisse lo stomaco.
Matt non c’era.
Cercai di non darci peso e seguii il gruppo ai tavoli.
Quando ci sedemmo, però, Linda disse: -Come mai Matt, Catherine e Vera non ci sono?
Ok, che quelle due non ci fossero mi era proprio sfuggito, ma voltandomi a controllare scoprii che era proprio così. Quei tre non c’erano.
-Cazzo! Ne sta succedendo di ogni, non ci capisco più niente!- esclamai.
Sentii qualcuno sedersi di fianco a me.
-Saranno da Roger- ipotizzò Mello, mettendosi comodo alla mia destra con il vassoio pieno di cioccolato a pezzetti e fette di toast.
Lo guardai con aria spaesata, mentre Linda diceva: -Si, in effetti ieri quelle due non erano state chiamate! Marianne ti aveva detto che Roger avrebbe preso provvedimenti, no?
-Si, ma non vedo cosa c’entri Matt…- risposi -Non ho fatto il suo nome da lei.
-Te l’avevo detto di tenerle d’occhio…- fece Mello, intromettendosi nel discorso tra me e Linda.
-Forse è andato a fare da testimone contro di loro- disse Alice, alla mia sinistra.
-Lo scopriremo dopo le lezioni, a questo punto credo sia inutile fare ipotesi- ribatté Stefany, addentando la sua brioche.
-Voi ieri che pensavate durante criminologia?- domandò Linda.
-Oh andiamo, quella lì ci prende per scemi- borbottò Alice.
Il discorso prese una piega piuttosto accesa, e discutemmo molto riguardo lo scarso rispetto della nuova insegnante, mettendo in dubbio anche il suo quoziente intellettivo.
Alzandoci per andare a lezione, notai in Mello uno sguardo strano.
Lasciai che le mie tre amiche andassero più avanti senza di noi, così potei chiedergli: -Che hai?
-Sembra che quelle tre ti stiano molto simpatiche.
-A quanto pare. E’ un problema?
-Tsk. Certo che no- esclamò, con tono superiore.
-E allora che cos’hai?- insistetti.
Si voltò a guardarmi bene in viso, e io alzai un sopracciglio.
-Ma guarda come ti hanno conciata…
Scoppiai a ridere.
-Oh, non ti piaccio?- chiesi, con tono malizioso, portandomi l’indice sul labbro inferiore e facendo una posa sexy -E’ questo il tuo problema, non ti piace lo stile?
Lui mi diede una spintarella, alzando gli occhi al cielo.
-Se fai così sembri una di quelle due là.
Risi, prima di seguirlo e entrare nell’aula.
 
*
 
Assenza di Matt, Catherine e Vera a parte, la giornata procedette allegramente. Le ore di lezione non furono così divertenti, ma trattammo vari argomenti psicologici molto interessanti.
Nel pomeriggio, alla fine delle lezioni, mentre mangiavamo la merenda, mi alzai per andare un momento ai bagni. Stavo camminando per il corridoio quando lo vidi.
Near era seduto alla sinistra di un divanetto, sul pavimento, e aveva davanti a sé dei dadi e dei personaggi di lego. Il mobile lo nascondeva dalla vista di chi saliva le scale.
Inizialmente non sembrò accorgersi della mia presenza, ma poi, senza alzare lo sguardo, disse: -Ti aspettavo.
Trovai quella sua affermazione parecchio inquietante.
-Ah si?- risposi.
-Già. Ieri è successo un polverone.
Rimasi in silenzio, ad attendere che lui mi dicesse ciò che voleva farmi sapere.
Le conversazioni con lui erano sempre così, strane, insolite e lente. Esattamente come i suoi ragionamenti.
Continuando a impilare dadi e spostarli, continuò: -Roger non perdonerà questo colpo basso che ti è stato fatto. Indagare sul passato dei componenti della Wammy’s… Specialmente se contro la volontà di tale soggetto… E’ ciò di più grave che qualcuno possa fare.
-Beh, meglio. Almeno Catherine se ne potrà andare a quel paese- commentai.
Lui alzò lo sguardo, e ne rimasi catturata.
I suoi occhi scuri erano determinati, ma spietati, mentre mi diceva: -Attenta, Deborah… Sottovaluti quella ragazza fin troppo.
-Tu sai cos’è successo ieri, in mensa?- gli chiesi, ignorando le sue parole.
Ci fu una pausa.
Poi lui rispose: -Sì… Mello l’ha trascinato fuori. Sembra che gli abbia fatto un serio lavaggio del cervello… E poi sono usciti… Quando sono tornati, poco prima che le due sue amiche rientrassero, Matt aveva uno sguardo a metà… Tra lo sconvolto… E il furioso…
Rimasi di stucco. Non mi sarei mai aspettata che Mello facesse una cosa così… Probabilmente l’aveva trascinato fuori e aveva origliato tutto ciò che era successo tra me, Catherine e Vera insieme a Matt.
-Oh…
-Tuttavia… Rimane il fatto… Che stai sottovalutando i tuoi nemici, Deborah.
-Che intendi dire?- chiesi, accigliata.
Abbassò lo sguardo, mentre il braccio rimaneva sopra una torretta di dadi, nella mano ne aveva uno negativo, nero coi puntini bianchi. Pareva indeciso se appoggiarcelo sopra o no.
-Catherine… Punta alla distruzione emotiva di tutti i suoi avversari. Se non ci è riuscita con te o Mello, poiché ha fallito… Tenterà in tutti i modi… Di eliminare almeno Matt e Vera…
Spalancai gli occhi, mentre gli ingranaggi della mia testa iniziavano rumorosamente a funzionare.
-Quella stronza… Oddio… E’ capace di fare qualsiasi cosa per pararsi il culo…
Near annuì.
Mi voltai e iniziai a correre verso le scale.
Quando spalancai di botto la porta dell’ufficio di Roger, senza bussare o chiedere il permesso, ciò che vidi mi lasciò ancor più sorpresa.
Un anziano signore, avvolto in un cappotto nero, stava vicino alla scrivania di Roger, dove era poggiato un computer portatile, il cui schermo era totalmente bianco, con il simbolo di L al centro.
Davanti ad esso, erano seduti Matt, Catherine e Vera, che si erano girati verso di me, dopo che ebbi chiuso la porta sbattendola.
Dal pc, la solita voce modificata sentenziò: -A quanto pare, Catherine, i miei sospetti non erano infondati…
-Ma non capisci! Mi stanno incastrando!- esclamò lei, facendo le lacrime di coccodrillo.
Io non l’ascoltai nemmeno. Matt era girato verso di me, e i suoi occhi smeraldo mi guardavano con colpevolezza, tristezza, e nostalgia.
Nulla valeva come quello sguardo.
-Deborah…- mi chiamò L, dal computer.
-Si?- risposi, distratta.
-Vorrei sapere la tua versione dei fatti…
Roger, da dietro la scrivania, mi indicò una sedia. Mi ricomposi e, prendendola, la posizionai di fianco a Matt, iniziando poi a raccontare della sera prima. Di come, spingendomi contro la ringhiera, mi avessero confessato tutte le malefatte.
Terminato il mio racconto, Catherine mi squadrava con odio.
-Catherine, ormai i fatti parlano chiaro… Vera, sarai tolta dalla lista dei miei potenziali successori e spedita in un’altra sede. Catherine, credo che tu debba essere espulsa. Tornerai alla sede di Londra, e anche tu sarai tolta dalla lista dei possibili successori… Le regole sono regole.
Lei cercò di protestare, ma L aveva già chiuso la chiamata. Di sicuro aveva di meglio da fare, che stare a far da giudice per noi.
Roger ci ringraziò e ci fece uscire. Vera e Catherine andarono subito via, verso i dormitori, lasciando me e Matt soli.
Ci guardammo per qualche secondo negli occhi, prima che lo abbracciassi così forte da mozzargli il fiato.
-Scusa…
-Sei uno stupido- sussurrai, con il pianto in gola.
Lui mi strinse forte, continuando a ripetere “scusa”.
Rimanemmo così per un po’, prima che ci staccassimo, e gli chiedessi: -Cos’avete fatto tutto il tempo lì…?
Mi spiegò che Catherine lo aveva accusato, scaricando tutta la colpa su di lui, e dicendo che era stata presa dentro perché Vera ci teneva ad aiutarlo. L si era connesso solo il pomeriggio, e aveva sentenziato che avrebbero atteso il pomeriggio lì, per vedere se sarebbe arrivato qualcuno.
Se io non fossi intervenuta, L avrebbe dato per scontato che tutti coloro che non erano presenti ritenevano tutti e tre colpevoli, e di conseguenza avrebbe dato ragione alla bionda.
Il mio arrivo tempestivo nella loro riunione, dovuto alla consapevolezza che Matt fosse innocente, ha smentito ciò che sosteneva Catherine, dimostrando appunto che era Matt ad essere stato incastrato.
-Oh, wow- dissi. A quanto pare, Near mi aveva dato una mano.
-Beh, non ci si poteva aspettare meno da L.
-Meno male che mi sono tirato fuori da questa storia… Dovrò ringraziare Mello!- mi disse.
Sorrisi.
Finalmente tutto era tornato come doveva essere.














Angolo dell'Autrice

Hola mondo!
Sono tornata a pubblicare in anticipo perché prevedo una mia assenza abbastanza permanente da mercoledì prossimo fino a ferragosto... Forse.
In ogni caso questo capitolo è dedicato al mio infame ragazzo, che volendo sapere come continuasse la storia ha minacciato di mangiarmi viva.
Ti amo anche io, eh.
Ringrazio tutti coloro che leggono la mia fanfiction e coloro che, con molta costanza, recensiscono tutti i miei capitoli! Mi riempite di gioia e soddisfazione <3
Vi auguro buone vacanze, mi raccomando non scottatevi!
Un bacio,

ShinigamiGirl



 

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Capitolo 24
*** Kira ***


Le cose non tornarono come volevo.
O almeno, non subito. Ci volle un po’ prima che perdonassi totalmente Matt, anche se mi costa molto ammetterlo. Il ritorno ad essere migliori amici fu lungo e pieno di intoppi.
D’altra parte, mi ero fatta delle nuove amiche. Alice, Linda e Stefany erano diventate quasi la mia compagnia abituale, fatta eccezione per alcuni giorni in cui stavo con Mello e Matt. Avrei voluto che i due gruppi si fondessero, ma non accadde mai.
Vera e Catherine furono mandate davvero via dalla Wammy’s House, e anche se mi avevano fatto dei torti molto pesanti, mi dispiacque.
Mentre facevano le valige non si guardarono nemmeno in faccia, anche la loro amicizia era stata distrutta. Quando Catherine era andata in bagno, avevo tentato un ultimo approccio con Vera. Era sempre stata la mia amica, la mia unica compagna, e nonostante i suoi comportamenti, dopo aver scoperto che era mossa semplicemente dalla gelosia, avevo provato molta pena nei suoi confronti.
-Vera, mi dispiace…- avevo cercato di dirle, nella stanza vuota.
-Vaffanculo Deborah!- aveva esclamato lei, lasciandomi molto amareggiata -Vai, vai dai tuoi Mello e Matt! Non mi hai mai capita, non lo farai di certo ora!
Dopo ciò, era scoppiata a piangere, e non mi ero più sentita di vederla in quello stato.
-Addio- le avevo detto, lasciando la camera.
E da lì, non la rividi più. Né lei, né Catherine.
Le giornate però trascorrevano con una certa routine, che non prese mai una piega monotona. Trovavo divertente chiacchierare con le ragazze, e pian piano conobbi anche alcuni degli altri ragazzi.
David, il ragazzo arrogante che stava nella nostra stessa stanza, si trovò perso quando Catherine e Vera se ne andarono. Era molto legato alla bionda, più che alla mia vecchia amica, ma fu uno dei pochi a dispiacersi della loro partenza. Tuttavia, era molto in sintonia anche con Alice, con la quale spesso discuteva sui quesiti matematici. Roba che capivo, ma non ai loro livelli, preferivo di gran lunga la letteratura e la psicologia.
Linda invece si interessò in maniera piuttosto strana a Near. Lo definiva “il piccolo, grande cervello della Wammy’s”, e passava giorni a studiare i suoi movimenti, tanto che nel gruppo si iniziò a prenderla un po’ in giro, dicendole che c’era qualcosa di più di quello che lei definiva “interesse strategico”.
Ogni tanto mi ritrovavo a fare piacevoli chiacchierate con Jake, troppo timido per conoscere le altre ragazze, e iniziai anche a scherzare volentieri con David, nonostante non mi andasse molto a genio.
Al mio compleanno le ragazze avevano fatto una colletta per comprarmi un Game Boy e la versione Zaffiro di Pokémon, direttamente dall’America, poiché in Europa sarebbe stata disponibile a Luglio. Ne fui felicissima.
Mello non mi fece nessun regalo, ma considerai tale la tavoletta di cioccolato al latte che mi porse. Matt invece aveva partecipato alla colletta del videogioco, ordinando tramite internet il tutto. Non potevano rivolgersi ad un migliore esperto, per fare l’ordinazione attraverso internet.
Per quanto riguardava la classifica, beh, me lo dovevo aspettare. Near, Mello e Matt non si mossero dal primo, secondo e terzo posto. Subito dopo di loro si posizionò Bruce, il ragazzo esile dalla carnagione dello stesso colore del caffélatte.
Lui mi aveva sempre incuriosita, sembrava avere gli stessi atteggiamenti di Near, distaccati ma consapevoli al momento stesso.
Seguivano Francis, Linda e Stefany. Dopo di lei, c’ero io.
Ero ottava, e mi ero persino stupita del mio risultato. Non credevo di giungere tanto in alto, ma non riuscivo a superare mai Stefany, con la quale, però, legai più di tutte.
Mi fece scoprire la lettura fantasy, che io invece avevo sempre snobbato, e condividevamo la passione dei Pokémon, che aveva fatto nascere in me Matt, con la sua cartuccia di Cristallo.
Inoltre eravamo solite scambiarci i vestiti e truccarci insieme, soprattutto la domenica, quando dovevamo andare in chiesa e al picnic con Roger e i suoi sottoposti, che ci tenevano d’occhio. Non era una cosa insolita infatti che, di primavera e estate, ci portassero fuori a mangiare, in un parco di Winchester, dove potevamo svagarci prima di tornare all’orfanotrofio.
Gli studi procedevano con rigore, nonostante la bella stagione, ma non fu pesante. Anzi, l’autunno arrivò presto, come mai avrei immaginato.
Il ventidue di settembre ci fu il compleanno di Stefany, che come regalo da Roger gli chiese di lasciarle la giornata libera insieme a me, Linda e Alice, con un budget limitato, per andare a fare shopping.
Roger fu piuttosto titubante, ma accettando alla sua ambiziosa richiesta ci regalò una giornata fantastica. Stefany ricevette molti soldi, ma Roger ce ne diede anche a noi, che la accompagnavamo, così riuscii a comprarmi un bel vestito e un paio di scarpe pure io.
Il vestito era blu, senza spalline, e mi arrivava a metà coscia. Era costellato di tessuto che si arricciava, facendo molto volume. Le scarpe invece me le aveva consigliate con insistenza Stefany, erano delle zeppe molto alte, tacco dodici, dello stesso colore del vestito, ma con delle pietre bianche e brillanti sui lacci.
Alice acquistò vari accessori gotici e un nuovo rossetto nero, mentre Linda preferì tenerli da parte per un pc che desiderava molto, ma fu allegra e ragionevole nel consigliare a Stefany cosa acquistare.
Io avevo un po’ esagerato comprando un vestito e delle scarpe che non avrei mai usato, ma lei riuscì a prendere molte cose carine. Si procurò vari shorts, un maglione blu col pizzo sulla schiena sotto mio consiglio, una canotta acquamarina con del pizzo sui bordi. Nel negozio successivo acquistò una maglietta rosa confetto, con la stampa di alcuni fiori rosa, che sotto il seno aveva cucito del tessuto con lo stesso motivo, che scendendo aveva una deliziosa forma a campana e dei jeans bianchi aderenti.
Io e Alice invece ci divertimmo a provare vari vestiti, che purtroppo non potevamo comprare, in quanto noi avevamo già finito i soldi.
La sera, quando tornai alla Wammy’s House, ero tentatissima di mostrare il mio nuovo abito a Mello e Matt, ma mi trattenni. Erano maschi, probabilmente non gli sarebbe interessato.
Con loro, tutto quel periodo, ero rimasta la Deborah di sempre, e mi contenevo. Lasciavo andare la mia nuova me, una me più femminile e per certi versi frivola, soltanto con le mie amiche, perché già sapevo come avrebbe potuto reagire Mello.
Spesso pensai di doverlo ringraziare per tutto ciò che aveva fatto per me. Una sera, frugando nel mio cassetto, trovai una foto del biondo. Ricordai che gliela feci in giardino, durante le indagini, per catturare un sorriso che così raramente vedevo su quel volto.
Avevo afferrato una penna, scrivendo “Dear Mello”… Ma poi non seppi più cos’altro scrivere. Mi imbarazzava molto, pensai che fosse una cosa sciocca, così la rimisi a posto e uscii dalla stanza, andando nella sua stanza per vedere lui e Matt, e cercando di farmi passare quella sensazione di imbarazzo.
Anche l’autunno passò tra risate e studi vari, e presto fu quasi inverno.
E fu proprio nei primi di dicembre del 2003 che giunse alla Wammy’s House la notizia che, presto, avrebbe sconvolto le vite di tutti.
 
*
 
-Kira?
-Già, una specie di gioco di parole sul termine “killer”. I giapponesi hanno una pronuncia strana- fece Alice.
-Oh ragazze andiamo… E’ impossibile che uno possa uccidere delle persone a distanza, e addirittura con un infarto!- esclamò Linda, scettica.
Io ero tutt’altro che scettica.
Da quanto era stato detto da Roger, giravano voci che l’ICPO avesse fatto un meeting, e che L si fosse messo al lavoro per scovare questo fantomatico assassino.
-Su, allora ditemi come fa ad uccidere!
-Ma che ne so, Linda- disse Stefany, indispettita -ma dubiti così tanto delle capacità di L? Si sarebbe davvero messo a indagare su qualcosa che non esiste? Le morti ci sono, e quindi una causa c’è. Ed è praticamente impossibile che in cinque giorni e passa siano morti tutti i più famosi criminali, tutti dello stesso malessere, di attacco cardiaco!
Annuii.
-Sono d’accordo con lei- dissi -dobbiamo solo aspettare nuove notizie da Roger. Conoscendo David, starà con l’orecchio attaccato alla porta del suo ufficio per tutto il giorno, pur di scoprire altro.
Alice scoppiò a ridere.
-Hai ragione bella bionda!- esclamò -Quel pazzo non si farà scoprire, e ci dirà tutto quello che scoprirà.
-Ok, io vado da Mello- dissi, sorridendo.
-A dopo!- rispose Linda, con un’espressione ancora perplessa sul volto.
Certo, non era semplice nemmeno per me credere ad una cosa così pazzesca. Era completamente impossibile per una persona uccidere la gente, a distanza e per cause naturali, ma a quanto pare una persona ci era riuscita.
Avevamo sospettato dell’uso di qualche sostanza, ma non ne erano state reperite nei corpi delle vittime.
Appena arrivai nella loro camera, la trovai vuota. Rimasi piuttosto perplessa, così scesi fino alla sala da pranzo, dove trovai metà istituto incantato davanti alla televisione, dove c’era il telegiornale.
Mi sedetti al fianco di Matt, e puntai lo sguardo alla tv.
Un’inviata del telegiornale parlava da una città piena di grattacieli e gente dai tratti asiatici.
-…ed è stato allora che la trasmissione si è interrotta, rivelando che il soggetto ucciso da Kira in diretta non era L, bensì un criminale, che doveva essere giustiziato in giornata. Si è scoperto quindi che Kira non può uccidere tutti, e se ne è confermata l’esistenza! L ha inoltre rivelato che Kira risiede in Giappone, nella regione del Kanto. E questo è tutto, qui è la vostra inviata Lesa Owen, da Tokyo, linea allo studio!
Quando la schermata cambiò immagine, mi voltai subito ad osservare le reazioni di Matt e Mello. Io, da parte mia, ero spaventata, e molto.
Matt abbassò lo sguardo, come se una freccia l’avesse trafitto, mentre il biondo addentò con foga una barretta di cioccolata.
-Allora…?- incalzai.
-Siamo tutti nella merda- fece Mello, senza togliere lo sguardo dalla tv.
-A quanto pare non tutti possono essere uccisi da Kira, però- disse Matt, quasi riflettendo fra sé.
-Probabilmente manderanno i rinforzi a L ora- commentò il biondino.
-Intendi l’FBI?- chiesi io.
-Sì, Capitan Ovvio- rispose lui, con tono di scherno.
Feci una smorfia di disappunto, e tornai a guardare Matt.
-Non essere preoccupata. Di sicuro L risolverà questo casino- mi disse.
-Lo spero…
-Pessimismo portami via…- esclamò, alzando gli occhi verdi al cielo, con un dolce sorriso.
Ridacchiai, mentre Mello, con la sua solita grazia, sbuffava pesantemente davanti alle nostre risate.
-Il pessimismo a volte è realismo!- disse.
-Ma la smetti di fare il gufo?- esclamai, ridendo, e dandogli un pugno sulla spalla.
Mello non ci mise molto a ribaltarmi, superando Matt con un balzo e spingendomi a terra con forza.
Mi fece quasi male, ma continuai a ridere.
Mello sospirò, come se avesse perso le speranze, e si spostò, permettendomi di sedermi di nuovo dritta.
Il rosso intanto se la rideva di brutto, così cercai di buttarlo a terra con tutte le mie forze, esclamando: -Che ingiustizia! Picchia sempre me, ti meriti una lezione!
I miei vani sforzi non gli fecero nulla, e finii un’altra volta spinta a terra, ma stavolta da Matt, che continuava a ridere della mia debolezza.
Feci un fintissimo broncio, alzandomi per andare a prepararmi e coricarmi.
Il giorno dopo era il compleanno di Mello, avrei voluto scrivergli quella famosa lettera, ma non avevo più ripreso in mano la sua foto da quell’altra volta. Mi metteva così tanta agitazione e imbarazzo che non volevo proprio farlo.
Così gli avevo comprato, coi soldi avanzati dallo shopping con Stefany, e sotto consiglio di Alice, un cappotto nero con della pelliccia in alto. L’avevo acquistato nel negozio gotico in cui lei si era rifornita, ed ero abbastanza soddisfatta.
 
*
 
Era ormai sera quando mi decisi a dargli il regalo.
Lui li odiava a morte. Avevo sempre pensato che odiava ogni cosa che fosse felice e allegra, prima di conoscerlo più a fondo.
Eravamo nella sua stanza, insieme a Matt, e nell’angolo c’erano George, Eric e John che borbottavano.
Presi il pacco di carta da regalo rossa e glielo sbattei sulle ginocchia, cercando di avere un’aria minacciosa.
-Se lo rifiuti ti prendo a pugni.
Lui ghignò.
-I tuoi pugnetti mi fanno il solletico, mocciosa.
-Oh, avanti!- esclamai, con disperazione -Che ti costa?
-Molto- rispose, serio.
-Ti vado a prendere del cioccolato- proposi.
Il biondo sospirò.
-Se devo proprio…- borbottò, mentre esultavo.
Matt si sporse per vedere meglio, mentre Mello stracciava con noncuranza la carta regalo.
Appena vide la pelliccia fece una faccia stranita.
-Mi hai regalato un pollo morto?- chiese, con un sarcasmo che solo lui poteva trovare divertente.
Spazientita, tolsi il resto della carta e gli mostrai il cappotto.
-Se non ti piace lo tengo io…- dissi, delusa.
-No… Va beh… Lo tengo- fece lui, distogliendo lo sguardo.
Probabilmente aveva notato la mia delusione e mi aveva voluto accontentare, ma apprezzai comunque il gesto. Significava tanto, da parte sua.
-Ancora auguri!- esclamai, abbracciandolo. Rimase rigido finché non mi staccai, e lo vidi annuire.
-Dai ragazzi ora vado in camera, ho sonno!- dissi, andando ad abbracciare Matt, che era sempre più gentile nei modi di fare, e ricambiava sempre i miei abbracci.
Dopo aver dato la buonanotte anche a George, John e Eric, andai a mettermi il pigiama e andai a letto.
Chissà perché, appena chiusi gli occhi, mi venne in mente L.
Mi chiesi se era davvero in Giappone.
Se avrebbe risolto il caso Kira.
E se l’avrei rivisto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’Autrice
 
Buonsalveee!
Bentornati dalle vacanze, o buon proseguimento delle vacanze, se siete ancora al mare o in montagna!
Io detesto la montagna, ma poi son gusti.
Ok gente, siamo arrivati a Kira (dato che la storia piace) quindi… Grazie per aver letto fin qua, e grazie del vostro sostegno!
Fatemi sapere presto che ne pensate, e intanto vi ringrazio uno ad uno!
Un grosso bacio,
 
ShinigamiGirl



 

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Capitolo 25
*** Comprensioni ***


-Stefany! Dai, svegliati!- urlai, scuotendola.
Quella ragazza sarà stata anche più intelligente di me, ma quando dormiva ci voleva la sirena del Titanic a svegliarla.
Per tutta risposta, fece qualche mugugno e si voltò, coprendosi ancora di più tra le coperte.
-Su, è Pasqua!- esclamai, tirandole via tutto -Oggi sarà una giornata magnifica!
In realtà, non ne ero così sicura.
Dalla comparsa di Kira, c’era un’atmosfera di inquietudine nell’orfanotrofio.
In particolare, poco prima di capodanno, eravamo venuti a conoscenza del fatto che la polizia giapponese si era ritirata in massa dal caso, reazione alla morte improvvisa di tutti gli agenti dell’FBI mandati sul territorio ad indagare.
Per colpa di tutte quelle notizie negative relative al caso Kira, nessuno si era goduto davvero né il Natale, né il capodanno. Roger, nonostante mantenesse l’ordine nell’istituto, aveva l’aria perennemente preoccupata, come mai prima di allora.
Mello diceva che il “vecchiaccio”, come lo chiamava lui, sottovalutava L, che invece avrebbe risolto il caso e riportato tutto alla normalità.
Seguendo i notiziari, spesso mi chiedevo se questo Kira fosse un’entità malvagia, una specie di fantasma, o un dio. Poi ridevo di me stessa, sapevo benissimo che tali cose non potevano esistere.
Matt, come Mello, era fiducioso e sempre sorridente, e il suo umore allegro era totalmente contagioso. Così, tra preoccupazioni e risate varie, mi ero avvicinata moltissimo a Stefany, che aveva preso il posto precedentemente occupato da Vera.
Lei, però, era diversa.
A differenza della mia precedente amica, che preferiva non impicciarsi nei miei affari e non rivelarmi nulla, Stefany era diventata molto aperta nei miei confronti, battendo le mura iniziali della timidezza. Per me, Vera fu una specie di compagna, la compagna di sempre, mentre Stefany riuscì a diventare la mia migliore amica. Con lei era estremamente facile parlare di ogni cosa, e mi trovavo molto bene.
Poi, poco prima del mio compleanno, ci giunse notizia che Kira, sulla Sakura TV, aveva minacciato la polizia e intimato L ad uscire allo scoperto. Tutti eravamo rimasti perplessi, ma fortunatamente la polizia rifiutò di collaborare con quell’assassino.
Infine, per un lungo periodo, non ci fu nessun’altra nuova notizia ai telegiornali, e giunse il mio compleanno, che quell’anno coincideva con Pasqua. La Wammy’s House era molto religiosa, ci portavano sempre a messa, perciò la Pasqua era sempre una grande festa, celebrata portandoci in gita. Mi stavo giusto chiedendo dove ci avrebbero portati, dopo aver rinunciato a svegliare la mia amica.
Linda mi passò di fianco, con un ghigno.
-Quando eravamo al nostro orfanotrofio, la svegliavo col solletico- mi rivelò.
Misi subito in pratica il suo consiglio, e in trenta secondi Stefany era balzata giù dal letto, un po’ intontita e con varie parolacce pronte a uscirle dalla bocca, tra le risate mie e di Linda.
Ci vestimmo e ci preparammo, quel giorno sarebbe stato speciale, e tutti erano eccitati dall’imminente gita.
Appena scesi con le ragazze, cercai con lo sguardo Mello e Matt, e appena li trovai, mi precipitai da loro.
Matt mi accolse con un gran sorriso e la nostra vecchia stretta di mano.
-Buongiorno!- esclamai, con voce trillante.
-Buongiorno il cazzo…- borbottò Mello. Lo osservai meglio, e scoprii una cosa che non avevo mai visto in lui, ovvero un bel paio d’occhiaie.
-Che hai?- chiesi, senza troppi giri di parole.
-Fatti gli affari tuoi- mugugnò ancora, senza nemmeno guardarmi.
-E’ così da quando si è alzato- mi disse Matt, facendo spallucce.
La mia espressione si fece perplessa, ma preferii lasciarlo nel suo brodo. Can che abbaia non morde, dice il proverbio, ma quando si tratta di un cane rabbioso come Mello, è meglio stargli lontano in ogni caso.
-Comunque auguri!- esclamò il rosso.
Abbracciai Matt, ringraziandolo.
-Allora, dove ci portano oggi?- gli chiesi.
L’anno precedente ci avevano fatto visitare lo zoo, ed ero parecchio emozionata.
-Non lo sa nessuno, ma ci sono un paio di bus qua fuori!- mi rispose -Tra poco ci diranno a chi dovremo stare vicini sui pullman…
Tutte le cameriere, infatti, che solitamente pulivano la Wammy’s durante la nostra assenza, avevano in mano delle liste e stavano sistemando in file le persone davanti alla porta d’ingresso.
Quando arrivarono a noi, fui messa al fianco di Linda, e cacciai un sospiro di sollievo. Non era Stefany, né Matt, ma almeno non era nessuno di quelli che soffriva di mal d’auto. Non avrei sopportato di stare davanti.
Qualche secondo più tardi sentii qualcuno, un qualcuno anche fin troppo familiare, iniziare a imprecare come non mai, facendo improvvisamente zittire tutti.
Mi voltai, pronta a urlargli qualcosa, e vidi che due cameriere cercavano di trattenerlo vicino a Near, tirandolo per le braccia come in un cartone animato. Esplosi.
Iniziai a ridere in maniera incontrollata, spostando le attenzioni anche su di me.
Mello divenne tutto rosso e si mise a imprecare anche contro di me, facendomi ridere ancora di più.
-Che cazzo hai da ridere? Rincretinita! Sei solo una deficiente, esattamente come questo tizio candegginato!
Dopo un po’, mi voltai verso Linda, con uno sguardo di scuse, e mi avviai verso di loro, asciugandomi le lacrime che mi erano scese dopo così tante risate.
-Sto io vicino a Near… Vai da Linda, scemo- dissi, posizionandomi alla destra del nanetto.
-Non dirmi quello che devo fare, mocciosa! Ma finalmente hai fatto qualcosa di utile. Era anche ora. Preferisco la spastica coi codini al fratellino minore di Mastro Lindo!
Mi feci scappare una risatina, mentre lui se ne andava e Linda lo fissava avvicinarsi, con odio profondo negli occhi nocciola.
Mi resi conto della cavolata che avevo combinato soltanto appena saliti sul pullman. Near, seduto male com’era, occupava metà del mio posto, e si era accaparrato quello più vicino al finestrino.
Dopo qualche minuto di viaggio, già non ce la facevo più.
-Senti, ma non puoi stare meno svaccato?- chiesi, irritata.
Near mi ignorò, continuando a guardare fuori dal finestrino, come perso nei suoi pensieri.
-Ehi!- esclamai, schioccando le dita davanti alla sua faccia.
Le scansò con la mano, con una pacatezza che mi diede sui nervi. Abituata com’ero ai modi di fare di Mello, la lentezza era qualcosa che ormai ritenevo irritante.
-Ti ho sentita…
-Ma non ti eri mosso- puntualizzai.
-Già… Stavo pensando a Kira…
-Oh Gesù, no. Ti prego, è compito di L, non nostro- sbottai.
Lui si voltò, sedendosi finalmente come una persona normale, anche se aveva tenuto un piede sul sedile, piegando la gamba per poter appoggiare la mano al ginocchio.
-Stavolta- iniziò -E’ bene tenersi pronti. Sembra che… L’avversario di L… Sia piuttosto intelligente.
Sospirai, non c’era nulla da fare.
Per il resto del viaggio non proferimmo altre parole, mentre sul pullman si udiva un continuo chiacchiericcio.
Poi, giungemmo alla destinazione, e tutti esplosero in grida di gioia, con rare eccezioni. Ci trovavamo davanti ad un parco divertimenti.
 
*
 
Con tutti i soldi che L guadagnava, non mi sarei dovuta stupire, ma alloggiare per una giornata un intero parco divertimenti solo per noi pareva una cosa esagerata.
Io e Stefany, nonostante non avessimo mai conversato a proposito dei luna park, ci trovammo d’accordo nel correre verso le giostre più adrenaliniche dell’intero parco divertimenti.
Siccome non c’era fila, una cosa da pazzi, salimmo almeno un paio di volte su ogni singola giostra, fatta eccezione per le varie montagne russe a tema, che ripetemmo ben oltre le due volte. Provammo di tutto, prima a stare nei primi posti, poi sugli ultimi, infine al centro, e già all’ora di pranzo io non avevo più voce per quanto avevo urlato.
Obbligai Matt a seguirmi su una giostra adrenalinica ad ascensore, dotata di un movimento a caduta, da cui lui pareva parecchio terrorizzato, e mi divertii nel sentirlo urlare più di me, mentre precipitavamo dall’altezza di trenta metri.
-L’ho fatto solo perché oggi è il tuo compleanno- mi disse, quando scese, tremante come una foglia.
Mello invece non si lasciò convincere, e non salì su nessuna giostra, tranne quelle normali, che avevano lo scopo di farti fare il giro del parco in modo panoramico, come un trenino e una specie di Shuttle in miniatura, che girava il parco a qualche metro d’altezza e passava tra le strutture delle montagne russe.
La giornata fu magnifica, ma passò davvero in fretta.
Linda, mentre uscivamo dal parco, mi afferrò per il braccio.
-Senti, io non ci sto vicino a quello sclerato, ti prego, fammi stare vicino a Near- mi disse.
-Beh… Tanto rompono entrambi alla stessa maniera.- le risposi -Fai come meglio credi!
Linda mi ringraziò come se l’avessi appena salvata da morte certa, e quando salimmo sul pullman io mi sedetti sul posto a metà, mentre lei andò indietro, vicino a Near.
-Che cazzo fai?- chiese Mello, con tono seccato.
-Ma che bella accoglienza- risposi io -Linda non ti sopportava.
-La cosa è reciproca- mi informò lui.
-Non te l’ha chiesto nessuno- dissi.
-Che hai, ti hanno messo un peperoncino nel culo?
Mi voltai verso di lui con la bocca semiaperta dalla sorpresa e dall’irritazione.
La chiusi di scatto e mi decisi a ignorarlo, mettendomi più comoda e chiudendo gli occhi. Ce l’avevo con lui, in parte perché non mi aveva ancora fatto gli auguri, e in parte perché già fin da quel mattino era stato intrattabile. Ora toccava a me fare l’intrattabile.
-Sto parlando con te, mocciosa- disse.
-Mello, non rompere i coglioni.
-Oh, ma ce l’hai con me?
Beh, non potevo tenerglielo nascosto per sempre. In fondo, era il secondo più intelligente della Wammy’s, anche se questo pensiero iniziava a darmi sui nervi. Aprii gli occhi e mi girai verso di lui.
-Buongiorno il cazzo- lo scimmiottai, facendo una vocetta stridula e una faccia truce.
Lui ci mise qualche secondo a reagire. Lo avevo sorpreso, ma poi fu lui a fare lo stesso. Diventò poco a poco rosso dalla rabbia, e attesi la sfuriata imminente. Invece, si girò di scatto verso il finestrino e si zittì.
Con una faccia perplessa, gli misi una mano sul braccio, ma la scansò con rabbia.
-E’ inutile che ti preoccupi di cosa ho io, se non mi dici che cazzo hai tu!- esclamai, in parte ferita da quel gesto.
Lui non accennò a rispondere.
-Sei uno stronzo, però!- gli dissi, tornando a sedermi rannicchiata sul mio sedile, con la testa tra le ginocchia.
Quanto lo odiavo. Non riuscivo a capirlo, era imprevedibile, e nessuno poteva trapassare il muro che aveva eretto intorno ai suoi sentimenti. Un muro di odio, rabbia e menefreghismo.
Ripensandoci, forse sarebbe stato meglio passare il viaggio con Near. L’arrivo alla Wammy’s House per me fu la liberazione, mi alzai e finalmente lo lasciai lì da solo.
Avevo quattordici anni, ma con quel gesto mi sentii molto più grande.
 
*
 
Era stata solo presunzione, altro che maturità improvvisa. Me n’ero andata come una bambina testarda, ma mi ero sentita in modo diverso, perché non avevo pianto.
In ogni caso, quando ne parlai con Stefany, nella nostra stanza, lei fu molto sincera.
-Secondo me devi lasciarlo perdere, non puoi stare male, lui è fatto così, punto- mi disse.
-Forse non dovevo colpevolizzarlo per i suoi malumori- ipotizzai, un po’ preoccupata.
-Beh, no- ammise.
Mi morsi il labbro inferiore, piena di insicurezze.
-Però non fartene una colpa, adesso andrai a dar loro la buonanotte, e andrà tutto meglio- mi disse con un sorriso.
-D’accordo! E tu cosa mi dici dei tuoi nuovi occhiali?- le chiesi, con un mezzo sorriso.
Sapevo che presto la sua nuova montatura, dalle linee strette e argentate, sarebbe stata sostituita.
-Oddio, non parlarmene. Non so quale scegliere, sicuramente faranno tutte schifo- commentò.
Dopo un altro po’ di chiacchiere, mi diressi alla stanza dei miei due amici. Sperando che lo fossero ancora entrambi. Mi accorsi che, però, erano appena stati mandati alle docce, così entrai per aspettarli, ma trovai una brutta sorpresa.
Mello era sdraiato sul letto, fissava il soffitto e una tavoletta mezza mangiucchiata stava vicino al suo fianco destro.
Per un attimo pensai di andarmene, ero stufa di dover essere io a chiedere scusa.
-Deborah, cercavi Matt?- domandò Mello, osservandomi da sdraiato.
Stranamente, aveva un tono tranquillo.
-Non esattamente, ma sì, volevo dare anche a lui la buonanotte- dissi, entrando e utilizzando lo stesso tono neutro. Mi sedetti sul letto di Matt, davanti a lui, e fissai il pavimento, cercando di non far trasparire alcuna emozione.
-La notte scorsa non avevo dormito molto, per questo ero accigliato- confessò, tornando a guardare il soffitto.
Osservai per qualche secondo i suoi occhi di ghiaccio, senza saper bene cosa dire.
-I fantasmi del passato non tormentano solo te…- borbottò, tornando a guardarmi, e i nostri occhi si incontrarono.
Nel suo sguardo c’era qualcosa che non riuscivo bene a definire, forse timore, paura, o ancora odio?
Stetti in silenzio, attendendo cosa mi avrebbe detto.
Si alzò e si sedette rivolto a me.
-Ricordo solo urla e cattiveria in quella notte, siccome avevo solo tre anni e mezzo. Vuoi davvero sapere?
Ero catturata dalla sua voce, dal modo in cui mi stava parlando.
Annuii.
-Semplicemente, mia madre strangolò mio padre- man mano che raccontava, la sua voce si faceva sempre più furiosa, e cercava di trattenersi -E poi, dopo avermi visto, si buttò dal balcone, chiedendomi scusa.
Quando alzò lo sguardo, vidi due occhi spietati, che facevano gelare il sangue nelle vene.
-Non ho mai accettato quelle scuse- disse, con decisione.
Non avevo più controllo della mia espressione, probabilmente era scioccata, o spaventata. Lui mi osservava in silenzio, come se dovessi esplodere da un momento all’altro, ma non sapevo cosa dire o cosa fare.
-Non immaginavo…- sussurrai, ma mi bloccai. Avevo la gola secca, parlare mi sembrava qualcosa di impossibile, mentre iniziavo a sbattere le palpebre.
Avevo gli occhi lucidi, ma non volevo piangere.
Mello si alzò e mi si avvicinò. Si abbassò e, con la punta del dito, catturò una lacrima che stava per scappare dall’angolo del mio occhio.
-Ormai è andata- disse, e potevo sentire il suo respiro sul viso -Non piangere per questo.
Improvvisamente sentii l'istinto morboso di saltargli addosso e piangere abbracciandolo.
-Mello, io...
-Ehi ragazzi!- esclamò improvvisamente Matt, facendo irruzione con un asciugamano che gli copriva dal bacino fino alle ginocchia -Come va?
Mello si allontanò istantaneamente da me, e rispose: -Bene, bene.
Si girò verso di me.
-Ah, comunque… Auguri.
Mi lasciai scappare un sorrisino, che sparì quando Matt mi fu più vicino.
Non lo avevo mai visto mezzo nudo, e divenni rossa come un peperone quasi subito, anche se c’è da ammetterlo, non era niente male.
-Ma cazzo, copriti!- esclamai, mettendomi una mano sugli occhi.
I due bastardi iniziarono a ridere, mentre io uscii dalla stanza.
-Non me lo dai l’abbraccio della buonanotte?- gridò Matt, mettendo una gamba fuori dalla porta, forse per imitare qualche donna sexy di qualche film comico, mentre io ero già in corridoio.
A quella vista, scoppiai a ridere.
-Neanche morta, domani!- esclamai, voltandomi e continuando a camminare verso la mia stanza.
Quel ragazzo era da ricovero, ma aveva davvero un fisico fantastico.
Scossi la testa, cercando di non pensarci, e mi tornò in mente ciò che era successo con Mello. Quella notte ci avrei messo un po’ ad addormentarmi.

















Angolo Autrice

Dopo volontariato, avevo voglia di aggiornare.
Sono ustionata, stanca e in piedi da ormai quasi 20 ore, ma ci tengo moltissimo a ringraziare ognuno di voi lettori, che mi riempite di gioia con ogni visita, recensione o aggiungendo in qualche vostra lista la mia storia.
Vi ringrazio con i miei più sinceri sentimenti.
Di certo la fanfiction non è finita, ma mi sto divertendo ora che Kira si avvicina...
Vedremo!
Alla prossima e buona scuola per chi inizia in questa settimana!
Un bacione,

ShinigamiGirl

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Capitolo 26
*** L'inizio delle pazzie ***


Girai la leggera pagina del libro.
Il fruscio della carta era un suono che accarezzava il mio udito soavemente, nel mezzo del silenzio della biblioteca.
Stefany, seduta al mio fianco, aveva il naso immerso in un libro più grosso della sua faccia, “Il Signore degli Anelli”. Scorreva le righe velocemente, come se divorasse ogni parola senza pietà.
L’opera che stavo leggendo io, invece, era di dimensioni più modeste, ma dalle pagine delicate come quelle della Bibbia. Tuttavia, anche quello era stato scelto e consigliatomi dalla mia amica, ora persa nel mondo fantasy che tanto amava.
Il libro che mi aveva destinato era un romanzo inglese, intitolato “Cime Tempestose”, di cui avevo già sentito parlare, ma che non avevo mai provato a leggere.
Non avevo mai amato i libri polverosi e datati, eppure quello mi aveva catturata. L’intrigante storia tra Heathcliff e Catherine stuzzicava la mia curiosità, e il lessico antiquato ma mai ripetitivo mi invogliava a continuare. Mi ero fatta varie idee sui protagonisti, ma essendo solo a metà libro, preferivo non esprimermi su ciò che pensavo.
Guardai per un secondo la finestra sopra di me.
Fuori, le foglie ingiallite cadevano volteggiando, ed era un sollievo stare comoda e al caldo sui cuscini della biblioteca, tra gli scaffali pieni di sapere e cultura. La cappa di nuvole grigie era ormai perenne sul cielo di Winchester, ed era un clima che mi metteva angoscia e malinconia.
Faceva tornare alla mente varie vicende passate che non volevo ricordare.
Qualche mese prima, anche Mello mi aveva raccontato del suo passato, ed io l’avevo custodito gelosamente, per sentirmi meglio quando iniziavo a rimuginare sulla mia infanzia. Il nostro rapporto non aveva comunque subito alcun cambiamento, anzi. Piuttosto, mi divertivo a passare i pomeriggi con Stefany o Matt, che tra l’altro si era acquistato varie console ed era passato da giocare ai dolci e teneri Pokémon a videogiochi senza senso, in cui l’unico scopo era uccidere mostri, zombie e altre persone.
Quando non era immerso in quelle noiose partite, era ancora piacevole la sua compagnia.
Il rapporto con Mello è sempre stato strano, ogni volta decideva lui quando aprirsi, quando fare un passo in più per la nostra amicizia, ma per il resto del tempo non sembrava nemmeno tenere ad essermi simpatico.
Improvvisamente mi venne in mente di come Heathcliff si comportasse nei riguardi di Catherine, non dimostrandole mai nulla ma evitandola quando lo feriva, e scossi la testa. Non potevo paragonare il rapporto turbolento di quella coppia con la semplice malavoglia e asocialità del biondo.
-E’ da un po’ che guardi fuori dalla finestra… Cosa trovi di interessante?
Rivolsi il mio sguardo a Stefany, che aveva chiuso il libro e si era sdraiata di schiena sui cuscini, fissandomi da dietro il suo nuovo paio d’occhiali.
In realtà non era così nuovo, li aveva da qualche mese ormai, e mi stupivo sempre di più di come le stessero bene. Era un modello di Chanel, dallo stile moderno ma anche un po’ retrò. Le lenti erano abbastanza grandi e quasi quadrate, la montatura invece viola e scura.
-Riflettevo- risposi.
-Sai che è quasi inverno? Manca poco ormai.
-Già.
-Non abbiamo avuto ancora notizie.
-Sappiamo bene cosa significa…
-Si, ma la cosa non fa che mettermi in ansia!- esclamò lei, con tono preoccupato.
E come darle torto?
Se L non ci contattava e non ci dava informazioni, significava solo che era troppo vicino a Kira per poterci contattare. Ergo, era anche in pericolo di vita, e questo non rassicurava nessuno all’orfanotrofio.
-Anche a me fa paura- ammisi, abbassando il capo.
-In realtà non dovremmo averne troppa, ma a quanto pare solo noi ci rendiamo conto di cosa significhi Kira in libertà…- borbottò lei, quasi tra sé.
-Purtroppo la gente comune sta iniziando ad arrendersi e prendere le cose come vengono. E anche se questa diventerà responsabilità di Mello o Near… Cosa che non succederà- aggiunsi con fermezza -credo che noi saremo comunque coinvolte.
-Hai ragione… Sicuramente, Kira risalirà da Watari al nostro orfanotrofio e a tutti gli altri…- disse, con tono allarmato, con gli occhi che scattavano da un lato all’altro mentre facevano calcoli su calcoli.
Uno dei rari difetti di Stefany erano le paranoie che si faceva. La sua intelligenza non aiutava la situazione, come ad esempio nei suoi attacchi di ipocondria.
La sua profonda conoscenza della medicina e delle malattie le faceva attribuire infinite diagnosi su qualsiasi dolorino che sentisse in corpo, per poi scoprire che era solo un semplice livido.
Le diedi una spintarella sul fianco.
-E dai, non iniziare- la ammonii, sorridendo.
-Oddio scusa, hai ragione… Non posso farne proprio a meno!
Siccome ad entrambe era passata la voglia di leggere, uscimmo dalla biblioteca, tenendo sottobraccio i libri per portarli nella nostra camera.
Lei decise di farsi una doccia, così mi misi ad aspettarla in corridoio, con “Cime Tempestose” in grembo. Dopo qualche minuto, la noia prese sopravvento e ricominciai a leggere il romanzo.
Ero quasi giunta al termine della vita di Catherine, quando sentii qualcuno nelle vicinanze. Un tempo mi sarei pentita di aver alzato lo sguardo, ma ora la sua vista mi lasciava indifferente, forse per l’ossessione di Linda nei suoi confronti.
-Ciao Near- lo salutai, con tono abbastanza distaccato.
Lui si limitò a osservarmi con curiosità, analizzò il libro che avevo tra le mani e, come sempre, disse qualcosa che non c’entrava nulla con tutto quanto.
-C’è molto silenzio… Da troppo tempo…
Quasi sbuffai.
-Siamo in corridoio, sono tutti a studiare o farsi i cavoli propri. Credo sia ovvio che ci sia silenzio!
-Ovviamente… Ma… Credo che tra non molto… Ci sarà dello scompiglio…- disse, arricciandosi la ciocca di capelli con l’indice.
Mi rifiutai di ascoltare i suoi ragionamenti senza senso.
-Allora, Linda continua con la sua opera di spionaggio?- chiesi, maliziosa.
Lui mi fissò come se stesse guardano uno scarafaggio.
-Si…- rispose, dopo una lunga riflessione -Ma non capirà mai nulla di me…
-Se io non riesco a capire Mello, dubito che lei riuscirà mai a comprendere te.
Scorsi sul suo volto l’ombra di un sorriso.
-Mello… Mello… Sicura di non comprenderlo…?- domandò.
-Credo proprio di si. Conosco alcuni suoi perché, ma altri mi sono totalmente sconosciuti… Nessuno arriverà mai a capirlo. Esattamente come con te ed L.
-Vedremo- esordì sornione, andandosene con la sua camminata mezza ingobbita.
Parlare con quell’albino era sempre ambiguo, e aveva iniziato a divertirmi, soprattutto perché era un bel passatempo provare a comprendere le sue parole.
Continuai la mia lettura finché non giunse Stefany, e ci dirigemmo di nuovo nella nostra stanza.
 
*
 
L’inverno fu lento, e per certi versi noioso.
Il Natale, L non ci chiamò per la sua solita conferenza natalizia, e questo instaurò del malumore in tutti noi. Kira lo impegnava fin troppo, e molti di noi non potevano evitare di preoccuparsi. Persino io, che avevo piena fiducia in lui, temevo che il suo nemico potesse avere la meglio, ma Mello mi ripeteva di continuo che L ce l’avrebbe fatta, e in un certo senso la sua determinazione mi aiutò ad avere più fede.
Era ormai da moltissimo tempo che non erano ricevute alcune informazioni, e Roger, quando girava per i corridoi e arrivava a visitarci durante le lezioni, aveva un sorriso amaro e malinconico. Non sapevo che tipo di rapporto avesse con L o Watari, ma sembrava essere il più preoccupato tra tutti.
Pregavamo tutti che la battaglia finisse con la vittoria del nostro favorito, io stessa lo vedevo persino come la nostra unica speranza.
Arrivarono gli inizi di maggio, dopo aver passato un sedicesimo compleanno meno sfarzoso delle altre volte, con un semplice festeggiamento nell’istituto. Solitamente ogni orfano attendeva con ansia la maggiore età, eppure, più mi avvicinavo ad essa, più mi rendevo conto di non sapere minimamente cosa volessi farne della mia vita.
Ci stavo pensando proprio mentre andavo a prendere del cibo in cucina, pensare mi metteva spesso fame.
Appena entrai, beccai Mello mentre arraffava decine di tavolette di cioccolato da una credenza bassa. Altre, quelle al latte, erano posate sul piano di lavoro di marmo bianco.
Mi avvicinai al mobile e aprii una delle ante scure, e non appena valutai la quantità di cioccolata che si stava portando via, spalancai gli occhi dallo stupore.
-Ma dove te la nascondi tutta quella roba?- chiesi, indicando la montagna di tavolette.
-Di certo non verrò a dirlo proprio a te. Saresti capace di rubarmi quelle al latte!- esclamò lui, in malo modo.
-Constatazione corretta- esordii, chiudendo la credenza e prendendone una dalla sua pila.
-Ecco, dannazione!- fece lui, cercando di prenderle tutte e allontanarle da me.
Feci un ghigno, mentre scartavo il mio bottino. Mi avvicinai alla sua faccia, scimmiottando il suo sguardo gelido, mentre addentavo la tavoletta facendola schioccare.
-Io non sono così patetico- sentenziò, leggermente irritato.
Sospirai, e mi appoggiai al bancone fissando l’altra parete, mentre mangiavo quel cioccolato paradisiaco. Pensai che sarebbe stato meglio sopra il morbido Pan di Spagna, ma me ne accontentai.
Intanto, Mello ficcò tutta la cioccolata in una borsa di stoffa arancione, e fece per andarsene. In fin dei conti, non parlava spesso con me, anche se sicuramente ero la ragazza con cui conversava maggiormente. Si era esposto con me, e forse era proprio per quel motivo che cercava di starmi lontano. Magari pensava che stessi architettando qualche strana idea per annientarlo, me ne dava l’impressione, a volte. Per questo motivo non riuscivo ad essere sempre me stessa con lui, anche qualche momento prima, fosse stata Stefany a fare quel commento ironico, ci avrei riso su e avremmo continuato a parlare.
Invece mi ero allontanata, lasciandolo stare, come se avessi paura di fare qualcosa di male.
Abbassai lo sguardo, aspettando che uscisse, ma dopo qualche minuto non avevo ancora sentito la porta chiudersi, così alzai il capo, e lo vidi ancora lì, a fissarmi.
Arrossii leggermente, senza dire nulla.
-Hai paura?- mi domandò.
-No…- risposi subito, quasi sulla difensiva, non capendo bene a cosa si riferisse.
-Ne sei sicura?
-Ma che domande fai?- borbottai, mangiando un altro quadratino della tavoletta.
-Andiamo. Spiegami perché ti comporti in modo diverso con me. Le opzioni non sono molte.
Fantastico, pensai. L’aveva notato. Un’altra cosa che odiavo di Mello, era che non potevo tenergli nascosta una beneamata mazza. Cercai di arrampicarmi sugli specchi, benché sapessi bene che con lui fosse totalmente inutile.
-In che senso?
-Sei sempre attenta a quello che dici, quello che fai, non scherzi mai troppo con me, lo fai per istinto, perché sei così di carattere, ma subito dopo ti imponi di smetterla come se fosse sbagliato, mentre con gli altri ti lasci andare. O hai paura di me, oppure hai qualche altro timore, come il mio giudizio ad esempio.
Rimasi colpita dalla sua analisi dettagliata.
-Non lo so- cercai di difendermi, distogliendo lo sguardo.
-Io invece si- affermò deciso, lasciando a terra il sacchetto e avvicinandosi a me.
Mi afferrò le spalle e mi guardò dritta negli occhi, e anche la mia tavoletta di cioccolato cadde a terra, mi aveva colta di sorpresa.
Si avvicinò ulteriormente col viso e sussultai.
-Smettila di avere quella merda di paura di perdermi come era successo tempo fa con Matt. E sii te stessa, cazzo! Non ti mangio, cretina.
Mi morsi il labbro inferiore, abbassando il capo.
-Ok…- sussurrai.
-Sto dicendo sul serio! Guardami porca troia!- esclamò, e tornai ad osservare i suoi occhi glaciali -Promettimi che non avrai paura. Questa ansia te la devi togliere dalla testa, o non saprai mai chi diventare.
-Io posso diventare chi voglio e come voglio- ribattei.
-Sappiamo benissimo entrambi che non vuoi diventare il successore di L… Allora dimmi… Qual è il tuo scopo?- chiese, con tono pungente.
Rimasi zitta.
Aveva ragione, ed ero stufa che le cose andassero così. Non erano le donne ad avere sempre ragione?
-Senti ok… Ho capito il discorso…- tagliai corto.
-Guarda che ci tengo a te, non fare puttanate- ordinò, lasciandomi le spalle e uscendo dalla stanza, subito dopo aver preso la sua borsa.
Chinai la testa, e osservai la mia tavoletta di cioccolato al latte, ancora per terra.
Con la sua ultima frase, era come se mi avesse pugnalata al cuore.
Quelle ferite, però, erano strane… Non bruciavano… Ma scaldavano un vuoto.
E Near non aveva ragione, perché io non avevo capito nulla di Mello.
 
*
 
Quando mi alzai, quel giorno, non feci molto caso all’assenza di Mello. Mi vestii ridendo e scherzando con Stefany, e scendemmo con Linda e Alice per fare colazione, come sempre.
Erano passate alcune settimane da quella famosa discussione, che mi aveva forse aiutata ad essere più me stessa e ad essere più sicura nelle mie decisioni.
Fu proprio quando notai il posto vuoto a capotavola, dove solitamente stava Near col suo bicchiere di latte, che iniziai a preoccuparmi sul serio.
Vedere Matt fare ingresso nella sala da pranzo, però, mi trattenne dall’andare a controllare che il biondo non stesse pestando a sangue il suo caro rivale.
-Dov’è Mello?- gli chiesi.
-Stamattina, appena alzati, uno dei segretari di Roger è venuto a chiamare sia lui che Near- mi spiegò il rosso, prendendo posto al mio fianco.
Annuii.
C’era solo da attendere, e non dovetti nemmeno aspettare troppo. Quando avevamo appena finito la colazione, vidi l’albino entrare e recuperare il suo latte con la solita aria indifferente e distaccata dal mondo. Attesi qualche minuto, ma del biondo nessuna traccia.
La prima cosa che mi venne spontanea da fare, fu andare da Near e chiedere anche a lui: -Dov’è Mello?
Stranamente si voltò subito nella mia direzione, analizzandomi con occhi vuoti. La sua espressione riflessiva era più distaccata del solito, e aveva un che di inquietante.
-Credo che stia facendo le valige…
-Le valige?- chiesi, allarmata, ma non ricevetti risposta.
Mi precipitai da Matt, lo afferrai per il braccio e lo trascinai verso le scale che conducevano ai dormitori.
-Ehi, ma che ti prende?- mi chiedeva lui, ma ero troppo presa dal panico per rispondere, finché non giungemmo davanti alla loro stanza.
La porta era spalancata, e Mello stava infilando con rabbia vari vestiti in uno zaino.
-Mello, ma che cazzo fai?- chiese Matt, entrando e avvicinandosi a lui con aria sorpresa.
-Me ne vado di qui.
Le sue parole furono schiaffi in pieno viso.
-Che diavolo stai dicendo? Devi esserti fumato qualcosa di pesante!- esclamò il rosso, tentando di posargli una mano sulla spalla, ma lui la scansò con irritazione.
-L è morto!- esclamò, voltandosi a guardarlo negli occhi.
Il silenzio calò di botto.
Ci misi anche io qualche secondo a rielaborare l’informazione.
L.
Morto.
Kira aveva vinto.
E noi, noi… Cos’eravamo dunque al suo cospetto?
Formiche.
Rimasi sulla porta, fissando il pavimento con gli occhi sbarrati. Non era possibile.
-Scherzi vero…?- balbettò Matt, incredulo quanto me.
-Non lo farei mai su una cosa simile- rispose, serissimo.
Fu allora che alzai lo sguardo, e incrociai il suo. Quegli occhi glaciali mi catturarono come un magnete.
Erano lucidi, arrossati, pieni di dolore e rabbia come non mai. Lui abbassò quasi subito il capo, come per non mostrarmi la sua debolezza.
Entrai nella stanza facendo solo qualche passo, e mi fermai ad osservare lo zaino di Mello. Era già pieno, e ne spuntavano vestiti e cioccolata.
-Dove credi di andare, cosa pensi di fare?- domandai, con un tono così duro che me ne sorpresi persino io stessa.
-Darò la caccia a Kira.
-E cosa speri di fare da solo? Sentiamo!- sibilai.
Lui parve infuriarsi ancora di più.
-Non lo so! Ma di certo non mi farò fermare da una mocciosa come te!- esclamò.
-Hai solo sedici anni! Saranno pur diciassette a dicembre, ma non puoi ancora lavorare, non sopravvivrai e morirai senza avere nemmeno il tempo o la speranza di arrivare in Giappone!- gli urlai addosso -Smettila di fare la testa calda! Noi siamo solo ragazzini, non siamo nessuno!
-Tu non sei nessuno! Io sono il vero successore di L, che riconquisterà il ruolo da chi gliel’ha rubato!
Si riferiva chiaramente a Near. Probabilmente era stato proclamato lui al suo posto, ma ero troppo furiosa per dispiacermi.
-E allora vai a morire sulla strada!- sbottai, uscendo dalla stanza e sbattendo la porta.
L era morto, Kira avrebbe dominato il mondo e Mello era completamente impazzito, non poteva andare peggio. L’unica con un minimo di senno sembrava proprio che fossi io.
Mi chiusi in camera, cercando di trovare una soluzione. Come aveva detto lui poco tempo prima, non volevo perderlo.
All’esterno della Wammy’s House, nessuno aveva abbastanza soldi per mantenerci, figuriamoci per svolgere delle indagini, ma convincerlo a restare era totalmente fuori discussione.
Io stessa, però, non volevo lasciare l’orfanotrofio, né Stefany, né Matt. Eppure, permettere che Mello finisse per strada e morisse per la sua terribile impulsività mi sembrava qualcosa di inaudito.
Ero pronta a lasciare ciò che io definivo casa? No.
Ero disposta a farlo per Mello? Si.
Mi avvicinai al mio comodino, sedendomi sul letto. Aprii il secondo cassetto, quello che chiudevo sempre a chiave, con un’idea terribilmente stupida in testa. Frugai tra le cianfrusaglie, gettandole sulle coperte, e alzai il sottofondo del cassetto, estraendone il contenuto.
Appoggiai la pistola sulle mie ginocchia, tenendomi la testa tra le mani.
Era una pazzia, ma poteva funzionare.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’Autrice
 
Mi scuso infinitamente per il tremendo ritardo, ma quest’anno è molto impegnativo per me e non ho molto tempo libero a mia disposizione…
Anche perché la mia scuola ha deciso di fare un trimestre e un pentamestre, così in questi primi mesi dovremo fare un casino di verifiche in un periodo limitato.
Me ne scuso.
In ogni caso vi ringrazio moltissimo se avrete la pazienza di continuare a seguirmi, spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento e vi sono grata per le gentilissime recensioni che mi lasciate! Sono molto importanti per me, perché il vostro parere mi sta molto a cuore.
Fra qualche giorno risponderò alle recensioni a cui non ho ancora dato risposta, vi ringrazio della vostra pazienza!
Un bacione, spero di aggiornare il più presto possibile!
 
ShinigamiGirl

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Capitolo 27
*** L'eredità di Sonia ***


-Sei così sicura della tua scelta…?- chiese ancora Stefany.
Annuii per l’ennesima volta, cercando di chiudere lo zaino con prepotenza. A quanto avevamo intuito, Mello avrebbe approfittato del buio per scappare, e infatti avevamo appena finito di cenare.
Eravamo nella nostra stanza, da sole. Le avevo chiesto di tenere d’occhio il cortile dalla finestra, in modo da vedere subito il fuggitivo, mentre io preparavo le mie ultime cose.
Svuotai i cassetti, lasciandovi dentro solo varie lettere e documenti, senza pensarci troppo.
-Non ci vedremo mai più, se le cose stanno così- disse la mia amica, con tono improvvisamente malinconico.
-Sai dove trovarmi, in un certo senso- replicai, più decisa possibile -cercherò di evitare che questa storia tronchi la nostra amicizia… Ci proverò davvero.
Chiusi lo zaino con un ultimo strattone e mi avvicinai alla finestra. Appena fui lì, notai la lacrima che le aveva rigato la guancia. Stefany si voltò, e ci abbracciammo con forza, per non dimenticare.
-Il tuo piano è pericoloso…
-Lo so- ammisi, mentre anche i miei occhi si stavano inesorabilmente appannando da altre lacrime.
-Sicura che i nostri soldi ti bastino? Potremmo chiederli anche a Alice e Linda…
-Basteranno. In fondo il viaggio è coperto- la rassicurai.
Mi aveva dato tutti i suoi risparmi, non erano molti, ma uniti ai miei erano sufficienti per ciò che avevo in mente. Inoltre, Mello non era così sciocco da scappare senza un penny in tasca.
Dopo esserci staccate, indossai un berretto e la giacca nera aderente che Stefany mi aveva ceduto, per evitare di essere palesemente riconosciuta.
Non ci volle molto affinché succedesse ciò che aspettavo. Io e Stefany avvistammo dalla finestra due figure scure sgattaiolare vero il fondo del cortile, lentamente e senza farsi notare troppo.
-Merda, non avevo previsto che quel deficiente di Matt si mettesse in mezzo!- esclamai, iniziando a correre fuori dalla stanza e giù per le scale, seguita a ruota dalla mia amica.
Arrivammo alla porta che dava sul cortile, dove abbracciai Stefany ancora un’ultima volta, prima di voltarle le spalle e lasciarla.
-Ricordati che ti voglio bene!- dissi, mentre la stringevo a me.
-Anche io, ti prego, non sparire per sempre!- rispose lei.
-Lo prometto!- esclamai, per poi correre via.
Arrivai alla ringhiera, sulla fine del giardino, e la scavalcai faticosamente, con lo zaino che pesava sulle spalle. Appena atterrai sulla strada, mi asciugai gli occhi con la manica e scorsi due figure correre in fondo alla strada buia, alla mia sinistra.
Iniziai ad inseguirli, e li avrei raggiunti in breve tempo, se non fosse stato per il carico che avevo sulla schiena. Normalmente ero più veloce di loro, ma con quella lentezza pensai di non farmi vedere, altrimenti avrebbero accelerato e mi avrebbero seminata.
Fortunatamente, dopo aver superato qualche quartiere, li vidi entrare in una fabbrica che aveva tutta l’aria di essere abbandonata. Già mi immaginavo la brutta reazione che avrebbe avuto Mello nel vedermi arrivare da loro, ma cercai di pensarci il meno possibile.
Ormai ero fuggita dalla Wammy’s House, e tornare indietro era fuori discussione.
 
*
 
Il buio della sera rendeva il luogo in cui mi ero ritrovata molto macabro. In quel quartiere non c’erano molte abitazioni, la maggior parte delle quali parevano vecchie e malandate, altre invece erano antiquate, ricordandomi l’orfanotrofio che avevo abbandonato. Tuttavia, erano presenti tantissime ditte, che costellavano le varie vie.
Mi avvicinai a quella abbandonata, nella quale si erano rifugiati Mello e Matt, superandone le ringhiere minacciose di cui era costellata. Le porte erano tutte chiuse a chiave, così ci girai attorno, e trovai un’entrata sul retro. Vi feci ingresso, e il rumore dei miei passi riecheggiò all’interno dell’edificio.
Sembrava tutto tranquillo, quando qualcosa mi spintonò a terra, facendomi cadere di schiena.
-Ma che cazzo…
-Aspetta, fermo! E’ Deborah!
Mi alzai a sedere, stordita, con una mano sul berretto. In piedi, dinnanzi a me, c’era Mello, con una spranga di ferro in mano.
-Che ci fai qua, Debby?- mi domandò Matt, comparendo dall’ombra.
-Che domande!- esclamai, un po’ irritata dalla loro reazione precipitosa, mentre mi mettevo in piedi -Vi sembro una che vi lascia andare a fare delle cazzate da soli?
-Odio la tua testardaggine, mocciosa.
-Tsk! Senti chi parla, Mister Capoccione- risposi, fissando Mello con sguardo truce.
-In effetti anche tu non scherzi- commentò Matt, rivolgendosi all’amico.
Lui sbuffò, lasciando cadere a terra la spranga.
-Non ci servi e non ti vogliamo, torna alla Wammy’s.
-Non mi faccio mettere i piedi in testa da te!- replicai.
-Impari troppo in fretta a seguire i miei consigli… Cerca di essere meno servile dopo essere tornata a casa!
Presi coraggio, e feci qualche passo avanti, lanciandogli un’occhiata di sfida.
-Senti, biondino- iniziai -vedi di non rompere i coglioni. Ormai la mia decisione l’ho presa.
-Sei solo un peso morto!
-No. So quello che faccio. Dobbiamo andare a Londra.
-Ma tu sei completamente fuori! Quello che dobbiamo fare è prendere un fottuto aereo e sparire dalla faccia del suolo britannico!
-Su questo Mello ha ragione- intervenne Matt.
-Fidatevi! Lì troveremo chi ci potrà aiutare… Almeno credo…
-Se non ne sei certa al cento per cento, io non vengo- sentenziò il biondo.
-Però, non credo che lei ci darà noia… Che problema c’è se viene con noi? Forza, spiegaci meglio la tua idea!- mi esortò Matt.
Mello non rispose, e sospirai pesantemente.
-Il fatto è- disse improvvisamente, con uno scatto d’ira -che non possiamo più fidarci di nessuno! La polizia non ci aiuterebbe, perché ci riporterebbe alla Wammy’s House. Siamo obbligati a cavarcela da soli, o comunque a trovare un altro tipo di alleati.
-E sapete dove trovarli?- gli chiesi allora, ma fu Matt a rispondermi.
-No, ed è quello il problema a cui dovevamo riflettere stanotte…
-Dunque, sembra che il mio intervento vi possa tornare utile, in fin dei conti- dissi.
-E come, sentiamo- mi sfidò Mello.
Risi amaramente.
-Ti dirò, posso darti più potere di quanto tu possa immaginare. Possibile che non ci sia ancora arrivato? Se le mie previsioni saranno corrette, avremo un enorme margine d’azione, e scommetto che persino Kira ne sarebbe sorpreso.
-Non ne sembri così entusiasta, però- osservò il biondo.
-Non è una soluzione che mi fa impazzire di gioia- ammisi -ma l’unica alleanza che potremmo fare senza che la polizia o la Wammy’s ci becchino è questa.
Mello annuì, serio. Sembrava aver capito la mia idea, al contrario di Matt, che ci lanciava occhiate totalmente spaesate.
-Sei sicura che non ci ammazzeranno tutti e tre?
-Lascia fare a me. Ho la vecchia pistola di mio padre, in cui è contenuto tutto il suo potere, orgoglio e prestigio. La riconosceranno e ci daranno qualche chance, perché si ricorderanno sicuramente anche di me e delle mie doti intellettive…
-Fermi un attimo!- ci interruppe Matt -Mi state dicendo che proveremo ad allearci con la mafia!?
Ci fu una pausa di silenzio.
-E’ rischioso, ma ha i suoi vantaggi- gli rispose infine Mello.
-Ma vi rendete conto della puttanata che volete fare? Ci faranno fuori senza nemmeno darci il tempo di dire qualcosa!
-Li conosco, non succederà, te lo assicuro- dissi, cercando di tranquillizzarlo.
-Domani prenderemo il treno diretto a Londra- decise Mello -se non vuoi seguirci, Matt, sei libero di fare ciò che vuoi.
-Non dire cazzate, Mello… Vi seguirò, non permetterò che vi accada qualcosa di male. Non me lo perdonerei mai.
-Allora siamo d’accordo… Spero che tu abbia dei soldi, perché non so quanto ci bastino i nostri- disse Mello, rivolto a me.
-Si, ho i risparmi miei e di Stefany…
-Bene. Ora puoi mettere le tue robe là- ordinò, indicando alle sue spalle una parete grigia -faremo turni di guardia, non sia mai che ci trovino subito, dopo nemmeno un giorno dalla nostra fuga…
Accettai e mi coricai vicino al mio zaino, usandolo come cuscino, e nonostante ebbi il primo turno di guardia, dopo aver dato il cambio fu difficile addormentarmi, soprattutto se pensavo che sarei presto tornata ad affrontare la mafia e il mio passato.
 
*
 
-Prima o poi dovrai spiegarmi cosa diamine volevi fare, scappando con Mello.
-Matt è il mio braccio destro, è ovvio che mi abbia seguito- lo difese il biondo.
Gli lanciai uno sguardo carico d’odio, reggendomi il più possibile alla sbarra della metropolitana, mentre partiva dalla fermata corrente.
Mello era comodamente seduto davanti a me e il rosso, noi invece venivamo continuamente spintonati dalla moltitudine di persone che doveva raggiungere Londra. Il treno preso quel mattino era decisamente più comodo, e prendere la metro dopo aver pranzato con le patatine del distributore automatico non era il massimo.
Un uomo mi diede l’ennesimo spintone, facendomi sbattere contro il palo a cui mi tenevo. Imprecai sottovoce, vedendo Mello ghignare, con la coda dell’occhio.
L'odio che provavo nei suoi confronti in quel momento divenne più intenso, stare in piedi era una vera e propria tortura, sia per la sensazione da sardina in scatola che per lo zaino pesante sulle spalle.
-In ogni caso, potevi almeno avvertirmi!- esclamai, rivolta a Matt.
-Ti saresti solo infuriata ancora di più- mi rispose.
Sbuffai pesantemente, purtroppo aveva ragione.
Quando riconobbi il nome della fermata, eravamo quasi a capolinea e c’erano ormai pochissime persone. Dopo essere scesi e usciti dalla metropolitana, incontrammo un ambiente che era tutto, meno che ospitale, esattamente come l’ultima volta che ci ero stata.
Le case erano malridotte, senza vernice, alcuni cani randagi passeggiavano per le strade sporche con tranquillità, annusando la spazzatura sparsa in giro e ai lati della carreggiata.
Camminai a passo sostenuto, seguita in silenzio dai miei compagni di viaggio, la strada era lunga e probabilmente ci avremmo messo un paio d’ore.
Dopo un’infinità di tempo, sotto i nostri occhi comparvero alcune baracche e case semi distrutte, e vari bambini che giravano per le strade, litigando su chi dovesse tenere il cibo appena rubato. I sobborghi della città erano ancora più grigi, tristi e silenziosi del quartiere in cui avevamo camminato prima.
Mi fermai all’inizio di un vicolo, dove le abitazioni malridotte si erano fatte rare, aprii lo zaino e estrassi la pistola.
-Come faranno a riconoscerla?- mi domandò Matt.
Semplicemente gliela mostrai, girandola sottosopra. In corsivo, c’erano strane lettere in una grafica sconosciuta. Erano un codice, che componeva il nome e il cognome del proprietario. Non dovetti stare a spiegarglielo, Matt comprese e annuì.
-Manca tanto?- chiese Mello, con aria spazientita.
-Non troppo… Preparatevi- raccomandai.
-Qui, l’unica che deve prepararsi sei tu- mi disse il biondo, osservandomi scettico.
Probabilmente mi si leggeva in faccia il panico che mi stava invadendo. Già tenere in mano la pistola di mio padre era per me un grande sforzo, ma dovevo farlo. La mia determinazione doveva assolutamente superare ogni cosa.
Superate le ultime case, iniziammo a camminare tra depositi abbandonati. Mi diressi verso il magazzino con un otto in vernice gialla, ormai sbiadito dal tempo.
Non ero pronta.
Mi voltai, incontrando lo sguardo di Mello, che pareva teso.
Il sollievo di non essere l’unica ad avere timore mi diede coraggio.
Feci ingresso nell’edificio, andando verso una porta arrugginita sulla sinistra. La mano destra, in cui reggevo la pistola, tremava di paura. Mi costrinsi a calmarmi, mentre un venticello si infiltrava nel deposito dalle finestre rotte, scompigliandomi i capelli e uscendo dall’ingresso da cui eravamo entrati.
Bussai due volte alla porta, poi, dopo una pausa, ancora cinque colpi, e attesi, col cuore in gola.
Saremmo potuti morire in breve tempo, perciò cercai di impormi ad avere un atteggiamento deciso, e finalmente udii dei passi oltre la porta.
Quando si aprì, mi si bloccò il fiato, ma non permisi al mio viso di assumere alcuna espressione. Sapevo bene chi avevo davanti.
L’uomo, sulla quarantina, aveva capelli neri e sudici, e mi fissava quasi sbalordito, spalancando gli occhi scuri.
Scoppiò a ridere, mentre io constatavo che non aveva alcuna pistola alla cintura.
-Che ci fanno dei mocciosi come voi qua, tutti soli?- mi chiese, abbassando il capo fino a giungere alla mia altezza.
Indietreggiai, il suo alito sapeva di marcio.
Poi, col cuore a mille, gli puntai la pistola alla fronte, liberando la sicura.
-Enric, non sei cambiato per niente. Sei il solito bamboccio- dissi, alzando un sopracciglio.
Lui si fece subito serio, capendo di essere stato riconosciuto.
-Come sai il mio nome, ragazzina? Non ti pare di essere un po’ troppo aggressiva, con quella pistola?- domandò.
-Mio padre ha fatto una pessima fine, nove anni fa. Credevate davvero che io non sarei mai più venuta a prendere la mia eredità, ciò che mi spetta?
-Sonia… No, non è possibile! Tu sei morta nove anni fa!
Mi finsi furiosa.
-Mi avete fatta catturare dal governo, e mi hanno sbattuta in una cazzo di scuola per genietti, per tutti questi anni!- urlai -Ma ora le cose sono cambiate. Sono scappata, e voglio tornare dentro al circolo! Voglio tornare ad avere potere, ne abbiamo bisogno.
Improvvisamente, dietro ad Enric, comparvero altri uomini, che puntarono le loro pistole contro di me e i miei amici.
-Aspettate!- esclamò Enric -Non uccideteli subito! Prima dobbiamo portarli dal capo.
-Oh bene, iniziamo a ragionare. Sappi che non ti mollerò un secondo- sibilai, minacciosa.
-Va bene! Ragazzi, fateci strada- ordinò lui.
Iniziammo a scendere le scale buie, gli omaccioni presero Mello e Matt per le spalle, guidandoli dietro di me, che tenevo la pistola puntata contro Enric.
Mentre scendevo, sentii la porta cigolare e chiudersi con fragore.
Ora non c’erano più vie di fuga.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’Autrice
 
Buonsalve cari lettori.
Le celeberrime indagini sono vicine, ma ottenere il rispetto della mafia non è così scontato. I nostri amici sono salvi, almeno per ora… Ma quando saranno davanti al boss, non avranno più nulla con cui difendersi.
Sì, in realtà io so già come andrà, ma aspetterete un po’ per il seguito!
Intanto vi ringrazio tantissimo per le sincere recensioni, se avete critiche, suggerimenti o commenti vari, non esitate a farmeli sapere!
Siamo sempre di più, e la cosa mi rende tanto orgogliosa.
Avrei dovuto pubblicare il capitolo domani, ma non ci sarò…
Quindi, Buon Halloween a tutti e in anticipo!
E vi ringrazio ancora!
Bacioni a tutti,
 
ShinigamiGirl

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Capitolo 28
*** Conquista della mafia ***


La luce fioca della lampadina era appena sufficiente ad illuminare il volto dell’uomo dietro la scrivania.
La stanza in cui ci trovavamo doveva essere proprio la stanza del loro capo, che mi osservava tranquillamente, mentre continuavo a tenere la pistola puntata contro il capo di Enric. Lo spazio era piuttosto angusto, dietro di me c’erano Mello, Matt e altri cinque uomini, che stavano a stento sull’uscio della porta.
-Capo… Lei è Sonia Williams, la figlia di…
-Edwin Williams- disse l’uomo, interrompendo Enric -mi ricordo di lei, e anche di suo padre.
-Sonia… E’ questo il tuo vero nome?- domandò Mello, con tono tranquillo, come se fossimo stati al bar, a prenderci una cioccolata.
-Taci!- ordinai, senza nemmeno voltarmi.
Ovviamente non era il mio nome autentico, ma era meglio che facessi credere a tutti che lo fosse, così mi finsi un po’ sulla difensiva.
-E’ ormai da parecchi anni che non ci vediamo. Ti davo praticamente per morta- mi disse l’individuo, di cui avevo riconosciuto l’identità.
Si chiamava John Louis, anche se nei miei ricordi era più magro e meno stempiato, aveva lo stesso sguardo di anni prima. Uno sguardo beffardo e sornione.
-Dove sei stata?
-Gli sbirri mi hanno rinchiusa in un orfanotrofio di bambini prodigio- replicai, inflessibile.
-E loro?- indicò i miei amici.
-Mi hanno aiutata, sono stati utili, soprattutto perché sono più intelligenti di me.
John scoppiò in una fragorosa risata, alzandosi e raggirando la scrivania per avvicinarsi.
-Non riesco ad immaginare che qualcuno sia più intelligente di te, zuccherino. Con la tua ultima impresa, avevamo fatto saltare in aria quasi un’intera città! Le tue capacità di logica e predizione sono sempre state sorprendenti. Ma credo che tu abbia uno scopo preciso, per aver fatto ritorno da noi. Cosa vuoi?
-Mi credi una stupida? So i vantaggi che la mafia può darmi. Soldi, potere. Voglio potere. E sono pronta a tutto per averlo.
-Sonia, cara… Non promettere qualcosa che non puoi dare. Il tuo corpo non soddisferebbe nessuno, qua. Non hai nessuna garanzia- disse, mentre gli uomini dietro di me sghignazzavano e io arrossivo violentemente.
L’idea che loro usassero il mio corpo come garanzia…
Ma non avevo altre idee, in effetti. Deglutii, e stavo per ribattere, quando Mello si fece improvvisamente avanti, ostentando una decisa pacatezza.
-Senti… Ti offriamo le nostre menti per intercettare e distruggere la famiglia Courtis. Anche se tra noi tre solo io so dove si trova la loro effettiva base, le nostre capacità vi porteranno a conquistarla totalmente. Vi dimostreremo così la nostra fedeltà. Pensaci, non avrei nulla da guadagnarci consegnandoteli, se non fossimo alleati. Inoltre, con le strumentazioni che acquisiremo dopo averli distrutti, potremo anche intaccare la mafia degli Stati Uniti con cui loro sono in contatto. Ricordo bene di aver letto che, dopo l’attentato dove Sonia e suo padre scomparirono, voi perdeste la loro fiducia- disse.
Odiavo come pronunciava il mio falso nome.
John quasi sobbalzò.
-Come sai dei Courtis e degli Stati Uniti?- chiese, con voce tonante.
Ero piuttosto allarmata, non avevo idea di chi fossero i Courtis, quindi supposi che fossero un’altra banda mafiosa. La situazione sembrava precipitare, mi limitai ad ascoltare il loro discorso, come se fosse la mia ultima supplica al boia prima che mi tagliasse la testa.
-Queste sono solo inutili domande- rispose Mello -vuoi o no il nostro aiuto?
L’uomo pareva alle strette.
-D’accordo… Ma non montatevi la testa, cari miei. I pivelli dormono chiusi a chiave nel salottino, ricordatevelo. E appena ci tradirete… Non esiteremo a farvi fuori- ci avvertì, e mi si gelò il sangue nelle vene -ora, portateli via.
Gli uomini ci guidarono fuori dalla stanza.
Era fatta.
Sempre che non ci avessero uccisi la notte seguente, durante il sonno.
-Sei un pazzo- dissi, rivolta a Mello.
-E tu cosa sei… Deborah?- ripiccò, calcando con tono strano sul mio nome.
Sospirai, mettendo la sicura sulla pistola.
-O dovrei chiamarti Sonia?
-Non ne hai il diritto!- esclamai, infilando l’arma nella mia cintura.
Il silenzio calò, e l’ansia si fece sentire più che mai.
La stanza in cui ci chiusero non era molto grande, e la luce del tramonto penetrava da una piccola ed alta finestrella, sul lato destro della stanza, sopra un divano polveroso. Poco più in là c’erano un letto e una brandina, così sospirai pesantemente e buttai il mio zaino sul divano.
Poco dopo, sentimmo scattare la serratura, segno che ci avevano effettivamente chiusi a chiave nella stanza.
Mello, come avevo previsto, si buttò sul letto, che cigolò lamentosamente, mentre Matt si avvicinò insicuro alla brandina.
-Sicura di non volere la brandina?- mi domandò.
-Non preoccuparti- risposi, tirando fuori dei vestiti per cambiarmi. Mi sentivo profondamente sporca.
Stavo per togliermi la maglietta, quando vidi Matt e Mello fissarmi.
-Cazzo- sbottai, lasciando perdere e cercando di trovare una posizione comoda su quel divano vecchio e pieno di polvere.
-Ti vergogni, mocciosa?- chiese Mello, quasi per prendermi in giro.
-Non mi vedrete mai senza maglietta, pervertiti.
Matt scoppiò a ridere.
-Senti Mello, come diavolo fai a sapere dei Courtis e tutto il resto?
-Basta leggere le notizie. Ovviamente.
-Non credo che basti il giornale per conoscere la loro base…
-Infatti non so dove si trova- fece lui, beato.
-Cosa?!- esclamai.
-Non urlare, altrimenti ci spieranno!- esclamò lui, tirandosi su a sedere -Ho bluffato. Ma sono certo che la scoprirò a breve, grazie alle loro strumentazioni.
-Ho visto una stanza piena di schermi e tecnologia che alla Wammy’s manco sognavo…- disse Matt, assorto come se stesse immaginando il paradiso.
-Speriamo- dissi io.
E rinunciai totalmente a cambiarmi i vestiti, nonostante li indossassi da ormai due giorni.
 
*
 
Fu così che iniziarono per noi mesi difficili.
Trovare la base dei Courtis non fu un’impresa complicata per Mello, Matt contribuì fornendo intercettazioni grazie al mare di tecnologia che aveva a disposizione.
Non si fidarono subito di noi, ma dopo qualche mese eravamo parte integrante della banda criminale.
Partecipai alle spedizioni in cui dovevamo sabotare gli incontri dei Courtis con i loro clienti, coordinando i tempi con tutto il resto. Assistetti, purtroppo, a molte uccisioni, sia di clienti che di membri dell’altra combriccola mafiosa.
Mi incaricarono di installare bombe in finte valige, perfettamente uguali a quelle che utilizzavano per gli scambi, le facevano poi esplodere quando gli altri criminali si avvicinavano, per poi rubare i soldi o la droga dai cadaveri.
Le cose andavano fin troppo bene, e più i mesi passavano, e più mi rendevo conto che i nemici mafiosi con cui avevo a che fare diventavano sempre più stupidi e inesperti. Avevo il forte sospetto che i Courtis stessero architettando qualcosa, ma tenni i miei dubbi per me.
Per questo mi sorpresi, quando Mello mi rivelò di avere altri piani.
Ero rimasta piuttosto sbigottita dalla sua idea, ma collaborai senza problemi.
Così, un mattino, mentre tutti dormivano e i turni di guardia erano toccati a me e Mello, Matt smanettò al computer per raccogliere tutti i dati possibili che la nostra mafia aveva nell’archivio, tra cui password, soldi e indirizzi vari, e quando ebbe finito uscii con lui dal magazzino, mentre il biondo rimase dentro la base.
Insieme al rosso, indicammo l’entrata a tutti gli uomini che, nel frattempo, erano giunti, armati fino ai denti.
Ricordo ancora di come il sole non fosse ancora sorto quando fecero irruzione.
Gli spari.
La paura, sopraffatta dalla determinazione e dalla voglia di andarmene.
La disperazione.
Ma soprattutto, Mello, che uscì dal deposito a testa alta.
Indosso, aveva il giubbotto nero ed elegante che gli avevo regalato.
In mano, aveva la pistola di mio padre.
Sulla guancia, aveva una striscia di sangue rosso.
Tutti i mafiosi Courtis, i nostri nuovi alleati, lo guardavano con rispetto.
La sua persona emanava sicurezza, temerarietà, virilità.
Non era più un ragazzino. Era diventato un uomo.
E io, al suo cospetto, cos’ero?
Quando ci trasferimmo a Los Angeles era passato ormai poco più di un anno e mezzo dall’abbandono della Wammy’s House.
L’America era un continente sconosciuto, che mi dava i brividi, ma non ero lì per fare la turista. Avevamo acquistato parecchio rispetto dai Courtis, soprattutto dopo che Mello aveva ucciso senza problemi John, e di conseguenza ricevevamo altrettanti riconoscimenti anche dalla più grande organizzazione mafiosa americana, che aveva accettato volentieri di ospitarci.
Rimasi Sonia per tutti i miei colleghi, mentre i miei due compagni non avevano smesso di chiamarmi Deborah. Senza bisogno di spiegar loro nulla, avevano compreso che Sonia Williams era un nome falso, usato soltanto all’interno dell’associazione criminale.
Il mio compito era quello di tenermi in contatto con Ratt, perché Matt non era riuscito a introdursi nel software dell’SPK, fondata da Near.
Alla notizia del movimento di Near, Mello era diventato più nervoso e metodico di come lo era prima. Era costantemente col fiato sul collo a Matt e a me, pur di scoprire qualcosa di nuovo, e in effetti, man mano che i giorni passavano, ci venivano date informazioni sempre più importanti. Matt, per lo stress, con mio grande disappunto, iniziò a fumare e a giocare assiduamente ai videogiochi sparatutto.
Jack, il boss della mafia americana, dava volentieri una mano, mentre noi quotidianamente gli prestavamo servizio per gli affari.
Mi vidi costretta a cambiare totalmente il mio look.
Dovetti iniziare a indossare parrucche, vestiti eleganti e i tanto temuti tacchi a spillo, al fine di ingannare più facilmente gli uomini e spillare loro soldi e droga come non mai. Fortunatamente non fui più costretta a partecipare agli omicidi, perché il prestigio dell’intelligenza di Mello all’interno dell’organizzazione criminale era temuto e rispettato.
Dovevo chiamare Ratt una volta ogni due giorni, alla stessa ora, con un numero di cellulare diverso. In questo Matt era un genio, riusciva a cambiarmi numero e compagnia telefonica ogni quarantotto ore, sviando perfettamente ogni indagine.
Quando scoprimmo dell’esistenza del Death Note, Mello quasi non ci credeva, tantomeno io. Era impossibile che scrivere un nome sul quaderno potesse uccidere una persona, e venire a conoscenza di una cosa simile non era all’ordine giorno.
Era così che Kira ci aveva presi in giro? Con un semplice quaderno venuto dal mondo degli Shinigami? Eppure, ottenere quel quaderno divenne la nostra priorità, dato che ne era in possesso la polizia giapponese.
E fu proprio per questo che rapimmo il capo della polizia giapponese.
 
*
 
-Eddie, come diavolo è possibile che sia morto?!- stava urlando Mello, in preda alla rabbia più totale.
-Si è impiccato con la cravatta…- rispose lui, mettendo le mani avanti a mo’ di scudo.
Sospirai pesantemente.
Le poche volte che ero alla base e non fuori per commissioni, mi toccava sempre subire la rabbia di Mello. Mi grattai il capo da sotto la parrucca bionda.
-Biondino, piantala cazzo!- esclamai, sdraiata sul divanetto di lusso.
-Stai zitta, mocciosa- ordinò lui.
-Guarda che ho diciotto anni, coglione!- ribattei -Non mi pare il caso di agitarsi tanto.
Lui sembrò riflettere sulle mie parole.
-In effetti, era solo una pedina… Dovremmo provare a rapire qualcuno di più interessante. Lo scambio è annullato, e non possiamo accettarlo. Era il nostro ostaggio, senza di lui, non abbiamo alcun pretesto con cui fare un ricatto. Dobbiamo rimediare.
-E chi c’è di più interessante del capo della polizia?
-Secondo i sospetti di L, Kira era parte della polizia giapponese. Quindi, abbiamo qui i nomi di chi ancora insegue la causa di Kira- rispose lui, osservando dei file sullo schermo davanti a lui.
-Tota Matsuda… Shuichi Aizawa… Soichiro Yagami… Light Yagami…- lesse, con tono assorto, addentando la tavoletta di cioccolato che aveva in mano.
-Non possiamo rapire ognuno di loro. Kira li ucciderebbe.
-Sayu Yagami…- continuò lui, ignorandomi -Rapite la figlia di Soichiro Yagami!
Subito molti uomini si mossero al suo ordine, lasciando quasi vuota l’enorme sala.
Lo osservai dal divano su cui ero appollaiata. Mello era cresciuto, certo, e io non sapevo ancora cosa fare della mia vita, nonostante avessi ben poco margine di scelta, ormai. Dandomi alla criminalità, potevo solo sperare che la cattura di Kira avvenisse, ma poi, cosa avrei fatto?
Sentii qualcuno sedersi vicino a me, distogliendomi dai miei pensieri.
Era l’unica persona rimasta nella sala oltre a me e Mello. Si chiamava Taylor, era un uomo sulla trentina che spesso mi faceva il filo. Dire “spesso” è un eufemismo, ci provava ogni volta che ne aveva l’occasione, facendomi storcere il naso dal disgusto. Guardava il mio seno e le mie gambe come se fosse un morto di fame davanti a delle salsicce.
-Ehi bellezza, come va?
-Bene, fino a qualche secondo fa- dissi, acida.
-Come siamo permalose- ridacchiò lui, avvicinando la mano alla mia gamba.
Lo spintonai.
-Smettila, mi fai ribrezzo- ordinai, alzandomi.
Lui mi seguì, ma si bloccò, vedendo che mi sedetti nuovamente, ma di fianco a Mello. Qualche mese prima, il biondo gli aveva sparato un colpo al piede mentre mi molestava, e ora aveva una paura tremenda di lui. Non gli fui mai così grata come allora.
Tolsi le scarpe coi tacchi e mi rannicchiai, appoggiandomi alla spalla di Mello, e infine, anche lui lasciò la stanza.
-Sei stanca?- mi chiese, con tono meno rude di quello che usava con gli uomini.
-Sì- ammisi.
Ero stata tutta la notte ad aspettare dei clienti, dovevo consegnare loro della droga, ma la polizia ci aveva quasi trovati, l’avevo rischiata grossa.
Lui mi tolse gentilmente la parrucca, lasciando che i miei ricci smorti e schiacciati dalla cuffia si liberassero. Me li sistemò, e appoggiò la tavoletta di cioccolato, mettendomi un braccio attorno alle spalle e sbuffando.
Sì, Mello era una testa di cazzo, un presuntuoso, un maleducato senza cervello, ma era l’unica persona che sapeva tutto di me e con cui mi potevo lasciar andare senza paura.
Matt era sempre occupato, e odiavo la puzza di fumo.
Io avevo bisogno di tranquillità e sicurezza, e il biondo lo sapeva. Per questo mi permetteva di stargli un po’ addosso, anche se sapevo perfettamente che odiava a morte il contatto fisico.
-Sei sicuro di voler rapire una povera ragazza?- chiesi, chiudendo gli occhi.
-Raggiungerò il mio scopo- rispose.
-Sì, ma… In fondo è innocente…- replicai, con voce un po’ assonnata.
-Non preoccuparti. Ho tutto sotto controllo.
Annuii pacificamente.
Dì li a poco mi sarei probabilmente addormentata, così decisi di lasciar perdere la questione. Decisi che avrei tenuto d’occhio personalmente Sayu Yagami.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’Autrice
 
Ehi!
Siete pronti per immergervi nel caso Kira? Se si, alzate le mani!
Siete pronti a desiderare la morte di Light? Se si, alzate le mani!
Ok, sto sclerando, scusatemi.
Questo capitolo è un po’ di passaggio, per questo ne ho anticipato la pubblicazione di un paio di giorni (anche perché non ero concretamente sicura di avere tempo per farlo giovedì…).
Spero vi sia piaciuto.
Per il prossimo, dovrete attendere un paio di settimane!
Grazie mille a tutti coloro che continuano a leggere la mia storia!
Un bacio,
 
la vostra ShinigamiGirl

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Capitolo 29
*** Yagami Sayu ***


-Senta, non le conviene porre resistenza alla nostra richiesta. Sono molto occupata, mi comprende?- dissi alla cornetta del telefono cellulare, con voce suadente.
-E’ sicura che il suo capo non farà del male alla mia famiglia, se accetterò?
-Certo- gli risposi -non sarà tolto loro un capello. E inoltre, la pagheremo profumatamente, come sempre! L’unica cosa che deve fare, è dirottare il volo e lasciare che Soichiro Yagami e il nostro collaboratore scendano dal suo aereo, esattamente nell’area che le ho indicato prima con le coordinate.
-D’accordo…
-Perfetto! Arrivederci, signor Fukaboshi. E’ sempre un piacere fare affari con lei- dissi, chiudendo la chiamata.
I piani di Mello per il rapimento di Sayu Yagami erano proceduti senza intoppi, a quanto sapevo, la fanciulla era giunta alla base poche ore prima. Inoltre, Kira non l’aveva ancora uccisa, nonostante il mio amico avesse informato la polizia di ciò che aveva fatto.
Questo lasciava presupporre che Kira si trovasse veramente tra i membri della polizia giapponese, e dato che non erano molti coloro che ancora seguivano il caso Kira, il sospettato principale rimaneva Light Yagami.
Stavo iniziando a provare rancore verso di lui, anche se non eravamo totalmente certi dell’accusa. L’idea che lui potesse essere l’assassino di L, però, non aiutava molto, anzi, mi mandava in bestia.
In ogni caso, in quel momento avevo altro a cui pensare.
Buttai il cellulare nella borsa e misi in moto l’auto, uscendo dal parcheggio buio in cui mi ero fermata per fare la telefonata. Dopo mezz’ora di viaggio giunsi davanti ad una palazzina grigia, che conoscevo bene ormai. Prima di scendere dall’auto mi tolsi la parrucca a caschetto e gli occhiali, presi le sigarette e la borsa.
Davanti al cancello di metallo, suonai il campanello senza nome, quello del quinto piano. Quando si aprì, feci ingresso e salii pazientemente tutte le scale.
Giunsi davanti alla porta, e quando la aprii, mi investì una forte puzza di fumo.
-‘Sera, Debby!- urlò una voce, dall’altra stanza.
Raggiunsi la persona in questione, e la trovai come sempre davanti ad un videogioco pieno di soldati e sangue. Ad ogni uccisione, venivano aggiunti punti alla barra esperienza.
-Non so davvero cosa ci trovi, Matt- dissi, lanciandogli le sigarette che mi aveva chiesto di comprargli.
Lui le afferrò senza distogliere lo sguardo dalla televisione al plasma, sorridendo fugace. Aveva una sigaretta in bocca, e altre due vicino alla sua postazione.
-Grazie Debby, erano le ultime! Ancora qualche ora e sarei andato in crisi. In ogni caso, sei troppo stressata… A quanto pare, sono l’unico che è ancora capace di divertirsi.
Feci una smorfia.
Su certi aspetti aveva pienamente ragione, non avevo un minimo di tempo da dedicare a me stessa. Lui, però, era l’ultimo a dover parlare sulla questione stress. Si riempiva di sigarette e videogiochi, facendole diventare ormai un’assidua dipendenza, e solo per distrarsi da ciò che più lo rendeva nervoso.
-L’hanno presa?
-Sì- risposi -e ho convinto il pilota a dirottare l’aereo. E’ praticamente impossibile che ci vada male… Ma temo le conseguenze di tutto ciò.
-La solita pessimista- rise lui.
-Realista- lo corressi.
Osservai il suo personaggio sparare a quattro soldati e farli saltare in aria con una granata.
-Ah, Mello mi ha detto di dirti di tener d’occhio i movimenti dell’aereo dal satellite, mentre noi manteniamo il contatto con il pilota- aggiunsi, passandogli il foglietto col numero di volo.
-Nessun problema- disse il rosso, facendomi cenno col pollice di appoggiarlo sulla scrivania.
Mi alzai per metterlo dove mi aveva chiesto, poi tossii un paio di volte.
-Ora è meglio che io torni alla base- annunciai.
-Sembri avere qualcosa in mente.
-Mi sgami sempre. Voglio parlare con quella ragazza.
Matt mise in pausa per girarsi a guardarmi.
-Perché?- mi domandò.
-Oziosa curiosità- risposi.
-Non fare cazzate- ammonì lui.
-Qua, l’unico che fa delle cazzate, è Mello. Anche per questo è meglio che io lo tenga lontano dall’ostaggio.
Matt annuii.
Mi chinai a dargli un bacio sulla guancia, che lui ricambiò, dopo essersi tolto la sigaretta di bocca.
-Ci sentiamo- dissi, uscendo dalla stanza con la mano alzata a mo’ di saluto.
Fuori dal complesso di appartamenti, prima di partire, indossai nuovamente la parrucca e gli occhiali, e finalmente iniziai a percorrere la strada per la base.
Ci avrei messo un bel po’ ad arrivarci, e la cosa mi preoccupava.
 
*
 
Odiavo il mio istinto.
Quando avevo raggiunto la meta, ero andata a cercare Mello, e ovviamente non l’avevo trovato. Così, costrinsi Eddie a portarmi da Sayu, e proprio come avevo immaginato, lui era lì con lei, le urlava addosso, lo si sentiva fin dal corridoio.
Sbuffai pesantemente, poi aprii la porta di scatto, sbattendola e zittendo il casino nella stanza davanti a me.
Mello aveva un’espressione mista tra la rabbia e la sorpresa, mentre una ragazza legata e minuta, seduta davanti a lui, si tratteneva dal singhiozzare.
-Che cazzo fai qua?- mi domandò in modo aggressivo il biondo.
-Ti sembra normale?!- esclamai, indicando la ragazza, entrando ancora di qualche passo -Ti pare il caso, pezzo di deficiente?!
-Lei è la sorella dell’assassino di L. Più cose mi dirà, e meglio è!
-Che cazzo pretendi di ottenere da lei? Certe volte sembra che tu non abbia uno straccio di cervello. Probabilmente manco sa che suo fratello è un assassino, e non saprà nulla nemmeno del quaderno! La polizia giapponese ha mantenuto tutto al segreto, te l’eri scordato?
-Sono certo che lei sa qualcosa!- insistette, testardo, voltandosi e cercando di afferrarla per la manica.
-No! Lasciami!- gridò lei, cercando di allontanarsi.
-Mello!- urlai, con voce disumana.
Il silenzio calò nuovamente di botto.
-Stai esagerando!- continuai a gridare, e a grandi passi mi feci vicina a Mello, lo presi per la bavera della canotta di pelle e lo spintonai via da Sayu, con non poca fatica.
-Vedi di calmarti, ci sto io con lei- decisi, con tono più calmo.
Mello mi riservò un’occhiata di puro odio prima di uscire dalla stanza, sbattendo la porta, e finalmente ci fu della pace, a parte i singhiozzi e i lamenti della fanciulla, che poco dopo scoppiò a piangere amaramente.
La aiutai a mettersi su un letto a lato della stanza, e mi sedetti su una sedia davanti a lei, aspettando che smettesse di piangere. I modi di Mello lasciavano sempre a desiderare.
Ci volle quasi un’ora prima che lei si calmasse e mi rivolgesse la parola, e io non mi mossi di un millimetro per tutto il tempo.
Il ticchettio dell’orologio appeso alla parete risuonava in tutta la stanza.
-Chi sei?- fu la sua prima domanda, mentre ancora tremava dallo spavento.
-Mi chiamo Sonia- risposi.
-E quel… Mello, chi era…?
-Un mio caro amico.
-Dove mi trovo?
-A Los Angeles, ma non preoccuparti. Se tuo padre ci porterà ciò che Mello vuole, non permetterò che ti accada nulla di male.
-Non… Non sembri come loro…
-Loro?- chiesi, confusa.
La osservai meglio.
Aveva capelli scuri e fini che le incorniciavano il viso terrorizzato, scendendo lisci fino alle spalle. Non sembrava avere un brutto fisico, e i suoi occhi erano molto espressivi.
-Questi individui che mi hanno rapita… Fai parte di loro?
Annuii.
-Sembri diversa…
-Lo sono.
-E perché sei qui?- mi chiese. Stava acquistando fiducia, e in fondo io volevo farla sentire meglio. Dato che sapevo che nessuno poteva sentirci, decisi di essere sincera.
-Per fare giustizia e catturare Kira.
-Ma per questo c’è la polizia…
-Sayu, non sempre i buoni sono veri buoni. Delle volte, la gente porta delle maschere. Non sapevi che L è morto?
Lei scosse la testa.
-A quanto pare, tuo fratello si spaccia per lui, eppure, pensa un po’, era il principale sospettato da L. E devi sapere che L non sbagliava mai- le dissi. Magari si sarebbe resa conto della gravità della situazione, se le avessi spiegato tutto.
-Io queste cose non le sapevo…
-Credo sia normale. Mi dispiace per ciò che ti sta succedendo.
-Perché non ti unisci alla polizia americana?- propose lei.
Quasi sorrisi.
-Sembri decisa a farmi cambiare alleati!
-Non credo che tu meriti di stare in un posto simile.
-Devo. La vita è fatta così.
-Ma potevi scegliere. Perché hai scelto questo?
Riflettei per qualche secondo sulla domanda che mi era stata posta. Ero tornata dal mio turbolento passato davvero per Kira? Lo avevo fatto davvero per la giustizia? No. Non era così. Lo sapevo benissimo, ma non lo volevo ammettere.
-Credo che sia stato il cuore a dirmelo- risposi infine.
Lei annuì. Forse aveva compreso fino in fondo ciò che avevo detto, forse no, sta di fatto che non parlammo più.
Rimasi da lei fino al mattino dopo, poi Josh passò a chiamarmi, per annunciarmi i lavori di cui mi sarei dovuta occupare, e scoprii di non poter essere presente allo scambio. Sarei rimasta fuori fino a tarda sera.
Andai a cambiarmi d’abito, ne indossai uno nero, aderente e senza spalline, che a malapena arrivava a metà coscia. Infilai i piedi nelle solite scarpe nere col tacco a spillo, e decisi di optare per una parrucca del medesimo colore, mossa.
Prima di andare all’auto, passai da Mello, che era nella sua stanza. Ero certa che tutti i lavori che mi erano stati assegnati quel mattino, che mi avrebbero tenuta lontana tutta la giornata, fossero opera sua.
La aprii senza bussare, tanto per dargli qualche motivo per odiarmi, ma probabilmente fu un errore.
Sul letto c’era una ragazza di qualche anno più grande di lui, dai capelli corvini e vestiti succinti, che lo stava supplicando.
-Dai, che ti costa! Facciamolo velocemente, così puoi tornare a lavorare…
-Non ne ho minimamente voglia- stava dicendo lui, con tono secco, prima di bloccarsi nel vedere il mio ingresso.
Non credo di saper descrivere cosa rappresentasse la mia faccia in quel momento.
-Oh beh, scusate se disturbo- dissi, con voce dura e tono di falsa ironia.
Mello si liberò dalla presa della prostituta. Perché ne ero sicura, quella era una delle puttane che Jack si portava e si sbatteva nella base quotidianamente.
-Non disturbi nulla- ribatté, a muso duro.
-Vedo- feci, laconica.
-Stai andando?
-No, ma dai? Certo che sto andando- dissi acidamente -e scommetto che è opera tua il fatto che io sarò assente tutto il giorno. Ma credo che i motivi non fossero quelli che avevo in mente- aggiunsi, dando una languida occhiata alla tipa.
-Lo faccio per il tuo bene- mi disse, ormai davanti a me, a voce più bassa.
-Certo, certo- lo liquidai, girando i tacchi per andarmene.
Non provò nemmeno a fermarmi, esattamente come immaginavo.
E io che credevo mi tenesse lontana per non farmi rischiare dei pericoli. Certo, come no, mi voleva lontana soltanto per spassarsela di nascosto con tutte quelle troie di cui aveva totale disposizione, mentre io sgobbavo per gli affari.
Bel ringraziamento, dopo tutto quello a cui avevo rinunciato per aiutarlo.
 
*
 
La sera decisi di non tornare subito alla base, ma di fermarmi da Matt, anche se non avevo nulla da consegnargli. Infatti, non sapendo della mia visita, ci mise qualche minuto in più ad aprire.
Capì fin da subito che non ero di ottimo umore, quindi spense la tv e la nuova console che si era appena comprato per sedersi accanto a me, sul divano.
Non badai molto a come mi lasciai cadere sui cuscini, togliendomi rozzamente le scarpe a tacco alto e la parrucca.
-Sembra che lo scambio sia andato a buon fine- mi annunciò lui, dopo qualche minuto di pesante silenzio.
Mello aveva progettato un piano perfetto per depistare la polizia giapponese, facendo partire un missile invisibile ai radar e un elicottero. Avrebbero sicuramente pensato che fosse nel missile, ma in realtà l’elicottero lo avrebbero portato in un’altra parte di Los Angeles.
-Meglio.
-E allora come mai quel musino?- disse, prendendomi il naso con due dita, sorridendo.
Allontanai la mano col braccio.
-Voglio morire.
-Eh? Ma sei scema?
-No Matt. Veramente. Kira, le indagini, lavorare così per Mello, no, io non reggo più!- sbottai, mentre la rabbia repressa tornava a farsi sentire.
Lui mi abbracciò.
-Senti, lo so che è dura. Ti prometto che quando sarà finita, io, te e Mello torneremo a casa.
-Alla Wammy’s?- dissi.
-Sì. A casa.
Certo. Era quella casa mia, anche se non ero nata lì, era stato quell’orfanotrofio ad essere il posto più importante della mia vita.
L’avevo abbandonata, avevo seguito il mio cuore, come avevo detto alla giovane Sayu Yagami, seguendo però anche troppe incertezze.
Mello, il mio migliore amico, rientrava in quelle incertezze. Non ero più nemmeno sicura che gli importasse qualcosa di me.
-Adesso però non abbatterti… Mello è un coglione. Ha bisogno di noi, anche se non lo dimostra, quindi devi andare da lui… Capito?
-Ho voglia di picchiarlo.
Matt scoppiò a ridere, mentre allungava la mano sul pacchetto di sigarette.
-Sarebbe strano se tu non ne avessi voglia!- esclamò.
Iniziai a ridere insieme a lui.
Era vero, anche se gli volevo bene, avevo sempre desiderato dargli una bella lezione, tanto per fargli capire quanto fosse presuntuoso.
-Matt… Posso restare da te, stanotte? Non voglio vederlo per qualche giorno. Ho bisogno di uno stacco.
-Certo. Basta che non mi rompi i coglioni se gioco, puoi tranquillamente usare la camera matrimoniale… Tanto sono sempre qua io, a lavorare.
-Grazie.
E così, ottenni una decina di giorni pacifici.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’Autrice
 
Salve!
Sì, per chi se lo stesse chiedendo, sono in anticipo.
Ma non preoccupatevi, non ho accorciato le vostre pene (sadica), anzi, le ho soltanto peggiorate.
Probabilmente nessuno lo noterà, ma il nostro signor Fukaboshi è preso direttamente da un manga/anime preciso. In realtà solo il nome “Fukaboshi”.
Non sapevo come chiamarlo ed è stato il primo che mi è venuto in mente xD
Chi sa chi è, riceverà un applauso dalla sottoscritta, e un premio.
Vedremo che premio sarà, lol. Probabilmente un mini spoiler?
In ogni caso, ho visto Hunger Games Mockingjay parte 1.
I libri sono orridi, ma il film è stato meraviglioso. Ho pianto.
Piangiamo insieme.
Peeta! Sei il mio preferito, ora e sempre, nei secoli dei secoli.
Al prossimo aggiornamento, e GRAZIE a chi mi sostiene e continua a seguirmi sempre e comunque!
Vi adoro.
Baci,
 
ShinigamiGirl

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Capitolo 30
*** Né paradiso, né inferno ***


Il mio ritorno alla base non fu molto allegro.
Io per prima ero indispettita, ed ero dell’umore giusto di sparare un colpo in testa alla prima donna che si fosse messa sulla mia strada. Furono però tutti molto gentili, mi spiegarono ogni cosa del Death Note e cosa fosse successo.
Sentii raccontare di strane regole nel quaderno, riguardanti l’utilizzo di esso, e in particolare rimasi stupita dalla regola: “Per l’umano che userà questo quaderno, non ci sarà né un paradiso, né l’inferno”.
Insistettero però in particolare su due regole, con cui Light era riuscito a mostrarsi innocente, ma uno Shinigami, vero proprietario del quaderno, ci aveva indicato quali di preciso fossero false.
La prima era: “Se il possessore del Death Note non uccide entro 13 giorni dall’ultima annotazione, lui o lei morirà”.
La seconda, invece, recitava: “Se il Death Note viene bruciato, distrutto o altrimenti danneggiato in qualsiasi modo, tutti quelli che hanno toccato quel Death Note moriranno”.
Effettivamente, con quelle regole era semplice mostrarsi innocenti, ma dato che erano false, era ormai chiaro ed evidente che Kira fosse Light. Tuttavia, era ancora da dimostrare tutto quanto.
Facendomi toccare il quaderno, potei vedere lo Shinigami. Dire che fosse orrendo era un eufemismo. Aveva uno strano corpo abbozzolato, due occhi minuscoli e una bocca piena di denti aguzzi, lunghi e stretti. Quando mi parlò, rimasi quasi scioccata, ma compresi che non poteva farci nulla di male, e decisi di discutere un po’ con lui. Tuttavia, non scoprii nulla di nuovo.
Dopo un po’, però, mi decisi a chiedere del biondo.
Mi dissero che Mello era nelle sue stanze, così mandai un sottoposto, Mike, a controllare se il signorino fosse libero o se si stesse divertendo. Non avevo la minima intenzione di ripetere l’esperienza precedente.
Quando tornò, sembrava avere una faccia terrorizzata, ma mi riferì che dovevo dirigermi da lui, e così feci, senza fare troppe storie.
Sidoh, lo Shinigami, mi augurò buona fortuna, borbottando su quanto Mello gli facesse paura nonostante fosse solo un umano, facendomi sorridere.
Quando imboccai il suo corridoio, però, il sorriso era già svanito.
La porta della camera era già aperta, così entrai chiudendomela alle spalle, senza dire nulla.
-Dove sei stata per tutto questo tempo?- mi chiese Mello.
Voltandomi, lo vidi subito, seduto sul letto, ma dava le spalle all’entrata. Di fianco, appoggiata sopra le coperte, c’era una tavoletta di cioccolato mangiata solo per metà.
-Penso che tu non sia così cretino da non saperlo- risposi, evitando inutili giri di parole.
-Eri da Matt, ma mi vuoi spiegare- disse, alzando la voce -che cosa diavolo ti è preso?!
-Almeno guardami in faccia, pezzo di merda!- esclamai.
Ci fu una pausa di silenzio.
Lui si mise in piedi e si voltò verso di me, facendo qualche passo nella mia direzione.
Era furioso, glielo si leggeva in faccia. Gli occhi trapelavano ostilità, era lo stesso sguardo che spaventava tutti i bambini più piccoli alla Wammy’s.
-Così è abbastanza, signorina? Le devo leccare il culo ora, o preferisce dei massaggi ai piedi?- domandò, con una smorfia.
Scossi la testa.
-Dimmi, dimmi come cazzo ti permetti!
-Spiegami tu perché sei sparita senza dirmi nulla!
-Prima, dovresti mettermi al corrente del motivo per cui io e Matt siamo diventati i tuoi schiavetti, da cui tu puoi prendere tutto e giovarne!
Lui divenne furioso come non mai.
-Mi sto facendo il culo, mi sono fatto il culo per prendere quel cazzo di quaderno, e tu mi vieni a dire che solo voi sgobbate?- quasi gridò.
Mi venne da piangere, ma la rabbia sovrastò ogni mia debolezza.
-Ma certo!- urlai -Stai qua a sbatterti le puttanelle mentre dai ordini a destra e manca, ovvio. Che fatica, mamma mia. Invece, spostarsi per tutta la città e fare più di dodici ore d’auto al giorno con della droga a bordo non è niente, e così anche stare ventiquattro ore su ventiquattro davanti a dei fottuti schermi per controllare che tutti i minimi particolari siano perfetti. Mi perdoni, vossignoria, ho sottovalutato il vostro compito!
Mello stette zitto a fissarmi, cercando qualcosa da dire a sua discolpa.
Ma ovviamente, sapevo bene che non aveva nulla con cui difendersi.
-Dopo tutto quello che ho fatto per te- continuai -è così che mi tratti? Probabilmente mi sono presa gli amici sbagliati. Anzi, l’amico sbagliato.
-Chiudi il becco!- sbraitò.
-Perché? Sto dicendo cose non vere?
-Io non mi sbatto nessuno, cogliona! Se mi porto dietro quelle galline senza cervello, è solo per far credere che un minimo mi sono calato nella parte di mafioso!
Feci un sorriso amaro, abbassando lo sguardo.
Non ci credevo.
Osservai la pistola di mio padre, che stava ancora sul suo comodino. Dopo aver ucciso John Louis, voleva restituirmela, ma avevo deciso di lasciargliela.
Anche io possedevo una pistola, ovviamente, ma preferivo allontanarmi, se possibile, dal passato, e dato che l’arma del mio genitore garbava tanto al biondo, gliel’avevo ceduta più che volentieri.
-In ogni caso, in questi giorni non è successo nulla di particolare. La tua rabbia è immotivata. Sono voluta rimanere da Matt perché volevo un po’ di tranquillità. Ecco perché. Non hai bisogno di sapere altro- dissi, ancora arrabbiata ma anche rassegnata.
Non vedevo l’ora di uscire da quella stanza, discutere con lui era totalmente inutile.
-Invece sono successe tante cose, cretina! Ci è apparso uno Shinigami, ci ha rivelato le regole false e vere, ci ha dato tanti di quegli indizi che manco immagini! E non hai potuto assistere a quando, finalmente, mi sono concretamente portato più avanti nelle indagini rispetto a Near. Scrivendo i nomi di tutti i suoi aiutanti, non hai la minima idea di quanto potere…
-Tu hai fatto cosa…?- lo interruppi, fissandolo dritta negli occhi.
Si bloccò.
-Oddio- feci qualche passo indietro, e sentii la schiena contro la porta chiusa.
Non vedevo più Mello davanti a me.
Sembrava di vivere un incubo… Era diventato esattamente come mio padre.
Non gli fregava nulla di me. Mi usava come strumento, e nel frattempo era cambiato, era un essere spietato, senza scrupoli, un assassino.
-Che ti prende? Non ti rendi conto del vantaggio che ho ottenuto?- mi domandò, perplesso.
-Sei tu a non renderti conto di quello che hai fatto…- dissi, col cuore in gola.
Cercai con la mano la maniglia della porta, senza voltarmi, continuando a fissarlo con orrore.
Dovevo andarmene.
-Deborah…- mi si avvicinò, e io urlai, divincolandomi e cercando di girarmi e aprire la porta, ma lui mi bloccò afferrandomi per le spalle.
-Lasciami! Lasciami!- gridai, in preda al panico.
-Smettila, non ti voglio certo ammazzare!- esclamò lui.
Cercai di far spazio alla razionalità.
Stavo avendo una reazione esagerata, me ne rendevo conto, eppure non riuscivo a calmarmi totalmente.
-Davvero non ti rendi conto di quello che hai fatto?- ripetei, angosciata, mentre iniziavo a sentirmi ancora furiosa.
-Ho fatto ciò che era giusto!
Fu allora che non ci vidi più dalla rabbia.
Gli tirai uno schiaffo in pieno viso, facendogli voltare il capo. La scena si susseguì con una lentezza quasi frustrante, e Mello non tornò a guardarmi subito. Sulla guancia sinistra, aveva un segno rosso, dove l’avevo schiaffeggiato.
-Tu… Sei solo un assassino- sussurrai -ti sei abbassato ai livelli di Kira, e se L fosse stato qui, non te l’avrebbe mai perdonato.
Il suo sguardo, ancora sorpreso dal mio gesto, si posò lentamente sul mio.
Nelle sue iridi glaciali vidi una strana consapevolezza farsi strada, mista alla sorpresa e forse a un po’ di paura.
-Io…- provò a dire, ma si zittì.
L’aggressività di poco prima era svanita.
Sembrava che le mie parole avessero fatto centro, ma non mi interessava più.
Aprii la porta, uscii e me ne andai verso i sotterranei, alla mia auto, quasi correndo. Sarei tornata da Matt, non avevo più intenzione di stare al fianco di Mello.
Feci ingresso nell’appartamento qualche ora dopo, nel pieno di un pianto isterico, tanto che Matt mi chiese continuamente se fossi ferita.
Sì, ero ferita, ma non fisicamente. Il mio cuore era a pezzi. Mello mi aveva promesso che non se ne sarebbe mai andato, ma evidentemente nulla poteva durare per sempre.
Sentii Matt litigare al telefono per tutta la sera, mentre io, distrutta, piangevo ormai senza forze sul divano.
Non ebbi nemmeno il coraggio di sentire cosa stava dicendo Matt alla cornetta, ma quando chiuse la chiamata, mi portò di peso sul letto matrimoniale, mi mise le coperte e mi lasciò tranquilla.
Piansi tutte le lacrime che mi erano rimaste, e mi addormentai poco dopo.
 
*
 
-Buongiorno- dissi, entrando in cucina.
-Ehi! Oggi come stai?
Mi faceva quella domanda da cinque giorni. Con quello, era il sesto.
-Così- risposi, come al solito.
Mentre facevamo colazione, però, lui decise di abbattere gli schemi.
-Ieri ha chiamato Mello- disse.
Rimasi in silenzio, mescolando il mio the.
-Ha chiesto ancora di te… Sai benissimo che mi chiama quotidianamente, e credo sia il momento di parlarne.
-Non voglio.
-Non essere testarda. Ha detto che ha capito di aver sbagliato. Ha commesso quell’azione in maniera impulsiva. Comprendilo. Anche io sono stato arrabbiato con lui, ma ora basta…
-Sono sempre io a comprenderlo, ma soprattutto a scusarlo! Mi sono stancata!- esclamai.
Matt sospirò.
-E’ preoccupato.
-Non potrebbe fregarmene di meno.
-Deborah, ora basta prendersi in giro- mi ammonì, con tono più serio del solito, un tono innaturale per una persona come lui.
-Non sto prendendo in giro nessuno- replicai, prendendo un biscotto per immergerlo nella mia bevanda calda.
-Debby, so quello che provi per Mello- disse, con tono più confidenziale.
Il biscotto si sfaldò, e cadde nel liquido, mentre alzavo un sopracciglio e fissavo Matt con aria interrogativa.
-E’ sempre stato un gradino superiore agli altri, per te.
-Certo, è il più intelligente tra tutti, anche se non lo dimostra.
-Non sviare il discorso. Sai bene che non è di questo che parlo. L’hai associato a tuo padre quando hai visto che cos’aveva combinato. I problemi che hai avuto con tuo padre si stanno manifestando ancora adesso, perché hai paura di Mello.
-Cioè?- incalzai.
-Tu provi qualcosa in più dell’amicizia per Mello, fin da molti anni fa. E adesso stai ripetendo la stessa esperienza che avevi avuto con tuo padre…
-Stai usando contro di me Sigmund Freud, Matt?
-Trova qualcosa di errato nelle mie parole, allora potrai dire di sì.
Aprii bocca come per dire qualcosa, quando un mare di ricordi e sensazioni mi investirono.
I suoi abbracci.
I nostri momenti insieme.
Il nostro essere opposti, ma continuare a coesistere.
La sua mancanza mi aveva lasciata smorta, senza scopo, acida. Certo, provavo qualcosa per lui, ma cosa?
Amicizia? Non potevo definire quel rapporto come amicizia.
La mia gelosia, il fastidio che provavo quando vedevo intorno a lui altre ragazze. Il mio dolore, quando mi trattava male e quando se ne fregava di tutti i rischi, mettendosi in pericolo.
Ricordai quando prese a pugni Matt, alla Wammy’s, e quando sparò al piede di Taylor solo perché mi ronzava troppo intorno.
Fu come se la rivelazione si abbattesse su di me, in un solo momento, carica di tutte le emozioni che mi portavo dietro.
Mi sentii liberata da un telo nero, che non mi permetteva di vedere i miei veri sentimenti. Io lo volevo al mio fianco. Io desideravo stare con Mello.
-Deborah, non piangere ancora…- sentii dire Matt, e mi accorsi con stupore che delle lacrime mi stavano rigando il viso.
Rendermi conto delle lacrime mentre mi asciugavo col dorso della mano fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Mi alzai di scatto, abbandonando il the ormai pieno di briciole e il resto della colazione, e mi precipitai sul mio cellulare.
Chiamai il suo numero.
Squillò.
Il mio cuore batteva forte, parte di me voleva sentirlo, desiderava la sua voce, ma l’altra metà sperava che non rispondesse, che non udisse il telefono suonare.
-Pronto?- finalmente.
-Mello…- dissi annaspando, incapace di dire altro.
-Deborah- replicò lui, con tono malinconico.
-…Sto tornando- dissi, di getto -ero arrabbiata, furiosa, ma…
La voce mi si ruppe in gola, mentre cercavo di trattenere i singhiozzi.
-Non importa, ti aspetto. Lo sai che ci sono sempre. Sono stato impulsivo, ma ora imparerò dai miei errori- mi sembrò quasi surreale che lui dicesse delle cose simili.
-Parto questo pomeriggio, arriverò stasera, ho delle commissioni da fare… Ho delle cose da dirti.
-Capisco- mi disse -ora devo andare. A stasera.
-A stasera.
Lo sentii chiudere la telefonata, e sospirai.
-Grande!- esclamò Matt.
Quando mi girai, lo vidi appoggiato allo stipite della porta, che mi faceva due pollici in su.
Non potei fare a meno di sorridere.
La giornata passò in fretta, l’idea di rivedere Mello dopo quella furiosa litigata mi entusiasmava.
Le cinque ore d’auto per arrivare alla nuova base passarono velocemente, ma dovetti frenare bruscamente appena vidi in lontananza la struttura.
Era circondata da auto della polizia, e un elicottero girava sopra il tetto.
Parcheggiai il più lontano possibile, capendo, in preda al panico, di non poter fare nulla.
I minuti si susseguivano, e io osservavo meticolosa l’elicottero girare intorno al palazzo. Dopo ventinove giri, mi venne in mente del mio secondo cellulare, che possedeva una copertura per le intercettazioni.
Chiamai subito Matt, che rispose quasi istantaneamente.
-Dimmi Deborah!
-Matt, c’è la polizia, è tutta intorno al palazzo!- esclamai -Non posso entrare, sono a debita distanza. Cosa faccio?
-Merda!- esclamò lui, e lo sentii iniziare a maneggiare furiosamente con le tastiere dei computer.
-Non fare nulla!- mi ordinò -Io devo bloccare l’accesso a tutti i nostri dati privati!
-No, non possiamo lasciarli là!
-Se la caveranno- disse Matt, fiducioso.
Ma la sua fiducia non bastò a tenermi tranquilla quando l’edificio esplose.
















Angolo dell'Autrice

Salve miei lettori,
dopo una settimana orrenda, dove mi sono sentita demoralizzata, triste, abbattuta e sola come non mi succedeva da ormai tanto tempo, ho deciso di anticipare l'aggiornamento.
Tanto per trovare qualcosa di buono in una mia passione, tanto per sfuggire dalla realtà.
So che desidererete attentare alla mia vita, perché ho mollato la narrazione in un punto molto... Insomma, ci siamo capiti immagino! Ma non preoccupatevi, aggiornerò l'ultimo giorno di scuola, il venti. (Spero sia il venti, se non ricordo male). Ah, dimenticavo di dirvi che sì, i paragrafi sono due, ma sono lunghi come i miei soliti tre, non ho diminuito le classiche 5/6 pagine di Word a capitolo.
Vi ringrazio tantissimo per il supporto, non immaginate quanto sia importante per me, soprattutto in questo momento.
Siete fantastici.
Alla prossima! E vi auguro buon divertimento nell'allestimento dell'albero di Natale :)


ShinigamiGirl

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Capitolo 31
*** Dear Mello ***


Le macerie, da vicino, facevano ancora più impressione. Ricordavano terribilmente la città che, da bambina, avevo fatto saltare in aria. Ero stata io a dotare quell’edificio della possibilità di esplodere, ma non avrei mai pensato che qualcuno l’avrebbe fatto davvero. I ricordi e la paura non erano bastati a fermarmi, ero scesa dall’auto e corsa sul retro del palazzo a fuoco, sfuggendo alla vista della polizia.
Il mio cellulare era sul sedile dell’auto, non avevo nemmeno chiuso la chiamata, e Matt in quel momento, con ogni probabilità, era preoccupato e mi stava odiando.
Scavalcai a fatica il muretto e la rete, perdendo una scarpa mentre mi arrampicavo.
Atterrai malamente sull’asfalto, dall’altro lato, e mi tolsi anche l’altra calzatura dal tacco a spillo, nonostante i piedi mi facessero male a camminare sui sassolini.
Già da dove mi trovavo, il calore delle fiamme mi faceva sudare.
Ignorando i soccorsi della polizia, che stavano man mano giungendo, iniziai a chiamare Mello, a cercarlo tra le macerie, scottandomi mani, braccia e piedi a causa del calore. Mi maledicevo perché non riuscivo ad avvicinarmi troppo alle fiamme centrali, ma ero così presa dalla ricerca che non potevo piangere.
Trovai vari cadaveri che spuntavano dai pezzi di cemento, ma nessuno era quello di Mello.
Iniziai a chiedermi se lui fosse davvero nella struttura prima che esplodesse, quando, finalmente, vidi qualcuno strisciare faticosamente fuori dalle fiamme.
Aveva indosso vestiti di pelle nera, capelli lunghi e biondi.
In un attimo corsi da lui, ringraziando il cielo, e mi guardai intorno per cercare una via d’uscita, mentre lo prendevo tra le mie braccia, chinandomi.
-Mello, Mello, ti prego rispondimi!- esclamai, disperata.
Quando si voltò a guardarmi, mi accorsi degli effettivi danni che aveva subito, e rimasi impietrita.
Il suo viso era per metà sfigurato da una grave ustione, e notai che anche la sua spalla destra, e così anche parte del torace erano bruciate e sanguinanti, tanto che stavano sporcando anche le mie mani.
Riuscì ad aprire soltanto l’occhio destro, e quel suo sguardo mi trapassò.
Mi sembrava di avere un cucciolo di tigre ferito tra le mani.
-Andrà tutto bene, andrà tutto bene- iniziai a ripetere sottovoce, come per convincermi, ma più cercavo una via d’uscita, e più mi rendevo conto che non c’era modo di andarsene, se non quello di scavalcare nuovamente la rete.
Improvvisamente, un elicottero fu sopra di me, e appena alzai lo sguardo, notai che era proprietà della polizia. Dovevo allontanarmi immediatamente.
Cercai di tirare su Mello per non trascinarlo, ma non riuscivo, e nel frattempo l’aeromobile si abbassava sempre di più, facendo svolazzare sia i miei capelli che il mio vestito azzurro.
Era davvero così che doveva finire?
Mi accasciai a terra, ferendomi le ginocchia nude, ma ormai nulla aveva più alcuna importanza. Abbracciai Mello.
-Scusa- riuscii solo a dire.
L’elicottero atterrò al mio fianco.
-Sonia!- sentii urlare.
Fu come una luce.
Mi voltai di scatto, e rimasi sconcertata. Davanti a me, c’erano alcuni poliziotti che mi tendevano la mano, e altri del loro team scesero con una barella. Mi staccarono da Mello, lo caricarono e lo portarono sull’elicottero, guidando anche me con loro.
Ero molto confusa, non ci capivo più nulla.
Appena decollammo, mi passarono una radiolina, e sentii una voce familiare.
-Sonia, mi senti?- disse Matt, nonostante alcune interferenze.
-Sì, sì… Come… Che diavolo è successo?
-Poliziotti americani corrotti. Avevamo previsto che ci sarebbero serviti, e dopo che mi è comparsa la finestra relativa all’uso del sistema di detonazione, mi è sembrato giusto inviarveli. Ora sembrerà che vi dirigiate alla loro centrale, ma poi sarete portati alla nostra base, a East Los Angeles.
-Va bene- risposi.
Mi ero scordata che Matt aveva il controllo totale dei sistemi, e che l’uso dell’autodistruzione sarebbe comparso sui suoi computer.
-Come sono le condizioni di Mello?
-Pessime, ha subito gravi ustioni… Temo che non ci veda più da un occhio…
-E’ cosciente?- chiese il rosso, con tono rigido.
-Lo era quando l’ho trovato… Ora non ne ho idea- replicai.
-D’accordo. Ora mi devo occupare di avvertire quelli della base di East.
-A più tardi.
Restituii la radiolina al poliziotto che me l’aveva passata, e tirai fuori la pistola dalla giarrettiera che indossavo sotto al vestito.
Sapevo bene che ora dovevo reggere il ruolo di mafiosa.
-Muovetevi!- ordinai, alzando la voce -E fatemi un cazzo di rapporto sulla situazione, istantaneamente!
Mi si avvicinò un uomo con un camice bianco.
-Non ne sappiamo molte più di lei, signorina. Abbiamo potuto constatare soltanto che le ustioni sono piuttosto gravi, ma che se si interviene subito, possiamo salvargli la vista- mi spiegò.
-Che aspettate? Intervenite allora! Se lui rimane cieco da un occhio, farete la sua stessa fine- minacciai.
Loro sembrarono spaventarsi, e iniziarono a darsi da fare, mentre io assistevo.
Sperai con tutta me stessa che non perdesse la vista, anche perché non sarei mai stata veramente capace di accecare tutte quelle persone.
 
*
 
Qualcosa mi toccò la testa, svegliandomi improvvisamente.
Quando aprii gli occhi, vidi che Mello mi aveva messo una mano sul capo.
Ero appoggiata per metà sul letto bianco in cui lui era sdraiato, e seduta su una poltroncina davanti a lui. Mi alzai, e sentii un dolore alla schiena. Probabilmente, dormire in quella posizione non era il massimo, ma avendolo vegliato per più di due giorni senza mai dormire, pensai che fosse normale un mio crollo.
-Come stai?- mi chiese.
-Dovrei essere io a chiederlo a te…- risposi, guardandolo.
La metà sfregiata del volto si stava lentamente cicatrizzando, e riusciva ancora ad utilizzare entrambi gli occhi.
-Sono vivo.
-Coglione- lo rimproverai.
-Non avrai davvero creduto che ti abbia fatto mettere quel sistema di bombe così, tanto per!- esclamò, indispettito -Certe volte mi sottovaluti troppo, mocciosa.
-Sei tornato troppo vivo per i miei gusti.
-So che avresti preferito che ci lasciassi la pelle. E in effetti, della pelle ce l’ho lasciata.
-Il tuo umorismo fa resuscitare i morti, tanto è pessimo- gli feci notare.
-Matt?- chiese, ignorando il mio commento.
-A quanto mi ha detto, quelli della polizia non sono riusciti a cavare nulla dal sistema operativo che si trovava a Los Angeles. Quindi, è tranquillo.
-Meglio così. Dobbiamo andare in Giappone… Così distanti, siamo solo bersagli facili. Inoltre, da quando anche il presidente degli Stati Uniti si è arreso a Kira, questo territorio è diventato ancora più sfavorevole di quanto non lo fosse già…
-Mi mancherà il tuo visino immacolato- dissi improvvisamente, interrompendolo.
Lui mi guardò con superiorità.
-Sai cosa me ne frega di com’è la mia faccia. Anzi, se faccio più paura, forse è meglio che mi sia rimasta questa cicatrice. Soichiro Yagami ha scoperto il mio vero nome, ma… Mi danno per morto. Questa è la mia unica salvezza.
-Quindi non dovremmo dire nemmeno a Halle che sei vivo?
Halle era la donna che aveva iniziato a passarci informazioni dall’SPK al posto di Ratt, che era stato ucciso da Mello quando aveva preso in mano il quaderno.
-In realtà, mi ha fatto sapere una cosa, il giorno prima che ci attaccassero. Ed era ciò di cui avrei dovuto parlarti quella sera.
Rimasi in silenzio, aspettando ciò che doveva dirmi.
Io avrei voluto parlargli dei miei sentimenti, ma a quanto pare, aveva frainteso alla grande.
-Mi avevi fatto una foto, quando eravamo ancora all’orfanotrofio? Hai idea di come mi avresti potuto mettere nei casini?- mi chiese. Era arrabbiato, ma così debole da non riuscire ad alzare la voce.
Però mi resi conto che, stavolta, aveva ragione lui. L’avevo dimenticata alla Wammy’s House, insieme a tutti i documenti che lì avevo abbandonato…
Imprecai.
-Mi rendo conto… Ma adesso quella foto dove si trova…?
-Fortunatamente… O sfortunatamente, dipende dai punti di vista… Quella foto ce l’ha Near.
Quella notizia mi spiazzò.
-E come facciamo a recuperarla?
-Ci andrò io, appena potrò alzarmi da questo cazzo di letto.
Non ero sicura che il modo in cui Mello volesse presentarsi da Near fosse sicuro, ma dopo l’errore che avevo fatto, non potei che annuire.
-Volevi dirmi qualcosa, tu?- domandò.
Ci fu una pausa di silenzio.
-No, nulla di speciale- ribattei.
Il biondo non sembrò convinto della mia risposta, e lui non era certo la persona che lasciava correre.
-Deborah, sai benissimo che odio i giri di parole e le balle.
-Non sto dicendo balle!
-Che cazzo ti costa dirmelo?
Sbuffai.
-Sei una carogna- borbottai.
A quel punto non mi rispose più, si voltò a guardare la finestra e non mi degnò più d’attenzione.
-…però ti voglio bene. Ci tengo a te. E mi fai incazzare quando mi tratti di merda, quando te ne sbatti della tua vita come se non importasse a nessuno. A me importa!- esclamai, guardando fissa i miei pugni sulle ginocchia.
-E soprattutto, mi fa incazzare che tu sia sempre preso da Kira. Kira di qua, mafia di là, e io intanto devo fare dei lavori che mi tengono lontana tutto il giorno. Odio stare lontana. Quando non ci sono, ne succedono sempre di tutti i colori!
Finito il mio discorso, incrociai le braccia al petto, aspettando una risposta.
I minuti passavano, e la risposta non arrivava.
Alzai lo sguardo, incrociando il suo. Si era voltato, e ora i suoi occhi traboccavano di un’emozione che non gli avevo mai visto provare, ed erano così dannatamente belli che la cicatrice, la stanza, tutto ciò che ci circondava svanì, facendomi chiudere la bocca dello stomaco.
-Forse è stato meglio che tu non ci fossi… Almeno, sei rimasta bella come sempre- disse.
Mi sentii stringere il cuore.
Mi alzai e lo abbracciai d’istinto, ma non fu come le altre volte, in cui mi lasciava fare, restando passivo. Mi strinse a sé più che poté, così mi tolsi le scarpe e mi sdraiai di fianco a lui, senza staccarmi dal suo abbraccio.
Chiusi gli occhi, appoggiandomi alla sua spalla sana, ancora stanca dai due giorni di veglia.
-La mia stupida mocciosa- lo sentii sospirare, prima che il mondo dei sogni mi catturasse.
 
*
 
Lo stavo aspettando fuori dalla sede dell’SPK.
Certo, rapire Halle Lidner non era stata la migliore delle strategie, ma Mello era riuscito a entrare nell’edificio e farsi strada utilizzandola come ostaggio.
Tuttavia, per la fuga, gli serviva qualcuno di cui fidarsi.
Per questo li avevo pedinati con l’auto, e ben camuffata.
Mi ero messa una parrucca liscia, color platino, lunga fino alla vita, e indossavo un’enorme paio di occhiali da sole neri. Ci stavo facendo l’abitudine a travestirmi, avevo troppa paura che qualcuno mi riconoscesse. Ci avevo abbinato una giacchetta grigio topo e dei pantaloni aderenti e lucidi, con degli stivali alti.
Lo vidi uscire dalla porta principale con passo tranquillo, e con in mano, oltre alla tavoletta di cioccolata, la foto.
Salì in auto con molta tranquillità.
-Com’è andata?- chiesi.
-Nulla di che. Ma ora più che mai voglio trovare Kira prima di lui.
Sorrisi, mettendo in moto e entrando nella carreggiata, superando di parecchio il limite di velocità.
-Sei inguardabile con questi capelli- disse, dopo che ebbe finito di sgranocchiare il cioccolato.
-Meno male che non sono i miei naturali… Sono troppo appariscenti?
-Direi di sì.
-E va beh… Vorrà dire che ci guarderanno un po’ in aeroporto.
-Non dovremmo attirare attenzioni- ribatté lui.
-E tu, con mezza ustione in faccia, pensi di passare inosservato?- gli chiesi, uscendo dall’autostrada.
-Sicuramente meno di un’aspirante Lady Gaga.
Scoppiai a ridere.
-Non mi dispiace la sua musica. Carry man, carry man, none can read my Poker Face!- canticchiai.
-Zitta, sei stonata peggio di una campana- si lamentò.
-Ma non dire cazzate!- esclamai, dandogli una pacca sul ginocchio.
Stavo cercando parcheggio per poi entrare in aeroporto, quando mi venne in mente una domanda.
-Near come sta?
-E’ il solito omino dei gelati rompicoglioni.
-Non intendo quello… Era solo?
Mello sembrò finalmente capire.
-Sì, non c’era nessun altro della Wammy’s con lui.
Annuii, infilando l’auto in un posto libero.
Scesi dall’auto e presi i documenti falsi col biglietto, ci dirigemmo senza troppe valige verso l’entrata dell’edificio pubblico.
Matt ci aveva preceduti da alcuni giorni in Giappone, e sotto direttive di Mello avrebbe presto iniziato a tener d’occhio Misa Amane, che secondo il biondo aveva indossato i panni del secondo Kira.
Prima che entrassimo, Mello mi fermò trattenendomi per un braccio, e mi porse la foto, mostrandomene il retro dove, con la mia semplice calligrafia, molto tempo prima avevo scritto “Dear Mello”.
-Vorrei che mi dessi qualche spiegazione- mi disse.
-Avrei voluto regalartela, e volevo scriverti quanto fossi stato importante per me. Ma pensavo che avresti vomitato su una smanceria simile- risposi, sorridendo.
Lui fece il suo solito sorriso, che come sempre somigliava più a un ghigno, e mi attirò a sé, mettendomi un braccio attorno ai fianchi.
Quel gesto mi sorprese, e rimasi ancora più impietrita quando posò le labbra sulle mie.
No, non era possibile, stavo decisamente sognando.
Eppure fu per me un gesto naturale avvinghiarmi a lui, mettergli le mani tra i capelli, e chiudere gli occhi per godermi al meglio quel momento.
Le sue labbra si muovevano decise sulle mie, un po’ più incerte, e sentivo che mi bramavano, mi desideravano, e quando le nostre lingue si toccarono mi sentii avvampare le guance. La sua mano premeva appena sopra il mio fondoschiena, come per rappresentare una forte possessività.
Si distaccò piano da me, e rimanemmo qualche secondo vicini, il suo naso che sfiorava il mio, mentre quegli occhi glaciali mi risucchiavano in un vortice di mille sensazioni.
La prospettiva del viaggio di circa dieci ore d’aereo non era più così male.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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Angolo dell’Autrice
 
Ok, mie cari lettori in subbuglio(?), sì, la paring a cui puntavo fin dall’inizio erano proprio loro, Deborah e Mello!
Ce ne hanno messo di tempo, è vero, ma ammetto di averlo fatto apposta. Non mi sarebbe sembrato credibile se si fossero voluti bene fin dall’inizio!
Il disegno era d’obbligo, è appeso sull’armadio della mia camera!
Ma ditemi le vostre impressioni, sono curiosa! Sempre che abbiate voglia xD
Ringrazio tutti coloro che continuano a sostenermi e leggere la mia storia, siete davvero importanti per me.
Buon Natale e Felice Anno Nuovo (anche se in anticipo haha)!! Ci vedremo ancora prima della befana, quindi state tuned. (?)
Un grazie a tutti e buone feste, un grande abbraccio!
 
ShinigamiGirl

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Capitolo 32
*** L'amore e il dovere ***


In Giappone, lo scompiglio fu enorme.
Appena arrivati, ci trasferimmo in un appartamento sopra a quello di Matt, dato che la mafia non aveva posti nella sua sede.
Traduzione, lo sentivamo giocare almeno per metà giornata, e spesso era controproducente, dato che Mello si incazzava a morte e scendeva per urlargli di lavorare. Li si poteva sentire mentre si buttavano in una rissa, e poi facevano pace.
Io proprio non li capivo, ma continuai nel mio lavoro di spacciatrice per mandare avanti la copertura, nonostante avessimo più soldi di quanti ce ne servissero.
Dopo che il presidente degli USA si era messo dalla parte di Kira, in America ci fu molto scalpore, e molti si rivoltarono contro l’associazione di Near. Assistemmo tramite un servizio in live all’attacco dei sostenitori di Kira al palazzo dell’SPK, dal quale deducemmo che Near si sarebbe presto spostato in Giappone, anche se rimasi piuttosto scioccata da come fuggirono.
Distrassero la folla facendo piovere enormi quantità di denaro dalla cima del palazzo, e si confusero con i poliziotti che uscirono dall’edificio, tutti dotati di casco.
Anche se Near camminava peggio di un gobbo e normalmente si sarebbe visto lontano un miglio, con tutto quel casino fu impossibile notarlo, men che meno dalla televisione.
Dopo che i membri dell’SPK si furono trasferiti in Giappone, fu semplice per Matt rintracciarli entro un paio di giorni, e intercettammo molte delle loro congetture.
Il rosso continuava a tenere d’occhio Misa, che però si dimostrava innocente man mano che il tempo passava. Anzi, sembrava semplicemente una stupidissima ragazza, tanto che a me pareva impossibile che lei potesse essere minimamente paragonata a Kira.
Quando giunse il Natale, Mello decise, molto inaspettatamente, di lasciare le sue montagne di lavoro da fare a Matt per liberarsi e portarmi a fare shopping.
-Sei sicuro di stare bene?- gli chiesi ancora, mentre indossava il suo solito cappotto, ormai vecchio.
Pensare a quando gliel’avevo regalato era come tornare ad una parte della mia vita lontana millenni.
-Sì! Quante volte te lo devo ripetere?- sbottò, ormai esasperato.
-Okay, okay- dissi, liquidando la faccenda.
Non volevo certo fargli cambiare idea.
Io mi vestii con un paio di jeans, una felpa e un piumino blu scuro, e indossai un paio di Vans. Era raro che mi mettessi così comoda, non presi nemmeno una parrucca o degli occhiali, ma decisi di mettermi un paio di paraorecchi neri e dei guanti del medesimo colore. Per quell’uscita non mi truccai nemmeno.
Prima di andare, scesi al piano inferiore, entrai nell’appartamento di Matt e corsi ad abbracciarlo, ringraziandolo per la sua pazienza con un bacio sulla guancia.
-Divertitevi, e compratemi un videogioco!- esclamò, mentre tornavo da Mello.
Lui mi porse la mano, con espressione un po’ seccata.
Gli sorrisi, stringendogliela.
La nostra passeggiata, fino in centro, fu silenziosa e tranquilla.
Io mi godevo la sua presenza, e pensai che anche lui a modo suo lo stesse facendo. In giro c’erano molte coppiette, e me ne chiesi il motivo. Mello sembrò intuire i miei pensieri.
-Qui il Natale non è una festività come la vedevamo noi in Inghilterra- mi disse -in Giappone è più una festa per gli innamorati. In ogni caso, vedi di non farmi spendere troppi soldi in vestiti, eh.
Ricevetti il suo messaggio forte e chiaro.
Certo, era sempre il solito che sviava le smancerie, rifugiandosi dietro a vari pretesti, ma dirmi come era considerato il Natale in quel paese era un po’ come dirmi “questa sera, festeggiamo noi due”.
E questo mi gratificava più di qualsiasi vestito che mi potesse comprare.
Ammetto che non era il massimo del romanticismo, ma era così che mi piaceva tra noi due. Lo adoravo così, rude e incapace com’era.
Sorrisi a quel pensiero.
Quando mi portò davanti al primo negozio che aveva in programma di farmi visitare, rimasi spiazzata e a bocca aperta, tanto che mi bloccai e non entrai subito.
-Che hai?- mi chiese.
-Mi dici di non farti spendere troppi soldi in vestiti, e poi mi porti qua?- esclamai, indicando l’insegna del negozio.
-Non vorrai che io ti regali degli stracci!- ribeccò lui.
-Sai quanto costano i vestiti di Dolce & Gabbana?- chiesi, incredula.
-Al diavolo! Smettila di pensare ai prezzi e lasciati regalare qualche cazzo di vestito!- ordinò lui, trascinandomi dentro.
Altro che risparmiare.
Mello spese capitali in quel negozio, e non solo.
Mi portò da Chanel, da Giorgio Armani e, tanto per concludere in bellezza, in una profumeria di alto livello.
Il bottino che ci portavamo dietro nelle varie borse valeva più dell’appartamento in cui alloggiavamo, e probabilmente anche dell’auto che avevo acquistato per spostarmi in Giappone.
Praticamente nel primo negozio e nel terzo mi ero rifatta il guardaroba, da Chanel avevo invece scelto una borsa e un elegante zainetto, entrambi neri, con il simbolo della marca in argento e con una texture trapuntata.
Nella profumeria non avevo preso molto, se non un paio di rossetti, trucchi di marca e il profumo J’adore, di Dior.
Era tutto così surreale che mi sembrava di dovermi svegliare da un momento all’altro, e scoprire che era stato tutto un sogno.
Per concludere l’uscita, ci fermammo a mangiare in un ristorante tipico giapponese. Fu una delle serate migliori della mia vita.
 
*
 
Eravamo sulla strada del ritorno quando Mello, dichiarandosi stanco, si sedette sotto uno dei tanti alberi di natale luminosi che c’erano per le strade.
Era molto tardi, non c’era praticamente nessun altro per la strada. Probabilmente, tutti avevano finito di festeggiare ed erano tornati a casa.
Mi misi al suo fianco, con un’espressione serena in volto e, con ogni probabilità, un sorriso ebete stampato in faccia. Un sorriso che avevo tenuto per tutta la serata.
Mi sentii picchiettare la spalla.
Quando mi voltai, Mello guardava fisso davanti a sé, con uno sguardo imperscrutabile, ma aveva il braccio sinistro teso verso di me, con un pacchettino in mano.
-Ma non mi hai fatto già abbastanza regali?- gli chiesi.
-Prendilo e basta- rispose.
Incuriosita, lasciai la presa dalle borse e afferrai il pacchetto.
Era quadrato, non più grande del palmo della mia mano, impacchettato con elegante carta d’argento.
Lo scartai lentamente, con delicatezza, un po’ per non stracciare la carta, un po’ per sentire l’adrenalina del momento. Mi si presentò davanti una scatolina di velluto, una di quelle scatoline che di solito contengono…
La aprii.
Infilato tra due cuscinetti altrettanto vellutati, c’era un singolare anellino.
Non era così appariscente. Era piuttosto semplice, con una pietra azzurra incastonata in cima, anch’essa piuttosto piccola e circondata da altre pietruzze bianche ed estremamente brillanti.
La montatura era d’oro, e appena lo tirai fuori, mi resi conto di quanto fosse fine, semplice e leggero.
Il mio cuore quasi perse un battito.
Vidi la sua mano prendere l’anello, mentre con l’altra prendeva la mia sinistra. Mi infilò l’anello sull’anulare, e lo ammirai con occhi sognanti.
Decisamente il regalo più bello della giornata.
Mi sentii in dovere di dire qualcosa.
-Mello, io…
-Aspetta- mi interruppe lui.
Mi voltai, e i nostri visi furono sorprendentemente vicini.
Avvicinò le labbra alle mie, e ci baciammo con foga, come se avessimo l’uno fame dell’altra. Sentii le sue mani sul mio viso, che mi attiravano a sé, e io stessa cercai di avvicinarmi il più possibile, mentre le nostre labbra si assaporavano a vicenda.
I suoi baci erano fantastici. Avrei passato giornate intere a baciarlo.
Lui e i suoi baci che sapevano di cioccolata…
Mi staccai da lui soltanto perché mi mancava il fiato.
Mello però non si allontanò da me, mi abbracciò e avvicinò le labbra al mio orecchio.
-Il mio nome è Mihael Keehl- sussurrò.
Quasi sussultai.
Era davvero quello il suo vero nome? Fu il mio primo pensiero.
Un istante dopo, capii la profondità del gesto che aveva compiuto. E dovevo correggermi nuovamente, l’anello passava in secondo piano.
Era quello il vero, migliore regalo della giornata.
Mi allontanai per guardarlo negli occhi.
Mi osservava con uno sguardo indifeso, come se avesse appena dato, per la prima volta in vita sua, tutto sé stesso a qualcuno.
-Michelle Dreamer- risposi, in un soffio.
-I nostri nomi sono simili- notò lui.
-Simili, ma egualmente diversi…
Ci baciammo ancora, sotto quell’albero, sotto il cielo stellato, prima di alzarci e andare a casa.
Arrivai nell’appartamento sorridente, felice, senza altri pensieri in testa oltre alla serata che avevo appena vissuto. Appoggiai momentaneamente le borse vicino al letto singolo della stanza in cui ero solita dormire, e andai in bagno, dove mi lavai i denti, il viso, e misi il pigiama.
Volevo ringraziare Mello per l’uscita, così bussai alla sua camera.
-Entra pure- lo sentii dire, così aprii la porta e la socchiusi alle mie spalle.
Arrossii un po’.
Era a torso nudo, con i pantaloni di pelle che aveva indossato quella sera. Si poteva vedere chiaramente come la cicatrice del viso continuasse sulla spalla, sul braccio e in parte del petto, i capelli biondi e scompigliati gli sfioravano quelle spalle muscolose, ma al contempo non troppo larghe e grosse.
-Volevo ringraziarti, sono stata tanto bene stasera…- cincischiai, quasi incapace di parlare.
Feci qualche passo avanti e lo abbracciai.
-Mi stai dicendo che ti ho resa felice?- mi domandò.
-Sì- risposi.
-E che non dimenticherai mai questa sera?
-Già.
-E mi ami?
-Sì- risposi meccanicamente, presa dalla sincerità, ma appena me ne resi conto, avvampai.
Lui mi osservò, ghignando con maliziosità.
Improvvisamente, non sapevo più cosa dire. Avevo una strana sensazione che partiva dalla pancia, e si espandeva ovunque, offuscando la parte ragionevole della mia mente. Stargli così vicino quando non aveva indosso una maglietta, evidentemente, non era una grande idea.
Probabilmente lui se ne accorse, e anche il suo corpo iniziò a comportarsi a modo suo.
-Anche io- disse lui, e questo fu sufficiente a farmi andare in un brodo di giuggiole.
Le sue braccia mi afferrarono i fianchi, mentre si chinava a baciarmi con passione.
Ricambiai, e nella mia testa iniziarono a piovere domande, sensazioni.
“Non sono pronta”.
“Oddio”.
“Fa che non si fermi”.
“Non posso”.
“Però lo voglio”.
“Mi piace”.
“No, lo amo”.
Ed ecco, fu quel pensiero a bloccare tutto.
Smisi di pensare.
Lasciai che fossero i nostri corpi ad agire.
Ci lasciammo cadere sul letto, mentre nella sua foga mi toglieva ogni cosa che avessi addosso. Eravamo entrambi caldi, pieni di emozioni, e senza pudore. Inizialmente il dolore fu per me lancinante, ma non ci fermammo, perché entrambi sapevamo di voler andare fino in fondo, e di essere liberi.
Così, per quella notte, non dormii in camera mia.
 
*
 
I giorni passavano, le indagini procedevano, e Mello si rivelò uno strano tipo di fidanzato. Certo, non potevo aspettarmi rose e cioccolatini ogni sera, ma avevo creduto invano che il nostro rapporto avrebbe addolcito il suo caratteraccio.
Riusciva a farmi perdere la testa una sera, e cacciarmi a dormire nella mia stanza la notte seguente solo per qualche bisticcio.
Nonostante queste scaramucce, in un modo o nell’altro non riuscivamo a stare col broncio per più di un paio di giorni, sia io che lui, ed era soddisfacente tornare tra le sue braccia subito dopo aver chiarito la situazione.
Spesso ero fuori casa per conto della mafia, ma decisi di dedicare qualche momento della mia giornata al caso Kira, e iniziai a prestare particolare attenzione ai membri dell’SPK. Scoprii che Gevanni, uno degli uomini di Near, stava pedinando un giornalista, e me ne chiesi il motivo, così iniziai io stessa a seguire entrambi e tenerli d’occhio, ogni giorno con un aspetto differente.
E fu un’azione azzeccata, perché una sera osservai quel Teru Mikami estrarre un quaderno nero, molto simile al Death Note, scrivere qualcosa e metterlo via. Poco dopo, scese dalla fermata, e un uomo che stava molestando una ragazza stramazzò a terra, privo di vita.
Gevanni era a dir poco incredulo, e dovetti fingermi spaventata e scendere dalla metropolitana, non sarebbe sembrato per nulla normale se fossi rimasta impassibile.
Inoltre, Halle stava nel corpo di guardia di Kiyomi Takada, la nuova portavoce ufficiale di Kira.
Queste notizie, che portai a Mello, lo stupirono e iniziò a ragionarci sopra. Suppose che Light avesse passato il quaderno a Mikami per continuare la sua opera e sembrare perfettamente innocente.
Lo vidi perdere sempre di più la voglia di indagare, e iniziavo a preoccuparmi, man mano che i giorni procedevano.
Tuttavia, una sera, ne parlammo apertamente.
-Credo di aver compreso una cosa molto importante. L era sicuramente il detective più famoso, ma anche intelligente al mondo- mi disse -ma capisco anche che Near non sarà mai al suo livello. E nemmeno io. Tuttavia… Insieme, possiamo anche superarlo…
-Hai intenzione di collaborare con lui?- gli chiesi.
-Non tornerò mai da lui strisciando- esordì.
-So che stanno cercando di rubare il quaderno… Ma nient’altro- gli spiegai -non capisco come puoi dar loro una mano.
-Troverò il modo- promise -io ho l’obbligo di sconfiggere Kira. Per L.
Annuii.
Capivo la sua motivazione, e si avvicinava per noi il momento di fare qualcosa di decisivo. Matt era sempre attento e sveglio, anche lui pronto a dare la svolta.
Il problema era proprio che non riuscivamo a trovare il modo di dare questa importante svolta.
Era il 25 Gennaio quando Mello scoprì, tramite Halle Lidner, che Near e i membri della polizia giapponese si sarebbero incontrati tre giorni dopo in un magazzino abbandonato.
Il biondo sembrò accettare la notizia con criterio, ma dentro di me sapevo che stava macchinando qualcosa.
Il giorno dopo, finita la colazione con Mello, lo salutai con un bacio e uscii per il solito spaccio di droga, così passai anche da Matt, come consuetudine, che mi diede un abbraccio.
Feci i vari scambi di droga e denaro che avevo programmato, e arrivai a fine serata per l’ultimo spaccio.
Mi si presentò davanti un ragazzo pallido, di qualche anno più grande di me, dai capelli corvini, lunghi quasi fino alle spalle. Non portava una frangetta, ma aveva i primi due ciuffi della chioma alti, che si dividevano lasciando una riga in mezzo.
I suoi occhi parevano felini, di un azzurro così chiaro da essere quasi invisibile.
-Forza, dammi prima i soldi- feci, con tono duro.
-Non sono qui per quella… Lo erano loro- indicò a destra.
Voltandomi, vidi dei corpi legati e imbavagliati.
Il mio primo istinto fu quello di tirare fuori la pistola e puntargliela contro.
-Chi sei? Che cosa vuoi?
-Non agitarti- disse lui, alzando le braccia muscolose -tu sei Deborah?
-Ho detto di dirmi chi sei!- esclamai.
-Sono Evan. Mi manda Stefany. Devo assolutamente portarti da lei…
Abbassai la pistola, con gli occhi spalancati.
-E’ successa una cosa grave- continuò.
-Cosa? Aspetta, prima devo avvertire Mello…- cercai il mio telefono tra le tasche.
-Non puoi più avvertirlo!- esclamò lui, prendendomi per spalle -Mello e Matt sono morti.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’Autrice
 
Allora.
Siccome io stessa ho faticato a scrivere le ultime parole di questa fanfiction, e avendo messo tra le avvertenze che era una Missing Moments, non accetto accuse. Il mio Mihael aveva il destino segnato per colpa degli autori di Death Note, non per colpa mia. Fosse stato per me, non avrei esitato a farlo vivere.
Chiusa questa parentesi(?)
Mancano due capitoli.
Due.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto nonostante il male incombente, e fatemi sapere, ma soprattutto, piangiamo insieme perché secondo me non è giusto che lui e Matt muoiano nell’opera originale T0T
Vi ringrazio infinitamente per il sostegno, vi si ama!
Besos,
 
ShinigamiGirl

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Capitolo 33
*** Amara vittoria ***


Ero sulla macchina di Evan, diretti a casa di Stefany.
In realtà non sapevo nemmeno se fidarmi davvero di lui o no.
Non potevo credere che Mello fosse morto, e nemmeno Matt. Strinsi la mano destra sulla sinistra, dove avevo ancora il mio anello.
No, non era morto.
Come poteva essere successo? Non era possibile, in nessun modo.
Matt stava sempre in casa praticamente, mentre Mello quel giorno non mi aveva detto di aver nulla da fare di preciso.
Inoltre, era decisamente poco probabile che Stefany si trovasse in Giappone. Per questo tenevo d’occhio la mia pistola, pronta a sparare un colpo all’individuo non appena avesse fatto un passo falso.
Giungemmo davanti ad una villetta, e ne uscì una ragazza slanciata, con i capelli lisci, lunghi fino a metà schiena, e un paio d’occhiali che avrei riconosciuto ovunque.
Indossava un camice bianco, lungo fin sotto la minigonna di jeans che portava. Per il sopra, si poteva scorgere un maglioncino morbido, di colore azzurro.
Scesi dall’auto e le corsi incontro.
Ci abbracciammo come l’ultima volta che l’avevamo fatto, stringendoci forte e senza dire nulla.
-Deborah! Mi dispiace davvero…- disse lei, dopo un po’, senza staccarsi.
Iniziai a realizzare che le mie supposizioni erano false.
-No. No, non è vero! E’ impossibile!- esclamai, mentre gli occhi si appannavano -Voglio vederlo, ora!
-Mi spiace- ripeté lei, accompagnandomi dentro casa.
La seguii giù per le scale, probabilmente nello scantinato. Non l’avessi mai fatto.
Nella stanza in cui mi portò, vidi i corpi di Matt e Mello, coperti fino al collo da un lenzuolo bianco e poggiati su due lunghi tavoli. A Matt erano stati tolti gli occhiali, e sulla fronte pallida cadevano ciocche di capelli rossi.
Il mio sguardo straziato si posò su Mello.
-Mello- sussurrai, e la mia voce si incrinò, mentre mi avvicinavo senza parole al tavolo di metallo. Notai che alle spalle si erano aggiunte altre ustioni, ma il viso era come l’avevo visto quella mattina. Il suo respiro, però, non c’era più.
Gli sfiorai la guancia, la mia mano tremava. Era immobile, fermo davanti a me.
-Mihael!- urlai, facendomi male alla gola.
Ma niente aveva più importanza. Davanti a me c’era la persona che aveva in mano la mia vita. Era morto, morto.
Caddi a terra, le mie ginocchia avevano ceduto, e scoppiai in un pianto disperato, mentre farneticavo parole senza senso, distrutta dal dolore.
Stefany mi fece sedere su una poltrona, ma non riuscivo più a vedere dove fossi, non ne avevo nemmeno la forza.
Ero soltanto capace di piangere, i singhiozzi mi levavano il respiro, non mi permettevano di fare null’altro.
-No! No! No!- ripetevo, e più lo dicevo, più la mia voce diventava fioca.
Mi sentivo il petto squarciato.
Vuoto.
Un vuoto che nessuno avrebbe potuto colmare.
Mai più.
Non c’erano parole per descrivere davvero i miei sentimenti.
Passai la notte peggiore della mia vita, Stefany mi vegliava, e cercava di essere il più presente possibile, credo che abbia avuto una pazienza infinita nei miei confronti.
Rimasi su quella dannata poltrona, a pochi metri dalla persona che amavo. Così vicina, e così distante. Persi la cognizione del tempo, accasciata sul bracciolo della poltrona, mentre le lacrime scendevano copiose.
Non potevo accettarlo.
Il buio si impadronì di ogni mio senso, e dentro di me sperai di non riemergere mai più.
 
*
 
Quando mi ero addormentata, probabilmente Evan mi aveva portata al piano superiore, in una camera da letto.
Appena aprii gli occhi il mattino dopo, infatti, trovai Stefany al fianco del mio letto, nonostante fosse mezzogiorno passato.
Ero ancora pronta ad esplodere come una bomba ad orologeria, vedevo scorrere ogni cosa attorno a me come una spettatrice esterna, senza sentirmi davvero nel mio corpo.
Bastava posare lo sguardo sul mio anello, e sentivo di nuovo la voragine nel petto.
Stefany quasi mi costrinse a mangiare, mentre cercava di parlarmi.
-Ora credo sia giusto spiegarti come e cosa è successo, inoltre, ho delle cose importanti da dirti…- disse ad un certo punto, ancora con sguardo dispiaciuto.
Annuii passivamente, stropicciando gli occhi pastosi.
-Mello e Matt si sono sacrificati per attuare un piano a dir poco geniale. Devi essere orgogliosa di entrambi. Mello ha rapito Takada, la portavoce di Kira, per scoprire veramente che rapporto ci fosse tra lei e Light, il principale sospettato e ormai confermato Kira. Matt è stato ucciso dalla polizia, mentre faceva da esca per favorire la fuga di Mello, gli hanno sparato. Mello invece è stato ritrovato appena in tempo, mentre il camion di cui era alla guida andava a fuoco. Io ed Evan ci siamo spacciati per addetti della polizia scientifica, e siamo riusciti a portarli qui, anche grazie all’aiuto di Near. Il fatto che Takada sia morta, portandosi dietro anche Mello, dimostra parecchie cose, tra le quali si deduce che lei non fosse altro che una pedina, ma in particolare, Near mi ha rivelato una cosa- disse, alzando l’indice.
-Near?- domandai, con voce flebile.
-Sì. Noi siamo, da un anno a questa parte, in contatto quasi giornaliero con Near. Certo, ho dovuto improvvisarmi biologa marina per coprire la mia vera identità, ma è stato relativamente semplice. Comunque, Gevanni, un sottoposto di Near, aveva sostituito alcune pagine del quaderno di Mikami, ma il giornalista doveva averlo previsto. Infatti, Gevanni aveva sostituito parti di un semplice quaderno falso. Il fatto che Mikami si sia diretto in banca, dove teneva il vero quaderno, non ancora sostituito e mai toccato da Gevanni, per scrivere il nome di Takada, ha iniziato a far sospettare Near l’esistenza del quaderno falso… Mello era consapevole della mossa di Light, della sua predizione riguardo alla sostituzione del quaderno, e il suo gesto ha permesso a Near di smascherarlo. Per questo, siamo certi che domani, Kira sarà finalmente consegnato alla giustizia.
La spiegazione di Stefany fu veloce, precisa ed esaustiva.
Chiusi gli occhi, stringendo le labbra. Ecco cos’aveva fatto, come era riuscito a dare la svolta.
Aveva mostrato a Near che Kira lo stava ingannando, facendo così in modo che l’albino avesse via libera.
“Troverò il modo, io ho l’obbligo di sconfiggere Kira. Per L.” aveva detto.
Aveva mantenuto la promessa.
L sarebbe stato fiero di lui.
Io stessa ero orgogliosa, con quel gesto, aveva dimostrato l’umiltà che l’aveva reso superiore a Near.
Ma ero anche rimasta senza la persona più importante della mia vita, e avevo perso pure un mio grandissimo amico.
Morti con onore, ma non erano più con me.
Dopo che avevo trovato il mio posto nel mondo, loro mi avevano abbandonata, lasciandomi sola. Non sentivo più nemmeno la voglia di appartenere veramente a quel mondo.
-Voglio andare con Near. Voglio uccidere Kira con le mie stesse mani!- sibilai, in preda ad una rabbia omicida.
-Aspetta, non dire cose affrettate. So che stai male, ma non sarà questo il modo per risolvere le cose… Inoltre- aggiunse Stefany -abbiamo un ruolo importante. Near ci ha chiesto di fare una cosa fondamentale.
Volsi il mio sguardo su di lei.
Cosa c’era di fondamentale, se la vittoria era già assicurata?
 
*
 
Entrai con Evan nel magazzino Yellow Box, dove di lì a breve si sarebbe svolto l’incontro più importante in tutta l’era di Kira.
Stefany era stata molto precisa ad indicarci dove piazzare le telecamere, io dovevo aiutare il suo ragazzo nell’impresa.
Mi aveva raccontato di averlo conosciuto circa un anno prima, appunto quando si era messa in contatto con Near. Lei era già in Giappone, dove credeva fosse meglio stare per indagare su Kira, e sapeva cosa succedeva nel quartier generale della polizia giapponese nei minimi dettagli.
Non ci avevo parlato molto, era uno di poche parole, ma mi andava a genio come personalità. Era schietto, si comportava atteggiandosi un po’ da superiore, era sempre deciso, ricordava, per alcuni aspetti, il carattere di Mello, anche se non completamente.
Lo scopo delle telecamere era dimostrare che Light era Kira anche se egli, per sfortunato caso, fosse riuscito ad avere la meglio sull’SPK.
Erano minuscole, impossibili da vedere a occhio nudo dopo i tre metri di distanza, ma Evan le aveva create affinché potessero ingrandire l’immagine con una nitidezza impressionante. Era un esperto di nanotecnologia, e in effetti ci sapeva fare.
Ne attaccammo circa una decina, e si collegarono tutte facilmente ai computer che Stefany aveva in casa, pronti a registrare tutta la vicenda che sarebbe avvenuta.
Eseguii tutto con atteggiamento neutro, vuoto. Lo stavo facendo solo per non rendere vani gli sforzi di Mello e Matt. Non l’avrei permesso.
Sapevamo bene che, per quando saremmo tornati alla villa di Stefany, Near avrebbe già concluso l’incontro, così chiesi a Evan una deviazione al mio vecchio appartamento.
Salii con malinconia quelle odiose scale che mi era sempre toccato fare con i tacchi.
Aprii l’appartamento con la chiave, e appena entrata, mi chiusi dentro, accasciandomi a terra, in preda a mille ricordi.
I suoi abbracci, i suoi baci che sapevano di cioccolata, i nostri momenti insieme in quel luogo, tutto di lui era incancellabile.
Andai nella mia camera, dove presi tutto ciò che vi avevo lasciato, compresi i regali che Mello mi aveva donato solo un mese prima.
Stavo per andarmene, ma decisi di fare un’ultima cosa.
Entrai nella sua stanza, con le lacrime che avevano ricominciato a bagnarmi il volto, e mi sdraiai sul suo letto, dove il suo profumo era ancora presente. Un profumo deciso, virile e penetrante. Mi immersi in quelle coperte, infilando le mani sotto il cuscino, quando sentii qualcosa.
Guardai cosa fosse, asciugandomi gli occhi perplessa, e vidi una busta bianca stropicciata.
La presi, mettendomi di scatto a sedere, e vidi che sul retro c’era scritto: “A Michelle”, in una calligrafia un po’ scarabocchiata.
Il mio cuore batteva più forte, e non sapevo che fare.
Aprirla? Non aprirla?
Sicuramente l’aveva scritta per me, perché sapeva a che destino stesse andando incontro.
Ritenni di non essere ancora pronta per affrontarla.
La infilai in tasca, sdraiandomi nuovamente, per un momento che mi parve infinito.
Quando uscii dalla porta d’ingresso, ero carica di molte borse.
Mi fermai anche nell’appartamento di Matt, dove videogiochi e sigarette erano ancora sparsi in giro, persino sul pavimento. Trovai il suo vecchio Game Boy sulla scrivania, e senza nemmeno pensarci lo presi, con in mente l’immagine del mio migliore amico, ancora alla Wammy’s House, che con un sorriso genuino mi offriva la console per giocare a quello stupido videogioco dei Pokémon.
Chiusa a chiave anche la sua porta, tornai finalmente da Evan, misi tutto quanto nel baule e salii sul sedile del passeggero.
-Scusa se ci ho messo tanto- dissi, più per educazione che per scusarmi davvero.
-Ne avevi tutto il diritto- rispose lui, mettendo in moto l’elegante Mercedes.
Mi lasciai la palazzina alle spalle, per l’ultima volta.
 
*
 
Quella sera, Near contattò Stefany per ringraziarla.
Non c’era stato bisogno del piano d’emergenza con le telecamere, si era svolto tutto come l’albino aveva previsto.
Kira, finalmente, era stato messo al tappeto.
Più precisamente, era morto di attacco cardiaco tentando di scappare. Era davvero così spaventato da essere morto d’infarto, o lo Shinigami gli aveva tirato un brutto scherzo?
Noi non lo sapremo mai, ma almeno gli sforzi di L, di Matt e soprattutto di Mello erano andati a buon fine.
Prima che Near abbandonasse la sede giapponese dell’SPK, decisi di andare a fargli visita.
Arrivai alla sede prima dell’ora di pranzo del giorno seguente, non mi ero disturbata nemmeno di travestirmi.
Tuttavia, due dipendenti alla sicurezza non volevano farmi accedere, e cercai di spiegare che conoscevo Near da sempre. Ma la mia pazienza aveva un limite.
Quando la persi totalmente, estrassi la pistola e passai alle minacce.
-O mi fate entrare, o muoio qui, sparando a uno di voi due- dissi.
Le due guardie si spaventarono, e anche se stavano per estrarre anche loro le armi, io la puntai dritta alla testa di quello più giovane.
-Non mi hai capita, stronzo? Gli sparo dritto in testa se non mi fai vedere Near!- esclamai.
A quel punto, il più anziano aprì la porta, e mi feci largo nel corridoio tenendo sotto tiro l’addetto giovane.
Arrivai in un’enorme stanza, con uno schermo computerizzato più grande di una parete intera, e alcuni membri si spaventarono nel vedermi arrivare, tanto che si misero davanti a Near, puntandomi addosso le loro pistole.
-Chi sei?- mi chiese la bionda, non riconoscendomi.
-Halle, chiudi il becco e sposta il tuo sudicio culo, devo parlare con Near- ordinai.
Lei sembrò spaventarsi del fatto che conoscessi il suo nome.
-Deborah… Questa situazione è un déjà vu…- disse Near, con la solita pacatezza di sempre.
-Tu… Nanetto…- borbottai, ricolma di rabbia.
-Immagino che tu sia addolorata- disse, facendosi largo tra i sottoposti e avvicinandosi a me.
-Addolorata. Addolorata!?- urlai -Tu mi consideri solo “addolorata”, Near?!
-Posso comprendere il tuo dolore…
-No, non lo comprendi, pezzo di merda!- esplosi, mentre le lacrime mi rigavano il volto.
Near mi fissò, senza profferire parola.
-So che non è colpa tua, ma voglio almeno sperare che tu sia ben consapevole che senza di Mello, non sei niente- sibilai, calcando sulle ultime parole.
L’albino abbassò il capo.
-E’ vero. Senza Mello… Sarei finito ucciso da Teru Mikami- ammise -gli ho già attribuito il merito davanti a Kira stesso…
-Non mi interessa. Volevo sentirtelo dire di persona- dissi, dando un calcio all’uomo che tenevo sotto tiro e abbassando la pistola.
Mi asciugai il volto passandomi il dorso della mano sinistra sotto gli occhi.
-Solo ora comprendo a pieno il perché di questa reazione…- sussurrò Near, squadrando l’anello che portavo sull’anulare.
L’aveva visto mentre mi pulivo dalle lacrime.
-Già. Sono venuta anche per ringraziarti di aver giustiziato Kira al mio posto, nonostante sia morto per altre cause.
-Capisco.
Gli diedi le spalle e mi diressi fuori dall’edificio, senza attendere altro.
Qualcosa, però, mi diceva che quello non sarebbe stato il nostro ultimo incontro.
Salita in auto, mi sentii lacerare il petto. Ecco, avevo sfogato tutta la rabbia sull’unica persona che poteva centrare qualcosa, e ora?
Dovevo tornare in Inghilterra, era lì che avevo deciso di seppellire Matt e Mello. Ma poi, cosa avrei fatto?
Ogni mio sogno, ogni speranza di un mio futuro, era stata cancellata, pestata dalla suola della scarpa di Kira. Mi era stata strappata ogni cosa cara a cui tenevo.
L’unica cosa che avevo ancora era…
Estrassi dalla mia tasca posteriore la lettera.
Volevo leggerla. Era il momento giusto.
La aprii.
 
Michelle,
 
quando avrai ricevuto questa lettera, probabilmente non sarò più con te.
Il mio dovere di portare la giustizia in questo mondo mi obbliga a compiere il gesto che ho fatto. Non l’ho fatto per stupidità, ma perché so che è la cosa giusta.
Io sono il successore di L, e anche se odio a morte Near, ho compreso che siamo ugualmente intelligenti, che solo insieme possiamo sconfiggere Kira.
Voglio donarti un mondo senza Kira, dove potrai continuare la tua vita senza paura. Ti ripeto, perché so che non ci crederai subito, tu sei stata importante per me e ti porterò nel mio cuore per sempre.
Non abbatterti mocciosa, sei forte, ce la puoi fare.
Ti amo.
Il tuo Mihael Keehl
 
Quando finii di leggere, le lacrime mi avevano ancora una volta offuscato la vista.
La strinsi al petto, come se fosse lui, perché in effetti era ciò che mi rimaneva di lui.
Mi amava, e io lo amavo ancora, lo avrei fatto per sempre.
Il mio sguardo cadde sull’orologio, e mi resi conto che dovevo sbrigarmi.
Avevo in programma di andare a prendere l’aereo per tornare in Inghilterra con Stefany e Evan, ma prima passai in farmacia per le mie ultime commissioni, e tornai a casa della mia amica, dove avevo lasciato le valige.
Mi chiusi in bagno, ci avrei messo poco e saremmo partiti, verso un futuro grigio, senza vitalità. Di certo, ciò che stavo facendo era solo una sicurezza in più.
Tuttavia, poco dopo, compresi che non c’era nessuna sicurezza.
Fissavo lo strumento che avevo in mano, scioccata, incredula.
Appena uscii dal bagno, Stefany mi vide, e fece una faccia spaventata. Che la mia espressione fosse così preoccupante? Si precipitò da me.
-Deborah, che cos’hai? Cos’è successo, stai male?
Scossi la testa.
Semplicemente, le passai il test di gravidanza.
Positivo.
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                                                                      
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’Autrice
 
Sono combattuta.
Tengo moltissimo a questo finale, e nonostante il prossimo capitolo sia l’epilogo, ancora non ci credo di essere arrivata a questo punto…
Era una Missing Moments, mi piaceva l’idea di non rovinare un’opera altrui scrivendo cavolate (che sicuramente avrei scritto, conoscendo la me di due anni fa). Perché sì, ho iniziato due anni fa a scrivere questa storia, e sono due anni che progetto questo capitolo.
Potrà non piacere a tutti, e lo capisco, posso solo dispiacermi se vi ha deluso.
Sono stata assente in questi giorni su EFP, domani dovrò fare una montagna di recensioni, chiedo scusa anche per questo e vedrò di recuperare in maniera ottimale.
E’ che non è un bel periodo, ma proprio di m.
E ogni volta che mi cade l’occhio su questa fanfiction, non posso che essere commossa dal vostro affetto e sostegno, nonostante io creda che la mia storia non sia poi nulla di così eclatante. Non smetterò mai di ringraziarvi (stile Favij quando fa gli speciali per gli iscritti).
Ci vedremo tra un paio di settimane per l’epilogo, in cui avrò il piacere di salutare tutti voi e di ringraziarvi ancora un’ultima volta!
Bacioni,
 
ShinigamiGirl

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Capitolo 34
*** Direttrice [Epilogo] ***


Mi asciugo una lacrima, che mentre raccontavo si è imprigionata nell’angolo del mio occhio.
Davanti a me, oltre alla scrivania di legno, c’è seduto Mikael.
Mi guarda con i suoi occhioni azzurri, ereditati dal suo bellissimo padre, e anche i capelli biondi, seppure un po’ più scuri, derivano da Mihael.
Avevo voluto chiamarlo con un nome simile ai nostri, per non dimenticare, per rendergli più vicino il papà che non ha mai conosciuto.
Nacque il 19 Ottobre, quando io avevo compiuto vent’anni.
Ormai ha nove anni, e io quasi trenta.
E’ il 26 Gennaio del 2020, e per la prima volta, ho raccontato a mio figlio come sono andate veramente le cose. E’ vero, ho voluto nascondergli questa storia per molto tempo, dieci lunghi anni, ma proprio non me la sentivo di svelargli tutto troppo presto. Sapeva che Mihael era morto, lo portavo spesso con me alla sua tomba, ed ora sto sperando che comprenda a pieno il tutto.
-Mamma…- sussurra, guardandomi con dispiacere.
Non mi aveva mai visto piangere prima d’ora. Era una promessa che avevo fatto a Mihael, il giorno in cui calarono la sua tomba.
-Sto bene, tesoro- lo rassicuro, sorridendogli.
Rigiro l’anello che porto ancora sulla mano sinistra, nervosa.
-Oggi andiamo da papà, e sono felice che tu sappia tutto di me- gli dico.
Lui annuisce.
Mikael, come suo padre, odia le smancerie. Appena compiuti i sei anni, aveva smesso di cercare i miei abbracci e i miei baci, iniziando ad odiare il soprannome di “tigrotto” con cui l’avevo sempre chiamato, ma adoro il fatto che mio figlio sia tutto suo padre, me lo fa amare come non mai.
Si alza e gira intorno alla scrivania, buttandosi addosso a me per abbracciarmi.
Quel gesto mi stupisce, ma lo accolgo con amore, stringendolo forte a me.
Ricordo ancora di quanto fossi distrutta e deteriorata appena dopo la morte di Mihael, mi aveva lasciato un vuoto nel petto, che credevo nessun altro al mondo potesse colmare.
Eppure, quando scoprii di essere incinta, una scintilla mi risvegliò dal buio in cui mi ero lasciata cadere. Decisi di tornare alla Wammy’s, a casa, dove Matt mi aveva promesso che avremmo fatto ritorno, tutti insieme. Quel vuoto nel petto non era più incolmabile, perché ciò che portavo in grembo era più importante della mia stessa vita.
Dovevo essere forte per Mihael, così anche per la nostra piccola creatura, e non potevo permettermi di lasciarmi morire da dentro.
Roger ci accolse con felicità, e lo aiutammo moltissimo. Era ormai sovrastato dalla vecchiaia, e quando Mikael compì cinque anni, ci lasciò.
Decisi di non permettere che la Wammy’s House andasse in malora. Lo scopo dell’orfanotrofio non era soltanto creare dei successori per Near, ma anche di accogliere e sviluppare le intelligenze non comprese dei bambini dal Q. I. superiore alla media.
Divenni la direttrice, mentre Stefany ed Evan continuavano varie ricerche in campo scientifico, aiutando Near qualora fosse necessario. Anche Linda, dopo poco tempo, si mise in contatto con noi. Era stata assunta dall’FBI, e lavorava spesso con l’albino. Mi capitò di vederlo far visita ai bambini dell’orfanotrofio, e non provavo più così rancore nei suoi confronti. Ci parlavamo con rispetto e serenità.
Questa è la vera storia, la storia della Wammy’s House, e di come ne sono diventata direttrice.
Improvvisamente, fanno irruzione nel mio studio due bambini.
Sono i figli di Stefany ed Evan, due gemelli, Sebastian e Natasha. Hanno tre anni in meno di Mikael, ma insieme formano una combriccola ben assortita.
Il maschio ha molti tratti del padre, ha capelli neri e lineamenti spigolosi, con la stessa carnagione pallida di Evan. Sua sorella, invece, ha i capelli meno scuri, ma due occhioni azzurri stupefacenti, con le labbra piene e colorite, come quelle della mamma.
Mio figlio si stacca subito da me, imbarazzato, e torna nei panni del duro.
-Mikael, vieni! C’è una rissa in cortile!- dice Sebastian, eccitato.
-Fico!- esclama lui, correndo dietro ai gemelli, che stavano tornando in corridoio per andare in giardino.
-Che cosa?!- faccio io, precipitandomi alla finestra.
Vedo Evan che fa a botte con David.
Faccio un sospirone, e apro le vetrate.
-Ragazzi!- grido -Vi sembra l’esempio da dare a dei bambini?
Alice, poco più lontana, scoppia in una grassa risata.
Il rossetto nero le fa risaltare moltissimo i denti bianchi, anche da lontano.
Lei e David stanno insieme da ormai qualche anno, sono diventati famosi matematici, ma la mia vecchia amica non ha perso la sua anima dark. Porta capelli lisci e neri fino alle spalle, con una frangetta sbarazzina. Indossa vestiti rigorosamente neri, con borchie e teschi.
Sorrido, mentre Evan stende l’avversario, alzando le mani al cielo in segno di vittoria.
-Allora, ha vinto Evan, vero?- chiede una voce alle mie spalle.
Mi giro, e vedo che Stefany cerca di sporgersi, così le faccio spazio.
Evan, vedendola alla finestra, la indica.
-Questo è per te, piccola!- esclama.
Stefany scoppia a ridere.
-Grazie tesoro!- grida lei di rimando, mandandogli un bacio.
Ci allontaniamo dalla finestra, ancora sorridenti.
La mia cara amica indossa uno dei suoi camici bianchi, sopra dei jeans e una maglietta firmata, anche se non fa più la biologa marina. Quella era solo una copertura, ora è diventata una delle chirurghe più famose dell’Inghilterra.
L’infermieristica e la medicina sono sempre state la sua più grande passione, e quando non è impegnata in difficili operazioni, è sempre alla ricerca di nuove medicine.
-Pronta per la visita?
-Sì- rispondo, facendo un sospiro malinconico ma sereno.
 
*
 
Mentre Evan e David tengono d’occhio la Wammy’s House, io, Alice e Stefany saliamo sulla jeep di David, portando con noi anche Mikael, che si siede col broncio sul sedile posteriore.
Al posto del passeggero, di fianco a me, c’è Stefany, mentre la dark è salita dietro, con mio figlio.
Il viaggio non dura molto, arriviamo presto al cimitero di fianco alla cattedrale di Winchester.
-Tesoro, prendi i fiori nel baule, per favore- dico a Mikael, scendendo dalla jeep.
Lui mi corre incontro, porgendomi con volto serio i due mazzi di fiori.
Sono entrambi composti da rose rosse, ma uno ha in più un sacchetto di cioccolatini, nascosto tra i fiori.
Potrebbe sembrare una cavolata, ma ogni volta gli porto del cioccolato.
Ci incamminiamo in silenzio tra le tombe, e giungiamo finalmente alle lapidi di marmo bianco.
Sulla prima, c’è il nome di Mihael, sull’altro, sta scritto “Mail Jeevas”. Avevo scoperto il suo vero nome solo in occasione del suo funerale, e al tempo era stato molto triste.
Stefany e Alice porgono sguardi benevoli e malinconici alle scritte.
Metto i due mazzi di fiori di fronte ai due piccoli monumenti, metto poi una mano sulla spalla di Mikael e poso la sinistra sul mio cuore, chiudendo gli occhi.
Restiamo in silenzio qualche minuto, e quando torno ad aprire gli occhi, mi accorgo che mio figlio sta tremando. Non sembra più avere nove anni, mi pare di essere tornata indietro nel tempo, a quando ne aveva ancora due, ed era un piccolo cucciolo spaventato dal mondo. Mi chino, e noto che una lacrima gli ha rigato la guancia. Gliela asciugo con un bacio.
-Ehi, perché piangi, tigrotto?- gli bisbiglio, rialzandomi, e lui affonda il viso nel mio ventre, abbracciandomi.
Poi, alza lo sguardo verso di me, e sento un tuffo al cuore.
I suoi occhi glaciali, pieni di emozioni e lacrime, sono proprio gli stessi che dieci anni prima vedevo sul viso di Mihael.
-Io diventerò come papà! Io sarò un eroe!
-Sì. Lo sarai.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
***The End***
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 







Angolo dell’Autrice
 
Buon pomeriggio!
Siete felici? Oggi è l’ultimo giorno in cui mi leggerete blaterare a caso.
Sempre che non leggiate altre mie storie, ovvio… Comunque, Dio mio, è davvero “The End” quello che ho scritto?
Non ho abbastanza parole per ringraziare tutte quelle persone che hanno recensito.
Voglio ringraziare chi mi ha seguita per tutto il mio percorso, tutta la mia crescita.
Voglio ringraziare chi mi ha aiutata ad andare avanti, quando all’inizio non ricevevo manco una recensione e mi disperavo.
Ringrazio chi mi ha seguita fino a un certo punto.
Ringrazio chi ha iniziato più tardi a seguirmi.
Ringrazio anche i lettori non iscritti al sito, oltre a tutte quelle anime angeliche che hanno messo la mia storia tra le liste.
Grazie a tutti voi, perché è anche merito vostro se ho potuto appassionarmi sempre di più a questo fandom, e se pensate che lo abbandonerò vi sbagliate di grosso!
Spero che la storia vi abbia fatti ridere, sorridere, e perché no, anche piangere magari, insomma, l’avvertenza “malinconica” non l’ho messa a caso.
Mi scuso se l’epilogo è un po’ corto, ma non credo ci siano altre parole da aggiungere per la storia, per Michelle, per Mikael, per Near o per tutti gli altri personaggi che mi sono dilettata a creare.
Grazie, alla prossima.
 
ShinigamiGirl
 
p.s. Progetti per il futuro: per chi è interessato, pubblicherò oggi stesso il primo capitolo di una collaborazione, e sto lavorando ad uno spin-off di questa storia, dedicato signore e signori *rullo di tamburi* al dio fumogeno Mail Jeevas!
Spero di risentirvi ragazzi, siete stati tutti fenomenali. Grazie ancora.

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