Play Hard

di Defiance
(/viewuser.php?uid=504929)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Welcome Back ***
Capitolo 2: *** First Day ***
Capitolo 3: *** Let Me Out Or Let Me In ***
Capitolo 4: *** Last Summer ***
Capitolo 5: *** The Memory Lane ***
Capitolo 6: *** Guilty ***
Capitolo 7: *** Revelations ***
Capitolo 8: *** Rebellion ***
Capitolo 9: *** 9. Friday Night ***
Capitolo 10: *** See, My Dreams All Die ***
Capitolo 11: *** Revenge ***
Capitolo 12: *** 12. The Fall ***
Capitolo 13: *** 13. Assembled ***
Capitolo 14: *** The Avengers ***
Capitolo 15: *** Another Me ***
Capitolo 16: *** Somebody That I Used To Know ***
Capitolo 17: *** Lost Souls ***
Capitolo 18: *** Suck-Ass Test ***
Capitolo 19: *** So Long Goodbye ***
Capitolo 20: *** The Departed ***
Capitolo 21: *** AVVISO SEQUEL ***



Capitolo 1
*** Welcome Back ***


Disclaimer: i personaggi della storia non mi appartengono. Questa fanfiction è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


 
Play Hard





1
Welcome Back
 
 
 
 
 

 
 
 
DRIIIN, DRIIIN!
Sveglia.
Nel 90% dei casi, tra i ragazzi di età compresa tra i sei e diciannove anni, il suono di quest’oggetto è ricondotto alla più grande catastrofe che si sia mai abbattuta sulla terra: la scuola.
Raffiche di studenti che si accalcano nei corridoi, il caos del primo giorno quando tutti si raccontano cos’hanno e cosa non hanno fatto durante le vacanze, la consapevolezza di dover affrontare nuovamente quell’etichetta attribuita a ciascuno di loro fin da quando il proprio status era quello della matricola… tuttavia, quell’anno Thor non avrebbe avuto nulla di tutto ciò, confusione da rientro esclusa.
Non sarebbe stato più il figo Capitano della squadra di basket ammirato a tutti, non avrebbe avuto nessuno con cui chiacchierare, nessuno a cui riferire di quell’estate trascorsa tra scatoloni e valige, né tanto meno qualcuno gli avrebbe augurato buona fortuna per la nuova sessione di partite.
Avrebbe invece dovuto cercare qualcuno così gentile da mostrargli la nuova scuola, affrontare i commenti di tutti e, soprattutto, sperare di non ricevere un’etichetta da ‘sfigato’, - perché per quanto brutto possa sembrare, è così che funziona al liceo, è tutta una questione di prime impressioni e reputazione.
“Non preoccuparti” gli aveva detto la sua ragazza, Jane, la sera prima “per i ragazzi belli ed attraenti come te è sempre facile ambientarsi… e praticamente impossibile ricevere giudizi negativi. È statisticamente provato! E poi, sono sicura che entrerai nella squadra della scuola senza alcun problema”.
Nonostante ciò, Thor non aveva la ben che minima voglia di alzarsi da quel letto.
“Thor, muovi subito le chiappe da quel materasso o ti ci butto giù a calci!” urlò sua madre, spalancando la porta della sua camera.
“Mamma!” aveva obiettato lui, che ancora non aveva perdonato i suoi genitori per averlo costretto a trasferirsi proprio quando aveva raggiunto l’ultimo anno alle superiori.
“Non mi sfidare. Giuro che ti butto giù davvero!” chiarì la donna, alzando la serranda e lasciando che la luce solare invadesse la stanza.
A quel punto, per il giovane fu praticamente impossibile insistere e dovette alzarsi e sistemarsi, per poi scendere in cucina a fare colazione.
“Tuo padre ha messo a disposizione la sua limo per il tuo primo giorno nella nuova scuola. Spero che questo ti renda felice” lo informò lei, passandogli il pacco dei cereali.
“Sicuro. Così tutti sapranno che sono il figlio del Dio del Sonno” borbottò Thor, ingurgitando una cucchiaiata di latte.
E sì, suo padre, da tutti chiamato ‘Odino’, era un imprenditore miliardario che aveva fondato la sua fortuna sulla produzione dei più comodi materassi che ci fossero in commercio.
“Almeno non ti attribuiranno una di quelle etichette che tu consideri ‘da sfigato’” cercò di tirargli su il morale la madre, mentre Loki, suo fratello, faceva ingresso nella sala.
“Ma davvero? Perché tre anni fa a me l’hanno attribuita lo stesso” esordì, attirando a sé la brocca con il latte.
“Ma zitto” mormorò la donna, stampandogli un bacio sul capo e porgendo ai giovani una manciata di libri.
“In bocca al lupo, ragazzi”
 
***
 
“Nat!” esclamò Sharon Carter, correndo a braccia aperte verso quella che da sempre era la sua migliore amica.
“Shy! Com’è andata negli Hampton?” domandò l’altra, stampandole un grosso bacio sulla guancia.
“Uhm, sai, solita storia. Sole, mare, vestiti costosi, bagnini sexy… la bella vita, insomma. Tu come hai trascorso le vacanze?” chiese di rimando lei, curiosa di sapere cos’avesse combinato Natasha Romanoff in quei mesi.
La ragazza, tuttavia, non sembrava avere molta voglia di affrontare l’argomento, infatti si nascose il volto dietro i suoi lunghi capelli ricci di un rosso particolare e borbottò un qualcosa di molto vago simile ad un ‘niente di che’ al quale la bionda Sharon non diede alcun peso: aveva troppa brama di parlare riguardo i suoi dieci, muscolosi e straricchi spasimanti e del tipo con cui aveva fatto sesso in spiaggia l’ultimo giorno.
“Sul serio, Nat! Tu non sei stata con nessuno quest’estate?”
“Ehm, veramente no. C’è stato un tizio con cui sono uscita un po’ di volte, ma nulla di serio… non ricordo neanche il suo nome” rispose l’amica, rallentando quando Steven Rogers, il Capitano della squadra di basket della scuola, apparve nella loro visuale.
Se ne stava lì, tranquillo, a chiacchierare con il resto del team, appoggiato alla sua auto, mentre la lieve brezza che premoniva l’arrivo dell’autunno gli scompigliava i biondi capelli.
“Se quest’anno vinceremo il Campionato, come sicuramente faremo, avremo tutti maggiori opportunità di ricevere una borsa di studio per il college…” stava dicendo il suo migliore amico, James Barnes, detto Bucky, quando Sharon piombò verso di loro, gettando le braccia al collo di Rogers.
“Steve!” trillò, stampandogli un bacio passionale sulle labbra, cui seguirono fischi e commenti inappropriati da parte dei ragazzi accalcati lì vicino.
“Andate in un motel” li schernì Bucky, passandosi una mano tra i bruni capelli e ridendo di gusto.
Natasha alzò gli occhi al cielo e, prima che il giovane potesse chiamarla, adocchiò Clint Barton a pochi metri da lei e gli corse in contro.
“Ehi Clint!” lo chiamò, agitando la mano per fargli capire che doveva aspettarla.
“Perché mi parli? A stento mi rivolgi la parola quando siamo a casa, figurati a scuola” ribatté gelido lui, scrutandola di sottecchi.
“Oh, andiamo. Sei tu che stai sempre sulle tue. Prima o poi dovremmo pure stringere amicizia. Sei mio fratello in fin dei conti” ironizzò lei, dandogli una leggera spinta con la spalla.
“Tu hai qualcosa che non va. E non sono tuo fratello, sono il figlio del nuovo marito di tua madre” precisò lui, “e non voglio avere a che fare con i top della scuola. Quindi, almeno qui, fa finta di non conoscermi, grazie”
Aggiunse poi, lasciandola sola a fissarlo sgomenta.
“Idiota!” imprecò la Romanoff, costretta a fare dietrofront e a raggiungere i suoi amici.
“Ehi Miss Mondo!” la beffeggiò Bucky, dandole una pacca sul sedere, gesto al quale la ragazza reagì particolarmente male.
“Fallo un’altra volta, Barnes e giuro che ti taglio le dita e te le rifilo per cena la sera di Natale” intimò, mentre lui fischiava ammirato.
“Continui a fare la dura eh? Tanto sai anche tu che prima o poi me la darai”
“E dai, Bucky, ora basta” cercò di fermarlo Steve, con un tono talmente serio che costrinse l’amico ad obbedire.
Per un momento, il suo sguardo si incrociò con quello di Natasha, la quale distolse in fretta i suoi grigi occhi da quelli azzurri del giovane proprio nel momento in cui una grande limousine nera si parcheggiava davanti a loro.
Il primo a scendere, fu un ragazzo minuto, dai capelli neri, che sembrava completamente fuori posto in quel mezzo e che cominciò a guardarsi intorno con un’espressione che rivelava rassegnazione e speranza al tempo stesso; poi fu il turno di un altro giovane, alto e muscoloso, dai capelli biondo scuro, intensi occhi azzurri e il portamento sicuro di chi era consapevole della propria bellezza e sapeva come sfruttarla.
“E quello chi è?” mormorò a bocca aperta la Carter, mentre tutti i presenti si sporgevano per guardare.
“È uno nuovo; a quanto pare è il figlio del ‘dio del sonno’. A me sa di sfigato” commentò James, incrociando le braccia e scrutando la new entry dall’alto in basso.
“Sei solo invidioso” lo contraddisse Natasha, roteando gli occhi per la superficialità del ragazzo.
“Di quel tizio? Sicuro non si farà neanche un amico” insistette lui, accompagnato dalle risa di scherno di Alexander Summers e Hank McCoy, i suoi compagni di cazzate fin dai tempi dell’asilo; e perché sì, Steve poteva anche essere il suo migliore amico, ma era sempre stato troppo serio e innocente per assecondare i suoi capricci.
“Vedremo. Secondo me quel tizio sa il fatto suo. Scommetto che entrerà in squadra” lo provocò ancora la rossa, sorridendo soddisfatta nel vedere Bucky irritarsi.
“Impossibile. Steve non…”
“Io non cosa, esattamente? James ci conosciamo fin da bambini, ma farò l’interesse della squadra; come hai detto dobbiamo vincere il campionato, c’è qualcosa di molto più importante della tua vanità in ballo. Mi dispiace amico, non lascerò fuori un bravo giocatore solo per farti contento.”
Lo interruppe lui, con quel fare saggio che spesso evidenziava le differenze tra lui e Bucky, facendo sorridere di soddisfazione Natasha.
Sfortunatamente, (per lei), non ci fu tempo per udire delle repliche, dato che la campanella suonò e i ragazzi furono costretti ad entrare.
Una cosa era però certa: James Barnes quell’affronto se l’era legato al dito.
 
***
 
“Stark ti sta fissando. Ancora” mormorò Natasha, passando accanto a Pepper Potts, un’altra delle cheerleader più amate della scuola.
Aveva dei lunghi capelli biondo-arancio che le ricaddero sul volto non appena si voltò a guardare il ragazzo indicatole dall’amica.
“Oh andiamo. Non può interessarti sul serio. Quel tipo è un idiota” borbottò Sharon, che aveva finalmente deciso di staccare le sue labbra da quelle di Steve e di raggiungere le sue amiche.
“Io… ma come diavolo fai a screditare in questo modo tuo cugino?” domandò lei, corrugando la fronte e richiudendo con forza il suo armadietto.
“Effettivamente, non ho mai capito come mia zia Peggy possa essersi innamorata di zio Howard. Magari potresti aiutarmi a far luce sul mistero del fascino degli Stark, perché da sola non ci riuscirei mai” insistette la bionda, che se ne andò subito dopo, senza dare tempo all’altra di ribattere.
“Lasciala perdere Peps! Ci vediamo alle prove, ho lezione con il professor Lehnsherr a prima ora e non è esattamente il tipo che conviene far arrabbiare, specie il primo giorno” si congedò Natasha, attraversando il corridoio, ma bloccandosi non appena le sue orecchie percepirono la voce di Bucky.
“E sta’ un po’ attento!” stava urlando, imprecando contro il nuovo arrivato.
Lo aveva fatto di proposito: aveva urtato il ragazzo e lo aveva provocato, nella speranza che egli reagisse e si scatenasse una rissa che avrebbe certamente perso; ma non sapeva che Thor non era nuovo a questa specie di giochetti e non aveva intenzione di cascarci, di passare da artefice a vittima.
“Lascialo perdere, è un idiota” asserì lei, avvicinandosi al ragazzo e abbozzando un mezzo sorriso.
“Fa così con tutti?” chiese pacatamente lui, osservando con attenzione la giovane.
“Solo con coloro che sono più deboli di lui… O con quelli che percepisce come dei potenziali rivali. Cerca di marcare il territorio” rispose Natasha, scrollando le spalle.
“Già, ne avevo avuto il sospetto. Thor Odinson”
“Natasha Romanoff” si presentò anche la rossa, stringendogli la mano.
“Romanoff? Sei russa?” chiese curioso il nuovo arrivato, scrutando la fanciulla con attenzione.
“In parte. Mio padre lo era, io non ci sono mai stata” rispose Natasha, poi, onde evitare ulteriori domande sulla sua persona, - non era tipo che amava parlare di sé -, aggiunse “comunque, le audizioni per la squadra di basket sono alle 11, durante la ricreazione. In bocca al lupo”
“Come fai a sapere che gioco a basket?”
“Sono Capo- Cheerleader! So riconoscere un atleta quando lo vedo!” precisò lei, sparendo dentro un’aula per cominciare la prima lezione dell’anno.




 
 



 
****************************Angolo Dell'Autrice*****************************
Devo stare male per davvero. Giuro, non so come mi sia venuta in
mente questa fanfiction, ma come al solito non ho resistito e ho
deciso di pubblicarla. Senza contare poi che è il primo AU che scrivo.
Voi che ne pensate? Si accettano anche pomodori in faccia! ;)
Spero che il primo capitolo vi sia piaciuto o che almeno vi 
abbia incuriosito!

Bell. 
 
 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** First Day ***


2
First Day
 
 
 
 
 
 
 
“Quindi, quello nuovo, come avete detto che si chiama? Ah, sì, Thor. Quello. È nella squadra ora?”domandò Sharon, accomodandosi al tavolo più in vista della mensa.
“Già” rispose un imbronciato Bucky, senza risparmiarsi un’occhiataccia rivolta a Steve, il quale replicò sbuffando spazientito: tra tutti i ragazzi che si erano presentati alle selezioni, il nuovo arrivato era stato senza alcun dubbio il migliore, non avrebbe mai potuto privare la squadra di un giocatore così abile e, prima o poi, il suo migliore amico avrebbe dovuto accettarlo.
“Vedova Nera a ore dieci!” esclamò Alexander, indicando la giovane a Barnes.
“Ma che cavolo sta facendo?” chiese Hank, corrugando la fronte e osservando la scena che gli si parava davanti.
Natasha, infatti, si era fermata a metà strada e aveva iniziato a chiacchierare amabilmente con Thor.
“Vuoi venire a sederti con noi?” gli aveva chiesto, gettando una rapida occhiata al moro con cui il giovane stava parlando.
“Sì, volentieri!” accettò sorridendo lui, presentando poi il fratello alla russa.
“Il nostro tavolo è quello lì. Al centro della sala. Ti tengo un posto” assicurò lei, lasciando nuovamente soli i due.
“Loki, vieni anche tu?” domandò Thor, ma quello si affrettò a declinare l’invito in malo modo.
“Neanche morto, sai benissimo che i tizi come loro non li sopporto. E poi non vorrei ostacolare la tua scalata sociale, per cui…”
Il biondo scrollò le spalle e borbottò un qualcosa sulla stranezza del fratello che si perse durante il breve tratto che lo separava dal tavolo dove la Romanoff lo stava aspettando.
Nel frattempo, Loki aveva trovato un luogo isolato ove consumare il suo pranzo nella più totale solitudine, com’era solito fare nella vecchia scuola, motivo per cui boccheggiò sorpreso quando tre ragazzi gli chiesero di sedersi con lui.
“Io sono Peter. Lei è la mia ragazza Mary Jane… mentre lei è Gwen, la sua migliore amica” fece le presentazioni un solare giovane dalle sopracciglia molto folte e il volto da ribelle.
“Io sono Loki, piacere di conoscervi” mormorò sorridendo il moro, intavolando una conversazione con i tre, nella speranza di farsi qualche amico una volta tanto nella sua vita.
Peter era il caporedattore del giornalino della scuola e si occupava delle fotografie, mentre Mary Jane e Gwen scrivevano gli articoli più apprezzati dagli studenti.
Gli sembrava dannatamente strano che una ragazza bella come Gwen non fosse seduta al tavolo con le cheerleader e i giocatori di basket, ma non poté che rallegrarsene: forse, in quello strano mondo fatto di apparenza e falsità, qualcuno che si era salvato c’era.
E Loki era contento che quel qualcuno fosse lei, ma ancor più che si fosse seduta al suo tavolo e stesse parlando con lui; magari il trasloco non era stata poi una cosa tanto terribile.
Magari non sarebbe più stato quello invisibile.
 
“Dove diavolo è Pepper?” domandò Hank, passando in rassegna l’intera sala con lo sguardo.
“Probabilmente è con Stark” asserì distrattamente Steve, troppo occupato a pregare affinché il suo migliore amico non commettesse qualche pazzia come, per esempio, tentare di strangolare Thor, facendosi così sospendere già dal primo giorno.
“Stark? Quell’egocentrico, megalomane...”
“E smettetela! È lei che ci esce, è a lei che deve piacere. Non deve darvi alcuna spiegazione” sbottò Natasha, stanca della superficialità dei suoi amici.
“Facci capire, Nat. Per caso, un giorno di questi, ci dirai di esserti innamorata di Bruce Banner? Che diavolo ti è successo quest’estate?” la schernì Bucky, guardandola in cagnesco.
“Sono cresciuta, James. Ti consiglio di fare altrettanto!” ruggì lei, alzandosi dal tavolo e lasciando la stanza come una furia.
“E chi diavolo è Bruce Banner?” chiese a quel punto Sharon, la cui espressione confusa fece scoppiare a ridere tutti i presenti, eccetto il Capitano.
 
***
 
Natasha stava per accendersi una sigaretta, quando notò un’auto che conosceva bene fermarsi proprio accanto a lei.
“Ehi, vuoi un passaggio?” le chiese Steve, facendole segno di salire a bordo.
“No, grazie. Preferisco fare quattro passi a piedi” digradò la rossa, avanzando di qualche metro.
Allora lui premette leggermente sull’acceleratore, raggiungendola nuovamente.
“Guarda che sta per piovere. E casa tua è dall’altra parte della città” tentò ancora di convincerla, sorridendo soddisfatto nel sentirla imprecare in russo e dirigersi verso il veicolo.
“La tua macchina è ancora fuori uso?” chiese il Capitano, così per rompere il ghiaccio.
“Non la potrò usare fino a gennaio. Una piccola punizione per essermi messa al volante mezza ubriaca e aver sbattuto contro un albero” rispose lei, poggiando le gambe sul cruscotto.
“Ehi, giù le gambe. Sai che mi dà fastidio” la rimproverò il ragazzo, poi, dopo una breve pausa, aggiunse “non ho più toccato un drink dopo quella sera”.
“Non dirlo a me. Per fortuna la ferita sulla fronte è sparita completamente”
“Ci è andata bene quella sera, Nat” le fece notare lui, parcheggiando proprio di fronte alla villa dove la Romanoff viveva.
“Personalmente, credo che poteva andare peggio, ma di certo non direi che è andata ‘bene’. Tuttavia gradirei non riparlarne più. Tutto ciò che voglio è dimenticare quello che è successo quella notte” confessò la russa, sospirando profondamente.
Steve restò in silenzio per qualche secondo, poi si fece forza e si offrì di accompagnarla ogni giorno, per poi lottare contro gli educati rifiuti di lei.
“Non mi costa nulla, davvero. Casa mia è a due passi da qui, lo sai”
“Grazie” si arrise alla fine Natasha, sorridendo debolmente e scendendo rapidamente dall’auto.
Corse lungo il vialetto che conduceva alla porta dell’abitazione, coprendosi il capo con i libri per evitare di bagnarsi e, non appena varcò la soglia, trovò Clint appoggiato al muro e intento a ridacchiare di gusto.
“Idiota!” lo insultò la ragazza, asciugandosi i piedi al tappetino.
“Perché Steve Rogers ti ha riaccompagnata a casa?” domandò lui, spaparanzandosi sul divano del loro enorme salotto.
“Perché non lo hai fatto tu” rispose acidamente lei, cominciando la lotta per il possesso del telecomando.
“Me ne sono dimenticato” si giustificò il giovane, alzando le mani in segno di resa dopo che la russa ebbe vinto lo scontro.
“Ripeto, idiota” concluse lei, accendendo il televisore e concentrandosi sulla serie tv che stavano trasmettendo in quel momento sulla CW.
 
***
 
Sharon afferrò il cellulare e compose un rapido messaggio.
I miei sono fuori fino alle 20. Vieni?”
Sorrise soddisfatta nel vedere la risposta positiva del ragazzo e cominciò a prepararsi accuratamente, facendosi una doccia e indossando della lingerie francese molto costosa.
Essere ricchi aveva i suoi vantaggi.
Non dovette attendere molto prima di udire il campanello suonare e accogliere il giovane nella sua abitazione.
“Sei davvero un cattivo ragazzo” lo provocò, mordicchiandogli il labbro inferiore.
“E tu? Stai con Steve da anni eppure continui a venire a letto con me” replicò lui, accingendosi immediatamente a privare la bionda dei pochi abiti che aveva addosso.
“Anche tu fai dell’ottimo sesso. Non rinuncio mai ad una bella scopata. E comunque, almeno io con il Capitano ci sto insieme… tu continui ad andare dietro a Natasha dalla quinta elementare e lei non ti si fila per niente”
A quel punto, le iridi del ragazzo si dilatarono a segnalare l’irritazione crescente dentro di lui e cominciò a baciarla con più voga, come se in quel modo riuscisse a sfogare la sua rabbia.
“Questo è interessante. Dico sul serio” asserì una voce beffarda che fece impietrire i due amanti.
Si voltarono lentamente e videro la sagoma di Tony Stark appoggiata tranquillamente allo stipite della porta, con le braccia conserte e un sorriso malizioso dipinto sul volto.
“Potevate almeno andare in camera da letto, come precauzione”
“Che diavolo ci fai qua tu?” sbottò Sharon, rinfilandosi immediatamente la canottiera e alzandosi dal divano.
“Tua madre mi ha chiesto di portarle il libro di ricette della mia, sai, in vista della cena di famiglia che avrà luogo questa sera, nel caso te ne fossi dimenticata” asserì il ragazzo, cominciando a ciondolare per la stanza e studiando i due passandosi l’indice sul mento.
“Dunque, facciamo il punto della situazione. Tu stai con Steve, ma vai a letto con il suo migliore amico che è innamorato della tua migliore amica. Cento punti per Barnes e Carter, ma mille per me che vi ho scoperti”
“Che diavolo vuoi, Stark?” ringhiò Bucky, digrignando i denti, il volto livido di rabbia.
“Diciamo solo che se la smetteste di fare pressioni sulla signorina Potts in merito al suo interesse verso di me, la mia bocca potrebbe, come dire, restare chiusa… in caso contrario… beh, preferite twitter o facebook?” rispose Tony, sorridendo soddisfatto.
“Come vuoi. Escici pure, chi se ne frega!” sbraitò la bionda, indicando la porta al cugino per fargli lasciare l’abitazione.
“È un piacere fare affari con voi!” urlò dal vialetto, allontanandosi dalla villa ridacchiando.
Quando si dice fare il botto” pensò, afferrando il cellulare e chiamando Pepper Potts per chiederle di uscire.













Angolo Dell'Autrice.
Salve a tutti.
Eccomi qui con il secondo capitolo, fresco fresco di scrittura.
si tratta ancora di capitoli introduttivi ovviamente, il bello verrà dopo, 
ma credo sia lecito chiedermi se la fanfiction vi stia incuriosendo o meno :)
Fatemi sapere, se vi va. Mi auguro che il nuovo capitolo vi piaccia.
A presto,
Bell.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Let Me Out Or Let Me In ***


3
Let Me Out
Or
Let Me In
 
 







 
 
Natasha si era sempre chiesta dove sparisse Clint nel pomeriggio; aveva trascorso gli ultimi quattro anni, da quando si era trasferito lì col padre, evitando accuratamente di farsi degli amici e, persino quando i loro genitori si erano sposati, il ragazzo continuava a ergere una specie di barriera tra di loro.
Per questo non capiva cosa lo portasse fuori casa per ore intere, non che le importasse, ma confrontato con la tonnellata di esercizi di matematica che Lehnsherr aveva assegnato per casa, quell’argomento sembrava di colpo il più interessante del mondo. Così come l’orologio che scandiva lentamente ogni secondo di quel pomeriggio e che continuava a fissare battendo la penna sul tavolo.
“Al diavolo” borbottò, chiudendo il libro e infilandosi il giubbotto per andare a fumare una sigaretta in giardino.
“Non dovresti farlo, sul serio. Alle Cheerleader serve il fiato” asserì una voce proveniente dal… tetto?!
“Clint! Ma che cavolo ci fai lassù?” esclamò la rossa, corrugando la fronte e osservando perplessa il fratello adottivo.
“Innanzitutto c’è una bella vista, o meglio c’era, prima che comparissi tu. Secondo, l’altezza mi aiuta a concentrarmi” spiegò Barton, facendole segno di raggiungerlo.
Natasha esitò per qualche istante, poi però decise di accettare l’invito e si arrampicò fino a raggiungere il giovane.
“Cavolo” mormorò meravigliata, “hai ragione, è una bella vista. Soprattutto al tramonto, suppongo”
“Già. Nat posso chiederti una cosa?” chiese lui dopo un paio di minuti di silenzio.
“Certo” lo incalzò lei, abbozzando un mezzo sorriso.
“Ti manca mai?” le domandò Clint, abbassando lo sguardo.
Non dovette sforzarsi per capire a chi si stesse riferendo.
“A volte. L’unica cosa che ricordo di lui, sono le sue lezioni di karate. Era un insegnante, cosa che lo teneva lontano da casa tutto il giorno e nelle ore libere mi allenava, abbiamo cominciato insieme quando avevo cinque anni. L’anno dopo è morto. Ma immagino che per te debba essere diverso, tua madre è morta solo sei anni fa, io sono cresciuta senza un padre, che è tutto un altro affare, fidati” ammise lei, gettando via la cicca oltre il cancello.
“Hai continuato a studiare karate perché questo ti faceva sentire ancora legata a lui?” indagò ancora lui, studiandola con interesse.
“Qualcosa del genere. Non c’era niente che di solito facevi con tua madre e che ti piacerebbe poter rifare?” rispose Natasha, attendendo una risposta che arrivò solo dopo qualche minuto.
“Non ridere… ma noi cucinavamo sempre insieme”
“Ma davvero?” commentò la russa, sforzandosi per non scoppiare a ridere.
Clint annuì e sgranò gli occhi quando la ragazza lo prese per mano e lo trascinò in casa.
“Che stai facendo?” boccheggiò confuso il giovane, guardando la sorella prendere due grembiuli e lanciargliene uno.
“Abbiamo una cena da preparare” lo informò sorridendo, un gesto che ne fece spuntare uno anche sul volto di lui.
Forse non doveva lasciar fuori dalla sua vita anche lei, forse per loro c’era una speranza.
Soprattutto ora che Natasha era cambiata.
 
***
 
“Tony!” lo chiamò Pepper, sorridendo contenta quando lo scorse seduto al tavolino del ‘Bristol’, uno dei bar più in voga tra i ragazzi della loro età in quel periodo.
“Cosa vuoi? Un caffè? Un succo di frutta? Me?” domandò lui con sguardo malizioso, attirando poi l’attenzione del cameriere che si diresse immediatamente verso di loro.
“Una granita al limone, veramente. Ne vado pazza e tra un po’ smetteranno di produrle fino al prossimo maggio” rispose lei, lievemente in imbarazzo.
Non sapeva perché aveva accettato quell’invito informale; fino a quel momento, infatti, si erano sempre visti esclusivamente in casa per studiare informatica o a mensa: Tony era stato il suo tutor l’anno prima.
“Ti serve una mano anche quest’anno?” chiese Stark, trangugiando lentamente il suo caffè macchiato.
“Non dovrei. Mi sono rimessa in passo grazie a te l’anno scorso, non sai quanto ti sono grata per avermi risparmiato i corsi estivi!”
“Allora posso sperare in qualche uscita di altro genere?” propose lui, sollevando le sopracciglia, l’accenno di un sorriso malizioso sul volto.
“Tipo?” fece la finta tonta lei, sapeva benissimo cosa il ragazzo intendesse.
“Tipo a cena, venerdì sera. O al cinema, sabato sera. O entrambe. Insomma, come preferisci” precisò Tony, senza distogliere lo sguardo dalla fanciulla.
“Perché no” acconsentì, mostrando il suo smagliante sorriso e tornando a bere la sua granita, le guance lievemente arrossate.
 
***
 
“No, Clint, non osare!” intimò la Romanoff, puntando il mestolo contro il fratello, che nel frattempo le aveva già stampato una manata in faccia, sporcandola di farina.
“Se è la guerra che vuoi… così sia” dichiarò lei, lanciandogli contro un uovo che si infranse sul grembiule.
“È tutto quello che sai fare?” la provocò lui, ridacchiando e prendendo a correre attorno al tavolo per non farsi acciuffare dalla ragazza.
“Insomma, che succede qui?” tuonò la voce del signor Barton, facendo immobilizzare i due.
“Non ci posso credere” mormorò meravigliata la madre di Natasha, osservando i piatti che i figli avevano preparato e lasciando cadere i sacchi della spesa sul pavimento.
“Sorpresa!” esclamarono i giovani all’unisono, scoppiando a ridere alla vista delle espressioni stupite dei genitori.
“Qualsiasi cosa stia accadendo, spero che non passi mai” annunciò l’uomo, prendendo posto a tavola e invitando gli altri a fare altrettanto.
Se qualcuno avesse potuto guardare quella scena, avrebbe certamente detto che la famiglia Barton era la più felice del mondo: padre e madre che parlavano amabilmente con i figli, i quali a loro volta scherzavano e ridevano tra di loro di fronte ad una cena con i fiocchi.
Era la vita che Natasha aveva sempre desiderato, ma ancora non era sicura di poter trovare in Clint un fratello; forse, ciò che era accaduto quel giorno era solo uno scherzo dovuto ad un attimo di debolezza, ma lei era decisa a farselo bastare: un assaggio è sempre meglio di niente.
“Mamma, Luke. Perché non andate a vedere un film al cinema questa sera? Sistemiamo noi la cucina” propose la ragazza e si sentì profondamente soddisfatta nell’osservare i volti riconoscenti dei genitori, i quali negli ultimi tempi avevano costantemente cercato di far andare d’accordo i figli, pensato alla casa e a tutto ciò che comporta una famiglia; anche Clint pensava che meritassero di trascorrere del tempo da soli.
“Grazie ragazzi” sussurrò la signora Barton, stampando un bacio sul capo ad entrambi i giovani e lasciando la villa ridendo con il marito.
Per un po’ i due rimasero in silenzio, sparecchiando la tavola, lavando e asciugando le stoviglie, pulendo le macchie di farina e uova che ricoprivano pavimento e immobili.
Poi, a un certo punto, quando avevano quasi finito, il ragazzo si decise a parlare.
“So che hai passato dei brutti momenti quest’estate e che avevi bisogno di un fratello più che mai. Mi dispiace di non esserci stato, ma non so cosa voglia dire comportarsi da tale”
“Non ti preoccupare, sono abituata a cavarmela da sola. E poi non è che io mi sia mai sforzata molto per instaurare un qualche rapporto con te. È solo che non capisco come fai a startene sempre per fatti tuoi” disse lei, asciugandosi le mani e lasciandosi cadere sulla sedia, sfinita.
“Stai dicendo che l’amicizia tra quelli del tuo gruppo è vera?” azzardò lui, finendo di rimettere al loro posto i piatti.
“Sto dicendo che nessuno dovrebbe essere solo, Clint”
“E nessuno dovrebbe perdere le persone a cui tiene di più, per cui, direi che stare solo non è poi un così grande male” replicò gelido il ragazzo, sbattendo un asciugamano sul pavimento.
Natasha era come paralizzata; per un minuto, che parve lungo come un’ora, il silenzio dominò la stanza, poi la russa si fece forza e chiese: “è questo il problema? Hai paura che se ti affezioni a qualcuno, un giorno tu possa perderlo come hai perso tua madre?”
“Ero arrabbiatissimo con te, Nat. Perché ti sei messa al volante dopo aver bevuto, perché hai rischiato di morire nello stesso identico modo in cui lei se ne è andata! È stato come rivivere tutto. Per me, per mio padre…”
“Io… mi dispiace tanto” lo interruppe lei, con le lacrime agli occhi.
“Vado a dormire. Rogers è qui, attenta a ciò che fai” annunciò Clint.
“Come?”
“L’ho visto dalla finestra” spiegò il giovane, “sta per suonare”
“È completamente buio! Come puoi averlo visto?” ribattè perplessa lei, alzandosi e raggiungendo il giovane, del tutto convinta che quello fosse un banale tentativo di troncare quell’assurda conversazione.
“Ho la vista acuta” borbottò lui, lasciando Natasha a fissarlo sbigottita.
Stava per salire in camera sua, quando effettivamente il campanello suonò e si ritrovò Steve dietro la porta.
“Ma che diavolo?!” esclamò non appena lo vide, spostando ripetutamente lo sguardo dalle scale ove Clint era scomparso pochi secondi prima al bel giovane che si ergeva dinnanzi a lei.
“Non mi aspettavo questa accoglienza. Forse farei meglio ad andare via” rispose con aria grave il biondo, voltandosi per ritornare alla sua auto.
“No! Aspetta… è solo che… lascia stare! Che succede?” biascicò la russa, lo sguardo preoccupato.
“Io… mi chiedevo se potessimo parlare. Perché tu dici di voler dimenticare ciò che è successo quella notte, ciò che abbiamo fatto… ma io non ci riesco! Com’è possibile rimuovere qualcosa del genere?” esplose il Capitano, riportando così a galla tutti i fantasmi che si aggiravano attorno alla Romanoff.
“Non qui, Steve. Facciamoci un giro” tagliò corto lei, salendo nell’auto del ragazzo e respirando profondamente per farsi coraggio.







Angolo Dell'Autrice
Ciao!
Innanzitutto ringrazio di cuore tutte le persone gentilissime
che hanno lasciato una recensione alla storia, davvero
grazie infinite, e anche tutte coloro che la seguono.
Spero tanto che anche questo capitolo vi sia piaciuto,
cominciano a venir fuori le cose, ma ancora non stiamo a
nulla, andrà sempre peggio, muhahaha!
Alla prossima,
Bell.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Last Summer ***


4
Last Summer
 
 
 






 
 
Due mesi prima.


 
Natasha spalancò il suo armadio, studiando uno ad uno i suoi vestiti.
“No, Sharon. Quest’estate resterò qui ad annoiarmi, i miei non hanno la minima intenzione di venire negli Hampton. Hanno affittato la casa ad una famiglia londinese per la stagione. No, non mi fanno venire da te” stava dicendo, il telefono bloccato tra l’orecchio e la spalla, mentre passava in rassegna tutti i suoi abiti, guardandosi allo specchio.
“Sì, terrò d’occhio Steve per te. Anche se tra i due quello che ha le corna è lui, non tu” le assicurò, riagganciando e indossando uno stupendo abito nero che rimetteva in risalto le sinuose forme del suo corpo e, in modo particolare, il suo prorompente seno.
Dopo di che, compose un numero al cellulare e chiamò, ricevendo risposta al terzo squillo.
“Nat, tutto okay?” domandò la voce di Steve, che sicuramente stava facendo i suoi giri di corsa pomeridiani, visto l’affanno che aveva.
“Sì. Mi chiedevo se avessi intenzione di andare alla festa di Alexander questa sera. È l’unico evento dell’estate e visto che siamo gli unici due sfigati a restare qui, non possiamo assolutamente perdercelo” rispose la russa, aprendo lo scompartimento dove teneva le scarpe e prendendone un appariscente paio, tacco 12. 
“Non lo so, non credo sia il caso. Sai come vanno a finire quei party…” cercò di tirarsi indietro lui, ma era risaputo che a Natasha Romanoff non si poteva dir di no: era una di quelle persone che riuscivano ad averla sempre vinta, con le buone o con le cattive.
“Bucky parte domani mattina alle sette. Non penso che tu voglia perderti l’unica occasione per salutarlo… non vi vedrete per due mesi!” insistette lei, certa di aver colto nel segno.
“La verità è che vuoi qualcuno che ti faccia da spalla per non doverlo sopportare tutta la sera mentre cerca di portarti a letto, ma va bene, ti farò questo favore” acconsentì lui, rassegnatosi definitivamente.
“Grazie! Ti sarò debitrice a vita! Ti passo a prendere tra un’ora, c’è la gara con le moto prima della festa e non possiamo perdercela” esultò trionfante la ragazza, dirigendosi verso il bagno.
“Vuoi prendere l’auto?” chiese sorpreso Steve, rientrando in casa.
“Sì, non posso né bere, né fare altro. Ho le analisi domattina” dichiarò Natasha, salutando l’amico e cominciando a truccarsi.
 
Quando Steve uscì di casa, la Romanoff era già di fronte al suo cancello, appoggiata all’auto, fumando pigramente una sigaretta.
Indossava un vestitino nero aderente, molto scollato e lungo fino a metà cosce; i boccoli rossicci le ricadevano lungo le spalle e un capiente strato di eye-liner e mascara le mettevano in risalto rispettivamente gli intensi occhi grigi e le lunghe ciglia.
Per un istante, quella visione tolse il respiro al ragazzo, il quale cercò in tutti i modi di allontanare quei pensieri dalla sua mente: non erano giusti, né tanto meno opportuni; conosceva Natasha da quando erano bambini ed era la migliore amica della sua storica ragazza, Sharon, e lui non era il tipo da guardare altre fanciulle oltre alla sua.
“Ce l’hai fatta. Anche con così poco preavviso. Mi dichiaro profondamente colpita” asserì lei, le sue rosse labbra aperte in uno smagliante sorriso.
“Sì, diciamo che avevo una pistola puntata alla tempia” ironizzò lui, imitando l’amica e salendo in auto.
“Di’ la verità, Shy ti ha chiesto di controllarmi, non è vero?” domandò poi, mentre ancora stava allacciandosi la cintura.
“Sì. Ma se ti può consolare non ho intenzione di farlo” ammise la russa, mettendo in moto e dirigendosi verso la periferia della città, dove una schiera di moto era già pronta per partire.
“Bucky sta partecipando?” chiese Steve, chiudendo lo sportello e avvicinandosi alla giovane.
“Lo conosci. È la sua ultima sera qui, vuole andarsene in grande stile”
“Ehi, Romanoff! Se hai voglia di un po’ di brivido fai ancora in tempo a montare su!” le urlò Barnes, battendo la mano sul veicolo.
“No, grazie!” rispose decisa lei, sedendosi sulla ringhiera accanto al Capitano.
“TRE, DUE, UNO: VIA!!!”
E le moto sfrecciarono a gran velocità, indirizzando una folata di vento contro gli spettatori.
Il profumo dei lunghi capelli di Natasha inondò il naso di Steve, confondendogli i pensieri ancora una volta.
“Perché Sharon è così ossessionata dal pensiero che tu possa tradirla?” domandò la russa, rivolgendogli uno dei suoi soliti sguardi disarmanti.
“Forse perché è lei a farlo. Sai, sono convinto che vada a letto con un altro. Le cose non vanno tanto bene tra di noi e ora è pure partita” confidò lui, accettando una sigaretta gentilmente offertale dalla ragazza.
“Come cavolo fai a fumarne una ogni morte di papa? Non ti viene mai lo sfizio?”
“No. Non ho intenzione di fare la stessa cazzata che hai fatto tu. Che poi, in tal proposito, mi chiedo come tu possa avere ancora l’energia del primo anno, visto che sei praticamente una ciminiera” rispose lui, restituendole l’accendino.
“È tutta questione di esercizio” assicurò lei, poi aggiunse “a proposito, domani vengo a correre con te. Finiti gli allenamenti delle Cheerleader, devo mantenermi in forma”
“Mattina ore dieci, sera ore diciannove. Tacchi sconsigliati” la informò Steve, ridacchiando assieme alla ragazza per la sua stupida battuta.
“E BARNES VINCE!!!” urlò il commentatore (che poi era Bruce Banner, il quale avrebbe fatto di tutto per ricevere un minimo di attenzione e proprio non riusciva a rendersi conto, - o meglio non voleva -, che dopo tutti i compiti che aveva passato a Bucky e agli altri, quella era proprio un’ingrata ricompensa).
Natasha e Steve si lasciarono ricadere giù dalla ringhiera e raggiunsero l’amico per congratularsi con lui, poi salirono in macchina per dirigersi alla festa.
 
“Capperi, quest’anno Summers si è proprio superato” commentò Steve, studiando con attenzione l’atmosfera in casa del compagno di squadra.
“Sono d’accordo” asserì Natasha, porgendo un cocktail all’amico e prendendo un bicchier d’acqua per lei.
“Allora Cap, la tua ragazza parte per gli Hampton e tu ti fai la sua migliore amica?” li provocò Bucky, comparendo alle loro spalle.
“Chiudi il becco Barnes. Non tutti sono come te” replicò gelidamente la russa, gettando il bicchiere in un sacco della spazzatura.
“E nessuna è sexy quanto te” insistette lui, posando le sue labbra sul collo di lei e ricevendo in cambio una sonora sberla in faccia.
“Un giorno riuscirò a raggiungere le tue mutandine, Romanoff e giuro che non ti darò alcuna tregua” disse il ragazzo, con tono intimidatorio.
“Sì e quello sarà il giorno in cui verrai castrato” rispose Natasha, rivolgendogli una smorfia e allontanandosi dai due per salutare Pepper Potts.
“Ma perché non la smetti di fare l’idiota?” lo rimproverò Steve, versandosi nuovamente da bere.
“Non è che ti piace, vero?” controbatté Bucky, socchiudendo gli occhi.
“Sai, forse Natasha ha ragione. Fai una figura migliore se non dai aria alla bocca” asserì il Capitano, accartocciando il bicchiere vuoto e gettandolo via, per poi dirigersi verso Alexander e congratularsi per la festa ben riuscita.
“Ah sì eh?” sussurrò Barnes, tirando fuori dalla tasca un piccolo contenitore e riversandone il contenuto nella caraffa dell’acqua.
 
La Romanoff, nel frattempo, aveva deciso di non dare tregua a Steve, costringendolo a ballare per ore.
“Natasha ora basta, ti prego” disse lui, ormai mezzo ubriaco dopo la decina di cocktail che Barnes gli aveva fatto bere e che ormai stavano cominciando a fare effetto e anche troppo.
La ragazza ridacchiò e poi lo trascinò nuovamente al bancone, riempiendo due bicchieri di acqua.
“Ma sei sicura di non aver bevuto?” domandò il Capitano, notando gli occhi lucidi della ragazza, le sue gote rosse… e il tono poco fermo della sua voce.
“Giuro, te l’ho detto, domani ho… cos’è che devo fare domani?” biascicò lei, vuotando il bicchiere e riempiendolo una seconda volta: aveva la gola secca, ed era irritante.
“Forse dovremmo tornare a casa” le fece notare, ma fu immediatamente contraddetto da Bucky, che era ricomparso dal nulla.
“Ma vorrai scherzare! Sono solo l’una e questa bella fanciulla non mi ha ancora concesso un ballo”
“No, Steve ha ragione. Devo essere in ospedale alle sette, devo andare a dormire” declinò l’invito la russa, prendendo Steve per un braccio e dirigendosi al piano di sopra.
“Dov’è la stanza con le giacche?” domandò “non ricordo…”
“Io… dì qua” disse il Capitano, indicando una porta alla loro destra.
“Muoviamoci” lo incalzò Natasha, spalancando la porta e cercando rapidamente i loro effetti.
Quando finalmente li ebbe trovati, inciampò in una borsetta, finendo diritta contro il corpo del giovane, che grazie ai suoi riflessi da giocatore, l’afferrò immediatamente.
“Grazie” mormorò flebilmente lei, lo sguardo perso negli occhi azzurri dell’amico.
Si ridestò con un sussulto, ricordando improvvisamente l’urgenza di lasciare quella villa per tornarsene alla propria e procedendo rapidamente in direzione della sua auto.
 
“Steve devo fermarmi” asserì Natasha, il tono serio che sfociò immediatamente in una risata, accompagnata poi da quella del Capitano.
“Ti si è rotta un’unghia?” domandò divertito il ragazzo, mentre si rendeva conto che davvero l’amica stava parcheggiando l’auto.
Non era mai stato così buio in quel vialetto.
“Tutto bene?” chiese ancora Steve, osservando la russa massaggiarsi le tempie.
“Sì io… ho solo bisogno di una sigaretta” biascicò lei, sporgendosi verso i sedili di dietro per recuperare la sua borsetta e mettendo in evidenza le sue curve perfette, motivo per cui il giovane fu costretto a distogliere lo sguardo dal corpo della ragazza, che tuttavia scivolò, finendo sopra di lui.
Con un gemito di dolore, Natasha fece per rialzarsi, trovando poi il suo volto a pochi centimetri da quello del Capitano.
Il tempo sembrava essere rallentato ed entrambi sentivano le palpebre più pesanti di quanto avrebbero dovuto essere.
Senza che nessuno dei due si rendesse conto di ciò che stava accadendo, si ritrovarono con le labbra che premevano prepotentemente le une contro le altre, le mani che cercavano le une il corpo dell’altro e lottavano per insinuarsi sotto i loro rispettivi vestiti.
Una di quelle cose che non sarebbero mai dovute accadere, la soddisfazione di quel desiderio così ben nascosto nei cuori di entrambi, tutte quelle inibizioni saltate in aria…
Quando i due finalmente si staccarono, l’orologio segnava le tre di notte e i loro sguardi sembravano riassumere due semplici parole: ‘oh cazzo’.
“Questo non è mai successo” si affrettò a dire Natasha, rinfilandosi il vestitino ed evitando di spostare lo sguardo sul muscoloso torso di Steve, che si stava rivestendo a sua volta.
“Tu dici?” chiese lui, affermando di aver bisogno di un’altra sigaretta e che lo strappo alla regola fosse più che lecito in quell’occasione.
La russa rimise in moto l’auto, partendo a razzo lungo il vialetto deserto.
“Merda” continuava a ripetere lei, mentre il Capitano cercava di non dare di stomaco, più per i sensi di colpa nei confronti di Sharon che per l’alcol.
“NATASHA ATTENTA!!!” urlò all’improvviso, facendo sussultare la ragazza che sterzò immediatamente, schiantandosi violentemente contro un albero del parco.
La forza dell’impatto fece sbattere brutalmente il capo di Steve contro il sedile, mentre Natasha finì con la fronte contro lo sterzo dell’auto, cosicché perse conoscenza e tutto ciò che vide fu il buio più assoluto.











*************************Angolo Dell'Autrice*************************
Salve gente!
Ecco qui il quarto capitolo!
Finalmente sapete cos'è accaduto a Nat e Steve l'estate 
precedente. Siete sorpresi? Sconvolti? 
Beh, sappiate che andrà seeempre peggio.
Io vi avevo avvertiti, mi sembra :P
Spero tanto che questo capitolo vi sia piaciuto,
fatemi sapere cosa ne pensate se vi va ;)
A presto,

Bell :D
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** The Memory Lane ***


5
The Memory Lane
 
 
 
 
 
 
 
 
“Sì, d’accordo, te lo concedo. Avevi ragione” concesse Thor, giocherellando con il piccolo pallone da basket che aveva fin da quando era piccolo e centrando il canestro ad ogni lancio.
“Se tu mi ascoltassi, ogni tanto” sospirò rassegnata Jane dall’altro capo del telefono, mentre era ancora china sugli esercizi di chimica.
“Questa materia è incomprensibile. Sul serio, ci rinuncio!”
“Ma perché cavolo non richiedi un tutor? Non rischiare di perdere l’anno per il tuo smisurato orgoglio J” tentò di farla ragionare il giovane, ma ovviamente non riuscì ad ottenere alcun risultato.
“Non ho bisogno di un tutor” obiettò, gettando la penna sulla scrivania e fiondandosi sul letto.
“Già, più che altro ti servirebbe un miracolo” la schernì lui ridacchiando, ma tornando immediatamente serio quando la risata della ragazza rincorse la sua attraverso la cornetta.
“Mi manchi Jane” mormorò, posando lo sguardo sulla foto della sua compagna, appesa al muro in una cornice d’oro.
Jane era molto bella, i capelli castano chiaro e le sottili labbra che Thor amava studiare per ore.
“Anche tu. Ma ci vedremo presto, vero? Verrai da me durante le vacanze giusto? I miei genitori hanno detto che puoi stare nella stanza degli ospiti” cercò di persuaderlo lei, incrociando le dita e sperando in una risposta positiva.
“Davvero?” domandò il giovane, un’espressione così sorpresa sul volto che, se Jane l’avesse vista, lo avrebbe preso in giro per tutta la vita.
“Sì. A patto che non venga sfruttata come ‘mezzo per placare i nostri ormoni’, parole di mio padre”rispose ridacchiando la fanciulla.
“Ah sì, eh? Dovrò tenermi a distanza di sicurezza, allora” asserì il biondo, riprendendo a giocare col suo pallone.
“Ho detto che non avremmo usato quella stanza, ma non ho detto nulla sulla mia” gli fece notare lei, sorridendo maliziosamente.
Nel frattempo, uno scocciato Loki scese le scale urlando contro la madre.
“Puoi dirgli, per favore, di mollare quel cavolo di telefono? Ne avrei bisogno”
“D-davvero? E chi dovresti chiamare?” domandò sorpreso il padre, sbucando da dietro le pagine di un quotidiano.
“Un amico! Non mi pare che lui debba dare alcuna spiegazione sulle persone che contatta” borbottò il moro, sedendosi bruscamente sulla sedia accanto alla madre.
“Hai detto un amico, tesoro?” chiese meravigliata la madre, con l’espressione di chi ha appena udito una notizia che credeva non sarebbe mai arrivata.
“Sì, mamma. Un amico. Solo che ho finito il credito al cellulare e non posso usarlo” ripetè spazientito il giovane, sbuffando.
“Ti presto il mio, tieni. Thor è al telefono con Jane” asserì la donna, sorridendo amabilmente.
“Tanto si lasceranno” borbottò Loki, alzandosi e scomparendo dietro la porta del salotto.
“Non gufare!” gli urlò dietro il padre, cosa che lo fece sorridere lievemente.
Compose il numero di Peter Parker e lo controllò ben tre volte per assicurarsi che fosse giusto, poi chiamò.
“Pronto?”
“Ciao, Pete. Sono Loki” lo salutò, “mi chiedevo se fosse possibile collaborare alla stesura del giornalino scolastico assieme a voi”
“Certo. Come te la cavi con la grafica? Fino allo scorso anno se ne è occupato Armando Munoz, ma ora è al college e nessuno di noi ha il tempo per pensare alla disposizione degli articoli, delle fotografie e tutto il resto. Che ne dici?” propose l’amico, con il suo solito tono entusiasta.
“Sarebbe perfetto” accettò volentieri Loki, quasi saltando dalla gioia.
“Ci incontriamo una volta a settimana per due ore dopo scuola, domani c’è la prima riunione, dalle quattro e mezzo alle sei e mezzo” lo informò Parker, controllando il calendario dove aveva appuntato le date e gli orari dei raduni di quel mese.
“Va bene, a domani” lo salutò il moro, raggiungendo la madre saltellando e ringraziandola per il prestito.
Quale modo migliore di lavorare al giornalino scolastico avrebbe potuto elaborare per stare vicino a Gwen?
 
***
 
“Credi che Stark vuoterà il sacco?” domandò preoccupato Bucky, rivestendosi e dirigendosi verso la porta.
“No, non lo farà. Ha ottenuto ciò che voleva, ma ci conviene comunque tenercelo buono” tentò di tranquillizzarlo Sharon, controllando il cellulare per accertarsi di non aver ricevuto alcun messaggio o alcuna chiamata da parte di Steve.
Ovviamente, la casella era vuota; lui non la cercava più da un po’ di tempo a quella parte, stava diventando alquanto strano e distante, cosa che le dava altamente ai nervi.
“Per caso sai se il tuo amichetto si vede con qualcuna?” indagò, studiando sospettosa il giovane.
“Sul serio? Fai pure la gelosa ora?” la beffeggiò lui, ridacchiando divertito.
“Ciò che è mio, è mio, Barnes” rispose con aria minacciosa la ragazza, facendo spallucce.
“Ma tu non sei di nessuno”affermò il bruno, inarcando un sopracciglio.
“Esattamente. Ora rispondi, prima che mi inventi una qualche tortura insopportabile per costringerti a parlare” lo incalzò, cominciando a spazientirsi.
“Non che io sappia. E comunque, il tuo modo di preoccuparti di ciò che fa il tuo ragazzo dopo aver fatto sesso con me è allucinante. Sai, perdi credibilità” disse Bucky, scoppiando a ridere quando si ritrovò fuori casa, con la porta sbattutagli poco delicatamente in faccia.
Si allontanò dalla villa scuotendo la testa, con l’ombra del riso ancora stampata sul volto, guardandosi le spalle per assicurarsi di non essere visto e si diresse immediatamente verso casa di Tony.
Si appostò dietro l’angolo, ad attendere che il compagno di scuola facesse ritorno, - una volta verificata l’assenza della sua auto -, e per ammazzare il tempo decise di scorrere le immagini del profilo facebook di Natasha; corrugò la fronte nel guardare l’ultima foto pubblicata dalla russa, la quale la ritraeva assieme al ‘fratello’ ed erano entrambi vestiti da cuochi e sporchi di farina.
Servizio catering by Barton&Co. Offriamo solo il meglio’ diceva la didascalia, ma Bucky non ebbe il tempo di elaborare la cosa perché l’auto di Tony attraversò il vialetto, catturando la sua attenzione.
Gli lasciò appena il tempo di scendere dal veicolo, che si scagliò contro di lui afferrandolo per il colletto e sbattendolo contro il muro.
“Allora, Stark. Se non sbaglio noi due abbiamo una faccenda in sospeso” esordì con aria intimidatoria, aumentando la presa sulla camicia del ragazzo.
“Te la stai facendo sopra, vero Barnes? Cosa penserebbe Steve delle tue sveltine con mia cugina?” lo provocò lui, sorridendo sornione.
Bucky non riuscì a trattenere l’istinto e fece per mollargli un cazzotto, ma non sapeva che Tony era molto agile e nell’esatto momento in cui aveva allentato la presa sul suo colletto, quello era sgattaiolato dietro di lui.
Conseguenza: il pugno del suo avversario colpì il muro, screpolandogli le mani e Barnes si trasformò da oppressore a oppresso, perché ora era Stark a tenerlo in trappola, la guancia premuta contro la parete.
“Sai, James. Prima di farti dei nemici, forse dovresti informarti su contro chi stai per combattere”
 
***
 
“Ti è dato di volta il cervello, Rogers? Quale parte di ‘non voglio parlare di quella fottuta notte’ non ti è chiara?” sbottò Natasha non appena si furono allontanati dalla sua abitazione.
“Nat, io voglio solo capire. E se non posso discuterne con te, allora dimmi a chi mi dovrei rivolgere! Non è evitandoci che supereremo la faccenda!” insistette lui, cercando di concentrarsi sulla guida.
“Cosa diavolo c’è da capire, Steve? Abbiamo avuto un incidente, del quale non ricordiamo un cazzo perché eravamo ubriachi e quella stessa sera Bruce Banner è stato ricoverato in ospedale, assieme a noi!” tuonò lei, agitando con rabbia le mani per aria.
“E se non fossimo stati noi? Se non lo avessimo investito noi, Banner, ah?” ribattè il Capitano, parcheggiando proprio nel vialetto dov’era sito l’albero contro cui, solo due mesi prima, i due erano andati a sbattere.
“Mio dio, Steve! È stato ritrovato a pochi metri dalla mia auto, insieme a noi. Quali altre prove ti servono? Siamo qui solo perché i nostri genitori se ne sono occupati, altrimenti a quest’ora indosseremo una tuta arancione e staremmo in qualche zona malfamata a raccogliere i rifiuti dalla strada! Come minimo…”
“Nessuno di noi ricorda quello che è successo quella notte, Natasha! Potremmo non centrare nulla con ciò che è successo a Banner!” continuò imperterrito lui, slacciandosi la cintura e voltandosi a guardare la russa, che aveva iniziato a sudare freddo.
“Perché ti sei fermato qui?” biascicò con voce smorzata; le mancava l’aria.
“Perché c’è solo un modo in cui possiamo sperare di ricordare qualcosa di quella sera. Partire da ciò che la nostra memoria non ci nasconde per arrivare a ciò che l’alcol ha offuscato. E se ciò non dovesse bastare, ripeteremo esattamente le stesse cose che abbiamo fatto; mi sono informato, questo potrebbe aiutarci a ricordare” asserì deciso Steve, invitando poi la ragazza a mantenere la calma.
Natasha respirò profondamente a lungo, poi cominciò a parlare.
“Eravamo alla festa, abbiamo battibeccato con Bucky. Non dovevo bere e non ricordo di aver assunto alcol, ma quando abbiamo lasciato casa di Alexander mi girava la testa”
“Ecco, in tal proposito c’è qualcosa che dovresti sapere, Nat” confessò il Capitano, distogliendo lo sguardo dalla ragazza e sospirando con aria colpevole.
“Cioè?”
“Non eri ubriaca quella sera. Mia madre ha insabbiato la faccenda perché poteva compromettere la mia carriera nel mondo del basket e in particolar modo poteva farmi perdere la borsa di studio per la quale sto lavorando da tre anni. Non c’era traccia di alcol nel tuo corpo, ma dalle analisi del nostro sangue è risultata un’altra sostanza” raccontò il biondo, con l’aria di chi non si sa spiegare un qualcosa.
“Di che stai parlando, Steve?” lo incalzò la russa, più confusa che mai.
“Metamfetamina, Natasha. Ci hanno drogati, non so come”.
Le occorsero diversi minuti per elaborare quell’informazione; senza dubbio, il fatto che sua madre fosse una dottoressa specializzata nel reparto in cui erano finiti, era stata una vera botta di fortuna, perché il sotterramento di quella cosa giovava anche a lei ed era più che sicura che anche i suoi genitori ne fossero a conoscenza.
“Acqua. Qualche bastardo deve aver corretto l’acqua. È l’unica cosa che ho bevuto quella sera. E anche tu ne hai preso un bicchiere” rimembrò lei, sporgendosi sul sedile per prendere una sigaretta dalla sua borsetta.
“Ma la vuoi smettere?” sbottò a quel punto Steve con più impeto di quanto avrebbe dovuto, collegato alla rabbia che era scaturita da quella presa di coscienza “ti attacchi a quelle cicche come se potessero darti calma e coraggio, ma sai perfettamente che non ti faranno superare la paura di ricordare!”
“Perché non vai al diavolo, ah, Rogers?” inveì lei, perdendo l’equilibrio e crollando addosso all’amico.
Fu un istante, un deja-vu, ed entrambi sgranarono gli occhi mentre i ricordi cominciavano a riaffiorare: reminescenze caratterizzate da gemiti, baci e dolci carezze, qualcosa di profondamente sbagliato, qualcosa che non poteva essere successo per davvero.
“Oh mio dio” sussurrò la ragazza, lasciandosi ricadere di peso sul suo sedile.
Il Capitano aprì e chiuse la bocca più volte, senza che alcun suono uscisse dalla sua bocca.
Non dirlo ad alta voce, Natasha. Non dirlo ad alta voce.
“Abbiamo fatto sesso”
Ecco, perfetto. Lo aveva ammesso.
Continuava a fissare il cruscotto dell’auto con le lacrime agli occhi, il respiro accelerato per lo sforzo di non crollare.
“Io…” biascicò Steve, cominciando a ricordare la pelle dell’amica contro la sua, le sensazioni che aveva provato durante ogni singolo momento in cui si era mosso sopra di lei.
“Natasha mi… mi dispiace. Io…” provò a scusarsi il giovane, non trovando però la forza di terminare la frase e prendendosi i capelli tra le mani.
“Portami a casa. Io ho finito qui. Non voglio più ricordare nulla” decretò la Romanoff, lottando contro sé stessa per non scoppiare a piangere.





Angolo Dell'Autrice
Salve a tutti!
Scusate il ritardo, ma finalmente ho trovato un po' di tempo per aggiornare alcune delle mie storie!
Allora, cominciano a venir fuori gli eventi di quella notte e tante altre cose... spero proprio
che anche questo capitolo vi sia piaciuto! :)
Come al solito vi invito a farmi sapere cosa ne pensate, è sempre meglio sapere in anticipo se la storia è una schifezza o meno ;)
Grazie infinite a tutti voi che leggete, seguite, recensite!
Alla prossima,
Bell.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Guilty ***


6
Guilty
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Steve e Natasha restarono in silenzio per tutto il tragitto; ogni tanto le sfuggiva qualche singhiozzo, cosa che causava una fitta di dolore al ragazzo.
Non riusciva a perdonarsi per ciò che aveva fatto, non ci sarebbe mai riuscito e non era a Sharon che stava pensando in quel momento: non credeva possibile di aver fatto una cosa del genere alla ragazza con cui era cresciuto, quella con cui giocava da bambino, quella di cui aveva conosciuto pregi e difetti prima ancora di comprendere il significato di quei termini.
Parcheggiò l’auto, ma era troppo tardi, perché la fanciulla non riuscì più a trattenersi e scoppiò a piangere.
“Natasha, Natasha ti prego” mormorò, pur sapendo di non avere alcun diritto di pretendere che si calmasse.
“No, Steve! Non mi toccare!” gridò lei, sbattendo i pugni contro il petto del giovane e sfogando tutta la sua frustrazione.
Quell’attacco isterico durò all’incirca dieci minuti, poi lei si accasciò sul corpo del ragazzo, permettendogli di abbracciarla.
“Mi dispiace, Nat. Io… Io non lo avrei mai fatto. Io… Mi dispiace” le sussurrò nell’orecchio, con voce rotta, stringendola forte a sé.
“Non è stata colpa tua” ammise la russa, ancora scossa dagli spasmi “è più probabile che sia stata io a cominciare”
Lentamente, si rimise a sedere e accese una delle sue tanto amate sigarette; non ne aveva veramente bisogno, nessuno ne ha davvero bisogno, ma ormai ci aveva preso l’abitudine.
“Mi piaceva provocare, Steve” spiegò, vedendo l’espressione confusa dell’amico, “ad ogni ragazzo con cui sono uscita, ho sempre e solo dato un assaggio di quello che poteva avere, ma non sono mai andata fino in fondo. Amavo tenerli sulle spine, farmi desiderare. Evidentemente quella sera non sono riuscita a controllarmi”
“Non darti colpe che non hai, Nat. Se c’è un colpevole qui sono io! Sono io il ragazzo, sono io che avrei dovuto…” la contraddisse lui, stringendo i pugni per tenere a freno la voglia di mollare un pugno al finestrino dell’auto; il fatto che quella fosse stata la prima volta della russa rendeva ciò che aveva permesso che accadesse ancora più imperdonabile.
“Non stavi capendo nulla in quel momento, Steve” insistette lei, che non voleva assolutamente odiarlo per qualcosa di cui non era responsabile.
“Nemmeno tu, Natasha!” tuonò il Capitano, battendo le mani sullo sterzo.
“Non è mai successo. Okay? Non è mai successo” decretò la giovane, scendendo dalla macchina e correndo in casa.
 
***
 
Steve non chiuse occhio quella notte e nel pomeriggio avrebbe avuto gli allenamenti con la squadra di basket; non aveva idea di come avrebbe fatto a reggerli, ma in quel momento non gli importava, né tanto meno il pensiero del coach Fury che sbraitava contro di lui sortiva qualche effetto.
No, okay, quello faceva un certo effetto.
Se non fosse stato solo il secondo giorno di scuola, il Capitano sarebbe certamente rimasto a casa, tuttavia non poteva permetterselo, infondo era all’ultimo anno.
Quando raggiunse l’edificio, il corridoio era ancora perlopiù deserto, cosa che gli diede un leggero sollievo almeno finchè non scorse Natasha riordinare il suo armadietto, che guarda caso era proprio accanto al suo.
L’unico contatto che ebbero nel lasso di tempo in cui il ragazzo lasciò i suoi libri, fu una rapida occhiata, che di certo non sfuggì a Sharon, intenta a parlottare con Pepper qualche metro più avanti.
La bionda, allora, corse incontro a Steve, gettandogli le braccia al collo e stampandogli un bacio sulle labbra, che il giovane non ricambiò.
“Non mi hai cercata, ieri” assodò lei, un mezzo tono accusatorio nella voce.
“Sono… stato impegnato” si giustificò distrattamente lui, cercando di non pensare alle scure occhiaie che aveva notato sul volto della russa, che dovevano essere così intense da non poter essere sconfitte nemmeno da uno spesso strato di fondotinta, e, soprattutto, tentò di non indugiare sulla possibilità che avesse trascorso la notte a piangere.
“Ieri, come tutti gli altri giorni negli ultimi mesi, Steve. Ti sarai fatto vivo non più di dieci volte durante l’estate” proseguì la Carter, cercando di attirare la sua attenzione, ma ogni sforzo sembrava vano.
“Nat!” strillò a quel punto, stanca del’apatia del Capitano, facendo finta di aver notato la sua presenza solo in quel momento e correndo ad abbracciarla.
“Ti stavo proprio cercando! Sei impazzita o cosa? Ieri hai pubblicato una foto con Clint, stai per caso cercando di ammazzare la tua reputazione?”
“Dio, Sharon falla finita! Io frequento chi cavolo mi pare e si da’ il caso che lui sia mio fratello!” sbottò la rossa, sbattendo con voga lo sportello del suo armadietto e dirigendosi di corsa verso l’aula ove si teneva la sua prima lezione del giorno, nonostante mancassero venti minuti buoni al suo inizio.
Sobbalzò, quando udì la voce di Barton alle sue spalle: era comparso lì dal nulla, facendole prendere un colpo.
“Ma sei scemo?!” esclamò, tirandogli una pacca sulla spalla.
Il ragazzo si limitò a ridacchiare e a commentare la scena cui aveva assistito solo pochi minuti prima.
“Siamo passati alla fase due ora?”
“Fase due?” ripeté confusa lei, corrugando la fronte.
“Quella in cui mi difendi da quelle sottospecie di arpie che definisci ‘amici’” precisò lui, accomodandosi al banco accanto.
“Non sono tutti come lei” si affrettò a replicare Natasha, gli occhi che minacciavano prepotentemente di chiudersi ogni qual volta sbatteva le palpebre.
“E chi è che si salva? Steve?” ipotizzò Clint, alzando gli occhi al cielo.
“E Pepper. E devo ancora farmi un’idea riguardo Thor, ma sembra un tipo okay” aggiunse la rossa, sbadigliando.
“Non hai dormito questa notte? Hai due occhiaie che farebbero invidia a un metallaro” chiese il giovane, ridendo alla sua stessa battuta nonostante l’occhiataccia omicida della sorella.
“Però che occhio” mugugnò, poggiando il capo sul banco.
“Non te l’ho detto che alle medie mi chiamavano Occhio di Falco?”
“Fai sul serio?” domandò la russa, scoppiando a ridere.
“Ehi ho una vista acuta, non so quante volte te lo devo ripetere!” asserì lui, simulando un gesto spazientito.
“Ti credo” concesse lei, ricomponendosi quando la classe cominciò a riempirsi e il professor Xavier, chiamato ‘professor X’ dall’intera comunità studentesca, entrò in aula, somministrando un test d’ingresso sulla genetica che ottenne un notevole disappunto dagli alunni.
“Ora capisco come fai ad avere il voto massimo in ogni materia” notò Natasha, scuotendo la testa alla vista del sorrisetto beffardo che era spuntato sul volto di Clint.
 
***
 
“Guardate chi ha deciso di degnarci ancora della sua presenza” cantilenò Sharon, prendendo posto accanto a Steve, con una scodella piena di insalata e pomodoro.
“Non so se sei troppo ottusa per accorgertene, ma non è giornata Shy” puntualizzò Natasha, lasciandosi pesantemente cadere sull’unica sedia vuota, accanto a Thor e, purtroppo per lei, Bucky.
“Stai bene?” le domandò a voce bassa il nuovo arrivato, che non si convinse affatto dell’accennata risposta positiva della ragazza.
“Beh, veramente nel tuo caso non è periodo, Nat. Non so cosa ti stia succedendo. Prima ti rifiuti di venire al party di fine estate, poi appoggi Pepper riguardo la sua assurda idea di uscire con Stark, pubblichi delle foto con Barton e infine vengo a sapere che vai frequentemente a trovare Bruce Banner all’ospedale. Non è che per caso quello che ha detto Bucky l’altro giorno corrisponde a verità?” insistette la bionda, sorridendo soddisfatta, senza rendersi conto che accanto a lei, Steve si era irrigidito di botto.
Nonostante il colorito della russa passò in una frazione di secondo dal roseo al bianco cadaverico, capì immediatamente che l’unica intenzione di Sharon era quella di umiliarla, di metterla in difficoltà con la storia dell’ospedale, anche se non aveva la più pallida idea di come avesse fatto a scoprirla.
“Mystica ti ha vista l’atro giorno, sua zia è nella stanza accanto” aggiunse, come per rigirare il dito nella piaga, come se avesse intuito il quesito che aveva preso forma nella mente della ragazza.
“Sai che ti dico, Sharon? Che dovresti crescere e imparare a farti i fatti tuoi. Se la gente ci considera una massa di coglioni superficiali e tutta apparenza, è proprio perché in questo gruppo ci sono persone come te. Ma il liceo non durerà per sempre e sai cosa sarai una volta fuori di qui? Niente” esplose Natasha, mandando al diavolo il pranzo e lasciando la sala tra gli occhi sbalorditi di tutti i presenti.
“Wow, ora capisco perché la chiamano Vedova Nera. Le sue parole sono morsi velenosi” asserì Thor, per la verità contento che la rossa avesse messo al suo posto la Carter, la quale, fin dal primo momento, non gli era risultata particolarmente simpatica.
“Ti consiglio di non provare i suoi schiaffi allora” considerò Bucky, addentando il suo hamburger come se non ne vedesse uno da anni.
“Scusatemi” disse all’improvviso Steve, lasciando a sua volta il tavolo e seguendo la traiettoria che la Romanoff aveva percorso solo pochi minuti prima.
“Ma che accidenti sta succedendo qui?” strillò Sharon, indignata per il gesto del suo ragazzo e con uno sguardo che avrebbe fatto invidia ad un serial killer: se c’era una cosa che era intenzionata a fare, era quella di scoprire cosa nascondessero il suo ragazzo e la sua migliore amica, anche se non era ben chiaro a nessuno il concetto che la bionda aveva di ‘amicizia’, visto che calpestava tutto e tutti senza alcun riguardo.
 
***
 
“Sapevo che ti avrei trovata qui” mormorò il Capitano, sedendosi sull’altalena accanto a quella della russa.
“Ma non saresti dovuto venire” lo riprese lei, evitando di incrociare il suo sguardo e asciugandosi le lacrime dagli occhi.
“Nat, siamo cresciuti praticamente insieme. Non puoi pretendere indifferenza da parte mia, neanche se dopo quello che è successo ne avresti tutto il diritto” sottolineò il biondo, sporgendosi verso la ragazza e alzandole delicatamente il mento con le dita.
“Mia madre me lo aveva detto, che andavi a trovare Banner, che te lo lascia vedere eccezionalmente per dieci minuti dopo l’orario delle visite. Io non ne ho mai avuto il coraggio, neanche quando ero lì, nella stanza accanto. Ti fa sentire meno in colpa stare lì con lui?” chiese esitando e studiando con attenzione l’amica.
“No, il contrario. Ma è bello svegliarsi e vedere che c’è qualcuno lì, accanto a te” confessò Natasha, ricordando come si era sentita bene quando aveva riaperto gli occhi e aveva visto Steve, seduto sulla poltrona accanto al suo letto.
E voleva che a Bruce accadesse la stessa cosa.
Era stata in coma per un mese e stando alle parole di sua madre, da quando gli avevano permesso di alzarsi lui aveva trascorso tutto il suo tempo nella sua stanza, a parlarle del più e del meno, cercando di farla svegliare.
“Non ti ho mai ringraziato, per esserci stato per me” si scusò la russa, lottando per ricacciare dentro le lacrime, di nuovo pronte a venir fuori.
Il Capitano sorrise, poi posò la mano su quella della giovane e mormorò:
“Io ci sarò sempre per te, Nat. Nel caso te lo fossi dimenticato, questa promessa te l’ho fatta dodici anni fa su questa stessa altalena e mi sembra di averla sempre onorata”
Natasha sorrise di rimando.
“Non l’ho dimenticato” ammise, alzando il capo verso il cielo e traendo un profondo respiro liberatorio.
“Steve, che diavolo fai?” esclamò improvvisamente, reggendosi alle catenine e scoppiando a ridere quando capì che il ragazzo stava spingendo la sua altalena, proprio come faceva quando avevano sei anni.
“Tu sei matto” sussurrò ridacchiando, scendendo poi al volo e finendo dritta tra le sue braccia.
“Dici?” sibilò lui, lo sguardo serio e gli occhi puntati in quelli di lei.
Per un momento, la mente della Romanoff indugiò sui delicati tratti del volto del biondo, su quella particolare tonalità dei suoi occhi che si rese conto solo in quel momento essere il suo colore preferito, sulle sue possenti braccia… poi si ritrasse immediatamente, schiarendosi la gola e facendogli notare che era arrivato il momento di tornare a scuola.
“Sarà meglio andare, ora” asserì, recuperando la compostezza che spesso la caratterizzava.
“Sì, hai ragione” concordò lui, incamminandosi pigramente verso l’istituto.

 










Angolo Dell'Autrice
Salve a tutti!
Brindate al marcolo, sono riuscita ad aggiornare
in fretta! ahahah
Sinceramente devo ancora capire se questa
storia è uno dei miei abomini o meno, ma 
immagino che lo scoprirò solo alla fine.
Ancora non stiamo a niente.
Spero tanto che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi
sapere cosa ne pensate se vi va :)
Ringrazio di cuore tutti coloro che leggono,
recensiscono, seguono, preferiscono (?) la 
mia storia. 
Alla prossima,

Bell

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Revelations ***


7
Revelations
 
 
 
 

 
 
 
“Rogers, potrei scambiare due paroline con te?” attirò la sua attenzione il coach Fury, lasciando presagire una bella predica sulla sua scarsa prestazione del giorno.
“Che accidenti ti sta succedendo? In tre anni non hai mai fatto un allenamento più deludente di questo!”
“Coach, ho avuto dei problemi che non mi hanno fatto dormire questa notte. Le assicurò che non accadrà più” tentò di giustificarsi il Capitano, ma senza sortire l’effetto sperato, come già immaginava sarebbe successo.
“Me lo auguro, perché non solo potremmo perdere il Campionato, ma tu potresti rimetterci la borsa di studio per la quale hai lavorato così duramente. E tu non vuoi che accada non è vero, Rogers?” proseguì imperterrito l’uomo, sfoderando il suo sguardo più severo, capace di inquietare chiunque.
“No, signore” asserì il giovane, cercando di apparire il più deciso possibile.
“Ricorda che a volte lo sport può essere un mezzo per scaricare la tensione e la frustrazione, Rogers!” gli urlò dietro l’insegnante, proprio quando Steve stava per lasciare la palestra.
Il biondo si arrestò per un momento, ma quando si voltò il coach era già scomparso nel suo ufficio; un labile sorriso spuntò sul suo volto: possibile che dopo tutto quel tempo, Fury lo conoscesse così bene? Che tenesse a lui? Non era da lui dare quel genere consigli, non lo aveva fatto con nessuno prima.
Afferrò nuovamente il suo borsone e varcò la soglia, scontrandosi con Thor.
“Ehi amico, non ti avevo visto scusa! Ti serve un passaggio?” domandò Steve, salutando il compagno di squadra con il solito gesto che utilizzavano i ragazzi della loro età.
“No, non preoccuparti, grazie. La limo di mio padre è parcheggiata dietro l’angolo, sto solo cercando di capire che fine abbia fatto mio fratello” spiegò il ragazzo, un’espressione confusa sul volto.
“Bene. Ci si vede allora” si congedò il Capitano, raggiungendo la sua auto in fretta, nella speranza che Sharon non lo adocchiasse.
Ovviamente gli andò male, perché le cheerleader uscirono proprio un attimo prima che partisse e la voce della bionda giunse alle sue orecchie come se fosse a cento metri di distanza: era troppo preso dalla sagoma di Natasha, che in quel momento stava salendo sull’auto del fratello.
“Steve! Ma ci senti? Noi due dobbiamo parlare!” urlò ancora la Carter, le mani sui fianchi per fargli capire che era molto arrabbiata con lui.
Tuttavia, il ragazzo si limitò a scoccarle una rapida occhiata, prima di rispondere un secco ‘non ora’ e di partire sgommando, lasciando la giovane sgomenta.
 
“Loki! Ma dove cavolo eri finito?” sbottò Thor, impaziente di rincasare per affrontare la mole di compiti che il professor X e il professor Coulson, che insegnava informatica, gli avevano assegnato quel giorno.
“Scusa! Stavamo parlando delle possibili notizie da inserire nel giornalino di questo mese, quando all’improvviso Sharon Carter ha fatto irruzione in aula sostenendo di averne una ancora inedita a tutti” spiegò lui, raggiungendo di corsa il fratello ed entrando nella limousine.
“Sharon Carter hai detto? E di che notizia parlavi?” cercò di indagare il biondo, corrugando la fronte.
“Non posso parlartene, mi dispiace. Ne ha parlato solo con Mary Jane, ma lo scoprirai presto, tra una settimana avrò il materiale e stamperemo il primo numero” asserì Loki, aprendo un pacco di patatine ed offrendogliene un po’.
Per un istante, Thor sembrò turbato dal comportamento del ragazzo, che non lo trattava gentilmente da quando avevano cominciato a frequentare il liceo.
“Tutto bene?” chiese ancora, la fronte corrugata.
“Sì. Ma posso chiederti una cosa?” rispose il moro, abbassando lo sguardo e arrossendo violentemente.
“Certo” lo incalzò il fratello, prendendo una manciata di patatine e iniziano a sgranocchiarle pigramente.
“Supponiamo che io voglia uscire con una ragazza… cosa dovrei fare esattamente?”
Per poco Thor non si strozzò con il cibo; Loki gli aveva sul serio rivolto quel quesito?
“Qualcuna in particolare?” indagò il giovane, cercando di non scoppiare a ridere non solo per l’assurdità di quella domanda, ma anche per la felicità per il fatto che il fratello avesse finalmente trovato degli amici.
Era perfettamente consapevole che la sua figura aveva sempre offuscato quella di Loki, che lo aveva sempre fatto appare come uno ‘sfigato’ agli occhi degli altri, ma non era mai stato un suo desiderio rendere un inferno l’adolescenza del ragazzo.
“Si chiama Gwen. È una delle scrittrici del giornalino” confessò il moro, sempre senza distogliere lo sguardo dal finestrino.
“Ho sentito che c’è un incontro per aspiranti giornalisti al club di cui sono diventati soci i nostri genitori. È venerdì pomeriggio, per sicurezza chiedi alla mamma. Perché non la inviti a partecipare con te? Potrebbe essere un inizio” propose, sorridendo poi alla vista dell’espressione contenta di Loki.
“Sei un genio! Grazie!” esclamò lui, scendo dall’auto.
“Loki, sono contento per te, dico sul serio” mormorò Thor prima di entrare in casa, il sorriso ancora stampato sul volto e il presagio che quello non sarebbe stato poi un pessimo anno.
Se avesse potuto avere Jane al suo fianco, tuttavia, sarebbe stato anche meglio.
 
***
 
“Grazie per essermi venuto a prendere” disse Natasha, aprendo la porta di casa e sospirando per la stanchezza.
“Figurati. Si può sapere cosa ti ha turbato così tanto da non farti dormire questa notte?” rispose Clint, gettandosi di peso sul divano del salotto.
La ragazza esitò per un istante: non poteva di certo dirgli di essersi scopata il suo migliore amico, - che per l’aggiunta era il ragazzo di quella che in teoria doveva essere la sua migliore amica, - ma poteva rivelargli una mezza verità.
“Devi tenerlo per te però. Sono convinta che la mamma e tuo padre lo sanno già, ma non voglio comunque che tu ne faccia parola” si premunì prima di cominciare a raccontare ciò che aveva realizzato la sera prima.
“Ho avuto la conferma di ciò di cui ero già sicura: non ho toccato alcol quella sera. Sono stata drogata, credo che qualcuno abbia corretto l’acqua”
“Nat, hai bevuto acqua a quella festa?” scattò il fratello, mettendosi improvvisamente a sedere, con lo sguardo serio.
“Sì e tanta anche. Credo di essere stata l’unica a usufruire di quella dannata brocca, ed era quasi finita quando me ne sono andata” precisò lei, corrugando la fronte per la strana reazione che il giovane aveva avuto.
“Perché, Clint?” tentò di incalzarlo a parlare quando capì che Barton era entrato in una specie di trance.
“Perché James Barnes ci aveva versato qualcosa dentro. Il bancone era vicino alla finestra ed io stavo passando di lì in quel momento… non avevo idea che…” confessò il ragazzo, stringendo i pugni per la rabbia.
“Bucky? Stai dicendo che è stato Bucky a drogarmi?” ripetè incredula la russa, gli occhi sgranati.
“Ti sto dicendo quello che ho visto, Nat. E sei più brava di me in matematica, sai fare due più due” dichiarò Clint, alzandosi bruscamente e rinchiudendosi in camera.
 
***
 
Pepper si sentiva inquieta.
Non sapeva con chi parlare: Mystica sembra essere diventata amica per la pelle di Sharon, il che era tutto dire, ed era proprio l’ultima persona che voleva rendere partecipe dei suoi problemi.
Da quando era entrata a far parte della squadra delle cheerleader, aveva sempre dovuto dar conto di chi frequentava, di ciò che faceva e non aveva mai agito secondo il cuore, bensì in base a ciò che era più conveniente per la sua reputazione.
Tuttavia, quella volta era diverso.
Per quanto Tony Stark potesse essere egocentrico, lei provava qualcosa per lui ed era intelligente abbastanza da comprendere che quel qualcosa era corrisposto; aveva un disperato bisogno di un consiglio, di qualcuno che ascoltasse i suoi dubbi.
Scorse la rubrica e chiamò la persona che più pensava avrebbe potuto capirla: Natasha Romanoff.
“Peps?” rispose la russa dall’altra parte del telefono.
“Nat. Scusa se ti disturbo, ma c’è una questione che mi turba molto” esordì la ragazza, sentendosi una scema per quanto stava ingigantendo la cosa.
“La ‘questione’ si chiama per caso Tony Stark?” carpì al volo l’amica, le cui doti intuitive si dimostravano acutissime anche quando era stanca morta.
“Sì. È che Sharon continua a dirmi che non ne vale la pena e io...”
“Ascoltami. Qualsiasi cosa ti dica Sharon, devi lasciarla perdere. Se Tony ti interessa, non farti problemi, escici. La vita è troppo breve per non essere felici, per cui finché hai questa possibilità, coglila. Abbiamo sprecato anche troppo tempo rispettando quelle fottute regole imposte da lei. Dammi retta, se il tuo cuore vuole dare un’opportunità a Stark, fallo” la interruppe lei, stanca di vivere secondo le ‘norme della superficialità by Sharon Carter’.
“Grazie, Nat. Davvero, è bello avere qualcuno che non la pensa come quei deficienti che leccano il sedere a Sharon per tutto il tempo” affermò Pepper, sorridendo debolmente.
“Già, beh, quei deficienti un giorno si sveglieranno e capiranno quanto sono stati coglioni. Ma sarà troppo tardi. Per fortuna noi ne siamo fuori”
“Come diavolo ci siamo entrate in quello schifo?” s’interrogò la Potts, che per la prima volta stava riflettendo su quale aspetto di quella vita potesse averla attratta tre anni prima.
“Ascoltando Sharon. Faceva sembrare popolarità e apparenza le cose più importanti del mondo. Poi ti svegli e ti rendi conto che c’è di più e che tu meriti di averlo. Tutto qui. Non farti problemi inutili, Peps” insistette Natasha, salutando poi la giovane e decidendo di andare a dormire, per reprimere il desiderio di andare a pestare sia Bucky, che la Carter.








Angolo Dell'Autrice

Salve gente!
So che questo capitolo non è
un granchè, ma dovevo scriverlo
per forza. Io spero comunque che
vi sia piaciuto, se vi va lasciatemi 
un commento :)
Alla prossima,

Bell :)

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Rebellion ***


8
Rebellion
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Che diavolo succede qui?” domandò Steve, facendosi largo tra la folla e osservando sgomento la scena cui stava assistendo.
“Figlio di puttana, io ti ammazzo!” urlava Clint, tra un pugno e l’altro, aggredendo James Barnes con non poca violenza.
Il ragazzo sapeva difendersi, ma non riuscì a schivare parecchi cazzotti, Barton era troppo veloce e, soprattutto, incazzato nero.
“Ora basta!” intervenne il Capitano, frapponendosi tra i due.
“Togliti dai piedi, Rogers” ruggì quello, lanciandosi nuovamente contro l’avversario.
Pazientemente, il biondo lo tirò indietro, impedendogli di ricominciare a pestare Bucky e non demordendo neanche mentre il fratello adottivo della Romanoff si dimenava con voga.
“Tu sei l’ultima persona che dovrebbe aiutarlo” asserì, guardando Steve negli occhi così intensamente che fece sentire il giovane irrequieto, pur non avendo la minima idea del motivo di una reazione così violenta.
“Tu sei pazzo!” tuonò Bucky, facendosi la vittima.
Barton fece di nuovo per fiondarsi contro di lui, ma questa volta fu la voce di Natasha a fermarlo.
“Clint! Clint! Basta, non ne vale la pena! Vieni via” disse con tranquillità, afferrando il fratello per un braccio e spingendolo fuori dalla folla.
“Sta’ lontano da Natasha!” gridò Barton, prima di sparire all’interno di un’aula.
“Che cazzo hai fatto?” domandò bruscamente Steve, volgendo lo sguardo verso il suo amico.
“Non ho fatto niente, Rogers! Non ti ci mettere anche tu!” ribatté quello, sbattendo lo sportello del suo armadietto e entrando nel bagno per lavar via il sangue dal volto.
“Via, non c’è nulla da guardare!” urlò alla folla Pepper, scambiandosi un’occhiata preoccupata con il Capitano.
 
“Ti è andata bene che il preside non era ancora arrivato. Si può sapere cosa ti è saltato in mente?” sbottò la russa, applicando del ghiaccio sulla guancia di Clint.
“Non può passarla liscia!” affermò per tutta risposta lui, digrignando i denti.
“Clint. Ascoltami bene. Non voglio che tu venga coinvolto in questa storia. Stanne fuori. Apprezzo che tu abbia cercato di difendermi, ma non voglio che tu finisca nei guai a causa mia” disse lei, questa volta con più tranquillità.
“Sei mia sorella, Nat. Se non ti difendo io, chi lo dovrebbe fare?” insistette Barton, una smorfia di dolore quando la ragazza premette l’impacco contro la sua pelle.
Natasha stava per replicare, ma la voce ferma di Steve la costrinse a ripensarci.
“Mi volete spiegare cos’è successo?” domandò, appoggiandosi alla cattedra vuota di fronte a loro.
“Vuoi che ne stia fuori anche lui?” chiese Clint, alzandosi e lasciando la stanza scuotendo la testa.
La Romanoff fece per seguirlo, ma prontamente il Capitano la bloccò.
“Nat, cosa sta succedendo?” ripetè, con tono fermo.
La rossa trasse un profondo respiro.
“Niente di cui tu debba preoccuparti. Vecchie questioni irrisolte”
“Non sembravano vecchie. Natasha, ti ha fatto qualcosa?” insistette il biondo, avanzando di qualche passo verso di lei.
Fortunatamente, la campanella segnò l’inizio delle lezioni e la classe cominciò a riempirsi; la prima ad entrare, fu proprio Sharon che si arrestò di colpo nel vedere il suo ragazzo e l’amica così vicini, i quali si allontanarono immediatamente e si sedettero ciascuno al proprio posto.
 
“Allora, cos’è questa storia tra te e Natasha?” ruggì la Carter, trascinando con voga Steve in un angolo appartato del giardino dell’istituto.
“Non c’è nessuna storia Sharon. È la mia migliore amica, lo è da sempre.” asserì lui, sbuffando irritato.
“Ma davvero? Perché sei più protettivo nei suoi confronti che nei miei. E sembra che tu tenga più a lei che a me. Non credi che sia lecito che mi faccia delle domande?” proseguì lei, scalpitando.
“Falla finita” ripetè il giovane, iniziando a perdere la pazienza.
“Voglio che tu stia alla larga da lei, Steve. Voglio che tagli i ponti con Natasha, che tu non le rivolga più la parola neanche per salutarla” ordinò la bionda, con lo sguardo di chi stava mettendo alle strette qualcuno con la sicurezza che alla fine avrebbe ottenuto ciò che voleva.
“Allora mi sa che è arrivato il momento di mettere fine a questa farsa che tu chiami relazione, Sharon” sentenziò lui, lasciandola sola a fissare la parete a bocca aperta: non credeva alle sue orecchie, Steve l’aveva lasciata.
Natasha l’avrebbe pagata cara.
 
***
 
Natasha e Pepper entrarono in palestra discutendo amabilmente.
La squadra di basket aveva già cominciato a riscaldarsi, nonostante Fury non fosse nemmeno arrivato, mentre le cheerleader erano coinvolte in un animato dibattito.
“Ehi, ragazze cos’è tutto questo trambusto?” chiese la Romanoff, corrugando la fronte.
“Stavamo parlando di una questione importante riguardanti la squadra, Nat” spiegò Sharon, un sorriso malizioso stampato sul volto.
“Ma davvero? Perché io sono la capo-cheerleader e so per certo che non c’è nulla di cui parlare, né tanto meno per cui fare tanto casino!” ribattè la rossa, fronteggiando la ragazza faccia a faccia.
“Veramente, Nat, la questione è proprio questa. La maggioranza di noi ha deciso di destituirti dall’incarico, a causa della tua condotta poco consona al nostro status quo. Ci dispiace tanto” la canzonò Mystica, con falso tono di rammarico.
Nel frattempo, l’intera squadra di basket si era voltata a guardare cosa stesse accadendo tra le fanciulle e Steve aveva assunto un colore cereo, comprendendo che quella era in realtà una sorta di vendetta contro di lui.
“Bene. Sembra che quest’anno avrò più tempo per pensare alle cose importanti” asserì Natasha, lanciando con violenza i pon-pon contro la Carter e lasciando la palestra a testa alta.
“Oh e chiunque non condivida le nuove disposizioni può benissimo abbandonare il team” aggiunse Sharon, una  frecciatina rivolta a Pepper, ovviamente.
“Volentieri” asserì lei, replicando il gesto della Romanoff e raggiungendola.
“Siamo libere, Nat” constatò la Potts, sorridendo al pensiero di non doversi più preoccupare di quello che la gente avrebbe potuto pensare di lei.
“E nessuno può accusarci di essere delle codarde o altro. Hanno fatto esattamente ciò che volevamo e magari ora stanno anche ridendo alle nostre spalle, inconsapevoli di averci regalato ciò che più desideravano” concordò la russa, abbandonandosi ad una risata liberatoria.
“Se adesso dovessi brindare a qualcosa” asserì Pepper, tirando fuori una bottiglietta d’acqua, “brinderei a un nuovo inizio”.
Allora Natasha tirò fuori anche la sua e la urtò delicatamente contro quella dell’amica.
“A un nuovo inizio” ripeté, le labbra stirate in un largo sorriso di gioia.
 
Natasha non aveva pensato al pranzo; non poteva più sedere al tavolo dei ‘top’ della scuola, né voleva farlo, ma non poteva neanche andare da Clint, perché lui non aveva mai mangiato alla mensa e non aveva la minima idea di dove si cacciasse in quell’asso di tempo.
Preparatasi psicologicamente a venire derisa da tutti e anche umiliata, avanzò nella sala, con uno sguardo così fiero e tranquillo allo stesso tempo da strappar via ogni minima soddisfazione che la Carter avrebbe potuto ricevere dal vederla sola ad un tavolo.
Il primo atto di scissione con la sua vecchia vita, fu quello di prendere un hamburger al posto del solito piatto senza grassi e cretinate varie.
“Diventerà grassa come una balena per la depressione” la schernì Sharon dall’altro tavolo, generando una manciata di risate che non scalfirono minimamente la russa.
La verità era che non aveva mai seguito davvero quella stupida dieta, ma il duro allenamento le aveva sempre permesso di preservare la sua forma perfetta.
“Possiamo sederci qui?” domandarono all’improvviso due ragazzi, dei quali la Romanoff riconobbe all’istante la voce: erano Steve e Thor.
“Volete suicidarvi anche voi?” li schernì la ragazza, indicando tuttavia le due sedie libere accanto a lei.
“Sarebbe un suicidio pranzare con loro” garantì il nuovo arrivato, facendole l’occhiolino.
“Se c’è posto, ci siamo anche noi” esordì Pepper, mano nella mano con Tony Stark, un sorriso raggiante sul volto.
“Certo che c’è posto” asserì il Capitano, scostando due sedie e lanciando una rapida occhiata alla sua ex, il cui volto aveva assunto una violacea colorazione.
“Nat, Steve, Thor… lui è…” fece per presentarli la Potts, ma Natasha la interruppe.
“Ci conosciamo già. Eravamo in classe insieme alle medie”
“Davvero?” mormorò sorpresa l’amica, voltandosi verso il suo ragazzo.
“Eravamo l’incubo della professoressa Hill. Quando me la sono ritrovata in classe il primo anno di liceo perché aveva cambiato scuola, ha speso ben venti minuti a ringraziare dio che la Romanoff avesse un orario diverso dal mio” confermò Stark, facendoli scoppiare tutti a ridere finchè una mite e profonda voce li interruppe.
“Dato che questo è l’unico tavolo con un posto vuoto, vi dispiace se mi unisco a voi?”
“Clint!” boccheggiò la sorella, l’espressione sorpresa subito sostituita da un caloroso sorriso.
I sei ragazzi cominciarono allora a discutere del più e del meno, scherzando e raccontandosi divertenti aneddoti l’uno sull’altro, storie buffe di quando erano bambini, figuracce e roba del genere.
Intanto, al tavolo delle cheerleader, Sharon stava confabulando animatamente con Bucky e Mystica, vantandosi che ben presto, avrebbe ottenuto la sua vendetta.











Angolo Dell'Autrice
Chiedo umilmente scusa per il ritardo,
ma ho dei problemi con il computer e 
sto praticamente impazzendo.
Tuttavia, finalmente sono riuscita ad aggiornare.
Spero che il capitolo vi piaccia, mi raccomando,
fatemi sapere cosa ne pensate! 
Alla prossima, (presto, mi auguro),
Bell.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 9. Friday Night ***


9
Friday Night
 
 
 

 
 
 
 
 
Loki era agitato.
Quel pomeriggio si sarebbe visto con Gwen, anche se non era ben sicuro di poterlo considerare un appuntamento.
Cercava di tenere a mente i consigli di Thor, di acquisire la necessaria calma e pensò anche di pregare affinché non facesse qualche figuraccia.
“Il mio fratellino sta diventando grande” esordì il biondo, simulando una perfetta espressione commossa.
“Sei venuto a prendermi in giro?” sbottò Loki, che quando era nervoso si dimostrava sempre piuttosto acido.
“Sono venuto a darti l’in bocca al lupo. E a suggerirti di portarla a mangiare qualcosa fuori dopo l’incontro. E se lo desideri, magari prova anche a baciarla” ribatté Thor, appoggiandosi al muro con le braccia conserte.
“Sei pazzo? La conosco solo da qualche giorno!” esclamò a bocca aperta il moro, gli occhi sgranati mentre una nuova paura cominciava ad impossessarsi di lui.
“Vero, ma in amore vince chi rischia, quindi gioca bene le tue carte” asserì il fratello, congedandosi con un cenno della mano e uscendo di casa fischiettando.
Era arrivata la sua nuova auto finalmente e moriva dalla voglia di farci un giro.
Afferrò il cellulare, con l’intenzione di chiamare Steve e Natasha per chieder loro se volessero andare con lui, ma trovò un messaggino di Jane che lo convinse a rivedere le sue priorità.
“J” la salutò con entusiasmo, che si spense non appena udì la cupa voce della sua ragazza.
“Thor, ti devo dare una brutta notizia”
“È successo qualcosa?” chiese preoccupato lui, il battito del cuore a mille e il respiro accelerato per via della tensione.
“Angel Salvadore non c’è l’ha fatta. È deceduta ieri notte… mi dispiace tanto Thor” rivelò lei, ripetendo più volte il nome del ragazzo, che era caduto in un profondo silenzio.
Thor chiuse lentamente la chiamata, senza preoccuparsi di avvisare Jane, poi si passò le mani dai capelli e appoggiò la fronte contro lo sterzo dell’auto, cercando di controllare la miriade di emozioni che si succedevano dentro di lui.
 
***
 
Sharon lasciò l’aula informatica nel silenzio più assoluto, dirigendosi furtivamente presso la sua auto.
Una volta lontana dall’istituto, compose il numero di Bucky e lo chiamò.
“Missione compiuta” lo informò, mettendo in moto il veicolo e imboccando la strada che portava a casa del ragazzo.
“Bene. Se vieni da me possiamo passare ai festeggiamenti” la invitò lui, sorridendo maliziosamente dall’altro capo del telefono.
La Carter sorrise a sua volta, affermando di essere quasi giunta a destinazione.
Nonostante dopo la rottura con Steve il suo interesse sessuale verso Barnes fosse sfumato come una nuvola al vento, aveva deciso di continuare a vederlo perché anche quello costituiva una piccola ripicca nei confronti del suo ex.
Tuttavia, il bello doveva ancora venire.
 
***
 
Tony scese dalla sua auto per aprire lo sportello di Pepper e invitarla a salire, da perfetto gentiluomo.
Le sorrise amabilmente, prima di stamparle un casto bacio sulla guancia e partire alla volta del ristorante dove aveva prenotato.
Per l’occasione si era messo in ghingheri: indossava uno smoking, - e chiunque conosceva Stark sapeva quanto poco d’accordo andasse con quella roba, lui era sexy già di suo, così diceva -, e poi si era specchiato per una mezz’ora buona, una contemplazione che per la prima volta nella sua vita non era finalizzata all’autocompiacimento.
Anche Pepper era molto bella, beh più del solito agli occhi di Tony.
Indossava un vestito rosso lungo fino alle ginocchia e tacchi alti; i suoi capelli erano stati acconciati in dolci boccoli che le ricadevano sulle spalle e  sul viso aveva applicato un leggero strato di trucco che metteva in risalto i suoi stupendi occhi e le sue bellissime labbra.
Visto che quel silenzio era alquanto imbarazzante, il ragazzo provò ad attaccare discorso, scegliendo un argomento che non era affatto azzeccato per l’occasione, ovviamente.
“Ho saputo che Rogers e Sharon hanno rotto” mormorò impacciato, schiarendosi la gola.
“Già” confermo con aria indifferente lei, tartassandosi le mani per il nervosismo.
“Immagino che Steve abbia scoperto di lei e Bucky allora” asserì lui, lo sguardo sempre fisso sulla strada.
Bucky? Di cosa stai parlando?” gemette la giovane, gli occhi sgranati per la confusione ma anche per la sorpresa, un po’ se l’aspettava la risposta che seguì.
Con il volto rosso per la gaffe, Stark si voltò verso Pepper, fermandosi al semaforo.
“Ehm…” biascicò, con l’aria di chi non sa se rivelare qualcosa o meno.
Di cosa stai parlando, Tony?” ripeté per costringerlo a vuotare il sacco.
“Potrei aver scoperto mia cugina in una situazione alquanto compromettente con Barnes. Non so da quanto tempo va avanti, li ho visti tre o quattro giorni fa”confessò lui, ormai non aveva nulla da perdere visto che la Carter aveva tagliato i ponti con Pepper.
“Dovevi dirmelo prima! Steve è mio amico!” obiettò lei, lo sguardo corrucciato.
“Che ne dici di chiudere qui il discorso e di goderci la serata? Siamo arrivati” asserì Tony, poi scese dall’auto e aprì lo sportello della ragazza, porgendole il braccio, da vero gentiluomo, ancora.
Non sapeva nemmeno lui il motivo per cui Pepper Potts gli faceva perdere così tanto la testa.
 
***
 
“Come mai vi siete trasferiti qui?” chiese Gwen, gustando il suo gelato durante una passeggiata con il suo accompagnatore.
Loki esitò per un istante, valutando tutte le possibili risposte a quella domanda, per scegliere poi quella più lontana dalla verità.
“I miei genitori hanno deciso così, questioni di affari suppongo” biascicò lui, evitando di incontrare il suo sguardo.
Non gli piaceva mentire, non a lei, ma proprio non poteva rivelare le vere ragioni che avevano costretto la sua famiglia a traslocare così lontano.
“Capisco. È successo anche a me, quando mio padre è stato promosso” ammise la giovane, accomodandosi su una panchina e attendendo che il ragazzo si sedesse al suo fianco.
“Gwen posso farti una domanda?” azzardò il moro, lo sguardo fisso per terra e il desiderio incessante di cambiare discorso.
“Certo” lo incoraggiò la fanciulla sorridendo amabilmente, cosa che fece aggrovigliare lo stomaco a Loki, il quale trasse un profondo respiro prima di parlare.
“Come mai una ragazza come te non è fra le cheerleader?”
Come me?” domandò confusa la bionda, sinceramente sorpresa.
“Beh si..” farfugliò lui, maledicendosi all’istante “voglio dire, sei carina”
Che idiota si insultò da solo; non aveva mai desiderato così tanto di sparire dalla faccia del pianeta.
Gwen sorrise leggermente, poi spiegò che in realtà lei e Mary Jane erano state nella squadra, ma avevano mollato quando Sharon aveva chiesto all’amica di scegliere tra le cheerleader e Peter.
“A quanto pare a quella Carter piace che nessuno sia felice” commentò quasi disgustato il ragazzo.
La verità era che gli ricordava terribilmente Angel Salvadore, la migliore amica di Thor, che era stata sempre gentile e amichevole con lui, finchè non avevano iniziato a frequentare il liceo e lei era diventata capo-cheerleader, amata e venerata da tutti, e aveva deciso di umiliarlo tante di quelle volte che ormai Loki ne aveva letteralmente perso il conto.
“È troppo ossessionata da questa cosa della gerarchia. Sai quella cavolata secondo la quale i ‘top’ devono stare con i top e cazzate varie. Noi non ci siamo mai sottomesse a questa cosa e non le stava bene, così ci ha costrette a mollare. Sono contenta che la Romanoff e la Potts si siano svegliate finalmente! Natasha è ritornata a scuola e sembra l’opposto di quella che era prima” replicò la bionda, che tuttavia appariva totalmente disinteressata nei confronti quell’argomento.
“Già, Thor parla molto bene di loro” confermò il moro, in imbarazzo per la difficoltà di trovare un qualcosa di meglio di cui parlare, rispetto al futile pettegolezzo.
Non dovette spremersi le meningi più di tanto, perché una chiamata della madre lo costrinse ad allontanarsi da Gwen per un paio di minuti.
“Loki… devi tornare a casa. Immediatamente” ordinò la donna, un tono così preoccupato che il giovane rammentava averle sentito solo una volta.
“Mamma? È successo qualcosa?” tentò di indagare, ma la signora Odinson fu irremovibile e si rifiutò categoricamente di accennare a un qualcosa lì, al telefono.
Perplesso e inquieto, il ragazzo tornò alla panchina, dove si scusò con la fanciulla e spiegò che doveva immediatamente rincasare.
“Credimi, non dipende da te” la rassicurò prima che scendesse dalla limo.
“Lo so” lo tranquillizzò lei, lasciandogli un lieve bacio sulle labbra e scendendo dal veicolo con un mezzo sorriso dipinto sul volto.
Per tutta la strada che separava la casa di Gwen dalla sua, Loki restò impietrito, con due dita fisse sulle labbra: non credeva a ciò che era appena accaduto e si sentiva uno stupido perché il fratello gli aveva consigliato di fare lui quella mossa.
Fu quando vide le luci dell’ambulanza lampeggiare nel giardino circostante la sua villa che, finalmente, si ridestò.
Di corsa, lasciò il mezzo e si precipitò dalla madre, chiedendo informazioni a squarcia gola.
“Thor…” sussurrò lei, con voce rotta, senza riuscire ad aggiungere altro, perché troppo scossa dalle lacrime.
Allora il ragazzo si fiondò in casa, cercando disperatamente il fratello, o il padre o chiunque altro avesse potuto dargli delle spiegazioni, ma la porta della camera di Thor era chiusa a chiave, forse proprio per impedirgli di entrare e la disperazione cominciò a impossessarsi di lui.










Angolo Dell'Autrice
Ed eccomi di nuovo qui!
Che dire, sono leggermente ostacolata dal mio
pc e dalla mia chiavetta (praticamente sono loro
a decidere se e quando devo aggiornare, maledetti) per
questo ho tardato (di nuovo) a pubblicare il nuovo capitolo
che spero comunque vi piaccia.
Una recensione mi renderebbe molto contenta ;)
Grazie a tutti coloro che leggono, seguono e recensiscono la storia!
A presto,

Bell :)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** See, My Dreams All Die ***


10
See, My Dreams All Die









“Steve? Cosa ci fai qui?” domandò Natasha, invitando il giovane ad entrare in casa.
“Nat…” esitò lui, sfregandosi una mano contro l’altra.
“Ehi… va… va tutto bene?” insistette la ragazza, ora un po’ preoccupata per lo strano comportamento dell’amico.
“Io… devo dirti… voglio andare a trovare Banner. Il punto è che non voglio andarci da solo. Non ce la faccio, non sono forte come te” confessò il biondo, guardandola con un’implicita supplica.
“O forse non ti senti in colpa abbastanza. Non gli devi niente, Steve, non c’eri tu al volante” 
“Non centra nulla, Natasha. Allora, vieni con me o no?” sbottò irritato il giovane, pentendosi immediatamente di quella risposta acida.
Come se avesse il diritto di pretendere che lei lo accompagnasse!
“Io… scusami. Lascia stare” disse, lasciando a passo rapido l’abitazione.
“Steve! Aspetta!” gli urlò dietro la russa, raggiungendolo di corsa senza aver ancora indossato il giubbino. 
“Vengo con te” aggiunse, quasi finendogli sopra.
Il Capitano l’afferrò prima che potesse cadere, merito dei suoi riflessi da giocatore di Basket.
“Sei sicura che ti vada?” cercò di informarsi, non gli andava di costringerla, ma non poté che sospirare di sollievo nel vederla annuire convinta.

Era la prima volta, dopo la sera che avevano ricordato ciò che c’era stato tra loro quella notte, che si trovavano da soli, in auto, e la Romanoff non riusciva a reprimere i brevi flash che le attraversavano la mente, attimi di tenerezza che avevano il volto della persona seduta accanto a lei. 
Si stropicciò gli occhi, nel tentativo di scacciare via quelle rapide sequenze e di restare concentrata sull’ospedale che stava prendendo pian piano forma dinnanzi a loro.
“Mia madre è di turno, ci farà entrare lei” esordì Steve, pronunciando le prima parole da quando si erano messi in viaggio.
“Sei sicuro di questa cosa?” cercò di accertarsi la rossa, capendo dall’espressione del ragazzo che ‘sicuro’ era l’ultimo modo con cui poteva essere definito; tuttavia, annuì comunque.
Scesero lentamente dall’auto, introducendosi a passo felpato nell’edificio, ma venendo immediatamente intercettati da un’infermiera.
“Oh, Steve sei tu. Tua madre mi ha detto che saresti venuto. Seguitemi” disse gentilmente lei, conducendo i due proprio davanti alla stanza dove Banner giaceva in coma da mesi ormai.
“Avete solo dieci minuti” 
“Mia madre dov’è?” chiese il biondo, corrugando la fronte.
“È occupata, c’è stata un’emergenza” rispose la donna, allontanandosi immediatamente da loro come se volesse evitare altre domande, cosa che lasciò i due un tantino perplessi.
Natasha posò delicatamente una mano sul braccio del Capitano, un gesto atto ad infondergli forza, poi si addentrarono nella stanza.
Steve sentiva la gola secca ed era certo del fatto che stesse sudando freddo; conosceva bene quella stanza, ci aveva trascorso giorni e intere notti quando la russa era ricoverata lì e ciò sicuramente non lo aiutava.
Per un istante, al posto del corpo inerme di Bruce Banner, rivide quello della Romanoff, gli occhi chiusi e il volto inespressivo; gli venne spontaneo attirarla a sé, posandole una mano sul fianco e celando il suo desiderio con un invito ad avvicinarsi ancora un po’ alla branda.
Visto che il ragazzo non dava alcun segno di voler parlare, fu lei a fare quel passo.
“Ehi Bruce” esordì con un filo di voce, ma venne subito interrotta dal Capitano che, mormorando un flebile ‘non ce la faccio, mi dispiace’, uscì immediatamente dalla stanza.
Natasha esitò per un istante, poi promise a Banner che sarebbe ritornata il giorno dopo e raggiunse l’amico, che trovò sconvolto, con la fronte poggiata sul freddo muro.
Il tocco leggero della mano della rossa sulla sua schiena lo fece sussultare; facendosi forza, il biondo si voltò, trovandosi faccia a faccia con la ragazza, la quale gli regalò una lieve carezza sulla guancia, prima di girarsi e scorgere la figura di Loki dietro l’angolo.
“Loki!” lo chiamò, correndo verso di lui.
“Natasha?”
“Cosa ci fai qui?” domandò lei, le sopracciglia inarcate.
“Io… Thor…” farfugliò il giovane, il viso di un bianco cadaverico.
“Thor è qui?” chiese ancora Steve, gli occhi sgranati.
Il moro annuì impercettibilmente, poi sospirò e si accasciò contro la parete.
“Cosa è successo?” 
“Io… non ci riesco, mi dispiace” si scusò il ragazzo, portandosi il volto contro le ginocchia.
“Steve, devi tornare a casa. Ciao Nat” ordinò la signora Rogers, allontanando i giovani dalla famiglia Odinson.
“Mamma…”
“No, non posso. Andate via ora” sentenziò la donna, un tono che non ammetteva repliche.

“Steve fermati” mormorò Natasha, ormai quasi sull’orlo delle lacrime.
Scese in fretta dall’auto e corse verso la spiaggia; era il bello di abitare a Los Angeles, avere il mare a portata di mano.
Il Capitano le corse immediatamente dietro e tentò di fermarla: sapeva che aveva avuto la brillante idea di farsi un bagno freddo, così da bloccare il pianto grazie all’acqua gelata.
In un primo tempo, la Romanoff lottò contro il corpo del ragazzo, ma era troppo debole per fronteggiarlo, così alla fine vi si abbandonò, permettendo alle lacrime di fuoriuscire.
“Non ce la faccio più, Steve. Non ce la faccio più!” urlò disperata, aggrappandosi sempre più ai possenti muscoli del giovane, che la strinse forte a sé.
“Andrà tutto bene, Nat. Andrà tutto bene” tentò di rassicurarla lui, accarezzandole dolcemente i capelli.
“Perché tutte le persone cui mi avvicino si fanno del male?” singhizzò la russa, ricominciando tuttavia a recuperare la sua lucidità.
“Natasha…”
“No, dico sul serio Cap, dovresti starmi lontano” lo interruppe, asciugandosi gli occhi e staccandosi bruscamente da lui.
“Natasha dove diavolo stai andando?” gridò il biondo, seguendola a passo rapido.
“A casa. È dietro l’angolo tanto” rispose gelidamente lei, invitandolo a non seguirla.
A quel punto Steve si lasciò ricadere sulla sabbia, sospirando di stanchezza e prendendosi i capelli tra le mani.
Per un paio d’ore, restò immobile, ad osservare il movimento leggero delle onde e il suono che emettevano nell’infrangersi sulla spiaggia, poi decise che era giunto il momento di tornare a casa.
Ed era quasi arrivato, quando con la coda dell’occhio vide qualcosa che non avrebbe mai voluto scorgere per il resto della sua vita.
Parcheggiò bruscamente, scendendo con rabbia dall’auto e sbattendone lo sportello; si diresse svelto dentro il “NightLife”, posizionandosi proprio sotto il bancone, dove una stravolta Natasha stava eseguendo un balletto sexy per gli occhi soddisfatti di tutti i presenti.
Quando gli occhi della ragazza incontrarono quelli severi del Capitano, sbiancò e non si oppose nemmeno quando lui le afferrò il braccio e con forza la condusse fuori dal locale.
“Che c’è? Vuoi scoparmi anche questa volta?” sbottò acidamente la russa, la puzza di alcol su ogni centimetro del suo corpo.
“Sali” ordinò di rimando lui, impietrito, la rabbia sostituita da qualcos’altro, un sentimento amaro di colpa e rammarico: era questo che la Romanoff pensava di lui? Che si era volutamente approfittato di lei? Credeva sul serio che ne fosse capace?
La rossa lo guardò per qualche istante, poi si diresse imbronciata verso l’auto, come una bambina che non vuole tornare a casa dopo una divertente giornata al parco.
Steve mise in moto il veicolo e partì come un razzo, lo sguardo fisso sulla strada, le mani strette sul volante.
“Che ti è preso? Credevo avessi imparato la lezione” sbottò ad un certo punto il biondo, incapace di trattenersi.
“Non farmi la ramanzina” lo ammonì lei, una mano premuta sulla fronte: la testa le girava incredibilmente.
“Natasha… io non avrei mai voluto che accadesse. Non avrei mai voluto fare sesso con te!” 
Per un lungo, doloroso, istante, dopo che la giovane udì quelle parole, restò pietrificata con gli occhi lucidi fissi in quelli del Capitano, che si era appena parcheggiato fuori da villa Barton.
“Lo so. Mi dispiace” disse gelidamente, lasciando l’auto senza alcuna delicatezza.
Steve batté con violenza la mano contro il volante, poi si diresse verso casa, maledicendosi in tutte le lingue del mondo.

***

Natasha si lasciò ricadere sul letto, sospirando di sollievo per non aver incontrato nessuno dei suoi parenti lungo il tragitto dall’ingresso alla sua camera.
Pensò allo sguardo deluso e arrabbiato di Steve, al modo in cui l’aveva guardata quando aveva insinuato quelle cose, a quanto l’avesse fatta sentire male la confessione del ribrezzo che l’essere stato con lei gli arrecava. A Thor, di cui non si avevano notize.
Tormentata da quei pensieri, due ore dopo stava per addormentarsi, l’effetto dell’alcol ormai sparito, quando il telefono squillò e il nome di  Pepper brillò sul display.
“Nat, stai bene?” domandò quest’ultima, preoccupata.
“Sono solo un po’ stanca. Com’è andato l’appuntamento con Tony?” 
“Bene. È stato dolcissimo. Siamo stati in un ristorante e poi mi ha fatto fare un giro in barca. Chi si aspettava che Tony Stark potesse essere un tipo romantico?” raccontò la ragazza, l’eccitazione nel tono di voce.
“Già, chi se lo aspettava” commentò la rossa, ridendo: almeno Pepper era felice.
“Nat, senti. Ti devo dire una cosa che ho scoperto questa sera. Riguarda Steve” rivelò la Potts, che intanto si stava mangiucchiando le unghie per il nervoso.
“Cioè?” la incalzò la Romanoff, nonostante desiderasse tanto fare la dura e dire che non le importava un’accidenti… ma la curiosità l’aveva fregata.
“Sharon… Sharon lo tradiva con Bucky… Tony li ha visti”
“Che cosa?!” boccheggiò la russa, sgranando gli occhi e restando completamente interdetta.
Ora sì che si pentiva di non aver respinto la notizia.









Angolo Dell'Autrice
Eccomi qui!
Risolti i miei problemi col pc,
posso ricominciare ad aggiornare regolarmente.
Innanzitutto volevo ringraziare tutti coloro che leggono 
e recensiscono la mia storia, significa molto per me 
sapere cosa ne pensate.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto,
Alla prossima,

Bell!


Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Revenge ***


11
Revenge








Tragedia.
Più comunemente nota come lunedì mattina.
La scuola sembrava come al solito popolata da zombie e Clint non era ancora riuscito a riferire a Natasha quello che Steve gli aveva raccontato riguardo Thor, visto che, a quanto pareva, la ragazza non aveva risposto a nessuna delle chiamate del Capitano.
“Cosa nascondi, Barton?” indagò la russa, scrutandolo di sottecchi.
Inaspettatamente, il giovane si limitò a sospirare e non le occorse alcuno sforzo per fargli sputare il rospo.
“Suppongo che avrei dovuto dirtelo anche prima. Thor è in ospedale perché ha tentato di suicidarsi, Nat” 
“E tu come lo sai?” boccheggiò lei, avvertendo una morsa lancinante allo stomaco.
“Steve è andato a trovarlo ieri. Gli ha raccontato tutto e gli ha detto di dirlo anche a te, ma tu hai respinto tutti i suoi tentativi di contattarti” spiegò Clint, parcheggiando l’auto il più lontano possibile dall’area ‘top’.
“Oh” mormorò la Romanoff, imprecando silenziosamente contro la sua stupidità.
“A quanto pare Thor ha un passato oscuro alle spalle” cominciò lui, ma si interruppe quando notò lo sguardo di tutti puntato proprio su di loro.
I due si guardarono perplessi per un istante, poi notarono che Loki procedeva verso di loro con un’inquietante aria da funerale e l’aspetto di uno che stava per dare di stomaco.
“Mi dispiace. Io… non so come sia potuto succedere. Non siamo stati noi del giornalino, giuro. Anche mio fratello è coinvolto e non gli avrei mai fatto qualcosa del genere. Mi dispiace” farfugliò, passando una copia del mensile ai ragazzi.
Natasha si affrettò a sfogliare la rivista, per poi sbiancare non appena lesse il titolo dell’articolo causa di tutti quegli sguardi.

Ex Top Messi A Nudo

Certamente, tutti voi vi sarete domandati, almeno una volta, cosa si celi dietro la bella vita delle persone più popolari della scuola.
Oggi vi sveleremo alcuni segreti per cui avreste pagato milioni di dollari.
Al centro dello scandalo, Natasha Romanoff e Steve Rogers, con l’insabbiato incidente allo sfigato della scuola, Bruce Banner: a quanto pare, i due guidavano ubriachi quando la loro auto ha investito in pieno il povero Banner.
Al volante, ci sarebbe stata proprio la meglio conosciuta come Vedova Nera: beh, Natasha, ora sappiamo perché ti chiamano così: sei un’assassina.
D’altro canto, cattivo sangue non mente mai; neanche Clint Barton appare essere uno stinco di santo, visto il suo periodo in riformatorio quando aveva solo tredici anni, causa: ripetuti furti in svariati negozi di Londra. Forse è un bene che se ne stia in disparte e lontano di tutti, non ci serve un Robin Hood qui.
Tony Stark fa il botto, infiltrandosi nel server della scuola e rubando i test di Storia e Matematica, che poi sono stati venduti agli studenti per qualche dollaro. ATTENZIONE ai vostri pc gente, hacker in agguato.
Cento punti anche per la sua ragazza, Pepper Potts, che ultimamente si atteggia come una santerella tutta casa-chiesa, prendendosi gioco di coloro che non sanno della sua scappatella con Hank McCoy e del sesso sfrenato da sballata con Alexander Summers, in spiaggia, due estati fa: complimenti Pepper, hai vinto il premio ‘ipocrita dell’anno’.
E fuori dal girone dei fuorilegge, non resta nemmeno il nuovo arrivato, Thor Odinson: un’adolescenza spesa tra erba ed ecstasy, finchè la sua amica Angel Salvadore, deceduta giovedì per asfissia, non è entrata di in coma a seguito di un’overdose. 
Sembra che solo allora il nuovo acquisto della squadra di basket della scuola, si sia deciso a farsi aiutare e ad uscire da quel circolo vizioso: un anno dopo la riabilitazione, tuttavia, il giovane si è trasferito qui.
Ovviamente, speriamo che il motivo sia il senso di colpa e non una ripresa  familiarità con quelle sostanze, se non qualcosa di peggio.
Difficile da credere, perchè si sa, un drogato resta pur sempre un drogato.

Natasha gettò via il giornale, sconvolta e adirata allo stesso tempo, non voleva terminare di leggere quello stupido articolo.
“È quello che stavo cercando di dirti riguardo Thor. Ciò che ha fatto è stato per via della notizia della morte di quella sua amica” le sussurrò nell’orecchio Clint, sinceramente convinto che la questione più importante di cui discutere sia quella.
“Scusami un attimo. Ora devo uccidere una persona” asserì digrignando i denti la russa e correndo inviperita verso Sharon.
“Carter!” urlò, afferrandola per le spalle e sbattendola contro gli armadietti.
“Non credevo che fossi così subdola. Dico davvero, sei riuscita a sorprendermi: sapevo che sei una persona meschina, ma non credevo potessi arrivare a tanto” urlò, reprimendo l’istinto di prenderla a ceffoni.
“Aiuto! Aiuto! Vuole uccidermi!” strillò la bionda, facendo scoppiare a ridere i suoi amichetti.
“Tranquilla, non ho intenzione di sporcarmi le mani con te, non ne varrebbe la pena!” ribattè acida la Romanoff, lasciandola andare e osservandola disgustata.
“Se io sono meschina, come la definisci una persona che va a letto con il ragazzo della sua migliore amica? Per me è una puttana” la insultò Sharon; come diavolo faceva a saperlo?
“Qua l’unica puttana sei tu!” reagì lei, tornando a fronteggiare la giovane.
“Allora è vero. Sei stata con Steve” boccheggiò l’altra, consapevole dell’umiliazione che si era auto inflitta.
Natasha si maledì: avrebbe dovuto capire che la Carter stesse bluffando.
“Sì, ma nessuno di noi se lo ricordava fino ad una settimana fa, perché eravamo sotto l’effetto di metamfetamine somministrateci a nostra insaputa da quel coglione di Barnes! È successo la notte dell’incidente di Banner, non ero ubriaca! James ha corretto l’acqua con la droga!” 
Sbraitò la rossa, indicando con foga Bucky, il quale, bianco cadaverico, si accucciò contro il suo armadietto: era convinto di non essere stato visto.
“Resti comunque una puttana. E un’assassina” sputò Sharon, guardandola con odio.
“Ma davvero? Perché io non ero consapevole di ciò che facevo, ma tu Bucky te lo scopi da anni e nel pieno delle tue facoltà mentali. Come ti definiresti tu, ah?” la insultò la Vedova Nera, che ormai puntava praticamente ad ‘uccidere’.
“Faresti meglio a dirlo a Steve, prima che lo faccia io” aggiunse poi, voltandosi per andarsene ma arrestandosi immediatamente nel vedere il Capitano proprio dietro di lei; ed ecco spiegata anche l’espressione che la Carter aveva assunto circa un minuto prima.
Natasha, riprese immediatamente a camminare, sorpassando il ragazzo senza più rivolgergli lo sguardo.
Lentamente, Steve si diresse verso quello che aveva fino a quel momento considerato il suo miglio amico e gli mollò un violento pugno dritto sul naso. Barnes non provò nemmeno a reagire.
“Questo è per Natasha. E per me, perché per Sharon non ne vale la pena” chiarì, facendo per andarsene.
Poco prima di lasciare l’edificio, tuttavia, il biondo si fermò e disse:
“Mi chiedo come tu possa essere cambiato così tanto. Non sei più il Bucky che conoscevo quattro anni fa e che consideravo un fratello”

***

“Sali, ti accompagno a casa” la invitò Clint, accostandosi accanto alla ragazza senza spegnere l’auto.
“Non ce ne bisogno. Torna a scuola e dì che mi sono sentita male” ribattè gelidamente lei, proseguendo imperterrita lungo il suo tragitto.
“Nat, non fare la stupida. Entro a seconda, muoviti” insistette stizzito il ragazzo, aprendole lo sportello.
Natasha sbuffò e salì in macchina, ma, nonostante l’astio che stava dimostrando, era felice che il fratello l’avesse seguita.
Significava che forse c’era una speranza per loro
La casa era totalmente vuota, visto che i genitori dei due erano ancora a Portland e non sarebbero di certo tornati prima di un altro paio di giorni, cosa che faceva incredibilmente comodo a entrambi.
“Ascoltami bene, Nat. Non devi dargli peso, okay?” si raccomandò Barton, posandole una mano sulla spalla destra in un gesto fraterno, un segno di supporto.
“Sto bene, Clint, davvero. Ho solo bisogno di dormire” assicurò la ragazza, entrando nella sua stanza. Poco prima di richiudersi la porta alle spalle, tuttavia, la giovane sussurrò un flebile grazie che fece spuntare un sorrisetto sul volto del fratello, il quale si diresse nuovamente verso l’uscita.

“Torni a scuola?” domandò Steve, chiudendo lo sportello della sua macchina e dirigendosi verso Barton, che proprio in quel momento stava attraversando il vialetto.
“Sì, non mi importa di quello che dicono” rispose lui, scrollando le spalle. 
“Beh, mi aspettavo che Natasha facesse altrettanto” commentò il biondo, gettando un rapido sguardo al balconcino che dava sulla stanza della russa.
“Se Nat è tornata a casa non è certamente per ciò che è successo con la Carter. Sai perfettamente che ha reagito così per te” replicò deciso Clint, alzando gli occhi al cielo nel vedere l’espressione confusa di Rogers.
“Oh andiamo! Ha detto davanti a tutti la cosa di Sharon e James, senza volerlo ha umiliato anche te e questo la fa sentire terribilmente in colpa, ma non lo ammetterà mai, quindi ti eviterà finchè non sarà sicura che sia passata ad entrambi. Sono due anni che vivo sotto il suo stesso tetto, so come perfettamente agisce” chiarì il giovane, lasciando il Capitano ancora più turbato.
“Non mi importa nulla di quella storia” obiettò il biondo, corrugando la fronte.
“Allora va’ a dirglielo. Ti ho lasciato la porta aperta” lo informò Barton, facendogli l’occhiolino.
“Oh, hai un bel destro, comunque” aggiunse prima di salire in macchina, un sottile riferimento al pugno che aveva mollato solo una mezz’ora prima a Barnes.
Steve non riuscì a trattenere una risata, poi si avviò verso la stanza di Natasha.









Angolo Dell'Autrice
E ce la fa!
Scusate ancora il ritardo, ma finalmente
sono riuscita ad aggiornare e spero tanto
che sia valsa la pena di aspettare.
Allora, cosa ne pensate?
Fatemi sapere se vi va, mi auguro che
il capitolo vi piaccia!

Bell


Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** 12. The Fall ***


12
The Fall 









 
“Jane?” mormorò Thor una volta sveglio.
“Ehi” lo salutò lei, posando delicatamente la mano su quella del suo ragazzo.
“Mi dispiace tanto” tentò di scusarsi il giovane, nonostante il senso di colpa che lo aveva spinto a compiere quel gesto così estremo non fosse ancora sparito.
Forse avrebbe dovuto imparare a conviverci, perché lui era certo che non sarebbe mai riuscito a superarlo.
“Sta’ zitto” lo interruppe la ragazza, scossa dai singhiozzi, “voglio solo guardare i tuoi occhi e sentire la tua voce. Perché per fortuna posso ancora farlo” 
“J, dovresti dimenticarmi” suggerì deciso lui, lo sguardo che tradiva la sua sicurezza.
“Ma che diavolo stai dicendo, Thor?” ribattè Jane, pietrificandosi all’instante.
“Non posso rischiare di ferire anche te. Non me lo perdonerei mai”
“Sì, ma lo stai facendo, adesso!” ruggì lei, “sapevo tutto sul tuo passato quando abbiamo iniziato a frequentarci, Thor! Sapevo a cosa stavo andando incontro, sapevo…”
“Anche troppo, Jane! Facevi volontariato al centro di riabilitazione, credi che me ne sia dimenticato? Sei stata tu ad aiutarmi ad andare avanti dopo che Angel è finita in coma, mi hai dato speranza… ma ora che è morta… è colpa mia, capisci? Non sono il ragazzo giusto per una come te” la interruppe il biondo, evitando di incrociare lo sguardo della fanciulla, in quanto consapevole che la macchina alla sua destra stesse rivelando il battito accelerato del suo cuore. 
“Thor… io ti amo… tu non puoi… non è colpa tua… sei una persona diversa ora… tu non…” farfugliò tra le lacrime la Foster.
“Va’ via, Jane. Va’ via e non tornare più. Fatti questo favore e… sono sicuro che un giorno capirai che lo sto facendo per il tuo bene” insistette Thor, serrando i pugni per infondersi il coraggio necessario a sostenere le sue parole, per non urlarle di restare al suo fianco, di baciarlo e di stringerlo tra le sue calde braccia…
“Per il mio bene? Risparmiami questa storiella! Se il mio bene ti fosse stato a cuore non saresti qui! E soprattutto non mi staresti cacciando via come se l’anno che abbiamo trascorso insieme fosse insignificante! Se mi avessi amato veramente come dicevi, avresti trovato la forza per lottare, per non crollare!” tuonò la giovane, ma fu il silenzio del ragazzo a costringerla a correre via tra le lacrime, con le mani sul volto; una falsa confessione che le aveva spezzato il cuore.
Thor chiuse forte gli occhi, cercando di reprimere le lacrime, ma fallendo miseramente.
Dio, se l’amava. Ma proprio per questo, doveva lasciarla andare, doveva proteggerla da sé stesso.

 
***
 
Due sere prima

Tony le tolse con delicatezza la benda dagli occhi, permettendole di osservare lo stupendo paesaggio che li circondava. 
Pepper spalancò la bocca, meravigliata da tanta bellezza: si trovavano su una barca, decorata con delle luci d’atmosfera e infestata da rossi petali di rosa.
“Tony…” sussurrò senza parole, voltandosi verso il giovane e regalandogli un intenso bacio.
“È fantastico” 
“Ammettilo. Ti ho stupita” asserì lui, alzando le sopracciglia, lo sguardo soddisfatto nel vedere il volto in estasi della fanciulla.
“Decisamente” concordò lei, ridacchiando e poi porgendosi verso di lui per baciarlo nuovamente. 
Un bacio così passionale, accompagnato da dolci carezze che ben presto si trasformarono in brama e desiderio; adagio, la Potts trascinò Stark nella cabina dell’imbarcazione, tirandolo per lo smoking che successivamente fu disperso da qualche parte lì attorno.
Il vestito della ragazza fu immediatamente per terra, così come la camicia di lui e, dopo, anche i suoi pantaloni.
Tony la guidò con studiata lentezza verso la branda alle sue spalle, facendola distendere con delicatezza e poi sovrastandola con il suo corpo, senza mai allontanare le labbra da quelle di lei, assaporando il sapore della sua pelle, inebriandosi del suo profumo, accarezzando ogni centimetro del suo fisico e abbandonandosi a tutte quelle travolgenti sensazioni…

Pepper era in lacrime, seduta su una panchina isolata del giardino della scuola.
Continuava a ripensare a quando aveva fatto l’amore con Tony, a quanto era stata stupida a farsi influenzare da Sharon riguardo la sua prima volta, a quanto aveva desiderato che il primo fosse stato lui. 
E all’umiliazione che aveva subito dopo quell’articolo.
Aveva terribilmente paura che Tony credesse che, ciò che c’era stato tra di loro solo un paio di giorni di prima, non contasse nulla per lei, perché era tutto il contrario.
Non si era mai sentita così felice, così amata...
“Ehi” la riportò alla realtà una profonda voce proveniente dalle sue spalle.
L’avrebbe riconosciuta anche in una discoteca con la musica a tutto volume, era la voce di Stark.
“Sei venuto a rompere con me?” domandò tra i singulti la giovane, evitando di voltarsi.
Il ragazzo si accomodò in silenzio accanto a lei, poi rispose con assoluta calma.
“Sono venuto a dirti che sono stato sospeso per una settimana” 
“Per via dell’articolo?” 
“Per via dell’articolo” confermò lui, scuotendo la testa in segno di disappunto.
“Ma non hanno prove!” sbottò disturbata Pepper, la fronte corrugata.
“Sai come funziona, Pep” ribattè rassegnato Tony, abbozzando un sorriso.
“Tu stai bene?”  chiese subito dopo, appurato lo stato in cui la fanciulla si trovava.
“Dipende. Mi puoi perdonare o no?” mormorò la Potts, le lacrime agli occhi.
“Non ho nulla da perdonarti, non ci frequentavamo in quel periodo! E poi io quelle cose le sapevo già” confessò lui, mordicchiandosi il labbro.
“Come?” 
“Sharon. Sono un ‘hacker’, ricordi?” rispose ironicamente Stark, ammiccando e stampandole un rapido bacio sulle labbra, per poi allontanarsi a testa alta dall’istituto.

 
***

Gli ospedali erano il posto che Clint odiava di più.
Gli ricordavano terribilmente quell’orrenda notte di sei anni prima, quando sua madre era stata ricoverata d’urgenza e due ore dopo il medico era uscito dalla sala operatoria con uno sguardo carico di rammarico, sussurrando un fottuto ‘mi dispiace’.
“Sei qui per Thor?” gli domandò una voce gentile alla sua sinistra.
Si voltò lentamente, per poi incontrare un paio di occhietti smarriti color nocciola. 
Il ragazzo annuì lentamente, palesemente incantato da quella visione.
La giovane aveva dei lunghi capelli neri, dei lineamenti delicati e un corpo… da urlo. 
Ma Clint non aveva mai fatto caso a quelle cose, allora perché sentiva improvvisamente la gola secca?
“Io sono Sif” si presentò lei “Sif Odinson, la cugina di Thor”
“Clint Barton” rispose schiarendosi la voce lui, stringendole la mano.
“Dovrai aspettare che Loki esca per vederlo. E io potrei darti la precedenza, se mi prometti di non tardare. I miei zii e i miei cugini sono tutto ciò che resta della mia famiglia, quindi capirai perché ho bisogno di trascorrere un po’ di tempo con quel pazzo di Thor” disse la mora, abbozzando tuttavia un sorriso.
Clint pensò che aveva il sorriso e le labbra più belle che avesse mai visto.
“Grazie” mormorò educatamente, alzandosi in piedi non appena Loki varcò la soglia della stanza.
Si salutarono con un cenno del capo, poi diede il cambio a Barton, che si posiziono contro lo stipite, braccia e gambe incrociate, in attesa che l’amico si accorgesse della sua presenza.
“Ma guarda un po’. Il Falco è uscito dalla sua tana. Dovrei sentirmi importante per questo?” lo schernì Thor, le labbra piegate in un sorriso di benvenuto.
“Molto” confermò l’altro, scoppiando a ridere e accomodandosi sulla sedia accanto al letto dove era disteso il giovane.
“Immagino tu abbia conosciuto mia cugina. A quanto pare ha deciso di trasferirsi qui per tenermi d’occhio” borbottò il biondo, alzando gli occhi al cielo.
“Non le si potrebbe dare torto. Ehi, un momento! Come fai a sapere che l’ho conosciuta?” rispose confuso Clint, inarcando un sopracciglio.
“Perché hai lo sguardo da ebete che compare sul volto di tutti quelli che la vedono” spiegò Thor, ridacchiando divertito.
Per la prima volta in vita sua, Clint Barton arrossì.

 
***

Natasha stava in piedi davanti allo specchio da diversi minuti, quando la figura di Steve comparve alle sue spalle; non sobbalzò neanche nello scorgerlo all’improvviso, aveva udito i suoi passi quando ancora stava salendo le scale.
“Ehi” esordì, accennando un rapido saluto con la mano, che la Romanoff contraccambiò con uno sguardo duro.
“Che ci fai qui?” domandò brusca, voltandosi verso il giovane e incrociando le braccia.
“Sono venuto per accertarmi che tu stessi bene” rispose pazientemente il Capitano, avvicinandosi alla ragazza.
“Be’, ora che hai visto che scoppio di salute e che non ho alcun problema, puoi fare tranquillamente dietrofront e tornartene a scuola” asserì la russa, sfoderando uno dei suoi soli finti, sarcastici, sorrisi.
“Per l’amor del cielo, Nat! Smettila di far finta che niente possa toccarti, sappiamo entrambi che non è così! Non ha senso mentirmi!” reagì uno stufo Rogers, agitando con voga le braccia per aria e poi lasciandosele pesantemente ricadere sui fianchi.
“D’accordo. Vuoi delle scuse. Segnatiti questa data, perché questo non si ripeterà mai più. Mi dispiace, okay? Mi dispiace di aver sputtanato ciò che ha fatto quella troia davanti a mezza scuola. Contento ora?” sbottò lei, gettandosi sul letto e portandosi le mani alle tempie.
Non era in grado di spiegarsi il motivo per cui con Steve era sempre così volubile, perché non riusciva a porlo dietro la sua corazza indistruttibile, a nascondergli il suo lato più fragile.
“Non mi importa niente di Sharon, Nat. Mi credi stupido? Sospettavo che mi facesse le corna da tempo, erano anni che volevo mollarla!” controbatté il biondo, prendendo posto accanto alla giovane.
“E perché diavolo non lo hai fatto?” chiese Natasha, sollevando un sopracciglio.
“Perché non è facile mollare qualcuno che minaccia di ferire la tua migliore amica se ciò dovesse accadere” rispose lui, trafiggendola con i suoi profondi occhi azzurri.
La Romanoff, in quel momento, pensò che nemmeno il colore dell’oceano era così bello.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** 13. Assembled ***


13
Assembled







 “Beh, allora sei stato proprio uno stupido, Rogers. Perché io so benissimo cavarmela da sola” puntualizzò, alzandosi di scatto dal letto e dirigendosi verso la finestra, dando così le spalle al giovane.
“Ma non capisco perché! Perché preferisci chiuderti in te stessa, piuttosto che fidarti delle persone che tengono a te!” tuonò Steve, raggiungendola svelto.
Non era andato da lei per litigare, voleva davvero starle vicino, ma non sopportava più il fatto che lo respingesse sempre: non ne aveva motivo, dato che quella cosa non era collegata a ‘quella notte’; da anni, l’atteggiamento della ragazza nei suoi confronti era cambiato e ora era completamente deciso a capire il perché.
“Perché da quando Sharon è entrata nelle nostre vite è come se fossimo costantemente in guerra e ogni debolezza rivelata potrebbe costituire un’arma contro noi stessi, Steve! E io sono totalmente intenzionata a vincerla, questa guerra!” ruggì lei, la mascella serrata e le mani strette in dei pugni.
“E se io volessi combattere al tuo fianco? Se tutti noi volessimo farlo?” insistette il Capitano, sfiorandole il braccio con una mano “non sei sola, Nat” 
“Cosa mi stai proponendo, esattamente?” chiese ridendo la russa, “di formare una specie di supergruppo di Vendicatori che facciano scontare alle persone come Bucky e Shy tutte le loro malefatte?” 
Il biondo restò in silenzio per qualche secondo: uno strano pensiero si stava formando nella sua mente.
“Vieni con me” disse, prendendola per mano e trascinandola nella sua auto.
“Ho appena avuto un’idea”

“La tua idea è per caso quella di andare a trovare Thor? Perché sono sicura che ti riderà in faccia non appena saprà la tua trovata ‘geniale’” asserì la Romanoff, alzando il passo per stare dietro al Capitano.
Come diavolo faceva ad essere così veloce?
“Steve, non più di un quarto d’ora, non fatemi finire nei guai” si raccomandò la signora Rogers quando i due arrivarono alla stanza del giovane, permettendogli poi di entrare.
“Ma che cazz..?!” biascicò la russa, nel vedere che nella stanza c’erano anche Clint e Tony.
“Riunione da me, capirai perché non abbiamo scelto un bar” la accolse un sorridente Thor, che sembrava essersi ripreso un po’.
“Non sapevo potessimo farti visita” commentò corrucciata la rossa, scrutando accigliata tutti i presenti.
“Non ti preoccupare, Nat. Abbiamo poco tempo e qualcosa di importante di cui discutere. Ho appena saputo cosa hanno fatto la Carter e Barnes e sono pronto a fare qualsiasi cosa Cap abbia in mente” la interruppe il ragazzo, uno sguardo così determinato da convincere la stessa Natasha.
Magari quella faccenda l’avrebbe distratto dalla questione Angel… e da Jane.
“Forza allora, Captain America. Parla” si arrese la rossa, sedendosi sulla sedia più vicina a lei. 
“Viviamo in un ambiente scolastico in cui la cattiveria fatta persona domina e non abbiamo mai fatto un accidente per cambiare le cose. Ma nel loro tentativo di ferirci, ci hanno dato qualcosa per cui lottare. La nostra dignità. E loro hanno provato a calpestarla, rendendo pubbliche faccende del nostro passato che volevamo restassero segrete, puntando ai nostri punti deboli. Siamo danneggiati, ma è proprio questo a renderci forti…”
“Tic,toc, Cap. Tic,toc” lo incalzò Stark, picchettando il dito contro il polso.
“Oh, ehm, sì. La mia idea è di boicottare il ‘regime gerarchico’ che domina la nostra scuola. Dobbiamo fargli capire di essere più forti di loro e rovesciare la medaglia. Dobbiamo farli scendere dal piedistallo” spiegò Steve, utilizzando un tono così solenne che persuase tutti quanti, persino Clint che in genere di quella roba se ne infischiava.
“E come avresti intenzione di procedere?” domandò perplesso.
“Io avrei un’idea” asserì Natasha, un sorriso malizioso dipinto sul volto e lo sguardo infervorato dalle parole del Capitano, poi spiegò:
“Agiremo gradualmente, con piccoli atti di ribellione. Sono troppo ottusi per sospettare una tentata rivolta. Poi, quando avremmo colpito abbastanza in profondità, affonderemo l’intero sistema e la scuola sarà libera da questa stupida tradizione della gerarchia. E Sharon Carter affonderà con essa”.
***

“Natasha, Steve. Potete venire un attimo nel mio studio? Avrei bisogno di scambiare due paroline con voi” li chiamò la signora Rogers, indicando la porta di una stanzetta. 
Erano due settimane che praticamente vivevano in ospedale, intenti a perfezionare il proprio piano di azione assieme a Thor e agli altri, ma la madre del Capitano li aveva sempre accuratamente evitati e Steve sosteneva che persino il suo comportamento a casa, quegli ultimi tempi, si era rivelato strano. 
“Ci sono stati degli sviluppi. Riguardo a Banner” esordì la donna, analizzando la cartella clinica per accertarsi di ciò che poteva e ciò che non poteva condividere con i giovani.
La Romanoff si rizzò immediatamente con la schiena e scambiò un fugace sguardo con il ragazzo, il quale invitò la mande a parlare.
“Bruce si è svegliato una settimana fa. La notizia era riservata, non potevo dirvi nulla. Ma ora, se volete, potete vederlo” 
Natasha trattenne il respiro: aveva trascorso ore intere in quella stanza, ma Banner dormiva, andarlo a trovare da sveglio era tutto un altro paio di maniche.
Tuttavia accettò. Era un qualcosa che avrebbe dovuto affrontare prima o poi.
Lentamente, Steve e la russa entrarono nella camera, senza avere il coraggio di spiccicare parola durante il tragitto.
Non appena li vide, Bruce sgranò gli occhi, incredulo.
“Perché Natasha Romanoff e Steve Rogers sono al mio capezzale?” chiese loro; proprio non riusciva a spiegarsi la presenza dei due giovani.
“Come stai, Bruce?” domandò con un filo di voce la fanciulla, avanzando con cautela e prendendo posto su una delle sedie accanto al letto.
“Io… pensavo che foste morti. L’impatto con quell’albero è stato tremendo” rispose il giovane, turbando profondamente il Capitano.
“Come scusa?” boccheggiò Natasha, sgranando gli occhi.
“In questa settimana ho visto uno psicologo… mi sta aiutando a ricordare e… le prime cose che sono tornate a galla riguardano la notte dell’incidente” spiegò Banner, raddrizzandosi con una smorfia di dolore.
“Barnes mi aveva promesso di farmi entrare alla festa, se avessi fatto da cronista ad una di quelle sue stupide gare di moto. Mi ha detto di aspettare fuori finchè non avesse parlato con Summers, ma non è mai tornato per dirmi entrare. Ho aspettato per ore… poi ho deciso di andar via e, a metà strada da casa mia, ho visto la vostra auto. E un’altra macchina che procedeva a tutta velocità nella direzione opposta. Vi ha presi in pieno e avete sbattuto. Stavo correndo verso di voi per soccorrervi, quando la stessa auto è tornata indietro e… e poi mi sono risvegliato qui”  
Rogers e la Romanoff si scambiarono uno sguardo incredulo: non erano stati loro. Erano delle vittime, proprio come Bruce.
“Credevamo…”
“Credevate di essere stati voi? Oh, no. So perfettamente chi mi ha quasi ucciso” rivelò il giovane, respirando rapidamente.
“L’ho visto quando mi è passato davanti dopo avervi presi in pieno” 
“Chi era?” lo incalzò il Capitano, il battito del cuore accelerato.
“Era James Barnes. C’erano anche Hank McCoy, Raven Darkholme e Sean Cassidy con lui in macchina. Credo fossero ubriachi fradici… è proprio da loro addossare la colpa di qualcosa che hanno fatto a persone innocenti” asserì Bruce; sapeva che il motivo che li aveva spinti a fargli visita era il senso di colpa, ma non riusciva ad essere disonesto con loro… sembravano diversi dal resto dei ‘top’ della scuola.
Natasha si alzò dalla sedia, le mani strette in dei pugni, le nocche bianche.
Steve osservò in silenzio i movimenti della rossa, chiedendosi cosa le stesse passando per la mente.
“La pagheranno cara. Te lo prometto” dichiarò la Romanoff, una strana luce negli occhi.
“E io vi aiuterò a far sì che accada” acconsentì il ragazzo, poco prima che la giovane lasciasse la stanza.
Natasha si voltò lentamente verso di lui, poi disse:
“Allora benvenuto negli Avengers, Banner” un mezzo sorriso stampato sul volto.
Dopodiché si allontanò dall’ospedale, con una sola parola in mente: vendetta.









Angolo Dell'Autrice
Salve!
Neanche ci provo più a scusarmi per il ritardo,
purtroppo il mio tempo libero è sempre pari a zero e questo
si ritorce proprio sugli aggiornamenti, mi dispiace.
Ma spero tanto che questo capitolo mi faccia perdonare,
almeno un po'.
Volevo ringraziare tutti coloro che leggono, segono e recensiscono 
la storia... grazie infinite, anche per la pazienza!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, 
lasciatemi una recensione se vi va!
Alla prossima,

Bell :)
 


Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** The Avengers ***


14
The Avengers








Un mese e mezzo dopo.

Sharon Carter si guardò nello specchietto retrovisore ed entrò nell’area dei parcheggi serbata agli studenti.
Si diresse, come era solita fare ogni mattina, verso l’area destinata ai ‘top’, convinta che avrebbe depositato l’auto al suo solito posto, ma sbiancò nel realizzare che non vi era alcuno spazio dove parcheggiare.
Osservò meglio le macchine che avevano occupato il perimetro ‘riservato’ 
ai membri della sua combriccola e assottigliò gli occhi irritata nel riconoscere le auto di Steve, Stark, Pepper, Thor e Clint; si guardò attorno, rendendosi conto che anche il confine circostante era completamente pieno, stipato di veicoli che non aveva mai visto prima in quella zona, ma era certa che uno fosse quello di Gwen. 
Pochi secondi dopo, Barnes, il cui malumore era palpabile anche a chilometri di distanza, le fu accanto e sbraitò: “sembra che siano tutti in vena di scherzare stamattina. Sono rimasti liberi solo i posti degli sfigati” 
“Che diavolo gli salta in mente?” strillò sconvolta la bionda con gli occhi fiammeggianti di rabbia.
“Non lo so. Ma quando troveremo il responsabile, gliela faremo pagare cara” asserì Bucky, risalendo in auto e guidando in direzione dei pochi posti lasciati vuoti.

Il professor X stava spiegando qualcosa di estremamente noioso sul DNA ricombinante, quando Steve si alzò in piedi e gli porse un bigliettino.
“Professore, questi studenti hanno un permesso per uscire venti minuti prima” asserì, indicando Natasha, Clint, Pepper e Thor, che era ritornato a scuola tre settimane prima.
Nel frattempo, Stark aveva fatto la stessa cosa nell’aula del professor Lehnsherr, il quale lo autorizzò ad abbandonare la lezione assieme a Peter, Gwen, Mary Jane e Loki, sotto lo sguardo confuso di Alexander Summers e Hank McCoy.
Nel frattempo, nella stanza accanto, Sharon e Bucky si guardarono sospettosi, osservando gli ex amici lasciare la classe. 
“Che diavolo sta succedendo?” mormorò la bionda, ma il ragazzo si limitò a fare spallucce, turbato da quegli eventi.

 
***

La mensa non era mai stata così silenziosa, quando la voce stridula della Carter rimbombò nell’aria.
“Che accidenti significa?” strillò, correndo con aria minacciosa verso la Romanoff.
Tutti i tavoli erano stati disposti al centro della sala, a formare una grande A, mentre agli angoli erano stati lasciati due tavoli isolati.
“Significa che hai perso, Sharon. E neanche te ne sei accorta” 
“Di che diavolo stai parlando, Natasha?” sbottò lei, sbattendo ripetutamente le palpebre.
Nel frattempo, tutti gli studenti si erano accalcati all’ingresso, per osservare la scena incuriositi.
“Ti sto sfidando. Il regolamento stabilisce che qualora si formasse un’altra squadra di cheerleader all’interno della scuola, questa ha il diritto di sfidare in una competizione la squadra titolare e di stabilire tramite votazione, quale delle due debba rappresentare la scuola” chiarì la russa, ma la bionda scoppiò a ridere.
“E quale sarebbe questa fantomatica squadra?”
“La mia” disse Natasha, indicando un gruppetto di ragazze dietro di lei, tutte abbigliate allo stesso modo, una luccicante A stampata sul petto.
La Carter spostò lo sguardo sulle giovani, riconoscendovi Pepper, Gwen, Mary Jane e la nuova arrivata, Sif, la cugina di Thor; le altre non le aveva mai viste in vita sua.
“Ma vorrai scherzare!” intimò “non ho la minima intenzione di abbassarmi a questa cosa, non vincereste mai!”
“Bene, allora evitiamo direttamente la gara e chiediamo al popolo studentesco quale squadra preferiscono” acconsentì la rossa, quanti optassero per il suo team.
Come aveva previsto, tutta la folla prese a gridare, in segno di supporto alla Romanoff, la quale si voltò nuovamente verso Sharon con un sorriso tronfio stampato sul volto.
La bionda sbiancò e boccheggiò spiazzata per diversi minuti, poi diventò livida di rabbia.
“Ti ammazzo!” urlò, scagliandosi contro Natasha, che impiegò circa due secondi per immobilizzarla.
“Seriamente? Non sapevo avessi istinti omicidi, Shy!” la beffeggiò allontanandola da sé con uno strattone.
“Credo sia arrivato il momento di pranzare. Perché non prendete posto?” asserì il Capitano, indicando la nuova disposizione dei tavoli.
Non ci sarebbe stato più nessuno al centro della sala, sarebbero stati tutti sullo stesso livello; gli studenti accorsero esultanti, prendendo posto e cominciando a chiacchierare allegramente tutti insieme, tra strette di mani e scambi di recapiti per contattarsi.
La Carter osservò la scena indignata e disgustata al contempo, poi invitò Bucky e i suoi tirapiedi a sedersi nei due tavoli lasciati in disparte, che non erano stati occupati nemmeno dagli asociali della scuola.
Natasha e Steve si scambiarono uno sguardo e un sorriso compiaciuto, ma come da copione, poco prima che tutti iniziassero a mangiare, un ultimo studente entrò in mensa e la sala cadde nel più profondo dei silenzi.
“Bruce” lo salutò Tony, che aveva particolarmente legato con il giovane durante le loro riunioni in ospedale; avevano scoperto di avere molti interessi in comune.
“Vieni a sederti con noi?” lo invitò, facendogli un po’ di spazio tra sé e Barton. 
Banner avanzò a passo incerto, poi, proprio prima di accomodarsi, si voltò verso James Barnes, il quale nel frattempo aveva assunto un colorito cadaverico, e gli rivolse un rapido cenno con la mano avente un duplice significato: ricordo tutto e te l’ho fatta pagare.
***

“Attenzione, popolo studentesco. La sostituzione della squadra delle cheerleader è ufficiale. Ripeto: la sostituzione della squadra delle cheerleader è ora ufficiale” tuonò la voce del preside, riecheggiando per tutto l’istituto.
Sharon non si era mai sentita così umiliata in vita sua.
“Gliela diamo vinta così?” tuonò Raven, scrutando gli amici a bocca aperta.
“Mystica, che accidenti vuoi che facciamo? Hanno l’intera comunità studentesca ad appoggiarli. E noi siamo solo una vecchia squadra di cheerleader che nessuno sopporta” replicò la Carter, aspettando che anche Hank salisse in auto.
“Già. Ex cheerleader ed ex giocatori di basket” borbottò, gettando i libri in un angolo.
“Come? Steve non può cacciarvi!” tuonò Mystica, nel panico più totale.
“Già, Steve no… ma le analisi antidoping si. Ce le hanno fatte a sorpresa l’altro giorno e indovinate un po’ quali sono risultate positive?” spiegò il ragazzo, imprecando sottovoce.
“Dov’è Alexander, Hank?” chiese Sharon, stringendo forte il volante.
“Oh, non l’hai ancora capito? Il piccolo Havok era la talpa. Ha collaborato con loro tutto il tempo dopo che ha scoperto che i responsabili di ciò che è successo al Capitano quella notte eravamo noi” rispose McCoy, il tono incrinato al pensiero della perdita del suo migliore amico.
“Traditore” commentò Raven, digrignando i denti.
“Che accidenti vi aspettavate? Rogers è suo cugino!” ribattè il giovane, spronando la Carter affinchè partisse.
Non vedevano l’ora che quella terribile giornata finisse.

 
***

Il Bristol era stranamente vuoto quella sera; i ragazzi immaginarono che nessuno dei membri della vecchia gerarchia scolastica avesse voglia di cacciare il muso fuori di casa e se ne compiacquero davvero tanto.
Tony stappò una bottiglia di spumante, riempiendo dei bicchieri che passò a ciascuno dei presenti, poi brindarono alla vittoria.
“Quindi sei nella squadra di basket?” trillò entusiasta Natasha, abbracciando il fratello.
“Steve mi ha costretto a fare le audizioni” borbottò il giovane, che segretamente era contento di essere andato bene, ma non lo avrebbe mai ammesso a voce alta.
“A Bucky non piacerà” commentò divertita Pepper, facendo cenno ad Alexander di raggiungerli.
“Lui è fuori” la informò la Romanoff, trangugiando una manciata di patatine, “è risultato positivo alle analisi. Anche McCoy e Cassidy.”
“Perché Bruce non è venuto?” chiese Thor, inarcando un sopracciglio.
“Doveva studiare” asserì Loki, “è stato assente fino a questa mattina e vuole riuscire a recuperare per diplomarsi in tempo” 
“Magari possiamo dargli una mano noi” propose il fratello, guardando gli amici in cerca di consenso.
“Perché no” concordò Clint “mettiamo su un gruppo di studio e ci aiutiamo tutti a vicenda. Scommetto quello che volete che ognuno di noi ha problemi in qualche materia”
“Affare fatto” colse l’occasione Natasha, alzandosi e asserendo di dover tornare a casa.
“Ti accompagno” si offrì il Capitano, seguendola immediatamente e assicurando a Barton che la cosa non gli arrecava alcun disturbo, visto che era stanco anche lui e desiderava andare a dormire il più presto possibile.

“Sei venuto con la moto?” domandò la Romanoff, scrutando il veicolo ammirata.
“Sì, ho scordato di fare benzina e quindi ho dovuto rinunciare all’auto per una sera” spiegò il Capitano, porgendole un casco.
“Ho sempre desiderato farci un giro, è stupenda” commentò la russa, accomodandosi dietro al giovane e posandogli le mani sui fianchi.
“Bastava chiedere” 
“Sì e poi Sharon mi avrebbe strangolata nel sonno” replicò la ragazza e scoppiarono a ridere entrambi.
Poi Steve partì e il vento cominciò a sferzargli il volto; era una sensazione piacevole, sembrava rispecchiare perfettamente ciò che la russa provava in quel momento: si sentiva libera.
Quando giunsero a villa Barton, Natasha scese dalla moto, togliendosi il casco e scuotendo i lunghi e mossi capelli, con grazia; poi porse l’oggetto al giovane e lo ringraziò per il passaggio.
“Nat, c’è una cosa di cui ti vorrei parlare” ammise lui prima di salutarla.
“Ti ascolto” disse lei, abbozzando un sorriso.
Per un momento, Steve esitò, ma alla fine si decise a parlare.
“Sto per proporti di fare una cazzata” 
La Romanoff scoppiò a ridere e poi lo invitò a spiegarsi, le cazzate che aveva proposto negli ultimi tempi si erano rivelate piuttosto produttive.
“Mi chiedevo… visto che i nostri genitori sono a Londra insieme in questi giorni… ti andrebbe di venire con me negli Hampton? Sai, come i vecchi tempi”
“Molto vecchi” sottolineò la rossa, sgranando gli occhi nell’udire quell’assurda proposta.
“Oh andiamo, Nat! Clint andrà con loro, me lo ha detto, e tutti lasceranno la città durante le vacanze… solo un paio di giorni. Giusto per non restare da soli qui di nuovo” insistette Steve, facendole gli occhi dolci.
“D’accordo” si arrese la ragazza, “però cucinerai tu, ti avverto” 
Il Capitano scoppiò a ridere e accettò le condizioni, poi se ne andò, lasciando Natasha a torturarsi le mani per l’ansia.








Angolo Dell'Autrice
Salve a tutti!
So di essere sempre, dannatamente, in ritardo, ma
spero durante queste vacanze di poter recuperare qualche 
capitolo! Purtroppo con la scuola e impegni vari è difficile
trovare un po' di tempo libero per scrivere e pubblicare, vi chiedo
scusa. Spero comunque, che l'attesa sia valsa la pena.
Che questo capitolo vi sia piaciuto.
E per farmi perdonare per il ritardo, vi lascio qui un piccolo 'spoiler' dal prossimo
Capitolo: Tony e Pepper avranno una conversazione a cuore aperto in cima alla Tour Eiffel.
In più ci saranno molti riferimenti ai film.
Grazie a tutti coloro che pazientemente seguono e leggono la mia storia e alle gentilissime e
disponibili persone che mi rendono tanto felice lasciandomi una recensione con i loro pareri
a riguardo.
Grazie.

Buone Feste a tutti!
A presto,
Bell :)




Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Another Me ***


15
Another Me






Parigi

“Tony, dove diavolo mi stai portando?” chiese divertita Pepper, tentando per l’ennesima volta di scoprirsi gli occhi.
“Ehi, ehi ferma! Presto lo scoprirai. Attenta, gradino” la avvertì lui, reggendola e guidandola lungo le scale.
Quando finalmente giunsero in cima all’edificio, Stark le sfilò la benda e le permise di godere di quello spettacolo meraviglioso.
“Siamo sulla Tour Eiffel” biascicò meravigliata la fanciulla, abbagliata dalle luci e dallo spettacolare panorama.
Si voltò lentamente a guardare il compagno, poi lo baciò dolcemente.
“Ci sono venuto per la prima volta a dieci anni, con i miei genitori. Me ne sono innamorato” raccontò il giovane, un tono carico di malinconia.
“Da come ne parli sembra che significhi qualcosa di più” notò la Potts, appoggiandosi alla ringhiera.
“Già.. è qui che è nato il mio sogno” spiegò Tony, lo sguardo perso nel panorama.
“Ricordo che mio padre e mia madre mi portarono fin qui. Ed io ero convinto che se mi fossi buttato giù sarebbe stato come volare… ma non mi permisero di farlo” 
“Chissà perché” commentò divertita lei, osservando e ascoltando rapita il suo ragazzo, che tanto raramente parlava dei suoi pensieri più profondi.
“Così decisi che un giorno avrei avuto una torre col mio nome inciso sopra e che avrei inventato un dispositivo in grado di farmi volare” confessò, tirando fuori un foglietto di carta e porgendolo a Pepper.
Lei lo prese in mano e scrutò ammirata il disegnino.
“È una specie di armatura” considerò, studiando gli appunti che Stark aveva riportato a margine.
“Sì… un giorno avrò i mezzi necessari per costruirla. Un’industria. Penso che utilizzerò il ferro”
“Però… non sei per niente ambizioso” lo schernì la giovane, restituendogli il bozzetto e gettandogli le braccia al collo.
“Allora, Iron Man. Non credi sia arrivato il momento di andare a divertirci un po’ in hotel?” propose poi, sorridendo per l’espressione compiaciuta che comparve sul viso di Tony.


Hampton

“Mi è mancato, questo posto” ammise Natasha, gustandosi un buon gelato e passeggiando tranquillamente accanto a Steve.
“A me mancava vederti entrare nel panico davanti a tutti i gusti messi a disposizione da ‘King’. Dico sul serio” la schernì lui, ridacchiando divertito per lo sguardo minaccioso comparso sul volto della ragazza.
“Scommetto che se giocassimo a Beach Volley ti batterei ancora” lo provocò per vendicarsi, guardandolo con finta aria di superiorità.
“Ma se baravi sempre!” obiettò il biodo, prendendo la strada per raggiungere la sua villa, la quale dava proprio sulla spiaggia.
“Ti brucia ancora eh” commentò sghignazzando la russa, poi gi tirò una leggera spallata.
“No, baravi sul serio” ripetè il giovane, entrando in casa e uscendone con due asciugamani e uno scatolone.
“Che c’è lì?” chiese Natasha, stendendosi sulla sabbia.
Il vento le scuoteva i capelli, dandole un’aria più trasandata che tuttavia la rendeva ancora più attraente.
“Non so, era sul tavolo. Forse mia madre stava mettendo via delle cose, ma voglio vedere cosa” spiegò il Capitano, aprendo il contenitore e sgranando gli occhi sorpreso.
“Non ci credo” biascicò, tirandone fuori una vecchia maschera blu e uno scudo dipinto con i colori della bandiera americana e una scintillante stella al centro.
“Ma quello è…” mormorò la russa, chinandosi sul pacco e tirandovi fuori altri oggetti, come delle pistole di plastica e dei piccoli dischetti neri.
I due si scambiarono uno sguardo complice, come se avessero pensato contemporaneamente la stessa cosa; Steve indossò la maschera e la Romanoff si mise i dischetti in tasca, afferrando poi due delle pistole e fingendo di caricarle.
“Forza Captain America. Il mondo ha bisogno di noi” asserì divertita, alzandosi e cominciando a correre per la spiaggia, seguita immediatamente dal giovane, facendo finta di combattere contro chissà quali mostri. 


Londra

Clint assaporò l’aria di casa.
Erano passati quattro anni dall’ultima volta che era stato a Londra, da quando era uscito dal riformatorio e il padre gli aveva detto che si sarebbero trasferiti a Los Angeles.
Tuttavia, ricordava ogni strada della città e sapeva perfettamente dove trovare le persone che stava cercando; forse non avrebbe dovuto farlo, non avrebbe dovuto cercarla, ma qualcosa gli diceva che era l’unico modo per tagliare i ponti con il passato.
Passò davanti alla scuola di tiro con l’arco, sforzandosi di reprimere l’istinto che gli urlava di fermarsi e rientrarci anche solo per qualche minuto, per salutare il suo vecchio maestro magari, poi, un bel po’ di metri più avanti, svoltò l’angolo e trovò quello che stava cercando.
Un piccolo appartamento, in una delle zone più malfamate di Londra.
Trasse un profondo respiro e bussò; fu una ragazza dai lunghi capelli rossi ad aprire. 
Era come la ricordava: magra, con gli occhi azzurri e scaltri e le labbra carnose; in un primo momento, aveva odiato Natasha perché gliela ricordava da impazzire, anche se la Romanoff era decisamente molto più bella e attraente.
“Ciao, Natalia” la salutò, lo sguardo fisso sulla giovane: doveva avere non più di diciassette anni.
“Clint?” chiese come se necessitasse di una qualche conferma, poi lo invitò ad entrare.
“Sei cambiato” commentò, versandogli un succo di frutta in un bicchiere e porgendoglielo.
“Già. Ed io spero che sia cambiata anche tu” rispose lui, osservandola con aria severa.
“Mi stai forse chiedendo se rubo ancora?” intuì la rossa, reggendo lo sguardo dell’uomo come se fosse la cosa più semplice del mondo, eppure anche il suo stomaco era leggermente aggrovigliato.
Clint Barton, il suo primo amore… non lo aveva dimenticato.
“Non tutti hanno la fortuna di avere un padre che si prende cura di loro, Clint. Per quelli come me e i miei fratellini non c’è altra speranza. Cerchiamo di sopravvivere come possiamo, quindi, se sei venuto per sapere se il fatto che tu ti sia addossato la colpa di quel furto al posto mio ha cambiato la mia vita, mi dispiace deluderti, ma no. Mi ha solo permesso di evitare che mio fratello e mia sorella restassero soli con quel mostro”
“Sono venuto qui per dirti definitivamente addio, Natalia” rivelò Barton, tirando fuori una busta bianca e lanciandola sul tavolo.
“Hai quasi diciotto anni. Prendi i tuoi fratelli e andate via da qui, trovati un lavoro e inizia una nuova vita. Ora hai un’alternativa” 
La giovane restò in silenzio per qualche secondo, osservando con gli occhi sgranati la somma di denaro presente in quella busta.
“No. Non posso accettarli, Clint” 
“Considerali un regalo di compleanno anticipato. Buona fortuna, Natalia” asserì il ragazzo, lasciando l’abitazione senza batter ciglio.


Tenesse

“Sif, questa volta ti ammazzo!” urlò Loki, inseguendola per tutta la casa.
“Ma cosa..?!” biascicò Thor, alzandosi dal divano e osservando il fratello e la cugina comportarsi come gatto e topo.
“Che succede?” chiese ancora, alzando la voce nel tentativo di farsi sentire.
“Sif ha mandato a Gwen una foto di quando ero piccolo…” spiegò il moro, incrociando le braccia con un’espressione imbronciata.
“Quella sotto la doccia?” domandò Thor, ridendo a crepapelle e dando il cinque alla ragazza quando gli ebbe confermato che la foto a cui si riferiva Loki era proprio quella.
Nel frattempo, quest’ultimo era andato ad aprire la porta, tutto corrucciato, sbiancando poi nel vedere chi aveva bussato.
“Thor è in casa? Non negare, lo sento”
“Seguimi” disse il giovane, conducendola nel salotto, dove la cugina aveva momentaneamente immobilizzato il fratello e gli stava facendo il solletico.
Fu come quelle scene nei film in cui tutti si azzittiscono immediatamente per qualcosa di improvviso e imprevedibile; Sif prese Loki per il braccio e lo trascinò al piano di sopra, lasciando Thor da solo con…
“Jane” mormorò, gli occhi immediatamente lucidi.
No, non aveva smesso di amarla neanche per un secondo.
“Sei tornato” esordì lei, guardandolo altezzosa “e io l’ho scoperto da Darcy”
“Mi dispiace. Io… io avrei dovuto…” provò a scusarsi il biondo, ma la ragazza non gli consentì di terminare la frase.
“Davvero? Avresti dovuto?” strillò, in preda ad una risata isterica.
“Ascolta, Jane! Tu non dovresti nemmeno essere qui…” asserì il giovane, alzando le braccia per aria.
“Ah, non dovrei… sai che ti dico? Va’ al diavolo!” sbottò la fanciulla, dirigendosi a passo rapido verso l’ingresso, ma Thor le fu immediatamente dietro e la fermò, afferrandole il braccio e bloccandola tra il muro e il suo corpo.
“Non dovresti essere qui dopo il modo in cui ti ho trattata quando sei venuta a trovarmi in ospedale” concluse lui, trafiggendola con lo sguardo.
Jane si sentì immediatamente un po’ troppo molle, come se le sue gambe stessero per cedere.
“Perché mi hai lasciata… io… io ho bisogno di te, Thor. Io ti amo…  e capisco che la faccenda di Angel abbia riaperto vecchie ferite, ma tu non sei più quel ragazzo…  la sua morte non è colpa tua, perché non l’hai mai costretta a drogarsi… ma proprio non riesco a capire perché tu abbia chiuso con me” bofonchiò tra le lacrime la ragazza, mentre il giovane le accarezzava una guancia.
“Perché sono stupido, J. Sono un maledetto stupido” sussurrò Thor, azzerando le distanze tra loro e baciandola con estrema dolcezza.
“Sì, sei proprio stupido” confermò lei, riprendendo tuttavia a baciarlo, aggrappandosi a lui e permettendogli di condurla nella sua camera da letto.
Nel frattempo, nella stanza di fronte, Sif se la rideva di gusto.
“Che c’è da ridere?” sbottò Loki, ancora arrabbiato con la cugina.
“Perché ho detto io a Fandrall di avvisare la sua amica Darcy… quei due stanno insieme, lo sapevi?” 
“Giura!” esclamò il moro, spalancando la bocca nell’udire quell’insolita notizia.
“Giuro” ripetè lei, entrando in modalità ‘occhioni dolci’.
“Allora, mi perdoni? Quella foto era troppo bella per non farla vedere alla tua ragazza!”





Angolo Dell'Autrice
Salve a tutti!
Questa volta ho aggiornato in tempo record, ammettetelo. Sorpresi?
Suppongo di si.
Come promesso, Tony e Pepper sono a Parigi, e ci sono tanti riferimenti ai film.
O meglio alle loro identità nei film.
Che ne pensate della storia su Barton e il suo passato a Londra?
Fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo, se vi va, sono curiosa di contare i pomodori
in faccia che riceverò.
Buon proseguimento e tanti auguri per l'anno nuovo, nel caso in cui non dovessi riuscire a
farli per tempo (cosa molto probabile).
Alla prossima,
Bell :)


Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Somebody That I Used To Know ***


16
Somebody That I Used To Know










Tennessee

Thor accarezzò la morbida pelle di Jane, quasi fosse fatta di cristallo.
“Non ho mai voluto lasciarti” le sussurrò, mentre le spargeva dolci baci sul collo.
“Allora perché lo hai fatto?” ribattè lei, tra un gemito e l’altro.
“Perché mi sembrava la punizione più adatta. Privarmi della persona più importante della mia vita. Soffrire in quel modo… ma non saperti mia mi distrugge, J. Mi annienta. Il mio futuro è con te… lo è sempre stato” rispose il biondo, ricominciando a baciarla.  
“Non ti azzardare mai più a fare coglionate come quella. E non lasciarmi mai più…” lo supplicò la Foster, aggrappandosi al suo corpo come ci si aggrappa ad un’ancora quando ci si trova in alto mare.
“Non ne ho la minima intenzione” le assicurò lui, stringendola forte a sé.
Non avrebbe rinunciato a Jane per nulla al mondo.





Hampton

“Capitan America atterra Vedova Nera!” esclamò Steve, bloccando Natasha contro la sabbia.
Un attimo dopo, però, la ragazza ribaltò la situazione, immobilizzando le braccia del giovane con le mani, e il bacino con il suo corpo.
“Dicevi?” asserì con uno sorriso trionfante stampato sul volto; poi arrossì violentemente nel realizzare l’imbarazzante posizione in cui si trovavano e si rialzò, per poi tornare alla scatola e conservare nuovamente i loro vecchi giochi.
Il Capitano la raggiunse pochi secondi dopo e, proprio mentre si stava liberando di maschera e scudo, cominciò a piovere a dirotto.
“Corriamo” urlò la Romanoff, precipitandosi verso la villa e ridendo a crepapelle. 
Non si divertiva così tanto da anni.
Da quando erano soliti a trascorrere le vacanze assieme negli Hemptons, bambini che riuscivano a vedere del buono in tutto e in tutti e a divertirsi anche con uno scudo e una pistola di plastica.
Ma quel ritorno al passato aveva riaperto anche vecchie ferite, subito colmate di tristezza e nostaglia; immediatamente, l'immagine di uno Steve e una Natasha nel cuore della loro infanzia, si affiancò a quella di un bambino dalla carnagione scura, vispo e sempre allegro: Sam Wilson.
Erano stati vicini di casa negli Hamptons, e avevano trascorso molto tempo insieme, soprattutto in estate, legandosi tantissimo... poi lui si era trasferito a Londra e, col tempo, avevano perso i contatti con lui. 
La ragazza era sicura che anche a Steve mancasse, ma che stesse evitando il discorso di proposito... forse, come lei, si sentiva in colpa per essersi reso conto che l'adolescenza e i problemi ad essa correlati, non li aveva solo allontanati, ma aveva portato via loro anche il ricordo di un buon amico qual'era stato Wilson.


Natasha varcò la soglia del salotto e si immobilizzò immediatamente. Steve era chino sul camino, intento ad accendere il fuoco, ed era a torso nudo; studiò in silenzio ogni carattere del muscoloso corpo del giovane, maledicendosi subito dopo. 
“Ehi” la salutò lui una volta accortosi della sua presenza.
“Non è un po’ troppo presto per questo?” chiese la ragazza, accovacciandosi accanto all’amico e liberandosi della maglietta, rimanendo così con una sottile canottiera a bretelle: faceva troppo caldo lì vicino.
“Dobbiamo asciugare i vestiti, se vogliamo ripartire domani. In macchina, bagnati, non ce li porto” spiegò il biondo, spostandosi una ciocca di capelli con le dita.
Restò in silenzio per diversi secondi, scrutando i delicati lineamenti della russa, il suo sguardo perso nei colori delle fiamme.
“Sai, anche se abbiamo smesso di esserlo troppo presto, non vuol dire che possiamo tornare bambini” lo riportò alla realtà la fredda voce di Natasha, che incatenò i suoi occhi a quelli del giovane.
Tu ricordi com’era?” domandò Steve, avvicinandosi a lei.
“Prima che Sharon entrasse nelle nostre vite? Tu te lo ricordi?” ribattè la ragazza, riprendendo a fissare le fiamme: le era sempre piaciuto il fuoco.
“Io ricordo una sorridente bambina che costringeva il padre a venire a casa mia per svegliarmi alle otto del mattino ogni domenica, e ricordo che all’inizio, puntualmente odiavo quella bambina perché non mi permetteva di dormire. Poi lui ci portava al parco dietro casa e cominciavamo a giocare. E tu ridevi e io ti guardavo e non riuscivo più ad essere arrabbiato. Ricordo una bambina che mi costringeva a seguire le lezioni di karate del padre” – e qui Natasha non potè fare a meno di sorridere – “Ricordo due bambini che fingevano di essere dei supereroi in grado di sconfiggere i più potenti mostri che si fossero mai visti sulla terra e che trascinavano in quel gioco assurdo anche il piccolo Sam Wilson… ricordo un bacio. Ricordo che fingesti di essere stata colpita e io ebbi la brillante idea di baciarti, perché nelle fiabe un bacio salvava sempre la principessa”
“Avevi otto anni ed eri già stupido” lo schernì, simulando una risata divertita che risultò un po’ troppo stridula.
“Credevo mi avresti ucciso” confessò rabbrividendo lui, ma la Romanoff ormai era su un altro pianeta; non parlò per diversi istanti, poi mormorò con voce flebile: “Che coincidenza. Primo bacio e prima volta con la stessa persona. Non sono molte le ragazze che possono dire la stessa cosa”
Steve impietrì.
“Nat…”
Non si era resa conto di averlo detto ad alta voce, ma tentò di rimediare al danno come meglio poteva.
“No. Va bene, Steve. Ho sempre immaginato che sarebbe andata a finire così, in realtà non me ne pento” confessò la russa, le lacrime che minacciavano di sgorgarle dagli occhi, “vorrei solo poterlo ricordare”
Il Capitano non se ne era accorto, non si era reso conto di essersi pericolosamente avvicinato al volto di lei; era come se ogni singola fibra del suo corpo avesse iniziato a controllare autonomamente le sue azioni.
L’avrebbe sicuramente baciata, se non si fosse spostata bruscamente.
“Sarà meglio andare a dormire, ora” disse, schiarendosi la gola e alzandosi.
“Natasha” la richiamò Steve, seguendola e afferrandole il braccio per impedirle di andar via.
Lentamente, la ragazza si voltò verso di lui, incatenando ancora lo sguardo a quello del giovane; aveva gli occhi più scuri, carichi di desiderio e non potè non notarlo.
“Basta scappare. Ti prego. Non ce la faccio più” mormorò, accostandosi nuovamente a lei.
Si guardarono intensamente per un attimo, i respiri decisamente accelerati, poi si protesero entrambi l’uno verso l’altra, facendo aderire i loro corpi, baciandosi con passione e dolcezza al contempo.
La Romanoff arretrava, pur continuando a stringere il torso del ragazzo a sé, finchè non caddero l’uno sopra l’altra sul divano, ma nessuno dei due osò interrompere quel gioco di labbra e lingue.
Le loro mani si cercavano avidamente, i respiri si rincorrevano, così come i gemiti e le carezze… Steve si interruppe solo quando Natasha gli sfilò via la cinta dei pantaloni, sbottonandoli subito dopo.
“Nat…” sibilò, cercando di fuoriuscire da quel groviglio di braccia e gambe.
“Ne sei sicura?” tentò di accertarsi, mentre il cuore minacciava di sfondargli il torace.
Lei lo guardò per qualche secondo, poi annuì impercettibilmente, attirando il volto del giovane al suo e riprendendo da dove avevano interrotto, mentre una muta lacrima le sfuggiva dall’occhio destro.

Steve aprì gli occhi, la fronte imperlata di sudore e il respiro accelerato.
Natasha giaceva ancora accanto a lui, il volto rilassato… sembrava un angelo e questo contribuiva ad accrescere la paura dentro di lui. 
Come se avesse percepito la tensione attraverso il corpo del ragazzo, la giovane prese a fare i primi movimenti inconsapevoli, poi si svegliò anche lei.
La prima cosa che vide fu un azzurro cristallino, il buongiorno perfetto, poi diede una rapida occhiata alla sveglia sul comodino e mormorò:
“Cavolo, Cap. La tua faccia da ‘otto del mattino’ è peggiorata col tempo” 
Il Capitano restò in silenzio per una frazione di silenzio, poi scoppiò a ridere, tranquillizzato; la Romanoff, nel frattempo, lo osservava con le labbra incurvate in un mezzo sorriso.
Il biondo si rifece immediatamente serio e le accarezzò delicatamente la guancia, scrutandola con timore e reverenza al tempo stesso, poi la baciò e si rasserenò nel sentire le sue delicate labbra rispondere al bacio e le sue morbide mani cercare il suo volto.
Fu il cellulare di Steve a costringerli ad allontanarsi; il biondo corrugò la fronte e sussurrò perplesso: “è Sharon
Lanciò il dispositivo sul comodino, ignorando la telefonata, ma anche il suono del telefono di Natasha riecheggiò nella stanza.
È Sharon” asserì anche lei, ripetendo il gesto del ragazzo, ma alzandosi dal letto.
“Posso andare a fare una doccia?” chiese educatamente, in fin dei conti non era casa sua, anche se la risposta era abbastanza scontata.

Sentire l’acqua scorrere sul volto era piacevole; rimase lì sotto, con gli occhi chiusi, mentre le immagini della sera prima si alternavano a quella notte della precedente estate, la prima volta in cui era stata con Steve.
Uscì lentamente dal bagno, un asciugamano avvolto attorno al suo corpo perfetto, i mossi capelli che le ricadevano sulle spalle.
Si avvicinò nuovamente al giovane, che era seduto sul margine del letto, intento ad osservare il mare.
“Steve…” bisbigliò, lo sguardo fisso sul pavimento.
Il biondo si voltò verso di lei, prendendole la mano, invitandola poi a parlare.
Ricordo tutto” confessò mordicchiandosi il labbro inferiore.
“Sei… sei stato dolce” aggiunse, per tranquillizzarlo, ma il Capitano non dava alcun segno di calma.
“Nat, ho recuperato memoria di ciò che è successo settimane fa” rivelò lui, “dovevo dirtelo prima, lo so, ma…”
Ancora una volta, fu il suo cellulare ad interromperli e questa volta era Alexander.
“Steve? Devi… devi tornare” asserì il ragazzo, un tono palesemente abbattuto.
“È… successo qualcosa?” chiese un’esitante Steve, mentre Natasha rizzava le orecchie per cercare di carpire qualche informazione.
“Bucky ha… ha avuto un incidente durante una gara di moto. È successo l’altra notte, Shy ha detto di averti chiamato…”
“Come sta, Alex?” domandò il Capitano, stringendo forte il bordo del letto tra le mani.
“Ecco…” biascicò il giovane, facendo accrescere l’ansia e la preoccupazione in lui.
“Alexander” lo incalzò, scrutando distante il corpo della russa che si muoveva verso la finestra e si appoggiava al davanzale: lei aveva già capito tutto.
“È morto sul colpo Steve. Io… mi dispiace”
Il cellulare, a quel punto, gli scivolò di mano, così come tutta la felicità che aveva provato nelle ultime ventiquattro ore.
Non era più in buoni rapporti con James, ma sperava, anzi lui lo sapeva, che un giorno sarebbe rinvenuto e che sarebbero tornati ad essere amici come una volta.
Ma ormai lui non c’era più, se ne era andato per sempre.






Angolo Dell'Autrice
Okay, c'è chi mi odierà. E chi non mi perdonerà per gli eventi di questo
capitolo. Chi preferirà non averlo mai letto... mi dispiace di aver dovuto fare questa 
cosa brutta. Ammetto che non era in programma la morte di Bucky, non quando ho
iniziato a scrivere la fanfiction, ma è necessario per la trama. Chiedo scusa.
Spero che l'aver aggiornato in fretta serva ad attutire il colpo.
Ci tenevo a ringraziare tutti coloro che recensiscono, leggono e seguono la storia,
vi sono eternamente grata,
Buon anno a tutti!
Cercherò di aggiornare presto,
alla prossima,
Bell :)


Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Lost Souls ***



17
Lost Souls






Non riusciva a crederci.
La sua mente gli ripeteva in continuazione che il ragazzo in quella bara era davvero il suo migliore amico, ma il suo cuore si rifiutava di accettarlo.
Sentiva a malapena la mano di Natasha sulla sua spalla, gli sguardi torvi di Sharon che, piangendo a dirotto, cercava probabilmente di attirare l'attenzione su di sè piuttosto che di sfogare il dolore.
Tony e Pepper erano proprio accanto a loro, affiancati da Thor e una ragazza che non conosceva, probabilmente era la sua fidanzata; anche Banner, nonostante i suoi trascorsi con Bucky, si era presentato al funerale e c'erano persino Barton, Sif e Loki con Gwen.
Immaginò fossero lì per solidarietà, come l'ottanta per cento degli studenti presenti e che di Barnes in realtà sapevano ben boco; Peter Parker e Mary Jane, riprendevano il tutto con una videocamera: avrebbero sicuramente dedicato un intera pagina a quell'evento, sul prossimo numero del gionalino scolastico.
Strinse i pugni più forte che poteva; aveva un improvvisa voglia di colpire qualcosa, una rabbia incontrollata che esplodeva nelle sue vene... espirò profondamente, poi scosse la testa e si allontanò da tutti e da tutto, quasi come se pensasse che scappando, avrebbe reso meno reale l'accaduto.
Raggiunse a grandi falcate un vecchio campetto da basket abbandonato, dov'era solito giocare assieme al suo amico nel tempo libero, prima che le loro vite si incasinassero in quel modo.
Si accomodò su una panchina malferma, personalizzata dalle loro firme infantili e dalle frasi scritte almeno cinque anni prima: il nome di Natasha spiccava accanto al proprio e quello di Bucky. Aveva quasi dimenticato che c'era stato un periodo, in cui erano solo loro tre, inseparabili; prima che Barnes venisse corrotto da Sharon, prima che si montasse la testa e si tramutasse in una persona completamente diversa, prima che iniziasse a dare il tormento alla russa con l'unico scopo di portarsela a letto. 
Chiuse gli occhi e respirò a fondo; quando li riaprì, l'immagine di due quindicenni che giocavano a pallacanestro, soli, di notte, gli apparve davanti agli occhi.

Bucky indossava una maglietta che Steve gli aveva regalato per il suo ultimo compleanno, era la notte che precedeva il loro ingresso nel mondo del liceo.
"Magari tra cinque anni questo campetto non ci sarà più" commentò il moro, tirando il pallone verso il canestro.
"Sarebbe terribile. Ha qualcosa di sacro, questo posto" ribattè il biondo, impossessandosi della palla.
"Per noi. è qui che tutto è cominciato" precisò l'altro, andandosi a sedere sulla panchina più vicina a loro e sorseggiando dell'acqua.
L'amico gli si sedette accanto e lo imitò.
"Eri seduto proprio qui con Natasha quando ti ho visto per la prima volta. Era arrabbiata con Sharon perchè le aveva rotto una bambola che le aveva regalato il padre pochi giorni prima della sua morte e tu cercavi di farla smettere di piangere" 
"E ti sei avvicinato tu, assicurandole che gliene avremmo fatte avere dieci nuove" continuò Steve, sorridendo suo malgrado.
"è passato così tanto tempo. Tutto speso qui, su questo campetto. Prima di partire per il college dobbiamo venire tutti qui a salutarci. E a rivangare ricordi che la memoria avrà sicuramente accantonato a quel punto. Questo posto è come un tempio" Bucky si meravigliava dell'effetto che un semplice luogo poteva avere su di loro, di quanto potesse essere importante solo perchè ci erano cresciuti e ci si erano affezionati.
Era come se facesse parte del loro essere.
"Se le cose dovessero cambiare" cominciò il biondo, "verremo qui per ricordare a noi stessi chi siamo. Chi vogliamo essere. Cosa siamo sempre stati"
"Fratelli" precisò l'altro, battendo il pugno con l'amico, che confermò: "fratelli".


Steve ripassò con le dita una frase incisa quella stessa notte, con le chiavi del suo vecchio scooter: 'Till the end of the line'.
Riusciva ancora a sentire l'eco delle loro voci che suggellavano quella promessa, la promessa di una vita spesa l'uno accanto all'altro, fino alla fine; la promessa che evidenziava il loro legame, ma che negli ultimi tempi era venuta meno.
"Sarai sempre mio fratello, per me" mormorò, quasi come se sperasse che l'amico potesse sentirlo.
"Fino alla fine".


“Nat, dov’è Steve?” domandò tra le lacrime Pepper, stringendo l’amica in un forte abbraccio e permettendo poi a Tony di fare altrettanto.
“Non ne ho idea. Se n’è andato prima ancora che il funerale finisse… immagino non abbia retto” rispose la russa, la voce leggermente incrinata.
Natasha Romanoff poteva anche essere una delle persone più toste del mondo, ma, anche se erano anni che non andava più molto d'accordo con Bucky, gli era affezionata e la sua morte non l’aveva lasciata indifferente; in più, era dannatamente preoccupata per Steve, con il quale non parlava da due giorni. 
“Dovresti andare da lui, lo sai vero?” le sussurrò nell’orecchio Clint, facendola sobbalzare.
“Non credo voglia avere qualcuno attorno” asserì lei, cingendo il fianco del fratello e incamminandosi verso casa.
“Io penso che se c’è qualcuno di cui ha bisogno in questo momento, sei proprio tu” le fece notare il ragazzo, fermandosi proprio davanti a villa Rogers.
Per un momento, Natasha esitò; non sapeva come comportarsi, ma non poteva neanche fingere che non le importasse, così si decise a scendere dall’auto e a suonare al campanello.
Una volta che il cancello si aprì, congedò con un cenno del capo Barton, il quale si allontanò lentamente dalla casa.

“Clint! Clint!” lo chiamò una dolce voce, facendolo sussultare.
“Sif! Nat non è in casa” la informò senza neanche chiederle cosa ci facesse vicino casa sua.
“Immaginavo. Io... in realtà cercavo te. Avrei bisogno di un favore”
“Certo, dimmi” la invitò a parlare, corrugando la fronte.
“Mi servirebbero gli appunti di Xavier. Dico sul serio, se prendo un’altra insufficienza in scienze non recupererò più!” lo supplicò quasi, tant’è che Barton immaginò stesse per piangere.
“Vieni. Se vuoi posso anche spiegarteli” si offrì, invitando la giovane ad entrare.
Grazie a dio Natasha non è in casa, pensò il giovane, richiudendosi la porta alle spalle e facendo strada alla ragazza.

 
***

Natasha bussò piano contro la porta della camera di Steve, non ricevendo però alcuna risposta; allora decise di entrare anche senza essere stata invitata.
“Tua madre mi ha fatta entrare” mormorò non appena il biondo si voltò verso di lei per vedere chi si fosse addentrato nella sua stanza.
Tuttavia, lui non fiatò, anzi le diede nuovamente le spalle, così che alla fine la russa si diresse nuovamente verso la porta per andare via: era chiaro che non era affatto desiderata, Clint aveva torto.
“Nat” la chiamò proprio mentre stava per richiudere la porta, cosa che la fece arrestare.
“Resta. Per favore” disse soltanto, convincendola a fare dietrofront e a raggiungerlo sul letto.
Lo abbracciò in silenzio, sentendosi soffocare dal modo in cui lui si stringeva a lei, come se fosse l’unica cosa che gli permettesse di non crollare e Natasha non si sentiva all’altezza di un ruolo così importante nella vita di qualcuno, men che meno nella sua.
“Sono con te” sibilò la russa, accarezzandogli dolcemente una guancia; Steve alzò lo sguardo e le si avvicinò, posando delicatamente le labbra con le sue.
Era contento di averla al suo fianco, era contento di avere qualcuno su cui contare il quel momento; si sentiva così perso e terribilmente in colpa.
“Era il mio migliore amico” bisbigliò con le lacrime agli occhi, accasciandosi sul letto. 
Natasha sospirò, poi si stese accanto a lui e gli prese il volto tra le mani.
“Bucky sapeva che gli volevi bene, Steve. Lo ha sempre saputo, non importa quanto foste arrabbiati. E poi, non credo tu gli abbia mai fatto alcun torto” sussurrò continuando ad accarezzarlo.
“Il semplice fatto di aver così tanto bisogno di te è un torto verso di lui, Nat, non lo capisci? Era innamorato di te… da anni… il punto è che potrei dire lo stesso di me e io non riesco… io non posso lasciarti andare” la interruppe il biondo, scostandosi bruscamente da lei e portandosi le mani sul viso.
“Allora non farlo” asserì la giovane, posando una mano sulla sua spalla.
“Sono abbastanza certa che lui volesse vederti felice” aggiunse, prima di uscire dalla stanza in silenzio.

 
***

Sif ascoltava Clint in assoluto silenzio, mangiucchiandosi il tappo della penna.
“E questo è tutto” concluse lui, richiudendo il libro e stiracchiandosi.
La ragazza lo scrutò per qualche secondo, corrugando la fronte e socchiudendo gli occhi.
“Che c’è?” le chiese, turbato da quello sguardo da psicoanalista.
“Niente” si difese lei, alzando le mani per aria, “è solo che sembri sempre così tranquillo. Non hai mai paura?”
“Paura di che?” 
“Di fallire. Di non essere all’altezza…” precisò la mora, senza distogliere lo sguardo dal giovane; era dannatamente sfacciata.
“Beh, non esattamente. All’inizio avevo paura di Natasha, però. Sembra quel tipo di persona che potrebbe spararti a sangue freddo se solo facessi un passo falso” la buttò sul ridere Barton, facendo sorridere anche la fanciulla.
“Beh, magari lo sono” asserì una gelida voce alle loro spalle.
“Nat” la salutò lui, un’espressione colpevole in volto.
“Il coach Fury mi ha detto di riferirti che se salti un altro allenamento ti sbatte fuori dalla squadra” disse la Romanoff, scomparendo poi nella sua stanza.
“Sbaglio o è di pessimo umore?” commentò Sif, inarcando un sopracciglio.
“Natasha è sempre di pessimo umore” confermò Clint, invitando poi la giovane ad andare a prendere un gelato.

 
***
 
Una settimana dopo

“Nat? Sei a casa?” la chiamò il fratello, sorprendendosi tuttavia di non ricevere alcuna risposta.
I loro genitori erano ancora a Londra e lo sarebbero stati sino alla fine delle vacanze, mentre lui era tornato prima per il funerale di Bucky e per dare sostegno alla sorella.
Aprì lentamente la porta della camera di Natasha, per accertarsi che lei non fosse davvero in casa, - cosa di cui comunque ebbe conferma -, ma il suo sguardo venne attratto da un piccolo contenitore all’interno del comodino della ragazza.
Nessun altro lo avrebbe notato e non lo avrebbe fatto nemmeno lui, se non avesse avuto la straordinaria vista di cui era dotato; un piccolo scatolo, che Clint conosceva molto bene.
Si trattava degli antidepressivi prescritti a Natasha dopo l’incidente; sapeva che li prendeva ancora, ma con meno frequenza… eppure quel pacco lo aveva acquistato solo una settimana prima ed era quasi finito.
Non gli ci volle molto per capire cosa stesse accadendo: la Romanoff non se l’era passata molto bene in quel periodo e come se non bastasse c’erano gli esami di mezzo... doveva capire se la sorella usasse in maniera controllata quei medicinali o meno.
Si chiuse immediatamente nella sua stanza, poi compose il numero di Steve e lo chiamò.
“Pronto?”
“Se ti chiedessi di scoprire quanti e quali farmaci tua madre prescrive per Natasha, potresti farlo?” andò dritto al sodo Barton, lasciando molto perplesso il Capitano.
“Dammi un secondo. Mia madre appunta tutto. Ecco qui, sì le ha prescritto degli antidepressivi… una settimana fa. Dice che deve prenderne uno, due massimo al giorno… Clint che succede? Credevo che Nat stesse bene!” esclamò il biondo, ora seriamente preoccupato.
“Credo che tu debba venire da me” convenne l’altro, mentre udiva già la porta di casa Rogers sbattere.




Angolo Dell'Autrice
Allora. Non avrei dovuto aggiornare oggi, ma mi sono
ammazzata per farlo, principalmente perchè spero di 
farmi perdonare per la morte di Bucky ed in secondo 
luogo perchè era l'ultimo giorno di vacanza e sicuramente
non sarei riuscita ad aggiornare prima di sabato.
Spero tanto che il capitolo vi sia piaciuto,
ho voluto fare un piccolo tributo anche a Bucky, perchè anche
se in questa storia è stato un po' cattivello, l'ho scritto più
volte, non è sempre stato così e volevo che aveste un assaggio 
di ciò che era.
Fatemi sapere cosa ne pensate, se vi va.
Alla prossima,
Bell :)


Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Suck-Ass Test ***


18
Suck-Ass Test






Natasha rientrò almeno due ore dopo; era stata con Pepper tutta la sera, i suoi genitori avevano scoperto della sua fuga a Parigi con Tony e le avevano proibito di uscire, ma la russa non poteva lasciarla sola in un momento così difficile.
“Perché sento puzza di complotto?” chiese non appena vide il fratello intento a parlottare con il suo… cos’era Steve per lei? Non ne avevano neanche parlato.
“Perché sento puzza di ragazza nei guai?” ripetè serio Clint, scoccandole un’occhiataccia.
“Uh-uh. Sentiamo, cos’ho fatto questa volta?” domandò lei, alzando gli occhi al cielo e lasciandosi cadere di peso sul divano di fronte a quello ove erano seduti i due ragazzi.
Barton trasse un respiro profondo e le lanciò tra le mani il barattolino mezzo vuoto.
“Come cazzo mi hai scoperta? Ti prego, non dirlo alla mamma! Se scopre che non sto prendendo le medicine…”
“Che non stai prendendo le medicine? Nat, quel coso dovrebbe essere ancora pieno!” esordì il Capitano, un’espressione sbigottita dipinta sul volto.
“No. Quello dovrebbe essere vuoto. Ho smesso di prenderle un mese fa; qui ci sono le ultime due ricette di tua madre, non le ho mai usate” spiegò la ragazza, porgendo loro due foglietti spiegazzati.
“Avete intenzione di farmi comunque la predica ora? Non ne ho bisogno, sto bene e quindi non ho intenzione di prendere quelle pasticche”
“Ecco perché sei sempre più scontrosa” commentò sardonico Clint, in verità sollevato da quella notizia.
La Romanoff afferrò un cuscino e glielo lanciò contro con violenza.
“Sono scontrosa perché siete una massa di rimbambiti. Tutti e due!” sbottò, correndo arrabbiata verso la sua stanza.
“È incazzata con me. Vado a parlarle” asserì Rogers, seguendola per le scale.

“Natasha, apri. Per favore”
Dovette ripetere quella supplica per ben dieci volte prima che la giovane si  decidesse ad aprire.
“Di cosa vuoi accusarmi ora?” sbottò seccata la ragazza, lottando tuttavia per non far fuoriuscire le lacrime.
“Voglio scusarmi. Non avrei dovuto pensare che… mi dispiace. È che ho così tanta paura di perdere qualcun altra delle persone che amo… e tu sei in cima alla lista e… mi dispiace” si scusò il biondo, cercando il corpo della russa per stringerlo a sé; stranamente, lei gli permise di farlo.
“Puoi restare qui, questa notte?” gli sussurrò nell’orecchio lei, interpretando il bacio che ne seguì come una risposta positiva e guidando il giovane sul letto, ove i due si addormentarono stretti l’uno all’altro.
Insieme ce l’avrebbero fatta. 




Quattro mesi dopo

“S.A.T.: Strage Totale Annunciata”* borbottò Steve, lanciando la penna sul tavolo.
Natasha era comodamente distesa su una poltrona, masticando una chewing-gum e scrutando i suoi amici a metà tra l’essere divertita e l’essere annoiata.
[Se vi chiedete come possa essere possibile una cosa del genere, fareste meglio a rammentare che per Natasha Romanoff nulla è impossibile.]
“Perché non la smettete di sbaciucchiarvi, voi due?” sbottò Thor, gettando un’occhiataccia a Sif e Clint, che da poco avevano iniziato a frequentarsi.
Solo qualche settimana prima, infatti, mentre le dava ripetizioni di scienze, Occhio di Falco aveva trovato il coraggio di baciarla e, contro ogni previsione, la ragazza si era rivelata contenta di tale gesto e aveva ammesso di essere attratta da lui da molto, molto tempo; così avevano iniziato ad uscire assieme, arrivando ad instaurare un rapporto profondo e stabile.
A Thor Clint stava simpatico, ma lei era pur sempre sua cugina e non era piacevole guardarla esplorare la sua bocca per due ore di fila.
“Stiamo cercando di studiare. E il rumore che fate è snervante” aggiunse seccato, cercando con lo sguardo il sostegno di Tony, che si affrettò ad appoggiare l’amico.
“Non ha tutti i torti. Tutti noi siamo affondati in almeno una materia”
“E allora perché non ci focalizziamo su chi può aiutare chi?” li interruppe Banner, che lì in mezzo era quello che necessitava di un maggior aiuto, visto le numerose lezioni perse prima a causa del coma e della convalescenza poi.
“Andiamo Hulk, dicci i tuoi problemi! Sei un fottuto genio che ha tutte A, quale materia ti frega?” lo provocò Stark, incrociando le mani con noncuranza.
“Hulk?” ripeté confusa la Romanoff, sollevando un sopracciglio.
“Beh, sì. Sa di mostro verde e rabbioso. E Banner diventa così quando si innervosisce. Oh, andiamo! Nessuno lo aveva notato?” spiegò Tony, beccandosi uno scappellotto dietro la nuca da Barton, che aveva appena accompagnato alla porta la sua ragazza.
“Uh. Guardate un po’ chi è tornato tra noi” lo sfottè la sorella, riprendendo posto attorno al tavolo.
“Se dobbiamo parlare di gente che sparisce, forse sarebbe il caso di fare un qualche riferimento alle tue ripetizioni di matematica con Steve. Quanto fa camera da letto + porta chiusa a chiave?” ribattè Clint, sorridendo soddisfatto anche dopo la sberla della russa che lo colpì in pieno volto. 
“Io ho dei seri problemi in informatica ora. Con matematica sono okay” rispose gelido il Capitano, rivolgendosi a quel punto al genio del computer presente in stanza.
“Ci dividiamo in gruppi allora” concordò Tony, “si dia il caso che io abbia problemi con quella palla di letteratura e che quella sia proprio la tua materia forte” 
“Bene. Rogers e Stark, potete andare in camera mia” asserì Natasha, lanciando al suo ragazzo le chiavi; da quando Clint era entrato di nascosto nella sua stanza, la chiudeva sempre a chiave prima di allontanarsi.
“Un giorno mi dirai cosa nascondi?” domandò il fratello, gli occhi socchiusi.
“Ti consiglio di non fare domande, se vuoi le tue ripetizioni di matematica, Legolas” lo schernì lei, sogghignando.
“Credevo che solo Stark mi chiamasse così. Come diavolo ha scoperto che ho preso lezioni di tiro con l’arco quando ero piccolo?” 
“Potrebbe essermi sfuggito la sera di Capodanno. Comunque, Thor, tu potresti aiutare Bruce con storia e Bruce aiutare te con chimica. Mentre il tizio molto simpatico che chiamo comunemente ‘fratello’, aiuterà me in scienze. E siamo tutti sistemati. La camera di Clint dovrebbe essere libera, ma non ti assicuro che sia priva di foto di tua cugina, magari in topless” concluse Natasha, beccandosi un astuccio in faccia appena lanciatole da Barton. 
“Siamo tutti fregati” borbottò Bruce, alzandosi e dirigendosi verso la stanza a loro designata. 
“Lo sai che sei la sorella più irritante del mondo, vero?” asserì Occhio di Falco, riserbandole un’occhiata stizzita.
“Lo sai che sei il fratello più invadente del mondo, vero? In qualche modo devo pur vendicarmi” rispose lei, scoppiando a ridere divertita.

 
***

Sharon ci aveva provato; sul serio, aveva tentato di dividere Natasha e Steve, ma ogni suo tentativo si era rivelato vano.
Persino il farsi sorprendere seminuda in camera del ragazzo non aveva intaccato il loro solido rapporto e, cosa ben peggiore per il suo ego, lui non aveva tentennato nemmeno un secondo nel respingerla.
Dopodiché, la notte di Capodanno ci aveva provato con Thor, ma lui l’aveva bruscamente rifiutata ribadendo di essere fedele a quella Jane con cui aveva una relazione a distanza e questa era stata una delle più grandi umiliazioni della sua vita, dato il conseguente articolo sul giornalino della scuola, scritto da Loki e da Gwen, con tanta di foto alla sua espressione sgomenta, scattata invece da Peter Parker.
Aveva, tuttavia, evitato di fare un pensierino su Clint, che ora era uno dei tipi più fighi della scuola; la vita era stata molto ingiusta con Sharon Carter, o almeno questo era ciò che sosteneva lei dal momento che non le aveva lasciato alcuna distrazione per allontanare il pensiero di Bucky dalla sua mente.
L’andare a letto con il primo che le capitava a tiro aveva sempre costituito un’ottima terapia per lei, ma a quel punto erano pochi quelli disposti a farlo con lei ora che il corpo studentesco era un organismo unitario in cui l’apparenza non contava più nulla.
Nonostante si fosse ridimensionata molto, Sharon Carter restava infatti la nuova emarginata della scuola: aveva ferito troppe persone e in maniera indelebile; persino Raven ed Hank ormai la evitavano e stava cominciando, molto lentamente, a capire il valore dell’amicizia; in particolar modo, si pentiva di essersi lasciata sfuggire un ragazzo d’oro come Steve, ma rifiutava categoricamente di ammettere le sue colpe: per lei, era stata la Romanoff a portarglielo via.
“Che tu sia maledetta” imprecò, scaraventando con violenza i libri giù dal tavolo e scoppiando a piangere.

 
***

“Questo è perverso” obiettò Mary Jane, scambiandosi uno sguardo complice con Loki.
“Si, mi sembra un po’ estremo” l’appoggiò lui, arrossendo.
“Volete passarlo il Suck-Ass Test* o no?” ribattè Gwen, incrociando le braccia spazientita.
“Per farlo dobbiamo spogliarci in pubblico?” controbattè l’altra, livida dal’imbarazzo.
“È il modo più efficace per metterci sotto pressione. Così ci concentreremo necessariamente per trovare la risposta giusta ai quesiti. Scommetto che nessuno arriverà a rimanere in intimo” insistette Peter, scrutando tutti i presenti e notando che si erano vestiti con almeno cinque strati di abiti. 
Scoppiarono tutti a ridere e alla fine acconsentirono a prestarsi a quell’assurdo gioco che, come Parker aveva previsto, portò a ottimi risultati: effettivamente, nessuno di loro rimase in mutande, anzi, non vi era alcun indumento sul pavimento.
“Ragione, dolce ragione!” cantilenò lui, saltellando fino all’uscita.
“Dovrebbero chiamarti Spiderman. Dico sul serio, i tuoi giochi sono contorti e intricati come le ragnatele dei ragni. A volte anche disgustosi come loro” lo schernì Mary Jane, stampandogli tuttavia un lieve bacio sulle labbra.
“A te di solito piacciono i miei giochi perversi” commentò Peter, sorridendo con aria maliziosa.
“Solo quando non sono di gruppo” ammise lei, ignara, tuttavia, che dall’altro capo della stanza, Loki e Gwen stavano ascoltando tutto, ridendo sotto i baffi.
“Thor tarderà ancora un po’. Che ne dici di continuare a… ehm, studiare di sopra?” propose il moro, prendendo in braccio la ragazza e conducendola nella sua stanza.
La vita, quando sei all’ultimo anno, è fottutamente bella, pensò lui, richiudendosi la porta alle spalle e sovrastando la bionda con il suo corpo.  







*Cit. The Perfect Score (2004) film con Scarlett Johansson e Chris Evans. Nessuna coincidenza ahahha.
Il SAT è un esame che gli studenti americani devono dare per entrare al college. 



Angolo Dell'Autrice
Chiedo scusa per la breve lunghezza del capitolo,
ma questa settimana mi è stato davvero impossibile
scrivere di più... non so neanche come ho fatto
ad aggiornare, talmente limitato era il mio tempo libero
a disposizione. Ma dovevo farlo e quindi eccomi qui, col
nuovo capitolo che mi auguro tanto vi sia piaciuto.
Se vi va fatemelo sapere.
Bell :)



Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** So Long Goodbye ***


19
So Long Goodbye











A Thor erano sempre piaciute le feste di fine anno, ma non quella.
Aveva un retrogusto amaro, il sapore della separazione e dell’addio; ci era passato solo un anno prima, dovendo salutare i suoi vecchi amici prima del trasloco, ma quella situazione era ancora più definitiva.
Sapeva perfettamente come andavano le cose dopo il liceo: ognuno prendeva la sua strada e tanti saluti; quindi non solo avrebbe perso gli amici di sempre, che già cominciavano a farsi sentire di meno, ma anche il gruppo con cui aveva legato a Los Angeles.
Gli Avengers avrebbero sempre occupato un posto speciale nel suo cuore, ma, al contempo, costituivano un ferita che sarebbe rimasta aperta per sempre; tuttavia, il suo futuro con Jane lo aspettava e non poteva rinunciarvi per nulla la mondo.
“Forza cugino! Non vorrai davvero startene lì impalato per tutta la sera! Questa è la nostra notte!” lo spronò Sif, prendendolo per mano e trascinandolo in pista sotto lo sguardo rassegnato di Clint, che aveva ceduto al volere della ragazza già da un paio d’ore.
“Spiegami di nuovo come fai a sopportarla, ti prego” mormorò il biondo, facendo scoppiare a ridere anche Tony e Pepper che ballavano accanto a loro.

Natasha stava trangugiando un cocktail in solitudine, lo sguardo rivolto verso il cielo e il rumore del mare quasi soffocato dall’eco della musica proveniente dalla villa.
Riconobbe immediatamente i passi di Steve alle sue spalle e, pochi secondi dopo, il giovane era al suo fianco, le mani in tasca e l’espressione pensierosa. 
“Spero che quello sia il primo” incominciò lui, dando una rapida occhiata al bicchierino che la russa stringeva tra le mani.
“E anche l’ultimo” confermò la ragazza, abbozzando un sorriso che tuttavia uscì più malinconico di quello che desiderava.
Erano giorni che si sentiva inquieta, come se qualcosa stesse per accadere, qualcosa che non le avrebbe fatto piacere. Ed era più che sicura che quel qualcosa riguardasse Steve.
“Andiamo, Cap. Dì quello che devi dire” lo incitò, rivolgendogli uno dei suoi sguardi più disarmanti.
Per un momento, al giovane mancò il respiro; tuttavia, era perfettamente consapevole che la Romanoff avesse iniziato a sospettare qualcosa, non era stupida e, ciliegina sulla torta, lui non sapeva affatto mentire.
Chiuse gli occhi e respirò l’aria pulita del mare, con il suo odore di sale e alghe, poi si voltò verso la fanciulla e la osservò in silenzio per qualche secondo prima di parlare.
“Forse avrei dovuto dirtelo prima, prima che noi… lo so che abbiamo sempre detto che saremmo andati al college insieme, fin da quando avevamo quattro anni… ma, Nat, all’inizio dell’anno il nostro rapporto era troppo distante perché mi potessi aggrappare a quella promessa” 
“Steve… se non vuoi più venire alla Columbia, va bene. Dico sul serio, se hai altre opzioni e preferisci una di quelle… Io lo capisco, non ho mai preteso nulla” lo interruppe lei, unico intento cercare di tranquillizzarlo.
“Non è questo il punto, Nat. Dio solo sa quanto vorrei poter venire con te alla Columbia o dovunque tu voglia andare. Il punto è che non posso, perché a settembre ho fatto la richiesta per entrare nell’esercito, con Bucky, esattamente come desiderava mio padre, e… mi hanno accettato” confessò il Capitano, gli occhi fissi sul mare.
Nell’udire la notizia, Natasha si era portata la mano destra sulle labbra, mentre le lacrime cominciavano a spingere prepotentemente contro le sue iridi.
“L’esercito, Steve?” ripetè incredula, massaggiandosi le tempie per recuperare la calma.
“Quando pensavi di dirmelo? Il giorno prima che partissi?”
“Non ne avevo il coraggio, Nat! All’inizio mi ero aggrappato alla speranza che mi scartassero ma…”
“Ma sarebbero pazzi a rinunciare a un tipo come te” concluse la russa, mordendosi il labbro, “Quando devi partire?”
Steve non ebbe bisogno di parlare affinchè la ragazza capisse la risposta; il suo silenzio fu più che sufficiente a destabilizzarla completamente.
“Oh” mormorò lei, gettandosi tra le sue braccia, ormai in lacrime.
Non riusciva a ricordare un bacio più intenso di quello che seguì, ma nemmeno uno più doloroso.
“Io ti aspetterò Steve, succeda quel che succeda, io sarò qui per te. Te lo prometto”
“Tu andrai avanti con la tua vita, Natasha” la contraddisse lui, “Non posso tenerti legata a me vista la situazione. Devo lasciarti libera, ne capisci i motivi?” 
No!” rispose la Romanoff, incapace di credere a ciò che aveva appena udito.
“Sii felice, Nat. Questa è l’unica promessa che voglio da te” mormorò il biondo, stampandole un bacio sulla fronte e allontanandosi da lei, dopo averle lasciato un piccolo oggetto tra le mani.
Natasha guardò immobile la figura di Steve venire inghiottita dal buio, poi, ancora singhiozzante, aprì lo scatolo e riprese a piangere nel vedere uno stupendo anello brillare alla luce della luna. 
Sfilò un bigliettino che il Capitano vi aveva lasciato dentro, arrotolato e lesse: “Questo è l’unico futuro che avrei voluto avere, credimi”.

 
***

“Pepper?” la chiamò Natasha, correndo da una parte all’altra della stazione.
“Nat, sono qui!” strillò l’alta, gettandosi tra le sue braccia e salutandola tra le lacrime.
Quel giorno sarebbero tutti partiti per i rispettivi college; era stata una loro scelta quella di lasciare la città lo stesso giorno, l’epilogo della loro adolescenza meritava di vederli uniti come lo erano stati sempre.
“Oh, andiamo, Romanoff. Non dirmi che non sentirai la mia mancanza” la schernì Tony, dapprima sorridendo, poi abbracciandola con uno sguardo un po’ malinconico.
“Cerca di non farti espellere, Stark, okay?” si raccomandò lei, rivolgendosi poi verso Thor e Bruce, alla sua destra.
La cosa più difficile per lei, tuttavia, fu salutare Clint: erano entrambi abituati a vedere l’altro ronzare in giro per casa, ai rispettivi dispetti, ai battibecchi e agli scherzi, alle risate e alle lamentele dei loro genitori.
Si sarebbero mancati e lo sapevano perfettamente.
“Andiamo” tentò di sdrammatizzare lui, “La Brown non è poi così lontana dalla Columbia. Mi rivedrai quando meno te lo aspetti. E io continuerò a tenerti d’occhio”
“Sicuramente” ridacchiò la rossa, salutando poi anche Sif e dirigendosi poi verso il suo sportello.
Si sentiva osservata da diversi minuti, mentre aspettava che chiamassero il suo volo, quando si decise a voltarsi per vedere chi la stesse guardando.
Incrociò i suoi occhi in quelli castani di una bionda che conosceva molto bene, Sharon Carter, diretta verso l’Italia, in un tacito addio che non poteva dispiegarsi diversamente.
Natasha non si voltò indietro neanche per un secondo, mentre seguiva la folla diretta all’aereo che avrebbe segnato l’inizio della successiva fase della sua vita.
Cercò di non pensare alle persone che si stava lasciando alle spalle, tentò di non pensare a Steve, né tanto meno ai suoi genitori, ma era consapevole che non sarebbe mai riuscita a dimenticare nessuno di loro.

 
***

“Thor!” urlò Loki, correndo verso il fratello e sperando che non fosse troppo tardi per salutarlo.
“Ti sei svegliato alla fine” lo accolse lui, sorridendo e stringendolo in un abbraccio d’addio.
“Già. Non immagini le urla di mamma. Come se non dovessimo mai più rivederci” biascicò irritato l’altro, facendo sorridere il biondo.
“Già… Immagino che mi porterai un bel regalo di Natale da Londra” lo schernì Thor, raccomandandogli poi di sfruttare al meglio l’occasione che gli si era presentata.
“Oxford è una scuola prestigiosissima, Loki. E hai anche la fortuna di avere Gwen con te. È un’opportunità come poche nella vita. Non sprecarla, okay?” mormorò, dandogli una pacca sulla schiena e lasciando solo il fratello.
La Boston University lo aspettava e anche la sua Jane. 





Angolo Dell'Autrice
Salve a tutti!
Anche questa settimana sono riuscita ad aggiornare!
E questa volta con il penultimo capitolo della storia.
Sì, avete capito bene, il prossimo sarà l'ultimo, ma,
ma... potrebbe esserci un sequel. Potrebbe. Voi lo vorreste?
Spero tanto che questo capitolo vi sia piaciuto. Fatemi sapere cosa
ne pensate se vi va.
Alla prossima,
Bell :)


Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** The Departed ***


20
The Departed











Due anni dopo

Natasha odiava il giorno prima degli esami; entrava in paranoia e non riusciva a smettere di ripetere, trascorrendo così la notte nella più completa disperazione, tra le pagine dei libri che tanto odiava.
Tuttavia, quella sera, il motivo principale dei suoi nervi a fior di pelle era l’annunciata visita del coach Fury: non aveva la minima idea del perché quell’uomo volesse parlarle e non poteva contattare nessuno per informarsi se almeno loro ne erano a conoscenza.
Sapeva che Thor era a Boston con la sua ragazza, Bruce a Yale, Tony e Pepper ad Harvard e Clint… beh, lui era decisamente scomparso.
Scomparso come qualcuno che non vuole farsi trovare.
Dopo la morte dei loro genitori, - causa un incidente d’auto -, il fratello aveva infatti ‘saggiamente’ deciso di mandare all’aria la sua intera vita e, con essa, anche Natasha; aveva sempre sospettato che il crollo definitivo di Barton fosse dovuto alla sua rottura con Sif, ma non poteva esserne sicura, perché non lo sentiva già da due mesi quando Thor glielo aveva riferito. 
Una chiamata fugace, il tempo delle condoglianze e della consueta offerta di supporto, esattamente come avevano fatto anche gli altri; una cosa priva di valore, visto che il college sembrava aver messo davvero un punto alla loro amicizia.
Ma la Romanoff neanche ci pensava più, ormai: sapeva come sarebbe andata a finire fin dal primo giorno.
People Always Leave’, 'Le persone se ne vanno sempre', diceva Payton Sawyer, un personaggio di One Tree Hill, una serie televisiva che aveva amato per anni; sapeva che Payton aveva ragione prima ancora di sperimentarlo sulla sua pelle e ne aveva avuto conferma quando anche lei, alla fine, aveva lasciato Tree Hill.
Potrebbe sembrare stupido, ma la verità è che Natasha traeva lezioni di vita da tutto ciò con cui entrava in contatto.
Attese Nick Fury per ore, rigirandosi tra le dita l’anello che Steve Rogers le aveva regalato due anni prima e che non aveva mai avuto il coraggio di sfilarsi dalla mano; non si sarebbe mai arresa, nonostante le parole del Capitano, lei lo avrebbe aspettato anche per tutta la vita se fosse stato necessario.
Non si dimentica un amore come il loro.

“Signorina Romanoff” la salutò con educazione e professionalità il coach, entrando nell’appartamento con aria tetra.
Natasha sapeva che Fury aveva cambiato mestiere anche se non aveva ben capito cosa facesse in quel momento, ma vederlo lì, in veste ufficiali, con quell’aria solenne, la fece sentire irrequieta.
Aveva un occhio coperto da una benda e si domandò come mai.
“È successo qualcosa coach… ehm, signor Fury?” domandò, la fronte corrugata e lo sguardo preoccupato.
“Bah, al diavolo le formalità! Sono qui per darti una brutta notizia, Natasha. Devi essere forte, faresti meglio a sederti” le consigliò l’uomo, incrociando le braccia dietro le spalle e dirigendosi verso la finestra.
“Di cosa sta parlando?” lo incalzò la ragazza, l’ansia che si impadroniva sempre più del suo corpo e della sua mente.
“ Sei mesi fa, il Capitano Rogers è stato dato per disperso durante una missione della quale non posso parlarti.  Lo abbiamo cercato ovunque, ma non è mai stato ritrovato. Mi rammarica doverle dare questa spiacevole notizia, ma Steve è considerato ufficialmente… deceduto
La Romanoff sgranò gli occhi, mentre il suo cuore si infrangeva in mille pezzi e le parole “Steve”, “ufficialmente” e “deceduto” riecheggiavano violente attraverso le sue orecchie. 
“No. Non è possibile. Io… no. Non ci credo!” urlò in preda al dolore, mentre il suo vecchio coach l’abbracciava per darle sostegno morale.
“Mi dispiace, Natasha. So che è difficile da accettare ma…”
“Accettarlo? Fury, io non lo accetterò mai, perché non ci credo! Lui non è morto!” lo interruppe lei, interrompendo bruscamente il flusso di lacrime che stava fuoriuscendo dai suoi occhi e lanciandogli lo sguardo più determinato che qualcuno le abbia mai visto assumere. 
“Me lo sento! E te lo dimostrerò. Lo giuro, fosse l’ultima cosa che farò nella mia vita… io troverò Steve Rogers, o morirò provandoci”.






Angolo Dell'Autrice
Ed eccoci all'ultimo capitolo.
Mi vien quasi da piangere, mi mancherà scrivere questa fanfiction,
anche se ho già iniziato la stesura del sequel e potreste trovarvi il primo
capitolo su efp ad esempio Sabato. Creerò un capitolo-avviso, in questa fanfiction 
per lasciarvi il link e avvertirvi, nel caso vi andasse di struggervi un altro po' con i 
personaggi della mia storia... vi anticipo che non sarà più un AU e con questo spero di
avervi incuriositi.

Ora, tornando a Play Hard, so che probabilmente molti di voi vorranno strangolarmi per
questo 'epilogo' infelice e che non è affatto ciò che molti si immaginavano, ma prometto,
che nel sequel mi farò perdonare... lentamente, ma lo farò. 
O almeno lo spero.
Ci tenevo a ringraziare coloro che hanno seguito e letto la mia storia per intero, coloro che non
si sono persi un capitolo e che mi hanno pazientemente lasciato una recensione a tutti gli aggiornamenti
facendomi sapere cosa ne pensavano. 
Un grazie particolare va quindi a
Ragdoll_Cat e Whatthebucky, ma ringrazio comunque anche coloro che 
hanno recensito di tanto in tanto o che hanno semplicemente letto la storia. 
Detto questo, vi lascio un piccolo stralcio del primo capitolo del Sequel (per il quale ancora non ho trovato un
titolo, ma ve lo comunicherò senz'altro nell'avviso).
Lasciatemi il vostro parere sulla fanfiction, ci terrei davvero tanto a sapere cosa ne pensate ora che (sigh) è finita.
A presto,
Bell :)




"
Occhio di Falco poteva avvertire la puzza di glicine e di bruciato impregnata sui suoi abiti tanto vividamente quanto riusciva a distinguere ogni singolo granello di polvere che gli si era appiccicato addosso.
Spostandosi di tetto in tetto, poteva chiaramente identificare ogni individuo presente nella battaglia, ma nessuno di loro gli sembrava adatto al nome della donna che aveva il compito di far fuori.
“Cerchi qualcuno in particolare?” domandò una voce che lo colse alle spalle, tanto gelida quanto conosciuta
."
Dal Sequel.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** AVVISO SEQUEL ***


AVVISO SEQUEL




Salve a tutti!
Ci tenevo ad avvisarvi che ho iniziato a pubblicare il sequel.
Lo trovate qui, a questo link: 

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3007421

Il titolo è 'This Is War' e spero immensamente che vi piaccia.
Grazie a tutti coloro che lo leggeranno e recensiranno, grazie a tutti coloro che hanno
seguito, letto e recensito la mia storia e che mi hanno supportata fino ad oggi!
A presto,
Bell :)

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2593149