Modern Times Rock 'N' Roll

di PeNnImaN_Mercury92
(/viewuser.php?uid=462837)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Qualcosa che ti può cambiare la vita ***
Capitolo 2: *** London sweet London ***
Capitolo 3: *** First Day ***
Capitolo 4: *** Amiche e cuscini ***
Capitolo 5: *** Sotto pressione ***
Capitolo 6: *** Colpi di...rullante ***
Capitolo 7: *** Il lavoro ***
Capitolo 8: *** La migliore band al mondo ***
Capitolo 9: *** Topi di biblioteca e fusi di testa ***
Capitolo 10: *** Qualche spiegazione in più ***
Capitolo 11: *** Cena inaspettata ***
Capitolo 12: *** Il mondo delle Meraviglie ***
Capitolo 13: *** Consolazione ***
Capitolo 14: *** La doppia sfida ***
Capitolo 15: *** C'è una giustificazione a tutto ***
Capitolo 16: *** Tutto destinato a succedere ***
Capitolo 17: *** Paradiso di neve ***
Capitolo 18: *** Non sarò mai arrabbiato con te ***
Capitolo 19: *** Sei il mio migliore amico ***
Capitolo 20: *** Ecco perché mi chiamano Mrs Fahrenheit ***
Capitolo 21: *** Solo un bicchiere di champagne ***
Capitolo 22: *** Allarme rosso ***
Capitolo 23: *** E tutto ciò che vuoi è scomparire ***
Capitolo 24: *** Dammi tutto il tuo amore stanotte ***
Capitolo 25: *** Quando ascolto quel rock n roll ***
Capitolo 26: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Qualcosa che ti può cambiare la vita ***


Chiusi gli occhi, perdendo di vista il colore aranciato del cielo pomeridiano e mi concentrai sui rumori accanto a me. 
Il rumore delle onde che si adagiavano sulla costa croata, il chiacchiericcio di madre a proposito dei problemi sulla borsa inglese, il suono che producevano le pagine del libro che leggeva mio fratello John.
Ma quello che più mi attraeva era il primo.
In Irlanda ascoltare quell' incantevole rumore è rarissimo. Le coste irlandesi sono rocciose e le onde si disperdono sempre tra le rocce.
La Croazia è senz'altro uno dei posti marittimi migliori del mondo.
Ero talmente dispersa ad ascoltare il rumore del mare, che nel giro di qualche minuto probabilmente mi sarei addormentata lì, su quella spiaggia, stesa sulla sabbia su un telo in spugna rosa. 
Eh sì, ero proprio sul punto di addormentarmi, visto che avevo già perso coscienza di quello che succedeva attorno a me: tutti i rumori diminuivano, finché quel cretino di John non mi scosse. —Rose, devo farti una domanda. 
Aprii gli occhi, che subito incontrarono quelli di mio fratello.
—Sì che mi disturbi, stavo per addormentarmi.—risposi con voce amara, probabilmente perché era da molto che non aprivo bocca per parlare, e mi scappò anche uno sbadiglio.
Io e John siamo gemelli, ma non avevamo nulla in comune, a parte il colore dei capelli e degli occhi, ma se qualcuno avesse avuto l' opportunità di giudicarci per carattere, ci avrebbe catalogato come il sole e la luna. Io ero un tipo estroverso, ma non maleducato, John invece era il classico ragazzo buono ma timido.
Alzai il busto mettendomi in posizione eretta e cercai di dare una sistemata ai miei capelli castani.
—Scusa. Da quando dormi in spiaggia?—rispose, posando il libro dalla copertina marrone che aveva in mano affianco a lui, facendo attenzione a non farci entrare dentro alcun granulo di sabbia.

—Lascia perdere. Dimmi, che c'è?

Andiamo a fare una passeggiata?—io lo guardai a bocca aperta,facendolo sorridere.
—E tu mi disturbi per fare una domanda del genere?—lui rise, e io presi il suo libro e cominciai a malmenarlo scherzosamente.
Ridevamo a crepapelle, ma la lotta finì quando le sue mani non afferrarono il libro che avevo ancora in mano e mi bloccò i polsi.—Ah, non ti permettere. Pretendo ancora una risposta, sorellina.—io mi asciugai le lacrime che avevo sotto agli occhi, quelle che mi avevano provocato le risate.
—E va bene. Mamma?—quest'ultima, che aveva assistito a tutta la scena, annuì.
—Non andate troppo lontano, tra un po' torniamo in albergo.—Io e John annuimmo, ci alzammo e io mi legai un piccolo pareo giallo attorno alla vita prima di avviarci.
Cominciammo a camminare lungo mare, a braccetto. Le onde che arrivavano a riva ci bagnavano i piedi fino alla caviglia.
Per un po' mio fratello non disse niente, suo tipico, poi finalmente avviò la conversazione:—Che cosa ti mancherà della Croazia?

Avrei voluto rispondere tutto, ma John non andava pazzo per le vacanze e non volevo farlo arrabbiare.

Avevano trascorso due settimane nella città di Zara, un paesino di mare croato con mamma "per affrontare meglio il nuovo anno", come amava dire lei.
Proprio domani saremmo ripartiti per cominciare una nuova vita a Londra, allontanandoci da Dublino, in Irlanda, città in cui avevamo vissuto fino ad allora.
In realtà io e John siamo nati a Londra, solo che a causa della morte di nostro padre, quando avevamo solo quattro anni, ci trasferimmo nella città di origine di mamma e aveva conosciuto Sid, un uomo abbastanza ricco, poco tempo dopo l'arrivo e si sposarono tre anni dopo.
La cosa positiva della partenza è che finalmente saremmo andati a vivere noi due da soli, in un appartamento al pian terreno a Knightsbridge . 
—Beh, il mare sarà la cosa di cui sentirò di più la mancanza, e poi il cibo che cucinano qui è divino. Qualcosa che sicuramente non vedrò l'ora di sbarazzarmi è il letto.— risposi. Avevamo passato due settimane in un albergo abbastanza eccellente, in una suite con due camere, una per i miei e una per noi due, ma l'unico difetto era il letto, che si sarebbe potuto scambiare tranquillamente con un tavolo di legno. Avevamo così deciso di unire i due minuscoli e scomodi lettini in un unico letto, ma ciò non tollerava la scomodità.
—O mio Dio, non sai cosa darei per dormire finalmente in un letto comodo.—potevo profondamente capirlo.
—Fortunatamente questa è l'ultima notte. E a te, invece? Cosa ti mancherà?—rimase qualche secondo a pensarci. 
—Mm, credo la tranquillità. escludendo il letto, è stata una vacanza abbastanza piacevole.—rimasi completamente spiazzata dalle sue parole. E io che mi ero sforzata di essere stata il meno entusiasta possibile.
—Chi sei tu? Che ne hai fatto di John Deacon? Adesso non non dirmi che ami le vacanze?—niente risposta, solo una risata.
—Tu dici che ci troveremo bene a Londra?— chiese, e io sbuffai per la millesima volta alla solita domanda che amava tanto pormi in quei giorni.
—Non so quante altre volte mi hai fatto questa domanda, John. Certo che ci troveremo bene. Insomma...—smettei di camminare e bloccai anche lui, mettendomi proprio di fronte ad egli.—Veniamo da Dublino, non dalla campagna. Se sei riuscito a sopravvivere lì perché no anche a Londra?—lui abbassò la testa, ma io gliela rialzai, prendendogli il mento. Mi guardò profondamente negli occhi, in cui si poteva vedere solo agitazione .—Hai ragione. Dobbiamo solo essere noi stessi.—sorrisi . 
Riprendemmo a camminare.—Ma non ti mancheranno le tue amiche?—mi chiese.
—Chi? Anastacia e Sarah? Cercheremo di tenerci in contatto. Tu, invece? Albert come farà senza di te?—Albert era l'unico ragazzo con cui aveva legato nella vecchia scuola nel corso di elettronica, la facoltà di John. Io invece mi ero data alla biologia.
—Idem. —rispose lui.—Ah, mi manca tanto il mio bambino.—Capii subito che si riferiva al suo basso. John era meravigliosamente portato per la musica: sapeva suonare il basso in maniera eccellente  e non se la cavava male neanche con la chitarra, suo primo strumento, e col piano, specie quello elettrico. In pratica se avessi provato a chiedergli di suonare uno strumento elettronico lui te lo avrebbe suonato per tutta la notte. Era proprio la musica è l'unico metodo che aveva per distruggere quel guscio nel quale era chiuso, l'unico difetto che aveva era che non sapeva cantare, era stonato più di una campana. Io invece ero abbastanza discreta nel suonare la batteria e non cantavo come Aretha Franklin, ma me la cavavo.—E tu non sai come mi mancano i miei bambini. Speriamo che con il trasloco non mi abbiano rovinato niente.

John rise.—Ti immagini un Tom Tom forato?—io lanciai un grido di terrore .


Finalmente arrivammo da mamma e Sid, intenti ancora a parlare.
—Ma guardatevi, sembrate due fidanzatini.—esclamò la mamma, vedendoci ritornare.
—Per la cronaca, un giorno un gruppo di ragazzi ci scambiò veramente per una coppia.—dissi, sistemandomi nuovamente a terra, sul mio telo.
—E poi che è successo?—la mamma insisteva, intanto John si era fatto rosso.
—Niente. Cercavo di spiegare a quei tonti la verità, ma loro insistevano e non credevano alle mie parole. Alla fine ho dato un calcio ad uno di questi.
Mia mamma rimase sbalordita e John rise.—Oh, santo cielo. Sei sempre la solita cafona.—commentò lei.
—Mi sono solo difesa.—risposi, lei sospirò.
Rimanemmo in spiaggia ancora un po'. Dopo una mezzoretta, salutammo definitivamente la spiaggia di Zara e andammo in albergo.
John entrò in bagno per primo per fare una doccia.
Dopo una decina di minuti era già tutto bello pulito.
Uscì dal bagno in canottiera e mutande.—Cosa devo mettermi per stasera?—chiese a mia mamma, intenta ad esaminare alcuni completi di mio padre. Quella sera dovevano andare ad una cena con un ex collega di mio padre che abitava lì.
—Per me potresti uscire tranquillamente così. Sei così sexy!—scherzai io, stesa sul mio scomodo letto.
—Oh, una cosa che tu assolutamente non potrai fare tu, mia cara.—ribatté lui.

—Volete finirla voi due?—disse mamma.—John, questo è l'unico che sono riuscita a trovarti.—porse a mio fratello una giacca nera e un pantalone dello stesso colore di Sid.
—Una camicia almeno ce l'hai,no?—gli chiese mamma. John annuì e andò a rovistare nell'armadio di mogano che in quelle settimane avevamo condiviso io e lui. Tirò fuori una semplice camicia bianca e cominciò a infilarsi tutto.
Io andai in bagno per lavarmi, ma ci misi il doppio del tempo che ci aveva impiegato John.
Dopo venti buoni minuti uscii con un asciugamano che mi copriva fino a qualche centimetro sotto le ginocchia. 
Non appena aprii la porta, non potei non notare l'eleganza che vestiva John.

—Hai capito, il ragazzo!—esclamai.

lui alzò lo sguardo dal solito libro e indicò un vestito giallo posato sulla sedia del piccolo scrittoio che avevamo in stanza.—Devo mettere questo?—chiesi.

Lui annuì.—Sì, e mamma ti presta un paio di sue scarpe.
—Ma lei ha solo scarpe con i tacchi!—mi lamentai, al solo pensiero di dover indossare quegli orribili trampoli. 

Mio fratello rise sotto i baffi.—Tu non capisci perché sei uomo.—lo rimproverai.

  —Guarda come hanno conciato me—si indicò i vestiti.

   —Almeno la cravatta non ti soffocherà. Io invece avrò dolori lancinanti in ogni parte del corpo.

Presi della biancheria pulita e il vestito e me ne tornai in bagno. 
L' abito mi arrivava alle ginocchia ed era scomodissimo. Tentai in tutti i modi di renderlo un po' più comodo, ma fallii ogni tentativo.
Uscii dal bagno e vidi mia madre con un paio di scarpe dello stesso colore del vestito.—Sei incantevole, tesoro! Appena usciamo infilati queste.—e mi porse le scarpe.—E i capelli come te li sistemi?— poi chiese.
—Oh, beh. Li lego!—lei fece una smorfia.
—Non se ne parla neanche. Te li tieni sciolti.—disse. 

Io sbuffai.—Ci sono trentacinque gradi solo di notte—protestai.

—Ti do un frontino nero e risolvi.—non potei fare a meno di notare che in camera mancava una figura.
—Dov'è Sid?—chiesi.
—E' andato giù al bar a prendere una bottiglia d'acqua.—disse e sparì nella stanza affianco la nostra.
Mi stesi a peso morto sul letto, a fianco a John, immerso nella lettura, che rimbalzò insieme a me a causa dei miei modi bruschi.—Ehi, ho perso il segno!
Mi misi nella sua posizione e sbirciai nel libro.
—Di che cosa parla?—gli chiesi. Lui alzò lo sguardo, tenendo un dito fermo sul punto che stava leggendo. 
—Si chiama "la chiave del piacere", di William Van Kenn. Racconta la storia di un violinista molto bravo, Ebenezer, che è anche un uomo burbero e antipatico. Nella prima parte del libro si parla di come risponde il mondo ai suoi comportamenti asociali. Dopo un po' incontra una ragazza di nome Alina, che suona il flauto nell'unico posto in cui Ebenezer si sente bene, nell'orchestra della città e se ne innamora perdutamente. Un giorno però...—lo interruppi.
—No! Eh eh. Non mi dire come continua, sono disposta a leggerlo.—John mi guardò sbalordito. 
—Ma come? Tu odi leggere.—sì, era una delle cose che più odiavo al mondo, ma quel libro era speciale, me lo sentivo, e se c'è qualcosa che mi affascina faccio tutto il possibile.
—Non preoccuparti. Posso cominciare ora?—lui annuì, piegò l'angolino di una pagina, e mi diede il libro. 
Aprii la prima pagina: 

L'amore non è altro che una porta precedente il piacere.
Piacere non è solo il modo di entrare in una trappola, ma è semplicemente una tappa che porta a innamorarsi di una persona.
Ci sono mille storie d'amore, quelle divertenti, quelle insensate, quelle brevi, quelle passionali, ma quelle che preferisco sono quelle bizzarre, quelle che non ti aspetteresti mai, e io ho una da raccontare.

Io e John continuammo a leggere, lui mi si era messo accanto e dava uno sguardo al libro.
Il narratore è una persona che ha conosciuto il protagonista, Ebenezer Liderij, ma non rivela la sua identità.
Ebenezer era uno di quei soliti tipi solitari, sempre incazzati col mondo, senza uno scopo nel vivere.
Si sentì la porta della suite aprirsi. Era Sid.
Entrò nella nostra stanza e ci vide leggere.—Ma come siete eleganti!—noi due alzammo lo sguardo.
—E smettetela di farci i complimenti, lo sappiamo che siamo bellissimi.— dissi.
Tutti si misero a ridere, ma in fondo era la verità.

Due ore dopo, alle nove di sera, ci trovavamo tutti in un noto e raffinato ristorante del posto, con il collega di Sid, Marcus -che si era trasferito in Croazia per lavoro, ma parlava ancora inglese- e sua moglie Kelly, con i loro due figli Tobias di quattordici anni e Suzanne di undici.
Essendo un ristorante di solo pesce, io ordinai solo una frittura di calamari e John un piatto di spaghetti ai frutti di mare.
Rimanemmo per un po' zitti, visto che mamma e papà erano intenti a parlare con i due coniugi.
Cercai di fare qualche chiacchierata con i due figli, che parlavano discretamente la nostra lingua.—Come funziona qui la scuola?—chiesi a Tobias.
—Credo che in Irlanda è uguale. Voi siete di Irlanda, vero?—disse con un accento della sua lingua madre. Io annuii.
—Sì, ma ci dobbiamo trasferire a Londra. Giusto, John?—detti una gomitata a quest'ultimo, che era alla mia destra.
—Sì. —mormorò.—E tu? Qual è la tua materia preferita?—chiese a Tobias, che mi guardò come per dire "Ma cosa c'entra questa domanda?"
—Beh, mi piace molto la matematica. E tu?
—Elettronica.—risposi io per lui.—E' specializzato in elettronica, all'università funziona così. Io invece biologia. Tua sorella parla inglese?—indicai Susanne, intenta a giocherellare con un pezzo di pane.
—Solo un poco.—disse e mormorò qualcosa in una lingua a me sconosciuta alla sorella. 
Lei annuì e disse:—Siete mai stati qui?—quella conversazione si trasformò in un mix di domande non correlate tra di loro, probabilmente perché tutti e quattro non avevamo niente da dire, al contrario dei nostri genitori.
—Intendi in Croazia? No, mai. È molto bella, però. Siete fortunati ad abitare qui. —loro sorrisero.
Finalmente arrivarono i nostri piatti.
Cominciai a mangiare la frittura, che era a dir poco squisita.
Non ero amante della frittura, anche perché da noi non è il massimo della cucina irlandese, ma quella era qualcosa di assolutamente eccezionale.
In poco tempo arrivai a metà piatto.
Guardai in quello di John, che aveva già finito tutti gli spaghetti, ma non riusciva a sgusciare i gamberi.
Ebbi l'impulso di aiutarlo.—Dai a me, faccio io.—presi tutti i gamberi dal suo piatto e li misi nel mio, e cominciai ad uno ad uno a sgusciarli.
—Grazie.—mormorò John, mentre rimettevo i gamberi ormai sgusciati nel piatto.
—Come sono carini, Sid. Si aiutano a vicenda, i miei figli non lo farebbero nemmeno sotto tortura.—disse Marcus, che aveva assistito alla scena dei gamberi.
—Ah, ma all'età che avevano i tuoi non facevano altro che litigare.—odiavo quei momenti in cui ero messa in imbarazzo, e credo che anche John sia stato della mia opinione.
Fortunatamente, mia madre mise a tacere l'argomento "Come far diventare rossi i miei figli". —Questo ristorante è magnifico.—e subito si iniziò a parlare dei piatti che non avevamo preso.

La serata giunse al termine, salutammo Marcus e sua moglie e anche i suoi figli.
Ce ne tornammo tutti verso l'albergo, ma mi venne una brillante idea, visto che non avevo per niente sonno.—Mamma, posso andare a prendere un gelato? Voglio respirare fino all'ultimo l'aria Zarese.—lei scosse il capo.
—Non se ne parla. Se ti accompagna John, forse...—a quelle parole mi inginocchiai letteralmente ai piedi di mio fratello.
—Ti supplico, non toccherò mai più il tuo basso!—lui fece un sorriso malizioso, perché sapeva che ogni tanto andavo a strimpellare il suo strumento.
—Se la metti così...—giocherellai con i suoi lunghi capelli leggermente mossi.
—Siii! Torniamo tra una mezz'ora.—dissi a mamma e Sid, che annuirono scocciati.

Camminammo per un po' al porto della città, dove si concentrava la gente turistica.
Demmo un'occhiata alle bancarelle, ma in realtà ero io a tirare John come un fidanzatino.
Dopo un po' mi scocciai anche io, e decidemmo di prendere veramente un gelato.—Vado a prenderlo io. Tu a che gusto lo vuoi?—gli chiesi, indicando il gelataio.
—Vaniglia.—mi accompagnò fino alla cassa.
—Due alla vaniglia, per favore.—dissi, pregando tutti i santi del mondo che quell' uomo sapesse parlare inglese. Fortunatamente mi capì, anche perché indicai il gusto e feci due con le dita.
Pagai e diedi un cono a John. Dopo, camminammo ancora per un po'.
Poteva essere il gelato o il cambio di clima nell'orario notturno, ma sentii un bel po' di freddo, a tal punto da rabbrividire e John se ne accorse.—Hai freddo?—io annuii, gettando il rimasto del cono in un cestino.
Mi mise un braccio attorno alla schiena per riscaldarmi.—Va meglio?
—Diciamo. Domani continuo a leggere in aereo.—tagliai corto, cercando di distrarmi.
—Ti piace così tanto quel libro?—annuii.—Io non riesco a leggere nei veicoli. Mi viene da rimettere. Comincio a sentire freddo anche io.
—Saluta Zara, torniamo.—lui mi prese alla lettera.
—Ciao, Zara. Grazie per i bei momenti che mi hai fatto passare in queste due settimane. Domani andrò all'inferno.— sospirai nuovamente e gli diedi un buffetto sulla spalla.
—Che palle che sei! Dai, andiamo.—cominciai a correre verso l'albergo, tirandolo.
—Tra un po' rimetto tutti i gamberi!—disse, cercando di starmi al passo.

Arrivammo in camera e, a turni, ci cambiammo.
Indossai dei pantaloncini neri e una canotta bianca e mi stesi sul letto senza lenzuola. 
Dopo qualche minuto mi raggiunse anche John.
—Ah, dobbiamo solo superare questa notte e saremo liberi da questo scomodo letto.—mormorai, visto che gli altri erano già intenti a dormire.
—Te lo ripeto, è l'unico motivo per cui voglio andare a Londra.—disse, cercando di sistemarmi al meglio sulla sua parte del letto.
—Mi spieghi qual è la tua preoccupazione? Perché non dovremmo entrare nella società? Londra è una città multietnica, forse siamo pure più cittadini dei londinesi stessi.
—Sarà. —disse.—Comunque domani ci aspetta una stancante giornata. Sai quanti scatoloni ci tocca svuotare?
—Sì. Non vedo l'ora di sistemare la batteria!—gli scappò una lieve risata.
—Vieni qui.—si strinse a me e mi accoccolai accanto a lui, tra le sue braccia.—Buonanotte, zuccherino!—disse poi.
—Buonanotte, dolcetto!—ridemmo nuovamente e sentimmo uno "Shh" provenire dalla stanza accanto.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** London sweet London ***


Dormivo beatamente, quando una voce a dir poco squillante mi svegliò.—Sveglia, piccioncini! Oggi è il grande giorno. Sono le cinque e mezza, rischiamo di perdere il volo.—disse mia madre.
Perdere il volo? Ma se saremmo dovuti partire alle nove? Sì, era un po' lungo il viaggio da Zara all'aeroporto.
Io mi trovavo ancora tra le braccia di John, che la sua prima azione del giorno fu quella di tirarmi un bel calcio sul ginocchio.
—Ahio!—urlai, facendolo sobbalzare all'in piedi.
—Oh, scusa! Ti ho fatto male?—disse lui, strizzando le palpebre. Io mi tastai il ginocchio dolorante, quello destro, gemendo.
—Bel risveglio, Johnny. Davvero.—lui fece un sorriso beffardo.
—Prenditela con mamma.— lanciò un'occhiata a quest'ultima, che sistemava tutto nelle valigie, con pura strafottenza.
Io mi alzai malavoglia dal letto, presi i vestiti che avevo preparato il giorno prima, ovvero una maglietta nera con fantasie a fiori, e un jeans semplice a sigaretta, e andai in bagno per prepararmi.
Non ci credevo. Stavo finalmente andando a Londra!
Avevamo visitato Londra qualche volta, ma da sempre avevo desiderato viverci.
Non mi importava lasciare quelle poche amiche che avevo, la scuola-senza contare che a Londra è sicuramente migliore- e le mie abitudini; sapevo che sarebbe accaduto qualcosa, me lo sentivo.
Uscii dal bagno per farci entrare John, ancora intento a sonnecchiare nel letto.
Mi buttai sopra di lui per svegliarlo.
—Sveglia! Hai già dormito abbastanza!—gli gridai nell'orecchio.
—Ma tu i fatti tuoi non li fai mai?—gli mostrai un sorriso misto tra malizia e divertimento.
—Mai, caro. Muovi il culo e vai in bagno.—lui obbedì.
Io vagavo per la nostra stanza in cerca di qualcosa che avevamo dimenticato.
Come al solito, il mio essere sciatta mi fece trovare sotto al letto qualche indumento quali calzini e un reggiseno.
John, che era il solito bigotto, non aveva lasciato traccia di lui.
Sbirciai nell'altra camera: mamma e Sid stavano ancora sistemando alcune cose in valigia, cosa che avevamo fatto noi la mattina prima.
Sid mi vide.—Ciao, Rosalie. Vieni, entra!—obbedii ed entrai.
—Buongiorno. Dormito bene?—chiesi io.
—Sì. Pronta per il viaggio?Sid non era proprio perfetto per fare il padre, ma almeno è abbastanza ricco e da quando mamma andò a vivere con lui, non ci fece mancare niente.
—Prontissima! Non vedo l'ora di visitare Londra! E di rivedere i miei figlioli.—entrambi risero, capendo che mi riferivo alla batteria.
—Tieni a quella insulsa batteria più della tua vita.—commentò mamma. Di risposta le lanciai un'occhiataccia.
—Insulsa? Tu non hai capito nulla della mia vita!Ricordai quando ricevetti la batteria per il mio diciassettesimo compleanno.
All'inizio non era completa, c'era solo un charleston, un rullante, una grancassa, un piatto e due tom.
Poi, con i diversi risparmi che avevo tenuto da parte, cominciai ad ampliarla.
—Sarà.—Sid rideva sotto i baffi.—E tuo fratello?
—Si sta prepar...—in quel momento entrò John, vestito con una camicia a fiori rosa e un pantalone bianco.
—Ciao, Sid!—disse lui, dopo uno sbadiglio.
—Ciao, John. Sei pronto?—rispose Sid.
John si strinse nelle spalle e ritornò nella nostra stanza.
Sid sospirò.—Quel ragazzo davvero non lo capisco.—disse, piegando una camicia. Guardai a terra.
—Vedrai che cambierà idea.—lo consolai io.
—Lo spero.—risposero all'unisono Sid e mamma.
Raggiunsi John intento a risistemare la sua personale valigia.
Guardai "La Chiave del Piacere" sul tavolino e lo presi, sventolandolo.—E questo?—John si girò verso di me.
—Uh, dammelo.—si alzò e si avvicinò a me.
—No, lo metto in borsa. Ti ho detto che intendo leggerlo durante il volo, no?—risposi, di rimando.
—Va bene, ma se non ti bastano i sacchetti che trovi di fronte il tuo sedile, non venirli a chiedere a me.—scherzò lui.
—Oh, non credo che mi serviranno.—gli diedi un pizzicotto sull'avambraccio.
—Ehi!
—Così siamo pari. Non dimenticarti che mi duole ancora il ginocchio!

Arrivammo in aeroporto alle sette e ci imbarcammo alle nove meno un quarto, poco prima dell'orario previsto.
Io mi sedetti al centro, con mamma alla mia sinistra, attaccata al finestrino, e John alla mia destra.
Dopo un po', l'aereo finalmente decollò.
Dopo qualche minuto dalla partenza, decisi di chiacchierare un po' con John.
—Allora? Pronto per rivestire i panni di Elvis?—mi girai dalla sua parte.
A lui, come me, piaceva molto Stevie Wonder, si può capire quindi che ha un' educazione musicale che va sul soul.
Io amavo alla follia Billie Holiday, anche se il mio genere era il Rock, non tanto il jazz, e infatti mi piaceva molto Elvis e i Beatles.
—Oh, non vedo l'ora! Speriamo che questo cazzo di trasloco non mi abbia rotto neanche un vinile, o mando in rovina la ditta!—cercò di parlare il più piano possibile, ma io comunque lo zittii.—Stavo scherzando, eh?
—No guarda, non l'avevo capito.—risposi di rimando.
—Non mando in rovina la ditta, la incendio!—non trattenni una piccola risata, ma zittii nuovamente John, dopo aver notato che mamma sonnecchiava beatamente.
—Da quanto ho capito, la ditta ha già lasciato tutti gli scatoloni in casa.—Sid era andato avanti e indietro da Dublino a Londra per l'acquisto della casa e si era preoccupato anche dei mobili.
—Speriamo solo che Sid non mi abbia comprato un letto di un metro.—mi sussurrò nell'orecchio.
—E speriamo che a me non abbia verniciato le pareti di rosa.—continuammo a chiacchierare dei disastri che avrebbe potuto fare Sid, ridendo entrambi, a tal punto che sentii un leggero mal di stomaco.—Oddio, Johnny! Basta, ti prego!—lo supplicai, massaggiandomi la pancia.
—Va bene! Quanto tempo manca ancora?—chiese lui.
—Ma se siamo partiti solo un quarto d'ora fa!—alzai un tantino la voce, perché mia mamma aprì un occhio e lo e lo richiuse.
—Sarà. Io mi riposo un po'.—annunciò John.
—Va bene. Io credo che leggerò un po'.—lui mi si accucciò accanto, poggiando la testa sulla mia spalla.
—Cerca di non vomitarmi addosso, però.—disse, prima di darmi un pizzicotto sulla guancia.
Cominciai a leggere "La Chiave del Piacere".
Il libro adottava un linguaggio abbastanza complesso, un inglese abbastanza classico, ma il ritmo era incalzante.

Ebenezer sapeva suonare "Aria sulla IV corda" di Bach.
A quei tempi, pensavo che, tra tutta l'orchestra, egli era il violinista più eccellente.
La sua espressione in viso mentre si dava da fare sul gracile strumento era serena.
Non sembrava la persona che quando uscivi con lui, avresti finito con il litigare perché avresti difeso il barista che non aveva avuto intenzione di aggiungere un dito in più di vino nel suo calice.
Ma quando suonava, ahimè, era Dio in persona.
Le sue rughe in viso causate dal suo carattere avido, si rilassavano, quasi scomparivano.

Alle dieci di mattina, fuso orario inglese, eravamo finalmente arrivati all'aeroporto di Heathrow.
Pensare che inizialmente dovevamo arrivare al Geatwick, che è un po' fuori Londra, ma fortunatamente Sid aveva fatto di tutto per cambiare volo.
Chiamammo un taxi che ci avrebbe portato nel nostro nuovo appartamento situato a Knightsbridge, famoso quartiere di Londra.
Appena il taxi si fermò sul lato sinistro della strada, Sid ci indicò il palazzo bianco dove saremmo andati ad abitare.
Scendemmo dalla macchina e ritirammo i bagagli.
Ci avviammo al portone di ingresso.
Nell'edificio non ci abitavamo solo noi, ovviamente.
Una volta aperta il portone, Sid ci condusse di fronte ad un'altra porta situata alla destra della prima.
La aprì con le chiavi e io mi ci precipitai direttamente dentro.
Di fronte a me c'era un corridoio stretto e lungo dove al lato sinistro vi erano due porte, mentre al lato destro ce ne erano tre, inoltre alla fine del corridoio ve ne era un'altra.
Cacciai un sospiro di entusiasmo. —Wow!
—Entrate in cucina, prima porta a sinistra.—disse Sid. John cercò di avanzare per vedere, ma io lo spinsi indietro per arrivare subito alla stanza.
La cucina era abbastanza ampia.
C'era un angolo cottura in legno, un piccolo e modesto tavolo del medesimo colore e una vetrina ovviamente vuota.
Alla sinistra della porta di ingresso c'era una finestra, mentre dalla parte opposta vi era una porta.—Lì c'è il salotto, ragazzi.—disse Sid.
Quella volta fu John a precedermi.
Entrammo nella porta comunicante con la cucina.
Il salotto era leggermente più grande della stanza precedente.
C'era un divano bianco, una libreria e alla destra del divano un mobiletto.
—Ma è fantastica!—si lasciò scappare John.
—Aspetta a vedere la tua camera.—annunciò Sid.
La camera di John era quella di fronte la porta principale del salotto.
John la aprì, tutto eccitato. Decisi di dargli un' occhiata anche io.
Non c'era nessun letto da un metro, altroché. Un bel lettone da una piazza e mezzo, con tanto di copriletto blu era incastrato perfettamente in un angolo della camera. C'era poi una scrivania di legno bianco lunga circa un metro e mezzo e una piccola libreria del colore della scrivania.
Un armadio di legno abbastanza grande era situato vicino al letto, e tra di loro c'era un piccolo comodino.
—È davvero fantastica, Sid. Grazie!—esclamò John. —E ora andiamo a vedere la camera della principessa!—John mi prese per mano e mi condusse alla mia camera, come se lui conoscesse il resto della casa da sempre.
Era raro vedere così felice John, come quella volta.
Mi fece entrare nella mia stanza, che era affianco la sua.
Come grandezza era simile.
Il letto, sempre da una piazza e mezzo, era avvolto da un copriletto rosso.
La scrivania era uguale, mentre la libreria era sostituita da una specchiera e un paio di mensolette sopra lo scrittoio.
L'armadio, invece di essere di legno marrone, era bianco, come il comodino.
La mia bocca formò una o.—Porca miseria!—esclamai io.
—E ora tutti nel seminterrato!—disse Sid
Probabilmente il seminterrato sarebbe stato il luogo dove avremmo passato più tempo, visto che avremmo suonato lì.
La porta che portava al seminterrato era quella vicino la camera di John.
Scendemmo le scale strette e ci trovammo in uno stanzino che era grande quanto entrambe le nostre camere insieme.
Non vi erano finestre, al contrario di tutte le altre camere.
Trovammo tutti gli scatoloni.—Forza, John. Mettiamoci all'opera!—annunciai.
Fortunatamente, notai che sugli scatoloni erano etichettati per nome, per cui io e John non avremmo avuto problemi a separarli.
—Bene, credo che noi possiamo andare. Ah, non abbiamo visto il bagno.—disse mamma.
—Non preoccuparti, andiamo a vederlo dopo. Voi potete andare.— la tranquillizzai, mentre ero intenta ad accumulare i miei scatoloni.
—Okay, ci vediamo più tardi. Vi porterò la macchina.—disse Sid. Io e John lo guardammo preoccupati.
—La macchina?—rispondemmo all'unisono io e John.
Sid rise.—Il mio speciale regalo!
Noi due gridammo entrambi dalla gioia.
Avevamo fortunatamente la patente. — Dopo la vedrete!
—Va bene, noi andiamo. Ciao, tesorini.— disse mamma e lasciò un bacio a noi due e ritornò su, insieme a Sid.
— Non sai quanto sono contenta, Rose!—disse John, avvicinandosi a me.
—Visto? Non è poi così male. Coraggio, aiutami a portare i miei scatoloni.—lui annuì, prendemmo uno scatolone a testa e cominciammo a salirli.
Dopo qualche viaggio avanti e indietro dalle scale alle camere, cominciammo a sistemare il contenuto degli scatoli e gli indumenti nella valigia.
Misi i vestiti in un armadio, sistemai i miei profumi sulla specchiera e collocai quei pochi libri che avevo sulle mensole.
Sistemai anche alcune padelle e piatti -da cucina, ovviamente- che ci aveva regalato mamma, e qualche foto che mi ero trovata in uno scatolone. Misi anche a posto la radio e il mangiadischi che avevamo io e John.
Alle due di pomeriggio finalmente terminammo.
Diedi una sbirciata al bagno.
Era abbastanza grande, con le mattonelle blu.
Scesi di nuovo nel seminterrato per sistemare i vari pezzi della batteria.
Controllai per prima cosa se fossero tutti intatti, e fortunatamente erano sani.
La sistemai in fondo allo stanzone e cominciai a fare un piccolo assolo, testando tutti gli elementi.
Il suono attirò John, che scese per raggiungermi.—Ah, vedo che ti sei messa già all'opera. Che ne dici di fare una pausa? Ho visto un ristorante italiano mentre venivamo qui.—disse, esaminando un piatto della batteria.
Mi alzai dallo sgabello e mi avvicinai a lui.—Va bene, andiamo.
Uscimmo e andammo nel ristorante che aveva notato John.
Era un ristorante abbastanza grande e molto affollato.
Ordinai un semplice piatto di spaghetti al pomodoro, mentre John si era dato da fare: spaghetti al pomodoro, bistecca e insalata e per completare una fetta di torta al cioccolato.—Alla faccia! Dovresti farti tutta Londra per smaltire tutto quello che hai ordinato.—lui mi guardò come per dire "Stai scherzando?", ma io ignorai il suo sguardo, alzando gli occhi al cielo.
Consumammo il nostro pranzo parlando del più e del meno.
Pagammo il conto dividendocelo in base alle nostre portate, ovviamente John ne ebbe la parte più salata.
Appena uscimmo, bloccai il polso di John.—Aspetta, facciamoci tutta la strada, così la memorizziamo.—proposi.
—Ok, d'altronde devo smaltire anche il dolce.
—Solo quello?—misi le braccia conserte e inarcai un sopracciglio.
—No, principessa, non fare quella faccia.—sbuffai mentre cominciammo a camminare per la lunga strade in cui abitavamo.
—E tu non chiamarmi "principessa", non mi si addice.
—Hai ragione, per te è meglio "Strega", ti si addice di pi...—gli diedi una gomitata prima che potesse continuare.—Chissà quale macchina ci avrà preso Sid.
—Oh, che importa. Abbiamo una macchina, John, cazzo!—risposi, alzando un po' la voce.
—Anche se il college non è lontano, ma il bello è che possiamo spostarci in tutta tranquillità.
La nostra scuola era il prestigioso "Imperial College", un istituto dove potevamo seguire i nostri corsi di tecnologia e medicina, senza contare che avevamo la fortuna di non alloggiare per forza in un dormitorio, bensì in una casa tutta nostra.—Senza usare la metropolitana.—aggiunsi.
Poco dopo raggiungemmo la fine della strada e ritornammo.
Riuscimmo a ricordare l'edificio.
Fuori il portone che portava all'interno del palazzo, c'era una Chevrolet Camaro rossa e mamma e Sid.
Ci avvicinammo a loro.—Ma dove eravate? Vi stavamo aspettando da mezz'ora.—non tardò a protestare mamma.
—Stavamo esplorando la strada.—rispose John.
—Va bene, non preoccupatevi. A chi devo dare le chiavi?—intervenne Sid.
—Quali chiavi?—rispondemmo all'unisono io e John. Sid si avvicinò alla Camaro.
—Che domande, la chiave di questo gioiellino.—morivo dalla voglia di buttarmi a terra, ma non lo feci.
Mi sembrava qualcosa di assolutamente surreale.
—Vuoi dire che questa Camaro è nostra?—John ebbe la conferma quando Sid gli lanciò le chiavi.
—Andate a fare un giro. Magari andate a qualche supermercato.—noi salimmo immediatamente nella splendida auto che odorava di nuovo.
Salutammo mamma e Sid e John fece partire il veicolo.
—Che cazzo! Ancora non me ne rendo conto!—dissi, guardando fuori dal finestrino aperto tutti i palazzi che circondavano la strada.
—Ho quasi il timore di guidare!—rispose. Effettivamente si notava il tremolio che aveva sul volante.
—Facciamo una passeggiata, che ne dici?
Facemmo un breve ma affascinante giro turistico per la città.
Attraversammo la parte sud-occidentale della città, quindi tutto l'isolato di Knisghtbridge, un giro per Kensington, vedemmo Leicester,  un pezzo di Piccadilly, poiché era molto affollata e saremmo rimasti lì fino a sera.
Poi ci spostammo più a est: passammo davanti il Buckingham Palace, a Green Park e ritornammo verso Knisghtbridge passando davanti l'Imperial.
Era un istituto davvero molto grande, ovviamente era vuoto, visto che mancava una settimana all'inizio dell'anno scolastico.—Beh, non è male.—commentai, continuando a guardare fuori dal finestrino.
—Spero vada tutto bene.—John si sporse di più sul mio lato.
—John, ci sono io. E poi tu sei un ragazzo così simpatico, chi non vorrebbe essere tuo amico, chissà, finisce che forse ti troverai una band dove potrai suonare il basso.—distolsi lo sguardo dalla scuola per guardare lui.
—Magari.
—Io entro, voglio vedere l'entrata.—scesi dalla macchina.
—Io non vengo.—sporse la testa.
—Ok, nessuno te lo obbliga.
Cominciai ad avventurarmi verso l'ingresso. Si poteva intravedere qualche insegnante e studente.
Mentre diedi uno sguardo alla bacheca della segreteria, un ragazzo alto, dai capelli ricci che correva dietro un gruppo di ragazzi mi si scontrò bruscamente, facendo cadere un mucchio di fogli che aveva in mano.—Oh mio Dio, scusa. Ti ho fatto per caso male?-- Si inginocchiò per raccogliere i fogli e io lo aiutai.
—No, non preoccuparti. Scusa tu, ero io che dovevo stare attenta.—gli porsi i foglietti che avevo raccolto.
—Grazie! Ma scherzi? Sono io quello che doveva stare attento. Scusa ancora, ma alcuni miei amici mi hanno fregato un quaderno importante e li stavo inseguendo.—non mi feci sfuggire una risatina.—Sì, lo so che può sembrare buffo, ma sono dei tonti. Comunque, io sono Brian May, corso di astrofisica.—mi porse la mano destra, che strinsi.
—Rosalie Deacon.—diede un'occhiata dietro di me.
—Beh, se ne sono andati. Tu sei nuova, per caso?—annuii.—Bene, che ne dici se ti faccio visitare un po' tutto?
—Oh, sì. Molto volentieri. Dobbiamo fare presto, non ho molto tempo.—gli spiegai.
—Non preoccuparti, facciamo subito.
Mentre mi mostrava i vari luoghi dell'istituto, gli raccontai che io avevo vissuto gran parte della mia vita a Dublino, ma che mi ero appena trasferita a Londra, che avrei frequentato il corso di medicina e che non avevo bisogno di un dormitorio.—Oh, beata te. Io invece alloggio in un dormitorio con altri due miei amici. Sai, suoniamo con una band, anche se uno di loro è un ex componente. Comunque anche io non sono di Londra, ma di Twickenham.
—Oh, non la conosco, è bella?—si strinse nelle spalle.
—Molto meglio Londra.
Continuammo il nostro giro, continuando a parlare. Non gli raccontai che avevo un fratello e che mia madre si era risposata.
Tornammo all'ingresso.—Beh, abbiamo concluso il viaggio. Spero le sia piaciuto, signorina Deacon.—io sorrisi.
—Oh, tanto, Signor May.
Un ragazzo dai capelli biondi che richiamavano all'arancione si avvicinò a Brian.—Bri, ecco dov'eri, ma che fine hai fatto?—guardò me e fece un sorriso sardonico.
—Roger! Dopo tutto quello che siete stati capaci di combinarmi sentivate anche la mia mancanza? Vengo subito, saluto un attimo questa mia... Ehm, amica?—io annuii. Ci conoscevamo da solo un quarto d'ora, ma chissà, forse ci saremmo potuti sentire anche in futuro.
—Ci vediamo, Brian.—mi congedai da lui e dal biondo chiamato Roger che continuava a guardarmi e ritornai dove avevo lasciato John.
—Eccoti, finalmente. Ma che fine hai fatto?—mi chiese, mentre rientravo nella Camaro.
—Mi sono fatta un giro. Dentro l'edificio è davvero bello.—non rispose, ma ripartì.

A qualche strada più distante da Knightsbidge c'era un supermercato, così andammo lì.
Riempimmo ben sei buste di plastica, fortunatamente avevamo la macchina.
Tornammo poi a casa e sistemammo tutto ciò che avevamo comprato.
—Finito!—John mise apposto il sale nella credenza e si piastró i suoi lunghi capelli con le dita.
—Andiamo a suonare qualcosa?—chiusi finalmente il mobiletto adiacente i fornelli.
—Subito. Chi arriva per primo!—cominciò a correre verso le scale e subito dopo lo feci anche io.
Le scale non mi permettevano di superarlo.—Aha. Hai perso, principessa!—gli misi le mani al collo fingendolo di strozzare.
—Brutto stronzo!—lo mollai e mi andai a sedere sullo sgabello della batteria.—Dunque, che facciamo?
—"I'm sorry"dei Platters?—io annuii.
Finalmente prese il suo basso.
Cominciammo a suonarla, in una versione molto più rock.
Trovavo quella canzone favolosa.
Amavo il momento finale della giornata, quando ci mettevamo a suonare.
Mettere le mani sulla mia cara batteria era qualcosa di assolutamente piacevole: mi faceva dimenticare tutti i problemi.
Nella vecchia casa eravamo costretti a suonare in camera di John e non potevamo finire dopo le otto di sera.
Ma ora che avevamo il seminterrato non avremmo dato fastidio a nessuno.
John non sapeva cantare, mentre per me non era la cosa che facevo meglio ma me la cavavo, così ogni volta che suonavamo qualcosa la canticchiavamo, anche perché c'erano alcune volte, come quella, che suonavamo senza accompagnamento musicale, vale a dire suonare con il disco in sottofondo.
Finimmo di suonare il pezzo.—Ora tocca a me decidere. Dunque... Ah, ce l'ho! "Love me tender!" di Elvis non me la toglie nessuno!—come avevo già previsto, lui sospirò.
—Sai che ora sono costretto a suonare la chitarra.
Suonare quella canzone con solo il basso e la batteria sarebbe stato qualcosa di assolutamente patetico.
—Dai, non metterti a piagnucolare e suona quella fottuta chitarra.—gli urlai. Fortunatamente avevamo anche una chitarra.
Se è per questo, è stato il primo strumento con cui ci siamo esercitati.
Dopo altre tre canzoni dei Platters, una rivisitazione di Aretha Franklin, altre due canzoni di Elvis e due dei Beatles si fecero le otto e mezza di sera.
Appena terminammo "Another Girl" dei Beatles, mi alzai dallo sgabellino e iniziai a salire le scale.
—Dove vai?—mi chiese John con una voce affogata in uno sbadiglio.
—Vado a farmi un panino.—dissi.
—Io non ho per niente fame.—cominciò a salire le scale anche lui.
—Dopo che ti sei strafogato tutta quella roba, mi sembra ovvio!
—Vado a mettere su un po' di musica.—una volta arrivati su, io mi diressi verso la cucina, mentre lui andò in salotto.
Mentre mettevo del prosciutto in due fette di pane, sentii la voce di Aretha Franklin cantare "Respect".
Avvolsi il panino in un tovagliolo e raggiunsi John in cucina, seduto sul divano.
Cominciai a masticare la cena senza che nessuno dei due spiaccicasse parola.
Il disco di John finì e io intanto avevo finito di mangiare.—Posso mettere Billie Holiday?—decisi di mettere "Lady in Satin", uno dei miei dischi preferiti dell'artista.
Ascoltammo solo il primo lato.—Beh, primo giorno andato. Come lo voteresti in una scala da uno a dieci?— gli chiesi.
—Mh, un bell'otto non glielo leva nessuno.—disse.
—Alla grande, proprio! E io che gli volevo dare un dieci. Puoi modificare il tuo voto?
Sospirò.—Dai, in fondo oggi non abbiamo fatto granché. Può darsi che domani recuperiamo. Ora, se non ti dispiace, vado a dormire nel mio nuovo letto. Tu rimani ancora sveglia?—annuii.
—Sì, ma tra un po' vado anche io a dormire.—dissi.
—Va bene. Buonanotte, Rose.—mi diede un bacio sulla guancia e si alzò dal divano.
—Buonanotte, John.
Rimasi sul divano ancora altri cinque minuti, poi andai in bagno per cambiarmi.
I servizi igienici erano davvero comodi,cosa mi sarei dovuta aspettare se no?
Appena mi fui cambiata, diedi una sbirciata alla camera chiusa di John.
Dormiva beatamente, girato dal lato opposto alla porta.
La finestra era semiaperta e le lenzuola non lo coprivano.
Guardai il soffitto è chiusi la porta per andare nella mia camera.
Lasciai sia le finestre sia la porta aperta, ma mi coprii con il lenzuolo.
C'era una piccola lampada sul comodino che avevo portato dalla vecchia casa.
L'accesi e mi misi a leggere un po' "La Chiave del Piacere".
Continuai a leggere per un quarto d'ora, dopodiché, sfinita, spensi la luce e mi rimboccai le lenzuola fino alle spalle.
Riflettei su tutto quello che era successo in giornata: la partenza, la casa nuova, la macchina, la visita a Londra, Brian.
John nel giro di qualche giorno sicuramente avrebbe cambiato idea.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** First Day ***


Una settimana dopo, John ed io affrontammo il nostro primo giorno d'università. 
Quella mattina, come al solito da quando c'eravamo trasferiti a Londra, fu John a svegliarmi. 
Bussò alla porta chiusa della stanza e vi entrò:—Sveglia, dormigliona! Oggi si comincia!—presi il cuscino sotto la mia testa e glielo lanciai, mancandolo.
—Ah, sì?—me lo ritirò, facendo centro sulla mia faccia. 
Mi alzai e aprii l'armadio.—Vai a prepararti.—dissi, prendendo una t-shirt a lunghe maniche bianca e un pantalone nero. 
—Ma non lo vedi che sono già vestito?—disse, mentre venivo nella sua direzione per andare in bagno. 
—Beh, prepara la colazione, renditi utile! 
—Già fatto!—sentii dalla porta chiusa del bagno. 
Mentre mi vestivo stavo letteralmente morendo d'ansia. Poteva non sembrare, anche perché di solito sono tranquilla, ma già da piccola il primo giorno di scuola ero sempre in agitazione. 
E se non fossi piaciuta? Se sarei stata una frana nello studio? 
Tutto dipendeva da me. 
Uscii dal bagno pronta e andai in cucina, dove vidi seduto John intento a versare del tè in due tazzine.—Ho fatto il tè perché ho pensato che con un solo goccio di caffè saresti morta di infarto.—disse, vedendomi arrivare e sedere al tavolo. 
—No, tu hai fatto il tè perché è la tua bevanda preferita, di' la verità!—lo minacciai con un coltello che stavo usando per spalmare la Nutella su una fetta di pane. 
—Ringrazia che non sia la Vodka. Di' tu la verità, sei emozionata?—sospirai. 
—E allora? Chi non è emozionato il primo giorno in una nuova università?—gli risposi, sorseggiando il tè, che mi si rovesciò un po' sui pantaloni a furia di tremare.—Cazzo!—John mi diede un fazzolettino che tamponai sulla gamba. 
—Rilassati, andrà tutto bene.—sgranai gli occhi. 
—Ma se eri tu quello che continuava ad assillarmi con frasi tipo "non ce la faremo mai" o "siamo spacciati!"—John continuò a sorseggiare dalla tazza diffidente. 
—Ora sta' zitta o fai rovesciare anche a me il tè.—fu la sua risposta. 
Continuammo la colazione e poi ci mettemmo in macchina, anche se era praticamente inutile, ma quel giorno c'era un bel po' di traffico. 
Più ci avvicinavamo alla tappa e più non riuscivo a controllare la mia ansia, talmente che mi tremavano le mani in un modo terribile. 
John mi sembrava abbastanza tranquillo, e questa cosa mi preoccupava molto. 
Cinque minuti dopo arrivammo finalmente a destinazione. 
Indicai a John un luogo dove parcheggiare la macchina, ricordandomi di quella specie di tour che avevo fatto con quel ragazzo di nome Brian. 
A proposito, mi chiedevo in continuazione se lo avrei rivisto. 
John parcheggiò ed entrambi scendemmo dall'autovettura.
—Allora, tu devi andare in quell'edificio bianco, lo vedi?—gli indicai con il dito dove sarebbe dovuto andare. 
—Ok, ricevuto. Tu sai dove andare?—annuii. 
—Sì, non preoccuparti per me. Ci vediamo all'uscita.—ed entrambi andammo per la nostra strada. 
Io dovevo andare in un posto non molto lontano da dove avevamo parcheggiato. In base a ciò che ci avevano detto, la mia aula era la C5 del terzo piano del mio edificio. 
Mi avviai a passo svelto, ma sentivo che prima o poi sarei svenuta. 
Nonostante tutto, arrivai all'aula e vidi che un ragazzo prima di me stava entrando, almeno non avevo fatto ritardo. 
Tanti ragazzi si sedevano al loro posto. Cercai un posto vuoto, finché non ne vidi uno qualche gradino più alto vicino a una ragazza mora dai capelli lunghi e mossi. 
Mi avvicinai vicino a lei, che intenta a scrivere qualcosa sul suo quaderno.—Scusa. È occupato qui?—le chiesi. Lei alzò immediatamente la testa e mi sorrise. 
—No, non preoccupati. Prego, siediti.—feci come aveva detto.—Ciao, mi chiamo Veronica Tetzlaf, tu sei...?—disse, porgendomi la mano. 
—Rosalie Deacon, ma tu puoi chiamarmi Rose, non sopporto Rosalie. Sono nuova, mi sono trasferita qui a Londra da poco.—dissi io. 
—Invece io trovo il tuo nome molto bello. Comunque puoi rimanere qui quanto vuoi.
Mi considerai molto fortunata: mi ero seduta vicino ad una persona gentile e socievole. 
Le lezioni cominciarono. Ovviamente mi dovei presentare a tutti i santissimi professori. Spiegare la pronuncia del cognome ai docenti è una delle cose più angoscianti e stressanti che esistano al mondo. 
—Signorina Deacan? 
—Deacon.—rispondevo scocciata ogni santa volta. 
A metà giornata scolastica, all'uscita di un insegnante, mi guardai un po' intorno. 
Lo stanzone era veramente enorme e gigantesco. 
Continuavo a buttare un occhio un po' dappertutto, finché non notai un ragazzo dai capelli biondi che mi fissava. 
Solo pochi secondi dopo mi resi conto che era quell'amico di Brian, quello che mi guardava nello stesso identico modo.
—Chi è quel ragazzo?—chiesi a Veronica, dandogli una leggera gomitata sul braccio. 
Lei alzò la testa e decifrò il mio sguardo.—Chi, quel biondo? Quello è Roger Taylor. Viene da Truro, Cornovaglia. Fa parte di una band molto famosa tra i vari college di Londra ed è batterista. È uno sciupa femmine di prima categoria.—anche lei notò che mi fissava: allora non era mia impressione. 
—Wow, ti ha messo su gli occhi. Ti do un consiglio, non averci niente a che fare, è abbastanza maschilista.
—mi guardò negli occhi, come stesse dicendo sul serio, e infatti diceva sul serio. 
—Ci siamo visti una volta, abbiamo un amico in comune, tutto qui.—gli spiegai. Dopo mi sembrò più tranquilla. 
Inutile dire che non vedevo l'ora che fosse finita la giornata. 
All'ultima ora uscii dall'aula insieme a Veronica.—Tu dove abiti?—le chiesi. 
Lei si mise a ridere.—Io sto in un dormitorio a Earl's Court.—mi spiegò. 
—Un po' lontanuccio, no?—dissi. 
—Com'è, ti sei trasferita da poco e già conosci Londra? 
—No, io vengo da Dublino ma ci venivo spesso qui a Londra—le spiegai, a differenza di quello che dissi a Brian, tutto. 
Della morte di mio padre, del trasferimento deciso da mia madre, del suo matrimonio con Sid e gli parlai anche di mio fratello.
—Quindi tuo fratello frequenta l'Imperial?—io annuii. 
—Corso di tecnologia.—gli spiegai. 
—Senti, io devo andare alla metropolitana. 
—Ti accompagno fino a dove ho la macchina.—lei rimase sorpresa. 
—Avete anche una macchina?!—urlò, stupita. 
—In realtà guida mio fratello, lui è senz'altro più bravo di me.
Raggiungemmo l'auto, che era a qualche decina di metri prima dell'entrata.—Sono arrivata, mi stupisco che mio fratello ancora non ci sia. Senti, ci sentiamo domani?—lei annuì. 
—Okay, io vado. Ciao!—mi diede un bacio sulla guancia e iniziò a correre verso il cancello. 
Era strano che John non fosse ancora arrivato, purtroppo le chiavi dell'auto le aveva lui, per cui non potevo nemmeno aspettare dentro. 
Mi isolai al mondo guardando a terra, quando una figura mi comparve davanti, ma non era mio fratello.
—Ciao! 
Alzai la testa e vidi Roger Taylor di fronte a me.
—Tu sei quella nuova, vero? Rosalìe?—portava un jeans quasi completamente strappato e una maglia a mezze maniche nera con una spaccatura a V. 
—Rosalie, ti aggiungi anche tu ai professori?—lo corressi io.—Tu invece sei il famoso Roger Taylor?—lui annuì. 
—Sì, molto famoso. Al tuo servizio, madame.—ci stringemmo la mano. 
Notai i suoi occhi azzurri che guardavano intensamente i miei occhi verdi. 
Perché tutte quelle attenzioni?
—Saremo compagni universitari, allora?—tagliai corto. 
—Mh, Sì.—si grattò il capo ornato dai suoi capelli biondo arancio e tornò a guardarmi.—E perché no, anche qualcosa di più.—spalancai gli occhi un po' troppo, perché gli scappò una risata. 
—Intendevo essere amici, cosa hai capito?—
Mi stava ancora stringendo la mano quando il suo sguardo cadde sulla macchina.—E' tua?—cominciò ad accarezzarne delicatamente la portiera. 
—Sì.—dissi a braccia conserte mentre continuava ad osservare l'esterno del veicolo.—Sembra che non abbia mai visto un'auto.—mi scappò una risatina. 
—Forse perché non posso ancora permetterlo.—Tornò a riguardarmi intensamente, stavolta ancora più da vicino.
—E' davvero bella. Una ragazza così carina e dolce non dovrebbe guidare un' auto del genere.—a quelle parole rimasi un po' spiazzata. 
—Qual è il problema se la guida una donna? E si dà il caso che io non sia poi così tanto dolce.—lui a quelle parole rise. 
—Cosa saresti allora? Una Bad Girl?—rise.
—Sei anche simpatica, perché non lasci la guida ad un esperto?—disse maliziosamente.
—Mi dispiace, ma non mi fido subito delle persone, specie da uno che non sta facendo altro che prendermi per il culo.—risposi sfacciatamente. 
Lui si avvicinò ancor di più a me.—Non ti stavo prendendo per il culo. E vacci piano con i termini, tesoro. E poi non sai che io sono un esperto di vetture... —si avvicinò a me come se volesse rivelarmi un segreto.—e ragazze come te.—io inarcai un sopracciglio. 
—E meno male che non hai una macchina. Credo di essere spacciata, allora. Sono una ragazza e ho un'autovettura. –dissi, in finto tono drammatico. 
—Io non userei proprio il termine "spacciata", Deacon.—rispose, strizzandomi l'occhio e allontanandosi leggermente da me. 
—Quale dovrei usare, fottuta?—risposi nuovamente decisa. 
—Oh, stai sicura che non ti deluderò, "Rosalie". Ci si vede—quindi, mi diede le spalle. 
Continuava a guardarmi, girandosi ogni tanto, e decisi di ignorarlo, anche se vederlo andarsene mi sentii decisamente più sollevata. 
Che ragazzo decisamente strano.
Uno solo era il mio obiettivo dopo quell'incontro: non avrei avuto niente a che fare con Roger Taylor, altro che amici. 
Rimasi senza far niente per altri buoni cinque minuti, finchè non vidi arrivare John.—Alla buon'ora.—gli urlai, mentre cercava le chiavi della macchina. 
—Scusa, ho avuto dei problemi, tutto bene?—mi diede un bacio sulla guancia. Almeno era di buon umore. 
—A me sì, credo non ci sia il bisogno di chiederlo a te.—dissi, mentre entravamo in macchina. 
—Oh, infatti è andata bene.—mi rispose mentre avviava il motore.—Ho una fame che non ci vedo. 
Mi misi una mano sulla testa.—E il tuo problema in questo momento è il cibo?—lui annuì. 
—Concentrarsi tanto nello studio fa venire fame. Si vede che tu non hai fatto nulla.—disse, nel bel mezzo del traffico. 
—Chi ha detto che non ho fame? Comunque credo che preparerò un paio di uova, oppure hai bisogno di altre calorie?—scherzai. 
—Wow, e io che credevo che avresti preparato un bel pollo arrosto.—mi rispose. 
—Smettila di fare il coglione. Dimmi un po', hai conosciuto qualcuno o qualcuna?—gli diedi una gomitata. 
—Beh, ho conosciuto qualcuno, mi ci sono seduto vicino, ma non è che ci abbia parlato molto. Tu, invece? 
—Io ho legato molto con la mia vicina, si chiama Veronica.—per un momento pensai a Roger, ma decisi che era meglio non raccontargli di lui.—Abita ad Earl's Court. Sai dov'è, vero?—lui annuì. 
—Sono contenta per te.—fu la sua unica sua risposta. 
Entrammo in macchina. Questa volta il tragitto fu veramente breve. 
Entrammo in casa e John andò in bagno. Io mi avviai in cucina per farci qualcosa. 
Decisi di preparare delle semplici uova sbattute e insalata. 
Il tempo di agitare le uova in padella che John ritornò. 
—Sai, sei così sexy quando sbatti le uova, sorellina.—mi prese in giro. 
Mi girai verso di lui e gli diedi la frusta che avevo in mano sul braccio. 
—Sai, a volte mi chiedo se sia realmente mio fratello. Se diciannove anni fa non ci abbiano scambiato la culla, se tu fossi il figlio di due squilibrati. Chissà, magari avrei potuto avere un fratello più intelligente.—scherzai a mia volta. 
—E se fosse il contrario?—chiese, mentre mi si avvicinava. 
—Probabilmente sarei nata da una famiglia di intellettuali.—ci guardammo e non trattenemmo una risata. 
—Tu un'intellettuale? E io chi sono? Einstein? 
—Idiota, invece di scherzare apparecchia!—gli diedi un calcio sulla gamba e prese una tovaglia dalla credenza, stendendola. 
Lo aiutai a sistemare il resto sul tavolo e poi cominciammo a mangiare. 
—Mi è venuta voglia di andare in un negozio di dischi.—mi disse John, mentre aveva la bocca piena di uova. 
—Anche a me. Purtroppo fino ad ora non ne ho visto nemmeno uno. Tu non ricordi se, quando venivamo in vacanza qui a Londra, ne abbiamo mai visto uno?—gli chiesi. Anche io avevo voglia di vedere le novità del mondo musicale. 
—Uff. Io ora non so proprio che fare.—disse, reggendosi la testa con il palmo della mano. 
—Ti metti a studiare qualcosa.—lo rimproverai come faceva nostra mamma e, non so come, capì che stavo imitando lei. Non volevo ammetterlo, ma è mio fratello. 
—A proposito, stasera viene a cena da noi.—John si infilò un altro boccone in bocca. 
—Chi?—stavo pregando tutti i santi dell'universo che non fosse lei. 
—Mamma, che domande. Stamattina ha telefonato qui mentre tu ancora sonnecchiavi beatamente.— spiegò. 
Mi misi le mani sulla faccia.—Che palle! E che cosa dovrei preparare?—lui rise, come se la cosa non angosciasse anche lui. 
—Beh, tu sei Rosalie Deacon, figlia di due intellettuali, ti verrà prima o poi l'ispirazione! 
—Bravo, sì. Intanto sparecchi tu!—dissi alzandomi e dirigendomi in camera mia. 
—Vaffanculo, Rose!—sentii dalla cucina.

Salve a todos!

Sono qui in veste di autrice per ricordare che Deaks non ha mai frequentato l'Imperial (come Roger, del resto), ma questa rimane comunque una storia di pura fantasia, no?

Detto questo, vi lascio alla lettura dei capitoli successivi!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Amiche e cuscini ***


i recai in camera mia e mi misi a studiare un po'. 
Nonostante fosse il primo giorno, ero già sommersa di cose da imparare e fu devastante: studiai per ben quattro ore. 
Dopo che ebbi finalmente finito, chiusi il mattone con cui studiavo; dopodiché, esausta, mi buttai sul letto e presi la "chiave del piacere", leggendone qualche capitolo.
Rimasi a divorarne le pagine per molto ma, ad un certo punto, stravolta dalla stanchezza, lasciai cadere il libro sulle gambe e, distrattamente, mi addormentai.

—Rosalie? Rose?—aprii gli occhi, vedendo John scuotermi il braccio.—Ben svegliata, bell'addormentata!
—Non chiamarmi così, non c'è stato nessun principe azzurro a svegliarmi.—ironizzai io, alzandomi dal cuscino.
—Oh, andiamo. In fondo non sarei così male come principe.—scoppiai a ridere, rifilandogli qualche offesa.—Smettila, ochetta.
—Ochetta io?—gli tirai un cuscino.
—Ti sei perfino dimenticata della cena, stupida!—fu allora che fu come fossi caduta in un burrone.
—Cazzo!—mi alzai e andai in cucina, seguita da John.
Aprii la credenza.—Dunque, abbiamo la pasta, quindi credo che un bel piatto di spaghetti non ce lo toglie nessuno. Poi avevo pensato al pollo, abbiamo ancora quello di ieri, dici che è buono?
—Beh, in fondo non l'abbiamo proprio aperto, quindi credo sia commestibile. Ti aiuto?
—Tu che dici?—gli risposi.
Così io mi occupai del pollo e del sugo di pomodoro, mentre lui cucinava gli spaghetti e, mentre l'acqua bolliva, apparecchiava.
Nel momento in cui scolammo la pasta, bussarono alla porta.
Andammo ad aprire io e John insieme.—Ciao!—rispondemmo in coro a mamma e a Sid.
—Ragazzi!—mamma si buttò letteralmente addosso John, e nel contempo Sid si degnò di darmi un bacio sulla fronte, mentre ridevamo.
Purtroppo dopo fu il mio turno: mia madre assalì anche me.—Rose! Com'è andato il primo giorno d'università?
—Eccetto il fatto che non sia stato il primissimo, abbastanza bene. Ora entrate.—li facemmo accomodare in cucina.
—Avete preparato da mangiare? Volevamo portarvi ad un ristorante.—guardai John, che mortificato cercava di scusarsi con lo sguardo, ma io lo stavo letteralmente fulminando.
Avevamo trascorso l'ultima mezz'ora a preparare qualcosa in fretta e furia praticamente per niente.
Cercai di non pensarci, e io e John facemmo sedere gli ospiti.
La cena andò più che bene. Raccontammo ai due tutto sulla prima giornata di scuola.
Se ne andarono verso le nove e mezza passate, così, dopo aver sparecchiato, ce ne andammo a dormire.

La mattina dopo ritornammo in facoltà.
Mi sedei nuovamente vicino Veronica, entusiasta del mio ritorno.
La giornata fu estenuante ma allo stesso tempo interessante e la mia sete di imparare fece sì che io rimanessi attenta per tutta la durata delle lezioni.
Quella mattina Roger era più preso a seguire ciò che dicevano i docenti che fissarmi, e questo ovviamente mi fece molto piacere.
Terminate le lezioni, mentre ci avviavamo all'uscita, Veronica mi fermò:—Senti, Rose. Ti va di pranzare insieme? Magari ci andiamo anche a fare un giro nei negozi.
Pensai che fosse una magnifica idea, inoltre credevo che John mi avrebbe lasciata sicuramente andare.—Okay, aspettami fuori il cancello, vado ad avvisare mio fratello.
Così mi avviai dove avevamo lasciato la macchina e fortunatamente John era già arrivato, così non avrei dovuto far aspettare molto Veronica.
—Ciao, John. –lo salutai.
—Ciao, Rose. Andiamo?—disse, aprendomi cordialmente lo sportello.
—Johnny, una mia amica mi ha invitata a pranzare insieme, ti dispiace tornare a casa da solo?—gli dissi.
—No, non preoccuparti, a che ora ci vediamo?—fortunatamente non aveva nulla in contrario alla mia uscita.
—Mh, credo di tornare a casa per le cinque. Ci vediamo più tardi.
—Okay, sorellina.—e tornai da Veronica.

Pranzammo in un ristorante italiano poco distante dal college.
Ordinammo entrambe due pizze.—Allora, come ti trovi qui a Londra?—mi chiese, avviando la conversazione.
—Oh, la amo! Sì, l'ho già visitata tante volte, ma non avrei mai creduto che abitarci sarebbe stato così favoloso.—le risposi.
—Mi fa piacere. Che peccato che non abbiamo invitato tuo fratello. Poverino, l'hai completamente abbandonato!
—Non credo che si sarebbe divertito molto inseguendo due ragazze per i negozi, non trovi?
Scoppiammo entrambe a ridere—In effetti è vero. Comunque, un giorno me lo dovrai presentare. Sai, tu sei davvero una persona simpatica, figuriamoci tuo fratello.—intanto era arrivata l'ordinazione, servitaci da una cameriera bionda e formosa, che non aveva molta voglia di lavorare.
—Le pizze?—chiese, reggendo due pizze identiche.
—A noi, grazie.—rispose cordialmente Veronica.
—Ma è scema o cosa? Siamo solo noi, di chi vuoi che siano?—le bisbigliai quando la cameriera se ne andò.
—Ci devi fare l'abitudine. Comunque, mi stavi parlando di John.
—Anche lui è molto simpatico, ma a differenza mia è molto più introverso. Diciamo che non siamo molto uguali.
—Sarà, ad ogni modo dopo andiamo a Piccadilly. Voglio portarti in un posto fantastico, ci sono tantissimi vestiti e oggetti per la casa.—non trovai un collegamento logico tra i due tipi di merce, ma capii subito che doveva essere un negozio importante.
—Non vedo l'ora. Senti, tu che sai più di me, potresti parlarmi di Roger?—le chiesi. Dovevo capire chi era questo ragazzo che si era un tantino fissato con me. L'incontro di ieri, difatti, mi aveva completamente scombussolata.
—Guarda, non vale la pena stare con lui. Come ti ho già detto, è uno sciupa femmine di prima categoria. Oggi è con una, domani con un'altra, in più credo si sia portato a letto la maggioranza delle nostre compagne di corso. Te lo consiglio vivamente di tenerti alla larga da lui. Sarà anche bello, ma ti tradirebbe in meno di cinque minuti.
—Non mi metterò con lui neanche sotto tortura, è solo che ieri al parcheggio ci siamo incontrati...—e le raccontai tutto ciò che successe il giorno precedente.
Dopo alcuni secondi di riflessione, Veronica mi rispose:—Mi sa che gli piaci, ma non credo sia un amore quello che prova per te, perciò dimenticatelo all'istante.—con quest'ultimo mi convinse.
—Hai ragione. Ora basta parlare di Roger Taylor, parlami di te. Sei fidanzata?—lei rise.
—Pff, no! Purtroppo non ho ancora trovato nessuno. E tu, invece?
—Non credo che in una settimana abbia avuto il tempo di pensare ai ragazzi.
Chiacchierammo per altri venti minuti, dopodiché andammo a pagare.
Ci dividemmo il conto, così non avremmo dovuto discutere su chi avrebbe dovuto pagare, e uscimmo dal ristorante.
—Prendiamo la metropolitana. L'autobus è superaffollato.—così scendemmo nella metropolitana.
Mi pagai il biglietto, visto che non usavo mai la metropolitana.
Nel treno il viaggio fu abbastanza lungo, anche perché dovemmo salire e scendere più volte da un treno a un altro.
Finalmente giungemmo a Piccadilly.
Lei mi fece strada e dopo cinque minuti ci trovammo di fronte ad un negozio davvero molto grande.
—Dunque, al piano terra c'è l'abbigliamento donna, al primo quello per uomo e al secondo oggetti per la casa, ma credo che questi due non ci serviranno.—mi venne in mente però qualcosa che avevo assolutamente bisogno.
—Io in realtà dovrei andare al secondo piano, devo comprare un cuscino.—Veronica spalancò gli occhi.
—Un cuscino?
—Sì. Quello che ho adesso è scomodissimo, è come dormire sulla paglia, ne avrei bisogno di uno più duro.—Sid aveva pensato a me per tutto, tranne per il cuscino.
Era John quello che amava dormire sui cuscini morbidi, io preferivo di gran lunga quelli duri.
—Ok. Che ne dici se prima diamo un'occhiata qui?—annuii.
In quel negozio c'erano davvero bei vestiti.
Scelsi un jeans nero a zampa d'elefante e un gilet sempre di jeans dello stesso colore.
Veronica scrutava tutta la merce come se la conoscesse a memoria.—Trovato niente?—le chiesi.
—Nah, tutta roba già vista. Tu? Preso qualcosa?—le mostrai i due capi che avevo tra le mani.—Carini. Vai a pagarli?
—Dovevo prendere anche il cuscino.—le ricordai.
—Dai a me i soldi, vado a pagare questi. Sopra c'è un'altra cassa.—così le diedi i vestiti.
—Sei sicura?—non volevo disturbarla.
—Ma sì, non preoccuparti. Ci vediamo dopo.
Così salii al secondo piano-anche quello immenso come quello terra-e trovai un cuscino abbastanza duro.
Lo andai a pagare e tornai giù.
Veronica era già uscita dal negozio, perché era fuori che agitava la mano.
Corsi da lei.—Credo che mio fratello mi ucciderà.—le dissi, mentre mettevo la busta di carta dei vestiti in quella del cuscino.
—Perché?
—Perché se ora viene a sapere che ho speso tutta questa roba non mi fa mangiare per una settimana.—ridemmo entrambi, ma non stavo scherzando.
Mi ricordai che una volta avevo speso talmente tanto che per punizione si tenne metà della mia spesa nel suo armadio per evitare che la mettessi.—Sì, mio fratello è pazzo. Cosa devo farci?—lei rise ancora più forte.
—Senti, vuoi che ti accompagni fino a casa?—mi chiese.
Guardai l'orologio, che segnava le cinque meno un quarto.—No, scendiamo in metropolitana insieme, poi ci dividiamo.—mi ricordai che lei abitava lontano da Chelsea.
—Va bene. Dai, andiamo.
Così scendemmo in metropolitana insieme e ci dividemmo.
—E' stato davvero un bel pomeriggio, sarebbe bello rifarlo.—commentai.
—Hai ragione. Grazie per avermi tenuto compagnia, ci vediamo domani.—mi diede un bacio sulla guancia e si dileguò.
—Ciao!

Tornai a casa alle cinque e cinque.
Bussai alla porta e mi venne ad aprire ovviamenteJohn.—Ah, eccoti qui. Entra, voglio mostrarti una cosa, anzi, parecchie cose.
Fortunatamente era allegro. Guardò a terra e vide la busta che tenevo in mano.—Abbiamo fatto acquisti, eh?—io gli sorrisi imbarazzata.
—No, avevo bisogno di un cuscino decente. Comunque, cos'è che volevi farmi vedere?
—Oh, nulla. È che anche io ho fatto acquisti, vieni in cucina.
Sul tavolo della cucina c'erano quattro dischi:"Let it Be" dei Beatles, "Let's Be Friends" di Elvis, "Signed, Sealed, and Dilevered" e"Heaven Help Us All" di Stevie Wonder.
—Oddio! Dove cazzo hai trovato un negozio di dischi?—dissi, mentre esaminavo "Let it Be".
—Mentre tornavo a casa ho visto la vetrina. Non è molto lontano. È a qualche isolato più lontano dalla scuola.—rispose John.
—Buono a sapersi. Grazie!—gli diedi un bacio sulla guancia e corsi in salotto per mettere su l'album dei Beatles che mi mancava.
Partì subito "Two of Us" e mi sedetti sul divano.
Subito mi raggiunse John, che si mise accanto a me.
—Io non so cosa ci troviate voi ragazze nei Beatles, anche ora che si sono sciolti. Sono bravi, ma...
Non gli diedi il tempo di finire che gli urlai.—Come osi? Ci sarà una ragione se la fottuta regina d'Inghilterra li abbia nominati baronetti. E poi tengo ad alcune loro vecchie canzoni in particolare perché mi ricordano la mia infanzia. 
—Beh, diciamo che se evitassero di proporre ogni giorno alla radio un nuovo singolo, sarebbe meglio.
Sbuffai.—Si può sapere che hai contro di loro? Io non dico mai niente su Stevie Wonder, per cui cerca di fare lo stesso con me e con i Fab Four.
—Va bene, provo a smetterla.—si arrese,—Comunque devo riparare l'amplificatore, credo abbia dei problemi quando attacco la chitarra.

John aveva costruito da solo un amplificatore. Regalava alla chitarra e al basso un suono e un'amplificazione diversi dai comuni amplificatori reperibili in giro, per questo era formidabile.
—Vacci ora.—gli proposi.
—Mh, bella idea. Vado nel mio covo, ci vediamo dopo e non ti addormentare.—si alzò.
—Non lo farò. A più tardi, divertiti a simulare uno scienziato pazzo!
Rimasi ad ascoltare tutto l'album- che in quel momento considerai essere uno dei migliori del quartetto-, poi andai a scaricare tutte le tensioni sul rullante e sui tom.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Sotto pressione ***


Il giorno seguente, dopo la scuola, io e John decidemmo di mangiare nel ristorante dove andammo il primo giorno di trasloco.

—E' un po' come lo sciopero dei mezzi, solo che questo è lo sciopero della cucina.—dissi sarcastica mentre salivo in auto.

—Quando hai cucinato veramente?—disse. Lo guardai storto.

—Quando hai preso una padella in mano?—ribattei.

Mentre John metteva in moto e parlava sulle mie abilità in cucina, l'occhio mi cadde sul mio specchietto retrovisore, che rifletteva Roger.

Stava guardando l'autovettura, o più che altro me, mentre parlava con un amico. Mi sorrideva maliziosamente e mi fissava come si guarda una torta al cioccolato, poi mimò un bacio con le labbra e io, bianca come una mozzarella, spostai lo sguardo davanti i miei occhi.—Hai capito?—John distolse i miei pensieri.

John non sapeva nulla di quello che era appena accaduto, e non lo avrebbe mai saputo. –Cosa?

—Niente. Ti senti bene?Sei pallida!—mi mise una mano sulla spalla.

—No, è che mi sono appena ricordata che ho molto da studiare oggi pomeriggio. Dai, non sono fatti tuoi, vogliamo andare?

—Okay.

Non avevo proprio la forza di rigirarmi per rivedere Roger, ma si sa, la curiosità talvolta uccide, così lo riguardai sempre dallo specchietto.

Roger continuava a fissarmi e mi agitò la mano quando John stava per oltrepassare il cancello dell'entrata.

Fuori pericolo. Per quel momento.

 

—Si può sapere perché ti ingozzi così tanto?—la conversazione al ristorante non era cambiatdall'ultima volta.

—Ma ti fai i cazzi tuoi una volta tanto?—mi rispose acido.

—Io credo che non si sia mai vista una rock star grassa, non credi?

—E infatti io non lo sono.—mi rispose con la bocca piena,questa volta di lasagne.

—Mai dire mai. Che tu non sappia cantare non vuol dire che non potrai mai essere una rock star. Cambiando discorso, come ti trovi qui a Londra.—non a caso chiesi la stessa domanda che mi porse Veronica il giorno prima.

—Se intendi come città, cosa desideri di più? È fantastica.

—Okay, e in facoltà? Hai legato con qualcuno? In senso di amicizia, non fraintendermi.

Lui fermò per un momento le mascelle e guardò nel piatto, poi tornò a masticare più lentamente di prima per poi riprendere il ritmo vorace.

—Ehi, hai capito?—insistetti.

—Ti va se dopo andiamo al negozio di dischi di ieri? Devi vederlo assolutamente.—tagliò corto.

Capii che non aveva voglia di parlare delle sue relazioni con i suoi compagni di università, così mi limitai a rispondere alla sua domanda con un semplice "Okay".

 

Mentre ci stavamo avviando al negozio-ovviamente seguivo John- , presa nuovamente dalla curiosità, provai a riparlare con lui.—John, perché non esci con qualcuno qualche pomeriggio, come ho fatto ieri con la mia amica?

—Devo per forza?—rispose scocciato.

.—No, è che ti farebbe bene secondo…

Lui si fermò bruscamente.—Insomma, si può sapere cosa ti importa?—mi urlò, attirando leggermente l'attenzione di chi ci passava davanti.

—Ma io non…—bofonchiai inutilmente.

—Che cazzo te ne fotte di me? I miei problemi non sono i tuoi, perché ti interessa così tanto se non esco con nessuno perché sto a tutti sul cazzo?

Spalancai gli occhi sia per quello che mi aveva detto sia per come aveva reagito, e anche lui, oltre ad essere arrabbiato, era scombussolato.

—Vai da sola al negozio. È a qualche metro più avanti, io me ne torno a casa da solo, tanto abbiamo tutti e due le chiavi.—disse e si girò dalla parte inversa.

Rimasi come una statua ad osservarlo.

Aveva avuto dei problemi di relazione e non me l'aveva detto. Non era da lui.

Capii che inseguirlo non avrebbe portato a nulla, così decisi di andare avanti verso il negozio.

Seguii le indicazioni di John e più avanti mi trovai di fronte una vetrina di un negozio di dischi di nome "Carl".

Quando entrai, mi accolse "Jailhouse Rock", un grande classico di Elvis.

Inutile descrivere il mio appagamento.

Il negozio era diviso per settori. Decisi di andare in quello di Hard Rock..

Mi comparve davanti la "H" e non potei non fermarmi davanti Jimi Hendrix.

In quegli ultimi momenti mi ero fissata con una sua canzone, "Foxey Lady", anche se era uscita nel 1967.

Riuscii a trovare il singolo. Lo tirai fuori e lo ammirai.

Non ero una gran fan di Jimi Hendrix, ma mi piaceva.

Decisi di andare a pagare, ma mentre andavo verso la cassa e osservavo tutti i dettagli della copertina del singolo, andai a sbattere contro qualcuno.

Prima che potessi chiedere scusa, alzai la testa e mi trovai nuovamente gli occhi azzurri di Taylor che mi fissavano.—Ma che bella sorpresa! Anche tu in un negozio di musica?—non riuscì a trattenere.

—Dico io, ma con tutti i negozi di dischi in città dovevi venire proprio in questo?—mi sfogai a voce alta.

—Wow, non sei contenta di avermi incontrato?

—Per niente, in realtà.—lui rise.

—Chissà. Fosse stato il fato a farci incontrare?Non credi nelle coincidenze, Deacon?

—Io credo solo di essere una povera sfigata, Taylor. Solo a me capita di incontrarti sempre?

—Cosa c'è di male nell'incontrare un amico, Rose?—avanzò lentamente verso di me.

Guardò la copertina del disco che avevo in mano.

—Almeno abbiamo buoni gusti musicali. Foxey Lady? Un gran classico. Anche tu amante dell'hard rock?

—E' un problema per te?—gli risposi acida.

—No, è solo che non mi sarei mai aspettata che la dolce Rosalie Deacon avesse avuto dei gusti così trasgressivi.

—Ah, l'aggettivo "dolce" non mi si addice proprio, caro Taylor.—"ben poco caro" avrei voluto aggiungere".

—Perché ce l'hai tanto con me? È così difficile instaurare rapporti con te o sono io?

—Tu che dici?

—Che non mi arrenderò con te, Deacon. Sei un bel tipo, in tutti i sensi, per questo mi piaci.  Beh, ti lascio andare a pagare il singolo.

—Grazie.—dissi con una smorfia.

Si avvicinò a me come il giorno del nostro primo incontro.—Ci vediamo, Rosalie.—e mi lasciò un bacio sulla fronte.

Avrei voluto tanto dargli uno schiaffo, morivo dalla voglia di farlo.

Purtroppo ero in luogo non molto solitario, e non volevo per niente attirare l'attenzione dei presenti, così mi limitai a sussurrargli:—Vaffanculo, Roger.

—Sono sotto effetto di Elvis, tesoro.—quel "tesoro" fu la goccia che gli fece far traboccare il vaso.

Gli pestai il piede, anche se si limitò ad una piccola smorfia, e andai a pagare il disco.

Uscii dal negozio e andai ad una caffetteria lì vicino.

Mi sedetti ad un tavolino all'interno e ordinai un caffè lungo e un "cookey", poi presi il libro nel quale dovevo studiare la teoria sull'evoluzione di Darwin e cominciai a studiare.

Non mi importava nulla se John si fosse preoccupato per me se non ero ancora tornata, anche se probabilmente non se ne era neanche accorto del tempo che era passato, in più avrei voluto uccidere Roger.

Cercai di svuotare la testa dai miei pensieri femministi e mi concentrai sui libri.

A volte studiare era una via di fuga per me, come la musica.

Non mi consideravo una sapientona, anzi, a volte avrei voluto davvero non aver scelto di continuare gli studi, ma consideravo che Darwin per la mia vita contava decisamente più di Roger Taylor.

 

Dopo un bel po' guardai l'orologio di mio padre che avevo al polso, argentato e abbastanza maschile per me, ma altrettanto importante.

Le sei meno venti.

Decisi di tornare a casa.

Essendo settembre, il cielo non era ancora nero, ma di un bel color aranciato.

Tirai dalla busta che avevo in mano il disco e lo riosservai. Ero veramente felice di quell'acquisto, anche se era solo un singolo.

Quando arrivai a casa aprii con le mie chiavi. Non volevo assolutamente che John fosse venuto ad aprire, né tantomeno che fosse venuto a salutarmi.

E infatti così fece. Quando aprii la porta non mi venne incontro.

Doveva essere in camera sua, perché questa era chiusa e dal seminterrato non proveniva musica.

Andai direttamente in camera mia per terminare lo studio.

 

Alle sette di sera John non era ancora uscito dalla sua stanza, così decisi di prepararmi qualcosa.

Mi feci un piatto di spaghetti in bianco e un panino col formaggio e mortadella.

Mi portai la cena in salotto su un vassoio di plastica e misi il singolo che avevo appena comprato.

Foxy

Foxy

You know you're a cute little heartbreaker

Foxy

You know you're a sweet little lovemaker

Foxy

wanna take you home

I won't do you no harm,no

 

La canzone mi ricordava in modo terribile i modi in cui Roger mi corteggiava, e mi faceva sorridere.

Non ero proprio l'archetipo dell'astuzia, ma tutti i modi che avevo usato fino ad allora con Roger mi erano sembrati degli ottimi due di picche.

Non avrei dovuto stare più in pensiero per i sudici comportamenti di Roger perché erano solo buffi.

La canzone -che fu una terribile goduria- finì e io decisi di andare a provare a suonarne con la batteria il ritmo.

Così presi il giradischi e il disco e scesi lentamente nel seminterrato, stando attenta a non cadere a causa del peso che portavo.

Una volta giù rimisi la canzone e provai a simularne il ritmo, che era al quanto semplice.

La provai più volte, con e senza la base, e devo ammettere che funzionava abbastanza bene.

Risalii sopra per prendere il singolo di "Something" dei Beatles e provai anche quello.

Era terribile suonare da sola, la batteria faceva un suono che era il doppio del disco e quindi non sentivo niente.

Dopo alcuni minuti decisi di prendermi una pausa.

Fui sorpresa quando vidi scendere John.

—Brutto suonare da sola?—mi disse dalle scale.

—Guarda un po'.—gli risposi mettendo a posto "Something".

—Hai comprato un altro disco?

Annuii.—Sì, un singolo di qualche anno fa di Jimi Hendrix, "Foxy Lady".

—Bello, l'ho sentito. Senti, scusami per prima, non so cosa cazzo mi è preso, è solo che mi sento in uno stato di così tanta solitudine.—mi avvicinai a lui e lo abbracciai e venni fortunatamente ricambiata.

—Non preoccuparti, capita.—lo rassicurai.

—Tu non centri niente, mi devi perdonare.—mi strinse ancora più forte.

Quando capitava che uno dei due era sotto pressione, un abbraccio era quello che ci voleva.

—Tranquillo, sei perdonato.—gli mormorai, mentre gli strusciavo la mano sulla schiena.—Anzi, sei perdonato solo se ora ti metti a suonare con me.

Rise, mentre sciolse l'abbraccio.—Va bene, ma si fa quello che voglio io.

Sbuffai.—Okay, cosa?

—Heaven Help Us All. Ti aiuto io.

—No, non c'è bisogno, la conosco abbastanza bene. Sono solo incerta in quanti quarti è.

—Tre. Quand'è che l'hai ascoltata? Va beh, Su, mettiamoci all'opera, signora Anita!—capii che si riferiva a "La Chiave del Piacere" e non potei che ridere.—Ah, mi fa piacere che sei già arrivata a metà libro. Ora, bando alle ciance.

Mentre suonavamo mi venne in mente di quanto era bravo John, soprattutto al basso.

Me lo sentivo che sarebbe, anzi, doveva diventareun musicista, era quella la sua carriera.

Andammo a dormire alle nove di sera, con gran compiacimento del resto dei condomini.

 

L'indomani decisi di accompagnare John per vedere dove era la sua aula.

—E' questa qui. Ci vediamo più tardi. Ciao sorellina.—entrò e io feci per ritornare indietro.

Quando ero però a metà corridoio, intravidi Roger intento a fissare qualcosa, probilmente un annuncio, su una bacheca fuori una porta dove vi era scritto "Jazz room".

Non potei capire cosa era scritto. Ma rimasi parecchio turbata tutta la mattinata. Cosa avrebbe voluto cercare Roger Taylor? Era un musicista, un batterista, cosa cercava in una sala Jazz?

 

S.A. eccomi qui! Non è passato molto tempo dall'ultima pubblicazione, non trovate?

Capitolo abbastanza breve, nulla di speciale in verità. Cosa mi combina il biondo? Per non parlare di quel matto di John.

Comunque, la jazz room era ed è una sala dell'Imperial dove alcune band provano e anche gli Smile, e successivamente i Queen, facevano alcuni concerti e suonavano.

Fuori, inoltre, vi era realmente una bacheca dove si appendevano annunci, dove Brian afflisse "Carcasi batterista in stile "Ginger Baker", "Mitch Mitchell".

Ora vi saluto. Non credete che "Brighton Rock" sia qualcosa di favoloso?

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Colpi di...rullante ***


Ero talmente turbata da quello che avevo visto, che chiesi a Veronica, al termine delle lezioni, cosa fosse la jazz room.—Oh, è una sala per musicisti dove suonano alcune band di tutti i tipi. Se posso, perché me lo hai chiesto?

Jazz room, ritrovo di band. Roger era in una bandfamosa tra i College di Londra.—Niente, è che ci sono passata davanti questa mattina.—Veronica non volle approfondire fortunatamente l'argomento.

Ebbi subito le idee più chiare, ma quello che mi turbava ancora era cosa avesse fissato Roger su quella bacheca.

Come ormai da abitudine, Veronica mi accompagnò dove avevamo la macchina.

—Oggi non ho molta fretta, c'è lo sciopero in metropolitana, perciò prendo il bus. Che ne dici se ti faccio un po' di compagnia?—mi chiese la bruna.

—Se non ti dispiace, mi faresti un enorme favore. Anzi, possiamo darti un passaggio.—le proposi.

—No, davvero. Non c'è bisogno. Non voglio nemmeno scomodare John.—rifiutò gentilmente.

—Quale disturbo? E non preoccuparti, sono sicura che a John non gli dispiacerà arrivare adEarl's Court.—la rassicurai.

Veronica sorrise timidamente.—Okay. Grazie!

Le strizzai l'occhio e tornai a guardare a terra.

Ci poggiammo entrambe sugli sportelli dell'auto e per un po' rimanemmo in silenzio.

Spostai il mio sguardo alla direzione da cui arrivava John, e mi accorsi che ero piuttosto in ritardo.

—Cosa cazzo sta facendo? Odio quando viene in ritardo, soprattutto ora che ti dobbiamo accompagnare.

Veronica ridacchiò.—Ma poverino! Starà parlando con qualcuno.

"Non sai quanto lo spero",  dissi tra me.

Altro minuto di silenzio, poi Veronica disse.—Domani io non vengo. Sai, ho appena trovato lavoro part-time, quindi, come ho stabilito, ogni venerdì e martedì devo andare a lavorare, poi devo anche recarmi lì ogni pomeriggio dalle quattro e mezza alle sette.

—Hai trovato lavoro? Che forza! Anche a me piacerebbe lavorare. Sai, vorrei essere un po' piùindipendente dalla tessera dello studente. E dove lavori?

—In un negozio di abbigliamento sempre a Earl'sCourt. Per dirla breve, almeno tu hai il desiderio di guadagnarti soldi da sola. Il proprietario mi ha detto che sono stata la prima in due mesi ad essersi presentata per ottenere il posto.—fischiai.

—Wow.

—Già. Ehi, sai che c'è ancora un posto? Perché non ti presenti? Sarebbe bello poter lavorare insieme.—sarebbe stato fantastico, a dire il vero.

—Ci penserò.—mi limitai a dire, ma in realtà non vedevo già l'ora di presentarmi in quel negozio per il posto.

Finalmente io e John non avremmo dovuto dividerci i soldi. Inoltre, più avrei guadagnato meglio sarebbe stato.

Questa cosa del lavoro mi intrigava davvero troppo.

Finalmente vidi John arrivare con un piccolofogliettino rosa in mano. Era abbastanza scombussolato in realtà, addirittura pallido.

Mi vide e cominciò a camminare più velocemente.—Ciao, Rose.

—Ciao, John. Questa è la mia amica Veronica.—quest'ultima si avvicinò a lui e i due si strinsero la mano.

Il suo solito sorriso timido spuntò sulla sua bocca, anche se avrei giurato che era ancor più schivodel solito.—Piacere, John.—mormoròdiscretamente a Veronica.

—Finalmente ti conosco! Rose mi ha parlato così tanto di te!—rispose garbata.

Intervenni io tra i due, visto che mi accorsi che John aveva cominciato a muovere la gamba destra, suo segno distinto di ansia.—John, dobbiamo dare un passaggio a Veronica a Earl'sCourt. Ce la facciamo?—nonostante l'avessi chiamato, non ricevetti alcuna risposta.—John?—gli scrollai la spalla e lui scosse la testa, distogliendo lo sguardo dalla mia amica.

—In realtà io ho da fare, non è che potresti…—lobloccai, mi servì solamente quel "Ho da fare".

—Bene, hai da fare. Non preoccuparti,allora. L'accompagno io.—lo rassicurai.

—Magari posso mangiare da te, sempre se ti va, naturalmente.—si intromise Veronica.

—Per me va benissimo. John, prendo la macchina così dopo la riaccompagno.

Lui annuì.—Perfetto. Non so a che ora verrò, per cui non aspettarmi.

Ero stracontenta, così gli dissi.—Puoi anche tornare a mezzanotte se vuoi.—lui rise e io Veronica entrammo in macchina.

 

Era da molto che non guidavo, ma più o meno le regole della strada le ricordavo.

Il viaggio fu silenzioso, anche se Veronica se avesse parlato con me non mi avrebbe distratto.

Parcheggiai qualche  metro più lontano dal palazzo e feci scendere Veronica facendo il giro del veicolo e aprendole la portiera.

—Grazie! Siamo ancora lontani?—disse, scendendo.

—Nah, giusto una decina di metri. Ho dovuto parcheggiare qui perché se no era un caos scendere di fronte casa. Un po' di camminata non ci fa male.

—Assolutamente.

Camminammo per un po' e finalmente entrammo.

Veronica rimase esitante sullo stipite della porta.—Vieni, entra!—la invitai.—Qui c'è il salotto. Io vado un secondo in bagno, faccio subito, non ce la faccio più.

Le indicai la stanza e lei entrò.—Non preoccuparti, fa pure.—rispose dopo una gracile risata.

Entrai di corsa in bagno e ne uscii un minuti dopo.

Ritornai dalla mia amica, intenta ad esaminare alcuni vinili che io e John tenevamo gelosamente ordinati su una parte della libreria.

—Eccomi.—lei si girò di scatto.

—Ma quanti dischi avete? È incredibile!—sorrisi fiera.

—Oh, su una cinquantina tra album e singoli. Puoi darci anche un'occhiata, se ti va.

Lei, oltre a sbarrare gli occhi dalla mia risposta,tirò fuori un trentatré giri di John.—Ti piaceStevie Wonder?

—Sì, ma per lo più piace a mio fratello. Io sono più per il Rock 'n' Roll, quindi Elvis e i Beatles.

—Tu e tuo fratello avete dei gusti musicali eccellenti. Anche a me piace molto StevieWonder, ma ho solo "I Was Made to Love Her". Mi piacerebbe avere altro.—disse lei, continuando a sfiorare i vinili.

—Se vuoi posso prestartene uno.—le proposi io, avvicinandomi a lei.

—Oh, no. Non sono nemmeno tuoi, non posso prenderli senza il permesso di tuo fratello.—rispose con il suo solito fare gentile.

—Carissima, i dischi di John sono anche i miei e viceversa. Prendine pure qualcuno. Io ticonsiglio…—presi "My Cherie Amour" dalla libreria e glielo mostrai.—Questo.—glielo porsi.—E poi non preoccuparti per John, gli dico io che l'hai preso tu.

Dopo la reazione che aveva avuto con lei gli avrebbe fatto addirittura piacere sapere che avevo prestato il disco a Veronica. Cominciavo proprio a domandarmi se a lui le piacesse.

Probabilmente stavo dando i numeri dato che l'aveva vista per la prima volta quella mattina, ma non l'avevo mai visto così agitato di fronte una ragazza.

Distorsi i miei pensieri.—Senti, ti va una frittata?

Avevo pensato a tutto, tranne a cosa mangiare, provai infatti un po' di imbarazzo quando le proposi delle semplici uova sbattute.—Perché no? Vuoi che ti aiuto? Dai, andiamo in cucina.

Ci mettemmo a preparare il pranzo.

Io sbattei due uova, mentre lei preparò una piccola insalata sotto mie indicazioni: lattuga e pomodori, le uniche due verdure che vi erano in frigo.

Ci sedemmo e cominciammo il nostro leggero pranzo.—Mh, devo farti vedere il resto della casa, dopo.—le dissi a bocca piena.

—Mi piacerebbe molto. Sai, domani vorrei presentarti al mio capo. Sono sicura che ti farà ottenere il posto, ovviamente se sei davvero interessata.

—Ma certo che sono interessata!—ribattei.—Lavorare con te, poi.

Mi spostai una ciocca di capelli che avevo sugli occhi.—Hai dei capelli davvero belli.—commentò lei.

—Ma se siamo entrambe castane.—ridacchiai.

—Sì, ma i tuoi sono di un bel castano lucente. I miei sono spenti.—si tastò i capelli con una mano, storcendo il naso.

—Non dire stupidaggini, sei bellissima.

—Dici davvero?—mi chiese innocentemente.

—Certo. Insomma, ti conosco appena. Posso maigià mentirti?

—Comunque la migliore tra le due sei tu.—mi diede una gomitata, visto che si trovava alla mia sinistra, e ridemmo.—A proposito. Come va con Roger?

Il mio sorriso si spense.—Ieri ci siamo incontrati in un negozio di dischi qui vicino e…Ecco…Miha dato un bacio sulla fronte.

—Che maiale!—fu il suo commento, dando un pugno sul tavolo.—Oddio, scusami. Non so cosa mi è preso!

—Il bello è che io ho risposto dandogli una pestata ai piedi!—risi sotto i baffi e anche Veronica non trattenne una risata.

—Che coraggio! Brava! È quello che si merita. Verme schifoso!

Non ero arrabbiata, al contrario, ero piuttosto divertita.—Cosa gli frulli per la testa a quel tipo non lo capirò mai.

—Cosa gli frulli a tutte quelle ragazze che gli vanno appresso, vorrai dire.

Finimmo di mangiare e insieme sparecchiammo.

—Ecco. Ora voglio farti vedere il resto della casa. Vieni, ti mostro la mia camera.

La feci entrare nella mia stanza e ne rimase estasiata.—Caspita! È il doppio della mia! Che bel letto!

Gli feci vedere anche la camera di John, a cui provò meno interesse della stanza precedente,visto che erano quasi identiche, poi toccò al posto che stavo morendo dalla voglia di mostrarle.

Scendemmo nel seminterrato.—Vieni, voglio mostrarti la punta di diamante della casa. Attenta a non cascare per le scale!

Una volta giù, rimase a bocca aperta quando si trovò davanti il mio set di batteria, la chitarra e il basso di John.—Porca vacca! Perché non mi hai mai detto che siete musicisti?

Solo in quel momento realizzai che di quello sbocco della nostra vita non ne avevo mai parlato con lei.—In realtà è John la rock star, e si fa per dire visto che ascolta un mucchio di musica soul. Io mi limito a suonare la batteria.—le spiegai.

—Io ho provato a studiare pianoforte per un paio d'anni, ma non è che ho avuto grandi risultati.

Anche io col pianoforte ero abbastanza mediocre.—Peccato che abbiamo un piano vecchissimo di nostra madre, solo che sta a casa sua.

—Perché non mi suoni qualcosa?

—Ora però è un po' complicato, perché io di solito suono insieme a John. Posso provare a farti un assolo. I signori, e soprattutto le signore, sono pregati di sedersi su quella sedia laggiù!—ironizzai.

Veronica, divertita, prese una sedia che era dalla parte opposta dello stanzone e lo avvicinò alla batteria.

Presi il metronomo e mi diedi un tempo, poi mi sedetti sullo sgabello e cominciai a ripetere il ritmo.

Dopo aver mantenuto il ritmo un minuto circa, partii con un assolo.

Cominciai con una specie di marcetta leggera sul rullante. Poi, via via che andavo, battevo un colpo qua e là sui tom alti.

A quel punto decisi di fare "scintille" percuotendo la cassa con il piede destro.

Sballai il ritmo in una maniera impressionante. Mi trovavo con il braccio destro che faceva un continuo via vai tra il charleston e il tom basso.

Quello sinistro che batteva il rullante e i tom alti, mentre i piedi erano come se si fossero staccati dal mio corpo e avessero avuto un'anima a sé.

Terminai il tutto percuotendo entrambi i piatti più volte.

Mi alzai, spensi il metronomo e venni affogata tra le braccia di Veronica.—Sei stata fantastica!

Ero al settimo cielo.—Noto con gran soddisfazione che il pubblico ha gradito.

—Oh, eccome. Dovresti mettere su una band. È difficile trovare altri componenti, però.

—Oh, non ci penso nemmeno.—mi scrollai Veronica.—Sono una dilettante. Non diventerò mai batterista per professione. È un'arte che coltivo in casa. Il portento è John. È lui che sto cercando di convincere. Sai che ore sono?

Lei guardò l'orologio.—Oddio, è tardissimo, sono le quattro! Non è che mi puoi accompagnare?

—Certo che sì! Andiamo.

Uscimmo di casa e risalimmo nuovamente in macchina.

Questa volta il viaggio fu affogato dalle chiacchiere.—Senti, Rosalie. Tu sei una batterista formidabile. Sai che se approfondisci questo studio, forse potresti diventare una musicista professionista?

—Piuttosto devo cercare un lavoro come si deve, e mi piacerebbe molto lavorare come te.

—Facciamo così, domani mattina presentati al mio capo. Cerca di essere abbastanza convincente per la proposta, sono sicura che ti assumerà.

—Mi sembra un'ottima idea.

Dopo un po' Veronica mi disse che eravamo arrivati.

Prima di uscire mi ricordò:—Allora siamo d’accordo. Trovati domani mattina qui alle otto e mezza. Ci penso io a presentarti al proprietario.Ricordi la strada?

—Si si, non preoccuparti. Ci vediamo domani, allora.—lei mi diede un bacio prima che avesse lasciare definitivamente la Camaro.

Mosse la mano da fuori e io, dopo aver ricambiato, ripartii.

Avere un lavoro? Roba da matti!

 

S.A. questa abbreviazione non mi piace, sembrano le camicie nere di Hitler.

Vabbè, non stiamo qui a parlare di cose che non ci riguardano, passiamo alla storia (la mia, per intenderci.).

Se non avete ancora capito chi è Veronica nellarealtà, beh, non ve ne voglio parlare, rovinerei solo i miei acidi piani.

Per quanto riguarda Stevie Wonder non so se è effettivamente il cantante preferito di John. Io ho visto il Greatest Flix, in cui diceva che lo era, per cui non è colpa mia, anzi, se voi sapete darmi qualche notizia in più sarei molto contenta. So solo con certezza che il soul era il suo genere preferito.

Se avete qualche altra domanda da pormi potete farle nelle recensioni.

Per oggi è tutto, spero il capitolo vi sia piaciuto. Passo la parola a Freddie:—Che storia di merda!Come fai a rovinarmi il povero Deaky in questo modo?

—Lo so, ma almeno dammi la possibilità di andare avanti! E si dà il caso che io amo John.

—Vedremo come andrà a finire. Queste storie insensate!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Il lavoro ***


Quando tornai a casa, John era ancora fuori e mi sarei realmente preoccupata se non mi avesse detto che non avrebbe saputo a che ora sarebbe tornato, così decisi di andarmene un po' a studiare in camera mia per tranquillizzarmi.

Alle sei finalmente sentii bussai il campanello.

Aprii mio fratello con un sorriso a trentadue denti.—Finalmente! Non ci speravo più del tuo ritorno.

John entrò e andò dirattamente in camera sua. Lo seguii.

—Allora? Posso sapere cosa hai fatto o tiriamo su una bella scenetta come quella di ieri?—gli dissia braccia conserte sullo stipite della porta.

Lui si avvicinò a me e mi porse il foglietto che aveva in mano stamattina.

 

Cercasi bassista polistilistico.

Orario e luogo di incontro: tre e mezza. ImperialCollege. Sala Jazz.

 

—Hai fatto un provino per una band?—spalancai gli occhi.—E come è andata?

—Beh, ecco… Mi hanno preso!—disse euforico.

—Davvero?—lui annuì.

Gli saltai in braccio.—Oddio, John! Sono così contenta!

—E pensare che ho letto per caso l'annuncio, mentre stavo tornando da te.

—E com'è la band? Di che genere?

—Beh, fanno molto rock. È fantastica! È nata da poco ma mi hanno raccontato che hanno cambiato bassista molte volte, e  gli sono piaciuto non poco.

Più parlava, più mi sembrava di essere in un mondo parallelo. Insomma, era da molto che John non faceva parte di una band. In quel momento ci fu una svolta nella sua vita, ed ero fiera di lui.

—Uhu, dobbiamo festeggiare! Stasera si mangia fuori!

—No, non ho per niente fame. Sono ancora eccitato!—replicò.—Credo che mi riposerò un po' sul letto.

—Dai, ci facciamo due chiacchiere.—avevo voglia di parlare con lui. In fondo è sempre mio fratello, anche per parlargli sulla questione "lavoro".

John si stendette sul suo letto e io mi sedetti alla scrivania.—Sai che ho quasi finito il libro?—cominciai per tirare fuori un argomento.

—Mi fa piacere, visto che non hai mai aperto un romanzo in vita tua. E ti piace?—mi chiese, guardando il soffitto.

—Molto. Senti, tu ora sei ufficialmente membro di questa band che…Posso chiederti come si chiama?

—Queen.—mi rispose.

—Che nome! Ha un non so che di sfacciato!—esclamai.

—Oltraggioso, a dire il vero, oltre che regale. Io lo amo. Comunque, taglia corto, cosa mi stavi chiedendo?

—Ora che sei in questa band, organizzerete dei concerti, immagino.—mi smossi dalla sedia.

—Sì, certo. Gli altri mi hanno anche detto che nel giro di due o tre settimane ci esibiremo in un locale di Londra, non ricordo dove e ci pagheranno un po'.—fui entusiasta di quella risposta.

—Grande. Non è bello guadagnarti un po' di soldi?—lui annuì.—Ecco, io volevo parlarti proprio di questo. Oggi Veronica mi ha detto che lei ha un lavoro come commessa in un negozio e ha coinvolto anche me. Per cui domani mattina vado ad Earl's Court per un colloquio di lavoro.

Spalancò gli occhi.—Wow. Sai non è una cattiva idea. Lavoreresti poi insieme a Veronica?—feci sì con la testa.

—Già. A proposito…—mi sedetti sul letto vicino a lui.—Che ne pensi di Veronica?

Lui mi guardò preoccupato.—In che senso?

—Come ti sembra? Insomma, come la trovi?—sorrisi sornione.

—Oh, è molto gentile e carina. Sì, molto carina.

—E fisicamente?—insistetti.

—Piuttosto bella, ora basta. Domani…

—Ti piace, vero?—tagliai corto.

—Ma che dici? È carina e dolce, ma non diciamo cazzate.

—Ho visto come la guardavi. Ammettilo che ti piace, tanto non glielo dirò mai. Anzi, forse sarai proprio tu a fare il primo passo.

Sbuffò rumorosamente e da lì capii che era come dicevo.

Risi di brutto.—O mio Dio! Vi siete visti solo una volta e già il tuo cuore batte per lei.—dissi facendo la finta poetica.

—Smettila, stai cominciando a darmi sui nervi!

—Beh, cosa c'è di male, fratellino?L'amore era uno dei sentimenti più belli dell'universo.

—Sei patetica, lo sai, vero?

—Sono solo realista. Non preoccuparti, presto ti farò sapere se il sentimento verrà ricambiato.

Si alzò di scatto, mi tirò il braccio e mi fece uscire dalla sua stanza.—Anche se lo fosse, che problema c'è?—mi disse prima di chiudermi la porta in faccia.

Una volta fuori, ancora ridacchiavo alle sue spalle.—John e Veronica vanno a sposarsi! Tanti figli avranno e io zia molto giovane diverrò!—canticchiai, mentre mi dirigevo nella mia stanza.

Purtroppo dovevo accettare la dura verità. Anche lui era entrato nel circolo vizioso dell'amore.

 

Il mattino dopo mi svegliai ancora prima del solito, alle sei.

Lo feci sia per prepararmi con più tempo a disposizione possibile, sia perché ero molto eccitata

Quella mattina fui io che andai a svegliare John.

Mi avvicinai al suo letto, scuotendogli un po' la spalla.—John, svegliati!

—Che ore sono?—mi chiese con la voce impastata per il sonno.

—Le sei. Mezzora prima della tua sveglia. Comincia ad alzarti.

Andai di corsa in bagno, mentre John mi rispose:—Sei tu quella che deve andare ad un colloquio di lavoro, io ne ho già uno.

Cercai di ignorarlo.

Feci una doccia e decisi di indossare un abbigliamento molto semplice: dei semplici jeans bianchi una maglia a lunghe maniche a strisce rosse e nere – l'autunno cominciava ad avvicinarsi – con un gilet dello stesso colore del jeans.

Andai a preparare la colazione in cucina, mentre aspettavo che John fosse uscito anche lui dal bagno.

Ci sedemmo entrambi.—Perché mi hai svegliato così presto?

—Devi accompagnarmi. So la strada ma è parecchio lontana e con il bus o la metro ci metto un occhio della testa ad arrivare.

—Okay, ma sappi che non posso venirti a prendere, ho le prove con la band.—disse, ficcandosi un biscotto in bocca.

—Mi accontento solo dell'andata, non so nemmeno come andrà, per cui va benissimo.—gli risposi.—Sai a che ora torni tu, invece?

—Alle cinque sono a casa.  

—E devi fare questo tutti i pomeriggi?

—No, sono gli altri che mi chiamano. Comunque non ti ho detto che sono soprattutto cantautori loro. Per cui devo impararmi le loro canzoni.

—Buona fortuna.—gli dissi.

Lo ammetto, ero un tantino curiosa di conoscere la band.

 

John mi accompagnò a Earl's Court, nello stesso posto dove ci eravamo lasciati io e Veronica il giorno prima.

E infatti dopo neanche cinque minuti arrivò da me di corsa.

—Ehilà!—mi salutò.—Pronta?

—Sto morendo, sai.

—Oh, avanti. Sono sicura che andrà tutto bene. Sei una ragazza così premurosa e affidabile.

—Beh, dove si trova il negozio?

—Qui intorno. Andiamo!

Poco tempo dopo giungemmo di fronte un negozio, "Counter dresses".

—Che nome strano!—commentai.

—Vieni, entriamo. Sono sicura che ti piacerà.

Così facemmo. Entammo in un negozio che era veramente una bomboniera.

Innumerevoli vestiti e capi di tutti i colori balzavano ai miei occhi.

Veronica mi portò poi in una stanza che sbucava vicino al bancone della cassa, probabilmente il magazzino.

Dentro vi era un uomo basso e corpulento e un po' calvo.

—Buongiorno, Mike. Questa è la mia amica Rosalie Deacon, ti ho parlato di lei già ieri.—mi stupì il fatto che Veronica avesse dato del tu.

L'uomo mi pose la mano.—Piacere signorinaDeacon. Le dispiace se le do del tu?

Tutti i miei dubbi furono assolti.—No, affatto.

—Bene, io sono il signor Spitzer, chiamami tranquillamente Mike. Vieni, andiamo nel mio ufficio. Veronica, tu comincia a sistemare gli arrivi di stamattina. Sono quegli scatoloni laggiù.—indicò alla mia amica degli enormi scatoli e mi scortò in un'altra porta.

Un piccolo ufficio con una modesta scrivania in mogano apparve ai miei occhi.—Siediti.—miinvitò lui e io così feci.—Dunque, io appena ti ho incontrato ho capito subito che sei una ragazza efficiente e che saresti una gran lavoratrice e quindi sono pronto ad assumerti ora. C'è un problema, però. Ho bisogno di sapere un po' chi sei. Sono sicuro che, come Veronica, tu abbia un motivo sul perché sei interessata a lavorare, no?—disse con tono gentile.

In poco tempo, nel mio cervello, formulai una risposta:—Io, al contrario di Veronica, non vivo in un dormitorio ma con mio fratello in un modesto appartamento accanto al College. In casa, ovviamente, sono io quella che mi occupo dei lavori domestici, quindi so piegare abbastanza bene i capi e tutto il resto. Perché ho il desiderio di lavorare è semplice, vorrei essere dipendente dalla tessera dello studente, e poi perché mio fratello ha già un lavoro, quindi sarebbe bello se l'avessi anche io. Non fraintendermi, però. Io non ho mai lavorato in vita mia, ma mi piacerebbe tanto.

Lui mi sorrise.—Okay, sei assunta. Hai per caso un curriculum o un documento?—frugai nella borsa e gli porsi il mio curriculum.—Per quanto riguardano gli orari sono gli stessi di Veronica. Ti ricordo che la domenica è giorno libero per voidue.—annuii. In testa avevo i fuochi d'artificio.—Bene, è tutto. Ci vediamo domani pomeriggio. Se vuoi ora puoi andare da Veronica per farti vedere quello che devi fare.

Gli porsi la mano.—Va bene. A domani allora!

Andai da Veronica, la quale aveva già finito di mettere a posto i nuovi arrivi, che mi illustrò un po' il lavoro che dovevamo svolgere.

Dopodiché tornai a casa facendomi una bella passeggiata a piedi.

Non ero così felice da quando ebbi il set di batteria, mettere le due cose a confronto, poi.

 

SPAZIO AUTRICE: Oh, così va meglio. Salve a tutti. Quanto tempo è passato non ricordo, comunque eccomi qui.

Capitolo un po' corto, ma perché sto già lavorando al prossimo e sono sicuro che sarà uno dei migliori.

Meglio non dire niente, allora.

A presto, darlings.                               (Non copiarmi la battuta! –Freddie)

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** La migliore band al mondo ***


Passò una settimana da quel colloquio.
Il lavoro andava alla grande, e la scuola altrettanto.
Io e Veronica avevamo instaurato un gran rapporto amichevole, quasi fraterno, e io ne ero soddisfattissima.
Avevo terminato "La chiave del piacere".
Non racconterò esattamente tutto, dico solo che terminò con questa bellissima frase:
La salvezza ci  viene data dagli amici, se poi questi sono le persone amate, allora saremo le persone più felici della Terra.
Per quanto riguarda John, ogni giorno mi faceva ascoltare canzoni fantastici della sua band. In una sola settimana, infatti, sapeva – e sapevo –a memoria tutto il repertorio dei Queen.
Così, la domenica che seguì, decise di portarmi a vedere e conoscere la band.
—Non vedo l'ora di poterti sentire suonare. Ma dov'è che dobbiamo andare?—gli chiesi mentre uscimmo di casa.
—All'Imperial. Io sto morendo dalla voglia di farti sentire quel che so fare.
Ci mettemmo in macchina, io, lui e il suo basso, e ci avviammo, entrambi eccitati, verso il college.
Quel giorno ci mettemmo qualche minuto in più ad arrivare, e questo non mi aiutò a calmarmi.
Cercai di non pensarci e, per distrarre sia me che John, cercai di fare un po' di conversazione:—Sai che ho finito il libro?
—Davvero? Bello il finale, non è vero? L'ho letto due volte il libro intero.—disse e mi citò poi la frase.
—Già. In effetti è proprio vero.—annuì.
—Sai che ho detto agli altri che sei una brava batterista?
Gemetti.—Perché l'hai detto? Lo sai che io suono la batteria solo a livello amatoriale. Tu e Veronica mi state assillando!
—Beh, cosa dobbiamo fare se sei un portento vero e proprio?
—Ti supplico, non tirar fuori questo argomento!—congiunsi le mani, cosa che gli fece un po' ridacchiare.
—Okay, non preoccuparti.
Dopo un po' arrivammo al college.
Finalmente avrei visto mio fratello all'opera, l'avrei visto valorizzato col suo fedele basso.
—Dove provate?—gli chiesi, mentre scendemmo dall'auto.
—Nella sala Jazz. In quella dove ho fatto il provino. Non sai che combattimento hanno fatto gli altri per averla stamattina. Di solito oggi tutti vogliono provare lì. È allo stesso piano di dove mi trovo io, vieni.
Mi fece strada verso l'edificio che già conoscevo.
Appena arrivammo al piano della saletta, scrutai una figura abbastanza familiare.—Ehi, Rog!
Prima che potessi dire o pensare qualcosa su come evitarlo, John strillò il suo nome.
Il biondo si girò di scatto.—John, sei arrivato finalmente!—salutò mio fratello, ma poi si accorse di me.
Non potette aggiungere altro, che mio fratello intervenne.—Roger, ti presento mia sorella Rosalie. Rose, lui è Roger, il batterista.
Avanzai malavoglia verso il ragazzo che aveva già cominciato a guardarmi con il suo solito modo malizioso.
—Rosalie, qual buon vento! Quindi tu sei la sorella di John. Beh, in fondo avete lo stesso cognome, avrei dovuto immaginarlo.—me lo trovai esattamente di fronte, con la sua chioma bionda e gli occhi azzurri cielo che scrutavano i miei e che avrebbero voluto volentieri entrarci dentro.
—Zitto, Taylor! Non cominciare a sparare cazzate.—lasciai a bocca aperta sia Roger, mio obiettivo, sia John.
—Rose, calmati. Ma vi conoscete già?
Roger aveva già cominciato a prendere aria, ma io lo precedetti.—Sì, purtroppo. È il mio compagno di corso.—risposi, continuando a guardare adirata il biondo.
—Perché purtroppo? Non è bello che tuo fratello sappia che in realtà siamo grandi amici?
—Amici, hai detto?—John mi mise una mano sulla spalla.
—Basta, Rose. Piuttosto perché non entriamo?—Roger accennò col capo ed entrammo nella porta esattamente alla nostra destra.
Era abbastanza grande, come le altre aule, nera e con un soffitto molto alto, nonostante fossimo solo al secondo piano. Aveva inoltre un piccolo palco di legno.
La prima cosa che mi attirò fu un set di batteria sul palco,decisamente più modesto del mio, ma anche più ampliato.
Poi John, come fece con Roger, chiamò un ragazzo dalla chioma riccia e nera. Solo quando si girò verso di me riconobbi che era il ragazzo del primo giorno che misi piede in questo college.—Brian, sono arrivato! Questa è mia sorella Rosalie. Rosalie, lui è il chitarrista, Brian May.
Brian, quando mi vide, corse nella nostra direzione.—Rosalie? Tu sei la ragazza che ho incontrato qualche settimana fa, prima delle riprese delle lezioni? Che bello rincontrarti!—mi abbracciò affettuosamente, non si accontentò di una stretta di mano.
—Anche io sono felice di rivederti! Quanto tempo è passato, amico?—ridacchiò.
—Quindi voi due siete fratelli? Perbacco, che fortuna! Sono proprio contento.
—Ti trovo bene, Brian. Tu sei quindi l'autore di…— dissi la prima canzone che John mi aveva detto che aveva scritto il chitarrista e mi venne in mente:—The night comes down?
—E non solo. Mi fa piacere che tuo fratello ti abbia fatto ascoltare un po' il nostro repertorio.
—Che colgo l'occasione per dire che è fantastico.
John si intromise.—Se vi conoscete già tutti, perché non me lo dite, così non perdo tempo! Bri, dov'è Freddie?
—Dovrebbe arrivare a momenti. Ha detto che doveva fare una…—proprio in quel momento, ci girammo tutti e quattro a seguito del rumore della porta che si aprì.—cosa.
Da lì entrò un ragazzo della statura mia e di John dai capelli neri intensi.—Ciao a tutti, scusate il ritardo. Chi è questa bella fanciulla?—venne nella nostra direzione e precisamente di fronte a me.
—Lei è Rose, mia sorella.—disse John.
Il ragazzo mi porse la mano e io la strinsi.—Io sono Freddie. Sono il cantante della band più bella d'Inghilterra, ma fra un po'  lo diventeremo anche di tutto il mondo.—ridacchiai sotto voce.—sono contento di fare la tua conoscenza.—continuò lui.—John mi ha parlato molto di te. Anche Roger.
A questo, al contrario del biondo che non trattenne dei singhiozzi di risate, il mio sguardo s'incupì.—Direi che sono abbastanza famosa in circolazione.—replicai.
Brian fu la mia ancora di salvezza.—Ora che abbiamo finito le presentazioni, possiamo cominciare a provare?
Il cantante mi lasciò la mano e tutti cominciarono a salire sul piccolo palco dello stanzone, mentre io mi sedetti su una delle tante poltroncine disposte nella sala.
Roger, ovviamente, si sistemò alla batteria, Freddie prese un'asta – o meglio, una mezz'asta visto che era esattamente la metà di una normale – da terra, Brian si sistemò con un modello di chitarra rossastra che non avevo mai visto prima, alla sinistra del cantante, mentre John prese il posto alla destra di Freddie.
Brian decise di cominciare a provare proprio "The night comes down".
Inutile dire che con la chitarra, la batteria, e la voce oltre al basso era decisamente qualcos'altro.
Passarono poi con altre tre canzoni: "Doing all Right" e "My Fairy King",   dove Freddie prese anche posto ad un piccolo pianoforte sul palco, e a "Great King Rat", una composizione a mio parere molto violenta e hard rock.
Devo ammetterlo, mi avevano completamente stupito.
Non solo grazie al suono, ma anche per le doti di tutti e devo dire che John, anche se solo col basso, completava magnificamente le armonie melodiche.
Brian era un completo esempio di chitarrista talentuoso. Con le sue mani che si muovevano velocemente su quella stramba chitarra, infatti, dava alla band quel sound tipico rock.
Anche Freddie era un eccellente musicista. Cantava magnificamente, con una voce assolutamente unica e in più, oltre ad avere modi  straordinariamente carismatici, era un ottimo pianista.
E sì, anche Roger non se la cavava per nulla male con la batteria.
Aveva infatti modi simili ai miei e le mie conoscenze sullo strumento mi permise di capire subito che anche lui era un perfetto esemplare di strumentista.
Più volte mi buttò occhiate, ma io ero talmente colpita dalla band che non ci feci caso, o meglio, non me ne presi cura.
Suonarono anche alcune cover di Elvis, cosa che non mi fece affatto dispiacere. Un esempio? La straordinaria "Jailhouse Rock".
Dopo questa, Brian urlò un "finito" e gli altri acconsentirono.
Mentre scendevano dal palco, mi complimentai con tutti loro.—Siete stati fantastici! Davvero, mi siete piaciuti tantissimo! Avevo capito che eravate una band eccellente, ma ora ne ho proprio la certezza!
—Quanti complimenti!—esclamò Brian.
—Accettali, tesoro!—aggiunse Freddie. Rimasi un po' sbalordita da come aveva chiamato Brian.
—Non farci caso.—spuntò anche Roger.—Chiama "tesoro" chiunque gli capiti di fronte.—mi disse. Ridacchiai, anche se cercai di trattenermi visto che fu Roger a parlare.
—Amore, tu sta' zitto.—questa volta liberai proprio una risata grossa.—Oh, ma perché ti scandalizzi tanto, dolcezza? Sono soprannomi fantastici.
—Anche lei?—si aggregò anche John, divertito.—Ho capito che io e lei siamo fantastici fratelli, ma un soprannome più normale no, eh?
—Perché? Vi si addice benissimo.—rispose il cantante.
—In effetti non ha tutti i torti.—aggiunse il biondo, che mi si avvicinò accanto.— Io devo andare in bagno.—e si allontanò da me, dirigendosi fuori la porta della sala.
—Ti accompagno!
—Freddie, perché non te ne vai a fanculo?
—Dai, amore. Ti giuro, devo andare anche io.
Ed entrambi si allontanarono.
Gli altri due, vale a dire John e Brian, si misero da parte e borbottavano con dei fogli in mano.
Io ne approfittai per salire sul palco.
Mi avvicinai alla batteria e cominciai ad ammirarne i componenti.
Al contrario della mia, c'erano pochi tom piccoli, ma molti bassi.
Toccai i piatti, che erano più leggeri e piccoli dei miei, con le punte delle dita.
Poco dopo, sfortunatamente, il biondo mi raggiunse.—Non sai quanto mi ci è voluto per ampliarla così tanto.
Lo ignorai.—John mi ha detto che sai suonarla.
—Me la cavo.—risposi.
Intanto, ci avevano raggiunto anche John e Brian.
—Perché non mi suoni qualcosa?—disse Roger.
A quella proposta diventai rossa d'imbarazzo.—Oggi no, mi sono bruciata ieri mentre cucinavo e mi fanno ancora male le mani.—mentii.
—Beh, fa come vuoi. Ma almeno hai imparato a percuotere il rullante e la grancassa allo stesso tempo?—ridacchiò.
Mi sfilai la borsa a tracolla, la lanciai letteralmente a John e strappai dalle mani di Roger le bacchette.
—Non sai con chi ti sei messo a che fare.—disse John, sorridendo sornione.
—Io non ho detto niente.
—Zitti!—conclusi io.
Mi sedetti sulla batteria, ancora un po' decisa su cosa fare.
Il metronomo non l'avevo, ma decisi alla fine di fare la stessa cosa che provai con Veronica.
Cominciai con un ritmo sui due quarti, dopo di che fu un continuo crescendo e più aumentavo la velocità delle percussioni, più battevo diversi componenti del set.
Quando poi ho sentito che piedi e mani andavano da soli, passai ad un ritmo stile "Ringo Starr" molto complicato su cui lavoravo da diversi mesi.
Ci voleva molta concentrazione per riuscire a muovere tutti gli arti contemporaneamente, ma ero talmente decisa e pronta a sputare in faccia a Roger tutta la mia bravura che dopo neanche un minuto non controllavo più niente.
Cercai di non incontrare lo sguardo di nessuno. Picchiavo e basta.
Misi in mostra poi sempre uno stile sulla marcetta, come quello che mostrai a Veronica.
Poi aggiunsi anche tutti i tom, battendoli velocemente.
Fu un po' difficile muovermi su una batteria che non era mia, ma stavo andando esattamente dove volevo andare a parare.
Paradiddle straveloce al piede destro e alla mano sinistra  , piede destro che andava a tempo sul charleston e mano destra che faceva avanti e indietro sul tom e sul… no, il ride non c'era, dovevo accontentarmi dei piatti.
Per finire, percossi più volte, con mezzo secondo tra una battuta e l'altra, il tom basso. Completai i "fuochi d'artificio" percuotendolo due volte e con un piatto crash.
Mi alzai di scatto dallo sgabellino, lanciai uno sguardo d'intesa al batterista, che mi guardava con gli occhi spalancati, un po' per la sorpresa, un po' per l'invidia, e presi la borsetta da John che, insieme a Brian, se la ridevano alle spalle di Roger.
Intravidi un distributore di bottigliette d'acqua accanto la sesta fila delle poltroncine e scesi così dal palco.
Mi trovai i tre a fianco, mentre ritiravo la bottiglietta.
—Sei stata incredibile!—disse Brian.
—Grazie.—mi avvicinai poi al biondo.—Non hai più niente da dire?—quella volta assunsi io un tono malizioso.
—Ha già detto tutto Brian. Complimenti, Rose.—rimanemmo a guardarci finchè non arrivò Freddie a completare il quartetto.
—Che mi sono perso? Roger, ti ho sentito dal bagno e non ti ho mai visto fare così tanto il virtuoso alla batteria. Hai fatto proprio un bel solo, bravo!—John e Brian risero di brutto e io guardavo ancora più sornione Roger, che aveva messo su un po' di broncio.—Cosa c'è da ridere?—continuò il cantante, che si beccò brutte occhiatacce dal biondo.
—Ora cosa facciamo?—chiese John, asciugandosi delle lacrime dagli occhi. 
—Sono solo le dieci e mezza.—disse Brian, guardando l'orologio.—Merda, io devo andare in biblioteca!—si mise una mano sulla fronte.
—Ah, dimenticavo. Brian è il sapientone della situazione, oltre che ad essere fissato per quella cavolo di astrofisica. Può capitarti di sentirlo borbottare "gli asteroidi sono magnifici" o "un giorno andrò sulla luna" nel sonno.—scherzò Freddie, che non mi fece intrattenere una risatina.
—Grazie, Einstein. Devo fare una ricerca importante e nella biblioteca del college non c'è nulla. Devo per forza andare alla Royal Borough di Kensington.
Mi venne allora una grande idea.—Che ne dici se andiamo insieme?
 
Spazio Autrice: Tah, Dah!
Eccoci giunti a questo capitolo che aspettavo da molto.
Finalmente abbiamo completato il quadro. Credo che, anche una volta pubblicato, questo capitolo lo rileggerò altre mille volte.
Tutto merito di Queen Forever che mi ha dato l'ispirazione. L'ho già ascoltata una decina di volte.
Vi supplico, compratelo. È qualcosa di assolutamente fantastico. So che, oltre ai tre inediti, è una raccolta, ma ci sono canzoni stupende, non è affatto una spesa cattiva.
Ci vediamo al prossimo capitolo!
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Topi di biblioteca e fusi di testa ***


—Ma sì, perché no? Anche tu devi fare una ricerca?—disse il chitarrista.
—No, avevo solo voglia di entrare un po' in biblioteca.
—Non è mai entrata in una biblioteca.—mi diede una gomitata John.
Io ricambiai tirandogli un'occhiataccia.
—Per me non ci sono problemi.—continuò poi Brian.—ci dobbiamo sbrigare, però.
—Ragazzi, che ne dite se dopo pranziamo tutti insieme?—fece poi Freddie.—Volevo anche mostrare al novello e alla fanciulla il negozio.
Agrottai le sopracciglia.—Il negozio?
—Rose, Freddie e Roger hanno un negozio di vestiti usati a Kensington Market.—mi spiegò mio fratello.
—Cos'è, non avete clienti?—scherzai. Capii che Freddie rimase un tantino offeso.—Cantante, stavo scherzando! Sarebbe un onore venire. Giusto, John.—quest'ultimo, vedendo la smorfia di Freddie, sorrise.
—Certo. Ci vengo di sicuro alla bancarella del cantante e del batterista più famosi al mondo. Usato, avete detto?—per rispetto, cercai di trattenermi dal ridere.
—Avete finito di prenderci per il culo?—aggiunse Roger.
—Facciamo così. Io e Rose vi incontriamo vicino Kensington Market alla mezza, andiamo a mangiare e poi andiamo a vedere questo benedetto negozio, dopodiché…—Brian non poté continuare, che venne interrotto dal cantante.
—Quanto sei programmativo, tesoro! Decidiamo dopo cosa fare, ti va?—il chitarrista sbuffò.
—Siamo d’accordo, ci vediamo dopo. Andiamo, Rose.—scocciato, mi tirò la manica della giacca di jeans che indossavo e ci congedammo dal resto della band.
—Andiamo a piedi?—chiesi una volta fuori il college.
Brian ridacchiò.—Siccome non ho nemmeno una misera sterlina, ci tocca.
—In effetti mi va di camminare. Sai, devo ancora abituarmi a Londra, sono venuta da poco, caro.—gli risposi.
—Scusa, non intendevo offenderti.
—Parli con me? Per cosa?
Rimanemmo in silenzio per qualche secondo.—Sai che sei veramente un grande chitarrista?—lui arrossì leggermente.
—Grazie! Sai, di solito non ricevo complimenti da ragazze.
—Nemmeno da tua madre?
—Diciamo che avrebbe preferito se avessi tirato fuori la chitarra più raramente di quanto la suoni di solito.
—Perché?
—Io credo che siamo ormai ad una svolta. Insomma, ora che abbiamo incontrato tuo fratello, siamo al top. Molte volte ci chiedono, insieme ad altre band come noi, di suonare nei locali. Una volta ci è capitato di suonare persino in un teatro.
—Wow. Quindi?
—I miei avrebbero preferito se mi fossi dedicato a tempo pieno nello studio.—disse un po' distratto se guardare me o i piedi.
—Oh, avanti. Sei così eccellente. Se poi gli altri vengono a dirmi che sei il sapientone del gruppo, ancora di più. Senti, a proposito di chitarre, la tua non l'ho mai vista. Ma che modello è?
—L'ho costruita io da solo nel '64. Beh, solo, mi aiutato molto mio padre. Siccome non potevamo permetterci una Fender, ho deciso che avrei provato a costruire una chitarra da solo. Per dirla breve su con che cosa l'ho costruita, basti pensare che per i segnatasti ho usato dei bottoni di madreperla.—ridemmo entrambi.—Beh, funziona bene ed è questo l'importante. L'ho chiamata Red Special, a volte la soprannomino Old Lady o Fireplace. Questo sembra un nome un po' stupido, ma sai, il manico l'ho ricavato da un vecchio camino.
—Tu sei un tipo veramente unico, lo sai?
—Eh,sì.
—E con chi condividi il dormitorio?
—Con due miei amici. Diciamo uno, visto che l'altro non c'è mai. Ma tra un po' credo che mi trasferirò in un piccolo monolocale, questione di pochi mesi, credo che riuscirò a pagare l'affitto.
—Figo. Gli altri, invece?
—Rog e Fred? Loro vivono insieme in un appartamento a Kensington. Come hanno già detto, hanno anche un negozio di abiti usati. Posso svelarti una cosa? Non farti illusioni, perché io non ci capisco nulla in argomento.
—Ok, dimmi tutto.
—Credo che tu piaccia a Roger.—non mi sorpresi.
—Ma guarda un po'. Io non credo che sia amore quello che prova per me.
—So che stiamo facendo discorsi da bambini, ma parla di te a me e Freddie in continuazione, soprattutto a Fred. E' vero che è un donnaiolo, lo sappiamo tutti, ma di solito se gli interessa qualcuno non ce lo dice mai. Non ci ha mai detto che questa ragazza eri tu, ma da quando ti ha chiesto in quel modo di fare quell'assolo di batteria che ho capito che eri tu, anche in base alla descrizione fisica.
Non sapevo cosa dire.—Io però non voglio averci nulla a che fare.
—La decisione spetta a te. Se fossi al tuo posto, anche io non mi metterei mai con Rog. Non sottovalutarlo, però. Sarà anche un verme strusciante con le donne, ma è uno di cui ti puoi fidare, e poi è maledettamente amichevole.
—Dovrebbe essere una ragazza per non combinare casini.
—Già. Senti, posso consigliarti un libro? Sempre se ne hai voglia, naturalmente.
—Certo, dimmi.
—Il giovane Holden di Salinger è un libro fantastico, è uscito qualche anno fa. Te lo vorrei già dare ma purtroppo ce l'hanno i miei. È un racconto un po' di tipo psicologico, ma è veramente bello.
—Okay. Mi hai convinto.
Arrivammo di fronte un grande edificio, la biblioteca.
Brian mi fece strada all'interno.
Purtroppo era come aveva detto John: non ero mai entrata in una biblioteca in tutta la mia vita.
Brian doveva essersi accorto che non mi sentivo a disagio.—Vuoi che ti accompagni a cercare quel libro?—mi sussurrò nell'orecchio. Annuii e mi accompagnò a prendere il libro.
Dopo poco tempo lo trovammo.
—Qui dietro ci sono dei tavoli. Prendi posto anche per me.
Andai dove mi aveva detto e occupai due sedie di un tavolo da otto vuoto.
Per la prima volta scrutai la copertina.
Era bianca, con la scritta del titolo in alto al centro.
Rimasi per un po' a fissarla, dopo un po' decisi di aprire la prima pagina.
Dopo qualche secondo, un'ombra alta mi si piazzò dietro la sedia.
Mi girai verso la figura, un ragazzo dai capelli biondo cenere e corti e dagli occhi castani ammirava il mio libro.
Si accorse che lo stavo fissando.—Il giovane Holden, un ottimo libro.— sussurrò.—Complimenti per i gusti.
Non sapendo cosa fare, gli sorrisi.
—Beh, buona lettura!—disse, prima di andare.
Lo guardai allontanarsi da me.
Un tipo strano, pensai.
Perché si sarebbe dovuto fermare e guardare il mio libro?
Ero in biblioteca, poteva accadermi di tutto.
Cercai di distrarmi da quel ragazzo un po' lunatico, e cominciai a leggere.

Dopo un po', Brian si sedette accanto a me con un voluminoso libro in mano.
Lo guardai a bocca aperta. Avrei voluto tanto esclamare qualcosa, ma lui si limitò ad annuire, mimandomi un "Povero me!".
Cominciammo entrambi a perderci nella lettura.
Quel libro mi intrigava troppo. Una storia a dir poco realistica di adolescenti.

Se davvero avete voglia di sentire questa storia, magari vorrete sapere prima di tutto dove sono nato e com'è stata la mia infanzia schifa e che cosa facevano i miei genitori e compagnia bella prima che arrivassi io, e tutte quelle belle baggianate alla David Copperfield, ma a me non mi va proprio di parlarne. Primo, quella roba mi secca, e secondo, ai miei genitori gli verrebbero un paio di infarti per uno se dicessi qualcosa di troppo personale sul loro conto.

Credo che passò poi una mezzoretta prima che Brian mi scrollò la spalla.—Io ho finito, andiamo? Vado a registrarti il libro, se vuoi.—mi sussurrò.
Mi alzai facendo il meno rumore possibile.
Lo accompagnai a posare il suo libro e andammo alla cassa – se si chiama così, ancora oggi non so come si chiami quel luogo dove si fanno le registrazioni – e  ritrovai quel ragazzo che mi si era appollaiato prima dietro le spalle.
Solo allora capii che lavorava lì.

Continuava a sorridermi dall'altra parte del bancone.
Ero un tantino imbarazzata, dovevo ammetterlo.
E poi, era davvero carino.
Brian mi sussurrò di avviarci fuori la biblioteca.
—Hai fatto la scelta giusta.—mi disse finalmente a voce alta, una volta fuori.
—Grazie del tuo consiglio.—stavamo per attraversare quando una Camaro che proveniva da sinistra si accostò davanti a noi.
John si sporse dal finestrino.—Coraggio, salite.
Vidi che Freddie sedeva dietro di lui e scorsi la testa del biondo dal sedile posteriore del passeggero.
Feci il giro del veicolo e aprii la sua portiera.—Scendi.—gli dissi.
—Che toni! Non posso sedermi qui?—feci di no con la testa.
—Se vuoi te lo dico con gentilezza. Potresti cortesemente andare dietro? Questo è il mio posto.
—Veramente lui si era seduto davanti per indicarmi la strada di Kensington.—intervenne John, che si era alzato per fare entrare nell'auto anche Brian. Rimasi muta, mentre mi dovevo subire gli sguardi sbruffoni di Roger.
Il biondo si alzò e mi fece sedere accanto a Freddie, dopodiché risalì.
Tenevo in mano il libro, stando attenta a non rovinarlo.
Mi girai verso il cantante, che mi stava guardando a sua volta.
—John ci ha detto che venite dall'Irlanda.—mi chiese poi.
Lui invece, non sapevo perché, ma non mi dava l'aria di un inglese.—Sì, ma siamo nati in Inghilterra. Tu, invece?
—Da una formazione coloniale in Africa, a Zanzibar. Ma anche io mi sono spostato prima in India e poi qualche anno fa qui a Londra.—mi spiegò.—Vuoi sapere anche da dove viene il biondo? Vedo che hai una bella cotta per lui.
Al contrario di me, John e Roger ridacchiarono.—Si vede così tanto che mi piace?—gli risposi ironicamente.
—Cristo santo, John. Stiamo andando a passo di lumaca! Sbrigati un po'.—protestò Roger.
—Non si può essere più prudenti? Quanto sei antipatico!—lo rimproverò poi Brian.
—Ma voi siete sempre a litigare?—intervenni io.
—E' questo che ci tiene uniti, dolcezza. Se non ci prendessimo a male parole, probabilmente la band non esisterebbe!—replicò il cantante.
—Finalmente siamo arrivati! Devi accostare lì di fronte.—disse poi Roger, indicando a mio fratello un posto libero.
Quest'ultimo parcheggiò e tutti scendemmo.
Freddie e Roger ci condussero all'interno del Kensington Market, che io e John avevamo già visitato in una delle tante volte delle nostre visite a Londra.
All'interno era esattamente come lo ricordavo: tante botique affioravano   ai nostri occhi.
—Dove siete voi?—chiese John a uno dei due.
—In fondo.—rispose Roger.
Percorremmo tutto il market finché Roger non si fermò davanti una bancarella chiusa.
Dentro vi era un lungo bancone con sopra adagiati indumenti di entrambi i sessi e di ogni occasione.—Caspita!—esclamai.—Dove avete trovato tutta questa roba?
—Storia lunga che non sto a spiegare. Ora, se la gentile clientela vuole dare un'occhiata…
—Ne approfitto per guardare qualcosa anche io.—il chitarrista avanzò da me e John, questo già impegnato a frugare tra i vestiti.—No, tu sei ancora indietro col pagamento della scorsa volta.—lo fermò il batterista.
—Avanti, sono vostro amico!
—Cosa cambia?
Dovevo ammettere che tutta quella roba, anche se usata, non era niente male, quasi raggiungeva la merce del negozio dove lavoravamo io e Veronica.
Un abitino blu che arrivava più o meno al ginocchio attirò la mia attenzione.
Aveva una sola spallina ed era ornato di strass color oro.—Carino, vero? È di mia sorella.—trovai Freddie dall'altra parte del bancone, davanti a me.
—E' davvero stupendo. Perché l'ha buttato via?—dissi, mentre esaminavo meglio l'indumento.
—Oh, non se l' è mai messo. Se ti interessa, il prezzo è di dieci sterline, ma siccome sei bella quanto la donatrice, posso dartelo a sei.
—Okay.—frugai nella borsa e gli diedi l'importo.—Se ha gusti così ottimi, tua sorella deve essere proprio una bella donna.
—In effetti lo è. Grazie per averci scelto, signorina.—gli sorrisi, e andai a vedere cosa combinava John. Intanto, Roger e Brian stavano ancora litigando.
—Non è possibile che per un insulso jeans, non posso vedere cos'hai nel tuo insulso negozio. Sei un idiota!
—Per questa volta ti perdono, May. Ma se entro domani non ho il denaro che mi devi, giuro che ti taglio tutte le corde della tua dannata chitarra.
—Come osi, brutto pezzente!
—La smettete voi due?—intervenne anche Freddie.
—Diamine, vi state zitti?—si aggiunse anche John.
—Cosa diamine c'entri tu, John?—replicò Roger.
—Ti sto facendo un favore a dare un'occhiata, ma vedo che non vengo ricambiato!
—Insomma vi date una calmata? Sembrate quattro galline strozzanti!—mi resi conto di aver alzato notevolmente il tono della voce, perché tutto il resto dei presenti si era girato dalla nostra parte.—Ho capito che i litigi fanno bene—dissi con tono più basso.—ma non credete che sia il caso di smetterla?
—Ha ragione, ragazzi.—ribattè Brian.—Roger, giuro che ti restituisco i soldi. Ora mi lasci in pace?
Il batterista sospirò.—E va bene, ma sappi che non deve risuccedere, siamo intesi?
—Perché dovrebbe risuccedere, testa di legno?
—Tu fai tanto l'angioletto, ma sei un gran pezzo di avaro!
Mi intromisi tra i due, mettendo le mani sul petto di entrambi.—Ma non è servito a niente quello che ho detto prima?
Quando mi girai dalla parte di Roger, questo mi guardava maliziosamente.
Gli lasciai immediatamente la mano, diventando un po' rossa.
Continuava a guardarmi col suo solito modo ipocrita, ma cercavo di non far incontrare più i nostri sguardi.
—Ora basta. Mi state spaventando tutti i clienti!—si lamentò Freddie.
—Okay, ma che non se ne parli più!—Roger puntò il dito contro il chitarrista.
—Ancora?—John continuò a lamentarsi.
Visti da un altro occhio, erano veramente idioti e buffi quando litigavano.
Mi scappò un sorriso. Erano una band davvero strana.
Rimanemmo lì ancora per un po', dopodiché andammo a mangiare in un ristorante nella zona.

Spazio Autore: ce l'ho fatta ad aggiornare! Mi sono bastati due giorni, è solo che ho avuto tantissime cose da fare.
Spero che questo capitolo vi piaccia. Lo so, è stupido.
P.S. Il giovane Holden è un libro che esiste realmente. Ho avuto la fortuna di leggerlo, è davvero magnifico.

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Qualche spiegazione in più ***


—Perché prendi solo un piatto di pasta? Non è un po' poco?—mi chiese Freddie, seduto alla mia sinistra.
Eravamo per la seconda volta tutti insieme in un ristorante nelle vicinanze di Kensington. Siccome era sera e non avevo voglia di mangiare molto, ordinai un semplice piatto di pasta e verdure. Sfortunatamente venni criticata dal cantante.
—Non sono abituata a mangiare molto, in realtà.—risposi.
—Ah, Fred. Facci l'abitudine. A volte si decide a non toccare nemmeno un pezzo di pane, altre volte mangia come un maiale.—ridacchiò John.
—Potrebbe mangiare anche un bufalo al giorno, se fa quegli assoli di batteria, poi.—disse Roger.
—No, davvero. Da quant'è che suoni la batteria, Rosalie?—si aggiunse Brian, prima di deglutire un bicchiere di cola.
—Io ho iniziato con un bongo che ebbi in regalo molto tempo fa. Solo l'anno scorso mi sono spostata su un set di batteria vero e proprio. E credo che i miei unici maestri siano stati i Beatles.
—Ti piacciono i Beatles?—mi chiese Brian incuriosito.
—Ne è ossessionata, in realtà. Nonostante si siano sciolti.—John rispose per me.
—Non c'è niente di male. Anche a me e Rog piacciono molto.
—Io sapevo che ti piaceva anche Jimi Hendrix.—disse il biondo.
—Diciamo che lo sto scoprendo.
—Per me lui è il simbolo della chitarra.—intervenne il riccio.—diciamo che negli ultimi anni ho sviluppato uno stile, della chitarra intendo, molto vicino al suo.
—Quasi lo stai plagiando.—ribadì Freddie.
—Che dici, idiota? Caso mai quello che lo sta plagiando sei proprio tu.
Cominciai a ridere.—Ma è mai possibile che litigate ogni tre secondi?
—No, è che oggi ce l'hanno tutti con me, non so per quale motivo.—si lamentò il chitarrista.
Dopo pochi minuti ci portarono i piatti.
Continuammo a parlare, dopodiché chiesi:—Scusate la curiosità, ma siccome John non ha avuto il buon senso di dirmi com'è nata la band, non è che me lo potreste dire voi?
Susseguirono un vociferare da parte di tutti, dopodiché Brian disse:—Parlo io. Dunque, tutto è iniziato qualche anno fa quando io, Brian May, e un mio caro amico di nome Tim, bassista e voce, decidemmo di formare una band chiamata "Smile". Dopo un po' trovammo un certo Roger Taylor, un batterista affetto dalla mania di accordare la batteria.
—Accordare la batteria?—ridacchiai.—come si fa, me lo spieghi?
—Lascialo continuare.—mi rispose il biondo.
—Stavo dicendo, dopo aver trovato Roger abbiamo passato un bel po' a girare mezza Inghilterra. Abbiamo poi pubblicato anche un EP che non ha venduto niente. Dopo un po', stiamo parlando dell'anno scorso, Tim ebbe una proposta di una band più affermata della nostra e ci lasciò. Un nostro amico dell'Ealing College di nome Freddie Bulsara ebbe poi la grande idea di formare insieme ai componenti rimasti con gli Smile, una nuova band chiamata "Queen".
—Io credo che solo grazie a John Deacon possiamo affermarci come la più grande band di tutti i tempi!—esclamò il cantante.
—Come siamo modesti.—commentai a Freddie.
—Senza offesa, ma Deacon è un cognome davvero strano.
—Cosa dici, Fred? È un benedetto nome inglese. Vogliamo parlare del tuo? Bulsara. Rose, Brian ha dimenticato di dirti che "il più grande cantante di tutti i tempi" ha cambiato nome.—intervenne John.
—Sì, l'ho cambiato in "Mercury".
—Sei un amante dei nomi oltraggiosi, non è vero, Mercury?—dissi.
—In effetti sì, dolcezza.
—Io proporrei di dare a John un soprannome più intelligente di "tesoro".—propose Roger.
John sorrise.—Ricordo che una volta un professore mi chiamò Deacy, Deak. Una cosa del genere.
—Io Deacy lo trovo geniale! Deacy, fammi un la, un mi. Sì, è perfetto!—urlò il biondo. Brian dovette zittirlo.
—In effetti a me non dispiace Deacy. Gli si addice a John. Rosalie, Freddie, voi che dite?
—Io preferivo tesoro. È carino per John Deacy, secondo me. Ma non credete dobbiate trovare un soprannome anche per la signorina qui presente?
—Io mi accontento di Rose, caro.
—Come osi? Solo io posso dire "caro"!
Vennero dopo parecchie risate, e perdemmo molto altro tempo al ristorante, beccandoci di tanto in tanto sguardi di rimprovero dagli altri tavoli.
Decidemmo poi di uscire, spartendoci il conto totale. Inutile dire che a me toccò la parte meno salata.
—Questo è uno dei pochi ristoranti economici e propizi di tutta Londra, a mio parere.—disse Roger.
—In effetti è vero, non abbiamo speso una grande cifra, in fondo.—replicò mio fratello.
Intrattenni uno sbadiglio.—Io non so voi, ma io ho voglia di tornarmene a casa. Sono stanca morta.
—Dopo essere stata una giornata intera con noi, non  è possibile. Io penso sia colpa della biblioteca, cara.—commentò Freddie.
—Appunto, dopo aver passato tutto il giorno a dividervi per le vostre inutili litigate è tutto normale.
—Cos'è, hai già voglia di andare a dormire, Rose?—mi si avvicinò il batterista.
—Ah, dimenticavo. Ho anche passato un'intera giornata con te. E non ne posso più.—mi girai verso mio fratello.—John, che dici?Andiamo?
—Oddio, Rose. Scusami ma mi sono dimenticato di dare delle cose a tuo fratello per le canzoni. È da diversi giorni che devo. Non è che potreste venire un attimo da me?
Mi misi le mani sulla faccia. Cercavo davvero di non prendermela con Brian, ma a volte non capivo nemmeno lui.
—Potrei accompagnare io la gentil pulzella a casa, e John potrebbe tornare con l'auto da solo.—guardai con aria omicida Roger.
—Non se ne parla nemmeno! Mi rifiuto!
—Rose, è l'unica soluzione se vuoi tornartene a casa già adesso.—concluse John.
Rimasi a pensare qualche secondo.
Ero davvero sfinita, quindi, quella era realmente l'unica soluzione.
Sbuffai a braccia conserte.—E va bene!
Brian venne nella mia direzione.—Martedì abbiamo altre prove alle sette e mezza, che ne dici di venire? Se puoi, ovviamente.Tu lavori?
—Sì, ma alle sette e venti mi trovate lì da voi.—lo rassicurai.
—Perfetto, alla prossima, Rose.—mi baciò entrambe le guancie e, insieme a John si congedò dal resto del gruppo.
—Freddie, tu non torni?—chiesi a quest'ultimo.
—Subito! Non voglio disturbare la vostra passeggiata romantica.—a volte era veramente odioso quando diceva cose di quel tipo.
—Ti dispiace se ti saluto con un "vaffanculo"? Sai, è da tutta la giornata che desideravo dirtelo.—risposi.
—Non c'è nulla di male, dolcezza cara. E siamo solo al primo giorno che mi conosci.—mi mise una mano sulla spalla.
—Okay. Vaffanculo, Mr Mercury!—scostai la sua mano con un sorrisetto e tirai per il manico della giacca Roger, cosa che mi fece un po' senso.
Cominciammo a camminare verso la strada di ritorno, in teoria seguivo Roger, perché con quel buio ero un po' spaesata.
—Sei sicuro che sai dove stiamo andando? Non mi fido di te al cento per cento.
—Deacy ce l'ha detto dove abitate. E conosco Londra meglio di te, anche se non sono nato qui. Sei sicura che vuoi già tornare a casa? Ci sono tanti posti carini qui vicino ed è un peccato, sono solo le dieci di sera.
—Senti, la smetti di farmi la corte? In maniera un po' anche maniaca, tra l'altro.—mi fermai di scatto.
Dopo una manciata di minuti tornammo a camminare. Dopodiché lui disse:—Posso confessarti una cosa? Lo devo ammettere anche a me stesso. Tu all'inizio mi piacevi, anche molto.
—Sai che novità.
—Fammi concludere. Ora però tutto ciò non ha più senso. Io credo che prima o poi la band avrà una svolta. Sta per accadere qualcosa, me lo sento. Ci manca solo un fottuto produttore con cui possiamo aprire un contratto. Non voglio vantarmi, anche perché quello è compito di Freddie, ma la nostra è una band un po' unica. Voglio essere sincero con te. Sono talmente impegnato con gli altri, pensa che sto anche componendo qualcosa, che non ho più tempo di pensare al tempo libero, in questo caso le ragazze. Quindi, sei libera di pensare tutto quello che vuoi, ma non puoi continuare ad odiarmi in questo modo, perché non ce ne sarebbe più un motivo.
Rimanemmo poi di nuovo in silenzio.
Non sapevo cosa pensare, e soprattutto cosa dire.
Mi decisi a parlare.—Devo dire che hai un carattere un po' odioso e maschilista, ammettilo.
—Oh, sì. Quello fa parte del mio essere.
—Davvero mi lascerai in pace?
—Se la smetti di odiarmi così tanto, potrebbe anche darsi. E poi, avrò il tempo di pensare alle ragazze quando diventerò ricco e famoso, no?
—Certo che siete molto determinati, intendo come band, a sfondare, non è vero?
—Se no, perché ci chiameremmo Queen? Scusami se mi permetto, ma non ho ancora capito bene voi di dove siete.
—Di Leicester. Tu, invece?
—Io sono nato a Nordfolk, King's Lynn, ma ho vissuto gran parte della mia vita a Truro, in Cornovaglia. Poi mi sono spostato qui a Londra per gli studi. Mia madre vuole che diventi un odontoiatra.
—Io voglio diventare un'odontoiatra e farò di tutto perché questo avvenga. Mi sembra che tu non sia molto sicuro di intraprendere questa carriera.
—Infatti continuo a studiare solo per non deludere mia madre.
—Anche mia madre vuole che diventi medico, ma diciamo che al momento è più interessata al suo rapporto col suo compagno.
—Divorziati? Siamo in due.
—Diciamo che la mia è una situazione familiare un po' complicata. Mio padre è morto quando io e John eravamo molto piccoli.
Altra pausa di silenzio.—Mi dispiace.—mormorò lui.
—Cosa ci vuoi fare.
Continuammo a camminare in silenzio, più o meno non so fino a quanto.
—Senti, posso chiederti com'è che tu e Freddie condividete praticamente tutto?
—Beh, siamo molto amici. Praticamente fratelli. E poi siamo molto uguali e se due uomini riescono a condividere la stessa casa, puoi rendertene conto.
Dopo un po' ritornammo a Knighstbridge.
Indicai a Roger la nostra palazzina.—Ecco dove abitiamo. Non ti invito a salire perché non ne sarebbe il caso.
—Ci ritornerò un'altra volta, non preoccuparti. Dopotutto, io e tuo fratello siamo nella stessa band.
—Beh, ci vediamo dopodomani, allora.—gli allungai la mano e lui la strinse compiaciuto.
—Okay, a martedì, allora.
Tornai a casa e mi andai a fare una doccia. Dopodiché sprofondai nelle coperte.
Era stata una giornata molto strana.
Quello che più mi tormentava era quello che aveva appena detto Roger: non gli interessavo più. Era veramente vero?
Poi mi tornò in mente la conversazione con Brian: era veramente interessato a me.
Scacciai, o meglio, il sonno scacciò i miei pensieri e dopo pochi minuti mi addormentai di colpo.

Spazio Autrice: eccomi qui!
Questo è un altro capitolo che mi piace. Ormai avete capito che la band completa fa parte della storia.
E a voi, come vi sembra? Non esitate a recensire.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Cena inaspettata ***


La mia giornata tipo lavorativa?
Non era molto deprimente.
Appena uscivo da scuola tornavo in fretta e furia a casa, mettevo qualcosa sotto i denti, studiavo ed uscivo con la macchina.
Il problema veniva quando John doveva andare alle prove e serviva anche a lui l'auto, ma quel lunedì fortunatamente la band se la prese di ferie con le benedette prove.
Così uscii da sola, salii in macchina e dopo un po' arrivai alla mia solita destinazione.
Veronica, visto che era della zona, ovviamente era già arrivata.
Era intenta a piegare alcuni pullover su uno scaffale accanto la porta d'ingresso. Appena mi vide, mi venne incontro.—Rose! Passato una bella domenica?—mi disse dandomi un bacio sulla guancia.
—Ho molte cose da raccontarti.
—Non tenermi sulle spine!
—Meglio se ne parliamo dopolavoro, ti va?
—Perché? Oggi siamo anche sole!
—Preferisco dopo, ti prego.
Veronica sbuffò e ci mettemmo a lavoro.
E finalmente, dopo aver servito una quarantina di persone, alle sette chiudemmo noi il negozio.
—Ti va di fare una passeggiata qui intorno?—mi propose Veronica.
Annuii, stringendomi nella mia umile giacca di pelle.—Hai freddo?—mi chiese. —Sì, avrei voluto prendere volentieri quell'impermeabile bianco che ho venduto a quella ragazza.
—Chi, quella con la coda che le arrivava al sedere?—ridacchiammo entrambe.
—Haha, sì.
—Orsù, raccontami cosa è successo.
—Prima voglio chiederti una cosa, tu credi nelle coincidenze, Veronica?
Sospirò.—Cosa può essere mai accaduto di così sorprendente?
—Mio fratello John ha fatto un provino per una band e l'hanno preso.
—Mh, che bello. Tutto qui?
—Magari. Se te lo dico non mi crederesti mai.
—E dai, mi stai facendo morire da quando sei venuta!
—Roger è il batterista della band.
Dire che rimase sbalordita era un complimento. Per poco gli si staccava la mascella inferiore.
—Mio Dio, non ci credo!
—Cosa ti avevo detto? E c'è dell'altro, ieri mi ha accompagnato a casa e mi ha detto che non gli interessavo più. Non so cosa pensare.
—Io se fossi in te non gli crederei più di tanto. Insomma, si è fatto metà delle nostre compagne di corso!
—Ti dirò. A me è sembrato sincero, ma sicuramente hai ragione tu, se penso a tutte quelle provocazioni che mi faceva all'inizio.—Continua ad esserlo?—Provocatorio? Sai cosa ho notato? Che quando ieri eravamo insieme alla band mi è sembrato molto più tranquillo e simpatico. Ah, dimenticavo! Ieri mi ha anche chiesto di suonare la sua batteria alla fine delle prove ed è rimasto spiazzato.
—E come poteva non esserlo? Sei così formidabile! Certo, però. Che coincidenza che John e Roger siano nella stessa band.
—Che sfiga, vorrai dire. Ma se John è contento, non posso certamente dirgli di no, ti pare?—annuì.
Continuammo a camminare per la zona.—Senti, ti va di cenare da noi stasera? Ho anche preparato il pollo arrosto. Spero solo che John non se lo sia pappato già tutto.
Lei ridacchiò.—Okay, se non è un problema per voi.
—No, macché. Posso chiederti una cosa? Non voglio essere ficcanaso ma, come lo trovi John?
—Beh, non è che lo conosca tanto. Ma a me è sembrato tanto gentile e cordiale.
—In effetti lo è, sono abbastanza fortunata ad averlo come fratello. E fisicamente?—lei mi guardò un po' storto.—Dai, cosa c'è di male?
—E' piuttosto carino, a dir la verità.
Trattenni per me le esaltazioni, ma da lì a poco avrei saltato dalla gioia.
Rimasi indifferente, stringendo la mia amica per il braccio, mentre il vento fresco della città ci invase.
—Sta cominciando a fare freddo. Guarda, il sole è già quasi calato e non siamo nemmeno a metà settembre.—le indicai il cielo sopra i nostri occhi.
—Tipico di Londra.
—Torniamo indietro? Ho la macchina.—le chiesi.
—Oddio, perché non me l'hai detto? Se no non avrei proposto di camminare un po'.
—Quanto sei noiosa!
—Lo dico per me, di certo non per te! Ti rendi conto che dobbiamo camminare fino alla tua macchina? Eravamo quasi arrivati sotto casa mia!—l'ironia non le mancava.
Tornammo indietro e ce ne ritornammo in auto a casa.
Avevo le chiavi, così non dovetti bussare.
Ma quando entrammo, sentii vociferare qualcuno.
E quando quest'ultimo uscì dalla cucina, rimasi a bocca aperta.—Ben tornata, Rose.—mi disse Roger.—Veronica, anche tu qui?
Un John con la faccia da peperone uscì da dove proveniva il biondo.—Ciao, Rose. Veronica.—questa gli andò incontro e lo abbracciò come era solita fare con me.
—John! Che bello rivederti!
Potete immaginarvi il colore della faccia di mio fratello.
Mi coprii la bocca con la mano per nascondere le risate che per poco  mi scapparono, onde evitare occhiatacce.
Non fece però la stessa cosa con Roger, a cui si limitò dirgli un "Ciao, Roger".
Io invece gli chiesi:—Come mai qui, Roger?
—Pensavo di trovarti a casa perché volevo che mi prestassi un paio di bacchette, ma John mi ha invitato a cena. Aveva detto che avevi preparato il pollo arrosto e non ho resistito.—rispose il batterista.
—Non vi dispiacerà se rimane anche Veronica, allora. Da buoni compagni di corso che siamo.
—E di band.—concluse John.
—Bene, non perdiamo altro tempo. Io avrei una certa fame.— enunciai.
—Mettiamoci a tavola, allora.
Feci accomodare tutti al nostro tavolo della cucina che, con mia grande sorpresa, era già apparecchiato.
Aprii il forno. Altra grande sorpresa: era ancora tutto integro.
Servii tutti, compreso me, e cominciammo a mangiare.
Io e Veronica eravamo sedute vicine e di fronte avevamo rispettivamente Roger e John.
—Wow, è veramente buono. Complimenti, Rose.—si complimentò Veronica.
—Oggi aveva voglia di cucinare.—disse John a bocca piena.
—Perché mi devi sempre sputtanare?—tutti i presenti risero.—Come se fossi una buona a nulla.
—Sono tuo fratello, è il mio compito.—sorrise sornione.
—Intanto, è meglio che tutti sappiate che lui non sa sbattere nemmeno un uovo.—altre sghignazzate.
—Scusate la curiosità, ma se Rosalie era a lavoro, come faceva a stare insieme a Veronica?
Stavo per dire qualcosa, ma John e Veronica mi precedettero.—Lavorano insieme.—disse il primo.—Lavoriamo insieme.—disse l'altra.
Appena si accorsero di aver detto la frase contemporaneamente, si guardarono negli occhi. John era diventato color bordeaux, Veronica aveva le gote leggermente rosse.
Io li guardai un po' divertita ed ebbi l'impressione che anche Roger fece lo stesso.
Stavolta ci scambiammo noi sguardi d'intesa.—Spero vi sia piaciuto il pollo.—tagliai corto.
—Oh, è stato eccellente, in realtà.—commentò Roger.
—Sono contenta che vi sia piaciuta. Non sono una chef provetta ma qualcosa la so fare.
—Che ore sono?—chiese Veronica.
Guardai l'orologio affisso nella stanza.—Le otto e mezza.—risposi.
—Beh, è meglio che vada, allora. Rose, ti aiuto a sparecchiare e poi tolgo il disturbo.
—No, aspetta. È buio pesto. Non farmi stare preoccupata. Non è meglio se ti accompagno con la macchina?
—No, come fai a tornare tu, poi?
—Mi offro io volontario per accompagnarla.—disse poi Roger.—
Sei ormai diventato un accompagnatore personale.—ironizzai.
—In effetti è il mio terzo lavoro. Dammi le bacchette e l'accompagno.
—Vieni.—gli feci strada verso il seminterrato.—E sbrigati!
Si decise a seguirmi.
—Attento alle scale.
—Si può sapere dove stiamo andando?—non risposi. Accesi la luce dello stanzone che illuminò la mia batteria.
Una volta che fui scesa, Roger rimase imbambolato sull'ultimo scalino.
Presi un paio di bacchette che avevo di riserva da uno scatolone.
—Questo è il tuo set?—mi chiese lui.
—Sì. Bello, vero?
—Seriamente, è bellissimo.—si avvicinò alla cosa che più amavo al mondo.
—Che dici, andiamo?—cominciai a salire un gradino, ma lui piombò vicino all'amplificatore di mio fratello.
—E' un amplificatore?
—Sì, l'ha costruito John. Produce un suono strano, infatti quando suona la chitarra ha un suono più vibrante e melodioso. Vuoi provare?
Mi avvicinai al piccolo amplificatore, lo accesi e ci collegai la chitarra che avevamo.
Feci uno dei pochi accordi che sapevo, il sol.
—Merda! È un suono fantastico! Posso provare io?
Mi sfilai la chitarra e gliela porsi.
Con mio grande stupore, notai che sapeva suonare abbastanza bene.—Non sei male, lo sai? Come mai sai suonare la chitarra?
—E' stato il mio primo strumento, in realtà. Dopo ho scoperto che la batteria era la mia vera passione.
Dopo aver strimpellato un altro po', si sfilò lo strumento e me lo riconsegnò.
—Torniamo su.
Salimmo le scale e, una volta su, sentimmo una voce provenire dal salotto, la radio.
Ci addentrammo nella stanza, dove John e Veronica erano seduti comodamente sul divano in silenzio.
Appena ci videro arrivare, Veronica si alzò di scatto.—Scusate, siamo entrati qui in salotto e John ha voluto accendere la radio.
—Cosa c'è di male?
—Deacy, ma quell'amplificatore giù…—Roger cominciò a confabulare qualcosa.
—Sì, l'ho costruito io. È da circa 0, 80 Watt. Una cosa a cui ho lavorato per un annetto.
—E' qualcosa di assolutamente fantastico! Non ti sei mai reso conto che produce un suono altamente unico? Un giorno lo facciamo provare a Brian.
—Sarebbe una buona idea.
Intanto andai a spegnere la radio.
—Chi è Brian?—chiese Veronica confusa.
—Il chitarrista dei Queen. La band dei signorini qui presenti.—risposi, indicando gli altri due.
—Veronica—si intromise John.—che dici se domani vieni con noi alle prove? Cominciano alle sette e mezza, così tu e Rose avrete tutto il tempo per arrivare.
—Per me va benissimo.—si scambiarono altri sguardi di approvazione.
—Meglio che la porti via, qui la situazione si sta alterando.—mi sussurrò nell'orecchio Roger.
Non trattenni una risata. Infatti i due diretti interessati si girarono nella mia direzione, interrompendo il silenzio che avevano creato prima.—No, è che mi sono appena accorta di aver pestato il piede di Roger. Veronica, è meglio che avviate o troverete traffico a non finire.
—Sì, hai ragione.—disse quest'ultima.—Roger, che dici?
—Sì, sì. Vieni, Veronica.—A domani, ragazzi.—baciò entrambe le guancie di John, che per poco non diventava cenere.
Mi girai verso Roger, che, come me, cercava in tutti i modi di non ridere.
Veronica baciò affettuosamente anche me, poi, insieme a Roger, che si limitò a dire un "a domani", uscì da casa.
Nell'esatto momento in cui si sentì la porta chiudere, andai da John.—E' cotta di te!
Mi mise una mano sulla bocca, che tolsi immediatamente.—Le piaci!—dissi a voce più bassa.—Me l'ha anche detto!
—Ma sei impazzita! Le hai chiesto se le piaccio?
—Com'è tutto questo interesse? Ah, già. Dimenticavo che prima eri diventato tutti colori.—finalmente potei ridacchiare.
—Dai, non c'è niente di male ad ammetterlo. A me, poi, che sono tua sorella!
—E' proprio di questo che mi preoccupa. Non mi fido per niente di te.
—Ti prometto che non toccherò più questo argomento, infatti te la dovrai cavare da solo. Ma ti prego, ammettilo!
Mi misi letteralmente in ginocchio a lui.—Ecco...—si tormentò il capo.— Può darsi.
Esultai come una matta.—Okay. Mi basta questo per capire che stravedi per lei.—feci per andare in camera mia, visto che la tavola l'avevano già sparecchiata lui e Veronica.
—Non sono ancora a questi livelli.
—Stai sicuro che entro poco tempo ci arriverai.—gli dissi allo stipite della porta, prima di chiuderla definitivamente.

Spazio autore: ecco, non è passato molto tempo dall'ultimo aggiornamento.
Ma quanto amo Veronica e Deacy insieme! E anche questo capitolo secondo me non è niente di male (no, non lo faccio per vantarmi, anche perché non è il caso, LO PENSO VERAMENTE)
Spero di avere dell'altro tempo a disposizione per pubblicare qualcos'altro.
Intanto, vi saluto e ricordate…
W I JOHNICA!!! ( coppia John-Veronica, se avete idee migliori, non esitate a dirle)

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Il mondo delle Meraviglie ***


Il giorno dopo, dissi a John che sarei andata in biblioteca subito dopo la scuola. Per lui non ci furono problemi.
Così, dopo le lezioni, dopo aver dato appuntamento a Veronica direttamente a lavoro, mi avviai a Kensington.
Quando fui quasi arrivata a buon punto della strada, qualcuno mi urtò il braccio destro.
Mi girai verso lo sconosciuto. Era il ragazzo che avevo intravisto due giorni prima nella biblioteca.
—Ciao! Tu sei la ragazza del Giovane Holden, giusto?—mi disse.—Ehm, sì. Tu sei quel ragazzo che lavora nella biblioteca qui vicino?
—Esattamente. Stai andando lì?—annuii.—Perfetto. Anche io stavo andando lì. Sai per caso che ore sono?
—L'una e mezza.
—Devo essere lì per le due. Senti, siccome oggi non ho pranzato, e ti risparmio il perché, che ne dici di mangiare qualcosa? C'è una pasticceria qui vicino, offro io.
Vi è mai capitato di trovarvi in una situazione del genere? Uno sconosciuto che vi chiede di pranzare con voi? Se nell'esatto momento in cui ve lo sta chiedendo vi brontola la pancia in un modo assurdo rispondete immediatamente:—Mh, okay.
—Perfetto, è qui vicino. Ti dispiace dirmi qual è il tuo nome? Sarebbe troppo lungo "ragazza del giovane Holden", ti pare?—ridacchiai.
—Hai ragione. Io sono Rosalie, Rosalie Deacon.—ci stringemmo la mano.—Tu, invece, ragazzo della biblioteca?
—Liam, Liam Mason. Anche se ragazzo della biblioteca è già più corto. Uh, eccoci qui.
A fianco a noi spuntò una pasticceria.
Dentro vi erano tanti tavolini rotondi.
Liam e io ci accomodammo in uno di questi.—Ti spiace se ordino un croissant anche per te? Sono la loro specialità.
—Fa pure.
E infatti, poco dopo, un cameriere arrivò e prese ordinazione del giovane.—Perdonami se così, di punto in bianco, ti invito a pranzare con me, ma sono affascinato dalle persone con ottimi gusti per la lettura.
—Non preoccuparti, sono abituata a questo genere di persone un po'…
—Strane?—ridemmo entrambi.
—Ecco.
—In verità io sono molto strano, me lo dicono tutti. E come va con la lettura? Il giovane Holden è di tuo gradimento?
Annuii.—E' fantastico. Io credo che quello che accada al protagonista sia accaduto all'autore stesso. Un adolescente che combina guai, ha paura, scopre l'amore. Insomma, siamo chiari sul fatto che l'adolescenza sia il momento più difficile di tutta la nostra vita.—quando terminai di parlare, rimase in silenzio e continuava a guardarmi.—Che c'è? Ho detto qualcosa di sbagliato?—chiesi confusa.
—No, anzi. Sono rimasto colpito dal fatto che una ragazza faccia certi discorsi, tipici da persona matura. Sei da catalogare come una di quelle persone che si chiedono tanti perché su quello che vanno a leggere.
Rimasi un po' di colpo, ripensando al fatto che in tutta la mia vita "la chiave del piacere" era essenzialmente l'unico libro che avevo letto.—Eppure io da poco ho scoperto il piacere della lettura. Diciamo da un mesetto.
—Non ci credo! Una persona con poca dimestichezza con la lettura non fa questi discorsi.
—Invece sì. Anche se in questo momento della mia vita ho il desiderio irrefrenabile di scoprire nuove cose nei libri. È un sentimento un po' strano, quasi più forte dell'amore.
—So cosa si prova. È per questo che ho lasciato la scuola qualche anno fa per lavorare nel mondo delle meraviglie, la biblioteca. Non mi sarei accontentato di avere una misera laurea in lettere. E tu, studi?
—Biologia all'Imperial College. Scusami se sono poco discreta, ma quanti anni hai?
—Non lo sei affatto, ne ho ventidue. Tu, invece?
—Venti. Sono ancora piccolina. Io vengo da Leicester, ma mi sono trasferita prima a Dublino, e da poco qui.
—Nato, cresciuto e vivente a Londra.
Arrivarono immediatamente i cornetti.—Che delizia!—esclamai dopo averne ficcato un boccone.
—Lo so. Per questo il più delle volte vengo a mangiare qui. Tra l'altro conosco anche il proprietario.
—Davvero? Buon per te!
Rimanemmo in silenzio a gustare la prelibatezza assoluta.—E a che punto sei con il libro? Se non ricordo male devi restituirlo questo sabato.
Rimasi spiazzata dal fatto che se lo ricordasse.—Dio mio, come hai fatto a…
—Ricordarlo? Svegliati, giovane Holden. La biblioteca è la mia seconda casa.—gli sorrisi.
—Comunque sono più o meno a metà. Ti ho spiegato cosa mi succede. È un desiderio irresistibile e sono solo due giorni. Non chiedermi da dove prendo il tempo. Sto anche trascurando il mio secondo hobby, suonare la batteria. —Sei una musicista? Che bello.
—A livello dilettantesco so suonare qualcosa.
—Non dar la colpa a Holden, se non hai più tempo, però.
—No, perché dovrei mai. Non posso dare la colpa ad un povero sedicenne, ti pare?—ridacchiammo.
—Posso consigliarti io qualcosa?
—Sì, perché no?
—Hai mai sentito parlare della trilogia de "Il signore degli Anelli"? Stiamo parlando sempre degli anni '50, '54 per essere precisi, e l'ho letto un anno fa più o meno. Conosci il genere fantasy?
—Più o meno.
—Te lo procuro tra qualche giorno, non voglio accavallarti di libri altrimenti non comprendi nulla. Mi sa che si sta facendo tardi. È meglio se andiamo.
Ci alzammo e andammo a pagare, o meglio, fu lui a pagare, ma siccome era solamente un misero cornetto lo lasciai fare.
Ci avviammo, con un susseguirsi di chiacchiere, e nella biblioteca ci dividemmo.
Mi addentrai in tutti gli angoli del grande luogo.
Prima che me ne andassi, lasciai un silenzioso saluto a Liam che era intento a leggere un librone dietro il solito bancone e mi avviai verso Earls Court.

—Io credo che un giorno di questi mi ruberò qualcosa.—mi disse Veronica verso la metropolitana che ci avrebbe portato nuovamente all'Imperial, ripensando a quel pullover rosso che avevamo esposto in vetrina quello stesso giorno.
—Partecipo alla tua rapina, allora.—risposi.
—Non vedo l'ora di sentir suonare la band. Come hai detto che si chiama?
—Queen. Non te l'ho mai detto.
—Ah, giusto. Che nome!—annuii, pensando al fatto che oramai chiunque avesse sentito quel nome avrebbe detto la stessa identica cosa. Ci avrei dovuto fare l'abitudine.—Comunque non ho mai sentito suonare nemmeno tuo fratello.
—Beh, tieni conto che devi avere un bell'orecchio musicalmente addomesticato per riuscire a distinguere il basso dagli altri strumenti. A proposito di John—non avevo nemmeno finito di parlare che vidi Veronica eccessivamente pensierosa guardare per terra.—Veronica? Scrollò il capo.—Cosa?
—Stavo parlando di John. Mi ascolti quando ti parlo?
—Sì, scusa. Stavo pensando ad un'altra cosa. E di Roger che mi dici? È bravo quanto te a suonare la batteria?
Sorrisi.—Contando che lui aspira a diventare un batterista professionalmente e io a rimanere al mio livello, beh, allora sì.—ridacchiai silenziosamente.
—In che senso? Che ci sta a fare allora a studiare?
—Non chiedermelo. È una persona molto lunatica. Chissà cosa la prenderà a fare la laurea.
—Devo preoccuparmi anche degli altri due?
—Diciamo. Non proprio. Il cantante è un tipo assai eccentrico, il chitarrista è l'unica persona sobria di questo gruppo. Pensa che l'ho incontrato la prima volta che venni al College senza conoscere nessuno e l'altro giorno siamo andati insieme in biblioteca.
—Wow. Spero sia carino, prevedo già una bella cena romantica insieme.—risi.
—Ma no! Carino lo è, ma è meglio se rimaniamo amici. È una persona che merita di più di una pazza come me.
—Tu pazza? E io che ho intenzione di fare una rapina sul posto di lavoro?
—Ah, ma dici sul serio, allora?—canzonai.
Dopo un po' – e dopo aver affrontato la grande giungla soprannominata "metropolitana" – arrivammo finalmente all'Imperial.
La scortai fino alla sala in cui mi condusse John la prima volta in cui venimmo.
Quando entrammo, le note al piano di "Doing All Right" eccheggiavano in tutto lo spazio.
Non appena vide aprire la porta, Freddie scese dal piccolo palco, venendo nella nostra direzione.—Rose, dolcezza, eccoti finalmente. Lei è l'amica di cui mi ha parlato Deacy?—disse, mentre si avvicinava a noi.
—Deacy è John,  per intenderci.—sussurrai "all'amica" prima di avvicinarci al moro.
—Freddie, lei è Veronica. Ver, lui è il cantante, Freddie.—i due si strinsero la mano.
—Piacere. Sei tu che stavi suonando il piano? Sei davvero bravo, complimenti!—disse lei.
—Grazie, troppi complimenti.
In un batter d'occhio, dietro di me si smaterializzò Brian.—Rose, ben tornata!—mi mise amichevolmente una mano sulla spalla.
—Ehilà, Brian! Da dove sei sbucato? Brian, lei è Veronica. Non so se Roger e John ti hanno già parlato di lei.
Anche loro si strinsero la mano.—Ah, tu devi essere il chitarrista! Anche Rose mi ha parlato tanto di te!—arrossii nel momento esatto in cui non mi guardava nessuno.
—Ehm, dove sono gli altri due scapestrati?
—Erano fuori con Bri. Ti va di andarli a cercare tu, amore?—rispose Freddie.
—Non ci eravamo decisi con "dolcezza", Freddie?—vidi Veronica disorientata.—Veronica, ti spiegherà tutto questo emerito idiota qui presente. Io vado a cercare gli altri due, altrimenti finiamo stanotte queste benedette prove.
Mi diressi verso la porta, ma mentre stavo per superarla, Roger per poco non mi veniva addosso. Ci toccammo appena spalla contro spalla—Ups!—esclamò lui, non appena mi vide perdermi l'equilibrio e inciampare su di lui.
Mi aiutò a rimettermi in piedi prendendomi per un polso.
Arrossii nuovamente, ma stavolta senza un motivo ben preciso.
"Perché arrossisco? Perché?" continuavo a chiedere a me stessa.
Sì. Succede solo a me di arrossire per un motivo che nemmeno io conosco, se ve lo starete chiedendo.
—Tutto bene? Ehi?—Roger aveva ancora il mio polso stretto tra la sua mano.
Me lo strattonai e andai fuori a cercare John.
Stavolta andai a sbattere contro di lui, fortunatamente senza lesionarmi.
Mi girai, notando che Freddie mi sorrideva con perfetta nonchalance.
A muso basso, andai verso Veronica.—Ora che ci sono tutti, possiamo andarci anche a sedere.
Tutti, anche John e Brian che non avevano compreso assolutamente nulla, per mia fortuna, di quello che era accaduto, si decisero a salire sul palco, per iniziare le prove.
Il ciclo fu sempre lo stesso: eseguirono canzoni che avevo già ascoltato in precedenza.
Ovviamente ci misero la stessa passione che avevano già usato la volta precedenza.
Freddie con i suoi modi puramente carismatici marcava tutte le esecuzioni.
Notai che anche Veronica era rimasta abbaiata dai quattro, in particolare uno di loro, John, aveva lo sguardo solo sul suo basso senza intercettare quello degli altri tre, il mio o quello di Veronica.
Cosa strana. Ma non per me, che ero l'unica che aveva capito il perché di quella riservatezza.
Anzi no, non ero l'unica. Ripensando alla sera precedente, anche Roger deve aver intuito qualcosa su John.
Ed eccolo, infatti, durante una breve pausa tra "The Night Comes Down" e "Keep yourself Alive", guardare John maliziosamente.

Spazio Autore: scusami, Rose, ma se non ti serve Brian perché non lo dai a me?!
No, scherzi a parte, Il signore degli Anelli è stato pubblicato se non erro nel '54, per cui non preoccupatevi.
Chi è Liam? Questo nuovo personaggio cambierà le cose? Non esattamente. Lo scopriremo più in là…
A presto (ma quanto sono sintetica con gli "Spazio Autore"?)

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Consolazione ***


—Perché devo sparecchiare solo io?—si lamentò John.
—Perché io ho cucinato, lo sai benissimo. Muovi il culo e tornatene in cucina!
Era un tranquillo sabato pomeriggio. Io e John avevamo appena finito di mangiare e io ero in salotto che trafficavo con i programmi radio che avevano una mediocrissima qualità di suono. Sfortunatamente era assai complicato trovarne uno.
Dopo alcuni minuti, qualcuno bussò alla porta.—John, vai ad aprire!—urlai.
—Ma perché oggi tutto io!—brontolò, mentre lo sentivo andare alla porta.—Roger! Anche oggi prove?
Mi misi una mano sulla fronte. Perché lui?—Sì, Deacy. Il concerto è tra una settimana precisa e Brian sta dando di matto.—sentii dire dal biondo, mentre si stava dirigendo nel salotto dove mi trovavo.—Ehilà, squilibrata! Vuoi cadermi addosso anche oggi?
Lo ignorai, continuando a trafficare con la manovella dell'aggeggio.—No, ma se vuoi ti tiro la radio nello stomaco e vediamo se continui a fare il buffone.
Finalmente una stazione radio riprendeva perfettamente tutto.
La voce femminile trasmessa per poco non mi fece sobbalzare:— Notizia dell'ultima ora. Il celebre cantante e chitarrista Jimi Hendrix è stato trovato deceduto stamani nel suo appartamento a Kensington.
Brividi lungo la schiena. Fu tutto quello che sentii in quel momento.
Mi coprii la bocca con il palmo di una mano.
Come era potuto accadere? Il più grande chitarrista di tutti i tempi morto?
Mi girai verso gli altri due. John aveva una faccia alquanto allarmata Ma Roger, invece, sembrava un cadavere a tutti gli effetti.
Aveva in volto lo stupore in tutti i suoi caratteri.
Guardò a terra per una manciata di secondi, poi si girò verso il corridoio e corse verso la porta.
Il mio istinto volle che mi fossi messa ad inseguirlo, così presi una giacca dall'attaccapanni e, senza che John avesse fiatato una parola, uscii dalla porta di casa.
Una volta fuori, vidi Roger camminare a passo svelto qualche metro più lontano.
Corsi verso di lui, urlando il suo nome a squarciagola.—Roger! Roger!—dovetti richiamarlo ben due volte prima che si fermò e si girò a guardare il responsabile delle chiamate.
Quando lo vidi in faccia sembrava fosse appena uscito da una stanza infestata di leoni.
Riuscii alla fine a raggiungerlo.—Roger, datti una calmata!—dissi affannata.
—No, Rose. Non posso! Ti rendi conto di quello che è appena successo?—sbraitò, con due occhi lucidi, avrei giurato.
—Lo so. È stato uno shock anche per me ma cosa vuoi fare ora? Non ti servirà a nulla scappare.
—No! Non voglio crederci! Non posso accettare la realtà, Rose. Lo vuoi capire?—urlò.
Fu allora che il mio istinto mi tradì nuovamente.
Immediatamente lo avvolsi nelle mie braccia, che in quel momento erano più sicure di lui.
Mi sentivo stranissima per quello che stava accadendo, ma in quel momento la consolazione era tutto ciò di cui aveva bisogno.
Non so quanti secondi passarono dopo che l'ebbi stretto a me, sta di fatto che poco dopo ricambiò l'abbraccio e posò la testa sulla mia spalla  più bassa della sua.
Lasciai uscire un sospiro.
Non avevamo nessun legame amichevole, ma mi faceva male vederlo così.
Dopo un po' sciolsi l'abbraccio.
Il suo viso era decisamente più sereno di prima.
Mi guardava, ma a differenza del solito, in modo tranquillo e rassicurante.
Rimanemmo in silenzio lì, lasciando che le nostre orecchie udissero solo lo strombazzare delle auto che passavano lì accanto.
Poi finalmente lui prese fiato.—Grazie.—mormorò con voce sottile.
—Non c'è di che. A volte un abbraccio è tutto ciò di cui abbiamo veramente bisogno.—gli sorrisi e lui ricambiò.—Se vuoi ti accompagno a casa. Magari mi offri anche una tazza di tè.
—Perché no? Andiamo.
Camminavamo a passo svelto, in silenzio.—Va meglio, ora?—gli chiesi nuovamente.
—Sì, grazie ancora. È solo che… Ti giuro, non so cosa mi sia preso. Non mi capita mai di essere così cosciente davanti a situazioni del genere, mi sono spiegato?
—Capita a tutti di avere momenti di infelicità del genere. Ora però cerca di stare più rilassato, siamo intesi?—lui annuì.
—Mi è venuto un dubbio. Non ricordo se abbiamo o no il tè a casa. Se non sbaglio ieri Freddie è andato a comprarlo ma ho paura di no.—sorrisi per confortarlo un po'.
—Oh, basta anche un bicchiere d'acqua. Se poi c'è il tè è decisamente meglio!
Dopo aver camminato ancora un po', Roger e io arrivammo a Kensington, in una piccola stradina ornata da enormi palazzi.
Poi arrivammo di fronte ad una palazzina dai mattoni bordeaux. Roger tirò dalla tasca del suo giubbino un mazzo di chiavi.
—Terzo piano. Dobbiamo farci qualche scala.
—Non ci farà di certo male.
Dopo aver salito tre gradinate, arrivammo davanti una porta beige. Anche questa, insieme a quella di giù, venne aperta dal batterista.
Davanti mi si presentò un modesto openspace dove si potevano distinguere un divanetto e un pianoforte verticale alla mia destra, un finestrone di fronte, un angolo cottura alla mia destra e lì accanto un tavolo in mogano marroncino. Poi, accanto a questo, un'altra porta.
Roger mi invitò ad entrare.—Vieni, entra pure.
Una volta dentro, mi guardai ancora meglio intorno.—Non male, sai?—dissi.
—Il merito non è certo mio. Ha fatto tutto Freddie. Ha scelto la disposizione dei mobile e l'immobile stesso.
—Anche se è piccola è davvero bella.
Lui intanto si mise a frugare nella credenza della cucina.
—Abbiamo il tè! Metto a bollire subito l'acqua.
—Sai farlo o vuoi una mano?
—Credo che almeno mettere l'acqua sul fuoco lo so fare. Non sono certo Miss Deacon ma il minimo del minimo lo so fare.
Mi avvicinai alla porta affianco la cucina.—Lì ci sono la mia stanza, quella di Freddie e il bagno.—disse appena mi vide superare la porta.
Alla mia sinistra, destra e di fronte a me intravidi infatti tre porte.
Quella frontale mi condusse probabilmente in quella di Roger, visto che si intravedeva il suo fidato set di batteria che occupava più della metà della camera.
Poi c'era un letto ampio quasi quanto il mio, un piccolo armadio e qualche mensola di legno sopra il letto.
Lì intravidi dei vinili.
Non riuscii a trattenermi e mi avvicinai a questi.
Aveva molti dischi dei Beatles, quasi tutti, anche quelli di Elvis, ma quello che mi era balzato all'occhio fin da subito era l'angolo dedicato ad Hendrix.
Presi "Are you Experienced", un disco che da sempre avevo il desiderio di comprare.
Mentre ritornavo nella stanza principale, sbirciai anche quella di Freddie, leggermente più piccola di quella del batterista.
Tenevo il disco nelle mani quando vidi Roger scottarsi con il bollitore dell'acqua.
—Ehm, Rog?—lui si girò nella mia direzione, soffiando sul suo indice.—Posso?–chiesi, mostrandogli il disco.
Mi guardò per un po' assente.—Sì, fa pure.—disse poi.
—Se non te la senti è meglio di no.
Per risposta, lui prelevò il vinile dalle mani.—Non c'è modo migliore per onorarlo.
Senza che ci avessi fatto caso, sopra al pianoforte c'era un semplice giradischi.
Dopo che Roger mise su il disco, subito partì "Foxy Lady".
Mi sedetti sul divanetto mentre Roger portava due tazze fumanti di tè.
Me ne porse una, mentre si sedette vicino a me.
Tra una sorseggiata e un'altra dissi—Amo questa canzone!
—Lo so, è veramente bella. Mi ricordo quando ti ho visto che stavi comprando il singolo. Mi fa ancora male il piede.
—Che bella pestata che ho fatto! È stato un momento così piacevole!
—Me ne sono accorto. Sai che c'è la versione statunitense di questo disco che è diversa da questa?
—Davvero?
Annuì.—C'è Purple Haze. E in questo non c'è.
Rimanemmo ancora in silenzio, mentre finivamo il tè.—Sai che il tuo stile di batteria mi ricorda molto… Il batterista di Jimi, Mitch Mitchell?
—Mitchell, sì. Lo so, è uno dei miei ispiratori. E tu, invece? Io credo che hai uno stile più vicino a quello di Ringo Starr, non è così?
—Esatto. È così evidente?
—In un certo senso sì.—mi sorrise.
—Sai che qui è veramente bello? Quasi quasi mi trasferisco qui.
—Facciamo cambio? Io vado a vivere con Deacy. Non lo sopporto più Freddie!
—Che devo dire io che sopporto Johnny da quando siamo nati?—ridemmo.
—In realtà Freddie sembrerà anche una persona molto estroversa, ma in realtà è un tipo molto riservato e tranquillo. Me ne accorgo soprattutto quando siamo soli io e lui.
—Com'è che avete deciso di andare a vivere insieme? Siete molto legati?
—Sì, è così. E poi è quel tipo di persona con cui ti ci abitui subito. Ti faccio un esempio, quando non avevamo ancora una casa e vivevo ancora con mia madre, lui alcune volte rimaneva da me. Ma per non far stirare a mia madre i pantaloni, li piegava e li metteva sotto al materasso e ci dormiva sopra.
—Wow. Credo di averlo un po' sottovalutato.
—Anche lui è un appassionato di Hendrix.
—Me ne sono accorta. Avete un bellissimo negozietto, lo sapete?
—Tu invece dove lavori?
—A Earls Court. Non so se Deacy te l'ha detto, ma io e Veronica lavoriamo insieme.
—Ma davvero? Senti, io non voglio fare pregiudizi e tantomeno offenderlo, ma io credo che Deaks si sia preso una bella cotta per Veronica.
—E infatti è così. L'ha proprio ammesso a me. Ti prego non dirlo a nessuno!
Lui ridacchiò.—No, non preoccuparti. Io lo sapevo. Ci avrei scommesso la batteria. E anche Veronica non è completamente casta e pura.
—Lei lo deve ancora ammettere a sé stessa. Ma sono sicura che tempo un mese e si troveranno insieme.
—Lo penso anche io.
Altra pausa di silenzio mentre ascoltavo una  nuova canzone: Can you see me.
—Rose?—ritornò da me, dopo aver posato le tazze nel lavabo.
—Sì?
—Io devo chiederti scusa. Solo ora mi sono reso conto che ho sbagliato completamente atteggiamento con te.—non risposi, non sapendo cosa dire.—Lo so, sono stato un completo idiota. Tu non sei davvero una persona per niente male, hai una bellissima personalità.
—Lasciamoci tutto alle spalle, okay? Amici?—gli allungai una mano.
—Amici. E non qualcosa di più, altrimenti mi fraintendi.
Ridacchiai.
Mi misi più comoda sul divano e lui fece altrettanto.
Dopo un po' sentimmo la porta aprirsi.
Era Freddie, che con il volto spento, ci guardò seduti sul divanetto, mentre "I don't live Today" si diffondeva nella casa.
—Ehi, Freddie.—disse Roger.
—Ciao, Fred.—mormorai invece io, timidamente.
—Ciao, Rose.—mi disse, probabilmente anche un po' sorpreso di vedermi lì.—Avete saputo?—entrambi annuimmo.
—Freddie, io non me la sento di tenere aperto il negozio. Che ne dici se oggi…
—Anche io avevo pensato la stessa cosa. Siamo d'accordo, allora.
Con l'arrivo dell'altro proprietario della casa, decisi di togliere il disturbo.
—Ragazzi, io me ne vado. Tra un po' devo andare anche lavorare.
—Sono solo le tre. Che ci vuole ad arrivare a…—provò a dire Roger.
—Earls Court. È meglio se mi avvio. Di solito sabato la metro è un casino e non ho la macchina. Ci vediamo.
Andai verso la porta, ma Roger mi raggiunse.—Sei sicura di non voler restare ancora un po'?
—No, Rog. Il dovere mi chiama, purtroppo. Era buono il tè, lo sai?
—Sono contento. Ci sentiamo presto.
Esitò un po', prima di avvicinare la sua guancia, da cui si intravedeva una basetta bionda, alla mia.
Dopo un po' si decidette e ci baciammo su entrambe le guancie.
—Ciao, Freddie.—dissi, prima di uscire definitivamente dalla porta.

Spazio Autore:
Questo è senz'altro uno dei migliori capitoli a mio parere.
Purtroppo anche abbastanza triste, soprattutto per chi, come me, è un appassionato anche di Jimi Hendrix e della sua musica.
Ma il fatto che Rose consoli il biondo è senza parole per me.
So che sono una vanitosa, visto che mi vanto delle mie stesse storie, ma amo questo capitolo, senza aggiungere altro.
Chiedo scusa se ho aggiornato un po' in ritardo rispetto all'ultimo capitolo, ma in questo fine settimana è mancata la connessione.
Ma le recensioni?
Ricordo che accetto anche le critiche.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** La doppia sfida ***


Southern trees bear strange fruit,
Blood on the leaves and blood at the root

Black bodies swinging in the southern breeze,
Strange fruit hanging  from the poplar trees.


Semplice linea di basso, insegnatami da John, che segue la ritmica del pianoforte della canzone originale.
"Strange Fruit" era la mia preferita.
Un'opera magnifica della più sublime Billie Holiday di sempre.

For the sun to rot, for the trees to drop,
Here is a strange and bitter crop.

 
Il disco terminò di girare, e io rimasi, accanto alla mia fidata batteria e il basso di John sulle gambe, a meditare silenziosamente.
Era un freddo pomeriggio di fine novembre.
Guardai l'orologio da polso.
Due e mezza.
Orario spaccato.
Mi indossai il cappotto verde imbottito e misi il mio basco nero sulla zucca.
Intanto, dal piano superiore arrivò John.—Stai andando da Veronica?
—Come al solito non pensi ad altro.—scherzai, mentre mi abbottonavo.
—Non si può chiedere nulla?
—Vado prima al negozio di dischi, insieme a Roger. Vuoi che ti prenda qualcosa?
—No, sono andato l'altro giorno. Cosa stavi facendo col mio basso?
—Ah, già che ci sei, puoi mettermi a posto "Strange Fruit"?
Obbedì al mio comando.—Ultimamente stai un po' trascurando Billie.
—Non ho proprio tempo. Sto trascurando tutto, in realtà. La batteria, lei, i Fab Four. Da quando sono entrata in biblioteca non sto capendo più niente.
—Stai diventando ossessionata dalla lettura.
—Di certo non è colpa mia. Tutto è partito da te.—guardai nuovamente l'orologio.— Io vado.—gli scoccai un bacio sulla guancia e salii frettolosamente le scale.
Una volta uscita dal palazzo, un vento molto fresco ma piacevole, mi invase.

Erano passati due mesi, e naturalmente in quell'arco di tempo successero molte cose.
Io e Roger avevamo rafforzato il nostro rapporto d'amicizia.
Insieme suonavamo la batteria, parlavamo della nostra passione per la musica, o , come quella volta, visitavamo negozi di musica.
Quanto a Veronica, beh, non si era ancora decisa a farsi avanti con John, ma poco importa. Anche loro, come me e Roger, avevano una grande affettività amichevole.
E poi, perché non parlare dei Queen?
In soli due mesi si esibirono ben sei volte tra un college o un pub.
Ah, e infine c'è Liam.
Ero uscita anche con lui, coltivando in sua presenza l' amore per la lettura.
Grazie a lui, conobbi la serie di libri fantastici più grande di tutti i tempi.
Infatti, in quei mesi, mi divorai i primi due libri della trilogia.
Ed ero molto legata anche a lui.
Camminavo a passo svelto verso il luogo destinato, ma poco dopo, qualche metro più avanti a me, intravidi un ragazzo dai capelli biondi venire in mia direzione.
Chi poteva mai essere?—Ehi, Rog! Sei in anticipo! Non vieni qui mai prima delle tre meno dieci e sono solo meno venti!
—Wow, davvero? Sono soddisfatto di me stesso, sai?—mi raggiunse, e insieme camminammo in direzione del negozio.—Che mi racconti? Novità su Veronica?—mi chiese, poi.
—Nulla. Ah, no. L'altro pomeriggio siamo usciti io e lei dopo il lavoro e abbiamo incontrato John a Piccadilly.
—Era con Brian, vero?
—Sì, c'era anche lui.
—Sono usciti insieme per andare a comprare delle corde per il basso.
—Beh, insomma. Siamo tutti andati ad accompagnarli, io ne ho approfittato per comprarmi un altro paio di bacchette…
—Perché hai tutta questa paura di romperle?
—Fatti gli affari tuoi, che quando te le ho prestate, ci mancava poco che me le spezzassi in due. Comunque…—ridacchiai, prima di continuare.—Veronica e Deacy sono stati tutto il tempo a parlare di come si fosse rotta la corda e se era qualcosa di grave. Giuro che mancava poco che li picchiassi lì per strada.
—Non sei contenta? Stanno quasi per raggiungere il traguardo.
—Sì, ma non credi che se continuano così finiscono per diventare due barattoli di miele?
—A noi non interessa. Noi vogliamo solamente vincere la scommessa che ho fatto con Brian.
—Tu, cosa?
—Scherzavo. Non ho scommesso nulla. Sai come sarà divertente vederli continuamente baciarsi?—rise.
—No, così esagerano, però.
—Sì, ma la missione V-J sta per essere terminata. Ad ogni modo, cosa devi vedere al negozio? Io devo comprarmi l'ultima raccolta di Elvis. Credo si chiamasse "Let's Be Friends" o una roba del genere.
—"Let's Be Friends", esatto. Non è proprio nuova.
—Lo so, ma non ho avuto tempo per prenderlo. Tu, invece?
—Qualcosa su Billie Holiday, se trovo.
—Ti piace Billie Holiday?—chiese un po' sorpreso.
—Molto, in realtà. Non che il jazz mi appassioni più di tanto,  ma la stimo molto.
—Da Carl's trovi tutto, fidati.
Poco dopo arrivammo a destinazione.
Non appena fui entrata andai alla ricerca di ciò che avrei dovuto comprare.
Presi "Music for Torching", uno che mi mancava.
—Vuoi che ti accompagni a vedere quello per te?—chiesi.
—Sì.
Cambiammo completamente il reparto del genere.
Scavammo l'intera sezione di Elvis, dopodiché finalmente trovammo ciò che cercavamo, o meglio, che cercava Roger.
Decidemmo di andare a pagare, dividendoci il conto; subito dopo, uscimmo.
—Hai già qualcos'altro di Billie Holiday?—mi chiese, dopo aver varcato l'uscita.
—Un paio di dischi sì. Vuoi che te ne presti qualcuno?—lui annuì.
—Okay. Ma tu mi devi prestare qualcosa di Elvis. Ho poco di lui.
—Va bene.—mi allungò la mano, e io la strinsi.
—Stasera vieni alle prove?
—Sì. Mi porto anche Veronica appresso.
—Allora è perfetto perché Freddie voleva organizzare una cena con tutti.
—Grande! Non ho cucinato nulla e ho una fame già da ora. Puoi accompagnarmi a Earls Court?
—Sì. Tanto non ho nulla da fare.
E insieme ci avviammo verso il tram.


—Possibile che dobbiamo sopportarci quei quattro prima di cenare? Io ho una fame che non ci vedo.—protestò Veronica, mentre salivamo le scale che ci avrebbero portato nella solita sala.
—Anche io sto morendo di fame, ma sono solo le sette e mezza, e quelli non finiscono prima delle otto e mezza. Per cui arrendiamoci.
—Non è possibile. Non fanno altro che provare. Ma di che hanno paura?
—Ah, chi li capisce i rockettari.
Dopo essere entrati e aver salutato tutti, ascoltammo il gruppo con le loro solite canzoni.
Mentre erano nel mezzo di "Doing All Right", fui l'unica a veder, con la coda dell'occhio, la porta cigolare ed aprirsi.
Mi girai e vidi una ragazza dai capelli biondi e lunghi, vestita di colore nero, avvicinarsi alla prima fila delle poltroncine sotto il palco, dove eravamo solite sederci io e Ver.
Anche Veronica si era accorta di questa ragazza, girandosi.
I ragazzi, invece, non si erano accorti niente
Una volta arrivata accanto a noi, si avvicinò ancor di più.—Ciao, mi chiamo Mary. Mary Austin. Sono una compagna di corso di Brian May.
Mi alzai e le diedi la mano.—Molto piacere. Io sono Rose Deacon, la sorella del bassista, John. Lei invece è la mia amica Veronica Tetzlaff.
—Brian oggi mi ha invitato ad assistere alle prove della band. Credo di essere arrivata un po' in ritardo.
Erano le otto meno cinque.—Non tanto. Di solito finiscono alle otto e mezza, per cui sei in orario. Vieni, siediti qui.
La feci sedere accanto a me.—Così frequenti anche tu l'Imperial.—le chiesi, per avviare la conversazione.
—Sì. Io e Brian siamo amici da un po' di tempo.—osservò il chitarrista essere all'opera con la sua fidata chitarra rossa.
—E' molto bravo, vero?
—Lui? Sì. Tutto il complesso è meraviglioso, se sei esperta di musica rock, te ne accorgi subito.
—Non credo di intendermene molto. Conosco qualche canzone dei Beatles, ma nulla di più. Ma credo che loro siano molto i gamba, da quel che vedo.
Cominciai allora a dargli qualche nozione della band, le canzoni e i membri.
Poco dopo, la band scese dal palco.
Io, Veronica e Mary ci alzammo dalle poltroncine.
—Mary? Sei venuta, allora! Hai fatto conoscenza con Rosalie e Veronica?—disse Brian, venendo nella nostra direzione.
—Sì.—intervenni io.—Le ho parlato di voi, mentre lei mi ha detto che tu sei un suo compagno di corso.
—Sì. Le ho chiesto di  venire alle nostre prove e lei ha accettato. Ragazzi, lei è Mary Austin.—Brian si rivolse al resto della band.
Quest'ultima strinse la mano agli altri tre.—Ciao, io sono John. Il fratello di Rose.
—Io invece sono Roger.—si intromise subito quest'ultimo.—Non mi avrai visto molto bene perché ero alla batteria.
—Oh, no. Ti ho visto molto, in realtà. Non te la cavi per nulla male con la batteria.
Roger, soddisfatto, si congedò dalla nuova arrivata.
Fu poi il turno di Freddie.—Ciao, io sono Freddie. Credo che io invece sia stato più o meno bene sotto i riflettori.
—Il solito presuntuoso.—borbottai io.
—Il cantante! Certo che ti ho notato. Hai una voce molto bella.
Fred le sorrise, grattandosi la nuca cosparsa di capelli neri.
—Mary, stasera noi usciamo tutti insieme per una cena. Perché non vieni con noi?—disse poi Brian.
—Sì, molto volentieri.
—Oggi siamo molti, non è vero? C'è anche Veronica.—si aggiunse Roger.
—Beh, io sto morendo di fame, per cui non perdiamo altro tempo e andiamo a mangiare!—protestai io, spingendo il biondo verso l'uscita della saletta, accompagnata da Veronica, divertita, e John, che parlava con lei.

—Rose è più brava a cucinare il pollo.—commentò Veronica.
—Io credo invece che questi spaghetti siano deliziosi. Giusto, Freddie?—chiesi a quest'ultimo, seduto accanto a me, che aveva preso il mio stesso piatto.
Sfortunatamente non mi rispose, visto che parlava fitto con Mary.
Io e Roger, sedutomi di fronte, ci guardammo illusi.
—Freddie?—insistei io.
Finalmente si girò.—Cosa c'è?
—Ho detto, non trovi che questi spaghetti siano squisiti?—si limitò ad annuire e si rigirò verso Mary.
Lo guardai nuovamente sbalordita, e in seguito guardai Roger.
Mentre Brian, John e Veronica si erano ritrovati a parlare di scuola, Freddie era invece intento a conoscere qualcosa su Mary e lei altrettanto, io e Roger eravamo gli unici muti.
—Bella cena!—commentai io, facendolo ridacchiare.
Tutti i presenti  ascoltarono.—Hai ragione, Rose. Alla fine ci siamo tutti divisi. Mary, ti siamo piaciuti stasera?—accorse Brian.
—Molto. Siete davvero formidabili. Eppure non mi avevi detto che eravate così eccellenti, Bri.
—Lui è molto timido.—intervenne Freddie.—Difficilmente pavoneggia.
—Qualcosa che riesce molto facile a te, Fred.
—Smettila, caro.
—Mary, è meglio che tu sappia che litigano ventiquattro ore al giorno, per cui non sorprenderti.—lei rimase quasi completamente paralizzata.
—Sciocchezze! Noi siamo molto uniti.—negò Freddie.
—Per questo litigate sempre?—disse maliziosa Veronica.
Tutti, tranne Freddie, ridemmo.

La cena continuava magnificamente, con i soliti stupidi battibecchi e risate.
Al termine della cena, decidemmo di separarci.
Prima che io e John potessimo andare, Roger mi fece segno di avvicinarmi a lui.
—Coppia M-F, doppia sfida.—mi sussurrò nell'orecchio.
Risi silenziosamente.—Ma si sono conosciuti solo ora!—aggiunsi io, sempre a voce bassa.
—Uh, poco importa. Sento che anche loro non la scamperanno.Senti, domani non abbiamo le prove, fortunatamente. Ti voglio portare in un ristorante a pochi metri da casa mia. Fanno un' "English Breakfast" da urlo. Sei libera?
—Sì. Tanto non ho nulla da fare dopo lavoro. Ci ritroviamo a casa tua?—chiesi io.
—Sì, se non ti spiace.
—Perfetto. Ci mettiamo d'accordo anche domani dopo le lezioni. A  domani, allora.
Esitai per pochi attimi. Poi decisi di dargli un bacio sulla guancia.
Prima che qualcuno, soprattutto Rog, potesse notare il rossore in faccia, raggiunsi immediatamente John.

—Non credi che sboccerà qualcosa anche tra Mary e Freddie?—chiesi a mio fratello sulla strada di ritorno.
—No, non credo. Non sono riuscito a conoscere Mary, ma mi sembra una brava ragazza. Non credo sia molto identico a Freddie. Perché hai detto anche? C'è qualcosa tra te e Roger, forse?
Prima di arrossire di nuovo, dissi:—Io parlavo di te e Veronica.
—Ancora? Tu non ti arrendi mai, eh?
—Esattamente.—dissi con lui a braccetto, con un sorriso smagliante sul viso.

Spazio autore: ma ciao a tutti!
Mary, sei arrivata finalmente!
Ditemi tutto quel che volete, ma io la amo! Infatti non capisco perché molti la odiano.
Non so se ho fatto bene a scrivere già tutte quelle cose su lei e Freddie, in fondo si sono appena conosciuti.
Ma, guardiamo in faccia alla realtà: da che si conobbero Mary non abbandonò mai più Freddie.
Per quanto riguarda Rose e Rog, COSA  ASPETTATE A BACIARVI, LURIDI BASTARDI?
No, seriamente. Io ho paura che alla fine non combinino più niente.
Speriamo bene…

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** C'è una giustificazione a tutto ***


Il giorno dopo, alla fine delle lezioni, me ne tornai a casa da sola con tutta la tranquillità possibile, visto che quel giorno, per ragioni che Mr. Spitzer non aveva spiegato a me né a Veronica, avevamo giornata libera .
John doveva fare delle cose con la band, precisamente non sapevo cosa, per cui presi io la macchina.
Ma quando mi arrivai pochi passi più lontano dall'Imperial, vidi un ragazzo con una borsa a tracolla beige e vestito completamente di grigio.
Abbassai il finestrino.—Buongiorno, topo di biblioteca!
Liam si girò, cercando di capire da dove proveniva la voce.
Poi vide me, arrivata ormai sul ciglio del marciapiedi accanto a lui.—Ehilà, Frodo! Come va?
—Bene, tu? Dove vai?
—Faccio un giro, oggi la biblioteca apre alle quattro.
Mi venne poi un'idea.—Perché non vieni a mangiare da me? Sono sola, oggi. Dai!
Rimase un po' pensieroso.—Mh, okay.—disse poi.
—Vieni, sali!—lo invitai, entusiasta. 
Lui mi si sedette accanto.—Non sapevo che guidassi, non me l'hai mai detto.
—Solo per poco, siamo qua vicino.
E infatti, poco dopo arrivammo.
Molto frettolosamente, entrammo in casa.
—Wow, che casetta! Tuo fratello non c'è?
Gli avevo detto che avevo un fratello, e di conseguenza ho parlato a John di lui, anche se non si erano mai incontrati prima.
—No, aveva degli impegni. Faccio una pasta alla panna veloce.
—Posso aiutarti? Me la cavo un po' in cucina.—disse lui.
—Perfetto, comincia col prendere la panna dal frigo, io butto la pasta.
In fondo non dovevamo fare granchè, dovevamo solo aspettare che la pasta si cuocesse e poi bisognava immergerci la panna.
E infatti, il tempo della cottura della pasta e avevamo cominciato a mangiare.
—Sono venuti buoni, sai?—mi disse lui.
—Io sono l'unica che cucina qui. Qualcosina la so fare.—spiegai.
—Beh, non te la cavi per nulla male.
Ridacchiai.—Abbiamo fatto solo della semplice pasta con la panna, non ci vuole l'ira di Dio per un piatto così facile.
—Siamo stati comunque fantastici.
Scoppiammo a ridere.
Quando finimmo, gli chiesi se voleva un caffè e lui accettò.
Intanto, andò a visitare la casa.
E, come tutti gli ospiti che per la prima volta in quella dimora, sentii esclamare dal salotto:—Quanti vinili!
Portai due tazze di caffè fumante nella stanza.—Già. Come ti ho già detto, io e John siamo musicisti, più lui che me, ma entrambi apprezziamo i cantanti famosi come Stevie Wonder, Beatles o Elvis.
—Dove sono i libri? Ah, eccoli.
Accanto allo scaffale della libreria dove c'erano i vinili, ve ne era un'altra dove invece si trovavano tutti i libri di John.—Anche mio fratello legge molto.
Mentre passava le sue dita sui dorsi dei libri, disse:—Conosci "La Metamorfosi" di Apuleio?—negai con la testa.—Sicuramente conosci "Amore e Psiche".
Alla scuola primaria la professoressa ce ne lesse un tratto.—Ne ho un vago ricordo, sinceramente non riesco a mettere a fuoco la trama. Ti prego, non dirmi "leggilo", sono ancora alla fine delle "Due Torri". Fammi finire questa maledetta trilogia senza fretta.
Alzò le mani in alto.—Mi scusi, signorina. Non intendevo in nessun modo sollecitarla a finire il suo libro attuale subito.
Scoppiai in un'altra risata.
—Eppure non pensavo fossi così aggressiva nei miei confronti.
Alzai le sopracciglia con un sorrisino malizioso.—Non sai molte cose di me, ragazzo della biblioteca.
Anche lui mi mostrò un largo sorriso.
Dopo aver chiacchierato a lungo di libri, addirittura con "Magical Mistery Tour"  e "I Was Made to Love Her" di Stevie come sottofondo, sentimmo la porta di casa aprirsi e due voci parlare tra di loro, poi un:—Rose, sei in casa?
Roger e John ci raggiunsero nel salotto, con entrambi le bocche aperte.
—John, sei già qui?—dissi imbarazzata.—Comunque, lui è Liam. Liam, lui è mio fratello John.
I due si avvicinarono e si diedero la mano.
.—E lui invece è Roger, un nostro amico, nonché mio compagno di corso. Rog, lui è Liam.
Anche loro si strinsero la mano, e, nonostante Roger avesse uno sguardo sereno, Roger ricambiò leggermente scocciato.
—Bene, io credo debba andare. Sono le—guardò l'orologio.—Oh, santo cielo, le sei e mezza passate. Come è possibile sia passato tutto questo tempo così in fretta?—mi guardò.
Mi strinsi nelle spalle, diffidente.—Allora ci vediamo, Rose.—mi diede due baci su entrambe le guancie, salutò gli altri due con un cenno della testa, e io lo accompagnai alla porta.
Non mi diede il tempo di dirgli nulla, che se ne era già andato.
Tornai in salotto per riprendere le tazze di caffè, rimanendo sempre indifferente.
—Rose, perché l'hai invitato qui?—mi chiese John.
—E' vietato far entrare gente a casa nostra? Ti ricordo che anche io ci abito, qui.—risposi un tantino acida, con le tazze in mano.
—Rose, ti ricordi cosa ti ho detto ieri?—disse poi Roger.
Di colpo mi ricordai la cena con lui.—Di già? Non è un po' presto? E poi, non ci dovevamo incontrare a casa tua alle sette e mezza, hai detto tu stamattina?
—Volevo fare un giro con l'auto, ma se non vuoi ci vado da solo e vengo a prenderti più tardi.
—No, non preoccuparti. Un attimo, sistemo qui.
Posai le tazze, misi un giubbino verde pistacchio e degli stivali neri senza tacco.
—Eccomi, sono pronta.—dissi, mentre alzavo la cerniera del giubbino.—John, ci vediamo più tardi.
—Ah, sì. Roger me l'aveva detto che uscivate a cena. Beh, ciao!—disse lui.
—A dopo!—risposi, prima di uscire insieme a Roger di casa.

—Cosa stavi facendo insieme a quel… Come hai detto che si chiama?—mi chiese, sempre con fare scocciato.
—Liam. È un mio amico della biblioteca. Abbiamo pranzato insieme, e non abbiamo fatto niente di inquietante, ci siamo solo messi a parlare.—spiegai, mentre ci gustavamo un buonissimo "English Breskfast".
Guardai poi la sua espressione in viso: un po' imbronciata.—Cos'è? Sei geloso?—dissi maliziosa, per pura presa in giro, sia chiaro.
Mi guardò in faccia.—Io? No, era tanto per chiedere. Come ti vengono in mente cose del genere?—ridacchiai a bocca chiusa.—Ti fa ridere?
—No, no.
—A me non importa nulla, se per questo potevate anche baciarvi, tanto.
—Ma che cazzo dici? Ci conosciamo da un mesetto!—risposi divertita.—E tu? Qualche giorno fa, Freddie mi ha detto che l'ultima a cui hai fatto la corte sono stata io. Devo preoccuparmi?—risi nuovamente.
—Ah, te l'ho detto! Non ho più tempo di pensare a questo genere di cose. Brian non fa altro che organizzare prove su prove.
Gli sorrisi.—Comunque io credo che ci dovremmo arrendere per John e Veronica. Non si vogliono decidere.—Ma sei idiota? Manca poco, me lo sento. E poi, li abbiamo visti. Quei due scopano con gli occhi!
Spalancai, guarda caso, proprio i miei di occhi a quella battuta, mentre lui se la rideva di gusto.—Merda, Roger!—esclamai, aggregandomi a lui.—E di Freddie che mi dici?
—Non sai che cosa è successo ieri sera quando tu e Deacy ve ne siete andati! Mary doveva tornare a casa da sola, così lui si è offerto per accompagnarla, solo che dopo è spuntato Brian dicendo che lui era più vicino alla piccola casa che ha Mary. Credo che non esista un nome da dare al colore della faccia di Freddie.
Scoppiai a ridere talmente forte che mi colò la salsa del bacon dalle labbra, e lui doveva averlo notato, perché mi guardo la bocca in modo preoccupato.—Attenta, hai del…—mi indicò le labbra.
Sfortunatamente non capii nulla, grande idiota qual ero.
La sua mano prese un fazzoletto dal tavolo e me lo passò, con mia grande sorpresa, sul punto della bocca.
Per mia grande fortuna non avevo il rossetto, ma solo del semplice mascara, che non c'entrava nulla.
Prima di avvampare più forte di quel momento, presi il fazzoletto dalla mano di Roger e me lo passai da sola.
Tornammo a mangiare.
Al che, per dimenticare ciò che era appena successo, dissi—Questo piatto è davvero delizioso! Avevi ragione!
—Roger Taylor non si sbaglia mai, tesoro.
—Siamo modesti, non è vero?—ironizzai.

—Non hai freddo con solo questa giacca di pelle? Io sto letteralmente morendo con questo giubbino.
—Aha, freddolosa, eh? Perché ti interessa tanto se sto bene?
—Perché può darsi che sono io che sto male se ho tutto questo freddo.—mi scappò qualche brivido, avere le mani nelle tasche non serviva a nulla.
Fatalità, mi trovai poco dopo sotto il braccio sinistro muscoloso e protettivo di Roger.
Lo guardai in faccia per ricevere risposta, peccato che risposta non c'era, semplicemente mi sorrise, facendo intravedere i denti frontali sporgersi dalle sue labbra sottili.
Non avevo meno freddo, no. Mi sentivo nel Sahara completamente.
Non so per quanto tempo rimanemmo così, fatto sta che il tempo non passava più.
E nessuno riuscirebbe mai ad immaginare come mi sentii sollevata quando svoltammo verso la strada di casa mia.
Il ristorante in cui eravamo andati non era lontano, ma il tempo non passava più con me e lui abbracciati.
Fummo quasi arrivati di fronte la porta di casa, ci fermammo solo qualche metro più distante.
Finalmente mi lasciò libera.
In quel momento successe qualcosa che ancora ora non so spiegarmi.
Eppure avevo bevuto solo un bicchiere di birra, che non ha mai ucciso nessuno.
—Grazie, Rog. Ho trascorso una bella serata. Non so da quanto tempo non mangiavo così bene.
—Sono contento ti sia piaciuta la serata. Ci vediamo domani a scuola?
No. Non potevo dire "Okay", dovevo per forza dire:—Aspetta un secondo.—mi misi di fronte a lui.—Volevo chiederti… Secondo te cos'è l'amore?—mi guardò un po' confuso.—Insomma, siamo stati tutto questo tempo a parlare di John e Veronica, di quanto siano sdolcinati, ma seriamente credi che l'amore sia solo un sentimento diabetico?—ero sul punto di mettermi la mano davanti la bocca, dopo tutto ciò che avevo detto.
Rimase un po' pensieroso.—Io penso che l'amore sia un sentimento che ognuno di noi ne ha solo la metà.
—E l'altra?
—Beh.—mise anche lui le mani in tasca.—L'altra bisogna cercarla. Sappiamo tutti che è difficile trovarla. Ma sai come si dice? L'amore è un sentimento di cui tutti hanno bisogno. Anche i più senza cuore come me. Lo sai, anche se ho poco più di vent'anni, ho cercato di scovare l'altra metà in tante anime. E una volta trovato, nulla ti rende più felice.
Finalmente il mio buonsenso si azionò, e abbassai lo sguardo sul marciapiede.—E come pensi di trovarlo?—dissi poi timidamente.
—Io, non so se te l'ho detto, ma penso di averlo già trovato.
No, non mi diede nemmeno il tempo di pensare.
Fu come un colpo di pistola.
Mi trovai improvvisamente le sue labbra sulle mie.
La sua presa era micidiale.
Ero sul punto di allontanarlo da me, ma non potei fare più nulla quando la sua mano coprì il mio collo, avvicinandomi ancor di più a lui.
Era un bacio agevole, semplicemente allontanava e avvicinava con piccoli intervalli la sua bocca dalla mia.
Ad un certo punto, anche la mia mano partì, andando a perdersi nella sua chioma bionda.
Anche io lo strinsi più forte a me. E alcune volte aprivo gli occhi per godermi lui all'opera.
E non so per quanto tempo stavamo continuando così. So solo che dopo un po' fui io quella che decise di staccarsi da lui.
Rimanemmo a guardarci. Io avevo ancora la mano nei suoi capelli, mentre lui dal punto del collo era passato alla guancia destra.
Entrambi avevamo una faccia compiaciuta.
Tutti dovranno credermi, in quel momento non sapevo proprio che dire.
Una cosa era certa. Dovevo allontanarmi da lui prima che avrei combinato qualcosa.
Rimanemmo in silenzio dallo stacco, poi fui io quella a dire:—Ci vediamo domani.
Lasciai malvolentieri la presa dei capelli e feci per andare verso il portone principale del palazzo, ma lui mi prese il polso, facendomi rigirare.
—Tu non mi hai ancora risposto, però. Cos'è per te l'amore?—mi guardò intensamente negli occhi.
—Semplicemente la cosa più bella che ti possa capitare.—risposi, prima di congedarmi definitivamente da lui.

Quella notte non riuscivo per niente a prendere sonno.
Non so per quante volte mi ero rigirata nel letto, disfacendolo del tutto.
L'unica cosa certa era che non sarei riuscita ad addormentarmi.
E solitamente, in questi casi, c'era solo una cosa da fare.
Andai in camera di John, intento a dormire tranquillamente.
Non appena aprii la porta di camera sua, lo chiamai.—John? Svegliati.
Si alzò dal cuscino.—Che ore sono?—chiese con voce impastata.
—Non lo so, ma non riesco a prendere sonno.
Rimase a guardarmi per un po'.—Vuoi dormire qui vicino a me?
Annuii, e in men che non si dica, mi coricai accanto a lui.
—Come mai non riesci a dormire?
—Non lo so.—mentii.—Non riesco a tranquillizzarmi.
—Va meglio, ora?
—Sì.
—Domani alle due abbiamo le prove. Tu e Ver volete venire?
Non me la sentivo di vedere Roger con tutto quello che era successo.—No. Torno direttamente a casa.
—Posso sapere che è successo? Avete litigato tu e Rog?
—No, non preoccuparti. Ora pensiamo a dormire. Ho sonno.
Così mi abbandonai nelle sue braccia fraterne, dimenticando nel buio tutti i pensieri che mi tormentavano.


Spazio Autore: EVVAIIIIII!
SI SONO BACIATI QUEI DUE, FINALMENTE.
Il bacio è stato un momento molto delicato. Credo di averci messo due ore solo per scrivere quella sequenza, e ancora ora non mi soddisfa.
Io non so voi, ma non vedo l'ora di vedere come andrà avanti…

 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Tutto destinato a succedere ***


La mattina dopo, fui ovviamente obbligata ad andare a scuola.
Cercai, in tutto l'arco della mattinata, di non incontrare Roger, né tantomeno guardarlo durante le lezioni.
Veronica, non sapevo come, doveva aver capito che c'era qualcosa che non andava, infatti mi chiese più volte se stessi bene.
—Sì, sì. Ho solo un po' di mal di testa.
Non era mai soddisfatta di questa risposta.
Alla fine della giornata, uscii come un razzo dal College.
Ero tormentata, non riuscivo a darmi una calmata.
Mi stava veramente scoppiando la testa.
Così, mentre stavo per scendere il sottopassaggio della metro, feci inversione e andai verso la biblioteca.
Di tanto in tanto, per fare prima, correvo.
E infatti, ci misi meno tempo ad arrivare.
Una volta lì, mi feci tutte le sezioni.
Anche solo camminare per gli scaffali, fortunatamente mi dava sollievo.
Poi, mentre passeggiavo tra i libri, incontrai Liam.
Lo salutai agitando la mano, poi lui mi venne vicino e disse:—Aspettami alla cassa. Andiamo a mettere qualcosa sotto i denti.
Così feci, e dopo due minuti uscimmo dall'edificio.

—Come va? Leggo negli occhi un po' di tristezza.—disse, una volta trovati alla solita pasticceria.
—In effetti.—dissi a bassa voce.
—Problemi a scuola?
—No, non c'entra niente.
—E allora ci sono solo problemi di cuore.—sospirai.—Ho indovinato?
Giocherellai con un ciuffo dei capelli che mi usciva dalla coda di cavallo che portavo.—Posso parlarne con te?
—Certo. Puoi dirmi tutto quello che vuoi.  Sempre se lo desideri, posso anche provare ad aiutarti.
—A me piace un ragazzo. Solo che ho paura di soffrire per amore, e poi non so se lui prova quel che provo io. Mi spiego, io credo di piacergli, ma non al livello che mi aspetterei.—farfugliai.
—Beh. È vero, per amore è inevitabile che si soffri. Ma sai cosa ti dico? Fregatene di tutto. Insomma, se tu per caso dovessi perdere questa persona, ricordati che la vita va avanti, gli sbagli non si possono cancellare. I libri mi hanno insegnato che sono importanti non le cose brutte che accadono nella vita, ma le cose belle, quelle che ne terrai per sempre nel cuore. Io ti dico di non perder tempo e di cogliere l'attimo.
Mentre parlava, ero estasiata da tutte le cose veritiere che diceva.
Un sorriso spuntò dalle mie labbra.—Grazie, Liam. Mi hai aiutato molto.
—Non c'è di che. Dopo torni in biblioteca con me?
—Non lo so. Sono ancora un po' giù. Credo che me ne tornerò a casa, dopo. Ma se ti dispiace, vengo.
—No no no, non voglio che ti annoi. Almeno finiamo questo fantastico croissant, ti pare?
Gli sorrisi.—Anche lui ha contribuito a confortarmi un po'.—dissi, mentre ne misi un bocca un pezzo.
—Prima ti ho preso "La metamorfosi", puoi anche lasciar stare "le due torri" di Tolkien.—frugò dalla sua solita borsa e cacciò fuori un piccolo libro rosso, mettendolo sul tavolino.
Lo presi.—Non vedo l'ora di leggere "Amore e Psiche".


Dopo, decisi, come avevo detto, di tornarmene a casa.
Verso la strada di ritorno, pensai che in fondo Roger poteva veramente amarmi.
Eravamo amici da ormai un paio di mesi.
Poteva anche darsi che quel bacio poteva essere la goccia che avesse fatto traboccare il vaso, ma l'abbiamo voluto insieme. Lui aveva messo la stessa mia passione.
Ormai quasi arrivata a casa, riflettei a quanto mi era stato di aiuto anche Liam.
Aveva aperto la mia mente.
 Sì. La vita si vive una sola volta, e, come aveva detto lui, bisognava coglierla.
Lui era un vero amico per me, un vero…
I miei pensieri andarono persi nel vuoto, quando qualcuno mi strattonò il polso, e in un attimo mi trovai in un vicolo cieco della via.
Il colpevole mi spinse contro il muro.
—Roger? Che ci fai qui? Non eravate alle prove?—chiesi al biondo, che aveva lo sguardo di un lupo assassino che aveva appena catturato la sua preda.
—Ho detto agli altri che avevo un impegno. Stavo impazzendo, non riuscivo a pensare che a te, e non potevo far passare altro tempo.
—Altro temp…
Non riuscii a finire la domanda, che lui mi baciò con foga, spingendo la sua bocca sulla mia talmente forte, che finii a sbattere contro il muro.
Il desiderio prese anche me, così anche io lo baciavo con altrettanta passione.
Ci stavamo letteralmente sbranando, a tal punto che non sentivo più le labbra. Le mie povere carnose labbra. Le stava tirando con le sue talmente forte che per poco non si staccavano dal resto dei tendini muscolari della faccia.
Di risposta, io gli tiravo i capelli, cosa che, percepii, lo eccitava da morire.
Ero poi sul punto di svenire. Non avevo più fiato in corpo.
Dovetti staccarmi da lui, questa volta, con molta forza.—Rog?—mugolai, visto che lui continuava a baciarmi, mentre mi teneva stretta al suo petto.
Dovetti infatti allontanarlo da me.
Mi guardò confuso, addirittura adirato da quel gesto.
Vide poi che ero affannata, e mi lasciò dalla sua presa.
Mi misi il ciuffo di capelli castani dietro l'orecchio, mentre respiravo faticosamente.
All'improvviso, qualche goccia mi cadde sulla nuca, poi all'improvviso cominciò a piovere molto forte.
Presi la mano di Roger.—Vieni, andiamo a casa.
Fortunatamente non ci bagnammo molto, visto che non eravamo lontani.
Fummo finalmente al riparo una volta dentro.
Davanti la porta d'ingresso ci guardammo, poi io abbassai lo sguardo ed andai verso il salotto.
Mentre lo vidi raggiungermi, sprofondai sul divano, tenendomi la tempia.
Lui si sedette accanto a me.
Rimanemmo muti, mentre lui mi fissava con i suoi occhioni azzurri.
Capii che non potevamo continuare a rimanere in silenzio, così mi decisi a parlare. Lo guardai, prendendogli una mano.—Ho paura.—mormorai.
Lui aggrottò le sopracciglia.—Di cosa?
—Di star sbagliando tutto. Non capisco cosa mi stia succedendo, Roger. Ho il terrore di fare passi sbagliati, con te.—la tranquillità che mi era tornata prima  era svanita.
Rimase per un po' ad accarezzarmi la mano, poi disse:—Ricordi quel maledetto diciotto settembre?—il giorno della data di morte di Jimi, come potevo dimenticarmelo. Annuii.—Ricordi cosa hai fatto?—mi chiese poi.
Avevo fatto molte cose quel giorno, come potevo ricordarlo?
Ci pensò lui a farmi tornare la memoria, quando mi abbracciò e mi cullò dolcemente tra le sue braccia.
—Roger. Ti prego, non dirmi che io sono come tutte le altre.—dissi, mentre ero ancora a contatto con lui.
—No, Rose. Io, a differenza di tutte le altre, ti amo veramente.—mi rispose lui.
Fui io, quella volta, a baciarlo.
Fu quello un bacio semplice, amorevole e il più dolce possibile.
Ti amo. Questa frase che troviamo scritta in una moltitudine di libri.
Ma in fondo cosa significa veramente amare?
Non aver paura di nulla, neanche delle peggiori cose che ti possano capitare.
Perché in fondo l'amore è veramente tutto ciò di cui si ha bisogno.
Mi staccai da lui. Cominciò ad accarezzarmi con il pollice il mento.
—Ti va di…Non so, ascoltare un po' di radio?—gli chiesi.
Mi sorrise.—Okay. L'accendo io, però.
Si alzò dal divano e accese l'apparecchio, poi ritornò da me.
La radio stava trasmettendo un , a mio parere, classico pezzo Rock N Roll.
—Chuck Berry!—esclamò Roger.
—Memphis, Tennessee.—conclusi io.—Un gran pezzo, secondo me.
Mi fece poggiare la testa sulle sue gambe.
Ero tornata ad essere rilassata, a tal punto che chiusi gli occhi per la serenità.
E rimanemmo così, ad ascoltare la radio, per un'altra mezzoretta, prima di sentire la porta chiudersi con un tonfo.
John arrivò in salotto.—Roger! Rose, che state facendo?
Aprii gli occhi.—John!—persi l'equilibrio e caddi per terra.
—Ah, ecco la cosa urgente che dovevi fare, Rog! Inutile dirti che è stato un caos suonare senza la batteria. Ho dovuto sostituirti io per alcune cose!
Roger si alzò.—Lo so. Scusam… Come, tu suoni la batteria?
—No.—rispondemmo all'unisono io e mio fratello.
—Sa fare qualche cosa, ma non a livello tuo. John, sta ancora piovendo?—chiesi poi a quest'ultimo.
—In realtà ero in macchina, quindi non ci ho fatto molto caso, ma il cielo era aperto quando sono arrivato qui, per cui penso abbia spiovuto.
—Bene, sarà meglio che me ne vada, allora.—disse Roger.—Non abbiamo prove domani, vero, John?
—No, domani no.
—Perfetto. Ci vediamo, allora.
—Ti accompagno alla porta.—dissi, beccandomi occhiatacce da John.
Io e Rog attraversammo il corridoio, lui aprì la porta di casa, ma prima di uscire, lo bloccai.
—Rog. Domani mattina lavoro. Che ne dici se dopo...
—Ci organizziamo domani.—fece per andarsene.
—Aspetta!—urlai.
Tornai in salotto, presi "Lady in Satin" di Billie Holiday e ritornai alla porta.
—Mi avevi chiesto di prestartene uno.
Gli diedi il disco, che lui ammirò.
—Grazie. Domani ti procuro uno di Elvis.
Alzai il pollice.—Perfetto, non vedo l'ora.
—Ciao, amore.—mi diede un veloce bacio prima che gli chiudessi la porta.
Rimasi lì, guardando a terra e sorridere come un'ebete.
John mi raggiunse, ma come appena lo vidi venire verso di me, entrai in camera mia.
Sfortunatamente, lui mi seguì.
Mi stesi sul letto, indifferente.
John si avvicinò al mio letto, sedendosi accanto a me.—Guarda che è inutile che lo nascondiate. Ormai lo stanno dicendo tutti.
Lo guardai confusa.—Stanno dicendo tutti cosa?
—Che vi piacete. E secondo me prima vi siete anche baciati.
Mi alzai dal letto.—No, io e Roger siamo solo buoni amici.
—Si può sapere allora perché prima, quando sono arrivato, lui ti stava accarezzando i capelli?
Aprii la bocca per dire qualcosa, sfortunatamente non uscì fuori nulla.
Si mise a ridere.—Mio Dio, vi siete baciati? State insieme? Beh, auguri e figli maschi!
Mi misi le mani nei capelli.—Non preoccuparti. Ne riparliamo quando ti vedrò pomiciare con Veronica.
Tornò improvvisamente serio.
Sgranai gli occhi.—Vi siete baciati anche voi?
Per un momento lo pensai seriamente, ma quando guardò per terra, capii tutto.
—Ti aiuto io.—dissi io.

Spazio Autore: O MIO DIO!
QUESTI FANNO SUL SERIO!
Questi momenti piccanti li adoro, ma non credete che li stia facendo un po' smielosi? Nah, chi se ne frega.
Sono riuscita a riaggiornare in meno di due giorni! Voi però continuate a recensire, proprio ora che i momenti si fanno seri…
 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Paradiso di neve ***



Sì.  Avevo deciso di aiutarlo, visto che capii che in fondo bastava dargli la spinta necessaria per farsi avanti.
Ci pensai tutta la notte.
Alla fine, arrivai alla conclusione che una misera cena tra lui e Veronica non gli avrebbe fatto che bene.
Così, la mattina dopo, mi trovavo a lavoro con Veronica.
Mentre entrambe sistemavamo dei capi, le andai vicino ad aiutarla.—Devo dirti un migliaio di cose.—le sussurrai, per non dar fastidio ai clienti.
—Spara, tanto se parliamo così non ci sente nessuno.
Mi fermai col piegare un pullover.—Ho baciato Roger.
Lei fece cadere il suo pullover. Non aveva gli occhi sgranati, li aveva completamente fuori dagli occhi.
—Tu hai fatto cosa?—siccome gridò, fui costretto a zittirla.—No, aspetta. Voi due vi siete baciati?—ritornò al tono di prima.
Annuii.—Sì. Due giorni fa.
Credevo di non averla mai vista così sbalordita, mancava solo che gli venisse un infarto.
Poi, cambiò l'espressione facciale, passando da uno stato sconvolto ad uno sornione.—Io lo sapevo che c'era qualcosa tra voi due. E il bello è che anche John e Bri sono d’accordo.
Quello fu il momento esatto per proporle di uscire con lui. Così, le chiesi:—Ver, ho bisogno del tuo aiuto. Questa sera io e Rog vorremo uscire da soli noi due, ma non voglio che John rimanga un'altra sera da sola. Ed ecco, non potreste uscire anche voi due insieme?
Dopo aver parlato, rimasi a fissare Veronica. Avrei giurato di averle viste le guancie più rosee del solito, e non era fondotinta.
—Veronica?—insistetti.
Annuì non poco eccitata.—Certo, mi farebbe molto piacere.—disse poi, ritornando ad essere seria.—Sempre se John è d'accordo.
Fortunatamente ci avevo pensato quella mattina stessa a convincere John.—Sì, infatti lo è. Non molto lontano da casa nostra c'è un ristorante che io e lui apprezziamo molto. Magari, gli dico di venirti a prendere prima con la macchina.
—Qui ad Earls Court? Mi sembra un'ottima idea.
Sentii la voce di Mr. Spitzer chiedermi di andare alla cassa.
Lasciai Veronica a sbrigare le sue faccende, allontanandomi da lei con un sorriso di orgoglio.

Alla fine della mattinata, durante lo stacco fino alle quattro che avevo, decisi di andare all'Imperial per stare con Rog.
Quindi, uscii dal negozio e andai lì.
Una volta arrivata, mentre aspettavo, cominciò a scendere una candida e intensa neve bianca.
E così, rimasi ad attenderlo accanto al cancello dell' entrata.
E poi lo vidi uscire dall'edificio.
Al contrario di me, non aveva l'ombrello, così i fiocchi bianchi ricadevano gentilmente sul suo giubbotto di pelle.
I suoi occhi azzurri erano mezzi chiusi per ripararsi dalla neve e guardavano terra, mentre i capelli biondi pian piano raccoglievano tutti i fiocchi che gli ricadevano.
E poi, il suo sguardo scorse me.
Gli sorrisi, mentre correva nella mia direzione.
E una volta arrivato da me, non si accontentò di un bacio.
Mi abbracciò, facendomi cadere tutta la neve che aveva addosso.
E dopo essere rimasti qualche secondo a stretto contatto, mi guardò in viso e cominciò a baciarmi.
Trasmetteva una gran felicità tutto quello che mi stava facendo.
Poi ci staccammo e tornammo nuovamente a guardarci.
—Come mai sei qui?—mi chiese in seguito, mentre mi accarezzava un lato della faccia.
—Sono venuta a farti una sorpresa, non sei contenta di vedermi?—lo presi in giro.
—Certo che sono contento. Sta anche nevicando.—raccolse alcuni fiocchi con la mano rivolta verso l'alto.—Ti va di fare una passeggiata?
Annuii, e andammo verso l'uscita del College.
Cominciammo a camminare mano nella mano accanto ad Hide Park, giusto qualche isolato più avanti.
Quello era senz'altro un momento meraviglioso.
Mi sentivo così bene accanto a lui, sotto un misero ombrello.
Ed ebbi la certezza che anche per lui lo era.—Com'è bello stare qui con te.—disse infatti.—C'è anche la neve.
—Io amo la neve. Tra l'altro il bianco è il mio colore preferito.—dissi io.
Guardammo i fiocchi cadere sulla neve della notte precedente per terra.
—Io il paradiso me lo immagino così.—disse.
—Un paradiso fatto di neve? Bizzarro, ma fantastico.
Si strinse a me.—Per essere perfetto, tu devi essere con me.
Ridacchiai.—Stiamo diventando troppo sdolcinati per i miei gusti. A proposito, ho parlato con Veronica e le ho chiesto se questa sera avrebbe voluto cenare con John. Ha detto di sì.
Mostrò un largo sorriso.—Ma è meraviglioso!—esclamò.
—Questa sera, quindi, sono da sola. Ti va di cenare da me? Almeno mi fai compagnia.
—Uhm, okay. Solo se ora mi dai un bacio.
Avvicinò le sue labbra a me, ma lo bloccai.—Ma come? Ci siamo baciati prima!
—Oh, dai. Un insulso bacio non ha mai ucciso nessuno.
Non fui nemmeno io a baciarlo, fu lui che  tirò il mio mento a lui, costringendomi con la forza.
Proprio mentre eravamo occupati a spappolare le nostre bocche, una delle macchine che percorrevano la strada di quella via, strombazzò e si accostò sul ciglio del marciapiede, accanto a noi.
E poi, ci fu un urlo.—Ma che carini che siete!—io e Rog ci staccammo e guardammo il mittente.
Battei la testa contro il petto di Roger, non appena vidi Freddie nella mia macchina sghignazzare.
—Scusateci.—continuò poi.—Non volevamo di certo disturbarvi, è solo che stavamo andando tutti alla ricerca del biondino qui presente, e poi abbiamo visto anche te, Rose. Beh, che dire. Sapete darvi da fare. Ora però salite in auto, ho un lavoro al negozio da svolgere.
Dire che stavo avvampando non serve a nulla.
Non avevo il coraggio di guardare in faccia né Freddie, né John e tantomeno Mary.
Mary? Che ci faceva lei? Era seduta timidamente accanto al cantante ai sedili posteriori.—Mary! Che piacere rivederti!—non riuscii a trattenermi.
Lei ricambiò con un sorriso e con un cenno della mano.
Roger raggiunse i due, mentre io mi sedetti accanto all'autista.—Dov'è Brian?—chiesi poi.
—Aveva degli impegni.—rispose fiero Freddie.
—Ah, ecco perché sei così felice!—mi girai per guardare la sua faccia disprezzata e per godermi gli sghignazzi di Roger, mentre Mary non capiva nulla.
—Ah, comunque, auguri e figli maschi!—mi diede un buffetto sulla spalla Freddie.
—Ehi, non copiarmi la battuta!—protestò John.—Perbacco, Rose. Non credevo fossi così male.
Non gli tirai uno schiaffo per un semplice motivo: era nel bel mezzo della guida.
Il viaggio fu abbastanza tranquillo, visto che Freddie non fece altro che parlare con Mary di quanto era meraviglioso il suo negozio.
Purtroppo era vero, e anche io non vedevo l'ora di darci un'occhiata.
Dopo circa venti minuti di viaggio, arrivammo a Kensington Market.
E quando Freddie mostrò a Mary il negozio, naturalmente lei non poté che ammirarlo.—Oh, ma è magnifico. Anche se è piccolo.—i proprietari la ringraziarono.
—E aspetta di dare un'occhiata agli indumenti.—consigliai io, che ero già a cercare qualcosa che mi avrebbe potuto interessare.
Dopo non molto, scorsi un cappellino di lana nero.
Me lo indossai e andai vicino ad uno specchietto che qualche tempo fa Veronica suggerì di far mettere.
Mentre vedevo me riflessa, pensai che non mi stava niente male.
Subito dopo, vidi anche l'immagine di Roger, riprodotta nello specchio.
Mi abbracciò da dietro.—Sei molto carina.
Mi sfilai il cappello e mi girai verso uno dei titolari.—Lo prendo. A quanto me lo fai?
—Un piccolo regalo.
Prima che potessi ribattere, ci pensò Freddie a protestare.—Ma nossignore! Quello è il cappellino che ha fatto mia madre. Ore di lavoro a maglia buttate al vento?
—Ha ragione Freddie.—dissi io.—Se l'avesse cucito lui probabilmente sarei già scappata come una ladra, ma rispetto sua madre. Quanto vi devo?
Cacciai il portafogli dalla mia borsa, mentre sentivo ridere John e Mary.
—Cinque sterline, mia cara.—rispose Freddie, avvicinatomi per accettare i soldi.
Gli porsi la banconota, sussurrandogli:—stai andando bene.
Rimase confuso, poi mi vide indicare Mary, intenta a guardare quello che il negozio offriva.
—Cosa diamine stai dicendo, tesoro? Io e Mary siamo solo buoni amici.
—Come vuoi.
Mi tirò l'importo dalle mani e si incamminò verso la cassa a testa bassa.
Successivamente ci guardammo io e Roger.—Avevi ragione.—dissi a lui.—Anche loro non hanno speranze.


—Vuoi smetterla di andare avanti e indietro per il corridoio? Sono solo le otto, ti avevo detto di passarla a prendere per le otto e mezza. Vuoi calmarti?—rimasi a guardare John sullo stipite della porta del salotto attraversare ansiosamente il corridoio.
Si fermò di fronte a me.—Si può sapere perché ti è venuta questa idea assurda?
Sospirai.—Perché ti piace. Avanti, siete stati due mesi a parlare di quanto andiate d'accordo. Non credi sia ora di farsi avanti?
—Oh, tu ormai dovresti esserne esperta, visto che stai ogni due minuti a sbaciucchiarti Roger.—riprese a consumare il pavimento.
—E' quello che farai anche tu, mettiti l'anima in pace. E poi Veronica era così contenta quando gli ho proposto di cenare con te.
Si fermò di nuovo.—Davvero?
—Sì. Credo che lei al momento sia più agitata di te. Perciò, non temere. Andrà tutto bene, ovviamente se non passate tutta la serata senza dirvi nulla.
Mentre cercavo di tranquillizzarlo, passò finalmente una mezzoretta.
Lo feci allora avviare.—E' meglio se cominci ad andare.
Si indossò un cappotto.
Mentre stava per uscire lo bloccai.—Ehi!—si girò verso di me.—Stai tranquillo. Ricordati, tu sei John Deacon, non devi aver timore di nulla, siamo intesi?
Riuscii a strappargli un sorriso.—Okay. A più tardi, sorellina!—disse, prima di lasciarmi sola in casa.
Fortunatamente non passarono più di dieci minuti – il tempo di apparecchiare la tavola – che suonò il campanello del citofono.
Andai a rispondere ed era Roger.
Suonò anche il campanello della porta, e quando lo aprii, me lo ritrovai davanti.
—Ciao.—dissi, prima di farlo entrare in casa.
—Fuori fa molto freddo. Nevica a dirotto.
—Oh, no. Perché l'hai detto? Ora sono preoccupato per John.
—E' già uscito? Volevo augurargli la buona fortuna.
—E' andato ad un appuntamento, non è partito al fronte.—ironizzai.—Ora, se il signore vuole accomodarsi al tavolo.
Lo ospitai in cucina, dove lo accolse una tavola elegantemente imbandita, con tanto di bicchieri di vetro.
Si sedette, mentre io preparavo i piatti.—E quali sono le pietanze?
—Fusilli con tonno e pomodoro, uno dei piatti preferiti dello chef.
—Preferivo il pollo, ma se è uno dei piatti preferiti della signorina, non posso che arrendermi.
Prima di disporre i piatti, gli ficcai una forchettata in bocca.
Dopo che l'ebbe mandata giù, ribadì:—Come non detto.
Gli diedi il piatto intero e cominciammo a mangiare.
—Spero vada tutto bene con John e Ver.—dissi ad un certo punto.
—Certo che lo sarà. E inoltre sono così contento di mangiare qui con te.
Ci sorridemmo a vicenda.—Anche io sono contenta. Almeno non mi annoierò.
Dopo che avemmo finito, cominciai a sparecchiare.
Sfortunatamente, Roger non mi aiutò quando cominciò a lasciarmi baci sulle labbra.
Lo scacciai da me.—Oh, avanti, Rog. Mi meraviglio di te!
Mi guardò frustato.—Cosa c'è?
—Non puoi metterti a baciarmi ogni due secondi, siamo disgustosi.
—In effetti hai ragione, ci conviene aspettare che Deaks e Veronica facciano sesso prima di baciarci.
Lo guardai imbambolata.—Oh mio Dio, Rog. Sei un essere disgustoso!
Ridacchiò.—Per questo ti piaccio!
Mi girai, divertita per continuare a sistemare la cucina.—Posso aiutarti?—mi chiese.
—No, sei costretto ad aiutarmi. Passami le cose sul tavolo.
Più tardi, decidemmo di andarcene in salotto.
Prima di sedermi, presi "La metamorfosi" dalla libreria per leggere la fiaba che nel giro di un giorno e mezzo avevo già divorato, e tornai a risedermi accanto a lui.
Mi guardò confuso.—Che libro è?
—La metamorfosi di Apuleio.
Sbuffò.—Già dal titolo sembra qualcosa di noioso.
—In realtà l'ho preso in prestito solo per una delle fiabe che contiene, Amore e Psiche.
—Nulla di più sdolcinato.
Lo guardai contrariata.—Posso spiegarti almeno di che parla?—annuì.—In teoria, racconta le vicende della  più giovane delle tre figlie di un re e una regina, Psiche. Poiché lei è molto bella, Venere comincia ad essere irata dalla fanciulla, così manda suo figlio Cupido dalla giovane affinchè, scagliandole una freccia, la faccia innamorare di un uomo bruttissimo. Sfortunatamente, Cupido si tira la freccia da solo, innamorandosi perdutamente di lei. Così, grazie all'aiuto di Zefiro, fa condurre al suo palazzo Psiche, incontrandosi con lei ogni notte. Cupido, però, non rivela a lei che in realtà è lui lo sposo che la raggiunge ogni notte, così, al sorgere dell'alba, lui scompare. Una notte, Psiche, sentendo nostalgia delle sue sorelle, chiede al suo amante di poterle ospitare a palazzo…Anzi, mi è venuta una bella idea, perché non la leggi?
—Non ho tempo.
—Non hai mai tempo di fare nulla, tu. Dai, comincia da dove sai.
Presi il libro e cercai il punto in cui mi ero fermata col racconto.
Una volta trovato, diedi a Roger il libro.—Leggi ad alta voce.
Mi strinsi accanto a lui, che mi accolse nelle sue braccia.

Così, quando il suo sposo, più presto del solito, le si distese al fianco stringendola tra le braccia, sentì che piangeva:"Sono queste" le disse "le tue promesse, Psiche? Cosa può aspettarsi da te, che cosa può sperare un marito? Non fai altro che piangere giorno e notte.

(…)

Ma ella, con mille preghiere, minacciando perfino che si sarebbe data la morte, strappò al suo sposo il permesso di vedere le sorelle.
Egli cedette all'insistenza della giovane sposa e le concesse perfino che donasse alle sorelle tutto l'oro che credeva ma, nello stesso tempo, l'avvertì severamente…

Mentre leggeva, lo guardavo e nella mia mente mi posi una domanda.
Lo amavo veramente?
Dovevo trascurare per un momento l'attrazione fisica e concentrarmi sui suoi aspetti interiori.
Ci conoscevamo da circa due mesi e mezzo.
Insieme avevamo fatto un mucchio di cose insieme, parlando dei nostri interessi e di quanti ne avessimo in comune.
Non eravamo più nemici, per nostra grande fortuna.
Ma io credevo che lui fosse una persona migliore, di quanto non la fosse data a vedere.
Come una specie di riccio.
Credevo che dentro avesse nascosto qualcosa che a tutti fosse sfuggito, come per esempio dimostrare di amarmi come persona vera e proprio, ed ero quasi certamente convinta che era così.
Mi strinsi ancor di più a lui, inumidendo di baci il suo collo.
Dovette infatti fermarsi con la lettura e incontrare le mie labbra.
Rimanemmo insieme per un'altra mezzoretta, poi lui tornai a casa ed io, stanca morta, andai a letto.

Dormii troppo beatamente quella sera, poiché non sentii quando John fu tornato a casa.
E così mi risvegliai la mattina dopo, in un tranquillo sabato mattina, giorno di festa come la domenica per noi del College.
Mi alzai dal letto e corsi immediatamente in cucina, dove vidi mio fratello seduto tranquillamente a sorseggiare del tè.
Mi vide arrivare come una furia.—Buongiorno, Rose.—mormorò.
Mi sedetti accanto a lui.—Ehilà, come è andata?
Strabuzzò gli occhi, e di conseguenza lo feci anche io.—E' andata male?
—No, nno.—balbettò.—Ecco, noi…Non so come dirtelo…
—Avete litigato?
—Noi, beh…Ci siamo baciati.
Come Veronica il giorno prima, gli occhi mi si stavano staccando dalla faccia.
Mi alzai di scatto dalla sedia ed emisi un urlo di gioia.—Evvai! Non sapete quanto aspettavo questo momento!
Si alzò anche lui e mi mantenne il braccio.—Rose, vuoi darti una calmata?
Lo abbracciai talmente forte che per poco non cademmo entrambi per terra.


Spazio autore: sì, sono ancora viva.
Scusatemi per l'assenza, ma si sa com'è: le interrogazioni prenatalizie non danno tregua. Se non altro almeno questo è un capitolo abbastanza lungo.
Sì, si sono aggregati anche John e Ver, che bello!!!
Mi scuso nuovamente per il ritardo.
Per quanto riguarda "Amore e Psiche", no, una storia così bella non può essere assolutamente di mia invenzione, e quei righi in corsivo sono tratti proprio dal testo originale.
Spero di farmi viva di nuovo. Intanto vi saluto e se, come Rose, credete che la storia stia diventando troppo zuccherosa, avete tutto il diritto di lamentarvi…
P.s. Proprio ora mi sono accorta di aver pubblicato il testo due volte. Mi scuso per l'inconveniente :-(

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Non sarò mai arrabbiato con te ***


—E dimmi, come è stato?—finalmente mi fui calmata, ed entrambi tornammo a risederci.
—Beh, non so come spiegartelo. È successo tutto in un istante. L'avevo accompagnata a casa, poi è stata lei, credo, a farsi avanti. Ti giuro, non ho mai provato un' emozione così forte.—arrossì, mostrando il suo solito sguardo timido.
Gli sorrisi.—Sono fiero di te, John. Finalmente hai deciso di farti avanti. Stamattina perché non vai da lei?—gli chiesi
—Veramente ci siamo già dati appuntamento all'ora di pranzo.
Fischiai.—Benissimo, così anche io ho la mattinata libera. Credo mi andrò a mangiare qualcosa con Rog.
—Non avevo dubbi.
Tutto mi ricordava quello che era successo a me.
Quell'emozione del primo bacio della persona a cui in quel preciso momento ami più al mondo è la cosa più bella che possa capitare.


Feci colazione il prima possibile, e dopo decisi di andare  con la macchina da Roger per raccontargli tutto.
Trovai il portone aperto, così dovetti solo bussare alla porta.
Venne ad aprire Roger.
Appena vide me sorrise e mi fece entrare subito, non preoccupandosi del fatto che  avesse i pettorali scoperti.
Gli diedi un bacio veloce sulla bocca, cercando di distrarmi dal suo petto.—Non crederai a quel che sto per dirti…Ciao, Freddie.
Notai il cantante seduto al pianoforte intento a suonare un brano classico.
Mi sorrise.—Ehi, Rose. Qual buon vento?
Non gli risposi, ma tornai a guardare Roger.—Rog, perché sei a petto nudo?
Con la coda dell'occhio, notai Freddie sorridere, ma lo ignorai.
—Oh, ho appena finito di fare la doccia.—si grattò la testa.—Comunque, dimmi, che è successo?
Lo anticipai con un sorriso.—Si sono baciati!
Non appena finii la frase, il biondo mi abbracciò e mi sollevò da terra, facendomi fare un giro a trecentosessanta gradi, entrambi esultando con dei gridolini.
—Non è uno scherzo, vero?—chiese lui euforico, dopo avermi rimesso giù.
—Assolutamente no, l'ammesso lui stesso a me. Per favore, non mettetelo troppo in imbarazzo, probabilmente ora starà ancora accettando la verità, conoscendolo.
—Anche io avevo intuito che c'era qualcosa tra quei due.—aggiunse Freddie.
—Solo intuito?—rispose sarcastico Roger.—Da ora in poi non faranno altro che sbaciucchiarsi all'infinito.
—Un po' come fate voi due. A proposito, Roggie, non è meglio che ti vai a mettere qualcos' altro addosso, oltre i pantaloni?—disse, indicandogli il petto.—Non vorrei che Rose impazzisca proprio ora, che sto suonando Mozart. Se volete, però, me ne vado.—ridacchiò.
Roger si allontanò da me dirigendosi nella sua camera da letto, mentre io mostrai al cantante una faccia disgustata.
—Dobbiamo festeggiare questo evento! Che ne dici se oggi io, tu, Rog e Mary pranziamo insieme?—disse poi il cantante.
—Dobbiamo festeggiare, o devi semplicemente incontrarti con Mary?—mostrai un sorriso beffardo, sedendomi sulla poltroncina del piano accanto a lui.
—Non possiamo invitare una semplice amica, cara?
Cominciai a sfiorare i tasti del pianoforte.—Perché no? In fondo John e Veronica all'ora di pranzo staranno ancora insieme, mano nella mano, a camminare per la strada. Se vuoi, facciamo a casa mia. 
Suonai l'accordo di Do, uno dei pochi che sapevo riprodurre sul piano.
Avvicinò la sua bocca al mio orecchio.—Perché devi sempre mettere a disagio la gente? Non so quante altre volte te l'ho detto, Mary e io non abbiamo nessun'altra affinità oltre quella amichevole.
—Perché parli a voce bassa? E comunque, più dici che tu e Mary siete solo amici, più mi convinco che non sia così.
Mi diede una spinta sulla spalla.—Devi essere sempre così beota, dolcezza?
—Devi sempre essere così infantile con questi nomignoli?
—Oh, lo sai che ti voglio bene, cara. Ma devi smetterla con questa storia di me e Mary.
Emisi un violento sospiro.—Solo perché non ce la faccio più a litigare con te.
Mi strinse affettuosamente a lui.
Quel ragazzo, non sono mai riuscita a capire quali acidi avesse nella testa.
—Credo che passeremo un bel pranzo, ho anche il pollo.
Roger sbucò dal nulla, questa volta con una maglia a righe blu.—Qualcuno ha detto pollo?
Mi fece ridacchiare. Mi alzai e andai da lui.—Sì. Credo che stia diventando il tuo piatto preferito.—gli misi le braccia al collo.—E Mary chi la invita?
Entrambi mi guardarono con un sorriso beffardo.—Okay, datemi l'indirizzo.
—No, oggi sarà a lavoro, anche lei lavora in un negozio di vestiti.—spiegò Freddie.
—Perché non andiamo tutti, allora?

E così invitammo anche Mary.
Quando ebbe terminato di lavorare, dopo aver fatto un giro per Londra, ci recammo tutti a casa mia.
—Mary, come te la cavi con i fornelli?—le chiesi, mentre guidavo.
—Non proprio male. Vuoi che ti aiuti?—annuii.
—Il pollo non si cucina in due minuti, purtroppo.
Mary non si poteva definire la mia migliore amica, ma le volevo bene, e siccome io, lei e Ver seguivamo e sostenevamo molto il gruppo, come non amarla? E questo Freddie lo sapeva benissimo, anche se non voleva ammetterlo.
Mary, come aveva detto John, era una brava ragazza, gentile e simpatica.

Finalmente arrivammo a casa.
Freddie e Roger si misero a girovagare per l'appartamento, salendo e scendendo dal seminterrato, mentre io e Mary ce ne andammo in cucina.
Fu una dura battaglia, come al solito, ma, essendo in due, finimmo di preparare prima di quanto  impiegassi abitualmente.
Dopo che il pollo fu ormai cotto, ci sedemmo tutti a mangiare.
—Wow, è venuto meglio del solito!—valutò il biondo.
—Beh, siccome abbiamo unito le nostre forze, i risultati sono abbastanza soddisfacenti, no?—dissi io.
—Beh, mie care, non siete destinate solo a piegare magliette, ma avete una carriera da chef d'ora in avanti.—proferì Freddie.
—Io no, perché, per quanto mi riguarda, tra qualche anno controllerò tutti i vostri denti, e mi sembra che tu, caro Freddie, ne abbia bisogno più degli altri.—enunciai.
Ovviamente a tutti scappò una risata, tranne Freddie, che per poco non ficcava la testa nel pollo che gli spettava nel piatto per il disagio con gli altri presenti.
Finimmo di pranzare non molto tardi, così avemmo il tempo di passare insieme qualche mezzoretta in più.
Mi divertii molto a improvvisare qualcosa alla batteria insieme alla voce del cantante.
Alle due spaccate, tutti decisero di andarsene, per quanto li avessi pregati di rimanere ancora.
Mary andò in cucina, dove si era dimenticata la borsa. Ma rimase pietrificata a guardare la finestra, che affacciava alla strada principale.
—Mary, cosa hai visto?—chiesi io curiosa, avvicinandomi a lei.
Fu lì che vidi John e Veronica intenti a intrecciare probabilmente  le lingue in un bacio appassionato.
Lui, che stringeva il busto della sua amata, mentre lei aveva le mani dolcemente posate sulle spalle di mio fratello.
Prima di cadere al suolo per lo shock, urlai:—Rog! Freddie!
I due immediatamente accorsero nella stanza. Mary fece cenno a loro di avvicinarsi alla finestra.
—O mio Dio!—esclamò il cantante.
Mary e io ridevamo.
—Cazzo, è meglio che li facciamo entrare, prima che concepiscano un bambino per strada!—esclamò Roger.
Io e Mary lo guardammo.—La tua finezza, tesoro, mi sorprende.—commentai.
 Roger rimase impassibile, compreso Freddie, che probabilmente era abituato a quel genere di battute.
—Aspettate, stanno venendo qui.—li vidi avvicinarsi alla porta.—Allontanatevi dalla finestra.
Ci ricomponemmo, ma dopo  passato nemmeno un minuto , sentimmo la porta aprirsi e delle risate da parte di tutti e due.
John e Veronica entrarono come se nulla fosse, solo poco dopo si accorsero che in casa non erano soli.
Io e gli altri eravamo di fronte alla porta e davanti a loro.
—Ehilà, Deacy. Veronica, tutto bene?—li salutò Roger malizioso. Diedi a questi una gomitata nello stomaco.
—Ragazzi! Già di ritorno? Ho cenato con Rog, Fred e Mary. Ora però se ne stavano andando.
Feci un cenno con la testa agli altri di uscire.
—Infatti è così. Ciao a tutti, cari!—uscì prima Freddie.
—Ci si vede, Rose. A presto, ragazzi.—fu poi il turno di Mary.
—Ciao, Rose.— Roger mi lasciò un bacio veloce come quello della mattina prima.—Ci vediamo, Deaks. Ciao, Veronica.—e anche il batterista lasciò la casa, chiudendosi la porta alle spalle.
Io rimasi incantata davanti ai due.—Io...Ecco…—mormorai.
—Volevamo pranzare qui.—intervenne Veronica.—Ma non pensavamo che c'eri anche tu. Se ti diamo fastidio, però, ce ne andia…
—No, non mi date fastidio. Io e Mary avevamo cucinato del pollo e ne è avanzato un bel po', così non dovete nemmeno cucinare. Vado giù a provare qualcosa, così non vi do fastidio. Ver, è meglio che rimani qui, così dopo andiamo a lavoro insieme.
Rimasero entrambi fermi, entrambi dubbiosi su cosa dire.
Fu poi Veronica a mormorare:—Okay.
Mi congedai dai due e andai nel piano di sotto a suonare il mio fido strumento.
E mentre ero impegnata in un' improvvisazione simile a quella che avevo fatto con Freddie, che mi venne in mente che forse Roger poteva aver ragione: quei due avrebbero potuto fare di tutto, se fossero rimasti insieme.
Sorrisi, ma subito dopo cercai di non pensarci più e di concentrarmi sui tom.

E così, mentre io e Veronica eravamo in macchina e percorrevamo le strade della città, decisi di chiederle di lei e John.
Presi un momento abbastanza tranquillo, lei affacciata al finestrino, serena.
—Ver?—lei si girò verso di me. Anche se preoccupata su come continuare, dissi:—Com'è andata la cena di ieri?
Lei deglutì.
Capii che era inutile continuare a fingere di non sapere nulla.—Sai tutto, vero?—annuii.
Sospirò.—Non so cosa mi sia preso, ma ho baciato tuo fratello.
Diversamente da ciò che si aspettava, le sorrisi.—Me l'ha detto. Veronica, non devi preoccuparti. Conosco John, e so che non ti lascerà.
—Io…È  che…—si grattò il decolleté.—Ho un po' paura.
—So cosa  vuoi dire, ma devi stare tranquilla. Lo dico a malincuore, ma John è veramente un ragazzo d'oro. E poi, se ti dovesse lasciare, cosa a dir poco improbabile, ci penso io a spaccargli il muso.—le strappai una risata.
—Ora però devi rispondermi a una domanda.—le dissi, mentre eravamo fermi ad un semaforo.—Sembrerà una cosa un po' scontata, ma devi essere sincera anche con te stessa, oltre che con me, tu lo ami veramente?
Rimase per un po' a guardarmi, un po' titubante. Poi, finalmente parlò—Sì, Rose. Lo amo. E' un po' strano dirlo a te, che sei sua sorella, ma se devo essere veramente sincera, allora è così. È che, ogni volta che lo vedo, diciamo, andiamo sempre d'accordo con tutto. E poi è sempre gentile con me. Non so come spiegartelo, anche perché io con il parlato non sono molto brava, ma se ci penso intensamente, desidero il suo cuore all'infinito.
La capivo, eccome. E riflettendo su quello che aveva detto, mi aveva fatto ricordare quello che esattamente provavo io a mia volta per Roger.
E si capiva così chiaramente che sarebbero andati d'accordo all'infinito, date le parole comuni che mi avevano detto.
—Mi basta quel che hai appeno detto, Ver. Posso fidarmi di te. E se vuoi, perché stasera non vi rivedete?
Si rianimò.—Se glielo chiedi tu, mi faresti un grosso piacere, ore otto da me.
—Ma certo. Dopotutto sicuramente accetterà.

Spazio Autore: il Natale mi sta dando alla testa.
Non sono quasi mai in condizioni psicologiche fresche (questa battuta mi ricorda l'epoca di Hot Space).
Ad ogni modo, poiché è Natale ho deciso di pubblicare qualcosa in tema. Quindi, domani ci sarà una sorpresa, aspettate e vedrete…

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Sei il mio migliore amico ***


Anche quella mattina, mi svegliai con tutta la calma possibile.
Era una fredda mattina domenicale, maledettamente fredda, in realtà, e me ne accorsi perché trovai la finestra della mia stanza involontariamente aperta.
Prima che potessi diventare un cubetto di ghiaccio, la richiusi.
Mi precipitai in bagno per indossare qualcosa di più coprente di un pigiama.
Quando mi fui messa al calduccio con un maglione di lana nero e un jeans, mi diressi verso la cucina.
Ma quando passai davanti la stanza di John, non resistetti.
La aprii, ma rimasi di sasso quando notai che non vi era nessuno.
Probabilmente doveva già essere in cucina, mattiniero com'è.
Altro shock lo ebbi quando vidi che anche lì non c'era nessuno.
Andai a controllare in salotto e nel seminterrato, ma anche quelle erano altrettanto vuote.
Dove poteva essersi cacciato? Era già uscito alle otto e mezza di mattina? Per fare cosa, poi?
Cercai di non pensarci, anche se era praticamente impossibile.
Decisi di andare in cucina per prepararmi il caffè e tirarmi un po' su, ma non ebbi nemmeno il tempo di mettere la macchinetta sul fuoco, che sentii bussare alla porta.
Andai ad aprirla come una furia, passando dalla cucina al corridoio in un centesimo di secondo.
Rimasi un po' delusa quando, invece di trovarmi davanti John, c'erano i capelli spettinati di Freddie ad aspettarmi.—Ah, sei tu, Fred.—mormorai, scontenta.
Lui guardò confuso.—Chi ti aspettavi?—chiese.
—No, è solo che…Vieni, entra—lo feci accomodare, portandolo in cucina.
Si sedette al tavolo.—Si può sapere chi pensavi che fossi? Aspettavi Roger, per caso?—chiese ambiguo.
—No, è che stamattina mi sono svegliata e non ho trovato John.—poggiai le mani sul bancone della cucina e cominciai a sbuffare affannata per la tensione.
Freddie doveva essere una specie di indovino, perché capì che c'era qualcosa di brutto sotto, anche se non l'avevo spiegato alla perfezione.
Infatti si alzò e mi mise una mano sulla schiena.—Tesoro, rilassati.
—No, Fred. Sono preoccupata. Non mi ha lasciato un biglietto, non mi ha detto dove doveva andare. È da ieri sera che non lo vedo.
—Rosalie, tuo fratello ha vent' anni, non è un bambino, sa cavarsela da solo. Sforzati di ricordare, ieri sera dov'è andato?
Abbassai la testa, mentre il cantante mi massaggiava la spalla.—Ieri? Se non sbaglio, ieri sera è uscito con Ver. Mi pare fossero andati a cenare da lei.
Fu in quel preciso istante che io e Freddie avemmo la stessa reazione.
Io sgranai gli occhi, immobilizzata, lui smise di massaggiarmi.
Ci guardammo poi in faccia, entrambi sbalorditi.
La sua paralisi facciale, dopo pochi secondi, si smosse, sostituendola con un sguardo sornione.
Feci di no con la testa. Ma lui continuava a guardarmi con quel maledetto sorrisetto beffardo.
—No, Freddie.
—Sì, invece, mia cara.
I battiti del cuore acceleravano virtuosamente.—No, non farebbero mai una cosa del genere!—urlai.
—L'hanno fatta.
—No. John non lo farebbe mai, tantomeno al secondo appuntamento.
—Insomma, Rose. spiegami allora perché è da ieri che non è tornato. Da me e da Rog non è passato, e credo che anche con Brian abbia fatto lo stesso. L'unica alternativa è che abbia dormito per strada.
Mi coprii il volto con le braccia.
Com'era dannatamente potuto accadere che quei due avessero passato la notte insieme?
—Non ne siamo sicuri, Fred. Magari hanno solo dormito sotto lo stesso tetto perché si era fatto tardi.
—Beh, pensala come vuoi, anche se c'è poco da pensare.
Ero ancora molto scettica, ma Freddie era sul punto di convincermi che le cose stavano come pensava lui.
—E se fosse così io credo che sia la fine.—dissi.
—Se fosse così, dolcezza cara, la colpa è solo tua che li hai fatti conoscere.
—Colpa mia? Ora stai dando i numeri, caro il mio cantante.
Ridemmo entrambi sotto i baffi e decisi di non pensarci più, anche se fu come un bel colpo di pistola.—Beh, comunque, perché sei venuto qui?
Diventò improvvisamente serio.—Sediamoci.
Feci come aveva detto. Non riuscivo proprio a capire cosa diamine stesse tramando.
Una volta che ci fummo seduti entrambi, mi guardò, un po' preoccupato.
—Allora?—dissi io.—Cosa c'è? Se hai bisogno di un'operazione chirurgica ai denti, ripassa tra qualche anno, quando aprirò uno studio dentistico.—sdrammatizzai.
—La smetti con questa storia dei denti?—girai gli occhi verso il soffitto.—E poi non farò mai un'operazione per risistemarmi i denti, ma sono venuto per dirti…Ecco, io, Rose. Non so come spiegarlo.
Dai movimenti che faceva con le dita capii tutto.—C'entra Mary, non è così?
Tornò a fissarmi.
Scossi la testa e gli sorrisi.—Ah, voi uomini. Avete tutti questi problemi. Ci hai messo tempo ad ammetterlo.
—Ammettere che cosa?
—Che ti piace, caro Freddie. Sta accadendo tutto un po' come Ver e Deacy. Eppure non ti facevo così romanticone, sei sicuro di stare bene, caro?—dissi, sfottendolo.
—Smettila di metterla così. Non sono io che l'ho voluto. —protestò.
Battei le mani sul tavolo.—Ed è proprio questo il punto. L'amore non guarda in faccia a nessuno, Freddie. Nessuno ha voluto l'amore, e nessuno lo può respingere. È inutile incolpare gli altri. Per quanto riguarda Mary, non la conosco ai livelli di Veronica, ma puoi stare tranquillo. Al momento non c'è nessuno che ti sta mettendo i bastoni tra le ruote.
—C'è quell'idiota di Brian.
Risi.—E allora? Da quel che ho visto, Mary non mi sembra molto interessato a lui. E poi, dovresti parlare direttamente con lui, se lo vedi come una minaccia. Ma credo che si renderà conto di tutto ciò e te la lascerà. Scusa se interrompo i tuoi pensieri amorosi verso Mary, ma, perché hai deciso di parlarne con me?
Si tormentò i capelli, massaggiandoseli vivacemente.—A dir la verità, ne ho parlato anche con Roger, ma non è che abbiamo approfondito molto questo discorso. Io ti vedo più pratica nell'argomento.
—Pratica? Io non ho nulla di più di Roger.
—A proposito di Rog. Ma tu e lui…Insomma…
Lo guardai diffidente.—Cosa, Freddie?—mostrò un sorriso a trentadue denti.—Cosa vuoi dire, Freddie?—continuai, alzandomi dal tavolo.
—O mio Dio, l'avete fatto?
Andai vicino a lui e gli tirai i capelli.—Togliti dalla mente queste idee assurde, brutto pervertito. E anche se fosse così, non lo direi mai ad un coglione come te, ci siamo intesi?
Tra un mugolio di dolore e l'altro, disse—Va bene, lascia i miei poveri capelli, ora.
Lasciai la presa.—Rose, senti. Tornando al discorso di Mary, cosa potrei fare?
—Io credo che il metodo "cena solo tra noi due" può funzionare anche nel vostro caso, ha funzionato con Roger e con John , non vedo perché non ci sia una possibilità tra voi due.
—Non ci baceremo mai al primo appuntamento.
—Non ho detto questo.—guardai la macchinetta di caffè sulla cucina.—Hai fatto colazione o vuoi qualcosa?
—No, è meglio che me ne vada.—si alzò dalla sedia.—Grazie, Rose, mi hai dato tanti consigli preziosi. Ah, Roger mi ha detto di darti questo.—lasciò "Amore e Psiche" sul tavolo.—L'ha finito proprio ieri sera.—soggiunse.
—Okay, ringrazialo da parte mia.
Andammo verso la porta.—Fa freddo fuori, copriti bene.—gli dissi, sfottendolo.
—Sì, mamma.—disse ed uscì.

Freddie rimarrà sempre la persona più misteriosa e pazza che abbia mai conosciuto nella mia vita.
Non sono mai riuscita a comprendere cosa gli frullasse nel cervello, ma io lo consideravo non solo un grande amico, ma una di quelle persone che non ti abbandoneranno mai, neanche per la più grande sciocchezza della vita.
E anche lui si era innamorato. Anche lui ora aveva una persona che gli faceva togliere il respiro appena la vedeva.
Era abbastanza buffo, ripensando a tutte quelle volte che mi negava i suoi sentimenti per Mary, e in quel giorno era venuto alle otto di mattina per parlarmene.
Sentii poi il campanello risquillare. Mi alzai dalla sedia, sulla quale ero seduta, e, come prima, andai subito ad aprire.
—John! Ma dove sei stato?—urlai, appena lo vidi sullo stipite della porta.
Aveva uno sguardo abbastanza stanco e spossato. Da sotto il suo cappotto, intravidi che aveva gli stessi indumenti di ieri.
Mi ignorò completamente, dopo un cenno del capo, e andò verso la sua camera.
Chiusi la porta di casa e lo raggiunsi.
Si era disteso sul letto. Se prima era snervato, in quel momento mostrava un senso di preoccupazione.
Mi sedetti sul letto accanto a lui.—Si può sapere che fine hai fatto? Mi sono preoccupata a morte, te ne rendi conto?—protestai.
Lui si alzò, ma senza ancora proferire parola.—John, devo preoccuparmi seriamente o mi dici cosa cazzo è successo?
Mi guardò ansioso. Come se avesse appena compiuto la peggiore delle cose.—Devi sempre sapere cosa diamine faccio?
—No. Ma sai, è da ieri che sei sparito, ed essendo tua sorella è probabile che mi prenda un bello spavento, non ti sem…
—Ho passato la notte con Veronica, contenta?—alzò la voce all'improvviso.
Rimasi a fissarlo con uno sguardo da pesce per un po'.
Rilassai, poi, i muscoli della faccia, quando aggiunse—Non so cosa mi sia preso, ultimamente sto facendo un mucchio di cazzate.
Cominciò a guardare per terra.
Momenti di silenzio susseguirono, e lui si mostrava più agitato che mai.
Gli misi le braccia al collo.—Perché ce l'hai con te stesso?—gli mormorai.
—Perché? Hai capito cosa ho appena fatto a Veronica o hai bisogno che te lo ripeta?
—Stai cominciando ad essere ridicolo. John, capisco che questi sono argomenti, come dire, abbastanza delicati, in cui io dovrei farmi da parte e rimanere muta, ma credo che non sia successo niente di grave, se vuoi il mio parere. Parlo di te. Se l'avesse presa male, Veronica, ti avrebbe già buttato di casa.
Lui sospirò.—Non lo so, Rose. Io questa cosa la vedo abbastanza infantile.
—No, John. Se la pensi così, non hai capito niente. Hai bisogno che te lo dica in arabo che voi due vi amate? Non c'è nulla di cui vergognarsi.
Sospirò silenziosamente, guardandomi seriamente preoccupato.—Promettimi che non lo dirai a nessuno, nemmeno a Roger.
Annuii.—Te lo prometto.
Lo strinsi per un altro po' a me, poi lo lasciai, andandomene in camera mia.
Mi chiusi la porta dietro e mi gettai sul pavimento.
Cosa pensare di quel momento? Nulla.
Solo fare un'altra promessa: non sarei più interferita nella loro relazione. Si amavano, cosa c'era di sbagliato?

Quel pomeriggio uscii.
Fortunatamente era domenica, il che significava niente lavoro.
Ma la biblioteca era aperta, così decisi di andarmene lì, anche perché dovevo riconsegnare "Amore e Psiche".
Una buona camminata non poteva farmi di certo male, era anche da due giorni che la neve si era presa una pausa.
Feci prima una sosta alla caffetteria sotto casa e comprai il solito Cookey.
Se avevo deciso di smaltire qualcosa, comprare un biscotto ad alto contenuto di calorie non aiutava per niente.
Sì, la coerenza era il mio punto forte.
Mentre passeggiavo, anche un po' sovrappensiero per tutto quello che era accaduto in mattinata, qualcuno mi diede una pacca sulla schiena, facendomi trasalire.
—Ehi! Dove vai di bello?—disse Roger, con una sigaretta infilata tra le sue labbra.
—Sei un brutto stronzo, capito? Che modi!—mi lagnai.
Lui, per tutta risposta, ridacchiò.—Oh, avanti. Meno male che ci siamo incontrati.—disse.
—Sempre in questi modi barbari, non è vero?
Dopo aver infilato l'ultimo boccone del biscotto, mi prese la mano.—Meglio così, visto che avevo intenzione di passare tutto il pomeriggio con te.
—Mi dispiace deluderti, ma credo che sarà per un'altra volta. Sto andando in biblioteca.—spiegai.
—Perfetto, vengo con te.
—Ma se non sei mai entrato in una biblioteca in vita tua!
—Non credo di avertelo mai detto e comunque voglio andare per quella ricerca di biologia.
Mi fermai, sorpresa, in mezzo al marciapiede.—Quale ricerca?
—Caratteri ereditari? Mendel? Mercoledì? Ricordi adesso?
Di colpo ricordai la ricerca assegnataci per mercoledì. Sbuffai.—Addio letture rilassanti.
—Guarda il lato positivo, nulla ci potrà dividere questo pomeriggio.
—Stai cominciando ad essere morboso, e si dà il caso che questo pomeriggio lo volevo passare con Liam.
—Sto cominciando a non sopportarlo più, quello lì.
—Non ti è mai piaciuto dal primo momento che l'hai visto. Sei un tipo molto geloso, tu.—gli diedi un pizzicotto sulla guancia con la mano libera non appena lui si imbronciò.
—Cosa c'è di male? La gelosia aiuta, lo sai?
—Sì, come no.—risi e gli tolsi la sigaretta dalla bocca, infilandola nella mia.
Feci un bel tiro.
—Tu fumi? Perbacco, questa mi era sfuggita.—commentò.
—Non sono una fumatrice, che sia chiaro. Ho provato altre volte. Non so quante  ne fumi tu al giorno.
—Mah, non so la mia media precisa, ma qual è il tuo problema?—mi sfilò la sigaretta, la buttò per terra e mi fece fare un piccolo casqué, baciandomi.—Ora non ti piaccio più?
Quando tolse le sue labbra dalle mie, mi guardò soddisfatto.—Ma che cazzo hai da ridere?—dissi io.

Arrivammo in biblioteca poco dopo. Essendo un tipo abbastanza rumoroso e non abituato, dovetti zittire Roger più volte.
Dopo aver trovato un grosso librone che ci serviva per la ricerca, ci sedemmo, cominciando a leggere e a prendere appunti su un blocchetto che aveva lui. Mi disse una volta che gli serviva se gli sarebbe venuta l'ispirazione all'improvviso.
Ma mentre eravamo nel bel mezzo della Legge della segregazione di Mendel, qualcuno mi diede una gomitata. Era Liam.
Lo salutai mimandogli un "ciao", lui fece altrettanto, ma non con Roger, che si scambiarono entrambi i saluti con un cenno del capo
"Cosa leggete?", mosse solamente le labbra.
"Ricerca", risposi.
Prese un foglietto che aveva in mano e ci scribacchiò sopra qualcosa.
Me lo lasciò accanto e si alzò, agitando la mano.
Presi il foglietto e lessi:
Martedì ore 20.45
Cromwell Rd. N. 4604

Nascosi il biglietto nella borsa che avevo appeso sulla sedia, prima che Roger avrebbe potuto leggerlo.
E infatti non tardò a sussurrarmi:—Che ha scritto?
—No, nulla. Mi ha consigliato un libro, ma non lo prenderò ora.
Rimasi a guardarmi un po' sospettoso, ma io prontamente misi gli occhi sul libro, indifferente.
Continuammo a prendere appunti, o meglio, lo fece lui perché io ero troppo occupata a capire il perché di quella cena.
Sì, era vero che lui non sapeva che io fossi fidanzata, ma una cena io e lui da soli era un po' troppo sopra le righe.
Cercai di distrarmi, ma più lo facevo, più i dubbi mi assalivano.

Spazio Autore: siiii mi avete dato per dispersa, ma ora sono tornata.
Okay, questo è uno dei capitoli più stupidi che abbia mai scritto. Credo si salvi solo la parte di Freddie perché per me lui e Mary rimarranno la coppia più bella, non credete?
Mi scuso nuovamente per il ritardo. Intanto voi potete lasciare recensioni… Sempre se vi va.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Ecco perché mi chiamano Mrs Fahrenheit ***


CAP. 20 Ecco perché mi chiamano Mrs Fahrenheit.

Il giorno dopo, un tranquillo lunedì mattina, mi svegliai prima del solito, alle cinque, con un terribile mal di testa.

Mi stava letteralmente scoppiando, sentivo anche dei fischi nelle orecchie ed ero addirittura bollente sulla fronte.

Ero un tipo che solitamente non soffre quasi mai di nulla, per cui tutto era abbastanza strano.

Svegliai John, intento ancora a dormire.—John?—gli scossi il braccio.

Nessuna risposta. Dovetti scrollarlo più volte.

Poi si decise ad aprire gli occhi.—Rose? E' ancora presto, perché mi hai svegliato?—disse con la voce impastata.

—Ho un terribile mal di testa e ho la fronte che mi bolle.—risposi gemente.

Immediatamente, lui mi mise una mano sulla testa.—Scotti tantissimo.—si alzò.—Mettiti sotto le coperte. Vado a prendere il termometro a mercurio. Non prendere freddo o peggiori la situazione.

Feci come aveva detto, infilandomi nel suo letto.

Per mia grande fortuna, lui era molto premuroso con me.

Dopo un po', tornò con un termometro in mano.

Lo misi sotto il braccio e aspettammo cinque minuti.

Poi tirai fuori il termometro e vidi la temperatura, riportato in gradi: trentotto e quattro.

Lo mostrai a John.—Credo che per oggi sia meglio che tu non esca. Dirò anche a Ver che oggi pomeriggio non puoi andare a lavoro se la temperatura non si abbassa. Vai a metterti nel tuo letto, ti verrò a portare più tardi il tè. Ah, oggi abbiamo le prove, quindi non arriverò molto presto.

Obbedii, ritornando nella mia stanza.

Un po' più tranquilla, cercai di riposare per un'altra buona mezzoretta.

Subito dopo, John arrivò da me con una tazza fumante di tè.

La sorseggiai a vari intervalli, perché era veramente calda.

Fattesi le sette, John andò a scuola e io rimasi nel letto.

Avendo ancora un forte mal di testa, rimasi buona parte della mattinata a dormire.

Alle dieci circa, decisi almeno di cambiarmi. Il pigiama di lana mi stava troppo pesante.

E infatti mi diedi una rinfrescata in bagna e indossai dei pantaloncini blu e una maglia a lunghe maniche grigia.

Avevo bisogno di compagnia, così andai in salotto, presi il giradischi e me lo portai in camera mia.

Misi "Please Please Me" e lasciai libere le voci e gli strumenti dei Fab Four.

La musica, invece di peggiorare la situazione, la miglioravano solamente, o almeno con me aveva questo effetto.

Non avevo molta fame, così mi andai a preparare un semplice toast con il formaggio e ritornai in macchina.

E così passò la mattinata, ma dopo aver pranzato, ebbi anche l'impressione che mi fosse diminuita la temperatura.

E infatti, dopo aver rimisurato la temperatura, rimasi soddisfatta quando vidi che da trentotto era passata a trentasette e uno.

Ma avevo ancora un dolore alla testa.

Sfortunatamente, quando si passa un'intera mattinata senza fare nulla, è abbastanza noioso.

Ma alle tre e mezza di pomeriggio, sentii la porta aprirsi.

—John? Sei tu?—urlai, troppo pigra per andare a controllare.

Ci pensò lui ad arrivare da me senza troppe pretese.

—Eccomi. Come ti senti?—mi chiese, toccandomi la fronte.

—Credo che la temperatura si sia abbassata.—dissi.

—Sì, scotti molto di meno. Perché non te la rimisuri?

Presi il termometro dal comodino sul quale era appoggiato e lo misi nuovamente sotto il braccio.

—Hai ancora mal di testa?—chiese poi.

—Qualche dolore ce li ho, purtroppo.

Quando sfilai il termometro e vidi la temperatura ulteriormente bassa ai trentasei gradi e mezzo, rimasi sollevata.

Lo mostrai a John, anche lui abbastanza appagato.

—Bene, almeno la febbre non l'hai quasi più. Tra un po' esco, vado a fare due passi. Puoi rimanere da sola ancora un po'?

Sbuffai, ma acconsentii.—Va bene, ma torna presto. Ah, ti ho lasciato un toast nel frigo, vedi di scaldartelo.

Si leccò le labbra.—Mh, grazie.—mi diede un bacio su una guancia e uscì dalla mia camera.

Scossi la testa. Com'era semplice farlo felice.

Non appena riuscì di casa, mi venne una voglia immensa di andarmene in biblioteca.

Purtroppo, se avessi messo solo la punta dei piedi fuori la porta di casa altro che febbre, sarei arrivata a ottanta gradi.

Così, rimasi lì, in camera, ad autocommiserarmi, finché non sentii il campanello della porta.

Rimasi impassibile, visto che John aveva le chiavi.

Ma quando insistette, fui costretta ad alzarmi dal letto.

—John, le chiavi!—urlai ancor prima di aprire la porta.

Quando aprii, rimasi alquanto sorpresa. In fondo, John era uscito solo da una ventina di minuti, non poteva essere già tornato.

—Roger! Vieni, entra.—lo invitai.

—Come ti senti? John ci ha detto che oggi stavi male.—chiese, dopo che ebbi chiuso la porta.

—Poco fa mi è passata la febbre.

—E ora come stai?

—Meglio rispetto a stamattina, ma ho un terribile mal di testa.—spiegai.—Grazie per essere venuto, stavo morendo di noia.

Mi diede un pacchetto incartato.

Lo scartai. Era un libro.

82, Charing Cross Road. Va molto di moda, ultimamente.—spiegò.

Lo abbracciai.—Oh, Roger. Grazie.—ricambiò, stringendomi di più a sé.—Anzi, è meglio che non stiamo a stretto contatto.—mi staccai immediatamente da lui.

Aggrottò la fronte.—Il mal di testa non si mischia, dovresti saperlo.

—Sono comunque ammalata, e poi io sono dentista, non dottoressa, c'è una bella differenza.—ribattei, divertita.

—Voglio un tè.

—Vattelo a preparare da solo, Taylor. E fanne uno anche per me.—lo spinsi verso i fornelli mentre io, con un po' di giramento di testa, mi sedetti al tavolo.

—Come siamo acidi, Deacon.—disse, mettendo a bollire sul fuoco dell'acqua.—Dove sono le bustine?—chiese dopo.

Mi rialzai e andai verso la credenza.—Noi abbiamo l'infuso. Siamo più indietro.—aprii uno degli sportelli dove era conservato.

Non ebbi nemmeno il tempo di afferrarle dall'alto, che lui mi abbracciò da dietro.

Ridacchiai.—Cosa ho detto prima?

—Anche se fossi veramente ammalata, a me non importa.—rispose, prima di cominciare a baciarmi una tempia.—Ehi, Taylor, dovevamo fare il tè.—dissi, scrollandomelo di dosso.

—Che si fotta il tè.

—No, Taylor. Io voglio il tè e anche tu, avanti.—riuscii finalmente ad arrivare ai fornelli e a togliere l'acqua dal fuoco in tempo. La versai in due tazze e misi l' infuso.

Dopo aver preso la sua, si sedette al tavolo.—Roger, io voglio andarmi a stendere sul letto, non è che potremmo bercele lì?—gli chiesi.

—Mh, okay. 

Mi stesi sul mio comodo letto e cominciai a sfogliare il nuovo libro, che era un dolce romanzo epistolare.—Mi serviva proprio un libro nuovo, stamattina mi sono annoiata a morte.

—L'ho scampata bene. Sono contento ti piaccia. Sono stato quasi un'ora in libreria per scegliere.

—Vuoi un applauso?—lo canzonai.

Si smosse dal letto troppo bruscamente, facendomi cadere il contenuto della tazza bollente sulla maglia.—Cazzo, Rog!

—Oh, mio Dio. Scusa!—disse preoccupato, alzandosi.

Era una macchia troppo grossa, non potevo lasciarmela addosso.—Apri l'armadio, nel secondo cassetto in basso dovrebbe esserci una maglia di lana bianca, prendimela.

Presi la sua tazza e la mia e le adagiai sul comodino.

Poi mi tolsi la maglia sporca di dosso, rimanendo in reggiseno.

Dopo aver frugato un po', si girò.—E' questa?—mi chiese, spalancando un po' gli occhi appena mi vide.

Diffidandolo, annuii e allungai il braccio per prendere il maglione, ma lui avanzò verso di me, senza darmela.

Poi si sedette sul letto e con un inspiegabile motivo cominciò a baciarmi.

Mi staccai subito da lui.—Non fare il bambino e dammi questa maglia.

Tutto inutile. Come una calamita, avvicinò nuovamente la bocca alla mia.

Lo respinsi mettendogli le mani sul petto.—Roger! Dammi questa fottuta maglia!

Non rispose, anzi, mi sorrise pure malzioso. Mi afferrò le mani e tornò a baciarmi.

Cercavo in tutti modi di allontanarmi da lui, ma in quel momento successe l'inimmaginabile.

Fece cadere il maglione pulito per terra e si sistemò, non curandosi delle mie reazioni, sopra di me, pur non staccando le labbra.

Cominciò ad accarezzarmi il collo con una mano.

Il tutto stava continuando da molto, o meglio, da troppo per me, che ero oramai impotente di fare qualsiasi cosa.

Reagire non sarebbe servito a nulla, soprattutto quando prese una delle mie mani e la fece combaciare dietro di lui.

Comprimeva la sua bocca con la mia talmente tanto che i suoi capelli spettinati cominciavano a solleticarmi la faccia.

Fu difficile, ma inspiegabilmente riuscii a lasciarmi andare.

In quel momento, fui io a controllarlo, spingendo la mia bocca verso la sua.

Le gambe abbastanza minute che avevo non le sentii quasi più sotto le sue muscolose.

Le sue braccia erano strinte voracemente ai miei fianchi.

In pratica ero completamente in suo possesso, non riuscivo a controllare più niente se non la bocca.

La bocca. Anche le labbra erano completamente spappolate. Come al solito le tirava con una forza a me completamente sconosciuta.

Improvvisamente, sentii la sua lingua colpire più volte i miei denti serrati.

Per un paio di secondi ci guardammo negli occhi, poi lasciai libero il varco, facendo sì che le nostre lingue potessero incontrarsi quanto gli parevano.

Continuammo così per un tempo più o meno lungo, in cui la mia mano si alternava ai suoi capelli e alle sue spalle.

Poi lui si staccò bruscamente da me e si sfilò la maglia che aveva addosso, facendola finire a terra insieme alle mie.

A quel punto aveva già le mie mani che gli accarezzavano il petto nudo, mentre lui abbassò la testa, affiorandola nel mio collo e stuzzicandogli i punti più delicati con gli incisivi.

Tutto in quel momento era assolutamente bello a tal punto che la testa, anche se si lamentava con un dolore lancinante, non dava alcun fastidio.

Alzò nuovamente la testa, ritornando di fronte a me.—Roge…

Lui era nuovamente sulle mie labbra.

Sentii poi il campanello bussare e una chiave girare.

Ci bloccammo entrambi e ci ricomponemmo.

—Presto, mettiti la maglia!—dissi, prendendo la sua e la mia da terra e infilandocela nell'esatto momento in cui entrò John.

—Rose, sono… Roger, anche tu, qui?—chiese mio fratello.

—Sì, sono venuto a farle compagnia.—spiegò Roger.

Per far sì che tutto quello che era appena successo non fosse sospetto a John, presi una tazza dal comodino e sorseggiai il tè ormai freddo rimanendo seduta sul letto.

—Io vado a provare qualcosa giù.—disse John ed uscì dalla stanza.

Non appena fu fuori, tirai un grosso sospiro di sollievo e Roger mi notò.—Perché sbuffi? Non ti è piaciuto?

Mi alzai dal letto e andai verso di lui, dandogli un bacio quella volta più calmo e raggiungendo la cucina per posare le tazze, mentre intanto il ritmo del basso si diffondeva in tutta la casa.

Roger, come un cagnolino, mi seguì.—Non ho sentito alcuna risposta.—disse.

—Mi dispiace, ma non possiamo continuare. Credo che per oggi lo spettacolo è finito.—risposi fingendo di essere seccata.

Mi accarezzò il collo ancora mezzo umido dei suoi baci.—Domani sera ci vediamo?

—In realtà, ecco, Liam mi ha chiesto di cenare da lui, domani.—dissi un po' timorosa.

—Che cosa?—urlò.—Non avrai mica intenzione di andarci?

—Oh, dai, Rog. Che sarà mai?

—No, Rose, davvero. Quel tipo non mi fila bene per niente.

—Ti prometto che starò attenta, ma sappiamo tutti e due che non corro nessun pericolo, non è così? Anzi, non è che potresti accompagnarmi? Ti prego.

Mi guardò frustato.—Okay.

—Grazie.

 

Spazio Autore: guarda un po' chi si rivede! Salve a tutti.

Primo, tengo ad augurare a tutti voi un buon anno.

Secondo, questo capitolo è un po', come dire, passionale? Non voglio alzare il rating, mi sembra inutile.

Ma amo troppo 'sti due. Voi no?

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Solo un bicchiere di champagne ***


Quel giorno la fermata di South Kensington era molto affollata, soprattutto dopo l'una di pomeriggio lo era sempre, ma inevitabilmente riuscii a scorgerla tra la gente correre peggio di un'auto da Formula Uno.
Durante le lezioni, io e Veronica non spiaccicammo una parola, ma ora doveva cantare, oh, eccome, proprio come un uccellino.
Non riuscivo ancora a credere da dove tirasse fuori quella velocità nel camminare, fatto sta che riuscii ad acchiapparle il polso mentre saliva sul treno della metropolitana.
—Io e te dobbiamo parlare.—dissi secca io, appena il treno cominciò la sua corsa.
Mi guardò confusa.—Oggi non te l'ho proprio chiesto, come ti senti?
—Bene ma questo non importa, è da tanto che non ci vediamo. Come va con Deacy?
Trovammo due posti liberi sul treno e ci sedemmo.—Altrettanto una meraviglia. Perché?
—Veronica, è inutile nascondermi le cose. So tutto.
Fece una faccia contrariata e parecchio irritata.—Di che parli?
Ridacchiai.—Ti dirò, non avrei mai immaginato lo avreste fatto dopo due giorni che vi foste messi insieme.
—Rose, di che cazzo stai parlando?
—Mh, indovina un po'?
—Te l'ha detto lui?—urlò, arrabbiata.
—No, Ver, non dare la colpa a lui, gliel'ho letto subito in faccia.—per qualche secondo si calmò.—E poi è mio fratello, non dirò a nessuno che ha fatto una cosa del genere, non lo sa nemmeno Roger.
—Io non riesco a comprendere cosa ci sia di male.—mise una mano sulla testa.
—E' proprio questo il punto, non c'è nulla di male, perfino a lui è piaciuto.—rimasi per un secondo zitta.—Sai, è strano parlare di lui in questo modo.—ridacchiai di nuovo.
—Tu dici che gli è…piaciuto?—chiese, esitante.
—Ma certo, lui è stracotto di te e non sono di certo io quella che te lo deve dire. Credimi, Veronica, non c'è nulla di cui allarmarsi.
Si fermò per un po' a fissarmi, poi sorrise.—Se lo dici tu, io ci credo.
Continuammo la nostra corsa verso Earls Court in silenzio.
—E tu, invece? Non dirmi che con Roger non hai fatto niente.
—Ormai questo è diventato un argomento da salotto.—ridemmo.—No, o almeno non proprio.—continuai io, ripensando al giorno prima.
—In che senso "non proprio"? L'avete fatto, sì o no?
Mi grattai la fronte, intimidita.—Eravamo sul punto di farlo ieri sera, poi quel coglione del tuo fidanzato ci ha interrotti.
—Oh mio Dio, quindi stavate per farlo?—lanciò un gridolino stridulo.—Sapevo che anche voi, prima o poi vi sareste decisi.
—Veronica, santo Cielo, calmati. Non l'abbiamo fatto per davvero.
Continuò a battere sulle gambe le mani eccitata, poi di colpo si bloccò.—Aspetta un secondo, ieri tu non stavi male? Era tutto finto, allora.
—No, ieri veramente non stavo bene, ma durante il pomeriggio è successo tutto all'improvviso, quando è venuto a trovarmi e il mal di testa che avevo era andato completamente a farsi fottere.
—Che storia da romanzo.—commentò lei.
—Parli proprio tu che dopo due giorni scopate?—mi diede una pacca sulla mia gamba.
—Modera i termini, ragazzina.—disse, ridendo.
—Stasera devo cenare da Liam.
Sospirò.—Dio, ancora quello della biblioteca?
—Anche tu? Ho già Rog che è matto per la gelosia. Cosa c'è di male, me lo spiegate?
—Rose, non credevo l'avrei mai detto ma sono d'accordo con quel biondo. Insomma, dovresti passare più tempo con lui che con questo Liam, mi spieghi cosa ci trovi in lui?
—Veramente ho anche chiesto a Roger di accompagnarmi e venire a prendere. E poi è solo un amico con cui condivido l'amore per la lettura, cosa c'è di sbagliato?
—Non lo so. Ma con quelle poche volte che l'ho incrociato con te ho capito che è un po' strano. Stai attenta. Te lo dico da amica.
Sbuffai.—E va bene, amica.

—Arrivederci e grazie per averci scelto.—dissi alla cliente che stavo servendo, non dandomi nemmeno il tempo di porgli il sacchetto che era già sgattaiolata fuori.
Veronica venne verso di me con un paio di scarpe con i tacchi gialle nelle mani e me le sventolò davanti.—Perché ora anche le scarpe?—chiese, lamentosa.
Gliele presi da mano.—Lasciale qui, zuccherino, se proprio ti infastidiscono le prendo io.—ironizzai.
Sbuffò e continuò a risistemare il negozio.
Ci avvicinavamo pian piano alla fine della giornata lavorativa.
Mentre finivo di servire un altro pagante, una ragazza bionda poggiò il braccio sul bancone.
—Beh, Freddie ha ragione, lavorate piuttosto bene.—disse Mary, non appena la cliente prima di lei se ne fu andata.
—Ehi! Che ci fai qui?—chiesi, entusiasta.
—Sono venuta a trovarvi. I ragazzi mi hanno detto che lavorate qui.—si guardò nuovamente intorno.—Perbacco, questo posto non è niente male. Meglio della bettola dove lavoro io.
Avevo visitato il negozio di Mary quando l'andammo a prendere io, Rog e Freddie e in fin dei conti non era meglio del nostro.
—Non dire scempiaggini.—disse Veronica, mettendosi le mani in testa per la stanchezza.
—Ver, sembri che hai appena scalato il K2.—disse Mary, poggiandole una mano sulla spalla.
—Ah, non me lo dire.—rispose l'altra.
—A che ora finite di lavorare?—aggiunse la bionda.
Guardai l'orologio.—Tra dieci minuti.—osservai.
—Vi va se dopo andiamo a mangiarci qualcosa insieme?—propose Mary.
—Ehm, io devo uscire con John, facciamo un'altra volta?—disse preoccupata Veronica.
—Non è detto che non possa fare io compagnia a Mary. Io ci sto.
Quest'ultima mi sorrise.—Bene, qui di fronte ho appena visto che c'è una pasticceria che fanno delle crostate che sono una delizia.
—Siamo a posto, allora. Il tempo di chiudere qui tutto. Ah, mi raccomando, Ver, questa sera lasciami tornare a casa John.—lei mi guardò in cagnesco, probabilmente per la presenza di Mary.
Misi la mano davanti la bocca, poi mi schiarii la voce.—Nel senso che non deve tornare tardi, siamo intesi, Veronica?
Troppo tardi. Con la coda dell'occhio vidi Mary sorridere più del dovuto.
—Se voi volete cominciare ad avviarvi fate pure, John veniva a prendermi di fronte casa mia, che è vicina.
Annuii.—Perfetto, andiamo, Mary. Ciao, Ver.—andai da lei e le lasciai un bacio sulla guancia.
—Non fare cazzate, Rose.—mi sussurrò nell'orecchio.
—Oh, dovrei dirlo io a te, mia cara.
Prima che potesse controbattere, io e Mary l'avevamo già lasciata.
La pasticceria era esattamente di fronte, dovemmo infatti solo attraversare la strada.
Ci sedemmo ad un tavolo e ordinammo entrambe una crostata alle fragole, non sapendo cosa scegliere tra i vari dolci elaborati.
—E' bello qui. Te l'ha consigliata qualcuno, dimmi la verità.
—Ti giuro, l'ho scoperta per puro caso.
Scrollai le spalle.
—Allora, come va?—chiese poi.—Ci vediamo sempre meno spesso io e te, ed è un po' brutto questo, non trovi?
—Oh, se vuoi puoi anche venire a vivere da me. Veronica sarebbe sicuramente contenta di accogliere John da lei.—ridemmo.
—Comunque è inutile che lo nascondiate, si capisce che quei due hanno passato la notte insieme, lo sanno tutti.
Spalancai la bocca.—Come lo sanno tutti?
—Si nota, e poi Freddie non ha contenuto la sua soddisfazione.
Guardai il soffitto.—Sapevo era stato lui.
—Mi ha raccontato com'è andata. Tu eri sotto shock.—ridacchiò.
—Beh, sai, è mio fratello.—mi giustificai.—Mary, ascolta, sarò anche molto sfacciata a chiederti una cosa del genere, ma devo togliermi la curiosità, cosa pensi di Freddie?
Mi guardò un po' confusa per quella domanda.—Mi hai chiesto se mi piace?—disse, senza pretese.
Scossi subito la testa.—No, è solo che avete un bel legame, e mi chiedevo se lo consideri veramente un ottimo amico.
Sorrise.—Oh, quello sì. È spassoso, divertente e socievole. Credimi, poche persone al mondo sono come lui.
Guardai nel piattino davanti a me, soddisfatta.—Ma se si dovrebbe creare qualcosa di più di un'amicizia, cosa faresti?
Mi guardò completamente scandalizzata.—Dai, Mary, siamo amiche, non sono mica Freddie o Roger che vado a spiattellare tutto a tutti.
Cominciò a giocherellare con la forchetta.—Io, non so come dirtelo, Rose, mi sembri abbastanza affidabile, ma non vorrei crearmi troppe aspettative, ma mi piace proprio come persona, non so se sono spiegabile. Questi sono i sentimenti dell'amore? Io in fondo lo stimo e il più delle volte quando sto con lui mi sento una meraviglia, ma non so nemmeno io quel che provo per lui.
Perché mi trovavo sempre in questi tipo di situazioni?
Altro che odontoiatra, sarei dovuta diventare una consulente amorosa.
—Mary, io ti consiglio solo di seguire il tuo cuore. Se ti piace davvero, io non aspetterei a dichiararmi, vi conoscete, anche se da poco, molto bene. Non hai nulla da perdere.
Sospirò.—E va bene, farò come dici, glielo chiederò stasera, ma non ti prometto nulla, ragazza-sentimentale.—ridemmo sguagliatamente e finimmo la crostata.

Mi misi a camminare per il corridoio per testare le scarpe alte nere che avevo deciso di mettere, non essendo abituata.
Ma, alla fine, sotto un paio di jeans scuri e una camicia bianca, non davano molto fastidio.
John era già uscito per andare da Veronica, quindi mi trovavo sola in casa.
Mi feci un veloce chignon ai capelli prima che qualcuno bussasse alla porta.
E andai subito ad aprire.
—Ah, eccoti, Roger. Vieni, entra, mi servono altri cinque minuti.
Il biondo provò a fiatare, ma io lo tirai dentro prima che dicesse qualcosa.
—Siediti in salotto, io devo andare a truccarmi un po'.—aggiunsi.
Lui non ubbidì, anzi, mi seguì nella mia stanza, sedendosi sul letto mentre io, sulla sedia della scrivania mi riflettevo in uno specchietto.
—Questa cosa ti sta mettendo pressione, non è così?—chiese, mentre io ero intenta a passarmi la matita sotto entrambi gli occhi.
—Perché me lo hai chiesto?
—Non lo so, si nota un po'.
—Sono normale, non ti sembra?
—No, mia cara. Sembri parecchio agitata.
Non lo ascoltai.
Ma dopo aver messo un po' di rossetto rosa chiaro sulle labbra e della cipria, dissi:—Indovina un po'? per questa sera guiderai tu. Probabilmente al ritorno sarò troppo stanca.
Allargò le labbra.—Davvero? Me lo permetteresti davvero?
Annuii.—Hai la patente con te?
Il suo sorrise pian piano si spense.
Lo guardai scocciata.—Guida piano, per lo meno. Su, andiamo.
Misi una giacca nera e uscimmo da casa.
Prima di aprire gli sportelli dell'auto, gli mostrai le chiavi, sventolandole sotto gli occhi.—Non provare a fare brutti scherzi, Taylor.
E con un sorriso da gattamorta, mi prese le chiavi a una delle cose più preziose che io e John custodivamo gelosamente e mi lasciò un bacio sulle labbra.—E tu promettimi che non farai stronzate, Deacon.
Scrollai le spalle.—Questo si vedrà.
Salimmo in macchina e partimmo, mentre io gli mostravo la strada.

Dopo venti minuti buoni di viaggio, arrivammo.
Fortunatamente ero ancora integra. Roger aveva avuto il buon senso di non correre come un pazzo.
Si accostò per farmi scendere.
—Se vuoi, puoi anche farti un giro, ma non andare in un locale, ci siamo intesi?—lo misi in guardia.
—Che palle. Non mi ubriaco, non preoccuparti. A che ora ripasso?
—Tra un paio d'ore. Ciao.
Ci demmo un bacio, lo lasciai a malavoglia e uscii dall'auto.
Guardai il portone di quel palazzo.
Tutto mi preoccupava un po', ma dovevo stare tranquilla, senza farmi influenzare dagli altri.
Bussai al citofono di Liam e, dopo avermi detto il piano, mi entrare.
Arrivai davanti alla sua porta che non tardò ad aprire.
—Rose! Giusto in orario. Vieni, accomodati.
Mi allargò il varco che portava dentro.—Ciao, Liam.—dissi.
Mi diede un bacio sulla guancia, tenendomi con un braccio.
—Stasera ho voluto cucinare io.—disse, dopo che ci fummo separati.
—Ah, bene. Anche se mi avessi chiesto una mano non mi sarei offesa.
—No, è che volevo farti una sorpresa. Vieni, andiamo in cucina.  
 Mi prese per mano, cosa che mi rese un po' imbarazzata, e dall'open space che c'era non appena entrati dalla porta principale, mi condusse in un'altra camera quasi grande quanto quella.
—Caspita, questa cucina è il doppio della mia!—esclamai.
—Beh, ecco. Amo le stanze grandi.
Un forte odore di verdure, probabilmente al vapore, filtrava nel naso.
—Verdure bollite? Oh, le adoro!
Aprii la pentola per controllare e non rimasi delusa.
—Se sei pronta, comincio a fare i piatti.—mi sfilò la giacca e con la coda dell'occhio lo vidi adagiarla sul divano della camera precedente.
Dopo che lo ebbi aiutato, ci sedemmo e cominciammo a mangiare.
—Wow, Liam. Non è proprio vero che sei mediocre nel cucinare.—mi complimentai.
—Grazie, ma mai ai tuoi livelli.
—Perché mi prendete tutti per cuoca? Io sono dentista.
—Tecnicamente non lo sei ancora.
—Sì, ma aspetta un po', tesoro.—scherzai.
Il resto della cena fu abbastanza tranquillo.
Non parlammo di niente, se non di libri.
—Aspetta un secondo, quindi "Romeo e Giulietta", libro che ho sempre considerato la cosa più sdolcinata che esista al mondo, non è così male?—dissi, agitando la forchetta.
—Proprio così. Faccelo un pensierino, sotto non è male.
—Ci penserò.
—Abbiamo finito, ti aiuto a sparecchiare.—dissi, quando mi accorsi che entrambi i piatti erano vuoti.
—No, lascia qui.—si intromise, avvicinandosi a me.
—Ma dai, sono due insulsi piatti.—scossi i piatti, prima di capire che io e Liam avevamo le punte dei nasi molto vicini, nonostante lui fosse leggermente più alto di me.
Mi girai, un po' paonazza, e posai i piatti sul lavabo.
Mi accarezzai il braccio, guardando verso il basso, prima di andarmene in salotto, sempre più bollita in faccia delle verdure che stavo digerendo.
Mi avventurai nell'open space, cercando di distrarmi.
Rimasi delusa quando non vidi neanche un libro sulla piccola libreria che aveva.
—Un momento, hai tutto nella biblioteca?—gli dissi, mentre lui era appoggiato al muro.
Mi sorrise.—No, come potrei? Vieni, ti faccio vedere un'altra cosa.—mi fece segno di raggiungerlo e mi condusse ad una camera accanto alla cucina.
Per poco urlai, quando l'aprì.
Una piccola stanza colma di libri mi si presentò agli occhi.
Tutte e quattro le pareti erano incorniciate da scaffali in legno e sopra vi erano una moltitudine di libri, mentre al centro della stanza due poltroncine rosse bordeaux completavano lo scenario.
—Caspita, Liam. Ma è stupenda!
Si avvicinò ad uno degli scaffali e, dopo aver consultato qualche dorso, tirò fuori un libro che poi diede a me.
—Eccolo, nel caso ti servisse.—disse.
—Oh, allora non ho il tempo di pensarci.—risposi, non appena lessi "Romeo e Giulietta" sulla copertina.
Quando però rialzai gli occhi verso di lui, notai che lentamente stava avvicinando la bocca alla mia.
Non ci pensai subito, credendo fosse uno scherzo, ma poco dopo lo fermai mettendogli una mano – l'altra era impegnata a mantenere il libro – sul petto.
—No, Liam.—alzai la voce.
Mi guardò a dir poco stupito.—Come? Pensavo che io e te…
—No, Liam,—dissi subito io.—tu hai frainteso tutto. Noi due rimarremo amici, non voglio ci sia nessuna storia d'amore che possa rovinare tutto.
Socchiuse gli occhi, imprecando la porta.
—E' colpa di Roger, non è così?
In quel momento, chi aveva la mente completamente offuscata sono io.
—Cosa c'èntra Roger?
—Passi sempre del tempo con lui.
In quel momento mancava solo gli dicessi che io e lui eravamo fidanzati.—Liam, siamo compagni di corso, non abbiamo nessun'altro rapporto se non amichevole.
Sospirò.—Scusami, Rose. Non so cosa mi sia successo.
—No, Liam, non preoccuparti.—oh, no, invece in quel momento ero arrabbiata con lui.
—Andiamo in salotto, volevo farti assaggiare lo champagne che ho comprato stamattina.
Ritornammo nel salotto.
—Siediti sul divano, io vado ad aprire la bottiglia.
Mi accompagnò al divanetto beige e si dileguò in cucina di nuovo.
—Quindi posso portare questo libro a casa?—gli urlai.
—Oh, certo che puoi, amore.
Amore? No, ero troppo stanca per reagire. La giornata era già stata pesante di suo.
Ma perché mi aveva chiamato in quel modo?
Ora, probabilmente era proprio per la stanchezza, ma io non sentii nessun tappo stapparsi, cosa strana, visto che gli champagne producono un rumore abbastanza sonoro.
Ma non ci feci altro caso, visto che subito dopo, Liam arrivò con due bicchieri contenenti un liquido d'orato frizzantino.
Me ne porse uno e alzò il suo.
—A cosa brindiamo?—chiesi.
—A noi.—rispose.
Risi.—Va bene.—alzai anche io il bicchiere.
—E a nessun altro.—aggiunse poi, freddo, prima di cominciare a sorseggiare.
Il mio sorriso si spense, prima che anche io avessi avvicinato le labbra davanti l'alcolico.
Quando ebbi scolato il bicchiere, notai che quello champagne aveva un sapore non comune.
Poteva essere perché io non ero solita bere.
Ma poco dopo dovetti risedermi, ancora più sfinita di prima.
—Cosa c'è? Sei stanca?—disse lui.
Annuii.
—Vuoi stenderti un po' sul letto?
A quella proposta, finalmente il mio carattere un po' sgarbato si fece sentire.
—No, è proprio ora che vada.
Presi la giacca e me la misi, tastando di tanto in tanto le tempie.
—Sei sicura? Tanto ti sveglio domani matti…
—No, Liam, domani devo svegliarmi presto e non voglio irruzioni. Ci vediamo.—risposi scortese, e senza nemmeno salutarlo, uscii da quella casa.
Ripercorsi le scale del palazzo e vi uscii definitivamente.
Ma, con grande gioia, vidi due cose familiari di fronte a me.
La mia Camaro e Roger a braccia conserte appoggiatovi.
—Ah, era ora!—disse, togliendo un piede dalla macchina.
Ero talmente debole che non avevo neanche la forza di rimproverarlo per tale gesto.
—Ma se non sono passate nemmeno due ore?—dissi, aprendo il lato mio dell'auto.
Fece anche lui lo stesso.—Un'ora e mezza è già tanta, fidati.
Dopo essermi infilata la cintura, gemetti silenziosamente.
—Che ti prende?—mi chiese apprensivo.
—Ho un forte mal di testa.—risposi lamentosa.
—Di nuovo? Non  che hai bevuto un po' troppo?
—Un bicchiere di champagne non mette K.O. nemmeno un bambino di dieci anni.
—Resisti ancora un po', ti accompagno fino a dentro, tanto.
Durante il viaggio di ritorno, cercai il più possibile di non pensare a nulla, nemmeno al dolore che provavo.
Per mia grazia, non arrivammo molto tempo dopo.
Roger corse subito fuori dall'auto e venne da me.
Mi aiutò ad alzarmi dal sedile e mi prese in braccio, percorrendo i gradini che portavano al palazzo in due secondi.
Quando fummo di fronte alla portone, chiese—Dove sono le chiavi?
—Nella tasca destra della giacca.—risposi.
Ma, dopo che me le ebbe prese, non fece neanche in tempo a infilarle nella serratura che mi accasciai a terra.
Un grosso tonfo fu l'ultima cosa che sentii.

Spazio Autore: sì, lo so, è passato un secolo dall'ultima volta che ho aggiornato.
È che sono stata troppo svogliata nello scrivere questo capitolo perché lo odio.
In compenso, vi prometto che dopo ci sarà qualcosa di molto meglio.
A presto.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Allarme rosso ***


Buio.
Buio totale.
È una sensazione abbastanza strana non vedere nulla.
Si può pensare e sognare un mucchio di cose.
Ma non riuscire ad aprire gli occhi per rivedere le persone che ami è un po' assurdo.
E fu proprio quello che successe a me: non riuscivo a svegliarmi dal coma.
Ma poi, un giorno, i miei occhietti verdi decisero di aprirsi.
All'inizio non vidi niente, solo una luce intensa e forte. E mi sentivo stesa su un letto.
Poi mi accorsi che c'era qualcosa che non andava nel mio braccio destro. Come se ci fosse qualcosa inficcato dentro.
Ed è proprio questo il primo movimento che feci, avvicinarmi, gemendo abbastanza forte, alla parte dolorante del corpo.
Ma anche muovermi del tutto era difficile.
Grazie al cielo, davanti a me, incontrai lo sguardo allarmante di mia madre.
In quel momento mi rassicurò, ma allo stesso tempo mi posi la domanda sul perché era lì.
—Si è risvegliata!—urlò, mentre io dimenavo dal dolore.
La mia attenzione catturò la figura di John precipitarsi fuori dalla stanza in cui mi trovavo.
Mia mamma si avvicinò alla mia fronte, posandone una mano su.—Rose, calmati. Va tutto bene, ci sono io.
Non fui capace di piangere perché non ne avevo le forze necessarie, ma in quell'attimo morivo dalla voglia di farlo, perché mi vennero in mente tutte le cose orribili che erano successe.
Ero stata tradita da un amico. Avevo sbattuto la testa. Queste erano le due cose che mi gironzolavano in testa.
Mia madre si allontanò quando vide un medico alto, dai capelli brizzolati e con gli occhiali, piombare nei miei occhi una luce nuovamente forte e molto luminosa.
—Rosalie, sono il dottor Berrett. Sei cosciente?—mi chiese.
—S…sì.—dissi strozzata.
—E' tutto apposto, sono tutti qui. Riesci a parlare?
Non risposi, ma continuai a respirare affannata.
Capii che se fossi appena uscita dal coma, non potevo già aver acquisito quelle doti cerebrali.—Quando sono uscita dal coma?—chiesi infatti al medico.
—Due giorni fa. Teoricamente sei stata incosciente solo per un giorno intero. Rosalie, comprendo che ti sei appena svegliata e puoi trovarti in uno stato un po' di disorientamento, ma hai il dovere di sapere alcune cose che la tua famiglia è già a conoscenza. Mercoledì sera sei tornata a casa con Roger, non è così?—non lo vidi in stanza con noi, ma sicuramente doveva esser stato lui a dare l'allarme e a raccontare tutto.
Annuii.—Bene.—proseguì il dottore.—quella stessa sera tu hai frequentato un certo ragazzo di nome Liam. Parlane con noi, perché puoi star tranquilla: abbiamo dovuto farti degli accertamenti nel tuo corpo e abbiamo osservato che tu hai acquisito un overdose di eroina, talmente forte che non hai neppure potuto percepire gli effetti che essa causa. Ora dimmi, è stata una tua scelta assumerne?
Ero demoralizzata. E allo stesso tempo mi vergognavo.
Perché avevo assunto della droga.
Sì, senza saperlo, ma talmente tanta che ero entrata in coma.
E avevo offeso tutti, a cominciare dalla mia famiglia.
Come ci si sente in questi casi? Puoi solo scoppiare a piangere.
Mia madre cercò di consolarmi, ma io la scostai.—No! Vi giuro che io non…sapevo nulla! Vi prego, credetemi!—urlai.
Ebbi l'impressione che anche mia madre stesse singhiozzando.—Mamma, mi vergogno così tanto! Non avrei mai voluto fosse accaduta una cosa del genere!
—No, Rosalie. Noi ti crediamo. Abbiamo solo avuto il bisogno di fare degli accertamenti. Quando ti sentirai un po' meglio ne riparleremo, ora hai solo bisogno di rilassarti.
Si avvicinò poi a Sid, anche lui presente accanto al mio letto.—Se avete necessità di qualcosa, chiamateci.—gli disse, prima di lasciare la camera.
Non appena se ne fu andato, rimasi impassibile, a fissare le lenzuola del misero letto dell'ospedale su cui mi trovavo.
Poi mia mamma ritornò accanto a me.—Rose, noi abbiamo la tua piena fiducia. Sappiamo che tu non hai colpa di niente.
—No, mamma, devo assumermi per forza tutte le responsabilità.
—Rose, non dirlo nemmeno per scherzo, perché ti assicureremo che questo bastardo non proverà nemmeno a pensare di rincontrarti,va bene?
Le mamme. Hanno quella determinatezza che nessuno riuscirà a levargliela.
Ormai rinfrancata, le feci senno di sì.
Vidi John avvicinarsi a me e abbracciarmi.
—Rose, eravamo così preoccupati.—mi disse, anche lui sul punto di non trattenere le lacrime.
Lo strinsi con il braccio libero che avevo, quello sinistro. Per l'altro non ebbi neppure il desiderio di protenderlo a causa della flebo.
—Ah, fratellino mio!—lo rincuorai.
Quando si fu staccato, gli tirai il naso a patata che aveva.
—Oggi pomeriggio ti porto la radio , così puoi migliorare le tue condizioni di benessere.
Ridacchiammo.—Oh, grazie, John.
—Ma siete impazziti? Non vorreste di certo farvi reclamare da tutto l'ospedale?—soggiunse mamma, riferendosi alla radio.
—Ma che dici?—rispondemmo in coro io e John.
—Ah, voi due siete così strani, ma siete sicuri di essere figli miei?—scherzò lei.—Io vado un po' fuori, visto che ora c'è John a farti compagnia.
—Avete bisogno di qualcosa.—chiese poi Sid.
—No, sei libero di farle compagnia.—risposi io.
—Ah, perfetto.—e uscì dalla stanza insieme a mia madre chiudendosi dietro la porta non appena mi ebbe dato una carezza sulla guancia. 
John mi diede un bacio sulla fronte, che era avvolta in una fascia.
—Ci sei mancata a tutti. Bel casino che hai combinato. E non aspettarti che in tre giorni i Queen avessero provato qualcosa.
—Oh, mi sento così in colpa. Aspetta un attimo, dov'è Roger?
—E' arrivato un'oretta fa. Non sai quanto mamma abbia dovuto combattere per convincerlo a farlo tornare a casa. È probabile che  l'abbia incontrato fuori…
La porta si spalancò un centesimo di secondo dopo, lasciando intravedere un Roger incredulo.
—…Ora.—concluse John.
Roger non rimase a lungo lì. Infatti, dopo che mi ebbe visto, piombò al lato sinistro del mio letto, dove in quel momento si trovava John.
—Tesoro…—mormorò, prima di affondare le sue labbra sulle mie in un bacio.
Quando mi tenne stretta a lui prendendomi tra le braccia, mi rasserenerai  più di prima.—Roger, io non ho fatto nulla.
—Zitta, Rose. Io lo so.
Cominciò a baciarmi teneramente le guancie.
—Sì, ma devi perdonarmi, ora avrai perso la fiducia in me.
—Se fosse stato così, non avrebbe passato le ultime settantadue ore in questo benedetto ospedale.—interruppe John.
—No, Rog. Così non va bene, hai bisogno di riposarti.
—Ma cosa dici mai? Ieri sera tua madre mi ha costretto a tornare a casa! Sai, anche gli altri sono molto preoccupati. Ah, John, di là c'è Veronica.
Quest'ultimo non esitò a lasciarci per uscire dalla porta.
—Che disastro che ho fatto, eh?—dissi a Roger, accarezzandogli una guancia.
—Che hai fatto? Tu non hai nessuna colpa.
—E' quello che mi state dicendo tutti, ma io non credo sia così.
—Andrà tutto bene, vedrai. Non appena darai ufficialmente la colpa a Liam dell'accaduto, verrà arrestato e tu potrai stare tranquilla.
A sentire quelle parole, mi mancò il respiro.
C'era davvero il bisogno di farlo mettere in carcere?
No, non volevo. D'altra parte mi aveva drogato, era inevitabile giustiziarlo.
—Rog, ma è proprio necessario?—mormorai.
—Non vuoi sia arrestato? Perché mai? Rose, hai idea di quel che ti ha fatto?
—Lo so, Roger, ma…
—Eccoti qui!—urlò qualcuno da fuori.
Veronica si precipitò accanto al mio letto e mi stritolò.
La sentii piangere.
—Eravamo così preoccupati!—disse.
—Veronica, smettila di fare la bambina, sei ridicola!
—Vedo che il tuo atteggiamento amaro non l'hai dimenticato, non è così?
—Non ho avuto un'amnesia cerebrale.—ribattei.—Qualcuno sa che ore sono?
—Le due di pomeriggio.—mi rispose John, anche lui giunto nella camera.
—Sapete se posso mangiare qualcosa? Ho una fame.
—E le proteine che hai nel braccio a che ti servono?—disse Roger, ticchettando il contenuto in vetro della flebo. Si accorse poi la mia faccia dispiaciuta.—Va bene, vado a chiedere a tua madre.—ed uscì dalla stanza.
Guardai John e Veronica che mi sorridevano.—E a voi due come va?—chiesi.—Non mi dite che non vi sbaciucchiate da quando ho avuto l'incidente perché non vi crederei mai.—aggiunsi sfacciata.
—Oh, Cristo. Rose, è mai possibile che i tuoi argomenti siano sempre gli stessi? Quasi quasi avrei voluto che avessi dormito un altro paio di giorni in più—si lamentò Veronica, mentre John era viola.
—John, arrossisci anche quando ci sono solo io?
—Ah, vai al diavolo, Rose.—disse lui, sedendosi su una poltroncina di fronte il mio letto.
—E a lavoro come va?—chiesi a Veronica.
—Mike dice che da quando non sei venuta più il negozio non è lo stesso.
—Ma ci ritornerò presto, digli di stare tranquillo.
Intanto, arrivò Roger con un vassoio di plastica blu.
—E' arrivata la pappa!—annunciò, mentre lui e Veronica mi aiutarono a sollevarmi.
Sul vassoio, c'era una sorta di fettina di carne con piselli.
Non era molto, ma mi accontentai di quelli.
—Sai che con queste fasce bianche sulla fronte assomigli ad una hippy?—ironizzò Roger.
Ridacchiammo tutti.—No, davvero, sei molto carina.—soggiunse, fissandomi amorevolmente.
—Rose, vuoi che ti togliamo la flebo? Così potete far casino quanto volete.—disse John.
—Ecco, se non l'avessi, molto probabilmente mi sarei alzata e dopo un attimo ci saresti finito tu in coma.—dissi io.
Continuai a mangiare, mentre gli altri non si decisero a parlare molto.
Proprio quando ebbi finito il mio pranzo, qualcuno bussò alla porta.
Roger andò ad aprire.—Ah, era ora! Credevo che un autobus vi avesse investito.
Entrarono Brian, Freddie e Mary che non tardarono a venirmi incontro.
—Rose, sei sveglia! Sono così contento!—disse Brian, inginocchiandosi di fianco me.
—Ehi, Bri! Anche io sono molto contento di vederti.—gli risposi, sorridendogli.
Fu poi il turno di Mary.—Rose! Ci hai fatto prendere un bello spavento.—mi lasciò un bacio sulla guancia.—Ci sono mancate così tanto le tue frecciatine a tuo fratello e a Veronica.
Tutti i presenti risero.
Era incredibile come Freddie l'avesse contagiata.
Ah, Freddie.
Lui mi raggiunse subito dopo.—Ciao, cara. Come ti senti?
—Che tu ci creda o no, Freddie, sei stato il secondo a chiedermelo dopo il medico. Comunque, bene, grazie.—risposi.
—Oh, il mio tesorino!—aggiunse il cantante, prendendomi la testa e premendola contro il suo petto.
Finii di ridere, non appena sentii Mary schiarirsi la voce, riuscendoci anche male.
Cercai di apparire la meno sorpresa possibile, ma non riuscii a nascondere i miei dubbi  a Roger, che mi sorrideva, e anche io feci lo stesso.
—Sai quanto ti dimetteranno?—mi distrasse Mary.
Altro shock ci fu quando la vidi tenere il braccio di Freddie.
—Io? Cioè…In realtà, no.—bofonchiai.
Tutti mi guardavano come se fossi un alieno, peccato che solo io si era accorto di quel particolare tra Mary e Freddie.
Ma, nonostante tutto, passai un'altra oretta insieme a loro.
Per mia grande sfortuna, anche John, Roger, Veronica e mamma dovettero andarsene nel tardo pomeriggio.
Purtroppo, infatti, avrei dovuto trascorrere la notte da sola.

 Ma durante la notte, improvvisamente, mi svegliai.
Un rumore assordante proveniva dalla finestra, un fruscio di foglie più denso di quello provocato dal vento, come se qualcuno stesse arrampicato sul muro.
Cominciai ad agitarmi, mi misi in posizione eretta, ero sul punto di chiamare l'infermiera di turno.
Ma fortunatamente sul davanzale mi ritrovai un Roger dai capelli più arruffati del solito.—Shh! Calmati, Rose, sono io.—liberai un sospiro di sollievo, poi sgranai gli occhi.
—Roger? Ma come hai fatt...—si avvicinò a me.
—Non preoccuparti, l'ho fatto tutte le notti. Ho capito che non c'era nessuno che rimanesse con te tutto il tempo, così scavalcavo il cancello della clinica e venivo qui, senza contare che siamo solo al primo piano.—mi aiutò a risistemarmi nel letto, anche se non poteva fare nulla per la fiala dolorosissima nel braccio destro.
—È sempre il primo piano, no? Come cazzo hai fatto a non farti male?—dissi io, incapace di comprendere da dove prendesse tutta quella forza per valicare un ospedale.
—È semplicissimo scavalcare, il problema è che c'è solo un albero attaccato all'edificio.—ecco spiegato perché avesse i capelli tutti fuori posto.
Risi.—L'avevo intuito.—gli sfilai una fogliolina infilata nei suoi capelli biondi.  Lui per tutta risposta mi lasciò un bacio sulla fronte.
—Ho passato tutte le notti accanto a te.—cominciò ad accarezzarmi amorevolmente il viso.—Credici. Non ti ho lasciata un secondo. Sono costretto però ad andarmene alle sei, quando ti cambiano la fiala.—lo guardai sbalordita.
—Sai anche l'ora in cui mi cambiano la fiala?—lui annuì.
—Beh, visto che è la prima notte in cui sei cosciente, che ne dici di fare qualcosa di... Come dire... Cosciente?—cominciai a ridere talmente forte che l'ago nel braccio mi dava dolori tremendi.
—Cosa intendi per cosciente?—chiesi, aggrottando il naso.
—Parlare con me ti interesserebbe?—si avvicinò a me, sedendosi ai piedi del letto.
—Ascoltare la radio non è lo stesso? John prima di andarsene mi aveva detto che quest'area del piano dell' ospedale è quasi vuota.
.—Tecnicamente dovrei dirti di no perché volevo farmi due chiacchiere con te, ma sono felice di accontentarti.
Si avvicinò allora alla radio che John aveva lasciato sul tavolino della stanza e l'accese.
Ci guardammo raggianti quando sentimmo le prime note di "Drive My Car" dei Beatles sprizzare nella camera.
—Che ne dici di un duetto?—io annuii, divertita della proposta.
Cominciò a cantare i primi versi, con la mano chiusa in un pugno per imitare un microfono:

Asked a girl what she wanted to be
She said baby, "Can't you see
I wanna be famous, a star on the screen
But you can do something in between"

Baby you can drive my car
Yes I'm gonna be a star
Baby you can drive my car
And maybe I love you

Avvicinò il suo "microfono" alla mia bocca e intonai i versi seguenti.

I told a girl that my prospects were good
And she said "baby, It's understood
Working for peanuts is all very fine
But I can show you a better time"

Avevo la voce tremolante, probabilmente perchè ero ancora debole, così io Roger cantammo insieme i versi successivi.

Baby you can drive my car
Yes I'm gonna be a star
Baby you can drive my car
And maybe I love you
Beep beep'm beep beep yeah.

Continuammo ad ascoltare la radio.
Roger andò a prendere una sedia e la pose abbastanza vicino a me.—Come va?—mi chiese, prendendomi il braccio senz'ago.
—Bene. Merito di John, Paul, Ringo e George.—risposi.
—Giusto, io non ho fatto un cazzo.—mise il broncio.
—Ah, sì. Grazie per avermi acceso acceso la radio.— scherzai.
—A proposito di John, in questi giorni stava sempre azzeccato a Veronica che era impressionante. Erano da vomito.
Ripensai a quello che avevano combinato una settimana prima. —E pensare che l'hanno anche fatto.—mi scappò. Mi coprii la bocca con la mano del braccio dove era impegnato l'ago.
Inutile descrivere il dolore.
—Che cosa?—chiese sbalordito, quando l'urlo che avevo emesse fu scomparso.
—Ehm…Niente.
Quando si parlava di sesso, alle volte sembrava un cane da tartufo.—Allora tutto quello che diceva Freddie era vero, e io da imbecille non gli ho creduto. Quando?—urlò.
 Sospirai, sorridendo.—Qualche giorno prima dell'incidente.—mi scappò dal ridere, e contagiai anche Roger.
—Oh, cazzo! Tutto ciò e irreale.—fu il suo commento.—John e Veronica che lo fanno è impensabile!—risi ancor di più.
—Ma dai, lasciali stare, almeno mi sono resa conto che John non è così chiuso come pensavo.
—Oh, non lo è per niente!—smise un momento di ridere e si alzò.—Adesso capisco tutti quei chiacchiericci quando eri in coma. "Oh mio Dio, John. Sono così preoccupata!"—si alzò e imitò la voce di Veronica con il falsetto, cosa che non gli era difficile fare.—"Anche io, Veronica, ma andrà tutto bene!"—mi stavo letteralmente sentendo male dalle risate.—"Oh lo spero, John." Smack, smack!—e baciò una persona immaginaria.—E non ti dico le facce disgustate di Brian, me e Freddie! Erano da diabete, più dei soprannomi di Fred.
—Oh, lo credo bene. Senti un po', mi spieghi cosa c'è sotto tra lui e Mary?
—Stanno insieme! Me l'hanno detto come due pesci lessi. Hai visto come si tenevano per mano?
—Devi ringraziare me, tesoro. Sono io che ho spinto Mary a farsi avanti.
—Sì, ora dovrei anche crederti.
—Domandalo a lei stessa.
—Ah, e poi in tutti questi giorni ho dimenticato di dirti che anche Brian ha una sottospecie di relazione in corso.
—Brian? E con chi?
—Con una certa Morgana.
—Chi cazzo è questa Morgana?
—Non lo so. Non voglio farti ingelosire, ma penso di essermela fatta un annetto fa.
—Ah, non dovrei preoccuparmi? E hai pure il coraggio di dirmelo.
—Te l'ho detto perché non mi fido di lei, ma Brian non vuole capirlo.
—Beh, se solo prova a baciarlo, ci penso io ad eliminarla. Il mio dolce Brian si merita di meglio.
—Il tuo dolce Brian? Quindi la gelosa dovresti essere tu?—risi.—Beh, ora tocca a me darti una notizia che ti farà impazzire. Pronta?—annuii, curiosissima.—Bene, ti rimettono domani sera.—rimasi allo stesso modo di Roger poco prima.
—Stai scherzando?
Scosse la testa.—Per niente. Ho sentito i medici parlare con tua madre prima che me ne andassi. Peccato che non posso più venire qui di nascosto.
—Oh, beh. Lo puoi fare tranquillamente a casa. Tanto ti riesce più semplice, visto che abitiamo al piano terra.
—Bah, scavalcherei anche l'Everest se necessario.—risi nuovamente.—Ti faccio ridere?
—Per queste battute da Romeo, sì.—gli diedi un lieve pugno sul suo braccio muscoloso.
—Beh, si dà il caso che lo scemo in questione non vede l'ora di baciarti.
—Oddio, ci siamo dati tutti quei baci, forse siamo più da diabete noi che Johnny e Ver.—dissi.
—Oh, non dirlo nemmeno per scherzo.—mi diede una pacca sulla coscia.—E poi io e te siamo due personalità toste, quei due sono più sdolcinati del caramello. Comunque io tua madre ci siamo fatti una bella chiacchierata. Secondo me ha capito che stiamo insieme.
—Oh, porca puttana.—mi misi una mano sulla fronte.
—Cosa c'è di male?
Ridemmo.
Dopo un po' gli chiesi se potesse spegnere la radio, visto che cominciava a girarmi la testa e lui si rialzò per rimetterlo a posto, dopodiché si avvicinò a me e mi lasciò un dolce bacio sulle labbra, dopodiché si risedette sulla sedia.
—Che ore sono?—chiesi.
—Credo le tre.—feci un mezzo sbadiglio.—Hai sonno?—annuii.
Benché priva di forze, ero terribilmente stanca. Roger si alzò dalla sedia e si stese accanto a me, ma doveva stare davvero scomodo, perché io già prendevo parte buona del letto.—Oh no, Rog. Non c'è bisogno, davvero.—mi pose un dito sulle labbra.
—Riposati finché vuoi, io non mi muovo da qui.—mi baciò nuovamente e gli diedi una carezza sulla guancia prima di chiudere gli occhi.

Spazio Autore: già, Rose, chi cazzo è questa Morgana?
La risposta è…Nessuno, avevo solo bisogno di creare un personaggio da diversivo per Brian, il perché lo scoprirete quando avrò finito questa storia, muahahaha…
Ma la vera domanda è: che cazzo ho scritto?
No, sul serio, credo che nessuno peggio di me sappia come funziona un ospedale.
Beh, un po' di fantasia non guasta mai, ma questa non è fantasia, è ignoranza.
Okay, la smetto di dare di matto per le cazzate che scrivo e vi saluto, sperando di riuscire a toccare il pc presto…

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** E tutto ciò che vuoi è scomparire ***


Le medicine mi facevano molto male.
Sognavo sempre brutte cose, o il più delle volte ero in un misto tra lo stato di coscienza e il sogno.
Ad un certo punto, cominciai a sudare freddo e a lamentarmi nel sonno.
Aprii gli occhi gemendo di dolore, ritrovandomi Roger dove l'avevo lasciato.
—Ehi! Piano, Rose.—mi pose una mano fredda sulla mia guancia calda.
Cercai di respirare più lentamente, ma il dolore era davvero molto forte.
—Cerca di calmarti, ci sono io.—lo guardai intensamente negli occhi e lui fece altrettanto.
Sembrava preoccupato, come se tutto quel che stesse accadendo a me, contemporaneamente lo stesse subendo anche lui.
I suoi occhi tramavano sicurezza ma fobia allo stesso tempo, non l'avevo mai visto in quel modo.
Ma, per grande fortuna, mi stavo calmando. Ero decisamente più tranquilla.
Mi cullò un po' accanto a lui, finché non crollai nuovamente nel sonno.

Il giorno dopo, verso il pomeriggio, i medici dettero il permesso a mia madre di dimettermi, nonostante avessi ancora delle fasce che mi circondavano la nuca per via della caduta.
Così, in compagnia di John, tornammo a casa.
Non appena rimisi piede in camera, notai che sopra il letto c'era la borsa che mi ero portata dietro il giorno del mancamento.
Vi frugai dentro, ma quando tirai fuori il libro che Liam si era preoccupato di prestarmi, mi sentii svenire di nuovo.
Le lettere incise sulla copertina rossa scarlatta "Romeo e Giulietta" non poterono che farmi rivivere tutti i momenti che passai quella serata.
Da quando provò a baciarmi, finché, peggio di una furia, per buona sorte, mi precipitai fuori da casa sua.
Rimasi immobile a fissare il libro, poi cominciai a vedere offuscato per via delle lacrime che, come enormi gocce di pioggia, cominciarono a scendermi lungo le guancie.
Cosa mi stava succedendo? Dov'era la Rose tenace e perseverante?
—Rose?—sentii udire la voce di John provenire dietro di me, accanto alla porta.
Non risposi e non mi girai, tuttavia dovevo tremare abbastanza, perché John mi venne subito incontro.
—Rose, cosa è successo?
Non appena sentii le sue braccia avvinghiarmi la schiena, lasciai cadere il libro a terra, e, soffocata dal pianto, mi girai completamente verso di lui e lo abbracciai.
—Rose, ma che ti prende?—chiese nuovamente, confuso.
Prese il libro da terra e me lo mostrò.—E' di Liam, vero?
Annuii, asciugandomi le gote.
Continuava a guardare spaventato l'oggetto.
—Ti prego, John, perdonami, ho perso il controllo.
—Rose, devi cercare di togliertelo il prima possibile dalla testa prima che tu peggiori. Ormai è tutto finito. Te lo dico da fratello, devi rilassarti.
Lo presi tra le braccia di nuovo.

A volte, io e lui ci vergognavamo a vicenda se non facevamo che abbracciarci come fidanzatini, ma il nostro modo di comunicare era più semplice di ciò che si potrebbe pensare.
La morte di nostro padre era già complicata, e mai come nei momenti "giovani" della nostra vita, avevamo il disperato bisogno di stare insieme.
Era più sicuro dell' intero universo che in tutti quei giorni doveva essere molto preoccupato per me.
Era ovvio che amavamo molto Veronica e Roger, ma per qualsiasi necessità, anche se stupida, avevamo bisogno l'uno rispettivamente dell'altro.

Quella sera dovette andare alle prove della band in vista ad un immediato concerto che si sarebbe svolto qualche giorno più tardi, e dato che nessuno, per causa mia, non aveva toccato il suo strumento durante tutti quei giorni, era inevitabile un incontro di tutti i membri.
Decisi di rimanere a casa e, dato che non avevamo un telefono in casa, chiesi a John di avvisare Veronica e Mary della mia assenza.

Ovviamente non mi aspettai, dopo una mezz'ora, di ritrovarmele entrambe a casa.
—Rose, va tutto bene?—mi chiese Mary, non appena le feci entrare.
—Sì. Ho chiesto a John di avvisarvi. So che vi sareste rotte le palle ad ascoltare quelle quattro galline starnazzanti litigare per un misero cambio di battuta.—le dissi.
—E hai fatto benissimo. Sai che noia sarebbe stato senza di te?—aggiunse Veronica.
—O senza John?—chiesi ironica, mentre Mary rideva alla mia battuta.—Ah, carissima Mary, tu non sei da meno.
Lei smise subito di ridere, guardandomi storto.—Gesù, Rose, sei un cane da tartufo o cosa?
—Non fare la finta tonta, Mary. Ieri Freddie mi ha dato un misero bacio sulla guancia e lo guardavi malissimo.
—Un misero bacio? Ma se ti ha letteralmente strapazz…—si lasciò scappare un ghigno.—Mannaggia!—urlò.
—Oh, ti ci dovrai abituare, cara, è questo quel che si fa sotto l'incantesimo dell'amore.—disse Veronica, abbracciandola affettuosamente.
—No, Ver, non credo Mary arriverà mai ai tuoi livelli. Tu agli inizi eri peggio di una carogna.
Tornammo a ridere, ovviamente non Veronica.
—Tu e Roger invece sembrate due maniaci.—ribattè acida.
—Beh, ora basta parlare di te e John.—tagliai corto e mi girai, con un sorrisetto, verso Mary.—parliamo di voi due, invece.
—Oh, sì—disse Veronica.—Rose, non ci crederai mai, ma li ho visti baciarsi. Sono la dolcezza infinita.
—La smettete? Sembriamo tre ragazzine di dieci anni.—protestò la diretta interessata.
—Avrai anche ragione, ma il bello è che in pochi giorni, in mia assenza, per di più, sia successo tutto ciò. Avanti, Mary. Raccontami un po' come è andata.—le chiesi.
—Tutto cominciò la sera in cui parlò con te…—cominciò Ver.
—Sta' zitta, so parlare, io.—Mary le diede un spintone.
—Quindi questione di poche ore da quando ho parlato con te e già vi siete accoppiati? Che tenerezza!—esclamai.
—Finitela!
Tornai seria.—No, ora basta, Mary. Raccontaci per filo e per segno come è andata.
Con lo sguardo rivolto verso il pavimento, cominciò a sorridere.—Io non mi aspettavo sarebbe accaduto tutto questo.
—Vuol dire che non volevi?—chiesi in preda al panico.
—No, altroché. Ma diciamo che il passo più lungo della gamba l'ha fatto lui.
—Oh, mio Dio! Questa mi era sfuggita. Ti ha baciato lui?—chiese ansimante Ver.
Mary si limitò a sorridere fiera.
Mi coprii la bocca con un palmo della mano.—Che carini!—esclamai.—E ora?
—Ora va tutto a gonfie vele. Siamo felici e passiamo un mucchio di tempo insieme.—spiegò la bionda.
—E il tutto è successo mentre io ero in coma.—ridacchiai.—Ma davvero, Mary, sono molto contenta per voi due.

Quella notte la passai a pensare alla loro felicità.
Che, in un certo senso, erano perfetti insieme, non poteva che essere una bellissima storia, la loro.
Era tutto così strano, però: in pochi mesi erano successe così tante cose.
Non c'è una teoria su quel che sia accaduto, tutta alchimia del destino.
E fu proprio grazie a queste meditazioni che mi risvegliai dal sonno.
Mi affacciai alla finestra chiusa, che nulla tralasciava vedere se non uno spazietto alla sinistra che faceva scorgere la strada principale.
Vidi le poche auto presenti sulla strada muoversi, sempre alla solita costante velocità. In quel momento il tutto mi stava rilassando molto, compreso il cielo ancora nero, sfortunatamente senza che lasciasse intravedere nemmeno una misera stella.
Riflettei sul fatto che, in fondo, non era stato sbagliato quell'amicizia che avevo avuto con Liam, perché alla fine era bello condividere con un amico quella passione così sacra per la letteratura.
Ma quella maledetta serata aveva mandato tutto a farsi una vita.
Mi massaggiai la fronte ancora bendata, sbuffando.
Avevo preso la decisione di non denunciarlo per quel che aveva combinato, anche se quasi tutti – tutti, in realtà – mi avevano proposto di fare l'esatto opposto.
Ma non potevo lasciar finire tutto in questo modo.

—Rose? Rose, diamine, rispondi!—sentii strillarmi nell'orecchio.
Aprii immediatamente gli occhi. Ero per terra, sotto la finestra. Dovevo essere ricrollata lì.
—John, la finisci di urlare a quest'ora?—lo rimproverai.
—Scusa ma che ci fai qui per terra?—mi chiese preoccupato, mentre mi aiutava ad alzarmi.
—Lunga storia. Che ore sono?
—Le sei di mattina. Ti conviene cominciarti a preparare.
Fu allora che notai che, con il suo fare mattiniero, era già pronto.
Frugai qualcosa nell'armadio e mi diressi in bagno.

Quella stessa mattina dovetti ritornare a scuola.
Molti compagni di corso mi augurarono il buon ritorno molto amichevolmente – non potevano fare altrimenti dato il modo in cui Roger guardava Jack Dawsie, un nostro compagno di corso, quando mi baciò una guancia – e anche i professori furono molto entusiasti del mio ritorno.
In più dovetti ammettere che stare seduta tra Veronica e Roger era veramente bello. Non avevo mai realizzato che quest'ultimo era un portento in citometria.
 
Alla fine della giornata, Veronica ci disse che John l'avrebbe portata a pranzare con lui, così ne approfittai per fare lo stesso con Roger.
Decidemmo, così, di andare a pranzare in un ristorante qualunque.
—Roger, mi devi fare un favore.—gli dissi non appena terminammo le nostre ordinazioni a base di solo pesce.
—Di che si tratta?—chiese.
—Ho bisogno di tornare da lui.—dissi titubante.
—Ma sei impazzita?—urlò.—Hai ancora le fasce in testa e vuoi tornare da lui?
—Rog, io non posso sopportare ancora questo dolore.
Frugai nella borsa da scuola che avevo e ne cacciai il libro dalla copertina rossa.
—Questo è il libro che mi ha dato quella sera.—dissi mostrandoglielo.—Solo se lo sfoglio mi viene da piangere, Roger. E' come una tortura e ho bisogno di liberarmene. Ti prego. Devo solo spigargli che con lui non voglio che ci siano altri rapporti. Questo attuale silenzio mi sta uccidendo.
I suoi occhi sbalzavano dal libro ai miei occhi e viceversa.
—Starai sotto mia sorveglianza. Non combinare altri casini, Rose.
Annuii.—Grazie, Roger.

Dopo aver pagato, quando uscimmo, cominciò ad assalirmi un'ansia assurda.
Non sapevo nemmeno cosa gli avrei detto. Per questo decisi che dovevo rimanere me stessa.
Ci mettemmo un po' ad arrivare a casa sua, ma non appena fummo lì, ci avvantaggiò trovare il portone del palazzo aperto.
Percorremmo le scale e bussammo alla sua porta.
Non venne ad aprire molto tardi.—Rose, che ci fai qui? Cosa hai fatto alla testa?
Prima che potesse mettergli le mani al collo, feci segno a Roger, con una mascella contratta da far paura, di rilassarsi.
—Non è importante al momento, sono solo venuta per renderti questo.—gli restituii immediatamente il libro, lasciandoglielo tra le mani.
—Perché me l'hai restituito? Lo hai già finito?
—Non fingere Liam, perché non ce n'è bisogno, e queste fasce in testa te lo possono confermare.—mi indicai la fronte.—Qual era il bisogno di mettere tutta quella roba nello champagne? Non credo mi meritavo tutto ciò solo perché non ti ho voluto baciare.
—Tu le hai fatto cosa?—urlò Roger, già intento ad avvicinarsi verso di lui.
Gli misi le mani al petto, tranquillizzandolo e  allontanandolo di nuovo.
—Rose, ho vissuto una vita di merda, ed è meglio che lo sai. Quando ti conobbi avevo appena chiuso una relazione che mi aveva aiutato a farmi uscire dalla depressione in cui caddi per la perdita dei miei genitori.
quando disse quest'ultima cosa, il mio sguardo si addolcì, ma cercai di rimanere il più impassibile possibile.
—Questo non ti scusa, Liam. Ormai è meglio che tu sappia che qualche giorno fa oscillavo tra la vita e la morte per tutta quell'eroina che mi hai dato. E credimi, sono rimasta male non per questo, ma perché mi fidavo di te. Ho anche accettato l'invito a cena, ma vedo che tu in fondo te ne infischi di me.
Lui sospirò.—Ti prometto che non accadrà più, ma ora, ti prego, possiamo tornare amici?
La sua mano, per qualche sfacciato motivo, si dirigeva verso la mia guancia.
Ma prima che potessi reagire io stessa, Roger diede un pugno a Liam, facendolo barcollare all'indietro.
Cercai di mantenere a Roger, ma era circa il triplo più forte di me.
—Non provare a guardarla di nuovo o all'ospedale ti faccio finire io, lurido pezzente!
Mi tirò un braccio e scendemmo  più veloce di una locomotiva da un picco.
—Rose, va tutto bene?—mi chiese, una volta che fummo fuori da quel palazzo.
—Non benissimo, in realtà—cercai di rimanere sorridente.—Ma poteva mai accadere diversamente? Non mi sembra.—cominciò a scendermi qualche lacrimone.—Ho appena finito bruscamente un'amicizia a cui tenevo parecchio, perché dovrei soffrire?—dissi sarcastica più a me stessa che a lui.
Non appena scoppiai in lacrime a dirotto, mi strinse a lui.
Gli stavo riempiendo il giubbotto di pelle nera che indossava e mi dispiaceva parecchio, ma più cercavo di non piangere, più non resistevo.
—Rose, io non sono lui.—disse, mentre mi accarezzava i capelli.
—Cosa?—chiesi con la voce ingozzata di lacrime, tornando a guardarlo negli occhi.
—Non permetterò mai a me stesso di farti soffrire in questo momento, anche se accadrà la cosa più raccapricciante al mondo. Credo di non aver mai amato così tanto una donna in vita mia.
Mi risollevai quando sentii i pollici delle sue mani asciugarmi la faccia bagnata.
Lasciò la presa del mio collo e si mise a frugare in una tasca della sua giacca, tirandone fuori un oggetto, probabilmente una scatolina.—Ti fidi di me?—chiese poi.
Dissi di sì.
—Bene, allora chiudi gli occhi.
Non me lo feci ripetere due volte.
Cosa stava tramando?
Quei pochi secondi mi sembravano un'eternità.—Sei ancora lì?—gli chiesi.
—Un attimo, non sono pratico con queste cose. Tu non riaprire gli occhi.
Sorrisi, divertita.—Okay.
Dopo qualche altro secondo che pareva interminabile, sentii prendermi delicatamente la mano destra e infilare nell'anulare un oggetto rotondo.
Non aspettai che lui mi disse di riaprire gli occhi.
Guardai quel che mi aveva appena infilato: un anello di color argento e che lasciava intravedere una minuscola ma luccicante pietra trasparente, mi incoronava il dito.
—Roger! Ma come hai…
—Oh, semplici risparmi. Volevo prendertene uno con una pietra più grande, ma costava quasi il dop…
Cominciai a baciarlo con foga.
Di colpo, per suo grande dispiacere, mi fermai.—E' bellissimo, Roger! Ma non capisco perché.
Lui mi sorrise.—Perché al momento sei la cosa a cui tengo di più e sei già stata trattata male per me. Non voglio rivederti soffrire.—disse dolcemente.
—Oh, aspetta di vedere quando dovrò affrontare gli esami finali per la laurea, poi ne riparliamo.
Ridacchiammo e tornammo a baciarci.
—Roger, non ho mai ricevuto un regalo più prezioso in vita mia.—lo abbracciai con la stessa forza che ci aveva impiegato lui prima e ritornai a singhiozzare, questa volta solo ed esclusivamente per la gioia.
—Ti amo, Rose. Non permetterò a nessuno di portarti via da me.

Quell'anello significò davvero tanto per me.
Poteva anche essere il più semplice sulla faccia della terra, ma in esso vi era racchiuso tutto l'amore che Roger nutriva per me.
Tutto quel poco tempo era stato sintetizzato in quell'anello.

Spazio autore: sono riuscita a riaggiornare.
Per riassumere un po' tutto, in my opinion (perché parlo inglese?) l'inizio del capitolo è veramente assurdo e banale, quasi tutto a dire il vero.
Ma il finale devo ammettere che è accettabile.
Spero di riaggiornare il prima possibile anche perché credo il prossimo capitolo sia abbastanza opportuno come storia… Ceeertamente, garantito!


 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Dammi tutto il tuo amore stanotte ***


—Buonasera e benvenuti a tutti, tesori!—disse un raggiante Freddie ad piccolo ma irrefrenabile pubblico, che con solo "The Night Come Down" riuscì ad essere gasato in quel modo.—Siamo davvero contenti di accogliere un pubblico così sfrenato, è davvero bello e ne siamo onorati.
Ecco che la saletta dell' Imperial fu riempita da piccoli boati provenienti da diversi spettatori.
Non avevano tutti i torti, la forza di quel gruppo era proprio questa, lasciare a chi li ascoltava almeno una misera emozione, e loro infatti ci riuscivano perfettamente, addirittura da coinvolgere anche me.
Non era la prima volta che io, Ver e Mary assistevamo ad un loro concerto, ma si sa, ogni occasione lo sembrava.
Tutti sbalzavamo gli occhi ad ogni acrobazia che Freddie compiva attorno a John o Brian o davanti la batteria di Roger.
Insieme a quei fanatici del Rock lì presenti, tutto quel suono di chitarra in perfetta sintonia con la batteria supportate da forti linee di basso e con potenti note canore che accompagnavano il tutto stava prendendo anche me.
Inevitabilmente, cominciai ad accompagnare gli acuti di Roger di  "Son and Daughter".
Venni all'improvviso interrotta da uno spintone.
—Guarda quelle due ochette!—Veronica mi indicò due ragazze dai capelli neri e più piccole di noi di qualche anno guardare arrapate il palco.
Guardai confusa Veronica.
—Ma non ti rendi conto che è da quando hanno iniziato che non stanno togliendo gli occhi da dosso Roger?—urlò lei a causa del frastuono.
Risi, anche se nessuno riuscì a sentirmi.—E' normale, Veronica. Non so cosa combineranno quando Roger rimarrà a petto nudo.
Mi guardò disgustata.—E tutto questo non ti preoccupa?
—Oh, e perché mai? Anche se fosse così, questo coso finirebbe dritto in un tombino di Knightsbridge.—snobbando, guardai l'anello che avevo gelosamente al dito.
Veronica mi fissò divertita.—Okay, ma non venire a piangere sulla mia spalla quando ti lascerà . Il massimo che potrei fare per te è aiutarti a bucare la pelle della sua batteria.
La guardai altrettanto allietata.—Grazie, amica.
Per risposta, lei alzò le sopracciglia.
 
 
Guardare e ascoltare i Queen dalla prima fila era sensazionale. Per fortuna che quel pomeriggio eravamo arrivati insieme alla band che doveva eseguire alcuni soundcheck, così da trovare tutti i posti liberi.
Il concerto, giunto quasi ormai alla fine, stava continuando perfettamente.
Capii che, non appena finì la cover di Jailhouse Rock, erano giunti all'ultima canzone, "Doin' All Right".
Ma quel finale, seppur abbastanza tranquillo rispetto alle altre canzoni che avevano presentato, concludeva egregiamente il magnifico show.
Freddie, con il suo solito fare un eccentrico ma gentile, salutò il pubblico e, insieme agli altri tre, si dileguò dietro le quinte.
Noi tre, invece, decidemmo di aspettarli mentre vedevamo tutti uscire.
Le due ragazze more furono le ultime, e le sentimmo mormorarsi qualcosa come del tipo "Quanto era bello il batterista, Roger, se non sbaglio".
Guardai Veronica maliziosa.—Ver, ti ho già fatto vedere l'anello che mi ha regalato Roger?—dissi a voce alta.
Lei non tardò a rimanere al gioco, mi prese la mano, facendo finta di ammirarlo per la prima volta.—Oh, mio Dio! È stupendo!
Le due dovevano aver ascoltato tutto, perché Mary guardavano nella loro direzione, sorridendo.
Io e Ver, di spalle rispetto a loro, ci girammo verso di loro, notando che velocemente percorrevano il resto dello stanzone.
—Wow, gelosa la ragazza!—commentò Mary a braccia conserte.
—Dovevo farlo, almeno una volta.—mi giustificai.
Subito dopo, notai che un'altra ragazza non aveva ancora lasciato la sala.
Tutte e tre la guardammo avvicinarsi a noi.—Ciao! Conoscete Roger?
La guardai un po' preoccupata.—Sì, perché?
—Siete conoscenti anche di Freddie?
Quella volta fu Mary ad annuire ansiosa.
—Oh, molto bene, io sono sua sorella Kashmira.
La sorella di Freddie allungò la mano verso di noi, in attesa che qualcuno l'avesse stretta.
Fui la prima a decidermi.—Ah, piacere! Io sono Rose, la sorella del bassista.
—E fidanzata del batterista.—aggiunse Veronica.
Kashmira rise.—L'avevo notato. Molto piacere.
Fu il turno di Veronica.—Io invece sono la fidanzata di suo fratello.—disse fiera.
E poi toccò a Mary presentarsi, rimasta ancora a braccia conserte.
—Lei invece è la fidanzata di tuo fratello.—parlai io per lei.
Kashmira rimase un po' sorpresa.—Oh, che piacere! Sono proprio contenta che Freddie abbia trovato una ragazza così bella!
Mary sorrise, porgendole la mano.
Sentimmo poi qualcuno saltellare.—Ehi, sorellina! Allora sei venuta!
Freddie, dopo aver compiuto qualche altro saltello – probabilmente quelli che aveva fatto durante il concerto non gli erano serviti – ci raggiunse.—Ti siamo piaciuti?—chiese poi a sua sorella.
—Oh, sì. Siete stati bravissimi. Freddie, lei è la tua ragazza?—indicò poi Mary.
Freddie la guardò amorevolmente.—Ehm, ecco, sì.—la tenne per un braccio.
—Siete molto bellini, insieme.—commentò la sorella.
Sorrisi alla scena, davvero molto tenera, ma durò per poco, perché sentii qualcuno pizzicarmi i fianchi di scatto, facendomi sussultare.
Mi girai, dopo aver emesso anche un grido. Roger ridacchiava di gusto alle mie spalle.
—Sei deficiente di brutto, allora!—protestai. 
—Ehi, Kashmira! Che piacere rivederti! Sapevo saresti venuta.—le diede due baci sulle guancie.
—Roger! Anche tu vedo che hai una bella compagnia.—notò lei.
Roger, intimidito, mi strinse a lui.
—Dove sono gli altri due?—gli chiesi.
—Sono più lenti di due lumache a cambiarsi. Ah, eccoli.
Indicò i due ritardatari.
Mentre Brian percorreva le scalette dal palco al centro della sala, John venne assalito da Veronica, che lo abbracciò.
Io e Roger ci guardavamo ridacchiando.
—Kashmira! Qual buon vento!—salutò Brian.
—Ciao Bri. 
Il bassista e la sua ragazza finalmente ci raggiunsero.
—Deacy caro, lei è Kashmira, mia sorella. Kash, lui è il nuovo bassista John, ma adoriamo chiamarlo Deacy, Deaks o Deaky, fai un po' tu.
Kashmira rise.—Ciao, Deaks. Posso chiamarti così?
Mio fratello annuì.—Sì, ormai ci sono abituato. Piacere di conoscerti.
—Beh, ora che abbiamo finito le presentazioni, perché sei voluta venire qui, Kash?
—Freddie, mamma mi ha mandato per dirti che dopodomani dobbiamo partire per Zanzibar, ne approfittiamo per le vacanze di Natale. 
—Di già?—chiese lui.—Ma se è solo il diciotto dicembre?
—Freddie, quanto fa diciotto più due?—gli chiese sarcastico Brian.
Lui sospirò.—Ragazzi, mi mancherete!
—Ma se parti dopodomani!—dissi.
Tutti scoppiarono a ridere.
—Ne riparliamo domani, ora ho un sonno terribile.—disse Roger.
—Dopo che hai mosso i piedi come un coniglio, è abbastanza probabile.—scherzai.
—Bene, allora ci vediamo domani.—disse Brian.
Tutti tornammo nelle nostre rispettive case.
Persino John, che non sentiva più le mani a causa del basso, dovette staccarsi malavoglia da Veronica.
 
Un altro giorno passò in fretta, e non successe granché.
Giuntosi poi il venti dicembre, Freddie chiese a me, Mary e Roger di accompagnarlo a Heathrow.
Quella mattina, prendemmo la mia macchina e ci incamminammo verso l'aereoporto.
—A che ora hai il volo, Fred?—chiese Roger alla mia sinistra, mentre io ero alla guida.
—A mezzogiorno e qualcosa.
Per poco rischiai di andare addosso alla macchina di fronte la nostra.
—Mezzogiorno? Ma non sono nemmeno le nove!—protestò Mary.
—Sì, ma la mia famiglia è un po' ritardataria, meglio se arrivo lì qualcosa prima.
—Non ti seguo, Freddie.—ribattè Roger.
—Non sono cazzi vostri, gioie.
Noi tre sbuffammo, ma quella che rimase più male fui io, visto che la sera prima ero rimasta a lavorare un'ora in più.
Il resto del viaggio fu abbastanza tranquillo, a parte le lamentele di Roger sulla mia guida fin troppo lenta.
Ma, non riuscendo nemmeno a trovare quel tanto traffico che mi aspettavo, arrivammo a destinazione.
Parcheggiai la macchina nell'angolo delle soste brevi, poi accompagnammo Freddie all'interno dell'ingresso.
—Sei pronto per il viaggio?—dissi.
—Mi prendi per il culo?
—Ah, come faremo senza i tuoi nomignoli?
—Ti ci abituerai, tesoro. Tanto hai Roger.—mi mise una mano sulla spalla.—Mi raccomando, non fate troppo casino quando non ci sarò. Il palazzo non è  vuoto.
—Certo, come no. Ci vediamo, tricheco.
Lo abbracciai affettuosamente.
Salutò poi Roger con una pacca sulla schiena e con l'avvertimento di non rovinare il suo pianoforte.
Poi toccò a Mary.
—E ora, come farai senza di me?—le chiese, tenendole il viso con una mano.
—Me la caverò. E quando farete i concerti per il mondo che succederà?
Le loro due bocche si incontrarono, dando un certo effetto di compassione.
Incurvai un angolo della bocca e guardai Roger.
—Ci vediamo presto, amore.
—Chiami così tante persone così che ormai non c'è differenza.—lo punzecchiò Roger.
—Beh, ci vediamo prima di capodanno. Auguri a tutti!
Io, Roger e Mary lo salutammo nuovamente e lo lasciammo lì.
—Mary, non abbatterti, non è partito per il Vietnam.—disse Roger mentre risalivamo in macchina.
—Dopo questa battuta mi devi una cena, caro biondo.—replicò lei.
 
Accompagnai Mary a casa sua e poi Roger.
—E ora che si fa?—chiesi a Roger prima che potesse uscire dall'auto.
—Questa sera vieni a casa mia per cena.
—Mh, che modo formale di fare un invito a cena, Taylor. Complimenti, davvero.
Rise.—Sul serio, ci vieni?
—Se è questione di vita o di morte, allora accetto.
—Sei ancora in debito con me per l'anello.
Lo baciai amorevolmente sulle labbra.
—Questi non ti bastano?
—No, tesoro.
Gli sorrisi.—Passa a prendermi alle otto di fronte il negozio, d'accordo? Con la macchina, però. Dico a John di darti le chiavi. 
—Va bene. A più tardi.
Mi lasciò un altro bacio, prima di andarsene.
 
Quella sera stessa, come concesso, dopo che Veronica se ne fu andata, Roger arrivò con la mia macchina.
—Ormai è diventata anche tua. Guarda come la guidi deciso. Non dimenticarti di chi appartiene.—gli dissi, mentre salii sull'auto.
—In effetti ci ho preso gusto. Ma mi potresti fare benissimo da autista privata quando diventerò ricco.
Gli concessi di guidare più veloce del solito, poi arrivammo a casa sua.
—Ho già preparato tutto, devo solo mettermi ai fornelli, tu preoccupati solo di rilassarti.—puntualizzò mentre arrivavamo al piano dell'appartamento.
—Cucini tu?
Annuì.
—Almeno cerca di non avvelenarmi.—all'inizio ero ironica, poi mi venne in mente quel che successe con Liam.—Non un'altra volta.—finii con un filo di voce.
Lui mi accarezzò amorevolmente il viso.—No, non lo farei mai.—Mormorò.
Mi prese per mano e mi fece entrare.
—Puoi girare comodamente per la casa. Non ho bisogno di alcun aiuto.
Scrollai le spalle.—Come vuoi, vado a suonare qualcosa alla batteria.
—Okay.—rispose e andò verso l'angolo cottura dopo essersi tolto il giubbino.
E come feci, provai qualcosa.
Non tanto in realtà, visto che non mi trovavo  benissimo con il suo kit.
Passarono una decina di minuti e sentii un odore che dall'openspace era giunto alla camera di Roger, il punto più lontano della casa.
Assomigliava per lo più a quello del pollo.
Mi fermai di colpo, ridendo buffamente.
Mi alzai di scatto dallo sgabello e con piccoli saltelli andai da Roger.
—Ancora? Avrei potuto preparartelo io.—gli dissi, mentre lui era intento a maneggiare le manopole del forno elettrico.
—Non rompere, Rose. Brian ci ha messo una vita per insegnarmi a prepararlo, non mandare tutto a rotoli.—mi rispose acido senza distaccare la vista dall'oggetto.
Alzai le mani in alto.—Ehi, Taylor, calmati.
Dopo che ebbe regolato il timer e la temperatura, mi guardo sadico.
—Tu sei una fottuta distruttrice delle cose.—disse, venendo verso di me.
—Ci tenevi così tanto che non vedessi tutto questo prima di provarlo?
—Sì, idiota.
Le misi le mani sulle spalle.—Oh, allora non rimarrò delusa.
Gli stampai un bacio sulle labbra.
Mi rispedì in camera sua, aspettando che la pietanza si fosse cotta.
Poi, con mia grande soddisfazione, finalmente mi chiamò.
Ci sedemmo a tavola, che era già stata munita di tutto compresi i piatti di portata.
—Okay. Ora voglio il tuo parere.—disse, sedendosi.
Presi la coscia di pollo in mano e ne strappai un pezzo coi denti.
Non masticai nemmeno due volte che la buttai giù, per niente delusa.
—Manca un po' di sale, ma è perfetto.—dissi.
Lui tornò verso la cucina e lo prese, spruzzandolo su entrambi i piatti.
Con il condimento aggiunto, addentai un' altra parte, masticandola voracemente.
Si sedette anche lui.—Allora ti piace.
—Brian è un ottimo insegnante, ma dove ha imparato?—gli chiesi.
—Mi ha detto che aveva un'amica brava a cucinare o giù di lì. Ah, devo dirti una cosa importantissima. Da domani le lezioni sono sospese.
Per poco non mi strozzai.
—Fai sul serio?—chiesi euforica.
—Puoi dirlo forte! Ah, e poi ho anche un'altra notizia che non ho detto a nessuno tranne che ai miei e a Freddie, sei pronta?
—Devo preoccuparmi?
—No, riguarda solo me. Mi sono iscritto ad un corso di laurea in Biologia al North London Polytechnic.
Spalancai gli occhi.—Un corso di laurea? Fai sul serio?
—Hai visto quanti concerti stiamo facendo ultimamente? Ne abbiamo tre la settimana dopo Natale, non so nemmeno dove lo stia prendendo il tempo di studiare.
—Mi sembra una scelta saggia, Rog, davvero. 
—Sono contento che non ti sia arrabbiata.
—E perché mai avrei dovuto?
—Mh, non lo so. È una cosa un po' strana.
Dopo aver finito il pasto, Roger si offrì per sparecchiare, così io me ne andai in camera sua.
Sazia un po' più del dovuto, mi stesi sul suo letto, notando, pur non essendo grande un'intera piazza e mezzo, la resistenza e la durezza del quale io godevo.
—Sei stanca?—sentii dire dal corridoio.
—Questo letto è magnifico! Amo i letti duri.—dissi, rimanendo supina.
—Non lo è un po' troppo?—si sedette sul bordo.
Si piegò verso di me per darmi un bacio.
—Davvero questa sera non ti ho deluso?—mi soffiò sulle labbra.
—Ah, non lo faresti mai.
Gli misi le mani al collo e cominciai a baciarlo di nuovo, prima delicatamente, poi premendo sempre più forte le labbra con le sue.
Da quel che intuivo, non voleva che mi fermassi, anche se percepivo una certa preoccupazione.
E infatti dopo qualche secondo si staccò da me.
—No, Rose. Non devi farlo per forza. 
Non gli risposi, gli tirai il collo della maglietta e congiungemmo di nuovo le labbra.
Appresi che doveva stare abbastanza scomodo, così gli permisi di mettersi in ginocchio sul letto, mentre entrambi eravamo ancora indaffarati ad intrecciare le nostre lingue.
Le sue mani, dalla vita, andarono a finire sotto la mia maglietta, che mancava poco ad essere buttata sul pavimento.
E infatti, ecco che dovetti lasciare per un momento le sue labbra perché gli dessi il tempo di sfilarla e lanciarla in chissà quale parte della camera.
 Non esitai a fare lo stesso anche io e in poco tempo anche la sua maglia a righe bianche e nere finì sul pavimento.
Gli accarezzai le spalle e le braccia scoperte, mentre lui mi avvicinava ancora di più a lui.
Con movimenti che mi parvero sconosciuti ed ultrasilenziosi,  si levò i miei e i suoi jeans, lasciandomi intravedere i suoi boxer color carne.
Cominciò ad sfiorarmi il collo con i polpastrelli, guarandomi in modo tremendamente tenero.
—Roger Meddows Taylor, cosa diamine stiamo facendo?—gli soffiai sulle labbra.
—Non lo so, ma questa posizione mi piace, cara Deak…ups.
Entrambi ridacchiammo.—Scusami, è l'abitudine.—si giustificò.
—Solo per questa volta. Non permetterti di farlo mai più.
Continuava a fissarmi in modo passionale, poi riprese a baciarmi sulle labbra, poi, sempre con modi velocissimi, badò al collo, lasciandone umidi baci, e poi si spostò infine sul decolleté.
Cominciò a guardare irrequieto il mio reggiseno bianco e lo contemplò.
Ricambiai prendendolo per il mento, in modo che potesse  scrutare anche me.
Mi mordicchiai il labbro inferiore, sorridendogli.
Con molta cautela, mise le sue dita sulla mia schiena, e, tra i bottoni del reggiseno, molto delicatamente, me lo sfilò.
Riprendemmo a baciarci sulle labbra, anche se il contatto che avevo con lui era completamente diverso e ancor più intenso.
Non mi accorsi nemmeno quando il resto dell'intimo raggiunse anche gli altri capi per terra, così da permettersi di affondare il suo corpo nel mio diverse volte.
Mancava un giorno al solstizio d'inverno, ma il freddo in città già si era fatto sentire da tempo, ma in quel momento sentivo solo caldo, tanto caldo che sotto i miei capelli castani e mossi, ero impregnata di sudore.
Quella volta mi sentivo più sicura di quando avevo il mal di testa.
Era sempre tutto irreale, ma sempre struggente e appassionato.
Uno degli ultimi ricordi di quella serata fu la sua mano accarezzarmi dolcemente il mio viso sudato e le sue parole:—Ti amo, Rose. sei tutto ciò che io potrei desiderare.
Ci adagiammo nelle sue lenzuola, in modo da poter fare di quella notte, la più bella della nostra vita.
 
Spazio Autore: ehilaaaa.
Ripeto ciò che ho detto qualche capitolo fa, non ho intenzione di alzare il Rating perché mi sembra banale, ma per il bene del sito, chiedo i vostri pareri.
E niente, spero il capitolo vi sia piaciuto, a parte le superficialità e tutti gli errori che contiene.
Alla prossima! 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Quando ascolto quel rock n roll ***


La mattina dopo, mi risvegliai serena, avvolta nelle sua lenzuola, girata da un lato.
Mi voltai verso il suo, notando che era vuoto.
Ma poi lo scorsi al di là della batteria, affacciato alla finestra, completamente rivestito con nuovi abiti, intento a fumare.
Trattenni le lenzuola al livello del seno, cacciando bruschi respiri e stropicciando gli occhi.
Roger si voltò verso di me, buttò giù il resto della sigaretta e si avvicinò al letto.
—Buongiorno!—disse, sedendosi.
—Buongiorno.—bofonchiai io a mia volta.
Mi sorrideva tranquillo, come la sera prima, e io facevo lo stesso.
—Che ore sono?—gli chiesi poi.
—Le otto, più o meno.
—Da quanto tempo sei sveglio?
—Mh, credo da una mezzoretta. Se vuoi continuare a dormire fa' pure.
—No, ho solo freddo. Potresti passarmi i vestiti?
Obbedì, raccogliendo tutti i miei indumenti della sera prima, e li indossai rimanendo sotto le coperte.
Una volta che mi fui rivestita, mi scrollai le coperte da dosso.
Lui rise.
—Cosa c'è?—chiesi curiosa.
—Nessuna mi aveva mai chiesto di rivestirsi.
—E' fine dicembre, ci saranno almeno quindici gradi in questa stanza, come è possibile non sentire freddo?
Scrollò le spalle.—Mettila come vuoi.
Anche io non trattenni qualche risatina.
—Tutto ciò è strano. Allora è questo che si prova dopo averlo fatto.
Si rialzò dal letto per avvicinarsi ancora di più a me.—Cosa? Spiegamelo.
Cominciai a guardare a terra.—Ti sembra tutto così anomalo, ma allo stesso tempo sei consapevole dal fatto che tutto è reale. Ed è così fottutamente bello a tal punto di non riuscirlo a spiegare. Insomma, l'anima si sente bene, e tutto il corpo ne risente. E poi mi viene in mente te, che sei la persona di cui sono caduta in possesso, e tutto si rafforza e si fa ancor più bello di quanto non lo sia già.
Mi abbracciò a lui, cominciando a baciarmi i capelli.
Poi tornò a fissarmi.
—Sai qual è la cosa più bizzarra? Che per la prima volta mi è successo tutto quello che hai detto.
Ridacchiai, ripensando a quante donne erano state con lui.—Certo, e io odio i Beatles.
—Ti giuro, Rose. Non sono mai stato così bene in tutta la mia vita. Ti sembrerà assurdo, anche perché purtroppo tu, nel bene o nel male, sai del mio passato. Di quante ragazze mi correvano, e mi corrono tuttora dietro. E in ventuno fottuti anni finalmente comprendo cos'è l'amore. Solo ora, con te soprattutto, ho capito che esiste e io, mai come ora, mi sento amato, Rose.
Mi teneva la mano, con gli occhi luccicanti, mentre io continuavo a sorridergli in silenzio per tutte le cose che aveva appena detto.
Roger Taylor aveva capito che l'amore era possibile, malgrado tutti gli ostacoli che porta.
E io, in quel momento, ero più sicura che mai che mi amasse veramente, come lo facevo io.
—Sai, Rog, io ripenso a quando eravamo proprio agli inizi, e non sai quanto non sopportavo i tuoi atteggiamenti banali e stupidi. Poi, pian piano, ho visto che non sempre le persone che ti possono apparire all'occhio subdole e false lo siano realmente. Siamo diventati amici, ma, malgrado quel qualcosa in più che tu da sempre speravi, io desidero che questa amicizia duri per sempre, qualsiasi cosa accada, promettimelo.
—Rose, quello che io provo per te non è solo amore, è anche rispetto. Tu non sei solo la mia fidanzata, ma sei la mia migliore amica. Condividiamo tutto insieme, i nostri sogni, il nostro amore, e abbiamo anche le stesse passioni. Tu sei la mia amica del Rock n Roll...
Ridacchiai, interrompendolo.—L'amica del Rock 'n' Roll? Come ti vengono cose così assurde?
Lo contagiai, ma immediatamente tornò serio.—Rose, prometto che non ti lascerò mai. Se dovesse succedere, non ti abbandonerei facilmente.
Chiuse le labbra, posandole delicatamente sulle mie e lasciarle subito.
—Beh, ora basta fare discorsi sdolcinati. È quasi metà mattinata e io ho fame. Il tuo pollo, anche se buono era troppo leggero.—brontolai.
—Grazie per la fiducia. Mi dispiace deluderla, madame, ma sfortunatamente se vuole proprio mettere qualcosa sotto i denti, deve scendere e comprare qualcosa alla pasticceria qua di sotto. Anzi, siccome questa notte è stata molto gentile con me, scenderò io stesso per lei, Baronessa "letti duri".
—A proposito, ti sei degnato di cambiare le lenzuola dall'ultimo rapporto con un'altra donna che hai avuto?
—Chi lo sa?—rispose mentre si indossava le scarpe.—Torno tra dieci minuti, tu non muoverti da qui.
—Posso andare almeno in bagno?
—Mh, te lo concedo. A dopo, Miss Deacon.—disse, prima di avviarsi verso la porta.
—Finalmente col nome ci siamo!—gli urlai, prima che potesse uscire definitivamente.
Mi alzai dal letto e me ne andai, come avevo detto, in bagno.
Mi diedi una sciacquata alla faccia che, grazie alla mia spudorata decisione di non rovinarla con un trucco non troppo pesante, non presentava danni causati da sbavature.
Mi pettinai con una spazzola che dedussi fosse di Roger, dati alcuni capelli biondi spezzati che fui costretta a togliere e gettare nel WC.
Quando uscii, con segno di premura, decisi di ordinare il letto.
Ero più rilassata che mai se ripensavo a quanto magnifica era stata quella notte.
Quando ebbi finito di rimettere in ordine, pensai proprio a questo.
E se avesse dedotto che era stata la mia prima volta?
Stupidi discorsi da adolescente mi sbalzarono nella testa, lasciandone così pensieri di rimorso.
Ma poi mi venne in mente il discorso che aveva fatto. Che non si era mai sentito così bene in vita sua se non con me.
Sensazione che non avrei mai potuto avere, ma che mi lasciarono incuriosita dalla sua strana, quanto bellissima personalità.
All'improvviso, sentii sotto al piede nudo un rumore provocato da un foglio di carta.
Mi accovacciai per riprenderlo.
Sul foglio vi erano un'enorme quantità di scribacchiature e cancellature, che riuscirono a malapena a far leggere il primo rigo:
MODERN TIMES ROCK 'N' ROLL
Che strana frase, cosa poteva mai significare?
Continuai a leggere:


Ci siamo dovuti accontentare di un logoro rock and roll
Il vecchio bop è stanco ormai e ha bisogno di riposare
Bene, sai che voglio dire
il Cinquantotto è stato grande
Ma è finito ora e questo è tutto
Qualcosa di più forte sta crescendo
Davvero spacca i muri a forza di battere
Colpisce e ti afferra con forza
Ti fa sentire alto dieci piedi


Un testo propriamente strano, a cui a fianco è anche scarabocchiata una sottospecie di tablatura.
Era una canzone? Di quale gruppo o cantante?
Dei Queen no di certo, altrimenti Freddie sarebbe già stato entusiasta di metterlo in mostra sotto gli occhi di tutti tramite paillette e saltelli.
Degli Smile tantomeno, a furia delle richieste di Brian di ascoltare la loro discografia, seppur morta.
Ma allora? Di chi era l'opera?
Rimasi bloccato davanti quel foglio, poi sentii la porta della casa aprirsi.
—Miss Deacon? Abbiamo un'ottima fetta di torta al cioccolato pronta ad essere divorata!—urlò Roger.
Non sentendomi rispondere, venne da me.
—Che canzone è questa?—gli mostrai il foglio che aveva in mano.
Ma non appena lo focalizzò al meglio, me lo tolse prontamente dalle mani.
—Rog! Sei completamente impazzito? Che hai da nascondere?
Mi guardò in cagnesco ma allo stesso tempo preoccupato.
—Mi rispondi?—insistetti.
Continuò a fissarmi, poi sospirò e lanciò il pezzo di carta, che si adagiò al letto.
Si sedette allo sgabello della batteria, cominciando a picchiarci su ad un tempo incredibilmente veloce.
Ancora più stupita, rimasi quando cominciò a cantare quel che stava scritto su quel foglio.
Continuai ad osservarlo sbigottita, nonostante l'accompagnamento della sua voce fosse solo la batteria.
E poi finalmente capii tutto.
Quella era opera sua, quella canzone che mi accennò qualche mese prima al quale stava lavorando.
Tutti in questo fottuto mondo dovranno sapere chi sei.
Sapere chi sei
Stai a vedere

Pronunciò queste parole prima di lanciare le sue bacchette sul rullante.
Si alzò e tornò accanto a me.

Tornammo a fissarci entrambi.
—E'… la tua canzone?—gli chiesi, posandogli una mano sulla guancia.
Annuì.—Sì. C'è qualcosa che non va?
—No, Rog! È semplicemente fantastica!
Sorrise.—Davvero?
Quella volta fui io ad annuire.—Sì, Roger. Ancora stento a credere che sia opera tua. Ma perché non la suoni insieme agli altri?
—Perché a parte Freddie che l'ha sentita origliare qualche volta, nessuno sa che esiste. Non credi sia una cosa un po' sopra i limiti?
—Siete o no una rock band?
Mi abbracciò, alzandomi anche da terra.
Poi mi portò in cucina, dove mi mostrò cosa aveva comprato.
Una squisita torta al cioccolato mi balzò agli occhi.
E infatti non solo la fame me la fece finire in poco più di due secondi.
Il biondo ridacchiò.—Tu non smetterai mai di stupirmi, Deacon. Prima hai freddo, poi ti divori una fetta di torta. Tutto questo non mi era mai successo prima d'ora.
—Forse perché non ti era mai capitato prima d'ora di svegliarti la mattina con me. Tutte queste cose John le sa bene.
—Chissà a cosa starà pensando ora che non ti troverà stamattina a casa.
Ripensai a quando passò la sua prima notte con Veronica.
—Quando toccò a lui, fui io quella a dare di matto. E solo Freddie sa quanto.
—Mi ha raccontato tutto. Cazzo, Rose. Dove pensavi fosse finito?
—Sono sua sorella, Cristo. Era tutto nella norma.—dissi, passandomi il fazzoletto sulla bocca.
Si sollevò dalla sedia del tavolo di scatto, si avvicinò a me, prendendomi in braccio.
—Roger, puoi sapere cosa diamine stai combinando?—mi dimenai.
Mi fece cadere sul letto.
—Mi sa che ci vorrà un'altra ora prima che tu vada via da qui.—disse, prima di cominciare a baciarmi il collo.
Cominciai a ridere.—Smettila, Rog. Sei ridicolo.
Mi ignorò completamente.
Con quel poco di forza che avevo, lo spinsi via.
—Dai, ti prego. Risuonamela.—lo supplicai.
—E io che sono stata con alcune che non avevano nemmeno capito che quella era una batteria.—disse, prima di risedersi sullo sgabello
—Ritieniti fortunato a stare con una che la suona.
Riprese il ritmo velocissimo che aveva esibito poco prima.
Tornai a fissarlo, paralizzata, mentre era all'opera.
E quasi non mi accorsi che il citofono continuava a squillare all'impazzita.
No, lui non lo aveva per niente sentito. Così fui costretta ad andare io stessa ad aprire.
Dopo un po', lo stesso sconosciuto, bussò al campanello della porta.
Aprii, e subito vidi Brian con una faccia un po' sconvolta.
—Rose? Che ci fai qui?
Bruscamente, mi feci rossa di botto.
Ma non mi diede nemmeno il tempo di spiegare che ascoltò le picchiate di Roger e corse verso la sua stanza, e io seguito da lui.
Anche lui rimase immobile non appena fu di fronte a Roger.
E quest'ultimo, non appena si accorse del riccio, si fermò.
—Brian? Cosa c'è?
—Roger, cosa diamine stavi suonando?
Non diedi il tempo al batterista di ribattere, porsi il foglio della canzone in mano a Brian.
—Credo sia giunto il momento di girare la carta, Rog.—gli dissi.
Dopo aver letto un paio di righe, Brian alzò istantaneamente il capo.
—Modern Times Rock 'n' Roll?
Io e Roger annuimmo.
—Bene, allora sarà la prima che proveremo.—aggiunse Brian.
Roger sospirò.—Quando ci sono le prove? Quando ritornerà il naufrago?
Tutti e tre ridemmo, ma Brian si fece immediatamente serio.—Anche. Io stavo parlando del sette gennaio, quando metteremo per la prima volta piede negli studi della De Lena Lea.
Io e Roger spalancammo gli occhi.
Pregai tutti i santi affinché Brian non stesse scherzando.
—Brian, una domanda. Ma intendi gli studi della De Lena Lea, quelli veri?
Il riccio annuì.—Eh, sì. Proprio ieri mi ha chiamato Terry Headon, un impiegato degli studi che è venuto al concerto dell'altro ieri, e ci ha invitati a testarne l'apparecchiatura, non è magnifico?
Io e Roger ci guardammo come prima, e lui non tardò a riprendermi tra le sue braccia.
—Ma questo è un miracolo!—commentò lui, esultante.
—Poi un giorno mi spiegherete cosa ci fa Rose alle nove di mattina qui. Ah, auguri!—disse malizioso Brian, prima di uscire nuovamente dalla casa.
Roger ed io continuavamo a guardarci eccitati.
—Non ci posso ancora credere, Rose! E' un sogno questo?
Feci di no con la testa.—No, Roger. È che semplicemente voi siete destinati a diventare la band numero uno, e non la numero due.—gli risposi.
Mi diede un pizzicotto sulla guancia.—Amore, non copiare le battute di Freddie.
Gli misi un dito al petto.—Questo vale anche per te!


Spazio autore: chiedo ancora scusa per la mia improvvisa sparizione, ma solo Dio sa (quanto voglio essere libera) quanto ho avuto da fare. Ma ora eccomi qui. Niente da dire, solo che nel prossimo capitolo si sarà capace di rimanere un po' spiazzati. Eh già, sarà molto meglio di questo. Inoltre proprio stamattina l'ho quasi terminato (ho la febbre, non ho marinato la scuola, purtroppo). Alla prossimissima, allora!

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Epilogo ***


—Oh, avanti. Dì la verità, quest'anno mi sono superato.—dice Freddie, mentre io esamino il set da ufficio che mi ha regalato per il mio trentunesimo compleanno. 
—Mh, quanto hai speso in più rispetto all'anno scorso? Venti sterline in più?—rispondo all'uomo coi baffetti.
—Cosa dovrei fare per accontentarti? Regalarti un Mammut?—protesta lui acido.
—Per l'appunto.—do un ultima occhiata al regalo, poggiato su un tavolo degli studi di Montreux.—Beh, in fondo non è male, lo metterò nello studio. Sono sicura che darà nell'occhio a tutti.
—Mentre gli trapanerai le gengive. Visto? Io sono pratico per queste cose.—ribatte, dandomi un veloce bacio sulla fronte.
—Ah, molto, mio caro.—scimmiotto.
Intanto, Brian, con in mano alcuni fogli e un pacchetto, entra nella stanza.
—Ehi, Rose! Buon compleanno!—dice, avvicinandosi a me e dandomi due baci su entrambi le guancie.—Ecco, questo è per te.
Mi allunga una scatola piatta e lunga che io apro come un bambina.
Brian è decisamente più affidabile di Freddie, per questo non devo temer nulla.
E infatti mi trovo davanti un bellissimo scialle di lana grigio.
—Grazie, Brian! È bellissimo!—dico.
—E tu vorresti mettere il mio set da ufficio con questo topo? Tesoro, ma cosa ti salta in mente?—proferisce Freddie al riccio.
—Oh, almeno io le ho regalato una cosa più originale.—contesta l'altro.
—La smettete?—mi lagnai.
—Ah, Rose. Queste sono le tablature di Roger, potresti ridargliele?
Prendo in mano i fogli e nella busta di cartone di Freddie e vi aggiungo anche il regalo di Brian.
—Si può sapere perché lavorate anche oggi? È domenica e piena estate, per giunta.
—Siamo indietro con le registrazioni di chitarra e voce, e anche per qualche traccia di sintetizzatore.—spiega Brian.
—Quegli altri due bastardi invece hanno già fatto tutto.—aggiunse Freddie.
—Tutto per una maledetta colonna sonora di un film?
—La più importante, tesorino mio.—ribatte fiero il cantante.
—Freddie, tu hai solo un paio di canzoni da registrare.
—Per questo ho bisogno di concentrazione.
Lo guardo stranita. 
Cosa ci voleva a fare un Flash, aah?
—Fate come volete, io vado a farmi un giro.
Mi dirigo verso la porta.
—Rose, dì anche a Roger che per pranzo ci vediamo tutti da me, va bene?—mi dice Brian, prima di essere uscita.
—Okay, riferirò anche questo. A più tardi, lavoratori!
—Ciao, vecchia mia!
Mentre mi direggo verso l'uscita degli studi, incrocio Reinhold.
—Ehi, Mack!—lo saluto.
Lui si ferma, tenendo in mano un bicchiere di caffè bollente.—Rose! John ieri mi ha detto che è il vostro compleanno, auguri!
—Grazie! Brian prima ha invitato tutti a casa sua per pranzo, spero che tu ti unisca a noi.
—Okay, accetto l'invito. Ora scusami, ma devo andare a competere con quelle due ochette stridule. A dopo!
—Ci si vede, dragone!
Ridacchiamo entrambi, poi finalmente riesco a raggiungere l'uscita.
Questo diciannove agosto 1981 è abbastanza strano.
E' il mio primo anno in cui ho deciso di prendermi le ferie dal lavoro.
Eh, sì. In undici anni erano cambiate molte cose, talmente tante che elencarle è semplicemente impossibile.
Ma, nel bene o nel male, siamo ancora tutti qui. A parte il fatto che ora la band è famosa a livello internazionale.
Sì, le predizioni di Freddie del lontano '70 si sono avverate.
Ce n'è voluto perché questo accadesse, e non è che ora la band navighi proprio nell'oro, ma è riuscita a pubblicare ben nove album e ora sta registrando la colonna sonora del film "Flash Gordon", qui in Montreux. 
Ma queste sono solo alcune delle tante cose che sono successe in questi anni.
Non ho altro tempo per pensare che qualche metro più distante da me, scorgo una coppia.
Lui tiene per mano un bambino sui cinque anni e in braccio un altro sui due o tre. Lei invece, accoccola una bambina di pochi mesi.
Gli sorrido, mentre loro facevano altrettanto. 
—Ehi, sorellina, ti stai facendo vecchia!—mi dice John, a cui la sua chioma corta e ricciosa ha sostituito la lunga e mossa.
—Purtroppo non hai tutti i torti. Come ho sempre detto, sono io quella che è stata partorita dopo di te.—dico, quando finalmente mi ritrovo di fronte quella numerosa famiglia.
Sua moglie, la mia ancora migliore amica, mi abbraccia cautamente, per timore che potessimo schiacciare la piccola Laura.
—Auguri, Rose!—esclama Veronica, dandomi un enorme busta.
Ne guardo l'interno, scrutandone un vestitino rosa.
—Che bello!—esclamo.
—Con questo farai sicuramente piacere a Roger.—ironizza John.
—Cosa fate voi di bello la domenica mattina?—chiedo poi a tutti, ignorando la frecciatina.
—Oggi è il compleanno di papà.—mi risponde il piccolo Robert, tastandosi una parte della bocca.
John gli scostò la mano.—Dai, Rob, smettila di tormentarti quel dente.
Guardai mio fratello dubbiosa.—Quale dente?—chiedo preoccupata.
—E' da ieri che dice di avere dei dolori al dentino.—mi risponde Veronica.
—Robbie, posso controllare un momento?
Il bambino mi guarda un po' ansioso, continuando a tenere la bocca con un palmo della mano.
—Dai, Robbie. Giuro che non ti faccio male, fidati. E poi so che tu sei fortissimo, non è vero? Dai, vediamo se resisterai, Flash Gordon!
Il bambino mi sorride e si avvicina cautamente a me.
Mi inginocchio per controllare meglio, facendomi indicare quale dente sia dolorante.
Non tardo a comprendere che sia un male comune dai bambini.
Metto una mano sulla testa bionda e capelluta di Robert.
—Robbie! Ti sta per cadere un dente, stai per diventare grande!—esclamo al piccolo.
Mi rialzo, incontrando lo sguardo dei suoi genitori.—E' tutto nella norma, basta che gli facciate mangiare sopra e sarete liberi da tutto.—spiego.
—Io l'avevo intuito!—proferisce John.
—Smettila, idiota.—gli dà una tenera spinta Veronica.
—Ah, John. Comunque questo è tuo.
Gli diedi il regalino incartato che tenevo nella borsa.
—Questa borsa nera di pelle è fantastica, Rose. Regalo dello sposino?—scherza Veronica.
Ci mettiamo tutti a ridere, ma quando compresi che tutte le mani di entrambi erano occupate dai pargoli, scartai per lui il pacchetto.
—Tutta carta sprecata!—commento.
Mostro ai due l'orologio nero e costoso che ho comprato.
—Wow, è bellissimo!—esclama John.
—Quasi quasi lo metto io!—soggiunge Veronica.
—Ver, te lo metto nella tua borsa, per me è tardi, devo scappare.
—Dove vai? Dai due scapestrati o dalle due galline?—chiese lei.
—Dai primi. Sono alla spiaggia del lago, spero di trovarli. Da Freddie e Brian sono già passata. Ah, prima che mi dimentichi, Brian ci ha invitato tutti da lui per pranzo.
—Okay, non mancheremo. Ci vediamo dopo, sorellina.—dice John.
Saluto con un paio di carezze tutti e tre i bambini, la madre, e poi do un bacio a mio fratello.
—Auguri, fratellino!—gli dico, prima di congedarmi da loro.
Alcune cose non cambiano mai, come il bene che voglio al mio bassista preferito.
Continuo la mia camminata per le strade della città svizzera.
Poi, finalmente, approdo alla mia meta.
Cammino sulla spiaggia libera che affaccia al meraviglioso lago di Ginevra, poi mi accovaccio per terra, continuando a fissare la bellavista dell'acqua limpida.
E continuavo a ripensare a tutto quel che era accaduto in quegli anni.
Ancora stento a credere, poi, che anche io, come la band, abbia realizzato il mio sogno, vale a dire quella di diventare odontoiatra.
Infatti, ho il mio bel studio situato nel centro di Soho, una delle zone più popolari di Londra, dove, poco più lontano, c'è la nostra casa, quella che da sempre avevo sognato, con tanto di un immenso stanzone pieno di libri, e uno dove vi erano solo strumenti musicali.
La mia vecchia e fidata batteria la tengo ancor…
All'improvviso, due piccole manine mi coprono gli occhi, non permettendomi di continuare a vedere.
Le sfioro con le mie, delicatamente me le tolgo e mi volto immediatamente.
—Ah, finalmente! Posso sapere dove eravate finiti?—chiedo, sorridendo, a mio figlio Felix.
Lui non risponde, ma mi allunga una piccola margheritina che aveva in mano.—Buon copleano, mamma!—mi dice.
Accetto il mio piccolo fiorellino e mi protraggo verso di lui per prenderlo in braccio.
—Grazie, piccolino!—gli rispondo, tempestandogli la fronte capelluta di baci.
Lui comincia a ridere, spensierato.
Ad un tratto, un'ombra alta si accosta alla nostra destra.
Io e Felix guardiamo Roger finché non si siede per terra insieme a noi.
—Ciao!—mi dice.
Gli sorrido, e mi protendo verso di lui per baciarlo sulle labbra.
Felix, nel frattempo, si libera da me, e comincia a giocherellare per terra con una macchinina che tiene in mano.
—Cosa avete fatto di bello?—chiedo poi a mio marito.
Lui arriccia le labbra.—Niente di particolare. Siamo andati al parco, abbiamo raccolto una margherita e poi siamo venuti qui. Tu, invece?
Gli mostro le buste.
—Wow, che bel compleanno!—mi sorride.
Caccio fuori da uno dei due sacchetti i fogli che mi aveva dato prima Brian.
—Tieni, le tue tablature, credo che Bri abbia corretto qualcosa.—gli allungo i fogli, i quali rifiuta e mi fa segno di rimetterli dentro.
—Non mi va di vederli ora. Al momento mi basti tu.—mi prende la margherita dalla mano, cominciando a contorcerne il gambo, poi me la infilò nei capelli.
—Comunque, credo che quello di Fel sia stato il più bello.—dico.
—Non è vero, ho dato un'occhiata a quel vestito ed è meraviglioso. Regalo di Freddie?
—No, di Deaky e Ver. Tu non pensi ad altro, non è così?
Mi strinse a lui, tenendomi con un braccio, mentre guardavamo nostro figlio divertirsi con la macchinina rossa che gli avevamo comprato qualche giorno prima.
—Sai, non riesco a credere che siano passati due anni.—dice serio Roger.
—Da cosa, dai miei ventinove anni?—dico sarcastica.
—No, dal nostro matrimonio. A volte mi capita di tornare a vedere le foto di quel giorno e sorrido, perché dentro di me è come se tutto ciò sia solo un sogno, poi mi rendo conto che è tutta realtà.
Poggio la testa sul suo petto.
—E' realmente tutto vero.—aggiungo, tornando a guardarlo.—Ed è soprattutto vero il fatto che non metterò mai fine a questo, Roger.
Torniamo a baciarci, poi ci lasciamo non appena vedo Felix tornare nella nostra direzione.
Lo prendo per i fianchi, facendogli un po' il solletico.
La sua risata innocente mi riempie il cuore di gioia, come lo stesso giorno in cui vidi Roger piangere davanti alla vista di quando nacque.
E lui che voleva una bambina. 
Sarà per la prossima volta.
 
Chissà, in fondo nulla è una coincidenza, magari è tutto già stato predetto e anche se avessimo voluto, non avremmo evitato nulla. 
Ricordo ancora le parole che Roger mi sussurrò un giorno durante i nostri dieci anni di relazione: magari tutto era già stato programmato e nulla poteva essere evitato. 
Ma in fondo era meglio così.
Quindi, riprendendo il prologo di quel libro che ha segnato la mia vita, denominato "La chiave del Piacere", posso allora dire anche io che ci sono infinite storie d'amore, ma la mia preferita è quella che non ti aspetteresti mai e sono felice di averla raccontata.
 
Spazio Autore: eccoci qui, siamo giunti alla fine della storia (FINALMENTE!) So che è finito un po' così , e so anche perfettamente che Flash Gordon non è stato registrato nel 1981, bensì un anno prima. Ma tralasciando questi dettagli su questo epilogo buttato giù come vomito, ci tenevo a ringraziare chi mi ha seguito per la pubblicazione, in particolare: QueenLover
Miss Mad Girl
White Queen (You Don't need nobody else è magnifica)
Jacksonina_4ever
Rhye 39
Grazie infinite per i vostri suggerimenti!!!  
 
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2828555