Aree

di Nicky Rising
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo, “Sandi Thom - I Wish I Was a Punk Rocker” ***
Capitolo 2: *** Marzo, 1991 "Kansas - Carry - On My Wayward Son" ***
Capitolo 3: *** Settembre, 1991 “Guns N’ Roses – Paradise City” ***
Capitolo 4: *** Gennaio, 1992 “Guns N’ Roses – Welcome to the Jungle” ***
Capitolo 5: *** Febbraio, 1992 “ Judas Priest – Fever” ***
Capitolo 6: *** Marzo, 1992 “Mr. Big – Daddy, Brother, Lover, Little Boy” ***
Capitolo 7: *** Aprile, 1992 "Anouk - Nobody's Wife" ***
Capitolo 8: *** Maggio, 1992 “Blink 182 – Adam’s Song” ***
Capitolo 9: *** Giugno, 1992 “Of Monsters and Man – Little Talks” ***
Capitolo 10: *** Luglio, 1992 “Chet Baker – You don’t know what love is” ***
Capitolo 11: *** Agosto, 1992 “Led Zeppelin – Baby I’m gonna leave you” ***
Capitolo 12: *** Settembre, 1992 “Billy Idol – White Wedding” ***
Capitolo 13: *** Ottobre, 1992 “Black Keys – Little Black Submarines” ***
Capitolo 14: *** Novembre, 1992 “Guns N’ Roses – Sweet Child O’ Mine” ***
Capitolo 15: *** Dicembre, 1992 “Elvis Presley – Blue Christmas” ***
Capitolo 16: *** Marzo, 1993 "Christina Aguilera - You Lost Me" ***
Capitolo 17: *** "Guns N' Roses - Coma" ***
Capitolo 18: *** Dicembre, 1993 "Guns N' Roses - Patience" ***
Capitolo 19: *** Maggio, 1994 "Kansas - Dust in the Wind" ***
Capitolo 20: *** Epilogo, Aprile 1997 "Queen - Friends will be Friends" ***



Capitolo 1
*** Prologo, “Sandi Thom - I Wish I Was a Punk Rocker” ***


Prologo “Sandi Thom - I Wish I Was a Punk Rocker”
 
Sono nata il 5 maggio 1974, in una cittadina italiana talmente minuscola da dover condividere il nome della propria provincia con quello di un altro paesino. Una città piazzata così, in mezzo a mare e montagne, ad uguale distanza da entrambi, doveva essere proprio lei ad ospitare la mia famiglia. Una cittadina inutile, che nessuno conosceva, che quando i ragazzi di altre regioni ti chiedevano da dove venivi e tu rispondevi, finivano con il guardarti con aria interrogativa.

Mentre l’America e l’Inghilterra imparavano a conoscere il massimo splendore della musica Rock, io mi ritrovavo tra le braccia di mia madre, lontana migliaia di chilometri dal mio sogno. Eppure, a pochi giorni dalla mia nascita, non sapevo neppure che quello fosse ciò a cui ero destinata: allora non capivo nulla se non che avevo bisogno di aggrapparmi a quelle braccia calde e mangiare. E piangere se vedevo qualsiasi altra cosa che non fosse mia madre.
Nacqui con due mesi di anticipo rispetto a quello che si aspettavano tutti, con lei e papà che dovevano ancora finire di dipingere la cameretta e con la maggior parte dei miei fratelli ancora troppo piccoli per ricordarsene.
I medici dissero subito ai miei genitori che ero tanto piccola, tanto fragile, che avrebbero potuto salvarmi la vita, ma non risparmiarmi dalla debolezza caratteristica che mi avrebbe accompagnato per tutta la crescita. Esagerarono un po’, forse pensando che mamma e papà fossero solo due incoscienti con troppi figli, perché, in realtà, a parte qualche influenza in più rispetto agli altri bambini, non me la cavai così male. Nacqui come settima figlia di una famiglia che aveva già vissuto sei parti, e che si preparava ad attraversarne altri due dopo di me.
Eravamo in nove, nati ognuno quasi un anno dopo l’altro. Fortunatamente, io e i miei otto fratelli andavamo molto d’accordo: incontravo ovunque ragazzini che litigavano e picchiavano a sangue i propri, e, seriamente, non riuscivo a capirlo, per me dividere la vita con tante personalità diverse con cui esprimere pareri differenti era qualcosa che sfiorava la magia. I vicini, invece, ci guardavano sempre con uno sguardo curioso, stupiti dal credere che tutte quelle persone potessero vivere insieme sotto uno stesso tetto. Inoltre, anche gli amici, nonostante fossero ormai abituati all’idea, restavano comunque un po’ dubbiosi se venivano invitati per una cena o per un pomeriggio in casa nostra.

 Mamma non lavorava, o meglio, lavorava fin troppo considerando che passava la giornata ad occuparsi di noi, anche perché non avevamo nemmeno nonni o zii che potessero aiutarci: papà e mamma erano figli unici di genitori troppo vecchi, che solo Rebbie e Jack, i due maggiori, avevano avuto l’occasione di conoscere. A mantenere la mia grande famiglia, comunque, ci pensava papà: dipendente di una casa discografica piuttosto importante, per quanto questa lo potesse essere in Italia, era un talent scout e un produttore, lavoro che consisteva nel trovare nuovi talenti e offrire al nuovo artista la giusta somma di denaro per fargli intraprendere la carriera, sperando in un generoso profitto. Un ruolo importante, che si era guadagnato con fatica e con una grande passione per la musica, che sia lui che mamma avevano trasmesso a tutta la prole.
Lui e lei si erano conosciuti nel 1965, quando avevano rispettivamente diciotto e diciassette anni, durante un concerto dei Beatles, a Milano, ed erano rimasti stupiti della coincidenza di trovarsi, in mezzo a migliaia di persone, provenienti dalla stessa schifosa città immersa nel nulla. Avevano poi vissuto insieme la classica storia dei rocker innamorati, assistendo a tutti i concerti dei propri idoli, dai Rolling Stones agli Who, indossando giacche di pelle e fumando sigarette. Poi  quando mamma a soli diciannove anni rimase incinta, misero la testa a posto, decisero di sposarsi e papà trovò questo splendido lavoro con il quale poteva stare vicino alla sua passione per la musica e, allo stesso tempo, guadagnarsi abbastanza soldi per vivere in maniera più che benestante. Papà aveva talento, aveva orecchio, i direttori se n’erano accorti subito, e, fino ad oggi, che io sappia, non ha ancora sbagliato un colpo.

Nel 1987 inizia la mia storia, perché non ho ricordi precedenti a quel momento, ed inizia durante il mio tredicesimo compleanno, circa due mesi prima dell’avvenimento che divenne il simbolo di tutta la mia vita.
A tredici anni non si è molto, si è solo una ragazzina che frequenta la seconda media, e che, nel mio caso, è anche abbastanza asociale, senza troppi amici, con un odio represso verso tutti quei ragazzi idioti convinti di essere superiori al resto del mondo perché già strafatti persino di polvere di gesso.  La cosa divertente è che piacevo agli adulti e non ai miei coetanei, troppo matura, cortese, intelligente? Non lo so, ma so che quello che nessuno capiva, era che, professori, coetanei o scuola, a me non fregava niente di nulla. Tutto quello che volevo fare era aprire la finestra di camera mia e mettermi a cantare i nuovi pezzi degli Aerosmith, che in quel periodo stavano sfondando sia le classifiche che gli amplificatori.
La mia strada, il mio sogno, il mio tutto era quello: cantare. Facevo lezioni di canto da diverso tempo, e mai niente, prima, mi aveva così tanto appassionato. L’idea di iniziare a farlo, nacque quando sentii per la prima volta un pezzo di Michael Jackson, Billie Jean, mi sembra, proveniente dall’album Thriller del 1982.
Non avevo mai ascoltato nulla del cantante, ma quando sentii quella canzone, mi resi conto che l’interpretazione di quel ragazzo, unita alla sua voce ricca di così tante dinamiche, dava origine a quella che per me era la perfezione. Iniziai ad approfondire sempre di più la sua carriera, scoprendo che era uno dei pochi bambini prodigio che era diventato un artista di talento.
Michael aveva iniziato a cantare a cinque anni, ed era diventato famoso a dieci, decisi che dovevo raggiungerlo in qualche modo. Mi dissi: “Ok, voglio fare quello che fa lui.”.
A otto anni mi iscrissi ad una scuola di musica e di lì iniziò tutto.

Come dicevo, la passione di mamma e papà, a quanto pare, ebbe, infatti, un effetto anche genetico, perché di noi nove figli non ce n’era uno che non avesse qualche dote dal punto di vista artistico o musicale. Se Rebecca, la maggiore, che, nell’87, aveva vent’anni, praticava perfettamente ogni passo di danza moderna, Maddalena, mia sorella minore, di otto, era una virtuosa del pianoforte e se Alessandro, terzogenito di diciassette anni, suonava in maniera sublime la batteria, persino Cristiano, il più piccolo di soli cinque anni, sembrava portato per intonare le canzoncine dei cartoni animati.
Se c’era una cosa su cui, però, papà non trovava nemmeno da discutere, era che nessuno dei suoi figli sarebbe stato prodotto dalla sua casa discografica. Diceva che ogni uomo deve farsi il proprio futuro da solo, che diventare qualcuno solo per fortuna e favoritismi sminuisce qualsiasi tipo di talento. Se sognavamo il successo nel campo della musica, dovevamo sudare, lottare ed arrivare al nostro traguardo da soli, facendoci notare dal grande pubblico sfruttando solo le nostre capacità. Sapeva quant’era difficile riuscirci, e anche lui era abbastanza scettico sul nostro futuro, per quanto bravi fossimo, ma, allo stesso tempo, non avrebbe mai, mai permesso di influenzare la nostra carriera artistica. Dal canto nostro ci sembrava un discorso sensato, ma, allo stesso tempo, continuavamo a pensare che, almeno una spinta da parte sua, avrebbe fatto comodo. Mamma era abbastanza neutrale sul discorso, a lei piaceva ascoltarci, dirci che miglioravamo, che eravamo bravi ed era bello renderla felice.

Uno dei primi ricordi che ho, è uno dei nostri concerti che, io e i miei fratelli, organizzavamo per mamma e papà: era stata un’idea di Jack, Giacomo, che voleva sempre far sentire i suoi progressi alla famiglia e che aveva deciso di organizzare queste esibizioni dove loro potevano assistere alla presentazione di qualche brano o esercizio preparato da noi per l’occasione. Ognuno di noi ascoltava come un critico professionista e lo scopo delle serate era trovare difetti per poter migliorare. Inutile dire che papà era l’orecchio che trovava sempre problemi nell’esecuzione.  Ricordo una delle mie prime esibizioni per loro, in cui avevo cantato un pezzo di Ella Fitzgerald, mi pare. La mia voce sembrava quella di una negra, così diceva mamma, e la mia passione per le canzoni rock, mi spingeva ad avere una grinta che non si avvicinava neanche lontanamente al mio carattere, che, seppur maturo e alternativo, era caratterizzato da una forte timidezza e da una sensibilità esagerata per qualsiasi cosa.
Ero una ragazzina lunatica che viveva di empatia e, allo stesso tempo, di disprezzo per gli altri, che riuscivano sempre ad essere felici, mentre io volevo ragionare sui massimi sistemi del mondo, per, poi, non trovare nessuna risposta ed arrabbiarmi con me stessa per non essere semplicemente come gli altri. Tuttavia, non ero un’emarginata sociale, tutt’altro, ma nella mia classe non ero né sfigata, né popolare. Ero semplicemente “Quella che cantava con otto fratelli”.
Sì, perché, alla fine, i ragazzini hanno bisogno di classificarsi per forza, non gli serve conoscere le personalità di ognuno, gli basta qualche caratteristica, magari irrilevante, che però li colpisce, così riescono ad avere un’idea generale di come sei non appena pensano al tuo nome. Inutile dire che quelli popolari erano gli unici di cui ci si ricordava, ed erano anche quelli che odiavo di più. Il mio problema era che, se da una parte li odiavo, dall’altra, di certo, non potevo stare con quelli sfigati, o sarei diventata come loro. Per questo motivo, in seconda media, alla mia classificazione si aggiunse anche “Alternativa”, perché stavo nel mezzo alle due categorie, insieme ai metallari, agli Hippie, ai ragazzi Punk e ai Rocker come me.

Il fatto che prima avevo citato definendolo come quello che “Divenne il simbolo della mia vita”, avvenne nell’agosto del 1987, estate tra la mia seconda e terza media. Erano le tre del pomeriggio e, fuori, era un caldo spaventoso, il che impediva a chiunque di uscire di casa. I ragazzini erano bloccati nelle loro camere ad annoiarsi, ma questo non valeva per me, che, essendo sempre stata un animo solitario, non mi facevo dispiacere delle sane ore di tempo libero passato a pensare.
Accesi la radio. La voce carismatica di qualche Speaker iniziò subito a descrivere il caldo come quello più intenso di tutti i tempi, frase che, probabilmente, ripeteva tutti gli anni. Non smettevo di sperare che finisse i suoi noiosi monologhi sul tempo per dare qualche bella canzone. Dopo qualche altro minuto, in cui cercava dei nuovi sinonimi per “Afoso”, “Torrido”  e “Bollente”, iniziò la rubrica dei nuovi successi musicali del momento:
“I veri intenditori e collezionisti li ricorderanno per il loro primo EP uscito in numero limitato l’anno scorso esclusivamente negli Stati Uniti, “Live?! Like a Suicide”, gli altri, invece, dovranno per forza imparare a conoscerli, perché questi cinque ragazzacci faranno la storia della musica! Hanno pubblicato la settimana scorsa, in luglio, il loro primo album in studio, e, in America, stanno già riscuotendo un successo incredibile! Ne sentiremo parlare a lungo, sul serio. L’album s’intitola “Appetite for Destruction”. Personalmente, l’ho ascoltato, ed è veramente qualcosa di pazzesco. Non si sentiva dell’Heavy Metal del genere dalla fine dei ’70.. Ora la band sta girando gli Stati Uniti aprendo i concerti degli Aerosmith, insieme penso che riescano ad organizzare i concerti più fuori di testa del secolo.. Ma ora, vogliamo un vostro parere, questa è Welcome to the Jungle, e loro sono i Guns N’ Roses!”

“Welcome to the Jungle, we’ve got fun and games,
 We’ve got anything you want, honey we know the names..”.


Una voce cattiva. Spietata. Incazzata nera, che iniziò ad urlare versi altrettanto cattivi ed incazzati.

“Benvenuta nella giungla, abbiamo giochi e divertimento,
abbiamo tutto quello che vuoi, tesoro conosciamo i nomi..”

Rimasi ad ascoltare con un sorriso da ebete stampato in faccia. Mi bastarono i primi quaranta secondi della canzone, per rendermi conto che quella band sarebbe diventata storia.
Era già successo che un gruppo sconosciuto saltasse fuori dal nulla con dei pezzi fortissimi, così com’era stato per i Bon Jovi. L’anno prima, avevano pubblicato il loro album più famoso, “Slippery When Wet”, che nell’87 venne considerato inizialmente come il più venduto dell’anno, simbolo della rivoluzione Heavy.
Ma c’era qualcosa di speciale e diverso in quella canzone, di ultranuovo. Qualcosa che venne poi definito dai critici come Sleaze Metal, genere musicale cattivo, ribelle e grezzo. Molto più spietato dei Bon Jovi, che alla fine basavano la loro carriera su come stavano i capelli al frontman. Era un ritorno alle origini del rock, poca tecnica, tanta grinta e tanta rabbia. Perfetto.
Uscii di casa ed entrai nel negozio di dischi vicino, dove trovai il commesso, ormai abituato alle mie visite.
“Ehi, Minnie, posso fare qualcosa per te?”
“Sì, grazie, posso chiederti se hai qualcosa dei Guns N’ Roses?”
“Mi sono arrivati degli articoli l’altro ieri.. Cosa ti serve?”
“Tutto.”
Sorrise e si mise a cercare nel retro del negozio.
Se c’era qualcosa che amavo, quella era la musica, erano i sentimenti a cui portava, e quando sentivo qualcosa di vero, lo capivo. Capivo che era quello che cercavo e volevo, capivo che quella era la musica che mi avrebbe trasmesso le migliori emozioni.
Il commesso lasciò sul bancone il disco citato dalla radio insieme a qualche giornale.  Appoggiandomi al tavolo, scelsi la prima rivista su cui mi cadde lo sguardo e l’aprii in fretta, trovando una foto della band. Li guardai uno ad uno.
Il titolo citava “Sesso, droga e Guns N’ Roses”.
Vidi il ragazzo al centro, capelli rossi, lunghissimi, bandana, viso da duro, occhi verde acqua.
“W. Axl Rose, leader, cantante, autore della maggior parte dei testi della band e loro fondatore.”
Quindi era lui il leader di quella band, era lui quello con quella voce che mi aveva catturato l’anima dalla prima nota.
Era finita. Mi dissi che dovevo conoscere quel ragazzo.
Sì, io avrei conosciuto Axl Rose.
E la parte migliore, motivo per cui ora sto raccontando la mia storia,
è che è successo davvero.








--------------------- Nota dell'autore: non è mai facile trovare il modo giusto di cominciare una ff, spero che questo non vi abbia annoiato troppo. Vi assicuro comunque che la storia è già finita, quindi non rimarrà incompleta e non sarà eccessivamente lunga. Presto entreranno in scena i personaggi che state aspettando tutti, intanto vi chiedo di pazientare imparando a conoscere l'assoluta protagonista della storia.. Non scriverò tante note, durante la pubblicazione dei capitoli, ma lo farò credo solo quando lo ritengo estremamente opportuno, per lasciarvi perdere tra le pagine senza il mio disturbo;) A presto, Nicky

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Capitolo 2
*** Marzo, 1991 "Kansas - Carry - On My Wayward Son" ***


1991,  Marzo  “Kansas – Carry On My Wayward Son”
 
Mi svegliai, sudata, in un oceano di coperte in cui mi sentivo soffocare. 6.30. La sveglia avrebbe suonato dopo circa un’ora, ma era inutile riprovare ad addormentarsi, temevo che mi sarebbe ricomparsa l’immagine di quel sogno orribile. Una folla di persone grigie, tutte uguali, che si muovevano perfettamente insieme sulla stessa strada che non portava da nessuna parte. Una di quelle persone ero io, inutile, come le altre. Non c’era colore. Né su di me, né sugli altri. Poi, d’improvviso, il sole pallido in quel cielo triste, scompariva. Buio, nero. Solo il mio respiro, una risata, un urlo, un viso grigio che avanzava sempre di più verso di me, sempre di più …
Maddalena entrò nella mia stanza: undici anni appena compiuti, ma dimostrava così poco con quell’orsetto tra le braccia e il broncio sul volto.
“Ehi?”
“Ehi..”, le sorrisi, per rassicurarla “Ti ho svegliato?”
“Hai urlato”
“Brutto sogno.. Torna a dormire Maddy..”
Annuì e sparì come un ombra nel pigiama troppo grande di mio fratello maggiore.
Di nuovo sola, immersa nella fioca luce dell’alba. Odiavo quei sogni, troppo realistici, troppo simili al futuro che mi terrorizzava. Sedici anni e ancora non ero riuscita a dimostrare nulla, troppi sogni nel cassetto e nessuno che potesse aiutarmi a tirarli fuori.
Troppi pensieri, troppe speranze.. Nulla di concreto, paura.. e poi perché mia sorella aveva il pigiama di Jack..

La sveglia trillò puntuale, facendomi istintivamente allungare un braccio verso il comodino per spegnerla. Scuola, di nuovo. Poi a casa, pranzo veloce, compiti, lezioni di musica, cena, letto. Routine. Persona grigia che cammina su una strada sempre dritta e senza meta. Come nel mio sogno.
La voce di mamma che mi chiama, l’odore di cappuccino nell’aria.
La prima cosa a cui pensai, mentre bevevo la mia tazza di caffè a fianco a mio fratello che non la smetteva di rubarmi i biscotti, fu il concorso di canto di cui, il giorno prima, il direttore della mia scuola di musica mi aveva parlato: avrei avuto delle selezioni la settimana seguente, ed ero stata avvisata circa due giorni prima, ma ormai ero abituata a tutte quelle informazioni che arrivavano all’ultimo minuto, non mi stupivo né preoccupavo più, funzionava così: ti preparavi una canzone in due giorni, se convinceva, ok, se no, eri fuori. Davi il massimo di te stesso per poi sentirti dire che non era abbastanza da sconosciuti presentati come “Giudici Esperti”. Questo era il “mondo dei concorsi”, dove ero sempre arrivata ad un punto interessante senza mai vincere, senza mai aver guadagnato nulla da nessuno di essi, ma non potevo rifiutare. Se l’avessi fatto mi sarei pentita per mesi pensando ad un’altra opportunità mancata per diventare qualcuno.
L’unico aspetto che, però, mi affascinava di questo nuovo concorso, era che ci sarebbe stato un giudice straniero di fama internazionale, di cui ancora non avevano rivelato il nome, probabilmente perché ancora loro non avevano trovato nessuno, ma qualsiasi cosa esterna alla mentalità chiusa italiana, mi rendeva piuttosto curiosa.

Non volevo andare a scuola. Avrei potuto non andarci, farmi lasciare da mamma vicino all’ingresso e poi farmi un giro altrove. Il giorno dopo avrei falsificato una firma ed era fatta.
Peccato che, semplicemente, non ero quel tipo di persona. Io facevo quello che gli altri volevano: studentessa modello, ragazzina cortese, grande studiosa sia a scuola che per la musica. Intanto, però, coloro che erano andati contro le più importanti regole del sistema, erano i miei più grandi idoli e sognavo di diventare come loro.
Pensieri contorti in una vita che non si capiva se era facile o difficile, ero stanca.
Musica nelle orecchie, “Paradise City”, Guns N’ Roses, di nuovo. Sparii nel mondo che quella canzone descriveva: la Città del Paradiso, dove le ragazze sono carine e l’erba è verde.  
Quando quel mercoledì partecipai alle audizioni, c’era solo una giurata. Una donna, capelli grigi, corti, ma stranamente giovane. A provare quelle selezioni eravamo in venticinque, provenienti da tutta la mia regione. Ventiquattro avrebbero finito subito il loro percorso.
Entrai nella stanza, mi posizionai su un piccolo palco allestito per l’occasione.
“Nome?”
“Minerva”
Lanciai un’occhiata allo specchio che si trovava in fondo alla stanza, davanti al palco. Che cavolo ci facevo lì? Quello non era il mio posto, non volevo cantare per una persona sola, tra l’altro annoiata e corrotta, volevo cantare per centinaia di persone, in lacrime, stanche, distrutte, ammaliate, incantate e unite nell’unica cosa che gli interessava in quel momento: la mia voce.
“Quanti anni hai, Minerva?”
“Sedici”
Lei prese nota su di quaderno alzando un sopracciglio. Sono troppo piccola? Non dimostro sedici anni? Lo so. Però almeno lasciami cantare..
“Comincia pure”
Cantai You Give Love a Bad Name, dei Bon Jovi, così come mi avevano chiesto, senza trasgredire regole, senza stupire in maniera eccessiva. Ero io, con la mia voce, ero brava, ero molto brava, ma non lasciavo mai abbastanza il segno.
Quella volta, però, alla fine delle selezioni, la giurata uscì con in mano i risultati e lesse il nome della ragazza che sarebbe arrivata in semifinale.
Il mio.

Non succedeva mai, non era mai successo. Io ero quella che aveva tutte le carte per riuscirci, ma non ci riusciva comunque. Io ero sempre stata quella che piaceva, ma non stupiva, e non capivo il perché. Semplicemente, c’era sempre qualcuno che era migliore di me. Poi parlavo con qualcuno che mi diceva che avrebbero dovuto scegliere me, che ero ad un passo dal riuscirci.
Invece, quella volta ero al primo posto, e mi avevano chiamato. Probabilmente, quello che mi fece passare fu il fatto che, per la prima volta, avevo scelto una canzone che amavo, che sapevo di poter cantare, in cui mi rispecchiavo. You Give Love a Bad Name era un brano uscito nel 1986, dove il cantante urlava contro la ragazza che gli aveva rovinato la vita, che aveva dato “Un nome cattivo all’amore”. Per quanto quella band non mi avesse mai più di tanto appassionata, avevo scelto quella canzone perché mi ricordava l’ultima storia seria che avevo avuto con un ragazzo: risaliva circa due anni prima, quando ne avevo quattordici, e ancora riuscivo a pensare a quanto fosse stato orribile condividere un periodo della mia vita con una relazione sbagliata. Ero piccola sì, ma ci avevo creduto sul serio, e, poi, semplicemente, lui mi fece capire come invece non gliene importasse niente. Io ero la bambina innamorata e lui il ragazzo più grande che si comportava da uomo vissuto e che, una volta trascorsi più di un paio di mesi con la stessa ragazza, passava ad altro. Mi sentii così tradita dai miei stessi sentimenti, da non accettare più nessun altro, per paura che fossero tutti così. E quella canzone, era per lui, era tutta per lui. Era un’arrabbiata richiesta di ascolto, in cui lo accusavo di avermi presentato l’amore come una cosa sbagliata.
E, forse, con questa rabbia, riuscii a passare. Quindi forse dovevo anche ringraziare quel ragazzo, perché finalmente ero riuscita a comunicare qualcosa che ai giudici era piaciuto. Grazie.
Raggiunte le semifinali fu tutto più difficile. Eravamo troppe, ragazze di tutte le età provenienti da tutt’Italia. Quattro giudici, cinque minuti ad esibizione: nome, età, canzone, saluti, avanti il prossimo. Così. E la gente si aspettava che qualcuno riuscisse a trasmettere qualche emozione in un clima del genere, così freddo, ostile verso le stesse concorrenti. Ma era ovvio: i giudici diventavano cordiali solo con quelle che arrivavano in finale, quando ormai il loro lavoro era finito, quando potevano semplicemente godersi uno spettacolo con delle belle voci e delle belle canzoni e, poi, sceglierne una a caso perché era quella raccomandata. Semplice.
Ma quello che successe in semifinale fu l’inizio della fortuna sfacciata che mi fece raggiungere i miei sogni, perché anche qui, dopo la mia breve comparsa sul palco, mi selezionarono per la finale.

Non credevo al destino. Pensavo che se una persona voleva fare qualcosa la faceva e basta, che non dipendeva dalle decisioni degli altri, che eri solo tu. La sola idea che il libero arbitrio, in realtà, fosse tutta una finzione, mi spaventava, mi faceva pensare ad una prigione lunga quanto la vita stessa. Pensavo che se non potevo avere libertà nemmeno su di me, allora era tutta un’immensa fregatura. Da quel momento, però, quando riuscii a passare anche quella selezione raggiungendo la finale, iniziai a pensare che se quel dannato destino esisteva e se gli veniva voglia di farti diventare qualcuno, allora ci riusciva, punto.
E il mio destino sembrava essersi straconvinto di poter avverare il mio sogno.
Allora ignara del vero motivo per il quale passai tutte quelle selezioni, iniziai ad elaborarmi ipotesi e teorie sempre più complicate: per esempio, iniziai a pensare al fatto che i sogni non si avverano mai, che sono un traguardo e che se tutti li raggiungessero smetterebbero di sperare in qualcosa, smetterebbero di faticare per raggiungere quello che vogliono, smetterebbero di vivere. Ecco perché i sogni non si realizzano. Allo stesso tempo, però, l’uomo potrebbe rendersene conto, così, smetterebbe di lottare comunque, perché ormai sa di non poterci riuscire e il problema è lo stesso. Ecco perché arrivai alla conclusione che un sogno ogni tanto si realizza, per cercare di mantenere accesa quella speranza. Quindi: io ero colei che era stata scelta dal cielo per far brillare quella luce  di speranza per gli altri. Ed un’ulteriore prova di questo mio ruolo, mi arrivò pochi minuti dopo, quando mi dissero chi sarebbe stato il giudice straniero, di fama mondiale che ci avrebbe ascoltati alla finale.
“Ok, voi quattro andrete a Milano, i miei complimenti. Vorremmo comunicarvi l’ultima importante informazione prima di salutarci.
Finalmente, abbiamo trovato il quinto giudice e mai un concorso ha avuto l’onore di ospitare un personaggio di tale importanza. Il signor Axl Rose, cantante dei Guns N’ Roses, sarà l’ultimo che valuterà il vostro potenziale, il suo voto varrà moltissimo, il suo parere sarà quello che, sommato ai nostri, vi porterà alla vittoria”
Svenni.
Sì, come quelle ragazzine idiote che durante i concerti di Frank Sinatra crollavano dopo avergli visto schioccare le dita, facendogli guadagnare il soprannome di Swoonatra.
Divenne tutto nero e crollai a terra. L’ultima ricordo che ho di quel momento sono un giudice che si alzava in piedi dal tavolo da cui stava parlando e le altre tre finaliste mettersi le mani davanti al viso. Poi, nero.

Quando mi risvegliai ero stesa sui sedili posteriori dell’auto di papà.
“Minnie?”
Borbottai qualcosa, rotolandomi su me stessa per trovare una posizione più comoda.
“Ehi, sei sveglia.. Siamo quasi arrivati a casa.”
“Cos’è.. non..”
“Calmati, hai avuto un calo di zuccheri improvviso, quelle selezioni erano così stancanti.. Pensa a quelle che non sono state prese, ore di attesa per sentirsi dire solamente no.”
In un attimo, mi tornò alla mente il vero motivo per cui ero svenuta:
“Ma.. Axl..?”
“Sì, è il quinto giudice. Sei felice eh? Se sapesse che la tua camera è tappezzata di sue foto ti farebbe vincere subito, non credi?” Rise.
Mi guardai le mani: erano di un colore più simile alla neve che ad altro. Ma non quella neve candida che si vede nei cartoni animati, quella vera, fredda.

Tornata a casa mi ritrovai circondata dal resto della famiglia: la metà voleva farmi i complimenti per essere riuscita a passare, l’altra cercare di capire se rischiavo di accasciarmi a terra nuovamente. “E’ così debole e fragile..”, già, quel dettaglio descritto dai medici aveva ricominciato a farsi vedere da un paio d’anni: a volte mi svegliavo, la mattina, e persino l’alzarmi in piedi mi sembrava un’impresa impossibile. Dettaglio che probabilmente era anche stata la causa di quel crollo. Troppe emozioni, troppa stanchezza, troppo esercizio per dare il meglio e troppe ore passate ad aspettare i risultati con un insopportabile vuoto nello stomaco.
Comunque, ero ancora viva, e anche la serata di quella finale, arrivò.

Era giugno. Ultima settimana di scuola. Non che me ne importasse molto, della scuola. I miei compagni erano solo persone annoiate, come me, ma, a differenza loro, io avevo un obiettivo ben definito, i loro sogni erano, invece, semplicemente l’andare a ballare il sabato sera su quelle dannate canzoni orecchiabili che infestavano la radio.
Il giorno della finale, dovetti presentarmi a Milano nel primo pomeriggio, anche se lo spettacolo si sarebbe svolto alle otto di sera. Sarebbe andato in diretta in tutta Italia, tutti i vecchietti che si addormentano a metà trasmissione, l’avrebbero visto. Mi accompagnarono mamma, papà, Andy, mio fratello maggiore di diciassette anni, con cui mi trovavo sempre d’accordo su tutto, Maddalena di undici e Cristiano di otto.
Il rapporto che avevo con Andy era una semplice vera amicizia. Quando eravamo piccoli, all’incirca a otto e nove anni, a volte, durante i temporali, io, spaventata dai tuoni, mi infilavo nel suo letto, nella stanza accanto. Lui si svegliava, e dormivamo insieme, abbracciati. Divenne quasi un’abitudine per me: temporale, uguale letto di Andy, tant’è che, con il passare del tempo, mamma e papà dovettero dirmi che non era opportuno che io dormissi con mio fratello. Me lo spiegarono come se il problema fosse la mia paura per i tuoni, non che una bambina non potesse dormire con il suo fratellino, maschio, maggiore. Quello non era “opportuno”, no, ma allora non potevo capirlo. In realtà, i miei genitori, non sapevano che, a volte, mi infilavo ancora nelle sue coperte, per esempio quando ero preoccupata per qualcosa, o quando mi venivano in mente cose spaventose che non mi lasciavano dormire. Allora andavo da lui, e parlavamo, tanto, lui mi raccontava qualcosa e io ascoltavo fino a quando non cadevo addormentata.

I giudici mi fecero fare una brevissima prova sul palco e poi mi indicarono i camerini in cui avrei aspettato fino a sera, i miei parenti potevano farsi un giro per Milano, io sarei stata lì, segregata in quegli stanzini.
Rimasi per un po’ nella mia camera, per ambientarmi, e un po’ anche perché, come situazione, mi ricordava moltissimo i backstage delle rockstar, dopodiché, uscii nei corridoi. Sentii delle voci, delle risate di ragazze, probabilmente altre concorrenti che avevano già socializzato. O meglio, che fingevano di volersi un mondo di bene quando ognuna di loro, in realtà, sperava solo di vincere su tutte. Volevo andare anche io con loro, salutarle, essere cortese e ammazzare un po’ il tempo, ma le mie gambe non mi ascoltarono e girarono per un altro corridoio. Sapevo cosa stavano cercando. Dopo aver perso più volte l’orientamento, arrivai, finalmente, a quel camerino. Sulla porta, in lettere maiuscole, era scritto “W. AXL ROSE”.
Sentii parlare da dentro, americano stretto, non capivo, ma la voce era la sua, così come l’avevo sentita per tutto quel tempo nelle sue canzoni. La maniglia scese, qualcuno stava per aprire la porta dall’interno, senza neanche pensarci mi allontanai velocemente e mi appostai dietro ad un muro, come una bambina.
La porta si aprì. Pantaloni di pelle, maglietta a maniche corte bianca, cintura borchiata, stivali che tintinnavano ad ogni passo per via dei fronzoli metallici. I capelli rossi, lunghi, un po’ spettinati che gli scendevano fin sotto alle spalle. Una bottiglia in mano. Si voltò, mi vide. Io ero ferma immobile a fianco di una parete, che lo guardavo. Alzò la bottiglia nella mia direzione, come per un brindisi, e sorrise dietro agli occhiali da sole specchiati. Io rimasi immobile, lui riabbassò la bottiglia e si allontanò in un altro corridoio, barcollando leggermente.

“Wow, deve essere stato magnifico, anch’io non vedo l’ora di vederlo!”
“Anche tu sei una sua fan?”
“Beh, non proprio, non ascolto molto, sai, quel genere di musica, ma, insomma, è così bello!”
Sorrisi, anche se avrei preferito correre il più lontano possibile da quel dialogo. Le altre ragazze continuavano ad annuire e a fingere delle espressioni stupite mentre raccontavo del mio incontro con Axl.
Il tempo passò così, tra chiacchiere futili di ragazze provenienti da tutta Italia: la maggior parte erano più grandi di me e sapevo che la mia giovane età non mi avrebbe aiutato a vincere.
Iniziarono le esibizioni delle altre, io mi sarei esibita per ultima, classico.
La tensione continuava a crescere, fino a quando non chiamarono il mio nome.
Salii sul palco, riflettori puntati sugli occhi, intravidi Axl tra quella luce insopportabile, stava giocando con delle penne sul tavolo dei giudici, gli occhi bassi, sembrava assolutamente fuori posto.
Nella platea, invece, vidi delle braccia sventolare, la mia famiglia.
C’era più gente del solito, c’era troppa gente.
“Buonasera Minerva”
Mi voltai verso la giuria. Sorrisi.
“Come stai?”
Silenzio. Non ci voleva molto a rispondere “Bene, grazie”. Ma non ci riuscii. Guardai Axl, che ora mi guardava e sembrava divertito dal mio imbarazzo.
“Direi che sei emozionata! Beh, è normale quando si è così giovani..”
Primo avvertimento che non avrei vinto, troppo piccola e sensibile. Non smisi di sorridere, ma abbassai lo sguardo, ci stavo facendo un’orribile figura.
“Che brano ci proponi stasera?”
“You give love a bad name dei Bon Jovi”
Questo lo seppi dire. Qualcuno nella folla applaudì urlando. Grazie Rocker.
“Prego..”
La band che ci avevano dato a disposizione per suonare le canzoni cominciò, le luci scesero, ed io iniziai a cantare. Ritrovai immediatamente la grinta di cui avevo bisogno per intonare quel pezzo. Appena cominciai il primo ritornello, Axl alzò lo sguardo da sotto gli occhiali da sole e iniziò a prestarmi attenzione.
Finii la canzone, il secondo passaggio dell’esibizione consisteva nel cantare un altro brano proposto sul momento dalla giuria, se lo conoscevi lo cantavi, se no te ne proponevano un altro, ma togliendoti punti utili per la vittoria.

Bene, bene, bene. Splendido direi. Pagato profumatamente per fare questo lavoro del cazzo, e guarda un po’ cosa mi ritrovo davanti. Insomma, effettivamente, non so cos’abbia di così particolare, ha una voce fuori di testa è vero, ma se cercassi troverei di sicuro persone più brave, eppure..
Cosa? No, dai , illuminami. Eppure cosa? E’ una brava bambolina, tutto qui!
No, è una ragazza. Ed è anche molto bella.
Finiscila!
Ma la sua voce e.. sono gli occhi, sono gli occhi quell’eppure.
Hai bevuto troppo. Questa ragazza è per te come la musica dei Pink Floyd dopo una pasticca di LSD. Ti sembra solo meglio di quello che non è..
Se solo avessi modo di provare a capirla di più.. Un modo per metterla alla prova.
Oh, ma che cazzo ci faccio in questa giuria. Soldi, mi faccio sempre ingannare dai soldi, non ho nessuna voce in capitolo qui. Ma se non avessi accettato non avrei.. Sentito la sua voce.. E ora.. Basta, ora ci divertiamo un po’. Fottiamo il sistema.


Uno dei giudici prese la parola sorridendo sicuro:
“Benissimo, Minerva, la prossima canzone che vorremmo che tu cantassi è..”
“Civil War, Guns N’ Roses.”
Axl si era avvicinato al microfono ed aveva parlato con una fermezza spiazzante.
Il pubblico si voltò verso di lui, con espressione stupita, stessa cosa fecero gli altri giudici.
Ma lui continuava a guardare me. Il giudice che aveva parlato per primo riprese la parola ridendo forzatamente:
“Signor Rose, i brani per i concorrenti sono decisioni prese da..”
“Le canzoni vengono scelte in base alla loro voce, credo che Civil War sia perfetta. Vai bimba, comincia.”
Il forte accento americano, i modi scortesi con cui aveva interrotto il giudice al centro del tavolo, quel nomignolo, bimba e la canzone, tutto mi aveva lasciato spiazzata. Civil War era uno degli ultimi brani dei Guns, uscita come singolo nel giugno del 1990, estratto dal loro nuovo album che sarebbe uscito a settembre di quell’anno.
“Minerva, perdonaci, ora risolveremo..”
“Io so la canzone. La canto. Va bene, per me.”
Avevo trovato il coraggio per reagire. Non potevo sprecare quell’occasione.
I giudici si guardarono, Axl continuava a fissarmi, avrei voluto guardarlo negli occhi, ma non ci riuscii.  Dopo qualche minuto di attesa, Axl si riavvicinò al microfono.
“Quanto altro ci vorrà? Anch'io sono un giudice! Cominciate a suonare Civil War e non parliamone più..”
Sembrava stufo: gli altri giurati si diedero un’ultima occhiata e alla fine sospirarono e annuirono.
Lui, sembrò soddisfatto e si riappoggiò allo schienale della poltrona.

Cantai Civil War quasi meglio dell’altra canzone, intravidi gli occhi di Axl rimanere puntati su di me, sorrideva. O forse me lo stavo solo immaginando. Non capivo più nulla.
Era bellissimo, tutte quelle persone mi stavano ascoltando.
Finita anche questa performance ascoltai i verdetti, i primi tre giudici più o meno dissero la stessa cosa: “Hai una voce veramente potente, forte, che ascolterei per ore, riesci a trasmettere grandi cose, ma.. Sei giovane, puoi migliorare ancora, diventare più brava, tornerai quando sarai sicura e pronta per vincere”
Prevedibili.
Fu la volta di Axl:
“Non capisco. Questa ragazza ha una voce incredibile, ed è piccola.. Quanti anni ha scusa? Diciassette? E questo non le dà ancora più.. merito, si dice? Ok, quindi, bimba, non ascoltarli, davvero.. Se migliori da come sei adesso, diventi Aretha Franklin..”
I giudici fulminarono Axl, ma il pubblico si alzò in piedi ed applaudì. Mi fecero un cenno veloce da dietro alle quinte: la situazione non si stava evolvendo come avrebbero voluto, quindi tornai nel backstage.
Mi chiusi nel camerino. Non me ne fregava niente di niente della mia esibizione, del fatto che non avrei mai vinto. Axl aveva detto che cantavo bene, cazzo. L’aveva detto sul serio. Axl Rose. Dio.
Sentii bussare alla porta, dopo non so quanto tempo in cui ero rimasta a fissare il soffitto sorridendo e ripensando alle sue parole. Ogni tanto avevo sentito qualcosa dal presentatore della serata, probabilmente, erano giunti alla pausa che precede il verdetto finale. Ancora seduta a dondolare su quella sedia girevole, risposi tranquilla, pensando che si trattassero dei miei genitori.
“Si?”
“Posso entrare, bimba?”
Mi alzai di scatto. Quella voce.. Non sarà che.. Aprii la porta. Me lo ritrovai davanti a pochi centimetri di distanza, la mia altezza mi costringeva a guardarlo dal basso, la mia fronte arrivava al suo mento.
Axl entrò. Si sedette sulla poltrona in cui prima mi ero accomodata io e appoggiò la sua fedele bottiglia sul pavimento.
“Ciao”
Sì, era nel mio camerino, si era messo comodo e mi aveva appena salutato. Avrei dovuto ringraziarlo per quello che aveva detto dopo la mia esibizione, dirgli quanto amavo lui e le sue canzoni, quanto i Guns fossero il mio gruppo preferito, ma me ne uscii semplicemente con un sorriso imbarazzato, senza nemmeno ricambiare quel saluto, troppo emozionata per reagire diversamente.
Si tolse gli occhiali, finalmente riuscii a guardargli quegli occhi verde chiarissimo da vicino. Non riuscivo a smettere di sorridere.
Parlò lentamente, cercando di fare meno errori possibili in quella lingua per lui così diversa.
“Mi dispiace che non hai vinto”
“Ah, beh, non..”
“Tu hai tanto talento, più di tutti quegli altri.”
Di nuovo sorrisi, incapace di rispondere. Lui si chinò e raccolse la sua bottiglia, bevve l’ultimo sorso, poi ne guardò il contenuto controluce e fece una smorfia quando si accorse che era vuota.
“Sai cosa? Ti voglio con me.”
“In.. in che senso?”
“Vieni con me. Los Angeles. No?”
Risi, forzatamente, pensavo fosse una battuta, ma lui mi guardò, era serio.
“Senti, ti impari l’inglese e ti insegno qualcosa, un anno e poi ti lascio andare: famosa, superstar, rockstar. Prodotta da me. Io ci guadagno soldi, tu ci guadagni fama, mi pubblicizzi un po’ la band e io ti mando a calci in culo nel mondo della musica.”
Rimasi senza fiato. Ma cosa stava succedendo? Era tutto così fuori luogo. Perché Axl non era con gli altri giurati a decidere il vincitore? Perché era nel mio camerino a farmi proposte folli?
“Senza parole, bambolina?”
Annuii sconcertata:
“Signor Rose, posso chiederle una cosa?”
“Certo, bimba, quello che vuoi, ma chiamami Axl”
“Lei.. è ubriaco, vero?”
Mi sorrise, un sorriso storto, ma il suo sguardo era buono.
“Tesoro, dovrai imparare una cosa:
io sono sempre ubriaco.”

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Capitolo 3
*** Settembre, 1991 “Guns N’ Roses – Paradise City” ***


1991,  Settembre “Guns N’ Roses – Paradise City”
 
“Vai via sul serio?”
“Manca ancora un sacco di tempo..”
“Sono solo tre mesi.”
“Se usi questo tono sembrano pochi.”
“Quando torni?”
“Non lo so”
Mi abbracciò, forte. Non mi aveva mai abbracciato. Sorrisi.
Dopo un po’ lo lasciai, ma la sua mano continuava a stringere la mia.
Mi stavo guardando i piedi, era diverso dal solito.
Prese un respiro, profondo, forse esagerato.
“Minnie?”
Questa volta lo guardai dritto negli occhi
“Cosa?”
Mi attirò di nuovo a sé, le sue labbra si appoggiarono sulle mie, in un bacio completamente inaspettato. Perché adesso? Perché ora?  Mi piaceva dalla prima superiore, come poteva essersene accorto così tardi. Finimmo in un altro abbraccio, iniziò a parlare, piano, dolcemente, come se avesse paura di rompermi.
“Non andartene,  resta con me, almeno in questi tre mesi, poi, quando dovrai partire, io.. ti aspetterò” Stretta a lui, mi sentii protetta, annuii.
Michele era il mio migliore amico da quando lo conobbi per caso nell’estate tra la terza media e la prima liceo. Lo riconobbi subito come un ragazzo simile a me nella diversità e nel criticare costantemente la società in cui ci trovavamo. Adoravo il suo modo di fare, il suo sguardo pulito, lo volevo così tanto con me da sognarlo anche la notte: immaginavo la nostra storia come il più bel romanzo rosa esistente. Ma non glielo dissi mai. Mai. Forse, se lo avessi fatto, avremmo evitato di vivere quella storia adolescenziale soltanto per tre mesi.  Era tutto sereno: passavamo insieme quasi tutti i pomeriggi, ogni tanto mi stringeva a sé, forte. Tutto quello che volevamo evitare era pensare a quando, a dicembre, sarei dovuta andare via.
Era un amore semplice, di quelli che probabilmente sarebbero cresciuti, tanto. Chissà, forse se Axl non fosse entrato nella mia vita, mi sarei sposata con lui, avremmo comprato casa, avuto dei figli, un cane, un lavoro stabile, uno stipendio. Ma niente musica, niente successo, solo semplicità. Troppa semplicità, banale. Quella vita che tante ragazze avrebbero considerato come il futuro perfetto, per me, non era abbastanza. Per me mai niente era abbastanza: non mi bastava la vita che avevo, l’amicizia, nemmeno l’amore. Volevo il massimo, volevo il cielo, volevo tutto, ma più di ogni altra cosa, volevo che il resto del mondo si ricordasse per sempre di me. La fama. Doveva essere mia. Pensieri egoisti come questi mi impedivano di essere felice per le piccole cose.
Non mi accontentavo di nulla.
Per quanto il periodo che passai con Michele fu dolce, pieno di quell’affetto sincero che solo due ragazzi possono provare l’uno per l’altra, quando mi resi conto che alla fine dell’anno dovevo partire, anziché dispiacermi per quella che sarebbe stata la fine della nostra storia, non riuscivo a contenere l’irrefrenabile desiderio di andarmene da quella cittadina che non mi aveva mai dato nulla a sufficienza.
Ad agosto di quell’anno, trascorsi tre settimane in Inghilterra per imparare la lingua, che dopo soggiorni esclusivamente trascorsi presso famiglie londinesi, parlavo e capivo perfettamente. 
Mia madre, inizialmente, prese malissimo la proposta di Axl, fummo io e mio padre a convincerla. Quando Axl parlò ai miei della sua idea la tensione era alle stelle, anche perché loro sapevano ormai benissimo a cosa stavano andando incontro. Mamma credeva fosse uno scherzo: l’idea che la sua bambina se ne andasse di là dall’oceano con delle rockstar ubriache non la sfiorava nemmeno. Fortunatamente, avevo papà che mi supportava: esperto nel campo della musica, si rendeva conto molto meglio di lei che l’opportunità che mi era stata data era qualcosa di totalmente incredibile, che bisognava accettare al volo. Quello che, però, alla fine,  riuscì a smuovere mia madre fu una lettera che le lasciai a metà luglio sul comodino, come le bambine piccole, che non hanno il coraggio di parlare apertamente alla mamma e quindi le scrivono dei bigliettini.
Cercando tra varie scartoffie e ricordi, sono riuscita a trovare la malacopia di quella lettera, che ora ricopierò qui, per quanto imbarazzante possa essere:

“Ciao Mamma
Voglio essere sincera, non so che cosa prova una madre verso una figlia, e credo che non lo saprò fino a quando io stessa non diventerò come te, ma posso immaginare come debba sembrare ridicola per te l’idea di abbandonarmi a chilometri di distanza, in una metropoli grande, che sta vivendo in questo periodo la più deliberata sregolatezza. Una città drogata di erba, di fumo e di Rock N’ Roll. E’ osceno pensarci, è assurdo anche solo poter credere che per un anno non mi rivedrai perché sarò affidata ad un uomo che conosci solo per via dei poster appesi ovunque nella mia camera. Il problema è che, per me, questa nuova vita che mi è stata proposta, è un sogno. E’ il sogno in cui spero da quando ero bambina. L’idea di passare tra folle adoranti di ragazzi che sono stati fermi ad aspettare ore solo per incontrarmi. Tu lo sapevi, te lo dicevo così tanto spesso, ti dicevo che se non sarei riuscita ad avverare il mio sogno non sarei mai stata felice, e tu mi dovevi riuscire a distogliere da questo chiodo fisso, perché nessuno, nessuno di noi pensava che davvero mi si sarebbe presentata l’occasione di farcela. Ma si è presentata, e noi la vogliamo buttare al vento. Vogliamo perdere il treno del mio futuro perfetto anche se questo si è fermato proprio di fronte a me, con le porte aperte. Paura? Paura di un cambiamento certo, ma non si può, mamma non si può. Non ce la farei a crescere con il ricordo di quando ho dovuto evitare la vita che avrei sognato. Sarebbe un pentimento completo, non solo mio, di tutta la famiglia, perché ne sono sicura, ne sono sicura che se io andrò con Axl, allora riuscirò a diventare qualcuno. Ti prego lo so che è difficile, ma ascoltami. Ascoltami perché si parla di quello che ho sempre desiderato. E ora è qui.
Io sono pronta. E tu?
Per sempre tua,

Minnie”

Mamma era entrata nella mia camera poco dopo, con il biglietto in mano e la fronte corrucciata:
“Minnie non.. Non puoi pretendere da me.. Un sacrificio come questo...”
La guardai, in quel momento pensai che fosse tutto finito. Ok, sarei restata a casa, non potevo permettermi di far soffrire mia madre. Restai in silenzio, annuii.
“Tesoro, mi capisci, vero? E’ troppo pericoloso..”
“Non voglio chiederti niente.. In fondo è una tua decisione, non posso pretendere nulla.. Volevo.. Solo ricordarti quanto questa cosa fosse importante per me..”
“Oh, lo so.. E’ per questo che mi sento in colpa.. Non potrei mai, mai distruggere il tuo desiderio più grande.. Io.. Minnie tu davvero, se potessi, prenderesti un aereo e ti trasferiresti a Los Angeles? Lontano da casa, dai tuoi amici, dalla tua famiglia.. Da me?”
La guardai, era una domanda sincera, mamma non era ancora convinta, nessuno era convinto di niente, in realtà. Ma io..
“Sì”
“Come hai detto?”
“Io.. ho detto.. Sì. Voglio andare. Voglio farlo. Quella è la mia vita..”
La vedevo, soffriva così tanto, ma alla fine pronunciò una sola sillaba.
“Va’..”
“Cosa?”
“Vai, Minnie. Non posso.. Non posso permettere a me e a nessun altro di fermarti.. Sei bella, sei giovane, sei così brava.. Il tuo posto non è qui e io devo accettarlo..”
Aveva gli occhi lucidi, ma sorrideva, timidamente, la sua voce era flebile, ma ferma.
Ricorderò per sempre il suo sguardo, occhi che avevano capito, occhi che soffrivano, ma che sapevano di essere impotenti davanti a quello che sarebbe successo.
“Mamma, sul serio, va bene anche così, non voglio che tu stia male per questo..”
“Ti ho detto di andare.. Promettimi solo..”
“Qualsiasi cosa, mamma”
Ero felice, ce l’avevo fatta, ma non riuscivo a sorridere, non davanti alla sua espressione triste. Mamma era sempre stata una donna forte, che aveva cresciuto nove figli, che si era sposata a diciannove anni e che, da allora, era sempre riuscita a lottare per avere una vita dignitosa davanti ai pregiudizi degli altri. Un amore fermo per suo marito che la spingeva a lavorare sempre per tutti noi senza chiedere nulla in cambio. Era una donna meravigliosa, che non mostrava mai la sua stanchezza, sensazione che sostituiva con un sorriso. Ora, però, la vedevo abbattuta, sconfitta, rassegnata. Un’espressione simile l’avevo vista solo quando Jack, secondogenito, virtuoso del violino, era partito per l’Inghilterra qualche mese prima, per un conservatorio adatto al suo talento. Anche lui, come me, avrebbe passato lontano da casa moltissimo tempo e sarebbe tornato in Italia solamente per le vacanze. Sapevo anche, però, che Jack era grande, aveva ventuno anni, non diciassette.
“Mi devi telefonare tutte le settimane e te ne freghi dei soldi che spendi”
 “Promesso”
“Natale lo passi qui, sia questo che il prossimo, almeno Natale”
La nostra famiglia teneva moltissimo al Natale, era considerato un po’ come il giorno in cui tutti lasciavano i propri impegni da parte e si ritrovavano insieme, c’eravamo promessi che questa tradizione sarebbe rimasta anche con il passare degli anni, quando tutti noi avremmo avuto lavoro, figli e un cane.
“Promesso”
“E, Minnie..”
“Cosa?”
“Promettimi che non farai niente.. Non fare cose che sapresti che non mi piacerebbero. Lo so che sarai in un ambiente diverso.. e che.. magari ti sentirai in dovere di fare delle cose per.. per sentirti accettata.. ma.”
Era piuttosto impacciata a parlare di certi argomenti, le risparmiai la fatica di proseguire il discorso prima che potesse diventare imbarazzante.
“Ho capito, niente sesso e droga, solo Rock N’ Roll”
Mamma sorrise timidamente e, troppo commossa per rimproverarmi delle parole inadeguate che mi erano uscite di bocca, mi abbracciò.
Obbiettivo raggiunto, partenza fissata per l’1 gennaio 1992, ritorno, 25 dicembre 1992.

Axl, durante il dicembre del ‘91, ogni tanto si presentava da noi, mi faceva fare qualche esercizio di canto e poi mi faceva dialogare in inglese per vedere come andava. Diciamo che se riuscivo a capire il suo modo di esprimersi, considerato dai giornalisti il parlato più incomprensibile di tutti gli States, allora ero pronta. Lui odiava le interviste, e il mondo dello spettacolo lo sapeva bene. In tutta la sua carriera ne avrà fatte massimo una decina. Le detestava. E i giornalisti, così detestavano lui: Axl non faceva interviste? Ottimo, e noi tabloid gli tiriamo della merda addosso. Così funzionava. Ma non era colpa sua: da quando il suo accento dell’Indiana era diventato uno spunto per essere preso di mira, aveva deciso che era meglio parlare poco, soprattutto con i giornalisti.

Axl era nato a Lafayette, in Indiana, da una madre piuttosto ininfluente e da un padre di cui, inizialmente, non conosceva neppure il nome. Fu cresciuto da lei e dal suo patrigno, Stephen Bailey, un pastore protestante che istruiva i propri figli a suon di cinghiate e passi del vecchio testamento. Axl crebbe con i suoi due fratellastri minori, Stuart ed Amy, e, solo a diciassette anni, scoprì che Stephen non era che un patrigno. Quando chiese spiegazioni, riuscì a conoscere solo il cognome del vero padre: Rose. I rapporti con la famiglia, intanto, andavano sempre peggio, tant’è che alla stessa età fu sbattuto fuori casa. A scuola, di certo, il clima non era migliore: era un ragazzino solo, con una strettissima cerchia di amici, una reputazione da ragazzo disturbato e pericoloso, i capelli lunghi, le spalle ricurve e le gambe troppo esili. La prima ed unica persona che gli mostrò un po’ di vero affetto fu un certo Jeffrey Dean Isbell, che, con il passare degli anni, cambiò nome in Izzy Stradlin e divenne chitarrista dei futuri Guns N’ Roses. Izzy era tutto il contrario di Axl: spacciava erba, aveva il suo solito seguito di ragazze osannanti ed era considerato come il classico ragazzaccio ribelle amato da chiunque. Eppure, nonostante la popolarità, aveva scelto Axl, che allora si chiamava ancora William Bruce Bailey, come suo nuovo amico: passò il resto del periodo scolastico a proteggerlo, ad aiutarlo, a supportarlo, e, quando alla fine del liceo gli disse che sarebbe partito per Los Angeles, lui aspettò pochi mesi, e poi lo seguì. Aveva diciotto anni e lo fece attraversando metà America a piedi e con qualche autostop, rischiando di incontrare tutte le volte persone mal intenzionate. Anche quando riuscì ad arrivare, le cose non andarono meglio: si ritrovò circondato da spacciatori e stupratori, che volevano approfittarsi di un ragazzino fragile, con le sembianze piuttosto femminili, forse gay. Spaventato dall’accoglienza della nuova città, era tornato indietro molte volte prima di stabilirsi definitivamente a Los Angeles, e, quando lo fece, nel 1985, fu grazie alla sua ragazza dell’epoca, Gina Sailer, che lo accompagnò.
Dopo aver rincontrato Izzy, iniziò a mobilitare in molti gruppi, fino a quando non nacque l’originale formazione di quella band chiamata Guns N’ Roses, nome nato dal cognome di Axl e da quello del primo chitarrista del gruppo, Tracii Guns, che fu poi sostituito da Slash. Steven Adler alla batteria, Duff Mckagan al basso, Izzy Stradlin alla chitarra ritmica, Slash a quella solista e W. Axl Rose alla voce, che, appena trasferitosi a Los Angeles, aveva scelto questo nome per diventare una leggenda. Nonostante nell’87 venne pubblicato il loro primo album e il successo li travolse, di problemi ce n’erano, e anche tanti: i Guns erano considerati cinque ragazzacci con cui era meglio avere il meno possibile a che fare, squilibrati, violenti, alcolizzati e imbottiti di eroina. Lo stesso Axl, dopo un periodo di dipendenza, si era disintossicato, pretendendo che anche gli altri componenti facessero lo stesso, senza, però, mai riuscire ad essere ascoltato. Se non era la droga il punto debole del cantante, allora qual’era? Gravi difficoltà psichiche: aveva dei violenti attacchi d’ira, che capii solo quando potei osservarlo da vicino. Si trasformava in un altro, si comportava come un animale, come un mostro, come un malato mentale, e, poi, dopo anche solo pochi minuti, si calmava e scoppiava a piangere per la sua mancanza di autocontrollo. Questi problemi lo portarono ad isolarsi e a cercare una psicoanalista che gli serviva anche per capire un suo altro problema: un odio represso per le donne, che cambiò solo con la relazione con Gina e, successivamente, con Erin Everly.
Erin era una bellissima ragazza che Axl amò più della sua stessa vita in un periodo che andò dal 1986 al 1990. Lei e Axl si erano anche sposati, dopo che lui si era puntato una pistola alla testa chiedendo la sua mano: “O mi sposi, o mi ammazzo.”, lei accettò e dopo pochi mesi chiesero il divorzio. La canzone Sweet Child O’Mine, forse la più bella e famosa canzone del gruppo, è una poesia scritta da Axl per lei, in cui fa trapelare l’impossibile amore fra i due, che, amandosi alla follia, non riuscivano a stare né insieme, né lontani. Quando si lasciarono, Axl iniziò ad avere una relazione con Stephanie Seymour, una famosa supermodella: bella, carismatica, innamorata. I due si erano messi insieme nel 1990 e sembrava che non si dovessero lasciare mai più.

Ad ogni modo Axl era molto più cortese di come tutta la famiglia pensasse: entrava in casa, salutava i miei, a volte fermandosi anche a parlare con mio padre, che era molto interessato a capire come funzionasse il mercato della musica in America, faceva un cenno a qualche mio fratello che incrociava per i corridoi, entrava in camera mia, appoggiava la sua bottiglia sulla scrivania e iniziavamo a provare, con molta professionalità. Mi resi conto subito che era molto diverso da come veniva descritto in TV o sui giornali. Era una persona semplice, non un ribelle. Forse voleva sembrarlo, e agli occhi dei media c’era riuscito, ma non ai miei.

Quel giorno di metà dicembre, mi pare fosse il 16, stavamo insieme nella mia camera, a fare esercizi.
“Di nuovo.”
“Ti ho già detto che non ci riesco.”
Stava con le mani sul pianoforte, mentre cercava di farmi intonare una nota che non avevo mai raggiunto.
“Ti manca la sicurezza, nient’altro.”
“Sono molto sicura di me, invece..”
Lui scosse la testa, quasi con un’espressione delusa:
“Forse, mi sono sbagliato: sei troppo timida per diventare una Rockstar..”
Questa frase mi irritò ulteriormente, forse suo obiettivo dall’inizio, ma se voleva delle dimostrazioni di carattere, gliele avrei date. Mi parai di fronte a lui con le mani sui fianchi ed un’espressione di sfida sul volto:
“Dimmi cosa devo fare”

Ora si ragiona! Potere! Ora ho del fottuto potere in mano. Perché non divertirsi un po’?
Dio, Allora ha ragione la mia analista! Sono fuori di testa. Non posso sfruttare le persone. Non si fa così. Però.. Insomma, sono il suo insegnante.. Posso.. chiederle tutto quello che mi sembra.. utile.. Mi sento sadico, ma non voglio esagerare, solo.. Solo.. Vedere se questa ragazzina ha effettivamente le palle.. Minnie.
Minnie è un bel nome. Lei è bella. Oh, Cristo, devo smetterla. Ha diciassette anni! Ma..


Axl sorrise con aria assorta, un po’ preoccupante, forse.
“Prova a fare questo esercizio, vediamo se hai il coraggio a sufficienza. Pronta?”
Mi sembrava troppo divertito, non capivo che razza di esercizio potesse entusiasmarlo così tanto, ma ostentai sicurezza, per fargli cambiare opinione su di me.
“Certo.”
“Dammi un bacio e intanto guardami.”
Il mio cuore ebbe un sussulto.
“Come scusa?!”
“Hai capito bene!”
Mi tirai indietro:
“Beh, non posso farlo..”
“Ah no? E perché? E’ solo un esercizio, il tuo ragazzo carino non deve preoccuparsi.”
Rideva, non voleva aiutarmi, voleva solo divertirsi un po’ con me. Mi stavo innervosendo.
“Allora bambolina?”
Non era giusto, non funzionava così, ma più tempo gli avrei fatto aspettare, più lui avrebbe pensato che non avessi avuto abbastanza coraggio. Io avevo coraggio. Certo che ne avevo. Giusto?
Mi avvicinai al suo viso, con le braccia lungo i fianchi e i pugni serrati. Chiusi gli occhi e gli stampai un bacio sulle labbra. Quello era solo un esercizio, l’aveva detto lui. Era una lezione, una pura lezione. Ma quel contatto, lui, stavo.. baciando Axl Rose?!
Sentii la sua mano sfiorarmi le palpebre, voleva che aprissi gli occhi.
Lo feci, e mi ritrovai vicinissima ai suoi, di quell’indefinibile  color verde acqua, occhi che sorridevano. Mi allontanai, di scatto, guardando per terra.
Mi guardò divertito.
“Mh, puoi migliorare..”
“Non rompere.”
Scoppiò a ridere, di gusto, cosa c’era di così divertente? Non lo sapevo, ma risi anch’io, mentre mi fissavo insistentemente i piedi per nascondergli il viso che ormai mi era diventato di un rosso simile ai suoi capelli. Per distrarlo dalla situazione, che continuava a divertirlo molto, volli cambiare discorso, chiedendogli, esattamente, che cosa mi aspettasse di là dall’oceano.
 “La giungla” disse lui con il sorriso ancora sul viso.
Risi. I Guns N’ Roses avevano definito Los Angeles così nella prima loro canzone che avevo sentito per radio nell’87.
“No, seriamente.. Io vivo a Malibù, è una cittadina nella periferia della contea, sul mare, e, in realtà, è un posto tranquillo.. E’ il centro che è un casino. Il centro è la giungla. E soprattutto le stazioni. Cazzo, lì devi stare attenta. E non girare di notte, bimba, davvero, non farlo..”
“Mi stai preoccupando” dissi sorridendo, ma, in realtà, stavo iniziando veramente a convincermi che la Città degli Angeli non fosse il paradiso che tutti descrivevano.
“Ascoltami, ci sono tre tipi di persone a Los Angeles: gli attori, le rockstar e gli altri cittadini annoiati che rincorrono le prime due categorie ascoltandosi un buon concerto o guardandosi la prima di un film. Gli attori sono degli stronzi, ma sono innocui, invadono Hollywood e si sentono degli dei in terra, ti guardano dall’alto e girano solo con un sorrisetto viziato in faccia. Le rockstar, che saremmo noi, sono i ribelli ubriachi e strafatti che incontrerai soprattutto nei locali del centro. Stanno lì a suonare, a bere oppure a fare a pugni con qualche figlio di puttana. Sai, anche se gli attori fingono di considerarci merda in realtà veniamo stimati da tutti, perché, andiamo, ci scopiamo dalle due alle cinque tipe a serata.. E poi ci sono gli altri, che ti dirò, sono i più pericolosi di tutti..”
“Perché?” Lo ascoltavo come se fosse diventato il mio nuovo profeta.
“Perché in mezzo ci puoi trovare di tutto bambolina, dagli spacciatori ai serial killer, dai ladri agli stupratori. Sono negri, gay, fuori di testa e mai completamente sobri, e spesso ti offrono della roba che ti manda al creatore in meno di tre minuti. Dillo a Steve e a Slash, loro lo sanno meglio di me, ci sono cresciuti in quella merda di città. Io, invece, personalmente, ci sono arrivato con uno zaino sulle spalle, una bomboletta spray per autodifesa in una mano e una spranga nell’altra”
“Steven Adler e Slash?” Lo guardai, era incredibile sentir parlare il mio più grande idolo di altri due miei eroi come se fossero state le persone più comuni del mondo.
“Ehi, dovrai farci l’abitudine, o finirai per svenirgli davanti quando li incontrerai.”
Non riuscivo a smetterla di sorridere, non vedevo l’ora di partire, volevo farlo subito, prendere un aereo e non tornare mai più.
“La mia descrizione di quello schifo di posto non ti è bastata? Non entusiasmarti troppo bimba, potresti finire male sul serio se non stai attenta, ricordalo”
Mi stava innervosendo, voleva invitarmi nella città dei sogni o farmi cambiare idea?
“Axl, davvero, se la odi tanto perché ci vivi?”
D’improvviso cambiò espressione, sorrise, gli occhi sognanti: la giudicava tanto, ne parlava male, ma in realtà si vedeva che ne sentiva terribilmente la mancanza. Bevve una sorsata di Jack Daniel’s.
“Perché per quanto sia una giungla, per una tigre è casa.”.
 

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Capitolo 4
*** Gennaio, 1992 “Guns N’ Roses – Welcome to the Jungle” ***


1992, Gennaio “Guns N’ Roses – Welcome to the Jungle”


Mi alzai dal letto a malincuore: vita diversa, città diversa, eppure la scuola continuava a tormentarmi, per volere di mia madre
Axl e Stephanie dormivano ancora: a volte, mi sentivo un’intrusa, ma, in fondo,erano stati loro a proporre di ospitarmi, io avevo solo accettato. Volendomi preparare una veloce colazione, entrai in cucina: sul tavolo erano rimaste, probabilmente dalla sera prima, qualche lattina di birra e due bottiglie di vodka, una pozzanghera di alcol sul pavimento e i tappi sparsi per il tavolo ancora bagnato. Con poche manovre buttai i vetri nel bidone, stesi della carta per asciugare per terra e passai il tavolo con una spugna, il tutto con i pantaloni ancora sbottonati e la felpa mezza aperta. Era così quasi tutte le mattine: trovavo un casino, pulivo, mangiavo qualcosa che assomigliasse a dei biscotti e poi riuscivo a prendere il tram dieci secondi prima che partisse. La scuola che frequentavo non era lontana, si raggiungeva benissimo in dieci minuti con l’autobus, ed era un istituto privato, in cui avevo ricominciato i miei studi dalla quarta superiore. Uscendo di casa, feci attenzione a chiudere piano la porta, per non svegliare nessuno, e scesi in strada. L’aria era gelida, a ogni mio respiro una nuvoletta di vapore si alzava nell’aria per poi rimanermi davanti al viso.  Arrivai alla fermata prima del solito. Stavo congelando. Mi guardai attorno: Axl aveva promesso che mi avrebbe portato nel centro di Los Angeles per mostrarmi la vera bellezza della città, che, in periferia, non era così speciale, ma in quel periodo era tanto occupato con Steph da non considerarmi tanto. Avrei anche voluto conoscere gli altri Guns, ma lui continuava a ripetere “Tutto a suo tempo”. 
I momenti peggiori, comunque, erano quando lui e Steph litigavano: lei urlava come un’isterica, mentre lui, mantenendo un tono calmo, riusciva a ribattere tenendole sempre testa e facendola arrivare alle lacrime tutte le volte. In quelle occasioni mi chiudevo in camera, e ricominciavo a suonare il pianoforte così come mi aveva insegnato Axl. Premevo forte sui tasti, forse troppo, ma volevo tenere alto il volume per non sentire le loro grida. Per fortuna, o forse sfortuna per loro, questo supplizio durò solo le prime due settimane che passai a Malibù, dopodiché, lei fece le valige e se ne andò. 
Alla mattina io andavo a scuola e tornavo per pranzo, che ci preparava una donna anziana che lui aveva assunto come cuoca: si chiamava Billie, come Billie Holiday, ed era un po’ una nonna per me, che si dimostrò tale sin dai primi giorni che trascorsi in quell’enorme villa. 
Ax, la maggior parte delle volte, passava la mattinata a dormire, toccava a me svegliarlo bussando rumorosamente alla sua porta, fino a quando non lo sentivo grugnire e smettere di russare. Poi pranzavamo insieme, lui mi chiedeva come andavano gli esercizi e magari, se era abbastanza sveglio, mi raccontava della sua serata. Il pomeriggio, per me, iniziava facendo i compiti per la scuola, mentre lui andava a provare con i ragazzi, tornava verso sera, ed erano quelli i momenti in cui lui diventava il mio insegnante. Dopo cena, verso le undici,quando io mi ero ormai addormentata, lui usciva. Non sapevo dove andasse di preciso, ma tornava verso le quattro di mattina, con due o tre ragazze con cui fare baldoria durante la notte restante. Queste giornate, ovviamente, non si riferiscono alle settimane in cui stava ancora con Stephanie: allora giravano sempre insieme, con la differenza che, mentre lui alla mattina dormiva, lei si svegliava di buon ora e andava a fare un giro o qualche nuovo servizio fotografico. 
Ad ogni modo, quando se ne andò, non fu per niente piacevole. 
Successe, appunto, dopo circa due settimane dal mio arrivo. 
Ero appena tornata da scuola, e come al solito, avevo bussato alla porta di Axl. 
Niente. 
Preoccupata, abbassai leggermente la maniglia per capire se era chiusa a chiave. La porta si aprì. Mi affacciai dentro al buio delle camera e mi avvicinai alla finestra, aprendo le tende scure. Axl era steso senza coperte, a pancia in giù, con i capelli sudati e addosso solo dei boxer.
Lui dormiva e io ero nella sua camera: il mio istinto da adolescente curiosa prevalse, e iniziai a curiosare tra le sue cose, aprendo l’armadio. Sei giacche di pelle diverse, e tutte estremamente costose, perfettamente abbinate con altrettanti pantaloni. Sul fondo dell’armadio, due paia di stivali alti, qualche cintura borchiata, delle scarpe da ginnastica e una pila di magliette. Qualche giacca da sera, jeans, e un set di cappellini da baseball. Aprii un altro armadio, vuoto. Dove teneva la sua roba Steph? 
Capii che qualcosa non andava, mi avvicinai ad Axl e, imbarazzata, lo scossi un poco per svegliarlo.
“Che cazzo fai..”
“Dov’è Stephanie?”
Aprì gli occhi di scatto. Si alzò a sedere lentamente, mi guardò.
“Perché?”
Gli indicai gli armadi. Scese dal letto, barcollò un poco e iniziò a vagare come un disperato per casa, con il petto nudo e i piedi scalzi. Tornò da me, passandosi una mano tra i lunghi capelli, lo sguardo preoccupato.
“L’hai vista che usciva stamattina?”
“No, pensavo restasse con te”
Afferrò il telefono e si chiuse in bagno componendo un numero. Intanto Billie mi chiamò per andare a prendere il pranzo al piano di sotto. Corsi giù per le scale e risalii in casa con il cuore che batteva a mille. Rientrata nell’enorme appartamento trovai Axl seduto per terra, appoggiato allo stipite della porta con una mano sulla fronte e l’altra serrata a pugno sul pavimento.
“Ehi.. dai.. Alzati di lì..”
Mi sedetti di fronte a lui, alzò lo sguardo, provai a sorridergli.
“Lascia stare Bambolina. E’ andata via.”
“Magari ha solo avuto un imprevisto, non pensare.. Insomma..”
“Ieri sera abbiamo litigato e sono uscito sbattendole la porta in faccia. E’ andata via e basta.”
“E quando sei tornato stanotte lei non c’era?”
“Ma che cazzo vuoi che mi ricordi..”
Momenti di imbarazzante silenzio
“Posso fare qualcosa per te, Axl?”
“Lasciami in pace, ti va?”
Si alzò d’improvviso e si chiuse in camera. Speravo di poter fare di più per lui, che mi stava dando tanto e mi sentivo anche tremendamente in colpa: forse non avrei dovuto curiosare nella sua camera, nei suoi armadi, ed essere io a farlo preoccupare per lei. 

Era appena iniziato il pomeriggio, ma il sole già minacciava di tramontare: la sua luce era all’altezza della mia finestra e illuminava la stanza come se Re Mida avesse sfiorato ogni sua singola parte. La luce mi rendeva serena, mi faceva sorridere, ma in quel momento era difficile. La giornata trascorse senza che lui si facesse vivo, nemmeno per la lezione, e questo mi preoccupò ulteriormente. Facendomi coraggio, entrai nella sua stanza, muovendomi piano.
Axl era lì, seduto immobile con le gambe incrociate sul letto ancora sfatto, gli occhi puntati verso il vuoto. Quando entrai, mi guardò per un istante, non sembrò né arrabbiato, né contento di vedermi, la sua espressione rimaste impassibile. 
“Scusa.. volevo solo.. sapere come stavi”
Lui rispose piano, pronunciando una sola parola, con la voce che tremava.
“Dylan.”
Mi spiazzò. Con un solo nome.

Dylan Thomas Andrews era il primo figlio di Steph, avuto nel 1990 dalla sua precedente relazione con un certo Tommy Andrews, chitarrista. Quando i due si erano lasciati e lei aveva iniziato a frequentare e poi a convivere con Axl, il bambino aveva seguito la madre. Non sapevo niente della relazione che lui avesse avuto con Dylan o con quest’idea di una vera e propria famiglia che si era andata a formare, durante la mia permanenza lì in quelle poche settimane, il bambino l’avevo visto poco, ma, quando pronunciò il suo nome, mi venne ovvio pensare che avevo sottovalutato il legame che c’era tra loro.
“Vedrai.. Beh, vedrai che lo.. lo potrai..”
Rialzò lo sguardo, questa volta innervosito, mi spaventai, cos’avevo detto di sbagliato?
“No Minnie, mi hai rotto le palle, tu e la tua solita speranza da bambina innocente! Non lo rivedrò! Così come non rivedrò Stephanie! Ma sai cosa? Non me ne frega un cazzo di quella sgualdrina, tanto lo sapevo che si faceva un altro da chissà quanto tempo. E poi lei non sarebbe mai stata.. lei.. lei non era..”
“Erin”
Lui si ammutolì e io mi morsi la lingua. Avevo parlato piano, ma aveva sentito e, in cinque secondi, mi resi conto che avrei dovuto tenere la bocca chiusa. Ma cosa mi era saltato in mente? Rinfacciargli la sua vita privata così come io l’avevo conosciuta da degli stupidi tabloid. Ma era stato così forte per me rispondere, fargli vedere che lo capivo, che sapevo, che lo conoscevo.
Cosa cazzo ha detto? No. Non può. Non può averlo fatto. Io.. Lei.. Erin.. Oddio no.. Ho bisogno.. di aiuto. Sto male. Come fai? Mi leggi nella mente Minnie? Chi cazzo sei? Sto male, ti prego smettila. Sto soffrendo lo vedi? Lo vedi bimba cos’hai fatto? Non sto bene! Non sono un tuo amico che vedi tutti i giorni e con cui puoi parlare apertamente di tutto! Sono malato! Sono fottutamente malato.. e.. non voglio che tu mi veda così. Non puoi vedermi.. Sto perdendo.. Sto perdendo contro il mio passato.. contro me stesso. Sto male. Aiutami. Erin, amore mio. Dove sei. Minnie ti odio, che cosa hai fatto. Io la amavo. Io la amo. Io amo Dylan. Dylan è mio figlio. Tu chi cazzo sei?..Amore mio..

I suoi occhi si fecero lucidi, ma potei notarli solo per pochi attimi, prima che si alzasse di scatto, prendesse dei vestiti e il telefono e uscisse di casa sbattendo la porta. 
Avevo sbagliato, non avrei dovuto nominarla. Avevo smesso di pensare, ma la sua reazione mi fece capire che quello che mi era uscito di bocca era lo stesso che avrebbe voluto dire lui. 
Erin e Axl si erano amati così tanto che era impossibile per lui dimenticarla. Lei era l’unica che era stata capace di capirlo, di rispettarlo, di amarlo a sufficienza, ma, allo stesso tempo, era troppo simile ad Axl. Lui non aveva bisogno di una donna simile a lui, perché se fossero rimasti insieme, come tali sarebbero affondati. Quello di cui aveva bisogno, era di una donna che diversa da lui avrebbe potuto cambiarlo, l’aveva cercata in Stephanie, ma senza trovarla. 

Dopo non so quanto tempo in cui rimasi a rimuginare tra i sensi di colpa, suonò il campanello. Era la prima volta che accadeva mentre Axl non era in casa. Mi spaventai. Nel dubbio, avevo fatto aspettare troppo tempo, e il campanello suonò una seconda volta. Finalmente, trovai il coraggio per avanzare velocemente verso la porta. Appoggiai un orecchio contro il legno dell’ingresso.
“Chi è?”
“Ehm.. Sono.. Michael.. Duff, mi fai entrare?”
Duff Mckagan? Bassista dei Guns N’ Roses? E chiede a me se può entrare. Aprii e mi ritrovai la bellezza di un ragazzo alto un metro e novanta, con i capelli ossigenati e gli occhi di un blu scuro, un bel sorriso sulle labbra che ad Axl non avevo mai visto.
“Incantato Bambolina. Finalmente, ci conosciamo, per quanto ancora Axl aveva in piano di tenerti segregata in casa?”
Mi limitai a sorridere.
Entrò in casa, senza aspettare un mio invito, e si mise a cercare qualcosa in cucina.
“Dove le tiene le birre quel figlio di puttana..”
Mi accorsi immediatamente che Duff aveva passato molto tempo in casa Rose e che, infatti, sapeva quasi perfettamente come muoversi.
Mi venne spontaneo di chiedergli, dopo che si fu aperto la bottiglia, più informazioni riguardo la sua visita.
“Cercavi Axl? Se n’è appena andato..”
“Ah, sì, lo so. Mi ha chiamato, io cercavo te.”
Lo guardai senza capire:
“Perché?”
“Non lo so esattamente, mi ha detto che sarebbe stato via per un po’, lo sai com’è fatto, per fortuna che il tour inizia a marzo, sarebbe stato capace di farci saltare metà dei concerti.. Ma veniamo a te Bambolina, mi ha detto che ci saremmo divisi i turni per tenerti.”
“Tenermi?”
“Sì. Stai un po’ a casa mia e un po’ dagli altri. Sarà divertente, sì?”
“Tu e quali altri?”
“I Guns al completo piccola. Strano personaggio, Rose, tra tutti i suoi amici, noi siamo i meno affidabili per badare ad una bambina.. Aah.. Già.. Ma quali amici..”
Scoppiò in una risata sarcastica, poi mi guardò, lo guardai in un misto di disapprovazione ed imbarazzo.
“Non sono una bambina..”
“Ehi, perdonami, stavo solo scherzando, su. Quanti anni hai tesoro?”
“Diciassette”
“Cazzo, sembri più piccola.”
“Lo so.”
“Ne dimostri minimo due in meno”
Quel ragazzo era contemporaneamente a suo agio e imbarazzato, oppure fingeva soltanto di essere tranquillo, ma lo faceva bene. Secondi di silenzio che volli interrompere facendo la prima domanda che mi venne in mente.
“Hai un lucchetto come ciondolo della tua collana?”
Dopo una lunga sorsata, si staccò dalla lattina e si diede un’occhiata al collo, pochi secondi e i suoi occhi si fecero sognanti, come quelli di un bambino quando gli si parla del gelato.
“In onore a Sid. Sid Vicious. Il grande Sid. Non aveva idea di come suonare un basso, ma in fondo neanche io, ecco perché mi ci rispecchio”
Un’altra risata.
“Ok, allora andiamo, sei pronta?”
Cosa mi aveva chiesto? Non lo so, non lo stavo ascoltando, ero troppo concentrata a chiedermi se un blu scuro come colore degli occhi fosse un colore comune oppure..
“Bimba? Ma ci sei?”
“Sì, scusa, devo.. devo preparare una borsa, aspetta..”
“Fai con comodo, tanto ormai ho trovato le birre.”
Tirai qualche straccio in uno zainetto, i miei CD e un paio di libri, dopo di che tornai da Duff, che probabilmente si stava scolando la terza lattina. Si rinfilò la giacca di jeans borchiata e uscimmo. Mi indicò un’automobile bianca e salimmo sui sedili posteriori. Dopo aver fatto un cenno all’autista, Duff sprofondò nella pelle dei sedili e partimmo.
“Quanto ci vuole di qui a casa tua?”
“Oh, non molto.. Dipende se c’è casino in giro.. Avremmo fatto prima in metro, ma mi sono dimenticato il cappello.”
“Il cappello?”
Ma di cosa diamine stava parlando. Forse le rockstar non avevano lo stomaco di ferro che descrivevano in TV e le birre stavano già facendo effetto..
“Sì, sai, coda di cavallo infilata sotto il cappello, visiera bassa, occhiali da sole e non mi riconoscono, altrimenti è un casino.. Non è così semplice passare con disinvoltura tra delle persone che iniziano a rendersi conto che sei il bassista dei Guns N’ Roses, sai..”
Annuii. Sapeva vantarsi parecchio il ragazzo. Mi iniziai a chiedere se anch’io avrei dovuto trovare un travestimento quando sarei diventata qualcuno. Se poi mai sarebbe successo. Magari Axl non sarebbe mai tornato e gli altri ragazzi si sarebbero stufati di tenermi in casa loro, mi avrebbero rimandato in Italia, tanti saluti e ciao. 
“Mi stai ascoltando?” Duff rideva
“Cosa?”
“Dimmi tesoro, ti capita spesso di perdere la testa ogni cinque minuti? Sembra che fra noi due sia tu quella strafatta di acidi e non il contrario..”
Rise, poi si fermò, inappropriato, decisamente. Ignorai il suo ultimo intervento.
“Scusa.. stavo pensando.. Dicevi?”
“Dicevo che stasera abbiamo le prove, quindi se non hai voglia di stare in casa da sola, pensavo di portarti con me.”
Probabilmente, si accorse del sorriso che mi stava comparendo da un lato all’altro del viso, perché non la smetteva più di ridere e di scuotere la testa, forse stava pensando che Axl fosse completamente uscito di senno per portarsi una fan in casa.
“Fate le prove anche senza Axl?”
“Scherzi?! Se lo aspettassimo tutte le volte non proveremmo mai..” 
Guardò fuori dal finestrino e prese spunto dal panorama che vide per un nuova domanda da pormi.
“Finora che ne pensi di Los Angeles?”
Lo guardai. Cosa ne pensavo? Io non lo sapevo! Da quando ero arrivata non avevo fatto altro che percorrere quello stesso tragitto da casa di Axl a scuola, senza mai spostarmi da Malibù: tutte le sue promesse di portarmi a visitare il centro sfumavano non appena Stephanie rientrava in casa.
“Io non.. Non ho ancora visto molto..”
“Quel ragazzo è più pazzo di quanto cerchino di farci credere, eh bimba? Va beh, non fa niente, ti ci porterò io a vedere questa bestia di città.. Ah, siamo quasi arrivati, comunque che dici? Già qui è un po’ diversa dalla tua Italia, no?”
Guardai fuori dal finestrino specchiato dell’auto di Duff: fuori iniziavano a comparire grattacieli sempre più alti, e, all’orizzonte, lo skyline del centro della città brillava contro le luci della sera, come un immenso gioiello di cristallo che un po’ rifletteva l’alone della luna e un po’ splendeva di insegne luminose e di luci accese negli appartamenti degli edifici.
“E’ bellissimo”
“Non hai ancora visto niente, tesoro”
Mi voltai a guardarlo, le sue dita tamburellavano sul sedile ad un ritmo indefinito, l’altra mano era occupata a scostarsi i capelli dal viso. Si guardò l’orologio.
“Cazzo se è tardi.. Fred, fregatene di passare da casa, vai direttamente alla Hell House”
“Subito Signore..”
Mentre Duff discuteva con l’autista, lo guardai con aria interrogativa e lui anticipò le mie domande.
“La Hell House era casa nostra, di tutti i Guns.. Abbiamo vissuto un po’ insieme prima di diventare famosi, così riuscivamo ad organizzarci meglio.. Poi con il successo ognuno si è trasferito nella propria casa e abbiamo mantenuto la Hell come sala prove.. Scusa, ma è veramente tardi, potrai lasciare la tua roba in macchina, la portiamo a casa dopo.”
Ancora pochi minuti di viaggio e mi ritrovai circondata dal vero centro di Los Angeles: era un immenso Luna Park, in cui qualsiasi cosa splendeva con colori psichedelici che facevano uscire di testa. Sui marciapiedi, folle di persone si muovevano in gran fretta creando un unico sciame. Bar, negozi, teatri incorniciavano quella bellissima piazza, circondata da grattacieli che con le loro luci al neon si stagliavano nel cielo notturno. Purtroppo, ci muovemmo velocemente, spostandoci in un quartiere diverso. Questa volta intravidi gruppi di ragazzi punk che camminavano fumando, mentre altri bevevano appoggiati ad un lampione. Qualcuno alzava lo sguardo nel vedere una macchina del genere avvicinarsi a quello che sembrava un piccolo bar. Fu quella la prima volta che vidi il Raimbow, il bar delle rockstar, il bar per i tipi duri e le belle ragazze. L’autista accostò praticamente di fronte all’edificio, Duff gli disse qualcosa dal finestrino e poi mi mise un braccio sulle spalle facendomi da cicerone.
“Quello laggiù è il Roxy, è stato uno dei primi locali in cui ci siamo esibiti noi neoGuns, quello invece è uno dei più importanti night club del quartiere, ma non credo ti interessi.. E beh, qui vicino al Raimbow, casa dolce casa”
Sorrise, mi accompagnò alla porta e bussò in maniera esagerata. Da dentro, si sentii un rumore di sedie.
“Duff se sei tu ti faccio un culo così.”
“Lo so che sono in ritardo dai, ma è successo un casino”
La porta si aprì. 
I riccioli castano scuro erano legati in una coda bassa, con qualche ciocca che scendeva sulle spalle. La pelle leggermente scura, mulatta. La barba rasata, una canottiera azzurra e un paio di jeans strappati, i piedi scalzi, la postura scomposta. Gli occhi, castani anch’essi, guardavano interrogativamente prima Duff e poi me, per poi fermarsi a lui.
“Chi è la ragazza?”
“Potresti farmi entrare prima, Slash?”
Si spostò per farci passare, e chiuse la porta alle nostre spalle.
Mi ritrovai in un monolocale piuttosto spazioso, l’odore di tabacco era fortissimo, ma, fortunatamente, mi ci abituai quasi subito. Nell’angolo c’erano una batteria, qualche amplificatore, un microfono con rispettiva asta e una fila da cinque o sei chitarre. A pochi metri, un pianoforte a muro. Nell’altro angolo, un piano cottura con frigobar, circondato da lattine e bottiglie vuote. Quello che attirò subito la mia attenzione, però, fu un divano, piuttosto smesso, in cui un ragazzo moro improvvisava qualcosa con la chitarra acustica. Steso per terra che lo ascoltava, un biondo che annuiva sorridendo a ogni nota suonata dal primo. 
“Duff si è degnato di farsi vivo..”
I due alzarono lo sguardo. Anche loro, vedendomi, sembrarono confusi.
Fu Duff a prendere la parola, mentre io non riuscivo quasi più a trattenere un grido isterico da fan accanita che finalmente avverava il suo sogno di conoscere i propri idoli.
“Axl se n’è andato.”
“Che palle.. Di nuovo?”
Il ragazzo biondo si era alzato dal pavimento e ora ci stava guardando imbronciato. Fu quello moro a rispondergli.
“Stevie, lo sai com’è fatto..” 
“Col cazzo Izzy, mi rifiuto di inquadrarlo come il pazzo che non è”
“Ma lo è”
Slash intervenne dopo aver preso una birra dal frigo bar. Tutti sorrisero, tranne Izzy, che parlò serissimo.
“Lei è la ragazza?”
Duff annuì, guardandomi. Dovevo parlare io questa volta. Alzai lo sguardo, mentre avevo quello di tutti i presenti puntato contro. Presi un bel respiro.
“E’ un vero onor..”
“Duff, perché l’hai portata qui?”
Slash mi interruppe. Mi sentii malissimo. In quel momento desiderai semplicemente essere a casa mia, sotto le coperte ad annoiarmi come tutti i santi giorni.
“Non fare lo stronzo Saul. Non può rimanere da sola mentre Axl si fa i cazzi suoi.”
“La responsabilità è sua però, noi cosa c’entriamo?”
“Ma che volevi fare? Fregartene?”
Slash alzò le spalle e si buttò sul divano mentre Izzy si alzava. Mi si avvicinò, come per studiarmi, i suoi occhi chiari mi infondevano sicurezza nonostante fossi agitatissima. Alla fine, mi tese la mano.
“E’ un vero piacere, piccola”
“Anche per me”.
Parlami ancora Izzy, ti prego.
“Quindi canti talmente da dio da convincere Axl Rose a diventare tuo tutore?”
“Credo che.. Insomma.. Axl ha fatto questa scelta.. lo avrà  fatto per delle buone ragioni.”
Steven e Slash scoppiarono a ridere all’unisono. Mi sentii ancora più minuscola, ma Izzy e Duff si limitarono a fulminarli con lo sguardo. 
Il primo tornò a guardare me.
“Benvenuta bimba, scegli tu se ‘All’inferno’ o ‘al paradiso’”
Gli sorrisi, questa volta più sicura di me.
“Benvenuta a casa, può andare bene”
Izzy rise, prova superata? Fece un cenno agli altri che si alzarono e iniziarono a concentrarsi sugli strumenti, mentre io mi accomodavo sul divano.
Prima di iniziare a suonare, però, quando Steven doveva dare il tempo per la prima canzone da provare, intervenne con aria triste e voce preoccupata.
“Secondo voi quando torna?”
Slash sembrava non poterne più.
“Sentite, sono cazzi suoi. Noi dobbiamo provare.”
“Ma il tour inizia tra poco!”
“E infatti gli stiamo dando del coglione, Steven. Ma ci rimette lui, se vuole passare per lo schizzato ci sta riuscendo benissimo. Basta che dopo non si lamenti. Ma ormai il pubblico l’ha inquadrato, e anche io.”
“Non è stata colpa sua”
I quattro ragazzi si voltarono all’unisono verso di me. Non mi rendevo conto di quello che volevo ottenere, ma non mi piaceva che gli altri Guns gli sparlassero alle spalle senza sapere.
“Non è stata colpa sua”
“Beh, mia non è stata di certo” Steven rise alle parole di Duff, ma Izzy fece segno di tacere a entrambi.
“Cos’è successo?” Slash mi fissava con eloquenza.
“Stephanie.. Se n’è andata stamattina.”
Steven lanciò in aria le bacchette e si alzò dallo sgabello della batteria, sembrava indignato.
“Sul cavallo bianco si presentava alla mattina da lei! Sul cavallo bianco! Ti giuro che l’ha fatto! Come cazzo si può essere così stronza da andarsene quando si ha un ragazzo che ti ama alla follia?! Ma che diamine di problemi ha quella..”
“Non rompere Adler. Perché se n’è andata?”
Gli spiegai tutto quello che sapevo, anche se più volte venivo interrotta dai sospiri infuriati del batterista, seguiti sempre da cenni degli altri componenti che mi intimavano a proseguire.
Finito il mio racconto nessuno disse più una parola. Si misero a suonare, in silenzio, sfogando tutti i pensieri che ora li turbavano sulla musica. Alla fine, Duff salutò, mi prese un braccio, e mi portò a casa sua, trascinandomi quasi per i marciapiedi del quartiere.
Cercando di non pensare alle difficoltà di Axl e della band, non badai al silenzio opprimente di Duff, ma mi soffermai sulle persone che passavano: alcune lo fissavano bisbigliandosi qualcosa all’orecchio, altri lo salutavano allegramente, c’erano alcuni che sembravano persino pronti a inchinarsi al suo cospetto. Lui era un grande, lui c’era riuscito, lui era l’obiettivo di più o meno tutte le altre persone che si erano trasferite in quella città.
“Poveri illusi”
Duff si accorse che li stavo guardando.
“Credono davvero che abitando a Los Angeles si diventi qualcuno e invece finiscono solo per trasformarsi in delinquenti. Ecco perché questa città ne è invasa. Nessuno sa cosa vuole e finisce per fare del male a sé stesso e agli altri.”
Gettò a terra il mozzicone della sigaretta che aveva appena finito, poi restò a fissarlo assorto.
“Qui non c’è altro che spazzatura, mi fanno pena. La città degli Angeli la chiamavano. La città del Paradiso.. Portami alla città Paradiso.. I fans si sono concentrati sull’inizio di un ritornello, senza curarsi del finale”
“Parli di Paradise city?”
“La canzone comincia con “Portami alla città del Paradiso, dove le ragazze sono carine e l’erba è verde..”, ma finisce con.. “Per favore, portami a casa.””
Oh, Duff, nessuno ha mai voluto ascoltare quella parte di canzone. Tutti si sono limitati a credere che il testo fosse sbagliato. Tanti ritornelli che elogiavano quella splendida città, buttati nel cesso da una sola frase: “Voglio che tu, per favore, mi porti a casa.” 

***
“Che cos’è che vuoi esattamente?”
Slash mi aveva colto di sorpresa. Ero arrivata a casa quella mattina, ma non l’avevo ancora visto. Un’inserviente, mi aveva indicato una camera e io mi ci ero accomodata senza troppi complimenti. Passando quattro giorni con Duff, tre con Steven e altri quattro con Izzy, ero riuscita ad iniziare a conoscerli veramente, a capirne tratti che non venivano mai descritti dalla stampa, aspetti umani, non da rockstar, aspetti che ai fans non interessavano, che non venivano mai pubblicati. Duff era stato un angelo con me: dopo avermi portato più volte nel centro di Los Angeles per divertirmi tra i negozi e i locali, aveva iniziato a spiegarmi come suonare alcuni semplici accordi alla chitarra, a volte aveva preferito farmi cantare alcune canzoni con un suo accompagnamento e mi aveva raccontato alcuni aneddoti su Seattle, sua città di nascita, sui suoi fratelli e sui Guns. 
Dopo quel periodo passato con lui, però, andai da Steven, che, purtroppo, era stato molto meno presente. In realtà, non ricordo molto di quei giorni: ogni tanto la sua chioma bionda compariva in casa, le sue labbra sempre sorridenti mi chiedevano se avessi bisogno di qualcosa, se andasse tutto bene, e poi, semplicemente, usciva, e tornava quando io ormai mi ero addormentata, spesso ubriaco. Steve era forse il più adatto a quella didascalia di rockstar fuori di testa che avevano dato ai Guns, con la sua sbronza perpetua e l’eroina che continuava a scorrergli nelle vene, anche perché, in realtà, non aveva altri sogni che divertirsi e suonare per una folla osannante. 
Dopo di lui, arrivò il turno di Izzy, con il quale, invece, mi bastarono pochi giorni per capire che la nostra sarebbe diventata un’amicizia forte, forse esageratamente. 
Purtroppo, non è più un mistero per nessuno: per quanto io abbia provato a nasconderlo ai tabloid, tutti hanno scoperto che sì, c’è stato amore tra me ed Izzy, forse troppo sincero e buono perché si potesse formare nel mondo malato dell’hard rock. Dopo così poco tempo a casa sua, non potevo immaginare come le cose si sarebbero evolute. Ricordo quando mi scorgeva a guardare la finestra con aria malinconica. Mi diceva soltanto “Tornerà”, mentre mi scostava i lunghi capelli dalla fronte, e poi mi sorrideva, con quell’aria rassicurante che avrebbero tranquillizzato chiunque. Ricordo anche gli sguardi gelosi della sua ragazza, Annica Kreuter, ma in fondo, eravamo solo amici, lei non tardò molto a capirlo e smise di sospettare che ci fosse una storia fra di noi. Intanto i suoi occhi chiari continuavano a donarmi pace e non potevo fare a meno di guardare i suoi capelli scuri che gli davano quell’aria di mistero che aleggiava intorno al suo personaggio da ormai molti anni. 
I fans non lo capivano: Izzy Stradlin, il ragazzo silenzioso, che tace dietro alle canzoni dei Guns, quasi tutte frutto del suo lavoro, ma io l’ho conosciuto, e la verità è che Izzy è la semplicità a persona, e, per questo, in un mondo difficile di ragazzi disturbati, non viene compreso.
Alla sera, si sedeva in una poltrona accanto al mio letto e mi raccontava qualsiasi cosa gli venisse in mente, dal suo primo amore a come componesse le canzoni, e io mi sentivo serena, anche se lontana da mia madre, dai miei fratelli, anche se Axl era scomparso da quasi due settimane e nessuno sapeva dove fosse andato, anche se mi trovavo a migliaia e migliaia di chilometri da casa, anche se a separarmi da questa c’era l’intero Oceano Atlantico.

“Che cosa vuoi esattamente?”
Quella domanda aveva interrotto i miei ricordi, spaventandomi. Da quella mattina ero rimasta lì, accoccolata sul letto della camera degli ospiti, dopo aver sistemato le mie cose e aver passato il tempo tra un libro e la radio accesa. Quando sentii quella domanda, preceduta soltanto dal silenzio che aveva lasciato lo stereo spento dal suo indice affusolato, alzai lo sguardo preoccupata.
“Cosa.. intendi dire?”
“Intendo dire proprio questo: che cosa vuoi esattamente, che cosa cerchi?”
La sua determinatezza mi spaventava: Slash non mi aveva mai parlato apertamente, anzi, a dire il vero, non mi aveva mai rivolto attenzioni e i suoi unici comportamenti legati alla mia presenza erano state delle occhiate curiose e dei bisbigli all’orecchio di qualche altro componente della band.
“Io non.. Non lo so, credo..”
“Non lo sai” Sorrise con sarcasmo. “Chissà perché mi aspettavo una risposta del genere.. Ti va se ti riassumo velocemente l’idea che mi sono fatto sul tuo conto?”
Lo guardai senza capire. 
“Ok, lo prendo come un sì: allora.. Minerva, nasce in una cittadina italiana, la nonna Betty le dice che ha talento, che deve buttarsi nel mondo dello spettacolo perché ci riuscirà, diventerà qualcuno, perché è bella e perché ha degli splendidi occhi azzurri. Perciò questa bambina inizia a farsi vedere, ad avere troppa speranza in quella frase che la nonna si è già pentita di aver detto. E inizia a crederci davvero, così tanto da convincere persino giurati di concorsi annoiati e corrotti che lavorano solo per illudere ragazzine come te. Ma il problema è che tu.. Dio, tu ti eri già talmente illusa da sola da fregartene a tua volta degli altri.. Quindi direi.. Che sei la persona più egocentrica che abbia mai visto.”
Rimasi interdetta. Aveva ragione. Forse. Ma tutto quello che non dovevo fare era mostrarmi abbattuta. I miei sogni erano più grandi del suo desiderio di abbattermi.
“Slash, tu, invece, cosa vuoi?”
La timidezza era scomparsa. Quel susseguirsi di frasi scettiche di quello che pensavo fosse il mio idolo dall’infanzia mi stavano innervosendo. Lui mi guardò irritato, ma non importava, ora era il mio turno. Voleva combattere, gli avrei mostrato che non ero inferiore a nessuno.
“Sei un chitarrista, una rockstar, hai donne ai tuoi piedi, un’immagine che probabilmente rimarrà nella storia per tanto, ma, allo stesso tempo, riesci..” 
Tentennai.
“Riesci ad avere paura di una ragazzina.”
Il suo sguardo di sfida era diventato incredulo.
“Paura? Tu non mi fai paura. Anzi, questo mi dimostra ancora di più la tua megalomania.” 
La sua risata sprezzante mi fece pentire di tutto quello che avevo detto.
“Tu non puoi sopportare una situazione del genere, non puoi farcela. Questa è Los Angeles, questo è Rock, e tu.. Tu sei rimasta sconvolta solo dalla scomparsa di Axl dopo tre giorni dal tuo arrivo..”
“Io voglio questa vita..”
Sapevo cosa dire, ma la mia voce non era più ferma come prima.
“Tu non sai cosa vuoi. Sono sogni di una bambina, e basta, questo non è il posto per te. Quegli occhi ti tradiranno, ragazzina, quegli occhi blu sono inutili qui, qui non ci sarà la nonna a dirti come fare..”
Dei miei occhi parlava. Come se di me si notassero solo quelli. Come se non avessi altro da dare al mondo. Forse, in quel momento, si concentrò ancora di più su quelli, perché lo fissai con tutta la rabbia che mi stava facendo crescere dentro. Ed esplosi.
“Tu non hai idea di che cosa si nasconda dietro quelli che tu descrivi come ‘I miei occhi blu’. I miei sono sogni, è vero, ma non sono vuoti, o futili. Ho dei sentimenti, ho rabbia dentro, ho emozioni che voglio trasmettere a un mondo che amo. Tu. Tu eri un ragazzino come me, con dei sogni, ora non puoi lasciare che gli altri non li realizzino come tu sei riuscito a fare. Allo stesso tempo, però, Axl mi ha portato qui perché, ora come ora, ho bisogno di aiuto, non sono pronta, ne ho bisogno, da lui, da voi e da te”
Stava sorridendo, ma non era ancora finita.
“Axl Rose ti ha portato qui perché sei una bella ragazza e perché la sua relazione con la Seymour era in crisi. Una donna in casa serve sempre, non credi?”
Quella frase faceva male. Faceva molto più male di quanto credessi. Forse, anche lui si pentì di averla detta.
“Lui vuole darmi.. solo l’aiuto di cui ho bisogno”
Lo sguardo di Slash si era fatto meno severo, ma eravamo giunti al boss finale di quella sfida.
“Canta”
Lo guardai con la fronte corrugata:
“..Cosa?”
“Cantami qualcosa. Fammi sentire che cos’è questa cosa così speciale che hai dentro”
Il suo sorriso sarcastico mi diede l’energia che bastava per far si che la mia voce tuonasse in quello che forse fu il mio migliore acuto di sempre: la rabbia, mista al desiderio di stupirlo, fecero si che mi stupissi da sola. Improvvisai il ritornello di Behind Blue Eyes, pezzo degli anni ’70 degli Who. Poi, rimasi immobile, aspettando un verdetto, un giudizio, qualcosa, come nei concorsi, con gli occhi fissi sui miei piedi, dove, del resto, erano rimasti durante tutta l’esibizione.
Slash, con una mano, mi alzò il mento, e mi guardò.
“Così va meglio.”
Avevo vinto la partita? 
Il suo scetticismo sembrava essere scomparso.
Mi sistemò una ciocca di capelli fuori posto, sorridendo, uscì dalla camera e chiuse la porta, lasciandomi come se quel dialogo al limite del surreale non fosse mai avvenuto.

Da quel giorno ad oggi, ho speso molto tempo provando a capire quale fosse stato il suo obiettivo. L’ipotesi che diedi per buona, alla fine, fu un suo tentativo, riuscito, di provocarmi, per capire se avevo effettivamente quelle doti da rockstar che cercava in me. In fondo, i frontman delle band trovano la loro voce nella rabbia, e così danno il massimo. Slash voleva capirmi, e c’era riuscito in una maniera perfettamente in sintonia con il suo personaggio: distaccato, duro, sarcastico e critico nei confronti di tantissime cose. 
Quel giorno, mi aiutò tanto a capire com’erano veramente le persone che ero abituata ad immaginare come eroi, com’erano realmente quelli che avevo ideato come modelli da seguire, e, soprattutto, come sarei dovuta diventare. Molte persone, dopo un discorso simile, si sarebbero rese conto che non era il posto adatto a loro, e se ne sarebbero andate, rinunciando. Ma non io. Io, con questa provocazione, riuscii solamente a cantare meglio delle altre volte. 
Questo significò per me e per Slash che ero la persona giusta per diventare una rockstar.
Ma se la mia rabbia era lì, il mio cuore era lontano, dalla mia famiglia, dagli occhi di Izzy o da Axl, che chissà dove, ora, era lontano. E avevo paura. Paura che tutto fosse finito ancora prima di iniziare.

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Capitolo 5
*** Febbraio, 1992 “ Judas Priest – Fever” ***


Febbraio, 1992 “ Judas Priest – Fever”

Axl aveva fatto ritorno all’inizio di febbraio, mentre io ero nuovamente ospitata da Izzy, dato che Slash aveva avuto dei problemi con sua madre Ola ed era dovuto tornare a casa. Ero in casa da sola, quando sentii le chiavi infilarsi nella porta. Correndo per i lunghi corridoi di quella grande villa, avevo raggiunto l’ingresso, aspettando che entrasse un Izzy infreddolito da quella Los Angeles invernale. Insieme a lui, però, era entrata anche una criniera di capelli rossi spettinati dal vento, accompagnata da un sorriso timido. Troppo timido per essere della rockstar più pericolosa del decennio. 
“Ciao Bimba”
Avrei voluto.. Non lo so. Mi sentivo di dover fare qualcosa. In fondo mi era mancato, ma potevo farglielo capire? Una come me, poteva abbracciare Axl Rose?
Fortunatamente, sembrò leggermi nel pensiero, riuscendo ad esprimermi il suo affetto carezzandomi la guancia, cosa che sembrò l’idea migliore per risolvere la situazione.
Quando tornai con lui a Malibù, sembrava sereno. Non ebbi il coraggio di chiedergli, durante il tragitto, dove fosse andato, cosa avesse fatto per un tempo che per me era parso molto più lungo di due settimane, ma mi trattenni al raccontargli come avevo trascorso quel periodo, rispondendo alle sue domande di circostanza sui ragazzi e sulle mie giornate.
Alla fine però, trascorso qualche giorno, in cui ero tornata alla solita routine, per quanto Axl mi concedesse molto più del suo tempo, mi decisi a fargli quella domanda.
“Dove sei stato?”
“In giro”
Non ne sembrava stupito. Ero una ragazzina, volevo chiedere, e lui lo sapeva. Quella sua risposta secca, comunque, aveva già rovinato tutto il discorso che mi ero preparata, ma, grazie al cielo, dopo un profondo sospiro, continuò, forse vendendomi insoddisfatta.
“Avevo solo.. Bisogno di schiarirmi le idee.. di prendermi un periodo per stare da solo, concedendomi tutti quegli stupidi vizi che non posso realizzare qui. Sai di cosa sto parlando, non farmi entrare nello specifico.”
Non avevo idea di che cosa stesse parlando. O almeno, non volevo averne: la mia immagine di rockstar con gli occhi da angelo non includeva caratteristiche come l’andare in giro a bere e a farsi una groupie dopo l’altra per scaricare la tensione. Mi limitai a tacere.

Le giornate, si susseguirono così, fino alla fine della prima settimana del mese, quando successe quello che non avrei mai voluto che succedesse.
Dopo tanti anni, ancora cerco di cancellare questo ricordo, vittima dei sensi di colpa, ma ho ormai promesso di raccontare tutto. Di rivelare tutto. E anche se quello fu un casino da cui dipendeva il vero e proprio futuro dei Guns N’ Roses, devo avere coraggio, e parlarne.

Axl mi aveva chiesto di venire con lui alle prove con i ragazzi, cosa che facevo abbastanza spesso. La differenza di quella volta, però, fu che i componenti della band erano visibilmente ubriachi e più fatti del solito e che anche Axl, una volta arrivato nella sala, aveva iniziato a buttare giù  qualche lattina di birra, per poi passare alla vodka.
Quando me ne venne offerta un po’ non potei rifiutare.
So che avrei dovuto farlo. So che avevo diciassette anni e che stavo per ubriacarmi insieme a ragazzi di venticinque, ma non potevo trattenermi, non volevo farlo. L’idea di ragazza cattiva che trasgrediva alle regole e ascoltava Rock N’ Roll stava iniziando a piacermi parecchio e non volevo farmi mancare nulla. 
Tutto quello a cui riuscii a pensare prima di attaccarmi a quella bottiglia di Jack, fu che tanto mamma era lontana e non avrebbe visto.
Inutile dire che non ho tanti ricordi della serata, se non quello che la rovinò. 
Alla fine delle prove, che non erano state molto proficue, considerando le condizioni della band, e che avevano prodotto solo tante stronzate e parecchio vomito, i ragazzi iniziarono a sistemare gli strumenti, e Stevie, mi chiamò per aiutarlo a spostare due amplificatori in una stanzetta simile ad uno sgabuzzino.
Qui li lasciammo, ma, quando feci per uscire barcollando dallo stanzino, sentii la sua mano fermarmi il polso, e trattenermi a sé.
“Che fai?” Non riuscivo a smetterla di ridere.
Era così vicino a me, sentivo il suo respiro. Puzzava da morire.
Quando mi infilò la lingua in bocca, però, non dissi niente. Come potevo farlo. Ero completamente ubriaca. E poi, stavo baciando Steven Adler, il batterista della mia band preferita. Aveva un sapore forte, che annebbiava.
So per certo che se fossi stata sobria mi sarei vergognata moltissimo sentendo il suo ventre teso premermi contro, ma non dissi nulla, non feci nulla, continuai a baciarlo. Quando iniziò a palpeggiarmi, però, iniziai a chiedermi, annebbiata dall’alcol, se non fosse stato meglio dirgli di fermarsi. Fortunatamente, non ce ne fu bisogno. La voce di Duff risuonò fuori dalla porta chiusa dello stanzino.
“Ci siete voi due? Dobbiamo chiudere!”
Steven mi lasciò, ed uscì dalla stanza dopo avermi guardato a lungo. Ricordo solo che volevo tenergli la mano e stargli vicino, ma che non potevo farlo per non destare sospetti negli altri. Perciò corsi fuori e mi aggrappai alle braccia salde di Axl e Slash, che cercavano di fare gli uomini sicuri di sé, ma che non riuscivano a camminare su una linea retta. 
Per molti potrà sembrare una situazione abbastanza innocente, in fondo ero quasi maggiorenne, ma non avevo mai vissuto niente di simile. Forse avevano ragione, ero una ragazzina, una santa, una bambina innocente non abituata ad uno stile di vita del genere, che dopo una situazione così si sentì subito in colpa. Non ricordo nient’altro di quella serata. Il nulla. Nero. Ma il problema più grande venne dopo.

Accadde il giorno dopo quella serata di prove coi ragazzi, dopo aver fatto ormai tante lezioni con Axl e dopo aver imparato ad essere sua amica. Il problema più grande era che l’amore che avevo sempre provato per quel ragazzo, quell’amore falso e stupido che prova una fan per il suo idolo, si stava trasformando in qualcosa di concreto. Adoravo vederlo alla mattina prepararsi quel solito caffè, correggerlo con troppa vodka, vederlo sorridere, passarsi le mani tra i capelli rossi che gli finivano sempre sugli occhi, guardarsi le spalle per ammirare quegli stupendi tatuaggi che ormai facevano parte di lui. Mi piaceva la sua presenza. Mi infondeva sicurezza e mi faceva stare bene. Era bella ogni cosa che faceva, ogni suo sguardo. Era perfetto. Ma io ero una ragazzina, lui un uomo. Come avrebbe anche solo potuto interessarsi alla mia esistenza? 
Poco tempo prima, grazie al suo aiuto, avevo formato una piccola band di ragazzi della mia età, gli Indecent Grace. Eravamo piuttosto bravi e adoravo uscire con loro, che mi mettevano molta meno soggezione di delle rockstar già affermate come i Guns. Quei ragazzi erano dei sognatori come me, che venivano da tutta l’America e che avevano raggiunto L.A. sperando in un futuro migliore. 
Quella sera non mi sentivo per niente bene: avevo la nausea e mi girava la testa, forse ero febbricitante, ma in fondo non aveva importanza, volevo solo fare un giro con la mia band. Mentre uscivo incrociai Axl, che stava riportando alcuni cd al loro posto.
“Esci con i ragazzi?”
Mi piaceva anche quando tentava di fare il tutore responsabile.
“Sì, facciamo un giro in spiaggia.”
Quando alzò lo sguardo, il suo sorriso sfumò.
“Ma stai bene?”
Che cosa avevo che non andava?
Mi infilai la giacca.
“Perché?”
“Non lo so, hai una faccia”
Mi guardai nello specchio dell’ingresso. Solo un’occhiata, ma quando mi vidi mi spaventai. Ero bianca. Letteralmente. Axl mi passò una mano sulla fronte.
“Bruci”
“Davvero?”
“Sì, hai la febbre, credo.”
“Dai, magari controllo dopo, adesso mi aspettano, devo uscire”
Ci pensò su. Mamma di sicuro mi avrebbe detto che non se ne parlava, di restare in casa e di iniziare a prendere qualche medicinale. La sua risposta, dopo avermi guardato a lungo con aria preoccupata, fu un:
“..Ok.”, dopo una scrollata di spalle.

Dopo un breve tragitto sull’autobus arrivai in spiaggia, dove trovai i ragazzi già seduti sulla sabbia lontani dal mare solo quanto bastava per non bagnarsi i vestiti pesanti contro il freddo. La spiaggia di solito ricoperta da ombrelloni e sedie sdraio per i bagnanti, era deserta, piatta, così come il mare, che in una giornata cupa e senza vento, sembrava essere andato in letargo. Mi sedetti vicino a loro e iniziammo a parlare del più e del meno, ridendo, scrivendo sulla sabbia bagnata dall’umidità dell’inverno, stringendoci in noi stessi per il freddo della sera che stava arrivando. Quando questo divenne insopportabile, così come il mio mal di testa, che per quanto avessi cercato di ignorare, stava peggiorando incredibilmente, decisi di andare: salutai, sapendo che li avrei visti alle prove due giorni dopo. Di certo non immaginavo che sarebbe passato molto più tempo prima che riuscissi di casa. Ripresi l’autobus ed arrivai da Axl puntuale per la cena preparata da Billie. 
Quando entrai in casa, trovai Slash seduto su una poltrona del soggiorno che parlava a telefono a bassa voce. Mi fece un cenno, mi guardò con aria strana e continuò a parlare.
“Axl?”
Dalla sua camera venne un rumore sordo, come se fosse caduto qualcosa di pesante.
“Cazzo.. Bimba, vieni, aiutami, ho fatto un casino”
Entrai e mi ritrovai davanti Axl accovacciato per terra, che tentava di raccogliere alcune perle di quella che un tempo doveva essere stata una collana.
“Cos’è successo?”
“E’ caduto quello, lo dovevo riportare a Stephanie domani e mi è scivolato.”
Il suo indice affusolato indicò un portagioie semivuoto, i gioielli che ne erano contenuti erano sparsi sul pavimento. Lo aiutai a raccoglierli e quando i nostri sguardi si incrociarono, si fece molto serio.
“Bimba io chiamo il mio medico..”
“Perché?”
“Non.. è normale.. Insomma stai peggiorando.”
“Boh, fa quello che vuoi. Dovrai togliere a Slash il telefono però.”

Venti minuti dopo un medico, pensieroso entrò in casa e fece un cenno a Slash come se lo conoscesse da tempo, che ora aveva scelto di guardare la tv steso sull’enorme divano che Ax aveva in salotto. Scoprii più tardi che era stato sbattuto fuori casa dalla sua ragazza dell’epoca, Renee Suran, dopo un pesante litigio e che si era rifugiato da Axl per alcuni giorni.
Capii che un dottore che aveva scelto di lavorare per dei personaggi come i Guns era preparato a scontrarsi con problemi di alcolismo e di droga quando la prima cosa che mi chiese, dopo avermi controllato per un paio di minuti, fu se avevo assunto eroina il giorno prima.
“Ha più di 40°.. E’ uno dei sintomi dell’assunzione di droga, che si sviluppa 24 ore dopo l’immissione della sostanza nel sangue..”
Axl sorrise forzatamente, si finse tranquillo, ma dentro sembrava nervosissimo.
“Phil, non dire stronzate, bimba non fa uso di droghe, ha diciassette anni ed è a Los Angeles da poco più di un mese!”
Il medico rispose con un sibilo: “Perché? Tu Will non hai iniziato esattamente nelle stesse condizioni?”
Axl strinse i pugni. Parlò a bassa voce.
“Ho iniziato nell’86 e ho smesso poco più di un anno dopo, e non credere che questo sia il momento giusto per fare lo stronzo.”
Phil fece spallucce: “Come vuoi, Rose.”
Osservavo la scena in silenzio, mentre quella febbre si faceva sentire sempre di più, impedendomi quasi di muovere i muscoli volontariamente, facendomi provare un freddo disumano, che mi portava a spasmi e brividi.
“Non è detto che la ragazza abbia assunto droga, sarebbe plausibile anche un contatto indiretto, considerando l’ambiente in cui si trova..”
“Finiscila coglione. Di che tipo di contatto parli?”
“Un rapporto sessuale. Ma basta anche un bacio, se il partner aveva appena assunto la sostanza.”
Axl si fece più serio.
“Ne sai qualcosa, ragazzo, eh?”
“Ti ho detto che non prendo più niente, e tu lo sai.”
“Tu no. Gli altri Guns, invece?”
Silenzio. 
Axl rimase interdetto. 
“..Quando.. Quando dovrebbe essere avvenuto.. il.. contatto?”
“Te l’ho detto, la febbre alta è un sintomo di 24 ore dopo.”
Axl si alzò di scatto e congedò in fretta il medico, senza voler nessuna prescrizione di farmaci o altro, lo voleva mandare via e basta. Phil, impotente davanti al nervosismo improvviso di Axl, se ne andò, ricordandogli di richiamarlo, perché la situazione poteva farsi seria.
Quando il medico fu sbattuto fuori casa, Axl iniziò a scagliare la sua ira su Slash, che lo guardò senza capire, per tutto il tempo in cui il cantante gli aveva urlato contro, senza rispondere. Quando poi questo era crollato a terra, stremato dalla sua mancanza di controllo, Slash riuscì a pronunciare solo cinque parole, cinque parole che distrussero per sempre i Guns N’ Roses. 
“Anche Steve ha la febbre.”

Non volevo rientrare nei dettagli di quello che successe nelle ore seguenti a quella frase, ma sono costretta a raccontarlo per essere precisa su tutto.
 Mentre affondavo tra le coperte ricoperta da un sudore freddo, Axl, come venni a sapere dopo, uscì di casa nel bel mezzo di una crisi di rabbia, con una spranga in mano. Le ultime parole che disse a Slash, che aveva provato con tutte le sue forze a farlo ragionare, prima di uscire in strada, furono:
“Quel coglione deve pagare e che non osi mai più anche solo sfiorare bimba, o me, o qualsiasi altra persona di questa band. Lo voglio fuori dal gruppo e si dovrà ritenere fortunato se ne uscirà vivo senza questa spranga su per il culo.”
Sbatté la porta, e quelle grida finirono. Slash venne nella mia camera amareggiato.
“Hai fatto un po’ di casino, eh, bambolina?”
Svenni.

Quando mi risvegliai, c’era un dottore accanto a me e Slash che guardava fuori dalla finestra della mia camera. Aprii gli occhi a fatica per via della luce del sole che filtrava dalle tende. Pensare che in un qualsiasi altro momento della mia vita avrei amato quello splendore. 
“Oh, ben svegliata!”
Il dottore era giovane, un uomo serio, ma scherzoso, perfettamente adatto ai clienti che doveva curare. Riconobbi quel viso come quello del medico che era già venuto a visitarmi poco tempo prima.
Slash si girò di scatto e si avvicinò al mio letto.
“Piano, piano, Hudson, è molto stanca.”
Slash si limitò a sorridermi. Non mi sentivo più così tanto male. Ma c’era sempre qualcosa che mi turbava, un dolore di fondo, una stanchezza interiore che non sembrava intenzionata ad andarsene.
“Quanto ho dormito?”
“Circa tredici ore. La febbre ti è calata, ma non basteranno i medicinali per fartela passare del tutto.. Dovrai sottoporti ad un piccolo intervento per rimuovere le sostanze che ti sono entrate nello stomaco..Potremmo aspettare che il tuo corpo le smaltisca autonomamente, ma siamo preoccupati che la tua fragilità non lo permetta..”
“In che senso?”
“Nel senso, Minnie, che il tuo corpo non è pronto ad affrontare una febbre che potrebbe dilungarsi per settimane.. Quindi vogliamo farti una lavanda gastrica per toglierti quella roba il prima possibile.”
Mi sentii mancare. Nonostante quella debolezza mi avesse da sempre caratterizzato, non mi ero mai sottoposta a nessun intervento, di nessun tipo, e anche gli aghi per i vaccini mi terrorizzavano. L’idea di operarmi, e di farlo senza vicino i miei, mi fece sentire terribilmente. 
Il medico sembrò intuire la mia preoccupazione e mi parlò sorridendo.
“Non preoccuparti, è un intervento veloce e semplice, c’è un caso su un milione che qualcosa vada storto”
Slash fece una risata macabra.
“C’era anche un caso su un milione che Axl Rose la portasse a Los Angeles con sé”
“Complimenti per il tatto, Saul.”
“Lui dov’è?”
Si voltarono verso di me.
“Ha chiamato poco fa, dovrebbe arrivare a momenti, ma non sappiamo di più, spero che si sia calmato prima di arrivare da Steve..”
I ricordi iniziarono a tornare. Mi sentii avvampare per la vergogna. Sapevano di me e di Steven, Axl sapeva di me e di Steven, ed era uscito con l’intenzione di picchiarlo a sangue. Per colpa mia.
Svenni.

Il suo sguardo era triste, ma dolce. Quando aprii gli occhi, i suoi furono la prima cosa che vidi. Sorrise amareggiato. Quant’era bello.
“Io.. non volev..”
Mi fece cenno di tacere.
“Non serve che mi spieghi, riposati. Si è già preso tutte le.. responsabilità.”
“Era ubriaco, Axl.. Cerca di capire..”
“Non c’è niente da capire. Steven Adler non farà più parte dei Guns N’ Roses, ed è già stato stabilito.”
Mi sentii mancare. Erano sette anni che quei ragazzi suonavano insieme. Io ero arrivata da due mesi, e già avevo fatto uscire dalla band il batterista.
“Non sentirti in colpa.. Non è solo per questo.. Era eroina, Minnie. Non sopporto che i componenti della mia band si facciano di eroina. Non riusciva più a suonare, e ora ho la prova che si facesse troppo e continuamente. Non ne voglio più sentire parlare. Riposati bimba. Chiedo a Billie di farti qualcosa da mangiare.”
“Non ho fame..”
“Non mi interessa, non puoi stare a digiuno.. Sai dell’operazione?”
“Sì..”
Axl  mi guardò cogliendo la paura che avevo nello sguardo.
“Non preoccuparti, vado a chiamare tua madre, così lei sarà con te quando ti..”
Sgranai gli occhi. A mia madre proprio non avevo pensato.
“Non farlo! Ti prego.. Sul serio, non.. Lei non deve sapere che..”
“Non posso farlo, Minnie, non posso.. Sei sotto la mia responsabilità, ci abbiamo messo secoli prima che ti affidassero a me e ora non posso mandare tutto a puttane..”
Rimasi abbattuta. Sapevo che se mia madre avesse scoperto la cosa mi avrebbe fatto tornare a casa immediatamente, facendo sfumare tutti i miei sogni che stavano diventando realtà.
“Tornerei in Italia.. Non lo saprebbe nessuno.. Per favore”
Si passò la mano tra i capelli, anche lui indeciso sul da farsi. In fondo, l’ultima cosa che voleva era che io tornassi a casa senza essere riuscita a fargli guadagnare niente. O c’era dell’altro?
“Axl, ha appena chiamato Phil, hanno fissato l’operazione per domani alle 6 di mattina, e ha detto di andare là stasera, così può dormire là.. Ehi, sei sveglia..”
Slash era entrato, aveva una coda di cavallo bassa, il viso assonnato e solo una maglietta e dei boxer indosso.
Axl si alzò e gli passò un suo kimono. 
“Sì, è sveglia, quindi se non mi cammini per casa in mutande mi fai un favore.”
Slash rise, e si infilò l’indumento di seta viola.
“Come fai ad indossare certe cose così gay..”
“Ma vaffanculo.”
Mi lasciarono sola a riposare, mentre i due parlavano della situazione. Alla fine la decisione venne presa. Nessuno doveva sapere, nessuno. Se la stampa lo scopriva, mia madre sarebbe impazzita leggendo articoli simili, perciò né Ax, né Slash mi avrebbero potuta accompagnare in ospedale, ma sarebbe stato Duff a farlo, meno seguito dai paparazzi degli altri due.

Arrivammo in ospedale sulle undici di sera. Avevamo incontrato traffico, e, durante il lungo tragitto in auto, avevo finito per addormentarmi tra le braccia di Duff, che mi aveva fatto appoggiare al suo petto, sicuro, calmo, sereno. Duff era così. Duff era molto più sensibile di tutti gli altri, molto più premuroso, più empatico. Era nato a Seattle, aveva iniziato ad ascoltare Prince e ad interessarsi alla musica, all’idea di Rockstar. Per guadagnarsi quella fama di cattivo ragazzo però, faticò molto, per via di quel suo carattere così dolce. Si era lasciato prima crescere i capelli, poi se li era tinti di blu, di verde, ed aveva iniziato ad entrare nella scena Punk che in quel periodo stava andando molto di moda in città. Quando iniziò a suonare la batteria, poi la chitarra e infine il basso, iniziarono a smetterla di considerarlo lo sfigato della porta accanto, ma capirono che avevano a che fare un ribelle e con un grande musicista. Poi si trasferì a Los Angeles, e una volta incontrati Slash e Steven che stavano formando una band, iniziò la sua scalata verso il successo, che, di lì a pochi anni, lo avrebbe portato a milioni di dischi venduti con i Guns N’ Roses.
Ora, tutto quello a cui pensava, però, era a cercare di svegliarmi il più tranquillamente possibile, per portarmi nella stanza di ospedale velocemente, senza farsi riconoscere da nessuno.
Aprii gli occhi e mi ritrovai il suo sorriso davanti. Me lo ricordo bene, si era raccolto i capelli sotto un berretto di lana, e portava gli occhiali da sole anche se ormai era notte fonda. 
“Posso aiutarvi?”
“Ehm.. La ragazza ha un’operazione.. Ha chiamato Phil Morris.. Vi dovrebbe aver avvisato..”
La donna sgranò gli occhi. Il medico dei Guns aveva scelto persone fidate per occuparsi della situazione, ma con Duff Mckagan davanti quanto lo potevano essere sul serio?
“Oh.. Certo, per di qua, presto..”

Ma che cazzo. E’ colpa  mia. Perché devo sempre rovinare tutto?
Non posso prendermi cura di lei. Non ci riesco e non ci riuscirò mai. Come mi è venuta in mente l’idea di farcela? Perché ho voluto provarci? Sono uno stupido egoista, come sempre. Cerco di dimenticare tutte le critiche che mi fa la gente solo perché so che sono tutte perfettamente fondate. Sono ridicolo. Ha diciassette anni e l’ho portata a Los Angeles. E ora si deve operare, per colpa mia.
Perché l’ho portata con me? Che cosa voglio da lei? Mi odio. Mi odio. Odio quello che sto facendo. Odio anche lei, perché con quella fottuta voce mi ha convinto a portarla con me. O c’è dell’altro? Odio i sentimenti. Fanculo. Odio questi corridoi dell’ospedale tutti uguali che non mi fanno trovare la sua stanza. E odio questa dannata parrucca. A cosa sono dovuto arrivare per non farmi riconoscere. Sono chiuso in una bolla di vetro, mi diverto a fare il capo di questa cazzo di boccia solo perché se no finirei per soffocare. Ma gli altri non capiscono, non capiscono mai. 
Devo smetterla di dare la colpa agli altri, sono io la rockstar egoista. Io e basta. 
Stanza 208. Finalmente. Duff, no cazzo, non ti incazzare. Lo so che non sarei dovuto venire, ma lasciami vederla un’altra volta. Bimba, dimmi che starai bene. 

La porta si aprì e vidi Axl entrare. Per quanto indossasse una parrucca ridicola, lo riconobbi e gli sorrisi.
“Ciao”
“Hei.. Stai bene?”
“Per adesso si..”
“Vedrai che..”
“Ho paura”.
Mi guardò. I suoi occhi incrociarono i miei, ma non abbassò lo sguardo, continuò a mostrarmi quell’espressione di speranza e fiducia mista ad una lieve preoccupazione. Mista ad un amore quasi fraterno. 
“Ascoltami, Minnie”
I miei occhi vinsero la timidezza e ricambiarono lo sguardo.
“Voglio prometterti una cosa”
Lo incitai a continuare, ma entrò un’infermiera.
“Signor Rose.. L’operazione avrà inizio tra poco, la prego di lasciare la paziente..”
“Mi può lasciare altri cinque cazzo di minuti, per favore?!”
Calmati Axl, non preoccuparti, lasciami andare. 
“La prego di capire.. Noi..”
Il rosso la fulminò con lo sguardo.
“Va bene.. Ma cinque minuti”
La donna uscì, e Axl tornò a me.
“Cosa stavi dicendo?”
“Io..”
Cosa devi promettermi, rockstar?
“Minnie..”
Si passò la mano tra i capelli, era così imbarazzato. Sembrava un altro rispetto a quel personaggio ribelle che emozionava decine di migliaia di persone da un palco.
“Voglio.. Prometterti che qualsiasi cosa ti succeda.. Io ti sarò vicino. Tutto qui”
Sorrisi. Ma lui volle continuare.
“Perché ecco.. Io ci tengo a te, sul serio. Perché voglio riuscirci a fare qualcosa di giusto. Per me e per te. Perché io voglio aiutarti e condividere con te tutto quello che ti renderà quello che sarai. Voglio stare con te, bambolina”
Il cuore iniziò a battermi all’impazzata. Quel ragazzaccio aveva un lato davvero così dolce? Il mio corpo non riusciva a reggere tutto: la febbre mi stava uccidendo e ora lo stomaco aveva iniziato a riempirsi di emozioni.
“Minnie devo anche dirti che io ti ho.. Ti ho portato con me a Los Angeles.. Solo perché..” 
“Il tempo è scaduto, signor Rose, per favore.. Esca..”
Axl sospirò. Fece per andarsene, ma prima di farlo mi diede un bacio sulla fronte.
Mi sentii libera e felice. Era bello. Era tutto perfetto. Ero.. viva e.. Oh Axl, non andare.. Ma che.. Mi accorsi solo allora che la donna mi aveva iniettato qualcosa.. E.. era tutto così.. Leggero.. Fr..Friabile.. Che parola stupenda, friabile.. come.. Sono innamorata di lui..

*Click*
La testa mi faceva male, troppo male. Fino a due minuti prima la mia mente era annebbiata e confusa, il mio pensiero era affondato tra immagini senza un senso preciso che si alternavano alle luci dell’ospedale, ai suoi muri bianchissimi, agli infermieri sorridenti e speranzosi, per poi rigettarsi tra colori psichedelici e ricordi d’infanzia, musica, le luci di Los Angeles, i Guns N’ Roses, Axl. Bellissimo Axl. Quando finalmente mi svegliai da quel torpore causatomi dall’anestesia, il dolore iniziò a farsi sentire. Le ore in cui avevo dormito si rivelarono inutili, perché mi sentivo talmente stanca da non riuscire nemmeno a mettermi seduta sul letto. Ero sola. 
Provai a chiamare. Al primo tentativo mi uscì solo un leggero sibilo, poi un sussurro. 
“..C’è.. C’è qualcuno?”
Sentii dei passi lontani. Le voci di una donna mischiarsi ad altre due più familiari. Erano lì.
La porta si aprì. Una signora in camice bianco entrò, seguita da quei visi che, per quanto nascosti da cappelli, occhiali da sole e parrucche, riconobbi.
Axl si avvicinò, mi prese la mano e sorrise.
“Come ti avevo promesso”
“Cosa?”
Si abbassò e avvicinò le sue labbra al mio orecchio.
“Sono qui.”

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Capitolo 6
*** Marzo, 1992 “Mr. Big – Daddy, Brother, Lover, Little Boy” ***


Marzo, 1992 “Mr. Big – Daddy, Brother, Lover, Little Boy”


Febbraio finì velocemente, portandosi via quella febbre e il periodo di riposo che i medici mi avevano consigliato di iniziare dopo l’operazione.
Dopo che Steven fu allontanato dal gruppo, non lo vidi più. Non trovai più il suo numero per casa Rose, non lo sentii più nominare da nessuno dei ragazzi. Sembrava che quel batterista non fosse mai esistito. Neppure Duff, che da sempre era stato il più legato a Steve, sembrava ricordarsene.
Comunque, alla band, serviva un batterista. Axl e Slash trovarono un sostituto in due giorni, Matt Sorum, che lasciò i Cult per aiutare i Guns in qualche data dello Use Your Illusion Tour. Quando Axl gli chiese se avesse voluto restare nella formazione della band, Matt ovviamente rispose di sì.
I Guns avrebbero potuto fare centinaia di provini, ricevere tantissime richieste di prendere il posto di Adler da tutto il mondo, ma ormai a nessuno di loro importava più di trovare quel degno sostituto che si poteva definire “Fratello”. Il fratello era Steven, e ormai se n’era andato.
Matt suonava bene e gli bastava così.

Alla fine del mese, i Guns avevano anche realizzato alcuni tra i più importanti concerti della loro carriera dai quali Ax era tornato cambiato, diventando incredibilmente disponibile: aveva capito che la sua vita era al massimo della sua realizzazione quando si trovava sul palco, e che, perciò, non gli servivano tutte le altre distrazioni durante il resto delle sue giornate. Sembrava pronto a diventare una persona migliore: iniziai a vedere molto più raramente delle bottiglie di Jack per casa. Mi disse che avrebbe bevuto soltanto fuori.

All’inizio del mese di marzo si poteva risentire quella pace che ora si faceva serena, confortevole, non più noiosa come un tempo. I nostri passatempi preferiti, oltre alle lezioni di musica e alle sue prove a cui partecipavo assiduamente provando alche qualche pezzo, erano guardare film e cucinare. Entrambi scoprimmo di avere la passione per la cucina e per il cinema, iniziando a capire che la nostra stava diventando una vera e propria amicizia. Non capivo io per prima che cosa fossi io per lui. La sua coinquilina, sua sorella, la sua migliore amica, ma stavamo bene, seguivamo una certa filosofia anni ’60 che lasciava totale liberta nel proprio stile di vita, purché includesse la pace e l’amore. Quello che in un certo senso, mi stupiva di più della mia convivenza con il cantante, era che le descrizioni così dettagliate del suo carattere irascibile e della sua personalità egoista non avevano mai, fino ad allora trovato fondamento. In più, Axl mi parlava così tanto spesso di quanto odiasse i giornalisti, che mi convinsi che forse avevano inventato tutto, per ingigantire il suo personaggio in maniera negativa.
Purtroppo, quel periodo di tranquillità durò poco. In fondo, vivevo a Los Angeles, e i miei migliori amici erano considerati da chiunque altro degli animali selvaggi, non potevo aspettarmi una vita serena, senza imprevisti.

Quello che stravolse completamente la situazione avvenne un pomeriggio, un pomeriggio come molti altri. C’era il sole, di quelli che ti fanno sperare che finalmente stia arrivando il caldo estivo. Axl era nella stanza che chiamava “Studio della musica” dove teneva la sua collezione di dischi e l’impianto Hi-Fi di altissimo livello. A volte ci chiudevamo in quella stanza, che aveva anche accuratamente fatto insonorizzare per poter alzare il volume a livelli spaziali, ed ascoltavamo di tutto, perdendoci tra i più diversi artisti e generi.
Io stavo leggendo qualcosa nel salotto, quando suonò il campanello. Due volte. Neanche il tempo di alzarsi dal divano, che trillò una terza volta.
“Axl?!”
“Vaì ad aprire tu, mi metto dei vestiti decenti..”
“Ma aspettavi qualcuno?”
“..No. Dai, alza il culo, non fare aspettare.”
Mi alzai e aprii la porta d’ingresso, che dava direttamente sul cortile curatissimo.
Poliziotti.
Splendido.

“..Salve”
Si guardarono attorno dubbiosi.
“Possiamo parlare con il padrone di casa?”
“Lui sta arrivando, di cosa si tratta?”
“Abbiamo un mandato d’arresto per William Axl Rose per i reati di aggressione, lesioni, rissa e incitamento alla sommossa, denunciati in data 2 luglio 1991.”
Sgranai gli occhi. Di cosa stavano parlando?
Fortunatamente, in quel momento uscì anche Axl, che si stava chiudendo la camicia sopra ad una canottiera bianca. Il suo sorriso si spense quando vide i due agenti, e quando gli mostrarono le manette iniziò a tremare.
 “Ci segua, prego. Ha il diritto ad un avvocato per il processo”
Rimasi paralizzata sull’uscio.
“Ho bisogno.. di alcune cose.. Un.. secondo”
Axl scomparve dentro casa. Lo seguii ignorando le urla degli agenti.
“Abbiamo un mandato! Se non sarà qui entro cinque minuti saremo costretti ad introdurci in casa!”
Corsi dentro intenzionata a cercarlo in camera sua, ma non ce ne fu bisogno: lo trovai in piedi, in mezzo al corridoio, bianchissimo, il respiro irregolare.

No. Non ancora una volta. Devi calmarti. Devi riuscirci. Suzie ti ha detto di pensare alle cose belle, di pensare ai ricordi felici.. I ricordi. Io non ho ricordi felici! Mi hanno sempre detestato tutti, ed è ancora così. Non ci sarà mai amore. Mai. E’ finita. E’ finita. Mi hanno appena arrestato. Nessuno riuscirà a convincerli che non mi merito la prigione. Nessuno. Mi hanno tirato troppa merda addosso. Respira coglione. Se affronti le cose così cosa speri di risolvere?! Era tutto così perfetto, perché non posso semplicemente voltare pagina? Ho paura. Ho paura cazzo. Ho paura di perdere il controllo un’altra volta, di finire in galera..
No, oddio.. Minnie esci di qui. Minnie non sono io questo, ti prego vai via prima che.. Tu non devi vedermi così, vattene, vattene bimba, VATTENE VIA. Io sono migliore, io posso essere migliore, ci sto provando, ci sto provando con tutto me stesso.. DIO? PERCHE’ NON POSSO ESSERE SEMPLICEMENTE NORMALE?!


“Axl”
“Vai in camera tua”
“Axl, vuoi che chiami qualcuno? Posso aiutarti, io..”
“MINERVA, VAI IN CAMERA TUA, CAZZO!”
Alzò la voce in maniera spropositata, mi spaventai, ma aveva bisogno di aiuto, non potevo dargli retta.
Continuava a sussurrare “Per favore.. In camera tua”
Avevo paura.
Gli sfiorai la spalla.
Si voltò di scatto, mi afferrò il polso con cui l’avevo appena toccato, una stretta forte.
Gli occhi sgranati. Mi stava facendo male.
Ora mi guardava il braccio, mentre tremavo davanti a quello che non sembrava più lui.
“:.Ti prego”
Mi lasciò. Ancora con la mano tremante, come se stesse facendo una fatica enorme a controllarsi.
“Ti ho detto di andare in camera tua”
“Hai.. Bisogno di aiuto Axl”
Scosse la testa, ed iniziò a dondolare. A gemere.
“Ti prego”
“Che cazzo vuoi? Credi di poter fare qualcosa? Non voglio che tu mi veda così, vattene, vattene via!”
Mi allontanai:
“Posso sapere cosa c’è che non va?!”
“MI CHIUDERANNO IN GALERA. Mi chiuderanno in galera e tu non puoi farci un cazzo!”
Scoppiò a ridere, in maniera agghiacciante. Continuava a ripetere “Tu non puoi farci un cazzo” come se fosse una filastrocca. Era disturbato.
Diede un calcio ad un armadio, poi, insoddisfatto del risultato, lo aprì, e tirò l’anta fino a scardinarla.
“IO NON VOGLIO ESSERE COSI’! Voglio essere lasciato in pace! Smettila, lasciami vivere! Ho bisogno di aiuto. No. Non ne ho bisogno. Io vi odio cazzo, io mi odio! VOGLIO.. Voglio morire”
Crollò a terra. Io ero rimasta paralizzata. Lo vidi scoppiare a piangere. Mi sentii minuscola.
Lo guardai, poi mi soffermai sull’anta dell’armadio che ora giaceva per terra, di fronte all’armadio che ora rimaneva chiuso solo per metà. Guardai poi il mio polso, che stava assumendo un leggero colore violaceo.
I poliziotti entrarono in casa in quel momento. Afferrarono Axl per un braccio e gli fecero indossare le manette a forza, torcendogli le braccia e chiudendole troppo strette, serrandogli i polsi.
Lui continuava a piangere. Prima di uscire di casa riuscì solo a sussurrarmi due parole, con gli occhi ancora sgranati, l’aria sconvolta, e lo sguardo basso.
“Chiama Duff”.


Sui sedili posteriori, il bassista continuava a guardarmi.
Avevo gli occhi lucidi. Continuavo a ripensare a cosa fosse successo. All’arresto, a quell’Axl che non avrei mai voluto vedere.
Duff sospirò.
“Non vuole che.. la gente lo veda così”
“Posso immaginare il perché.”
Mi lanciò una lunga occhiata.
“Duff, lui era pericoloso! Era completamente fuori di sé..”
Fissò il livido che avevo sul polso.
“Non vuole essere così.. Non è colpa sua. Sono anni che cerca di calmare queste crisi. Quando l’ho conosciuto gliene venivano più spesso, bisognava trattarlo con i guanti, non era capace di sopportare nulla. Da quando va da una psicoanalista sta migliorando.. Ma.. In una situazione del genere..”
Continuavo a guardare fuori dal finestrino. Tutto l’amore e l’affetto che solitamente provavo per Axl era stato inevitabilmente cancellato dalla paura.
Duff alzò un braccio.
“Dai, vieni qui..”
Mi avvicinai a lui e appoggiai la testa sul suo petto, mentre, con il braccio, mi cingeva le spalle. Finalmente, mi sfogai in un pianto liberatorio e silenzioso. Duff cercava di asciugarmi le lacrime, continuava a ripetermi “Vedrai che andrà tutto bene, ci sono io, tranquilla”.
Per quanto apprezzassi il suo tentativo di mostrarsi così dolce con me, riuscivo benissimo a percepire che era preoccupato almeno quanto me: tutte le date di marzo del tour sarebbero senza alcun dubbio saltate, ma il terrore del bassista era che se Axl avesse perso la causa, sarebbe stato sbattuto in cella, e con tutti i precedenti che aveva accumulato da ragazzo, avrebbero gettato via la chiave.
Andammo a casa di Izzy, dove Duff gli raccontò tutto e gli chiese di pensare a me mentre lui andava a parlare con Slash.
“Vuoi qualcosa da bere, bimba?” disse con aria assente.
Rimasi in silenzio. Lo guardai, ancora gli occhi rossi per il pianto.
Mi abbracciò forte.

Il tutto era nato dalla tappa del tour di St. Louis, nel Missouri, dove Axl, durante l’esibizione della canzone Rocket Queen, era stato insultato da un fan, aveva perso il controllo e si era letteralmente avventato sul ragazzo. L’aveva aggredito prima che la sicurezza riuscisse a tirarlo fuori dalla folla, e, quando finalmente, aiutato da Duff, il cantante era risalito sul palco, ringraziò la sicurezza definendola composta da “Fancazzisti” e disse che sarebbe tornato a casa, scagliò il microfono per terra e andò nel backstage.
I problemi non si fermarono qui: la folla di spettatori si infuriò a tal punto da iniziare una sommossa contro la band, tirando oggetti sugli strumenti e sugli amplificatori che rimasero sul palco vittima della rabbia dei fans.
Quando Axl si calmò, uscirono nuovamente sul palco, e suonarono Patience, ballad che forse avrebbe calmato il pubblico. Ma non funzionò. Questo continuava a scagliargli contro oggetti, e i Guns furono costretti letteralmente a scappare su una jeep, mentre osservavano quella che era ormai diventata un’incontrollata folla di selvaggi. Ci furono dei feriti gravi, gente che rimase ustionata o lesionata, calpestata da altri. Axl rimase molto provato. Come al solito le sue crisi avevano dato origine a qualcosa di mostruoso, qualcosa che l’altra parte di lui non avrebbe mai accettato. Da quel giorno aumentò le sedute con la sua psicoanalista, ma di certo, non si aspettava che la città di St. Louis, lo denunciasse.

Io rimasi da Izzy e dalla sua ragazza Annica per quasi tutto il periodo del processo, mentre cercavamo di seguire in tv alcune delle giornate che Axl passava in tribunale.
Il cantante stava affrontando tutto con una diplomazia spaventosa, mi raccontò anni dopo che senza riempirsi ogni mattina di calmanti non ce l’avrebbe mai fatta. In questo modo, però riusciva a rispondere, senza esternare tutta la rabbia che provava, ad ogni domanda che gli avvocati e il giudice gli chiedevano con un tono quasi sarcastico.
Ricorderò sempre quando quest’ultimo gli chiese se i componenti dei Guns N’ Roses facessero uso di droghe. Passarono degli estenuanti minuti prima che Axl si decidesse a rispondere con un flebile sì, e quando gli chiesero di che tipo, passarono altri lunghissimi secondi prima che dicesse
“Cocaina.. e.. credo dell’altro ma non lo so, io non.. faccio più uso di droghe pesanti”
Allo sguardo scettico dei presenti, il cantante aveva alzato gli occhi al cielo, mentre Izzy, guardando la diretta tv, aveva sussurrato “Calma, Will..”
Verso la fine di marzo, intorno al 25 del mese, però, Duff telefonò ad Izzy dicendo che il processo stava durando veramente troppo, che Axl era riuscito a chiamarlo dicendogli che non ce la faceva più, che non riusciva più a resistere, che a breve avrebbe mandato tutto a puttane se quel giudice non lo avesse nominato innocente entro una settimana. Il chitarrista, mi aveva proposto lo stesso giorno di tornare a casa di Axl per vedere se era tutto in ordine per un suo eventuale ritorno imminente, ma quella telefonata ci fece capire che le cose sarebbero andate per le lunghe e che non si sarebbe risolto nulla positivamente. Chiesi a Izzy di andare lo stesso a casa Rose.

“Hai mai visto la terrazza, bambolina?”
Mi voltai verso di lui, dopo essere entrata nella villa.
“Non sapevo ce ne fosse una”
Sorrise.
“Axl non la usa da secoli, un tempo organizzava delle feste incredibili, ma da quando ha iniziato a convivere con Stephanie non ha più voluto fare nulla a casa sua.. Un vero peccato.. Vieni”
Lo seguii su per alcune scale che pensavo portassero solo alla soffitta. Mi ritrovai invece davanti a una porta chiusa. Izzy tirò fuori da un vaso accanto la chiave e aprì.
“Dopo di te” disse ridendo.
Un’altra rampa di scale, ma all’aperto. Salita anche quella mi ritrovai in uno dei posti più belli che avessi mai visto.
La terrazza era grande quanto il tetto dell’intera casa. Diverse piante, alcune secche, altre ancora rigogliose, ornavano l’intero perimetro della zona. Alcuni tavoli, divani, sedie sdraio e ombrelloni occupavano il resto dello spazio, insieme ad una bellissima fontana, situata in un angolo, che però, non era in funzione. Quello che però attirava maggiormente l’attenzione era l’incredibile abbondanza di rose. Axl aveva sistemato un graticcio vicino alle altre piante, in modo da far arrampicare le piante fino a creare un soffitto di fiori.
Rimasi incantata.
“Bisognerebbe sistemarlo un po’”
“Non è vero, è perfetto..”
Risposi ignorando le foglie secche e i petali che riempivano il pavimento a piastrelle bianche e nere.
Izzy si sedette su un divano che dava sul davanzale, lo imitai e rimanemmo a guardare il lontano skyline di Los Angeles che si stagliava contro l’orizzonte per qualche minuto, fino a quando la sua voce non interruppe il silenzio.
“Minnie..”
Lo guardai sorridendo, per poi stendermi e poggiare la testa sulle sue ginocchia.
Il rapporto tra me e Izzy era diventato ancora più intimo da quando avevo passato un altro mese insieme a lui.
“Sì?”
“Io.. temo di doverti dire una cosa..”
Lo esortai a continuare, anche se preoccupata dalla sua improvvisa serietà.
“Vedi.. Alla fine dell’anno.. Io ho intenzione.. Di andare via per un po’.. ecco.”
Mi alzai di scatto.
“Che vuol dire?”
Sospirò.
“Io.. ho smesso di fare uso di droghe all’inizio dell’anno.. E.. per me è sempre più difficile condividere la mia esperienza musicale con una band come..Insomma Slash, Duff e.. ora anche Matt… Loro non mi aiutano.. E.. Beh ad Annica piacerebbe viaggiare, vedere il mondo, e sarebbe effettivamente anche il mio sogno..”
Lo guardai incredula.
“Izzy, la musica era il tuo sogno! Avete.. Avete una band! Non puoi essere così egoista!”
“Minnie ti prego, non sono io l’egoista, abbiamo provato così tanto a discutere delle loro dipendenze: Duff continua a dire che smetterà di bere, e il giorno dopo lo troviamo ubriaco e svenuto nella Hell House. Slash non fa nemmeno lo sforzo di provarci. E.. Oh, Matt è un estraneo, lui non farà mai parte dei Guns N’ Roses..”
“E pensi che un tuo sostituto ci riuscirà?! Sei impazzito? Non.. Non pensi ad Axl? E’ il tuo migliore amico..”
“Axl non è qui..”
“Ok, splendido, vuoi sapere una cosa? Io sono qui! Credi che a me non importi di te?!”
Mi guardò a lungo negli occhi, uno sguardo malinconico, ma speranzoso al contempo.
“Era di questo.. che volevo parlarti”
Lo fissai con aria interrogativa.
“Minnie io.. Preferirei.. Condividere questo viaggio con te, che con Annica..”
“Che significa?”
Mi sfiorò la mano.
“Che io.. temo di preferire te a lei..”

Temo di dovermi per un attimo fermare nella narrazione, perché ripercorrere certi ricordi mi fa rivivere momenti che per tanto tempo avevo finto di dimenticare, costringendo me stessa a credere che non fossero importanti. La verità è che in quel momento, con una semplice frase, Izzy Stradlin aveva, contemporaneamente, distrutto la nostra amicizia così solida e dato una luce di speranza ad un futuro che poteva essere molto più sicuro, certo e libero di quello che Axl mi prometteva.
Da quando Izzy pronunciò quella frase, la mia convinzione di un fato che crea già un uomo e una donna destinati ad amarsi eternamente, stava andando in frantumi, e iniziai a pensare, invece, che io e lui fossimo speciali, perché eravamo riusciti a fotterlo, il destino. Non credo che una donna possa innamorarsi di due uomini, ma penso che l’attrazione che c’era e che c’è ancora oggi tra Izzy e me, sia talmente forte da crearci dei dubbi, da creare delle divergenze da quel piano così perfetto e calibrato che deve essere invece la vita sentimentale di una persona.
Tutte sciocchezze, lo so. Io ora vivo una vita perfetta, ma quello che penso è che ci sia stato un errore, un piccolo errore che per poco tempo, mi ha fatto pensare che se avessi detto a Izzy di amarlo, sarebbe stato tutto meravigliosamente diverso.

Rimasi senza parole.
“Che cosa..”
“Minnie, aspetta, pensaci. Non dovremmo più preoccuparci di nulla io e te. Di un futuro, del successo, di un disco da incidere, di lezioni da rispettare. Saremmo solo noi, e il mondo sarebbe lontano da tutto. E.. Io voglio condividere questa cosa con una persona speciale, e quella persona, mi sono reso conto, non è Annica, non.. Non è lei e non lo sarà mai, perché.. Perché sei tu”
Ero shockata. Non riuscivo a capire se stesse scherzando o facesse sul serio.
“Lo so che può sembrare fuori di testa, ma ho bisogno di capire perché tu mi fai sentire una persona così diversa, così felice.. Senza averti conosciuto non sarei mai riuscito a togliermi la droga di dosso, non ce l’avrei mai fatta, solo la tua presenza mi rendeva più forte.. Io volevo essere migliore, per te”
Mi strinse la mano più forte. Ora si aspettava una risposta, ma in realtà, anche io mi aspettavo una risposta da me stessa, che mi venisse da dentro, che fosse la verità su quello che provavo, ma non arrivava.
“Izzy.. Io non ho mai pensato a.. Niente del genere..”
Abbassò lo sguardo.
“Lo so”
“No.. Non puoi saperlo..”
“Sì, invece, so che il tuo futuro prevede Axl, non me..”
Arrossii in maniera spropositata. Ottimo. Lui sa.
“..come fai a..?”
“Oh, bimba, solo uno stupido non capirebbe. I tuoi sorrisi tutte le volte che ti stringe la mano..”
Abbassai lo sguardo per la vergogna, non pensavo fosse così evidente, in fondo, nemmeno io ero sicura di quello che volevo. Quello che stavo cercando di imprimermi dentro era che l’idea di passare la mia vita con Izz vedendo il mondo, mi piaceva, mi piaceva moltissimo.
“E.. se avessi sbagliato? E se fossi tu quello giusto? Se il mio futuro prevedesse te?”
“Sei tu a scegliere il tuo futuro..”
“Io credo.. che ogni persona sia già destinata in partenza ad un’altra”
Avvicinò il suo viso al mio.
“Ah, sì?”
Sentii il suo respiro, i suoi occhi che mi guardavano, le sue braccia stringermi la vita.
“Izz..”
“Cosa?”
I nostri respiri erano irregolari, le nostre parole flebili.
“Se.. Se questo non dovesse.. avere importanza, significa che non è questo che dovrebbe succedere”
Annuì, la sua bocca sfiorò la mia, poi mi strinse di più a lui, sentii le sue labbra, il suo respiro, il suo cuore battere, le sue mani corrermi sulla schiena, la sua lingua.
Fui catapultata in un universo di emozioni nuove, perfette, che non avevo mai provato con nessun altro. Il bacio di Steven era stata una cosa sporca di cui mi ero pentita, il ragazzo che avevo avuto era stata una stupida cotta adolescenziale.. Ma..questa volta era.. Amore?!
Lo allontanai bruscamente, forse troppo. Mi guardò preoccupato.
“Scusa..”
“Non fa niente”
Si alzò dal divano, e appoggiò i gomiti sul davanzale.
Mi misi vicino a lui.
“Minnie ok, non c’è bisogno che fingi ulteriormente, non ti è piaciuto, non sono io. Perfetto.”
“Izzy io.. E’ che ho solo paura di star sbagliando. Il mio sogno è quello di diventare qualcuno e, così..”
“Così saresti qualcuno! Saresti mia..”
Non potevo. Io volevo Axl. Allora perché quello stupido bacio mi aveva fatto provare quelle cose?
Tutti i miei sogni di diventare una rockstar stavano andando in frantumi.
Ero andata a Los Angeles per un motivo.
“Izzy, sappiamo entrambi che la donna giusta per te è Annica”
“E per te è Axl? E’ quello che vuoi?!”
Abbassai lo sguardo.
“Che cosa saresti tu per me, Izz?”
“Io.. Non lo so. Sarei.. tuo fratello, il tuo amante, tuo padre se vuoi.. Io sarei tutto..”
“Non funziona così..”
“Beh, meglio. Non credere che a me sia piaciuto. Era.. come tutti gli altri, non eri un amore speciale come credevo. Solo.. La mia immaginazione, a quanto pare.”
Izzy si allontanò, intenzionato a tornare a casa. Lo fermai.
Si girò e ci baciammo di nuovo.
“E’ così stupido..”
Un altro bacio.
Quando ci guardammo di nuovo, avevamo entrambi gli occhi lucidi.
Stupido Izzy. Dovevi obbligarmi a partire con te. Sarei stata felice.
Sì. Il destino, a volte, sbaglia qualcosa, perché ci sono persone che si attraggono così dannatamente, da soffrire per tutta la vita per una stupida scelta. Non sono pentita. Come potrei. Ora è tutto splendido. Sono solo.. Curiosa.
Sarei stata davvero tanto felice con te, Izz.
Tornammo a casa dandoci le spalle, ognuno fissando fuori dal proprio finestrino, senza rivolgerci la parola.

Il giorno dopo, Izzy mi guardò a lungo quando entrai in cucina per la colazione.
Annica mi sorrise innocente come al solito. Mi mise davanti una tazza fumante di caffè, mi chiese se avevo dormito bene, ma sembrava non riuscire a nascondere qualcosa che la eccitava moltissimo.
Alla fine non si trattenne più.
“Izzy, non hai niente da dire a Minnie?”
Lui abbassò lo sguardo, appoggiando la tazza da cui stava bevendo sul tavolo, bruscamente.
La voce roca per il fumo, fredda.
“Axl ha vinto la causa, bimba. Domani torna a casa.”
Sgranai gli occhi.
“Non è fantastico?”
Annica era incredibilmente felice, forse perché finalmente mi sarei levata da casa sua.
Izzy mi sorrise sarcasticamente.
Doveva smetterla di farmi sentire così di merda.
Non riuscivo a decidere se essere felice o se scoppiare a piangere.
“Sì. Fantastico.”


Axl era stremato, ma felice, camminava piano, come se avesse paura che chiunque gli potesse saltare addosso da un momento all’altro per chiedergli del processo. Per la prima volta vedevo quella sua sicurezza e sfacciataggine caratteristiche indebolite. Ora era timido, deluso, stanco. Ma si vedeva che era tanto, tanto contento di essere finalmente tornato a casa, forse.. di rivedermi?
Arrivò da Izzy il mattino seguente, con una giacca elegante che ancora non aveva potuto sostituire con il chiodo e le sue cinture borchiate.
L’accoglienza di Izzy fu tremendamente fredda, ma Axl non ci fece caso.
“Ehi, amico”
Si abbracciarono in silenzio, si sorrisero, ma Izzy guardava per terra, come se si sentisse in colpa, come se gli stesse nascondendo qualcosa, ma in fondo.. Era così.
“Dov’è Minnie?”
Izzy rispose con un cenno della testa e andò a tracannare del Wiskey per non far finire male la situazione.
Il cantante arrivò alla camera degli ospiti, dove stavo piegando alcuni vestiti da mettere in valigia per tornare a Malibu.
“Bimba”
Mi voltai e lo rividi. Rividi quel sorriso perfetto.
Questa volta, non tentennai, gli saltai al collo, lo abbracciai forte, Dio, solo allora riuscivo a capire quanto mi era mancato. Non sembrò sorpreso dalla mia reazione, lasciò la borsa che teneva nella mano destra, e mi strinse dolcemente.
“Mi sei mancato tantissimo..”
“Anche tu splendore”
Restò a contemplarmi per un po’ sorridendo. Mi scostò i capelli dagli occhi.
Sorrisi anche io, ammirando ogni suo movimento, cogliendo ogni suo sguardo. Quell’uomo era così perfetto.  
“Hai i capelli troppo lunghi.” Disse.
Scoppiai a ridere. Che cosa c’entrava questo?
“Senti chi parla”
Rise anche lui, mi prese tra le mani i boccoli scuri e me li alzò leggermente, facendoli sembrare più corti.
“Staresti meglio, no?”
“Non lo so, che importanza ha..”
“Avrà importanza, se ti dovrai esibire con noi il mese prossimo..”
“Che cosa?!”
Axl guardò per terra, sorrise.
“Ti ho portato una cosa..”
Mi allungò una scatola avvolta da della carta da pacchi. Lo guardai dubbiosa, ma lui mi fece cenno di aprirlo. Lo scartai lentamente, dentro c’era una confezione di scarpe. Dr. Martens, modello 1460 a 8 buchi. Le scarpe che rappresentavano la rivoluzione di decine di generi musicali, dal Punk ai Mods, dagli Skinhead al Grunge.
“..Grazie”
“Sono scarpe importanti, chiunque a LA deve averne un paio..”
Gli diedi un bacio sulla guancia
“Grazie Axl”
Sorrise e mi prese la mano.
“Andiamo a casa”.






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Nota dell'autore: 
E' da diverso tempo che non aggiornavo e che non scrivevo nessuna nota e ho pensato che fosse arrivato il momento di spiegarvi un secondo alcune cose: per quanto io abbia sempre tentato di rispettare al meglio le date degli avvenimenti relamente accaduti, la maggior parte delle volte, ho scelto, appositamente, di modificare di diversi anni la storia che molte fan, me compresa, conoscono a memoria. L'abbandono del gruppo di Steven so bene essere avvenuto due anni prima, così come anche Izzy che dovrebbe già esserne uscito da parecchio, ma è stata mia scelta voler cercare di modificare un po' la reltà in funzione di Minnie, che influirà anche su avvenimenti, come avete visto, realmente accaduti. Spero che comunque la storia risulti credibile, nonostante i cambiamenti temporali vi possano sembrare forzati..
Intanto ringrazio chi ha lasciato recensioni nei primi capitoli e chi magari inizierà a farlo in seguito, e anche tutti quelli che leggono in silenzio e che so essere tanti.
Spero sempre di non tediarvi con i capitoli piuttosto lunghi che ho deciso di scrivere così per dare a tutta la storia una forma più di un libro che di una ff, e con questo vi saluto, sperando che la storia continui ad appassionare, o per lo meno a piacere un pochino :3

A presto
Nicky

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Capitolo 7
*** Aprile, 1992 "Anouk - Nobody's Wife" ***


Aprile, 1992 “Anouk – Nobody’s Wife”


Quella mattina mi svegliai presto e la prima cosa di cui mi accorsi fu un forte odore di fumo. Mi alzai preoccupata: un ricordo che avevo di una situazione simile risaliva a quando avevo circa dodici anni, un capanno del vicino della mia famiglia aveva preso fuoco. Andai a svegliare la mamma che prontamente chiamò i vigili del fuoco: nessuno prima di noi li aveva avvertiti, riuscirono a spegnere l’incendio e mi sentii un po’ un’eroina. Decisi quindi che dovevo rientrare nei panni di quella eroina e andare a vedere che cosa c’era che non andava. Percorsi il lungo corridoio della casa rendendomi conto che la provenienza dell’odore era niente meno che la camera di Axl.
Perfetto.
Mi avvicinai alla porta, e inciampai su un ostacolo che non avevo assolutamente notato: il corpo di Slash giaceva svenuto nell’angolo del corridoio, una gamba abbandonata in mezzo al passaggio, su cui io avevo rischiato di cadere.
Restai immobile sperando di non averlo svegliato, bofonchiò qualcosa e ricominciò a russare. Bene. In quel momento decisi di guardarmi intorno: prima di entrare nella stanza di Ax mi accorsi che il salotto era invaso da mozziconi, bottiglie, qualche striscia di sostanze non pienamente identificabili e, soprattutto, ospiti. Il divano era ricoperto di ragazzi sdraiati nelle posizioni più scomposte possibili, ognuno con abbracciato la propria ragazza con cui si era intrattenuto la sera prima. Riconobbi Duff, l’unico con il braccio a ciondoloni dal divano con ancora in mano una lattina di birra, e qualche altro viso a me familiare, come quello di un ragazzo biondo con i capelli lunghi fino alla vita, che però non riuscivo a riconoscere. Una delle ragazze in quel momento aprì gli occhi, il suo compagno le teneva una mano sul sedere scoperto. Ci guardammo per poco, mi sorrise imbarazzata, prese le sue cose sparse per il pavimento e indossata una maglietta e degli shorts uscì silenziosa dalla porta d’ingresso salutandomi con la mano. Sperai che non mi avesse scambiato per una sua collega, ma in fondo, con indosso solo una maglia vecchia di Ax che mi aveva prestato come pigiama, non dovevo sembrare molto sexy. Alla fine,  entrai nella camera del cantante: lui era steso sul letto, gli occhi chiusi, e un sorriso malizioso stampato sulle labbra, mentre una ragazza gli baciava il collo e un’altra si faceva abbracciare dal ragazzo. Lo spettacolo era avvolto da una nuvola di fumo incredibile per via delle sigarette che tutti e tre stavano fumando senza ritegno unite a tutte quelle che, mezze accese, giacevano per terra.
Decisi che non avevo voglia di passare una domenica condividendo la casa con un branco di Rockstar fuori di testa, presi coraggio e andai determinata verso la finestra, che aprii per rendere l’aria respirabile. Axl aprì gli occhi e si accorse della mia presenza.
“Bambolina! Sai? Tempo fa ho fatto una scoperta incredibile e stasera ne ho avuto la conferma: due è meglio di uno!”
Dopo questa sua affermazione mi accorsi anche della sterminata fila di bottiglie vuote sul comodino e vicino al letto.
“Perfetto, splendore, ora è meglio se però ce ne andiamo, non è vero bellezze?”
Le due ragazze sbuffarono, si rivestirono ed uscirono portandosi dietro un po’ delle loro amiche dal salotto.
Axl mi prese un braccio:
“Mi vuoi tutto per te, tesoro? Basta dirlo, non c’è bisogno di essere scortese con le altre..”
“Sei completamente ubriaco”
Mi fece il verso e sorrise, meglio così, almeno non si stava arrabbiando per la mia iniziativa di far finire la festa. Mi sedetti accanto a lui, mentre gli altri si stavano svegliando e stavano facendo una processione verso l’uscita della casa. Axl continuava a sorridere rotolandosi tra le lenzuola, non indagai sul fatto che probabilmente non indossava nulla oltre alle coperte del letto.
“Ti va di dormire un po’? Così magari quando ti svegli starai meglio..”
“Io sto benissimo! Cosa credi che non sia abituat..”
Si bloccò di colpo.
“Stai… Bene?”
Si alzò di scatto, e, infilatosi nel suo bagno privato, iniziò a vomitare.
Scoppiai a ridere.
“Benissimo, eh?”
“Vaffanculo”
In quel momento, Duff entrò barcollando nella camera. Lo sentii mandare un accidente alla gamba di Slash sulla quale era appena inciampato anche lui.
“Ohe! Gran bella festa fratello, dovresti farlo più.. Dov’è Axl?”
“Sta vomitando”
“Reggi l’alcol come una troietta, Rose!”
La voce di Axl urlò dal bagno:
“Piacere che la festa ti sia piaciuta, vattene.”
Prima che il bassista potesse avviarsi per l’uscita lo trattenni, preoccupata:
“Sei ubriaco fradicio Duff.. Resta..”
Sorrise, accettò il mio invito come se non aspettasse altro, e si stese sul letto senza tanti complimenti. Intanto andai nel salotto, e mi resi conto con gioia che tutti gli invitati erano andati. Chiusi la porta d’ingresso e ritornando dai due Guns ritrovai Slash per terra e mi decisi a svegliarlo. Si alzò incazzato nero, ma almeno, grazie alla dormita, era riuscito a smaltire più degli altri due.  
In quel momento, mi accorsi che il ragazzo dai lunghi capelli era anche l’unico ad essere rimasto: si avvicinò a Slash per salutarlo, gli chiese dove fosse Axl, ma il riccio rispose con un’alzata di spalle, così l’uomo misterioso fece per andarsene, quando, d’improvviso, forse accortosi del mio fissarlo con insistenza, si voltò a guardarmi.
“Sei Minnie, vero? Axl mi ha parlato di te..”
Gli sorrisi imbarazzata, non mi ero accorta di quanto fosse bello. Mi tese la mano.
“Piacere, Sebastian Bach, ma puoi chiamarmi Seb.”
A quest’ultima affermazione aggiunse un occhiolino.
“Sebastian degli Skid Row?!”
“Puoi contarci, dolcezza. Dì al tuo coinquilino che ho lasciato alcune birre nel frigo, se mi fermano con delle bottiglie in macchina è la fine.. Ci vediamo”
Slash gli fece un cenno e io mi limitai a sorridere.
Axl uscì dal bagno, la bocca leggermente sporca che provveddette a pulirsi con una mano che poi asciugò sulla maglietta di un Duff assopito.
“Ci vorrebbe una pausa..”
“Oh, hai ragione Rose, troppi festeggiamenti sono stancanti.”
Gli dissi allungandogli una maglietta.
“Assolutamente.. La prossima data del tour è in Italia no?”
I miei occhi si illuminarono, Slash fece un segno di assenso.
“Magari potremmo andare là una settimana prima e passarci un po’ di tempo libero.”
Duff aprì gli occhi:
“Come una vacanz.. Axl, che merda ho sulla maglietta?”
“Sì.. come una vacanza”.
Axl mi guardò sorridente, forse aveva ancora un po’ di alcol addosso, e iniziai a chiedermelo quando mi disse:
“E tu verrai con noi. E canterai in Italia. E poi potremmo andare dalla tua famiglia un paio di giorni.”
“In questo stato?”
Slash parlò piano guardando Axl, ma io sentii benissimo. Di cosa stavano parlando?
“Non dire così, idiota, sta molto meglio di prima.”
Li guardai con aria interrogativa. Mi stavo preoccupando e l’ansia crebbe quando mi resi conto che quella mattina non mi ero ancora guardata allo specchio. Iniziai a farmi mille idee su cosa potesse essermi successo, ma non mi venne in mente nulla che potesse assomigliare a quello che realmente i Guns mi avevano fatto quella notte.
Mi avvicinai titubante allo specchio della camera di Axl.
“Ehm.. Minnie, prima che tu possa metterti a urlare.. Diciamo che ti eri addormentata su una poltrona e.. Beh eravamo tutti già brilli, e poi te l’avevo detto che secondo me saresti stata meglio così.. E Duff aveva detto di essere capace..”
Duff si alzò a sedere.
“Comunque non è stata un’idea mia!”
Ormai ero terrorizzata, camminai lentamente fino a quando non mi vidi:
i miei capelli, semplicemente, non c’erano più. I lunghi boccoli erano scomparsi. La metà sinistra del capo era stata completamente rasata e rimaneva un cortissimo strato di capelli. L’altra metà era leggermente più lunga, o almeno, i capelli mi coprivano l’orecchio e si fermavano al collo, in maniera scalata e scomposta, molto in stile punk o molto in stile Duff.
Restai a guardarmi sbalordita per un paio di minuti buoni, mentre gli altri restavano in silenzio in attesa di un verdetto, ma se in un primo momento avevo pensato di iniziare a strillare, mi resi conto che non era poi così male..
“..Allora?”
“Sappiate che non sono di vostra proprietà e non potete farmi quello che volete! Che cosa diavolo vi è saltato in mente?!”
“Un po’ di nostra proprietà lo sei, però..”
“Non ho finito, Duff.”
Lui abbassò lo sguardo come un bambino davanti al rimprovero della madre, mentre gli altri sogghignavano vedendomi così innervosita.
“Detto questo..”
Gli sguardi dei ragazzi tornarono speranzosi.
“Mi piacciono”
I tre si misero a urlare come se la nazionale avesse appena segnato un punto, iniziarono a brindare con le bottiglie aperte di Jack sporcando tutto il letto di Al e facendosi la doccia a vicenda mentre io continuavo a guardarli sorridendo e scuotendo la testa.
Erano tre dannati bambini, se Izzy fosse stato lì li avrebbe rimessi in riga in trenta secondi.
Come diamine faranno senza di lui..
Ad un certo punto, Axl si mise in ginocchio sul letto, circondato dagli altri due ancora scossi dalle risate. Con aria solenne, fece cenno agli altri di zittirsi.
“Minnie, vuoi tu diventare una rockstar e intraprendere il tuo primo tour con i Guns fottuti Roses?”
Lo guardai. La perfezione. Sorrisi, con aria di sfida, verso di lui, verso il destino, verso il futuro.
“Lo voglio”
Pochi giorni dopo, i Guns organizzarono una piccola festa per il breve addio a Los Angeles durante la tappa in Italia.
Io, nonostante di solito non partecipassi alle feste nei locali, decisi che, visto che ormai iniziavo a conoscere il loro giro di amicizie, mi sarei potuta preparare al meglio e stare un po’ con loro.
Per quanto i miei capelli fossero riusciti, erano stati tagliati da un bassista ubriaco, perciò mi occupai di farli sistemare da qualcuno di più esperto, che poi me li tinse di nero coronando il tutto con una meche bianca. Limate le unghie, me le laccai con un nero brillante e indossai dei pantaloni stretti di pelle, una cintura nera borchiata di traverso sulla vita e una canottiera scollata bianca con una stampa dei Sex Pistols. Il chiodo sulle spalle, due orecchini lunghi di metallo e un solo guanto nero da motociclista. Ai piedi, le Dr. Martens che Axl mi aveva regalato.
Dopo essermi sfumata la matita nera sulle palpebre e allungato le ciglia di almeno un metro, mi guardai allo specchio.
Per la prima volta nella mia vita, decisi di essere bella.

Quando raggiunsi il Troubadour, locale sulla Santa Monica Boulevard di L.A., scesi dalla Mercedes dell’autista di Axl, e camminai velocemente verso l’entrata, evitando le occhiate indiscrete dei fumatori appoggiati al muro dell’ingresso. Chiesi al barman dove fossero seduti i Guns e lui mi fece un cenno, solo dopo avermi lanciato una lunga occhiata al decolté. Mi voltai e riconobbi la chioma ossigenata di Duff. Mi avvicinai, e fu allora che Axl mi vide.

Se avesse avuto in bocca della birra sono sicura che l’avrebbe sputata. Mi guardò con gli occhi azzurri spalancati e le sopracciglia arcuate. La bocca semiaperta a coronare un’espressione incredula, di cui prese subito dopo il comando sorridendo in maniera storta.
Gli altri accorgendosi del suo sguardo, si voltarono.
“Porca puttana!”
“Noi preferiamo groupie..”
Dissi io con aria maliziosa, fissando gli occhi di Axl, che prontamente mandò via la ragazza con cui si stava intrattenendo in quel momento per farmi posto sotto al suo braccio.
Passammo il resto della serata tranquilli, parlammo del più e del meno, bevvi una birra e cercai di non prestare attenzione ai ragazzi che non la smettevano di soffermarsi troppo sulla scollatura della maglia. Forse così era un po’ esagerato, ma mi stavo divertendo: per una volta, avevo in pugno cinque ragazzi più grandi e mamma non poteva dirmi niente. Non ero una ragazza di quel tipo, non lo ero mai stata, e forse era questo che mi faceva sembrare il tutto più eccitante. Mi divertivo a giocare con i loro sguardi, con i suoi sguardi, con quegli occhi che avevo sempre visto così sicuri e che in quel momento non mi sembravano più tanto vigili, vittima dell’alcol, sempre più offuscati, fino a quando non tornammo a casa e mi strinse forte, appoggiò la sua guancia alla mia, mi baciò l’angolo della bocca e mi lasciò andare a fatica verso la mia camera da letto.
Partimmo per l’Italia alla fine del mese, una settimana prima dell’unica data che avevano nel paese, Torino.
Era ovvio che nel periodo in cui ero stata lontana dalla mia famiglia, avevo chiamato circa una volta a settimana a mia madre, che mi riferiva le novità e come al solito mi  chiedeva se andasse tutto bene, anche se, nelle ultime telefonate, mi era sembrato di sentirla un po’ diversa, più oppressiva, più preoccupata, più.. noiosa. Mi mancava, sia lei che il resto della mia famiglia, ed ero felice di rivederli tutti, ma, allo stesso tempo, ero leggermente preoccupata che qualcuno avesse scoperto qualcosa, che qualche notizia che non avevo riferito direttamente, fosse comunque arrivata. Per esempio la febbre, il bacio con Steven, il fatto che Axl fosse stato processato, tutte quegli avvenimenti che non avevo riferito a nessuno per evitare preoccupazioni inutili. Forse sarebbero state fondate, non inutili, ma non avevo alcuna intenzione di far pensare alla mia famiglia che per me fosse meglio tornare a casa e smetterla di giocare alla Rockstar.
Quando arrivammo, oltre all’impazienza che avevo di riabbracciare i miei fratelli, c’era un leggero e vago senso di oppressione, derivante da quell’infinità di cose che avevo da raccontare e che non avevo ancora detto, che forse mai avrei dovuto descrivere, fatti che per quanto incredibili e difficili da accettare per i miei genitori, mi stavano aiutando a crescere, e avevo paura che la mia famiglia non lo avrebbe capito.
Scesi dal tourbus che ci aveva accompagnato dall’aeroporto nel capoluogo fino alla mia cittadina e ci fermammo davanti al portone della villetta che fino a pochi mesi prima era stata casa mia.
Tentennai, dopo aver appoggiato l’indice sul campanello.
“Bimba..  Sono i tuoi genitori”
Guardai Slash preoccupata.
“Non li vedo da soli quattro mesi e sembro già una spogliarellista, hai idea di cosa potrebbero pensare di me?”
“Penseranno che sei fantastica”
Duff rispose parlandomi piano vicino all’orecchio, e poi accompagnò la mia mano per premere il campanello.
Il portone di casa si aprì, e mia madre uscì, già commossa.
Non si mostrò titubante nemmeno dopo aver visto il nuovo taglio di capelli, e corse ad abbracciarmi.
I Guns rimasero imbarazzati a guardarsi, poi Axl ruppe il ghiaccio, la salutò cordialmente e le presentò gli altri componenti della band, che cercarono di mascherare la bottiglia di Jack che avevano condiviso poco prima: Slash sorrise garbatamente, scostandosi i ricci dagli occhi, privilegio che concedeva solo a poche persone mentre Duff, da bravo Rodolfo Valentino del gruppo, si chinò per farle il baciamano.
Entrammo in casa, dove ebbi modo di rivedere i miei fratelli e mio padre, che mi strinse a sé e mi disse a bassa voce quanto fosse orgoglioso di me, dopodiché mi invitarono a disfare i bagagli nella mia camera. Poco prima di andare, sentii mia madre chiedere ai Guns se volessero qualcosa da bere, diedi un’occhiataccia ad Axl che annuì divertito, e dopo questo tutti si mostrarono entusiasti quando mio padre gli propose una modesta lattina di birra a testa.

Mentre tiravo fuori dalla borsa la penultima maglietta e la riponevo nell’armadio di camera mia, assorta in mille pensieri, Andy entrò e mi fece sobbalzare:
“Ti ho spaventato?”
“No” Rise.
“Sei diversa così”
“Non ti piaccio?”
“Sei buffa”
Gli tirai il cuscino addosso, ma lo prese al volo.
“E i Guns? Come sono?”
“Fantastici!”
“Te ne sei già portata a letto un paio?”
Questa volta lo guardai male, quasi stupita:
“Ma che, sei fuori?”
Alzò le spalle:
“Scherzavo”
Rimase serio. Mi voltai verso di lui e mi avvicinai sorridendogli:
“Secondo me sei geloso”
“Stronzate. E che mi sei mancata, e sei diversa.”
Appoggiai le magliette nell’armadio, senza guardarlo.
“Forse sono sempre stata così, e non ve ne siete mai accorti”
Lui rise sarcasticamente:
“Ah, certo, è colpa nostra se sei diventata una.. beh..
“Andy, è così che voglio essere. E non mi importa che cosa vuoi tu”
“E’ che sei così cambiata!”
Alzai la voce, forse troppo
“E allora?! Ti ho già detto che così mi piaccio!”
“Perché?!”
“A nessuno importava di me prima!”
“A me sì!”
Mi voltai verso di lui, mentre abbassava lo sguardo.
“A me sì..”
Ripeté a bassa voce.
Mi riavvicinai a lui e gli chiesi scusa, lo abbracciai, forte, e rimanemmo uniti per diverso tempo, secondi, minuti, forse giorni, e in quel abbraccio capii quello che non mi aveva detto a parole. Gli ero mancata, e tanto anche, forse più di quanto lui non fosse mancato a me, io stavo avverando il mio sogno, mentre nella sua vita non era cambiato niente, se non che ora la mia assenza scandiva le ore delle sue giornate. Ero tanto dispiaciuta, ma, allo stesso tempo, ricordo di aver pensato che fosse tremendamente egoista quel suo farmi sentire in colpa. In fondo, era legittimo e l’unica persona egoista lì, ero io: si meritava di più dalla vita, grazie al suo talento, si sarebbe meritato molto di più anche di me.

In quel momento, Rebbie venne ad avvertirmi che era passato un amico per salutarmi.
Mi allontanai da Andy e andai in soggiorno, dove un Michele sorridente, vicino ad una ragazza che non conoscevo, mi abbracciò e mi disse che gli ero mancata. Solo dopo aggiunse, con occhi troppo innocenti per essere credibile che la sua accompagnatrice era la sua ragazza, che frequentava ormai da diverso tempo.
Le strinsi la mano senza guardarla. Non pronunciai parola. Rimasi invece a pensare cosa significasse “Diverso tempo” quando fino a quattro mesi prima Michele era mio.
In quel periodo, ci eravamo scritti: durante i primi giorni assiduamente, poi sempre meno frequentemente, fino a scomparire. E ora era lì, ancorato ai fianchi di quella ragazza. Provai a ripetermi mentalmente che ero meglio di lei, che di Michele non mi importava più niente, eppure non ci riuscivo.

La famiglia di Minnie è sempre stata incredibile, e io che pensavo che due fratelli fossero anche troppi. Non potrei mai sopportare altri Amy e altri Stuart. O magari sì, chissà, magari Stephen avrebbe picchiato anche loro. Oddio sempre questi cazzo di pensieri. Perché non ti godi la vita Bill? Concentrati su Bimba piuttosto.. Lui deve essere Michele, mi ricordo di lui, e chi è quella ragazza? Oddio non sarà che.. Cristo, più stronzo di me. No bambolina, reagisci, non farti mettere i piedi in testa, non sei come le ochette che mi scopo tutte le sere, sei più bella di loro, sei bellissima.. Non voglio che fai così, so che sei più forte di lui, sei meglio di lui, e anche di quella nuova oca che si è trovata quello. Devo aiutarla. No. Non io. Io finirei per tirargli un pugno in faccia. Slash sta fregando della birra da Izzy. Forse quindi è abbastanza andato per aiutare Bimba.. Sono sicuro di sì..

Rimasi immobile davanti a loro in stato catatonico sembrando una perfetta idiota, e fu allora che i Guns mi salvarono: con la coda dell’occhio vidi Axl che dava una gomitata a Slash, accortosi della situazione in cui ero. Il riccio si alzò prontamente e venne verso di me, mi passo un braccio attorno alla vita e mi diede un leggero bacio sulla tempia:
“Tesoro, mi accompagneresti da tuo padre? Mi farebbe piacere scambiarci due parole..
Ti va, bambolina?”
Lo guardai prima senza capire, lui mi lanciò un’occhiata di intesa da sotto i capelli, e allora capii: annuii sicura e gli appoggiai la testa sulla spalla.
Ricordo benissimo il ghigno soddisfatto di Axl seminascosto dalla sua lattina di birra e soprattutto Michele, che mi guardava con un’aria tutt’altro che amichevole.
Fu l’ultima volta che lo vidi.
I primi giorni della nostra permanenza lì, che io passavo nella mia vecchia camera mentre i ragazzi alloggiavano in un hotel a pochi chilometri di distanza, scorsero tranquilli. Tornai a chiacchierare con i miei fratelli come un tempo, a mangiare insieme a loro in quella tavola smisurata del nostro soggiorno, ascoltando le novità che ognuno di noi aveva, anche se tutti mi lasciavano spazio per raccontare di Los Angeles, delle lezioni con Ax, della sua enorme villa e dei Guns, che descrivevo eliminando accuratamente tutte le parti che temevo potessero in qualche modo mettere sotto una cattiva luce i ragazzi o quello che stavo realizzando con loro.
Ma poi qualche meccanismo cambiò, mia madre iniziò a farmi delle domande più mirate, ed uno degli ultimi pomeriggi che passai a casa, mi pose un solo quesito, netto, a cui non potevo più mentire:
“Ti stai innamorando di Axl, vero?”
L’avevo guardata con gli occhi sgranati, ma ormai ero con le spalle al muro.
“Non.. Non sono cose che ti riguardano”
“Ah, no? Pensavo che fossi ancora figlia mia..”
Quella casa si stava trasformando in un qualcosa che non mi faceva più sentire a mio agio. In molti stavano cercando di farmi capire quanto gli mancassi, ma cosa avrei dovuto fare? Non potevo rinunciare a tutto per loro.. Non ne ero in grado, non ero così altruista e loro lo sapevano, che cosa ci guadagnavano nel farmi sentire così in colpa?
“Sì, mamma, sì. Mi sto innamorando di lui.”
“E’ troppo grande. Quanti anni ha?”
“Ne ha ventiquattro mamma..”
“E’ troppo grande”
Alzai le spalle sospirando.
“Lo so.. Non ho mai detto che..”
“E non mi piace come ti guardano, sembri di loro proprietà. Pensavo che fossi una ragazza intelligente, Minerva, lo sei sempre stata, matura. Ora sei sciocca e non ti riconosco più. E’ questo quello che ti chiedono di fare? Devi essere una sciocca per diventare famosa? E’ questo che vuoi?”
Il suo sguardo non era mai stato così severo. Mi sentii minuscola. I miei diciassette anni scomparvero, divennero cinque, sei, quando si è bisognosi di scoppiare in lacrime e aggrapparsi a una gamba della propria madre per chiedere scusa.
No. Sbagliato.
Era lei che non stava capendo.
“Sì. E’ quello che voglio. Mi sento bella e mi sento amata. Mi vogliono bene, e basta. non mi importa se sono troppo grandi, si stanno prendendo cura di me, e sto imparando tanto. Sono molto meno sciocca di quello che tu creda. E un’altra cosa: stai attenta mamma. Impara a distinguere quello che vuoi tu da quello che voglio io, per favore.”
Mi avvicinai pericolosamente alla porta d’ingresso.
“Dove stai andando? Minnie, aspetta, scusami, parliamone un secondo!”
“Chiamo Benny, l’autista del tourbus, vado dai ragazzi stasera.”
Ferita. Colpita. Affondata.
Ancora oggi mi dispiace di aver parlato così a mia madre quella volta. E’ stata una delle donne più forti e più buone che abbia mai avuto l’onore di incontrare nella mia vita, e allora non capivo che aveva solo bisogno di sentirsi amata da quella figlia che ora non era più con lei. Io riuscii invece solo a farle capire il contrario, ma allora ero giovane, allora volevo capire tutto quando non capivo niente.

Alla fine del mese, i Guns fecero il concerto a Torino davanti a decine di migliaia di spettatori, e Axl mantenne la promessa: per la prima volta, ricordo ancora, dopo la pausa, prima di Estranged, cantai davanti a quello stadio gremito di gente, intonai Hallelujah di Leonard Cohen, e vidi le candele illuminare il pubblico, vidi lacrime tra le prime file, e sentii urla e applausi infiniti quando terminai.
Dal giorno successivo i tabloid, i giornali musicali e persino i quotidiani di Torino e di Los Angeles, parlarono di me, articoli su articoli sulla ragazza italiana che stava avverando il suo sogno, con una voce pazzesca e la voglia di conquistare il mondo.
Dopo il concerto di Torino, ci fu un party infinito dove bevvi fino a svenire su un divano di non so quale locale, uno stivale di Izzy come cuscino e la giacca di Slash sulle spalle.
Risalutai la mia famiglia e ripartii più serena. Per quanto avessi odiato infuriarmi con mia madre, avevo posto i miei limiti, e mi ero mostrata sicura e tranquilla di quello che mi aspettava.
Il 20 aprile, due giorni dopo il nostro ritorno a Los Angeles, i Guns parteciparono al Freddie Mercury Tribute Concert, al Wembley Stadium di Londra, mentre io seguivo in diretta TV ogni secondo della loro performance.
Quando Axl tornò mi disse soltanto:
“La prossima volta che andiamo in Inghilterra, tu ci aprirai tutti i concerti bambolina.”
Lo abbracciai forte e mi stampò un bacio sulla guancia.
Non sapevo che l’Inghilterra di luglio sarebbe stata uno dei peggiori ricordi che ho del 1992.

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Capitolo 8
*** Maggio, 1992 “Blink 182 – Adam’s Song” ***


Maggio, 1992 “Blink 182 – Adam’s Song”


E’ il compleanno di bimba, compie diciotto anni. Eppure a tutti sembra così piccola. Ed è questo il problema. Solo Izzy sa la verità. Solamente lui. Non ho avuto il coraggio di dirlo a nessun altro e anche con lui ho faticato molto: per quanto, come al solito, mi abbia rassicurato e dato utili consigli, provo ancora vergogna quando lo guardo, sapendo che.. che lui sa.. Lui sa il vero motivo per cui ho deciso di prendere Bambolina con me, e il fatto che quel motivo si è rivelato talmente fondato.. Talmente perfetto.. Vorrei solo poter..
Eppure, ci sono troppe cose da considerare: lei è venuta qui per diventare famosa, non per altre frivole distrazioni.. E pensare che anche io prima le consideravo tali.. Che anche io non avevo mai provato niente di simile.. da.. da quando.. BASTA. Prima convinci te stesso che sono solo stronzate, prima riuscirai a liberartene. Lei è una bambina, lei dimostra così pochi anni.. Soprattutto non puoi condizionare la sua carriera, la sua brillante carriera con i tuoi fottuti sentimenti da frocio. Chiaro? Chiaro. Ora farai meglio a farle passare un bel compleanno, il suo regalo è pronto, devi pensare solo a quello e non a.. Non a.. A quanto la vorrei.


Quando il 5 maggio 1992, Axl mi promise di avere per me una grandiosa sorpresa di compleanno, non potevo nemmeno immaginare fin dove fosse in grado di arrivare.
Incredibilmente, mi svegliò lui facendomi gli auguri e apprezzai tantissimo il gesto, nonostante vedessi le profonde occhiaie che gli solcavano il viso per via di un riposo probabilmente durato non più di quattr’ore.
Dopo la colazione, mi condusse nella sua limousine e mi legò una delle sue bandane sopra gli occhi, in modo che non potessi nemmeno vedere dove stessimo andando. Il viaggio fu lungo circa due ore, seppi poi che a separare Los Angeles dalla città a cui eravamo diretti, c’erano ben 200 km, ma la pazzia di Rose a volte non conosce limiti. Fu esasperante, perché Axl non era assolutamente intenzionato a dirmi dove fossimo diretti, ed iniziai persino a perdere le speranze e a smetterla di godermi il mio compleanno e la trepidante attesa che mi separava da quella sorpresa, ma proprio allora arrivammo e i miei dubbi sparirono in pochi secondi.
Scese velocemente e aprì la portiera, sciogliendomi la benda davanti a un cancello, un cancello che avevo già visto moltissime volte su copertine di riviste e servizi tv. Era un cancello di ferro battuto, con due leoni dorati al centro che stringevano uno stemma e diversi altri motivi dello stesso colore che abbellivano tutto il contorno di quell’incredibile ingresso. Sopra, a lettere cubitali laccate d’oro, era scritto:
NEVERLAND.
Rimasi incantata nello scoprire che quel posto esisteva veramente e non era soltanto un’altra invenzione dei tabloid che così tanto prendevano di mira l’unica persona che poteva vivere in un Ranch del genere.
Axl mi prese per mano, ammirando soddisfatto la mia espressione di gioia  e sorpresa tale da non permettermi di dire neanche una parola, mentre i cancelli si aprivano e un golf cart si avvicinava a noi.
“E ora dove andiamo?”
“L’abitazione di Jackson è lontana da fare a piedi.. Il suo giardino è grande sei volte casa mia”
“Intendi.. dire che..”
“Che lo incontrerai! Cosa credevi? Non è una visita guidata nel suo parco giochi.. So quanto sia importante per te quel ragazzo.. Ho pensato facess.."
Lo abbracciai strettissimo, lasciandolo un po’ interdetto, poi sorrise.
“Non essere troppo espansiva ragazza, lo sai che sono una persona sensibile”
Risi con lui mentre salivamo sul veicolo, per poi ritrovarmi ad osservare l’incredibile vastità di quello che nemmeno sembrava un giardino, ma un’enorme riserva naturale. In alcuni angoli si scorgevano dei piccoli edifici e in altri delle piscine, delle attrazioni da parco divertimenti e delle piazzette con pavimenti di mosaici.
quando arrivammo davanti alla zona in cui si trovava Michael al momento, una villa davanti alla quale si ergeva un’enorme aiuola a forma di orologio fermo, scendemmo e l’autista ci accompagnò all’interno.
Sembrava tutto magico, fuori dal mondo, c’erano distributori di caramelle e una segnaletica infinita per indicare tutte le possibili attrazioni che quella casa aveva da offrire.
“Un po’ eccessivo.. Ti pare?”
“E’ solo.. magia”
Axl, scosse la testa ridendo e poco dopo ci dissero di entrare in un salotto.
Fu lì, in piedi davanti a un divano, con una camicia scura, dei pantaloni neri lunghi da cui si intravedevano i calzini bianchi sotto i famosi mocassini neri, che lo vidi: i capelli neri raccolti in una coda gli scendevano dolcemente su una spalla, gli occhi profondi e neri sorridevano, come le labbra e gli zigomi.
Axl gli strinse prontamente la mano:
“E’ un piacere rivederti, Michael”
“Per me è lo stesso.. Slash sta bene?”
“Tutto a posto.. Lei è Bimb.. Minnie..”
I suoi occhi grandi guardarono ora me e mi strinsero la mano tremante.
Ci dissero di attendere sul divano e Michael scomparve per un paio di minuti.
“Come hai fatto?”
Riuscii solo a chiedere ad Axl.
“Slash lavora con lui da un paio d’anni, ha lavorato su un intro di una delle hit di maggiori successo dell’ultimo album, e anche ad un altro paio di canzoni.. Jackson ha fatto anche un paio di live con noi, ho avuto modo di conoscerlo anche io.. Non è così eccezionale Bambolina.. E cerca di non svenirgli davanti, sei più di una semplice fan, ricordi? Sei una rockstar adesso.. Una collega”
Focalizzai quella parola, collega, che a me sembrava assurdamente estranea.
Dopo pochi minuti, Michael tornò, ed iniziammo a parlare, dando modo ad Axl di spiegargli il progetto che aveva in mente, e raccontandogli come gli avessi detto di aver iniziato a cantare dopo aver sentito per la prima volta l’album Thriller. Michael, dal canto suo, era ben felice di ospitarci, dato che doveva tanti favori a Slash, e che, soprattutto, aveva sentito la mia esibizione in Italia e ne era rimasto completamente folgorato, dicendo che avevo emozionato persino lui che ormai aveva una lunga carriera alle spalle.
Ero in estasi, il mio idolo di sempre mi stava dicendo che gli ero piaciuta, incredibile.
Axl uscì per un paio di minuti per via di una chiamata importante da Daug, il loro tour manager,ed io rimasi sola con MJ.
“Axl è stato molto coraggioso, a prenderti con sé. Non tutti sarebbero disposti a fare una scelta del genere..”
“Lui.. è incredibile con me.. Mi sta dando la possibilità di avverare i miei sogni, e gli sono debitrice per questo..”
Lui annuì gentilmente, mentre teneva gli occhi sulle sue dita affusolate.
“Minnie, per quanto il suo progetto sia grandioso, potrei farti una proposta?”

Ora, bisogna sottolineare che all’epoca non avevo il senso degli affari, non avevo il senso di niente, e non capivo come fosse possibile che Michael Jackson mi volesse proporre qualcosa. La verità è che quando accettò di incontrarmi, alcuni membri della MJJ production avevano già discusso con Rose di un’idea che Michael aveva avuto ascoltandomi in quel concerto, e lui non si era di certo mostrato indisponibile all’idea, anzi: più erano le possibilità per me di diventare qualcuno, e fargli guadagnare qualcosa, più lui era contento. Perciò, se da un lato io rimasi di stucco quando Mike mi fece quella proposta, dall’altro, tutto, da quella mattina, era programmato perché io potessi venir sottoposta ai suoi occhi critici e valutata idonea a quello a cui lui pensava da tempo.

“La tua voce, ha un che di molto particolare, è una voce calda, che non è per niente da pelle bianca.. Non so se mi capisci, è una voce tipicamente nera, la tua. E come sai, essendo io afroamericano ho una voce della stessa intensità, e mi circondo di persone capaci di lavorare con qualcosa di simile.. Come le mie coriste.. Eccezionalmente una di loro si è ritirata per proseguire altrove i suoi studi.. Ed era da tempo che cercavo qualcuno che potesse rimpiazzarla.. Mi segui, Minnie?”
“C- Certo.”
“Ecco, vedi, io penso di aver trovato la persona che stavo cercando in te. Tengo molto a scegliere personalmente il mio staff, e anche questa volta non voglio essere da meno, penso che tu sia perfetta. Ovviamente, non decido per te e non penso nemmeno che sia una scelta semplice, ma vorrei che ci pensassi, Minnie. Potrebbe essere la strada che stai cercando.”
Axl rientrò in quel momento, scusandosi per l’imprevisto. Si scambiò una strana occhiata con Michael, annuì e poco dopo, quest’ultimo si scusò e ci avvertì sconsolato di non aver molto tempo a disposizione, e ci chiese cortesemente di salutarlo. Gli ristrinsi la mano e lo salutai, mentre risalivamo sul Golf Cart che ci avrebbe ricondotto all’entrata e quindi alla nostra limousine.

“Quanto siamo silenziosi.. Va tutto bene?”
Annuii distrattamente ad Axl sulla via di ritorno verso Los Angeles.
“E’ che.. Michael mi ha fatto una strana proposta.. Ecco.”
Sorrise, ma non fu affatto un sorriso convincente per quanto dovesse esserlo.
“Sapevo che te ne avrebbe parlato..”
“Lo sapevi?!”
“Certo tesoro, era questo il tuo regalo di compleanno..”
Rimasi frastornata.
“Non ti è piaciuto?”
Lo guardai:
“Certo, è stato fantastico incontrarlo.. E, beh mi ha dato una possibilità grandiosa..”
“Non sei convinta”
Sospirai:
“Penso mi serva solo un po’ di tempo, prima di.. Di accettare.”
“Non sei obbligata a farlo, Bambolina.”
“Certo che lo sono. E’ Michael Jackson, è una occasione irripetibile..”
“Se tu non vuoi, non ha senso che tu lo faccia.”

Arrivammo in casa e Axl mi lasciò da sola ad aprire un paio di regali lasciati dai ragazzi, in attesa di andare a cena con loro quella sera. Ricordo che furono ore tormentate da pensieri, da pensieri su quanto sarebbe stato stupido rifiutare e allo stesso tempo su quanto sarebbe stato difficile per me vivere nell’ombra di del Re del Pop. Allo stesso tempo, però, mi sentivo egoista a fare pensieri del genere: fino all’anno precedente ero una ragazza di cui nessuno sapeva il nome, ora avevo l’opportunità della vita e non volevo accettarla perché.. Perché non mi sembrava abbastanza.
Allo stesso tempo, pensavo ad Axl, a come avrei dovuto abbandonarlo dopo i  quattro mesi che mi erano sembrati i più belli della mia vita, dopo essermi accorta di provare tanto per quel ragazzo. Lo stesso ragazzo che, al contrario di Michael, mi proponeva tutto il mondo, senza dover sottostare a regole, come aveva fatto lui.
Con Michael avrei avuto un’incredibile carriera, certa e sicura con il mio dio.
Con Axl avrei avverato il mio sogno, ma non era affatto scontato che lui riuscisse a convincere qualcuno a farmi firmare un contratto, e questo me lo ripeteva sempre.
Ora, che avrei dovuto fare?
Mi alzai dal mio letto e andai a cercare Axl, che trovai intento a bere del Jack davanti alla tv. Strano. Di solito non beveva superalcolici in casa.
“Ehi?”
Alzò lo sguardo e mi sorrise. Mi sedetti a fianco a lui.
“Per te cosa dovrei fare?”
“E’ una tua scelta, non mia..”
“Non so decidere.. Non so fare niente da sola.”
Spense la tv.
“Tu puoi fare quello che vuoi. Chiaro? Ascoltami bene. Ci sono delle persone là fuori che non sono buone, che non vogliono il tuo bene, ma che vogliono approfittarsi di te. Jackson non è una di queste, è un professionista, o non avrei mai permesso che ti parlasse del suo progetto. Detto questo, tu puoi scegliere, c’è sempre una scelta. Sempre. E’ il tuo futuro. Il tuo. Se vuoi andare vai, se non vuoi andare resta.”
“A volte penso che vorrei restare solo per te”
Axl mi guardò ad occhi sgranati per pochi secondi, poi sorrise e scosse la testa.
“Io non c’entro.. Non farlo per me, io voglio che tu sia felice.”
“Con te sono felice.”
“Anche io”
Restammo con gli sguardi bassi, imbarazzati per qualche secondo.
La verità è che Axl si sarebbe sentito dannatamente egoista ad invitarmi a restare con lui privandomi di un’occasione simile. D’altronde, lui ci avrebbe guadagnato comunque, ma ormai era chiaro che non era solo quello ad importargli. Lui non voleva che me ne andassi. Punto.
“Più tardi chiamerò la MJJ Production e gli dirò che ho deciso”
Annuì, quasi rassegnato, come se conoscesse la risposta. In fondo era certo che i miei interessi fossero una vera carriera piuttosto che un sogno infantile e pericoloso. O un uomo pericoloso.
“Gli dirò che rifiuto l’offerta di Michael”
I suoi occhi tornarono a brillare, seppur senza illudersi, e a guardarmi:
“Sei sicura?”
“Mi fido di te. So che sarai capace di realizzare quello che voglio davvero”
“Ma non posso promettertelo”
“Non serve”

Quando quella sera quelli della MJJ mi chiamarono, io rifiutai, e anche se non lo dissero espressamente, dal loro tono stupito e sconfortato si capiva che non riuscivano a credere che qualcuno avesse veramente declinato un’offerta del genere. Ma loro non sapevano che c’era qualcosa più importante per me. C’era la musica, c’era l’anima e c’era il cuore. Non potevo realizzare soltanto una delle cose che ritenevo giuste per la mia vita.
I tabloid iniziarono a sparlare della mia decisione e persino la mia famiglia mi chiese perché diamine non avessi accettato, mio padre era quasi oltraggiato. E quella fu la goccia, e i contatti che avevo con la mia famiglia, divennero ancora più sottili.

Durante il resto del mese, non ci furono grossi cambiamenti. Cantai in alcuni shows che i Guns tennero in centro a L.A. e mi esibii due volte a Seattle, intonando sempre cover che più si addicevano alla mia voce. Alla gente non dispiaceva il fatto che non portassi brani inediti, anzi: erano entusiasti di qualcuno che donasse la propria interpretazione a brani che potevano cantare anche loro, conoscendoli già, ed Axl non si preoccupò di lavorare su nuove canzoni. Anche perché in quel periodo lo vidi un po’ più distaccato.
Dopo il dialogo aperto che avevamo affrontato sulla mia decisione di restare con lui, cercò di riprendere le distanze da me, pentendosi forse di essersi mostrato così vulnerabile ed espansivo agli occhi di quella che doveva restare una compagna in campo professionale, e nient’altro. Perciò, lo vidi più di rado, e ricominciò a bere davanti ai miei occhi tremendamente spesso, ad alzarsi tardi e a tornare a casa la sera quando già dormivo da un secolo. In un qualche modo, dopo quella che mi era sembrata la maniera migliore per avvicinarsi, cioè parlare, finimmo per allontanarci molto più di prima.

Un pomeriggio, sulle due, non lo sentii però uscire di casa per andare alle prove, e preoccupata di un suo possibile abituale ritardo, mi avvicinai in camera sua per controllare che fosse sveglio e si stesse preparando.
La camera era buia e le finestre chiuse con le tende calate. Accesi la luce, ma non lo trovai nel letto sfatto. Entrai allora nel suo bagno privato, e, mossi due passi, lo trovai:
il suo corpo privo di sensi era scomposto nella doccia, con la testa rivolta all’indietro, gli occhi chiusi e la bocca aperta, bagnata di saliva. Le dita delle mani gli tremavano involontariamente ed indossava solo dei boxer che mostravano il petto leggermente graffiato e le gambe pallide.
Intorno a lui solo bottiglie vuote e resti di strisce di coca. Alcool misto ad acqua nel pavimento del bagno e gli asciugamani sporchi sparsi sulle mattonelle bagnate.
“Axl?!”
Lo chiamai ad alta voce, gli sollevai la testa e cercai di metterlo seduto, dandogli dei piccoli colpetti sul viso per risvegliarlo. Dopo minuti in cui non aveva dato segni di risposta, presi il telefono, pronta a chiamare Slash o Izzy o qualcuno che potesse dirmi cosa fare, ma nel momento in cui le mie dita tremanti iniziarono a digitare i numeri, sentii chiamare.
Tornata in bagno lo trovai con gli occhi aperti e stanchi che mi guardavano. Riuscii soltanto a sussurrare più a me stessa che a lui:
“Ehi, cosa ti è successo..”
Mi sedetti vicino a lui, avvicinandogli alle labbra un bicchiere d’acqua che bevve quasi come se fosse una punizione:
“Calmati ora, è tutto a posto, vero? Ti sentirai meglio..”
Ebbe un fremito, i brividi lo tormentavano, continuava ad aprire a richiudere le labbra come se non riuscisse a parlarmi. Lo aiutai a camminare fino al letto e lo coprii con una coperta.
“Ora vado a chiamare Duff, va bene? Ci prenderemo cura di te..”
“Non andare via”
Tese il braccio verso di me. Mi voltai, sollevata dal sentirgli pronunciare qualche parola.
“Hai bisogno di aiuto..”
“Mi basti te”
Titubante, mi sedetti sul letto vicino a lui, e mi ritrovai quasi senza volerlo ad accarezzargli i capelli.
Sembrava un bambino, sperduto e spaventato, bisognoso di affetto.
Il pensiero di dover chiamare qualcuno si perse lontano, mentre lo vedevo lottare contro un sonno da cui temevo persino non potesse più risvegliarsi.
“Resta sveglio Axl, non chiudere gli occhi, devi reagire.. Raccontami qualcosa.. Ti va?”
Mi prese la mano e se l’appoggiò sulla fronte.
“Sei fresca.. Sei tanto fresca..”
Lentamente si calmò e ricominciò a respirare regolarmente.
“Raccontami Axl, puoi dirmi quello che vuoi..”
Si rigirò nel letto un paio di volte, poi, iniziò, seppur apparentemente controvoglia a raccontarmi, forse accettando il consiglio, forse per ricominciare dopo settimane finalmente a condividere qualcosa di suo con me.
“Una volta.. Mio padre aveva comprato una pistola giocattolo.. E.. Noi.. Io e i miei due fratelli, facevamo i turni per giocarci insieme a lui. Ed era bello. Ci divertivamo con quella pistola..”
“E’ un bel ricordo.”
Provai a sorridergli, ma per lui era difficile tenere le palpebre aperte e non se ne accorse.
“Una volta.. misi da parte un po’ di soldi, e quando furono abbastanza, comprai un’altra pistola giocattolo e la portai a mio padre, dicendogli che così potevamo giocarci più spesso.. Tutti insieme.. Lui mi disse che ero stato bravo.. Che era fiero di me.. Era fiero..
E’ l’unico ricordo felice.. Che ho di mio padre..”
Strinse la mano che gli tenevo sulla fronte, cercando di sconfiggere un mal di testa atroce che lo faceva gemere piano.
“Come sono gli altri ricordi?”
Questa volta respirò diverse volte, più affannato, prima di rispondere.
“Lui non mi amava.. Perché non ero suo figlio.. E.. mi picchiava.. Perché non ero come voleva che fossi. Lui voleva che pregassi e che cantassi nel coro e io non volevo.. Io.. Voleva che mi tagliassi i capelli. Che me li tagliassi perché.. Così sembravo gay.. Sembravo un figlio del diavolo diceva.. Mia mamma diceva che potevo tenerli così, ma alla fine non disse niente quando lui mi cacciò fuori casa.”
“Quanti anni avevi?”
“Sedici”
E lo guardai, lo guardai come non avevo mai fatto prima. Con tenerezza. Quell’aspetto di Axl, che lottava con il suo passato e che semplicemente si rassegnava a ciò che gli era successo, era diverso da tutti quelli che avevo visto in lui. Quell’immagine di Rockstar pericolosa che si era creato, era soltanto un disperato bisogno di attirare attenzione, di ribellarsi e di chiedere aiuto.
“Due anni dopo.. Sono andato a Los Angeles.. Con Izz. Avevo scoperto che mio padre non era nemmeno mio padre e perciò cambiai nome.. Presi il cognome del mio vero padre e mi inventai un nome che mi piacesse. William, il mio nome vero, era da deficienti perciò mantenni solo l’iniziale. Mi piaceva che.. Che il mio nome fosse guerra.”
“Ti ricordi il tuo vero padre?”
Si irrigidì. E la sua fronte incominciò a imperlarsi di sudore. Portò anche l’altra mano sulla mia, come se potesse premerla più forte su di se e sentire più fresco.
“Io me lo ricordo.. Perché ho fatto una cura e grazie a quella mi ricordo tante cose.. Ma.. Non avrei mai voluto ricordarle.. non voglio.. Non voglio parlartene Bimba.. Solo Izz..”
“Non importa, va bene così.. Non voglio..”
Tacque. Immaginai che si fosse calmato e mi riavvicinai al telefono per chiamare aiuto.
“Lui mi violentava.”
Il mio sguardo si pietrificò sui tasti del cellulare che ero riuscita a prendere in mano. Mi voltai e guardai i suoi occhi che però rimanevano chiusi. Le sue mani smisero di tremare. E raggiunse una profonda calma. Una pace interiore grazie a quella liberazione, che se ora però non pesava su di lui, lo faceva su di me facendomi sprofondare lo stomaco e i polmoni.
In un attimo, scomparve tutto. Scomparvero i muri, il letto, la sua camera. La sua carriera divenne infima e sentivo solo le sue mani stringermi le mie, il suo respiro flebile.
Era tutta un’inutile bugia.
Axl viveva in una bugia di gente che non sapeva, che non lo conosceva, che non poteva aiutarlo e che riusciva soltanto a considerarlo per quello che non era.
Ora era tutto così chiaro, ora era ovvio il perché a volte fosse così aggressivo. Il suo dolore si tramutava in quello che lui non era. In quella persona che odiava e basta. Che odiava il passato, che odiava la sua nascita e la sua famiglia e la sua infanzia e tutti i ricordi con cui era costretto a convivere per costruire la propria vita.
E ora, a venticinque anni, era ancora fragile come un bambino. Un bambino madido di sudore e tormentato dagli incubi che persone malvagie che avrebbero dovuto insegnargli a crescere erano riusciti a provocargli.
Ed era solo. Talmente solo da trovare rifugio in una come me. Così impotente davanti a un dolore neanche paragonabile a quello che si era immaginata.
Smisi di accarezzargli i capelli, e allora aprì gli occhi:
“Non volevo spaventarti”
Scossi la testa, ma in maniera poco convincente.
Provò a mettersi seduto, riuscendoci con difficoltà, per poi appoggiare la testa sulla mia spalla, come se pesasse troppo per reggerla. Riprese a sfiorarmi le mani e a portarsele sulla fronte.
“Se vuoi puoi.. Spiegarmi.”
“Non voglio farlo. Non voglio farti soffrire.”
“Ma hai bisogno di parlarne.”
Sospirò, rassegnato, ammise che avevo ragione e continuò:
“Era un tossicodipendente, mia madre se n’era innamorata al college ed era rimasta incinta a sedici anni. Probabilmente mi considerava persino una stupida perdita di tempo, una rovina per tutti i suoi piani.. Mio padre rimase al suo fianco, si sposarono credo e andarono a vivere insieme, pensando che quella potesse essere la scelta migliore. Credendo che potessero costruire insieme una famiglia. Essere felici.”
Dalla sua bocca risuonò una risata amara, che divenne ancora più tetra nella camera semibuia.
“Iniziarono a litigare, urlavano sempre e alla fine di ogni litigio, mio padre mi prendeva e mi rapiva. Mi portava non so dove, in delle case abbandonate, non ricordo. E.. lì.. Mia madre una volta mi trovò. Ricordo la sua espressione. La ricordo diventare così pallida da sembrare morta. Ricordo le lacrime inondargli la faccia. Quando aveva provato a fermarlo, lui l’aveva allontanata con forza. La ricordo piegarsi sul pavimento e piangere. Ma non urlava. Non urlava mai. Aveva persino paura ad urlare.. E..”
“Ti prego smettila.”
Mi guardò con gli occhi azzurri bagnati di lacrime. La sua voce era diventata aggressiva, mi stava spaventando. Avevo paura di quei racconti e avevo paura di credere che fosse successo davvero.
“Scusa”
Mi asciugò le lacrime.
“Non volevo farti piangere.. Non devi piangere mai, Bimba.. Sei così bella quando sorridi..”
Mi raccolsi le ginocchia al petto e questa volta fu lui ad abbracciarmi. Mi circondò con le sue braccia grandi e iniziò a cullarmi lentamente, mentre tenevo la testa sotto al suo mento e mentre sentivo le sue lacrime iniziare a scendermi sui capelli.
“Non avrei dovuto raccontartelo.”
“Ti sentirai meglio, invece. Dovresti parlarne anche con i ragazzi..”
“Solo Izz..”
“Lo so.. Ma, tu hai bisogno di.. Di aiuto Axl.”
Tacque, non disse più nulla. Rimase solo a stringermi forte, fino a quando non mi addormentai mentre lui faceva lo stesso.
L’ultima cosa che sentii prima di cadere tra le braccia di Morfeo, furono le sue calde labbra appoggiarsi sulla mia guancia, e rimanerci per interminabili secondi prima di abbandonarmi la pelle per iniziare a sognare.

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Capitolo 9
*** Giugno, 1992 “Of Monsters and Man – Little Talks” ***


Giugno, 1992 “Of Monsters and Man – Little Talks”
 
Tutte le volte che mi guardavo allo specchio, mi veniva spontaneo chiedermi chi fossi veramente. Quei lineamenti da bambina, quegli occhi azzurri, profondi, mi chiedevo perché fossi proprio così, perché avessi quell’aspetto. Se qualcuno avesse già pensato al mio destino oppure se stava tutto avvenendo a caso. Ad ogni modo, in tutta la mia vita, non avevo mai pensato di essere bella.
In casa c’era Rebbie che era una splendida ragazza, alta e magra e dagli occhi neri e misteriosi, e, soprattutto, le gemelle, che erano incredibilmente graziose. Quando mamma e papà ci portavano da qualche parte, per esempio, in visita a parenti, tutti riconoscevano la bellezza delle mie sorelle e la dolcezza di Maddalena, che era sempre considerata la più tenera essendo la minore tra noi ragazze. Io non era niente di speciale. Avevo il naso leggermente storto e avevo passato il periodo di sviluppo in leggero sovrappeso. I capelli lunghi e ricci non facevano che appesantirmi i lineamenti del viso minuto e la più completa assenza di trucco non faceva risaltare i miei pregi.
Intorno ai sedici anni iniziai a dimagrire e, per quanto non avessi mai avuto il fisico da supermodella, diventai più carina, ed iniziai ad attirare le attenzioni di qualche ragazzo come Michele.
Da quando però, Axl e i ragazzi mi avevano preso con loro, trasformato con quello stile, mi sentivo molto più me stessa, più sicura di quello che ero, e mi sentivo bella. E questo, faceva sì che io lo fossi davvero.
Quando Izzy mi aveva rivelato di essersi forse innamorato di me, io non capivo come fosse possibile che un ragazzo di venticinque anni, fidanzato con una modella europea, uomo di una misteriosa bellezza che poteva conquistare chiunque, potesse essere interessato a me. Eppure, la mia sincerità, la mia spontaneità e la mia ingenuità, donavano un senso di pace e di protezione a quei ragazzi abituati a ragazze fin troppo civettuole e incapaci di mostrarsi per quello che erano. Duff iniziò a chiamarmi Angelo, dicendo che li stavo lentamente salvando dal baratro, anche se a me sembrava semplicemente di star distruggendo un gruppo. La verità è, come mi fece notare Slash, che li stavo facendo smettere di bere, li stavo facendo pensare, e se l’uomo pensa, si accorge dei problemi che lo circondano. Così Axl si accorse dei problemi enormi di Steven e così Izzy si accorse di non essere felice. E se agli occhi di una vera amica questo sembra grandioso perché alle persone che conosce viene data una nuova opportunità di diventare persone in pace con il proprio futuro, agli occhi di una fan, tutto è disastroso, perché in realtà, i Guns N’ Roses si stavano disintegrando.
La prova inconfutabile di questo drastico cambiamento avvenne quando a giugno Izzy ebbe la brillante idea di essere onesto. In tutto e per tutto con il suo migliore amico Bill. Non con Axl, con William Bruce Bailey, il ragazzino magro e timido che aveva conosciuto a Lafayette, sperando di essere capito e non giudicato.

Ovviamente, fu il delirio più totale.

Una domenica pomeriggio tornai a casa dalle prove con gli Indecent Grace, che, intanto, stavano già iniziando ad avere dei problemi organizzativi e che faticavano ad esibirsi in qualche locale il venerdì sera, mentre io come solista riuscivo a cantare davanti a platee gremite di fans insieme ai Guns. Arrivata nella villa Rose, entrai e chiamai a gran voce il proprietario avvertendolo del mio ritorno.
Nessuna risposta.
Lo cercai un po’ in giro, per poi decidermi a chiamare Izzy e poi Duff, per sapere se era uscito con loro. Il primo non rispose.
Il bassista, dopo minuti di preoccupante attesa, finalmente alzò la cornetta.
“Pronto?”
“Duff, sono Minnie.. Sei con Axl?”
Silenzio. Un sospiro. Dei sussurri. Poi finalmente rispose:
“Hai fatto un bel casino bambolina. Sono da te tra dieci minuti.”
E lì chiuse la chiamata, lasciandomi interdetta e con gli occhi sgranati incapace di capire quale cazzata potessi aver fatto quella volta.
Quando arrivò non mi lasciò neanche il tempo di chiedere:
“Bimba è successo di tutto stamattina. Tu eri alle prove vero? Quello stronzo di Stradlin ci ha provato almeno a non coinvolgerti.. Ma che cazzo. Doveva pensarci prima. Lui le sue stronzate e la sua onestà del cazzo. E poi che cazzo vuol dire che se ne vuole andare? E’ fuori di testa?! E Axl che arriva tremante che sembra sul punto di scoppiare. Ha spaccato la grancassa di Matt a proposito. Poi è scappato.. Non lo so dov’è. E poi dice: “Ah ma lo sapevo, lo sapevo” E che cazzo quando pensava di dircelo?!”
“Duff ti prego calmati..”
“Oh certo, tu dici di calmarmi, tu non centri niente in tutto ciò, hai ragione, però quando quello stronzo del cazzo ti ha baciato non ti sei tirata indietro, vero?”
Si lasciò cadere sul divano, grattandosi nervosamente la testa e guardandomi sconsolato.
Non era arrabbiato, era stanco, e tremendamente nervoso.
Respirò una o due volte profondamente, mentre a me non restava che guardarmi i piedi vergognandomi di esistere.
Dopo qualche respiro sembrò calmarsi.
“Vieni qui, dai..”
Mi sedetti vicino a lui con riluttanza, e portai le ginocchia al petto, per provare a proteggermi da eventuali attacchi esterni.
“Non è colpa tua, scusami.. In fondo non è colpa tua se sei così, vero Angelo? La colpa è di Izzy, e allo stesso tempo lo capisco, e tutto questo mi manda in tilt..”
“Ti prego.. Spiegami soltanto cos’è successo..”
Duff si alzò in piedi e iniziò a camminare a lunghi passi per il soggiorno, come a cercare le parole più adatte. Prese una sedia e ci si accomodò al contrario, guardandomi.
“Stamattina, quando sei uscita, Izzy ha chiesto a tutti noi di fare delle prove extra, a sentir lui perché doveva parlarci di cose importanti.. Eravamo tutti abbastanza confusi, succede di rado che qualcuno di noi debba dire qualcosa di serio agli altri, ma alla fine ci siamo presentati tutti, puntuali e leggermente preoccupati..”
Si rigirò i capelli in un dito, cercando l’ispirazione al suo racconto nel pavimento che iniziò a fissare insistentemente.
“Ci ha detto che..”
Alzò gli occhi al cielo:
“Ci ha detto soltanto che vuole andare via. Che lascerà la band, che è una decisione su cui ha riflettuto molto e cazzate varie, motivazioni insensate, il sogno di una strada diversa.. Tutte stronzate egoistiche insomma.. E poi beh.. Lui ha chiamato in disparte Axl, ma abbiamo sentito tutti. Gli ha detto.. Insomma puoi immaginarlo. Lui vuole sempre essere onesto su tutto, una parte di lui credeva che William Bruce Bailey l’avrebbe capito, compreso, appoggiato. Invece quando gliel’ha detto, ha ottenuto soltanto la reazione di Axl.”
“Che cosa Duff? Cosa gli ha detto?”
Mi lanciò uno sguardo quasi supplichevole, speranzoso che gli risparmiassi i dettagli.
“Di te Angelo.. Ti quanto l’hai cambiato.. Di come lui si è innamorato di te.. Di come ti ha baciato..”
Arrossii vistosamente e scostai lo sguardo dal suo.
“Puoi immaginarlo.. Axl è andato su tutte le furie..”
Mi alzai di scatto:
“Perché?! Sinceramente, non è mio padre, non ha il controllo né su di me, né su Izzy. Non sono di sua proprietà, non ha mai fatto nulla per potermi trattare come tale. Che cosa gli interessa se mi ha baciato?!”
“Dio Bimba.. Non è abbastanza evidente?”
Nel momento in cui mi voltai verso di lui per chiedergli ulteriori spiegazioni, sentii le chiavi girare nella toppa. Duff si alzò velocemente e si chiuse dentro un armadio in salotto, dopo avermi mostrato il dito indice teso sulle labbra ad indicarmi il silenzio.
Perché nascondersi? Non doveva forse essere lì a spiegarmi? Secondo Axl, non mi meritavo di sapere da una persona razionale?
Il cantante entrò silenziosamente in casa. Mi risedetti sul divano cercando di assumere un atteggiamento rilassato e di stare al piano di Duff. Io non sapevo nulla.
“Minnie?!”
Brutta voce. Era arrabbiato. Si sentiva.
“Sono di qua..”
Sentii i suoi passi pesanti seguire la mia voce e raggiungermi in salotto. Aveva un aspetto indecente. Gli occhi rossi, i capelli spettinati e le labbra che continuavano a tremargli insieme alle dita.
“Stai bene?”
Mi alzai realmente preoccupata e andai verso di lui. No, non avevo ancora imparato.
“Stammi lontano.”
“Hai bisogno di calmarti, ti prego..”
“Non sai niente, vero?”
“Io..”

Bene. Il mio migliore amico mi ha appena tradito. Davanti a me ho la ragione della mia vita, ignara di tutto, incapace di essere così dannatamente bella, così ingenuamente bambina. Traditori. Tutti traditori. LUI LO SAPEVA! LUI.. LUI SAPEVA, A LUI L’AVEVO DETTO. Ed è stato il primo a ripagarmi così! A ripagare la fiducia che avevo in lui con.. Con lei.. Con la mia unica ragione di.. Con.. CON UNA TROIA. LEI NON E’ NIENT’ALTRO CHE QUESTO. E io sono stanco di sopportare. Sono stanco. Non si meritano niente.
Calmati ora. Calmati Axl, prova a calmarti.
Non posso.
Sai cosa sei capace di fare, sai a cosa stai pensando, combattilo prima che sia troppo tardi.
Voglio farlo.
Non è vero. Non vuoi!
Non voglio? SI. CHE VOGLIO. VAFFANCULO. MI SONO ROTTO IL CAZZO DI FIDARMI. Mi sono rotto il cazzo di aspettare, di sperare, di affrontare i problemi con amore.
Smettila! Non puoi perdere completamente il controllo, non con lei!
E’ troppo tardi


“Axl? Ti prego..”
“Non sai.. Non sai che mi ha avvertito del tuo essere semplicemente.. sai.. no? Una troia.”
Feci un passo all’indietro.
“Mi ha detto tutto.. Quello che consideravo il mio migliore amico, ha rovinato tutto. E poi.. Poi ha avuto le palle, incredibilmente, di dirmelo. Di avvisarmi. Lo ringrazio, perché ora so di avere una troia in casa.”
Trattenni a stento le lacrime, ormai avevo la schiena al muro e non potevo più indietreggiare.
“Tu non sei così..”
“Cos’hai detto, troia?”
“Tu  non sei così! Smettila!”
“SONO STANCO. IO SONO COME CAZZO VOGLIO ESSERE. E tu no. Tu sei solo una puttana. E sai cosa fanno, le puttane?”
Ormai sentivo il suo respiro addosso. Sapeva di alcool.
Rimasi pietrificata, pietrificata e basta, quando mi accorsi di come la sua mano si stesse pericolosamente avvicinando alla lampo dei suoi jeans. Lo guardai un’ultima volta terrorizzata, incontrai i suoi occhi infuriati, pieni d’odio e di desiderio, fuori di senno, da animale. Mi portai le mani sugli occhi. Poi buio
.
Quando mi scostai le mani dal viso, Axl era a terra, il naso sanguinante e le mani entrambe sull’occhio destro.
Duff, in piedi a fianco a me, si stringeva il pugno livido con cui aveva appena colpito il cantante con tutta la forza che aveva in corpo, salvandomi. Incapace di muovermi e di reagire, mi lasciai trascinare nella mia camera dal bassista. Mi stava parlando probabilmente, ma non capivo. Le gambe mi tremavano. Ricordo solo le sue braccia salde che mi adagiavano sul letto e poi chiudevano la porta. L’espressione dura e arrabbiata, ma che con me sorrideva.
Rimasi a fissare il soffitto per ore, mentre le lacrime finalmente si decidevano ad inondarmi le guance. Continuavo a rivedere il suo viso troppo vicino al mio, il suo desiderio, la sua rabbia.
In mezzo a quei tremendi pensieri, in mezzo alla paura, le lacrime riuscirono a portare con loro la stanchezza e, senza nemmeno accorgermene, caddi in un sonno turbato da sogni e da paura, fino alla mattina seguente.

Quando aprii gli occhi, lo vidi di schiena, nella poltrona davanti alla finestra aperta, con un cappellino da baseball inclinato sull’occhio nero e i capelli che si muovevano al vento. Il suo sguardo, perso nell’orizzonte, era di occhi lucidi, desolati, e tremendamente stanchi. Di un uomo che dimostrava ora più anni di quanti non avesse, che portava i segni del dolore e della sconfitta. Che ora portava odio solo per sé stesso e non più per gli altri.
Rimasi ad osservare la sua sagoma in controluce che si stagliava contro il cielo nuvoloso di quella mattina per non so quanto tempo, ma, mentre io mi fingevo addormentata, non si mosse mai, se non per respirare, se non per emettere un flebile sospiro. Ad un certo punto iniziò a sussurrare qualcosa, pensai ad una canzone, ma mi accorsi dopo poche parole che si trattava in realtà di una preghiera.
Allora mi rizzai a sedere tra le coperte vittime del mio sonno disturbato e lui si voltò.
Non cambiò espressione. Entrambi aspettavamo qualcosa dall’altro. Un segno. Un gesto. Ma rimanemmo immobili, a guardarci. I miei occhi caddero inavvertitamente sul segno violaceo che il cappellino non riusciva a coprire.
Se ne accorse e si abbassò lentamente la visiera. Si vergognava di quello che avevano dovuto fare per fermarlo. Si vergognava di essere così.
“Non sei obbligata a restare..”
Tra tutto quello che poteva dirmi, quella fu una delle poche cose che non mi aspettavo.
“Non credo di essere in grado di prendermi cura di te.. Non dopo quello che è successo”
Incapace di rispondere, mi guardai le mani. La paura che nutrivo per lui era scomparsa, ma ancora pronta a ripresentarsi ad ogni suo movimento brusco.
“So che non sei così”
“Ma non posso fermarmi, non posso cambiare..”
“Io credo di sì..”
Sospirò, scotendo leggermente la testa.
“Ci provo da così tanto tempo..”
“Dicono che sei migliorato, ma.. Beh scoprire che Izzy se ne sarebbe andato, non è facile, credo..”
Sorrise leggermente, e mi guardò:
“Izzy mi ha detto che avrebbe lasciato il gruppo a gennaio..”
“Tu lo sapevi?!”
Annuì.
“Certo che lo sapevo.. E’ il mio migliore amico..”
Perfetto, quindi la causa della sua crisi ero soltanto io. Io, io, io. Io e il fatto che quel ragazzo di nome Izzy Stradlin mi avesse proposto di seguirlo e di scappare da quella città che a sentir lui, anziché sogni, aveva da offrire solo la distruzione.
Probabilmente, Axl si accorse della mia deduzione. Si avvicinò a me, molto lentamente, per evitare di spaventarmi forse, oppure anche per evitare di spaventare sé stesso, ancora incapace di controllare quello che era, impaurito da quello che era capace di fare quando perdeva il controllo di sé.
“Mi dispiace, di essere così.. Ma mi sono sentito tradito per.. Per motivi che ora non posso.. Io non posso…”
Mi alzai dal letto e andai verso di lui, addosso ancora i jeans e la maglietta che portavo dal giorno prima. Gli tolsi cautamente il cappellino. Lui chiuse gli occhi, indifeso. Gli sfiorai dolcemente l’occhio tumefatto, livido, che non riusciva ad aprire. Soffocò un lieve gemito di dolore quando passai il dito sulla palpebra e mi fermò la mano. Me la strinse e se l’appoggiò sulla guancia.
“Non so perché sei così speciale, Bimba.” Disse in un sussurro
“Ma non potevo sopportare l’idea di perderti. Di perdervi entrambi.. Ho bisogno di te”
Posò delicatamente le labbra sul palmo della mia mano, io incapace di pensare, di resistergli.
“Non sono mai stato dipendente da niente, da droga, da medicinali, odiavo tutta quella merda, eppure adesso, adesso che ti ho qui accanto a me, vorrei soltanto che non te ne andassi mai, ed è esattamente quello che ho pensato quando ti ho sentito cantare la prima volta.. Non potevo non portarti con me”
In un attimo, mi fu tutto chiaro, tutto. Io non avevo una voce eccezionale, io non ero la migliore cantante in quel concorso di canto, ma io avevo qualcosa, qualcosa in più. E quel qualcosa era arrivato all’uomo che ora mi stava sussurrando, in balia del dolore e delle emozioni, quanto lo riuscissi a rendere vulnerabile e più forte allo stesso tempo.
“Non voglio andare via..”
Lo vedevo, con le lacrime agli occhi, combattuto tra quello che provava per me e il desiderio di proteggermi dalla sua incapacità di controllarsi.
“Ti prego.. Non posso cambiare”
“Puoi provarci?”
“Per te? All’infinito”
Le sue labbra erano così dannatamente vicine alle mie, sentivo la mano tremarmi nella sua e lui stringerla così dolcemente, persino così fragile, con quell’occhio così ridotto, riusciva a togliermi il respiro, mentre sentivo il suo su di me.

In quell’istante suonò il campanello. Axl serrò gli occhi, con la fronte appoggiata alla mia. Mi lasciò la mano non senza fatica e andò ad aprire la porta senza voltarsi a guardarmi, quasi imbarazzato.
Rimasi sola, nella mia camera vuota e grigia, resa tale dalle nuvole così pacificamente stabili in un cielo di giugno irriconoscibilmente freddo. Iniziai a pensare, a chiedermi se tutto quello che mi stava accadendo non fosse un sogno, se potesse esistere un mondo così perfetto, e mi domandai come potesse un uomo chiudere in sé due personalità diverse, in conflitto tra loro. Poi realizzai.
Non potevo definirmi innamorata di un uomo, se di lui amavo solo una delle sue due parti.
E non potevo nemmeno definirmi una cantante di talento, se il vero motivo per cui ero lì era la mia capacità di stregare un uomo, non un pubblico.
Una lacrima incontrollata mi rotolò sulla guancia, mentre guardavo il cielo. Il mio riflesso sulla finestra, mi ricordò com’ero diventata, come mi ero trasformata, come avevo voltato le spalle alla mia famiglia più di una volta. Mi ricordò chi ero prima e chi ero in quel momento.
Mi voltai e slegai la tenda sul vetro, per nascondere la mia immagine. Annuii al vento, non volevo tornare quella che ero.

“Posso entrare?”
Mi voltai sul suo viso bianco e sugli occhi chiari e malinconici che mi guardavano.
“Ciao”
“Axl non mi vuole parlare, ma non ha detto che non potevo venire a salutarti..”
“Tu lo sapevi, vero?”
Izzy si guardò le scarpe, e si sedette sul mio letto, l’avevo interrotto.
“Sì.”
“Se la mia migliore amica volesse portarmi via il ragazzo di cui sono innamorata non la perdonerei”
Si portò la testa tra le mani.
“E se la tua migliore amica fosse realmente innamorata? Più sicura di te? Capace di promettere un futuro migliore al suddetto ragazzo?”
Mi voltai, abbandonai quel cielo buio per guardarlo:
“Davvero? Credi di essere migliore di lui?”
“Minnie che cosa ti può dare un uomo incapace di gestire persino sé stesso?!”
“Non ti ricordavo così, Izzy, non puoi voltargli le spalle in tutto”
Alzò le spalle:
“Mi sono stancato di essere sempre quello che fa ciò di cui gli altri hanno bisogno. Anche io ho bisogno di qualcosa. Se quel qualcosa sei tu, non posso farci niente.”
“Izzy non posso seguirti! Non voglio farlo!”
Si sedette sul pavimento e appoggiò la schiena e un’anta del mio armadio. Lo guardai dall’alto per pochi secondi, poi mi misi vicino a lui, stanca di essere arrabbiata.
Appoggiai la testa sulla sua spalla.
“Non hai realmente bisogno di me.. Puoi avere quello che vuoi”
“Ti amo”
Il mio cuore si fermò. Smisi di respirare. Nessuno mi aveva mai detto che mi amava. Neanche Michele, neanche alla scuola elementare. L’unica volta che le parole “Ti amo” avevano incrociato la mia strada, era stata quando le avevo viste scritte su un palazzo di Los Angeles con una bomboletta Spry. Ricordo di aver pensato che a chiunque fosse stato indirizzato, in quel modo chiunque ci passasse davanti, avrebbe in qualche modo pensato di essere amato da qualcuno, ognuno poteva pensare che chi l’avesse scritto l’avesse fatto pensando a lui.
Baciai la guancia a Izzy.
“Nessuno me l’aveva mai detto”
Mi guardò stupito, quasi ridendo.
“Davvero?”
Gli tirai un leggero schiaffo, ma sorridevo.
“Non fa ridere, idiota.”
“Sì, invece. Un sacco di donne hanno detto a me di amarmi.”
“Perché non sei con loro, allora?”
“Non sono te.”
Sorrise, più a sé stesso che a me, e rimanemmo così per chissà quanto tempo.
“Sai Izzy, a volte ho paura”
“Di cosa?”
“Di questa casa, è terribilmente grande, lui non c’è mai..”
“Ci sarò io con te”
“Tu te ne andrai! Io non riesco nemmeno a dormire”
“Mi uccide vederti così..”
D’un tratto dai nostri occhi era scomparsa la malinconia, l’amore, l’odio, tutto. Ora c’era solamente un sentimento, ed era uno dei sentimenti più orribili che per me esistesse. La gente dice di odiare l’inimicizia, la solitudine, la tristezza. Io odiavo, e odio tutt’ora la rassegnazione.
E’ come uno stop che ti preclude ogni via di uscita, è la frase “C’è sempre una scelta” cancellata con una grande x che ti impregna lo stomaco. Ed allora, sia io che Izzy, eravamo pieni di rassegnazione.
“Tornerai?”
Chiuse gli occhi, sono sicura che lo fece per nascondere le lacrime. Non rispose.
“Non puoi andartene per sempre, Izz. Ti prego”
“Non lo so.”
“Non lo sai?!”
“No Minnie! Potrei tornare tra due giorni, tra sei mesi, come tra vent’anni.. Come mai più”
“Se non sai nemmeno tu che cosa vuoi, come posso abbandonarti? Come posso essere sicura che sarai felice così?”
“Non potrai, non lo sarei comunque.”
La grande capacità di Izzy di far provare i più grandi sensi di colpa esistenti è sempre stata una sua ammirevole dote: Izzy è una di quelle persone che ti dà tutta la sua vita per aiutarti, che ti offre più di quanto darebbe a sé stesso. Ma tutto ha un prezzo.
“Per quanto continuerai a farmi sentire così, sapendo che non cambierò idea?”
Sospirò e rimase in silenzio per attimi che mi parvero interminabili.
“Spero solo che Axl si meriti davvero, una come te..”
Mi guardai i piedi imbarazzata e cercai velocemente di cambiare discorso:
“Come vi siete conosciuti?”
Sorrise debolmente.
“Perché lo vuoi sapere?”
“Perché no?”
Scosse la testa:
“Avevamo undici anni.. Andavamo alla stessa scuola elementare, ma diciamo che non frequentavamo proprio le stesse persone..”
“Come mai?”
“Sai, lui era.. Un ragazzino magro, con i capelli lunghi, la schiena curva, la paura di lottare e io..”
Rise e mi guardò mordendosi un labbro:
“Andiamo, ero il ragazzo più sexy della scuola!”
“Posso immaginare!”
Risi anche io, poi continuò:
“No.. Seriamente, mio padre.. Mi dava la roba da spacciare in giro, perciò avevo sempre il mio seguito di persone che mi stava vicino per averla, compresi i ragazzi più grandi..”
“Spacciavi a undici anni?!”
“Sì ragazza, e ho smesso che ne avevo diciotto..”
Rideva, ma il suo sguardo vagava incerto tra quei ricordi che non sembravano essere felici come stava provando a descriverli.
“Ad ogni modo.. Un giorno, ero uscito dalla classe stufo della lezione, e avevo sentito un gran baccano, come di libri caduti, seguito dall’urlo della direttrice..” Rise,
“Puoi immaginare, la scena successiva fu una fiamma rossa che correva come una dannata per il corridoio, e questa donna che lo seguiva isterica cercando di non cadere su quei dannati tacchi che continuavano *Tac tac tac* su tutto il pavimento della scuola ed era un delirio! Le bidelle iniziavano ad incuriosirsi mentre cercavano di controllare degli alunni che avevano visto la scena..”
Izzy non smetteva più di ridere contagiando anche me.
“Ah.. L’ho sempre detto che Axl faceva impazzire le donne sin da piccolo!”
“E quando entri in scena tu?”
“Aspetta, con calma! Lui stava correndo a perdifiato, e mi passò davanti come una scheggia. A un certo punto si infilò in una classe vuota, ma così era in trappola. Riuscii a raggiungerlo prima di quella stronza della preside e gli indicai il mio armadietto e che aprii giusto in tempo per farlo nascondere.. Ricordo ancora la preside: <>
<>.. Alla fine se ne andò sbuffando e si chiuse nel suo ufficio..”
“E Axl era ancora nell’armadietto?!”
“Puoi giurarci. Quando il pericolo era scampato, lo lasciai uscire e allora ci presentammo.. Gli dissi: <> E lui tranquillo, alzando le spalle: <>”
D’un tratto smise di ridere:
“Tremava quando parlava di suo padre.. Non.. Non poteva sopportarlo. Ero un figlio di puttana ma non ero uno stronzo senza cuore, non potevo sopportare di vederlo così.. Diciamo che divenni suo amico, mi sembrava solo.. Tutto qui. Non è così emozionante..”
“E’ una bella storia, invece”
“Immagino che per una fan lo sia..”
Si alzò in piedi e mi tese una mano per aiutarmi a fare lo stesso.
“Dovresti fare pace con lui..”
“Con Rose?! Impossibile..”
“..Perché?”
“Pronto? Axl Rose ce l’ha a morte con me, non ho molte possibilità di riuscita”
Rise amaro, poi riprese:
“Ma è lecito, l’ho tradito..”
“E quindi? Continuerai a non parlargli fino a quando non te ne andrai?”
“Magari sarà meno doloroso per entrambi.. Alla fine non sentiremo così tanto la mancanza dell’altro”
Lo guardai con rimprovero, ma lui fece finta di ignorarmi e diede un’occhiata all’orologio:
“Cazzo, è tardissimo.. E’ meglio che vada..”
Annuii impercettibilmente e lo accompagnai fino alla porta di ingresso, Axl si era chiuso in soggiorno. Izzy uscì in giardino, mani nelle tasche, sguardo basso:
“Ci vediamo” Mi salutò senza guardarmi.
“Izzy!”
Si voltò:
“Cosa?”
“Vi conoscete da quasi quindici anni, pensaci bene prima di fare cazzate.. Non perderlo per sempre, non per colpa mia…”
“Farò come dici, amor mio.”
Gli sorrisi e feci per rientrare in casa.
“Ah, un’ultima cosa, bambolina!”
“Che vuoi?!”
“Sei bellissima”
 

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Capitolo 10
*** Luglio, 1992 “Chet Baker – You don’t know what love is” ***


Luglio, 1992  “Chet Baker – You don’t know what love is”


“Minnie?”
Sentii la sua voce. Alzai gli occhi sullo specchio del bagno. Per quanto ero rimasta lì a pensare? Mi bagnai i polsi con l’acqua fredda, il caldo mi stava dando alla testa, sembrava di stare perennemente sotto al phon. L'afa americana, spesso, mi rendeva quasi difficile respirare e riusciva ad aiutarmi solo lo stendermi sul pavimento di piastrelle fresche, oppure bagnarmi con acqua gelida la fronte o le braccia.
Bussò alla porta:
“Posso entrare?”
Chiusi il rubinetto e gli aprii.
“Ehi, tutto bene? Sei qui da un’ora..”
Lo guardai, le mie attenzioni inavvertitamente attirate dal leggero segno violaceo che ancora marcava il suo occhio destro.
“Ho caldo”
Sorrise:
“Immagino tesoro..”
Calò un silenzio insolito, fra di noi, che cercai di colmare con la prima domanda che mi venne in mente:
“Quando ripartite per il tour?”
“Tra tre giorni.. Inghilterra”
Sorrisi tra me e me, quanto mi mancava quel posto.
“Che c’è? Vuoi venire?”
Lo guardai stupita:
“Ma che dici.. Avrete di meglio da fare in tour che avere me come peso..”
“Peso? Da quando sei un peso?”
Axl si era steso la schiuma da barba sulle guancie, e ora osservavo i movimenti lenti che si disegnava sul mento, mentre mi ascoltava.
“Sarete già tanto impegnati senza che anche io venga a rompervi..”
“Questo è vero, sarà un po’ stancante, ma in fondo resteremo lì solo una settimana, abbiamo solo cinque concerti.. E tu sei abbastanza indipendente per decidere se restare in hotel o venire a vederci dal backstage.. O se partecipare alle feste o no..”
Capii solo allora che Axl non stava scherzando, in fondo, quando mai lo faceva?
Dovevo iniziare ad abituarmi al fatto che quando diceva qualcosa di estremamente folle, era perché lo pensava davvero.
“Ad ogni modo, i ragazzi non saranno d’accordo..”
Dissi appoggiandomi al bordo della vasca, Axl si voltò a guardarmi e rimase pochi secondi ad osservarmi le gambe accavallate che si scoprivano con gli shorts, sorrise.
“Secondo me..I  ragazzi saranno d’accordo..”
Rise, anche se sul momento non afferrai la battuta.
Scrollai le spalle ed uscii dal bagno, anche se lui mi fermò dolcemente sulla soglia con la mano libera:
“Hai detto che ci romperesti le palle, io credo che ci aiuteresti: penso che ci saresti molto utile.. Sai.. In tour le tentazioni sono sempre più forti..”
“Ah, si?” gli risposi scettica “E che c’entro io?”
“Duff non ha tutti i torti quando ti definisce il nostro angelo custode..”
“Lui scherza..”
“Credo di no.. Pensaci”
Me ne tornai nella mia camera e provai a leggere qualcosa, ma le lettere mi sembravano incomprensibili per via dei miei pensieri che continuavano ad avventurarsi tra l’Inghilterra, i concerti, i Guns in tour.. Ero già stata con loro in Italia, è vero, ma solo per una settimana di relax con la mia famiglia e per una data a Torino, niente spostamenti, niente esagitazioni post concerto, forse perché i miei erano a vedere la performance, e feste contenute, che mi ero persa svenendo su un divano. Ricordai anche come dopo il Tribute per Freddie, Axl mi aveva promesso di portarmi con loro nelle prossime date e di aprirgli i concerti, ma anche quella volta, non l’avevo preso sul serio, e me ne ero dimenticata dopo un paio di mesi che non se n’era più parlato.
Ad ogni modo, dato che il tempo stringeva, i ragazzi non mi lasciarono più il tempo di riflettere, in tutta fretta, decisero che era un’idea stupenda e che dovevo per forza venire. Axl in un paio d’ore mi preparò una scaletta di cover da alternare per ogni serata dopodiché, mi ritrovai con loro su un aereo privato, destinazione: Londra.

I concerti erano cinque: il tour partiva da Londra, andava a Manchester, Milton Keynes e toccava l’Irlanda a Slane, per poi chiudere il tour con una seconda ed ultima esibizione a Londra.
Non fu un buon periodo. Per niente.
I ricordi che ho sono pochi, tristi, e tossici. L’unico positivo che ho, e che mi fa ancora tornare il sorriso quando ci penso, è quello del nostro arrivo a Londra.
Venimmo ripresi e montati sulla pubblicità del concerto: il video mostrava la nostra uscita dall’aeroporto, un paio di fattorini sullo sfondo che portavano i bagagli, Axl al centro, la giacca marrone sulla canottiera bianca e i pantaloni di pelle, Duff alla sua destra, la borsa a tracolla e gli occhiali da sole, Slash con la custodia della chitarra sotto braccio, Izzy, i capelli scompigliati dal vento sotto il caratteristico cappello e Matt, le bacchette che uscivano da una tasca e la camicia fuori dai pantaloni. Io, in mezzo a Duff e Izzy, inquadrata mentre mi toglievo gli occhiali e mi sistemavo la borsa sorridendo ai fotografi. So che tutto questo può sembrare stupido, più avanti essere ripresi e idolatrati in quel modo dalle telecamere divenne un’abitudine, ma allora mi faceva sentire come una delle più grandi dive della terra, circondata dai cinque ragazzi più sexy d’America e con uno stile ideato dalla stilista di Axl che mi faceva sentire così bella. Quasi perfetta. Io. Che non ero niente.
Fine.
Questo è l’unico ricordo positivo che ho.
Gli altri sono composti da concerti folli, che si concludevano con tre ragazze per musicista, casse di birra, di vodka, di Jack Daniel’s e tanta, troppa droga.
Se entravi nel locale in cui si trovavano i ragazzi, trovavi gente intenta a scopare ovunque, tavolini ricoperte di strisce di coca e buste di polvere scura sparsa sui banconi. Bottiglie vuote, vomito, mutandine da donna e quantità industriali di sigarette, canne e, sì, siringhe.
I primi giorni la situazione era ancora sostenibile, la prima festa la affrontai volentieri, ignara della piega che avrebbe preso: Slash e Duff iniziarono a fare una gara, chi riusciva a bere di più vinceva, quando iniziarono a vomitare mi allontanai velocemente, preoccupata dal fatto che per reagire sniffavano coca. Axl flirtò tutta la sera con ragazze che erano già pronte in partenza a dargliela senza che lui si sprecasse, pensai che lo facesse solo per farmi innervosire, non so bene neanche io il perché. Alla fine, stetti con Izzy e mi ubriacai fino ad addormentarmi  in un angolo e risvegliarmi con lui svenuto, sporco di vomito e riverso sul pavimento vicino a me. Partecipai solo ad un’altra festa, la sera successiva, le cose andarono più o meno nello stesso modo, tranne per il lavoretto che Slash si fece fare da una ragazza in pubblico del quale approfittò anche Matt. Quando anche la mattina seguente mi risvegliai in uno stato catatonico di ricordi confusi e vuoti temporali capii che era ora di finirla: quelli non erano i ragazzi che conoscevo, quelli non erano i miei amici, erano solo un branco di animali.
Alzando lo sguardo dal divano della suite di Axl dove mi ero assopita, mi accorsi di quanto potesse essere luridamente lussuosa quella stanza: gli specchi con il bordo dorato schizzati di bevande alcoliche, i mozziconi di sigaretta sui tappeti, i tavolini rotti, le tv piatte scheggiate. Non indossavo la maglietta, ero in reggiseno. Perché ero in reggiseno? Non lo ricordavo.
Ricordavo solo Izzy che rideva, una sigaretta.. Avevo fumato una sigaretta? Forse anche una canna.. Non lo sapevo, non potevo saperlo..
Mi alzai e trovai un Axl addormentato nella vasca da bagno. Due biglietti sull’orlo del lavandino, uno diceva:
“Sei anche meglio di come ti descrivono, la roba era davvero forte, grazie.. Ma eri più forte tu.. Splendida nottata, Ti amo”
Era firmata da una certa Tess che come saluto aveva lasciato un bacio segnato col rossetto sul foglietto di carta.
Sull’altro biglietto era scritto:
“Mai fatto del sesso così, posso dirtelo? Sei perfetto, non cambiare mai! Forse un giorno ci rivedremo”
Il secondo aveva una firma illeggibile, si riconosceva solo il disegno stilizzato di una stellina.
“Non cambiare mai”, già, a quanto pare a gente come loro piaceva così, ma da quando Axl era ai loro livelli? Riempii un bicchiere da cocktail vuoto di acqua fredda e glielo tirai in faccia.
Aprì gli occhi a fatica, infastidito dalla luce del mattino:
“Porca troia! Sei fuori di.. Che ore sono?”
“Le 11”
“L’alba.. Perché mi hai svegliato?”
“Perché me ne vado”
Feci per uscire dal bagno, non mi ero neanche rimessa la maglietta, gli avevo parlato mezza nuda, ma che importava, per loro era normale vedere donne così.
Dopo essermi infilata una felpa, mentre cercavo di raggiungere l’uscita senza calpestare niente, Axl sembrò riprendere d’un tratto la forza vitale e scattò in piedi iniziando a seguirmi.
“Minnie, che cazzo stai dicendo. No sul serio, illuminami! Siamo in Inghilterra in un hotel nel centro di non so neanche io che cazzo di città, dove pensi di andare?”
Lo guardai irritata, aveva ragione, ma l’ultima cosa che volevo era rimanere lì un secondo ancora, circondata da quello che ora mi faceva venire il volta stomaco.
“Non me ne importa niente, faccio un giro, qui non riesco a respirare..”
Mi afferrò il polso per bloccarmi, la voce alterata dalla rabbia:
“Bimba cazzo, non posso lasciarti andare in giro da sola, sei fuori di testa?!”
Strattonai violentemente il braccio e lasciò la presa:
“Non ho sei anni Axl, sono maggiorenne, ok? Non sei neanche più in dovere di prenderti cura di me, contento? Lasciami vivere!”
“Ah sì?! Perfetto, allora non sono neanche più in dovere di avverare tutte le tue stronzate di sogni, giusto? Buona a sapersi, un pensiero in meno.”
Si voltò sbuffando mentre mi tiravo la porta dietro la schiena, sbattendola forte e chiudendomela alle spalle.
Corsi giù per le scale dell’hotel e mi ritrovai in una strada principale di Londra, da dove saremmo dovuti partire per la seconda tappa quella sera: se non fossi ritornata in tempo, sarebbero partiti senza di me. Sarei diventata una senzatetto? Magari nessuno mi avrebbe più risposto al telefono o gli spiccioli che avevo in tasca non sarebbero bastati per una chiamata.
La rabbia calmò le mie paure, scrollai le spalle e iniziai a camminare velocemente con le mani nelle tasche. Non mi importava di Axl, non volevo che i miei sogni fossero avverati da un ninfomane alcolizzato e non volevo essere circondata da musicisti inaffidabili, incapaci di proteggermi e tossici, che credevo miei amici.

Non ricordo per quanto camminai, sempre nella stessa direzione, senza guardare nessuno, ma ad un certo punto i miei piedi iniziarono ad urlare, e allora, calmata la rabbia, pensai di tornare in hotel. Alzai lo sguardo.
Buio più totale. Non avevo la più pallida idea di dove fossi.
Una parte di me avrebbe voluto scoppiare a piangere: cosa diamine stavo facendo? Tutta la mia vita ad illudermi che quella band fosse la cosa migliore che potesse capitarmi quando invece era la peggiore, stavo sprecando un anno di scuola, avevo sprecato persino la mia storia d’amore con Michele pensando di essermi innamorata di.. Di.. Di nessuno. Di un principe azzurro vestito in perfetto stile anni ’80 che invece non esisteva.
Cercai di prendere coraggio e mi avvicinai ad una donna che sembrava abbastanza affidabile:
“Mi scusi, mi sa dire dov’è il Mandarin Oriental Hotel?”
La donna mi lanciò un’occhiata di rimprovero alle gambe scoperte da una minigonna molto sexy che avevo indossato la sera prima per la festa, e che ora non centrava proprio nulla con la felpa grigia che mi ero messa prima di uscire dalla suite.
“Quanti anni hai ragazzina?”
“Ho solo bisogno di un’informazione!”
Sospirò pazientemente, visibilmente preoccupata:
“Non pensavo che anche delle ragazze così giovani ora..”
Aspetta, cosa?! Mi aveva scambiato per una..?
“Mi scusi, ho diciotto anni e mi sono persa, non so da quante ore io stia camminando in giro per questa città del cazzo, e non ho la minima idea di dove mi trovi. Può gentilmente dirmi come arrivare a quel fottuto hotel, per favore?”
Sgranò gli occhi, io mi pentii subito del tono che avevo usato e fortunatamente parve accorgersene:
“Mi dispiace ragazzina, ma quell’hotel è davanti ad Hyde Park, più o meno a tre chilometri da qui.. Senza un biglietto per la metro non andrai molto lontano..”
Frugai imbarazzata con le mani nelle tasche, trovai cinque dollari, nessuna sterlina.
Mi guardò, pensai a quanto odiassi essere guardata con pietà, ma lo sapeva quanti concerti avevo fatto, ultimamente?
Mi allungò una banconota da dieci sterline:
“Queste basteranno di sicuro, laggiù c’è una fermata per la metro, l’hotel che cerchi sta a pochi minuti a piedi dalla stazione centrale.. Buona fortuna”
Si allontanò velocemente. Le sue informazioni non erano assolutamente sufficienti, secondo lei con quelle dieci sterline poteva togliersi il peso dalla coscienza.
Mi sedetti sul marciapiede, ora acquistando perfettamente le sembianze di una sgualdrina.
Non mi importava niente, volevo solo tornare a casa.
Appoggiai la testa sulle ginocchia, e piansi, piansi tanto, sperando di togliermi quel peso enorme e di ricominciare a pensare razionalmente.
Finii per addormentarmi.
Sì, esatto, io, nel 1992, abbandonai l’hotel dei Guns e mi addormentai su un marciapiede nel nulla cosmico di Londra.
Non so se Jim Morrison o Dio mi videro, o se quella donna avesse pregato per me, ma quando mi svegliai, guardando spaventata l’imbrunire del cielo e pensando ai Guns che magari erano usciti per cercarmi, tardando per il tour, riconobbi, tra alcune persone, una testa di capelli biondi, lunghi fino alle spalle, un sorriso sarcastico e due occhi azzurri un po’ tristi, una felpa verde chiaro, dei jeans azzurri stracciati, le mani che facevano segno di abbassare la voce ad un branco di ragazzine che gli si era accalcato intorno.
Mi alzai e andai verso di lui. Non poteva essere davvero..
“Mi scusi?”
Si voltò. Oh porco cavolo era lui davvero. Probabilmente gli dovetti sembrare uguale a tutte quelle altre ragazzine, se non peggio, perché rimasi a fissarlo con gli occhi sognanti per non so quanto:
“Ragazzina, mi dispiace, devo veramente andare in hotel ora, torniamo a casa domani, se sei una mia fan dovresti saperlo..”
Mi strizzò l’occhio, e forse rimase un po’ stupito del fatto che non svenni, ma mi ripresi e cercai invece di parlargli:
“Noi non ci conosciamo, è vero, ma forse mi ha già visto..”
Mi avvicinai al suo orecchio per non farmi sentire dalle altre ragazze:
“Sono Minnie, quella dei Guns.. alloggio loro, sono al Mandarin Oriental hotel, Axl è nella camera 156, mi deve credere.. Mi sono persa, la prego, so che ha altro da fare, ma non ho idea di come tornare da loro..”
In un primo momento si allontanò da me con un sorriso incredulo, poi mi guardò meglio. Prima rimase incredibilmente stupito, poi tornò serio. Mi prese il braccio:
“Vieni con me” disse solo, ignorando quelle galline che si ostinavano ad urlare il suo nome.
Camminò per alcuni passi a velocità della luce, poi, dopo aver seminato sguardi indiscreti, si rilassò, la sua espressione sembrò rasserenarsi, e fu allora che si fermò tendendo la mano nella mia direzione­:
“Ho letto di te, è un vero piacere conoscerti, Kurt Cobain, al tuo servizio..”
Sorrisi imbarazzata: “Conosco il suo nome..”
“Ok, punto primo: non mi dare del lei, ho venticinque anni, non sessanta. Punto secondo: ora ti porto nell’hotel dove sto, magari ti trovo qualcosa da mettere di decente, ti faccio usare il telefono e puoi ritornare dai tuoi Guns per la notte..”
“Mi dispiace dirti che la situazione è un po’ più grave.. Non so che ore sono, ma dovevano partire alle 20 per la prossima tappa del tour..”
Diede un’occhiata all’orologio, poi mi guardò, indeciso sul da farsi:
“Come mai eri qui da sola?”
Iniziai a giocare con una ciocca di capelli, guardandomi i piedi:
“Diciamo.. che.. Ho agito di impulso, ho avuto una discussione con Axl..”
Sorrise beffardo:
“Hai litigato con Axl Rose?! Sul serio? Strano davvero! Non sembra il tipo!
Pensavo che fosse solo l’uom.. l’essere più suscettibile della terra, capace di prenderti a pugni un bassista insieme al suo seguito di cazzoni senza che questo ti abbia fatto niente..”
Sorrisi tra me e me, già, gli MTV awards dell’anno precedente non erano andati proprio bene per le due band.. Ma in fondo, non aveva iniziato Kurt a provocare Axl?
Preferii tenere quell’idea per me e mi limitai a tacere.
Arrivammo in un hotel piuttosto appariscente, non come il nuovissimo Mandarin, certo, ma le cinque stelle c’erano, e si vedevano tutte. Mi accompagnò al piano della sua suite, mi disse di fare con comodo e andò a bussare nelle camere vicine, Dave Grohl e Krist Novoselic si trovavano li?!
I miei dubbi trovarono risposta quando il batterista dei Nirvana entrò nella suite dove io mi stavo cambiando, mi infilai un paio di jeans che mi diede Kurt, per poi andare nel salotto dove trovai tutti i componenti della band con le braccia conserte a fissarmi, ma avrei resistito, ero una collega, non una fan.
“Minnie! Un vero piacere.. Ho ascoltato tutte le tue esibizioni!”
Sorrisi a Krist, stringendogli la mano:
“Pensavo non seguiste i concerti dei Guns”
“Infatti accendo la TV solo quando ci sei tu bambola”
Mi fece l’occhiolino, poi rise.
“Potrei usare il telefono? Magari per avvertire Axl che sto bene..”
Kurt annuì e mi indicò la cornetta, io digitai il numero di Axl e aspettai paziente, sedendomi sul divano mentre i ragazzi parlavano e ridevano tra loro. Parlavano forse di me?
“Pronto?!”
“Axl?”
Sentii un sospiro enorme, poi rispose:
“Ti stiamo cercando da due ore Minnie, spero che tu sia soddisfatta, ma che cavolo avevi in mente? Dobbiamo partire tra venti minuti! Credi che questo sia professionale?”
“Ah, certo, scusami, dimenticavo che solo tu puoi farti desiderare e arrivare ore in ritardo a qualsiasi appuntamento.”
Silenzio. Non ero riuscita a frenare la lingua, Dave aveva interrotto i suoi interlocutori e si era messo ad ascoltare la  mia telefonata sorridendo beffardo.
“Minnie, non ho tempo per delle stronzate, dicci dove sei, ti veniamo a prendere.”
Guardai Kurt, ora silenzioso, che mi guardava come per analizzare la mia prossima mossa.
“Sono al Luxor Hotel, Kurt Cobain, Dave e Krist mi hanno gentilmente ospitata.”
Axl rise forzatamente. “Mi prendi per il culo, vero?”
Kurt si avvicinò, abbassò il telefono in modo che Axl non potesse sentire:
“Domani torniamo a Los Angeles.. Possiamo portarti a casa se vuoi”
Lo guardai incredula, era davvero così gentile? In un primo momento declinai l’offerta, ma poco convinta e i ragazzi parvero accorgersene.
“Ragazza, noi quell’aereo lo prendiamo comunque, i posti ci sono, è il nostro..”
Gli sorrisi, mentre Axl continuava a chiamare il mio nome dal telefono. Me lo riappoggiai all’orecchio:
“Scusami, non c’è bisogno che mi veniate a prendere, torno a Los Angeles con loro. Ci vediamo quando tornate.”
“Non pensare che sia così facile, ragazzina, non te lo permetterò”
“Pensi davvero che starei meglio con voi? Non siete in grado di occuparvi di me, dovevo aspettarmelo, ma, fortunatamente, come hai detto tu, so cavarmela da sola. Io.. Ho bisogno di pensare..”
“A cosa, di grazia?!”
Sospirai..
“Non so se voglio continuare questa cosa.. Ci vediamo.. Non chiamarmi: non risponderei, scusami.”
Riattaccai bruscamente. Kurt mi sorrise.

Quando arrivai a Los Angeles, Kurt mi accompagnò fino alla villa di Axl, della quale fortunatamente avevo una copia delle chiavi che mi aveva dato appena ero arrivata. Lo invitai dentro casa per salutarlo.
“Cazzo, questa casa è una figata!”
Sorrisi, già, casa di Axl era bellissima: l’aveva progettata insieme ad Erin quando si erano sposati, poi, con il divorzio, lei se n’era andata, e la casa era rimasta al cantante, che, in fondo, aveva anche finanziato l’intera costruzione, dal valore di milioni e milioni di dollari.
“Vuoi qualcosa da bere?”
“Sì, grazie, se hai una birra.. Potrei usare il telefono? Dovrei chiamare Courtney e dirle che sarò a casa tra poco..”
“Certo, accomodati pure..”
Mentre andava nell’altra stanza per telefonare, gli preparai la birra, per poi portargliela. Gliela appoggiai sul tavolino davanti al divano, mentre parlava con la moglie:
“Come state bellezze? Sì? Non stai male vero? Perfetto.. Sì, certo che lo so, non vedo l’ora. Speriamo di no! Secondo me assomiglierà a te, e sarà bellissima. Anche io ti amo.. A presto”
Lo guardai sorridendo:
“Scusami, non ho potuto evitare di ascoltare..”
“Ormai tutti i discorsi vertono sulla bimba..”
“Quando nascerà?”
“Il mese prossimo..”
“Felice?”
Annuì.
Nel tempo che passammo insieme, non ero riuscita a non notare quanto i suoi occhi mandassero sempre quella luce di malinconia, di rimpianto. Sorrideva, rideva, ma sembrava che il suo viso fosse diviso in due, i suoi occhi non partecipavano mai alle sue emozioni ed era strano, in quel momento era l’uomo più invidiato della terra, con il nuovo genere che la sua band aveva creato stava oscurando tutti, persino la band che fino all’anno prima era la più famosa del mondo: gli stessi Guns N’ Roses.
Dal mio punto di vista, il Grunge non mi appassionava particolarmente, alcuni pezzi nuovi che erano usciti erano interessanti, l’album Nevermind era un disco stupendo, ma non c’era più una ricerca, non c’era più una grinta, un coinvolgimento.. Sembrava che gli anni ’90 fossero arrivati e stessero divorando tutto e tutti con la loro malinconia, orecchiabilità e innovazione. La rabbia era diventata disinteresse, la ribellione assomigliava più a un silenzio passivo che restava a guardare. Mi venne da paragonare quei due decenni così diversi alle droghe: se gli anni ’80 erano la coca, con energia e forza, i ’90 erano pura eroina, con quel qualcosa di ovattato e insensibile.
Ad ogni modo, Kurt Cobain era da rispettare solo per essere riuscito a portare una innovazione, e la sua voce mi era sempre piaciuta molto per la capacità di trasmettere le emozioni di cui parlavano le loro canzoni. Allo stesso tempo, Duff, che era fuggito da una città piovosa e senza obiettivi come Seattle per la grandiosa città dei sogni, si sentì preso per il culo, quando, dopo pochi anni, il fulcro della  nuova corrente Rock, divenne proprio quella, da dove spuntarono anche i Soundgarden e i Pearl Jam.
Il carattere dei Nirvana, comunque, era tutto fuorché disponibile o gentile: il pugno che Axl aveva sferrato in faccia a Kurt agli MTV awards, avevo sempre pensato se lo fosse meritato tutto, in fondo Rose, insieme a Slash, li aveva sentiti suonare, gli aveva proposto di aprirgli i concerti e loro avevano declinato in modo molto arrogante, insinuando di essere loro i migliori e non il contrario. Ad ogni modo, la stessa offerta la accettarono i Soundgarden e i Guns furono il loro trampolino di lancio.

Dopo aver passato con loro un paio di giorni, comunque, non tardai ad affezionarmi a quei ragazzi, in particolar modo a Kurt, che seppe prendersi cura di me e riportarmi sana e salva a casa. In più, in quel momento, così arrabbiata con i Guns che credevo miei protettori e che invece mi stavano portando verso la loro stessa autodistruzione con la sicurezza che io li avrei salvati, avevo bisogno di qualcuno che aiutasse me, sperduta tra sogni insicuri ed incerta sulla strada da prendere.
Il mio rapporto con Kurt, infatti, si basò sempre sull’aiuto reciproco che ci davamo: lui si occupava della mia crescita artistica, io della sua situazione morale, che allora ingenuamente non capivo come potesse non essere tra le migliori.
In quei giorni, quando tornammo dall’Inghilterra, Kurt passò parecchio tempo con me, dato che stare in quella enorme villa da sola non mi faceva stare bene: studiammo insieme e la nostra amicizia si consolidò come una delle migliori che avessi mai avuto e, in quel momento, poco mi importava come quello stesso amico, stesse soppiantando tutta la mia musica preferita con la propria.
Il giorno del ritorno dei Guns, ero del tutto impreparata alle reazioni che avrebbe potuto avere Axl su quell’amicizia e, soprattutto, a come affrontare quella che per me era stato un vero e proprio tradimento da parte loro nei miei confronti con quella dannatissima droga che sembrava preferissero tutti alla sottoscritta. Quelli che quindi erano i miei problemi, però, si rivelarono inutili, perché mi ritrovai a doverne affrontare uno molto peggiore.
Quel pomeriggio ero con Kurt, eravamo nello studio della musica e stavamo parlando di un disco, tale “Cupid” di Sam Cooke, del 1961, quando il mio cellulare squillò dopo giorni in cui taceva.
“Pronto?” Mi spostai in salotto per non disturbare Kurt.
“Sono Duff, Angelo..”
Voce trafelata, sospiri, parlava velocemente, aveva paura?
“Ehi.. Stai bene?!”
“Eh?! Sì.. Certo. Senti, devi chiamare subito Alan” Pensai subito al loro manager, Alan Niven, sapevo dove Axl teneva il suo numero.
“..Non è lì con voi?”
“No cazzo, è tornato a Los Angeles a metà delle date, in fondo era piuttosto inutile, cioè ce la sappiamo cavare da soli, non siamo più degli stronzi come nell’86 però, Cristo.. Se quel coglione decide di rovinarci la vita non è colpa mia..”
“Per favore, calmati, di che coglione parli adesso?”
Duff sospirò:
“Non hai letto l’ultimo numero di Rolling Stone, vero?”
No, in effetti non l’avevo letto. Aspettai che continuasse. Sospirò:
“Mettiamo che Axl abbia parlato di cose un tantino importanti, cose che non aveva neanche detto a noi e che ora ha deciso di sbandierare al mondo, e mettiamo che tu sia l’unica persona in tutto il pianeta a non aver letto quell’intervista. Mettiamo anche che il numero sia uscito il giorno dopo la nostra partenza, che quel suddetto rompi cazzo di cantante non ci abbia avvertito di niente e che i lettori della rivista abbiano aspettato per una settimana il nostro ritorno e che ora siano tutti in aeroporto. Ok? Bella scenetta no?”
“Dove siete ora?”
“Segregati in una sala di attesa, la sicurezza ci ha chiuso dentro, ma non abbiamo modo di uscire. Se proviamo ad aprire la porta ci ammazzano. Devi chiamare Alan e spiegargli tutto cazzo, di qui non ne usciamo vivi, devono mandare i rinforzi che cazzo ne so, quando eravamo al Rock in Rio giravamo con le forze armate, adesso troveranno un modo per farci uscire dal fottuto aeroporto di Los Angeles. Cazzo.”
“Calmati, chiamo subito”
Chiusi la telefonata, Kurt intanto mi aveva raggiunto in salotto e chiedeva spiegazioni.
“Non è il momento.. E’ successo un casino.. Presente Rolling Stone?”
Il cantante sorrise guardandosi le scarpe, mentre io digitavo il numero sul cellulare. Mi bloccai prima di premere il tasto per avviare la telefonata, e lo guardai:
“Tu hai letto quell’articolo?”
“Oh Bimba, cazzo, tu sei l’unica che non l’ha letto, ma dove vivi?”
E rise, rise di gusto. Lo fulminai con lo sguardo, e smise di ridere, ma continuò a fissarmi con un’espressione estremamente divertita, che mi dava profondamente sui nervi.
“Non me ne frega un cazzo se ti fa ridere, potrai anche detestarli tutti, ma sono la mia famiglia, se non vuoi collaborare puoi anche andartene.”
Kurt alzò le braccia in segno di resa e si avviò verso la porta di ingresso:
“Io me ne vado anche, però non eri tu quella che fino a due giorni fa mi parlava di quanto fosse delusa da quei fantastici ragazzi che ora chiami famiglia?”
Lo guardai mordendomi il labbro, aveva ragione, ma non avevo tempo per lui, non ora.
“Alan?! Sono Minnie.. Bimba! I Guns sono bloccati all’aeroporto.. No, non c’è tempo per spiegare, l’intervista di Axl comunque.. Non me ne frega un cazzo se glielo avevi detto, fa qualcosa!”
Kurt, appoggiato alla porta d’ingresso, continuava a guardarmi:
“Allora sei determinata quando vuoi.. Non sei solo la bambolina fragile come tutti volevano farmi credere.. A quanto pare sei veramente intenzionata a proteggerli.. Non doveva essere il contrario?”
Appoggiai il telefono sul divano:
“E tu non te ne dovevi andare?”
Annuì, ma poi si riavvicinò a me:
“Ormai ci tengo a te bambolina, non.. fare cazzate.. Con.. Loro”
Non riuscivo a capire perché, ma quel pregiudizio che Kurt aveva nei loro confronti non mi stava bene, solo io potevo sparlare dei Guns, punto e basta. E come al solito, da giovane ragazzina incazzata, non ero mai capace di dare un freno alla lingua:
“Almeno loro smetterebbero con l’eroina se stessero per avere una figlia”
Kurt sgranò gli occhi e la sua espressione da preoccupata si trasformò in.. Sconfitta. Non mi salutò nemmeno, uscì di casa e non lo rividi per parecchio tempo. Trovato il tasto dolente? Pazienza, i miei fratelloni in quel momento erano più importanti.

Dopo che Kurt uscì di casa, andai a cercare il numero di Rolling Stone tra la posta che non avevo ancora controllato. Beccato. In copertina, in bianco e nero, solo la sua figura: a petto nudo, con i jeans sbottonati, le catenine al collo e i capelli lisci sciolti sulle spalle. Gli occhi guardavano l’obiettivo con uno sguardo di sfida e misterioso al contempo. Le mani appoggiate sui fianchi, i tatuaggi in bella mostra. La corporatura ben piazzata e il piercing al capezzolo destro seminascosto da una ciocca di capelli. A lato il suo nome, in grassetto marcato.
Sotto, in corsivo “The Rolling Stone interview”.
Sfogliai il giornale fino alla pagina dell’intervista. La lessi tutta d’un fiato e crollai sul divano.

“I think I've got a problem, if my dad fucked me in the ass when I was two. I think I've got a problem about it”

Ora, ho bisogno di prendermi una pausa nella narrazione. Ho copiato una delle frasi forse più conosciute dell’intervista del ’92, anche se penso che tutte le persone che ora stanno criticando Axl per com’è e per la sua carriera e tutte le altre stronzate, non abbiano mai letto l’articolo dall’inizio alla fine. So che starete pensando che conoscendolo è ovvio che io lo difenda, ma il fatto è che non sono contraria a chiunque abbia da discordare con delle sue scelte o con delle mie scelte, ma devono essere persone informate, perché discutere con l’ignoranza è totalmente inutile. Axl ha realizzato quell’intervista proprio perché era stufo di tutte le persone che lo fraintendevano senza conoscerlo, si è reso disponibile ad aprirsi al mondo, ai suoi amici, a chiunque. Ha rotto completamente i ponti con i suoi genitori da allora, per farsi conoscere, e tantissime persone, nonostante questo, ancora pensano di poterlo criticare senza sapere le orribili tragedie che hanno tracciato la sua vita. Non voglio stare qui a parlare di lui, questa è la mia autobiografia e ho aperto questa parentesi solo perché io stessa, quando lessi per la prima volta quell’intervista, stentai a credere che quel pazzo avesse trovato il modo di stupirmi ancora una volta, trovando le palle di tirare fuori tutto, così, a chiunque.

Quando alla sera, ormai perse le speranze, decisi di andare a dormire senza aspettarlo, mi infilai il pigiama e spensi la luce. In quel momento, sentii le chiavi di Axl girare nella toppa, la porta aprirsi e i suoni familiari delle sue scarpe sul pavimento, della giacca appoggiata all’attaccapanni, delle chiavi infilate nel cassetto del mobile all’ingresso.
Mi alzai e gli andai incontro.
Sorrise appena, quando mi vide vestita da notte, con addosso una sua camicia vecchia.
“Non ti fai nemmeno abbracciare?”
Lo guardai e scossi la testa, anche se la tentazione era forte. Mi sedetti per terra e lo guardai mentre sistemava le sue cose, era tardissimo, ma non ricordo esattamente l’ora, volevo rimanere lì, a guardarlo, a cercare di trovare degli indizi sul folle motivo che l’aveva spinto a raccontare tutto, così. Quando finì di disfare la valigia, si sedette anche lui, di fronte a me.
“Immagino che abbiamo tante cose da dirci”
Annuii.
“Per prima cosa, vorrei scusarmi con te.”
Alzai lo sguardo su di lui, sembrava sereno, più leggero, tranquillo e pentito.
Mi avvicinai e gli diedi un leggero bacio sulla guancia. Mi sorrise malizioso:
“Basta così poco per farsi perdonare?”
Arrossii leggermente:
“In questo periodo ho capito che.. Nonostante tutte le cazzate che riuscite a fare.. c’è qualcosa..”
“Qualcosa?”
Axl mi si avvicinò..
“Qualcosa che mi spinge a..”
“Cosa?”
“A rimanere.. Così legata a..”
Mi abbracciò forte, come non aveva mai fatto, e appoggiai la testa sulla sua spalla lasciandomi cullare da lui. Mi portò in braccio in camera da letto, senza smetterla mai di tenermi stretta al suo petto. Spense la luce e mi appoggiò sul materasso.
“Non scappare mai più da me Bambolina.. Promettimelo”
“Te lo prometto..”
“Sai perché non devi farlo?”
“No..”
“Senza di te, io non ho niente..”
Risi:
“Non dire stronzate”
“Non lo sto facendo.. Io senza di te, potrei anche morire. Non lasciarmi mai.”

Dio, come hai fatto a creare una cosa così perfetta? Stronzate, non è neanche la più bella che io abbia mai visto. Non è bella, non lo è. Ma che diamine mi importa? Ho passato troppo tempo a provare a nascondere a me stesso quello che provo per  questa dannatissima ragazzina, ma ora basta. Ora ho smesso di nascondermi. Ora sono riuscito anche a togliermi di dosso quel peso enorme che portavo. Ora il mondo può sapere. Le risposte ci sono state: i ragazzi vedono solo un branco di fans che non ci lascia uscire dall’aeroporto.. Io vedo.. Amore.. Amore e attenzioni che non ci venivano arrecate da troppo tempo. Amore.. Come quello che provo per questa bambolina? E’ così assurdo, mi viene da ridere tra me e me. Io, che potrei avere chiunque, io che avevo il solo compito di guidarla verso il successo.. E  invece.. Izzy si è scusato. In fondo, posso capirlo, come si può non resisterle, a una così? Non so se lo perdonerò, forse sì. Non lo vedrò per così tanto tempo.. Meglio non pensarci, ora, meglio concentrarsi sulle cose belle.
Oh.. Di cose belle ce ne sono così poche, in realtà.. Se fosse per me, bacerei questa ragazza qui, ora, la farei mia.. Ma non posso. Lei è così ingenua, così fragile. E ha una carriera davanti che io non posso ulteriormente condizionare.


Uscì dalla stanza, dopo avermi baciato la fronte, e dopo, sono sicura, aver sussurrato altre tre parole, tre parole che forse mi inventai nel sogno che stava già prendendo il sopravvento, tre parole che forse fraintesi, tre parole sbagliate e ingenue che, però, mi sembrarono:

“Buonanotte, amore mio”




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Dopo diverso tempo in cui non lasciavo una nota dell'autore sono tornata. Spero che la storia stia continuando a piacere e invito sempre tutti i lettori a lasciare un parere, un segno, un codice morse, qualcosa xD
urt è ovviamente un personaggio esterno al fandom, ma visti gli anni in cui si svolgono le vicende di Minnie e dei Guns, ho deciso di inserirlo. Avrà un ruolo piuttosto marginale nel racconto, ma sarà comunque un'importante presenza per lei.
Per il resto, spero di ritrovarmi in tanti anche al prossimo capitolo, che non tarderò a pubblicare :3
Un bacio,
Nicky
 

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Capitolo 11
*** Agosto, 1992 “Led Zeppelin – Baby I’m gonna leave you” ***


Agosto, 1992  “Led Zeppelin – Baby I’m gonna leave you”


E’ difficile parlare di agosto. Agosto. Agosto fu il mese in cui Izzy partì. E non fu una cosa facile, come non sarà facile parlarne, anche se necessario.
Ma bisogna partire dall’inizio e seguire con ordine gli avvenimenti, perché ormai ho promesso che sarei stata fedele a ciò che è realmente successo, in ogni pagina della mia vita.
All’inizio del mese, le voci dei giornalisti e dei fans non si erano ancora placate, Axl e la sua intervista erano sulla bocca di tutti, il tour venne sospeso per un paio di settimane per paura di una rivolta, complici i ricordi di St. Louis dell’anno prima.
La band stava passando quei giorni segregata in casa, i fans raccolti sotto i balconi delle ville da miliardi di dollari. In quei lunghi giorni io e Axl cercavamo di ammazzare il tempo intensificando le lezioni e guardando film, facendo partite interminabili a carte e ascoltando talmente tanta musica che in una settimana la mia cultura musicale si ampliò a dismisura.
Matt, fortunatamente, ebbe una fantastica idea. Dico fortunatamente, perché se avessimo continuato così Slash sarebbe morto di overdose e Duff si sarebbe fatto esplodere il fegato prima del dovuto.
Nessuno si trovò in disaccordo con lui, perciò, una notte alle tre, orario in cui le porte di casa erano utilizzabili, ci fiondammo tutti in limousine, e arrivammo in aeroporto per le tre e mezzo.
Destinazione? Kenya. Africa.
L’idea del viaggio venne sì, da Matt, ma la destinazione la scelsero Axl e Slash:
“Più lontano è, meglio è, se è un altro continente ancora meglio”.

Quel viaggio mi cambiò, in un certo senso, e mi fece capire tante cose, prima fra tutte, quanto i componenti della band fossero tremendamente umani, vulnerabili e fragili: i tour li trasformavano in belve da circo, un viaggio come quello, invece, fece venire a galla le loro personalità più vere, mai state così sincere vicino ai media di Los Angeles.
Tra i bungalow delle riserve naturali dei Kenya, tra safari e relax in piscina, quei cinque ragazzi tornarono ad essere cinque amici, come da tempo non erano stati, nonostante la mancanza di Steven che si sentiva nell’aria.
Purtroppo, fu anche l’ultima volta che li vidi così vicini.
Guardandoli così, ogni giorno, per una settimana, mentre le loro maschere da duri si rilassavano, capii che i miei dubbi del mese precedente, erano infondati, e che davvero, potevo cambiarli, davvero potevo aiutarli ad evadere da quel mondo che li stava distruggendo.
Allo stesso tempo, però, se il successo stava rovinando loro, io sarei riuscita a sopravvivere indenne? I dubbi rimanevano, ma cercai di pensare al viaggio e di rilassarmi.
Se nel complesso il mio ricordo dell’Africa è meraviglioso, bisogna però dire che i primi giorni della vacanza, furono terribili. Dovete immaginare che ad agosto, in Kenya, non piove praticamente mai, e, anche se Dio avesse deciso di punire gli sfortunati turisti speranzosi nel caldo equatoriale, le uniche piogge che riesce a mandare sono brevi temporali che lasciano il posto all’arcobaleno pochi minuti dopo. Bene.
La seconda settimana di agosto del 1992, il Kenya fu vittima di una pioggia torrenziale e continua che colpì la nostra località per tre giorni.
Appena arrivati, salimmo sulla jeep in tutta fretta, ovviamente senza finestrini, e mi ritrovai ancorata al saldo braccio di Axl, mentre questa continuava a slittare tra i percorsi infangati della savana. Duff continuava a tacere, con lo sguardo vacuo, mentre Izzy tentava di distrarlo da quella che presto si sarebbe trasformata in una delle sue solite crisi di panico. Slash cercava di riprendersi i riccioli zuppi per allontanarli dal viso, mentre Matt guardava preoccupato la strada.
Arrivati finalmente al lodge dopo quasi due ore di strada, ci dividemmo velocemente le camere e ci nascondemmo velocemente sotto alle coperte per ripararci dal freddo: se c’era una cosa che in mezzo alla savana non avevano, quella era il riscaldamento.
Dopo non so quanto tempo in cui rimasi sotto le lenzuola a riscaldarmi, decisi di tornare al mondo e di mettere la testa fuori da quel rifugio che mi ero trovata. Trovai Duff su un divano poco distante, con i capelli ancora umidi, mentre leggeva un libro, e, guardandolo, mi accorsi di che bellezza particolare fosse.
Alzò lo sguardo: “Che guardi?”
“Pensavo”
“A che?”
Sorrisi: “Non siete nemmeno lontanamente paragonabili ai ragazzi dell’Inghilterra”
Lui si fece più serio, quasi sconsolato e chiuse il libro, come se da tempo aspettasse uno spunto per sfogarsi:
“Ultimamente sto iniziando a pensare che quelli non siamo noi. Intendo dire.. Duff è l’alcolizzato  che si vanta di assomigliare a Sid Vicious, Michael è quello che si accorge di come Sid sia solo un musicista incapace, che nemmeno ha registrato l’unico album in studio dei Sex Pistols, che ha ucciso la sua ragazza per poi farsi fuori..”
Mi stupii del fatto che da una mia semplice affermazione, Duff avesse tirato fuori così tante parole. “Tu e Duff non siete due persone diverse.. Sei sempre tu”
“Stronzate.. Duff in realtà è il mio peggior nemico e allo stesso tempo è lui quello amato dal pubblico”
“lo dici tu”.
Sbuffò e si rimise a leggere. Cercai di riattirare la sua attenzione, quel discorso non doveva finire lì:
“Io credo che sia tu a decidere chi essere”.
Aspettai una risposta che non arrivò, per poi continuare: “Tu.. hai paura di lui, vuoi allontanarlo dicendo che è un’altra persona, ma lui fa parte di te, e finché non riuscirai ad accettarlo non potrai liberartene..”
Si voltò e mi guardò dubbioso, mentre io proseguivo:
“Non solo tu, anche Saul con Slash e Jeff con Izzy.. E..”
“William con Axl.”
“Temo che lui debba fare i conti con Axl, con William e con Bill”
Duff sorrise amaramente: “William Bruce Bailey, il ragazzino turbato dai demoni del passato, dai ricordi di un patrigno spietato, di una madre depressa, di un padre maniaco, vittima di crisi di rabbia e di bipolarità.. Axl Rose, la diva che è diventato per cancellare il passato, che non accetta più discussioni e che è nato per comandare.. Su di noi, sul pubblico, sulle donne.. E infine, c’è Bill, la sua vera personalità nascosta sotto al dolore, che quando finalmente riesci a vederla..”
“Te ne innamori..”
Si voltò e mi guardò stupito con gli occhi sgranati, poi sorrise maliziosamente e, soddisfatto, tornò a leggere.
L’imbarazzo mi aveva travolta, non avevo dato un freno alla lingua, come al solito, eppure, allo stesso tempo, pensai che se Duff aveva veramente capito, non avrebbe fiatato, mi fidavo di lui.
In quel silenzio, ripensai alle sue parole: Michael o Duff erano molto più sensibili di quanto volessero far vedere, ciò che aveva detto su Axl era così autentico e sincero da stupirmi profondamente. Ax avrebbe avuto bisogno di persone come lui, quando Izzy se ne sarebbe andato.
Fu infatti alla fine della vacanza che il chitarrista bussò alla mia stanza: non disse tante parole, come al solito, ma ne disse abbastanza per farmi comparire un vuoto nello stomaco che se ne sarebbe andato solo anni più tardi:
“Quando torniamo, dopo domani, io partirò.”
Mi era caduto di mano un libro che stavo mettendo nello zaino e l’avevo guardato con gli occhi sgranati, speranzosa di non aver capito.
“Avevi detto.. Che saresti andato via alla fine dell’anno”
“Perdonami Bimba, ma non posso rimanere ancora a lungo qui, con Axl che non mi parla e con te sempre vicino.. Non posso sopportarlo.. E’ meglio per entrambi, fidati”
“Non mi fido per un cazzo, non puoi andartene tra tre giorni, così, senza preavviso!”
Lui distolse lo sguardo:
“Ti sto avvisando adesso..”
“Non è sufficiente! Non lo è! Izzy, ti prego!”
Uscì dalla mia camera scotendo la testa. Io rimasi da sola, a chiamarlo e a cercare di fargli cambiare idea, a sperare che tutto quel dolore fosse solo un brutto sogno, un incubo. Scoppiai a piangere, ed in quel momento Slash passò davanti alla mia camera rimasta con la porta aperta.
Entrò piano, e si fermò a pochi passi da me, seduta per terra, con le mani sul viso.
Quando lo vidi lo aggredii, troppo distrutta per pensare:
“E tu che cazzo vuoi?!”
“Oh, scusa, se vuoi me ne vado!”
Mi alzai, sbuffando per poi scusarmi e andarmi a sedere sul letto, lui fece lo stesso.
“C’entra Axl?”
Lo fulminai con lo sguardo. C’era qualcuno in quella casa che si facesse i cavoli suoi?
“No. Non c’entra! Izzy non te l’ha detto?!”
“Certo che l’ha fatto, circa un mese fa..”
Perfetto, quindi ero sempre l’ultima a sapere le cose. Sbuffai.
Rimanemmo in un silenzio imbarazzato per qualche secondo, che interruppi annoiata:
“Se non hai niente da dirmi, puoi anche andare”
“E’ che.. volevo accertarmi che tu stessi bene.. Non vorrei che tu facessi delle cazzate”
Lo guardai confusa, di cosa diamine stava parlando?
“lo so che ora stai pensando ad Izzy, tutti stiamo pensando ad Izzy, ma ecco, di recente ho capito com’è la situazione fra te ed Axl, e.. io non vorrei che tu prendessi decisioni affrettate.”
Iniziavo a non poterne più, per quanto gli volessi bene, in quel momento ero nervosa e tremendamente triste e non avevo bisogno di Slash e dei suoi consigli fuori luogo. Gli risposi sibilando:
“Tipo?”
“Tipo pensare che sia l’uomo della tua vita o stronzate varie”
Mi alzai con aria incredula:
“Scusami, ma te i cazzi tuoi?”
“Minnie, è perché ci tengo. Ragazzi come me o Duff possono al limite spezzarti il cuore.. Axl va preso con i guanti Bimba.. Ha dei problemi e non tutti sono in grado di trattare con lui..”
“Penso di essere abbastanza grande per prendere da sola le decisioni sulla mia vita, ti pare?”
Feci per andarmene, ma lui mi fermò:
“Secondo me sei molto ingenua, invece: Axl ti sta illudendo di essere la persona che tu hai sempre sperato che fosse, ma, se ci pensi, ti accorgerai che in realtà, per tutta la sua vita, non ha fatto altro che stregare donne per poi massacrarle..”
Rimasi interdetta, quasi senza volerlo mi sedetti vicino a lui, preoccupata:
“Di cosa stai parlando?”
Sospirò, per poi rispondermi:
“Gina Silver, relazione tra il 1983 e il 1985, ragazza talmente innamorata di lui da lasciare gli studi per accompagnarlo a Los Angeles, poi lui arriva a destinazione e la caccia via di casa perché ‘’Non gli serve più ‘’.
Erin Everly, relazione dal 1986 al 1990, l’amore della vita di Axl, già, così la descrivono.. Non come la ragazza che è stata scaricata dopo un matrimonio di due mesi perché ha perso il bambino di Axl, e lui, anziché sostenere la moglie in un momento così difficile, ha preferito cacciarla di casa, ti sembra? E per finire..”
“Cosa cazzo hai detto?”
Il mio sguardo sbalordito si era posato sugli occhi del chitarrista, che ora non parlava più. Mi guardò prima senza capire, poi un sorrisetto beffardo comparve sulle sue labbra:
“Tu non lo sapevi”
Quale bambino? Di quale bambino stava parlando? Non poteva essere vero. Non poteva.
“Io.. “
Rise, scuotendo la testa, come per provare che aveva ragione:
“Tu non lo sapevi! Tu non sapevi che Erin era incinta! Wow, avete veramente un bel rapporto tu e Axl, complimenti, vedo che si sta aprendo davvero un sacco con te, che può liberarsi di tutti i suoi pesi.. Tranne di questo? Questa è stata una stronzata troppo grande anche per lui forse?”
“Smettila..”
Mi alzai dal letto e mi avvicinai al bagno, volevo chiudermi lì dentro e restarci per sempre.
“Bimba aspetta! Lo faccio per il tuo bene, non puoi deconcentrarti dalla tua carriera per colpa di un uomo che potrebbe rovinarti la vita! Mi hai ascoltato? Ben tre donne sono state distrutte dal suo fottuto ego!”
Mi voltai leggermente, gli occhi lucidi:
“Chi è la terza?”
“Stephanie, chi altro..”
“Ma.. è stata lei a lasciarlo..”
Mi si avvicinò, mettendomi le mani sulle spalle:
“Minnie, chi vogliamo prendere in giro? Ti sei bevuta tutta quella messa in scena? Axl ha lasciato Stephanie, e molto probabilmente la causa è stata il tuo bel faccino”
Le lacrime iniziarono a scendere:
“Non è vero.. Tu..”
“Io cosa? Non lo conosco abbastanza? Lo conosco da sette anni, hai ragione, tu ben da otto mesi! A quanto pare però voi siete più avanti di me.. Lui riesce persino a lasciare una donna per una ragazzina che ha visto da poco più di dieci minuti..”
Non ne potevo più. Basta. Entrai nel bagno e girai la chiave.
Le lacrime non la smettevano più di scendere. Scivolai fino a raggiungere il pavimento, rimanendo rannicchiata sulle piastrelle.
Non era Slash, non era lui il problema, anzi, il chitarrista aveva solo avuto il coraggio di dirmi le cose come stavano, per aiutarmi. Ora, però, non sapevo se dovevo fidarmi di lui, e quindi accettare di essere innamorata di una persona malata, oppure se potevo continuare a fingere che Axl fosse uguale ai principi azzurri delle favole. Rimasi chiusa nel bagno a piangere per ore. Volevo tornare a casa, no. Nemmeno a Los Angeles, volevo tornare in Italia, riabbracciare mia madre, dirgli che mi dispiaceva, che avevo sbagliato tutto, che non era quella la mia strada.
Era come se tutti i miei sogni si stessero alleando contro di me, come se la mia mente non avesse fatto altro che partorire un esercito assetato di me, di innocenza.
Aprii gli occhi e pensai al viso di Izzy che mi guardava, pensai a lui, a lui che sarebbe partito. Con me, senza di me?
Mi alzai a fatica, trattenendo a stento i singhiozzi, mi guardai allo specchio: non potevo pensare ad Axl. Io non ero in America per Axl, io ero in America per diventare una rockstar e non avrei mandato tutto a puttane per un uomo. Di quelli ne avrei potuti avere a centinaia, una volta diventata la donna più sexy del mondo della musica. Sorrisi fra me, gli occhi ancora lucidi, immaginando le copertine dei dischi e dei giornali con sopra me mezza nuda che guardavo l’obiettivo con occhi languidi.
In quel momento, sentii bussare alla porta:
“Bambolina.. Sono Duff..”
“Che vuoi?!”
La mia tristezza, in un attimo, si trasformò rabbia: era colpa loro se non potevo studiare tranquillamente e costruirmi la mia strada senza distrazioni.
“Non fare così, fammi entrare, dai..”
Nonostante tutto quello che in quel momento pensavo di loro, cedetti alle sue parole sconfitte, e gli aprii.
In un lampo mi fece uscire a tradimento dal bagno e mi caricò sulle sue spalle.
“Che diavolo stai facendo Duff?! Non è il momento per fare lo stronzo, finiscila!”
Finse di ignorare le mie urla e mi portò di peso nella camera da letto di Axl, dove, al momento, erano presenti, oltre al proprietario, anche Slash, Matt e Izzy.
Appena li vidi smisi di scalciare e Duff mi rimise a terra. Non ebbi il tempo per fare delle domande, che Matt iniziò a parlare:
“Abbiamo deciso, Minnie, che è arrivato il momento, per noi tutti, di fare una chiacchierata.. Slash ha appena spiegato l’accaduto ad Axl e ci siamo accorti di come quello che è appena successo sia stata un’altra ripercussione del nostro principale problema: mancanza di dialogo. Perciò sei invitata qui con noi ad assistere e a partecipare alla nostra discussione.”
Lo guardai incredula.
“Se vuoi, puoi cominciare tu, a dire come ti senti..”
Abbassai lo sguardo. Axl, per tutto il tempo, era stato steso sul letto, con la testa rivolta all’indietro e gli occhi fissi sul soffitto. Le mani gli tremavano.
Tutta quella situazione mi sembrava una stronzata, non eravamo in un club di ex alcolisti, anzi, in realtà lì di gente che non beveva ce n’era ben poca, e non avevo voglia di confidarmi con loro cinque. Mi arrabbiai ancora di più:
“Mi sono sentita tradita da tutti voi in Inghilterra! E voi non vi siete neanche preoccupati di chiedermi scusa.. E ora! Ora questa cosa di Axl..”
Sbuffai, per poi riprendere a bassa voce:
“So che non mi dovete nulla, che non avete mai detto che mi sareste stati vicini o cose del genere.. Ma pensavo che in questi mesi fosse nata un’amicizia.. In cui.. Le persone possono confidarsi.. E.. Condividere anche gli aspetti peggiori della propria vi..”
“IO NON POSSO PERMETTERMI DI MASSACRARTI CON TUTTO QUELLO CHE GIA’ PESA SU DI ME!”
Axl si era messo a sedere, gli occhi lucidi. Izzy gli andò subito vicino e gli sussurrò qualcosa all’orecchio che sembrò calmarlo.
“Scusami.. E’ solo che.. è difficile per me vivere in casa con un uomo che nemmeno conosco..”
Mi alzai in piedi e feci per andarmene.
“Non è finita bambolina, torna qui. Non sei tu ad avere ragione, questa volta.”
Slash mi aveva appena fermata per una spalla e mi aveva tirato indietro.
“E sei tu a dirmelo? Lo stesso che mi ha rivelato tutte le cose che avrei dovuto sapere?”
Slash mi avvicinò le labbra all’orecchio, sussurrando per non far sentire agli altri quello che diceva:
“Io te l’ho detto per salvarti Bimba, solo perché sapevo che le cose stavano prendendo una piega un po’.. difficile. Ma è Axl che normalmente può scegliere se rivelarti le sue cose più intime oppure no..”
“Non la pensavi così, oggi pomeriggio”
“Perdonami, ma devo farti soffrire io per evitare che lo facciano gli altri, almeno so che io posso farlo per il tuo bene..”
Alzai gli occhi sui suoi, sorrise e mi lasciai riaccompagnare tra loro dal suo braccio.
Quella discussione, nonostante Axl avesse completamente smesso di parlare, toccò vari argomenti, tra i quali l’integrazione di Matt nella band e la partenza di Izzy. Si confrontarono poi sulla musica, sui concerti, sui tour, l’aria divenne meno pesante e alla fine Slash ci disse che era arrivato il momento di fare un annuncio importante:
“Io e Renee ci sposiamo ad ottobre..”
La notizia era stata accolta con grande stupore e con felicitazioni da parte di tutti. Stranamente, però, vidi Duff particolarmente malinconico a riguardo, anzi, direi quasi che quando Slash pronunciò quelle parole, il bassista aveva mostrato prima uno sguardo scettico, per poi rabbuiarsi.

Alla fine della settimana, tornammo in America. La prima notizia che mi arrivò, attraverso una telefonata veloce, fu di Kurt: sua figlia, Frances Bean Cobain era nata, bellissima ed in salute. E lui l’amava più della sua stessa vita.
Purtroppo però, sapevamo tutti cos’altro significava tornare a Los Angeles.
Un altro problema, in più, era trovare un degno sostituto di Izzy.
La risposta venne da uno degli ultimi giorni di ricerca: Gilby Clarke era un chitarrista famoso unicamente a Los Angeles per via del suo gruppo, i Kill For Thrills, che, nonostante un paio di album pubblicati, non riuscivano a suonare per più di poche centinaia di persone nei locali. Nel 1991, il musicista, aveva sciolto la band e tutti i suoi componenti avevano trovato altri progetti a cui lavorare, tutti tranne Gilby. Chitarrista capace, che aveva militato nell’hair metal e nella Los Angeles degli ultimi anni 80 e che sembrava il più adatto per sostituire Izzy.
Duff era entrato in casa Rose insieme ad Alan e aveva spalmato sul tavolino del salotto, davanti ad Axl, una serie di articoli, giornali, numeri di telefono e dischi, primo fra tutti: Dynamite from Nightmareland, unico album in studio dei Kill, risalente al ’90.
Sentendo arrivare Duff ero corsa in sala anche io per vedere cosa stava succedendo.
Axl intanto aveva iniziato a sfogliare svogliatamente le riviste, poi, quando ascoltò il disco, ci guardammo tutti e sorridemmo amari. Saremmo dovuti essere contenti per aver trovato il nuovo chitarrista, ma era impossibile, e lo stesso ragionamento colpì i fan che, per quanto i concerti con Gilby furono tra i più grandiosi dei Guns, non riuscirono mai ad apprezzare il chitarrista, per via dell’affetto che ormai tutti avevano per Izzy.
“Allora?”
Chiese Duff mentre il cantante ascoltava critico il secondo brano dell’album.
“A cantare è una merda”
Il bassista rise, mettendogli una mano sulla spalla.
“Perché? Tu pensavi di andare in pensione?”
“Non fare il coglione Mckagan” Rispose Axl.
“No, potremmo parlarne! I Guns N’ Roses senza Guns e senza Rose, potremmo diventare gli Slash N’ Mckagan! O i Clarke N’ Sorum!”
“Hai finito?”
Sorridevamo, non so se perché le battute di Duff fossero davvero divertenti, se perché quei due erano di nuovo ubriachi o se, semplicemente, volessimo cercare di alleggerire quella situazione.
Fatto sta che Gilby venne chiamato il pomeriggio stesso da Axl: al chitarrista non sembrava vero, ma cercò di contenersi. Ricordo ancora Axl che finita la telefonata sussurrò alla cornetta ormai riattaccata:
“Ora puoi anche saltellare per casa dalla gioia, finocchio”
Come potete immaginare, i rapporti tra il cantante e il nuovo chitarrista ritmico non furono mai tanto facili, basti pensare a uno dei primi concerti insieme a lui, quando Axl lo presentò come:
“L’uomo con la nuova corvette” e nient’altro. Potrà sembrare innocente, è vero, ma vi assicuro che se sei davanti a migliaia di persone e la tua unica qualità a venire presentata è la facilità con cui spendi i soldi appena guadagnati, non è un gran che.
Ad ogni modo, alla fine di agosto, Izzy si presentò a casa di Axl e fu l’ultima volta che lo fece prima di andare.

E ora, una nuova sensazione, di vuoto. Di paura, Axl Rose non dovrebbe provare paura, invece è proprio così, e fa male. Rilassati, Gilby è un bravo chitarrista. Oddio, ma chissene frega.. Non ho voglia neanche di pensare, mi sono rotto il cazzo. Basta. E ora Minnie sa, e non mi guarderà nemmeno più nello stesso modo. Odio Slash. Ma odio di più Izzy.

Quando lo vidi entrare, capii che sarebbe stata l’ultima volta. Lo vedevo dai suoi occhi.
Gli dissi: “Ax non c’è..”
“Lo so, ho salutato i ragazzi poco fa alle prove..”
“Come l’ha presa?”
Dissi invitandolo a seguirmi nel salotto. Lui mi seguii sorridendo sarcasticamente:
“Direi bene.. Mi ha stretto la mano ed è uscito in strada sbattendo la porta..”
“Tra un paio di giorni tornerà..”
Ci sedemmo sul divano, e rimanemmo un po’ in un silenzio imbarazzato.
“Quando parti?”
“Ho il volo stasera”
“Per dove?”
“Chi lo sa.. Annica ha detto che è una sorpresa..”
“Carina..”
Sospirò guardandomi con uno sguardo abbattuto.
“Izzy, Cristo! Se te ne vai senza essere nemmeno soddisfatto della tua scelta, resta!”
Scosse la testa e sorrise.
“Va bene così.. Scusami, sono felice.. Lo sarò”
“Posso chiamarti?”
“Temo che una delle prime cose che farò, sarà disintegrare il mio telefono..”
Mi si gelò il sangue. Contatti inesistenti, posizione non identificata, ritorno dubbio.
Mi vide preoccupata, e allora si sedette più vicino a me e mi mise un braccio intorno alle spalle.
Fu allora che scoppiai a piangere.
“Ehi, ehi, ma che fai? Dai bambolina non fare così..”
Mi strinse più forte e rimasi a singhiozzare appoggiata al suo petto, sentivo i suoi respiri, le sue rassicurazioni cullarmi, alzai il viso e mi ritrovai a pochi centimetri dal suo. In quel momento pensai ad Axl, all’uomo che credevo che fosse, all’uomo che non era, all’uomo disgustoso che Slash mi aveva descritto. E guardai davanti a me, quegli occhi azzurri, chiarissimi, quel sorriso malinconico, che al contempo cercava di rassicurarmi.
Lo baciai. Tra le lacrime. E lui non rispose.
Ma quando mi staccai e lo guardai, una lacrima stava scendendo anche sulla sua guancia.
Mi prese per il mento e questa volta fu lui a baciarmi, con trasporto, con amore forse, con rimpianto, con errori. Ci trasmettemmo tutti quei pensieri con un bacio soltanto, bagnato di lacrime, stretto in un abbraccio, e quando finì, trattenni a stento i singhiozzi.
“Ti prego vieni con me” Mi sussurrò continuando a stringermi.
Non risposi, in fondo conoscevamo benissimo entrambi la risposta.
Rimanemmo in silenzio, abbracciati per non so quanto tempo, le lacrime portarono il sonno, le sue braccia la pace.
Si alzò e mi portò in braccio nella mia camera. Mi adagiò sul letto.
La sua immagine sfocata che usciva dalla mia camera in silenzio, socchiudendo la porta, fu l’ultima che ebbi di lui.
Quando mi svegliai, non so quando, mi accorsi che Axl era già tornato a casa e questo mi diede un gran sollievo. Sul comodino, notai una busta, in basso c’era scritto:
“Alla mia bambolina, più forte di tutti gli altri.
Figlia di Marilyn Monroe per la sua bellezza e di Aretha Franklin per la sua voce.”

Aprii la busta con mani tremanti, sperando solo di non ricominciare a piangere.
Dentro un solo foglio con solo una parola, scritta in una grafia marcata:

“Tornerò”

E in questo modo, Izzy Stradlin, riaccese in me la luce della speranza.

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Capitolo 12
*** Settembre, 1992 “Billy Idol – White Wedding” ***


Settembre, 1992  “Billy Idol – White Wedding”
 
A volte la vita è strana.
Quando avevo dodici, tredici anni, ero sì, una ragazza piuttosto rispettata, ma allo stesso tempo, quelli popolari, forse, mi odiavano ancora di più degli sfigati, perché io, a differenza loro, non li invidiavo e non mi facevo mettere i piedi in testa da nessuno.
In realtà, spesso, mi sentivo come se gli altri non la smettessero di ridere di me, come se avessi sempre avuto qualcosa di diverso che non andava a genio a nessuno, e questo mi spingeva ad allontanare le persone, per paura che qualcun altro potesse trovare in me difetti per i quali odiarmi.  Quando mi sentivo così, di solito guardavo avanti, senza abbassare gli occhi, con un’espressione seria e risoluta, ma dentro tremavo e pensavo che probabilmente non sarei mai stata quello che avrei voluto.
Quando arrivai in finale a quel concorso, quando mi dissero che Axl sarebbe stato in giuria, quando lui scelse di prendermi con sé a Los Angeles, iniziai a pensare che se esisteva un Dio, aveva finalmente scelto di darmi tutta la felicità che meritavo, o che, per lo meno, meritava la mia voce.
Poi capii che la vita non dà nulla, se poi, non trova qualcosa da toglierti.
A settembre, erano passate solo poche settimane da quando Gilby aveva preso il posto di Izzy, ma sembrava un secolo, e la mancanza che provavamo tutti per lui, era fortissima.
Axl quando ne parlava, sembrava che raccontasse di un fratello scomparso, Slash cercava di evitare il discorso, Duff di consolare noi altri per evitare di pensare a quanto lui stesso si sentisse male.
Io non riuscivo a smettere di pensare a quello che eravamo stati per tutto quel periodo, a quello che mi aveva rivelato, a quello che avremmo potuto essere insieme e a quello che sarebbe stata la band se quel mio perfetto sogno non si fosse mai avverato: quella band avrebbe ancora avuto il nome di Guns N’ Roses, che per me e per quasi tutti i fan, con quella nuova formazione, non aveva più.

Dopo la partenza di Izzy, tutti si dimenticarono in fretta dell’intervista di Axl, sia come notizia che come vere informazioni che dava sul cantante, in un attimo, il frontman divenne un dittatore: la band continuava a perdere pezzi solo per colpa sua, il tutto perché gli altri componenti erano troppo ubriachi e strafatti per essere giudicati.
Il gesto che aveva scatenato questa ribellione da parte dei fans, fu la firma che Duff, Matt, Slash e il neoGuns Gilby fecero sul contratto che Axl aveva dato ai suoi compagni di band, dove chiedeva tutti i diritti sul nome del gruppo.
Il gesto in sé, dal mio giudizio vicino, fu visto come una semplice precauzione, come un metodo veloce per avere più controllo sulla band rispetto ad altri musicisti che non erano nemmeno più capaci di controllare loro stessi per via delle dipendenze che dopo l’ingresso di Gilby divennero più forti. Dal giudizio di giornalisti ed altri, invece, fu segno di una imminente ed inevitabile dittatura da parte di Ax, e, chissà perché, tutta l’America, e, a dirla tutta, l’intero mondo, furono d’accordo.
I concerti rimasero grandiosi, il pubblico era sempre numerosissimo, ma nell’aria si iniziava ad avvertire un senso di oppressione, di fine. Fine di qualcosa che era durato troppo poco.
E, intanto, la mia carriera, decollava.
Axl mi presentò un manager, un certo Brian G. Filler, efficientissimo ed incredibilmente capace, già collaboratore di musicisti di grande calibro. Brian, tra le prime cose, scherzò sul fatto che, conoscendo i Guns N’ Roses, era pronto a tutto e che era finalmente felice di poter lavorare con qualcuno di veramente professionale. Fortunatamente, nessuno di noi prevedeva il futuro, se no non avrebbe mai accettato il posto. 

Le questioni principali del mese, oltre quindi al mio accordo con il nuovo manager e al contratto che la Geffen mi riconfermò per l’inizio del ’93, fu un avvenimento che nessuno di noi si aspettava, ma che, in qualche modo, chiarì alcuni dubbi che avevo su Duff.
Il bassista, infatti, arrivò alle prove in ritardo, prove a cui ero presente anche io, anche se il mio lavoro si riassumeva nel fare i compiti sul divano smontato della Hell House, dando qualche occhiata ai ragazzi mentre suonavano.
Molte volte la Geffen si era offerta di dare ai ragazzi altre cento sale prove migliori di quell’appartamento disgustoso e vittima di avvenimenti che è difficile descrivere, ma, forse, quella era l’unica cosa che legava ancora i cinque ragazzi, che pian piano si stavano trasformando in cinque distanti colleghi piuttosto che in amici e soprattutto in compagni di un sogno molto più grande di loro.
Appena il bassista entrò nel salotto, tutti gli puntammo gli occhi addosso, ma non guardavamo lui, guardavamo la ragazza che si era portato appresso: era piuttosto bassa, gli occhi da cerbiatto e un sorriso tranquillo e dolce che la rendevano ancora più carina. Non era una di quelle ragazze in stile “Guns N’ Roses”, con una quarta di seno messo in mostra dalla scollatura e un sedere sproporzionato sotto la minigonna attillata, era semplice, con i capelli mossi e castani che le incorniciavano il viso. Appena la vedemmo, nessuno di noi poté nemmeno immaginare che i demoni di quella ragazza fossero gli stessi di Duff, l’alcol e l’eroina, e che quello che avrebbero costruito insieme sarebbe stata soltanto la strada verso la distruzione del bassista, anzi: sul momento, rimanemmo soltanto stupiti.
“Mckagan, cosa abbiamo detto riguardo al portare delle ragazze in sala prove? Solo uomini qua dentro!”
Risi, e tirai un cuscino bucato a Slash.
Axl raccolse il cuscino e me lo ritirò indietro, ma lo presi al volo e gli feci il dito medio sorridendo.
“Appena avete finito di fare i coglioni, coglioni, vi presenterei Linda. Linda i Guns N’ Roses.. O ciò che ne rimane, ragazzi, Linda Johnson. Mia futura moglie”
Matt, che si stava bevendo una birra, sputò sulla batteria, Slash strabuzzò gli occhi, Gilby si guardò intorno senza capire ed Axl, che stava venendo verso di me, forse per vendicarsi, si bloccò a metà strada per guardare incredulo la coppia.
“Beh? Che c’è? Non mi date la vostra benedizione?”
Ci guardammo tutti negli occhi, dopodiché, cercando di essere credibili, ci congratulammo tutti con Duff e facemmo un brindisi con altre lattine. Tutti tranne Slash:
“Quando sarebbero le suddette nozze?”
“..Tra tre giorni”
“Tre cazzo che?!”
Axl stava sorridendo incredulo, questa volta anche io non riuscii a nascondere uno sguardo tanto sorpreso quando scettico. Duff si sedette vicino a me, con Linda in braccio. Io mi alzai per fargli posto e andai da Axl per prendere un po’ della sua birra.
“Lo so, penserete che sia una cosa un po’ affrettata, ma sappiate che so decidere da solo cos’è meglio per me, e Linda è una ragazza fantastica.” Aggiunse Duff per poi dare un bacio leggero a Linda. Per quanto non approvassi un gran che la sua scelta, guardandoli, non riuscii a trattenere un sorriso. Dopo l’annuncio, Duff si aggiunse alla band e ricominciarono a suonare, mentre io me ne tornai al mio divano. Linda, che si era alzata per prendere qualcosa da bere, si riavvicinò a me e mi chiese se potesse sedersi. Annuii e chiusi il libro di scienze da cui non sarei comunque riuscita a capire niente. Lei si sedette ed io rimasi in silenzio ad ascoltare i ragazzi.
“Duff mi ha parlato molto di te.. Dice che sei il loro angelo custode”
Sorrise e mi fece l’occhiolino. Io scossi la testa:
“Tendono a darmi i nomignoli più disparati.. Minnie è sufficiente”
Sorrise e mi strinse la mano, per poi continuare:
“Ho sentito come canti.. Non appena ho ascoltato la tua voce i miei dubbi sul perché Axl ti avesse portato qui sono svaniti..”
“Sei una fan dei ragazzi?”
“Certo, Duff l’ho conosciuto nel backstage del concerto in Oklahoma”
Perfetto. Diamine. Non solo Duff stava sposando una ragazza che aveva conosciuto circa un mese prima, al concerto dove Axl aveva anche fatto un discorso meravigliosamente incazzato su quanto detto nell’intervista di Rolling Stones, ma da quanto Linda aveva detto, sembrava che quella ragazza, non fosse nient’altro che una groupie. E le groupie non si sposano. A meno che non ti incatenino ad un letto supplicandoti di avere un anello.
Qualcosa non andava, ma c’era qualcosa in quella ragazza che ispirava fiducia, perciò ignorai i miei dubbi.
I ragazzi intanto erano nel bel mezzo di Rocket Queen, quando Slash si interruppe, facendo concludere tutti gli altri.
“Perché ti sei fermato, man?”
Slash barcollò leggermente, con un sorriso sarcastico in volto, qualcosa non andava.
“Scusa Matt, ma ultimamente stavo pensando.. Che se Axl sta continuando ad assoldare così tanta gente per comparire sul palco spacciandosi per un Guns N’ Roses, potremmo anche coinvolgere una puttana che ci rifà un orgasmo sul palco nel mezzo dell’assolo, come nel disco. Magari può anche non fingerlo, ce la scopiamo a ruota davanti a tutti. Sarebbe estremamente rock.”
Mi alzai e andai verso l’amplificatore di Slash, che oramai sembrava più un tavolino, ricoperto dalle bottiglie vuote di Jack. Probabilmente se n’era scolato due litri nel giro di due ore. Axl lo stava guardando con un odio negli occhi che non avrebbe fatto bene a nessuno.
“Sei ubriaco, Slash. Faresti meglio ad andare a casa..”
Dissi prendendogli un braccio.
“Oh, Minnie! Sul serio, non rovinare questo momento, mi stavo divertendo un mondo!”
Mi voltai verso la voce femminile che aveva parlato, Linda mi stava sorridendo gentilmente, ma.. forse non aveva capito bene la situazione.
“Linda, scusaci.. Ma Bimba ha ragione, quel coglione non può suonare in queste condizioni..”
Le rispose Axl con voce tagliente.
“Sarei un coglione io? Solo perché sono l’unico che ha voglia di dire la verità? Non mi direte che sono il solo a cui quelle troie che ci fanno da coriste stanno sul cazzo. Insieme ai fiati e tastieristi e a tutta quella gente che viene pagata quasi più di me! Vorresti spiegarmi Rose chi cazzo è adesso questo Dizzy Reed?!”
“Dizzy è un amico ed è un grande pianista.. Per i brani in cui non potrò suonare io sarà bene inserire un suo accompagnamento..”
Slash staccò violentemente il jack della chitarra dall’amplificatore facendo fischiare leggermente l’apparecchio:
“Accompagnamento?! Ma ti senti?! Facevamo dei concerti grandiosi, te lo ricordi?  1986, eravamo in cinque! Non in venti! E la maggior parte delle volte non eravamo neanche coscienti”
“E davvero rimpiangi dei concerti simili? Ti saranno sembrati grandiosi, ma come spettatori avevamo massimo duecento persone, non ventimila.. O forse anche all’epoca eri troppo fatto per accorgertene.. Ne vedevi tante di persone? Mh? Altre allucinazioni, stai girando male Hudson..”
“Senti stronzo vuoi che ti spacchi la faccia una volta per tutte?!”
Slash aveva afferrato per il colletto Axl, che però anziché arretrare sembrava pronto a mettersi ad urlare come una belva.
Linda sembrò pentita di aver parlato, ma raccolse le ginocchia al petto e restò a guardare come se fosse il miglior spettacolo che avesse mai visto. Gilby andò in mezzo ai due litiganti.
“Smettetela. Andiamo..Slash, vai a casa”
Il chitarrista lasciò Axl e lo spinse verso il muro, il cantante aveva i pugni viola da quanto violentemente li stava stringendo per controllarsi. Slash uscì dalla porta senza dire altro.
Duff era senza parole mentre io ero andata da Axl per sapere se era tutto ok, e lui per tutta risposta mi aveva preso una mano e si era avviato verso l’uscita.
“Quindi per oggi abbiamo finito?”
Chiese Duff spaesato.
“Prove proficue insomma..”
“Complimenti Mckagan, non sapevo neanche conoscessi parole così difficili”
E dopo un’altra perla simile, Axl chiuse violentemente la porta ed io e lui uscimmo dalla Hell House.

Camminava talmente veloce che facevo quasi fatica a stargli dietro e mi facevo praticamente trascinare dalla sua presa che non voleva lasciare la mia mano. Ad un certo punto, stanca, lo fermai:
“Ti sei reso almeno conto che non sei tu il problema, vero?”
“Che intendi dire?” Rispose lui sbuffando.
“Intendo dire che Slash ce l’ha con Duff, non con te.”
“E che c’entra Duff..”
“Rifletti un attimo: Slash ha organizzato il suo matrimonio dopo quasi un anno in cui è stato con Renee, e ancora adesso è indeciso sul da farsi. Duff è sbucato dal nulla con una groupie idiota, ha deciso di sposarla e in tre giorni lo farà.”
“Quindi Mr. Hudson sarebbe geloso?”
“Geloso e allo stesso tempo stupito che uno dei suoi migliori amici sia un deficiente..”
Axl sorrise. Mi mancava il suo sorriso. Riprese a camminare, ma più lentamente.
“Davvero Linda è una groupie?”
“Mi ha detto di aver conosciuto Duff nel backstage dell’Oklahoma”
Rise di gusto:
“Perfetto! Sarà un matrimonio saldo e duraturo!”
Risi anche io, ma poi tornai seria:
“Non è meglio parlargliene?”
“Bambolina mia, Duff è stato cresciuto con l’idea di dover formare per forza una grande famiglia come la sua, di dover trovare la moglie perfetta e di doversela tenere per tutta la vita, è ovvio che quando ha sentito dire da uno come Slash che si sarebbe sposato, ha dovuto rimediare subito e batterlo sul tempo..”
“Colpo di scena! Spiegato il motivo per cui Duff sposerà quell’idiota! Slash e Mckagan finiranno per ammazzarsi di botte..”
“Probabile.. E intanto ci vado di mezzo io..”
“Sai cosa? Se fosse per me, troverei un ragazzo che mi piace, lo sposerei e non starei troppo a pensare a cosa dicono gli altri..”
Axl sospirò e guardò il cielo:
“Anche io pensavo fosse così semplice, sai bimba..”
“E non lo è?”
Si fermò, e mi guardò. Sorrise. Poi avvicinò le sue labbra al mio orecchio e mi sussurrò:
“Facciamo un esempio.. Come vedi ci stanno fissando tutti, perché ormai ci hanno riconosciuto.. Pensi che se ora io ti baciassi in mezzo alla strada, sarebbe semplice? Axl Rose finirebbe in copertina con una ragazzina e la tua carriera finirebbe sottoterra..”
Si sollevò da me e riprese a camminare.
“Non è affatto semplice bambolina. Affatto.”
“Ma tu lo faresti?”
Si bloccò, e si voltò a guardarmi.
“Cosa?”
“Mi baceresti in mezzo alla strada, se potessi?”
Restò immobile per qualche secondo.

Ora, domani, dopodomani, per sempre. Se potessi, ti butterei in mezzo alla strada e ti bacerei fino a perdere il fiato. Se potessi, lo farei veramente, anche in mezzo a tutta questa gente, e poi gli urlerei di andare a farsi una bella scopata, se davvero non hanno niente di meglio da fare che guardarci.. Oddio, ti prego Rose, non mettere scopata e Minnie in uno stesso pensiero o va a finir male.
 Già. Se potessi lo farei amore mio, ti bacerei. Ma non posso.
Non per me, ma per te. Riflettici, Minnie: davvero potrei essere l’amore della tua vita? Mi vedi? Tu devi diventare una rockstar amore, io sono solo un cantante depresso che fino a dieci minuti fa ha rischiato di ammazzare di botte il proprio chitarrista.. Tu sei una dea.. Meriti tanto, tanto di più.. Forse mi sono arrabbiato così tanto con Izzy quando ho scoperto che ti aveva baciato, proprio perché avevo paura che ti accorgessi.. Che ti accorgessi che lui ti avrebbe reso già più felice di quanto potrei fare io.. Ma come posso convivere per il resto dei miei giorni con la consapevolezza che ti amo e che non posso farci niente?


Si guardò i piedi, rialzò lo sguardo verso di me e rise. I suoi occhi azzurri brillarono.
Di gioia o di lacrime? Disse solo:
“Certo che no, bambola, che stai dicendo...”
E riprese a camminare, con me al suo fianco.

Il matrimonio di Duff si svolse con una piccola cerimonia, a cui furono invitati i più stretti amici e alcuni parenti, si sposarono in un giardino, Linda aveva un abito bianco corto e delle scarpe con un tacco vertiginoso, appena la vidi pensai ad una ballerina di burlesque, più che ad una sposa. Per l’occasione avevo scelto un vestito al ginocchio, azzurro, con le spalline in pizzo nero e mi ero fermata i capelli corti con una spilla a forma di rosa bianca. Inutile dire che i Guns sembrarono più interessati a me che a Linda, tutti a parte lo sposo, si intende.
Durante la cerimonia, Axl scontrò un suo piede con il mio per attirare la mia attenzione, mi voltai verso di lui, e lui lanciò un’occhiata all’indietro. Girai la testa con discrezione, e notai una testa di capelli biondi sopra una schiena curva e due occhi chiari un po’ tristi, seguendo l’indicazione che Ax mi aveva dato con lo sguardo.
Mi rivolsi a lui con aria stupita che, però, si limitò ad alzare le spalle. Pensai a quanto fosse immaturo avercela ancora con lui, dopo quasi un anno in cui non si incontravano.
Durante il rinfresco, mi avvicinai lentamente al ragazzo, che stava bevendo un bicchiere di vino seduto su una sedia in un terrazzo, solo.
“Steve?”
Si voltò, e mi guardò sorridendo.
“Ciao bambolina, pensavo che nessuno sarebbe venuto a salutarmi..”
“Temo che Axl non lo farà, ma siamo superiori a lui, non è vero?”
Ricambiai il sorriso e lui sospirò. Mi sedetti accanto a lui.
“Sei bellissima, comunque. Ti stanno bene i capelli..”
Le mie guance si tinsero di rosso e mi limitai a guardarmi le scarpe.
“Tu piuttosto, come stai?”
“Si tira avanti.. Direi.. Bene..”
Si interruppe un attimo e mi guardò. Colse un dubbio nel mio sguardo:
“No. Non ho smesso, se è questo che vuoi sapere..”
“Perché no?”
“Perché non ho nient’altro, bambolina. Preferisco morire così e almeno godermela fino a quando non finirà.. Il mio sogno l’ho avverato.. Non ho nient’altro da fare..”
Mi accorsi di quanto triste potesse essere. Sapevo che era caduto in depressione da quando era uscito dalla band, Duff, che era appunto l’unico ad aver mantenuto i contatti, me l’aveva riferito, ma non aveva detto altro e non pensavo potesse essere così grave.
“Come se non ci fosse nient’altro! Hai tanti altri sogni da realizzare, non credi?”
“Probabile, ma il problema è proprio questo: non mi interessa. Voglio solo la mia dose. E basta.”
“Ti ammazzerai..”
“Lo so”
Lo guardai sconsolata, ma lui non ricambiò lo sguardo. Rimase a fissare l’orizzonte, mentre il vento gli scompigliava i capelli. Era un bel ragazzo, ed era strano sentirlo parlare così. Lui. Lo stesso che non aveva mai, mai, mai smesso di sorridere. E pure in quel momento quel sorriso c’era, e sembrava così fuori luogo unito alle parole che gli uscivano di bocca.
“Non vuoi essere aiutato?”
“Sto bene, te l’ho detto”
Mi alzai e gli tesi la mano:
“Vuoi venire? Andiamo a salutare i ragazzi”
“Ti ringrazio, ma è meglio che io vada a casa.. Volevo rivedere Duff e sono felice di averti riparlato, ma è sufficiente.. In fondo è inutile rimanere a guardare ancora questa farsa..”
“Intendi il matrimonio? Forse è così, ma Duff è felice.. E tu non sei nelle condizioni per giudicare, giusto?”
Annuì. Si alzò e mi scostò i capelli dal viso.
“Fai attenzione a Mckagan, però. Io ormai sono finito, non lasciare che gli succeda la stessa cosa..”
“Non riesco a sopportare che una persona buona come te si sia rassegnata.. Proverò io per te a non smettere di sperare..”
Rise e mi guardò un’ultima volta, prima di darmi la schiena ed allontanarsi:
“Sempre il solito angelo..”
Non vidi più Steven per anni. Per troppi anni. Ancora oggi ho difficoltà a rintracciarlo, e se succede, non ci scambiamo altro che poche parole. Axl e Steven non si parlano dal ’93, anno in cui il frontman è stato obbligato a farlo attraverso il suo avvocato, per via del processo e della causa che per altro Steven vinse, ottenendo dalla band più di due milioni di dollari, che poi furono dati a sua madre, data l’incapacità praticamente totale del batterista di intendere e di volere. La sua lotta contro le droghe non è ancora finita, ma, fortunatamente, ha incontrato una donna, sua attuale moglie, che finalmente può dargli un motivo per provarci, provarci e provarci ancora.
Dopo l’ictus del ’96, ha serie difficoltà a parlare. Mi manca.

Rimasta sola sulla terrazza, restai a guardare dall’alto gli invitati ballare e mangiare dal buffet. Mi piaceva restare in disparte e, allo stesso tempo, poter osservare tutto, ma lo sposo, ad un certo punto, alzò gli occhi ed incontrò i miei, ci sorridemmo e in pochi minuti mi raggiunse.
“Le mie congratulazioni, signor Mckagan”
Mi diede un buffetto sulla guancia:
“Non dirlo mai più”
Rispose ridendo.
Rimanemmo in silenzio per un po’, interrotto da una sua inaspettata domanda:
“Dici che è stata una stronzata?”
“Non l’ho detto..”
“L’hai pensato..”
Sospirai:
“Chi sono io per giudicare? L’hai fatto, ormai che importanza ha..”
Si sedette su una sedia sdraio, un bicchiere di alcool in mano.
“Vuoi parlare?”
Annuì. Appoggiò il bicchiere su un tavolino.
“La prima volta, quando sposai Mandy, pensai che fosse lei. Lei era mia moglie, era la mia vita. Era la madre dei miei figli, io sarei diventato come mio padre e lei come mia madre. Poi, andò tutto a rotoli. Di mezzo c’era la roba, c’erano i tour e la band e tutta quella merda.. Gli attacchi di panico divennero più  frequenti e lei dopo un paio d’anni disse che voleva smetterla. E a me l’idea del divorzio parve come.. Come un.. Non so. Era tutto estraneo, come se a uno come me non potesse succedere.. Credevo di amare Mandy e invece eravamo solo troppo giovani..”
“E Linda?”
“Linda? Che ne so.. Nemmeno la conosco così tanto.. Lei.. Si fa di eroina. Mi piace stare con lei. E’ divertente. Non è la donna della mia vita, ma a volte cerco solo.. Un minimo di stabilità, qualcosa che mi ricordi che alla fine se voglio posso essere normale, posso essere come mio padre.. E soprattutto meglio di lui. E invece sono stronzate.. Lui ha tradito mia madre e io ho tradito Mandy, e credevo che risposandomi avrei potuto rimediare.. Invece farò esattamente lo stesso. Mi stuferò di lei, e non troverò mai la donna della mia vita..”
Mi sedetti accanto a lui e gli appoggiai una mano sulla spalla:
“La troverai..”
“Dici?”
“Forse avresti dovuto pensarci prima di sposare una donna solo per far capire a Slash che sei tu quello da matrimonio, ma..”
Rise scotendo la testa e bevendo un sorso di whisky.
“Troverai la donna della tua vita Duff.. Lo so.. Ne sono sicura..”
“Come?”
“Ma ti sei visto? Sei la persona più bella di questo mondo!”
“Ma che cazzo dici bambolina.. Sono un alcolizzato. E basta..”
“E pensa! Se mentre sei un alcolizzato sei anche il ragazzo più dolce, più sensibile e più intelligente che conosca, chissà che persona meravigliosa si nasconde sotto quella roba.. Sarei curiosa di conoscerla..”
“Anche io..”
Mi alzai e lo guardai dall’alto:
“Non dire stronzate Michael! Sei sempre tu, te l’ho detto, e non devi dimenticarti che sei tu a decidere”
Si alzò anche lui e mi prese per i fianchi:
“E tu dovresti smetterla di dire tutte queste stronzate e imparare a prendere le redini anche della tua cazzo di vita, ragazzina.. Balliamo?”
Senza aspettare risposta, mi prese la mano e mi lasciò appoggiare la testa sulla sua spalla.
Ed entrambi smettemmo di parlare, e su quella terrazza, dove nessuno poteva vederci, decidemmo di sognare, sognare di star entrambi ballando con l’amore della propria vita, sognare di non dover pensare ai problemi del domani, sognare di poter vivere tutto con la stessa leggerezza di quel bruttissimo e scoordinato balletto che stavamo improvvisando sull’erba.
Infine, mi baciò la mano, ricominciò a sorridere e scese di sotto urlando a squarciagola:
“The show must go on!”
Già. Lo show. In fondo, Steven l’aveva detto: non era nient’altro che una stupida farsa.

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Capitolo 13
*** Ottobre, 1992 “Black Keys – Little Black Submarines” ***


Ottobre, 1992  “Black Keys – Little Black Submarines”
 
“Domani è il gran giorno di Slash..”
“Ti vedo già la gioia dipinta in volto Ax”
Risposi io sorridendo al cantante serio che mi aveva parlato appoggiato allo stipite della porta della mia camera.
“No, è che.. Sai Duff starà con sua moglie, Slash si sposa, Gilby e Matt hanno le loro ragazze.. E beh..”
Mi avvicinai a lui con uno sguardo malizioso:
“Non mi dirai che il grande Axl Rose, la rockstar più sexy di tutti i tempi, ha paura di restare solo..”
“Neanche per sogno! Mi stavo appunto chiedendo quale delle mie numerose spasimanti potrei chiamare per l’occasione..”
Gli diedi le spalle e tornai verso il mio pianoforte:
“Ah, ecco, ora ti riconosco”
Appoggiai le dita sui tasti bianchi ed iniziai a suonare una dolce melodia che avevo ideato due giorni prima e che magari avrebbe potuto attirare l’attenzione del mio mentore.
Sentii la sua presenza dietro alle mie spalle dopo pochi accordi, la sua mano si appoggiò sulla mia e mi guidò nei movimenti, migliorando quello a cui avevo pensato io.
“Meglio un Re, giusto?”
“Giusto..”
Si sedette vicino a me, sullo sgabello del piano:
“In realtà volevo chiedere a te, di essere la mia dama per domani.. Sempre che tu ne abbia voglia..”
Annuii, più a me stessa che a lui, più per assicurarmi che non fosse un sogno o qualcosa del genere. Lui si alzò velocemente:
“Ok, perfetto.. Però sul serio, non sarà niente di speciale come giornata.. Ci si vede”
Ed uscì quasi di corsa dalla mia stanza. Rimasi a sorridere tra me: già, la più grande rockstar di tutti i tempi, aveva ancora problemi ad invitare ad uscire una ragazza.
Passai la mattina dopo con la testa infilata nell’armadio alla ricerca di qualcosa da mettere, disperata poiché non trovavo nulla di consono o di abbastanza speciale per un matrimonio: tutti i vestitini inutili che avevo comprato si erano rivelati inadatti, e il vestito azzurro che avevo indossato per il matrimonio di Duff era in realtà l’abito a cui avevo pensato per Slash e mi ero scordata di comprarne un altro.
Axl entrò in camera mia dopo avermi sentito imprecare un’ultima volta.
“Tutto bene ragazzina?”
“No!”
Rise scotendo la testa.
“Aspetta un attimo”
Mi tirò fuori dall’armadio e mi guardò un attimo, poi sorrise, con un poco di ironia, e tornò in camera sua. Inizialmente, non capii, poi tornò con un vestito viola, corto, con una sola spallina e piuttosto stretto.
“Ti piace?”
Lo presi: il tessuto era stupendo e adoravo alcuni decori argentati sulla vita e sull’unica manica.
“E’ stupendo.. Dove l’hai trovato?”
“L’avevo comprato a Stephanie ma non le è mai piaciuto.. Quando se n’è andata l’ha lasciato qui.. E’ come nuovo..”
Risi forzatamente:
“E tu credi che un vestito che tu hai comprato per Stephanie Seymour mi possa anche minimamente entrare?”
Alzò le spalle ed uscì dalla stanza, lasciandomi sola con quel meraviglioso abito.
Provai ad infilarlo, trattenni il respiro e alla fine riuscii a chiuderlo: era talmente stretto che non avrei potuto mangiare nulla alla cerimonia. Sbuffai, ma prima di toglierlo uscii piano dalla mia camera, verso l’ingresso dove c’era uno specchio.
Mi guardai ed iniziai a notare mille difetti: quel vestito era corto, mi evidenziava i fianchi e non mi piaceva per niente. Mentre tornavo nella mia camera, però, Axl uscì all’improvviso dallo studio della musica e mi intercettò.
“Ehi, ehi, dove scappi? Vieni un attimo qui..”
Mi tirò leggermente un braccio per farmi fare dietrofront e potermi osservare.
Arrossì vistosamente non appena mi accorsi che il cantante mi stava letteralmente facendo i raggi X con lo sguardo:
“Non posso lasciarti uscire così..”
“Lo so.. Sto così male..”
“Scherzi?! E’ solo che se lo indossassi stasera non torneresti a casa, cazzo. Hai idea di quanti uomini Slash abbia invitato?! E poi è la sposa che deve attirare attenzione, con te vicina sarà una crisi..”
“Dici sul serio?”
Questa volta, Axl mi fece fare un giro su me stessa per guardarmi meglio, e, infine, avvicinò pericolosamente le sue labbra alle mie. Sentii il suo respiro sul viso. Disse in un soffio:
“Mai stato così serio, bambina.. Non posso permettere che qualcuno ti porti via da me..”
“Allora farai meglio a tenermi vicina..”
Risposi stando al gioco.
“Puoi starne certa”
Dopodiché alzò il suo viso dal mio ed andò in salotto. Quel vestito gli piaceva così tanto? Perfetto, avrei indossato proprio quello.

Il matrimonio di Slash si svolse con molti più invitati di quelli che c’erano alla cerimonia di Duff e la festa si dilungò fino alla mattinata del giorno seguente. Renee era raggiante e Slash sembrava, finalmente, sereno. Io ballai quasi tutta la sera con Axl, che non era mai stato così aperto e disponibile nei miei confronti, per lo meno non in pubblico, dato che di solito, in presenza di altre persone tendeva ad essere un po’ più distaccato. Quando poi ci spostammo in un locale per continuare i festeggiamenti, bevvi un po’ troppo e mi ritrovai a saltare in pista con Gilby, dopo aver esultato mentre il DJ metteva un pezzo dei Doors: era assolutamente imballabile, ma ormai ero troppo ubriaca per pensare a cosa stessi facendo e Gilby sembrò darmi corda, tant’è che ballando, convincemmo  Slash e Renee  a raggiungerci insieme a Matt accompagnato da Linda, che il batterista aveva gentilmente chiesto in prestito a Duff, rimasto ad un tavolo con Axl.

“Non fartela scappare, Rose”
“Di che diamine stai parlando?”
“Non lo sappiamo entrambi?”
Stupido Mckagan, deve sempre sapere tutto. Forse si è accorto che me la sto mangiando con gli occhi: è così perfetta stasera, e sarà l’alcol o non so che cosa, ma quando balla è uno schianto.
“Mike, dovresti imparare a farti i cazzi tuoi.”
Si alza, viene a sedersi vicino a me.
“Axl, te lo dico sinceramente, ti farebbe bene”
“Farebbe bene a me, non a lei.. Le rovinerei la vita”
“Ma se è pazza di te!? E poi dico.. Stasera ha un culo da sogno, se non la smetti di fissarglielo così inizierai a far arrossire gli altri invitati”
Rido, sperando di distrarlo. Almeno mentre lui gongola felice della sua battuta posso pensare a quello che ha detto: Pazza di me? Minnie? Sciocchezze.. Lei ha la sua strada da fare..
“Comunque, Bill, se quello che stai facendo, il tuo evitare di conquistarla o non so che, lo stai facendo per lei, ti assicuro che ti ammiro tanto, io non ci riuscirei, ed è il gesto più altruista che tu abbia mai fatto.. Forse è questo che mi fa capire quanto ti piaccia..”
Ah, vecchio mio, quanto hai ragione. Ma lo vedi? L’amore ti rende impotente. Non posso agire per non farle del male. Ma a volte penso che  nemmeno io riuscirò a resisterle a lungo.. A forza di averla così vicina..
“Non ci riesco nemmeno io.. Credo che, alla fine dell’anno, la lascerò andare.. Come dicono i patti..”
“E tutto quello che c’è stato?”
“Le mentirò.. Le dirò che non è stato importante, così, se ne andrà, e avrà la vita che sognava..”
“Le spezzerai il cuore..”
“No. Non lo farò. Soffrirà, ma le passerà: se le dicessi quanto la amo, le spezzerei il cuore..”
Guardo Duff. Cazzo, mi è sfuggita una parola di troppo.. Ecco, l’ho fatto strozzare con il whiskey..
“Hai detto.. Che la ami?”
“Cosa? No! Beviti qualcosa di più forte piuttosto, sei troppo sobrio..”


Non ho altri ricordi di quella serata, non posso dirvi di più. Le immagini successive che la mia mente mi può dare risalgono al giorno dopo, a quando cioè mi risvegliai nella mia camera. Era un mercoledì credo, ma dall’inizio dell’anno scolastico 92 – 93, smisi con la scuola. Completamente e per sempre, quindi non mi stupii troppo quando vidi sull’orologio digitale l’orario che mi indicava le due del pomeriggio.
Nel momento in cui mi alzai, un tremendo mal di testa mi colpì e rimasi ferma, a tenermi il capo. Ripresi a camminare quando terminò il capogiro. Ora avevo la nausea. Avvicinai l’orecchio alla camera chiusa di Axl per capire se fosse sveglio.
“Vieni bambolina”
Cazzo. Avevo fatto così tanto casino?
Entrai piano e lo trovai a torso nudo, nella penombra della finestra socchiusa, mentre guardava un paio di vinili. Alzò lo sguardo sorridente su di me e mi invitò a sedermi accanto a lui.
“Come ci sono arrivata a casa?”
Mi sorrise: “Sì, in effetti eri un po’ andata, ma lo eravamo tutti.. Matt ti ha portata in braccio fino alla tua camera da letto..”
Mi resi conto di essere in pigiama, non stetti a farmi troppe domande su chi mi avesse aiutato a cambiarmi. Axl mise sul giradischi che aveva vicino al comodino un vinile:
“Conosci questa canzone?”
Scossi la testa.
“E’ Something’s got to hold on me, di Etta James. Mi piacerebbe che la studiassi..”
“Serve per qualche esibizione?”
“Sì. L’ultima dell’anno, cioè l’ultima che farai come supporter dei Guns.. Vorrei che inserissi questo brano come ultimo della tua scaletta.. Penso che tu lo possa fare da Dio”
Restai in silenzio ad ascoltare. La voce di Etta James mi era sempre piaciuta moltissimo, forse era una delle cantanti soul che preferivo e in quella canzone in particolare, faceva sentire tutta la sua potenza e allo stesso tempo la sua eleganza.
Il brano parlava di quanto fosse strana l’emozione dell’amore, di come fosse diversa da tutte le altre che ti colpiscono, di quanto fosse inaspettato il suo arrivo. Sarebbe stata una bella sfida.
Il problema fu che, nonostante la canzone mi venisse incredibilmente bene, all’ultimo concerto come supporter dell’anno, non cantai quella canzone.
Il tutto partì da un litigio con Axl, un litigio assolutamente insensato dal mio punto di vista, che non capivo cosa Axl provasse durante quell’anno e quanti sacrifici stesse facendo e stava per fare per me, ma che si trasformò in qualcosa di piuttosto violento per il quale alla fine soffrimmo entrambi.

Il tutto nacque da un pomeriggio, in cui i Guns dovettero andare alla Geffen per discutere di alcuni affari che ora non ricordo, e mi portarono con loro per fermarci a pranzo tutti insieme. Il problema fu che, nel percorso tra la Geffen e il ristorante in cui volevamo andare, incontrammo una delle persone che forse era tra le più detestate dai Guns, e in particolare, ovviamente, da Mr. Rose.
“Ma guarda chi si rivede!”
“Gira al largo stronzo, per oggi, ci ha già pensato Alan a romperci le palle..”
Ironizzò Slash, mentre io continuavo a fissare il nostro interlocutore con gli occhi sbarrati.
“Oh andiamo! Volevo solo salutarvi, siete qui con la ragazza che non ho ancora avuto l’onore di incontrare..”
Axl ridusse gli occhi a due fessure:
“La ragazza ha un nome.”
“Sarei lieto di sentirlo da lei, allora”
Il ragazzo mi tese la mano, mentre Duff lo guardava male:
“Bret Michaels, ragazzina, incantato di fare la tua conoscenza, sei ancora più bella che sui giornali..”
“M-Minnie”
Risposi stringendogli la mano.
“E dimmi, Minnie, come si vive con queste bestie da circo? Un fiore come te non dovrebbe venire contaminato..”
“Ora basta, hai veramente rotto il cazzo.”
Axl prese per le spalle Bret e lo sbatté contro il muro di un palazzo.
“Finalmente, Hulk si rivela!”
Urlò entusiasta il leader dei Poison.
Duff si avvicinò ad Axl e cercò di allontanarlo dal ragazzo, che in effetti,  nonostante tutto, stava iniziando a spaventarsi.
Axl rilassò le braccia e si fece trascinare via dal bassista, che aggiunse prima di andare:
“Certo che potevi anche evitare di provocarlo, coglione..”
“Perché mai? Le bestie da circo se non si arrabbiano non fanno mai nulla di divertente..”
Fu questione di un attimo, Axl si liberò dal braccio di Duff che gli teneva sulla spalla, si volto verso l’avversario e gli diede un pugno. Il sangue iniziò a sgorgargli dal naso.
“Ma sei fuori di testa?!”
Bret cercò di pulirsi e si allontanò velocemente con una mano sotto al naso ferito.
Slash non smetteva più di ridere. Axl si stringeva il pugno con aria sconsolata, si voltò e accelerò il passo.

Dopo il pranzo che passammo avvolti da un’insolita tensione e con Axl che aveva ufficialmente smesso di parlare per la giornata, ci separammo e tornai con lui a casa.
Arrivati, sembrò ritrovare la parola prima che andassi in camera mia:
“Certo che potevi anche evitare di fissarlo con due occhi da idiota..”
Mi voltai verso di lui, un po’ stupita per quell’insulto, seppur indiretto, che mi aveva fatto, un po’ pentita perché effettivamente aveva ragione.
“Io.. Devo ancora farci l’abitudine, non mi sembra ancora normale incontrare, così frequentemente, dei musicisti che credevo miti..”
Ax rise sarcastico:
“Tu credevi un mito quel pezzo di merda?”
“Senti, i Poison hanno fatto un paio di bei dischi, ora non rompere per i miei gusti..”
“Come vuoi..”
Rispose sbuffando.
“E poi comunque è stato gentile con me..”
“Gentile?! Non la smetteva di rompere!”
“Non ti avrebbe provocato se tu non l’avessi aggredito in quel modo..”
“Scusa, ma non mi lascio prendere per il culo da gente come lui!”
“Stava scherzando, Axl! Possibile che nessuno possa mai dirti niente che tu ti prepari già per spaccargli la faccia?!”
Serrò i pugni e si avvicinò a me:
“Sai benissimo che non devi parlare di questo: se è vero che mi conosci bene, sai perfettamente che stai giocando col fuoco”
“Lo so, ma non è che per i tuoi problemi puoi scusare degli attacchi di gelosia..”
Il cantante sgranò gli occhi:
“Gelosia? Geloso? Io?! Ma ti senti? Geloso di cosa poi, di te?! Tu non sei nessuno!”
“Beh, ti ringrazio..”
Alzai le spalle e mi girai sconsolata, pronta per tornarmene in camera.
“No, aspetta, non intendevo.. Dai non fare la stronza..”
“Non sto facendo la stronza! Tu stai facendo lo stronzo!”
“Non è vero, è solo che.. Bret mi fa incazzare, ecco. E tu non sei nelle posizioni per potermi dire cosa fare e cosa non fare.”
“E tu si?! E sei persino nella posizione per potermi dire che non sono nessuno? Ah beh già, quasi dimenticavo, tu sei Axl Rose..”
“E questo che cazzo vorrebbe dire, ragazzina?!”
I suoi occhi ora mi fissavano con aria di sfida:
“Non lo so, davvero non lo so. Forse vuol dire essere diventati una rockstar egoista, dittatrice e rompi cazzo”.
“Non sai di cosa stai parlando, fermati prima che sia troppo tardi, te lo dico come avvertimento, e ti ricordo che mi stai relativamente sul cazzo quando vuoi fare la so tutto io..”
“Sul serio? Temo che sia troppo tardi.. Mi hai chiesto che cosa significa essere Axl Rose? Beh, probabilmente significa essere un uomo talmente orgoglioso di sé da non avere neanche le palle di ammettere di essere innamorato della donna che cerca di attirare le sue attenzioni da un cazzo di anno!”
Per un attimo il suo sguardo vacillò insicuro. Il mio si gettò immediatamente sul pavimento. Riuscii solo a balbettare un:
“N-Non.. Scusa.. Non volev..”
“Fuori.”
Alzai lo sguardo.
“Cosa?”
“Hai dieci minuti per andartene. Non voglio avere nient’altro a che fare con te.”
Si voltò, con lo sguardo vacuo, senza espressione, gli occhi lucidi, e si chiuse in camera sua.

Le mie guance iniziarono a rigarsi di lacrime, nonostante il mio orgoglio che mi imponeva di non farlo, facendo sì che queste scendessero con ancora più dolore.
Mi sedetti sul pavimento freddo della mia camera. Con le dita tremanti, composi il primo numero che mi venne in mente. Fu quello di Slash, perché sapevo che nonostante le critiche che mi aveva inizialmente dato, avevo capito che l’aveva sempre fatto per il mio bene e che non mi avrebbe mai giudicata.
Rispose la moglie:
“Pronto?”
“Renee.. Ho bisogno di Slash, sono Minnie..”
“Stai bene tesoro?”
“S-Sì, passami solo..”
Aspettai in linea per qualche secondo.
“Bambolina?”
“Ho bisogno che mi porti via… Io.. Scusa.”
“Ma che è successo?”
“Non.. Per favore..”
“Sono lì tra dieci minuti”
Restai da Slash fino a fine novembre: appena arrivata, avevo cercato di spiegare alla meglio l’accaduto, ma la voce mi si fermava continuamente, interrotta dai singhiozzi, e, così, primi giorni, li passai chiusa in una camera degli ospiti a piangere. Dovevo essere veramente insopportabile, una piaga, eppure tutti i giorni o Renee o Slash mi portavano qualcosa da mangiare, si sedevano sul letto, tentavano di parlarmi e, dopo alcuni minuti, si alzavano e mi lasciavano sola con le mie lacrime, che non sempre riuscivo a finire.
Tutto quello che facevo era dormire, andare in bagno, provare a mangiare e piagnucolare. Se andava bene, mettevo su un disco, anche se tutte le canzoni mi ricordavano lui e non c’era modo di non pensarci.
Fortunatamente, Slash, stufo di vedermi così, dopo quattro o cinque giorni che passai in quello stato, decise di intervenire:
“Bambolina, seriamente, dovresti smetterla..”
Io tirai su col naso, gli occhi rossi, le occhiaie, dovevo essere veramente uno schifo e lo ero davanti a uno degli uomini che, insieme agli altri,  era stato uno dei primi a considerarmi finalmente bella.
“Non ci riesco”
Gli avevo risposto con voce tremante e rotta dal pianto ma anche dall’imbarazzo.
Lui aveva sospirato e si era seduto vicino a me.
“Ascoltami, non sono un gran che in queste cose, non voglio stare qui a dirti che te l’avevo detto o stronzate simili, perché la situazione è un po’ diversa.. Ad ogni modo, vorrei riuscire a fare qualcosa per te.. A metà del mese prossimo c’è il concerto, l’ultimo che farai con noi, dal prossimo anno sarai libera, e sarai una vera artista. Ora però, se pensi che tutto dipenda da Rose sbagli, il contratto con la Geffen è tuo, è stato il tuo produttore di lancio, ma ora puoi sopravvivere da sola..”
“Stronzate..”
Sorrise:
“Ho sbagliato frase. Saresti più contenta se dicessi: so come ci si sente, lui era la tua vita?”
Scossi la testa.
“Ascoltami, Minnie, hai una voce meravigliosa, devi smetterla di pensare che Axl ti ha scelto solo perché gli piacevi. In parte sarà anche vero, ma non ha più importanza! In un anno hai studiato e sei cento volte migliore di tutte le altre..”
“Che importanza ha? Non voglio più tutto questo..”
“Ah, no! Ragazzina! Tu non sei venuta a Los Angeles per Axl Rose o per me o per i Guns N’ Roses, sei venuta per fare la cantante, e la prima volta che sono venuto a parlarti, per metterti un minimo alla prova, eri riuscita a dimostrarmelo, e ora?”
Aveva ragione.
Cazzo, se aveva ragione.
 In realtà, quello che provavo per Axl mi aveva, alla fine, reso debole e allontanata dai miei obiettivi. Eppure, se ancora c’era una speranza per riaverlo anche solo come amico, di nuovo come fratelli, di nuovo come.. Qualcosa di più..
“Io.. Lo so.. E’ solo che non sopporto di averlo perso..”
“Non l’hai perso..”
Lo guardai con gli occhi rossi senza capire.
“Minnie, tiene troppo a te perché ti lasci andare così in fretta. Ma chi meglio di noi sa com’è fatto? Ha bisogno di tempo, ha bisogno di far vincere il buon senso contro l’istinto.. Vedrai che si sistemerà tutto.. Tu devi solo pensare al tuo concerto, giusto?”
Mi morsi il labbro. Adoravo quando mi ridavano quel briciolo di speranza in più. Mi bastava quello, in un certo senso.

Il giorno dopo mi decisi ad uscire dalla mia camera, a vestirmi, a farmi una doccia e a truccarmi, dopodiché andai in cucina e feci colazione, insieme a Renee che sembrava entusiasta nel vedermi di nuovo così. Quando Slash tornò a casa, non so da dove esattamente, gli dissi che per il concerto dovevo studiare una nuova canzone e gli feci sentire il pezzo di Etta James.
“Ti viene bene, ma non credo sia il pezzo giusto..”
Capii che si stava riferendo al testo, che in una situazione del genere non sarei riuscita ad interpretare al meglio.
“Ti racconto una storia, ti va?”
Annuii sorridendo.
“Quando iniziammo ad improvvisare Sweet Child O’Mine, nessuno sapeva ovviamente il successo che avrebbe avuto, soprattutto perché stavamo cazzeggiando in sala prove, niente di più.. Ad ogni modo, Ax, in quei giorni, aveva litigato con Erin, o qualcosa del genere, e le aveva scritto una poesia per farsi perdonare.. Quando iniziammo a suonare, lui scese dalla camera di sopra con questa poesia e iniziò a cantarla sopra alla base che stavamo costruendo.. Non stava venendo male, in realtà, il punto che non convinceva nessuno era la parte dopo l’assolo, che attaccammo al brano in modo del tutto casuale: Ax aveva finito il testo e noi stavamo continuando a suonare, ha detto qualcosa tipo: “Adesso cosa facciamo? Adesso dove andiamo?”
E così si è unito il finale del “Where do we go”..”
Risi:
“Dovreste dirlo alla prossima intervista, ma non capisco cosa questo c’entri con me..”
“Axl conosce perfettamente il significato di quella canzone, il tentativo di farsi perdonare che l’ha spinto a scriverla, la dichiarazione di vero amore che c’è dentro..  In poche parole,  penso che se tu cantassi Sweet Child O’Mine lui capirebbe quando ti dispiace averlo perso..”
Sgranai gli occhi. Una delle prime cose che Axl mi aveva detto è che mai avrei dovuto fare una loro canzone: era insensato e da leccaculo. In più, Child O’ Mine era un delle canzoni più famose del mondo, una mia interpretazione non sarebbe riuscita ad eguagliare in nessun modo Axl e avrebbe probabilmente deluso il pubblico. Come se non fosse abbastanza, nel finale, la canzone arrivava delle note altissime che mai ero riuscita a raggiungere.
“Non posso farlo..”
“Non si parla di mercato Minnie, non più: la gente ti adora, ma si parla di te e di Axl, fidati di me. Andrà tutto bene!”
“Non so cantare quella canzone!”
“Forse non ora, ma ti aiuterò.. La proveremo venti volte al giorno se è quello che vuoi..”
“Sicuro che funzionerà?”
Prese la chitarra e iniziò a suonare il riff iniziale.
“La suoneremo noi con te, non i tuoi musicisti. Ax non ne saprà nulla, e allora, con noi al tuo fianco, funzionerà”
“Grazie, Saul..”
“Figurati, ma se mi chiami un’altra volta così ti caccio di casa”
Risi e gli diedi un bacio sulla guancia.
Sorrise.
“Sei molto più forte di quanto tu voglia far credere..
Diventerai grande, ragazzina..”

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Capitolo 14
*** Novembre, 1992 “Guns N’ Roses – Sweet Child O’ Mine” ***


Novembre, 1992  “Guns N’ Roses – Sweet Child O’ Mine”
 
Il concerto era fissato per il 19 novembre, nella Memorial Sports, ossia una delle arene da concerti più famose della città, che, tra gli altri, aveva avuto come ospiti Bruce Springsteen e i Black Sabbath. I Guns avrebbero fatto un concerto da due ore e mezza e io, come supporter, potevo portare fino a quarantacinque minuti di repertorio. Sarebbe stata l’ultima volta che mi sarei esibita come allieva dei Guns N’ Roses o bambolina di Axl, e sarebbe anche stata la mia ultima esibizione dell’anno, che avrebbe coronato il mio percorso formativo a Los Angeles per poi iniziare, l’anno successivo, a lavorare direttamente con Geffen e il mio nuovo manager, Brian.
Sarebbe poi anche stata l’ultima volta in cui mi sarei esibita solamente con cover, perché già in quel periodo avevo iniziato a lavorare su alcuni pezzi, quali Roussian Roulette e Say my Name, che vennero poi pubblicati nel mio primo album, “Taken by a Crazy Train”, nel 1993.
All’inizio del mese, ossia due settimane prima del grande evento, ero ridotta uno schifo, mi ero appena decisa ad uscire da camera mia ed avevo iniziato a provare una canzone con Slash, di cui non ero per niente sicura, non per la mia carriera, ma per la mia vita sentimentale, che stava retrocedendo man mano che il mio successo aumentava.
Axl mi mancava terribilmente e addosso avevo solamente i sensi di colpa per il disturbo che sicuramente stavo dando a Slash e alla sua neomoglie standogli tra i piedi in quel modo, ma anche se spesso avevo proposto al chitarrista di passare del tempo con gli altri componenti della band, lui aveva sempre detto che dovevamo lavorare e che non potevo andarmene.

Fu in quel mese, durante una delle nostre lezioni, che decisi una cosa importante, forse, una delle più importanti che mi avrebbe accompagnato per il resto della mia vita e carriera.
Essendo italiana, il mio nome era tutto fuorché musicale ed orecchiabile, Minerva è un nome difficile da pronunciare per gli americani e il mio cognome era ancora peggio.
Fino a quel momento, nessuno ci aveva pensato, ed era strano dato che ero circondata da ragazzi di cui nemmeno uno usava il suo vero nome, ma come Saul Hudson aveva scelto Slash, William Bailey Axl Rose, anche io dovevo trovare un nome d’arte.
Tutti inizialmente, forse, avevano pensato semplicemente di stampare “Minnie” sui CD, ma come mi fece notare Slash, nel complesso non rendeva così tanto, con ovvie allusioni al fatto che la Disney avrebbe chiesto il pagamento di copyright o cose simili. Perciò, passai quei giorni anche con la testa a vagare per tutti i nomi e i cognomi americani che avevo sentito, senza però mai trovare nulla che mi soddisfacesse.
Un pomeriggio, mentre ero nella camera degli ospiti di Slash a riporre dei vestiti piegati in un armadio, trovai, in una tasca dei miei jeans, un foglietto: era la lettera di Izzy, quella che mi aveva lasciato sul comodino prima di partire. Presi un profondo respiro e la rilessi:

“Alla mia bambolina, più forte di tutti gli altri.
Figlia di Marilyn Monroe per la sua bellezza e di Aretha Franklin per la sua voce.”
Pensando alle due donne a cui mi aveva paragonato mi spuntò un sorriso sulle labbra: quando ero piccola adoravo Marilyn, spesso dicevo a mia madre che da grande avrei voluto essere bella come lei. E poi, Aretha, Dio, la voce Soul più potente del mondo, LA cantante, LA voce.
E ad Izzy facevo venire in mente due donne del genere?
La bassa autostima che avevo sempre avuto, mi faceva trattare la dedica quasi come uno scherzo, ma riflettendo, mi accorsi che, effettivamente, il mio sogno si stava avverando, e che presto sarei diventata una cantante. Quindi, che mi piacessero o meno il mio aspetto e la mia voce, il mio pubblico mi avrebbe amata. Forse, quello che effettivamente mi mancava per riuscire ad affrontare la mia imminente carriera o un pezzo come Sweet Child O’ Mine, quello che mi avrebbe risparmiato dal finire indebolita e depressa come i componenti dei Guns, era un po’ più di sicurezza in me stessa.
Per questo, scelsi di formare il mio nome d’arte, unendo i due nomi di donna a cui Izzy mi aveva paragonato, perché prima ci avrei creduto io, in questo sogno, prima gli altri avrebbero creduto in me.
Aree Monroe, divenne il mio nome d’arte, così come lo conoscete.
L’idea mi balzò in testa e non fu come una lampadina che si accendeva all’improvviso, fu come un suono noto, come se il mio cervello avesse sempre saputo che quello doveva essere il mio nome. Quando lo riferii a Slash, anche lui non parve stupito.
Aree ero io.
Nel susseguirsi di quelle giornate di studio, la tensione della serata, iniziava a farsi più alta, soprattutto perché, quando finalmente riuscii a terminare la canzone e a farla perfetta dall’inizio alla fine, la nota finale, non mi era ancora mai venuta uguale alla versione originale.
Io e Slash avevamo deciso che l’avrei cambiata, che avrei modificato la melodia in modo da non massacrarmi la gola e in modo da arrivarci perfettamente e di fare una bella figura, ma qualcosa in me, mi spingeva a rimanere insoddisfatta di tutti quei tentativi vani che avevo fatto per raggiungere quella nota.
Intanto, Slash aveva comunicato ai ragazzi il piano, ossia che loro si sarebbero dovuti sostituire ai miei musicisti durante l’ultima canzone che avrei portato e che, insieme, avremmo suonato Child O’ Mine, senza che Axl sapesse nulla.
E così, tra preparazioni ed ansie, il 19 novembre, arrivò.

La mattina di quella giornata così speciale, mi alzai alle sei, senza essere riuscita a chiudere occhio per praticamente tutta la notte.
Alle nove avevo l’appuntamento dalla parrucchiera. Alle sedici, saremmo dovuti andare all’arena per il soundcheck. Alle venti, iniziava il concerto. Alle venti e un quarto, sarei salita sul palco. Se tutto andava bene, alle ventuno meno dieci, avrei intonato Sweet.
Cercai di non pensarci per non farmi salire la nausea. Era strano, non mi era mai successo di emozionarmi così tanto, ormai ero abituata a cantare davanti a tante persone. Forse non ero abituata a cantare per Axl Rose.
A capelli fatti, salii sulla macchina di Slash ed insieme arrivammo nel backstage.
Sapevo come funzionava, per il soundcheck del microfono avrebbero usato Axl, io potevo rimanere comodamente nel backstage fino all’inizio del concerto.
Annoiata, iniziai a cambiarmi e ad indossare i vestiti che mi avevano preparato per la serata: leggins di pelle lucente, stivaletti neri con tacco alto, corsetto nero e bianco e chiodo sopra.
Stavo divinamente. Eppure non riuscivo a rilassarmi e sorridere.
Sentii dal palco che le prove erano terminate, perciò uscii dal mio camerino ed andai a cercare Duff, era da secoli che non lo vedevo e avevo assolutamente bisogno di parlargli.
Percorsi i corridoi cercando di evitare qualsiasi strada che in qualche modo mi avrebbe fatto incontrare Axl, e, fortunatamente, trovai presto Duff davanti ad un minibar.
Anche lui si era già cambiato, soliti pantaloni con la patta aperta, bretelle e camicia bianca scollata. Stava bene, anche se non si era ancora sciolto una coda di cavallo che di solito si faceva per non avere i capelli davanti alla faccia.
Alzò lo sguardo su di me dopo aver probabilmente sentito il rumore dei tacchi sul pavimento.
“Cazzo, non avevano detto che le groupie entravano dopo il concerto?”
“Vaffanculo, Mckagan”
“Oh, ma sei tu, ora ti riconosco”
Mi stampò un bacio sulla fronte.
“Fatti vedere, mh, sei uno schianto”
Risi, mentre facevo una piroetta su me stessa. Poi mi fermai, lo guardai negli occhi e gli dissi sarcastica:
“Spero che tutti siano troppo impegnati a guardarmi il culo per non accorgersi del casino che farò”
Il suo sguardo si fece dubbioso:
“Perché mai? Hai mai sbagliato qualcosa? Andrà benissimo!”
Sospirai.
Lui sorrise con aria furba:
“Ah, hai paura per il colpo di scena finale tu, non per il concerto..”
“Uffa, lasciami in pace..”
“Come vuoi, pensavo che avessi bisogno di una mano, o di un consiglio.. Ne ho tanti da darti.. Ma se proprio non vuoi..”
E fece per andarsene.
“No, fanculo, Mike, torna qui. Scherzavo. Se hai davvero un consiglio da darmi..”
Lui annuì serio ed avvicinò le sue labbra al mio orecchio per sussurrarmi:
“Ecco il mio consiglio: o ti chiudi quel corsetto così evito di fissarti le tette anziché ascoltarti, oppure lo lasci aperto, così ti assicuro che nessuno, ma nessuno, tra il pubblico sarà abbastanza attento alla tua voce per sentire se sbagli”
Io sgranai gli occhi ed abbassai lo sguardo sulla scollatura, che era molto più ampia del dovuto e lasciava intravedere anche troppo: arrossii tremendamente, mentre Duff scoppiava a ridere.
“Beh, grazie per il consiglio.”
“Figurati amor mio, vedrai che sarà un successo!”
Mi rispose mentre, saltellando, se ne andava verso il suo camerino.
Alla fine, il concerto iniziò: lo staff mi chiamò vicino all’ingresso del palco e al loro via andai in scena.
Mi sentii immediatamente più leggera quando riconobbi il boato del pubblico che mi salutava, non mi accorsi nemmeno della chitarra che iniziava il riff della prima canzone e della mia voce che precisa iniziava a viaggiare per le note e per le strofe e le canzoni e le parole che come nulla uscivano dalla mia bocca e finalmente si depositavano tra la gente, tra l’unico traguardo che volevo raggiungere.
Quando, come se non fossero passati che una manciata di secondi, arrivammo all’ultimo brano. Mi voltai verso la band, che stava lasciando il posto ai Guns.
Il pubblico esplose.
Slash, attaccò con Sweet Child O’ mine, scattarono gli applausi.
Durante la lunga intro, iniziai a parlare alla platea:
“Voglio augurarvi un grandioso concerto con questa ultima canzone.. Vi dico solo che nessuno avrebbe mai pensato che avrei cantato qualcosa del genere, nemmeno io, fino a poche settimane fa.. So che può sembrare strano o inaspettato, ma in realtà questa è una sorpresa, una sorpresa per una persona speciale.. Gli dedico ogni parola di questo brano, e spero che capisca che sto parlando di lui, quando dico..”

Anche in questo caso, iniziai a cantare con una naturalezza spiazzante, mentre il significato di quello che stavo dicendo mi colpiva dritto al cuore, mentre speravo e speravo che Axl mi stesse davvero ascoltando. Giunti all’ ultimo assolo, fingendolo un passo di danza premeditato, mi avvicinai a Slash:
“Voglio farla come l’originale”
Gli dissi, tenendo lontano il microfono:
“Fai te, tesoro, però magari dimmelo in un altro momento, sono un tantino impegnato..”
“Aiutatemi..”
Lui annuì, ed iniziò lo stacco finale del “Where do we go”,
Duff e Gilby, sotto comando di Slash, iniziarono a fare i cori e a rispondermi mentre cantavo le frasi dell’ultimo ritornello. Il finale arrivò.

“Where do we go?
Where do we go now?
Now, now, now, now, now, now, now
Sweet child.. SWEET CHILD..
O’ Mine..”


In un attimo, venni catapultata come in un’altra dimensione, in un mondo di pace in cui semplicemente potevo guardare dall’alto quello che accadeva, e mi vidi, in ginocchio, sul palco, dopo essere riuscita a fare la nota perfetta, identica all’originale, senza incrinature nella voce, senza errori, davanti a una platea in standing ovation che applaudiva ed urlava e mi amava. Mi amava come non avevo mai visto fare. Amava me. Io. La stessa ragazzina inutile ed asociale che tutti ignoravano.

Mi alzai da terra grazie ad un aiuto di Duff.
Ringraziai il pubblico e con le gambe e le mani che tremavano, con gli occhi lucidi dall’emozione, scesi dal palco, quasi correndo, con gli occhi chiusi, quasi come se stessi per volare via.
Peccato che qualcosa interruppe il mio decollo.
Mi scontrai in pieno con il petto di Axl, piazzato in mezzo al corridoio.
Alzai lo sguardo sui suoi occhi. Gli occhi perfetti, che amavo, gli occhi d’acqua e di cielo.
“Ciao”
Axl sorrise. Quanto mi era mancato quel sorriso.
Mi prese le mani, parlò con una dolcezza che non gli avevo mai sentito usare:
“Dimmelo, bambolina, dove diamine la trovi quella voce? Secondo me non è tua”
“Perché no?”
“Tu sei, l’animo più tenero ed innocente, ingenuo e perfetto che possa esistere.. Quella voce è.. Potenza.. Potenza e.. Ribellione pura..”
Arrossii,
“Non sei arrabbiato con me?”
“Perché dovrei?”
“Non avrei dovuto cantare quella canzone..”
“Sei stata perfetta..”
Lo guardai di nuovo, non riuscivo a smettere di guardargli quegli occhi.
“A cosa pensi?”
Mi chiese.
“A.. Ai tuoi occhi. Se tu dici che la mia voce non è mia, allora io dico che i tuoi occhi non sono tuoi..”
“Ah, sì?”
Si chinò su di me, in un attimo mi accorsi di essere spalle al muro.
“S-Sì. Tu.. Vuoi essere.. Hai paura della tua rabbia, ma.. Basta guardarti negli occhi, per capire.. Che sono quelli di un angelo e che ti tradiranno sempre, credo.. I-Io credo..”
“Basta, parli troppo, ragazzina.. Ormai è troppo tardi..”
Le sue labbra si appoggiarono sulle mie, come in un sogno che nella mia testa si era già ripetuto centinaia e centinaia di volte, ma in quell’attimo, in quel momento, tutto era vero.
Le sue mani che mi stringevano a lui, le mie intrecciate dietro al suo collo, i suoi capelli che mi accarezzavano le guance, le sue ciglia appoggiate sui miei occhi. E quelle labbra, quelle labbra sulle mie che mi stavano facendo girare la testa. In un attimo divenne tutto come, come se non esistesse, come se fosse finto. Cartone. Tutto di cartone tranne noi.
Ricordo ancora che l’unica cosa che avvertii a parte Axl furono le parole di un molto ubriaco Slash che chiamava Axl per dirgli che era ora di salire sul palco, per poi imprecare non so se di gioia o di stupore davanti a noi. E non provai imbarazzo, non me ne importò nulla. Io ero sua ed era quello che doveva essere. Com’era vero che mi chiamavo Aree Monroe, com’era vero che il pubblico mi aveva trattato come la cantante migliore del mondo.
Quando mi lasciò andare, dopo non so quanto tempo, aveva gli occhi lucidi e le sue mani rimanevano nelle mie e sembravano titubanti a lasciarmi.
“Devo andare..”
“Lo so”
“Tornerò”
“Per sempre?”
“Per sempre..”

Guardai il concerto con una nuova attenzione, osservando lui, lui così perfetto, cercando di cogliere qualsiasi suo gesto, sperando che lo stesse dedicando a me.
Finita l’esibizione, che incredibilmente mi parve come la migliore che i Guns fecero, Axl mi riprese la mano, parlò con Duff, salutò Slash, ma non mi lasciava più, quella mano era diventata sua e io speravo soltanto che non l’avrebbe mai più lasciata.
Ricordo che Mckagan, durante il dialogo con Axl, non mi staccava gli occhi di dosso, e tutte le volte che li incrociavo, mi faceva l’occhiolino come un idiota, io ridevo e abbassavo lo sguardo e di nuovo incontravo quelle mani così unite che mi sembravano perfette per stare insieme.
Axl ed io salimmo sulla limousine, non sapevamo cosa dire, noi due, che di solito parlavamo di ogni cosa: cercavo il suo sguardo, ma quando lo incontravo i miei occhi scappavano da un’altra parte, e allora lui sorrideva e io anche.
Quando arrivammo, infine, dopo un lungo viaggio, io ero ormai addormentata tra le sue braccia, sotto al suo sguardo così dolce che ora mi trattava come se finalmente fossi diventata sua.
Arrivati, mi svegliò quando mi prese in braccio, ma finsi di dormire, per potergli stare ancora così vicino e per sentire il suo calore, mi portò nella sua camera da letto e mi adagiò sul materasso. Si mise accanto a me, mi abbracciò stretta, e,  finalmente protetta da ogni male, mi riaddormentai.
La mattina dopo mi svegliò il sole, per via delle finestre che la sera prima non erano state chiuse. Aprii gli occhi piano, spaventata che tutto quello che avevo impresso nei miei ricordi fosse stato soltanto un sogno, ma lui era lì, che leggendo il numero di Rolling Stone mangiava una brioche, facendo per altro un gran casino di briciole sul letto.
“Ciao splendore, vuoi una brioche?”
Mi tirai a sedere e accettai volentieri l’offerta.
“Il presentatore ieri sera ti ha annunciato come Aree Monroe, è importante che tu abbia trovato la tua identità..”
“Ti piace?”
“Non c’è cosa di te che non mi piaccia..”
Arrossii mentre lui mi dava un bacio leggero sulle labbra: era tutto così semplice, eppure non riuscivo ancora a crederci.
Cercai di mostrarmi il più disinvolta possibile, mi avvicinai a lui e cercai di leggere l’articolo del giornale che stava leggendo: era un articolo su i Red Hot.
“Li detesto, in realtà”
Risi.
“Neanche a me piacciono tanto..”
“Andiamo, il cantante ha l’estensione vocale di un cetriolo..”
“E tu bell’uomo? Sei così bravo da poter giudicare chi vuoi?”
Lui mi guardò con le sopracciglia alzate, poi sorrise e si morse il labbro.
“Mh? Pensi di no?”
“Non saprei..”
Sul letto, si mise a gattoni e cercò di prendermi per farmi il solletico:
“Non oseresti!”
“Scommettiamo?”
Iniziai a scappare sul materasso, ma fu troppo tardi e mi ritrovai tra la sue braccia che non la smettevano di stringermi, mentre io mi divincolavo ridendo come un’idiota.
“Basta, ti prego, mi arrendo!”
Lui mi lasciò e mi guardò negli occhi. Il sorriso si perse quando ci accorgemmo che io ero stesa sotto di lui, ancora a gattoni con il viso sul mio. Mi baciò, di nuovo quelle sensazioni, quel qualcosa che aveva dell’incredibile e della perfezione. Mi strinse ancora.
Poi qualcosa cambiò, non so cosa successe esattamente, forse si diede un’occhiata al cavallo dei pantaloni, oppure gli parve di star andando troppo velocemente, non lo so, ma si alzò bruscamente, e senza voltarsi uscì dalla stanza, chiudendo la porta.
Rimasi sola, confusa. Avevo sbagliato qualcosa?

Mi. Sto. Mettendo. Nella. Merda.
Ok, va bene, è stato un bacio, una liberazione, ma è stato il momento più bello di questi anni? Probabile, assolutamente, ma il problema è che non posso permettermelo. Non per lei! E’ sempre stato così, con quella canzone però è cambiato qualcosa e non sono riuscito a trattenermi.
Il fatto che io la ami e che sia anche un cazzo di uomo mi fa sentire quel.. Quel dannato bisogno.. Cazzo. Dopo quello non si torna più indietro, io non posso illuderla, lei.. Oddio ho fatto un casino. Davvero speravo di risolvere tutto con un bacio? Ho peggiorato la situazione!
Che cosa dovrei fare adesso? Lei non si merita uno schizzato, lei non si merita distrazioni per la sua carriera ancora da iniziare, fuori discussione, io non posso più c’entrare nulla con lei..
Però.. A parte il fatto che vorrei tornare di là e baciarla di nuovo e ancora e ancora.. Quando le dirò di andare, perché l’anno che le avevo promesso sarà finito.. Lei non vorrà farlo.. lei vorrà restare, qualsiasi spiegazione io le dia.. E in questo modo.. La sua voce, il suo sogno.. Tutto nel cesso per colpa mia!
Prendo il telefono, il numero di Duff lo so a memoria. Sento la sua voce, cazzo, pieno post sbronza, va beh, gli passerà non appena berrà un altro po’.. Spiego la situazione a Mckagan, in realtà non mi serve un consiglio, so esattamente come fare.. So cosa deve fare lui, per lo meno.. Prendersi cura di lei, quando lei soffrirà.. Dolcissima Minnie..


Lo sentii parlare a telefono con Duff, teneva la voce bassa, ma non potevo certo mettermi ad origliare. Aprii la porta piano, nel momento in cui lui abbassò la cornetta, lo guardai appoggiata al muro, lui mi vide attraverso lo specchio dell’ingresso.
Tenne lo sguardo sul mio nel riflesso, chissà a cosa stava pensando, poi lo abbassò e venne verso di me.
“Cos’è più importante?”
“Di cosa parli?”
“La musica o.. l’amore..”
Lo guardai senza capire.
“Secondo me, l’uno e l’altro sono sullo stesso piano e si accompagnano a vicenda..”
Sospirò.
“Lo penso anche io”
Mi baciò sulla fronte ed andò in soggiorno.
“Ehi, aspetta.. Non.. Insomma..”
“Cosa?”
In effetti la domanda era lecita. Cosa? Che ne sapevo. Che cos’era cambiato ora? Cos’era successo?
Oppure gli uomini come loro facevano così con le donne? Forse non era cambiato niente.
“Io.. Niente.. Credo”
Annuì, le spiegazioni erano terminate.

Da quel giorno Axl, anziché avvicinarsi di più a me, parve allontanarsi, lasciarmi indietro, coinvolgermi meno.
Le lezioni di canto erano terminate, ora lui stava con me solamente per gli incontri che facevamo insieme a Brian, ma evitava di guardarmi negli occhi e parlava come se fosse tornato ad essere solamente un mio insegnante, o collega. Non riuscivo a capire, anche perché a volte, sembrava trasformarsi in un altro: usciva dalla sua camera da letto e se mi vedeva mi alzava dolcemente il viso e mi baciava, senza dire nulla, senza aggiungere altro. E io rimanevo lì, come un’idiota, senza indizi, senza apparenti motivazioni che potessero spiegare quel suo stranissimo comportamento.

Novembre finì con una telefonata di mia madre, che mi invitò ad andare da loro dalla settimana precedente a Natale fino alla fine del mese. Io, visto la situazione di cui ormai ero stufa a casa Rose, accettai senza indugi, e riferii la mia scelta ad Axl che acconsentì ad accompagnarmi senza troppo entusiasmo.
Quel suo strano modo di agire fu il segno grazie al quale mi accorsi che qualcosa era seriamente cambiato, che niente sarebbe stato come prima e, nonostante non riuscissi a capirne il perché, pensai che quel bacio, quel bacio tanto ambito e tanto sognato, non fosse stato altro che l’inizio della fine.
 

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Capitolo 15
*** Dicembre, 1992 “Elvis Presley – Blue Christmas” ***


. Dicembre, 1992  “Elvis Presley – Blue Christmas”


Come promesso ai miei genitori, partii per l’Italia la terza domenica di avvento, dopo aver salutato i ragazzi che non avrei rivisto fino all’anno nuovo.
L’aereo atterrò puntuale all’aeroporto. Scendendo dall’apparecchio, feci cenno ad alcuni giornalisti di non disturbarci, con gli occhiali da sole e i capelli che avevano ricominciato a crescere contro il vento, la giacca di pelle e dei jeans attillati. Non sembravo nemmeno più la stessa ragazza che un anno prima era partita per Los Angeles: ero andata via mano nella mano con mio fratello, con mia madre e i suoi occhi lucidi, con una valigia troppo pesante che non riuscivo a trasportare, ed un Axl così sconosciuto e lontano che mi aspettava impaziente. Tornavo dopo tanti mesi cambiata, cresciuta, realizzata, in un certo senso, dopo aver distrutto una band e dopo essere stata considerata la stella nascente della Città degli Angeli.  Già. La vita non dà nulla se non toglie qualcos’altro.
Fortunatamente l’autista era già all’uscita dell’aeroporto ad aspettarci, e ci salvò da alcune occhiate indiscrete che presto si sarebbero trasformate in un assalto da parte dei fans.
Durante tutto il tragitto, io e Axl non parlammo, ascoltavamo la musica dallo stesso Mp3 e ogni tanto mi chiedeva di cambiare canzone. Canticchiavamo sottovoce, come due amici imbarazzati e non due persone che da un anno avevano condiviso tutto, dalla casa agli amici, dai sogni agli impegni, dai più reconditi segreti alle più grandi passioni. E ora di noi questo era rimasto, due voci leggere e timide che piano intonavano le parole di canzoni che ormai ascoltavamo da sempre e che sapevamo a memoria. Questo eravamo, due voci come altre, eppure, se messi su un palco, riuscivamo ad incendiare folle di migliaia di persone.

Arrivammo nel mio quartiere dopo circa tre quarti d’ora, chiesi all’autista di fermarsi qualche isolato prima, una camminata avrebbe fatto bene ad entrambi.
Scesa dall’auto, ricominciai a distinguere i ricordi di quel posto che mi aveva ospitato, era strano, in fondo dall’ultima volta che l’avevo vista erano passati pochi mesi, eppure mi sembravano anni. I vicini alzavano la testa e mi sorridevano, alcuni mi salutavano, altri facevano finta di niente oppure restavano impacciati e indecisi sul da farsi: ora ero qualcuno, lo ero davvero, ora i giornali parlavano di me, ora la radio iniziava a dare mie cover e presto i primi singoli sarebbero arrivati.
Sulla soglia di casa, trovai mia madre e mio padre a braccia spalancate, con due enormi sorrisi: dopo tante incomprensioni, erano riusciti a mettere tutto da parte e sembrava che nulla fosse più importante del mio ritorno.
Andy mi riabbracciò come se non avessimo mai discusso e tutti i pensieri che ultimamente occupavano la mia testa lasciarono il posto ad un briciolo di serenità che da tempo mi mancava.
Mio padre strinse la mano ad Axl e lo invitò a partecipare al pranzo di Natale insieme alla famiglia, lui acconsentì, ma i suoi modi si facevano sempre più freddi, con mio padre compreso.

Una di quelle notti, dopo alcuni giorni in cui eravamo dai miei e in cui Axl non era praticamente mai uscito dalla sua camera, mi alzai dal letto senza riuscire a dormire: ormai quella situazione mi stava dando sui nervi, perciò approfittai del silenzio e del buio per infilarmi nella camera di Rose senza che nessuno si facesse i fatti miei. Appoggiai la mano sulla porta, inizialmente, titubante, ma quando mi accorsi che questa non era chiusa, ma accostata, decisi di fare quel tanto di pressione quanto bastava per farmi passare e me la richiusi alle spalle una volta entrata.
Una volta che i miei occhi si abituarono al buio, riuscii ad intravedere il cantante sotto alle coperte, con una piccola torcia in mano, che scriveva. Probabilmente non si era accorto di me.
Mi avvicinai piano e gli appoggiai una mano sulla spalla, a separarci solo il lenzuolo.
Lui trasalì.
“Sono io”
Gli sussurrai. Uscì dalle coperte e mi guardo dal basso verso l’alto, non disse niente, ma si spostò lasciandomi un po’ di spazio accanto a sé. Mi sedetti vicino a lui.
“Puoi spiegarmi cosa ti prende?”
“No. Non posso”
Sospirai.
“Ma così non posso sapere come fare per riaverti indietro..”
“Di cosa stai parlando? Sono qui”
Gli feci cenno col dito di abbassare la voce. Lui tacque.
Mi avvicinai alle sue labbra e lo baciai. Non so perché lo feci. Mi sembrava la cosa più ovvia da fare. Lui inizialmente mi lasciò fare, poi iniziò a partecipare a quel bacio e iniziò a stringermi. Nel giro di poco tempo ci ritrovammo abbracciati in mezzo alle lenzuola. La torcia spenta. Un silenzio incredibile, rotto solo dai nostri respiri ora irregolari.
“Non vedi?”
Sussurrò lui.
“Non riesco a resisterti..”
“Non farlo..”
Lui mi baciò di nuovo:
“Devo farlo”
“Perché?”
“Per il patto, bambolina.. A fine dell’anno te ne andrai..”
“E da quando siamo schiavi dei patti? Tutto quello che c’è stato cambierà pur qualcosa!”
Lui rimase zitto per alcuni secondi, quando ricominciò a parlare lo fece con una voce diversa:
“Io.. Mi dispiace, ma non ti merito.. Non sono quel tipo di ragazzo che cerchi, lo dovresti sapere.. Non… Non significhi nulla per me, e temo che questo non valga anche per te.. Tu hai la tua strada da fare, io ho la mia..”
Mi liberai in fretta dal suo abbraccio e accesi la luce.
“Che cazzo stai dicendo?”
Lui aveva gli occhi chiusi, ma parlava con fermezza:
“Sto dicendo che sei soltanto una delle tante ragazze che.. Che.. Beh..Una delle tante, e basta. Non sei speciale e non vorrei che tu ti illudessi di essere qualcosa di diverso per me, perché non lo sei... Ecco tutto.”
“Oh.”
Alzò gli occhi su di me.
Il mio respiro iniziò a tremare e dagli occhi iniziarono a scendermi delle lacrime che non provai nemmeno a trattenere.
Lui si alzò di scatto:
“No, ti prego amore mio non piangere, ti supplico non posso vederti così..”
Allungò le braccia verso di me, ma le respinsi sgarbatamente.
“Stammi lontano. Sei stato molto chiaro.”
“Ma io..”
“Ma tu niente. Hai trovato il coraggio per dirmi le cose come stanno, non mi interessa altro. Non mi interessi tu.. Non.. Tu.. Neanche per me sei stato qualcosa di speciale, comunque. Puoi starne certo.”
Con la mano cercò di prendere la mia, ma io mi ritrassi e mi allontanai.
“Sai cosa? In realtà ora che ci penso, non so perché diavolo sei dovuto venire anche tu. Ti consiglio di chiamare qualcuno. Non ti voglio tra i piedi ancora a lungo e immagino che nemmeno tu voglia essere disturbato..”
“Bambolina, dopodomani è Natale..”
“Avrai di meglio da fare che stare con la famiglia di una delle tante, no? Domani mattina sarai libero di partire, Axl. Buonanotte.”
Spensi la luce, lasciandolo in piedi in  mezzo alla stanza e me ne tornai nella mia, ma lungo il corridoio incontrai qualcun altro: Andy che incredibilmente in così pochi mesi era diventato ora molto più alto di me.
“Eri da lui, vero?”
Scossi la testa:
“Sì. Ma domani se ne va.”
“Se ne va? E perché?” Il suo sguardo era stupito, ma non c’era traccia di dispiacere.
“Perché ha altro da fare, tutto qui.”
“A papà non farà piacere..”
Alzai le spalle.
“E che si aspettava da uno come lui? E’ uno stronzo, no?”

La mattina dopo lui non c’era più.
Andato. Era la vigilia di Natale e tutto quello a cui riuscivo a pensare era lui. Lui che.. Che se n’era andato veramente. L’orgoglio mi imponeva di non piangere, di non mostrarmi abbattuta davanti alla mia famiglia, non avrei rovinato il Natale a nessuno e Ax non avrebbe rovinato il mio.
Stronzate.
Per quanto passassi la maggior parte del tempo con la mia famiglia cercando di distrarmi con loro, non riuscivo ad essere felice: non c’era nemmeno un minuto in cui quei suoi cazzo di occhi non mi riempivano la testa. Eppure ancora, in quei giorni, vivevo la cosa come un momentaneo litigio, come se fosse tutto ok, come se comunque avrei potuto avere chiunque altro al suo posto, mentre le cose, con l’anno avvenire, sarebbero peggiorate incredibilmente.
La notte del 24 dicembre, comunque, anziché addormentarmi in trepidante attesa e curiosità per le sorprese dell’indomani, sprofondai nel letto, e, facendo i conti con il brutale fuso orario di Los Angeles, chiamai Duff. Da lui erano le tre del pomeriggio, sperai che non si stesse ubriacando già a quell’ora:
“Axl se n’è andato”
“Andato dove?”
“E’ tornato a casa..”
“E perché mai?”
“Lui ha detto che.. beh che.. sono una delle tante e.. che..”
Scoppiai a piangere.

Oddio, no. Cioè. In realtà va tutto secondo i miei piani: l’ho allontanata per.. Per non farle del male, e il fatto che Duff debba prendersi cura di lei al posto mio, mi rassicura. Anche ora, però, mentre sta chiamando il bassista, e sento le sue.. Non posso sentirla piangere, vorrei non aver mai preso quel fottuto volo.. Ma allo stesso tempo è ok, è finita, ora.. Chi era quello stronzo che ha detto: Se la ami davvero devi lasciarla andare? Probabilmente uno che non sentiva così tanto.. Così tanto dolore.. Se lei non piangesse, non ci starei così male, ma lei sta soffrendo, per me! E’ così folle. Ma io.. Io posso veramente vivere senza di lei? Aspetta. Aspetta ho paura di aver fatto un casino. Con lei sono migliorato insomma da quella merda e non sarà mica che..
“Ax?”
Che cazzo vuoi Duff, stai interrompendo i miei fottuti pensieri. Gli rispondo:
“Dimmi?”
“Che devo dirle?!”
“Che cazzo ne so! Siete amici!”
Sospira, le sussurra qualcosa alla cornetta, forse qualcosa di dolce, qualcosa di rassicurante. Non ho sentito che le ha detto. Ora basta che non si innamori di qualcun altro. Insomma nel senso, potrebbe anche farlo ma.. Non lo voglio venire a sapere ecco. Fanculo. Lei poteva essere mia e.. SMETTILA WILL. Non si capisce un cazzo da tutte le cose a cui stai pensando. Da quando in qua non siamo nemmeno più capaci di pensare? Va a finire che ti andrà in culo il cervello. E pensa che non sono passate nemmeno 24 fottute ore. Come finirò?! Devo trovare un rimedio.. Non ci sono tanti metodi per dimenticare, per non sentire o per smettere di pensare. Uno però lo conosco. Lo conosco molto bene. E so come procuramelo.
Sei sicuro Bill?
Chi cazzo è Bill? Mi chiamo Axl. E sono una puttana.
Vado a chiedere a Slash se ne ha ancora di quel fottuto rimedio. E Buon Natale.


Chiusi la chiamata quando riuscii a calmarmi e quando smisi di piangere, rimasi nel letto e provai a chiudere gli occhi per smettere finalmente di pensare.
In quel momento, sentii bussare piano alla porta. Mi alzai, con i piedi nudi mi congelai quando toccai il pavimento gelido, e accostai l’orecchio al legno della porta:
“Sono io”
Aprii a Maddalena, mia sorellina minore di tredici anni. I suoi lunghi capelli biondi non c’entravano proprio nulla con quelli del resto della famiglia, la facevano assomigliare più a una bambola di pezza.
“Che ci fai ancora sveglia, Maddy?”
“Non voglio sentirti piangere..”
Mi guardai i piedi, commossa e imbarazzata.
“Vuoi che dorma con te?”
Le sorrisi. Mi ricordò tutto le volte in cui, dopo un brutto sogno, io le facevo quell’offerta, per rassicurarla, e, ora, era lei che lo proponeva a me. Io annuii piano, con la timidezza che di solito caratterizzava lei, non me.
Ci infilammo insieme sotto alle coperte, e provai a distrarla parlando di altro:
“Non sei emozionata per domani?”
“Certo, ma tanto ormai so cosa sono tutti i regali..”
“Non sai cos’è il mio”
Lei sorrise e mi guardò eccitata:
“Mi hai portato un regalo?”
“Certo! Direttamente da Los Angeles, a ciascuno di voi”
Lei tentennò un paio di secondi, per poi chiedermi dubbiosa:
“Non è che potrei aprirlo ora, il tuo?”
“E la sorpresa dopo dov’è?”
“Ma è mezzanotte! E’ già Natale!”
Le sorrisi scotendo la  testa e mi alzai andando verso la scrivania, dove avevo appoggiato anche il suo pacchetto.
“Ecco a te”
Lei non perse tempo nemmeno a ringraziarmi, e avvolta nelle coperte, davanti a me, cominciò a strappare la carta che avvolgeva il dono. I suoi occhi si illuminarono quando trovò l’EP di Bad Madicine autografato da Jon Bon Jovi.  Era la prima canzone che le avevo fatto sentire: mi aveva dovuto pregare in ginocchio perché per me era ancora troppo piccola per esprimersi in pareri musicali. Quando però mi ero decisa a proporle una canzone a caso dal mio Mp3, l’aveva adorata, e da quel giorno avevamo iniziato a guardare insieme nuovi brani mentre io gliene facevo sentire altri.
“Ti piace?”
“E’.. E’ stupendo.. Ma come l’hai avuto?”
“Ricordi? Ho i miei agganci, sono famosa”
Mi tirò un cuscino in faccia ridendo, io le feci segno di fare piano.
“Dai, dormi ora..”
“Anche lui ti ha lasciato un regalo, sotto l’albero, di là..”
Aprii nuovamente gli occhi:
“Lui?”
“Axl”
Sospirai.
“E’ tardi, sul serio, dormi..”
“Era per lui che piangevi vero? Non se n’è andato per un impegno, giusto?”
Non risposi.
“Secondo me, potete anche litigare, ma tanto si vede troppo che siete innamorati..”
“Ma che dici?!”
“Dai, non so gli altri, ma io me ne sono accorta subito..”
Sorrisi debolmente.
“Le cose non sono così semplici..”
“Forse devi solo avere pazienza”
“Buonanotte, Maddy..”
Sbuffò e si addormentò.
La mattina dopo, ci alzammo piuttosto presto e andammo sotto l’albero, ma scoprimmo che gli altri erano già lì da un pezzo, dato che la loro curiosità aveva avuto la vinta sul sonno.
Spacchettai i regali da parte dei miei fratelli, ringraziandoli uno ad uno, in particolare Andy che mi diede una custodia per CD da lui dipinta con i Loghi delle mie band preferite  e Minnie, che mi aveva comprato uno stupendo bracciale in cui le catenine fungevano da pentagramma e i ciondoli da note. Dopo che anche i miei regali furono aperti, l’attenzione di tutti cadde su un pacchetto rimasto ora solo, ancora incartato.
Mia madre, con sguardo furbo lo indicò e io lo presi titubante. Attaccato alla carta da regalo con una spilla, un biglietto che aprii piano con le mani che tremavano leggermente, anche se cercavo di mostrarmi disinvolta davanti ai miei familiari, che mi guardavano curiosi. Sul piccolo foglietto di carta un po’ stropicciata, stava scritto:

“I see you standin', standin' on your own
It's such a lonely place for you, for you to be
If you need a shoulder, or if you need a friend
I'll be here standing, Until the bitter end


No one needs the sorrow, No one needs the pain
I hate to see you, Walking out there, Out in the rain
So don't chastise me, or think I, I mean you harm

-Axl”


“Che cosa vuol dire?”
Gli occhi di Cristiano, il più piccolo della famiglia, erano stati più veloci della mia attenzione, ed erano riusciti a leggere quello che c’era scritto. Sospirai bruscamente, ma alla fine risposi:
“Significa: ti vedo fuori, sola, è un posto solitario per una come te.. Se ti serve una spalla o un amico, io ci sarò fino alla fine.
E poi dice.. Nessuno ha bisogno di dispiacere, di dolore. Odio vederti camminare fuori, sotto la pioggia. Quindi..”
Qui mi interruppi. I dubbi erano tanti. Come poteva lo stesso ragazzo che mi aveva così brutalmente trattata due sere prima essere in grado di dedicarmi tali versi?
“Quindi?”
Chiese con insistenza Cristiano.
“Quindi non punirmi, e non pensare che io voglia farti del male.”
Mia madre sorrise premurosa:
“Delle belle parole!”
“E’ solo l’ultima strofa di una loro canzone..”
“Ma non è banale dedicarle a qualcuno..”
Appoggiai il biglietto per terra e spacchettai piano il dono.
Le mie mani si fermarono quando intravidi di cosa si trattava.
“Oh, cazzo”
“Minerva, modera il linguaggio per favore”
Maddalena e Cristiano risero, mentre mio padre mi rimproverava, ma, sinceramente, in quel momento, non poteva importarmi di quello di cui parlavano i miei genitori. I miei occhi brillavano come le pietre di quel gioiello: era un colier, ed erano diamanti. Veri.
Quando mia madre si avvicinò per vedere, nascosi velocemente l’attestato di valore di quella collana, per evitare che capisse veramente di cosa si trattasse. Non so esattamente perché lo feci, forse volevo tenermi quel tesoro come mio segreto, forse perché temevo che se avessero saputo che cosa avevo tra le mani avrebbero voluto restituirlo o venderlo. Ma quello era mio, e Axl l’aveva dato a me.
“Che deliziosa collana! E’ carina, vero?”
La prese con delicatezza mentre io stringevo il foglietto e me lo infilavo nella tasca del pigiama.
“Con tutti i soldi che ha quell’uomo, non mi stupirei se fossero diamanti veri..”
Borbottò Andy. Io lo guardai con occhi sgranati e poi risi forzatamente, quando capii che stava facendo del sarcasmo, forse in maniera eccessiva, perché le gemelle mi guardarono con diffidenza, gelose del gioiello che comunque, era veramente elegante.

A vacanze di Natale ormai finite, mi resi conto che, senza Axl, mi sentivo incredibilmente persa: ora non avevo più una casa a Los Angeles, dato che non potevo più convivere con il cantante, e la Geffen mi aveva promesso un contratto che però non sapevo ancora come sfruttare. Decisi di chiamare l’unica persona che, in un certo senso, mi rimaneva.
Lo feci un pomeriggio, mi pare fosse il 29 dicembre. Gli ultimi giorni li avevo passati con la mia famiglia, ma, dovendo essere sincera, devo anche scrivere che, quando non ero con loro, riuscivo solo a chiudermi nella mia stanza, stendermi sul letto, chiudere gli occhi e lottare contro le lacrime che tutti i giorni volevano scendermi sulle guance e che il mio orgoglio frenava costantemente: da quando Axl mi aveva detto quelle parole, mi ero sentita come svuotata. Di tutto. Era rimasto solo un corpo, l’uomo in cui avevo trasferito la mia anima, i miei sogni, i miei pregi e i miei difetti era ora scomparso, portandosi con sé tutto quello che io gli avevo rivelato. Un automa, ecco cos’ero diventata, una ragazza che si fingeva felice dei traguardi ottenuti, un’artista che doveva essere fiera di sé stessa e finalmente realizzata. Convivere con quella morsa al petto e allo stomaco, quel vuoto e quella nausea che sembravano non finire mai, diventava di giorno in giorno più insopportabile, e, in realtà, non vedevo l’ora soltanto di andarmene da quella casa in cui non mi sentivo libera di esprimere i miei problemi. Perché?
Chi lo sa.. Forse mi sentivo quasi in dovere, viste tutte le fortune che avevo avuto negli ultimi anni, di essere felice e quindi di non potermi permettere qualche ulteriore lamentela, ma Dio solo sapeva quanto avessi avuto bisogno di uno sfogo.
Quando quel pomeriggio, quindi, decisi di chiamare Brian, il mio nuovo manager, iniziai ad adottare un tono professionale che non era mio, che divenne come una specie di scudo, costruitomi davanti per proteggermi dalle persone che ancora una volta mi avevano tradito. Dovevo auto convincermi di essere veramente superiore al resto di quel genere umano che mi stava facendo soffrire, di meritarmi davvero il posto nella società che stavo iniziando a guadagnare, di essere davvero una rockstar degna del proprio nome.
“Parlo con Brian Filler? Sono.. Minnie.. Aree”
“Minnie! Che piacere! Aspettavo una tua chiamata! Di cosa hai bisogno?”
“Di.. Direi tutto.. Un progetto, ma soprattutto, per il momento, una casa..”
“Certo, la prendiamo con l’anticipo del contratto. A Los Angeles, giusto?”
In quel momento iniziai a pensare. Los Angeles era sempre stata la città dei miei sogni, quella da cui tutto iniziava, ma pensai che l’inizio era già avvenuto, e, ripensandoci, a Los Angeles non mi rimaneva nulla, se non ricordi di persone che mi avevano tradito.
“In realtà, Brian, più lontano è da Los Angeles meglio è..”
“Che ne dici se cambiamo costa? New York non è male..”
In un certo senso, New York era considerata la città più bella d’America, e così accettai. Anche se in quel momento, non avevo una gran voglia di fare delle scelte importanti, probabilmente se Brian mi avesse proposto la Pennysilvania avrei detto di sì ugualmente. Comunque, New York è New York, e, dopo che il mio sogno di diventare una rockstar si era avverato, avevo bisogno di costruirmi un nuovo sogno e decisi che la grande mela poteva benissimo essere lo scenario di quel nuovo desiderio che stavo costruendo. Immersa nel dolore e senza praticamente più aspettative, avevo bisogno un sogno che mi desse ancora motivo per lottare, che mi desse degli spunti per dimenticare i brutti ricordi, e per dimenticare Axl. Sapevo che non sarebbe stato così facile, ma avevo realmente bisogno di riuscirci: appena se ne andò, inizialmente pensai che fosse tutta una stronzata, che avremmo chiarito, che mi avrebbe chiamato e avremmo parlato tranquillamente chiedendoci scusa, ma più il tempo passava, più era ovvio che non sarebbe successo, né in quel momento, né nei momenti successivi. E mentre questa distanza si tramutava in una dolorosissima e tangibile realtà, io sprofondavo sempre di più in quella bolla che stavo iniziando a costruirmi, fatta di lavoro e basta.
Ecco perché mi trovai un altro sogno, un altro piccolo sogno che poteva aiutarmi a sì, restare dentro la bolla, ma allargandola un poco.
La mia carriera da cantante, sarebbe stata rappresentata ora, da quel nuovo sogno: tenere un concerto a Times Square, il fulcro del mondo.


23.57, 31 gennaio, 1992. Così, stava per avere fine l’anno più folle, più bello e al contempo più crudele della mia vita. L’anno in cui avevo avverato i  miei due sogni più grandi, l’anno del successo, del cambiamento e del miglioramento, e mentre aspettavo la sua fine, nonostante tutto questo, guardavo dalla finestra in attesa dei fuochi d’artificio, con l’unica cosa che mi rimaneva:
 gli occhi colmi di lacrime.

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Capitolo 16
*** Marzo, 1993 "Christina Aguilera - You Lost Me" ***


Marzo, 1993  “Christina Aguilera – You Lost Me”

Gli occhi chiusi, stesa sul letto, in quella posizione che, quando ero in casa, era praticamente diventata abitudinale. Amy, la mia governante, assunta in veste di segretaria personale, ma anche di domestica e balia, bussò alla mia porta, interrompendo la pace artificiale che mi creavo ormai tutti i giorni da tre fottutissimi mesi.
“Signorina Monroe?”
“Che vuoi?”
“Avete una visita..”
“Sai che non voglio essere disturbata..”
“Penso che sia importante, signorina.. Posso farlo entrare in camera?”
“Come vuoi..”
La porta si aprì lentamente e io schiusi gli occhi quel tanto che bastava per capire di chi si trattava, mi rizzai lentamente a sedere quando riconobbi la chioma bionda di Duff.
“Non sapevo che fossi a New York, di solito avvisi..”
“Scusami bambolina, volevo farti una sorpresa..”
Sbuffai annoiata.
“Come stai?”
Mi strinsi nelle spalle e mi alzai in piedi, diretta verso il bagno per tentare almeno di rendermi presentabile all’ospite.
Non appena mi vidi allo specchio rimasi interdetta, indecisa se stupirmi o continuare a fingere che non mi importasse niente. Quegli occhi azzurri ora scavati, circondati dall’ombra del trucco sbavato. Le guance magre, i lineamenti un tempo morbidi, da bambina, cambiati velocemente: ora ero una donna, ma ero cresciuta troppo in fretta. Cercai di passare il contorno degli occhi con della matita nera, come facevo quasi sempre, sembrando forse ancora più sciupata di prima. Ma a chi importava.
Tornata nella mia camera mi diressi verso il pianoforte che tenevo nell’enorme camera da letto di quella villa. Duff si sedette sul letto:
“Ti va di farmi sentire il pezzo su cui stavi lavorando? Quello di cui mi avevi parlato?”
“Se ti va.. Passami quella, prima”
Duff sospirò mentre afferrava dal collo la bottiglia di Jack dal comodino, dove stava insieme ad altre sue compagne vuote.
“Fammi capire, da ubriaca canti meglio?”
Chiese sarcastico mentre mi dava un bicchiere appena riempito.
“Direi che gli ultimi concerti sono stati un successo, quindi forse sì..”
Scosse la testa, mentre si riaccomodava sul letto e si accendeva una sigaretta, presa dal mio pacchetto sul pavimento, scivolato dal tavolino della camera.
Anziché suonare, comunque, mi voltai, pensierosa:
“Duff? Hai per caso visto Slash, ultimamente?”
“Sì, ma non so quando tornerà qua, tanto ci pensa il pusher a fare avanti e indietro da L.A. a New York”
Annuii, sollevata. Odiavo quando Slash veniva a trovarmi: quando era direttamente lui a portarmi le dosi, mi faceva i soliti due coglioni per farmi capire quanto fossi cambiata, quanto stessi buttando tutti i miei sogni nel cesso. Almeno Duff si limitava ad osservarmi con quell’espressione sconsolata da rompipalle. Come se loro potessero essere nelle condizioni per darmi dei consigli.
Mi alzai dallo sgabello, la voglia di suonare mi era già passata. Mi sedetti accanto a Duff.
“Come va con Bret?”
Mi chiese per rompere il silenzio.
“Ne parli come se fosse il mio ragazzo..”
“Non lo è?”
“Certo che no.. Continua ad insistere per portarmi a letto, ma non sarà così facile..”
Sospirò, di nuovo. Leggermente imbarazzato.
“Sei.. Sei ancora vergine, vero?”
Lo guardai stupita, mentre stavo con le labbra incollate alla bottiglia da cui avevo deciso di attaccarmi direttamente. Poi risi:
“Probabilmente ancora per poco.. Ora ha iniziato a provarci anche Tyler.. E Jon, con le sue solite occhiatine...”
“Jon? Non è sposato?”
Scoppiai in una risata amara.
“Certo Mikey, come lo sei tu…”
Gli diedi un bacio sulle labbra per provocarlo e lui mi guardò con aria di rimprovero, ma sempre meno vigile.
“Ti va se andiamo a sbronzarci? Scommetto che Mr. Mckagan non mi direbbe mai di no”
Annuì silenzioso.
“Allora andiamo, e smettila di fare la faccia da cane bastonato, ho voglia di divertirmi, almeno quando ci sei tu!”

Cominciai a farmi a metà gennaio, quando cioè la mancanza che sentivo per i ragazzi e per Los Angeles divenne insopportabile. Iniziai con l’erba, dopo due giorni non bastò già più. Nel giro di una settimana ero passata all’eroina, in quantità parecchio fuori dal normale. Inizialmente ero stata malissimo, per la mia debolezza fisica e stronzate varie che nel ’92 mi avevano causato la febbre, ma prendendola così assiduamente, probabilmente sviluppai anticorpi e da allora continuai sempre di più. Con le dosi potevo stare tranquilla, ci pensava direttamente Saul Hudson a procurarmele, così non avevo altre preoccupazioni: non ci sarei rimasta secca, o almeno non per bassa qualità, ma per l’alta quantità. E poi, a chi sarebbe fregato se fossi morta sul serio? A me no di certo, forse a quei milioni di fans che stavo accumulando la fuori, ma ormai mi sembravano tutte sciocchezze e sogni sbagliati.
Pubblicai il mio primo disco il 2 febbraio dell’anno e arrivò in cima alle classifiche dopo una settimana. Incredibile è che oggi, se Appetite for Destruction è l’album di debutto di una band più venduto di sempre, il mio è il secondo. “Taken by A Crazy Train” era un album di otto tracce, alcune che seguivano le orme soul dei miei esempi preferiti, altre più dal genere rock che ammiravo e che imitavo dall’atmosfera di Los Angeles da cui provenivo. Roussian Roulette e Say My Name divennero i due singoli: il primo paragonava il mio ingresso nel mondo della musica ad una roulette russa, in cui bisogna essere pronti all’autodistruzione e lo stesso avere coraggio e affrontarlo se vuoi raggiungere i tuoi sogni. La seconda, era una specie di preghiera, o urlo di dolore dedicata all’unico uomo che si poteva meritare le mie sofferenze. Arrivò in cima alle classifiche e ci restò per tre settimane, le canzoni che parlavano di sentimenti, alla fine, erano quelle che, infatti, sentivo molto più mie di altre, per le quali, per esempio, avevo anche collaborato con altri per scriverle.
I concerti erano frequenti, in tutta l’America, soprattutto come headliner, ma anche come supporter di gruppi come Areosmith, Nirvana, Pearl Jam e Def Leppard.
La gente che frequentavo erano colleghi, che supportavano e sostenevano il mio cambiamento di stile di vita: Bret Michaels, Steven Tyler e Jon Bon Jovi divennero i primi miei spasimanti, amici, collaboratori e, soprattutto, compagni di sniffate e di letto.
Ad ogni modo, ero anche circondata da persone che si preoccupavano per me, primi tra tutti, Slash e Duff, unici due Guns con cui ero rimasta minimamente in contatto, poi venivano Amy e, in modo particolare, Brian, ma tutti i loro tentativi erano piuttosto vani: nessuno di loro poteva fare qualcosa per me, e lo sapevano. Probabilmente sarei morta, se avessi continuato così, ma il problema era che non mi importava niente e che la mia filosofia di vita assomigliava ora molto più a quella che Steven Adler mi aveva spiegato al matrimonio di Duff dell’anno prima: i miei sogni li avevo raggiunti, ero infelice e la mia vita poteva anche andare al diavolo, ma in gran stile, ossia dopo essermi goduta ogni briciolo di quello che mi restava.

Come ho detto, quindi, le mie serate erano piuttosto movimentate: le feste nei quartieri e nei locali giusti di New York non mancavano e molti uomini desideravano essere intrattenuti dalla sottoscritta. Comunque, fino ad inizio marzo, appunto, ero vergine: forse c’era qualcosa che mi spingeva a dire di no a quelle persone, quel qualcosa che mi ricordava che la “prima volta” doveva essere speciale, qualcosa che mi ricordava la mia vita prima di tutto questo, prima del successo, prima della droga, prima di Axl. Che mi ricordava l’amore, quello vero.
Ad ogni modo, la mia prima volta non fu affatto speciale. Me la ricordo in maniera sfocata, indefinita e, finora, è stata mantenuta segreta a chiunque, persino a mio marito, al quale ho raccontato che probabilmente fu uno dei soliti ragazzi che incontravo ai pub, anche se, appunto, non fu così.

Quella sera di marzo, infatti, Duff e io avevamo deciso di andare in un locale insieme, per fare quello che, alla fine, ci riusciva meglio: smettere di pensare.
Il posto era sovraffollato: con gli stivali a tacchi alti, lunghi fino al ginocchio, mi facevo strada tra la gente verso il bar, trascinando Duff stringendogli la mano. Ordinammo il primo giro, poi ovviamente il secondo e non so a quale ci fermammo, mi ricordo di aver ballato con lui, di averlo baciato, di lui che baciava me, di Steven Tyler che ad un certo punto era arrivato e mi aveva invitato a stare un po’ con lui, ma che Duff, visivamente andato, l’aveva allontanato bruscamente dicendo che quella sera ero sua. Tornammo a casa verso le tre, ma non ricordo il viaggio di ritorno.
Ricordo che, arrivata alla villa, in camera mia, mi ostinavo a saltare sul letto con Duff che non la smetteva di ridere, obbligandomi a cambiarmi per andare a dormire: scoteva la testa e si appoggiava al muro mentre mi guardava fare l’idiota con un altro drink in mano, dicendo “Forza vai a dormire, cambiati!”, tant’è che, ad un certo punto, mi ero fermata per rispondergli:
“Se no che succede?”
“Che cazzo ne so, ma non puoi dormire con quel vestito!”
“Allora toglimelo!”
Avevo esclamato io, come esasperata, per poi scoppiare a ridere e crollare sul letto, come svenuta, ma sorridendo, silenziosa.
Lui, che prima rideva e mi guardava, aveva cambiato espressione. Mi aveva guardato con occhi diversi, quasi di compassione, che non potevo criticargli viste le mie condizioni. Mi aveva accarezzato i capelli e mi aveva sollevata, iniziando a svestirmi lentamente, mentre mi baciava e mentre io facevo lo stesso, poi era semplicemente entrato nel mio letto.
Sempre con quella dolcezza, così inaspettata da una rockstar ubriaca, così fuori luogo e così diversa dal modo in cui i tanti altri uomini a cui avrei potuto concedermi avrebbero fatto, mi strinse e mi fece sua.
Non ricordo se fu speciale, non ricordo se provai dolore, non ricordo niente. Ricordo le sue braccia nude che mi stringevano forte, il calore e ricordo che, per la prima volta dopo tempo, mi sentii nuovamente protetta.

La mattina successiva, a sbronza finita, avevo aperto gli occhi per via della luce del sole che mi aveva svegliato e mi ero ritrovata stesa, con il viso sul suo petto nudo. Avevo alzato lo sguardo e, nonostante lo stupore di ritrovarmelo davanti, non mi sentii tradita, né arrabbiata: dormiva ancora, respirava tranquillamente e lo svegliai scostandogli piano i capelli dal viso.
In un primo momento sembrò spaesato, quanto me, ma poi parve riprendersi e mi sorrise incerto.
“Scusa..”
“Perché?”
Mi strinse piano.
“Meritavi di meglio, forse..”
“Forse un tempo, ora meritavo molto peggio..”
Mi diede un bacio sulla fronte.
“Ti.. dispiace?”
“No.. Non.. Non credo..”
“Devo andare a casa, ora..”
Annuii e mi scostai, guardandolo mentre si alzava e si rivestiva guardandosi ad uno specchio.
In silenzio. E la prima cosa che sentii, guardandolo nudo mentre si alzava dal mio letto e mi lasciava sola fu un vuoto insopportabile, che, ovviamente, riempii successivamente con altri uomini.

Diciamo che per noi non è mai stato facile ammettere questa cosa. Fu un favore che mi fece, così come mi spiegò tempo dopo: aveva capito che, prima o poi, qualcuno di quegli uomini si sarebbe stancato di sottostare alla mia volontà e temeva che qualcuno avrebbe potuto prendermi lo stesso e farmi male. Semplicemente ed incredibilmente, fu anche in quella stupida occasione così dolce da poter pensare a me, ai miei errori, a quello che stavo diventando e a quello che avrebbe potuto fare per aiutarmi. Che si trattasse di sesso o meno, poi, era un’altra questione.
So che dovrebbe essere una cosa intima e riservata, con una persona che davvero ami, ma non tutti hanno la possibilità di farlo, io ho corso il rischio che andasse molto peggio, e, come al solito, Duff mi ha salvato.
Non avemmo più rapporti simili, nemmeno ci baciammo mai sulle labbra, nemmeno ci chiamammo amore, ma da quel giorno ripresi un po’ della coscienza che stavo disperdendo e un po’ più di rispetto per lui, che in realtà, voleva soltanto proteggermi.
Le mie giornate si susseguivano in una maniera indefinita ed incontrollata, mentre le vendite del mio disco salivano e Mtv non la smetteva di dare a ripetizione i video dei miei singoli. I giornali scandalistici, in più, erano pieni di articoli su di me: in fondo, a tutti incuriosiva il fatto che, nonostante una voce fenomenale e la composizione di canzoni così belle, riuscissi ad essere una tale stronza. Sì, perché era quello che ero diventata.
Per esempio, quando ricevetti il mio primo Mtv awards per “Say my Name”, come migliore hit rock dell’anno, ero talmente fatta e andata che lo ricevetti barcollando e affermando che in realtà di Mtv non è che me ne fregasse tanto, venendo poi paragonata agli ubriachissimi Slash e Duff che, nell’88, riempirono il loro discorso di ringraziamento per Child o’ Mine con talmente tante parolacce che furono costretti a mandare la pubblicità per evitare che il pubblico a casa si scandalizzasse. Fui criticata per questo, oltre per il fatto che, ogni settimana, i paparazzi riuscivano a fotografarmi mentre baciavo un ragazzo diverso dall’altro, tra i quali, doppio scoop, potevano esserci il leader dei Bon Jovi, degli Areosmith, dei Poison, ma anche dei Mr. Big o, sì, lo ammetto, degli Skid Row. Ad ogni modo, dopo l’episodio con Duff, che per altro non rividi fino alla fine del mese, io e Bret diventammo una coppia a tutti gli effetti e i tabloid sembrarono calmarsi: “Finalmente Aree mette la testa a posto”, già, contenti loro, intanto la mia testa era strapiena d’oppio, ma loro che ne sapevano.

Non posso descrivervi ulteriormente quel periodo della mia vita, perché non ricordo nulla  e tutte le informazioni le sto appunto prendendo dagli articoli delle riviste.. Ricordo solamente che alcune mattine mi svegliavo in degli hotel, o in casa di qualcuno, davo un’occhiata al mio portafoglio, al mio passaporto e osservavo i timbri degli aeroporti delle nazioni che avevo visitato negli ultimi tempi, di cui non ricordavo assolutamente niente, se non quel timbro, che testimoniava che sì, io avevo cantato a San Francisco, a Los Angeles, in Canada e persino in Sud America.
Le uniche conferme della mia vita, erano Brian, la mia musica e l’eroina, il tutto accompagnato da una doccia di alcol. Fine.
Tutti mi dicevano che era ora di darsi una calmata o sarebbe finita troppo presto, tutti, ma io facevo spallucce e li ignoravo, e, ovviamente, sbagliai.
Il 26 marzo del 1993, Duff tornò a trovarmi,  nella mia gigantesca villa di New York, questa volta accompagnato da un fin troppo allegro Slash.

“Ed ecco l’ultima..”
Duff lasciò cadere sul materasso del letto dove stavo fumando a pancia in giù, l’ultima di una serie di riviste, con, in copertina, i Guns e, soprattutto, Axl.
Aprii un giornale a caso, sbuffando fumo dalle labbra rosse ed iniziai a leggere ad alta voce, divertita:
“Axl Rose, leader/dittatore della (Ormai Ex) band dei Guns N’ Roses, è ormai considerato dai fans colui che sta cercando di distruggere il suo stesso gruppo: dopo la sostituzione di Steven Adler con Matt Sorum e quella misteriosa di Izzy Stradlin con Gliby Clarke, la band, non sembra nemmeno più degna di portare il nome della magica formazione di Appetite for Destruction.
Intanto, si sentono rumors su un nuovo album. Di cosa si tratterà? Cover. Punk.
Il pubblico fischia quella che sembra l’ormai scomparsa ispirazione del leader che, pur di evitare di comporre, sceglie di pubblicare un album di sole cover, pure di dubbio gusto. Intanto, il resto della band sembra essere entrato in conflitto con lui per la traccia fantasma My World, inserita nell’ultimo album Use Your Illusion II, brano insopportabile e con un utilizzo discutibilissimo di un sintetizzatore da parte del cantante.
A salvare la situazione ormai di declino dell’intera band rock che, seppur per pochi anni, è stata la migliore di sempre, è forse il nuovo singolo uscito da quest’ultimo LP, Estranged, brano imponente, di durata superiore ai nove minuti, che sembra riportare alla luce quella poesia che il cantante, seppure raramente e sotto una rabbia ormai sempre più incontrollata, eccessi, abuso di droghe e comportamenti eccentrici, è riuscito a creare”
“Kerrang è sempre il più stronzo di tutti..”
Duff annuì alle parole annoiate di Slash, dandomi le spalle e guardando dalla finestra.
“Ma è tutto vero? Insomma, è uscito così di testa?”
Chiesi io ridendo.
“Ha ricominciato a farsi. Pesantemente, anche. Più o meno da.. Fammi pensare.. Oh, ma guarda, da quando te ne sei andata.. Ah, e, a proposito, sai come vuole chiamarlo quel maledetto nuovo album?”
Scossi la testa guardandolo con finto interesse.
“The Spaghetti Incident. Indovina un po’ qual è l’incidente.. E cosa gli ricordano gli spaghetti.. Pasta tipicamente italiana...”
Guardai Duff con aria confusa:
“Senti, amico, non è che ci possa fare un gran che, che era una testa di cazzo mi sembrava fosse chiaro a tutti..”
“Disse la stessa che ci ha sbavato dietro per un anno..”
Tirai una scarpa che trovai ai piedi del letto a Slash, che la schivò dandomi della pazza.
“Quello era prima di accorgermi quanto potesse essere stronzo, Slash, e ti consiglio di non parlarne più in mia presenza..”
Slash fece spallucce, con una finta smorfia spaventata. Lo guardai con nervosismo:
“Spero che tu almeno abbia la roba”
“A che dose sei oggi, scusa? Terza? Sono le quattro del pomeriggio, Minnie!”
Alzai gli occhi al cielo per poi sorridere a Duff, che distolse lo sguardo continuando a fumare nervosamente. La mano gli tremava leggermente.
Mentre preparavo la speedball con l’aiuto di Slash, lo notai:
“Ma che fai? Sei in astinenza?”
Duff si mise le mani tra i capelli, lasciando cadere la sigaretta ormai finita e non rispose, distogliendo velocemente lo sguardo.
Slash, con le mani impegnate a sorreggere il cucchiaino sull’accendino, rispose quasi ridendo:
“Il biondo qui ha deciso di smettere di bere vodka. Quindi praticamente l’ha sostituita con tre bottiglie di vino al giorno.. Geniale, no?”
“Sentite, vi state facendo davanti ai miei occhi, almeno non rompete. Cazzo.”
Sorrisi lievemente, mentre finalmente appoggiavo la punta della siringa sulla vena, Slash distratto a guardare il bassista. Prima che potesse dire qualcosa, però, premetti lo stantuffo quel tanto che bastava per.. Sentire già quella tanto attesa sensazione.. Per potermi finalmente sentire leggera, di nuovo libera, come prima, come quando.. Non mi bastava mai.. Ancora.. Io..

Niente.

I miei occhi si ribaltarono all’indietro, caddi all’indietro sul letto, dove mi ero messa seduta per l’iniezione.  Mi colpì una specie di attacco epilettico, durò poco meno di un minuto, poi mi calmai e semplicemente, smisi di muovermi.

Quello che ora scriverò, mi è stato successivamente raccontato, dato che i miei ricordi successivi sono di parecchio tempo dopo.
Slash rimase a fissarmi con gli occhi sbarrati, la paura, soprattutto, che lo colse impreparato. La sua mente, vagava tra le situazioni simili che, purtroppo, aveva già affrontato e si fermavano tutte su un solo nome: Todd Crew.
Il bassista dei Jetboy, amico dei Guns da quando si erano incontrati nei locali di Los Angeles nei primi ’80, aveva intrapreso con loro il primo tour dopo Appetite e, semplicemente, era morto di overdose nella camera di Slash, che aveva assistito impotente, provando a rianimarlo e ad aiutarlo, cullandolo, stringendolo, per poi sentirlo smettere di respirare sul suo petto, con ancora in mano il telefono con il quale aveva cercato di avvisare qualcuno.
Ora, con la siringa che gli era rimasta in mano dopo che si sfilò dal mio braccio, era pietrificato, con il labbro tremante, incapace di intervenire.
Duff si era voltato, sentendoci improvvisamente smettere di parlare, ed era corso al mio letto.
“Slash, cazzo..”
Non disse altro e mi alzò il viso ormai pallido, che non dava segni di risposta.
“Portala nel bagno, toglile i vestiti, mettila sotto l’acqua fredda, io chiamo qualcuno.. SLASH!”
Si voltò verso di lui, il viso sudato. Slash era paralizzato. Gli mise le mani sulle spalle.
“Lo so, lo so a cosa stai pensando ma non puoi permetterti che ricapiti, fa come ti ho detto Saul, o morirà. Mi hai sentito?! MINNIE MORIRA’, PERFAVORE CAZZO, AIUTAMI!”
Slash sembrò risvegliarsi, mi prese in braccio e andò in bagno per fare come Duff gli aveva ordinato. Intanto, il bassista, corse da Amy, per avvertirla e per chiedere un telefono.
“Pronto? Sì. Una ragazza è in overdose, l’indirizzo è.. No! Non potete arrivare tra mezz’ora! Senta, facciamo così: si tratta di Aree Monroe! OK?! Grazie.. Sì. Tra cinque minuti va bene.”

La casa si era semplicemente trasformata nel caos più totale: arrivarono due autoambulanze e un elicottero della stampa nello stesso momento, le pacifiche colline di New York diventarono un inferno.
I medici irruppero in casa e mi tirarono fuori dalla vasca, grazie alla quale, almeno, avevo ricominciato a respirare.
Mentre mi portavano fuori dalla villa, Slash e Duff rimasero sulla soglia, incapaci, impotenti davanti al casino che avevo fatto.
“Duff?”
“Cosa?”
Il bassista stava tentando di accendersi una sigaretta, con le mani che ora sembravano non potersi più fermare, mentre Slash l’aiutava.
“Dimmi che tra i nostri amici che sono andati in overdose, almeno uno si è salvato.. Per favore.”
Duff chiuse gli occhi e strinse una spalla del chitarrista. Todd se n’era andato. Michelle Young se n’era andata. E ancora i suoi pensieri non potevano conoscere la stessa fine che avrebbero fatto West Arkeen e Shannon Hoon. I Guns sembravano essere diventati un serial killer impazzito, che ovunque andasse seminava soltanto terrore, dolore, morte, travolgendo chi si fidava di loro, isolandosi.
“Minnie è diversa. Minnie è più forte di noi..”
“L’ho uccisa..”
Gli occhi di Duff si riaprirono, per guardare sconsolato Slash.
“Non dire stronzate..”
Il chitarrista si fissò i piedi, e, semplicemente, entrò nell’autoambulanza, dove il mio corpo ora giaceva su una barella, il battito del cuore regolare, lento, calmo, come se stesse per addormentarsi pure lui, insieme a me. Duff lo raggiunse e mi prese la mano. Blu.
Il chitarrista prese il cellulare e digitò un numero che, se fossi stata cosciente, avrei riconosciuto subito, poi, lo passò al biondo senza proferir parola.
“Axl?”

Duff. Che cazzo vuole. Mi fa male la testa. No. Ho perso.. Non..
“Cosa c’è?”
Lo sento, parla male, è preoccupato, forse si è strafatto troppo, magari l’avessi fatto io.
“Sono con Minnie”
Minnie. Minnie. Chi è Minnie. La amo. Amore mio. Sta bene. Perché mi chiama, vuole dirmi che m’ama, che tornerà da me. Chi è Minnie.
“Cos’è successo?”
“Lei.. Oddio Axl.. Mi dispiace lei..”
Ma che cazzo vuole farmi venire un.. un cosa. Ho male, ho male alla testa.
“Mi vuoi dire che cazzo succede Mckagan?”
“Axl, è in overdose”
No.
“No”
“Mi.. Mi dispiace.. Lei.. la stiamo portando in ospedale, qui a New York, io e Slash.”
IO. NON STO BENE. OK. ALLORA. Calma. NO.
“Ti avevo chiesto di proteggerla..”
“Axl, ti prego, che diamine ci potevo fare io?!”
NIENTE. Niente. Oh, Michael. Ma ora lei morirà e io.. Morirò anche io. Devo vederla. Devo.
Devo andare da lei e dire che la amo, che è la mia stessa vita, che non la lascerò andare mai più, che..
“Arrivo.”


Arrivata in ospedale, i medici dissero che ero caduta in una specie di coma e che, se non fossi stata curata in tempo, sarei potuta morire. Mi somministrarono centinaia di farmaci, naloxone per lo più e poi mi lasciarono. Semplicemente.
Dissero che mi sarei svegliata. Dissero forse. Dissero che sarebbe andato tutto bene.
Poi parlarono di percentuali, perché Duff senza numeri non ragionava.
Per l’intervento non tempestivo dei medici, c’era il 60% di probabilità che sarei morta.
 

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Capitolo 17
*** "Guns N' Roses - Coma" ***


“Guns n’ Roses – Coma”

Apro gli occhi.
Dove cazzo sono.
Metto a fuoco piano. Ok. Sono in camera mia? Sì. Questa è la mia camera, a casa di Axl.
Mi metto a sedere sul letto dove sono stesa. E’ strano. Non sento rumori, non sento nulla sulla pelle, è come se io potessi vedere e basta.
Mi guardo le mani, le muovo, le sto controllando, ma mi pare di essere lontana anni luce da tutto quello che sta succedendo. L’unica cosa che sento è un lontanissimo suono, regolare, che sento ad intervalli costanti, come un battito cardiaco. Provo a concentrarmi sul mio, non lo sento. Sento solo questo suono, se mi concentro su di esso tende a diventare infernale. Eppure non ho male alla testa, non ho male a nulla, è come con l’eroina. Ma più strano.
Provo ad alzarmi dal letto, non è faticoso, ma mi sento un fantasma. Vado verso la porta chiusa della mia camera, provo, riprovo: è chiusa.
Ok.
Forse sono morta. E’ finita.
Non ricordo niente, so chi sono, come mi chiamo, so che canto. Gli ultimi giorni della mia vita, però, sono scomparsi. Quindi questa è la morte? Questa e basta? Per l’infinito, chiusa in una stanza. Beh. Può sembrare orribile, ma non sento l’affanno, non sento la sofferenza, l’ansia. Potrebbe anche piacermi.
Mi rimetto a sedere sul letto.
Sento un suono. Un suono! Lo sento per davvero! La porta si apre. Cazzo, allora forse non sono morta. Vedo una persona. Duff. Duff?!
“Ciao.. Ciao bambolina.”
Ciao. Che succede man? Hai una faccia..
“Hanno detto che.. Potevo essere il primo a venirti a trovare..”
Beh, sei stato gentile.. ma ancora non capisco..
“Vedi, là fuori ci sono tutti.. Slash, io, Gilby e Matt.. E non ci crederai, ma persino Steven.. e Axl sono venuti.. Vogliono tutti venirti a salutare, a vedere come stai..”
Ok, ragazzi, mi state spaventando.. Sono qui, sto bene!
“Oh.. Sei così pallida.. Scusami, mi è difficile guardarti.. Eri così bella, Minnie..”
Mi guardo le mani preoccupata, si, effettivamente sono bianchissime..
“Diciamo che.. abbiamo deciso che ognuno poteva venire qui e, insomma, parlarti un po’.. Fare tipo un discorso o qualcosa di simile.. ti dico già che ho bevuto parecchio.. Quindi, non so quanto potrà venirmi bene questo.. Questo discorso, ma.. Vedi, potrebbe essere l’ultima volta che ci vediamo e.. Già questo mi riempie di.. Oddio non riesco..”
Si passa una mano sul viso.
Duff, stai piangendo? Sul serio? Tu che piangi? E’ strano..
Rialza il viso, mi guarda.
“Ok.. Allora, non so se puoi sentirmi..”
Certo che posso, stiamo parlando!
“Ma.. Ecco in breve quello che volevo dirti è che da quando sei arrivata.. Qualcosa è cambiato.. Ogni tanto, ti chiamavo angelo custode, perché credo che tu lo sia davvero.. Forse qualcuno ti ha mandato, per ricominciare a farci vivere o qualcosa del genere.. Il gruppo si stava davvero per sciogliere, Minnie, quando sei arrivata, e noi sapevamo che tu eri una fan e abbiamo fatto di tutto per non fartelo vedere e, in questo modo, alla fine, ci siamo riavvicinati davvero.. Ora so che tu stai pensando che Steven e Izzy se ne sono andati, ma.. Io, Slash e Axl, siamo amici e scriviamo musica, insieme, come pensavamo di non riuscire più a fare! Grazie a te.. E allontanare Steven in un certo senso, ci ha permesso di allontanarci un po’ dalla roba, ma..
Tutti i nostri problemi, ora, sembra che si siano riversati su di te.. E’ come vederci, vedere noi sotto gli occhi di un altro, e ora capisco.. Capisco quanto faccia male.. Mi manchi. Sei così solo da un paio di giorni ma è diverso, senza di te.. Senza sapere che se chiamo tu rispondi o.. cose così insomma.. Tutto quello a cui riesco a pensare ora, guardandoti, è che ho rovinato tutto.. Ax mi ha chiesto di proteggerti e ha ragione ad essere deluso: guarda che cosa ho fatto..
Non c’è uno di noi, che non si senta in colpa.”
Lo guardo. Non capisco di cosa stia parlando, ma sento quanto sta male.
Che cosa posso fare Duff, per farti smettere di soffrire? Dimmi cosa!
“Svegliati, bambolina.. E cercherò di migliorare..”
Si avvicina a me e mi dà un bacio sulla guancia, leggero, dolce. Dolcissimo Duff, che diamine è successo? Axl ti ha chiesto di proteggermi? Davvero non capisco..
Provo a prendergli la mano, ma non ci arrivo, è già lontano, sta uscendo dalla porta.
Rimango di nuovo sola.

Mi accorgo solo ora che alla finestra della camera, tutto quello che si vede è bianco. Come quando nevica: il cielo è solo un gruppo indefinito di nuvole candide che si confonde con i fiocchi e semplicemente non si capisce più nulla, non si distingue niente e tutto è semplicemente bianco.
Come se quella finestra fosse stata attaccata ad un pannello di carta, come se quella stanza fosse stata sospesa nel vuoto.
La porta si riapre. Slash e Steven.
Steve! Oddio Steve, da quanto tempo è che non ti vedo! Mi sei mancato alla follia.. E Slash! Anche voi con quelle espressioni.. Ma siete insieme! Da quanto tempo non stavate insieme?
Si guardano, Slash non parla. Inizia il batterista.
“Ciao Minnie.. Ahm.. Matt e Gilby non vogliono entrare, hanno detto che.. Beh, preferiscono dare il tempo delle visite a noi, che ti conosciamo un po’ meglio.. Anche se, in realtà, io non sono mai stato così.. Insomma.. vicino a te”
Tu sei mio amico, come tutti gli altri, Steve..
“Beh, non so.. Non so cosa dire in realtà, io e anche Slash, vorremmo solo che tu aprissi gli occhi e tornassi com’eri.. Saul, davvero non vuoi dire niente?”
Il chitarrista sospira, ha gli occhi puntati nel vuoto, è spaventato, non gli avevo mai visto quell’espressione.
Ti ascolto, Slash, non avere paura.
“Non so cosa dire.”
“Potrebbe essere l’ultima volta che le dici qualcosa..”
“Parli come se potesse sentirci..”
“Non puoi saperlo!”
Cazzo, ma siete scemi? Posso sentirvi, sono qui!
Alzo le braccia, le agito davanti ai loro occhi, ma sembrano incapaci di notarmi, però intanto Slash decide di parlare:
“Beh.. Minnie, devi sapere che mi è difficile confrontarmi con.. Con te adesso, perché davvero ho paura che sia finita qui.. E senza di te, anche se non l’ho mai dimostrato.. Beh.. C’è un grande vuoto.. Scusa, non sono mai stato un gran che con le parole.. Ma.. Sappi che sei sempre stata molto speciale e ho apprezzato tutto quello che hai fatto.. Non hai idea di quanto in questo momento io stia di merda perché penso al fatto..”
Guarda Steven, l’aria confusa. D’un tratto si, gira e alza la voce:
“Beh penso al fatto che se non ti avessi riempito di quella merda, non saresti in coma adesso, non staresti per morire, e tutto sarebbe.. Che cazzo ne so, sei contento adesso?”
Apre la porta e se le la richiude alle spalle.
Mi dispiace Saul, è orribile vederti così. Davvero è questo il problema? Non sono morta, ma sto per morire? Non è così male, suvvia ragazzi, potete sopravvivere senza di me..
“Scusalo, bambolina.. E’ che da quando è morto Todd, non.. Cerca, sempre, di allontanarsi da queste situazioni, quando magari tu hai solo bisogno di un po’ di compagnia.. Non lo so.”
Sospira. Non ho mai sentito tanti sospiri come in questa stanza.
Mi scosta i capelli dal viso, sorride. Non è il suo solito sorriso. Davvero sono riuscita a far scomparire il sorriso di Steven?
Anche lui se ne va.

So perfettamente chi è l’unico che manca all’appello. Non so se ho voglia di vederlo. Ecco tutto.
Ma, per quanto vorrei poterglielo dire e potergli urlare di andarsene, non posso farlo.
Oh, cavolo. Eccolo.
Cammina piano, verso il mio letto. Ha i capelli in una coda. Sembra invecchiato di anni. Che cazzo ti è successo, Axl? Sono io quella in coma su un letto, non lo sai?
Si siede vicino a me. Non parla. Sembra che non respiri nemmeno. Continua a fissarsi le mani. L’unico movimento che fa è trascinare lentamente una mano sulla sua guancia per asciugarsi un occhio. Sta piangendo? Quella stessa mano ora prende la mia.
Lo sento. Sento che me la sta stringendo. Sento il calore.
“Scusa.. Amore mio..”
Vai avanti. No. Non ricominciare a stare zitto. Parla. Dimmi qualcosa, Axl! Dimmela o mi rifiuto di aprire gli occhi.
Si alza e il suo viso scende sul mio, mi bacia piano, poi la sua guancia rimane appoggiata alla mia. Sento anche quella. Sento lui. E sento le sue lacrime che scendono su di me. Ti prego, Rose, finiscila o farai piangere anche me..
Poi lui si rialza, e sembra pronto per andarsene.
No. Ti prego, resta qui.. Aspetta! Provo a ricambiargli quella stretta di mano prima che mi lasci, provo a concentrarmi, a sentirla, a fargli sentire ancora quel briciolo di calore che mi è rimasto in corpo.
Si volta di scatto.
Guarda le nostre mani ancora avvolte in una stretta. Poi mi guarda in faccia, per un attimo, negli occhi, ancora un po’ di speranza. Mi ha sentita.
“Minnie?”
Si. Sono io, dimmi ancora che mi ami.. Dillo, ti prego. Non andare.
Si rivolta. Stringe gli occhi forte. Lascia la mia mano e io mi sento come sprofondare ancora di più in quel baratro che mi sta pian piano avvolgendo.
Se ne va.

Mi ha fatto male, vederlo. Mi ha fatto male vedere tutti e quattro. Mi accorgo solo ora di quanto si stia bene in quell’abisso che si sta costruendo attorno a me, di quanto sia confortevole, di quanto, stando da sola, non senta più un briciolo di sofferenze. Le uniche che ho sentito, sono quelle che mi hanno trasmesso i ragazzi venendo qui.
Perché dovrei svegliarmi per risentirle tutte?
Chi mi obbliga a tornare? A tornare per chi poi? Per Axl? L’uomo che persino ora non è riuscito a credermi, a fidarsi di quello che sente. Loro sono miei amici e sono tutti tremendamente lontani. Gli uomini di cui ora mi sono circondata, loro, nemmeno uno è venuto qui oggi a trovarmi, come hanno fatto gli altri. Odio questa cosa. Loro non mi meritano. Posso anche crepare, per loro.
Saranno accontentati.
Io muoio.
La porta si apre di nuovo.
E’ passato più tempo questa volta, tra una visita e l’altra.
La figura che è entrata, ancora non si volta: ha la barba incolta e i capelli neri, ma non riesco a riconoscerla.
Poi, si gira.
Non so se scoppiare a piangere, a ridere, o semplicemente se mettermi ad urlare. Ma non posso fare nulla. Dio. Dove sei stato?
“Ciao, Minnie.. O Aree.. E’ così che ti fai chiamare, adesso, vero? E’ un bel nome..”
Sorride, più a sé stesso che a me.
“Vedi, se avessi saputo che sarebbe finita così, non ti avrei lasciato qui. Ti avrei obbligato a venire con me.”
Lo so. Ho sbagliato. Mi dispiace.
“Ma non è colpa tua.. Ora.. Non è colpa di nessuno, in realtà..
Avrei preferito vederti in altre condizioni, ma è bello riaverti qui vicina..”
Mi sei mancato tantissimo, coglione. Smettila di sorridere e chiedimi scusa. Non hai visto? Ho bisogno di te, guarda che casino ho combinato mentre non c’eri..
“Ascoltami, ho poco tempo. Gli altri non sanno che sono venuto a trovarti.. In realtà non lo sanno neanche i medici, se qualcuno mi vede, è la fine, ma non potevo permettermi di non passare.. In realtà, devo dirti una cosa importante.”
Tutto quello che vuoi.. Sono qui.
“Quando ho smesso con la roba.. L’ho fatto perché è successa una brutta cosa. E non l’ho mai rivelata a nessuno, ma il fatto è che mi spaventai parecchio. Il punto è che anche io caddi in overdose e.. Nessuno parve accorgersene, ero con Annica, lei mi ha aiutato, ma.. Diciamo che mi sono rimesso in sesto per miracolo, perché il problema era che io non volevo più vivere e un corpo che non lotta per la sopravvivenza difficilmente si salva. Ora Minnie, io sono qui, perché tu devi vivere.”
Oh, ti prego, non iniziare anche tu..
“Se tu perdi la speranza, allora muori”
E che c’è di male?
“Ti prego, ascoltami! Non ti permetterò di morire, ok? Non te lo lascerò fare. A costo di restare qui fino a quando non apri quei cazzo di occhi e non mi prometti che non farai più stronzate! Hai diciotto anni Minnie! Diciotto! A quell’età io ero appena arrivato a Los Angeles, ed era il mio inizio! Tu, tu hai già fatto così tante cose ma non significa che tu non possa farne ancora! La parte più bella di un sogno, non è quando si realizza, ma è la possibilità di crearne ancora, ancora e ancora, sempre più magici e irraggiungibili. E lo so che questo può sembrarti sinonimo di insoddisfazione, ma il tempo per essere soddisfatta ce l’avrai, forse quando la vita finirà, è vero, ma non è ancora arrivato il momento.. Perché smettere di lottare? Perché ora?”
Non c’è più niente, per cui lottare. Axl è lontano.
“C’è sempre qualcosa. Lo decidi tu. Lo sai bambolina? Tutto alla fine si sistema, ma se ancora non si è sistemato, vuol dire che non è la fine..”
Lo guardo. Che palle. Ha ragione. Come al solito. Grandissimo stronzo, Izzy, davvero ti diverti a ricomparire solo per salvarmi la pelle? Sei un gran figlio di puttana, ammettilo.
“Mi prometti che ti sveglierai Minnie? Promettimelo..”
Te lo prometto, Izz.. Vedrai.

In un attimo la stanza sembra scomparire. Le pareti si dissolvono nell’aria, mi ritrovo come a fluttuare in un nulla infinito.
NO! Ho deciso di vivere.. Non è troppo tardi!
Mi pare di venire schiacciata da un senso di oppressione tale da non poter più respirare, stringo gli occhi con tutta la forza che ho, fino a farmeli lacrimare, fino a farmi male, fino a vedere un buio inesistente e sorpassare anche quello. Poi, tutto, fine.

Alle 19.30 del terzo giorno che passai in coma, 29 marzo del 1993,
aprii gli occhi.
Vidi le infermiere, per un attimo il sorriso di Duff e Slash. Nessuna traccia di Axl.
Nessuna di Izzy.
Poi caddi addormentata, quando mi risvegliai, nessuno di loro, se non il bassista seduto a fianco al mio letto, leggermente assopito su una poltrona.
“Izzy è stato qui.”
Sobbalzò, sgranando gli occhi e si alzò di scatto per venirmi vicino:
“Bimba, grazie a Dio.. Come ti senti?”
“Izzy è stato qui.”
“Come dici? N-No.. Non.. Non è possibile, Min. Solo io e Slash siamo rimasti in questi giorni.. Non sai quanto ci hai spaventato Min..”
“Io l’ho visto..”
Si passò una mano sui capelli, scotendo la testa mentre sorrideva.
“Io.. Non so.. Forse è meglio che riposi, ora, bambolina..
Vedrai che tutto andrà bene..”
 



 
 
----------------------------Nota dell’autore:
Mi rifaccio viva con una nota, dopo diversi capitoli e diverse settimane. Come avrete notato c’è stato un salto temporale di alcuni mesi tra la fine del 92 e marzo del 93, e dal di qui alla fine della ff ce ne saranno ancora, visto che il racconto si incentrava soprattutto sui mesi del ’92 e che ora stiamo iniziando ad andare verso la conclusione ;)
Ho scelto di inserire una nota proprio in questo capitolo perché lo considero un po’ speciale: come avrete notato è diverso dagli altri già nella lunghezza, ma in particolare ho voluto entrare in quell’atmosfera ovattata e confusa cercando di immedesimarmi nelle sensazioni che può provare Minnie, in coma, dopo un’overdose. E’ stato uno dei primi capitoli che ho scritto, proprio perché una situazione simile mi ispirava e mi faceva venir voglia di scrivere, un po’ perché le situazioni inverosimili e intimistiche sono anche le mie preferite **
Detto questo spero sempre in più recensioni e in più visualizzazioni, ma soprattutto spero che la storia vi stia piacendo sul serio, perché ormai Minnie è diventata una parte di me, e spero che per voi, per quanto per una scrittrice sia difficile riuscire in questo, sia lo stesso.
Un bacio, alla prossima
Nicky

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Capitolo 18
*** Dicembre, 1993 "Guns N' Roses - Patience" ***


Dicembre, 1993 “Guns N’ Roses – Patience”

“18/12/1993, Metal Magazine
                   Illuminante il discorso di Aree Monroe sul palco di Salt Lake City.
Dopo essersi completamente ripulita, torna ad essere il simbolo per milioni di fans di un sogno che si realizza e di un’artista incredibilmente competente che riesce in tutto quello che fa.
Dopo che Taken By a Crazy Train ha ormai eclissato la maggior parte degli album usciti questo stesso anno, la cantante continua a stupire nei suoi meravigliosi concerti, come appunto in quest’ultimo, dove afferma che non vuole essere ora una santa ammirata più dai genitori che dai fans, ma che vuole avvisare di non crollare alle tentazioni, perché seppur inizialmente può sembrare un modo per essere padroni delle proprie scelte, si finisce per essere solamente schiavi, ridotti al nulla, mentre ci si sente il padrone del mondo. E poi si muore. Queste le parole toccanti dell’artista sulla droga e sulle dipendenze, che affascinano un pubblico ammutolito che la ammira ora come una nuova profeta, come se, dopo Jim Morrison, sia lei a poter dare di nuovo quel lume di speranza a giovani bisognosi di trovare la propria strada.
“Per citare un oramai molto lontano amico (Axl Rose, discorso a Chicago 1992, nda), forse non è accaduto e non accadrà a voi, ma accadrà alla persona a fianco a voi e tutto quello che gli serve ora è supporto.. Chiedo quindi a tutti voi di prendervi per mano, per quanto la dobbiate stringere a sconosciuti. Ok.. Sollevatele in aria, e cantiamo insieme il prossimo brano..”
Aree Monroe, forse, rimarrà il simbolo di quest’anno, oppure, si trasformerà in un’icona della musica con una carriera brillante e prospera che continuerà per ancora tanti anni. Nel frattempo, non possiamo fare altro che ammirarla da lontano e prenotare i biglietti per il suo prossimo concerto.”

Mi chiedo per quanto tempo sarò costretto così. A leggere di lei sui giornali, ad ammirarla da lontano mentre mi distruggo. Lei è stata male per colpa mia, ma ora si è ripresa. Anche io sto male per colpa mia, ma ancora non posso sopportarlo. Ho deciso, che, in qualche modo, devo rivederla. Ci ho provato a resisterle.. Ma in fondo ora.. In fondo.. Pensavo che allontanandola mi sarebbe passata, e lei avrebbe realizzato il suo sogno.. L’ha fatto, ma io la amo ancora e che cazzo ci posso fare. Non ho nient’altro.
Mi chiedo che cosa ancora mi separi dallo spararmi un colpo in testa, probabilmente metà del mondo che un tempo mi ammirava ora sarebbe solo contenta.
Forse solo la speranza che ho un giorno di rivederla. E mi sono stancato di aspettare.
Prendo il telefono, il numero di Filler l’ho dimenticato. Ci penserà David Geffen.
“Geffen. Ho bisogno del numero del manager di Min.. di Aree Monroe.. Filler, mi sembra si chiami Brian..”
“Signor Rose! Da quanto tempo.. Come mai è così interessato?”
Come mai non si fa i cazzo di cazzi suoi questo stronzo?
“Mi serve e basta, David.”
“E non posso saperne il motivo?”
Oh, ma che palle!
“Vorrei che Aree Monroe aprisse il concerto per i Guns N’ Roses a Times Square e no: non può dirmi di no. E’ perfetto: lei ci fa i soldi perché sarà una vecchia reunion tra noi e lei che ai fan piacerà molto, quindi non ha motivo per cui lamentarsene..”
“Vedo che ci ha ragionato molto, ma, lei, se mi è concesso.. Cosa ci guadagna? I rapporti con la signorina Monroe mi sembravano ormai deteriorati..”
La tua testa, David, è deteriorata.
“Ho i miei buoni motivi.”
“A lei il compito di convincere il suo manager, questo è il numero, buona fortuna...”
Ok. Ora dovrebbe tutto essere più semplice.

“Parlo con Brian Filler?”
“Sì?”
“Sono Axl..Rose!”
E chi se altro..
“Signor Rose?! E’.. Un.. Vero piac..”
“Sì, come ti pare, senti voglio che Minnie canti al concerto della vigilia dei Guns.”
Che silenzio, quanto ci metti a rispondere, sveglio.
“Con tutto il rispetto, ma non credo che accetterà..”
“Allora, fai in modo che lo faccia. No?”
“Io ho il solo compito di informarla, non di convincerla!”
Testa di cazzo. Ma non lo capisce nessuno che ho bisogno di lei?
“Ok, signor Filler, chiariamoci. Io ho bisogno di parlare con Minnie e devo trovare un modo per farlo. E’ molto semplice, ma ho bisogno del suo aiuto..”
“Signor Rose, un appuntamento con lei è troppo banale?”
“No, cazzo, ma insomma.. Credi che accetterebbe?!”
“Beh, probabilmente no, ma è proprio per questo che non accetterà nemmeno di partecipare al concerto.. Io non capisco..”
Pronto?Ma c’è o ci fa? Ho bisogno della dose di oggi o finirà male. Prendi fiato e sii cortese.
“Signor Filler è il sogno di Minnie cantare a Times Square..”
E me lo ricordo io. Insomma.
Felice di averle dato un manager di merda e che la sua carriera sia comunque migliore della mia.


Sulla mia scrivania, non c’era nulla che fosse al suo posto. Tutto era occupato da una montagna di fogli di carta, parole scritte a metà, testi sciupati, buttati, ripescati settimane dopo, scarabocchi, penne, pentagrammi, un tutto disordinato su quello che un tempo doveva essere un funzionale tavolo da lavoro. In compenso, tutti erano d’accordo sul fatto che era meglio che il disordine fosse dato dalla musica che dalle bottiglie vuote o dai mozziconi spenti.
Fumavo ancora, raramente erba, ma dopo l’overdose non avevo toccato più nessun tipo di droga pesante.
Non so che cosa cambiò: forse, in quel coma, che ricordavo, ora, più come un sogno lontano che come una personale e momentanea cognizione della realtà, mi ero comunque resa conto di quanto avessi ancora da dare in questa vita, o qualcosa del genere. Il ricordo che avevo, comunque, fisso, era il viso di Izzy che mi parlava, che mi dava forza, per quanto non sapessi se, effettivamente, era venuto a trovarmi mentre ero in quelle condizioni: nonostante, probabilmente, lui fosse lontano migliaia di chilometri, senza un cellulare o senza media che potessero avvisarlo dell’accaduto, una parte di me, mi spingeva a crederci.
Per il resto dell’anno, comunque, mi concentrai sulla musica. Smisi di frequentare i locali e i ragazzi, che, a differenza mia, non si erano affatto ripuliti e che mi avrebbero nuovamente tentato e, nonostante la mia relazione con Bret non fosse ancora finita, mi concentrai molto di più su amici che avevo conosciuto prima di rovinarmi, primo fra tutti: Kurt.

Dopo la nascita della figlia, il cantante aveva ritrovato un po’ di quella felicità che nel suo sguardo non avevo mai notato, ma contro di lui restavano i litigi con la moglie e le sue dipendenze. Nonostante tutto, la carriera dei Nirvana continuava a dare i suoi frutti: nel settembre di quell’anno uscì In Utero, che, nonostante, per ovvi motivi, non raggiunse mai il successo di Nevermind, è un album che mi è sempre piaciuto moltissimo e che fu accolto molto positivamente dalla critica. In particolare, il pezzo Heart Shaped Box, mi piacque tanto: fu anche l’unico brano di cui la band girò un videoclip, qualcosa di strano, metaforico e drogato che non riuscii mai appieno a capire, ma che, per lo stesso motivo, mi ricordò Kurt stesso.
Spesso, io e il cantante ci vedevamo e lavoravamo insieme, anche se, a volte, era difficile ragionare con lui, per via di momenti di sfiducia per sé stesso e per la vita che non lo lasciavano quasi respirare: aveva questi attacchi, si perdeva in una depressione apparentemente immotivata e aveva bisogno di andare a casa. Non capitava spesso, ma, a volte, mi faceva sentire impotente e incapace di aiutarlo, per quanto avessi sempre voluto.
Il problema principale di Kurt, probabilmente, è sempre stato nella sua incredibile sensibilità: mi diceva di sentire sempre tutti i problemi, sia i suoi che quegli degli altri, addosso e che in quei momenti si sentiva sopraffatto, incapace di lottare. Quella famosa empatia, che da sempre ha poi caratterizzato il suo personaggio essendo stato il soggetto principale nella sua lettera di suicidio, in realtà, per lui, non è mai stata una caratteristica positiva: si trattava di un’empatia eccessivamente calda che faceva sì che, non solo sentisse i problemi altrui, ma che ci si immedesimasse appieno, perdendo la cognizione di sé stesso.

Dall’altra parte, mi ritrovavo a condividere il mio tempo libero con Bret Michaels: eccentrico, egoista e talvolta eccessivo personaggio della scena di quell’hair metal che ormai stava finendo. Non so perché alla fine rimasi con lui per così tanto tempo: si trattava più che altro di sesso, nessuno dei due chiedeva all’altro fedeltà o impegno. Semplicemente, sapevamo di esserci l’uno per l’altro, e anche per la stampa, soprattutto, ma per entrambi fu utile, in quel periodo, avere almeno una certezza. Comunque, dietro al suo apparentemente spropositato ego, si celava un animo molto dolce, una simpatia capace di coinvolgerti e di distrarti e, soprattutto, un piccolo lato sofferente, per quella carriera dei Poison che alla fine non spiccò mai, che arrivò in una scena Glam troppo tardi per poi venire soppiantata dal Grunge.

La mia figura di artista, perciò, si ritrovava in mezzo a colleghi rivali e appartenenti a generi totalmente diversi, ispirata da voci soul degli anni ’50 e ’60, innamorata del rock degli ’80 e contagiata dal progressive degli anni ’70. Il mix che ne usciva fuori, fu qualcosa di simile a Prince, uno dei pochi artisti che era riuscito ad unire R&B a un rock più aggressivo, e, allo stesso tempo, qualcosa di completamente nuovo, che alla critica, ma anche ai fan, piacque subito. Quello che cercavo di evitare era ripetermi e cadere nella banalità: ogni pezzo e ogni album che facevo, doveva essere contraddistinto da qualcosa di nuovo, da quell’effetto sorpresa che nessuno si sarebbe aspettato.

Quel pomeriggio, immersa fino al collo nel lavoro su quella che, appunto, un tempo, era stata la mia incolume scrivania, venni interrotta da Amy, che mi portò il caffè e alcune lettere da parte di Bret, che al momento era impegnato in un tour di alcune settimane per promuovere l’ultimo disco, Native Tongue.
“Grazie, Amy..”
Bevvi il caffè, mentre lei apriva la finestra e lasciava entrare più luce.
“Non aprite le lettere, signorina Monroe?”
“Magari più tardi”
“Posso fare qualcos’altro per voi?”
Alzai gli occhi per pensarci ma, alla fine, le sorrisi e le feci cenno di no.
Lei si girò per uscire, ma, in quel momento, suonò il telefono e allora si affrettò per rispondere, mentre io la guardavo distrattamente allontanarsi.
Dopo pochi secondi, tornò con in mano la cornetta:
“Mr. Filler, Signorina..”
Presi il telefono velocemente e la ringraziai.

“Brian?”
“Minnie! Come andiamo? Tutto ok?”
“Sì, direi di sì..”
Lo sentii tentennare.
“Hai qualcosa da dirmi, Brian?”
“No! No.. Solo.. Ho.. Una notizia importante.”
“..Cioè?”
Prese il fiato, come per recitare un discorso su cui doveva aver già ragionato parecchio.
“Diciamo che.. Ho una notizia buona e una cattiva..”
“Prima la buona, grazie..”
Lui sospirò, quasi sollevato.
“Qual è il posto in cui mi hai sempre chiesto di poterti esibire, per il quale aspetti notizie tutte le volte che parliamo?”
Sorrisi fra me e me, gli occhi mi si illuminarono:
“Non mi dirai che..”
“Sì. Times Square è pronta per ospitare come supporter di una.. Importante band, Aree Monroe, per il concerto della vigilia di Natale. Diretta mondiale, migliaia di fans e una pubblicità incredibile..”
“Ma è fantastico! Ti adoro! Grazie!”
“La notizia cattiva però è che..”
Scossi la testa:
“Ho capito, farò da supporter, non mi importa! Sul serio..”
“Beh, il problema è la band per cui dovrai aprire..”
“Perché mai? Sono di un genere lontano dal mio? Sono.. Non so, gli Aerosmith? I Bon jovi? Gente che non sento da tempo per via di conflitti..”
Sorrisi, poteva essere davvero chiunque, non mi sarebbe importato assolutamente niente.
Sentii un sospiro dall’altro capo del telefono.
“Sono i Guns N’ Roses, Minnie.”
“Ah.”

Non so, quando me lo disse, una parte di me avrebbe preferito sotterrarsi piuttosto che andare e fare quel concerto, ma quel mio primo pensiero venne immediatamente soppiantato dalla mia professionalità, che mi imponeva di andare e cantare, di non abbassarmi al livello di nessuno e di fare quello che mi avevano richiesto: esibirmi a Times Square, come supporter o meno. Di quale band, non mi importava. Punto.
Ovviamente, erano stronzate: Duff e Slash, dopo il mio risveglio dal coma, erano restati con me un paio di giorni, poi, semplicemente, erano tornati a L.A. Mi dissero: “Ci sentiamo, come al solito”. Poi, però, scomparvero: Duff non mi chiamò più, Slash non si fece più sentire, non ebbi più visite e tutti i contatti si ruppero, visto che ora non mi serviva nemmeno più il pusher che si occupava delle spedizioni delle dosi che mi inviava il chitarrista.
Appena sentii il nome Guns N’ Roses, mi riaffiorarono, perciò, tutti quei sentimenti contrastanti che avevo nei loro confronti: l’amicizia profonda che avevo con tutti loro, l’odio che ora collegavo a quel totale abbandono che mi avevano dedicato, la delusione che mi aveva provocato Duff non chiamandomi più nemmeno una volta, la tristezza per Izzy, i sensi di colpa per lui e Steven. Axl.

“Io.. Ti capisco Minnie, se non vuoi accettare è ok..”
“No, scherzi? Certo che accetto, è perfetto!”
Sorrisi, più per convincere me stessa di quello che stavo dicendo che per altro.
“Davvero?”
“Certo.. Insomma, non sono più una ragazzina, ti pare..”
“Oh.. beh.. Ok! No, insomma, ci speravo.. non avevo dubbi!”
“E’ ok, Brian. Ho però una condizione..”
Si tirò un attimo indietro:
“Ah. Di cosa si tratta?”
“Non voglio vederli.”
Silenzio.
Sì. Forse quella sarebbe stata l’idea migliore per vivere con serenità quella serata. E basta.
“Ti spiego: io arrivo lì all’orario stabilito, faccio il soundcheck, mi chiudo in camerino e non voglio visite, quando è il mio momento salgo sul palco e canto meglio che posso, e, poi, voglio la limousine fuori ad attendermi nel momento in cui finisco il mio spettacolo. Non assisterò al concertò dei Guns N’ Roses e non voglio averci nulla a che fare. Ho i miei impegni anche io. Il giorno dopo è Natale e vorrei andare dai miei genitori, magari. A proposito, prenotami il volo.”
“P-Per l’Italia..?”
“Sì. Voglio arrivare presto in mattinata. E segnati tutto quello che ti ho detto, voglio che, tra una settimana, lo spettacolo sia perfetto..”
“Certamente..”
La telefonata d’un tratto divenne silenziosa. Mi sentii subito in colpa per come gli avevo parlato, il nostro rapporto era sempre stato di rispetto profondissimo, nessuno dei due era superiore all’altro: entrambi, da soli, non saremmo riusciti a fare nulla.
“Scusami, Brian.. Sono un po’ stressata..”
“Non preoccuparti.. Solo.. Credo che non ti farebbe male, parlare con quei ragazzi.. Almeno.. Provarci..”
“No. Su questo non voglio discussioni.. Mi dispiace.. Ci sentiamo.”
Chiusi la telefonata e mi rimisi alla scrivania come se nulla fosse, come se il mio stomaco non fosse diventato d’un tratto la scena di un dolore misto di rimpianti, paura e preoccupazioni.

Il 24 dicembre arrivò in un soffio, e, in un attimo, mi ritrovai nel backstage del palco sul quale mi sarei dovuta esibire a momenti.
Quando alcuni addetti mi chiamarono, seguii la routine e andai a posizionarmi dietro al palco mentre il presentatore annunciava il mio nome.
“Bambolina?”
Mi voltai, gli occhi di Matt Sorum sorridevano a due passi da me. Lo guardai confusa. Non ricambiai il sorriso.
Chiamarono il mio nome e nonostante io continuassi a guardarlo, mi mandarono quasi a forza sul palco.
Il concerto non andò male. Non fu neanche dei migliori. Ero probabilmente parecchio distratta, e per quanto tutto parve perfetto, non riuscii a dare un’interpretazione degna ad ogni mio pezzo e nemmeno paragonabile a quella che di solito riuscivo a fare.
Quando tornai nei camerini, camminai a gran velocità sui tacchi altissimi, guardando per terra, sperando con tutto il cuore di non incontrare più nessuno. Entrai nella mia stanza velocemente e mi chiusi la porta alle spalle. Raccattai velocemente la mia roba.
Riempita la borsa, corsi letteralmente da Brian.
“La limousine è arrivata?”
“Ah.. Minnie, mi dispiace ma..”
Si grattò nervosamente la testa:
“E’ leggermente in ritardo..”
Lo incenerii con lo sguardo.
“Puoi.. Aspettare nel tuo camerino anche se.. Credo che qualcuno voglia entrare a salutarti..”
Brian mi indicò qualcosa dietro di me. Serrai i pugni e lanciai un’ultima occhiata piena di rabbia al mio manager.
Mi voltai piano.

Riconobbi subito la figura alta di Duff, ma non mi permisi nemmeno di guardarlo in faccia.
Brian se ne andò e ci lasciò soli nel corridoio. Stronzo.
Prima di poter scappare a gambe levate e di rinchiudermi dentro al mio camerino con due giri di chiave, Duff fece la cosa più stupida che potesse fare: mi salutò.
Non lo lasciai nemmeno finire:
“Perché non mi hai chiamata?”
“Perché non l’hai fatto tu?”
Iniziai nervosamente a giocare con una collanina che avevo indosso, mentre lui sembrava sempre più stizzito.
“Io non.. Non volevo disturbare, che ne sapevo di quello che facevi tu..”
Sorrise sarcastico.
“Ci mancherebbe.. Io invece, pensa, non ti ho mai chiamato perché temevo che tu fossi di nuovo crollata nella roba. Sono stato talmente di merda nel vederti in quello stato che.. Ho pensato che chiamandoti mi sarebbe ricapitato.. A quanto pare mi sbagliavo, ma il fatto che tu sei scomparsa ha alimentato i miei dubbi..”
Mi morsi un labbro. Cazzo. Avevo sbagliato, di nuovo.
Per scusarmi, alzai finalmente gli occhi sul suo viso, ma le parole mi morirono in gola non appena lo vidi.
“Che cazzo ti è successo..?”
Duff scostò lo sguardo velocemente, tirandosi leggermente i capelli per il nervosismo. Già. Quello che gli rimaneva, dei capelli. Erano radi, su un viso gonfio, segnato dalle cicatrici dell’acne ora più visibili. Ingrassato, sciupato, stanco. Non sembrava più nemmeno lui.
“Sai, questo era lo stato in cui pensavo di trovare te.. E invece ci sono caduto io.. L’alcol, ho scoperto, fa cadere i capelli.. La cocaina gonfia il viso e.. Tutto il resto fa ingrassare credo. Sai, le fan trovano molto sexy il fatto che non mi chiuda la patta dei pantaloni, ma il problema è che non sanno che se ci riuscissi lo farei molto volentieri. Comunque, rimangono tutte ugualmente deluse quando me le porto in camerino per poi non riuscire nemmeno a scoparmele, perché sono talmente andato che.. Dio.”
Lo guardai senza parole. Con gli occhi lucidi. Non vedendomi rispondere aggiunse:
“Poi, alla gente piacciono anche i guanti.”
Se ne tolse uno: il palmo era screpolato, graffiato, in dei punti sanguinava. Era disgustoso.
“Perché?”
Alzò le spalle.
“Diciamo che è stato un anno di merda..”
Tornai a guardarmi i piedi. Innervosita e sofferente. Volevo togliermelo dai piedi.
“Non hai un concerto da fare?”
“Axl arriverà tra mezz’ora se va bene, ho del tempo libero mentre i fans si incazzano.”
“Come potete sopportarlo?”
Alzò le spalle per la seconda volta, con un menefreghismo che iniziava a darmi sui nervi.
“Quali punti abbiamo a nostro favore contro di lui? La mia faccia? Non credo proprio..”
Il bassista guardò un punto dietro di me:
“Come non detto, Ayatollah ha deciso di essere quasi puntuale, oggi. Mi domando come mai..”
Sgranai gli occhi e feci per andarmene nella direzione opposta, ma il bassista mi bloccò per sussurrarmi:
“Minnie, lo so che è difficile, ma lascialo parlare..”
“No.”
“Lasciagli dire solo..”
Guardò Axl.
“Quattro.. No, cinque.. Sei parole!”
Lo guardai nervosa. Che diamine stavano facendo?
“Solo sei?”
“Sì. Puoi permetterglielo, andiamo!”
Sospirai e annuii piano. Lui se ne andò e mi lasciò sola con lui. Ne avvertivo la presenza dietro di me, anche se non ero intenzionata a voltarmi.

“Ciao, Bimba..”
“Ti ricordo che sei già a due parole e che te ne mancano tre..”
Rise amaramente.
“Già, scusa.. Pensavo che..”
“Fine. Ci vediamo.”
Andai verso alla porta per uscire e andarmene a casa, ma mi prese le spalle e mi fece voltare.
Se non avessi visto i suoi occhi, probabilmente, sarei riuscita ad andarmene, ma mi ritrovai immobilizzata sotto al suo sguardo, ora serio, fermo, impassibile. Mi guardava. Non ero più tanto più bassa di lui.
“Sei cambiata..”
“Tu per niente.”
Sorrise.
“Axl, cazzo, per favore.. Dimmi quello che devi dirmi e facciamola finita.”
Alzò le braccia in segno di resa:
“Ascolta la terza canzone del concerto.”
Lo guardai corrucciata.
“Non ho intenzione di restare per il vostro concerto..”
“Ho cambiato la scaletta apposta, Cristo. Solo fino alla terza! Poi sei libera di andartene.”
Mi morsi il labbro indecisa per poi abbassare le difese:
“Va bene.. Ma.. Solo fino alla terza canzone..”
“Grazie.. Se alla fine del concerto sarai ancora qui, allora tornerò a trovarti.”
“Come vuoi, ma te l’ho detto, non ci sarò.”
Sorrise, cercò di accarezzarmi il viso ma mi scostai.
“Sei già abbastanza in ritardo, Rose.”
Lui mi lasciò andare e uscì, allora, dal camerino, urlando:
“Lo farò scrivere sulla mia tomba, amore mio: Scusate, sono in ritardo! E, probabilmente, tutti saranno d’accordo.”
Rimasi di nuovo sola. Guardai la porta da cui era appena uscito e, per quanto cercassi di controllarmi, sorridevo.

Aspettai l’inizio del concerto e poi andai dietro alle quinte per sentire meglio, mentre la terza canzone iniziava.
Patience.
Inizialmente non capii. Conoscevo perfettamente Patience dall’anno in cui era uscita, l’88. Che cosa diamine c’era di speciale in quella canzone?
Cercai, allora, di concentrarmi sul testo, sul vero senso delle parole come non avevo mai fatto.
E allora capii.

Mi scende una lacrima, perché mi manchi
Ragazza, penso a te tutti i giorni, ora.
Tempo fa non ero sicuro, ma mi hai chiarito le idee
Non c’è alcun dubbio, sei nel mio cuore ora.

Sono qui seduto sulle scale, perché è meglio che io stia da solo
Se non posso averti ora aspetterò, cara.
A volte divento nervoso, ma non posso accelerare il tempo
Ma sai, amore, che c’è ancora una cosa da considerare

amore, rallenta e staremo di nuovo bene insieme
Io e te dobbiamo usare solo un po’ di pazienza
perché le luci si stanno accendendo
Io e te ora abbiamo quello che serve
Non fingeremo
E non lo romperò mai
Perché non posso averlo

Cammino per le strade di notte, provando a calmarmi
è difficile vedere con così tanti intorno
Sai che non mi piace stare tra la folla
e nulla nelle strade cambia se non il loro nome
Non ho tempo per giocare, perché ho bisogno di te, per tutto questo tempo..


Restai a guardare il resto dello spettacolo come incantata, come se il tempo si fosse fermato. Tutto quell’anno a pensare a lui, al suo tradimento, al suo modo di fare da stronzo. Lui. Lui che in realtà mi aveva sempre amato.

Quando il concerto finì, restai ad attenderlo all’ingresso del backstage. Uscì per primo, come era solito fare, dato che non doveva staccare la chitarra dall’ampli o sistemare la batteria.
Mi vide e sorrise come non lo vedevo fare da troppo, troppo tempo.
Mi prese una mano, lo lasciai fare. Non diceva nulla, allora parlai io:
“Perché non me l’hai detto prima?”
“Non dovevi ancora tornare da me.. Dovevo aspettare che la tua carriera fosse ormai salda.. Io.. Non potevo c’entrare nulla..”
“E’ per questo che l’hai fatto? Per la mia carriera?”
Si guardò i piedi:
“I Guns erano già finiti, la maggior parte dei nostri fan ci odiava e odiava me, chi avrebbe mai ascoltato qualcosa di quella che stava con Axl e che era supportata esclusivamente da lui? Ora, dovrai perdonarmi, perché avrei dovuto resistere più a lungo.. ma.. Non..”
Gli misi un dito sulle labbra e lo zittii. Scossi la testa:
“Dovevi spiegarmelo..”
“Non te ne saresti mai andata..”
“Probabilmente no”
“Non potevo pensare di distruggere il tuo sogno”
“Eri tu il mio sogno..”
Mi guardò.
“Non ero solo io, era la musica.. Ora puoi avere entrambi.”
“Scusa..”
“Per cosa?”
“Per aver pensato che fossi uno stronzo, come tutti gli altri, avrei dovuto fidarmi di te..”
“Fortunatamente, non l’hai fatto, o avresti mandato a puttane il mio piano..”
Sorrise, timidamente, e ora mi sfiorò il viso, con le dita tremanti, come se avesse avuto paura di svegliarsi.
“Hai chiesto.. Duff lo sapeva, vero?”
“Così come Slash..   Gli ho chiesto di proteggerti.. Ma tutto è andato un po’di merda..”
Gli sorrisi:
“Beh, sono viva”
“A volte temo di no, forse sei solo.. Un’allucinazione o qualcosa di simile.. non potrei sopportare di perderti ancora.”
“Non sono un allucinazione..”
“Dimostramelo”

Lo baciai. Mentre lui iniziava a stringermi, sempre più forte. Ero lui e lui era me.
Ed eravamo di nuovo quell’unica cosa. Quel nostro essere.
Quelle due metà che in quella fottuta sincronia si completavano. Mi spiace, ma per quanto sdolcinata possa sembrare questa metafora, non mi sono mai sentita così con nessun altro.
Quando, infatti, portatami nel mio camerino, mi fece sua, non fu come le altre volte, non fu così con nessun’altro, mai.

A notte inoltrata, tra le braccia di Axl, appagata e stanca, con ancora il fiato corto e il suo respiro sulle spalle, appoggiai la fronte sulle sue labbra, che lui baciò prontamente.
Chiusi gli occhi sorridendo, mentre pensavo che grazie al ritardo della limousine, io avevo rivisto Axl, l’avevo ascoltato e l’avevo capito, e ora ero di nuovo tra le sue braccia che mi erano mancate così tanto.
“Brian è stato bravo..”
Guardai il cantante senza capire:
“Che c’entra Brian adesso”
Mi sorrise, baciandomi ancora una volta le labbra per poi rispondermi come se mi avesse appena letto nel pensiero:
“Se non mi avesse ascoltato, non avrebbe mai chiesto all’autista di tardare di dieci minuti..”
 

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Capitolo 19
*** Maggio, 1994 "Kansas - Dust in the Wind" ***


Maggio, 1994 “Kansas – Dust in The Wind”


Gli scostai i capelli biondi dal viso addormentato. Le lacrime continuavano a rigarmi il volto. Era assurdo. Attorno a lui, sua madre, io e Axl e gli altri ragazzi distrutti, lui, steso su quel letto d’ospedale, sembrava il più sereno di tutti.
“Dobbiamo andare, ora..”
“No..”
“Minnie.. Forza, tesoro..”
Mi lasciai trasportare da Axl fino al corridoio dell’ospedale, dove iniziai a piangere. Lui mi prese tra le braccia.
“I dottori hanno detto che starà bene! Ti prego, lo sai che odio quando piangi..”
“Non posso perdere anche lui, Ax. Non posso. Non lo sopporterei.”
Mi guardò e provò ad asciugarmi le lacrime con il pollice. Mi diede un bacio sulla fronte.
“Non succederà.”
La telefonata dall’ospedale era arrivata il pomeriggio del 10: il medico preoccupato aveva parlato poco chiaro, ma quando eravamo arrivati in gran fretta all’ospedale di Seattle, città natale del bassista, la diagnosi era stata molto più specifica: pancreatite acuta, indotta da alcol.
In parole povere, una parte del fegato gli era letteralmente esplosa.
L’avevano sottoposto ad un intervento molto invasivo, ma, prima di farlo, gli avevano comunicato che, anche se l’operazione fosse riuscita, cosa non così ovvia, avrebbe dovuto sottoporsi alla dialisi per il resto della sua vita.
Lui, per tutta risposta, aveva detto solo una parola:
“Uccidetemi”.
Quando l’avevo saputo mi ero sentita inutile. Semplicemente, inutile. Davvero Duff, piuttosto che vivere con delle cure, avrebbe preferito morire. Sapevo che ultimamente non stava bene, lo sapevo benissimo, tutti in realtà attendevamo il momento in cui sarebbe successo qualcosa di grave, ma non pensavamo che sarebbe avvenuto così presto.
Dopo che io e Axl tornammo insieme, cercai come prima cosa di ristabilire i contatti con i ragazzi, che avevo perso di vista, ma, nonostante tutto, Duff era stato quello più difficile da rintracciare. A parte il fatto che per tutta quella parte dell’anno era tornato a Seattle per stare vicino a sua madre, a cui avevano diagnosticato due anni prima il Parkinson, la sua continua assunzione di alcool lo rendevano diverso dal solito: non assomigliava nemmeno più al ragazzo che conoscevo, era sempre ubriaco. Eppure in quel momento, mentre io stavo seduta ad attendere sue notizie, lui era steso pacificamente in quel letto d’ospedale, più simile ad un angelo che ad altro, con i capelli biondi spettinati e gli occhi chiusi, con un’espressione serena.

“E se i medici gli avessero dato retta?”
“E’ il loro lavoro, Minnie, sentono queste stronzate tutti i giorni.. Non sono così stupidi da accontentare pazienti sotto shock..”
“Non ha più nessuno, Ax.. Linda non è nemmeno venuta..”
Sospirò e mi diede un bacio leggero.
“Non tutti si meritano quello che abbiamo noi..”
Mi rizzai a sedere e lo guardai male:
“Non puoi parlare così! Sai benissimo che persona meravigliosa è Duff..”
“Lo so, ma so anche come si è comportato ultimamente.. E non dire che non sono state scelte sue..”
Crollai nuovamente sulle sue gambe che stavo usando come cuscino su quelle scomodissime sedie di metallo.
“E se morisse davvero?”
Chiuse gli occhi e sospirò.
“Preferisco non pensarci.. Non.. Non voglio neanche..”
“Non abbiamo pensato neanche a Kurt, ma è successo.”
Mi guardò, ma io, per evitare che ribattesse, mi girai dall’altra parte e finsi di star cercando di addormentarmi, cosa in cui, alla fine, riuscii realmente.

Inutile ricordare quello che successe il 5 aprile dello stesso anno.
Strano come tra le ultime persone che lo videro ci fu proprio Duff, su un volo aereo da Los Angeles a Seattle: il bassista, casualmente, aveva il posto vicino al suo e parlarono per tutta la durata del volo. Arrivati, lui lo perse di vista e non ci ripensò più, almeno non lo fece fino a quando, quattro giorni più tardi, successe.
Io mi trovavo in sala, stavo guardando un film, quando Axl me lo disse.
Aveva ricevuto una chiamata ed era sconvolto. Mi ero spaventata nel vederlo entrare con gli occhi lucidi. Mi disse semplicemente:
“Kurt è morto.”
Era stato come sentirsi stritolare lo stomaco, come cadere nel vuoto. Poi, mi disse che si era suicidato, e, allora, arrivarono anche quegli stupidi e opprimenti sensi di colpa: io ero stata una delle sue migliori amiche per gli ultimi suoi anni di vita, e  nonostante questo, era morto. Non l’avevo salvato, non l’avevo aiutato, non avevo fatto nulla. Non c’era più.
Kurt, il mio migliore amico, il mio dolcissimo amico, che ogni tanto tornava dai tour e mi telefonava e stavamo a parlare per ore e ore, era scomparso. Quelle bellissime telefonate, quegli incontri rari e attesi che ti portavano via dalla routine e dal lavoro, non sarebbero più avvenute.
Rimasi sopraffatta dal vuoto, rimasi svuotata, sciolta, spezzata.
Non reagii in una maniera molto matura, ma in fondo, ero talmente stravolta da non poter nemmeno pensare: mi chiusi in bagno. E ci restai per tre giorni, senza mangiare.
Alla fine, questo mio modo di reagire, che poi si riassumeva nel bisogno di stare sola, finì quando Axl scardinò la porta, mi prese in braccio, mi portò via di lì e mi fece capire nella maniera più assurda che le cose andavano avanti anche senza Kurt: mi chiese di sposarlo.
E io accettai.

Quando andammo al funerale del cantante, intravidi tra la folla Courtney con in braccio Frances, che ormai aveva due anni. Axl inizialmente era titubante ad avvicinarsi con me per fare le condoglianze alla moglie di Kurt, considerando che l’ultima volta che l’aveva vista, lei aveva insultato Stephanie e preso lui per il culo, ma, alla fine, venne con me e, in un certo senso, il dolore ci fece superare i vecchi conflitti.
Guardai Courtney e pensai a quanto chiunque governasse su di noi si stesse realmente prendendo gioco dell’essere umano: l’album delle Hole, band dove la ragazza era frontman, era uscito pochi giorni dopo la morte di Kurt, s’intitolava Living Through This, ed era arrivato in cima alle classifiche. E lei intanto era lì, con le lacrime agli occhi e l’aria assente. E assurdo è dover dire che pochi mesi dopo persino la sua bassista, Kristen Pfaff, morì, per overdose di eroina.
Ci furono due cerimonie: una per i parenti e gli amici stretti, l’altra aperta al pubblico. Durante quest’ultima, iniziai a rendermi conto di quanto Kurt non fosse stato solo un mio amico, anzi, mi accorsi di come la sua morte sarebbe diventata presto qualcosa di una portata gigantesca: il cantante, ora, si aggiungeva a quella lista di famosissime rockstar che, dopo una vita di sregolatezze e di eccessi, morivano prematuramente. Il fatto che lui si fosse suicidato, aumentava ancora di più l’interesse dei fans, e il tutto venne ingigantito dalla lettera di addio che venne ritrovata e pubblicata un paio di giorni dopo. Una lettera bellissima, profonda, triste. Tanto triste.
Come se non fosse stato abbastanza, al tutto venne aggiunta l’età di Kurt: 27 anni, e da allora tutti iniziarono ad accorgersi di un macabro particolare, ossia che Kurt era l’ennesima rockstar che andava ad aggiungersi al club 27, ossia un gruppo di allora più di venti cantanti o musicisti morti prematuramente tutti a quella stessa età, tra cui Jim Morrison, Janis Joplin e Jimi Hendrix. Incredibile dover aggiungere che, oggi, il numero è arrivato a trentaquattro, tra cui è presente anche Kristen Pfaff.
Quando sapemmo della malattia di Duff, la prima cosa a cui pensai, fu Kurt, a come lo avessi perso appena un mese prima e a come forse mi sarebbe potuto riaccadere, questa volta, però, con il mio migliore amico, mio fratello, una delle persone che avevo avuto più vicine negli ultimi anni.

E ora ero lì, addormentata sulle gambe di Axl, che intanto aveva ribaltato la testa all’indietro contro lo schienale e si era assopito come me, in quella stanza d’attesa.
Venni svegliata dagli occhi neri di Slash che mi fissavano: il ragazzo si era seduto a fianco a noi per poi chinarsi vicino a me. Appena aprii gli occhi e mi ritrovai i suoi a due centimetri di distanza sobbalzai, svegliando anche Axl.
“Che cazzo fai, Hudson?!”
“Ax, non urlare, sei scemo? Duff si è svegliato!”
Axl stava già per ribattere qualcosa a Slash, quando entrambi ci rendemmo conto di quello che il chitarrista aveva appena detto: Duff era sveglio.
Scattammo entrambi come due molle e corremmo verso la stanza del bassista, mentre  Slash ci seguiva a ruota. Una volta arrivati, trovammo la madre di Duff, finalmente di nuovo sorridente, nonostante il leggero tremore delle mani. Visto che in giro non c’erano infermiere, ci infilammo senza tante cerimonie nella stanza e, non appena mi accorsi del sorriso debole sugli occhi chiusi del bassista che ascoltava le parole di suo fratello, gli corsi incontro.
“Piano, bambolina..”
Mi ammonì Slash, ma non lo ascoltai e strinsi forte il biondo, che mi parlò con voce rauca:
“Se l’infermiera ti vede qui ad esultare ti caccerebbe fuori a calci in culo”
“Ben tornato”
Lo riempii di baci sulle guance, mentre lui cercava di liberarsi da me ridendo.
“Dai ragazzaccia, lascialo respirare”
Axl mi tirò a sé e mi tenne ferma abbracciandomi.
Bruce, intanto, il fratello di Duff, si avvicinò a noi:
“E non avete sentito l’ultima.. Questo coglione è scampato persino alla dialisi..”
“Sul serio?!”
Guardammo prima lui e poi Duff increduli.
“I medici dicono che è stato come un miracolo, ma.. Sì, è così.”
“Qualcuno sembra volerti dare una seconda possibilità..”
Disse Slash guardando Duff che continuava ad ascoltare beato. A quelle parole, però, riaprì gli occhi:
“Voglio farlo.. Voglio.. Non rovinerò tutto di nuovo.”
Axl annuì soddisfatto, mentre io continuavo a guardarlo, così bello, così felice. Finalmente.

Nei giorni successivi, il bassista si riprese completamente e venne dimesso. Per la gioia di tutti noi, decise di salutare la madre e gli amici della sua città e di tornare con noi a Los Angeles, dove festeggiammo il suo rientro con un ritrovo a casa di Slash.
In quell’occasione, capii subito dal suo disagio che le cose sarebbero cambiate veramente: se fosse rimasto ancora così vicino a noi e avesse continuato a seguire le abitudini degli altri, non sarebbe mai riuscito a migliorare. In effetti da quel giorno, vidi Duff un po’ più raramente, per questi motivi, ma lo sentii spesso a telefono, ed ero comunque tranquilla, perché sapevo che finalmente stava facendo ciò che era giusto per lui. Durante quel periodo, iniziò una disintossicazione totale, che controllò attraverso l’attività fisica, le arti marziali e la meditazione. Quando uscì da quel percorso lo vidi rinato, diverso, uomo.
E quando si staccò dal collo il lucchetto che aveva in ricordo di Sid Vicious, ma anche di quella vita di eccessi che oramai era finita, mentre tutte le fan piangevano per il loro idolo ribelle che avevano perso, io non potevo essere più contenta di aver ritrovato un amico, così perfetto come non era mai stato.

Se Duff quindi, passò il resto del mese e quelli successivi a migliorare così incredibilmente, io mi occupai della mia famiglia, che avevo trascurato molto, visto che, l’ultimo Natale l’avevo passato con Axl e non ero quindi riuscita ad utilizzarlo come occasione di ritorno a casa.
Qualche giorno più tardi, quindi, i miei vennero a Los Angeles per venirci a trovare.
Per me era incredibile rivederli: non li vedevo da più di un anno, un anno durante il quale li avevo chiamati massimo una decina di volte. Tutto quello che avevo affrontato, l’avevo tenuto per me, e se ne avevano sentito parlare, era stato attraverso i media. Per questo mi sentivo allo stesso tempo in colpa, ma anche in pace con me stessa, perché in fondo, non avergli dato il peso di quello che avevo passato con le dipendenze, forse per loro era stato meglio.
Attendemmo il loro arrivo sulla porta, io che continuavo a fissare l’orologio e Axl che tranquillo, con una camicia sbottonata, appoggiato allo stipite della porta, fumava una sigaretta.
“Hai intenzione di accoglierli così?”
“Cosa c’è che non va? Sono troppo sexy?”
Risi:
“Dai, stupido, chissà che diranno quando gli parlerò del matrimonio..”
“Quale matrimonio?”
Mi voltai verso il taxi che non avevo affatto sentito arrivare da cui stava scendendo mio padre, con un bagaglio a mano e un sorriso enorme, che veniva verso di noi a braccia spalancate.
“Papà!”
Lo abbracciai forte, sperando si dimenticasse di quello che aveva appena sentito. Mamma lo raggiunse e allora entrammo nella casa, mentre Axl se ne andava in giro per le stanze per mostrargliele.
Alla fine, ci sistemammo in salotto.
“Minnie, non hai niente di cui doverci parlare, quindi?”
No. Mio padre non si era affatto dimenticato. Axl mi guardò di sfuggita prima di prendere la parola:
“Ahm.. non so esattamente come si.. Cioè, io e Minnie abbiamo deciso di sposarci, ad ottobre.”
Mio padre restò a fissarci con lo sguardo soddisfatto, mentre mia madre rischiò di soffocarsi con la birra gentilmente offertagli dal padrone di casa.
“Così.. Così presto?”
“Mamma, ormai ci conosciamo da tre anni..”
“Sì, ma.. Tesoro, tu ne hai appena venti!”
Grazie al cielo fu papà a risponderle:
“Esattamente l’età a cui ci siamo sposati noi! Anzi, tu cara ne avevi diciannove..”
“E io ne ho ventisette, quindi, insomma.. A cosa serve aspettare..”
Mia madre rimase per la seconda volta a bocca aperta, una volta sentite le parole di Axl, che ora mi guardava come per sapere se avesse detto qualcosa di sbagliato.
“Ah. Pensavo.. Mi ero dimenticata che.. Insomma..”
“Signora, le assicuro che saprò prendermi cura di sua figlia”
Lei sospirò e si rigirò la fede tra le dita, poi riprese il discorso sorridendo:
“Oh sì, suvvia, è vero che noi e Axl ci conosciamo poco, ma credo che alla fine sappiamo di lui tutto ciò che ci serve sapere..”
Axl si avvicinò a me per sussurrarmi:
“Sì, certo, a parte che sono già stato sposato, che sono stato processato, che soffro di bipolarismo e, niente dai, quelle cose lì..”
Gli diedi una gomitata intimandogli a fare silenzio e tornando a guardare i miei con un amabile sorriso.
Alla fine, i miei ci diedero la loro benedizione, facendo affidamento al fatto che, alla loro epoca, mia madre si era fidanzata con un ragazzo che i suoi genitori non apprezzavano per niente, ma che, lo stesso, era diventato mio padre.

Quando io e mia madre rimanemmo sole, lei sembrava un po’ preoccupata e intimidita, tant’è che le chiesi se ci fosse qualcosa che non andava:
“No.. Non.. E’ solo che oggi con te volevo affrontare un discorso un po’.. Impegnativo. Non nel senso di importante insomma.. Solo un discorso che mi pare giusto farti per essere onesti al cento per cento.”
“Di cosa si tratta mamma?”
Lei mi guardò e poi iniziò a spiegarmi:
“Sai, tuo padre.. Anche quando eri piccola, mi aveva sempre detto che tu, sì insomma, eri quella che secondo lui aveva le migliori potenzialità..”
“Io?! Ma se ha sempre avuto attenzioni solo per Andy!”
“Andy aveva una grande tecnica come chitarrista, tu come cantante ne avevi meno, ma la tecnica si impara.. Quello che affascinava me e tuo padre è sempre stata.. La capacità che hai di trasmettere emozioni..”
“Se fossi stata così speciale come dici, avrei vinto almeno qualche concorso..”
“I concorsi sono metodi così stupidi per costruirsi una strada! Loro è ovvio  che considerino solo la tecnica e l’estensione vocale e tutte quelle altre particolarità piuttosto inutili, in realtà, un musicista deve, come prima cosa, saper comunicare..”
Le sorrisi, fiera di essere stata cresciuta in una famiglia che come valori insegnava questi.
“Allora come mi spieghi il fatto che nell’ultimo concorso sono addirittura arrivata in finale?”
Qui si interruppe e si guardò intorno nervosamente:
“Era.. Era di questo che volevo parlarti..”
Restai ad ascoltare confusa:
“Vedi.. Tuo padre era talmente affascinato dalle tue capacità, che decise che effettivamente potevi avere una strada nel mondo della musica e che.. Addirittura se non fosse successo, il pubblico ci avrebbe rimesso tanto.. Ed è per questo che..”
Sospirò e le intimai di continuare:
“E’ per questo che tuo padre si è rivolto alla giuria del concorso e.. Come rappresentante di una etichetta discografica così importante.. Ha chiesto di farti arrivare in finale.”
La fissai senza capire:
“Papà ha sempre detto che non avrebbe mai aiutato nessuno di noi! Che una carriera costruita su dei favoritismi è sbagliata e tutto il resto!”
“Io.. Lo so Minnie, per questo i tuoi fratelli non lo sanno.. Ma in fondo, lui voleva solo farti conoscere un po’, non ha mai chiesto ad Axl di prenderti con sé! Quando lui ti ha visto in finale, ti ha scelto perché gli piacevi.. Gli abbiamo chiesto di partecipare come giudice, ma non gli abbiamo mai detto quale delle concorrenti eri!”
“Gli.. Gli avete chiesto di partecipare come giudice?”
Mamma si accorse di essersi lasciata sfuggire un altro particolare, e ormai, detto troppo, decise di spiegarmi meglio:
“Da quando hai iniziato a raccontarci dei Guns, del loro album e del loro leader, papà ha fatto una ricerca e ha pensato che Axl avesse un grandissimo potenziale, sia dal punto vista tecnico che di scrittura. Abbiamo, quindi, pensato che se lui ti avesse notato, allora avrebbe significato che davvero ti meritavi quella strada..
Noi.. Minnie, in fondo ti abbiamo solo dato una spinta, il talento è il tuo!”
La guardai atterrita. Era vero, in fondo mi avevano solo fatto notare dal mio idolo, cosa che chiunque altro avrebbe considerato come un favore, ma io mi sentii tradita, come se in parte le mie potenzialità non fossero mai state comprese a fondo.
In un attimo, allo stesso tempo, mi si chiarirono tutte quelle situazioni che mi erano sempre sembrate forzate: non era la prima volta che partecipavo a dei concorsi, ma non ero mai stata così apprezzata come quella volta, e mi era parso incredibile che fra tutte le persone che potevano capitare come giudice straniero, avessero scelto proprio Axl.
Nonostante tutto, in realtà, apprezzai tanto il fatto che mia madre alla fine mi avesse spiegato le cose per come stavano, ma in quel momento, complici la sorpresa e lo stupore, me ne andai, e la lasciai sola, per andare dall’unica persona che poteva confermarmi quella versione dei fatti: Axl.

“Non avresti mai fatto il giudice in quel concorso inutile, se i miei non ti avessero chiamato, vero?”
“E se non mi avessero anche pagato così tanto..”
Lo guardai con gli occhi sgranati, sempre più affranta.
Lui si voltò, e quando mi vide così triste, si alzò dal divano e venne verso di me:
“Ehi, guarda che scherzavo..”
“Non c’è bisogno, ora è tutto più chiaro..”
Mi divincolai dalle sue braccia che mi avevano preso per i fianchi, ma mi strinse più forte:
“Guarda che se ti ho portato con me a Los Angeles, un motivo c’era!”
“Certo! Il motivo era che ti piacevo e nient’altro!”
Lui alzò gli occhi al cielo, mentre continuava a tenermi stretta per evitare che me ne andassi.
“E invece il pubblico che ti adora per cosa lo fa? Perché si è innamorato di te anche lui?”
“Ero solo una stupida favorita.. Senza mio padre non sarei mai diventata nessuno! Tutte le volte che ho detto nelle interviste che chiunque potrebbe avere la mia stessa fortuna, erano stronzate!”
“Amore, ti prego.. Non è vero! Il talento ripaga sempre.. Potrai anche essere una favorita, ma un album come Taken non lo scrive una senza talento! La fortuna serve in questo campo, ma non è l’unica cosa.. Credi che se quel giorno al Whisky a Go –Go non ci fosse stato quel talent scout noi avremmo comunque avuto il contratto con la Geffen? Anche quella è stata fortuna..”
Con quelle parole mi calmai e mi lasciai stringere dolcemente da lui.
“E se vuoi saperlo, bambolina, nessuno ti ha raccomandata a me per diventare mia moglie, ma lo diventerai comunque..”
Gli sorrisi e mi diede un bacio leggero.

Alla fine, mi riappacificai con i miei genitori. Lo so, nessuno prima che scrivessi questa autobiografia sapeva di questa storia, nemmeno i miei fratelli, ma quando ho deciso di scrivere la mia vita, ho promess­­o che avrei detto tutto. Tutto quello che il mondo non sapeva e tutto quello che anche le persone più vicine a me non sapevano. Quando ho iniziato a scrivere, ho finalmente capito il motivo per cui Axl nel ’92 avesse fatto quell’intervista con Rolling Stone su cose così private fino ad allora rimaste sconosciute ai fans: il senso di liberazione che si prova, quando finalmente la gente ti può conoscere davvero, è immenso. In più, sapere che la gente può iniziare a criticarti per quello che realmente sei è molto meglio di, come diceva il mio amatissimo Kurt, essere apprezzati per quello che non si è. I segreti nella vita di ognuno sono tanti, a volte le persone si ostinano a tenersi per se alcuni fatti solo perché si è egoisti delle proprie cose, a volte condividere tutto spaventa, ma se c’è una cosa che ho imparato dalla vita è che alla fine, se sei sincera, la gente lo apprezza.
Mi dispiace se alcune persone, leggendo queste parole, si sentiranno tradite, deluse, shockate, ma credo che ognuno abbia bisogno della verità, per una buona volta. Il mondo, i media e le persone ci privano troppo spesso della conoscenza, io, questa volta, non voglio farlo.

Le persone mi conoscono come cantante, come artista, come madre, come moglie, come sognatrice e come donna che c’è riuscita. Questo ultimo particolare è stato un nome con cui sono stata chiamata tante volte: The woman that made it, colei che ce l’ha fatta.
E’ vero, ce l’ho fatta, amo quello che faccio, sono felice, ma, in un certo senso, spero di aver fatto capire quanto la vita mi abbia tolto prima di darmi quello che volevo.
La morte di un amico, la partenza di un altro, la scomparsa di un altro ancora, una lontananza da una famiglia che ti ama talmente tanto da soffrire infinitamente per te, la paura continua di fare scelte sbagliate, le dipendenze, l’overdose, la riabilitazione.
Alcune persone pensano che tante esperienze, seppur dolorose, stiano alla base di una vita ricca e degna di essere vissuta, che tutto questo è meglio della monotonia. Non ne sono sicura.
Anche io la pensavo allo stesso modo, ma la lontananza che a volte sento da Kurt mi lascia interdetta.

Non ho più rimpianti. Non ho più paura. Sono un’artista, ma quello che spero di avervi dimostrato è che sono, soprattutto, un essere umano. Persona. Fragile.
Polvere nell’aria, aspetto un nuovo vento.


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Nota dell’autore: Siamo giunti al penultimo capitolo, il prossimo sarà l’epilogo unito ad una piccola sorpresa. Sono felicissima di aver potuto condividere con voi questo mio piccolo sogno, di cui non vado completamente fiera, ma che ho imparato ad apprezzare.. Come al solito, aspetto con ansia un vostro parere, poiché è l’unico modo che ho per sapere se mi merito l’attenzione di un pubblico minimamente ampio.. Vi saluto, e, per l’ultima volta, ci vediamo al prossimo aggiornamento **
Nicky

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Capitolo 20
*** Epilogo, Aprile 1997 "Queen - Friends will be Friends" ***


Epilogo, Aprile, 1997 “Queen – Friends will be Friends”


“No, aspetta Rocky, non così, gli fai male..”
Il micio dal pelo bianco e lungo che Ax ci aveva regalato per Natale corse via, lontano dalle coccole della bimba.
“Dada! Vieni qui!”
“Visto? L’hai fatto scappare..”
Rocky mi guardò con gli occhi tristi. La presi in braccio.
 “Su amore, fai la brava. Papà tornerà a momenti, dobbiamo ancora preparare tante cose..”
La bimba iniziò a giocare con un orecchino pendente che avevo, mentre io la portavo in cucina a sedere sul seggiolone.
“Shana? Vieni un attimo, devo chiamare Brian, se puoi badare la piccola..”
“Certo, Miss Rose..”
Lasciai alle cure della balia la bimba per andare nel salotto col telefono in mano, ma venni fermata da una Amy piuttosto trafelata.
“Miss Rose, avete un ospite”
Smisi di digitare il numero ed alzai lo sguardo corrucciato sulla ragazza:
“Non è orario di visite e non aspettavo nessuno..”
“Lo so, ma temo sia molto importante..”
“L’avete fatto salire?”
“Sì, è nell’ingresso ad attendervi.”
Sospirai e lasciai il telefono su un tavolino nel corridoio.

Il mio programma era entrare nella sala di ingresso, scusarmi con l’ospite ed invitarlo a tornare in un altro momento per via di importanti impegni che avevo, ma, man mano che percorrevo il corridoio della villa, la cerchia di nomi dei possibili visitatori si restringeva e io ero sempre più curiosa di scoprire di chi si trattava.
Entrai nella stanza e ci misi un po’ per scorgere una figura che, di schiena, stava osservando alcuni ninnoli su una libreria in legno antico.
Mi schiarii la voce, per attirare la sua attenzione.
L’uomo non si voltò, ma iniziò a parlare:
“Ne è passato di tempo..”
Sentii quella voce come familiare, come quando si vede un attore in un film ma ci vogliono ore prima che ti venga in mente il suo nome. Ancora non riuscivo a capire:
“Mi scusi, signore, non vorrei farle perdere del tempo, ho parecchio lavoro da sbrigare quind..”
Si voltò.
Il telefono che avevo ancora in mano mi cadde sul pavimento di marmo.
“Ciao, Bambolina”

Non riuscivo a reagire, non riuscivo a fare nulla. Iniziai a piangere come un’idiota.
Si avvicinò a me sorridendo, quasi con tenerezza, non appena vide la mia reazione.
“Ehi, non ce n’è bisogno.”
Ci abbracciamo, forte. La mia testa sulla sua spalla, le sue braccia strette attorno ai miei fianchi. Il suo profumo, i suoi capelli, tutto di lui era finalmente così tangibile: mi era mancato come l’aria sott’acqua, e il momento in cui si riemerge è talmente appagante che si impiegano alcuni minuti per rendersi conto di essere vivi, di avercela fatta, di aver superato anche quell’ostacolo.
Si allontanò da me per guardarmi:
“Speravo di trovarti qui, con Ax, sapevo in fondo.. Che la casa sarebbe stata sempre questa, per te..”
Mi lanciò un’occhiata alle mani. L’anello di fidanzamento brillava insieme alla fede.
Gli presi la sua, cercando di distrarlo e di sorridergli, ma invano.
Lui ricambiò, incerto:
“Quando?”
“Nel ’94, a novembre.. E.. Abbiamo una bambina, anche..”
Fece un sorriso strano. Come di gioia, mista a qualcosa che mi faceva male, ancora.
“Deve essere bellissima..”
“Oh, sì, lei ha.. Gli occhi di suo padre..”
Mi guardò:
“Se è davvero così bella, tutto il resto deve averlo preso da te..”
Mi guardai i piedi imbarazzata, mi diede un bacio sull’angolo della bocca.
“Izz..”
“Scusami. Lo so. Non.. Davvero. Era come un..
 Sono felice, per te. Minnie, davvero. Non avrei mai desiderato nient’altro che la tua felicità.”
Annuii. Nonostante tutto, non riuscivo a smettere di guardarlo.
“Perché sei tornato?”
“Io e Annica ci siamo lasciati..”
“Ah.”
Rise sarcastico:
“Bambolina, lo so, non.. Forse un giorno troverò la mia strada, ma per ora so che è qui. Accanto a voi.”
Sentii il portone aprirsi e mi voltai verso la sala d’ingresso.
“Sono tornato, bimbe!”
Vidi Shana che portava Rocky ad Axl, lui che la stringeva, chiamandola principessa, sorridendole e baciandola. Guardandoli non riuscii a non rimanere incantata e venne da sorridere anche a me.
I suoi occhi si posarono sui miei e si aprirono in un sorriso ancora più grande.
Gli andai incontro, ci baciammo.
“Ciao, splendore..”
“C’è una sorpresa..”
Alzò lo sguardo dietro alla mia spalla e lo vide, vide Izzy, in quel suo solito sorriso da bastardo innocente, come se non avesse condiviso tutto quel casino con il cantante, come se non fossero cresciuti insieme, come se fosse tutto semplice e non intricato, complicato o distruttivo com’era stato realmente..
Ax gli andò incontro quasi incredulo, con tutti i conflitti con cui si erano salutati alle spalle, mentre si guardavano e si chiedevano scusa solo con gli occhi. Ma si vedeva, si vedeva che se lo stavano dicendo, che si stavano dicendo tutto, tutto quello che in cinque anni non si erano potuti dire, e quando poi, si abbracciarono, lo fecero senza rimpianti, perché, in fondo, un’amicizia non è altro che un’attesa.
Attesa di un perdono, di un incontro, di un abbraccio.
Attesa di un ritorno avvenuto dopo cinque fottuti anni.
E mentre Rocky mi si stringeva al collo e io guardavo i due abbracciarsi, ripensavo a noi: a me e ad Axl, ma anche a Duff, che ora aspettava la sua prima bimba, con metà fegato andato a puttane nel ’94, per via dell’alcol, ma un sorriso mai stato così grande. Pensavo a Slash che dopo il divorzio da una moglie dipendente e stupida si preparava a ricominciare. A Steven, che nonostante la lontananza e un tentativo di suicidio, ora cercava di riprendersi, con un motto diverso per una nuova vita: ora avrebbe lottato contro sé stesso, per tornare a lottare con e contro il mondo.
E mentre riosservavo le nostre vite attraverso i miei pensieri, incontravo anche dolore, urla soffocate in una band che pian piano andava sciogliendosi tra i ricordi, media che non smettevano di parlare di odio, di conflitti inesistenti tra vecchi compagni di band, e, nonostante tutto, noi tiravamo avanti, perché, alla fine, se davvero si crede in quel “Carpe diem”, che, spesso e volentieri, consideriamo più come uno stupido proverbio che come un vero stile di vita,  la pace te la conquisti pensando al momento, all’istante, alla situazione in cui ti trovi con gli altri e, soprattutto, con quello che sei realmente.
Inoltre, per quanto i sogni di grandezza possano esistere, per quanto questi possano realizzarsi, alla fine, è inutile girarci intorno, è l’amore, che sia esso per un amico, per un figlio, per il marito, che ti dà la possibilità di vivere con una serenità perpetua, infinita, tangibile.

Quando quella sera, andammo a festeggiare in un locale il ritorno di Izzy, rimasi in disparte, ad osservarli: mentre Axl stava a parlare con Slash per quelle che sarebbero diventate ore, mentre Duff divideva una pizza con Stradlin presentandogli Susan, la splendida compagna del bassista,
io ricevetti una telefonata:
“Minnie, sono Alan..”
“Ehi, è un piacere risentirti..”
“Axl non risponde al telefono, ho bisogno di parlargli..”
Lanciai un’occhiata ad Ax, aveva lasciato il cellulare a casa.
“Puoi riferire tranquillamente a me..”
“Ah, certo.. Hai letto l’ultimo di Kerrang? C’erano alcune interviste ai fans dei Guns..”
“Purtroppo non ho avuto tempo, perché? C’è qualcosa che non va?”
Sospirò, per poi continuare:
“ I fans sono furiosi.. Sentono la mancanza dei vecchi Guns, della vecchia formazione, alcuni incolpano Axl e altri Slash.. Si stanno dividendo in due veri e propri schieramenti.. E il punto è che io, come loro manager, ho intenzione di alimentare questa situazione”
Ascoltai senza capire:
“Alimentarla? Anziché abbatterla? E perché mai?”
“Per un semplice motivo, Minnie: soldi. Pensaci: i fan sono disperati perché Slash ha abbandonato il gruppo e spereranno per anni in una reunion. Quando questa arriverà, se mai arriverà, sarà il concerto più pagato della storia, mentre l’attesa che li separa da questa sarà alimentata da articoli, gadget, album, interviste.. Tutto incentrato su questo: l’odio tra Axl e Slash, si tratta solamente di Marketing..”
Rimasi spaesata ad ascoltarlo. Di solito mi rivolgevo a Brian per ogni questione, ma in quella situazione ero impotente: io ero solo la moglie e un’artista che, seppur della stessa etichetta discografica, aveva piani di lavoro differenti.”
“Niven, perdonami.. Ma non capisco davvero perché non rendere, invece, pubblico il fatto che Axl e Slash siano rimasti amici! Si conoscono da quindici anni, mi stupirei del contrario! Il pubblico non si farà influenzare così facilmente..”
“Ti ricordo, con tutto il rispetto, che non hai alcuna voce in capitolo.. Axl era già a conoscenza di questa possibile soluzione.. E ti assicuro che il pubblico è incredibilmente influenzabile, dipende da noi.. In più, ho già parlato con Slash, che si è reso disponibile a supportare questa situazione nelle interviste..”
Scossi la testa:
“Axl non lo farà..”
“Probabile, anche se l’alternativa sarà non fare interviste.. Ma immagino che ad Axl farà piacere scomparire per un po’, dedicarsi alla famiglia..”
Iniziai ad innervosirmi:
“Sinceramente, non credo che sia una soluzione utile.. I Guns sono la band più odiata del momento! Non credo che le tue scelte fino ad ora siano state così giuste..”
“Ma Minnie! Pensaci, i Guns N’ Roses nemmeno esistono più..”
Rimasi affranta, a boccheggiare al telefono. Già. Era tutta questione di soldi. Marketing. La musica che fine aveva fatto?
Alan mi disse di parlare ad Al della telefonata e mi salutò frettolosamente. Mi voltai di nuovo verso i tavoli del locale. Axl rideva mentre ascoltava Slash, e mi sorrise con lo sguardo quando mi vide. Io ricambiai.
Come poteva il mondo restare all’oscuro di tutto? Come? I fan si chiedevano quando mai i Guns N’ Roses sarebbero tornati quelli di un tempo, e io intanto li guardavo e pensavo a quanto fossero stupidi, perché i ragazzi non erano mai stati così tanto band, come in quel momento.

***

“Rocket Queen Rose? E’ un vero piacere conoscerti..”
Guardai Rocky sorridendo:
“Non saluti il dado, amore? E’ lo zio Izz..”
La bimba si nascose dietro alla mia gamba, tirandomi i pantaloni per essere presa in braccio.
Izzy rise per poi chinarsi per dare una carezza a Rocky, pur rivolgendosi a me:
“Sei cambiata tanto dall’ultima volta che ti ho visto..”
“Sono passati cinque anni!”
“Cinque? No.. Poco più di quattro..”
“Ti sbagli, quattro anni fa era il ’93..”
“Già. E tu eri in coma.”
Lo guardai con gli occhi sgranati. Non era stato un sogno.
“Come hai fatto?”
“Forse sono un angelo e non lo sai..”
Lo fissai sempre più incredula, un po’ ridendo, un po’ spaesata.
“Perché mai Duff chiama me Angelo, quando sei tu il mio?”
“Oh, figurati, forse non serve essere un angelo.. Forse basta un po’ di amore”
“Sei completamente pazzo..”
Scosse la testa e mi guardò ridendo:
“Sempre e per sempre, di te”
Gli diedi un buffetto sulla guancia.
“Sai, ci sono così tante cose che dovrei raccontarti, ora che sei tornato..”
“Fallo!”
“Ci vorrebbe troppo tempo..”
“Non ho impegni per oggi”
Gli sorrisi
“Non so nemmeno da dove cominciare..”

“Comincia.. Dall’inizio”

Fine


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note del produttore                                                      11/04/2014

Quando proposi a Minnie di scrivere una sua autobiografia, era abbastanza scettica. Eppure ho sempre amato il modo in cui scriveva in alcuni dei suoi racconti e ho pensato che alla fine non esistesse storia più bella della sua, di lei e di Axl, della nostra.
Sono riuscito a convincerla dicendole che avrei prodotto io il suo lavoro, tanta era la fiducia che riponevo in questo progetto, e alla fine il libro fu ultimato: grazie anche al contributo di Axl, che prima della pubblicazione ha aggiunto i suoi pensieri in ogni capitolo, per rendere il tutto più comprensibile ai lettori, il risultato è stato superiore alle mie aspettative. Sono sempre stato molto fiero di Minnie sia come artista che come persona, apprezzo ogni parola che ha utilizzato e, alla fine, le persone che la conoscono bene e che hanno letto questa storia, non si sono sentiti traditi scoprendo alcuni dettagli che fino ad ora erano rimasti segreti.

A così tanti anni di distanza dalla pubblicazione del libro, mi sono sentito in dovere di aggiungere questa nota, soprattutto per il bisogno di aggiornare il lettore su alcune cose:
al momento, io, dopo il mio ultimo album da solista uscito due anni fa, mi sono ritirato dalle scene per dedicarmi alla mia famiglia e ai miei amici, che sì, comprendono ancora i cinque ragazzi della prima formazione dei Guns, per quanto tutti vogliano farvi credere il contrario.
Steven sta lottando. Da troppi anni, è vero, ma almeno ha la forza per non smettere mai, fortunatamente, ha trovato la donna che può almeno dargli quel tanto di supporto che gli basta per continuare a sperare.
Duff, il grandioso Duff, sposato con Susan dal ‘99 e padre di due fantastiche ragazze, Grace e Mae Marie, continua a brillare, fregandosene finalmente del personaggio e concentrandosi sull’unica cosa che alla fine lo ha da sempre veramente appassionato: la musica. La sua band attuale, i Walking Papers, sono una tra le supporter band più apprezzate degli ultimi anni.
Slash, quel “Metà animale, metà uomo” così come veniva definito da Ax nell’88, è sposato da più di dieci anni con la donna forte di cui aveva bisogno, Perla, e, i suoi due bambini, London e Cash, sono le sue due fotocopie di quando aveva la loro età.
I suoi concerti sono sold – out ovunque, i suoi ultimi album da solista sono fenomenali, e l’arrivo di un ultimo LP alla fine dell’anno ci fanno restare in una trepidante attesa.
Axl e Minnie, dopo Rocket Queen, hanno avuto un altro bambino, Kevin Christian, soprannominato KC, nato nel ’99. Il nome, oltre che dal fatto che i ragazzi non sapessero decidere quale gli piacesse di più, danno le stesse iniziali di un uomo che a Minnie, come a tutti noi, manca ancora oggi.
La carriera di Minnie, non ha mai smesso di brillare, mentre Axl ascolta imperturbabile le critiche sulla sua, mentre poi torna a casa o viene da me, dicendoci che a lui ormai interessa solo vedere la sua famiglia, i suoi amici, e che del resto del mondo, non gliene frega più nulla.
Non ha una crisi di bipolarismo dal 1996.
Quest’ultima situazione, è stata causata dall’abbandono di Slash della band: per la rabbia, Ax si è tagliato i capelli.
Fortunatamente, i due, dopo un paio di mesi, si sono riconciliati, anche se nessuno ha mai voluto parlarne.

Se ve lo stavate chiedendo: incredibilmente, Ax, quando ha scoperto che Minnie è andata a letto con Duff, ha affrontato la situazione con grande serenità e con un sorriso sul volto e non è affatto andato in crisi.
Io, invece, sì.

Dannatamente fiero e orgoglioso della mia migliore amica, mia sorella, mia musa e mia attuale fonte di ispirazione,
Izzy Stradlin





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Nota dell'autore: 
E siamo così giunti alla fine di questa ff. Ringrazio tutti i lettori, coloro che hanno lasciato recensioni, e coloro che hanno letto in silenzio questa storia. Nel caso qualcuno volesse farmi sapere cosa ne pensa della storia, del finale o di qualche altra cosa in particolare, può benissimo lasciare scritto qualcosa ** Detto questo spero che il racconto vi abbia appassionato e che sia riuscita almeno in parte a trasmettervi l'idea che io mi sono fatta di Minnie e del suo rapporto con i Guns, con Axl e con il mondo dello spettacolo. 
Detto questo vi saluto con un a presto, sperando che io riesca a trovare l'ispirazione per qualcosa di nuova il prima possibile. 
Ciao a tutti ^^
Grazie per essere arrivati fino a qui :D

Un abbraccio

Nicky Rising :P

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