Braveheart di Arlie_S (/viewuser.php?uid=71423)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** AVVISO! ***
Capitolo 17: *** AVVISO - A volte ritornano ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Capitolo
1
Cinque
coltelli erano piantati perfettamente al centro
della sagoma che le stava davanti. Cinque centri perfetti. Qualunque
altro
Intrepido sarebbe stato più che soddisfatto del risultato
appena ottenuto ma
non lei. Anche perché il sesto coltello era finito alcuni centimetri sopra gli altri, e questo, per
la Prima Tiratrice Scelta
degli Intrepidi era senz’altro un errore imperdonabile. O
meglio, un errore su
cui avrebbe sorvolato, se fatto da un altro tiratore, ma non da se
stessa.
Guardò
il bersaglio con aria truce per poi avviarsi a
estrarre i coltelli per ripetere l’esercizio, quando dalla
porta della palestra
entrò Maximilian Cox, Capofazione degli Intrepidi.
-
Kaithlyn. Che stai facendo ancora qui al poligono? È
quasi ora di pranzo.–
Uno
dei coltelli appena estratti, si ripiantò al centro
del bersaglio.
-
Non è evidente? – domandò
l’interpellata alzando un
sopracciglio. - Che vuoi? – chiese dopo alcuni secondi di
silenzio.
-
Quest’anno a occuparsi dell’addestramento degli
iniziati saranno Quattro e Eric. E pensavo... – un altro
coltello colpì il
centro del bersaglio. - …che magari potessi tenere la
situazione sotto
controllo, ecco. Sai come sono andate le cose l’anno scorso.
–
E
il terzo coltello andò a segno.
-
Tu vuoi una baby-sitter per Turner e la sua nemesi.
D’accordo, ma non ti prometto che ne usciranno illesi. Qua si
fa come dico io.
-
“Che
donna deliziosa” pensò ironicamente Max.
-
Mi basta che tu riprenda il ruolo che avevi due anni fa.
Vedrai che anche Eric ti darà ascolto. –
-
Vorrei ben vedere! – disse mentre prendeva nuovamente
la mira. – Spero vivamente che non si sia già
scordato le mie strigliate, o
dovrò porvi immediatamente rimedio. – aggiunse,
fermandosi e scrutando
l’espressione di Max che la guardava accondiscendente.
-
Non essere troppo severa. E ricordati che Eric è un tuo
superiore, non puoi dargli ordini; potrebbe essere piuttosto il
contrario. – la
ammonì.
Max
conosceva Kaithlyn e sapeva quanto una ragazza così
indipendente e disincantata detestasse eseguire gli ordini di terze
parti.
Soprattutto se le terze parti in questione, erano più
giovani di lei.
Kaithlyn
Evenson era stata di gran lunga l’iniziata più
dotata che avesse avuto il piacere di allenare, e oltre ad essere
singolarmente
dotata con le armi da fuoco e con i coltelli, era anche incredibilmente
intelligente. Tanto intelligente che Jeanine Matthews aveva quasi fatto
i salti
di gioia quando la ragazza aveva cambiato fazione.
Il
quarto coltello colpì il centro del bersaglio.
-
Allora? Posso contare su di te? O deve cercare qualcuno
più grande e capace?- insinuò Max, sapendo che
lei non avrebbe mai accettato di
sentirsi dire di non saper fare qualcosa.
Kaithlyn
s’irrigidì e indurì
l’espressione dei bei
lineamenti.
-
Sono perfettamente capace di occuparmene io. Non
c’è
bisogno che tu chieda a nessun altro Max. – rispose secca.
Max
sorrise, cercando di non farsi notare da lei.
-Molto
bene. Allora mettiti d’accordo con Eric e
chiedigli quando puoi venire a seguire gli allenamenti. -
Kaithlyn
alzò gli occhi azzurri al cielo.
-
Sì, ho capito, ho capito! – borbottò
spazientita. – ma
prima devo finire qui. –
-
Kaithlyn... – iniziò Max. Ma si interruppe
all’istante
vedendo l’espressione poco rassicurante della ragazza. Era
decisamente una
mossa poco saggia contrariarla quando aveva un coltello in mano.
Il
coltello partì dalle mani della ragazza e andò a
piantarsi insieme agli altri cinque. Sei centri perfetti.
-
Sì? – chiese girandosi e guardandolo con aria
decisamente soddisfatta. – c’è altro?
–
-
No. Per ora è tutto. Gli iniziati saranno qui nel tardo
pomeriggio. – le disse per poi uscire e avviarsi verso il suo
ufficio al decimo
piano.
Salve
a tutti!
Questa
è la mia prima fanfiction sul fandom di
Divergent…
ho letto “Four: una scelta può
liberarlo” l’altro giorno, e dato che era un
po’
di tempo che mi ronzava in testa quest’idea, ho deciso di
metterla in atto.
Io
ho questa mania di mettere alcuni dei pensieri dei
personaggi tra virgolette (non sempre ovviamente) e devo ancora
decidere se è
una cosa che mi piace o meno.
Kaithlyn,
dalla quale deriva anche il mio nome su efp, è
un mio personaggio e sarà un po’ la protagonista
della fic, insieme ovviamente
al resto della banda.
Per
quanto riguarda il Capofazione, ho pensato che Max
potesse essere un diminutivo di Maximilian, e ci ho aggiunto il cognome
“Cox”
perché m’ispirava; infatti la Roth non da
particolari indicazioni sui cognomi
dei personaggi. Stesso discorso vale per Eric, che neanche durante la
sua
iniziazione riesce ad avere uno straccio di cognome; quindi, invece di
chiamarlo Eric-Eric, ho optato per il cognome
“Turner”, che come Cox, mi
ispirava.
Per
il momento non ho altro da aggiungere. Spero che
l’idea e il capitolo vi piacciano e mi farebbe davvero
piacere se mi faceste
sapere cosa ne pensate, dato che sono alle prime armi e i consigli non
mi fanno
certo schifo.
Un
bacione!
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Pensavo
che non sarei
riuscita ad aggiornare prima del nuovo millennio dato che ho dovuto
scrivere
tre versioni diverse per ritenermi soddisfatta, e invece eccomi qui con
il
secondo capitolo! Non intendo annoiarvi per più di tre
righe, quindi vi auguro
buona lettura (spero), e niente...
ci “vediamo” a fine capitolo!
Capitolo
2
Kaithlyn
si guardò intorno,
annoiata. Il Giorno della Scelta era una giornata di fermento in tutte
le
fazioni e per questo, alla fine, nessuno concludeva mai niente di
quello che
avrebbe dovuto fare. Lei compresa.
Stava
punzecchiando la sua
cena da almeno cinque minuti, priva di appetito, al tavolo dei
Capofazione
mentre Max, sua moglie Agnes Baker e gli altri tre Capofazione si
accomodavano
intorno al tavolo.
Agnes
le rivolse un cenno di
saluto: per essere una donna Intrepida era incredibilmente gentile e
tranquilla. Kaithlyn stirò gli angoli della bocca in una
specie di sorriso un
po’ pigro.
Gli
iniziati interni si
erano già accomodati ai soliti tavoli e parlavano tra loro
nel gran trambusto
della mensa, con la tranquillità e la sicurezza di chi si
sente a casa propria.
Passarono
pochi minuti,
prima che le porte si aprissero facendo entrare Quattro seguito da un
gruppetto
di nove elementi; dovevano essere gli iniziati transfazione, a
giudicare dalle
espressioni disorientate e incuriosite.
Si
prese un minuto per
osservarli: si erano già cambiati tutti, indossando i
vestiti da Intrepidi,
tranne una ragazzina particolarmente minuta con i capelli biondi legati
in un
nodo disordinato che Kaithlyn costatò con grande sorpresa
provenire dagli
Abneganti. Non che la cosa la toccasse particolarmente, questo
è chiaro; un
iniziato valeva l’altro per lei... e non era mai stata molto
incline alla
socializzazione, nemmeno nella sua vecchia fazione.
Mentre
Quattro parlottava
con la ragazza Abnegante e un’altra iniziata alta e con la
carnagione scura, le
porte si spalancarono nuovamente e la sala ammutolì,
facendola sbuffare. Che
cosa ridicola. Che cosa avesse di così inquietante Eric
Turner, proprio non lo
capiva. Era anche vero che lei si era sempre trovata in una posizione
di
potere, rispetto al giovanissimo Capofazione e forse per questo non
riusciva
proprio a trovarlo così minaccioso.
Quando
Eric andò a sedersi
accanto a Quattro non poté fare a meno di inarcare le
sopracciglia. Da quanto
quei due mangiavano insieme? Non fece in tempo a darsi una risposa che
Eric si
era già alzato dando una manata sulla spalla di Quattro
– forse un po’ troppo
forte, dato che l’atro per poco non finì con la
testa nel piatto – e si
dirigeva verso il tavolo dei Capofazione.
Eric
si lasciò cadere sulla
sedia davanti alla sua, rivolgendole un’occhiata fugace.
-Sì?
– iniziò lei.
-Domani
mattina faremo
partire gli iniziati con le armi da fuoco. T’interessa
assistere? –
chiese iniziando a magiare.
-
Temo di non avere scelta.
– sbuffò rassegnata. Che compito ingrato.
Eric
alzò lo sguardo con un
ghigno divertito sulle labbra.
-
Hai già la lista dei
nomi?– chiese lei dopo alcuni minuti.
-
Sì, eccola - le disse
lanciandole malamente un foglio e guadagnandosi
un’occhiataccia.
|
Nome
|
Cognome
|
Fazione
di provenienza
|
1
|
William
|
Adams
|
Eruditi
|
2
|
Molly
|
Atwood*
|
Candidi
|
3
|
Edward
|
Collins
|
Eruditi
|
4
|
Albert
|
Cooper
|
Candidi
|
5
|
Drew
|
Foster
|
Candidi
|
6
|
Peter
|
Hayes*
|
Candidi
|
7
|
Myra
|
Reed
|
Eruditi
|
8
|
Christina
|
Sanders
|
Candidi
|
9
|
Beatrice
|
Prior
|
Abneganti
|
-
Nove? Quest’anno dobbiamo
decimarli sul serio! – esclamò scorrendo
rapidamente la lista.
Per
tutta risposta il
ragazzo fece un’alzata di spalle.
-
Ciao rossa! – si sentì
chiamare. Era Jason Miller, un ex Candido del suo stesso gruppo di
iniziazione.
L’unico con cui trovasse utile impiegare il suo
tempo… quasi sempre.
-
Che vuoi? – chiese
leggermente allarmata. Ricordava fin troppo bene l’ultima
volta che era venuto
a farle una ramanzina a causa di quella smorfiosa. - Non provare a
riattaccarmi
un bottone su quanto io sia stata poco carina e gentile con la tua
Chanel lì,
perché credo che potrei tirati un coltello in mezzo agli
occhi in questo preciso
istante. ~ lo avvertì, tanto seriamente che Jason per un
momento temette
seriamente per la sua vita. Poi le rivolse un sorriso splendente.
-
Si chiama Clarisse,
comunque – la corresse il biondo, sempre sorridendo.
-
… quello che è. –
ribatté scocciata. Lei non ci trovava assolutamente niente
di entusiasmante.
-
Comunque ero solo venuto a
dirti che sarò il tuo supervisore per il test di
aggiornamento professionale… –
disse accondiscendente per poi allontanarsi allegramente e tornare a
sedere
accanto a una ragazza con i capelli neri che lunghi fino al mento e due
occhioni scuri da cerbiatta. Chanel, Celine, o come accidenti si
chiamava.
-
Ci vediamo domani – disse
dal nulla e fin troppo freddamente Eric, che era rimasto zitto fino a
quel
momento.
-
Okay... – rispose
vagamente perplessa dal comportamento lunatico del ragazzo mentre lo
guardava
andare via spedito.
Ma
che avevano tutti?
Rilesse
un’altra volta
l’elenco degli iniziati. Il nome “Prior”
non le era nuovo.. probabilmente
quella ragazzina era la figlia di uno dei capi del governo, ma in quel
momento
non diede molto peso all’informazione.
-
Domani pomeriggio vieni
nel mio ufficio, così decidiamo anche l’orario per
il corso di addestramento
per i tiratori. Okay? – le borbottò Max.
Fece
distrattamente un cenno
affermativo con la testa e senza aggiungere una sillaba si diresse
verso
l’uscita, stanca di stare seduta senza far niente.
Quando
si alzò, piombò il
silenzio. Quel giorno erano tutti decisamente strani. Eppure non aveva
trattato
male o minacciato nessuno in particolare negli ultimi giorni. Si era
comportata
“bene”, per i suoi standard.
Come
varcò la soglia della
porta, si sentì afferrare per una mano e trascinare per i
corridoi della
Residenza verso una zona appartata; riconobbe la figura alta e possente
davanti
a lei. Eric.
-Turner,
ma che diav... –
iniziò sapendo quanto gli desse fastidio essere chiamato per
cognome, ma non
ebbe neanche il tempo di finire l’ennesima frase sarcastica
che si trovo
schiacciata tra il muro di una rientranza del corridoio e il corpo
muscoloso
del ragazzo, che le aveva preso il viso tra le mani e la baciava con
possesso.
Lei
ricambiò il bacio,
cingendogli il collo per aderire ancora di più al lui e
infilandogli le mani
tra i folti capelli neri.
Per
un momento, Kaithlyn,
spense del tutto il cervello mentre le labbra del ragazzo le
mordicchiavano
piano la mandibola, e una mano aveva preso ad accarezzarle lascivamente
una
gamba.
-
Eric... – mormorò
staccandosi leggermente per riprendere fiato e alzando gli occhi per
guardarlo
in faccia.
-
Che cosa vuol dire che ti
serve un compagno per l’aggiornamento professionale?
– le chiese
improvvisamente brusco assottigliando gli occhi grigi e guardandola di
traverso.
Questa
proprio non se
l’aspettava. Era geloso?
-
Eric... tu... lo sai vero
che non devi.. be’, essere geloso? – disse
mordendosi il labbro inferiore per
cercare di non ridere. – insomma, soprattutto nel caso di
Jason è una cosa
ridicola. –
Eric
indurì lo sguardo. Lui
non ci trovava assolutamente nulla da ridere, e avrebbe volentieri
spalmato
Jason Miller sulle pareti della Residenza, tanto per fargli capire come
stavano
le cose, se non fosse stato certo che Kaithlyn poi,
gliel’avrebbe fatta
scontare amaramente. E lui si ricordava bene quando sapesse essere
vendicativa
alle volte.
-
Perché devi andarci proprio con
lui? –insistette staccandosi completamente da lei e
guardandola dall’alto in
basso.
-
Perché ha sostenuto
l’esame di aggiornamento professionale la settimana scorsa,
è del mio stesso
anno e comunque non sono cose che ti riguardano, mi pare. –
ribatté scocciata,
incrociando le braccia sotto il seno.
Eric
indurì lo sguardo
all’istante.
-
Bene. Dato che non sono
cose che mi riguardano, me ne vado. – ribatté a
sua volta girando i tacchi e
andandosene indispettito, lasciandola lì contrariata e con
le guance in fiamme
per l’indignazione.
“Uomini!”
pensò esasperata
mentre si dirigeva verso il suo appartamento.
Erano
quasi le una di notte
e aveva appena terminato tutto il lavoro arretrato della giornata.
Maledetto
Giorno della Scelta.
Esausta,
spense il pc e si
avvio verso il bagno per farsi una doccia veloce e poi infilare a letto
ancora
più velocemente, data la giornatina che
l’aspettava di lì a poche ore.
Prima
doveva passare dagli
iniziati, sia interni che esterni, poi dovevo fare un salto al centro
di
controllo a causa di una mal funzionamento e infine doveva passare il
resto
della giornata a decidere con Max gli orari per il corso di
addestramento per i
tiratori, cosa che avrebbe occupato tutto il pomeriggio, dato che
doveva fare
in modo che tutti gli orari combaciassero con l’iniziazione,
l’ora di cena… l’ora
di cena!.., e gli impegni di tutto il resto del mondo. E
naturalmente, le
sarebbe toccato anche il turno di notte, dato che quella smorfiosa
gatta morta
di Jasmine Steward era indisposta, povera
stellina, e aveva chiesto
una sostituzione. E poi avevano anche il coraggio di chiedersi come mai
odiava
tutti.
Uscì
dalla doccia un po’ più
rilassata, avvolgendosi in un asciugamano morbido e strizzandosi i
lunghi
capelli rossi, che si spostò su un lato del collo prima di
guarda un momento il
riflesso nello specchio appannato. Aveva decisamente bisogno di dormire.
In
quel momento sentì
qualcuno bussare alla porta d’ingresso con una certa enfasi.
Erano le due di
notte e si augurò, per il suo visitatore, che fosse successo
qualcosa di veramente grave.
Ancora
scalza e con i piedi
bagnati, andò ad aprire pronta a inveire contro chiunque ci
fosse dall’altra
parte del portone, trovandosi davanti un Eric più
corrucciato del solito.
Fece
per chiedergli cosa
diavolo ci fosse di tanto urgente da presentarsi lì alle due
di notte, e che se
si trattava, ancora, di Jason Miller poteva
anche andare al
diavolo, ma il ragazzo non gliene diede il tempo.
Prima
che potesse spiccicare
parola, Eric le aveva preso il viso umido tra le mani e aveva iniziato
a
baciarla con impeto, chiudendo con un piede la porta
d’ingresso.
Nonostante
non se l’aspettasse
ricambiò all’istante l’entusiasmo del
ragazzo, trascinandolo verso il centro
del salotto mentre brividi d’eccitazione le passavano sulla
schiena e una
sensazione di calore le partiva dallo stomaco per diffondersi al resto
del
corpo.
Eric,
senza staccare un
attimo le labbra dalle sue si tolse frettolosamente il giubbotto di
pelle nera
mentre lei gli infilava le mani sotto la maglietta con
l’intento di toglierla
il più il velocemente possibile.
Mentre
armeggiava con la
cintura dei suoi pantaloni, il nodo che teneva su
l’asciugamano si sciolse,
lasciando il corpo nudo e perfetto della ragazza completamente scoperto
causandogli una serie di brividi di piacere lungo la schiena.
Preso
dalla foga del
momento, la spinse con tutta la delicatezza che gli consentiva la
situazione
contro il muro intrappolandola tra il suo torace e la parete
riprendendo a
baciarla.
Si
staccarono, ansanti, e
lei gli passò una mano sulla guancia, gli occhi azzurri
ardenti di desiderio,
per poi riprendere a baciarlo, allungandosi sulle punte dei piedi il
più
possibile per arrivare alle sue labbra. Era così alto.
Quando
si staccarono
nuovamente Kaithlyn ne approfittò per passargli, lentamente,
una mano sui boxer
provocandogli un gemito di apprezzamento.
Con
impazienza crescente,
Eric la prese da sotto le braccia facendole allacciare le gambe ai suoi
fianchi, e mentre finiva di sfilarsi malamente pantaloni e scarponi, si
diresse
verso la camera dove, sempre tenendola stretta contro di lui,
l’adagiò sul letto.
Tenendosi
sollevato con i
gomiti, si prese un attimo per guardarla: i capelli ancora umidi
formavano un’aureola
rosso scuro intorno alla testa, facendo risaltare la pelle candida e
gli occhi
azzurri, sotto cui si poteva intravedere una spruzzata di lentiggini.
Kaithlyn
sorrise un po’ nel
vedere l’espressione concentrata di Eric, e infilandogli una
mano tra i capelli
lo avvicinò maggiormente a se per baciarlo ancora. Senza
staccarsi da lui, lo
fece alzare, spingendolo a mettersi in ginocchio sul materasso. Con
calma, lo
fece rigirare e cadere sulla schiena, montandogli poi cavalcioni sui
fianchi e
iniziando a strusciarsi su di lui come un gatta lasciando, ogni tanto,
qualche
bacio sul viso, sul collo e sul petto.
Quando
le sue labbra
arrivarono in prossimità dell’ombelico, Eric non
capiva già più niente: il
sangue dal cervello era fluito in altre parti del corpo e quando
finalmente lei
si decise a sfilargli anche l’intimo si rigirò
ribaltando nuovamente le
posizioni, facendo leva sugli avambracci per non gravarle sopra.
Niente,
da quando si
frequentava con lei, poteva eguagliare la sensazione che provava ogni
volta che
entravano in contatto: che fosse un bacio, uno occhiata fugace, una
battuta
sarcastica o il fare sesso.
Le
persone importanti per
lui erano poche, si potevano forse contare forse sulle dita di una
mano, e
Kaithlyn rientrava sicuramente tra queste. Nell’ultimo
periodo i momenti che
passava insieme a lei erano gli unici che gli provocavano una
sensazione di
tranquillità e benessere, ed erano anche gli unici in cui
tutta la rabbia e la
frustrazione che provava dalla mattina alla sera e che non lo
abbandonava
neanche nel sonno, si attenuava.
Kaithlyn
inarcò la schiena,
le braccia intorno al suo collo, mugugnando impaziente e facendo
fremere di
desiderio anche lui, che dopo averla guardata con gli occhi annebbiati
dal
piacere, si chinò a baciarla nuovamente con
intensità, mettendo fine alla sue
proteste una volta per tutte.
Kaithlyn
fu svegliata dalla
luce che filtrava dalle persiane sulla parete destra della camera.
Si
allungò pigramente
nell’abbraccio di Eric, ancora addormentato, accarezzandogli
distrattamente la
mano con cui le cingeva la vita e godendosi per un momento il calore
del suo
corpo.
Prima
che il sonno prendesse
nuovamente il sopravvento, alzò piano la testa e
controllò l’ora.
Le
7.30.
Lei
avrebbe già dovuto
essere in piedi da almeno un’ora contando tutto quello che
aveva da fare.
Piano,
cercando di non
essere troppo brusca come suo solito, sgusciò da sotto il
braccio di Eric,
prese della biancheria pulita dalla cassettiera e agguantò
rapidamente un paio
di pantaloni da allenamento pieni di tasche e una canottiera per poi
fiondarsi
in bagno a prepararsi.
Dieci
minuti dopo, quando
rientrò in camera vestita di tutto punto, per prendere un
elastico e infilarsi
gli anfibi neri, Eric era seduto sul bordo del letto praticamente nudo
che la
guardava assonnato.
-
Sei ancora lì?! Muoviti,
tra dieci minuti dovresti essere in palestra! – lo
rimproverò agguantando le
scarpe e dirigendosi a passo spedito verso la cucina.
-
Kaithlyn – iniziò con uno
sbadiglio – dove hai messo le mutande che ho lasciato qui
l’altra volta? –
chiese senza dare segno di averla sentita.
-
In frigo. Dove diamine
vuoi che siano? Sbrigati! – ribatté lei dalla
cucina facendolo sospirare
rassegnato. Il buongiorno si vede dal mattino, no? Anche se ormai non
faceva
più caso agli sbalzi d’umore della ragazza, si
sorprendeva ancora della
rapidità con cui passava dall’essere tenera e a
modo suo gentile, almeno con
lui, all’essere indisponente e sarcastica.
-
Piantale di sbraitare!
Sono un uomo… -
-
E con questo considero i
tuoi obiettivi minimi raggiunti! – rispose lei sarcastica,
facendolo sbuffare,
esasperato. Ma chi gliel’aveva fatto fare? Ora capiva suo
padre, quando gli
consigliava dato il suo carattere poco tranquillo, di trovarsi una
ragazza
posata. Naturalmente aveva finito per fare l’esatto contrario
di quello che gli
era stato detto, come al solito.
-
… quindi al contrario di
te, ci metterò cinque minuti a prepararmi. –
concluse, ignorando i borbottii
irritati che provenivano dall’altra stanza e alzandosi per
cercare il suo
cambio.
Da
quando si frequentavano i
vestiti di entrambi erano divisi tra il suo appartamento e quello di
Kaithlyn.
Chissà cosa avrebbe pensato qualcuno vedendo delle mutande
di pizzo rosso da
donna piegate nei suoi cassetti…
Ancora
un po’ intontito,
Eric si stiracchiò le braccia sopra la testa e si diresse
verso la cassettiera,
trovando la sua roba nel primo cassetto. Recuperò i vestiti
che avevano
disseminato per la casa la sera prima, e s’infilò
in bagno.
Due
minuti dopo, era pronto.
Le
7.43.
Aveva
ancora qualche minuto
e non vedeva ragione per fare le cose di corsa, dato che probabilmente
aveva
già pensato a tutto il Rigido, Quattro, Eaton o quello che
era. Mister
perfezione, insomma, il super-intrepido che non sbagliava mai un colpo,
pensò
con una smorfia.
Con
tutta calma si diresse
verso la cucina, dove trovò Kaithlyn intenta a infilare nel
borsone da palestra
un mucchio di fogli più il pc.
-
Andiamo? – le chiese
appoggiandosi allo stipite della porta – pensavo avessi
fretta. –
-
Sì, infatti. Finisco di
prepararmi, tu vai se vuoi. – disse sbrigativa dirigendosi
nuovamente in camera
a prendere un elastico per legarsi i capelli. Quando tornò,
un minuto dopo,
aveva i capelli legati in una treccia laterale, e si stava infilando la
pistola
nella tasca interna del giubbino.
-
Dai, muoviamoci. – disse
Kaithlyn caricandosi in spalla un borsone che sembrava pesare
più di lei.
Prima
di uscire Eric le
schioccò un bacio sulle labbra, per poi vederla sparire
quasi correndo per i
corridoi senza dargli troppa considerazione. Tipico di Kaithlyn. Non
frapporsi
mai tra lei e “le cose urgenti da fare” o perirai
nell’impresa.
Ma
a lui, dopotutto, piaceva
così, rifletté prendendo un bel respiro e
dirigendosi verso la palestra dove lo
aspettavano gli iniziati e Quattro; l’accoppiata vincente per
fargli perdere la
poca pazienza di cui disponeva, questo era poco ma sicuro.
Ciao
a tutti!
Eccomi
con un nuovo
capitolo! Vi ringrazio per essere arrivate/i fin qui, e spero che il
capitolo
vi sia piaciuto e che la storia scorra bene.
Mi
farebbe davvero, davvero
piacere sapere cosa ne pensate del capitolo: vi ha fatto schifo? Vi
è piaciuto?
Idee? Impressioni? Suggerimenti e/o consigli? Mi devo dare
all’agricoltura
piuttosto che ammorbare il resto del mondo con i miei scritti? Insomma,
fatemi
sapere!
Vi dico solo che niente è come sembra. :P
*
i nomi accanto
all’asterisco li ho presi dai libri della saga, mentre gli
altri li ho
inventati perché essendo moolto pignola in queste cose,
ho dovuto (xD)
dare un cognome e creare (lo vedrete più avanti) una storia
per tutti!
P.s:
“Prior” è senza
asterisco perché mi sembrava superfluo specificare che non
il cognome non l’ho
inventato io.
Ringrazio Kaimy_11 la
recensione dello scorso capitolo, Fabi96 che
l’ha messa tra le preferite, Penn fortunata che
l’ha inserita tra la storia “da
ricordare” e infine fleci98 per
averla messa tra le seguite!
Un
ringraziamento va anche a
tutte le lettrici e i lettori silenziosi che spero mi facciano sapere
cosa ne
pensano!
Spero
di non avervi annoiato
troppo!
Alla prossima!
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Capitolo 3
Sì,
lo so. Sono in un
ritardo imbarazzante… la mia vita è il caos, e
ogni tre per due mi sbuca un
impegno diverso! Tra l’altro ho dovuto trovare la giusta
ispirazione per questo
terzo capitolo, (cosa da non sottovalutare per una precisina come me),
quindi spero
di non annoiarvi e che quello che ho scritto vi piaccia.
Vi chiedo anche scusa per gli scorsi due capitoli, che
nonostante avessi
riletto un miliardo di volte, contavano alcuni
‘orrori’ soprattutto di
battitura, che ora ho corretto (spero di non essermene fatto sfuggire
nessuno,
e se ne trovate non esitate a dirmelo ultimamente sono un po’
“cotta”!)
Ci
vediamo giù!
Capitolo
3
Mentre
si dirigeva in fretta
verso il poligono, fu fermata da Zeke, che le comunicò che
Max la voleva nel suo
ufficio all’istante. Innervosita dal cambiamento di
programma, dato che era già
a metà strada, fece dietro front e si diresse verso il
decimo piano.
Tra
una cosa e l’altra
arrivò al poligono dopo più di un’ora;
estrasse il pc, inserì la chiavetta che
le aveva dato Max, e si mise a riesaminare i test che erano stati
inviati dagli
Eruditi per i Capofazione che dovevano sostenere
l’aggiornamento professionale*.
Eric
l’aveva raggiunta
mezz’ora dopo, le aveva lanciato un’occhiata delle
sue e si era piazzato con la
schiena appoggiata al muro a osservare l’allenamento dei
transfazione.
Tutto
filò tranquillo fino
all’ora di pranzo, quando gli iniziati poterono dirigersi,
tutti esaltati per
essere riusciti a utilizzare una pistola, verso la mensa.
Quando
tutti i novellini
furono usciti, fece cenno a Eric e Quattro, che si erano lanciati
occhiate in
cagnesco per tutta la mattina, di avvicinarsi.
-
Oggi pomeriggio devo fare
un salto al Centro di Controllo perché Davis ha rassettato
il computer e sono
andati persi i dati di tutto il vostro anno d’iniziazione, e
visto che te,
- disse rivolgendosi direttamente a Eric – tra qualche giorno
hai il test di
aggiornamento per i Capofazione, devo ripristinare il sistema e
reinserire i
vostri dati. Quindi, in quella mezz’ora. anche se mi rendo
conto che sarà
difficile, cercate di non comportarvi da perfetti idioti come
l’anno scorso. Ci
siamo capiti? – terminò seriamente.
Eric
e Quattro si
scambiarono un’occhiata ostile.
-
Perché hai te i nostri
dati d’iniziazione? – chiese Quattro dopo un paio
di secondi.
Kaithlyn
notando la nota di
nervosismo nella voce di Quattro gli lanciò
un’occhiata penetrante.
-
Che cosa vuol dire perché ho
io i vostri dati? Mi prendi in giro Quattro? –
domandò – Fai l’istruttore o il
panettiere qua dentro Quattro? – lo schernì
accigliata.
Quattro
s’irrigidì,
maledicendosi per non essersi morso la lingua. Era stata una domanda
stupida e
avventata, e sperava che Kaithlyn non gli desse troppo peso, o avrebbe
potuto
decidere di riguardarsi anche le simulazioni che aveva fatto sotto il
controllo
di Amar, e a quel punto sarebbe stato scoperto.
-
Era una domanda stupida.
Ho parlato senza pensare. – disse abbassando gli occhi.
Sentì Eric ridacchiare,
accanto a lui, ed ebbe l’impulso di colpirlo; impulso che
venne soffocato sul
nascere: meno dava nell’occhio, meglio sarebbe stato.
Inoltre, mettersi contro
Kaithlyn o fare un altro colpo di testa come l’anno scorso,
avrebbe solo
peggiorato la sua situazione sia nei rapporti con Max, che era riuscito
a
evitargli il licenziamento che aveva proposto Eric l’anno
prima, sia per quel
che riguardava la sua posizione all’interno della fazione.
Voleva andarsene,
certo. Ma di sua spontanea volontà.
-
Ti stai divertendo,
Turner? – chiese Kaithlyn senza spostare lo sguardo da
Quattro, che continuava
a sentirsi sotto esame. Come se lei potesse leggergli in fronte, solo
guardandolo, tutto quello che aveva pensato e architettato negli ultimi
mesi:
l’incontro con sua madre, le informazioni che le aveva
passato, il programma
che aveva installato sul computer di Max e che gli permetteva di
accedere a
tutti i suoi file e, soprattutto, la sua divergenza.
Quattro
sentì un moto di soddisfazione,
vedendo Eric far sparire il suo solito ghigno dalla faccia e zittirsi.
-
Un po’. – ammise il
Capofazione guardandola divertito.
-
Credo – iniziò lentamente -
che tra un paio di giorni ti divertirai un
po’ meno. –
Eric
aggrottò le
sopracciglia. Che intendeva dire?
-
Che significa? – chiese
non capendo a cosa facesse riferimento.
Kaithlyn
parve riaversi:
smise di studiare Quattro e lì guardò a turno
entrambi.
-
Scherzi? Dimmi un po’:
cosa devi fare tra un paio di giorni? – chiese. Ma la sua
domanda venne accolta
dal silenzio.
-
Le parole “Aggiornamento
Professionale” non ti
dicono niente, immagino. – costatò con
rassegnazione.
-
Io posso andare? – s’intromise
seccamente Quattro.
-
Sì, sparisci dalla mia
vista… Ah! Quattro? – lo richiamò.
– Aspetta qualche giorno per farli provare il
lancio dei coltelli. Non vorrei dover riattaccare una mano a qualcuno.
Ok? –
Quattro
si girò verso di lei
ed annuì, questa volta con l’ombra di un
sorrisetto sul viso, ed uscì dal
poligono.
-
Non capisco. A parte i
combattimenti per assicurarsi che sia in grado di combattere, che altro
c’è di
cui mi dovrei “preoccupare”? – chiese
mimando le virgolette con le dita.
-
Be’, la parte teorica. –
iniziò. – ho letto le domande, che ci sono state
spedite gli Eruditi, e a meno
che tu non sia una specie di genio con la conoscenza infusa, cosa di
cui dubito
fortemente, ti conviene dare almeno una lettura a… - .
- Teoria? –
chiese scettico. – Che accidenti significa? È roba
da Eruditi! Che gliene frega
della teoria? Max è Capofazione da almeno
quarant’anni e sono abbastanza sicuro
che non ci capisca un accidente di quella robaccia. Se dovevo fare test
scritti,
potevo rimanermene con gli Eruditi! – disse irritato facendo
sbuffare la
ragazza che con un salto di sedette sul bordo del tavolo dove fino a
quel
momento aveva lavorato.
-
Il primo aggiornamento
professionale prevede anche un test scritto, Eric. Sicuramente
te l’ho
detto! – considerò, come se
fosse la cosa più ovvia del mondo.
-
No. – rispose laconico.
-
Be’, ora lo sai. –
commentò con tranquillità tirandosi completamente
sul tavolo e appoggiando la
schiena al muro.
-
E sai anche chi sarà il
mio supervisore? – investigò. Tanto valeva sapere
con chi aveva a che fare e
agire di conseguenza. Alle brutte poteva sempre minacciare il
malcapitato. O la
malcapitata.
-
No, non me l’hanno detto.
– mentì disinvoltamente. Suo padre aveva ragione:
non avrebbe mai potuto essere
una Candida; riusciva a mentire con troppa facilità.
Eric
la guardò sospettoso,
ma vedendola così disinvolta lasciò correre e
andò ad appoggiarsi alla parete
accanto al punto in cui era seduta lei.
Restarono
un paio di minuti
in silenzio. Una delle cose che più gli piacevano di
Kaithlyn è che sapeva
stare in silenzio. E che, al contrario di come facevano molte ragazze
intrepide, non sentiva la necessità di riempire ogni attimo
con chiacchiere
inutili o facendo casino.
Probabilmente
il suo
comportamento era dovuto anche dalla sua fazione di provenienza: gli
Eruditi.
D’altronde nessuno, per quando diversa potesse essere la
fazione scelta, si
lasciava veramente alle spalle quella d’origine. Lui ne era
l’esempio...
Poi,
Kaithlyn buttò le gambe
giù dal tavolo, lasciandole penzolare per un paio di secondi
per poi scendere e
dirigersi verso Eric.
Nonostante
gli anfibi
avessero un rialzo di almeno cinque centimetri, Eric dovette abbassarsi
dal suo
metro e novanta per farsi mettere le braccia intorno al collo e premere
le
labbra sulla sue in un rapido bacio a stampo.
-
Ci vediamo dopo Turner. –
Sapeva
quando gli dava
fastidio essere chiamato per cognome: gli ricordava da dove veniva.
Eppure, a
Kaithlyn non interessava... probabilmente era una vecchia abitudine da
istruttrice degli iniziati.
La
ragazza era già
sull’uscio, quando il suo cercapersone suonò
rumorosamente facendola voltare.
-
Che è successo? – chiese
voltandosi verso di lui. Doveva esserle sembrato strano che lo
cercassero
proprio in quel momento. E, in effetti, essendo ancora
all’oscuro di quello che
sarebbe successo di lì a tre settimane, la sorpresa che
vedeva sul bel viso di
Kaithlyn era del tutto normale.
Un’altra
riunione
straordinaria dei Capofazione. Con Jeanine, Capofazione degli Eruditi,
che
ormai passava quasi più tempo alla Residenza che al Quartier
Generale dei
Lassi.
-
Niente. Una riunione
straordinaria... ci vediamo dopo. – rispose con tono incolore
incupendosi.
Tutta questa solerzia gli sembrava davvero eccessiva per qualche
divergente e
un paio di risultati di simulazioni che ancora, tra l’altro,
non aveva. Ma
erano ordini di Max, e in quanto Capofazione più giovane,
avrebbe dovuto
obbedire che lo volesse o meno.
-
Okay… - rispose poco
convinta mentre Eric le passava rapidamente davanti senza degnarla di
uno sguardo.
Ogni
volta che veniva fuori
il nome di Jeanine, Eric si incupiva e diventava più
scontroso e intrattabile
del solito.
Come
mai improvvisamente gli
Eruditi erano tanto interessati agli Intrepidi? Perché
Jeanine si era
intromessa nella valutazione dei Capofazione e di tutti quelli che
avrebbero
sostenuto l’esame?
E
tutte quelle domande sui
sistemi informatici da sottoporre a Eric, riguardo
all’hackeraggio dei sistemi
informatici e alla manomissione dei computer?
Eric
aveva ragione: a cosa
gli sarebbe servito sapere tutte quelle cose? Era roba da Eruditi, e la
cosa le
puzzava. Per non parlare di tutte quelle riunioni straordinarie tra i
Capofazione e la rappresentate degli eruditi, anche se Eric non
gliel’aveva
detto, sapeva che c’erano anche loro: aveva visto le auto
parcheggiate fuori e
Jason le aveva dato la riconferma. Ovviamente non erano venuti
lì di gran
carriera per fare una gira turistica tra i canali del Pozzo, quello era
abbastanza logico.
Sicuramente,
più tardi,
avrebbe chiesto spiegazioni a Eric… anche se dubitava che
gliele avrebbe date.
Nelle ultime settimane era diventato più irascibile, nervoso
e poco incline al
dialogo del solito. Gli unici momenti in cui era
“tranquillo” erano quando
stava insieme senza darsi addosso e possibilmente senza altra gente
intorno. E
lei gli lasciva tutti gli spazi di cui aveva bisogno, solo che ogni
volta che
veniva fuori il ‘discorso Jeanine’ finivano per
litigare furiosamente e
mandarsi al diavolo. Il che non avrebbe dovuto sorprenderla, dato che
entrambi avevano
un carattere piuttosto difficile.
Scosse
la testa, come a
cacciare via tutti pensieri. Era illogico che
gli Eruditi s’interessassero
agli Intrepidi solo per un fattore culturale. Poi un’idea la
colpì.
Era illogico solo
se si pensava che non ci fosse un secondo fine. E per gli Eruditi, il
fine
giustificava sempre i mezzi. Lo
sapeva perché spesso si
comportava così anche lei. Perché era proprio
così che era riuscita, con grande
sorpresa di tutti, a classificarsi al primo posto nel suo corso
d’iniziazione,
quattro anni prima; ci era riuscita perché era stata
più cattiva degli altri
iniziati; ci era riuscita perché voleva arrivare
prima,
dimostrando che nonostante fosse l’iniziata più
piccola fisicamente, era
comunque più di loro. Che
era più forte. E
l’aveva
fatta, sopportando il dolore degli incontri, rialzandosi sempre e non
avendo
mai remore a colpire un compagno. Senza mai versare neanche una
lacrima.
Nemmeno durante le simulazioni, quando riemergevano le sue paure e la
parte di
lei che era ancora fragile, la stessa parte che da piccola la spingeva
tra le
braccia di suo padre, veniva fuori e la
distruggeva. Aveva tagliato
anche quella. L’aveva tagliata fuori per essere più
forte. E
ce l’aveva fatta.
Ma
lei non era un’Erudita,
non lo era mai stata.
Le
venne in mente l’ultimo
passo del manifesto degli Eruditi:
“Vale
la pena ripetere che
l’intelligenza è un dono, non un diritto. Deve
essere esercitato non come arma,
ma come strumento per il progresso.”
Lei
invece spesso usava la
sua intelligenza come un’arma. Aveva usato la sua
intelligenza per prevedere le
mosse dei compagni durante l’iniziazione, per individuarne i
loro punti deboli
e sfruttarli per vincere. E lo faceva tuttora. Lo faceva
perché era ambiziosa.
Così com’era ambizioso Eric, anche lui proveniente
dagli Eruditi. Ambizioso,
ma, al contrario di lei, fondamentalmente insicuro: bastava vedere come
aveva
reagito dopo aver perso l’incontro con Quattro, due anni
prima. Bastava vedere
come continuasse a cercare conferme, anche se più che con le
parole con i fatti,
come facevano gli Eruditi.
Eric…
l’iniziato più
strafottente e indisciplinato che avesse avuto.
Nonostante
lo vedesse sempre
più distante e sempre meno capace di provare empatia,
riusciva comunque a
scorgere, in certi momenti, il sedicenne a cui le piaceva tanto dare il
tormento durante l’iniziazione.
Lo
stesso sedicenne
abbattuto e demoralizzato dalla sconfitta, che aveva portato al pronto
soccorso
per una frattura al naso e che non aveva fatto altro che piagnucolare
per tutto
il viaggio.
Lo
stesso sedicenne
coraggioso che per primo aveva affrontato il suo scenario della paura,
superandolo più che brillantemente.
Kaithlyn
si riscosse dal
turbine di pensieri in cui era caduta quando Quattro, appena rientrato,
la
scosse leggermente.
-
Da quanto sei qui? – gli
chiese bruscamente, colta in fallo.
-
Da un paio di minuti. Non
davi segni di vita, quindi mi sono avvicinato. –
spiegò mantenendo quel
cipiglio serio che lo contraddistingueva.
-
Davo andare... – disse
alzandosi dal pavimento. Si doveva essere seduta lì mentre
rifletteva sullo
strano comportamento di Eric e degli Eruditi. - ... Eric è
stato convocato per
una riunione, non aspettarlo. E spiega come si deve le basi del corpo a
corpo
ai novellini, o per la fine dell’iniziazione non ci
sarà bisogno della
classifica. – aggiunse prima di dirigersi verso il Centro di
Controllo.
Dopo
aver terminato quello
che doveva fare al Centro di Controllo, raggiunse Quattro e gli
iniziati in
palestra.
Di
Eric nemmeno l’ombra.
Forse la riunione si era protratta più a lungo di quanto
credesse… poteva
essere. Ma non le piaceva.
Continuò
a seguire
l’allenamento, fino a quando, finalmente, lo vide entrare in
palestra senza
farsi notare dagli iniziati che erano tutti presi a imparare le
tecniche che
Quattro gli aveva mostrato a inizio lezione.
Con
passo deciso si avvicinò
a lui, notando a ogni passe quanto fosse pallido. Era così
dopo ogni
stramaledetta riunione e andava sempre peggio.
-
Dove sei stato? – chiese
forse un po’ troppo aggressivamente.
-
Te l'ho già detto
Kaithlyn. – bisbigliò seccamente per non farsi
sentire da Quattro. – la
riunione.
Sapeva
che Kaithlyn era
sospettosa di natura e non avrebbe fatto finta di bersi le sue scuse,
per la
maggior parte inventate, ancora a lungo. Ma aveva il divieto categorico
di
parlare con chiunque degli accorti con gli Eruditi.
-
Vieni con me. –
Lui
tirò un sospiro esausto,
ma decise comunque di seguirla fino a un corridoio che portava sullo
strapiombo. Uno dei pochi punti della Residenza dove non
c’erano telecamere.
-
Non posso dirti niente,
Kaithlyn. E non mi va di litigare con te, quindi forse è
meglio se ce ne
torniamo in palestra. – ripeté appoggiandosi alla
parete del piccolo corridoio
che conduceva sullo spiazzo che dava sullo strapiombo e da dove si
sentiva il
rombo del fiume sotterraneo.
-
Eric, non mi piacciono i
rapporti che avete con gli Eruditi. – iniziò. Era
un discorso delicato, lo
sapeva bene, ma prima o poi avrebbero dovuto affrontarlo.
-
Non credo sia a far tuo. Se
ti volevi occupare della fazione e sapere tutto ciò che
succedeva, dovevi
diventare Capofazione. – le disse sforzandosi di non usare un
tono troppo
aggressivo.
In
quei momenti, quando la
rabbia e la frustrazione prendevano il sopravvento, faceva fatica a
controllarsi, e non voleva certo rovinare il suo rapporto con lei.
Kaithlyn
inarcò le
sopracciglia, squadrandolo dalla testa ai piedi.
-
Dico solo che mi sembra
strano. E smettila di parlarmi come se volessi impicciarmi solo per il
gusto di
farlo. Non me ne importa un accidente di quello che fanno gli Eruditi,
ma
gradirei che non s’intromettessero nelle prove degli
Intrepidi. Max, Taylor,
James e Robert sono d’accordo scommetto. Tu sei stato
informato? O ti limiti a
galoppare da una parte all'altra a seconda di quello che ti dicono come
al
solito? – sibilò stringendo i pugni e
assottigliando gli occhi azzurri, mentre
sentiva montare rapidamente la rabbia.
Lo
stava provocando, era
chiaro. Ma quelle parole, pronunciate da lei, lo fecero esplodere.
-
Non sono cose che ti
riguardano! – gridò con una nota isterica nella
voce e facendo un passo verso
di lei. La rabbia stava iniziando ad annebbiargli la mente,
così strinse forte
i pugni riaprendo le ferite che si era procurato e ignorando le fitte
di
dolore.
-
Certo chi mi riguardano!
Riguardano tutti! Jason mi ha det... – ma non ebbe il tempo
di finire la frase
che si ritrovò attaccata al muro, il viso di Eric a pochi
centimetri dal suo
che la guardava minaccioso, gli occhi in quel momento vuoti ridotti
a fessure.
Lei,
per tutta risposta, gli
restituì uno sguardo altrettanto arrabbiato. Quegli sguardi
minacciosi non
attaccavano con lei, e non aveva la minima intenzione di farti
intimorire da
qualcuno a cui aveva insegnato a prendere a pugni un saccone. Le mani
di Eric
erano ai lati della sua testa: aveva le nocche scorticate, come se
avesse preso
a pugni qualcosa di troppo resistente da rompersi sotto i suoi colpi.
Come un
muro.
-
Dato che sei tanto
affezionata al tuo amichetto, perché non vai a chiedere a
lui cosa succede in
giro? – sibilò minaccioso senza smettere di
fissarla. – Sicuramente sarà più
che felice di darti tutto quello che cerchi. Non chiedermi mai più
niente riguardo a... – s’interruppe quando Kaithlyn
lo spinse con forza all'indietro
e lo colpì con uno schiaffo. Dopo quel gesto parve tornare
lentamente in sé.
Aiutandosi
con le braccia si
liberò bruscamente delle mani che la inchiodavano ancora al
muro e lo guardò
inchiodò lì dov’era con uno sguardo che
non prometteva niente di buono.
-
Sei ridicolo! Non ti
provare mai più a parlarmi in questo modo, Eric. –
gli sibilando furiosamente e
puntandogli un dito contro. – Io non sono una delle tue
amichette del cazzo che
puoi trattare come ti pare. Provaci un’altra volta, e ti
giuro che tra noi è
finita. –
Con
questo se ne tornò,
furiosa, verso la palestra; ma lui non la raggiunse. Probabilmente,
conoscendolo, era andata a finire di farsi a pezzi le mani. Quello,
sicuramente, gli riusciva bene.
Si
passò una mano sulla
fronte. Non si era mai comportato così. Non con lei almeno,
e ogni giorno, come
se non bastasse, andava peggio.
Cosa
gli stavano facendo?
Ciao
a tutti! Subito dopo
aver pubblicato questo capitolo, andrò a cercare un sasso
abbastanza grande
sotto cui nascondermi.
La
puntualità, soprattutto
per gli aggiornamenti, per me è un optional!
Vi
volevo lasciare, in quest’angolino,
un po’ di spiegazioni!
Tanto
per cominciare, ho
parlato di questo benedetto “aggiornamento
professionale”, e voi giustamente vi
sarete chiesti: da dove diamine l’ha tirato fuori questa
pazza furiosa? Be’,
l’ho inventato io, mi confesso. In “Four: una
scelta può liberarlo” (SPOILERINO
per che non avesse letto il libro) Quattro parla e partecipa (solo per
pochi
giorni) a un corso preliminare che prepara i nuovi Capofazione
includendo anche
cose come la conoscenza dell’informatica; ho immaginato,
quindi, che ci fosse
una sorta di esame finale o qualcosa del genere. A questo punto, la mia
mente
bacata ha pensato: se fanno uno 'pseudo esame' per i Capofazione,
daranno anche
periodicamente dei test per vedere se chi si occupa in maniera attiva
della
fazione e deve essere pronto all’azione più degli
altri, è ancora in forma! E
da qui questa… cosa.
Ovviamente
anche Kaithlyn,
essendo la Prima Tiratrice Scelta degli Intrepidi, ogni due anni deve
sostenere
questa sorta di test, per dimostrare di non essere rimbecillita...
sapete com'è...
Il
fatto che la prima volta
che si fa il test ci sia una sorta di esame scritto, mi è
venuta in mente
pensando agli Eruditi. Dato che Eric è colui che si occupa
dell’addestramento
dei transfazione e che deve trovare i divergenti, dovrà
anche essere capace di
scovare eventuali anomalie o manomissioni del sistema! Ovviamente lui,
nonostante sia già coinvolto dell'attacco agli Abneganti (un
minimo di organizzazione
ci vuole, via!) non si rende conto della cosa, e nonostante gli sembri
strano
(come fa notare a Kaithlyn) non ci dà troppo peso.
Questo
capitolo è stato
cambiato e riscritto almeno quattro volte da cime a fondo, cambiando un
sacco
di cose. Spero quindi che la versione per cui ho optato vi piaccia e di
non
aver deluso le aspettative di nessuno!
Mi
farebbe davvero piacere
se lasciaste un commentino, sia in positivo che in negativo
eventualmente,
perché sapere cosa ne pensa chi legge fa sempre piacere.
Ovviamente i consigli
sono più che ben accetti!
In
questi primi capitoli la
storia scorrerà un po’ lenta, almeno dal punto di
vista temporale, (spero
invece che a voi scorra fluidamente) perché
c’è bisogno di spiegare un po’ di
cosa e di inquadrare bene tutti i personaggi. Spero che non annoierete,
e se
trovate che tiri la cosa troppo per le lunghe, non fate problemi a
dirmelo!
Ringrazio Ozzy99 per
aver messo la storia tra le seguite; Dauntless_noemi e ralunasiescu per
averla inserita tra i Preferiti e Kaimy_11 e
(di nuovo) Ozzy99 per
avermi lasciato una recensione!
Alla
prossima,
Kaithlyn24
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Capitolo
4
Quando
l’allenamento dei
transfazione terminò, aiutò Quattro a fare le
coppie per il giorno dopo.
-
Non sappiamo ancora come
se la cavano nel corpo a corpo, in base a cosa li facciamo combattere?
– le
chiese staccando dalla parete la lavagna di ardesia verde e poggiandola
sul
tavolo al lato della porta.
Alzò
gli occhi al cielo,
scocciata.
-
Quattro, abbiamo passato
quattro ore delle nostre esistenze a guardare come prendevano a pugni
un
saccone. Un’idea me la sono fatta.. tu no?. –
-
Sì, ma... – non terminò
neanche la frase, dato che Kaithlyn aveva già preso il gesso
e non dava segno
di voler ascoltare il suo parere..
-
Direi di rinviare
l’esecuzione della Rigida e lascairle ancora un giorno di
vita, che dici?-
iniziò scrivendo “Tris” in fondo alla
lavagna.
-
Direi di iniziare come
primo incontro con Will e Al... poi Christina e Molly, che sono alte
più o meno
uguali... poi chi mettiamo? – chiese finendo di scrivere le
prime due coppie. –
facciamo a estrazione? –
-
Eh… -
-
No, facciamo così: Edward
contro Myra e Peter contro Drew. Così dovrebbe andare, che
dici?. –
Concluse,
finendo di
scrivere i nomi sul tabellone.
-
Ho scelta? – le domandò
mentre si spostava per farla alzare e la guardava cercare di
riappendere la
lavagna. Che tra l’altro era più grande di lei.
-
Quattro vieni a darmi una
mano okay? Per quale diavolo di motivo avete messo la lavagna
così in alto! –
si lamentò irritata, non arrivando ad appenderla al muro.
Quattro
sapeva che se si
fosse messo a ridere avrebbe passato un brutto quarto d’ora.
Così, stringendo
le labbra per non farsi vedere, appese la lavagna al chiodo al posto
della
ragazza.
-
Bene. – commentò lei
rileggendo i nomi sulla lavagna. – Vediamo se i novellini
riescono a
sopravvivere. Anche se, dopo di voi, ho smesso di sorprendermi.
–
-
Domani vi raggiungerò nel
pomeriggio, quindi vedete di non fare stronzate, okay? –
aggiunse girandosi
verso di lui e guardandolo severamente.
-
Forse non dovresti dirlo a
me, Kaithlyn. Ti ricordo che siamo in due a seguire
quest’allenamento. – disse
guardandola di rimando.
-
Comunque farò del mio
meglio. – aggiunse vedendo che si aspettava ancora una
risposta.
-
Sarà meglio. – disse
avvicinandosi a Quattro e appoggiandogli un braccio sulla spalla.
-
Altrimenti vi spacco la
faccia e sapete che posso farlo, visto che l’ho
già fatto! – concluse, tirando
le labbra in un sorrisetto insolente e battendo una mano sulla spalla
del
ragazzo.
Quattro
s’irrigidì. Non era
abituato al contatto fisico. Soprattutto con le ragazze
Intrepide… non sapeva
mai come comportarsi, e come interpretare i loro gesti. Probabilmente
ci
avrebbe messo ancora un po’ per liberarsi di quel suo lato
Abnegante.
Kaithlyn
entrò in casa
sbattendo la porta. Aveva deciso di non scendere per la cena e di
prepararsi
qualcosa lì, quando bussarono alla porta.
Chiunque
fosse stava
bussando con troppo garbo per essere Eric. Incuriosita, andò
ad aprire.
-
Ciao bambolina! – infatti
non era Eric. Era Jason. – Che cosa fai qua tutta sola?
– chiese infilando la
testa nell’appartamento e sorridendo allegro.
-
Che vuoi? – chiese
sgarbatamente. Non aveva proprio voglia di parlare con lui. Non aveva
voglia di
parlare con nessuno, ma si fece comunque da parte per permettergli di
entrare.
-
Niente. Sono venuto a
dirti che stasera ci sono io con te a fare il turno di
notte… che si mangia? –
Si
diresse tranquillamente
verso la cucina e si stravaccò su una delle quattro sedie.
-
Te ne stavi andando, vero?
– chiese aspramente la ragazza guardandolo di traverso.
Jason
era stato, ed era
ancora, l’unico vero amico che avesse all’interno
della fazione; erano
praticamente l’antitesi l’uno dell’altra,
a partire dall’aspetto fisico.
Lui
alto e massiccio, con quei
riccioli biondi e gli occhi verdissimi, era sempre, o quasi, di buon
umore.
Aveva sempre una parola gentile e, in linea di massima, andava
d’accordo con
tutti.
Lei
bassina e minuta, i
capelli rossi e ricci che le arrivavano oltre metà schiena,
e gli occhi di
quell’azzurro incredibile era sempre scorbutica e sarcastica
con tutti. Qualche
volta anche crudele.
Jason
aveva uno stuolo di
ragazze che gli correvano dietro: era forte, coraggioso e sempre pronto
all’azione.
Kaithlyn
invece, se riusciva
a far durare una relazione più di un mese era già
tanto. Era stata con
qualcuno, nei quattro anni che aveva passato tra gli intrepidi, ma dopo
un po’
o si stancava lei perché trovava il ragazzo troppo stupido o
troppo lagnoso, o
scappava lui a causa del pessimo carattere della ragazza.
Jason
non fece caso al tono
di Kaithlyn; lui era addestrato alla
sopportazione, e ormai
non si scomponeva più quando lo trattava male. Insomma, non
esisteva, da quel
che ne sapeva lui, una sola persona che Kaithlyn trattasse bene. Forse Eric
Turner… anche se di due non se ne faceva uno.
-
Sono appena arrivato,
bambolina. Allora? Che si fa? – chiese incrociando le braccia
muscolose dietro
la testa e appoggiando i piedi sulla sedia che aveva di fronte.
-
Tu te ne vai, tanto per
cominciare. O, se proprio hai deciso di anticiparmi la tua presenza,
stai
zitto. Tanto so già che dovrò sopportare le tue
chiacchiere tutta la notte. –
disse mentre prendeva due piatti e due bicchieri. Era inutile discutere
con lui,
tanto faceva come gli pareva… tanto valeva assecondarlo e
ogni tanto annuire
per dargli l’impressione di ascoltarlo, logorroico
com’era.
Kaithlyn
era abbastanza
sicura che se gli avessero risposto, Jason avrebbe parlato anche con i
muri.
Lei
invece non era una
persona particolarmente loquace e non era per niente espansiva, anzi.
Era
sempre stata piuttosto chiusa e restia a esprimere i suoi
sentimenti… questo
non significava che volesse bene a Jason o che non tenesse a Eric. Solo
aveva
qualche difficoltà relazionare,
come le diceva sempre il biondino.
Jason
la osservò per un paio
di secondi, inclinando la testa di lato.
-
Hai litigato con il tuo
ragazzo, rossa? – chiese, mentre lei gli posava un piatto
davanti e tornava al
ripiano della cucina per mettere insieme la cena.
-
Sai Jason, credo che oggi
a cena ci fosse il cavolfiore. Vuoi che te ne vada a prendere un
piattino? –
-
Non ti disturbare. Non ha
intenzione di avvelenarmi, vero? – domandò con
finta preoccupazione, buttando i
piedi giù dalla sedia e alzandosi per darle una mano. Meglio
cercare, anche se
probabilmente sarebbe stato inutile, di tenerla tranquilla.
-
Mai dire mai. – gli
rispose, tanto seriamente, che Jason non avrebbe saputo dire se facesse
sul
serio o meno.
-
Che cosa hai fatto di
bello oggi, Kaithlyn? – chiese mentre finivano di
apparecchiare alla meno
paggio.
-
Sono andata a seguire
l’addestramento dei transfazione, ho reinserito i dati delle
simulazioni del
mio gruppo d’iniziazione nei computer perché
Eleonor Davis aveva resettato il
computer, e poi ho avuto una discussione con Eric, Contento!? -.
-
Ed è ancora vivo? Voglio
dire, non l’hai fatto a pezzi e gettato i resti nello
strapiombo, vero? –
indagò, guardandola preoccupato.
-
Non essere ridicolo. –
disse per poi voltarsi dietro verso di lui con aria vagamente
trionfante. – a
proposito di pezzi di gente che vengono buttati nello strapiombo: la
tua adorabile ragazza
lo sa che sei qui, con me, tutto solo? Non vorrei che venisse a farti
un’altra
scenata, perché non ho nessuna voglia di sentirla
starnazzare, e mi toccherebbe
ucciderla con questo coltello da cucina per farla tacere. Per sempre.
– spiegò
alzando l’enorme coltello che teneva in mano e con cui stava
tagliando il pane.
-
Quando ti comporti così mi
fai un po’ paura, sai? –
Kaithlyn
sorrise, come se
non fosse la prima volta che un’idea del genere le
attraversava le mente.
Il
resto della serata passo
tranquillo. Jason chiacchierava e lei annuiva di tanto in tanto.
Avevano
ormai finito di
cenare, quando bussarono alla porta.
Si
passo rapidamente un
tovagliolo sulle labbra e andò ad aprire, trovandosi davanti
Eric.
-
Che vuoi? – lo accolse
poco garbatamente lei appoggiandosi allo stipite della porta e
incrociando le
braccia, lo sguardo truce.
-
Posso entrare? –
-
No. Dimmi che c’è e poi
vai, tra… - guardò l’orologio
– 20 minuti monto per il turno di guardia. –
Eric
tentennò un attimo
sulla porta.
-
Volevo parlare con te… -
iniziò mentre lei si girava per chiudere la porta.
Eric
fu più veloce. S’infilò
rapidamente all’interno dell’appartamento,
ignorando le proteste della ragazza.
-
Fai come ti pare! – sbottò
irritata, mentre si avviava verso la cucina dove probabilmente Jason
stava
ancora mangiando tutto ciò che gli capitava a tiro.
Eric
si blocco sulla porta,
chiedendosi come mai quello si
trovasse lì a quell’ora, e
sentendo un sentimento molto simile
alla gelosia accaldargli
il petto.
-
Fao Eric! – lo
salutò l’Idiota con
la bocca piena.
Lo stesso idiota che aveva cenato e passato tutta la
sera con quella che, per quanto ne sapeva lui, era ancora la sua ragazza.
Assottigliò
gli occhi e
strinse i denti, irrigidendo i lineamenti del viso.
-
Non sapevo fossi impegnata.
–
Jason
si alzò; se quei due
elementi dovevano discutere, era meglio lasciarli a sbrigarsela tra
loro. E poi
non voleva creare altri problemi, era evidente che ne avessero
già abbastanza
da chiarire senza che Eric s’ingelosisse ancora di
più.
-
No, stavo solo
importunando la Miss Sociopatia, se dovete parlare me ne vado subito...
–
proseguì prendendo il giubbotto dalla sedia e avviandosi
verso la porta.
-
No. Me ne vado io. –
-
Ecco, bravo. – intervenne
Kaithlyn, guadagnandosi un’occhiata di rimprovero da Jason.
Possibile
che non riuscisse
a tenere a freno la lingua quella ragazza? Altro che Intrepidi, la
dovevano
spedire nei Candidi!
-
Chiudi la porta quando
esci! – ringhiò rivolta a Eric, che ancora
più incazzato di quanto non fosse
quando era arrivato o nel pomeriggio, se ne stava andando spedito.
-
Vaffanculo, Kaithlyn! –
rispose sbattendo la porta d’ingresso e avviandosi verso la
palestra. La rabbia
gli ribolliva nel petto: loro litigavano, magari un
po’ per
colpa sua, e lei andava subito a farsi consolare da
quel
brutto deficiente di Miller. Mentre percorreva i canali del Pozzo
urtò più di
una persona, ma non se ne curò. E loro, vedendolo
così di pessimo umore, non
provarono nemmeno a protestare. Gli prudevano le mani: aveva bisogno di
prendere a pugni qualcosa. O eventualmente qualcuno.
↔
Kaithlyn
non sapeva se a
Eric fosse arrivato il suo “Vaffanculo
te!”, e nemmeno le interessava. O meglio: un
pochino forse sì,
ma quello non era il momento di curarsene.
Afferrò
rabbiosamente una
giacca pesante dall’armadio a muro della camera e
tornò nell’ingresso, dove
l’aspettava Jason.
-
Muoviti. – gli disse
mentre apriva la porta d’ingresso e si avviava rapidamente
verso la loro
postazione con Jason che la seguiva a pochi passi di distanza,
stranamente
pensoso.
Restarono
in silenzio,
seduti sul container situato fuori da uno degli Ingressi della
Residenza, per
alcuni minuti.
Faceva
freddo; nonostante
fossero a Settembre, infatti, la temperatura era piuttosto bassa la
sera, e
Kaithlyn si era già infilata la giacca pesante e aveva
avvolto le ginocchia con
le braccia. Aveva le spalle appoggiate al muro e il cappuccio della
giacca
tirato su a coprirle la testa.
Jason
ogni tanto le lanciava
delle strane occhiate: voleva parlare. Davvero grandioso.
Già avrebbe dovuto
passare tutta la notte lì, al freddo e di cattivo umore; le
mancava solo un
discorso “alla Jason”.
Com’era
possibile che una giornata iniziata bene,
potesse proseguire così male?
-
Kaithlyn? –
Voltò
lentamente la testa:
il cappuccio rimase dov’era, ma il movimento le fece finire
una ciocca si
capelli rossi, che aveva sciolto per praticità, davanti alle
labbra. Con una
mano se li scostò dal viso in parte coperto dalla stoffa del
cappuccio
imbottito.
-
Se devi ammorbarmi con un
discorso dei tuoi, fai in fretta. Rapido e indolore. – disse
freddamente.
Jason
si morse il labbro
inferiore e la osservò: sembrava
così… tranquilla a
una prima
occhiata, con quegli occhioni azzurri e le lentiggini sul naso, che
nessuno
avrebbe detto, non conoscendola, il carattere che si celava sotto quel
bel
faccino. O quanto fosse intelligente. Sembrava… innocua all’apparenza,
e anche a lui, quattro anni prima, aveva fatto questa impressione.
Naturalmente
si era ricreduto subito dopo. Perché lei non era affatto la
bambola di
porcellana che sembrava: era scontrosa, testarda e con un pessimo
temperamento.
Ma erano amici, e gli dispiaceva vederla ancor più di
pessimo umore.
-
Forse dovresti parlargli...
voglio dire, non potete sempre litigare, aspettare di sbollirvi
entrambi,
sbaciucchiarvi per i corridoi, andare a letto insieme e ripartire con
questo il
giro tutte le volte! No? –
-
Io non sbaciucchio proprio
nessuno per i corridoi. Ma immagino tu abbia ragione, alla fine.
– sbuffò
scocciata. In effetti, di quel passo, non sarebbero andati molto
lontano, e
alla fine stavano bene insieme nonostante i chiari problemi a
relazionarsi con
il prossimi di entrambi.
Jason
la fissò vagamente
colpito: era strano che desse ragione a qualcuno.
Spostandosi
con il sedere,
perché alzarsi era troppo faticoso per i suoi gusti, si
avvicinò a lei tanto
che i gomiti si toccavano.
-
Perché ti sei arrabbiata
tanto? – le chiese, guardando un punto vagamente
più alto dell’orizzonte buio.
Kaithlyn
si voltò verso di
lui: perché doveva sempre cercare di risolverle i problemi?
-
Senti Jason non mi va di
parlarne, okay? Lasciami in pace. – rispose, passandosi le
mani sulle braccia e
stringendosi maggiormente la giacca addosso.
-
Dico solo che forse, ma
proprio forse, hai un po’
esagerato con lui…- iniziò mettendosi
comodo.
“Ecco
che parte alla carica”
pensò Kaithlyn seppellendo il viso nelle mani e scuotendo la
testa vagamente
disperata.
-
Che è successo? Ti ha
messo le mani addosso? – investigò, anche se
sapeva già le cose com’era andate.
– nel senso di “picchiare” ovviamente!
Aggiunse pensando che la frase potesse
risultare equivoca.
-
Non essere ridicolo! Te
l’ho già detto, tre volte: abbiamo discusso ed io
gli ho tirato uno schiaffo.
Basta! Che altro vuoi sapere? – chiese esasperata. Aveva
insistito con questa
storia da quando era entrato in casa per poi continuare per tutto il
tragitto
fino a lì, e insisteva ancora. Che cosa avrebbe potuto
inventarsi per farlo
tacere? Ucciderlo un po’ le dispiaceva... magari poteva
semplicemente
tagliargli la lingua, ma poi sarebbe morto dissanguato, e non aveva uno
straccio per pulire… però avrebbe potuto cercare
del nastro isolante e legarlo
e imbavagliarlo da qualche parte… il nastro isolante andava
bene…
-
Senti, lo so che è fatto
così, e che si prendono pregi e difetti di una
persona… però non ho intenzione
di fare il primo passo. Quando si sarà dato una calmata o
avrà rinunciato a
tentare di sfondare a mani nude i muri, verrà lui da me.
– aggiunse, vedendo
che continuava a fissarla; ma anche questa volta non ottenne risposte o
pareri,
così si voltò nuovamente verso
l’esterno, in silenzio.
-
Sai è normale che non mi
sopporti. Siamo sempre insieme... e poi eri la sua istruttrice e ora
sei la sua
ragazza. La sua ragazza più grande!
Insomma, è una combinazione
terribile! Mi vorrei staccare la testa anche io, se fossi al suo
posto.-
Kaithlyn lo guardò esasperata.
-
Mi dici perché ti
preoccupi tanto di cosa faccio o non faccio con lui? –
-
Be’, tecnicamente sono
tuo amico... e in pratica ti sopporto da ben quattro anni,
vale a dire… un quinto della mia vita. Ho tutto il diritto
di farmi i fatti
tuoi! – annuì convinto.
-
Be’, nessuno ti ha
obbligato a relazionarti con me, sai? – lo
provocò, tirandosi completamente su
la cerniera della giacca. Ora che era coperta fin sotto il naso,
sembrava
ancora più piccola.
Jason
fece una smorfia
divertita e la guardò dall’alto in basso con un
sorrisetto insolente.
-
In realtà… ti volevo
rimorchiare. – confessò cercando di non ridere per
l’espressione della ragazza.
-
Tu scherzi... –
-
Nono, sono serio. Insomma
non sei mica un carretto ambulante! – la rassicurò.
-
Un carretto ambulante? –
ripeté Kaithlyn non sapendo bene come rispondere.
Sicuramente c’era qualcosa
dietro quell’affermazione.
-
Eri lì, tutta sola e tutta blu mentre ti piazzavi con le tue
cose nel letto del
dormitorio, ed io ho pensato: “Ma guarda che bella
ragazza…quasi quasi... ”. –
disse stringendosi nelle spalle. Kaithlyn lo stava guardando,
evidentemente
cercando di capire se stesse scherzando o meno.
-
Poi hai aperto bocca, ed
ho cambiato idea! – concluse, come a volerla rassicurare.
Adesso lo stava
guardando come si guarda un povero deficiente. Tutto regolare.
-
Vabbe’, - disse lei
scacciando l’aria davanti a sé. – ad
ogni modo io queste cose non le sopporto e...
– ma fu nuovamente interrotta.
-
Nessuno ti ha obbligato a
frequentarti con un adolescente! Se ci stai ancora insieme ci
sarà sicuramente
un buon motivo. – insinuò scoccandole
un’occhiata eloquente. – sicuramente lui
ne ha uno. –
Kaithlyn
si girò
innervosita. – Senti Jason io lo che lui.. sì,
insomma, tiene molto a
me. Non c’è bisogno che venga tu a dirmelo. Ora
possiamo continuare quello che
stiamo facendo? Grazie. –
Jason
era piuttosto sicuro
che fosse arrossita, ma lasciò correre: aveva già
tirato abbastanza la corda,
per quella sera. Poi gli venne in mente una cosa.
-
Senti Kaithlyn… -
riattaccò a parlare.
Aveva
ragione lei: se gli
avessero risposto, avrebbe parlato volentieri anche con i muri.
Da
parte sua, Kaithlyn
sospirò, tappandosi le orecchie con le mani e guardandosi
sconsolata i piedi.
Sarebbe stata una notte piuttosto lunga.
-
Kaithlyn, non dovresti
bere tutto quel caffè. Sapevi che rende nervosi? Non puoi
essere più nervosa
del solito! Poveri iniziati! Perché non ci metti il latte?
Ecco... – disse
versandole il latte caldo nella tazza senza chiederle se le andasse o
no.
Possibile
che ancora non gli
fosse caduta la lingua?
-
Sì. E se voglio arrivare a
stasera, questo sarà solo il primo di una lunga serie. Non
tutti dopo il turno
notturno possono andare a dormire. Immagino che tutte quelle
chiacchiere
stanchino. –rispose sorseggiando il suo caffellatte bollente.
Le
porte della mensa si
spalancarono e Clarisse Wright entrò a passo deciso.
Kaithlyn
la osservò un
secondo, chiedendosi se dormisse truccata e pettinata o se avesse preso
la
residenza dall’estetista. Come si aspettava si diresse tutta
impettita verso il
loro tavolo, dove appoggiò pomposamente le mani come a
rimarcare quanto fosse
irritata.
-
Be’, che ci fa qua con lei?
Ti avevo detto che oggi dovevamo fare colazione insieme! – si
lamentò con fare
altezzoso, rivolgendosi a Jason e comportandosi come se Kaithlyn fosse
diventata improvvisamente trasparente.
Come
se avessero captato che
l’amica si trovava in difficoltà Eleonor Davis,
seguita a poca distanza da Jasmine
Steward, entrò in mensa per andare, evidentemente, in
soccorso della mora.
-
Che succede? – chiese
sbrigativa la prima, buttando indietro i capelli tinti di rosso e
squadrando
tutto il tavolo da cima a fondo con aria critica.
-
Jason ha passato la notte
con Kaithlyn! Ed è anche andato a cena da lei, sapete?
– disse come se loro non
ci fossero. Tutta quell’isteria di prima mattina e quelle tre
galline stavano
involontariamente offrendo a Kaithlyn un po’ di svago. Certo,
si sarebbe
divertita solo lei, ma perché lasciar correre?
Improvvisamente le tornò un po’
di buon umore, che migliorò ulteriormente quando vide Eric
entrare in mensa;
non sembrava aver dormito granché, ma almeno pareva
più tranquillo. Meglio per
gli iniziati, comunque.
Si
voltarono, ancora in
piedi, tutte e tre verso Kaithlyn, che nel frattempo aveva preso a
mangiare un
muffin cioccolato e arancia.
-
Scusa, stavi parlando con
me? – chiese vedendo che continuavano a fissarla.
-
Clarisse, per favore. Non
cominciate... lo sapevi che avevo il turno di notte, e se
l’ho fatto con
Kaithlyn è solo perché la tua amica Jasmine ha
chiesto una sostituzione. –
intervenne Jason cercando di non dare spunti alla rossa per discutere
con
quelle tre. Anche perché poi ci avrebbe rimesso lui.
-
Scommetto che ci hai
provato con lui tutto il tempo, non è vero? –
insinuò Clarisse, ignorando il ragazzo
e guardando truce Kaithlyn.
-
Forse mi stai scambiando
per la tua amica con i capelli rossi tinti male; io non bisogno di fare
la
gatta morta con nessuno, per farmi notare. –
ribatté pacata, mentre finiva di
mangiare.
-
Peccato che tu non sia
brava con gli uomini tanto quanto lo sei con le parole. Quando
è durata con
Steven? Un mese? –
-
In realtà solo tre
settimane. – precisò continuando a guardarla con
fare amichevole.
-
Tanto presto ti scaricherà
anche Turner. Vi ho visto l’altra sera a baciarvi in
corridoio. Voglio dire lui
prima si frequentava con Kate, e siete così diverse... tu
sei così magra e lei
è così formosa... immagino che ti sia fatta
allungare i capelli per compensare!
– s’intromise Jasmine in tono confidenziale.
-
Invece quel culone che ti
ritrovi a che serve? Ad ancorare a terra la testa che, altrimenti,
galleggerebbe per aria? – chiese Kaithlyn di rimando, in tono
altrettanto
confidenziale.
-
Senza offesa, ovviamente!
– aggiunse rapidamente.
Eric,
che si era seduto
dall’altra parte del tavolo, trattenne una risata continuando
però a fare finta
di nulla, mentre Zeke, che stava passando da lì,
scoppiò a ridere
fragorosamente, attirando diversi sguardi e beccandosi una gomitata da
una
Shauna ancora intontita dal sonno.
Jasmine
invece, batté un
piede in terra e se ne andò furiosa sculettando, seguita da
Eleonor.
Clarisse
le lanciò uno
sguardo alterato, ma non disse nulla. Jason era evidentemente a
disagio, ma almeno
si era zittito. Se il "buongiorno" si vedeva dal mattino…
-
Guarda, facciamo così. –
iniziò Kaithlyn alzandosi con la sua tazza di caffellatte e
un paio di muffin. –
io vado a sedermi più in là almeno puoi
continuare a parlare male di me con
Jason e le tue amiche possono tornare in mensa… anche se
dubito che moriranno
di stenti!.- proseguì, mentre andava a sedersi, suo malgrado
accanto a Eric.
-’Giorno…
- le borbottò in
un orecchio.
Kaithlyn
sbadigliò, una mano
davanti alla bocca e l’altra intorno alla tazza. Era tutti
infreddolita, ed
essendo ancora presto, non aveva nessuna voglia di fare le corse.
-
Ehi... – ricambiò il
saluto, assonnata. Ora che non era più arrabbiata, era
più facile parlare con
lui. O forse era solo il sonno e il freddo che l’avevano
acquietata.
Mezz’ora
dopo Clarisse si
fermò davanti a lei e a Eric, facendo alzare lo sguardo a
entrambi.
-
Sei una stronza! Jasmine è
tornata a casa e non vuole più uscire! Immagino che voi due
vi siate trovati! –
esclamò.
Certo
che se darle della
stronza era l’insulto migliore che le veniva in mente, era
messa davvero male.
E per quanto riguardava la Steward, meno si faceva vedere a giro e
meglio era
per gli occhi di tutti.
-
Sono contenta che tu
l’abbia notato. – ribatté, come se le
avesse appena fatto un complimento. – ho
impiegato anni di esercizio per diventarlo! –
Eric
quasi si strozzò con la
spremuta che stava bevendo, e Clarisse spalancò la bocca,
indignata, per poi
andarsene impettita.
Jason
avrebbe dovuto essere
arrabbiato, dato che aveva appena discusso con la sua ragazza per colpa
di
Kaithlyn… e lo sarebbe stato, se non avesse trovato le sue
uscite delle sette e
venti così spassose.
Quando
si accorse di essere
osservata, si girò verso di lui e fece spallucce. Non era
mica colpa sua, se si
era scelto quella gallina come ragazza.
Il
resto della colazione
passò tranquillo, lei ed Eric non parlarono, ma erano
entrambi più tranquilli.
Ci sarebbe stato tutto il tempo per parlare; e poi due giorni dopo
avrebbero affrontato
l’aggiornamento, mentre Quattro avrebbe portato gli iniziati
alla Recinzione…
forse sarebbe stato il caso di dire al suo ragazzo che, per superare a
pieno
punteggio il test, avrebbe dovuto gonfiarla di botte?
“Nah..”.
Ancora
non riesco a credere
di aver postato l’aggiornamento così in fretta!
Questo
capitolo è un po’ più
lungo degli altri e spero non sia stato noioso!
Non
ho molto da dire…
cercherò di seguire le vicende del libro nel modo
più fedele possibile, ma se
trovate qualcosa che non va, o vi sembra troppo prolisso ditemelo e
vedrò di
velocizzarmi nelle descrizioni.
Cosa
ne pensate? Jason come
vi sembra? Che idea vi state facendo della protagonista? Eric
è abbasta
schizzato per i vostri gusti? In questo capitolo è stato un
po’ assente, ma
rimedierò! La storia vi sembra verosimile? È
carina? Fa schifo? Insomma, fatemi
sapere che ne pensate! J
Ho
già in mente i prossimi
capitoli, purtroppo per voi! Ho solo bisogno di ideare come si deve
quelli di
passaggio, quindi credo che aggiornerò in tempi umani!
Ringrazio Kaimy_11 sia
per la recensione super rapida che mi ha scritto, sia per aver inserito
la
storia tra le Preferite. E ovviamente ringrazio anche tutti i lettori
silenziosi! Fa sempre piacere vedere le visualizzazioni della propria
storia!
A
presto! (si spera)
Kaithlyn24
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Rieccomi,
meglio tardi che mai! Dovete sapere che il capitolo, in
realtà, era pronto
qualche giorno fa; arrivata, dopo aver anche salvato le modifiche, alla
parte
in cui vi ammorbo con le domande sul capitolo, su come lo avete trovato
ecc…,
ho cancellato tutto! Ottimo, no?
Ad ogni
modo spero vi piaccia anche questo quinto capitolo, che è
più una revisione di
Divergent dal punto di vista di Eric che altro. Come noterete, infatti,
buona
parte dei dialoghi e delle azioni, in pratica la prima metà
del capitolo, sono
riprese dal libro... sto iniziando già a scrivere (diciamo a
buttare giù, via!)
il seguito perché ho un sacco d’idee, devo solo
capire come mettere in atto!
Smetto di annoiarvi, tanto c’è il mio spazietto in
fondo…
Buona
lettura!
Capitolo
5
Il
primo giorno di combattimenti degli iniziati. In
parole più semplici, uno strazio. Sarebbe sicuramente stata
una noia mortale.
Con Quattro tra le altre cose, giusto per non farsi mancare niente e
dopo aver
assistito all’allenamento di tiro al bersaglio con le
pistole: era un bene, che
Kaithlyn non fosse presente; le sarebbe venuto un colpo. O avrebbe
fatto venire
un colpo a loro, lui e Quattro compresi. O avrebbe messo semplicemente
fine
alle loro sofferenze con un
colpo... a seconda del suo umore,
era tutto da vedere.
Quel
Rigido d’altro canto era una stramaledetta
persecuzione: aveva cominciato con il primo giorno
d’iniziazione, e non gli
aveva più dato pace. Non che lo avesse considerato
più di tanto, perlopiù evitava
accuratamente il contatto con gli altri iniziati: mentre loro andavano
a farsi
i primi tatuaggi e i primi piercing insieme, infatti, Quattro si
allenava al
saccone e passava i pomeriggi nel suo dannatissimo scenario della
paura. Come
sempre, solo con più enfasi.
Sua
madre, la sua adorabile e amorevole mammina,
gli avrebbe probabilmente diagnosticato un disturbo
ossessivo-compulsivo, se
avesse visto come aveva affrontato l’iniziazione, il Rigido.
E da parte sua,
dare Eaton in pasto a sua madre, sarebbe stata una gran soddisfazione.
Ventiquattr’ore con quella donna, e gli sarebbe sicuramente
passata la voglia
di… fare qualsiasi cosa.
Dopo
aver vinto per un soffio contro
gli
altri quattro iniziati che erano con loro, Sean*, Mia*, Annie e Robert,
era
riuscito a battere anche lui nel campo dove più eccelleva.
In ciò che sapeva
già fare prima di arrivare lì; non solo, gli
aveva pure rotto il naso, e si era
dovuto subire l’umiliazione di essere trasportato da
Kaithlyn, a quei tempi
loro istruttrice, fino al pronto soccorso in tutta fretta. Oltre al
danno, la
beffa.
Come
se tutto questo non bastasse, nonostante il Rigido
si facesse prendere dal panico ogni santissima volta che affrontava
quel
dannatissimo scenario della paura, cosa che a lui non succedeva, era
comunque
riuscito a privilegiare e ad aggiudicarsi il primo posto nella
classifica
finale. Mentre lui si era dovuto accontentare del
secondo
posto, e per un tipo competitivo come lui era inaccettabile. Non si era
certo
trasferito dagli Eruditi per arrivare secondo rispetto a un Rigido.
Certo,
era diventato Capofazione superando a pieno
punteggio l’anno di addestramento che spettava a tutti coloro
che Max aveva
convocato per il posto vacante di due anni prima… ma non
riusciva ad esserne
comunque soddisfatto. E non ci riusciva perché sapeva che
Max, come
probabilmente anche gli altri Capofazione, avrebbero preferito
Quattro-Rigido-Eaton, invece che lui.
Senza
rendersene conto, mentre ripensava alla sua
iniziazione, aveva stretto i pugni per la rabbia facendo diventare le
nocche
bianche per la forza che ci stava impiegando. Non si era reso conto di
aver
contratto, oltre che ai pugni, anche i muscoli delle spalle e della
schiena,
come faceva sempre quando era arrabbiato. Ultimamente la rabbia
s’impadroniva
di lui più frequentemente del solito, rendendolo
intrattabile per chiunque e
sempre propenso alla violenza. Gli bastava un nulla per scattare. Come
il
giorno prima con Kaithlyn, quando l’aveva sbattuta contro il
muro: eppure
sapeva che non sarebbe mai stato
capace di farle del
male, non sul serio; si sarebbe ferito lui, piuttosto. Eppure, appena
lei aveva
accennato agli Eruditi, aveva sentito il sangue ribollirgli e la rabbia
prendere sempre più velocemente il sopravvento sulle sue
facoltà, rendendogli
difficile ragionare con lucidità.
Sapeva
anche, che se avesse continuato in quel modo
l’avrebbe persa. Una come lei non avrebbe accettato di essere
trattata in quel
modo a lungo. E si rendeva conto che, se uno qualsiasi degli Intrepidi
avesse
agito nei confronti della ragazza come aveva fatto lui il giorno prima,
gli
avrebbe spezzato le gambe con le sue stesse mani. Ma proprio non
riusciva a
rilassarsi: aveva una perenne voglia di spaccare qualcosa.
L’unica, magra,
consolazione era che di lì a due giorni avrebbe sostenuto
qualche combattimento
come si deve. Se non altro avrebbe potuto sfogarsi sul malcapitato.
-
Primo incontro: Al contro Will. – impartì Quattro,
facendolo riemergere dai sui pensieri.
Al
era sicuramente ben piazzato: era poco più basso del
suo metro e novantuno, ma era decisamente enorme per essere solo un
sedicenne.
Sicuramente era messo meglio del suo avversario che, per quanto
massiccio, era
quindici centimetri più basso e grosso la metà di
lui.
Mentre
i primi sfidanti salivano sul ring nell’arena gli
altri iniziati, comprese Tris e Christina, le due iniziate che gli
aveva
presentato Quattro la prima sera, si avvicinarono all’arena.
Will
e Al si misero in posizione, uno di fronte all’altro
girando in tondo, come probabilmente avevano imparato il giorno prima,
e
mettendo i pugni serrati davanti al viso per proteggersi.
Mentre
la Rigida e la sua amica Candida chiacchieravano
lanciando occhiate furtive ad altri tre iniziati, che era abbastanza
sicuro si
chiamassero Peter, Drew e Molly, Al colpì Will sotto il
mento, facendolo
barcollare.
“Se
non altro non durerà a lungo..” pensò
Eric,
sorridendo soddisfatto all’indirizzo di Al, mentre
giochicchiava con uno dei
piercing che aveva al sopracciglio sinistro.
Nonostante,
almeno per lui, fosse già evidente chi
avrebbe vinto l’incontro, Will poteva contare ancora sulla
velocità: riuscì,
infatti, ad agganciare una gamba dell’avversario e a farlo
cadere a terra.
Dopo
che Al si fu rialzato, passarono alcuni secondi in
cui entrambi si fronteggiarono, titubanti, lanciando delle occhiate
fugaci a
Quattro: speravano forse che finisse così?
Eric
controllò l’orologio: era proprio curioso di
vedere
quanto riuscivano a stare fermi senza far nulla. Dopo alcuni secondi,
però,
iniziò a irritarsi.
-
Pensate che sia un passatempo? Volete fare una
pausa per una pennichella? Combattete! – gridò
stufo di quella perdita di
tempo.
-
Ma.. – iniziò Al raddrizzandosi e facendo cadere
le
braccia sui fianchi. – C’è un punteggio
o qualcosa del genere? Quando finisce
l’incontro? –
Possibile
che quel demente di Quattro non glia avesse
spiegato le regole? Che diavolo aveva fatto tutto il pomeriggio
precedente?
Giocato a carte?
Eric
respirò rumorosamente, esasperato. Che domanda
stupida! Quando volevano che finisse l’incontro? Quando a lui
e al dannatissimo
Rigido fossero venuti i capelli bianchi nell’attesa dei loro
comodi?
Nonostante
l’irritazione, decise di spiegargli quelle due
o tre cose, sperando che avessero tutti le orecchie sturate,
perché non aveva
nessuna intenzione di ripetersi.
-
Finisce quanto uno dei due non è più in grado di
continuare. – rispose, cercando di mantenere un tono neutro.
-
Secondo le regole degli Intrepidi – intervenne Quattro.
– uno dei due può anche arrendersi. –
Perché
Max non aveva accettato la sua proposta di
licenziamento per Quattro? Avrebbe potuto fare comunella con Zeke al
Centro di
Controllo, e lui non l’avrebbe avuto costantemente tra i
piedi. O ancora
meglio, se ne sarebbe potuto andare. Una volta per tutte.
Ad
ogni modo, era meglio che i novellini intuissero
subito chi dettava legge in quella
palestra. Almeno fino a
quando non tornava Kaithlyn: a quel punto sì, che si sarebbe
divertito. Ma
della ragazza, per il momento, non si vedeva nemmeno l’ombra;
tanto valeva
approfittarne, finché aveva campo libero.
-
Secondo le vecchie regole
– lo
corresse, contrariato da quello slancio d’intraprendenza.
– in base alle nuove,
nessuno si arrende. – ribatté a tono, guardando il
compagno con gli occhi grigi
ridotti a fessure.
-
Un uomo coraggioso riconosce la forza degli altri. –
rispose Quattro.
Eric
fece appello alla pazienza: non poteva colpirlo il
primo giorno di combattimenti. Era ai ferri corti con Kaithlyn, e lei
gli
avrebbe fatto volentieri lo scalpo, se lui gli avesse dato una scusa
per farlo.
Ma
come si permetteva, quel Rigido insolente, di
correggerlo davanti agli iniziati?
-
Un uomo coraggioso non si arrende mai. – decretò,
continuando a fissare il rivale in cagnesco per alcuni secondi, come
sfidandolo
a ribattere ancora.
Eric
si ripromise di stampare a caratteri cubitali, nella
mente degli iniziati, chi comandava in quel dannatissimo posto: ovvero,
lui.
Bastava aspettare l’occasione giusta.
-
Ma è ridicolo! – esclamò Al, scuotendo
la testa. – Che
senso ha picchiarlo? Siamo nella stessa fazione! –
Era
al festival delle domande idiote, forse? Che cosa
significava “che senso ha picchiarlo?”? Che senso
ha imparare a combattere
negli Intrepidi? In quel momento si sentì profondamente
solidale con Kaithlyn
quando, due anni prima, gli aveva addestrati.
Aveva
ragione: erano un branco d’idioti, dal primo
all’ultimo. Possibile che fosse circondato da tali dementi?
-
Ah, credi sia così facile stendermi? – chiese
Will,
sorridendo. – Avanti. Cerca di colpirmi, bradipo. –
“L’importante
è crederci..” pensò sarcasticamente,
guardando i due iniziati fronteggiarsi nuovamente: Will
riuscì a sferrare un
calcio sulla schiena dell’avversario, facendolo barcollare.
Al,
piuttosto rapidamente per quel che aveva visto fino a
quel momento, si girò ed afferrò Will per
braccio, colpendolo con un pugno alla
mascella e facendolo finire a terra, privo di sensi.
Turbato
dallo svenimento del compagno, Al si piegò su
Will dandogli dei colpetti sulla guancia per farlo riavere; Quattro,
nel frattempo,
aveva segnato un cerchio intorno al nome di Al, decretandolo vincitore.
Appena
Will riaprì gli occhi, Eric lanciò
un’occhiata a
Quattro che si diresse verso i due iniziati per aiutare Al a
trasportare Will
in infermeria.
Ecco
il lavoro perfetto per Quattro: l’infermiere. Se avesse
fatto ancora lo splendido l’avrebbe spedito a fare
l’infermiere, dove non
doveva vederlo e sentirlo e dove avrebbe potuto fare il Rigido quanto
gli
pareva, senza urtargli i nervi con la sua presenza.
-
Prossima coppia… Molly e Christina! –
gridò, mentre Al
si passava intorno al collo un braccio di Will, e lui e Quattro lo
portavano
fuori dalla palestra. Finalmente poteva fare a modo suo: senza
istruttori
irritanti e ragazze con manie dittatoriali tra i piedi.
Le
due avversarie salirono sul ring: Molly sembrava
tranquilla, mentre Christina era visibilmente nervosa.
Dopo
il primo colpo andato a segno per Christina, Molly
ebbe la meglio: inchiodando l’avversaria a terra,
iniziò a tempestarla di colpi
sul viso. Christina avrebbe perso i sensi di lì a poco...
-
Ferma! – le sentì gemere, mentre Molly caricava
l’ennesimo calcio. – Ferma! Mi... –
iniziò, tossendo per via delle botte al
viso. – Mi arrendo. –
Evidentemente,
non era stato abbastanza chiaro, poco
prima. Avrebbe tanto voluto chiederle cosa esattamente,
non era
chiaro nella frase “l’incontro finisce quando uno
dei due non è più in grado di
combattere”. Pazienza, glielo avrebbe fatto capire con le
cattive; se fosse
stato dietro a Quattro, si sarebbero ritrovati un branco
d’iniziati
mollaccioni, che al minimo dolorino chiedevano la resa. Purtroppo per
Quattro,
le cose non funzionavano più così. Se voleva che
le cose andassero
diversamente, doveva proseguire con l’addestramento dei
Capofazione, invece di
mollare al secondo giorno.
Eric
si avvicinò lentamente a Christina, con le braccia
conserte e l’aria apparentemente tranquilla.
-
Scusa, che cosa hai detto? Ti arrendi? – chiese,
dandole l’ultima possibilità di rimangiarsi quello
che aveva appena detto.
Possibilità,
che lei non colse, anzi. Si tappò il naso
sanguinante e annuì vigorosamente.
Perfetto,
avrebbe fatto a modo suo. Peggio per lei.
-
Alzati. – le ordinò, con lo stesso tono neutrale.
Dato
che l’iniziata pareva temporeggiare, e lui si stava
seriamente stancando di aspettare i comodi di tutti i ragazzini lagnosi
di
quell’anno, la afferrò bruscamente per un braccio
e la tirò in piedi.
-
Seguitemi. – disse, rivolgendosi a tutti gli altri.
Docilmente,
il resto del gruppo lo seguì fino alla
ringhiera che dava sullo strapiombo; da lì si poteva sentire
il rombo del fiume
sotto di loro.
In
giro, a quell’ora, non c’era quasi nessuno. E, se
qualcuno avesse avuto la brillante idea di interferire, gliene avrebbe
fatto
passare la voglia ancora prima che avesse il tempo di dire
“Bah”.
Senza
troppe cerimonie, dato che probabilmente quei
novellini pensavano che fosse un simpatico giro turistico, spinse
Christina
verso la ringhiera.
-
Sali qui sopra. – le disse, indicandole la ringhiera.
Non sia mai che si fosse spiegato poco chiaramente.
-
Cosa? – gli chiese lei, come aspettandosi che lui si
correggesse. Erano forse tutti sordi? Parlava una dannatissima lingua
incomprensibile ai più? Se si aspettava che cambiasse idea e
che li facesse
tornare in palestra, si sbagliava di grosso. Lì le cose
funzionavano
diversamente, e gli ordini devono essere seguiti senza proteste di
nessun tipo.
Da chiunque.
-
Sali sul parapetto. – scandì lentamente, sperando
che
il messaggio arrivasse a destinazione. – Se riesci a rimanere
appesa nel vuoto
per cinque minuti, dimenticherò la tua viltà. Se
non ci riesci, non ti
permetterò di continuare l’iniziazione. –
-
Bene. – mormorò lei, con voce malferma. Eric si
spostò
per farla salire sul corrimano: Christina passo una gamba
dall’altra parte
della ringhiera, si asciugò le mani sui pantaloni e si
appese al corrimano, le
gambe penzolanti nel vuoto.
Eric
vide Al far partire il cronometro. Sai che roba,
stare appesi cinque minuti alla ringhiera: a lui erano stati fatti fare
gli addominali,
su quella dannata ringhiera.
Il
primo minuto e mezzo passò tranquillo. La presa di
Christina sembrava salda sul corrimano scivoloso; i veri problemi, o il
bello,
a seconda dei punti di vista, iniziarono quando le prime onde, come
aveva
previsto, si infransero contro la schiena della ragazza, facendole
sbattere il
viso contro la ringhiera.
-
Dai Christina! – la incitò Al, guardandola con
determinazione. – Dai, afferralo di nuovo. Puoi farcela,
riprendilo! –
-
Dai. – incrementò la Rigida, debolmente.
– Manca un
minuto! – aggiunse con voce più forte.
-
Forza, Christina! - continuarono a incitarla
i due iniziati. Un altro incoraggiamento a Christina, e si promise di
appendere
anche quei due alla ringhiera. Per gli alluci stavolta.
Alcuni
schizzi d’acqua gli colpirono il viso; Christina
era scivolata con le mani fino alla sbarra inferiore della ringhiera,
ma il
tempo che le aveva imposto era finito, e lei era riuscita a restare
attaccata
alla ringhiera. Notevole, per essere il primo giorno. Le avrebbe
aggiunto un
paio di punti, se ne avesse avuta voglia più tardi.
-
I cinque minuti sono finiti – gli fece notare Al,
sputandogli le parole contro.
Be’,
che i cinque minuti fossero terminati, era tutto da
verificare, costatò controllando con calma
l’orologio.
-
Bene. – disse sempre senza scomporsi. – Puoi
tornare
su, Christina. –
Al
fece per aiutarla, ma lui lo fermò. Era proprio
curioso di vedere quanto carattere avevano gli altri iniziati.
-
No. – lo fermò prima che arrivasse alla ringhiera.
–
deve farlo da sola. – lo provocò. Tanto valeva
divertirsi fino in fondo.
-
No, non deve. – gli ringhiò contro Al. –
Ha fatto
quello che hai detto. Non è una codarda. Ha fatto quello che
hai detto. –
ripeté.
Eric
permise ad Al di aiutare Christina a tornare con i
piedi per terra. In quel momento, se non altro, era sicuro che il
messaggio
fosse arrivato chiaro e tondo a tutti: le regole, in quel posto, le
dettava lui.
I
successivi due incontro furono rapidi e indolori: Peter
vinse in meno di cinque minuti contro Drew, e Edward fece altrettanto
contro
Myra.
Kaithlyn,
che era arrivata pochi minuti dopo il loro
rientro in palestra, non aveva proferito parola, restandosene
appoggiata alla
parete a osservare gli iniziati.
Quando
l’allenamento terminò, Kaithlyn fece un passo
avanti; probabilmente, doveva dare un avviso.
-
Io sono Kaithlyn, e insieme a Quattro e a Eric seguirò
il vostro addestramento. – esordì, incrociando le
braccia sotto il seno e
guardando seriamente gli iniziati. – e a titolo informativo,
vi dico che domani
vi eserciterete nel corpo a corpo per entrambe le sessioni di
allenamento,
quindi vedete di presentarvi qua in palestra puntuali, alle otto. Il
ritardo
andrà a intaccare il vostro punteggio
d’iniziazione. – terminò, suscitando un
lieve brusio di lamentele che però fu messo a tacere con una
sola delle sue
occhiate da “istruttrice spaventosa”.
-
Ora potete andare. – lì congedò Eric,
avvicinandosi a
Kaithlyn.
Gli
iniziati uscirono parlottando dalla palestra, mentre
Quattro si trattenne per organizzare gli incontri del giorno dopo.
-
Bene. Facciamo in fretta, devo tornare al Centro di
Controllo. – esordì, andando a prendere la lavagna
in tutta fretta; meno tempo
passava con quei due, meglio stava.
Kaithlyn
aspettò che posasse la lavagna sul solito
tavolo. Poi, senza preoccuparsi di dire niente, prese il gessetto che
le
porgeva Quattro e scrisse le coppie della giornata successiva. Dovevano
affrontarsi tutti, e togliendo l’escursione alla recinzione e
l’esercitazione
con i coltelli, rimaneva poco tempo per attuare tutti gli incontri.
-
Ecco fatto. Così non perdiamo altro tempo con questa
roba. – disse, finendo di scrivere le nuove coppie.
Molly
contro Edward, Peter contro Tris, Peter
contro Tris?, avrebbe dovuto scollare la Rigida dal pavimento
dopo
quell’incontro, rifletté Eric scorrendo la lista.
Al
contro Drew e infine Will contro Christina… poteva
andare, dopotutto. E dato che lei sembrava di pessimo umore, era meglio
assecondarla.
Parve
percepire la cattiva aria che tirava anche
Quattro-Rigido-Eaton-HoilnomepiùstupidodiChicago,
perché invece di protestare
per la disparità del secondo incontro, come avrebbe fatto
normalmente, si
limitò a irrigidire le spalle e a guadagnare rapidamente
l’uscita. Finalmente fuori
dai piedi.
-
Ehm... – si schiarì la voce, attirando
l’attenzione
della ragazza che alzò, lentamente, gli occhi azzurri su di
lui.
-
Sì? –
Senza
risponderle, la prese un polso e, il più
gentilmente possibile, la tirò verso l’uscita:
poco più avanti c’era un punto
ceco alle telecamere e lui non aveva nessuna voglia di rendere
partecipi gli
Intrepidi che lavoravano al Centro di Controllo dei fatti suoi.
Kaithlyn
non oppose resistenza: primo, perché sarebbe
stato inutile e controproducente e secondo, perché
cominciava a dare segni di
scompenso a causa della stanchezza e non aveva nessuna voglia di
mettersi a
battere i piedi per una cosa così stupida.
-
Senti... – le disse Eric, passandosi nervosamente una
mano dietro la testa. – per ieri... io so che tu e coso lì,
siete amici… però… -.
Kaithlyn
si appoggiò alla parete, mentre Eric continuava
a borbottare quelle che con un po’ di fantasia avrebbero
potuto essere delle
scuse. Con molta, fantasia.
Nessuno
dei due era il tipo da lunghi discorsi e
smancerie varie, anzi, nessuno dei due sopportava simili scemenze da
fidanzatini ed entrambi erano orgogliosi e testardi; per questo
alzò gli occhi
al cielo e decise di fare finta che il giorno prima non fosse successo
niente.
-
Eric. – lo interruppe. – ho capito quello che vuoi
dire, facciamo finta di niente per questa volta, okay? E ogni tanto
fammi il
sacrosanto favore di mandare a quel paese Jeanine da parte mia, dato
che
ultimamente vi vedete così spesso. –
proseguì leggermente inviperita dal fatto
che il suo ragazzo passasse il suo tempo in Sala Conferenze piuttosto
che con
lei.
-
Ti ho anche mandata a fanculo! Sicura di voler far
finta di niente? – indagò. Prima di fare qualsiasi
cosa preferiva essere sicuro
che fosse davvero tutto sistemato.
-
Anch’io. Un sacco di volte e in modo anche piuttosto
colorito, se vuoi saperlo; se avessi sentito la metà degli
epiteti che ti ho
tirato dietro, non ti sentiresti così sotto accusa, credimi.
– gli disse
tranquillamente, senza smuoversi dalla sua posizione.
Eric
si sentì decisamente meglio. Quando tornava pungente
e sarcastica, significava che era tutto a posto.
Fece
un passo verso di lei: aveva ancora una cosa da mettere
in chiaro.
-
Devi dirmi qualcos’altro? – gli domandò,
vedendolo
titubante.
Eric
fece un bel respiro. Al contrario di suo fratello
William, lui non sapeva mai da che parte cominciare. Possibile che
trovasse
difficoltà anche a chiarire una cosa così ovvia e
semplice?
-
Kaithlyn, tu sai vero che io... be’, non ti farei mai
male, vero? – le chiese, riferendosi al giorno prima, quando
l’aveva sbattuta
contro il muro. Kaithlyn sorrise un po’: avrebbe potuto quasi
giurare che fosse
leggermente arrossito, se non fosse stato così buio ed Eric
non avesse dato le
spalle alla lampada che illuminava quel corridoio, rendendo il suo viso
ancora
più in ombra.
-
Sì, tranquillo. – lo rassicurò, sempre
con lo stesso
sorrisetto vagamente divertito.
-
Okay. –
In
un raro slancio di affetto Kaithlyn si avvicinò a lui,
allungandosi sulle punte per posargli le mani su viso e gli
stampò un bacio
sulle labbra, lasciando Eric vagamente sorpreso.
-
Dai andiamo. – gli disse guardandolo divertita
dall’espressione inebetita che tanto stonava con il ragazzo
che aveva davanti.
Si
avviarono verso il Pozzo, entrambi un po’ più
leggeri.
-
Ho appeso un’iniziata alla ringhiera dello Strapiombo,
oggi. – le comunicò Eric. – quella dove
mi hai fatto fare gli addominali a fine
iniziazione perché ti ho detto che la tua presenza in
palestra era superflua,
ricordi?. –
Kaithlyn
si fermò un attimo e lo fisso, seriamente,
facendo sparire quel ghigno divertito dal viso del ragazzo.
-
Pff... dilettante! – gli disse, guardandolo con aria
altezzosa per poi farsi spuntare un sorrisetto furbo mentre gli
punzecchiava un
braccio con un dito. Eric inarcò un sopracciglio.
-
Se vuoi, strada facendo, posso raccontarti tutto quello
che so sugli istruttori spaventosi! – gli disse, riprendendo
a camminare e
facendo spuntare un ghigno sul viso di Eric.
Dopo
cena avevano bevuto qualcosa al Pozzo e poi, dopo
essere passati da lei a prendere quello che le serviva, erano filati a
casa
sua. Lui era filato sotto la doccia, e lei si era buttata con ben poca
grazia
sul suo letto, più addormentata che sveglia.
Quando
era uscito dalla doccia, dieci minuti dopo, con
solo un asciugamano stretto sui fianchi aveva trovato Kaithlyn intenta
a
frugare nei suoi cassetti con un certo impegno.
-
Hai perso qualcosa? – le domandò, inclinando
leggermente la testa e facendo cadere qualche goccia d’acqua
per terra.
-
Sto cercando il mio pigiama. –
-
Ultimo cassetto, a destra. L’ho messo dove ero sciuro
che saresti arriva senza un panchetto… - la prese in giro,
divertito.
Per
tutta risposta, Kaithlyn afferrò un cuscino dal letto
e glielo scagliò in faccia. Poi, con aria offesa, prese il
suo beauty e si
diresse nel bagno alle spalle del ragazzo.
Dopo
essersi lavata i denti e finalmente struccata, tornò
in camera dove ad aspettarla c’era Eric, disteso sulla
schiena con solo i
pantaloni del pigiama addosso. Probabilmente, se non fosse stata sul
punto di
addormentarsi in piedi, la vista di quel corpo scolpito le avrebbe
fatto venire
voglia di terminare al meglio la serata ma non era sicuramente quello
il caso.
Era sveglia da quasi quaranta ore ed evidentemente i suoi ormoni, che
in altre
circostanze sarebbero schizzati alle stelle, erano andati a riposare
prima di
lei. In quel momento, l’unica cosa che il suo cervello
riusciva a registrare
era la stanchezza e l’infreddolimento. Poi c’era
Eric mezzo nudo, ma quello era
un altro discorso.
Quando
Eric la vide, si stiracchiò allungando le braccia
sopra la testa e con un colpo di reni si mise a sedere, facendole
spazio sul
letto a una piazza e mezzo.
La
osservo per un attimo: indossava dei pantaloncini
corti e una canottiera, entrambi neri, e aveva l’aria di
essere in procinto di
addormentarsi in piedi; era carina, anzi era bella, anche
con
quell’aria assonnata e i capelli stravolti. Anche se lui non
faceva testo:
avrebbe trovato Kaithlyn sexy anche con un saccone addosso, figuriamoci
con
quel bel pigiamino.
Si
appuntò mentalmente di darsi un minimo contegno: era
pur sempre un Capofazione degli Intrepidi e non poteva certo sbavare, ogni
qualvolta vedeva un lembo di pelle in più della sua ragazza.
Anche se era
piuttosto difficoltoso, quando si trovava vicino a quel corpo tonico e
ben
fatto.
Senza
dire nulla, Kaithlyn s’infilò rapidamente sotto le
coperte: le faceva sempre più freddo, ma pensò
fosse più una reazione dovuta
alla stanchezza che ad altro, dato che il suo ragazzo stava mezzo nudo
sopra le
coperte, anziché sotto come lei.
Come
se le avesse letto nel pensiero, Eric tirò su il
bordo della coperta blu scuro e si stese vicino a lei, facendole
scorrere un
brivido lungo la schiena dovuto probabilmente alla vicinanza con il
corpo caldo
del ragazzo che ora le cingeva la vita con un braccio.
-
Non ci pensare nemmeno. – gli mormorò, un paio di
minuti dopo premurandosi di scandire bene le parole, mentre sentiva le
labbra
di Eric baciarle lentamente il collo e le sue mani calde insinuarsi
sotto la
maglietta sbracciata del pigiama, accarezzandole i fianchi da dietro.
-
… No? –
-
No. – rispose in uno sbadiglio assonnato, per poi
rannicchiarsi un po’.
Eric
sbuffò, girandosi completamente sulla schiena e
fissando contrariato il soffitto: e pensare che si era anche
scusato.
Dopo
qualche minuto Kaithlyn si girò verso di lui
mettendosi su un fianco, le coperte tirate su fino al collo e lo
guardò dal basso.
Eric
girò un po’ la testa verso di lei: lo stava
fissando. Che voleva adesso, dopo averlo anche rifiutato?
Per
tutta risposta la fissò di rimando con un sorrisetto
divertito sulle labbra: l’avrebbe trovata quasi buffa, se
non
avesse saputo che quello sguardo stava ad anticipare una richiesta di
qualche
tipo. Molto inquietante.
-
Che… che c’è? – le
domandò dopo un minuto buono di
silenzio. Kaithlyn sbatté le ciglia, accomodandosi un
po’ più vicino a lui.
Okay, ora aveva paura. Che diavolo voleva?
-
Ho freddo. –
Ah,
ecco cosa c’era.
-
E c’è bisogno di fissarmi così?
– le domandò
guardandola dall’alto.
-
Volevo solo che fossi psicologicamente pronto. – gli
sussurrò innocentemente. Pessimo segno.
Eric
la guardò perplesso. ‘Psicologicamente pronto a
cosa?’ le avrebbe voluto chiedere.
Comprese
cosa intendesse quando le manine congelate della
sua ragazza gli si poggiarono sulla pancia e un brivido lo scosse dalla
testa
ai piedi. Istintivamente fece per alzarsi ma Kaithlyn, piuttosto
rapidamente
per essere una che sosteneva di essere così stanca da non
reggersi in piedi, si
infilò sotto il suo braccio e appoggiò la testa
sul suo petto muscoloso,
cingendoli il torace.
“Oh
muoviti ora..” pensò sconsolato rivolto a se
stesso.
Rassegnato,
le passò un braccio dietro la schiena e
l’attirò di più a sé,
facendole intrecciare le gambe con la sua e permettendole
di rannicchiarsi contro il suo petto.
Kaithlyn
sorrise soddisfatta e, con finta nonchalance,
spostò la manina maledetta dal
suo fianco al suo povero collo,
facendolo nuovamente rabbrividire. Sapeva che l’avrebbe
fatto, la traditrice.
Lui
non lo voleva, però se si parlava di stare al
calduccio, vedi come diventava carina…
Le
accarezzò la massa di capelli rossi, mentre con
l’altra le scostava la mano dal suo collo e gliela spostava
sul petto,
stringendola un po’. Era proprio congelata. E lui si era
proprio rincoglionito.
-
‘Notte.. – mugugnò lei contro la sua
pelle, mentre
cercava di soffocare l’ennesimo sbadiglio.
-
‘Notte. – borbottò di rimando,
lasciandole la mano e
tirando un po’ più su le coperte per poi darle un
rapido bacio sulla testa.
Si
permetteva quei gesti solo quando erano soli, e
preferibilmente, quando lei dormiva o era particolarmente stanca:
sapeva che i
gesti d’affetto la mettevano in difficoltà, erano
uguali in quello. Era anche
vero che ultimamente i momenti in cui era tranquillo si erano
esponenzialmente
ridotti, mentre quelli in cui riusciva a stento a controllare tutta la
rabbia
che aveva in corpo si moltiplicavano sempre di più, e sempre
con maggior
difficoltà riusciva a ritrovare la calma.
Con
questi pensieri strinse un po’ più Kaithlyn, ormai
profondamente addormentata, contro il suo petto e si
addormentò a sua volta.
Eccoci
qua!
Speravate
forse di esservela cavata con quelle (risale
con il cursore a contarle)…9 righe a inizio pagina?
Pensavate male! Potevo
forse avanzare di ammorbarvi un altro po’?
Ovviamente,
no. Ma prometto che sarò… sintetica! (Detto
da me, è tutto dire, eh..)
Allora,
che ne dite? Vi è piaciuto il capitolo? Vi piace
come sto rappresentando Eric? Non so se avete notato, ma ho inserito
(accennato)
due personaggi, la madre di Eric e il fratello William... che devo
decidere se
presentare in uno dei prossimi capitoli, ma lascio decidere a
voi!
Consigli
o suggerimenti sono sempre ben accetti,
naturalmente!
La
parte dei dialoghi della prima metà, come ho detto
all’inizio della pagina (perché rompervi le
scatole solo in fondo era troppo
poco! >.<) sono ripresi dal libro…(ma va? Cit.
voi)
Per
i combattimenti mi sto basando su quello che racconta
Tris, e sono andata un po’ a deduzione, basandomi sui
dialoghi... il resto li
inventerò! Dovrebbero fare un tutti contro tutti, giusto?
Non avete idea degli
schemi e dei disegnini che sto "scribacchiando" ovunque per far
combaciare tutto con il libro! La mia situazione psicologica
può solo
peggiorare inesorabilmente!
Le
informazioni sull’iniziazione di Eric e Quattro e i
nomi (Sean e Mia) dei compagni d’iniziazione, sono presi dal
libro “Four: una
scelta può liberarlo”, per questo vi chiedo scusa
se vi sto allegramente
spoilerando tutto il libro.
Ringrazio
tutti i lettori silenziosi, come al solito mi
fa sempre un immenso piacere vedere tutte quelle visualizzazioni!
Ringrazio girlstreet e Adeus per
aver inserito la storia tra le “seguite”; ChiarucciFangirl e gibi44 per
averla inserita tra i “preferiti”; gibi44 (due
volte grazie) per averla inserita tra le
“ricordate”; infine ringrazio
moltissimo i
love evanescence, Ozzy99, Kaimy_11 e
nuovamente Adeus,
che ha recensito tutti e quattro i capitoli
precedenti!
Non
so bene quando riuscirò ad aggiornare la prossima
volta, perché ho un paio di settimane da pazzi, ma vi
prometto che farò del mio
meglio!
Spero
davvero che la storia continui a intrigarvi!
Questo, come avrete notato, è stato un capitolo abbastanza
tranquillo, senza
colpi di scena o chissà cosa. A parte la povera Christina
che viene appesa come
un prosciutto sulla Strapiombo, ma quelli sono dettagli ^.^’.
Alla
prossima,
Kaithlyn
E
meno male che dovevo essere sintetica!
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Io
vi chiedo umilmente perdono! Ma tra il fatto che ho
dovuto tutte le combinazioni di incontri dell’iniziazione di
Tris (lo so, sono
irrecuperabile) e complice di fatto che non ho avuto un minuto neanche
a
pagarlo oro, non sono riuscita ad aggiornare prima di così!
So
che scrivere tutte queste cose (come le coppie degli
incontri) ha della psicosi, quindi, a fine capitolo, potrete insultarmi
liberamente, okay? J
Ci
“vediamo” a fine lettura!
Capitolo
6
Eric
rotolò sulla schiena,
ansante, mentre la familiare sensazione di benessere psico-fisico e
appagamento
si diffondeva dal basso ventre alla testa, intorpidendolo. Proprio non
ne aveva
voluto sapere di arrivare alla sera senza toccare il corpo nudo di
Kaithlyn o
intrecciare le dita tra quei riccioli fiammeggianti.
Lentamente
girò la testa verso
la ragazza, che gli restituì un sorriso pigro ma appagato.
Squadrò quel corpo
tonico con gli occhi ancora ardenti di desiderio: se avesse potuto
scegliere
come passare il suo tempo, si sarebbe chiuso in casa con lei e avrebbe
buttato
via la chiave; i suoi occhi vagarono sul viso ancora arrossato e le
labbra
piene per poi proseguire e soffermarsi, forse un secondo in
più del necessario,
sui seni candidi che si alzavano e abbassavano al ritmo calzante del
respiro.
Kaithlyn
gli lanciò uno sguardo
ammiccante. Si girò su un fianco e appoggiò la
testa alla mano, puntellandosi
sul gomito: parte degli indomabili capelli rossi, ora, le ricadevano
sul seno,
spiccando come fiamme sul quella pelle candida, e rendendola se
possibile
ancora più seducente.
Con
calma, passò una mano
sulla guancia del ragazzo e si avvicinò al suo viso,
schioccandogli un bacio
morbido sulle labbra. Le piaceva scoprirsi un po’ di
più in quei momenti, ed
essere un po’ meno… lei,
e sapeva che
lui ne era contento: se c’era una persona meno incline alle
gentilezze o ai
gesti di affetto di Eric Turner, era proprio lei.
-
Buongiorno.. – disse in
soffio caldo, quando il respiro iniziò a regolarizzarsi.
-
‘Giorno.. – le rispose in
un borbottio, stendendo un braccio sul cuscino: era una chiaro invito
ad
accoccolarsi sul quel petto muscoloso. E chi era lei per dire di no?
Si
avvicinò a lui in modo da
far aderire il suo corpo a quello del ragazzo per poi poggiargli la
testa sul
petto e cingergli il torace ampio con il braccio libero. Chiuse gli
occhi per
qualche secondo, mentre si rilassava accanto al suo corpo caldo.
Aveva
una ricordo piuttosto
confuso del suo risveglio: ricordava di essersi svegliata a causa della
pelle
d’oca causata dalle mani calde di Eric che le massaggiavano
lentamente i
fianchi… aveva provato a ignorarlo, più per
fargli dispetto che per altro, ma
quando aveva sentito le sua labbra baciarle e mordicchiarle il collo e
scendere
verso i seni, l’unica cosa sensata che le era venuta in mente
di fare era stata
incollare le labbra alle sue e intrecciare le gambe intorno ai suoi
fianchi per
far aderire del tutto i loro corpi.
Aprì
pigramente gli occhi e
lanciò uno sguardo veloce alla radio sveglia sul comodino:
avevano ancora un
po’ di tempo prima di dover scendere al Pozzo.
Alzò
lo sguardo verso di
lui, guardandolo pensierosa; poi, aiutandosi con le braccia si
tirò su per poterlo
guardare bene in faccia: gli passò le dita tra i capelli
scuri, leggermente più
lunghi del normale, mentre con l’altra mano gli
accarezzò una guancia dove si
iniziava a intravedere qualche millimetro di barba.
Avrebbe
potuto provare
fastidio, sentendo la pelle ruvida sotto le dita, se si fosse trattato
di
qualcun altro; invece, vuoi perché si trattasse di Eric,
vuoi perché si erano
rotolati tra le lenzuola fino a pochi minuti prima, lo trovava
estremamente
sexy con quell’aria distrattamente attraente di chi non fa
niente per esserlo.
O più semplicemente perché era impossibile,
secondo lei, non essere attratti da
un corpo così virile.
Fin
dalle prima uscite,
anche se sapeva che Eric aveva una cotta per lei da molto prima,
l’attrazione
tra loro era stata palpabile: infatti erano finiti a letto insieme,
anche se al
letto non c’erano esattamente arrivati, dopo poco
più di un paio di settimane
di frequentazione.
E
dopo quei, seppur pochi,
mesi passati insieme la situazione non era decisamente migliorata;
anzi.
Kaithlyn
sorrise un po’ a
quel pensiero. Si avvicinò nuovamente a lui e lo
baciò lentamente,
mordicchiandoli ogni tanto il labbro inferiore su cui aveva alcuni
piercing. Rapidamente
il bacio di trasformò, e da lento e sensuale
diventò quasi famelico mentre la
voglia di riaversi pervadeva nuovamente entrambi.
Il
cuore aveva ripreso a
martellarle nel petto, e le mani si erano quasi automaticamente
intrecciate tra
i suoi capelli, per attirarlo il più possibile verso di
sé. Si staccò
leggermente dalla sue labbra, e lo guardò negli occhi grigi
nuovamente appannati
dal desiderio; gli lanciò un sorriso malizioso e, con tutta
calma, si
riavvicinò al suo viso mordicchiandogli il mento per poi
risalire lentamente a
piccoli morsi verso il suo orecchio, dove si fermò.
-
Ancora… - gli sussurrò
languidamente provocandogli un fremito e la pelle d’oca sulle
braccia.
Riprese
a baciargli il viso
e le labbra, con impazienza; poi, con lentezza esasperante e studiata,
iniziò a
baciargli e leccargli il collo e il petto, dove si soffermò
a mordicchiargli un
capezzolo. Eric ansimò, chiudendo gli occhi e affondando le
dita tra i suoi
capelli.
Kaithlyn
gli accarezzò il
ventre scolpito e il petto, per poi tornare a baciare e mordere ogni
lembo di
pelle su cui posava le labbra, strappandogli una serie di gemiti
eccitati.
Sorrise, tra sé. Le piaceva fargli questo effetto: le
bastava uno sguardo per
proiettare l’attenzione di Eric su di lei, lo sapeva bene.. e
ogni tanto, forse, se ne
approfittava un pochino;
era così eccitante però, sapere di essere lei a
scatenare tutto quel desiderio…
Quando
arrivò a
mordicchiargli la pelle poco sotto l’ombelico si
fermò, guadagnandosi
un’occhiata impaziente. Lentamente, si scostò la
mano di Eric dal viso per
baciargli lentamente le dita una per una. Lo sentì fremere
di desiderio contro
il suo corpo.
Gli
lanciò un’ultima
occhiata maliziosa, poi, senza perdere altro tempo sparì
sotto il lenzuolo.
Kaithlyn
guardò Molly
scollarsi dal pavimento intontita e guardarsi intorno: probabilmente
Edward, il
miglior iniziato transfazione, ci era andato troppo pesante. Anche un
cieco si
sarebbe accorto del divario: era evidente che lui studiasse
combattimento già
da prima, forse addirittura da anni, e lei non ne era affatto sorpresa.
Anche lei
sapeva già combattere quando si era trasferita, grazie alla
palestra del
Quartier Generale degli Eruditi. I suoi non era stati particolarmente
entusiasti
di quella decisione, ma alla fine si erano adattati.
Durante
il primo incontro aveva
osservato, senza farsi notare, l’agitazione crescente della
transfazione Abnegante:
Tris. Agitazione, che era anche piuttosto comprensibile, dato che
avrebbe dovuto
combattere con Peter, il quale era evidentemente più portato
per il corpo a
corpo. Il giorno prima aveva battuto Drew, un altro ex- Candido con cui
faceva
comunella, in meno di cinque minuti e quella mattina Drew era entrato
in
palestra zoppicando e con un colorito tendente al bluastro.
Era
stata lei a pianificare
gli incontri: per quel che la riguardava e per quel che aveva visto in
quei due
giorni, era meglio che la Rigida si togliesse dai piedi il prima
possibile il
combattimento con Peter: se si fossero affrontati a fine del primo
modulo il
suo punteggio, per quanto alto avesse speranza di diventare, sarebbe
finito
sotto terra. Meglio farle togliere il prima possibile il dente e
testare le sue
effettive capacità da subito.
-
Tutto bene Rigida? – la
provocò Peter, con un sorrisetto derisorio sulla labbra.
Se
non avesse detestato le
chiacchiere inutili, specie durante gli allenamenti, avrebbe anche
potuto
trovare quella domanda lecita: Tris sembrava sul punto di vomitargli
sui piedi.
-
Sembri sul punto di
scoppiare in lacrime. Potrei andarci piano con te, se piangi.
–
Con
la coda dell’occhio vide
Quattro contrarre le labbra, come se avesse voluto dire qualcosa ma si
fosse
morso la lingua.
-
Non trattenerti a causa
mia, Quattro. Sfogati. – gli borbottò ironicamente
in modo che solo lui ed Eric
potessero sentirla.
Eric
invece, aveva preso a
battere un piede sul pavimento in modo quasi frenetico. Possibile che
non
riuscisse a stare fermo anche solo per un attimo?
La
sua attenzione fu
nuovamente catturata da Peter, che nel frattempo si era messo in
posizione
d’attacco.
-
Su, Rigida – la
punzecchiò. – Solo una piccola lacrima, magari
qualche supplica. –
Se
Peter avesse continuato ancora
a chiacchierare, le uniche suppliche che si sarebbero udite sarebbero
state
quelle che gli avrebbe fatto gridare lei per tutta la Residenza degli
Intrepidi
mentre lo trascinava per i corridoi tirandolo per i capelli e
facendogli pulire
il pavimento con la lingua.
Tris
parve essere stufa quanto
lei, perché alzò una gamba per tirare un calcio a
Peter; gamba, che
l’avversario afferrò e strattonò, facendole battere la schiena
sul pavimento.
-
Smettila di giocare con
lei. – intervenne la voce di Eric alla sua sinistra.
– Non ho tutto il giorno.
–
Perché
lei sì?
Nel
frattempo Tris era
riuscita a strattonare la gamba dalla presa di Peter e a rimettersi in
piedi.
Dopo
le parole di Eric, la
luce maliziosa che riusciva a vedere fin da lì negli occhi
di Peter scomparve,
e il braccio del ragazzo scattò in avanti colpendo Tris alla
mascella e
facendola barcollare pericolosamente. Tris cercò di
allontanarsi
dall’avversario, ma Peter fu più veloce: le si
parò davanti e le diede un
calcio nella stomaco per poi afferrarla per i capelli e colpirla prima
al viso
e poi al torace.
-
Gli hai insegnato questo,
durante la mia pausa caffè, il primo giorno? –
chiese rivolgendosi a Quattro e
guardando la mossa poco tecnica usata da Peter.
Quattro
roteò gli occhi e
respirò profondamente. Sembrava che quel giorno Kaithlyn
fosse in vena… e lui,
come con Eric, non era né una persona che amasse scherzare,
né un amante di saccenti
e sarcastici ex – Eruditi.
Doveva
riconoscere però che
quegli… schiaffetti, o qualsiasi altra cosa
fossero, che Tris
stava cercando di tirare a Peter sulle braccia, erano abbastanza
ridicoli… ma
si poteva sempre migliorare giusto? Avrebbe comunque potuto superare
l’iniziazione, era appena cominciata… non era
sicuro, però.
Tris
venne spinta a terra, e
sbatté gli occhi, lenta e priva di energie per combattere;
nonostante questo, si
rialzò con determinazione.
Kaithlyn
conosceva quella
determinazione, era la stessa che aveva lei nei suoi incontri.
In
piedi.
Immaginò fosse il pensiero nella testa della ragazza. In piedi.
Anche
se lei, alla fine, gli
incontri gli vinceva. Un po’ perché si era
premunita di imparare a combattere
prima di trasferirsi negli Intrepidi per non lasciare niente al caso,
un po’
perché i compagni di iniziazione l’avevano
sottovalutata… grave errore, dato
che alla fine aveva fatto sputare sangue anche ai maschi. Non era
più forte
fisicamente, ma le era bastato avere più tecnica e
preparazione ed essere più
cattiva durante gli incontri.
Proiettò
nuovamente l’attenzione
sui due avversari e decise che avrebbe interrotto l’incontro
a momenti: era
evidente che lei non fosse più in grado di combattere,
nonostante il pugno che
miracolosamente colpì Peter allo stomaco facendolo gemere.
Lo schiaffo che
seguì però, buttò Tris definitivamente
a terra.
Quando
Kaithlyn si staccò
dalla parete per andare verso l’arena, Quattro
scattò verso l’uscita della
palestra e se ne andò, irritato.
“A
proposito di casi
umani..” pensò scambiandosi un’occhiata
perplessa con Eric.
Le
ginocchia di Tris, dopo
lo schiaffo, cedettero definitivamente. Il primo grido acuto di dolore
che uscì
dalla bocca della ragazza fu causato dall’ennesimo calcio di
Peter, questa
volta al fianco.
Kaithlyn
si avviò verso
l’arena, ma prima che potesse aprire bocca,
un’altra pedata colpì Tris sul
viso.
-
Basta così! – gridò
avanzando verso i due sfidanti, mentre Tris perdeva definitivamente i
sensi e
si accasciava a terra.
“Niente
male come primo
giorno…”
Peter,
dal canto suo,
sembrava fin troppo felice per i
suoi
gusti. Ci avrebbe pensato lei a fargli passare la voglia di credersi
chissà
chi. Bastava che lui le fornisse l’occasione giusta.
-
Iniziato! – abbaiò
all’indirizzo di Edward. – Porta la tua compagna in
infermeria e
rimaterializzati qui alla velocità della luce. –
Edward,
che sembrava uno dei
pochi ad aver capito come giravano le cose con lei, annuì
senza protestare e raggiunse
rapidamente il corpo inerme di Tris, la sollevo di peso e
uscì rapidamente
dalla palestra.
Quel
giorno, nonostante il
risveglio fosse stato molto più che piacevole, si sentiva
meno accondiscendente
del solito; un nuovo limite di sopportazione minima raggiunta, in
pratica. In
altre parole, se gliene avessero dato occasione, avrebbe dato il
meglio, o il
peggio a seconda dei punti di vista, di sé.
Durante
l’incontro
successivo, mentre Al cadeva a terra e ci rimaneva, le venne
l’impulso di
andare lì e tiragli una pedata: era sicura che fosse
cosciente e che sarebbe
stato capace di proseguire e probabilmente vincere il combattimento.
Perché
farsi battere da uno come Drew? Uno che non era nemmeno suo amico, tra
le altre
cose.
Quattro
tornò per assistere
all’ultimo incontro della mattina: Christina contro Will.
Questa
volta, al contrario
della prima, Will vinse con un certo scarto, dato che Christina non
aveva
ancora capito che il non farsi colpire sul viso, magari
avrebbe potuto aiutarla a non stramazzare al suolo. Si
appuntò mentalmente di farglielo notare: dopotutto, era
lì anche per insegnare
qualcosa a quel branco di incapaci.
-
Christina. – la chiamò
quando si riebbe dopo l’incontro.
La
ragazza la guardò
preoccupata: probabilmente ricordava fin troppo bene la punizione di
Eric e
l’essere stata interpellata l’aveva resa nervosa.
Kaithlyn
si avvicinò, senza
comunque farle cenno di stare tranquilla: più si faceva
detestare dai suoi
iniziati, più veniva presa sul serio.
-
Sì? – chiese titubante
Christina, studiando per un secondo la figura che aveva davanti:
Kaithlyn non
era alta, e di corporatura era abbastanza minuta, ma sembrava
indistruttibile;
c’era qualcosa, negli occhi o forse nella postura, che
lasciava intendere che
era una con cui cercare di andare d’accordo il più
possibile, se non di
volevano passare brutti quarti d’ora.
-
Sai, è più facile vincere
un incontro se riesci a non farti fare entrambi gli occhi neri.
–
Christina
tirò un sospiro di
sollievo, e annuì, recependo il messaggio.
-
Bene. Potete andare a
pranzo, o in infermeria o dove vi pare, mentre noi organizziamo i
prossimi
incontri per il pomeriggio. – annunciò a voce
più alta per farsi sentire da
tutti.
-
Sparite! – aggiunse,
vedendo che gli iniziati si stavano attardando.
In
silenzio, uscirono tutti
dalla palestra mentre lei riprendeva per l’ennesima volta la
lavagna di ardesia
verde e scriveva le coppie per quel pomeriggio, senza interpellare
né Eric né
tantomeno Quattro.
Certo
che almeno una
lavagnetta elettronica potevano anche metterla…
-
Che cos’è? CHE COS’ È?
–
strillò, all’indirizzo dei due iniziati.
– Pensate forse che si tratti di un
incontro di lotta libera?! –
Certe
cose proprio non si
potevano vedere: Drew aveva afferrato Christina per i capelli in modo
da
poterla strattonare a terra per colpirla meglio sul viso.
-
Stiamo combattendo. –
rispose, con ovvietà l’iniziato.
-
Tu dici? – chiese,
tagliente. – a me sembra che vi stiate azzuffando.
Ti manca solo una clava, e sarai un perfetto cavernicolo. Sai
cos’è un
cavernicolo, vero? –
Drew
arrossì, ma non disse
nulla. Meglio per lui, se non altro.
Il
secondo incontro fu tra
Molly ed Al che riuscirono a terminarlo in meno di dieci minuti, dato
che Al
dopo qualche colpo si accasciava a terra e ci rimaneva. Sperava davvero
che non
avesse intenzione di proseguire così, o poteva
già fare i bagagli e andarsene
dalla Residenza. Quel genere di comportamento non veniva tollerato tra
gli
Intrepidi.
Gli
ultimi due incontri
furono rapidi e indolori: Edward stese Will in sei minuti cronometrati,
mentre
Peter non si sforzò nemmeno per battere Myra: praticamente
fece tutto da sola.
A
fine pomeriggio, Kaithlyn
li guardo tutti con espressione demoralizzata.
-
Raramente, - esordì. – ho
visto qualcosa di così penoso. Abbassate il livello
combattivo generale della
fazione. –
-
Tu sei un’esperta in
spettacoli pietosi? – chiese Peter squadrandola dalla testa
ai piedi, senza
pensare a frenare la lingua. Dopo tutto veniva dai Candidi, e
nonostante non
fosse mai stato veramente uno di loro, si sentiva ancora in diritto di
dire
tutto quello che gli passava per la testa.
Quando
Kaithlyn lo guardò,
Peter si sentì raggelare. Non era il tipo da farsi
intimidire, e non temeva
nessuno; sapeva essere crudele, alle volte, e aveva occhio per le
debolezze
altrui. Il problema, era che la rossa, a parte il fatto di essere
piuttosto
minuta, non sembrava averne, e da come se ne stavano tranquilli i loro
istruttori quando si trovavano nel suo raggio d’azione, ne
dedusse che fosse
anche piuttosto in alto nella gerarchia degli Intrepidi. Aveva fatto
una cazzata.
Nessuno
disse una parola,
mentre Kaithlyn gli si avvicinava lentamente, la postura rigida.
Quando
fu a meno di trenta
centimetri da lui, lo inchiodò lì sul posto con
un’occhia che avrebbe congelato
sul posto anche il diavolo in persona. Irrigidì la schiena,
sovrastandola; cosa
che lei, parve non apprezzare.
-
Hai detto qualcosa,
Candido? – sibilò lentamente, senza smettere di
fissarlo.
-
Ho chiesto solo se tu te
ne intendi, di spettacoli penosi. – rispose a tono, seppur
con voce meno
baldanzosa. Kaithlyn era tanto carina quanto inquietante, in quel
momento; e
Quattro ed Eric non davano segno di voler intervenire: il primo
guardava un punto
imprecisato della palestra, mentre il secondo giochicchiava con un
piercing al
labbro e gli guardava attentamente, come se stesse seguendo una lezione
particolarmente interessante.
-
Vedi… Hayes, come Quattro
ha ricordato anche alla tua amica Christina, la prima regola per
sopravvivere
qui, è tenere quella boccaccia che vi ritrovate sigillata.
–
Peter
questa volta non
ribatté. Non era stupido, e non aveva intenzione di giocarsi
l’iniziazione.
-
Vedi di riuscirci, se non
vuoi che ti faccia rimpiangere la tua scelta. –
bisbigliò minacciosa. – Hai
capito? –
-
Sì. – disse in una
mormorio Peter. Non gli piaceva fare la figura dell’idiota, e
preferiva non
farsi sentire dagli altri iniziati: non voleva che pensassero che non
sapeva
tenere testa a una ragazza poco più grande di lui.
-
Non ho sentito. – scandì
Kaithlyn alzando la voce in modo che tutti sentissero chiaramente.
-
Sì. – ripeté, questa volta
più forte e arrossendo per l’imbarazzo, gli occhi
ora carichi di risentimento.
-
E dato che ti piace fare
lo spaccone, passerai la mezz’ora successiva al termine degli
allenamenti a
sistemare la palestra insieme al tuo istruttore. –
intimò.
-
Eric? Credi che al Centro
di Controllo avranno qualche problema se Quattro arriva una
mezz’oretta dopo? –
domandò, senza staccare gli occhi dall’iniziato
che aveva davanti.
Eric
trattenne a stento
un’espressione un po’ troppo soddisfatta.
-
No. Può sempre posticipare
la fine del turno. – rispose, con voce calma.
Quattro,
dal canto suo, era
piuttosto sicuro che, se avesse potuto, Eric si sarebbe messo quasi a
ballare
per la possibilità di infastidirlo che Kaithlyn gli stava
offrendo.
-
Molto bene. Allora gli
altri possono andare, tu resterai qui fino a quando Quattro non
avrà deciso che
è abbastanza. – decretò, avendo notato
l’irritazione di Quattro quando Peter
aveva affrontato Tris. Hayes, se non altro, era sistemato.
-
Domani farete
un’escursione alla recinzione. Vedete di farvi trovare ai
binari per le otto e
un quarto, o resterete qui e vi verranno tolti punti. –
Ci
fu un brusio di assenso,
e poi tornò rapidamente il silenzio.
Senza
degnare di un
ulteriore sguardo gli iniziati, Kaithlyn si avviò verso
l’uscita seguita a
breve distanza da Eric.
-
Avete finito? Sto
mangiando. – sbottò scocciata. Che problemi
mentali aveva? Per quale
maledettissima ragione si era seduta davanti ai due piccioncini tubanti?
Clarisse
le rivolese
un’occhiata astiosa: non si erano mai sopportate, non si
sopportavano e
avrebbero continuato a detestarsi in eterno, poco ma sicuro.
Jason
non poteva iniziare a
frequentare una ragazza tranquilla e carina? Nicole Lewis* sarebbe
stata
perfetta: aveva la loro età, era piuttosto carina e si era
rivelata essere
anche sveglia. Non come quella gatta morta che si portava appresso da..
troppo
tempo, per i suoi gusti.
Tra
le altro cose, Nicole,
era una delle poche persone con cui riuscisse ad andare
d’accordo, o per lo
meno verso la quale non nutrisse istinti omicidi: non era un segno
indicativo abbastanza
forte?
-
Ti disturbiamo, rossa? –
chiese divertito Jason.
-
Sì. Non è evidente? –
Lui
sorrise un po’, vedendo
la solita espressione corrucciata sul viso di Kaithlyn.
Pochi
secondi dopo, con sua
grande sorpresa, vennero raggiunti da Zeke e Sean Byrd*: la mensa, in
effetti,
era strapiena a quell’ora, e il loro tavolo era uno dei pochi
con alcuni posti
liberi… che fosse per la presenza della sua gentilissima e
amichevolissima
migliore amica?
Zeke
si lasciò cadere sulla
sedia accanto a Jason, con il vassoio riempito a tal punto da far
pensare che
non mangiasse da una settimana.
-
Eric? – chiese dopo un po’
Sean, guardando Kaithlyn. Eric e Sean aveva fatto amicizia durante
l’iniziazione,
e probabilmente, per Eric, era ciò che più si
avvinava ad un amico.
Fece
spallucce: mentre si
dirigevano al Pozzo gli era suonato il Cercapersone, e lui era andato
via
imprecando tutto incazzato, lasciandola lì come
un’idiota. E poi era lei quella
schizzata, tra i due.
-
Tu sì, che sai essere
eloquente! – bofonchiò sarcasticamente.
-
Be’, vallo a cercare! Il fatto
che io ed Eric ci si frequenti da un po’, non implica che io
sappia cosa fa in
ogni secondo della sua esistenza; non gli ho mica installato un GPS
addosso. -
Erano
passati due anni
dall’iniziazione di Sean, ed ancora non aveva perso la sua
lingua lunga da
Candido impertinente. Non che lei potesse permettersi di contestare a
qualcuno
il poco tatto. Non
era mai stata
abituata a tenere i propri commenti per se stessa: se aveva qualcosa da
dire,
non era sua abitudine starsene zitta; se non in circostanza particolari.
Zeke,
notò, era stranamente
silenzioso, mentre punzecchiava la cena. Era uno spettacolo piuttosto
strano,
dato che in genere non riusciva a tenere la bocca tutta insieme per
più di
cinque minuti e si strafogava di qualsiasi cosa trovasse, come
dimostrava il
contenuto del suo piatto.
Ogni
tanto lanciava occhiate
verso la porta della mensa, come se aspettasse qualcuno.
Capì quando Shauna
entrò accompagnata da un interno della sua età,
Alex Jeffrey. Che, tra le altre
cose, era anche piuttosto carino.
-
Chi è quello con Shauna? –
domandò Sean, mentre faceva distrattamente un cenno di
saluto a Mia, una ex-
Pacifica che aveva fatto l’iniziazione con lui.
-
Alex Jeffrey. Un interno
che ha fatto l’iniziazione nel mio stesso anno. –
rispose prontamente, mentre
si versava dell’acqua.
-
È carino, vero? – chiese
con finta non curanza e lanciando un’occhiata a Zeke, ora
rigido sulla sedia. Frequentare
Quattro gli faceva decisamente male.
-
A me sembra un’idiota. –
brontolò Zeke. Faceva uno strano effetto vederlo
così ombroso: essere così cupo
era più un atteggiamento da Quattro, anche se lui,
più che ombroso o cupo,
poteva essere definito proprio rigido,
nel vero senso del termine. Era proprio vero che non ci si lasciava mai
del
tutto alle spalle la propria fazione d’origine.
Kaithlyn
incurvò appena le
labbra, divertita: Zeke e Shauna avevano una cotta l’uno per
l’altra da almeno
un paio d’anni, e ormai lo sapevano anche i muri, ma nessuno
dei due aveva mai
fatto il primo passo.
-
Non mi sembra niente di
che, quel tizio. – incrementò, dato che nessuno
gli aveva dato man forte, lanciando
un’occhiata velenosa in direzione di Shauna e Alex, che si
erano appena seduti
dall’altra parte della mensa, talmente vicini che i loro
gomiti si toccavano
mentre tagliavano quello che avevano nel piatto.
Lei
sapeva che non c’era
assolutamente niente tra loro: era stato tutto un piano di Shauna per
vedere di
dare una smossa a Zeke. Lo sapeva perché la ragazza aveva
pensato di renderla
partecipe di tutta quella messa in scena mentre si cambiavano negli
spogliatoi.
Kaithlyn
appoggiò un braccio
sul tavolo, reggendosi la testa con una mano, e guardò quasi
con
accondiscendenza Zeke.
-
Che c’è? – domandò
bruscamente lui dopo un po’, sentendosi osservato.
-
Niente. È che sei così
stupido.- gli spiegò addolcendo
leggermente il tono, in modo da renderlo ancora più
compassionevole.
-
Detto da te, lo prendo
come un complimento. – commentò
-
Giusto. Forse è la cosa
più carina che hai detto in tutto il giorno, no?
–intervenne Jason.
Kaithlyn
alzò gli occhi al
cielo e smise di ascoltarli.
In
quel momento entrò Eric,
spalancando la porta della mensa con poca delicatezza. Se generalmente
tendeva
ad essere arrabbiato con ogni forma di vita che gli capitasse a tiro,
in quel
momento era evidentemente furioso. Aveva i lineamenti del viso
contratti in
un’espressione feroce, e i muscoli delle braccia tesi. Si
diresse a passo
spedito verso il tavolo dove era seduto Max, si chinò verso
di lui e gli disse
qualcosa vicino all’orecchio. Max saltò su quasi
di scatto, e insieme di
avviarono di tutta fretta verso l’uscita.
Kaithlyn
osservò tutta la
scena, cercando di non farsi notare: il fatto che avessero
“fatto pace”, se
così si poteva dire, non significava che lei avesse lasciato
perdere tutta la
faccenda di Jeanine e degli Eruditi. Decise comunque che per il momento
avrebbe
lasciato perdere: il giorno dopo avrebbero avuto
l’aggiornamento ed era meglio
che entrambi, sia lei che il suo amorevole
ragazzo, fossero il più tranquilli possibile, o
sarebbe finito tutto in un
bagno di sangue. Nessuno dei due era un granché quando si
parlava di
self-control, anzi erano uno peggio dell’altro, e ritrovarsi
in una situazione
del genere, avendo una buona scusa per picchiarsi, non era certo una
cosa che
poteva evolvere in modo positivo.
-
Dove vai? – chiese Jason
vedendola alzarsi.
-
Ho raggiunto il mio
livello massimo di sopportazione delle vostre inutili, stupide
chiacchiere. Me
ne vado. Domani mattina comunque vado a riscaldarmi un po’ in
palestra. Tu
vieni? –
Jason
inarcò un sopracciglio
e scrollò le spalle.
-
Okay, a domani. –
-
Be’, è simpatica, no? – lo
sentì aggiungere rivolto a Zeke, che ridacchiò.
Per quanto potesse essere
abbattuto dubitava che riuscisse a rimanere serio per più di
una ventina di
minuti consecutivi.
-
Turner? – chiamò entrando
nell’appartamento, ma non rispose nessuno.
L’ingresso
era avvolto nel
buio, ma dalla camera proveniva un po’ di luce che delineava
le sagome dei
pochi mobili essenziali della stanza: forse la lampada delle scrivania
era
rimasta accesa. O, ancora più probabilmente, Eric aveva
deciso di ignorarla.
Senza
fare rumore si avviò
verso la porta e si affacciò con la testa nella stanza: Eric
era seduto, chino,
su quelli che sembravano, ad una prima occhiata, dei documenti.
Non
aveva già sistemato le
faccende burocratiche?
Con
passo felpato gli si
avvicinò da dietro, e gli picchiettò su una
spalla.
-
Che vuoi? – le chiese
bruscamente.
Kaithlyn
si accigliò.
-
Scusa tanto, Capofazione
super-indaffarato dei mie stivali! Sono solo venuta a vedere che stai
combinando. Ma se ti infastidisco tanto, me ne vado subito. –
ribatté inviperendosi
subito.
Eric
le rivolse un’occhiata
irritata. Era tutta la sera che correva da una parte
all’altra per accontentare
Jeanine e gli altri Capofazione, e non aveva nessuna voglia di sentire
i
commenti sarcastici di Kaithlyn.
-
Brava vattene, io qua ho
da fare. – rispose in tono incolore.
Poi,
senza degnarla di un’altra
occhiata si giro per occuparsi nuovamente di quello che stava facendo:
era
meglio che Kaithlyn non capisse che invece di occuparsi delle faccende
burocratiche
della Fazione, cosa che tra l’altro aveva già
fatto, stava valutando i progetti
militari per un colpo di stato. Non sarebbe stata molto
d’accordo… soprattutto
per la parte che riguardava la collaborazione con gli Eruditi. Non
sarebbe
stata per niente
d’accordo.
La
sentì battere un piede
per terra e rivolgergli un paio di epiteti poco lusighieri mentre
prendeva al
sua roba e se ne andava arrabbiata. Eric fece in modo che la sua
attenzione
fosse di nuovo concentrata su quello che stava facendo, e fisso
insistentemente
un punto in cima al documento che aveva davanti mentre sentiva Kaithlyn
attraversare l’ingresso con passo rapido.
Tre,
due, uno…
Come
aveva immaginato,
Kaithlyn era uscita sbattendo la porta talmente forte, che si
appuntò mentalmente
di controllare che non si fosse spezzata in due.
L’aggettivo
delicatezza e il nome Kaithlyn
Evenson
non andavano bene neanche nella stessa frase, poco ma sicuro.
Appoggiò
entrambi i gomiti
sulla scrivania e si passò entrambe le mani prima sul viso e
poi tra i capelli,
scompigliandoli definitivamente, per darsi una svegliata e concentrarsi
su
quello che doveva fare.
Non
era preoccupato per lo
scambio di battute poco civili che aveva appena causato. Un
po’, perché per
loro due era la prassi, un po’ perché aveva altri
problemi ben più urgenti e
gravi di una ragazza indisponente. Come l’aggiornamento del
giorno dopo: non
era minimamente preoccupato per la parte teorica, era sempre stato
più che
bravo in quella roba lì… forse anche di
più di quell’enciclopedia ambulante di
suo fratello William; non era neanche preoccupato dei combattimenti o
per l’identità
del suo avversario: chiunque fosse l’avrebbe ridotto a un
mucchietto di ossa
senza troppi sensi di colpa.
O
no?
Rieccomi!
Vi chiedo
umilmente perdono per il ritardo.. ma oltre alle mie fisime da pazza
sclerata,
come vi ho detto in cima al capitolo, sono stata impegnatissima e mi
è proprio
mancato il tempo materiale per aggiornare!
Spero
di non aver deluso le
aspettative di nessuno sul capitolo e che la storia non vi risulti
noiosa o
lenta… nel caso fosse così ditemelo ed io
vedrò di porre rimedio!
Prima
che mi dimentichi: ho
creato la pagina facebook del mio account EFP, su cui
caricherò info sui
personaggi, anticipazioni e immagini di questa fic, e di altri progetti
che ho
in cantiere ma che non ho ancora pubblicato. Se a qualcuno interessa il
link è
questo: https://www.facebook.com/pages/Kaithlyn-J-Evenson/865334640156569
Il
prossimo capitolo l’ho già
buttato giù, più o meno, ed ho un’idea
piuttosto chiara… quindi credo di
riuscire ad aggiornare prima di Domenica! (Wow, e lo chiamo anche
aggiornamento
veloce?)
In
questi primi capitoli non
succede niente di esaltate, perché
siamo
ancora all’inizio e Kaithlyn è già un
membro effettivo, quindi non ha prove
particolari da superare…per ora!…
l’azione arriverà, ma dovete pazientare. Per
ora spero vi godiate la “quiete” (anche se credo
che questo termine non esista
nel gergo degli Intrepidi), perché poi, soprattutto verso la
fine, succederanno
un po’ di cose, e tra qualche capitolo (forse tre o quattro)
vi farò conoscere
un po’ di personaggi nuovi che spero apprezzerete!
Fatemi
sapere cosa ne
pensate del capitolo, mi fa sempre piacere leggere le vostre
impressioni e mi
aiuta a regolarmi nello scrivere! Sia che si tratti di cose positive,
che di
cose negative, ovviamente!
Ma
passiamo alle cose serie,
che vi ho già ammorbato abbastanza:
Ringrazio,
per aver messo la
storia tra i preferiti ellielli e
LoveFandom22; e per aver recensito Adeus
e Kaimy_11!
Ringrazio
anche gibi44, che ho
scoperto oggi, mi ha aggiunto tra gli autori preferiti: non hai idea di
quanto
mi abbia fatto piacere! (*me commossa*)
Un
ringraziamento va ovviamente anche a tutti i lettori silenziosi, che
anche se
non si fanno sentire (*ma va? Come sono arguta!*) (*silenziosi.. che
dite?*)
spero apprezzino la storia! J
*
Nicole è una personaggio che compare in Four – un
scelta può liberarlo; il
cognome me lo sono “inventato” perché
non c’era, così come il cognome di Sean
(altro personaggio di Foru).
Se
mi è sfuggito qualcosa, fatemelo sapere e vi darò
delucidazioni! J
A
presto,
Kaithlyn.
|
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Capitolo
7
Colpì
con violenza il saccone davanti a lei, aprendosi
e facendo sanguinare una nocca.
-
Kaithlyn..? – chiese incerto Jason; quando faceva
così,
sapeva per esperienza personale, che era meglio tenersi a distanza di
sicurezza. O almeno non entrare nel suo raggio di azione immediata.
-
Che c’è? – ringhiò, senza
distogliere l’attenzione
dal saccone da box che, in più punti, aveva delle rientranze
dovute ai pugni
che nelle ultime due ore gli erano stati tirati.
-
Niente è che mi sembri un po’… -
iniziò. Un altro
pugno, più forte degli altri, colpì la superfice
dura e ruvida del saccone, che
dondolò all’indietro, girando leggermente su se
stesso.
-
Cosa?! - abbaiò, fermandosi e guardandolo
infuriata. Meglio essere cauti: non era un atteggiamento molto da
Intrepido, ma
chiunque l’avesse vista in quel momento, sarebbe stato del
suo stesso avviso.
-
... nervosa. –
Kaithlyn
gli lanciò un’occhiata truce, prima di
rigirarsi e colpire ancora. Aveva decisamente bisogno di scaricarsi:
ancora non
le era passata la rabbia per la sera prima, e le prudevano le mani per
la
voglia di prendere a pugni qualcosa. In quel caso in particolare, non
le
sarebbe dispiaciuto prendere a pugni la faccia da schiaffi di Eric
Turner. O a
pedate, magari.
Si
passò le mani sul viso, in modo da togliere il
fastidio dei capelli attaccati alla pelle: nonostante avesse una coda
alta,
alcuni ciuffi erano riusciti a sfuggire all’elastico a causa
dell’allenamento e
iniziavano a infastidirla. Erano già passate più
di due ore, ormai, da quando
aveva iniziato, e tra poco avrebbe avuto i suoi incontri; le conveniva
smettere, dissetarsi e riprendere fiato.
Quella
mattina si era presentata da Jason praticamente
all’alba, l’aveva buttato giù dal letto
e l’aveva trascinato ancora assonnato
verso la palestra, fermandosi per una pausa solo quando le opzioni per
fargli
smettere di lamentarsi per la fame si erano ridotte a due: ucciderlo o
accontentarlo. Dato che la prima non era praticabile e lui le serviva
in vita,
almeno per le ore successive, aveva deciso di accontentarlo ed erano
tornati in
palestra mezz’ora dopo con due muffin ciascuno. Avevano fatto
“colazione” con
tutta calma, anche se lei ancora non si era rilassata del tutto.
Continuò
a prendere a pugni il saccone, quando a un
certo punto averti che qualcuno era appena entrato in palestra, e dalla
voce lo
riconobbe come Max.
-
Con chi ce l’ha? – sentì chiedere dal
Capofazione.
-
Credo con Eric, ma non sono sicuro di aver intrepretato
bene le imprecazioni e i borbottii che ha fatto finora. –
rispose parlando a
bassa voce Jason. Molto divertente.
Peccato, che
lo sentisse
ugualmente, dato che a quell’ora in palestra non
c’era un’anima a parte loro
tre.
Passarono
alcuni minuti, dopo i quali, sentendosi
osservata si voltò tutta scarmigliata e con l’aria
decisamente poco
disponibile, verso i due uomini.
-
Posso esserti utile in quel modo Max? – chiese,
mentre riprendeva un po’ di fiato e buttava giù un
paio di lunghe sorsate
d’acqua dalla bottiglia da due litri che si era portata
dietro e che aveva
appoggiato a poca distanza da lei.
-
No, continua pure a martoriare quel povero saccone.
Sono solo venuto a dirti che il tuo aggiornamento inizierà
tra un’ora, fatti
trovare pronta per le otto. La valutazione di Eric la farai come ultima
cosa,
okay? Comunque dovremo finire entro il primo pomeriggio. –
Kaithlyn
annuì un paio di volte, le mani sui fianchi.
Poi si girò, appoggiò un piede sul saccone e gli
tirò un calcio con tutta la
forza che aveva: non aspettò nemmeno che tornasse
perpendicolarmente al terreno,
ma si girò, agguantò al volo
l’asciugamano che aveva appoggiato allo schienale
della sedia vicino all’ingresso e se ne andò a
passo deciso.
Era
stato anche più facile degli anni precedenti:
vincere contro quelle galline che le avevano fatto passare come
“avversarie”
era stato, oltre che molto soddisfacente, anche estremamente rapido e
indolore.
Era una cosa positiva, dato che tra poco avrebbe avuto da riempire di
botte
Turner e sapeva che non le sarebbero certo bastati un paio di colpi ben
assestati o l’essere più cattiva di lui durante lo
scontro. Se non altro, si
sarebbe divertita.
Sperava
solo che non decidesse di fare il “cavaliere”:
lei detestava non essere ritenuta all’altezza delle
situazioni, e detestava
ancora di più essere sottovalutata. Se Eric avesse fatto una
delle due cose per
qualche assurda idea o concezione del concetto del “picchiare
una ragazza”, o
semplicemente per un momentaneo rincretinimento, la fine che gli
avrebbe
riservato una volta finito l’incontro sarebbe stata una
lunga, lenta discesa
nell’agonia.
-
Brava! – si complimentò Jason, facendola voltare
verso di lui. Erano quasi le undici, e di lì a un paio
d’ore ci sarebbe stato
l’incontro.
-
Non è che ci volesse chissà quale innato talento
combattivo per sistemare quella mezza cartuccia di Steven e quelle tre
galline
lagnose… la tua ragazza compresa. –
ribatté senza nessuna inflessione
particolare nella voce.
Jason
alzò gli occhi al cielo: gli capitava spesso,
quando era in compagnia di Kaithlyn. Tuttavia non ribatté,
preferendo non
intavolare l’ennesima discussione su Clarisse; dopotutto ci
doveva stare lui,
mica lei. Inoltre, non era proprio il momento migliore per discutere
con quella
psicotica della sua amica; magari più tardi…forse.
-
Ero venuto a… ehm... suggerirti,
che
magari sarebbe… carino, andare da Eric a dirgli del vostro
combattimento... no?
– suggerì, appoggiandosi alla parete alle sue
spalle e incrociando le braccia
sul petto.
Si
pentì di aver pronunciato quelle parole quando vide
Kaithlyn voltarsi lentamente verso di lui e fissarlo, come se stesse
valutando
la situazione. Un vago senso di preoccupazione lo pervase quando vide,
dietro
le iridi azzurre della ragazza, una luce vagamente sadica. La stessa
che si
accendeva ogni volta che le prendevano i cosiddetti “momenti
no” o pianificava
di “vendicarsi” di qualcuno. Non avrebbe voluto
essere Eric Turner per niente
al mondo in quel momento: conosceva l’inquietante vena
creativa di Kaithlyn e
aveva avuto, purtroppo per lui, anche modo di sperimentarla.
-
Hai ragione. Vado subito a dirglielo. – gli
accordò
Kaithlyn, con un sorrisetto poco rassicurante sulle
labbra. – Sai
dov’è, magari? – domandò, con
una nota speranzosa e impaziente nella voce.
Jason
tentennò: da dove veniva tutto quell’entusiasmo
e quell’accondiscendenza? Perché gli stava dando
ragione?
-
L’ho visto al Pozzo. Kath, non.. –
tentò, anche se
sapeva che sarebbe stato inutile. Quando Kaithlyn decideva una cosa,
era
impossibile dissuaderla.
Della
serie: “Muori pure, ma fallo in silenzio e non
disturbarmi mentre attuò i miei piani
vendicativi.” Tipico di lei.
Senza
dargli il tempo di finire, Kaithlyn si diresse,
con ancora addosso i pantaloni attillati da allenamento e la maglietta
corta
che lasciava vedere il piercing all’ombelico, verso il Pozzo.
Quando
arrivò si appoggiò rilassata alla parete, in
attesa di veder passare Eric: mentre aspettava si sciolse e
ravvivò un po’ i
capelli. Pochi secondi dopo, individuò il ragazzo
dall’altra parte del Pozzo:
be’, non era stato un compito impegnativo; Eric era
notevolmente più alto della
media rispetto ai ragazzi della sua età.
***********************************
Il
test teorico inviato dagli Eruditi era stato una passeggiata:
avrebbe dovuto rilassarsi, era sempre stato molto al di sopra la media,
per
quel che riguardava l’informatica, anche nella sua vecchia
fazione e
primeggiare, quella volta, era stato un gioco da ragazzi.
Non
era minimante preoccupato per il corpo a corpo:
era forte, veloce e ben preparato e si sentiva capace di battere
qualunque
idiota si fosse trovato davanti.
In
un certo senso, non vedeva l’ora di essere in
palestra per l’incontro: erano stati giorni impegnativi e
gonfiare di botte
qualcuno l’avrebbe fatto sentire meglio, oltre che aiutarlo a
scaricare la
tensione e la rabbia.
Stava
pensando di dirigersi verso la palestra per i
primi incontri quando vide Kaithlyn appoggiata alla parete del Pozzo.
Aveva una
gamba piegata ad angolo e il piede e la schiena appoggiati alla parete;
le mani
erano intrecciate dietro la schiena e sembrava in attesa.
La
vide ravvivarsi i capelli e poi cercare qualcuno
con gli occhi. Quando intercettò il suo sguardo, un
sorrisetto poco
rassicurante le incurvò le labbra. Ovviamente, sembrava
troppo strano che
facesse correre la discussione della sera prima. Si aspettava che gli
venisse
in contro per cantargliene quattro davanti a tutta la fazione, era
l’unica che
ne avrebbe avuto il fegato, ma lei rimase perfettamente immobile come
una
statua di sale.
Eric
assottigliò gli occhi grigi e la guardò con
sospetto: si aspettava di essere insultato per la sera prima, ma la sua
ragazza
se ne stava lì a guardarlo senza muovere un muscolo, il che
rendeva la
situazione un po’ inquietante. Kaithlyn, in effetti, era un
po’ inquietante a
volte. Soprattutto quando fissava qualcuno con quegli occhi azzurri e
quell’espressione da poker. Molto inquietante. Considerando
anche la giornata
che lo aspettava…
Decise
di fare finta di nulla, anzi, l’avrebbe
stuzzicata un po’.
Mentre
muoveva un passo verso nella sua direzione, lei
parve disincantarsi; si staccò dalla parete e si diresse
verso la direzione
opposta alla sua.
-
Belle gambe! – le gridò dietro nel trambusto del
Pozzo, dopo averla incrociata e non essere stato minimamente calcolato.
Almeno
ottenne un minimo di reazione, infatti, Kaithlyn
s’immobilizzò dopo pochi
passi.
-
Hai per caso detto qualcosa, Turner? – disse con
voce gelida girandosi verso di lui e guardandolo minacciosa.
Eric
si chiese distrattamente per quale assurda
ragione non aveva tenuto chiusa la bocca e non aveva tirato di lungo.
-
Ma figurati! Fai finta che non ti abbia detto
niente! – le rispose alzando entrambe le mani in segno di
resa, mantenendo
tuttavia un’espressione ironica.
Sul
viso della ragazza si allargò un sorrisetto tra il
divertito e il sadico. Okay, in quel momento aveva paura sul serio.
-
Sarà meglio, perché tra due ore hai l'ultimo
combattimento della sessione di aggiornamento professionale dei
Capofazione. E
indovina a chi è toccato il sommo piacere di valutarti?
– gli disse facendo
trasparire la soddisfazione nella voce. Sembrava proprio che morisse
dalla
voglia di dirglielo. Ecco dove stava la fregatura.
Eric
si sentì sbiancare, mentre il sorrisetto
arrogante che aveva sul viso spariva immediatamente e le braccia gli
ricadevano
giù. Maledetta: chissà da quanto lo sapeva. Cosa
diavolo gli aveva detto il
cervello? Non poteva semplicemente tirare di lungo e tenere chiusa la
sua
boccaccia? Forse aveva ragione sua madre, quando gli dicevano,
appoggiata
chiaramente dal resto della fazione, che non usava la testa. Era
intelligente,
certo. Ma non collegava il cervello al resto. Prima di dare ragione a
sua
madre, tuttavia, avrebbe preferito buttarsi nello Strapiombo con un
masso
attaccato ai piedi.
“Oh
merda” pensò. “Questa volta
sì, che sono
fottuto!"
Rimase
un paio di secondi interdetto fissando la
ragazza con lo sguardo un po’ vacuo.
Ritornò
con i piedi per terra quando la vide voltarsi
con espressione compiaciuta e continuare per la sua strada.
-
Kaithlyn! – la chiamò correndole dietro; gli
bastarono poche falcate per raggiungerla: ogni tanto essere alto un
metro e
novantuno era comodo.
L’afferrò
per una braccio quando erano già dall’altra
parte del Pozzo e la voltò verso di lui, forse un
po’ più bruscamente di quanto
avrebbe voluto.
-
Che cosa vuol dire che mi devi valutare te?
– chiese, anche se aveva la sgradevole sensazione di sapere
già la risposta.
Kaithlyn
mise su un’espressione perplessa e fintamente
sorpresa.
-
Come, cosa significa? Significa che il tuo ultimo
combattimento sarà contro di me! Non sei contento?
– rispose in tono amabile.
Dall’espressione
di Eric, capì che no, non era
contento per niente.
-
Ma tu, insomma.. non dovevi fare l’aggiornamento con
Miller? – provò, cercando di apparire disinvolto.
Sapere di dover combattere
contro di lei, tra tutti gli idioti che c’erano in quella
Fazione, lo metteva
un po’ a disagio, anche se non ne capiva il motivo.
-
Io ho già finito, tesoro. –
disse,
dando a un appellativo innocente come quello un suono minaccioso e
vagamente
sinistro.
-
Ah. – fu il laconico commento. – E quindi? Come
funziona? – chiese, passandosi una mano dietro il collo.
Kaithlyn
lo guardò divertita, sapendo quando odiasse
non essere informato. Vecchie abitudini la Lasso... alcune delle quali
aveva
ancora anche lei.
- Se riesci
a stendermi, superi il
test. Altrimenti... be', immagino che dipenda dal punteggio che farai
nei
prossimi incontri. – gli spiegò, mantenendo
quell’aria divertita e sistemandogli
la giacca nera.
Le
venne quasi da ridere quando scorse negli occhi di
Eric un velo di preoccupazione. Se non avesse passato tutto quel tempo
con lui,
non l’avrebbe mai notato.
Max
forse aveva ragione a dirle che i suoi ex-allievi
aveva una concezione un po’ più
alta di quanto avrebbe dovuto
essere di lei e delle sue capacità. Era vero che gli aveva
terrorizzati dal
primo giorno e che l’unico che acquietasse un po’
la situazione era Amar… ma
che addirittura la ritenessero indistruttibile le sembrava un
po’ un’esagerazione
alla fine dei conti. Non che la cosa non la compiacesse,
perché era giusto
così. Ogni istruttore dovrebbe essere visto come
invincibile, come ogni insegnante
dovrebbe dare l’impressione di sapere tutto ai suoi allievi.
-
Eric, - iniziò, mordendosi il labbro inferiore per
non ridergli in faccia. Non avrebbe gradito, poco ma sicuro.
– Tu non pensi,
seriamente, che io sia muscolarmente più
forte di te, vero? –
chiese lentamente, squadrandolo dalla testa, molto più in
alto della sua, ai
piedi.
-
Grazie tante, questo è impossibile. –
mormorò in
risposta. Certo che come suggeritrice era veramente scarsa. Di tutte le
cose
che gli avrebbe potuto dire, quella era sicuramente la considerazione
più
inutile. O se non altro, la più ovvia. Salvo che Kaithlyn
non si trasformasse
in un mostro di due metri durante gli incontri, non sarebbe mai stata
fisicamente più forte di lui. Non era sicuro che fosse
un'eventualità da escludere,
comunque.
-
Ma non c’è solo la forza fisica.. tu hai
più
esperienza. – costatò, guardandola attentamente.
-
Poco ma sicuro. E conosco a memoria ogni tuo più
piccolo, insignificante difetto nel combattimento; so come ti muovi e
cosa fai
quando ti accingi a colpire l’avversario e so anche esattamente come
metterti in difficoltà... mentre tu mi avrai vista
“all’opera” – disse mimando
le virgolette con le dita. – sì e no, un paio di
volte. Ma non è questo il
punto; io ti devo valutare e tecnicamente anche
indirizzare
sulla strada giusta per vincere l’incontro nonostante sia
contro di me quindi
ti avverto: prova a pensare di “andarci piano” e
Jeanine Matthews sarà l’ultimo
dei tuoi problemi. Se per caso, dovessi
trovarti in vantaggio e
decidessi di farmi vincere o qualsiasi altra stronzata ti venga in
mente, ti
giuro che quello che ti farò non ti piacerà.
Intensi? –
Eric
dubitava seriamente che Jeanine potesse rientrare
in fondo alla classifica dei suoi problemi, dato quello che stavano
imbastendo.
Ad ogni modo, preferì non far incazzare Kaithlyn
più di quanto già non fosse;
una cosa però, doveva riconoscergliela: quando si trattava
di insinuare dubbio
o preoccupazione a qualcuno, era una vera maestra.
Lui
chiedeva un consiglio alla sua
ex-istruttrice-ragazza-prossimotemibileavversario, e lei lo minacciava.
Che
ragazza adorabile: se malauguratamente lei e sua madre di fosse
incrociate… lui
non voleva essere presente. La Guerra della Purezza, che aveva decimato
il
pianeta, sarebbe stato una partita a palla avvelenata, in confronto
all’idea di
quelle due psicotiche nello stesso raggio d’azione. Si era
liberato di una e se
n’era andato a cercare un’altra. Suo padre aveva
ragione... non usava il
cervello.
-
Fossi in te, mi sbrigherei a scendere. Sei in
ritardo per i tuoi incontri, Capofazione. –
gli fece notare.
Eric
riacquisto la sua solita aria imperscrutabile e guardò
l’ora. Senza aggiungere una sillaba si voltò e si
avviò verso la palestra. Se
non altro, avrebbe potuto sfogarsi sui suoi prossimi avversari.
Forse
ci era andato troppo pesante con il tipo di
prima, rifletté, mentre aspettava che Kaithlyn si
presentasse in palestra. Era
in ritardo e aveva il coraggio di farlo notare a lui.
Scese
dall’arena e si diresse verso il suo borsone,
dove aveva infilato un bottiglione d’acqua. Nonostante
Kaithlyn fosse molto
leggera e di piccola statura, era piuttosto sicuro che non gli
sarebbero
bastati due colpi assestati a caso per vincere. Essendo piccola e
leggera,
doveva anche essere piuttosto veloce oltre che abbastanza brava e
abbastanza
cattiva, o non si sarebbe classificata prima nella classifica finale
del suo
gruppo d’iniziazione superando anche tipi grossi e piazzati
come Jason.
Inoltre, aveva ragione: lui l’aveva vista combattere poche
volte in quei due
anni, e certo non si era messo a considerare tecnica, punti deboli o
quant’altro, dato che la sua attenzione era proiettata
altrove; lei invece,
conosceva alla perfezione ogni sua caratteristica combattiva, da come
tirava i
pugni, a cosa potesse passargli per la testa in quei momenti.
Conosceva, come
gli aveva fatto gentilmente notare
anche ogni suo difetto. No,
decisamente non gli sarebbero bastati, per quanto assurdo dato il
divario di
stazza, due colpi ben assestati.
-
Eric, preparati. – gli disse Max, che con gli altri
Capofazione avrebbe assistito all’incontro.
Si
passò le mani tra i capelli, tirandogli indietro
per cercare di toglierseli dagli occhi. Se fossero stati abbastanza
lunghi gli
avrebbe legati, ma al momento era impossibile e si rifiutava di
combattere con
quella specie di passatina di spugna ridicola che usavano i ragazzi con
i
capelli lunghi durante gli incontri. Aveva una reputazione, e se gli
fosse
costata un occhio nero, avrebbe pagato quel prezzo più che
volentieri.
-
Io fossi in te, inizierei a scaldarmi. – gli
suggerì
Robert, un altro Capofazione di un apio d’anni più
vecchio di Max.
Fece
rapidamente il giro dell’arena, si voltò verso il
punto in cui aveva lasciato il borsone che si trovava accanto
all’ingresso, e
iniziò a sciogliere e riscaldare nuovamente i muscoli.
A
quanto pareva avrebbero dato spettacolo: dopo una
manciata di minuti, oltre a Jason che, considerò con un moto
di discusso e
gelosia, doveva essere venuto a fare il tifo per la sua amichetta
del
cuore, si presentarono anche Zeke, Shauna, un ragazzone che
gli sembrava
avesse fatto l’iniziazione con Kaithlyn, Sean e qualche altro
Intrepido tra cui
addirittura alcuni iniziati interni accompagnati da Lauren. Il primo
impulso fu
di mandargli tutti, uno per uno, al diavolo e dire loro di togliersi
dai piedi,
ma non era sicuro che gli altri Capofazione sarebbero stati
d’accorto e,
purtroppo per lui, quel gruppo di deficienti avevano tutto il diritto
di
seguire l’ultimo incontro di uno dei loro Capofazione, nella
fattispecie il
suo. Avrebbe potuto minacciarli più tardi, magari.
Finalmente,
o purtroppo, a seconda del punto di vista
da cui si vedeva la faccenda, Kaithlyn varcò
l’entrata. Si era tirata su i
capelli in una coda alta, probabilmente per far sì che non
la intralciassero, e
indossa la tuta da allenamento di un paio d’ore prima. La
trovava fin troppo
attraente con quell’aria determinata e risoluta di chi
è sicuro delle proprie
capacità. Se fossero stati soli, l'avrebbe presa di peso e
sbattuta contro il
muro senza troppi complimenti... ma purtroppo per lui non era
così.
Fece
scrocchiare lentamente le dita, senza staccare
gli occhi da lui.
Iniziava
a essere impaziente: quando tempo pensava di
impiegare per salire sull’arena e concludere quella storia?
-
Però, che bel teatrino... immagino non abbiate
niente di meglio da fare, dato che siete venuti a fare da pubblico.
– disse,
rivolgendosi ai presenti senza tuttavia smettere di guardarlo. Ottimo,
erano
sulla stessa linea di pensiero.
Eric
allungò le braccia sopra la testa, distendendo i
muscoli. Si cominciava.
Nessuno
aveva ribattuto al commento di Kaithlyn, anzi:
era calato, per un paio di secondi, il silenzio più totale.
-
Kaithlyn, sull’arena. Muovetevi non abbiamo tutto il
giorno… e non guardarmi così, Evenson!
– disse rompendo il silenzio,
probabilmente in risposta all’occhiata truce che gli
scoccò la ragazza.
Nonostante
il tono autoritario con cui l’aveva
ripresa, non c’era traccia di rabbia sul viso di Max; ormai
era evidente, da
quando Kaithlyn era arrivata negli Intrepidi, che stravedesse per lei.
Kaithlyn,
come al solito, non si scompose ed entrò con
passo deciso nell’arena.
Squadrò
Eric con un’occhiata scientifica: lo stava
studiando.
Eric
era alto almeno trenta centimetri in più di lei,
e aveva a disposizione almeno quaranta chili di muscoli in
più. Era bravo, ben
preparato ed era cattivo durante i combattimenti. Non significava che
gliel’avrebbe data vinta facilmente. Era competitiva quanto,
e forse anche più
di lui, e non era un persona che tollerasse il fallimento o la
sconfitta.
Max
fece loro segno di mettersi in posizione: portarono
entrambi le braccia davanti a viso e torace, in posizione di difesa e
piegarono
le gambe.
-
Iniziate! –
Okay,
okay. Mi odiate, lo so. Non ho mantenuto la
promessa (?) di aggiornare prima di Domenica…
perché non ho avuto pace da
nessuna parte. Come al solito, quando si ha da fare tutti ti cercano, e
quando
invece sei tranquillo e avresti tempo non ti considera nessuno.
Ho
deciso, non lapidatemi, di dividere questo capitolo
in due parti perché altrimenti veniva lunghissimo e non
volevo farvi addormentare
con venti pagine di capitolo! Ad ogni modo, per vostra gioia, o
disperazione,
la seconda parte la pubblicherò stasera o a esagerare
domani, perché l’ho già
scritta e devo solo rileggere e correggere. Contenti? Non mi tirate i
pomodori,
vero?
Come
finisce secondo voi lo scontro? Qualcosa è poco
chiaro? Vi servono delucidazioni? In caso, chiede pure! J
Fatemi
sapere cosa pensate del capitolo, perché ce
l’ho in mente praticamente dall’inizio (forse anche
da prima) della storia, e
mi piacerebbe sapere se sta venendo bene come spero io oppure se fa
ridere e
basta! (*te fai ridere a priori!* cit. voi)
Come
sempre ringrazio tutti i lettori silenziosi: a
proposito di lettori silenziosi, qualcuno si è perso un
capitolo, mi sa! Perché
il quarto capitolo ha più visualizzazioni del terzo!
Inoltre
ringrazio Ceci00 per
aver inserito la
storia tra le seguite; e ovviamente un ringraziamento va anche aKaimy_11, Adeus e Fabi96 per
aver recensito lo
scorso capitolo!
Ricordo,
per chi avesse voglia di leggere le anticipazioni
dei capitoli e qualcosa in più sui personaggi, o
semplicemente di farsi due
risate con le ca… volate che mi passano per la testa, che ho
da poco creato una
pagina facebook del mio account EFP.
Questo
è il link: https://www.facebook.com/pages/Kaithlyn-J-Evenson/865334640156569?ref=hl
Per
il momento è tutto… a prestissimo,
Kaithlyn.
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
Parto
con il dire, che non ho mentito… il capitolo era
prontissimo, ma dato che più penso a una cosa meno mi
convince ho voluto
rileggerlo ancora.. e niente, non sono convinta nemmeno un
po’, ugualmente.
Fatemi sapere che ne pensate voi!
Smetto
di tediarvi e ci vediamo in fondo! J
Capitolo
8
Dal
capitolo precedente
Max
fece loro segno di mettersi in posizione: portarono
entrambi le braccia in posizione di difesa e piegarono le gambe.
-
Iniziate! –
↔
Si
studiarono per una paio
di secondi girando in tondo e strusciando i piedi sul pavimento
polveroso
dell’arena.
Poi,
dopo un attimo di
silenzio, il pugno di Eric scattò in avanti
nell’intento di colpirla sulla
mascella. Nonostante fosse stato veloce, Kaithlyn fece in tempo ad
abbassarsi e
prima di rialzarsi di scatto gli agganciò una gamba con la
sua: con
l’intenzione di fare un passo indietro, Eric
inciampò, finendo seduto sul
pavimento dell’arena.
Kaithlyn
di rimise in
posizione e lo fissò, concentrata. Gli
“spettatori” erano rimasi interdetti
dalla rapidità dell’azione a esclusione di Jason,
che sapeva come si comportava
Kaithlyn sull’arena e di Max, che si aspettava una cosa del
genere: se non
poteva contare sulla forza fisica, Kaithlyn avrebbe puntato sulla
furbizia e
sulla velocità.
Eric
si rialzò rapidamente.
Avrebbe dovuto fare più attenzione: Kaithlyn a quanto pare
era più veloce del
previsto e sapeva il fatto suo. Riportò le mani
all’altezza del viso, lo
sguardo fisso e concentrato sull’avversario.
Fecero
un altro giro in
tondo, poi Eric riattaccò sferrando un pugno diretto alla
clavicola. Kaithlyn
riuscì a scansarsi di lato per un soffio, e il pugno la
sfiorò appena: se
l’avesse presa in pieno, sarebbe finita inevitabilmente a
terra.
Kaithlyn
lo aggirò con
circospezione: poi, approfittando di un momento di distrazione si
lanciò in
avanti, colpendolo allo stomaco. Uno dei, seppur pochi, difetti di Eric
era che
non contraeva gli addominali quando vedeva arrivare un pugno. Un
po’ perché
tendeva a sottovalutare i suoi avversari, e un po’
perché si sentiva forte
della sua stazza. L’arroganza che aveva durante i
combattimenti era la ragione
per cui due anni prima, le aveva prese da Quattro durante il loro
incontro alla
fine del primo modulo. Se non avesse sottovalutato e deriso
l’avversario avrebbe
vinto.
Eric
incassò il colpo, e
riuscì a colpire Kaithlyn al fianco, costringendola a fare
un paio di passi
laterali per restare in piedi.
La
ragazza si passò le mani
sulla testa, per tirare indietro i capelli. Eric non
approfittò del momento per
colpirla: il regolamento era rigoroso durante quel tipo di competizioni
e inoltre
anche se gli costava ammetterlo perfino a se stesso, almeno per il
momento non
se la sentiva di infierire troppo pesantemente su di lei.
Kaithlyn
fece un smorfia:
quel colpo lo aveva sentito. Era fortunata ad essere riuscita a
mantenere
l’equilibrio, o avrebbe fatto decisamente un bel volo per
terra.
-
Ragazzi, io non voglio
mettervi fretta. Ma mi piacerebbe finire questa faccenda prima di
pranzo, che
dite? – lì spronò Max.
Eric,
stanco di girare
intorno, si lanciò in avanti e questa volta
riuscì a colpire Kaithlyn al volto
facendola barcollare, stordita, pericolosamente all’indietro.
La
ragazza riuscì
miracolosamente a rimanere in piedi, una mano sul punto colpito,
nonostante il
colpo l’avesse mandata in confusione per alcuni secondi.
Senza aspettare di
riprendersi del tutto, si scagliò a sua volta contro Eric,
abbassandosi e
tirandogli un montante allo stomaco. Sentì il pugno
affondare e il ragazzo
gemere: come aveva previsto, non aveva applicato le correzioni che gli
aveva
fatto tempo prima. Eric si piegò in avanti, cercando di
attutire il colpo. Ebbe
un attimo di smarrimento quando si sentì afferrare, ancora
piegato in due, per
i polsi e tirare indietro le braccia. Kaithlyn gli aveva piantato i
gomiti
nella schiena e con le mani gli teneva le braccai indietro, in modo da
immobilizzarlo. Gli sferrò un serie di calci nello stomaco
in rapida
successione. Se doveva colpirlo, doveva farlo in fretta e sfruttare i
momenti
in cui era più vulnerabile, o sarebbe finita al tappeto
rapidamente.
Come
aveva previsto, Eric si
liberò dalla sua presa con uno strattone e alzandosi la
spintonò all’indietro
con un braccio per poi afferrarla e colpirla con una manata sul viso
che le
fece fischiare le orecchie.
Kaithlyn
strinse i denti.
Non si era mai lamentata e non avrebbe iniziato certo in quel momento.
Il
colpo successivo la prese
in pieno viso, all’altezza dello zigomo e la fece finire
lunga distesa sul
pavimento. L’unica cosa che le impedì di sbattere
la testa contro il suolo, fu
la sua prontezza di riflessi, che le permise di rigirarsi e appoggiare
il peso
sulle braccia. Era come se la botta le rimbombasse ancora
all’interno della
testa, ma si rialzò e si rimise in posizione
d’attacco. Non le piaceva perdere
tempo, ed il riscaldamento era decisamente finito.
Aspettò
che Eric fosse
abbastanza vicino, si girò sulla schiena di scatto e gli
tirò un calcio sul
ginocchio. Eric gemette per il dolore e strinse i pugni, poi
l’afferrò
malamente per un braccio e la tirò su. Prima che potesse
avere il tempo di
scansarsi o fare qualsiasi altra cosa, la colpì allo
stomaco, facendola
boccheggiare e indietreggiare.
Kaithlyn
si appoggiò
istintivamente le mani nel punto colpito e digrignò i denti,
furiosa con lui e
con se stessa. Eric stata perdendo tempo, perché? Avrebbe
potuto essere già in
netto vantaggio, invece si limitava a colpirla una volta ogni tanto.
Sapeva che
poteva fare meglio. Doveva fare meglio. Si alzò ancora.
In
piedi.
Aspettò
un secondo, poi quando
Eric si riavvicinò per afferrarla e colpirla ancora,
girò leggermente su se
stessa e alzò un gomito, colpendolo un paio di volte al viso
con tutta la forza
che aveva nelle braccia.
Eric
gridò per la
frustrazione e per il dolore: Kaithlyn l’aveva colpito sulla
bocca,
spaccandogliela e
vicino all’occhio,
facendogli rientrare uno dei piercing. Sentì un rivolo di
sangue colargli dalla
fronte e si affrettò a staccare il cerchietto di metallo e a
buttarlo a terra
in modo che non gli desse più fastidio.
Eric
l’afferrò per un
braccio, costringendola a piegarsi in avanti e colpendola nuovamente
allo
stomaco. Si rese conto troppo tardi del suo errore: quando si era
piegato su di
lei per colpirla, Kaithlyn aveva alzato al testa di scatto colpendolo
con una
testa sul mento e facendogli mordere la lingua.
Fece
due passi indietro per
sputare il sangue per terra e pulirsi la bocca con il dorso della mano
mentre
riprendeva fiato.
Si
tenne a distanza,
squadrandola con attenzione: come faceva ad essere ancora in piedi?
Eppure non
l’aveva colpita piano… avrebbe dovuto almeno sembrare dolorante, barcollare per le
botte, e invece gli unici
segni che aveva erano un paio di tagli sul viso, mentre lui si
ritrovava con
labbro semi spaccato, un occhio nero e nei prossimi giorni avrebbe
avuto
ginocchio blu. A quanto pare, era un osso più duro di quello
che aveva pensato.
Credeva di potersela cavare rapidamente e senza troppi danni, ma
evidentemente
aveva commesso l’errore di sottovalutarla.
Il
fatto che la trovasse
terribilmente eccitante, e che vedendola così combattiva gli
fosse venuta
voglia di strapparle tutti i vestiti di dosso proprio in quel momento e
sbatterla al muro, avrebbe dovuto farlo riflettere sulle sue
facoltà mentali;
non era proprio il momento adatto per certe
cose.
Non
poteva comunque
permettersi di farsi battere da una ragazza. Soprattutto dalla sua. Una cosa del genere avrebbe
distrutto per sempre la sua autostima maschile.
Da
una parte gli dispiace
farle male; dall’altra però, provava un certa
soddisfazione nel rendersi contro
di essere, per certi versi, parecchi gradini al di sopra di lei. E poi
c’era il
senso di potere che gli dava il combattimento e l’appagamento
che ne
conseguiva. Era la miglior valvola di sfogo che potesse esserci, per
uno come
lui. Anche se avrebbe preferito qualcun altro come avversario, dato che
non
poteva letteralmente fare a pezzi Kaithlyn come avrebbe voluto. Teneva
a lei,
le voleva bene. Forse anche
qualcosa
di più che bene, anche
se non aveva
nessuna intenzione di dirlo ad anima viva.. meno che mai a lei; lei
comunque
non gli avrebbe mai perdonato un comportamento indulgente nei suoi
confronti,
così mise a tacere i gli ultimi sentimenti che gli
impedivano di combattere
come avrebbe dovuto e si concentrò nuovamente
sull’incontro.
Provò
a sferrare un altro
attacco, che però venne prontamente evitato dalla ragazza e
che gli guadagnò un
calcio nello stinco. Dolorante ma determinato a vincere le
sferrò un pugno sul
viso abbastanza forte da mandarla in terra; poi,
senza perdere tempo la immobilizzò al
pavimento, montandole sopra e tenendola ferma con il suo peso. Forse
avrebbe
dovuto mettersi un po’ più in giù,
perché la ginocchiata che gli arrivo in
mezzo alla schiena, la sentì forte e chiara. Si
inarcò per il dolore, e con un
ringhio di rabbia le tirò una manata sul viso facendole
girare la testa di
lato. Si alzò rabbioso e la guardò truce.
Kaithlyn
gemette, a terra.
Eric stava combattendo molto bene, non c’erano dubbi: eppure
non era per niente
soddisfatta di lui. Se avesse usato quel bel cervellino da ex Erudito
che si
trovava e che lei sapeva funzionare più che bene, avrebbe
potuto vincere l’incontro
in pochi minuti. Non le restava che provocarlo: se lui voleva ottenere
un
punteggio alto, avrebbe dovuto anche vincere in
fretta.
-
Tutto qui, Turner? Mi
aspettavo l’artista del combattimento, e invece sono delusa.
Mi aspettavo molto
più che un paio di colpi del genere, da
te. – gli disse, sollevandosi con un gomito. Aveva
il fiatone, e il viso le
bruciava per i colpi, ma non aveva nessuna intensione di arrendersi. E
voleva
anche che Eric avesse il punteggio che si meritava, e che non perdesse
tempo a
pensare a quanto poteva farle male. Si pulì la bocca
sanguinante con il dorso
delle mano.
Eric
si irrigidì alle sue
parole: sapeva di aver toccato un nervo scoperto, e non scherzava
quando diceva
di conoscerlo molto meglio di quanto lui credesse. Se non altro,
avrebbe fatto
sul serio da quel momento, guidato dalla rabbia. Sapeva che poteva fare
di più,
e non sopportava che non sfruttasse al massimo le sue
capacità. Neanche se il
suo avversario era lei e si sarebbe trovata a zoppicare per giorni.
Alzò
gli occhi azzurri su di
lui, lanciandogli uno sguardo di sfida.
Eric
ricambiò lo sguardo,
assottigliando gli occhi e fissandola con risentimento. Sentirsi dire
di non
fare, essere, abbastanza lo mandava fuori di testa. Se poi era proprio lei a sbatterglielo in faccia, era anche
peggio. Irrigidì la mascella, assumendo un’
espressione tesa e inferocita allo
stesso tempo. Sapeva che lo stava facendo apposta e che era tutta
semplicemente
una tattica per provocarlo. Eppure era impossibile per lui ignorare il
calore
dato della rabbia e dell’indignazione che gli divampava
dentro il petto in quel
momento.
In
quel breve lasso di tempo
in cui restarono a fissarsi, Kaithlyn ebbe modo di alzarsi da terra e
di
rimettersi, per l’ennesima volta, in posizione di difesa.
Iniziava ad essere
intontita e le faceva un male tremendo la faccia, ma non aveva
intenzione di
arrendersi o di accasciarsi al suolo se poteva ancora combattere. Eric
la
imitò, con una nuova luce negli occhi.
Kaithlyn
riuscì a schivare i
tre colpi che seguirono, e, quando Eric fu a portata di ginocchio,
sollevo una
gamba e lo colpì nuovamente allo stomaco. Mentre aveva
ancora la gamba alzata e
il ginocchio piantato nella pancia del ragazzo, sollevò un
gomito e lo colpì
dietro la testa, facendolo finire a terra.
Eric
si sollevò sulle mani:
quella dove diavolo l’aveva imparata, la
stronza? Digrignò i denti, furioso, e si
rigirò sulla schiena per prenderla
a calci nello stomaco come aveva fatto con lui poco prima.
Kaithlyn
fu, suo malgrado,
più veloce: montò a cavalcioni sopra di lui e
iniziò a prenderlo letteralmente
a pugni in faccia. Quando lui sollevò un mano per bloccarle
il braccio, lei ne
approfittò per spostarsi leggermente di lato e piantargli
una ginocchiata su un
fianco, facendolo sibilare di dolore e frustrazione.
-
È più facile del
previsto.. – mormorò abbastanza forte da farsi
sentire da lui ma non dal resto
della palestra.
Fece
per alzarsi con un
colpo di reni, ma Kaithlyn, prevedendo la sua mossa, gli
tirò una gomitata
vicino all’orecchio facendolo sbattere sul pavimento. Gli
rimbombava la testa
per la botta. Possibile che una ragazza così minuta avesse
tanta forza nelle
braccia magre?
-
Bel tentativo davvero.
Credevi che fosse facile stendermi, Turner? Avrei dovuto rilassarmi, a
quanto
pare non vali tanto sforzo.. – lo riprovocò,
riuscendo questa volta nel suo
intento.
Eric
a quelle parole non ci
vide più: ignorando il dolore alla faccia e al fianco, si
alzò di scatto con un
colpo di reni e le tirò una testata in mezzo agli occhi.
Kaithlyn
spalancò la bocca,
trattenendo il respiro per il dolore, ma non si lamento: si
limitò a portarsi
una mano alla testa e a scivolare giù dal corpo di Eric,
confusa e
disorientata. Il dolore era ovunque: dalla testa che le pulsava, lungo
tutta la
colonna vertebrale fino ai piedi. Lo sentiva rimbombare nelle orecchie,
come un
eco.
Eric
si alzò in piedi,
finendo di buttarla a terra, mentre lei aveva ancora una mano
appoggiata sulla
testa che si teneva dolorante.
Si
massaggiò la fronte, nel
punto di cui aveva cozzato con quella di lei: certo che aveva la testa
dura.
Kaithlyn era a terra, a gattoni, e continuava a tenersi la fronte con
un mano
senza tuttavia un lamento, un singulto o un gemito. Forse
gliel’aveva dato
veramente troppo forte, ma in quel momento non gli importava.
-
Alzati. – le ordinò,
sibilando infuriato e guardandola con rabbia.
Kaithlyn
levò la mano dalla
faccia e, a fatica si tirò in piedi barcollando e cercando
di rimanere in
equilibrio.
-Bella
mossa! – commentò con
voce confusa e impastata probabilmente dal sangue, rimettendosi
tuttavia, seppure con più lentezza
e fatica, in posizione d’attacco.
Eric
era ancora infuriato,
assolutamente furioso. Sì abbassò verso di lei,
talmente velocemente che
Kaithlyn non ebbe neanche il tempo di rendersi conto di essere stata
colpita.
Avverti un dolore tremendo all’altezza della pancia e si
ritrovò a boccheggiare,
senza fiato, tossendo e cercando aria. Fu come ricevere una cannonata
in mezzo
allo stomaco. Era un osso duro, certo, ma non era invincibile e quel
pugno lo
aveva sentito più degli altri: iniziava ad essere stanca.
Riuscì,
anche se non sapeva
nemmeno lei come, a mettere a segno un rapido calcio al fianco e un
pugno alla
gola che fecero fare un paio di passi indietro ad Eric.
Approfittando
del momento,
gli piazzò un calcio in mezzo alla pancia con tutta la forza
che aveva,
facendolo gemere.
Eric
però, si rimise dritto
dopo pochi secondi, sovrastandola con la sua altezza e
nell’impeto della
rabbia, la afferrò per la gamba
l’attirò a sé, facendola scivolare a
terra e
facendole battere la testa sul pavimento. Nel tentativo di liberarsi,
Kaithlyn
riuscì a colpirlo con un calcio sul ginocchio sinistro. A
quel colpo Eric aumentò
la stretta sul polpaccio di Kaithlyn, facendole stringere i denti per
il
dolore, e la trascinò verso di lui poi si chinò e
le infilò bruscamente una
mano sotto il braccio opposto alla gamba che tratteneva e la
sollevò senza
sforzo. Dovette trattenere un urlo di dolore, quando sentì
le unghie della
ragazza penetrargli nel braccio e le nocche infrangersi su suo zigomo,
una,
due, tre volte. La sollevò con le braccia
all’altezza della sua testa e la
gettò con violenza contro il pavimento.
Kaithlyn
emise un singulto
strozzato per il dolore: doveva essersi fatta male, perché
non sembrava capace
di rialzarsi. Ad un primo tentativo, le braccai le cedettero, facendole
sbattere la faccia di nuovo a terra. Sentendo ancora ribollirgli il
sangue
nelle vene, Eric si
avvinò al corpo a
terra e con la parte interna del piede la rigirò sulla
schiena, con un gesto di
stizza.
La
osservò un attimo mentre
si trovava a terra sanguinante. Era stato divertente combattere con
lei, e
sicuramente istruttivo oltre che molto stimolante, ma era arrivato il
momento
di terminare l’incontro. Sentì qualcosa di caldo
colargli lungo il braccio in
cui gli aveva piantato le unghie e un goccia di sangue
macchiò il pavimento.
Quando
Kaithlyn aveva
sbattuto a terra da quell’altezza, il dolore era stato
talmente intenso da
farle appannare la vista per un attimo, e aveva avuto bisogno di un
secondo per
riprendere fiato e cercare, da qualche parte, la forza per rialzarsi di
nuovo.
Ignorando il dolore e i muscoli che le chiedeva pietà,
aiutandosi con le
braccia riuscì a tirarsi su e infine in piedi. Ormai erano a
fine incontro,
sapeva che non sarebbe riuscita a colpirlo ancora.
Il
“pubblico” presente in
palestra, sbuffò esasperato, quando la vide nuovamente in
piedi, ed Eric la
guardò quasi stanco. Perché diamine non rimaneva
per terra o sveniva?
Intercettò,
con la coda
dell’occhio, Max che picchiettava sull’orologio.
Era il momento di mettere fine
all’incontro. Annuì, facendo intendere al
Capofazione che aveva capito, poi
rivolse nuovamente la sua attenzione su Kaithlyn e scosse leggermente
la testa:
avrebbe dovuto aspettarsi una resistenza a oltranza da lei. Poi,
mettendo a
tacere sul nascere il timore di farle più male del dovuto le
sferrò un pugno in
faccia, seguitò a ruota da un secondo colpo.
Questa
volta Kaithlyn non
provò nemmeno a difendersi, ma fece scivolare le braccia
lungo i fianchi e
barcollò all’indietro.
Nonostante
le botte e il
viso pieno di contusioni, aveva ancora negli occhi una bruciante
determinazione, che provocò in Eric e nei presenti un moto
di ammirazione.
Sferrò
l’ultimo colpo alla
testa, e Kaithlyn si accasciò tremante al pavimento, mentre
la palestra
ammutoliva.
Istintivamente,
prima che
potesse battere l’ennesima testa, la afferrò da
sotto le braccia per rallentarne
la caduta, ma venne interrotto da Max, che gli intimò di
lasciarla cadere o non
poteva decretare la fine dell’incontro.
***************************************
Kaithlyn
sentì l’ultimo
colpo infrangersi sul viso e avvertì chiaramente le forze
venirle meno. Mentre
si sentiva scivolare a terra, come se non fosse nemmeno nel suo corpo,
sentì
due mani forti infilarsi sotto le braccia e rallentare la caduta che le
avrebbe
fatto battere l’ennesima testa.
-
Lasciala cadere, Eric. –
Chi
aveva parlato? Max?
Jason? Cosa doveva lasciar cadere
Eric? E perché? Sentiva il dolore pulsarle in ogni parte del
corpo, ed era
tanto stanca… di qualsiasi cosa si trattasse, se ne sarebbe
occupata in un
secondo momento.
L’ultima
cosa che sentì, fu
il freddo del pavimento contro la guancia, poi il buio.
Decretata
la fine
dell’incontro, Eric, tornò vicino a Kaithlyn e si
chinò sul suo corpo iniziando
a darle dei buffetti sulla guancia per farla svegliare. Forse poteva
evitare di
lanciarla a terra da due metri di altezza.
Kaithlyn
aprì lentamente gli
occhi e lo guardò smarrita per qualche secondo prima che la
consapevolezza di
dov’era e cosa stava facendole tornasse nuovamente presente.
Si
sentiva confusa, e il
dolore le faceva pulsare le vene in posti che non sapeva nemmeno avere.
Vedeva
con difficoltà a causa delle botte alla testa, quindi le ci
vollero un paio di
secondi per mettere a fuoco il viso di Eric: aveva un occhio che
prometteva di
diventare nero molto preso, la fronte lucida di sudore e le labbra e un
sopracciglio sporchi di sangue. Non se l’era cavata tanto
male, dopotutto.
Mosse
la testa prima a
destra e poi a sinistra, intontita, e cercò di puntellarsi
sui gomiti per
tirarsi su, ma un capogiro la costrinse a rimettersi distesa. Era
confusa, e si
sentiva come se potesse svenire da un momento all’altro.
Eric
le passò una mano
dietro la schiena per aiutarla ad alzarsi; quando però se ne
rese conto, si
scostò da lui, appoggiandosi con tutto il peso su un braccio
e cercando di
mettersi in ginocchio. Tossì, sputacchiando sangue, ma ci
riuscì seppure
barcollando anche sulle ginocchia. Ricadde all’indietro, e
Jason da dov’era
fece un passo verso di lei per andare ad aiutarla ma Eric lo
sbloccò sul posto
con una sola occhiata. Poi, senza emettere un lamento tanta era la
confusione e
il dolore, riuscì a mettersi in piedi, seppur tremante per
il dolore che
sentiva alla schiena e alle articolazioni.
Eric
seguì ogni suo
movimento con gli occhi, e quando la vide alzarsi, si sbrigò
ad andarle vicino.
-
Lasciami stare, faccio da
sola. – lo informò, anche se la voce impastata di
sangue e le gambe instabili,
facevano presuppore decisamente il contrario.
Gli
poggiò una mano sul
petto, allontanandosi un po’ e facendo un paio di passi
tremolanti in avanti.
Barcollò
pericolosamente e sarebbe
caduta, se Eric non l’avesse afferrata per la vita e
sostenuta con un braccio.
-
Portala in infermeria,
Eric. Non si regge in piedi. – disse Max,
all’indirizzo del ragazzo. – E tu, -
aggiunse rivolto a Kaithlyn. – cerca di collaborare. Non vai
da nessuna parte
in quelle condizioni. -
Prima
che Kaithlyn potesse
provare a ribellarsi, cosa di cui sapeva essere capace anche nel sonno,
Eric le
infilò un braccio sotto le ginocchia e la sollevo da terra
come se fosse senza
peso. La sentì accasciarsi tra le sue braccia priva di
sensi; le
tirò su la testa, in modo che non le
ciondolasse all’indietro e gliela fece appoggiare sulla sua
spalla.
-
Ti porto io, piccola. Ti
porto io.. –
le sussurrò senza farsi
sentire dai presenti, e avviandosi verso l’uscita. Le gambe
gli facevano male,
e aveva i muscoli indolenziti ma lei non sarebbe mai stata in grado di
muoversi
da sola, e preferiva portarla lui piuttosto che dare un’altra
scusa a Jason o
chi per lui, di starle vicino. Era sua,
e questo doveva essere ben chiaro a tutti.
La
strinse un po’, mentre
seguito da Jason usciva dalla palestra.
Quando
entrarono nella
stanza adibita a infermeria, Helena* inarcò le sopracciglia
sorpresa. Kaithlyn
non era stata spesso in infermeria a causa dei
combattimenti… al massimo era
venuta per un colpo, che l’aveva presa fortunatamente di
striscio, sparato da
uno dei suoi allievi del poligono… e quando
l’aveva fatta uscire, tempo due
ore, e aveva in infermeria il mal capitato, aspirante tiratore.
-
Che è successo? – chiese,
prima di intercettare lo sguardò di Eric. – sei
stato tu? –
-
Non è evidente? –
Helena
era abituata al poco
garbo dei suoi compagni di fazione, e non si scompose.
-
Mettila sul lettino, io
torno subito. –
Prima
di uscire per
dirigersi nello stanzino adiacente, la Medicheria, notò
Jason guardarla
speranzoso.
-
Ti serve qualcosa, Jason?
–
-La
vuoi imbottire di
antidolorifici, vero? –
Helena
annuì. Con tutte
quelle botte, non era ovvio?
Si
affrettò a entrare nella
Medicheria, per prendere quello che le serviva, notando che Eric, oltre
ad aver
bisogno urgentemente di una borsa del ghiaccio, guardava Jason come se
volesse
spalmarlo sul pavimento. Meglio sbrigarsi, prima che scoppiasse una
rissa lì.
Eric
e Jason passarono
alcuni minuti in silenzio; il primo scuro in volto, e il secondo fin
troppo
felice della situazione.
Kaithlyn
era stesa sul
lettino, sanguinante e priva di sensi, i capelli sparsi intorno alla
testa ne
rimettevano in risalto il pallore della pelle.
-Tu
perché hai deciso di…
omaggiarmi con la tua presenza? – domandò
lentametne e calcolando bene la
parole, dopo un po’ Eric.
Jason
fece un gran sorriso.
-
Vedrai… sarà divertente. –
gli assicurò, cercando di non farsi inquietare dallo sguardo
truce dell’altro.
-
La prossima volta portati
dietro una mazza chiodata. Dovrebbe stenderla in pochi minuti. Anche se
sospetto che l’unico modo per ucciderla sia decapitarla.
– aggiunse
allegramente.
Eric
lo inchiodò con uno
sguardo raggelante, che tuttavia non parve smuovere Jason. Giusto, era
abituato
a Kaithlyn.
Pochi
secondi dopo
l’infermiera rientrò con alcune scatole di farmaci
e una siringa, che fece
sbiancare Jason e cancellò ogni traccia di allegria dal suo
viso.
Quel
deficiente aveva paura
delle.. siringhe?
Eric
ghignò, a quella
scoperta. Ora non avrebbe più dovuto usare molta fantasia
per minacciarlo.
Si
avvicinò al lettino, e
senza saper bene come, si ritrovò con una borsa di ghiaccio
secco e una
scatolina circolare con il marchio degli Eruditi in mano, mentre Helena
iniettava
gli antidolorifici nel braccio di Kaithlyn tramite una flebo.
Ora
che avevano finito di
combattere, si sentiva più che soddisfatto del suo lavoro.
Anche se sapeva già
che lei avrebbe avuto qualcosa da ridire, ce l’aveva sempre.
-
Serve ad accelerare la
guarigione. Mettitela su quell’occhio e fai in modo che
quando si sveglia lo
faccia anche lei. – lo informò sbrigativamente,
vedendo che guardava
circospetto la crema che gli aveva ammollato.
Allora
i Lassi avevano una
loro utilità dopo tutto…
Kaithlyn
aprì leggermente
gli occhi: aveva la vista annebbiata e si sentiva la testa
completamente
ovattata. Il dolore era sopportabile, e ci mise qualche secondo a
capire che si
trovava in infermeria. Si sentiva confusa, ed era abbastanza sicura di
non riuscire
a coordinare molto bene i movimenti o le azioni. Helena
l’aveva sicuramente
imbottita di antidolorifici.
-
Buongiorno, brutta
addormentata! –
Girò
lentamente la testa
verso la fonde del saluto: Jason era seduto sul lettino alla sua
destra, le
mani appoggiate sulle ginocchia e l’aria divertita, anche se
notò che lanciava
occhiate vagamente preoccupate alla siringa sul suo comodino.
Già,
le siringhe. Stirò la
bocca in un sorrisetto stirato, anche se non
era proprio sua intenzione farlo.
-
Ma te non ti zittisci mai?
– sentì chiedere dalla una voce esasperata e
tagliente che riconobbe come
quella di Eric.
Jason
non si era zittito
neanche un secondo: Kaithlyn aveva ragione, per un po’ era
stata una cosa
positiva non dover parlare, dato che i biondo per poco non faceva le
domande
per poi rispondersi da solo, ma dopo quasi sei ore, il desiderio
pulsante di
tagliargli la lingua stava diventato quasi insopportabile.
L’aveva seguito
anche quando aveva deciso, dato che Kaithlyn era ancora incosciente, di
passare
a vedere come procedevano i combattimenti degli iniziati. Era rimasto a
guardarli per meno di mezz’ora, dato che non voleva farsi
rovinare la giornata
vedendo il Rigido, e, solo per quella mezz’ora, Jason era
riuscito a tenere la
bocca tutta insieme. O quasi.
Kaithlyn
girò la testa nella
sua direzione, confusa. Eric era seduto a gambe incrociate sul letto
accanto al
suo, e aveva vicino quella che sembrava un borsa del ghiaccio, mentre
in mano
reggeva una scatolina blu con qualcosa di trasparente
all’interno,
probabilmente una crema curativa.
-
Voglio andarmene. –mormorò
corrucciata, cercando di alzarsi facendo leva sui gomiti, ma fu
costretta a
rimettersi distesa: un fitta le aveva attraversato la schiena nel
momento
stesso in cui aveva fatto leva sulle braccia e la stanza aveva preso a
girarle
vorticosamente intorno.
Sbuffò
contrariata; poi
cercando di ignorare l’indolenzimento, riuscì
a mettersi seduta. Notò di avere ancora
la flebo inserita nel braccio e fece per togliersi il cerotto che lo
teneva fermo,
ma Eric la precedette: balzò giù dal letto e si
avvicinò rapidamente
afferrandole il braccio e impedendole di togliersi il cerotto da sola.
Non le
sembrava in grado di formulare un pensiero coerente, figuriamoci
togliersi una
flebo.
Con
il pollice le tenne
fermo l’ago, attento a non fare troppa pressione.
-
Portami del cotone e del disinfettante.
– disse con calma, rivolto a Jason che rimase un attimo
interdetto. – O vuoi
levarglielo tu? – chiese, provocandolo.
Jason
brontolò qualcosa e
uscì dalla stanza. Finalmente, il silenzio.
-
Dove va? – chiese con voce
impastata Kaithlyn girando la testa verso la direzione in cui era
sparito Jason
e facendo cadere alcune ciocche di capelli in avanti.
Eric
trasformò abilmente una
risata in uno schiarimento di voce. In effetti, quel deficiente non
aveva tutti
i torti del mondo: era strano e allo stesso tempo divertente vedere una
come
Kaithlyn così confusa… si appuntò di
chiedere a Helena di dargli un po’ di
antidolorifici da somministrarle a casa. Per sicurezza, ovviamente.
Mentre
guardava i danni che
le aveva provocato, notò che nonostante l’avesse
colpita con forza sulla
guancia con un pugno, il livido non era esteso come avrebbe dovuto
essere.
Eppure era più che sicuro di averla centrata,
perché l’aveva fatta barcollare
all’indietro.
-
La prossima volta mi
porterò dietro un piede di porco. –
borbottò lei, allungando le gambe oltre il
bordo del lettino.
In
quel momento rientrò
Jason, con quello che gli era stato “gentilmente”
chiesto.
Eric
staccò con delicatezza
il cerotto bianco che teneva fermo l’ago, imbevette il cotone
nel disinfettante,
lo appoggiò nel punto da cui spuntava l’ago e lo
sfilò premendo poi il cotone
sul buchino da cui usciva una goccia di sangue. Kaithlyn lo aveva
osservato
attentamente, l’espressione concentrata sul suo braccio. Il
più gentilmente
possibile, Eric le prese una mano e fece in modo che si tenesse la
medicazione
sul braccio da sola.
-
Voglio andare a casa –
ripeté nuovamente Kaithlyn, cercando di scendere dal letto,
ma venne bloccata
dal corpo massiccio di Eric.
-
Levati. – gli intimò con
poca convinzione tirandogli un pugnetto sul petto.
-
Levati o… - lasciò vagare
lo sguardo alla ricerca di qualcosa con cui poterlo minacciare, poi
vide un
coltello, appoggiato sul comodino. – o ti tiro questo!
– gli disse afferrandolo.
Probabilmente era stato dimenticato da qualcuno che aveva pranzato o
fatto
colazione lì.
Jason
di morse un pugno, per
non ridere mentre Eric strinse le labbra cercando di rendere evidente
quando
trovasse comica la situazione e la voce con l’aveva
“minacciato.
-
Certo. – le disse
accondiscendente. – Vuoi lanciarmi un coltello da venti
centimetri di distanza?
O preferisci che mi metta a correre verso al porta, così
puoi prendere la mira?
–
Kaithlyn
parve pensarci su un
attimo.
-
Verso la porta. – ribatté
seriamente, imbronciandosi quando sentì ridere entrambi i
ragazzi. Lasciò
andare il cotone e si rigirò il coltellino tra le mani, come
chiedendosi se
fosse adatto a quello che doveva fare.
-
D’accordo. Però forse ti converrebbe
aspettare di essere in possesso di tutte le tue facoltà
mentali, non credi? –
le suggerì sfilandole delicatamente il coltello dalla mano e
prendendo un
cerotto da metterle sul braccio bucato.
-
Non mi prendere in giro… -
si lamentò, dondolandosi un po’ sul posto.
In
quel momento rientrò
Helena: si era allontanata con una certa serenità, dato che
a parte Jason, Eric
e Kaithlyn non c’era nessuno e se fosse successo qualcosa,
Eric avrebbe saputo
cosa fare. Proveniva pur sempre dagli Eruditi, e le pareva che ci fosse
un
“Turner” all’ospedale.
-
Jason, Max ti aspetta in
Sala Conferenze. Tu invece sei dispensato dall’andare al
decimo piano… devo
fare un salto a prendere i rifornimenti per la Medicheria. Torno
subito, voi
due non muovetevi da lì. – disse prima di
scomparire di nuovo.
-
Ma io voglio andare a
casa! – protestò Kaithlyn, come un bambina.
-
Pensavo volessi prendermi
a coltellate. – le fece notare Eric, avvicinando il naso al
suo collo. Kaithlyn
parve non farci caso, continuando a tenere il broncio e incrociando le
braccai
sotto il seno.
-
Dopo, però. – gli disse
sporgendo leggermente il labbro inferiore.
Ridacchiò,
lasciandole un
bacio sul collo, mentre le infilava una mano tra i capelli e le passava
un
pollice sullo zigomo gonfio.
Kaithlyn
mugugnò, anche se
non riuscì a capire se di soddisfazione o di fastidio.
Si
allontanò, per poterla
guardare in viso: avrebbe dato qualsiasi cosa per poterle fare una foto
e
appenderla fuori dalla Residenza, in quel momento. Era.. buffa,
così confusa e disorientata, mentre lo guardava dal basso
verso l’alto imbronciata come una bambina di due anni. E,
sapeva con assoluta
certezza, che se avesse potuto leggere quel pensiero,
gliel’avrebbe tirato
davvero, un coltello dietro.
Con
un mezzo sorriso sul
viso le afferrò il viso e la baciò lentamente,
andando a battere le gambe sul
bordo del lettino e lasciando scivolare una mano sulla sua schiena, in
modo attrarla
più a sé.
Kaithlyn
si lasciò baciare,
e ridacchiando, gli strinse le braccia al collo.
Questa
storia degli
antidolorifici cominciava a piacergli.
Eric
le aveva proposto di
prendere l’ascensore per arrivare fino al suo appartamento,
al piano dei
Capifazione, ma non ne aveva voluto sapere: già aveva fatto
la figura
dell’idiota a farsi portare in braccio e aveva anche dato spettacolo in
infermeria… mancava
solo che facesse anche la figura della rammollita. Salire le scale era
stata un
sofferenza continua, dato che a ogni passo una scarica di dolore le
partiva dal
piede e le attraversava tutta la schiena, ma ce l’aveva
fatta. Anche se un paio
di volte Eric l’aveva sorretta, brontolando scocciato dalla
sua cocciutaggine e
sull’insensatezza del farsi tutti i canali del Pozzo a piedi.
Appena
entrati in casa, la
prima cosa che avevano fatto era stata infilarsi, a turno, sotto la
doccia.
Il
getto d’acqua calda era
decisamente un toccasana per i muscoli tesi dal dolore e dalla tensione
accumulata durante la giornata. Si prese tutto il tempo di cui aveva
bisogno
per sciogliere i muscoli e scaricare la tensione mentre si lavava. Ora
che le
era passato l’effetto degli antidolorifici, ogni movimento le
provocava dolore,
ma in compenso era più rilassata.
Dopo
essersi goduta per
un’altra manciata di minuti il getto caldo sulla pelle,
uscì dalla spaziosa
cabina e si infilò nell’enorme accappatoio che
Eric le aveva lasciato appeso a
uno spigolo della doccia.. ci sarebbe stata dieci volte.
Era
senza ciabatte, però.
Anzi, era senza.. tutto, dato che non aveva la roba per rimanere a
dormire
tranne lo spazzolino e un cambio di biancheria nei cassetti del ragazzo.
Individuò,
dall’altra parte
del bagno, quelle di Eric e se le infilò. Doveva essere
veramente ridicola, con
un accappatoio in cui sguazzava e le ciabatte di nove numeri
più grandi del
suo.
Passò
una manica, dalla
quale spuntavano giusto la punta delle unghie, sul vetro appannato e si
guardò
allo specchio: ora che i capelli erano bagnati, si notava ancora di
più il
livido sul viso, e si intravedeva, sotto la stoffa
dell’accappatoio quello
sulla clavicola. Sul viso pallidissimo, spiccavano le labbra rosse e
gonfie,
sulle quali il taglio che si era procurata non si era ancora
rimarginato. Forse
avrebbe dovuto metterci un po’ più di crema,
considerò. Aveva proprio una
faccia da schifo.
Sentì
la porta aprirsi
lentamente e un attimo dopo Eric si rifletteva alla sue spalle: aveva i
capelli
ancora umidi, ma i lividi erano decisamente meno evidenti dei suoi.
Indossava
una maglietta nera a maniche corte, tesa sulle braccia muscolose e
tatuate. I
capelli corvini e la maglietta scura facevano risaltare
l’incredibile grigio
chiaro dei suoi occhi, che in quel momento la stavano fissando
attentamente
attraverso il riflesso dello specchio.
Un
leggero sorriso increspò
le labbra di Eric, facendole aggrottare le sopracciglia, perplessa.
-
Ti è passata la voglia di
accoltellarmi? – le sussurrò, chinandosi verso il
suo orecchio e spostandole le
mani che aveva portato la viso mentre esaminava i danni. Poi le
afferrò delicatamente
i fianchi e l’attirò un po’ contro di
sé.
Kaithlyn
sbuffò. Ogni volta
che le venivano somministrati degli antidolorifici si svegliava
completamente
confusa e parlava a sproposito: anche se l’idea di lanciare i
coltelli dietro
al suo ragazzo, ogni tanto, forse, l’aveva
giusto sfiorata.
Eric
ridacchiò più
apertamente e si chinò a baciarle il collo scostandole i
capelli e facendola
fremere. Sentendo il cuore iniziare ad accelerare, si girò
rapidamente verso di
lui e lo baciò appassionatamente, infilandogli le mani tra i
capelli e
allungandosi verso il suo viso.
A
quel moto ti entusiasmo
Eric fece scivolare le mani dai fianchi alle natiche e la
tirò su, facendola
sedere sul lavandino e permettendole di stringergli le gambe sui
fianchi.
Nonostante
la smorfia di
dolore che le increspò il viso, Kaithlyn non si
lamentò né si allontanò da lui.
Eric
decise di staccarsi
solo quando si rese conto che, se avesse continuato, non avrebbe avuto
modo di
fermarsi. Si allontanò dal viso di Kaithlyn solo per la
distanza necessaria a
guardarla in faccia. Con una mano la teneva in equilibrio sul bordo del
lavandino, mentre con l’altra le accarezzava una guancia
calda e umida, dove
spiccava, sulla pelle chiara, un macchia violacea.
Aveva
il respiro accelerato
e le guance arrossate un po’ forse per il caldo dovuto al
vapore della doccia,
un po’ per il bacio che si erano appena scambiati.
Poggiò la fronte contro la
sua e respirò pesantemente, come per riprendere il controllo
delle sue facoltà
mentali e le diete un rapido bacio a stampo, spostando al mano che le
teneva
per la schiena e prendendole il viso tra le mani bollenti.
Kaithlyn
sorrise un po’
sulle sue labbra e lo guardò, aspettandosi che dicesse
qualcosa.
-
Che sei venuto a fare,
signor Capofazione? Mi spiavi sotto la doccia? – gli
domandò piano, appoggiandogli
gli avambracci sulle spalle e arrotolandosi una ciocca di capelli neri
intorno
all’indice.
-
Ero venuto a chiederti se
ti andava la pizza… - iniziò in un
soffiò, ignorando la seconda domanda. Anche
se in effetti, l’idea di rinfilarsi sotto la doccia con lei
attaccata non era
tanto male... un brivido gli percorse la schiena. – ma se
continui così mi
toccherà rinchiudermi nella cella frigorifera delle cucine,
per calmarmi. –
terminò, schiarendosi la voce arrochita e allontanandosi da
lei quanto bastava
per farla scendere dal lavandino.
Kaithlyn
appoggiò le mani
sull’addome di Eric, lo osservò per un momento e
poi si diresse, ciabattando,
fino alla camera.
-
Non ho i vestiti –
constatò, quando lui l’ebbe raggiunta.
-
Meglio. Puoi metterti
qualcosa di largo e coprente. – considerò,
squadrandola. Sì, era decisamente
meglio che fosse coperta. Magari fin sotto il collo. Anche se aveva
paura che,
nel suo caso, il non vedere per non soffrire, non avrebbe funzionato
dato che
lui sapeva fin troppo bene cosa si sarebbe celato sotto
i vestiti.
Si
diresse rapidamente verso
l’armadio e ne tirò fuori una tuta da ginnastica
scura. Le sarebbe stata venti
volte, ma almeno non l’avrebbe vista girare in biancheria per
la casa. Non
poteva proprio farcela.
-
Tipo questa! – le disse,
lanciandogliela.
Kaithlyn
l’afferrò al volo provocandosi
una fitta alle braccia e la esaminò. Sarebbe sembrata uno
gnomo, con i vestiti
di Eric.
Cento
e uno modi per uccidere il sesso. Prefazione a cura
di Eric Turner.
Solo
per il gusto di dargli
fastidio, si slacciò la cintura dell’accappatoio,
e restò completamente nuda ad
eccezione delle ciabatte. Vide gli occhi di Eric accendersi di
interesse, e i
denti premere sul labbro inferiore, mentre si appoggiava
all’anta dell’armadio
per godersi lo spettacolo. Il suo sguardo partì dal viso per
poi accarezzare
ogni centimetro di quel corpo tonico e perfetto. Quando
arrivò al polpaccio e
infine alla gamba, però, gli scappò una risata.
Cento
e uno modi per uccidere il sesso. Primo capitolo a
cura di Kaithlyn Evenson.
Kaithlyn
gli rivolse
un’occhiata oltraggiata; poi intercetto la direzione del suo
sguardo e, dovette
riconoscere suo malgrado, che non aveva tutti i torti nel ridere.
Sembrava una
papera con quei ciabattoni.
-
Lasciamo stare. Ti aspetto
di là, okay? – le disse, staccandosi
dall’armadio. Prima di uscire, tuttavia,
si avvicinò a lei e lasciò un pacca sul sedere,
guadagnandosi anche una sorta
di manata sul braccio. E si era pure fatta male, colpendolo. Maledetto,
stupido, Turner.
Nonostante
l’irritazione per
il fatto che il suo ragazzo avesse riso di lei, tra l’altro
mentre era nuda,
non era arrabbiata. Anche se si segnò mentalmente di
scoppiargli a ridere in
faccia la prossima volta che l’avrebbe visto nudo.
Si
cambiò rapidamente e
rifiutandosi di guardarsi in uno specchio, si diresse verso la cucina,
dove
Eric stava sfornando due pizze.
-
Una birra la vuoi? – le
chiese, mentre era chinato a frugare nel frigo a lato del piano cottura.
Kaithlyn
annuì, con la testa.
Poi, si rese conto che non poteva vederla, non il capo infilato nel
frigo.
-
Okay. – comunicò, ad alta
voce.
-
Comunque sei una fava,
Eric. –aggiunse, facendolo girare perplesso.
-
Perché? Dove seguire il
consiglio di Jason e usare una mazza chiodata, per vincere? –
chiese, inarcando
le sopracciglia. Lo sapeva che c’era qualcosa che non le
sarebbe andato bene.
Forse quello che aveva detto mentre combattevano non era solo un modo
per
provocarlo…
-
No. – rispose sedendosi lentamente
sul divanetto nel tentativo di non sorbirsi l’ennesima scossa
di dolore. – Ma avresti
potuto evitare di farti prendere a ginocchiate nello stomaco e a pugni
in
faccia, se mi avessi ascoltata. –
Ora
l’aveva confuso. A cosa
si riferiva?
Kaithlyn
inspirò
profondamente dal naso e si mise comoda, le gambe piegate di lato e un
braccio
sul bracciolo del divanetto.
-
Cosa ti ho detto di fare,
almeno un miliardo di volte negli ultimi due anni, quando ti colpiscono
allo
stomaco? – gli chiese, reggendosi la testa con una mano e
guardandolo in
attesa. Eric posò i piatti sul tavolino davanti al divano e
si sedette,
pensieroso.
Cosa
gli aveva detto di
fare, tra un insulto e l’altro, negli ultimi due anni?
Intanto,
Kaithlyn si era
spostata: aveva disteso entrambe le gambe sulle sue e, con la testa
appoggiata
alla sua spalla aveva preso a punzecchiargli gli addominali. Forse non
era
ancora svanito del tutto l’effetto degli antidolorifici,
considerò guardandola.
Poi,
senza che se lo
aspettasse, gli tirò un pugno non tanto forte da fargli male
ma abbastanza da
non essere dato per gioco.
-
Ahi! Che ti ho fatto ora? –
Non
gli aveva fatto male sul
serio, ma era stato comunque fastidioso.
-
Di contrarli. Se avessi
contratto gli addominali, dopo che ti avevo colpito, avresti sentito
molto meno
male nei colpi secessivi. E quando ti prendono a pugni in faccia,
ricordati di
spostare il viso nella direzione in cui lo spinge il pugno, per
alleggerire
l’impatto. Se l’avessi fatto non avresti un occhio
nero probabilmente. –
gli spiegò, continuando a punzecchiarlo.
Eric
le passò una mano
intorno alle spalle, attirandola di più a sé. Si
era creata un strana
atmosfera, quella sera… e lui si sentiva insolitamente
tranquillo.
-
Però sei stato molto bravo.
– gli disse dopo un po’. Mentre addentava uno
spicchio di pizza.
-Pensavo
di non aver fatto
un lavoro soddisfacente… non eri arrabbiata? –
-
No. Sarebbe stato..
strano, se io avessi battuto te nel corpo al corpo, giusto? E poi, in
quanto
tua istruttrice durante l’iniziazione sono più che
soddisfatta di come hai
combattuto oggi. Anzi, sai che ti dico? – gli chiese,
rubandogli la birra.
-
Me ne prendo anche il
merito! – disse, facendogli l’occhiolino.
Eric
si rilassò con la
schiena contro il divano, e appoggiò i piedi sul tavolino
davanti a sé, mentre
un senso di compiacimento per quello che gli aveva appena detto gli
invadeva il
petto.
Era
stata un serata
tranquilla, ma aveva ancora la sensazione che ci fosse una strana
atmosfera,
quella sera.
Si
sciacquò il viso con
l’acqua fredda e si passò le mani sulla testa.
Poi, con calma, si diresse in
camera dove si aspettava di trovare Kaithlyn. E infatti era seduta sul
letto in
ginocchio, ma al posto dell’enorme tuta che le aveva prestato
si era infilata
una delle sue magliette, dalla quale spuntavano le gambe nude e grazie
alla
quale si intravedeva una spalla spuntare dallo scollo largo.
Interessante.
Gli
sorrise un po’,
strusciando le mani tra loro come per scaldarle. I capelli sciolti le
ricadevano in riccioli disordinati sui fianchi spiccando come fiamme
sullo
sfondo nero della maglietta.
Eric
si avvicinò al letto,
appoggiando le gambe al bordo del materasso mentre Kaithlyn si
alzò sulle
ginocchia ed avanzo fino a lui. Istintivamente le strinse la vita,
attirandola
a sé, mentre lei gli passava lentamente le mani sulle spalle
e sul petto.
Incapace
di rimanerle ancora
a quella distanza, di avventò sulle sue labbra con urgenza:
aveva aspettato
abbastanza, e lui non era un tipo a cui piaceva pazientare. Con le mani
le
accarezzò la schiena e i capelli, mentre lei infilava le sue
sotto il tessuto
della maglietta e gli passava le dita sugli addominali, che si
contrassero al
loro passaggio.
Dopo
un po’ sentì le braccia
di Kaithlyn salire verso il viso e stringersi al suo collo. Senza
rifletterci
più di tanto, la sollevò e la
trascinò, sempre tenendola stretta, fino alla
testata del letto, facendole posare la testa sul cuscino. Si
sollevò sui gomiti
per non pesarle sopra e la guardò, passandole una mano sulla
testa.
-
Sei stanca? – le chiese in
un sussurro ansante, talmente vicino che i nasi si toccavano.
Kaithlyn
si schiarì la voce
ed arrossì leggermente. Era strano che qualcuno si
preoccupasse se fosse stanca
o meno, mentre cercava di spogliarla.
-
No. – disse, cercando di
essere convincete, ma uno sbadiglio mal trattenuto la tradì.
Eric
le lasciò un altro
bacio sulle labbra: nonostante il solo pensiero di averla lì
accanto mezza nuda
gli facesse ribollire il sangue nelle vene, e non aspettaste altro che
rimanere
solo con le dalla sera prima, non voleva esagerare: avevano avuto una
giornata
abbastanza pesante, e lei era sicuramente più provata di lui
ed ancora piena di
dolori. Insomma, se dovevano andare a letto insieme voleva che fosse
piacevole
per entrambi, invece che dolore continuo. Anche se l’aveva
mascherata subito, l’aveva
sentita irrigidirsi tra le sue braccia mentre la spostava sul letto.
A
quanto pareva, però, i
suoi intenti da bravo ragazzo non erano condivisi
dall’insopportabile Intrepida
sotto di lui.
Kaithlyn
lo riavvicinò a sé
e riprese baciarlo con trasporto, passandogli le mani tra i capelli e
accarezzandogli il viso.
Prima
o poi gli avrebbe
mandato il cervello in poltiglia, ammesso e non concesso che non fosse
già
diventato una brodaglia non meglio indentificata: in quei momenti
avrebbero
potuto fargli esplodere una bomba accanto e non se ne sarebbe accorto,
tanto era
preso da lei. Forse era il caso di fermarla: ancora qualche secondo e
non
avrebbe più risposto delle sue azioni, strappandole quei
pochi indumenti che
aveva ancora malauguratamente addosso.
-
Kaithlyn.. – la chiamò,
con voce bassa e roca, gli occhi brucianti di eccitazione. E doveva
essersi accorta
anche lei di quanto la volesse, perché sorrise con malizia e
gli strinse un po’
di più le gambe intorno ai fianchi.
-
Forse è il caso di
smetterla, per stasera. – le disse cercando di non guardarla
come se non
desiderasse altro che levarle quella magliettina, che si era
accartocciata
scoprendola fino all’ombelico. L’universo cospirava
contro di lui: come diamine
avrebbe dovuto fare per ignorare quelle gambe toniche e quella pancia
piatta.
Tra l’altro il fatto che avesse i suoi vestiti addosso, gli
faceva uno strano
effetto, che si stata ripercuotendo verso… il basso. Non che
prima andasse
molto meglio, ma almeno poteva darsi un contegno o fare finta di nulla.
“Appunto”
pensò, mentre
sentiva le dita di Kaithlyn solleticarlo dietro il collo, facendogli
venire al
pelle d’oca.
-
Smettila di stuzzicarmi. –
le sibilò, in un rantolo. Avrebbe voluto che la frase gli
uscisse chiara e con
voce sicura, ma a quanto pare non era più in grado di
articolare frasi di senso
compiuto.
-
Okaay… - gli rispose
lentamente lei, accarezzandogli lentamente il collo.
Gli
dava retta? Allora era
vero che c’era qualcosa di particolare nell’aria. O
magari avrebbe potuto
chiedere ad Helena se poteva imbottirla di antidolorifici ogni tanto.
Se le
facevano questo effetto…
Kaithlyn
stirò le braccia
sopra la testa, inarcandosi volutamente verso di lui e facendo aderire
i loro
bacini.
Come
non detto.
A
quel contatto Eric chiuse
gli occhi, quasi tremante, per il calore che sentiva nascergli dal
basso ventre
e diffondersi nel resto del corpo in quel momento. Doveva cercare di
controllarsi. Magari poteva pensare a qualcos’altro, che non
fosse il bruciante
desiderio che sentiva in quel momento.
-
Kaithlyn. – la ammonì.
-
Mi stavo solo
stiracchiando! – si difese lei. – e mi sono fatta
anche male, se ti interessa. –
lo informò.
In
effetti non era stata una
cosa molto furba, distendere i muscoli in quel modo. Ma pur di
stuzzicarlo,
avrebbe sopportato anche di peggio.
Kaithlyn
si tappò la bocca,
per coprire un altro sbadiglio.
Facendo
appello a tutto il
suo scarso autocontrollo, Eric si staccò dal suo corpo e
rotolò sulla schiena.
Cercò di scacciare dalla mente le immagini fin troppo nitide
e dettagliate dei
loro corpi ansanti attorcigliati tra le lenzuola.
Passarono
alcuni minuti in
silenzio, lei stesa su un fianco e lui sulla schiena a fissare
insistentemente
il soffitto.
Poi,
quando fu abbastanza
sicuro di aver ripreso il controllo delle sue azioni e che non le
sarebbe
saltato poco delicatamente addosso, le fece cenno di venirgli
più vicino.
Kaithlyn
si avvicinò con una
smorfia di dolore al ragazzo e gli appoggiò la testa sul
petto. Non era una
persona affettuosa, ma soprattutto in quel periodo, quando di notte
iniziava a
fare più fresco, le piaceva accoccolarsi sul suo petto e
dormirgli vicino. La faceva
sentire insolitamente tranquilla, al contrario di quello che poteva
dire il
resto della fazione che in genere si trovava più a disagio
che altro, quando c’era
di mezzo lui.
Lo
guardò dal basso verso
l’alto: sembrava pensieroso. Più pensieroso del
solito, il che era tutto dire.
Gli lanciò un’occhiata interrogativa, a cui Eric
rispose con un cenno che le
indicava che non era niente. Avrebbe voluto indagare più
affondo, ma sentiva il
sonno prendere sempre più rapidamente il sopravvento gli
occhi chiudersi.
Eric
si sentiva
insolitamente sereno, ed era strano per lui. I suoi demoni e le ombre
che lo
tormentava in genere non gli davano mai pace, neanche nel sonno.
Neanche quando
lei gli dormiva vicino, dandogli con
la sua presenza un po’ di sicurezza in più.
Sentì il corpo di Kaithlyn
rilassarsi contro il suo e il suo respiro farsi più lento e
regolare contro il
suo petto.
Avrebbe
dovuto darsi un
contegno, aveva ancora un reputazione da difendere e non voleva
ritrovarsi per
niente al mondo a guardarla con la bava alla bocca come qualunque
idiota.
Si
sistemò meglio,
mettendosi un po’ più comodo e provò a
rilassarsi beandosi dell’atmosfera
insolitamente tranquilla e distesa che aveva respirato fino a quel
momento.
Era
quello il trucco,
quindi? Metterla fuori gioco?
Passò
dalla veglia al sonno
lentamente e con la solita strana sensazione addosso, mentre le ombre
scure che
popolavano il suo inconscio prendevano piede nella sua mente.
Eccomi
quaaa! Allora, comincio
con il dire che, nonostante lo abbia riletto e corretto almeno un
milione di
volte non sono molto convinta. (Se trovate qualche strafalcione
ditemelo,
perché io ormai lo sa a memorie e quindi ci sta che mi sia
sfuggito qualcosa!)
Vi
spiego: questo capitolo,
almeno per me, è stato un po’ particolare da
scrivere, perché ce l’avevo in
testa da tempo e volevo renderlo al meglio in ogni sua parte senza
sfociare nel
banale o nello smielato per quanto riguarda Eric.
È
palese, ormai (almeno
credo), che Eric sia innamorato perso di Kaithlyn e quindi ho voluto
descrivere
un momento di tranquillità tra i due… (in
realtà c’era un altro pezzo, in fondo
al capitolo, che era un po’… come dire senza fare
spoiler?... ehm…
un’esternazione, ecco. Un momento di tenerezza, che penso di
spostare o al
prossimo capitolo, all’inizio, o in un altro momento moooolto
importante della
storia che ci sarà più avanti e che
segnerà un passaggio molto importante!) non
possono sempre e solo litigare. Cioè, possono, anzi devono farlo in quando Eric e Kaithlyn ma
non è una regola, credo.
Giusto?
Vorrei
fare qualche domanda,
poi vi lascio in pace, promesso.
Questo
capitolo devo
confessare che mi ha mandata un po’ in crisi, e che
nonostante sapessi cosa
scrivere non sapevo come riportarlo senza risultare smielata o poco
inerente ai
personaggi che vi ho presentato finora… quindi, vi chiedo
per favore di dirmi se
qualcosa non vi torna o non è inerente e se trovato un
capitolo così lungo
noioso! Meglio capitoli più corti, come prima o
così?
A
voi è piaciuto? L’incontro
vi sembra convincete?
Vi
sembra che abbia trattato
poco bene delle parti, o con troppa superficialità?
Non
fateci troppo caso,
orami sono sclerata!
Ad
ogni modo mi scuso per il
ritardo nell’aggiornamento che doveva arrivare ieri
(l’altro), ma ho passato la
giornata a rileggere e correggere il capitolo a causa delle mie crisi
esistenziali e ieri sera non ero ancora troppo convinta e inoltre ero
fusa,
quindi ho rimandato!
Ringrazio
infinitamente
tutti coloro che sono arrivati a leggere fino alla fine, e mi auguro
che il
capitolo via sia piaciuto e che lo abbiate trovato scorrevole
nonostante sia
molto più lungo del solito!
Ringrazio
Lisa21
per aver inserito la storia tra
le “Preferite” e Capitan_Doodle e elvis_q per averla
messa tra le
“Seguite”, spero che continui a piacergli quello
che scrivo!
Infine, ringrazio la puntualissima
Kaimy_11 per la sua
recensione super
rapida! J
Ricordo,
come sempre, che se
volete avere anticipazioni sui capitoli, info sui personaggi e qualche
“spoiler” sui miei progetti in cantiere, troverete
tutto (o quasi) nella mia
pagine facebook: https://www.facebook.com/pages/Kaithlyn-J-Evenson/865334640156569?ref=hl
Alla
prossima,
Kaithlyn
|
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
Ohibò!
Un computer e del tempo libero…
che stregoneria è mai questa?
Scusate,
davvero. Sono ai pazzi ultimamente e non ho
tempo nemmeno per respirare!
Vi
lascio un piccolo appunto del capitolo precedente e
scappo:
*Helena,
l’infermiera, viene nominata da Zeke quando, nel
diciannovesimo capitolo di Insurgent, va dai Candidi portandosi sulle
spalle
Tori, alla quale hanno sparato!
(scusate
la parentesi, ma mi sono scordata di inserirla
nello scorso capitolo ^.^’)
Capitolo
9
Kaithlyn
aprì gli occhi; era
nella stessa posizione della sera prima, quando si era addormentata su
Eric.
L’unico dettaglio, era che Eric non c’era. Doveva
essersi alzato da un po’,
perché la sua parte di letto era fredda,
constatò, passando una mano poco più
in là.
Sfilò
la mano da sotto il
cuscino e cercò di puntellarsi con i gomiti per guardare
l’ora; i muscoli
protestarono tutti all’unisono, ma riuscì a
tirarsi su quanto bastava per
vedere la radio sveglia sul comodino attraverso le palpebre socchiuse.
7.16,
era ancora
relativamente presto ma, se fosse dipeso esclusivamente da lei, avrebbe
dormito
per altri tre giorni. Non le andava di alzarsi e lasciare il calore
confortante
del letto per passare la mattinata con quel gruppo di imbecilli che
avevano
cercato di spacciarle per aspiranti Intrepidi.
Si
lasciò ricadere
pesantemente con la faccia sul guanciale, lasciando che metà
del viso ci
affondasse e i capelli le ricadessero sopra coprendolo quasi del tutto.
Doveva
trovare il modo di alzarsi: di lì a quaranta minuti sarebbe
dovuta essere in
palestra, mentre più tardi avrebbe fatto un salto al
poligono per esercitarsi;
ai Tiratori era richiesto anche un test attitudinale di tiro al
bersaglio e lei
l’avrebbe sostenuto quella sera, mentre Eric se la sarebbe
cavata con un’esercitazione
di cinque minuti la mattina successiva.
Si
ripuntellò sui gomiti con
una smorfia di dolore e si girò sulla schiena, ritrovandosi
a guardare il
soffitto. Bene, intanto era riuscita a rotolare.
La tranquillità della sera prima sembrava aleggiare ancora
nella stanza
illuminata dal sole, che filtrava attraverso le tende della finestra
vicino
alla testate del letto e rendeva l’ambiente un po’
più confortante. Sembrava
una domenica mattina, in cui sia lei che Eric si alzavano, quando lo
facevano,
con calma ed erano entrambi un po’ più rilassati.
Sbuffò
sonoramente e si
passò le mani sul viso, cercando di scacciare la stanchezza:
lei non era una
donnicciola lagnosa che al minimo dolorino si faceva scorrazzare per
tutta la
fazione, o che non perdeva occasione di fare sfoggio delle proprie
“ferite di
guerra”, anzi. Non sopportava simili atteggiamenti dagli
altri, figuriamoci da
sé stessa. Era abituata a non farsi mettere sotto da nessuno
e soprattutto a
non mostrarsi mai debole: non si era mostrata debole quando quattro
anni prima
aveva dovuto affrontare i suoi scenari della paura, figuriamoci in quel
momento, quando l’unica cosa che la disturbava era il dolore
alla quasi
totalità dei suoi muscoli.
Preparandosi
psicologicamente a sopportare il dolore a muscoli e articolazioni, e
aiutandosi
con i palmi delle mani e le braccia, riuscì a mettersi a
sedere, sentendo però
uno scossa percorrerle la schiena. Maledetto Turner dei suoi stivali,
era tutta
colpa sua.
Si
tastò la faccia con una
mano, constatando con un sibilo di irritazione, un grosso livido sullo
zigomo
su cui Eric aveva infierito con i pugni. Probabilmente aveva un
accumulo di
liquido, perché sentiva l’ematoma morbido e
dolorante, tanto da farle
irrigidire la mascella e chiudere un po’ gli occhi.
Si
passò una mano tra i
capelli, portandoseli indietro per vedere dove metteva i piedi: era
già abbastanza
gonfia senza che, a crearle difficoltà, ci si mettessero
anche quella massa di
capelli rossi che sua madre si doveva essere tanto divertita ad
appiopparle.
Scostò
bruscamente le gambe
da sotto le coperte e si trascinò con il sedere verso il
bordo del letto, fino
a quando non sentì la superficie liscia e fredda del
pavimento farle correre un
brivido lungo la schiena. Sentiva un male cane, e quando avesse dovuto
camminare sarebbe stato anche peggio, lo sapeva, ma non aveva la
benché minima
intenzione di andare a rilento tutto il giorno solo per uno stupido
combattimento. Forte di questo, chiuse gli occhi con una smorfia e
poggiò il
peso sulle gambe; pensava peggio, tutto sommato. Certo, avrebbe dovuto
prendere
gli antidolorifici per qualche giorno, ma pensava seriamente di averne
prese di
più.
Camminò,
anche se irrigidita
dal dolore e barcollante per il sonno, fino alla porta della camera e
poi
nell’ingresso, dove si appoggiò con una mano ad un
parete e si stropicciò gli
occhi, cercando di darsi la svegliata definitiva. Riprese a camminare.
Si
sentiva un po’ meglio, anche se ogni passo le costava una
scossa di dolore ai
muscoli, e le faceva male la testa.
Attraversò
l’ingresso
ondeggiando instabilmente sulle gambe, mentre teneva una mano premuta
sulla
testa. Doveva solo arrivare ai coltelli da cucina, poi avrebbe potuto
sopprimere lo stronzo che da quasi cinque mesi a quella parte, era
diventato il
suo ragazzo. Anche se, ovviamente, non c’era stata nessuna
“richiesta
ufficiale”; non erano mica due di quei fidanzatini mezzi
ritardati che avevano
bisogno di mandarsi bigliettini vomitevoli e di ripetersi in
continuazione
quando fossero pazzi di gioia con dei maledettissimi occhi a cuoricino.
Anche
perché trovare lei ed Eric, pazzi
di
gioia e soprattutto con occhi a cuoricino era decisamente
un’utopia.
Fantascienza, insomma. Nessuno dei due era particolarmente propenso
alle
dimostrazioni d’affetto, anche se doveva riconoscere che ogni
tanto Eric
cercava di sforzarsi un po’… ma dato
com’era fatta lei, finiva per andare poco
lontano. Il tappeto scuro sotto il divano accolse i suoi passi, dandole
un po’
si sollievo dal freddo del pavimento.
Si
affacciò, con gli occhi
socchiusi, alla cucina trovando Eric che armeggiava con qualcosa sui
fornelli.
Invece di ucciderlo, avrebbe potuto fargli una foto a tradimento e
stamparla in
formato gigante per poi appenderla in ogni angolo della Residenza. Quella sì, che
sarebbe stata una vendetta
divertente. Poi probabilmente l’avrebbe uccisa con le sue
mani, ma ne sarebbe
valsa la pena, non c’erano dubbi.
Le
arrivò alle narici il
profumo delle uova strapazzate. Uova strapazzate, spremuta e
caffè. Forse,
avrebbe potuto farsi prendere a pugni, di tanto in tanto, se quello era
il
risultato. Un fitta le attraverso la schiena, facendola rabbrividire.
No, non
si sarebbe fatta prendere a pugni per la colazione. Anzi, la prossima
volta, si
sarebbe sbarazzata del proprio avversario preventivamente. Non era
abituata a
perdere, e Jason aveva ragione: quando si viveva con gli Intrepidi,
quella, si
poteva rivelare decisamente una pessima abitudine.
Emise
un lamento, dolorante.
Il giorno dopo i combattimenti era sempre il peggiore, almeno in fatto
di
dolore. Vide sulla tavola, dove in genere si sedeva lei, alcuni
pasticche e un
bicchiere d’acqua. Anche? Guarda, guarda com’era
diventato servizievole il moccioso.
Eric
voltò la testa verso di
lei, e la squadrò dalla testa ai piedi. La maglietta le
arrivava a metà coscia,
e lasciava scoperta tutta una spalla. I capelli erano stravolti, e
aveva ancora
i segni del giorno prima sul viso e qualche livido anche sulle gambe
nude.
Risalì senza fretta dai piedi, soffermandosi
sull’orlo della maglietta e
proseguendo fino al viso.
-
Era l’ora. Pensavo fossi
caduta in coma. – le disse, muovendo un po’ la
teglia sul fornello.
-
Eh?-
Eric
rise un po’. Gli dava
una strana sensazione di appagamento quella situazione, anche se non
aveva ben
chiaro il motivo: non è che picchiare a sangue la proprio
donna, fosse esattamente
una buona ragione di vanto… anzi, tutt’altro.
Eppure dal giorno prima si
sentiva decisamente meglio del solito. Se non altro, non aveva una
voglia
prorompente di fare a pezzi qualsiasi cosa gli capitasse a tiro, come
al
solito; aveva anche la vaga impressione che fosse merito
dall’assenza di Quattro.
Aveva sempre pensato che con il Rigido fuori dai piedi, sarebbe stato
decisamente meglio, e quella ne era la controprova.
-
Nonna, ti ho messo lì le
pasticchine. Non te le dimenticare.. – le
disse dolcemente, senza tuttavia nascondere un’espressione
derisoria.
-
Fottiti. – gli bofonchiò
di rimando lei, avvicinandosi al tavolo e buttando giù i
medicinali con una
lunga sorsata d’acqua.
-
Vuoi un deambulatore? Hai
una faccia da schifo. – infierì.
-
A me tra qualche giorno
passa, stronzo. – ribatté lei, senza guardarlo,
sedendosi.
-Grazie,
lo prendo come un
complimento.-
-
Non riderai più, quando ti
avrò ucciso brutalmente nel sonno e avrò nascosto
i pezzi del tuo cadavere sotto
le assi del pavimento. – gli disse tagliente, anche se sulle
labbra aleggiava
l’ombra di un sorriso.
-
Non disturbarti! –
-
Ti odio. –
-
Lo so. Mi piace l’odio: è
un sentimento forte, passionale. – commentò con
tranquillità.
Kaithlyn
appoggiò la testa
su palmo delle mano, scuotendola leggermente con fare esasperato,
mentre Eric
si girava con aria trionfante.
Le
mise la colazione nel
piatto, dato che lei sembrava essere ancora nel mondo dei sogni, e le
piazzò
davanti una tazza di caffellatte e un bicchiere di spremuta, almeno non l’avrebbe preso
a calci perché non riusciva a
sollevare la brocca a causa del dolore alle braccia. Sapeva che
l’avrebbe
fatto.
Kaithlyn,
nonostante lo
sguardo assonnato, lo guardò sospettosa, assottigliando gli
occhi e seguendo
ogni suo più piccolo movimento.
-
Dimmi la verità. Ci hai
messo il veleno per topi. – lo accusò.
Era
un po’ strano il fatto
che uno come Eric si fosse messo a fare la colazione e che ancora non
le avesse
rivolto più di un commentino pungente. Molto, strano. Cosa
voleva?
-
Può darsi. Assaggia,
aspettiamo un po’ e vediamo cosa succede. – la
provocò con un’alzata di spalle,
sorseggiando la sua spremuta e guardandola da sopra il bordo del
bicchiere
mentre di sedeva di fronte a lei.
Kaithlyn
si mise comoda
sulla sedia e iniziò a punzecchiare con la forchetta le uova
con fare sospettoso,
come se potessero esplodere da un momento all’altro. Doveva
esserci qualcosa
sotto, per forza.
Arricciò
le labbra, mentre
il suo stomaco brontolava.
-
Non ci ho messo nessun
tipo di esplosivo, comunque. Ripeto: al massimo muori avvelenata.
– le disse, posando
il bicchiere e incrociando gli avambracci davanti a sé.
Lei
parve convincersi, e
iniziò a magiare con calma lanciandogli di tanto in tanto
occhiate poco
convinte.
Nessuno
dei due aveva molta
voglia di fare le corse o di chiacchierare, e nonostante
l’unico rumore fosse
quello della Residenza degli Intrepidi che iniziava a svegliarsi, non
c’era
imbarazzo tra loro.
-
Potreste andare stasera a
giocare a Ruba Bandiera! – propose la ragazza dopo un
po’, mentre si puliva le
labbra con un tovagliolino di carta bianco.
-
Tu ha intenzione di
risparmiarci l’onore della tua presenza? Carino da parte tua!
–
-
Figurati. Devo fare il
test di tiro, stasera. – gli ricordò, appoggiando
un gomito sul tavolo e
reggendosi la testa.
-Ah,
be’, allora…. –
commentò sarcastico.
-
Vi monitorerò, comunque. E
i dati serviranno all’assegnazione dei punti extra degli
iniziati, quindi cerca
di usare quel bel cervellino che ti ritrovi d’accordo? Non
voglio sorbirmi le
tue lagne! – lo avvisò, appoggiandosi allo
schienale della sedia e tirandogli
una pedata, seguita da una smorfia, sotto il tavolo.
Riecco
la solita Kaithlyn.
Il
primo turno di
combattimenti era stata piuttosto tranquillo: Tris aveva vinto contro
Myra,
Edward si era praticamente mangiato
Christina, Peter e Al erano stati talmente veloci che se fosse uscita a
prendersi un caffè non si sarebbe nemmeno accorta che
avevano combattuto, e
Molly e Drew aveva avuto uno scontro piuttosto equo. A pensarci bene,
forse, a
parte il primo, era stato l’unico scontro equo della mattina.
Ma era anche vero
che dovevano affrontarsi tutti, quindi a chi importava?
Quattro
sembrava piuttosto
compiaciuto, anche troppo secondo
lei, dalla vittoria della Rigida; nonostante mantenesse la sua aria
imperscrutabile da istruttore “cattivo”. Eric
invece si comportava da… Eric.
Cupo e a braccia conserte, stava appoggiato alla parete a seguire
attentamente
e con sguardo minaccioso i combattimenti degli iniziati. Ogni tanto le
aveva
fatto il sacrosanto piacere di urlargli contro al posto suo, quando
sbagliavano
o faceva qualcosa di incredibilmente stupido.
Era
stanca e dolorante,
anche se grazie alla crema degli Eruditi e agli antidolorifici, si
sentiva
decisamente meglio, e non aveva alcuna voglia di utilizzare le sue
energie per
rimproverare quella massa di idioti… magari più
tardi avrebbe fatto un salto
dagli interni, nella vana speranza che avrebbe potuto darle la
consapevolezza
che non fosse proprio tutto tempo perso.
Più
passava il tempo, e più
peggiorava il livello generale degli aspiranti Intrepidi. Per quel che
la
riguardava, almeno tra i transfazione, quell’anno avevano
toccato il fondo
dell’abisso. E il primo a cui fosse venuta in mente la
malaugurata, malsana
idea di dire “al peggio non c’è mai
fine”, l’avrebbe preso per un orecchio e
portato a fare un tuffo. Nello Strapiombo. Non poteva veramente
andare peggio, giusto?
Al
e Myra, intanto, si
stavano trascinando sul ring, entrambi apparentemente poco convinti di
quello
che facevano.
Si
misero entrambi in
posizione, e Kaithlyn di raddrizzo, la schiena appoggiata alla parete e
le
gambe distese davanti a sé, sul tavolo. Quella era la sua
postazione: aveva i
coltelli da una parte e la sua pistola, la stessa che avrebbe usato
quella
sera, dall’altra.
I
due sfidanti si guardarono
sconsolati per qualche secondo: Al non aveva fatto altro che perdere,
di
proposito, per tutti gli incontri dopo quello contro Will, ma Myra era
veramente scarsa, e non sapeva davvero come poteva pensare
l’iniziato di far
bere a tutti e tre il fatto che si facesse mettere al tappeto da una
ragazza
che era la metà di lui. Fortunatamente, Al parve capire e
con un paio di colpi
non troppo convinti, vinse l’incontro.
Quando
Tris ed Edward
salirono sul ring, notò Quattro irrigidirsi e raddrizzare la
schiena.
Nonostante
sapessero
entrambi che l’incontro sarebbe stato fulmineo e che Edward
non avrebbe perso
tempo a “giocare” con il suo avversario come faceva
Peter, al quale prima o poi
avrebbe fatto passare la voglia di fare il brillantissimo,
notò che Quattro
sembrava, ad ogni colpo inferto da Edward, più teso e
nervoso.
Non
si sarebbe meravigliata,
se Quattro se la fosse intesa con la Rigida. In due anni non
l’aveva mai visto
con una ragazza, a parte quando quell’idiota del suo amico
Zeke lo trascinava
nelle sue uscite a quattro. Almeno Zeke era divertente…
-
Non farti distrarre. – lo
avvisò girando leggermente la testa verso di lui, senza
tuttavia distogliere
gli occhi dall’arena.
Quattro
si voltò verso di
lei, gli occhi che la scrutavano attentamente. Cosa voleva dire? Non si
era
mosso dalla sua posizione, e nonostante il fatto che Tris avesse perso
miseramente contro un avversario tanto più forte di lei
l’avesse reso nervoso,
aveva fatto di tutto per non farlo notare. Non con Eric e Kaithlyn
così vicini.
Forse era un’osservatrice migliore di quello che pensava;
avrebbe dovuto stare
più attento. Se Eric fosse venuto a sapere che nutriva, per
il momento, un vago
interesse per un’iniziata, avrebbe fatto tutto quello che era
in suo potere per
rendere la vita impossibile a lui e buttare fuori dalla classifica lei.
Tris
sarebbe stata troppo vulnerabile, e non poteva permetterlo nonostante i
suoi
sentimenti non fossero neanche lontanamente chiari. Doveva fare
più attenzione.
-
Okay, ragazzi. Sono le…
undici. – iniziò, girando il polso per controllare
l’orologio. – Aspettate gli
altri e poi andate a chiamare quel gruppetto di imbecilli. E non
guardarmi così
Quattro. Dovresti sapere che, secondo gli standard, il tempo medio per
prepararsi in caso di emergenza immediata è di una manciata
di secondi. Prima
li abituiamo meglio è. – decretò, in
tono che non ammetteva repliche.
Eppure
era piuttosto sicuro
di dover essere lui a decretare il come e il quando, in quanto
istruttore… ma
per non attirare troppo l’attenzione, e non peggiorare
l’umore di Eric, era più
saggio non contraddirla. Era troppo rischioso intavolare una
discussione che
sapeva persa in partenza: qualsiasi cosa potesse dire, Eric avrebbe
appoggiato
Kaithlyn… anche solo per mettere in difficoltà
lui. E da quel che gli aveva
raccontato Zeke riguardo all’incontro tra Eric e Kaithlyn, la
ragazza di era
rivelata più che agguerrita. Sì, era decisamente
meglio starsene buono:
soprattutto quando aveva la pistola nella fondina e probabilmente anche
un
coltello da qualche parte.
Restarono
in silenzio per
alcuni minuti durante i quali l’unico rumore, oltre al brusio
del Pozzo che
andava scemando, era il piede di Kaithlyn che batteva sul pavimento di
pietra.
Erano
tutti e tre appoggiati
ad una parete del corridoio che conduceva alla camerata degli iniziati,
Eric e
Quattro su un lato, e Kaithlyn su quello di fronte.
La tensione tra i due ragazzi, nonostante Quattro
fosse appoggiato rilassatamente alla parete opposta rispetto a quella
dell’altro e non desse segni di turbamento, era palpabile.
Probabilmente, se
fossero stati da soli, si sarebbero ammazzati di botte.
Eric
aveva il viso in ombra
ma Kaithlyn riusciva a scorgere la tensione dei muscoli in quel corpo
tanto
familiare. Sapeva che era competitivo fino allo stremo, e ritrovarsi a
dover
competere tra tutti proprio con Quattro in una gioco di strategia e
ingegno,
doveva averlo innervosito. Era già abbastanza schizzato di
suo, e non osava
immaginare come sarebbe rientrato se non avesse ottenuto quello che
voleva:
Eric era orgoglioso, e perdere nuovamente contro Quattro
l’avrebbe reso
furioso. Aveva provato a suggerirgli qualcosa, come il trucchetto - che secondo lei funzionava
solo con gli
idioti – di sparare da un distanza elevata dove supponeva
fossero nascosti i
membri dell’altra squadra: se erano abbastanza stupidi e
impulsivi, avrebbero
istintivamente risposto al fuoco e lui avrebbe saputo dove andare a
cercarli.
Certo, era un ragionamento un po’ erudito ma dato che
l’importate per gli
Intrepidi era vincere, era anche lecito farlo con tutti i mezzi a
disposizione
di ognuno, no?
-
Perché hai un computer con
te? – chiese dopo un po’ Eric, facendo un cenno del
capo verso la custodia che
reggeva per il manico superiore e nella quale era evidentemente
contenuto un
pc.
Invece
di rispondere alla
sua domanda si staccò dalla parete e fece un passo nella
direzione dei due
ragazzi, tirando fuori dalla tasca interna del giacchetto due
braccialetti
elettronici. Infilò ad entrambi i braccialetti, facendo
scattare la chiusura
automatica: l’unico modo per toglierseli, sarebbe stato
amputarsi la mano;
avevano un sistema di riconoscimento per cui solo con un codice
specifico, che
aveva inserito lei, potevano essere aperti.
-
Sono dei braccialetti
elettronici con inserito un dispositivo di localizzazione che
invierà i dati
dei vostri spostamenti al computer e mi fornirà informazioni
su dove siete e
cosa fate, in modo che possa monitorare l’esercitazione. Ho
inserito una
sistemata simile anche nei fucili, in modo che si attacchino
automaticamente al
dispositivo principale, uno dei vostri, a cui lo assegnerò
una volta che la
prima squadra sarà scesa dal treno. –
spiegò.
Quattro
guadò sospettoso il
suo polso, come se
la lucina che in quel
momento lampeggiava vicino alla linea di apertura del bracciale,
segnasse il
conto alla rovescia di una bomba.
-
Non provate a levarvelo
per barare perché l’unico modo è
amputarvi la mano… appena rientrerete nella
Residenza, stasera, ve li disattiverò io dal computer e la
spia luminosa si
spegnerà. – proseguì, sollevando la
custodia e indicandola seriamente.
-
Ora sparite dalla mia
vista, e cercate di non scannarvi o vi userò come bersagli
mobili per le
esercitazioni di tiro, d’accordo? – aggiunse,
staccandosi dalla parete e
piazzandosi in mezzo al corridoio.
Poi,
dopo un’ultima occhiata
all’orologio, si diresse a passo spedito verso il poligono.
Quando
i passi di Kaithlyn
non furono altro che un eco lontano nel corridoio buio e deserto
illuminato
solo dalle luci azzurrognole, Eric lanciò uno sguardo
penetrante a Quattro.
-
Chi aspettiamo? – chiese,
lentamente, senza smettere di guardarlo in modo ostile e incrociando le
braccia
sotto il petto. Sembrava ancora più grosso, così.
-
Mia, Sean, un’amica di
Lauren e qualcun altro. – gli rispose con una scrollata di
spalle, tornando a
guardare in fondo al corridoio.
Sapeva
che restare con lui
lo rendeva nervoso: Quattro aveva paura che potesse rivelare il suo
vero nome,
anche se qualsiasi idiota che fosse stato attento durante la loro
Cerimonia
della Scelta avrebbe potuto ricordarlo. D’altronde,
l’attenzione ai
particolari, non era una peculiarità degli Intrepidi ma
degli Eruditi. Sapere
di tenere Quattro sulle spine con quell’informazione in suo
possesso, lo faceva
sentire meglio; gli dava una piacevolissima sensazione di vantaggio su
quel
maledetto Rigido che due anni prima aveva avuto la faccia tosta di
batterlo e
di farlo essere ancora una volta il secondo.
-
Muoversi, muoversi! Chi cazzo
vi ha insegnato a sparare, eh? Al, AL! Quel dannato fucile! Tienilo su,
non
stiamo dando la caccia i piccioni, idiota!
- sbraitò in direzione della sua squadra. Era
un povero illuso: come
aveva fatto a non accorgersi degli imbecilli che si era accollato? Tra
tutti,
quasi, quasi, la meno pessima era stata Myra. Che era
l’ultima in classifica,
tanto per dirne una. Peter sembrava credersi Dio sceso in terra, ma non
aveva
concluso niente ed Edward, a quando pareva, aveva perso il
coordinamento delle
mani. Molly… non aveva il coraggio di guardare cosa diavolo
stesse facendo. Non
lo voleva sapere.
Come
diavolo potevano essere
diventati così imbranati dal pomeriggio? Gli aveva svegliati
troppo
bruscamente? Volevano un fottuto caffè, e un maledetto
cornetto alla crema la
prossima volta? O che magari andasse a dare a tutti un bacino in fronte
per
svegliarli?
Iniziati
ritardati a parte,
doveva farsi venire in mente qualcosa: la squadra avversaria si stava
avvicinando,
e non voleva per nessuna ragione permettere a qualcuno di arrivare alla
bandiera. Specie a qualcuno di quella
squadra.
-
Lynn! Dannazione, Lynn! –
la chiamò, sperando che almeno a lei fosse rimasto in sede
il cervello.
L’iniziata si girò verso di lui, titubante: non
doveva avere un’espressione particolarmente
rassicurante, perché la vide deglutire turbata e guardarlo
con gli occhi
spalancati.
-
Appostati lì, - le disse
in un sibilo, indicandole il retro di un vecchio container. –
e se vedi
qualcuno avvicinarsi, sparagli in faccia e abbattilo, hai capito?
–
Lei
annuì e si diresse dove
indicato. Bene, almeno quel lato era “coperto”.
Vide,
in lontananza,
muoversi la ruota panoramica. Dovevano essere lì…
questo poteva significare che
la bandiera si trovava o sotto la ruota o al Molo, vicino alla giostra
dove
l’avevano messa l’anno scorso. Gli sembrava
un’idea stupida, quindi optò per la
ruota, anche se il fatto che l’avessero fatta muovere, lo
metteva in allerta. Poteva
essere un tranello.
Se
fosse riuscito a salire
abbastanza in alto, avrebbe potuto sparare in direzione della ruota
come gli
aveva suggerito la sua ragazza, e, se qualcuno avesse risposto al fuoco
avrebbe
avuto conferma ai suoi sospetti.
“Se
vedi muovere in lontananza, spara. Al 90%,
risponderanno al fuoco e saprai dove si trovano”
Certo.
Vai, Eric, forza e
coraggio. Prendi e spara, al buio, a due-trecento metri di distanza.
Facile
come bere un bicchier d’acqua, giusto Kath? Sti’
cazzi. Parlava bene lei. Era
un maledetto cecchino! E con la fortuna che si ritrovava lui, uno degli
idioti
a cui stava facendo da balia, gli sarebbe passato davanti e avrebbe
mandato a
puttane tutti i suoi buoni propositi. Era decisamente meglio che
facesse a modo
suo… anche perché, probabilmente, aveva
più possibilità di riuscita per conto
suo che con gli altri.
Intimò
ad un gruppetto di
rimanere a guardia della bandiera, mentre lui si avviava verso la
ruota, stando
attento a non farsi vedere dalla squadra avversaria.
L’aria
era diventata
frizzante, e sentiva un leggero venticello graffiargli il viso. La
palude era fangosa,
e c’erano pochi ripari ma non sembrava esserci
nessuno in giro.
Sentì
qualcosa muoversi alle
sue spalle, e istintivamente si girò, il fucile alzato
davanti agli occhi. Fece
un paio di passi nella direzione verso cui aveva sentito il rumore, gli
scarponi che affondavano nel fango, ma non trovo nessuno. se voleva
ottenere
qualcosa, avrebbe dovuto fare più attenzione.
Strinse
maggiormente il
fucile, rendendo la sua presa più salda, e mise il colpo in
canna. Doveva
essere pronto a contrattaccare in qualsiasi momento, indipendentemente
dal
preavviso che avrebbe potenzialmente potuto fornirgli il suo avversario.
Continuò
a camminare
silenziosamente, lanciando di tanto in tanto qualche occhiata
circospetta alle
sue spalle e tendendo sempre le orecchie per captare ogni
più piccolo rumore.
Quando
arrivò tra le sbarre
di metallo che costituivano la base della ruota, constatò
che non c’era
nessuno. in un modo di rabbia, buttò il fucile per terra e
tirò un calcio a un’enorme
trave di metallo. Forse doveva proseguire verso il Molo. Non fece in
tempo a
formulare questo pensiero che sentì in lontananza lo scoppio
dei fucili, e
seppe che l’avevano aggirato mentre andava nella direzione
opposta.
Era
stato uno stupido. Riafferrò
il fucile da terra e corse nella direzione da cui era venuto, senza
preoccuparsi di guardarsi in torno: era pronto a scommettere che
Quattro fosse
con la metà degli iniziati che stavano attaccando.
Supero
rapidamente il
pontile che divideva le due postazioni, senza preoccuparsi di non fare
rumore
mentre correva sulle grate in metallo. Facendo due gradini alla volta,
arrivò
velocemente dall’altra parte, e si lanciò verso il
punto in cui aveva messo la
bandiera. Era abbastanza coperto da non essere visto, se non da molto
in alto,
ma aveva abbastanza spazio libero intorno da permettere ai dementi
della sua
squadra di vedere se arrivava qualcuno con certo preavviso.
I
pochi alberi che
circondavano la postazione della bandiera, non fornivano una copertura
sufficiente,
a lui come agli avversari.
Riuscì
a intercettare due
figure che correvano nella sue direzione, dirette verso la bandiera
davanti a
lui. Alzò il fucile per colpirle entrambe, da quella
distanza sarebbe stato
anche piuttosto semplice, ma non fece in tempo a premere il grilletto
che venne
colpito ripetutamente alla schiena.
Cadde
a terra, graffiandosi
il viso su un sasso. Chiunque fosse, gliel’avrebbe scontata.
Si girò fulmineo
sulla schiena, puntando il fucile davanti sé e fece fuoco,
riuscendo a colpire l’avversario
al petto.
Nonostante
la prontezza di
riflessi, Christina si era già allungata per afferrare al
bandiera, lanciando
un grido esultate di vittoria.
Quattro
lo guardò dall’alto
verso il basso, con espressione soddisfatta. Avrebbe dato qualsiasi
cosa per
cancellargli quel sorrisetto dalla faccia.
Kaithlyn
infilò le chiavi
che aveva preso dalle tasche di Eric quella mattina, le
inserì nella serratura
dell’appartamento del ragazzo ed entrò,
guardandosi intorno per assicurarsi
che, effettivamente, fosse ancora fuori per giocare a ruba bandiera.
Poggiò
il suo borsone a
terra, sentendosi immediatamente più leggera: grazie agli
antidolorifici stava
un po’ meglio, ma ci avrebbe messo anche un paio di giorni a
rimettersi del
tutto. Aveva osservato dal computer gli spostamenti delle due squadre,
annotando tutto ciò che avevano fatto. Sapeva che la squadra
di Eric aveva
perso, e sapeva che sarebbe stato una belva, una volta tornato a casa;
quindi
aveva pensato di farsi trovare lì, almeno non avrebbe dovuto
sorbirsi una
tiritera su quando detestasse Quattro, e avrebbero potuto impiegare il
tempo in
qualcosa di decisamente più piacevole.
Dato
che le avanzava del
tempo, e nessuno sarebbe tornato prima di un’ora,
preparò i muffin cioccolato e
arancia e apparecchiò per il giorno dopo. Poi, con calma, si
infilò nel bagno
di Eric: era una stanza quasi gradata, con al centro una vasca
circolare e di
lato una doccia… optò per la vasca.
Si
inginocchiò dalla parte
dei rubinetti e fece scorrere l’acqua sulla sua mano, fino a
quando non diventò
quasi bollente, poi chiuse lo scarico con un tappino, e
aspettò che s riempisse
mentre si sfilava con calma i vestiti e rimaneva completamente nuda. Si
guardò
allo specchio: aveva ancora un’ombra leggermente violacea sul
viso, ma doveva
ammettere che quelle crema dei Lassi aveva fatto miracoli. Se non
avesse usato
crema e antidolorifici sarebbe stata ancora tutta indolenzita,
dolorante e
piena di contusioni, invece sembravano passati diversi giorni
dall’incontro con
Eric, anziché appena ventiquattr’ore. La
differenza con la mattina era più che evidente.
Si
passò una mano tra i
cappelli, sciogliendoseli e lasciando che le ricadessero più
disordinatamente
del solito sulla schiena e sui seni. Giochicchiò con il
piercing della lingua,
mentre pensava a come organizzare l’agguato al Capofazione
imbestialito che
sarebbe entrato in casa a breve. Decise infine che si sarebbe fatta
trovare
nella vasca, spumante alla mano. Sì, poteva funzionare.. non
le avrebbe certo
detto di no.
Nonostante
si scannassero
come se non ci fosse un domani, si mandassero al diavolo con una media
di
quattro volte a settimana e maledicessero praticamente tre volte al
giorno il
fatto di essersi messi insieme, teneva ad Eric…
più che alla pressoché totalità
del resto della Fazione. Anche se, ovviamente, prima che potesse
uscirle dalla
bocca qualche idiozia, sarebbe gelato l’inferno e lei e
Clarisse sarebbe
diventate amiche del cuore.
Si
riscosse da suoi pensieri
e si avviò verso la cucina per prendere due bicchieri e lo
spumante, poi tornò
in bagno e immerse un piede nella vasca. Il calore dell’acqua
le fece correre
un brivido caldo lungo la schiena. Sentì i muscoli
rilassarsi nell’acqua
bollente, mentre scivolava un po’ in avanti con il sedere e
appoggiava la punta
dei piedi sul bordo opposto.
Quel
patetico gruppetto di
imbecilli non era riuscito, nonostante le sue indicazioni, a proteggere
dagli
attacchi dell’altra squadra un fottutissimo albero.
Si poteva essere più idioti?
Rimetterla
nello stesso
posto dell’anno prima, da parte dell’altra squadra,
era stata una mossa stupida
e geniale allo stesso tempo; accidenti a lui e quelle rare occasioni in
cui sopravvalutava
l’intelletto dei suoi avversari. Se ci fosse stata Kaithlyn,
avrebbero vinto:
lei riteneva che il resto del mondo fosse popolato da imbecilli, quindi
sarebbe
salita sul faro, si sarebbe messa comoda sul parapetto con una gambe
penzoloni,
si sarebbe legata i capelli e avrebbe sparato verso il Molo, rivelando
la
posizione degli altri. Peccato che
fosse alla Residenza a godersi lo spettacolo di lui che si faceva
gabbare da un
Rigido e dalla sua squadra di mingherlini sfigati e con pessimi
punteggi. Che
tra l’altro sembravano un gruppetto di ragazzini dei Livelli
Inferiori, tanto
erano minuti. Eppure avevano vinto. Mentre quegli idioti che si era
accollato
in squadra lui, e che avrebbero dovuto essere i più bravi,
si erano rivelati
dei lumaconi rimbecilliti incapaci anche di sparare in modo decente.
Non
sarebbero riusciti a colpire un bersaglio nemmeno se ci fosse stato lui
a
tenergli fermo il fucile.
Ad
incrementare la sua rabbia,
oltre il fatto di essere sporco di una fottutissima vernice rosa, c’era la consapevolezza
dell’ennesima
sconfitta, che gli bruciava in modo quasi doloroso. Aveva voglia di
spaccare
qualcosa; magari la faccia di Quattro. contro il vagone del treno che
stava
correndo verso di loro. Se non altro, non aveva fatto battutine: forse
aveva intuito
quanto poco gli convenisse fare il brillantissimo in quel momento di
rabbia
cieca.
Quattro
face un passo verso
il bordo del binario a due corsie. Non sembrava intenzionato a fare
festa, come
al solito, ma poteva scorgere una scintilla di trionfo nella sua
espressione
seria.
Lo
odiava a morte. Non solo
lo aveva battuto durante l’iniziazione, ma aveva anche
attuato un strategia
migliore della sua, quando avrebbe dovuto essere il contrario data lo
sua
provenienza. Invece, Eaton, gli ricordava perennemente i suoi errori e
le sue
mancanze. Finché fosse stato a giro, lui sarebbe sempre
stato il secondo, come era stato
per tutta la
vita. Il secondo a nascere, il secondo a scuola e il secondo per sua
madre.
Non
si accorse che Sean e
Mia erano lì accanto a lui fino a quando non si
sentì tirare per la giacca
dalla ragazza e le lanciò un’occhiata
d’avvertimento; voleva essere lasciato in
pace, tornare alla Residenza e trovare qualcosa con cui sfogarsi il
prima possibile.
-
Dovremo avvicinarsi, sta
arrivando il treno… - tentò, convincendolo ad
avvicinarsi quel tanto che
bastava a poter saltare dentro alla prima occasione. Mia era abbastanza
carina
con tutti, compreso lui.
Quando
il treno fu
abbastanza vicino, iniziarono tutti a correre accanto alle carrozze, e
dopo
pochi secondi, saltò dentro senza sforzo. Non si
curò degli iniziati: ormai
doveva essere in grado di saltare in un treno in corsa, e se non ci
fossero
riusciti tanto meglio: avrebbe avuto del lavoro in meno da svolgere.
Il
viaggio in treno lo passo
in silenzio, con Mia e Sean che chiacchieravano lì vicino.
Ogni tanto gli
rivolgevano qualche domanda, cercando di coinvolgerlo nella
conversazione e di
distrarlo dai suoi propositi omicidi nei confronti del resto dei
passeggeri, ma
non funzionò granché. Gli prudevano in modo
fastidioso le mani, e dovette fare
appello a tutto il suo autocontrollo per non alzarsi, prendere di peso
Quattro e
farlo volare giù dal treno, seguito da resto degli Intrepidi
presenti nella
carrozza.
Gli
iniziati che erano in
squadra con lui erano piuttosto silenziosi: forse avevano intuito che
la
situazione non si sarebbe evoluta
loro
favore, se avessero anche solo aperto bocca.
Mia
stava dicendo qualcosa a
Sean, che pendeva dalle sue labbra. Dio, che schifo. Avrebbe dovuto
avvisare qualcuno
di sopprimerlo, semmai l’avesse visto guardare con
quell’espressione da idiota
Kaithlyn.
Erano
quasi arrivati per
fortuna; ancora pochi minuti di autocontrollo e di unghie piantate
nella
ginocchia, e si sarebbe liberato di tutti gli idioti presenti sul quel
vagone.
Respirò
pesantemente, guardando
con aria omicida in direzione di un capannello di ragazzi che riconobbe
come
Uriah, Marlene e Lynn, i quali stavano intorno a un’altra
persona che però non
riusciva a vedere.
Il
vagone era pieno di
chiacchiericcio. Il silenzio dei suoi compagni di squadra, veniva
ampiamente
riempito dalle chiacchiere degli altri e lui cominciava a non poterne
davvero
più. Non aveva voglia di sentire le chiacchiere degli altri,
e ancora meno di
passare un secondo di più a respirare la stessa aria di
Quattro. Era quasi
tentato di alzarsi, scendere e proseguire a piedi, ma il desiderio di
tornarsene
a casa il prima possibile alla fine prevalse.
Il
treno rallentò
leggermente, nelle vicinanze della Residenza.
-
Muovetevi! – abbaiò, in
direzione di alcuni iniziati che sembravano non essersi accorti di
essere quasi
a destinazione.
Si
lanciò dal vagone senza
aspettare nessuno. Ormai era abituato all’impatto con il
terreno, e gli furono
sufficienti un paio di passi per rallentare l’andatura e
fermarsi, mentre
dietro di lui alcuni iniziati rotolavano rovinosamente a terra. Davvero
patetici. Perché doveva vedere quelle cose, a
quell’ora? E poi la sua ragazza
gli chiedeva perché aveva gli incubi praticamente tutte le
notti.
Sean
lo raggiunse pochi
secondo dopo, ma non fece in tempo ad avvicinarlo che Eric si
voltò come una
furia e si avviò a passo di marcia verso
l’ingresso della Residenza. Tirò una
spallata a uno dei membri dell’altra squadra, e
passò accanto a Quattro stringendo
i pugni per non colpirlo e sforzandosi di ignorarlo.
-
Eric.. – si sentì chiamare
da Sean. Ma non voleva sentirlo, non voleva sentire o vedere nessuno.
volevo
semplicemente raggiungere il suo appartamento e non avere per qualche
ora
davanti agli occhi la fonte dei suoi problemi.
Sean
lo guardò allontanarsi
e sentì un pugno infrangersi sulla porta in metallo che
portava dalla Residenza
ai binari principali, che emise uno gemito metallico. Quando si erano
conosciuti, durante l’iniziazione, erano andati subito
abbastanza d’accordo:
lui era un Candido con la lingua lunga e tagliente, ed Eric un
irriverente
Erudito saccente e sarcastico. Era stato amore a prima vista, almeno
prima che
Eric iniziasse a diventare ancora più incostante e rabbioso,
chiudendosi sempre
di più in sé stesso. L’unica che
sembrava riuscire a calmarlo, era Kaithlyn,
che dal canto suo si premuniva di litigare furiosamente con lui un
giorno sì e
uno no. Era quasi sorprendente che non si fossero già
staccati la testa dal
collo. Sapeva che Eric aveva una cotta per lei da almeno un paio
d’anni, ed era
rimasto sorpreso quando borbottando, Eric gli aveva detto di aver
iniziato a
frequentarla. Forse non era nemmeno lei la stronza di ghiaccio che
sembrava. O
meglio; lo era, certo che lo era, ma almeno ora aveva la prova che la
sua
istruttrice di iniziazione non era una specie di androide, come avevano
ipotizzato durante l’iniziazione quando, non appena sentivano
i suoi passi
avvinarsi alla palestra, si rizzavano tutti i capelli intesta a lui e
ai suoi
compagni e un brivido di terrore collettivo si diffondeva alle loro
schiena. Chissà
cosa avrebbe detto, vendendo il proprio ragazzo tanto furioso per una
cosa tanto
stupida come una partita di Ruba Bandiera, esigente com’era.
Sicuramente non
avrebbe fatto i salti di gioia.
Mia
gli si avvicinò,
prendendolo per mano e tirandolo verso l’ingresso. Rivolsero
un ultimo cenno di
saluto a Quattro, e rientrarono nella Residenza, in silenzio.
Entrò
in casa sbattendo la
porta con un tonfo assordante, e ancora accecato dalla rabbia e dalla
frustrazione tirò con ringhio furioso un calcio a una sedia,
facendola finire
dall’altra parte della stanza. Mentre si dirigeva verso il
bagno per darsi una
sciacquata, colpì il muro con un pugno, aprendosi una nocca
e imprecando
coloritamente.
Dannazione.
Odiava quel
Rigido più di chiunque altro, e quell’ennesima
sconfitta gli bruciava nel petto
più di quanto avrebbe voluto. Kaithlyn aveva assistito a
quell’ennesimo
fallimento, e chissà che risate si era fatta, vendendolo
perdere per pochi
minuti, come al solito, e per di più contro Quattro.
Tirò
un calcio contro il
muro, ignorando il dolore che si era provocato al piede, e il sangue
che gli
colava, lentamente sulle dita dalle nocche scorticate. Il dolore gli
permetteva
di non concentrarsi su quell’umiliazione. Tanto a chi
importava? A lui no di
certo, figuriamoci agli altri!
Digrignò
i denti, mentre
stringeva i pugni e con un’ultima spallata contro il muro si
dirigeva verso il
bagno. Forse se si fosse dato una rinfrescata si sarebbe sentito
meglio, ma ne
dubitava. Quando si sentiva in quel modo non riusciva a controllarsi, e
chiunque avesse davanti ne pagava inevitabilmente le conseguenze. Gli
tornò in
mente l’episodio di qualche giorno prima, quando aveva
attaccato Kaithlyn al
muro solo perché gli aveva fatto pressione riguardo ai suoi
rapporti con gli
Eruditi. Le non doveva sapere, e lui aveva agito come gli era abituato
a fare
in quelle situazioni: minacciandola.
Arrivato
alla porta del
bagno, si fermò un secondo, interdetto. La luce era accesa e
sentiva
chiaramente l’acqua scorrere nella vasca da bagno. Rimase in
ascolto per un
attimo, mentre avvertiva il rumore di qualcuno che si muoveva e il
rumore dell’acqua
cessare. Respirò tra i denti, preparandosi a sentire
l’ennesima predica e spalancò
la porta immobilizzandosi subito dopo sull’ingresso della
stanza, il viso cupo
e teso e le mani insanguinate strette a pugno lungo i fianchi.
Immersa
beatamente nella
vasca circolare, con un bicchierino di spumante in mano e le gambe
appoggiate
sul bordo opposto, c’era Kaithlyn. I capelli rossi le
ricadevano umidi sulle
spalle, e la luce tenue e calda della lampada che teneva appoggiata al
mobiletto, creava degli strani giochi di ombre sul suo bel viso.
L’atmosfera
rilassata, contrastava in modo quasi doloroso con la furia cieca che
gli si
agitava dentro e sapeva che, se fosse entrato avrebbe dovuto fare i
conti con
quella rovinosa nottata.
Lei
lo studiò con sguardo
attento, mentre faceva ruotare leggermente il liquido ocra
all’interno del
bicchiere, le unghie curate laccate di rosso.
-
Mmh.. – mormorò, mentre
sorseggiava lo spumante e gli piantava gli occhi azzurri sul viso teso
dalla
rabbia. – sei in ritardo, Capofazione. –
mormorò, facendo schioccare le labbra.
-
Che ci fai tu qui?
Vattene, non ho voglia di sentire i tuoi commenti. –
sbottò, irritato. Era
meglio mettere le cose in chiaro fin da subito, non voleva ritrovarsi
come
l’ultima volta e non voleva farle del male. Non a lei, almeno.
Kaithlyn
sollevò un angolo
della bocca con accondiscendenza, senza tuttavia lasciar intendere in
modo
chiaro le sue intenzioni. Sembra che stesse valutando la situazione.
-
Peccato, - commentò. –
pensavo avessi bisogno di consolazione…
- mormorò, quasi più a sé stessa che a
lui, scoccandogli un’occhiata di fuoco
mentre i suoi occhi scendevano dal suo viso verso il basso
soffermandosi per un
momento sulle mani piene di sangue, facendole storcere la bocca e
scuotere leggermente
la testa, tra il rassegnato e l’esasperato.
Sperava
sul serio che non
volesse perdere altro tempo in chiacchiere: si sentiva come se la
rabbia che
fino a quel momento aveva sfogato tirando i pugni e muovendosi
rabbiosamente,
gli si stesse accumulando dentro, pronta ad esplodere. Non poteva
restare lì,
appoggiato alla porta, senza esplodere. Doveva agire.
Eric
avanzò rigidamente
verso la vasca, il cuore che gli martellava pesantemente nel petto come
se gli
stesse sprofondando dentro, lasciando dietro di sé solo la
furia. Si fermò solo
quando toccò il bordo con la punta delle scarpe, i pugni
serrati. Alzò il viso
su Kaithlyn, piantando gli occhi grigi e fiammeggianti, su di lei come
un
predatore in attesa della prossima mossa della sua vittima. Quella che
avrebbe
decretato cosa fare di quello che restava della sera. Aveva bisogno di
sfogarsi
e dimenticare l’ennesima rovinosa sconfitta, e lei sarebbe
stata una valvola di
sfogo ideale, anche se per quella sera non le avrebbe riservato
attenzioni o
gesti di premura come al solito. Kaithlyn parve capirlo, anche se
probabilmente
era lì per questo. Lei sapeva già che come
sarebbe andata, non era una stupida.
La consapevolezza che fosse lì per lui e che lo avesse
aspettato fino a quel
momento parve sciogliergli leggermente i muscoli contratti, anche se
solo per
un momento.
Kaithlyn
gli rivolse un
sorrisetto malizioso e si alzò in piedi, lasciando che
l’acqua le scivolasse
lungo il corpo, e facendo un paio di passi verso di lui.
Quel
gesto lo pietrificò per
un attimo sul posto: sembrava una sirena appena uscita
dall’acqua. Vedere
Kaithlyn che ti veniva incontro, nuda e con le schiuma che le scivolava
sulla
pelle candida era come sprofondare, annegare nell’abisso
senza poter fare
niente per evitarlo, perché era esattamente così
che si sentiva in quel
momento. Era una strana sensazione, come se stesse galleggiando
pericolosamente
tra il barato della rabbia e quello che rappresentava lei, tenendolo in
bilico.
L’acqua
le arrivava a metà
coscia, mentre i capelli le ricoprivano fradici i seni, arricciandosi
sulla sua
pelle e lasciando intravedere i tatuaggi, mentre il piercing
all’ombelico
brillava leggermente. Dio, se era sexy. Per un attimo la
osservò, probabilmente
con la faccia da idiota meglio riuscita della storia del pianeta.
Sentiva
ancora la rabbia
ribollirgli nel petto, anche con lei a pochi centimetri da lui,
così caldamente
invitante nello spingerlo a dimenticarsi del resto. Ma era inutile.
Doveva
scaricarsi. Era in bilico.
Non
schiodò gli occhi da lei
nemmeno per un attimo, seguendo attentamente, quasi con circospezione,
ogni suo
più piccolo movimento. Sentì una mano bagnata
posarsi sul viso, sporco di
terra, sangue e vernice, e un pollice accarezzargli lo zigomo graffiato
dalla
caduta che gli aveva provocato Quattro sparandogli alle spalle.
Lo
osservava in modo strano,
con una strana luce nei luminosi occhi azzurri. La mano della ragazza
scivolò
più in giù, partendo dalle sua spalla per poi
proseguire verso il bordo dei pantaloni.
Gli slacciò la cintura con calma, facendogli correre un
brivido caldo lungo al
schiena, mentre il sangue fluiva rapidamente dal cervello verso posti
decisamente più in basso e le dita di Kaithlyn passavano
lentamente oltre
l’orlo dei pantaloni e sull’addome.
Si
lasciò sfuggire un sospirò
eccitato mentre lei si mordeva il labbro inferiore. Quel gesto lo
mandò
definitivamente fuori di testa.
Si
avventò su quelle labbra
morbide senza darle preavviso, afferrandole bruscamente il viso per
attirala a
sé e tenerla ferma, mentre mordeva e leccava quella bocca
scarlatta con forza,
fino a sentire il sapore del sangue sulla lingua e un gemito di
protesta uscire
dalle labbra della ragazza.
Kaithlyn
gli tirò i capelli,
indietro, mentre con l’altra mano gli graffiava la base della
schiena, poco al
di sopra dell’elastico dei boxer e aderiva a lui.
Eric
si staccò dal lei
giusto il tempo di far scivolare a terra il giubbotto, e sfilarsi con
stizza la
maglietta aderente, facendola finire appallottolata a terra.
Piegò la testa verso
di lei, riafferrandole il viso e respirando profondamente, tra i denti,
mentre
le passava i pollici sugli zigomi. Non era una gesto dolce o
affettuoso, come
spesso accadeva, ma lei non si ritirò; anzi. Gli
afferrò i polsi e gli spostò
le mani verso il basso, facendogli accarezzare i seni e poi scivolare
sulla
pelle bagnata fino ai fianchi. Non contenta, passò
lentamente la mani sulle sue
spalle, facendogli venire la pelle d’oca.
Era
incazzato, senza
maglietta, con i pantaloni slacciati che ormai rendevano evidente lo
stato
della situazione, e la sua ragazza si gingillava, quando avrebbe dovuto
finire
di strappargli i vestiti di dosso, e “consolarlo”
come aveva ammiccato fino
pochi attimi prima.
Kaithlyn
si alzò in punta di
piedi, e gli arrivò tanto vicino al viso che le punte dei
loro nasi si
sfioravano.
-
Ci vuole un bel bagno.. –
gli soffiò con voce calda sulla labbra, tese in una linea
dura.
A
quelle parole, Eric, le
tirò i capelli all’indietro, costringendola a
guardarlo in faccia e ad esporgli
il collo candido. Non poteva muoversi, e a lui piaceva aveva il
controllo della
situazione. Aveva un bisogno quasi fisico di avere il controllo su di
lei,
soprattutto in quel momento, quella sera. Le mordicchiò il
collo: era piacevole
sentire la pelle tesa sotto il denti e percepire il suo respiro
crescere, mentre
passava la lingua sulle dove si intravedevano le vene.
Lasciò
bruscamente la presa
sui suoi capelli, spostando le mani sul sedere e stringendolo
possessivamente, avvicinandola
al suo corpo. Sentiva ogni singolo muscolo teso per quello strano
connubio di
furia cieca e eccitazione, e non avrebbe tollerato quella situazione di
stallo
ancora per molto.
Kaithlyn
non parve
scomporsi, e un sorriso accattivante le piegò le labbra,
mentre infilava due
dita per i passanti dei pantaloni e lo attirava a sé.
Alzò
gli occhi su di lui e
si allungò un po’ sulle punte, passandogli il naso
sulla base del collo e
scendendo lentamente verso il basso. Quando arrivò in
prossimità dell’ombelico
infilò due dita oltre l’elastico dei boxer e
tirò giù gli ultimi indumenti che
lo coprivano. Risalì senza fretta verso di lui,
accarezzandolo con i palmi
delle mani fino al petto.
Eric
non ci vide più. La
afferrò bruscamente, tirandola con rabbia verso il suo viso
e la baciò con un’urgenza
dirompete e irrefrenabile, sollevandola da terra e premendola contro il
suo
petto.
Kaithlyn
riuscì a
divincolarsi e staccarsi da lui e lo afferrò per un braccio,
tirandolo con
decisione verso l’interno della vasca, senza staccare nemmeno
per un secondo
gli occhi dal suo viso. Lo spinse senza delicatezza a mettersi seduto
sullo
scalino interno, prima che lui l’afferrasse per un polso
stringendola quasi
fino a farle male, e la tirasse verso il basso, obbligandola a mettersi
a
cavalcioni sopra di lui.
Kaithlyn
gli accarezzò il
petto compatto, mettendogli le braccia dietro il collo e arrotolandosi
una
ciocca di capelli scuri intorno all’indice.
Tra
loro ogni tanto era anche
così: niente carezze o gesti premurosi, anche se
concludevano la serata sempre
con più dolcezza rispetto a come l’avevano
iniziata, solo istinto. Non era
difficile, per due persone distaccate come loro, mettere da parte i
sentimenti
e ritrovarsi a lotteggiare anche sotto le coperte.
Ebbe
appena un attimo di
preavviso, prima che Eric si arrotolasse i lunghi capelli rossi intorno
a un
polso, e le mordesse con forza il collo, mentre con l’altra
mano la spingeva
contro il suo corpo.
Le
leccò il punto in cui
aveva lasciato il segno dei denti, lentamente, facendola inarcare
contro di lui
e spingendola a stringergli le gambe a fianchi. Le lasciò i
capelli, prendendole
un po’ più gentilmente il viso tra le mani, mentre
lei gli scostava con una
mano una ciocca di capelli scuri dal viso. Aveva le guance arrossate
per al
foga del momento, e la pelle umida sembrava amplificare ogni tocco ed
ogni
sensazione.
Incapace
di poter aspettare
anche solo un secondo di più, la sollevò per le
cosce tornite e entrò il lei,
facendole reclinare la testa all’indietro, mentre avvertiva
le sue unghie
piantarglisi nella schiena. Nonostante il dolore, non riuscì
a trattenere un
ringhio eccitato, mentre iniziava a muoversi.
La
prese quasi con violenza,
impedendole in qualsiasi modo di prendere l’iniziativa.
Aumentò gradualmente il
ritmo, spingendola contro di sé con le mani e assecondandola
quando gli
chiedeva di più. Si rese conto che era quasi giunta al
culmine quando gli morse
con forza una spalla, lasciandosi scappare un gemito più
forte degli altri.
La
raggiunse poco dopo con
un ultimo ansito. Si prese una manciata di secondi per riprendere fiato
poi si
scostò da lei e le poggiò la fronte madida di
sudore sulla sua, mentre Kaithlyn
premeva le labbra morbide sulle sue, e gli passava una mano sulla
schiena. Gli
piacevano quelle attenzioni. Soprattutto in quei momenti, quando era
più
esposto e vulnerabile del solito e perdeva un po’ di tutta
quella sicurezza che
ostentava con il resto del mondo.
Nonostante
tutto si sentiva
ancora frustrato e arrabbiato. Il bruciore della sconfitta lo
disturbava più
del previsto, e non voleva rimettersi
pensare a nient’altro che non fosse il corpicino
di Kaithlyn premuto
contro il suo e le sue gambe strette intorno ai fianchi.
Ancora.
Voleva
continuare a stare
con lei, e a bearsi in quel turbine di sensazioni che provava quando la
sentiva
tremare contro il suo petto. Voleva continuare a mordere e baciare
quella pelle
candida e quelle labbra morbide fino all’alba, fino al giorno
dopo. Fino a
quando non sarebbero crollati sfiniti, sudati e ansimanti sulle
lenzuola
stropicciate. Non voleva che ci fosse posto per nient’altro.
Era l’unico modo
per evitare di pensare e di lasciarsi sopraffare da tutto
l’odio che covava
dentro. Era l’unico modo in cui riusciva a stare bene con
sé stesso, senza
sentire la fiamma della sconfitta e della frustrazione arderlo e
bruciarlo
dall’interno.
Ehm…
salve.
Mi
scuso enormemente per il
ritardo clamoroso di questo aggiornamento ma ultimamente sono sempre a
giro o a
studiare come se non ci fosse un domani, quindi non ho avuto proprio
tempo e mi
dispiace moltissimo, cercherò di farmi perdonare!
Questo
capitolo mi da l’idea
di essere un po’ frammentato… per voi è
lo stesso? Credete che manchi qualcosa,
non so, qualche scena, dei dettagli magari e soprattutto nella parte
centrale..?
Il
test di Kaithlyn non l’ho
inserito perché mi sembrava superfluo, dato che sappiamo
esattamente come
sarebbe andato!
Fatemi
sapere cosa ne
pensate… e se me la sono cavata in modo decente anche questa
volta, soprattutto
nella parte un po’ più…
“hot”. È troppo lunga? Troppo
dettagliata? Sto diventando
noiosa? Spero sia tutto scritto in modo chiaro!
Ho
cercato di “riscattare” l’adorabile
caratterino di Eric,
rendendolo un po’ più… Eric!(?) spero
davvero di averlo fatto abbastanza
imbestialito per i vostri gusti.
Anche
se ho dovuto mettere
da parte Kaithlyn… questo capitolo
è
troppo piccolo per tutti e due (?), e nel prossimo faranno
fuoco e fiamme,
quindi ho preferito non andarci troppo pesante, perché non
volevo renderlo
caotico! Aspetto i vostri commenti,
che
mi riempiono sempre di entusiasmo e mi spronano a proseguire..
Ad
ogni modo, voglio
ringraziare immensamente tutti quelli che leggono… anche se
vorrei far notare,
e vi giuro che mi sento una rompiscatole di proporzioni epiche, che ci
sono una
trentina di persone, almeno secondo il “contatore”
delle visualizzazioni che si
sono perse il settimo capitolo! (E’ impazzito anche lui, come
me?)
Passiamo
a ringraziare tutte
le fantastiche ragazze che hanno recensito, letto, o inserito tra
preferiti/seguite/ricordate! Se mi dimentico di qualcuno, ditemelo,
sono un po’
distratta ultimamente.
Ringrazio
moltissimo Lisa21, Kaimy_11 e
Adeus per le recensioni…
è sempre bello sapere cosa pensa chi legge
la storia e capire come vengono resi i personaggi!
Ringrazio
anche soco amaretto
lime e LoveFandom22 che
hanno inserito la storia tra le seguite;
ringrazio DarthGiuly, Ozzy99,
clay_prior e Kira_Iris per
averla inserita tra le preferite.. non so che dire, se non grazie mille! Sono davvero entusiasta che
la storia vi piaccia!
Per
finire, voglio
ringraziare LoveFandom22 per
aver
inserito la storia, oltre che tra le seguite, anche tra le ricordate!
Spero
davvero di riuscire ad
aggiornare presto e di non farvi aspettare nuovamente così
tanto, prometto di
darmi una smossa a sistemare il decimo capitolo!
Per
chi ne ha voglia,
ricordo la mia pagina facebook, dove inserisco le anticipazioni delle
storie o
dei progetti che ho in cantiere e che non sono stati ancora pubblicati:
https://www.facebook.com/pages/Kaithlyn-J-Evenson/865334640156569?ref=aymt_homepage_panel
Alla
prossima, e scusate
ancora!
Kaithlyn.
|
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
Vi
avviso subito: aggiornamento chilometrico, ma potevo
fare di peggio! Spero apprezziate comunque.
Capitolo
10
Aprì
lentamente gli occhi,
trovando Eric ancora profondamente addormentato; la sera prima, dopo
essersi
fatti sopraffare nuovamente dall’eccitazione nella vasca,
aver allagato il
bagno ed essersi dati una sciacquata lei era stata portata praticamente
di peso
in camera, dove si erano rotolati sotto la trapunta fino a quando Eric
non era
crollato, stravolto, a pancia in giù sul materasso. Da quel
momento
stranamente, dato che in genere non stava fermo nemmeno quando dormiva
agitato
da chissà quali incubi, non si era più mosso di
un solo centimetro e il respiro
regolare le faceva intendere che fosse ancora profondamente
addormentato.
Si
girò pigramente a pancia
in giù, ancora priva d’indumenti dalla sera prima,
e infilò un braccio sotto il
cuscino mentre si scostava i capelli che le coprivano il viso.
Provò
a stiracchiare i
muscoli, girandosi sulla schiena e allungando gambe e braccia in un
movimento
simile a quello di una gatta. Si aspettava di sentire dolore per il
combattimento avuto con Eric due giorni prima, ma l’unica
cosa che percepì fu
un senso d’indolenzimento quasi piacevole, lo stesso che
poteva provare dopo un
allenamento particolarmente inteso e appagante.
Appunto…
Si
rigirò ancora, ritrovandosi
con la metà destra del corpo sopra il fianco di Eric. Gli
spostò i capelli
dalla guancia, assicurandosi che dormisse; poi, un po’ per
noia un po’ per
cominciare al meglio la giornata, iniziò a mordicchiargli
una spalla tracciando
distrattamente dei ghirigori sulla pelle del ragazzo e seguendo con
studiata
non curanza il percorso tracciato dalla colonna vertebrale.
Eric
mugolò, prima di alzare
la testa dal cuscino e guardarla assonato con l’espressione
di chi non ha ben
chiaro cosa stia succedendo, ma comunque apprezza.
Eric
fece ricadere la testa
sul cuscino, mentre lei lo stuzzicava distrattamente;
continuò per qualche
minuto, scendendo e risalendo con le labbra e con i denti lungo il
braccio muscoloso
e coperto di tatuaggi di Eric, finché, evidentemente stufo
di essere
stuzzicato, non la spinse con la schiena sul materasso e le
rotolò sopra, con
il chiaro intento di riprendere da dove avevano interrotto poche ore
prima.
Si
alzò di scatto dalla
sedia, esasperata, dopo essersi passata pesantemente una mano sul viso.
– Me ne
vado, non ti sopporto più! – annunciò,
spostando la sedia con un piede e dirigendosi
a passo di marcia verso la stanza di Eric per recuperare le sue cose.
Era
tutta la mattina che
continuava a inveire contro Quattro, Ruba Bandiera e il resto del
mondo. Niente
di nuovo, certo, e lei per un po’ aveva anche provato, sul serio, a fare la ragazza comprensiva.
Sfortunatamente, non aveva mai avuto
pazienza per
l’autocompatimento o per le lamentele in generale, ed essere
resa partecipe
dell’odio nero che il suo ragazzo provava tutto
ciò che la circondava, tra
l’altro dopo aver passato la sera prima e buona parte della
notte a rotolarsi
sotto le coperte con lei, fermandosi solo per bere spumante e
sonnecchiare, la
disturbava e non poco. Che vitaccia, povero Eric…
Tanto
impegno per nulla, e
lei continuava ancora ad ascoltare i “consigli” di
quell’imbecille patentato
del suo amico Jason… o la sua situazione psichica era
peggiorata
inesorabilmente, oppure era più dura di comprendonio di
quanto lei stessa non
credesse.
“Sii
più carina Kaithlyn, cerca di essere un po’
più
comprensiva!”
Certo,
per poi ritrovarsi
alla disperata ricerca di un paio di tappi per le orecchie per non
ascoltare
l’autocompatimento del suo ragazzo, o in alternativa degli
occhiali con
disegnati un paio di occhi azzurri, per schiacciare un pisolino mentre
lui
continuava a inveire contro tutto il mondo e rimpiangere di non aver
insistito
per il licenziamento di Quattro l’anno prima.
Infilò
con rabbia la
biancheria che indossava la sera prima nel borsone ringhiando per
l’irritazione
che, in quel caso, aveva anche un nome, un cognome e un volto ben
preciso.
Quando
ebbe finito, afferrò
i manici di stoffa del borsone e se lo buttò su una spalla.
Era pesante e
probabilmente avrebbe dovuto infilarci la roba con un pizzico in
più d’accortezza
per evitare che esplodesse, ma in quel momento aveva solo voglia di
dileguarsi
e mettere quanta più distanza possibile tra se stessa e il
pessimo umore del
suo ragazzo.
Non
era il comportamento che
avrebbe dovuto avere una ragazza nei confronti dell’orgoglio
ferito del proprio
uomo, ma lei era fin troppo scarsa in quel genere di cose e, alla fine,
avrebbe
sicuramente finito per peggiorare la situazione litigando furiosamente
con lui.
Sentì
dei passi provenire dall’altra
stanza; evidentemente Eric si spostato dalla cucina
all’ingresso in attesa che
facesse la sua ricomparsa. – Perché tanta fretta?
– la voce le arrivò
leggermente più alta del normale, ma apatica e senza
inclinazioni di tono
particolari.
Si
affacciò all’ingresso, i
capelli già legati in una coda alta e lo sguardo
corrucciato. – Scusami tanto ma
non ho la benché minima voglia di sentire le tue lagne da
adolescente paranoico
e frustrato, Eric. Che, detto tra noi, stanno diventando patetiche e
ridicole,
e te con loro! – sbottò sprezzante, evitando
accuratamente il suo sguardo e
rientrando nell’ingresso; sapeva di starsi addentrando in un
terreno pericoloso,
ed era anche perfettamente consapevole che, con quelle parole, aveva
deliberatamente toccato dei nervi molto più che scoperti.
Non
si stupì del gelo che
calò sulla stanza. Okay, forse aveva un
pochino esagerato, ma davvero non sopportava quando faceva
così. Non
riusciva a nemmeno a guardarlo, quando si autocommiserava per quelle
scemenze.
Avrebbe
dovuto provare
l’impulso di… consolarlo?
Poteva
darsi, ma l’unico
istinto che sentiva in quel momento, e che probabilmente avrebbe messo
in
pratica se avesse alzato gli occhi su di lui, era quello di prenderlo a
schiaffi.
Aspettò
che lui facesse o dicesse
qualcosa, o semplicemente che si alzasse e uscisse sbattendo la porta,
ma lui
non fece assolutamente nulla se non irrigidirsi e seguirla con lo
sguardo fino
a quando non si sedette sul divano.
Sentì
Eric camminarle
silenzioso alle spalle, fermarsi dietro di lei e, lo sapeva, fissarla.
Non
aveva paura di lui, assolutamente, ma quando faceva così,
doveva dargli atto di
essere piuttosto inquietante.
Passarono
alcuni secondi in
quella posizione: lei seduta, una scarpa da allacciare e
l’altra ancora abbandonata
ai piedi del divano, e lui che le incombeva alle spalle. Sapeva che la
stava
fissando, e la cosa cominciava a diventare piuttosto irritante.
Finì
di allacciarsi lo
stivale e afferrò l’altro. – Che
c’è?! – sbottò, girando la
testa per guardarlo.
Per
un attimo rimase in
silenzio, inchiodata lì dov’era da quegli occhi
grigi freddi come ghiaccio e
pieni di risentimento e rabbia. Non fece in tempo a fare nulla, se non
scoccare
un’occhiata ostile a Eric, che fu afferrata bruscamente per
un braccio e alzata
per poi ritrovarsi a due centimetri dal suo naso.
-
Non provarti mai più o
l’unica cosa ridicola che vedrai sarà il tuo
riflesso allo specchio quando avrò
finito con te. E ora sparisci. – le sibilò sulle
labbra, la voce talmente bassa
e spaventosa che, per un secondo, le sembrò quasi si sentire
un brivido
attraversarle la schiena.
Si
strattonò dalla presa di
Eric e si ricompose. – Mi minacci? Non ci dormirò
la notte, Eric... ora sì, che
mi converrà dormire con un occhio aperto! – disse
ironicamente, consapevole di
quali tasti dolenti colpire per farlo imbestialire. Sapeva che Eric non
sopportava, come lei d’altronde, non essere preso sul serio
ma quando iniziava
a montarla la rabbia e l’irritazione non riusciva proprio a
tenere a freno la
lingua.
Si
rendeva conto di essere
anche crudele, alle volte.
Regnò
il silenzio per
qualche altro interminabile istante, durante il quel la stanza si
riempì di
frizzante tensione, come se si trovassero entrambi davanti a una bomba
da
disinnescare, pronta a esplodere da un momento all’altro ma
fossero indecisi su
quale filo recidere per evitare la catastrofe.
-
E siccome ti piace tanto,
- iniziò alle sue spalle la voce di Eric, bassa e sibilante
come una lama. – la
prossima volta che ne hai voglia vai a farti scopare da Quattro, almeno
non
dovrai sorbirti le lamentele di nessuno dopo. –
Filo
sbagliato.
Si
alzò di scatto, furiosa e
decisa a prenderlo a schiaffi ma Eric fu più veloce e prima
che la sua mano
riuscisse a colpirlo in viso, le aveva afferrato il polso e le aveva
abbassato
forzatamente il braccio. Provò a divincolarsi, ma era tutto
inutile:
fisicamente le era troppo superiore e ogni tentativo di liberarsi
sarebbe stato
vano, salvo che lui non decidesse si lasciare la presa.
Sibilò
soffocando un ringhio,
mentre sentiva la presa aumentare sul suo polso. Avrebbe potuto
spezzarglielo
se avesse voluto, e lei non avrebbe potuto fare niente per evitarlo.
Così come
non poteva evitare il dolore che si stava fastidiosamente propagando da
poco
sotto il polso, dove c’era la mano di Eric, a tutto il resto
del braccio.
Poteva
fare il duro e lo
schizzato quando voleva, ma non avrebbe ottenuto nessuna soddisfazione
da lei. Mai.
Eric
inclinò leggermente il
braccio costringendola a indietreggiare verso il divano, e quando fu
abbastanza
vicina, la spinse con un gesto di stizza facendola inciampare e cadere
all’indietro.
Poi,
sempre senza proferire
parola, le mise le braccia ai lati della testa, intrappolandola in una
gabbia
di muscoli d’acciaio senza lasciarle via di fuga: se avesse
voluto andarsene,
avrebbe dovuto spostarlo di peso ed era cosciente di non avere forza a
sufficienza nelle braccia; non poteva competere, non con tutti e
novanta i
chili di muscoli che aveva a disposizione il suo ragazzo. Un conto era
un
combattimento in piena regola, dove contava anche la tecnica e
l’esperienza, un
altro era ritrovarsi in quella situazione.
Nonostante
si trovasse in
evidente svantaggio, non aveva la benché minima voglia di
abbassare lo sguardo;
restarono a fissarsi in cagnesco, lei seduta sul divano e con la testa
intrappolata tra le braccia di Eric, e lui con il viso a pochi
centimetri da
quello di lei che la fissava con espressione nuovamente vuota a priva
di
emozioni, anche se poteva quasi vedere la rabbia iniziare a montargli
dentro,
mentre piantava le dita nello schienale del divano.
Incrociò
le braccia sul
petto e assunse un’aria scocciata e annoiata, sapendo di
irritarlo
ulteriormente.
Eric
staccò una mano dallo
schienale del divano e nonostante i suoi tentativi di scansarlo,
riuscì a
prenderle il viso con una mano e a tenerla ferma mentre le guardava con
uno
sguardo traboccante di disprezzo, rabbia e…
qualcos’altro. - Non ci riprovare nemmeno…
- gli intimò, tirandogli uno schiaffo sulla mano che le
teneva fermo il viso,
mentre lo guardava minacciosamente. Forse era un atteggiamento da
incoscienti;
chiunque, vedendo l’espressione furibonda che aveva preso
possesso del viso di Eric,
avrebbe fatto un passo indietro e si sarebbe ritirato dal campo di
battaglia in
buon ordine. Faceva paura, con quell’espressione feroce
dipinta sul viso,
mentre raddrizzata la schiena sovrastandola in tutto il suo metro e
novanta con
l’intento di farla sentire ancora più piccola di
quanto già non sembrasse
accanto a lui.
Peccato
che non fosse il
tipo che si faceva impressionare da muscoli e ferocia…
apprezzava comunque il
tentativo.
Si
alzò di nuovo,
ritrovandosi con il naso a due centimetri suo petto, ma non
indietreggiò; si
limitò ad alzare gli occhi e a restituirgli la stessa
occhiata feroce che aveva
lui.
Passarono
alcuni secondi a
guardarsi in cagnesco poi, senza darle il minimo preavviso Eric la
scansò e si
diresse lentamente verso la porta d’uscita, la
aprì e le fece cenno di
andarsene mentre rivolgeva lo sguardo verso l’ingresso
evitando accuratamente di
guardarla.
Stringendo
i denti per
l’irritazione afferrò il suo borsone, lasciato
abbandonato sul pavimento, e
oltrepassò la porta d’ingresso senza degnarlo di
uno sguardo.
-
Ecco, brava. Ora vai dal
tuo amichetto idiota, almeno puoi fare la stronza senza essere
disturbata. Almeno in quello sei
brava, no? – lo
sentì inveire, alle sue spalle, la voce bassa e cupa
tremante di rabbia.
Kaithlyn
cercò di mordersi
la lingua, invano. – Mai quanto lo sei te nel piangerti
addosso. Dovresti
consolarti: meglio secondi che ultimi,
no? -.
Si
pentì un secondo dopo di
aver dato fiato alla bocca, ma era troppo tardi.
L’espressione
di Eric si
svuotò per un attimo, come se tutte le emozioni fossero
state spazzate via da
una secchiata d’acqua gelida. L’ultima cosa che
vide, prima che le fosse
sbattuta la porta a un centimetro dal naso, fu Eric con la stessa
espressione
ferita e arrabbiata di chi riceve conferma ai propri peggiori sospetti.
Discutere
con Kaithlyn era
come parlare con un muro in cemento armato particolarmente resistente,
e non si
aspettava certo che capisse o che addirittura
lo ascoltasse. Lei era sempre stata l’eccellenza in tutto;
negli Intrepidi come
iper-precoce tiratrice scelta, così come negli Eruditi come
brillante e
promettente studentessa. Sembrava quasi che potesse aspirare a
diventare
Capofazione, un giorno, almeno dalle voci che giravano nel Quartier
Generale
degli Eruditi. Era sempre stata giusta
in qualsiasi cosa si cimentasse, che andasse dal centrare un bersaglio
da
distanze improponibili per altri, all’impararsi a memoria
immensi tomi di
scienze.
Sospirò,
facendo sibilare
l’aria tra i denti mentre si sentiva nuovamente infiammare
dalla rabbia.
Non
poteva capire. Non
poteva assolutamente capire cosa significasse sentirsi sbagliato per
sedici
anni o sentirsi ripetere come in un disco rotto e riascoltato migliaia
di volte
che qualsiasi cosa facesse, non andava bene. Quando si era trasferita
lei, due
anni prima di lui, ricordava che si era alzato un gran polverone: la
promettete
e geniale unica figlia femmina di Jonathan Evenson, primario
dell’ospedale di
Chicago, aveva scelto il coraggio al posto dell’intelligenza.
Gli Eruditi erano
furiosi ma il padre di Kaithlyn, da quel che sentiva raccontare la sera
a cena
dai genitori, non si era scomposto più di tanto, anzi:
sembrava fosse piuttosto
soddisfatto della scelta della figlia e la appoggiasse in pieno, come
aveva
fatto per tutti e sedici gli anni che la ragazza aveva trascorso tra
gli
Eruditi.
Il
discorso, per quel che
riguardava lui, era piuttosto diverso: a nessuno dei suoi era importato
più di
tanto cosa avesse scelto o perché. Da momento in cui il suo
sangue aveva
toccato i carboni ardenti degli Intrepidi, ne era certo, era stato
automaticamente cancellato dalle esistenze dei suoi genitori e di suo
fratello.
Se non altro, senza di lui tra i piedi, sarebbero stati una perfetta
famiglia
di Eruditi e William, lo sapeva, sarebbe diventato uno studioso o un
chirurgo o
qualsiasi altra cosa che comportasse l’ammazzarsi di studio e
che avrebbe riempito
d’orgoglio i genitori, senza avere tra i piedi il fratello
problematico e
scalmanato.
Con
ogni probabilità la sera
stessa della Scelta sua madre aveva raccolto le sue cose dalla stanza
che
divideva con il fratello e aveva acceso un bel falò
crepitante davanti al condominio,
dove abitavano, per dimenticarsi dell’unica pecca della sua
perfetta esistenza
di Erudita. Forse sarebbe stata davvero più contenta se suo
padre gli avesse
lasciato il cordone ombelicale stretto intorno al collo. Si sarebbe
risparmiata
un sacco di problemi, e avrebbe comunque avuto il “figlio
perfetto” a cui stare
dietro, tanto uguale a lui nell’aspetto, quando diverso nel
carattere.
Quello
che, anche se
faticava ad ammetterlo perfino a se stesso, l’aveva ferito di
più non era stata
la totale mancanza d’interesse nel sapere se fosse ancora
vivo o meno dei suoi
genitori. Quello era il meno, se pensava al fatto che suo fratello
l’aveva
cancellato come nulla fosse nemmeno due secondi dopo la loro definitiva
separazione.
Non
aveva mai reso la facile
a Will, e nell’ultimo periodo che aveva passato tra gli
Eruditi, avrebbe
volentieri rimosso ogni legame che aveva con quella fazione con un paio
di
forbici, se avesse potuto, ma non era mai riuscito a staccarsi
completamente da
lui. Non sul serio e non definitivamente.
Fece
una smorfia,
maledicendosi per quei pensieri degni di un Pacifico appiccicoso e
lagnoso
della peggior specie. Andarsene dagli Eruditi era stato solo ed
esclusivamente
un immenso sollievo, sia per lui sia per il resto della famiglia
Turner, ed era
inutile rimuginarsi sopra.
Alla
fine, stava bene anche
così ed era inutile lagnarsi di quanto fossero stati Eruditi i membri della sua famiglia nel
lasciarlo perdere una volta
che aveva abbandonato la fazione dei cervelloni. Come se, tra
l’altro, non
avesse reso evidenti le sue intenzioni da quando aveva iniziato a
gattonare.
Tirò
un calcio al muro,
frustrato: non sopportava nemmeno di fare certi pensieri e in quel
momento
sentiva la voglia prorompente di spaccare qualcosa. Si prese la testa
tra le
mani, cercando di riacquistare il controllo per non doversi sfogare di
nuovo
sulle proprie nocche, come faceva ogni volta che sentiva la rabbia
montargli
esponenzialmente dentro ad ogni secondo che passava e perdeva il
controllo
sulle sue azioni. Quando gli capitava di lasciarsi sommergere dalla
rabbia e
dell’odio che covava dentro, non riusciva proprio a fermarsi;
non fino a quando
lo scatto d’ira non diminuiva
d’intensità, senza tuttavia sparire mai del
tutto, e lui riusciva a prevalere sulla parte più
ingestibile del suo
carattere.
Era
tutta colpa di Kaithlyn,
se si ritrovava a fare certe riflessioni da idiota in quella
situazione. Anzi,
la era colpa sua che prendeva per buono tutto quello che usciva da
quella
boccuccia.
Era
un’imbecille, perché
avrebbe dovuto essere furioso con lei, mandarla al diavolo e fregarsene
di
quelle uscite infelici ma non ci riusciva. Come non riusciva a provare
la
stessa furia cieca che avrebbe provato verso chiunque altro.
Maledizione.
Ma
non avrebbe lasciato
correre, questa volta. Lei sapeva quando si maledicesse per quel
secondo posto
in classica, che non mancava mai di ricordargli sarebbe potuto essere
il primo,
eppure aveva dato comunque fiato alla bocca consapevole di dove andava
a
colpire.
Al
diavolo.
Con
un ultimo gesto di
stizza uscì da casa e si diresse silenzioso come
un’ombra verso la palestra,
sperando che quella giornata finisse il prima possibile e che gli
iniziati non
avessero in programma di farlo irritare più di quanto
già non fosse.
-
Perché mi stai fissando in
quel modo? –
sibilò tra i denti,
mentre aumentava il passo per seminare Jason e la sua presenza molesta.
D’accordo
che era stata
impulsiva e non aveva pensato alle parole che gli stava dicendo, ma
questo non
significava che, solo perché l’aveva mortificato,
Eric avesse ragione.
Giusto?
Si
passò una mano tra i
capelli, mentre si dirigeva di malavoglia in palestra per assistere
all’esercitazione di tiro con i coltelli. Avrebbe preferito
starsene per conto
suo, magari tirare qualche pugno al sacco da box, o fare una sessione
intensiva
al poligono piuttosto che ritrovarsi nella stessa stanza con Eric,
Quattro e
quel gruppetto d’idioti, ma non poteva lasciarli soli. Eric,
ne era certa,
avrebbe volentieri piantato un coltello in mezzo agli occhi a iniziati
e
istruttore se gli si fosse presentata l’occasione giusta. E a
lei era stato
affidato l’ingrato
compito di
impedire che accadesse una cosa del genere.
-
Non ti sto guardando in
nessun modo, Kaithlyn. Dico solo che forse
hai un pochino esagerato,
dato
che conosci il soggetto. Poi, per quel che mi riguarda, siete
liberissimi di
scannarvi anche tutti i giorni se vi fa piacere. – le
assicurò mentre finiva di
masticare, alzando le mani che reggevano altri due muffin, come per
tirarsi
fuori dalla situazione.
Sbuffò
infastidita, mentre
girava nel corridoio che conduceva alla palestra sperando che a nessuno
venisse
la pessima idea di farla innervosire, perché avrebbe potuto
dare seriamente il
peggio di se stessa quella mattina.
Sentiva
il rumore dei passi
di Jason seguirla, e quando percepì che stava per aprire
bocca di nuovo, si
girò di scatto verso di lui. –
Ascoltami… e ascoltami bene perché non ho la
minima intenzione di ripetermi: non ho bisogno della baby-sitter,
né tanto meno
di una predica, d’accordo? Ora, se non ti dispiace, dovrei
andare a palestra,
mentre tu puoi tranquillamente andare a pomiciare da qualche parte con
quella…
quella! – sbottò, istericamente, tormentandosi
nervosamente le mani e
guardandosi intorno come se stesse cercando qualcosa, o qualcuno, da
prendere a
pugni.
Jason
l’afferrò per un
braccio e la trascinò verso la parete del corridoio in
pietra costringendola a
mettersi a sedere per terra. La cosa positiva è che non
c’era nessuno tra i
piedi, quella negativa era che probabilmente voleva parlare.
Ancora.
Gli
avrebbe incollato la
bocca nel sonno, prima poi.
Kaithlyn
incrociò le
braccia, contrariata e imbronciata. Com’è che
tutti, quella mattina, si
sentivano autorizzati ad approfittare del fatto che fosse leggera e “maneggevole”, come
le ricordava spesso
Eric, per spostarla a piacimento? Avrebbe dovuto mettere in chiaro un
paio di
punti, più tardi.
Fu
Jason a rompere il
silenzio, mentre le porgeva un muffin. – Ti senti in colpa?
– le chiese,
fissandola in modo strano da sopra la sua spalla.
“No”,
avrebbe voluto dirgli
di getto, ma si trattenne.
Si
sentiva in colpa?
Nì.
O
forse sì, dato che in vita sua si era sentita in colpa
talmente di rado, da non essere sicura di sapere come riconoscerla.
Da
una parte sapeva che
arrabbiarsi e farlo sentire in secondo piano era uno dei pochi modi per
spronare Eric a dare il meglio di sé, dall’altra
però si rendeva conto di aver
esagerato a perdere le staffe per così poco, data la sua
rinomata rivalità con
Quattro.
Fece
una smorfia scocciata e
appoggiò la testa alla parete, circondandosi le ginocchia
con le braccia mente
fissava con astio il soffitto, come se il poco promettente inizio della
giornata fosse colpa sua.
Jason
sembrava ancora
aspettare una risposta, anche se continuava a guardarla come se avesse
già
capito cosa le passava per la testa.
Il
che probabilmente era
vero, dato che era una delle poche persona che potesse affermare di
conoscerla abbastanza
bene.
Scosse
un po’ la testa,
storcendo le labbra. – Potrei… –
Jason
inarcò un sopracciglio
biondo, come se si aspettasse una risposta un po’
più esaustiva e continuò a
fissarla, gli occhi verdi più riflessivi del solito.
-
Se volessi... – aggiunse
Kaithlyn, tirando un morso al muffin mentre si alzava e si dirigeva,
finalmente, verso la palestra.
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Jason
sorrise un po’, mentre
guardava la chioma rossa di Kaithlyn girare l’angolo e
sparire alla sua vista.
L’avrebbe
sistemata lui,
quella sera. Che a lei piacesse o no.
Appena
entrata in palestra,
lanciò il suo borsone a terra in un gesto di stizza,
fulminando sul posto
Quattro e lanciando un’occhiata di fuoco a Eric che
sembrò preferire ignorarla,
mentre metteva il bersaglio per il lancio dei coltelli in fondo alla
stanza.
Chiunque
si sarebbe potuto
accorgere che era di pessimo umore, persino da lontano: bastava
guardare la
tensione e il nervosismo con cui si muoveva e la rigidità
della postura.
Idiota.
Sistemò
le sue cose, prese
il computer e si mise a lavoro seduta sul tavolo di lato alla porta.
Sentiva
gli occhi di Eric fissarla, a momenti, ma non lo degnò
d’attenzione. Era ancora
troppo arrabbiata per farlo, e meno stavano in contatto l’uno
con l’altra
meglio sarebbe stato per tutti i presenti.
Passarono
alcuni minuti in
silenzio, durante i quali gli unici rumori furono i passi di Quattro ed
Eric
sul pavimento e le sue dita che battevano rapidamente sulla tastiera
del
computer.
Il
silenzio fu rotto poco
dopo dal gruppetto d’iniziati che varcò la soglia,
parlottando tra loro
nonostante le espressioni assonnate.
Eric
si era messo al centro
della palestra, la postura talmente rigida che sembrava diventato di
pietra.
-
Domani sarà l’ultimo
giorno del primo modulo. Riprendere i combattimenti più
tardi. Stamattina
imparerete a colpire un bersaglio. Ognuno prenda tre coltelli.
– lo sentì
spiegare, con la voce più cupa del solito. – E
prestate attenzione a Quattro, che
vi mostrerà la tecnica
corretta per lanciarli. –
Gli
iniziati restarono
fermi, come se stessero aspettando qualche indicazione in
più sulla nuova
esercitazione.
Patetici
imbecilli.
-
Adesso! – ringhiò Eric, al
loro indirizzo.
Gli
iniziati parvero
riscuotersi dal torpore e si diressero verso di lei per prendere i
coltelli che
erano ammassati accanto alle sue gambe stese in avanti.
Alzò
gli occhi al cielo,
notando l’occhiata omicida che il suo ragazzo
riservò a Quattro mentre gli dava
le spalle.
Quattro
iniziò la mostrare
la tecnica corretta per lanciare per colpire il bersaglio, anche se,
secondo il
suo modestissimo parere, avrebbe
dovuto essere un po’ meno rigido.
Si
rendeva conto di avere
dei seri problemi per quanto riguardava la concezione
dell’insegnamento, ma
dovette sforzarsi seriamente per evitare di alzarsi, strappare i
coltelli di
mano a Quattro e mostrare agli iniziati come si colpiva un bersaglio. O
un
Capofazione. O un istruttore particolarmente ombroso, a seconda di come
si
sarebbe sentita una volta appropriatasi dei coltelli.
Non
che Quattro non stesse
facendo un buon lavoro: era stato chiaro, paziente e aveva ripetuto il
movimento più volte. Lei probabilmente non
l’avrebbe fatto.
-
Allinearsi! – sbraitò
Eric, facendo rimbombare la voce in tutta la palestra.
Tutti
i presenti si
affrettarono a mettersi l’uno accanto all’altro per
iniziare l’esercitazione,
mentre lei si massaggiava le tempie cercando di trovare la calma
necessaria per
assistere a quello che, lo sapeva, sarebbe stato un lungo interminabile
scempio.
-
Mi sa che la Rigida ha
preso troppe botte in testa! –
Alzò
la testa e cercò con lo
sguardo il disgraziato che aveva osato aprire bocca.
Peter
Hayes se ne stava
poche posizioni più in là rispetto a Tris, un
sorriso beffardo dipinto sul bel
volto; probabilmente essere l’unico imbattuto oltre a Edward
gli aveva dato un
po’ alla testa. Avrebbe trovato un modo per fargli passare la
voglia di fare lo
splendido ad ogni occasione propizia. Magari, invece che lasciarlo solo
con
Quattro, avrebbe potuto dimostrargli che la sua pessima fama
d’istruttrice
terribile era del tutto meritata. Poi sì, che gli sarebbe
passata la voglia…
l’unica consolazione era che, con ogni
probabilità, le avrebbe prese di santa
da ragione da Edward che fino a quel momento era l’iniziato
migliore del corso
insieme a Lynn ed Uriah.
-
Ehi Rigida, hai presente
cos’è un coltello? –
Ehi
Peter, hai presente la tua faccia spiaccicata sul
pavimento della palestra e il tuo punteggio in classifica dimezzato?
No?
Aspetta che poniamo subito rimedio.
Tris
lo ignorò,
probabilmente decisa a non dargli alcun tipo di soddisfazione, mentre
Eric
camminava a passi rapidi dietro gli iniziati.
Se
avesse continuato a
marciare in quel modo e a quella velocità, oltre che a
consumare il pavimento
della palestra, non avrebbe potuto correggere proprio un bel niente.
Studiò
Tris: aveva lo sguardo
concentrato di chi sta cercando di ignorare ciò che gli sta
intorno, mentre
continuava a ripetere i movimenti che aveva mostrato poco prima Quattro.
Stava
quasi per alzarsi e
andare a farle notare che, se voleva ottenere qualche risultato, le
conveniva lasciare
andare il coltello, ma non ce ne fu bisogno: due secondi dopo, il
coltello di
Tris, dopo un giro di centoottanta gradi, colpì il
bersaglio. Non si piantò, ma
fu la prima a colpire quella stramaledetta sagoma.
La
vide compiacersi del
risultato, mentre Peter sbagliava ancora il suo lancio. –
Ehi, Peter! Hai
presente un bersaglio? –.
Se
non altro era dotata di
più senso dell’umorismo rispetto a Quattro che non
aveva mai udito dire una
battuta in due anni. Non che lo frequentasse o gli avesse mai dato
motivo di
fare lo spiritoso.
Venti
minuti dopo si ritrovò
a sperare che arrivasse un fulmine e bruciasse all’istante
quel posto.
Controllare l’impulso di alzarsi e correre a giocare a tiro
al bersaglio con
gli iniziati stava diventando davvero impossibile, e l’unica
soluzione che era
riuscita a trovare per regolarsi e tenersi impegnata consisteva nel
rimbalzarsi
occhiate ostili con Eric da una parte all’altra della stanza.
Quattro se ne
stava da una parte, le braccia incrociate e lo sguardo impenetrabile se
non per
l’alone di stanchezza che sembrava appesantirlo.
-
Possiamo rivedere la
posizione corretta per il lancio? – chiese arrogantemente una
voce, mentre
l’ennesimo coltello andava a sbattere tra le due linee
più esterne del
bersaglio.
Non
indagò nemmeno su chi si
trattasse, perché se avesse saputo chi aveva appena aperto
bocca l’avrebbe
appeso per gli alluci al soffitto o, eventualmente, alla ringhiera
dello
strapiombo ed Eric gli sarebbe pensato solo un simpatico coniglietto
pasquale,
in confronto a quello che gli avrebbe fatto lei.
Si
spinse giù dal tavolo e
raggiunse la fila degli iniziati a passi lenti e misurati, mentre nella
stanza
calava il silenzio più assoluto. Sentiva gli occhi dei
presenti puntati su di
lei, e se ne compiacque: a quanto pareva, i due anni di semi
inattività
nell’istruzione degli iniziati, non l’avevano resa
meno inquietante agli occhi
di quei ragazzini esaltati.
Nonostante
non volesse
sapere chi aveva parlato, gli occhi di tutti puntavano su Drew, tra
Peter e
Edward. Arrivò davanti all’iniziato senza degnare
di un solo sguardo il resto
dei ragazzi, e lo squadrò con un’espressione
fintamente comprensiva.
-
Quale sarebbe il problema,
Drewy?– gli chiese
aggiustandogli la
giacca con una mano, mentre teneva l’altra dietro la schiena.
– Non ti sei
lavato per bene le orecchie, stamani? –.
Drew
arrossì e strinse le
labbra, forse nel tentativo di non dare inutilmente fiato alla bocca in
quanto
ex Candido. - Voglio rivedere la posizione per lanciare i coltelli.
Siamo qui
per imparare, e voi dovreste insegnarci, giusto?
–ribatté con un po’ troppa
spavalderia, alzando il mento e guardandola con quella che avrebbe
dovuto
passare per un’espressione decisa.
Povero
idiota.
Nella
palestra l’aria era
già tesa a causa della presenza sua e di Eric, e non
c’era di certo alcun
bisogno che ci si mettesse anche Kaithlyn. Eppure, mentre la guardava
avanzare
minacciosamente verso Drew, non poté fare a meno di sentirsi
vagamente
compiaciuto.
Era
proprio vero che trovarsi
dalla parte del manico rendeva le cose completamente diverse. In quel
momento
non sentiva più la preoccupazione invaderlo, mentre la
guardava fermarsi a
pochi passi dal ragazzo e riservagli un’occhiata
tutt’altro che gentile.
Kaithlyn
spostò il peso su
una gamba, in una posa più rilassata, anche se sospettava
che fosse solo per
far innervosire tutti i presenti. Non era mai un buon segno quando si
comportava in modo cosi… affabile.
Si
aspettava, dopo la
risposta arrogante che si era permesso di rifilarle, di vedere Drew
rotolare
dolorante per terra da un momento all’altro, ma non accadde.
-
Mi spiace… il tuo
istruttore è stato poco chiaro? – chiese
dolcemente Kaithlyn stirando le labbra
in un sorriso e inarcando le sopracciglia in un’espressione
comprensiva.
Quattro
sentì un brivido
corrergli lungo la schiena.
Inquietante.
Quell’atteggiamento non anticipava nulla di
buono. Non per Drew, almeno.
Passarono
alcuni secondi di
silenzio, durante i quali Eric, poco distante da lui,
giochicchiò distrattamente
con uno dei piercing al labbro lanciando occhiate fugaci alla scenetta
che si
prospettava davanti a loro.
Strano.
Conoscendo il
soggetto si aspettava di vederlo tirare fuori un blocchetto di fogli e
prendere
appunti su come terrorizzare gli iniziati. In quella Kaithlyn era
decisamente
insuperabile.
-
Rigida, quanti coltelli
hai in mano in questo momento? – chiese improvvisamente
Kaithlyn, mantenendo lo
sguardo fisso su Drew.
Tris
parve esitare, forse
preoccupata da cosa avrebbe comportato una risposta sbagliata, ma poi
si fece
evidentemente coraggio. – Tre. – rispose,
schiarendosi la voce per rendere il
tono più chiaro, mentre si rigirava le armi tra le mani.
Per
tutta risposta Kaithlyn
allungo distrattamente una mano di lato, in un chiaro invito a
depositare i
coltelli sul suo palmo aperto.
In
un primo momento gli
sembrò che Tris non avesse afferrato ciò che le
era stato chiesto, perché si
guardò intorno con un grosso punto di domanda dipinto in
fronte; Kaithlyn voltò
nuovamente leggermente la testa verso di lei. – Sto
aspettando, non ho tutto il
giorno. – borbottò, lasciando la frase
parzialmente in sospeso.
Nel
tentativo di aiutare
Tris, che giustamente non leggeva nel pensiero e non conosceva
abbastanza bene
chi aveva davanti, le fece un cenno d’incoraggiamento con il
capo, facendo
attenzione a non farsi notare né da Kaithlyn né
tantomeno da Eric. Un lampo di
comprensione attraversò il viso di Tris mentre si sbrigava a
depositare le tre
armi nel palmo della sua insegnate, ancora in attesa.
Kaithlyn
strinse le impugnature
con le dita e si rigirò i tre coltelli tra le mani, passando
distrattamente le
dita sulle lame come se stesse accarezzando un gattino arruffato.
– Be’? –
insistette l’iniziato. Aveva una voce dal tono basso e
ruvido, cosa che, per
quel che lo riguardava, lo faceva sembrare più sicuro di
quanto in realtà
doveva sentirsi.
Kaithlyn
inclinò la testa da
un lato e storse la bocca trasformando l’espressione
comprensiva che le
increspava il volto in un’altra tutt’altro che
rassicurante che gli ricordo i
tempi dell’iniziazione, quando c’era lui
dall’altra parte e sentiva rizzarsi i
capelli sulla nuca e l’aria farsi rarefatta ogni volta che
lei si avvicinava.
Kaithlyn era bassina e piuttosto magra, quindi era anche leggera e
farse da sollevare,
quindi tecnicamente non avrebbe
dovuto essere una grande minaccia… ma, forse condizionato
dal fatto di aver
appreso quello che sapeva da lei, non si sarebbe mai sognato di farci a
pugni o
di mettersi al voi con un elemento del genere.
Senza
dare nessun cenno di
preavviso, Kaithlyn si girò rapidamente verso il bersaglio e
scagliò, uno dopo
l’altro, i tre coltelli in tre movimenti fluidi.
Dopo
il sibilo delle lame
che avevano fenduto l’aria, calò un silenzio
ancora più raggelante carico di
disagio. I coltelli erano piantati per metà nel bersaglio,
tutti nel centro esatto
del cerchio rosso, ed era abbastanza certo che, se fosse andato a
controllare,
avrebbe trovato almeno due dei tre coltelli piantati nella stessa
fessura.
Quattro
inarcò le sopracciglia,
cercando di non far trasparire le proprie emozioni. Non si sarebbe mai
arrischiato a dirlo, ma era rimasto intimamente colpito dalla
precisione
sconcertante di quei tre tiri improvvisati. Se gli iniziati avessero
saputo
tirare bene anche solo la metà della metà di
quanto aveva visto fare a
Kaithlyn, non avrebbero avuto problemi a risalire la classifica in un
solo
pomeriggio, poco ma sicuro. Sicuramente aveva capito come mai Max la
tenesse
tanto di conto: non aveva avuto bisogno né di mettersi in
posizione né di
aggiustarsi per non sbagliare il tiro, l’aveva fatto e basta
e aveva la
sensazione che per lei fosse stato davvero semplice come appariva a
tutti i
presenti. Era un talento naturale. Facile come bere un bicchier
d’acqua.
-
Tu fai paura! – si arrischiò
a borbottare Edward, che aveva ancora tutti e tre i coltelli in mano.
Effettivamente,
un po’ inquietante lo era.
Kaithlyn
lo ignorò, mentre
sul suo viso si dipingeva il ghigno compiaciuto di chi sa di non poter
sbagliare; poi si rigirò verso Drew e gli andò
talmente vicino che l’iniziato
dovette fare un passo indietro.
Era
più bassa di lui, ma il
modo in cui lo guardava faceva quasi sembrare che lo sovrastasse, tanto
erano
freddi.
L’unico
che non sembrava
particolarmente impressionato o colpito era Eric, che si
limitò a fare una
smorfia scocciata e a guardare la schiena di Kaithlyn con astio, il
volto
incupito, perfino più del solido, da chissà quali
pensieri.
Kaithlyn
si portò una ciocca
di capelli dietro l’orecchio su cui c’erano alcuni
piercing. – Grazie. –
commentò distrattamente, rispondendo a Edward mentre
incrociava le braccia
magre sotto il seno.
-
Pff… -
Si
voltò all’unisono con
Eric verso il proprietario dello sbuffo e per una volta, condivise i
suoi
stessi pensieri.
Chi
era l’idiota di turno?
Gli
occhi di Kaithlyn si
fermarono tra Peter e Drew. – Chi è stato di voi
due? – sibilò, camminando
lentamente tra i due e mettendosi alle loro spalle. - Allora?
– ringhiò.
Entrambi
fecero finta di
nulla, accrescendo evidentemente l’irritazione di Kaithlyn
che face un passo
verso di loro, ritrovandosi quasi in linea con gli altri iniziati.
– Sono
contenta che finalmente vi siate potuti togliere il pannolone, che vi
sia
caduto l’ultimo dentino da latte e che il fatto che vi siano
spuntati i peli
sulle gambe vi faccia sentire capaci di qualsiasi cosa, davvero.
– iniziò, in
tono appena udibile da dove si trovava, ma stranamene rilassato.
-
Ma se vi sento emettere un
altro suono diverso dal vostro respiro, vi giuro che vi darò
talmente tanti
calci nel culo che per sedervi dovrete aspettare il momento della
vostra
dipartita. Sono stata chiara o avete bisogno di una dimostrazione pratica? – terminò
minacciosamente
scoccando un’occhiata verso Drew, in quel momento zitto e
concentrato sul suo
bersaglio.
I
suoi occhi invece
tornavano a guardare Tris e la sua espressione interdetta. Non sapeva
come, ma
ogni volta che succedeva qualcosa, si ritrovava a cercare un contatto
visivo
con lei, come se tentasse di stabilire una sorta di
complicità.
Non
era assolutamente
pratico in cose del genere e non si era mai sentito particolarmente
attratto da
nessuna ragazza in particolare; ogni volta che Zeke riusciva a
incastrarlo in
qualche uscita, veniva fuori che aveva fatto o detto qualcosa di
profondamente
offensivo nei confronti della ragazza che l’amico gli
rifilava mentre lui si
dava da fare. Come se non bastasse, aveva ancora qualche problema a
uniformarsi
all’atteggiamento estroverso ed espansivo che caratterizzava
gli intrepidi, e
molte “amiche” di Zeke lo trovavano troppo serio e
chiuso in se stesso. La cosa
non lo turbava particolarmente, anche perché non sembrava
essere l’unico ad
aver problemi a relazionarsi con il resto del mondo; uno degli esempi
più
evidenti era appoggiato alla parete proprio a pochi passi da lui, in
tutta la
sua odiosità.
-
Nessun altro, a parte pel di carota,
ha bisogno di una
rinfrescata? – domandò Kaithlyn, riacquistato il
tono chiaro e pratico a cui
era abituato.
Il
silenzio accolse la sua
domanda.
-
Bene. – concluse, mentre
passava dietro gli iniziati.
Si
fermò dietro Tris, di
nuovo intenta a lanciare il suo coltello e la squadrò mentre
riprendeva
posizione.
Parve
essere titubante anche
lei, perché si fermò e guardò
l’istruttrice in attesa di un rimprovero che però
non arrivò.
-
Ti ho per caso detto di
fermarti? Lancia! – sbottò antipaticamente
Kaithlyn, dopo alcuni secondi.
Tris
sembrò sforzarsi di
tenere la bocca chiusa, come se avesse ingoiato un boccone
particolarmente
amaro. Poi si girò, si mise in posizione e
lanciò, riuscendo a colpire il
bersaglio mentre lui sentiva la soddisfazione farsi largo nel petto.
Era stata
brava, anche se dubitava che la sua ex istruttrice fosse soddisfatta...
sicuramente non lo era, ma almeno non l’aveva umiliata come
aveva appena fatto
con gli altri due.
Kaithlyn
parve riflettere un
attimo su ciò che aveva visto, poi lanciò
un’occhiata indecifrabile a Tris e si
mise una mano sul fianco destro. – Be’, se non
altro non fai parte dell’élite
dello schifo più completo. È già
qualcosa, Rigida. –
Dato
il soggetto, quello
poteva essere tranquillamente considerato alla stregua di un elogio.
Osservò
Kaithlyn passare in
rassegna quasi tutti gli iniziati, raddrizzare Al nella vana speranza
di fargli
centrare il bersaglio e guardare con un’espressione
oscillante tra l’orripilato
e lo sconsolato Myra.
Will
e Christina se la cavucchiarono,
o forse fu Kaithlyn ad accontentarsi dei risultati perché
invece di commentare
si limitò a fare una smorfia insofferente.
-
Smettila di farli ciondolare
e torna al tuo posto! Voglio che tutti abbiano imparato a colpire un
maledetto
bersaglio prima dell’ora di pranzo. –
sbraitò Eric, poco distante da lui.
Quattro
voltò la testa verso
di lui. Erano tutti impazziti, quella mattina?
Da
quando Eric si metteva a
sindacare se Kaithlyn, alias la sua ragazza, maltrattava, umiliava o
metteva in
evidente difficoltà qualcuno?
A
quanto pareva, non era
l’unico a essere rimasto interdetto, perché anche
la diretta interessata
assunse per un attimo un’aria vagamente sorpresa, che venne
quasi
istantaneamente trasformata in un’espressione furente. Non
doveva aver
apprezzato il fatto di essere ripresa.
Kaithlyn
lanciò un’occhiata
di sufficienza nella loro direzione squadrandoli dalla testa ai piedi
come se
fossero in qualche modo complici e aprì bocca con il chiaro
intento di
ribattere a tono, ma fu interrotta dalla vibrazione del suo
cercapersone
abbandonato sul tavolo vicino all’entrata.
Dopo
un’ultima occhiata
sprezzante si diresse rapidamente verso il dispositivo ancora
illuminato.
Lesse
rapidamente ciò che
c’era scritto, sbuffò e imprecò per poi
iniziare a infilare rapidamente le sue
cose nel borsone.
Quattro
avvertì uno spostamento
d’aria al suo fianco quando Eric gli passò
davanti, senza degnarlo di uno
sguardo, per andare a mettersi a braccia incrociate davanti alla
ragazza, nelle
immeditate vicinanze della porta.
Cercò
di tendere le orecchie,
per capire quello che si stavano dicendo con i visi a così
pochi centimetri
l’uno dall’altro, ma il rumore dei coltelli e il
leggero chiacchiericcio che si
era venuto a ricreare gli impedivano di distinguere le parole.
L’unica cosa
evidente, era che non si trattasse di una discussione pacifica: Eric
sovrastava
di almeno trenta centimetri Kaithlyn, e così impettito e
inalberato sembrava
ancora più alto e grosso del solito, mentre le ringhiava
qualcosa contro.
Doveva
averle detto qualcosa
di veramente offensivo o che l’aveva fatta particolarmente
infuriare; Eric non
aveva ancora finito di parlare, che Kaithlyn aveva spalancato la bocca,
non
sapeva se per rabbia o per indignazione, ed era andata sotto il viso
del
Capofazione, furiosa.
Gli
puntò un dito contro, e
se fosse stata un po’ più alta i loro nasi si
sarebbero toccati tanto erano
vicini, mentre gli sibilava qualcosa contro. A giudicare
dall’espressione irata
di Eric e dai pugni stretti fino a farsi sbiancare le nocche, Kaithlyn
doveva
avergli rifilato una risposta particolarmente pungete e azzeccata
rendendogli
pan per focaccia.
Seguì
la ragazza con lo
sguardo, attento a non farsi vedere, mentre si voltava verso il tavolo,
afferrava
tre coltelli e gli schiacciava con forza sul ventre di Eric in un gesto
sprezzante come a dirgli che, se era tanto bravo, poteva pensarci lui
stesso a
insegnare agli iniziati come lanciare i coltelli.
Eppure
gli sembrava che ci
fosse qualcosa di diverso sul suo viso, uno strano connubio tra rabbia
e qualcosa
che assomigliava, anche se non ne era sicuro, a dispiacere. O
delusione. Non ne
era sicuro.
Possibile?
Parve
rendersene conto anche
Eric perché abbandonò per un secondo la sua
espressione furente e sollevò
leggermente l’avambraccio come se avesse intenzione di
carezzarle un braccio o
una guancia. Fu solo un momento, perché quando lei
sollevò gli occhi
dardeggianti su di lui, lanciandogli un’occhiata di fuoco,
Eric si limitò a
stringere la mano a pugno e distendere il braccio irrigidito lungo il
fianco mentre
riacquistava la sua espressione calcolatrice e imperscrutabile.
Eric
era di spalle e non
poteva vederlo, ma Kaithlyn sì, e si rese conto di aver
attirato troppo
l’attenzione quando lei girò gli occhi azzurri
verso di lui in un’occhiata a
dir poco raggelante che lo inchiodò sul posto.
Durò solo un secondo, talmente
breve che Eric, davanti a lei, non se ne accorse nemmeno, ma fu
più che
sufficiente per spingerlo ad abbassare gli occhi e fargli guardare con
rinnovato
interesse gli iniziati e i loro, doveva darne atto alla ragazza,
patetici
tentativi di centrare il bersaglio.
Si
forzò a non voltarsi
nuovamente verso i due, fino a quando non udì la porta della
palestra sbattere
con forza e poté nuovamente rivolgere lo sguardo nella
direzione dell’uscita
dove in quel momento era rimasto solo Eric con un’espressione
talmente furiosa
da fargli pensare seriamente che sarebbe corso dietro Kaithlyn solo per
prenderla a pugni, ma non lo fece. Forse dopo l’incontro di
qualche giorno
prima, che a lui era stato solo raccontato da uno Zeke molto
più che esaltato,
preferiva evitare di ripetere l’esperienza. O magari davvero
non le avrebbe
messo le mani addosso con l’intento di ferirla
deliberatamente, anche se si
trattava comunque di Eric.
In
compenso si girò e lasciò
scivolare lentamente lo sguardo sulla fila d’iniziati,
soffermandosi circa a
metà, mentre le labbra gli si distendevano in un ghigno
tutt’altro che
rassicurante.
-
Sai, ti farebbe bene
divertirti un po’. Quindi, stasera, è mio preciso
compito trascinarti anche di
peso alla festa. – la informò, con non curanza.
-
Quale festa? – gli chiese
Kaithlyn scocciata, lanciandogli uno sguardo di sufficienza.
Aveva
poco da fare la
sostenuta, date le sue uscite infelici con Eric. Quando c’era
da fare la
stronza, era incredibilmente sempre in pole position; il problema, ora,
era
convincerla di essere nel torto… figurati se Kath poteva
ammettere di aver “sbagliato”
qualcosa. O di aver
esagerato. O di essere stata ingiusta. Gli sembrava un po’
un’utopia, ma doveva
provarci… era uno sporco lavoro, soprattutto contando i due
individui di cui si
trattava, ma qualcuno doveva pur farlo, no?
La
guardò sorpreso e spalancò
le braccia. – Quella al Pozzo, Kath! Quale se no? –
esclamò scandalizzato. Dove
diamine viveva? Su Venere? Tutti sapevano della festa di quella sera e
non era
assolutamente possibile che lei non ne fosse a conoscenza…
certo che poteva
scegliersele meglio le amicizie: invece si ritrovava con
un’amica con evidenti
problemi relazionali e una spiccabile attitudine nel trattare come
pezze da
piedi tutti quelli che osavano anche solo invadere la sua
“bolla d’aria”.
Chissà
come aveva fatto Eric a sopravvivere così a
lungo…
avrebbe dovuto chiederglielo, prima o poi.
-
Magari viene anche il tuo
ragazzo! – provò, sperando di convincerla a
partecipare. Qualsiasi ragazza
normale avrebbe approfittato di un’occasione del genere per
riappacificarsi con
il proprio ragazzo e chiarire il proprio punto di vista, ammesso e non
concesse
che per Kath esistessero altri punti di vista… forse
sì, ma dubitava che gli
interessassero.
Kaithlyn
inarcò le
sopracciglia. – Vuoi convincermi o darmi ragioni in
più per restarmene a casa?
– gli domandò, con un sorrisetto di scherno
dipinto sulle labbra.
Scosse
la testa, sconsolato;
come diavolo facesse quel povero ragazzo
a sopportarla, era un mistero. O era molto, molto
innamorato, o era dotato di molta, molta pazienza
e quella seconda ipotesi gli sembrava ancora meno convincente della
prima.
Bah,
contento lui…
Sospirò
pesantemente. Ogni volta
che doveva affrontare qualcosa del genere, finiva a chiedersi cosa,
esattamente, l’avesse spinto a fare amicizia con Kaithlyn. La
considerava la
sua migliore amica, certo, e nutriva per lei lo stesso affetto sincero
e
viscerale che l’avrebbe legato a una sorella, ma
c’erano dei momenti in cui
capiva come mai in molti l’avrebbero volentieri trasformata
in un bassorilievo
su una delle tante pareti in pietra della Residenza. Non condivideva,
ma li
capiva. Se c’era una persona, in quel posto, che sapeva
essere odiosa
all’inverosimile, arrogante, saccente e incredibilmente brava
a umiliare gli
altri, quella era Kaithlyn. Anche se ogni tanto aveva avuto anche i
suoi
“momenti di gloria”. Pochi, ma c’erano
stati.
Forse
avrei dovuto segnarmeli.
-
Non voglio sentire
discussioni – disse, senza lasciarle il tempo di protestare e
afferrandola per
un braccio, mentre iniziava a trascinarla per i corridoi in pietra. -
te ora
fili a cambiarti ed io ti passo a prendere alle otto e mezzo, che ti
piaccia
oppure no. – intimò cercando di assumere un tono
che non ammetteva repliche, sperando
che il massaggio fosse arrivato chiaro a destinazione e che non le
venisse
l’impulso improvviso di afferrare la pistola dalla fondina ed
eleggerlo suo
nuovissimo bersaglio mobile.
Non
sarebbe stata neanche la prima volta…
Okay,
*fa un bel respiro, si
sfrega le mani, scrocchia le dita e riattacca a scrivere*
Dopo
un mese, rieccomi. Vi
chiedo scusa per il ritardo immenso, ma sono in crisi profonda per lo
studio e
non ho avuto nemmeno un attimo di respiro!
Il
capitolo è lungo lo so,
spero di non avervi annoiato e che, nonostante la lunghezza, sia valsa
la pena
leggere fin qui!
La
cosa che mi preme di più
in assoluto, è che Eric non risulti completamente
rimbecillito e che resti in
linea con quanto ho fatto vedere di questa mia versione finora. Nel
caso non
fosse così, sappiate che si riscatterà ampiamente
nel prossimo capitolo.
È
stato un capitolo un po’
faticoso, e lo trovo ancora un po’….com dire?
Frammentario? Poco entusiasmante?
Boh, non lo nemmeno io, ma voi dovreste quindi mi farebbe piacere
sapere cosa
ne pensate, belle o brutte che siano le vostre impressioni!
In
questo capitolo viene
citato un personaggio che più avanti avrà un
ruolo piuttosto rilevante,
William; che, come avrete capito, è il fratello di Eric! J
Se
volete sapere qualcosa in
più su di lui o sulla famiglia Turner, v’invito a
leggere l’altra long che sto
scrivendo Mind’s Shades
in cui
do la mia personale versione dell’infanzia di Eric (credo che
arriverò fino al
Giorno della Scelta) e degli avvenimenti che l’hanno
trasformato in quello che
è.
Vi
segnalo come sempre la
mia pagina, se vi vada passare: https://www.facebook.com/pages/Kaithlyn-J-Evenson/865334640156569?ref=hl
Infine
ringrazio Fregauncazzo,
Didi_Salavtore,
rosalalla e
mcfm210111 per aver inserito la storia tra le
seguite; Didi_Salvatore,
hermionegranger18 e mhpj1983 per
averla inserita tra le preferite. Infine, ringrazio moltissimo Kaimy_11,
Adeus e Aoboshi
(che ha avuto la pazienza di recensire i primi cinque capitoli della
storia)!
Grazie
davvero a tutti, non
avete idea di quanto sia entusiasta!
Alla
prossima, bacioni,
Kaithlyn
|
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Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
Capitolo
11
Girò
un’altra volta davanti
allo specchio chiedendosi cosa,
esattamente, l’avesse spinta a farsi trascinare a una stupida
festa dal suo
ancor più stupido migliore amico e, come se non bastasse, in
compagnia di
quella vacca della sua ragazza.
Davvero
geniale, Kaithlyn. Stai perdendo la mano ferma.
Bene,
iniziava anche a
parlare da sola?
Sbruffò,
cercando di
sistemarsi il vestito rosso in modo da non rischiare di rimanere in
mutande
alla prima occasione e non sentirsi una completa imbecille.
Maledetto
Jason.
Quel
brutto idiota era
riuscito a prenderle la pistola e le aveva giurato
solennemente che non gliela avrebbe resa, a meno che lei non
passasse la
serata a quella dannatissima festa.
Vile,
infimo ricattatore.
Non
le rimaneva che
attendere con ansia il momento in cui sarebbe rientrata in possesso
dell’arma
per minacciarlo e andarsene, ma nel frattempo aveva dovuto prepararsi e
sistemarsi.
Non
era mai andata pazza per
le gonne… in particolare per quelle che la fasciavano in
quel modo, rendendogli
difficoltosi i movimenti; forse avrebbe dovuto infilarsi qualcosa di
più
pratico, ma ormai era tardi per cambiare idea e mettersi un paio di
pantaloni.
E poi quel vestito rosso le piaceva.
-Kath?
Kath! Kath, ci sei? –
Possibile
che anche lei
fosse vittima dell’estenuante lentezza che caratterizzava le
donne nel
prepararsi per uscire? Eppure gli sembrava di avere a che fare con un
soggetto
piuttosto… rapido, per
quel genere di
cose.
Sbatté
un’altra volta il
pugno contro la superficie della porta, arricciando le labbra.
– Ti ricordi,
vero, che ho un ostaggio?
– sibilò,
cercando di essere il più minaccioso possibile cosa che
riusciva sicuramente
molto meglio a lei, inquietante per natura.
Se
nasci quadrato non muori tondo.
Improvvisamente
la porta si
spalancò, rivelando sulla soglia una Kaithlyn vestita di
tutto punto.
Addirittura
il tubino?
Doveva
proprio aver voglia
di liberarsi di lui…
La
squadrò dalla testa ai
piedi: niente male davvero.
-
Allora, ci muoviamo?
Stasera devo anche fare una sorpresa a Clarisse! – le
comunicò. Sperava quasi
che si offrisse di aiutarlo, ma l’espressione schifata sul
viso della ragazza lo
dissuase da ogni proposito.
Si
fece da parte per farla
uscire. – Sia chiaro, Jason: mezz’ora. Poi mi rendi
ciò che è mio, altrimenti
ti uccido e faccio da sola, okay? –.
Che
donna adorabile.
-
Certo. Io mantengo sempre le mie
promesse, al contrario di
qualcuno. – le disse, assottigliando gli occhi.
Kaithlyn
lo guardò scettica.
– Dì un po’, ce l’hai con me?
Perché se ti riferisci a quella volta in cui ti
ho “promesso” di aiutarti a fare questa fantomatica
sorpresa a quella, sappi che
l’ho detto solo per
farti smettere di blaterale.-
Assunse
un’aria
esageratamente oltraggiata. – Io contavo su di te, Kaithlyn
Evenson. Mi
abbondoni nel momento del bisogno?. –
-
Sì. –
-
D’accordo, lasciamo stare.
Quel povero ragazzo l’hai
visto o
sentito? – le chiese, mentre si avviavano verso il Pozzo.
L’occhiataccia
che ricevette
lo fece desistere.
Okay,
individuato l’argomento tabù della serata.
Il
Pozzo era già affollato e
il caos stava evidentemente iniziando a prendere rapidamente piede tra
gli
Intrepidi.
In
fondo al Pozzo avevano
piazzato una console per la musica dietro la quale un Intrepido con la
cresta
verde e una maglietta smanicata con tutti i bordi sbrindellati, stava
già
tenendo banco circondato da una piccola folla intenta a richiedere
quella o
l’altra canzone.
In
fondo, sulla sua destra,
era stato montato un banco da bar dietro il quale poteva intravedere
numerose
mensole sulle quali facevano bella mostra numerose bottiglie.
Fece
scorre lo sguardo sugli
intrepidi che si erano già radunati in capannelli
più o meno numerosi a ridere
sguaiatamente, urlando battute e qualche parolaccia.
Non
era lo stesso insieme di
voci fastidioso che si creava durante una discussione tra Eruditi, dove
ognuno
cercava di stare un’ottava sopra agli altri e per farsi
sentire dovevi urlare
fino a logorarti le corde vocali; gli Intrepidi interagivano come un
tutt’uno e
se in quel momento le fosse venuto in mente di comunicare qualcosa le
sarebbe
bastato montare sul primo tavolino disponibile e gridare qualcosa come
“Sfida”,
“bandiera”, “Hancock” per
ottenere l’attenzione genale di tutti presenti,
indipendentemente dai discorsi in cui erano impegnati.
-
Ehi bambola! –
Qualcuno,
anche se aveva
un’idea piuttosto precisa di chi fosse, le tirò
una pacca sulla spalla.
Jason
le sorrise, mentre lei
si riprometteva di fargliela pagare. – A quanto pare bastava
solo un piccolo incentivo per
stimolarti a
uscire! – esclamò allegramente prima di voltarsi e
fare un cenno a un ragazzo
che non conosceva.
L’unica
nota positiva, era
l’assenza di Clarisse… anche se le sembrava di
aver intravisto Eleanor Davis e
Jasmine Steward.
Strano.
In genere dove c’era una, si trovavano anche le altre due.
Una
volta le aveva
addirittura viste andare in giro per la Residenza con i vestiti in
tinta l’una
con l’altra.
Raccapricciante.
Un
brivido le corse lungo la
schiena. Quelle tre le davano il voltastomaco, oltre che a farle salire
l’impellente
necessità di trivellare di colpi un bersaglio; era
più forte di lei. Non aveva
mai sopportato, nemmeno quand’era più piccola,
certi soggetti. Ricordava che
durante i livelli inferiori aveva anche provato a socializzare con le
bambine,
perlopiù Erudite, della sua età ma non aveva
avuto molto successo. Un po’
perché non era mai stata brava a fare amicizia, un
po’ perché spesso e
volentieri le bambine Erudite erano istruite dalle madri a essere delle
piccole
vipere e per quanto lei fosse cinica e incurante degli altri, ad
eccezione di
quelle due o tre persone che teneva vagamente in considerazione, non
aveva mai
sentito il bisogno di approfittarsi di nessuno, forse anche
perché non le era
mai mancato proprio niente.
-
Ehi, ti sei incantata
Kath? Vieni! –
Jason
le afferrò una mano e
la tirò senza troppi complimenti verso il bancone dal lato
opposto del Pozzo costringendola
ad arrampicarsi su uno degli sgabelli rialzati rivestiti di stoffa
nera.
-
Tu, hai bisogno di una
bella sbronza! – la informò, appoggiandosi con un
braccio al banco in
legno scuro e lucido, e ammiccando
all’indirizzo di una cameriera.
Idiota.
-
Tu dici? –
-
Sissignore! Ci puoi
scommettere, questa faccenda degli iniziati ti stressa
troppo… e la notte è
ancora lunga! – esclamò allegramente, mentre
chiedeva due shotini al ragazzo
dietro di bancone e gliene posava uno davanti.
Jason
sollevò il
bicchierino, come a proporre un brindisi e ne bevve in un unico sorso
il
contenuto trasparente.
Osservò
con sospetto il suo
bicchiere, e lanciò un’occhiata inquisitoria a
ragazzo, che batteva
ritmicamente le dita sul bancone e la guardava in attesa.
Be’,
che male poteva farle
un bicchierino di vodka? Se l’avesse assecondato avrebbe
smesso di tormentarla
e lei avrebbe potuto tornarsene in santa pace al suo appartamento.
Storse
la bocca, come se si
trovasse davanti a un liquido di dubbia composizione e fosse indecisa
se
rischiare o meno di morire avvelenata.
-
Allora, bellezza? Jacob
non ti ci ha messo mica il veleno! –
-
Questo lo dici tu! –
risposero in coro Kaithlyn e il barista, intromessosi nella
conversazione.
Si
scambiarono un’occhiata
diffidente, poi lui scoppiò a ridere. – Hai
così poca fiducia nei tuoi compagni
di fazione, Evenson? – rise, appoggiando i palmi delle mani
al banco interno
dei cocktail.
-
Sì. –
-
Io te l’avevo detto che era
una faccenda seria, Jake! – gli disse Jason, passandosi una
mano tra i riccioli
biondi.
Era
contenta che si stessero
divertendo perché se avessero continuato così
quella sarebbe stata l’ultima
sera in cui avrebbero potuto usufruire dell’uso delle gambe.
Picchiettò
con la punta
dell’unghia dell’indice sul bicchierino, e
passò distrattamente un polpastrello
sul bordo.
-
Non te la prendere
Evenson, se non te la senti non fa niente! Ti porto un succo di frutta?
– le
chiese quell’imbecille con quei capelli ridicoli.
Be’,
gli conveniva ridere…
finché aveva ancora tutti i denti.
Afferrò
delicatamente il
bicchierino e lo sollevo all’altezza del viso con aria
pensosa.
Fissò
per un lungo secondo
il ragazzo sorridente davanti a lei e l’aria derisoria che
aveva dipinta sul
viso. Forse in altre circostanze sarebbe stata anche al gioco, ma
quella non
era proprio la serata adatta.
-
Guarda che è buono! – la
incoraggiò ancora come se stesse parlando ad una bambina.
Per
tutta risposta gli gettò
il contenuto del bicchierino in faccia, mentre un sorrisetto le
increspava le
labbra.
Be’,
se l’era cercata.
Il
tizio di nome Jacob restò
un secondo interdetto, mentre si scambiava un’occhiata
perplessa con Jason; a
quanto pareva erano amici. Poi riscoppiarono a ridere sonoramente,
strappandole
un sorrisetto divertito.
-
Dammene un altro.. –
-
Solo se prometti di non
lasciarmelo addosso! – la provocò, mentre le
riempiva nuovamente il bicchiere.
-
Sei fortunato che fosse
alcol e non quel simpatico coltello a punta biforcuta che si trova in
quel
barattolo. – gli assicurò, facendo un cenno con la
testa al contenitore di
utensili per i cocktail.
-
Oh, grazie tante allora
sei veramente una donna magnanima! – rise, mentre lei buttava
giù il contenuto
del bicchiere in un unico sorso. Sentì la bolla
d’alcol bruciarle la gola,
mentre si passava la lingua tra le labbra.
-
Bene. Ora posso andarmene?
– domandò, poggiando il bicchiere e guardando
risolutamente Jason.
Il
sorriso sul suo volto si
spense come una lampadina fulminata, mentre lo vedeva agitarsi un
po’ sulla
sedia. – In realtà.. –
iniziò, quasi titubante guardandola con
un’espressione
di scuse. – No. –
Ah,
bene.
Inarcò
le sopracciglia, in
attesa di una spiegazione. Se voleva costringerla
a interagire con tutta quella gente senza prendere a pugni nessuno,
dato che si
sentiva particolarmente mal disposta, avrebbe dovuto darle una
motivazione un
po’ più che convincente.
Jason
storse la bocca, come
se non avesse voglia di fare qualcosa ma sapesse che andava fatta. Un
attimo
dopo un paio di chiavi argentate erano sul bancone lucido.
Sul
momento non capì cosa
fossero, poi le osservò attentamente e le riconobbe.
– Ehm.. Jason? Non vorrei
turbarti, ma io le tue chiavi di casa le ho da quando abbiamo finito
l’iniziazione. – gli fece notare, infilando la
punta di un’unghia nel cordoncino
di spago che le teneva unite e facendole girare con non curanza.
Lui
la guardò pazientemente
e alzò gli occhi al cielo. – Lo so, tonta.
È ovvio che non siano per te, no? – le
spiegò con accondiscendenza.
Tonta?
Non
fece in tempo a
controbattere che un’intuizione si fece largo nella sua
mente.
No.
No,
no e ancora no.
Impossibile!
Aprì
la bocca, mentre sempre
più rapidamente prendeva consapevolezza di quel disastro.
Doveva
avere proprio
un’espressione sconcertata, perché
sentì la risata di Jason e del tizio del bar
arrivarle alle orecchie.
Alzò
gli occhi su Jason,
quasi spaesata. – Tu scherzi. Ti avverto, se è
… -
-
No, certo che non è uno
scherzo! Voglio darle a Clarisse! –
Voglio
darle a Clarisse.
E
pensare che negli ultimi
tempi si era quasi illusa che Jason rinsavisse!
Stupida
Anzi,
stupido.
Non
era lei ad essersi messa
con quel caso umano di stupidità… anche se forse,
parlando di casi umani,
avrebbe dovuto starsene zitta.
Non
aveva mai avuto nessun
interesse amoroso verso Jason, nonostante lo reputasse un bel ragazzo e
si
trovasse più che bene con lui solo… non quella.
Non
era il tipo giusto per
lui, ed era assolutamente convinta che meritasse di meglio…
magari una ragazza
un po’ più sveglia, un po’
più tranquilla… un po’ più da Jason!
Lui
era il tipo che girava per
la casa in mutande perché si è dimenticato dove
ha gettato i pantaloni… lei se
non era tirata a lucido non metteva il naso fuori di casa; Clarisse era
una di
quelle ragazze pettegole a cui piaceva parlar male di chiunque
respirasse la
sua stessa aria o mettere in giro brutte voci su chi non le andava a
genio.
Jason,
invece, per quanto
fosse borioso ed esagitato come molti Candidi divenuti Intrepidi, agiva
sempre
in buona fede indipendentemente da chi si trovava davanti, e forse un
po’ anche
per ingenuità, si aspettava che anche gli altri facessero
altrettanto.
Non
era la prima volta che
si buttava in quel modo in una relazione; lui era il tipo che si
spremeva, che
dava tutto a tutti… il contrario di lei, che piuttosto che
fare un passo
indietro pur sapendo di essere in parte
nel torto, preferiva ignorare Eric e posticipare il momento di cui
avrebbero
dovuto parlare.
Come
se non bastasse aveva
uno strano presentimento, mentre guardava le chiavi con aria dubbiosa.
Forse
era solo paranoica e
la sua fiducia pressoché inesistente nei confronti degli
altri la faceva
dubitare di chiunque… più
o meno.
Scosse
la testa,
focalizzando nuovamente l’attenzione su Jason il suo
entusiasmo sembrava
essersi affievolito.
-
Allora? Che dici? – le
chiese con una nota di impazienza nella voce, mentre batteva
nervosamente le
dita sul banco.
Che
sei matto. Salvati finché puoi!
-
Ehm… -
Doveva
essere veramente alla
disperazione se veniva a chiedere consiglio, tra tutti, proprio a lei.
Jason
le rivolse un cenno d’incoraggiamento
mentre alzava un angolo della bocca e corrugava le sopracciglia in
un’espressione impaziente.
-
Forte. Ehm… wow. Quindi…
quindi fai sul serio? – chiese, cercando di dare un minimo di
entusiasmo alla
sua voce.
Magari,
una ragazza del
genere era esattamente quello che gli serviva… eppure non
riusciva ad essere
tranquilla.
Jason
annuì con convinzione.
– Sì! Anche se tu non sei d’accordo,
pensi che sia impazzito e avresti voluto
suggerirmi di darmi alla fuga… non guardarmi come se ti
avessi colta con le
mani nel sacco, so che non la puoi vedere. – disse,
seriamente.
Non
poteva certo dire che non la conoscesse..
Lo
vide agitarsi sul posto
come se stesse per dimenticarsi qualcosa di assolutamente fondamentale.
-
Dopo vado a prenderle il
portachiavi, ne ho visto uno simpatico
l’altro giorno! E domani ti sorbirai tutto il reso conto
della serata. –
esclamò allegramente. O sadicamente, dato che aveva appena
affermato di essere
consapevole della sua avversione nei confronti della sua ragazza..
O
magari avrebbe dovuto solo rilassarsi ed essere meno
pragmatica e paranoica.
Forse
era solo l’antipatia
che provava verso Clarisse a farle pensare che ci fosse qualcosa di
strano
nella sua assenza… avrebbe dovuto farsi una ragione di lei e
Jason insieme,
prima o poi.
Decise
di provare a comportarsi da amica
per non
ripetere il delizioso siparietto di quella mattina.
-
Temevo questa risposta. –
borbottò, cercando di rilassarsi. – e…
lei dov’è? – chiese, lanciando
un’occhiata sbrigativa al Pozzo che iniziava a essere
ghermito di gente.
-
Non si sentiva bene, ed è
rimasta a casa... dopo vado a vedere come sta, almeno posso darle le
chiavi! -.
-
E tu perché non sei
rimasto con lei? – indagò, poggiando un gomito al
bancone e reggendosi la testa
con il palmo della mano.
Jason
assunse un’espressione
perplessa. – Be’, ha detto che voleva andare a
letto per riposarsi un po’. Che
dici mi presento con un cornetto? –
Ah.
Quella
situazione le puzzava di bruciato…
Decise
di ignorare le
proprie impressioni; d’altronde Jason era grande e vaccinato,
non aveva certo
bisogno della balia.
-
Sicuro. Perché no? –
-
Eccoti qua, donna di poca
fede! –
Si
girò, mentre veniva
riportata bruscamente alla realtà. Steven Robinson veniva in
tutta la sua
irritante spavalderia verso di loro, seguito a poca distanza dal resto
dei
Tiratori Scelti degli Intrepidi.
-
Wow Evenson… dove
nascondevi le gambe? – rise il ragazzo castano dietro Steven,
David.
Kaithlyn
inarcò un
sopracciglio, mentre la sensazione di essersi infilata in bel guaio
s’insinuava
nella sua mente.
Steven
s’infilò dietro il
bancone e si mise davanti a lei, reggendosi la testa con una mano e
osservandola.
-
Che vuoi? – domandò bruscamente
prima che tutti si fossero comodamente seduti.
Si
sentiva circondata.
Steven
aprì la bocca per
dire qualcosa. - Perché donna di poca fede? – si
intromise Alex, che si era
appena seduto accanto a Jason.
–
La rossa qui presente
pensava che la volessi abbordare!
–
esclamò in tono indignato, senza tuttavia riuscire a
reprimere un sorrisetto. –
Di nuovo! – aggiunse, a mo’ di spiegazione.
Sospirò,
preparandosi a un
interminabile scambio di battute idiote.
-
Be’, non ha tutti i torti!
Per te basta che una ragazza respiri... e la Evenson respira
piuttosto bene. – s’intromise David
Wilson tirando una
pallina di carta fatta con un tovagliolino in faccia a Steven.
-
Sicuro! Se le tappi quella
boccuccia con del nastro adesivo è perfetta! –
concordò, come se lei non ci fosse
prima di girarsi a ordinare da bere.
Ci
fu una risata generale.
Quando avrebbe chiesto a Max e agli altri Capofazione di aumentare la
mole di
lavoro, dato che lei non aveva problemi di nessun tipo a rimanere al
poligono
più a lungo, avrebbe riso lei. Gli avrebbe fatto avere gli
incubi per mesi,
tanto li avrebbe fatti sgobbare.
L’addestramento
per le Forze
Speciali gli sarebbe sembrato un simpatico pic-nic in un campo di
tulipani, a
confronto.
-
Avete finito? – chiese,
stirando le labbra in un sorrisetto forzato e fingendo un tono
divertito.
-
Certo che no bellezza,
abbiamo appena iniziato! A proposito, quelle
cosa sono? Due anni fa non c’erano, sono sicuro!
– esclamò Steven
sporgendosi in avanti e indicando il suo seno.
-
Invece c’erano eccome,
Robinson. – ribatté senza particolare entusiasmo,
incrociando le braccia sul
bancone.
-
No, tu menti. Io non le ho
viste! – insistette, battendo un pugno sul legno lucido.
Come
poteva essere
concentrata tanta stupidità in un’unica persona?
Che gusto c’era a fare l’idiota?
Non capiva.
E
poi quella serata iniziava
a diventare troppo allegra e irritante per i suoi gusti. – O
magari le poche
volte che siamo stati insieme sei stato talmente veloce da non avere il
tempo
per accorgertene. – ipotizzò con non curanza.
Bingo.
Steven
assunse una finta
aria ferita. – Ma Katy!
– disse,
prima di abbassare la voce e sporgersi verso di lei in un atteggiamento
confidenziale. – Questo era un segreto… - le
borbottò, senza tuttavia
abbandonare l’espressone da schiaffi e strizzandole
l’occhio. – Ops… - mormorò,
con finta non curanza, tirando fuori un ghigno derisorio.
Non
era mai andata pazza per
i nomignoli e l’unico che tollerava era
“Kath”, affibbiatole da Jason quattro
anni prima… ma Katy non
le sarebbe
mai andato giù. Non c’era una spiegazione
razionale a quell’avversione, ma le
veniva il nervoso ogni qualvolta qualcuno la appellava in quel modo
idiota.
-
Ciao ragazzi! Che avete da
confabulare? – chiese Clarke Lewis, raggiungendoli e
sedendosi alla sua destra.
-
Kaithlyn sta per insultare
Steven! – rispose qualcuno in tono entusiasta.
-
Niente di nuovo, quindi!
Jack? Mi passi il sacchetto dei pop-corn? –
Ah-ha.
Che qualcuno iniziasse immediatamente a farle il
solletico.
-
Io me ne vado! – decretò,
scendendo dallo sgabello e allungando una mano per prendere la borsa.
Purtroppo
Jason fu più veloce, facendola sparire prima ancora che
fosse riuscita ad
allungarsi abbastanza da afferrarla.
-
E dai… solo un paio d’ore,
poi vado da Clary e ti rendo la tua
bambina, promesso! –
“Clary”?
Non poteva averlo detto sul serio.
Certo,
prima erano dieci
minuti, poi mezz’ora ed ora addirittura un paio
d’ore? La prendeva per i
fondelli?
Sbuffò,
impaziente di
prendere la sua roba e dileguarsi prima di essere troppo brilla per
farlo…
peccato che qualcuno, anche se aveva un vago
sospetto, le avesse ordinato un altro drink non meglio
identificato e
gliel’avesse piazzato proprio sotto il naso.
-
Sicura di volere anche il
limone? Già sei acida e antipatica come pochi esseri viventi
al mondo… -
Qualcuno
fece per infilarle
una mano nel bicchiere ma gli tirò una sberla sul dorso.
Primo, non voleva
assolutamente sapere l’ultima volta che se l’era
lavate, secondo non
sopportava quando le venivano messe le
mani nel piatto o nel bicchiere e terzo, avrebbe tanto voluto sapere
chi gli
aveva dato tutta quella confidenza.
-
Mamma mia come sei
antipatica! – sbuffò Lewis incrociando le braccia
sul petto e dondolandosi in
bilico sulle gambe posteriori della sedia.
Rigirò
pigramente il drink
rosso scuro con la cannuccia nera, poi lo sollevò e
buttò giù un lungo sorso.
Pessima
idea.
Purtroppo
per lei il drink
era buono e l’alcol non si sentiva affatto. Doveva averlo
scelto Jason, perché
dubitava che qualcun altro avrebbe potuto azzeccare i suoi gusti con
tanta
precisione.
-
Dai, Kath… solo uno.
– la pregò il traditore,
punzecchiandole un braccio
con uno stecchino.
Ancora
dieci secondi e Jason
avrebbe scoperto a sue spese come eliminare qualcuno utilizzando un
innocuo
stecchino di legno.
-
E d’accordo. Solo uno. Poi
me ne vado, intesi? –
E
buttò giù.
Sì
maledisse, mentre sentiva
salirle lungo la gola la voglia di scoppiare a ridere; non ricordava
con
esattezza cosa fosse successo dopo il primo bicchiere ma doveva essere
divertente, perché si trovava ancora lì
anziché essere a casa.
Strano.
I
suoi compagni di squadra
erano tutti ubriachi e ridevano per ogni scemenza… ed anche
a lei veniva da
ridere, anche se non sapeva se per la battuta fatta da Lewis o
perché ridessero
tutti gli altri.
Si
sentiva stupida. Anche
se, a conti fatti, non era lei quella con due cannucce nelle narici.
L’ennesima
risata le arrivò
alle orecchie, attutita però dalla musica rimbombante delle
casse. Se prima il
Pozzo era affollato, in quel momento era decisamente peggio. La parte
centrale,
adibita a pista da ballo, era ghermita di gente che ballava,
amoreggiava e
scherzava mentre le luci continuavano a illuminare a intermittenza quel
groviglio di gente ubriaca.
L’unico
ancora totalmente
con i piedi per terra sembrava Jason, che parlava concitatamente con
Alex
Jeffrey. Sembrava… sconvolto, come se avesse appena ricevuto
una notizia a cui
era impossibile credere.
Jason
si girò verso di lei,
la bocca semi aperta e lei ne approfittò per cogliere la
palla la balzo. –
Andiamo? Ho bevuto, ridacchiato come un’idiota e vi ho
sopportati senza tentare
di uccidervi; se resto ancora un po’ rischio di essere mossa
a pietà e mettere
fine alle loro sofferenze. – disse, indicando i compagni di
squadra.
Lui
parve riaversi e le
rivolse un sorriso. – D’accordo. Concedimi un ballo
e poi sei libera,
d’accordo? – le propose alzandosi, facendo il giro
del tavolo quadrato e
mettendosi in ginocchio davanti a lei probabilmente per parlarle meglio.
Pure?!
Il
suo primo pensiero
razionale fu quello di colpirlo sul naso, riprendersi ciò
che le apparteneva e
andarsene, ma forse complice l’alcol si fece trascinare nella
pista da ballo.
Jason
la fece girare, le
afferrò le braccia e se le mise sulle spalle mentre
iniziavano a muoversi al
ritmo della musica.
Nonostante
non ci fosse niente
di sensuale o malizioso nel modo in cui lui le aveva appoggiato la mano
sulla
schiena o nel modo in cui lei si muoveva vicino a lui, era piuttosto
sicura che
se Eric l’avesse vista avrebbe dato i numeri più
del solito, geloso com’era.
Che
cosa stupida…
Rise,
arricciando il naso e
permettendo a Jason di farla girare di nuovo e per poco non perse
l’equilibrio
sui tacchi. Fortunatamente fu riacciuffata prima di cadere
all’indietro.
Jason
la afferrò per un
braccio e la avvicinò a sé, dicendole qualcosa
che non capì. – Eh? – gridò,
per
sovrastare il frastuono delle casse.
Lui
le indicò la scollatura,
facendole cenno di sistemarsi il vestito che, essendo privo di
spallini, le
stava calando.
Un
ragazzo, passando da lì,
le fece cenno di andare a ballare con lui guadagnandosi
un’occhiata poco
accondiscendete e provocando degli eccessi di risa a Jason. Vedendolo
quasi
lacrimare dalle risate le venne naturale accodarsi a lui, coprendosi la
bocca
con una mano per cercare di contenersi.
Continuarono
a ballare e a ridere
come due idioti per un pezzo, tornando ogni tanto a bere qualcosa al
bancone
mentre la tentazione di stordire Jason con una botta in testa e
andarsene
diventava sempre più lieve e la sua testa sempre
più vuota e leggera.
L’ennesima
canzone finì, scatenando
applausi e urla da tutta la pista da ballo. Si tappò le
orecchie, quando una
ragazza, vicino a lei, lanciò un urletto talmente acuto da
farle pensare che
avrebbe potuto incrinare il soffitto di vetro.
-
Andiamo? – ritentò,
afferrando Jason per un avambraccio e tirandolo verso di lei per farsi
sentire
in quel frastuono.
Lui
controllò l’orologio e
rise. – Mi hai concesso un’altra
mezz’ora, due drink fa Kath! – le
ricordò
chino verso di lei per sentire cosa diceva. Avevano i nasi a pochi
centimetri
di distanza, ed erano tanto vicini da poter sentire il fiato
dell’altro sul
viso.
Non
era in imbarazzo o in
difficoltà: era abituata alla vicinanza con lui.
Sospirò
e si avvicinò al suo
orecchio, schiacciandosi contro di lui che la trattenne con una mano
dietro la
schiena. – Andiamo più in là, allora!
Se mi arriva un’altra gomitata qualcuno
si ritroverà privo di arti. –
Si
staccò da Jason e lo
afferrò per la maglietta nera e aderente, trascinandolo
verso la parte meno
affollata del Pozzo.
Uscirono
da quel marasma a
fatica, imprecando e ridendo quando qualcuno se la prendeva a male per
una
pedata.
Passarono
alcuni momenti di
silenzio, durante i quali nessune dei due parlò. Ora che la
sola cosa che le
arrivava alle orecchie era la musica a tutto volume, iniziava a sentire
un
certo fastidio alla testa: non avrebbe dovuto farsi convincersi a bere.
Si
appoggiò una mano sulla
fronte e girò il viso verso Jason, che aveva
l’aria di uno appena uscito da un
incontro di lotta libera: i capelli biondi erano sparati in aria in un
groviglio informe di grossi riccioli, la maglietta era quasi
completamente
tirata da un lato, come se fosse rimasto impigliato in qualcosa
– o in qualcuno
- mentre si facevo largo tra la gente ed era evidentemente paonazzo.
Non
riuscì a fare a meno di
scoppiargli a ridere in faccia, tanto era sconvolto il suo aspetto.
Jason la
guardò interrogativamente prima di alzare gli occhi verdi
verso l’alto e
cercare inutilmente di appiattirsi i capelli; dopo alcuni secondi
rinunciò,
sbuffando e incrociando le braccia sul petto.
-
Okay bellezza, sarà meglio
che ti riaccompagni a casa. Non voglio che il tuo ragazzo ti veda
vestita così
a ridacchiare e scherza con me perché non ho la minima
voglia di scappare per
tutta la Residenza… l’ultimo drink e andiamo! - .
-
Peccato! Sarebbe uno
spettacolino divertente… per me. – lo
schernì mentre gli passava accanto. – A
proposito di casi umani: non dovevi andare dalla cosa,
lì? -.
Jason
corrugò le
sopracciglia, perplesso. – La…? Ah!
Clarisse… sì certo. Allora facciamoci
l’ultimo
goccetto, perché ne avrò bisogno, e poi andiamo.
D’accordo?-.
Ci
pensò per un momento;
ormai il danno era fatto e a casa il massimo che poteva succederle era
ritrovarsi a litigare con Eric nel caso decidesse di farsi vivo.
Sì,
forse poteva quasi passare
una serata pseudo tranquilla a bere e “divertirsi”,
anche se preferiva
continuare a scansare i suoi esagitati compagni di squadra.
- Okay. Ma solo un quarto
d’ora. Andata? –
chiese, porgendogli la mano destra.
Jason
sorrise allegramente e
l’afferrò, scuotendola vigorosamente un paio di
volte.
Era
come se la rabbia gli
scorresse sottopelle, nelle vene, e fino ai sottili capillari delle
dita,
bruciando tutto ciò che incontrava. Come un veleno, o un
acido particolarmente
forte.
Quel
trambusto, per lo stato
psico-fisico in cui si trovava, lo infastidiva terribilmente;
così come lo
irritava oltremodo quel gruppo abnorme di gente che stava facendo
baldoria.
Strinse
i pugni, sentendo
tirare le croste sulle nocche, mentre perlustrava con lo sguardo il
Pozzo.
Sperava
che Kaithlyn non si
fosse infilata sul serio in quel
casino, perché non aveva la benché minima voglia
d’infilarcisi anche lui. Non
in quel momento per lo meno.
Si
appoggiò discretamente
alla parete, dopo aver fatto cenno a Sean di andare senza di lui, e
incrociò le
braccia sul petto mentre appoggiava la pianta di un piede alla parete.
Aspetto
per alcuni minuti,
lanciando di tanto in tanto occhiate poco rassicuranti a chi si
azzardava a
fissarlo più del dovuto o lo urtava inavvertitamente.
Dopo
alcuni minuti di attesa
iniziò a innervosirsi: dove diamine era finita?
Sapeva
che c’era la squadra
di Tiratori al completo, li aveva visti transitare, ma di Kaithlyn
nemmeno
l’ombra.
Guardò
pigramente l’orologio
digitale, mentre il numero dei minuti passava da cinque a sei.
Respirò
pesantemente dal
naso, scocciato. Kaithlyn avrebbe dovuto passare da lì prima
o poi e quando ciò
sarebbe accaduto, le avrebbe fatto passare un brutto quarto
d’ora.
Quando
rialzò gli occhi, gli
sembrò di scorgere, solo per un secondo, una lunga chioma di
riccioli, che
immediatamente dopo sparì.
Si
staccò dalla parete
dandosi una piccola spinta con il piede che aveva appoggiato al muro e
fece
alcuni passi nella direzione della pista da ballo improvvisata per
verificare
di aver visto bene; non era affatto facile in quel trambusto e con le
luci a
intermittenza, ma gli sembrava troppo
familiare per non essere di Kaithlyn.
Riuscì
a farsi largo tra la
folla, spintonando la gente e imprecando sonoramente quando qualcuno
gli pestava
i piedi; in quel momento era un bel vantaggio essere più di
un metro e novanta,
perché riuscì a individuare la ragazza in pochi
attimi.
Mentre
la guardava, sentì la
rabbia e una folle gelosia impadronirsi di lui. Kaithlyn e Jason
stavano
ballando con certo entusiasmo davanti a lui e lei sembrava anche
contenta,
mentre lui la faceva girare scherzosamente o le appoggiava una mano
sulla
schiena per guidarla.
Iniziava
quasi ad avere la
vista chiazzata di rosso, e sentiva il cuore martellargli furiosamente
nel
petto mentre quel coso sempre
tenendole una mano sulla schiena, le afferrava la mano libera e la
faceva
dondolare goffamente di lato. E lei rideva. Rideva e si stava
divertendo come
l’aveva vista fare poche volte, con un altro.
Be’,
come biasimarla...
Digrignò
i denti e fece un
altro passo verso i due, immobilizzandosi un attimo prima che potessero
accorgersi che era lì; Kaithlyn aveva appoggiato una mano
sulla spalla di Jason
e si era sporta verso il suo orecchio per dirgli qualcosa. Lui si
girò verso di
lei, e avevano i visi talmente vicini che per un attimo temette che si
stessero
baciando, ma l’unica cosa che quel menomato fece fu sorridere
apertamente,
guardare l’orologio, risponderla qualcosa e annuire, prima di
farsi trascinare
dalla sua, dannazione, sua ragazza
fuori da quella calca.
Cosa
gli aveva detto? Cosa
gli aveva sussurrato e perché non aveva parlato ad alta voce
invece di
avvinarsi in quel modo a lui? Che bisogno c’era, in quel
casino, di dire
qualcosa in un orecchio a qualcuno se non si trattava di una cosa
privata,
personale, intima?
Perché
ballavano così
vicini, così appiccicati?
Sentiva
una gelosia mai
provata; la avvertiva pulsare in ogni fibra del suo corpo, fin nelle
dita dei
piedi e si sentì seriamente sull’orlo del baratro,
prossimo a perdere
completamente il controllo sulle sue azioni.
Non
lo aiutava nemmeno
vederla sotto le luci bianche, nella zona laterale al Pozzo quella con
meno
gente. E come avrebbe potuto farlo sentire meglio? Aveva un tubino
rosso che le
arrivava giusto a metà coscia e che le fasciava il fisico
asciutto mettendo in
risalto le sue forme in un modo che, per quel lo che riguardava,
sarebbe dovuto
essere ritenuto illegale e punibile penalmente. Come se non bastasse, i
tacchi
la slanciavano e quando si voltò nella sua direzione, senza
vederlo, notò che
era anche truccata. Non riuscì a capire quanto,
ma sicuramente aveva un rossetto scuro che riprendeva il colore dei
capelli che
le scendevano oltre metà schiena in una massa accuratamente
disordinata.
Si
sentì mancare il respiro,
non sapeva con esattezza se dalla rabbia, dalla gelosia pulsante e
cocente che
lo stava ardendo divorandolo dall’interno o dal fatto che la
sua ragazza fosse
tanto bella e sexy.
Bella
e sexy mentre esce con un altro…
Maledizione!
L’idea
di travolgere senza
troppi problemi la ragazzina che gli ballava davanti e andare a
uccidere nel
modo più brutale e doloroso possibile Miller e a dirne
quattro a Kaithlyn
diventò fin troppo allettante, raggiungendo il culmine
quando la vide ridere
divertita all’indirizzo di quello.
Se
fosse stato in un’altra
situazione, avesse avuto una giornata tranquilla e non fosse in rotta
con lei,
forse avrebbe riso anche lui, per schernirlo: aveva decisamente un
aspetto
sconvolto.
Peccato
che
quel momento non rispettasse neanche mezza di quelle situazioni: aveva
avuto da
discutere per tutto il giorno, era di umore nero ed era in rottura con
la lei. Che,
per inciso, si stava divertendo a fare la deficiente con il fulcro, uno
dei
tanti, dei suoi problemi. Jason. Anche se, a voler essere onesto con se
stesso,
quando si trattava di lei ogni esponente di sesso maschile diventava un
problema. Un enorme, gigantesco problema da eliminare.
Avanzò
facendosi largo a
spintoni diretto verso Kaithlyn; nel frattempo lei e Miller si
scambiarono un
altro paio di battute e si strinsero teatralmente le mano destra.
Lui
poteva sicuramente dire
“addio” a quella mano. Si prendeva troppa
libertà con il corpo della sua
ragazza.
Non
appena fosse riuscito ad
agguantarla e a trascinarla, anche a costo di caricarsela in spalla, da
un’altra parte l’avrebbe sentito.
Cosa
pensava? Che lui se ne
sarebbe stato buono buono e farsi trattare da idiota da lei?
Jason
appoggiò una mano sul
braccio nudo di Kaithlyn, mentre nella sua mente si proiettavano
immagini di
loro due avvinghiati da qualche parte. Era un pensiero illogico e privo
di
fondamento, perché tra loro due non c’era mai
stato nulla se non amicizia.
O
almeno credeva.
Comunque
stessero le cose,
quel gesto innocente e il fatto che lei si accostasse a lui per sentire
nuovamente cosa aveva da dire, gli fecero perdere quasi del tutto il
controllo.
Non
capì con esattezza la
dinamica di ciò che accadde dopo: un ragazzo Intrepido che
non conosceva,
evidentemente ubriaco, urtò Kaithlyn costringendola a fare
un passo indietro
per non perdere l’equilibrio sui tacchi alti. Lei si
voltò verso di lui,
l’espressione irritata nuovamente sul volto e gli disse
qualcosa che, a
giudicare dal gesto infastidito che fece con la mano, stava a intendere
di
stare attento a dove mettesse i piedi.
La
strada gli fu sbarrata da
una ragazza dai capelli striati di azzurro e alcuni piercing su
sopracciglia e
labbra che sembrava intenzionata a dirgli qualcosa. Irritato, la prese
per le
spalle e la spostò malamente di lato per riprendere la sua
avanzata verso il
suo obiettivo.
Vide
il ragazzo che aveva
urtato Kaithlyn girarsi verso di lei e dirle qualcosa a gran voce, ma
nel
trambusto non riuscì a distinguere chiaramente le parole;
non doveva essere
stato niente di lusinghiero, perché Kaithlyn
inarcò le sopracciglia e fece due
passi verso di lui, arrivandogli a una ventina di centimetri dalla
faccia e
rispondendogli evidentemente in modo evidentemente aggressivo.
Un
attimo dopo il ragazzo le
tirò un man rovescio in pieno viso, facendola finire a terra.
Le
sue priorità cambiarono
istantaneamente e le sue gambe si mossero da sole verso il tipo che
aveva
appena firmato la sua condanna a morte e che stava torreggiando su di
lei.
Vide
appena Jason avanzare
per mettersi nel mezzo, una mano alzata verso il ragazzo e una verso
Kaithlyn.
Si
avventò sul ragazzo,
colpendo Jason con una spallata e costringendolo a spostarsi di lato,
mentre
afferrava quell’idiota per la maglietta e lo attaccava alla
parete sollevandolo
di diversi centimetri dal suolo.
Era
assolutamente infuriato,
fuori di sé dalla rabbia. Aveva perso il controllo, e sapeva
che si sarebbe
sentito meglio solo quando avrebbe visto il tuo avversario contorcersi
dal
dolore ai suoi piedi.
Sentiva
tutti i muscoli
vibrare di energia che aspettava solo di essere sfogata.
Lo
bloccò con un braccio
sotto il collo e lo colpì con un montante allo stomaco; gli
mancò il respirò
per un momento, mentre cercava di alzare le gambe per incassare il
colpo troppo
ubriaco per reagire.
-
Se ti azzardi a toccarla
un’altra volta, ti ammazzo. – sibilò in
un ringhio basso e furioso a due
centimetri dal suo viso. Aveva lo sguardo annebbiato e sembrava non
capire la
situazione, ma non gli importava.
Non
gli importava.
Lui
rise, forse a causa
dell’alcol ed Eric perse definitivamente ogni briciolo
residuo di
autocontrollo. Gli sferrò un altro montante, e spinse con il
braccio che aveva
pressato sulla sua gola; lui gli strinse il braccio, probabilmente in
debito di
ossigeno. Eric sorrise malefico e dopo aver spinto un’ultima
volta sulla sua
gola, lo lasciò scivolare a terra. Il gesto fu seguito da
una serie di calcia
dati quasi alla cieca, non gli importava dove lo stava colpendo.
Voleva
fargli male.
Aveva
perso di vista Eric da
un po’, ma non se n’era preoccupato: era grande e
vaccinato, e sapeva badare a
se stesso. E poi voleva stare un po’ con Mia, che fino a quel
momento aveva
avuto fin troppa pazienza con entrambi.
Improvvisamente,
mentre
stavano ballando, Mia si fermò e piantò gli occhi
castani verso un lato del
Pozzo, in una delle zone dove c’era meno gente. Anche loro si
erano spostati,
non potendone più di quell’ammasso di gente.
-
Che c’è? – le chiese, mettendole
una ciocca di capelli lisci dietro l’orecchio. Lei strinse le
labbra e
assottigliò leggermente gli occhi, corrugando le
sopracciglia.
-
Sean… quello non è Eric? –
domandò, facendo un cenno con la testa verso la parte del
Pozzo che stava
osservando.
Sean
si voltò nella
direzione che gli era stata indicata, e per poco non gli venne un
colpo.
-
Torno subito… - le disse
distrattamente, prima di dirigersi di corsa verso quel danno che andava
sotto
il nome e cognome di Eric Turner.
Eric
si stava avventando
senza pietà su un ragazzo che sembrava poco più
grande di loro con diversi
calci; se avesse continuato così, gli avrebbe spappolato la
milza e il fegato e
non era sicuramente una grande idea.
Arrivò
alle spalle di Eric
in pochi secondi e lo afferrò per le braccia; non era
un’impresa semplice,
contando che era diversi centimetri più alto di lui e
decisamente infuriato.
S’illuse
di essere riuscito
a immobilizzarlo, ma l’unica cosa che ottenne fu sfilargli la
giacca.
Lasciò
cadere l’indumento a
terra e cercò di tirarlo indietro con tutta la forza che
aveva, riuscendo suo malgrado
ad allontanarlo per
un secondo; a Eric
bastò un attimo altrettanto breve per strattonare
violentemente il braccio
dalla sua presa.
Perché
nessuno faceva nulla?
Non
fece in tempo a
formulare il pensiero che un ragazzo, che riconobbe come Steven
Robinson, passò
un braccio intorno alla gola di Eric, riuscendo a tirarlo indietro.
Eric
provò a strattonarsi
nuovamente con tutta la forza che aveva, ma si aggiunsero altri due
ragazzi:
uno bassino ma largo di spalle con folti capelli castani tutti
spettinati, e un
altro alto e magro dai capelli biondi tutti sparati in aria.
Dovevano
essere di qualche
anno più grandi di loro.
-
Okay, moccioso, ora calmati.
– sentì dire in tono baldanzoso da Steven,
mentre lo vedeva rafforzare la presa.
In
tutta risposta Eric
riuscì ad assestargli una gomitata nello stomaco, che
l’altro incassò
piegandosi leggermente senza tuttavia lasciare la presa ferrea. Era
abbastanza
alto da non doversi abbassare troppo per una gomitata.
Con
una smorfia tra il
sofferente e il divertito Steven fece forza, tirando Eric indietro con
uno
strattone che sembrò smorzargli il respiro e farlo
imbestialire ancora di più.
Eric
fece per rigirarsi, ma
Sean rafforzò la presa sul suo braccio cercando di non farsi
strattonare.
-
D’accordo, scusa. –
annaspò Steven, facendo un passo indietro per allontanare
Eric dal malcapitato
che in quel momento boccheggiava a terra. – però
tiri più del mio cavallo dai
Pacifici, amico. –
In
effetti, pur essendo in
quattro, non riuscivano a immobilizzarlo del tutto. Dove essere proprio
infuriato.
Riuscirono
dopo alcuni
interminabili secondi a spostarlo da dov’era, e quando furono
abbastanza
lontani, Sean gli piazzò davanti impedendogli il passaggio.
Eric
si strattonò con
violenza e fece per andare addosso a Steven, che alzò le
mani in segno di resa
nonostante l’espressione tranquilla.
-
Ora datti una calmata, o
dovremo usare le maniere forti. – lo avvisò.
Eric
gli lanciò un’occhiata
di fuoco e fece un passo indietro, prima di passarsi una mano sulla
testa e
avviarsi quasi di corsa fuori dal Pozzo.
Si
riscosse dallo stato in
cui si trovava e corse dietro all’amico, facendosi largo tra
gli altri e
recuperandolo in pochi secondi.
Fuori
dal Pozzo, nel
corridoio buio illuminato semplicemente dalle luci azzurrognole appese
alle pareti,
individuo la sagoma di Eric svoltare lateralmente e sparire. Si
lanciò
all’inseguimento, cercando di tenere un passo abbastanza
sostenuto da non
perderlo di vista ma non abbastanza veloce da arrivargli troppo vicino.
Voleva
prima vedere cosa aveva intenzione di fare.
I
loro passi rimbombavano
nei corridoi deserti, mentre i rumori della festa sembravano
infrangersi sulle
pareti che li circondavano in un eco rimbombante, sempre più
lontano, che
sembrava voler lasciare il posto al fragore del fiume a cui si stavano
rapidamente avvicinando.
Eric
camminava a passi
svelti davanti a lui, che a malapena riusciva stargli dietro,
passandosi
febbrilmente le mani tra i capelli; sembrava sul punto di esplodere di
nuovo a
giudicare dal respiro irregolare, quasi ansimante, intriso di
frustrazione e
rabbia.
Eric
svoltò l’angolo di
nuovo, sparendo dal suo campo visivo e costringendolo a scattare in
avanti e a
svoltare repentinamente per raggiungerlo.
Impiegò
alcuni secondi per
metterlo a fuoco nonostante la luce tenue che filtrava dall'alto,
mentre il
fragore del fiume che s’infrangeva sulle pareti dello
Strapiombo parecchi metri
sotto di loro gli riempiva le orecchie.
Eric
era davanti alla
ringhiera, tremante di rabbia e con le mani strette intorno al
corrimano in
metallo scuro. Aveva la testa china in avanti mentre ondeggiava
pericolosamente, come un pazzo, avanti e indietro nel tentativo di
calmarsi e
riacquistare il controllo.
Lui
era l’unico a sapere il
perché di quegli attacchi di rabbia spaventosi, e non
l’aveva detto ad anima
viva. Nemmeno a Mia, e sospettava che neanche Kaithlyn lo sapesse,
anche se ci
viveva praticamente insieme.
Eric
gli aveva confessato,
in uno dei rari momenti in cui si apriva con qualcun altro, che quando
stava
con lei si sentiva più tranquillo e non voleva mandare tutto
all’aria, anche se
non aveva usato quelle parole, per quel… problemino.
E
tu chiamalo problemino!
Sentì
uno strano rumore
metallico, e un brivido gli attraversò la schiena quando
comprese da dove
proveniva.
-
Eric…- lo avvisò
avvicinandosi frettolosamente a lui e poggiandogli una mano sul
braccio. – se
continui così farai un bel volo.. cerca di calmarti.
– tentò, mentre Eric
continuava a far pericolosamente dondolare la ringhiera. Se avesse
continuato
così l’avrebbe scardinata e sarebbe finito di
sotto.
Sembrava
incapace di reagire
e di riacquistare lucidità, così, nel tentativo
di aiutarlo, Sean gli strinse
una mano intorno al braccio cercando di staccarlo da lì.
Due
secondi dopo si ritrovò
con il sedere per terra, mentre Eric, come una tigre in gabbia, si
prendeva la
testa tra le mani e riiniziava a fare avanti e indietro.
Tese
le orecchie, sentendo
un paio di tacchi avvicinarsi rapidamente a loro. Che fosse Mia?
La
figura dai capelli lunghi
e ricchi, ancora avvolta nell’oscurità, non poteva
essere lei e lui fu felice
di essersi sbagliato: per quanto volesse bene a Eric, preferiva
decisamente
esserci solamente lui in quei momenti… Kaithlyn
entrò nello spiazzo ancora vestita
e truccata di tutto punto e si bloccò sulla porta prima di
lanciargli
un’occhiata interrogativa, tenendo la giacca di Eric in mano.
Sean
storse la bocca, e le
fece un cenno di diniego con la testa, evitando accuratamente di
incrociare il
suo sguardo. Doveva essere Eric a confrontarsi con lei, non lui. Per
tutta
risposta Kaithlyn fece una smorfia scocciata al suo indirizzo e poi lo
oltrepassò per andare vicino a Eric, ancora preda delle sue
stesse emozioni.
Kaithlyn
fece il suo stesso
errore afferrando Eric per un braccio, - Eric, calmati! – gli
disse, ma fu costretta
ad allontanarsi un attimo dopo per evitare uno spuntone.
Nonostante
la spinta, non
gli sembrò intenzionata a demordere; infatti
raddrizzò le spalle e assunse un
cipiglio decisamente più duro di quello che aveva pochi
secondi prima.
Si
appoggiò con il fianco
destro alla ringhiera, dandogli le spalle e poggiando il peso su una
sola
gamba. Sporse la testa in avanti, come se cercasse di scrutare il viso
di Eric,
che gli sembrava di sentir fremere di rabbia anche da lì.
Aprì
la bocca per fermare
Kaithlyn che aveva alzato, in modi un po’ troppo bruschi data
la situazione, la
mano sinistra forse intenzionata a scostare i capelli scuri dal viso di
Eric,
ma non ebbe tempo di proferire parole.
Non
appena Eric intercettò
lo sguardo di Kaithlyn, s’infiammo. -
È
colpa tua! – le ringhiò contro in un sibilo,
lasciando la presa sul corrimano e
facendo un passo indietro come se si trovasse davanti a un serpente
velenoso. –
Se tu non avessi fatto la putt... -.
Sean
si pietrificò sul
posto, mentre il suono prodotto da quei due schiaffi gli arrivava alle
orecchie.
Per
un secondo, che a lui
parve eterno, regnò il silenzio e il gelo. L’aria
era carica di una tensione
opprimente, che nonostante non lo riguardasse in prima persona,
sembrava
schiacciarlo al suolo e incollargli le mani al pavimento.
L’attimo
dopo, Eric si
scagliò contro Kaithlyn facendola schiantare con la schiena
contro la parete e
sbattere la testa. Le teneva le mani piantate sulle spalle, impedendole
qualsiasi movimento.
Si
riscosse rapidamente e si
alzò, pronto a levarle Eric di dosso ma lei gli fece cenno,
con il braccio che
era obbligata a tenere lungo il fianco, di stare restare fermo.
Contro
ogni buon senso,
raddrizzò le spalle e si fermò a pochi passi da
loro.
Tutto
accadde nel giro di
pochi secondi, ed ebbe appena il tempo di rendersi conto di quello che
stava
accadendo, prima che il primo pugno di Eric si schiantasse contro la
parete con
forza inaudita, seguito a ruota da un altro, un altro e un altro
ancora.
Le
nocche di Eric si
schiantavano ai lati del viso di Kaithlyn, che rimase immobile fino a
quando un
pugno non la colpì sul viso, anche se non riuscì
a vedere dove. La vide solamente
girare il viso dall’altra parte mentre una smorfia di dolore
le attraversava il
volto; Eric, a quel punto, parve tornare in sé.
Sentiva
lo zigomo pulsarle,
mentre il dolore continuava a diffondersi sul viso e sentiva qualcosa
di umido
percorrerle la schiena e la guancia.
Si
portò una mano sul lato
ferito del viso, poi si guardò le dita sporche di sangue.
Alzò
gli occhi su Eric
cercando di capire cosa gli passasse per la testa. La scapola, che
doveva
essersi tagliata quando l’aveva pressata contro il muro, era
ancora
dolorosamente a contatto con la pietra irregolare e ruvida che le
grattava il
taglio aperto; il vuoto alla testa provocato dall’alcol le
era passato e, forse
complice la botta presa o la situazione, si sentiva più
vigile che mai.
Sentiva
il cuore martellarle
nel petto mentre fissava il ragazzo che aveva davanti agli occhi alla
ricerca
di risposte: non sembrava neanche lui. Aveva sentito parlare spesso,
quando ancora
viveva tra gli Eruditi e a cena i suoi riempivano lei e i suoi fratelli
di
nozioni, di disturbi comportamentali ed era piuttosto certa di trovarsi
di
fronte a un attacco di rabbia.
Possibile
che ne soffrisse?
Perché non se n’era accorta prima?
Sembrava
ancora furente,
teso come una corda di violino e pronto a scattare di nuovo come un
serpente a
sonagli in attesa del passo falso del suo avversario.
-
Eric, lasciami. Adesso. –
riuscì a dire. Si sentiva intontita, frastornata per il
colpo ricevuto sul
viso; era una fortuna che l’avesse presa di striscio
causandole solo
un’escoriazione... se l’avesse centrata in pieno
viso, avrebbe potuto
fratturarle lo zigomo. Avvertiva la scapola bruciarle e brevi scariche
di
dolore partire dal taglio aperto diffondersi intorno alla ferita,
innervando la
bolla di dolore che avvertiva in quella zona e crescendo
progressivamente
d’intensità.
Sentiva
il bisogno
impellente di staccarsi da lì crescerle nel petto, ma sapeva
di non aver alcuna
possibilità di strattonare tutti quei fasci di nervi e
muscoli; non in quelle
condizioni patetiche.
-
Eric, mi stai facendo
male. – ripeté, questa volta con voce
più nitida e dura. – Lasciami. –
Con
suo grande sollievo sentì
la pressione sulla spalla sparire gradualmente fino a lasciarla libera
di
staccarsi dalla parete.
Se
prima era rimasta
interdetta, in quel momento era decisamente furiosa; si rendeva conto
che
avrebbe dovuto fare un passo indietro, lasciare che quel momento
finisse e che
Eric riacquistasse la ragione ma non ci riusciva. Nemmeno mentre lui la
guardava come se le volesse stringere le mani alla gola, gli occhi
annebbiati ancora
da quella scintilla di follia terribile.
Lui
parve ripensarci e la riappiccicò
al muro con violenza facendo protestare la sua spalla in modo piuttosto
doloroso; il taglio doveva essere profondo, perché sentiva
qualcosa di umido
bagnarle la schiena. Forse sangue.
Istintivamente
gli assestò
una pedata sulla gamba con tutta la forza che aveva, riuscendo a fargli
fare un
passo indietro.
Avanzò
leggermente e lo
fissò: aveva lo sguardo fisso e impenetrabile, come se non
ci fosse niente, nessuno dietro gli
occhi grigi, quasi
metallici.
Strinse
le labbra in una
smorfia arrabbiata. – Stammi a sentire: non so che diavolo ti
sia preso Turner,
ma… -
-
Taci! – le ringhiò,
guardandola freddamente. – Sfido che la gente ti guarda di
traverso! -.
Spalancò
la bocca,
indignata. – Come. Ti. Permetti? Hai bel coraggio,
Capofazione dei miei
stivali! Sei dove sei solo perché…-
iniziò, prima di ripensarci e
interrompersi.
-
Continua. Sono curioso di
sentire le cazzate che ti escono dalla bocca. Avanti! -.
Alzò
un braccio per colpirlo
di nuovo ma Eric le bloccò il polso a pochi centimetri dal
suo viso. – Non sai
fare niente di meglio che schiaffeggiarmi? –
domandò in tono basso e calcolato.
– Anzi, c’è qualcosa
che sai fare
decisamente meglio, ma non rientra tra le doti combattive…
giusto? – insinuò malevolo.
Provò
a divincolare il
braccio, senza successo. A Eric bastò fare leggermente
pressione per
abbassarglielo e inclinarlo verso il basso fino a farle male. Strinse
le
labbra, decisa a non dargli soddisfazione, mentre sentiva Sean fare un
paio di
passi verso di loro.
Provò
ancora a divincolarsi
e fece per caricare un altro calcio, questa volta tra le gambe ma lui
la lasciò
con un ultimo gesto di stizza prima di adombrarsi ancora più
e girarsi per
andarsene. Sean le passò accanto, lo raggiunse e tirandolo
per un braccio lo
trascinò verso il corridoio opposto a quello da dove era
arrivata lei. Vide
Eric tirare un calcio e un pugno alla parete e poi scollare la mano
dolorante,
prima di scomparire nell’oscurità.
Gli
gridò dietro,
inutilmente.
Allora,
allora, allora.
Quanti sono
quelli che si sono messi in fila per fucilarmi?
Non cosa
possiate pensare di tutto questo, ma vi dico subito che non ho ancora
finito di
sistemare per le feste i personaggi, miei e non; quindi armatevi di
pazienza e
sopportatemi!
Qualcuno ha
già in mente qualcosa sui prossimi sviluppi? Ovviamente come
al solito sono
insicura e piena di dubbi, ma non vi tedierò con domande su
domande lasciando a
voi “l’ardua
sentenza.”
Siate
impietose!
Passiamo ai
ringraziamenti che dite?
Dunque,
dunque.
Ringrazio
come sempre Kaimy_11,
che recensisce
sempre con una puntualità disarmante (al
contrario di me nell’ultimo periodo!) ogni capitolo
e Adeus,
che non si dimentica mai di lasciarmi il suo parere (come
invece qualche volta capita a me, ci vuole pazienza!).
Ringrazio
anche EliDirectionxX che
ha
aggiunto la storia tra le preferite, e Sara_lost e
WelcomeInTheBlackParade che
l’ha inserita tra le seguite!
Ovviamente
come sempre ringrazio anche chi si limita a leggere e vi segnalo, per
chi ne ha
voglia, la pagine del mio account su facebook.
Ecco il link:à https://www.facebook.com/pages/Kaithlyn-J-Evenson/865334640156569?fref=ts
Grazie
davvero a tutti!
P.s: mi scuso
con tutte le persone che seguono Mind’s Shades. Non ho
abbandonato al storia,
solo che avendo poco tempo non ho ancora potuto terminare il capitolo e
aggiornare… non perdete la speranza!
Un bacione,
Kaithlyn
|
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Capitolo 12 *** Capitolo 12 ***
Capitolo
12
-
Sei impazzito? Se volevi
liberarti di me, non avevi che a dirlo! – ansimò,
mentre si tirava a sedere
sull’asfalto ruvido facendo leva sui palmi delle mani.
Gli
sarebbe venuto un
infarto di quel passo, poco ma sicuro. Una tragica morte precoce, tutto
per
colpa di quelle che tecnicamente era il suo migliore amico.
Non
solo Eric era partito
come un razzo verso i binari, ma lui aveva avuto anche la brillante
idea di
seguirlo. Di che diamine aveva paura? Che qualche mal intenzionato lo
sequestrasse come se fosse una ragazzina? Era più probabile
che fosse il
contrario, eppure non aveva pensato neanche per un istante di lasciarlo
andare
da solo; non in quelle condizioni e dopo quella serata disastrosa
almeno.
Si
passò una mano tra i
capelli, che restarono ritti e sconvolti a causa del sudore, e si
trascino con
le braccia, strusciando il sedere per terra, fino a un basso muricciolo
dove
appoggiò la schiena.
La
superficie era ruvida e
irregolare a contatto con la maglia fradicia di sudore, ma non gli dava
particolarmente fastidio. Era freddo, e quel freddo gli dava un
po’ di sollievo
dopo quella corsa. Lui non aveva le stesse gambe lunghe di Eric, e non
amava
particolarmente correre… preferiva un bel combattimento o
passare qualche ora
al poligono a sparare.
In
compenso, il compagno
sembrava aver perso la lingua.
-
Eric? – lo chiamò,
sporgendosi con il busto in avanti.
-
Nessuno ti ha chiesto di
seguirmi. – gli rispose l’altro, ancora disteso a
terra e con il respiro
leggermente accelerato, come se gli avesse letto nel pensiero: quando
lo
anticipava in quel modo era un po’ inquietante.
Sean
si appoggiò nuovamente
al muricciolo alle sue spalle. – Forse dovresti
scusarti… – mormorò, sperando
quasi che l’altro non lo avesse sentito.
Eric
si mise in piedi e andò
a sedersi sul muricciolo a cui era appoggiato e dall’alto del
quale gli lanciò
un’occhiata scettica, – Sentiamo la cazzata delle
23.47. – disse, dopo aver
guardato l’orologio.
Sean
si raddrizzò. – Non ne
ho idea. L’opzione “striscia come un verme fino
alla Residenza” mi pare un po’
eccessiva tutto sommato, considerando che anche lei ci mette del suo.
– provò,
girando la testa e guardando verso la testa scura di Eric, una
quindicina di
centimetri sopra la sua.
-
Magari potreste evitare di
risolvere tutti i vostri problemi scopando e andare a mangiarvi
qualcosa da
qualche parte… fare un giro e vedere di trovarvi
d’accordo. –
Non
gli sembrava una brutta
idea…
Lo
sentì sghignazzare,
mentre lo vedeva passarsi le mani insanguinate sul viso.
L’espressione
di Sean
divenne sempre più stranita, mentre Eric scoppiava in una
risata priva di
allegria, quasi isterica.
Incrociò
le braccia
scocciato, mentre aspettava che l’amico si calmasse e
smettesse di ridersela.
Che cosa avesse da ridere o cosa trovasse di divertente in tutto quello
che era
successo, restava un mistero.
-
E poi cos’altro potremo
fare? – gli chiese, togliendosi le mani dagli occhi e
fissando il cielo, la
voce intrisa di finta ilarità. – Tenerci per mano
e mandarci i bacini da una
parte all’altra del Pozzo? – commentò,
prima di riprendere a ridere.
Ah-ha.
Molto simpatico, davvero.
Eric
sembrò avere un guizzo
energetico e si sedette sul muricciolo con un colpo di reni, prima di
buttare
le gambe accanto a lui e guardarlo dall’altro in basso.
Non
sembrava molto in sé;
sicuramente meno del solito e l’espressione divertita che
aveva sulle labbra,
cozzava in modo decisamente inquietante con la scintilla di follia che
aveva
negli occhi.
Fu
certo, nonostante il
buio, di scorgere come una scintilla di consapevolezza attraversare il
viso di
Eric, che per un momento sembrò preoccupato. Quasi un
po’ spaventato.
Poi
riprese a ridacchiare,
senza allegria. - Non è divertente?
–
chiese strusciando le mani sui pantaloni pieni di tasche e fissandolo
con le
labbra stirante in un sorriso.
-
No, non credo sia
divertente. E penso che non ti stia divertendo neanche tu! –
disse, alzandosi e
mettendosi seduto anche lui.
Si
guardarono per un lungo
attimo, durante il quale Eric sembrò sempre più
sull’orlo di una crisi di nervi
in piena regola che sul punto di scoppiare a ridere; ed era piuttosto
strano,
considerando che avrebbe dovuto già essersi sfogato a
sufficienza.
Eric
si alzò si scatto e
iniziò a fare avanti e indietro, ad ogni falcata
più agitato.
-
Non capisci, eh? Jeanine come
si tiene in contatto con me, secondo te? – gli chiese con la
stessa espressione
folle e divertita intrisa d’inquietudine.
Sean
si grattò la testa,
chiedendosi il perché di quella domanda. Intanto si era
alzato un leggero
venticello che sembrava ancora più fresco e frizzante contro
la pelle sudata.
Si passo rapidamente le mani sulle braccia per reprimere un brivido di
freddo.
-
Con il Cercapersone? Ma
che c’entra Jeanine? Credevo che la prossima riunione per
“tu sai cosa” fosse
tra qualche giorno! – esclamò.
Eric
sorrise un po’ e
incrociò le braccia sul petto, guardandolo con
accondiscendenza, come se
dovesse spiegare qualcosa di molto semplice a un bambino
particolarmente duro
di comprendonio.
-
Il Cercapersone è nel
giubbotto. – disse. Non era una domanda, era una
constatazione di fatto.
E
quindi? Dove dovrebbe essere altrimenti?
Lo
guardò senza capire, le
sopracciglia inarcate e l’espressione confusa, esortandolo a
proseguire e
dargli delucidazioni.
-
Il mio giubbotto ce l’ha
Kaithlyn! – sbraitò Eric, prima di ricominciare a
ridere in modo quasi
isterico, rompendo il silenzio teso che si era venuto a creare.
Oh.
Oh
merda.
Ecco,
quello era un
problema.
Frugò
nella borsa scura per
qualche secondo e ne estrasse un mazzetto di chiavi; infilò
la chiave con
l’impugnatura azzurra nella serratura ed entrò,
cercando di concentrarsi il
meno possibile sul dolore che provava dietro la scapola e sullo zigomo
dolorante. Forse le era rimasto un sassolino nella ferita, mentre per
quanto
riguardava lo zigomo si aspettava un bell’ematoma per il
giorno successivo.
Fece
qualche passo
all’interno dell’ingresso-salotto avvolto
nell’oscurità prima di sfilarsi i
tacchi e tornare alla sua consueta altezza. Fece scattare
l’interruttore sulla
parete adiacente alla porta e si diresse verso la finestra per far
passare un
po’ d’aria: c’era odore di chiuso.
Restò
con i palmi appoggiati
al davanzale per qualche secondo, beandosi della superficie fresca
sotto le sue
mani, prima di rendersi conto di avere ancora, ripiegata
sull’avambraccio, la
giacca nera di Eric.
La
sollevò all’altezza del
viso, ispezionandola attentamente prima di mettersi a frugare nelle
tasche; era
proprio curiosa di vedere cosa avesse lasciato a giro
quell’idiota di Turner.
Estrasse
il Cercapersone da una
tasca interna, situata vicino a uno dei fori per le braccia e lo
appoggiò sul
davanzale, stando ben attenta a non lasciarlo cadere.
Continuò
la sua ispezione
con calma, trovando il portafoglio nella tasca opposta e le chiavi
dell’appartamento di Eric in una tasca in basso.
Be’,
sicuramente sarebbe
dovuto tornare a riprendersela, perché lei non aveva la
minima intenzione di
riportargliela.
Ripiegò
l’indumento in due e
con calma si diresse verso la cucina dopo lo appoggiò allo
schienale di una
delle quattro sedie accomodandosi su quella opposta. Aveva ancora il
vestito
rosso, ma le faceva una gran fatica levarselo e cambiarsi,
così appoggiò la
testa sui palmi delle mani e restò lì, a fissare
il vuoto per qualche secondo.
La
spalla le bruciava
dolorosamente, ma non poteva medicarsi da sola e non aveva voglia di
andare in
infermeria; forse avrebbe chiesto a Jason l’indomani, come
compenso per
ascoltarlo straparlare di Clarisse per ore.
Ripensando
a Eric e alla
piega che aveva preso il loro rapporto nelle ultime dodici ore si
sentì
invadere dalla rabbia e dalla frustrazione che riuscirono a rompere
istantaneamente quel momento di calma; si alzò bruscamente,
facendo strusciare
in modo quasi fastidioso le gambe della sedia sul pavimento e si
diresse verso
la stanza che usava come sgabuzzino e nel quale aveva sistemato anche
una
lavatrice. Aprì il cestino azzurro chiaro dei panni sporchi,
fece rapidamente
una cernita di capi scuri, che comunque rappresentavano la maggioranza,
e lì
infilò nell’oblò
dell’elettrodomestico che richiuse violentemente. Prese un
misurino di detersivo e lo mise nel contenitore apposito, poi premette
“avvio”.
Come
una furia, sempre più
arrabbiata, si diresse verso la camera e tolse tutte le lenzuola con
rabbia,
gettandole a terra. Tolse le federe ai cuscini e li buttò
sulla cassettiera,
mentre la biancheria da letto finiva tutta a terra.
Si
diresse a passo di marcia
verso l’armadio e spalancò le ultime due ante,
prima d’infilarcisi con il busto
e prendere da un ripiano in basso della biancheria pulita.
Mise
il coprimaterasso
matrimoniale e sistemò le lenzuola bianche e immacolate, poi
si diresse verso la
cassettiera e infilò le federe ai quattro cuscini con
rabbia, come se fossero
loro i colpevoli del suo malumore.
Chiuse
accuratamente i bottoncini
delle federe, prima di impilarli nuovamente sul mobile mentre finiva di
rifare
il letto.
Quando
ebbe finito li
risistemò con cura e tirò su la coperta blu
scura, rimboccandola sotto i
cuscini con precisione quasi maniacale.
Si
passò le dita tra i
capelli rossi ancora sciolti e si avviò verso il bagno dove
iniziò a sistemare
tutto ciò che trovava fuori posto o che non era
perfettamente ripiegato.
Quando
ebbe sistemato a una
velocità impressionante tutto l’appartamento,
tornò verso la cucina e si
sedette di nuovo, nervosa.
Doveva
trovare qualcosa da
fare: era una vecchia abitudine che aveva preso da sua madre quella di
fare le
pulizie e tenersi impegnata quando aveva qualcosa per la testa. Sua
madre lo
faceva sempre, soprattutto quando discuteva con suo padre o si
arrabbiava con
lei o i suoi fratelli più grandi. L’unica
differenza è che sua madre faceva le
cose con calma e con metodo canticchiando come se non avesse niente.
Diceva
che, se avesse sempre tenuto a mente tutto quello che loro le
combinavano,
sarebbe rimasta vedova molto prima della sua nascita; se si aveva
qualche
problema, era meglio fare qualcosa per distrarsi, piuttosto che
alimentarne la
fiamma e peggiorare le cose. Diceva anche che rimettere in ordine tutta
la
casa, sistemare le loro stanze e quella che divideva con il marito era
anche un
modo per rimettere in ordine le proprie idee e trovare la soluzione
migliore ai
problemi che si erano venuti a creare, evitando ulteriori discussioni.
“Il
torto appartiene al passato. Lascialo lì e
dimenticalo.”
Parlava
bene sua madre, da
ex- Pacifica. Sempre così tranquilla ed equilibrata, sempre
con le idee chiare.
Un
vero peccato che lei assomigliasse a suo padre, vero?
Lei
non era sua madre, e non
riusciva a usare quel trucchetto per recuperare la calma. Per lei era
semplicemente un modo per riavere il controllo della situazione.
Sistemare,
riordinare... le faceva sentire capace di riprendere le redini che le
erano
sfuggite di mano, ma non riusciva a calmarla.
Forse
non funzionava sempre:
forse serviva anche la volontà
di
lasciarsi le cose alle spalle e chiare con l’altro e lei non
era sicura di
volerlo fare, non in quel momento. Eppure voleva capire. Doveva
capire; anche a costo di scannarsi fino al mattino seguente,
di mandarsi al diavolo e maledire con tutte le proprie forza il giorno
che
avevano deciso di iniziare a frequentarsi con quell’idiota di
Eric Turner.
Le
venne quasi da ridere
quando si rese conto di avere ancora il vestito addosso, che invece di
stare su,
le era calato mostrando il reggiseno a fascia che indossava sotto.
Pazienza
tanto era sola.
Si
spostò due ciocche di
capelli dietro le orecchie e si alzò, innervosita dal rumore
delle lavatrice
che sembrava scandirle il tempo. Non aveva sonno e non voleva andare a
letto.
Il suo umore avrebbe potuto migliorare solo dopo aver tirato un altro
paio di
schiaffi a Eric e avergli fatto tornare in sede il cervello.
Ammesso
e non concesso che
funzionasse ancora.
Le
prudevano le mani solo a
pensarci; si risedette sulla punta della sedia pronta a schizzare in
piedi,
anche se non ne aveva motivo. Nonostante non fosse un’amante
del rumore, tutto
quel silenzio iniziava a darle sui nervi, così si
rialzò nuovamente e si
diresse in camera per infilarsi qualcosa di più comodo e
ripartire alla ricerca
di qualcosa da fare.
-
Okay, manteniamo la calma…
Eric? Eric! Maledizione torna qui! –
Sentì
le urla di Sean
arrivargli alle orecchie mentre si avviava a piedi verso la Residenza;
non
poteva aspettare neanche un fottuto secondo. Kaithlyn avrebbe potuto
aver già
letto tutti i messaggi e, come se non fosse già un problema
quasi
insormontabile, non aveva neanche la benché minima voglia di
discutere con lei.
Si
voltò vero l’altro,
continuando a camminare all’indietro e picchiettando con
l’indice sull’orologio.
– Forse non è chiaro, Sean: se Evenson legge i
messaggi, o per caso trova la
password del mio pc e le viene la malsana voglia di curiosare sono fottuto okay? Irrimediabilmente, fottuto!
Non ho tempo da perdere! – gridò in risposta.
Gli
arrivò alle orecchie un
verso esasperato, prima che sentisse i passi rapidi di Sean
raggiungerlo e una
mano stringergli un braccio e bloccarlo.
-
Appunto, idiota! Perché
diavolo pensi che abbia
appena chiesto a Mia di venirci a prendere in macchina?! –
domandò con ovvietà,
passandosi nervosamente una mano tra i capelli.
Si
bloccò, smettendo
immediatamente di provare a divincolarsi. In fin dei conti non era una
cattiva
idea.
Scrutò
attentamente Sean:
dopo tutto non aveva alternative, e tra una cosa e l’altra ci
avrebbero
impiegato meno tempo in macchina che a piedi… anche se
correre un altro po’,
magari fino a stramazzare al suolo, gli avrebbe fatto bene e gli
avrebbe dato
modo di riflettere su cosa inventarsi nel caso Kaithlyn avesse scoperto
quello
che di lì a tre settimane sarebbe accaduto.
-
Sta già arrivando, guarda…
- proseguì Sean, estraendo il suo di Cercapersone e
mostrandogli lo scambio di
messaggi tra lui e la ragazza. - … e ora mettiti tranquillo
e pensiamo a cosa
raccontare a quella psicopatica della tua ragazza! -.
Si
lasciò trascinare
passivamente verso il muricciolo su cui si erano fermati prima e si
sedette,
appoggiando gli avambracci sulle gambe.
Iniziava
a sentire la testa
pulsare fastidiosamente, come gli accadeva dopo ogni attacco
d’ira. Provò a
massaggiarsi le tempie, invano.
Sentì
Sean sedersi accanto a
lui, nella sua stessa posizione. – Che cosa succede se lei
scopre quello che
sta succedendo? – gli chiese, dopo un po’.
Non
ci voleva neanche
pensare. – Se lo scoprisse e gli altri Capofazione lo
venissero a sapere, tecnicamente andrebbe
eliminata. –
rispose, come un automa, passandosi una mano sugli occhi.
No,
decisamente non ci voleva pensare.
Sean
diventò pensieroso. –
Tecnicamente? Non ne sei sicuro? -.
Sospirò
pesantemente dal
naso, irrigidendo i muscoli. – No. Kaithlyn è un
valido elemento, è la Prima
Tiratrice Scelta, ha un’eccellente conoscenza informatica,
scientifica e una
mente brillante. Sarebbe uno spreco di potenziale non indifferente. E
suo padre
è uno degli uomini più influenti della
città, secondo te lascerebbe correre se
la figlia sparisse misteriosamente nel nulla? -.
Fece
una pausa, mentre l’immagine
del corpo senza vita di Kaithlyn gli balenava davanti agli occhi.
Scacciò
quell’immagine, che per quanto fulminea riuscì
comunque fargli stringere lo
stomaco in modo quasi doloroso e fargli salire il vomito. –
No, non sarebbe
possibile. Per quanto Jeanine potrebbe gioire della dipartita di
Kaithlyn, non
le conviene né da un punto di vista politico né
pratico. – concluse.
L’espressione
di Sean, in
quel momento, era sconcertata. – Che gliene importa a Jeanine
di Kaithlyn?
Voglio dire… le due pazze si conoscono? -.
A
quelle parole gli venne
quasi da ridere, anche se non c’era niente di divertente in
tutta quella
situazione. Jeanine non aveva fatto altro, negli ultimi giorni, che
lanciargli
strane frecciatine su Kaithlyn, e non essere ancora venuto a capo di
ciò che
intendesse, lo faceva diventare pazzo.
Perché
stuzzicarlo in quel
modo? Doveva esserci dietro qualcosa, o sarebbe stato un comportamento
assolutamente illogico e privo di fondamento.
Gli
sembrava in impazzire
ogni volta che ci pensava, che provava a comprendere cosa ci fosse
dietro.
Forse avrebbe dovuto fare uno sforzo e domandare a William se sapeva
qualcosa
in più di lui. Sapeva che anche lui era convolto in quella
storia. Lo sentiva
dentro la pelle, ed era una sensazione talmente tangibile e reale che
gli
sembrò quasi di vederlo, nel Quartier Generale, mentre
dialogava con Jeanine
esattamente come aveva fatto innumerevoli volte lui stesso.
Ghignò,
girandosi lentamente
verso l’altro. – Prima che si trasferisse qui
Kaithlyn era la favorita per la
carica di Capofazione degli Eruditi. Avrebbe sostituito Jeanine, un
giorno. –
Sean
spalancò la bocca e lo
fisso incredulo. – In che senso? Jeanine è
giovane, come avrebbe fatto a… -
iniziò, evidentemente confuso.
Non
aveva torto: negli
Intrepidi i Capofazione veniva deposti solo per tradimento o a causa di
impedimenti fisici che non gli permettessero di svolgere la loro
funzione, ed
in entrambi i casi venivano messi a morte o erano loro stessi a
chiederla.
Era
difficile, quasi
impossibile che un Capofazione intrepido rinunciasse prima del tempo al
suo
ruolo.
-
Negli Eruditi non è
necessario che un Capofazione muoia, o si dimetta, affinché
sia sostituito. È
sufficiente che sia presente all’interno della fazione un
candidato più idoneo
al compito, e il “mandato” decade quasi
automaticamente. Ovviamente ci sono
diverti test da superare, e non è molto saggio
tentare di occupare il posto di un Capofazione Erudito, ma
può succedere. L’unico
fattore importante, per gli Eruditi è il Q.I. e la
conoscenza del candidato,
altri fattori come ad esempio la popolarità o
l’influenza che esercita sugli
altri non sono neanche presi in considerazione. Kaithlyn ha ottenuto il
massimo
dei punteggi in ogni test psicoattitudinale dell’ultimo anno
dei livelli superiori
e questo l’ha resa per gli Eruditi un potenziale candidato.
È per questo che si
alzò tutto quel polverone quattro anni fa… solo
un pazzo rifiuterebbe
un’opportunità del genere e i suoi risultati erano
talmente alti che nessuno
avrebbe potuto pensare che in realtà fosse
un’Intrepida. –
-
Be’, magari non è
risultata Intrepida. – commentò Sean, come se
fosse la cosa più ovvia del
mondo.
Ebbe
un attimo di
smarrimento: Kaithlyn? La stessa Intrepida dal carattere indomabile e
ingestibile?
La stessa ragazza tanto talentuosa nel tiro al bersaglio da entrare
nelle Forze
Speciali a soli sedici anni? Un’Erudita?
Gli
sembrava assurdo. Nessuno
risultato
“Erudito” avrebbe potuto
essere tanto perfetto per la carica che ricopriva Kaithlyn. O sembrare
così ben
collocato all’interno della fazione. Le armi, la palestra, il
caos del Pozzo… sembravano
perfette per lei così forte e indomabile.
Cercò
d’immaginarsi Kaithlyn
come Erudita, magari con paio di occhiali sul naso, senza il piercing
sotto il
labbro, sulla lingua e sull’ombelico, priva di orecchini vari
e tatuaggi,
vestita con una camicetta bianca e una gonna blu lunga fino al
ginocchio con
tanto di giacchetta
abbinata.
Era
abbastanza intelligente?
Assolutamente sì, era molto più che intelligente,
lo sapeva bene e non aveva
dubbi sul fatto che se fosse rimasta tra gli Eruditi sarebbe arrivata
in alto.
Ma
se fosse davvero
risultata Erudita, perché rifiutare un futuro tanto
brillante e ricco di
soddisfazioni per gli Intrepidi? Per qualcosa d’incerto?
Lasciare
una situazione
familiare agiata e tranquilla, e un futuro brillante per lanciarsi dai
treni in
corsa, vivere da sola e doversi mantenere, non era un comportamento
logico. Non
era un comportamento da Erudito, un Erudito avrebbe fatto i salti di
gioia e
non si sarebbe spostato neanche morto da dove si trovava al posto di
Kaithlyn.
No,
era impossibile.
Potrebbe
essere entrambe le cose.
No.
Impossibile. Cercò di ignorare
la vocina malefica nella sua testa che cercava di insinuare il dubbio.
Se
Kaithlyn, la stessa Kaithlyn
con cui aveva condiviso il letto per tutto quel tempo, avesse avuto dei
comportamenti ambigui lui se ne sarebbe accorto. Sapeva riconoscere un
divergente,
e dopo mesi in sua compagnia…
Sei
cieco…
Si
prese la testa tra le
mani, mentre gli sembrava che tutto iniziasse a ruotare vorticosamente
nella
sua mente, trascinandolo nel baratro dell’angoscia e della
disperazione.
Non
poteva essere… non
poteva.
Erano
passate le undici da una
decina di minuti quando udì bussare energicamente alla porta
dell’ingresso.
Intuendo
chi ci fosse
dall’altra parte fece con calma: si alzò
lentamente e si diresse scalza verso la
porta, prendendosi tutto il tempo del mondo. – Chi
è? – chiese educatamente, schiarendosi
la voce e appoggiando un palmo alla superficie liscia della porta.
-
Io. – disse una voce cupa
dall’altro lato.
Il
primo impulso fu di
chiedere “io chi”, ma si trattenne: la situazione
era già abbastanza tesa senza
che incrementasse la dose.
Aprì
lentamente la porta,
ritrovandosi davanti Eric. Aveva le braccia rigide lungo i fianchi e
alcuni
ciuffi di capelli scuri gli coprivano il viso. Sembrava sudato, quasi
febbricitante. Fuori di sé come e più di prima.
Inarcò
un sopracciglio e si
mise una mano su un fianco. – Sì? Che vuoi?
– domandò.
Lui
alzò gli occhi su di
lei, e lo vide indugiare sul lato del viso su cui l’aveva
colpita, ma non disse
una parola. Si limitò a scansarla e a entrare di prepotenza.
-
Prego, accomodati… fai
pure come se fossi a casa tua! – sbottò
riacquistando l’equilibrio e seguendo
il tragitto di Eric con gli occhi fino alla stanza da letto. Lo
seguì,
appoggiandosi allo stipite della porta per vedere cosa aveva in mente.
-
Non preoccuparti. Prendo
la mia roba e me ne vado subito. – le disse senza voltarsi a
guardarla. Aveva
la voce vibrante come una corda tesa, come se stesse cercando di non
urlare.
Fece
una smorfia. –Bravo. È
l’idea migliore che ti sia venuta nell’ultima
settimana. –
Eric
la fisso con
un’espressione terrificante per interminabili istanti. I
capelli neri gli ricadevano
sugli occhi, dandogli l’aria fredda e letale di serpente che
punta la sua
vittima.
Gli
scossò uno sguardo di
sfida, avendo però il buon senso di rimanere zitta dopo
quella che, doveva
riconoscerlo, era stata l’ennesima uscita infelice.
Be’,
lui le aveva dato della
troia, dell’incapace e l’aveva pure sbatacchiata
contro il muro. Quello era il
minimo che potesse aspettarsi.
Il
silenzio regnò per alcuni
minuti durante i quali gli unici rumori che si udirono furono Eric che
infilava
la sua roba nel borsone e la lavatrice che continuava il suo lavaggio.
-
Se non trovi quella
stupida maglietta che ti piace tanto, sappi che è in
lavatrice. – lo avvisò,
dopo alcuni minuti vedendo che aveva smesso di armeggiare con i
cassetti.
Eric
si voltò e la guardò
contrariato. – Perché? – chiese
scandendo ogni sillaba come se lei avesse
voluto fargli un dispetto.
Be’,
in effetti…
-
Perché puzzava e faceva
schifo. –
-
Perfetto, allora tornerò
domani a prenderla. Piuttosto che passare un’altra ora qui,
mi faccio una
nuotata nel fiume sotterraneo. – disse, mentre finiva di
sistemare la sua roba
e sollevava il borsone uscendo dalla stanza.
Lo
seguì stizzita fino
all’ingresso, aspettando che avesse una mano sul gancio della
serratura. – Non
credo proprio, Turner. Se esci da quella porta, non voglio
più vedere nemmeno
la tua ombra da queste parti. Il massimo che posso fare per te
è darti un
sacchettino di plastica per infilarci la roba bagnata. –
Eric
lasciò cadere
pesantemente il borsone a terra. – Fantastico. Davvero
grandioso. –
Fece
marcia indietro,
avvicinandosi a lei quanto bastava a guardarla in faccia. –
Dimmi una cosa... –
iniziò, la voce vibrante di rabbia. – Ti serve
forse un po’ di spazio per farti
i tuoi comodi con qualcuno? – le chiese, a pochi centimetri
dal suo viso.
Inarcò
le sopracciglia, fintamente
perplessa. – Non so a cosa ti riferisci, Eric. Se magari ti
sforzassi di
parlare chiaramente anziché... -.
Senza
darle preavviso, Eric
la spinse contro il muro vicino alla porta e sbatté la mano
a pochi centimetri
dal suo viso. – A Miller! Ti sei divertita stasera con lui,
eh? Non vedi l’ora
che mi tolga dai piedi per... – le urlò, mentre
sembrava che il sangue gli stesse
salendo nuovamente alla testa.
Kaithlyn
lo spinse
all’indietro, stringendo i pugni per non prenderlo a
schiaffi.
Di
nuovo.
Si
massaggiò gli occhi con
una mano, cercando di mantenere la calma mentre sentiva la scintilla
della
rabbia e dell’irritazione riaccendersi pericolosamente. Era
stanca di tutte
quelle insinuazioni che la accompagnavano ovunque andasse da anni.
-
Intanto vedi di darti una
calmata, Turner. Io non sono uno dei tuoi patetici e ridicoli iniziati
a cui
puoi parlare come ti pare e piace, o puoi rendere partecipe delle
stronzate che
ti passano per la testa. – scandì con una strana
calma nella voce, che però non
sentiva dentro di sé.
Le
sembrava quasi di
tremare, e che il tremore si diffondesse dallo stomaco al resto del
corpo, fino
al cervello impendendole di ragionare con lucidità.
Forse
ancora doveva
metabolizzare quello che era successo, o magari era solo una scusa per
prendere
tempo e riflettere sul da farsi: non poteva lasciar correre. Non quella
volta.
Non dove essere stata sbattuta al muro, quasi picchiata e insultata.
Non era da
lei, non era così che funzionava.
Nonostante
ciò, Eric Turner
era ancora lì davanti a lei, a guardarla con gli occhi
intrisi di rabbia e
rancore.
Sembrava,
a guardarlo, che
la gelosia e la rabbia lo stessero consumando eppure c’era
qualcos’altro in
fondo alle iridi d’acciaio. Come se stesse tramando e i suoi
pensieri fossero
in parte lontani, altrove.
Lo
guardò attentamente,
mentre la sua mente iniziava a lavorare e formulare ipotesi esattamente
come le
era stato insegnato a fare per risolvere i problemi e capire
ciò che le stava
intorno.
Lo
vide lanciare un’occhiata
furtiva verso la cucina, che lei aveva alle spalle.
Il
giaccone. Aveva
appoggiato il giubbotto nero di Eric sulla sedia, ed era in quella
direzione
che lui aveva puntato lo sguardo.
Quella
fu la goccia che fece
traboccare il vaso; presa da una furia irrazionale e priva di
fondamento,
perché era consapevole di starsi basando su
un’idea infondata, si diresse
speditamente verso il tavolo della cucina, scansando con una dolorosa
spallata
il ragazzo e raggiungendo il suo obiettivo in pochi attimi.
Fece
scattare rapidamente lo
sguardo dal giubbotto nero al Cercapersone, indecisa su cosa fare.
Lo
schermo del dispositivo s’illuminò
improvvisamente e vibrò, rivelando sul display il nome di
Max; decise di
assecondare la rabbia che sembrava essersi impadronita di lei e che in
quel
momento sembrava averle quasi anestetizzato la spalla dolorante.
Afferrò
bruscamente il Cercapersone e lo scagliò contro Eric, che
nonostante l’avesse
seguita silenziosamente si teneva a diverse decine di centimetri di
distanza.
-
Ecco cosa sei venuto a
fare! – urlò guardando furente mentre lui
afferrava al volo il dispositivo
illuminato prima che cadesse a terra. Il display continuava a vibrare
disperatamente,
e poteva anche essere qualcosa d’importante, ma non le
importava.
-
Se venuto fin qui per questo, vero?
Con chi devi chiacchierare?
Con una di quelle sgualdrinelle da quattro soldi che ti sbavano dietro
solo
perché sei un Capofazione!? O perché la serata
non è stata abbastanza
soddisfacente e speravi di ottenere altro?
– gridò, ancora. Ormai si sentiva incapace di
frenare la lingua e l’unica cosa
che desiderava era ferirlo e umiliarlo, come lui aveva fatto con
lei… non importava
che in quella stanza ci fossero solo loro due e non importava neanche
che potesse
aver travisato completamente i suoi gesti.
Voleva
provocarlo,
costringerlo a cedere… come stava facendo lei a causa della
stanchezza.
Afferrò
malamente il
giaccone e lo guardò con aria critica, prima di iniziare a
scuoterlo facendo
cadere a terra il portafoglio, il budge per accedere a tutti i locali
della
Residenza, il distintivo di riconoscimento da Capofazione e un mazzo di
chiavi.
Lanciò
la giacca nera sul
tavolo della cucina con un gesto di stizza e raccattò il
portafoglio.
Con
calma studiata lo aprì e
iniziò a estrarne il contenuto, prima di lanciarlo addosso a
Eric con rabbia.
Poi
fu il turno delle
chiavi, che afferrò quasi senza guardare prima di tirarle in
faccia al ragazzo,
che non sembrava reagire. – Ecco! C’è
altro che ti serve qua dentro? – chiese
facendo un gesto con le mani riferito a se stessa e senza attendere una
risposta strinse le dita intorno al tessuto del giubbotto e lo
tirò un paio di
volte addosso a Eric, costringendolo a fare un paio di passi indietro
per non
ricevere un bottone o la cerniera in un occhio.
Fu
quasi contenta di vedere
un vago barlume di scintilla combattiva infondo alle iridi grigie e
fredde. Lo
sentì quasi ringhiare, prima che avanzasse verso di lei
tanto da arrivare a
pochi centimetri dal suo viso.
Era
furiosa. Furiosa e confusa,
e non sapeva dove battere la testa; in genere, quando aveva un problema
o le
capitava qualcosa cercava sempre la soluzione migliore per risolvere o
aggirare
l’ostacolo che si trovava davanti, che fosse fisico o
mentale, cercando di non
risentirne e ottenere il massimo. Così le avevano insegnato
negli Eruditi e
così continuava a fare anche dopo quattro anni dal giorno
della sua Scelta.
Funzionava, ed era un metodo che le era tornato utile in tutto: nei
combattimenti, nei test teorici e nel valutare chi gli stava intorno.
Quella
situazione faceva
eccezione però: non capiva, non riusciva a comprendere, a
trovare una
spiegazione logica a quello che era accaduto poco prima. Aveva
ipotizzato che
si fosse trattata semplicemente di un attacco di rabbia, ma era strano:
negli
ultimi cinque mesi non l’aveva mai visto perdere il
controllo, anche se aveva
avuto dei momenti in cui non sembrava perfettamente in sé,
come qualche giorno
prima quando aveva accennato all’onnipresenza di
rappresentanza Erudita nella
Residenza, ma non era mai successo niente di serio. Niente che la
potesse
spaventare o toccare, e lui era sempre stato fin troppo protettivo nei
suoi
confronti.
Per
quanto si sforzasse e
stesse cercando di spremersi non riusciva a capite e la cosa la stava
facendo
diventare pazza: odiava perdere il controllo della situazione e non
sapere come
gestire ogni eventualità la rendeva nervosa e paranoica
all’inverosimile. Non
era mai stata il tipo che si fida del prossimo a priori e in quel
momento,
quella fiducia che era riuscita a concedere faticosamente ad Eric in
quei pochi
mesi di frequentazione vacillava pericolosamente.
Eric
strinse le labbra. –
Hai finito? – mormorò, abbassando la mano che
reggeva la giacca che era riuscita
a toglierle dopo il secondo colpo. La voce era tornata bassa e letale,
come se
la rabbia di pochi attimi prima fosse stata risucchiata improvvisamente.
Era
incredibile come
riuscisse a passare dall’ira più feroce e nera
alla calma più assoluta e
calcolata.
Eppure
sembrava ancora
febbricitante, gli occhi appannati da chissà cosa.
-
No! Non ho finito per
niente! – strillò, stringendo i pugni e
allontanandosi da lui con un moto di
stizza. – Che diavolo ti è preso, si
può sapere eh? – gli ringhiò,
voltandosi
verso di lui infuriata.
-
Guarda che hai iniziato
te, stamattina. Se avessi tenuto quella boccuccia che ti piace tanto
usare
chiusa, non sarebbe successo niente. – commentò,
la voce bassa e cupa, quasi
ringhiosa.
Kaithlyn
spalancò la bocca e
si sentì infiammare fin dentro le viscere, era una rabbia
che partiva dallo
stomaco e si diffondeva rapidamente in tutto il resto del corpo fino ad
annebbiarle la mente.
-
Ora, se hai finito di fare
la gallina isterica, rivorrei anche il resto della mia roba.
– proseguì, con
calma calcolata.
A
quel punto non ci vide
più. Tornò verso di lui, arrivandogli a pochi
centimetri dal viso, prima di
spintonarlo contro fino alla parete vicino alla porta.
-
Non ti permettere. –
sibilò mentre gli tirava un’ultima spinta.
-
Stammi a sentire, se pensi
io possa tollerare di sentirmi dare della puttana da uno stronzetto
paranoico
pieno di complessi, al
quale ho
insegnato ad allacciarsi gli scarponi da addestramento e che solo per
il fatto
di essere diventato Capofazione credo di potersi permettere
tutto… -
Eric
sorrise un po’, nonostante
gli occhi gli si fossero rabbuiati. – Certo. Dato che sei la
mia istruttrice,
devo stenderti il tappeto rosso. Quasi l’avevo dimenticato.
– le sibilò e
sembrò quasi che parlasse più a se stesso che a
lei.
Kaithlyn
lo guardò, gli
occhi azzurri ardenti di rabbia e delusione.
Lo
spintonò ancora contro il
muro, facendogli sbattere la schiena. – Se volevi una brava
ragazzina moccicosa
che ti pulisse il naso e dicesse quello che vuoi sentire tu solo per
alleviare
la tua sensazione di essere un fallito, ha scelto la persona sbagliata!
–
gridò, ma Eric non la guardò nemmeno.
Gli
prese il mento con gesto
di rabbia e gli girò bruscamente il viso. – E
guardami in faccia quando ti
parlo! – strillò, ancora.
-
Non toccarmi – ringhiò lui
allontanando la sua mano con un gesto secco. – Non provare a
toccarmi. –
Kaithlyn
gli scoppiò a
ridere in faccia. – Povero piccino… sono troppo
cattiva per te? – lo derise, sporgendo
il labbro inferiore.
L’espressione
di derisione
che aveva dipinta sul viso si tramutò in una smorfia di
dolore quanto Eric la
afferrò la testa con entrambe le mani e ribaltò
le posizioni attaccandola al
muro e schiacciandola con il suo corpo. Sentiva le sue mani tremare,
come se si
stesse trattenendo dallo stringergliele intorno al collo.
La
costrinse ad alzare il
viso verso di lui, e l’occhiata che le riservò
ebbe il potere di farla tremare
d’inquietudine.
Sembrava
un pazzo. – Chiudi
la bocca, o lo farò io per te. – le
sibilò, come un serpente velenoso.
Fu
costretta a inarcarsi
leggermente verso di lui e allungarsi sulla punta dei piedi per
mantenere
l’equilibrio. Eric le stringeva con forza il viso e lo zigomo
le pulsava
dolorosamente, così come la spalla. – Non giocare
a chi è più cattivo con me,
Eric. So che ci sei abituato, ma perderesti miseramente ed io non
voglio sorbirmi
le tue lagne patetiche. – riuscì ad articolare.
Eric
sibilò tra i denti e le
arrivò tanto vicino che per un attimo temette che volesse
darle una testata in
mezzo agli occhi. – E c’è qualcuno che
ancora si domanda come tu, sia
arrivata dove sei…- mormorò
passandole senza delicatezza il pollice sul labbro inferiore e
squadrandola
crudelmente, con un’occhiata che lasciava intendere il
significato di
quell’affermazione.
Spalancò
gli occhi. Tra
tutto quello che si era sentita dire dietro, quella era la cosa che la
mandava
decisamente più in bestia.
Provò
a divincolarsi. –
Fottiti – gli sibilò in un lamento, provando a
strattonarsi inutilmente, dalla
sua presa.
Eric
la fisso per un lungo
secondo; gli occhi vuoti e freddi come il ghiaccio. –
Va’ all’inferno. –
La
lasciò bruscamente
andare, facendole strusciare la schiena contro la parete, e se ne
andò
sbattendo la porta prima che lei avesse il tempo di rispondergli.
Il
colpo alla schiena le
fece quasi venire le lacrime agli occhi: era stanca, le scoppiava la
testa e
schiena e viso le pulsavano dolorosamente.
Se
avesse avuto abbastanza
energie l’avrebbe rincordo per prenderlo a pugni, ma non era
la serata adatta.
Sentiva
l’inquietudine dei
suoi stessi pensieri avvelenarlo fin dentro le ossa. Era stato solo un
pensiero
quello di neanche due ore prima, che gli era passato nella mentre come
un
sottile, tenue filo di luce, ma aveva avuto la stesse potenza
devastante di un
veleno, che distrugge tutti i tessuti che incontra, corrodendoli. Aveva
alimentato da solo i suoi incubi, e fino a quando non fosse riuscito a
chiarirsi le idee, non avrebbe avuto pace.
Stava
impazzendo: se non si
fosse tolto quel dubbio atroce e logorante sarebbe diventato pazzo, ne
era
certo.
Le
parole di Sean sembravano
rimbombargli ancora nelle orecchie, e doveva assolutamente chiarirsi le
idee.
Avrebbe hackerato l’intero sistema di Chicago se fosse stato
necessario…
avrebbe fatto qualsiasi cosa.
Ci
mise qualche secondo per
riordinarsi le idee una volta uscito dall’appartamento di
Kaithlyn. Doveva
assolutamente accedere all’archivio dati delle simulazioni
degli anni
precedenti e togliersi quel pensiero assurdo, che sembrava divorarlo
dall’interno.
Non
lei. Chiunque, ma non Kaithlyn.
Era
fuori di sé dalla
rabbia, amareggiato e deluso, ma sapeva di essersi spinto troppo oltre
con lei.
Non avrebbe dovuto lasciarsi sopraffare dall’ira che aveva
preso a scorrergli
come lava incandescente al posto del sangue e umiliarla in quel modo,
ma in
quel momento l’unica cosa che voleva era ripagarla con la
stessa moneta.
Sapeva
di essere riuscito a
creare una crepa nell’orgoglio di Kaithlyn, e se ne
compiaceva. Allo stesso
tempo avrebbe voluto riavvolgere le ultime ore e tornare alla sera
prima quando
l’aveva trovata ad aspettarlo nella vasca da bagno.
Considerando
chi era stato a
insinuargli il dubbio, si diresse quasi correndo verso
l’appartamento di Sean,
al piano inferiore.
Scese
le scale due gradini
alla volta, e si appoggiò al muro per svoltare
più in fretta possibile e
raggiungere il suo obiettivo: sembrava che le sua gambe avessero vita
propria,
che si muovessero indipendentemente dalle sue idee confuse e deliranti
e
sapessero perfettamente dove andare.
Aveva
la gola secca,
talmente arida che gli sembrava quasi cha l’aria che entrava
e usciva dai suoi
polmoni gli stesse graffiando tutte le vie respiratorie. Era fradicio
di
sudore, e l’aria fredda del corridoio che gli passo sulla
pelle bagnata lo vece
rabbrividire nonostante la corsa.
I
corridoi erano bui e
deserti fortunatamente, e non impiegò che pochi secondi per
raggiungere il
portone dell’appartamento con il campanello al nome
“Byrd”.
Batté
con forza un pugno
sulla porta di legno massiccio. Una, due, tre volte.
-
Sean! Dannazione apri!
APRI! – gridò, battendo un ultimo colpo
più forte.
Quella
che gli uscì non
sembrava neanche la sua voce.
Il
silenzio che aveva
intorno sembrava riempire ogni angolo del corridoio, rendendolo ancora
più
opprimente. Gli fischiava nelle orecchie per il silenzio. Avrebbe
preferito che
ci fosse più rumore; magari un movimento, qualcuno di
passaggio… qualsiasi cosa
che lo distraesse dai suoi incubi.
Si
guardò rapidamente
intorno e strinse i pugni, mentre qualcosa di caldo, di cui non si era
reso
conto fino a quel momento, gli scorreva tra le dita.
Sangue.
Forse
era stato a causa
dell’adrenalina ma non si era reso conto, fino a quel
momento, di avere un
unico taglio all’attaccatura delle dita, abbastanza profondo
da fargli tremare
le mani e scorrere il sangue fino a sporcare il pavimento.
Si
contemplò per un secondo
i palmi, maledicendosi per non essere riuscito a controllarsi. Aveva il
dorso
di entrambe le mani incrostato di sangue, fuoriuscito dalla croste che
si era
già procurato e che si erano inevitabilmente riaperte quando
aveva stretto le
mani intorno alla ringhiera che dava sullo strapiombo e aveva preso a
pugni il
muro.
Ora
che l’effetto quasi
anestetizzante dell’adrenalina, che gli aveva permesso di
ignorare il dolore,
stava scemando gli facevano anche dannatamente male. Si maledisse
mentalmente e
si costrinse ad abbassare le mani e ignorare il dolore.
Scosse
la testa. Se ne
sarebbe occupato più tardi, in quel momento aveva cose
più urgenti da fare.
Alzò
nuovamente il braccio,
pronto a colpire ancora la porta e anche a sfondarla, se necessario,
con un
paio di spallate. Aveva già tirato leggermente indietro la
mano per colpire
nuovamente la porta, quando questa si aprì.
Sulla
soglia apparve Sean, a
torno nudo e con la faccia di uno che è stato appena
svegliato da un sonno piuttosto
pesante. Alle sue spalle c’era Mia con quella che doveva
essere la maglietta di
Sean addosso e l’aria altrettanto sconvolta e assonnata.
-
Devi venire con me.
Adesso. – sibilò, con la solita espressione
imperscrutabile che lo
contraddistingueva.
Doveva
avere un aspetto
terrificante, perché entrambi lo guardarono come se avessero
visto un fantasma.
Sean
si riscosse, scrollando
la testa. – Sì… - mormorò,
cercando di nascondere uno sbadiglio. – Mi vesto e
arrivo… - brontolò, tornando dentro strusciando
le ciabatte sul pavimento.
-
Veloce! È urgente!
– ringhiò.
Era
nervoso, non voleva
aspettare. Non poteva, doveva sapere.
-
Ciao Eric… - biascicò Mia,
ancora sulla porta. – Vuoi entrare? -.
-
No, grazie. Digli di
muoversi. –
-
Ti senti bene? – gli chiese,
inclinando la testa da un lato e guardandolo attentamente.
-
Sì. Digli di muoversi!
– ringhiò ancora.
Lei
gli lanciò un’occhiata
poco convinta, si passò una mano tra i capelli castani, e
rientrò.
La
sentì borbottare qualcosa
a Sean, e che pochi attimi dopo riapparve sulla soglia.
-
Era l’ora! Muoviti,
dobbiamo prima passare da me! – gli sibilò,
afferrandolo per un braccio e
iniziando a trascinarlo verso il suo appartamento.
Sean
si passò una mano tra i
capelli. – A fare cosa? Dove stiamo correndo? Si tratta
di… - domandò,
improvvisamente serio lasciando la domanda in sospeso.
-
No… qualcosa del genere,
vieni con me e non fare domande. – rispose evasivo,
accelerando il passo.
Fecero
le scale correndo, e
quando arrivarono davanti alla porta, erano entrambi quasi senza fiato.
Eric
infilò le chiavi nella
serratura e aprì rapidamente la porta. Lanciò il
giubbotto sul divano con poca
delicatezza e senza neanche accendere la luce si precipitò
in camera sua.
Il
letto a una piazza e
mezzo era ancora disfatto dalla mattina, le lenzuola aggrovigliate
proprio come
l’ultima volta che si era rotolato tra le lenzuola con
Kaithlyn. Sentì lo
stomaco stringersi in una morsa dolora a quel ricordo.
Sembrava
impossibile che in
così poche ore, da quando lei si era fatta trovare nella
vasca da bagno nuda e
invitante come la più seducente delle tentazioni, solo per
lui, fossero arrivati
a quello.
Aveva
ancora le chiavi di
casa sua però, costatò guardando il suo mazzo di
chiavi.
Bene,
gli sarebbero state
utili più tardi dato che lei non gli avrebbe mai aperto.
Si
guardò intorno, cercando
di fare mente locale. Andò alla scrivania, situata accanto
alla porta e aprì il
cassetto, infilandoci una mano per cercare quello che gli serviva.
Forse
nel comodino?
Montò
sul letto e lo
scavalcò per fare prima, aprì il cassetto,
cercò quella stramaledetta chiavetta
ma nulla.
-
Che stai cercando come uno
psicopatico schizzato, se posso chiedere? –
domandò Sean alle sue spalle,
appoggiandosi alla parete accanto alla porta.
-
Una chiavetta. – rispose
laconico, passandosi una mano sulla testa pensando a dove poteva averla
cacciata. – Blu, c’è
un’etichetta bianca con scritto il mio nome sopra.
–
-
Quella che usi per i file
con gli Eruditi? – indagò l’altro.
-
Non esattamente. –
-
Attaccata al computer? –
-
No. –
-
Mmh… nella borsa per il
computer? –
-
No! – ribatté, pensieroso.
– Aspetta… -
Forse
aveva un’idea di dove
poteva essere: si era ripromesso di utilizzarla solo in caso di
emergenza, ed
ogni volta che aveva dovuto apportare delle modifiche al suo contenuto
l’aveva
sempre rimessa al suo posto, deciso due anni prima.
S’inginocchiò
sul pavimento
e guardò sotto il letto, intravedendo la sagoma della sacca
che aveva usato
durante la sua iniziazione. S’infilò con la testa
e metà del torace sotto il
bordo del letto e strisciò fino a raggiungerla.
Afferrò
la stoffa ruvida
della borsa, sollevando un sottile strato di polvere e si
ritrascinò fuori.
La
appoggiò sul bordo del
letto e la aprì, iniziando a tirare fuori i vestiti che
aveva il Giorno della
Scelta. Doveva tenerla dove nessuno avrebbe guardato: chi poteva andare
a
cercare sotto il suo letto in una vecchia sacca da palestra in cui
erano
contenuti i vestiti del suo Giorno della Scelta e poco altro?
Trovò
quello che cercava nel
taschino interno della giacca blu. – Prendimi il computer,
accendilo e
mettimelo sul tavolo di là, okay? –
mormorò, rigirandosi la chiavetta tra le
mani. – Stiamo per fare una cosa pericolosa. –
-
Tu stai per fare una cosa
pericolosa, amico. –
precisò Sean,
afferrando dalla scrivania il pc e dirigendosi nell’altra
stanza.
Una
delle cose positive di
Sean, era che non faceva troppe domande.
Per
quanto riguardava lui doveva
essere veloce e invisibile se voleva ottenere le informazioni che
cercava:
poteva farcela, e sperava davvero che l’archivio dati non
fosse nel sistema
interno degli Eruditi, o avrebbe avuto bisogno di molto più
che i nervi saldi.
Sean
lo aspettava seduto sul
divano, lo schermo del computer acceso sulla schermata che chiedeva la
password
dell’account.
Prima
di raggiungerlo si
diresse verso la porta e chiuse dall’interno, in modo da
essere sicuro non
poter essere disturbato. Se fosse venuto qualcuno a cercarlo, avrebbe
fatto in
tempo a chiudere tutto, levare il computer e fare finta di nulla. prese
anche
due bicchieri dalla credenza e lì riempì con un
po’ di liquore, in modo che
fosse tutto più convincente.
Poggiò
il bicchiere davanti
a Sean. – Non berlo. Serve se arriva qualcuno. – lo
avvisò, dato che lui aveva
già allungato la mano per bere.
Sean
annuì, posando il
bicchiere davanti a lui e sistemandosi nervosamente sul posto.
Si
scrocchiò le dita mentre
si sedeva facendo un bel respiro.
-
È una cosa legale,
almeno? – domandò l’altro,
mentre lui accedeva al suo account.
Gli
lanciò un’occhiata
rapida. – No. Se ci beccano l’ipotesi migliore,
è che mi licenzino in tronco. –
-
Ah. Hai voglia di un po’
di adrenalina, eh? – lo provocò, strusciandosi le
mani sui pantaloni. Era
evidente che fosse nervoso anche lui e non lo biasimava per questo.
Scosse
la testa, ignorando
il tentativo di alleggerire la tensione.
Aspettò
che l’hardware fosse
installato correttamente, prima di cliccarci sopra.
Andò
sulla cartella “EW”, e
inserì la password. Erano in due a saperla in tutta
Chicago… ed entrambi erano
stati abbastanza bravi da rendere quasi impossibile indovinarla o
risalirci in
alcun modo.
Si
aprì una lista di file,
che scorse con lentezza, attento a non saltare quello che gli serviva.
Quando
lo trovò, sotto un nome fittizio, ci cliccò sopra
un paio di volte lanciando
finalmente il programma.
Gli
apparirono due schermate
piene di codici all’apparenza incomprensibili e una piccola
finestra di dialogo
blu in alto a destra su cui lampeggiava un lineetta bianca.
-
Okay. – mormorò in un
respiro.
-
Io devo fare qualcosa? –
chiese Sean, sporgendosi verso di lui. – posso guardare?
– aggiunse.
-
Sì. Ma non ci capirai
niente. – lo avvertì laconico, cercando
l’accesso al computer di Max.
Quando
lo individuò, con sua
grande sorpresa, lo trovò acceso e attivo. La freccetta
bianca si muoveva sulle
cartelle, e sembrava stesse cercando qualcosa.
Max
non era esattamente un
mago in quel genere di cose, ma aveva messo una password a ogni
cartella.
Quella
per l’accesso al pc
era 084628.
Cercò
il canale delle
videocamere, fino a trovare quella dell’ufficio di Max
scoprendo che era vuoto.
Quindi
qualcun’altro stava
provando ad accedere. Nessuno dei Capofazione, lui incluso, ne aveva
motivo
dato che avevano gli stessi identici file con l’inventario e
i piani di
attacco.
Per
sicurezza bloccò il
secondo utente, escludendolo dal computer e si appuntò di
dire a Max di
modificare la password al più presto.
Ricercò
nella memoria
interna i file degli anni precedenti, ritrovando solo quelli di tre
anni prima,
che erano i più vecchi.
-
Maledizione… - mormorò,
stringendo i pugni sulle ginocchia e allontanandosi un po’
dallo schermo.
-
Che succede? È andata
male? – indagò Sean, sbirciando sullo schermo.
-
Max ha i dati d’iniziazioni
solo fino alla classe di tre anni fa… - spiegò, -
okay, a mali estremi… -
Si
rimise al lavoro e per
sicurezza bloccò l’accesso al computer di Max fino
al giorno seguente.
Si
sarebbe dovuto
preoccupare di più dell’altro utente, ma in quel
momento aveva pensieri più
urgenti e cose più difficili da fare.
-
Allora cosa vuoi fare? –
sbadigliò Sean, senza curarsi di mettersi una mano davanti
alla bocca.
-
Entro nel sistema interno
del Quartier Generale degli Eruditi, nell’archivio, faccio
una copia di quel
che mi serve ed esco. – rispose meccanicamente, mentre una
goccia di sudore gli
scivolava lungo una tempia.
-
Non ci capisco granché.
Che succede se ti beccano in questo caso? –
Non
rispose, non volendo
pensare anche a quello che fino a quel momento era risultato nella sua
scala
delle priorità come l’ultimo dei suoi problemi.
Eppure non era da sottovalutare
per niente. Jeanine non sarebbe stata contenta, ma non doveva neanche
venirlo a
sapere.
Si
tirò indietro i capelli
con una mano e rilanciò il programma. Doveva trovare una
porta aperta ed
entrare nel sistema, ma non era così ovvio: il sistema degli
Eruditi era dotato
di sistemi di sicurezza notevoli, e trovare una porta da cui passare
per
accedere proprio all’archivio dati, non era
un’impresa da poco.
Sicuramente
gli avrebbe
fatto comodo una mano, dall’altra parte.
Cercò
tutte le vie possibili
fino a quando non ne trovò una. Era quasi per forzarla ed
entrare, quando nella
finestrella di dialogo in alto a destra, apparve un messaggio numerico
tutto in
grassetto.
Lì
per lì iniziò a sudare
freddo, prima di rendersi conto che non si trattava di un linguaggio
numerico
convenzionale o utilizzato.
-
Che vuol dire? –
s’intromise Sean, cercando un nesso logico.
Il
cuore iniziò a
martellargli velocemente nel petto.
-
“NAVIGAZIONE IN INCOGNITO,
IDIOTA.” – rispose, decifrando il codice che lui
stesso aveva contribuito a
inventare qualche anno prima.
-
Ah, tipo linguaggio in
codice! Come sai cosa c’è scritto? Non ho mai
visto una sequenza di numeri
simile, sembra piena di errori! – proseguì,
cercando di capire dove stesse il
nesso logico.
-
Non c’è una sequenza
logica… e non lo troverai nei libri. L’ho
inventato io. Un po’ come quei
giochetti che fanno le bambine di aggiungere una lettera davanti e dopo
le
vocali per avere il loro “linguaggio segreto”, hai
presente? Ecco, è la stessa
identica cosa, solo fatta con i numeri usati per la programmazione.
Hanno una
logica solo per chi conosce il trucco, che poi sarebbe una banalissima
chiave
di lettura. –
Sean
intrecciò le mani
davanti a sé, poggiando i gomiti sulle cosce. –
Forte! Come i gemelli, che si
capiscono anche senza… oh! Ah… ecco...
– mormorò, come colto da un’improvvisa
illuminazione.
Eric
tirò su un angolo della
bocca. – Sì beh… hai capito. A quanto
pare ho avuto fortuna! –
Strano..
Inserì
la navigazione in
incognito e digitò un altro codice come risposta.
-
Che cosa hai scritto,
adesso? –
-
Che ho seguito il
suggerimento e ho chiesto se c’è una porta aperta
per entrare nel sistema. –
rispose senza staccare gli occhi dal monitor. Gli faceva uno strano
effetto
parlare dopo tutto quel tempo proprio con lui.
Eppure
avrebbe dovuto essere
contento: non si sarebbe fidato di nessun altro per quello che stava
per fare,
e non avrebbe potuto sperare in un aiuto migliore.
Sean
annuì, affascinato.
-
Figo pero! – si
complimentò.
-
Lo sapremo tra poco… – ribatté
laconico. Gli tremavano le mani per il nervosismo. Da una parte non
voleva
sapere cosa ci fosse scritto in quei file, mentre dall’altra
non vedeva l’ora
di togliersi quel dubbio che lo stava letteralmente facendo impazzire.
*
-
Ho trovato
una porta. Fa’ in fretta, non posso stare qui tutta la notte
a farti da balia
virtuale.
-
Vado, copio
e sparisco. Rilassati, Einstein.
-
Fatto, hai
trenta secondi per entrare. Sbrigati.
*
Entrò
rapidamente dove gli
era stato indicato con una serie di tasti e finalmente fu
nell’archivio dati.
Si
sentì gelare il sangue:
c’erano migliaia di cartelle.
Riaprì
la conversazione.
*
-
Renditi
utile alla comunità: i file delle classi
d’iniziazione di quattro anni fa.
-
Cercatele,
sto già cancellando tutti i dati che hai disseminato per la
rete prima di
mettere la navigazione in incognito. Sapevo che le tue erano braccia
tolte
all’agricoltura!
*
Fece
una smorfia, mentre iniziava
a pensare a come potesse chiamarsi quella benedetta cartella: non aveva
tutta
la notte, e quella storia cominciava renderlo nervoso. Sentiva il
sudore colargli
sulla schiena e sulle tempie.
Improvvisamente
vide
qualcuno ricercare qualcosa nella barra in alto a destra e la cartella
cominciò
la ricerca.
Ci
vollero alcuni minuti
prima che apparisse quello che cercava.
Copiò
l’intera cartella e
prima di pensare a cos’altro potesse tornargli utile
uscì dal sistema come un
moto di sollievo.
*
-
Lo so, non
c’è bisogno di ringraziarmi!
-
...
-
Sei sempre
così eloquente!
-
Perché stavi
entrando nell’archivio?
-
Tengo
sott’occhi questa connessione tutte le sere.
Perché tu ti volevi
fare un giro nell’archivio dati invece?
-
Informazioni. Non mie.
-
Tieni per te
il resto.
-
Volentieri.
-
Sei solo?
-
No.
-
Dobbiamo
modificare la chiave?
-
No.
-
Perfetto. Vado
a rassettare tutto.
*
-
Imbecille…- borbottò, chiudendo
anche lui e cancellando ogni dato rimasto.
-
Conversazione interessante?
– indagò Sean, che ovviamente non aveva potuto
leggere niente non conoscendo la
chiave di lettura.
-
Non esattamente.
Sicuramente utile. – ribatté, copiando la cartella
sul suo desktop.
-
È quella? –
-
Sì. Vado? – chiese
mettendo il cursore sulla cartellina con il nome di Kaithlyn. Si
sentiva
stranamente nervoso, nonostante il pericolo immeditato fosse passato.
Forse
era per la
conversazione avuta poco prima, o perché stava per scoprire
qualcosa in più su
Kaithlyn… e rischi che ne derivavano.
Sean
deglutì e annuì,
fissando intensamente lo schermo. – Vai e non pensiamoci
più. -
Aprì
la schermata,
trovandosi davanti alla scheda dati di Kaithlyn.
-
Ahaha, guarda com’era la Maledetta
Stro... ehm… Kaithlyn a sedici anni! –
esordì Sean, ridacchiando e
correggendosi prima di chiamarla con l’appellativo poco
lusinghiero che le avevano
rifilato due anni prima quando era la loro istruttrice.
Non
aveva tutti i torti:
faceva uno strano effetto vederla così piccola. Aveva gli
occhi un po’ più grandi,
e l’espressione corrucciata sul viso più
rotondeggiante, da ragazzina, creava
uno strano contrasto con il viso da bambolina che si portava dietro
ancora dopo
quattro anni.
Sembrava
ancora più piccola
con le lentiggini sul naso e senza piercing sotto il labbro. O magari
era
semplicemente condizionato dal fatto di aver mai visto una sua foto
prima che
si trasferisse. Kaithlyn non era il tipo che amava farsi fotografare.
Sembrava
proprio una
bambina… però era carina anche allora. Se
avessero fatto l’iniziazione insieme,
probabilmente ci avrebbe provato. E avrebbe ucciso Jason Miller prima
che si
relazionasse con lei, poco ma sicuro.
Sembrava
determinata e
sicura di sé, una abituata a primeggiare, a vincere e a non
essere seconda a
nessuna; e quell’aria che aleggiava sul viso delle piccola
Kaithlyn faceva
quasi ridere considerando l’aria innocua che aveva.
Era
la sedicenne
dall’aspetto meno minaccioso che avesse mai visto. Bella
anche allora, certo,
ma senza quell’alone intrigante che doveva aver acquisto con
il tempo.
L’unica
cosa sempre uguale
era lo spirito battagliero che aveva negli occhi azzurri.
Proseguì
nella lettura.
Data
di nascita, 23 Giugno.
-
Ahah, non sapevo fosse
anche lei una delle più piccole del suo anno! –
commentò ancora Sean, leggendo
i dati dell’anagrafica.
-
In realtà doveva nascere
nella seconda metà di Agosto, sarebbe potuta entrare
direttamente l'anno
successivo. – ribatté, quasi in automatico.
-
Prematura? E tu come lo
sai? Te l’ha detto lei? –
-
No… mi sono informato. Un
po’ di tempo fa. –
-
Però: stalker, pirata
informatico e carattere molto irritabile. Non hanno tutti i torti a
trovarti un
tipo inquietante, sai? – gli disse, poggiando una caviglia
sul ginocchio e
incrociando le braccia dietro la testa.
Lasciò
stare quei dati
irrilevanti e scorse con il mouse fino al responso del test
attitudinale.
Quando
lo lesse, tirò un
primo sospiro di sollievo. Il responso di Kaithlyn era stato dato dal
computer,
nessuna sospetta trascrizione manuale. Era già qualcosa,
anche se al contrario
di quanto pensava Sean, il risultato assegnava a Kaithlyn gli Intrepidi.
-
Ah. Pensavo di averci
azzeccato… - brontolò Sean.
-
Chi se ne frega! Guarda,
è stato inserito dal computer… in genere
quando c’è qualcosa di strano e viene coperto da
uno degli addetti, il responso
viene i riportato manualmente. Questo è stato inserito dal
computer senza
modifiche. – gli spiegò, anche se si rendeva conto
di farlo più per se stesso
che per la necessità di spiegazioni di Sean.
-
Ed è sufficiente a
sciogliere i tuoi dubbi?
– gli chiese
l’altro seriamente.
Eric
deglutì. – No. Andiamo
avanti…. E accendi la stampante. – gli disse.
Sean,
capendo che voleva
guardare quello che veniva dopo da solo, si alzò e
andò nell’altra stanza ad accendere
la stampante che era sistemata su un lato della scrivania.
Per
prendere tempo si lesse
con calma il resoconto del primo modulo. Kaithlyn aveva perso il primo
e il
secondo incontro, ma aveva dei punteggi che rasentavano la fantascienza
nelle
esercitazioni con i coltelli e al poligono e avendo vinto tutti gli
incontri
successivi al secondo si era comunque classificata in prima posizione.
Aveva
vinto a Ruba bandiera, e per merito le erano stati assegnati punti
extra.
Inoltre, secondo quanto c’era scritto lì, era
stata anche in grado di seguire
l’addestramento per i tiratori in contemporanea
all’iniziazione, dopo cena e la
mattina all’alba guadagnando altri punti extra.
C’era
anche una foto, che lo
lasciò vagamente turbato, in cui della ragazza del Gorno
della Scelta non era
rimasto che poco o nulla.
Sembrava
stanca, esausta
come non l’aveva mai vista. Il viso cereo, le occhiaie scure
sotto gli occhi e
diversi lividi rendevano il suo viso quasi irriconoscibile. Si era
già fatta il
piercing sotto il labbro inferiore, al centro, creando un altro
elemento di
distacco con la ragazzina appena traferita di poche pagine prima.
Ed
era magra, magrissima. Il
viso scavato faceva quasi effetto e dalla foto si potevano intravedere
le
spalle più spigolose; non credeva che qualcuno di
costituzione tanto esile come
lei, già magra di suo, potesse perdere tanti chili.
Andò
avanti e iniziò a
leggere, mentre sentiva il suo cuore aumentare i rapidamente i battiti
per
l’agitazione.
Nella
prima simulazione del
secondo modulo aveva fatto un tempo abbastanza regolare: 7 minuti e 48
secondi.
Non
era male, ma non era
neanche niente di eccezionale. Niente di sospetto, per lo meno.
Il
secondo era più lungo di
qualche decina di secondi, forse aveva affrontato una paura
più ostica….
Continuò a leggere, fino a quando non decise che avrebbe
fatto meglio a cercare
il tempo più basso e togliersi il pensiero.
Il
tempo migliore era
registrato tra le ultime simulazioni, con un tempo di 4 minuti e 13.
Era
una tempistica breve, ma
non unica. In genere i divergenti arrivavano anche a due, tre minuti
senza
problemi. Chiunque poteva ottenere un miglioramento di quel genere, ne
era
sicuro.
Diede
l’ordine di stampa
prima di chiudere tutto con cura. Prima di cancellare i file diede un
ultimo
sguardo alle due foto di Kaithlyn a sedici anni, poi aspettò
che la stampante
terminasse il suo lavoro e spense il pc.
Si
diresse verso la sua
stanza, dove trovo Sean appoggiato alla parete accanto alla scrivania,
al buio,
che cercava di guardare da un’altra parte.
Appoggiò il computer sulla scrivania
con cura, prima di afferrare il foglio che aveva stampato e prendere un
evidenziatore per sottolineare eventuali dettagli che tornassero poco
con il
profilo della ragazza.
Se
non altro, in quel
momento, aveva il cuore più leggero e la discussione di poco
prima non sembrava
che uno stupido ricordo lontano anni luce.
Tirò
un sospiro di sollievo
non trovando niente di rilevante da annotare e si lasciò
cadere lungo disteso
sul letto.
-
Sei svenuto? –
La
voce di Sean sembrava
arrivare da un altro pianeta, tanto iniziava a essere su di giri. Si
rendeva
conto solo in quel momento di quanto l’avesse reso teso il
pensiero che
Kaithlyn potesse essere divergente; era vero che spesso ci si rende
conto di
quanto sia gravoso qualcosa solo quando ci viene tolto dalle spalle.
Avrebbe
potuto proseguire
con il piano con il cuore un po’ più leggero. Non
gli importava del resto della
fazione; per quel che lo riguardava, potevano anche morire tutti
nell’attacco,
ma non lei. Kaithlyn era l’unica che, nonostante
l’incompatibilità che avevano
caratterialmente, riuscisse a tenere insieme tutti i pezzi.
Senza
nessuna ragione
scoppiò a ridere, nascondendo il viso tra le mani.
Si
sentiva euforico, carico
di energia nonostante il dolore alle mani e il sapore del sangue in
bocca; non
si era reso conto di essersi morso in quel modo l’interno
della guancia, e
neanche gli importava. Non più almeno. Si alzò
con un colpo di reni e guardò
Sean, che lo fissava con le sopracciglia inarcate e una strana
espressione a
metà tra lo sconvolto e il comprensivo. Un po’
come se avesse davanti qualcuno
che aveva completamente perso la testa e dovesse assecondarlo.
-
Devo andare da Kaithlyn! –
annunciò, tirandosi in piedi.
-
Cristo Eric, non in quelle
condizioni. Le prenderebbe un colpo! – lo fermò,
afferrandolo per un braccio a trascinandolo
in bagno.
Si
fissò allo specchio per
qualche secondo: aveva i capelli attaccati alla faccia per la sudata
che si era
fatto, il viso pallidissimo, le occhiaie violacee e le labbra
completamente
screpolate.
Era
sporco si sangue in più
punti, compresi i capelli e la faccia su cui aveva passato la mani
ferite.
Le
mani facevano quasi
impressione: erano quasi completamente ricoperte di sangue, in parte
incrostato
sulle nocche e addirittura sui polsi.
Ora
che la paura gli era
passata si rendeva conto di quanto, effettivamente, gli provocasse
dolore
aprire e chiudere le dita e di quanto fossero innaturalmente rigide le
sua
mani.
Sean
non aveva tutti torti,
era in condizioni spaventose… ma quello non basto a lenire
il senso di
leggerezza che gli permetteva, finalmente, di respirare di nuovo.
Spalancò
la porta,
preparandosi a inveire contro Eric, o chiunque altro avesse avuto la
faccia
tosta di presentarsi alla sua porta, con gli insulti peggiori che era
riuscita
a pensare in quell’ora e mezzo, ma quello che si
ritrovò davanti la lasciò per
un attimo spaesata.
Jason
la fissava oltre la
soglia di casa, era ancora vestito come poche ore prima e le braccia
erano
abbandonate senza forze lungo i fianchi. Aveva i capelli sconvolti,
come se ci
avesse passato le mani più volte, tormentandoseli. Aveva il
viso umido, anche
se auna prima occhiata non gli sembrava sudore.
Lo
guardò negli occhi,
trovandoli appannati di lacrime: probabilmente non riusciva neanche a
vederla,
in quelle condizioni.
Aprì
maggiormente la porta
di casa, facendo un passo indietro e aprendo la bocca mentre pensava
come
interpretare quella scena.
Cercò
lo sguardo di Jason, e
quando lo trovò, lo vide portare le mani
all’altezza dell’addome e
tormentarsele, mentre si guarda intorno con aria smarrita e le lacrime
iniziavano a scendergli copiosamente sul viso imbrattandogli la maglia.
Sembrava
in cerca di qualcosa
da dire e lo vide aprire e richiudere le labbra bagnate più
volte, come se
pensasse di dire qualcosa ma poi cambiasse idea.
-
Che è successo? – mormorò.
Non aveva la forza di alzare la voce, ma non poteva neanche lasciare
lì l’unico
amico che aveva. E poi non le andava di stare da sola a vagare per la
casa per
l’assenza di sonno.
Jason
inspirò come se gli
mancasse il fiato. – C..Cla..Cla.. –
mormorò, guardandola quasi in cerca di
aiuto, come se lei avesse la risposta, prima di portarsi le mani sul
viso e
scoppiare in un pianto disperato.
Riuscì
a riscuotersi dallo
stato d’indolenza in cui era stata fino a quel momento e lo
afferrò per la
stoffa della maglietta tirandolo dentro prima che qualcuno lo vedesse.
Lui si
lasciò tirare docilmente, prima di stringerla contro il
petto e appoggiare la
testa sulla sua spalla.
-
Scu..scusa… scusa! – rantolò,
stringendo tanto la presa che quasi le mancò il fiato,
mentre la sua spalla
protestava dolorosamente.
Di
riflesso, non arrivando
al collo, gli passò le mani sotto le braccia e gli
accarezzò la schiena,
dandogli delle pacchette con l’altra mano.
Che
diavolo succedeva quella
sera? Erano tutti impazziti? Eric dava i numeri più del
solito, Jason piangeva
disperato, lei era confusa. Mancava solo che si scoprisse che
l’organizzatore
di quel delirio di festa era Quattro e sarebbero stati a posto.
-
Che.. ehm… che è successo?
– domandò mentre aspettava che Jason e il suo
pianto disperato si placassero un
minimo. La strinse più forte, costringendola a montare con
la punta dei piedi
scalzi sui suoi scarponi per non farsi strozzare.
Lui
si staccò dalla sua
spalla, ormai fradicia di lacrime, e allontanò il viso quel
tanto che bastava
per permetterle di respirare. Si stropicciò gli occhi,
mentre continuava a
singhiozzare e sembrava cercare il fiato per raccontare
cos’era accaduto.
Decise
di prendere in mano
la situazione. – Vieni con me. – ordinò,
dirigendosi verso la cucina. Si
allungò sulle punte per raggiungere lo sportello sopra il
lavello e prendere
due bicchieri, che riempì d’acqua fresca. Ne diede
uno a Jason, che l’aveva
docilmente seguita senza fare un fiato e sorseggiò il suo,
beandosi della
sensazione di freschezza alla gola.
Jason
bevve tutto d’un
fiato, come se non bevesse da mesi, poi si sporse sul lavandino per
riempirsi
ancora il bicchiere.
-
Ho.. ho.. Clarisse.. –
mormorò.
Kaithlyn
notò che gli
tremavano le mani mentre alzava per le seconda volta il regolatore
dell’acqua. –
Cerca di fare un discorso di senso compiuto. Clarisse, cosa?
-.
Forse
non era il modo più
delicato di chiedere qualcosa a un ragazzo che si presentava disperato
davanti
al portone di casa, ma aveva mal di testa ed era stanca.
Quello
che le aveva detto
Eric, molto più di quello che aveva fatto, l’aveva
colpita più di quanto
potesse ammettere o volesse dare a vedere e non riusciva ad essere
più delicata
di così: non mentre si sentiva ferita e umiliata in quel
modo senza
comprenderne pienamente neanche il perché. Eric non era
certo il primo a fare certe
insinuazioni sul perché fosse arrivata tanto in alto tanto
in fretta, ma le
aveva comunque dato fastidio.
Si
pentì della poca
delicatezza dopo due secondi. Jason la fissò per un attimo,
poi riscoppiò a piangere
ancora più disperatamente di prima, lasciando quasi cadere
il bicchiere che
fortunatamente lei riuscì a riafferrare.
Si
sentiva a disagio in
quella situazione. Non era abituata a consolare la gente, non era mai
stata
molto empatica, e sicuramente Jason avrebbe trovato maggior conforto da
uno
qualunque dei suoi amici piuttosto che da lei, eppure era venuto
lì. Al massimo
poteva spronare qualcuno, maltrattarlo, demotivarlo… ma la
consolazione e la
comprensione non rientravano sicuramente tra le cose le riuscivano
meglio.
Eppure
una parte di lei
sapeva che era proprio per quella ragione che era lì. Forse,
qualsiasi cosa
fosse successa con quella roba che
si
ostinava a chiamare ragazza, aveva bisogno di sentirsi dire le cose
stavano e
non di addolcire la pillola.
Jason
veniva dai Candidi e
per lui la sincerità era ancora un valore fondamentale: per
quanto fosse sempre
gentile e allegro con tutti, non sopportava le menzogne e le cose dette
a metà.
E forse era proprio per quello che riusciva ad andare
d’accordo, tra tutti,
proprio con lei.
-
Okay, okay, scherzavo! –
disse velocemente, posando i bicchieri e trascinandolo verso il divano.
–
Smetti di frignare e dimmi cosa è successo. –
Si
mise accanto a lui,
guardandolo mentre appoggiava i gomiti sulle ginocchia leggermente
divaricate e
nascondeva di nuovo il viso tra le mani.
Aspettò
qualche secondo
prima di levargli a forza le mani dal viso. – Okay..
– biascicò Jason,
improvvisamente calmo prima di prendersi qualche secondo di silenzio.
– Ho
trovato Clarisse a letto con un altro. – confessò,
mentre lo vedeva stringere
la stoffa sopra le ginocchia con forza. – Ero andato a
portarle… a portarle le
chiavi, per andare a vivere insieme e…-.
Aprì
la bocca, indignata,
mentre iniziava sentire la rabbia montarle dentro, pronta a esplodere
dopo
tutto quello che era successo ma Jason non le permise di proferire
parola. – Se…
se m’interrompi non riuscirò più a
continuare. Fammi… fammi finire… -
implorò,
guardandola disperatamente come se si trovasse a dover chiedere quasi
perdono
per un crimine che non aveva commesso.
Si
morse le labbra e annuì,
accucciandosi sui talloni davanti a lui e fissandolo insistentemente.
Più
tardi, avrebbe dovuto definire una terapia d'urto. Per entrambi.
Lo
incitò a continuare con
un gesto della mano, mentre appoggiava il mento sui palmi e
già iniziava a
riflettere su come farla scontare a quella sottospecie di babbuino con
i
tacchi.
Tra
le varie differenze
caratteriali che aveva con Jason, ce n’era una in particolare
che forse,
l’Idiota, non aveva preso in considerazione: lei, al
contrario di Jason, era estremamente
vendicativa.
Jason
prese un altro bel
respirò, mentre il pianto sembrava gorgogliargli dentro e
scuoterlo tutto
dall’interno. –’somma, sono entrato,
okay? – ricominciò con la voce acuta per
il pianto.
Annuì,
impaziente di sapere
com’erano andate le cose.
-
Okay.. sono entrato e
c’erano un sacco di candele accese… sul tavolo,
sul pavimento, vicino al
divano, sul davanzale e alcune in terra, verso la camera.-
rantolò, mentre gli
veniva un colpo di tosse secca.
Kaithlyn
gli passò un
pacchetto di fazzoletti che aveva appoggiato sul tavolino vicino al
divano e
che si era dimenticata di mettere a posto, ma lui li rifiuto con un
gesto della
mano e si passò una manica sugli occhi, mentre gli si
dipingeva l’ennesima
smorfia sulle labbra bagnate.
-
Sono… sono entrato, e
c’erano le candele anche in terra, fino alla
camera… ho.. ho.. ho pensato, ho
pensato che… che… mi volesse.. f-fare una...
una… - singhiozzò, disperatamente,
non riuscendo a completare la frase.
-
Una sorpresa? – gli
suggerì, mettendosi a gambe incrociate per terra e tenendosi
le caviglie.
Jason
annuì tra i
singhiozzi, prima di respirare profondamente un altro paio di volte.
-
Okay.. okay. Q-quindi ho
seguito la.. la strada della candeline e sono arrivato in c-camera..
okay? E..
e… l’ho trovata a-a letto c-c-con…
uno… - terminò, prima di farsi sopraffare di
nuovo dai singhiozzi.
Si
morse il labbro inferiore
e si spostò una ciocca di capelli rossi dietro
l’orecchio, a disagio. –
E... cosa hai fatto? – domandò, non
riuscendo a farsi venire in mente niente di meglio.
Aspetto
che lui si calmasse
nuovamente. – Io… s-sono andato via. Non ho fatto
nulla, non v-volevo vederla
u-un secondo di più con l-lui… -
mormorò, quasi si pentisse della sua reazione.
-
S-so che tu avresti fatto
in modo diverso… e.. e anch’io… m-ma
non ci sono riuscito… - si giustificò,
quasi cercasse assoluzione da parte sua.
Storse
le labbra. – Be’, hai
fatto bene. Non meritava neanche una bolla di fiato in più!
– acconsentì,
annuendo.
-
S..so c-che non la
sopporti… però io la amo. –
-
Lo so. – mormorò, abbassando
pensosamente lo sguardo, mentre qualcosa le si agitava dentro.
-
K-kath...? – si sentì
chiamare.
-
Mmh? –
Jason
si guardò intorno,
quasi avesse paura di veder spuntare qualcuno da sotto il divano.
– N-non non
fare niente, okay? Sai che intendo.. – la implorò.
Le
sarebbe piaciuto davvero
moltissimo poterlo assecondare… peccato che fosse il tipo di
persona incapace
di lasciar correre o passare sopra alle cose: ne era un esempio
lampante il suo
rapporto di amore/odio con Eric, che per quanto infuocato sotto ogni
punto di
vista, ci aveva messo un po’ per solidificarsi abbastanza da
permetterle di
fidarsi quasi di lui e nonostante tutte le volte in cui si era lasciata
coinvolgere, ancora non riusciva a lasciarsi andare del tutto.
-
Non ti prometto niente. – rispose
diplomaticamente.
Si
alzò in piedi e la vista
le si annebbiò per attimo a causa di un breve calo di
pressione. Senza
aggiungere niente fece dietrofront e tornò verso la cucina;
si avvicinò al
ripieno accanto ai fornelli e allungandosi un po’ sulle punte
dei piedi scalzi,
aprì lo sportello dei bicchieri, ne prese due e li
riempì di liquore.
Una
volta tornata in salotto
ne diede uno a Jason. – Tu.. – iniziò
lui, gli occhi verdi ancora più chiari a
causa delle lacrime. – tu.. hai risolto? Con… con
Eric, dico. Dopo… dopo che
quell’idiota ti ha schiaffeggiata e insultata… -.
Fece
una smorfia al ricordo
della serata appena trascorsa mentre quel qualcosa che prima si agitava
dentro
di lei, iniziava a contorcersi sgradevolmente. – No.
– disse laconica,
sedendosi dall’altro lato del divano e piegando le gambe
contro il petto, il bicchiere
ancora in mano. – Mi ha dato della puttana arrivista e se
n’è andato. -
Jason
la guardò con lo
sguardo vacuo prima di abbassare gli occhi tormentandosi le mani.
-
Mi dispiace. So che è un
tasto dol.. – mormorò, prima che la sua attenzione
venisse catturata da un
punto imprecisato sul suo viso. L’espressione di Jason
cambiò, tingendosi di nervosismo
e irritazione. – Cos’hai fatto alla faccia?
– investigò, senza staccare gli
occhi dal suo zigomo, e avvicinandosi a lei per vedere meglio.
Automaticamente
portò una
mano dove le nocche di Eric l’aveva quasi presa, o quasi
mancata a seconda di
come si vedeva la vicenda. Sentì sotto la punta delle dita
un leggero, per il
momento, gonfiore causato dall’ematoma.
Riportò
lo sguardo sul
ragazzo, mordendosi nervosamente le labbra.
-
Ti ha picchiata? – chiese
incredulo e con la bocca mezza aperta, mentre irrigidiva le spalle.
-
No. – rispose subito. –
Cioè, sì… insomma, non era molto in
sé. – si corresse, prima di vedere Jason
schizzare fuori dalla stanza e andare a darsene di santa ragione con
Eric.
Non
sarebbe stato un bello
spettacolo.
-
Ah. – commentò,
guardandola con poca convinzione. – Che intendi dire?
– chiese infine,
aggrottando le sopracciglia.
Kaithlyn
si passò
nervosamente una mano tra i capelli, portandoli indietro, e si
sistemò meglio
nel suo angolo di divano.
-
Dopo che è uscito dal
Pozzo l’ho seguito, la sua giacca era rimasta per terra e
volevo vedere cosa
avesse in mente dato che non mi sembrava molto padrone di
sé… -.
Si
schiarì la voce. Non
voleva dilungarsi troppo.
-
Quando li ho trovati, Eric
e Sean Byrd, mi sono avvicinata per chiedergli cosa diavolo gli
prendesse e
dopo uno scambio di battute poco civili mi sono ritrovata schiacciata
contro il
muro. Poi Eric ha riperso il controllo, ed ha iniziato a prendere a
pugni alla
parete, colpendomi di striscio sul viso. –
terminò, tutto di un fiato.
-
Ho capito. – annuì, anche
se non sembrava molto convinto. – Non mi piace che ti metta
le mani addosso,
però. Anche se non l’ha fatto proprio
volontariamente… poteva farti male sul serio!
–
-
Che c’è? Adesso fai il
protettivo? – rise, stendendo le labbra in un sorrisetto per
la prima volta in
tutta la sera.
-
Be’, sì. Un minimo devo
farlo… alla fine mi dispiacerebbe se qualcuno ti asfaltasse
su una parete.
Credo. – disse, guardando in alto come se non fosse sicuro di
ciò che stava
dicendo.
-
Be’, almeno ti sei
calmato! – commentò Kaithlyn, pentendosi un
secondo prima di aver dato fiato
alla bocca.
Pensa
sempre alle parole che dici e alle loro
conseguenze.
Sua
madre aveva ragione.
Perché diamine non usava mai un minimo di quel bel
cervellino che si ritrovava?
Non avrebbe dovuto neanche sforzarsi, eppure riusciva sempre a
infilarsi in
situazioni imbarazzanti come quella.
Jason
deglutì, prima che gli
occhi gli si riempissero nuovamente di lacrimoni.
No,
no, no... non di nuovo!
In
quel momento, qualcuno aprì
la porta d’ingresso ed entrò, costringendoli a
girarsi.
Salve
a tutti!
Fiuuu,
siete ancora tutti
interi? È il capitolo più lungo che vi abbia mai
propinato e non avete idea di
quanto mi renda nervosa… l’ho ricambiato almeno
cento volte. Non è mai
abbastanza chiaro, abbastanza forte, o abbastanza in linea per me,
quindi
aspetto i vostri commenti impietosi, maltrattatemi pure!
Lo
so, sono pessima. Vi ho
fatto attendere più di un mese stavolta, ma avevo da fare
questo tra maledetto
test per l’accesso all’Università, e il
mese Agosto- Settembre è stato un
incubo!
Ho
iniziato il capitolo e
pensavo di farcela, ma poi il panico di fare un punteggio bassissimo ha
avuto
la meglio e ho lasciato perdere, riprendendo in mano la storia solo
pochi
giorni fa.
Finalmente
sono libera, e
prestissimo aggiornerò anche Mind’s Shades, che
è ferma addirittura da Maggio.
(non
sono riuscita a stare
troppo ferma con questa… è più forte
di me!)
Allora,
che ne dite? Vi
aspettavate una cosa del genere? Vi sembra una continuazione sensata
per il
capitolo precedente? So che l’ho già detto, ma
questo capitolo mi innervosisce,
cambio le cose all’ultimo e non mi sembra mai perfetto!
Ho paura di aver messo "troppa carne al fuoco" e quindi di
aver fatto una gran confusione.
Diciamo
che da ora iniziano
a succedere un po’ di cose in più, importanti per
il futuro, che non siano Kath
che litiga con Eric, Eric che litiga con Kath, Kath che va a letto con
Eric,
Eric che inveisce contro tutti e si fa battere a Strappabandiera da
Quattro,
Kath che maltratta gli iniziati e ogni forma di vita che non le vada a
genio,
Eric che va a letto con Kath, Jason sempre nel mezzo, ecc…
Inserirò,
e sono un po’
nervosa nel farlo, nuovi personaggi più o meno importanti,
ma tutti avranno uno
scopo, niente è lasciato al caso!
L’ultimo
capitolo ha
ricevuto tante recensioni, non me l’aspettavo! GRAZIE!
È sempre bello ricevere
nuove opinioni! Così com’è bello vedere
nuovi preferiti!
A
questo proposito ci tengo
a ringraziare per le recensioni Kaimy11,
che addirittura mi ha lasciato una recensione in notturna (*.*), Adeus,
puntualissima, Alex_001 e BeDautless;
e voglio ringraziare anche le 3 persone che hanno aggiunto la storia
tra i
“Preferiti”, ovvero Alex_001,
Tris
and Tobias e Lucas
3451.
Ovviamente
un grazie va
anche a tutte le persone che leggono, vedere tante letture mi fa
emozionare
dato che questa è la prima storia che scrivo seriamente non
mi aspettavo tanto
successo!
Che
dire? WOW!
Ora
passiamo alle
“cretinate”!
Prima
di tutto, che poi me
ne dimentico, vi lascio come sempre il link della mia pagina facebook: https://www.facebook.com/Kaithlyn-J-Evenson-865334640156569/timeline/
Secondo
di poi, dato che
tutti hanno, più o meno, un “nomignolo”
per le proprie coppie, ci ho pensato
anche io.
Solo
che le uniche due cose
che mi sono venute in mente, per ora, sono Kaithric e
Erithlyn… e non so se mi
piacciono o sia giunto il momento di avvertire la neuro che sono
scappata di
nuovo.
Diciamo
che non si prestano,
voi che dite?
Ad
ogni modo, sappiate che
ne succederanno di cotte e di crude da qui alla fine della
storia… finale per
il quale mancano ancora taaanti capitoli. (Non spaventatevi…
prima o poi
finirò!)
Eh
sì, mi dispiace per voi!
Spero
di riuscire ad
aggiornare presto entrambe le storie dato che ho già buttato
abbondantemente
giù il 13esimo capitolo, ho iniziato il 14 di BH e sto
lavorando anche a Mind’s
Shades. Approfitto di questi pochi giorni di libertà, poi
staremo a vedere!
Grazie
ancora a tutti e
scusate se chiacchiero troppo… ma dopo mesi di reclusione
devo ancora
riprendermi e reintegrarmi con il resto del mondo.
Alla
prossima, un bacione!
|
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Capitolo 13 *** Capitolo 13 ***
Capitolo
13
Aprì
il più velocemente
possibile la porta ed entrò nell’appartamento
senza troppi complimenti. Tirare
giù la maniglia era stata una sofferenza per le sue mani e
anche se erano
passate poche ore faceva ancora fatica a muovere e a piegare le dita;
il taglio
che aveva su ciascuna mano gli bruciava e ogni movimento risultava
piuttosto
doloroso.
Era
comunque riuscito a
sciacquarsi il viso e a togliere il sangue incrostato che gli ricopriva
le
mani; certo, era stata un’operazione lenta e piuttosto
dolorosa, ma almeno non
sembrava che avesse fatto a pezzi qualcuno a mani nude.
Sean
era tornato a casa da
Mia dopo averlo aiutato a sistemare. Avrebbe dovuto offrirgli da bere
per
sdebitarsi della sopportazione che aveva nei suoi confronti, anche se
nessuno
l’aveva costretto ad assecondarlo per due anni consecutivi.
La
scena che si trovò
davanti non appena fu dentro l’ingresso lo lasciò
impietrito per alcuni secondi.
Kaithlyn
era seduta con le
gambe piegate verso il petto in un angolo del divano e aveva tra le
mani un
bicchiere con del liquido trasparente all’interno. Si era
cambiata, mettendosi una
maglietta grigio scuro e pantaloni felpa della tuta nera; i capelli
erano
sciolti e ancora in disordine ma sul suo viso sembrava aleggiare
qualcosa di
diverso rispetto a poco prima. Sembrava quasi… sofferente.
Sofferenza
presunta a parte,
se le occhiate avessero potuto uccidere, lui sarebbe rimasto
carbonizzato sul
posto nell’esatto istante in cui aveva varcato la soglia,
tanto era infuocata l’occhiata
che ricevette dalla ragazza.
Le
restituì la sua miglior
occhiata risentita; anche se era lì per cercare di
aggiustare il minimo
sindacabile le cose, non aveva nessuna intenzione di farsi mettere i
piedi in
testa da un tipetta alta trenta centimetri in meno di lui e pesante la
metà.
E,
comunque, aveva iniziato
lei tutta quella discussione eterna quindi non poteva accusarlo di
esserne il
responsabile. Non del tutto almeno, anche se forse
ci aveva messo del suo.
In
secondo luogo, non aveva
minimamente voglia di discutere. L’unica cosa che desiderava,
oltre alla polverizzazione
istantanea di Jason, era mettersi a letto e dormire per i successivi
tre
giorni. Possibilmente con Kaithlyn. Nuda.
Dopo
alcuni attimi di
silenzio, in cui si scrutarono con circospezione, la sua attenzione fu
attirata
dall’altra figura accanto a Kaithlyn e un brivido
d’irritazione, che anticipava
una sfuriata con i controfiocchi, gli corse lungo la spina dorsale.
Le
cose che gli saltarono
all’occhio e lo costrinsero a fare appello a tutta la buona
volontà che gli era
rimasta per non saltare alla gola di Jason erano, prima di tutto, il
fatto che
fossero decisamente troppo vicini;
e
secondo che avesse la straordinaria capacità di apparire
intorno a lei nell’esatto
istante in cui discutevano e lui se ne andava incazzato come una
bestia.
Un
tempismo perfetto.
Aprì
bocca per chiedere
cosa, esattamente, ci facesse di nuovo
lui lì e in più perché sentisse il
bisogno di stare così vicino a quella che
fino a prova contraria, anche se probabilmente sarebbe durata solo
altri quattro
secondi – forse anche meno – era la sua
ragazza.
-
Sta’ zitto! – sibilò
Kaithlyn, interrompendolo ancora prima che le parole prendessero forma
nella
sua mente. – Che diavolo ci fai qui, eh? –
aggiunse, stringendo le dita intorno
al bicchiere e assottigliando gli occhi.
La
fissò. – Io? Che stracazzo
ci fa lui qui, vorrai dire!
– ribatté, alzando le sopracciglia e
lanciando a Jason un’occhiata raggelante. – Non
posso neanche allontanarmi che
corri da lui. –
Vide
con la coda dell’occhio
Jason aggrottare le sopracciglia e assumere una strana espressione a
metà tra
l’abbattuto e l’irritato; strano, in genere
battutine imbecilli e uscite
“brillanti” gli uscivano dalla bocca una volta
sì e l’altra pure anche quando
gli dava dell’idiota patentato.
Kaithlyn
incrociò le braccia
sul petto, alzandosi. – Questa è casa mia
imbecille, e tu non hai nessun
diritto di venire qua a farmi scenate di gelosia dopo quello che mi hai
detto
stasera.. quindi, ora, fai un favore a tutti e tre e togliti dai piedi.
–
disse in un ringhio basso e freddo.
-
Ti vorrei ricordare che
hai iniziato te a straparlare stamattina, quando nessuno ti aveva
richiesto un
parere. – ribatté, stringendo i pugni e soffocando
un sibilo di dolore.
Kaithlyn
lo fisso
intensamente per un lungo istante. – Che vuoi Eric?
– mormorò senza staccare gli
occhi chiari e freddi da lui e ignorando la sua considerazione.
-
La mia roba. – rispose
immediatamente, rilasciando i pugni e sentendo la pelle rigida per le
escoriazioni protestare. – E volevo parlare con te, ma sei
troppo impegnata a
quanto pare. Non importa, so essere paziente. – aggiunse,
lanciando un’occhiata
a Jason che fino a quel momento era stato in silenzio e continuava a
guardare
male il tavolino davanti a lui. Sembrava si stesse trattenendo.
-
Congratulazioni! Potrai
pazientare fuori da casa mia. – gli ringhiò,
stringendo le dita sulla stoffa
della felpa grigia, a braccia incrociate. La vide fare una smorfia, ma
non ci
presto troppa attenzione.
-
Se resta lui, resto anch’io.
– decretò.
-
Scordatelo, non sei
all’asilo e in casa mia decido io. Prendi la tua roba e
sparisci. – gli intimò
minacciosamente e stringendo con più forza le mani intorno
alle sue stesse
braccia, ancora incrociate sotto il seno.
La
fisso duramente, mentre
prendeva consapevolezza che, se voleva rimanere lì, avrebbe
dovuto farlo
indipendentemente dalla volontà di Kaithlyn.
Amen.
Magari
avrebbe avuto anche
modo di strapazzarla, quando gli si sarebbe avvicinata con
l’unico intento di
ucciderlo o trascinarlo per i capelli fuori da lì. Avrebbe
potuto fingersi
morto e costringerla a trascinare tutti e ottantaquattro i chili di
muscoli che
si portava dietro. Sarebbe stato divertente.
La
fisso per alcuni istanti,
indeciso sul da farsi. Aveva due possibilità: assecondarla
per cercare di
recuperare o imporle la sua presenza e avere così modo di
controllare anche l’altro.
Se
avesse assecondato
Kaithlyn avrebbe sicuramente guadagnato punti preziosi, ma non avrebbe
avuto
sott’occhio lei e Jason e non avrebbe potuto controllare che
lui tenesse le
mani a posto e, di conseguenza, non
avrebbe neanche potuto amputargliele con un coltello da cucina in caso
le
avesse allungate troppo.
Imponendole
però la sua
presenza l’avrebbe fatta infuriare ancora di più,
perdendo sicuramente terreno
e ritrovandosi con un pugno di mosche in mano.
Alla
fine cosa importava?
Potevano essere più in crisi di così o darsi
ancora più addosso?
Certo
che sì,
ma piuttosto che lasciare campo libero a riccioli d’oro
sarebbe andato a fare
bubù-settete a Quattro sotto la doccia.
-
Se resta lui, rimango anch’io.
– ripeté inflessibilmente piantando i piedi dove
si trovava.
Kaithlyn
dischiuse appena le
labbra e se le umetto stringendole tra loro, mentre abbassava gli occhi
e si
mordeva l’interno del labbro inferiore.
Non
era un buon segno. Forse
avrebbe dovuto fare un’assicurazione sulla vita, lasciare
qualcosa di scritto o
firmare una liberatoria prima di infilarsi in casa della Nana
Inferocita.
-
Eric, ascolta. Io potrei
anche farti rimanere qui e tutto quello che ti pare,
d’accordo? Il problema è
che non m’interessano né le tue patetiche scuse,
ammesso che tu sia qui per
questo, né tanto meno quello che hai da dire. Non ha senso
che tu rimanga… -
disse, lasciando scivolare le braccia lungo i fianchi. – ora
vado di là a
prendere le ultime cose e poi non ti voglio più vedere.
– concluse. Lo guardava
dritto in faccia, senza malanimo; sembrava solo molto stanca e la cosa
lo turbò
un po’: non pensava di essersi spinto tanto oltre da
compromettere in quel modo
il loro rapporto.
Alla
fine le aveva detto cose
peggiori, no? Perché prendersela tanto?
Non
appena lei sparì
nell’altra stanza, girò lentamente la testa verso
Jason, ancora seduto sul
divano con gli avambracci appoggiati alle ginocchia.
-
Non dire un’altra parola.
Ho avuto sicuramente una serata peggiore della tua. – gli
disse, prima che le
sue labbra potessero pronunciare il primo insulto o epiteto poco
lusinghiero.
Quell’ammonimento,
appena
sibilato in tono rauco, lo lasciò spiazzato per un attimo.
Da quanto lo
rimbeccava?
Richiuse
le labbra e assottigliò
gli occhi. – Questo è tutto da vedere. –
sibilò, studiandolo con attenzione.
Jason
alzò e girò la testa
verso di lui, guardandolo fisso. – Sono andato a fare una
sorpresa alla mia
ragazza per chiederle di andare a convivere e l’ho trovata a
trombare con un
altro. – disse. – la tua scusa qual è? -.
-
Okay, per stasera l’hai
vinta tu. – acconsentì cupamente. Non poteva certo
raccontargli tutto; già
convincere Max e gli altri Capofazione a mettere al corrente Sean era
stata
un’impresa… figuriamo altri elementi. E comunque
lui era in fondo alla lista di persone alle quali avrebbe raccontato i
fatti suoi.
Jason
sembrò svuotato, come
se quasi sperasse in una rispostaccia che gli fornisse una buona scusa
per
sfogarsi su di lui. Scosse la testa, come per riscuotersi, e lo
guardò senza malanimo.
– Dovresti scusarti, comunque. Non scherzava quando ha detto
che non ti vuole
più vedere. – mormorò apaticamente.
-
Non volevo colpirla. –rispose,
senza sapere neanche lui il reale motivo per cui lo diceva proprio a
quell’imbecille che aveva davanti.
Jason
corrugò le
sopracciglia e lo fisso intensamente. – Vorrei ben vedere.
Non ce l’ha con te
per questo, ha capito subito che c’era qualcosa che non
andava in quel momento…
non è una stupida. –
Contrasse
i muscoli di
braccia e schiena in un guizzo d’irritazione. Come si
permetteva di dargli
lezione sulla sua ragazza?
-
So perfettamente quanto
sia intelligente, grazie tante. Non ho alcun bisogno che tu mi faccia
la
lezione. – ringhiò, avviandosi verso la cucina.
Jason
lo seguì a brave
distanza e si appoggiò a braccia incrociate alla parete
della cucina. – Be’,
fai come ti pare, non m’interessa. Io in genere parteggio per
te, sai com’è,
solidarietà maschile. Ad ogni modo, - proseguì,
raddrizzando le spalle, - non
mi piace che tu le metta le mani addosso… fa’ in
modo che non ricapiti, okay?
-.
Ghignò.
– Cos’è? Una
minaccia? – lo schernì, mentre prendeva un
bicchiere e lo riempiva di acqua.
Jason
scosse la testa. Non
sembrava arrabbiato con lui. – No. Diciamo che è
un avvertimento. So che
stasera è stato un incidente e che non volevi farle del
male, ma se dovesse,
ecco, partirti un colpo… poi sarò io a renderle a
te, e ti assicuro che non
sono così morbido come
sembro. –
Aveva
parlato in tono
tranquillo, posato.
Restarono
alcuni attimi in
silenzio; Eric bevve lentamente il suo bicchiere d’acqua
mentre Jason si
guardava intorno. Sembrava quasi che stesse cercando qualcosa da dire,
da fare
per rompere il silenzio. Una distrazione.
Non
aveva la benché minima
intenzione di torcere un solo capello a Kaithlyn, avrebbe gettato nello
Strapiombo chiunque ci avesse anche solo provato, eppure si
ritrovò a studiare
Jason allo stesso modo in cui avrebbe studiato un rivale in un incontro.
Era
più basso di lui solo si
alcuni centimetri ma non era altrettanto slanciato. Aveva le spalle
larghe ed
era sicuramente ben piazzato a muscoli, e anche se dava
l’impressione di essere
il tipo che non avrebbe fatto male a una mosca, era abbastanza certo
che
sapesse anche farsi valere.
Contrasse
i muscoli della
schiena, teso, e assottigliò gli occhi. – Buon per
te. – sibilò, appoggiandosi al ripiano
della cucina.
Jason
storse la bocca. –
Senti, io adesso vado a prendere la roba per rimanere a dormire qui.
Hai dieci
minuti per salvare il salvabile, okay? – disse, staccandosi
dalla parete e
avviandosi verso l’uscita.
In
quel momento, mentre Eric
lo seguiva con calma, Kaithlyn rientrò
nell’ingresso-soggiorno con le braccia
cariche di vestiti umidi.
-
Dove vai? – chiese da
dietro la montagna di panni. L’unica cosa che si vedeva erano
gli occhi
azzurri.
Eric
trasformò abilmente una
risatina in un colpo di tosse, guadagnandosi un’occhiata
raggelante.
-
A prendere la roba per
rimanere a dormire. Non vorrai farmi stare tutto solo, vero?
– le chiese con
ovvietà.
Aveva
la voce arrochita e
leggermente impastata, anche se fino a quel momento non
l’aveva notato, troppo
innervosito dalla sua presenza vicino alla ragazza.
Lei
fece una smorfia e alzò
gli occhi al cielo, prima di estrarre da una tasca un sacchetto di
plastica e
infilarci dentro i suoi vestiti.
-
Okay. Tu in compenso te ne
stavi andando, vero? – chiese con naturalezza, rivolgendosi a
lui.
Come
no. Di corsa!
-
A dopo ragazzi! – salutò
Jason, prima di uscire quasi di corsa dalla porta d’ingresso,
quasi si trovasse
in una stanza piene di esplosivo.
Lui
e Kaithlyn si fissarono
e lei incrociò le braccia, inarcando un sopracciglio in
attesa che prendesse la
sua roba e girasse i tacchi.
In
tutta risposta la imitò e
le restituì un’occhiata indifferente.
Dopo
alcuni attimi, in cui
erano rimasti entrambi silenziosi a fissarsi, Kaithlyn
abbassò gli occhi e
scosse la testa, storcendo la bocca in una smorfia scocciata.
– Continua a fare
l’infante, allora. – brontolò, prima di
lanciare malamente il sacchetto con i
vestiti a terra e avviarsi verso la sua stanza con la stessa smorfia
che le
aveva visto prima.
Eric
sbuffò tra i denti,
irritato da tanto poco spirito combattivo. Si aspettava di essere
buttato fuori
letteralmente a calci nel sedere e di ritrovarti almeno con un occhio
nero.
-
Tutto qui? – le disse,
prima che lei sparisse nel corridoio. Kaithlyn si fermò e si
girò verso di lui;
sembrava stanca.
-
Sì, - asserì con un’alzata
di spalle. – Potrei anche buttarti fuori a pedate, ma
continueresti a
tormentarmi. Fai pure quello che ti pare, a me non interessa. Vuoi
rimanere qui
per controllarmi? Bene, sono curiosa di sapere dove dormirai dato che
sul
divano ci starà Jason. Se pensi che imponendo la tua
presenza io cambi idea,
sei fuori strada. –
Mentre
parlava sembrava
annoiata, rassegnata, come se avesse a che fare con un bambino
particolarmente
capriccioso che si ostinava a fare di testa sua, e non gli piaceva.
In
genere si urlavano
addosso, volavano schiaffi e s’insultavano fino a perdere
quasi la voce per poi
ritrovarsi a fare l’amore su una qualsiasi superfice agibile.
Il
fatto che non stesse
provando a opporsi lo irritava profondamente, era snervante e doveva
assolutamente fare qualcosa prima di mettersi a urlare o di correre
dietro a
Jason per attaccarlo alle spalle a tradimento. Così, giusto
per riversare le
frustrazione su qualcuno.
Sentiva
una strana sensazione
risalirgli lungo il collo, come quando ci si prepara a una discussione
particolarmente feroce. Strinse i pugni e irrigidì la
mandibola, teso
dall’atmosfera elettrica che si stava creando.
-
Non vorrei rovinare il tuo
bel discorso, Kaithlyn, ma non sono stato io a iniziare tutto questo
casino. E
non sono nemmeno quello che stamattina si è alzato con la
luna storta, quindi,
forse, dovresti iniziare a guardare anche quello che fai te, invece di
dare
tanta aria alla bocca. – disse, con voce misurata
osservandola mentre
s’irrigidiva e assottigliava gli occhi.
Ottimo.
Era
un buon segno, dato che
lo scopo era provocarla abbastanza da far cadere la facciata di calma
calcolata
che aveva messo su. Anche lui era nato e cresciuto negli Eruditi e con
sua
madre il controllo era
all’ordine del
giorno, e sapeva riconoscere a prima vista la calma fittizia, quella
che
ostentava spesso anche lui, da quella autentica. Non era difficile, lui
era il
primo a imporsi di mantenere il controllo quando sentiva la rabbia
avvelenargli
la mente, e sapeva quanto poco bastasse per far crollare
l’apparenza in quelle
situazioni.
Fece
un passo in avanti. –
Oppure, non vuoi rivangare qualcosa di cui non vai particolarmente
fiera? –
insinuò, malevolo.
Sapeva
di starsi
avventurando in un campo minato dal quale non era sicuro di uscire
vincitore,
ma la reazione spropositata che lei aveva avuto quando poche ore prima
aveva
insinuato che non fosse arrivata dov’era per suo merito gli
aveva fatto tornare
in mente un vecchio articolo degli Eruditi. Era talmente ovvio! Nei
mesi
passati insieme si erano detti cose peggiori, e una reazione del genere
non
poteva che nascondere un motivo personale.
Intimo.
Tanto
valeva sfruttare quel
piccolo vantaggio che aveva su di lei per farla capitolare. Doveva fare
alla
svelta però; Kaithlyn era abbastanza sveglia da fare due
più due molto più
velocemente di quanto lui ci avrebbe impiegato a trovare
un’altra
argomentazione per provocarla.
Le
piantò gli occhi grigi
sul viso con la stessa violenza di un serpente che si ritrova
finalmente davanti
alla preda. Kaithlyn abbassò le sopracciglia sugli occhi,
restituendogli
un’occhiata altrettanto feroce e incrociò le
braccia sul petto.
Fuoco
alle polveri!
Fece
due passi verso di lei
senza interrompere neanche per un secondo il contatto visivo con il suo
viso e
ghignò.
-
Allora… - esordì,
scrocchiandosi le dita della mano destra sul palmo della mano sinistra
e
viceversa, ignorando la fitta di dolore che gli causò quel
gesto.
Kaithlyn
fece un sorrisetto
a labbra stirate. – Allora non ci provare neanche. Se pensi
che provocandomi
otterrai qualcosa ti sbagli, idiota. – disse, la voce limpida
e improvvisamente
calma, nonostante mancasse una parte della solita grinta che tirava
fuori quando
discutevano.
-
Mi chiedevo solo come mai
tanto nervosismo per un’insinuazione velata. Hai la coda di
paglia? –
ridacchiò, curvando appena la sua traiettoria mentre si
avvicinava lentamente a
lei con la stessa studiata lentezza di uno squalo che vuole incastrare
la
preda.
Kaithlyn
arricciò le labbra.
– Sei davvero penoso. – sospirò, - ma
immagino che di non potermi aspettare
niente di più, giusto? -.
Stirò
le labbra in un
sorriso accondiscendente. – Andiamo, Kath. Ci siamo detti di
peggio. Perché te
la prendi tanto? Ho tirato fuori qualche scheletro
nell’armadio? Di, diciamo,
un annetto o poco più prima del tuo trasferimento? Per
questo ti sei sentita
punta sul vivo? – mormorò mellifluo.
Il
sorriso stirato di
Kaithlyn svanì e gli sembrò quasi di veder
lampeggiare nei suoi occhi una
scintilla di rabbia.
Sorrise;
stava funzionando.
Non gli importava delle conseguenze, voleva solo una buona scusa per
farla
arrabbiare, sfogare e poi trascinarla in camera.
Kaithlyn
ricompose la sua
espressione in pochi secondi e sospirò teatralmente.
– Vuoi provocarmi –
asserì.
Non
era una domanda.
Lei
scosse la testa. – Mi
spiace deludere quelli che sono certa siano dei progetti interessanti e
smontarti,
ma non attacca. Non stasera. – disse, con lo stesso tono che
avrebbe potuto
avere spigando qualcosa a un bambino.
-
Trovo invece più
interessante parlare di te, che dici? Come mai tanto nervosismo per due
piccole
insinuazioni mattutine? – lo derise, ma non sorrideva
più. Era seria e fredda
come un pezzo di ghiaccio.
Qualcosa
nella sua postura,
nell’atteggiamento freddo e calcolatore gli fece considerare
che,
effettivamente, sarebbe stata un’eccellente Capofazione per
gli Eruditi.
Fredda,
pragmatica, calcolatrice
e cinica.
Si
morse appena la lingua,
mentre pensava a come controbattere. Il fatto che quella
carta lo mettesse in difficoltà nove volte su
dieci lo
irritava.
Ormai
che aveva iniziato,
valeva arrivare fino in fondo, giusto?
-
Almeno i miei non hanno
dovuto pagare un esercito di avvocati per mettere a tacere…
- iniziò facendo di
proposito una pausa per osservare la sua reazione.
A
giudicare dall’espressione
feroce della ragazza era abbastanza sicuro che, se avesse avuto un
oggetto
contundente a portata di mano, glielo avrebbe tirato dietro.
-
… voci scomode.
– terminò lentamente.
Kaithlyn
strinse le labbra e
i pugni, mentre lui faceva un altro passo verso di lei. – O,
magari, tuo padre
doveva mettersi la coscienza, come dire… a posto.
– aggiunse. Sapeva di star
varcando un limite, di esagerare, a valicare una linea di confine
chiara e per
la quale Kaithlyn non avrebbe chiuso un occhio. Lo capiva dal modo in
cui lei
lo stava guardando e dalla postura rigida del suo corpo. Fino a quel
momento
non ci aveva fatto caso, ma sul viso aveva un leggerissimo strato di
sudore che
non riusciva a spiegarsi e il rigonfiamento sul viso iniziava a farsi
vedere.
-
Non dire un’altra parola.
Non una parola, Eric. – sibilò assottigliando
leggermente gli occhi. – Dovresti
tenere la bocca chiusa su cose che non
sai e non capisci. Tieni mio padre e questa
storia fuori da questa discussione, non lo
ripeterò un’altra volta. -
Kaithlyn
gli si avvicinò
lentamente, mentre lui si immobilizzava dov’era e sentiva un
piacevole
sensazione di trionfo invaderlo.
Il
sorriso vittorioso sparì
dal suo viso non appena guardò bene in faccia la ragazza.
Sembrava… fuori di
sé. Forse aveva esagerato un po’ troppo nel
ritirare fuori cose così vecchie e
di cui non sapeva realmente niente; alla fine Kaithlyn era la sua
ragazza e lui
avrebbe dovuto essere dalla sua parte. Anche se per come si stavano
mettendo le
cose immaginò che non sarebbe stata la sua ragazza ancora
per molti secondi. Forse non lo era
già più.
Ormai
non poteva più tornare
indietro e non era certo il tipo da nascondere la mano dietro la
schiena dopo
aver lanciato il sasso, anzi: gli piaceva prendersi il merito, se
così si
poteva chiamare, di quello che faceva indipendentemente dalla
bontà
dell’azione.
-
Altrimenti? -.
Fece
appena in tempo ad
afferrare il polso di Kaithlyn che era scattato con il chiaro intento
di
colpirlo e di fargli il più male possibile.
Le
strinse le dita intorno
al polso con forza e la sentì digrignare i denti, non sapeva
se per la
frustrazione o per il dolore.
L’altra
mano di Kaithlyn
scattò ma notò che ci aveva messo decisamente
meno entusiasmo, era stato un
movimento fiacco, debole.
-
Piano, gattina, o ti farai male.
– la derise
con voce bassa e roca, distanziandole le mani e mettendo su un
sorrisetto
insolente.
Lei
lo fisso con odio, dal
basso verso l’alto. Nonostante il viso incominciasse a
gonfiarsi e si trovasse
decisamente in svantaggio non sembrava per niente intimorita, anzi:
sembrava
quasi che gli stesse concedendo di
tenerla ferma.
-
Ti credi tanto forte solo
perché mi hai battuto una volta e in un incontro
regolamentare. –
Non
era una domanda neanche
quella.
-
Eppure credevo fossi meno
stupido: ho quattro anni di addestramento speciale alle spalle. Pensi
davvero
che non sappia come stenderti? – insinuò, tra i
denti.
Certo
che lo sapeva. Anche
lui, in quanto Capofazione, aveva seguito un addestramento specifico
che
equivaleva ai primi due anni di quello delle Forse Speciali degli
Intrepidi.
Si
allenava ancora, e sapeva
quanto fosse duro e sfiancate ed era anche piuttosto sicuro che lei
sapesse
essere molto più cattiva di quanto desse a vedere sul ring e
che dopo quattro
anni nei Tiratori sapesse come asfaltarlo
anche se con metodi poco ortodossi.
Magari facendo leva su qualche nervo. Nei combattimenti regolari,
quelli che comprendevano
gli Aggiornamenti Professionali, le competizioni di primo livello e gli
addestramenti ordinari non erano previste certe mosse, ma questo non
significava che alcuni non le conoscessero o che non servissero in caso
di
necessità sul campo.
I
Tiratori si addestravano
nel corpo a corpo senza toccarsi per sviluppare al meglio la prontezza
di riflessi
nello schivare i colpi e nel bloccarsi prima di colpire
l’avversario, e la
velocità nello sferrargli. Aveva visto una parte di
combattimento e alla fine,
nonostante si rotolassero a terra anche per un’ora
abbondante, nessuno dei due
combattenti aveva un solo graffio: se si fossero veramente colpiti con
tutta
quella violenza e in quel modo, sarebbero finiti tutti in infermeria
nove volte
su dieci e non sarebbe stata una cosa molto produttiva per la fazione.
Ovviamente,
nella situazione
in cui si trovava in quel momento, non poteva certo ammettere una cosa
simile.
Ghignò.
– Mmh… non saprei.
Immagino dipenda da come vuoi
stendermi. – mormorò, afferrandole entrambi i
polsi con una mano mentre con
l’altra le prendeva il mento tra due dita.
Non
fu una gran bella idea,
considerò, e mentre sentiva il dolore irradiarsi sul viso e
sullo stinco si
diede dell’idiota: era ovvio
che lei
non aspettasse altro che un momento di eccessiva strafottenza da parte
sua. Non
si sarebbe sorpreso se anziché essere una reazione istintiva
e dettata dalla
rabbia, fosse stata ragionata dal momento stesso in cui aveva iniziato
a
provocarla volutamente.
Si
sentì spintonare
all’altezza dello stomaco, ma riuscì a incassare
piuttosto facilmente. Una
parte della sua mente gli stava dicendo che c’era qualcosa in
Kaithlyn che non
andava, che stonava e che avrebbe dovuto destargli un minimo di
sospetto o
preoccupazione, ma la mise subito a tacere.
Nonostante
si sentisse
lucido e padrone delle sue facoltà gli venne istintivo
afferrarla per le
braccia e attaccarla al muro per farla stare ferma.
Con
sua grande sorpresa Kaithlyn
urlò.
La
guardò per un attimo
stranito, mentre cercava di regolarizzare il battito cardiaco e non
lasciarsi
prendere la mano dall’enfasi della situazione. –
Che cazzo hai da urlare? –
domandò in un ringhio brusco arrivandole a due centimetri
dal viso.
Strinse
la presa sulle sue
braccia, sicuro che lo stesse prendendo in giro, ma
abbandonò la posizione
aggressiva di un attimo prima. Le lasciò un braccio e
tirò l’altro, rafforzando
la presa.
Kaithlyn
gridò ancora e per
liberarsi gli tirò uno schiaffo sul braccio. Non che avesse
sortito chissà
quale affetto a parte un discreto bruciore sulla pelle.
Kaithlyn
sapeva tirare dei
man rovesci che avrebbero stero un mostro, che cos’era quella
cosa che gli aveva tirato sul
braccio?
-
La spalla… la spalla… -
gemette, mentre la squadrava in cerca della fonte del dolore.
-
Ti sto tenendo per un
braccio. – disse storcendo la bocca.
Kaithlyn
emise un verso
strozzato e lui la tirò in avanti. Urlò ancora,
costringendolo a mollare la
presa e farla sbattere contro il muro.
Kaithlyn
si portò una mano sulla
bocca e chiuse gli occhi, mentre Eric continuava a studiarla.
Le
tremavano visibilmente le
spalle e le gambe e sembrava sul punto di scoppiare in lacrime.
Poteva
averla stretta così forte?
Si
guardò le mani e le aprì
e chiuse distrattamente, mentre la sua attenzione veniva catturata da
una
macchiolina scura sul pavimento.
Si
sentì sbiancare..
Sangue.
-
Che ti sei fatta? –
domandò brusco, riavvicinandosi a lei e afferrandola con
più delicatezza. –
Fammi vedere! – ordinò, afferrandola per le spalle
e staccandola dalla parete.
Kaithlyn
provò a
divincolarsi. – Non toccarmi! – strillò,
con voce strozzata. – Non ti
avvicinare. –
Esitò
per un secondo prima
di prendere in mano la situazione, stringerle le braccia con fermezza e
girarla
contro il muro senza troppi complimenti.
Kaithlyn
provò a liberarsi, continuando
a lamentarsi.
Mentre
la girava notò con orrore
che anche sulla
parete c’era un macchia
rossa e si affrettò. Le tenne ferma la schiena con il palmo
di una mano mentre
osservava con gli occhi spalancati la felpa sporca di sangue.
Deglutì,
cercando di non pensare
a come si potesse essere ferita.
Aveva un’idea piuttosto chiara, ma preferiva ignorarla.
– Spogliati, fammi
vedere. – le ordinò, afferrando
l’apertura della felpa e iniziando a
sfilargliela.
-
No! – ringhiò lei, - non
toccarmi, lasciami stare! -.
Quello
che stava per fare
non gli piaceva e probabilmente dopo se ne sarebbe pentito, ma
preferiva comportarsi
in quel modo e prevenire qualcosa di più serio o che potesse
compromettere lei
piuttosto che fare bella figura e lasciarla stare come gli aveva
gridato ben
due volte.
-
Scordatelo. – ribatté,
stringendo la stoffa della felpa con una mano e iniziando a
sfilargliela. Doveva
vedere quel taglio.
Lei
cercò di ribellarsi, ma
erano tentativi deboli.
Gli
sembrava maledettamente
sbagliato spogliarla contro la sua volontà e il fatto che
lei gemesse e
cercasse di opporsi, in quel modo debole e sofferente, lo faceva
sentire ancora
peggio, ma non aveva scelta. Kaithlyn era testarda e orgogliosa e
piuttosto che
chiedere aiuto si sarebbe fatta morire per dissanguamento, poteva
scommetterci.
Nonostante
la foga del
momento cercò di non esercitare troppa pressione per non
peggiorare la
situazione; non era facile con lei che cercava in tutti i modi ti
ribellarsi e
gli tirava calci sugli stinchi.
-
Ferma! Sta’ ferma,
maledizione! – la ammonì, stringendo i denti per
evitare di restituirle una
pedata particolarmente dolorosa.
Dopo
aver lotteggiato per
qualche secondo, riuscì a toglierle la felpa nera.
Lo
spettacolo che si trovò
davanti gli fece gelare il sangue nelle vene. La maglietta grigia era
zuppa di
sangue su tutto il lato destro, fin quasi al bordo dei pantaloni.
Restò
a fissare come
un’idiota la schiena di Kaithlyn prima di infilarle la mani
sotto la maglietta
per sfilarle anche quella.
-
No… - gemette lei,
spingendogli le mani verso il basso per allontanarle.
S’immobilizzò
e fece un
passo in avanti per intrappolarla tra il suo corpo e il muro.
Non
pensava sul serio che si
sarebbe approfittato di lei, vero? Era esattamente quello che sembrava,
ma era
un’idea talmente assurda che gli venne quasi da ridere.
Le
riappoggiò le mani sui
fianchi in una presa decisa, senza fare pressione, e
avvicinò il viso
al suo orecchio. – Non ti faccio nulla, voglio solo
vedere… - le disse,
cercando di tranquillizzarla e di farle passare il tremore.
Lo
metteva profondamente a
disagio sentirla tremare contro di lui mentre cercava di spogliarla.
Era sbagliato,
avrebbe dovuto tremare di desiderio, non di dolore o perché
stava facendo
qualcosa contro la sua volontà.
Kaithlyn
scosse la testa,
ancora girata verso il muro. – No… non voglio, non
toccarmi... – mormorò.
-
Devo vedere, poi me ne
vado d’accordo? – provò.
D’altronde una piccola bugia poteva essere
giustificata in una situazione simile e dopo tutte quelle che le aveva
detto su
certe attività lavorative e tutte quelle che le avrebbe
dovuto dire
quell’innocente, piccola, bugia era il male minore.
-
Bugiardo. – gli sibilò con
voce rotta.
In
altre circostanze
l’essere colto in flagrante in quel modo lo avrebbe fatto
sorridere, ma non in
quel momento.
Fece
scorrere le mani sui
suoi fianchi, attento anche lì a non fare troppa pressione;
non sapeva da dove
venisse tutto quel sangue.
Le
sfilò la maglia a maniche
corte passando prima dal braccio sano e dalla testa, per poi
togliergliela del
tutto e lasciarla in reggiseno.
Deglutì
quando si trovò
davanti alla schiena pallida di Kaithlyn. Sulla scapola c’era
un taglio
piuttosto profondo dal quale usciva una discreta quantità di
sangue, seppure
lentamente.
Gli
prese la spalla con una
mano e passò il pollice accanto alla ferita aperta.
– Questo… questo come te lo
sei fatto? – chiese piano.
Kaithlyn
aveva incrociato le
braccia davanti al petto con l’intento, forse, di coprirsi da
lui. – Indovina!
– ringhiò, girando appena la testa verso di lui.
-
Ti medico. –
-
Non ci provare nemmeno! –
gli intimò, ma lui aveva già afferrato il
gancetto del reggiseno scuro, a
fascia, e lo aveva slacciato.
Kaithlyn
gemette, coprendosi
i seni con le braccia con forza.
Dopo
la medicazione l’avrebbe ringraziato.
Non
era abituato a vederla
così. Per lui Kaithlyn era indistruttibile, eppure la vedeva
tremare e coprirsi
mentre cercava di spogliarla. E non andava bene, era
sbagliato… allo stesso
tempo, però, non aveva alternative.
Mugolò
qualcosa, mentre le
alzava di forza le braccia per sfilargli l’ultimo indumento.
– Piantala. Non è
niente che non abbia già visto. – le
borbottò in un orecchio, mentre
ispezionava la ferita. Avrebbe avuto bisogno di qualche punto, poco ma
sicuro.
-
Hai un sassolino dentro il
taglio. – costatò ad alta voce, osservando meglio
la ferita e intravedendo
qualcosa di scuro piuttosto in profondità. – Vado
a prendere un paio di pinze
per toglierlo e poi ti porto in infermeria. – le
comunicò incurante delle sue
proteste.
-
Io ho un’idea anche
migliore: perché non ti togli dalle palle e faccio da sola?
-.
Eric
la ignorò e le fece
passare un braccio intorno al torace, coprendole i seni e le mani, e
uno
intorno ai fianchi nudi. La sollevò di peso e ignorando i
tentativi di Kaithlyn
di attentare alla sua virilità con i piedi e le gambe, la
trasportò fino alla
cucina.
-
Ferma, ti fai male… dopo,
se ti fa piacere, mi lascerò prendere a mazzate sui denti,
ma prima fammi
disinfettare la ferita. Dannazione, ferma! -.
Certo
che per essere così
piccola, ferita e all’apparenza così indifesa
causava non pochi problemi. E aveva addirittura ancora energia per
ribellarsi,
nonostante sapesse da sola che era inutile.
Maledetta
testona.
Riuscì
a posarla davanti al
tavolo della cucina, a girarla verso di sé e a metterla
seduta sul ripiano.
Quando
lasciò la presa
intorno al suo corpo, Kaithlyn sbiancò e si portò
una mano alla bocca, sudata e
tremante.
-
Hai la nausea? –
investigò, guardandola attentamente.
Lei
annuì, senza guardarlo.
-
Aspetta qui. – disse
semplicemente prima di dirigersi il più velocemente
possibile verso il bagno e
prendere quello che gli serviva: pinze sterili, una siringa di
anestetico,
disinfettante, un apio di garze e gli strip da mettere al posto dei
punti.
Be’,
non c’era che dire:
Kaithlyn era decisamente organizzata.
Riuscì
a portare tutto in
cucina in un solo viaggio.
Kaithlyn
era scesa dal
tavolo e si teneva una mano sulla bocca, mentre l’altra era
appoggiata sulla
superficie del tavolo al quale dava le spalle. Non appena si accorse
della sua
presenza si portò le mani sul seno, coprendosi.
-
Fai sul serio? – mormorò, avvicinandosi
e girandola verso il tavolo.
Lei
non rispose e non oppose
resistenza, forse troppo concentrata sul malessere.
Disinfettò
con cura la parte
lesa, sentendola sussultare di tanto in tanto ma mai lamentarsi.
La
verità è che si sentiva
in colpa, anche se non era propriamente colpa sua; era intervenuto per
difenderla e invece era quello che le aveva fatto
più male.
-
Non volevo farti del male.
– mormorò dopo un paio di minuti di silenzio,
accarezzandole con il pollice la
spalla, con delicatezza.
Ora
che era pulita, la
ferita sembrava anche peggio. Dove diamine l’aveva fatta
sbattere? Su una parete
di coltelli?
Cercò
di fare mente locale,
ma i suoi ricordi di quella sera erano confusi, contaminati dalla
rabbia
incontrollabile che aveva preso possesso della sua mente e del suo
agire.
Kaithlyn
fece uno strano
verso con la testa, che non riuscì a interpretare.
Sospirò
dal naso. – Okay,
ora ti tolgo la scheggia della parete… stai ferma, okay?
– le annunciò, aprendo
con cautela le pinzette e poggiandole una mano sulla schiena per
tenerla ferma.
Non sarebbe stato piacevole, data la profondità del
taglio.
Quando
inserì, il più
delicatamente possibile, le pinzette all’interno della
ferita, Kaithlyn tremò e
sussultò visibilmente. – Ferma. Ci sono quasi.
– le disse, cercando di tranquillizzarla e allargando
leggermente la ferita con due dita.
Se si fosse agitata avrebbe potuto danneggiare qualche terminazione
nervosa e
non sarebbe stato esattamente il massimo, dato che le braccia, alla
Prima
Tiratrice Scelta servivano eccome.
Andò
un po’ più affondo e
aveva quasi tolto quel sassolino maledetto, quando Kaithlyn
sussultò talmente
violentemente che quasi si spaventò, tanto da togliere
immediatamente le
pinzette dalla ferita e fare un passetto indietro, sorpreso e turbato.
La
sentì ansimare, poi lei
si girò verso di lui più pallida, sudata e
tremante di pochi attimi prima se
possibile. La fissò con le pinzette sollevate a
mezz’aria per un attimo che
parve eterno prima che lei si portasse una mano alla bocca e vomitasse
sul
pavimento.
Tossicchiò,
barcollante,
cercando di allontanarsi i capelli dal viso.
Eric
si avvicinò
repentinamente e gli scostò i riccioli scomposti dalla
faccia, mentre veniva
scossa da un altro conato.
Le
accarezzò la fronte,
mentre si rimetteva dritta, e le appoggiò una mano sul viso
per costringerla a
guardarlo. – Oh, ci sei? – chiese titubante,
accarezzandole una guancia e con l'altra mano la schiena, ogni
residuo di rabbia svanito nel nulla, dissolto.
Gli
occhi di Kaithlyn
vagarono persi per alcuni attimi sul suo viso, prima che la sentisse
accasciarsi
sul suo petto.
La
afferrò da sotto le braccia,
passandole una mano sotto le gambe, e la trasportò
sul divano in
stato di semi incoscienza.
-
Che c’è? Che ti senti? –
domandò preoccupato, mentre la depositava sul divano e le
accarezzava un braccio. Si tolse la felpa e gliela mise sopra, indeciso
sul da farsi.
Se
aveva toccato un nervo,
prima di fare danni, era meglio portarla al pronto soccorso. Tutta la
carriera
di Kaithlyn si basava sulle braccia, era una Tiratrice!
S’inginocchiò
accanto al
divano, in difficoltà. – Kath? – la
chiamò, con voce tremante. – Piccola, mi
senti? – le mormorò, accarezzandole una guancia
esangue.
Le
scostò i capelli dalla
faccia e andò a prendere un fazzoletto per pulirle le
labbra.
Kaithlyn
socchiuse appena
gli occhi mentre le passava con delicatezza il tovagliolino sulla
bocca. – Ehi.
– mormorò, gettandolo sul tavolo e concentrandosi
su di lei. – Ti porto al
pronto soccorso prima di fare danni. – le comunicò
facendo per alzarsi.
Kaithlyn
girò la testa verso
il soffitto, seguendolo con gli occhi. – No… -
mormorò. Portandosi una mano
sulla fronte e coprendosi gli occhi.
La
guardò mettersi a sedere
e stringersi la felpa sul seno mentre si guardava intorno spaesata.
– Mi viene
da vomitare. – disse con voce arrochita e debole, strozzata.
Storse appena la bocca.
– Hai bevuto? –
chiese, piano.
Si
sentiva un'idiota a esercitare tanta premura, ma non era il suo
problema principale in quel momento.
Lei
annuì e puntellando i
gomiti sulle ginocchia si prese la testa ciondolante tra le mani.
Eric
le sfiorò una spalla. –
Aspetta qui, torno subito. – brontolò infine,
prima di dirigersi quasi di corsa
verso la camera della ragazza.
Spalancò
l’armadio con
violenza e ne ispezionò il contenuto alla ricerca di un
borsone. Ne trovò uno
in fondo all’armadio, in basso.
Era
nero e con diverse
tasche e sembrava contenere qualcosa di morbido e non eccessivamente
pesante.
Lo
afferrò bruscamente,
esattamente come aveva fatto con la sua vecchia sacca che teneva sotto
il letto,
e lo svuotò sul materasso con poca delicatezza.
All’interno
c’era una
maglietta smanicata di colore azzurro,
con l’orlo intorno ai buchi per le braccia lavorato e uno
scollo a cuore non troppo profondo,
una paio di jeans e un
paio di scarpe da ginnastica basse di un azzurro un po’
più chiaro della
maglietta.
Guardò
sotto le scarpe, per
curiosità. Trentasei.
Quella
nana aveva dieci
numeri in meno di lui e pesava la metà. Come diamine faceva
a creargli tutti quei problemi?
Era
certo che quelli fossero
i vestiti del suo Giorno della Scelta. Doveva essere carina vestita
così ed era
sicuro che gli sarebbe piaciuta anche tra i Lassi.
Svuotò
anche le tasche,
trovando un fermaglio e un paio di foto dell’iniziazione, che
raccolse e mise
sul comodino senza prestarci troppa attenzione.
Se
non fosse stato tanto
nervoso e, doveva ammetterlo, preoccupato, avrebbe curiosato un
po’ di più ma
prima portava Kaithlyn al pronto soccorso, prima si sarebbe calmano. Il
pensiero di averle rovinato la carriera, seppur involontariamente, lo
stava
facendo impazzire.
Altro
che Jeanine, quella
ragazza lo avrebbe ucciso con molto meno di qualche incarico
pericoloso. Sarebbe
passato alla storia come il più giovane Capofazione
Intrepido morto d’infarto
della storia.
Fece
una smorfia. Era colpa sua se stava male.
Se qualcosa fosse andato storto, l’avrebbe odiato per sempre
e avrebbe avuto
anche ragione a farlo.
Scacciò
quel pensiero con
stizza, mentre cercava nei cassetti della biancheria pulita, un pigiama
e un
cambio di vestiti.
Afferrò
senza pensarci
troppo una maglietta rossa con delle scritte rockeggianti e un paio di
jeans
scuri come cambio. Le scarpe le avrebbe avute addosso.
Non
sapeva bene cosa,
esattamente, tra i miliardi di cose che teneva in bagno le fosse
indispensabile. Prese una bustina di plastica trasparente, quella che
teneva
nella borsa da allenamento e ci infilò dentro lo spazzolino
da denti, il
dentifricio e una spazzola ma non gli venne in mente
nient’altro che potesse
esserle utile.
Uscì
dal bagno, agitato, ma tornò
indietro quasi subito per
prendere anche
il suo spazzolino, nel caso fosse necessario rimanere in ospedale per
qualche
ragione; non l’avrebbe lasciata lì da sola neanche
se fosse andata a fuoco la
Residenza degli Intrepidi.
Avrebbe
cotto i pop-corn sul
Pozzo in fiamme, piuttosto. Dal soffitto in vetro.
Tornò
a passo svelto verso
l’ingresso ed estrasse dal suo borsone un cambio anche per
sé.
Bene,
era tutto pronto…peccato
mancasse all’appello l’oggetto dei suoi problemi,
costatò guardandosi intorno.
L’aveva
lasciata su divano,
semidistesa e ancora dolorante, ma né lei né i
vestiti che le aveva tolto erano
nell’ingresso.
Merda.
Dove
diavolo era finita?
-
Sono in cucina. – la sentì
mormorare, con lo stesso tono cui si sarebbe rivolta a
un’idiota. E forse era
veramente così che lo vedeva e in quel momento non poteva
neanche darle tutti i
torti. Era un maledetto coglione.
La
trovò di spalle, intenta
a scrivere con la mano sinistra qualcosa su un foglietto.
Si
sporse oltre la sua
spalla, i suoi vestiti ancora in mano. –
Cos’è? – chiese osservando il
contenuto del bigliettino.
-
Lascio un bigliettino a quell’altro.
– mormorò, prima di posare
la penna sul tavolo con un ticchettio. Si massaggiò il
braccio destro, con una
smorfia.
Eric
aggrottò le
sopracciglia. – Perché scrivi con la sinistra?
– chiese, anche se non era
sicuro di voler sapere la risposta.
Kaithlyn
si voltò verso di
lui e lo guardò mogia. Tirò per un attimo su un
angolo della bocca. – Ho un po’
di atrofia muscolare al braccio destro. – mormorò,
abbassando gli occhi e dirigendosi
verso il soggiorno. - È indolenzito, credo. –
aggiunse aprendo e chiudendo la
mano.
Era
ancora pallidissima e
sudata, ma almeno camminava sulle sue gambe.
La
seguì fino al soggiorno,
dove aspettò che s’infilasse le scarpe. - Vuoi
cambiarti il sopra? – le chiese.
Non aveva pensato a prenderle un’altra maglietta.
Kaithlyn
alzò gli occhi su
di lui e lo fissò per un secondo prima di annuire con la
testa.
Seguì
Eric con gli occhi
mentre spariva nell’altra stanza prima di passarsi una mano
tra i capelli.
Sentiva ancora lo stomaco sottosopra e le pulsava la testa. Forse non
avrebbe
dovuto bere tutti quei drink, ma si stava divertendo e in genere era in
grado
di regolarsi senza troppi problemi.
Stupida.
Il
braccio ogni tanto
perdeva sensibilità e lo sentiva debole, privo di forze.
Nonostante stesse
cercando di tranquillizzarsi era preoccupata: se si fosse lesionata
seriamente
il nervo soprascapolare sarebbe stato un ben guaio. Non solo avrebbe
dovuto
operarsi, ma avrebbe avuto davanti a sé minimo un paio di
lunghi mesi di
riabilitazione e non ne aveva nessuna voglia.
Sentiva
ancora gola il
retrogusto disgustoso di poco prima, quando aveva vomitato, e quella
sensazione
le fece tornare la nausea.
Avrebbe
dovuto restarsene in
disparte e farsi gli affaracci suoi anziché insistere quando
era evidente che
non fosse il momento opportuno per discutere. Era stata stupida e
impulsiva;
un’Intrepida modello, in parole povere. Non aveva pensato,
non aveva ragionato
sulle conseguenze delle sue azioni, sul fatto che avvicinandosi a lui
in una
situazione del genere, per di più provocandolo –
ancora – non avrebbe potuto
ottenere che una reazione violenta e negativa. Soprattutto dopo la
mattinata,
anche se ormai sembrava lontana anni luce.
Si
rese conto di aver chiuso
gli occhi quanto si sentì toccare appena una spalla.
Guardò nella direzione di
Eric, osservando la maglietta rosso scuro che le aveva portato insieme
a
un’altra felpa.
Pantaloni
grigi, maglia
rossa, felpa e scarpe nere. Davvero un fiorellino, con la faccia che si
ritrovava in quel momento.
Afferrò
l’indumento senza
ringraziare e si cambiò rapidamente, sfilando prima la parte
del corpo sana e
la testa e poi il resto.
L’atmosfera
era ancora
carica di tensione, e l’espressione vagamente preoccupata di
Eric non aiutava
la situazione.
-
Dai… - la incoraggiò Eric,
posandole una mano sulla schiena e accompagnandola alla porta.
In
quel momento, il portone
si aprì rivelando Jason sull’uscio con la mano
alzata a mezz’aria.
Aveva
gli occhi umidi di
lacrime – di nuovo – ma non appena la vide
spalancò gli occhi verdi e la fissò
stranito, alternando lo sguardo da lei ad Eric che si era quasi
automaticamente
irrigidito.
-
Che succede qui? -.
Rieccomi,
purtroppo per voi non vi libererete mai di me.
Vi
chiedo scusa per il ritardo clamoroso, ma sono stata
straimpegnata con l’Università e lo sono ancora,
ma non potevo non aggiornare.
Inizialmente
ero partita con un’idea del tutto diversa,
ma poi mi è venuto in mente questo sviluppo e non ho
resistito alla tentazione.
Voglio dire, l’idea originale era sicuramente più
assennata di questa e filava
tutto… non potevo non complicare
la vita
sia a me che ai miei personaggi, vi pare?
Voi
che ne pensate? Vi piace? Cosa vi aspettavate? Opinioni
o idee sul futuro?
Eric
vi sembra un budino di riso o ha avuto una reazione
“comprensibile”?
Mi
rendo conto che sia un “pelino” più
bipolare del
solito in questo capitolo ma cos’altro potrebbe fare?
È pur sempre Eric! In
questo capitolo Kath non si fa sentire, ma lo farà
prossimamente!
Forse
sto un po’ esagerato con le conseguenze di una
banale – per Kath ed Eric è quasi come darsi il
“buongiorno”, se non si mandano
al diavolo la giornata non inizia! – discussione, ma
stranamente mi piace!
Come
sempre ringrazio Kaimy_11
(il momento in cui Kath si comporterà
“bene” arriverà, te lo
prometto… ed arriverà anche tu-sai-chi!) e Alex001 per le
recensioni. Lasciatevelo dire, per leggere quel capitolo lunghissimo vi
meritereste una medaglia al valore!
Come
al solito vi lascio anche l’indirizzo, a chi
interessa, della mia pagina facebook.
Link à
https://www.facebook.com/Kaithlyn-J-Evenson-865334640156569/?fref=ts
Alla
prossima, aspetto i vostri commenti!
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Capitolo 14 *** Capitolo 14 ***
Capitolo
14
Si
scambiarono un’occhiata,
tutti e tre.
Eric
inspirò pesantemente.
Secondo Miller cosa stavano facendo alle due di notte, con un borsone
in spalla
e Kaithlyn in quelle condizioni? Una simpatica gita fuori programma?
Andava a
inseguire le lucciole e rotolarsi su un verde prato fiorito? Una bella
nottata
in campeggio per dormire sotto le stelle?
-
Kath ma che diavolo ti è
successo? Stai male? – chiese spaesato, spalancando gli occhi
a fissando
allibito il viso pallido di Kaithlyn e il borsone che lui reggeva in
mano.
Eric
cercò di calmarsi.
Come
diceva la psicologa? Respirazione profonda? Inspira,
espira, inspira…
Era
sull’orlo di una crisi
di nervi. Da una parte avrebbe voluto prendere a testate Kaithlyn,
dallaltra
si sentiva colpevole per il danno che le aveva ‘involontariamente’
causato.
La
vide sospirare dalla
bocca e deglutire, forse per idratarsi la gola secca per le grida e per
l’alcol.
-
Credo di essermi giocata
il nervo soprascapolare. –
spiegò
Kaithlyn, massaggiandosi il braccio destro e lanciando
un’occhiata alla fine
del corridoio buio, con il chiaro intento di controllare che nessuno
potesse
vederla in quello stato.
Jason
fece per dire
qualcosa, ma lei proseguì. – E ho vomitato.
– aggiunse con un cenno del capo, a
mo’ di spiegazione.
Jason
la fisso vagamente
confuso. – Non posso neanche allontanarmi due minuti che ti
riduci così… –
commentò quasi più a se stesso che a loro.
Corrugò
le sopracciglia,
come se gli si fosse improvvisamente accesa in mezzo alla fronte una
lampadina.
– In che senso ti sei giocata il
nervo
soprascapolare? – domandò in modo tanto
serio che quella non sembrava
neanche la sua voce. – Voglio dire, che significa?
Cosa… cosa innerva? –
chiese, con un velo di preoccupazione sul viso inespressivo.
Kaithlyn
aprì bocca per
rispondere ma lui lo precedette. – Secondo te cosa cazzo
innerva il nervo soprascapolare? Un
piede, imbecille? –
ringhiò, stringendo i manici del borsone e iniziando a
sentire il sangue
salirgli rapidamente al cervello e le tempie ricominciare a pulsare.
Doveva
controllarsi, se non voleva saltargli alla gola prima del tempo ma
imporsi la
calma gli sembrava un’impresa troppo ardua per quella serata:
effettivamente
sarebbe stato molto più semplice seguire l’istinto
e strozzarlo sullo stipite
della porta di Kaithlyn e mollare lei lì, da sola e
dolorante.
Gli
sarebbe bastato che lui
chi desse una scusa valida, anche banale, per saltargli alla gola, e
sarebbe
stato un ragazzo felice.
Forse
felice no, dato che
dopo Kaithlyn l’avrebbe fatto in pezzettini talmente piccoli
da farlo entrare
in un porta monete, ma almeno sarebbe riuscito a sfogarsi.
Jason
lo guardò stordito. –
Sì... immagino che…-.
Eric
lasciò cadere a terra
il borsone. – Ecco, bravo! “Che ti è
successo Kath?” “Stai male?” –
lo
scimmiottò, - no, cazzo, non vedi che è il
ritratto del benessere? Di’ un po’,
ce li hai gli occhi? Hai bisogno che vada a prenderti un bastone da non
vedenti?
Un paio di occhiali con lenti spesse tre centimetri? Vuoi un
certificato di
cecità? – sbraitò.
Per
un secondo regnò il silenzio
totale e fu abbastanza sicuro di vedere Kaithlyn irrigidire la
mandibola,
mentre le usciva un respiro secco ed esasperato dal naso. Sembrava si
stesse
quasi trattenendo dal girarsi e suonargliene di santa ragione, ma
immagina che
non la ritenesse una mossa molto brillante. E per quanto fosse
un’Intrepida,
Kaithlyn, raramente se non mai, faceva qualcosa da ritenersi stupido.
Non
se ne curò, ci avrebbe
pensato più tardi, tanto peggio di così non
poteva andare. Era umanamente
impossibile le cose tra loro peggiorassero ancora. L’unica
possibilità per cui
una cosa del genere potesse accadere, era che uno dei due sopprimesse
definitivamente
l’altro. Se non altro era in vantaggio!
Jason
aprì la bocca per dire
qualcosa. – Io… - incominciò,
momentaneamente sorpreso, prima di riacquistare
l’espressione indifferente di poco prima.
Gli
occhi di Eric ebbero un
guizzo. – Sì, tu, vuoi fare qualcosa di utile?
– sibilò, afferrandolo per un
braccio e trascinandolo al suo posto, dentro l’appartamento.
- Prendi un
maledetto straccio e sistema questo disastro. Sempre che tu non voglia
farti un
giretto al pronto soccorso e stringerle la mano mentre le infilano un
ago di
venti centimetri nella schiena! Sai qual è la procedura non
chirurgica per
questo genere di danni? Si prende una siringa lunga più o
meno… -.
Jason
lo fermò con i palmi alzati
verso di lui. – Sono sicuro che sia un racconto avvincente,
ma non m’interessa,
grazie. Dammi le chiavi e sbrigati, prima che… -.
Prima
di che cosa?
-
Basta, ci vado da sola al
pronto soccorso. – decretò Kaithlyn visibilmente
irritata, interrompendolo e
raccattando con il braccio sano il borsone. Trascinò la
sacca per un paio di
metri prima di caricarsela sulla spalla sana e andare spedita verso il
corridoio che portava ai piani inferiori.
Se
non avesse fatto una
strage quella sera, non l’avrebbe fatta mai più ne
era certo. Avrebbe veramente avuto
bisogno di un bravo
psichiatra, se voleva continuare a frequentarsi con lei.
-
E tu dove cazzo vai in
quelle condizioni, eh? Vuoi andare a piedi? Magari a corsa, facciamo a
chi
arriva… Kaithlyn? KAITHLYN! – gridò,
mentre l’unica risposta che gli arrivava
era un dito medio alzato.
Si
girò febbrilmente verso
l’altro, che stirò la bocca nel sorriso
accondiscendente di chi sapeva già come
sarebbero andate le cose. Forse gli sarebbe passata la voglia di
ridere, dopo
avergli buttato giù tutti i denti uno per uno e aver
scambiato il posto a naso
e bocca.
Eric
gli lasciò cadere le
chiavi in mano. – Io te l’avevo detto.
ghignò Jason, stringendo il mazzetto
nel pugno. – Ti conviene correre, per avere le gambe
così corte sa essere
inquietantemente rapida. – gli consigliò con
un’alzata di sopracciglia prima di
chiudergli la porta in faccia.
Non
sfondare la porta, Eric. Non è proficuo ai tuoi
scopi. Potrai ucciderlo con calma, nessuno ti corre dietro.
Si
passò le mani tra i
capelli per toglierseli dal viso e cercare di darsi una calmata, prima
di
avviarsi a grandi falcate dietro alla ragazza.
Per
quanto detestasse
ammetterlo Miller aveva maledettamente ragione: era inquietantemente
rapida per
avere le gambe tanto più corte delle sue. La raggiuse e la
agguantò per la
stoffa del borsone, poco prima dell’uscita che conduceva
verso il parcheggio,
sbilanciandola e facendo cadere la borsa a terra con un tonfo.
-
Forza muoviti, non ho
tutta la notte. – le sibilò, prendendo il borsone
con una mano e afferrando il
braccio sano di Kaithlyn con l’altra.
Lei
si divincolò,
strattonandosi all’indietro e riuscendo a liberarsi.
– Io non vado da nessuna
parte con te. – ringhiò, stringendo i pugni e
scostandosi una ciocca di capelli
rossi che le era caduta sul viso.
Eric
diede un’alzata di
sopracciglia. – Davvero? Bene, sono curioso di vederti
arrivare fino al
Quartiere degli Eruditi a piedi! Dovrei prendere degli stuzzichini da
portarmi
dietro per godermi lo spettacolo. Posso invitare un amico? Se aspetti
un
secondo mando un messaggino a Sean! -.
Kaithlyn
arricciò il naso e
lo squadrò con sufficienza. Poi infilò una mano
in tasca e ne estrasse una
chiave elettronica con due bottoncini. – Ho la macchina,
imbecille. – disse,
facendogliela ondeggiare davanti.
Eric
si rabbuiò prima di
tirare fuori un sorriso tagliente, strappargliela di mano e infilarla
fulmineamente in una tasca interna della giacca.
-
Ridammele. – sibilò subito
Kaithlyn cercando di infilargli le mani nel giubbotto per recuperare le
chiavi.
Eric
si scansò, facendola
incespicare nei suoi stessi piedi. – Cosa? –
chiese, candidamente alzando le
mani in seno di resa.
-
Non fare l’idiota, rendimi
le chiavi della mia auto! -.
Alzò
le spalle. – Non so di
cosa tu stia parlando, ma possiamo sicuramente discuterne in macchina.
Forza,
andiamo. – disse, mettendole una mano sulla schiena e
spingendola verso
l’uscita.
-
No. – si ostinò Kaithlyn.
-
Non cercare di convincermi
che hai voglia di guidare con quel braccio. Non fare la bambina, ho il
posto
riservato e a quest’ora alla mia andatura arriveremo in meno
di mezz’ora. –
tentò, cercando di farla vacillare in
quell’assurda convinzione di dover fare
tutto da sola.
Contava
sul fatto che fosse
ancora un po’ frastornata dall’alcol.
Quanto
poteva bere una
ragazza minuta come lei, prima di perdere le inibizioni ed essere
manovrabile?
In
condizioni normali, con una ragazza normale,
avrebbe ipotizzato
un paio, massimo tre drink, ma trattandosi di Kaithlyn sospettava che
neanche
il veleno per topi potesse avere effetto; se l’avesse morsa
una vipera, ad
esempio, non aveva dubbi su chi avrebbe avuto la peggio: la vipera
sarebbe
morta tra atroci sofferenze.
Kaithlyn
fortunatamente esitò
per quel secondo che diede a Eric il tempo di riafferrarla per un
braccio e di
trascinarla, nonostante puntasse i piedi come una bambina capricciosa,
fino
alla sua auto parcheggiata sul lato destro del parcheggio.
Lasciò
cadere il borsone a
terra, estrasse le sue chiavi e aprì. Sempre tenendola ferma
per un braccio e
aiutandosi con un piede, spalancò lo sportello posteriore e
ci lanciò il
borsone, lo richiuse e poi andò agli sportelli anteriori.
Infilare Kaithlyn di
forza in macchina non fu esattamente una passeggiata dato che lei non
era per
niente collaborativa e continuava a piantare i piedi per non
assecondarlo,
oltre ai tentativi di colpirlo in parti del corpo non meglio
identificate. Alla
fine, stufo di quella situazione la prese
in braccio e la gettò di peso e senza nessuna delicatezza
all’interno
dell’abitacolo. In pochi secondi fu al posto di guida ed ebbe
giusto il tempo
di chiudere la macchina con il pulsantino che aveva sul volante per non
farla
uscire. Mise in modo e partì.
Kaithlyn
si massaggiò un po’
il sedere e passò i primi minuti in silenzio, la fronte
corrugata e
l’espressione arrabbiata e stanca. Era uno strano connubio di
emozioni, sul suo
viso: difficilmente sembrava spossata, particolarmente amareggiata o
arrabbiata
in modo non disinteressato. Anzi, non l’aveva mai vista in
alcun modo
vulnerabile.
Qualche
volta sembrava quasi
impossibile smuovere una vera emozione dentro di lei, qualcosa che la
toccasse
sul serio e la facesse vacillare.
Era
snervante, perché lui
ogni tanto, quando erano da soli, si lasciava anche andare, un pochino.
La
presenza di Kaithlyn,
fino a quel
momento, nonostante le liti
frequenti, aveva avuto un effetto perlopiù benefico su di
lui: era più
tranquillo, non aveva due dita ingessate per i troppi pugni alle pareti
della
Residenza e stava iniziando a gestire gli incubi. Quello di quella sera
era
stato il primo attacco d’ira serio da mesi, e ormai pensava
di poterli gestire
pienamente, di non aver più bisogno di sforzarsi di
ricordare come aveva agito
o di dover chiedere a Sean quello che aveva combinato perché
non se lo
ricordava.
Aveva
addirittura progettato
di non dirle niente, di lasciar correre. Perché avrebbe
dovuto tirare fuori
qualcosa che sembrava essere svanito e tanti vecchi ricordi? Con lei,
per di
più!
Già
aveva fatto fatica a
parlare con Sean, figurarsi con la ragazza per cui aveva, doveva
purtroppo
ammetterlo, preso completamente la testa. Gli era sembrato inutile e
contro
producente, ma aveva finito per sopravvalutare se stesse e il suo
carattere iroso:
avrebbe dovuto mettere in conto che, con una donna del genere, alla
fine
sarebbe accaduto qualcosa del genere. Invece aveva continuato a
ignorare quella
vocina fastidiosa, tanto simile a quella di William, che sembrava
dirgli di
avvertire la ragazza che aveva accanto del problema. Effettivamente
sarebbe
stata una cosa intelligente, matura e responsabile.
Peccato
che nessuna di
quelle tre caratteristiche facesse pienamente parte di lui. Certo, non
era
stupido. O ignorante o incapace. Non era mai riuscito a conformarsi del
tutto
alla sua fazione d’origine per la quale ogni comportamento,
ogni azione, doveva
avere un senso ed essere ben ponderata per valutarne ogni aspetto. Lui
era
sempre stato impulsivo, incostante e iperattivo facendo dannare i suoi
genitori
dal momento stesso in cui era nato, al contrario di suo fratello:
riflessivo,
equilibrato – anche se riteneva quell’aspetto
quantomeno discutibile – e tranquillo.
Un Erudito perfetto, in parole povere. Era sicuro che si trovasse
perfettamente
a suo agio in quella fazione che a lui era sempre andata troppo stretta.
Le
strade erano deserte e
sarebbe stata anche una bella serata per uscire a prendere una boccata
daria o
per un’escursione fuori porta, se non fosse stato tanto teso
e la sua ragazza
non gli avesse tenuto il muso, anche se forse “tenere il
muso era un
eufemismo: era incazzata come non mai.
La
luna era a meno di un
quarto e almeno fino a quando non fossero arrivati nei pressi
dell’ospedale,
non c’erano altre fonti di luce se non i fari
dell’auto. I vetri appannati per
il freddo esterno avrebbero dato quasi un tocco di bellezza, di
intimità, a
quella serata, se non fosse che sembrava di poter tagliare la tensione
con un
coltello.
L’atmosfera
gli ricordava
quella della mattina, quando aveva litigato con Kaithlyn. Sembravano
passati
dei giorni e invece erano trascorse meno di ventiquattr’ore.
L’aria tra loro
sembrava quasi elettrica, ma non avvertiva lo stesso dinamismo, la
stesse
sensazione d’incombenza della mattinava che sembrava urlare a
entrambi che
stavano sovraccaricando l’aria, come se questa potesse
prendere fuoco e
distruggere entrambi. Era una tensione diversa: se quella mattina
Kaithlyn,
anziché proseguire con quella storia avesse bussato alla
porta dopo che l’aveva
chiusa e gli avesse strappato i vestiti di dosso, in quel momento,
probabilmente, sarebbero stati entrambi mezzi ubriachi ad amoreggiare
da
qualche parte o già a casa, al caldo sotto le coperte a
darsi piacere. Lei non
si sarebbe fatta male – non le
avrebbe
fatto dal male – e non si sarebbe trovati
sull’orlo di rompere i rapporti.
Sarebbe stati bene, ma la ragazza che aveva accanto e per quale aveva
straveduto per un anno e mezzo prima di chiederle di uscire, era
estremamente
orgogliosa e ostinata, e non sarebbe mai tornata sui suoi passi.
Voltò
appena la testa verso
di lei, per ripiantare gli occhi sulla strada non appena si rese conto
che lei
aveva fatto la stessa cosa. L’unica differenza era che
l’occhiata che gli aveva
riservato non era neutra come la sua ma truce. Ciò
nonostante, la vide comunque
abbassare gli occhi sulle braccia incrociate e imbronciarsi ancora di
più. Era
come se entrambi avessero qualcosa da dire, ma nessuno dei due volesse
farlo,
lasciando le parole non dette premere sul silenzio teso che si era
creato.
Dopo
i primi minuti notò
Kaithlyn, che era rimasta fino a quel momento immobile e appoggiata
allo
schienale con tutto il peso, stringersi le gambe al petto e tirarsi
più giù possibile
le maniche della felpa prima di appoggiare il mento sulle proprie
ginocchia e
trattenere un smorfia di dolore: forse le tiravano i muscoli della
schiena.
Allungò
una mano verso i
pulsanti del riscaldamento e lo accese, impostandolo intorno ai
ventiquattro
gradi. Approfittò del primo semaforo per togliersi il
giaccone; osservò
l’indumento per alcuni secondi, indeciso se darglielo o meno.
Lei avrebbe
preferito perdere tutte le dita dei piedi piuttosto che accettare una
cosa
idiota come un giaccone pesante, ma doveva riguadagnare terreno in
fretta e
cercare di essere il meno stronzo possibile poteva essere una
soluzione. O
fingere di pensare che lei avesse ragione. Il problema di
quell’ultima opzione
è che, se si fosse accorta che la stava assecondando, si
sarebbe incazzata ancora
di più: Kaithlyn aveva la strana abitudine di pretendere
attenzione e di
pensare che gli altri dovessero assecondare ciò che le
passava per la testa e
ciò che diceva ma, allo stesso tempo, non tollerava chi lo
faceva perché si
sentiva presa in giro.
Non
era un comportamento
molto equilibrato, alla fine dei conti. Almeno lui si comportava da
stronzo con
tutti, senza neanche sforzarsi, ma non esigeva certo che gli altri
facessero
volentieri ciò che gli veniva ordinato da lui. Non che
gliene importasse
qualcosa, le persone di cui poteva anche solo pensare di tenere in
considerazione l’opinione si potevano contare sulle dita
delle mani.
Inoltre
non osava pensare a
quando Kaithlyn potesse rompere i coglioni da malata, considerando
quanto lo
faceva quando stava bene. Sarebbe stato un incubo. Un incubo che gli
avrebbe
fatto scoprire nuovi orizzonti della pazienza e milioni di metodi
fantasiosi
per uccidere qualcuno e farlo passare per un incidente. In
più, avrebbe potuto
attaccargli qualcosa e non era il caso con l’azione di
contenimento che stavano
progettando. Con cosa avrebbe ucciso ribelli e divergenti? A suon di
starnuti?
Aggrottò
le sopracciglia e
storse le labbra, come se il suo stesso giaccone potesse sussurragli la
soluzione ai suoi problemi. Compreso il piccolo, insignificante
dettaglio, del
dover tenere all’oscuro la Nana Malefica dai piani dei
Capofazione Intrepidi;
perché lei lo avrebbe scoperto. Era troppo intelligente per
bersi tutte le
cazzate che le avrebbe rifilato nelle settimane successive; era troppo
attenta
ai dettagli, troppo paranoica per farsi fregare sotto il naso in quel
modo o
farsi iniettare un fiala di liquido sconosciuto.
E
quella era la ragione per
cui aveva chiesto un incontro con Jeanine: sapeva che la Capofazione
degli
Eruditi non aveva alcuna simpatia per Kaithlyn, un po’
perché la irritava il
fatto di essere una seconda scelta. Era ancora al suo posto solo
perché una
ragazzina appena sedicenne aveva ignorato l’occasione che le
si prospettava
davanti per lanciarsi da treni in corsa, buttarsi legata a un cavo di
metallo
da un palazzo alto oltre trecento metri e sparare a un bersaglio.
Si
riscosse dai suoi
pensieri e scoccò un’occhiata di sottecchi
all’oggetto dei suoi pensieri che,
in quei pochi secondi si era adagiato contro il sedile con gli occhi
semichiusi
ma l’espressione ancora imbronciata.
-
Tieni. – brontolò senza
guardarla, allungandole il giaccone. In tutta risposta ricevette uno
schiaffo
sulla man o e un’occhiata che avrebbe polverizzato sul posto
anche Jack Kang,
il Capofazione dei Candidi, facendolo vergognare anche di esistere.
Sbuffò
dal naso. – Fai come
ti pare, muori di freddo. – sbottò con
un’alzata di spalle. - Se ti congeli
prima di essere arrivati ti scarico alla prima fila di cassonetti.
–aggiunse,
infilando l’indumento tra il vetro anteriore
dell’auto e il cruscotto, evitando
sempre accuratamente il suo sguardo truce. Kaithlyn seguì i
suoi movimenti
quasi come se volesse morderlo: aveva quasi timore a passarle un
braccio
davanti.
Ripartì
senza curarsi del
semaforo rosso, dato che a giro non c’era un’anima
a parte loro due. Seguirono
altri minuti di silenzio, durante i quali Kaithlyn guardò
fuori dal finestrino
e lui si concentrò sulla guida. – Non devi
accompagnarmi solo perché ti ho
fatto pena, sono in grado di badare a me stessa. –
esordì dopo un po’, senza guardarlo.
Storse
la bocca in una
smorfia. – Non mi fai pena. – precisò. -
Penso ancora che sia tu in torto. –
assicurò tenendo gli occhi puntati sulla strada e stringendo
maggiormente il
volante.
-
E allora perché tanta
premura? Se sono così pessima, forse non ti valgo la benzina
che stai sprecando
per accompagnarmi. Ci hai pensato? – mormorò
velenosamente poggiando il viso
sul palmo della mano e il gomito sulla base del vetro.
Respirò
pesantemente,
indeciso su cosa rispondere. – Perché da sola non
saresti durata un secondo e
non mi diverto a scannarmi con te ogni giorno che Dio manda in terra, io. E poi siamo ancora insieme ed
è mio
compito evitare che tu muoia per una stronzata del genere. Non sarebbe
un
granché, credo. – rispose evasivamente. Certi
discorsi l’avevano sempre messo
in grossa difficoltà e dirle che gli dispiaceva per il male
che le aveva fatto
non rientrava tra le cose che si sentiva capace di fare quella sera.
Kaithlyn
ridacchiò. –
Contento te di stare una puttana arrivista, che pensa solo a se stessa
e si
diverte a mortificarti… De
gustibus, giusto?
– disse con cattiveria.
-
Io non penso questo di … -
incominciò, girando appena la testa verso di lei e
lanciandole un’occhiata
risentita.
Kaithlyn
sembrò infiammarsi
e finalmente si voltò verso di lui con uno scatto.
– Davvero? Mi sembrava il
contrario, poco fa! Se non altro io posso parlare con cognizione di
causa
quando dico quanto tu sia stato patetico l’altro giorno e
stupido durante
l’iniziazione, facendo l’arrogante quando non
potevi permetterti di farlo! –
gridò, tutto d’un fiato.
Eric
respirò tra i denti,
stringendo le dita intorno al volante per non cedere alla tentazione di
colpirla. – Queste, - ringhiò cercando tuttavia di
controllare la voce, - sono
solo tue deduzioni. Io non ho mai detto… quelle cose di te.
– concluse, la voce
tremante di rabbia.
Stava
facendo uno sforzo non
indifferente per non cedere alla tentazione di inchiodare e farla
scendere.
Lei
lo guardò con le
sopracciglia inarcate, in una finta espressione scettica. –
Mie deduzioni? Che strano: mi
sembrava di
aver inteso perfettamente il tuo atteggiamento e i tuoi gesti. Mi sono
immaginata tutto? – lo schernì, - non mi hai
sollevata di peso, insinuando che
per arrivare dove sono, è stato necessario abbassarmi
davanti ai pantaloni dei
miei superiori? Perché magari ho le allucinazioni! Sai
cos’è un’allucinazione?
In quel caso dovresti farti vedere da… - ribatté
parlando con calma e con voce
chiara, come se stesse ripetendo una lezione o stesse spiegando un
argomento
sul quale aveva delle conoscenze più approfondite.
Un
ringhio gli uscì dalle
labbra, mentre una scossa di rabbia gli percorreva tutta la schiena e
lo
costringeva a irrigidirsi.
-
Bene! – sbottò, - vuoi
parlare di deduzioni? Di impressioni?
- la provocò, concitato.
Kaithlyn
gli fece un cenno
di sfida con il mento e incrociò le braccia.
-
Perché se la mettiamo
così, per quanto tu dica il contrario e neghi che ci sia
qualcosa sembra proprio che tu e
quel povero
demente biondo che ti porti appresso abbiate scopato! –
sbottò, lanciandole
un’occhiata vittoriosa.
La
risata di Kaithlyn lo
lasciò per un momento smarrito e confuso.
Che
diavolo c'era di divertente? Voleva ridere anche lui!
-
Che cazzo ridi? Lo trovi
divertente? Perché io non mi sto divertendo per niente!
– ringhiò, mentre
Kaithlyn si copriva la bocca con una mano.
Strinse
il volente con
forza, aspettando che smettesse. Era come se un leggero tremore gli si
stesse
diffondendo dal collo nel resto del corpo. Era la voglia di colpire
qualcosa,
di farle male.
-
Be'? Se me lo dici, rido
anch'io! – insistette in un sibilo.
Kaithlyn
tirò fuori un
sorrisetto derisorio. – In effetti, è molto
divertente. Rido perché, a quando pare, non sei stupido come
sembri! – mormorò
allungandosi per accarezzargli una guancia con il dorso della mano, che
allontanò con un gesto di stizza.
Eric
spalancò gli occhi e
aprì la bocca, mentre il significato di quelle parole aveva
su di lui l’effetto
di una doccia fredda.
Inchiodò,
facendo sbattere
Kaithlyn sul cruscotto davanti a lei.
Si
portò una mano sul naso,
mentre il dolore per la botta s’irradiava a tutta la faccia.
Eric
la fissava con la bocca
semi aperta e gli occhi spalancati, come se gli avesse rivelato
chissà che
cosa.
Ghignò.
La reazione
sconcertata di Eric era esattamente quello che voleva. Sapeva quanto il
suo
rapporto con Jason lo rendesse insicuro ed era la ragione per un cui
aveva
avanzato di raccontargli alcuni episodi degli ultimi quattro anni.
-
Stai mentendo. – le sibilò,
assottigliando gli occhi nell’espressione diffidente di chi
non si sarebbe
fatto prendere in giro. Era incredibile come riuscisse a passare da
un’emozione
all’altra in così pochi secondi.
-
No, certo che no! –
ridacchiò. – come vedi, le impressioni che spesso
ci sembrano errate in un
primo momento, qualche volta si rivelano corrette. – disse
pragmaticamente, un
ghigno di sufficienza ancora stampato sul viso.
Lui
aprì e richiuse la
bocca, basito.
-
Be’? Non hai niente da
dire? - lo stuzzicò, sistemandosi meglio sul seggiolino e
guardandolo in attesa,
le mani intrecciate davanti agli stinchi.
Lo
vide irrigidire la
mandibola. – Quando? – chiese cupamente, stringendo
il volante e fissandola con
espressione quasi idrofoba.
Si
mise una ciocca di
capelli dietro l’orecchio, con non curanza. – Vuoi
sapere l’ultima, la prima…?
– infierì, spietata parlando lentamente in modo
che gli arrivasse chiara alle
orecchie ogni sillaba.
Eric
pareva sul punto di
mettersi a urlare. O di metterle le mani alla gola, immaginò
dipendesse dal
momento.
Lui
andava a momenti: un attimo prima
era tranquillo e l’attimo dopo
era ai pazzi.
Respirò
affannosamente per
un attimo e si mise le mani sul viso, lasciandosi cadere contro il
sedile. La
macchina ebbe un sussulto e si spense, ma non infierì:
voleva aspettare che
prendesse consapevolezza di quello che gli aveva detto per rendere
tangibili
quelli che sapeva essere i suoi timori. Sapeva che Eric, nonostante
all’apparenza sembrasse anche troppo spavaldo, e per certi
versi lo era,
nascondeva una profonda insicurezza per se stesso e per gli altri,
anche se non
era ancora riuscita a capirne a pieno il motivo.
Lo
spegnimento improvviso
sembrò riportarlo gradualmente con i piedi per terra,
distogliendolo
dall’immagine di lei e Jason avvinghiati da qualche parte.
Magari stava proprio
pensando al suo letto matrimoniale, dove erano stati tante volete
insieme.
Ne
sarebbe stata contenta,
perché era esattamente quello a cui voleva che pensasse per
le successive ore. Voleva
che il tarlo del dubbio lo tormentasse fino allo stremo.
Sapeva
di stargli facendo
del male e sapeva anche che avrebbe dovuto dispiacerle. Ma non era
così. Avere
gli strumenti per sopraffarlo, come aveva fatto lui con lei poco prima,
le dava
una piacevole sensazione di predominanza. Era lei ad avere il coltello
dalla
parte del manico e avrebbe continuato ad affondarlo crudelmente in una
ferita
aperta e tanto delicata fintanto che non si sarebbe stancata.
Detestava
essere sopraffatta
e le poche volte in cui le era capitato aveva sempre reagito sfruttando
quello
che sapeva dell’altro, chiunque fosse, per ricambiare il
favore non con una, ma
con dieci volte la cattiveria che aveva ricevuto. Era così
che si era fatta
spazio nelle Forze Speciali, anche se era la più piccola, la
più debole
fisicamente e l’unica donna.
Era
stata la più intelligente,
anche se non era un grande sforzo essere più svegli della
maggior parte degli
Intrepidi, e aveva ottenuto tutto ciò che si era prefissata
di ottenere.
Negli
Eruditi era stata
viziata e abituata a non essere seconda a nessuna, mai e per nessuna
ragione.
Suo padre era più esigente con lei che con tutti e quattro i
suoi fratelli
maggiori messi insieme e lo era stato in particolare dal momento in cui
aveva
espresso la sua volontà di cambiare fazione pretendendo da
lei niente di meno
che l’eccellenza.
Lei
ed Eric non parlavano
granché di quello che c’era stato prima, o della
vita che entrambi avevano
condotto tra gli Eruditi; lui s’innervosiva, diventava cupo e
scontroso, cambiava
discorso e lei non aveva mai cercato di scavare più a fondo.
O di renderlo
partecipe di quello che riguardava lei.
Lo
vide riafferrare il
volante e fare un respiro profondo. – Bene, - disse prima di
schiarirsi la
voce, riaccendere la macchina e ripartire come se nulla fosse, forse,
rifletté,
per non darle soddisfazione.
Non
aggiunse altro mentre
percorrevano il viale buio e deserto; ogni tanto lanciava qualche
occhiata a
Eric, che sembrava, via via che si avvinavano sempre più
nervoso e pallido. Notò
che gli stremavano impercettibilmente le mani, e si chiese cosa lo
spaventasse
o lo innervosisse tanto.
Arrivati
a uno degli
stradoni principali che collegava diverse strade diramate per tutta la
città,
Eric, anziché percorrerlo e prendere la via più
breve svoltò improvvisamente in
una strada secondaria e fece il giro.
Lo
guardò con sufficienza. –
Si può sapere che fai? Ti si è guastato il GPS?
– mormorò altezzosamente.
Eric
non rispose e si limitò
a deglutire appena e fissare insistentemente la strada, stringendo con
ancora
maggior vigore il volante e riaprendosi, piano e dolorosamente, le
nocche. Quel
gesto gli fece stringere le labbra, ma non lo udì emettere
neanche un lamento
nonostante fossero ridotte veramente, veramente male.
A
causa di alcune strade
chiuse furono costretti a tornare indietro e ad allungare ancora di
più la strada.
Quella faccenda inizia a irritarla più del dovuto e il
dolore al braccio e alla
spalla stava piano piano diventando globale e sordo.
Quando
furono a poche
centinaia di mentre dal parcheggio del retro dell’ospedale,
dove si trovava
anche l’ingresso delle ambulanze e l’entrata del
pronto soccorso, Eric inchiodò
nuovamente.
Kaithlyn
mise il braccio
sano in avanti, riuscendo a evitare di battere un’altra testa
sul cruscotto
della macchina. – Che c’è?
–ringhiò, vedendo che non aggiungeva nulla.
– Ti sei
incantato? Vuoi una mano a riaccendere la macchina o…? -.
–
Voglio sapere quando ti
sei fatta sbattere da… da lui. Magari l’ultima
volta che è rimasto da te, eh? –
ringhiò improvvisamente di nuovo preda della furia,
afferrandola per un braccio
e tirandola verso di sé per arrivarle a due centimetri dal
viso.
Kaithlyn
non rispose. Tutto
sommato se l’era cercata, ma il fatto che ogni scusa fosse
buona per darle
della poco di buono cominciava a diventare snervante e non aveva
nessuna voglia
di sopportare ancora. Era stato già abbasta strano, per lei,
lasciar correre con
l’episodio di qualche giorno prima e non aveva nessuna
intenzione di ripetere
l’esperienza.
La
spalla le faceva male e
lo strattone che le diede sembrò intensificare il dolore,
facendola gemere. –
Mollami. – sibilò.
-
Lasciami indovinare. –
disse, ignorandola e rafforzando la presa, spezzandole il fiato per il
dolore. –
Eri tanto scocciata perché ho interrotto la vostra seratina?
Magari ti sei
fatta scopare anche durante il turno di guardia, vero?! Dimmi un
po’, almeno ti
è piaciuto? O magari sei talmente abituata che uno vale
l’altro – proseguì in
un mormorio basso e letale.
Aveva
appurato con se stessa
di essersela cercata, di averlo provocato e spinto al
limite… ma ciò non le
impedì di caricare un pugno con la mano destra e colpirlo
sul viso,
costringendolo a lasciarla.
Sentì
il naso di Eric
scrocchiare sotto il suo colpo e, per solo un momento, temette di
averglielo
rotto di nuovo. Se così fosse stato, dato che conosceva il
dolore, non si sarebbe
sorpresa di ricevere una testata sui denti e un man rovescio tanto
forte da
rigirarle la faccia.
Si
alzò comunque di scatto,
scalciando il giubbotto di Eric che le era caduto sulle gambe raccolte,
si alzò
sulle ginocchia e prima che lui potesse fermarla premette il pulsante
per
aprire la macchina.
Scese
come una furia,
spalancò lo sportello posteriore con un’energia
che non credeva di avere e si
buttò la sacca in spalle, sbattendo la portiera con tutte le
sue forze per poi
avviarsi a piedi per l’ultimo chilometro di strada.
-
Kaithlyn?! Kaithlyn?!
KAITHLYN! – le urlò dietro, senza tuttavia
ricevere alcuna considerazione.
Lei
non lo ascoltò e
proseguì per la sua strada, a piedi.
-
Cazzo! – imprecò, colpendo
ripetutamente il volante con i palmi delle mani.
Ansimò,
cercando di
riacquistare il controllo della situazione e non gettarsi
all’inseguimento della
ragazza per finire l’opera che aveva involontariamente
iniziato.
Kaithlyn
era sparita,
avvolta nell’oscurità e fuori dal raggio
d’azione dei fari, così accese gli
abbaglianti e la individuò, una centinaio di metri
più avanti. Camminava
spedita, trascinando il borsone per terra. Era incredibile quante
energie
avesse da sprecare, in quello stato. Quasi la invidiava.
Era
ancora teso come una
corda di violino, e percepiva, dietro la testa, ancora il formicolio
della
tensione che, lo sapeva, se avesse aspettato ancora lo avrebbe spinto e
farle
del male.
Continuavano
a venirgli in
mente immagini di lei con Miller, avvinghiati sul suo letto, dove tante
volte
erano stati insieme. Lo vedeva accarezzarle il viso, baciarle il collo
con
dolcezza e stringerla contro di sé. Lo vedeva spogliarla con
calma, con quella
complicità e quella confidenza fisica che loro due avevano
dovuto costruire
passo dopo passo, la stessa che per l’altro sembrava
naturale. Lo vedeva
accarezzarla, toccarla, premerla contro il suo petto e ridere insieme a
lei,
come se si conoscessero da sempre. Lo vedeva fare l’amore con
lei, con una
dolcezza che lui non avrebbe mai avuto e si sentì
sprofondare.
Sarebbe
stata meglio con
lui. La conosceva bene, forse, per certi versi, anche meglio di lui ed
era
tranquillo, equilibrato e l’avrebbe trattata riservandole
tutte le attenzioni
che le servivano. La complicità c’era
già, a letto insieme erano già andati…
era sufficiente che si facesse da parte lui.
Quello
che gli aveva detto Kaithlyn
era stato come una doccia fredda, uno schiaffo. Più volte
aveva pensato che, in
effetti, ci potesse essere stato qualcosa tra loro, ma pensava anche,
dato che
erano in buoni rapporti, che fosse stato troncato sul nascere o che il
fatto di
essere l’uno la nemesi dell’altra gli avesse
impedito di avvicinarsi in quel
modo.
Si
sbagliava, come sempre
quando si trattava di Kaithlyn.
Deglutì,
ingoiando
l’amarezza di quella realizzazione e rimise in moto
l’auto. Non appena fossero
tornati alla Residenza, avrebbe dovuto mettere un paio di punti in
chiaro con
Jason. E sarebbe stato meglio che lui l’avesse ascoltato,
perché sentiva in non
star aspettando altro se non una buona scusa per sfogarsi su di lui,
dato che
su Kaithlyn non poteva. O meglio, poteva: ma le conseguenze erano ben
peggiori
di quelle che avrebbe subito per una bella scazzottata tra uomini e
prendere a
pugni un ragazza malconcia, che pesava meno della metà di
lui non gli sembrava
molto virile. Inoltre gli sarebbe dispiaciuto fare del male a Kaithlyn,
mentre
picchiare a sangue Jason fino a fargli sputare tutti i denti, gli
avrebbe
provocato un certo piacere.
Ripartì
piano, seguendo
Kaithlyn da una certa distanza per assicurarsi che non collassasse in
mezzo di
strada o infilasse in un tombino aperto, dato che in quella zona spesso
facevano
controlli e lavori. Gli sarebbe toccato soccorrerla, e non ne aveva
alcuna
voglia.
Sembrava
stare meglio, comunque,
o almeno così sembrava dato l’impegno che ci stava
mettendo per seminarlo.
Era
ancora assorto nei suoi
pensieri, lasciati a vagare da una considerazione all’altra
nel tentativo di
calmarsi, quando la ricetrasmittente dell’auto gli
comunicò con un trillo che
aveva una chiamata in entrata dalla Residenza.
Premette
il pulsante di
risposta, prima di rinchiodare gli occhi sulla strada e sulla figura
della
ragazza.
-
Che c’è? – ringhiò,
incurante di chi ci fosse dall’altra parte.
-
Dove diavolo sei? – gli
rispose, quello che identificò come Sean.
Non
aveva niente di meglio
da fare alle due e mezzo di notte?
-
Quasi al pronto soccorso,
la Stronza si è sentita male. Sto aspettando che cada
accidentalmente in un
pozzo lasciato aperto per andarmene. – sbottò.
Dall’altra
parte ci furono
un paio di secondi di silenzio. – Quindi non è
andata granché, eh? -.
Ma
cosa andava a pensare? Chiunque avrebbe scelto quella
zona per fare una piacevole escursione romantica, alle due e mezzo di
notte e
con quel freddo da lupi.
Non
rispose.
Era
una persona molto
orgogliosa e anche molto ostinata. Forse era per quella ragione che,
nonostante
le girasse la testa, sentisse freddo e le venisse da vomitare, oltre al
dolore
alla schiena, non si era ancora rassegnata ad aspettare che Eric la
raggiungesse in macchina e a farsi portare al pronto soccorso
comodamente
seduta sul sedile del passeggero della sua auto. Con il riscaldamento
acceso e
un bel giaccone sulle spalle.
Preferiva
soffrire,
collassare a terra o arrivare alla meta strisciando piuttosto che fare
un passo
indietro, indipendentemente dall’essere nel torto o nella
ragione, anche se a
quel punto era difficile dire cosa fosse colpa di chi e
perché; avrebbero
potuto metterci una pietra sopra, cercare di andare d’accordo
per qualche ora e
riappacificarsi, ma lei non era intenzionata a fare un solo passo per
migliorare le cose.
Piuttosto
la vivisezione.
Ringhiò
dal dolore per
l’ennesima fitta alla schiena e lasciò andare il
borsone inciampando per terra
e frenando la caduta con i palmi delle mani. Una scossa le percorse la
schiena
e la costrinse a mordersi le labbra per soffocare un gemito di dolore.
Si
mise in ginocchio e
facendo leva sulle mani riuscì ad alzarsi, mentre la
sensibilità ai muscoli
della spalla diminuiva e un’altra fitta le faceva stringere i
denti tanto da
farsi male.
Strinse
le labbra e si alzò:
non era troppo lontana e continuando di quel passo sarebbe arrivata nel
giro di
pochi minuti. Forse una quindicina. Poteva farcela, non aveva bisogno
di Eric o
di chi per lui.
Non
aveva bisogno di nessuno.
Forte
di quella convinzione
riafferrò il borsone per i manici e se lo mise in spalla a
fatica; non era
particolarmente pesante e l’avrebbe portato senza problemi se
non le fosse
girata in quel modo alla testa e se il dolore che andava e veniva a
schiena e
braccio non avesse distolto la sua attenzione da tutto il resto.
Scosse
la testa, cercando di
scacciare la sensazione d’impotenza che sembrava volersi
impossessare di lei e
riprese a camminare lentamente.
Non
si sarebbe fatta mettere
fuori gioco da una stupida, inutile scheggia di pietra.
La
verità, nonostante avesse
fatto la spavalda fino a pochi minuti prima in presenza di Eric, era
che era preoccupata
seriamente per il suo braccio: sapeva che non era colpa di Eric, ma non
poteva
fare a meno, in qualche modo, in imputargli un margine di
responsabilità. Lei
lavorava con le braccia, era la miglior Tiratrice degli Intrepidi e
aveva
davanti una carriera sfavillante, tecnicamente. Ma se non fosse stato
possibile
recuperare del tutto il braccio, cosa avrebbe fatto? Sarebbe finita al
Centro
di Controllo? A fissare un monitor per tutto giorno, lei? O magari in
palestra,
a misurare il pavimento e a insegnare a ragazzini che a malapena
sopportava
come allacciarsi gli scarponi.
Stare
alla recensione o
pattugliare la città le dava lo stesso entusiasmo che
avrebbe avuto nel
mettersi a fare un girotondo in un campo di grano e con una stupida
corona di
fiori in testa.
Avrebbe
dovuto valutare e
decidere: forse addirittura di andarsene. Sarebbe dipeso esclusivamente
da chi
avesse predominato tra orgoglio e intelletto.
Rise
istericamente, a quel
pensiero. Se non altro era riuscito a liberarsi di lei una volta per
tutte.
Era
abbastanza sicura, per
quel che capiva lei di quella roba, che non fosse niente di troppo
serio;
sarebbe stato sufficiente estrarre il corpo estraneo dalla sua
maledettissima
scapola e prendere per qualche giorno gli altrettanto stramaledetti
antidolorifici, o al massimo fare qualche iniezione. Eppure il tarlo
del dubbio
la rendeva nervosa, instabile e incredibilmente suscettibile.
Lo
detestava in quel
momento, e l’unica cosa che sembrava farla stare meglio era
ferirlo e
umiliarlo, esattamente come aveva fatto lui per tutta la sera. Sapeva
che il tasto
“Jason” era fastidiosamente dolente e che non
avrebbe dovuto dirgli una cosa
del genere in quel modo; sapeva che avrebbe dato i numeri e ne godeva.
Rabbrividì
fin dentro le
ossa per il freddo pungente della notte e si strinse per quanto
possibile la
felpa addosso. Aveva pensato, nei pochi secondi di cui aveva avuto
bisogno per
colpire Eric e scendere dall’auto, di afferrare anche il suo
giaccone: non era
una mossa intelligente arrancare in quelle condizioni e con quel
freddo, ma era
troppo orgogliosa per ammettere di aver bisogno di qualcosa di suo,
anche se si
trattava di una cosa stupida come un giaccone pesante. Sarebbe stato
come
ammettere di aver bisogno di aiuto, di essere accudita o, ancora
peggio, di
aver bisogno di lui. E piuttosto
che
riconoscere quell’eventualità, sarebbe morta di
freddo e si sarebbe fatta
trovare la mattina dopo come una bella statuina di ghiaccio; tutto,
qualsiasi
cosa pur di non fasi tendere la mano da Eric Turner.
Incespicò
nei suoi stessi
piedi, mentre sentiva la pressione calarle bruscamente e le ginocchia
cederle.
Cadde in ginocchio e fece appello a tutta la forza di cui disponeva per
rimanere ancorata alla realtà e non svenire. Quando fu
abbastanza sicura di
essere in grado di alzarsi, cercò di tirarsi su facendo
forza sulle gambe, ma
un altro giramento la colse impreparata e la fece cadere in avanti.
Kaithlyn
mise le mani avanti
per non battere la testa e non finire distesa. Non sarebbe svenuta in
mezzo di
strada come la prima imbecille passata per caso. Che figura ci faceva?
Era un
soldato, nelle Forza Speciali da quasi quattro anni e sveniva per una
sciocchezza del genere? Che cosa avrebbe fatto se ci fosse stata una
guerra,
una battaglia, e fosse rimasta ferita? Si sarebbe fatta portare in
braccio da
uno dei suoi compagni come una ragazzina piagnucolosa?
Riprovò
ad alzarsi, ma il movimento
le causò una stretta nauseante alla bocca dello stomaco.
Riuscì a rimettere le
mani avanti a sé giusto in tempo per bloccare nuovamente la
caduta, ma un dolore
pungente e frizzante le pervase la mano sana.
Ritrasse
la mano dal terreno
cercando di mettersi seduta sulle ginocchia e per non perdere
l’equilibrio. Si
guardò la mano nella quale era piantano, anche se non in
profondità, un pezzo
di vetro forse proveniente da un auto o da un incidente avvenuto in
giornata.
Le
braccia e le mani le
tremavano e sentì le lacrime venirle quasi automaticamente
agli occhi ma le
ricacciò indietro. Afferrò il vetro con due dita
informicolate e tirò appena,
soffocando un gemito di dolore.
Doveva
fare una cosa rapida,
uno strappo e sarebbe finito tutto. Poteva tamponare il sangue con uno
dei
fazzoletti che teneva nel borsone e ormai era abbastanza vicino al
pronto
soccorso.
Contava
di non morire
dissanguata nel tragitto, sarebbe stato piuttosto imbarazzante: forse
anche
peggio di svenire.
Respirò
profondamente dal
naso ed estrasse la scheggia con uno strattone. Il dolore le fece
mordere a
sangue le labbra e la fece boccheggiare, mentre il sangue iniziava a
zampillare
dalla ferita. Aveva un taglio di cinque centimetri sul palmo della
mano. Bene,
c’era dell’altro? Magari poteva cadere in terra e
procurarsi una commozione cerebrale,
o poteva collassarle un polmone, così, giusto per non farsi
mancare niente.
Si
passò l’avambraccio del
braccio ferito sugli occhi, cercando di controllare il tremore diffuso
in tutto
il corpo e iniziò a respirare profondamente, facendo entrare
l’aria dalla bocca
con lentezza e facendola uscire dal naso. Dopo circa un minuto
sentì il rumore
della macchina che si fermava in lontananza e s’impose di
alzarsi. Sarebbe
rotolata o strisciata prima di farsi vedere tra tutti, proprio da lui
in quel
modo. Anche se forse, gli avrebbe fatto più male vederla
così, che pensare che
stesse meglio.
Si
alzò quasi di scatto,
senza curarsi di tamponare la ferita come si era prefissata.
Lo
sbalzo repentino di
pressione le fece girare vorticosamente la testa e le
provocò un’altra stretta
allo stomaco. Le veniva da vomitare, maledizione. Avrebbe dovuto bere
meno o
coprirsi di più; di quel passo le sarebbe venuta una
congestione.
Riuscì
a mantenere
l’equilibrio senza sapere neanche lei come, ma non
riuscì a impedire alla bile
di risalirle la gola.
Vomitò
sull’asfalto,
tenendosi lo stomaco come ad arginare la nausea. Un colpo di fosse la
fece
piegare in avanti, ma riuscì a rimanere in piedi divaricando
leggermente le
gambe per reggersi meglio.
Non
sarebbe caduta di nuovo
per terra, nel suo vomito per giunta.
Stava
sudando freddo mentre
iniziava a tramare visibilmente. Si passò una mano sulla
fronte, trovandola
madida di sudore, mentre le si annebbiava la vista di lacrime dovute
alla
tosse.
Si
chinò cautamente per
prendere i fazzoletti nella tasca interna del borsone: era
un’operazione lenta
e dolorosa, e impiegò alcuni minuti per portala a
compimento; estrasse un
fazzolettino di carta bianco e si pulì le labbra prima di
gettarlo malamente a
terra.
Si
appoggiò una mano sulla
fronte e spostò i capelli dal viso sudato prima di imporre
alle sue gambe di
muoversi nuovamente.
Riprese
a camminare
lentamente. Non si sentiva più il braccio, quindi
l’unica soluzione fu
trascinare il borsone per i manici. Avrebbe dovuto aspettare che le
tornasse la
sensibilità, ma era contenta che Eric non fosse corso ad
aiutarla. Avrebbe
dovuto insultarlo ancora e non era sicura di avere voce a sufficienza.
Stufa
di trascinare il suo
bagaglio se lo caricò in spalla, soffocando un ringhio di
dolore. Non riusciva
a chiudere la mano tagliata e trascinare quel peso iniziava a diventare
più
doloroso del consentito.
Malauguratamente,
il borsone
le scivolò, strattonandole il braccio verso il basso.
Il
dolore durò poco, ma la
fitta iniziale le riempì la testa e le sembrò
quasi si sentire il suo sangue
pulsare nelle vene, mentre le si annebbiava nuovamente la vista e
barcollava
pericolosamente all’indietro. Lasciò andare il
borsone, senza più forza nella
braccia e si sporse in avanti per mantenere l’equilibrio,
come aveva fatto poco
prima.
Mancava
poco, era quasi
arrivata. Un ultimo sforzo, doveva solo attraversare la strada intorno
alla
rotonda riservata alle ambulanze ed entrare dalle porte automatiche.
Non era
lontano, anche se salire e scendere i gradini del marciapiede
mattonellato
sarebbe stato doloroso.
Il
passo che fece in avanti
le causò un conato di vomito più forte dei
precedenti, costringendola a piegarsi
in avanti per non sporcarsi.
Tossì,
mentre al primo
conato ne seguiva un altro abbastanza forte da costringerla a cadere
sulle
ginocchia e a tenersi spasmodicamente allo stomaco con le mani.
Ora
sentiva chiaramente i
brividi su tutto il corpo e si accorse di tremare come una foglia. La
testa le
pulsava dolorosamente e sentì salirle agli occhi lacrime di
frustrazione.
Era
patetica, ecco cos’era.
-
E quindi? -.
-
E quindi nulla, mi ha
mandato al diavolo ed è scesa di macchina. –
ripeté, per la seconda volta.
Quando ci si metteva Sean era più curioso di una donnicciola
e nonostante fosse
ormai un Intrepido, continuava a voler essere messo al corrente e a
voler
conoscere ogni aspetto di quello che succedeva.
“Se
devo farti da avvocato difensore, devo conoscere ogni
aspetto degli avvenimenti.”
Tralasciando
le ovvie
considerazioni sul fatto che, professandosi come suo migliore amico,
avrebbe
dovuto prendere le sue parti a prescindere dalle circostanze.
Ma
quelli erano dettagli,
giusto?
Osservò
con più attenzione
davanti a sé, sporgendosi leggermente in avanti per vedere
nell’oscurità.
Andava talmente piano che non aveva neanche bisogno di tenere le mani
sul
volante.
-
Aspetta un attimo: forse
sta collassando. – comunicò all’amico.
In effetti, Kaithlyn era caduta. La vide
provare ad alzarsi un paio di volte e dopo la seconda, vendendola
rimanere a
terra, spense il motore preparandosi a scendere per andare a raccattarla.
Le
vide drizzare la testa e
alzarsi repentinamente, forse sentendo il motore della macchina
spengersi e
immaginando che sarebbe andato ad aiutarla. Forse si alzò
troppo velocemente,
perché la vide piegarsi in avanti e vomitare anche
l’anima. Non la vedeva
chiaramente, era buio e lei si trovava a diverse decine di metri da lui.
Da
un punto di vista teorico
avrebbe dovuto correre da lei, caricarsela in spalle e portarla in
ospedale,
prima che avesse una congestione e restasse lì.
Aspetto
diversi secondi, poi
la vide rialzarsi barcollante, così riaccese la macchina e
ripartì. La vide girata
verso il borsone, che fisso per diversi secondi prima di afferrarlo per
i
manici e iniziare a trascinarlo.
-
Mmh… falso allarme,
respira ancora. – aggiunse rivolto a Sean.
Sean,
dall’altra parte,
ridacchiò. – Tu non vuoi veramente che ci resti
secca. Contieniti e va ad
aiutarla. -.
Lo
ignorò, osservando dove
stava camminando la ragazza. Non si sarebbe congelato per aiutare
qualcuno che
a) ce l’aveva a morte con lui b) lo trattava di merda da
giorni e c) non voleva
essere aiutato.
Perché
forzarla? Se aveva
deciso che la sua ora sarebbe arrivata proprio lì erano
affari suoi… de gustibus.
Se la strada nei dintorni
dell’ospedale cittadino le piaceva come ultimo luogo da
visitare prima di
morire, avrebbe rispettato i suoi desideri.
-
Lì spesso c’è un tombino
aperto, forse stasera sono fortunato e… no, ovviamente no.
– brontolò, mentre
Kaithlyn sorpassava uno dei tanti tombini soggetti a manutenzione della
zona.
Sean
sospirò. – Eric. -.
Inarcò
le sopracciglia. –
Che c’è? Mi pareva che la speranza fosse
l’ultima a morire! – protestò con
indifferenza corrugando le sopracciglia e acuendo lo sguardo per
individuare le
sagome della ragazza.
-
Certo, - gli concesse
ironicamente l’altro. – è ancora in
piedi? – indagò, dopo alcuni secondi di
pausa.
-
Ovviamente. Chi la ammazza
quella? Se dovessero sequestrarla, mi preoccuperei di più
per i sequestratori
che per lei. Aveva ragione boccoli
d’oro:
avrei dovuto portarmi una mazza chiodata e finirla. Forse la
decapitazione
funziona davvero…– mormorò, senza
tuttavia staccare gli occhi dalla figura
barcollante che camminava a poche decine di metri da lui e che sembrava
intenzionata a continuare per la sua strada anche a costo di strisciare
sull’asfalto.
Era
grande e vaccinata, se
voleva arrivare in coma al pronto soccorso non poteva certo essere un
problema
suo. Non si sarebbe fatto esplodere le coronarie per quello e non
glielo
avrebbe impedito.
Sean
rise. –Ti credo. –
-
Tu, comunque, perché mi
chiami a quest’ora? Non hai proprio niente di meglio da fare?
– indagò, mentre
osservava attentamente ogni movimento di kaithlyn che stava assumendo
un’andatura quasi moribonda.
-
Ho discusso con Mia e lei
mi ha gentilmente invitato a
trovarmi
un altro letto, nella fattispecie il tuo. A quanto pare le tue
discussioni con
la tua ragazza hanno contagiato anche lei…. Comunque sono
andato a casa tua, ma
tu non c’eri, come ben sai…
allora… -
spiegò, con tutta calma.
-
Io stasera sarei comunque
rimasto da Kaithlyn, dato che aveva come “ospite”
Mister Simpatia; avresti
dormito fuori. – lo interruppe. Dopo quello che gli aveva
schiaffato in faccia,
tra l’altro, non avrebbe più passato una sola
notte senza sapere esattamente
dove fosse e cosa stesse facendo. Si sarebbe accampato nel suo salotto,
se
necessario, ma Miller doveva stare ad almeno trenta metri da lei.
Avrebbe
scritto un’ordinanza restrittiva facendolo passare per un
maniaco pervertito
che si divertiva a torturare le donne con giochetti sadici, per tenerlo
alla
larga da ciò che era solo ed
esclusivamente suo.
Sean
si zittì un attimo. – Mi
lasci finire? Grazie. Comunque sono
andato da Robert e Annie, i nostri compagni d’iniziazione,
hai presente Re degli Asociali Patologici?
Esatto
proprio quei due tipi simpatici con cui abbiamo condiviso il bagno per
un mese
in quella topaia di dormitorio! Insomma, sono andato da loro e dato che
non
avevo il cercapersone mi hanno fatto chiamare con il telefono di casa.
Ora sai
che hai disturbato quasi tutta la nostra classe
d’iniziazione, contento? –
concluse, come se fossero entrambi in salotto e bere una birra.
Eric
storse la bocca: non
era particolarmente entusiasta del fatto che anche gli altri due
sapessero di
quel casino. – Non tutti.
Se davvero
vuoi fare una cosa come si deve, fammi un regalo e versa del cemento
armato e
rinforzato davanti alla porta di Quattro. –
suggerì con un ghigno.
Il
sogno della sua vita:
sbarazzarsi per sempre di Tobias Eaton. Quattro. Come diavolo si
chiamava.
Che
poi, riflettendoci,
farsi chiamare come un numero gli sembrava una cosa piuttosto idiota.
Negli
Eruditi gli avrebbero riso in faccia per… be’, per
sempre. A malapena
sopportavano gli abbreviativi. Lui, ad esempio, almeno quando era in
casa e i
suoi erano a portata d’orecchio doveva chiamare suo fratello
William… avevano
tollerato, sua madre in particolare, che lo chiamasse Will solo fino
all’inizio
dei Livelli Inferiori ed esclusivamente perché ancora non
poteva parlare in
modo del tutto corretto. Anche se sospettava che ci fosse lo zampino di
suo
padre, che era sempre stato più incline ad assecondarli di
sua madre e il più
delle volte si ritrovava a fare da mediatore.
Un
movimento brusco, davanti
a lui, lo distolse dai suoi pensieri. Il borsone di Kaithlyn era caduto
a terra
e lei era piegata in due e stava vomitando di nuovo. Aspettò
alcuni secondi che
si rialzasse, ma lei continuò a piegarsi sempre
più su se stessa, scossa da
conati e tosse.
Spense
il motore ma non la
macchina per mantenere la comunicazione e sentire lei nel caso
l’avesse
chiamato per aiutarla.
Kaithlyn
si piegò in avanti,
reggendosi con gli avambracci e continuando a tossire. La vedeva
tremare anche
da lì, forse le stava prendendo una congestione.
-
Sean, ci sentiamo dopo,
devo andare. – comunicò, slacciandosi la cintura.
-
Kaithlyn? L’hai recuperata?
– chiese, l’altro con una punta di interesse.
-
No, ma sta rantolando. Ti
richiamo. – disse prima di riattaccare e scendere velocemente
dall’auto.
Si
mise le chiavi in tasca,
afferrò il suo giaccone e si avvicinò a passo
svelto da lei, semi accasciata
sull’asfalto.
Si
chino su di lei e le
scostò i capelli dal viso. Non l’aveva mai vista
tanto stravolta: era sudata,
tremante e aveva le mani coperte si sangue. Non sembrava neanche la
stessa
ragazza di poche ore prima, in quelle condizioni.
Lei
scansò la sua mano con
la testa, e due secondi dopo Eric, aveva infilato un braccio sotto le
ascelle di
Kaithlyn per non farla finire con la faccia
terra.
Si
sedette a terra e le fece
appoggiare la testa e la schiena sul suo torace, poi la
coprì con la giacca,
massaggiandole piano la pancia.
Kaithlyn
scuoteva debolmente
la testa e non appena gli sembrò stesse un po’
meglio, la sentì muoversi e la aiutò
a mettersi in piedi.
-
Tieni, infilati questo… -
mormorò, mettendole il giaccone pesante sulle spalle.
La
tenne una mano sulla
pancia, per scaldarle lo stomaco congestionato e le passò
l’altra sulla
schiena.
Kaithlyn
si divincolò con
tutta la forza che le rimaneva e si voltò verso di lui,
barcollante, sudata e
ricoperta di sangue ma decisa. – Non toccarmi… -
biascicò, con la voce
impastata e debole come quella di un’ubriaca.
Eric
la ignorò. – Ti porto
all’entrata e poi torno a prendere la macchina. Non arriverai
mai neanche
all’aiuola centrale, di questo passo. – disse,
cercando di farla ragionare. Se
si ribellava rischiava di farle più male di quanto
già non avesse fatto.
Kaithlyn
lo allontanò con le
braccia. – Non ho bisogno né di te né
di nessun altro… non voglio che… che tu
mi tocchi. – protestò con veemenza facendo altri
due passi barcollanti
all’indietro.
Fece
appena in tempo ad
afferrarla, prima che cadesse in terra e battesse una testa
sull’asfalto.
–
Se ci tieni tanto a fare
la dura ti faccio arrivare all’entrata del pronto soccorso da
sola mentre
parcheggio, che dici? – la schernì, spingendola
verso la macchina e afferrando
il borsone con l’altra mano.
-
Io non voglio fare “la
dura”, idiota. Voglio solo arrivare al pronto soccorso e
vedere cosa diavolo mi
sono fatta e, se possibile, non sentire la tua voce.
M’infastidisce. – ansimò con
la voce arrochita dal freddo e ancora impastata.
Eric
scosse la testa. Non
riusciva a spiegarsi come potesse pensare ancora a qualcosa che non
fosse il
bisogno di farsi aiutare in quelle condizioni. Era incredibile. Dove
trovava
l’energia per discutere e per rimbeccarlo in quel modo?
Aveva
ragione Miller: forse
per uccidere Kaithlyn, l’unico modo era la decapitazione, un
colpo netto e via.
Qualsiasi altra cosa le avrebbe fatto il solletico, ne era sicuro.
-
Ti porto fino
all’ingresso, poi puoi fare quello che vuoi. – le
comunicò stringendo i denti.
Aveva
i brividi e non voleva
restare un minuti di più lì. Kaithlyn si
divincolò ancora, riuscendo a
sgusciare dalla sua presa e tornado sui suoi passi.
E
pensare che si era illuso
che fosse finalmente fuori gioco. Era da quello che si distingueva un
combattente: era ferita, stanca e piena di dolori ma nonostante sapesse
che a
lui sarebbe bastato un nulla per fermarla, caricarla in macchina e
trascinarla
di peso fino al pronto soccorso insisteva a seguire il suo obiettivo,
inarrestabile. Forse iniziava a capire come mai Frederick, tra tutti i
validi
elementi presenti tra le Forse Speciali degli Intrepidi, insistesse a
voler
nominare proprio Kaithlyn come suo successore al Comando.
Lui
però non era il vecchio
e saggio Frederick Wood e non gli interessava quanto fosse
straordinariamente
ostinata Kaithlyn Evenson o quanto avrebbe resistito su un ipotetico
campo di
battaglia e con quanta freddezza e determinazione avrebbe condotto la
sua
Squadra alla vittoria. Lui era Eric Turner, e l’avrebbe
trascinata per i
capelli fino all’auto e infilata nel bagagliaio se
l’avesse ritenuto
necessario.
Gli
bastarono poche falcate
per raggiungere Kaithlyn, afferrarla per un braccio e girarla verso di
sé.
Era
mortalmente pallida, gli
occhi circondati da occhiaie bluastre, la bocca screpolata e
un’espressione
stravolta. Aveva anche gli occhi lucidi, ma immagino fosse per i conati
di poco
prima.
-
Non toccarmi! – urlò
Kaithlyn facendolo quasi sussultare. – Non vedi che non sto
bene? – disse con
voce strozzata.
Era
evidente che stesse da
cani, anche un cieco se ne sarebbe accorto.
-
Voglio solo portarti al
pronto soccorso, non fare la bambina: se proprio ci tieni poi ti lascio
lì e te
ne puoi tornare a casa tua a piedi. O a corsa. A zoppino, camminando
sulle mani
o anche rotolando se ti aggrada. – le assicurò in
tono pratico.
Kaithlyn
rise istericamente,
gli occhi appesantiti. – Vuoi rattopparmi per lenire i sensi
di colpa? – lo
schernì facendo roteare gli occhi verso l’alto.
Eric
scosse appena la testa.
– Non mi sento in colpa per te, stupida. –
ribatté sprezzante, con un ghigno di
sufficienza. - Non volevo colpirti, ovviamente, altrimenti non
cammineresti. Ti
sei trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato, come al solito.
-.
-
Ha importanza? – lo
interruppe. – Mi hai vista? Non sei tu quello che non sa se
domani potrà
riprendere a fare il suo lavoro solo perché uno di noi due
ha perso la testa! –
sibilò. – Non m’interessano le tue
intenzioni, quello che preoccupa me è il
risultato. -
Eric
fece una pausa per
cercare di mantenere quella poca calma che sembrava ancora
appartenergli. Si
meravigliava quasi di se stesso.
-
Ero venuto al Pozzo per
parlarti. Poi ti ho vista amoreggiare con… -
iniziò, mentre la rabbia lo
infiammava, mettendo da parte la sensazione di disagio di un attimo
prima.
Kaithlyn
spalancò la bocca.
– Amoreggiare? AMOREGGIARE? ANCORA? –
gridò con voce stridente, facendo un
passo verso di lui e guardandolo dritto negli occhi.
Aprì
la bocca per urlarle
qualcosa, ma lei fu più veloce.
-
Perché non fai una bella
cosa e la pianti di insistere, quando qualcosa non va, eh? Smetti di
insistere
con me, con questa maledetta storia da piagnone del secondo
stramaledetto posto
e smetti di insistere nel voler forzatamente far andare le cose come
vuoi! Non
toccarmi, non parlarmi e non cercarmi più. Non peggiorare
ancora la situazione,
tanto come al solito non ottieni niente! – urlò
arrabbiata ed esasperata.
S’irrigidì.
– Bene. Muori
pure nei prossimi cinquanta metri se ti fa piacere o aspetta che
qualcuno venga
a raccattarti; vuoi che ti lasci il telefono per chiamare il tuo
amichetto neo
depresso o il tuo paparino? – sibilò ferito.
Kaithlyn
sembrò esplodere. –
NON NOMINARE MIO PADRE! – gridò, barcollando in
avanti. Nonostante il fisico
fosse mal ridotto, gli occhi di Kaithlyn erano ancora vigili e
battaglieri e
lei riuscì a rimanere in piedi. Tanta cocciutaggine era da
ammirare.
Non
ce la faceva più: era
esausto, gli era tornato mal di testa e non riusciva a capacitarsi
della piega
che aveva preso il loro rapporto. Si sentiva sul punto di esplodere, di
nuovo e
peggio di poco prima, ma doveva cercare di mantenere la calma. Se
avesse perso
di nuovo, il controllo avrebbe potuto benissimo strozzarla a mani nude
e
lasciarla agonizzante sull’asfalto senza quasi accorgersene e
non voleva.
Strinse
le labbra. – Stammi a
sentire: non importa un cazzo di tuo padre, di Miller e della tua
stupidissima
spalla della quale l’unica responsabile sei tu e la tua mania
di voler sempre
controllare ogni cosa. Per quel che mi riguarda, sono beatissimi cazzi
tuoi,
Kaithlyn. – ringhiò, raddrizzando le spalle.
-
Se ora però non muovi il
culo e monti in macchina, ti giuro su Dio che ti prendo di peso e ti ci
trascino per i capelli. – intimò la voce bassa e
tagliente.
Kaithlyn
rise, sprezzante. –
Non hai ancora capito? Cazzo, ci credo che te ne sei andato dagli
Eruditi! -.
Eric
strinse i pugni e fece
un passo verso di lei lasciando solo una cinquantina di centimetri a
dividerli
e cercando di imporsi di non piazzarle un pugno in pieno viso anche se
la
tentazione diventava più forte ogni secondo che passava.
Kaithlyn
respirò
profondamente e si schiarì la voce. – Io non posso
stare con qualcuno che
approfitta di ogni discussione per darmi della troia. E non posso stare
con
qualcuno tanto instabile da non rendersi conto di quello che fa. La
prossima
volta che mi vedrai parlare o respirare la stessa aria di un altro
ragazzo cosa
farai? Mi spaccherai la testa contro un muro e poi dirai “non
ti volevo
colpire”? “Ti sei trovata nel posto sbagliato al
momento sbagliato”? “Scusa,
sai, ogni tanto parto con la testa e poi non ricordo più che
cazzo ho fatto?” –
infierì scimmiottandolo istericamente. – Quale
sarà la prossima scusante? Che
non volevi mettermi le mani alla gola e strangolarmi? Forse non ti
è chiaro, ma
non sono il tipo che sopporta in silenzio! –
gridò.
Proseguì.
– Davvero,
riuscissi a capire cosa vuoi, cosa pretendi
da me, forse potremo anche parlarne. Ma a te basta portami a
letto e farti
una scopata come si deve ogni tanto, giusto? -.
Fu
come se la miccia di una
bomba fosse arrivata alla fine del suo ardere e avesse innescato il
meccanismo.
Ci fu un lungo secondo di silenzio e poi esplose.
–NO!
NON SONO IO, SEI TU! TU
CHE CAZZO VUOI?! – ruggì, arrivandole a pochi
centimetri dal viso,
sovrastandola con la sua furia e facendola indietreggiare - Vuoi
l’uomo
zerbino, qualcuno che baci la terra su cui cammini e ti assecondi in
ogni stronzata
che ti esce dalla bocca? – urlò, -
perché in questo caso avevi a rimanere negli
Eruditi, con il tuo paparino a coprire tutte le porcate che hai fatto e
ad
assecondarti in tutto! Hai scelto la persona sbagliata per questo,
stronzetta!
E poiché l’unico momento in cui non rompi il cazzo
commentando ogni aspetto
della vita degli altri è quando ti scopo, forse non sarebbe
male se tu ti
facessi sbattere anche dal resto della fazione! – si
sgolò. – Pensi di saperne
qualcosa, eh? Tu e la tua perfetta esistenza tra gli Eruditi mi avete
rotto i
coglioni, viziatella del cazzo. Ora perché non chiami il tuo
innamoratino e
lasci che sia lui ad occuparsi di te? Ecco, tieni! –
gridò, lanciandole addosso
il Cercapersone di Kaithlyn, che si era premunito di acciuffare
all’ultimo minuto
prima di uscire.
Gli
bruciava la gola, i
muscoli e gli occhi. Non aveva neanche sbattuto le palpebre e le urla
gli
avevano prosciugato la gola.
-
E la prossima volta che ti
senti male crepa sull’asfalto già che ci sei!
– ringhiò, fuori di sé.
Kaithlyn
si scagliò contro
di lui e lo colpì con entrambe le braccia.
Incassò
il colpo: non aveva abbastanza
forza da fargli male e sentì nascergli in petto una risata
di schermo.
Lei
però si girò quasi come
riflesso all’impatto e la vide avanzare per qualche metro con
le ginocchia
piegate e il braccio stretto contro il patto, poi la sentì
esalare un singhiozzo.
Era un pianto esasperato, liberatorio. Come se le fosse rimasto
impigliato in
gola fino a quel momento e finalmente avesse trovato una buona scusa
per liberarlo.
Sbuffò
dalle narici,
fissandola intensamente, come a scandagliarla dalla testa ai piedi per
verificare che non stesse fingendo. Kaithlyn non era il tipo di ragazza
che
dopo una discussione si metteva a frignare per suscitare pena o far
sentire in
colpa gli altri… anche perché, lo sapeva, se si
metteva al voi con qualcuno,
era perché si sentiva fermamente dalla parte della ragione.
Se avesse pensato
di essere in torto, conoscendola, se ne sarebbe fregata e basta.
La
vide stringersi le
braccia intorno al corpo, poggiando anziché le dita, i polsi
per via delle mani
insanguinate. Si avvicinò a lei, camminando rigidamente per
non cedere alla
tentazione pulsante di caricarsela in spalle e trascinarla di forza,
con il
rischio di peggiorare la situazione, fino a quel dannatissimo pronto
soccorso.
Non
fece neanche in tempo a
poggiarle una mano sulla spalla per girarla, che lei, nel tentativo di
scansarlo, si voltò troppo velocemente e per poco non cadde
a terra.
-
Non toccarmi! – gridò
Kaithlyn. – Non ti rendi conti che come ti muovi mi fa del
male? Lasciami in
pace, vattene. –
-
Kaithlyn… - espirò, mentre
il tremore che annunciava la perdita completa delle sue
facoltà, tanto simile a
quello che aveva avvertito poche ore prima iniziava a diffondersi alle
braccia.
-
No! Pensi che mi diverta?
Pensi che io voglia stare con te così, con qualcuno che ha
un’opinione tanto
bassa e scadente di me? – gridò, nonostante avesse
la voce rotta e ruvida come
carta vetrata dalle lacrime e dalla rabbia.
-
Da che pulpito. Pensavo di
essere io il fallito. A quanto pare
mi sbagliavo…– commentò gelidamente
prima di darle un leggero colpetto con una
mano che la fece finire a terra, in ginocchio.
Kaithlyn
nella caduta, per
parare l’impatto mise avanti il braccio dolorante.
Ci
furono un paio di secondi
di silenzio, poi scoppiò a piangere, piegata in avanti e con
le braccai strette
al petto.
Sentirla
singhiozzare in
quel modo lo fece rabbrividire fin dentro le ossa, ma ignorò
l’istinto di
chinarsi a terra e consolarla e fece due passi indietro mettendo su un
ghigno
cinico, mentre la parte più incontrollabile e sadica di lui
prendeva il
sopravvento per la seconda volta.
-
Guardati: sei veramente
patetica. – sorrise divertito.
Kaithlyn
respirò
affannosamente per calmare i singhiozzi e poi alzò il viso
insanguinato dalle
mani e rigato di lacrime su di lui. È questo,
l’unico modo in cui poi sentirti
qualcuno, vero? Approfittane finché puoi, perché
in altre circostanze potresti
solo pulirmi le scarpe. – esalò.
Eric
rise, anche se il suo
ghigno si affievolì leggermente. – Bene, allora ti
lascio qui a goderti il tuo
momento di gloria. – commentò mentre la tensione
iniziava ad andarsene
rapidamente com’era arrivata.
-
Se non altro non mi faccio
scoppiare le tempie e prendo a pugni chi mi sta intorno solo per un
paio di
pugni… - mormorò, - comunque sia, non voglio
più vederti. Puoi considerarmi un
capitolo chiuso, piccolo Turner.
È stato
divertente costatare quanto sei realmente patetico. –
Eric
si congelò sul posto
per un paio di secondi, la mandibola contratta e gli occhi brucianti di
frustrazione. Ecco a cosa si riferiva quando rimuginava sul fatto che
Kaithlyn
sapesse essere inequivocabilmente più stronza di chiunque.
Afferrò
senza pensarci il
borsone nero abbandonato per terra e quando arrivò alla
macchina lo scaraventò
sul sedile del passeggero.
Si
sentiva frustrato,
infuriato e amareggiato.
Urlò
di frustrazione,
battendo con violenza mani e piedi contro il volante e il tappetino per
i
piedi.
Si
dimenò per alcuni secondi,
prima di stringere il volante fino a farsi riaprire le nocche
incrostate di
sangue, mettere in moto e partire con uno stridio di gomme verso
l’ospedale.
Passò
davanti a Kaithlyn
lanciandole solo un’occhiata di sbieco dallo specchietto
retrovisore. Sembrava
stare anche peggio di prima e per un momento ne godette in modo cinico.
Bene,
ne godeva.
Le
stava bene, se l’era
meritato. Avrebbe tanto voluto far provare a quella che in quel momento
gli
sembrava solo una ragazzina viziata anche solo un decimo di quello che
aveva
passato lui tra gli Eruditi durante l’infanzia e
l’adolescenza. Solo un decimo
e sarebbe stato contento perché forse le si sarebbe accesa
in testa un tenue
lucina di comprensione e si sarebbe ridimensionata. Avrebbe voluto,
anche solo
per un minuto, chiuderla in una stanza e farle provare un po’
della paura e
della disperazione che aveva provato lui qualche anno prima, ma
immaginava
fossero sentimenti troppo distanti da lei, da qualcuno a cui non era
mai
mancato niente, mai una tragedia, qualcosa di storto.
Faceva
tante storia per
quell’articolo, ma se non fosse stata al suo posto non le
sarebbe sembrato
nulla. Stronzate, ecco cos’erano quei piagnistei. Una
vagonata senza fine di
stronzate.
Parcheggiò
sgommando davanti
all’entrata del pronto soccorso e dopo aver afferrato il
borsone entrò.
Cercò
con gli occhi qualcuno
del personale e quando un’infermiera gli passo davanti
lanciò il borsone ai
suoi piedi. – Tra qualche minuto dovrebbe arrivare la
proprietaria: ha i
capelli rossi, una felpa nera ed è piuttosto mal ridotta.
Glielo lascio qui. –
disse, prima di fare dietro front verso la macchina.
Ripartì
a tutta velocità,
come se andare più forte potesse farlo sentire meglio, come
se la scarica di
adrenalina che gli data l’alta velocità,
l’eccedere oltre i limiti consentiti,
potesse riempire tutto quel vuoto che sentiva invadergli il petto e la
mente.
“Sono
puntuale, anzi, rispetto agli ultimi mesi in super
anticipo! Ci credete? Io no!”
Quando
ho scritto questa
come prima frase dello spazio finale, dovevo essere in un momento di
profondo
ottimismo, non c’è che dire.
So
che divento ripetitiva,
ma mi dispiace veramente moltissimo per i ritardi degli ultimi
aggiramenti. Il
fatto è che parto in quarta con i nuovi capitoli,
lì butto giù quasi
istantaneamente, spesso mentre sistemo l’aggiornamento ma poi
ci sono un milione
di cose che non mi tornano e nelle ultime due settimane di Novembre,
non ho
avuto veramente tempo per respirare, figuriamoci per scrivere! E vi
chiedo anche scusa, mille volte, per eventuali orrori ma il capitolo
è piuttosto denso di particolari e a forza di leggere
è come se la mia mente "sapesse già"
cosa c'è scritto... quindi ci sta che qualcosa mi
sia sfuggito... se trovate strafalcioni non esitate farmelo notare!
Quindi
scusate ancora,
cercherò di velocizzarmi anche se si avvicina la famigerata
sessione invernale
e, oggi stesso pubblicherò il terzo capitolo di
Mind’s Shades che un po’ per
mancanza di ispirazione un po’ per mancanza di tempo,
è ferma da mesi.
Preparatevi
a una serie di
capitoli con una serie di domande, perché saranno tutti
piuttosto… particolari.
Scopriremo alcuni avvenimenti del passato di Eric e qualcosa di quello
di
Kaithlyn e inserirò un “nuovo”
personaggio che farà la sua comparsa proprio nel
prossimo capitolo. Sono curiosa di sapere se qualcuno di voi indovina
chi è,
anche se non ho lasciato nessuna indicazione.
Vi
lascio un indizio: in
questa storia ancora non è comparso... neanche in forma
“virtuale”!
Da
qui, parte il mio solito
interrogatorio.
Vi
aspettavate una cosa del
genere? Sembra esagerata? È stata una bella litigata,
secondo voi come prosegue?
Idee?
Sono curiosissima di
sapere cose pensate e cosa immaginate per i futuri capitoli! A cosa si
riferisce Eric quando parla del suo passato? Cosa c’entra il
padre di Kaithlyn
con quello che le è successo? Chi compare tra poco? Secondo
voi riusciranno a
ricucire il rapporto? Per farlo è necessario che qualcuno
faccia un passo
indietro… vi sembra possibile che accada? Se sì,
chi è tra i due testoni?
Spero
il capitolo vi sia
comunque piaciuto e aspetto i vostri pareri per sapere se tutto questo
casino
secondo voi funziona o devo farmi internare una volta per tutte!
A
me è piaciuto molto
scriverlo e immaginarlo, ora a voi
“l’ardua” sentenza!
Ringrazio
tantissimo Kaimy_11 e CloveRevenclaw
per la recensione, Yerinh
per averla inserita tra le preferite e tutti i lettori silenziosi!
E,
abbiate pazienza ma ormai
è un’abitudine, vi lascio il link della mia pagina
facebook!
Link à
https://www.facebook.com/Kaithlyn-J-Evenson-865334640156569/
|
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Capitolo 15 *** Capitolo 15 ***
Capitolo 15
Salve
a tutti, generalmente non scrivo a inizio capitolo dato che
nell’”angolo
autrice” non mi risparmio… ma questo capitolo
è un po’ diverso dagli altri,
capire leggendo, ed è molto importante perché
crea un allacciamento con due
episodi, uno in particolare, di Mind’s Shades.
Buona
lettura!
Capitolo
15
La detestava. E in quel momento detestava
ancora di più se stesso, e
non per averle dato addosso in quel modo ma per il bruciore agli occhi
e per la
consapevolezza che non avrebbe dovuto lasciarla lì. Che non voleva lasciarla lì; tutto
quello schifo
sarebbe stato anche sopportabile se, proprio in quel preciso istante,
non
avesse inconsciamente deciso di fare manovra e caricarsela in macchina
con o
senza il suo consenso.
Non era solo una
questione
di… affetto, ma di
principio: si era
fatto mettere sotto e rivoltare come un calzino da poco più
di quaranta chili
di Intrepida tutta occhi e capelli. Non era da lui. Non poteva
dargliela vinta
di nuovo e così facilmente.
Aveva guidato...
sì, per
circa novanta secondi, li aveva
meticolosamente contati nel tentativo di calmarsi, durante i quali,
nonostante
la rabbia e l’amarezza per quello che era successo, si era
sentito soddisfatto
per quella vittoria, per averla spuntata.
Si sbagliava.
Perché non era
lei quella che sentiva l’impulso irrefrenabile di tornarsene
indietro, caricare
l’altro in macchina, tornarsene alla Residenza e chiudersi in
camera per rimettere
le cose al loro posto. No, era lui il rincoglionito le cui dita stavano
dolorosamente sterzando il volante, mentre il piede destro frenava
bruscamente
per fare inversione in una sola manovra, in barba alle norme stradali.
Lo aveva
manipolato
abbastanza bene da fargli credere di agire per sua
iniziativa… ma la conclusione
era che, alla fine dei conti, aveva fatto quello che voleva lei. Come
al
solito.
Iniziò
a vedere la sagoma di
Kaithlyn dopo alcuni secondi, ancora inginocchiata a terra e con le
spalle
scosse dai singhiozzi.
Se per un
istante aveva
provato qualcosa di molto simile al senso di colpa, questo, aveva
impiegato
solo pochi secondi a trasformarsi in rabbia, irritazione. Lei non era
debole.
Faceva tante
storie per fare
di testa sua e poi rimaneva lì? Rannicchiata come una
ragazzina a frignare con
l’ingresso di quel posto maledetto a poco più di
cinquanta metri?
Si fermo a una
ventina di
metri da lei, spense il motore, si appellò a una pazienza e
a un autocontrollo
che probabilmente non aveva e scese, sbattendo la portiera.
Rabbrividì
quando l’aria
fredda della notte gli sferzò contro le braccia nude,
facendogli venire la
pelle d’oca. Era doppiamente stupido: non solo era tornato
indietro, ma le
aveva anche dato il suo giaccone restando scoperto; la povera, piccola
Kaithlyn.
Si
passò sbrigativamente le
mani sulle braccia e chiuse l’auto, prima di avviarsi verso
la figura minuti
inginocchiata a terra.
- Alzati!
– ordinò, con voce
ruvida.
Kaithlyn
sussultò e alzò gli
occhi su di lui, sorpresa, fissandolo per un lungo istante e smettendo
di
piangere. Tirò su con il naso, mentre la scintilla della
rabbia si riaccendeva
dietro ai suoi occhi e stringeva le labbra in una linea dritta.
- Avanti!
–insistette,
schiarendosi la voce con un colpo di gola, mentre si piegava su di lei
e la
afferrava per le braccia, mettendola in piedi senza sforzo. Kaithlyn si
lasciò
sollevare passivamente, sulla difensiva.
- Ed io che
speravo di essermi
liberata di te… - gracchiò con voce impastata,
deglutendo, le sopracciglia chiare
abbassate sugli occhi. La teneva ancora per le braccia: non era sicuro
che
potesse stare in piedi da sola, senza un appoggio.
Roteò
gli occhi al cielo. –
Hai cantato vittoria troppo presto, Katy.
Ora smetti di piagnucolare e vieni con me. –
sillabò, cercando di controllare la
voce e il tremore alle mani. Le passò un braccio dietro la
schiena, per
sospingerla verso l’ingresso dell’edificio.
Sulle prime lo
seguì, un
passetto alla volta. Sembrava confusa sul da farsi e anche lui lo era.
Perché
diavolo non se n’era andato e tanti saluti?
Sentì
le dita sottili
poggiarsi sul suo avambraccio e si affretto e stringerle il gomito, per
tenerla
in piedi. Non voleva che cadesse.
Aveva lo
straordinario
potere di tirargli fuori le migliori e le peggiori intenzioni in un
colpo solo.
Lo confondeva. Riusciva a farlo passare dalla voglia di ucciderla a
quella di baciarla
e passare ogni secondo con lei in pochi attimi, se non a fargli provare
entrambe le sensazioni contemporaneamente.
Lei scosse la
testa, facendo
un altro paio di passi incerti accanto a lui. – Allora hai la
testa dura. –
disse, flebilmente. – Cosa c’è di poco
chiaro nella frase “togliti dai piedi”?
– chiese, arrestandosi.
Si
fermò anche lui: se
avesse proseguito tenendole la mano sulla schiena, sarebbe finita
faccia a
terra.
Si
voltò verso di lei: non
sarebbero andati molto lontano di quel passo... – Bene. Mi
sono rotto i
coglioni! – annunciò, stringendosi nelle spalle.
Il passo successivo fu quello
di piegarsi verso le sue gambe e caricarsela in spalla come un sacco di
patate.
Era una fortuna
che fosse
tanto minuta e leggera: completamente inerme rispetto a lui. Non
avrebbe potuto
forzarlo a mollare la presa neanche nei suoi sogni più
entusiasti, con quelle
braccine.
Come ben sapeva,
la teoria è
da sempre molto diversa dalla pratica: forse fu per quello che non si
sorprese
nel doversi sforzare più del dovuto. Kaithlyn aveva le
braccia fuori uso, certo,
ma non le gambe e sembrava decisa a fare quello che poteva per
sgusciare via.
Le mise una mano
sulla
schiena, sentendo il suo ventre contrarsi spasmodicamente contro la sua
spalla.
Non fosse mai che gli venisse una sincope sul più bello.
Gli sembrava
talmente
piccola e indifesa che non si preoccupò neanche di tenerle
ferme le gambe. Era
troppo debole per ribellarsi.
Non
finì di formulare quel
pensiero che ricevette un calcio nello stomaco: non abbastanza forte da
fargli
mollare la presa, ma abbastanza fastidioso da fargliela allentare per
un
istante.
La mano che le
teneva sulla
schiena strusciò in modo doloroso contro il giaccone che le
aveva dato,
facendogli stringere i denti mentre lei gli scivolava sul petto, tra le
braccia.
Il taglio gli
bruciava
maledettamente.
Doveva
disinfettarsi al più
presto: probabilmente la ringhiera dello Strapiombo era popolata da
chissà
quali strani batteri letali e sconosciuti al pianeta… e lui,
nel delirio
dell’attacco di rabbia, era riuscito a tagliarsi
all’attaccatura delle dita di entrambe
le mani.
Forse si sarebbe
ricoperto
di macchie verdi. Prima, comunque, doveva liberarsi del problema
indisponente
che teneva tra le braccia.
Ne andava della
sua dignità.
- Mettimi
giù! –strillò,
premendogli le mani sul petto per allontanarlo, scendere e rimettersi
in piedi.
La
ignorò. Strinse i denti e
la presa sul suo corpo, ricaricandosela in spalla. La gomitata che gli
arrivo
dietro la testa, riuscì quasi a fargli il solletico.
Nel giro di
pochi attimi
successero più cose contemporaneamente: Kaithlyn gli
assestò una seconda pedata
in mezzo al ventre, costringendolo a piegarsi in avanti e si udirono
delle voci
concitate e dei passi in lontananza. Qualcuno che correva in quella
direzione.
Lei
raddrizzò la schiena
cadendo all’indietro, e si sarebbe spaccata la testa
sull’asfalto se non avesse
avuto la prontezza di riflessi di riafferrarla. Inavvertitamente, un
bottone
gli passo sulle mani e sulle ferite, annebbiandogli la vista per il
dolore.
Boccheggiò
e strinse la
presa su di lei, rimettendola in terra con tanta forza da farla
impallidire, se
possibile, ancora di più.
Sentiva di nuovo
un’ondata
di furia cieca partire dalla testa e diffondersi al resto del corpo.
Era
stanco, di essere allontanato e non gli interessava, non in quel
momento, se le
aveva fatto di nuovo male. Non mentre lui cercava, con le su penose e
pressoché
inesistenti capacità empatiche di comportarsi abbastanza
bene da rasentare
appena la decenza. Era stanco. Esausto. Umiliato. Demoralizzato. La
testa gli
pulsava in modo doloroso. Gli occhi gli bruciavano e sentiva crescere
dentro il
petto la voglia di urlare e distruggere qualcosa e,
l’intento, era quello di
non far diventare quel “qualcosa”
da
distruggere il bel visino di Kaithlyn.
Sul serio, non
voleva farle
ancora più male. Se si fosse trattato di chiunque altro, un
pugno in mezzo agli
occhi non glielo avrebbe tolto nessuno. Lei, però, non era tutti gli altri.
Strinse i pugni,
provocandosi un’altra scarica di dolore. Aprì la
bocca per urlarle qualcosa, ma
non ne ebbe il tempo.
Prima che
potesse anche solo
prendere fiato per parlare, si sentì spintonare
all’indietro: non aveva sentito
nessuno arrivare. Riacquistò l’equilibrio,
ritrovandosi a fronteggiare un paio
di occhi chiari e furenti.
- Non toccarla!
– gli urlò
lo sconosciuto, spingendolo ancora all’indietro e facendolo
barcollare di
nuovo.
Non
reagire. Non reagire.
Impiegò
un paio di secondi per
racimolare il poco buon senso che aveva a disposizione e limitarsi a
spintonarlo all’indietro, anziché saltargli alla
gola. – E tu, - sputò,
riacquistando l’equilibrio. – Chi cazzo sei, eh? -.
Vide Kaithlyn
girarsi con il
chiaro intento di mettersi nel mezzo e fece per raggiungerla. Non aveva
la più
pallida idea di chi fosse quel tizio, ma sicuramente non lo avrebbe
fatto
avvinare a lei. Con sua grande sorpresa il nuovo arrivato,
anziché lasciarla
fare, la spinse all’indietro con braccio, facendola finire
con il sedere per
terra.
Quel gesto,
seppur fatto con
il chiaro intento di difenderla, gli fece oscurò la vista
per un istante e, in
una sola falcata lo raggiunse, agguantandolo per la camicia e
sollevandolo di
dieci centimetri da terra.
Sentiva la
stoffa leggera e
liscia della camicia tendersi sotto le dita, mentre il peso del
proprietario
trascinava in giù il corpo. Era massiccio, per essere un
Erudito, ma non
abbastanza da potersi anche solo sognare di metterlo in
difficoltà.
Lo
lasciò andare con un
gesto di stizza e lui, per poco, non cadde addosso a Kaithlyn ancora
con il
sedere per terra e il viso imbrattato di lacrime e sangue. Solo in quel
momento
notò che non sembrava turbata. Nervosa, magari. Irritata
dalla presenza del
nuovo arrivato ma non abbastanza. Se fosse stato uno sconosciuto si
sarebbe
alzata prima di lui per dirgli di farsi i fatti i suoi. Ne era
assolutamente
certo. Il giorno in cui Kaithlyn Evenson avesse taciuto su qualcosa che
la
disturbava anche in minima parte, il sole sarebbe sorto a Ovest e
Quattro,
forse, avrebbe organizzato un Rave Party.
Lei gli
lanciò un’occhiata strana,
mentre si alzava con una smorfia. Face un paio di passi verso
l’Erudito,
immobile ma evidentemente pronto a scattare e strinse le dita intorno
alla
stoffa del camice.
-
Lucas… - gracchiò, con
voce strozzata. – Calmati –. Sfruttò la
presa sul camice per avanzare più
rapidamente e mettersi in mezzo, dandogli le spalle.
Sembrava ancora
più piccola
e fragile con quel giaccone troppo grande per lei, ma la sua voce, per
quanto
provata era ferma. Decisa.
L’Erudito
sembrò perdere le
staffe. – Stai scherzando? – le urlò, a
pochi centimetri dal viso, con gli
occhi spalancati d’incredulità. Poi si rivolse a
lui, sporgendosi oltre la
spalla di Kaithlyn e puntandogli un dito contro,
l’espressione deformata dalla
rabbia. – Se ti azzardi a toccarla un’altra volta
te ne pentirai. – sibilò,
posandole una mano su un braccio.
Sentiva sulla
pelle il
desiderio pulsante di colpirlo, come una leggera carica elettrica. E
l’avrebbe
fatto, se non fossero stati quasi attaccati: così vicini,
avrebbe fatto fatica
a spostare Kaithlyn dalla traiettoria della raffica di botte con cui
stava per
omaggiare il nuovo venuto.
Kaithlyn
posò le mani sul
petto dell’Erudito, in un chiaro invito a indietreggiare.
Lo
osservò, valutando quanti
problemi avrebbe potuto creare. Era diversi centimetri più
basso di lui, ma
aveva le spalle larghe e sembrava piuttosto solido per essere un Lasso,
la cui
vita veniva trascorsa principalmente sui libri. Le uniche
attività fisiche per
cui gli Eruditi stravedevano erano quelle che davano crediti extra.
Non riusciva a
distinguere
bene i colori con la sola, lontana, illuminazione di qualche sporadico
lampione
e dell’ingresso del pronto soccorso, ma i capelli arruffati,
all’apparenza
castano chiaro e la tonalità evidentemente azzurra degli
occhi lo bloccarono,
impedendogli di scagliarsi definitivamente contro di lui.
Lui conosceva
quell’iride.
Così come aveva già visto la punta del suo naso e
c’era qualcosa, anche, del
suo viso che era familiare, vicino. Forse era la stanchezza ma
l’espressione
furiosa sul suo volto e il modo in cui aveva abbassato le sopracciglia,
non gli
lasciarono neanche l’ombra del dubbio: Kaithlyn.
Avrebbe
riconosciuto le sue
espressioni su chiunque e quello non poteva che essere uno dei suoi
fratelli
maggiori. Tra l’altro, aveva senso: quale altro Erudito si
sarebbe preso la
briga o avrebbe avuto il fegato di picchiarlo, anziché
chiamare il Centro di
Controllo, se non un parente, qualcuno a lei abbastanza vicino da non
limitarsi
a desiderare di allontanarla da lui per una questione
d’incolumità? Nessuno. I
Lassi non intervenivano nelle dispute fisiche, era molto difficile;
soprattutto
se si trattava di Intrepidi, dai quali in linea di massima potevano
solo prenderle
di santa ragione, come in quel caso.
Non portava gli
occhiali.
Strano: erano come un segno di riconoscimento, tra gli Eruditi e
l’unica altra
persona che non ne aveva bisogno e non portava neanche quelli senza
gradazione,
era sua madre. Un caso umano che non avrebbe dovuto fare testo, a suo
dire.
Il nuovo
arrivato lo fissò a
lungo, prima di spostare gli occhi su Kaithlyn e aggirarla,
arrivandogli a
pochi centimetri dal viso.
- Se ti avvicini
di nuovo a
mia sorella… - gli intimò in tono basso, tanto
vicino che avrebbe potuto
contargli le lentiggini sul naso.
Da che ne aveva
ricordo, non
era mai stato un amante del contatto fisico: anzi, lo evitava il
più possibile
se non in particolari situazioni.
Detestava essere toccato troppo, ciancicato o sentire le mani di
qualcuno
addosso.
- Tu cosa?
– lo schernì, in
un soffio. - mi prendi a pugni? –.
Avrebbe proprio
voluto
vederlo. Forse non se ne sarebbe neanche accorto, se l’avesse
colpito.
- Smettetela!
– sibilò
Kaithlyn allontanandosi di un passo dal fratello e mettendosi di lato,
tra
loro.
Il ragazzo
continuò a
guardarlo in cagnesco. Non sapeva se considerarlo coraggioso o molto
stupido.
Immaginava ci fosse una linea molto sottile, tra le due cose.
Roteò
gli occhi al cielo e
fissò l’altro con un ghigno, prima di muoversi
verso Kaithlyn. Vide con la coda
dell’occhio l’altro seguire ogni suo movimento e
voltarsi con lui.
Sentiva ancora
la sensazione
di una tenue corrente a fiori di pelle che, lentamente, si stava
caricando.
Avrebbe dovuto sfogarsi in palestra, più tardi. O sfiancarsi
con una bella
corsa.
- Kaithlyn.
– la chiamò il
fratello, in tono duro. - Tu, lasciala stare. Ci penso io a lei.
– disse,
raggiungendoli e stringendogli un polso.
Chiuse gli occhi
e inspirò.
– Hai tre secondi per lasciarmi il braccio.
– lo minacciò. – Poi ti
riempio di botte. –
L’Erudito
non parve turbato
e mantenne un’espressione impassibile, senza mollare la
presa.
- La stavi
portando qui, è
corretto? – gli domandò, improvvisamente in tono
calcolato, professionale.
Annuì.
– No, pezzo d’idiota.
Stiamo facendo una passeggiata al chiaro di Luna, è una zona
così bella. – lo
schernì, sarcasticamente.
Le labbra di
Kaithlyn ebbero
un guizzo, mentre quelle di suo fratello si piegarono in
un’espressione
fintamente accondiscendente. – Eccellente. Ci penso io. Sono
di turno, se sai
di cosa sto parlando e, precisamente, al pronto soccorso. –
Eric lo
fissò. – Tu? O sei
molto più vecchio di quanto sembri o
c’è qualcosa che non torna: hanno portato
le matricole universitarie a fare una visa guidata in notturna?
– domandò,
accentuando un’espressione di finta simpatia.
- Taci. Non
sapresti neanche
da che parte iniziare. – sibilò,
l’altro, stringendo i pugni.
Eric
ghignò. – Dici? -.
Si fissarono in
cagnesco per
un lungo istante.
- Ad ogni modo,
- proruppe
in tono professionale il fratello di Kaithlyn. – La tua
presenza è superflua al
fine che ti eri prefissato di raggiungere accompagnandola. È
arrivata e tu non
disponi di alcuna competenza pregressa o non per renderti utile.
–
-
L’inutile se superfluo al
raggiungimento di un risultato ottimale, va evitato. Ergo, ci serve un
medico
non un tirocinante che non ha niente di meglio da fare. Non mi farei
toccare da
te neanche in punto di morte. – lo interruppe, Eric.
L’altro
richiuse le labbra e
lo osservò con circospezione.
Eric si
avvicinò. – Fai un
favore a te stesso e a me ed evita di rifilarmi queste cazzate, okay?
– disse,
inarcando le sopracciglia e sollevando un angolo della bocca.
Tornò
vicinò a Kaithlyn che
però non sembrava intenzionata a muoversi e continuava a
fissarlo con due occhi
enormi. – Devi medicarti anche tu –
mormorò, abbassando gli occhi sulle sue
mani insanguinate.
- Sì,
be’. Non è il mio
primo problema al momento. – ribatté. –
Vuoi andare con lui? – aggiunse, vedendola
indecisa sul da farsi.
Annuì.
– Bene. Allora posso
andare. – mormorò, sentendo la delusione farsi
largo dentro di lui. Era una
cosa stupida e si rendeva perfettamente conto che sarebbe stato molto
più
logico non imbastire una discussione solo per chi la accompagnava
dentro con il
suo fratello tirocinante.
Era infantile,
ma arrivati a
quel punto avrebbe voluto finire. Averla vinta almeno nel confronto con
uno suo
fratello.
Kaithlyn gli si
avvicinò
camminando instabilmente e gli strinse appena un polso. Sentiva tra le
loro
pelli qualcosa di umido, forse sangue. Le prese la mano, fissando il
terreno.
- Vai tu.
– disse, dopo
qualche secondo. - Avrei dovuto lasciarti in mezzo di strada tre
chilometri fa,
invece di insistere. A questo punto immagino che potrai cavartela da
sola. –
Kaithlyn
alzò gli occhi su
di lui, l’espressione dispiaciuta. – Non fare
l’idiota, - gracchiò, mentre il
fratello la affiancava e le metteva una mano sulla schiena, con fare
protettivo.
– Non puoi lasciarle così –
asserì stringendogli un po’ il polso e
costringendolo a togliere le dita dal dorso della sua. –
Guarda come ti sei
ridotto. -
- Mi pareva di
aver intuito
che non dovesse interessarti più, il mio stato di salute.
Sei stata piuttosto
chiara, circa dieci minuti fa. Premesso questo, se hai qualcosa da dire
fammi
il sacrosanto piacere di cucirti la bocca, una buona volta, e tenerla
per te. –
disse, freddamente, scostandosi e facendo sì che la sua mano
le ricadesse lungo
il fianco lasciandogli una piccola chiazza di sangue sul polso.
- Come scusa?
– intervenne,
Lucas voltandosi verso di lui.
- Fatti gli
affari tuoi. – lo
zittì Kaithlyn, girando appena la testa.
Si
girò di nuovo verso di
lui. Sembrava più tranquilla, anche se era pallida e
tremante. Non era una
tranquillità che condivideva. Quello era il vero punto di
rottura, di stacco.
La frattura definitiva.
Prese un bel
respiro. – Sono
stanco di discutere con te. – disse, guardandola. Lei
abbassò gli occhi. – Sì,
anch’io.
– concordò, stringendosi il giaccone addosso.
- Possiamo
parlarne, dopo? –
gli chiese.
Eric scosse la
testa. – Ci
siamo già detti tutto e non ho intenzione di darti altre
munizioni da usare contro
di me. Va’ con lui. Ci vediamo in giro. –
biascicò, sentendo un nodo
all’altezza dello stomaco stringere fastidiosamente.
Kaithlyn
contrasse il viso
in una smorfia. – Le tue mani. – mormorò.
- Non
è affare tuo. Ho fatto
male a tornare indietro: se ti avessi lasciato lì come
volevi avrei fatto il
mio. Nel caso avessi bisogno di un passaggio fino a casa, quindi, sei
liberissima di chiamare il tuo amichetto, io non ho intenzione di fare
nient’altro,
per te. –
Quella era la
fine: ne era
conferma l’espressione dispiaciuta di Kaithlyn e quasi si
sorprese nel
costatare che, a quanto pareva, provava qualcosa anche lei.
Eureca.
Erano dovuti arrivare a quel punto, per quello.
La
lasciò lì, tornando sui
suoi passi senza rivolgere un solo sguardo al fratello di lei.
Si sentiva
sconfitto e
briciava terribilmente, anche se ormai avrebbe dovuto esserci abituato.
Raggiunse
l’auto, salì, mise
in moto e partì sgommando. Girò per diversi
minuti, senza fare troppo caso al
tragitto: a quell’ora era quasi facile confondersi, per le
strade ordinate nel
quartiere; poi imboccò una strada secondaria che lo condusse
fino a un grosso
stradone.
Era abbastanza
inquietante,
con i pochi lampioni e l’oscurità che si
prospettava davanti all’auto. Alla sua
destra c’erano a intervalli regolari di qualche decina di
metri degli alberi
dal fusto alto e grosso e, dietro di loro, un fosso non troppo profondo
delimitato
dal guardrail e dai paletti catarifrangenti che delimitavano il
percorso
rettilineo. Aveva la strana sensazione di conoscere quella strada, di
esserci
già passato in un momento particolare, ma era troppo
arrabbiato per farci caso.
Ingranò
la prima, e ripartì.
- Ciao Kaithlyn!
–.
Alzò
gli occhi sull’uomo
slanciato che le dava le spalle: Andrew.
Aveva il naso
tappato, la
testa ovattata e faticava a reggersi in piedi. La spalla continuava a
lanciarle
fitte dolorose e sentiva il braccio con il palmo tagliato freddo.
La mano di
Lucas, sul suo
fianco, la sorresse stringendola, mentre avanzavano. Suo fratello si
era
caricato in spalla il suo borsone appena entrati poi si era seduto con
lei e
avevano aspettato insieme, in silenzio, il suo turno.
Non
c’era molta gente, per
cui era stata un’attesa breve.
Andrew si
voltò verso di lei
e la squadrò dalla testa ai piedi da dietro gli occhiali
dalla montatura nera e
rettangolare. – Che diavolo ti è successo? -.
Aprì
la bocca per
rispondere, aggrappandosi al braccio di Lucas per non cadere, ma
sentiva le
forze venirle meno e il sangue defluire rapidamente verso il basso,
mentre le
calava la pressione a picco.
La testa le
pulsava… perché
non poteva semplicemente stendersi e dormire? Solo un po’.
Cercò
di concentrarsi sul
fratello e sulla sua aria preoccupata, mentre il suo campo visivo
diventava
sfarfallante.
Sentì
le gambe cedere
mollemente e sarebbe caduta se il braccio di Lucas non si fosse
prontamente
infilato sotto le sue ginocchia. Sentì il borsone scivolare
lungo il braccio
del fratello e dondolare sotto le sue gambe mentre veniva sollevata da
terra.
Ci furono un
paio di secondi
di silenzio, durante i quali sentì il rumore delle carta che
ricopriva il
lettino venire strappata per essere sostituita con altra carta pulita.
Poi avvertì
la superficie ruvida della carta contro il corpo.
Poi, il buio.
Sentì
la porta della
cornetteria aprirsi e un brivido di disagio gli corse lungo la schiena.
Abbassò
la testa, anche se i capelli erano ancora troppo corti per coprirgli
del tutto
il viso; quelli davanti gli arrivavano poco oltre gli zigomi.
La sensazione di
conoscere
il cliente appena entrato sembrava scorrergli nelle vene fino ai
capillari
della punta delle dita; era una strana sensazione di
familiarità quella che
provava nell’ascoltare, immobile e teso, i passi dello
sconosciuto sul
pavimento di legno.
Il rumore dei
passi s’interruppe
bruscamente ed Eric s’irrigidì ancora di
più, sentendosi osservato. Qualche
altro passo esitante gli annunciò che l’uomo gli
era arrivato alle spalle.
Doveva essere un
cliente
abituale, perché il barista di turno, un uomo alto e dagli
atteggiamenti
burberi rivolse un cenno di saluto alle sue spalle, mentre lui si
sentiva
sbiancare.
- Berry, -
salutò il nuovo
arrivato, in tono incerto.
Eric per poco
non si strozzò
con il caffè che stava bevendo: non poteva aver raggiunto
livelli di sfortunata
tanto elevati, gli sembrava utopistico. Impossibile. Di tutta la gente
che
frequentava quel posto non poteva esserci passato nell’unica
notte in cui poteva
incontrarlo, dopo, tra le tante cose, essere rimasto impantanato con
l’auto a
qualche chilometro di distanza.
Se
qualcosa può andar male, lo farà.
Avrebbe dovuto
farsi tatuare
quel modo di dire da qualche parte, anche solo come promemoria.
Azzardò
a sbirciare di lato,
affilando lo sguardo tra le ciocche di capelli scuri che si era fatto
ricadere
sul viso per coprirlo ma fu un errore; lo capì
nell’esatto istante in cui i
suoi occhi s’incrociarono un paio di occhi azzurri, sorpresi.
- Eric...!
– boccheggiò,
l’uomo accanto a lui.
A quel punto era
inutile
nascondersi, ma mantenne comunque lo sguardo puntato sul bancone, quasi
volesse
mettersi a memorizzare le linee morbide dei motivi del legno scuro.
-
Pa’… -.
Quando riprese i
sensi, la
prima cosa che avvertì, fu qualcosa che le tirava sulla
schiena e la sua mano
che si muoveva. Era semi seduta su un lettino, in una stanza tanto
asettica che
dovette stringere leggermente gli occhi per la luce.
La schiena le
faceva male,
ma non era più il dolore sordo di prima: era qualcosa di
diverso, di attutito.
Sentiva il sangue pulsare nella zona lesa della schiena e qualcosa
frapporsi
tra la sua pelle e la superficie del lettino. Una benda, forse:
dovevano averla
medicata.
Suo fratello era
seduto
accanto a lei: aveva gli occhi fissi sulla sua mano e gli occhiali
sulla testa.
Teneva in mano una pinzetta e indossava dei guanti in lattice bianco.
Sotto le
luci chiare del soffitto, i suoi capelli assumevano una strana
sfumatura
rossastra.
Alzò
gli occhi su di lei,
assottigliandoli appena nel guardarla. – Ti sei svegliata,
finalmente. –
costatò, accennando un sorriso.
Si sentiva
confusa, con la
testa ovattata forse da qualche antidolorifico o antiinfiammatorio, ma
una cosa
la sapeva.
- Se dici a
papà che sono
qui – biascicò, debolmente. – Ti uccido.
–
Sentì
una risatina e le
venne da stendere appena le labbra, ma quello che ne uscì
non fu altro che una
smorfia, mentre lui tornava a occuparsi del taglio alla sua mano. Era
completamente insensibile su tutto il braccio.
- Che ti
è successo? – le
chiese, senza staccare gli occhi dal suo lavoro mentre allungata una
mano per
prendere qualcosa dal mobiletto a più piani che aveva
accanto. Aveva la mano
sporca di qualcosa di rossastro… forse tintura di iodio, per
metterle i punti.
- Il
braccio… - mormorò,
cercando di alzarsi per verificare la motilità
dell’arto. Andrew si alzò in
piedi e la rispinse gentilmente distesa.
- Stai buona.
– le disse,
passandole una mano sulla fronte. Aveva le mani freddissime e asciutte,
ma era
piacevole sentirle sulla pelle.
- Eric?
– chiese, non
vedendolo. Non era venuto con lei?
Suo fratello
scosse un po’
la testa. – Chi? -.
Guardò
Andrew, confusa:
forse se n’era andato. Non ricordava con chiarezza gli ultimi
minuti, prima di
perdere i sensi. Ricordava solo di sentire un gran dolore
più o meno ovunque.
- Eric.
– ripeté. – Oh, era
con me quando sono arrivata. Mi ha portata lui qui… in
macchina. – aggiunse,
dato che il fratello non poteva capire altrimenti.
Le rivolse
un’occhiata
strana e strinse le labbra. – Il tipo inquietante di cui mi
ha parlato Lucas?
-.
- Può
darsi… è – prese
fiato, mentre il fratello interrompeva quello che stava facendo per
afferrare
un garza dal mobiletto. – Molto alto, moro…
è attraente e dovrebbe avere le
mani insanguinate… è stata una serataccia anche
per lui. –
Andrew annuiva,
mentre
parlava. - È andato via quando Lucas vi ha raggiunto fuori,
allora. Qui non è
entrato nessuno di alto, moro e
attraente. –
Portò
l’altro braccio,
indolenzito, alla fronte e si massaggiò le tempie. Le
scoppiava la testa.
- È
un tuo amico? – si sentì
chiede dopo qualche secondo in cui aveva tenuto gli occhi chiusi
lasciandosi
accudire.
Aprì
gli occhi e fissò il
soffitto poi girò la testa verso il fratello e sorrise un
po’. – Amico
– disse, con un’alzata di
sopracciglia.
Andrew scosse la
testa e
respirò dal naso. – Lo immaginavo. È il
tuo ragazzo? – chiese, senza
inclinazioni.
Quella
sì che era una
domanda interessante. Si erano lasciati? Non si erano lasciati?
Immaginava di
doverlo chiedere a lui, per capire se erano giunti a una conclusione o
se si
era trattato dell’ennesima litigata furiosa e inutile.
- Ottima domanda
– commentò,
tornando a guardare il soffitto bianco.
Suo fratello
posò le
pinzette con cui teneva il filo. – O lo è o non lo
è, Kaithlyn. Non mi sembra
difficile. –
- Geloso?
– lo punzecchiò.
Iniziava a sentirsi un po’ meglio e un po’ meno
confusa.
Suo fratello
scosse la
testa. – No. Sei abbastanza grande da fare ciò che
credi meglio, immagino. –
affermò, ostentando indifferenza e stringendosi nelle spalle.
Anche se il
sorriso non le
arrivò alle labbra, iniziava a sentire la tensione
allentarsi un po’ e
stuzzicare il fratello era divertente. – Ci siamo lasciati
venendo in qua. –
disse, alla fine, anche se non era del tutto sicura che fosse
esattamente così.
Le cose, per lei, dovevano essere chiare e, al momento, non lo erano.
- Ah.
–
-
Già. Il mio borsone? –
chiese, cambiando argomento.
- Sulla sedia
nell’angolo. –
rispose, prontamente quasi sapesse che glielo avrebbe chiesto.
– È un po’ che
vi frequentate. – commentò.
Kaithlyn scosse
appena la
testa, sentendo i capelli solleticarle il collo. – Qualche
mese. Perché ti
interessa? -.
Lui si strinse
nelle spalle.
– Curiosità. Non l’hai lasciato per non
farlo conoscere a nostro padre, vero?
-.
Rise, mentre un
leggero
dolore al petto le si irradiava ovunque. – Scherzi? Era il
mio sogno
presentarglielo: gli avrebbe fatto accapponare la pelle, altro che
Jason! –
esclamò, mentre suo fratello iniziava a fasciarle la mano. I
punti le tiravano
leggermente.
- Ad ogni modo,
per
rispondere alla tua velata minaccia
di poco fa, no. Non sono stupido, quindi non dirò niente a
nostro padre. – le
disse.
- Bravo. Questo
è lo spirito
giusto. Ti ricordi forse di quanto mi sono rotta un braccio
sull’albero? O di
quando dovevi venirmi a prendere a scuola ed io sono scappata dalle
sbarre del
giardino e sono venuta qui da lui, da sola? – gli
rammentò, ricordando
chiaramente la sgridata che era seguita. Sia per lei, chiaramente, che
per lui
che si ritrovava sempre con la responsabilità di tenerla
d’occhio. Fallendo, il
più delle volte.
Andrew
rabbrividì. –
Indelebilmente. Ti avrei uccisa, Kaithlyn. Sei stata la sorella
più dispettosa,
indisponente, saccente e rompi scatole della storia. –
- Non essere
cattivo, era
piccola… - cercò di difendersi, mettendo su la
sua miglior espressione
innocente.
- Non incanti
nessuno,
signorina. Cosa pensi, che Samantha non si ricordi dei tuoi scherzetti?
–
insistette, assottigliando gli occhi.
Scoppiarono a
ridere. - È
stato divertente! Hai riso anche tu, traditore. – si difese,
mentre lui la
aiutava a mettersi seduta sul lettino e le spostava una ciocca di
capelli da
sopra la faccia.
-
L’alternativa era mettermi
a piangere, cerca di capirmi. – disse, in tono drammatico.
- Che disgrazia.
– asserì,
annuendo.
- Una piaga.
Dove passavi te
non cresceva più neanche un filo d’erba.* -
rincarò.
Sorrise un
po’. Andrew era
il più grande dei suoi fratelli e quello a cui era toccato
occuparsi più di
lei, dati i quasi undici anni di differenza. Era anche quello di cui
era più
gelosa… Dylan, il secondo e oggettivamente più
bello era un donnaiolo e con
Lukas, il più piccolo, aveva sempre avuto un rapporto di
amore-odio. Manuel, il
terzo e forse il più sacrificato, se di sacrificio si poteva
parlare, era invece
tranquillo, gentile e posato. Spesso faceva da paciere, in particolare
tra lei
e Lucas che discutevano una volta sì e l’altra
pure.
Ricordava,
quando era più
piccola, di aver storto il naso a ogni ragazza con ognuno di loro, ma
per
nessuno le si era contorto lo stomaco come per Andrew. Aveva fatto
passare
l’inferno a quella che, qualche anno prima, era diventata sua
moglie. Se non
altro era sicura che fosse amore: in nessun altro caso, avrebbe
sopportato. Lei
non l’avrebbe fatto.
Suo fratello la
riportò con
i piedi per terra. – Non raccontarlo a Michael. Non vorrei
prendesse esempio,
sua madre non potrebbe sopportarlo. –
- Ah!
– esclamò. - È stato
un bello scherzetto genetico, eh? – rise, pensando al
nipotino.
Michael, cinque
anni, era il
bambino meno Erudito che avesse incontrato. Oltre a lei stessa,
chiaramente.
Un
mostriciattolo pestifero
di poco meno di un metro che, ne era sicura, sarebbe diventato un
Intrepido con
i fiocchi. La madre, però, non l’aveva presa molto
bene preferendo tenerglielo
lontano affinché non si influenzasse troppo.
Che
zia degenere, povero piccolo.
Suo fratello
sorrise un po’.
- Aspetta che la
nuova
arrivata si metta a parlare di relatività ancor prima di
nascere? – gli chiese.
Si strinse nelle
spalle. –
Non esagerare, non è così fissata. È
più il pensare di avere gli anni contati
con Michael a turbarla… non ricordarglielo troppo magari,
okay? -.
Kaithlyn
assottigliò gli
occhi. – O forse è il fatto che, quando
arriverà il momento, sarò io la figura
di riferimento, per lui. – suggerì. –
Non mentire, so che è così. –
Andrew
annuì un po’,
scoccandole un’occhiata complice. Per lui, da quel che ne
sapeva, non sarebbe
cambiato niente. Sua moglie, invece, era un altro paio di maniche e da
quando
aspettava il secondo genito, una femmina, era ancora meno ben disposta
nei suoi
confronti.
Se ne sarebbe
fatta una
ragione.
Uno…
due… tre… fatto!
Stava tirando
fuori i soldi
per pagare, quando il barista gli mise in mano un sacchetto con quelle
che
sembravano paste calde e lo congedò sparendo nel retro
bottega, lasciandolo lì,
impalato, come un idiota.
Dal sacchetto
bianco, con il
logo della cornetteria, s’irradiò un tenue calore
alla sua mano fredda, facendo
rabbrividire.
Gli
riportò alla mente una
notte piovosa, di un tempo passato e imprecisato. Sicuramente non
arrivava
neanche al bordo del bancone, ancora, ma ricordava William e suo padre
che li
metteva a sedere sugli sgabelli girevoli e prendeva a entrambi una
pasta calda,
appena sfornata, nel tentativo di farli dormire. Sua madre non
c’era, forse di
turno in ospedale, e suo padre li aveva montati in macchina e portati a
fare un
giro notturno nella speranza, forse, di farli addormentare.
Doveva essergli
sembrata
chissà quale avventura uscire da casa al buio…
invece, in quel momento, lo
preferiva alla luce del Sole, lo sentiva più vicino.
Era un ricordo
stranamente
piacevole, anche se sbiadito dal tempo. Ricordava la sensazione del
vetro
freddo sotto i palmi e la musica tranquilla della radio
dell’auto, intervallata
dalla voce di suo padre e dalle occhiate che ricevevano dallo
specchietto
retrovisore lui e suo fratello.
Anche
l’odore delle paste
era simile a quello di tanti anni prima, ma anziché farlo
contento, lo incupì.
Era in quel
periodo che era
iniziato il suo declino e quello che olfatto e tatto gli stavano
riportando
alla mente era qualcosa che non gli apparteneva più e che
sarebbe dovuto
restare seppellito nel passato.
Era solo un
ricordo sbiadito
di un bambino che non esisteva più.
Seguì
suo padre oltre
l’uscio, raggiungendolo a pochi passi dall’auto.
- Quanto ti
devo? – chiese,
trattenendolo per un braccio.
Suo padre
abbassò gli occhi
sul suo braccio con lentezza e strinse le labbra. – Prendile
e basta. – rispose,
scandendo le parole, mentre lui aumentava la presa.
- Io non voglio
niente da
te. – ringhiò, in tono basso. – Non
m’interessa dei tuoi sensi di colpa o della
pena che ti faccio. -
Suo padre
corrugò le
sopracciglia scure. – Non mi fai pena e, cosa più
importante, non mi sento
particolarmente colpevole di niente. Perciò, se potessi
lasciarmi il braccio in
modo da farmi ripartire la circolazione nell’arteria
brachiale, te ne sarei
grato. – scandì, accigliandosi.
Eric
lasciò la presa.
Osservò
suo padre sistemarsi
la felpa: era vestino in modo piuttosto sportivo, con i pantaloni della
tuta,
una maglia bianca e le scarpe da ginnastica. Ed erano alti uguali. Non
ci aveva
fatto caso. Quand’era bambino suo padre gli sembrava
l’uomo più alto del mondo,
mentre in quel momento poteva guardarlo tranquillamente negli occhi.
Forse era
anche un centimetro o due più alto di lui o, forse, era solo
il fatto di essere
più grosso a dargli quell’impressione.
Strinse le
labbra,
frustrato. Era possibile che, quella sera, non ci fosse una cosa che
andasse
come doveva?
Suo padre
salì in auto, la accese
e abbassò il finestrino. – Vuoi un passaggio fino
alla macchina? – domandò,
seraficamente.
Eric
scattò. – Ti ho detto
che non voglio niente da te. Lasciami in pace e vattene, è
qui vicino. – sbottò,
facendo un passo indietro, dopo avergli lanciato sulle gambe il
sacchetto con
le paste, in un gesto di stizza.
Suo padre non si
scompose,
limitandosi a spostarle sul sedile del passeggero. - Talmente vicino
che sei
riuscito a sudare, in piena notte, e con le maniche corte? –
gli chiese,
candidamente.
Chiuse gli
occhi. – Non sono
fatti tuoi, comunque. –
Suo padre
annuì. – Come non
detto, va’ pure a piedi. Non ho voglia di discutere anche con
te. – disse,
stringendosi nelle spalle e ingranando la prima. – Sicuro,
vero? Non torno
indietro a prenderti, se cambi idea. – lo avvisò.
Annuì,
con un gesto
esasperato del capo e suo padre, dopo averlo salutato con una mano,
ripartì.
Camminò
percorrendo la
strada a ritroso per qualche minuto poi, con un lampo,
iniziò a diluviare.
Suo fratello
l’aveva
accompagnata insieme a Lucas, che si era offerto di portare il borsone,
fino
alle macchinette a prendere qualcosa da mangiare.
- Andrew
– lo chiamò, mentre
un sottile dubbio iniziava a insinuarsi nella sua mente. –
Per quale ragione
non dovrei far pesare a tua moglie il fatto che ha un bel bambino
Intrepido? -.
Suo fratello si
voltò a
guardarla seriamente, con un velo di colpevolezza sul viso.
Lucas face un
paio di colpi
di tosse. – Che giorno siamo, tonta? – chiese,
girando la testa verso di lei.
Scosse la testa.
– Non… oh.
– balbettò, comprendo perché le era
stato chiesto di non infierire sulla
cognata.
Si
appoggiò contro lo schienale
della sedia di plastica, lasciando scivolarle gambe in avanti.
– Ti rendi
conto, vero, che tu hai trent’anni e nostro padre
cinquantasei? Non vi sembra
un po’ infantile, farmi il “sorpresone”
per il Giorno delle Visite? – chiese, guardandolo senza
espressione.
- Non sei felice
di vederci?
– la stuzzicò, Lucas dandole un colpetto con la
spalla.
- Ahi!
– sbottò,
restituendogliela e facendosi quasi più male. –
No. –
Entrambi risero.
- Voglio dire,
perché dovete
tendermi un agguato? – si difese, massaggiandosi il braccio
con cui aveva
restituito la spallata a suo fratello.
Lucas si
rabbuiò. – Non
chiederlo a me: nostro padre sta dando i numeri, ultimamente.
– brontolò, in
tono basso e ruvido.
Kaithlyn
inarcò un sopracciglio,
in attesa di spiegazioni. – Più del solito?
– chiese, inclinando la testa e
tirandosi su sulla sedia, in modo da poter incrociare le gambe: quelle
non le
facevano male, fortunatamente.
Suo fratello
annuì
gravemente, facendosi cadere una ciocca di capelli biondo scuro sulla
fronte.
La riportò indietro con un gesto di stizza. Suo fratello non
era messo meglio
di lei a capelli: ne aveva tantissimo, gonfi e arruffati.
- La stessa
ragione per cui
ho iniziato a lavoricchiare al locale qui vicino. – le disse,
in tono basso.
Aggrottò
le sopracciglia. –
Lavorare? Ai nostri genitori non mancano certo i soldi per... -.
- Lo so
benissimo, Kaithlyn!
– sbottò lui. – Nostro padre,
però, a quanto pare, ha deciso che vuole tutti
medici in famiglia… ad eccezione tua, che non conti proprio
perché sei tu e ti
permette di fare ciò che preferisci. –
- Dovresti farlo
anche tu,
allora. Se non ti piace quello che fai, molla tutto e iscriviti a
un’altra facoltà.
Non ho capito perché devi anche lavorare, però.
–
Suo fratello si
voltò verso
di lei, con lentezza. – Paparino mi
ha tagliato tutti i fondi. – disse lentamente.
Era sorpresa.
Suo padre era
esigente, ma li aveva sempre lasciati liberi di fare ciò che
sentivano più
nelle loro corde… perché voleva spingere Lucas in
una strada che non
evidentemente la sua.
Suo fratello si
tirò un
pugnetto sul petto e assunse un’espressione austera.
– Lucas, - esordì con voce
più profonda. – Non comprendo per quale ragione tu
voglia cambiare corso di
studi. I tuoi fratelli non mi hanno dato mai dato di questi problemi,
perciò,
contro ogni buon senso, o prosegui con quello che hai iniziato o
significa che
sei abbastanza maturo da mantenerti. Non avrai un centesimo,
d’ora in avanti. –
disse, imitando il padre.
Kaithlyn rise.
– Vuoi
cinquanta dollari? – gli chiese, guardano le ombre scure che
aveva sotto gli
occhi.
- Non mi
ridurrò a prendere
la paghetta da mia sorella minore. – le sibilò,
passandosi le mani tra i
capelli.
- Be’,
hai altri tre
fratelli. Nessun buon samaritano? – gli chiese scoccando
un’occhiata alla
schiena di Andrew, intento a prendere un caffè.
- Tu sei
sposato. Vivi da
solo e ti mantieni. Dovresti fare il bravo fratello maggiore.
–
- Lo fa.
– lo difese, Lucas.
Kaithlyn si mise
più comoda,
sulla sedia, stringendo un po’ le gambe incrociate.
– Cosa volevi fare, di
tanto scandaloso? Lo sportellista? –.
Lucas sorrise un
po’. – Il ricercatore.
–
- Che
delinquente. Che
ragazzo degenere. Andrew, come puoi passare soldi sottobanco a un
soggetto
simile? – esclamò, scandalizzata.
Andrew si
strinse nelle
spalle. – Papà avrà le sue ragioni,
comunque. – borbottò.
Lucas
s’infiammò. – Ah sì? Stai
dalla sua parte, ora? – ringhiò, alzandosi gli
occhi accesi d’irritazione.
Kaithlyn gli
tirò il camice
verso il basso, un paio di volte. – Oh, rilassati. Ti sentono
tutti. –
- Da che
pulpito! – urlò. –
Tu non puoi parlare, ti è sempre stato dato tutto
senza… -.
- Lucas, - lo
riprese
seriamente il fratello. – Non prenderla per lei. Abbiamo
avuto tutti le nostre
diatribe e abbiamo dovuto fare tutti i conti con le fissazioni dei
nostri
genitori. Se lei si sbucciava le ginocchia, era colpa mia, ricordi? Non
importava
dove mi trovassi: a scuola, a letto o in giro. Dovevo raccomandarle di
non
correre, non esagerare e di stare brava prima di uscire se restava con
la
baby-sitter. Dylan ha la mamma che lo falcheggia da mesi,
perché ha ventisette
anni e non ha una ragazza fissa. Manuel, per nostro padre, dovrebbe
essere più
incisivo perché è troppo accomodante e Kaithlyn
ha sempre dovuto essere una
spanna sopra chiunque se voleva uscire di casa e date le sue
inclinazione,
magari, passare il suo tempo e studiare come se frequentasse tra classi
avanti
alla sua invece di uscire a correre non è stato esattamente
il massimo della
semplicità.–.
- Lei lo faceva
a prescindere:
se voleva uscire prendeva e andava, che papà fosse d'accordo
o meno. Se ci
provassi io, non durerei neanche per il tempo di arrivare alla porta.
– sputò,
stringendo i pugni mentre lei lo ritirava a sedere. – Non
negare. –
- Non lo faccio.
Dovresti
farlo anche tu, non è difficile: entri in casa, annunci la
tua decisione e
agisci di conseguenza. Polso fermo! – lo spronò,
stringendo il pugno e
riabbassandolo con una smorfia.
Andrew
annuì. – Ecco, questo
giochetto di passare il pomeriggio fuori senza dare notizie e rientrare
la sera
prima di cena, lo potevi fare solo te perché sei una
ragazza. Per noi ha
funzionato solo fino agli undici anni. – le disse, stringendo
le labbra.
Ci fu un momento
di
silenzio, poi Kaithlyn si voltò verso il fratello.
– Ricordami di darti
cinquanta dollari. – disse, dandogli una pacca con non troppa
forza sulla
schiena.
- Non li voglio
soldi da te!
– insistette con veemenza. – Come te lo devo dire?
-.
Kaithlyn
iniziava a sentirsi
meglio: il dolore era decisamente più sopportabile e
scherzare con loro lo
stava aiutando a non
pensare a quello
che era successo, poco prima.
- Sai quanto
guadagno, come
tiratrice e con tutti gli “extra” che faccio?
– gli domandò, lentamente.
Lucas si
girò a guardarla. –
Sentiamo allora… - le disse, come se le stesse facendo un
piacere.
- Più
di te! – rise.
Probabilmente
sarebbe
annegato prima di raggiungere la sua auto impantanata, se avesse
continuato a
piovere con quel ritmo. Non mancava molto al punto in cui la sua auto
l’aveva
brutalmente abbandonato, ma iniziava a sentire freddo e mal di testa e
non
riusciva a vedere che a pochi metri di distanza, tanto era fitta la
pioggia
torrenziale che aveva iniziato a cadere con provvidenziale
puntualità.
Avrebbe dovuto
farsi
accompagnare da suo padre e approfittarne per scoprire cosa diavolo ci
faceva
suo fratello a spasso per la Rete Centrale a quell’ora la
sera. Di certo, non
era lì per passare il tempo, poco ma sicuro.
Il suo
Cercapersone
probabilmente si sarebbe suicidato prima di riuscire a metterlo
all’asciutto e,
isolato, non poteva fare molto di più che camminare.
I lampioni non
erano molto
d’aiuto: i cerchi di luce che lasciavano sul terreno creavano
quasi una barriera
di pioggia luminosa che rendeva quello che c’era dopo anche
più buio.
Non
c’era un’anima, tranne
lui.
Non riusciva a
tenere le
mani in tasca a causa del bruciore alle dita, per cui le
incrociò davanti al
petto, infreddolito. Aveva anche lasciato il suo giaccone a Kaithlyn.
Che
genio del crimine.
Camminò
per diversi minuti,
cercando di acuire la vista per vedere oltre la punta del suo naso
senza
risultati. Riuscì a trovare la strada giusta tentoni,
cambiando direzione di
continuo.
La strada dove
ricordava di
essersi impantanato era naturalmente
isolata, poco illuminata e di dubbia tranquillità. Il posto
perfetto per
commettere un omicidio efferato a suo parere. O come accampamento per
Lupi
Mannari. Il campo che la circondava sul lato alla sua destra, verso
Est,
sarebbe stato perfetto per un raduno di bestie inferocite e assetate di
sangue.
Gli alberi erano
ben
distanziati e facevano sembrare, non che vedesse molto con quella
pioggia,
l’oscurità oltre di loro ancora più
cupa e spaventosa. Se avesse avuto paura
del buio, se la sarebbe fatta addosso.
I lampioni erano
pochi ed
erano stati accesi in modo alternato, per risparmiare corrente
perché, nessuno
sano di mente sarebbe mai andato a fare un giro in quel postaccio la
notte e
nessuno, teoricamente, era
abbastanza
sfigato da impantanarsi nell’unico spiazzo utile di quel
primo tratto, di
notte, senza la possibilità di comunicare e con una pioggia
torrenziale.
Nessuno a parte lui.
Quando ritenne
di essere
sufficientemente vicino alla sua auto, estrasse la chiave dalla tasca
posteriore dei pantaloni e premette il pulsante di apertura a caso,
indirizzandolo lungo il lato destro della strada, dalla parte del
campo. Era
l’unico modo per trovarla, ammesso che i circuiti della
chiave funzionassero
ancora.
Strizzo gli
occhi, più
volte, infastidito dalle gocce. Era talmente bagnato che iniziava anche
a
dubitare di riuscire a spogliarsi di nuovo, un giorno. Non che gli
interessasse
particolarmente: non aveva troppa considerazione della sua salute e,
l’unica
cosa che gli interessava, era tornare alla sua auto, prendere la
Piccola
Bastarda e tornarsene a casa a dormire.
Finalmente, vide
qualcosa
lampeggiare una decina di metri più avanti e si
avviò in quella direzione.
Entrando nello
spiazzo,
sentì l’acqua entrargli dentro le scarpe e
bagnarli i piedi in uno sciacquettio
spugnoso.
Sentì
il rumore dei
sassolini sotto gli scarponi e arrancando riuscì a trovare
lo sportello e a
infilarsi dentro l’abitacolo, dalla parte del conducente.
Una botta di fortuna, ogni tanto: almeno non avrebbe
allagato l’auto.
Richiuse con un
tonfo la
portiera. La pioggia era ancora più fitta e, in quelle
condizioni, non poteva
certo guidare. O sperare di uscire da quel pantano. Se ci avesse
provato, alla
cieca, sarebbe probabilmente finito giù nel canalino
laterale.
Estrasse da una
delle due
tasche anteriori dei pantaloni il Cercapersone fradicio e,
notò, spento.
Era morto,
sicuro.
Premette il
pulsante
dell’accensione, senza risultati e imprecò,
tirando un calcio sotto il volante.
Appoggiò
l’oggetto sopra il
piccolo ripiano davanti ai bocconi dell’aria condizionata e
accese la macchina.
Immediatamente i fari illuminarono davanti a lui… la
pioggia. C’era solo quella
in fin dei conti, ovunque.
Impostò
il condizionatore
sui ventitré gradi e aspettò, dando di tanto in
tanto gas.
Riprovò
ad accendere il
Cercapersone dopo una decina di minuti, ma aveva le mani talmente
infreddolite
e irrigidite dal freddo che cadde rovinosamente sul tappetino della
postazione
del passeggero.
Si morse la
lingua per non
imprecare ancora e si allungò per raccattarne i pezzi. I
muscoli della schiena,
a quel gesto, si tesero in modo spiacevole facendogli stringere i
denti.
Reinserì
la piccola batteria
e riprovò ad accenderlo.
Funzionava,
almeno quello.
Reimpostò
l’ora e la data e
aspettò che ricaricasse tutti i messaggi, poi
cercò il numero di Kaithlyn.
Lo
ritrovò sotto Nana Malefica.
“Ti
devo venire a prendere?”
Era una domanda
stupida,
dato che le aveva chiaramente detto di arrangiarsi con uno dei suoi
fratelli o
chiamando Jason. In realtà preferiva portala lui indietro,
tanto per essere
sicuro che arrivasse e avere anche modo di controllare il suo amico
biondo. Più
le stava alla larga, meglio si sarebbe sentito.
La risposta
arrivò in meno
di un minuto, come sempre.
“Fa’
come ti pare.”
Chiara e
concisa.
Storse le labbra.
“…
Per quando ne hai, ancora? Dammi un’ora!”
Posò
il Cercapersone tra il
cruscotto e il vetro e incrociò le braccia in attesa. Le
mani gli lanciarono
una fitta di protesta piuttosto dolorosa che ignorò.
Il taglio che si
era fatto
lungo l’attaccatura delle dita era peggio di quanto
sembrasse: non abbastanza
profondo da richiedere dei punti, ma abbastanza estero, sicuramente, da
dove
essere medicato e coperto al più presto. Peccato che non
potesse muoversi e non
avesse niente per lo scopo, oltre alla mancanza momentanea di
manualità.
Il dispositivo
s’illuminò e
vibro con vigore. Si era ripreso bene, almeno lui.
“Non
lo so, un po’.”
Chiuse gli
occhi,
imponendosi di non risponderle di getto.
“Allora
ci vediamo lì davanti “tra un
po’”.
Lanciò
il Cercapersone
contro il vetro e giro i direzionatori dell’aria condizionata
verso di sé,
infreddolito. L’avrebbero ritrovato il giorno dopo ibernato.
Lentamente la
pioggia si
affievolì fino a ridursi solo a qualche goccia sparsa.
Guardò oltre il vetro
del finestrino e considerò seriamente l’idea di
portarsi dietro un gommone, la
volta dopo. Giusto per rimanere sul sicuro.
Scese
dall’auto e si chiuse
la portiera alle spalle: si era impantanato perpendicolarmente alla
strada e le
ruote posteriori erano sprofondate di una quindicina di centimetri nel
terreno
acquoso.
Seguì
con gli occhi la linea
del guardrail che riprendeva cinque metri più in
là, in direzione dell’ospedale
e si sentì raggelare il sangue.
Chiuse
distrattamente
l’auto, lasciandole solo una brevissima occhiata e si
avvicinò al bordo del
guardrail, percependo in modo quasi amplificato lo scricchiolio dei
sassolini
sotto i suoi scarponi fradici.
Lo spiazzo era
grande abbastanza
da farci stare comodamente più di un’auto. Era
usato spesso, da quando ne aveva
memoria, per scambiarsi o per sostare. Lo faceva spesso con i suoi
genitori e
suo fratello e non erano certo gli unici, in quanto era molto pratico.
Lo spazio era un
semicerchio
impreciso e, notò solo in quel momento, lungo tutta la
semicirconferenza o
presunta tale, non c’era il guardrail. O meglio: ce
n’era solo una parte, sul
lato più a nord, mentre, per il resto era stato sostituito
da travi di legno.
C’era
anche un muricciolo
basso, in pietra, a fare da base. Nessuno si preoccupava di quella
strada, non
più. Con tutti gli incidenti che c’erano stati, la
gente, se non in caso di
stratta necessità, se ne teneva alla larga e non si fermava
certo lungo il
percorso, preferendo di gran lunga tirare dritto.
Rabbrividì
e sentì la gola
seccarsi: non si era reso conto di dove si trovasse. Aveva evitato
quella strada
maledetta all’andata di proposito, beccandosi anche la
derisione di Kaithlyn
per aver allungato il percorso e aveva finito per impiantarcisi
involontariamente. Lo scansava da cinque anni quel maledetto spiazzo.
C’erano
delle assi, poggiate
da una parte e notò qualcosa di lucido sotto di esse. Sapeva
con assoluta
certezza di cosa si trattasse e non voleva vederla.
Non in quel
momento: aveva
bisogno di tutte le sue facoltà per uscire da quel casino il
prima possibile.
Poteva mettere qualcosa sotto le ruote inferiori, poteva funzionare.
Si
obbligò a muovere le
gambe per fare il giro dell’auto e guardare il danno. Dietro
le ruote
posteriori, il terreno s’inclinava bruscamente conducendo a
un canalino d’acqua
nascosto da alcuni arbusti.
Gli vennero le
vertigini,
insieme alla nausea, mentre indietreggiava fino a battere le gambe
contro il
portabagagli dell’auto che si mosse appena dondolando in
avanti.
Si
passò le mani tra i
capelli bagnati, cercando di calmarsi e controllare gli spasmi del
freddo alla
braccia. Doveva riprendere il controllo. Era un Capofazione Intrepidi.
Doveva
superarla, prima o poi, e agire senza timore. Niente poteva ferirlo, in
quel
momento. Se si fosse lasciato sopraffare dalla stanchezza e dal panico,
non si
sarebbe mosso da lì. Gli serviva controllo. Disciplina.
Disciplinati
Eric.
Cercò
con tutte le sue forze
di imporsi la calma, senza successo. Non sapeva neanche da che parte
iniziare,
per ritrovare il raziocinio: di solito c’era Sean in quei
momenti, a riportarlo
con i piedi per terra anche a costo di prenderlo a schiaffi. E
funzionava… per
un po’. Ma era sciocchezze, cazzate, in confronto alla
situazione in cui si
trovava in quel momento.
Gli sembrava di
essere
precipitato in una voragine senza fine, stretta e buia come un tombino
senza
aver possibilità di risalita. Riusciva quasi a sentire le
gambe strette e le
braccia compresse contro il proprio corpo.
Sentiva
l’aria mancargli e,
improvvisamente, il freddo scomparve e iniziò a sudare
mentre il suo stomaco si
contraeva in modo quasi doloroso.
Era bloccato.
Era bloccato.
Bloccato. Non sarebbe riuscito a far niente, mai.
Si
portò una mano alla
fronte e spostò i capelli scuri indietro. Forse, se si
comportava come nel suo
scenario, sarebbe riuscito ad agire, a muoversi.
Era come
sbagliare una
postura, si disse. Doveva trovare il modo corretto. Stare in piedi,
dritto. Come
a scuola.
Invece si
sentiva accartocciare
su se stesso, come una pallina di carta che soccombe alla stretta di
una mano,
prima di essere lanciata nel cestino. O per terra.
Sembrava che il
terreno
avesse iniziato a tremare, ma erano le sue gambe a farlo sentire
instabile,
come se improvvisamente tutto intorno a lui avesse iniziato a
ondeggiare
pericolosamente.
Non
è una simulazione. Non è una simulazione.
Si
girò verso la macchina e
appoggiò le braccia sul tettuccio per sorreggersi,
seppellendo la testa tra le
mani. Doveva calmarsi. Respirare.
Respira.
Era una cosa
naturale,
bastava far entrare l’aria, lasciando che scendesse lungo la
trachea ed
espandesse i polmoni, riempiendo ogni bronchiolo finale.
Giù, fin dentro la
pancia, con lentezza. Era naturale, una cosa che faceva ogni giorno in
automatico e perlopiù senza accorgersene.
Poi doveva
ributtarla fuori.
Espirare. Con calma, nessuno gli sarebbe saltato alla gola. Con
lentezza, anche
quello prendendosi tutto il tempo per farla uscire.
Il macigno che
sentiva sulla
schiena era frutto della sua immaginazione. Solo quella.
Fu quasi
doloroso fermare il
tremore alle braccia, ma ci riuscì.
Non poteva
restare lì,
doveva muoversi.
Imponiti.
Strinse i pugni,
sentendo
contro la superficie ghiacciata e bagnata del tetto della macchina.
Un forte odore
di bruciato
gli arrivò alle narici. Anche quello, era frutto della sua
mente. Niente
bruciava, in quella nottata piovosa. Solo lui, ma era un fuoco fittizio
limitato ai suoi ricordi.
Appoggiò
le mani sul bordo
del tettuccio, lasciandole scivolare con forza sulla superficie liscia,
fredda
e bagnata e si spinse indietro con un ringhio frustrato.
Il passo che
fece indietro,
sprofondò in un punto particolarmente melmoso.
Non appena fu in
piedi, tirò
un calcio alla ruota posteriore con tutta la forza che aveva.
Il dolore lo
accecò per un
momento, ma era quasi un toccasana. Lo riportava con i piedi per terra,
facendogli disgiungere la realtà dai demoni che gli
popolavano la mente.
Quello
era
reale.
Si
passò le mani tra i
capelli e sul viso, sentendo le unghie graffiargli
l’attaccatura dei capelli.
Respirare tra i denti non lo avrebbe aiutato.
Il cuore gli
schizzò nel
petto facendolo sobbalzare, voltare di scatto e sbattere con la schiena
contro
l’auto, quando sentì il suono leggero di un
clacson e due fari lampeggiare da
un’auto accostata sul ciglio della strada.
La sua mano
andò
istintivamente all’altezza della cintura, senza tuttavia
trovare quello che
cercava: la sua pistola. Dov’era? Perché non
l’aveva presa, quando poteva
tornargli utile?
Strinse i pugni,
grattandosi
la superficie delle dita con la stoffa del bordo dei pantaloni e
preparandosi a
uno scontro.
- Eric! -.
Cercò
di calmarsi,
riconoscendo la voce.
- Che
è successo? – chiese
la voce di suo padre, scendendo dall’auto e avvicinandosi a
passo svelto. – Hai
battuto la macchina? -.
- NO!
– gridò, sentendo la
voce graffiargli la gola. – No… -
tossì, indietreggiando lungo il profilo
dell’auto.
Suo padre aveva
le mani
alzate come a fargli vedere che non aveva niente in mano. Come si fa
con i
bambini o con qualcuno che vuole convincerti di non avere cattive
intenzioni.
- Che
è successo? – ripeté,
calmo.
Un singulto gli
risalì in
gola e si coprì il viso con le mani. – Niente che
ti riguardi. Vattene, che
fai? Mi segui? Vuoi controllarmi anche adesso? – stridette,
con i battiti alle
stelle, in un ringhio che gli ricordò quello di un animale
ferito.
Suo padre
strinse le labbra.
– No, certo che no. Sono riuscito per prendere una cosa a tua
madre e per fare
prima sono passato da qui. Sei ferito? – domandò.
Scosse la testa
con forza. –
Non… non ti deve interessare. Sto bene, vattene. Non voglio
niente da te. –
ringhiò, riuscendo finalmente a raddrizzarsi.
- Sei sicuro?
– insistette,
l’uomo davanti a lui.
- Non voglio
– iniziò,
alzando la voce, - il tuo aiuto. Non lo voglio. –
L’altro
annuì piano. –
D’accordo. – gli concesse, con cautela. –
Puoi fare da solo. Se mi fossi impantanato
con l’auto, - gli suggerì, facendo un cenno con la
testa verso il bordo dello spiazzo.
– Userei quelle assi di legno laggiù. Sei
d’accordo? -.
Eric si
avvicinò a lui,
stringendo la mandibola tanto da farsi male. – Non fare
questi giochetti con
me. Risali in auto e vattene. – gli intimò.
C’erano
solo poche decine di
centimetri a dividerli. Quando si era avvicinato?
Suo padre non si
scompose,
mantenendo un tono controllato. – Allora agisci. Facendo il
pazzo e prendendo a
calci l’auto non la convincerai a ritornare in carreggiata.
– lo sgridò.
Se chiunque
altro gli avesse
parlato in quel modo, facendolo sentire stupido, sarebbe stato
già a terra con
il naso rotto in attesa di ricevere il resto delle botte che gli
avrebbe
tirato.
Non lo voleva
lì, ma
l’arrivo di suo padre l’aveva distratto e iniziava
a riprendere il controllo e
a sentire la pressa opprimente che sembrava soffocarlo allentarsi. Si
stava
distraendo. Doveva sfruttare la cosa per calmarsi.
Doveva. Era
l’unica
possibilità.
Suo padre, un
Erudito, non
era spaventato. Non doveva esserlo neanche lui, che era un Intrepido.
- Non mi ero
accorto di
essermi fermato qui… - disse, velocemente, cercando di
regolare il respiro,
senza conoscere neanche lui il perché stesse dicendo quelle
parole. – Io… me ne
sono accorto adesso. Pioveva, prima. –
Suonava come una
scusa, una
giustificazione. Ma non lo era. Non aveva niente da giustificare
all’uomo che
si trovava davanti.
Suo padre
annuì con
lentezza, come dandogli manforte. – Certo, può
succede. La pioggia era molto
fitta. – convenne.
Eric
annuì velocemente.
- Sono quasi le
quattro. Forse
dovresti tirarla fuori prima che ricominci a piovere. – gli
suggerì, abbassando
le mani.
Lo vide
guardarsi distrattamente
la felpa che portava addosso e stringere le labbra con disappunto, dopo
avergli
riservato un’occhiata. Non gli chiese se voleva la sua felpa:
sapeva che non
avrebbe accettato o che, eventualmente, gliela avrebbe tirata dietro.
Annuì
di nuovo. – Sì… le
assi. Le prendo. – farneticò, mentre la testa
iniziava a pulsargli in modo
fastidioso. Sentiva la schiena ancora rigida, i muscoli contratti. La
confusione gli annebbiava la testa.
Deglutì
e si diresse verso
il lato da cui era arrivato, dove le assi erano più
dismesse.
Respirò
a fondo e, con le
mani tremanti per il dolore e per il freddo, strinse un lato della
prima e
tirò. Ci fu un rumore forte, di qualcosa che si spezza, e il
pezzo di legno
intagliato gli rimase in mano. Grattava, sulla pelle secca. Avevano una
consistenza umida, ma sembravano ancora abbastanza solide nonostante
l’esposizione
alle intemperie degli ultimi cinque anni.
Lasciò
andare la trave,
cercando di ignorare la targhetta luccicante che nascondeva e
respirò
profondamente. Sapeva che era lì. Era per quello che non
voleva usarle, sapeva
che vedere quell’oggetto l’avrebbe mandato nel
panico.
Meno di quanto
pensasse,
comunque.
Era infantile,
ma si sentiva
più tranquillo con suo… padre,
a
pochi metri da lui.
La sua
attenzione venne di
nuovo attirata da quel tenue luccichio, forse opera del lampione poco
più
indietro a una ventina di metri da lì. Era difficile non
guardare. Il contrasto
con il muricciolo su cui era affissa era troppo evidente per essere
ignorato
del tutto e le lettere dorate risaltavano come fili di seta sullo
sfondo chiaro.
In
memoria di
Rosalie Powell in Turner.
Deglutì,
allungando
debolmente le mani verso la seconda asse. Strinse le mani intorno al
bordo,
come aveva fatto poco prima e tirò, senza ottenere nulla.
Era come se tutta la
forza se ne fosse andata. Non riusciva a staccare gli occhi da
lì.
Era un debole.
Uno stupido.
Un inetto.
Sentì
dei passi dietro di
lui. – Ce la faccio. – disse, in un gracidio mal
articolato. Gli tremavano
ancora le gambe. Respirò, per correggersi.
- Oh Cristo
Eric! – esclamò
suo padre dopo un paio di tiri a vuoto.
Lo fece spostare
senza
troppa gentilezza da un lato, prese il suo posto, afferrò la
trave e tirò,
staccandola in un colpo solo e porgendogliela.
Eric lo
guardò con astio,
ricevendo un’occhiata severa. – La targhetta.
– disse, raccogliendo l’altra
asse e allungando la mano per farsi passare l’altra, le dita
tremanti.
- Non credo
sentirà freddo.
È una targhetta, Eric.
Una targhetta
in lega metallica. – disse pragmaticamente, senza
espressione.
Annuì.
Aveva ragione. Era
solo un pezzo di metallo. Non significava niente, farsi sopraffare da
una cosa
del genere era illogico e stupido. Da bambini. E lui non era
più un bambino,
era da considerarsi un adulto a tutti gli effetti.
Vedendolo
indeciso, suo
padre gli strappò le assi dalle mani. – Avanti, ti
faccio vedere. – disse un
po’ più gentilmente. Gli faceva rabbia, rendersi
conto di avere ancora qualcosa
da imparare, da lui.
Suo padre, senza
un’altra
parola “si” diresse dietro la sua auto. Sembrava
tranquillo, composto. Anche se
quel posto era intriso di brutti momenti anche per lui.
Eric si
obbligò a muovere le
gambe e a seguirlo, un passo alla volta, cercando di non concentrarsi
sul
posto. Se si estraniava, poteva farcela. Non voleva che lo vedesse in
difficoltà. Aveva già visto abbastanza prima che
si accorgesse della sua
presenza.
L’aveva
visto debole.
Lo raggiunse.
- Hai fatto una
bella buca,
eh? – commentò lui, abbassandosi
all’altezza delle ruote e studiando la
scavatura provocata dai suoi tentativi di uscire.
- Non mi serve
il tuo aiuto.
– insistette.
Suo padre lo
ignorò e tornò a
osservare la fossa che aveva
scavato
con le ruote posteriori. – Se pensi di tirarla fuori da quei
con la forza del
pensiero, tanti auguri. – commento, sedendosi sui talloni.
Dietro suo
padre, il terreno
s’inclinava bruscamente verso il basso, conducendo su un
canalino d’acqua nascosto
da sassi e arbusti. Cadere da lì equivaleva a spaccarsi la
testa e a una fine
lenta e penosa.
Ricordava ancora
la
sensazione di vuoto, di equilibrio precario che aveva provato in quella
macchina, mentre iniziava a sentire odore di benzina. Ricordava il
terrore nel
non riuscire a slacciare la cintura, l’istinto di dibattersi
e la paura alla
vista del corpo accanto al suo. La sensazione d’impotenza,
d’inutilità più
assoluta.
Tremò,
mentre sentiva il
panico impadronirsi nuovamente di lui. Gli scorreva nelle vene come un
liquido
vischioso e pesante, facendolo sentire come se fosse di piombo e stesse
affondando. Tutto lo tirava in basso, facendo sprofondare e
agganciandolo con
mille aghi di ferro, impedendogli di muoversi.
Suo padre si
girò verso di
lui e lo guardo per lungo secondo, poi si concentrò sulle
ruote impantanate,
poggiando le assi da un lato. – Solleva il retro
dell’auto, così le infilo
sotto. – gli disse, facendogli spazio sulla parte anteriore e
riportandolo
bruscamente con i piedi per terra. Poi si guardò alle
spalle, come a valutare
il rischio di cadere di sotto. Non sembrava turbato. Forse non era
un’altezza
tale da dargli fastidio.
- Anzi, facciamo
al
contrario: io sollevo il retro dell’auto e tu infila le travi
sotto le ruote. –
rettificò, mettendosi dietro l’auto e passandogli
le due assi. – Non vorrei
doverti riattaccare le dita, più tardi. – gli
disse, con un cenno alle sue
mani. Non sembrava molto contento di vederlo in quello stato.
Avevano un
aspetto
terribile, in effetti.
Annuì
distrattamente,
cercando di pensare a qualcos’altro che non fosse quel giorno. – Pronto? -.
–
Appena le ruote posteriori
si alzano, infilale sotto, okay? – lo istruì,
asciugandosi le mani sui
pantaloni.
Annuì
e si spostò di lato.
Suo padre infilò le dita sotto la parte posteriore
dell’auto e fece forza. Per
un momento penso che, nonostante la sua auto fosse relativamente
leggera, non
ce la facesse: poi il veicolo iniziò a sollevarsi.
Infilò
la prima trave sotto
la ruota sinistra e aggirò suo padre per infilare
l’altra sotto la destra. Suo
padre riappoggiò il retro della macchina a terra.
Aprì
e chiuse le dita più volte,
forse per allievare l’indolenzimento e riattivare la
circolazione.
- Fatto. Vuoi
finire da
solo? – gli domandò, leggermente affannato,
aggirando l’auto con lentezza e appoggiando
la mano destra sul finestrino posteriore.
Annuì
con la testa, convinto
di riuscire a gestire la situazione da solo da quel momento in poi. Il
più era
già fatto.
Si sbagliava.
Non appena
inserì la chiave e accese il motore, l’angoscia
iniziò nuovamente a
strisciargli dentro come un serpente, attorcigliandosi intorno a tutti
gli
organi. Anche alla testa. Si sentiva schiacciare, di nuovo. Soffocare.
Suo padre
raggiunse il
finestrino e lo osservò con le sopracciglia aggrottate in
un’espressione
comprensiva. - Devo
girarla io? –
domandò, forse vedendolo fissare il vuoto, alla ricerca di
una soluzione.
Eric
rabbrividì per il
freddo. – No. – grugnì, stringendo le
dita sul volante.
Mise in moto,
inspirando dal
naso.
Giù,
fin dentro la pancia e poi fuori.
Ancora.
Ingranò
la prima, con
lentezza, sentendosi addosso gli occhi chiari di suo padre. Aveva
già visto
abbastanza, non voleva che lo vedesse perdere di nuovo la testa. Doveva
controllarsi. Respirare. Far rallentare il cuore impazzito. Riprendere
il
controllo.
Respira,
è solo aria.
Tolse con
cautela il freno a
mano, cercando il punto d’innesto della frizione. Quando lo
trovò, premette
nervosamente l’acceleratore, facendo girare a vuoto le ruote
posteriori e
sentendo le assi sprofondare. Sarebbe scivolato di sotto. Sarebbe
rimasto lì,
lo sapeva. Lo sentiva. Non riusciva a stare tranquillo, era come se
avesse una
spada di Damocle che gli penzolava dietro il collo, pronta a tagliargli
la
testa da un momento all’altro. Doveva uscire da
quell’auto. Allontanarsi.
Come quando
giocando a
nascondino, capitava di nascondersi in un ripostiglio o in anfratto
buio, la
notte, e di sentire l’improvvisa e immotivata voglia di
scappare. Era cosa
sentirsi qualcuno alle spalle.
Suo padre
bussò al
finestrino, facendolo sobbalzare. – Scendi, la giro io.
– gli disse, aprendogli
la portiera.
- No!
–urlò, furioso,
richiudendola. – Ce la faccio, vattene. Hai già
fatto abbastanza. –
- Scendi.
– gli impartì
duramente, senza più ombra di gentilezza sul viso.
- Altrimenti?
– ringhiò,
scendendo dall’auto e andandogli incontro a viso duro. Come
faceva a non
capire?
– Che
fai? -.
Suo padre non si
scompose e
lo ignorò. – Smettila e vedi di usare un
po’ la testa: ragiona e…-.
S’interruppe bruscamente, fissandolo. – Che
c’è? – chiese, forse notando la sua
espressione sconvolta.
L’aveva
sentito un attimo
prima: pungente, e sembrava quasi doloroso percepirlo nelle narici.
Sapeva che
c’era qualcosa che non andava, dannazione. Avrebbe dovuto
fidarsi di più del
suo istinto, invece che fare considerazioni idiote sulle sue paure.
- Lo senti
l’odore? – gemette,
tachicardico. – Lo senti? –ribadì,
ancora, portandosi una mano a coppa sotto la
bocca.
Gli veniva da
vomitare.
Suo padre
cambiò espressione
e si fece più vicino. – C’è
odore di pioggia. Intendi quello? – chiese, con
lentezza.
Scosse la testa.
– Non lo
senti? Come fai a non sentirlo? – gracchiò,
cercando di capire se lo stesse
prendendo in giro o meno.
- Che cosa
dovrei sentire
Eric? -.
- Bruciato.
– boccheggiò,
guardandosi le mani. – Po… potrebbe essere la
macchina? -.
Sentì
i battiti aumentare il
ritmo esponenzialmente.
Suo padre
abbasso le
sopracciglia sugli occhi in un’espressione seria. –
No, Eric non c’è puzza di
bruciato. – lo tranquillizzò, stringendogli le
braccia. – Non brucia niente. –
- Che ne sai
tu?! Non eri
lì, non sai cosa ha fatto la macchina, cosa ho…
l’odore…- strillò, mentre
iniziavano a susseguirsi come in un flashback tutti gli avvenimenti di
quella
dannata notte.
La macchina non
si muoveva
neanche quel giorno. Lui non sapeva neanche da che parte iniziare, ma
quando
aveva cercato di premere l’acceleratore, allungando oltre le
gambe del
guidatore nel disperato tentativo di uscire, la macchina non si era
mossa.
Aveva solo fatto girare a vuoto le ruote ed erano sprofondati con le
ruote
anteriori.
E lui, lui era
arrivato
dopo. Quando c’erano già le fiamme, non aveva idea
di cosa avesse sentito. Dei
rumori, anche minimi, del sibilo, del crepitio. Delle ruote che
giravano a
vuoto, nel terreno.
Perché
lui non sapeva
mettere una dannata retromarcia. Non lo sapeva fare.
Suo padre gli
prese il viso
con le mani. Sentiva il metallo freddo della fede che portava
all’anulare
sinistro contrastare con la sua tempia che sentiva calda. Forse era
solo
un’impressione. – Va tutto bene, Eric. La tua auto
non ha niente, calmati. Ci
sono io, adesso. Ci penso io. – lo tranquillizzò,
abbassando una mano e
stringendogli un braccio, mentre lo conduceva verso la sua auto, ancora
posteggiata lì accanto e lo faceva sedere sul sedile del
passeggero. Aveva un
odore familiare.
Suo padre gli
passò
distrattamente una mano dietro la nuca, in un gesto quasi affettuoso.
Si
scansò quasi a quel
contatto inaspettato: non c’era più abituato e
anche Kaithlyn, per quanta
confidenza potessero avere dal punto di vista fisico, non si lasciva
spesso
andare a gesti affettuosi, nei confronti di nessuno.
- Va tutto bene
– ripeté,
piano. – Vuoi dell’acqua? – aggiunse,
abbassandosi su di lui per guardarlo.
Annuì.
Non era una cattiva
idea e poi gli faceva male la gola, dopo le urla e il freddo. Suo padre
aprì la
portiera posteriore e dopo qualche secondo piegato in avanti alla
ricerca di
qualcosa, tornò da lui con una bottiglietta
d’acqua. – Bevi. – gli disse,
poggiandogli una mano sulla spalla.
Eric la prese,
titubante. –
Se tornassi indietro dovresti fermarti da lei, prima che da me.
– mormorò. –
Faresti un affare – aggiunse, sfiorando appena il piccolo
collo della
bottiglietta con le labbra secche, prima di bere un piccolo sorso.
Le dita di suo
padre gli
strinsero una spalla, con forza. – Se potessi tornare
indietro, non mi
soffermerei: correrei più veloce e basta. –
ribatté cupamente, sfiorandogli
appena un orecchio.
Lo
guardò dal basso,
deglutendo.
Com’era
finito in quella
situazione? Come si era ritrova a discutere con suo padre, dopo due
anni di
silenzio, proprio lì e proprio di quella cosa?
Non doveva
trovarsi lì, non
voleva esserci. Sarebbe dovuto essere a casa o, al massimo, a discutere
con gli
altri Capifazione su come la presa di potere che stavano architettando
con gli
Eruditi. Non lì a farsi consolare da lui.
Quel tempo era
finito da un
pezzo.
- Sei sicura?
Una notte qui
ti farebbe bene, solo per sicurezza… - insistette, per
l’ennesima volta, mentre
Kaithlyn si chiedeva cosa, esattamente, non fosse chiaro nella frase “torno a casa mia e fammi firmare i
maledetti fogli delle dimissioni”.
Forse aveva
sopravvalutato
le capacità di comprensione di suo fratello che, da quando
Lucas se n’era
andato, sembrava più apprensivo del solito. Neanche fosse
arrivata lì in coma,
o con un proiettile infilato da qualche parte.
- Sì,
Andy, sì. Ora passami una
penna e chiudiamo questa faccenda definitivamente,
okay? – biascicò, allungando una mano e facendogli
cenno di darle l’oggetto
richiesto.
Sentiva la testa
ovattata,
come se fosse stata a lungo sott’acqua e avesse ancora le
orecchie tappate, ma
non aveva intenzione di rimanere in quel posto un solo secondo in
più fintanto
che era abbastanza lucida. Di lì a poco sarebbe stata troppo
intontita per
opporsi.
Il fratello le
lasciò cadere
la panna sul palmo e alzò gli occhi al cielo, prima di
iniziare a rimettere le
cose della sorella minore nel borsone nero.
Il silenzio
regnò sovrano
per qualche lungo istante, mentre Kaithlyn firmava i fogli delle
dimissioni
senza cercare di nascondere la sua impazienza di andarsene e lui
chiudeva la
cerniera del bagaglio scuro, prima di caricarselo in spalla e fare
cenno alla
sorella di seguirlo fuori dalla stanza.
Kaithlyn lo
seguì in
silenzio, tirandosi il più possibile le maniche della sua
felpa sulle dita pallide.
Si sistemò il giaccone di Eric addosso, stringendolo con le
dita all’altezza
della gola.
Aveva ancora il
suo odore.
Non era sicura
della sua
decisione di rompere, ma che alternative aveva quando l’unico
modo per restare
con lui era azzerare ogni cosa? Cancellare le ultime
ventiquattr’ore se non
addirittura gli ultimi giorno e ripartire da lì, alla sera
prima: dalla sua
vasca da bagno, la stessa dove l'aveva aspettato per curare il suo
orgoglio
ferito.
Rimuginava da
tutta la sera
su di lui e suo fratello aveva ragione: non poteva. Non poteva ignorare
lo scatto
rabbioso che aveva avuto. Ricordava il modo cadenzato in cui faceva
dondolare
le sbarre cigolanti dello Strapiombo, la tesa china in avanti e i
muscoli tesi,
mentre faceva avanti e indietro come un pazzo.
Non era una cosa
normale.
Avrebbe voluto comprendere cosa fosse successo e, forse andargli
incontro…
Non
era giusto. Lui le piaceva.
Il pensiero di
rompere le
faceva venire uno strano groppo alla gola, ma era la scelta migliore
per entrambi.
Lei ed Eric avevano due personalità distruttive, come
avrebbero potuto
continuare a stare insieme se ogni volta che discutevano, il fine
ultimo,
anziché chiarire, diventava ferire e umiliare
l’altro come se questo
comportasse l’avere ragione? Come se, chi riusciva indenne
dalla discussione
avesse automaticamente ragione?
Scosse la testa:
non
potevano continuare così. Un taglio netto era la cosa
migliore… lui l’avrebbe
riaccompagnata a casa e lei, l’indomani, avrebbe recuperato
le sue cose da casa
sua; dal quel momento avrebbe tagliato ogni contatto e si sarebbero
visti
esclusivamente per l’ultimo giorno di combattimenti degli
iniziati o incrociati
nei corridoi.
Sapeva anche che
all’inizio
sarebbe stato difficile, perché si era abituata ad averlo
intorno tutto il
giorno. Eric non era particolarmente loquace o di compagnia e ci voleva
un po’
per notarlo, nonostante fosse alto. Il fatto era che, se non si faceva
caso
alla sua presenza – sapeva essere incredibilmente silenzioso
anche nel muoversi
– sembrava riuscire a mimetizzarsi. Eric non era un tipo
estroverso o entrante.
Era silenzioso come un’ombra, taciturno e profondamente
introverso. Ed era con
la stessa facilità con cui lo fa un’ombra, che
riusciva a non farsi vedere. Gli
bastava appoggiarsi alla parete della palestra, arrivando senza far
rumore, e
nessuno si accorgeva della sua presenza. Dal momento però in
cui faceva un
appunto, o lo si vedeva, era impossibile ignorarlo. E non solo sul
lavoro, ma
ovunque. Anche nella quotidianità era così e
quello le sarebbe sicuramente
mancato, almeno all’inizio.
La cosa
più divertente,
anche se non era certa di essere in possesso di tutte le sue
facoltà mentali,
era che, dopo lo sfogo fuori dall’ingresso del pronto
soccorso, aveva iniziato
ad avvertire una pungente e fastidiosissima sensazione di disagio.
Il
senso di colpa.
Non quello cui
aveva
accennato Jason, quando gli aveva parlato della discussione della
mattina. Era
diverso, più forte, e si contorceva all’altezza
del suo stomaco da tutta la
sera, per quanto avesse provato a ignorarlo il più possibile
distraendosi con i
suoi fratelli.
Non tanto per
quello che si
era urlati addosso alla Residenza, o per la scenata della mattina sui
piagnistei insensati di Eric… ma per l’ultima
discussione: era stata stupida,
avventata e aveva finito per sragionare senza analizzare i fatti e
finendo per
farsi più male, testimoni i sei punti di sutura alla mano.
Alla fine non
era niente che
non si potesse risolvere con qualche iniezione e un po’ di
riposo e lei aveva
dato i numeri, incolpandolo di tutto. Se invece di andare lì
a continuare la
discussione avesse aspettato che si calmasse, non si sarebbe fatta
niente. Nessuno
le aveva puntato una pistola alla testa per costringerla ad avvinarsi a
lui in
quel momento mentre, evidentemente, non era in grado di ragionare come
avrebbe
dovuto.
Avrebbe voluto
che lui
l’avesse lasciata a metà strada, almeno non si
sarebbe sentita così in difetto
per essere stata accompagnata fin lì e averlo preso a
schiaffi. E a calci. E a
pugni. E averlo insultato, deriso e mortificato. E
quell’idiota non l’aveva
lasciata lì, ma l’aveva portata, in modo e
nell’altro, fino alla meta. L’aveva
aiutata, anche se si meritava di essere scaricata dall’altra
parte della città
con tanto di borsone a carico e le aveva dato il suo giaccone, per
tenerla al
caldo a sue spese.
Stupido.
Senza rendersene
pienamente
conto aveva arrancato meditabonda dietro al fratello fino
all’uscita. L’aria
all’esterno era fredda e a causa del buio era difficile
distinguere l’esterno
nella sua interezza. Solo alcuni lampioni, quelli del parcheggio per
pazienti e
personale erano accesi a illuminare un’aria circoscritta.
Ciò
nonostante, la sua
attenzione fu calamitata dal profilo di un’auto scura,
posteggiata dall’altra
parte della strada. Non ne distingueva bene i contorni, ma intravide la
figura
alta del proprietario poggiato al fianco della vettura a braccia
conserte.
Suo fratello la
precedette.
Si avvicinarono
all’auto, attraversando
rapidamente la strada deserta.
Eric non
sembrava molto in
sé. Nonostante da lontano sembrasse tranquillo, fermo come
un statua non era
così: era pallido, sudato e aveva l’aria di
qualcuno che sta per mettersi a
urlare.
Sembrava quasi
spaventato e
notò che, le braccia conserte, servivano a nascondere il
tremore alle mani. Gli
tremava leggermente anche la bocca.
Si sentiva un
po’
rallentata, dopo la pasticca di antidolorifico che gli aveva dato suo
fratello quando
quelli per le medicazioni avevano iniziato a smettere di fare effetto.
Si sfilò
la giacca con lentezza e un brivido freddo le corse lungo il corpo,
mentre la
piegava sulle braccia e si avvicinava ancora.
Eric la
guardò con gli occhi
spalancati e preoccupati, quasi non capisse cosa stesse facendo. Le
labbra non
erano altro che una linea dritta.
Aprì
la bocca per dire
qualcosa, ma la richiuse subito come se si fosse dimenticato cosa stava
dicendo
e osservò i suoi movimenti.
Si
avvicinò a lui e appoggiò
la giacca sulle mani, mentre Eric continuava a guardarla come se avesse
voglia
di piangere. O urlare. O scappare. Vide le sue dita stringersi intorno
al
tessuto fino a fargli sbiancare quello che rimaneva, sotto le croste,
delle
nocche bianche.
Sembrava perso.
Come se non
sapesse cosa stava facendo, perché era lì.
Gli
appoggiò una mano sul
braccio e lo scrollò un po’ e, per istante, parve
tornare con i piedi per
terra.
Poi udirono le
sirene di
un’ambulanza rientrare e quello che le sembrava rimasto di
lui sul suo viso,
sparì.
Rieccomi,
non
sono morta!
Andiamo
subito al sodo, così non vi annoio con le mie chiacchiere:
che ne dite? Vi
aspettavate una cosa del genere? Cosa pensate possa accadere, adesso?
Idee?
Teorie? Ditemi, ditemi!
La
parte in
cui c’è il padre di Eric come vi è
smembrata? Ho sempre paura di essere troppo
“tenera”,
morbida, di andare fuori dai personaggi… anche se qualcuno,
come la famiglia di
origine di Eric, tutta quella di Kaithlyn eccetera, li ho inventati io!
Insomma, non vorrei andare fuori dai miei stessi personaggi. E men che
mai da
quelli del libro e da come li ho resi finora, dato che mi reputo
complessivamente abbastanza soddisfatta.
Insomma,
placatemi, ditemi qualcosa di positivo, negativo… consigli,
pareri, numeri di
bravi specialisti… fatemi sapere!
Questo
capitolo è stato piuttosto faticoso, lo confesso: mi ero
bloccata, esattamente
come con Mind’s Shades, l’anno scorso... poi il
blocco è sparito e tutto sta
riprendendo la piega giusta.
Vi
chiedo
scusa per l’attesa, ma spero che mi perdoniate data la
lunghezza! Il prossimo è
già a metà e in questi giorni non mi stacco dalla
tastiera… quindi non perdete
la speranza! Cercherò di velocizzarmi anche con gli esami
che incombono.
Vi
ricordo
come sempre la mia paginetta facebook, della quale riuscirò
a inserire il link
diretto forse alla fine della storia: https://www.facebook.com/Kaithlyn24-865334640156569/?ref=bookmarks
Alla prossima!
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Capitolo 16 *** AVVISO! ***
Salve a tutti... Che posso dire? L'ultimo aggiornamento risale addirittura a Maggio!
Avevo in programma di aggiornare tutte le storie la settimana scorsa, ma purtroppo é da dieci giorni che sono priva di internet, mentre il mio povero pc é in "rianimazione".
Non so davvero come scusarmi e dato che dal cellulare non ho modo di pubblicare ci tenevo a dirvi, per chi ancora avesse voglia di seguire la storia (con prequel e spin-off annessi), che non ho abbandonato e che, non appena ne avrò modo, pubblicherò almeno un aggiornamento a storia.
Ne approfitto per ringraziare tutti coloro che hanno messo la storia tra i preferiti, tra le seguite o che si sono semplicemente fermati per una lettura veloce!
Un bacio a tutti, spero di poterci risentire il prima possibile per qualche aggiornamento... E scusate se manca il codice html, ma da questo aggeggio che mi hanno detto essere un cellulare non potevo fare proprio di meglio.
A presto! |
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Capitolo 17 *** AVVISO - A volte ritornano ***
Buon
giorno a tutti, mondo di efp!
Lo
so, lo so, lo so. Sono passati quattro anni.
Lo so: non quattro
giorno,
non quattro settimane, non quattro mesi ma anni.
Non
so come scusarmi: i capitoli erano pronti, ma mancava
l’ispirazione e alla fine
ho lasciato perdere la storia.
Tuttavia
– e qui magari chi la seguiva si metterà le mani
nei capelli – l’ho ripresa in
mano giusto qualche giorno fa e mi si è, per usare un gerco
comune, accesa la
lampadina.
Così
ho deciso di revisionare – lavoro che avevo iniziato in tempi
non sospetti –
tutta la storia e poi proseguire con i nuovi capitoli che sono in parte
già pronti: non resta che rileggerli e pubblicarli, no?
Non
so se ancora ci sia qualcuno sul fandom, ma voglio provarci ugualmente.
Probabilmente
– anzi, ormai è cosa praticamente decisa
– cambierà anche il nome del profilo
che era nato ormai cinque anni fa quasi esclusivamente per unirmi al
fandom di
divergent e pubblicare ‘Braveheart’. Avendo
‘allargato i miei orizzonti’, per
la disperazione di tutto il sito, ho deciso di modificarlo.
Non
so come mai (sarà la vecchiaia? Voi che dite?) ma avere il
profilo con lo
stesso nome di una delle protagoniste delle mie storie ha iniziato a
farmi
storcere il naso. Dopotutto, ognuno è vittima dei propri
disagi, ed io ho i miei.
Quindi
probabilmente – a meno che il nome non sia già
preso – al 99,97% cambierò
‘Kaithlyn24’
in ‘Arlie_S’.
Non
so perché, ma mi ispira.
Detto
questo, spero di riuscire a pubblicare la revisione presto:
sarà sempre in
terza persona, gli avvenimenti salienti saranno gli stessi ma ho
intenzione di
correggere la forma, aggiungere delle parti e toglierne altre (quelle
che
secondo me non facevano funzionare la storia a dovere!).
A
presto!
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