Cronache di Dhares

di Aon di Kale
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** la prima magia ***
Capitolo 2: *** In guardia ***
Capitolo 3: *** Elementale ***
Capitolo 4: *** Feza ***
Capitolo 5: *** Oret ***
Capitolo 6: *** Il Custode di Dolore ***
Capitolo 7: *** Destini distinti ***
Capitolo 8: *** Sussurri ***
Capitolo 9: *** Hairod ***
Capitolo 10: *** La Veste ***
Capitolo 11: *** Antichi Tomi ***
Capitolo 12: *** Gli Elementi ***
Capitolo 13: *** Il Secondo Custode ***
Capitolo 14: *** Iniziazione ***
Capitolo 15: *** A dura prova ***
Capitolo 16: *** Distorsioni ***



Capitolo 1
*** la prima magia ***


 

Cronache di Dhares
 
Capitolo I
Un’altra notte era trascorsa ai confini tra la Terra della Crescita e le aride Terre di Dhares.
Come ogni notte un ragazzo, Alexander, stava studiando pesanti tomi.
Alexander non era un ragazzo qualsiasi, era un aspirante mago, fuori dal comune per abilità e facilità di apprendimento. Imparare era il suo pane quotidiano, anzi, notturno.
“Troppo facile, tutti questi libri sono troppo semplici” pensò il giovane, deluso.
Era da troppo ormai che perdeva tempo rinchiuso in quella stanza buia e fredda. Era stufo della teoria, ora voleva testare sul campo. E con quel pensiero si assopì.
 
Il mattino seguente, Alexander si svegliò con una nuova ambizione. Il mondo doveva conoscere il suo potere.
“Mmh pietre…non male per iniziare”
Il giovane uscì e si recò nel retro della sua baracca di legno, il suolo era erboso e tappezzato qua e là di rocce di varie dimensioni, alcune erano coperte di muschio, altre di terriccio.
“E ora…Volate!!” pensò il mago.
Nessuna pietra si mosse… “Volate!!!!” i sassi più piccoli cominciarono a sollevarsi dal terreno, ma non era sufficiente per l’ambizioso Alexander.
“VOLATE!!” urlò stavolta il giovane.
Le pietre, come impazzite, cominciarono a vorticare in aria colpendo il ragazzo in pieno volto, il mago ci mise pochi secondi a capire come controllare il flusso di rocce.
I ciottoli fluttuavano ora in aria a formare una sagoma lupina.
Col passare  dei giorni l’abilità di Alexander aumentava a dismisura, in un mese era in grado di controllare l’aria creando violentissime folate di vento.
La dispensa della sua baracca era vuota, aveva  passato talmente tanto tempo a casa, immerso nella magia, da dimenticarsi di fare provviste, decise di recarsi al mercato in giornata.
Quest’ultimo si teneva  nella piazza  principale del villaggio, un esagono con pavimentazione in pietra piuttosto consumata, le bancarelle di legno, mal messe e marce in alcuni punti, non impedivano alla gente di accalcarsi intorno ad esse per acquistare di che vivere.
Profumo di spezie di Dhares e di primizie della Terra della  Crescita permeava l’aria.
Alexander riusciva a malapena a muoversi in tutto quel trambusto, la sua tunica bianca veniva continuamente urtata e sporcata dai paesani, odiava quel posto.
Si avvicinò ad un mercante per comprare della frutta, poco dopo, con la coda dell’occhio, un movimento inusuale catturò l’attenzione del mago.
“FERMO!” urlò il giovane “Se vuoi quella frutta devi pagare, come tutti noi…”
“Non ti impicciare in faccende che non ti riguardano, pivello” rispose il ladro, un brutto uomo sulla cinquantina con il naso enorme e una tunica marrone sudicia “Questo mercante ha un debito con me, con lui ci faccio quel che voglio” il bagordo estrasse un lama arrugginita da una tasca della tunica e, in un baleno fu alle spalle di Alexander.
“Se non vuoi che faccia di te ciò che voglio, carne morta, vattene alla svelta!”
Il ragazzo sorrise “Carne morta? Siete tutti uguali voi usurai, compensate la vostra scarsa intelligenza con la violenza”
In una frazione di secondo il delinquente fu sollevato da terra e sbattuto al suolo con violenza, diversi metri più avanti, la lama lontana dal suo corpo.
Il giovane sollevò con la magia l’arma del ladro
“Ora restituisci ciò che hai rubato, se non vuoi che la tua stessa lama ti tagli la gola”
L’usuraio in preda al panico gettò la merce rubata e scappò urlando “Un mago!! Un mago!!”
Alexander, provato, lasciò planare il pugnale a terra e riconsegnò la frutta al mercante che, impaurito, la riprese e chiuse baracca.
Gli abitanti intorno a lui guardarono la scena ammutoliti, nel giro di poche ore tutto il villaggio e le campagne vicine sapevano dell’accaduto.
spazio degli autori: Ciao a tutti :) Speriamo che questo capitolo vi sia piaciuto e vi informiamo che i prossimi usciranno ogni mercoledì.

Un’altra notte era trascorsa ai confini tra la Terra della Crescita e le aride Terre di Dhares.

Come ogni notte un ragazzo, Alexander, stava studiando pesanti tomi.
Alexander non era un ragazzo qualsiasi, era un aspirante mago, fuori dal comune per abilità e facilità di apprendimento. Imparare era il suo pane quotidiano, anzi, notturno.

“Troppo facile, tutti questi libri sono troppo semplici” pensò il giovane, deluso.

Era da troppo ormai che perdeva tempo rinchiuso in quella stanza buia e fredda. Era stufo della teoria, ora voleva testare sul campo. E con quel pensiero si assopì.

 

Il mattino seguente, Alexander si svegliò con una nuova ambizione. Il mondo doveva conoscere il suo potere.

“Mmh pietre…non male per iniziare”

Il giovane uscì e si recò nel retro della sua baracca di legno, il suolo era erboso e tappezzato qua e là di rocce di varie dimensioni, alcune erano coperte di muschio, altre di terriccio.

“E ora…Volate!!” pensò il mago.

Nessuna pietra si mosse… “Volate!!!!” i sassi più piccoli cominciarono a sollevarsi dal terreno, ma non era sufficiente per l’ambizioso Alexander.

“VOLATE!!” urlò stavolta il giovane.

Le pietre, come impazzite, cominciarono a vorticare in aria colpendo il ragazzo in pieno volto, il mago ci mise pochi secondi a capire come controllare il flusso di rocce.

I ciottoli fluttuavano ora in aria a formare una sagoma lupina.

Col passare dei giorni l’abilità di Alexander aumentava a dismisura, in un mese era in grado di controllare l’aria creando violentissime folate di vento.

La dispensa della sua baracca era vuota, aveva passato talmente tanto tempo a casa, immerso nella magia, da dimenticarsi di fare provviste, decise di recarsi al mercato in giornata.

Quest’ultimo si teneva nella piazza principale del villaggio, un esagono con pavimentazione in pietra piuttosto consumata, le bancarelle di legno, mal messe e marce in alcuni punti, non impedivano alla gente di accalcarsi intorno ad esse per acquistare di che vivere.
Profumo di spezie di Dhares e di primizie della Terra della Crescita permeava l’aria.

Alexander riusciva a malapena a muoversi in tutto quel trambusto, la sua tunica bianca veniva continuamente urtata e sporcata dai paesani, odiava quel posto.

Si avvicinò ad un mercante per comprare della frutta, poco dopo, con la coda dell’occhio, un movimento inusuale catturò l’attenzione del mago.

“FERMO!” urlò il giovane “Se vuoi quella frutta devi pagare, come tutti noi…”

“Non ti impicciare in faccende che non ti riguardano, pivello” rispose il ladro, un brutto uomo sulla cinquantina con il naso enorme e una tunica marrone sudicia “Questo mercante ha un debito con me, con lui ci faccio quel che voglio” il bagordo estrasse un lama arrugginita da una tasca della tunica e, in un baleno fu alle spalle di Alexander.

“Se non vuoi che faccia di te ciò che voglio, carne morta, vattene alla svelta!”

Il ragazzo sorrise “Carne morta? Siete tutti uguali voi usurai, compensate la vostra scarsa intelligenza con la violenza”

In una frazione di secondo il delinquente fu sollevato da terra e sbattuto al suolo con violenza, diversi metri più avanti, la lama lontana dal suo corpo.

Il giovane sollevò con la magia l’arma del ladro

“Ora restituisci ciò che hai rubato, se non vuoi che la tua stessa lama ti tagli la gola”

L’usuraio in preda al panico gettò la merce rubata e, in preda al panico, scappò urlando “Un mago!! Un mago!!”

Alexander, provato, lasciò planare il pugnale a terra e riconsegnò la frutta al mercante che, impaurito, la riprese e chiuse baracca.

 

Gli abitanti intorno a lui guardarono la scena ammutoliti, nel giro di poche ore tutto il villaggio e le campagne vicine sapevano dell’accaduto.

 

 

spazio degli autori: Ciao a tutti :) Speriamo che questo capitolo vi sia piaciuto e vi informiamo che i prossimi usciranno ogni mercoledì.

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Capitolo 2
*** In guardia ***


 

Cronache di Dhares
 
Capitolo I
Un’altra notte era trascorsa ai confini tra la Terra della Crescita e le aride Terre di Dhares.
Come ogni notte un ragazzo, Alexander, stava studiando pesanti tomi.
Alexander non era un ragazzo qualsiasi, era un aspirante mago, fuori dal comune per abilità e facilità di apprendimento. Imparare era il suo pane quotidiano, anzi, notturno.
“Troppo facile, tutti questi libri sono troppo semplici” pensò il giovane, deluso.
Era da troppo ormai che perdeva tempo rinchiuso in quella stanza buia e fredda. Era stufo della teoria, ora voleva testare sul campo. E con quel pensiero si assopì.
 
Il mattino seguente, Alexander si svegliò con una nuova ambizione. Il mondo doveva conoscere il suo potere.
“Mmh pietre…non male per iniziare”
Il giovane uscì e si recò nel retro della sua baracca di legno, il suolo era erboso e tappezzato qua e là di rocce di varie dimensioni, alcune erano coperte di muschio, altre di terriccio.
“E ora…Volate!!” pensò il mago.
Nessuna pietra si mosse… “Volate!!!!” i sassi più piccoli cominciarono a sollevarsi dal terreno, ma non era sufficiente per l’ambizioso Alexander.
“VOLATE!!” urlò stavolta il giovane.
Le pietre, come impazzite, cominciarono a vorticare in aria colpendo il ragazzo in pieno volto, il mago ci mise pochi secondi a capire come controllare il flusso di rocce.
I ciottoli fluttuavano ora in aria a formare una sagoma lupina.
Col passare  dei giorni l’abilità di Alexander aumentava a dismisura, in un mese era in grado di controllare l’aria creando violentissime folate di vento.
La dispensa della sua baracca era vuota, aveva  passato talmente tanto tempo a casa, immerso nella magia, da dimenticarsi di fare provviste, decise di recarsi al mercato in giornata.
Quest’ultimo si teneva  nella piazza  principale del villaggio, un esagono con pavimentazione in pietra piuttosto consumata, le bancarelle di legno, mal messe e marce in alcuni punti, non impedivano alla gente di accalcarsi intorno ad esse per acquistare di che vivere.
Profumo di spezie di Dhares e di primizie della Terra della  Crescita permeava l’aria.
Alexander riusciva a malapena a muoversi in tutto quel trambusto, la sua tunica bianca veniva continuamente urtata e sporcata dai paesani, odiava quel posto.
Si avvicinò ad un mercante per comprare della frutta, poco dopo, con la coda dell’occhio, un movimento inusuale catturò l’attenzione del mago.
“FERMO!” urlò il giovane “Se vuoi quella frutta devi pagare, come tutti noi…”
“Non ti impicciare in faccende che non ti riguardano, pivello” rispose il ladro, un brutto uomo sulla cinquantina con il naso enorme e una tunica marrone sudicia “Questo mercante ha un debito con me, con lui ci faccio quel che voglio” il bagordo estrasse un lama arrugginita da una tasca della tunica e, in un baleno fu alle spalle di Alexander.
“Se non vuoi che faccia di te ciò che voglio, carne morta, vattene alla svelta!”
Il ragazzo sorrise “Carne morta? Siete tutti uguali voi usurai, compensate la vostra scarsa intelligenza con la violenza”
In una frazione di secondo il delinquente fu sollevato da terra e sbattuto al suolo con violenza, diversi metri più avanti, la lama lontana dal suo corpo.
Il giovane sollevò con la magia l’arma del ladro
“Ora restituisci ciò che hai rubato, se non vuoi che la tua stessa lama ti tagli la gola”
L’usuraio in preda al panico gettò la merce rubata e scappò urlando “Un mago!! Un mago!!”
Alexander, provato, lasciò planare il pugnale a terra e riconsegnò la frutta al mercante che, impaurito, la riprese e chiuse baracca.
Gli abitanti intorno a lui guardarono la scena ammutoliti, nel giro di poche ore tutto il villaggio e le campagne vicine sapevano dell’accaduto.
spazio degli autori: Ciao a tutti :) Speriamo che questo capitolo vi sia piaciuto e vi informiamo che i prossimi usciranno ogni mercoledì.

Alexander era sconvolto. Non poteva credere a quello che era successo. Aveva salvato una persona, eppure sentiva le occhiate spaventate e accusatorie che lo scrutavano intensamente, quasi a frugargli l’anima. Il suo sguardo era colmo di frustrazione e disappunto.

Non capiva come tutto questo potesse essere possibile. Aveva fatto tutto per il bene di quell’uomo, eppure tutti lo odiavano. Qualcuno aveva addirittura chiamato le guardie.  Sentiva i loro passi in lontananza, un’eco lontana e frastornante. Eppure non si mosse. Le avrebbe aspettate e affrontate a viso aperto, se era quello che desideravano.

Quattro uomini armati di lancia e in armatura leggera gli si avvicinarono minacciose. Dietro di loro, un uomo a cavallo in armatura pesante estrasse un pesante spadone a due mani.  Il suo volto era coperto da un elmo che recava lo stemma di Kale, capitale reale.

“Hai usato tu la magia, ragazzo?” La voce dell’uomo suonava roca e austera, ma Alexander non la temeva. Se quello era davvero il re, avrebbe sistemato le cose senza alcuna fatica. Sarebbe bastato spiegare il malinteso.

Il ragazzo provò a parlare, ma sentì una strana sensazione alla gola, come se fosse avvolta da un cappio.

“Ti hanno mangiato la lingua?” insistette l’uomo, acido.  Fece un cenno ad una delle guardie, che pungolò Alexander con la lancia.  Il suo volto si contrasse in una smorfia.

Non c’era tempo per pensare. Quasi d’istinto, Alexander roteò un polso, facendo schizzare la lancia di una delle guardie in aria.

“Il mio nome è Alexander Eldan, maestà” si presentò il ragazzo. “e Vi consiglio di ordinare ai vostri uomini di gettare le armi, se non volete che facciano una brutta fine.”

L’uomo rise fragorosamente.

“Cosa pensi di fare, da solo contro di noi? E poi… ahahaha mi spiace deluderti ma non sono il Re, sono il Capitano delle guardie del villaggio, ma non per questo non vuol dire che tu non debba temermi ahaha. Prendetelo, soldati!”

Una delle guardie lo strattonò e lo gettò a terra. La mano serrata tremava vistosamente. Alexander sentì che stava perdendo il controllo sul suo stesso incantesimo.

Il mago fissò la sua mano muoversi in completa autonomia, come fosse un entità pensante, senza riuscire a fermarla in alcun modo. Contemplò con un certo disprezzo il suo indice puntare contro la guardia.  In un istante, una potente raffica di vento scosse la lancia di una delle guardie, sollevandola in aria e la punta dell’arma si conficcò nella giugulare del soldato disarmato facendo stramazzare l’uomo al suolo, esanime.

Il Capitano alzò lo spadone e urlò alle altre guardie “Ho detto catturatelo, idioti!”

Alexander, spinto da una forza che non pensava di avere creò un vero e proprio vortice, chiuse gli occhi e scomparve all’interno.

Quando li riaprì scoprì di essere in una casa diroccata, buia e polverosa, casa sua.

 Qualcuno bussò alla porta. Alexander imprecò: non potevano averlo già trovato. Ad ogni incerto passo verso la porta, le assi del pavimento scricchiolavano sonoramente, ricordando anche in qualche modo il lamento di un animale sgozzato.

Mentre andava ad aprire, Alexander pensava a quello che aveva fatto, ma una sensazione dentro di lui gli impediva di pentirsene. I rimorsi ben presto lasciarono spazio alla superbia.  Il capo delle guardie di Kale lo aveva minacciato ma non era stato in grado di contrastare il suo potere, il regno ora ne aveva paura. Chiunque fosse alla sua porta non lo spaventava, ma doveva comunque sparire per un po’.

 

 I chiavistelli si scardinarono e la porta si aprì di scatto. 

 

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Capitolo 3
*** Elementale ***


“Che diavolo succede!” disse Alexander, spaventato dal fatto che la porta si fosse aperta in completa autonomia.

“Non posso attaccare ancora…mi sento ancora piuttosto stanco”

Era notte fonda, un uomo si trovava in piedi davanti al ragazzo, portava un mantello verde spento che gli arrivava fino ai piedi scalzi e sporchi di terra e un cappuccio dello stesso colore che nascondeva in parte il volto dello sconosciuto. L’unico dettaglio che Alexander riuscì a scorgere fu il colore delle pupille: Il mago sentì lo sguardo glaciale dello sconosciuto trafiggerlo per un istante. D’improvviso sentì dei brividi, nonostante fossero nel pieno della stagione calda. La mano sinistra dello straniero, rugosa ma dall’aspetto forte teneva una bisaccia.

“Busso dunque alla porta di Alexander Eldan?” disse l’individuo togliendosi il cappuccio.

Non mostrava più di una sessantina d’anni, ma nonostante l’età sembrava un uomo ancora molto in forze e pieno di vitalità. Aveva i capelli grigi, occhi di un azzurro profondo come gli abissi e un viso sorridente.

“Sì, sono io, chi sei? Cosa vuoi da me?” rispose il ragazzo, allarmato e diffidente. Una goccia di sudore freddo rigava il suo volto.

“Le voci corrono, ho saputo di quello che hai compiuto quest’oggi, anche se sinceramente dubito che quando hai atterrato quel furfante ti siano spuntate delle corna color sangue…”

“E quindi?!” rispose Alexander, mentre si preparava a lanciare una raffica d’aria, probabilmente l’ultima della sua giornata.

“Brutta mossa: mai attaccare un avversario senza conoscerne i poteri.”

Qualcosa nel tono del vecchio suonò del tutto convincente ad Alexander, che ritrasse la mano e tacque. Se lo sentiva fin dentro alle ossa: quell’uomo sarebbe stato un avversario fuori dalla sua portata.

“Si dà il caso che tu sia un mago, o così dicono in giro… sono qui per proporti una bella offerta. Immagino che dopo il trambusto di oggi tu abbia necessità di nasconderti per un po’, ma vorrai anche continuare le tue pratiche di magia… io posso offrirti entrambe le cose, cosa ne pensi?”

Alexander fissò l’interlocutore sospettoso.

“Dov’è il trucco? Immagino che tu voglia qualcosa in cambio…”

“Nessun imbroglio ragazzo mio, non puoi restare qui e lo sai benissimo. Ascolta quello che voglio fare è di…”

Il vecchio si interruppe. Aveva sentito un fruscio in mezzo agli alberi, ma i suoi sensi non erano più sviluppati come una volta e non riuscì a individuare la fonte di quel suono. Una figura coperta dalle tenebre si avventò contro lo sconosciuto prendendolo alla sprovvista e lo trascinò a terra.

“Lascia stare mio fratello, bastardo!” gridò il nuovo arrivato. La sua voce risuonava grave fra gli alberi. Le sue mani si strinsero attorno al collo dello straniero. Il volto del vecchio prese immediatamente un colore paonazzo.

“Kervi’ Jad, no!” urlò Alexander.

Il vecchio pronunciò qualche parola in una lingua antica incomprensibile ai due ragazzi e In men che non si dica Kervi’ Jad fu proiettato in aria da una raffica di vento nera come la notte stessa e sbattuto violentemente contro una quercia. Alexander corse verso il fratello. Respirava ancora, ma era privo di sensi.

“Cosa hai fatto a mio fratello, vecchio?”

“Sembrava stanco” replicò questo con noncuranza.  “E’ notte, l’ho solo mandato a dormire per un po’… inoltre ci stava solo disturbando.”

Ancora una volta Alexander non riusciva a replicare. Quell’uomo lo ammaliava, lo incuriosiva e spaventava nello stesso tempo, ma nel profondo sapeva di potersi fidare di lui. Percepiva il suo grande potere e sperava di poterlo eguagliare un giorno.

Il vecchio gli sorrise benevolo.

“Coraggio, fammi entrare, ti spiegherò tutto nel dettaglio”.

 

Il vecchio contemplò a lungo la casa di Alexander. Era impressionato: ogni mobile, ogni mensola, persino i due letti erano ricoperti di libri. Le copertine sembravano nuove, nonostante il colorito giallo sbiadito lasciasse intendere l’antichità di quei tomi. La cura con cui il ragazzo conservava i suoi libri stonava quasi con la pulizia del resto della casa: il pavimento era coperto di macchie e ogni asse gemeva sotto i lenti e decisi passi dello straniero.

“Vedo che la magia ti appassiona particolarmente.”

Il ragazzo annuì deciso.

“Tuttavia hai alcuni problemi a controllarla, non è così?” continuò il vecchio. Alexander abbassò lo sguardo e tacque.

“Immaginavo. La scena nel mercato del villaggio non è passata inosservata.”

Alexander strinse i pugni. Cosa voleva dire quell’uomo? Quali erano le sue intenzioni?

“Non sei stato neanche in grado di difendere tuo fratello, l’unica persona che sopporta la tua presenza.” Il tono dello sconosciuto, da pacato e tranquillo si era fatto improvvisamente acido e meschino. Alexander sentì rimbombare nelle orecchie e nel petto tutto il disprezzo di quelle parole.

Le sue mani iniziarono ad aprirsi e chiudersi in modo convulso e ad ogni ripetizione del gesto il ragazzo sentiva una tiepida brezza mutare in tempesta.

Lo straniero scomparve dalla sua vista. La stanza calò nel buio più totale. Alexander sentì qualcosa afferrargli le mani e serrargliele. Tutta l’energia dell’incantesimo esplose di colpo ritorcendosi contro lo stesso mago, che venne scaraventato contro una mensola. Il mobile si scosse violentemente e i tomi, in equilibrio precario, precipitarono verso terra. Alexander chiuse gli occhi, aspettando un tonfo che non arrivò.

“È proprio questo che stavo cercando di spiegarti” riprese il vecchio. Alexander aprì gli occhi. I suoi libri erano sospesi a mezz’aria, come se il tempo si fosse improvvisamente fermato.  “Hai un enorme potere, ma non sei ancora in grado di controllarlo.”

Alexander si rialzò, dolorante e ancora incredulo.

“Cosa mi stai proponendo?”

L’uomo indicò tutti i libri.

“Ti sto offrendo di imparare incantesimi infinitamente più potenti di quelli che sai. Non sarai più in ombra, sarai riconosciuto da tutti come il Mago più potente!” gli occhi del vecchio lacrimavano e fissavano il vuoto, come se si figurasse la scena proprio lì, in quel momento. La sua voce tremava dall’emozione.

Alexander invece rimase immobile. Era una buona offerta, ma come qualsiasi buona offerta, doveva aver un tranello.

“Tu cosa ci guadagni?”

Il vecchio si avvicinò ad Alexander e lo abbracciò. “Il prestigio di aver allevato il miglior Mago mai esistito.”

Alexander sembrò convincersi pian piano, ma ora voleva sapere i dettagli.

“Cosa devo fare?”

In quel preciso momento, l’uomo estrasse dalla bisaccia una vecchia mappa e, la mostrò al giovane.

 

mappa

 

“Andremo ad Hairod, la città dei Chierici. Lì troverai la biblioteca più grossa di tutta la Terra della Crescita. Una sezione in particolare è utile alla tua crescita come Mago. Hai mai sentito parlare di Magia Elementale?”

Alexander impallidì.

“I-intendi la il controllo degli Elementi?”

L’altro ghignò.

“Proprio quella. Pensa, grazie a quel tipo di magia un giorno potresti addirittura arrivare a governare la capitale.”

Alexander si immaginò sul trono di Kale. L’intero esercito al suo comando, ogni singola persona che lo guardava con rispetto reverenziale e non più con timore.

“Come posso imparare quel tipo di Magia?”

“Devi leggere un tomo custodito all’interno della biblioteca di Hairod. Lì è racchiuso tutto ciò che devi sapere.”

 

 

Molti chilometri più ad ovest, in mezzo al deserto di Dhares, i soldati della capitale festeggiavano insieme al loro re, Therw. I loro volti erano segnati dai mesi passati a combattere, ma avevano vinto. Tyurr l’Arcimago era sconfitto.

Taurus li guardava gioire, completamente inerme. Suo fratello Tyurr si era spinto troppo oltre creando gli Specchi e ora ne aveva pagato le conseguenze. Aveva scatenato una guerra inutile, come tutte le guerre del resto e ora non c’era più. Gli stessi Specchi che lui aveva creato ora erano la sua prigione.

Gli occhi dorati del ragazzo affogarono nelle lacrime. La sua tunica bianca e azzurra era sporca di terra e sangue, ma il suo dolore era molto più profondo di quelle ferite. Sentiva dentro l’anima contorcersi e lacerarsi a poco a poco. Non doveva finire così, non poteva cadere anche lui vittima degli Specchi. Doveva nasconderli, prima che facessero del male a qualcun altro.

Suo fratello aveva pensato a tutto: aveva imposto una Maledizione, così che nessuno a parte Taurus potesse avvicinarsi di nuovo agli Specchi. Purtroppo un soldato di Kale, Hyarr, ne aveva già pagate le conseguenze.

Fu proprio pensando a lui che Taurus decise di reagire: non dovevano esserci più vittime degli Specchi, non lo avrebbe più permesso. Avrebbe trovato sette persone dalla volontà potente, sette persone in grado di arginarne il potere.  

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Capitolo 4
*** Feza ***


Erano passati giorni per raggiungere quel luogo. Taurus aveva girato in lungo e in largo quel campo di battaglia desertico, devastato e pieno di cadaveri di uomini di Kale. Le creature usate dal fratello si erano liquefatte subito dopo la sua sconfitta ed erano evaporate fino a non lasciare traccia di sé, eccetto le armature che giacevano come involucri vuoti sul terreno.
Il ragazzo raggiunse una baracca abbandonata, forse prima della guerra era appartenuta ad uno dei rari abitanti di Dhares, ma la guerra aveva ucciso il proprietario e l’esercito del fratello l’aveva adibita ad armeria.
L’esercito del re, aveva fatto incursione nel campo nemico e aveva provato a saccheggiare quell’armeria. Un solo sopravvissuto, un certo Hyarr, poco dopo l’attacco si era trasformato in un essere mostruoso ed era stato portato via in fretta e furia del campo base.
L’interno dell’armeria era polveroso e sporco, non sembrava esserci nulla di interessante.
“Questa è l’ultima baracca che controllo, sono sfinito” Pensò il giovane Taurus.
Subito dopo un rumore fortissimo ruppe il silenzio glaciale che avvolgeva Dhares.
Sette oggetti si librarono in volo, si illuminarono e cominciarono a vorticare, sette figure mostruose emersero dagli artefatti. Taurus non riuscì a distinguere le creature con chiarezza, ma sapeva bene cosa fossero. Gli Specchi.  
“A cosa pensi, giovane Taurus?” ghignarono le figure all’unisono.
“Penso che nulla puzzi di corrotto quanto voi, maledetti!” urlò il ragazzo con tutto il fiato che aveva nei polmoni.
“Chissà…forse…ti sbagli…” risposero evasivi gli Specchi.
“Non penso proprio…”
“Cosa pensi di fare? Non puoi contrastare il nostro potere, sei rimasto solo e sei troppo debole …”
Il Mago fissò torvo le creature che animavano gli Specchi.
“Non sono solo. Troverò sette persone pure di cuore e di buona volontà, che sopporteranno il fardello che rappresentate…”
Taurus pieno di rabbia e con le lacrime che rigavano il viso mosse le mani verso l’alto:
“Per quello che avete fatto a mio fratello verrete separati, divisi, il vostro potere verrà limitato e non nuocerete…Mai più!” urlò, talmente forte da scuotere la terra.
Un vortice celeste emerse dal terreno rompendo il pavimento della baracca, investì gli artefatti che ulularono di dolore e sfondò il fragile tetto ligneo dell’armeria.
 
Ora Alexander era convinto. Voleva esplorare il mondo e praticare la magia, quindi doveva andarsene. Fissò per un’ultima volta la pila di libri che aveva radunato in un angolo e sospirò.
Lo straniero gli diede una pacca sulle spalle.
“Non preoccuparti, non ti serviranno più. Ad Hairod ne troverai in gran quantità e su ogni argomento di tuo interesse. Partiremo all’alba.”
Il ragazzo annuì.
“Prima di andare però, devo fare un’ultima cosa.”
L’uomo contemplò il ragazzo con aria interrogativa. Alexander si avvicinò al fratello: aveva il volto sporco di terra e le braccia graffiate dai rami dell’albero contro cui era stato sbattuto. Nonostante fosse di corporatura più robusta rispetto alla sua, Alexander caricò il fratello in spalla, lo portò in casa e lo mise a letto.
“Scusami per tutto” mormorò, poi chiuse la porta e uscì nuovamente, pronto a preparare il necessario per il viaggio.
Alle prime luci dell’alba lo sconosciuto lo aspettava davanti alla porta, seccato.
“Hai finito con bagagli?” sibilò. Alexander abbassò la testa, mortificato. Quell’uomo era capace di trattarlo benissimo e di diventare scortese un attimo dopo, ma non voleva staccarsene. Lo incuriosiva e gli suscitava rispetto e ammirazione. Affrontava la vita con una sicurezza fuori dal comune e il suo tono perentorio scaldò il ragazzo infondendogli un senso di profonda fiducia. Voleva saperne di più.
“Posso sapere il vostro nome, signore?”
L’interlocutore grugnì contrariato.
“Vi prego!” insistette il mago “Voi sapete tutto di me, avete visto dove e con chi vivo, invece io non so niente di Voi”
L’altro lo fissò, accigliato.
“Se ti dico come mi chiamo mi prometti che non mi farai più domande che non siano attinenti alla magia?”
Alexander fece un veloce cenno di assenso e sorrise.
“Feza. Il mio nome è Feza.”
“Da dove vieni, Feza?”
“I patti erano chiari: basta domande.”
Alexander sbuffò contrariato, ma cedette subito. In un modo o nell’altro avrebbe avuto tutte le risposte prima o poi.
Camminarono tutto il giorno, facendo solo una breve sosta per mangiare della frutta, anche se Feza non sembrava avere molto appetito.
Alexander seguiva il suo maestro a fatica: il passo dell’uomo era veloce e regolare, inoltre il ragazzo ebbe l’impressione che Feza facesse di tutto per stargli lontano e lasciarlo indietro.
“Aspettami, maestro!”
Feza sospirò sonoramente, poi si girò verso Alexander.
“Se non acceleri il passo, giuro che ti abbandono qua!” sbraitò.
Alexander si guardò intorno: ormai il deserto era fuori dalla loro vista, il suolo era coperto di erba lunga e rigogliosa e il clima era mite. La distesa erbosa si estendeva a perdita d’occhio, davanti a loro, in lontananzas, si estendeva la famosa e spettrale Foresta di Hairod. Alexander ebbe un tremito: la foresta sembrava un’enorme macchia verde scuro, le gambe cedettero per la stanchezza. Non era il caso di proseguire oltre per quel giorno.
“Non esiste nessun incantesimo per teletrasportarsi?” mugugnò, affranto. Aveva i piedi gonfi dal dolore e la gola arrossata.
“Oh non preoccuparti, lo imparerai…” rispose, con lo sguardo perso nel vuoto. Sembrava così immerso in quella visione, che continuò a fissare un punto dietro il ragazzo, senza degnarlo della necessaria attenzione. Rimase immobile con quel sorriso ebete a lungo, tanto che Alexander si avvicinò e lo scosse.
Feza, riportato bruscamente alla realtà, fissò arcigno Alexander. Il ragazzo notò che la mano del maestro era avvolta da una fiamma viva e arretrò. Questo, quando si rese conto di quello che stava facendo, ritrasse la mano. Incantesimi di quel tipo erano talmente facili per lui che ormai li faceva quasi inconsapevolmente.
“Scusa” disse, rivolgendosi all’allievo, ancora spaventato “mi sono lasciato prendere… la mano, come hai potuto notare”.
Raccolse una catasta di legna e con la fiamma che aveva evocato accese un falò.
“Così staremo al caldo tutta la notte.”
Alexander tirò della carne fuori dalla sua bisaccia e la mise sul fuoco. Feza fece lo stesso.
L’uomo fissava il ragazzo mangiare di gusto mentre il fuoco scoppiettava, doveva essere da parecchio che non mangiava così.
“Allora Alexander Eldan, cosa vuoi sapere?”
Alexander tacque a lungo. Aveva talmente tante curiosità che non sapeva da dove partire.
“Cosa c’è? Un’Anima del deserto ti ha tagliato la lingua?” scherzò Feza.
“È solo… come ci riesci? Intendo, quello: la tua mano bruciava, ma non ti faceva male…”
Feza sorrise, benevolo. Quel ragazzo aveva così tanto da imparare, aveva l’aria così ingenua e bonaria, ma tutti lo avevano allontanato e temuto fino al suo arrivo. Non avevano mai provato a parlarci, lo avevano lasciato in disparte. Solo lui, il saggio Feza, era riuscito a cogliere le potenzialità di quel ragazzo così solo e spaesato. Lui avrebbe dovuto aprirgli gli occhi al mondo.
“Beh Eldan, devi sapere che ognuno di noi possiede dentro di sé l’affinità con i quattro elementi. Ma solo alcuni riescono ad esternarla. Dipende tutto dalle intenzioni con cui fai quel gesto. Mi spiego meglio...”
A quel punto dei ruggiti fortissimi e feroci squarciarono l’aria.
 
Quando Taurus riaprì gli occhi si ritrovò per terra, la luce del giorno illuminava l’armeria, o quel poco che ormai ne rimaneva. L’incantesimo aveva distrutto la baracca, di cui restavano solo le assi bucate.
Sette Specchi giacevano al suolo inermi, ma Taurus sapeva che era solo la calma prima della tempesta. 
 

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Capitolo 5
*** Oret ***


Alexander tentennò. Non aveva mai sentito un verso simile, fino a quel momento. Non sapeva cosa fare, dove guardare, come difendersi. Non vedeva quelle creature, ma poteva sentirne la presenza nelle vicinanze.
“Non si avvicineranno troppo, vero maestro?”
La fiamma del falò si spense di colpo.
“Penso che questa sia una risposta soddisfacente, Alexander Eldan” replicò Feza, senza scomporsi.
Ci fu un altro ruggito. Alexander vide il suo maestro cadere in ginocchio e una creatura attaccarsi al suo collo. Nonostante il buio, ora il Mago poteva distinguerla chiaramente: era una creatura di taglia piccola, aveva il manto nero come la notte senza stelle e le cavità degli occhi vuote, tanto che ci si poteva vedere attraverso.
Era la creatura più mostruosa che il ragazzo avesse mai visto.
Alexander restò immobile, mentre la creatura si arrampicava sul collo di Feza per stringerlo. Nonostante le dimensioni della creatura, la potenza della stretta era poderosa, tanto che l’uomo sentì le vie respiratorie occluse per un attimo e cadde in ginocchio.
Alexander sentì il tempo rallentare. Chiuse gli occhi e provò a svuotare la mente.
“Fai qualcosa, maledizione!” imprecò Feza che stava lottando per divincolarsi dalla potente stretta dell’abominio.
La voce del maestro arrivava ad Alexander ovattata, confusa, distante. Tre creature si stavano avvicinando a lui, poteva sentirle chiaramente. Quando furono vicine, il ragazzo lasciò che queste si avvinghiassero. Serrò i pugni e quando li riaprì dopo pochi istanti, l’energia che sprigionò fu tale da tagliare le creature che lo circondavano a metà.
La creatura che circondava il maestro, stava serrando sempre più la presa sul collo e, rivoli di sangue, causati dagli artigli del mostro cominciavano a colare imbrattando la veste di Feza.
“Devo aiutare Feza! A qualsiasi costo, è l’unico che può aiutarmi a diventare il miglior mago di tutte le terre conosciute” penso Alexander.
Il ragazzo si gettò urlando verso la creatura che, colta la minaccia, gli si avventò contro. Era di sicuro la più pericolosa delle quattro.
Il mago evitò per un pelo un colpo del mostro, diretto al cuore, graffiandosi solo un braccio, ne deviò un altro, ma quella cosa era troppo forte e, in poche decine di secondi, si ritrovò a terra pieno di graffi.
L’abominio era sopra di lui pronto ad affondare il colpo decisivo quando divenne cenere e, una brezza leggera, le sparse nell’etere.
Feza riprese a respirare, il braccio ancora teso davanti a lui per l’incantesimo. Contemplò il cielo per un attimo: era completamente senza stelle e la luna era completamente coperta da nuvole gonfie e lunghe. L’uomo guardò l’allievo. Alexander sorrise debolmente: il mondo attorno a lui girava, aveva brividi molto forti e così, di colpo, svenne.
Feza tirò fuori dei vecchi indumenti e lo coprì.
Riposa” pensò “Il viaggio è ancora lungo”.
 
Taurus si alzò dal pavimento della baracca. Guardò gli Specchi.
“Io fermerò il vostro potere, fosse l’ultima cosa che faccio” disse.
Puntò un braccio verso gli artefatti e questi si sollevarono da terra, alzando un gran polverone.
Il ragazzo uscì da quel che rimaneva dell’edificio, gli Specchi lo seguivano come cani al guinzaglio.
“Devo mettermi subito in viaggio” pensò il giovane “non c’è un minuto da perdere, devo dirigermi verso la Terra della Crescita”.
Di nuovo, il deserto si estendeva apparentemente senza fine di fronte a lui, dopo due giorni di viaggio quasi ininterrotto, quando il sole era allo Zenith, tra i cadaveri dell’esercito di Kale qualcosa, o qualcuno, si mosse.
“C’è qualcuno?” urlò Taurus.
Nessuna risposta.
“Vieni fuori, ti ho sentito…” disse il ragazzo apparentemente calmo.
Un moncherino sfiorò la veste del giovane e un voce flebile ebbe appena la forza di chiedere aiuto prima di perdere conoscenza.
Taurus abbassò lo sguardo, un soldato, o quel che ne rimaneva giaceva ai suoi piedi.
Era completamente imbrattato di sangue, l’armatura a placche era saltata via in più punti lasciando scoperti un braccio e una gamba. L’altra gamba, la destra, era stata tranciata dal ginocchio in giù e, il braccio sinistro era ridotto a un moncherino.
“Quest’uomo è ancora vivo, se non posso curarlo, voglio almeno provare a lenire la sua sofferenza, è già un miracolo che sia sopravvissuto tutto questo tempo, potrebbe essere una delle persone che sto cercando” pensò il ragazzo.
Taurus sollevò a forza il corpo e lo trascino poco distante, lontano dai cadaveri, in quello che sembrava essere un campo abbandonato, mise a giacere il soldato supino su un mucchio di paglia, il sangue secco incrostava il viso del guerriero e, persino i capelli corti, neri come la notte era imbrattati di sangue.
Il mago impose le mani sul corpo, una luce bianca scaturì da esse e si andò a posare delicatamente sul soldato, alcune ferite più superficiali si chiusero.
Bagnò uno straccio con l’acqua presa da un pozzo, solitamente usato dagli uomini di Kale per abbeverare cavalli e soldati, pulì con cura gli arti tranciati e lavò via il sangue incrostato sul viso.
“Maledizione le ferite sono infette ed esce ancora del sangue…mi spiace ragazzo ma devo cauterizzarti” disse tra sé Taurus.
Le mani del giovane divennero incandescenti, le posò sulle ferite e queste si chiusero.
Con il respiro affannato il mago si sedette di fianco al guerriero, gli Specchi di fronte a lui sembravano fissarlo, ma al momento erano ancora innocui.
“Coraggio soldato, sei la prima delle mie sette speranze, non mollare” Pensò Taurus.
Il mattino seguente il guerriero aprì gli occhi, erano di un viola intenso come il mago non ne aveva mai visti.
“Ti sei svegliato!” disse Taurus.
“Chi sei?” rispose debolmente il giovane soldato “Come hai fatto a salvarmi?”
“Non avere fretta, ti sarà spiegato tutto, io mi chiamo Taurus. Qual è il tuo nome?” disse il mago.
“Mi chiamo Oret”.
“Bene Oret, abbiamo tante cose di cui parlare io e te” rispose sorridendo Taurus.
“Cosa sono quelli? Sono Specchi?” Domandò Oret.
“Prima di parlare di loro, parleremo di te e della tua storia” rispose il ragazzo, fissando con riluttanza gli artefatti.

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Capitolo 6
*** Il Custode di Dolore ***


Un sole cocente dilaniava le aride Terre di Dhares, nessun filo d’aria sembrava allietare quel mattino appena iniziato e un forte odore di decomposizione alleggiava nell’aria.
“Dunque Oret” disse Taurus guardando l’altro “Raccontami chi sei, la tua storia e come sei finito qui, in questo deserto ostile, in fin di vita”.
Il ragazzo rispose debolmente: “Mi chiamo Oret, sono nato nelle campagne vicine a Kale e ho poco più di vent’anni. Dieci anni fa dei briganti hanno saccheggiato la nostra casa, non ci è rimasto nulla di cui vivere e abbiamo deciso di trasferirci in città per trovare un qualsiasi lavoro. Ho lavorato per cinque anni come sguattero in un’osteria dove spesso venivo picchiato dal padrone, sempre ubriaco. In quei cinque anni ho potuto osservare le povere condizioni dei sobborghi della Capitale e ho deciso di cambiare vita.”
Fece una breve pausa e poi riprese: “Ho quindi deciso di arruolarmi nell’esercito di Kale, l’addestramento è durato sette anni, fino all’avvento di questa guerra, dove, ovviamente, sono stato chiamato alle armi. Non mi aspettavo che potesse essere così terribile…sono vivo per miracolo e solo grazie a te, Taurus”.
Il Mago ascoltò attentamente il racconto di Oret.
“Molto bene ragazzo, una storia apparentemente normale, dietro la quale si nasconde molta sofferenza, soprattutto fisica. Sarò sincero con te: ho notato subito la tua particolare resistenza fisica data dal tuo attaccamento alla vita e, ovviamente, da una tua abilità nel sopportare le sofferenze…non ho mai visto nessuno resistere per giorni con ferite di quel tipo, sei un ragazzo speciale” Disse Taurus.
“Ora puoi dirmi perché ti porti dietro quegli Specchi? Cosa Sono?” Chiese il soldato incerto.
Il Mago rise.
“Questi Specchi non sono altro che la causa della Guerra e, della mutilazione che ti è stata inflitta. Sono stati creati da mio fratello, l’Arcimago Tyurr” disse Taurus con voce sofferente.
“Cosa?” rispose Oret sconcertato
“Sì, chi gioca troppo con la magia di solito fa questa fine. Tyurr è stato completamente corrotto dal potere che egli stesso ha generato. Questi artefatti sono pericolosi, non possono restare uniti. Fortunatamente sono riuscito ad arginare temporaneamente il loro potere, ma non basta per fermarli. Continueranno a portare distruzione. Per evitare che si riuniscano nuovamente sto cercando sette persone dall’animo forte e Oret, io credo che tu sia una di queste”.
“E come sarebbe possibile? Sono un mutilato, non sono più neanche in grado di difendere me stesso, come credi che potrò difendere altri da questa minaccia?”
“Ti assicuro ragazzo che il fisico non sarà un problema, ed ora, Oret di Kale ti devo fare una domanda importante.
Vuoi difendere tutte le Terre conosciute da questa minaccia e trovare un vero scopo per il quale vivere?”
Oret era confuso “Come posso difendere il mondo da una minaccia del genere, avrò la forza di cui parla Taurus? Lo scopo è senza dubbio nobile e io ormai non ho più nulla, tanto vale vivere sapendo che sto facendo qualcosa di importante…”
“Ho deciso Taurus, non avrei più nulla per cui vivere dopo la devastazione che ha portato questa guerra nel mio cuore, tanto vale sacrificarsi per uno scopo nobile come il tuo…” Disse il soldato di getto, sperando di non pentirsi della scelta.
“Molto bene Oret”.
Taurus si alzò in piedi solenne e venne circondato da un’aura celeste.
“Da questo momento in poi, sei un Custode dei Sette Specchi. Il tuo sarà un compito difficoltoso, lo Specchio che ti verrà affidato, Dolore, cercherà di corromperti ma tu resisterai grazie alla tua forza d’animo e alla tua forza fisica.”
L’aura celeste si spostò lentamente verso Oret che, sdraiato sul giaciglio di paglia, appariva ora piuttosto impaurito. Gocce di sudore freddo rigavano il suo viso, i suoi occhi viola gridavano di terrore ma, le sue precarie condizioni fisiche gli impedivano di muoversi.
“Per tutto il Dolore che hai dovuto sopportare in questa vita, ricostruirò per prima cosa i tuoi arti mutilati”.
Il Custode venne travolto dall’aura azzurra che si concentrò sulle ferite e questa, nel giro di pochi minuti, ricostruì il corpo di Oret.
“Ma tutto questo è incredibile” pensò il giovane incredulo.
“Ti dono ora l’eterna giovinezza, perché il tuo corpo è mortale, ma Dolore non lo è e tu dovrai essere il suo Custode per sempre…” Così dicendo, il Mago porse uno degli Specchi che lo seguivano ad Oret.
L’aura celeste si posò ora sul viso di Oret, ed entrò nel suo corpo attraverso la bocca.
Il Custode ululò di terrore, ma nel girò di pochi secondi tutto finì.
“Sono una persona nuova, devo tutto a questo ragazzo”
“Senti Taurus” disse Oret “Dopo tutto ciò che hai fatto per me io credo che tu non sia una persona comune”
“No, non lo sono, col tempo capirai tutto. Ora ascoltami, arriverà sicuramente il giorno in cui qualche folle vorrà possedere il tuo Specchio, difendilo con tutto te stesso, ti faccio un ultimo dono: una falce incantata”.
Un fiotto di energia rossa scaturì dalle mani di Taurus e, si depositò a forma di falce sul terreno desertico.
“Prendila, Oret” disse il mago, molto provato da tutte quelle magie.
Il Custode, ora fiducioso, si abbassò e, appena toccò l’aura rossa questa si disperse, lasciando al suo posto una falce completamente nera eccetto la lama, rossa come il sangue.
I due si guardarono per qualche minuto in silenzio, ora sul deserto di Dhares soffiava il vento.
“Coraggio primo Custode, ora è tempo di separarci, trova un luogo sicuro per questo Artefatto Corrotto e sorveglialo. Resteremo in contatto” Concluse Taurus.
Oret si inginocchiò: “Arrivederci Taurus, questo Specchio non nuocerà più a nessuno finché sarà in mano mia”.
Il Custode si alzò, diede le spalle al suo salvatore ed entrambi cominciarono a camminare in direzioni opposte.
Per la prima volta dopo anni, su Dhares cadde la pioggia, una pioggia intrisa del Dolore che quella guerra aveva gettato sull’umanità.
 
Alexander aprì gli occhi lentamente. Sentiva ogni muscolo del suo corpo indolenzito: doveva aver dormito a lungo e in posizione scomoda. Il Sole era ormai alto nel cielo e l’aria era mite.
“Ti sei svegliato finalmente, mollaccione” lo accolse acido Feza, porgendogli un tozzo di pane condito con alcune spezie. L’uomo era palesemente seccato: Alexander capì che per il suo mentore quella pausa era stata di troppo e che era ansioso di rimettersi in cammino. Provò a mettersi seduto, ma il movimento fu talmente veloce da farlo urlare di dolore.
 “Quante storie per un combattimento! Non pensare che le difficoltà siano finite: la Foresta di Hairod è piena di mostri come quelli che ci hanno attaccato e di altre creature che non apprezzano intrusi nel loro territorio.”
I giorni di viaggio precedenti all’arrivo alla foresta passarono tranquilli anche se l’andatura, a causa delle conseguenze dello scontro era più lenta.
Arrivarono di buon mattino, una moltitudine di alberi apparentemente infinita si estendeva di fronte a loro, non ne riuscirono a tracciare i limiti.
“Coraggio, entriamo. Prima arriviamo ad Hairod, meglio sarà per il tuo addestramento” disse Feza.
“Maestro, non sarebbe meglio fermarci e incamminarci domani?” replicò l’allievo preoccupato.
“No, siamo in due, ce la caveremo…e poi non potrà che far bene alle tue potenzialità magiche latenti un po’ di addestramento, devi imparare a gestire le tue emozioni mentre combatti” rispose l’uomo.
Alexander sospirò e si avventurò con il maestro dentro la selva. Man mano che i due procedevano fra le frasche, l’aria si faceva più rappresa, pesante. Nel giro di qualche ora anche i più coraggiosi raggi di sole non riuscirono più a penetrare fra gli intricati rami degli alberi. I tronchi erano solidi, robusti. Alcuni di questi erano cavi. Alexander, ricordandosi le parole del suo mentore, sorrise beffardo.
“Dove sono le temibili creature di cui parlavi, maestro? Io qui vedo solo desolazione e… tanfo” concluse schifato, togliendosi una ragnatela contenente cadaveri di insetti dalla tunica. 
Ci fu uno scricchiolio molto forte, proveniente da uno dei tronchi cavi. Feza si girò di scatto, mentre Alexander rimase immobile, paralizzato dalla paura.
“Temo che tu stia per avere la tua risposta, giovane Alexander Eldan.”
Nonostante non ci fosse vento i rami di quell’albero iniziarono a ondeggiare violentemente da una parte all’altra, fino ad estendersi verso il giovane mago e il suo mentore. Dalla concavità apparvero delle sottili falangi scheletriche.
Alexander si guardò intorno: stava succedendo la stessa cosa a tutti gli alberi circostanti. Così, prima che potessero reagire, Feza e Alexander capirono di essere circondati. 

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Capitolo 7
*** Destini distinti ***


Il cuore di Alexander batteva all’impazzata. Finora aveva dimostrato di essere spavaldo, pensava che l’unica magia che sapeva fare gli avrebbe salvato la vita. Ma non era così. Era tutta finzione: lui e Kervi’ Jad, abbandonati dai genitori quando erano in tenera età, avevano dovuto essere forti e crearsi un’armatura intrisa di spavalderia. Ora non bastava più: Alexander pensava che bastasse leggere molti libri per essere il mago più abile del mondo, ma si doveva ricredere. Il flusso di pensieri del ragazzo fu interrotto bruscamente. Feza lo guardava arcigno.
“Concentrati! Stai dietro di me e non fare mosse azzardate.”
Il ragazzo annuì. Le creature che li circondavano erano scheletri, con ossa molto spesse e armati di clave fatte di altre ossa. I loro movimenti erano incerti, sconnessi, claudicanti e i loro sguardi vacui, completamente vuoti.
Alexander lanciò un piccolo vortice verso uno scheletro che lo stava puntando. La scena che ne seguì fu alquanto inquietante: l’arto ossuto del mostro si staccò dal resto del corpo e iniziò a usare le falangi come se fossero le zampette di un ragno. Alexander indietreggiò ma, colto alla sprovvista, inciampò su una radice.
L’arto dello scheletro aumentò il ritmo dello spostamento e quando fu abbastanza vicino al ragazzo fece un balzo, attaccandosi al suo sottile collo.
Alexander tentò di liberarsi dalla presa, inutilmente. Ormai era spacciato. Ripensò a Kervi’ Jad, a come lo aveva sempre protetto, anche da Feza. Forse intraprendere quel viaggio non era stata la scelta giusta, ma abbandonando suo fratello aveva chiuso l’unica porta sulla vita che sarebbe rimasta sempre aperta, solo per lui.  Non poteva tornare indietro: doveva combattere, a qualunque costo.
Sentì la gola chiudersi pian piano, poi un gran calore: così come aveva acceso il falò giorni prima, Feza scagliò un incantesimo di fuoco contro il pezzo di scheletro che stava soffocando Alexander.
L’arto allentò la presa e si lanciò a terra. Alexander giurò di averlo sentito gemere per un momento.
“Il vento sembra non avere effetto su queste creature” constatò Feza.  “Lascia fare a me, tu cerca solo di non farti uccidere, intesi?”
Alexander annuì. Tutte le volte che il suo mentore gli diceva qualcosa, per qualche motivo lo accettava senza ribattere.
Feza chiuse gli occhi. Tutti gli alberi intorno a lui stavano morendo a poco a poco. Tutti gli scheletri, contrariamente alla loro volontà, ritornarono nelle cavità dei tronchi dai quali erano usciti.
L’uomo cadde a terra, stremato. Alexander accorse in suo aiuto.
“Ci hai salvati, maestro!” esclamò, allegro.
Feza si toccò le tempie, frastornato. “Li ho solo convinti a non attaccarci per qualche ora, ma i pericoli di questa foresta sono tanti e ci vorranno ancora giorni prima di raggiungere Hairod. Inoltre, con questo incantesimo ho prosciugato quasi tutte le mie energie, quindi ora dovrai difendere la tua pellaccia da solo.” Concluse, tirandogli un buffetto.
Alexander sorrise. Allora in fondo Feza aveva fiducia in lui. Questa era la conferma che cercava, il motivo per cui continuare questo viaggio. Non si sarebbe mai arreso, avrebbe soddisfatto le aspettative del suo mentore.
Alexander restò qualche istante ad assaporare il dolce silenzio della foresta, prima di procedere il cammino.
 
Era buio nella baracca di Alexander. Al suo interno, un ragazzo non si dava pace.
“Mio fratello se ne è andato… se ne è andato per sempre” penso Kervi’ Jad.
Gli occhi rigati dalle lacrime, una disperazione che si rifletteva in tutti i movimenti del corpo, scoordinati e abbandonati a loro stessi.
“Abbandonato anche dai lui, sono solo, totalmente solo”.
Erano passati giorni dalla partenza improvvisa del fratello, ma Kervi continuava a soffrire in silenzio, senza capire le ragioni della scelta del fratello. Senza di lui,
niente aveva più senso. 
Con il tempo, la frustrazione del ragazzo aveva avuto la meglio anche sulla cura della sua igiene: i lunghi capelli neri erano sporchi e unti, le mani erano ricoperte di sangue coagulato e croste. In preda a un raptus di rabbia il ragazzo aveva preso ininterrottamente a pugni le mura della casa per ore, rimediando quelle ferite.
“Magia…abbandonato da mio fratello, sostituito da stupidi tomi e trucchetti con le mani! Ecco quanto sono importante per te, Alexander!” Disse il ragazzo urlando contro le mura così malinconiche e spoglie, senza i vestiti che Alexander era solito lasciare appesi. Ogni cosa, anche la più insignificante, portava il pensiero di Kervi’ Jad verso il fratello. Pian piano, la rabbia prese il posto dello sgomento, finché entrambe le sensazioni lasciarono il posto a una sconfinata determinazione.
“Vuoi diventare un mago? Bene, io diventerò un guerriero, il più grande guerriero” affermò Kervi’ Jad fissando i tomi appartenuti al fratello.
Il giovane uscì di casa con pochi spiccioli in tasca e si recò all’armeria più vicina.
Era una baracca relativamente piccola, con mura di pietra crepate, ma che ancora riuscivano a sorreggere il tutto.
“Uomo! Dammi la peggiore delle tue lame” grugnì Kervi appena entrato nell’armeria.
“Perché proprio la peggiore?” rispose interrogativo il fabbro, un uomo grosso e villoso dai capelli grigi brizzolati. Indossava una canotta bianca sudata, la quale lasciava intravedere numerose scottature.
Il ragazzo ruotò lo sguardo verso le varie armi esposte: scudi, lance, asce e spade decoravano le pareti spogli e semplici. Vicino al banco di legno dove il fabbro serviva i clienti erano esposti dei pugnali, senza dubbio di ottima fattura.
“Perché se voglio diventare il miglior guerriero, devo domare le armi più rudimentali prima di passare a lame già ottime” rispose il giovane con una risata.
“Come preferisci ragazzo, prendi questa allora” Disse il fabbro.
Si recò nel retrobottega, dove venivano custodite armi non ancora ultimate e lame difettose che quindi dovevano essere fuse nuovamente.
Tornò dopo pochi secondi e porse una spada a una mano a Kervi’ Jad.
Era spoglia, priva di qualsiasi ornamento, una perfetta spada da allenamento.
“Acciaio, non perfettamente affilata, semplice e ottima per allenarsi. Pochi fronzoli e tutta sostanza, garantito. Te la lascio per tre monete d’argento”.
“E’ tutto quello che ho, affare fatto” Rispose il giovane dando le monete all’uomo.
Kervi uscì a passo deciso dalla baracca.
“Vedrai fratello, ti farò vedere come il potere di una spada prevarrà sulle tue stupide formule magiche” pensò il ragazzo delirante.
Incominciò l’addestramento il giorno stesso, decise di allenarsi da solo, Kervi’ Jad d’altronde aveva sempre odiato le Accademie dell’esercito e i maestri che pretendevano di imporre un loro stile di insegnamento agli allievi.
Si recò nel giardino della baracca e mulinò la spada al vento.
“Mi piace questa catapecchia, da adesso in poi sarà mia”

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Capitolo 8
*** Sussurri ***


I giorni successivi di viaggio trascorsero lenti. Feza procedeva a passo incerto, stremato dall’incantesimo che li aveva salvati dall’attacco dello scheletro. Nonostante questo, Alexander faticava a stargli dietro: si fermava spesso a controllare che non ci fossero pericoli, prestava attenzione ad ogni piccolo scricchiolio e cinguettio, sperando di non incontrare altri pericoli. A lungo andare sentiva la mancanza della luce del sole, completamente oscurata dalla selva.
La distesa arborea era talmente sconfinata che al ragazzo sembrava di girare in tondo, come se si fosse perso in mezzo a quel groviglio di rami e cespugli. Il maestro lo seguiva ammirato: nonostante le diverse difficoltà che avevano incontrato finora, Alexander non si perdeva d’animo. Era come se ogni pericolo fosse una sfida per il mago e lui non si tirava mai indietro. Non gli importavano le conseguenze, aveva un obiettivo e voleva raggiungerlo. Quando aveva sentito la notizia di quello che Alexander aveva fatto al villaggio, sapeva di averci visto lungo: aveva trovato il discepolo ideale, avrebbe dovuto solo indirizzare il suo potere dalla parte giusta. Era suo compito e lo faceva per sua soddisfazione personale.
Rapito da questi pensieri, Feza si fermò, rimanendo molto indietro ad Alexander. Il discepolo si accasciò contro un albero, stremato per le lunghe giornate di cammino senza sosta. La città di Hairod era così vicina e allo stesso tempo così lontana, un miraggio situato oltre a quella foresta inospitale.
Il mago sospirò. Il suo respiro era affaticato, affannato. I piedi gli dolevano, gonfi per il lungo cammino. La faccia era sporca di terra e foglie e gli occhi gli prudevano a causa della terra che copriva le sopracciglia.
Nonostante la stanchezza e il dolore per gli scontri precedenti e la lunga camminata, Alexander poté definirsi felice come non era stato per molto tempo. Aveva intrapreso questo viaggio per coltivare la sua più grande ambizione, il suo più grande sogno. Era disposto a tutto pur di diventare un mago completo. Tutta la fatica, i pericoli e i sacrifici a cui si stava sottoponendo erano solo temporanei e necessari al raggiungimento dello scopo: non poteva pretendere di sentire la magia scorrere nelle vene, senza prima aver preso coscienza di sé e del mondo che lo circondava. Per questo era affascinato anche dal più piccolo dettaglio.
Il ragazzo sentì un forte strattone alla schiena. Si girò di scatto.
“Ti lascio solo cinque minuti e tu ti fermi a fantasticare? Muoviti, o non arriveremo alla città dei Chierici prima di tre giorni!”
Nonostante il suo tono aspro e scortese, Alexander tirò un sospiro di sollievo vedendo che Feza si era ripreso. Aspettò che il mentore lo precedesse, per poterlo seguire.
Man mano che proseguivano il sentiero si faceva più stretto e paludoso: dagli alberi pendevano lunghe liane e l’erba fu sostituita da fango. A tratti trovarono anche qualche pozza d’acqua sporca e dall’odore talmente sgradevole da far accartocciare le budella. Gli alberi non erano più possenti e solidi come quelli cavi dove stavano gli scheletri: erano piante smorte, dai rami rachitici e completamente spogli. Alexander guardò avanti a sé: erano al limite della foresta, ce l’avevano fatta. O almeno era quello che credeva. Improvvisamente si alzò un’aria fredda e una fitta nebbia, che impediva addirittura ai due compagni di viaggio di vedersi.
“Ragazzo, non seguire questo uomo. Vuole corrompere tutto quello che c’è di buono nella tua anima”
Alexander si senti gelare il sangue nelle vene. La voce che gli aveva parlato sembrava provenire dalla foresta stessa e sembrava decisamente sicura di quello che aveva detto.
“Non ascoltarlo!” gli intimò Feza “è uno Spirito della Foresta, vuole che non usciamo vivi da qui!”
Il giovane era confuso. Era come se quella creatura conoscesse tutti i suoi dubbi meglio di quanto ne fosse a conoscenza lui stesso e li dicesse ad alta voce. Ma voleva vederci chiaro.
“Perché dici così? Lui vuole solo insegnarmi ad usare la magia, sta facendo tutto questo per me!”
Una figura alta e gassosa, di forma umanoide e di colore verde si staccò dal banco di nebbia.
“Procedi allora,” disse stringendogli un braccio. Alexander sentì il gelo di poco prima pervadergli tutto il braccio fino a raggiungere prima il collo, poi la testa “ma quando ti mangerà l’anima ricorderai le mie parole.”
La nebbia si diradò. Feza tirò un sospiro di sollievo e osservava il suo discepolo. Alexander restò con lo sguardo perso nel vuoto per qualche tempo. I suoi occhi erano scuri come la notte nel suo cuore. Per qualche ragione, sentiva che quello che lo Spirito della Foresta aveva detto era vero, almeno in parte. Con questo dubbio uscì dalla selva, seguito dal suo mentore.  
 
La ricerca di Taurus era ripresa già da qualche giorno: aveva affidato ad Oret Dolore, ma doveva trovare altri sei Custodi.
Raggiunse uno dei pochissimi villaggi superstiti di Dhares. Era situato sulla costa, scampato alla guerra solo ed esclusivamente grazie al suo porto, dove le navi di Kale attraccavano per portare rifornimenti ai campi di battaglia.
Le poche persone presenti lo guardavano storto: era piuttosto inusuale vedere un uomo seguito da sei Specchi fluttuanti. La gente di Dhares però non era come quella della Terra della Crescita, nessuno fece domande.
  Ognuno ha i suoi segreti.   Era questo il modo di vivere in quella terra ostile e fu così che con i suoi segreti Taurus si recò al porto in cerca di una nave.
Il porto non era altro che un piccolo molo, vi erano attraccate tre navi, con i rispettivi tre Capitani improvvisati, la guerra aveva comunque privato quel villaggio di valorosi uomini di mare.
Taurus salì sulla terza nave, orientata verso Sud.
“Capitano, questa nave porta alle Terre Meridionali?” chiese malinconico il giovane.
Il Capitano era un uomo dalle braccia forti e molto villoso, indossava una camicia blu sgualcita, tipica di quelle genti, dei pantaloni bianchi bucati sulle ginocchia e degli stivali di pelle: Pelle di Kraken, come diceva sovente ai suoi uomini.
“Ragazzino” rispose “Nessuna di queste navi va alle Terre Meridionali, tuttavia la mia nave si reca fino agli estremi confini di Dhares, a un tiro di lancia da quelle Terre”.
“Posso salpare con voi in qualità di ospite?”
“Certo, ma tutto ha un prezzo…cosa puoi darmi in cambio?” 
Taurus si morse il labbro, nervoso. Non avrebbe voluto farlo, era il tipico trucco che avrebbe attuato Tyurr qualche anno prima, quando erano ancora felici, ma d’altronde a parte gli Specchi non aveva altro con sé…
“Affare fatto, ti spiegherò tutto”
Strinse la mano dell’uomo, una scintilla attraversò gli occhi del Capitano che si fecero vacui per un istante.
“Uomini! Lasciate a questo ragazzo la mia stanza, io dormirò nella stiva con voi. Fategli trovare una coppa di vino decente e, se lo desidera, anche una bella donna. Salpiamo domani mattina”.
Il mago era solo nella stanza del Capitano, una piccola sala con un tappeto rosso, una scrivania piena di cartine e un letto comodo, non aveva voluto né vino né una donna.
Si lasciò cadere sul letto, gli Artefatti di fianco a lui, sul pavimento di legno.
Schiacciato dal peso di quella guerra e da quello che suo fratello aveva compiuto Taurus scoppiò in pianto.
“Perché? Perché fratello mio? Cosa ti ha portato a fare tutto questo?”
Si mise le mani tra i capelli biondi e chiuse gli occhi, ma non riuscì a fermare le lacrime.
“Piangi, piangi piccolo Taurus, la Tristezza ti avvolgerà nel suo accogliente manto. Se non vuoi finire avvolto dalla tenebre anche tu, ti conviene trovare un altro dei tuoi amici alla svelta” Disse una voce malinconica nella sua testa.
Il ragazzo scattò in piedi, spaventato.
“L’incantesimo sta cominciando a perdere efficacia…maledizione” pensò.
“Stai zitta Tristezza, io non sono come mio fratello” disse incerto.
 
Lo stesso giorno, nelle Terre Meridionali al confine con Dhares, la gente urlava mentre un piccolo villaggio veniva messo a ferro e fuoco:
“Pelle verde, occhi iniettati di sangue, predoni orchi! Si salvi chi può…è la fine”.
Gli abitanti del posto morivano uno dopo l’altro incapaci di arrestare l’avanzata di quelle creature grandi due volte un essere umano, dai denti acuminati e dotati di ferocia inaudita.
In tutto quel trambusto si levò una voce fuori dal coro.
“Stronzi pelle verde! Levate le vostre chiappe mosce da questo posto!” urlava un uomo incappucciato.
Dalle sue mani scaturivano quelle che sembravano essere delle vere e proprie bombe nere non più grandi di una pietra, fatte di energia, le quali esplodevano al contatto con gli orchi trapassandoli. I suoi occhi si riempirono di una furia cieca, accompagnata da una grinta delirante: era appena iniziato il divertimento.

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Capitolo 9
*** Hairod ***


I predoni orchi avevano appena finito di ammazzare degli anziani e dei bambini che non erano riusciti a fuggire dall’assalto inaspettato, quando quella figura aveva incominciato a lanciare delle bombe e a urlare.
In una manciata di secondi almeno dieci pelle verde erano stati sventrati.
“Piccolo uomo sta facendo strage dei nostri compagni!” urlò un orco, nella propria lingua, agli altri predoni.
Il villaggio era in fiamme, disseminato di cadaveri di entrambe le razze, non rimaneva più nulla di quanto era stato prima di quell’attacco.
“Quello non è piccolo uomo Grash!” urlò un orco “Quello è Artefice! Artefice deve morire, così vuole Gran Guerriero”.
La voce si diffuse in un battibaleno, mentre alcuni predoni, colti di sorpresa furono sventrati imbrattando il terreno di sangue purpureo.
Gli altri si rifugiarono dietro a delle case diroccate.
“Beh! Dove siete tutti quanti? …mostriciattoli” Disse la voce dell’Artefice.
L’uomo tese una mano verso l’alto e tre sfere nere vi fuoriuscirono fermandosi a mezz’aria, esattamente sopra la sua testa.
“Dobbiamo colpire lui” disse un orco digrignando i denti. Era uno dei più vecchi di quel gruppo di predoni, non aveva più un occhio, ma non si era curato di coprirlo con una benda.
Il vecchio impugnò una grande ascia bipenne e insieme ad altri due si gettò contro l’uomo urlando e sbavando.
“Muori culo rosa!”
“Boooooom” rispose l’Artefice indicando con un dito i tre pelle verde.
Le tre sfere si gettarono contro gli orchi facendoli esplodere, del sangue purpureo macchiò la casacca che quel personaggio misterioso indossava.
“Ehi!” esclamò “Mi avete anche macchiato la veste…bastardi” e si mise a ridere come un folle.
“Ora Qut è molto arrabbiato con voi…”.
L’uomo si tirò su le maniche della veste e si levò il cappuccio.
Aveva un viso fine, labbra sottili, occhi color nocciola, capelli neri e un pizzetto appena accennato adornavano il suo volto. A guardarlo nessuno avrebbe pensato che una persona del genere potesse riservare una follia come la sua, per questo, era sempre vissuto al villaggio senza che nessuno sospettasse nulla.
“Ormai questo villaggio è andato…tanto vale distruggerlo per bene” disse Qut.
Rivolse i palmi delle mani contro ciò che rimaneva delle grezze case di pietra di quel villaggio. Innumerevoli sfere nere fuoriuscirono a raffica dalle mani dell’Artefice e si andarono a schiantare contro le rovine facendole esplodere.
Urla di orchi riecheggiavano per tutta la pianura circostante, il terreno si tingeva di sangue porpora e le esplosioni facevano scappare lontano i rari animali che vivevano in quella zona.
Qut si fermò, esausto.
Non rimaneva più nulla del villaggio, cadaveri e segni di esplosioni tempestavano il terreno creando un’atmosfera tetra e, le macerie delle abitazioni imbiancavano il terreno circostante con un sottile strato di polvere.
Un Sole rosso sangue del tramonto illuminava fiocamente quel luogo infestato dalla morte.
“E così il buon Qut vi ha ucciso tutti, stronzi pelle verde!” esclamò l’Artefice mentre si inginocchiava sfinito.
Una goccia di sangue purpureo cadde vicino all’uomo, due gocce, tre gocce.
“Non tutti, culo rosa”
Qut fece appena in tempo a girarsi, quando il pugno più forte che avesse mai sentito lo colpì in faccia, facendogli perdere i sensi.
L’orco ansimava, aveva appena perso un braccio schivando una bomba, ma gli orchi sono un popolo duro, non se ne era lamentato.
“Ora Grash ti porta dal Capo e, piccolo uomo Artefice sarà fortunato se arriverà intero da Gran Guerriero”.
 
Alexander entrò nella città, seguendo distrattamente il maestro. Ripensava alle parole dello Spirito della Foresta, le sentiva come una nenia dentro la sua mente.
Feza gli si avvicinò e gli diede uno scossone.
“Hai la testa fra le nuvole, dai troppo nell’occhio. Noi dobbiamo passare completamente inosservati, chiaro?”
Alexander annuì quasi impercettibilmente. Ascoltava a malapena le parole dell’uomo, era stanco e non aveva alcuna intenzione di discutere.
“Ho detto, chiaro?” ripeté Feza, ostile. “Rispondi! Parlami, maledizione!”
Alexander tremò. Nelle settimane di viaggio che avevano affrontato insieme, non aveva visto il suo mentore così agitato. I suoi occhi color gelo lo guardavano con rimprovero e preoccupazione, ma qualcosa dentro di lui era cambiato: non era più ostile, ma cercava solo di ottenere nuovamente la fiducia che il ragazzo gli stava negando.
“Voglio solo aiutarti, Alexander Eldan. Siamo qui per questo.” Disse, tranquillo. Il tono della sua voce era pacato e malinconico. Era il tono di una persona che si sentiva tremendamente sola e stanca. L’aspirante mago decise di non replicare oltre.
I due compagni di viaggio si misero ad osservare la città: agli occhi di Alexander era un posto molto accogliente, i cittadini imperversavano per le strade festosi, qualcuno passeggiava insieme alla famiglia, altri stavano in un angolo a ridere e scherzare. Le case erano molto illuminate, le porte spalancate. Dovevano sentirsi molto al sicuro, visto che non c’era in giro neanche una guardia a vegliare sulla ridente cittadina.
Le abitazioni erano sovrastate da due edifici molto grossi: uno era circolare, dalle mura di mattoni bianchi e avvolto da una strana luce cerulea; l’altro sembrava un castello in miniatura, con le mura di mattoni, guglie e finestre di vetro colorato.
Alexander restò ad osservarli per qualche minuto, rapito da tutto quello sfarzo e ammaliato da quella luce così accogliente e armoniosa. Si sentì per un attimo in completa pace con se stesso e con il mondo che lo circondava. Tirò un sospiro di sollievo.
Quando la meraviglia svanì, il giovane si accorse di essere rimasto completamente solo. Si sentì perso, sperduto, nuovamente solo. Non sapeva dove andare, cosa fare, a chi rivolgersi.
“Dai, muoviti! Non posso continuare a tornare indietro per riportarti alla realtà tutte le volte! Domani sarà una giornata molto lunga, quindi prima troviamo un posto dove alloggiare, prima potremo riprenderci dal viaggio ed essere in forma per domani.”
Alexander seguì il maestro senza replicare. Avevano preso un vicolo buio e stretto, che stonava decisamente con la città che avevano visitato finora. Un fetore di cibo fritto e animale bagnato li investì brutalmente, costringendoli a tapparsi il naso. Alexander represse a fatica un conato.
Delle persone con lunghi mantelli erano situate ad ogni angolo. Uno di loro afferrò violentemente il braccio di Alexander.
“Lasciami stare, mi fai male!” urlò il giovane, dolorante. Questo mostrò un sorriso senza denti e con la lingua nera. Poi aprì il mantello: era piano di cianfrusaglie varie: ciondoli, orologi, amuleti.
“Vuoi un amuleto di protezione contro il fuoco? Oppure no” disse guardandolo meglio “Hai l’aria di uno che ha bisogno di protezione magica” disse, porgendogli un amuleto color zaffiro, rettangolare.
Feza colpì la mano che Alexander stava tendendo verso l’uomo.
“Non hai bisogno di queste cose, andiamocene.”
Camminarono ancora parecchio, perdendosi nei meandri dei bassifondi della città dei chierici, finché non raggiunsero il posto che cercavano. Feza si fermò di colpo.
Entrarono in una bettola, puzzolente e malfamata. Le assi del pavimento erano sconnesse e sembravano gemere persino sotto i leggeri passi dei due. La luce era soffusa, tanto da fare quasi male agli occhi. Un uomo corpulento in preda all’alcool stava colpendo con uno sgabello uno più mingherlino, la cui unica colpa probabilmente era quella di essersi ritrovato nel posto sbagliato nel momento peggiore.
Alexander osservando la scena si sentì ribollire il sangue nelle vene. Voleva intervenire, ma qualcosa glielo impediva. Feza probabilmente intuì le sue intenzioni, perché puntò tre dita contro l’aggressore e questo, come se fosse una marionetta, seguì i movimenti dei polpastrelli dell’uomo, accasciandosi su uno dei tavoli più distanti da quello della rissa.
L’oste era un uomo villoso, pelato e con dei baffi da tricheco. Le guance erano piene e rosse, come se l’unica cosa che avesse fatto nella sua vita fosse stata sbronzarsi. Il suo sguardo vacuo era incorniciato da due sopracciglia decisamente troppo pelose.
“Buonas..” cercò di dire.
“Niente convenevoli” lo interruppe Feza, cercando qualcosa nelle tasche della tunica che indossava. Quando la trovò, riprese a parlare.
“Ho qui una sacca con tante monete d’oro quante non ne potresti vedere vivendo due volte. Sono tutte tue, a patto che non ci fai alcuna domanda e che neghi di averci incontrato. Noi non ti abbiamo mai parlato, non siamo qui. Anzi meglio, non esistiamo.”
“Incontrato chi?” rispose l’oste, porgendo una mano verso la sacca di pelle.
“Vedo che ci siamo capiti.” Feza lasciò la sacca nelle mani dell’uomo, che la scosse per far tintinnare le monete. Si beò di quel dolce suono per qualche minuto, ancora incredulo da quella proposta, poi porse le chiavi della stanza a Feza, indicandogli la direzione. Feza e Alexander andarono a coricarsi senza dire una parola.

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Capitolo 10
*** La Veste ***


Grash camminava da quasi due ore, trascinando per un piede l’Artefice, ancora privo di sensi, dietro di sé.
L’orco, per quanto fosse resistente, dovette ammettere a sé stesso che camminare per due ore trascinando un culo rosa e senza braccio sinistro, era faticoso anche per uno della sua razza.
Il predone arrivò finalmente al campo base, stremato. Aveva un’espressione fiera e dura, la barba nera imbrattata di sangue rosso e purpureo, la leggera armatura di maglia che indossava era in parte a pezzi. Si era salvato dalle bombe di energia grazie a quella, anche se i colpi di Qut gli avevano portato via il braccio all’altezza della spalla.
“Capo!” urlò l’orco in piena notte nel campo “Grash ha culo rosa Artefice, noi mandare messaggio a Gran Guerriero?”
Il campo era illuminato da alcuni falò, era costellato di tende triangolari di varie dimensioni fatte di pelle e, adornate da simboli tipici della tribù guerriera orchesca.
Una figura uscì lentamente dalla tenda più grande.
Un orco uscì a torso nudo dalla costruzione, portava dei pantaloni di pelle nera ed era scalzo e il suo viso era sfigurato da un cicatrice che segnava la guancia destra. Era diventato capo di quell’accampamento dopo anni di battaglie sia contro umani che contro i suoi simili e il riconoscimento per averle combattute, era stato l’essere Capo di quell’accampamento.
“Grash…dove sono altri compagni?” disse il pelle verde sconcertato.
“Sì sono uniti alla Terra, Morg” rispose il predone orco.
“Morg parlerà di persona con culo rosa” Silenzio “Grash non puoi più combattere…”
“Un guerriero che non può combattere è inutile…sciamano del campo curerà me e poi Grash andrà per sua strada”
“Che Terra ti porti fortuna Grash, orchi canteranno canzoni in tuo onore…”
Il guerriero si recò nella tenda dello sciamano, l’unica pitturata di verde.
“Stupido culo rosa…” disse Morg.
Il Capo dell’accampamento si inginocchiò prese in spalla Qut e lo trascinò nella sua tenda.
La casa del guerriero era spartana: c’era solo un modesto giaciglio di paglia, un armadio in legno dove sovente erano riposte armi e armatura e un tronco d’albero incastrato nel terreno, dove Morg torturava i prigionieri legandoli con pesanti catene di ferro.
 
Il viaggio di Taurus si concluse dopo una settimana passata per mare.
Quando la ciurma e il mago attraccarono al molo notarono subito che qualcosa non era andato per il verso giusto.
Il villaggio in cui sarebbero dovuti approdare, Hoira, era completamente raso al suolo. Cadaveri di uomini e orchi giacevano sul terreno e, tutto il territorio era tempestato da buche e segni di esplosioni.
“Predoni orchi” disse il Capitano “Hanno sterminato tutti, ma sembra che qualcuno abbia opposto una feroce resistenza.”
“Questo non spiega come un villaggio formato prevalentemente da contadini e semplici lavoratori possa fermare un attacco dei predoni…” rispose Taurus
“Hai ragione ragazzo” il Capitano della nave si sbottonò la camicia e si girò verso i suoi uomini.
“Marinai! Prendete le vanghe…daremo una degna sepoltura e questi poveri uomini innocenti”.
Taurus guardava la scena stupefatto. L’umanità degli uomini di mare era nota in tutti gli angoli del mondo, un sorriso piegò la sua bocca e si scostò i capelli biondi con la mano.
“Non sono molte le persone che possono tenere testa a un gruppo di orchi guerrieri e sicuramente non si trovano tutte qui, in questo piccolo borgo al confine con le Terre Meridionali…Ovunque tu sia ti troverò e sarai il mio secondo Custode”.
 
Feza scosse violentemente Alexander. Il ragazzo si girò su un fianco, continuando a dormire. Il viaggio era stato lungo e le sue energie avevano raggiunto il limite di sopportazione.
L’uomo si avvicino alla finestra e la spalancò. La luce del mezzogiorno irradiò la stanza della locanda, costringendo il giovane mago ad aprire gli occhi.
“Che succede?” Chiese Alexander, confuso.
“In piedi. Hai dormito abbastanza, non ti pare?” rispose Feza, schietto.
Il giovane, ancora stordito dal sonno, tacque per qualche istante. Dopo qualche minuto, quando la domanda che gli era stata posta gli fu chiara, fissò il maestro e con tutta la convinzione possibile scosse la testa.
Feza si tenne la testa fra le mani sconcertato. Poi, dopo qualche istante di silenzio, si avvicinò alla sua bisaccia e ne estrasse qualcosa.
“Vorrà dire che questa rimarrà in mano mia. Peccato, pensavo che ne desiderassi una.” Disse, incuriosendo l’allievo.
Alexander si avvicinò per guardare da vicino ciò che il suo mentore teneva in mano. Questo la nascose dietro la schiena, ma Alexander fu più veloce e strappò la sorpresa dalle mani del maestro: era una lunga veste nera, con cappuccio e polsini dai bordi rossi.
Il ragazzo restò per un attimo confuso. Si grattò la testa, sperando che quella veste contenesse qualcos’altro. Frugò nel cappuccio e nei polsi, sperando di trovare qualcosa di più utile. Feza gli afferrò una mano.
“Smettila! Non hai capito che cos’è, vero?”
Alexander fissò per qualche istante il maestro, senza dargli nessuna risposta.
“È una veste da mago. Una vera veste da mago. Protegge dagli incantesimi, sai, nel caso le cose si mettessero male.”
Alexander si avvicinò al maestro e istintivamente lo abbracciò.
Feza lo scostò bruscamente, evidentemente in imbarazzo, poi lo fissò schifato.
“Sai, almeno te la potrai cavare senza che ci sia sempre io a guardarti le spalle.”
Il volto di Alexander si aprì in un enorme sorriso. Allora Feza gli voleva bene, teneva alla sua incolumità! Quella era la decisamente la giornata più bella degli ultimi tempi.
Alexander indossò velocemente la veste, che si adattava perfettamente alla sua corporatura esile e longilinea. Tirò un sospiro di sollievo: improvvisamente si sentiva incredibilmente determinato e forte oltre ogni limite. La sicurezza che questo nuovo abbigliamento gli infondeva era calda, rassicurante. In qualche modo sentiva che avrebbe potuto conquistare il mondo, spinto da quell’incredibile energia che la veste gli infondeva a contatto con la pelle.  Sorrise.
I due fecero velocemente colazione, poi uscirono in città. Ormai erano abituati al fetore dei sottofondi, quindi non fecero tanto caso alla spazzatura che ne addobbava i vicoli. In una decina di minuti raggiunsero il centro città.
La vita ad Hairod era molto tranquilla. La gente camminava in mezzo alla strada, vestita di sorrisi e illuminata da sguardi sinceri e profondi. Alexander notò che, a differenza del villaggio dove aveva fatto la sua prima magia, non c’era nessuna guardia. Probabilmente la città dei Chierici era un posto decisamente tranquillo, con scarsi episodi di criminalità. L’affetto che c’era tra compaesani e l’accoglienza con cui venivano trattati gli stranieri come loro era rassicurante.
Alexander tirò un sospirò di sollievo: per la prima volta dopo molto tempo si sentì veramente in pace con sé stesso e con il mondo che lo circondava.

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Capitolo 11
*** Antichi Tomi ***


Alexander e Feza pranzarono velocemente. Non avevano tempo da perdere, quindi dovettero adattarsi con qualche panino che Feza conservava nella bisaccia, grazie ad alcuni incantesimi che permettevano al cibo di mantenersi a lungo. Quando ebbero consumato il loro pasto, Feza guidò Alexander verso l’imponente edificio di mattoni che avevano visto al loro arrivo. 
“La biblioteca di Hairod” spiegò Feza, “è qui che ho imparato molto di quello che so sulla magia, prima di...” 
L’uomo si morse la lingua. L’estasi per i ricordi del passato quando era ancora un giovane alle prime armi, stavano rischiando di portare a galla ricordi seppelliti negli abissi più profondi della sua mente.  E Feza lo sapeva bene: l’uomo che passa inosservato è un uomo privo di passato. Per questo viveva il rapporto di Alexander in un presente incerto, verso un futuro ancora più incerto: il percorso del passato non si può cambiare, ma ogni passo verso il futuro può condurti verso infiniti traguardi. Alexander seguiva senza discutere ogni passo del maestro, quindi dove cadeva uno sarebbe caduto l’altro, dove uno lottava l’altro l’avrebbe affiancato. 
Alexander attendeva impaziente che il suo mentore finisse la frase. 
“Prima di...?” chiese, cercando di far riprendere il filo del discorso a Feza. Questo scosse la testa e sorrise, fissando il cielo dorato del pomeriggio. 
“Niente, niente. Sono solo nostalgici ricordi di un vecchio... non vorrei annoiarti troppo.”
Alexander sorrise. Finalmente avrebbe imparato a controllare la sua energia: da quando aveva iniziato a praticare la magia sentiva di avere un enorme potere dentro di sé, ma il fatto di non riuscire a controllarlo lo rendeva triste e impaurito. Era come se una parte della sua mente prendesse il sopravvento, spingendolo a sprigionare un potere talmente forte da riuscire ad infrangere in mille pezzi lui, che ne era la fonte. Feza sembrò riuscire ad interpretare i pensieri dell’allievo e ne fu fiero: sentiva crescere in lui l’ambizione, il frutto preferito di chi vuole nutrire la sua vita di successi. 
Entrarono. La biblioteca era vastissima, su due piani e con decine di scaffali, in cui erano riposti con un ordine maniacale decine di pesanti e antichi tomi. Alexander sentì il cuore battere all’impazzata, tanto che per qualche secondo sentì di non riuscire più a contenerlo: il sapere dei Chierici spaziava verso qualunque argomento, dalla preparazione di unguenti curativi, alla accurata descrizione di tutte le creature che popolavano le Terre di Dhares; dalle più antiche tecniche di caccia, alle più varie strategie militari. Poi lo vide. 
Anche da lontano, l’enorme scaffale dedicato alla Magia era facilmente distinguibile dagli altri: era decisamente più vasto e le copertine dei libri emanavano bagliori dorati e argentati. Alexander si avvicinò, con gli occhi lacrimanti dall’emozione. Prese uno di quei libri in mano, accarezzando la copertina come se fosse il più grande tesoro che esistesse al mondo. Il titolo recava “Sii chi vuoi essere: manuale di trasfigurazione animale.”
Feza strappò di mano il libro ad Alexander. 
“Scherzi, vero? Non ti ho portato qui per farti chiudere in gabbia dal primo addestratore di passaggio. Solo… non vedo libri sulla Magia Elementale…”
Un uomo pelato, con un pizzetto grigio e gli occhi stretti si avvicinò ai due. Aveva un’andatura decisa e un portamento fiero, tipico di chi sa molte cose e non cerca di nasconderle.
“Scusate, avete bisogno di una mano?” chiese, gentilmente. 
“Sì, grazie!” esclamò raggiante Alexander. “Stiamo cercando un volume che tratti di Magia El...” Feza diede una gomitata all’allievo, prendendogli un fianco. 
“Ehi!” cercò di lamentarsi il ragazzo.
“Magia Elementale, eh? Lei dovrebbe sapere che non è un argomento di cui noi Chierici amiamo parlare” disse l’uomo, rimproverando Feza.
“Lascia parlare me” sibilò Feza ad Alexander, senza farsi sentire dal Chierico. 
“Lo perdoni, Eccelso. Non vorremmo mai mancare di rispetto a Lei, né alla Chierica Massima, ma lo guardi” continuò Feza, indicando l’esile e indifeso Alexander “come potevo sottrarmi dal soddisfare la brama di conoscenza di un’anima così assetata da essa?”
Il chierico non protestò oltre. Anzi, chinò la testa e disse solamente “Seguitemi.”
Accertandosi di non essere notato, condusse i due al piano superiore della biblioteca. Poi, sempre con circospezione, aprì una porta nascosta in mezzo a due scaffali. 
“Qui c’è tutto quello che vi serve” bisbigliò, accendendo la luce della stanza. Feza e Alexander si guardarono per alcuni istanti, strabiliati. 

“Capitano” disse Taurus “Qui nei dintorni ci deve essere per forza un campo degli orchi, ne sa qualcosa?”
“No ragazzo, non so proprio nulla. Proviamo a scalare quella collina, potrebbe essere una buona occasione per vedere se altri piccoli villaggi sono stati attaccati… la minaccia potrebbe essere più grande del previsto”.
L’uomo sorrise, tirò fuori da un taschino della camicia la sua pipa e la accese.
“Vieni con me, Taurus”. 
Il Capitano strinse i lacci degli stivali di pelle di Kraken e si incamminò verso un’arida collina posta di fronte a loro.
Il giovane lo seguì a passo deciso, i capelli biondi erano leggermente mossi da una brezza leggera, evento raro in quelle terre.
Dopo un’ora di marcia, il Capitano chiamato Fizzlepert, Taurus e i sei Specchi rimanenti erano arrivati in cima.
Il Sole del mezzogiorno batteva ora cocente, la brezza non bastava più ad alleviare la calura.
“Taurus…” disse Fizzlepert “Tu…non sei una persona normale, vero?”
Il giovane fu colto alla sprovvista, dentro di sé sapeva che il Capitano era un uomo degno di fiducia, ma non poteva rischiare di compromettere il suo obiettivo.
Si girò verso l’uomo, gli occhi lucidi, mentre ricacciava per l’ennesima volta nell’abisso della sua anima il pensiero di Tyurr.
“No, non lo sono Fizzlepert…non posso dirti altro, mi spiace”
“Ognuno ha i suoi segreti Taurus, ora diamo un’occhiata al territorio circostante” rispose l’uomo dando una pacca sulla spalla al mago.
Davanti a loro videro altri due villaggi ancora integri e a poche ore di distanza un accampamento orchesco, caratterizzato dalla presenza di numerose tende.
“Dannazione, dobbiamo tornare indietro subito Fizzlepert”.
I due tornarono di fretta alla nave. 
“Uomini!” tuonò il Capitano. La ciurma, che aveva appena finito di seppellire i cadaveri, lo guardò in attesa di ordini.
“La situazione è questa: due villaggi a un’ora di cammino da qui e un accampamento di pelle verde a due ore circa di viaggio. Ci dividiamo”.
Indicò una decina di uomini
“Voi resterete qui alla nave, armatela e difendetela in caso di attacco, nessun pelle verde prenderà la mia imbarcazione, la nostra casa”.
Altri dieci
“Voi vi dividerete in due squadre, correte verso i villaggi vicini, si trovano uno a Nord e l’altro a Sud Ovest. Avvisateli e date man forte”.
Un solo manipolo di uomini restava in attesa di ordini, il primo gruppo era già sulla nave. Il secondo, invece, era già in cammino da qualche minuto.
“Non è un caso che siate rimasti solo voi non occupati: siete i miei migliori uomini, seguirete me e Taurus verso l’accampamento…portate le vostre lame”.

Morg non capiva, era una settimana che l’Artefice era nel campo, torturato per cercare risposte che non erano arrivate.
Tutto questo però poteva essere considerato normale: il pelle rosa era un uomo forte e senza dubbio fuori dal comune. Il fatto che più preoccupava l’orco era di ben altra natura: Qut non si era mai mosso in quella settimana, nessun gemito, nessun movimento fisico.
Il Gran Guerriero sarebbe arrivato nel giro di pochissimo tempo e Morg non aveva risposte pronte per lui.
La paura si stava impossessando dell’orco, che si trovava fuori dalla sua tenda, nervoso. Una sentinella urlò e il Capo non ebbe più tempo per pensare.
Il Gran guerriero era arrivato al campo con la sua scorta, non fece in tempo ad entrare che la stessa sentinella di prima urlò:
“Culi rosa in vista!”
“Bene, prepareremo loro una bella accoglienza” disse sogghignando il Capo degli orchi guerrieri.

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Capitolo 12
*** Gli Elementi ***


“Gli orchi ci hanno appena avvistato, Fizzlepert” disse Taurus
“Non importa, non siamo venuti per fare un massacro e, nemmeno i pelle verde saranno così stupidi da attaccare noi umani in tempo di pace” rispose il Capitano.
Taurus lo guardò incerto, ma si fidò della parola dell’uomo che, in quella settimana, era stato suo compagno di viaggio.
Il Campo dei pelle verde si mostrava imponente di fronte a loro, ma fu un gruppo numeroso di orchi ad attrarre la loro attenzione prima di qualunque altra cosa.
I pelle verde erano praticamente di fronte a loro, armati di asce e, in testa a loro, la figura più imponente che degli umani avrebbero potuto vedere in tutte le Terre.
Era un orco nettamente più minaccioso degli altri, portava una placca di armatura che copriva la sua spalla sinistra, e dei pantaloni di pelle. Il braccio destro teneva sollevata appoggiata sulla spalla una gigantesca mazza chiodata.
Il viso era squadrato, un tatuaggio tribale percorreva il viso partendo dall’occhio destro per arrivare a coprire tutta la guancia, gli occhi rosso fuoco osservavano impavidi i culi rosa e, per un istante, si scontrarono con gli occhi dorati di Taurus e gli Specchi ai suoi piedi.
Il pelle verde scagliò al suolo la mazza frantumando il terreno circostante, la tensione era palpabile
“Io sono Odd e sono il Gran Guerriero, l’attuale Capo di tutti gli orchi delle Terre Meridionali”
Il Cuore di Taurus perse un battito, così come quello di Fizzlepert. Un silenzio irreale riempiva l’atmosfera.
“Cosa ci fate qui dannati culi rosa!” urlò Morg spezzando il silenzio.
“Silenzio Morg, o la Terra ti reclamerà” sentenziò minaccioso Odd “Immagino il motivo per cui siete venuti qui, umani
“Cos’è successo al villaggio qui vicino? Qual è il motivo della strage?” chiese impetuoso Fizzlepert togliendosi la pipa di bocca.
Morg prese parola:
“Abbiamo preso Artefice! Ecco cosa! Artefice ha richiamato alla Terra tanti compagni, così Morg ha mandato altri compagni per catturare lui”.
Lentamente un orco si unì al gruppo presente all’ingresso e chiese il permesso di parlare, era Grash.
“Noi orchi non sapere chi era Artefice, abbiamo attaccato villaggio…molti scappati, altri combattuto e noi li ha mandati alla Terra. Poi Artefice ha incominciato a uccidere tutti noi…solo io vivo, e l’ha portato qui come avere detto Capo Morg”
“Grazie Grash, il popolo orco ti sarà sempre grato per aver fermato questo pazzo criminale” disse Odd.
“Cosa faceva questo ‘Artefice’ ai vostri compagni?” chiese Taurus deciso, gli occhi dorati che fissavano il Gran Guerriero.
“Li faceva esplodere con la sua magia particolare e, provava godimento nel farlo. Perché tanta curiosità, ragazzo?”
“E’qui, ho trovato il mio Secondo Custode, non posso lasciarmi scappare questa occasione” pensò il mago speranzoso.
“Mi chiamo Taurus, penso di potervi aiutare a contenere quell’uomo…”
“Nessun aiuto culo rosa, ucciderò io stesso l’Artefice e mi raccomando, tieni lontano da me gli Specchi, sento che puzzano di corruzione, molta corruzione…”
“Questo non dovevi dirlo Odd, mi hai lasciato aperta una via. O forse l’hai voluto fare appositamente: non sei stupido come gli altri guerrieri orchi”.
“Bene, e se ti dicessi che potrei diminuire la corruzione che senti nelle vene e, in contemporanea disfarmi dell’Artefice che tanto odiate? Fatemi parlare con lui, posso risolvere la situazione traendo giovamenti per entrambe le parti” concluse Taurus sicuro.
Odd si avvicino al mago e puntò la sua arma sfiorando il volto del giovane.
“Concesso Taurus, ma solo perché ho capito che sei un essere speciale…un passo falso e tu e i tuoi amici sarete richiamati nel ventre delle Terra. Morg, scorta l’umano dal prigioniero e voi altri, non osate entrare nel campo o vi ucciderò tutti”.
Gli uomini ebbero un tremito di puro terrore, si sedettero con timore reverenziale, osservati da tutti gli orchi del campo.
Morg fece entrare Taurus nel campo, mentre ammirava da vicino le tende e le costruzioni orchesche il Capo dell’accampamento parlò:
“Attento culo rosa, prigioniero è…strano…no mangia, no beve, no parla, non si muovere è fermo da sette lune”
“Buon segno” rispose sorridendo di rimando Taurus.
“Entra” disse Morg quando furono arrivati alla sua tenda.
Il mago entrò e si avvicinò al tronco dov’era tenuto prigioniero Qut, nonostante i numerosi tagli sul corpo l’uomo era completamente immobile solo con i suoi pensieri e con i vestiti lacerati.
Taurus si inginocchiò e, con la sua magia curò le ferite dell’uomo, che lo guardò in silenzio e poi fissò gli Specchi incuriosito.
“Piacere Artefice, io mi chiamo Taurus. Ho intenzione di portarti fuori di qui: non nascondo che ti sei cacciato in un brutto guaio, il Gran Guerriero in persona ti vuole uccidere.”
Lo sguardo di Qut appariva ora divertito, ma ancora non si mosse e non parlò.
“Vedo che non sei molto convinto…dicevo, posso portarti via da qui e salvarti la vita, ma mi serve la tua collaborazione. Io ti affiderò uno Specchio, non cercare di nascondere il tuo interesse per quegli artefatti, ho visto come li hai guardati, se vorrai ti spiegherò la loro storia”
Qut si mosse dopo una settimana: annuì
Taurus colse la palla al balzo, non poteva perdere questa occasione, raccontò anche a Qut la storia di suo fratello e della Guerra appena terminata.
“Potresti essere una pedina fondamentale per la salvezza di questo mondo, accetti Artefice?”
Silenzio. Qut non rispondeva, Taurus si faceva sempre più dubbioso, forse non era il Secondo Custode che aveva trovato, ma solo un pazzo. Passarono altri minuti e poi accadde qualcosa:
“Dimmi Taurus, immagino che il culo verde là fuori ti abbia avvertito sul mio comportamento” rispose Qut ridendo follemente.
“Sì” rispose il mago di rimando.
“E tu da buon ragazzo speciale non l’hai ascoltato”
Taurus rimase spiazzato
“Peccato, eri simpatico”
Una sfera di colore viola si incominciò a formare lentamente davanti al petto di Qut, l’Artefice rise di gusto.
“Non mi sono mai mosso in questa settimana perché stavo preparando…Questa”
“Sei impazzito?” Il volto di Taurus si contrasse in una smorfia.
La sfera, divenuta grande quanto il ceppo dove Qut era legato, esplose all’improvviso, La tenda venne sradicata dal terreno, così come le tende circostanti, i giacigli, gli ornamenti e le costruzioni stesse vennero polverizzate, una vasta zona del campo era stata distrutta.
 
Quella stanza metteva Alexander in soggezione: c’erano centinaia di libri su tutto quello che avrebbe desiderato imparare. Per qualche istante non disse niente, ma restò a fissare quello spettacolo, completamente rapito. Solo una lacrima di commozione gli bagnò gli occhi castani.
Feza, osservando la scena, sorrise. Poteva sentire il cuore del suo allievo battere all’impazzata, senza che riuscisse a rallentarne il ritmo. Sapeva di aver realizzato il suo più grande sogno e questo, in qualche modo, lo rendeva felice. Felice come non era mai stato per molto tempo, quasi come se pensasse di non poter meritare tutta quella soddisfazione. Con questo pensiero, prese il libro che cercava e lo passò all’allievo con le mani che gli tremavano per l’emozione.
“STORIA E PRATICA ELEMENTALE: ORIGINI E USO DELLA MAGIA DEGLI ELEMENTI”
Alexander passò per alcuni istanti le dita sulla copertina: i caratteri del titolo in rilievo facevano intendere l’antichità del volume, la luce che irradiava le pagine era la prova che i Chierici usavano la magia per mantenere intatti i volumi che conservavano.
Il giovane aprì il libro lentamente, facendo attenzione a non sgualcirlo. L’indice recava diversi riferimenti: Introduzione, Tagliare l’aria, Manipolazione dell’acqua, Il controllo della Terra e Fuoco.
Il ragazzo era così eccitato dalla lettura che non fece caso al peso del voluminoso tomo. Quasi automaticamente, prese posto in una delle panche che c’erano nella stanza, invece Feza restò in piedi in un angolo, ad osservarlo.
Alexander iniziò a leggere l’introduzione ad alta voce, colpito da quello che stava leggendo:
La Magia degli Elementi, più comunemente chiamata Magia Elementale, è una pratica di incantesimi dovuta alla combinazione di predisposizione genetica, affinità ambientale e sangue eletto. Per spiegare meglio i concetti sopra elencati: se in un corpo non scorre sangue che consente l’utilizzo della magia, se il soggetto non possiede i geni che gli consentono di imparare la magia e se il medesimo vive in un ambiente in cui l’utilizzo della magia non è stato necessario nel corso dei secoli alla sopravvivenza della sua specie, questo è segno che quel soggetto non può imparare questo tipo di incantesimi. Se invece si possiedono le caratteristiche sopra elencate, non mi resta altro che augurarvi di placare la vostra sete di conoscenza, proseguendo la lettura.”
Alexander lesse velocemente le parti più importanti del capitolo sull’aria, in cui era spiegato che movimenti della mano molto veloci possono creare correnti molto forti che, unite alle affinità ambientali, contribuiscono a provocare turbini, vortici e tempeste. Saltò completamente il capitolo sull’acqua, cosa che non gli interessava. 
Considerò particolarmente interessante il capitolo sulla Terra, il quale comprendeva come provocare e fermare scosse sismiche, convocare e piegare al proprio volere creature di Terra.
Proprio quando si apprestava a leggere l’ultimo capitolo, quello dedicato al fuoco, l’attenzione di Alexander fu disturbata dal cigolio di una porta che si apriva. La stanza si riempì di luci fluttuanti, cerulee e accecanti. Dopo qualche istante, Alexander e Feza poterono distinguere chiaramente il rumore di passi che si avvicinavano. Alexander guardò fuori dalla finestra: il cielo era completamente scuro, ad eccezione di uno spicchio di luna. Il ragazzo infilò velocemente il libro nella bisaccia e si nascose dietro uno scaffale, facendo attenzione a non emettere neanche il più flebile respiro. Feza, invece, rimase sull’uscio della porta e attese.

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Capitolo 13
*** Il Secondo Custode ***


Il Campo dei pelle verde era in parte ridotto in cenere, delle tende non rimaneva più nulla se non una polvere sottile, che ancora riempiva l’aria rendendola soffocante.
Taurus era a terra, i gomiti appoggiati su dei residui di legno, guardava stupefatto Qut. I due si fissarono negli occhi.
Taurus era riuscito a sopravvivere grazie alla sua prontezza di riflessi, aveva evocato una barriera all’ultimo istante, la più potente che conosceva, e quest’ultima ora si stava crepando e svanendo davanti ai suoi occhi. Era vivo per miracolo.
“Sei un tipo in gamba, Taurus” disse dal nulla l’Artefice “Nessuno è mai sopravvissuto a un colpo del genere, le poche volte che l’ho usato” concluse ridendo.
Silenzio.
“Coraggio, dammi uno Specchio, lo custodirò io… forse sono pazzo, ma non stupido. Ho capito la pericolosità di quegli artefatti appena ho potuto vederli”
“Sei la persona più incredibile che abbia conosciuto fino ad ora, come ti chiami?”
“Sì sì, mi chiamo Qut, fai in fretta, tra pochi secondi faranno capolino i nostri grandi amici verde melma”
Taurus guardò gli Specchi e si mise una mano tra i capelli
“Rabbia, probabilmente uno dei più incontrollabili sentimenti dell’uomo, sarà questo il suo Specchio, imprevedibile come lo spirito dell’Artefice”
“Qut, ti affido Rabbia” il mago prese lo Specchio e lo diede a Qut che se lo mise sotto braccio, mentre con una mano si grattava il pizzetto.
“E’ molto pericoloso e…”
“Basta, Taurus, so cosa devo fare con quel…coso
“Sicuro?”
“Certamente, ma scordati di sapere cosa mi passa per la testa. Ci risentiremo, immagino” concluse Qut ridendo e, con un gesto della mano, svanì nell’aria ancora polverosa.
“Abbine cura Secondo Custode” disse Taurus tra sé e sé.
Un rumore di passi sempre più presente raggiunse le orecchie del giovane.
“Taurus! Taurus!” La voce di Fizzlepert lo chiamava “Per il Kraken dove diavolo sei finito!”
Gli uomini del Capitano e, gran parte degli orchi avevano raggiunto il luogo dell’esplosione. La polvere si stava diradando, Taurus ne uscì più sporco che mai e con i vestiti lacerati a causa dell’Artefice.
Odd si fece avanti in tutta la sua imponenza prima che Fizzlepert potesse dire alcunché.
“Giovane Taurus, hai adempito al tuo dovere, i guerrieri orchi e la Terra stessa ti sono debitori, verranno cantate canzoni in tuo onore”.
Il Gran Guerriero fece disporre tutti gli orchi armati in fila di fronte al giovane, ora fissavano il mago con aria fiera.
La gigantesca mazza venne scagliata a terra da Odd, seguita dai compagni con la stessa arma. Gli orchi armati di ascia o spada invece si girarono gli uni verso gli altri, facendo cozzare tra di loro le lame ritmicamente.
Fizzlepert e i suoi uomini erano stupiti, stavano assistendo per la prima volta a un canto di guerra degli orchi.
Taurus arrossì, la cooperazione tra uomini e orchi era rara e il pensiero di aver avvicinato le due razze lo fece sorridere di cuore dopo tanto tempo.
 
 
Un chierico fece ingresso nella stanza. Era avvolto da una luce cerulea, che irradiava coi suoi riflessi i capelli grigi e metteva in evidenza il colore degli occhi molto chiaro dell’uomo. Aveva una camminata incerta, quasi zoppicante e le mani coperte da garze.
“Per la dea Feya, divinità della Guarigione! Che fate qui a quest’ora?”
Feza squadrò l’uomo. La veste che portava, bianca e con una striscia dorata che partiva dalla spalla e si congiungeva con la linea del bacino, indicava l’alto grado dell’uomo nella gerarchia dei Chierici.
“Mi perdoni, Onestissimo. Sono studioso della natura dell’uomo e la Magia Elementale e un argomento a me molto caro, quindi talvolta mi trattengo oltre l’orario ad erudirmi sulle più nobili discipline che riguardano tale argomento.”
Il Chierico fissò torvo lo sconosciuto, decidendo quanto si poteva fidare della spiegazione che questo gli aveva appena dato. Poi il suo volto si aprì in un sorriso.
“È sempre un piacere sapere che anche persone che vengono da lontano si appassionino di argomenti così elevati. Mi raccomando però, ormai è orario di chiusura. Se non vi avessi trovato, avreste rischiato di rimanere chiusi qui.” Fece una breve pausa, come se avesse dimenticato di dire qualcosa. Portò due dita al mento e si grattò, pensoso.
“Ah, dica al suo discepolo che se non ha niente da nascondere può pure uscire allo scoperto, altrimenti potrebbe creare sospetti. ”
Alexander deglutì, poi uscì allo scoperto e salutò il Chierico con un timido gesto della mano, poi si mise a testa bassa.
“Chiedo perdono. Posso tenere il libro?” chiese, rivolgendo lo sguardo verso il tomo che teneva in mano.
L’altro annuì e uscì dalla stanza. Solo quando il suono del passo del Chierico che scendeva l’ultimo gradino giunse al suo orecchio, Alexander si concesse un sospiro di sollievo.
“Come… come ha fatto a sentirmi? Sono stato immobile!” disse Alexander.
“Interessante domanda.” Iniziò Feza “Vedo che stai iniziando ad interessarti di cose serie, finalmente. La lettura deve averti fatto bene.”
Alexander sorrise. “Dunque?”
Feza iniziò a spiegare. “Procediamo per gradi. Come hai sentito poco fa, il Chierico che ci ha trovato ha nominato la dea Feya.”
“Dunque?” chiese Alexander, curioso.
“I Chierici devoti alla dea Feya percepiscono la presenza anche di un gruppo di persone nascoste, perché devono essere in grado di individuare qualsiasi essere ferito, anche invisibile.”
Alexander rimase a bocca aperta. Quindi, era questo il potere dei Chierici!
 
Senza perdere altro tempo, uscirono dalla biblioteca. Di notte, la città aveva un aspetto completamente diverso. Per le piazze deserte soffiava un vento freddo, nel centro città tutte le locande più in vista spegnevano le luci e indirizzavano le persone che volevano fare baldoria verso qualche bettola dal servizio scadente nella zona periferica.
Alexander si avvolse nella sua veste magica e in breve smise di sentire freddo. Ormai era riuscito a memorizzare perfettamente il complicato labirinto di vicoli che avrebbero dovuto percorrere per giungere alla locanda dove erano ospitati, quindi arrivarono in fretta.
Una volta entrati, salutarono con poco entusiasmo l’oste e presero in modo altrettanto svogliato le chiavi della loro stanza. Salirono, senza badare al caos che facevano ed entrarono nella camera.
Feza si abbandonò in pochi istanti sul letto, completamente stremato. Anche Alexander sentiva la potente stanchezza che tentava di convincerlo a chiudere le palpebre, ma l’eccitazione per aver tenuto il libro sulla Magia Elementale lo riempiva di un’incredibile carica. Doveva assolutamente finire di leggerlo.
Aprì il libro al capitolo Fuoco, l’ultimo che gli mancava, e ripeté fra sé e sé tutto quello che leggeva, per memorizzare meglio:
Ed eccoci al capitolo sul fuoco. Il fuoco è sicuramente l’elemento più difficile da controllare, sia a causa della scarsità di ambienti favorevoli, sia per la natura intrinseca dell’elemento, indomita e distruttiva. Pochi sono coloro a possedere il sangue eletto per il controllo del fuoco e ancor meno quelli che possono raccontarlo. Per piegare questo elemento al proprio volere, bisogna essere estremamente ambiziosi, altrimenti esso brucerà anima e corpo dell’ospite. Questo elemento è l’unico che il corpo rifiuta con più facilità, quindi il fruitore deve adattare il suo corpo e accogliere l’elemento nelle proprie vene. Infine, è importante che l’ospite del fuoco ponderi bene le proprie energie al momento del rilascio: ci sono documenti che attestano di maghi inesperti che sono diventati bombe umane, o che hanno perso arti a causa del mancato controllo.
Dunque, ricapitolando, ricordate: è il Mago che controlla il proprio Elemento, o sarà l’Elemento a distruggere il Mago”
Le ultime righe del libro riempirono Alexander di un’entusiasmante angoscia. Si rendeva conto dell’enorme dispendio di energia che avrebbe dovuto utilizzare per controllare il fuoco, ma questo riempiva il suo cuore di sicurezza. Avrebbe accolto il fuoco dentro di sé. Con questo ultimo pensiero, si addormentò. Gli occhi gli lacrimavano per l’emozione.  Ciao a tutti. La pubblicazione di "Cronache di Dhares riprenderà dopo le vacanze natalizie :) Mauro e Ste

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Capitolo 14
*** Iniziazione ***


Quella notte trascorse tranquilla. L’anima di Alexander venne allietata da sogni su ciò che aveva letto: sognava di evocare creature di pietra, di creare globi di fuoco e di modellare l’acqua a suo piacimento. 
Vedeva attorno a sé radure vastissime e si stupiva a veder sorgere alberi dal suolo grazie al tocco della sua mano.  La sua veste magica veniva scossa da una parte e dall’altra da una tenera brezza scaturita dalle sue mani e nei suoi occhi ardeva il fuoco del successo. 
Il ragazzo fu svegliato dal sole ardente che aveva raggiunto la vetta del cielo. Ne fu lieto e sorpreso, dato che era la prima volta dopo giorni di viaggio che non veniva privato del sonno dalle braccia del suo mentore, costantemente di malumore. 
A proposito: che fine aveva fatto? Controvoglia Alexander aprì gli occhi e si mise seduto sul letto. Scosse la testa e resto a guardare la sedia sulla quale aveva riposto la veste per qualche istante, poi il suo sguardo passò sul resto della stanza. 
Era molto spaziosa, aveva due letti separati e addirittura un tavolo con quattro sedie attaccato alla finestra. Attaccato alla parete opposta, accanto alla porta, era situato un armadio in legno mal intagliato. Là, Feza aveva riposto la sua veste e il suo mantello la notte precedente. Alexander non seppe mai cosa lo spinse ad avvicinarsi. 
Pur essendo solo, camminò a passi lenti e si guardò intorno più volte, per paura di essere colto sul fatto dal maestro. Una volta raggiunto l’armadio ci si infilò dentro e accostò con cautela un’anta, sincerandosi di non essere scoperto. Esaminò a lungo le pareti buie e polverose del mobile, senza ottenere risultati.
 Un batuffolo di polvere lo fece starnutire, costringendolo ad abbassare lo sguardo.  Solo allora si accorse del ciondolo che si era incastrato in una fessura sul fondo del mobile. Con le mani che gli tremavano a causa del senso di colpa per essersi intromesso in affari che non gli riguardavano, lo raccolse.  
Lo esaminò attentamente. Al tatto era un ciondolo come tanti altri, ma Alexander sentiva una strana sensazione, come un brivido. Lo rigirò tra le dita per qualche minuto, poi impallidì: sul ciondolo c’era una piccola effige che rappresentava uno spadone che si incrociava con una nave da guerra. 
Aveva già visto quei simboli tempo prima, era da lì che era iniziato tutto. Quello era lo stesso simbolo delle guardie che lo aveva assalito, lo stemma reale di Kale. 
Nel silenzio solenne della stanza, Alexander sentì dei passi lenti avvicinarsi. Avrebbe riconosciuto quella camminata fra mille, per questo si infilò velocemente la veste e vi nascose in una tasca il ciondolo di Feza. La porta si aprì.

“Alla buon ora, Alexander Eldan. Cominciavo a pensare che fossi caduto per errore sotto l’influsso di un tuo stesso incantesimo del sonno.” Gracchiò Feza, acido.
Alexander non replicò. Il tono del suo mentore lo infastidiva, ma ben presto gli avrebbe dimostrato quanto vale. 
“Cambiando argomento, ho pensato che finalmente è ora che tu mi mostri davvero quello che sai fare.”
Alexander rabbrividì: Feza era forse in grado di leggergli nel pensiero? Mentre questo pensiero vagava nella sua mente come un veliero in balia delle onde, Feza continuò a parlare.
“Per questo ho deciso di farti mettere in pratica ciò che hai letto dal libro sulla Magia Elementale, iscrivendoti al miglior corso che si tiene al palazzo della Chierica Massima di Hairod.”
Alexander sentì il cuore esplodergli dalla gioia. “Nel palazzo della Chierica Massima?” La voce gli si spezzò in gola, quasi non credesse alla magnificenza di ciò che stava dicendo. Scosse la testa e si diede due buffetti, per essere certo di non stare sognando.  “Sono pronto” affermò infine, deciso. 
Uscirono che era ormai pomeriggio inoltrato, ma erano ancora in tempo per l’iscrizione: Feza aveva raccolto informazioni su orari e modalità per tutta la mattina.
Dopo una ventina di minuti di camminata l’immenso palazzo di Hairod era davanti a loro. L’ingresso a palazzo era libero, senza sorveglianza. Ciò diede ulteriore conferma ad Alexander dell’indole pacifica degli abitanti di Hairod. Entrarono.
Le mura del palazzo erano lisce e, in alcuni punti, ricoperte da specchi di notevole fattura, Alcuni avevano rubini e altre pietre preziose incastonati nella cornice.
Il corridoio era immenso ed illuminato da una moltitudine di luci bianche e cerulee fluttuanti, che permeavano l’ambiente di un senso di pace quasi surreale.
L’illuminazione di natura magica interagiva con gli specchi posti sulle pareti formando prodigiosi arcobaleni.
Il giovane aspirante mago guardava tutto ciò a bocca aperta, in tutta la sua vita non aveva mai visto un ambiente magico come quello. Riusciva quasi a sentire la magia che gli si avvicinava lo studiava e lo accarezzava.
In fondo alla grande sala di accoglienza, una donna bassa e dallo sguardo sorridente raccoglieva le iscrizioni.
“Buongiorno” li salutò, non smettendo di sorridere neanche per un istante. 
“S-Salve” ricambiò il saluto Alexander, imbarazzato da tanta gentilezza.
“Posso fare qualcosa per voi?” chiese la donna, con un tono di voce pacato. 
Feza prese la parola.
“Sono il tutore di questo ragazzo. Sogna di diventare un grande mago, ha delle buone basi.”
“Nessun problema, metta una firma qui, una qui e un’altra qui” disse, indicando punti di un foglio che aveva fatto comparire dal nulla. 
Feza lesse il contratto attentamente, senza lasciarsi sfuggire neanche una clausola. Alla fine del foglio era indicata la cifra di una cauzione. Feza estrasse dalla veste un sacco di monete pesante almeno il doppio della cifra richiesta. 
“Per la sua gentilezza” disse.
La donna arrossì, si alzò con grazia dalla postazione e disse solo “Seguitemi.”
I tre stavano camminando in un corridoio illuminato da torce che emettevano una luce azzurra delicatissima.
“Allora giovanotto” iniziò la chierica dalla bassa statura “Controllare gli elementi non è una passeggiata per nessuno e, soprattutto, alcuni di noi non ne sono in grado. Per questo motivo, una volta arrivati alla fine di questo corridoio entreremo in un’aula del palazzo dove verrai sottoposto ad un test”.
Alexander impallidì improvvisamente, non si aspettava di dover sostenere un esame e, soprattutto, non sapeva da dove cominciare. 
“In cosa consiste il test?” ringhiò Feza “Forse credete che il mio allievo non sia abbastanza preparato?”
“Non si preoccupi, nessuno pensa questo di voi”
Pochi minuti dopo giunsero in una stanza spoglia, illuminata da torce appoggiate sulle mura di pietra nuda e grigia.
Al centro della stanza sedeva su un cuscino un chierico anziano, dalla lunga barba bianca e dai capelli argentei altrettanto lunghi che coprivano il volto.
“Buongiorno ragazzo” esordì il vecchio “Qual è il tuo nome?”
“Mi chiamo Alexander Eldan e mi trovo qui per cercare di imparare a controllare gli elementi” disse con voce malferma, carica di emozione.
Feza guardava la scena impassibile.
“Molto bene Alexander, io sono Arthos e sono uno dei chierici più sapienti di questo luogo. La nostra sorella di fianco a voi vi avrà già accennato del test immagino”.
Il chierico aprì un vecchio baule posto di fronte a lui, diede alla chierica che aveva accolto i due all’ingresso dei bastoncini profumati e lei li accese, disponendoli ai quattro angoli della stanza.
Il profumo dell’incenso invase immediatamente la stanza, l’anziano estrasse dal baule una pergamena sgualcita, una foglia secca, una boccetta con del liquido all’interno e una candela.
Alexander era teso come una corda. 
“Cosa sta succedendo qui? Quegli oggetti saranno sicuramente parte del test, ma cosa devo farci? Devo dare il massimo…incoronerò il mio sogno”
Persino Feza si era scomposto e ora una goccia di sudore rigava il suo volto. Aveva 
 sentito dire che i chierici sottoponevano a delle prove i futuri apprendisti, ma non si aspettava un test di quel tipo. Avrebbe potuto compromettere il futuro del suo allievo per sempre.

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Capitolo 15
*** A dura prova ***


“Bene Alexander Eldan” disse tranquillamente il chierico “la prova può iniziare. Come puoi notare, ho estratto dal baule una pergamena, una foglia, una fiala con del liquido e una candela. Dovrai interagire con questi oggetti solo con la forza della tua magia: toccali e dimostrami cosa sai fare”
“Certo grande chierico” rispose Alexander cercando di nascondere il panico che lo assaliva.
Gocce di sudore gli imperlavano la fronte.
“Cosa devo fare? Credo di aver capito come interagire con la candela e la pergamena, ma il liquido e la foglia rimangano un mistero…sono rovinato! Non passerò mai questo test…”
Più i secondi passavano più il profumo degli incensi diventava forte. Feza, appoggiato al muro, guardava apparentemente impassibile il suo allievo.
“Forza ragazzino! Non sei stupido, pensa bene a cosa sai fare e applicalo…”
Il giovane apprendista prese coraggio, si girò verso Feza il quale gli fece un cenno con lo sguardo come per dire “vai”.
Alexander fece un respiro profondo e si avvicinò alla candela appoggiata sul pavimento di fianco ad Arthos, l’assistente l’aveva appena accesa. Impose le mani su di essa e chiuse gli occhi.
Il silenzio permeava l’aria, fino a quando la candela non iniziò a bruciare più velocemente e con più intensità. Il ragazzo sorrise, era la prima volta che manipolava il fuoco.
“Bene giovane Eldan, prosegui pure” disse il chierico.
“Mmh il liquido, proverò con quello…spero di cavarne fuori qualcosa…”
Il mago si spostò verso la fiala, la svuotò, ma ottenne come risultato solo quello di bagnarsi, quella parte di prova era fallita.
“Dannazione…Niente panico Alexander, hai ancora altri due oggetti per recuperare” pensò il giovane sudando freddo.
Puntò con lo sguardo la foglia secca, la indicò con un dito e si concentrò su di essa.
La foglia fluttuò debolmente in aria e poi si poggiò delicatamente sul pavimento di pietra.
“Bel lavoro!” Penso Alexander compiaciuto “Ora tocca alla pergamena, stupirò tutti”
Alexander si avvicinò all’ultimo oggetto, lo puntò con lo sguardo e, con un abile gesto creò una piccola corrente d’aria in modo da sollevare la pergamena fino al soffitto.
La mano destra indicava ora l’oggetto fluttuante, il giovane fece una x con la mano. Era concentratissimo, non poteva permettersi di fallire.
Istantaneamente la pergamena si tagliò in quattro parti e il mago concluse la sua prova.
“Molto bene Alexander, la tua prova è terminata” disse il vecchio Arthos “Lenda, per favore, spegni gli incensi”.
L’assistente spense i bastoncini e li ripose nel baule poi schioccò le dita e gli oggetti appena utilizzati tornarono nel baule: la pergamena era stata riparata, la candela spenta e il liquido era ritornato nella fiala.
“Giovane Eldan, il test che hai appena sostenuto serviva a verificare le tue affinità magiche, l’incenso aveva il compito di svegliare una piccolissima parte delle tue capacità latenti limitatamente a questo test”.
“Come è andato il ragazzo?” Chiese Feza, avido di sapere.
Il vecchio chierico si girò verso l’uomo.
“Chiediamolo direttamente a lui, ragazzo come credi sia andata questa prova?”
Eldan si morse le labbra, rosso in viso e visibilmente imbarazzato, si scostò i capelli con una mano.
“Credo bene, ma non sapevo cosa fare con quella foglia e con il liquido…”
“Esattamente” rispose tranquillo Arthos, la voce segnata dall’età e dai pochi denti “quello che è emerso dalla prova è che hai affinità con l’elemento fuoco e l’elemento aria…se fossi stato affine alla magia dei chierici guaritori avresti rinvigorito la foglia e, se fossi stato affine all’elemento acqua il liquido ti sarebbe caduto addosso, ma non ti avrebbe bagnato”.
Alexander era soddisfatto di quella risposta.
Il fuoco! Ora sapeva con certezza che avrebbe potuto manipolarlo, il fascino che provava per quell’elemento non era solo tale, ma era una vera e propria affinità magica.
“Ora, viste le tue affinità, riceverai un addestramento specifico per quelle. Domani mattina recati col tuo maestro nel centro di addestramento che si trova a Nord della città e dì che vi mando io”.
“Gr-Grazie infinite” rispose Alexander
“Grazie chierico Arthos” disse Feza, visibilmente soddisfatto “e ora andiamo ragazzo, domani è un grande giorno”.
 
Feza e Alexander salutarono cortesemente la chierica che raccoglieva le iscrizioni e uscirono. Feza notò l’espressione estasiata dell’allievo: era distratto, lo sguardo perso nel vuoto e il suo sorriso era aperto come non era mai stato.
“Soddisfatto?” chiese Feza, curioso. Non era facile capire cosa passasse per la testa di Alexander: dopotutto era un ragazzino ed era passato molto tempo da quando anche Feza aveva vissuto l’età giovane e incosciente.
Alexander non sentì la domanda, ma si limitò a ripetere più volte: “Il fuoco, controllerò il fuoco. Il fuoco!” e intanto con le mani mimava delle fiamme che partivano da terra e raggiungevano il cielo, fino a sfiorare la Luna.
Camminarono a lungo, senza dire una parola. Alexander ne fu lieto: spesso le parole sono una distrazione, sviano l’attenzione dalla vera natura delle cose. Il silenzio invece, è il canto dell’anima. Riesce ad insinuarsi dentro il cuore più intricato e a riempirlo di tacita comprensione, come un caro amico.
È solo allora che riesci a sentirti veramente. Non importa dove sei o con chi sei, importa solo chi sei. Quando ti spogli di parole, rimani solo tu nel mondo e ti senti vivo come mai in vita tua.
Con questa sensazione Alexander spalancò la cigolante porta della locanda. Feza varcò la soglia subito dopo di lui e mise una mano in una tasca della veste, pronto ad estrarne un sacco pieno di monete. Lo trovò subito  e lo porse al locandiere, ma aveva una strana sensazione, come se mancasse qualcosa. Doveva stare calmo, sapeva che perdendo la pazienza avrebbe destato troppi sospetti. Pallido in volto, ordinò la cena per lui e per Alexander Eldan, poi i due presero posto in uno dei tavoli su cui non  erano accasciati clienti abituali, nei quali probabilmente scorreva più sidro che sangue.
La fame si agitava nelle loro pance come lupi che assalgono alla giugulare le proprie prede, impedendo loro qualsiasi via di fuga. Mentre aspettavano il cibo, Feza  decise che era arrivato il momento opportuno per fare il punto della situazione.
“Dunque Alexander, ora che hai superato lo scoglio del test ci sono alcune cose che devi tenere a mente, se vuoi che tutto vada per il verso giusto.”
“Cosa intendi?” chiese Alexander, confuso. “Non ho forse fatto tutto quello che volevi, finora? Ho fatto qualche errore?”
“Non è di questo che si tratta, Alexander Eldan” replicò Feza, cercando di addolcire il tono “è solo che la comunità dei chierici ha regole molto rigide e non sono ammessi errori o scorrettezze. Pretendono rispetto e lealtà, come si conviene a persone importanti.”  
Il tono altezzoso di Feza stava iniziando ad infastidire Alexander. Finalmente era chiaro dove il maestro volesse andare a parare.
“Importanti, come te?” disse Alexander, in tono di sfida. In quel momento venne servita la cena: una zuppa dai colori viola e verde e dall’odore di animale in putrefazione. Alexander scansò la scodella, senza distogliere lo sguardo dal maestro. Feza sembrava più stanco del solito, pesanti occhiaie facevano da cornice ai suoi occhi di gelo e le sue mani tremavano vistosamente.
Alexander avvicinò a sé il suo pasto e lo scolò tutto d’un sorso, poi si pulì le labbra con la manica.
“Ah, non capisci? Parlo forse in maniera troppo poco forbita per vossignoria?”
Feza iniziò a perdere la pazienza.
“Si può sapere cosa stai dicendo?” urlò, con tutta l’aria che aveva nei polmoni. Il tavolo tremò vistosamente. Alexander credette per un attimo di averlo visto sollevarsi da terra.
Ad ogni modo, ormai era fatta. Doveva sostenere le sue posizioni.
“Pensi che non abbia notato che ti stai tormentando la tasca da tutta la sera? Beh, sai perché non trovi quello che cerchi? Perché l’ho io, il tuo stupido medaglione.” Disse, lanciandolo sul tavolo.
“E sai qual è la cosa divertente? Lo stemma è lo stesso delle guardie che mi hanno assalito quando ancora non controllavo i miei poteri, quando tutto questo è iniziato.
E hai pure il coraggio di chiedere di fidarmi?”
Alexander diede le spalle al maestro e si avvicinò all’uscio della locanda.
“Alexander Eldan..” disse solo Feza, con la voce spezzata.
Il ragazzo fece spallucce e senza voltarsi camminò nel gelo della notte. 

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Capitolo 16
*** Distorsioni ***


La notte avvolgeva la città nel suo oscuro manto, la natura attorno alla città era completamente immobile e silenziosa. Ogni luce era spenta, ogni porta sbarrata. L’unico suono che spezzava questa quiete era il ritmico incidere di Alexander che, privo del sonno, camminava scalzo tra la terra e la ghiaia sul suolo di Hairod.
Si avvolse con rabbia dentro la sua veste magica, nera coi bordi rossi. Si morse le labbra: ciò che indossava gli riportò alla mente Feza.
Non poteva credere a quello che era successo. Il ciondolo che Feza custodiva con tanta cura, era il simbolo dei suoi aggressori, i soldati di Kale.
Ricordava perfettamente i loro volti, duri e barbuti e la violenza con cui lo avevano aggredito. E da quel momento tutto era iniziato.
Non sapeva se aver intrapreso quel viaggio fosse stata la cosa più giusta da fare, ma tutto sommato non se ne dispiacque: aveva scoperto di non essere una persona comune. Tutto quello che aveva dentro era un passo in avanti verso la sua meta. I sogni sono come gradini: si possono raggiungere tutti, passo dopo passo, guardando sempre avanti.
Ma quale doveva essere il prezzo di tutto ciò? Non doveva commettere errori, non poteva permetterselo. Avrebbe mostrato a tutto il mondo, compresa la capitale Kale, che con la sua magia sarebbe arrivato lontano.
“Ti ho trovato, finalmente.”
Alexander trasalì. Non aveva sentito rumore di passi, forse perché perso nei suoi pensieri, o forse perché l’uomo era comparso dal nulla. Ad ogni modo, non aveva voglia di cercare una risposta.
“Salve, maestro.” Sibilò, con tutto il disprezzo che riuscì a sputare.
Feza pose una mano sulla spalla destra dell’allievo.
“Noto che non ti è ancora passata. Ti va di parlarne?” chiese, in tono pacato. Aveva gli occhi segnati da occhiaie, probabilmente neanche lui era riuscito a riposare.
“Conosci la risposta. Non abbiamo niente di cui parlare.” Replicò Alexander, secco.
“Sai meglio di me che questo non è vero, Alexander Eldan. Avresti potuto fuggire ovunque, lasciarmi completamente solo, ma non lo hai fatto. Hai bisogno di me, lo sai bene”
Alexander tacque per qualche secondo. Doveva riordinare le idee, voleva capire cosa stava succedendo. Voleva essere indipendente da Feza, ma sentiva nel profondo che in qualche modo erano legati.
“Hai cercato di uccidermi.” Disse Alexander, all’improvviso.
Feza impallidì e tentennò.
“Non lo neghi, dunque?” attaccò Alexander, ormai inarrestabile.
“Non so a cosa ti riferisci.” Replicò Feza, secco.
“Che bastardo!” esclamò Alexander, senza freni. Sentì lo schiaffo troppo tardi e rovinò a terra.
La mano di Feza tremava ancora, mentre il suo sguardo era perso nel vuoto.
“Vuoi sapere la verità? Quei soldati sono di Kale, ed è grazie a me se non ti hanno ucciso e se ora non ti stanno dando la caccia!” esplose Feza.  “Dovresti imparare a fidarti di più delle persone che ti vogliono bene, piccolo impertinente.”
Alexander abbassò la testa. “Scusa.”
 
Il Sole splendeva già alto per i vicoli e le piazze di Hairod.
Alexander e Feza si incamminavano verso il centro di addestramento, ma l’atmosfera era tesa, nessuno dei due pronunciava una parola. La litigata avuta la sera prima bruciava ancora negli animi dei due.
Camminarono in silenzio, nonostante la città ricca pulsasse di vita, la tranquillità permeava le case e le botteghe.
Dopo quasi un’ora di camminata i due si fermarono di colpo.
“L’hai sentito vero?” disse Feza con voce piatta.
“Credo di sì, sento una forte presenza provenire da quella baracca” rispose teso Alexander.
In fondo alla via in cui si trovavano era posizionata una baracca non molto fatiscente, mura di pietra e tetto di mattoni rossi. Sembrava una bottega in piena regola.
“Che razza di magia è mai questa?” mormorò tra sé e sé Feza aggrottando la fronte. Molto di rado l’uomo non era riuscito a riconoscere un incantesimo quando lo vedeva in azione.
“Eldan…non so che magia abbiano usato, sembra una sorta di distorsione della realtà…vediamo qualcosa che non c’è. Magia arcana di alto, altissimo livello che non mi sarei mai aspettato di trovare qui ad Hairod” l’uomo aggrottò la fronte.
“Maestro…cosa facciamo? Io ho bisogno di questo addestramento, penso che dovremmo avvicinarci e sfidare questa magia, che rischi comporterebbe farlo?”
“Non lo so ragazzo, tieni la guardia ben alzata…preparati a respingere o a contrattaccare se necessario. Andiamo”
Alexander inspirò profondamente, si scostò i capelli con una mano.
“Perché deve essere così complicata questa faccenda? Forse solo i più degni si possono addestrare” pensò il ragazzo.
Un passo dopo l’altro i due si avvicinavano alla bottega o a qualsiasi cosa fosse.
Feza si fermò di scatto e tese le mani davanti a sé tastando l’aria:
“Lo spazio sta cambiando, l’aria diventa vischiosa, sarà sempre più difficile avanzare”
Fecero ancora qualche passo, poi divenne impossibile proseguire, la costruzione era a una ventina di metri da loro.
“Ho un’idea” disse Alexander ansimando “Hai parlato di aria che si appesantisce e diventa vischiosa? Beh io sto imparando a controllare quell’elemento…lasciami fare, forse ho una soluzione che ci permetterà di raggiungere quella dannata bottega”.
“Fai quello che vuoi” disse duro Feza “tanto siamo bloccati, possiamo solo tornare indietro”.
Il giovane tese le braccia e si concentrò al massimo.
“Un solo colpo, potente e deciso”
I palmi delle mani toccavano quell’atmosfera vischiosa e al contempo rarefatta
“Vai!” esclamò l’aspirante mago
La corrente d’aria emessa dalle mani si diffuse a onde circolari attraverso la distorsione emettendo un rumore sordo.
Nel centro esatto delle onde si vedeva la realtà così come doveva essere, i due avanzarono decisi e rapidi e il varco si richiuse alle loro spalle, mostrando il vicolo che avevano appena percorso.
Davanti a loro c’era una piccola fortezza di pietra nuda e grigia, più vicino al maestro e l’allievo erano situate due torrette di guardia, sempre di pietra.
“Chi siete e come avete fatto a entrare qui dentro!” gridò una voce proveniente dalla torretta di sinistra.
Alexander era stupefatto, il vicolo si era ingrandito di almeno cinque volte. Era forse questo il potere che investiva coloro che padroneggiavano al massimo la magia? Ma soprattutto, come avrebbe fatto ad ottenerlo?
La guardia che aveva parlato loro aveva un’armatura leggera di colore rosso, e puntava un arco fatto di fuoco verso di loro.
“Parlate o sarete due cadaveri” concluse con aria minacciosa la sentinella posta a destra.


Nota degli autori: Al lettore potrebbe sembrare strano o comunque fuori luogo lo stupore di Feza nei confronti della distorsione. Per chiarezza sottolineiamo che Feza è stupito in quanto, in una città dove si pratica quasi esclusivamente magia di chierici e di tipo elementale, è molto difficile che ci siano maghi di livello elevatissimo esperti in tipi di incantesimi diversi da quelli sopra citati.

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